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Title: Messere Arlotto Mainardi - Pievano di S. Cresci a Maciuoli
Author: Guerrazzi, Francesco Domenico, 1804-1873
Language: Italian
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		MESSERE
		ARLOTTO MAINARDI
		PIEVANO DI S. CRESCI A MACIUOLI


		DI
		F. D. GUERRAZZI


		TERZA EDIZIONE


		LIVORNO

		GIO. BATTISTA ROSSI EDITORE

		FIRENZE                 NAPOLI
		LIBRERIA DEGLI SCOLARI  FELICE PERRUCCHETTI

		1868.



IL PIOVANO ARLOTTO



La presente Operetta è posta sotto la tutela della Legge sulla proprietà
letteraria, riserbandosi l'editore ogni diritto per agire contro
chiunque ne facesse contraffazione o ne smerciasse edizioni illecite e
contraffatte.

Prato, Tip. Giachetti, Figlio e C.



PREFAZIO


Occorrendomi venire per queste parti mi sembra spediente di chiarire chi
sia, e come e perchè io mi movessi da casa. Io sono il piovano Arlotto
Mainardi, e nacqui in Firenze il giovedì di Berlingaccio del 1396 dove
parimente senza il mio consenso mi toccò a morire il 27 febbraio 1484;
alcuni scrivono nel 1483; ma ciò non è vero, e me lo potete credere
perchè, ecco, io mi ci trovai presente. Mio padre si chiamò Giovanni, e
fu per tutto il tempo della sua vita scannato più di san Quintino, il
quale, come sapete, suonava a messa co' tegoli, onde al povero uomo
accadde di sdrucciolare nelle Stinche più spesso, che le palle di
biliardo non entrano nelle buche. Non pertanto io mi ebbi parente
l'Arcivescovo santo Antonino, che fu santo davvero, imperciocchè ci
hanno i veri santi nella medesima guisa, che ai giorni nostri troviamo
le verità vere, e le verità, che non sono vere.

Per le quali cose, io giudico che derivassero in me certe qualità che mi
accompagnarono durante la mia vita come sarebbe a dire la giocondità, la
malinconia, e il santo timore di Dio.

Per la carità della casa Neroni, ed anco un po' per lo aiuto del mio
parente Arcivescovo (che ai preti purchè il soverchio non rompa il
coperchio sovvenire i congiunti non disdice) ottenni la chiesa pievania
di san Cresci, ma intendiamoci bene quello a Maciuoli, non già l'altro
Cresci in val Cava, che è un santo nel calendario di quello sboccato,
che fu, Dio lo perdoni, Messere Giovanni Boccaccio. Questa chiesa tenni
sposa fedele a mo' di fedelissima sposa, nè per altra o più bella, o più
ricca io volli lasciarla mai; l'ampliai, la dotai di navate di colonne
di pietra, la imbiancai levando dalle pareti le immagini dei santi, che
non facevano frutto[1] ci misi la sepoltura famosa con la iscrizione,
che parlava così:

    _Questa sepoltura il piovano Arlotto la fece fare
          per sè e per chi ci vuole entrare._

  ¹ Disse allo imbiancatore che la figura di santo Antonino lasciare
    vi si poteva, non già quella che pur ci avea di santo Ansano a cui
    per devozione da niuno era mai stata accesa una candela. MANNI.

Voi avrete sentito dire, che io non sapeva leggere in altro libro,
eccettochè nel mio: ora questo è vero per metà, perchè sebbene io non
leggessi altro libro fuori del mio non per ciò io lo leggeva tutto;
figurava bensì svoltare le faccie, ma il mio cuore come i miei occhi non
andavano più oltre della prima, contenendosi in lei tutto quanto mi
abbisognava sapere, anzi mi pareva ce ne fosse d'avanzo. In fatti su
cotesta pagina ci si leggeva scritto:

«Non fare agli altri quello che non vuoi sia fatto a te.

«Fa' agli altri quello che vuoi sia fatto a te.» E per quanto me lo
consentisse la fragilità umana studiai, che questi due insegnamenti
fossero per così dire la sistola e la diastola del mio cuore: qualche
volta, io lo confesso, la voglia di rimbeccare mi vinse la mano, anzi
una volta l'Arcivescovo santo Antonino tuttochè parente mi mandò in
prigione, e fece bene; però desidero, che giudichiate voi stessi se io
meritava pietà non che perdono. Dovete dunque sapere che la mia nonna
buon'anima dette mio padre Giovanni all'avo Chinardo mentre egli
noverava appunto settanta anni, ond'è che trovandomi un dì in brigata
con certe femmine per avventura oltre al convenevole procaci, una di
costoro mescendomi da bere mi disse:--Sere, bevete di questo, che gli è
di Carmignano legittimo--e un'altra di rincalzo:--Bevete a chiusi occhi,
che gli è legittimo più di voi.--Allora scappatami la pazienza
risposi:--che credete, che a questo mondo non vi sieno femmine di
partito altre, che voi?--Questo è il peccato, che mi condusse nelle
carceri dell'Arcivescovo; avvertendo per la verità, che l'ultima parte
del discorso non fu proprio a quel modo, bensì in un altro, che non
importa dire. Da queste ed altre taccherelle in fuori mi mostrai sempre
piacevole, motteggiatore arguto ed anco onestamente maliziato: più che
potei giocondo conciossiachè provassi che un sorriso benigno vale a
sconficcare un chiodo dalla bara, e la tristezza va spesso attorno col
rimorso; di un tratto però io pareva pensoso, e ragionava con tanto
giudizio, e così gravemente sopra le faccende del mondo, che con
l'archipendolo alla mano non si sarebbe potuto andare più diritto.
Talora mi vedevano girmene aioni con le mani sul dosso, e il naso
all'aria pigliando diletto a vedere volare farfalle, e saltare grilli, e
tale altra correre come un ramarro per servire gli amici, soccorrere le
povere creature, e confortare gl'infermi. Nondimeno sia, che ridessi, o
mesto meditassi, favellassi o tacessi il buon senso avrebbe potuto
adoperare la mia immagine per autenticare i suoi decreti, come i
tabellioni costumano ai contratti col sigillo notariale. Insomma tanto
che vissi io fui, e morto durai ad essere il tipo vero dello ingegno del
popolo fiorentino, anzi carne della sua carne, e osso delle sue ossa,
una cosa stessa con lui, onde sepolto veramente tutto non apparvi mai, e
quando dopo trecento settantatre anni quel bello umore del sor Marco
Foresi venne a scotermi per le spalle nella mia sepoltura di santo
Jacopo in via dei Preti (imperciocchè com'ebbi per vivere due case una
in campagna, l'altra in città, così dopo morte desiderai possedere due
avelli uno in città, l'altro in campagna, che alle mie comodità o morto
o vivo io pensai sempre) mi rizzai in piedi, e mi posi a gironzolare per
le vie di Firenze, nessuno mirai che mi sfuggisse come il fantasma:
tutt'altro, tutti mi venivano incontro facendomi di berretta, e
salutandomi:--_Ben levato sor Piovano: ha ella dormito bene sor
Piovano?_--Ed io rispondeva: _Benone, e tutta una tirata senza voltarmi
mai._

Essendo stato sempre di mia natura curioso, subito cominciai a pigliare
lingua del come in Firenze ci si vivesse, e mi fu detta, che senza
scavezzarmi il cervello io andassi a leggere i giornali, e avrei avuto
il fatto mio, ed io andai pei giornali. Io l'ho da dire, cotesto
fradicio, onde mi parve, che la carta sudasse per la vergogna, cotesto
inchiostro fresco, che t'insudicia le dita, e l'odore nauseante di
grassume stantìo mi dettero sospetto di colta, e fu ragione,
conciossiachè indi a breve di leggieri comprendessi come la più parte
dei giornalisti si rassomiglino alle baldracche di carnovale, le quali
finchè portano la maschera sul viso ti paiono le mille lire, ma palesate
ch'elle sieno, tu te ne scappi lontano turandoti il naso. Tu hai a
figurarti le più volte uno sciagurato, che non fu buono a cavarci un
manovale ovvero un mozzo di stalla, che nè dalla natura sortì tanto
d'ingegno, nè dalla educazione acquistò tanto di dottrina da servire di
pedagogo ai ragazzi di Brozzi e di Peretola, ecco saltare su in _bautta_
a giudicare uomini e popoli, e accusatore, giudice, e boia condannare,
scoiare, e _squatrare_ qualunque gli pigli vaghezza. Anima di buona
voglia dannata compiacendo all'astio ch'è la febbre quartana della
ignoranza presuntuosa, Giuda condotto a nolo a tanto l'ora come i
_fiaccheri_ il miserabile attende rimpiattato dietro una lettera dello
alfabeto, ovvero anonimo a vibrare dall'arco fornito di corda filata col
pelo della volpe tutta l'armeria delle frodi, delle menzogne, delle
calunnie, e degli assassinamenti raccolta da Gano fino a Truffaldino.

Come sacerdote discreto io attesi rimediarci senza scandalo, provando un
po' se ci fosse verso di applicare ai tristi scribacchiatori certo mio
trovato, che fece la mano di Dio per liberarmi la canonica dai topi
l'altra volta ch'io ci fui nel mondo: e il trovato fu questo; chiappai
quanto più potei topi, e pel cocchiume gli misi dentro ad una botte,
dove gli lasciai tanto, che si divorassero fra loro; uno solo
sopravvisse, immane per mole, e per ferocia; e questo presi, e dopo
avergli appiccato un sonaglio al collo lasciai andare per casa, dove
così ferocemente continuò ad esercitare le parti di carnefice contro i
tipi, che San Domenico non fece di peggio contro agli Albigesi. Il tiro
era bello, ma non potè mandarsi a compimento perchè i giornalisti non si
lasciarono agguantare, allora raccolsi i giornali e ne feci un falò
pentendomi di tutto cuore della tentazione di leggere per questa volta
che io sono al mondo più di quello, che costumassi durante la prima, e
cercato, e ritrovato il vecchio libro deliberai risolutamente di starmi
come per lo innanzi all'unica pagina.

Voi sapete, che l'arte si può quasi dire, che ci culla pargoletti noi
altri italiani, massime fiorentini, però io Piovano misi subito, appena
risuscitai, un bene matto addosso al Rossini, al Niccolini e al
Guerrazzi, e siccome ad ora ad ora udiva taluno, che tagliava il
giubbone addosso a questi cari miei, io presi a studiarli bene per di
dentro e per di fuori, li macinai, li crivellai, o poi lì, come Aiace,
che difende le navi dei Greci, calata giù buffa me ne dichiarai campione
contro chiunque marrano a cui bastasse il cuore in corpo da venire
avanti; le difese mie naturalmente ebbero a parere più strenue per
l'ultimo imperciocchè contro di lui per essere balioso sempre, e non
anco vecchio, ed oltre a fare professione di lettere si versò nei
garbugli politici (gusti fradici!) vedessi più gagliarde e più spesse
rinnovarsi le offese.

A me pare averne ad acquistare merito però che quando non avessi avuto
come ho ragione da vendere, dovevano tenermi conto dello spirito buono:
ma no signore; ecco di un tratto sbucare fuori un fungo il quale non
avendo a contrappormi cosa che valesse, od onesta fosse mi trafora di
scancìo apponendomi l'accusa d'_idolatria_ per il Guerrazzi, e dopo lui
gli altri della cricca. Figuratevi quanto mi trafiggesse questa
calunnia, ed oltrechè veniva a ferire il mio carattere di sacerdote
ossequente a Dio, ed ai precetti suoi, mi metteva a rischio di trovarmi
sospeso _a divinis_ e mandato diritto come un fuso a fare gli esercizi a
San Vivaldo: conciossiachè se quel mio parente Sant'Antonino avesse
acconsentito a tornare meco nel mondo andava sicuro, che di soprusi non
ci era da temerne, e le ragioni le sentiva, ma coll'Arcivescovo di oggi
non ci è da gingillare e il meglio per noi altri poveri preti sarà non
capitargli sotto le sue benedette mani.

Però stesi un po' di scrittura dove alla meglio m'ingegnai a scolparmi
mostrando così in iscorcio le ragioni per le quali io non idolatrai no,
bensì mi venne in grado il Guerrazzi, e la portai allo stampatore perchè
me la stampasse. Io sono prete e aborro gli scandali, però vi dico una
cosa sola, e voi altri intendete più di quello, che io non vi voglio
dire. E' non ci fu verso di poterla stampare. Ora io dissi:--queste le
sono porcherie, e non possono piacere a Dio, nè agli uomini: innanzi
tratto ci sarebbe la grande benedizione, che noi non corressimo mai a
contendere fra noi; e poichè questo sembra, che non si possa fare,
almeno disputando ci astenessimo dagli improperii e dalle calunnie; e
caso mai per disgrazia sdrucciolassimo anco a questo si lasciasse libero
il campo alle difese come lo fu alla offesa. Quel voler dire, e volere
poi, che non ti sia risposto è roba da poltroni; le prepotenze ebbero
mai sempre virtù di farmi uscire dai gangheri, ed una volta questo mio
genio mi costò due fiorini d'oro, e tre lire di bolognini, ed ecco come:
essendomi recato un dì dopo vespro a visitare messere Antonio Picchini,
piovano di Cercina, mi venne fatto di vedere certa tela dipinta da
maestro Squarci, che fu garzone nella bottega del Ghirlandaio ove era
ritratto Gesù Cristo legato alla colonna con dietro un figuro lungo,
magro, colore di cece cotto, la faccia di avvoltoio che muta le penne,
il quale tirava giù come se pestasse il pepe:--ah! ghiottone, ah!
poltronaccio, presi a urlare, tu picchi perchè è legato, tu meni perchè
prima ti se' voluto assicurare, che ei non te le baratti.... to' piglia
questo--e menatogli un pugno lo sfondai, perchè in vista parea il
Capitano Cardone, ma poi, a fin di conto gli era dipinto su la tela....
per la qual cosa pagai a maestro Squarci i due fiorini, e le tre lire
perchè lo rabberciasse.

Questa volta non isfondai niente, ma risoluto a non patire violenza mi
ricordai di certo salvadanaio murato in un canto della vecchia canonica
dove riposi non so che danari, che mi furono pagati pel mortorio di
Messere Francesco di Neri Diotisalvi Neroni trecento cinquanta anni fa a
fine di servirmene in qualche repentino bisogno; lo trovai, lo ruppi, e
messimi i denari allato m'incamminai verso Livorno disposto venirmene a
Genova, dacchè il mare non mi fa paura, che fui un tempo cappellano di
Galera, e nove volte navigai in Fiandra.

A Livorno sperava incontrare il mio amico capitano Raimondo Mannelli, ma
lì seppi, che non aveva avuto voglia di resuscitare nè manco egli, e ora
quasi quasi mi sembra, che abbia avuto ragione. Cercai delle galere, e
mi risposero che non usavano più; allora mi mostrarono un macchinone,
che fumava, e presomi per un braccio mi avvertirono, ch'entrassi lì
dentro:--o che sono diventato un pane, che mi vogliate mettere in
forno?--Gridai io pure, tentando di liberarmi, ma la gente mi fece
capace come in grazia del signore Fulton (anche il Messere non usava
più) adesso si andava sull'acqua col fuoco. E fuoco sia, onde
m'imbarcai, e venni a Genova.

Quì sto, prima per istampare la mia difesa circa l'accusa appostami
d'idolatria; e poi se i quattrini mi ci arrivano, vo' dare una capata a
Torino per dire al Cocchiere che si è messo a cassetta:--fratello, con
queste bestiaccie che hai attaccato al carro fa di adoperare frusta, e
briglie perchè altrimenti, io dubito forte, che te, e noi non
iscaraventino in qualche precipizio; di' loro: voi siete al verde,
imperciocchè convoca l'assemblea se le cose hanno da procedere in regola
bisogna, che deponiate il vostro potere nel seno di quella che è il
principe: ad ogni modo voi avete a cessare dopo il voto dell'annessione,
vogliamo dire unione col Piemonte: smettete via la voglia di volere
morire a uso Argante.

    Superbi, formidabili, feroci
      Gli ultimi moti fur, le ultime voci.

Argante, pagano fu, e andò all'inferno, e voi altri cristiani, e dovete
volare tutti in paradiso se prima non sarete obbligati a fare una
fermatina al limbo per riverire il vostro amico Messer Pietro[1].

  ¹ La notte che morì Pier Soderini--l'anima andò dello inferno
    alla bocca,--ma Pluto gli gridò: anima sciocca--che inferno?
    Va' nel limbo dei bambini. MACCHIAVELLI.

Acconciate pertanto le cose dell'anima confessate le peccata vostre a
modo, e a verso, proponete di non peccare mai più e poichè siete in
fondo non vi tornerà difficile mantenere la promessa, e Dio
misericordioso, che ha le braccia tanto lunghe potrà pigliare anche voi.

Eccovi dunque chiariti del perchè io mi sia recato a Genova, e intenda
andarmene fino a Torino, siatemi cortesi di ospitalità come a quello,
che più degli altri sono fermo a formare con voi una casa, e mettere in
combutta ogni cosa; e poi perchè io per natura inchino al cortese, e
agli amici apersi in ogni tempo la casa e il cuore, sicchè se voi
verrete a San Cresci di Maciuoli fate ricerca di me e in casa, o nella
sepoltura mi ci troverete di certo dove vi renderò due cotanti più
festose e liete accoglienze. I calunniatori al solito vi avranno detto,
che io benedico i miei ospiti coll'olio: non date retta alle lingue
bugiarde, questo feci una volta sola a certi tristi, che mi chiusero
fuori di casa e mangiatomi il desinare ebbero il cuore di lasciarmi
digiuno; allora io per barattare lo scudo di loro con sette lire di mio,
quando vennero in chiesa li benedissi coll'olio. Io, da questa tattera
in fuori, vissi sempre da galantuomo, e voi lo potete credere perchè ve
lo affermo proprio io. Vivete buoni se desiderate vivere felici.

          =Arlotto Mainardi=
  _Piovano di San Cresci di Maciuoli
       nella Diocesi di Fiesole_



IDOLATRIA DEL PIOVANO ARLOTTO

PER F. D. GUERRAZZI


In certa bella città di questa Italia bellissima havvi un _Diario_ il
nome del quale è vietato rammentare per la stessa ragione per cui
Monsignor della Casa proibisce, che tra le urbane brigate ricordinsi le
cose oscene; vero è però, che il costume ha introdotto certe clausole
preservative, come sarebbe quella, con _rispetto parlando_, mercè le
quali, forse le si potrebbono dire, ma io penso, che quanto può essere
tollerato in un secolare disdica a un prete; però io me ne astengo
addirittura, conoscendo come per quanto ci si usi cautela da colui, che
parla di oscenità, egli non può impedire, che lo abbiano per
isboccato.--E poi se io l'ho da confessare mi trattiene una mia
devozione, che in altrui potrebbe parere soverchia, ma in un prete pari
mio non si ha da estimare mai troppa, e questa è la croce. Sì,
dilettissimi miei (scusate, che mi pareva di essere in pulpito), cotesto
diario va coperto da una croce. Lo so, lo so, che voi mi risponderete,
che come sul Calvario di Gerusalemme delle tre croci due spettavano a
ladri, ed una a Cristo, così in ogni altra parte di mondo si è
continuato e sbraciare croci alla medesima stregua; lo so, che voi
potrete eziandio avvertirmi come Gesù quando ammonì: _Non date il santo
ai cani_, forse profetando aveva in mente questi acquazzoni di croci; ma
siccome così su due piedi non si può distinguere se la croce sia proprio
del ladrone, ovvero di Cristo; e poichè cotesta indagine ad ogni modo
sconviene a sacerdote io mi taccio. Quando incontro un cantone con la
croce dipintavi su, sebbene io veda chiaro che la croce non valga a
salvarlo da tutto quello che si fa dietro ai cantoni, pure dico fra
me:--Colui (Dio lo perdoni) che mise la croce su quel canto certo avrà
avuto i suoi bravi motivi per farlo, e tanto a me per indole, ed
instituto discreto ha da bastare per non pisciarvi su.

Però se _honestatis causa_ non nomino cotesto diario, bisogna che mi
difenda da un accusa, ch'ei mi ha messo addosso d'_idolatria_. Se fossi
un uomo come un altro me la passerei con una scrollatina di spalle
secondochè le più volte costumo, esclamando: _Grullerie!_ ma come prete
io non vo' impacci con Monsignore Arcivescovo, nè correre il rischio di
essere mandato a fare per tre mesi gli esercizi all'Alvergna; gli è vero
che potrei ricorrere a Sua Eccellenza il ministro dei culti, ma mi par
meglio non ci ricorrere, se non fosse altro per non dare disturbi a quel
buon signore, che ama tanto la calma pensosa, ed ha ragione. Come prete
cattolico apostolico romano (veramente sono fiorentino, ma non importa,
lascio stare il romano per usanza) professo tre adorazioni: la _Dulia_,
l'_Iperdulia_, e la _Latrîa_, o per dirla in termini, che i cristiani
intendano, e non abbaino i cani, adorazione di Dio, della Madonna, e dei
Santi; quanto agli uomini, io piovano Arlotto, non ho provato, nè provo
idolatria, bensì reverenza ed affetto per coloro che con opere d'ingegno
crebbero il retaggio del sapere umano, o innamorano le menti rudi del
bello, le persuasero allo aborrimento del brutto; avvertendo che per me
Piovano il bello e il buono formano tutta una cosa, come del pari tutta
una cosa sono per me il brutto ed il cattivo. Due cotanti più
degl'ingegnosi poi piaccionmi i generosi; vero è però che per favore
insigne della Provvidenza di rado l'ingegno si scompagna dalla
generosità: ad ogni modo, per me Piovano, la mia mente s'inchina in
Santa Croce dove stanno sepolti Galileo, Michelangiolo, il Machiavello,
l'Alfieri, e.... il Marchese di Laiatico, ma il mio cuore vola sotto le
grondaie della chiesa di Cavinana dove rasente al muro giacciono le ossa
di Francesco Ferruccio.

Io Piovano, dichiaro pertanto non conoscere di persona Francesco
Domenico Guerrazzi; non gli ho mai parlato; seco non mi lega benefizio
ricevuto, nè pratica di vivere, e nè comodo che speri riceverne; perchè
io grazie al Signore non ebbi mai nella passata come in questa odierna
rinnovata vita altra ambizione eccetto quella di servire degnamente Dio,
e la Patria (e metto avanti Dio per riverenza, quantunque creda, che nè
Dio preceda la Patria, nè la Patria Dio, ma sì compongano insieme una
medesima spiritalità dove non ci è prima nè poi), inoltre poco è il
desiderio, e poco il nostro bisogno, onde la vita si mantenga; e per
ultimo il _fatto_ mio lo redai, e l'ho conservato, e non mi dà il cuore
nè mi stringe il bisogno di saltare su al risucchio della cassa dello
Stato come le mignatte si attaccano alle mammelle delle vacche quando
vanno a pascere nel pantano. Io dunque come uomo per fama si innamora,
presi a stimare il mio compatriotta perchè studiandolo bene nelle opere
senza amore nè odio, lo rinvenni per ingegno lodabile, e per generosità
anco più. Della vita privata taccio, perchè già i panegirici non si
recitano ad altri che ai santi, e a confidarvela in _camera charitatis_,
talvolta mi sono dovuto pentire di averli fatti anco per loro, come per
esempio quello a san Luigi Gonzaga, che si vergognava di levare gli
occhi in faccia perfino a sua madre per non cadere in tentazione[1]. Per
Bacco! Il diavolo della libidine doveva essersi impossessato davvero di
codesto ragazzaccio. Inoltre si ha da notare che i preti per bene
compongono i panegirici a quelli che morti operano miracoli, e la santa
madre Chiesa _romana_ (ci s'intende, e valga una volta per sempre)
registrò su l'albo dei santi. Ora il Guerrazzi vive; nè per quanto legga
le Gazzette io ho trovato fin qui, che egli operasse miracoli; circa
all'essere messo fra i santi della santa madre chiesa non so.... non
vorrei pregiudicare.... ma dubito che un po' di osso da rodere ci ha da
trovare anco lui. Questo solo sa il Piovano della sua vita privata, che
padre per elezione non per natura le parti di padre ei fece e fa con
amore, solerzia, e generosità certo non unica, ma rara e di molto; i
suoi famigliari invecchiarono con lui, e lo amano come fratello
carissimo; compagno delle sue fortune egli li condusse dovunque lo
balestrarono la sorte rea, e la più rea perversità degli uomini; nè soli
i famigliari, ma gli animali irragionevoli ei trasse seco, e degli
oggetti inanimati tutti quelli, che gli ricordano qualche fatto
domestico, a fine di mantenersi vivo nell'animo il culto dei congiunti.
Ora tutto questo, a parte ogni altro argomento, ci è prova, che grande e
tenace ha da vivere in lui la virtù d'amore.

  ¹ Il Piovano ha commesso un anacronismo.

Mettiamo dunque il nostro uomo sul trespolo della vita politica e
consideriamolo per di dietro, e per davanti. Il Piovano si compiace
trovare il Guerrazzi giovanetto di 15 anni alla Università di Pisa
salire invitato su i tavolini del Caffè dell'_Ussero_ e leggere ai
compagni i giornali della rivoluzione di Napoli; gli garba quando venuto
a Firenze dal Puccini il quale per cotesta lettura lo esiliava
dall'Università dirgli a viso aperto avere operato ingiustizia perchè se
colpa fu leggere cotesti fogli, egli non doveva commettere la insidia di
lasciarli esposti alla lettura: e come costui rispondeva non poterci
rimediare perchè la potestà sua era di punire, non di rimettere la pena,
il giovinetto soggiunse: _io vi compiango signore di tenere ufficio in
cui non potete fare altro, che male_. Il Piovano lo seguita nello studio
delle scienze, delle lettere, e della libertà; lo vede entrare in
corrispondenza con Giuseppe Mazzini indomato promotore di spiriti
patrii; ne raccoglie la eredità dell'Indicatore Genovese, e fonda in
Livorno l'Indicatore Livornese. Livorno, che a quei tempi spregiavasi
come la Beozia della Toscana, Livorno dove come sono desti gl'ingegni
così ci si trovano scarsi, o piuttosto affatto manchevoli i modi, e
gl'istituti per apprendere; quivi egli giovane educa i giovani nel culto
delle lettere, e della libertà avendo a compagno in questo quel Carlo
Bini, il quale dura meritamente cara memoria del popolo livornese, che
con pietoso ufficio andò a pigliarne le reliquie fino a Carrara dove
d'immatura morte periva, e dette loro in Patria onoratissima sepoltura.
E avvertite bene, che questo il popolo livornese volle fare non mica
perchè i parenti del Bini si trovassero con gli averi male in arnese;
tutt'altro, bensì perchè gli parve spettasse a lui dare a cotesto suo
figliuolo siffatto testimonio di riconoscenza, e di amore. Tale il
popolo a Livorno; non mica che anco là qualche cattivo soggetto non ci
si trovi, come si trova a Genova, e come da per tutto; che pesci senza
lisca non volle fabbricarne Dio con quelle sue sante mani, ma colà, io
che sono _Plebano_, cioè tengo usanza con la plebe, ho da confessare,
che il palpito dei cuori batte largo e veemente come l'onda del mare
sopra le aperte costiere.

Al piovano, va a sangue, che il Guerrazzi per tempissimo credesse sì
nella efficacia delle lettere ad acquistarci libertà, ma più ponesse
fede nelle armi, onde egli desiderato giovanissimo nell'accademia del
suo paese non ci leggeva mica versi di amore, od altre siffatte
buaggini, bensì lode ai forti popolani livornesi giunti a grado supremo
negli eserciti di Napoleone, e morti gloriosamente in battaglia.--Se
cotesta paresse voce capace di rompere l'alto sonno nella testa ai più
addormentati, voi lo avete a giudicare da questo, che il Governo senza
cerimonie confinò l'oratore a Montepulciano immaginando in grazia di
queste fitte persecuzioni sgomentarlo; per fortuna sua e nostra egli non
era facile a lasciarsi sgomentare. Il Piovano, che ha parecchi amici
anche in cotesta bella e felice città è informato che il Guerrazzi non
istesse lassù con le mani alla cintola, ma quello che allora operasse
qui non è spediente dire: giovi piuttosto raccontare come consumato
costà il semestrale confino egli venisse a Firenze dove molto prese a
frequentare la casa del Generale Colletta, che lo amò come figlio; in
cotesta casa riducevasi il fiore di quanto nostrano o ascitizio onorava
la nostra città, Giordani, Leopardi, Ciampolini, Ranieri, Capponi,
Niccolini, ed altri parecchi: e come le lettere varrebbero poco più
della livrea di uno staffiere, dove non insegnassero l'amore del vivere
libero, e lo studio di conseguirlo con ogni via generosa, così si
attendeva tra cotesta gente dabbene divisare i modi di venirne a capo.
Il Piovano sa, che cosa ci si statuisse; naturalmente il Generale
sarebbe stato preposto alla direzione del moto, ed è da credersi che non
avrebbe a sentirselo dire; ma il poveretto per colpa di certa infermità,
dono austriaco mentre viveva confinato in Moravia, esangue, e giallo
come una lucerna di ottone giaceva sopra un lettuccio; dunque si pensò a
qualche giovane feroce, di lingua prode, ma più di mano; e il pensiero
dei convenuti si volse al signore Avvocato Vincenzo Salvagnoli.--Sì
signori, oh! che ci è egli da ridere? Fu pensato al signore Avvocato, e
poi delegarono per lo appunto il Guerrazzi a fargliene la proposta: il
Guerrazzi andò, e nello studio del signore Avvocato Salvagnoli rinvenne
non lui, bensì il conte Terenzio Mamiani, che veniva dagli stati
pontificii nunzio della rivoluzione operata, a sollecitatore di aiuti.
Pur alla fine il signore Salvagnoli comparve, e udita la proposta ebbe a
trasecolare; non si capacitava si parlasse davvero di lui; capacitato,
dette in furore, ed imprecava alla malizia de suoi nemici, che gli
tendeva insidie per farlo capitare male, e levarlo di mezzo. Non essere
uomo egli da cotesti garbugli: mite avere sortito da natura l'indole,
mansueto essere stato educato dalla madre sua; mettergli ribrezzo la
vista del sangue; lo scoppio di una pistola farlo sbasire. Il Guerrazzi,
tra stupito e ridente, lo confortava a ripigliare animo; non parergli
dicevole bandire da sè la propria poltroniera; avrebbe dato per lui
scusa onesta. Bisogna dire, che il coraggio sia come la fede la quale ti
casca addosso quando te l'aspetti meno: conciossiachè questo non tolse
che il signore Avvocato non diventasse a suo tempo uno dei più feroci
bociatori: _fuori barbari_, che intronassero le orecchie di Italia.
Mancato Achille, i convenuti per la meno trista confidarono il carico
della impresa al Guerrazzi, ed egli lo accettò perchè ci si correva
pericolo; egli pertanto nottetempo corse a Pistoia, Prato, Pescia,
Lucca, Pisa e Livorno; quivi per interposta persona acquistò fucili, e
provvide spedirli a Firenze, ingannate le guardie; al punto stesso
inviava il suo fratello Temistocle a Empoli a pigliare la moneta fornita
dai Fiorentini.--Come la trama rimanesse sconcertata per colpa del
Libri, e di altri parecchi, mi astengo raccontare; questo vo' che si
sappia, che alla notizia del caso, il Guerrazzi accorse a Firenze
tentando pertinacemente rannodare i fili tronchi. Se sguinzagliati
dietro a lui lo cercassero gli sbirri lascio immaginarlo a voi, ma non
giungevano a mettergli le mani addosso; mutando egli ad ogni ora di
vesti, e di luogo, e dormendo sul nudo terreno; anzi una notte fino per
le scale del Liceo Candeli. Mirabile a dirsi! Un mercante livornese G.
A. Prinoth e nè manco dei più benevoli al Guerrazzi, saputo il pericolo
del giovane si recò a Firenze dove tenuta una carrozza di posta pronta a
partire fuori di porta romana riuscì a parlargli, gli fece toccare con
mano, che per allora egli era come un dare le capate nel muro, e lui
reluttante invano menò seco a Livorno. Il Governo cui per la paura
battevano ancora i denti si contentò di confinare il Guerrazzi dentro le
cerchia delle mura, e sottoporlo al precetto di ridursi alle
ventiquattro ore a casa. D'allora in poi il Guerrazzi prese l'abitudine
di ritornarci a mezzanotte sonata. Intanto esulava il Mazzini, e a
Marsiglia instituiva la setta famosa col nome di _Giovane Italia_; in
oltre egli stampava un giornale a cui dovevano comparire sottoscritti
tutti i componenti la setta. E si giocava di teste! Al Guerrazzi egli
rese questo bel servizio, che nel primo fascicolo della Giovane Italia
stampò senza licenza, anzi senza neppure consultarlo (ed egli stesso
nella prefazione lo dice) il suo scritto sopra Cosimo Del Fante generale
livornese, che gli avea fruttato sei mesi di confino. Non per questo il
Guerrazzi ricusò sovvenire al Mazzini, come a qualunque altro operasse
virtuosamente in pro della Patria, ma non a modo di settario, bensì
libero di fare, o di astenersi secondochè giudicasse spediente. Per
quanto io sappia dalla penna del Mazzini non uscirono mai parole in
detrimento della fama del Guerrazzi; non così i suoi partigiani che a
Londra e a Genova ne levarono i pezzi; ma il Guerrazzi longanimo così
allora sentiva, ed oggi sente del Mazzini:--quante volte ricordo il
giovane genovese, che nei giorni di angoscia, e di lutto non sapeva
darsi pace, che il fuoco della libertà fosse spento in Italia, e lo miro
con la fede degli apostoli, e la religione dei martiri cercarlo per le
tombe dei morti, ed in cotesti tempi più difficile assai nel cuore dei
vivi, e avvivarlo, mantenerlo, poi metterlo a sventolare sul candelabro,
io lo riverisco come Dio, e mi ami o no io non rinnego mai Dio. Perchè
non durò egli sempre nell'aere puro dei principii? Finché l'amore di
Patria fu religione soltanto egli ne apparve degno sacerdote; un giorno
però la libertà diventò impresa da combattersi in guerra, e partito da
discutersi nei parlamenti, o nei consigli dei principi, allora il
pertinace ligure, pare a me, si mostrasse impari a se stesso, o pagando
il tributo alla umana nostra debolezza tanto più presumesse comparire
capace quanto più si sentiva ignaro delle arti di milizia, e di governo.
Gli Americani dettero sepoltura onorata alla gamba, che il generale
Arnold perdeva pugnando per la Patria, il rimanente di lui (poichè si
fece traditore) consacrarono alla infamia; ora qui non si tratta di
traditore, Dio grazia, nè di tradimento, bensì di gesti operati bene,
altri meno bene, ed anche taluno per avventura male per la Patria, però
sempre con generoso intendimento. Perchè dunque e come i disonesti
vituperii? Perchè nel paese ove nacque più rabbiosamente che altrove si
lacera? Perchè i generosi suoi conterranei lo soffrono? Certo la lingua
turpe fa prova della turpitudine di chi parla; ma per isventura
testimonia ancora della vulgarità di cui ascolta. Perocchè come nelle
città bene ordinate gli ufficiali preposti alla salute pubblica
ricercano i cibi malsani, e quelli trovati buttano in mare, perchè gli
uomini, cibandosene, non intristiscano i corpi, così la urbanità ha da
pigliarsi il carico di raccogliere gli scritti disonorevoli, e buttarli
via affinchè non intristiscano gli spiriti. Studino soprattutto gli
Italiani a mondarsi del vizio della ingratitudine, conciossiachè la
esperienza abbia fatto toccare con mano, che i popoli ingrati se liberi,
sono alla vigilia di diventare schiavi, e se schiavi bisogna, che
depongano la speranza di mai più rivendicarsi in libertà.--E a me
Piovano questo sembra un favellare da uomini di cuore e di cervello
sani.

Andati anco per questa volta a male i casi delle Romagne, nello intento
di tornare da capo gli operatori di quelli rifuggivano in Toscana; i
più, popolo, non avevano a temere altro, che andare in prigione, d'onde,
dopo avere patito di ogni ragione disagi, erano cavati fuori per essere
sbalestrati in altre terre con la intenzione del villano che sterpa la
cicuta dal suo campo e la scaraventa sul campo del vicino.--Al Piovano
piace sapere, che se non unico, certo operosissimo ed animoso
soccorritore di questi mal capitati fosse il Guerrazzi; nè Livorno solo
potendo sopperire a tanta spesa, vi sopperirono Pisa, Lucca, Firenze,
Pistoia, Siena e Montepulciano insieme con Arezzo. Andava a cotesti
giorni famoso per infelice celebrità un commissario di polizia Manetti
di concetti bestiale, ma di modi anco più; costui recandosi nelle
carceri a tormentare dove il Guerrazzi recavasi a consolare lo
incontrava spesso con suo infinito disgusto, onde un giorno si attentò
fargli una bravata da mandar giù porta San Friano; il Guerrazzi stette a
udirlo fino in fondo, e poi gli disse:--Non ci bisticciamo, commissario;
voi fate la vostra parte, io la mia, e mi sembra che fra noi non avesse
a entrarci invidia, perchè tanto io la parte vostra non saprei fare, nè
voi, vedete, la mia.--E poichè da una carcere, che ha la porta su le
scale della fortezza vecchia uscivano voci di minaccia, e preghiere, e
gemiti, il Guerrazzi tanto disse, così con le persuasioni raumiliò
cotesta bestia, che si arrese a farla aprire. La carcere non aveva altra
apertura, eccetto la finestrina sopra la porta, sicchè n'eruppe una
frotta piuttosto di larve, che di persone, per fame, per febbre, per
vigilie e per difetto di vivido aere estenuate: fra queste il Guerrazzi
riconobbe l'Anfossi di Taggia allevato a Roma, anima leonina, ingegno
sovrumano, spirito irrequieto a cui se fossero stati più benigni od anco
meno rei gli uomini e i tempi, oggi la corona della gloria italica
andrebbe splendida di una gemma di più.--Non ad altro scopo, che per
avere un testimonio credibile, io Piovano ricordo il signore Eugenio
Alberi il quale albergato, giusta il costume del Governo toscano, nelle
carceri di fortezza vecchia, chiamò e non invano il Guerrazzi per le
occorrenze necessarie alla condizione a cui si trovava ridotto.--Altri
poi minacciava più fiera burrasca; chè si perseguitavano, cercavansi, e
ponevasi sul capo loro la taglia; di questi il comandante delle guardie
nazionali di Bologna; un tempo lo custodirono fra le montagne di
Pistoia; disperati poi di poterlo più oltre tenere con sicurezza i
Pistoiesi si volsero a Livorno, ed appuntarono lo avrebbero in certa
notte condotto travestito da donna in carrozza presso alla barriera
fiorentina dove è la forca di cui un braccio mette alla barriera,
l'altro fa capo alla porta San Marco. In cotesta sera il mio amico
vestito a gala si recò al teatro, e fece vedersi in più palchi; ad un
tratto se la svigna e arriva alla posta dove non mirando nessuno si
accoccola dentro la fossa di un campo, e quivi sta lunga ora, finchè non
arriva la carrozza: scambiatisi i segni, fa scendere il travestito, ed
ordina la carrozza continui il cammino per la barriera, egli si mette
per la via erbosa, ed introduce il proscritto in città. Fin qui la
faccenda procedeva a pennello; adesso era mestieri nasconderlo e
salvarlo. Il Guerrazzi lo mena a casa di certo amico, che abitava in
parte remota della città, questo amico chiamavasi Alessandro Nardi, e
credo sia anche vivo, almeno io Piovano finchè stetti di là non lo vidi
fra i morti... è vero, che io Piovano pigliava il fresco passeggiando
per le fornaci del purgatorio, ed egli potrebbe essere andato in
paradiso; ma non mi pareva uomo da andarci così di punto in bianco.
Basta tutto è possibile alla misericordia di Dio! L'amico non era mica
avvertito di niente; ma per cuore livornese non ci ha mestieri avviso a
fine di indurlo ad operare da uomo; lo nascose, lo albergò, gli fu
cortese di amorosa accoglienza. Il giorno appresso il Guerrazzi provvide
alla partenza di lui per la Francia, agevole incarico mercè gli aiuti di
Aristide Ollivier raccomandatario dei piroscafi francesi amico suo; e
verso sera il proscritto travestito da capo da acquaiolo col suo
cerchio, e le sue brave brocche pendenti dalle spalle seguitando da
lontano una scorta se ne andò fino alla fonte della darsena dove posati
il cerchio e le brocche, come è uso di cui arriva tardi per aspettare la
volta, si accostò alla barca, dove entrato di acquaiolo tramutavasi in
barchettaiolo, e preso come gli altri un remo si condusse a bordo del
_Sully_ mandando un diluvio di benedizioni a Livorno.--Se io le avessi a
contare tutte, farei una Bibbia; pure anche per una io vo' che me lo
consentiate, perchè ecco in questo la vo' spuntare, che intendo chiarire
come gli anni molti che passai la prima volta nel mondo, e i _tre_ che
ci vissi la seconda che ci ritornai non me li sono giocati a carte, e i
buffali sopra la neve li so distinguere anch'io--La contessa Barbara
Peretti è madre di quella bella ed onorata famiglia Fabbrizi, che
congiurò tutta contra il Duca di Modena assieme a Ciro Menotti, e si
trovò tutta a combattere in casa sua la notte ch'ei fu preso; andava
composta allora di quattro fratelli; due adolescenti; ma l'amore di
patria, e i feroci propositi non germogliano nei petti italiani con la
ragione del calendario. La madre dopo la catastrofe si dava a cercare i
corpi dei figli, chè, poveretta! li credeva morti; a caso rinvenne Luigi
vivo, e a mo' di colomba spaventata venne con ale tese a porlo in salvo;
lo istinto materno la persuase a commetterlo in braccio al Guerrazzi. O
Francesco Domenico ben puoi essere contento di questo; la fede che senza
conoscerti pose in te la madre derelitta ti fa più chiaro assai di
qualunque panegirico, fosse anco del Bossuet, che noi preti salutiamo
per aquila. Il Guerrazzi lo tutelò dagli sbirri; ci si pose con le mani
e coi denti; promise non sarebbe andato in prigione, e non ci andò; in
questo gli valse la benevolenza del Marchese Garzoni Venturi governatore
di Livorno, il quale:

    _Fu un fior di galantuomo pei suoi tempi_

come disse il Caporali di Mecenate. Però la sera fu forza mettersi in
mare, e il tempo volgeva alla burrasca, il sole si tuffava infocato,
l'aria incupiva ogni momento più; il giovinetto bellissimo portava un
berretto vermiglio alla greca, e i capelli proprio d'oro schietto gli
fremevano ventilati dietro le spalle. Un marinaro livornese nel vederlo
non potè frenarsi dal dire: «Dio salute! a considerare che questo bel
sangue se ne ha da ire fuori di casa mi crepa dentro il cuore!» Nè sole
le persone, ma carte private e pubblici documenti di suprema importanza
si confidarono nelle mani del Guerrazzi affinchè li serbasse, e gli
spedisse; tra gli altri conservò parecchio tempo i fogli spettanti
all'avvocato Vicini che fu presidente di Bologna; io so, ch'essendo
aperti, ei li lesse, e vi trovò cose di cui egli intende ragionare a suo
tempo a modo, e a verso per ammaestramento dei suoi compatriotti.

Adesso torno al Mazzini, che incocciato nella impresa della Savoia
chiedeva da tutte parti denari; e non importa dire se ne cercasse a
Livorno: il Guerrazzi opinò non si mandassero, perchè un moto predicato
da per tutto, conosciuto da quante erano polizie nella Europa, per
sorpresa non si poteva operare; alla scoperta, capire egli benissimo che
delle cose umane una parte e grande doveva commettersi alla fortuna,
massime nelle manesche; pure chiarire follìa questo buttarsi allo
sbaraglio con forze tanto dispari, anzi senza forze contro un nemico
armato di tutto punto, e che ti aspetta. Gli contradisse il Signor
Pietro Bastogi, che poi mutata fede fu banchiere della Restaurazione, e
cavaliere di san Giuseppe, e per ultimo dai nostri Caporali del _giorno
di oggi_ promosso a consigliere, quando essi mescolando insieme le
lesine con le mannaie crearono quella famosa consulta sigillo piccolo,
come l'Assemblea parve poi sigillo più grande dei partiti presi dai
prelodati signori Caporali. Tuttavolta i denari furono spediti, ed ecco
come. Il Governo in aspettazione di qualche sobbollimento mise le mani
innanzi, e fece una giacchiata alla cieca di quelli che avevano nome di
liberali in Toscana; chi veniva veniva, che quando si tratta di
agguantare non si bada tanto al minuto secondo la pratica di ogni
Governo, che ricevutala dal precedente tale e quale la consegna al
successore. Ora menerebbe troppo per le lunghe ricordare tutti i
prigioni; ci fu un Venturi, un Contrucci, un Boddi, un Vaselli, un
Agostini, Angiolini, Bini; del Guerrazzi non se ne parla nè manco, e con
altri un tale, che immemore di ogni dignità teneva perpetuamente in
mostra la sua faccia di plenilunio malato di febbre maremmana alla
finestra della prigione, e con le manacce coperte di guanti gialli
reggendo l'occhialetto sbirciava le donne recantesi a passeggiare al
molo di Livorno. Le donne in passando guardavano i mascheroni di bronzo
murati a fior di acqua della Fortezza vecchia e poi lui; e i mascheroni
di bronzo parevano loro più belli, e soprattutto più utili, però che
essi con la campanella in bocca agguantavano le navi, ed egli non
agguantava nulla, nemmeno le mosche. I quattro ultimi rammentati furono
spediti a Portoferraio. Il Guerrazzi sapendo come Napoleone I ci avesse
lasciato parte della sua biblioteca, chiese, ed ottenne che gliene
facessero copia come a Montepulciano il vescovo Nicolai gli aveva aperto
la sua, e a Portoferraio come a Montepulciano si mise a studiare libri
di ogni generazione, massime storici, e politici con tale un ardore, o
piuttosto furore, che a taluno parve poterlo battezzare col nome di
_fame canina_. Lì pure compose l'_Assedio di Firenze_; e il forte della
Stella può vantarsi di avere fra le sue mura visto sorgere il poema
sacro alla rigenerazione italiana.--Pei vani conati del Mazzini
perpetuamente conducenti al patibolo i più generosi, stavano gli uomini
sbigottiti, e la lucerna, se non appariva spenta, aveva affiochita la
luce, e di molto: a infonderci nuovo olio il Guerrazzi e gli amici suoi
divisarono stampare l'_Assedio di Firenze_, ma dove? In Italia non
bisognava pensarci nè anche: mandarono a Parigi, lo stamparono a proprie
spese, e questo libro, che arricchì molti stampatori, costò agli amici
del Guerrazzi e a lui 14,000 lire. Di coloro, che contribuirono alla
spesa, giovi al Piovano ricordarne due, uno il signor Pietro Bastogi,
allora amico del Guerrazzi, ed il signor Aristide Ollivier fratello di
Demostene, esule illustre a Firenze, e zio di quell'Emilio, che a Parigi
nel Parlamento è tanta speranza dei confessori della libertà di Francia.
Famiglia inclita nelle lotte della libertà è questa degli Ollivier, la
quale sempre sacrificandosi, e sempre moltiplicandosi non ha nella
storia chi la rassomigli, se forse non è quella dei Fabii di
Roma.--Gatti affamati non dettero mai così ardente caccia ai topi, come
le polizie di tutti i paesi si arrabattavano dietro all'_Assedio di
Firenze_, ed egli a modo della verbena si distese per tutta Italia da
Ciamberì fino a Trapani. Contro il Guerrazzi processi, perquisizioni e
molestie, che rinnovaronsi poi quando scopersero il manoscritto sepolto
nello studio del suo fratello Temistocle.

Molti, anzi infiniti, il Guerrazzi ebbe a patire disagi corporali, nè lo
domarono; i perpetui travagli dell'animo alla perfine lo vinsero, ed ei
giacque infermo tre anni, quando più quando meno, della trucissima fra
tutte le malattie, il tic doloroso del capo. Qui fu che, visitato dal
professore Matteucci, a lui che lo confortava a ridursi a più tranquilla
vita accettando una cattedra nel pisano Ateneo, egli rispondeva: un
giorno avergli sorriso questo concetto; adesso troppe ingiurie essere
corse fra il Governo, e lui perchè potesse compiersi senza scapito della
reputazione di ambedue: del Governo come quello, che male si sarebbe
creduto averlo comprato, suo, come quello, che peggio lo avrebbero
reputato venduto.--E pure da ciò trasse argomento un gentiluomo
cristiano per maculare la fama del Guerrazzi apponendogli per lo appunto
il contrario di quanto egli aveva operato; e quando? Quando egli
tradito, e oppresso, logorava la sua vita in quinquennale carcere
contendente il capo a suprema accusa, circondato da milizie, o piuttosto
da belve tedesche! E il sor Filippo Gualterio si vanta, ed è caporale
dei moderati. Dio ci scampi da questa razza moderati! Se tali opere
persuade loro la temperanza, che cosa possa insegnar loro la scapigliata
ferocia io non so davvero. Il signor Matteucci, non curata la tristizia
dei tempi, richiesto attestò vero il dire del Guerrazzi, calunnioso il
Gualterio. Certo il signor Matteucci va chiaro per la sua molta sagacità
nelle scienze fisiche, un po' meno per le politiche; ma il Piovano va
errato, o giudica, che un dì presso i Toscani _svegliati_, più delle
legazioni, delle commessarie, delle senatorie, delle cavallerie, delle
sue stesse sperienze su la torpedine gli meriterà affetto questa lettera
dettata generosamente in difesa di uomo generoso che i nemici suoi non
contenti di condurlo a morte, s'industriavano coprirlo d'infamia, ch'è
la morte dell'anima. Queste cose si sono viste nella civile Toscana! E
non pure viste ma tollerate; e non pure tollerate, ma sì per vergogna
immortale, celebrate e difese.

A me piace il Guerrazzi quando pertinace nel 47 negò fede al
risorgimento italiano per virtù del Papato: prete sono, sicchè come
Catone so in quale parte mi stringa la scarpa.

Il Guerrazzi, ingegno educato alle dottrine della scuola italiana, non
si adattava alle scapestrate fantasie del Gioberti cui pareva mosso
piuttosto da voglia ambiziosa di comparire nuovo, che da studio di
essere vero. Ad ogni modo quei suoi ragionari alla rinfusa gli facevano
l'effetto di ondate, che rompessero contro le severe e lunghe
meditazioni della scuola italiana. Gli è fiato perso; il regno di Cristo
non è di questo mondo. Gesù lo ha detto, e gira, e rigira, ci si
arrabattino attorno scribi, e farisei, argomentino furibondi e
contumeliosi, ovvero pacati ed urbani, la messa tornerà sempre a
mattutino; quanto più accosterai la Chiesa alla terra, tanto la
dipartirai dal paradiso.--Io l'ho da dire? il risorgimento italiano
promosso da Roma mi ebbe l'aria di flauto sonato da chi non sa pigliarne
la imboccatura.--Misericordia pei poveri orecchi! Però se il Guerrazzi
avesse in uggia le riforme non è a dirsi nemmeno. Le sono lustre per
parere, egli diceva; il pecorume se ne stizziva, ed egli lo gridava più
forte, che mai, e riducendola ad oro egli argomentava:--Con le riforme
torrete voi la potestà mondana al papato? Con le riforme torrete voi
dagli ugnoli dello Imperatore di Austria la Italia? Non le torrete. Se
durano Roma e Vienna, le riforme o mirano a cosa, che importi o a
bagattella; nel primo caso, non isperate che ve le lascino condurre non
che a fine, a mezzo. Credete voi, grulli! di gabbare Roma e Vienna
mettendo loro il diavolo in corpo, senza che se ne avvedano? Se le
approdano a bagattelle, o uomini moderati, pigliatevi i giocattoli di
Norimberga per divertirvi, non le vite, e non i cuori dei popoli. Il
popolo non è pargolo, che lo possiate tenere fasciato con le manine
dentro, e il cercine in capo; il popolo come un _forte inebriato, che si
desta dal sonno_, se lo toccate, assorgerà gridando: _armi!
libertà!_--Se questo presagite; se a questo voi vi apparecchiate; o se
questo confidate con ogni supremo sforzo conseguire, leviamoci col nome
santo di Dio, che perdere non potremo; imperciocchè morire in tale
impresa non hassi a reputare perdere.--Affermarono, che il signor Neri
Corsini domandasse _primo_ a Leopoldo lo Statuto, ed è vero; però primo
a domandarglielo in _Corte_, ma non per proprio moto, e dopo, che il
Guerrazzi aveva domandato, presente il signor Corsini, per parte del
popolo in _piazza_, e questo confessa il medesimo signor marchese a
parole da speziale nella lettera, che scrisse al conte Pietro Ferretti.

Accusarono allora i moderati, e più ardenti, che mai rinnovano l'accusa
adesso (perocchè sperino poterlo fare a mano salva) avere il Guerrazzi
sommosso il popolo ai disordini. Si potrebbe contrapporre, perchè noi lo
abbiamo letto, e per testimonianza universale si conferma, che primi a
chiamare il popolo a parte delle faccende politiche furono i moderati:
certo essi chiedevano coppe e venne loro risposto bastoni, ma tanto è
eglino e non altri implorarono primi aiutatore il popolo. Opera dei
moderati da principio la stampa clandestina, e lo incessante aizzare
contro il governo:--Voi agitate in _Città_, scriveva il sig. Ridolfi al
sig. Montanelli, io agiterò in _Corte_.--Io non riprendo per questo il
sig. Ridolfi; solo noto, che _in foro coscentiae_ questa parte a lui aio
del Principe non istesse a capello, ma _transeat_. Bensì mi tocca ad
appuntarlo di questo altro, che l'agitazione gli piacque, finchè non
ebbe spinto lui al ministero; allora poi volle licenziarla, come se
fosse la serenata, che costuma sotto le finestre delle case dove fu
battezzato il bimbo. Pareva al sig. Ridolfi, che, lui ministro, la
Italia avesse ad essere contenta, e ce ne fosse d'avanzo; la Italia non
se ne contentò ed ebbe il torto, secondo lui; però mettete in salvo
questo, che il marchese Ridolfi portato ministro non chiese lo Statuto,
e mi farei coscienza affermarlo, se non lo dicesse proprio _lui_ nel
decreto col quale egli, e i colleghi suoi dopo avere fatto per prima
cosa uomo grande il marchese di Laiatico, per la seconda lo mandano a
dormire in Santa Croce.

Però, vedete, l'agitazione popolare non uscì da questo, nè da
quell'altro uomo; tanto è vero, che Pio IX l'attribuì addirittura alla
Provvidenza; nè fino da quel tempo doveva parere lieve, dacchè egli la
paragonasse niente meno che alla voce di Dio, la quale _schianta la
quercia_! Poveri noi se gli venisse in capo di fare un po' di
conversazione col genere umano!--Per me giudico tale insania appuntare
il tale, o tal altro dei moti del 47 e degli anni successivi, che
dichiaro alla ricisa non potere capire in cervello umano, bensì la
reputo una delle tante stramberie di partito con le quali i moderati,
giovandosi della temperie che corre, s'industriano abbindolare il popolo
dandogli ad intendere, secondo l'usanza vecchia, lucciole per lanterne.
Andavano in volta grandi reami, e antiche signorie, come foglie di
castagno a mezzo decembre, per tutta la Europa, e voleva tenere ferma la
Toscana?--Cause di rivoluzione queste: i popoli smaniosi, da un lato, di
mutare gli ordini odiati; i principi non meno smaniosi, dall'altro, di
conservarli intatti; e non potendo in cotesto punto con la forza si
schermivano con le arti; se i ministri condotti al governo dal voto
popolare reggevano il sacco si dava loro l'_osculum pacis_, se non lo
reggevano si baciavano sempre, ma col bacio di Giuda.

Di qui un tira tira, uno strappa strappa, per cui taluno ebbe a
paragonare festosamente il governo toscano alla gallina pelata viva; a
questo modo gli ordini vecchi disfatti, non costituiti i nuovi, il
governo caduto in abbiezione, senza un concetto su cui fare fondamento,
senza un aiuto al quale potersi appoggiare; chi possiede grano di sale
non pure non ha a maravigliare se disordini avvenissero, bensì se non ne
accaddero maggiori. E poi ci era la faccenda delle armi, imperciocchè il
Governo non credesse possibile la guerra, e caso mai scoppiasse non la
voleva fare. I tumulti di Livorno nel principio del 48 derivarono
appunto dalle armi; chiedeva il popolo schioppi, e il governo li
prometteva a tutti, poi si atterriva, e armeggiava.--Ora il governo si
riprometteva non darne punti; pure se avesse avuto intenzione di darne
parte avrebbe dovuto dire: «che il popolo si armi sta benone; ma alla
rinfusa no»--poi ordinato con largo istituto la milizia cittadina questa
armare nei modi convenienti.--Il popolo scarrucolato dette di fuori;
irruppe in violenze, e peggio, e fu allora, che il Guerrazzi _chiamato
dal Governo_ si adoperò a sedare gl'infelloniti e ci riuscì. Se rimase
nella commissione per lo armamento ci stette per _preghiera del
Governo_, e come il signor Ridolfi mostrava il viso dell'uomo di arme
Celso Mazzucchi, che in ogni sua fortuna si mantenne onesto, si partì da
Livorno per farlo capace. Ond'è, pertanto, che il signor Ridolfi non
pose fede nel signore Mazzucchi magistrato, e persona dabbene? A me
Piovano non importa indagarlo. Fatto sta, che il signor Ridolfi
proconsole con pieni poteri accompagnato da molte armi venne in Livorno,
dal balcone sparse fogliolini stampati al popolo;--_confetti parlanti
ferocia e menzogna secondo il solito contro il Guerrazzi_; sorsero su
predicatori per tutti i canti predicando come codesta belva volesse
saccheggiare ed ardere la Patria.... e il popolo se la bebbe. O
popolo!... O popolo!..., O popolo!....

Un esercito, proprio un esercito (si conta fossero 4,000 uomini) andò ad
arrestare il Guerrazzi, che avvisato in tempo ordinò le porte del
palazzo si tenessero aperte; fu preso, gittato sul vapore, e
_incatenato_...--Queste catene gli tolse dalle mani un
carabiniere--facendo prova da non dimenticarsi giammai come un
carabiniere possedesse il pudore, la carità, e la giustizia che
mancavano a un moderato[1].

  ¹ Bisogna avvertire che quando il carabiniere venne per mettere
    i ceppi alle mani al Guerrazzi (cosa, si ripete, che mai osò
    veruno sbirro in Toscana) egli disse prima: «Caporale è zelo
    vostro od ordine ricevuto:» e quegli: «ma che le pare! è proprio
    del signor Ministro.» Intanto sopraggiunto il Comandante del
    Porto, signor Bargagli, visto il turpe atto, si mise a piangere
    di rabbia ed ordinò si levassero le catene; non l'obbedirono
    paurosi di trasgredire agli ordini del Ministro.--Avvertasi,
    inoltre, che su i bastimenti da guerra, mentre si naviga,
    tolgonsi i ferri ai prigionieri, perchè in caso di sinistro si
    possano salvare. Il signor Ridolfi ordinava si facesse alla
    rovescia.

Chiuso in carcere, e calafatata ogni fessura donde non che la voce, ma
il fumo non uscisse, la canatterìa dei moderati incominciò la sozza, e
rea persecuzione delle calunnie che o non mai fu vista più oscena al
mondo, o che se mai venne superata la superarono i moderati
adesso.--_Patria, Corriere, Italia_, tutti addosso; e questo due volte
per opera, e virtù del signor Giorgino; che a lacerare un meschino
_sotto giudice_, pendente il giudizio, non _isveniva_; a corrompere la
mente del giudice, a pervertire la opinione pubblica e gittarla come
calce viva sul misero col frenello alla bocca non _isveniva_ il
Giorgino; bensì sveniva sponendo il voto dell'Assemblea toscana di
unirsi al Piemonte dove non parve ci fosse materia di svenimento
davvero; non è egli tenerone di fibra il signor Giorgino? Sapete voi
come queste diavolerie si conchiudessero? Non volendo il Guerrazzi
uscire di prigione se non erano solennemente smentite dal Governo le
calunnie, il Granduca nel 22 marzo 1848 emanò un rescritto col quale,
dopo avere detto, che gli _atti obiettati al Guerrazzi si riducevano ad
una preordinazione per ispingere possibilmente verso una meta cui le
sopravvenute mutazioni in Italia hanno a noi permesso di prevenire senza
pericolo del nostro popolo_--sopprimeva il processo.--Certo non ci era
pericolo che per simili misfatti si mettesse a repentaglio di andare
prigione un moderato! Intanto ciò conferma la verità della nostra
proposizione, che non il signor Corsini bensì il Guerrazzi fosse primo a
puntare per la Costituzione.

Quando il Guerrazzi tornò a Livorno i suoi avversari paurosi avevano
preso il largo; ed egli diceva: «dopo la calunnia i miei emuli non
possono farmi ingiuria maggiore di quella di credermi vendicativo.» Nè
fu contento di mostrare la carità patria a parole, bensì avvicinandosi
il tempo delle elezioni, timoroso accadessero disordini in casa sua,
rinunziata con pubblico bando la candidatura a deputato, se ne
allontanava riducendosi presso Niccolò Puccini a Pistoia, che fu suo
amico svisceratissimo; quel Puccini il quale morendo, di ogni suo avere
fece erede il popolo per guarirlo delle due grandi piaghe che lo
affliggono _miseria_ ed _ignoranza_. I moderati lo chiamavano matto.
Signore! se nella tua misericordia ti degnassi ascoltare la voce del tuo
Piovano, vorrei tu ci mandassi quaggiù una serqua di cervelli che non
fossero niente più savii di quello di Niccolò Puccini.

Però la Toscana indi a poco ricompensava il Guerrazzi eleggendolo a un
punto deputato a _Dicomano_, a _Rosignano_, ed al collegio di _San
Friano a Firenze_. Veramente contraddittore del marchese Ridolfi egli
fu; ma s'ingannerebbe a partito chi pensasse, che per opera sua cotesto
nobile signore risegnasse il ministero. Tre erano allora fazioni, nel
partito aristocratico in Firenze, non mica distinte per principii
diversi, bensì per cupidità di imperio, le quali si unirono poi tutte
nell'11 aprile 1849 a' danni della democrazia, e due soltanto nel 27
aprile 1859. Di queste principale la setta Ridolfi come uomo di corte,
aio del principe, e presidente dell'accademia dei Georgofili; seconda
quella del Capponi, cui le altre irridendo chiamavano _la scuola storica
di via San Sebastiano_, perchè in cotesta contrada ha il marchese Gino
le sue case, ed egli fa professione di studio delle storie così patrie
come forestiere; e a lui mettevano capo il Capei Pietro, e il Giusti, e
non so quale altro di nome. La terza del Ricasoli, cui si accostavano il
prete Lambruschini, che il popolo prese a chiamare _Luterino_ per via
delle _riformine_ che egli abbacava imporsi non pure ai Principi bensì
anco al Papato, e il signor Salvagnoli; credo fosse con loro un Odaldi
pistoiese, uomo che sbalestrava a parole, e peggio a fatti, il quale poi
si accomodò col Governo restaurato pigliando lo ingoffo di spedalingo di
Santa Maria Nuova, e poi morì facendo dire che la era stata cotesta la
meglio azione, che avesse mai fatta in tempo di vita sua. Cattive lingue
ve'! Per me _requiescat in pace amen_. Sono Piovano e basta. Ora io non
so a quali di queste alludesse, ma ricordiamo tutti che il signor
Ridolfi, quando ci fece sapere che se ne andava via a cagione dei fischi
del paese, aggiunse ancora, che lo avevano i suoi cari amici pettinato
col mattone. Che nella opposizione del Guerrazzi contro al Ridolfi ci
entrasse ruggine, e quanta io non so dire, ma non meriterei di essere
stato confessore se io non lo credessi: uomini siamo non angioli, e se
non andassimo soggetti a tentazione voi vedreste il sacramento della
penitenza mandarsi al Presto come nella estate il coltrone: il che non
è, e voi persuadetevi, dilettissimi, che dopo la morte, la cosa che più
fie nel mondo, sarà sempre la penitenza. Chiedo perdono della
distrazione; anco qui pensava di trovarmi sul pulpito; e invece di
predicare, mi tocca a scolparmi della idolatria. Anche questo si aveva a
vedere! Adesso mi rimetto in carreggiata.

Della opposizione del Guerrazzi mi piacque la parte con la quale
eccitava perpetuamente alle armi; cosa in cui questi benedetti moderati
patiscono sempre del restìo. Egli propose la condotta del Generale
Garibaldi al signor Neri Corsini, ma questo buon signore con un
letterone lungo lungo com'egli sapeva farne affogò la proposta sotto
un'acquazzone di parole.--Tale merito non misero con gli altri nel
decreto, che mandò il Corsini in Santa Croce, ma ce lo metto io.--Vi
giuro da galantuomo, che se io non ero già bello e morto sarei cascato
in terra senza vita, quando lessi il signor Ridolfi scolparsi dalla
bigoncia dall'accusa dei mali provvedimenti militari così:--egli
detestare la guerra: questa accennare a barbarie; civile anzi
civilissimo il popolo toscano, però aborrente da' tafferugli maneschi;
non egli volerlo ributtare nella barbarie; e quanto a sè applaudirsi
averlo tenuto lontano dalle armi _eccetera, eccetera_.--To'! to'!
esclamai io, che novelle sono queste di faccia a un nemico, che minaccia
mangiarti vivo senza neppure sputare gli ossi? Oh! non aveva bociato
egli nel caffè Ferruccio che avrebbe dato addosso ai tedeschi egli, e i
figliuoli suoi co' sassi, e co' bastoni? Basta tiriamoci un frego sopra,
e andiamo innanzi. A me garba il Guerrazzi quando per mal governo
ridotta a pessimo partito la sua città, piena di morti, fatta campo di
guerra scellerata, dal governo divisa, caduta in mano a gente forestiera
audacissima, e nequissima con la quale già avevano capitolato non che le
fanterie gli stessi artiglieri con le fortezze, e drappellava all'aere
la bandiera rossa con fiere minaccie contro gli abbienti, egli, mentre
sbigottito il governo a quale santo votarsi più non sapeva, inerme, e
solo penetra traverso il laberinto delle barricate nella città, la
strappa dalle zanne dei facinorosi in mezzo agli estremi pericoli ogni
momento rinascenti, allo scoppio della polveriera, alla orribile strage
della gente là accorsa, al sospetto che nella moltitudine armata si fece
correre più volte, ch'ei fosse venuto a tradirla. Può darsi che io come
Piovano non me ne intenda; ma mi era parso, che questo fosse amore di
Patria, e di quello buono; se ho sbagliato, chiedo scusa. Il Guerrazzi
riagguantata la città, e abbonitala, tenendola da un lato pel morso, e
dall'altra reggendo la staffa disse:--Risaliteci su!--E il governo non
ci volle risalire, nè, astioso, consentì ci salisse il Guerrazzi; una
cosa di mezzo egli concesse, un partito capace di partorire stroppi
maggiori, vuoto di ogni utilità; tutta volta anco così fuori di squadra
il Guerrazzi rimette su la guardia nazionale, crea quella di sicurezza,
confida la polizia a spettabili cittadini, chiama il popolo a guardia
del popolo, accatta danari, che o gli danno, o gl'imprestano gli amici;
vigila giorno e notte; e la città come per incanto ritorna in florido e
tranquillo stato; anzi per un mese intero ci accaddero solo tre furti di
lieve importanza; sicchè se continuava a quel modo il diavolo falliva,
nell'altro mondo, e in questo il bagno si poteva appigionare; e tutto
questo fra gli ostacoli, che apponeva il governo pur troppo cruccioso
che il Guerrazzi riavviasse una città arruffata, mentr'egli l'aveva
nabissata tranquilla. Di ciò non si sapendo dar pace il governo si
attacca al Montanelli glorioso per ferita mortale rilevata combattendo
le guerre patrie; e si consiglia sguinzagliarlo alle gambe del
Guerrazzi; ma questi diritto si scansa; lo raccomanda con lodi meritate
ai suoi, e senza pure vederlo gli lascia libero il governo di Livorno, e
ciò per alcuni rispetti, non volendo, se fosse rincresciuto, che si
dicesse com'ei per mal talento lo avesse osteggiato, e, se riuscito,
come sperava, aborrendo si dicesse ch'ei si reggeva per consiglio
altrui, non già per virtù proprie.--Affermarono che il popolo fu aizzato
in Toscana per domandare ministro il Guerrazzi; il tempo ha chiarito
false coteste voci; spontaneo l'acclamò il popolo, spontaneo ne lo
richiese il Montanelli, spontaneo ne lo desiderò il principe pei
conforti del signor Capponi, e del ministro inglese; egli ricusò
recisamente, e più volte, ed accettò solo quando il principe gli si
disse disposto a renunziare perfino la corona se ciò fosse tornato a
benefizio dei popolo, però che egli si rammentasse _essere nato in Pisa,
e quindi come ogni altro pregiarsi di amare con cuore di figliuolo la
Patria_. O infelice, se tale tu avessi sentito davvero ora te non
accorrebbe esule Monaco di Baviera, ma il sole ti scalderebbe le membra
sopra le care sponde dell'Arno!

Diamo una giravolta al trespolo e miriamo un po' il Guerrazzi ministro.
Io piovano innanzi tratto, lo lodo chè amico della libertà della stampa
privato, non la rinnegò ministro, però che reputasse indegno di
governare chi teme il giudizio pubblico, e colui che comincia col
chiudere la bocca termina sempre collo incatenare le mani ai cittadini,
se questi a tempo non incatenano lui; la stampa medica le ferite della
stampa; sia lecito ad ognuno poter dire la sua; niente approda tanto
contro le ragionacce quanto le buone ragioni, e se il governo compia
davvero il debito, non dubiti che gli improperii dei malevoli saranno
uno abbaiare di cani da pagliaio. Rammentate la infesta _Patria_, allora
arsa a vergogna dal popolo? Il Guerrazzi e i suoi colleghi ordinano si
rispetti, e si pubblichi. _Libertà di parola ad ognuno_; il giornale lo
biasima? Che rileva questo? Nè anche Giove piace a tutti, dice il
proverbio antico, ed egli non si estima Giove davvero[1]. Ricordate la
_Vespa_? Questa non meno della _Patria_ lacerava a morsi il Guerrazzi, e
i colleghi; e noi leggemmo con quanta premura egli volle che fosse
difesa, e vendicata. Queste cose si sanno; non si sanno, queste altre,
che il più mordace degli scrittori di cotesto giornale visitando il
Guerrazzi nello esilio, e da lui accolto cortesemente, deplorò la
dicacità a cui piuttosto per intemperanza di sangue giovanile che per
mal talento si abbandonava cotesto giornale.--Fu egli infocato nei
rancori, o piuttosto porse le labbra santamente alla tazza della
Concordia come bevanda ministrata a sanare le infermità del corpo
sociale?--Giù la ipocrisia; udite come a tale che s'interponeva per
rimettere la pace tra lui e G. P. Bartolomei scrivesse: «Sarei un
_infame_ se per privati disgusti ricusassi anco un bacio per la difesa
della patria. Favorisci, ed eccita G. P. B.; per ridonargli la mia
amicizia anzi cotesta è l'unica via. Componga il battaglione subito.
Appena fatto lo manderò in Garfagnana e allo Abetone[1]». L'emulazioni
allora soltanto nocciono quando sono _codarde_, dice il Guerrazzi, ed io
Piovano confermo.

  ¹ Dispacci Elettrici.

Adoperò il magistrato come arme insidiosa a perseguitare i suoi nemici,
o piuttosto come scudo a proteggerli? Eh! ogni uomo se ne può chiarire
quando si buttò giù in piazza a strappare dalla furia del popolo il
figliuolo di Baldasseroni. Il cavaliere Giovanni per non essergli grato
disse, ch'ei fece il suo dovere: certo fu dovere; solo può domandarsi al
sor Giovanni: _ed ella lo avrebbe fatto?_ Ancora, non fu un brutto
momento quello in cui egli salvò il Lenzoni ed il Fornetti dalle branche
del popolo? Credo di sì, perchè ci fu persino chi gli sparò dietro una
pistola che portò via un orecchio al portinaio del ministro
d'Inghilterra.--Di questi due grato ne rimase il secondo, il primo no;
ma quegli nacque popolano, questi patrizio, e nobil sangue non può
fallire: il Fornetti ebbe per patria Livorno; l'altro...? Gl'ingrati non
hanno patria.--Le proprietà del Bartolomei e del Ridolfi con affannosa
cura furono da lui vigilate; e quando i livornesi insultarono di
passaggio a Empoli il Ridolfi, il Salvagnoli e il Samminiatelli, scrisse
il Guerrazzi al governatore di Livorno così: «Questi fatti non si
possono tollerare: ella richiami i livornesi che vennero a Firenze, li
mortifichi, e se la legge dà luogo a pubblica accusa, faccia accusare, e
provochi le pene che saranno di giustizia. Se hanno creduto mostrarmi
affezione con queste grida forsennate, dica loro che hanno sbagliato
grandemente; mi hanno offeso. Devo come magistrato difendere tutti; _e
se in questa mia condizione mi fosse permessa qualche parzialità, dovrei
usarla appunto in proteggere coloro, che più mi nocquero. Così vuole la
magnanimità del popolo che io rappresento, e sento potere
rappresentare_». Di questa lettera si trova la minuta tutta di pugno del
Guerrazzi negli archivii dello Stato; non era composta a comparire su i
giornali per accennare coppe e poi buttare denari, come ne corre adesso
il vezzo. Ora io Piovano credo, che questo sia parlare da cristiano, e
da uomo degno; ma caso mai sbagliassi, son qua per recitare il
_confiteor_. Credeva che la morale eterna, eternamente stesse ad un
modo, ma può darsi che ora non sia così, e muti foggia secondo il
modello che ci viene di Parigi; che volete ch'io povero prete ne sappia?
Compatite la ignoranza.

Mi piacque, e di molto il Guerrazzi quando alla guardia di polizia, che
solo per fuggire nome odioso, si appellò municipale volle cresciuta la
paga, e al principe, che diceva: è troppo! oppose: non è troppo, perchè
a cui agguanta i ladri bisogna torre ogni causa per divenirlo egli
stesso; che se per necessità ruba, allora non ci è coscienza a punirlo.
Se per tanto oggi i giandarmi tirano soldo da potercisi schermire ne
devono obbligo al Guerrazzi. Se non avessi saputo da quanti vennero nel
mondo di là quello, che il Guerrazzi operasse alacre, indefesso e tenace
per la retta amministrazione dello stato io non lo avrei mai creduto; ma
ai morti bisogna credere, conciossiachè non so come vada questa
faccenda, ma è sicuro, che le anime tutte appena spogliate del corpo
diventano sincere; e poi tornato di quà lo lessi pei libri, e pei diarii
stranieri, e nei dispacci, che i ministri esteri residenti in Toscana
mandavano ai proprii governi; e per ultimo la dichiarazione di Niccolò
Tommaseo vale per mille, però che lui meritamente la Italia onori come
uomo nel quale la bontà è vinta soltanto dalla sua immensa dottrina:
egli pertanto schietto e leale così gli scrisse: «N. Tommaseo desidera
attestare al M. Guerrazzi (le grullerie dei titoli erano state abolite)
la sua gratitudine non solo per quanto fece, e bramò in pro di Venezia,
ma per quanto egli parla ed opera in difesa di quell'ordine dignitoso e
leale fuori del quale la Italia non troverà, che ignominie.» Lo
appuntarono della bandita legge stataria; e non egli lo mise;
all'opposto fu egli, che la levò: appuntaronlo eziandio di elezioni
violentate, ed anco gliene mossero accusa formale; ma l'accusa cadde
senzachè ei pur si degnasse difendersi; difatti il ministro inglese
informava il 30 dicembre 1848 il suo governo: «le elezioni interrotte
per violenza degli agitatori vennero compite sotto la più energica
protezione del governo». Il popolo però aveva ragione di pigliarsela con
cotesta legge elettorale; ma aveva torto di procedere a tumulto: difatti
cotesta legge dettata dalle repugnanze, o dalle paure del potere
assoluto che con infinita amarezza era costretto a trasformarsi creava
un paese _legale_ diverso, anzi pure in contrasto col paese _reale_. In
questo modo si ottengono simulacri di opinione mentita, non già la
testimonianza della opinione vera; e i partiti allora diventano manette,
che i meno mettono al polso dei più; donde poi le gozzaie, i pessimi
umori, e i perpetui sconvolgimenti; conti aperti con la rivoluzione, che
i Caporali cortesi, dove potessero sarebbero capaci di saldare più tardi
facendo sangue.

Io Piovano lo predico a cui lo vuole, e a cui non lo vuole sapere;
faccio di berretta al Guerrazzi quando domando: a quale dei suoi parenti
dette officio? quale degli amici suoi promosse? piuttosto quale dalle
cariche respinse per causa, che gli aveva proceduto avverso?--Al
contrario in quei tempi corse, e tuttavia dura la voce, che per ottenere
favore da lui bisognava essergli stato nemico.

Egli non fu ricco mai, chè quella po' di roba che si trova la mise a
parte co' suoi sudori, quantunque non avesse casa a Firenze, e gli
tornasse grave mantenersi costà, pure ai suoi colleghi e a lui parve,
che nelle angustie della patria il cittadino dovesse tenersi pago al
necessario; però ridussero lo stipendio ministeriale a 10.000 franchi
annui; e il generoso Mazzoni contrastò lungamente per rifiutare ogni
compenso, nè si tacque se nonchè quando gli mostrarono come ciò non
convenisse.--Io Piovano, che ho potuto vedere i libri di amministrazione
del Guerrazzi, so com'egli nel ministero rimettesse del suo più del
doppio dello stipendio: non dimanco la Commissione governativa, appena
lo ebbe ristretto in carcere, gli istituì addosso un sindacato composto
dei signori Tartini, Gargiolli e Galeotti perchè indagasse s'egli avesse
grancita qualche parte della pecunia pubblica. Il solo sospetto per cui
fu istituito il sindacato parve a taluno ingenerare offesa; e sia laude
al vero egli non cadde manco per ombra nella mente al Granduca il quale
fece dire al Guerrazzi essere lieto, che non gli mancasse pure una
spilla; cui questi fece rispondere: «e' s'inganna; gli manca un
asciugamano rotto che se nol contrasta, io terrò per memoria di quello,
che si guadagna co' principi» Non importa dire, che non richiese il suo
asciugamano il Granduca. Però il Guerrazzi non si arrecò punto del
sindacato della Commissione governativa, anzi lo ebbe a caro, e a quanti
si maravigliavano di questa sua placidezza, egli aperse il suo Valerio
Massimo e mostrò come al luogo dove cotesto scrittore racconta che
domandandosi a L. Scipione conto di 4 milioni di sesterzi mentr'egli
stava per porgere lo specchio al Tribunale, il suo fratello l'Affricano
arraffato lo specchio lo mise in pezzi dicendo, che la fama e la
condizione degli Scipioni gli assolveva da ogni rendimento di conti,
avesse posto una nota, che diceva così: «Scipione per questo meritò
l'esilio; imperciocchè un cittadino che tale sentiva, ed operava non
poteva più dimorare in Roma senza pericolo della repubblica:» e va bene.
Da ciò imparino _le anime infelici nate sotto la costellazione dello
staffiere_ come della libertà si pensi, e si ragioni; costoro ad ogni
parola che si muova per la libertà, urlano, «e' lo fa per ferire i
nostri riveriti padroni e signori». Grulli! Che stima volete, che si
faccia di loro se non si può parlare di libertà senza che gli entrino le
convulsioni? Mercè di questo sindacato si conobbe come egli quando co'
suoi colleghi venne al ministero trovasse lire fiorentine 300 in cassa,
e non so che soldi; e come vedete non ci era da stare lungo tempo a
tavola; si conobbe eziandio, che per più giorni il Governo pagò co'
denari imprestati da amici livornesi, e con quelli del signor Adami, e
suoi; si conobbe che i buoni del tesoro di cui si dissero sperpetue non
iscapitarono mai alle mani del ministero democratico dieci per cento;
mentre oggi creando imprestiti all'ottanta pare toccare il cielo col
dito; e per ultimo si conobbe s'elle fossero rettoriche, o verità prette
quelle parole ch'ei disse ai signori che tennero il ministero innanzi a
lui: _voi ci lasciate lo Stato come il morto in mano al prete: per
benedirlo, e per sotterrarlo!_ E molto in questo cittadino mi
talentarono la modestia, la pazienza, la parsimonia, e la occupazione
sue. Dissero, ch'egli ostentò fasto regio, e simili altre fandonie, e
tutti sanno com'ei dormisse sopra un letto da domestico, e nella stanza
tenesse una tavola di legno senza nè anco tingere. Lo appuntarono
altresì perchè essendo egli segaligno e freddoloso si riparasse con
pelli: lo accusarono di valersi di corsieri appariscenti, e al contrario
tolse un cavalluccio addestrato per femmine non potendo sopportare
movimenti troppo aspri; nè ciò mica in diarii giocosi, sboccati; bensì
in iscritture che si ebbe il coraggio di chiamare storie; che Dio a cui
ciò fece perdoni le sue peccata, come scolpirono sul sepolcro di Salvino
degli Armati primo inventore degli occhiali.

Ci furono scapestrati di altra ragione, che incolparono Guerrazzi di non
avere condotto alla ruina il Granduca; e per non dire peggio parvero
parole ebre: egli amministrò fedelmente in pro della patria, e del
Principe, finchè sperò stessero insieme, e quando si separarono la
Patria come doveva antepose al Principe. In questo concetto dava opera a
comporgli il regno della Italia centrale e lo faceva se Leopoldo si
fosse rammentato più di essere nato a Pisa, e meno del sangue suo
austriaco, e meglio compiacendo a Dio avesse posta minor fede in colui,
che se ne dice Vicario.--Il popolo a parlare chiaro non si mostrò grato
a questo figliuolo uscito proprio dalle sue viscere, ed io so, che il
Guerrazzi dopo averci meditato su un pezzo, esclamava:--Il popolo ha
ragione! io non feci nulla per lui: bene è vero che non lo concesse il
tempo tempestoso e breve; pure rimane certo, che non feci niente per
lui. E sì che delle terre maremmane, ed altre dello Stato disegnava
formare giusti poderi, e quelli concedere gravati di tenue livello,
crescente a stregua dello aumentato valore, ai reduci dalle guerre,
premio del sangue, non solo gratuitamente ma con danaro, che bastasse
alla casa, alle bestie, agli arnesi; e così restituita la gente quanto
più si poteva alla terra, il popolo rimasto nelle città educare nelle
arti, e nei mestieri; provvedere che ai padri il momentaneo mancamento
dei figli non nuocesse; instituire piccole banche dove l'onestà trovasse
il poco capitale necessario a i suoi lavori; e con tutti i modi
promovere le voglie, e gli esercizi militari, rimedio agli scioperi
viziosi, salute dei corpi. Sopramodo mi stavano a cuore le cose
marinaresche, e feci studiare certo mio concetto di ampliare il porto di
Livorno isolando la Porta Murata, e parve buono; ma più che altrove
pensava a dare forma alla Colonia Toscana, la quale per presentimento
dirò così provvidenziale da parecchio tempo sciama in Alessandria di
Egitto...; ma nulla feci di questo; e la fortuna per umiliare la mente
superba ha voluto, che mentre io mi sono durante la mia vita affaticato
ad ampliare la Patria l'abbia lasciata in peggiori termini di prima, e
per arroto perduta; delle leggi lodabili a cui desiderava dare il nome,
sola dura quella che ha fatto, me involontario, il triste dono al paese
del carcere solitario!--Furono le mie intenzioni piene di benevolenza
pel popolo, però che popolo nacqui, e popolo intenda morire; ma poichè
questo non può conoscerle che per via degli effetti i quali mancarono,
non ne serba e non può serbarne gratitudine, Dio, che le conobbe, vorrà
ricompensarle un giorno nella sua misericordia; confidiamo in lui.

Stringendo i tempi in cui era forza, che il Granduca scegliesse tra la
Patria, e l'Austria, egli preferì l'Austria, e fuggì insidioso allegando
per pretesto fatto non vero; però che stesse a lui differire, ed anco
rifiutare la legge della Costituente la quale accettava, il suo
ministero non l'offendeva, dacchè avendo offerto risegnare l'ufficio
egli non consentiva, al contrario a rimanersi lo supplicava.

In quale condizione si trovasse lo Stato, donde alla vigilia della
guerra, disertava il capo, ogni uomo può immaginare; i vecchi ordini
distrutti, i nuovi non fermi; partiti diversi ed estremi; i liberali
divisi per cause, che parevano personali, ma che la esperienza chiarì
accennare a principii perchè la superbia aristocratica ribolle, ed è per
avventura la classe sociale che più tarda dimentica, e più pronta stende
le mani a ricuperare il perduto; governo senza causa giuridica; autorità
nessuna; opinione poca; credito contrastato; di fuori non potestà in
Italia a cui appoggiarci, la quale stesse in condizioni migliori delle
nostre; ad ogni modo niente affatto disposta a sovvenire il paese, bensì
piuttosto balenante a farsi aiutatrice del principe fuggitivo. In simile
condizione di cose popolo, deputati, e senato elessero il triumvirato di
cui fu parte il Guerrazzi. Comunque io faccia professione di teologia
non già di politica poco mi ci volle a conoscere, che nello eleggere il
governo provvisorio non furono mossi tutti da un medesimo concetto; ma
quali e quanti essi fossero qui non preme cercare; basti, che tra i
promotori del governo provvisorio ci furono i signori Capponi, Ricasoli,
e Corsini. Dissero che ci si trovarono costretti, ma non è vero; perchè
i due ultimi con giuramento affermarono averlo fatto liberissimi; il
primo fu l'unico in Senato che con amplissime parole favorì il governo
provvisorio.

Intanto il Granduca che scappava dallo Stato da mezzogiorno ci voleva
rientrare da tramontana; ma intendiamoci, da cotesto lato ei si partiva
inerme, dall'altro si affacciava armato; di quì per sottrarsi alla
legge, di là per calpestarla; però, ordinava alle milizie lasciassero
indifesi i confini al nemico, contro le città si avventassero;
compissero insomma l'uffizio per cui Leopoldo austriaco instituì mai
sempre le sue milizie, combattere cioè il popolo non già i tedeschi. Il
generale Laugier per poco discorso, più che per malizia obbediva ai
comandi del Granduca, non avvertendo egli che per necessità di cose da
codesti partiti tirannici non poteva fare a meno, che uscisse la morte
della libertà;--ma se grande fu l'amarezza della mossa del Laugier,
infiniti percossero la amarezza e lo stupore quando si ebbe conoscenza
che il signor Neri Corsini consigliere o capitano era accorso a
sostenere cotesta impresa. O non aveva votato egli pel governo
provvisorio? Non aveva parlato per lui? Chi lo obbligava a farlo? La
fuga del principe non aveva anch'egli ripreso? In cotesti tempi si lesse
stampata una lettera del signore Corsini responsiva ad altra del
generale Laugier che gli faceva ressa di porsi a capo dello esercito
ribellato, nella quale il degno uomo favellava così: «non reputare
opportuno di mettersi avanti allo esercito, mentr'egli non faceva altro
che mandarlo addietro.» E questa considerazione come capace a chiarirci
del prodigioso buon senso del signore marchese di Laiatico, così mi
sembra atto a testimoniarne la fermezza nei propositi. Di ciò non
tennero ricordo nel Decreto, che lo manda in Santa Croce; l'ho tenuto
io; basta che qualcheduno se lo rammenti; e queste non sono calunnie,
che di simili tiri non sa farne il Piovano.

A me piace il Guerrazzi (e come non lo potrebbe a me umile, ma schietto
sacerdote di Cristo?) quando con fiere minaccie difende la madre del
Generale dallo insultare della plebe infellonita; e piacemi altresì
quando muove contro al Laugier, e lui cercato a morte secretamente
avvisa si salvi; come mi piacque il signor Laugier e di molto allorchè
venuto testimone nel processo Guerrazzi, mentre questi per iscolparsi
dell'accusa di avere messo la taglia sul capo di lui stava per narrare
il fatto, egli troncategli le parole di bocca disse: lascia parlare a
me, chè a me tocca scolparti dalla iniqua taccia; e qui espose per filo,
e per segno i modi tenuti dal Guerrazzi affinchè egli si riducesse
incolume sul territorio piemontese. Io Piovano credo che il popolo
nostro per questi fatti salisse in fama di civile, e non pei vanti
continui, e sazievoli i quali scemano il pregio se vero, e se falso
eccitano lo scherno della gente.

Soddisfece il Guerrazzi in compagnia dei colleghi o solo al mandato a
loro commesso dal Parlamento toscano? Sì certo lo soddisfece, e così
giudico non per opinione mia, bensì per testimonianza giurata di
parecchie centinaia di cittadini uditi nel processo, cominciando
dall'Arcivescovo, fino all'usciere; anzi non mancarono nè anco quelle
degli stessi Ricasoli e Corsini; e i Ministri d'Inghilterra e di Francia
gli resero giustizia; di fatti il tribunale condannando il Guerrazzi
disse così: «che dai resultati del dibattimento orale veramente non
compariva colpevole, ma che i giudici potevano formare in altro modo la
loro convinzione; e come erano convinti ch'ei fosse reo, così lo
condannavano...!» Eh! non fa nè anco una grinza. Se non avessi letto io
con questi occhi la sentenza, ed altri me la avesse riferita, gli avrei
detto: chetati campana del bargello! Ma l'andò proprio come la conto.
Che queste cose si facciano lo capisco anch'io, ma che le si abbiano a
mettere in iscritto io non me ne so capacitare, molto più dopo che fu
smessa la corda. Per me farei Pasqua se mi riescisse attribuire cotesta
razza di sentenza alla sperticata ingenuità dei Giudici; ma chi li
conosce veda se la interpretazione può stare, e se essi meritino come la
inclita Nice del Prete Parini i titoli:

    D'ingenui e di pudichi.

Sua Eccellenza (sempre Eccellenza) il ministro Poggi elogiando la
magistratura toscana affermò che era stato perpetuo vanto di lei
adattarsi ai tempi. Se così Sua Eccellenza loda, che diavolo dirà mai
quando biasima? Intanto io Piovano propongo per uso dei magistrati
toscani di emendare il _pater noster_ così: _et ne nos inducas in
tentationem sed libera nos a laude excellentissimi domini nostri Poggi.
Amen._

Abbiamo letto stampato che il Guerrazzi non sovvenisse al Piemonte nella
guerra contro lo austriaco; e posto ciò lo vedemmo scomunicato in cera
gialla. Quando la storia si detterà col giudizio non già con le infelici
passioni di partito, e quando alle bugie surrogheranno i documenti degli
Archivii così in quelli di Firenze come negli altri di Torino,
appariranno le larghe profferte che ei fece di porre in arbitrio del Re
le armi, e l'erario toscano; le quali profferte scritte al generale
Colli vennero confermate a voce a Pasquale Berghini, ed a Lorenzo
Valerio, entrambi uomini egregi, e vivi, della monarchia sarda
tenerissimi, e di credito grande presso di lei. Se le offerte non furono
accolte, anzi se, mentre da Torino si domandava la lega e a Firenze si
consentiva, il generale Lamarmora entrava sul contado nostro come su
terra nemica, e il generale D'Apice ordinava ai nostri dessero indietro
per non incominciare la guerra contro gli austriaci collo azzuffarci tra
noi italiani, la è cosa che vuolsi deplorare, non accusarne il
Guerrazzi, il quale pensò ed ha pensato sempre, che se il generale
Lamarmora avesse avvisato il Governo toscano avrebbe trovato
allestimenti e somieri, e procedendo spedito ed ingrossato dai Toscani,
sarebbe forse giunto a tempo per offendere il nemico di fianco, o almeno
tenerlo in rispetto.

Per altra parte accusano il Guerrazzi di non essersi unito con la
repubblica di Roma, e di avere promosso la restaurazione. Quanto alla
prima accusa basta una osservazione; la quale è questa: Chi prepose il
Guerrazzi al governo? Il popolo. Che gli commise il popolo? Provvedere
alla guerra; tenere salvo il paese dagl'impeti dei partiti estremi; e
convocata l'Assemblea per via del suffragio universale consultarla con
chi, e con quale forma di governo avesse a reggersi lo Stato. Tutto
questo ei non fece? Lo fece. Dunque perchè lo accusate? Si voleva, che
senza consultare l'Assemblea imponesse la repubblica; e questo non lo
volle, e non lo volle perchè non lo poteva. Chiunque ama la libertà
procuri astenersi dai modi tirannici, imperciocchè presto o tardi vada
sicuro gli torneranno sul capo; questo spettava all'Assemblea, e
l'Assemblea dovea aspettarsi, e rispettarsi.--Aggiungi, che studiati gli
umori del popolo non parve disposto allora alla repubblica; e Dio mi
liberi dalla tentazione di dire quello che Sua Eccellenza (sempre
Eccellenza) il signor marchese Ridolfi scrisse del popolo toscano al
signor Ghivezzani, cioè, _ch'egli è marcio fino alle barbe, tandem_
giudico, che alla repubblica nè anco adesso ci correrebbe di buone
gambe.--Ora per istituire la tirannide di un solo, un brutto tiro si può
fare, ed anco può riuscire, perchè poi tu conficchi il popolo in croce,
e finchè i chiodi agguantano la ti va d'incanto; ma in fè di Dio come
possa farsi repubblicano un popolo per forza, ecco io mi ci
sbattezzerei; ancora metti, che da Roma venivano informazioni da
sgomentare ogni fedele cristiano non per la parte del signor Vannucci
repubblicano largo di cintura, bensì dal signor Menichetti, che quando
ci si mette con le mani e co' piedi è capace di ragionare quanto
qualunque altro neo-moderato che piglia il fresco nella state sotto il
cupolone del Duomo; sicchè cotesta unione delle due repubbliche aveva
l'aria di un matrimonio in _articulo mortis_; per ultimo mentre il re
stava in procinto di mostrare la faccia al tedesco, accendergli la
repubblica dietro le spalle, mettiamo da parte, che potesse parere
proditorio, egli era imprudente perchè il re avrebbe vissuto in sospetto
grande e forse per guardarsi dietro distratte parte delle forze, che non
erano troppe davanti.

Veniamo alla restaurazione: fino alla battaglia di Novara ben altro
sonarono atti, e parole: il Guerrazzi difendendosi da capitale accusa
disse averci pensato anco prima; ma da quando in qua si pretende, che un
uomo in simile stato somministri argomento ai suoi giudici di
condannarlo? Certo, io lo confesso alla scoperta, un uomo della
sperienza del Guerrazzi, dovea sapere che ciò non gli sarebbe stato
creduto, e non lo avrebbe salvato, però era non pure animoso ma savio
dire addirittura come la faccenda stava. Però se consideriamo la quasi
quinquennale prigione, il tedio, l'epilessia che lo assalse, egli è più
onesto desiderare, che lo facesse, che giusto accusarlo di non averlo
fatto. Dopo la battaglia di Novara sì ci pensò, e fece bene: questo era
il suo disegno, che parte compì, e parte rimase interrotto. _Parlo cose
a tutti note, da centinaia di testimoni attestate, da copia infinita di
documenti fatte sicure._ Solo la calunnia finge ignorarle, e la slealtà
le tace. Riconvocata l'Assemblea di cui parecchi membri erano stati
spediti nelle provincie appunto per sincerarsi se i Toscani
parteggiassero per la repubblica, egli avrebbe proposto: richiamisi il
principe, egli si dimostri come non fosse cacciato, bensì spontaneo
disertasse dallo Stato; veruna colpa in voi; alla più trista la colpa
essere di noi altri rettori, e noi già siamo disposti ad andarci in
esilio; torni alle sue case, torni al paese a patto però che lo Statuto
si conservi, e rimanga intatta la patria da ogni tedesca
contaminazione.--Intanto siccome a fare a sicurtà con cotesta gente se
n'esce sempre a capo rotto il Guerrazzi procurava entrassero mediatori,
e mallevadori del patto i ministri d'Inghilterra e di Francia; e dal
primo se n'ebbe la promessa, dal secondo no perchè assente, ma al suo
arrivare, non si dubitava darebbela. Nè si rimaneva a tanto il nostro
compatriotta, e i _documenti_, ripeto, _stanno lì a fare testimonianza_,
con quanta fede, con quanta agonia egli si tribolasse ad armare il
paese; non già, ch'egli sperasse, venuto alla prova delle armi coi
tedeschi, uscirne vincitore; ma pensando da una parte, che la fama
ingrandisce sempre le cose, e dall'altra che duravano Venezia, e Roma,
combatteva di forza Ungheria, e nè gli umori interni dell'Austria
quietavano, stimò che questa sarebbe proceduta più rispettiva contro cui
ad un bisogno faceva le viste mostrarle i denti. Alla più trista senza
sangue i tedeschi non entravano in Firenze; e questa è sicura.--Però
questo notisi, e ben si riponga in mente _nè un atto, nè uno scritto, nè
un detto corse direttamente o indirettamente tra il Guerrazzi e il
Granduca, e gli aderenti di lui intorno ai disegni esposti per la
condizionata restaurazione_.

Così non piacque ad altri i quali presumendo diventare padroni del
baccellaio, e tenere il Granduca dentro una botte andavano sobillando il
popolo sbigottito: «Il Guerrazzi ti mena diritto a buttarti nel pozzo;
con queste sue mostre di armare ti chiama i tedeschi in casa come lodole
al fischio; e quali tedeschi! I croati, che dove passano non lasciano
più crescere erba. Oh! quanto gran dolore vedere gli alberi delle
cascine abbattuti per farne cocere la pignatta degli ulani, e bere
l'onda pura dell'Arno i cavalli dei mantelli rossi. Mirate questa
_geldra di sicarii livornesi_; egli li chiamò a posta, e quì li tiene,
il Nerone, per menare strage cittadina, (_mostravano le barelle della
Misericordia, che facevano andare attorno vuote_); intanto si pone mano
alla roba altrui (_era un oste cui truffarono alcuni militi il vino_);
la pudicizia delle nostre matrone si offende (_erano due colombe di via
Gora_). Gettate giù le vergognose some; non fate idolo un nome vano
senza soggetto. Che patti, e che non patti! Precipitatevi,
precipitiamoci fiduciosi senza sospetto, come senza condizioni nelle
braccia del nostro più che Principe Padre, il quale amoroso ce le stende
lunghe lunghe fino da Gaeta. Noi _vi garantiamo che non verranno
tedeschi_. Scegliete: da un lato servitù, e tedeschi in casa; dall'altro
libertà e tedeschi lontani.--Santa fede! e non ci era da nicchiare: giù
il Guerrazzi. L'Assemblea veramente la elesse il popolo universo; non
importa; chi chiamò tutto il popolo? Il Guerrazzi: dunque l'Assemblea è
del Guerrazzi, giù l'Assemblea.

I moderati per vincere la democrazia dettero mano ai _reazionarii_, con
loro si unirono; essi, unicamente essi il principe assoluto donarono
alla Toscana, e prima di lui i tedeschi. E chi lo nega mente e mente
invano.--Badava il Guerrazzi ad ammonire: _quo ruitis?_ Ma egli era
predicare la castità in chiasso.--Dubito, egli diceva, che non tutti in
Toscana si accomoderanno a questi modi violenti, massime Livorno: per me
non credo che da tale partito sia per uscirne bene:--tuttavolta se può
non sinistrare, egli è ad un patto, che la Toscana accordi tutta; se una
parte sola contrasta somministrerà il pretesto alla chiamata dei
tedeschi; passando per Livorno m'ingegnerò renderne capaci i cittadini.
Allora lodaronlo; pregaronlo a intromettersi; proffersero dargli
autorità per mettere capo a partito a qualche scapestrato; lo indussero
a rimanersi fino a sera promettendo farlo trainare a Livorno con
vaporiera a posta; più, e più volte a ciò si obbligarono; poi .... diamo
di frego a quello che accadde dopo. Carità di patria mi persuade
tacerlo; ma per amore di Dio adoperino anco gli altri un po' di questa
carità. Date retta al Sacerdote di Cristo, che sarà bene per tutti: e se
mi riuscisse a mettere nei cuori un po' di quella concordia, che sento
abbondare tanto sopra le labbra a me Piovano non parrà essere
resuscitato indarno.

Nessuno, ch'io sappia, avvertiva secondo che merita la ragione del
processo Guerrazzi. I curiali avevano dato ad intendere al Granduca come
di lieve ne sarebbe uscito provato che i liberali contro la sua autorità
ed anco contro la sua vita in ogni tempo cospirassero: se ciò tornasse
gradito a lui non è da dirsi, imperciocchè sperava che tal fatto gli
avrebbe somministrato argomento a giustificare l'abolito Statuto, i
tedeschi chiamati per difesa. Il Guerrazzi gli scrisse ci pensasse due
volte; perchè quanto gli davano ad intendere non era; avrebbe preso il
male per medicina. Di qui il diuturno tentennare per cui all'ultimo fu
forza procedere oltre. Io per me credo, che dieci cattedre di diritto
costituzionale non avrebbero insegnato ai Toscani quanto cotesto
processo; per quello vennero chiarite le colpe del Principe, e
gl'inganni, e le frodi, e la mostruosa ingratitudine sua; e dall'altra
parte la pazienza, la longanimità e la fede; imperciocchè ai nostri
costituzionali se qualche colpa potè apporsi fu quella di avere
proceduto al Principe oltre al debito devoti. Il Guerrazzi dichiarò al
Granduca: voi avete giudici che tolsero la mia condanna a cottimo, e
spendete i danari dello Stato; io ho per giudici quanti uomini
posseggono cuore e cervello; e spenderò l'ultimo mio scudo a dimostrare
che avete torto. Alle stampe dell'Accusa egli oppose l'Apologia, e
comecchè questa gli venisse pagata dallo editore, distribuì il compenso
tra i meno agiati compagni di carcere, e fra le persone, che per essersi
a lui mostrate devote, avevano perduto l'ufficio. Al mostruoso volume
dei documenti dell'Accusa, egli contrappose il suo che gli costò 7,000
lire di spesa; ogni calunnia fu rimbeccata; ogni astuzia resa vana;
tracollò lo edifizio bugiardo, e l'Accusa rimase sepolta sotto i suoi
calcinacci: per la quale cosa non parve audacia sfrontata, bensì senso
di giustizia offesa, quando il Guerrazzi disse in tribunale: «_bene qui
si agita di tradimento, ma il traditore non è qui!_» E il giudice si
guardò bene di domandare dove fosse, come colui, che conosceva purtroppo
il Guerrazzi petto da rispondergli secco: «_è in palazzo Pitti_.»
Bisogna dirlo: vive e palpita in questa creta umana una coscienza, che
buttata a terra dalle scale torna dalla finestra, conciossiachè amici o
nemici, cittadini come forestieri, e perfino tedeschi, anzi soprattutto
i tedeschi dicessero: «Andiamo un po' a sentire fare il processo a
Leopoldo!» Certo lo Statuto abolito, e la chiamata dei tedeschi
perderono questo mal consigliato principe nella opinione del popolo; ma
il popolo dimentica lievemente gioie, e dolori dove si riducano a
semplici sensazioni; quando poi tu gli dimostri la necessità dell'odio
come una operazione di abbaco, e gliela ficchi bene nella memoria,
allora non ci è caso che altri lo possano mai abbindolare. Io penso, che
tanto benefizio si deva al processo di perduellione del Guerrazzi, ed
alle strenue difese, che furono dal collegio amplissimo degli avvocati
esibite.

La sentenza venne di obbligo come il _gloria patri_ in fondo al Salmo;
gli Accusatori, e i Giudici furono ricompensati così alla trista, perchè
il lavoro era riuscito sciatto, nè se ne acquietava il Guerrazzi
risoluto di ricorrere in Cassazione e tenere legato Leopoldo alla
colonna più, che per lui si potesse; ma il paese ne aveva avuto
abbastanza; i difensori non avrebbero rimesso l'ufficio, ma una tal
quale lassezza la sentivano anch'essi, e al Granduca entravano i sudori
freddi al pensiero che si avesse a tornare da capo; però da prima
insinuarono al Guerrazzi chiedesse grazia, ed egli ricusò alla recisa;
questo solo promise, che dove il Governo l'avesse fatta egli l'avrebbe
accettata, imperciocchè fosse stato sempre suo disegno esulare dalla
Patria restituito il Granduca; uscì il decreto condizionato al pagamento
delle spese, e alla dimora fuori d'Italia (e si doveva intendere
Piemonte, perchè nè a Roma, nè a Napoli, nè nelle terre dominate
dall'Austria, e dai satelliti suoi avrebbe potuto ridursi il Guerrazzi)
e fu rifiutato; allora per lo meno reo consiglio si dette promessa, che
nè si sarebbero mai chieste le spese, e si sarebbe lasciato libero il
Guerrazzi di recarsi dove meglio gli piacesse.

Così il nostro compatriotta partiva da casa sua, e poichè ebbe atteso in
Corsica a rifarsi un po' nella salute sconquassata non istette già sulla
fossa a piangere il morto, e scrisse la Beatrice Cènci, l'Asino, il
Paoli, il Marchese di Santa Prassede, la Torre di Nonza, la Storia del
Moscone, Fides, Pasquale Sottocorno, la Orazione pei morti di Curtatone
e Montanara, lo Scrittore italiano di cui parte comparve nella Rivista
Contemporanea, i Ricordi al popolo toscano, Amelia, l'Albo, ed una
infinità di scritti minuti che innominati andarono su pei giornali; nè
basta; che io so avere egli condotto a termine un libro politico, e un
altro racconto intitolato il Buco nel muro; apparecchiato materia per
libri che narreranno di Francesco Burlamacchi, di monsignore Piero
Carnesecchi, e di Andrea D'Oria; anco abbozzato certa sua fantasia per
fare riscontro alla _Fides_ intorno alla origine delle Comete.--Questo
di certo non si chiamerà starsi colle mani in mano; se ma' mai
il Guerrazzi avesse vizii, bisogna dire che gli sieno entrati in casa
dalla finestra però che l'ozio, il quale è padre loro, non si attentò
mai di picchiargli alla porta.

E confesso il mio debole; a me piace fuor di misura il Guerrazzi quando
non si sa per che fisima il Governo francese (certo zelo di bassi
ufficiali dacchè se taluno non volesse credere incapace il governo
superiore dal commettere soperchierie, tutti poi vorranno reputarlo
alieno dalle imbecillità) volle ritenerlo prigioniero nell'isola; egli
sentendosi ribollire nelle vene il sangue libero dichiarò _se ne sarebbe
andato_; ammonito con minaccie a non farlo rispose se ne sarebbe andato;
dettogli, che gli avrebbero messo dietro le guardie di polizia replicò
_se ne sarebbe andato_; e _se ne andò_, traversando notte tempo tetti
arrampicandosi per iscale di legno mobili male assicurate su i tetti,
scavalcando muri e riuscendo in altri quartieri, dove travestito da
marinaro si cacciò tra la folla; si mise pel buio fra calli dirotti in
mezzo a selve di olivi, e scese presso Pietra nera; caduto in mare, così
fradicio entrò in barca, e tutta notte ballottato dalle onde grosse
appena alla metà del giorno seguente arriva alla Capraia. I barcaioli,
che toscani erano e della isola del Giglio, paurosi delle leggi
sanitarie, sgomenti non sapevano che pesci pigliare, ed egli risoluto li
persuade a buttarlo sopra uno scoglio, e ad allontanarsi; all'altro
provvederebbe Dio. Non se lo lasciarono dire due volte; ed egli solo su
di uno scoglio dopo avere passato un tratto di mare ebbe ad arrampicarsi
per la rottura che ha nome Zurletto dove sembra, che non possa salire
chi va senz'ali; e poichè dopo infiniti travagli, e pericoli, in più
parti offeso, arrivò in cima all'isola.... lo scambiarono per un bandito
côrso; palesato il nome non gli vollero credere, perchè dalle Gazzette
avevano appreso ch'egli era già arrivato a Genova; poi dubitarono quando
mostrò la cifra ricamata su la camicia, e una carta da visita per caso
rimastagli addosso; per ultimo lavato, rimondato dalla finta barba, e
rivestito delle vesti che gli prestarono, taluno, che aveva usanza a
Livorno, lo riconobbe, e allora fecergli festa; le quali amorose
accoglienze durarono, finchè non giunse il legno per levarlo dalla isola
e trasportarlo a Genova.

Ora dirò cose affatto ignote, o poco manifeste, donde si chiarirà se
onorando il Guerrazzi per cittadino dabbene io faccia il debito, o se
piuttosto io sacerdote meriti l'accusa d'idolatria. Nè rechi maraviglia
se io mi mostrerò ragguagliato di casi che parranno segretissimi,
imperciocchè alla età mia non si fa a fidanza, e prima di dire vuolsi
pegno in mano: anzi questo si tenga per sicuro che delle quattro parti
appena ne racconto una, sempre disposto a dare tre pani per coppia se
taluno si lagnasse di non avere avuto il suo avere.

Sul cominciare dell'anno decorso trovandosi il Guerrazzi con parecchi
suoi antichi amici gli occorse Massimo Mautino reduce di Toscana dove
andò compagno a Massimo d'Azeglio, il quale gli disse:--sicchè i tuoi
Toscani sono innamorati del Granduca, e a quanto sembra senza di lui nè
vogliono fare nè possono--Il Guerrazzi gli domandò donde avesse ricavato
cotesti ragguagli, e _quegli gli disse i nomi_, i quali per buoni
rispetti si tacciono, chè seminare scandali, e favellare per ripicco io
non voglio. Lorenzo Valerio tratto in disparte il Guerrazzi lo
interrogò: e fia vero? Non è vero, questi rispose, ma qui sotto gatta ci
cova, piglierò lingua, e t'informerò. Allora scrisse in Toscana, e seppe
con sua maraviglia come _cotesta opinione portata in Toscana bella e
fatta da Torino volesse imporsi da taluni della setta dei moderati al
popolo, che ne abborriva_; di ciò tenne ragguagliato Valerio; e
considerando poi come la materia meritasse grave investigazione
riscrisse ordinando le ricerche alle varie contingenze, che o si facesse
forza ai Toscani, o fossero questi lasciati in arbitrio della scelta, o
un po' si lasciassero liberi e un po' si costringessero: ottenuta la
risposta statuì scriverne direttamente al conte di Cavour, e lo fece a
un bel circa in questi termini: «avere deliberato starsi alieno da ogni
faccenda pubblica, ma accorgersi che lo intelletto nei suoi propositi
non aveva tenuto conto del cuore. Forse con tre braccia di terra sul
capo potrebbe quietarsi quando si agita la causa della Patria;
confessare alla ricisa che la sua mente andava ingombra di paura; sicchè
vedeva apparecchiarsi tali prove, non vincendo le quali sarebbe grazia
di Dio rimanere morti: paura perchè gli pareva che il muro si tirasse su
fuori di squadra. Il Piemonte, mercè sua, rappresentava adesso le sorti
italiane; fin qui gl'Italiani non avergli conferito il mandato con la
bocca, bensì col cuore: ora premere glielo dessero con la bocca, con le
braccia e con qualche altra cosa ancora. I Toscani uniti in un solo
volere non desiderare altro, che questo, ma non comprendere come lo
potrebbero fare: unitevi con noi, si dice loro da un lato, e dall'altro:
non fate rivoluzioni. Ora conoscendo i Toscani la materia, che hanno tra
mano, sentono che cotesti concetti si contrastano irrimediabilmente fra
loro. Per chiarirsi domandarono lume, ed ebbero per norma il consiglio
di agitare per ottenere la renunzia del Granduca in pro del Principe
ereditario il quale, restituito lo Statuto, farebbe causa comune col
Piemonte.--Questo partito per avventura arridere al signor Conte non
tanto pel soccorso materiale, quanto pel credito, che darebbe alla
impresa la vista di un arciduca in contrasto con la sua casa per le
faccende d'Italia; e forse garbava eziandio allo Imperatore dei Francesi
o perchè memore della parzialità professata da Ferdinando III allo zio,
o perchè riconoscente egli stesso alle urbane accoglienze ricevute dalla
sua famiglia in Toscana: e questo partito non incontrerebbe difficoltà
dagli uomini politici, perchè altra volta proposto, e non contrastato.
Ma poichè le condizioni politiche mutano spesso nel volgere di mesi non
che di anni avere egli voluto interrogare i suoi concittadini, non mica
gli accesi, bensì i più rimessi, insomma taluni dei promotori della
Biblioteca civile, dai quali ottenuta risposta gliela aveva partecipata
per via di Lorenzo Valerio, ed ora inviargliene un'altra anco più
specificata della prima; pregarlo a ponderarlo come meritava. _Sperare
che a cuore come il suo non farebbe specie s'ei procurasse accordarsi
con tali che gli avevano nociuto pur tanto! Non meriterebbe nome di uomo
se non sapesse sbandire ogni risentimento d'ingiuria privata per la
comune utilità._--Desiderare i Toscani sovvenire con ogni loro facoltà
le fortune pericolanti della Patria; non domandare qual parte verrebbe
poi loro assegnata; confidare per questo in Dio prima, poi nel senno
degli uomini: _solo intendere non muoversi senza concetto per tema di
guastare_; chiedere si pretendessero da loro cose possibili, e proficue
alla patria italiana. Ora quanta fu loro ultimamente richiesto non
presentava questi due termini. _Se il Piemonte, svincolati che fossero i
Toscani dal giogo austriaco, gli accettasse, molto volentieri essi a lui
si unirebbero_; se invece fosse spediente un governo provvisorio di cui
avrebbonsi a determinare la indole e le attribuzioni durante la guerra
potrebbe farsi, se altro propongasi.--Per ultimo siccome la confidenza è
cosa di simpatia, s'ella, mio Signore, preferisse negoziare con un uomo
piuttostochè con un altro, anco questo si ripone in suo arbitrio--».

Il sig. Conte invitava il Guerrazzi di recarsi immediatamente a Torino
per conferire con lui; ed ei lo faceva quando il sig. Corsi lo avvisò di
Toscana con lettere dei 24, 25, 26 febbraio, che chiamato dal sig.
Cavour era su le mosse di partire col sig. Ridolfi eccellentissimo uomo,
ma non per anco Eccellenza; allora egli si rimase perchè fece a dire: se
reputeranno la mia presenza utile mi leveranno passando da Genova, se no
mi lasceranno stare. E così operò, di tanto ch'egli era
procacciante!--Ed infatti cotesti signori passarono, ma lo lasciarono
stare, però il sig. Corsi gli scrisse da Torino il 1.º marzo: in Genova
non avere avuto tempo informarsi s'ei ci fosse o no; trattenersi fino a
venerdì: non disprezzasse lo invito del sig. Cavour _anco per mostrargli
che non vi sono partiti_, E CHE TUTTI SIAMO CONCORDI, IL CHE EGLI A
RAGIONE RACCOMANDA.--Questa lettera non fu mandata direttamente al
Guerrazzi, bensì al nipote del sig. Corsi, che si trovava a Livorno,
onde poco dopo che gli fu consegnata si vide comparire dinanzi il sig.
Corsi, il quale informatolo dei concerti presi a Torino entrò in seguito
sul tasto della concordia. Rispose il Guerrazzi: lieve cosa conseguirla,
oblierebbe le offese; in Toscana sopprimessero la turpe sentenza, e ciò
più per onore del paese, che suo; se dovesse essere adoperato in Toscana
gli proponessero ufficio, che a lui convenisse, se no rimarrebbe fuori
sovvenendo al governo, finchè si fosse mostrato veramente sollecito del
bene del paese.--Non parvero, e veramente non erano esorbitanti
pretensioni coteste, e il signor Corsi promise gli avrebbe scritto in
breve;--e si lasciarono.

Il sig. Corsi prima così diligente, di botto diventa trascurato per
modo, che solo dopo mezzo mese scrive: _certi eventi difficili a
spiegarsi per lettera avere trattenuta la nota pratica_. Da capo
silenzio, e per questa volta di lungo lunghissimo. Dopo 40 _giorni_, il
28 aprile egli annunzia la rivoluzione fatta, la necessità di _procedere
con principii retrogradi_, la trepidanza che sinistrasse ogni cosa se
presto non si rompeva la guerra.

Dopo pochi giorni comparve l'_amnistia_ con la quale un governo
provvisorio eletto dal Municipio di Firenze perdonava ad un governo
provvisorio votato dal Parlamento, confermato dal Senato, acclamato dal
popolo quei medesimi atti ch'egli stesso operava; e parve all'universale
una cosa matta.--Questa amnistia bandivasi in grazia della _concordia_,
e pure taluno opinava _non doversi mettere in pratica se non a guerra
finita_! E tale altro trepidava, che l'accettassero gli esuli! Un
vecchio amico del Guerrazzi, commosso del soprassello d'ingiuria che si
recava al nostro compatriotta, ne scrisse al sig. Boncompagni suo
conoscente, perchè trovasse modo onesto di ripararvi, e n'ebbe questa
risposta in data 6 maggio 1859. «Il decreto del governo provvisorio apre
le porte della Toscana a tutti gli esuli: ma se il Guerrazzi _vorrà dare
prova di amore patrio non rientrerà per ora_. La sua presenza sarebbe
facilmente occasione di discordia fra quelli, che furono suoi
avversarii. In tempi regolari queste discussioni non sarebbero
pericolose come sarebbero ora, che tutti _gli animi debbono unirsi in un
pensiero solo_. Gradite, ecc.»

Questa lettera dettata espressamente perchè al Guerrazzi si
partecipasse, ei la conobbe.--Ahimè! Anche questo doveva toccare al
Guerrazzi, che un Boncompagni gli avesse ad insegnare come si ami la
Patria! Adesso per debito di carità mi astengo da parole gravi e
tuttavolta non mi posso tenere da bandire alla ricisa, che il sig.
Boncompagni non operò giusto, nè logico, nè politico. A mente sua la
_concordia_ si procura col mantenere l'offeso nel danno e nella
ingiuria, l'offensore nella tracotanza del mal talento, e della opera
perversa! Quieto vivere, e lieta cittadinanza pel sig. Boncompagni,
quella che non vergogna prolungare lo esilio al cittadino, che meritò
bene del suo paese per confessione dei suoi medesimi nemici! Bella
concordia invero quella che ottiene un partito col bando di un altro
partito! Veda il signor Boncompagni lo evangelo, (s'egli avesse ben
letto in Dio questa carta) gli avrebbe insegnato il modo di
condursi.--Se offerisci la tua offerta sopra l'altare e quivi ti ricordi
che il tuo fratello ha qualche cosa contr'a te; lascia quivi la tua
offerta dinanzi all'altare, va', riconciliati prima col tuo fratello, ed
allora vieni ed offerisci la tua offerta.--Di fatti ufficio di
cristiano, e di politico sarebbe stato questo: «Voi domandate la
protezione del Re Vittorio Emanuele, ed ei la concede; però a me è noto
come tra voi un dì sorgessero contese donde poi nacquero lutti di
prigione, e di esilii: io non conosco da quale parte fosse il torto, nè
mi giova conoscere; bene questo so che i lutti durano, e chi li soffre è
cittadino reputato onesto, ora io vi dico, che l'autorità del Re deve
diffondersi su tutti come la luce, che letifica, e riscalda; e repugna
convertirsi in mano di un partito in arme per onestare le ingiurie
vecchie, e commetterne delle nuove; andate, ridivenite tra voi fratelli
affinchè di tutti possa dirsi padre il Re.»

Che se il sig. Boncompagni non voleva leggere il Vangelo, ti dia la
peste! avesse almeno letto il proemio al lib. 3. delle storie del
Macchiavello, che ci avrebbe appreso come le contese tra popolo, e
nobili augumentassero Roma però che vi definissero con una legge, mentre
all'opposto nabissarono Firenze dove si terminavano con la morte, e
l'esilio dei cittadini.--Ora se il sig Boncompagni non legge il Vangelo,
nè il Macchiavello, oh! che sia benedetto, che cosa legge egli per
governare i popoli? Forse il giornale agrario toscano? Buon libro, sa
ella? Anzi ottimo, il quale tra le altre belle cose insegna come i
cavoli possiedano due coni un aereo, e l'altro sotterraneo, i quali noi
altri ignorantacci prima di lui chiamavamo foglie, e torsolo... tandem
anche col giornale agrario non si va a governare, e a rigovernare i
popoli (il degno gentiluomo ci è stato due volte) come il sig.
Boncompagni ha fatto.

Così il Sig. Boncompagni non adoperava: e se bene o male facesse sarà
giudicato.--Adesso di concordia non si parla più; il sig. Corsi
sollecita d'inviare il Guerrazzi a porgere testimonianza al Cavour, che
i _partiti cessavano e in santa concordia vivevano tutti_; il signor
Corsi che nel 7 febbraio 1859 scriveva al Guerrazzi: «nella precedente
mia appellava a dichiarazioni fatte da tutti i partiti, gli emuli
compresi, di tenerti per capo in ogni occorrenza,» il sig. Corsi lo
conforta ora a starsi lontano, e ad _aspettare il suo tempo_; e lo
accusa di non essere andato a Torino, e gli dice avere nemici non solo
tra i moderati, ma bensì _anco il popolo_; il tempo, e la pazienza lo
rimetteranno a galla; il paese mostrarsi diviso da lui; egli non avere
potuto fare nulla; ed altre più cose, che a ridirle mettono addosso
tristezza.--Fatto, sta, che al popolo si era dato ad intendere che
andavasi d'accordo col Guerrazzi finchè se n'ebbe bisogno; ora che il
popolo si era rimesso alla catena, il Guerrazzi si calunniava, si
confermava nello esilio, e se fosse stato in potestà dei moderati
avrieno concesso indulgenza plenaria a cui ne levava i pezzi più grossi.
La causa vincitrice piacque al sig. Corsi; la vinta al Piovano; certo nè
egli Dio, nè io Catone[1], ma chi di noi due facesse opera migliore
anche questo sarà giudicato.

  ¹ _Victrix causa placuit Diis, sed victa Catoni._

Nè questi soli i conforti, gl'inviti, e le preghiere al Guerrazzi di
starsi lontano, che a dirsi tutto verrebbe meno il foglio; minaccie non
si adoperarono perchè sapevano che queste l'avrebbero fatto correre
addirittura a Firenze. Egli piegò il capo, e disse: «Sia; io non verrò,
se il popolo non mi chiama; desidero alla patria cittadini migliori di
me; s'ella li possiede, prosperi, e duri felice: questo mi basta!»

Però le continue irose e disoneste contumelie da un lato, e le scarse
parole di sdegno dall'altro misero in sospetto il popolo che domandava
la causa per la quale stesse assente il Guerrazzi; allora cangiato
tenore si andò spargendo ch'egli _intorato nei suoi rancori preferiva
tribolarsi nel tedio dello esilio al vivere in pace con gli emuli suoi_;
nè solo si disse, ma si fece scrivere, e per renderlo più credibile da
persona fin lì mostratasi parzialissima al Guerrazzi. Questi fu il conte
Mario Carletti nella sua storia di quattro mesi in Toscana; e pure
questo stesso Conte Mario scriveva al Guerrazzi il 4 maggio
1859:--«Prima che mi pervenisse la grata sua conosceva la risoluzione da
lei fatta di non rientrare per adesso in Toscana. _Ammirai la generosità
di questo proposito; lo ammirarono molti con me, ma l'animo è sconsolato
della mancanza ec. Sia persuaso che questo è partecipato dai più_, ed
esso valga a temperarle l'ambascia che deve costarle il prolungare
volontario del già lungo esilio!»

Donde queste subitanee trasformazioni? Ciò è quanto vuolsi domandare al
Conte non al Piovano. Il Piovano può accertare che il Guerrazzi ne
rimase afflitto, ma non per lui; maravigliato non già, che ormai di
nulla ei più si maraviglia in questo mondo.

Il Guerrazzi ne scrisse al signor Corsi, affinchè egli, che lo doveva
sapere, dicesse al signor Carletti s'egli durasse in esilio per rancore,
per quale altra cagione ei vi durasse, e il signor Corsi rispose: «ho
scritto al signor Carletti pregandolo a rettificare i suoi giudizii, «e
spero che lo farà. Non so _come amico tuo sia sceso a ciò_. Invero è _un
bel predicare la concordia, ma sarebbe meglio praticarla!_» E sopra
questi sensi del signor Corsi avverto, come un amico vecchio, ai giorni
che corrono, di colta ti lasci in asso per amici nuovi, non doveva
parere a lui cosa strana nè forte; egli, che, scrivendo al Guerrazzi
altra volta, diceva _non accorgersi di trovarsi in campo a lui avverso_,
mentre uomini sinceri e di salda fede, i quali per causa di ufficio si
trovano a frequentare i Governanti lo ammonivano per lo contrario così:
«_non avremmo mai creduto che gli odii politici fossero tanto
implacabili contro di te_» e altrove: «_vedo bene che tra i presenti
rettori della Toscana e te corre la medesima simpatia che fra gli
austriaci e i toscani_.» E poichè il Guerrazzi mandava: «_or via di me
poco importa, ma perchè durano con tanta jattura a perseguitare gli
altri?_» L'amico rispondeva: «e non comprendi, _che riconciliarsi teco
non vogliono_ nè _possono_, e che mostrarsi generosi con gli altri, e
teco ingiusti sarebbe tal vitupero, che _i meglio arrabbiati non
oserebbero_» con altre più parole assai, che per amore di non
inciprignire la piaga si lasciano.--Quanto all'epifonema del signor
Corsi è oro rotto; ma che vuol'egli? Non fu sola no a lasciare la terra
per tornarsi in cielo la giustizia, ma seco lei volò tutta una nidiata
di virtù; ci era la fede, ci era la sincerità, e siccome per far più
presto buttarono via le vesti, di quelle della giustizia s'impossessò la
violenza, quelle della fede si tolse il tradimento, con le vesti della
sincerità s'incamuffò la ipocrisia. Dura la speranza, arrangolata ormai,
continua a consolare piuttosto per non mangiarsi il pane a tradimento,
che perchè speri abbia a succedere quello che dice.

Sarebbe storia tediosa quanto rea raccontare le _frodine_, le
_insidiucce_, le _furbizie_, le _mancinate_, i tiri _mascagni_, affinchè
il Guerrazzi non fosse eletto deputato. A Livorno gli ufficiali del
Governo andavano dicendo agli elettori: «e' buttano via i voti, tanto
deputato ei non può escire, non comparendo su la lista degli elettori»;
nè facendo frutto dissero e stamparono, che il Guerrazzi aveva scelta la
rappresentanza di Rosignano, suo antico collegio. A Firenze poi si
assicurava eleggerlo Livorno; a Rosignano facevasi diligenza perchè i
deputati del Governo uscissero eletti.

Però quanto al Guerrazzi e' fu tempo perso, perchè a Livorno egli ordinò
che _non rimettessero_ i suoi pochi stabili al catasto in proprio nome,
avendocegli cavati da parecchio tempo per sospetto di confisca; _nè lo
scrivessero_ a titolo di _capacità_ sopra le liste elettorali, ed
all'ottimo signor Romanelli, vice presidente dell'Assemblea, che a lui
inconsapevole fece il censo di suo, per bene _due volte ricusò la
deputazione_ di Arezzo, schifando mostrare anco per ombra premura di
tornare alla vita politica.

«Ormai, egli scriveva, le condizioni del paese e mie sono fatte tali,
che per necessità avrei a procedere contrario a chi vi governa, e ai
modi, che praticano, od io non mi rimarrei di venire a combatterlo
costà; ma bisognerebbe che io avessi pegno in mano di condurre la Patria
a porto fidato; ora questo pegno mi manca; in simile caso la opposizione
piglia indole di astio privato con iscapito del credito di cui la fa, e
danno del paese che la sopporta. Ad altri l'opera infelice di convertire
lo Stato in arme per soddisfare il suo mal talento: quando un cittadino
vuole vendicarsi di private offese (e il meglio è che non se ne
vendichi) l'ha da fare con ispedienti privati; lasci stare lo Stato,
ch'egli è sacro quanto l'ara di Dio.»

Io pertanto Piovano fo caso del Guerrazzi perchè popolo nacque, viscere
di popolo sortì da natura, e confido, che benevolente del popolo ei
morirà. Guardate quali i suoi fregi? Le carceri, gli esilii, le angoscie
sofferte per la Patria; egli rappresenta la civile _uguaglianza_, altri
il _privilegio_; egli la _libertà_, altri _i modi tirannici_; egli
_semplice_, altri _arrogante e superbo_; egli si tira da _parte_ e
_aspetta_, altri si _sbraccia_ e _procaccia_, e _arruffa_, e _annaspa_.
Egli non _cerca_, nè _domanda_ voti, altri _smania_ a impedire, che i
suoi concittadini gli diano dimostrazioni di amore, ed ardiscono
pigliare un nome sacro alla sventura e gittarglielo come un bastone in
mezzo alle gambe perchè caschi. I suoi difetti gli ha di sicuro, e
molti, chè Dio pesci senza lische, e uomini senza peccati io non saprei
dirvi il perchè ma è certo, non li volle creare; ed io per questi lo
raccomanderò nelle mie orazioni al Signore, e pregandolo altresì che si
degni infondere pazienza, e conforto in cotesta anima esacerbata.

Figliuoli miei, ma come volete, che si compiaccia il Guerrazzi
dell'odio, e non sapete che quando si fabbrica un ingegno l'Amore ci
mette più che mezza la sostanza di suo?

E qui io Piovano, confiderei di essermi giustificato dall'accusa
d'idolatria per l'uomo, che in sostanza era ciò, che premeva; ed ora
nonostante questi stridori potrei vivere sicuro che all'Alvernia non mi
ci avessero a mandare; mi appuntano eziandio d'idolatrare i suoi
scritti; ma questo non monterebbe, però, che alla più trista
significherebbe, che io sono un ciuco; ora pel bene delle anime come dei
corpi la Chiesa non inscomunica, e il Codice criminale non condanna gli
Asini. E poichè ciuchi si può essere quanto ci pare e ci piace senza
ingiuria del prossimo, purchè non si scalci, massime alla traditora,
così giudicherei questa come partita saldata, però non per me bensì per
l'onore del paese stimo dicevole spenderci attorno alquante parole. Non
penso già che taluno possa oppormi: «e chi te l'ha conferito il mandato
di difendere il paese?» perchè risponderei: Dio, e la mia coscienza
correndo obbligo a tutti, grandi e piccini, di mostrarci teneri della
Patria più della pupilla degli occhi. Nego risoluto che in Toscana ci
vivano così, i quali sfregino i doni di Dio; di tale generazione
salvatichi cerchinsi altrove; qui si amano, qui si onorano i sacri
ingegni, imperciocchè si considerino meno una proprietà dell'uomo, che
un presto fatto dal Signore per consolazione della Patria; onde nelle
opere create dai proprii concittadini pare ad ogni toscano averci la sua
parte; e tale senso così penetra nel linguaggio ordinario, che anche su
la bocca dei meno colti tu odi tuttodì: il _nostro_ Dante, il _nostro_
Michelangiolo, sicchè tu non puoi credere quanto quel pronome
possessivo, commuova l'animo a tenerezza. La è troppo peggio che
fandonia dare ad intendere che il Giusti avesse tristo concetto del
Guerrazzi; o questi di quello. Niccolini, Giusti, e Guerrazzi, e quanti
altri hanno pregio di gentili cultori delle lettere, e dello idioma
paterno amaronsi, si amano, e vivi o morti si ameranno sempre; anzi il
Giusti spesso consultava il Guerrazzi sopra i suoi gioielli, e ai
consigli di lui si adattava quasi sempre; una volta non gli dette retta,
e fu nella satira intitolata la _Scritta_, dove il Guerrazzi voleva
levasse la descrizione delle pitture, ed ei ce la volle lasciare stare.
Veramente in politica non occorrono termini di paragone fra loro, però
che studii politici il Giusti non ebbe, e per natura fu pusillanime, di
corpo caloscio, onde certa volta riprendendolo urbanamente il Guerrazzi
dei suoi terrori gli ebbe a dire: «vedi, tu mi pai Sansone, che volendo
schiacciare i Filistei scrolla le colonne, e poi ha paura dei primi
calcinacci che gli cascano sul naso.» Ed io poichè mi viene permesso, e
poichè stimo che abbia a ridondare a onore di tutti vo' porre qui un
carteggio che chiarirà come in Toscana si pensi e si scriva tra uomini,
che per disgrazia o non si amano, o cessarono amarsi, affinchè altri
impari, e per suo conto vituperi, e si vituperi, ma non affibbii a noi
sensi e linguaggio onninamente plebei. Nel 1849 l'Accademia della Crusca
scelse il Guerrazzi socio; tornato il Granduca (che tra le altre cose
era Arciconsolo dell'Accademia) cassò di posta il Guerrazzi ed in suo
luogo pose, io credo, un principe tedesco. Dopo la rivoluzione
dell'Aprile il signor Gino Capponi subentrò al Granduca nella carica di
Arciconsolo; e quali casi rompessero l'amicizia tra il signor Capponi e
il Guerrazzi non importa rammentare, deh! così non fossero accaduti mai;
e tuttavolta questo non tolse, che egli proponente, fosse reintegrato il
Guerrazzi dell'ufficio, e il signor Ridolfi, a cui se qualche rimprovero
si potrà fare, non sarà certo quello di mostrarsi benevolo al Guerrazzi,
con parole oneste confermò: ma lasciamo parlare a loro, che lo sanno
fare meglio di me:

--«Illustre signore. Ho l'onore di significare a V. S. C. che
l'Accademia della Crusca a cui da gran tempo doleva non registrare il
nome di lei nel ruolo accademico per essere mancata all'atto suo del 27
marzo 1849 la sanzione del governo, e tale stata la condizione delle
cose in questo intervallo da non potersi mai avventurare a domandarla,
desiderosa, che avesse finalmente il pieno effetto una elezione, che
altamente la onorava, ha esposto il caso al Governo della Toscana: e ne
ha ottenuto il decreto, che qui le trascrivo:--Costando al Governo della
Toscana della legittima elezione in accademico corrispondente della
Crusca dell'A. F. D. Guerrazzi avvenuta fino del 27 marzo 1849
secondando in ciò i desiderii ultimamente esternati dalla Accademia
medesima approva, che il nome dell'illustre letterato sia iscritto nel
ruolo accademico. Dal ministero della pubblica istruzione 4 settembre
1859.--C. Ridolfi.--R. Nocchi.

«Mentre io vedo con piacere in questo fatto la riparazione di un torto,
che più offendeva l'Accademia, che la sua persona ho fiducia, che V. S.
C. vorrà accogliere questa benchè tarda ammenda con quella generosità
d'animo, che in lei ben si accoppia al valore dello ingegno. Intanto
ec.--Firenze 15 settembre 1859.»[1]

  ¹ Nel carteggio di Giuseppe Giusti di recente pubblicato
    da Felice Lemonnier occorre la smentita a quanto un plebeo
    giornalista andava sbottonando circa lo spregio nel quale il
    Giusti teneva il Guerrazzi, e le cose sue. Il Giusti fu quegli
    che propose, ed ottenne si accettasse il Guerrazzi Accademico
    della Crusca. Caduto questi dal potere la marmaglia dei
    giornalisti, vile quanto maligna, prese a stracciarlo; nè solo
    lui, ma il Giusti altresì per la sua proposta accennata di
    sopra; il quale fiore di onestà e di gentilezza così rispose
    ad uno _di codesti infelici_: «Aprile 1849.

    «Il 22 marzo ricorrendo un'adunanza dell'Accademia della
    Crusca, e tra le altre cose dovendo nominare un socio
    corrispondente in luogo del Giordani morto di fresco, fui io
    quegli che proposi il Guerrazzi dichiarando, che intendeva
    onorare lo scrittore, e non punto adulare l'uomo potente. I
    miei colleghi assentirono di buona voglia e vinto il partito,
    incaricammo il segretario Valeriani di scrivere al Guerrazzi,
    ch'eravamo mossi a ciò dai suoi libri, e non dal posto che
    occupava.

    «Fino a tantochè il Guerrazzi rimase in alto nessuno fiatò;
    ora che è sceso taluni hanno mosso rimprovero all'Accademia,
    quasichè chiamandolo tra noi avessimo voluto piaggiare il
    triumviro piuttostochè onorare l'ingegno dell'uomo.

    «Ma siccome il Guerrazzi alto o basso ch'e' sia rimarrà sempre
    lo scrittore ch'è, io come lo proposi allora, tornerei a
    proporlo di nuovo, e non credo, che vi sia anima retta, che
    abbia il diritto d'imputarmelo a servilità.»

    (Epistolario di Giuseppe Giusti, vol. 2. p. 420).

    Questa lettera onora il Guerrazzi e di molto; ma la bell'anima
    del Giusti due cotanti più.--Se la marmaglia dei giornalisti
    avesse per inavvertenza smarrito la via della onestà e della
    verecondia, le si potrebbe dire: ««Mettiti, sciagurata! questa
    lettera a mo' di falsariga sotto al foglio dove tu scrivi, e
    ti ricondurrà su la diritta strada;» ma il cammino della
    rettitudine ella abbandonò a caso pensato; così lasciamola là
    come gli spinaci a bollire dentro la sua acqua; e non pensiamo
    più a lei.--

--Piaggierie, dirà taluno; sta bene, rispondo io; ma piaggierie agli
esuli, e agli invisi in veruna altra parte del mondo si fanno;
piaggierie, se volete, ma considerati i tempi, gli uomini, e le
condizioni loro non si sanno distinguere dalle generosità. Il Guerrazzi
scrisse al signor Capponi, poichè lo statuto vuole si mandino le lettere
all'Arciconsolo.--«Mio signore. La lettera umanissima scritta dal
segretario di cotesta illustre Accademia mi ha consolato, e ve ne rendo
grazie col cuore perchè aveva proprio bisogno di conforto.--Però dopo
avere meco stesso meditato il negozio con la maturità, che ho potuto
maggiore, mi è parso non dovere accettare l'onore, che degnaste
compartirmi. Io reputo, mio signore, che nè voi, nè gl'illustri vostri
colleghi aprendomi il vostro collegio abbiate posto mente abbastanza
alla mia condizione.--Una sentenza della Corte Regia mi condanna
all'_ergastolo_!--Il governo provvisorio toscano con certo suo atto, che
chiamò _amnistia_, venne a confermare cotesta condanna, imperciocchè il
perdono presupponga la colpa. Ora avendo stimato onesto rigettare
cotesto atto duro sotto la pena, la quale, a quanto sembra, non reputa
ingiusta nè manco il presente governo, dacchè ei sopportò che i giudici
i quali la profferirono tengano lo ufficio.

«Tanto mi parve debito annunziarvi, affinchè poi fatta più sottile
considerazione non vi aveste a pentire del vostro benefizio.

«So che altri non attese a condanne, nè ad amnistie; molto meno ai patti
ond'erano accompagnate: io non mi arrogo il diritto di giudicare altrui;
solo prego vogliansi rispettare le mie convinzioni; le quali sono: che
le leggi ingiuste non si devano disprezzare bensì rovesciare. Se bene mi
appongo commendatemi, se male compatitemi, chè alla mia età non si muta
natura.

«Se un giorno mi fie concesso tornare in casa in modo più degno di me, e
forse (non mi si ascriva a presunzione affermarlo) ancora della Patria,
che non è l'amnistia, allora non che rifiutare l'onore, che mi fate, lo
solleciterò io stesso non come uomo, che abbia dato esempii lodevoli di
scrivere, bensì come cittadino che amò con tutta l'anima la lingua,
glorioso e tenace vincolo sopravvissuto ad ogni maniera di tirannide,
per riunire quando che fosse in un corpo solo le membra sparse della
comune nostra madre l'Italia.--Con questi sentimenti, ecc. Genova 22
settembre 1859.»

Il signore Capponi rispondeva:

«Mio riverito signore. L'Accademia della Crusca, che vi elesse suo
corrispondente negli ultimi giorni del marzo 1849, reputò sempre legale,
e definitiva la elezione, che allora essa fece con pieni suffragi, nè
mai cessava di onorarsene; sebbene i tempi togliessero all'Accademia la
facoltà di pubblicare il vostro degno nome tra quelli degli accademici
corrispondenti non potevano però mai togliere il diritto, anzi l'obbligo
di contarvi come uno dei socii perchè la fatta nominazione era per essa
irrevocabile. Nè veniva questa ricusata allora da Voi, nè vi era dato
oggi negare all'Accademia la soddisfazione di porre in luce quello che
in fatto, e in diritto già esisteva da dieci anni. L'Accademia vi
ritiene per suo corrispondente, e tutti noi collega nostro; il
gradimento che voi ne avete espresso a noi tutti con parole onorevoli ci
conforta della sicurezza che vogliate sedere una volta in compagnia dei
colleghi vostri, solo atto che manchi a empire il voto, e il desiderio
di essi tutti e in particolare modo di chi ha il piacere di confermarsi,
ecc.--Firenze 28 settembre 1859.»

A bene intendere la parte finale di questa lettera vuolsi sapere, che al
nuovo eletto corre l'obbligo recarsi di persona all'Accademia per
recitarvi l'elogio dell'accademico a cui succede. Il Guerrazzi replicava
a questa con due lettere entrambi al signore Capponi, una come
Arciconsolo, altra privata.

«Mio signore. La infinita benevolenza vostra, e dei colleghi vostri vi
persuadono a mettere le cose in siffatta luce che paiono avermi a fare
forza: tuttavolta mi sia concesso dirvi con la debita reverenza, che non
le stanno per lo appunto come l'esponete voi.

«Vera la nomina, certa l'accettazione del 1849, ma dopo il Granduca, col
decreto di cui non rammento la data, _annullò_ la nomina; e il decreto
come mi fu notificato alle Murate così vidi io anco impresso nel
_Monitore toscano_.

«E quando ciò non fosse, la pena dello _ergastolo_ colpisce il
condannato di morte civile, epperò cessano in lui prerogative,
onorificenze, e diritti.

«Dopo il decreto regio contro del quale veruno levò querela come quello
che emanava da cui aveva potestà di farlo, ci fu mestieri nuova nomina,
e voi signori per deferenza al mio nome la rinnovaste, ne procuraste la
conferma, e me la partecipaste con lettera quanto umana altrettanto
gentile. Io però persisto, e devo persistere a credermene indegno e lo
sono.

«Non crediate, vi prego signore, che questa rinunzia sia atto unico o
primo, o subitaneo del mio convincimento, imperciocchè a cagione
dell'obbrobrio dell'_ergastolo_, e della più vituperosa _amnistia_ io
rifiutassi essere ascritto al ruolo degli elettori di Livorno, e per
bene due volte io ricusassi allo amico mio signore Romanelli la
deputazione di Arezzo, sempre allegando per causa, che nè sarei tornato
in patria, nè avrei accettato cosa alcuna, che mi venisse dalla Patria
dove prima non si togliessero via _coteste due infamie_: però voi
discretissimo comprenderete come le precedenti deliberazioni mi leghino.

«Dovrei poi reputarmi sfortunato davvero se da questo ufficio di
benevolenza me ne dovesse venire soprassoma di fastidii quale sarebbe
certamente quello di scapitare nel concetto onorevole di cui vi degnaste
darmi pegno sì egregio. Per parte mia fermo di rinunziarlo non ne
serberò meno l'animo grato, e vi professerei profondissima la
riconoscenza se in attestato della sincerità delle mie parole voleste
gradire due copie di due traduzioni non ha guari fatte di un mio libro
in Inghilterra ed in America.--Però persuaso, che vi piacerà accettare
la mia renunzia e non arrecarvene, mi confermo ecc.»

Ecco la privata:

--«Signore. Una volta ci fu dolce salutarci amici: almeno a me di certo;
fortuna poi volle, che cessassimo esserlo, pure io stimo che tanto anco
possa su voi, signore, la memoria dello antico affetto da non rivolgervi
invano una preghiera, la quale è questa: non insistete, di grazia, a
farmi accettare cosa, che mi contrista, e m'inacerbisce le piaghe, che
qualche volta mi danno tregua. Voi conoscendo la mia natura sapete
com'essa penda al pertinace; e quando ti si aggiunga l'argomento della
mente non penso, che di leggeri uomo possa svolgermi.--

«Condannato, esule, amnistiato, offeso nella salute come nelle sostanze,
percosso da vecchie ingiurie, e da nuove, a me piace, a me giova durare
così, finchè la Patria non reputi onesto riparare; e se non riparerà, io
finirò lontano sempre contento, quando io la sappia felice, di quella
parca felicità, che solo a noi è concesso di godere quaggiù. Vi auguro
ogni bene; addio.»

Allora il signore Capponi da capo.

--«Amico pregiatissimo. Sentite dunque; l'Arciconsolo non vi risponde, e
quello che io possa fare di più a modo vostro è proporre all'Accademia,
che lasci stare le cose come stanno; che vi vogliano _disaccademicare_,
adesso non lo sperate, nè pare a me dobbiate voi desiderarlo. Agli
uffici di corrispondente voi non sarete chiamato mai, chè propriamente
non ve ne sono; rimarrà anco in atti la vostra ultima lettera,
testimonio, che volete (e me ne duole) quanto a voi non essere
accademico, ma non però vi cancelleremo dall'elenco dei corrispondenti;
dico addirittura che non lo faranno perchè conosco le intenzioni dei
colleghi miei, e se volessi io dare un voto a modo vostro sarebbe
perduto. A buon conto questa vostra repugnanza dipendendo da cause
mutabili, deve cessare com'io confido cessando i motivi, e che si venga
a questo fine io faccio voti. Quel che io vi ho scritto è quanto arriva
la podestà mia di Arciconsolo indegno, e tratto a forza sul seggiolone
per lo scampolo di pochi mesi..., e voi credetemi cordialmente vostro
affezionatissimo amico ec.--Firenze 28 ottobre 1859.»

E poichè il Guerrazzi si trovò ad essere messo nella Crusca come lo
misero alle Murate, e ci ebbe a stare; ma non è questo che io voleva
dire, bensì palesare altrui quali i modi, e il linguaggio degli uomini
di cui Toscana si onora, comecchè poco amici, e per avventura stati
avversi fra loro. Certo ei parrà strano sentire, che qui tra noi non
pregino il Guerrazzi, mentre da trent'anni a questa parte non passa
anno, che una o due edizioni dei suoi libri si stampino; nè comparisce
opera di lui che tre ristampe almeno non ne corrano fra il popolo, una
regolare e due per opera e virtù dei pirati; e vi ha tal libro del
Guerrazzi, che conta perfino 40 edizioni. La sua parola scorre per la
Italia come lava di libertà; e l'_Assedio di Firenze_, io non dubito,
che acquistasse più anime alla causa della patria che due dozzine di
Apostoli non avrebbono saputo o potuto fare. La Europa sembra tenerlo in
conto, poichè l'anno scorso comparvero a un tratto tre traduzioni dei
suoi libri, una a Londra dello Scott, una ad Amburgo del Valentiner,
l'altra a Brusselle del Potestà; ed ora sentiamo, che l'Hachette a
Parigi sta per pubblicarne un altra; nè la Europa sola, ma l'America nel
cinquantotto mise fuori due traduzioni delle opere del Guerrazzi, una
della Schramm a Boston, e l'altra del Monti esule napolitano a Nuova
Jorca; però se sarà peccato riputare valoroso scrittore il Guerrazzi ci
consola che saremo molti peccatori; e se ci toccherà andare all'inferno
per questo, noi ci andremo, secondo che sembra, in molta, e buona
compagnia; onde la piglieremo in santa pace confortandoci col proverbio,
che mal comune è mezzo gaudio.

Chiuderemo ripetendo, che la Chiesa madre di carità non iscomunica la
ciucaggine, nè verun codice penale la condanna, nè manco il Chinese;
padrone pertanto il Giornalista a rimanersi ciuco quanto gli piace, e
(se possibile fia) a crescere quanto gli pare; solo i Toscani hanno
diritto di pretendere ch'ei si faccia scorgere per conto suo, e smetta
il vezzo di porre su le labbra di noi altri Toscani sensi, idioma e
svarioni che non solo per noi, ma per gli Ottentotti, pei Caffri, anzi
pure per gli Esquimesi parrebbero salvatichi.--Se egli è ebbro pigli
l'elleboro, e se ha il diavolo dell'astio, e della malignità in corpo
venga da me in Canonica, dopo vespro, che come prete gli farò la carità
di esorcizzarlo _gratis_.

Queste le cause per le quali non idolatriamo nessuno, che la idolatria
dell'uomo offende Dio, e reca danno inestimabile alla libertà: bensì
amiamo, e rispettiamo il Guerrazzi per le doti dell'ingegno, e più per
quelle del cuore, ornamento della Patria nostra.

								=Io Arlotto Mainardi=
		_Piovano di san Cresci a Maciuoli.
											Mano propria._


FINE



		Nota del trascrittore

		Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute,
		correggendo senza annotazione minimi errori tipografici. È stato
		omesso il testo della pagina di frontespizio, uguale a quello della
		copertina tranne per le seguenti righe, relative alla casa editrice:

				GIO. BATTISTA ROSSI LIBRAJO-EDITORE

				PALERMO         MILANO
				DECIO SANDRON   GAETANO BRIGOLA

		Sono stati corretti i seguenti refusi [tra parentesi il testo
		originale]:

		Pag.  3 - non abbaino [abbiano] i cani
								8 - la proposta [propasta]
							10 - e avvivarlo, mantenerlo [mantenarlo]
							17 - ricordare tutti [tuti] i prigioni
							18 - generazione, massime storici [storirici]
							24 - e caso mai scoppiasse [scoppaisse]
							27 - Ridolfi [Ridofi] come uomo di corte
							38 - e simili altre fandonie [fandomie]
							44 - la loro convinzione [convenzione]
							59 - non disprezzasse [disprazzasse]
							78 - se [sè] sarà peccato riputare

		Grafie alternative mantenute:

				qui / quì
				qua / quà





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