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Title: La Gioconda
Author: D'Annunzio, Gabriele
Language: Italian
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*** Start of this LibraryBlog Digital Book "La Gioconda" ***


Nota del trascrittore:

   Le indicazioni di scena sono comprese tra i caratteri =.



Gabriele d'Annunzio

LA GIOCONDA

TRAGEDIA

  _Cosa bella mortal passa, e non d'arte._
                  LEONARDO DA VINCI.



MILANO

FRATELLI TREVES, EDITORI

31.º migliaio.

PROPRIETÀ LETTERARIA.

_I diritti di riproduzione e di traduzione sono riservati per tutti i
paesi, compresi la Svezia, la Norvegia e l'Olanda._

     È assolutamente proibito di rappresentare questo lavoro senza il
     consenso per iscritto dell'Autore. (_Articolo 14 del Testo unico,
     17 settembre 1882_).

_Si riterrà contraffatto qualunque esemplare di quest'opera che non
porti il timbro a secco dell'autore._

Milano, Tip. Treves--1922.

* * *

PER ELEONORA DUSE

DALLE BELLE MANI.

* * *



DRAMATIS PERSONAE.


  LUCIO SETTALA.
  LORENZO GADDI.
  COSIMO DALBO.
  SILVIA SETTALA.
  FRANCESCA DONI.
  GIOCONDA DIANTI.
  LA PICCOLA BEATA.
  LA SIRENETTA.

A Firenze e su la marina di Pisa, nel tempo nostro.



ATTO PRIMO.

=Una stanza quadrata e calma, ove la disposizione di tutte le cose rivela
la ricerca di un'armonia singolare, indica il segreto di una rispondenza
profonda tra le linee visibili e la qualità dell'anima abitatrice che le
scelse e le ama. Tutto intorno sembra ordinato dalle mani di una Grazia
pensierosa. L'imagine di una vita dolce e raccolta si genera
dall'aspetto del luogo.

Due grandi finestre sono aperte sul giardino sottostante; pel vano di
una si scorge sul campo sereno del cielo il poggio di San Miniato, e la
sua chiara basilica, e il Convento, e la chiesa del Cronaca, "la Bella
Villanella", il più puro vaso della semplicità francescana.

Una porta mette nell'appartamento interno; un'altra conduce all'uscita.
È il pomeriggio. Per entrambe le finestre entrano il lume, il fiato e la
melodia di Aprile.=



SCENA PRIMA.

=Appariscono su la soglia della prima porta SILVIA SETTALA e LORENZO
GADDI il vecchio, avanzandosi l'una a fianco dell'altro, entrando
insieme nella freschezza primaverile.=


SILVIA SETTALA.

Ah, sia benedetta la vita! Per aver sempre tenuta accesa una speranza,
oggi io posso benedire la vita.

LORENZO GADDI.

La vita nuova, cara Silvia, buona creatura coraggiosa, così buona e
così forte! La tempesta è passata. Ecco che Lucio ritorna a voi, pieno
di riconoscenza e di tenerezza, dopo tanto male. Sembra ch'egli rinasca.
Dianzi aveva gli occhi d'un bambino.

SILVIA SETTALA.

Egli ritrova tutta la sua bontà, quando voi gli siete accanto. Quando vi
dice Maestro, la sua voce si fa così affettuosa che il vostro gran cuore
paterno ne deve palpitare.

LORENZO GADDI.

Dianzi aveva gli occhi medesimi che gli vidi quando venne a me la prima
volta e io gli misi la creta fra le mani. I suoi occhi erano attoniti e
dolci; ma fin da quel tempo il suo pollice era energico e rivelatore.
Conservo il suo primo abbozzo. Pensai di offrirvelo in dono il giorno
degli sponsali. Ve lo darò per augurio della nuova felicità.

SILVIA SETTALA.

Grazie, maestro.

LORENZO GADDI.

È una testa di donna coronata di lauro. Mi ricordo: era là una piccola
modella mediocre. Lavorando, egli la guardava di rado. Talvolta pareva
assorto, e talvolta ansioso. Gli uscì dalle mani una specie di maschera
confusa, in cui s'intravedeva non so qual lineamento eroico. Rimase per
qualche minuto perplesso e scoraggiato, e quasi vergognoso, dinanzi alla
sua opera, non osando volgersi a me. Ma subitamente, prima di
tralasciare, con pochi tocchi segnò intorno alla testa una corona di
lauro. Quanto mi piacque! Egli volle coronare nella creta il suo sogno
inespresso. La fine della sua giornata fu un atto d'orgoglio e di fede.
Lo amai da quell'istante, per quella corona. Io vi darò l'abbozzo.
Forse, guardandolo con attenzione, saprete scoprirvi il volto ardente di
Saffo, quella figura ideale che qualche anno dopo egli seppe condurre
alla perfezione di un capolavoro.

SILVIA SETTALA, =che ascolta avidamente.=

Sedete, sedete, maestro; rimanete ancora un poco: vi prego! Sedete qui,
accanto alla finestra. Rimanete ancora qualche minuto! Io ho mille cose
da dirvi, e non saprò dirvene una. Vorrei vincere questo tremito
continuo che mi tiene.... Bisogna comprendere....

LORENZO GADDI.

La gioia vi fa tremare?

=Egli siede presso la finestra.= SILVIA, =poggiata le reni al davanzale,
rimane volta verse di lui; e il suo viso campeggia nell'aria cerulea
dove sfonda il bel poggio religioso.=

SILVIA SETTALA.

Non so se sia la gioia.... A volte tutto quel che fu, tutto il male,
tutto il dolore, e perfino il sangue, e perfino la cicatrice, tutto
dilegua, scompare, è cancellato dall'oblio, è nulla. A volte tutto quel
che fu, tutto l'orribile peso della memoria, si addensa, si aggrava, si
fa compatto e opaco e duro come una muraglia, come una roccia che io non
debba sormontare giammai.... Dianzi, quando voi parlavate, quando mi
avete offerto quel dono inatteso, pensavo: "Ecco, ora prenderò nelle mie
mani quel dono, quel pezzo di creta dove egli gettò il primo seme del
suo sogno come in una zolla feconda; io lo prenderò nelle mie mani,
andrò verso di lui sorridendo, portandogli intatta la parte migliore
della sua anima e della sua vita; ed io non parlerò, ed egli riconoscerà
in me la custode di tutto il suo bene, e mai più egli vorrà partirsi da
me, e noi saremo giovini ancora, saremo giovini ancora!" Così pensavo; e
il pensiero e l'atto si confondevano con una facilità incredibile. Le
vostre parole trasfiguravano il mondo.... Poi, ecco, un soffio passa, un
alito, il più tenue fiato, un nulla, e travolge ogni cosa, e distrugge
ogni illusione; e l'ansietà ritorna, e il timore, e il tremito.... Oh
aprile!

=Subitamente ella si volge alla luce, con un largo sospiro.=

Come turba quest'aria, che pure è così limpida! Tutte le speranze e
tutte le disperazioni passano nel vento con la polvere dei fiori.

=Ella si sporge dal davanzale chiamando.=

Beata! Beata!

LORENZO GADDI.

La piccola è nel giardino?

SILVIA SETTALA.

E là, che corre tra i rosai. È folle d'allegrezza.--Beata!--S'è nascosta
dietro una siepe, la monella. E ride. L'udite ridere? Ah, quando ella
ride, io so quale sia la gioia dei fiori che si riempiono di rugiada
fino all'orlo del calice. Così il suo riso fresco mi colma il cuore.

LORENZO GADDI.

Forse anche Lucio l'ascolta, e ne è consolato.

SILVIA SETTALA, =grave e trepida, chinandosi verso il maestro,
prendendogli una mano.=

Voi credete dunque ch'egli sia guarito veramente.... d'ogni piaga?
Credete ch'egli ritorni a me con tutta l'anima sua? Avete sentito
questo, vedendolo, parlandogli? Questo vi dice il cuore?

LORENZO GADDI.

M'è parso, dianzi, ch'egli avesse l'aspetto dell'uomo che ricomincia a
vivere con un senso nuovo della vita. Colui che ha veduto il volto
della morte non può non aver veduto in un baleno anche quello della
verità. I suoi occhi sono sbendati. Egli vi riconosce intera.

SILVIA SETTALA.

Maestro, maestro, se voi v'ingannaste, se la speranza fosse vana, che
sarebbe di me? Ho consumato tutte le forze.

LORENZO GADDI.

E di che temete omai?

SILVIA SETTALA.

Egli ha voluto morire; ma l'_altra_.... l'_altra_ vive, e la so
implacabile.

LORENZO GADDI.

E che potrebbe ella omai?

SILVIA SETTALA.

Tutto potrebbe, s'ella fosse ancora amata.

LORENZO GADDI.

Ancora amata? Oltre la morte?

SILVIA SETTALA.

Oltre la morte. Ah, comprendete la mia angoscia! Per lei egli ha voluto
morire, in un'ora di delirio e di furore. Pensate quanto egli dovesse
amarla se il pensiero di me, se il pensiero di Beata non l'ha
trattenuto.... Egli era dunque, nell'ora terribile, tutto intero la
preda di lei sola; egli era al culmine della sua febbre e del suo
spasimo, e il resto del mondo era abolito. Pensate quanto egli dovesse
amarla!

=La voce della donna è sommessa ma lacerante. Il vecchio china il capo.=

Ora, chi può dire quel che sia accaduto in lui, dopo il colpo, quando il
buio della morte è passato su la sua anima? S'è egli risvegliato
immemore? Vede egli un abisso tra la sua vita che si rinnovella e la
parte di sè che è rimasta di là da quel buio? Oppure.... oppure
l'Imagine è risorta dal profondo, e rimane su l'ombra per sempre,
dominatrice, con un rilievo indistruttibile? Dite!

LORENZO GADDI, =perplesso.=

Chi può dire?

SILVIA SETTALA, =con un accento di dolore.=

Ah, ora voi stesso non osate più consolarmi! Dunque, è così? Non v'è
riparo?

LORENZO GADDI, =prendendole le mani.=

No, no, Silvia.... Io intendeva:--chi può dire quali mutamenti porti in
una natura come la sua una forza tanto misteriosa? Tutto annunzia in lui
l'apparizione di un nuovo bene. Guardatelo quando sorride. Dianzi, là,
prima che voi vi allontanaste per accompagnarmi fuori, quando vi ha
baciato queste care mani, non avete sentito che tutto il suo cuore si
struggeva di tenerezza e di umiltà?

SILVIA SETTALA, =accesa il volto da una tenue fiamma.=

Sì, è vero.

LORENZO GADDI, =guardandole le mani.=

Care, care mani, coraggiose e belle, sicure e belle! Sono d'una
straordinaria bellezza le vostre mani, Silvia. Se troppe volte il dolore
ve le ha congiunte, anche ve le ha sublimate, le ha rese perfette. Sono
perfette. Ricordate la donna del Verrocchio, la donna dal mazzolino,
quella dai capelli a grappoli? Ah, è là!

=Egli s'accorge, dallo sguardo e dal sorriso di= SILVIA,
=che una copia del busto è posata su un piccolo armario in un angolo
della stanza.=

Voi avete dunque già riconosciuta la parentela. Quelle due mani sembrano
consanguinee delle vostre, sono della medesima essenza. Vivono, è vero?,
d'una vita così luminosa che il resto della figura n'è oscurato.

SILVIA SETTALA, =sorridendo.=

Oh anima sempre giovine!

LORENZO GADDI.

Quando Lucio riprenderà il suo lavoro, dovrà il primo giorno modellare
le vostre mani. Io ho un pezzo di marmo antico, trovato negli Orti
Oricellari. Glie lo darò, perchè le scolpisca in quello e poi le
sospenda come un _ex-voto_.

SILVIA SETTALA, =a cui passa un'ombra su la fronte.=

Credete ch'egli riprenderà presto il suo lavoro? Lo desidera? Ve ne ha
parlato?

LORENZO GADDI.

Sì, dianzi, quando voi non eravate là.

SILVIA SETTALA.

Che vi diceva?

LORENZO GADDI.

Cose vaghe e deliziose, imaginazioni di convalescente. Le conosco. Sono
stato anch'io malato. Ora gli sembra d'avere smarrito l'arte sua, di
non aver più alcuna potenza, d'essere divenuto estraneo alla bellezza.
Ora invece gli sembra che i suoi pollici abbiano assunto una virtù
magica e che a un semplice tocco le forme debbano escirgli dalla creta
con la facilità dei sogni.... Ha qualche inquietudine per l'abbandono in
cui crede sia rimasto il suo studio, laggiù, sul Mugnone. Mi ha pregato
d'andare a vedere.... Avete voi la chiave?

SILVIA SETTALA, =turbata.=

C'è il custode.

LORENZO GADDI.

Non siete più stata laggiù, da quando?

SILVIA SETTALA.

Da quando _la cosa_ incominciò.... Non ho ancora avuto il cuore di
rientrarvi. Credo che vedrei da per tutto le macchie di sangue e
troverei da per tutto le tracce di colei.... Ella è ancora padrona
laggiù. Quel luogo è ancora il suo dominio.

LORENZO GADDI.

Il dominio di una statua.

SILVIA SETTALA.

No, no.... Non sapete che una chiave è rimasta nelle sue mani? Ella
entra là, ancora come una padrona.... Ah, ve l'ho detto, ve l'ho detto:
ella vive, ed è implacabile.

LORENZO GADDI.

Siete sicura ch'ella sia rientrata là, dopo quel che è accaduto?

SILVIA SETTALA.

Sono sicura. La sua audacia non ha limiti. Ella è senza pietà e senza
vergogna.

LORENZO GADDI.

Ed egli, Lucio, lo sa?

SILVIA SETTALA.

Non lo sa. Ma, certo, egli lo saprà, o prima o poi. Ella troverà il modo
ch'egli lo sappia.

LORENZO GADDI.

Ma perchè questo?

SILVIA SETTALA.

Perchè ella è implacabile, perchè non rinunzia alle sue prede.

=Una pausa. Il vecchio è pensoso. La voce della donna si fa tremante e
roca.=

E la statua.... la Sfinge.... l'avete voi veduta?

LORENZO GADDI, =dopo avere un poco esitato.=

Sì, l'ho veduta.

SILVIA SETTALA.

Fu egli che ve la mostrò?

LORENZO GADDI.

Sì, un giorno dell'ottobre scorso. L'aveva finita allora.

=Una pausa.=

SILVIA SETTALA, =con la voce che le trema e le manca.=

È meravigliosa; è vero? Dite!

LORENZO GADDI.

Sì, è bellissima.

SILVIA SETTALA.

Per l'eternità!

=Una pausa, grave di mille cose indefinite e tuttavia ineluttabili.=

LA VOCE DI BEATA, =dal fondo del giardino.=

Mamma! Mamma!

LORENZO GADDI.

La piccola vi chiama.

SILVIA SETTALA, =scotendosi, sporgendosi dal davanzale.=

Beata!... Ah, ecco: mia sorella Francesca traversa il giardino; vienesu,
con Cosimo Dalbo. Sapete? Cosimo è tornato dal Cairo; è arrivato iersera
a Firenze. Lucio sarà molto contento di rivederlo.

LORENZO GADDI, =levandosi per accomiatarsi.=

Dunque addio, cara Silvia: forse a domani.

SILVIA SETTALA.

Rimanete ancora un poco! Mia sorella vorrà vedervi.

LORENZO GADDI.

Bisogna ch'io vada. Sono già in ritardo.

SILVIA SETTALA.

Quando avrò il dono che mi avete promesso?

LORENZO GADDI.

Forse domani.

SILVIA SETTALA.

Senza forse, senza forse. Vi aspetto. Bisogna che voi veniate spesso
qui, tutti i giorni. La vostra presenza è un gran bene. Non mi
abbandonate! Confido in voi, maestro. Ricordatevi che una minaccia è
ancora sul mio capo.

LORENZO GADDI.

Non temete. In alto il cuore!

SILVIA SETTALA, =volgendosi alla porta.=

Ecco Francesca.



SCENA SECONDA.

=Entra= FRANCESCA DONI =e s'avanza verso la sorella per
abbracciarla.= COSIMO DALBO, =che la segue, saluta=
LORENZO GADDI =che è sul punto di uscire.=


FRANCESCA DONI.

Vedi chi ti conduco? Ci siamo incontrati davanti al cancello. Salute,
maestro. Ve ne andate quando io entro?

=Ella saluta il vecchio.=

SILVIA SETTALA, =tendendo la mano al giovine cordialmente.=

Bentornato, Dalbo. Vi aspettavamo. Lucio è impaziente di rivedervi.

COSIMO DALBO, =con sollecitudine affettuosa.=

Come sta, ora? S'è levato? È guarito?

SILVIA SETTALA.

È in convalescenza: un poco debole ancora; ma di giorno in giorno va
riacquistando le forze. La ferita è interamente chiusa. Lo vedrete
subito. Ha la visita del medico; vado ad annunziarvi. Sarà una grande
gioia per lui. Mi ha già chiesto di voi più volte, nella giornata. È
impaziente.

=Ella si volge a= LORENZO GADDI.

A domani, dunque.

=Esce con un passo vivo e leggero. La sorella, il maestro e l'amico la
seguono con gli occhi fino alla soglia.=

FRANCESCA DONI, =con un sorriso carezzevole.=

Povera Silvia! Sembra, da qualche giorno, che abbia le ali. Quando la
guardo, in certi momenti, mi sembra che stia per spiccare il volo verso
la felicità. E nessuno più di lei merita d'esser felice; non è vero,
maestro? Voi la conoscete.

LORENZO GADDI.

Sì, ella è veramente quale i vostri occhi di sorella la vedono. Esce dal
suo martirio alata. V'è in lei una specie di fremito incessante. Lo
sentivo dianzi, mentre le stavo vicino. Ella è veramente nello stato di
grazia. Non v'è altezza ch'ella non potrebbe raggiungere. Lucio ha nelle
sue mani una vita di fiamma, una forza infinita.

FRANCESCA DONI.

Siete stato a lungo con lui, oggi?

LORENZO GADDI.

Sì, qualche ora.

FRANCESCA DONI.

Come lo avete trovato?

LORENZO GADDI.

Traboccante di dolcezza e smarrito. Voi lo vedrete fra poco, Dalbo. La
sua sensibilità è pericolosa. Le persone che lo amano possono fargli
molto bene e molto male. Una parola lo agita e lo sconvolge. Siate
attento ad ogni vostra parola, voi che lo amate. A rivederci. Bisogna
che io vada.

=Si accomiata dai due, per uscire.=

FRANCESCA DONI.

A rivederci, maestro. Forse domani vi rivedrò qui. Spero. Voi avete
orrore delle mie scale!

=Ella accompagna il vecchio sino alla porta; quindi torna verso l'amico.=

Che fuoco d'intelligenza e di bontà, in quel vecchio! Quando egli entra
in una stanza, sembra che porti un conforto per tutti. Chi è triste si
solleva e chi è lieto s'infèrvora.

COSIMO DALBO.

È un animatore; appartiene alla più nobile casta degli uomini. La sua
opera è una continua esaltazione della vita: è il continuo sforzo di
comunicare una scintilla, tanto alle sue statue quanto alle creature che
egli incontra nel suo cammino. Lorenzo Gaddi mi par degno d'una gloria
ben più alta di quella che gli concedono i suoi contemporanei.

FRANCESCA DONI.

È vero, è vero. Se sapeste di che energia e di che delicatezza ci ha
dato prova, in questa orribile sventura! Quando la cosa avvenne, mia
sorella non era qui: era da nostra madre, a Pisa, con Beata. La cosa
avvenne nello studio, là, sul Mugnone, verso sera. Soltanto il custode
udì il colpo. Com'ebbe scoperta la verità, per istinto corse ad
avvertire Lorenzo Gaddi prima d'ogni altro. Nell'angoscia e nell'orrore
di quella sera d'inverno, tra la confusione e l'incertezza, egli solo
non si perse mai d'animo, non ebbe mai un attimo di esitanza. Conservò
sempre una strana lucidità da cui tutti fummo dominati. Egli solo
disponeva: tutti obbedivamo. Fu egli che volle trasportato il povero
Lucio qui nella casa, moribondo. I medici disperavano della salvezza.
Egli solo ripeteva, con una fede ostinata: "No, non morrà, non morrà,
non può morire." Io gli credetti. Ah che notte eroica, Dalbo! E poi
l'arrivo di Silvia, l'annunzio ch'egli stesso le diede, il divieto
ch'egli le fece di entrare nella stanza dove un soffio poteva spegnere
quel barlume di vita; e la forza di lei, l'incredibile resistenza di lei
alla veglia e al disagio per intere settimane, la vigilanza fiera e
silenziosa con cui ella custodiva la soglia come per impedire il
passaggio alla morte....

COSIMO DALBO.

E io ero lontano, inconsapevole di tutto, a bearmi d'ozio in una barca
sul Nilo! Eppure una specie di presentimento mi pungeva, prima di
partire. Per ciò io tentai ogni mezzo di persuadere Lucio ad
accompagnarmi nel viaggio che in altri tempi avevamo sognato insieme.
Egli aveva finito in quei giorni la sua statua; e io pensavo che nel
marmo stupendo fosse la sua liberazione. Mi rispose: "Non ancora!" E,
qualche mese dopo, doveva cercarla nella morte. Ah se io non fossi
partito, se fossi rimasto al suo fianco, se fossi stato più fedele, se
avessi saputo difenderlo contro la nemica, nulla sarebbe forse avvenuto!

FRANCESCA DONI.

Non bisogna rammaricarsi, se da tanto male può venir qualche bene. Chi
sa in quale tristezza disperata mia sorella si sarebbe consunta, se il
fatto violento non l'avesse riunita a Lucio d'improvviso! Ma non
crediate che la nemica abbia deposto le armi. Ella non abbandona il
campo....

COSIMO DALBO.

Che? Gioconda Dianti....

FRANCESCA DONI, =facendo il segno del silenzio, abbassando la voce.=

Non dite quel nome!



SCENA TERZA.

=Appare su la soglia= LUCIO SETTALA =appoggiato al braccio di=
SILVIA, =pallido e scarno, con gli occhi straordinariamente ingranditi
dalla sofferenza, con un sorriso tenue e dolce che affina la sua bocca
voluttuosa.=


LUCIO SETTALA.

Cosimo!

COSIMO DALBO, =volgendosi, accorrendo.=

Oh Lucio, caro, caro amico!

=Egli prende il convalescente fra le sue braccia; mentre= SILVIA
=si trae in disparte, si avvicina alla sorella ed esce con lei, piano,
soffermandosi a guardare l'amato prima di scomparire.=

Tu sei guarito; è vero? Tu non soffri più; è vero? Ti trovo un po'
pallido, un po' dimagrato, ma non troppo.... Hai l'aria che avevi certe
volte uscendo da un periodo di lavoro febrile, quando rimanevi dodici
ore al giorno dinanzi alla tua creta, divorato dalla grande fiamma. Ti
ricordi?

LUCIO SETTALA, =smarrito, girando lo sguardo per vedere se Silvia sia
ancora nella stanza.=

Sì, sì....

COSIMO DALBO.

Anche allora gli occhi ti s'ingrandivano....

LUCIO SETTALA, =con una inquietudine indefinibile, quasi infantile.=

E Silvia? Dov'è andata Silvia? Non era qui anche Francesca?

COSIMO DALBO.

Ci hanno lasciati soli.

LUCIO SETTALA.

Perchè? Ella crede, forse.... No, io no ti dirò nulla, io non so più
nulla. Tu sai, forse. Io no; non mi ricordo, non voglio ricordarmi
più.... Dimmi di te! Dimmi di te! È bello il Deserto?

=Egli parla in una maniera singolare, come trasognando, con un misto di
agitazione e di stupore.=

COSIMO DALBO.

Ti dirò. Ma bisogna che tu non ti affatichi. Ti racconterò tutto il mio
pellegrinaggio; verrò da te ogni giorno, se mi vuoi; rimarrò con te
quanto ti piacerà, ma senza che tu ti stanchi. Siedi qui....

LUCIO SETTALA, =sorridendo.=

Tu credi che io sia tanto debole?

COSIMO DALBO.

No; tu stai già bene, ma è meglio che tu non ti stanchi. Siedi qui....

=Lo fa sedere presso la finestra; guarda la collina disegnata puramente
sul cielo d'aprile.=

Ah, mio caro, cose meravigliose hanno mirato i miei occhi e hanno bevuto
una luce al cui paragone anche questa sembra smorta; ma, quando rivedo
una semplice linea come quella là (guarda là San Miniato!), mi sembra di
ritrovar tutto me stesso dopo un intervallo di errore. Guarda là il
poggio benedetto! La piramide di Chéope non fa dimenticare la Bella
Villanella; e più d'una volta, nei giardini di Koubbeh e di Gizeh,
serbatoi di miele, masticando un grano di resina, ho pensato a uno
svelto cipresso toscano sul limite di un oliveto magro.

LUCIO SETTALA, =socchiudendo gli occhi sotto l'alito primaverile.=

Si sta bene qui; è vero? C'è un odore di violette.... C'è forse un mazzo
di violette nella stanza? Silvia ne mette da per tutto, anche sotto il
mio guanciale.

COSIMO DALBO.

Sai? Ti ho portato, tra le pagine di un Corano, le violette del Deserto.
Le ho colte nel giardino di un monastero persiano, in vicinanza della
Tebaide, ai fianchi del Mokattam, su un'altura di sabbia. Là, in una
caverna scavata nel monte, coperta di tappeti e di cuscini, i monaci
offrono al visitatore un thè d'un sapore speciale, il thè arabo,
profumato di violette.

LUCIO SETTALA.

E tu me le hai portate, sepolte nel libro! Tu eri felice quando le
coglievi, laggiù; e io avrei potuto esser teco.

COSIMO DALBO.

Tutto era oblio, laggiù. Salivo per una lunga scala di pietra, diritta,
che conduce dal piede della montagna alla porta dei Bectaschiti. Il
Deserto era intorno: una immensa aridità allucinante dove soli vivevano
il palpito del vento e il tremolio del calore. Non distinguevo qua e là,
tra le dune, se non le pietre bianche dei cimiteri arabi. Udivo i gridi
degli sparvieri, altissimi nel cielo. Guardavo sul Nilo passare a torme
le barche dalle grandi vele latine, bianche, lente, di continuo, di
continuo, come fiocca la neve. E a poco a poco mi rapiva un'estasi che
tu non puoi ancora aver conosciuto: l'estasi della luce.

LUCIO SETTALA, =con una voce che pare lontana.=

E io avrei potuto esser teco, oziare, obliare, sognare, inebriarmi di
luce. Tu hai navigato sul Nilo, è vero?, in una vecchia barca carica di
otri, di sacchi e di gabbie. Tu sei disceso in un'isola verso sera; tu
eri vestito di lana bianca; tu avevi sete; tu ti sei dissetato a una
sorgente; tu hai camminato a piedi nudi sui fiori; e l'odore era così
forte che ti pareva di non aver più fame. Ah, ho pensato, ho sentito
queste cose, dal mio guanciale.... E anche pel deserto ti seguivo,
quando la febbre era più alta: per un deserto di sabbie rosse, tutto
seminato di pietre brillanti che si sfaldavano crepitando come i
sarmenti al fuoco.

=Una pausa. Egli si solleva un poco, interrogando con un accento chiaro,
ad occhi aperti.=

E la Sfinge?

COSIMO DALBO.

La prima volta la vidi di notte, al lume delle stelle, profondata nella
sabbia che conservava ancora l'impronta violenta dei turbini. Soltanto
la faccia e la groppa emergevano da quella specie di gorgo placato, la
forma umana e la bestiale. La faccia, dove l'ombra nascondeva le
mutilazioni, in quell'ora mi parve bellissima: calma, augusta e cerulea
come la notte, quasi mite! Non v'è, Lucio, cosa al mondo che sia più
sola di quella; ma la mia anima era come dinanzi a moltitudini che
dormissero e su le cui ciglia cadesse la rugiada. La rividi, poi, di
giorno. La faccia era bestiale come la groppa; il naso e le gote erano
corrosi; il fimo degli uccelli bruttava le bende. Era il pesante mostro
senz'ali imaginato dagli scavatori di sepolcri, dagli imbalsamatori di
cadaveri. E mi riapparve nel sole la tua Sfinge imperiosa e pura che
porta le ali imprigionate vive negli omeri.

LUCIO SETTALA, =con una commozione subitanea.=

La mia statua? Tu parli della mia statua? Tu la vedesti, è vero, prima
di partire; e ti sembrò bella.

=Egli guarda inquieto verso la porta, per tema che= SILVIA
=possa udire; e abbassa la voce.=

Ti sembrò bella; è vero?

COSIMO DALBO.

Bellissima.

=Lucio si copre gli occhi con ambo le palme e resta per alcuni attimi
intento come par evocare una visione nell'oscurità.=

LUCIO SETTALA, =scoprendosi.=

Non la vedo più. Mi sfugge. Appare e dispare come in un baleno, confusa.
Se l'avessi ora qui davanti, mi parrebbe nuova; gitterei un grido Io
l'ho scolpita, con queste mie mani?

=Egli si guarda le mani affilate e sensitive. Un'agitazione crescente lo
invade.=

Non so più, non so più. Nella prima febbre, quando avevo ancora il
piombo nella carne e il rombo continuo della morte su l'anima perduta,
la vedevo diritta a piè del letto, accesa come una torcia, come se io
medesimo l'avessi plasmata in una materia incandescente. Così per più
giorni e per più notti io la vidi, a traverso le mie palpebre.
S'accendeva con la mia febbre. Quando i miei polsi bruciavano, ella si
faceva di fiamma. Pareva che salisse e ribollisse in lei tutto il sangue
versato ai suoi piedi....

COSIMO DALBO, =inquieto, guardando anch'egli verso la porta per lo stesso
timore.=

Lucio, Lucio, tu dicevi dianzi che non sapevi più nulla, che non volevi
ricordarti più di nulla.... Lucio!

=Egli scuote dolcemente l'amico che è rimasto fisso.=

LUCIO SETTALA, =riprendendosi.=

Non temere. Tutto è laggiù, lontano, in fondo al mare. Anch'essa la
statua è sommersa con l'altre cose, dopo il naufragio. Per ciò io non la
vedo se non in confuso, a traverso le alte acque.

COSIMO DALBO.

Ella sola sarà salvata, vivrà in eterno; e tanto dolore non sarà stato
sofferto invano, tanto male non sarà stato inutile, se ancóra una cosa
bella si aggiungerà all'ornamento della vita.

LUCIO SETTALA, =sorridendo ancora del suo sorriso tenue e parlando con la
sua voce lontana.=

È vero. Io penso qualche volta alla sorte di colui che naufragò in una
tempesta con tutto il suo carico. In una giornata serena come oggi,
egli prese una barca e una rete; e tornò sul luogo del naufragio con la
speranza di trarre dal fondo qualche cosa. E, dopo molta fatica, trasse
a riva una statua. E la statua era così bella che, al rivederla, egli
pianse di gioia; e si sedette su la riva del mare a contemplarla, e fu
pago di quel bene, e non volle altro cercare; _e obliò tutto il resto_.

=Egli si leva, quasi con impeto.=

Perchè Silvia non torna più?

=Ascolta.= Chi ride? Ah, è Beata nel giardino. Guarda! San Miniato è
d'oro: sfólgora. C'è una luce più gloriosa a Tebe?

COSIMO DALBO.

L'estasi della luce! Te l'ho detto: tu non potrai conoscerla altrove.
Cerchi, ghirlande, rote, rose di splendori, innumerabili faville.... I
versi del _Paradiso_ tornano alla memoria. Solo Dante ha trovato le
parole abbaglianti. In certe ore il Nilo diventa la fiumana dei topazii,
il "miro gurge". Come un sasso nell'acqua, un gesto nell'aria suscita
mille e mille onde. Tutte le cose nuotano nella luce; tutte le foglie ne
stillano. Le donne che passano lungo il fiume con gli otri riempiuti
fiammeggiano veramente come le milizie angeliche nella Cantica, distinte
"e di fulgore e d'arte".

LUCIO, =avendo scoperto su una tavola il mazzo di violette, lo prende, e
vi affonda quasi il viso per aspirarne l'odore.=

LUCIO SETTALA, =tenendo ancora il mazzo alle nari e socchiudendo gli
occhi nella delizia.=

Sono belle le donne del Nilo?

COSIMO DALBO.

Talune, le adolescenti, hanno corpi d'una purezza e d'una eleganza
stupende. Tu che prediligi le musculature agili e salde, una certa
acerbità nelle forme, le gambe lunghe e nervose, troveresti là qualche
modella incomparabile. Quante volte ti ho invocato! Nell'isola
d'Elefantina avevo un'amica di quattordici anni: una fanciulla dorata
come un dattero, magra, svelta, arida, con le reni forti e arcate, le
gambe diritte e potenti, i ginocchi perfetti--cosa rarissima, come tu
sai. Su tutta quella magrezza dura, che dava imagine d'un'arme da lancio
precisa e fine, tre cose mi seducevano con una grazia infinitamente
molle: la bocca, l'ombra dei cigli, l'estremità delle dita. Ella
s'intrecciava i capelli con le dita ch'erano rosse all'estremità come
petali intinti nella porpora; e guardarla in quell'atto, su la soglia
della casa bianca, era la gioia dei miei mattini. Avrei voluto
portartela con le statuette, con gli scarabei, con le stoffe, col
tabacco, con i profumi, con le armi. Ma t'ho portato un bell'arco, che
ho comperato ad Assouan e che le somiglia un poco.

LUCIO SETTALA, =con un lieve turbamento, rovesciando indietro il capo.=

Doveva essere una creatura deliziosa!

COSIMO DALBO.

Deliziosa e inoffensiva. Ella somigliava a un bell'arco, ma le sue
frecce non erano avvelenate.

LUCIO SETTALA.

Tu l'amavi?

COSIMO DALBO.

Come amo il mio cavallo e il mio cane.

LUCIO SETTALA.

Ah, tu eri felice laggiù; la tua vita era facile e leggera. Era dunque
l'isola d'Elefantina quella dove io ti vidi approdare, nel sogno. Avrei
potuto esser teco! Ma io andrò, partirò. Non desideri di ritornarvi? Io
avrò una casa bianca sul Nilo: farò le mie statue col limo del fiume e
le alzerò in quella tua luce che me le convertirà in oro.... Silvia!
Silvia!

=Egli chiama verso la porta, come assalito da una impazienza repentina,
da una volontà ansiosa di vivere.=

Sarà troppo tardi?

COSIMO DALBO.

È troppo tardi. Sopraggiunge la grande estate.

LUCIO SETTALA.

Che importa? Io amo l'estate, il calore, anche l'afa. Tutti i melagrani
saranno fioriti nei giardini, e qualche volta pioverà, verranno giù
nell'afa quelle gocce larghe e tiepide che fanno sospirare di voluttà la
terra....

COSIMO DALBO.

Ma il Khamsin? quando tutto il Deserto si solleverà contro il Sole?

SILVIA =appare su la soglia, sorridendo, con tutta la persona mossa da
una visibile animazione. Ella ha mutato abito: è vestita d'un colore più
chiaro, primaverile; e porta fra le mani un mazzo di rose fresche.=

SILVIA SETTALA.

Che dite, Dalbo, contro il Sole? M'hai chiamata, Lucio?

LUCIO SETTALA, =ripreso da una specie di timidità inquieta, come d'uomo
che abbia il bisogno di abbandonarsi e non osi.=

Sì, ti ho chiamata, perchè non ti vedevo più tornare.... Cosimo mi
raccontava tante cose belle, del suo viaggio. Volevo che anche tu le
udissi.

=Egli guarda la moglie con occhi attoniti, come se scoprisse in lei una
grazia nuova.=

Stavi per uscire?

SILVIA SETTALA, =arrossendo un poco.=

Ah, tu guardi il mio abito. L'ho messo per provarlo, giacchè Francesca
era là.... Mia sorella vi fa le sue scuse a entrambi, per essersi
partita senza venire a salutarvi. Aveva fretta: l'aspettano i suoi
bambini. Spera, Dalbo, che voi andiate presto a vederla.

=Ella depone su una tavola il mazzo di rose.=

Pranzate con noi, stasera?

COSIMO DALBO.

Grazie. Stasera non posso. Mia madre mi tiene.

SILVIA SETTALA.

È giusto. Domani, allora?

COSIMO DALBO.

Domani. Ti porterò, Lucio, i miei doni.

LUCIO SETTALA, =con una curiosità infantile.=

Sì, sì, pòrtali, pòrtali!

SILVIA SETTALA, =sorridendo con un'aria misteriosa.=

Anch'io domani avrò un dono.

LUCIO SETTALA.

Da chi?

SILVIA SETTALA.

Dal maestro.

LUCIO SETTALA.

Che dono?

SILVIA SETTALA.

Vedrai.

LUCIO SETTALA, =con un moto d'allegrezza.=

Tu anche vedrai quante belle cose mi ha portate Cosimo: stoffe, profumi,
armi, scarabei....

COSIMO DALBO.

Amuleti contro ogni male, talismani per la felicità. Sul Gebel-el-Tair,
in un convento copto, ho trovato il più virtuoso degli scarabei. Il
monaco mi narrò una lunga storia di un cenobita che, al tempo delle
prime persecuzioni, essendosi rifugiato in un ipogeo, vi trovò una
mummia e la trasse fuori dal suo viluppo di balsami e la rianimò. E la
mummia risuscitata con le sue labbra dipinte gli fece il racconto della
sua antica vita, ch'era stata un tessuto di felicità. Infine, come il
cenobita voleva convertirla, ella preferì di ricoricarsi nei suoi
balsami; ma prima gli donò lo scarabeo preservatore. Dirvi l'uso che ne
fu fatto dal solitario e le vicende per cui scese a traverso i secoli
nelle mani del buon copto, sarebbe troppo lungo. Certo, non ve n'è in
tutto l'Egitto uno più virtuoso. Eccolo. Ve l'offro; l'offro a entrambi.

=Egli presenta l'amuleto a= SILVIA, =che l'osserva attentamente e poi lo
porge a= LUCIO, =con un baleno negli occhi.=

SILVIA SETTALA.

Com'è azzurro! È più splendido d'una turchese. Guarda.

COSIMO DALBO.

Il copto mi disse: "Piccolo come una gemma, grande come un destino!"

LUCIO =volge la pietra mistica tra le dita che gli tremano un poco,
smarritamente.=

E addio, a domani. Bene vi sia! Felice sera!

SILVIA SETTALA, =scegliendo dal mazzo una rosa e offrendogliela.=

Ecco una rosa fresca in cambio dell'amuleto. Portatela a vostra madre.

COSIMO DALBO.

Grazie. A domani.

=Rinnovati i saluti, esce.=



SCENA QUARTA.

=LUCIO SETTALA sorride con timidezza, volgendo ancora fra le dita lo
scarabeo; mentre SILVIA mette le rose in una coppa. Entrambi, nel
silenzio, sentono palpitare i loro cuori ansiosi. Il sole declinante
indora la stanza. Pel vano delle finestre appare il cielo impallidito;
San Miniato splende su l'altura; l'aria è dolce, senza mutamento.=

LUCIO SETTALA, =guardando all'aria, in ascolto, sommesso.=

C'è un'ape nella stanza.

SILVIA SETTALA, =sollevando la faccia.=

Un'ape?

LUCIO SETTALA.

Sì. Non senti?

=Entrambi tendono l'orecchio al murmure.=

SILVIA SETTALA.

È vero.

LUCIO SETTALA.

Forse l'hai portata tu, con le rose.

SILVIA SETTALA.

Queste le ha colte Beata....

LUCIO SETTALA.

L'ho sentita ridere dianzi, giù nel giardino.

SILVIA SETTALA.

Com'è felice d'essere ritornata nella sua casa!

LUCIO SETTALA.

Fu bene allontanarla allora....

SILVIA SETTALA.

S'è fatta più bella e più forte, per aver respirato l'odore dei pini.
Come dev'esser buona la primavera a Bocca d'Arno! Non vorresti andare
là, un poco?

LUCIO SETTALA.

Là, al mare.... Ti piacerebbe?

=La voce d'entrambi è alterata da un lieve tremito.=

SILVIA SETTALA.

Passare là una primavera, è stato sempre il mio sogno.

LUCIO SETTALA, =soffocato dalla commozione.=

Il tuo sogno è il mio, Silvia.

=L'amuleto gli cade dalle mani.=

SILVIA SETTALA, =chinandosi vivamente a raccoglierlo.=

Ah, l'hai lasciato cadere! Si direbbe un cattivo presagio.... Guarda. Lo
metto sul capo di Beata. "Piccolo come una gemma, grande come un
destino!"

=Ella depone l'amuleto sul mazzo di rose, delicatamente.=

LUCIO SETTALA, =tendendo le mani verso di lei, come ad implorare.=

Silvia! Silvia!

SILVIA SETTALA, =accorrendo.=

Ti senti male? Diventi più pallido.... Ah, ti sei troppo affaticato
oggi, sei troppo stanco. Siedi qui, siedi. Vuoi un sorso di
quell'elisire? Ti senti venir meno? Di'!

LUCIO SETTALA, =prendendole le mani, con un impeto di amore.=

No, no, Silvia; non mi sono mai sentito così bene.... Tu, tu siedi,
siedi qui; e io ai tuoi piedi, finalmente, con tutta l'anima mia, per
adorarti, per adorarti!

=Ella si lascia cadere sul divano ed egli in ginocchio dinanzi a lei.
Ella è tutta sconvolta e tremante, e pone le mani su le labbra di lui
come per impedirgli di parlare. Le passano così tra le dita l'alito e le
parole.=

Finalmente! Era come una piena che veniva di lontano, una piena di tutte
le cose belle e di tutte le cose buone che tu hai versate su la mia vita
da che mi ami; e n'avevo il cuore gonfio, ah così gonfio che dianzi
vacillavo sotto il peso e mancavo e morivo d'ambascia e di dolcezza,
perchè non osavo dire....

SILVIA SETTALA, =bianca in viso, con la voce spenta.=

Non dire, non dir più!

LUCIO SETTALA.

Ascoltami, ascoltami. Tutte le pene che hai sofferte, le ferite che hai
ricevute senza un grido, le lacrime che nascondesti perchè io non avessi
onta e rimorso, i sorrisi di cui velavi le tue agonie, l'infinita pietà
pel mio errore, il coraggio invincibile dinanzi alla morte, la lotta
affannosa per la mia vita, la speranza tenuta sempre accesa al mio
capezzale, le veglie, le cure, l'incessante palpito, l'attesa, il
silenzio, la gioia, tutto quel che v'è di profondo, tutto quel che v'è
di dolce e d'eroico in te, tutto io conosco, tutto io so, cara, cara
anima; e, se la violenza è valsa a spezzare un giogo, se il sangue è
valso a riscattarmi, (oh, lasciami dire!) io benedico la sera e l'ora
che mi portarono moribondo in questa casa del tuo martirio e della tua
fede per ricevere un'altra volta dalle tue mani,--da queste divine mani
che tremano,--il dono della vita.

=Egli preme la sua bocca convulsa nelle palme di lei; ed ella lo guarda a
traverso il pianto che le impregna le ciglia, trasfigurata dalla
felicità improvvisa.=

SILVIA SETTALA, =con la voce spenta e rotta.=

Non dire, non dir più! Il cuore non regge.... Tu mi soffochi di
gioia.... Una sola parola io attendeva da te, una sola, null'altro; e a
un tratto tu m'inondi d'amore, tu mi riempii tutte le vene, tu mi
sollevi oltre la speranza, tu trapassi il mio sogno, tu mi dài la
felicità che è sopra ogni attesa.... Ah che dicevi tu delle mie pene?
Che è mai il dolore patito, che è mai il silenzio costretto, e che è una
lacrima, e che è un sorriso, al confronto di questa piena che mi
trasporta? Sento che più tardi, per te, per te, mi rammaricherò di non
avere a bastanza sofferto.... Forse non ho toccato il fondo del dolore,
ma so che ho toccato ora la cima della felicità.

=Ella accarezza perdutamente il capo di lui che è abbandonato su le sue
ginocchia.=

Àlzati! Àlzati! Vieni più vicino al mio cuore, ripòsati sopra di me,
abbandónati alla mia tenerezza, premi le mie mani su le tue palpebre,
taci, sogna, raccogli le forze profonde della tua vita. Ah non me
soltanto tu dovresti amare, non me soltanto, ma l'amore che io ho per
te: amare questo mio amore! Io non sono bella, non sono degna dei tuoi
occhi, sono una umile creatura nell'ombra; ma il mio amore è
meraviglioso, è in alto in alto, è solo, è sicuro come il giorno, è più
forte della morte, è capace d'un prodigio: ti darà quel che gli
chiederai. Tu potrai chiedergli anche quel che non fu sperato mai.

=Ella lo attira verso il suo cuore sollevandogli il capo. Egli tiene gli
occhi chiusi e le labbra strette, pallidissimo, inebriato, estenuato.=

Àlzati! Àlzati! Vieni più vicino al mio cuore; riposati sopra di me. Non
senti che puoi abbandonarti? che nulla al mondo è più sicuro del mio
petto? che sempre lo troverai? Ah, io ho pensato qualche volta che
questa certezza potesse inebriarti come la gloria....

=Standole egli dinanzi col volto levato, ella con ambe le mani gli solca
i capelli per discoprirgli la fronte intiera.=

Bella fronte possente, segnata, benedetta! Che tutti i germi della
Primavera s'aprano nei tuoi pensieri nuovi!

=Tremante ella vi preme le labbra. Muto egli tende le braccia verso
l'invocatrice. Il tramonto sembra un'aurora.=



ATTO SECONDO.


=La medesima stanza, la medesima ora. Appare per le finestre un cielo
ingombro e mutevole.=



SCENA PRIMA.

=COSIMO DALBO è seduto presso una tavola su cui poggia il gomito
sostenendo con la palma la tempia, grave e pensieroso. LUCIO SETTALA è
in piedi, irrequieto, sconvolto: si muove incertamente per la stanza,
cedendo all'angoscia che lo preme.=


LUCIO SETTALA.

Sì, voglio dirtelo.... Perchè dovrei nascondere la verità? A te! M'è
giunta una lettera, l'ho aperta, l'ho letta....

COSIMO DALBO.

Della Gioconda?

LUCIO SETTALA.

Di lei.

COSIMO DALBO.

D'amore?

LUCIO SETTALA.

Mi bruciava le dita....

COSIMO DALBO.

Ebbene?

=Esita. L'emozione gli altera la voce.=

Tu l'ami ancora?

LUCIO SETTALA, =con un sussulto di paura.=

No, no, no....

COSIMO DALBO, =guardandolo in fondo agli occhi.=

Non l'ami più?

LUCIO SETTALA, =supplichevole.=

Oh, non mi torturare! Soffro.

COSIMO DALBO.

Ma che cosa dunque ti turba?

=Una pausa.=

LUCIO SETTALA.

Ogni giorno, all'ora ch'io so, ella m'attende là, a piè della statua,
sola.

=Un'altra pausa. I due uomini sembra che considerino davanti a loro
qualche cosa di vivente e di forte, una Volontà, evocata da quelle
parole brevi.=

COSIMO DALBO.

Ella ti attende! Dove? Nel tuo studio! Come può entrarvi?

LUCIO SETTALA.

Ha una chiave: quella di allora.

COSIMO DALBO.

Ti attende! Crede, vuole dunque che tu le appartenga ancora.

LUCIO SETTALA.

Tu lo dici.

COSIMO DALBO.

E che farai?

LUCIO SETTALA.

Che farò?

=Una pausa.=

COSIMO DALBO.

Tu vibri come una fiamma.

LUCIO SETTALA.

Soffro.

COSIMO DALBO.

Ardi.

LUCIO SETTALA, =con veemenza.=

No.

COSIMO DALBO.

Ascolta. Ella è terribile. Non si lotta contro di lei se non da
lontano. Per ciò io volevo trascinarti meco, oltremare. Tu preferisti
al mare la morte. Un'altra (tu sai chi, e il cuore ti si fende) un'altra
ti ha strappato alla morte. E tu non puoi vivere omai se non per questa.

LUCIO SETTALA.

È vero.

COSIMO DALBO.

Bisogna partire, fuggire.

LUCIO SETTALA.

Per sempre?

COSIMO DALBO.

Per qualche tempo.

LUCIO SETTALA.

Ella mi aspetterà.

COSIMO DALBO.

Tu sarai più forte.

LUCIO SETTALA.

Il suo potere sarà cresciuto. Ella avrà più profondamente impregnato di
sè il luogo che m'è caro per l'opera che vi fu compita. Io la vedrò di
lontano come la custode di una statua ove passò il più vivo baleno
dell'anima mia.

COSIMO DALBO.

Tu l'ami!

LUCIO SETTALA., =disperato.=

No, non l'amo. Ma pensa: ella sarà sempre la più forte; ella sa quel che
mi vince e quel che mi lega; ella s'è armata d'un fascino a cui io non
potrò sottrarre la mia anima se non strappandola dal mio cuore. Debbo io
tentare un'altra volta?

COSIMO DALBO.

Ah, tu deliri!

LUCIO SETTALA.

Il luogo dove ho sognato, dove ho lavorato, dove ho pianto di gioia,
dove ho chiamata la gloria, dove ho veduta la morte, è la sua conquista.
Ella sa che io non potrò starne lontano o rinunziarvi, che la parte più
preziosa della mia sostanza è là diffusa; ed ella m'attende, sicura.

COSIMO DALBO.

Ma esercita dunque ella un diritto inviolabile? Nessuno potrà vietarle
quella soglia?

LUCIO SETTALA., =con una emozione profonda.=

Farla scacciare?

COSIMO DALBO.

No; ma vi può essere un modo meno duro, il più semplice: richiederle
quella chiave ch'ella non ha alcun diritto di conservare.

LUCIO SETTALA.

E chi la richiederebbe?

COSIMO DALBO.

Qualcuno di noi, io stesso, rispettosamente, in nome della necessità.

LUCIO SETTALA.

Ella rifiuterà, considerandoti come un estraneo.

COSIMO DALBO.

Tu stesso, allora.

LUCIO SETTALA.

Io? Andando dinanzi a lei?

COSIMO DALBO.

No; scrivendole.

=Una pausa.=

LUCIO SETTALA, =con l'accento dell'assoluta impossibilità.=

Non posso. E tutto sarebbe vano.

COSIMO DALBO.

Ma v'è un altro modo: abbandonare quella casa, sgomberarla, vuotarla di
tutto, trasportare tutto altrove. Tu eviterai così anche la tristezza
intollerabile del ricordo.... Come non senti che il cambiamento è
necessario, se la tua vita si rinnova, perchè la compagna che hai
ritrovata possa assistere al tuo lavoro? Soffriresti tu ch'ella si
sedesse là dove l'altra si distese? ch'ella avesse di continuo negli
occhi la visione dell'orribile sera?

LUCIO SETTALA, =sorridendo scorato e amaro.=

Ebbene sì, hai ragione: cambieremo, andremo altrove, sceglieremo un bel
luogo solitario, toglieremo la polvere dalle vecchie cose, apriremo
tutte le finestre, faremo entrare l'aria pura, avremo un cumulo di
creta, un blocco di marmo, alzeremo un monumento alla Libertà.

=S'interrompe. La sua voce si fa singolarmente calma.=

Una mattina la Gioconda batterà alla nuova porta; io le aprirò; ella
entrerà; senza meraviglia io le dirò: Benvenuta.

=Egli non contiene più l'amarezza.=

Ah, ma tu sembri un fanciullo! Tutto per te si riduce a una chiave.
Chiama dunque un fabbro, fa mutare la toppa; e m'avrai salvato.

COSIMO DALBO, =con dolcezza e tristezza.=

Non t'adirare. Da principio credevo che tu dovessi soltanto liberarti
d'una importuna. Riconosco, ora, che il mio consiglio era puerile.

LUCIO SETTALA, =implorando.=

Cosimo, amico mio, fa di comprendere!

COSIMO DALBO.

Comprendo; ma tu neghi.

LUCIO SETTALA, =lasciandosi di nuovo trasportare.=

Non nego, non nego. Vuoi tu ch'io ti gridi che l'amo?

=Si smarrisce, si guarda d'intorno sbigottito. Si passa una mano su la
fronte, con un gesto di sofferenza. Abbassa la voce.=

Bisognava lasciarmi morire. Pensa: se io che ero ebro di vita, se io che
ero frenetico di forza e d'orgoglio, se io volli morire, è certo che
riconobbi una necessità ineluttabile. Non potendo vivere nè con lei nè
senza di lei, risolsi di partirmi dal mondo. Pensa: io che consideravo
il mondo come il mio giardino e che avevo tutte le avidità dinanzi a
tutte le bellezze! È certo dunque che riconobbi una necessità
ineluttabile, un fato di ferro. Bisognava lasciarmi morire.

COSIMO DALBO.

Tu disconosci ora la santità d'un miracolo, crudelmente.

LUCIO SETTALA.

Non sono crudele. Per orrore delle crudeltà a cui mi trascinava la
violenza del male, per non calpestare una virtù che mi pareva più che
umana, per non poter sostenere la dolcezza d'una piccola voce
inconsapevole che interrogava, per impedire a me stesso il peggio,
comprendi?, per questo mi risolsi. E per orrore di ricominciare io mi
rammarico, perché oggi io sono come un disperato che abbia preso un
narcotico e si svegli dopo un sonno profondo e ritrovi al suo capezzale
la stessa disperazione.

COSIMO DALBO.

La stessa! Ed ho ancora negli orecchi le tue prime parole: "Non so più
nulla; non mi ricordo, non voglio ricordarmi più..." Tu sembravi
immemore di tutto, proteso verso un altro bene. Ho ancora negli orecchi
il suono della tua voce, quando chiamasti la madre di Beata, levandoti a
un tratto, impaziente, come per un ardore che non consentisse indugio.
Vedo ancora il tuo sguardo su lei, quando entrò palpitante come una
Speranza. E, certo, quella sera tu dovesti inginocchiarti ed ella
dovette piangere ed entrambi doveste sentire la bontà della vita.

LUCIO SETTALA.

Sì, sì, così fu: l'adorazione! Tutta l'anima mia si prostrò ai suoi
piedi, riconobbe quel che è divino in lei, con una ebrezza di umiltà,
con un fervore di riconoscenza indicibili. Fu un rapimento. Tu avevi
parlato di un'estasi della luce; io la provai in quegli attimi. Ogni
macchia parve cancellata; ogni ombra distrutta. La vita ebbe un nuovo
splendore. Io credetti d'essere salvo per sempre....

=S'interrompe.=

COSIMO DALBO.

Ma poi?

LUCIO SETTALA.

Poi riconobbi che v'era qualche altra cosa da abolire in me: questa
forza che affluisce alle mie dita incessantemente per riprodurre....

COSIMO DALBO.

Che intendi?

LUCIO SETTALA.

Intendo che forse sarei salvo, se avessi dimenticato anche l'arte. In
certi giorni, là nel mio letto, guardandomi le mani indebolite, mi
pareva incredibile che potessero ancora creare; mi pareva che avessero
perduto ogni virtù. Mi sentivo interamente estraneo a quel mondo di
forme in cui avevo vissuto.... _prima di morire_. Pensavo: "Lucio
Settala, lo statuario, è trapassato." E imaginavo di farmi giardiniere
d'un piccolo giardino.

=Egli si siede, come placato, socchiudendo le palpebre, con un'aria di
stanchezza, con un sorriso d'ironia appena visibile.=

Potare i rosai, annaffiarli, liberarli dai bruchi, agguagliare il
bossolo con le cesoie, guidare l'edera su pei muricciuoli, in un
giardinetto inclinato verso il fiume dell'Oblío; e non più rammaricarmi
di aver lasciato su l'altra riva un glorioso parco popolato di lauri, di
cipressi, di mirti, di marmi e di sogni.... Tu mi vedi là, felice, con
le cesoie lucenti, vestito di bordatino!

COSIMO DALBO.

Non ti vedo.

LUCIO SETTALA.

Peccato, amico mio.

COSIMO DALBO.

Ma chi ti vieta il grande parco? Tu vi rientri pel viale dei cipressi, e
trovi sul limite il tuo genio tutelare.

LUCIO SETTALA, =levandosi di scatto, come uno che perda di continuo la
padronanza di sè.=

Tutelare! Ah, mi sembra che tu pieghi una parola su l'altra, come fasce
su filaccie, per la paura di sentir pulsare la vita. Hai tu mai premuto
il dito su un'arteria messa a nudo, su un tendine lacerato?

COSIMO DALBO.

Lucio, tu ti adiri ogni momento. V'è in te qualche cosa di acre e di
convulso, una specie di esasperazione che t'impedisce di esser giusto.
Tu non sei ancora escito di convalescenza, non sei guarito ancora. Un
urto improvviso è venuto a turbare l'opera dolce che la Natura compiva
in te. Le tue forze che rinascevano si sono inasprite. Se il mio
consiglio valesse, io vorrei che tu andassi per ora a Bocca d'Arno, come
avevi disegnato. Là, tra il bosco e il mare, tu ritroverai un po' di
calma per considerare quale debba essere la tua attitudine; e ritroverai
anche la bontà che ti darà lume...

LUCIO SETTALA.

La bontà! La bontà! Credi tu dunque che il lume debba venirmi dalla
bontà e non da quell'istinto profondo che volge e precipita il mio
spirito verso le più superbe apparizioni della vita? Io sono nato per
fare le statue. Quando una forma sostanziale è uscita dalle mie mani con
l'impronta della bellezza, l'officio assegnatomi dalla Natura è per me
compiuto. Io sono nella mia legge, sia pure di là dal Bene. Non è forse
vero? Me lo concedi?

COSIMO DALBO.

Continua.

LUCIO SETTALA, =abbassando la voce.=

Il gioco dell'illusione mi ha congiunto a una creatura che non m'era
destinata. Ella è un'anima d'un pregio inestimabile, dinanzi a cui mi
prostro e adoro. Ma io non scolpisco le anime. Ella non m'era destinata.
Quando mi apparve l'altra, io pensai a tutti i blocchi di marmo
contenuti nelle cave delle montagne lontane, per la volontà di fermare
in ciascuno un suo gesto.

COSIMO DALBO.

Ma tu hai già obbedito al comandamento della Natura, generando il
capolavoro. Quando vidi la tua statua, pensai ch'ella ti fosse
liberatrice. Tu hai perpetuato in tipo ideale e incorruttibile un
esemplare caduco della specie. Non sei dunque pago?

LUCIO SETTALA, =accendendosi.=

Mille statue, non una! Ella è sempre diversa, come una nuvola che ti
appare mutata d'attimo in attimo senza che tu la veda mutare. Ogni moto
del suo corpo distrugge un'armonia e ne crea un'altra più bella. Tu la
preghi che si arresti, che rimanga immobile; e a traverso tutta la sua
immobilità passa un torrente di forze oscure come i pensieri passano
negli occhi. Comprendi? Comprendi? La vita degli occhi è lo sguardo,
questa cosa indicibile, più espressiva d'ogni parola, d'ogni suono,
infinitamente profonda e pure istantanea come il baleno, più rapida
ancora del baleno, innumerevole, onnipossente: insomma _lo sguardo_. Ora
imagina diffusa su tutto il corpo di lei la vita dello sguardo.
Comprendi? Un battito di palpebre ti trasfigura un viso umano e ti
esprime una immensità di gioia o di dolore. Le ciglia della creatura che
ami si abbassano: l'ombra ti cerchia come un fiume un'isola; si
sollevano: l'incendio dell'estate brucia il mondo. Un battito ancora: la
tua anima si dissolve come una goccia; ancora: tu ti credi il re
dell'Universo. Imagina questo mistero su tutto il suo corpo! Imagina per
tutte le sue membra, dalla fronte al tallone, questo apparire di vite
fulminee! Potrai tu scolpire lo sguardo? Gli Antichi accecarono le
statue. Ora--imagina--tutto il corpo di lei è come lo sguardo.

=Una pausa. Egli si guarda intorno sospettoso, per tema d'essere udito.
Si accosta anche di più all'amico, che lo ascolta con una emozione
crescente.=

Te l'ho detto: mille statue, non una. La sua bellezza vive in tutti i
marmi. Questo sentii, con un'ansietà fatta di rammarico e di fervore,
un giorno a Carrara, mentre ella m'era accanto e guardavamo discendere
dall'alpe quei grandi buoi aggiogati che trascinano giù le carra dei
marmi. Un aspetto della sua perfezione era chiuso per me in ciascuno di
quei massi informi. Mi pareva che si partissero da lei verso il minerale
bruto mille faville animatrici come da una torcia scossa. Dovevamo
scegliere un blocco. Ricordo: era una giornata serena. I marmi deposti
risplendevano al sole come le nevi eterne. Udivamo di tratto in tratto
il rombo delle mine che squarciavano le viscere alla montagna taciturna.
Non dimenticherei quell'ora, anche se morissi un'altra volta... Ella si
mise per mezzo a quell'adunazione di cubi bianchi, soffermandosi
dinanzi a ciascuno. Si chinava, osservava attentamente la grana,
sembrava esplorarne le vene interiori, esitava, sorrideva, passava
oltre. Ai miei occhi la sua veste non la copriva. Una specie di affinità
divina era tra la sua carne e il marmo che chinandosi ella sfiorava con
l'alito. Un'aspirazione confusa pareva salire verso di lei da quella
bianchezza inerte. Il vento, il sole, la grandiosità dei monti, le
lunghe file dei buoi aggiogati, e la curva antica dei gioghi, e lo
stridore dei carri, e la nuvola che saliva dal Tirreno, e il volo
altissimo di un'aquila, tutte le apparenze esaltavano il mio spirito in
una poesia senza confini, lo inebriavano d'un sogno che non ebbe mai
l'eguale in me.... Ah, Cosimo, Cosimo, io ho osato gettare una vita su
cui riluce la gloria d'un tal ricordo! Quando ella tese la mano sul
marmo che aveva scelto e volgendosi mi disse: "Questo", tutta l'alpe
dalle radici alle cime aspirò alla bellezza.

=Un fervore straordinario riscalda la sua voce e avviva il suo gesto.
Colui che lo ascolta ne è sedotto, e ne dà segno.=

Ah, ora tu comprendi! Tu non mi chiederai più se io sia pago. Ora tu sai
come debba essere furiosa la mia impazienza se penso che in questo
momento ella è là, sola, a piè della Sfinge, che mi aspetta. Pensa: la
sua statua è alzata sopra di lei, immobile, immutabile, immune d'ogni
miseria; ed ella è là affannata, e la sua vita fluisce, e qualche cosa
di lei perisce di continuo nel tempo. L'indugio è la morte.... Ma tu
non sai, tu non sai....

=Ha l'accento di chi confida un segreto.=

COSIMO DALBO.

Che cosa?

LUCIO SETTALA.

Tu non sai che io avevo già cominciata un'altra statua....

COSIMO DALBO.

Un'altra?

LUCIO SETTALA.

Sì: rimasta interrotta, abbozzata nella creta. La creta si dissecca,
tutto si perde.

COSIMO DALBO.

Ebbene?

LUCIO SETTALA.

La credevo perduta.

=Un sorriso irresistibile gli brilla negli occhi. La sua voce trema.=

Non è perduta: è ancora viva. L'ultimo tocco di pollice è là, ancora
vivo!

=Egli fa l'atto di plasmare, istintivamente.=

COSIMO DALBO.

E come?

LUCIO SETTALA.

Ella sa le cose dell'arte, sa in che modo la creta si mantenga molle.
M'aiutava, un tempo. Ella stessa bagnava le tele...

COSIMO DALBO.

Dunque ella pensava a tenere umida la creta, mentre tu morivi!

LUCIO SETTALA.

Non era forse anche quello un modo di contrastare la morte? Non era
anche quello un atto di fede, ammirabile? Ella conservava la mia
opera...

COSIMO DALBO.

Mentre l'altra conservava la tua vita.

LUCIO SETTALA, =oscurandosi, tenendo la fronte bassa, senza guardare
l'amico, con una voce quasi dura.=

Quale delle due cose ha maggior pregio? La vita m'è intollerabile, se mi
fu resa gravata d'un divieto. Te l'ho detto: bisognava lasciarmi morire.
Quale rinunzia può eguagliare quella che io avevo fatta? Soltanto la
morte poteva arrestare l'impeto del desiderio che conduce fatalmente il
mio essere verso il suo bene. Ora io rivivo: riconosco in me il medesimo
uomo, la medesima forza. Chi mi giudicherà, se proseguo il mio destino?

COSIMO DALBO, =sgomentato, prendendolo per le braccia, come per
trattenerlo.=

Ma che farai dunque? Hai già risoluto?

=Percosso dallo sgomento subitaneo che è nella voce e nell'atto
dell'amico, Lucio si smarrisce, vacilla.=

LUCIO SETTALA, =mettendosi nei capelli le mani febrili.=

Che farò? Che farò? Conosci tu una tortura più crudele? Io ho la
vertigine; comprendi? Se penso ch'ella è là, e m'attende, e le ore
passano, e la mia forza si perde, e il mio ardore si consuma, la
vertigine mi afferra l'anima, ed ho paura d'essere trascinato, forse
stasera, forse domani. Sai tu che sia la vertigine? Ah, se potessi
riaprirmi la ferita che mi fu chiusa!

COSIMO DALBO, =cercando di trarlo verso la finestra.=

Càlmati, càlmati, Lucio! Taci! M'è parso di sentire la voce....

LUCIO SETTALA, =trasalendo.=

Di Silvia?

=Si copre d'un pallore mortale.=

COSIMO DALBO.

Sì. Càlmati! Hai la febbre.

=Gli tocca la fronte. Lucio si appoggia al davanzale, quasi che le forze
lo abbandonino.=



SCENA SECONDA.

=Entra SILVIA SETTALA con FRANCESCA DONI. Questa tiene un braccio intorno
alla cintura della sorella.=


SILVIA SETTALA.

Oh, Dalbo, siete ancora qui?

=Ella non vede il viso di LUCIO, che è rivolto all'aria aperta.=

COSIMO DALBO, =ricomponendosi, salutando Francesca.=

Lucio mi ha trattenuto....

SILVIA SETTALA.

Aveva molte cose da dirvi?

COSIMO DALBO.

Ha sempre molte cose da dire, troppe forse. E si stanca.

SILVIA SETTALA.

Vi ha detto che sabato andremo a Bocca d'Arno?

COSIMO DALBO.

Sì, lo so.

FRANCESCA DONI.

Non siete mai stato a Bocca d'Arno?

COSIMO DALBO.

No, mai. Conosco la campagna pisana, San Rossore, il Gombo, San Pietro
in Grado; ma non mi sono mai spinto sino alla foce. So che la spiaggia è
bellissima.

=SILVIA ha lo sguardo fisso al marito che rimane abbandonato sul
davanzale, immobile.=

FRANCESCA DONI.

Deliziosa in questa stagione: una spiaggia aperta, bassa, di sabbia
fina; il mare, il fiume, il bosco; l'odore delle alghe, l'odore della
ragia; i gabbiani, gli usignuoli.... Dovreste fare molte visite a Lucio,
mentre è là.

COSIMO DALBO.

Certo.

SILVIA SETTALA.

Potremo ospitarvi.

=Ella si stacca dalla sorella e va verso il marito, col suo passo
leggero.=

FRANCESCA DONI.

Nostra madre ha là una casa molto modesta, ma grande: una casa bianca di
dentro e di fuori, in una macchia d'oleandri e di tamerici; e c'è una
vecchia spinetta dell'Impero, appartenuta--imaginate a chi!--a una
sorella di Napoleone, alla duchessa di Lucca, a quella terribile e
ossuta Elisa Baciocchi: una spinetta che qualche volte si sveglia e
piange sotto le dita di Silvia; e c'è anche una barca, se il ricordo
napoleonico non vi seduce, una bella barca, bianca come la casa.

=SILVIA si sofferma in silenzio alle spalle di LUCIO, come sospesa. Egli
resta assorto.=

COSIMO DALBO.

Vivere in una barca, su l'acqua, alla ventura: non v'è nulla che riposi
di più. Per settimane e settimane ho vissuto così.

FRANCESCA DONI.

Bisogna mettere il convalescente in una barca e affidarlo al buon mare.

SILVIA SETTALA, =toccando con un gesto lievissimo la spalla del marito.=

Lucio!

=Egli trasale e si volge.=

Che fai? Siamo qui. C'è Francesca.

=Egli guarda in viso la moglie, titubante; poi tenta di sorridere.=

LUCIO SETTALA.

Sta per venir giù un rovescio d'acqua. Aspettavo le prime gocciole:
l'odore della terra....

=Egli si inclina ancora verso la finestra e tende all'aria la mano
aperta; che gli trema visibilmente.=

FRANCESCA DONI.

Aprile or piange or ride.

LUCIO SETTALA.

Oh, Francesca, come state?

FRANCESCA DONI.

Bene. E voi, Lucio?

LUCIO SETTALA.

Bene, bene.

FRANCESCA DONI.

Si parte dunque sabato?

LUCIO SETTALA, =guardando la moglie, trasognato.=

Per dove?

FRANCESCA DONI.

Come! Per Bocca d'Arno.

LUCIO SETTALA.

Ah sì, è vero. Ho il capo svanito.

SILVIA SETTALA.

Non ti senti bene, oggi?

LUCIO SETTALA.

Sì, sì, bene. Il tempo un poco m'uggisce; ma mi sento bene, assai bene.

=Nell'accento con cui pronunzia le semplici parole egli pone un eccesso
di dissimulazione che le rende strane come quelle d'un uomo folle. È
palese che l'attenzione dei tre astanti gli è divenuta intollerabile.=

Tu vai via, Cosimo?

COSIMO DALBO.

Sì, vado. È ora.

=Egli s'accinge ad uscire.=

LUCIO SETTALA.

T'accompagno fino al cancello.

=Si muove dalla finestra verso la porta, sollecito.=

SILVIA SETTALA.

Così, a capo scoperto?

LUCIO SETTALA.

Sì, ho caldo. Non senti che aria gravosa?

=Si sofferma su la soglia aspettando l'amico. Un'acuta pena d'improvviso
punge i cuori, ammutolisce le labbra.=

COSIMO DALBO.

A rivederci.

=Saluta turbato; esce con LUCIO. SILVIA china il capo, con le ciglia
contratte, come chi consideri per risolvere. Poi sembra che un'onda
subitanea di energia le sollevi la persona.=

FRANCESCA DONI.

Hai veduto il Gaddi?

SILVIA SETTALA.

Non ancora. Oggi non è venuto.

FRANCESCA DONI.

Allora non sai....

SILVIA SETTALA.

Che cosa?

FRANCESCA DONI.

Quel che ha fatto.

SILVIA SETTALA.

No.

FRANCESCA DONI.

È andato dalla Dianti.

SILVIA SETTALA, =con una emozione contenuta.=

Da colei! Quando?

FRANCESCA DONI.

Ieri.

SILVIA SETTALA.

E tu l'hai veduto?

FRANCESCA DONI.

Sì, l'ho incontrato. Mi ha detto....

SILVIA SETTALA.

Parla dunque!

FRANCESCA DONI.

Andò da lei ieri, verso le tre. Si fece annunziare. Fu ricevuto subito.
Ella aveva l'aria sorridente; s'inchinò, non disse una parola, restò in
piedi, aspettò che il vecchio parlasse; l'ascoltò con rispetto,
tranquilla. Tu imagini quel che egli potè dire per persuaderla a
restituire la chiave, a smettere ogni altro tentativo, a non voler più
turbare una pace ricuperata col sangue, e con quanto dolore! Ella non
gli chiese alla fine se non questo: "È Lucio Settala che vi manda a me?"
Alla risposta negativa, soggiunse con un tono fermissimo: "Vogliate
perdonarmi, ma io non posso riconoscere se non a lui il diritto di
chiedere quel che voi mi chiedete."

SILVIA SETTALA, =impallidendo ed ergendosi come per affrontare la lotta.=

Ah, è la sua ultima parola? Ebbene, c'è un'altra persona che ha un
diritto eguale e lo farà valere. Vedremo.

FRANCESCA DONI, =sbigottita.=

Che pensi di fare, Silvia?

SILVIA SETTALA.

Quel che è necessario.

FRANCESCA DONI.

Che, dunque?

SILVIA SETTALA.

Vederla, mettermi di fronte a lei nel luogo stesso dov'ella è
un'intrusa. Intendi?

FRANCESCA DONI.

Tu vuoi andare là!

SILVIA SETTALA.

Sì, voglio andare là. So la sua ora. Tu stessa la sai. L'aspetterò. Ella
verrà. Finalmente ci guarderemo in viso.

FRANCESCA DONI.

Ma non farai questo.

SILVIA SETTALA.

Come no? Credi tu che mi manchi il coraggio?

FRANCESCA DONI.

Ti supplico, Silvia!

SILVIA SETTALA.

Credi tu che io tremi?

FRANCESCA DONI.

Ti supplico!

SILVIA SETTALA.

Oh, sii pur sicura che non io abbasserò gli occhi, non io verrò meno. Tu
dovresti conoscermi omai, per più d'una prova.

FRANCESCA DONI.

Lo so, lo so. Nulla ti vince. Ma pensa: trovarti là dopo tanto, nel
luogo stesso dove avvenne l'orribile cosa, là, sola, di fronte a quella
donna che ti ha fatto tanto male....

SILVIA SETTALA.

Ebbene? Che importa? Ho forse una volta sola--una volta sola,
Francesca!--evitato di compiere quel che m'è parso necessario? Di' tu:
m'hai veduta rifiutare qualche peso? A quale tortura mi sono io
sottratta? Ben altre pene ho guardate in faccia; e tu lo sai. Tu temi
che mi manchi il cuore di porre il piede là dov'egli cadde.... Ma io
ebbi cuore di vederlo allora, per la fessura dell'uscio, disteso sul suo
letto di morte, e nessuno era dietro di me a sorreggermi; e, prima che
mi fosse permesso di accostarmi al suo capezzale, passarono per le mie
mani i ferri del chirurgo e le fasce macchiate di sangue.

FRANCESCA DONI.

Sì, sì, è vero: la tua forza è grande. Nulla ti vince. Ma pensa: non è
la stessa cosa.... Non è la stessa cosa trovarsi là, all'improvviso, di
fronte a una donna che non conosci, capace di tutto come quella,
ostinata, impudente....

SILVIA SETTALA.

Non temo di lei. Quel che ella fa è basso. Perchè mi crede sommessa e
debole, ella si mostra così audace; perchè tanto tempo sono rimasta in
silenzio e in disparte, ella pensa di potermi sopraffare anche una
volta. Ma s'inganna. Allora il mio bene era perduto, ogni difesa era
inutile. Ora l'ho ricuperato, e lo difendo.

FRANCESCA DONI.

Mio Dio! Tu ti getti in una lotta a corpo a corpo. E se ella resiste?

SILVIA SETTALA.

Resiste come? Ho il mio diritto. Saprò scacciarla.

FRANCESCA DONI.

Silvia, Silvia, sorella mia, ti supplico: indugia ancora qualche giorno,
rifletti ancora un poco, prima di far questo! Non precipitare!

SILVIA SETTALA.

Ah, parli bene tu, tu che sei felice, tu che sei sicura, tu che hai la
vita serena e nessuna minaccia su la tua pace. Indugiare, riflettere! Ma
sai tu a quale estremità io mi ritrovi oggi? Sai tu per quale difesa io
mi batta? Per il mio capo e per quello di Beata, per l'esistenza, per la
luce degli occhi. Intendi? Non si ricomincia un supplizio dove già tutti
i nervi furono lacerati, dove già furono sperimentati tutti gli strazii.
Ho dato al dolore tutto quel che potevo dare: ho sentito il ferro duro
su la mia nuca e ai miei polsi; alla fine della mia giornata il mio
sonno era preso dall'orrore della giornata seguente in cui bisognava pur
vivere e, per vivere, seguitare a spremere il cuore che pareva esausto.
Ah tu parli bene, tu! Quando tu sorridi nella tua casa, il tuo sorriso
medesimo ritorna a te in cento raggi come se tu vivessi nel cristallo.
Per me il sorriso era una pena di più; sotto, i denti si serravano; ma
Beata non ha visto una mia lacrima. Per mantenere la promessa che è nel
suo nome, quando non v'era fibra in me che non si torcesse, le mie mani
verso di lei avevano sempre qualche fiore.... Non saprei più
ricominciare. Vorrei piuttosto andarmene, alla mia volta: trovare
laggiù un po' di spiaggia deserta e coricarmi con Beata perchè il mare
ci prendesse.

FRANCESCA DONI, =gettando le braccia al collo della sorella, baciandola
in viso.=

Che dici? Che dici? Tu non devi più temere di nulla. Non ti ama? Non hai
riavuto tutto il suo amore? Questo soltanto vale; e il resto è nulla.

=SILVIA chiude gli occhi per alcuni istanti, e l'illusione le illumina la
faccia.=

SILVIA SETTALA.

Sì, sì, ho riavuto il suo amore.... Sembra.... Come potrei dubitare di
quella voce? Quando non sono là, mi chiama, mi cerca; ha bisogno di me;
sembra che io debba guidare i suoi passi....

=Si scuote; si scioglie dalle braccia della sorella; è ripresa
dall'ansietà.=

Ma oggi.... L'hai veduto? l'hai guardato?... Oggi non è più come ieri; è
diverso.... Un mutamento subitaneo.... L'hai guardato tu quando egli era
là alla finestra, chino sul davanzale? Hai udito il suono delle sue
parole? Hai veduto come gli tremava il braccio quando l'ha steso fuori?
Ah dimmi che anche tu hai sentito che qualche cosa accade, che qualche
cosa lo sconvolge.

FRANCESCA DONI.

È convalescente ancora. Pensa: un nulla può turbarlo, l'aria, il
tempo...

SILVIA SETTALA.

No, no; non è questo. E non hai veduto? Anche Cosimo Dalbo pareva che
facesse uno sforzo per nascondere un'ombra.... I miei occhi non
fallano.

FRANCESCA DONI.

No, non pareva. Ha parlato con me.

SILVIA SETTALA, =sempre più agitata.=

Ma Lucio è disceso ad accompagnarlo e non è risalito ancora. O forse è
passato dall'altra parte.

=Va alla finestra, spia tra le cortine.=

Ah, è ancora là, al cancello, che parla, che parla... Sembra fuori di
sè....

=Alza gli occhi al nuvolo.=

Ora vien giù lo scroscio.

=Spia di nuovo, intentissima.=

FRANCESCA DONI.

Chiamalo!

SILVIA SETTALA, =volgendosi, come incalzata da un pensiero terribile.=

Certo è così, certo è così.

FRANCESCA DONI.

Che pensi, ora?

SILVIA SETTALA, =fermandosi, pronunziando le parole nettamente, risoluta
ma pallidissima.=

Lucio sa che colei lo aspetta.

FRANCESCA DONI.

Lo sa? Come?

SILVIA SETTALA.

Non v'è dubbio, non v'è dubbio.

FRANCESCA DONI.

Tu l'imagini.

SILVIA SETTALA.

Lo sento; ne sono certa.

FRANCESCA DONI.

Ma come?

SILVIA SETTALA.

Ma bisognava pure che questo avvenisse; bisognava pure che un giorno
ella trovasse il modo. Come? Forse una lettera.... Egli ha ricevuto una
lettera.

FRANCESCA DONI.

E tu non vigili!

SILVIA SETTALA, =con un atto di disdegno.=

Anche questo?

FRANCESCA DONI.

Ma forse t'inganni.

SILVIA SETTALA.

Non m'inganno. Dopo la visita del vecchio, ella ha scritto. L'indugio
omai non è più possibile, neppure d'un giorno, neppure d'un'ora. Tu
comprendi il pericolo. Sia anche tornato a me con tutta l'anima sua, si
sia anche distaccato da lei interamente, si sia anche volto a un'altra
vita, a un altro bene, non senti tu quale possa ancora essere il fascino
di una donna che gli dice, ostinata e sicura: "Sono qui; aspetto?"
Sapere ch'ella è là, che non un giorno manca alla sua attesa, che nulla
può sconfidarla.... Comprendi il pericolo? Se Lucio ha saputo stamani
ch'ella lo aspetta, bisogna ch'egli sappia stasera--e dalla mia bocca
medesima--ch'ella non lo aspetta più.

=Un'energia indomabile afforza ed eleva tutta la sua persona =.

Questo saprà stasera; glie lo prometto.

=Ella tende la mano verso la finestra, col gesto di chi giura.=

Vuoi accompagnarmi?

FRANCESCA DONI, =sbigottita, supplichevole=.

Silvia, Silvia, rifletti ancora un minuto! Pensa a quel che fai!

SILVIA SETTALA.

Non ti chiedo aiuto. Ti chiedo che tu m'accompagni soltanto fino alla
porta. Per il resto, basto io sola; è necessario anzi che io rimanga
sola. Vuoi? Che ora è?

=Si volge per guardar l'ora; va verso la tavola.=

FRANCESCA DONI, =arrestandola=.

Ti supplico! Dammi ascolto, Silvia! Il cuore mi dice che non può venir
bene da quel che vuoi fare. Dà ascolto alla tua sorella! Ti supplico!

SILVIA SETTALA, =con un gesto d'insofferenza=.

Ma non hai dunque ancora compreso quel ch'io gioco in questo momento?
Lasciami. Vado sola.

=Si china su la tavola, guarda l'ora.=

Sono le quattro. Non ho un minuto da perdere. Hai una vettura, giù?

=La pioggia scroscia subitamente su gli alberi del giardino.=

FRANCESCA DONI.

Non senti che rovescio d'acqua? Non uscire! Rimanda tutto a domani.
Vieni, ascolta.

=Cerca di attirarla.=

Aspetta almeno che spiova.

SILVIA SETTALA.

Non ho un minuto da perdere. Bisogna che io sia là, prima di lei;
bisogna ch'ella mi trovi là come nella mia casa. Intendi? Lasciami.
Sùbito il cappello, il mantello, i guanti... Giovanna!

=Ella passa nella stanza attigua chiamando la sua donna. FRANCESCA DONI,
presa dallo sgomento, va verso la finestra dove scroscia la pioggia.=

FRANCESCA DONI.

Mio Dio! Mio Dio!

=Guarda nel giardino; chiama.=

Lucio! Lucio!

=Torna verso la porta d'ond'è scomparsa la sorella=.

SILVIA SETTALA, =riapparendo, ansante.=

Eccomi pronta. Ho lasciato là Beata che piange. Voleva uscire con me. Tu
rimani, ti prego: va a consolarla. Io esco sola. Prendo la tua vettura.
A rivederci.

=Fa l'atto di baciare la sorella.=

FRANCESCA DONI.

Tu vai, dunque? È risoluto?

SILVIA SETTALA.

Vado.

FRANCESCA DONI.

T'accompagno.

SILVIA SETTALA.

Andiamo.

=Involontariamente, ella si sofferma e volge gli occhi in giro come per
abbracciare con uno sguardo tutte le cose predilette. Le cortine
palpitano; la pioggia scroscia. Ella aspira la fragranza umida che entra
per le finestre. Solo per un attimo, l'arco teso della sua volontà si
allenta.=

L'odore della terra...

=Trasale vedendo apparire d'improvviso, su la soglia ond'ella sta per
uscire, Lucio febricitante, a capo scoperto, con i capelli e gli abiti
molli di pioggia. Si guardano. Un intervallo di silenzio gravissimo.=

LUCIO SETTALA, =con la voce rotta.=

Tu esci?

SILVIA SETTALA.

Sì, esco.

LUCIO SETTALA.

Come sei pallida!

SILVIA =si passa una mano su la gota.=

Dove vai? S'è aperto il cielo.

=Egli si tocca i capelli stillanti.=

SILVIA SETTALA.

Bisogna ch'io esca. Non tarderò molto a ritornare. C'è Beata di là, che
piange perché voleva venire con me. Va a consolarla; dille che le
porterò forse una cosa bella.

LUCIO =con un atto repentino la prende per le mani e la guarda fissamente
negli occhi.=

SILVIA SETTALA, =padrona della sua forza, con un accento chiaro e fermo.=

Che hai, Lucio?

=Egli abbassa le palpebre. Ella libera le mani,
scotendole forte come per un saluto. La tempra della sua volontà squilla
nella sua voce vivida.=

A rivederci! Andiamo, Francesca. È ora.

=Esce rapidamente, seguita dalla sorella. LUCIO SETTALA rimane a capo
chino, vacillante, sotto un pensiero che lo folgora.=



ATTO TERZO.

=Una stanza alta e spaziosa, illuminata da un lucernario, coperta di
tappezzerie cupe. Nella parete del fondo è un'apertura rettangolare,
assai più larga di una porta, che mette nello studio attiguo dello
scultore. Su l'architrave sono fissi alcuni frammenti del fregio fidiaco
delle Panatenaiche; contro i due stipiti sono erette due grandi figure
alate "vestite di vento": la Nike di Samotracia e quella scolpita da
Pæonios per il tempio dorico di Olimpia consacrato a Zeus; occupa il
vano una cortina rossa.=

=Nella parete destra, una porta è nascosta da una portiera pesante e
ricca; nella sinistra, un uscioletto a muro è dissimulato dalla
tappezzeria. Amplissimi divani, coperti di drappi e di cuscini,
ricorrono in torno. Le figure sono disposte ad arte, per secondare la
meditazione e il sogno: un fascio di spighe in un raso di rame sta
innanzi al bassorilievo eleusino di Demeter; un piccolo Pegaso di bronzo
su uno stelo di verde antico sta innanzi alla Medusa Ludovisia.=

=Il sentimento espresso dall'aspetto del luogo è diversissimo da quello
che addolcisce la stanza dell'altra casa in vista del poggio mistico. La
scelta e le analogie di tutte le forme rivelano qui l'aspirazione verso
una vita carnale, vittoriosa e creatrice. Le due Messaggere divine
sembrano agitare e ampliare incessantemente l'aria chiusa con la foga
del loro volo immenso.=



SCENA PRIMA.

SILVIA SETTALA =è nel mezzo della stanza, in piedi, avendo già deposto il
cappello, il mantello, i guanti. Sembra ch'ella cerchi di riconoscere le
cose, quasi di rendersele novamente familiari, di ristabilire una
comunione con esse, di non sentirsi estranea. Ella domina la sua
angoscia, sotto gli occhi della sorella. FRANCESCA DONI s'è seduta,
perché le ginocchia le tremano e il cuore le batte troppo forte.=


SILVIA SETTALA, =guardando intorno.=

È strano: sembra più grande....

FRANCESCA DONI.

Che cosa?

SILVIA SETTALA.

La stanza. Non sembra più la stessa....

=Ella guarda intorno, con l'aspetto di chi respiri un'aria insolita. Un
intervallo di silenzio.=

FRANCESCA DONI, =vigilante.=

Hai chiusa la porta?

SILVIA SETTALA.

Sì, l'ho chiusa.

FRANCESCA DONI.

Si sentirà aprire....

SILVIA SETTALA.

Hai paura? Non è l'ora. Fra un minuto, vattene.

FRANCESCA DONI.

Dove?

SILVIA SETTALA.

Vuoi aspettarmi nella vettura? su la strada?

FRANCESCA DONI.

No, è impossibile. Vorrei rimaner qui, stare più vicina... Se potessi
nascondermi!

SILVIA SETTALA.

Nasconderti, qui? No. Bisogna ch'io sia sola.

FRANCESCA DONI.

Abbi pietà di me! Morrei d'ambascia.

SILVIA SETTALA.

Attendi. Ci dev'essere là un'uscita segreta.

=Seguendo il ricordo, va verso il muro dov'è l'uscio dissimulato; cerca,
trova, apre. Un'onda di luce la investe.=

Vedi? Si passa di qui nella stanza dei modelli, poi in un corridoio. In
fondo al corridoio v'è una porta che mette sul Mugnone. Vuoi passare di
qui?

FRANCESCA DONI.

Sì; ma lascia chi'io rimanga nella stanza o nel corridoio, ad aspettare.
Aspetterò che tu mi chiami.

SILVIA SETTALA.

Certo, aspetterai ch'io ti chiami?

FRANCESCA DONI.

Sì, te lo prometto.

SILVIA SETTALA.

Non aver paura. Vedi? C'è il sole su le vetrate.

=Entrambe guardano per l'uscio semiaperto. Il chiarore interno illumina i
loro volti. Una striscia luminosa si allunga sul pavimento.=

FRANCESCA DONI.

Non piove più. Guarda quante primavere su l'argine!

SILVIA SETTALA.

Va ad aspettarmi su l'argine, all'aria aperta; va.

FRANCESCA DONI.

C'è un povero cavallo malato, con le gambe nell'acqua. Vedi? E le
rondini volano rasente... Penso una cosa.

=Ella trasale e si volge subitamente indietro spiando le pieghe immobili
della portiera.=

SILVIA SETTALA.

Che hai?

FRANCESCA DONI.

Mi pareva d'aver sentito...

=Entrambe tendono l'orecchio.=

SILVIA SETTALA.

No, t'inganni. È ancora presto. E poi, la porta della scala fa un gran
rumore quando si richiude... Non hai sentito dianzi? Le mura tremavano.

FRANCESCA DONI, =implorando.=

Silvia!

SILVIA SETTALA.

Che hai, ora?

FRANCESCA DONI.

Ascoltami. Sei ancora in tempo. Vieni via, vieni via, almeno per oggi!
Fa una prova, almeno. Ella saprà che tu sei stata qui. Parleremo di
nuovo col custode. Tu dovresti anzi lasciar qui qualche segno,
dimenticare un guanto, per esempio.... Ella comprenderà, non tornerà
più.

SILVIA SETTALA.

Basterà un guanto? Ah come tutto è facile pel tuo cuore!

=Ella guarda novamente in giro con una segreta disperazione.=

Non c'è più nulla di me, qui

=La sorella rimane presso l'uscio semichiuso, con la persona illuminata a
metà dal riflesso vivo. SILVIA dà qualche passo nella stanza. Un
intervallo di silenzio.=

Tutto sembra più grande, più alto, più oscuro...

FRANCESCA DONI.

È l'ombra che t'illude. C'è poca luce. Bisogna tirare la tenda del
lucernario.

SILVIA SETTALA.

No; meglio così.

=Ella seguita a guardare per ogni angolo, come cercando una traccia.=

Dimmi...

=L'emozione le tronca la voce.=

Quella sera ti vennero a chiamare, tu accorresti. Tu ti trovasti qui,
nella prima ora...

=Esita.=

Dove fu? Ti ricordi in che posto?

FRANCESCA DONI.

Di là, nello studio, sotto la statua.... No, non andare!

=SILVIA si volge verso la cortina rossa che pende tra le due Vittorie. Ai
suoi piedi, come una linea divisiva, si allunga la sottile zona di sole.=

SILVIA SETTALA, =sommessamente.=

La statua è là.

FRANCESCA DONI.

Non andare!

=Silvia rimane per alcuni attimi immobile e muta davanti alla cortina
chiusa, da cui la separa la zona lucente.=

Non andare!

=SILVIA fa un passo, di là dai raggi, quasi con impeto, come per varcare
un ostacolo; con un gesto rapido solleva un lembo, s'insinua tra le
pieghe, sparisce. La cortina si richiude dietro di lei, grave e folta.
Alcuni attimi di silenzio, in cui non s'ode se non il respiro affannato
della sorella. D'improvviso, per entro al cupo colore di porpora,
riappare la faccia pallidissima dell'eroina, che sembra irradiata dal
lume dell'opera sovrana. Anche le sue mani ignude, che separano i lembi,
sembrano risplendere sul cupo colore. I suoi occhi restano intenti,
allargati dalla meraviglia, abbagliati non da una visione di morte ma da
una imagine di vita perfetta. Trema nelle orbite l'indizio d'un'onda
saliente. Due meravigliose lacrime si formano a poco a poco nel cavo,
brillano, sgorgano, solcano le gote. Prima che giungano alla bocca, ella
le arresta con le dita, le diffonde su la faccia, quasi per lavarsene
come d'una rugiada lustrale; poichè non dal ricordo o dalla traccia del
sanguinoso fatto umano ella è commossa ma dall'apparizione dell'opera
bella, immune e sola. Ella ha ricevuto il benefizio sommo della
Bellezza: la tregua della sua angoscia, la pausa dei suoi timori. La
folgore sublime della gioia ha traversata la sua anima sanandola per
qualche attimo, rendendola cristallina come le lacrime. Non sono queste
sue lacrime se non l'offerta ardente e muta dell'anima al CAPOLAVORO.=

Silvia, Silvia, tu piangi!

SILVIA SETTALA, =sommessamente, col segno del silenzio.=

Taci.

=Ella si distacca dalla cortina. Interroga sommessamente.=

L'hai veduta? L'hai veduta?

FRANCESCA DONI, =frantendendo, con un sussulto.=

Chi? lei? È là?

SILVIA SETTALA.

No; la statua....

=La sorella accenna di sì. Ella fa un gesto che esprime il suo
abbagliamento. S'ode il rumore d'una porta pesante che si richiude.
Entrambe sobbalzano.=

Eccola! Vattene, vattene.

FRANCESCA DONI, =tendendo le braccia verso di lei con un'ultima
implorazione angosciosa.=

Oh, sorella mia!

=Silvia Settala, ritrovando l'energia primitiva.=

Vattene! Non temere.

=Ella sospinge la sorella per l'apertura; richiude l'uscio. La zona di
sole sparisce; la stanza torna nell'ombra eguale.=



SCENA SECONDA.

SILVIA SETTALA =si tiene in piedi, con la faccia rivolta verso la porta,
con lo sguardo fisso, quasi irrigidita nell'aspettazione. In mezzo
all'alto silenzio s'ode distintamente stridere la chiave che apre.
L'aspettante non muta attitudine. Una mano solleva la portiera. Entra
GIOCONDA DIANTI, richiudendo la porta dietro di sè. Da prima, ella non
scorge l'avversaria, poichè viene dalla luce nell'ombra e un velo denso
le nasconde tutto il viso. Quando la scorge, s'arresta con un grido
soffocato. Entrambe rimangono per alcuni attimi l'una di fronte
all'altra, senza parlare.=


SILVIA SETTALA, =con un accento fermo e chiaro, ma scevro di risentimento
o di minaccia.=

Io sono Silvia Settala.

=La rivale tace, sempre velata. Una pausa.=

Voi?

GIOCONDA DIANTI, =a voce bassa.=

Non lo sapete, signora?

SILVIA SETTALA, =sempre contenendosi.=

So soltanto che voi siete entrata qui come in un luogo che vi
appartenga. Mi trovate qui sicura come nella mia casa. Una di noi due
usurpa, dunque, il diritto dell'altra; una di noi due è l'intrusa.
Quale?

=Una pausa.=

Io, forse?

GIOCONDA DIANTI, =sempre chiusa nel velo e a voce bassa, come per
attenuare la sua audacia.=

Forse.

=SILVIA SETTALA si fa anche più pallida e vacilla un poco, come chi
riceva un colpo a dentro.=

SILVIA SETTALA, =risollevandosi, vibrante di sdegno.=

Ebbene, v'è una donna che ha attirato un uomo nella sua rete con le
peggiori lusinghe; che lo ha strappato alla pace della casa, alla
nobiltà dell'arte, alla gentilezza di un sogno da lui nutrito per anni
col fiore della sua forza; che lo ha travolto in un delirio torbido e
violento dov'egli ha smarrito ogni senso di bontà e di giustizia; che
gli ha inflitto i tormenti più acuti che possa mai inventare la crudeltà
d'un carnefice malato di tedio; che lo ha esausto e inaridito tenendogli
accesa di continuo nelle vene una febbre perversa; che gli ha resa
intollerabile la vita, che gli ha armata la mano, che lo ha spinto a
uccidersi; che infine lo ha saputo moribondo per giorni e giorni sopra
un letto lontano, intorno a cui si combatteva una lotta senza tregua
contro la morte; e che non ha avuto rimorso, non pietà, non vergogna,
ma è rientrata nel luogo sinistro prima che il sangue fosse lavato,
meditando di riattaccarsi alla preda, aspettandola di nuovo al varco,
calcolando a uno a uno gli effetti della sua temerità e della sua
tenacia, promettendosi il piacere di una nuova ruina. V'è una donna che
ha fatto questo; che ha detto:--Una forte e nobile vita fioriva
liberamente nel mondo: io l'ho abbrancata, l'ho piegata, l'ho abbassata,
poi l'ho troncata d'un colpo. Ho creduto di averla distrutta per sempre.
Ed ecco che essa rigermoglia, si rinnova, si rialza, può rifiorire! Ecco
che intorno a lei le ferite si chiudono, il dolore si calma, la speranza
risorge, può sorridere la gioia! Patirò io un tal sopruso? Mi lascerò
io così deludere? No. Io ricomincerò, ritenterò, avrò ragione d'ogni
resistenza, sarò implacabile.--V'è una donna che ha promesso questo a sè
medesima, che ha impugnata la sua volontà come una scure, che è pronta a
vibrare i nuovi colpi sorridendo. La conoscete voi? Ella è entrata qui
col viso coperto, ha parlato con una voce sorda, ha proferito dianzi una
parola gelida, calcolando pur sempre su la sua audacia e su l'altrui
remissione. La conoscete?

GIOCONDA DIANTI, =senza mutare il modo.=

Quella che io conosco è diversa. Soltanto perchè è triste dinanzi a voi,
ella parla a voce bassa. Rispetta il grande e doloroso amore che vi fa
vivere; ammira la virtù che v'inalza. Mentre parlavate, comprendeva
bene che soltanto per consolare un'indicibile disperazione la vostra
parola figurava un'imagine così diversa della persona vera. Non v'è
nulla d'implacabile in lei; ma ella stessa obbedisce a una potenza che
può essere implacabile.

SILVIA SETTALA, =amara e altiera.=

So che siete esperta in tutti i linguaggi.

GIOCONDA DIANTI.

Che giova questa durezza? Le vostre prime parole avevano un altro suono;
e pareva, quando voi mi avete rivolta una domanda, che voleste conoscere
semplicemente la verità.

SILVIA SETTALA.

E quale è dunque la vostra verità?

GIOCONDA DIANTI.

La verità che vale, dinanzi a noi, è una sola: verità d'amore. Voi lo
sapete. Ma temo di ferire.

SILVIA SETTALA.

Non temete di ferire.

GIOCONDA DIANTI.

La donna, a cui faceste tante accuse, fu ardentemente amata e--soffrite
ch'io lo dica!--d'un glorioso amore. Ella non abbassò ma esaltò una vita
forte. E poichè l'ultima voce ch'ella udì, poche ore prima che si
compiesse l'atto terribile, l'ultima fu di amore, ella crede d'essere
ancora amata. E questa è la verità che vale.

SILVIA SETTALA, =perdutamente.=

S'inganna, s'inganna.... V'ingannate! Egli non vi ama più, non vi ama
più; forse non vi ha amata mai. Non fu amore il suo ma attossicazione,
ma servitù atroce, demenza e arsura. Quando egli soffriva sul suo
guanciale, il ricordo gli passava di tratto in tratto negli occhi come
un baleno di terrore. Piangendo ai miei piedi, egli ha benedetto il
sangue che è valso a riscattarlo.... Non vi ama, non vi ama!

GIOCONDA DIANTI.

Il vostro amore grida come un naufrago.

SILVIA SETTALA.

Non vi ama! Siete stata per lui come l'assillo, l'avete reso furente,
l'avete spinto alla morte....

GIOCONDA DIANTI.

Non io, non io l'ho spinto alla morte; ma voi stessa. Sì, per
riscattarsi da un vincolo egli ha voluto morire, ma non da quello che mi
legava a lui: da un altro, dal vostro, da quello che gli imponeva la
vostra virtù o la vostra legge e che lo faceva soffrire
intollerabilmente.

SILVIA SETTALA.

Ah, non v'è nulla che voi non osiate travolgere! Da lui, dalla sua
bocca, in un'ora in cui tutta la sua anima era alzata nella luce, da lui
io l'ho udito:--Se la violenza è valsa a spezzare un giogo, sia
benedetta!--Da lui io l'ho udito, quando tutta la sua anima si riapriva
nella verità.

GIOCONDA DIANTI.

Ma qui, poche ore prima ch'egli cedesse all'orribile pensiero,
qui--tutte queste cose ne sono testimoni--egli mi parlò le più ardenti
e le più dolci parole ch'ebbe il suo amore; qui mi chiamò anche una
volta vita della sua vita; qui mi disse anche una volta il suo sogno
d'oblio, di libertà, di arte, di gioia. E qui mi disse la sua
insofferenza del legame, il peso inevitabile della bontà, più crudele
d'ogni altro, e l'orrore del supplizio cotidiano, la ripugnanza a
rientrare nella casa del silenzio e delle lacrime, la ripugnanza omai
divenuta invincibile....

SILVIA SETTALA.

No, no! Mentite.

GIOCONDA DIANTI.

Per sfuggire a quell'angoscia, una sera che tutto gli parve più triste e
più muto, egli cercò la morte....

SILVIA SETTALA.

Mentite! Mentite! Io ero lontana.

GIOCONDA DIANTI.

E voi mi accusate d'avergli inflitto un tormento infame, d'essere stata
il suo carnefice! Ah, le vostre mani soltanto, le vostre mani di bontà e
di perdono, gli preparavano ogni sera un letto di spine ove egli non
volle più distendersi. Ma, quando egli entrava qui dove io l'attendeva
come si attende il dio che crea, era trasfigurato. Egli ritrovava
dinanzi alla sua opera la forza, la gioia, la fede. Sì, una febbre
continua gli ardeva il sangue, tenuta accesa da me (e questo è tutto il
mio orgoglio); ma al fuoco di quella febbre egli ha foggiato un
capolavoro.

=Indica col gesto la sua statua che la cortina nasconde.=

SILVIA SETTALA.

Non è il primo; non sarà l'ultimo.

GIOCONDA DIANTI.

Certo, non sarà l'ultimo; poichè un altro è pronto a balzare dal suo
viluppo di creta, un altro ha palpitato già sotto il pollice animatore,
un altro è là semivivo, e attende d'attimo in attimo che il miracolo
dell'arte lo tragga intero alla luce. Ah voi non potete comprendere
questa impazienza della materia a cui fu promesso il dono della vita
perfetta!

=SILVIA SETTALA si volge verso la cortina; fa qualche passo, lentamente,
con l'apparenza d'un atto involontario, quasi che obbedisca a
un'attrazione misteriosa.=

È là; la creta è là. Quel primo spiracolo ch'egli vi aveva infuso, io
l'ho conservato di giorno in giorno come si bagna il solco dov'è il seme
profondo. Non l'ho lasciato perire. L'impronta è là, intatta. L'ultimo
tocco, che vi pose la sua mano febrile nell'ultima ora, è là visibile,
energico e fresco come di ieri, tanto potente che la mia speranza in
mezzo alla frenesia del dolore vi si affisò come a un suggello di vita e
ne prese forza.

=SILVIA SETTALA s'arresta dinanzi alla cortina, come la prima volta; e vi
rimane immobile e muta.=

Sì, è vero, voi eravate intanto al capezzale del moribondo, protesa in
una lotta senza tregua per strapparlo alla morte; e per questo foste
invidiata, e per questo siate lodata in eterno. Voi avevate la lotta,
l'agitazione, lo sforzo: avevate da compiere qualche cosa che vi pareva
sovrumana e che vi dava l'ebrezza. Io, sotto il divieto, nella
lontananza e nella solitudine, non potevo se non raccogliere e
stringere--con tutta la volontà contratta--il mio dolore in un vóto. La
mia fede era pari alla vostra; certo, si collegò con la vostra contro la
morte. L'ultima favilla creatrice partita dal suo genio, dal fuoco
divino che è in lui, io non l'ho lasciata estinguere, io l'ho tenuta
sempre viva, con una vigilanza religiosa e ininterrotta.... Ah, chi può
dire fin dove sia giunta la forza preservatrice di un tal vóto?

=SILVIA SETTALA fa l'atto di volgersi con violenza, come per rispondere;
ma si trattiene.=

Lo so, lo so: è ben semplice e facile quel che io ho fatto; lo so: non
è uno sforzo eroico, è l'umile cómpito di un manovale. Ma non è l'atto
quel che importa. Quel che importa è lo spirito con cui l'atto si
compie; quel che solo importa è il fervore. Nulla è più sacro dell'opera
che comincia a vivere. Se il sentimento con cui io l'ho custodita può
rivelarsi alla vostra anima, andate e guardate! Perchè l'opera séguiti a
vivere è necessaria la mia presenza visibile. Riconoscendo questa
necessità, voi comprenderete come io nel rispondere "forse" a una vostra
domanda ho voluto rispettare un dubbio che poteva essere in voi ma che
non era in me, che non è in me. Voi non potete sentirvi sicura qui come
nella vostra casa. Questa non è una casa. Gli affetti familiari non
hanno qui la loro sede; le virtù domestiche non hanno qui il loro
sacrario. Questo è un luogo fuori delle leggi e fuori dei diritti
comuni. Qui uno scultore fa le sue statue. Vi sta egli solo con gli
strumenti della sua arte. Ora io non sono se non uno strumento dell'arte
sua. La Natura mi ha mandato verso di lui per portargli un messaggio e
per servirlo. Obbedisco; lo attendo per servirlo ancora. S'egli ora
entrasse, potrebbe riprendere l'opera interrotta che aveva incominciato
a vivere sotto le sue dita. Andate e guardate!

=SILVIA SETTALA è rimasta dinanzi alla cortina, senza avanzare. Un
tremito sempre più forte le scuote la persona, indizio della grande
agitazione interiore; mentre le parole della rivale si fanno sempre più
pronte e stringenti, divenendo alla fine limpide e ostili. D'improvviso
ella si volge, anelante, impetuosa, risoluta alle difese estreme.=

SILVIA SETTALA.

No. È inutile. Troppo abili parole. Voi siete esperta in tutti i
linguaggi. Trasfigurate in un atto di amore e di fede quel che non è se
non un accorgimento e un'insidia. L'opera che fu interrotta doveva
perdersi. Con la mano medesima che aveva impresso nella creta il segno
di vita, con la mano medesima egli strinse l'arma e la rivolse contro il
suo cuore. Egli non dubitò di mettere tra sè e la sua opera il più
oscuro degli abissi. La morte è passata di là, e ha reciso ogni legame.
Quel che fu interrotto sarà perduto. Ora egli è rinato, è un uomo nuovo,
aspira ad altre conquiste. Nei suoi occhi si è fatta una nuova luce; la
sua forza è impaziente di creare altre forme. Tutto quel che è dietro
di lui, tutto quel che è di là dall'ombra, non ha più alcun potere e
alcun pregio. Che mai gli importa che una vecchia creta cada in polvere?
Egli l'ha dimenticata. Ne troverà della più recente per infondervi il
soffio della sua rinascenza, per modellarla a imagine dell'idea che oggi
l'infiamma. Giù, la vecchia creta! Come potete voi mostrarvi convinta
d'esser necessaria alla sua arte? Nessuno è necessario all'uomo che
crea. Tutto converge in lui. Dite che la Natura vi ha mandato verso di
lui per portargli un messaggio. Ebbene egli lo ha accolto, lo ha
compreso ed ha risposto con una espressione sublime. Che altro potrebbe
egli trarre da voi? Che altro potreste voi dargli? Non è concesso
toccare due volte il medesimo vertice, compiere due volte il medesimo
prodigio. Voi siete rimasta di là, di là dall'ombra, lontana, sola, su
la vecchia terra. Egli va ora verso le terre nuove, dove riceverà altri
messaggi. La sua forza sembra vergine, e la bellezza del mondo è
infinita.

=GIOCONDA DIANTI, sconvolta da quell'inatteso impeto che la respinge,
divenendo più acre, esaltando il suo orgoglio, assumendo un'aria di
sfida.=

Io sono viva e sono presente; ed egli ha trovato in me più d'un aspetto,
e mi inebriano ancora le parole ch'egli diceva per significare la sua
visione diversa ogni mattina quando gli riapparivo. Fino a ieri, certo,
egli ha ignorata la mia attesa; e la sua inconsapevolezza vi ha illusa.
Ma oggi egli sa. Comprendete? Egli sa che io sono qui, che io l'attendo.
Stamani una lettera glie lo ha rivelato, una lettera che è giunta nelle
sue mani, ch'egli ha letta. E io sono sicura, comprendete?, sono sicura
ch'egli verrà. Forse è in cammino, forse è presso la porta. Volete che
lo attendiamo?

=Una straordinaria mutazione altera il volto di SILVIA SETTALA. Sembra
che qualche cosa di insolito e di orribile accada entro di lei. Ella è
come chi a un tratto si senta afferrare da una spira e si torca nel
ribrezzo e nel fascino serpentino, perdutamente. La fatalità antica
della menzogna assale d'improvviso l'anima della donna pura, la vince e
la contamina. Alle ultime parole della nemica ella rompe in un riso
inaspettato, amaro, atroce, provocatore, che la rende irriconoscibile.
GIOCONDA DIANTI ne rimane sopraffatta.=

SILVIA SETTALA.

Basta, basta. Troppe parole. Il gioco è durato già troppo. Ah la vostra
sicurezza, il vostro orgoglio! Ma come avete potuto credere ch'io sia
venuta qui per contrastarvi la porta, per vietarvi il passo, per
mettermi di fronte alla vostra audacia, senza che una sicurezza ben più
salda della vostra mi affidi? La conosco la vostra lettera di stamani,
mi fu mostrata, non so se con più stupore o con più disgusto.

GIOCONDA DIANTI, =sopraffatta.=

No, non è possibile!

SILVIA SETTALA.

Sì, così è. La risposta, io ve la porto. Lucio Settala ha perduta la
memoria di quel che fu e chiede d'essere lasciato in pace. Egli spera
che il vostro orgoglio v'impedirà di divenire importuna.

GIOCONDA DIANTI, =fuori di sè.=

Egli vi manda? egli stesso? È la sua risposta? la sua?

SILVIA SETTALA.

La sua, la sua. Io vi avrei risparmiata questa durezza, se non m'aveste
costretta. Vogliate ora uscire.

GIOCONDA DIANTI, =con la voce rauca di collera e di onta.=

Sono scacciata?

=Il furore la soffoca e le dà un fremito gagliardo. Sembra che si svegli
in lei la fiera vendicativa e devastatrice. Pel suo corpo pieghevole e
possente passa quella forza medesima che contrae le musculature
micidiali dei felini in agguato. Il velo, ch'ella ha sempre tenuto sul
volto come una maschera fosca, rende più formidabile l'attitudine della
persona pronta a nuocere in qualunque modo e con qualunque arma.=

Scacciata?

=SILVIA SETTALA sta convulsa e livida dinanzi alla donna furibonda; e non
lo spettacolo di quel furore la sbigottisce, ma qualche cosa ch'ella
guarda dentro di sè, qualche cosa di orribile e d'irreparabile: la sua
menzogna.=

Ah, a questo voi l'avete condotto! In che modo? in che modo?
Fasciandogli di cotone l'anima come la ferita? medicandogliela con le
vostre mani molli? Egli è disfatto, è finito, è un cencio inutile.
Comprendo; ora comprendo. Povero lui! Povero lui! Ah, perché non è
morto, piuttosto che sopravvivere all'anima sua? Egli è finito dunque; è
un povero mentecatto che voi condurrete per mano nelle strade solitarie.
Tutto è distrutto, tutto è perduto. La sua fronte non si solleva più, il
suo occhio è spento....

SILVIA SETTALA, =interrompendola.=

Tacete! Tacete! Egli è vivente e forte, e non ebbe mai in sè tanta luce.
Dio sia lodato!

GIOCONDA DIANTI, =frenetica.=

Non è vero. Io, io ero la sua forza, la sua giovinezza, la sua luce.
Diteglielo! Diteglielo! Egli è divenuto vecchio; da oggi è vecchio e
fiacco e senz'anima. Io porto via con me, diteglielo!, tutto quel che
era in lui di più libero, di più ardente e di più fiero. Il sangue che
versò là, sotto la mia statua, fu l'ultimo sangue della sua giovinezza.
Quello che voi gli avete rinfuso nel cuore è senza fiamma, è debole, è
vile. Diteglielo! Io porto via con me, oggi, quel che fu la sua potenza
e il suo orgoglio e la sua gioia e tutto. Egli è finito. Diteglielo!

=Il furore l'acceca e la soffoca. Sembra ch'ella sia invasa da una
torbida volontà distruttiva, come da un dèmone. Tutto il suo essere si
contrae nel bisogno di compiere un atto immediato di distruzione. Un
pensiero subitaneo precipita quell'istinto verso una mira.=

E quella statua che è mia, che m'appartiene, ch'egli ha fatta con la
vita che ha spremuta da me a stilla a stilla, quella statua che è
mia....

=Ella si slancia con un balzo di fiera verso la cortina chiusa, la
solleva, passa oltre.=

....ebbene, io la spezzerò, l'abbatterò!

=SILVIA SETTALA gitta un grido accorrendo per impedire il delitto.
Entrambe scompaiono dietro la cortina. S'ode l'anelito d'una breve
lotta.=

SILVIA SETTALA, =gridando.=

No, no, non è vero, non è vero! Ho mentito.

=Copre le disperate parole lo strepito d'una massa che s'inclina e cade,
lo schianto della statua abbattuta; a cui segue un nuovo grido lacerante
di SILVIA che lo spasimo le trae dalle viscere profonde.=



SCENA TERZA.

=FRANCESCA DONI appare, folle di terrore, correndo verso quel grido
ch'ella riconosce; mentre GIOCONDA DIANTI si mostra fra le pieghe della
cortina, ancora velata, con l'attitudine di chi abbia ucciso e cerchi lo
scampo.=


FRANCESCA DONI.

Assassina! Assassina!

=Ella si piega a soccorrere la sorella, mentre l'altra fugge.=

Silvia, Silvia, sorella mia, sorella mia! Che t'ha fatto? che t'ha
fatto? Ah! le mani, le mani....

=La sua voce esprime l'orrore di chi vede una cosa raccapricciante.=

SILVIA SETTALA.

Portami via! Portami via!

Francesca Doni.

Mio Dio! Mio Dio! Ti son rimaste sotto? Mio Dio! Ti si sono
schiacciate.... L'acqua! L'acqua! Non c'è nulla qui.... Aspetta!

SILVIA SETTALA.

Ah che spasimo! Non reggo; muoio. Portami via!

=Ella appare, uscendo di tra le pieghe rosse, col viso indicibilmente
convulso dallo spasimo; mentre la sorella curva le sostiene le due mani
avvolte in un pezzo di tela umida--tolta di su la creta--che
s'insanguina.=

Che spasimo! Non reggo più.

=Ella sta per venir meno; quand'ecco si precipita nella stanza LUCIO
SETTALA come un forsennato. Ella trasale, fissando su di lui i suoi gran
di occhi lacrimanti ove l'anima disperata muore.=

Tu, tu, tu!

FRANCESCA DONI, =sostenendo sempre le due povere mani schiacciate che
inzuppano di sangue la tela in cui è nascosto lo sfacelo immedicabile.=

Reggetela! Reggetela! Ora cade...

=LUCIO SETTALA regge tra le sua braccia la dolce creatura sanguinosa, che
sta per perdere la conoscenza. Ma, prima di mancare, ella volge lo
sguardo semispento verso la cortina come per accennare alla statua.=

SILVIA SETTALA, =con la voce morente.=

È.... salva.



ATTO QUARTO.

=Una stanza terrena, tutta bianca, semplice, con due pareti--che fanno
angolo--quasi interamente aperte alla luce per un ordine di vetrate, al
modo di un tepidario. Le stoie sono alzate: a traverso i cristalli si
vedono gli oleandri, le tamerici, i giunchi, i pini, le arene d'oro
sparse d'alghe morte, il mare in calma sparso di vele latine, la foce
pacifica dell'Arno, di là dal fiume le macchie selvagge del Gombo, le
Cascine di San Rossore, le lontane montagne di Carrara marmifera.=

=Una porta, che conduce all'interno, è nella terza parete. Da un lato
della porta, su una mensola, è la Donna dal mazzolino--la nota figura di
Andrea del Verrocchio--ospite nuova, venuta dall'altra casa come una
compagna fedele, le cui belle mani sono pur sempre intatte, atteggiate
di grazia verso il cuore. Dall'altro lato è una vecchia spinetta--del
tempo di Elisa Baciocchi duchessa di Lucca--con la cassa di legno scuro
intarsiata di legno chiaro, sorretta da piccole cariatidi dorate nello
stile dell'Impero, con i suoi quattro pedali riuniti in forma di una
cetra.=

=È un pomeriggio di settembre. Il sorriso dell'Estate sparente sembra
incantare tutte le cose. Nella stanza solitaria è sensibile la presenza
dell'anima musicale che dorme in fondo allo strumento abbandonato, come
se anch'esse le corde rinchiuse fossero tocche dal ritmo che misura la
calma del mare vicino.=



SCENA PRIMA.

SILVIA SETTALA =appare su la soglia, venendo dall'interno; si sofferma;
fa qualche passo verso le vetrate; guarda la lontananza, guarda intorno
a sè, con occhi infinitamente tristi. V'è nella sua movenza qualche cosa
di manchevole, che suscita un'imagine vaga d'ali tarpate, che dà il
sentimento vago d'una forza umiliata e tronca, d'una nobiltà avvilita,
d'un'armonia rotta. Ella porta una veste cinerizia alla cui estremità
corre un piccolo orlo nero, come un filo di lutto. Le maniche lunghe
nascondono i moncherini, ch'ella tiene distesi giù pe' fianchi e
talvolta serrati contro, un po' in dietro, come per nasconderli nelle
pieghe, con un moto doloroso di pudore.=

=Di fuori, tra gli oleandri folti, appare una figura feminina--LA
SIRENETTA--che ha la sembianza di una fata e di una mendicante, in atto
di chi spia. Ella s'insinua verso le vetrate con un passo furtivo,
reggendo in una mano il lembo del grembiule ripieno di alghe, di nicchi
e di stelle marine.=


SILVIA SETTALA, =scorgendola e andandole in contro con un sorriso
spontaneo impreveduto.=

Oh, la Sirenetta! Vieni, vieni.

LA SIRENETTA, =avanzandosi fino ai cristalli.=

Mi riconosci?

=Rimane di fuori, in modo che la sua figura appare tra il luccichio dei
cristalli, i quali sembrano continuare intorno a lei il tremito
raggiante e incessante delle grandi acque. È giovine, sottile,
pieghevole; ha i capelli fulvi e scarmigliati, il volto d'un color d'oro
olivigno, i denti candidi come l'osso della seppia, gli occhi umidi e
glauchi, il collo esile e lungo, ornato d'una collana di conchiglie, in
tutta la persona qualcosa d'indicibilmente fresco e guizzante che fa
pensare a una creatura impregnata di salsedine, emersa dalla mobilità
dei flutti, proveniente dai nascondigli d'una scogliera. La sua gonna di
bordato bianco e turchino, lacera e scolorita, scende poco più giù dei
ginocchi, lasciando scoperte le gambe ignude; il suo grembiule
azzurrognolo stilla e odora di salmastro come una nassa; i suoi piedi
scalzi, a contrasto dal color bruno che le ha dato il sole, sono
singolarmente pallidi come le radici delle piante acquatiche. E la sua
voce è limpida e puerile; e taluna delle parole ch'ella proferisce
sembra rischiarare d'una misteriosa felicità il suo volto ingenuo.=

Mi riconosci, signora bella?

SILVIA SETTALA.

Ti riconosco, ti riconosco.

LA SIRENETTA.

Mi riconosci? Chi sono io?

SILVIA SETTALA.

Non sei la Sirenetta?

LA SIRENETTA.

Sì, tu m'hai riconosciuta. Quant'è che sei rivenuta?

SILVIA SETTALA.

È poco.

LA SIRENETTA.

Tu rimani?

SILVIA SETTALA.

Per molto tempo ancora.

LA SIRENETTA.

Sino all'inverno, forse.

SILVIA SETTALA.

Forse.

LA SIRENETTA.

E la tua figliuola?

SILVIA SETTALA.

Oggi l'aspetto. Verrà.

LA SIRENETTA.

Beata! Non si chiama Beata?

SILVIA SETTALA.

Sì, Beata.

LA SIRENETTA.

Tu le hai messo quel nome? Beata, non Beatrice. Quand'era qui, voleva da
me ogni giorno le stelle: le stelle di mare. Te l'ha detto? Voleva
sentirmi cantare. Te l'ha detto?

SILVIA SETTALA.

Sì, me l'ha detto. Si ricorda di te. Ti vuol bene.

LA SIRENETTA.

Mi vuol bene? Lo so. Mi dava ogni giorno il suo pane.

SILVIA SETTALA.

Tu l'avrai ogni giorno, se vuoi. Pane e companatico, Sirenetta, mattina
e sera, quando ti piace. Ricordati.

LA SIRENETTA.

Mattina e sera ti porterò una stella. Ne vuoi una? una bella? più grande
di una mano?

=SILVIA SETTALA, turbata, con un moto istintivo trae in dietro le
braccia.=

SILVIA SETTALA.

No, no! Serbala a Beata.

LA SIRENETTA., =attonita.=

Non la vuoi?

SILVIA SETTALA.

Dimmi piuttosto quel che fai della tua vita; dimmi la tua giornata. È
vero che tu parli con le sirene del mare? Dimmi, racconta, Sirenetta.

LA SIRENETTA.

    Eravamo sette sorelle.
    Ci specchiammo alle fontane:
    eravamo tutte belle.
    --Fiore di giunco non fa pane,
    mora di macchia non fa vino,
    filo d'erba non fa panno lino--
    la madre disse alle sorelle.
    Ci specchiammo alle fontane:
    eravamo tutte belle.
    La prima per filare
    e voleva i fusi d'oro;
    la seconda per tramare
    e voleva le spole d'oro;
    la terza por cucire
    e voleva gli aghi d'oro;
    la quarta per imbandire
    e voleva le coppe d'oro;
    la quinta per dormire
    e voleva le coltri d'oro;
    la sesta per sognare
    e voleva i sogni d'oro;
    l'ultima per cantare,
    per cantare solamente,
    e non voleva niente.

=Ella ride d'un breve riso nitido che sembra tintinnire su i suoi denti
splendenti.=

Ti piace questa storia?

SILVIA SETTALA, =presa dalla grazia di quella semplice.=

È già finita? Perchè non seguiti?

LA SIRENETTA.

Se tu ti siedi qui, io t'addormento come addormentavo la tua figliuola
su l'arena. Non hai sonno a quest'ora? È buono il sonno, di settembre.

    Settembre dall'altura
    porta al piano la frescura
    e l'Estate in sepoltura.
                    Amen.

SILVIA SETTALA.

No. Seguita la tua storia, Sirenetta

LA SIRENETTA.

    L'oliva si fa scura
    e la doglia si matura:
    olio e pianto alla pressura.
    Amen.

SILVIA SETTALA.

Seguita la tua storia, Sirenetta.

LA SIRENETTA.

Dove siamo rimaste?

SILVIA SETTALA.

"E non voleva niente!"

=Una pausa.=

LA SIRENETTA.

Ah, ecco:

    --Fiore di giunco non fa pane,
    mora di macchia non fa vino,
    filo d'erba non fa panno lino--
    la madre disse alle sorelle.
    Ci specchiammo alle fontane:
    eravamo tutte belle.
    E la prima filò
    torcendo il suo fuso e il suo cuore,
    e la seconda tramò
    una tela di dolore,
    e la terza cucì
    una camicia attossicata,
    e la quarta imbandì
    una mensa affatturata,
    e la quinta dormì
    nella coltre della morte,
    e la sesta sognò
    nelle braccia della morte.
    Pianse la madre dolente,
    pianse la mala sorte.
    Ma l'ultima, che cantò
    per cantare per cantare
    per cantare solamente,
    ebbe la sorte bella.

=Ella abbassa la voce, la fa segreta e remota.=

    Le sirene del mare
    la vollero per sorella.

=Una pausa.=

SILVIA SETTALA.

Dunque è vero che tu parli con le sirene?

LA SIRENETTA, =ponendosi l'indice su la bocca.=

Non dimandare!

SILVIA SETTALA.

È vero che nessuno sa dove tu dorma la notte?

LA SIRENETTA, =col medesimo gesto.=

Non dimandare.

SILVIA SETTALA.

Vuoi tu che io ti dia ricetto, qui nella casa?

LA SIRENETTA, =fissandola in viso, come se non avesse udita la domanda.=

Tu hai gli occhi afflitti. Non sapevo che fosse la mia pena, quando mi
guardavi. Ora vedo: hai negli occhi un gran dolore. Qualcuno t'è morto.

SILVIA SETTALA.

Tu sola mi consolerai!

LA SIRENETTA.

Chi t'è morto?

SILVIA SETTALA.

Non dimandare!

LA SIRENETTA.

Ora ti vedo: tu non sei più quella. Ho pensato a una rondine dell'altro
settembre, che non aveva più le sue penne maestre e stava per annegarsi
nel mare. Che t'hanno fatto? Qualche cosa di male t'è stato fatto.

SILVIA SETTALA.

Non dimandare!

=Istintivamente ella nasconde nelle pieghe della veste i suoi moncherini,
con un moto doloroso che non sfugge all'indagine della creatura
incantevole. La quale, d'improvviso, come per un accorgimento, lascia il
lembo del grembiule in modo che il suo piccolo tesoro marino cade e si
sparge sul terreno.=

LA SIRENETTA, =inclinandosi e scegliendo.=

Vuoi una stella? una bella? più grande di una mano? Guarda!

=Ella mostra alla mutilata una grande asteria a cinque raggi.=

Prendila! Te la dono.

=La mutilata scuote il capo in segno di diniego, serrando le labbra come
per ricacciare in giù il nodo che le chiude la gola.=

Non puoi? Hai le mani malate? fasciate?

=La mutilata accenna di sì col capo. Le parole dell'altra si fanno
tremule di pietà.=

Sei caduta nel fuoco? te le sei bruciate? Ti dolgono ancora? o stanno
per guarire?

SILVIA SETTALA, =con una voce appena udibile.=

Non le ho più.

LA SIRENETTA, =sollevandosi sbigottita.=

Non le hai più! Te le hanno tagliate? Sei monca?

=La mutilata accenna di sì col capo, spaventevolmente pallida. L'altra
rabbrividisce d'orrore.=

No, no, no! Non è vero.

=Ella tiene gli occhi fissi alle pieghe della veste ove la mutilata
nasconde i suoi moncherini.=

Dimmi che non è vero.

SILVIA SETTALA.

Non le ho più.

LA SIRENETTA.

Perchè? perchè?

SILVIA SETTALA.

Non dimandare!

LA SIRENETTA.

Ah, che cosa crudele!

SILVIA SETTALA.

Le ho donate.

LA SIRENETTA.

Le hai donate? A chi?

SILVIA SETTALA.

Al mio amore.

LA SIRENETTA.

Ah, che crudele amore! Com'erano belle, com'erano belle! Credi tu che io
non me ne ricordi? Te le ho baciate; tante tante volte te le ho baciate
con questa bocca. Mi davano il pane, una melagrana, una tazza di
latte.... Erano belle come se te le avesse fatte l'Alba con un fiato,
bianche come il fiore della maretta, più fini di quei ricami che fa il
vento nell'arena; si movevano come il sole nell'acqua, favellavano
meglio della lingua e delle pupille, quello che dicevano era come una
parola benigna, quello che prendevano per donare doventava tutt'oro. Me
ne ricordo: le vedo, le vedo. Un giorno giocavano con l'arena tiepida:
l'arena passava tra le dita come in un vaglietto e si piacevano nel
gioco; e la Beata le guardava e rideva; e io, che le guardavo, avevo il
medesimo piacere. Un giorno sbucciavano un'arancia: e ne fecero tanti
spicchi, e a me ne toccò uno ed era dolce come un fiale. Un giorno
mettevano una fasciolina intorno a un piede della piccola, che piangeva
perchè l'aveva pinzata un gamberello; e il dolore súbito cessò, e la
piccola si mise a correre per la riva. Un giorno giocavano con que' bei
riccioli, e d'ogni ricciolo si facevano un anello per ogni dito, e poi
ricominciavano, e poi ricominciavano ancora; e la Beata si addormentò
con la rugiada in bocca....

SILVIA SETTALA, =soffocatamente.=

Non dir più! Non dir più!

LA SIRENETTA.

Ah, che crudele amore!

=Una pausa. Ella resta pensosa.=

E dove saranno? Lontane da te, sole, nella terra, in fondo.... Le hanno
seppellite? Dove? In un bel giardino?

=Una pausa. La mutilata tiene le palpebre chiuse e appoggia il capo al
cristallo ove si riflette il tremolio del mare.=

Le hai vedute portar via? Com'erano bianche! Le hanno intrise in un
balsamo forte. E gli anelli? Con tutti gli anelli? Ne avevi uno con una
pietra verde, e uno con tre perle, e uno intrecciato d'oro e di ferro, e
uno liscio, un cerchietto lucente, e quello solo era all'anulare.

=Una pausa. Un'espressione indefinibile appare sul volto della mutilata,
mentre ella abbandona le braccia lungo i fianchi allentando la
contrattura.=

Ci pensi? Le sogni? Se ti rifiorissero calde....

=La mutilata apre gli occhi e sobbalza, come chi si sveglia
all'improvviso. Le sue braccia sussultano.=

Che hai?

SILVIA SETTALA.

È strano: veramente qualche volta mi par di riaverle, mi par di sentire
il sangue scendere alla punta delle dita. Quando tu parlavi, le
avevo.... erano più belle, Sirenetta.

LA SIRENETTA.

Più belle?

SILVIA SETTALA.

Tu mi consolerai, Sirenetta. Io non posso prendere la tua stella, ma
posso guardare i tuoi occhi e udire la tua voce. Stammi vicina, ora che
t'ho ritrovata. Anch'io ti vorrei per sorella.

LA SIRENETTA.

Vorrei darti le mie mani, se non fossero tanto ruvide e scure.

SILVIA SETTALA.

Sono felici le tue mani: toccano le foglie, i fiori, l'arena, l'acqua,
le pietre, i fanciulli, gli animali, tutte le cose innocenti. Tu sei
felice, Sirenetta: la tua anima nasce ogni mattina; ora è piccola come
una perla e ora è grande come il mare. Tu non hai nulla e hai tutto; non
sai nulla e sai tutto....

LA SIRENETTA, =volgendosi a un tratto e interrompendola.=

Hai sentito la folata? Guarda, guarda quante rondini sul mare! Sono più
di mille: una nuvola viva. Guarda come brillano! Ora partono, vanno a un
gran viaggio, in una terra distante; l'ombra cammina su l'acqua con
loro; qualche piuma cade; si farà sera; incontreranno le barche in alto
mare; vedranno i fuochi, udranno i canti dei marinai; i marinai le
guarderanno passare; passeranno rasente alle vele; qualcuna urterà,
cadrà sul ponte stanca. Una sera, una nuvola di rondini stanche
s'abbatterà su una barca come un passo di storni su le paretelle e tutta
la ricoprirà. I marinai non le toccheranno. Non si moveranno, per non
spaventarle; non parleranno, per lasciarle dormire. E, come ce ne sarà
anche sul ceppo dell'àncora e su la barra del timone, per quella notte
la barca andrà alla ventura sotto la luna. Ma all'alba.... Ah! Chi ti
chiama?

=Interrompe il sogno, udendo una voce estranea tra gli oleandri; fa
l'atto di fuggire.=

Addio, addio.

SILVIA SETTALA, =ansiosamente.=

È mia sorella. Non fuggire, non te n'andare, Sirenetta! Rimani qui
d'intorno. Viene Beata.

LA SIRENETTA.

Addio, addio. Tornerò.

=Fugge verso il mare, si dilegua nell'azzurro e nel sole.=



SCENA SECONDA.

=Appare tra gli oleandri FRANCESCA DONI seguita da LORENZO GADDI il
vecchio.=


FRANCESCA DONI.

Vedi chi ti conduco?

SILVIA SETTALA, =ansiosamente.=

E Beata? E Beata?

FRANCESCA DONI.

Verrà fra poco. L'ho lasciata con Faustina. Son venuta innanzi perchè
non t'arrivasse all'improvviso....

SILVIA SETTALA.

Caro maestro, come vi sono grata!

=Il vecchio fa l'atto istintivo di tendere le mani verso di lei. Ella
s'inchina leggermente e gli offre la fronte, ch'egli sfiora con le
labbra.=

LORENZO GADDI, =dissimulando la sua commozione.=

Come sono felice io di rivedervi, cara Silvia, e di rivedervi già
sollevata e sana! Il mare vi giova. Il mare è pur sempre il gran
consolatore. Laggiù, al Forte dei Marmi, si pensava molto a voi.

SILVIA SETTALA.

Non è tanto lontano di qui il Forte dei Marmi.

LORENZO GADDI, =indicando i lidi remoti.=

È laggiù, sotto Serravezza, di qua da Massa.

=Guardano per le vetrate la lontananza.=

FRANCESCA DONI.

Come si vedono bene oggi le montagne di Carrara! Si possono contare le
punte a una a una. Non mi ricordo una giornata più limpida di questa.
Chi era con te, Silvia? La Sirenetta? M'è parso di vederla fuggire verso
il mare. E poi, ecco la sua traccia: alghe, nicchi, stelle marine.

=Ella indica il tesoro puerile sparso a terra.=

SILVIA SETTALA.

Sì, era qui con me, dianzi.

LORENZO GADDI.

Chi è la Sirenetta?

FRANCESCA DONI.

Una piccola pazza errante.

SILVIA SETTALA.

Una veggente, che ha il dono del canto; una creatura di sogno e di
verità, che sembra uno spirito del mare. La conoscerete e l'amerete con
me. Conoscendola, udendola parlare, si comprendono molte cose profonde.
Certo, vi parrà perfetta: ella dà sempre e non chiede mai.

LORENZO GADDI.

Vi somiglia in questo.

SILVIA SETTALA.

Ahimè, no. Avrei voluto e dovuto somigliarle in questo; ma la luce mi
venne meno e cedetti all'inganno della vita. Quale accecamento! Tanto
chiesi che, per ottenere, mi ridussi perfino a mentire: io! Ne esco
mutilata, stroncata, per ammenda della menzogna. Avevo tese le mani
troppo violentemente verso un bene che m'era vietato dal destino. Non mi
lagno, non gemo. Poichè bisogna vivere, vivrò. Forse un giorno la mia
anima sarà pacificata. Sentivo nascere in me questa speranza, ascoltando
la voce di quella creatura semplice e candida che può insegnare le cose
eterne. M'ha detto che mi porterà una stella ogni mattina.

=Ella tenta di sorridere. La sorella è rimasta presso le vetrate e sembra
intenta a guardare le montagne lontane; ma l'ombra della tristezza
occupa il suo viso mite.=

Guardate là, maestro, la Donna dal mazzolino. È venuta meco. Ora, se la
guardo, ha qualche cosa di funebre per me: tuttavia non ho saputo
distaccarmene. Vi ricordate, maestro, di quel giorno d'aprile? e della
testa inghirlandata?

LORENZO GADDI.

Mi ricordo, mi ricordo....

SILVIA SETTALA.

La vita nuova!

LORENZO GADDI.

In ogni cosa era un augurio.

SILVIA SETTALA.

Quando vedo passare i cammelli carichi di fascine, là, oltr'Arno, nelle
macchie del Gombo, ripenso all'arrivo di Cosimo Dalbo, all'allegrezza di
quella sera, allo scarabeo che io misi in mezzo a un fascio di rose
colte da Beata....

=Si volge verso la sorella.=

Oh, Francesca, io parlo e il cuore intanto mi fa così male che non
resisto più. Dov'è Beata?

FRANCESCA DONI, =stretta dalla pena.=

Vuoi dunque vederla ora? Sei forte?

SILVIA SETTALA.

Sì, sì, sono forte, sono pronta. L'indugio è peggiore.

FRANCESCA DONI.

Allora vado, e te la conduco.

SILVIA SETTALA, =non riuscendo a contenere l'ansietà.=

Aspetta un minuto. Non rimanete con noi qui, stasera, maestro? Sarei
contenta.

LORENZO GADDI.

Ebbene, sì, rimango.

SILVIA SETTALA.

Possiamo ospitarvi. Faccio preparare la vostra stanza. Aspetta,
Francesca, un minuto.

=Ella è convulsa, non potendo più dominare la sua ambascia. Va verso la
porta con l'atto di chi corra a nascondere un pianto che sia per
irrompere.=

FRANCESCA DONI.

Vuoi ch'io venga, Silvia?

SILVIA SETTALA, =con la voce soffocata.=

No, no.

=Scompare.=

FRANCESCA DONI.

Ah, che maledizione, che maledizione! La vedete? Finchè era nel suo
letto, sotto le sue coperte, fasciata, esangue, tutto l'orrore della
cosa non appariva. Ma ora che è in piedi, ora che si muove, cammina,
rivede le persone amiche, ritrova le abitudini d'un tempo, si dispone ai
gesti che le erano famigliari.... Pensate!

LORENZO GADDI.

Sì, è una sorte troppo atroce. Mi ricordo ancora di quel che diceste
tanto teneramente, guardandola, in quel giorno d'aprile. "Sembra che
abbia le ali!" La bellezza e la leggerezza delle sue mani le davano
quell'aspetto di creatura alata. V'era in lei una specie di fremito
incessante. Ora sembra che si trascini....

FRANCESCA DONI.

Ed è stato un sacrifizio inutile come gli altri, non è valso a nulla,
non ha mutato nulla: ecco l'atrocità della sorte. Se Lucio le fosse
rimasto, credo ch'ella sarebbe contenta di avergli potuto dare
quest'ultima prova, d'avergli potuto fare anche il sacrifizio delle sue
mani vive. Ma ella conosce ormai tutta la verità, nella sua crudezza....
Ah che infamia! Avreste mai potuto credere che Lucio fosse capace di
tanto? Dite.

LORENZO GADDI.

Anch'egli ha il suo fato, e gli obbedisce. Come non fu padrone della sua
morte, così non è padrone della sua vita. Lo vidi ieri. M'aveva scritto
al Forte dei Marmi per pregarmi di salire alle Cave e di spedirgli un
masso. Lo vidi ieri, nel suo studio. Il suo viso è così scarno che
sembra debba divorarglielo il fuoco degli occhi. Quando parla, si eccita
stranamente. Ne rimasi turbato. Lavora, lavora, lavora, con una
terribile furia: forse cerca di sottrarsi a un pensiero che lo rode.

FRANCESCA DONI.

La statua è ancora là?

LORENZO GADDI.

È ancora là, senza braccia. L'ha lasciata così: non ha voluto
restaurarla. Così, sul piedestallo, sembra veramente un marmo antico,
disseppellito in una delle Cicladi. Ha qualche cosa di sacro e di
tragico, dopo la divina immolazione.

FRANCESCA DONI, =a bassa voce.=

E quella donna, la Gioconda, era là?

LORENZO GADDI.

Era là, silenziosa. Quando uno la guarda, e pensa ch'ella è causa di
tanto male, veramente non può imprecare contro di lei nel suo
cuore;--no, non può, quando uno la guarda.... Io non ho mai veduto in
carne mortale un così grande mistero.

=Una pausa. Il vecchio e la mite sorella rimangono in pensiero, per
qualche attimo, chinato il capo.

FRANCESCA DONI, sospirando per l'angoscia che l'opprime.=

Mio Dio, mio Dio! E intanto ora dovrò condurre Beata alla madre, e si
rivedranno, dopo tanto; e la piccola capirà la verità, saprà la cosa
orrenda.... Come nascondere, a lei che si ricorda di tutte le carezze e
ne è folle! L'avete veduta, l'avete udita, dianzi....

=SILVIA SETTALA riappare su la soglia. I suoi occhi sono arsi e tutta la
sua persona è contratta da uno sforzo spasimoso.=

SILVIA SETTALA.

Eccomi, Francesca; sono pronta. La stanza è già preparata, maestro, se
volete salire.

LORENZO GADDI, =andando verso di lei con la voce tremante di commozione.=

Coraggio! È l'ultima prova.

=Esce per la porta. La mutilata si avanza verso la sorella, anelante.=

SILVIA SETTALA.

Ora va, va! Conducila. Aspetto qui.

=La sorella le cinge con le braccia il collo e la bacia, in silenzio. Poi
esce dalla parte del mare, si allontana rapidamente tra gli oleandri.=



SCENA TERZA.

SILVIA SETTALA, =anelante, guarda per mezzo ai rami che il sole obliquo
accende. È l'ora estatica. Il giorno è più limpido che i cristalli della
stanza bianca; il mare è soave come il fiore del lino, immobile così che
le lunghe imagini delle vele rispecchiate sembrano toccarne il fondo; il
fiume sembra generare quel gran riposo, versandovi l'onda perenne della
sua pace; i boschi salubri, tutti penetrati di fluido oro, si
alleggeriscono meravigliosamente, quasi che perdano le radici per
nuotare nella delizia del loro aroma; le Alpi marmifere in lontananza
segnano nel cielo una linea di bellezza, in cui si rivela il sogno che
sorge dal loro chiuso popolo di statue addormentate.=

=Riappare in quel silenzio LA SIRENETTA e s'ode la sua voce pura.=


LA SIRENETTA.

Sei sola?

SILVIA SETTALA, =affannata.=

Sì, attendo.

LA SIRENETTA, =accostandosi.=

Hai pianto?

SILVIA SETTALA.

Sì, un poco.

LA SIRENETTA, =con infinita pietà.=

Sembra che tu abbia pianto un anno. Hai gli occhi bruciati. Troppo ti
duole il cuore.

SILVIA SETTALA.

Taci. Non posso premermi il cuore.

=Ella si stringe contro il tronco dell'oleandro più vicino, convulsa, non
potendo più sostenere lo spasimo dell'attesa.=

Ora viene, ora viene.

=Ella si distacca dal tronco e rientra nella stanza, come presa dal
terrore, con l'atto di chi cerchi un rifugio.=

LA VOCE DI BEATA, =tra gli oleandri.=

Mamma! Mamma!

=La madre sussulta, si volge, spaventosamente pallida.=

Mamma!

=La figlia si slancia verso la madre con un grido di gioia, tutt'accesa
in viso, calda, con i capelli scomposti, ansante come dopo una lunga
corsa, portando un fascio confuso di fiori. Com'ella si slancia, il
fascio cade. La mutilata si china verso le piccole braccia che le
avvinghiano il collo; offre la faccia morente ai furiosi baci.=

SILVIA SETTALA.

Beata! Beata!

BEATA, =ansante.=

Ah, quanto ho corso, quanto ho corso! Sono fuggita, sola. Ho corso, ho
corso.... Non volevano lasciarmi venire. Ah, ma io sono fuggita, col mio
fascio di fiori.

=Copre di nuovi baci il volto materno.=

SILVIA SETTALA.

Sei tutta molle di sudore, sei tutta calda, bruci.... Mio Dio!

=Nell'impeto della tenerezza, ella sta per fare il gesto istintivo di
asciugarla; ma si trattiene, nasconde nelle pieghe della veste i suoi
moncherini; e un brivido di orrore, visibile, le traversa la persona.=

BEATA.

Perchè non mi prendi? Perchè non mi stringi? Prendimi! Prendimi, mamma!

=Ella si solleva su la punta dei piedi, per essere rapita dall'abbraccio
materno. La madre indietreggia, perdutamente.=

SILVIA SETTALA.

Beata!

BEATA, =incalzandola.=

Non vuoi? Non vuoi?

SILVIA SETTALA.

Beata!

=Ella tenta di esprimere il sorriso delle sue labbra smorte che torce
l'indicibile dolore.=

BEATA.

Tu giochi? Che nascondi? Oh, dammi, dammi quello che nascondi!

SILVIA SETTALA.

Beata! Beata!

BEATA.

Io t'ho portati i fiori, tanti fiori. Vedi? Vedi?

=Nel volgersi per raccogliere il fascio caduto, ella scorge la sua amica
selvaggia; la riconosce.=

Oh, la Sirenetta! Sei là?

=LA SIRENETTA è là, davanti ai cristalli, diritta in piedi, muta
testimone, con gli occhi fissi alla madre dolorosa. Come il soffio
iterato del vento passa tra le frondi d'un arbusto e le fa tremolare,
così il dolore della madre sembra investire e penetrare quell'esile
corpo a cui il sole obliquo cinge le sue bande d'oro.=

Vedi quanti? Tutti per te!

=La piccola raccoglie il suo fascio.=

Tieni!

=Si slancia ancora verso la madre, che indietreggia.=

SILVIA SETTALA.

Beata! Beata!

BEATA, =attonita.=

Non li vuoi? Prendi! Tieni!

SILVIA SETTALA.

Beata!

=Ella cade in ginocchio, vinta dal dolore, abbattuta come da un colpo più
forte, cade in ginocchio dinanzi alla figlia sbigottita; e un fiotto di
pianto, che sgorga dagli occhi come il sangue da una ferita, le inonda
la faccia.= BEATA.

Piangi? Piangi?

=Sbigottita ella si getta contro il seno della madre, con tutti i suoi
fiori. LA SIRENETTA, caduta anch'ella in ginocchio, prona, tocca con la
fronte e con le palme distese la terra.=

                          [greche: TELOS]



CONCORDANZA.

                      [greche: Ou nemesis...]

     "Ed Elena, prestamente avvoltasi di veli bianchi, uscì dalla stanza
     nuziale piangendo; e lei seguivano due donne: Etre figlia di Pitteo
     e Climene dagli occhi bovini. Ed ecco, giunsero alle Porte Scee.
     Priamo, Pantoo, Timete, Lampo, Clitio, Icetaone alunno di Ares, e
     Ucalegonte e Antenore fior di saggezza entrambi, sedevano,
     vegliardi venerandi, sopra le Porte Scee. E la vecchiaia li teneva
     lontani dalla guerra; ma erano eglino agoreti eccellenti, simili
     alle cicale che nei boschi appese a un albero versano la lor voce
     melodiosa. Tali erano i principi dei Troiani, seduti in cima della
     torre. E, come videro Elena che saliva verso di loro, dissero gli
     uni agli altri sommessamente queste parole alate:--Certo, È GIUSTO
     che i Troiani e gli Achei da' bei schinieri patiscano tanti mali e
     da sì gran tempo, a cagione di una tal donna; perocchè ella somigli
     in sua bellezza alle iddie immortali."

                    ILIADE: _raps. III._





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