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Title: I nuovi tartufi
Author: Guerrazzi, Francesco Domenico, 1804-1873
Language: Italian
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                          SCRITTI

                            DI

                      F.-D. GUERRAZZI.



                      I NUOVI TARTUFI.

                          RACCONTO.



                          FIRENZE.
                     FELICE LE MONNIER.

                           1847.



I NUOVI TARTUFI.

  «Questa fu la sua fine: ecco le sue virtù. O Muzio, noi rendiamo
  omaggio a te che fosti così operoso membro delle nostre adunanze
  fraterne, egregio sposo, ottimo padre, eccellente amico, dei poveri
  soccorritore larghissimo, consolatore degli afflitti..... Tu non
  corresti mai dietro alla gatta altrui se non era più bella della
  tua. Tu non divorasti mai i tuoi figliuoli come Saturno, e solo
  consentivi che il tuo padrone li affogasse onde non assottigliassero
  il tuo mangiare. Animoso difensore della verità, tu avresti dato per
  lei la vita se tu ne avessi avuto due. Benefattore dei poveri,
  ponevi da parte per loro le teste dei pesci quando ti eri sazio dei
  corpi. O amici, sforziamoci imitare questo _filogatto_, onde essere
  degni un giorno di lasciarci dietro simili desiderii. Intanto, dormi
  in pace, o Muzio, e la terra ti sia leggiera.»

                      HOFFMANN, _Orazione funebre del gatto Muzio_.

  «Da quel caso in poi la mia infanzia scorse per una sterilità
  spaventevole di sensazioni..... ed io soprattutto m'irrito contro
  gli stupidi genitori che assettano i loro figli negl'Istituti ove
  tutte l'educazioni di natura diverse sono tagliuzzate sopra il
  modello medesimo.»

                      HOFFMANN, _Manoscritto del gatto Murr_.


Mi stese la mano,--come tutte le sere quando io lo lasciava sopra la
soglia della sua casa dopo avere percorso più miglia lungo il lido del
mare silenziosi e mesti.

Giovani entrambi, quantunque d'indole, di corpo e di voglie affatto
diverse, una invincibile tristezza ci univa finchè gli durò la vita,
la quale fu breve e senza gioie: egli rassegnato, io ribellante; egli
mansueto, almeno in sembianza, io iroso; egli sazio del presente,
disperato del futuro, io dell'avvenire fidentissimo, e cupido
d'impadronirmi del tempo; egli argomentatore per via di formule, io
pieno di fantasimi; egli pauroso di darsi in balía delle
immaginazioni, io non che inchinevole, lieto di lasciarmi trasportare
dal torrente della fantasia; egli biondo e di sguardo azzurro e
tranquillo, io nero e bieco: e nonostante, la tristezza comune ci
tenne uniti. Così ai tempi del Terrore in Francia il taglio del ferro
congiunse in fondo della paniera con bacio sanguinoso la testa del
nobile e del plebeo, del bello e del brutto, dell'animoso e del
codardo!

Mi stese la mano con la quale egli soleva stringere la mia,--più forte
se alla stretta non aggiungeva parola;--meno forte se l'atto
accompagnava con un saluto di addio, o con un desiderio di rivedermi
il giorno veniente.

Povero amico! l'amarezza infinita che contristò tuoi pochi giorni non
poteva trovare conforto nel mondo, però che non derivasse da obietti o
da casi esteriori, ma sì da incognita, interna, ed arcana scaturigine
del cuore; e come se sapesse che presto avrebbe abbandonato la vita,
così per averla maggiormente in odio pose ogni studio a inacerbire i
disagi fisici e morali, come se essi non fossero di per se medesimi
abbastanza incomportabili.--Nonostante a lui piacque così; e
quantunque di beni largamente provvisto, egli sempre repugnò
adoperarli se non in quanto i bisogni più urgenti della vita
desiderassero. Sofferse il freddo, sprezzò ogni comodo, fu schivo di
masserizie eleganti e di arnesi leggiadri. A un tratto parve
talentarsi di libri, e ne acquistò dei rari; all'improvviso si rimase,
per paura che questa passione lo vincesse, ripetendo il detto
dell'Ecclesiaste: _nella molta scienza è molta angustia, e tutto è
vanità ed afflizione di spirito_.--Nelle vesti procedè squallido oltre
il dovere, se togli i pannilini che costumò sempre candidissimi ed
eletti. Però temendo che da simili abitudini non gli venisse fama di
miseria, tenne usanza di comprarsi panni finissimi e ordinarsi vesti
secondo correva il costume; e se il sarto glieli portava, ei li
chiudeva negli armarii senza darvi più caso; se poi il sarto non li
portava, ed ei li dimenticava.--Un vero santo Simone Stilita, che
logorò i suoi giorni in cima alla colonna. Nella notte che trapassò a
sorti migliori (e fu di mezzo agosto), essendo io solo dei suoi amici
rimasto in camera con lui, aiutato dai servi lo vestii nobilmente di
pantaloni bianchi di rara tela russa, sottoveste di raso operato,
abito di bel panno turchino con bottoni di oro, camicia e fascetta di
battista, e tutto il corredo come se aspettasse in riposo l'ora di
andarsene al ballo. Invero anche nella morte era bello; ed egli parve
desiderarla come il pellegrino stanco l'ombra dei platani paterni
cresciuti su le sponde del rivo.--E dico parve; perchè un
giorno,--pendendo uno specchio alla parete di faccia al letto in cui
giaceva, e alla porta per la quale io entrava,--mi soffermai a
contemplarlo nello specchio, e vidi che piangeva.--Certo io non saprei
ben dire se piangesse il fiore della giovanezza perduta, o per tedio
che la morte ritardasse tanto a scuoterlo giù dall'albero della vita;
pure dacchè stava in potestà sua concluderla, e il modo nè il coraggio
gli mancavano, dubito nol facesse per amore della esistenza, dalla
quale, per quanto sappiamo, non ci è dato separarci senza rammarico, e
forse senza spavento.

E quella sera strinse la mia mano più forte, e non profferì parola; ed
io che, sebbene roso dalla medesima malattia, sopportava gravemente
vederlo per quel modo disfatto dal verme della tristezza, lo richiamai
e gli dissi:

"Ascanio, stasera abbiamo una solennità alla quale potremmo
convenire,--non fosse altro per divagarci..."

"Quale?"

"L'adunanza del Mutuo Insegnamento per la distribuzione dei premii.
Paionmi cose degne di vedersi quei giovanetti in virtù della
istruzione chiamati a nuova vita, e la esultanza dei parenti, e la
carità pubblica..."

"_A egregie cose accendono le urne dei forti, o Pindemonte..._ Va tu
se vuoi; per me non mi lascio prendere a queste lustre..."

"Ma qui non vedo insidia; e tu, o Ascanio, diffidando sempre di tutto
e di tutti, farai come colui che lasciava morirsi di fame per paura di
veleno..."

"Di' piuttosto che per avere bevuto troppo veleno ormai non temo più
tossico.--Io parlo a te senza ira e senza amore, e non vorrei che tu
lo ridicessi a persona, almeno finchè io viva,--_perchè le voglie son
piene già della usanza pessima ed antica, del ver sempre
nemica_,--come avvertiva Messere Francesco. Ora dunque come per me si
poteva considerai attentamente i nuovi istituti, i nuovi metodi di
ammaestrare, e i provvedimenti di pubblico bene e di carità, sotto due
aspetti, per le intenzioni e per le conseguenze, o se vuoi meglio,
nelle cause e negli effetti. Per le intenzioni prima di ogni altra
cosa ho detto:--E chi sono eglino questi che ci danno ad intendere
come nei tempi scorsi non occorressero istituti di pubblica carità?
Gli antichi, mossi dal bisogno maraviglioso di esercitare
misericordia, distinsero le sventure pubbliche non altrimenti che la
botanica classa in famiglie le varie generazioni dei fiori, e
fondarono a sollievo di ciascheduna fabbriche singolari delle quali
noi smarrimmo perfino il nome. Così chiamarono _Xenodochia_ le case
destinate a conforto dei pellegrini stanchi dalla via: _Orfanotrofia_
quelle ove gli orfani nudrivansi ed educavansi: _Nosocomia_ le altre
per gl'infermi: _Ptocotrofia_ ove i poveri trovavano sostentamento:
_Gerontocomia_ ove i vecchi avevano sollievo negli anni estremi della
vita: _Brefotrofia_ ove i neonati e gli esposti si accoglievano. I più
sinceri istituti di carità sorsero dalla mente del popolo, perchè la
sventura è maestra di soccorso agli sventurati: _haud ignara malis
miseris succurrere disco_. Così narrano che il calzolaro Sorore
inventasse gli ospedali, e i facchini di Firenze la Misericordia; ma
non posso astenermi da notare come nei tempi che chiamiamo barbari i
baroni e i cattani del contado si mostrassero larghi di ospitalità ai
pellegrini più abietti e perfino ai Giudei, tenuti a quei giorni in
orrore. Che cosa significa pertanto questa odierna iattanza per avere
fatto poco e male quello che i padri nostri fecero copiosamente e
bene? Che cosa significa questa libidine di appiccare su pei canti i
cedoloni per un poco di carità? Perchè suonare trombe, accendere falò,
e stampare nome, cognome e titoli di questi rivenduglioli di
beneficenza? Qui dentro ho visto vanità somma, e voglia di ostentare
in apparenza quanto si toglieva alla sostanza.--Certa trista femmina,
quasi sempre presidentessa degli Asili infantili, ad una povera madre
che la supplicava di soccorso per nudrire quattro figliuoli in un
giorno che l'era mancato il lavoro, ebbe la svergognata audacia di
rimproverarle la troppa fecondità!--E cosiffatte femmine si danno un
gran dimenío per iscrivere lettere, visitarsi, convocare adunanze, e
trovare di ogni maniera motivi per uscire di casa e frequentare
ritrovi... dove la carità non guadagna e il buon costume scapita...!
Il marito torna a casa, e non trova la moglie: aspetta lungamente e
invano. Ove andava ella? Allo Asilo. Ove si trattenne ella? Allo
Asilo. Guai se si avvisa muovere lamento! La turba femminina lo
scomunica co' ceri gialli, lo dichiara Turco e antropofago, lo mette
all'indice come un libro proibito; e se lo condannano a meno che ad
essere arso vivo, egli è per giunta. Mentre vedi mandare a male danari
in carte, sopraccarte, ceralacche, e stampe, tu rideresti di rabbia, o
mio nervoso Gualberto, se sapessi quante libbre di carne queste male
femmine hanno cuore di mettere in pentola per farne la minestra a
novanta o cento fanciulline; e se un macellaro...--oh indecentissimo
personaggio in mezzo a tante profumate dame!--e se un macellaro, senza
che nessuno lo sappia e senza che gl'importi che veruno lo abbia a
sapere, non mandasse quotidianamente tanta carne che basti a cavarne
un po' di sostanza, e' tornerebbe lo stesso che immollare il pane in
acqua di Arno.--La ipocrisia, non so se in seguito, ma almeno fin qui,
era ottimo mezzo per fare fortuna. Gli uomini per ora non seppero
avvantaggiarsi dei casi passati. Il retaggio della esperienza non
iscende ai posteri, egli è un legato che ogni generazione si porta
seco nella fossa;--e tu, Gualberto, troverai di leggieri questo essere
vero, quantunque volte pensi come da Adamo in poi i pesci si prendano
con gli ami, gli uccelli con le reti.--Ora devi sapere, Gualberto, che
vive una generazione di uomini, che io chiamerò gli Svelti, i quali
noi trovammo nel mondo, e ce li lasceremo. Questi Svelti si persuasero
che l'antico ordine di cose se ne andava, ed un altro nuovo stava
presentissimamente per subentrare; s'ingannarono, perchè la
pelliccieria è piena di pelli di volpe. Da lungo tempo se n'erano
stati a cavallo al muro, ora si trovarono avere posto tutte e due le
gambe da una parte sola: come rimediarvi? Che cosa fare? Gittarsi di
un salto all'opposto lato era tardi; quelli che a caso, o per inerzia
rimasero fedeli non li avrebbero accolti, o se accolti trattati come
servi fuggitivi. Gli Svelti deliberarono mettersi in traccia di un
nuovo mondo d'ipocrisia, e con certi metodi di cui avevano appreso il
segreto coltivare le contrade scoperte e ricavarne nuove e copiose
derrate buone al trono, buone all'interesse, buone alla pietà, buone
alla istruzione, e mescolate con qualche prodotto religioso non nato
dal vero grano di religione, ma di una cotale veccia religiosa
acconcia a farne pane in tempo di carestia,--e così presentarsi ben
provvisti al mercato, offrendo alleanza utile ad ambedue. Gli Svelti
riuscirono, perchè gl'ipocriti puro sangue, quantunque volessero usare
loro il tratto dei formicoloni alle formiche, conoscendo pericolosa la
impresa, deliberarono abbracciarli a braccia piene, e baciarli con
immenso strepito di labbra, e chiamarli amici e fratelli. Per comune
consentimento tolsero per divisa il motto: _concordi lumine maior_--e
il genio dei Tartufi li coperse tutti all'ombra dello immenso suo
manto.

Vediamo adesso gli effetti. Quali argomenti adoperarono essi nella
istruzione? Intorno alla primaria, non consultati i climi, gli umori e
le nature diverse, tolsero di peso sistemi praticati altrove, e li
applicarono ai nostri fanciulli. Così Carlo Botta deplora come nelle
calate dei Francesi in Italia, alloraquando concessero, per non
durare, la facoltà di aggiustarci a nostro senno il freno, gl'Italiani
altro non seppero che copiare la costituzione di Francia. A tanto di
bassezza eravamo venuti noi altri Italiani, che famosi un giorno nelle
arti di reggere i popoli, ormai non sapessimo più come governare noi
stessi! Questi sistemi che intendono a fabbricare gli uomini come i
mattoni, non credo che possano riuscire tra noi. Moti monotoni in
casa, canti a sazietà ripetuti, non partecipano elasticità al corpo,
vivezza allo spirito. La obbedienza della macchina male corrisponde
alla osservanza spontanea dell'ordine persuasa dall'intelletto, che
insegna come la disciplina sia nervo principale di bene regolata
milizia. La educazione equivale ai reggimenti politici: anche il
reggimento migliore in astratto può trovarsi ad essere il peggiore in
concreto. Ottimo ha da reputarsi quel governo che sembra più acconcio
a condurre a salute il popolo a cui si appone: così talora giova la
democrazia, e talora anche la potestà dittatoriale. Di quale
educazione abbiamo mestiero noi altri Italiani adesso? Io te lo dirò,
sia pure per fruttarmene taccia di uomo arabico o peggio: noi
abbisogniamo di riuscire feroci:

                      gioventù feroce,
    Indomita, superba, e di una madre.

La ferocia, o il vigore militare formano, a parere mio, il fondamento
della dignità, della sapienza, ed anche della bellezza di un popolo. I
Romani chiamavano _virtus_, virtù, la prestanza militare
dell'uomo.--Io per me sempre ho reputato sapientissimo quel concetto
di Foscolo, il quale teneva prima in pregio la forza, poi la bellezza,
e finalmente lo ingegno. Ma che speri tu mai da queste vespi
battezzate... da queste larve di uomini? provati a porre nelle costoro
manine un peso più grave di una forchetta:--mira!.... lo hanno
lasciato andare per terra....

Intorno alla secondaria... Ma io predicava anche troppo, e me ne venne
fastidio:--però buona sera..."

"Ascanio, statti per amore di Dio, e parla: tu taci tanto, e tanto ti
rimani concentrato, ch'egli è forza che quando incominci tu faccia un
po' come il mare in Olanda una volta ch'egli abbia sconquassati i
dicchi."

"Che se le mie parole avessero la virtù sopra queste anime che ha la
calce sopra i cadaveri,--che se non potendo preservarle dalla
putredine valessi a consumarle intere,--oh io parlerei fintantochè mi
cessasse a un punto la favella e la vita! Ma è tempo perduto..."

"Non importa; parla per me: parla come il barbiere di Mida, che
seppellì i suoi discorsi dentro la fossa."

"E le canne vi crebbero sopra e propagarono il segreto a tutti i
venti. Sta bene, io favellerò dunque come il barbiere del re Mida. E
quando il mondo avrà saputo che il re Mida aveva gli orecchi di asino,
che cosa avrà imparato?"

"Che il re Mida aveva gli orecchi di asino."

"Famosa notizia!" esclamò sorridendo Ascanio.--"Ebbene, io
continuo.--Gli Svelti cominciarono col calunniare i metodi antichi:
affermarono il fiore della intelligenza logorarsi nello studio di una
lingua morta, e gridarono abbominazione. _Cui bonum_ la lingua latina?
Ai curati per leggere antifone, e ai pedanti per iscrivere
pataffii.--Apprendere la civiltà del più stupendo popolo che mai sia
comparso nel mondo è antifona! Imparare la storia, la politica, la
filosofia, la eloquenza e la poesia dei Romani, è pataffio! Se avessi
un figliuolo che a diciotto anni si compiacesse della lettura o di
Tullio, o di Livio, o di Tacito, io lo bacerei lacrimando sopra la
fronte, e gli direi: Riposati.--E poi non è vero che noi ci
rimanessimo ai soli studi latini, ma al punto stesso, le greche e le
italiane lettere apprendevamo, e non superficialmente, sibbene come
conveniva a tanto studio; e lasciando in disparte il greco, attorno al
quale poco felicemente mi esercitai, con infinita industria gli egregi
maestri m'istruirono nelle più riposte ragioni della lingua materna
sopra la scorta del Cinonio, del Buonmattei, del Salviati e di altri
valentissimi, fra i quali non devo tacere Bembo con gli _Asolani_,
Varchi con l'_Ercolano_; e quindi in Rettorica mi dimostrarono
l'applicazione dei precetti nelle fiorite scritture del Casa, del
Bembo, del Caro, e di altri tali che, dicano pur quanto vogliono,
formeranno sempre la corona della nostra letteratura. Veramente io non
so darmi ragione dello averci per così dire allontanati dalla
conoscenza dei Trecentisti e del Machiavello. Forse di questo metteva
paura il nome; ma se io non erro, nei Cinquecentisti non si apprendono
come nei Trecentisti le forme schiette del dire, le locuzioni
efficaci, e l'espressioni gagliarde. Io voglio allegarti a conforto
della mia opinione un'autorità veramente singolarissima, quella del
cardinale di Retz, uomo d'ingegno svegliato, il quale avrebbe molto
meglio provveduto alla sua fama intendendo alle dotte discipline che
alle inani turbolenze della Fronda. Ritenuto prigione a Vincennes,
egli lasciava scritto nelle sue Memorie:--«Je m'occupai fort à l'étude
dans tout le cours de ma prison de Vincennes qui dura quinze mois, et
au point que les jours ne me suffisoient pas, et que j'employois même
les nuits. _Je fis une étude particulière de la langue latine, qui me
fit connoître qu'on ne peut jamais trop y appliquer, parce que c'est
une étude qui comprend toutes les autres_.» Dopo la Rettorica noi
davamo opera alla Logica e alla Metafisica. Correva allora, e forse
corre anche adesso, la quistione se i giovani avessero a imparare
prima il modo di ordinare le idee, e dopo, la favella e le idee, o
viceversa; lite a mio parere oziosa, imperciocchè ormai nello studio
degl'incliti oratori e dei sommi storici le facoltà raziocinanti si
fossero di per se stesse sviluppate, ed ormai più che conoscere cose
si trattava conoscere nomi convenzionali. Ora la lingua latina è
bandita; la italiana poco meno: francese, inglese e tedesco si
apprendono quanto basta a intendere una polizza di carico o un
contratto di noleggio; botanica, storia naturale, chimica, e
geografia, sol quanto basta a conoscere donde ci vengano la scialuppa,
il pelo di cammello, e simili altri prodotti; quanto tempo e quanto
danaro si spenda per andare a Parigi; e perchè le candele di
spermaceti debbano anteporsi a quelle di sego; diritto per quanto
giovi a renderti il figlio o pratico forense o destro mercante.--Utili
scopi invero: ma diventassero almeno valorosi avvocati, o periti
mercanti i nuovi alunni, io vorrei contentarmene; ma in verità io vedo
la giovane generazione, e Dio sa se il dica con inestimabile amarezza
dell'animo mio, così petulante, così procace, così superba per la poca
e vana dottrina, siccome la vera e la molta la renderebbe umile, così
ingombra di notizie incomplete, priva di vigore per concepire,
ignorante del modo di manifestare acconciamente il concetto, che io
per me ho deposto ogni speranza del futuro. Calunnino pure quanto
sanno gli antichi sistemi, staremo a vedere se i nuovi varranno a
darci Bacone, Newton, Galileo; e degli altri molto più moderni mi
taccio.--Io comprendo benissimo come lo spirito umano, per necessità
della sua natura irrequieto, non possa eternamente posare in una
maniera di essere, e ciò per riguardo a tutte le cose; una forza
operosa lo costringe a muoversi, e sta bene che si muova, chè così
facendo consente ai suoi destini. Oltre questa necessità, altre
migliori ragioni non gli mancheranno,--quantunque tu deva accordarmi,
o Gualberto, darsi due moti, uno dei quali consiste nello andare
sempre avanti, e un altro nello aggirarci dentro un circolo
eterno.--Nonostante, io per me reputerò sempre insano colui il quale
abbracciando una formula nuova maledice l'antica, senza darsi
pensiero, come pure si dovrebbe fare, se questa contenesse alcuna cosa
buona da avvantaggiarcene, imperciocchè paia e sia impossibile che
molte schiatte di uomini si accomodassero dentro una formula ov'ella
non comprendesse requisiti da soddisfare in parte, secondo la ragione
dei tempi, i nobili istinti ed i fini a cui si dicono destinate.--Ed
io ricordo, o Gualberto, avere già letto dentro un libro stampato, che
Dio consegnò al primo uomo un sigillo per suggellare tutte le opere
umane, con ordine di farglielo restituire dal suo ultimo figliuolo nel
giorno del bilancio finale, ove si trovò inciso il molto: _Sunt bona
mixta malis_.--E le formule percorse dalla umanità paionmi molte, e
sopra tutte io ritengo degne di osservazione quelle che sorsero
fecondate dalla virtù delle dottrine di Cristo.

Egregi e santi reputerei gli effetti degli Asili infantili purchè io
li vedessi pienamente estesi, amministrati senza quel mal verme della
vanità, e con l'altro peggiore della ipocrisia, con modi semplici;
dacchè quando Cristo diceva:--_sinite parvulos venire ad me_,--egli
non aveva segretari, nè convocava adunanze, nè usava carte,
sopraccarte, ceralacche e sigilli.--Il nostro Maestro non avrebbe
sofferto, per sovvenire alla opera di Dio, chiamare in aiuto Mammone;
per fecondare la virtù accettare il tributo del vizio, dandogli in
questo modo motivo onesto di mostrare la svergognata faccia con
decenza ed anche con plauso. La protezione del vizio alla virtù è
rugiada di acqua forte alle rose di maggio. O tutti a Dio, o tutti a
Mammone.--Quantunque mansueto, io contemplo il Salvatore con immensa
compiacenza quando armato di flagelli caccia via i pubblicani dal
tempio.--Fuori gl'ipocriti vecchi e nuovi!

Mutui insegnamenti, guardie civiche, casse di risparmio, congressi
scientifici, di effetti pessimi, non in sè, ma per la intempestività
loro e pei modi co' quali procedono. Questi ed altri trovati dovevano
comporre gli architravi, i capitelli, e le altre parti del nuovo
edifizio sociale che uomini di molto senno e di miglior cuore
intendevano fabbricare. Al cielo non piacque la impresa; allora gli
Svelti che stavano a cavallo al fosso, avendo rubate queste
invenzioni, si accostarono alla causa vincitrice, ma debole e
decrepita, e le dettero ad intendere possedere il segreto del medico
Polli di rinnuovare il sangue nelle vene. Dapprima venivano accolti
come colui che ha veste rossa dal bufalo, ma a poco a poco il sospetto
cessava, e consigli proposti accettavano, e facevano bene, perchè
davvero essi erano savi.

Gli Svelti seppero dimostrare per filo e per segno le seguenti
cose.--1º Come persone di molto seguito si fossero persuase che per
conseguire fama di oneste bisognasse adoperarsi in benefizio della
patria comune: biasimevole l'ozio, la indifferenza peccato; ormai
mossi a fare non si sarebbero così di leggieri rimasti, e questi moti
comunque impotenti a sovvertire l'ordine stabilito, pure capacissimi a
tenerlo agitato; d'altronde le opposizioni tornare sempre moleste, e
di grave spesa a guardare; se le rendessero amiche pertanto, non
impedissero, anzi le aizzassero ad agitarsi, purchè lo facessero
dentro un cerchio determinato.--Occupatele in casa, eglino dissero, e
non baderanno alla città; occupatele in città, e non baderanno allo
Stato: così questa buona gente che si crede mandata da Dio per
riformare il mondo, si troverà ridotta in Riformatori dello Studio di
Padova; e sudando a rimestare acqua e sapone, morirà con la gloria di
avere empito l'aria con magnifiche bolle.--In secondo luogo gli Svelti
avvertirono come dalla istruzione diffusa universalmente era per
uscirne pericolo certissimo, mentre all'opposto dalla istruzione
ristretta ne sarebbero nati massimi beni. I rimasti privi
d'insegnamento ecco astiare gl'istruiti, non comprendendo la ragione
per cui abbiano a patire la odiosa esclusiva, e aborrire, siccome
quasi sempre avviene, nello effetto sensibile la causa segreta. Gli
eruditi diventati presuntuosi non si piegano a tornare nelle comuni
officine; reputandosi molto da più de' compagni, male si adattano ad
esercitare arti pari; scontenti dell'attuale condizione, altra ne
agognano che non possono conseguire; ricorsi per aiuto ai protettori,
sentiranno opporsi:--O non avete braccia per lavorare? o non siete
periti nella calligrafia, nel calcolo, nella geometria piana, nel
disegno lineare? Voi possedete più che non bisogna per mettervi in
cammino. Oh che la tutela nostra ha da durare eterna? ci siamo per
avventura costituiti padri di famiglia in seduta permanente del genere
umano? Voi foste fiori, e nel nostro giardino vi accogliemmo, vi
educammo, e nudrimmo; ora siete colti, altri subentrarono al vostro
posto, e questi domandano adesso le nostre cure.--Conviene spoltrirci,
figliuolo mio, conviene spoltrirci; che in fama non si arriva seggendo
in piuma. Ai tempi nostri tutto lice sperare, tutto è possibile
conseguire. Vedete Bernadotte muove dalle fila di semplice soldato
colla corona di Svezia nello zaino; contemplate Canning bastardo, Peel
figlio di fabbricante di tele, reggere i destini della Inghilterra;
Thiers e Guizot per sola virtù del proprio ingegno reggere quelli di
Francia; Canova, scalpellino di Possagno, salire in fama del più
eccellente scultore del mondo; Rossini, figlio del trombetto del
Comune di Pesaro, o _nato da padre tubicinante_, come scrive il conte
Giulio Perticari, buona memoria, essere salutato re dell'armonia.
Ardite, cercate: la Fortuna come donna s'innamora dei giovani animosi:
e lo diceva a Francesco I il maresciallo Trivulzio.... ricordatevene
bene, il maresciallo Trivulzio.--E così dicendo, il protettore lesto
di gamba sale in carrozza, il cameriere chiude con fracasso lo
sportello, mentre egli traverso al cristallo dello sportello manda al
protetto il più gentile dei suoi saluti. Il malaugurato protetto
rumina dentro di se la maledizione degli Ebrei contro Moisè:--Perchè
ci hai tratto fuori dalla terra di Egitto? mancavano forse sepolcri
per seppellirci là dentro?--Sta bene; apprese l'arte, ma non trova
modo di esercitarla utilmente;--sa scrivere... diventerà falsario.
Vedeste mai come adesso formicolare nel mondo copia di falsari, di
bari, di gente rotta ad ogni maniera di frode? E questo giova; giova
che la massa delittuosa non diminuisca nel mondo; giova che venga
modificata, e le passioni feroci si convertano in vili: temi il
violento, non prendere sospetto del ladro; promuovi le passioni che
uccidono col corpo lo spirito; perseguita le altre che danno energia,
e i tempi spirano favorevoli allo assunto. Invero, consulta le
statistiche criminali, e tu vedrai i delitti di sangue diminuire in
proporzione con la quale aumentano i delitti di frode.--Gli Svelti, e
sempre gli Svelti, dimostrarono in terzo luogo, l'uomo amare il danaro
con tanto maggiore alacrità quanto si sente più povero; lo scarso
risparmio rappresentare al misero la morte in casa sua senza toccare
l'aborrita soglia dell'ospedale; rappresentargli la prece quando sarà
defunto. Chiunque pertanto intenda a conservare la sostanza del
povero, viva sicuro che si provvede difesa fedele e feroce, perocchè i
poveri sieno stati sempre sopra la terra in maggiorità:--essi lo
difenderanno con un salvadanaio. L'ordine che ama conservarsi raccatti
questo danaro, lo conservi, lo amministri santamente, e con ogni
accorgimento s'ingegni provocare simili depositi. Quando sia pervenuto
a scopo siffatto, dorma i suoi sonni tranquillo, vi è chi veglia per
lui.--In quarto luogo, i portentosi Svelti dicevano: le milizie
cittadine paionvi veleni? Sì veramente esse devono reputarsi tali; ma
che perciò? La medicina non trova farmaco di cui tanto meglio possa
avvantaggiarsi quanto dei veleni.--Nei governi creati dal consenso
generale i cittadini possono procedere armati universalmente, e forse
anche qui non senza pericolo, perchè il popolo armato di rado si
mostra modesto, e troppo spesso facile a lasciarsi in balía dei moti
scomposti dell'animo; per la quale cosa vedemmo nascere con frequenza
turbamento e subuglio; ma da voi concedansi le armi a pochi, la più
parte uomini nuovi, mercanti, e gente usa ai traffici; giovi ancora
chiamare alcuni pochissimi dei grandi, e della minutaglia. Il popolo
grasso andrà persuaso che difendendo sè tutela l'ordine, e dove il
caso lo porti voi lo vedrete spiegare alla salvezza delle sue giarre
di olio e dei suoi lardoni l'ardimento di Orazio Coclite al ponte.
Sopra i grandi e sopra il popolo minuto non bisogna contare, ed eccone
il perchè: essi si lasciano governare da fantasie tutte particolari, e
riescono di maneggio spesso arduo, sempre incerto. Come Gesù disse in
sacramento, voi fate potere dire a fine profano:--Ecco io sono il
vostro pane e il vostro vino;--e il popolo grasso, che non va più
oltre e di più non desidera, difenderà in voi il suo pane e il suo
vino. I grandi, se lo facciano di cuore non sapremmo ben dirvi, ma
sovente disprezzano questo pane, e presumono imporvi il loro soccorso
come un giogo: insomma si assomigliano un po' a Diogene esposto al
mercato in vendita, che gridava ad alta voce:--Chi vuole comprare un
padrone?--Nemici in sostanza noi non crediamo ch'e' possano riuscire
mai, però di ordinario avversari infesti, cagione di debolezza agli
Stati, e difficili a sradicarsi se non s'incontrano quei solenni
falciatori di aristocrazie Luigi XI e cardinale di Richelieu: quindi
teneteli bassi. Il popolo minuto, per disperazione fatto sicuro, nulla
avendo da perdere, ama il torbido per pescarvi dentro; nonostante noi
proponemmo procurare pochi dei grandi e pochi dei piccoli per
dividerli dalla massa a cui appartengono, gittarvi dentro il sospetto,
e renderla di mano in mano scema di capi. Una volta fu reputata
l'aristocrazia ottimo principio per istare tra mezzo alla monarchia e
alla democrazia; la esperienza insegna valere a mille doppii meglio il
popolo grasso a simile scopo: egli si contenta di poco;--ogni anno
misurategli dalle mille alle due mila braccia di nastro o verde, o
rosso, o giallo; di tanto in tanto diluviategli addosso un uragano di
croci; soprattutto risi e sorrisi a macco; via la tostezza, via il
sussiego di quella benedetta legittimità; con altre vele è forza
navigare pei nuovi pelaghi; stringete mani, scuotete braccia a destra
e a sinistra, abbiate pazienza a subire la stupida compagnia; a pranzo
ardite mettervi al fianco la consorte del Presidente della Camera di
Commercio, aprite il ballo con la figliuola del banchiere principale,
e voi avrete una milizia civica da disgradarne pretoriani, sterlizzi,
mamelucchi, e giannizzeri. Per questo modo possederete milizia
fedelissima e gratuita; ciò vi porgerà mezzo di licenziare tutta o
nella massima parte la milizia stanziale con vantaggi inestimabili: in
primo luogo, renderete di molte braccia all'agricoltura, convertirete
gente pagata in pagante, moltiplicherete i prodotti nostrali, e
salderete con meno metallo il bilancio coll'estero, mantenendo lo
Stato copioso di danaro, precipuo argomento di pace universale. Tolta
la spesa di mantenimento della stupida ed oziosa milizia stanziale, la
pecunia risparmiata vi porrà in grado a diminuire le gravezze
pubbliche, e ne acquisterete grazia; o a cumulare tesoro, e ne avrete
potenza: ottimi entrambi argomenti di buon governo.--I Congressi
scientifici sono diventati frange e galloni: se di oro tutti nessuno
vorrebbe dire; molto rame con un po' di oro sopra: pure veduti di
lontano fanno bella mostra, e messi una volta non anneriscono, e
siccome non costano troppo, così bisogna comprarli per comparire
orrevoli in un giorno di festa. Se il principe Esterhazy, quante volte
si mette addosso la veste di magnate ungarese, fanno conto che spenda
diecimila lire, e questo avviene parecchie volte in capo all'anno,
perchè l'abito vale di ben molti milioni, chi porta corona può e deve
spendere di tratto in tratto un po' di moneta per circondarsi la testa
dei raggi di Augusto, del magnifico Lorenzo, degli Estensi, degli
Urbinati e di altri consimili: ciò fa buona figura, e non deve parere
vero. Qualche parola o allusione scoppia, ma e' sono razzi matti, e
giova lasciarle venire fuori: basta adattare a queste macchine i
debiti sfiatatoi onde la forza concentrata non prorompa; e poi tirate
innanzi. Temete i taciturni; i loquaci si assomigliano a valvole di
sicurezza. Di più, tra poco grano si mescola copia maravigliosa di
zizzania; per un uomo veramente dotto tu conti venti saltambanchi; per
un uomo veramente dabbene concorrono venti imbroglioni, sicchè i primi
scemano il soverchio credito che viene in loro dalla scienza e dalla
probità; e le sommità così nelle repubbliche come negli altri stati
danno sempre sospetto. Noi però dobbiamo avvertire che ai tempi nostri
si procede troppo avversi agli avvocati e ai letterati, e ciò per
imitazione servile di Napoleone, il quale conobbe molte, non tutte le
arti di regno. Egli odiava a morte letterati e avvocati, e aveva
torto: questi, ove non li prendiate a contro pelo, vi riusciranno
umilissimi, devotissimi e obbedientissimi servitori; e ricordatevi che
Irnerio sostenne le regalie a Roncaglia: dicono ei fosse di patria non
italiano, ma avvocato egli era. Non temete di Coccei Nerve, di
Papiniani, e simili; questi appartengono alla storia della umanità
come le mummie alla scienza. Pei letterati non abbisogna neppure,
perchè cessino i latrati, l'offa di Virgilio; i pugni di terra che
adoperò Dante bastano, e ne avanzano. E quando mai s'incontrasse
qualche anima di cerro, allora riuscirà agevole contristare questi
acerbi intelletti, empirli di amarezza, guastarne gli averi, renderli
poveri e contennendi, e ridurne la voce, quella potente voce della
quale procedono tanto superbi, in singulto o in tonfo udito nel Canale
orfano.--Insomma gli Svelti hanno rubato i ferramenti, legnami e
tegoli apparecchiati per la fabbrica nuova, e li portarono a resarcire
l'antica; i Semplici senza sapere quello che si facessero li
seguitarono, e si ferirono con le proprie mani. Sia così, dacchè piace
a Dio che così sia.--Vi fu un tempo nella mia vita in cui mi parve
animoso molto prendere in prestito a Nemesi i suoi flagelli e sferzare
a sangue le ipocrisie finte, le superbie manifeste, le ignoranze
invereconde, le mediocrità maligne. Guerra sembravami questa non senza
molto pericolo, ma piena di gloria; imperciocchè io vedessi i percossi
agglomerarsi, annerirsi, e dopo un fremito lungo prorompere in turbine
procelloso: però io non temevo quel turbine, fidente nelle sorti della
umanità. Adesso poi non ispero più nulla; niente altro desidero che
uscire presto dal mondo, e aborro del pari la schiera degl'ingannati e
quella degl'ingannatori:

    Ma del misero stato ove noi semo
    Condotte dalla vita altra serena,
    Un sol conforto, e della morte, avemo:

io ripeto con le colombe del Petrarca.--Ma se in te la speranza ha
fiore di verde, Dio te la mantenga florida, o Gualberto, e le mie
parole vi passino sopra senza seccarla: _vos rebus servate
secundis_.--Tu dammi la mano da capo, perdona la cicalata, e buona
notte."

Mi strinse la mano, e si allontanò fischiando un'aria del _Barbiere di
Siviglia_.

Il discorso di Ascanio mi aveva intronato il cervello: gli prorompeva
improvviso dal cuore, ma senza ombra di empito, e diaccio così come la
neve di gennaio. Io in quel momento non mi sentivo balía per ordinarlo
e confutarlo, ma non mi sentivo neppure disposto a parteciparlo; mi
pareva una grandine di paradossi, una eruzione di misantropia da
opprimere, sì, non già da persuadere. Ahimè! uguali ad Ascanio altri
non pochi mi circondarono nella vita senza fede e senza speranza, e
siccome erano disperati veramente, non per vana ostentazione, così li
vidi appassire, prendere a sazietà la vita, e morire.--Io sopravvivo
solo a tanti valorosi amici defunti, ma spossato,--ma rotto come
colonna mutilata di un tempio in rovine;--e nonostante, quello che mi
sostiene è un filo di speranza, e dove venisse a spegnersi io mi
protenderei sopra la terra, e le direi:--O madre, cuoprimi;--ed ella
accoglierebbe gratamente in suo seno un figlio che ha sofferto tanto,
goduto nulla;--assolutamente nulla.

Agitato nel profondo, io mi condussi solo all'adunanza; e come soglio,
mi posi in disparte oscuro osservatore di quello che avveniva. Gettai
uno sguardo sopra la schiera dei fanciulli quivi raccolti per ricevere
i premii: e o sia che la impressione delle parole di Ascanio durasse,
o fosse veramente così, non vidi mai sembianze più somiglievoli tra
loro, nè tanto stupide. Il mio pensiero trascorse a quei giardini ove
i mirti e gli allori appaiono tagliati a guisa di muraglie verdi per
cui gli uccelli non vedendo rami verdi e arieggiati fuggono via, gli
amanti aborrono coteste ombre mute, e gli altri tutti immaginano
passeggiare pei corridori di un convento, non già pei floridi viali
ove l'uomo si ricrea. La pianta-uomo italiana sembra desiderare libera
le rugiade del cielo, e crescere senza impedimento aperta ai raggi del
suo sole: ella non consentirà mai a sentirsi ridotta come le dozzine
degli aghi dentro cartucce, marcata, numerata, e riposta per ordine
dentro agli scaffali.--Ma lasciamo i fanciulli e i loro fati, chè tale
a cui le nostre miserie sono note, e le può riparare, provvederà che
non vadano in perdizione.

Davanti una tavola lunga illuminata da copia di folgoreggianti
doppieri, ornata di tappeto verde, sedevano parecchi onorandissimi e
onoratissimi Messeri. Menerebbe troppo per le lunghe descriverli
tutti: scerrò i principali.--Alla mia destra appariva un personaggio
egregiamente nudrito, tondo e rubicondo, con occhi sporgenti e lucidi
di quella tale lucentezza che osserviamo negli occhi dei bambini e dei
vecchi; quando incomincia o cessa la vita; età che si toccano per la
impotenza imbecille; se non che la infanzia ha davanti a se la
speranza, e la vecchiezza il sepolcro. Tutto latte e miele, costui
mentre dal cavo degli occhi lasciava di ora in ora cadere giù per le
guance una stilla di umore cristallino e vago, sopra i muscoli dei
labbri gli saltellava un riso dolcissimo.--Così nei giorni di
primavera parte di cielo versa talora sopra la terra una pioggia
tranquilla, e dall'altra parte il sole irradiandola converte coteste
gocce in rubini, in zaffiri, in crisoliti, insomma nella moltiplice
generazione delle gemme per cui tu credi che le Fate insanite
rovescino sul mondo tutti i loro scrigni di gioie.--O avventurato
bambolo di quaranta e più anni! Io non ho tinte che bastino a
dipingere la tua beatitudine: tu mi parevi uno di quei putti dorati
che sopra gli altari si veggono reggere candelabri, o seduti sopra
nuvole formate a sembianza di enormi sfogliate. Se non fossero stati i
capelli bianchi, con manifesto errore cresciuti sul tuo capo destinato
a perpetua infanzia, con un paio di ale alle spalle ti avrebbero
scambiato con Cupido. La provvidenza ti tenga lontana dal disinganno,
o innocentissima creatura, perchè il tuo cuore si romperebbe come una
tazza di porcellana da mano inesperta lasciata cadere sul pavimento.
La natura ti culli, o adulto bambolo, cantandoti la nanna, e ti
asperga incessantemente col liquore dei suoi più narcotici papaveri.

Di quello che sedeva in mezzo più tardi.--Giovi adesso dire di lui che
stava dalla parte opposta: un rispettabile uomo, rispettabilissimo
uomo in verità. La natura gli era stata generosa dispensatrice di un
capo grosso come un cocomero di Pistoia, e per lo soverchio peso non
lo poteva tenere levato, nella guisa appunto che ai cocomeri avviene
attaccati a gambo sottile. Costui apparteneva alla famiglia dei
Narcisi, che di se s'innamorano, e guardandosi dentro allo specchio
per tenerezza si baciano, e si fanno plauso, e si dicono:
Bravo!--Sentite cosa incredibile e vera: una volta s'immaginò gravido;
verso il nono mese si pose in letto, e cominciò a guaire come donna
partoriente:--Ohimè, ch'è questo! Quali mostri assalgono la mia povera
casa!--fuori di se esclamava suo padre mettendosi la parrucca a
traverso.--Uh! uh! piagneva la madre: or come usurpansi le mie parti
in famiglia!--e si metteva la cuffia alla rovescia. Susurro dentro,
schiamazzo fuori, a trambusto ogni cosa.--Ma poichè il corpo appariva
veramente turgido, mandarono per la balia che accorresse con la
seggiola: la levatrice fece pressa, ma la sua arte le venne meno; il
parto si presentava male; pareva avesse il capo grosso come il padre;
chiamarono medico e cerusico, che ristrettisi a consulto deliberarono
la operazione cesarea; ma il partoriente non ne volle sapere: allora
introdussero con fatica la tanaglia, e il cerusico ne strinse i
manichi, il medico strinse a mezza vita il cerusico, la balia il
medico, il padre la balia, la madre il padre, e via discorrendo tutti
di casa; e tira tira, trassero fuori... una traduzione in ottava rima,
che battezzarono subito, perchè dato appena un segno di vita la
poverina precipitò nel limbo dei Santi Padri.--Ne tenne dietro una
emorragia spaventevole, per la quale la matrice indebolita non potè
più concepire.--Tra gli altri pregi egli possedeva un bellissimo
vezzo, che consisteva nel trovarsi soddisfatto soltanto dei propri
discorsi; a quelli degli altri egli o aggiungeva o toglieva, o
modificava sempre qualche cosa; sicchè dove mai ti fosse avvenuto
tenere con esso colloquio, potevi stare sicuro di sentirti dire:
"Crederei dovere aggiungere,--penserei spiegare,--opinerei
dichiarare," e via discorrendo. Spirito lento, stupido, e presuntuoso,
come la lumaca che immagina avere compito il giro del mondo
allorquando si è strascinata intorno ad un cavolo cappuccio, e segnato
la via lattea lasciando dietro a se una traccia di bava. Ambì la
superba fama di Mecenate, e commesse all'alabastraio due vasi e un
calcalettere; anzi nella Storia delle Arti si ricorda che ordinasse al
gessinaio anche un Sant'Antonio dipinto. Ma il diavolo dello scherno,
deciso a non lasciarlo in pace, per mezzo dell'orecchio sinistro gli
entrò nel capo, e rimase maravigliato di cotesto immenso vuoto;
comunque il diavolo camminasse sopra la punta degli artigli, e si
fosse tirata in su la coda per amore di lindura, come le gentildonne
si raccolgono i lembi delle vesti per la via, pure si accorse essere
rimbombante e sonoro; onde maligno qual è, lo prese il destro di
lanciarvi dentro lo strido:--Nulla!--Come l'eco del castello di
Simonetta, che ripete, secondo racconta il padre Kirker, quaranta
volte la parola, ecco da mancina, da destra, di su, di giù, da tutte
le regioni, in suoni bassi, alti, striduli e soavi, rimbombare la
voce:--Nulla!--Il misero uomo turavasi le orecchie col cotone, vi
soprapponeva le mani, ma inutilmente; chè il fragore gli veniva di
dentro, e con infernale _crescendo_ urlava:--Nulla! nulla!--Ne perse
il sonno; nelle vigilie incresciose dava del capo nei muri; volle
guastarsi: lo mandarono a viaggiare, e tornò a casa più mansueto, non
più sano, perchè, cambiata pazzia, s'immaginò essere convertito in una
lima, e dandosi in balía alla nuova fissazione, non vedeva moneta un
po' traboccante ch'egli non attrappasse, e notte e giorno non
rifinisse di tosare. Per questa pazzia egli salì tra i suoi in
grandissima fama; e tra i più celebri tosatori fatto ormai
celeberrimo, con universale consenso lo promossero all'onorevole
ufficio di Presidente della Lima. Da quel punto in poi appena degnò
reputarsi mortale: la opinione altrui a se contraria egli tenne come
nebbia incapace ad offendere la sua divinità; reputò l'avvilimento
dittamo e rose, raccolse l'onta, il disprezzo e l'oltraggio come
fronde per tesserne una ghirlanda alle sue tempie, e alle voci di
vituperio rispondeva con olimpica sublimità:--"Adoratemi, io sono il
Re della Lima!..."

Fin qui bastò la matita del Callotta;--adesso poi è mestiero tingere
il pennello in rosso..., in quel vermiglio terribile che David diceva
ferocemente stemperare alla Convenzione di Francia! E sì che David
ebbe cuore aperto alle gentili ispirazioni del bello, e fu valoroso
sacerdote delle Muse: non importa; in lui e in altri dovemmo
contemplare a quali traviamenti precipiti la fantasia ove prenda le
parti della ragione. La mente del poeta e dello artista esaltata dalle
vicende politiche delira vaneggiamenti di sangue, che piange poi con
dolore inestimabile, ma le lagrime delle diecine degli anni non
valgono a lavare le colpe di un giorno.

Vidi nel mezzo un cranio a cui dalla parte della nuca pendevano
capelli bianchi a modo di semi di vecce; e cotesto cranio era duro,
levigato, lustro come palla di avorio, e come avorio antico pendente
in giallo, qua più chiaro, là più cupo. Quasi per dare una solenne
mentita al sistema del Gall, si alzava protuberantissimo al punto in
cui questi pone le idee religiose; quinci la cassa ossuta
precipitavasi giù dirottamente, e come se la natura non potesse
trattenere lo slancio preso, seguiva a sporgere fuori con la fronte e
col naso; giunta al cuspide estremo, quasi presa da voglia opposta si
ritirava indietro nelle labbra e nel mento.--Vi ricordate in grazia
avere veduto a Roma nel palazzo Barberini la statua dello egiziano
Osiride con la testa di sparviere? Fate conto che somigliasse a
costui: davvero pareva un immane avvoltoio monaco che mudasse le
penne. Cotesta faccia presentava un miscuglio strano di uccelli e di
quadrupedi da preda. Rughe infinite, e nodi, e porri increspavano,
bernoccolavano la pelle di quella che io pure vorrei e non mi attento
di chiamare faccia; ogni atto umano doveva smarrirsi in mezzo a
cotesto prodigioso laberinto. Come Platone racconta che fra le rughe
del volto della sua Archeanassa vedeva annidarsi gli Amori, in quei
solchi avresti potuto immaginare meglio appiattate le frodi intente a
grassare qualche pensiero di umanità che inerme e solo si fosse
avventurato a percorrere la via maestra o i viottoli di cotesta faccia
paurosa. Dai cigli incavernati dardeggiava sguardi uguali alla lingua
dell'aspide, e il riso ti pungeva come la lancetta del cerusico. Mi
vinse la paura: il ribrezzo cominciò a salirmi di vertebra in vertebra
lungo la spina dorsale fino al cervello; domandai non chi, ma che cosa
costui fosse, e n'ebbi in risposta essere il presidente del
_filantropico_ istituto. Fidando poco nei miei nervi che sentivo
torcermi, o tirarmi con acuto dolore, stavo per allontanarmi, quando
egli alzò la mano e fece atto di favellare. Mi parve ch'ei
m'inchiodasse, appunto come leggendo Hoffmann, o Lewis, o Maturino,
volli talora gittare via il libro, e non potei, tenuto schiavo dalla
potenza di coteste infernali immaginazioni. Angioli del paradiso, egli
sta per parlare! Quale sarà il suono di cotesta voce! Che cosa mai
parlerà! Che cosa? Il panegirico di Teuta?--e m'ingannai:--nota più
dolce non fu mai sospirata dai flauti come gli uscì la voce dalle
labbra bianche;--blanda si diffuse all'intorno uguale al susurro che
gemono le acque marine nei plenilunii sereni intorno agli
scogli,--melodiosa al pari del mormorio delle giovanette frondi tenere
e verdi nate pur ora al fiato di primavera.

«Signori,--cominciò egli--da me per certo voi non aspettate fiorito nè
eloquente discorso: mancami all'uopo esercizio di buoni studi e
conoscenza dell'arte difficile della parola; e dove l'uno e l'altra
fossero in me, come pur troppo non sono, l'animo allo improvviso
commosso da subita piena di affetto...»

--Don Girolamo, prete di santa vita, e di dottrina insigne, stava in
casa di costui a condizioni alquanto migliori dei negri adoperati in
America alla coltura dello zucchero:--gli pagava una lira al giorno,
con obbligo di celebrare la messa, insegnare il latino al ragazzo,
accompagnare la signora, tenere i libri di amministrazione, rispondere
alle lettere, comporre memorie, suppliche, contratti ec., risquotere
le pigioni, badare alla villa e alle ragazze, e la domenica così per
isvago riscontrare la cassa, rivedere i conti ai servi, e leggere la
gazzetta al padrone mentre si radeva la barba...--e tutto questo ed
altre cose ancora per una lira: eppure ci stava; tanto è vero che la
natura crea alcuni enti predisponendoli a patire fino alla morte.

Ora è da sapersi che Don Girolamo da tre mesi indietro aveva ricevuto
ordine di comporre cotesto discorso, ed essendovisi affaticato intorno
due mesi, trenta giorni fa lo aveva consegnato al padrone, messo in
pulito con rara perfezione; ma poichè il padrone ad ogni patto voleva
dare ad intendere essere uno di quelli

                          che quando
    Amore spira noto, ed a quel modo
    Ch'ei detta dentro, vo significando;

avendo trovato scritto:--_l'animo commosso da troppo affetto_,--ordinò
a Don Girolamo levasse, mettesse, aggiungesse, tornasse a levare, poi
a mettere; e dopo una tortura di ben dieci giorni cacciò fuori il bel
periodo: «_l'animo all'improvviso commosso da subita piena di affetto
impedirebbe le ornate parole_.--O giovanetti, egregia della patria
speranza, e cura nostra dolcissima, ormai cessarono i tempi nei quali
l'albero della scienza non è più l'albero della vita. Noi vi ponemmo
sopra un cammino ove nulla è tanto alto che a voi non sia dato
sperare, nulla tanto sublime che non vi sia dato conseguire. Il
guardiano di mandrie suine voi vedete giungere al papato; tale altro
semplice fante perviene al regno di Svezia; il figlio di fabbricante
di tele diventa ministro lodatissimo della Inghilterra; lo scalpellino
di Possagno si muta in marchese Canova...--Che più? Napoleone, nato in
umile isola, di piccolo lignaggio, domina il mondo. Su via,
slanciatevi animosi nell'arringo dell'onore in cui vi condusse la
carità quasi per mano, ed io vi prometto superbi destini. Che se per
malignità di fortuna i superbi fati mancassero, rimarrannovi i
generosi. Immaginatevi la creazione come una piramide immensa di cui
la cuspide viene formata dalla Suprema Intelligenza, la base da
sostanze più umili, ma legate insieme da un vincolo di amore: nessuna
può dirsi inutile, ed in qualunque parte piaccia alla Provvidenza di
collocarvi, esultate nel pensiero di rappresentare un frammento
necessario alla macchina portentosa......

--Oh come anche in Siberia a cavare miniere?

--Anche in Irlanda a bagnare di sudore una terra che non offre altro
che sepolcri all'uomo?

--Anche nella China, ove nasci per essere dato in pasto ai cani!

--Anche... e chi sa fin dove avrei moltiplicato le interrogazioni a me
stesso, se non mi veniva fatto di levare gli occhi e guardare il
Presidente per vedere s'ei burlasse. Potenze dei cieli! il suo sguardo
s'incontrò nel mio, e mi sentii le pupille come ferite dal bacino
arroventato... pegno fraterno praticato dagl'imperatori cristiani di
Costantinopoli;--il freddo lungo la spina diventò maggiore, a modo di
Buoso io sbadigliava:

    Pur come sonno o febbre mi assalisse,

mi prese nausea grande e languore come alloraquando sorprende il male
di mare: chinai la faccia, e gittai tre boccate di acqua o quattro: nè
qui rimase il parossismo, chè un molesto tintinnio ingombravami le
orecchie, e le arterie delle tempie picchiavano forte come martelli, e
gli occhi vagavano per entro fiumane di sangue. Allo improvviso mi
parve che le fibre e le vene del mio cervello, comunque finissime,
venissero distese sopra un leuto che il Presidente presentava ridendo
alla statua di bronzo di Cosimo I nella piazza del Granduca, e la
statua atteggiata la destra in roncigli di bronzo strappare
acerbissimamente queste mie povere fibre;--piansi di angoscia, e
rilevando disperato la faccia tornai a guardare il Presidente. Egli
non discorreva più; mangiava: aveva davanti un'oliera con olio, aceto,
pepe e sale, e ghermito per le gambe un mazzo di fanciulli, attendeva
a trinciarli con un coltellaccio a modo di sparagi... Oh Dio! costui è
un Polifemo in progresso; invece di mangiare uomini nudi e crudi, se
li divora vestiti e conditi!--e stavo per venir meno.

"_Kelp, ben el kelp_!" proruppe una voce dietro a me che valse a
rompere il fascino: onde io mi volsi, e conosciuto l'uomo, esclamai in
suono di lamento:

"O benedetto chi gli dice: cane e figlio di cane! O se' tu, Zabulone!"

"La tua anima è in pena?"

"Mi circondano le amarezze della morte; salvami, per amore del Dio di
Abramo..."

"Fanciullo incorreggibile, perchè avventurare i tuoi nervi di seta fra
questi pettini da lino?--Vieni all'aria aperta."

"O Zabulone!"--Dopo aver fatto un ampio lavacro di aria fresca per lo
capo e pel seno, io sospirai: "Costui dev'essere Gog e Magog..."

"Egli è un uomo."

"No, Zabulone; è Belzebuth, Belfegor, e Astarot, tutti in un
picchio;--lo spirito degli alti luoghi, la legione che travagliava lo
indemoniato fra le sepolture."

"Egli è un uomo? Perchè calunnii Satana? Rispetto ai vinti! Lucifero
fu scellerato, ma grande ribelle: ardì muovere guerra al trono di Dio,
e nella battaglia rimase fulminato; caduto sopra un mare di fuoco,
quivi sta chiuso dentro la immensa sua ira; e quando rugge, dall'Etna,
dal Vesuvio, dalla Ecla o dal Chirombaco prorompono fiumi di fuoco; e
quando muta fianco, il mondo traballa come un ebbro, l'Oceano
sparisce, e si sprofondano i regni. Ora ti par egli che un Satana
consenta a diventare borsaiolo?--io che lo conosco da molto tempo, mi
guarderei bene da fargli questo torto."

"Chi hai detto conoscere, Zabulone?"

"Il Diavolo e il Presidente..."

Zabulone appartiene al popolo dei Giudei:--i suoi anni sopra questa
terra sono molti, ed io lo venero perchè so che ama il prossimo e teme
Dio. Raccontare com'io lo conoscessi sarebbe troppo lunga storia.
Corre ormai molto tempo ch'ei mi si dice amico, e mi promesse sovente
stringere meco più ampia conoscenza nell'altro mondo; e siccome io
credeva dapprima che gli Ebrei tenessero l'anima morta col corpo,--e
poi perchè senza battesimo le anime non si salvano,--pensai o mi
burlasse, o mi desiderasse capitar male, e volli contradire, ma per
gentilezza mi tacqui. Adesso quasi comincio a sperarlo ancora io,
perchè so di certo, e lo posso giurare, che Zabulone impresta sempre
il suo danaro a mezzo per cento il mese senza provvisione, e qualche
volta anche a meno, non mai a più.--E la mia speranza non suona
eterodossa, perchè sappiamo come Traiano fosse salvo per le preghiere
di San Gregorio Magno, e Stazio poeta per virtù di non so quale altro
Santo. Ora tutta la corte celeste porrà la mano al canapo per tirare
su l'Ebreo, il quale ebbe in costume di accomodare in presto il suo
danaro al sei per cento l'anno.

"Però di Satana"--soggiunse Zabulone--"troppo ci vuole a raccontare
degnamente la storia: se ti basta quella del Presidente, io te la
posso dire..."

"Io te ne prego, Zabulone..."

"Buonaparte!--nota bene che io la prendo larga:--Buonaparte, da
quell'uomo di vasti concetti ch'egli era, intese convertire i mari in
deserti, e farvi perire la odiata Inghilterra, come Palmira o Tebe dalle
cento porte. La Inghilterra vinse, ma il suo nemico la lasciò ferita a
morte nelle viscere. Buonaparte periva, dacchè le vite degli uomini sono
corte, ma quelle dei popoli prima di morire si dibattono in lunga
agonia: le ossa di Buonaparte ora dormono in Francia, ma la sua
maladizione rode i precordii della Inghilterra come l'acqua tofanica.
Adesso, figliuolo mio, vuoi tu sapere chi vinse Napoleone, chi fece
capitare male lo smisurato suo concetto del blocco continentale? Noi
altri tarli.--Ridi? A torto ridi; chè molto minore cosa che non siamo
noi muove guerra alle città, e distrugge gli Dei. I conigli rovesciarono
le mura di Tarragona, e i topi rosero il simulacro di Giove in
Alessandria. Noi mercadanti, noi banchieri, noi contrabbandieri, noi
imperatori del metallo coniato, a cui si curvano i re, fanno di cappello
gl'imperatori, sorridono i papi,--e ce ne vantiamo;--noi potenza lenta,
implacata, implacabile, invincibile, e impalpabile, solleviamo e
precipitiamo chi meglio ci torna.--Io era giovane;--e o mi muovesse
talento di agitarmi, o di raccogliere tesoro, o secreto odio contro uomo
troppo potente e quindi funesto, o insomma pensieri più alti o più bassi
di questi, io mi ridussi a vivere in Malta. Quanto sa l'inferno
immaginare di avaro, di cupido e di audace per adunare tesoro, quivi
sembrava da tutti i venti della terra raccolto in generale adunanza. A
cotesta orribile assemblea pareva che il Signore avesse indirizzato le
parole d'Isaia:--_prendetevi un gran rotolo, e scrivetevi sopra in
istile di uomo: Egli si affretterà a spogliare, egli si solleciterà a
prendere_,--(c. 8, v. 18).--Dai suoi fianchi la isola versava migliaia
di pescicani in sembianza di corsari a percorrere il Mediterraneo
intenti alla preda, frotte di delfini gladiatori studiosi di rompere le
reti del blocco continentale come la lingua della balena: scorrevano
rivi di oro, di fango e di sangue, e intorno ai rivi si affollava
prostesa una moltitudine sitibonda di belve maschi e femmine con
sembianze umane.

Tra queste belve la più atrocemente feroce che io mi conoscessi era
costui...--cotesto tenerissimo Presidente. Al primo vederlo io
dissi:--Costui si chiama _Maher salab Hasbaz_!--Ei venne con moneta di
frode, cuore di pietra, e mani violente: cominciò ad esercitare l'arte
di mezzano di tutto,--merci,--peccato,--delitto... però la fortuna gli
svolazzava d'intorno come mosca molesta; lanciava la mano, e quella si
allontanava irridendolo: quindi più forte riardeva in lui la rabbia
dell'oro.

Tentò una via, e fu questa.--Condusse a fitto una casa, e studio fosse
o ventura, nelle botteghe terrene io notai un oste, uno armaiolo e un
caffè; al primo piano si teneva bisca, al secondo bordello; il terzo
abitò il Presidente, quasi trono condegno alla sua divinità. Quinci
come il ragnatelo dal buco muoveva le fila insidiose della tela.

Certo fondaco inglese, ricco di molti milioni di oro, si fermò a Malta
per raddoppiare smisuratamente gli averi, come persuade la folle
agonia agli uomini. Potente di danari, favorito dal governo, da menti
alacrissime ottimamente diretto, i suoi traffici in breve parvero un
uragano di lire sterline.--Preposto alla cassa era un giovane biondo e
bello e di gentile aspetto, di anni tra i venticinque e i trenta.
Spesso lo vidi circondato da masse enormi di ghinee, di luigi, di
dobloni; e me lo finsi un ebbro che corre intorno all'orlo
dell'abisso, sicchè talora mi venne fatto esclamare:--Dio di Giacobbe,
abbilo in guardia!

Chi lo traesse e come, io non saprei ben dirti, ma e' fu tratto alla
bisca: giuocò danari, ma pochi; lo vinse il fastidio, ed andò via. Il
pesce aveva bucato la rete. Il Presidente immaginò nuova insidia:
tanto vi si adoperò, che lo condussero come bove al macello; ma come
avevano preveduto lo prese la sazietà, e lasciò il luogo: ed ecco
andargli incontro, non la donna dei Proverbi di Salomone,--in assetto
di meretrice, strepitosa, e sviata,--ma una fanciulla cauta di animo,
dimessa nelle vesti, e in sembianza mesta, intenta tutta a ricercare
una moneta smarrita che aveva riscossa per certi pannilini lavati e
stirati:--e non le doleva già la moneta, ma il pensiero che la sua
povera madre, la quale abitava su nelle soffitte, l'aspettava per
comprarne la cena.

Il giovane ebbe pietà della giovane bellissima; e gentile com'era,
volendola aiutare e ad un punto non offenderla, finse unirsi a lei
nella ricerca, e trattosi destramente di tasca una moneta uguale alla
perduta, gliela porse dicendo averla trovata.

Qui sorrisi e grazie da una parte, e dall'altra lunghi sguardi e
benigni, perchè la fanciulla era bella.

E mentre il giovane si partiva, la fanciulla, posto il piede sopra,
inciampò nella sua moneta: fece atto di maraviglia, sembrò esitare un
momento, ma poi chinatasi presto la raccolse, e volgendosi al luogo
donde il giovane si era dipartito, scrollò due e tre volte il capo in
aria beffarda.

Allora il giovane prese usanza in cotesta casa; ma la fanciulla usciva
rado, e in ore diverse. Come aspettarla, e dove?--Quello che non potè
il giuoco lo potè amore. Appena gli restava ora libera, il giovane
correva alla bisca: un servo comprato vigilava su l'andito, e se la
fanciulla veniva, avvisava; ed ella passava, nè tanto spesso da
distrarre il giovane dalle fatali allucinazioni del giuoco, nè tanto
infrequente da disperarlo. La fanciulla, come quella che non era
composta di pietra, a poco a poco resa più domestica, di salvatica che
appariva in prima, porse le orecchie alle proposte dello innamorato
giovane. Dài oggi, dài domani, egli la persuase presentarlo alla
madre: veneranda matrona, vedova di capitano di mare, travolta dalla
fortuna a guadagnarsi con le proprie mani povera ed onorata
sussistenza, col mestiere della stiratora. Nè cotesta strettezza
l'affliggeva per lei, che ormai rassegnata vivevasi nei voleri del
Cielo, e vecchia e inferma sentiva esserle contati i giorni sopra
questa terra; però rincrescerle acerbamente della ragazza troppo più
con delicatura nudrita che al presente suo stato si convenisse, e che
pure, ove il Signore chiamasse lei alla sua pace, poteva peggiorare.
Ah! per cuore di madre quale acerba spina era mai questa!--e la misera
donna celatosi il volto con le mani piangeva lacrime sommesse per non
contristare la figliuola. A mano a mano vennero a mettersi innanzi
parole di matrimonio; ma subito insorsero difficoltà per via della
religione, chè la fanciulla professava religione cattolica, e il
giovane il rito anglicano; e la madre aveva fatto voto alla Madonna di
Loreto che la sua figlia non torrebbe marito ove non fosse puro sangue
ortodosso. La cosa tirava in lungo, e così si voleva: dopo molti
pianti e contrasti, e notti vigili, e giorni disperati, e fieri
proponimenti di morte, alla fine il giovane piegava; egli consentiva
abiurare, a patto che l'abiura rimanesse celata, la quale cosa dopo
non lieve dibattimento gli venne concessa. Vinto questo, ecco levarsi
altro intoppo, e per questa volta non dependente dalla volontà delle
parti. Or come avrebbe il giovane provveduto ai bisogni della futura
famiglia? Con la paga di commesso? Incerto troppo e labile
assegnamento: nè poterlo mai consentire la madre, educata a dolorosa
esperienza; saperlo pur troppo il suo cuore materno com'era dura
angoscia avere figliuoli, e rimasta vedova non trovarsi tanto da
comprare loro il pane.--"No davvero," la dabbene femmina esclamava;
"se la mia figliuola ha da durare povera, è meglio che rimanga
ragazza: a che pro mettere al mondo tanti infelici? La giovanezza
dello sposo non mi assicura; la morte non patteggia con gli anni; ed
anche il mio consorte, buona memoria, mi lasciò da giovane. Nè mi
assicurano meglio la sua capacità e la facilità dei guadagni: altre e
bene altre speranze io ho veduto appassirmi nelle mani! Anche il mio
consorte fu nelle cose marinaresche peritissimo, e dei venti chirati
della nave possessore di undici; e tutto questo un colpo di garbino
irreparabilmente distrusse. D'altronde, ambedue giovani potevano
aspettare: lo sposo attendesse a raccogliere danaro, e intanto si
differissero le nozze...."

Quando Canuto, re di Danimarca, alzava il trono sopra la spiaggia, ed
ordinava all'Oceano si guardasse bene sollevare la sua marea e
attentarsi bagnarlo, davvero era meno stolto di chi si sbraccia a
persuadere due amanti che differiscano le nozze.--Ma se tutto è un
giorno, un'ora, un istante;--ma se il desiderio infiammato può
spegnersi da un punto all'altro;--ma se pittori e poeti finsero le ali
allo amore perchè va via:--e con quale ragione volete voi che
aspettino? Passeggeri sopra cosa che passa, chi mi sa dire se il cielo
domani coprirà la terra? Quando l'amore può aspettare, egli è infermo
come i fanciulli che si astengono da correre: lo colse la gotta, male
da vecchio; l'amore dura vispo e lieto anche venti anni, ma se diventa
vecchio, in meno che non balena eccolo decrepito.

La fanciulla facevasi velo di lacrime alla faccia mansueta. Il giovane
ragiona, prega, e tempesta insieme. La vecchia in mezzo immobile come
il Destino. Il giovane disperato una sera entrò nella bisca; messe
grosse poste, e vinse duegento ghinee: poca cosa, ma bastevole a
sperimentare la fortuna, s'egli è pur vero ch'ella ami i giovani.--Fu
baleno d'inferno, e Mammone penetrò nelle vene del giovane con tutti i
suoi veleni. Da quella sera in poi sedè continuo intorno al tappeto
verde...

Se della probità del banchiere egli dovesse o potesse dubitare non
sapeva; certo però che a fraudare sembrava gli fosse chiusa ogni via.
E poi il banchiere ispirava proprio fiducia: bello di faccia, con
capelli copiosi e biondi egregiamente acconciati sopra la testa,
onesti i modi, lo sguardo benigno, il sorriso innocente; e quando
ripeteva la parola:--"Vado,"--per avvertire che estraeva la carta,
sembrava Gabriel che dicesse:--"Ave!"--Però il giovane, allorchè si
pose a sedere, fisse i suoi occhi dentro gli occhi del banchiere
provocanti, e simili a quelli del duellatore contro al nemico che si
apparecchiano a uccidere; ma il banchiere gli corrispose senza punta
ira, anzi con pietà, come volesse dissuaderlo da porsi all'avventura.
Durante parecchie sere le vicende del giuoco si alternarono ora triste
ora liete: e fu il tormento di Sisifo; dopo avere sospinto il masso
fino al sommo della montagna, tornava a rotolare giù fino alle falde,
ma non tanto avverse da disperarlo, nè tanto felici da renderlo pago:
parve cosa calcolata con sommo accorgimento per accendere con fiamme
inestinguibili cotesta natura piuttosto temperata. Alla fine la
fortuna prese a scoprirglisi a viso aperto contraria: rimesse il
guadagnato, sparvero di un tratto i risparmi raccolti a stento nella
voragine immane, e presto giunse al Rubicone dei cassieri,--alla cassa
del padrone. Bisogna confessarlo, la sua immaginazione non evocò
fantasma a spaventarlo, lui non turbarono le ambagi di Cesare: tanta
cecità lo aveva sorpreso, che si rinvenne mille miglia lontano dalla
riva prima di accorgersi che aveva passato il fiume. Quando se ne
accorse, non era più tempo per tornare indietro; l'amore, la vergogna
e il delitto, come le cagne studiose e conte dell'Ugolino, gli stavano
al fianco incalzandolo al precipizio.

Di tratto in tratto sopra l'onda burrascosa della sua anima le apparve
una sembianza atteggiata a mesto rimprovero,--la sembianza della madre
vedova e lontana; ma egli si affaticò ad annegarla, e l'annegò sotto
sconce libazioni di acqua vite.

Quando il giovane, dopo lunga meditazione, deliberò ingoiare un
bicchiere dello infame liquore a questo scopo,--allo scopo, dico, di
cancellarsi dal cuore la cara e buona immagine materna,--n'ebbe
orrore, e pensò avere commesso un parricidio.

Adesso lo sciagurato non conta più i danari: a piene mani tuffa nella
cassa altrui, a piene mani dà la pecunia sottratta in balía della
fortuna, che se la porta come l'uragano delle Alpi la neve minuta.

Certa notte, dopo una perdita tale che agli stessi giuocatori colà
convenuti pose spavento, sicchè gli avevano fatto cerchio all'intorno
lasciandolo solo, quasi soldato invaso dal furore della morte sopra la
breccia,--la voce del servo che disse: "Signori, il giuoco è
terminato!" gli traforò le orecchie crudele come la operazione del
trapano; traballò a modo di epilettico, e comprimendo un singulto
nervoso ch'ebbe a rompergli la gola, uscì dalla stanza, e si strascinò
verso le scale. Prima di scendere appose la fronte bollente allo
stipite di marmo per ricavarne un po' di refrigerio. Mentre stando
così appoggiato lo assalivano le amarezze della morte, una mano gli
batte lieve lieve sopra le spalle. Il sangue a guisa di lavacro di
piombo fuso lo percorse intero dal capo alle piante ricercandogli ogni
vena più minuta, ogni più sottile vaso linfatico; non ardisce muoversi
nè aprire gli occhi; quando una voce di compassione gli susurra
dimessa:

"Ahi! tristo voi, come siete tradito!"

"Tradito io? E da chi? E come?"

"Se io vi sapessi meno forte, mi parrebbe quasi carità tacere;--ma voi
altri siete spiriti gagliardi, e stasera n'ebbi prova al giuoco,
sicchè non dubito porgervi la medicina: a tutt'altro riuscirebbe
troppo violenta,--ma voi guarirà..."

"Infine parlate."

"Voi amate...?"

"Chi ve lo ha detto?"

"Lo so..."

"Dunque perchè me lo domandate?"

"Avete ragione. Ora dunque sappiate che la fanciulla che voi amate
v'inganna e vi deride;... perchè..."

"Perchè?"

"È pubblica meretrice..."

"Tu menti... O provalo o ti strangolo..."

"Io non mentisco: egli è per bene vostro che mi sono persuaso a
palesarvelo; e in quanto alla prova, animo, mio caro giovane! e
venite."

Questo uomo era nè più nè meno il Presidente.--Non gli fu difficile
condurre seco il giovane prostrato di forza fisica e di volontà, e
mentre lento saliva le scale porgendogli braccio, gli mormorava dentro
le orecchie:

"Qui al secondo piano abitano meretrici: la mala femmina mena vita fra
queste; finse povertà e albergo nelle soffitte, ma ella è delle più
famose del secondo piano, e tiene il luogo accreditato perchè
piacevolona, vaga di burle, e oltre modo disposta a sostenere una parte
in commedia: se capitava in buone mani sarebbe riuscita attrice unica.
La finta madre che le serve da mezzana non vale punto meno di lei. Io so
tutte queste cose per filo e per segno, perchè--figuratevi--sono il
padrone del palazzo."

Giunsero al terzo piano. Il Presidente aperse adagio l'uscio di casa
sua, ed invitò il giovane a entrare. Entravano e si trovavano al buio.

"Voi avete promesso farmi vedere... e qui siamo al buio."--Queste
parole suonavano come se fossero stritolate fra i denti del giovane.

"Silenzio: quello che ho promesso mantengo.--Porgetemi la mano."

Quegli gliela porse. Il Presidente lo condusse in altra stanza; colà
giunto si china verso il pavimento, e cava fuori cautamente un
mattone. Dall'apertura proruppe una luce vivissima... Sorse in piedi,
si accostò al giovane, e gli disse a voce bassa:

"Se vi aggrada... guardate..."

E il giovano guardò, e vide...

Un urlo disperato come di uomo ferito in mezzo al cuore riempie la
stanza. Dopo lunga ora il giovane risensato da grave svenimento si
trova giacente in letto, e vede il Presidente con amorevole
sollecitudine porgergli aiuto. Questi lo vide appena con gli occhi
aperti, Che levate al cielo le mani giunte esclamava:

"Lodato Dio! vi reputava più forte: invece di fare bene, temo avere
commesso troppo gran male, e ne ho rimorso. Figliuolo mio, perdonatemi
per carità... Conosco la esperienza essere stata acerba... capisco che
a queste prove cuore di uomo non regge... ma non vi lasciate vincere
dall'angoscia... coraggio... su via! Verrò a visitarvi... come posso a
consolarvi... perchè sento per voi viscere di padre."

E qui le parole amorevoli unite alle cure benevole furono infinite:
singulti non mancarono nè lacrime, e profferte di accompagnarlo a
casa. Il giovane allo improvviso balzò energicamente da letto; scosse
la testa, e levati gli occhi al cielo esclamò:

"Il Signore mi aiuterà: sento avere dato dentro a inique trame. Ho
traviato molto,--forse troppo; ma non v'ha errore che non possa
ripararsi con la fede in Dio, e col fermo proponimento.--Addio. Voi mi
avete guarito... io vi ringrazio."

E sì dicendo partiva. Il Presidente restava come trasognato, guardando
torvo e a traverso il pavimento; alfine esclamò:

"Cane d'Inglese...--Credevo che per lo meno si fosse gittato dalla
finestra, e invece vi si accomoda dentro come in un letto di rose.
Alla riscossa!"

La meretrice con larga promessa di premio persuasa a tradirlo,
comecchè nella laida sua condizione rimanesse, pure di cotesto forte
amore compiacendosi se ne sentiva lusingata, e fingendo affetto
incominciava ad appassionarsi davvero.--Così la farfalla volando
intorno alla fiamma abbrucia l'ale.--La misericordia non isdegna
raccogliere queste creature purificate,--a patto però che la passione
le purifichi come il fuoco, riducendole in cenere...

Il Presidente aveva pensato alla riscossa; e avviluppatosi dentro un
ampio mantello, col feltro sopra le ciglia, studiando il passo, con
moti obliqui, nel punto stesso in cui l'orologio della cattedrale
suonava un'ora batteva un picchio alla casa del signor Waltom. Il
picchio fu sommesso, e nonostante l'uscio venne subito aperto,
conciossiachè la casa del mercante si assomigli ad Argo: gli occhi di
coloro che vi abitano dentro non istanno mai tutti chiusi. Aperto
l'uscio, il sopraggiunto domandò favellare al signore Waltom, e
subito. Il servo risposegli che dormiva.

"Svegliatelo," insistè l'altro; e poichè il servo si mostrava
irresoluto, il Presidente, pestando forte del piè la terra, ordinò
imperioso:

"Va e sveglialo subito, perchè qui si tratta di morte e di vita."

E il servo spaventato, non senza farsi il segno della croce, scappò
via, non curando altra informazione.

Comunque paresse strano ricevere a colloquio in ora sì tarda un uomo
ignoto, pure le condizioni dei tempi, del paese, e dei traffici, non
persuadevano rimandarlo inascoltato. Il signore Waltom, ch'era persona
prestante molto, scese giù di letto, si gittò addosso una veste da
camera, e comandò introducessero il tardo visitatore.

Il Presidente entra.--Invitato con cenno a sedere recusa, e con
sottile arguzia imitando i modi inglesi diceva:

"Signore, la vostra mano..."

"Perchè?"

"Giuratemi su l'onore vostro che non sarete per isvelare mai il mio
nome nè quanto sono per dirvi."

Il signore Waltom, meditato un poco, risponde risolutamente:

"Non posso."

"Perchè?"

"Se fosse cosa che nuocesse al re, allo stato, a chiunque altro
insomma, il mio dovere sarebbe palesarla."

"Oh no, riguarda voi solo, e consento ve ne possiate giovare: solo
intendo che dobbiate tacere da qual parte vi viene."

"In questo caso parlate, e confidate sul mio onore."

"Bene!--Tenete presso di voi un giovane chiamato Guglielmo?"

"Sì."

"In quale condizione?"

"Cassiere di banco."

"La cassa vostra poneste in sua piena balía?"

"Dapprima no: ogni sera aveva a rendermi il conto e le chiavi;
sperimentata poi la bontà sua, oppresso dai negozi, trascurai questa
diligenza, e di presente facciamo i conti una volta al mese: le chiavi
ritiene sempre."

"Signore, duolmi annunziarvelo; voi siete tradito...."

"Possibile!" esclamò il mercante levandosi a mezzo da sedere...

"Uditemi.--Abito il terzo piano della casa ove tengono giuoco. Stasera
per avventura mi venne fatto entrare là dentro, e con sorpresa ho
visto il vostro cassiere giuocare, e perdere monti di ghinee;....
somme sicuramente superiori alla sua fortuna."

"Lo avete veduto voi?"

"L'ho visto: ed informatomi s'egli avesse usanza praticare quel luogo,
e se giuocasse sempre disperatamente in cotesta maniera, mi dissero da
molte sere mandare a male tesori da fare ribrezzo.--Ritiratomi in
camera ho dubitato lungamente se il mio dovere di uomo mi obbligasse o
no a porgervene avviso: mi è parso sì, e venni per questo. Adesso
buona notte, signore!--Spiacemi bene non avere incontrato migliore
occasione per fare la vostra conoscenza, ma potete credere che non
dipese da me."

"Buona notte, signore! Gran mercè dello avviso: state sicuro tanto
sopra la mia discretezza quanto sopra la mia riconoscenza."

Si strinsero le destre: se le scossero _more anglico_, da slogarsi le
spalle; e il signore Waltom pensò:--"Questa è una degna e rispettabile
persona."

Il Presidente guardandosi attorno uscì cauto, e rasentando le muraglie
con passi veloci, scorso ch'ebbe un lungo tratto di via traversò la
strada come ramarro nei giorni canicolari; quivi ristrettosi sotto le
muraglie guardò il palazzo dond'era uscito. Egli vide una finestra
illuminata al secondo piano: apparteneva alla camera che abitava il
cassiere; dopo breve ora il chiarore crebbe a dismisura, e
stropicciandosi le mani costui con compiacenza mormorò:

"La girandola ha preso fuoco!"

E sì che s'ingannava; imperciocchè senza aggravarsi l'anima della
nuova tristezza, cotesta vita tanto insidiata stava per ispegnersi.

Guglielmo ridottosi nella sua stanza aprì la scrivanía: preso un
foglio di carta velina, ed assettatosi con singolare compostezza,
scrisse: "Madre mia!"

E si fermò,--considerando le parole scritte...

Coteste lettere presero allo improvviso sembianza di forma umana,--della
madre sua,--che vedova e povera, per prova estrema di amore aveva
sofferto staccarsi dal seno l'unico figliuolo affinchè andasse a
procacciarsi sua ventura nel mondo, e nello abbracciarlo sul punto di
dargli commiato gli aveva detto, frenando le lagrime:--"Figliuolo mio,
dalla mia benedizione, e dalla raccomandazione di tenerti sempre davanti
gli occhi gli esempi paterni, a me non è concesso darti altro viatico; e
nonostante, queste cose ti potranno giovare meglio che danari e credito
presso persone potenti.--Tu parti da casa tua con due compagne, la
povertà e la probità: cerca di lasciare la prima a mezzo cammino, ma
guarda bene ritornare indietro senza la seconda.--Va dunque, e Dio
aggiunga alla tua felicità quella che i tuoi genitori avrebbero dovuto
godere sopra la terra!"--Poi quelle sembianze venerande si
scompigliavano, e le lettere mutavansi in altrettanti occhi gonfi e
screpolati di vene sanguigne, e già da tutti gli occhi pioveva un
diluvio di lagrime.

Dopo alcuno spazio dì tempo si provò a continuare la lettera, ma vide
con ispavento la carta diventare nera come se la morte l'avesse
coperta con un lembo del suo velo....--Infelice! senza accorgersene
egli l'aveva tutta bagnata di pianto.

Tolse un altro foglio, e scrisse da capo:

"Cara madre!"

E si fermò.... perchè--incominciò a pensare--se la spada del dolore ha
da passarle l'anima, spingerò io con la mia mano questa spada? La fama
le narrerà la mia infamia e il mio delitto, ma ella non vi presterà
fede.....--è tanto incredulo il cuore di una madre per le colpe dei
figli!--Così io morrò sicuro di lasciare nel mondo una creatura almeno
che mi ami, poichè nel duro passo al quale mi trovo condotto a me non
soccorre altro conforto.....--Oh non versiamo altro fiele nella tazza
già troppo senza fine amara.--E lacerò il foglio.

E nonostante,--indi a poco riprese a pensare,--e nonostante formerebbe
parte di espiazione raccontare la mia colpa intera:--certo lo annunzio
partecipato da me le sarà veleno, ma il sospetto di averla io in
questo istante supremo dimenticata l'attossicherebbe più acerbamente e
più presto.

Scelse un terzo foglio; lo accomodò sopra lo scrittoio, vi pose in
mezzo la falsa riga, e molto propriamente l'appuntò con cera bianca
perchè non iscorresse da una parte nè dall'altra e i righi venissero
diritti bene.

Veramente,--proseguiva meditando,--sopra la infamia del figlio così
ella non potrà più rimanere dubbia.... Non importa,--purchè nei pochi
istanti che le durerà la vita non rimanga neppure dubbia che la mia
tenerezza e la mia memoria non le mancarono mai.....

E accostata la penna, tracciò la prima lettera. Trovando poi che si
erano ingrossate le punte e tracciavano male il carattere, con un
pannolino attese ad asciugarle diligentissimamente.

Nè le madri--continuava tra se--per vergogna rinnegano i figli....
mai.... Sul trono o sul patibolo, lo immenso amore che sgorga dalle
viscere materne aumenta gloria o mitiga vituperio.--Ma la madre di
Pausania, che portò prima le pietre per turare la porta del tempio
onde fare morire di fame il figliuolo ricovrato là dentro?--È
menzogna.--Furono uomini quelli che scrissero cotesta favola, nè
ardirono scriverla se non aggiungendo:--si dice.--E col temperino
ragguagliò e pareggiò le punte della penna.--Se fosse stata una madre,
avrebbe smentito la fama bugiarda....

"Cara madre!"--vergò per la terza volta, quando allo improvviso fu
aperto con impeto l'uscio della camera, e una voce concitata lo
chiamò:

"Signor Guglielmo!"

Lo sciagurato giovane non piega il collo, non muta il fianco, e
persuaso venissero per condurlo al supplizio, esclama:

"Perchè tanto presto! Le ventiquattro ore non sono ancora passate."

"Signor Guglielmo, date ascolto."

"Scrivo a mia madre l'ultimo addio; raccomando la mia anima al
Signore, e sono da voi, perchè anche a me tarda finire: anche pochi
momenti in grazia.... per carità...."

"Date ascolto, vi dico;" ed una mano gli si posò su la spalla
scotendolo forte; ond'ei volgendo il capo vide il suo Principale.

"Ah! siete voi, signor Waltom? Vi aveva scambiato col carnefice...."

"Di simili errori è padre il delitto.--Dove avete le chiavi della
cassa?"

"Eccole."

"Levatevi, e andiamo a riscontrarla."

"Non importa..."

"A me importa moltissimo."

"Non importa, vi dico...."

"Perchè? Dite: perchè?"

"Perchè è vuota."

"Vuota!"

"Vuota."

"Ahimè!" esclama il mercante abbandonandosi sopra una sedia;--"il male
dunque è maggiore di quello che io immaginava! Domani dovrò sospendere
i pagamenti! Fallire!"

"Fallire.... oh no! Vi salderò.... stanotte."

"Saldarmi voi? Stanotte? E con che?"

"Oh io saldo tutti stanotte.... in verità...." rispose il giovane
dando in altissimo scoppio di riso.

"Miserabile! e ardisci ancora aggiungere lo scherno?"--vinto da
immenso sdegno proruppe il signore Waltom; e stretto il pugno
precipitò a percuoterlo nel volto.

"Non mi battete!" balzando in piedi con disperata passione urla
Guglielmo; e cavatasi una pistola di tasca la sporge verso il signore
Waltom.

"Scellerato! vuoi ancora levarmi la vita?" urla a sua posta il signore
Waltom tratto fuori di sè.

"Ma uccidetemi.... piuttosto.... in carità,"--prosegue Guglielmo senza
badare e forse senza udire le parole del Waltom.

"È dovere liberare da questo iniquo la terra" continua il Waltom, il
quale non udiva nè vedeva più nulla, non si accorgendo lo sciagurato
giovane avergli voluto porgere l'arme perchè lo uccidesse. Nel
concetto che avesse Guglielmo attentato ai suoi giorni, il signore
Waltom esce furioso serrando la porta a doppio giro di chiave, e così
come l'ira lo mena, in veste da camera, col capo scoperto, si caccia
giù per le scale, e corre ad accusare il misero giovane al Presidente
della Corte Criminale.

Lo insidiatore sentì aprire la porta di casa; vide precipitare un uomo
e correre alla sua volta; pensò fuggire, poi temè levare rumore,
stette e si rannicchiò. Il signore Waltom passandogli da canto come
folgore lo urlò, ma tanto l'ira il vinceva che non se ne accorse
neppure.

"Dove va costui?"--E lo seguitò alla lontana: in breve ebbe chiarito
ogni incertezza, vedendolo entrare nel palazzo della Corte
Criminale.--. "Per Dio! così non va bene: la matassa incomincia a
imbrogliarsi: procedure criminali non mi accomodano; basta mettere un
filo in mano a cotesti signori della Corte, che presto sanno dipanare
il gomitolo. A tempo sereno ogni piloto vale. Una buona azione! Ride
il Demonio.... rida.... il Demonio è uno stupido: se venisse nel
mondo, i borsaioli adesso gli ruberebbero la coda; egli è buono per
mettere paura ai bambini. Del gran cimbalo dell'universo bisogna
sapere toccare tutti i tasti.--Ora è mestieri vedere Guglielmo, e
poichè non si è voluto ammazzare, ed ha torto, persuaderlo alla fuga.
A me basta l'animo per trafugarlo e nasconderlo fino.... fino al
giorno del giudizio.--Certo io aveva immaginato il mio poema senza
tanti episodi, semplice come una tragedia di Eschilo, ma la fortuna mi
ci annesta sopra avvenimenti sì inaspettati e nuovi, che di classico a
mio dispetto divento romantico...."

Queste ed altre simili diavolerie fantasticando, con presti passi si
accostava alla casa del signore Waltom: la trovò chiusa; stette
alquanto sopra di sè considerando se fosse o no bene bussare, e darsi
a conoscere al servo che gli aveva aperto poco anzi: non gli parve
prudente. Allora, fecondissimo com'egli era di partiti, gli occorse un
ripiego. Perlustrata la via, raccoglie diversi sassi, e con bella
destrezza prende a gettargli nella finestra del secondo piano. I sassi
tratti da mano maestra arrivavano al punto: ruppe due vetri, ma
nessuno si affacciò; e sì che Guglielmo era nella stanza, e si vedeva
la sua ombra passare e ripassare traverso il chiarore della finestra,
e doveva pur sentire.

"Cane d'Inglese! ha il capestro al collo, e fa il superbo!"

Allora si attentò a chiamarlo piano dapprima; poi, urgendo la
necessità, a poco a poco più forte: invano! Nessuno si mosse. Ma
l'uomo dabbene ebbe avvertenza a tutto, e notando da lungi un insolito
rumore, si trasse curioso in disparte. In breve fu udito più distinto
un suono di voci concitate, di passi, e di armi; e indi a breve vide
passare il signore Waltom, magistrati, e guardie di sicurezza. Waltom
aperse l'uscio, entrò, e con esso gli altri, e richiusa la porta, ogni
cosa tornò in silenzio. Costui ritto, attaccato alla parete, non
fiatava; il cuore per paura di tratto in tratto gli dava dentro un
trabalzo, ma egli costringeva quel cuore ribelle a starsi quieto con
mano di ferro.

Allo improvviso scoppia un tiro di pistola, e subito dopo prorompono
diversi urli: un altro vetro della finestra del secondo piano vola in
pezzi, di cui alcuni cadono addosso al Presidente.

"E ci voleva tanto!" dilatando i polmoni con una lunga aspirazione di
aria esclamò costui: "così aveva immaginato, e così va bene. La
girandola ha preso tardi, ma ha preso. Adesso non mi rimane a fare più
nulla, e posso andarmene a letto e dormire tranquillo."

E ridottosi a casa si coricò difatti, e dormì tranquillo.

La mattina appresso la dolente nuova si diffuse per la città: si
fecero capannelli, corsero molte e diverse voci; le passioni come
acqua turbata a poco a poco si acquietarono; la casa Waltom soccorsa
opportunamente sì sostenne; nuovi e grossi guadagni ristorarono il
danno, e la superficie fredda ed unita degli affari coperse di oblio
cotesto avvenimento.

Guglielmo rimase spento sul tiro: essendosi sparato la pistola in
fondo alla bocca, la palla andò in linea retta a percuotere il cranio
sotto il cervelletto; trovato lo intoppo dell'osso, tornò indietro
traversando diagonalmente la testa, e spingendosi avanti il cervello
ruppe l'osso frontale con un foro tondo quanto uno scudo. Quinci
usciva in compagnia del cervello; ma il cervello come più casalingo
rimase in camera, e si adagiò per l'appunto sopra la lettera che
Guglielmo aveva scritto alla madre; la palla poi di voglie
viaggiatrici prese la finestra....

"Possa Dio seccarti la lingua come il tendine del tuo avo
Giacobbe!--Vuoi tu lacerti, Zabulone?.. tu mi laceri il capo.... or
come ti basta l'animo per raccontare con tante arguzie sì dolenti
cose?"

"Non ricordava i tuoi nervi di seta.--La belva era presa: si adunarono
per dividerne i brani sanguinosi: tra biglietti di banca, ghinee,
zecchini, napoleoni, ed altre monete di oro di ogni maniera, fu
trovato che il valsente carpito al defunto sommava a meglio di
ventimila lire di sterlini,--valore enorme:--due sesti ne toccarono al
Presidente, perchè così per patto; due sesti al gentil giovane dalla
chioma bionda che estraeva le carte dalla cassetta chiusa per
allontanare perfino il sospetto della lealtà sua nel giuoco; un sesto
alla madre, un sesto alla figlia--Ma la supposta figlia si fece
aspettare un pezzo, e poi non venne: andarono a trovarla, e piangeva.
La dileggiarono, la schernirono; ella indicava il cuore, e le
risposero con un coro di risa chiamandola: pazza! pazza!--ella prese a
piangere, e le fecero sfolgorare su gli occhi napoleoni nuovi, ghinee
di Giorgio IV ardenti e lampeggianti: ella supplicò a mani giunte la
lasciassero in pace, e tutti insieme l'ammirarono per la stupenda
attitudine a sostenere qualunque parte, anche la Maddalena penitente,
la Margherita da Cortona:--brava, bravissima per verità!

Tribolata con mille modi, impaziente di cotesta infame tortura con le
fibre più dolorose del cuore, la peccatrice cessa le lacrime allo
improvviso, con ambe le mani si tira i capelli dietro le orecchie, e
favella risolutamente:

"Levatemi davanti il prezzo del sangue! Guai a voi se lo accetto; io
nol potrò tenere in mano non altramente che se fosse un tizzo acceso,
e lo porterei al Magistrato, per impiccarmi poi come Giuda...."

"Dice davvero!" mormorarono i complici; e non se lo fecero ripetere la
seconda volta. Si restrinsero insieme per considerare i provvedimenti
da prendersi. La finta madre, siccome nelle donne vedemmo
ordinariamente avvenire, le quali sono per debolezza crudeli,
intendeva andare per la via più corta. Meglio avvisato, il Presidente
osservava doversi dare tempo al tempo, anteporre le arti di Fabio a
quelle di Marcello, imperciocchè la Giustizia, quantunque paresse
addormentata, pure ella dormiva, a modo della lepre, con occhi aperti,
e orecchie tese; quindi bisognava impedire ogni rumore. I complici se
ne rimessero alla prudenza del Presidente, che invero era molta; e di
più, dopo una lunga discussione, per cinquantamila lire fiorentine
egli si accollò a suo rischio e pericolo l'aggiustamento di questa
partita."--

Zabulone tacque.--Smanioso io gli domandai:

"Ma la Provvidenza consentì che andassero impuniti gli scellerati!"

"No, figlio mio: ma se taccio tu ti affanni nel dubbio; se parlo ti
addolori nella certezza...."

"Parla, Zabulone; parla, dacchè il silenzio mi nuocerebbe adesso più
della favella."

"Ferro, laccio e veleno adoperò la vendetta arcana che vigila sul
mondo, come altra volta il Tribunale della Santa Vema. Il biscazziere
abbandonò la isola continuando le sue truffe pel mondo. Scoperto baro
per singolare vicenda che ti narrerò un'altra volta, ai bagni di
Homburgo nel tornare a casa gli dettero di un coltello in mezzo al
cuore, e gli rubarono il danaro rubato.--Ladro di ladro non fa
peccato:--_gana min a gana plur_,--come diciamo noi altri; solo gli
lasciarono le carte, e gliele distesero per supremo scherno intorno
del capo a modo di raggiera.--La Mezzana, dopo varie vicende di vita,
prese a nolo un colosso nato a Como, che un bel giorno la lasciò
strangolata nel letto, e con le spoglie della casa sì salvò con la
cameriera in America.--La giovane peccatrice prese in odio il peccato
e il luogo della infamia: si ritrasse in una celletta dove visse poco,
e mantenendosi col vendere ora questa ora quell'altra masserizia. Il
nostro pietoso Presidente non cessò mai dì visitarla.--Se vuoi sapere
com'ella s'inducesse a sopportarlo, te lo chiarisco in breve:--con la
promessa di portarle alcuno oggetto che fosse appartenuto al misero
Guglielmo. Egli era troppo buon gentiluomo per mancare alla sua
parola: si procurò l'ultima lettera scritta dal defunto alla madre,
che non fu spedita perchè macchiata di sangue. Gliela porse il pietoso
con sembianza compunta; e l'avvertì a tenerla cara, perchè il cervello
del giovane era andato a cascare per lo appunto là sopra. La giovane
svenne, quindi a poco la sorpresero atroci convulsioni che fecero
dubitare della sua vita; ma il Presidente la soccorse con amorevolezza
veramente paterna. Vedendo com'ella risensasse a stento, egli disse:

"La cosa potrebbe andare da se; nonostante è bene secondare la
natura."--Sì dicendo le porse a bere certo suo liquore capace a
resuscitare un morto. Le convulsioni, i deliquii, i brividi lungo la
spina, i sudori ora freddi ora caldi, le fauci ardenti, le labbra
sitibonde, non cessarono più. Il Presidente, conosciuto il caso allo
estremo, senza risparmio di spesa condusse a un tratto quattro medici
di maggior grido. Tre di loro esaminarono poco, interrogarono meno, e
manifestarono tre diverse opinioni; il quarto, mio amico, vecchio ed
esperto, indagò molto e parlò breve:--"Questa donna muore
avvelenata!"--Ebbe del visionario, del pazzo e dello ignorante, e fu
licenziato: rimasero gli altri che, infierendo il male con
spaventevole rapidità, ordinarono i sacramenti. Il paterno amico si
recò dal Parroco, raccomandandogli stesse pronto, imperciocchè egli
volesse differire quanto meglio si potesse, però senza pericolo
dell'anima, coteste pratiche venerandissime certo e veneratissime, ma
piene di mestizia a cotesta sventurata fanciulla, la quale se aveva
molto peccato, aveva ancora molto amato, ed ora si sentiva trafitta da
compunzione ineffabile.

"Ahi padri! padri!"--esclamò pietosamente il Presidente; e si recò il
fazzoletto agli occhi quasi per asciugarsi le lacrime; e siccome in
questo atto gli penetrò un bruscolo di tabacco nelle palpebre
dell'occhio sinistro, gli riuscì piangere davvero. Il buon Parroco,
commosso a tanta tenerezza, pianse al suo pianto, e levò a cielo quel
dabbene uomo acceso di carità davvero, ma davvero perfetta. La sera
verso l'ora del _De profundis_ il Presidente arriva affannato alla
Parrocchia, e:

"Presto, Don Geronimo, presto accorrete," diceva al Parroco da
lontano;--"la poverina si muore; venga a confessarla, e porti seco la
pisside e la borsa dell'olio santo..."

Ma Don Geronimo, che pativa di gotte, sì era già posto a giacere;
nonostante balzò subito seduto sopra il letto, e siccome in quel moto
sentì certe trafitte che gli fecero vedere tre soli, pensò tra sè:

"Oh benedetta! poteva morire qualche ora prima:"--e subito
riprese:--"o piuttosto molte ore.... anzi anni dopo;--ma..." aggiunse
"l'uomo muore quando Dio lo chiama, e il sacerdote deve accorrere
sempre allo esercizio del suo solenne ministero..."

E volle gettarsi giù dal letto, ma non potè; e pian piano, aiutato dal
servo e dal Presidente, si vestì, reprimendo i sospiri che il povero
uomo offriva a Dio in isconto dei suoi peccati.

Dopo lunga ora sì posero in via: il Parroco sorretto dal Cappellano
andava avanti come poteva; il Presidente lo seguiva tenendo aperto
l'ombrellino di seta.--Avrebbe riso anche il diavolo.

Quando giunsero a casa, la peccatrice era moria. I tre sacramenti
rimasero a terra.

Il Presidente vide un foglio caduto accanto al letto; lo raccolse, e
conobbe essere la lettera di Guglielmo, dono atrocissimo della insidia
di sangue; lo bruciò, avvertendo che si consumasse intero; e quando fu
ridotto bene in cenere nera, si volse al Parroco in suono di
rimprovero e di dolore, ed esclamò:

"Abbiamo fatto tardi!"

E il Parroco chinò il capo umiliato.

"Maladetta gotta! Dio mi perdoni, perchè la gotta si può maledire
senza scrupolo di coscienza;--ma la contrizione l'avrà... anzi deve
averla salvala..."

"Così sia, Don Geronimo, Intanto non mi par bene divulgare che Ella
non fu a tempo a confessarla...--Don Geronimo capisce che ne
scapiterebbe il suo decoro. Le faccia un mortorio onorevole, e
suffragi per l'anima sua... quanti bastano; le dia sepoltura
cristiana... ed... io... pagherò... le... spese..."

"Oh non importa!" replicò il Parroco arrossendo... "a farle suffragi
mi credo obbligato anche io..."

"Oh bravo via. Don Geronimo... faremo mezzo per uno... nè tutto
pagato, nè tutto regalalo..." rispondeva il Presidente stropicciandosi
con soddisfazione le mani.--"Basta, io me ne rimetto alla sua
carità..."

Il funerale fu fatto e pomposo: la donna ebbe sepoltura in chiesa con
lapide di marmo bianco, ed epitaffio a lettere di oro, e il Presidente
fu dichiarato _insignis pietatis vir_, nè più nè meno dello antico
Enea.

Adesso pensa che il danaro non era poco, e poni in mano un ventimila
scudi a tale uomo qual è il Presidente, e tu vedrai quello ch'ei saprà
fare mediante traffici di ogni maniera, condotti con prudenza e
destrezza ch'egli possiede grandissime;--e aggiungi ancora che sovente
gli accadde di fare assicurare così per distrazione le sue navi e i
suoi carichi a Londra e a Costantinopoli. Fortuna volle che per lo
appunto quando meglio assicurava, e più perdeva; ed egli non già a
fine di male, ma proprio per distrazione, risquoteva le due sicurtà.
Insomma volle possedere tesori, ed ecco ei li possiede. Che cosa gli
manca? Egli ricco, egli accasato ottimamente, egli giocondo di
famiglia egregia, tenuto in pregio, blandito, festeggiato, lodato; già
illustre per onori ricevuti, e in aspettativa di nuovi, egli morrà..."

"Contento?"

"No"--drizzando la persona incurvata Zabulone ed agitando le chiome
grigie come un profeta in atto di maladire, proruppe con molto
terribile voce,--"lui non puniranno i rimorsi: questi non varrebbero a
spaventarlo; egli se n'empirebbe le materasse, e vi dormirebbe sopra
più morvido. Dio lo punirà nella sorgente del suo peccato. Egli ambiva
lasciare nome e famiglia di fortune e di pompe superba, e il suo nome
morirà con lui; egli seppellirà i suoi figli che lo conoscono, ch'egli
non può ingannare, e lo disprezzano; il suo retaggio andrà disperso
come un nuvolo di polvere sospinta dal vento. La mano del Signore
toccherà le radici di questa pianta maligna, e prima di morire vedrà
cadersi tutte le sue foglie maladette dintorno. Egli ha radunato per
riempire una fossa... Erede di tutti i suoi, egli vi getterà dentro in
confuso moglie, figli, e tesori... e Satana infine ridendo vi getterà
lui stesso.--La vita, o Gualberto, è un lungo conto corrente; ma prima
di morire, la coscienza, computista senza errore, tira a tutti la
somma, e quanto più ella tarda, o fa improvvisi i conti, tanto
maggiormente giungono pieni di paura. La giustizia di Dio vive e
governa. A ogni uomo verrà retribuito secondo le sue opere, e questa
persuasione unita a molte altre cause varrà non poco a migliorare
questa nostra specie.--Però le cose procedono lente al bene, spesso si
arrestano, qualche volta deviano: le generazioni umane, come le
generazioni delle foglie, ora nascono, ora muoiono; il verno le
disperde, aprile le rinnuova, e tu guarda al tronco che non muore mai.
La opera dei secoli non può conseguirsi in giorni o in anni, ma la
sapienza governata dalla speranza visse nei tempi passati, nei presenti
sonnecchia mercè le nuove ipocrisie, e vivrà in quelli che non furono
peranche generati dal volere di Dio; e tu in ispirito puoi assistere al
giorno della creazione, in cui furono appesi al firmamento il sole e la
luna, come al giorno della distruzione, ove una gran voce scrollerà
l'universo dicendo:--Basta!--E cotesti luminari si spegneranno a modo
di lampade a cui manca l'alimento.--Zabulone ebreo ti dava questi
ammaestramenti perchè ti consolassero, e tu tienli avanti gli occhi
come le tavole della testimonianza, ricordandoti quello che Rabbi Santo
favellava a Don Pietro:

    Por nascer en espino
    La rosa, ya no siento
    Que pierde; ni el buen vino
    Por salir del sarmiento;
    Ni vale el Azore menos
    Por que en vil nido siga
    Ni los exemplos buenos
    Porque Judio los diga.¹



NOTA.


_Pag_. 156.--(1) Rabbi Santo chiamava se stesso Don Santo Judio de
Carrion, perchè nato a Carrion de los Condes nella Castiglia vecchia:

    Señor noble rey alto
    Oid este sermon
    Que os dise Don Santo
    Judio de Carrion

Nacque sul principio del secolo XIV. Nel 1360 essendo già vecchio,
diresse a Pietro il Crudele, re di Castiglia, un poemetto
intitolato:--_Consejos y documentos del Judio Rabbi Don Santo al rey
Don Pietro_. Dicesi si chiamasse veramente Don Mose, e fosse chirurgo
del re. Attribuiscono a lui il poema:--_La Dansa general de la
Muerte_, o _Dansa Macabra_.





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