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Title: Il libro delle figurazioni ideali
Author: Lucini, Gian Pietro, 1867-1914
Language: Italian
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*** Start of this LibraryBlog Digital Book "Il libro delle figurazioni ideali" ***


GIANPIETRO LUCINI


IL LIBRO

DELLE

Figurazioni ideali

  _Haec omnes creaturæ in totum ego sunt
  et præter me aliud deus non est._

                         VEDAH


MILANO 1894
LIB. EDIT. GALLI DI C. CHIESA E GUINDANI
Galleria Vitt. Em. 17 e 80


_Diritti di traduzione e riproduzione riservati_



Milano 1894--Tipografia Wilmant di L. Rusconi.



    NON PER ORGOGLIO O PER JATTANZA
          MA PER GRATO ANIMO
       PIÙ CHE AL PADRE ALL'AMICO
      (DOLCISSIMA SIGNIFICAZIONE)
    QUESTA FANTASIA E TRISTE E LIETA
CHE DALLE BRUME SOGNAVA UN AZZURRO VICINO
            ED ARMONIOSO
    E CUI SPESSO RUDAMENTE ESPONEVA
             INCOMPOSTA
         IL FIGLIO E L'AMICO.



PROLEGOMENA
ALLE FIGURAZIONI IDEALI

  _Socialiste? Il deviendra socialiste, èvidemment: l'évolution des
  idées le veut, c'est fatal. L'esprit de révolte fait du progrès et
  je m'étonne que les misérables ne brûlent pas plus souvent la
  cervelle aux millionaires qu'ils rencontrent. Oui, tout changera, la
  littérature, l'art, l'éducation, tout après le chambordement que
  j'attends, cette année, l'année prochaine, dans cinq ans, mais qui
  viendra, j'en suis sûr!_

                                    OCTAVE MIRBEAU.


Mai fine di secolo assunse caratteri più strani delli attuali,
produsse più svariate tendenze, suscitò maggiori sconforti e maggiori
entusiasmi.--Così avviene che l'epoca nostra brilla di una luce tutta
sua speciale.--presenta fenomeni non prima riscontrati, freme di
febbri di ora in ora gelide e ardenti.--La società si è scissa in due
campi: i vessilli spiegati garriscono al vento della notte misteriosa,
poi che già da lontano l'orizzonte si imbianca a l'aurora.


I.

Nelli animi, il presagio del sangue imprime un invincibile terrore, un
desiderio intenso di soffermar l'avvenire, un bisogno irrefrenabile di
ricorrere all'autorità della tradizione per dimostrare erroneo e
colpevole ogni tentativo di sociale riforma.--Donde l'esumazione
trionfale di San Tomaso d'Aquino, il ritorno alle modeste leggende
care a' primi cristiani, la riabilitazione affannosa di ogni
ideologismo e di ogni spiritualismo,--infine lo studio morboso ed
imbelle di un passato che distolga lo sguardo dalla urgente realità,
sproni al bizantinismo e procuri il trionfo della psiche contro la
fusis.

Solo un ambiente siffatto può dar ragione del feroce cattolicesimo di
Paolo Bourget, del cristianesimo fatalistico di Leone Tolstoi; meglio
ancora di quel panteismo complesso e faragginoso che si compiace dei
simboli.


II.

Nei migliori ingegni imperversa una ostinazione sintomatica: la
decadenza.--È un vezzo della moda, questo; ma come l'arte si fa più
fine, più signorile, così viene quasi inconscientemente manifestando
quel carattere di superiorità che si contrappone allo ingenuo e sano
entusiasmo delle plebi.

_Il libro delle Figurazioni ideali_ incarna, con forma originalissima,
il simbolismo.--Ma il simbolismo è proprio arte della decadenza? Io
non lo credo.--L'antichità ed il medio evo racchiusero nei simboli
tutta la loro produzione letteraria.--Solo con l'evo moderno si iniziò
quel movimento realistico che doveva con sempre maggior energia
affermarsi attraverso i secoli, onde già parve miracolo il poema di
Milton.--Il simbolismo odierno può forse peccare nella forma, come
esagerazione di un sistema estetico,--nella sostanza, qualora sia fine
a sè medesimo.

Gian Pietro Lucini non cade in nessuno di questi errori. La visione
artistica per lui appare netta e serena, ad onta ed oltre del metodo:
afferra tutte le luci e tutti i colorì, passa, senza fatica e senza
affettazioni, dall'epica alla drammatica, dalla forma espositiva alla
forma narrativa, dall'idillio e dalla elegia al poema ed all'epicinio.

La preoccupazione del simbolo non lo disturba,--che anzi l'imagine
riesce più limpida e scintillante e dal complesso delle imagini
promana il simbolo: non questo, come assai di frequente altrove, da
quello.--E veramente il suo simbolismo è panteistico. Il perchè egli
ha compreso che questo genere d'arte non è una innovazione dell'epoca
nostra, ma un puro e semplice ritorno all'antico.--Perciò appunto
ricorse al macchinario di poemi cavallereschi ed eroici ed usò la
forma delle metriche antiquate.--Ma sopra l'idealità estetica vive
un'altra idealità sociale.

La Ragione, identificata in Gloriana, guida e corregge i sensi e può
condurre alla felicità relativa. Ma l'uomo mal si appaga del mediocre
e tenta assurgere al sublime.--Indi la Ragione si eleva, si
spiritualizza e divien Religione o scienza delle Teogonie e delle
Teurgie.--Ed allora nasce l'assurdo, che mena al dispotismo ed alla
infelicità.

Accanto al concetto filosofico si trova il concetto passionale.--La
passione entra come elemento negativo nella somma vitale umana: essa
riguarda all'infinito, fuorvia carne e pensiero ed è fonte di mali e
di morte.--Così il simbolo di Oriana, di Acrasia, tale il perchè dei
Naviganti, dei Poeti, delli Astrologi, tale la critica spietata e
crudele e l'irrisione della Chimera; tale il vano galoppo e la vana
domanda della Fantasima.--Ora congiungere e conciliare la ragione
colli atti passionali--cosa astrusa e difficile--sarebbe attingere la
mèta della perfettibilità umana.--A questa mèta tende l'uomo--ma
sempre, davanti alli ostacoli ch'egli stesso, la materia e li altri
frappongono--cade. Donde sconforto e disperazione.--Non in tutti però:

    Il tempo alacre corre,
      seguendo i Precursori,
      fermo e senza timori.
      .....................
      Altre Forme l'ardente
      raggio incita al morente
      crepuscolo...........
      ......................
      altre menti, altri cuori,
      altri canti, altri fiori
      sacri al rinnovamento!


III.

V'hanno ingegni nervosi che ritraggono dal lungo studio una velenosa
punta di sarcasmo; v'hanno individui anormali, nevrastenici--che di
tutto e di tutti hanno ira e disprezzo.--Chi vegga per la prima volta
Gian Pietro Lucini, ed attentamente ne osservi il fondo occhio grigio
e il sardonico sorriso, e ne ascolti il parlar breve, a scatti, la
parola incisiva e sdegnosa,--deve per certo ripensare a quegli
ingegni, a quegli individui ai quali pur ora accennai.--Ebbene: il
_Libro delle Figurazioni ideali_ è una splendida smentita a sentimento
siffatto, è un trionfo della materia pensante su tutto un
organismo,--è il canto dello entusiasmo che soffoca ogni bassa
passione.--E il verso procede luminoso e squillante alla libertà, alla
redenzione dell'uomo, della donna, dell'amore.

Tremezzo, il XVIIj di Marzo del MDCCCLXXXXIIIj.

                                                       R. Q.



  _Monsieur le Lieutenant de Police: «Comment, je gouverne
  dispotiquement quinze-cent filles et je ne contraindrais pas Neuf
  Muses qui pourront rassembler pour tant à des filles, car elles se
  prostituent à tout le monde?_

                                         _Mon oncle_ THOMAS.

  _Ce sont ici les pöetes, c'est-à-dire ces auteurs dont le métier est
  de mettre des entraves au bon sens et d'accabler la raison sous les
  agréments, comme on ensevelissait autrefois les femmes sous leurs
  ornements et leurs parures._

                            MONTESQUIEU. _Lettres Persanes._


I.

E costoro diranno:

«Di quest'arte noi sappiamo il recipe, e di queste idee non ascendiamo
pei raggi della luna alla luna, nella notte, per raggiungerle colà;
ma, come il villano della novella, noi le peschiamo invece qui, nello
stagno, collo staccio e colla luna riflessa. Che se l'usare di nomi
astratti e lo scriverli con tanto di majuscola, come la divinità, vuol
dire dar una forma concreta ad un sentimento o ad una virtù: che se le
virtù vogliono significare forze umane: che se anche queste forze e
questi attributi si materiano in personaggi d'altri tempi, in miti
d'altri paesi, in favole d'altre imaginazioni, la fatica è breve ed il
profitto nullo: e racimolando tra i classici e tra i romantici, e
seguendo la lingua forbita e luccicante dei secentisti, e scovando
rancidumi poetici e fuor di moda, condendo il tutto colla indecisione
di un pazzo ispirato, rivolgendosi sempre a quell'infinito che
all'uomo non esiste per altro, che per la debolezza dei mezzi pratici
e per la piccolezza dell'ingegno, davanti alla maestà del mondo: così
credereste di poetare a stupor del pubblico, però che nè il pubblico,
nè la critica vorrà prendersi in pace tale beveraggio disgustoso ed
indigesto e lo porrà tra quelle anfore e tra quei caratelli quali
ingombravano già le officine dei nostri alchimisti nel buon tempo
andato dell'ignoranza: anfore e caratelli cui la chiara _aqua fontis_
empiva, rancida forse dalli anni e pure ben tappata, non altro; e che
portavano insegne e leggende sopra ad atterrire, come: _Elixir di
lunga vita: aqua tophana: aurum liquidum: sciroppo di Veronica e di
prosperità_, ed altre simili straordinarie sciocchezze. Che se pure
l'idea vagola blandula e sfugge alla critica, nè sa dir ciò che voglia
esprimere, e si nasconde nelle anfrattuosità di un giro vizioso o
nelle ambagi di un eloquio che ripugna alla ragione e non ha nesso e
non ha sostanza e brilla e spare nel medesimo tempo, come una stella
in una notte tempestosa, sotto le nubi, allo spirar dei venti: e
codesta idea è l'idea simbolica, essa è la primordiale, essa è il
cardine ed il polo dell'opera e la emanazione dell'anima umana sorella
allo spirito del mondo: così gabbano l'insufficienza per preveggenza,
l'oscurità per ispirazione, l'impotenza per lavoro astruso e difficile
di ragionamento, il nulla per intelligenza e dottrina. Nè il pubblico,
nè la critica vorranno prendersi tanta roba per quella che vien
mostrata, ma più tosto per quanto sia, e farà giustizia. E farà bene.»
Or dunque costoro diranno così e non avranno torto: ed in fronte ci
bolleranno di quel marchio che noi stessi ci siamo fabricati e vi
stamperanno a lettere arroventate: _Decadenza_.


II.

Ma il punto sta nel vedere dove in verità esiste decadenza: o in noi o
nelli altri o in nessuno? E però sgraziatamente ci siamo detti
decadenti e, non essendolo forse, resteremo.

Decadenti però non in quanto all'opera, ma in quanto alla vita:
decadenti, perchè ogni cosa che ne circonda, scienza, religione, forma
politica, economia, si tramutano, nè il tramutarsi è senza una fine,
nè la fine è senza una morte od una rovina: nè senza morte e putredine
havvi nuova vita. Se ciò è dunque vero, quale arte, quale
rappresentazione grafica o plastica è possibile che sia l'espressione
dei tempi nostrì, di questa lotta contro il già fatto per il fare
nuovissimo, di questo abbattere il finito e l'incatenato per la
libertà?

Ogni passo avanti che calpesti un pregiudizio, una forma sussistente
non nella coscienza ma nell'aspetto, un diritto che si fonda non
sull'eguaglianza ma sulla disparità, una sanzione che consacri non la
universalità ma il singolare, un privilegio che difenda non una
sostanza ma un'apparenza: questo passo sarà sempre una conquista nel
campo morale e materiale della società: la comunità non rivolge mai
le spalle alla meta: fuorvia e vaga, e sarà allora davanti ad un
ostacolo troppo prepotente, per scansarlo, o per seguire più
alacremente il pensiero, cui il desiderio suscita coll'urgenza alla
fine, ma che il potere non consacra nè concede. La comunità si
riposerà, ma come un naviglio che scenda per la corrente e non apra
vela o stenda remo per aiutare il cammino: la corrente, di natura, lo
porterà con sè alla foce. Questa è decadenza: nè io comprendo altra
decadenza che, passato l'impeto dell'azione muscolare e di un
rivolgimento assodato di nazioni e di società, la sosta del pensare
sociale per l'attuazione di nuove utilità migliori, quando già le
prime ed antiche l'uso stesso abbia logorato, che, decrepite, siano
vicine ad essere insufficienti.

Decadenza quindi rispetto a noi, non rispetto alla filosofia della
storia, decadenza nel rapporto, in quanto ricerchiamo la sostanza
nuova di tutte le cose, la quale non solo abbia informato l'antico
modo, ma ora per nuova virtù lo abbatta e ne costruisca uno migliore;
decadenza in quanto lottiamo ad impadronirci di questa sostanza, forma
e materia addoppiata, mentre l'idea brilla ed il mezzo di renderla
evidente e sicura manca, ma verrà trovato.


III.

E perchè allora cercando il nuovo si torni all'antico? Esistono forme
immemoriali indistruttibili, segni percepiti e già svolti che
identificano l'umanità nel simbolo. Il _simbolo_ è come l'esistenza:
nè l'esistenza manca d'evoluzione, perchè continuo moto, nè come
esistenza è privo di meta per quanto _sia_. Le attitudini umane, le
forze, vale a dire i vizi e le virtù, esistono quindi colla vita; da
questi la rappresentazione, ossia la percettibilità di questi enti
astratti al pensiero e quindi il simbolo primordiale, che è il
rapporto della sostanza morale descritta, come la formola fisica e
matematica è il rapporto del fatto che vuol esprimere. Il progresso
evolve pel tempo e per la educazione queste prime attitudini, ma
tramutandole non le sopprime, come le rivoluzioni riformano la società
ma non la annullano; ed allora il simbolo moderno. Civiltà fu sempre
come rapporto al già fatto: simbolo nostro è in quanto vogliamo
fare.--Arte usò sempre di queste imagini, le piegò alle esigenze del
tempo e dell'uomo, ma lasciò intatta ed invincibile la sostanza prima:
arte fu eclettica, nè volgesi a sè stessa solamente, che allora è
artificio dannoso; ma per la sua maestà, per la sua bellezza, per la
sua grazia s'impose all'uomo e fu prima scienza di sentimento, storia
di sensi, armonia di parole avanti che sorgessero la musica, le
scienze e le religioni.--Che è altro arte se non una serie di
rappresentazioni; che le rappresentazioni se non una serie di imagini?
Ora, l'imagine è un rapporto dell'ente naturale diretto, o, nel
semplice sforzo di fermarlo, l'elemento umano non entra come massimo
coefficiente? In tal caso questo elemento toglierà od aggiungerà, sia
per la debolezza, sia per l'esuberanza del soggetto rappresentatore,
sempre alcun che alla sostanza che si voleva rappresentata, in modo da
sformarne l'imagine. Così l'arte è allora espositrice della natura
all'umanità, quando l'umanità non solo vi riscontri l'aspetto
sintetico del mondo esterno, ma quando anche senta nel poema,
nell'opera plastica e sinfonica la propria personalità, il proprio
«io» collettivo di quel momento e di quello stato.


IV.

Tre sono le epoche simbolistiche nella storia, come tre i rinnovamenti
e le rivoluzioni.

Nell'ultimo secolo dell'impero romano, allo schiudersi del
rinascimento, la prima: s'innovano costumi, risorgono lingue e popoli,
si sfasciano religioni e s'instaurano nuove, si diroccano castelli e
templi ed altri ancora si estruggono di stili non saputi prima, cui
laborava un ingegno recente nelli uomini del nord. L'arte, dal caos
letterario, dal caos delle leggende e dei racconti indecisi che
promanavano dall'estremo oriente e dall'ultimo settentrione con
opposte particolarità, pure fondendosi nell'urto delle crociate,
l'arte, del lavorìo secolare ed indistinto, ma sempre fermo ed alacre
di nuovi idiomi nazionali che s'innalzavano dalle plebi e dai campi,
tende all'idealità che il cristianesimo le ha bandito, a quel
misticismo intenso che riscaldava come una fiamma e che purificava
come un lavacro di neve. Questo fu il trionfo della vera arte italica
e fu simbolista. Diede Dante e Petrarca, e Boccaccio anche sentì,
novellatore com'era e prosatore, (certo combattente nell'idea
Francesco d'Aquino, il pontefice dell'amore mistico eretto alla
stranezza del simbolo religioso), questa recondita genialità e la
pensò e furono l'_Ameto_ e la _Fiammetta_, non la storia di una
passione, ma la storia della passione medioevale nei liberi comuni,
nelle chiese, dal pergamo delle quali si spiegava una religione
scolastica, una letteratura platonica ed una scienza aristotelica, e
mentre fervevano li studi delle umanità di recente scoperte nei
palinsesti.

Poi seguitò il progresso e si sparse nell'Europa, nè io qui mi fermo
allo sbocciar del fiore nel secolo della magnificenza. Ma che voglion
dire Marsilio Figino e Pomponazzo e Villanuova, mentre ancora il
Poliziano, l'Ariosto ed il Tasso, classico per eccellenza e rigido e
superbo d'ottave, squillavano? Cui tendeva la riforma luterana, cui
attingevano Bacone e Shakespeare e Milton? La civiltà delle signorie
imposte e delle conquiste, la barbarie dei diritti universali franchi,
l'impaccio delle male assimilate leggi romane soffocavano; altri
bisogni, altre libertà, altri cieli sentivano i precursori, ed i
feticci delle religioni, del classicismo, delle categorie
aristoteliche Giordano Bruno, Tomaso Moro, Spinoza, Galileo e Newton
abbattono per sempre; da che la cavalleria più nulla diceva ai sensi
ed il feudalismo avevano smantellato la colubrina, la stampa ed il
nuovo mondo. E fu laboriosa la maturanza; ragione economica spingeva
il corpo, sentimento e filosofia la mente; la critica sorse come un
vento poderoso ad abbattere colonne romane e miti greci e scalzava
troni e tiare. L'amore stesso non reggeva allo scoscendimento; male
veniva detto ed arte di fattucchiere e, dopo essersi sublimato nel
terzo cielo, scendeva, pazzo, devastatore ed empio, ad infangarsi col
marchese di Sade, con Richelieu, o a scherzare in Piron, o a ridere
eccitato ed irritante con Chèrier e con Crébillon; Beaumarchais
trionfava; e l'arte francese, quella cui era destinato lo sforzo
supremo contro le bastiglie dei privilegi ed era già sorta con
Ronsard, con Brantôme e d'Aubignè, sfolgoreggiava in Voltaire; e qui,
mentre il Cagliostro integra le loggie massoniche e ciarlataneggia
sulla prescenza e sulla pietra filosofale e Mesmer applica la teorica
delle attrazioni universali e crede di scoprire il magnetismo umano, e
s'imbeve e dispensa i misteri del fakirismo, e Cazotte profetizzava la
ghigliottina alle dame ed ai filosofi, qui il regno, che sembrava
immutabile, dei gigli d'oro si sfascia e sorge l'individualismo. Ora,
prima di tanta praticità, prima di tante forze disputanti e certe alla
meta, di tali argomenti e di tali azioni decisive quali Robespierre e
Danton impersonarono, tutto il movimento umano, e l'arte quindi,
aspettando il prodigio della redenzione, fu simbolista. Questo è il
secondo periodo.--Ora attendiamo all'ultimo: che quanto intravediamo
esiste nella nostra coscienza e pure ci è lontano ai sensi, e questo
che ci affatica è il terzo periodo solo alli inizii.


V.

Ma attualmente può dirsi adunque italiana, nazionale questa ultima
modalità artistica? S'ella riguarda all'uomo in sè e non ne' suoi
rapporti, è universale: se all'ambiente, regionale: se al tipo
distinto, personale. Nè per questo il genio speciale della razza che
in essa si fonde e si esplica perderà de' suoi attributi speciali,
come l'individuo stesso, posto in quelle circostanze generali a tutti,
si dimostrerà in quelli atti speciali, per raggiungere un identico
fine, quali le peculiarità del suo carattere gli obbligano e
suggeriscono. Li eletti ingegni francesi, che Moore primo, seguendo la
corrente suscitata dai poemi finnici e celti che il dottor Mac-Pherson
aveva posto in luce, poi Swenbourne, poi Gabriele Dante Rossetti, ora
Morris e Tolstoi e Ibsen e Wagner incitano, sentono l'uomo universale
e la città di Parigi. Ed inchinandomi al colosso di Zola, fermo nella
sua realtà e pure veggente all'a venire ed impeccabile anche ne' suoi
errori, noto Baudelaire, il magico precursore, Verlaine, il principe,
Moreàs, Huysmans, Caze, Dumur, Dujardin, Madame Rachildè, Paul Adam,
Mallarmè, Poitevin e Tailhade, i quali, pure ritraendo le passioni
universali come enti in sè e quasi spoglie di attributi, le fermano
nelle loro magistrali opere in modo tutto affatto personale, suscitate
in personalità opposte e diverse, abbracciando il nevrosismo, genio
della vita moderna che assurge all'opera magistrale dalle turbolenze
irresponsabili del delitto: e, francesi, ritraggono la società
parigina di questo ultimo anelito di secolo. Chi più personale del
mago Peladan?

Ultimamente in patria questa nuova gagliardia spirituale commosse gli
animi, nè per ciò l'ingegni si volsero troppo proni e rispettosi
oltremodo alle straniere importazioni. Le consacrate tradizioni delle
muse romane della decadenza, qui rivivevano ancora e, se l'impeto
primo venne d'altrove, si poetò italicamente. Già il Leopardi, ardito
e scettico nel suo nikilismo, aveva dato all'idea germanica di
Hartmann forma ed anima italica: già lo stesso Foscolo, classico per
eccellenza, pure nuovi modi trovava più squisiti e più spirituali,
purissimo rifulgendo dai _Sepolcri_ e dalle _Grazie_ che loro assunto
era schiettamente un pensiero, un simbolo: e piegò la prosa a quella
mirabile concezione triste e soave, scettica e generosa del _Viaggio
sentimentale_ di _Sterne_, aprendo il campo al modo artistico
dell'analisi che poi avrebbe trionfato nel romanzo psicologico. Ed
ora, fermandomi ai migliori, (nè mi sia bestemia il dire), ecco
l'Aleardi che superiore intende al romanticismo nella stagione dei
risvegli nazionali come l'Hugo in Francia, ecco il Praga, il lombardo
Heine, troppo obliato, troppo poco compreso, ecco Stecchetti che
accoppia Petrarca elegiacamente col sarcasmo feroce di Baudelaire,
stanco del già conosciuto e pure debole alla conquista del nuovissimo:
ora mi fermo volentieri all'ultimo, a Gabriele d'Annunzio che nella
giovane e luminosa esistenza letteraria dimostrò dalla _Terra Vergine_
al _Piacere_ la serie della sua evoluzione e si affermò poderoso alla
meta coll'_Innocente_.


VI.

Il simbolismo adunque fu jeratico, fu classico ed è personale:
distrutta la ferocia, ardirono l'amore e la carità: dal Golgota
discese alle bellezze reali dei sensi ed alle mirabili attività umane,
poetando il panteismo di Spinoza: ora e queste e quelle si studia di
spandere patrimonio a tutti in un mondo senza limiti ed in una
felicità organizzata da nessuno ed a nessuno in ostacolo.--Ma io so
per esperienza che esegesi di intenzioni non scifra intendimento,
tanto più per questa operetta che l'autore vede ingigantita sia pel
lungo cercare, sia pel lungo lavoro: e so pure che queste poche
parole non bastano a riflettere l'attuale stato della nostra forma
poetica.--Altri studi e altre lene occorrono (come il Pica ottimamente
osò coi precursori francesi) alla sua esplicazione, nè il luogo qui si
presta, che versi porgo, non saggi critici, futuri forse da me su
questo argomento, ma non prossimi; e di più so ed intendo, che ad
orecchie che non vogliono udire nessun rumore giunge, fosse il rombo
del tuono: onde faccio silenzio. Però ringrazio cordialmente l'amico
Quaglino quando argutamente propone a sè e ad altrui il quesito: «Il
simbolismo è arte di decadenza?» E valgami la sua amicizia e il mio
studio come una speranza a proseguire.


Il IIIj di Aprile del MDCCCLXXXXIIIJ.

                                                   L'AUTORE.



IL PRELUDIO.


I.

    Innalzan l'incensier' l'aroma a spire
      dei Troni intorno e dentro a' bei Giardini:
      col canto delli uccelli, i violini
      s'accordan pianamente colle lire
      van su per l'acque azzurre in gaio ardire
      le galee valorose e, dai gradini
      dei templi, accolgon gravi, in gravi inchini,
      i Jerofanti il bruno e nobil Sire:
      poi rinnovansi i Riti e a luna nuova
      i negromanti raccolgon verbene:
      fortune in mar ed inni di Sirene
      tra li scogli e misteri tra le stelle:
      stridon gufi e civette alle mortelle,
      mentre indaga alle tombe il Villanuova.


II.

    Corse tra selve oscure e paurose
      a perseguir beltà tristi e gioconde:
      Divinità leggiadre, dalle rose
      candide nate o dal bollir dell'onde:
      dispute, nelle notti, e faticose
      opre di Saggi, poi che sulle sponde
      dei Miraggi Gloriana ad alte cose
      intende il ragionare, e brune e bionde

    Acrasie, e insidie e lacci e incantamenti:
      (sta l'aria muta e in sè sospesa attende
      la meraviglia dell'avvenimento:)
      e lotte e danze e giocondi presagi
      nel panteismo che Spinoza rende,
      e cavalcate di Madonne e Magi.

    Così sen va di tra le Forme e i Sogni
      la maga Poesia delli ideali:
      va per le nubi, nè sente i bisogni
      della Carne, poi ch'alle geniali
      opere vede e Speranza e Desire,
      fulgenti e fermi e certi all'A Venire.



I SONETTI D'ORIANA.

  _Laisse crôitre au vallon les femmes et les roses._

                                                JEAN RAMEAU.


LA FATA.

    Io son la bella Oriana e il seggio mio,
      materiato in rubini e diamanti,
      scintilla nell'azzurro, in contro a Dio,
      tra il nimbo delli incensi fumiganti.
      I miei baci son filtri e dan l'Oblio,
      brillan nelli occhi miei fascini erranti,
      e il mio corpo è una Coppa che il Disio,
      abbevera di vini estasianti.

    Facile e avventurosa è la mia strada:
      invitan l'acque d'or del mio verziere,
      e sulle rame i bei frutti di giada.
      A me i Baron' sulla gaietta alfana,
      e al tintinnìo d'argentee sonagliere,
      vengan le Dame in lunga carovana.


I BARONI.

    E noi veniamo a te, strana Maliarda,
      sui cavalli coperti di gualdrappe,
      veniamo, gioventù forte e gagliarda.
      Or lungo fu il viaggio e per le frappe
      e le forre dell'Alpe, l'alabarda
      nostra splendette e le vermiglie cappe
      giocar col vento della notte tarda.
      Vediam ne' tuoi giardin' rider le grappe

      da cui spremi l'Ambrosia del piacere;
      vediam te, nuova Acrasia, in tanta gloria
      porger la Tazza ed invitare a bere:
      e noi veniamo a te sul bastione
      d'oro del tuo palagio, e la Vittoria
      squilla per noi la più ardita canzone.


LE DAME.

    E noi veniamo a te, strana Sirena,
      che 'l tuo Regno felice abbiam sognato,
      pallide in volto e li occhi alla serena
      notte rivolti e al cielo interminato.
      Coi capelli infiorati di verbena
      abbiam compiuto i riti, e il dì beato
      trepidanti aspettammo. Ora, con lena,
      batton nell'ambio le mule il selciato

      di porfido e odoran di lontano
      le greppie piene e li stalloni ardenti.
      Noi ti chiediamo il gaudio sovrumano
      di soffrir, tra la porpora dei letti,
      smunte le guancie e l'iridi languenti,
      sotto il bacio dei tuoi fatali Eletti.


I CAVALIERI DI GLORIANA.

    E noi ridiam di te, delle Chimere,
      dei Sogni capziosi e delli Amori.
      Correte illusi voi al Dio Piacere,
      ai talami ingemmati, alli acri fiori
      delle lascivie: audaci, usiam le altere
      menti allo studio e a ricercar li orrori
      umani e a ravvivar alto il doppiere
      veggente della Scienza. A voi li allori

      vani lasciammo e li inni. A simiglianza
      del Cavalier poeta, che implorava
      alla Dama d'accoglier la romanza
      benigna coll'onor della Gualdana,
      propiziate insana turba e schiava,
      la triste forma della Maga Oriana.



I SONETTI DI GLORIANA.

  «......... _optimum videtur_»

                            _Satyricon_ PETRONIUS.


I.

    S'erge il trono di bronzo e stanno intorno
      le tre pie suore intente a salmodiare:
      stringe la destra il bel calice, adorno
      del liquore che fa dimenticare.
      Chi vi beve una volta, (oh il dolce giorno!)
      le cure scorda e le battaglie amare:
      così il marino, nel grato soggiorno,
      indugia e oblìa il dì del ritornare.

    Sotto ai lauri folti ed alle olive
      si raccolgon, nell'isola, i Sapienti
      e le dispute fan gravi e giulive:
      ma, poi che è notte, (splendono li argenti
      delle stelle benigne,) in su le rive
      aspettan la Sua vista riverenti.

    Ecco, la Fata augusta appare e incede:
      e il nero corvo e l'occhiuto paone
      e il cane mansueto ed il leone
      umilemente stan ritti al suo piede.


II.

    Libero il cuore e con l'acuta mente,
      in cospetto delli astri almi ed arcani
      e del mar che si lagna dolcemente,
      stanno ad udire i detti sovrumani:
      «Al calice attingeste e rettamente
      «avete abbandonato i desii vani
      «cornuta la tiara del veggente
      «v'onora la cesarie ed il dimani.

      «vi propizia l'anello di rubino.
      «All'Arbore fatato vi nutrite,
      «che stilla incenso e mirra e belzuino:
      «e, nell'aule chiuse, ampie e romite,
      «lo spirito afferrate del divino
      «Mondo, al vegliar delle coscienze ardite.»

    Poi benedice e le pupille chiare
      rivolte al ciel, continua il sermone:
      brillan li occhi alle penne del paone,
      nella notte, e le perle alle tiare.


III.

    «I ricchi mercatanti di Tangeri
      «solean sul porto sedere a festino
      «quando, al vespro, scioglievano i nocchieri
      «le brune vele al presto brigantino
      «per varcar le Colonne. I bei coppieri,
      «dall'anfore di rame, mescevan vino
      «intorno, ed i valletti i fichi neri
      «e i datteri inchinavano al triclino.

    «Bevean, sotto le frangie di Palmira,
      «i Signori le patere a diletto,
      «ascoltando li arpeggi della lira,
      «però che varca il marino lo stretto,
      «Sirti sfidando e dei marosi l'ira,
      «a ridur perle ed ambre e argento eletto,

    «Così suda lo schiavo e si percuote
      «come il bove all'aratro e, nei palagi,
      «il Satrapo sorride e ascolta i Magi
      «che fausto gli oroscopan Boote.


IV.

    «Quindi, vagare le galee vermiglie,
      «(poi che la luna dalle eteree porte
      «sale,) io discerno ed adunar le Figlie
      «insidiose dell'acque la coorte.
      «Giuocan danzando intorno esse alle chiglie
      «e, coll'incanto, ai regni della Morte
      «già precedon l'armata; alte vigilie
      «fa il nocchier, ma non mutasi la sorte.

    «Cantano le Sirene: Stan secreti,
      «sotto gli arbori dalle poma d'oro,
      «l'odorosi giacigli e fra i roseti
      «il Castello s'aderge in bel lavoro:
      «dentro alle sale inneggiano i Poeti
      «e guida nuda Oriana e strofe e coro.

    «Così Morgana i suoi palazzi aderge
      «e li orti freschi sull'equoreo piano:
      «infuria la procella non lontano
      «e la captiva armata urta e sommerge.»


V.

    «Ma Oriana sta nelli ampi suoi verzieri,
      «sul letto d'alabastro orientale,
      «e si riposa: al sen splendono i neri
      «carbonchii e all'anche il balteo d'opale
      «e fra l'aroma delli incensieri,
      «tubano le colombe alte sull'ale
      «e vigilan seduti i levrieri.
      «Ora, alla notte, destasi e fatale,

      «il popolo dei suoi vaghi ella aduna:
      «lascia il letto, il giardino, il verde monte
      «e scende al fiume al lume della luna.
      «Son lusinghiere danze sopra il ponte
      «della nave dorata, ma la bruna
      «corrente mette capo ad Acheronte.»

    Scendono le parole colla fede
      dei cavalieri al cuor come lustrale
      acqua a purificare e in alto sale
      la mente quando la Fata procede.


VI.

    Ed ammonia: «Così io; dalla stanza
      «mistica dei riposi, nel viaggio
      «che ritorno non ha, non ha speranza,
      «veggo penar l'illuso a somiglianza
      «d'Ellenora regina, eletta al Maggio,
      «che non piega ed irride alla romanza
      «del Satirel rossigno ed al selvaggio
      «ritmo del Fauno nell'agreste danza.

    «Galoppano i Baroni alla ventura,
      «perseguendo la Gloria ed il Piacere:
      «brillano la divisa e l'armatura
      «e caracolla il gajetto destriere;
      «però che, al nuovo sole, alla pastura
      «dei biondi teschi accorrà lo sparviere.»

    Ciò insegnava Gloriana e i Cavalieri
      Saggi assentian col gesto e col dir forte:
      «Non prevarranno i regni della Morte,
      «ora che n'hai svelato i lor misteri.»



A
FELICE CAMERONI.



I SONETTI DELLA CHIMERA.

  E ton broton Kenodoxia eis ton apeiron pseudamene eri.

  Somatos arrosian therapeuein techne, psyches de hiatros iatai
  Thanatos.


I.

    Prostesa Ella fatale e sovrumana,
      e curva ad arco la gran coda al dorso,
      le fauci aperse ed alla notte strana
      sferrò fumo e faville: via al soccorso
      della sua implorar opera arcana
      udiva e avvicinar, rapida al corso,
      pei deserti la lunga caravana.
      Ella ghignò e biancheggiâr nel morso

      preste le zanne. «Aiuto!» nella nera
      immensità si grida! «i bei flabelli
      dei palmizii si schiantan: la bufera
      soffia infuocata e soffoca i camelli:
      veniamo a te sperando;» E la Chimera:
      «Sempre sperando nel sogno, o Fratelli!»

    Poi si rizzò, squassando le vellose
      terga e le zampe in sulle arene stese:
      più forte urgean le voci lamentose,
      vane sonanti pel vuoto paese.


I NAVIGANTI.

    Videro le Galee rider dal mare
      oltre le Sirti Aurora, e cristallina
      Morgana materiar palazzi ed are:
      carche d'oro ad Ophir, d'argenti a Cina,
      d'issopo e mirra in Asia e di più rare
      glossopetre a Zabarca, alla marina
      secreta dei miraggi a riposare
      le carene fermâr. Cantar l'Ondina

      al ritmo lento del grave Oceano
      udì 'l nocchiero e novellar di Fate,
      mentre, ardito nel cuor più non umano,
      sorgeva il desiderio d'insperate
      ebrietà di conquiste e d'un arcano
      veleggiar per region' non pria tentate.

    E ancora e sempre veleggiò penando
      l'acque dei Sogni audace la Galea:
      e ancora e sempre il cuor sale sperando
      e arriva a te, Fatale Madre e Dea.


LI ALCHIMISTI

    «Già le bracie splendettero ai fornelli
      della Grand'Arte e, pei silenzii astrali,
      sui piropi e i diaspri delli anelli
      risonâr le parole augurali.
      Crescemmo, nelle notti, li alberelli
      dei dittami benigni e sulli strali
      d'oro, perfuso il farmaco, li Uccelli
      sacri alla Morte invocammo e i Narvàli.

    Li arcani del futuro le Comete
      dicono ed ammonisce Ecate vaga;
      di sette stole induti, le secrete
      virtù del cielo l'astrolabio indaga;
      ma cerchiam sempre e ancor brucia la sete
      dell'Or che l'alambicco non appaga.

    E sempre e ancora pei cammini oscuri
      del Mistero va e perdesi l'Idea:
      e sempre e ancora claman li scongiuri
      verso di te, Regina e Madre e Dea.


LI AMANTI.

    Acrasia c'invitava ai suoi festini
      col gesto largo e le chiome fluenti:
      sulle pergole d'oro dei giardini
      s'accordavan li alati in bei concenti
      ed al talamo intorno, i ribechini
      trillavano nascosti. Oh labra ardenti
      a suggere l'ambrosia dei divini
      baci e blandizie e sospiri ed accenti!

    Oh! bianchi fiori umani a voi a bere
      chinâr, celestial eterna coppa,
      Orgoglio, Nobiltà, Gloria, Dovere!
      Ed Acrasia ingannò: sprona e galoppa
      Desio pei labirinti, che al corsiere,
      oltre al Signor, siede Illusione in groppa:

      galoppa sempre a ricercar la fera
      candida e trista e il troppo ardor lo svia;
      galoppa ancora e, nella notte nera,
      bacia ingannato alla tua bocca, Iddia.


I POETI.

    Suonâr le note or meste ed or giulive
      dentro alle fresche ombrie dei verzieri,
      d'amor cantando: poi le terre argive,
      i bei Miti, le Dame e i Cavalieri
      Casmena ricordò: meditative
      pensâr le rime, e li arditi corsieri,
      armi e tumulti, meschini e captive
      squillò il Peana. Ed or vani ed alteri

      dell'eterno Ideal, rapiti araldi,
      dell'Infinito l'armonia nel cuore
      fremer sentiamo: a nulla li smeraldi
      propizianti ed il febeo vigore
      irraggian la cesarie: andiam spavaldi
      a ricercare il Verbo dell'Amore.

    Andiamo, ed il pensier, muto d'Incanti,
      pei regni bui prosegue la tua via:
      non vivono, non palpitano i canti,
      ma senton Te, fatale Madre e Iddia.


I CAVALIERI DI GLORIANA.

    Disse Gloriana, e via per le fiorite
      rive suonò l'eloquio: stillò il vino
      della Scienza alle patere forbite:
      veggenti, tra i vapor' del belzuino,
      splendeano intorno all'aule romite
      le Sette Faci, poi, ch'oltre il mattino,
      si producean le veglie in sulle ardite
      carte a luttar coi segni. Ahimè! il cammino

      sale la mente invan, fuorvia Ragione
      per l'arduo insidiar dello Infinito:
      e rammentiam dolenti la magione
      grata diserta pria che al mago invito
      s'accendessero i cuori e che 'l paone
      salutasse all'arrivo, erto in sul lito.

    Gloriana inganna e fa l'incantamenti
      sotto ai lauri folti in sulla sera:
      spiega il Verbo, ma nelli ammonimenti
      Tu sola ghigni e irridi, Tu, Chimera!


LA CHIMERA.

    Più avanti, avanti ancora. I miei palazzi,
      materiati in candidi vapori,
      splendono: avanti: invitano ai sollazzi
      del corpo e della mente, alli splendori
      della Gloria, ai Piaceri, ai Desii pazzi
      Orgoglio e Vanità, Vigilan l'ori
      terrestri i Basilischi ed i topazzi
      stanno nelli antri bui; guarda i tesori

      dell'acque Leviathan e nei muti
      imperii dell'Atlantide i forzieri
      s'ascondon delle perle ed alli acuti
      scogli il corallo cresce. Cavalieri
      date le vele al mar, canti ai venti,
      baci alle donne ed anima ai misteri!

    Avanti a investigar e l'Uomo e Dio;
      seguite me, fedeli, ch'io ammonisco;
      non germoglia l'elleboro nel mio
      regno, da che Follia servo e blandisco.


VIII.

    E ancora e sempre avanti; e se i palagi
      sfumano nelle nebbie, e se nel mare
      e tortuosi anfratti e cupe ambagi
      si perdon nei profondi, e se in sull'are
      e di Gloria e d'Amor fuman le stragi
      delle vittime illuse, e il camminare
      dalla Fonte allontana, e se i malvagi
      mister' la Sfinge impone a decifrare,

      che importa? Or mai non regge più speranza;
      parla a vuoto nell'isola Gloriana:
      stride al vento sirventa e romanza:
      e il manto istoriato della strana
      Rabetna io spiego in contro alla Costanza,
      come vessillo per l'immensa piana.

    E pur seguite me: argento ed ostro
      son l'occhi miei bruciati e splendenti:
      son liriche i ruggiti: è il faro vostro
      la vampa che esce dalle fauci ardenti.



L'INTERMEZZO DELLA PRIMAVERA.

  ....... è primavera l'antica proscente che s'ammanta di fiori e
  di foglie a nasconder le rughe, che sotto al peplo vermiglio
  l'ulcera ricopre e dalle porte, dove amor si vende, ride ed inchina
  al passeggier e lo tenta e raccomanda a lui la merce buona. Or su la
  gonna l'alza, o fanciulletto cuore, e vedrai ciò ch'ha di sotto
  fiorito ed odoroso.

                                  _La meditazione al Cuore._

  Oidon chelidona ne ton Eraklea ear hede.


A
LUDOVICO CAVALERI.


I.

    Amore insidia dalla rosa e tace:
      vanno i passeri a torno folleggiando
      e bela l'agno all'agnella vicino,
                                       cercando amore.

    Amore insidia dalla rosa e tace:
      van le cavalle e nitriscono pazze,
      poi che vicina Primavera esulta,
                                      cercando amore.

    Amore insidia dalla rosa e ride
      e passa il bel garzone e il giunge un dardo:
      egli piega morente e par che spiri,
                                         cercando amore.


ALLA
MIA BUONA COMPAGNA.


II.

  Restava Giulietta in mezzo a Romeo, e ad uno, chiamato Marcuccio il
  guercio, che era uomo di Corte molto piacevole e generalmente molto
  ben visto per i suoi motti festevoli e per le piacevolezze ch'egli
  sapeva fare; perciocchè sempre aveva alcuna novelluccia per le mani
  da far ridere la brigata e troppo volentieri senza danno di nessuno
  si sollazzava............. Giulietta, che dalla sinistra aveva Romeo
  e Marcuccio dalla destra, come dall'amante si sentì pigliar per
  mano, forse vaga di sentirlo ragionare, con lieto viso alquanto
  verso lui rivoltata, con tremante voce gli disse: benedetta sia la
  venuta vostra a lato a me! E così dicendo, amorosamente gli strinse
  la mano.

        La sfortunata morte di due infelicissimi
          amanti, che l'uno di veleno e l'altro
          di dolore morirono; con vari accidenti.

                                 MATTEO BANDELLO--_Novelle_.


PERSONÆ

_Agunt et Cantant_:

--GIULIETTA.
--ROMEO.
--MERCUTIO.
--L'ANIME DELLA NOTTE.


AZIONE.

_Notte vicina all'alba. Nei giardini dei Capuleti: un verone splende
solo al palazzo tra li alberi: una scala di seta pende dalla
ringhiera. La luna cala dietro le torri ed i campanili._

    L'ANIME DELLA NOTTE.

    Zitti: il Montecchio dal giardino ascese
      per l'ardua via al talamo nuziale,
      chè la canzon dell'Ora egli già intese
      a intonargli l'invito augurale.

    Zitti: la brezza va lungi e riporta
      baci e sospiri fin sotto all'arcate
      in cui s'asconde vindice la scorta
      dei Capuleti, vigilando armata.

    Or la fontana rida ai suoi zampilli
      sul laghetto dei cigni: e in bianche forme
      vaghino le visioni: or riscintilli
      la Luna in fronte alle soavi torme.

    Ecco, scorron sull'erbe a cui rugiada
      diamanta le foglie e i lunghi veli
      trascinan qui sui bei fiori di giada,
      in mezzo alle pervinche e a li asfodeli.

    Noi, sospiri dell'Ora, andiam vagando
      ed abbiam per baciarsi e bocche ed ali:
      l'armonia qui si compie tra i lilliali
      petali e tra le rose e va incantando:
      i mister' della Notte a quando a quando
      urgono amore e fremono speciali
      avvolgimenti, poi ch'ora già spira
      coll'Orgoglio e coll'Odio impeto d'Ira.

    MERCUTIO _(di lontano)_.

    S'ilare ho il volto e più giocondo il cuore
      e sul labro mi sboccia come un fiore
      la parola, la Fata m'asseconda.

    Perchè stan fiori al prato e stelle in cielo,
      perchè muore e risorge Primavera
      e il vin di Cipro al mio pensier fa velo
      e m'immaga l'idea, forse è sincera
      passione umana? Ecco, all'alto ora anelo
      colli sguardi e col cuore: ed è questo un bisogno
      dell'anima o un bizzarro e vago sogno?
      Regina Maab per certo mi circonda.

    L'ANIME DELLA NOTTE.

    Zitti: Mercutio ride e si sollazza
      per quest'ombre diafane d'Aprile
      e s'accorda alla notte allegra e pazza
      l'ebrietà dei vini. Zitti: un monile
      più ricco che le perle alla corazza
      e alla gorgera pongono le braccia
      candide dell'amata: oh sulla faccia
      baci, riccioli, lagrime e blandizie!

    Zitti: dormono i cigni: la fontana
      gorgheggia, van le forme alate intorno.
      Oh portento! Noi siam dell'Ora strana
      i sospiri e moriam come sia il giorno.

    ROMEO _(dal verone illuminato con un ampio gesto
    verso l'occidente)_.

    O Luna, o bella Luna, non calare!...

    L'ANIME DELLA NOTTE.

    Zitti: i Genii risurgon dalle rose
      ed il prato assomiglia a un verde altare,
      steso alle vaghe vittime amorose.

    MERCUTIO _(avvicinandosi oltre il muraglione)_.

    Regina Maab però non s'accontenta
      di perlustrar le stelle ad una ad una,
      chè, morto il Sol, (il mondo s'addormenta),
      il popolo dei Miti Ella raduna
      e discende col raggio della luna:
      innanzi al carro d'or l'araldo squilla
      ed Essa come un'agata scintilla,
      Regina Maab, bella Regina bionda.

    Così cala alla terra e, ad incensieri,
      splendono innanzi calici di gigli:
      cala, s'avanza e posa all'origlieri
      candidi e ai grami ed ispidi giacigli,
      e fa sognare: o vision' che i cigli
      bianchi e bruni ricercano, o divina
      Arte d'uscir dai sensi ed indovina
      Scienza che scifra quanto ne circonda!

    O gentil turbamento ai giovinetti
      cui Proscenete la rosa disfiora
      idealmente, e contese nei letti,
      sapute avanti l'esperienza e l'ora;
      forse per ciò son già sperti ginnetti
      le zitelle che allor calca supine
      ed ammaestra: o molli e alabastrine
      membra che informa all'opera gioconda!

ROMEO _e_ GIULIETTA _sul verone abbracciati. La scala di seta dondola
alla brezza e batte sui ferri di lancia del davanzale: uno squillo
debole ne suscita. La luna batte in fronte ad un monile sui capelli
biondi della fanciulla e sorgon raggi._

    ROMEO.

    O Luna, o bella Luna, non calare!
      Se in quest'ora è la vita ed ora è notte,
      non più risplenda il dì, non più l'avare
      luci s'accendano e l'Erebo inghiotte
      il fuggente Titano invidioso;
      e se manchiam nel sogno radioso,
      così, non fu già mai questo morire!

    L'ANIME DELLA NOTTE.

    Quando parlan li amanti van secreti
      fascini per le spere: or mai le lire
      non cantan come i baci: or mai discreti
      si nascondono i Genii. O bel languire
      di due giovani bocche e di due seni!

    ROMEO.

    Innalza l'occhi tuoi fermi e sereni,
      sorella mia; a che ti giova il pianto?
      Lascia, lascia che il gaudio or mai si sfreni
      alto e libero in faccia all'a venire.

    GIULIETTA.

    Triste ho il cuor: questo istante che ci sfugge
      dolor rimena: oh se nemica tanto
      non fosse la tua casa! A che ci strugge
      passione e ci avvelenan l'odii e l'ire?

    ROMEO.

    Angiol di luce, or taci: per il mondo
      non stan contese: Amor porge il bicchiere
      e ci invita al festino: oh, più fecondo
      di bell'opre non fu certo il Piacere.

    Innalza, innalza il cuore! oltre le stelle
      sta il paese d'Amor, che ne rivela
      colla Fede, il Desire le più belle
      forme esprimendo ai sensi: or mai la mano
      acconsente ed invita al sovra umano
      festino e l'occhio tuo anche si vela
      alla dolcezza estrema... ah, tutta mia
      Vergine, assurta dalla Poesia,
      in questa notte, a questa arcana Gloria!
      Sacrilegio non è soffocar l'odii,
      che stagnan accidiosi alla memoria;
      baciar convien, baciami in bocca e godi.

    GIULIETTA.

    Desio di forme va presto e non dura,
      nè si rinnova come Primavera:
      nè Passion di sensi s'assicura
      se pur dal labro or mai esca sincera.
      Vedi, già muor nell'alba questa pura
      notte: o Romeo, dell'ora estasiata,
      come sorgerà il dì, come baciata
      ti avrò la bocca, rimarrà il ricordo?

    L'ANIME DELLA NOTTE.

    Silenzio: i Genii fan l'ultimo accordo
      sulle rose dei prati: oltre ai castelli
      trema la luce nuova: o luna, o belli
      pallid'Astri, così voi disparite!

    MERCUTIO _(sotto il muraglione del giardino)_.

    E che Regina Maab d'aspre ferite
      piaghi il cuor e la mente tutti sanno:
      la faccia imbianca pel desio d'amare
      strugge muscoli e nervi e ordisce inganno;
      la fiera umilia ed accende la mite
      agnella, poi che a Venere comare
      prude l'uzzolo e chiama a sè Cupido,
      lercio garzone, mentitore e infido.
      Si badi a Primavera e a ben amare!...

    ROMEO _(dalla stanza illuminata, pregando)_.

    O Luna, o bella Luna, non calare!

    GIULIETTA.

    E se tu m'ami dillo veramente!

    MERCUTIO _(allontanandosi)_.

    ....Poi che Regina Maab torna alle stelle
      ed il lievito lascia nella mente
      che dietro al sogno viaggia: ahimè! le belle
      si fanno il volto e l'occhi ottimamente....
      come il vin che rianima e ci strega....

    ROMEO _(apparendo sul verone)_.

    Arresta ancor: la tenebra s'annega
      in un mare di luce: oh, incantamento
      che ci ruba il volar triste del Tempo....

    GIULIETTA _(in un ultimo abbraccio)_.

    O Romeo, o Romeo, serba il ricordo!...

    L'ANIME DELLA NOTTE.

    Freme dei Genii ancor l'ultimo accordo
      e le rose dei prati apron li stoma:
      nuovi fior, nuovi canti e nuovi aroma!

    GIULIETTA.

    Buona notte, Signor, l'aerea chiostra
      si spalanca alla luce ed al dolore...

    ROMEO _(scendendo dalla scala di seta)_.

    O, buona notte, sì, poi che migliore
      giorno non vedrà mai la vita nostra,
      e se triste è il presagio che t'accora,
      questo bacio lo fughi, o bella e pura
      Donna ideale, questo bacio estremo,
      or ch'Oriente, come fa, s'inostra.

    GIULIETTA.

    O Signor, come il giorno m'impaura!
      E a che speranza, s'ogni cosa io temo?
      Portami via! Ah!... Il bacio dell'Aurora.

    MERCUTIO _(più lontano)_.

    Torna Regina Maab al suo riposo
      colla chioma ricinta di viole
      rubate al Mondo e di pianti e di lai;
      e Titania abbandona il vecchio sposo....

    L'ANIME DELLA NOTTE _(fievolmente)_.

    Sorge il sol, sorge il sole, il sole, il sole!...
      Muto l'incanto ed alto il giorno è or mai!...

FINE DELL'AZIONE.


III.

    Canta la brezza vocale tra li alberi e dice:
      «perchè stormite? giunge Primavera?»

    Passa la luna d'argento e alle nuvole incita:
      «fuggite presto: Primavera giunge.»

    Schiudonsi ai fiori le foglie ed i petali azzurri:
      «beviam la luce «cantano» novella.»

    Batte al mio cuore, ch'attende dolcissimo, Amore
      e lo sforza e vi siede in signoria.

    Se amar m'è dato all'annuncio del tiepido sole,
      quando l'animo s'apre a questa rinascenza;

    se il dubio or mai colle torbide nebbie disfuma
      accidioso e lento, amar vorrei

    come un bizzarro fior selvaggio e giovane innanzi
      all'erbe ed alli augei nidificanti.

    Se a me venisse la Donna prescelta e amata:
      «dolce è giaciglio sulla prateria,»

    direi, «sotto a quest'alberi e i germogli nuovi
      a chiederci il secreto della Vita.»


AL PITTORE
LUIGI ROSSI.


IV.

  _«Hèlas! hèlas, il n'est plus «disaient-elles» le temps où les beaux
  jeunes hommes de la terre, alanguis par nos appels, èperdus de nos
  blancheurs entrevues sous le mystère des ondes, nous suivaient dans
  le profondeurs et mouraient de nos baisers sur le lit flottant des
  algues!»_

                   _La Plainte des Belles-de-l'Eau_--MENDÉS.

    Ora all'alba od al vespero, (indecisa
      sta l'Ora ai sensi poi che nebbie rosee
      stagnano intorno,) dormono del lago
                                    l'acque alla conca:

    e i fior delle ninfee, coppe d'argento,
      navigan tra le foglie: insetti navigano
      lenti per l'aria, nel velo dell'ali
                                  specchiando il cielo.

    Aliofilo, la lenza all'acque data,
      (ed all'insidia intorno cerchii estendonsi),
      il Sogno segue cui suscitan l'Ora
                                           ed i Desiri.

    Nubi sono, riflesse dentro al lago,
      o nude forme di fanciulle? Aliofilo
      sente cantar: «Perchè i Mister' dell'acque
                                            e l'armonia

    e le candide membra ed i sospiri
      e le feste d'amor in mezzo all'alighe
      schiva l'Umano? In cuor nulla rimane
                                         di giovinezza,

    o in mente più non volgon dilettose
      imagini di gaudio? Ancora attendono
      le Creature dell'Acque l'amatore,
                                       in queste strane

    Ore che il Tempo non regge e suggella.
      Stan nell'iridi nostre azzurre e languide
      i più dolci secreti, poi ch'umana
                                        realtà il sogno

    non val del nostro amore. O rosse labra
      d'altre parole esperte, e di lascivie,
      o membra assuete a strani abbracciamenti
                                    ignoti all'Uomo!...

    Poi taccion: tra i nenufari e le lunghe
      erbe del fondo voluttuose intrecciano
      carole e dalle bocche invitatrici
                                          mandano baci.

    Aliofilo non bada a pescagione.
      Son nubi o forme, dal cristallo equoreo
      espresso al Sogno, in questa incerta luce
                                    ch'ama il Miraggio?


V.

    Or mai stan sulle rame i fiori in copia,
      porporini e rosati, e tenta il volo
      già la farfalla intorno: or mai pel frutto
                                    la Terra attende.

    Or mai tra i lieti fiori e i più giocondi
      rivoli dei giardini, in questa immensa
      oda ch'inneggia (magico strumento)
                                        dalla Natura,

    scompare il Dubio e si tempra l'Ardire.
      Ch'è mai, che è mai la Forma evanescente,
      Aliofilo, che l'onda ti rispecchia
                                    all'occhi avanti,

    che è mai questo Miraggio? Oltre le rive
      dell'acque tue fatate, non ascolti
      un mormorio di Plebi ancor lontano
                                        e pur tenace?

    E se Giulietta lascia il Damo all'alba,
      Donna, Martire e presta al sacrificio,
      e l'occhi intende lagrimosi al sole
                                     che glielo ruba,

    e Romeo corre per le piazze avvolto
      nel mantello, (un stupor gli sta nel cuore
      per la nuova dolcezza del recente
                                       bacio d'amore,

    e già lo preme una triste prescienza,)
      non meglio forse nella sceda ardita,
      Marcuccio il guercio sente Primavera?
                                         O Primavera;

    or qui tu sei, qui tutta, e maturanza
      ti segue alacre al corso! A che la Vita
      e i Secreti indagar sotto le piante
                                      colla tua Bella

    e folleggiar tra i nidi e l'erbe nuove,
      se tu scompigli i nidi e premi i fiori?
      O Primavera, o Vita! Se l'agnelli
                                     richiaman l'agne

    e se questo richiamo è da Natura,
      quel mormorio di Plebi ancor lontano
      e pur tenace, ch'accenna al migliore,
                                        non è Natura?

    Dove vanno, a che tendon le Coorti?
      Sta, sta, Figura mia forte e gagliarda,
      tra il battagliar dell'Ira e dell'Invidia,
                                          miracolosa:

    sta, Donna, a cui l'olivo fa corona,
      nè scettro o spada brandisce la destra,
      Tu sai a che ne guidi e là Tu accenni
                                          vittoriosa.

    O sacre idee, o bello entusiasmo
      di migliori giornate oltre al tramonto
      livido sopra il sangue e sopra il fango:
                                      questa Vittoria

    spira qui nelli aromi e nella gloria;
      poi ch'erta sta la Donna nel sembiante
      fiero e soave, qui nel mio pensiero,
                                  in faccia al Mondo.



ALLE
DAME PLEBEE.



I MADRIGALI ALESSANDRINI.

  _Avec les femmes il faut toujours voir plus bas Quand elles disent:
  «J'ai mal à la tête.» comprenez: «J'ai mal au coeur» et quand
  elles disent: «J'ai mal à l'èstomac» traduisez...._

                                                LOUIS DUMUR.

  _Quoi de plus plaisant que de brûler la maison de sa maitresse pour
  avoir un prètexte à la conduire chez soi: de la ruiner pour avoir le
  plaisir de lui faire du bien? Cela tient à la fois de la gâite
  françoise et de la chevalerie espagnole: c'est delicieux!_

                                         _Mon oncle_ THOMAS.

  Ma vi direi, però, che mentre ho conosciuto nel mondo certe virtù mi
  si riaccende in cuore una tenerezza viva per la canaglia; per coloro
  che chiamate canaglia; per questa mia canaglia; poi che noi due
  adoperiamo la parola istessa a significare due diverse cose. Questa
  mia canaglia adunque, e canaglia feminile, gode alquanto della mia
  stima; da che la sincerità la fa veder tale in modo che salva buona
  parte di vizio o che rende il vizio più accettabile perchè non
  mascherato. E codeste buone ragazze vestite di cencio o di seta non
  mancano d'onore alla loro maniera; che, se l'una è menzognera come
  un vostro servo, non è falsa e si dà all'incirca per quella che è, e
  la si paga per quel che vale; se l'altra non crede nè a Dio nè al
  Diavolo non scambierà l'uno per l'altro; se l'altra ancora è ghiotta
  come un luccio o pruriginosa e lasciva come una gatta, vogliate
  osservare com'essa ami i maschii l'uno dopo l'altro e che il suo
  cuore non canti due motivi insieme; e se infine quest'ultima stamane
  ha fatto sparir l'orologio dell'avventore, posto sul comodino
  durante il mercato e la faccenda, non è mai andata a rubacchiare
  sulla felicità altrui e non ha mai scroccato sull'amore destinato ad
  altri.

  all'Ultimo Sermone della _Lotta per Amare_

                                                   L'AUTORE.


I.

    Leziosa pastorella incipriata
      ch'ama Watteau effigiare alle portiere,
      sta la Signora mia nel mio pensiere,
      Sorride ella benigna e la dorata
      esca dispensa dalle lusinghiere
      mani ed invita, col gesto, l'alata
      famiglia al cibo: or, candide e leggere,
      accorron le colombe alla chiamata.

    Tale, alle vostre grazie compiacenti,
      colombe dello Ingegno, i Madrigali
      volano arditi e ghiotti e, in torneamenti,
      flabelli alti sul capo vi fan d'ali;
      e Voi così l'udite audaci e intenti
      a cantarvi l'omaggi trionfali.


II.

    Idolo strano, sotto un padiglione
      d'argento d'ametiste e di sciamito,
      svolge la Donna mia l'incantagione:
      stringe la destra il giglio erto ed ardito,
      patera di profumi, ed un leone
      s'accovaccia a' suoi piè, mentre un fiorito
      ramo di cedro un colombo depone
      al suo capo di gloria redimito.

    Fumano innanzi a lei sette incensieri,
      mentre dicon le sue lodi i Grandarvi.
      Ella posa jeratica, i severi
      occhi rivolti al cielo. Oh, dal felice
      regno del Sogno valga a richiamarvi
      la mia voce, divina incantatrice!


III.

    I miei Desiri, cupidi sparvieri,
      vagavano pel cielo aperte l'ale
      e latrando i Peccati, agili e neri
      veltri, pel prato fiorito e fatale
      tendevano alla magione dei Piaceri.
      Ora il volo fermâr all'ospitale
      albergo vostro, audaci e guerrieri,
      l'uccelli, e i cani van per l'ampie sale.

    E poi ch'al vespro usciti a' bei giardini,
      salutano li alati all'apparire
      della Signora e umilemente fieri,
      ecco i cani v'onoran colli inchini.
      Voi porgete la man bianca a lambire,
      mentre il riso ringrazia alli sparvieri.


IV.

    Tenea sotto un broccato a padiglione,
      la Donna mia, ritta sul basalto,
      la fatal Coppa della incantagione.
      Fioriva roseo il loto in sul cobalto
      dei rabeschi e caudato erto un dragone
      d'oro con stretti nodi ambiva all'alto,
      mentre in vago lavor, dentro a un castone
      d'argento, ridean l'uve dallo smalto.

    Ma poi che un di Madonna capricciosa
      espose fuor dalla secreta stanza,
      a diletto, la patera preziosa,
      e ognun le labra attinse a' suoi liquori,
      ogni mago prestigio, ogni possanza
      lasciâr la Coppa muta di splendori.


V.

    Mitico serpe candido e rosato
      cui splendon l'occhi arditi e ingannatori,
      muove le spire lascive sul prato,
      poi che dall'arbor l'augei cantori,
      al muover dell'incanto, in quel fatato
      cerchio ch'esprimon l'iridi, sui fiori
      scendon ribelli e vinti ad un più grato
      gioco tra l'erbe e a più soavi amori.

    Ma poi che sono intenti al folleggiare,
      sotto la guida della sua malia,
      (così svolgon le vostre triste e care
      pupille l'esiziale ipocrisia),
      non accorgon le fauci aperte e avare,
      nè cessano, morendo, l'armonia.


VI.

    Stava nel Tempio, dove io solo adoro,
      (ahimè, credeva e credo ancor, meschino!)
      lo stipo sacro, mirabil lavoro
      d'un orafo poeta bisantino,
      d'ebano tutto ed a gran fregi d'oro,
      e fiori di topazzo e di rubino.
      Io vi credea racchiuso il mio tesoro
      oltre ai serrami astrusi e adamantini.

    Ma poi che un dì mi fu nuova vaghezza
      di scoprir la recondita ed arcana
      sostanza in lui celata, (la bellezza
      vostra così m'inganna a perscrutarla),
      «In verità,» io dissi, «questa è vana
      fattura e stolto più l'amarla.»


VII.

    Penelope moderna, dalle spole
      vivaci d'oro e di porpore e miti
      di dolci tinte, gelsomini e viole
      intessete al bel drappo tra i sciamiti
      bizantini: vi stanno, alle mandole
      intente, intorno l'ancelle coi diti
      presti alle corde e suonan barcarole
      per rallegrarvi. Ahimè! Lungi dai liti

    patrii vaga il marito, le feroci
      Sirti sfidando, o Circe, con secrete
      arti, il rattien dal vedovato letto?
      Per le sale vi giungono dei Proci
      le contese e pur voi sempre intessete:
      nè disfate: e la tela è un fazzoletto.


VIII.

    Il tappeto su cui, Bella, danzate
      (la guzla accorda un languido e moresco
      ritmo) figura un cuor, e il calpestate.
      Due serpi intorno un lucido arabesco
      gli fanno e nelle fibre dilaniate
      riscintilla un pugnale. Il zingaresco
      ordine della danza continuate,
      poi che il portico sta secreto e fresco

    là dove voi giuocate; il tamburelllo
      maliziosa battete, i piè sereni
      sangue attingono e bagnano il guarnello
      di rossi fior' così sul bianco lino
      crescono a mille e pur v'ornano i seni,
      l'occhio ridendo ancor, calmo e divino.


IX.

    Coi lucidi guinzagli il buon Valletto
      frenava colla destra i levrieri:
      ma come per la piana uscir snelletto
      videro il biondo cervo a' suoi sentieri,
      rompono i cani il dorato colletto
      latrando a caccia, e, in corsa, agili e fieri
      perseguon l'animal: nè al Giovanetto
      valgono voci a richiamar li alteri.

    Così frena Ragione e raccomanda
      ai sensi, poi che forte li tenzona,
      ma se li affoca per sorte il Desio,
      grida Ella invano per la verde landa
      di vermiglio fiorita e già si dona,
      ebra, la mente al suo Piacere Iddio.


X.

    Ma poi ch'io diverrò canuto e affranto,
      nè il maligno sorriso ad aleggiare
      mi verrà sulle labra, nè d'accanto
      ritroverò sorrisi e voci care
      alla memoria e al cuore, l'occhio stanco,
      sul libro miniato, a queste amare
      cortesie tornerà, forse col pianto
      d'aver distrutto un Fiore ed un Altare.

    O Giovinezza, o Scienza, o voli audaci
      di Fantasie ed impeti pel forte
      battagliar nelle Imprese, o dolci baci
      cui l'indagine ammuta! E allor, (s'avanza
      vigore e tempo alla vicina Morte),
      tenterò flebilmente la Romanza.



A ROMOLO QUAGLINO.



LA CANTATA DELL'ALBA.

  _En ce temps de sombres conflits, de douloureuses fins et de
  labourieuses genèses, participer au bon combat des naissant
  altruismes, des enthousiasmes humanitaìres contre les vieilles
  rapacites, contre les persistantes cruautés, est encore, pour tous
  ceux qui ont de la justice dans la conscience et de la pitié dans le
  coeur, la seule vie qui soit digne d'étre vécue._

                                                   B. MALON.

      _Paris, 25 Aout 1892._

  _Das soll dein Wahrspuck sein;
    Machtvoll, still und sein:
    Sollst Du dem Menschen Dienste weihn
    Und ihn vom Arbeitsfluch befrein!_


PERSONÆ

--_Agunt et cantant_--

--IL PROLOGO.
--IL PAZZO.
--ARCADETLE, poeta.
--MADONNA LIA.
--NAUTIFILE.
--CORO DI GARZONI.
--CORO DI FANCIULLE.
--CORO DI NOCCHIERI.
--LE VOCI.
--LE VOCI DELL'ARIA.


AZIONE.

_Giardini in riva al fiume.--La notte è di maggio._

    IL PROLOGO _(esce cantando)_.

    Il plenilunio sta, Dame e Messeri,
      placido in sulle rive ai lenti fiumi:
      dormon le cacciatrici ed i levrieri,
      dolcemente nascosti dentro ai dumi
      delle selve discrete, ed ai severi
      studii il saggio, a vegliar fin che consumi
      la vigilante fiamma, a' gran' misteri
      dona la mente e il cuore: or van profumi
      dai calici socchiusi ed armonie
      vagan misteriose pei giardini.
      Sciarra ghigna e sorride e guida a frotte
      i tristi sogni e i gaj colle malie
      e Chimera tormenta l'Indovini
      coi mirabil'incanti della notte.

    Ma poi che volgeran oltre alle cime
      e la Luna e le Stelle e il biondo Sole
      risplenderà giovinetto sublime,
      fuggiranno le larve dalle ajuole:
      morto è dell'Ombre il Regno.
      Giunge il giorno al suo segno:
      stan le nebbie violette ai monti intorno,
      colle nebbie dei Sogni il lieto Fiore:
      oh del bel sogno adorno,
      e del giocondo amore,
      dell'ultima e dolcissima romanza.
      Dame e Messer' vedete voi che avanza?

    ARCADELTE _(entra cantando)_.

    Madonna, a voi la luna
      già ricama il guanciale
      ed i Genii che aduna
      la Notte un madrigale
      vi fan dentro le sale.
      Sulle lunghe scalee
      fioriscon l'azalee
      e incensano profumi.

    Corre il fiume ch'anela
      tra i meandri, al suo mare
      coi vapor' che lo vela,
      e me il Fior delle care
      speranze invita a amare,
      perchè dentro ai rosai
      fanno i grilli i lor' lai
      nel profondo mistero.

    O Madonna, scendete
      e lasciate il riposo;
      già le note secrete
      ritenta l'amoroso:
      Madonna, amarvi io oso,
      e al vostro bacio agogno,
      or ch'è il Regno del Sogno
      sulla terra assopita.

    MADONNA LIA _(cantando dal verone)_.

    Dolce uscir tra i misteri
      delle notti stellate:
      pei fioriti sentieri
      sen van le bene amate
      e, le destre impalmate,
      s'inebriano dei fiori.

    ARCADELTE.

    Le stelle in ciel, vedete,
      si baciano col raggio
      silenziose e discrete.
      È la notte di Maggio
      ch'apre l'anima e il cuore,

    MADONNA LIA.

    Non v'ha dunque timore,
      non insidia nel prato?

    ARCADELTE.

    Godiam, godiam la vita
      cui giovinezza incita:
      scintilla arrubinato
      già il vermiglio liquore
      nel calice incantato
      e ciascuno v'attinge.
      Or tace umile il vento
      tra le rame d'argento
      della vostra foresta,
      e dolce è il folleggiare.
      Ingrata ne sospinge
      l'età che non s'arresta:
      oh gioconda la testa
      vostra s'innalzi e rida!
      La notte non è infida
      poi che è tempo d'amare.

    MADONNA LIA _(scesa ai giardini)_.

    Ecco, scendo al tuo canto,
      o mio biondo poeta:
      la tua cura secreta,
      dimmi, ti sforza al pianto?

    UNA VOCE.

    Bada, Arcadelte, bada:
      è questa la malia.

    ARCADELTE.

    A voi, Madonna Lia,
      l'anima mia e la spada.

    MADONNA LIA.

    O mio biondo Signore
      oltre all'occhio lucente
      della Donna ridente,
      sai tu leggere in cuore?

    UNA VOCE.

    Arcadelte, non fare:
      È l'inganno, è l'inganno.

    ARCADELTE.

    L'iridi, che mi stanno
      più che dentro a un altare
      gelose e consacrate
      nel profondo del cuore,
      non conoscon l'inganno.

    MADONNA LIA.

    E il singulto d'amore
      e li spasimi estremi
      tu li credi e non temi?

    ARCADELTE.

    Non ci affanni il dolore
      della scienza terrena:
      presto volgono l'ore
      che guidano la pena
      che il futuro rimena.
      Non pensate al domani;
      non resiston l'arcani
      della Sorte alli amanti.
      Nei giardin' delle Fate
      viaggiam fermi e sicuri.
      Oh ve' laggiù l'acanto
      protende i rami oscuri:
      e nulla v'impauri
      perch'io vi guardo e v'amo.
      Ma il bacio sovra umano,
      voi mi concederete?

    CORO DI GARZONI _(uscendo dal bosco cantando)_.

    O belle, udite, udite
      il dolce incantamento.

    CORO DI FANCIULLE _(uscendogli incontro cantando)_.

    Amor fa il suo lamento
      nelle valli romite.

    IL PAZZO _(esce cantando e ballando)_.

    La gioconda brigata
      che s'apparecchia a festa
      è giovine e sbrigliata
      ma non ha sale in testa.
      Un Pazzo la molesta
      coi cachinni e i sonagli:
      non è notte di Maggio?

    ARCADELTE _(sotto li acanti lontano)_.

    Quai voci tra le rame,
      qual rumor sulle rive?

    MADONNA LIA _(lontano passeggiando con lui)_.

    Son le danze giulive
      dei Paggi e delle Dame.

    CORO DI GARZONI.

    Vogliam ballare a tondo
      a torno al Gonfalone:
      nulla di più giocondo.
      S'inchina il bel garzone
      secondo la canzone,
      e se vuol la ragazza,
      la bacia e si sollazza,
      come chi guida impone.

    CORO DI FANCIULLE.

    Chi condurrà la danza?

    CORO DI GARZONI.

    La più bella.

    CORO DI FANCIULLE.

    Il più saggio.

    CORO DI GARZONI.

    Colui che irride al Maggio
      non n'abbia mai speranza.

    ARCADELTE.

    Volete più lontano?
      Questo suono m'irrita.
      Ecco, laggiù c'invita
      fiorito il melagrano.

    UNA VOCE.

    L'arbore è avvelenato.

    UN GARZONE.

    Io so la sirventese
      più bella e più cortese

    CORO DI GARZONI.

    Scendiam dunque sul prato.

    MADONNA LIA.

    Volgiam, poeta biondo,
      a quel cupo viale;
      là ci attende giocondo
      il talamo ospitale:
      stanno i fiori d'opale
      ad occhieggiar intorno
      ed il gilio più adorno
      come un braciere esale.

    ARCADELTE.

    Non si tema la luna
      di questa notte arcana.

    IL PAZZO.

    Oh mirabil fortuna
      alla avventura strana!

    MADONNA LIA.

    Tra le rame d'argento
      delli ampii miei giardini
      ben migliore concento
      s'udrà; le piante inchini,
      ornate di rubini,
      fanno al dolce poeta,
      poi che l'ombra discreta
      ci spinge al molle letto.

    ARCADELTE.

    Andiam dunque all'incanto.

    CORO DI GARZONI.

    S'intoni la ballata
      più soave a più grata.

    UN GARZONE.

    Ascoltate il mio canto

    IL PAZZO.

    Perchè, bruna madonna
      voi mi piegate l'erbe?
      Sollevate la gonna
      colle mani superbe.
      La natura non serbe
      a voi grazie e splendori?
      Non calpestate i fiori,
      o contessa gentile.

    ARCADELTE.

    Scuoti i sonagli e ridi:
      tu sei pazzo e buffone.

    IL PAZZO.

    Ecco il saggio Barone.

    CORO DI GARZONI.

    Vogliam che il pazzo guidi
      l'antistrofe e i cori.

    IL PAZZO.

    Ben la so, la romanza
      di pulita creanza
      che ci diletti e incuori.

    IL PAZZO _(cantando e suonando)_.

    Il vento addormenta la luna sull'acque,
      la luna che è pallida al par d'una morte:
      così tra le braccia di lei già mi piacque
      sfidare al destino, combatter la sorte.

    Cavalca alle rive la pia carovana,
      galoppa tra l'alberi al suo ministero:
      la spinge la Morte, che guida l'alfana:
      tre penne le ondeggiano al chiuso cimiero.

    L'alfana nitrisce feroce e bizzarra
      e tiene a gualdrappa la lunga zimarra,

    zimarra sciupata di un bel cavaliere
      ucciso dal vino e dal lungo piacere.

    E seguono li altri sui neri cavalli,
      e van per le piane, per monti e per valli,
    e i morti riguardano, appesi alla groppa
    coi teschi senz'occhi. La Morte galoppa.

    La pia carovana continua il sentiero
      che il tragico cielo le inlivida e imbianca;

    le recita il vento l'usate preghiere,
      galoppa la Morte che mai non si stanca!

    Leggiadre fanciulle ch'amate la danza,
    venite a vedere di voi che si avanza!

    CORO DI FANCIULLE.

    Per certo non è questa
      la canzone d'amore.

    CORO DI GARZONI.

    Ben altri vuole il cuore
      inni lieti di festa.

    IL PAZZO.

    Or altri dica meglio:
      io son pazzo e buffone.

    CORO DI GARZONI.

    S'intoni a paragone
      da ciascuno al suo meglio.

    CORO DI FANCIULLE.

    Canteremo a battuta
      l'un dopo l'altre ardite:
      saran l'ode fiorite
      da che l'ingegno aiuta.

    CORO DI GARZONI.

    Tocchiam la cenamella:
      cantiam, dunque, cantiamo:
      canti la bella al damo!

    CORO DI FANCIULLE.

    Canti il damo alla bella!

    IL PAZZO.

    Cantate: le cicale
      cantan pure e le rane
      accidiose. Il domane
      guida la Morte e assale.

    CORO DI FANCIULLE.

    Amare è dolce cosa.

    CORO DI GARZONI.

    È dolce cosa amare.

    CORO DI FANCIULLE.

    Ama anch'Aurora il Mare.

    CORO DI GARZONI.

    E al vespro con lui posa.

    CORO DI FANCIULLE.

    Aman l'arbore e l'erba
      e l'insetto vagante.

    CORO DI GARZONI.

    La stella fiammeggiante
      e la luna superba.

    CORO DI FANCIULLE.

    Amore è l'universo!

    CORO DI GARZONI.

    Universo è l'amore!

    CORO DI FANCIULLE.

    Egli è il mitico Fiore,
      egli è l'Astro più terso:
      e in lui fisa e converso
      spiran l'anima e il cuore.

    ARCADELTE _(venuto ai cori)_.

    Egli è il Dio faretrato
      e per l'etra sonante
      fere il quadrello alato.
      Piega il percosso amante
      ridendo nel sembiante:
      e saluta al bel Sire
      poi chè sente salire
      l'Ebrietà del bacio.

    CORO DI FANCIULLE.

    Amor, dentro ai secreti
      boschi, tende e vi agguata
      i lacciuoli e le reti.
      Ecco, passa spiata
      la fanciulla e vien presa.

    CORO DI GARZONI.

    Vien presa ed il garzone
      ratto corre a baciare:
      la gentile prigione
      non rifiuta le care
      labra ai baci, s'è presa.

    IL PAZZO.

    E amor, fanciulle, occhieggia
      malizioso nel folto:
      ivi gode e dileggia.
      La captiva il bel volto
      rubicondo ha rivolto
      amante all'amatore....
      e prende il cacciatore:
      nè la favola è nuova.

    Amor, fanciulle, è strano
      artefice d'inganno;
      amor è disumano
      e governa a tiranno.
      Questi lai che si fanno
      quando sbocciano i fiori
      taccion presto ai rigori.
      E ben sa chi ben prova.

    Amor cavalca avanti
      sopra il bianco destriere:
      lui precedon tra i canti
      Desiderio e Piacere
      per il dolce sentiere.
      Ma il Piacer ha la coppa
      ch'attossica la bocca,
      e l'inganno rinnova

    È la coppa d'argento
      eletto e d'oro fino,
      ma un negro incantamento
      serra. Così un divino
      farmaco Calandrino
      credè il fior dell'ortica.
      Tal la vicenda intrica,
      se pur eterna, nuova.

    CORO DI GARZONI.

    Sei ben cupo, o buffone.

    CORO DI FANCIULLE.

    Non vogliamci attristare.

    CORO DI GARZONI.

    Su, più lieto danzare
      e più lieta canzone.

    CORO DI FANCIULLE.

    Cantiam d'amor, cantiamo.

    CORO DI GARZONI.

    Belle, cantiam d'amore.

    CORO DI FANCIULLE.

    Vanno le pecchie al fiore.

    CORO DI GARZONI.

    E le fanciulle al damo.

    CORO DI FANCIULLE.

    Si, ma se il damo è saggio.

    IL PAZZO.

    Mal s'accorda sapienza
      con questa folle ardenza
      che vi comanda a Maggio.

    CORO DI GARZONI.

    Sotto ai miti splendori
      delle notti serene
      sorgono le Sirene
      ad intonare i cori.

    CORO DI FANCIULLE.

    Dentro al calmo giardino
      che la rugiada bagna
      la vivuola si lagna
      e trilla il ribechino.

    I DUE CORI.

    Scendiam, scendiam al fiume:
      colà molli giacigli
      ci fan le rose e i gigli:
      ivi è propizio il Nume.

    IL PAZZO.

    È ver, ma nella rosa
      si nasconde la spina
      e la dama amorosa
      ne piange alla mattina.

    I DUE CORI.

    Scendiam al dolce lido
      ove declina il sole.

    IL PAZZO.

    Sciocchi, Amor troppo vuole,
      e cuor di donna è infido.

    CORO DI GARZONI.

    O belle, udite, udite
      voci ch'urgono al vento.

    CORO DI FANCIULLE.

    È del fiume il lamento
      per le valli romite.

    CORO DI GARZONI.

    Oh ve' laggiù, sen' viene
      una gioconda armata.

    CORO DI FANCIULLE.

    Le navi in sull'aurata
      poppa adergon verbene.

    I DUE CORI.

    E salgono giulive
      canzoni e il ribechino
      trilla come a festino
      sulle fluviali rive.

    CORO DI FANCIULLE.

    Venite a noi, nocchieri!
      Qui siede in signoria
      Madonna nostra Lia.
      Grate dentro a' verzieri
      son le veglie a' nocchieri.

    I NOCCHIERI _(dal fiume sulle galee)_.

    Voga al gentil paese:
      amiche voci udiamo.
      Chi non ha il petto gramo
      batta forte l'arnese.

    NAUTIFILE _(cantando dal fiume sulla galea)_.

    Voghiam, che lunga ancora
      ne sospinge la strada.
      Domani all'aurora
      ben migliore contrada
      n'aspetta: e nella rada,
      dai Sogni desiata,
      ove trionfa Aprile
      nella gloria dei fiori,
      e in cui la fera umile
      si piega ai dolci amori,
      inalzeremo i cuori.
      Oh più larga e più grata

      la canzon pel vermiglio
      vespero si diffonde
      dove nullo è il periglio
      e le Dame gioconde!
      Or su, per le quiet'onde
      alla patria sognata!

    CORO DI GARZONI.

    Mal ragiona la mente
      che si affida al domani.

    CORO DI FANCIULLE.

    Sciocco è colui che strani
      amor persegue ardente.

    IL PAZZO.

    E quando troverai
      la cosa che vorresti?
      I Desii son ben presti,
      ma il Poter tarda assai.

    NAUTIFILE.

    Ancora e sempre avanti!
      Lontan per l'incantato
      fiume invita col canto
      il Cigno innamorato:
      ecco, ardito e stellato
      il Paön si protende:

      e poi che già vicina
      egli scorge l'armata
      la saluta e l'inchina.
      Così dall'imperlata
      scalea discende e grata
      la Dea ci invita e attende.

    O preziosi palazzi
      che materia il Pensiere
      d'agate e di topazzi:
      o fonte del Piacere,
      ove ciascuno a bere
      le labra avide tende!

    O beltà che l'artista
      Desiderio ridente,
      invitante alla vista,
      e nuda e compiacente,
      e tutta nostra e ardente,
      ne plasma entro le tende!

    E blandizie ed amori
      sulle porpore aurate,
      e carezze tra i fiori
      delle selve fatate!
      Or su, avanti e sperate:
      già la luna discende.

    IL PAZZO.

    È Morgana, è Morgana!

    I NOCCHIERI.

    È la nostra Signora:
      colei che c'innamora
      colla bellezza strana.

    IL PAZZO.

    Io spesso vidi audace
      volitare l'insetto
      innocente e snelletto
      intorno ad una face.

    NAUTIFILE.

    Udite, per le brume
      vengon suoni di lire.
      Non s'allenti l'ardire:
      alla foce del fiume!

    I NOCCHIERI.

    Forse ci chiami, o Dea?
      Già fremon le verbene.
      O soave dolcezza!

    CORO DI FANCIULLE.

    Ai naviganti a dio!

    IL PAZZO.

    Doman lungi pel mare;
      vogheran le triremi.
      Odo sospiri estremi
      e bestemie suonare.
      Pregate or qui: le amare
      acque non dan rifugio,
      non ceri e non altare.
      Ai naviganti a dio!

    I NOCCHIERI.

    Voghiam, voghiamo ancora:
      così vuole il destino.

    CORO DI GARZONI.

    O tace il ribechino?
      Danziam fino all'aurora.

    CORO DI FANCIULLE.

    Sospiran le vivuole
      nella notte serena:
      Arcadelte rimena
      la danza sulle ajuole.

    UNA VOCE.

    Arcadelte, non fare:
      non conosci la gioia:
      si usan le strofe care
      pria che la notte muoja.

    ARCADELTE.

    Il satirello guata
      tre ninfe nude al rio
      intorno: or mai l'amata
      tutta vagheggia: o grata
      vista! Va il mormorio
      dell'acque e par sospiro.

    CORO DI FANCIULLE.

    Se il ruscello sospira
      sospira in verso al mare.

    CORO DI GARZONI.

    E se l'amor delira,
      è per fame d'amare.

    ARCADELTE.

    E il satirel s'asconde
      timido e titubante:
      o belle membra all'onde
      donate, o chiome bionde
      capricciose al sembiante!
      E il satirel sospira.

    MADONNA LIA.

    Arcadelte, a che i baci
      tralasciar per il canto?

    IL PAZZO.

    Madonna le procaci
      arti sa dell'incanto.

    MADONNA LIA.

    O Signor, quando Amore
      spira egli solo regna.

    ARCADELTE.

    Certo, ma non disdegna
      nè la lira nè il fiore....

    IL PAZZO.

    A che tornar tra i rivi?...

    I DUE CORI.

    Le nude ninfe stanno
      bagnandosi nei rivi:
      ed accrescon l'affanno
      al rustico amatore.

    MADONNA LIA.

    Andiam: dai pergolati
      pendon le poma d'oro,
      andiam dall'ingemmati
      alberi in bel lavoro
      pendono molli imprese.
      E sul vago paese
      la fontana s'aderge
      dell'Oblio ed asperge
      felicità d'intorno.
      Qui poserem, Signore,
      nel beato Soggiorno.

    CORO DI GARZONI.

    Or che avvien per il cielo
      che la luna discende?

    CORO DI FANCIULLE.

    Ohimè! l'azzurro velo
      già si svolge e s'accende.

    UNA VOCE.

    Così passano l'ore.

    I DUE CORI.

    Ed al fremer novello
      della luce ritorna
      alla sveglia l'uccello
      assueto al dì e s'adorna.

    IL PAZZO.

    Tal vale all'uom Prudenza;
    la notte posa e dorme.

    CORO DI GARZONI.

    Ve', all'occidente torme
      vaghe fuggono: urgenza
      nuova spinge le cose.

    CORO DI FANCIULLE.

    Ve' intorno, son le rose
      più rosse: ahimè! già il gelo
      ci conquista le membra....

    ARCADELTE.

    O Madonna, non sembra
      or che s'imbianchi il cielo?

    CORO DI GARZONI.

    Perchè le membra immote
      si rifiutano al passo
      e il corpo è freddo e lasso?

    CORO DI FANCIULLE.

    Oh perchè cupe e vuote
      noi sentiamo l'occhiaje?

    I DUE CORI.

    O tormento, o sciagura!

    IL PAZZO.

    È la Morte sicura
      dopo il ballo e le baje.

    ARCADELTE.

    O Signora, già il labro
      ricusa il riso e i baci,
      già inlivida il cinabro,
      e tremante tu taci.
      Dove le belle e audaci
      cortesie? Oh secreti
      limiti al cuor e inquieti
      desiderii oltre al Fine!

    IL PAZZO.

    Odo voci divine
      giunger a me pel vento....
      io tutto aspetto e sento
      pulsar forte la vita.

    UNA VOCE.

    In alto! Redimita
      di Peana e di Gloria,
      già spazia la Vittoria.

    CORO DI GARZONI.

    Voci dal cielo udiamo?
      E per dove il richiamo?
      Al festino, alla danza?

    IL PAZZO.

    La Morte non avanza
      membra ai giuochi ed ai suoni.

    UNA VOCE.

    Lampi per l'etra e tuoni.

    UN'ALTRA VOCE.

    Qui non regge speranza.

    LE VOCI DELL'ARIA.

    Araldi usciam dal tempio
      del ciel colla rugiada,
      colori urgendo e esempio
      di luce in sulla strada
      che Titania percorre.
      Il tempo alacre corre,
      seguendo i Precursori,
      fermo e senza timori.

    I DUE CORI.

    È la morte, è la fine!

    IL PAZZO.

    È il risveglio sublime!

    O Sole, i miei sonagli
      getto e al capo il cimiero
      cingo: d'altri scandagli
      migliori va il pensiero
      forte in corsa, nel vero
      l'intendere rivolgo
      fermo alle cifre e svolgo
      l'arcano avvolgimento.

    O Sol, salve! Alla nuova
      alba assurge la mente
      che il cuor tempra e rinnova.
      Altre Forme l'ardente
      raggio incita al morente
      crepuscolo, migliori
      si rinfrancan l'ardori
      al buon rinascimento:

      e l'Animo del Mondo,
      che languì nell'oscuro
      Regno, s'avvia giocondo
      alla meta e sicuro.
      Or mai non m'impauro:
      altre menti, altri cuori,
      altri canti, altri fiori
      sacri al rinnovamento.

    MADONNA LIA.

    Arcadelte, un feroce
      turbamento m'occupa:
      vacilla e si dirupa
      la terra: senza voce
      la gola gela e freme....
      Amor.... un bacio.... estreme
      parole queste.... A dio....

    ARCADELTE.

    O Santa, o Bella, o Pia!
      Morta!

    CORO DI FANCIULLE _(in un grido)_.

    Madonna Lia!

    UNA VOCE.

    Arcadelte, è il Destino!

    CORO DI GARZONI ED ARCADELTE.

    Le dita al ribechino
      spirano affrante. A dio!

    CORO DI FANCIULLE.

    A dio: la vivuola
      spira la danza...: amore,
      amor è morto al cuore,
      che la notte s'invola.

    LE VOCI DELL'ARIA.

    Il preludio del giorno
      andiam cantando, avanti
      al Sol che fa ritorno,
      per l'empireo osannanti.
      O Sole, o bel Titano,
      lussureggia già il grano
      all'opere: l'arcano
      mondo sparì, il Lavoro
      regge e impera: o tesoro
      dell'unica Poesia!
      E, squillando armonia,
      all'ombre sigilliamo
      finalmente l'arresto.....
      e avanti ancor, cantiamo.

    IL PAZZO.

    Così, solo, servivo
      nè triste, nè giulivo,
      ma all'A Venire io resto.

TELOS.



LA FANTASIMA.

  --Sibylla ti theleis.

  --Apothanein thelo.


    Fermò il destrier nel selvaggio paese:
      vuoto e tenebre e in alto unica e smorta
      una stella a brillar.

        Ei, ritto in sella, i sogni interminati
          della Illusion vide cader nel nulla,
          e non un eco dei suoi inni ispirati
          intorno a sè, non risa di fanciulla.

    Sbuffò il polledro e tintinnò l'arnese
      e il suono vagolò come parola
      via per il gran silenzio.

        Egli l'augusta fronte alzò a pregare:
          «O pia Donna, che siedi in tanta gloria
          «come nell'atto di comunicare,
          «la tua patera arcana, in cui trabocca
          «dolce il vin come i baci,
          «scendi ed appresta alla mia arsa bocca:
          «il tuo sacro liquor è la Vittoria.
          «Vedi? Fuman per te di sull'altare
          «l'incensi e vigilan sempre le faci.»

    Sbuffò il polledro ancor, nè pel deserto
      voce umana a conforto. Or mai vaneggia
      Speranza alli Ideali.
      Si spense in ciel la stella: il Cavaliere
      calò la buffa e disse: «E sia: avanti!
      «Addio, gioie d'amor, addio, piacere
      «feroce delle lotte e risuonanti
      «scudi ed ardite imprese in sul cimiere.»

        Il cavallo nitrì, volse la testa
          come per dimandare ed il Barone:
          «Che temi? Alla mia festa
          «che mi sacrò dal nascere la Sorte,
          «alla Consolazione
          «vado, alla Morte!»



A
MIA MADRE.



THE FLOUR AND THE LEAF

CHAUCER.


LA BALLATA
DELLE DAME DEL FIORE.

    Convien che il cuor s'allegri e si rinfranchi
      e guardin l'occhi miti all'amatore:
      convien che vinca la Gioia al Dolore,
      però ch'è il tempo che dobbiamo amare.

    Amore, amore è la dolce stagione
      ch'augei rimena al nido e fiori al prato:
      e brilla al sole il rosso gonfalone
      del Maggio e giuoca all'alito odorato.
      A noi sen' vien cantando il ben amato,
      e, poi che è presso, dice: «In cortesia,
      deh, lasciatevi amar, Madonna mia.»
      Piega il ginocchio e trema all'aspettare.


LA BALLATA
DELLE DAME DELLA FOGLIA.

    Convien che s'armi il cuor per l'a venire,
      poi che non sempre splende gajo il sole;
      non sempre il prato esprime le viole,
      la fresca rosa e il gilio intatto e mite.

    Cantando, ripensiam che breve è il giorno
      e che rimena il vespero la sera:
      sorgon le nubi e il gonfalone adorno
      piega improvviso e cade alla bufera;
      vediam lontano e in mezzo al ciel la Spera
      che tutto accoglie nell'Eterno Amore;
      ed esclamiamo: «Oh, quando al suo splendore
      saran l'anime nostre redimite?»



A
ME STESSO.



LA PERORAZIONE.

  _Das ist deine Welt? Das heisst eine Welt_?

                                      _Faust_--GOETHE.


    Queste Dame plebee e licenziose
      diran: «Conviene che costui si vanti
      di questo strano ingegno e portentose
      imagini ricerchi e insulti canti

      alle nostre beltà: sogliam le amene
      ore del vespro passare sui letti,
      poi che presti ed umili i giovinetti
      cavallerescamente alle catene

      delle nostre malie porgon le braccia:
      sogliam tra i vini dell'Isole ed i giuochi
      passar le notti, fin ch'urgano i fuochi
      del Nascente che i Sogni incalzi a caccia:

      e, le corone sulle fronti e risa
      sulle labra, così gustar la vita,
      che giovinezza or mai più non s'avvisa
      d'intristir, tra le lagrime, romita.

    Amor, questo è il Desio: questa è l'Azione:
      e, scherzando gioconda la stagione
      delle strane lascivie e delli ardori,
      svolgiamo, intorno a Noi, l'incantagione.»

    Questo diran le Dame. E Primavera,
      spargendo grazie e rinnovando ai cuori
      palpiti e sangue, sorge, la severa
      maestà dell'Idea in mezzo ai cori

    lusinghieri dei Miti, ecco, esprimendo.
      Così nel verzier' dove s'ammuta
      il Festino coll'ultima battuta
      della vivuola (poi che va sorgendo

      l'alba sperata,) il Pazzo ultimo invoca,
      ultimo resta e fermo. O beffeggiata
      anima santa e pia, a cui sonagli
      imposero al berretto, poi che ai ragli

      il tintinnio s'accoppia e la brigata
      non t'abbia a sdegno e ti comprenda: vuota
      pur ti sembrava e trista e sciagurata
      questa vita che al ballo e alla parata

      tutte volgea le cure. Taccian ora
      le rive e i bei giardini: Sciarra lungi
      riporta i Farfarelli: splende Aurora.
      Invano ardito hai tu? Di nuovo pungi

      e vibra l'asta avvelenata ai terghi!
      O Maschera, o Buffon'! Non stanno usberghi
      al tuo bastone incontro; e tirso e scettro
      e caduceo qui cadono. Battaglia

      sommuove dalle corde alacre il plettro,
      assuete ai madrigali: la zagaglia
      prova alla punta e aspetta; oh tardi forse?....
      L'annuncio è dato e già urta al confine.

    Fantasima, a Chi vai? Le strane corse
      della cavalcatura senza fine
      ti svian dalla Meta: ti rimorse
      alla coscienza Disinganno o Amore?

    Che cerchi oltre alla Terra? Il tuo sublime
      sdegno è sterile e sciocca passione:
      non ha Idea il cervello, non nel cuore
      Carità? Volgi il polledro, o Barone,

      ad altre imprese: e se di fra l'ulivi
      (quieto è il giorno, nè ardisce il gonfalone
      del Maggio all'aria, seguendo Prudenza,)
      ritroverai in utili e giulivi

      ragionamenti i saggi Cavalieri
      diserti tra di lor, tu, a questa Scienza
      (da che si schiude bello Intendimento)
      dati Orgoglio ed Ardir, scifra dai veri

      sensi il secreto del Miglioramento.


IL FINE DEL LIBRO
DELLE FIGURAZIONI IDEALI.



=PINAX=


PROLEGOMENA ALLE FIGURAZIONI IDEALI

IL PRELUDIO                                           Pag. 23

I SONETTI D'ORIANA                                         29

I SONETTI DI GLORIANA                                      39

I SONETTI DELLA CHIMERA                                    53

L'INTERMEZZO DELLA PRIMAVERA                               71

I MADRIGALI ALESSANDRINI                                  101

LA CANTATA DELL'ALBA                                      125

LA FANTASIMA                                              169

THE FLOUR AND THE LEAF. = CHAUCER                         173

LA PERORAZIONE                                            179


=TELOS=





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