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Title: Paolo Pelliccioni, Volume I (of 2)
Author: Guerrazzi, Francesco Domenico, 1804-1873
Language: Italian
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2)***


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PAOLO PELLICCIONI

RACCONTO STORICO DI

F. D. GUERRAZZI.

VOLUME PRIMO.



Milano,
Casa Editrice Italiana di M. Guigoni.
Corso di Porta Nuova, N. 5.
1864.


Dritti di traduzione e riproduzione riservati.

NB. _Tutte le copie non munite della firma dell'editore verranno
considerate come contraffatte._

Presentata alla R. Prefettura di Milano il 10 agosto 1864.

Tip. Guigoni.



                    ALL'AMICO DI GIACOMO LEOPARDI,
                     ALLO SCRITTORE DI _GINEVRA_
                           ANTONIO RANIERI
                               CHIARO
              PER DOTTRINA NON MENO CHE PER RETTITUDINE,
                 IN TESTIMONIANZA DI MUTUA AMICIZIA,
                      QUESTO RACCONTO INTITOLA

                                       F. D. GUERRAZZI.



PAOLO PELLICCIONI.



CAPITOLO PRIMO.

Sisto Quinto e il conte Olivarez.


-- Santità, le faccio umilissimamente considerare come, da un'ora e più,
con la reverenza debita al Vicario di Gesù Cristo redentore sopra la
terra, le sia venuto esponendo il profondo disgusto del mio signore e
padrone, Sua Maestà Cattolica, non che la repugnanza di tutto
l'illustrissimo ed eccellentissimo clero di Spagna per questa sua ultima
bolla, la quale giudichiamo perniciosissima alla quiete della santa
madre Chiesa. Noi pertanto, con le mani giunte, la supplichiamo e
scongiuriamo a porre giù dall'animo siffatto funesto disegno: ad ogni
modo la prego, e riprego, sicchè il priego valga mille, a degnarsi di
una qualche risposta, affinchè, caso mai (il che Dio tolga) alla Vostra
Beatitudine talentasse ostinarsi nello scandalo, Sua Maestà il Re mio
signore e padrone possa pigliare nei suoi stati i provvedimenti, che il
suo zelo per la religione, e l'autorità della propria corona, la quale
egli ricava direttamente da Dio, gli persuaderanno essere meglio
opportuni. --

E qui colui che favellava tacque, ed aspettò buona pezza, tuttavia
invano: allora con voce tremula, come chi si tenga per non dare di
fuori, egli soggiunse:

-- Dunque, nonostante le mie fervide, e ad un punto ossequiose istanze,
la Santità Vostra non giudicherà dicevole di porgermi risposta? Si degni
avvertire, Beatissimo Padre, il corriere per la Spagna sta su le mosse
per partire ed aspetta i dispacci, sicchè si riscuota una volta; che
medita adesso? A che pensa? --

Così favellava, secondo il costume della sua Corte, prolisso e
sazievole[1] il conte Olivarez ambasciatore spagnuolo a Roma,
superbissimo tra i superbi _idalghi_ del suo paese; e quantunque la
forma delle parole, e gli atti del corpo comparissero quali il più
fisicoso dei cerimonieri del Papa non avrebbe trovato da appuntare, o
avrebbe ripreso poco, pure aveva creduto bene arrestarsi sul terzo punto
interrogativo, essendo simili punti per propria indole assai
sdrucciolevoli alla provocazione.

Veramente non gli si avrebbe potuto dare torto, dacchè il Papa, al quale
egli volgeva il discorso, gli stesse davanti immobile e taciturno, come
se non si fosse nè manco favellato a lui.

Il Papa era Sisto V che gli dava udienza, il quale secondo il suo
costume, tenendosi nè appoggiato nè seduto alla estrema sponda del
tavolino con le braccia aperte, e le mani ferme sopra lo spigolo di
quello, mentre con ambo li piedi tesi puntava forte il pavimento: il
capo aveva chino, e gli occhi chiusi, nè l'alito stesso lo chiariva
vivo, senonchè, alle parole ultime del Conte, egli schiuse l'occhio
destro, e lo guardò a stracciasacco quattro volte e sei; quando poi
costui ebbe finito, Sisto, quasi tirasse co' denti le parole, disse:

-- Ambasciatore, noi pensavamo tra noi, che cosa avremmo guadagnato da un
lato, e che cosa perduto dall'altro, facendovi gettare giù su la strada
da quella finestra, che avete dietro le spalle.....

Il Conte si voltò di un tratto senza nè anco volerlo, e con terrore si
vide dietro una finestra; il Papa, non avvertendo cotesto moto o non lo
curando, ripigliava sempre tranquillissimamente:

-- E se volete accettare un nostro consiglio, noi, mirate, vi diremmo che
ve ne andaste prima che noi avessimo fatto il conto, -- perchè, _cæteris
paribus_, mettiamo pegno che in noi la vincerà il gusto di vedere che
garbo faccia un ambasciatore di Sua Maestà Cattolica volando per aria. --

Il Conte, curvo fin lì come arco teso, si raddrizzò pari a quello, dopo
scoccata la freccia, e, rinvenuta barellando la porta, se la svignò:
ricuperato, appena fuori della sala, l'uso delle gambe, correva, correva
come se il diavolo lo cacciasse, o gli sbirri lo cercassero, e, nella
fuga disonesta, dimenticava spada, cappa e cappello lasciati nelle mani
dei camerarii del Papa, i quali, correndogli dietro, non lo poterono
arrivare prima ch'ei salisse in carrozza, sicchè ebbero a riportarglieli
a casa.

Giunto al palazzo di Spagna, si provò il Conte di vincere la paura con
la superbia, e non vi riuscì; anzi l'una e l'altra gli dettero travaglio
per guisa che, indi a breve, gli si mise il ribrezzo della febbre
addosso, a cui successero le caldane; le quali sempre crescendo lo
costrinsero di cercare a tastoni il letto, e a giacervisi sopra, dove
prese a vagellare con inestimabile sgomento dei famigliari, che lo
giudicarono ammattito: di fatti, egli urlava:

-- A me queste cose? A me, ambasciatore di Sua Maestà Cattolica, primo
potentato dei due mondi?... Ale! ale! per Dio datemi l'ale, o casco, e
mi rompo il collo... mirate come sono alte le finestre... corda! corda!
Ma che il padre di questo Papa fosse un funaiolo, ch'egli è così
innamorato delle funi?... Non gli basta mandare tanta gente in su, che
adesso lo piglia la smania di mandarne altrettanta in giù...? Con questi
preti ci vuole un principe di Borbone, a patto che non moia... un duca
di Alba, purchè sul più bello non venga richiamato.... _Voto a Dio_,
datemi, Maestà, quattro vecchie bande di Spagnuoli, ed io vi porto il
porcaio della Marca a Madrid dentro una gabbia....

Tali e molte più erano le parole del vaneggiante, di cui forse ne
riferimmo anco troppe. I famigliari lo vigilarono attorno al letto, non
sapendo però come sovvenirlo, o piuttosto lo aiutavano troppo, perchè ci
era di quelli che lo credevano stregato, altri indemoniato, non mancava
chi sostenesse, che voleva dire lo stesso, ma il Cappellano
dell'Ambasciata ostava con tutte le forze, e gratificava in tondo
dell'ignorante a tutto pasto; però non persuadeva, o persuadeva pochi, e
parendo il caso grave, chi gli applicò sul capo la immagine della
Madonna del _Pilar_, e chi quella di Monserrato; altri, riveriti come si
doveva i rimedi spirituali, ammonivano sarebbe stato prudente ricorrere
ai materiali, epperò il segretario lo copriva per farlo sudare, il
cancelliere lo scopriva per amministrargli un cristeo; taluno avvisava
cavargli sangue, tale altro applicargli le coppette a taglio; insomma,
se il povero Conte non rinveniva gli spiriti, la quale cosa accadde
verso la metà della notte, restava sepolto sotto la mole dei rimedi così
temporali come spirituali.

Sul far del giorno la febbre efimera cessò, ma intronato dalla radice
dei capelli fino alle ugne dei piedi, non ebbe balía di levarsi da
letto: pauroso però, che della sua paura traspirasse novella, sotto pena
di essere cacciati via come marrani, ordinava alle persone della
famiglia tacessero il caso; se taluno veniva per esso, lo congedassero
col pretesto, che avendo logora gran parte della notte a dettare
dispacci, si era addormentato sul fare del giorno; lo avrebbe ricevuto
il dì di poi; per ora lo lasciassero in riposo.

Così il Frascatino, soprannome del barbiere dell'_Ambasciata_ (però che
l'Ambasciata avesse il barbiere, e non l'ambasciatore), malgrado il suo
molto arrovellarsi, non ottenne di vedere il Conte, nè riuscì a cavare
una parola di bocca ai servitori; tornasse il giorno dopo, gli dissero
quattro volte e sei, allora saprebbe se avesse a radere la barba al
Magnifico, o no.

Frascatino se ne andava con sembianza compunta: giunto a piè della
scala, gli venne voglia di tentare una seconda volta, e ne salì mezza;
ma quivi stette, e considerato che quanto a cocciutaggine gli Spagnuoli
escono tutti dall'Andalusia, madre patria dei migliori muli che vanti la
Spagna, avvilito riscese.

Alla dimane si trovò in piedi al punto stesso che l'allodola spiegava
l'ale per lasciare il nido; fattosi presso al palazzo e trovatolo
chiuso, si mise a passeggiare su e giù col moto del pendolo, e appena
aperto il portone s'intromise: per questa volta gli camminava amica la
fortuna, imperciocchè, come tosto fu avvisato il Conte della sua
presenza, comandò che entrasse.

Entrava il Frascatino a testa bassa, e dopo avergli baciato con profondo
ossequio le mani, di un tratto gli ficcò gli occhi dentro al viso.
Misericordia! Comecchè gli fosse sempre comparso colore di olio di noce
vieto, adesso poi gli appariva tinto di verde rame stemperato nel tôrlo
di ovo.

Ad un barbiere allora veniva mala pena concesso di augurare il buon
giorno ai nobili clienti, però egli in silenzio ammannì gli arnesi,
allacciò la striscia alla seggiola, gli strinse il bavaglio alla gola,
della spuma del sapone sbattuto gl'intrise le gote, prima passò il
rasoio sul cuoio, poi sul palmo delle mani, e con l'indice e il pollice
tirata la pelle verso la tempia destra, prese a menare giù col rasoio.
Da prima il dabbene barbiere s'industriò di attaccare il lucignolo col
raderlo lieve così ch'era una delizia, e non venne a capo di nulla;
allora mutato registro gli fece stridere il rasoio sopra le guancie, e
il Conte apriva e chiudeva gli occhi strabuzzati come uomo preso dal
male di santo Antonio, come credo io avesse a fare la Madonna di Rimini
in tempi assai prossimi a questi. Qualche grossa lacrima sgorgatagli
dalla congiuntiva scendeva giù a mescolarsi con la saponata, e
nondimanco taceva; il Frascatino stava per darsi alla disperazione,
quando a mezza barba, il Conte così facendo lo svogliato cominciò:

-- Orsù, barbiere, che nuove in città?

-- Magnifico signor Conte, e' si fa un gran dire della sua infermità....

-- Malato io? Per la vita del re don Filippo io non mi sono mai sentito
bene disposto della persona come adesso....

-- Capisco anch'io che sbalestrano a parole, e tuttavia la faccia pallida
e il lividore degli occhi mostrano espresso che vostra signoria
illustrissima ha passata la trista nottata.

-- Ma no... ma no pei grani del mio santo Rosario... questo accade per
non avere chiuso gli occhi da ieri l'altro in qua.

-- Capisco....

-- Avendo mestieri di spedire i dispacci in Ispagna...

-- Capisco.... capisco: dopo il caso di vostra signoria illustrissima che
adesso, mercè le sue parole, conosco privo di fondamento, non si cessa
di menare rumore per l'altro atrocissimo d'ieri....

-- Ieri accadde un caso atrocissimo?

-- Già! O non gliel'hanno riportato?

-- Vi ho detto, che rimasi tutto il giorno chiuso a dettare dispacci....

-- Ma io credeva, che i dispacci si versassero appunto su questo....

-- O com'entrano i dispacci di Spagna col caso d'ieri....?

-- Come ci entrano? Santa Vergine della Neve! o non si tratta appunto di
Spagnuoli trucidati?

-- Spagnuoli trucidati!

-- Già, e quattro cardinali spagnuoli tenuti in pregio, salvo rispetto,
di quattro melanzane....

-- Giuro per l'anima della Contessa mia signora madre, ch'è in paradiso,
ch'io non ne so nulla....

-- O allora di che mai scriveva dispacci, sia benedetto, vostra signoria
illustrissima?

L'ambasciatore si sentì vinto di acutezza dal barbiere, e perse la
bussola; tacque alcun poco, poi, considerando che ormai non giovava
armeggiare, datosi per vinto, soggiunse: -- Dimmi, in tua malora, che
caso è questo che accadde?

-- Io la servo in quattro battute, padrone illustrissimo: un trabante del
Papa, di quelli che dicono alla gente _addietro te, e il muro_, giorni
sono, accompagnando il Pontefice alla cappella, diede senza discrezione
del calcio dell'alabarda sul piede ad uno spagnuolo chiamato Gonzalez de
Aranda; donde nacquero parole, ma non si procedè oltre, stante la
reverenza del luogo; caso volle, che ieri mattina, recandosi lo
spagnuolo alla messa in San Pietro, s'imbattesse nello svizzero, che se
ne stava in ginocchioni davanti l'altare; la s'immagini se allo
spagnuolo brillarono le mani! Già, quando le disdette hanno da
succedere, anco gli _agnus dei_ diventano coltelli; per la quale cosa
avvenne, che un pellegrino lì presso, inteso tutto a sentire la santa
messa, avesse appoggiato il suo bordone al muro: che ti fa lo spagnuolo?
In un bacchio baleno agguanta il bordone, e a due mani lo scaraventa su
la testa dello svizzero gridando: randello mi desti e randello ti rendo.
-- Lo spagnuolo, come osservano i sapienti di Roma, era in buona fede,
dacchè ormai nessuno contrasta che il cranio svizzero vinca di durezza
qualunque più duro legname, ma per sua disgrazia questo svizzero faceva
eccezione, che il capo gli si aperse come un melagrano, e morì senza
potere finire intero: Gesù, Giuseppe e Maria vi raccomando l'anima mia.
Visto e preso, che qui gli sbirri escono fuori fino dalla barba di San
Pietro; e poichè il caso venne riferito a Sisto, questi andò in bestia
così, che fumava come un camino. Paratosegli davanti il Governatore di
Roma, gli fece una bravata da mettere i brividi addosso alla statua di
Marco Aurelio, ch'è di bronzo, e: -- a questo modo, urlava costui come
frenetico, a questo modo, signor Governatore, si ammazzano gli uomini in
Roma alla presenza di Dio e nostra? E ora, che fate? Che provvidenze
eseguite perchè Dio e noi siamo vendicati a colpo di fulmine? Il
Governatore di quieto gli andava esponendo il malfattore caduto in mano
della giustizia, le informazioni ordinate, presto istruito il processo,
sicchè tra quattro giorni o sei lo spagnuolo si sarebbe potuto
decapitare o impiccare a modo e a verso secondo si trovasse essere o
gentiluomo, o plebeo. -- A cui Sisto di riscontro: -- che processi o non
processi? Qui il morto è su la bara, l'omicida certo, tante invenie a
che montano? Impiccatelo addirittura. -- Il Governatore, a cui pareva
grossa impiccare un uomo senza processo, supplicava osservasse costui
essere spagnuolo, e il Papa rispose: -- magari! fosse il conte di
Olivarez....

-- Ha detto? Dando una scossa, domandò il Conte.

-- Per Crispo! Io l'ho intaccata;... ma veda... io non ci ho colpa... se
ella non istà fermo... l'è un ninnolo, con un poco di ragnatelo ristagna
subito il sangue.....

-- Continua....

-- Io non vorrei....

-- Continua, dico, continua, io sono tranquillo, e il Conte urlava come
un energumeno, e forte del piede batteva la terra.

-- Ai suoi comandi. Dove siamo restati? O ecco. -- Magari! fosse il conte
di Olivarez.... che tanto lo farei impiccare...

-- Impiccare ha detto? -- Impiccare?...

-- Ha detto impiccare?

-- Malnato! Non sa nè manco che ai gentiluomini va _de jure_ la
mannaia....

-- Sarà stato un _lapsus linguæ_, che avrebbe corretto mastro Gigolo.
Dunque se le piace....

-- Continua....

-- Allora dunque si misero attorno al Papa alcuni cardinali per fare
spalla al Governatore, onde Sisto infastidito scappò fuori col dire: --
orsù fabbricate quanti volete processi, a patto però che il malfattore
sia impiccato prima di desinare, e abbiate avvertenza, che stamane mi
sento fame. -- I quattro cardinali spagnuoli, considerando, che quanto a
salvare il compatriota era disperato, supplicarono il Papa concedesse
gli venisse mozzo il capo come si costuma appunto a mo' che saviamente
avvertiva V. S. illustrissima co' gentiluomini, non essendo giusto che,
per la colpa di un uomo, la sua famiglia patisse danno nella
reputazione; alle quali preghiere Sisto rispose: -- lui ad ogni modo
impiccato dev'essere, ma perchè la sua famiglia non senta disdoro, io ne
onorerò la morte con la mia presenza; però fate di piantare le forche
qui in piazza San Pietro proprio dirimpetto alle finestre; -- e secondo
ordinò essi eseguirono, ed egli non si mosse dalla finestra finchè nol
vide dare l'ultimo tratto; allora disse: adesso a mensa, che la vista di
questa giustizia ci ha stuzzicato l'appetito. -- Le parole del Papa
corsero subito per le bocche dei Romani, e oggi è comparso Pasquino con
un bacile in mano pieno di forche, a cui chiedendo Marforio, che diavolo
almanaccasse in cotesto arnese, egli rispondeva: -- porto la salsa per
l'appetito del Papa; nè qui è tutto, adesso ne viene il buono, ma lo
tacerò per non irritare la vostra Magnificenza....

-- Continua, pel corpo di santo Jacopo di Zamora....

-- Senta, Magnificenza, io le racconterò quello che avanza, terminata la
barba, perchè, veda, io non vorrei segnarle sopra la faccia una seconda
di cambio.

-- Continua, o ti faccio buttare giù dalla finestra....

-- Per lo appunto di salti dalle finestre io voleva discorrere con la
vostra Magnificenza; però procuri di non si arrabbiare, ve'! che per me
sono figliuolo di obbedienza... -- qui col pollice e l'indice gli stirava
la pelle della guancia destra, e lieve vi scorreva giù col rasoio,
mentre diceva: -- durante il pranzo Sisto iattava avere cacciato in corpo
a vostra Magnificenza una paura marchiana, cosicchè gli fosse sparito
dinanzi a scavezzacollo, dimenticati cappa, cappello e spada....

-- Se ne vantava?....

-- E come! Ma la stia fermo, altrimenti la intacco da capo....

-- Sto....

-- Bravo! Ed aggiungeva, che vostra Magnificenza, tornato a casa, fu
preso da una febbre da cavalli, e che tutto il giorno non aveva fatto
altro che vagellare....

-- E se ne vantava?

-- Altro, che vantarsene! Ne sghignazzava dall'allegrezza, e i commensali
per camminargli a' versi pareva ne andassero in visibilio... ma non si
agiti... sia benedetto.... non si agiti: se vostra Magnificenza manca
alla promessa di stare fermo, contro il mio volere mi toccherà a mancare
ancora io alla mia di non intaccarlo... e allora fuori mi chiamo...

-- Tira innanzi _por los higados de Dios!_...[2]

-- Dichiarò ancora, che nella giustizia dello spagnuolo per due terzi
vantaggiati ci entrava il gusto di ribadire nella vostra Magnificenza il
chiodo della paura, averle ormai trovato la vena, che giudicava essere
la paura... che considerato il diritto e il rovescio, poichè non poteva
liberarsi dall'oratore del Cattolico con la forca, se ne sarebbe
liberato con la paura della forca, e per via ugualmente sicura tanto
aveva sperimentato solenne la poltroneria della vostra Magnificenza....

-- _Por la santissima Trinidad!_ Urlò dando uno sbalzo il conte Olivarez,
e al punto stesso un buon tratto di rasoio gli penetrava dentro la
guancia; per la qual cosa, aggiungendosi l'asprezza del taglio alla
trafittura dell'animo, sorse infellonito pigliando a imperversare
attorno alla camera; il sangue gli gocciolava giù mescolandosi con la
spuma del sapone, che presto ne rimase tinta, e intrisi ne andarono in
breve lo asciugatoio, le mani ed anco il pavimento; pareva un condannato
fuggito di sotto alla mannaia mal concio dal manigoldo inesperto; il
barbiere col rasoio all'aria gli correva dietro e raccomandandosi a
tutte le Madonne dello stato Romano, e a qualcheduna di fuori,
protestando tutta la colpa movere dal Conte che non era stato fermo, o
piuttosto dal Papa che non lo aveva fatto stare fermo; si calmasse,
concedesse di guardargli il taglio, di terminargli la barba, di
pettinarlo, di ungerlo, insomma non si poteva dimostrare maggiore
ansietà nè più sentito affanno; e nondimanco a cui ci avesse sottilmente
atteso, avrebbe ravvisato in Frascatino uno strione da disgradarne
l'antico Roscio e da stare a petto del moderno Vestri.

Il Conte non avvertiva, e con quella faccia da fare riscontro al volto
santo impresso sul velo della Veronica, tempestava tuttavia, cacciando
fuori un diluvio di bestemmie e d'ingiurie contro il Sommo Pontefice,
ch'egli sempre salutava col nome di _Sommo Carnefice_, e forse non
diceva male; poi lo chiamava figliuolo di tante cose, ch'è una passione
non poterlo ridire; certo lo imperatore Carlo V non si peritava punto nè
poco a sfringuellarlo anco in chiesa quando i suoi cantori a San Giusto
davano in istonature[3], ma noi altri popolani ce ne asteniamo anco in
un libro. Basti tanto, che bandì beatissimi Genserico e il Borbone per
avere dato il guasto a Roma, mentre levò i pezzi di dosso al duca di
Alba a cui era mancato l'animo di spingersi avanti e mettere in un
mucchio di calcinacci il Vaticano e Roma[4]: quello però che non ardì il
duca d'Alba, bastare la vista di compire a lui conte di Olivarez, e ciò
che non accadde sotto Paolo Quarto, potere succedere nel pontificato del
temerario guardiano di maiali; ci si metterebbe con le mani e co' piedi,
c'impegnerebbe le sue aderenze, tutte le ricchezze; se bisognasse anco
l'anima, e dove non riuscisse, ora per allora rinnegava _la passion del
Hijo de Dios, e la que me pariò_[5], e un monte di altre cose, che non
importa riportare.

Quando il sangue si fu accagliato sul viso, e la bile sparsa pel sangue,
e su la bocca, ed ei si sentì stracco, rifinito dal barellare, si lasciò
ire giù di sfascio sopra il seggiolone, dove il barbiere lo medicò, e lo
acconciò con amore, dicendogli parole di rifrigerio alla vanità offesa,
così argute, e tanto bene adattate, che il Conte, allorquando costui
prese licenza di andarsene, gli donò di presente dieci ducati
assicurandolo della grazia sua per lo avvenire. --

Scorticato, deriso e tradito il Conte donava, ed aveva reputazione di
negoziatore solenne, ma in pellicceria ci vanno più pelli di volpi, che
di asini, proverbio antico, che io ripeto spesso a edificazione dei
nostri uomini di stato.

Il Frascatino, trovato a casa il compare Angiolo barbiere del Papa, gli
raccontò per filo e per segno com'erano andate le cose, e lo pregò di
sottoporre agli occhi del Beatissimo Padre lo sbaraglio a cui ogni dì si
metteva per sua devozione; rammentasse che gli spagnuoli di nulla nulla
si accorgessero, egli era basito, il pezzo più grosso di lui sarebbe
stato l'orecchio; al paterno cuore di Sua Santità raccomandava cinque
figlioletti, che gli erano nati in casa fitti come le cinque dita della
mano. Se Angiolo dicesse coteste cose, o le tacesse al Papa, ignoro, ma
le avrà taciute di certo, però che ricorressero ogni dì obbligate ai
rapporti del Frascatino come il _Gloria Patri_ in fondo ai salmi; e
veramente dal dì che egli aveva raccomandato di farle presenti ad oggi,
i cinque figlioletti nati in casa fitti come le cinque dita delle mani a
questa ora dovevano essere cresciuti come pertiche: questo so, che Sisto
gli diede venti ducati perchè gli consegnasse al Frascatino, e lo
confortasse a servirlo con amore; se lo avesse contentato, ben per lui.
Angiolo le parole del Papa al Frascatino consegnò tutte, anzi ce ne
aggiunse un pizzicotto delle proprie: quanto a danari poi ne consegnò
mezzi, e dei mezzi con mille suoi arzigogoli arrivò a farsene dare dal
Frascatino la metà; entrambi si rubavano, e lo sapevano, e nondimanco
buttavano via tempo e parole a tendere lacciuoli che non chiappavano mai
uccelli, pratica ai giorni nostri lodevolmente continuata dai Ministri,
dagli Ambasciatori, e da Barbassori altri cotali per divertire la gente
che non ha modo di andare a' Teatri; però è curioso notare come la
Furfanteria facesse ai nostri barbieri le parti giuste così, che meglio
non avrebbe potuto l'Onestà, avendo avuto ognuno di essi quindici ducati
per lo appunto. Quindici ducati guadagnarono costoro a tradire i
padroni, e a rubarsi scambievolmente; di quanto avrebbero fatto civanzo
se tutto quel dì astenendosi da scioperare nel mestiere della spia
avessero esercitato quello del galantuomo?

                *       *       *       *       *

Il conte Olivarez scrisse dispacci in Ispagna adoperandoci più fiele,
che inchiostro, e non ce n'era mestiero, perchè Filippo intendeva
scavalcare il Papa non mica avversando l'enormezze sacerdotali,
all'opposto esagerandole: insomma esercitare dirimpetto alla Chiesa le
parti, che tennero un dì i Profeti in faccia ai Leviti.

Qui porremo adesso la causa della controversia. Sisto fino dal 1588
aveva fatto stampare la Bibbia, volgata, e già per questo n'erano corse
le novelle, le quali crebbero fuori di misura questo anno quando si
seppe come, dopo volgarizzata in italiano, e stampata la Bibbia, con
amplissima bolla avesse ordinato, che si pubblicasse: nè per dimostranze
punto si rimetteva da quel suo fermo volere, anzi a cagione dei
contrasti vie più incaponiva, conforme gli dettava la indole ritrosa; e
a qualche cardinale, che s'industriava ritrarnelo, rispose sboccato: _lo
abbiamo fatto per voi altri ignoranti che non intendete il latino_.

Siccome Sisto morì il ventisei agosto dell'anno seguente, prima che il
suo disegno potesse avere compimento, i papi che gli tennero dietro non
solo mandarono a monte la cosa, ma ordinarono o consentirono, che la si
smentisse; però inefficacemente, conservandosi parecchie copie della
medesima, ed una in particolare nella biblioteca medicea di San Lorenzo
in Toscana, un'altra nell'Ambrosiana di Milano, e due in Ginevra. Quanto
alla Bolla, il Gesuita Briego la vide, e ne porge testimonianza nei suoi
Annali stampati a Parigi nel 1663.

Intorno alla Bibbia i papi apersero sempre giudizio poco parziale, per
non dire nemico, e per ragioni in parte buone, e in parte no; nè
mancarono, come sembra giusto, di quelli, che distinsero tra libro e
libro, e dal vecchio il Testamento nuovo.

Un pontefice non sapeva capacitarsi, come un uomo dabbene si confidasse
imparare qualche cosa di buono nelle prime storie della Genesi; a mo' di
esempio nel peccato di Eva, e nella condanna a morte dell'universo
genere umano, nel fratricidio di Caino, nella vita indecentissima del
Patriarca Abramo, ed in quella troppo più biasimevole del Patriarca Lot,
e via discorrendo; e veramente non giunsi mai a comprenderlo nè manco
io.

Questa fu onestà, ma di simile erba ne cresce raro in Corte di Roma,
dove il Vangelo recato in italiano si aborre, come quello, che, messo
per falsariga sotto ai passi dei sacerdoti, ti mostra chiaro com'essi
camminino a granchio. Quando poi, a cagione dei molti volgarizzamenti
pubblicati dalle sette, ogni divieto fu visto riescire indarno, Roma
mise mano a sua posta a volgarizzare la Bibbia a modo suo, e non potendo
in quel modo avvantaggiarsi troppo, a infagottarla con glosse, e
commenti per guisa, -- _che del no vi si fa ita_. -- Ciò, che dal Vangelo
si vieta, dalla Chiesa permettasi, mentre per converso si concede da
questa, quanto da quello si riprova. La Corte di Roma pretende chiarire
il senso o la parola oscuri, e commette un errore e una insolenza;
errore però che tutti capiscono aperto anche troppo; insolenza,
conciossiachè appunti Cristo di non sapersi spiegare, il quale pure i
concetti suoi predicava alle plebi, ai fanciulli, e alle donne; nè qui
rimane la improntitudine di Roma, che più oltre arrisicandosi afferma
che i fedeli tra la interpretazione sua e la lettera del Vangelo devano,
sotto pena della eterna dannazione, attenersi a quello che s'insegna da
lei, in ciò sovvenendola con la propria autorità, tra gli altri santi,
santo Agostino, certo uomo d'ingegno, ma arruffato, e cervello balzano
almeno da tre.

Il re Filippo, stizzito contro il Papa per l'oltraggio fatto al suo
ambasciatore, pel diniego di favorire la lega promovendo segretamente
Enrico di Navarra, che poi fu re di Francia, e per la inclinazione di
Roma a comporre le faccende religiose nella Inghilterra, pigliò il
pretesto della Bibbia per convocare il consiglio di Coscienza con la
giunta di altri spettabili personaggi tenuti in conto di piissimi,
perchè, consultato il negozio, risolvessero quanto doveva farsi. Il
Consiglio, un po' per convinzione, e molto pel solito andazzo di
piaggiare i potenti, rispose: potere Sua Maestà, anzi dovere in buona
coscienza convocare un concilio generale di tutti i vescovi, e religiosi
e graduati dei suoi regni; farlo prima intimare al Pontefice, e
trovatolo pertinace a ributtarlo, lo citasse di comparire al Concilio,
dal quale sarebbe stato deposto Sisto ed eletto un altro, dacchè costui
incominciasse a sentire dell'eretico, mettendo a repentaglio la sposa di
Cristo, la barca di San Pietro, e la veste inconsutile del Redentore,
però che la Chiesa di Roma sia ad un punto una sposa, una veste e una
barcaccia con altre più cose, che è proprio una diavoleria a dire ed a
sentirsele dire.

A questo modo, in tempi miserabili troppo più di ora per errori, e per
superstizione, i nostri vecchi politici pigliavano i preti con la rete
di San Pietro, e li percotevano col calcio della croce; noi abbiamo
disappreso l'arte, sicchè il prete si rannicchia dentro la religione,
come il malfattore un dì nello asilo, donde questi il bargello, e
l'altro cava l'intelletto umano. Quando i preti si tramutano in cani tu
fa di ministrare loro bocconi dove invece di fungo di levante porrai
precetti del santo Vangelo, e perchè tu ti conficchi bene dentro al
cervello il mio insegnamento io te lo compendio così: _a prete cane,
polpetta di Cristo_.

Il re Filippo avuta risoluzione del Consiglio, udito eziandio il parere
del cardinale Toledo, che lo diede favorevole, mandò al conte Olivarez,
perchè colto il destro di qualche pubblica solennità, consegnasse nelle
mani di Sisto la intimazione di convocare un Concilio generale nella
città di Siviglia per provvedere al servizio di Dio ed alla maggiore
esaltazione della santa madre Chiesa cattolica.

Il destro non si fece aspettare, anzi venne anco troppo presto, perocchè
al Papa saltò in testa di recarsi con solennissima cavalcata ad
alloggiare per la prima volta nel suo nuovo palazzo di San Giovanni
Laterano; ora Dio sa, se al conte Olivarez scottasse rifarsi dello
smacco patito, ma dall'altro canto temeva gli accadesse come ai pifferi
di montagna; sicchè: adagio a' ma' passi; -- diceva tra sè; per la quale
cosa cominciò a fare grandi radunate in palazzo, di Spagnuoli dimoranti,
o di passaggio a Roma, a indettarsi con soldati smessi perchè gli
facessero spalla, e al bisogno tratte le armi nascoste lo difendessero;
questi, ed altri apparecchi però non si poterono compire senza che
taluno ne pigliasse lingua, in particolare il Frascatino, come ognuno
può credere; da ciò accadeva, che papa Sisto sapesse per filo e per
segno tutto quanto l'Ambasciatore non pure apprestava, ma immaginava.

La seconda festa di Natale del 1588 il sole si era fatto aspettare un
po' troppo nel cielo di Roma, ed anco, affacciatosi su l'orizzonte,
alcune nuvole parevano ostinate ad accompagnarlo, ma egli, distrigatosi
dalle importune, prese a salire nella gloria dei suoi raggi come in un
bel giorno di estate; l'aria tepida, il cielo sereno, il tempo e il
luogo secondavano mirabilmente la solennità, che stava per celebrarsi;
accorreva al Vaticano a frotta la gente per pigliarci parte, o solo per
vederla; servi vestiti di gala, prelati, vescovi, cardinali, chi in
piviale, chi in paludamento, chi in mantelletta; ondeggiava una marea di
mitre, di cappelli rossi, di cappelli verdi, e soprattutto di mule, di
chince coperte di gualdrappe cremisine, infioccate con isfoggio, e nappe
di seta ciondoloni; da un'ora sonavano trombe e tamburi; alla fine un
colpo di cannone dal Castello S. Angiolo annunziò la partenza del Papa
dal Vaticano.

Il conte Olivarez, avvertito che il Papa sarebbe passato dinanzi al suo
palazzo, stava ad aspettarlo col corsaletto addosso, ricinto dintorno da
Spagnuoli, e munito in modo da sostenere qualunque assalto: egli
guardava quanto poteva stendersi la vista, ostentando baldanza, e
tuttavolta dai moti incerti appariva perplesso; si conosceva ottimamente
lui presentire il pericolo, ma avere ormai deliberato affrontarlo; di un
tratto ecco accostarglisi Frascatino all'orecchio, e bisbigliargli non
so che parole concitate, le quali ebbero virtù di far passare su la
faccia dello spagnuolo quanti ha colori l'arco baleno; subito dopo si
trasse indietro con molta fretta come se negozi gravi lo chiamassero
altrove, e più non comparve fuori.

La cagione del caso non istette guari manifestarsi, però che, passati
che furono gli ufficiali della Corte, le famiglie dei maggiorenti, gli
ecclesiastici tutti, mentre dopo i cardinali attendevasi seguitasse il
Papa, fu visto un drappello di sbirri col moschetto inarcato, e subito
dopo dietro mastro Gigolo sommo carnefice di Roma (che meno di dodici
non ne tenne mai papa Sisto solo in città), alle spalle del boia altri
sbirri, e birri poi; in tutto trecento e più; all'ultimo il Papa con al
fianco il Governatore di Roma. Le parole susurrate dal Frascatino
nell'orecchio al conte Olivarez ci venne riferito poi che furono queste
od altre cotali.

-- Magnifico, badi di non si precipitare per quanto amore porta a Dio,
però che Sisto viene oltre con un nugolo di sbirri e il boia in mezzo, a
cui proprio con questi miei orecchi ho sentito dire: -- Gigolo, caso mai
uno si attentasse accostarmi con fogli in mano, o senza, fallo pigliare
e strozzamelo lì, per lì, senza badare ad altro, fosse anco imperatore,
re, cardinale, ambasciatore, il mio stesso nipote; bada bene, se non
istrangoli lui, io strangolo te. Adesso andiamo. _Te Deum laudamus_....
-- ed ha intonato il _Teddeo_.

Il Papa fino al palazzo di Spagna procedè a capo chino come uomo in
balía di pensieri molesti, quando poi lo mirò sgombro di gente, e si fu
accertato non ci si trovare l'ambasciatore, lo raddrizzò baldanzoso. Di
fatti, parola detta e sasso lanciato non si possono più tirare indietro,
e Sisto non era uomo da ritirarsi, tuttavia quell'essersi omai messo per
le sue parole tra l'uscio e il muro a farsi strangolare proprio su gli
occhi l'oratore di S. M. Cattolica, era cosa, che un po' di scrupolo lo
metteva anco a lui: ed ora gli pareva, che un grosso peso gli fosse
cascato giù dalle spalle: mentre pertanto vibrava qua e là gli occhi a
mo' di lingua di vipera, gli venne fatto vedere Angelotto, il bargello
di campagna, a cui aveva commosso la cura di dare la caccia ai banditi.
Fortuna volle, che gli occhi del bargello s'incontrassero in quelli del
Papa, ond'ei se ne sentì quasi affascinato, sicchè impietrito senza pur
movere un passo attese, che un camerario di Sisto andasse a dirgli per
parte di sua Santità facesse di trovarsi al palazzo di San Giovanni
Laterano dopo la cavalcata, al quale comando egli, comecchè trepidante,
obbedendo, appena venne al cospetto di Sisto si gettò giù di sfascio in
ginocchioni implorando a mani giunte mercè.

Il Papa, senza fare le viste di accorgersi dell'agonia di cotesto
sciagurato, gli domandò:

-- Chi sei?

E l'altro batteva i denti non sapendo spiccicare parola; ma il Papa da
capo:

-- Chi sei ti dico? Chi sei?

E Angelotto zitto.

-- Parla in tua malora; chi sei?

-- Beatissimo Padre....

-- Su, di' l'ultima.

-- Ma se troppo bene vostra Santità mi conosce... io sono Angelotto....

-- Angelotto chi?

-- Il bargello di campagna....

-- Non è vero; se tu fossi il bargello di campagna non ti basterebbe il
fiato di passeggiare, come ti attenti in città; incatenate questo
bugiardo, mettetelo in prigione, intantochè mandiamo a chiarire se il
bargello di campagna si trovi al suo posto...

Qual fu detto, tal fu fatto; ed ormai dai più il bargello si teneva per
ispacciato; anzi taluno bisbigliava sommesso: -- l'animale carnivoro ha
fame di carne; si vedeva aperto, che per Sisto senza sangue non sarebbe
passato il giorno. Angelotto paga per l'Olivarez, un bargello per un
conte -- Gigolo si può contentare.

Chi avesse scommesso un baiocco contro uno scudo, che Angelotto la
scapolerebbe, non avria trovato chi tenesse il gioco per coscienza di
rubargli a man salva lo scudo, e s'ingannava; perchè Sisto, trovandosi
cotesto dì dolce di sangue a cagione del caso successo, contento della
paura del bargello, e cavandone argomento di scede e di riso, dopo cena,
lo fece condurre da capo in sua presenza, dove gli tenne questo
discorso.

-- Ci hanno riferito come tu senta insuperabile repugnanza a morire, ed
hai torto, perchè a questo pettine dobbiamo tutti arrivare, e noi al
pari di te, quantunque portiamo il _regna-mundi_, insegna della potestà
su tutti i potenti della terra; inoltre ti avremmo munito della nostra
apostolica benedizione, per la quale ti troveresti in certo modo
condotto quasi a mezzo il cammino del paradiso: ma via, ognuno ha i suoi
gusti, e tu hai quello di non voler morire impiccato. Peccato!...
proprio peccato! che per la forca parevi nato a posta. Un giorno ti
pentirai esserti lasciata scappare di mano così degna occasione. Vivi
dunque che noi te lo vogliamo concedere; però ogni peccato merita
penitenza, e tu lo commettesti grosso, dacchè, recandoti in città,
mentre noi ti paghiamo per vigilare la campagna, tu ci mangiavi il pane
a tradimento, nè qui sta tutto il male; il peggio noi lo troviamo qui
dentro, che intanto tu cessi il tuo ufficio, chi sa i banditi quante
ruberie hanno fatto, quanti incendi appiccati, quante vite spente, e tu
ci devi conto di queste rapine, di queste fiamme e di questi omicidi....

E siccome la voce di Sisto mano a mano che s'inferociva nel dire
diventava tonante, il misero bargello cadde con la faccia sul pavimento:
allora il Papa con suono più blando riprese:

-- Orsù, se ti perdoniamo la vita, quanto ci darai tu?

-- Tutto... tutto....

-- Noi non vogliamo tutto; per riscatto della tua vita ci contentiamo di
una mezza dozzina di teste di banditi, le quali procurerai di farci
recapitare in capo ad otto giorni qui in San Giovanni Laterano.

-- Una dozzina..... due dozzine.... rispondeva il bargello trasognato,
senonchè Sisto dandogli su la voce soggiunse:

-- Zitto là: mi bastano sei, anzi una sola, a patto che questa sia di
Venanzio Tombasi, che mi è di pruno dentro agli occhi, se dai sei capi
di banditi ordinarii, o se dal capo solo del Tombasi tu farai maggiore
lavoro, noi te lo porremo a credito, e per ogni testa ti daremo la
mancia. Adesso vattene, e di' a questi vassallacci di Romani, che se la
salsa di mannaie valesse a procurarci buono appetito, gioverebbe
eziandio alla migliore digestione: quello che consola è il pensiero, che
per un poco di sangue corrotto buttato via, se ne risparmi molto e buono
ed innocente; il medico pietoso fa la piaga puzzolente, ed è proverbio
vecchio: ci fu consegnata la Chiesa spelonca di ladroni, e, se Cristo ci
dà vita, la lasceremo tale, che ogni uomo ci possa vivere in pace
all'ombra del suo fico e della sua vigna.

Qui volto agli astanti, acceso in volto, con grande forza esclamò:

-- _In matutino interficiebam omnes peccatores terrae, ut disperderem de
civitate Domini omnes operantes iniquitatem_[6]. -- Per ultimo, con gesto
imperatorio, ordinava al bargello:

-- Ora alzati, e vattene. --


NOTE.

  [1] Esempio di questo stile è il celebre testamento di Filippo
  II ovvero istruzioni a Filippo III; quivi occorrono cose degne
  di essere lette da principi, e da popoli, e dacchè i principi
  paiono di siffatte letture talentarsi poco, giova metterle
  spesso sotto agli occhi dei popoli. Filippo II, parricida del
  suo figliuolo, promotore della Inquisizione, carnefice dei Paesi
  Bassi, divorato dai pidocchi, così lasciava scritto al suo
  successore: «Principe, vedendomi giunto alla fine del tempo
  ordinato dal cielo alla mia dominazione sopra la terra, come voi
  ai primi anni della vostra... ho pensato, che sarei accusato, e
  ripreso di poca prudenza, di discernimento, o di difetto di cura
  e di amore verso di voi, se vi lasciassi (giovane ed inesperto
  come siete) tanti grandi regni, stati, terre e signorie in
  retaggio senza darvi nel tempo stesso precetti, avvisi e
  consigli, che una infinità di esperienze, pene, fatiche,
  disegni, e pretensioni (la più parte _inutili_) mi hanno fatto
  conoscere (ma troppo tardi) per il bene mio, dei miei popoli, e
  dei miei vicini essere necessarie per il buon governo dei
  popoli, di cui un giorno bisognerà rendere conto al Re dei re,
  davanti al quale _sotterfugi e cavilli non giovano_, conoscendo
  le inclinazioni, i disegni e i pensieri segreti degli uomini...
  tanti dolori ed accidenti strani da tanti mesi mi assalgono, che
  sono diventato di _supplizio_ a me stesso... onde io prego Dio,
  che dalla terra mi chiami al cielo, usando meco quella
  misericordia, ch'io ed i miei non usammo a tanti popoli, che ce
  ne richiedevano, e lo prego eziandio che gli piaccia contentarsi
  delle mie pene crudeli e acuti dolori presenti, per espiazione
  delle mie colpe passate.» ARTAUD DE MONTOR, _Storia dei Papi_,
  vol. I, p. 409.

  [2] Per la coratella di Dio.

  [3] Carlo V nel suo ritiro a San Giusto aveva menato seco certi
  fanciulli, i quali, fatti educare diligentemente nella musica,
  accompagnavano col canto i riti a cui egli assisteva con
  mirabile devozione; però nè la santità del luogo, nè le
  cerimonie solenni, nè la sua pietà tanto potevano tenerlo che,
  udendo stonarne qualcheduno, non lo rampognasse a voce alta
  così: «_hijo de puta, bermejo, o otre nombre semejante_» avverte
  il SANDOVAL, _Hist. de Carlos V_. Il costume del Lanzichenecco
  ripigliava il sopravvento.

  [4] Come il duca di Alva per poco non pigliava Roma, puoi
  leggere nella _Guerra di Roma_ dell'ANDREA, e nella _Guerra fra
  Filippo II e Paolo IV_, scritta dal NORES, e stampata
  nell'_Archivio storico_.

  [5] La passione del Figlio di Dio, e quella che mi partorì.

  [6] Sul mattino ammazzerò tutti i peccatori della terra per
  disperdere dalla città di Dio tutti quelli che operano iniquità.



CAPITOLO SECONDO.

Paolo Pelliccioni.


Come e perchè le terre della Chiesa fossero le peggio governate tra le
altre italiche, le quali pure erano rette pessimamente, sarebbe discorso
lungo: basti tanto, che chi piglia iniquo, mal può dominare onesto, ed
arraffando in compagnia bisogna sopportare il complice ladro, o
strozzarlo; di vero, quante volte gliene capitava il destro, la Chiesa
non si tirò indietro da strozzare, ma spesso trovò chi non ci si
accomodava, e allora, messa in un canto la fune, riprese l'aspersorio.
Di molti tirannelli minori della Romagna, e della Umbria, la Chiesa
venne a capo, di altri no, come sarebbe a dire Colonnesi e Orsini, che
le furono perpetui calci nella gola.

Oltre a ciò le Corti forestiere, e la Curia stessa romana, trovarono il
conto loro a considerare, e a permettere, considerassero Roma terra
neutra, dove ognuno era padrone un po'. Di qui i palagi, le vigne, gli
studi, le chiese, che ogni nazione ci fondava, e ci manteneva; di qui le
immunità, i privilegi, ed altri di questa ragione diritti; di qui per
ultimo gli asili da prima limitati alla casa dello ambasciatore, e poi
di mano a mano estesi alle contrade circostanti, vero semenzaio di
banditi.

Di tratto in tratto veniva fuori qualche Pontefice, il quale, o come
tenero dell'autorità sua, o preso da giustissima ira, dava opera a far
sì che la infamia cessasse, onde all'improvviso nasceva un grande
arruffa arraffa di malviventi, ed uno scatenio di chiavistelli, e un
gran menare di penne di giudici su pei fogli, e un grande stirare di
corda dei carnefici giù dalle forche; ma gli erano proprio i trotti
dell'asino, conciossiachè i Papi, per ordinario vecchi e cagionevoli,
indi a poco si straccassero, o se tuttavia verdi di età, sprofondandosi
nelle delizie, od in vizii altri più rei, rimettevano il primitivo
ardore; e poi le femmine aggiravano, le bardasse abbindolavano, i nipoti
barattavano, tutti arcavano, sicchè in mezzo a cotesto diluvio di fraudi
e di corruzioni, non ci era arca di Noè che conducesse a salvamento.

Arrogi a questo, che per ordinario gli avversari del Papa defunto
eleggevano il nuovo, e poichè costume della parte che prevale, fu e sarà
sempre dare in testa a quanto l'altra parte volle ed operò, così il Papa
novello si faceva coscienza di buttare all'aria di pianta il governo del
suo antecessore.

Un altro impedimento per governare meno alla trista veniva allora, e
viene anco adesso, dagl'intrighi degli oratori, i quali tentando sempre
di tirare il Papa dalla parte loro, da prima andavano con le buone, e
non riuscendo, per ultimo si mettevano su le cattive seminando triboli
sotto i passi di lui, la quale cosa a cotesti tempi riusciva meglio di
adesso per avere stanza in Italia Spagnuoli e Francesi, nè si ristavano
i minori potentati, e siccome la guerra palese non si poteva fare, come
quella che era pericolosa, tanto più si raddoppiava la occulta con lo
scatenare nugoli di banditi su le terre della Chiesa, che le nabissavano
con i latrocini, gli omicidi, gl'incendi, e con ogni altro modo ruine.

Però il subito arrovellarsi contro i banditi non partoriva frutto,
dacchè medicata la piaga, durando il vizio, presto tornasse a
inciprignirsi, ed il consorzio umano da coteste sfuriate non venendo a
sentirne un bene al mondo le considerava vane beccherie e feroci.

Papa Sisto pubblicando la dichiarazione degl'inquisitori contro i
banditi, e provvedendo, che la fosse diligentemente osservata, in breve
ebbe sgombre le terre di Roma dalla infamia dei banditi, ma e' non fu
per molto, che egli prevalse su prete Guercino, il quale si faceva
chiamare «re della campagna,» imperciocchè su gli ultimi mesi di sua
vita venuto in iscrezio con Milano e con Napoli rivide scorrazzare per
la Maremma il Sacripante, il Piccolomini nelle Romagne, Battistella
nella campagna di Roma; e gli furono trafitte nel cuore, dacchè toccasse
con mano come costoro, piuttosto che a rubare, venissero a sparnazzare
danaro; le monete portavano per insegna i lioni, e le torri; la più
parte doppioni di Spagna: osservavano le ordinanze, drappellavano
bandiere, avevano il _suono_, battevano il tamburo, fino su le porte di
Roma trascorrevano; le milizie conoscendo che ai banditi facevano spalle
potentati troppo più gagliardi che il Papa non fosse, come sicuri di
uscire a capo rotto, andavano di male gambe a combatterli.

Ma per ora la bisogna camminava altrimenti; tutto piegava dinanzi alla
volontà del Papa, il quale procedeva acceso a conseguire il nome di
trionfatore dei banditi, quanto potrieno esserlo stati Scipione dei
Cartaginesi, o Cesare dei Galli.

Adesso diremo chi fosse Paolo Pelliccioni, e della indole, e dei costumi
di lui, ch'è principale personaggio del nostro racconto. E' visse un
tempo in Roma un Anacleto Pelliccioni: egli affermavasi, ed altri
consentiva ch'ei si affermasse, nobile stirpe, ed era; però d'ingegno
salvatico, ed invincibilmente rozzo, sicchè suo padre un giorno gli
disse, come si soleva ai figliuoli, che se fossero nati legni si sarieno
buttati sul fuoco: «_o frate o soldato;_» ed egli fu soldato non per
altra ragione, che per essere stata questa l'ultima parola la quale gli
percosse l'orecchio; se accadeva alla rovescia ei si vestiva cappuccino.
Combattè in Ungheria per lo Imperatore, e nelle Fiandre per la Spagna,
ma nella medesima maniera si sarebbe messo al cimento per Fiamminghi e
per Turchi, chè delle cause della guerra egli non cercò mai, nè,
cercate, avrebbe per avventura compreso, modello vero del perfetto
soldato; ferì, rimase ferito, ammazzò in battaglia, e più fuori di
battaglia; rubò, bevve, e bestemmiò sempre; per ultimo si ridusse a casa
in parecchie parti della persona rotto, dai reumi attratto, col viso
colore di pomodoro, e i capelli grigi; di pecunia stremo, ma per
contrapposto pieno zeppo di medaglie e di diplomi, dove gli si
profondevano a tutto pasto i titoli di strenuissimo, e valorosissimo
campione della fede, con facoltà sterminata in ogni occorrenza di
recarsi al Re in Madrid e allo Imperatore in Vienna, bene inteso però
con i suoi danari; e si racconta eziandio che la sua camicia non
vestisse lui solo, sibbene altri animali, che, al dire del maresciallo
Bassompierre, si acquistano quasi sempre nel servizio del re[7], ed io
aggiungo, sempre in quello del popolo, però, che la ingratitudine sia
quasi l'_effeta_, che dà anima all'anima dell'uomo, e se tutti la
maledicono, sì il fanno per isviarne altrui, e praticarla in benefizio
esclusivo di loro, al modo stesso di quel tale, che sputava sopra la
vivanda per ischifarne i commensali e potersela poi mangiare intera.

A Roma egli cessò il rubare, lo ammazzare e gli altri gustarelli di
questa umana famiglia, non per ossequio dei precetti di Dio, bensì della
corda di mastro Gigolo; ed essendo nella nobile arte di bestemmiare Dio
penetrato assai addentro, sicchè sapesse farlo in quattro, o cinque
lingue, capì, che bisognava smettere la italiana, e risoluto a questo
sacrifizio continuò nelle bestemmie spagnuole, tedesche, fiamminghe e
maomettane senza pericolo, o sia che gli sbirri non capissero, o
potendolo fare con reputazione lasciassero ire tre pani per coppia:
quanto a bere possedendo l'uomo ragionevole facoltà d'imbestiarsi a suo
beneplacito così a Roma come altrove, senza inciampare dentro veruno
articolo del Codice penale, costui si tramutò proprio in un otre
perpetuamente pieno di vino. Nello intervallo di una ubbriachezza
all'altra gli accadde di buttare gli occhi su di una giovane popolesca,
bella certo, e, se volete, anco buona per quello che fa il mercato;
costei non difettava di dami; taluno anzi ne amava un pocolino
anch'ella, e certo conducendo nozze da pari suo sarebbe stata felice per
quanto è concesso quaggiù, ma il Pelliccioni, il quale le aveva grugnito
qualche cosa, come sarebbe a dire una confessione di amore, era
cavaliere, si predicava ricco sfondato, aveva messo in pezzi tante
dozzine di turchi e di eretici, che nè manco egli lo sapeva, figuratevi
se altri! Ora, non vale negarlo, nobiltà e ricchezza hanno virtù di dare
la volta ai cervelli popolani; certo nei tempi passati troppo più di
ora, ma anco adesso troppo più, che non si vorrebbe, e ciò perchè
l'amore nel cuore umano cresce e tramonta, l'avarizia cresce sempre; la
vanità non cresce, e non diminuisce mai, gigante nacque e gigante muore.

La popolana fu salutata moglie del cavaliere, e perdute le amiche
vecchie, non la consolarono le nuove; visse sola nell'asciugaggine del
tedio; invocati dalla Madonna, e da quanti santi mettono i preti in
paradiso, figliuoli non vollero venire; la ubbriachezza di Anacleto dopo
avere fatto un po' di sosta nel sacramento del matrimonio, si mise a
correre dove prima camminava, onde una notte riportato a casa sopra una
scala, giacque due dì nel letto dando appena segno di vita; su l'alba
del terzo risensò, e chiese acqua, la quale appressatasi ai labbri non
potè bere, ma ricascato supino con un gran soffio spirò l'anima.

Spirò l'anima, ma come ultima bestemmia contro Dio, o maledizione contro
gli uomini; nel mese stesso della sua morte aveva balestrato una
creatura nel ventre alla mogliera; questa creatura fu Paolo Pelliccioni:
nacque forte, e sopra ogni altro fanciullo bellissimo, di capello biondo
di oro, ed occhi neri; meraviglia a vedersi. Quello, che in altri vale
alla ottima educazione, per lui fu causa di ruina, la tenerezza materna,
la formosità sua, e la prosapia onde nacque; la madre fino dai giorni
primi lo adorò, nè mai volle attraversarlo nelle bizze, nelle ire e
nelle ferocie; la tanta bellezza del figlio la sforzava a mettersegli
genuflessa davanti quasi a cosa divina, nè ella sola, bensì anco le
comari, oggi per essere vedova, ridivenute amiche; le sostanze mediocri
non avrebbero consentito allevare il fanciullo alla grande, pure se il
tutore avesse preso buona cura di lui non sarebbero mancati maestri, i
quali con lo studio delle discipline gentili avessero, se non vinto,
attutito almeno quel suo naturale talento, che lo portava alle opere di
fraude e di sangue. Crebbe come una pianta velenosa, non amò veruno,
eccetto la madre, se pure poteva chiamarsi amore un perpetuo impeto di
straziarla e di accarezzarla; dopo la madre amò o piuttosto furiò per un
giovane di anni pari ai suoi, e n'ebbe ricambio, nè si creda che tale
passione nascesse da mutue benevolenze; tutto altro; derivò dalla
contesa e dalle percosse; si picchiavano, e rifiniti, separavansi per
tornare a cercarsi, e ripicchiarsi da capo, finchè Ciriaco, che tale si
appellava il giovanetto, si diè per vinto, e gli diventò sviscerato come
mastino ammansito, il quale lambisce il padrone, e contro gli altri si
avventa: però se Paolo non aveva patito uguale Ciriaco, intendeva che
egli, meno lui, superasse tutti, onde se gli vedeva attaccare baruffa, e
bastarci solo, lo lasciava fare, ma un zinzino che balenasse, eccolo
correre alla riscossa, e in men che non balena spazzare via ogni
resistenza. Suprema agonia della sua puerizia fu il possesso di un
coltello, il quale avuto, si ripose in seno, e ce lo tenne con più
divozione del crocifisso di oro, che la madre gli aveva appeso al collo.
Più tardi, uscito dall'adolescenza, quando ambì il consorzio dei nobili
giovani, questi lo ributtarono dandogli taccia di rude e di villano;
allora attese a levigarsi, e ci riuscì quanto ai modi esterni, che circa
allo ingegno ormai aveva messo il tetto, e poichè la causa della repulsa
era mendace, mentre la vera stava nella mancanza di arredi per la quale
non poteva comparire orrevole a pari degli altri; tra la madre e lui si
misero a gara a sperperare danari in vesti, gioielli, armi e cavalli;
anzi, la madre, invano contrastante il figliuolo, strusse perfino quel
po' d'oro che possedeva da ragazza per ornarne il suo Paolo, la pupilla
degli occhi suoi; ond'ei di colta potè mescolarsi nelle cavalcate dei
nobili garzoni e delle gentili donzelle, agli spassi ed ai giuochi loro,
che prima lo avevano fatto spasimare di desiderio.

Se si fosse contentato di comparire uguale agli altri, od anco fra i
primi, forse, chi sa! quali giorni gli avrebbe filato la Parca, ma verun
luogo lo accomodava se non era il supremo; donde prima le gozzaie, poi
la lite, e per ultimo la contesa, dove Paolo spiegando la naturale
ferocia, postergato ogni costume di cavalleria, diè di mano al coltello,
menando a destra e a mancina. Quanto grande ne corresse scalpore, è più
agevole immaginare che dire, nè solo per la parte degli offesi e dei
parenti, bensì di tutta la nobilea romana, la quale allora mise in campo
ciò che da molto tempo sapeva ed aveva lasciato correre, vale a dire,
gli oscuri natali della madre di Paolo; ed ecco di un tratto stringersi
in lega, e accomunare ingegno e possa per fare ogni sforzo a
stramazzarlo nel fango, sempre dissimulando la causa vera della odiata
superiorità di Paolo, e sempre rinfacciandogli il sangue transteverino
dei congiunti materni, ed egli se lo credette, spinto dalla naturale
inclinazione dell'uomo di attribuire a tutto, tranne a sè, la causa dei
proprii malanni. Per questo crebbe nel cuore a Paolo un mal seme, che
gli guastò la passione procellosa, e nondimeno intensissima, che portava
alla madre sua; a mano a mano, da amarla meno passò pei gradi della
sazietà, del fastidio e del tedio fino allo aborrimento, molto più, che
della pecunia oggimai trovavasi in fondo, nè gli usurai così cristiani
come giudei intendevano dargliene più oltre in prestanza; essendo egli
per natura cupissimo, dissimulava, ma agli occhi della donna, madre sia
od amante, il diminuito affetto non si cela, e poi una notte, tornato a
casa torbido più del consueto, sua madre recatasi a canto il letto di
lui in punta di piedi a vigilarlo dormente, lo udì nel sonno inquieto
maledire il giorno e l'ora nei quali suo padre aveva condotto a moglie
una donna plebea.

Cotesto fu morso pari alla puntura dell'ape, che lascia dentro l'ago, e
corrompe la carne; romana era la madre di Paolo, nata di popolo, in
Trastevere; vero sangue latino, però non disse motto, ma desolandosi
alimentò segretamente la ferita a modo di Porcia figliuola di Catone e
moglie di Bruto, sicchè presto si ridusse al termine del vivere suo, e
ferma ormai nel suo proposito non la distolsero dal morire le smanie di
Paolo, il furibondo dolore, le cure e le veglie con affetto ineffabile
prodigatele da lui: solo pochi istanti innanzi di esalare lo spirito,
mentre gli stampava su la guancia l'ultimo bacio, ella trascorrendo co'
labbri si posò su l'orecchio, dove bisbigliava sommesso:

-- Paolo! non mi aborrire per averti dato la vita. --

Paolo rimescolato dal profondo delle viscere, volle genuflesso smentire
con giuramento la calunnia atroce, consolare anco a prezzo di sangue
cotesto cuore desolato... indarno, lo spirito aveva già derelitto la
salma mortale della madre sua; se per vita migliore è incerto,
sicurissimo poi per condizione meno trista dell'assegnata ad ogni
creatura umana quaggiù.

Non fu da uomo (mettiamo da parte il cristiano) la maniera con la quale
Paolo palesò il dolor suo, bensì ferino, o almeno di quei primi tempi
nei quali il viver nostro poco si allontana da quello delle bestie:
stracciò le sue carni, e i capelli, empì di ruggiti la casa, maledisse
con orribili imprecazioni la natura e Dio, contese sepellissero la salma
materna, la tenne stretta, la coperse di baci frenetici, finchè i vermi
gli formicolarono sotto le labbra: tutto un dì, poichè gli fu tolta
davanti, si rotolò nella polvere, e, come corre la favola, che i
figliuoli della terra sternendosi acquistavano vigore, così egli dal
pavimento ricavò potenza di odio contro tutto il genere umano; però che,
quasi per mentire a sè la parte massima della colpa, ch'egli aveva nella
morte della madre, fece cotesto immane odio religioso, col fingere che
gli altri gliel'avessero uccisa.

Con subita vicenda di un tratto comparve tranquillo, licenziò i servi,
diè voce volersi condurre a Livorno, e quinci a Barcellona, donde
avrebbe sferrato in America, in altre terre più remote, dove lo avesse
spinto la sua ventura: ed un bel dì relitta la casa agli usurai, quasi
cadavere ai corvi, si partiva sul fare della notte.

Però il suo cammino non tendeva ad Ostia per imbarcarsi, e nè meno verso
l'Umbria se disegnava arrivare per terra in Toscana; la sua via era
dalla parte opposta per dove si va ai monti, perpetuo nido di aquile e
di banditi. Mano a mano che si faceva più alta la notte le cose
circostanti tacevano, e comecchè da prima ei non ci ponesse mente, alla
fine si accorse, che qualcheduno lo seguitava; balzò di sella, nel
braccio manco avvolse il mantello, con la destra strinse il pugnale
sbarrando la strada: poi con gran voce gridò:

-- Addietro, o ti ammazzo....

-- E perchè devo tornarmene addietro? E perchè mi volete ammazzare?

-- Ciriaco! Tu qui?

-- E dove aveva io da essere?

-- Hai parenti da queste parti?

-- No: vi vengo dietro....

-- E che vuoi da me?

-- Seguitarvi.

-- Ma sai tu dove io vado?

-- No; e non m'importa saperlo.

-- Te lo dirò io....

-- Ma se non me ne importa....

-- Importa, taci: io vo per tal cammino in fondo al quale posso trovare
un palo ritto con un altro traverso....

-- Una forca, via! Eh! cotesta è una fine come un'altra; la fecero tanti
prima di noi, di certo non saremo gli ultimi.

-- Non basta, avverti che col corpo ci è il caso di perdere la salute
dell'anima....

Ciriaco tacque, e dopo essere rimasto alquanto sopra di sè, rispose con
accento meno baldanzoso: -- Tempo da raccomandarmi a Gesù, a Giuseppe e a
Maria, io l'avrò sempre....

-- E ti mancasse?

-- E mi mancasse?... Cristo mi aiuti!... Io non vi posso lasciare, Paolo;
signor Paolo io non vi lascierò...

-- Dunque vieni, che prima di piangere noi, altri smetterà di ridere.

                *       *       *       *       *

Viaggiando la notte, furono in tre dì a' confini dello stato romano, su
l'alba del quarto giunsero all'osteria della Ferrata. L'oste a vederli
li squadrò così di scancío come capretti che gli avessero portato a
comperare, e sottilmente beffando gl'interrogava se avessero fatto
disegno di trattenersi molto in coteste parti: a cui Paolo rispose, non
poterlo sapere; ciò dipenderebbe dal trovarsi d'accordo con certi suoi
amici di lassù; intanto allestisse la colazione, ed ei vedrebbe col
compagno di pigliare un po' di sonno. L'oste, passato tempo convenevole,
quando tenne che i nuovi ospiti dormissero, sporse il capo fuori della
porta e mandò una specie di fischio acuto e sottile, il quale ebbe virtù
di fare uscire dalla macchia un carbonaro, che si accostò di corsa alla
osteria. Già egli stava presso all'oste, e già questi prendeva a
parlargli, quando guardandosi attorno per maggiore cautela si accorse,
che Paolo, affacciato alla finestra del primo piano, non gli levava gli
occhi di dosso, onde da quel mascagno ch'egli era, prese a rimproverare
il carbonaio di negligenza per non avere portato il carbone: in colpa
sua gli avventori non si trovavano serviti a punto; ne avrebbe tenuto
motto col padrone, e se gli fosse tocco qualche carpiccio delle buone
suo danno; l'altro da prima come trasognato abbacava, ma avvertito dallo
ammiccare degli occhi dell'oste si accorse della ragia e cominciò a
raccomandarsi pietosamente perchè lo perdonasse, onde l'oste dopo essere
stato duro un pezzo lo rimandò con la promessa di dargli, per cotesta
volta, di frego.

Paolo e Ciriaco scesero nella stanza terrena, dove trovarono la tavola
imbandita, e presero a mangiare di buona gana. Metteva loro su la mensa
una giovane figliuola dell'oste, assai bella e molto manierosa, sicchè
Paolo le disse taluna di quelle parole, che le fanciulle lungo il
cammino della loro vita raccolgono sempre, se non come frutti, almanco
come fiori: dal canto suo ella sospinse gli occhi su Paolo e comparsole,
come pur troppo egli era, leggiadro, ne sentì pietà, chè amore per non
avere di colta lo sfratto dal cuore alle fanciulle piglia quasi sempre
cotesta faccia; per la qual cosa, come suo malgrado la fanciulla
costretta, presto presto mormorò a mezza voce:

-- Per amore della Madonna tornate addietro finchè il sole è alto.

Ma Paolo non le badava; inteso a vigilare l'oste, vide come costui
giudicando gli ospiti assai distratti dal piacere della bevanda e del
cibo, non meno che dall'altro di contare le baie alla ragazza, avesse
sbiettato fuori della taverna; gli fu sopra di un salto cogliendolo
giusto nel punto in cui il carbonaio nascosto quinci oltre tornava alla
posta.

-- Orsù Orazio smettila, che io sono uccello accivettato... disse Paolo;
e come l'altro a sentirsi chiamare a nome, e ravvisare in cotesto
arnese, restava confuso, soggiunse: -- va franco, ch'io sono dei vostri;
se questo balordo di Battistello non era, già da mezza ora saresti a
desco con noi a ragionare di quanto è spediente, che tu sappia, ed io
sono venuto per dire a te ed ai tuoi.

Coteste parole, e più delle parole le sembianze e gli atti di Paolo così
comparivano sicuri, che il bandito e l'oste ne rimasero soggiogati, un
istante dubitarono di qualche tranello, e il dubbio passò loro traverso
lo spirito come nebbia di sangue, ma gli ficcarono gli occhi dentro gli
occhi due e tre volte, e poichè Paolo sostenne cotesto loro sguardo
senza balenare, anzi sorridendo, si lasciarono ire: alla fine, che
risicavano eglino? Due gli ospiti, e senza armi da fuoco; se ne avevano
da taglio non potevano essere eccetto coltelli, essi provvisti di
schioppi e di squarcine, nè passava mai ora, che per di là qualche amico
ronzasse.

Quali ragionamenti tra costoro avvenissero, non preme alla nostra storia
riferire: questo si sappia, che dopo qualche ora lasciato indietro
l'oste, e con molte carezze profferto un anello alla figliuola, il
quale, nonostante la pressa del padre ad accettarlo, ella ricusò, e poi
rossa come fiamma di fuoco promise lo avrebbe preso più tardi, Paolo,
Ciriaco e Orazio si misero su per l'erta del Monte Bove.

Andarono parecchie miglia senza incontrare anima viva, e parve Orazio
maravigliarsi ed anco inquietarsi che le solite scolte alle porte
mancassero, quando di un tratto nel folto di una macchia fu loro sopra
la intera masnada; minacciosi comparivano i banditi, con l'arme in mano
pronti a trarre, non pure contro i nuovi arrivati, quanto contro Orazio,
come quello, che infranta la disciplina, scopriva a sconosciuti il
nascondiglio; ma lieto e ridente si fece loro incontro Paolo tendendo
entrambe le mani, e favellando parole in suono chiaro e squillante come
strumento metallico: in sostanza disse: se volevano ammazzarlo, padroni;
se rubarlo poco avanzo avrebbero fatto, e poi essere parato a
presentarli di quanto portava adosso; la fama avergli riferito i gesti
della banda, e il nome, e la morte dell'illustre suo capitano: essersi
mosso da Roma per profferirsi in sua vece.

I banditi lo ascoltarono fin lì tra stupiti e sospettosi; ma qui taluni
tanto non si poterono tenere, che mirando le gentilesche forme, e lo
aspetto giovanile, non rompessero in risate, se nonchè egli senza
darsene per inteso continuava:

Quanto a lignaggio affermarsi pari se non superiore al defunto loro
capitano; proverebbero pari eziandio il suo affetto, la vigilanza, e lo
studio di avvantaggiarli: quanto a gagliardia e a valore potrebbe
sfidarli a contrapporgli in ogni cimento, con l'arme in mano o senza,
quale giudicassero tra loro più forte ed animoso; ma questo non voler
fare, perchè simili prove partoriscono sempre gozzaie, e per loro essere
necessario vivere in pace fraterna. Per altra parte comprendere
ottimamente come dovesse parere loro presuntuoso cotesto suo discorso;
però non intendere egli, che così su due piedi lo accettassero capitano:
solo ne rimandassero a tempo più lontano la elezione, che doveva cadere
in quel giorno medesimo, e così dargli campo di mostrare la sua virtù.

I banditi percossi dalla gravità del giovane, e diciamolo pure per via
di antitesi, da cotesta sua superba modestia, lo intimarono a recarsi in
altra parte del bosco, li lasciasse liberi a deliberare sul conto suo;
la quale cosa avendo egli fatto, essi vennero di leggieri d'accordo a
riceverlo nella banda a quel modo ch'ei proponeva, salvo a deliberare
più tardi. Così Paolo entrò fra i banditi, e pigliando nome di Venanzio
Tombasi, in breve tante furono le prove di prudenza, di accortezza, e
soprattutto di sterminata audacia, che i banditi acclamatolo ad una voce
capitano non sapevano omai distinguere se più lo amassero o ne
tremassero.


NOTA

  [7] Enrico IV, tratto certa volta in disparte il maresciallo
  Bassompierre, gli disse: -- Badate, maresciallo, voi avete un
  pidocchio su la camicia. -- Avete fatto benone, Sire, rispose
  l'arguto cortigiano, a dirmelo sotto voce, perchè nessuno si
  accorga di quello che si guadagna a servire Vostra Maestà.



CAPITOLO TERZO.

Il Bandito e il Bargello.


Dissemi un oste tempo fa a Firenze, ostinandomi io a chiamarlo
Giovambattista, mentr'egli mi aveva delle volte più di sei ammonito, che
il nome suo era Marco: -- Oh! cred'ella ch'io non mi sia accorto del
tratto? Ad ogni costo la mi vuol dare del battezzatore in faccia,
fingendo lo smemorato; e poi non sappiamo anco noi, che parlando
dell'oste della Ferrata, ella chiarisce a modo suo, che il termine di
_oste_ deriva dall'altro latino, il quale vuol dire _nemico_? Le sono
fisime di cervelli arabici, ed io le sostengo a viso aperto non darsi al
mondo persona, per quanto degna si reputi, da reggere il bacile a noi
altri osti; io non le porto testimonianze di barattieri, bensì (e si
cavava la beretta) dello stesso Gesù Cristo redentore nostro. Non si
ricorda ella, che tre dì dopo che l'ebbero morto, egli giudicò spediente
alla sua legge di comparire da capo ai discepoli a confermarli nella
fede? Ora, che sia benedetto, mi dica un po': Gesù quale luogo scelse
per operare ciò sicuramente? Forse il Tempio? Dio ne guardi!
imperciocchè i sacerdoti con le ipocrite furfanterie loro lo avessero
condotto a morte, ed ei li conosceva figuri da crocifiggerlo una seconda
volta. Forse nel Tribunale? Peggio che mai! che Cristo sapeva di vecchio
come, nel suo idioma, il Tribunale si chiamasse _Gabbata_[8]; e per
novella prova avesse appreso che i giudici non mancano mai di condannare
gl'innocenti per piacere a cui può, fiduciosi di lavarsene il sangue su
l'anima come di sopra le mani. O piuttosto nei quartieri? Qui sì che
stava fresco! -- Allora i soldati costumavano crocifiggere, pigliarsi le
vesti e spartirsele, schernire, dissetare con l'aceto e col fiele, dare
la sua brava lanciata nelle costole, e dopo che l'innocente aveva reso
lo spirito, confessare con molto avanzo di lui: -- veramente questo uomo
era giusto[9]. Proprio pietà del dì delle feste per uomini che, una
volta arrolati alla milizia, dovevano prima ammazzare e poi vedere se
avevano fatto bene. Oggi la corre diversa, però che, se ci avesse nelle
città di questa razza soldati, il questore ordinerebbe li mettessero in
gabbia, e nei teatri li farebbe vedere a pago. Ovvero Cristo riapparve
in mezzo agli Apostoli nel Cenacolo dove aveva mangiato l'ultima pasqua?
Ahimè! Uno degli Apostoli lo aveva tradito, un altro rinnegato, il terzo
(ed era dei buoni) screduto se non gli ficcava le dita nel costato; di
qui piglino argomento a non isgomentarsi quelli che s'impancano a fare
da guidaioli del popolo, pensino che su dodici tre non istettero saldi
degli scelti da Gesù, e non per questo la croce si rimase da trionfare
sul mondo; per venti o cento disertori il gonfalone della libertà non
fie che cessi di sventolare terrore ai tiranni; e giova che lo impeto
dei tempi agiti gli uomini come biada nel ventilabro perchè il grano va
sceverato dalla pula. Insomma Gesù, aborriti Tribunale, Tempio, Caserma,
e Cenacolo, volle farsi conoscere tornato tra i vivi proprio all'osteria
di Emmaus, e Cleofa col compagno se ne accorsero giusto in quel punto
che si fu messo a tavola per mangiare[10]. Per la quale ragione, che
calza a pelo senza fare una grinza, che altri voglia partecipare con noi
altri osti il titolo di galantuomo io non lo contrasto, ma che ci sia
chi voglia sgallinarlo tutto per sè, io protesto per me e per tutta
l'amplissima consorteria dei tavernieri. --

Questo disse ad un bel circa l'oste fiorentino, e se vero sempre in lui,
e talvolta negli altri, io non affermo, e molto meno contrasto: certo è,
che l'oste della Ferrata, presso i banditi, ebbe, finchè visse, fama di
onesto, e morì, sempre, presso i banditi, in odore di santità.

Angelotto con una squadra di trecento tra sbirri e miliziotti cavati da
Roma, e dalle terre più prossime alla frontiera, capitò alla Ferrata un
giovedì mattina, giorno nel quale i banditi mandavano co' muli a
caricare le provviste raccolte dall'oste amico.

Il Bargello, veramente aveva commissione di aspettare il Riccio e
Arrichino, i quali già stavano su le mosse per sovvenirlo nella impresa
con le proprie bande, senonchè Angelotto ustolava di terminarla ad un
tratto e senza compagni, per avarizia di non ispartire le taglie con
altri, ed anco per cupidità di gloria, dacchè la fama, che viene dal
solo menare delle mani, ambiscono eziandio gli sbirri, e la possono
conseguire; quantunque egli non si fidasse dell'oste, al contrario lo
tenesse in sospetto, pure per averne sentito dire un monte di bene nei
dintorni, massime dai preti, i quali non rifinivano mai dallo attestare
la pietà insigne dell'uomo, sia praticando le chiese, sia favorendo con
l'elemosine i sacerdoti, ed i conventi, egli reputò prudente tastarlo un
po' intorno le faccende de' banditi, e l'oste veramente rispose alla
estimazione che facevano di lui; favellò sincero, dando ragguagli
precisi intorno alle forze delle bande, sul valore e costume dei capi, e
dei modi di guerreggiarli con vantaggio; non tacque come in cotesto
giorno usassero calarsi dal monte per vettovagliarsi sul mercato; certo
a cotesta ora avere essi preso fumo della venuta di lui, nè si sarebbero
visti, forse esserci modo di finirla a un tratto per via di qualche
trovato; avere udito come certo signore ne avesse praticato uno a un
dipresso simile, però egli più esperto avvisasse, quanto a sè
profferirsi divotissimo al sommo Pontefice, e disposto a servire il
signor capitano di cuore nel poco che per lui si poteva.

Allora Angelotto prese a mulinare col suo cervello, e gli parve un bel
che se gli venisse fatto di finirla di un colpo senza mettere a
repentaglio la vita; non vuolsi dubitare nè manco, che difettasse di
cuore; romano egli era, e poi aveva, si può dire, ogni giorno la morte
alla bocca, tuttavia prudenza insegna che, potendo ire per la piana, non
si ha da cercare l'erta, nè la scesa: pensa e ripensa, non trovò meglio
di un tiro già messo in opera, e si accinse a rinnovarlo nella speranza
che i banditi lo ignorassero, o sapendolo non lo temessero.

Tutto quel dì si sbracciò ad allestire la frode, raccogliendo muli ed
uomini, che li conducessero. Nel fitto della notte si strinse a
colloquio con l'Oste, il quale, per quanto si poteva indovinare dai
cenni del capo, acconsentiva, se non che parlando a strappi dava a
conoscere, che non gli pareva sicuro: -- badate, Capitano, le sono volpi
vecchie.... capisco... ad ogni modo è da tentarsi... già... gli uccelli
si pigliano con gli archetti, e i pesci con gli ami da Adamo in qua, -- e
non se ne sono accorti i bietoloni... un po' di sorte ci vuole in ogni
cosa... fortuna e dormi... ad ogni modo la carne vale il giunco...
lascerei il pane e il companatico... perchè non ci si può stemperare a
modo e a verso, onde se taluno gusta il primo boccone amaro, la è
faccenda fallita; secondo il mio debole giudizio basterebbe il vino.

E Angelotto rispondeva: appunto avere ei disegnato governare il vino,
però lo aiutasse alla conciatura dei barili, e questo fecero ambedue
alternando parole e lazzi da mettere i brividi addosso a quanti gli
avessero ascoltati.

Prima assai che sorgesse il dì, parecchi sbirri, travestiti da villani,
cacciandosi dietro la scorta di talune guide del contado, menavano a
mano una fila di muli carichi di vettovaglie e di barili di vino su pei
colli dirotti del monte di Bove; accidente fosse o cosa pensata
dondolavano coteste bestie certi campanacci da farsi sentire da un
miglio attorno pel paese, sicchè del cammino loro la gente era avvertita
o in mezzo al buio, o in mezzo alla bruma in cui vennero avvolti dopo
l'apparire del sole.

Il Bargello non trovava posa, significando la propria impazienza con le
infinite guise ond'ella si manifesta, ma quando a vespro furono visti
tornare giù i muli a scavezzacollo scarichi e senza accompagnatura, ei
si rimase fermo come un piolo: a cotesta novità non sembra si aspettasse
lo sbirro, fece inseguirli, e procurò che gli agguantassero, cosa che
loro successe: contatili, trovarono mancarne uno, ma uno di essi portava
la cesta coperta di panno rosso assai sfoggiato; il Bargello, punto
dalla curiosità, si fece a levarlo e ci trovò la testa mozza del mulo,
che mancava, con la seguente scritta:

-- Ti mando il capo del mulo, perchè mi manca l'asino: lascia le frodi ai
Duchi, e se ti basta il cuore vieni a trovarci con le armi in mano. --

Per intendere il cartello, bisogna sapere, come Francesco Maria della
Rovere duca di Urbino, desideroso di gratificarsi l'animo del Papa,
avendo preso lingua che trenta banditi, ridottisi a vivere su le
montagne di Urbino, avevano messo il Papa alla disperazione di poterli
ormai quindi snidare, immaginasse uno strattagemma, per venirne a capo;
il quale fu questo: caricò certo numero di muli con robe e vettovaglie,
procurando prima le fossero industremente avvelenate, e poi li fece
condurre in parte, dove i banditi gli avrebbero visti, e senza fallo
svaligiati, di vero come presagì avvenne; essendosi i banditi di cotesti
cibi nudriti, rimasero tutti morti con maravigliosa consolazione di
Sisto, il quale pareva che, per l'allegrezza, non potesse capire dentro
la pelle!

E se a taluno piacesse conoscere per qual modo ne avessero odore i
banditi, ricordisi di quanto avvertimmo sul principio del capitolo;
l'oste cortese aveva trovato modo di avvisarneli; certo, se gli avesse
traditi, egli avrebbe ottimamente meritato della legge scritta, ma nel
cuore dell'uomo fu impressa una legge che dice: -- tu non tradirai; -- nè
distingue tra colpevole od innocente; però vuolsi notare come la
medesima legge abbia ordinato eziandio: -- tu non ti accompagnerai con
quelli di cui i passi vanno fuori di strada.

E poi, ove l'oste fosse mancato, vigilava la figliuola, la quale dei
banditi non mirando che la parte, diremo così, eroica, e non volendone
considerare altra, a molti di loro portava affetto fraterno, per uno
sentiva passione, la quale, non che altrui, non osava confessare a sè
stessa; l'amore pari al sole co' raggi suoi abbella ogni cosa. La
giovane, vestiti abiti maschili, col favore della notte si confuse
insieme agli altri, e, prima che aggiornasse, trovò modo per via di
tragetti a precorrere ed ammonire i suoi protetti.

Avendo preso a dettare questo racconto non ci sembra inopportuno di
mettere taluna parola intorno al bargello Angelotto, sia per dare a
conoscere i tempi suoi, sia perchè questo personaggio tiene parte assai
importante nel dramma ch'esponiamo. Costui nacque di popolo, non però di
plebe, e fu giovane aggraziato, non senza lettere; anch'egli bandito un
tempo, e, se non famoso, almanco infame per molteplici misfatti, dove la
rapina contrastava alla ferocia: caduto in mano della Corte, guai a lui
se avesse imperato Sisto V! chè a questa ora saria stato libro, e chi sa
da quanto tempo, letto; il caso per sua ventura successe sotto Gregorio
XIII, però, essendosi adoperati scudi e di molti, e femmine, ed altro
che non si dice, prima si spuntò a salvarlo dalla forca, e dopo alcuno
spazio di tempo, sempre in grazia dei soliti santi, anco dalla galera, a
patto ch'ei si mettesse sbirro; ed egli accettò, considerando ormai come
la sua vita non potesse girare che sopra questi due arpioni: o stare in
galera, o mandarci. Il primo delitto, e le cause del misfare questi: il
poco sapere lo rese presuntuoso; e reputandosi pertanto superiore ai
compagni, male si recò a tedio il mestiere paterno; anch'egli vide
cocchi, cavalli, e ricchi armeggiamenti, e sontuose cavalcate
turbinarglisi intorno agli occhi come cerchi di fiamma infernale, dagli
usci appena schiusi tuffò lo sguardo nelle sale dorate dove gli balenò
lo spettacolo di festini, di balli, di donne stupendamente formose, e di
voluttà non sapeva se divine, ma senz'altro sovrumane, e ad ogni modo da
lui non gustate mai; e dal gaudio di tante delizie egli bandito come
Caino dal paradiso terrestre. Le cento e forse le mille volte,
guardandosi entrambe le mani, aveva detto: con queste dieci dita io
disfarò i dieci comandamenti della legge di Dio; tuttavolta il suo primo
delitto non mosse da ferocia, da vendetta, e nè manco da cupidità; lo
generò il benefizio; essendosi ridotto in certa casa dove si giocava
allo sbaraglino, prese parte al gioco, e ci provò la fortuna contraria;
certo giovane amico suo, a cui pareva avesse messo il maggior bene del
mondo, notando come gli fosse venuto meno il danaro, per tentare di
ricattarsi, gliene profferse, ed ei lo rifiutò borbottando; si trasse da
parte col cuore grosso di odio, e poichè il giovane amico, favorito
dalla sorte guadagnava colpo su colpo, il diavolo finì per cacciargli le
mani dentro a' capelli; usciva fuori di sè; lo attese al varco, e lo
uccise.

La giustizia, per quante ricerche instituisse, ed a quei tempi ne faceva
poche, non venne a capo di scoprire il colpevole, però che avendo
trovato addosso all'ucciso le anella e i danari, stimarono il caso
accaduto per gelosia di donne, o per altra nimicizia; onde il sospetto
non poteva mai cadere sopra Angelotto riputato intimissimo suo, il
quale, quando cotesta febbre dell'anima gli fu un poco queta, si sentì
sconvolto; e nelle notti vigili, si vide comparire dinanzi lo spettro di
lui a maledirlo pel fiore dei suoi anni reciso a tradimento; ed egli
piangeva, e buttatosi a terra del letto s'inginocchiava sul pavimento, e
camminando su i nudi mattoni traeva dietro allo spettro domandando
perdono. Stupendo a dirsi! E' si trovò come strascinato a nuovi delitti
per attutire il rimorso di cotesto primo, cocente troppo ed
insopportabile; poi anco l'anima fa il callo; nè giovò poco a consolarlo
la fede, ch'egli professava fermissima, che Dio, mediante certi suoi
angioli ed arcangioli, tenesse i libri a partita doppia di ogni vivente,
dove da un lato registravano il loro _dare_, e dall'altro il loro
_avere_, onde sperò saldare il conto per via di messe, offizi da morto,
ed altri preci siffatte; la quale fede gli crebbe due cotanti quando di
bandito si trasformò in bargello: anzi, per parlare giusto, bisogna
dire, che s'egli si propose di menare strage, e la menò, dei
comandamenti della legge di Dio, ebbe poi sempre riverenza ai precetti
della Chiesa, nè ardì contraffarli; si confessava una volta l'anno
almeno, di elemosine si mostrava prodigo come un ladro; non ci fu caso
che mangiasse mai carne il venerdì, nè il sabato; su la persona portò
sempre medaglie benedette, ed _agnus dei_, e queste a Roma in cotesti
tempi, ed anco ai nostri, si riputavano virtù capaci a lavare bene altre
colpe, che non erano quelle commesse dall'Angelotto.

Egli si era fatto portare un boccale di vino, così per non parere, più
che per altro, dacchè se ne stesse intatto dinanzi a lui, ed egli solo
dentro una stanza con la manca si reggeva la testa mentre con lo indice
della destra andava segnando linee sopra la tavola; carattere diabolico
quello, però che ogni linea significasse morte procurata con le infinite
guise fin lì scoperte dall'uomo, che non erano poche, quantunque poi le
sieno cresciute fuori di misura, e gli premeva affrettarsi perchè adesso
davvero gli toccava dire: _morte tua vita mia_; e stante il colpo
fallito, e le sopraggiunte angustie affrettava co' voti l'arrivo dei
bargelli compagni, quanto poco prima gli aveva desiderati lontani.

Però il Riccio e l'Arrichino non si fecero troppo aspettare, che
regnando Sisto, camminavano tutti più che di passo; e la parola
_impossibile_ egli aveva cancellata dal suo dizionario: in due recavano
rinforzi di altri trecento miliziotti e sbirri: riunite le squadre
sommavano a seicento: proprio per quei tempi uno esercito.

Tosto si chiusero nella stanza per fermare tra loro il modo della
impresa; nè sembra che leggermente e presto si mettessero d'accordo,
perchè dibattendo ora questa, ora quell'altra cosa, si condussero a
buio: avendo chiesto lumi e vino, l'oste colse la occasione a volo per
vedere se spillava covelle, e da prima lo sperò essendogliene porto il
bandolo da Arrichino, il quale gli chiese:

-- Che tempo fa compare?

-- Il sole è ito sotto, che pareva il capo di san Giovambattista quando
fu presentato a Erode dentro un catino di sangue....

Arrichino ch'era guercio, e bolognese, e per arroto sbirro, gli cacciò
addosso gli occhi stralunati, e subito dopo pigliatolo pel braccio lo
spinse fuori della stanza dicendo:

-- Tu l'avresti a saper lunga il mio uomo. --

Subito dopo si fece alla finestra per ordinare agli sbirri raccolti
intorno alla osteria:

-- Non esca persona; a cui trasgredisce, addosso -- di poi speculò il
tempo diligentemente, e tornato dentro soggiunse; -- stanotte avremo
tempesta, forse fra tre ore; quattro non istarà; direi non dessimo tempo
al tempo.

-- Sta bene, rispose Angelotto.

-- Anch'io ci sto, dal canto suo soggiunse il Riccio.

Allora Angelotto, ch'era a capo di tutti, scese, e salì sul muricciolo
allato alla osteria; non visto, e non vedendo gli altri lanciò nel buio
queste parole:

-- O gente dabbene, il tempo stringe; tre degli otto giorni assegnati da
papa Sisto se ne sono iti; se non gli portiamo, prima ch'ei spirino, una
dozzina di teste di banditi, e' le farà mozzare a una dozzina di noi
altri; oltre la dozzina, per ogni capo di bandito ha promesso la mancia,
e papa Sisto è uomo di parola: però il migliore avanzo voi avete a
contare di farlo su quello dei banditi: alla più trista badate che non
vi accada come ai pifferi di montagna.

Questa concione non sarà raccolta da verun maestro di rettorica; persona
oserà proporla di esempio ai giovancelli di liete speranze, e tuttavia
ricercò tutto le passioni alte e basse del cuore degli sbirri: così una
mano anco inesperta, strisciando sul gravicembalo, ha virtù di cavare
suono da tutti i tasti.

Dalla parrocchia vicina si udivano i rintocchi della squilla che
annunzia la prima ora della notte; l'ora dei morti; pareva che ella
singhiozzasse, ed in mezzo ai singulti lanciasse pei cieli la domanda
cotidiana: _perchè fu aggiunto un altro giorno al cumulo dei giorni di
dolore e di miseria? perchè l'alba qui si affaccia sempre ridente come
la donna straniera di Salomone, che tende insidie al giovane inesperto?
Qui si avvicenda la eterna promessa con la eterna menzogna_. Quando la
squilla ebbe lamentato un pezzo, tacque sfinita, e le sue ultime
vibrazioni si spensero nell'aere come il dì del quale annunziava la
fine; cascò goccia senza peso, spazio senza misura nello infinito della
eternità. E le stelle, che poche e a malincuore comparvero sul
firmamento, simili a schiave tratte alla catena, già dileguaronsi nel
buio, chè oblio e buio fanno ciò che può dirsi la libertà dello schiavo.
La traccia unica rimasta di loro sopra la terra sono le rugiade, lagrime
che chiamano lagrime; e sia così, dacchè se le stelle, queste splendide
figlie del cielo, non si pigliassero cura di piangere sopra i nostri
morti, chi bagnerebbe amoroso la terra sotto la quale riposano le ossa
di Francesco Ferruccio? Santa Croce possiede tombe per diverse e
molteplici manifestazioni dello ingegno antico, ne avrà qualcheduna
forse dello ingegno moderno, ma fin qui è vedova del sepolcro di
Francesco Ferruccio. Forse non si reputa per anco dagl'Italiani, risorti
con _licenza dei superiori, e il visto dei Riformatori dello studio di
Padova_, il sangue versato per la Patria gloria d'Italia? O forse sangue
di popolo non merita onore di memoria? Resta dunque, o Ferruccio, sotto
le grondaie della Chiesa di Cavinana, e nel cuore del popolo; certo
monumenti non superbi questi; non costruiti dalla moneta accompagnata da
una lacrima, e sincera; perchè pianta da cui per paura ebbe ad
assottigliarsi il pane a fare splendido il lutto degli uomini dichiarati
grandi per partito municipale vinto a fave bianche e a fave nere...

Incomincia a sentirsi per la notte una smania come di cui male sta e
teme peggio Il ventipiovolo inquieto commove le fronde e le piante,
donde esce un lagno indistinto e nondimanco pertinace: il poeta desolato
potrebbe credere che il genio della pazienza offesa si sforzi
d'insegnare ai mortali il modo di ribellarsi con frutto dalla
onnipotente tirannide, e non sappia poi formare accenti umani, o preso
da terrore balbetti le parole.

Le squadre degli assalitori avevano a circondare le falde del monte a
larghi intervalli, per istringersi poi mano a mano che salivano, ma come
suole, ottimo disegno in concetto, nella pratica compariva impossibile,
perchè troppo largo il giro, e rotto qua da torrenti, là da bricche;
tuttavia come venne loro imposto fecero, così salirono buon tratto di
via taciti con la mano chi sul draghetto della miccia, chi sul grilletto
della ruota, però che allora quello che noi diciamo _acciarino_ non
fosse anco inventato, ed altri pronti a conficcare in terra il puntale
della forcina sul quale avevano adattato gli arcobugi loro.

Di un tratto un lampo ruppe il buio, fu il primo colpo, dopo quello il
fuoco straripò a modo di fiumana, molti i tiri dalla parte degli
assalitori, ma inefficaci; scarsi quelli degli assaliti, e apportatori
sempre di ferite o di morte, dacchè essi da fermo traessero, dietro i
tronchi degli alberi si riparassero, e gli altri procedessero alla
scoperta; dalla parte degli sbirri si udivano gemiti, preghiere, e voci
lamentevoli di cui cascava; da quella dei banditi non si sentiva alito,
e sì che qualche ferito, e qualche morto avevano avuto anch'essi, ma i
feriti si cacciavano in bocca i lembi del mantello od altro togliendosi
la facoltà di gridare, forse chi sa per tema di nocere ai compagni, o
piuttosto per sospetto, che il compagno a canto gli mettesse le mani
addosso e lo spogliasse. L'uno e l'altro può essere; chi se ne intende
scelga.

Uomini e lupi però costumano ad un medesimo modo; quando sono feriti si
danno addosso.

Ferveva l'opera della distruzione, e fin qui con la peggio degli
assalitori, allorchè taluno di essi si avvisò tagliare qualche ramo di
pino, e accenderlo per vedere almeno dove mettessero i piedi; non lo
avesse mai fatto! però che servendo i fuochi per punto di mira, la morte
rovinò a modo di gragnuola in mezzo a loro; gettarono via i maluriosi
tizzoni, e da capo gli avvolse la oscurità.

Ma adesso era venuta la volta del cielo, il quale, quasi provocato,
sembra che intendesse mostrare di faccia alla sua quant'è inane la furia
dell'uomo; con immenso baleno si squarciò da un punto all'altro tingendo
ogni cosa di color sanguigno, e subito dopo un tuono parve schiantasse i
cardini del mondo, poi giù a rovescio grandine, acqua, e con assidua
vicenda saette, lampi e tuoni: non per questo rimisero punto gli sbirri
la rabbia della persecuzione; anzi la crebbero, al fine primo della
impresa non pensavano più, adesso appetivano solo la vendetta; di vero
alla luce sinistra dei folgori ora vedevano stramazzare agonizzante un
compagno; ed ora, più orribile aspetto, miravano gli uomini di scorta ai
muli portatori del vino avvelenato ciondolare appesi pel collo ai rami
degli alberi secondochè l'impeto della bufera gli sbatacchiava.

Quantunque però ci si mettessero coll'arco del dosso è da credersi, che
gli sbirri non l'avrebbono sgarata se prima la banda di Arrichino, e
dopo poco l'altra del Riccio non avessero investito i masnadieri dal
fianco destro e dalle spalle; allora Paolo conobbe in un attimo, che non
bisognava appillottarsi, e in meno che non si dice _amen_ ebbe ordinato
si ritirassero nei luoghi più alti, dove per balzi dirotti l'accesso si
faceva piuttosto disperato che difficile, e vi erano di lunga mano
allestite l'estreme difese.

Dall'una parte e dall'altra si sentivano stanchi, però, quasi per
accordo tacito, accadde una tregua, durante la quale gli sbirri
ripararonsi come poterono sotto gli alberi, i banditi nei ridotti dove
si rinfrescarono di polvere e di piombo, mentre gli altri con pena
infinita poterono preservare la polvere da bagnarsi, non però dal
restarne inumidita.

Di asciugarsi le vesti, anzi spremere l'acqua dai capelli non era il
caso e non ci pensarono nè meno, solo tentarono col dito se le coltella
tagliassero, e con queste ammannironsi alle ultime prove. E poichè lo
starsi si fece di corto più grave del moversi, stantechè la procella
durasse a imperversare più fiera che mai, si levarono urlando: --
ammazza! ammazza! -- proprio a mo' che i lupi si sferzano i fianchi con
la coda per darsi coraggio. E veramente di molto ardire era mestieri
adesso non solo contro gli uomini, bensì contro il cielo, che diluviava
saette, e grandine mescolata coll'acqua, le fonti schizzavano getti, e
fischiavano pari ai flagelli delle furie, il torrente ruggiva a sbalzi
di roccia in roccia, come leone che fugga spaventato, le fronde degli
alberi turbinavano stridenti quasi chiome agitate dalla disperazione:
non più di voci che sonassero lagni andavano pieni il monte e le valli,
bensì di stridi di rabbia, di furore e di sterminio quali sono o si
finge abbiano ad essere dentro lo inferno: che in questi tormenti della
natura le anime dei morti escano dai sepolcri a empire di dolorosi guai
i luoghi dove trassero la vita non credo, nè piacemi dare ad intendere
altrui, ma che un elemento spirituale diffuso pel creato si addolori
commosso dalle convulsioni della natura potrebbe darsi, nè vi ha cosa
che c'induca a negarlo.

Ormai i sentieri per salire in alto o non si trovavano, o scarso, e
questi dirotti o lubrici non meno pei rigagnoli delle acque, che per la
belletta menata giù dal monte: anco qui orribili aspetti rivelò di
tratto in tratto la luce dei lampi; uomini sfracellati da una pietra nel
capo annaspare per l'aria con le mani come fa il naufrago piombando giù
nello abisso; altri capovoltarsi sdrucciolando e rotolare a saltelloni
di sasso in sasso fino alla falda del monte; chi rimanere appeso
ciondolone da una macchia come bestia al gancio del beccaio, ad altri,
altri casi, e tutti da mettere il ribrezzo addosso al solo pensarci. Tra
i molti offersero un molto terribile gruppo due: avendo uno sbirro
superato un giogo, si spinse innanzi per levarsi dal pericolo di ruinare
nel precipizio, ma fatti appena una diecina di passi, ecco serrarglisi
addosso un bandito e stringerlo fra le braccia, lo sbirro sottentra e lo
ricinge alla vita, così avviticchiati insieme scotonsi, scrollansi, di
qua e di là sbattacchiansi, ora tentano levarsi in alto e soffocarsi, ed
ora framettendo la gamba alle gambe, o picchiando forte del tallone
nelle giunture si sforzano a sternare l'un l'altro; la vicenda assidua
del buio e della luce dei lampi ora sanguigna, ora bianca, ed ora
verdastra palesava i sempre vari atteggiamenti dei lottatori, la rabbia
di che andavano invasi, come pure il pericolo, che di momento in momento
li minacciava, imperciocchè il bandito guadagnando terreno spingesse lo
sbirro spossato vicino al dirupo, quegli caldo della vittoria non ci
avvertiva, o se pure lo avvertiva, non gliene importava, all'altro sì,
che spaventato gridò:

-- Bada, precipitiamo....

-- All'inferno! urlò il bandito; e giù di fascio rotoloni ambedue; nè le
percosse delle roccie dove stracciavansi valsero a far sì, che si
staccassero; all'opposto il bandito (ed anco questo si vide allo
sfolgorare di un lampo ) ficcò i denti nella gota allo sbirro, e vuolsi
credere, che in cotesto sforzo dell'odio spirasse l'anima.

Pari in orrore, se non forse più strano, questo altro caso; uno sbirro,
con le mani aiutandosi e co' piedi, dopo inaudito travaglio di scheggia
in ischeggia già arriva alla sponda estrema della rupe, già vi pone la
destra, dopo la manca, e raccogliendosi in sè già spinge la persona in
alto per sopramettere il petto al ciglione; un bandito che lo mira a un
tratto, piglia con ambedue le mani l'archibugio per la canna, e quanto
può leva le braccia in alto per dargli del calcio nel cranio: voglioso
di acconsentire con ogni sforzo al colpo, allarga le gambe sporgendo
innanzi la destra e si curva. -- Qui si fa buio; e chiunque si trovò
presente al caso, ormai al chiarore del nuovo lampo teneva per fermo o
non avrebbe più veduto lo sbirro, o lo avrebbe visto rotoloni per
l'aria, quando con maraviglia pari allo spavento contemplò lo sbirro
salvo, e il bandito tracollato giù nel precipizio, e questo accadde in
grazia della intrepidezza, o piuttosto dello istinto di conservazione
dello sbirro, che lo mosse a stendere la mano, ed, agguantata la gamba
al bandito, con supremo anelito tirarla a sè, onde costui troppo in
cima, su terra sdrucciolevole, diede la balta, e l'altro, che si potè
mantenere attaccato al vivagno, di un salto fu sopra e si salvò.

Per questo caso presero tanto animo gli sbirri quanto ne perderono i
banditi; nè, superate una volta le alture, restava modo alle difese,
però che quelli troppo vincessero di numero i secondi, i quali adesso si
vedevano ridotti a venti, e nè manco tutti illesi. Paolo allora pensò
allo scampo, e due e tre volte cacciava fuori fischi acutissimi, segnale
ai banditi, perchè, cessato il combattere, riparassero alla caverna,
asilo fidatissimo negli estremi accidenti; al fianco suo erano rimasti,
fin lì non tocchi, Ciriaco e Maria la figliuola dell'oste, la quale in
cotesta notte mostrò esserle l'arcobugio assai più familiare della rocca
e del fuso; e quante volte Ciriaco per bontà d'indole, o per altro
affetto presumeva farle schermo del proprio corpo, ella tirandolo da
parte gli disse dispettosamente:

-- O che credete che io non sappia come voi mettermi a repentaglio? O
immaginate, che stimi la mia pelle più cara della vostra? In là... in
là... ch'è tempo perso, ognuno di noi nacque con la sua morte in tasca.
--

E sembra proprio che la deva andare così, però che ella, mentre stava
per voltarsi al segno del capitano, si sentisse colpita di sotto al lato
manco; nè tanto potè tenersi, che non prorompesse in uno strido, e
subito dopo girando sopra sè medesima stramazzò.

-- Maria è cascata, disse Ciriaco a Paolo.

-- Lasciala stare; ne cascarono tanti, rispose Paolo.

-- No: vado a pigliarla. --

-- Lasciala, la traccia del sangue ci scoprirà.

-- No: se ci è verso la vo' salvare....

-- Se capitasse viva in mano agli sbirri potrebbe farci la spia; va bene,
vengo teco a pigliarla.

E andarono. Presto, presto, Paolo le fu al fianco, dove, piegato un
ginocchio a terra, interrogò:

-- Siete ferita?

-- Oh! signore sì, mi sento morire....

-- Versate di molto sangue?

-- Per di fuori... no... non pare....

-- Badate a non tracciare col sangue la via agli sbirri; avete nulla
addosso per fasciarvi?

-- Sì. --

-- Ciriaco aiutala a fasciarla, e stringi forte; -- dopo queste parole
Paolo tentò il terreno per conoscere se fosse bagnato di sangue, poi unì
insieme le dita avvertendo se restassero appicicate, nè questa prova
bastandogli gustò con la lingua l'umidore, e parve assicurarsi; allora
diè mano a Ciriaco per rilevare Maria, la quale essendosi costoro recata
sopra le braccia conserte portarono via a precipizio.

Gli stessi banditi ebbero a penare non poco, prima che nel buio
trovassero la caverna, la quale non abitavano già cotidianamente,
serbandola, come ho detto, per estremo rifugio; al fine, trovatala,
presero a rimoverne dalla bocca le marruche, e ogni altra ragione pruni,
che per natura e per arte vi erano cresciuti foltissimi; passati, li
raddrizzarono, e intrecciarono; lì presso, uguale il roveto, e per buon
tratto esteso, onde quasi disperato rintracciare la caverna nel dì, pel
buio poi impossibile. Appena penetrava nella caverna il bagliore dei
lampi, dacchè la tempesta imperversasse tuttavia, però tanto bastava a
far sì, che i banditi disposti in mezzo cerchio, con un ginocchio chino,
atteggiati in varie guise, tenessero gli occhi aguzzi e le bocche degli
arcobugi rivolte allo spiraglio.

Gli sbirri, poichè dopo molto altro trarre si accorsero che i banditi
erano scomparsi, cessato il timore di essere presi di mira, smaniosi per
la rabbia, che scappasse la fiera, ripresero a tagliare schiappe di
pini, e con quelle accese cominciarono a frugare bramosamente le
macchie; chi avesse veduto quelle strane sembianze correre su e giù per
la foresta con quei fuochi sinistri nelle mani e udito gli urli ferini,
che mescevano con lo strepito dei tuoni, e il fragore delle fronde
sbattute, e delle acque, certo avria immaginato di trovarsi nel
Citerone, o su lo Ismaro mentre le Menadi correvano furiando sotto la
sferza del Dio che le agitava; di vero, se i miliziotti non ispingeva
ebbrezza di vino, erano mossi dalla ebbrezza del sangue, della ferocia e
dell'avarizia; ma ora che ci penso, anco le donne tessale e tebane, se
nelle corse matte occorrevano in qualche uomo, lo stracciavano, e fitto
il capo di lui sur una picca portavano a processione; così pare provato
che uomini e donne, digiuni od ebbri, tranquilli o maniaci fossero
sempre micidiali del sangue loro. Forse muterà un giorno, anzi io ci
credo, non mica perchè faccia capitale sopra la benevolenza, ma sì sopra
lo ingegno malvagio degli uomini, che nell'arte di distruggersi andando
sempre innanzi troveranno modo di potersi sterminare in un attimo,
allora, ma non prima di allora, dando spese al cervello, brontoleranno
sempre, e non si morderanno mai.

Non una o due, bensì delle volte più di dieci gli sbirri passarono e
ripassarono davanti la bocca della caverna, anzi uno di loro prese a
sbrattare la rosta, ma, trafitto da un pruno, si rimase bestemmiando. E'
fu giusto allora, che la povera Maria, travagliata da febbre mortale,
vagellando prese a lagnarsi, e in mezzo al delirio ricorrendole alla
mente le cose, o gli affetti che più la tenevano presa, ricordò la madre
defunta, e la Madonna; sovente fu udita raccomandarsi a un signor Paolo,
pel quale pareva ella nudrisse non minore paura, che passione; per
ultimo l'atterrivano le pene dello inferno, e supplicava le menassero il
prete, affinchè, confessati i peccati, potesse ridursi in luogo di
salute. Paolo, che, caso fosse o consiglio, le stava allato; da
principio le disse: -- taci; -- ma poichè vide il comando riuscire
indarno, stese la mano, ed ebbe compreso la donna travagliarsi negli
spasimi supremi; allora adagio adagio ei scinse la fascia, che portava
attorno la vita, e fecene groppo, il quale poi soprappose alla bocca
della misera donna; nè punto lo rimoveva, al contrario sempre e più
sempre ce lo pigiava, procurando che non pure il rammarichío ma nè anco
l'alito si potesse sentire.

Ventura volle, che ora i tre bargelli s'incontrassero poc'oltre di là, e
subito prendessero a favellare. Primo fu Arrichino a dire:

-- E' mi pare che dobbiamo appendere il voto alla santissima Vergine di
Loreto se la è andata a finire così.

-- Che noi ce ne abbiamo a vantare, ciò sta nelle regole, riprese il
Riccio, ma tra noi buttiamo carte in tavola; se non eravamo un esercito
ci rimanevamo tutti. -- E l'altro:

-- Caro mio; tu non ti contenti mai; io avrei voluto vederci un po' uno
di quei colonnelli famosi, che vanno per la maggiore sia francese, sia
spagnuolo... nella notte... in mezzo alla tempesta che appena cessa...
abbiamo superato rupi da disperarne le capre; il nemico disparve, il
campo è nostro.

-- Certo è sparito ma non fu sterminato; ci rimase il campo, ma ci tocca
a lasciarlo subito se non ci vogliamo morire di fame e di freddo...
quanto a morti e feriti, io vo' restare ammazzato se per dieci sbirri e
miliziotti noi avremo un bandito....

-- Abbi pazienza Riccio, cominciò Angelotto, ma tu guasti l'arte: a noi
basti vincere, ho sempre sentito dire, che si aguzzò il piolo sul
ginocchio chi pretese stravincere, e in due parole io ti chiarisco; il
Papa pagherà gli sbirri, finchè ci saranno banditi; e sta sicuro di
questo, che dopo l'ultimo bandito egli impiccherà l'ultimo sbirro....

-- Incomincio a capire, e mi pare che tu abbia ragione.

-- Lo so anche io, che ho ragione, e bada a questo altro: domani quando
raccoglieremo le teste dei banditi, un paio di dozzine e' ci hanno da
essere....

-- Per me crederei di no.

-- E tu credi così perchè tondo nascesti e tondo morirai, chi ti para a
mescolare co' capi dei banditi qualche testa di sbirro? Le non si
distinguono le teste come sono tagliate, massime quando piglia a
disfarle la morte... allora un ladro vale quanto un vescovo, e ci è da
sbagliare....

-- Dici bene tu, ma se taluno ci fa la spia... con Sisto, Domine aiutaci!

-- Restando la cosa tra te, me ed Arrichino non si ha da temere
tradimenti; e di grazia a che pro tradirci? Sisto promette alle spie
Roma e Toma, e anco le paga, ma se tu ci hai avvertito, presto o tardi
le agguanta, e solo che inciampino in un filo di strame e' vanno a
finire al canapaio, però messe a monte le altre ragioni, basta questa
per noi a tenerci la fede.

-- Anzi, osservava Arrichino, tra le teste dei banditi non potremmo
trovarne una giovane, e dare ad intendere che fosse dello stesso
Venanzio...?

-- Io la tengo per cosa da non ci pensare, rispose Angelotto, perchè il
Papa sa ch'egli è bellissimo, di capello biondo d'oro, e forse gli hanno
dato altri segnali di lui: anche te ammonisco a non volere stravincere.
--

Il Riccio allora come studioso di non iscapitare nella reputazione di
mascagno soggiunse:

-- Di' un po' Angelotto, le taglie promesse si avranno a spartire fra
coloro che rimasero vivi? --

-- Ma sicuro, i morti non contano, e poi hanno sempre torto marcio.

-- Giusto come pensava anch'io! Dunque meno che saremo e più ci toccherà?

-- Per lo appunto a quel modo.

-- Allora, sarei di avviso, che ce ne tornassimo addietro noi altri; ai
passi metteremo guardie, nè grosse, nè sottili, perchè i banditi non ci
possano sgusciare di mano: voi vedrete, che, come aggiorna, da qualche
buco scapperanno fuori cotesti dannati a fare impeto su le guardie per
mettersi in salvo; e noi gli lasceremo arrabattare un pezzo fra loro,
perchè per ogni bandito che casca morto le taglie crescono, e per ogni
sbirro che pigli la via dell'altro mondo meno ci tocca a spartire....

-- Non è mica pensato male, sai? Ma ci ha di mezzo l'anima, Riccio
mio....

-- Ed anco a questo ho avvertito... non ti sembra che si possa aggiustare
la faccenda con qualche messa?

-- Sicuro... con le messe... e gli uffizii. --

Così rimasti d'accordo, ordinarono alle squadre rifacessero i passi;
domani a giorno chiaro sarebbero tornati a seppellire i morti ed a
mozzare il capo ai banditi, e tutti insieme scesero cantando canzoni,
dove, ad onta della parola, per paura di Sisto, pudibonda, non
iscaturiva meno sfacciato il concetto; tanto l'aspettazione del poco
danaro delle taglie valeva a soffocare il senso di angoscia presente e
del pericolo trascorso, anzi il dolore pei compagni perduti e il rimorso
della strage menata!

Paolo levò tardi la mano di su la bocca di Maria; allora solo, che il
vento non gli portò nè manco il susurro del canto degli sbirri che si
allontanavano, e Maria da parecchio tempo non respirava più. Levatosi in
piedi Paolo favellò in questa sentenza ai compagni:

-- Se vi abbia voluto bene e vi ami, voi lo sapete, però non dico nulla
dell'angoscia che provo a dovervi parlare siccome faccio; fratelli miei,
e' non ci vedo caso, bisogna separarci. Ora un acquazzone ci rovina
addosso; passerà, e la prudenza insegna di aspettare al coperto, che
smetta; non possiamo mica fare alle capate co' muri. Papa Sisto in
questo quarto di luna vive in pace con la Spagna, i Viniziani, il
serenissimo di Toscana, insomma con tutti; l'accordo dei gatti fa la
tribolazione dei topi: ma quanto durerà egli? Staremo a vedere; intanto
il punto giace nello scansare la forca, figliuoli miei, e attendere
tempi migliori. Dividiamoci dunque per ritrovarci con meno tristi
auspici più tardi, voi conservatemi la vostra benevolenza, com'io vi do
pegno di perdurare nella mia; se ho commesso qualche errore, ne chiedo
perdono prima a Dio, poi a voi altri; voi sapete che verun uomo può
vantarsi perfetto: pensate se io! Il patrimonio comune, ch'io rivenni al
verde, mi sembra, che se non risponde ai desiderii vostri (e questo
sarebbe un po' difficile), pure ora sia tale da potervene contentare;
adesso lo dividerò tra voi, qui lascerete le armi, gli argenti, e gli
ori lavorati, come pure le gioie, chè per queste cose voi cadreste
facilmente in sospetto, e ricordatevi che i sospetti mettono i pioli
alla scala di compar Gigolo. Dell'oro monetato fate tre parti, una
darete al prete per la faccenda dell'altro mondo, la seconda al giudice,
caso mai vi fastidisse nella faccenda di questo mondo, la terza serbate
per voi. Rendetevi terziarii di San Francesco, o meglio torzoni in
qualche convento; quello che si fa con la veste corta del bandito, il
tonacone del frate sembra tagliato a posta per coprire: se vi occorre
barattare moneta, cercatene al priore, o al sagrestano, e a patto che
non istiate su lo spiluzzico a riscontrare il danaro del cambio, egli
non vi tradirà; non vi confidate mai con donne, e i capelli non vi
saranno tosi da altri, eccettochè dal barbiere; fate la carità in
segreto, e Dio, che la vede anche al buio, vi ricompenserà; godete anche
in segreto, perchè allora il bargello non lo saprà: e mastro Gigolo non
v'impiccherà. --

A considerarlo bene come merita, non si può dire, che questo discorso
abbia virtù di movere troppo gli affetti, e tuttavolta i banditi
piangevano _a sprone battuto_. Tanto è, uno scampolo di tenerezza la
possedevano anch'essi; e....

-- Capitano, fra i singulti dicevano, e avrete cuore di lasciarci
così...?

-- Figliuoli miei, e' mi pare che sia bazza per noi lasciarci a questo
modo.

-- E finchè voi non tornate noi avremo a dormire interrati come le
testuggini?

-- Oh! no, come le vipere, per mordere più velenose a primavera.

Acceso un lume, cavarono con le zappe di sotto terra una cassa, e
presero a spartire il danaro noverando per ogni uomo un ducato. Quando
toccò la volta di Ciriaco, Paolo disse:

-- A te Ciriaco. --

Ma Ciriaco non era quivi, e Paolo rinnovò la chiamata; allora Ciriaco
sbigottito rispondeva con voce lamentosa:

-- Capitano, Maria è morta... non so che farmi della moneta.

-- Vien qui tosto, che la si sveglierà più che non vorresti.

-- Io vo' vedere se dorme, o se è morta Maria.

-- E tu sta ad aspettare che si risvegli....

E mise su la tavola il ducato; quando ebbe a contare sè, si mise da
parte, onde i banditi notarono:

-- E voi, Capitano, e voi?

-- Io, povero qui venni, e povero io voglio morire, Dio provvederà....

-- Questo non patiremo mai.... voi avete a pigliare la parte doppia...
sì, doppia..... doppia vogliamo.

-- Intendete contendere meco all'ultimo? Duro vostro capitano,
obbedite....

Chinarono il capo, brontolando forte: per poco non s'insanguinarono a
ributtare la moneta, che pure essi avevano con mani sanguinose
arraffato.

Venuti al fondo della cassa, Paolo la gittò all'aria dicendo
allegramente:

-- Fiera finita; le botteghe si chiudono.

-- Capitano, o signor Paolo, interruppe qui Ciriaco, Maria non dorme, io
vi accerto ch'è morta.

-- E che conti a me? La ho uccisa io? Te la posso risuscitare io? Piglia
questa moneta e consolati; se non puoi consolarti chetati. -- Compagni,
su, non ciondolate; per quanto udii, la via del torrente rimase libera;
una volta che abbiate messo il piè sul ciglione si trova il viottolo
anco ad occhi chiusi.

Tolsero funi e ferramenti preparati al bisogno, e usciti fuori con molto
riguardo dalla caverna, si condussero su la sponda della rupe, traverso
le spaccature della quale ruggiva il torrente; i fianchi di lei per
lungo tratto erano tagliati a picco, e lisci così, che meglio non saria
potuto farsi per via di pomice, poi occorreva una maniera di cornice
capace al passo mala pena di un uomo, che di ora in ora serpeggiando
s'incassava nei fianchi del dirupo per riuscire da capo senza riparo sul
burrone. Aiutaronsi a calare; ultimo volle rimanersi Paolo, sempre
confortando i compagni a pigliarsi cura di sè; a lui non pensassero;
potrebbe scendere dopo gli altri agguantandosi alle funi. Quando tutti
furono discesi, Paolo si affacciò al vivagno gridando:

-- Addio, compagni, l'avoltoio ha da vivere, o morire sul monte... salute
a tutti, e ricordatevi di me.

I banditi tacquero, temendo con le voci loro dare la sveglia alle
scolte, e l'ora, il luogo, e la paura di mettere il piede in fallo
troppo li tenevano stretti perchè si pigliassero cura di altrui.

Paolo, studiando il passo, ritorna alla caverna: qui giunto cava fuoco
dal focile, e accende il lume: ciò fatto, seguendo l'usato costume, si
volta intorno a speculare, e mira Ciriaco, che genuflesso a capo di
Maria, le recitava le preghiere, che, monche e a stento, si richiamava
alla memoria.

-- Oh! Ciriaco, perchè non ti salvi con gli altri?...

Signor Paolo non posso, mi pare che qui mi rimanga il cuore....

-- Diamole sepoltura, e non ci pensiamo più....

-- Non ci pensiamo più, la è presto detta, ma io di Maria non mi
dimenticherò mai, Capitano, mai.

-- Ti premeva molto questa ragazza, Ciriaco?

-- Molto.

-- Ed ella ti amava?

-- No: ella amava voi.

-- Me! Io non me ne sono mai accorto....

-- Me n'era accorto io.

-- Se stava come me la conti, Ciriaco, felice lei, ch'è morta, felici
noi!

-- Capitano, per Cristo! voi parlate da matto... da matto e da peggio.

-- Non ingrugnarti Ciriaco, che io ti chiarisco: saresti stato felice tu
se vivendo ella l'avessi veduta ardere per altri che per te?

-- Non importa, a patto che riviva....

-- E questo dici perchè vivendo ti rimarrebbe la speranza, che un dì o
l'altro di colta o di seconda mano potesse cascarti nelle braccia;
quando poi questa speranza ti venisse spenta, tu l'avresti presa in
odio, forse tu stesso ammazzata....

-- No... no....

-- Ad ogni modo tu avresti concepito rancore contro me innocentissimo, nè
tu sai, o puoi sapere dove questa gozzaia ti avrebbe condotto, e per
noi, usi a palesare i nostri pensieri più col coltello che con la
lingua, ci è da mettere su pegno, che un giorno o l'altro, senza
volerlo, anzi con inestimabile tuo cordoglio, mi avresti ficcato così
tra costa e costa un mezzo palmo di coltello, e morto che tu avessi il
compagno della tua puerizia, -- il tuo padrone, -- il tuo fratello,
saresti stato contento? Avresti vissuto in pace con lei? Sarebbero stati
tranquilli i tuoi sonni dormiti sul medesimo capezzale con la donna che
ti armava la mano al fratricidio? -- Felice te, ed io pure felice,
perchè, dà retta, io avrei fatto certo di queste due cose una: o l'avrei
tenuta, o l'avrei respinta. Se tenuta; nello stato in cui peniamo,
Ciriaco, che diventa per noi una donna? Un demonio se piglia i nostri
costumi, uno sfiancamento di cuore se si conserva mansueta e pia.
Respinta, si rifiniva nell'angoscia? E peggio per lei. La struggeva
l'ira? E ci avrebbe mosso nemici il cielo e la terra, e peggio per me,
per te, per tutti. Dunque sta bene, dove sta: _requiem æternam_. --

Ciriaco arrovellava di sentirsi convincere, voleva trovare una ragione
per rispondere e non la rinveniva; s'industriava formare una parola, e
pareva la lingua e le labbra gli negassero l'ufficio, mentre l'altro
insolentendo nella potenza della favella continuava:

-- Felice lei, ch'è morta tenendo occulto il fuoco di amore, perchè solo
a questo modo e' sembra divino: pensieri soavi, e cari palpiti, e desii
lo alimentano sempre splendidamente vivace, ad ogni istante gli nascono
nuove ali, e, con le ali, nuove forze per poggiare senza quiete in su;
manifestato che sia, brucia ogni cosa e si spenge soffocato nella sua
propria cenere. Felice te! che non provasti che sia doversi vergognare
per l'uomo del tuo cuore, nè tremasti che ogni latrato di cane lo
svelasse alla persecuzione degli sbirri, ed ogni colpo di arcobugio gli
rompesse le membra. Oltraggiata, derisa, tu non ti trarrai per le pietre
e pel fango sotto la forca, dove te conduce l'agonia di carpire a volo
uno sguardo obliquo del marito, e di porgergli un detto, od anco una
voce sola, che gli attesti non tutti maledirlo, e in cotesta arsura di
morte gli scenda refrigerio nell'anima. Felice te! che non ti sentirai
ghiacciare il sangue, per terrore che una parola non riveli al tuo
figliuolo la sua nascita; nè dovrai desiderare che ti si apra sotto la
terra, quando egli in onta dei tuoi sforzi, consapevole dell'essere suo,
ti getterà in faccia come rampogna la sua vita.....

Ciriaco a questo punto recandosi in mano i capelli della morta, che
lunghi e neri le cascavano sopra il petto e le spalle, nello sporgerli
che faceva verso Paolo, tra i singhiozzi sclamò:

-- Così giovane! Signore! così giovane!

-- Mira, ella era più saputa di te. Te lo ricordi? Ora fa poche ore ti
diceva: ogni creatura nasce col suo destino in tasca. Che significa il
tempo? Un palmo più, meno di vita, un anello aggiunto o tolto alla
catena; e tu, Ciriaco, non vorresti piuttosto un'ora come un falco, che
un giorno come un lumbrico? Tra la melma, dove si dibatte, questo non ha
da temere nè anco che un piede lo calpesti, quello senza requie insidia
il piombo de cacciatore.... ma in mezzo al cielo.... fra i raggi del
sole, ben venuta la morte.... Senti, Ciriaco, scaviamole la fossa
profonda, perchè non la offendano le bestie, commettiamola nelle braccia
del Creatore, egli la vestirà ogni anno a primavera di un manto di erbe
verdi, e di margherite; a lui lascia la cura di bagnare con le rugiade
le viole sul capo di Maria; non temere, no; qui verranno uccelli a
lamentare la vergine sparita come stella cadente, -- splendida e
passeggera. E noi, Ciriaco, dalla sua morte caviamo argomento di amarci
e sovvenirci nella vita, dacchè tu amasti lei, ed ella, come tu affermi,
amò me, con questo amore rafforziamo il vincolo che ci lega. Di un'altra
cosa ti avverto; supreme nemiche sono la morte e la vita, sicchè, anco
quando questa abbandona il corpo umano, l'altra pare che si periti a
surrogarla, e così per un po' di tempo la persona non sembra morta,
bensì dormente; ma da un punto all'altro la morte, smessa la paura,
irrompe dentro e ci pianta la sua bandiera; allora torci altrove lo
sguardo, e per Dio non mirarla perchè la faccia che tanto amasti, di
subito tramutata ti spaventerà; ti staranno sempre davanti cotesti occhi
fissi senza sguardo; la immagine dei labbri, che ti sorrisero di amore
tu scaccerai dalla memoria come una tentazione del diavolo. Vuoi
serbarti pio e caro ricordo la donna che amasti?

Velala quando è spenta. Non venire a contesa con la morte allorchè
questa le ha ficcate le unghie nelle tempie; allora potrai rammentarti
la donna dolce parlante, e dolce ridente; allora, come l'amasti viva,
l'amerai morta; forse più.

Paolo favellò assai più cose, e con copia di paragoni, e di figure come
costumano gli uomini ingegnosi quando li commuove la passione, però che
allora sieno tutti poeti, massime in quelle parti d'Italia, che ha in
delizia il sole.

Nè una sola, bensì due passioni tenevano adesso agitata la mente di
Paolo, il rimorso e la paura. Certo, rimorso e paura; anco le campane,
le quali pure sono di bronzo, provano l'azione del caldo e del gelo, nè
il cuore nostro, per duro che diventi, supererà mai il bronzo, e forse
chi sa cotesto era l'estremo crepuscolo di bontà che si abbuiava in quel
tristo; comunque sia, io faccio caselle per appormi che non possiedo il
filo dei laberinti del cuore umano, e nonostante io mi ci avventuro con
ispessezza soverchia come con inanità; bisogna smettere, e a questo io
mi propongo d'ora innanzi attenermi; però mi basti esporre, che Paolo
sentiva paura e rimorso; rimorso di avere forse morta, e certo sospinta
innanzi tempo a morire, Maria; paura che Ciriaco agguardandola non le
venisse a scoprire sopra la faccia alcun segno rivelatore della sua
codarda ferocia. Malvagie passioni in vero, ma che pure avevano virtù di
tenerlo agitato a quel mo', che l'acqua arzente quanto è più ria,
peggiore ebbrezza cagiona.

-- Ma voi, come se in cotesto punto lo percotesse la vista di Paolo, ma
voi come non siete partito con gli altri? --

Paolo si fece per la vergogna vermiglio fino alla radice dei capelli, nè
dove fosse stato più chiaro nella caverna avrebbe potuto celare il suo
turbamento a Ciriaco; improvvido di quello che gli usciva di bocca, così
a strappi ebbe a rispondergli:

-- Io? -- Non poteva darmi pace, che Maria.... certo Maria..... sì,
davvero Maria rimanesse insepolta all'oltraggio delle volpi e dei lupi.
--

Queste parole vinsero il cuore di Ciriaco, e tanto più le credette
sincere, quanto che la stessa esitanza nel profferirle gli dessero prova
di passione, onde rilevatosi si abbandonò nelle braccia di Paolo,
sfogandosi in lacrime. Appena si fu un po' quieto, questi, al quale
coceva avacciarsi, disse:

-- Or bè, Ciriaco mio, seppelliamo la povera Maria e pensiamo ai casi
nostri.

Ciriaco rassegnato andò per la zappa e per la pala, ed ei zappando, e
Paolo cavando la terra, presto ebbero scavato la fossa; allora Paolo si
fece da capo al cadavere, e dopo avergli velato il volto con un panno,
lo prese sotto le ascelle, Ciriaco pei piedi, e lo calarono nella fossa;
e dacchè questi dopo avere commesso alla terra il corpo della sventurata
non dava segno di vita, Paolo, presa la pala, cominciò a coprirla;
quando ebbe finito, battendo la terra col piatto del ferro, disse:

-- Povera Maria, riposa in pace!

Ciriaco si chinò su la fossa e la baciò dal lato ove Maria riposava il
capo, esclamando con ineffabile affetto:

-- Almeno la terra che cuopre la tua santa faccia porti la impronta di un
bacio! --

Trascorsi alcuni istanti Paolo favellò:

-- Orsù Ciriaco, poco avanza della notte, e ci bisogna mettere le gambe
in capo se vogliamo salvarci; piglia l'accetta e cammina in su, fin dove
il fesso del monte si allarga meno, giusto al punto del salto della
capra; là squadra un pino dei più alti, la grossezza non preme, e
comincia tagliarlo al piede; io mi sbrigo di una mia faccenda e ti vengo
dietro.

Ciriaco, senza profferire parola, s'incamminò al luogo disegnato. Ora
diremo perchè Paolo rimanesse; egli, come sovente accade tra i ladri, si
era finto generoso co' compagni per rubare meglio, e vergognando, dopo
aver sostenuto la parte di eroe, in faccia a Ciriaco svelarsi di subito
farabutto plebeo, senza avvertire quello che dicesse gli uscì prima di
bocca il tratto pietoso, il quale esercitò tanta virtù sul cuore di
Ciriaco, ed ora aborriva fargli conoscere la causa vera del suo ritorno.
Egli prese in fretta a scavare in un angolo, ed in breve scoperse un
forzierino, che aprì, e trattene fuori quante gioie vi stavano chiuse se
le rovesciò nelle tasche; d'altro non s'impadroniva, o gli mancasse il
tempo a frugare, o non fossero cose da trasportarsi con agevolezza e
sicuro. -- Compito ciò, raggiunse Ciriaco, che tirava giù colpi da
disperato; sovvenendolo Paolo, di corto atterrarono il pino, e con poche
accettate l' ebbero spoglio dei rami, allora strascinaronlo sul
ciglione, dove dopo averlo con molta fatica drizzato, di una spinta
abbatteronlo sopra la sponda opposta; l'albero, percosso il sasso, ne
levò le scheggie, e saltellò parecchie volte; quando stette fermo lo
rincalzarono con terra, e pietre, offerendo a questo modo il passo sopra
l'abisso. Veramente il ponte era fatto, ma veruno, a meno che non
facesse professione di funambulo, si sarebbe arrisicato traversarlo di
giorno; figuratevi un po' se di notte; ma i nostri personaggi erano usi
a sciogliere bene altri nodi; per la quale cosa Ciriaco, piegatosi col
petto sotto alle costole sul trave, allargò il braccio destro
abbrancandosi forte con la mano diritta, poi con la manca spinse di
scancìo, e adagio adagio il suo corpo scorreva traverso il pino, che non
fu piccola fatica.

Paolo, sotto colore di agguantare fermo il trave, nel mentre che con
ambedue le mani lo teneva, e Ciriaco stava ciondoloni sul precipizio,
andava almanaccando tra sè:

-- Lo butto giù, o non lo butto? -- Se lo butto non reco meco traccia del
passato; cessa ogni sospetto di testimonianza, chè non ritornano i
morti.... Se non lo butto, posso contare di aver quattro braccia invece
di due, e tutto da sè non si può compire...., e poi a disfarmene sono
sempre a tempo..... A tempo!.... Sempre speriamo così, e non succede
mai: costui sembra che patisca di tenerume, e caso mai s'intoppi in
qualche sgualdrina, che gli tiri su le calze, è capace a svertare peggio
di un vaglio; ora se le forche di Roma non mi vanno a sangue, molto meno
mi gustano le napolitane..... dunque mi torna conto a disfarmene. -- E
già stava per dare di un urto nell'arbore; senonchè di repente ritirata
la destra si diede di un picchio nella fronte. -- Cristo! esclamò, per
poco ch'io non la faceva marchiana....... e, se butto giù il trave, come
passerò io. -- Ciriaco è una coppa d'oro; l'amico della mia puerizia: --
poi a voce alta: -- bada a non avacciarti, Ciriaco.... fa per bene....

-- Signor Paolo.... mi trovo quasi in cima... ecco... io sono passato. --

-- Sia ringraziato Dio! Adesso tieni fermo il trave per me..... guarda di
reggere forte, sai...

Passarono entrambi, e di leggieri si ridussero in salvo; il Diavolo, che
aveva dipanato per essi un grosso gomitolo, calumò loro quanto spago
potevano desiderare. Anco i compagni trassero diciotto con tre assi
seguitando a puntino gli ammaestramenti di Paolo: accolti a braccia
quadre nei monasteri, taluno si rimase in cucina, ed altri salì in
pulpito, e celebrò messa, ed ebbe fama di dottrina non meno che di
pietà; però sì gli uni che gli altri affaticarono dentro quei muri la
pazienza di Dio due cotanti più, che nelle foreste, imperciocchè non
solo vi portassero tutti i sette peccati mortali, ma, vivendo co'
monaci, impararono l'ottavo, che è l'ipocrisia, la quale insegna a
vestire da virtù il peccato, che fuori spaventa per la sua bruttezza, o
si patisce perchè composto di eleganza, mentre solo in Chiesa sanno
convertirlo in santo, metterlo sotto il baldacchino, accendergli i
moccoli ai piedi, ed esporlo all'adorazione dei fedeli.


NOTE.

  [8] Pilato adunque avendo udito queste parole, menò fuori Gesù,
  e si pose a sedere sul tribunale nel luogo detto _Gabbata_. --
  _Evangelo_ di S. Giovanni, c. XIX, n. 13.

  [9] E il Centurione, veduto ciò ch'era avvenuto, glorificò Dio,
  dicendo: veramente questo uomo era giusto. _Evangelo_ di S.
  Luca, c. XXIII, n. 47.

  [10] Ma essi gli fecer forza, dicendo: rimani con noi,
  perciocchè si fa sera, e il giorno è già declinato. Egli dunque
  entrò nello _albergo_ per rimanere con loro. -- E, quando si fu
  messo a tavola con loro, prese il pane, e fece la benedizione,
  e, rottolo, lo distribuì loro. -- E gli occhi loro furono aperti,
  _e lo riconobbero_. -- _Evangelo_ di S. Luca, c. XXIV, n. 29, 30
  e 31.



CAPITOLO QUARTO.

La donna superba.


Sul principio dell'anno 1589 comparve a Napoli un cavaliere romano
giovane, a maraviglia bello, sfarzoso di vesti, di famiglia e di
cavalli; chi avesse avuto usanza con Paolo Pelliccioni avria giurato,
che fosse desso, senonchè i capelli e i baffi di questo nerissimi, un
certo fare alla grande, il suono della voce un po' diverso dal comune
potevano metterlo in dubbio; di vero, si diceva, ch'egli venisse dai
lontani paesi delle Indie, ma non si sapeva con sicurezza se orientali
od occidentali; aggiungevano pel suo grande valore essere salito in
grazia di un Kan, o Mammalucco, o Pretegianni, che fosse, il quale
prepostolo a, non so nè manco io, quante centinaia di migliaia di
cavalieri, aveva riportato strepitose vittorie sopra i signori emuli,
esteso il dominio su milioni e milioni di popoli, e messo nel museo
reale trentadue sacca di teste di principi ribelli; dopo sì stupendi
gesti il Kan o Mammalucco di che si è detto, mancando di prole maschile,
avergli profferto in moglie la sua unica figliuola, la quale si era per
modo intabaccata del cavaliere, che per poco, vinta d'amore, non si
buttava sommersa in mare con un sasso al collo, cercando refrigerio
all'arsura onde avvampava; e non dispiaceva nè anco a lui, perchè
veramente sembrava un occhio di sole; ma, siccome mettevano per
condizione ch'ei si avesse a far turco e circoncidersi, egli, da vero
_indalgo_ cristiano, essendo disposto anzi a ricevere il martirio, che a
rinnegare la fede, notte tempo spulezzò con solo un cavallo, dei tanti
suoi tesori solo portando seco parte delle gemme, le quali pure si
pregiavano un tesoro capace di comprare qualunque grossissimo reame
della Cristianità.

Se sopra questa trama dalle comari ci trapuntassero rabeschi, pensatelo
voi, per guisa, che le gentildonne ne andavano in visibilio; e, dove
appariva, fanciulle e maritate traevano a mirarlo come formiche al
grano, comecchè nei sembianti fingessero non vederlo o scansarlo; che le
vergognose del Camposanto non occorrono solo a Pisa, nè sempre dipinte,
e questo ha la barba bianca; ma tanto è, donne, diplomatici e preti,
quantunque le furberie loro abbiano messo il tallo, non sanno buttarle
da un canto; le monache poi facevano grappolo dietro le grate, e tutte
lo avrebbero voluto per santo attaccato al muro; udita una volta la
storia dei suoi casi esse piangevano, con mani giunte e pietosi occhi
contemplavano il cielo, ardevano, gelavano, massime quando sentivano il
pericolo che aveva corso di restare circonciso.

I preti tenevano il bordone, anzi rincaravano la posta, dacchè il
cavaliere non mancava mai alla messa ogni giorno, a' vespri, a' tridui,
alle novene, alle processioni, insomma alle svariate rappresentanze
cattoliche, nelle quali a quei tempi entrava tutta la religione, e poi
le mani di lui stillavano proprio il balsamo delle elemosine. Gli
uomini, a parlare giusto, non lo amavano gran fatto, taluno ancora lo
guardava a stracciasacco, pure co' modi cortesi, le parole oneste, gli
offici servizievoli egli parte ammansiva e parte si rendeva benevoli.

Tra le tante gentili damigelle di cui la città di Napoli va sempre
smaltata come un giardino di fiori, o smagliante come l'emisfero di
stelle (il lettore può scegliere tra questi due paragoni quello che
meglio gli gusta), alcuni credevano ch'egli avesse posto gli occhi sopra
Donna Violante di Ayerba, della quale questo diremo per ora, che tanto
si mostrava superba, che per comune opinione si giudicò, se si fosse
trovata con Lucifero a entrare in palazzo, questi cavandosi il cappello
le avrebbe detto: -- _passi eccellenza!_

Nè, se la Violante andava a' versi di lui, pareva che egli piacesse meno
alla Violante, argomentandolo i popolani da questo, che ogni volta ella
compariva alla Chiesa del Carmine, ecco il cavaliere dietro come la
rocca al fuso, dicevano le donne; e gli uomini, come San Rocco e il
cane; nè basta: quantunque Gesù Cristo con la sua santa bocca abbia
insegnato gli uomini tutti esser uguali, e i preti lo predichino dai
pulpiti, e gli altri uomini fuori dei pulpiti, pure e' si dice così per
dire, perchè nè in vita, nè in morte, nè in chiesa, nè fuori, gli uomini
ti appariranno uguali; e per non andare lontano, mira, alla Violante di
Ayerba, appena tocca del piè la soglia della chiesa del Carmine, le
occorre affaccendato il sagrestano con seggiolone, e cuscino, mentre il
plebeo o sta ritto o s'inginocchia sul marmo; quanto alla morte, popolo
e letame, a carrate si buttano là in terra, mentre il Beniamino della
fortuna ha la sua brava cassa e sepoltura in chiesa, e l'inventario, a
guisa di epitaffio, delle virtù che possedeva, e delle altre che non
possedeva, inciso nel marmo sopra la sua testa........ Voi mi tentennate
del capo.....; lo so quello che mi volete dire: che monta questo? --
Certo dopo morti simili novelle non arrecano caldo nè freddo, ed una di
queste lapidi panegiriche vid'io, or fa due dì, adattata per predella
colà dove il tacerne è onesto; ma tutte questo prelibatezze lusingano la
nostra superbia in vita, e, come ognuno può conoscere, ci dispongono a
quel senso di benevolenza universale, che darà l'ultima mano di vernice
al nostro perfezionamento civile, politico, religioso, e metto punto. --

Quantunque la Violante fosse religiosissima gentildonna e specchio vero
di carità fraterna a modo suo, avrebbe prima toccato la pancia della
vipera che la mano di una popolesca, o di un popolano, i quali le
avessero offerto l'acqua benedetta; e taluno che ci si provò fu lasciato
con le dita ritte in su come gli spunzoni di un cancello di villa; al
contrario quando gliel'aveva offerta il cavaliere, magari s'ella l'aveva
accettata! Da principio parve nicchiare, ma e' fu per parere, perchè poi
stese a furia la destra, dalla paura che il gentiluomo ritirasse la sua;
sicuro! ella aveva abbassato gli occhi, e la verecondia talora costuma
così; ma più sovente l'anima semplicetta che sa nulla, non avendo cosa
meno che pura da celare, non piglia vergogna di ciò che manifesta,
mentre la passione, abbassando le palpebre su le pupille, lo fa a modo
dello amore, il quale con la mano ripara la fiaccola, o per tema gliela
spenga il vento, o per meglio nasconderne il fuoco. Ed una volta donna
Violante sdrucciolò peggio, almeno così giudicarono unanimi tutte le sue
amiche, quando lo seppero: e' fu che un giorno entrando in chiesa, dopo
avere ella vibrato lo sguardo innanzi, e dopo averlo storto obliquo con
isforzo da restarne stramba per tutta la vita per iscoprire il
cavaliere, e non lo vedendo, colta da impazienza, prese a tentennare
rigida a destra, e a manca, pari ad arbore di nave in burrasca:
all'ultimo non si potendo più tenere... oh fallo! che non varranno a
stingere tutte le acque del regno di Napoli! ella si voltò verso la
porta di chiesa a mirare se giungeva. -- Commesso appena l'atto bieco, se
ne accorse, e se ne pentì, secondo il solito quando non lo poteva più
dirittamente emendare. Allora tanto più si attaccò a ripararlo storto,
onde dardeggiava due occhiatacce che parvero saetto, e parole da mettere
i brividi addosso al povero morino affricano, che correggendole lo
strascico se ne stava lì impalato secondo il solito.

-- Perchè mi tiri dietro lo strascico, che Dio ti mandi la mal'ora e il
malanno?

-- Comandi?

Ed ella con labbra tumide.

-- Perchè mi hai fatto voltare tirandomi lo strascico?

Il morino da capo non intendendo come trasognato ripeteva:

-- Comandi vostra signoria?

-- Comando, tu vada al diavolo che ti porti....

E fingendo un grandissimo rovello per sempre più colorire la cosa,
tornata a casa, tante seppe contarne a danno della povera creatura, che
fattogli prima toccare un carpiccio di bastonate persuase il padre a
rivenderlo a un muratore che lo mise a servire da manovale, dove
inassueto portando pesi eccessivi alle forze, morì di corto per
isfiancamento di cuore.

I gentiluomini anzichè cavare le induzioni di chiesa le desumevano dalla
Corte, essendo loro parso gran caso, e veramente era, che nell'ultimo
festino di Don Giovanni Zuniga conte di Miranda vicerè di Napoli, donna
Violante avesse quasi la intera notte ballato col cavaliere romano, e
verso lui fosse comparsa non meno pieghevole della persona, che co'
modi, consentendo a riporre la propria destra nella destra di lui: nè
con minore maraviglia notarono com'ei la conducesse al posto, mentre con
gli altri si mostrava rigida, e intirizzita al pari degli orologi di
legno.

Chi afferma voce di popolo voce di Dio, e chi la moltitudine fucina di
menzogna; una parte e l'altra secondo i casi ha ragione: adesso poi non
solo il popolo indovinava, ma i ferri erano caldi più che non supponeva.

Declinava una limpidissima notte di luglio, notte gioconda per gli astri
infiniti che paiono tremare di voluttà, notte vocale che d'innumeri
suoni ne compone uno solo, dove ogni uomo distingue la voce, che più
desía la sua anima inebriata di amore o dolore. Chi è che tema spettri
per queste tenui tenebre? Le Lamie vengono esse col vento che porta
l'odore del gelsomino? o la Strega può cavalcare per lo emisfero sopra
un raggio della stella di Venere? Lo stesso Rimorso sente assopire le
sue vipere alla mesta letizia della notte d'Italia; la notte fra noi,
massime a Napoli, esulta festosa come colei, che con le discrete tenebre
vela l'imeneo dello Amore con la Natura.

Lo strepito dei passi dell'uomo si fa ogni ora più rado; una dopo
l'altra si chiudono le finestre; la prima, e la seconda volta passò la
corte, e, non avendo trovato persona disposta a turbare cotesto sereno
dono di Dio, ci è da mettere pegno che se ne andrà a dormire senza
venire la terza... ecco non si ode più rumore di cosa animata, se togli
a quando a quando l'ululo di qualche cane lontano e lo stridere sottile
del grillo cantaiolo... silenzio! m'inganno... e' doveva essere così;
non tutti dormono, nè possono dormire in queste notti; a modo che adesso
le cardenie, le magnolie, e le bolcamerie dagli aperti calici spandono
il tesoro dei più eletti profumi, i cuori innamorati esalano i più
cocenti desii... sta bene! precede un soave arpeggio di corde, perchè
l'armonia guida sempre per mano l'amore pudibondo.

Accostiamoci alla finestra munita di ferrata, che ascolteremo il
colloquio di amore di Paolo Pelliccioni e della Violante D'Ayerba; solo
noto, che per quanto ci affrettiamo non giungeremo a tempo per sentirlo
incominciare; di fatti Paolo ora dice:

-- Faccio voto a Dio, che per quanti paesi abbia corso, e visto popoli (e
prego vostra signoria, a credere, che ne ho visti e corsi molti così del
vecchio come del nuovo mondo), non mi è occorsa gentil donna divina al
pari di voi. Arrivai fino in Golconda, vissi un tempo nei monti del
Caucaso; colà vidi le bellissime fra le Georgiane, e le Circasse, e
_voto a Dios_ le sono belle da fare venire le lacrime agli occhi, e pure
non mi sembrarono degne di reggere nè manco lo strascico a vostra
signoria; costumano in cotesti paesi paragonare quelle portentose
creature ai fiori, alle farfalle, alle stelle, al sole, alla luna... io,
signora, non oso paragonarvi a nulla; tutto conosco minore alle vostre
bellezze... e mi dichiaro pronto a sostenerlo con lancia e spada, a
piedi come a cavallo contro chiunque presumesse smentirlo. Però non
trovando modo di paragone degno alle vostre mirifiche bellezze mi
contento adorare e tacere.

-- Cavaliere, rispose con sussiego la Violante, e con un cotale suono di
voce arrotato, io non posso come vorrei palesare la mia gratitudine a
Vostra Signoria, perchè, considerato come merita, il vostro discorso,
trovo ch'ei pecca in quattro punti; primo, voi avete rammentato due
volte il nome di Dio invano, e questo quanto sconvenga a cavaliere
cresciuto in grembo di santa madre Chiesa, lascio, che avvertita, la
vostra Signoria giudichi da sè: secondamente, quantunque le parole
vostre lusinghino il mio cuore, tuttavia come cristiana e cattolica non
posso astenermi da ammonirvi essere peccato, e peccato grave glorificare
la creatura, quando anco questa creatura fossi io: terzamente, signor
cavaliere, mettetevi la mano su la coscienza, e ditemi in grazia se
nelle vostre parole non ci entra per lo meno un quarto di piaggeria;
forse più: per ultimo, non vi posso nascondere, nè devo, che quel
mulinarvi nel cervello femmine saracine, e turche, e mettere la mia
immagine in mezzo con quella di loro, non mi sembra cosa di che io mi
abbia a tenere onorata.

-- Santa Prudenziana non avrebbe potuto favellare parole nè più pie, nè
più gravi di quello che abbia fatto Vostra Signoria; e, comecchè la
condanna dalla vostra bocca mi tornerebbe gradita quanto l'assoluzione o
poco meno, pure io imploro dalla vostra giustizia licenza per
difendermi; e se la giustizia si trovasse corta, aggiuntatevi un po'
della vostra cortesia, la quale vado convinto arriverà a qualunque
sterminata lunghezza.

-- Parlate, cavaliere, noi ve lo concediamo.

-- Signora: si legge nel decalogo: tu non rammenterai il nome di Dio
invano; e va bene, ma chi potrà dire, che io lo ricordi indarno quando
lo chiamo in testimonio della vostra bellezza? Voi, signora, vi
appellaste alla mia coscienza; permettete, che a mia volta io mi
richiami alla vostra. Quanto alla glorificazione della donna, signora,
valga il vero, il nostro Signore quale scopo si propose egli nella
creazione della femmina? Non ho mestiero d'inventarlo io, dacchè egli
volle palesarcelo: egli ebbe in mente di compire l'uomo, insomma di
farlo perfetto; nè poteva Dio presentarlo di dono più sublime, dacchè
corre fama credibile, che dapprima voleva donargli una stella, ma ci
pensò meglio e gli largì la donna. Chi mai, chi mai, domando perdono se
mi scaldo, potrà appuntarmi di glorificare la donna, quando il Re
dell'universo la elesse figlia, e madre sopra la terra e pari alla sua
gloria nei cieli? Rispetto a piaggeria, io respingo risoluto l'accusa da
me, e allego a prova della mia innocenza testimoni superiori ad ogni
eccezione, quali sono i vostri specchi, tutti i laghi dei vostri
giardini, ogni cosa lucida dentro la quale vostra Signoria voglia far
grazia di effigiare la propria immagine; che se non vi piace accettarli
come testimoni, orsù, condannateli per miei complici, e sono contento.
Ah! signora, se non temessi avventurarmi troppo, io direi come la
soverchia modestia talora sia superbia. In un punto dubiterei se dovessi
chiamarmi in colpa, ed è lo avere messo la Vostra Signoria in confronto
con le monsulmane, e le saracine; ma dopochè i reverendi padri Gesuiti
si conducono in coteste regioni per pescare quelle anime alla fede
cattolica, così io anco qui mi penso giustificato; ad ogni modo in
questa parte mi rimetto nel vostro savio intendimento.

-- Cavaliere, mi accorgo tardi, che troppa è la vostra sapienza, ond'io
possa senza taccia d'incauta continuare la disputa con voi; concedete,
finchè ne ho tempo, ch'io mi ripari alla riva; e tuttavia, confessandomi
vinta, io vi dichiaro, che non mi sento persuasa nè anco a mezzo.

-- Avrei guadagnato un altro quarto; affrettatevi a pentirvi, perchè, voi
lo sapete, la incredulità è il peccato che offende massimamente Dio. E
adesso, potrò senza tremore offerire un mazzetto di gelsomini alla mia
signora? Si presentano gigli, e viole alla Madonna santissima dei sette
dolori, e non gli sdegna, per quanto io sappia, se offerti divotamente:
ora io mi dichiaro indegno sì, ma insuperabile divoto alla bellezza
divina della signoria vostra illustrissima...

-- Ma Cavaliere... Cavaliere, sono queste parole che possano intendersi
da me senza offesa della nostra santa religione...?

-- _Por las cuentas[11] de mi rosario_, santo Ignazio di Loiola non si
bandì cavaliere di Nostra Signora, madre di Dio? Forse si legge, che la
Madonna se ne arrecasse? Ovvero gli dicesse: -- cavaliere, statevi a
vostra posta a casa, che la nostra purità non ha mestiere di essere
provata con cappa e con spada?

-- Certo non ho letto in verun libro che questo gli dicesse la Madonna,
ma santo Ignazio non ardeva per la beatissima Vergine madre di Dio del
medesimo amore, che voi, signor Principe... ditemi, in grazia, siete
principe... o duca?

-- Duca, però che se la mia casa annovera parecchi cardinali di santa
Chiesa, non fu sortita fin qui all'altissimo onore di dare un Papa alla
cattedra di San Pietro....

-- Mentre voi, signor Duca... ardete... credo... m'immagino... di amore
legittimo certamente, ma profano.

-- Senza fallo; pure io credo, che se la stessa fonte di tutta purità
avesse mirato il povero santo Ignazio avvampare dello amore, ond'io ho
acceso il petto, non avrebbe consentito a farne un san Bartolomeo
durante il giorno, e un san Lorenzo la notte.

-- Lasciamo queste cose da canto, signor Duca: ciò che avete detto basta
a chiarire, che il paragone di santo Ignazio con la Madonna non tornava
in chiave...

-- Sì, ma pel corpo di santo Alfonso, che riposa in Zamora, come volete,
mia signora, ch'io vi ami? Lasciamo questo velo di terra che ci fascia,
e pure ci è caro; diventiamo anime, e come nudi spiriti amiamoci; allora
fieno nostri diletti correre sopra gli aliti della notte, i quali fanno
tentennare i fiori come capi d'innamorati, che si accostano per
baciarsi, o voleremo pei cieli a cavallo di quale stella più splende
amorosa; o meglio ancora ci avvolgeremo deliziando nell'onda armonica,
che esce dalle corde dell'arpa di David quando suona i salmi di laude al
trono di Dio... ma finchè questo connubio della materia con l'anima
dura, deh! non mi sia colpa amarvi come Adamo amò Eva, come i Patriarchi
amarono le mogli loro... e così essendo, perchè ricuserete la umile
offerta? Sara non respinse i doni di Faraone, e di Abimelec, e cotesti
doni diversi dai miei, ed anco dati per fine meno santo davvero.

-- No, Duca, nelle vostre parole non ci ha cosa che io non possa udire,
nè nelle profferte vostre, cosa che io non possa accettare; solo ci sono
cose che nè dovrei udire, nè posso accogliere prima del signor marchese
mio padre. La notte amica cuopre il mio rossore, però protetta dalle sue
ombre mi attento, signor Duca, porgervi la mia mano in pegno, che il
vostro affetto non mi torna sgradito.

La mano della Violante fu strinta bramosamente da entrambe le mani di
Paolo, e baciata con sì focosi baci, che per poco non ci levarono sopra
le galle; e tra un bacio e l'altro non si udivano che esclamazioni: -- _o
suma bondad! o muis contiento_! gioie maravigliose anzi divine! _o mia
querida prenda!_ anima dell'anima mia! _mio dulce cuidado!_ con altre
più voci di cui va composto il grande dizionario italiano e spagnolo
dello Amore. Fin qui, come avranno potuto notare i miei lettori, e
sopratutto le mie amabili leggitrici, i discorsi dei nostri amanti
sonarono perfettamente imbecilli: cotesto non si nega; ma non è mia
colpa; chi se ne intende mi accerta la imbecillità essere vizio proprio
dei colloquii di amore, il quale essi possiedono in comune co' discorsi
di apertura dei Parlamenti, che i ministri mettono su la bocca alla
corona, e co' discorsi dei ministri stessi, eccetto quando parlano di
gravarci con nuovi balzelli le spalle, nel medesimo modo che i favellii
di amore cessano di comparire vacui quando danno la stretta del
matrimonio; chè quanto a questa faccenda non ci ha femmina al mondo, la
quale non valga a reggere il bacile al più _involpito_ fra i
diplomatici; nè la Violante era donna da dimenticare il fatto suo; di
vero, appena riscossa la mano al rapace amatore che ne menava strazio
(già s'intende co' baci), ella mostrando vaghezza di allontanarsi
favellò:

-- Addio, signor Duca; il Signore vi tenga nella sua santa guardia...
continuate ad amarmi come io vi amo; -- di tanto vivete sicuro, che mi
sarà grato portare il vostro nome, e il titolo di Duchessa, ma al
medesimo tempo, non vogliate obliare mai che in questa casa non si entra
se non per la porta, e consenziente mio padre... intanto scrivete a
Roma, fate venire le prove della vostra nobiltà, le carte concernenti il
Principato... voleva dire la Duchea, i feudi, e i maggioraschi vostri, e
dopo che tutto questo sarà chiarito, ventilato e cribrato, persuadetevi,
mio signor Duca, che voi non potrete desiderare più zelante avvocato di
me presso il signor Marchese mio padre, perchè vi conceda la mia mano.

Detto questo, ella si allontanò intostita, piuttosto radendo che mutando
passi sul pavimento, come quelli che le videro, affermano costumare le
statue quando, scese dai coperchi dei sepolcri per fare le faccende
loro, si affrettano ritornare al posto. --

Paolo rimasto solo chiuse a pugno la destra e poi l'aperse di forza
avventando dietro costei una imprecazione che a cotesti tempi ricorreva
spesso sopra le labbra dei vassallacci di Roma, e vi s'incontra anco ai
nostri, ma che non può trovare onestamente luogo in questo libro.

La Violante condottasi nella sua camera si pose innanzi tratto
genuflessa davanti a bellissimo crocifisso di avorio, avvertendo bene,
che il cuscino di velluto non le cascasse di sotto le ginocchia, e quivi
si accusò, e si pentì del peccato commesso contro la religione, i
costumi di gentildonna cristiana, e soprattutto contro il decoro
d'_idalga_ spagnuola, concludendo col fermo proponimento di tornare da
capo alla prima occasione. Dopo ciò, parendole di avere saldato il conto
della giornata, si mise a giacere.

Ed ora che dorme guardiamola un po' adagio, e procuriamo in succinto
porgere idea della sua persona. Vi ricordate la cara statuetta di
Canova, che rappresenta Psiche con la farfalla tra le mani? Canova la
donò; altri la vendeva; adesso si trova in Baviera, ma voi ve ne
ricorderete. Or bene, nel modo che la farfalla sta tra le dita di
Psiche, l'anima della Violante si trovava imprigionata fra quelle della
Superbia; ma ohimè! con sorte quanto diversa; Psiche l'accarezza, e ne
scuote soavemente la tenue forfora dalle ali dorate, mentre la Superbia
mena strage dell'anima caduta nel suo fiero dominio. I tratti che la
benevolenza s'industriava condurre sopra cotesto sembiante, l'asperità
ostinavasi cancellare: le labbra di lei, comecchè vermiglie ignoravano
le molli curve onde la bocca di donna sorride quei placidi sorrisi
somiglievoli a sfumature di odore soverchiamente acuto, nè gli occhi
suoi conoscevano i lunghi sguardi e miti come le mestissime tinte della
luce che tramonta: anco per gioia i suoi sopraccigli aggrondavansi, e
guardavano il supplichevole del pari che lo irreverente; e quante volte
i suoi labbri si atteggiavano a sorriso facevano greppo come fanciullo
che si disponga a piangere. Dalla madre spagnuola ella ebbe i capelli
neri, lucidi quanto bitume giudaico, e la pelle colorita di un pallido
gentile arieggiante l'umore più puro che si cava dalla pingue oliva
toscana, altro da lei non ebbe, che la lasciò bambina; nè forse più nè
meglio avria potuto cavarne, allevata come fu in corte di Spagna, dove
respiravasi sempre un'aura di superstizione che emanava dall'arca
d'Isabella regina, tenuta aperta dalla sacra crudeltà dei frati.....
Signore! Quando considero cotesta donna levata a cielo, non pure dai
vetusti, bensì anco dai moderni scrittori, e perfino da quelli che
nacquero e crebbero fra popoli liberissimi, la mia mente si
sbigottisce[12]. Per me mi sento ribollire il sangue alla ipocrita
ferocia, e alla stolida credulità di costei, la quale o fingeva, o
sperava spegnere con alcune poche lagrime lo incendio dei roghi della
Inquisizione, ch'ella pure aveva suscitato. Ormai a estinguere il
maledetto fuoco mantenuto vivo dalla cupida rabbia dei frati, non che
lacrime di donna, basterà appena il diluvio di sangue di cento
generazioni. --

Quali fossero le doti dell'animo di Violante d'Ayerba questo racconto
andrà significando a parte a parte; intanto, per terminare con quelle
del suo corpo, conchiuderemo, che bella appariva nel volto, e nelle
membra per eccellenza disposta, e non dimanco tale, che un pittore
antico l'avrebbe tolta a modello di Melpomene, la Musa della Tragedia,
mentre un moderno ci avrebbe cavato la immagine di Erodiade che, tra le
sorrise parolette brevi, e le blandizie proterve della voluttà,
domandava a Erode le s'imbandisse sopra la mensa il capo mozzo del
Battista, deliziosissimo sopra ogni frutto all'ira muliebre, che non
perdona mai.


NOTE.

  [11] Per i grani del mio rosario.

  [12] Il PRESCOTT americano. _Storia del Regno di Ferdinando e
  Isabella_.



CAPITOLO QUINTO.

Contradizioni.


Paolo trovò Ciriaco alla svolta del canto, il quale se ne stava con ambo
le mani intrecciate dietro il capo, e fisso al muro come cariatide di
sasso: fattosigli da vicino, con voce cupa gli disse:

-- Andiamo. --

E l'altro:

-- Che nuove dei nostri amori?

-- Hanno messo i bordoni, ma non vogliono volare...

-- E allora come ci abbiamo a schermire? Noi siamo al verde con gli
scudi.

-- Come vedi io m'ingegno di cavare da questi amori tanto da rifornire la
borsa.

-- Io lo vedo; ma l'indugio piglia vizio, temo avvenga a noi come ho
udito intervenisse ai nostri padri, che mentre consultavano a Roma
abbruciava Sagunto.

-- Tu parli di oro, ma donde ho da spremere danari io?

-- Io ve lo diceva le mille volte, signor Paolo, vostra Signoria ha le
mani bucate più di un vaglio; e nè meno mi garbava quel pagare lì subito
come un banco, e peggio ancora senza il diffalco di un quattrino di tara
cotesti conti da speziali...

-- Ormai acqua passata non manda il mulino. --

-- E sì, che l'esempio di tirare innanzi falliti ce lo avevano dato i
gentiluomini romani, e i napolitani, e poi a voi che siete cima di
nobiltà non fanno mestieri insegnamenti; i creditori si scarrucolano di
mese in mese, e se menano chiasso si pestano di legnate... pare
impossibile, che abbiate voluto buttare proprio ai cani tutti i
privilegi della vostra illustre prosapia!

-- Eh! che vuoi tu? Del senno del poi ne vanno piene le fosse...

-- Mentre voi ragionavate di amore, io abbacava così tra me sul modo di
cavarci di pena, e parmi, secondo il mio povero giudizio, averlo
trovato.

-- O Ciriaco! tu leverai un'anima dal purgatorio.

-- O ne manderò un'altra nello inferno; questo non fa caso. Signor Paolo
io non ci vedo altra via, che quella di rubare.

-- Rubare? Esclamò Paolo agguantando con la manca l'elsa della spada, e
nella faccia avvampava come fiamma di fuoco.

-- O Signore benedetto, e che abbiamo fatto fin ora? Ammazzare e rubare.
Adesso invece di pigliarcela con due comandamenti della legge di Dio,
diamo addosso ad uno solo.

-- Noi abbiamo combattuto a viso aperto: lo assalito poteva difendersi, e
noi perdere: tra i sommi capitani e noi non cade disuguaglianza in
questo, forse il pericolo maggiore dalla parte nostra, chè noi non
perdonano mai; ma cogliere alla sprovvista chi dorme e spogliarlo, o
invadere con piè furtivo la casa altrui per rubarla gli è mestiere da
topi, non da banditi pari nostri.

-- Ma! bisogna adattarci; quel rubare e ammazzare di un tratto mi sembra
troppo di punto in bianco...

-- Per me penso, che l'omicidio non guasti; chi muore muore; quanto a
vivi ti perdonano la morte dei padri; se poi togli loro il podere non ti
perdonano mai. Anzi può succedere benissimo che qualche erede stantio
nel suo segreto ti benedica, però che tu sai il proverbio vecchio, che i
Padri eterni fanno i figliuoli crocifissi: a noi poi bastano i denari,
l'altro sì mobile che immobile lasciamo: ora qual figlio, comecchè
tenero o avaro, non vorrebbe pagare doppio il balzello della
successione, a patto di redare in giornata dall'amatissimo padre?

-- Vi domando mille volte perdono, illustrissimo signor padrone, ma il
nostro bisogno sta nel rubare molto, e a man salva; dunque, seguitate
bene il mio discorso. Assaltando una persona per via, poco le possiamo
trovare addosso; aggiungete, che di rado i gentiluomini camminano senza
compagnia; e per ultimo pensate che alla macchia il rumore delle
archibugiate non chiama soccorso; forse lo allontana, mentre in città
come questa fra i cittadini, che traggono al balcone, la Corte che
accorre per le strade, noi ci mettiamo al cimento di trovarci tra la
incudine e il martello.

-- Veramente, io non lo nego, queste tue avvertenze meritano
considerazione, e volendotele menare per buone giudico che il meglio
sarebbe svaligiare una chiesa...

-- Una chiesa!

-- Già; -- mira! nella chiesa non troveremo danari, ma ori, argenti e
gioie, i quali potremo vendere a qualche manutengolo, o esitare in
altromodo; veruno in chiesa ci contrasterà, persona ci vedrà...

-- E Dio?

-- Se non ci vorrà vedere si tapperà gli occhi.

-- Paolo!

-- Ciriaco! O non ti sembra più religioso immaginare ch'ei faccia a
cotesto modo, che supporre li tenga aperti, e ci lasci condurre a fine
le tante belle cose, che noi abbiamo operate fin qui?

-- Ma in chiesa poi!

-- Tonto che sei; o Dio si trova da per tutto, o in verun luogo; o vede
ogni cosa, o nulla.

-- E nondimanco in chiesa...

-- Non dubitare; libbra più libbra meno, la bilancia su la quale sarà
pesata la nostr'anima non si rimarrà da dare il tonfo giù nello inferno;
qui non giace il nodo, sibbene in quest'altra parte, che io non mi
adatterò mai a rubare in chiesa nè fuori; e nè anco a te lo
permetterei...

-- Quanto a questo il suo rimedio ci sarebbe ed io ci avrei pensato...

-- E sarebbe?

-- Renzo farebbe il servizio, e noi altri gli daremo spalla.

-- Credi, che ci sarebbe da fidarci di Renzo?

-- Io metto pegno per lui... ma in questo modo vi capacita?

-- Sicuro!... egli non appartiene... non fece mai parte di compagnia di
banditi, donde ne viene che per le sue opere noi non possiamo restarne
macchiati... non è vero?

-- Vero come il santo vangelo...

-- E tu pensi, che non ci sia pericolo di fidarci a lui?

-- Il garzone mi sembra del ferro che si fanno i coltelli, e voi signor
Paolo gli siete andato a genio, sicchè vi ha messo addosso un bene
pazzo. --

-- Con la paura non si arriva a capo di nulla: chi teme non ama, e del
male che puoi arrecare ogni uomo confida schermirsi; e questo si trova
accadere anco ai principi che tengono al servizio loro sbirri, giudici e
maestri di giustizia...

-- Sì, da questo lato vi siete condotto da quel valent'uomo che siete, ma
dall'altro non mi pare che meritate l'alloro...

-- E dove?

-- Nel beneficarlo troppo...

-- Non ti avrebbe per caso punto la invidia, Ciriaco?

-- Me! Voi mi uscite dal seminato, signor Paolo; lasciatevi servire, voi
ragionerete bene delle cose vostre come padrone, ma noi, come servitori,
delle nostre ce ne intendiamo meglio di voi. Il servo si attacca al
padrone, più che pel benefizio presente, per la speranza del benefizio
futuro; il benefizio presente, se minore dell'aspettativa, ti aliena
l'anima del servo, se pari, lo sazia come per soverchio di cibo; e
quando non ti resta altro da donare, se non ti taglia come legno secco e
non ti butta sul fuoco, almeno non viene più a ripararcisi sotto, perchè
brullo di fronde. Dà poco, e prometti molto, che la speranza allora si
conserva verde, perpetuamente rinfrescata dal desiderio. Questo vi ho
voluto dire, Paolo, perchè quanto al vostro Ciriaco egli vi ama senza
nulla sperare, e nulla temere da voi, eccetto perdere la grazia vostra,
ma caso mai voi aveste a rimanere privo di me, e' vi converrà avvertire
bene a non mettere il piede in fallo; se inciampate in un filo di paglia
vi aspetta una fune di canapa: badate a non dimenticarlo.

                *       *       *       *       *

Nel colmo della notte, muniti di ferramenti, corde, e di quanto altro è
necessario al mestiere del ladro, o per dire più retto, ad una delle
infinite specie del mestiere del ladro, uscirono di casa Paolo
Pelliccioni, Ciriaco e Renzo il giovane di belle speranze. Pigliarono da
tre parti diverse per riunirsi poi, secondo che gli ottimi capitani
costumano, in un punto solo, il quale fu certa porticina di fianco della
chiesa del Carmine; colà Ciriaco e Renzo adoperando i loro arnesi
vennero agevolmente a capo di aprire la porta; Paolo con romana superbia
stava a mirarli con disprezzo. Ciriaco appena si fu intromesso in chiesa
con Renzo gli disse:

-- Va, figliuolo, e Dio ti aiuti; empi il sacco e vientene; io ti aspetto
qui fintantochè non torni; se la Corte capitasse da queste bande, il
padrone di fuori darà l'avviso, ed io te lo passerò con un fischio;
piglia del buono e del meglio, gemme e ori; l'argento lascia; ora
affrettati; rammentati che il pendolo del ladro è attaccato alla corda
del boia.

Andò il giovane, e Ciriaco attese un pezzo con pazienza, prima
immaginando la copiosa raccolta del bottino, poi con inquietudine; e
Paolo, il quale ostentava, e forse sentiva davvero spregio per l'atto,
ma molto gli premeva l'esito fortunato, due volte si accostò alla porta,
e dall'uscio socchiuso lanciò dentro queste parole: -- O che vi state a
donzellare? Gli è proprio un mettere a cimento la Provvidenza; mi sembra
di arrostirmi su la gratella come san Lorenzo.

-- E' non si vede ancora; io andrò per esso... che se a voi pare
arrostirvi come san Lorenzo, e a me sembra giacermi su la ruota come
santa Caterina.

Poco più che durassero a favellare i ladri recitavano intere le litanie
dei santi, ma Ciriaco lasciate le scarpe si avviò cauto e guardingo per
iscoprire quale accidente fosse mai successo, ed arrivato vicino
l'altare con maraviglia pari alla collera mirava Renzo, che in
ginocchioni sul primo gradino pregava divotamente.

-- Che fai tu costà, che ti pigli una saetta?

-- Recito il rosario.

-- E i voti?

-- Non mi riesce pigliarli... non posso.

-- Va via, o che ti ammazzo qui come un cane.

E Renzo: -- Perchè mi vuoi ammazzare come un cane? Va e staccali tu se ti
riesce. Poi si alzò ripigliando il cammino fatto, al termine del quale
avendo incontrato Paolo, questi gli disse:

-- E Ciriaco, onde non è teco?

-- Rimase a spogliare la Madonna, ma non potrà...

-- E perchè non potrà?

-- Perchè nè manco io ho potuto...

-- Non ti bastavano gli arnesi?

-- Degli arnesi ce ne avanzava; non mi è bastato il cuore.... appena io
aveva messo la mano sul vezzo delle perle, che la santissima Vergine ha
intorno al collo, ella, proprio ella, mi ha detto: perchè mi spogli
figliuolo? -- E queste parole ha favellato con la stessa, stessissima
voce con la quale mia madre morendo mi raccomandò che, caso mai entrassi
nella via della perdizione, poco premevano gli altri santi, e poco anco
Cristo, purchè badassi bene a non guastarmi con la Madonna; allora, che
vi ho da dire? Le gambe mi sono mancate sotto, e ho preso a recitare il
rosario. --

Ventura fu per Renzo, che in quel punto sopraggiunse Ciriaco stravolto
in vista, e gli occhi strabuzzati; richiesto a sua posta da Paolo se
avesse fornito la faccenda rispose:

-- Non si può; andiamo via. --

-- Anco tu hai avuto paura?

-- Io non ho avuto paura; ma non posso... la faccia della Madonna
rassomiglia la faccia di Maria... e quando sono stato lì per levarle il
vezzo ha chiuso gli occhi. --

Questo, già come s'intende, non era vero, ma facilmente gli parve, però
che in cotesto punto una delle lampade accese davanti alla immagine,
tirando a finire, mandasse un getto lungo di luce, e poi si spense; onde
in quel subito trapasso sembrò che la pittura stringesse le palpebre.
Paolo, forte indispettito, tratto meno dalla cupidità che dall'ira, e
dalla vanità di spuntare la prova fallita per l'altrui paura, non
avvertendo, o dannando, quanto prima aveva professato su le ragioni del
furto, diè una spinta ai compagni facendosi largo, e prorompendo in
bestemmie si cacciò in chiesa col sacco strappato di mano a Ciriaco.
Anch'egli andò diritto all'altare, salì su la mensa, stese sicuro alla
immagine la mano, la guardò torvo in faccia quasi a sfidarla e di un
tratto le staccò dal lato destro il vezzo... poi si rimase... il vezzo
cascò giù da un capo pigliando a ciondolare appuntato dall'altro, e col
vezzo cadde il braccio di Paolo, nè più ebbe balía di rialzarlo; stette
alquanto a contemplare la faccia divinamente serena della Immagine, come
per attestarle, che s'ei si rimaneva non era per paura, e poi
borbottando si allontanò. --

Forse si sentiva costui meno ladro o più tristo di Caligola, il quale
non contento di spogliare le statue di Giove dei mantelli di oro,
aggiunse lo scherno dicendo: gli Dei non patire caldo nè freddo! Per me
penso, che non fosse meno tristo di lui. Forse il ribrezzo di rubare
senza assalire ed uccidere, vinto uno istante dalla stizza, tornava a
mulinargli pel capo, o la superstizione religiosa fece forza a lui come
agli altri; chè gli uomini vogliono essere considerati a mo' dei santi
dentro la nicchia loro; vale a dire di rimpetto ai tempi in cui
nacquero, e alle opinioni in mezzo alle quali essi vissero; non anco gli
aveva cullati la Enciclopedia, nè Voltaire nudriti, nè i più moderni
filosofi alemanni bagnati e cimati: perversi si sentivano, ed erano;
però persuasi delle iniquità che commettevano, da un lato tremanti di
averne a rendere conto a Dio, fiduciosi dall'altro di poterlo placare
con la penitenza, o co' suffragi; ed anco dopo la scuola d'incredulità,
che ho accennato (e un tempo fu più cosa di oggi, ma tuttavia dura),
molti pure rimangono divoti a Maria, nè a mio giudicio cesseranno. Maria
madre del Figlio del popolo, per la bontà sua venerato Dio, che lo
partorisce nel presepio per la persecuzione di un tiranno, e lo perde
sul patibolo per la persecuzione dei preti. Maria simbolo di ogni più
caro affetto, capace di vibrare le fibre del cuore, però che sempre
vergine ed immacolata ella ti rammenti colei, che prima ti destò
all'amore, quel divino fiore dell'anima che colto una volta non rinasce
più, e nel punto medesimo ti _riporta_[13] il vario ed inesausto tesoro
della bontà di madre; lei invocano con isperanza di soccorso i marinai
per le procelle del mare, e lei con uguale fiducia gli sbattuti dalle
tempeste troppo più perniciose suscitate dalle passioni proprie, o dalla
malignità altrui; i colpevoli in abominio agli uomini, quando non che
ricorrere a Dio non si attenterebbero di levare gli occhi al cielo, si
raccomandano con fiducia a Maria, e sperano di ottenere il perdono mercè
questa perpetua avvocata dei peccatori. -- Bene io so, e lo deploro, che
nell'idolo dipinto di tinte sfacciate, guarnito di oro e di gemme e
posto lì come l'uccellatore mette il richiamo per chiappare gli uccelli,
male possiamo ravvisare noi la fanciulla di Ges, la moglie del
falegname, la madre del condannato per amore del prossimo, ma tanto e
tanto non seppero guastare i sacerdoti questa sembianza d'infinita bontà
che non si accosti soavemente all'anima di quale nacque di donna, e per
battesimo diventò cristiano.

Paolo tornava anch'egli col sacco vuoto; non fiatò verbo se togli questi
pochi: -- Sì, andiamo, veramente non si può.


NOTA.

  [13] Se anco dettando racconti, io mi studio, per quanto so,
  pigliare cura della lingua, sia procurando rimondarla da modi e
  voci barbari, sia rimettendo in uso parole obliate, sia
  raccogliendone altre sfuggite alla diligenza dei Collettori,
  confido non cavarne biasimo; molto più che per le scritture
  degli ufficiali del Governo, le dicerie dei parlatori nel
  Parlamento, e lo scombiccherare della più parte dei giornalisti,
  se lo idioma nostro non diventa il _gergo franco_ adoperato su
  per gli scali del Levante, e' vuol essere un vero miracolo di
  Dio. Però parmi bene notare qui, che nelle pagine antecedenti
  adoperai la parola _sgallinare_ la quale non mi occorse
  registrata nei Vocabolari delle lingue; tu la troverai nel t.
  VIII, pag. 81 delle opere di N. MACCHIAVELLI ed. Conti. --
  Niccolò aveva domandato ai Signori Dieci, durante la legazione
  al Valentino, gli mandassero 50 ducati, e 16 braccia di damasco
  nero per farne presente, e questi mandarongli i ducati e il
  damasco; Biagio Bonaccorsi scrivendo a Niccolò il 12 Dicembre
  1502, rispetto a queste sedici braccia di damasco, avvertiva: =
  voi _sgallinerete_ pure un farsetto da questo drappo,
  tristaccio, che siete! = Onde e' sembra che stia a significare:
  buscare su, o avvantaggiarsi con malizia; ed io lo reputo modo
  vivo e pieno di acconciatezza da meritarsi che si rimetta in
  onore.

  Qui mi valsi della parola _riportare_ nel senso di richiamarti a
  mente, o tornare a rappresentarti la idea di una cosa: nei
  Vocabolari non trovai attribuito simile significato a questa
  parola, bensì nella canzone su la Gatta di Francesco Coppetta
  gentiluomo perugino, assai valoroso poeta del secolo
  decimoquinto:

    _«Se per casa giocondo al par di lei_
    _«Qualche Gattino almeno mi restasse,_
    _«Che me la_ riportasse
    _«Nello andar, nella voce, al volto, e ai panni_.



CAPITOLO SESTO.

Nuove contradizioni.


Non gli sovvenendo partito migliore, Paolo alla stracca continuava i
colloquii notturni con la Violante, la quale ogni sera se ne pentiva,
ogni sera prometteva di non peccar mai più, ed ogni sera spasimava
rinnovare il dolce peccato: anzi, quanto più Paolo si uggisce, ella si
accalora, e sovente lo rimorchia co' motti pel suo tardo comparire, e
per le sollecite partenze, ed egli o non si scusa, o se ne scusa appena,
onde la donna chiama come per soccorso la consueta superbia, ma questa
male risponde, e ad ogni istante più pigra; così il piagato a morte, pel
sangue che suo malgrado gli sfugge, sente di momento in momento farglisi
grave il braccio. Voi fanciulle, che leggete, state in cervello che,
come vedete, appena nato si fa gigante Amore.

Per la festa di San Valente, secondo il costume della casa nobilissima
Ayerba di Arragona, si celebrò messa solenne nella cappella del palazzo,
e s'imbandirono mense; tenne dietro il festino dove alternaronsi balli,
colloquii e preziosi rinfreschi. La Violante, comecchè presuntuosissima
essendo, si reputasse nella danza uguale a Tersicore, o giù di lì, pure
capiva, che in fatto di dottrina poi e di facondia:

    Potea dar trenta, e la caccia sul piede:

quindi con l'arte arguta, in cui le donne valgono la mano di Dio,
raccolse intorno al luogo dove sedeva il padre suo le dame, i cavalieri
e i magistrati più illustri, i quali di breve presero a favellare sopra
argomenti a quei tempi delizia delle Corti, ed oggi capaci di far
dormire ritti qualunque gli ascoltasse. Dopo avere parlato degli uffici
del perfetto gentiluomo, e degli altri troppo più meritorii della
gentildonna, non so nemmeno io come di punto in bianco venissero in
ballo i due Bruti, Giunio e Marco; e la quistione cadde intorno al
giudizio, che si aveva a profferire sul primo quando ammazzò i
figliuoli, e sul secondo quando partecipava alla strage del padre. -- Il
marchese Valente sentenziava:

-- Io aprirò schietto l'animo mio; quantunque comprenda ottimamente come
ciò non possa accadere senza mettere a repentaglio la mia reputazione:
ora il mio intelletto arriva a capire, che uomini senza religione, che
tali furono i gentili tutti perchè non battezzati, possano levare a
cielo Giunio Bruto per avere messo a morte i figliuoli, ma non so darmi
pace, che lo levino a cielo scrittori cattolici, sudditi di S. M.; e per
di più gentiluomini.

-- Anzi, notava Don Emanuele della Scalera presidente della regia camera
della Summaria, nè anco Plutarco, a mio parere, va immune da biasimo,
imperciocchè egli vivesse ai tempi dello imperatore Domiziano, e siccome
bisogna distinguere tra i gentili prima la venuta di Gesù Cristo
redentore, e i gentili che vennero dopo, così per questi non vi ha
salute, non potendo allegare ignoranza. Il sole era già comparso, e se
tennero ostinati gli occhi chiusi alla luce, peggio per loro.

-- Certo, soggiunse il marchese Valente, verranno tempi in cui la gente
rimarrà sbigottita a considerare come ai giorni nostri così durasse
pervertito il giudizio, che Giunio Bruto si tenesse in conto di eroe, i
figliuoli di colpevoli, mentre è chiaro che costui si fece ribelle, ed i
figliuoli da perfetti gentiluomini serbassero fede al legittimo loro
sovrano.

-- Con inestimabile tenerezza io lessi già in Plinio, osservò Don
Giovanni Cespedes cappellano maggiore della cappella regia, e non senza
commozione rammento, che il giorno della morte del re Pirro i capi delle
vittime furono visti leccare il proprio sangue su le bipenni, che gli
avevano recisi in testimonianza dell'ossequio dovuto alla regia
autorità.

-- Già, riprese il vice-cancelliere del Collegio dei Dottori Alfonso
Crivella, questo si legge nel medesimo libro, dove Plinio ci fa sapere,
che le leggi delle dodici Tavole vietavano alle donne di radersi la
barba.

-- Riesce doloroso a pensare, così metteva il becco in molle la Violante,
che i bovi e i montoni sentano maggiore rispetto alla autorità regia
degli uomini. Quando prima andrò a Roma io intendo commettere la
incisione del capo della vittima lambente la scure che gliel'ha reciso,
sulla corniola, e vo' portarla sempre in dito per ricordo del rispetto
che ogni leale gentiluomo ha da professare verso il suo signore e
padrone.

-- Nobiltà obbliga, favellò il Cespedes, però non si deve razionalmente
mettere in dubbio, che ella non sappia compire il suo debito, senza
esempio o conforti; lodo nondimanco il pensiero, avvertendo, però, per
tutti noi, massime per voi signora, essere le precauzioni inutili.

-- Magari, che come per voi fosse per altri, continuò la Violante; ma io
mi ricordo la sentenza di Sua Maestà Ferdinando il cattolico, il quale
sovente andava ammonendo come, per giudicare del vino, non bastasse
informarci donde veniva, bensì sapere eziandio se nello sciaguattare
avesse dato la volta. Guardimi Dio di turbare la pace delle ossa del
signor Contestabile di Borbone che adesso riposano in Gaeta, ma s'ei
camminasse sempre diritto nella via della perfetta nobiltà vel dica il
buon marchese di Villena, il quale, dopochè lo ebbe albergato per
obbedienza allo imperatore Carlo V di gloriosa memoria, appiccò il fuoco
al palazzo. Difatti la stanza di un ribelle al suo Re non poteva più
accogliere un idalgo spagnuolo. Concludiamo dunque: Giunio Bruto si deve
bandire ribelle e parricida, all'opposto se i figliuoli avessero
ammazzato lui, gli saluteremmo oggi eroi della lealtà, e come santi li
venereremmo sopra gli altari.

-- Mia signora figliuola, _est modus in rebus_, voi mi parete un zinzino
abbrivata.

-- Guai ai tepidi, che trovano troppo l'ossequio per l'autorità!
Esclamava il regio cappellano Cespedes levando il dito, e poi
ripigliava: giovami fare avvertire in questo punto, che i capi delle
vittime, bovi fossero o vitelle, leccando il sangue sopra la bipenne
sacerdotale attestassero piuttosto devozione al sacerdozio, che alla
monarchia, però concedo, che subito dopo Dio viene il re.

-- Ma la chiave della volta, prosegue la Violante, sta nel conservare
illibata la chiarezza del sangue; dalla quale cosa come retta sequela ne
deriva quest'altra, che dove restasse bene dimostrato, che Giulio Cesare
contaminasse i natali di Marco Bruto in grazia dello illecito commercio
con la madre di lui, bene e dirittamente questi avrebbe vendicato
l'oltraggio fatto al sangue trafiggendogli il cuore....

-- _Est modus in rebus_, signora figliuola, interruppe spaventato il
marchese di Ayerba.

-- _Sano modo; sano modo_; non potè astenersi di replicare a precipizio
il cappellano regio Don Giovanni Cespedes.

-- No, illustrissimo signor padre, no, reverendo Don Giovanni, l'altra
invasata continuava, non bisogna pigliare il male per medicina; fuoco e
ferro ci vogliono contro le ree passioni, e i turpi fatti del secolo, ed
anco non bastano; se san Domenico, se fra Gaspero Juglar, e il canonico
Pedro Arbues di Epila non erano, a quest'ora i nobili reami di Castiglia
e di Arragona rimarrebbero deturpati da giudei, da saraceni e da
marrani.

-- Per me, anco a costo di offendere la modestia della nobilissima
signora Violante, saltò su a dire il vecchio principe della Riccia, il
quale mirava gratificarsi la ricca erede per farla sposa del suo
primogenito conte di Montoro, dichiaro espresso, che, quando ella parla,
mi sembra proprio di leggere un capitolo dell'Apocalisse.

Il Cespedes, cui parve soverchia la dose, si affrettò di riprendere: --
lasciamo l'ispirato evangelista di Patmo, ma egli è certo, che le
sentenze della signora Violante valgono tanto oro di coppella. --

Udito ciò, immaginate voi, se la prosunzione della donna ruppe gli
argini, onde proseguiva a sfringuellare.

-- Dopo il re hassi a reverire la nobiltà, e procurare di conservarla
diligentemente inalterata; queste le colonne su le quali tutto l'UMANO
consorzio si appoggia; le macchie fatte alla nobiltà sono di quelle che
tutte le acque dell'oceano non lavano. Per mio avviso, come il corpo del
poeta fiorentino Dante Alighieri fu condannato al fuoco, meriterebbe
essere arso il suo libro se non lo salvasse la estimazione nella quale
teneva la nobiltà, e lo abbominio lodevolissimo di vederla alterata; di
fatto egli da pari suo ammonisce così:

    Sempre la confusion delle persone
      Principio fu del mal della cittade
      Siccome il cibo al corpo a cui si appone.

Dio ha creato i nobili, ed ha creato i plebei, ora è chiaro come
confonderli insieme sia contradire alla natura, anzi peggio, un
rinnegare Dio.

-- E non fa punto impressione a vostra signoria, interrogò con sottile
sogghigno il vicecancelliere Crivella, che Gesù Cristo nostro Redentore,
potendo scegliersi a padre il più glorioso uomo della terra, si
pigliasse un falegname?

-- Possibile mai, rimbeccava la Violante, che una cima di letterato come
don Alfonso abbia messo nel dimenticatoio, che Maria madre di Gesù
scendeva in linea diritta dal re David, e per padre egli avesse
nientemeno che lo Spirito Santo?... Vorrei un po', che mi si dicesse
dallo illustrissimo signor Don Alfonso, se può darsi nobiltà più sublime
di questa.

-- Disgraziato me! Il cervello davvero mi viaggiava pel paese dei
Digesti, riprese beffardo il vicecancelliere.

-- E poi chi sa che in Giudea a cotesti tempi, falegname non fosse titolo
di nobiltà....

-- Veramente questo....

-- Voglio dire al modo ordinato in Tartaria da Tamerlano, che volle le
grandi dignità della Corte portassero sul berrettone le insegne delle
arti esercitate dai loro antenati, onde chi mostrava un mestolo, chi una
vanga, tal altro un martello, ovvero una cazzuola.

-- Tuttavolta, insisteva il perfidioso Crivella, rimarrebbe fermo che
qualcheduno dei suoi maggiori fosse artigiano.

-- Qualcheduno di sicuro, osservò il marchese Valente: Messere Domineddio
dichiarò espresso a nostro padre Adamo: tu _lavorerai_ e ad Eva nostra
madre....

-- Certo le sacre carte non possono mentire, interruppe Violante, e
nondimanco, se io avessi a giudicarne, opinerei, che la condanna del
Signore contro Adamo rassomigliasse a quella, che il re talora pronunzia
contro un gentiluomo, la quale non si conduce mica all'atto, bensì pago
della mortificazione o gliela muta in altra non obbrobriosa, o gli fa
grazia intera. Forse anco, chi sa? può avergli concesso dopo un po' di
tempo di condurre a opera gli angioli. --

Le strampalate e le sublimi cose questo possiedono comune fra loro, che
entrambe percotendo altamente il pensiero, ne sospendono per un attimo
la facoltà per irrompere poi a irridere senza fine le prime, e levare a
cielo le seconde; così appunto avvenne alla donna nostra, la quale,
fingendosi che l'ammirazione avesse costretto al silenzio la lode,
quinci si ritrasse radiante come sazia di palme, e passando dinanzi a
Paolo che se ne stava torbido in disparte, gli vibrò uno sguardo da
abbarbagliarlo, senonchè egli si stette sempre aggrondato, ed ella così
di sbieco lo interrogò:

-- Perchè sì mesto il signor Duca stasera?

Paolo, scotendo il capo come chi volesse gittare lontano un pensiero
molesto, rispose:

-- Mia signora, se avete comandi a darmi io parto domani per Roma....

Se ci fosse il prisma per iscomporre gli affetti compresi nelle parole
come ce ne ha uno per distinguere i colori nella luce, non sette, ma
settanta ci sarebbe occorso di notare passioni in ciò che proruppe fuori
dalle labbra della Violante; dava la pinta il sospetto, avvampava l'ira,
l'amore alternavasi, e la gelosia, con supremo sforzo contendeva la
superbia, ma la piena ruppe, ed ella non potè trattenersi da dire:

-- Sarebbe fellonia di cavaliere villano, nè voi la commetterete; tra
un'ora vi attendo. --

Paolo di corto prese commiato, e quantunque omai vivesse privo di
speranza di arrivare al fine dei suoi disegni sopra la Violante,
tuttavia avendo di lunga mano ammanito ogni suo arnese, in breve l'ebbe
rimesso in punto. Non prevenne l'ora per non parere premuroso, nè si
fece attendere per non mostrare dispregio; arrivò preciso, e tocche
appena le corde della chitarra, la imposta della finestra prese a
stridere su i cardini. La luna nella sua pienezza schiariva tutto il
palazzo del marchese Ayerba, e parte della strada; l'altro lato stava
sepolto nelle tenebre; però colà dove raggiava la luna un amante avrebbe
potuto leggere la lettera della sua innamorata per quanto lunga ella
fosse, e il carattere fitto; tutto altro però, fuorchè lo amante,
avrebbe insaccato la lettera per leggersela a grande agio a casa.

Illuminata dalla luce della luna compariva intera la maestosa persona
della Violante, la quale, o per disegno, o impedita dal turbamento,
venne vestita delle vesti sfarzose onde fu ammirata dagli uomini, ed
invidiata dalle donne al festino; appena ella scorse Paolo, con voce
tremula gli favellò:

-- Signor Duca... Paolo... a sorte vi avrebbe tocco qualche sventura
domestica? Per caso la madre, od altro caro vostro si trova in pericolo?
ditemelo... non me lo celate... voi sapete come e quanto dei vostri
dolori io mi appassioni. --

E queste furono le parole più tenere che le volarono dai labbri dopo che
la sua fortuna le aveva messo davanti il cavaliere; il quale tra iroso e
querulo rispose:

-- Sì certo, la sventura mi ha colto, e la maggiore che io sapessi
immaginare, o che io valga a patire; sventura a cui non mi aspettava, ed
anco attesa non mi sarebbe bastato l'animo di resistere. Pazienza!
nacqui infelice.... e contro i decreti della Provvidenza non vi ha
riparo....

-- Paolo, per quanto amore portate a Dio, non mi tenete sì a lungo su la
ruota.... parlate.

-- Ed ella vuole che parli come se non la sapesse, come se da lei non si
partisse! Qual posso sentire sventura io, che non muova da voi?

-- Io! Chiaritemi questo dubbio angoscioso... ma perchè vi partite Paolo?
Paolo dove andate?...

Paolo di botto si era staccato dalla finestra e con frettolosi passi
ridottosi nell'ombra dall'opposto lato della via, dove si rannicchiò nel
vano di un portone, e di corto si fece palese la causa ond'ei si mosse,
imperciocchè un cittadino venne a passare in cotesta tarda ora di notte,
sia che s'incamminasse a casa, sia che ne uscisse; appena passato, Paolo
tornò alla posta, dove la Violante più smaniosa di prima proseguiva:

-- Orsù via, Duca.... mio caro Paolo, apritemi senza ambage l'animo
vostro....

-- Ahimè! donna per me cara e funesta, poichè mi sforzate a dire, io vi
confesserò come per mille prove mi sia fatto manifesto, che voi non mi
amate....

-- O santa Teresa benedetta! non vi amo io?

-- No.... no... ve lo dico con le lagrime agli occhi, soggiunse Paolo
piagnucolando -- ma pur troppo la mia rea fortuna vuole così.

-- Come mai, Duca, potete sospettare questo? Non vi ho preferito io a
tutti gli altri miei pretendenti? Non mostrai la mia parzialità per voi
in guisa, che ne corrono le novelle, ed oggimai sono usi a considerarci
come promessi per fede? Le mille volte non vi accertai, e torno ad
assicurarvi adesso, che tosto voi sarete in grado di chiedermi al mio
signor padre, voi non avrete presso di lui migliore avvocato di me? Qui
consentii a ricevervi.... qui vi parlai.... e vi parlo.... o che volete
di più da me?

-- Questo gli è quanto basta, e ce ne avanza per procurarsi un marito,
non già per appagare un cuore amante quale si professa il mio. L'amore
traverso questa inferrata mi si presenta come uccello infermo dentro la
gabbia; infermo sì, che s'ei si sentisse gagliardo, si avventerebbe
contro gli odiati ferri a rischio di rompercisi l'ale; ora so bene, che
taluno amore, a mo' della rondine, al mutare della stagione rivolge
altrove il volo, ma egli è uccello pellegrino, mentre l'usignolo
innamorato della rosa non muta stanza e pure non sa cantare che a cielo
aperto, e dondolando su la verde frasca.... Ora qual pegno mi deste voi,
Violante, di credere al fervido e rispettoso amor mio? Appena un bacio a
malincuore sofferto sopra la mano prigioniera? Quando confondemmo
insieme i nostri sospiri? Come io commisi in voi, cuore del cuore mio, i
secreti palpiti dell'anima, e come a me voi commetteste i vostri? Noi
sembriamo piuttosto legati dalla catena del Corsaro che da vincolo di
spontaneo affetto a istanza nostra tessuto dalle mani di Amore....

Qui da capo s'interrompe Paolo, e guadagna sollecitamente l'ombra,
udendo il passo di persone, che movono a cotesta volta: come di fatto
avvenne.

-- Uditemi Paolo, riprese la Violante quando il Pelliccioni, tornata
deserta la strada, si riaccostò alla finestra; voi avete a diventarmi
marito; ora io so che quanto la donna dona all'amante, ella sottrae a
quella dote di decoro, che per lei si deve portare intatta al consorte.
Non vi dolga la Violante fanciulla severa per averla a sperimentare poi
moglie incontaminata.

-- Mia dolce signora, a voi sembra ragionare dirittamente, mentre per mio
giudizio persona si attenterebbe ingiuriarvi peggio, che voi non
facciate, perchè viva Dio! e' sembra, che voi non abbiate fede nella
vostra virtù; di vero o che virtù sono elleno queste che per difendersi
hanno mestieri di porte, o di inferriate? Virtù paurose, Violante mia,
virtù codarde, virtù che si confessano impotenti a resistere dove non
sieno riparate. Quando stava a studio, udii da certo mio maestro
raccontare come gli Spartani, a verun patto consentissero munirsi di
muraglia, giudicando il petto ignudo il migliore dei ripari a cui basta
l'anima, e però furono tra tutti i Greci giudicati fortissimi....

-- Il decoro di gentildonna... l'onore illibato di famiglia mi percotono
la mente, Paolo, e il puro sangue castigliano, che per tanto ordine di
avi scese nelle mie vene.

-- E che? signora, questo tesoro commesso a me uomo della vostra elezione
temereste per avventura contaminato? -- E allora cui sceglieste voi? E
voglio darvi anco vinta, che potesse in me, vinto dal desio, sorgere
qualche affetto, il quale fosse meno che riverente, e credete voi che la
maestà della vostra sembianza non valesse a frenarlo? Potrei, signora,
perdonare la offesa fatta a me, ma a voi non posso. E notate, che oltre
le ragioni di un cuore infiammato, che gli angioli contempleranno senza
scandalizzarsi davvero, io ho bisogno di esporvi a lungo la mia
condizione, e le risposte di Roma, e la minaccia di perdere un
fideicommisso legato al patto di condurre in matrimonio certa parente
lontana cui non conosco, anzi non udii fin qui ricordare nè manco; ora
come possa farsi questo, stando a ragionare con lo struggimento, che
taluno sopravvenga, e la vostra reputazione ne riporti il più piccolo
smacco, lascio che il vostro buon giudizio consideri; andate per la
chiave del giardino, porgetemela; venite sotto il boschetto dei lauri;
quivi ragioneremo di amore, o se più vi piace di negozi, perchè, se ai
casi nostri non provvediamo da noi, certo veruno ci penserà....

E non attese risposta, che per la terza volta riparò all'ombra, e quivi
stette più a lungo del solito, perchè non apparve anima viva, ed egli
rimase buona pezza a scredere di avere udito romore, onde, quando si
ravvicinò al balcone, la Violante avvertiva:

-- Parmi non sia passata persona...

-- No, persona, ma importa abbondare di cautela però che il vostro decoro
io tenga caro più della pupilla degli occhi, ed oggimai spetti a voi
come a me.

-- Paolo, disse Violante tremando a verga, sicchè i denti le battevano
come pel ribrezzo della quartana, Paolo, pigliate... ecco la chiave...
Dio mi abbia nella sua santa custodia.

                *       *       *       *       *

Quando il sole ascende i cieli come un tiranno di oriente sul barbarico
trono, e il raggio inverecondo diffonde a rivelare le più lontane come
le più secrete cose, quando la canzone della mietitura corre scapigliata
quasi baccante per la campagna, e i motti protervi della vendemmia
incoronata di pampini eccitanti alla voluttà si succedono a modo di
grosse gocciole annunziatrici della prossima pioggia, quando uomini e
donne arrotano gli occhi provocando lascivie come il soldato la spada
chiamando battaglia, allora riesce facile alla donna gentile torcere
altrove lo sguardo, ed arruffarsi all'assalto salvatico mosso al suo
pudore, e se taluna casca in balía altrui, ciò avviene come alla Menade
dipinta in Ercolano, la quale furiando pei balzi del Citerone precipita
resupina fra le braccia del Satiro, mentre la Ninfa fugge la
persecuzione anco del Dio, e come Siringa antepone essere mutata in
canna, e Dafne in lauro anzichè diventare preda di Pane, e di Febo. Per
lo contrario havvi un'ora traditrice, la quale possiede virtù di vincere
i cuori più duri; e questa è l'ora in cui la brezza notturna, rasentando
i camposanti, ne raccoglie le care ricordanze e i mesti affetti per
passare poi sopra le labbra dello amante e insinuartisi nel cuore sotto
sembianza di malinconia, mentre di un tratto si rivela amore. O Dio! chi
resiste a quell'ora? Infinite voci della natura mescendosi insieme
spandono pel creato un bisbiglio di amore e di dolore; le stelle paiono
anime di vergini morte immature che piangano la speranza perduta, e
preghino per la cara creatura che lasciarono in terra; la luna stessa
non più vergine acerba apparisce come donna innamorata, che si accosta
di soppiatto tutta tremante a baciare la prima volta Endimione; la
famiglia dei fiori celebra a sua posta divini imenei, e nei silenzi
della notte si fecondano alternandosi aure di profumo. -- Mira i cipressi
dei cimiteri che tentennano le cime al venticello della mezzanotte, non
ti par egli che spasimanti di amore si adoperino anch'essi a baciarsi, e
a susurrarsi i misteri dei sepolcri -- la genesi portentosa degli enti
che si moltiplicano dentro la fossa, la quale noi giudichiamo fine di
ogni cosa creata? Fanciulle tenere, salvatevi da cotesta ora, voi non ci
potrete reggere; non presumete di voi, ch'ella vinse uomini e Dei;
l'amore in quel punto è irresistibile, però che non rida, ma gema.

                *       *       *       *       *

Sederono uno a lato dell'altro sopra il medesimo cespuglio; l'ora, il
tempo e la dolce stagione piovevano un'estasi da inebriare le anime più
rudi; e i sensi con divina alternativa venivano commossi, e blanditi
dallo acuto odore dei gelsomini, e dal lene mormorío della fontana
vicina; da prima tacquero come sopraffatti da passione, che non può
manifestarsi con parole; se tale stato non cessasse, gli amanti
rimarrebbero assorti nelle spire dello amore come a parecchie farfalle
avviene di trovare la morte dentro il calice dei fiori: sfocaronsi in
sospiri, poi l'indice della destra di Paolo si attentò scivolare lieve
lieve su la vesta della Violante, in seguito ci si sostenne, di corto
gli fecero compagnia il medio, l'anulare, alfine tutte le dita, e tutte
erravano in cerca della mano amata, la quale si ritirava come chi è vago
di lasciarsi agguantare, sicchè dopo qualche momento di esitanza si può
dire in coscienza, che fu proprio ella, che si fece incontro alla
prigione; e stretta strinse meno dell'altra gagliarda, ma pure forte
assai. Da una parte e dall'altra le parole furono molte, tre quarti
delle quali prive affatto di senso, e un quarto con poco, perchè le
donne che se ne intendono affermino a spada tratta come amore quando
ragiona non sia più amore. Io mi dispenso da riportarle, sicuro, che
quale si sente adesso in _istato amoroso_ o si sentì un giorno, le
immaginerà da sè: e quale non si trova disposto ad amare farebbe le
stimate strabiliando come le si possano mettere insieme tante
cianciafruscole: siccome poi le offese che amore arreca si sanano dallo
amore con la cura dello Hanemann, vo' dire co' simili, quantunque in
dose _allopatica_, così dieci, venti, cento baci su la mano della
Violante seppellirono l'onta, che ci fece il primo bacio. E a Dio fosse
piaciuto, che le parole di Paolo altro non sonassero che amorose
capestrerie, ma egli vi tramezzò un mondo di panzane capaci di mettere
in sospetto ogni fanciulla di poca levatura, nonchè la Violante quanto
altra mai sagace, nelle cose però che non toccavano la sua vanità; ed
ella gravemente le udiva, e chiesta del suo parere, gravemente
rispondeva, non le sembrando vero di pompeggiare la copia di erudizione
teologica e forense di cui come di altre parecchie ella aveva fatto
tesoro: in grazia pertanto dei suoi consigli era stato ormai stabilito
che Paolo partisse per Roma, dove, messi in pratica i partiti escogitati
dalla donna dei suoi pensieri, sarebbe indi a breve tornato glorioso e
trionfante a Napoli a stringere il sacro nodo. A questo punto Paolo
riputò convenevole, che almeno non disdicesse, sigillare il contratto
con una marca di cui sì largo dispensiere è amore, però scorrendole su
su per la vita col braccio destro flessibile come la foglia di acanto,
osservato da Callimaco intorno alla cesta soprammessa al tumulo della
vergine di Corinto, trasse a sè la Violante, e alla sprovvista la baciò
su la bocca.

Il soperchio, come accade, ruppe il coperchio: si rizzò su la
gentildonna pari a vipera pesta, e respigendolo duramente esclamò:

-- Cavaliere, voi dimenticate, che veruno... assolutamente veruno deve
essere ardito di baciare la figliuola del marchese don Valente Ayerba
d'Arragona, dal suo legittimo consorte in fuori.

-- Gran mercede vi domando, signora, ma non credeva in coscienza di
commettere peccato mortale se dopo avervi baciato mille volte la mano io
mi attentava di baciarvi anco in bocca. Avrei giurato che mano e bocca
fossero parti del medesimo corpo; voi mi avete chiarito dello errore.

-- Troppo ci corre, signor Duca, tra l'una cosa e l'altra, dacchè il
bacio su la mano denoti riverenza, mentre sopra la bocca significa
dominio, e possesso della persona amata. --

-- Ma fin qui non divisammo i modi, onde io possa salutarvi ad un punto
amante e sposa?

-- E quando vi diventerò sposa voi riunirete il dominio dell'anima, che
già vi siete acquistato, al possesso del corpo, il quale per ora resta
intero presso di me. Lasciatemi... che l'ora si fa tarda, qualche servo
potrebbe levarsi per tempo ad accudire alle faccende domestiche.

-- Voi partite sdegnata, Violante?

-- E parvi, che io non abbia motivo di esserlo, quando miro passato ogni
termine del rispetto dovuto da cavaliere a gentildonna...?

                *       *       *       *       *

Traditore, tu sei morto!

Questo grido fu udito allo improvviso ferocemente urlato a poca distanza
dai nostri innamorati, e subito dopo uno incioccare[14] di ferri, e una
mano di persone assalite e assalitrici dalle porte sbatacchiate con
violenza dentro il giardino del marchese.

Misericordia! Lasciatemi, che io ripari in casa... Incauta me! che feci
mai?

-- Non vi movete, replicava Paolo, pure trattenendola con entrambe le
mani -- voi potreste essere scoperta...

                *       *       *       *       *

-- Sicario da trentadue al grano, impara meglio di colpire al cantone.
To' piglia questa...

-- La è botta stantia; baratta quest'altra...

E così parando e ferendo levavano con lo schermire dei ferri, le
imprecazioni, i vituperi, e le minaccie uno strepito da svegliare il
paese dintorno un miglio. Dopo lunga battaglia, durante la quale,
sembrò, che veruna delle parti arrivasse ad offendersi, s'intese un
doloroso guaito, e subito dopo uno scherno feroce, che diceva:

-- Ah! cane da Dio, ti ha morso al fine il ferro?

-- Mi ha morso sì, e te ne pago in piombo.

Al lampo tiene dietro lo scoppio e allo scoppio un urlo supplicante Gesù
e Maria, come chi ferito a morte si muoia.

                *       *       *       *       *

La malarrivata gentildonna agitandosi convulsa nelle membra balbettò:

-- Non mi tenete... andatevene per amore di Dio...

-- Questo non farò mai, lasciarvi nel pericolo!

Pure ella barcollando trasse verso il palazzo, dove ora questa, ora
quella delle sue tante finestre s'illuminava quasi Argo, che aprisse uno
dopo l'altro i suoi cento occhi; a siffatta vista raunate tutte le sue
virtù ella, smesso ogni sussiego, irruppe in corsa scomposta, ansiosa di
arrivare prima che il padre, o i famigli fossero sul portone; le danno
ale alle piante la paura e la superbia, pare che tocchi appena la terra,
eccola a piè della gradinata, a due, a tre salisce gli scalini, -- ecco
giunge alla porta, -- ecco ella è giunta.

È giunta, ma la imposta per ispinta di mano non cede. Caso o malizia, la
porta fu chiusa... La Violante si sentì impietrire, e poco dopo con
subita vicenda le caldane del sangue avvamparle il cervello; levò gli
occhi e le parve, che i grifi sorreggenti l'arme gentilizia di casa sua
si fossero trasformati in due Cherubini con la spada di fiamma nelle
mani, e che brandendola minacciassero: per istrano gioco della fantasia
uno di questi Cherubini le presentava sconvolta la faccia del padre suo,
l'altra dell'ava, purissimo sangue spagnuolo, di cui il ritratto rigido
gelava l'aria della sala, dove lo avevano appeso. Un mucchio di pensieri
la trafissero a un tratto, ed uno più lacerante dell'altro; come
spiegherebbe ella la sua presenza in cotesto luogo e in quell'ora?
Perchè non si era coricata la notte? Perchè non deposte le vesti
sfarzose del festino? Dove la superbia della marchesana d'Ayerba? Finti
dunque i sensi severi, finto dunque lo zelo per la tutela dell'onore
illibato? Lustre, ipocrisie tutte per aombrare i perduti costumi e le
lussurie? Acerbo sentì frugarle addosso il giudizio delle genti, e lo
scherno delle compagne che invidiando sopportavano molestamente la sua
primazia! Quanto più sublime il grado al quale ella si era levata, tanto
più ruinoso il tracollo; -- appena della sua reputazione si sarebbero
trovati i minuzzoli. Non supplicò la terra, che si aprisse, ma se si
fosse aperta l'avrebbe avuto a caro. -- E i morti nel giardino? Il
cancello aperto? Le ferite, e il sangue? Chi avrebbe dissuaso le genti
che la strage fosse per lei, e dalle sue libidini provocata? Chi altri
eccetto lei aveva aperto il cancello? La sua ragione allo impeto di così
fiere ondate rimase sommersa... già per di dentro alle porte udivansi
gli schiamazzi dei famigli accorrenti, e già la stanghetta tratta ella
sentiva stridere, o le pareva, quando ella fuori di sè, travolta dal
terrore, avvilita strinse con moto disperato il polso di Paolo
piuttostochè dicesse, mormorò: -- Fuggiamo! --

E non lo disse a sordo; imperciocchè appena le volò la parola dalle
labbra Paolo la sollevasse nelle braccia, e quinci a precipizio la
togliesse. Quando un poco di calma fu tornata in cotest'anima combattuta
non aveva più luogo a rimedio; il dado era tratto, il Rubicone passato.
Paolo la condusse a casa sua, senonchè ella sul punto di varcare la
soglia riscotendosi domandò:

-- Dove mi menate voi, signor Duca?

-- Nella vostra casa e mia, signora consorte.

-- Tale non vi sono fin qui... Cavaliere, se quanto in questa
funestissima notte mi è successo avvenne per colpa vostra, Dio vi
rimeriti a misura delle opere; se caso, sia maledetta l'ora in cui non
pure il decoro di nobile donna, bensì la modestia di donzella vereconda
dimenticai. La soglia di casa vostra non passerò mai se prima non potrò
dirvi legittimo marito.

-- Violante, se non siete anco mia sposa, voi non me lo potete appuntare
a colpa; però ora e sempre siete e sarete padrona dei miei pensieri, dei
miei voleri, dell'anima mia. Quanto piace a voi, a me piace: dove
desiderate essere condotta?

Ella allora indicò la casa di certa femmina, che aveva usanza nel
palazzo paterno, dove quasi ogni dì recava agrumi e frutti dalla
prossima campagna, e l'era parso che le avesse posto un gran bene. Colà
Paolo la condusse senza indugio, e quivi confortatala a nudrirsi, ella
ricusò, scusandosi col dire: che non lo poteva fare; solo pregava
quiete, e accommiatando Paolo gli raccomandava procurasse con tutti i
nervi operare sì che, ottenute le necessarie dispense, potessero
sollecitamente congiungersi in santo matrimonio; imperciocchè ella non
avrebbe mai ardito presentarsi al marchese d'Ayerba suo signor padre per
implorare perdono, se non fregiata dei titoli di sposa e di duchessa.
Paolo rispose non dubitasse; premergli questa cura, quanto a lei; e se
possibile fosse, anco di più, e diceva il vero.

                *       *       *       *       *

I servi del Marchese desti dallo strepito delle voci e delle armi erano
accorsi alla porta del palazzo, quivi aspettando il padrone, che
ordinasse quanto si avessero a fare; ma il Marchese, sia che non
giudicasse il caso di grande momento, o sia, che perdesse tempo ad
azzimarsi per non comparire scomposto dinanzi alla famiglia, non veniva,
onde il maggiordomo tolto il carico sopra di sè schiuse le imposte, e
insieme con gli altri si dette a rivilicare pel giardino: splendea la
luna in pieno: recavano i servi in copia torce e doppieri, con infinita
diligenza ogni luogo cercarono, ogni cosa rimuginarono, ma non morti
rinvennero nè feriti, anzi neppure traccia di sangue; il cancello del
giardino chiuso, fuori per la via non pesto il terreno; non sapevano
darsi pace, nè argomentando apporsi a cosa che sembrasse vera; taluno
disse, che qualche sguaiato aveva forse mosso cotesto rumore per rompere
il sonno dei vicini, e parve che la imbroccasse; però mandando la malora
e il malanno a quei tristi tornarono a casa, dove trovarono a mezze
scale il Marchese d'Ayerba in corsaletto con la spada ignuda nelle mani,
a destra e a sinistra magnificamente illuminato da due famigli che
reggevano torcie di cera bianca. Egli stette; udì il rapporto del
maggiordomo con gravità pari, o poco diversa da quella con la quale
Filippo II deve avere inteso la relazione della battaglia di San
Quintino; poi pensato alquanto, con voce e modi imperatorii disse:

-- _Buena noche, hijos, volvemos a la cama_[15].

Però egli non tornò a giacersi, se prima, messa in un canto la spada,
non salì alle stanze della sua signora figliuola; ed avendone trovati
chiusi gli usciali raschiò lieve lieve lo sportello per tentare se la
Violante dormisse, dacchè veruno gli rispondeva, come se tanto non gli
bastasse prese con sottile voce a chiamarla traverso il foro della
toppa; non udendo persona gli parve potersene stare sicuro, onde
partendo di là esclamava:

-- Gioventù e innocenza legano l'asino a buona caviglia...

Con l'oro si aprono anco le porte del paradiso, così almeno scriveva
nelle sue memorie Cristofano Colombo, cattolico, apostolico, romano a
prova di bombarda; pensate se a Napoli, ed a cotesti tempi si vincessero
le coscienze dei preti, epperò non badando a danaro Paolo ottenne in un
baleno la dispensa delle tre denunzie in chiesa, mercè testimonianza
dello stato libero degli sposi fatta da quei due fiori di galantuomo
Ciriaco e Renzo, non meno che la facoltà di congiungerli nel santo
matrimonio _delegata_ al parroco della Chiesa di Santo Antonio prossima
alla casa dove aveva preso asilo la Violante.

Però, quantunque Paolo ci si sbracciasse dintorno, non potè mettere in
assetto tutte le faccende prima del vespero; ito verso sera alla stanza
di Violante la rinvenne fuor di misura trista, ma all'ansio domandare se
le difficoltà degli sponsali fossero state spianate, sentendosi
rispondere affermativamente, parve serenarsi alcun poco; nè per nulla
volle cedere alle istanze, che affettuose le moveva Paolo, di differire
la celebrazione degli sponsali il giorno successivo, punto trattenendola
il pensiero, che per quella sera bisognava passarsi della messa del
congiunto. Il parroco colto a soqquadro non sapeva che pesci pigliare,
ma dagli accenti, dai modi, e più dalla insolenza reputandole persone
qualificate, e dall'altra parte lette e rilette le carte, avendole
rinvenute a modo e a verso, co' suoi bravi sigilli arcivescovili in
regola si strinse nelle spalle, e giudicò, che gatta ci covava, onde si
profferse parato. -- La cerimonia si compì senza accidenti; solo
notarono, ch'entrati in chiesa gli sposi, un raggio rosso di fuoco
passando orizzontale alla porta maggiore tinse per alcuni minuti in
sangue il Cristo, il sacerdote e i capi dei coniugi, e quando sparve il
lume delle lampade appese attorno l'altare, il vermiglio sanguigno mutò
ad un tratto in pallore di morto; anco tra una parola e l'altra
bisbigliata dal prete si udiva l'onda del prossimo torrente, che, rotta
dai sassi, parea che piangesse; prima che i devoti raccolti in chiesa
rispondessero _amen_ all'ultimo _oremus_ del parroco, una civetta
traversando per le finestre mandò fuori tre volte l'odiato grido, quasi
urlando: _sventura! sventura!_ Violante uscì barellando, col cuore
chiuso, la testa intronata, e le fu forza per temperarne l'arsura
appoggiare la fronte alla soglia della Chiesa; tolto alcun refrigerio
dal fresco della pietra, se ne staccò mormorando:

-- Santissima vergine, abbiate misericordia di me!

E non ben ferma in piè subito dopo inciampando in uno dei cipressi, i
quali piantati attorno alla Chiesa più che altro le davano sembianza di
Camposanto, ebbe a traboccare: la sostenne sollecito Paolo, ed ella lo
guardò fiso in volto, e poi con tutte le sue potenze dell'anima e del
corpo, contrastando invano, ella a forza proruppe in iscoppio di pianto.
Povera donna! La penitenza già superava il peccato.[16]


NOTE.

  [14] _Incioccare_, _incioccamento_. Questa voce non è
  registrata, e vale strepito di arme percosse. Insieme a molte
  altre del pari non raccolte mirala nello stupendo
  volgarizzamento di _Dafni e Cloe_ per Annibale Caro, p. 67.

  [15] Buona notte, figliuoli, torniamo a letto.

  [16] Affinchè veruno dei lettori meno perito dei costumi dei
  tempi in cui io pongo questo racconto mi appunti di esagerazione
  pei colori, che adopero nel tratteggiare i miei personaggi,
  ricordo solo due fatti a chiarire quanta fosse l'albagia degli
  Spagnuoli.

  Il marchese di Varambone, reggendo pel re di Spagna l'Artois, fu
  vinto e fatto prigioniero dal maresciallo di Byron; istando
  allora, perchè a norma delle leggi di guerra gli s'imponesse la
  taglia, per potersi riscattare lo tassarono a 30,000 scudi;
  udito ciò egli ruppe in querimonie infinite, protestando, che si
  sarebbe lasciato piuttosto morire prigione, che approvare così
  indegno apprezzamento di sè; il maresciallo di Byron, dopo
  avergli fatto umilissime scuse, lo pregò, che da per sè si
  mettesse il riscatto, ed egli ringraziando lo portò fino a
  50,000 scudi. -- Ecco il secondo:

  Certi campagnuoli lombardi essendo entrati nel palazzo di don
  Gabrio Serbelloni, governatore di Milano pel re di Spagna,
  videro un tratto comparire un uomo vestito di nero portante
  sopra un cuscino di velluto rosso trinato di oro un gran vaso di
  argento, intorno al quale camminavano quattro staffieri in abito
  di gala, con torce di cera bianca accese in mano. I campagnuoli
  immaginando, che per lo meno, fosse il Santissimo, si
  genuflessero devotamente cavandosi il cappello, ma se restassero
  trasecolati sel pensi il lettore quando seppero, che il vaso era
  pieno di minestra per l'eccelso don Gabrio Serbelloni
  governatore di Milano.



CAPITOLO VII.

È morta.


Il cameriere del marchese Valente d'Ayerba sta da parecchio tempo col
capo in su, e gli occhi intenti al campanello, che gli annunzia la
chiamata del suo signore; -- forse con pari anelito l'astronomo specola
la costellazione subietto dei pertinaci suoi studi; ma il sonno del
Marchese, scompigliato dal caso della notte, si prolunga al di là del
consueto. Al fine lo squillo argentino ruppe i silenzi del palazzo, e il
cameriere accorse in fretta, seco recando le solite cose, una guantiera
stragrande ed un lume velato.

Appena aperto l'uscio della camera del marchese, don Diego, cameriere e
maggiordomo, gli augurò il buon giorno con l'accompagnatura dei titoli
dovuti al suo signore e padrone, e non gli fu risposto: gli domandò
eziandio come avesse riposato, e come si sentisse dopo il disturbo
avuto, ed anco a cotesto il Marchese si tacque: d'altronde il fante
sembrava avvezzo a quei modi cortesi, imperciocchè senza punto scomporsi
egli spiegò un tovagliolino damascato, e sopra vi mise la guantiera, e
un ciotolone, ambi di argento; la ciotola piena di cioccolatte, delizia
degli Spagnuoli ed anco degl'Italiani a cotesti tempi, nei quali se ne
abusò in modo da generare corruzione del sangue, ed anco demenza,
infermità, che affrettarono la morte di Carlo V, e del suo figliuolo
Filippo II. Il Marchese non sorbì, ma bevve avidissimamente, e riposto
il ciotolone sopra la guantiera si ributtò giù sbadigliando; il
cameriere rimboccava il lenzuolo, rincalzava il letto, ed augurato il
buon riposo se ne usciva in punta di piedi.

Passata un'altra ora, il campanello tornò a squillare, e il cameriere di
botto cascato a canto al letto aiutò il Marchese a levarsi, a condurre a
fine le mondizie squisitissime della persona, e ad acconciarsi delle
vesti sfoggiate, che i gentiluomini, massime spagnuoli, usavano per
grandigia a quei tempi: ciò fatto scese giù nel tinello dove chiese se
la sua signora figliuola fosse anco comparsa, ed essendogli risposto
negativamente, prese a favellare svogliato del caso della notte scorsa
logorando molta ora in discorsi che di palo andavano in frasca, proprio
per ammazzare la tetra noia. -- Facendosi tardi è dubbio se il suo cuore
voglioso di vedere la figlia gli rammentasse l'asciolvere ritardato, o
piuttosto lo stomaco per tanto tempo negletto gli richiamasse alla mente
la figliuola, il certo è che adesso un cotal poco impazientito
interrogava i famigli:

-- Che faccende ha tra mano la marchesa nostra figliuola, che stamattina
non si vede ancora?

-- Eccellenza, il cameriere replicava, a noi non è concesso salire alle
stanze della signora Marchesa senza chiamata di lei, od ordine di vostra
Eccellenza....

-- Andate, Diego, ed avvisate la marchesa nostra figliuola, che
aspettiamo i suoi comandi per mettere in tavola....

Dopo avere chinato il dorso ad arco, Diego lo raddrizzò per andare,
senonchè in quel punto si scontrava in altro servo entrato con impeto
nella stanza cozzando molto aspramente insieme, ed è verosimile, che si
sarebbero per lo meno barattati un diluvio di vituperi, perchè se Diego
era molto addentro la grazia del Marchese padre, Ciccillo credeva la
Marchesa figliuola lo tenesse caro se non più, almeno quanto il
pappagallo che le aveva mandato da Cuba il conte suo zio: ubbie di
servi! Ciccillo portava una lettera in mano, e dopo avere riferito, che
il messaggero insisteva si consegnasse subito come d'importanza suprema,
e subito le si rispondesse, si ostinava a volerla egli medesimo porre
nella destra del Marchese; ma l'altro si mise a contrastare, essendo
questo ufficio suo, nè potersi a patto alcuno sofferire che dalle mani
ignude di un servo trapassassero lettera o roba altra qualunque in
quelle di un _idalgo_ spagnuolo; Ciccillo stava in procinto di
rispondere per le rime, quando il Marchese troncò la lite ordinando a
costui porgesse la lettera a Diego, e se ne andasse. Diego rimasto
vittorioso, tolto un bacile di argento vi depose sopra la lettera e la
presentò trionfante al Marchese. Questi con gravità la prese, la spiegò
adagio, e si accinse a leggerla tenendola con ambe le mani levata
davanti agli occhi.

-- Beata Vergine dei sette dolori, signor Marchese, si sente male? Casca
per Dio! vuol ella che io la sorregga?

-- Mi reggo da me... -- balbutiva vacillando il fiero Marchese.

-- No, che non si regge... casca.... Aiuto! Soccorso!....

Il Marchese di Ayerba pure tanto ebbe impero sopra di sè da fare cenno
col dito a Diego, che tacesse, e poi giù di fascio gli si abbandonò fra
le braccia tramortito. Con molta fatica, perocchè egli fosse della
persona membruto molto e pingue, don Diego lo strascinava sopra un
seggiolone dove lo adagiò col capo pendente giù su le spalle e le mani
lungo i braccioli: avrebbe voluto chiamare pel medico o almanco pel
barbiere che gli aprisse la vena, ma il Marchese aveva ordinato il
silenzio, e succedesse quello che voleva succedere, suo primo dovere era
obbedire; però confortavalo a sperare, che mal di gocciola non avesse ad
essere, la bocca a modo e a verso, comecchè le labbra apparissero tinte
in colore di vinaccia, e il volto bianco come panno lavato; lo spruzzò
con l'acqua fresca, non gli sovvenendo lì per lì altro rimedio, e non
istette guari che il Marchese con un grossissimo sospiro ebbe ripreso i
sensi.

Allora Diego lo richiese da capo come si sentisse, e quegli non rispose;
se dovesse chiamar gente, e il Marchese negò, il quale di un tratto
ponendosi la mano alla fronte parve volesse ricondurci qualche pensiero
sfuggito, e gli riuscì, da che balenando negli occhi esclamava:

-- La lettera! Dov'è ita la lettera?

Diego vistala in terra mosse per raccoglierla, ma lo tenne il Marchese,
il quale si provò a levarsi, senonchè mancandogli la lena, a malincuore
ne lasciava la cura al cameriere; riavutala se la pose sotto il
farsetto, e rimastosi alquanto sopra pensiero, al fine così favellò:

-- Diego, torniamo in camera, dove mi spoglierete questi abiti e mi
vestirete di nero.

-- Come piace alla Eccellenza vostra.

Poichè tutto questo fu fatto senza che nè un motto nè un cenno si
alternassero cotesti due, il Marchese ruppe il silenzio dicendo:

-- Diego, mala nuova vi annunzio, la mia signora figliuola marchesa
Violante è morta.

-- Come morta? Non può essere..... non.....

-- Chetatevi.... Me lo ha scritto ella stessa.

Diego guardò il suo padrone trasecolato, ma egli, grave sempre e
composto, soggiunse:

-- Andate, signor Diego, raccogliete la famiglia giù nella sala grande;
ho da parlarle; recatevi dopo dal parroco di nostra Donna del Carmine, e
ditegli che per cosa di somma importanza favorisca quanto prima potrà di
venirmi a trovare...

-- Sarà servita, Eccellenza, e al messaggere che risposta ho a dare?

-- Qual messaggere?

-- Quegli che ha portato la lettera....

-- Ah! sì, la lettera, disse il Marchese; e recatesi ambo le mani alla
fronte se la tenne alcun poco stretta, poi alquanto se la stropicciò;
per ultimo soggiunse:

-- Dategli una archibugiata nel petto.

-- Sarà servita, Eccellenza.

                *       *       *       *       *

Quando il Marchese d'Ayerba fu avvertito, che la famiglia, così uomini
come donne, stava raccolta in sala, scese sorreggendosi al braccio di
Diego: si assettò sul seggiolone posto in luogo eminente sotto il
baldacchino; quinci salutava col declinare del capo i convocati, e dopo
alcuno spazio di tempo, con parole rotte, gli ammoniva essere la sua
figliuola morta; e siccome la famiglia, massime le donne, presa da pietà
e da terrore, incominciava a trarre dolorosi guai, egli con fiero
cipiglio gridò: -- chetatevi, che io qui non vi chiamai per udire
piagnistei; voi altre donne prima che annotti uscirete di casa, e per
quanto amore portate a Cristo, guardatevi da riporci più piede; intorno
a me non vo' più donne. Diego vi pagherà il salario dell'annata intera,
e più cento ducati per una senza distinzione di ufficio. Quanto a voi
altri cocchieri e pallafrenieri, avrete il salario dell'annata come le
donne, i cavalli vi dono tutti senza fornimenti....

-- Anco il cavallo di battaglia....? Interruppe spaventato don Diego
maggiordomo e cameriere.

-- Il cavallo di battaglia escludo per essere svenato al mio funerale...
e accomodandoli a nolo a gentildonne e a cavalieri vi potrete molto
agiatamente tirare innanzi -- perchè sono i primi cavalli del mondo.

-- Diego, dei fornimenti, delle selle, delle carrozze, e di ogni altro
arnese di scuderia, niente escluso nè eccettuato, voi procurerete
facciasene un falò giù nel cortile. Chiudansi i portoni del palazzo,
chiudansi le finestre della facciata; i rimasti in casa vestansi a
corrotto e subito: di ora in poi tutti dovranno parlare sommesso; veruno
rammenterà la signora marchesa Violante, sotto pena della mia
indignazione. Andate via.

Trasognati, come intirizziti dal freddo i servi facevano le viste di
partirsene, senonchè il Marchese accorgendosi come omettessero il debito
del baciamano o per oblio o per paura, e l'orgoglio non gli consentendo
di richiamarneli apertamente da un lato, e dall'altro non sopportando la
mancanza del consueto ossequio, ruppe in finto nodo di tosse per modo
che taluno di loro avendo volto il capo, vide come il Marchese tenesse
levato il braccio mostrando il dosso della mano, ond'ei corse a
baciargliela, e dopo lui gli altri; questo parve un cotal po' serenargli
la fronte aggrondata.

Rimasto solo il Marchese si cavò di sotto al farsetto la lettera della
figliuola, e si rimase un pezzo a considerarla chiusa come se si
peritasse a rileggerla; fattosi coraggio l'apriva gittandoci sopra lo
sguardo. Breve la lettera e dichiaratrice così:

«Onorandissimo mio Padre, e Signore. Quante volte meco stessa considero
le strane e stupende peripezíe accadutemi nella notte passata, vado
dubbiosa se più deva maravigliare V. S. Ill. od io medesima inviandole
questa lettera nella mia qualità di sposa, e di _Duchessa_. L'alto grado
a cui senza merito, e solo per divina grazia mi trovo assunta, spero
m'impetrerà favore presso V. S. Ill., a fine che io possa condurmi al
suo cospetto per farle toccare con mano come tutto quello che operai,
avvenne per necessità di fortuna, non per falta di reverenza
all'autorità paterna, di cui mi professo ossequentissima; e confidando
in risposta benigna, le bacio le mani.

«La sottoscrizione poi diceva _doña Violante marquesa d'Ayerba, y
duquesa de Netuno_.»

Certo cotesta lettera poteva essere composta con parole di leggieri più
tenere, od anco più gentili; insinuarsi meglio nel cuore paterno;
toccare talune di quelle corde per cui poco o molto la natura commossa
vibra sempre; ma io veramente giudico, che nel caso sarebbe stato tutto
tempo perso, imperciocchè l'affetto del Marchese d'Ayerba per la propria
figliuola in somma si risolvesse in mostruoso e strabocchevole amore di
sè; il quale pigliava alimento da tre origini di orgoglio; ed era la
prima, che per questa unica figliuola si perpetuasse il nome della casa
d'Ayerba, onde il Marchese desiderò ne richiedesse le nozze qualche
gentiluomo spiantato, che consentendo a restare confuso, anzi assorto
dal suo casato, rifiorisse la razza per modo, che fra due generazioni o
tre si sperdesse la memoria del bisogno in cui si era trovato il
nobilissimo lignaggio d'Ayerba di un pollone straniero per fargli
rimettere un tallo sul vecchio; la seconda traeva radice nello ardore,
che talvolta egli ostentava censurare eccessivo, ma che nella sua
superbia baronale non sapeva credere soverchio, mercè di cui la sua
inclita figliuola dava pegno di mantenere severamente inalterato il
sangue d'Ayerba, sicchè poteva addormentarsi sicuro sopra due guanciali,
che come purissimo egli lo aveva redato dai suoi maggiori, purissimo del
pari sarebbe stato trasmesso da lei ai suoi discendenti; per ultimo se
da lui si teneva la figliuola arca di scienza, e si sbracciava a far sì,
che altri la reputasse un miracolo, un portento, un mostro quasi, egli
era per potere ripetere ad ogni piede sospinto: questa creatura
soprannaturale da me nacque, io l'allevai, e sopra tutto, a me
s'inchina, da' miei cenni dipende, fa del mio volere sua legge, del mio
sole è Clizia; ora questi tre orgogli, rinterzati in un solo, ecco
furono ricisi di botto come la midolla spinale del toro dalla spada del
_mactadore_[17] nelle giostre di Spagna; epperò quanto prima gli
piacque, ora gl'incresce, anzi la detesta ed odia, nè vi ha speranza di
riconciliazione perchè non si tratta già di affetto; il quale comecchè
calpestato pur vive, e sbraciandone le ceneri possa divampare; no,
dacchè l'orgoglio facendo i conti, la somma non gli torna più, la cosa è
ridotta al _laus Deo_. Non è tutt'oro quello che riluce, avverte il
proverbio, e bene; nel modo stesso non ama tutto, uomo che si
appassiona, e se noi sapessimo o volessimo investigare la varia,
moltiplice e spesso contraria sorgente degli umani affetti, quanti
disinganni risparmieremmo a noi, e querele inani, e non giuste o almanco
poco sagaci rampogne. Ottimamente quindi il Marchese d'Ayerba affermava
la sua figliuola morta.

                *       *       *       *       *

-- Reverendo don Ignazio assettatevi là su quel seggiolone di faccia a
me; e voi Diego portateci il cioccolatte, e poi lasciateci soli.

Il degno prete, che era di quelli che hanno il diavolo nell'ampolla,
notò di posta che il Marchese sbalestrava, però che si accostasse l'ora
del pranzo, nè pareva che il cioccolatte c'incastrasse; tuttavia siccome
il cioccolatte, a fine dei conti, non può considerarsi come una sassata,
così lasciò andare tre pani per coppia, e senza uno scrupolo al mondo si
bevve il ciotolone con tal pro da mettere pegno che se l'aríeno lasciato
fare, si sarebbe bevuto tutto di un fiato anco l'altro. Siccome il
Marchese fin qui, dopo le prime non aveva profferito altre parole, nè
sembrava che ne avesse voglia, così il degno parroco ricorse ai luoghi,
che chiamerò comuni, ai frati come ai preti, per attirare a sè l'animo
di lui; piegò pertanto l'omero manco, e dalla tasca destra dietro la
tonaca trasse fuora la scatola forbitissima d'argento, la quale dopo
avere ciondolato fra le mani un pezzo, aperse in guisa che stridesse, e
così aperta e colma di tabacco di Siviglia la offerì al Marchese
d'Ayerba, ma il cervello del Marchese viaggiava lontano di costà un
miglio; allora egli toltane una grossa presa se la cacciò su pel naso
con tale uno strepito che le trombe del giudizio universale non faranno
maggiore; nè ciò giovando piegò l'omero destro, e dalla tasca sinistra
della tonaca estrasse il moccichino artatamente piegato a mo' di spola,
lo spiegò, lo resse alquanto pe' due angoli superiori, lo guardò, se lo
recò sopra le palme aperte, poi ci tuffò dentro il viso tutto, si
strinse il naso trombando con tanto rumore da smovere il palazzo dalle
fondamenta, ed anco questo non menò a nulla; allora ripiegava su le
cosce il suo fazzoletto riunendone i quattro primi angoli nel centro, e
poi i secondi, per ultimo lo rotolò rifoggiandolo a spola, e così
ridotto con ambedue le mani se ne strofinò il naso a destra e a sinistra
con tale e tanta furiosa perseveranza da fare supporre, ch'egli
possedendo il naso di rame, avesse preso a cottimo di tirarlo a
pulimento; tempo perso, il Marchese correva sempre le poste con la
immaginativa; sicchè il curato giudicò venuto il tempo di mettere in
opera l'estremo partito, il rimedio eroico, quello che non gli aveva mai
fatto fallo, e fu uno starnuto, da rompere i vetri, da schiantare gli
usci, da mandare a gambe levate un uomo, uno starnuto cugino carnale
dell'urlo della Discordia, che quando si fece sentire in Francia, per
testimonianza autorevole di messere Ludovico, oltre i tanti paesi, da
lui ricordati, che lo udirono:

    »Rodano e Sonna udì, Garonna e il Reno;
    »Si strinsero le madri i figli al seno.»

Però il Parroco quando levava gli occhi lacrimosi alla faccia del
Marchese era sicuro di averlo per lo manco sbalordito, e s'ingannò,
imperciocchè costui continuasse a tenere gli occhi suoi volti in su,
privi di sguardo consapevole, battendo le palpebre senza posa, e le
labbra movesse a parole delle quali non si ascoltava il suono; premuroso
di venirne all'acqua chiara, e trepido tuttavia che non fosse senza
pericolo la faccenda capitatagli tra le mani, il Curato scotendolo per
le maniche e con gagliarda voce disse al Marchese:

-- Eccellenza! insomma, si può sapere, che cosa mai ella voglia da me?

Il Marchese come se altro senso non avesse vivo, eccetto quello
dell'orgoglio, rispose:

-- Don Ignazio, ricordatevi, che vi ho mandato a chiamare perchè voi mi
ascoltiate, non già perchè m'interroghiate; interrogare tocca a me.

-- Quanto a questo poi con tutto l'ossequio, che professo a vostra
Eccellenza, la Chiesa va innanzi ad ogni autorità, anco a quella del re.

-- Può darsi la Chiesa, non gli ecclesiastici; di questi il re ha fatto
nel glorioso regno bruciare parecchi, e ne farà, occorrendo, bruciare
degli altri.

-- Domando perdono a vostra Eccellenza, e' fu la Santa Inquisizione, che
gli ha fatti bruciare.

-- Anzi, domando perdono a vostra Reverenza, fu il re, proprio il re, che
li mandò al fuoco.

-- Niente; la condanna si partì dal Santo Officio...

-- Nulla; il Santo Officio per la esecuzione li commise al braccio
secolare.

-- Imperatori e re baciano i piedi ai papi comecchè nati da piccolo
lignaggio; e quegli terribilissimo, che siede oggi nella cattedra di San
Pietro, fu guardiano di maiali, con reverenza parlando.

-- Talora, anzi quasi sempre, accade a voi altri reverendissimi come
all'asino, che portava le reliquie...

-- Io non credeva, saltando su ritto tutto amaranto in faccia come i
bargigli del gallo, strillava il Parroco, io non credeva, Eccellenza,
che vostra signoria mi avesse invitato al suo cospetto per intendere
cose male sonanti e fetenti di eresia per quattro miglia d'intorno; no
per certo non mi doveva aspettare a questo da persona fin qui reputata
purissima e zelatrice della santa madre chiesa cattolica...

-- Vi ho dato a bere il cioccolatte; era fors'egli che putiva d'eresia.

-- Non sono le opere di Dio, Eccellenza, quelle che putono d'eresia,
bensì le opere e le parole degli uomini.

-- Da un pezzo in qua tutto mi cammina alla rovescia, proruppe il
Marchese, battendosi della mano la fronte, -- tutto! Io vi aveva chiamato
per cosa che tornasse in onore e in vantaggio della Chiesa e di voi...

-- La Chiesa, Eccellenza, non ha mestiero onori; ella capisce di
leggieri, che avendola onorata Dio, ella può molto di leggieri passarsi
di onori terrestri...

-- Così sia, quanto a onore; circa poi a utilità, signor Curato, io miro
che quando i padri nostri instituirono, o fondiamo noi altri cappellanie
e simili altri benefizi, la Chiesa suole compartirci a tutto pasto il
titolo di benefattori.

-- Sicuramente, perchè, che cosa significa benefattore? Significa fare
del bene; e bene anzi ottimamente operano quelli che fondano cappellanie
e prebende; ma sia benedetta, ciò non accade mica a titolo gratuito;
tutto altro, con onere gravissimo all'opposto qual è quello della salute
dell'anima del fondatore, il quale sovente, e lo sa Dio, noi proviamo
peso da rompere il filo delle reni a un elefante non che a un povero
sacerdote. Per me ho sempre creduto e credo, che la Chiesa si
mostrerebbe bene avvisata dove mandasse a monte tutti questi carichi,
valendosi del rimedio della lesione enormissima: se non se ne giova,
certo la muove il pensiero, che il suo regno non è in questo mondo.
Rincalza l'argomento in virtù delle decisioni dei sacri canoni, i quali
comandano ai sacerdoti di spartire ogni avanzo delle sostanze
ecclesiastiche ai poveri; però il danaro per le nostre mani passa come
l'acqua nelle grondaie. Non si confonda, Eccellenza, sa ella come si
hanno a definire propriamente i sacerdoti? _Salvadanai ambulanti dei
quattrini dei poverelli_....

-- Ecco qua riprese don Valente d'Ayerba, = e così dicendo buttava su la
tavola un sacchetto di pelle; = questi sono duecento ducati, ch'io
intendeva darvi, con altrettanti di vantaggio se non bastano, affinchè
parte ve li godeste per amor mio, e parte adoperaste per certa funzione,
ch'io avvisava volervi comandare.

-- Com'è così, muta specie: io innanzi tratto mi professo figliuolo di
obbedienza, e poi la carità, perchè la si possa dire perfetta, deve
principiare da sè stesso, e lo ha insegnato il divino Redentore. Troppo
in fine io mi do vanto di chiarirmi schiavo svisceratissimo della
illustre casa di Ayerba, onde mi attenti attraversare i savissimi e
piissimi partiti del nobile signor Marchese don Valente. Orsù via,
tregua ai prefazi, ed udiamo un po' che cosa piaccia ordinare a lei, e a
me avere in sorte di servirla.

-- Voi ammannirete un funerale quanto meglio saprete immaginare sontuoso;
le navate, gli altari, tutto insomma dentro coperto di gramaglie, e così
pure la facciata della chiesa fuori; non risparmiate torchi, candele e
pannelli; se dugento ducati non bastano, e voi... parmi avervelo già
detto, spendetecene fino a trecento, e a quattrocento, se bisogna;
intorno al feretro mettete scheletri a iosa: giù a piè della cassa il
drappellone delle armi di casa d'Ayerba, perchè la gente conosca
celebrarsi l'esequie dell'ultimo fiato della casa mia... oh! casa mia...

-- Come? Come? Come? Ripetè don Ignazio tre volte di rincorsa, e dicasi
il vero, con non mentito spavento... la signora Violante?

-- È morta.

-- Quando?

-- Stanotte.

-- E di che male?

-- Di morte improvvisa.

-- Mal di gocciola?

-- Certo, di accidente.

-- Oh! come caduca cosa la creatura umana nel mondo!

-- Caducissima.

-- E senza sacramenti?

-- Qualche sacramento pare ch'ella lo abbia avuto.....

-- Da cui? In qual modo? Sarebbe usurpazione dolosa, peccaminosa dei
diritti parrocchiali... io protesto... dite chi fu il temerario?

-- Io! dormiva; ne so quanto voi, ma questo chiariremo poi; frattanto
assettiamo la faccenda del funerale...

-- Assettiamola. Oh fiore di perfetta nobiltà innanzi tempo reciso! Arca
di tutte le virtù cardinali e teologali! Sole scomparso per lasciare
sepolti nelle tenebre quanti siamo qui in Napoli!...

-- Zitto! Qui adesso non vi ho chiamato a imbastire la orazione funebre,
nè la dovrete fare poi.

-- Vostra Eccellenza è padrona, anzi padronissima di commettere la
orazione funebre a cui meglio le piacerà, e capisco benissimo, che a
preconizzare tanta donna ci vuole bene altra dottrina che non posseggo
io, e tuttavolta l'ultima predica, che recitai in laude di Donna
Polissena principessa di Bisignano Sanseverino, contessa della Saponara,
fece trasecolare l'illustrissimo signore Cardinale Arcivescovo, che ebbe
la degnazione di picchiarmi su la spalla dicendo: -- bravo! da pari
vostro, voi non potevate immaginare di meglio. Ma ora che ci penso,
Eccellenza, e' mi sembra che noi mettiamo il carro innanzi ai bovi;
bisogna pure che provvediamo all'associazione...

-- Non importa.

-- Come non importa? O che la vuol ella lasciare in casa? Non si ha a
seppellire nel sepolcro della nobilissima casa d'Ayerba?

-- Non si trova in casa.

-- Come, non si trova in casa? Che novità è questa?

-- Violante... la mia figliuola, se n'è ita stanotte.

-- Come? Come? Come? O chi l'ha portata via?

-- Portata? No; ella se ne partiva da sè.

-- Come? La morta se ne andava da sè?... Ma qui dentro, Eccellenza, è
chiaro che io ci vedo un gran buio, -- e più si accingeva a dire, secondo
lo sforzava la indole sua parabolana, se non che levando gli occhi
s'incontrò in quelli del Marchese così sinistramente strabuzzati, così
corruschi di fuoco selvatico, che ei ne rimase rabbrividito fino nel
midollo delle ossa.

-- Insomma, brontolando, ripigliava il Marchese, se donna Violante si
trova in casa o fuori questo non ha da premere a voi...

-- Siamo d'accordo.

-- E nè anco, credo, se io voglia seppellirla o no...

-- E va bene...

-- Come altresì voi non dovete pigliarvi la scesa di capo d'informarvi se
donna Violante sia morta o sia viva...

-- Quanto a questo poi! scusi, vè! Eccellenza, o come vuol ella, che io
trascuri conoscere se sia morta la persona della quale mi si commette
celebrare il mortorio?

-- Signor Curato, voi mi uggite; badate qui; la mia signora figliuola di
queste due cose è una; morta o viva... lo contrasterete voi?

-- Anzi, confermo _totis viribus_.

-- Però se è morta, veruno dubiterà che le si debbano l'esequie...

-- Certo, la cosa cammina pei suoi piedi...

-- E se fosse viva, ditemi, signor Curato, non celebrava tutto un
convento di frati il mortorio alla sacra maestà dello imperatore Carlo V
vivo?

-- Eccellenza, tra porri e porri e' ci corre: lo Imperatore sta sopra
tutti...

-- Non è vero, noi altri d'Arragona sentiamo e sappiamo, che tutti
insieme uniti stiamo sopra lo Imperatore, e per ogni parte del mondo si
avrebbe a sapere come lo Imperatore non possa nè deva soprastare alle
cose di Dio. Davanti al Creatore nostro non ci ha Re, nè villano che
tenga; se può farsi concessione a quello. deve potersi fare anco a
questo, o ad alcuno.

-- Se io fossi Papa! Ma da Curato a Papa e' ci ha che ire... e le chiavi
per aprire e per chiudere, capisce, Eccellenza, il Papa a Roma se le
tiene per sè.

-- I Gerolimini di San Giusto erano frati, non pontefici...

-- Sicuro... senza dubbio... ma i frati in Ispagna non correvano rischio
di perdere il convento... mentre io novantanove per cento mi troverei
deposto dalla mia parrocchia...

-- Sicchè voi non volete celebrare il mortorio? --

-- Vostra Eccellenza comprende...

-- Alle corte, volete farlo, o non lo volete fare?

-- Ah! non posso...

-- Andate via.

Il Curato si alzò con le mani giunte, e dopo uno sguardo lungo e pieno
di passione volto al sacchetto della pecunia, sollevava gli occhi al
cielo così supplichevoli per un buon consiglio, che non avrebbe fatto
maraviglia se avessero spedito di lassù l'arcangiolo Gabriello a
portarglielo fresco fresco, uscito di forno allora; però il buon
consiglio gli venne, chè l'avarizia umana, massime dei preti, non ha
mestieri aiuto per pescare trovati capaci ad avvantaggiarsi; onde
curvando la persona ripigliava a dire:

-- Ecco... un ripiego per salvare la capra e i cavoli ci sarebbe...

Ma il Marchese con le ciglia aggrondate, gli occhi minacciosi, giallo
come uno scudo d'oro, col braccio alto sopra il capo e il dito teso gli
accennava sempre partisse. Il Curato, in mezzo all'avarizia e alla
paura, pareva sentirsi cotto da due fuochi; pure l'avarizia vinse, e,
fatto del cuore rocca, soggiunse:

-- La si lasci servire, Eccellenza, la si lasci servire...

-- Parlate via, e presto.

-- Noi faremo il mortorio a patto, che non sappiamo per cui...

-- Ma se lo sapete...

-- Non importa, basta che _in foro conscientiæ_ possiamo sostenere, che
non lo sappiamo, e questo noi otterremo quante volte celebreremo il
funerale _secondo la intenzione_ di vostra Eccellenza.

-- E non vi ho palesato di già la mia intenzione essere di celebrarlo per
la mia figliuola?

-- Non rileva, chè siffatta intenzione palesata io ricusai e ricuso
obbedire, ma la nuova intenzione segreta non incontra ostacolo nel suo
compimento.

-- E non vi trattiene la ignoranza della vita o della morte di donna
Violante?

-- Nè anco questo fa caso, imperciocchè tutto si riferisca alla vostra
intenzione la quale per me è libro chiuso...

-- E così parvi, che la faccenda cammini nelle regole?

-- Perfettamente... non ci ha dubbio; ed a voi forse non sembra? Che ci
trovereste a ripetere?

-- Diego! -- Chiamò il Marchese; al quale comparso su la soglia egli andò
incontro per bisbigliargli alcuno suo ordine sommesso aspettandone
l'esito su l'uscio socchiuso. Il Parroco, che con occhio spasimato
faceva all'amore co' ducati rimasti sopra la tavola, non vide come don
Valente sprangasse le imposte per di dentro, e meno ancora, che Diego
gli aveva porto la sua canna d'Indie sfoggiata di pomo di oro condotto a
cesello e di nappe seriche. Per giustificazione di don Diego cattolico,
apostolico, romano, quantunque nato a Valliadolid, io devo attestare,
ch'egli porse la mazza al suo Signore in buona fede, supponendo ch'ei
volesse recarsi fuori di casa, nella quale opinione lo confermò la vista
del cappello, che don Valente, quantunque come grande di Spagna, non si
cavava di capo se non per andare a letto, tuttavia quando lo visitava
qualche ecclesiastico, soleva riporre sul tavolino. Il Marchese, senza
disonestare con la prescia il baronale sussiego, si accosta al povero
don Ignazio, che dalle mille miglia non si sarebbe mai atteso a simil
tratto, e forte abbrancatolo pel petto comincia a rebbiare giù di santa
ragione. -- Fra paura e maraviglia tennero un momento stupido il Prete,
se non che il dolore presto gli ridonò moto e favella; bene spiccò salti
e dette urtoni, ma non gli riuscì scappare di sotto alla morsa delle
mani del Marchese; gridava sì e sgangheratamente, talchè gli urli
ferivano le stelle: = aiuto! soccorso! ohimè sono morto! mi ammazza! =
ma i servi guatavansi in faccia trasognati e si peritavano a penetrare
nella stanza; allora dalla disperazione reso ardito, don Ignazio
agguantò il collo di don Valente, e strinse con l'agonia del naufrago
che si attacca allo scoglio: brutti erano ambedue, sebbene con diversa
guisa, ma quando don Ignazio contemplò la faccia del Marchese farsi di
gialla infaonata come tumore lì lì per ischizzare, e gli occhi terribili
per bile, e per vene sanguigne rigonfie, gli cadde l'animo, e buttò giù
le mani; nel medesimo punto il Marchese sentendosi mozzare il fiato
aperse le dita, e don Ignazio potè sgusciargli di sotto. Il Marchese,
dopo essersi un cotal poco stropicciato il collo, ed avere tossito un
paio di volte quasi per accertarsi che durava sano il canale, riprese
lena, e levata la mazza continuò a menarla furiosamente in tondo; il
Parroco sorpreso dal nuovo turbinío, non sapendo a qual santo votarsi,
si dette a correre intorno alla stanza, e il Marchese dietro. Don
Ignazio urlava in tutti i tuoni, dal basso fino al falsetto:

-- Per Dio! Eccellenza, la smetta... sa ella ch'è scomunicata? E come!
Scomunica maggiore... _Si quis suadente diabolo clericum percusserit
anathema sit_... non ci è che ripeterci su... lo può riscontrare nella
causa decimasettima... questione quarta... parte seconda del _Decreto_
scritto da cui se ne intendeva... sa ella? Dal Graziano, e non le dico
altro.

Ma il Marchese o non udiva le parole del Prete o non ci badava;
cascavano le busse giù fitte come grandine; ben per don Ignazio, che don
Valente infuriasse privo del lume degli occhi, perchè dove delle
centinaia di mazzate che sferrava costui lo avesse colto con quattro,
pel povero Parroco era finita: io non so ben dire come la cosa andasse,
fatto sta ch'egli si aggomitolò pari allo spinoso, o piuttosto si
acchiocciolò, si ridusse piccin piccino incastrandosi nel vano di una
credenza; non per questo si rimase il Marchese, che anzi vie più
imperversando ridusse in tritoli cristalli, specchi, porcellane, mise in
ischiappe masserizie e suppellettili che valevano un tesoro.

Dopo molto spazio di tempo, così ordinando amici e parenti del Marchese,
accorsi al caso, i servi scassinarono la porta, e muniti quale di
cuscino e quale di materazzo furono sopra al Marchese, il quale tutto
molle di sudore, ammaccato, ed in più luoghi lacero balbuziendo, e con
le mani annaspando lasciò cadersi sopra la faccia; lo sostennero i
famigli, e con pietosa cura lo trasportarono privo di sensi sul letto.
Don Orazio, medico di casa, chiamato in fretta, arrivò tardi; costui
godeva fama meritamente di medico egregio e di cervello balzano; fattosi
presso allo infermo lo speculò da cima in fondo tre e quattro volte,
ordinò gli narrassero a modo e a verso tutto il successo, e mentre gli
astanti con maravigliosa ansietà aspettavano udire prescrizioni strane,
egli si strinse a questo:

-- Signor Diego, avvertite di bagnare all'infermo lo tempie con l'acqua
fredda, e mutategli spesso le pezzette: se ripiglia i sensi tranquillo
non lo sturbate e lasciatelo in quiete; se all'opposto, state pronti a
reggerlo e venite a chiamarmi -- e mosse per andarsene.

Allora fecergli calca intorno i parenti e gli amici industriandosi
scalzare l'animo del medico circa la gravezza del male, e se si sarebbe
guarito presto, e da che fosse derivato, frastornandolo con mille altre
domande del pari indiscrete; ma il Medico se ne sbrigava rispondendo:

-- Dubito che la infermità abbia rimedio; tuttavolta non si
sbigottiscano, però che le vostre nobili signorie non si accorgeranno
forse che il Marchese durerà ammalato: ad ogni modo, le assicuro ch'egli
non se ne accorgerà di certo.

-- Magnifico don Orazio, interrogava sommesso Diego il Medico,
accompagnandolo come si costuma fino su le scale, se me lo potesse dire
in quanti passi di acqua peschiamo col padrone, mi farebbe carità, sia
per l'obbligo a cui sono tenuto come cristiano e leale famiglio verso il
mio Signore, sia per provvedere, mi capisce, alle coserelle mie.

-- Capisco, signor Diego, capisco; prima dovevate dire per provvedere a
me, poi al padrone; voi non siete stato sincero; non voglio dirvi
niente.

-- Confesso che le cose mi erano uscite dal cervello arruffate, e la
vostra signoria le ha messe in ordine; però io sinceramente mi sento
attaccato al mio padrone: -- siamo invecchiati insieme.

-- Davvero?

E il buono spagnuolo si mise la mano sul petto e non rispose parola.

-- Or su! signor Diego, state di buono animo, che il Marchese non corre
pericolo al mondo; fin qui egli fece i fatti suoi con tanto poco
cervello, che io giudico, che continuerà a farli ugualmente bene senza
punto.

-- La si spieghi, magnifico don Orazio, perchè io non mi ci
raccapezzo....

-- E sì, che parmi avere parlato chiaro; vostro padrone è matto.

Dopo un piccolo spazio di tempo ad un fante di casa venne in capo di
esclamare:

-- O il reverendo don Ignazio dove sia ito? -- E un altro: io non lo so. --
Un terzo aggiunse: ed io neppure. -- Fosse scappato dal buco della
chiave? O dalla cappa del cammino? -- Ma s'era lui, proprio lui, che
esorcizzava le streghe, come volete che di punto in bianco vi sia
diventato fattucchiere e stregone? -- Non fa nè anco una grinza,
Simoncino ha colto nel segno; lo avrà ammazzato il padrone; andiamo a
vedere s'egli è morto o vivo. --

Andarono di conserva, e forse avrieno cercato, prima di trovarlo, un
pezzo, dove don Ignazio co' suoi lagni non gli avesse attirati a sè;
come diavolo potesse avere fatto a rannicchiarsi costà sotto non
capivano; s'ingegnarono con diverse industrie a trarnelo, e non
riuscirono; al fine gli levarono su di peso la credenza di dosso, e poi
stirandogli ora il braccio, ora la gamba, tanto lo sgranchirono da
tenersi ritto sopra la persona: reggendolo poi a manca e a destra sotto
le ascelle, lo avviarono verso la porta per metterlo in bussola e
trasportarlo alla canonica: però mentre ciondolava il capo come zucca
pendente da un pergolato, e traeva dolorosi oimei, non mancò di
ricordarsi dei ducati, e dire ai servi:

-- Fratelli in Cristo e figliuoli miei, mirate un po' se sono caduti in
terra certi danari che Sua Eccellenza volle darmi per celebrarne un
mortorio...

-- Per l'anima di cui? Chiese don Diego che tornava in cotesto punto da
accompagnare il Medico; e il Prete con la testa invasata in mal punto
rispose:

-- Per l'anima della sua signora figliuola...

-- O Gesù benedetto! anche quest'altro è ammattito. Donna Violante, la
Dio grazia, vive...

-- Vive sì... ma è morta... perchè capite... il mortorio non si può
celebrare eccettochè ai morti.... _tamen_ anco ai vivi, purchè defunti
_secundum intentionem_....

-- Povero don Ignazio, era tanto dotto! E adesso ammattito anco lui!...

-- E se non bastavano duecento ce ne avrebbe aggiunti altrettanti....

-- Vedete eh! notava il devoto don Diego, da un punto all'altro che cosa
si diventa? Procuriamo pertanto starci lontani dal peccato.

-- Perchè dopo donna Violante la casa d'Ayerba rimaneva spenta....
continuava il Curato.

-- Levate su presto di casa questo uccello di malaugurio. -- Via il matto
tristo... via.

Un febbricone da cavalli accompagnato da delirio assalse don Ignazio
appena posto a giacere, e quanto fu lunga la notte sognò un mulinello di
cataletti, di scudi e di legnate; ma le ossa rotte, anco cessato il
sonno, gli rimasero addosso.


NOTA.

  [17] _Mactador_ si chiama colui che ammazza il toro ficcandogli
  la spada tra una vertebra e l'altra sotto la nuca; deriva
  evidentemente dal latino; la nostra lingua non possiede questa
  parola con tale significato, possiede bensì il verbo _mattar_
  co' significati di dare scacco matto e confondere: però a
  Portoferraio ho udito, che si dice _far mattanza_ quando si
  ammazza una quantità di tonni secondo la commissione del
  soprastante alla pesca, che chiamano _Rais_.



CAPITOLO VIII.

Sangue romano.


Aveva le costole in pezzi, si cimentava a sentirsele ridurre in tritoli
peggio che mazzamurro, e nondimeno, assillato dal demonio dell'avarizia,
don Ignazio come prima potè si condusse al palazzo del marchese
d'Ayerba; barellava per via, pareva, che camminasse sopra brace accesa,
torceva in isconcie guise la bocca come se masticasse fette di limone, o
sorbisse aura di aceto, con gli occhi, con le spalle, con tutta la
persona scontorcevasi, divincolavasi quasi colpito dal malore, che ha
nome da santo Vito: e pur sempre coll'arco del pensiero teso ai dugento
ducati perduti, un po' malediceva la sua rea fortuna, un po' quella sua
smania di perfidiare, viziaccio vecchio per cui ne aveva rilevato più di
un carpiccio delle buone, e sua madre lo rimproverò sovente dicendogli:
Ignazio, tu cerchi il male come i medici. -- Ma ormai a naso tagliato non
valgono occhiali; però tentiamo, se questo strappo si possa rammendare,
e ne vale il pregio, perchè que' dugento ducati... e largheggiava fino a
trecento... poh! meriterei proprio la frusta su l'asino.... ma poniamo
solo dugento, farebbero proprio la mano di Dio. --

Queste ed altre tattere nel suo cervello almanaccando, costui arrancava
verso il palazzo del Marchese, dove giunto levò di sè le meraviglie tra
i servi, i quali lo credevano all'olio santo; non mancarono cotesti
tristi di dargli la soia, ma così sottile, che costui, comunque
maliziato quanto un famiglio degli Otto, non se ne accorse; -- e poichè
dopo alquante parole egli chiese vedere don Valente, risposergli,
crederlo difficile, tuttavia ne farebbero motto a don Diego; aspettasse
in anticamera. Siccome di aspettare in anticamera così crudo crudo egli
non si era mai sentito dire in faccia, massime di proprio moto dai
servi, argomentò e bene, che insolentendo la ciurma, il pilota non
reggesse più il timone. Non avendo don Diego trovato da opporre
impedimento, anzi reputando che potesse giovare, si fece incontro al
Parroco, e lo condusse al cospetto del suo padrone; don Ignazio pensò
rinvenire il Marchese giacente in letto, ma anch'egli cadde in errore,
dacchè spalancati all'improvviso gli usci della sala gli comparve
dinanzi. --

_Heu! quantum mutatus ab illo_: il tempo con un colpo di falce frullana
gli aveva levato dieci anni di stianto; le carni flosce gli cascavano
giù come impazienti di restare più oltre attaccate alle ossa; e di
livide si erano convertite in cenerine, colore sopra tutti prediletto
dalla morte; pure non fu il Marchese che gli recava maggiormente
stupore; maraviglia, stizza e paura gli fece l'aspetto del salone
convertito in cappella mortuaria, e ciò per consiglio del Medico, il
quale, comecchè con poca speranza, volle provare se non contrastando la
mania del Marchese, anzi secondandola, potesse raddrizzargli lo
intelletto. Andava la sala, parata di gramaglia, intorno piena di
cartelli ove ricorrevano le più strane inscrizioni, parto della mente
travolta del misero uomo, sebbene e' fosse più che verosimile, come
nello stato ordinario di salute non avrebbe saputo fare di meglio. Una
presso a poco diceva: _il Padre eterno avendo fatto la rassegna degli
angioli, trovò che uno di loro aveva disertato dalla bandiera dei cieli,
allora chiamò a sè la signora Violante mia figliuola per riempire il
posto vuoto:_ -- un'altra: _le stelle dispettando, che gli uomini
intendessero a contemplare gli occhi della illustrissima marchesa
d'Ayerba con più svisceratezza, che i raggi loro tanto vantati, glieli
hanno spenti in sempiterna notte... le astiose!_ -- Sentite questa: _I
dottori di santa madre chiesa mandorno a chiamare per espresso la nobile
erede dei marchesi d'Ayerba, la sapientissima donna Violante, per
risolvere un punto di teologia, ma se aspettano per licenziarla ad
apprendere quanto ella può loro insegnare, ormai si prevede, che non
calerà più dal paradiso, -- orgoglio ad un punto ed ambascia dell'eccelso
suo genitore_. -- Tanto basti, e tutto questo dettato in parole spagnuole
così strepitose da parere che sonassero il tamburo. Così è, ogni popolo
ha il suo debole; gli Spagnuoli trovano gusto a lanciare campanili
all'aria, e lo ha notato il _Brantôme_, che ha dettato un libro di
_rodomontate spagnuole_; se gli Spagnuoli raccogliessero quelle dei
Francesi ne compilerebbero due; ma provvidenza volle, che ognuno vedesse
il vizio dello amico, il proprio no, donde, la immaginativa di Plutarco
che il mondo fosse una processione in tondo dove ognuno portava i suoi
difetti scritti sopra un cartello appeso dopo le spalle. --

Ma quello che più strinse don Ignazio di affanno, e' fu la vista di un
catafalco in mezzo della sala, coperto di velluto con belle frange di
oro, la ghirlanda di fiori, e il crocifisso di argento sopra; di argento
parimente i candelabri intorno, ed il suo bravo scheletro da piedi;
niente insomma mancava, anzi ci s'incontravano di più parecchie urnette
di argento sopra i gradini del feretro, dove ardevano timiami fuori
dell'usato deliziosi a sentirsi. Don Valente se ne stava seduto accanto
al catafalco sur un seggiolone foderato di velluto nero cosparso di
lagrime di argento; teneva i gomiti appoggiati ai braccioli, e le mani
con le dita conserte, chiusi gli occhi, la faccia china sul petto, le
gambe altresì incrociate, e non diceva motto, non faceva atto, sembrava
nè anco alitasse: pareva, secondo il detto di Cosimo il vecchio dei
Medici, ei si avvezzasse a morire.

Don Ignazio aveva appreso a non fidarsi a cotesta bonaccia, simile al
villano di Salerno, il quale rifuggiva commettersi in balía delle chete
acque del golfo di Napoli dopo il naufragio dei fichi, però si adoperava
dalla lontana di richiamare per via di rumori l'attenzione del
mentecatto, e tante ne pensò, e tante ne fece, che per maledetta saetta
e' fu mestieri, che il Marchese aprisse gli occhi: conseguito questo
primo vantaggio il Parroco prese ad alzarsi, ad abbassarsi, a
coccoveggiare meglio, che su la gruccia non costumi la civetta, e non
approdò, chè il Marchese teneva pese e scure le pupille sopra di lui non
altramente, che fossero palle di piombo. Allora don Ignazio si appressò
risoluto, e con parole pietose in suono dolcissimo predicò un lungo
sermone, dove toccava un poco di tutto, del cielo, e della terra, dello
inferno, del purgatorio, e del paradiso, sopra i sette sacramenti fece
parecchie ricerche come il sonatore arguto passaggi e fughe su la
tastiera del gravicembalo; e favellando della penitenza, insistè molto
intorno la utilità della confessione, buona di estate e meglio
d'inverno, tentando di metterne la voglia nel Marchese, e così tratto
quel primo dado appiccare lo addentellato a faccende più utili; quando
capitò la eucaristia si slargò un miglio su la virtù delle messe; e su
quella delle elemosine disse cose da farne strabiliare i cani; tra le
altre, che quale praticava la elemosina non aveva mestieri di lavarsi nè
anco le mani e il viso, perchè la elemosina pensava a tenere netto così
il di dentro come il di fuori, e citò san Cipriano[18]: certo, ella fu
predica tra le belle bellissima e da disgradarne le più famose, almeno
lo affermò poi don Diego, che ritto sopra la porta ebbe la ventura di
sentirla intiera; ed hassi a credere, che avrebbe smosso il Marchese, se
non che toccandolo si accorse com'ei fosse caduto in profondissimo
letargo. Non ci fu rimedio, don Ignazio ebbe a lasciarlo alla rovescia
della mignatta, che questa casca quando è pinza di sangue, mentr'egli
tornossene alla canonica vuoto di fiato. Don Diego lo accompagnò fino a
capo di scala, e quivi sul punto di pigliare commiato da lui gli disse:

-- Reverendo, oggi abbiamo sperimento di cosa, che stimo di grande
utilità per la salute dell'illustrissimo signor Marchese.

-- E quale? rispose il Parroco, levando la faccia rischiarata da un filo
di speranza; io davvero non ce la so vedere...

-- Domando mille volte perdono, vostra signoria ha potuto di per sè
sincerarsene, il suo discorso conciliò nel signor Marchese un sonno
profondo....

Don Ignazio reputandosi uccellato, vibrò gli occhi rabbiosi contro
l'onesto cameriere, imprecando perchè non possedessero la virtù del
basilisco per poterlo stecchire sul tiro, ma la faccia di don Diego così
apparve ingenuamente sincera, così atrocemente benevola, che la speranza
del parroco, la quale si reggeva con grande stento a galla, si sommerse
allora nel mare dell'amarezza, e più non mise il capo fuori.

                *       *       *       *       *

La passione, che prima levò la cresta nell'anima di donna Violante al
rapporto dell'accoglienza ricevuta dal suo messo al palazzo del padre,
fu l'ira, la quale le persuase a tenersi oggimai chiusa in sè, ed
attendere che la venissero a cercare; ma presto sgonfiò per aprire il
varco alla paura, e questa di mano in mano così si estese, e mise radice
in cuor suo, che indi a un'ora la donna tutta raumiliata con mano
tremante scrisse la seconda lettera piena di tenerezza verso il padre, e
indusse, comecchè restío, il messaggiero a portarla di nuovo; il quale
infatti la portò, nè ebbe a provare il brutto tiro, che gli avevano
minacciato, ma neppure tornò con buone nuove, però, che don Diego, presa
la lettera gli dicesse con sembianza umana, il padrone per allora non
trovarsi al caso di leggerla; quanto prima gli capitasse il destro
l'avrebbe consegnata, e dove al signor Marchese piacesse darle
riscontro, sarebbe stato pensiero suo di farla consegnare a casa la
Duchessa; le quali parole in buon latino significavano ch'egli non
andasse a pigliarla; nondimanco l'onesto cameriere si era informato
della salute di donna Violante, certo un cotal poco alla trista, ma per
quanto sembrava non mica per manco dì affetto, bensì per paura, come
persona che si versi in cosa proibita, e che risaputa poi potrebbe
recargli danno.

Quante volte in coteste ore di passione la Violante si affacciò alla
finestra! quante in ogni lontano passeggere sperò il messo desiderato,
che tardi camminando vide poi col gemito del cuore trapassare oltre
senza pure avvertire a lei che aveva la morte dipinta sopra la faccia!
Immaginando ora, che un famiglio pedestre avesse mosso dal palazzo del
Marchese per portarle la lettera, si mise a noverarne i passi: e giunse
per fino, non potendo reggere allo spasimo cocente, a lanciarsi giù per
le scale irrompendo senza consiglio nel mezzo della via. Nulla!...
nulla!

Fosse morto il padre suo? E perchè? Ma sappiamo noi le più volte, perchè
si muoia? E quanto la passione picchi forte sopra un'anima, e quanto
un'anima possa resistere all'urto della passione? -- No, questo non era,
però che non avrebbero mancato di venirglielo a dire, e di corsa: _non
rimaneva lei erede?_ Ah! troppo di leggieri ella aveva creduto il suo
genitore placabile.... egli chiuso nella sua severità la respingeva, e
chi avrebbe ella posto adesso tra mezzo a raumiliarlo con mansuete
parole? Essa aveva atteso a farsi obbedire, ed anco temere dai famigli,
a farsi amare non aveva pensato mai... chi avrebbe creduto, che un dì
potesse avere bisogno anco di loro! Reietta dal padre come non sarebbe
stata giudicata enorme la sua colpa? Compassione finta, ed anco vera,
motti acerbi, o benigni, tutto stava per cascarle addosso come calce
viva. Senza credito, priva di aderenze, lacera nella fama, _povera!_...
chi sa che da un punto all'altro non la pigliasse in fastidio quell'uomo
stesso, il quale pure l'aveva condotta a tale stremo? E questo pensiero
proprio le strisciò sul cuore ghiaccio come la serpe; rimase disfatta la
misera donna; invano richiamava intorno a sè le sue virtù, ed anco i
suoi vizi; -- vizi e virtù erano disertati da lei; non ardiva levare la
faccia verso Paolo, il quale appariva rado, si tratteneva poco, e
passeggiava su e giù per la stanza senza fare motto. La natura l'era
stata avara di lacrime, o l'acerba educazione gliele aveva inaridite
dalle sorgenti; pigre le diventarono le membra, peso il capo, gli occhi
gravi, e inetta al sonno, prepotente la occupava la voglia di dormire;
un altro, ch'io dirò demonio, le si era cacciato addosso, lo sbadiglio
irrefrenato e continuo: di assenzio si volgeva per lei la prima luna del
matrimonio, e non bene ancora compito il quarto dì! Verso sera come se
rompesse la maligna incantagione, ella si sentì capace di prendere
qualche partito, ma così rinvenne il suo spirito spossato, così il suo
cuore giù in terra, che non seppe ricorrere ad altro che a replicare una
lettera a suo padre, mettendola dentro ad altra che mandò a don Diego.
Questa era un miscuglio di superbia vecchia e di umiltà nuova, pregava a
un punto e comandava, e non sapeva imporre compassione nè rispetto; col
padre poi i molti affetti, rotto l'argine, traboccavano, e gli diceva:
«per quanto amore portava alle cinque piaghe di Gesù e ai sette dolori
della beatissima Vergine le permettesse di condursi ai suoi piedi per
sentire le sue discolpe: avrebbe fatto toccargli con mano come se immune
di peccato ella non era, la fortuna avversa, o il demonio che fosse,
essercisi messo tra mezzo per ispingere lei improvvida dentro un abisso
di guai; temeraria per la sua parte la speranza del perdono, nondimanco
volere sentire pronunziare dalla sua bocca la condanna; avrebbe
acconsentito ad ogni pena più fiera, rassegnata a tutto, purchè la
salvasse dalla vergogna: a questo pensasse, che sangue suo era quello
che le scorreva dentro le vene: nè potersi lei coprire d'infamia senza
che alla nobilissima casa d'Ayerba ne venisse macchia non cancellabile
mai.»

Don Diego o per abito di riverenza o per bontà di animo non si accorse
dei fumi intempestivi di donna Violante, o se pure se ne accorse non li
curò, e presa la penna stette un pezzo in forse se avesse, o no a
risponderle; al fine ci si dispose, ed ammonì con parole succinte la
sciagurata Signora, come senza giovare a lei, e con rovina certa di sè
avrebbe porta la lettera al Marchese suo padre; nè lo stato di salute
nel quale egli si versava adesso avrebbe conceduto speranza di esito
profittevole; piuttostochè lettere gioverebbero l'autorità e
l'esortazioni di personaggi, i quali per costume dal Marchese fossero
tenuti in pregio: si attenesse a questo consiglio; e andasse persuasa,
intorno al padre suo stare persone che dei suoi affanni si affliggevano;
nè per loro si sarebbe rimasto di fare officio, che le tornasse in
benefizio.

Dalle oneste parole di don Diego ritrasse la Violante un cotal poco di
consolazione, e si rimproverò di non essersi mostrata con esso lui più
cortese; ruminando poi le cose avvertite nella lettera, quantunque
parecchie le rimanessero oscure, tuttavia deliberò attenersi ai ricordi
del buon famiglio; al quale effetto, avutane licenza dal novello sposo,
ella si fece a ricercare, nelle persone che avevano usanza in casa sua,
quelle, che le sembrava procedessero a lei più parziali; innanzi tratto
ricorse il suo pensiero a don Giovanni Cespedes cappellano maggiore
della cappella regia e confidò che, dove questi avesse preso a perorare
la sua causa, ella poteva consolarsi col detto _cosa ragionata per via
va_, pur questa speranza non ispuntò fiore, imperciocchè il segretario
di don Giovanni veramente l'accolse con un sobbisso di cerimonie, ma
informato del fine ond'ella veniva, prese a schermarsi allegando che non
sapeva se sua reverenza fosse uscita di casa, andrebbe a vedere; quindi
a poco di ritorno l'accertava, che per faccende di premura lo aveva
mandato a chiamare monsignore arcivescovo cardinale, e la bugía gli
camminava su per la faccia come una mosca.

La Violante scese le scale della Canonica col cuore stretto incolpando
la fortuna che proprio non ci aveva colpa, mentre il guaio veniva dal
prete, che allora non si credeva, o s'ignorava fosse senza viscere,
mentre adesso si crede e si conosce anco troppo; dopo scese le scale del
prete si erpicò per quelle del Giudice, e le parve duro; molto più che
avendo posta ogni sua speranza nel prete, giudicava perduto ogni altro
passo. Certo il Vicecancelliero Alfonso Crivella, secondo la sua indole
brusca, le favellò parole acerbe, taluna anco di strazio, ma vista
allibire la donna come panno lavato, smise ogni durezza, tuttavia la
chiarì del misero stato in cui adesso si ritrovava ridotto, a cagione
del suo trascorso, il Marchese; aggiunse nutrirsi poca speranza di
guarigione; e per riparare la maggiore ruina, forse il meglio era così,
dacchè come alienato di mente non avrebbe potuto privarla della eredità
delle sue sostanze: ormai che il male era fatto si sarebbe ingegnato di
rattopparla alla meno trista; e siccome la Violante piangendo
protestava, che avrebbe preferito le mille volte ramingare pel mondo
nuda, e mendica, che vivere nell'auge dell'opulenza a costo della
infelicità paterna; egli stecchito rispose, che tutte le secchie tirate
su dal pozzo gocciolavano, e tutte le donne commesso il peccato
piangevano; ma poi più benigno osservò, che a lei come figliuola, e
giovane, toccava dire così, e a lui come vecchio, e pratico della natura
umana apparteneva giudicare a modo suo; nondimanco stesse di buono
animo, che il bandolo di questa matassa arruffata, in un modo o
nell'altro lo avrebbe saputo trovare. Nè l'uomo dabbene mise tempo fra
mezzo, facendo fondamento non mica nella tenerezza del Marchese, e
neppure nel suo giudizio; tutt'altro, egli si assicurava nella compita
pazzia di quello, imperciocchè in simile caso per lui si sarebbe
procurato gli ponessero il curatore, e per simil guisa mettere in sesto
le faccende. Introdotto don Crivella al Marchese, secondo l'uso lo
salutò, e quegli duro; lo richiese come si sentisse, e l'altro più duro
che mai; si allargò in propositi, che conosceva per abitudine molto
caldeggiati da don Valente, e fu fiato perso; egli era lo stesso che
favellare al muro: al Vicecancelliero pareva ormai di trovarsi a
cavallo; però non volle, nè ragionevolmente poteva omettere il tasto
della figliuola, disse conveniente perdonarle il fallo involontario. A
tali parole, come se per queste sole gli rimanesse l'udito, il Marchese
rispose pacato: -- è morta.

-- Sicuro, rispondeva l'altro, non ci ha dubbio, ella è morta, tuttavolta
mi parrebbe più giusto ascoltare le sue discolpe che, contraffacendo
ogni _ius_ così divino come umano, condannarla senza sentirla prima in
esame.

-- È morta; replicava don Valente.

-- E non lo contrasto, ma anco i morti devono comparire al giudizio, e
per me metto pegno, che se voi citaste donna Violante, ella non si
rimarrebbe dal comparirvi dinanzi...

-- Potrebbe darsi, ma ora state a sentire un po' me, don Alfonso; e così
dicendo gli occhi del Marchese si schiarirono come se lo intelletto li
riaccendesse della sua luce: io so troppo bene, che la mia sciagurata
figliuola non è morta fisicamente, ma per me la tengo morta moralmente,
e voi, ed altri non meno autorevoli di voi, bene potrete turbarmi il
cervello già abbastanza stravolto, ma farmi mutare di proponimento voi
non potrete. Voi per giudizio universale celebrano uomo pieno di
dottrina, ed io l'ho creduto sempre a mia posta e lo credo, ma credo
altresì che non tutta la scienza si comprenda nei libri, così vero
questo, che io conosco a prova come voi non ci abbiate mai letto certo
ricordo, il quale insegna così: -- tra carne e ugna non sia uom che ci
pugna! --

Il Vicecancelliere rimase proprio su la botta; perse le staffe, e si
sentì confuso non pensando manco per ombra, che un lucido intervallo
avesse così alla sfuggita illuminato la mente del Marchese, onde mal
sapendo che cosa si facesse o dicesse, con mille riverenze ed inchini,
pregando venia se troppo si fosse inoltrato nelle faccende di sua
eccellenza, uscì.

Riferito l'esito della pratica alla Violante, appena possiamo con parole
significare quanto fastidio l'assalisse; certo grande l'era stato dolore
udire come suo padre fosse dello intelletto infermo, ma a cento doppi
più la trafiggeva il pensiero di saperlo adesso in ogni parte sano, e
pure così inesorabile nell'odio contro di lei; combattuta da tanto
spasimo l'assalsero fiere convulsioni, onde corsero per don Orazio, che
informato del caso, non si fece aspettare; avendola rinvenuta a tale da
mettere in grave apprensione, il medico dabbene la vegliò tutta la
notte, la soccorse con cristiana carità, nè quinci si rimosse, finchè
avendo la donna ripreso i sensi potè giudicare passato il pericolo:
innanzi di accommiatarsi però volle sapere la causa ond'era venuto tanto
sconcerto, la quale conosciuta, accertò la Violante, che il
Giureconsulto aveva preso un granchio; pur troppo il marchese d'Ayerba
aveva dato nei gerundii: perchè non si sarebbe mai indotto a credere che
uomo cristiano e padre, se bene in cervello, avesse voluto chiudersi le
orecchie per non sentire la voce del sangue; egli, che prestava allo
infermo l'opera sua conosceva pur troppo com'ei fosse alienato di mente;
avere già seco stesso disposto di tentare una prova per ricondurre il
Marchese al consueto stato di salute; forse il meglio era procrastinarlo
per un altro poco tempo, adesso volerlo anticipare per ismentire il
Forense, il quale, secondo l'indole solita dei forensi più trista dei
tre assi, altro non sapeva che pensare al male: gli farebbe toccare con
mano se respingere da sè la sciagurata figliuola, se ridurre una povera
creatura alla disperazione fosse lavoro da genitori sani, ovvero da
scemi.

In questo proponimento del medico ci entrava non sappiamo in quale
misura molta bontà di animo, ed altresì molta gara, miscuglio eterno di
bene e di male che governa le menti dei mortali.

Presi pertanto gli opportuni concerti, il giorno dopo per tempo si fece
a visitare il Marchese confidando trovarlo sempre a giacere, ma
s'ingannò, che quegli fino dall'alba si era condotto a vegliare il
feretro: non si rimase per questo, bensì mutate alcune parti del
disegno, si presentò a don Valente ponendosegli allato quanto meglio
potè leggero; gli parve assopito, epperò si mise con molta pazienza ad
aspettare, ma dopo buono spazio di tempo avendo egli, tratto un lungo
sospiro, aperti gli occhi, Orazio gli domandò:

-- Eccellenza, come si sente ella stamane?

Il Marchese lo sogguardò placido, ma non rispose niente.

-- Come abbiamo passato la notte?

Sempre silenzio; allora il Medico speculò il polso, e approfittandosi
della pacatezza dello infermo gli pose la mano sul cuore, e poi tentennò
il capo come se il sì e il no gli tenzonasse dentro; al fine parve
deciso, imperciocchè assettatosi di faccia al Marchese prese a dire:

-- Eccellenza, questo suo stato addolora il Vicerè, i suoi nobili
Colleghi e la famiglia desolatissima, e bisogna finirla.....

Soprastette alquanto, poi continuò; -- bisogna finirla, dacchè non
occorra causa per continuarla... no... davvero non occorre causa
ragionevole. Io comprendo ottimamente che la regina Giovanna (Dio abbia
in gloria l'anima sua), la regina Giovanna ava di S. M. il Cattolico
nostro re, vegliasse il capo del re Filippo suo consorte perchè era
matta...[19]

Il Marchese intese il volto come persona che ascolti con attenzione,
onde il Medico con voce alquanto più vibrata proseguiva: -- sicuro, era
matta... la povera Signora; quantunque poi nella sua follìa occorresse
connessione d'idee, conciossiachè estimando ella che il suo marito non
fosse morto, bensì dormisse, non pativa, gelosissima com'era, che
svegliandosi gli occhi di lui incontrassero altra faccia, eccetto la
sua. Ora, come vede, vostra Eccellenza non è matto....

-- No, la Dio mercede, io non sono matto...

-- Per lo appunto era quello che diceva ancora io.

-- Nè la sua preclarissima figliuola, donna Violante, è morta...

-- Chi afferma, chi, che la mia figliuola non è morta?

-- Lo affermo io, che la so viva...

-- Non è vero...

-- È verissimo, perchè io l'ho veduta.

-- Già... lunga e distesa nel cataletto...

-- No signore, su ritta, e parlante, e smaniosa d'inginocchiarsi ai suoi
piedi per domandarle perdono...

-- Giuro a Dio, voi mentite per la gola!

-- Giuro ai Santi che vostra Eccellenza è... in errore; ve l'affermo
viva.

-- No, è morta...

-- Ed io vi dico ch'è viva...

-- Ma sì... ma sì ch'è morta... o non istà ella riposta qui dentro?

-- Qui dentro non ci è nulla...

E così dicendo il Medico dava una solenne spinta al catafalco mandando
candelieri, torce, crocifisso, ghirlande, ogni cosa sossopra; rotolò la
cassa per terra, e staccandosene il coperchio fece manifesto come fosse
vuota. Al tempo stesso si udì fragorosamente aprire la porta di faccia,
e fuori di quella prorompere donna Violante co' panni onde apparve
vestita l'ultima volta, che si trovò con suo padre, e con passi
concitati, le braccia supplichevoli, la voce piangolosa precipitarsi
alle ginocchia del Marchese urlando disperatamente:

-- Perdono! Perdono!

Il Marchese d'Ayerba già si era ritto e tremava da capo alle piante; i
denti batteva e gli occhi, e ansava come persona a cui venga mozzo il
respiro, salvatico, e trasognato agitava le mani per grancire qualche
cosa; al nuovo strepito, all'urlo, alla vista improvvisa, a mo' di
stecchi gli si drizzarono sopra la fronte i capelli, e dopo avere in
orribile guisa dilatate le palpebre, gli s'irrigidirono le membra, e
cascò giù come corpo morto.

E per morto lo tenne anche Orazio, il quale smaniava quasi rampognando
sè stesso:

-- Il troppo _amen_ mi ha guasto la messa... e te lo diceva l'arte, che
la corda non era da tirarsi con mano atroce... su, don Diego, vediamo di
adagiarlo sul tappeto... mettetegli sotto il capo il guanciale. Voi
altri andate per le fasce e la catinella....

E siccome la Violante, a posta sua più morta che viva, andava
domandando:

-- Ma l'avrò il suo perdono? Dovrò perdere il padre mio senza essere
perdonata?

Il Medico rispondeva:

-- O signora mia, io temo forte, che il signor Marchese in questo mondo
non aspetti più perdonare nè essere perdonato.

Il sangue spicciò vivido dalla vena, sicchè con quello ed altri
argomenti il Marchese anco per questa volta fu restituito alla vita,
però sembrava ci volesse fare piccola fermata; verso sera, mentre temeva
il Medico si aggravasse il male, quasi la Natura avesse preso a compito
di uccellarlo, lo infermo migliorò tanto da giudicarlo la dimane fuori
di pericolo. Erano duri i nostri vecchi a morire. Tuttavia don Orazio,
sia che a cotesto miglioramento non si fidasse, o come in malo odore
intorno alle faccende della fede, procedesse cauto per non inciampare
co' preti, ordinò si amministrassero allo infermo i sacramenti.

Pregato, andava don Alfonso Caraffa arcivescovo di Napoli, uomo provato
dalle sventure, e per pietà riputatissimo, perocchè quel severo suo
parente Paolo IV se lo fosse tenuto al fianco educandolo nel timor di
Dio, le quali cose però non valsero a salvarlo dalla prigionia, nè
dall'accusa, nè dalla condanna, travolto nella ruina dei suoi: venuto al
letto dello infermo, da prima con parole soavi lo confortò a
rassegnarsi, e a questo il Marchese di leggieri assentiva; dipoi
aggiunse, che bisognava perdonare; e poichè l'altro pertinace accennava
di no, egli rincalzando diceva: -- pensate, signor Marchese, che Cristo
ordinava ai suoi discepoli perdonassero non sette, nè settanta, bensì
settanta volte sette; ora voi ci ricuserete a perdonare una volta? E
come un uomo mortale vorrà conservare odio immortale? Rammentatevi, che
fra poche ore voi vi troverete davanti al Giudice eterno trepidante per
una parola di perdono...

-- Se non mi vuole perdonare non me ne importa niente, io non perdono....

-- Non lo dite, figliuolo, cacciate via simili consigli, che vi
suggerisce il demonio... Perdona Dio ch'è perfetto, e non vorrete voi,
uomo pieno di colpe, di cui i peccati superano forse i minuti della
vostra vita?...

-- Fo voto a Dio, voi mi oltraggiate...

-- Io non vi oltraggio, bensì vi ammonisco cristianamente, e vi
raumilio...

-- Non intendo essere umiliato... io...

-- Aggiungete agli altri peccati anco quello della superbia per farvi più
degno di comparire al cospetto del Demonio, che meritò appunto per la
sua superbia, di re della luce, essere tramutato nel re delle tenebre;
chinate la dura cervice innanzi a me...

-- A voi?

-- Sì, a me, che rappresento in terra il Creatore dell'universo...

-- Levatevi di qua; voi mi rappresentate sangue di omicidi della propria
moglie, voi uscite dal ventre dove si fabbricano i calunniatori...

-- Marchese d'Ayerba, che dite voi?

-- Io dico, che tu sei un avanzo di corda, e di mannaia... -- Va a
pregare pel tuo zio cardinale strozzato, o per l'altro di Palliano
decapitato...

-- Il diavolo vi tenta... -- Marchese, il diavolo... e qui lo segnava
divotamente, onde l'altro vie più indracato...

-- Va via... va pentiti per te... e prima rendi alla Camera apostolica i
venticinquemila ducati che le hai rubato...[20]

All'atroce ingiuria il buono Arcivescovo vacillò come persona percossa
sopra la testa, e sebbene d'indole mansueta, parve sostenere dentro di
sè una lotta per prorompere, e forse lo faceva, se di repente don Diego
avventandosi al Marchese non lo avesse chiuso nelle sue braccia, come
dentro una morza, e don Orazio, pigliando lui per la veste, non lo
tirava fuori della camera; imperciocchè il Marchese colto da impeto di
frenesia, cacciati lungi da sè lenzuolo e coperta, spingeva le gambe
ignude a terra dal letto, e con le pugna chiuse minacciava il cardinale.
Tanta era la sua furia, così veemente l'accesso della frenesia di
costui, che fu mestieri l'aita di parecchi servi a tenerlo fitto nel
letto; le bende squarciaronsi, il sangue scorse a rivi, prima che,
caduto in deliquio, il Medico potesse fasciarlo da capo; quando, indi a
qualche giorno, potè articolare parola con un filo di voce talora
ripeteva a sazietà: = no... no... non voglio perdonare; = e tal altra; =
è morta... è morta... è morta...

E Paolo intanto, che faceva? Egli andava, veniva, consigliava, spendeva
a larga mano moneta ricavata dalla vendita degli ultimi arnesi di pregio
rimastigli, a modo del giocatore avventurava l'estremo scudo sopra
l'estrema carta, e poichè lo stringeva la necessità di vincere, secondo
il solito non vinse; tutte le sorti gli mostravano il viso dell'uomo
d'arme; non gli approdò l'espediente del forense, che confidava nella
insania del Marchese, gli riuscì fallito l'altro del Medico, che aveva
fatto capitale sopra il ricuperato intelletto di lui. -- Quanto più
metteva industria a districare il nodo, più gli si aggruppava fra le
dita, e questa volta di filo di ferro.

La Violante lo voleva al lato, in pochi dì la sventura l'aveva
ammansita, dacchè una prova o due di lei partoriscano maggior frutto che
i quaresimali di quanti frati domenicani predicarono al mondo; umile,
rimessa, proprio non pareva più quella, e quantunque la passione
nell'animo suo avesse divampato al soffio della paura di perdere Paolo,
e di tornargli incresciosa, ora ch'ei la vedeva reietta, e forse appunto
in grazia di questa paura, con tutte le viscere adesso lo amava.

Però mirandolo aggirarsi torbido per la stanza, sovente lo chiamava a sè
co' dolci nomi che suggerisce amore, e lo veniva ad ogni momento
interrogando se l'amasse, se per lei sentisse quello che per lui sentiva
ella, frequenza che, carissima sul primo ardore, appena rimette un po'
del suo bollimento tu provi mortalmente uggiosa, e fa fuggire a tiro di
ale amore di là donde egli saria partito di passo e tardo; lo supplicava
le sedesse al fianco, lo blandiva, le chiome gli componeva, lo baciava,
ed egli si lasciava fare, ed anco le corrispondeva, però che il cuore
umano per salvatico che sia bisogna che alla carezza di donna amante
acconsenta, ma intanto che Paolo con gli atti sta allato alla sua
consorte, col pensiero vaga lontano da lei, e considera i fieri casi,
che lo premono, e più da vicino lo tribola la stretta del non sapere
come tirarsi innanzi domani, imperciocchè Ciriaco non meno confuso di
lui gli avesse detto non avanzargli più nè anco uno scudo: mentre così
internamente si rode, la mano candidissima della donna dalle chiome
scendendo gli si posa sopra la guancia, e nel passaggio gli sfolgora gli
occhi con un baleno di luce; egli allora spinto da subito moto
gliel'acciuffa e cova con ardente sguardo le anella, che molte, e
preziose ne ornavano le dita. Il bisogno fa l'uomo ladro, ed egli, che
in onta ai sofismi della sua coscienza era stato ladro anco senza
bisogno, sentiva ribollirsi dentro il sangue, sicchè stava lì lì per
darle l'arraffata, quando la Violante inuzzolita da cotesto atto, che
suppose vezzo, favellò:

-- O Paolo, con questa mano io ti detti il mio cuore...

Paolo rabbrividì come se fosse stato colto col furto addosso, e per
nascondere il suo turbamento, altro non seppe che baciarle la mano
quattro volte e sei, onde Violante vie più commossa:

-- Stringila, Paolo mio, stringila come testimonio di fede, che non ti
verrà mai meno: possa io dire sempre così della tua! Se le cose e le
persone noi teniamo care alla stregua di quello che ci costano, io
comincio, cuore mio, a costarti molto, e pur troppo lo comprendo, sai? --
E tu pure, Paolo, e sallo Dio, tu pure mi costi. --

E l'altro incapace a dare risposta che gli paresse buona, baciava e
ribaciava la mano, per lo che la donna uscì fuori con queste altre
parole:

-- E' vi fu, e non ha molto tempo, un'ora in cui non ti bastò baciare la
mano, ed io te ne feci rimprovero, dovrei adesso adirarmi teco perchè ti
basta?

-- No, Violante, no, ma sarebbe da ingrati disprezzare la chiave dopo che
vi aperse la porta del palazzo; -- e sì parlando l'abbracciò, e dopo
averla baciata su la bocca, allegando certe sue scuse, toglieva commiato
da lei; caso mai tardasse durante la notte, non istesse in pensiero, che
doveva trattenersi a lungo con persona amica, la quale all'alba si
partiva per Roma. Niente di questo era vero, ma in quel momento non si
sentiva forte da dominare la burrasca scatenatagli dal diavolo
nell'anima eccettochè fuggendo; Ciriaco, senza aspettare invito, gli
tenne dietro secondo il solito. Chiuso in sè, senza dire parola, di
tratto in tratto bifonchiando, Paolo si dilungò pel lido del mare, non
avvertendo l'ora, nè la stagione. Arrestandosi allo improvviso, come se
in cotesto punto risensasse, a voce alta esclamò:

-- Dove sono?

E Ciriaco fedele rispose:

-- Egli è un bel pezzo, che camminate su e giù come un cane, che abbia
preso il fungo di levante; vedete; ci troviamo a Chiaia; e fo conto che
se non sonò la mezzanotte, poco più abbia a stare.

-- Torniamcene a casa Ciriaco; dammi braccio; ma sai, che ci siamo messi
in tale selceto, donde mi parrebbe miracolo cavarne le gambe a
salvamento?

-- Pare anco a me, che abbiamo fatto un buco nell'acqua...

-- Capisco che le sono faccende, che col tempo si accomodano, ma per ora
arrovello a trovare una via per uscire di angustie: danari...?

-- Nè anco un ducato...

-- Gioie...?

-- Quelle che vi procureranno i figliuoli quando ne avrete...

-- Tu che mi amasti sempre come fratello, Ciriaco, ora stillati il
cervello, e consigliami un po', che pesci io mi abbia a pigliare?

-- Caro signor Paolo, che io vi ami come fratello e più, la è cosa, che
si trova anco su i boccali di Montelupo, ma non mi sento al caso di
consigliarvi: tuttavia, parlando secondo il cuore, non secondo il
giudizio, mi sembra che qui a Napoli vi bisogni stare, perchè _in
primis_ a Roma con Sisto V non tira vento per le nostre vele; e persone
per salutarci non ci desiderano, e amministratori per renderci conto
delle nostre sostanze non ci temono: qui, cotesto indemoniato di
Marchese dovrà alfine dare la capata; la batterà fra mesi; forse tra
settimane; ed una volta ito agli alberelli noi entriamo in possesso dei
suoi beni: alla signora Violante, povera donna, che va intabaccata di
voi come gatti in fregola, daremo ad intendere, che i pennati[21]
volano, e co' panni nuovi rifaremo le stanghe, procurando, se ci è
verso, di scampare quel maledetto nodo scorsoio, che non mi esce mai
dalla fantasia...

-- E dálli con questo nodo scorsoio! Per guarirti della paura del
capestro meriteresti che ti tagliassero la testa stanotte; come in
premio di questo bel sermone meriteresti ch'io ti cacciassi capo fitto
in mare; non ricordi che mentre il grano cresce l'asino muore?... Tu
pure soventi volte lo hai rammentato a me?

-- È vero; ma che volete? non rovesciate la colpa addosso a me; ciò
accade perchè proprio il mal panno non offre cimosa. Io mi sarei
tagliato la mano, prima che chiudere di testa mia la porta del palazzo
del Marchese, ma non so disobbedirvi; me lo diceva il cuore, che noi
andavamo a metterci a sedere sopra i cavicchi con quei diavolii di finti
ammazzamenti e andirivieni su e giù per la via...

-- Taci se non sai dirmi altro, danno fatto guado chiuso, e qui voglionci
scudi non guai...

-- Se col mio cuore si potesse battere moneta, io vi direi pigliatevelo e
conciatevelo; se la mia pelle fosse di ermellino, possa morire senza
sacramenti se io non mi scorticherei per voi.

-- Se almeno fossimo al tempo in cui il diavolo comprava le anime!

-- Lasciamo stare questi tasti, Paolo, che non sappiamo come nè quando ci
toccherà a morire; le disgrazie, diceva il venditore di orvietano,
stanno sempre apparecchiate come le tavole degli osti; non ischerzate
co' santi...

-- E chi rammenta santi? Mi sembra avere discorso del diavolo; pure sta
quieto, Ciriaco, tante sono le anime le quali si danno _gratis_ al
diavolo, che questi ormai non sa più dove ficcarle, ed io so di buon
luogo, che ei pensa aprirne canova a rinvilìo. Se non mi capita meglio
torneremo a Roma...

-- Dio ci scampi e liberi, ora che il vento schianta gli alberi saranno
risparmiate le foglie? Vedete non ha potuto reggere il Mangone, il
quale, dái dái, ebbe a trovarsi alla delizia di sentirsi attanagliato,
arrotato, e per ultimo mazzolato qui in Mercato...

-- Storie vecchie, Ciriaco; da cotesto casaccio in poi è già trascorso un
anno, e intanto è sorto Marco Sciarra nello Abruzzo, e seco va il
fratello Luca che vale oro quanto pesa; nè papa Sisto con le sue
bravate, nè questo don Giovanni di Zunica, comecchè d'accordo con Roma,
la possono sgarare con esso loro, e bada, che li protegge a spada tratta
il signore Alfonso Piccolomini da Venezia: insomma sembra a me, che ci
avanzi stoppa per filare, e tu avresti a sapere che chi ha paura che le
passere becchino non semina mai panico...

Mentre così, per divertire tetri presentimenti, alternano costoro
colloqui in apparenza giocondi, ecco nella via Toledo comparire da
lontano il chiarore di torce a vento. Chi sia che va a cotesta ora così?
Certo qualche gran signore ha da essere; forse egli uscirà da festino,
da nozze, o da battesimo: Paolo e Ciriaco per istinto di bandito, o per
usanza vecchia si addopano al cantone, gli occhi tutti intesi, e gli
orecchi; mano a mano che si accostava il lume essi videro un fiero
barone di vesti sfarzoso, e di ordini cavallereschi, e di gioie, con
infinito sussiego seduto dentro una lettiga parata di damasco bianco; lo
precedevano di alcuni passi due staffieri, che portavano le torce, e due
altri di forme da Morgante sostenevano la lettiga; tutti erano
abbigliati ad una livrea celeste e argento. Appena Paolo se li vide
venire da presso si volse a Ciriaco, e gli disse sommesso:

-- Mira! il diavolo protegge i suoi devoti, Dio fece trovare al patriarca
Abramo un becco con le corna, a noi il diavolo mette innanzi un patrizio
co' tosoni.... ti basta l'animo di dare dentro...?

-- Magari!

-- Che armi ti trovi addosso?

-- Il coltello. Non basta?

-- E' non ci ha da scialare; pure buttati addosso agli staffieri che
portano le torce; agli altri penso io, e bada a spegnere subito le
torce; caso mai ci dilungassimo l'uno dall'altro, nel buio ci riuniremo
al grido di...

-- Maria.

-- Perchè Maria? Piuttosto Tuda...

-- No... Maria.

-- Ebbene, Maria, come vuoi...

Maria e Tuda per ambedue costoro nomi fatali. -- Poi ultimo avvertimento,
che ormai il tempo non concedeva lunghe parole, per parte di Paolo fu:

-- Tu spoglia i servi, io il gentiluomo...

-- Ammazza l'orso e poi vendi la pelle, che dal fare al dire ci è che
ire, disse Ciriaco; poi tratto il coltello gridò: su, addosso...

-- Addosso...

-- Signore vi raccomando l'anima mia! strillò un povero staffiere
investito da Ciriaco con una coltellata nel cuore; cotesto misero si
struggeva di voglia di tornare a casa per rivedere la moglie, la quale
pure ieri gli aveva partorito il primo figliuolo, sicchè anco a costo di
rilevarne dal padrone una carta di male parole, e forse qualche tristo
fatto, allungava il passo, quasi intendesse vincere il palio; quando per
avere precorso troppo gli toccava a fermarsi, od a tornare indietro,
sudava acqua e sangue: ed ora dopo essersi accartocciato sulle selci
della via come foglia esposta all'ardore del fuoco dà parecchi tratti,
mano a mano più languidi, e con un soffio fumoso cessa sospirando:

-- Maria!...

Cotesto era il nome della moglie, che lo aspettava; quello del figliuolo
non potè profferire o perchè gliene mancasse la balía, o perchè non
glielo avesse anco imposto al battesimo.

Paolo, brandita appena la spada, vide i due seggettieri scappare
vilissimamente abbandonando il padrone, il quale sguizzò fuori con
singolare prestezza, e tratto a sua posta la spada, si mise su la
parata: qui cominciò un duello nelle regole, ora schiarito dalle torce,
ed ora, pel subito eclissarsi di quelle, sepolto nel buio; nè stette
guari, che gli schermidori conobbero l'un l'altro nella pratica delle
armi spertissimo; onde presero a combattersi con molto riguardo; certo
lo svantaggio pendeva dalla parte dello assalito, però che la sua spada
cinta al fianco per pompa, di lunghezza e di costola non sopportasse
paragone con l'altra, molto più che veniva trattata da mano di ferro;
cosicchè tra per questo difetto della spada e la sorpresa dell'animo, il
cavaliere stava su le parate come persona, che si chiamerebbe
arcicontenta a cavarsi d'impiccio. Dal lato di Paolo s'instava con furia
premendogli finirla, ma appunto per questa furia s'impigliava non
ritirando dalla sua superiorità tutto il profitto che avrebbe potuto; il
gioco procedeva netto, chè non ci era luogo a finte, o a botte
arrischiate per tema di smarrire il ferro, e trovarsi poi quando uomo se
l'aspettava meno una stoccata nel mezzo del petto. Deve dirsi a onore
del cavaliere assalito, che sebbene non sapesse rendersi capace dello
assalto inopinato, non gli parendo avere nimicizia con veruno, e non
potendo in mille apporsi per trovare la causa che moveva l'assalitore,
tuttavia egli, mirando il suo avversario solo, non volle interrogarlo
per chiarire se lo avesse tolto in iscambio; molto meno chiamare per
aiuto; proprio da _idalgo_ a tre peli: però nonostante simili acutezze
di puntiglio, che soglionsi appellare _cavalleresche_, e se si
qualificassero _bestiali_, non sembra che ne potesse impermalire la
gente, lo assalito dava indietro per levarsi vie via di misura; e non
gli valse, che qualche sdrucio nel braccio e nella coscia lo ebbe a
patire; così di passo in passo si trovò con le spalle alla porta di un
palazzo, e ormai lontano dal luogo dove ardevano le torce. Ora o che
tratti allo strepito dell'armi avessero aperto l'uscio per di dentro, o
per inavvertenza fosso rimasto socchiuso, la imposta cesse; però il
cavaliere accortosi, in meno che non balena, del destro il quale gli
porgeva la fortuna, entrato nello androne, buttò via la spada e, con
quanto gli avanzava forza nelle mani, sbatacchiò la porta in faccia a
Paolo. Costui non era uomo da perdere tempo in querele; appena nelle
strette prorompeva in una imprecazione, e via; si ritrasse dunque con
celeri passi chiamando ad alta voce _Maria_, sebbene non si potesse dar
pace come Ciriaco, a seconda del comando, avesse trascurato di spegnere
le torce; ma presto gli tremò il cuore, quando intese con flebile voce
rispondersi: _Maria_: precipitati i passi, ecco, spariti bussola e
staffieri, mira giacersi in terra un morto e un moribondo: questi
Ciriaco.

Il caso era avvenuto nel modo che dirò: mentre Ciriaco attendeva a
cavare il coltello dal petto allo staffiere, che dopo averci penetrato
fino al manico si trovò preso tra le costole, l'altro staffiere pronto
ed audace, accostatosegli di fianco gli spinse con ambe le mani la
torcia a vento dentro la faccia pigliando di mira l'occhio sinistro.
Terribile l'urto e la ferita, la quale subito si fece oltre ogni
immaginativa spasimosa a cagione del bitume ardente rimasto ingrommato
intorno alla tempia e alla gota; mugliando peggio di uomo messo al
tormento, Ciriaco lasciò cadersi di mano il coltello aggirandosi sopra
di sè come cane che si morda la coda; e lo staffiere, che lo mirò concio
a quel modo, raccolse il pugnale, e così in fretta in fretta gli appiccò
un paio di coltellate nella pancia da farci passare l'anima in carrozza.
Ciriaco cadde a sua posta esclamando, Maria, e lo staffiere corso dietro
ai portantini li ricondusse sul posto a pigliare la seggetta, nè udendo
poi chiamare per aiuto o rumore di ferro, riputò, che il padrone si
fosse riparato correndo a casa; per la quale cosa non volendosi trovare
alle peste con la Corte, che era tale prunaio allora, nè troppo se ne
differenzia adesso, che chi ci entra non ci esce senza lasciarci almanco
qualche bioccolo di lana, insieme ai compagni pigliò il puleggio.

Alla voce di Maria Ciriaco risensa, che ormai il suo spirito cominciava
a vaneggiare, e vinto dallo spasimo della morte vicina, con debile voce
chiamato a sè Paolo così gli disse:

-- Signor Paolo, bisogna che cessiamo di fare cammino insieme; chinatevi,
che la lena mi manca, e se la vita per isbaglio prende qualcheduno dei
fori, che mi hanno aperto più del bisogno, temo che non potrò
raccomandarvi quanto importa che operiate.

-- Sta di buon animo, ti caricherò su le spalle, e a casa ti medicheremo
per modo, che tornerai saldo meglio di prima.

-- No, Paolo, non ci perdiamo dietro alle farfalle: codesto che voi dite
non può effettuarsi, primo perchè sarebbe tempo perso; secondo perchè
tanto sangue mi sgorga, che non lo potendo rattenere, lascerebbe la
traccia sopra la via; terzo, se v'imbatteste nella Corte mentre me non
aiutate in nulla, voi perdereste senza pro; quarto, quando non morissi,
come sento che fra pochi minuti morirò, la qualità di taluna delle mie
ferite ci servirebbe di spia; altre ragioni ho in serbo, e ve le potrei
esporre, ma nella mia condizione di moribondo chiedo in grazia di
passarmene.

-- Se la morte fosse cosa, io la vorrei strozzare...

-- E se si potesse io vi darei una mano; ma la morte non è cosa,
quantunque disfaccia tutte le cose, però bisogna sopportarla in santa
pace. Alle faccende dell'anima ho rimediato alla meglio da me stesso, ma
non credo avere mosso troppi passi verso Maria, piuttosto confido, che
Maria potrà farne troppo più verso me, e così sia. Ora pestate su la
torcia e spegnetela, dacchè quanto vi consiglierò adesso, al chiaro non
si potrebbe compire... e... e credo difficilmente si compirà anco al
buio... Bene: qui, più vicino, qui, se fra due minuti sarò morto... se
no vivo, pigliate il coltello, e tagliatemi netto la testa, che
porterete con voi; domani trovando il mio tronco decollato non potranno
riconoscerlo... ci avevate pensato?

-- Ci ho pensato...

Passarono alcuni secondi, e si saria creduto che la notte a cagione
della maligna virtù di queste parole di Paolo: ci ho pensato, si fosse
fatta più buia.

-- Ci avevate pensato! riprese Ciriaco; va bene: spogliatemi la livrea, e
dentro a lei avvolterete la mia testa... a questo avevate pensato?

Paolo non rispose: quel cuore di ferro, comprese che al suo primo: _ci
ho pensato_, non che altri, il diavolo doveva avere fatto la pelle di
oca: e l'altro proseguiva:

-- Avvertite a cavarmi anco la camicia, perchè Maria ci aveva trapunto in
cifra il mio nome, e questa marca potrebbe dare indizio al bargello, e
metterlo sopra le vostre traccie... a questo avevate pensato?

Silenzio, e tenebre: Ciriaco, ripreso fiato, con un filo di voce
continuò:

-- Tagliandomi il capo, badate non vi caschi l'abitino: se lo lasciaste
per terra, guai! che dentro, oltre l'orazione alla Madonna della Neve e
l'altra per san Niccola, ci si hanno a trovare due anelli, uno col mio
nome, e l'altro col suo... di Maria... e questo voi non potevate avere
pensato...

E ormai quasi con parole indistinte aggiunse:

-- Nella cantina del palazzo, sotto alla botte grande, voi troverete
bella e scavata una fossa; -- ed io ce la zappai nel presagio di
nasconderci la roba... lì seppellite il capo del vostro Ciriaco, del
vostro fratello, che tanto vi volle bene, e al quale voi non ne voleste
punto... punto.

Due ore dopo la mezzanotte, Paolo, diligentemente azzimato, tutto
odoroso d'acqua di fiore d'arancio, e lieto come la Violante non l'aveva
visto mai, entrò nella camera di lei che lo attendeva senza trovare posa
sopra le piume; accostatosi al letto egli si recò sul braccio manco il
bel capo della sua donna, che l'ansietà aveva colorito oltre il
consueto; e più lo rendeva mirabile il volume dei capelli nerissimi
sciolti per le spalle e pel seno che palpitava di ardore ormai dalla
religione fatto sacro. Anco ai giorni che in cielo regnava Giove, lo
Imeneo, dio decente e sviscerato a spada tratta delle cose condotte in
regola, avrebbe coperto con le sue ali il seguito di cotesto incontro
nuziale, onde quanto non ne corre maggiore l'obbligo a noi presso cui il
matrimonio, dopo di essersi sentito venerare per santo, e mêzzo fino
alla camicia di acqua benedetta, venne assunto al fastigio di uno dei
sette sacramenti della Chiesa cattolica. Però dinanzi alla cortina
abbassata del letto noi inchiniamo verecondi la testa; solo diciamo, che
donna Violante, rapita di sentirsi così stupendamente fuori del presagio
ed oltre ogni aspettativa amata, dimentica dei mali presenti, improvvida
dei futuri, s'inebriò di amori.

La mattina fu trovato un cadavere senza capo, e ignudo; per un'ora, se
ne fece un gran dire; dopo due meno; a mezzo giorno non se ne parlava
più; lavata e spazzata la strada, la gente prese a passarci secondo il
solito, chi traeva per curiosità a mirare il luogo dov'era accaduto il
fatto, ci trovava per lo appunto sopra una fruttaiola, che vendeva
ciliege ai fanciulli; uno dei quali credendo che ne fosse cascata una,
si chinò a raccattarla, e se la cacciò in bocca per tema gli fosse
contrastata dai compagni, ma subito dopo facendo greppo la sputò come
cosa abominevole; i fanciulli accortisi dello sbaglio gli dettero la
baia con urli, e con fischi, a cui per via di perorazione aggiunsero
anco qualche sassata; il ghiotto garzone aveva scambiato per una
ciliegia un brandello di carne del povero Ciriaco.


NOTE.

  [18] Ecco il passo di santo Cecilio Cipriano estratto dal primo
  Sermone, ch'egli dettò intorno alla elemosina, volgarizzato da
  Annibale Caro -- «perciocchè essendo tassati i suoi discepoli,
  che mangiassero _senza prima lavarsi le mani_, Cristo rispose
  dicendo: colui che ha fatto quello ch'è di dentro, ha fatto
  medesimamente quello ch'è di fuori; fate delle _elemosine, e con
  questo vi laverete ogni cosa_...»

  [19] La storia della follia della regina Giovanna madre dello
  imperatore Carlo V è così piena di passione, che merita essere
  da me riportata, da altri letta. Esaminate le Storie stampate
  del _Mariana_, e le manoscritte del _Bernaldez_ gli Annali
  stampati del _Zurita_, e i Manoscritti del _Carbajal_, le Opere
  di _Pietro Martire_, la Vita del Ximenes del _Robles_, i moderni
  storici _Robertson_ nella Vita di Carlo V, ed il _Prescott_
  nella Storia del Regno di Ferdinando e Isabella, possiamo
  affermare per vero che:

  Giovanna, durante la malattia del marito, non si allontanò per
  preghiera nè per istanza dal letto di lui, quantunque nel sesto
  mese di gravidanza. Spirato che fu Filippo, ella non versò
  lacrima, nè profferì querela; tutta compresa nel suo dolore,
  proseguì a vegliarlo con la medesima tenera sollecitudine come
  se fosse anco vivo, e benchè al fine lo lasciasse seppellire, lo
  fece poi cavare dalla tomba, e riporre nel suo appartamento.
  Colà fu deposto sopra un letto di Stato in isplendido arnese, ed
  avendo ella da alcuni frati inteso certa leggenda di un re, il
  quale morto, era risuscitato in capo a quattordici anni, stava
  con gli occhi intenti sul cadavere, aspettando il momento felice
  della sua risurrezione. Nè questa strana affezione pel marito
  andava immune dalla acerba gelosia con la quale lo aveva
  proseguito vivo, dacchè vietò sempre alle fantesche si
  accostassero al letto dov'egli giaceva e a qualunque altra donna
  entrare nello appartamento, e piuttosto di permetterne lo
  ingresso ad una levatrice, sebbene avvertissero sceglierla di
  età matura, si sgravò della principessa Carlotta assistita dalle
  sole persone di servizio. -- Essendosi verso la fine di Decembre
  decisa la regina Giovanna di lasciare Burgos per trasportare il
  corpo del marito a Granata, giusta la sua ultima volontà, ella
  volle prima di partire contemplarlo, nè dal fiero spettacolo
  poterono punto removerla i suoi Consiglieri, nè i frati del
  monastero di Miraflores, i quali considerando come le
  opposizioni loro eccitassero la sua frenesia, ebbero per la meno
  trista a soddisfarla. Tolto il corpo dal sepolcro ne apersero le
  due casse di piombo e di legno, e videro come, nonostante
  l'avessero imbalsamato, egli serbasse appena la traccia della
  sua prima condizione; la regina con le proprie mani lo stazzonò
  senza versare una lagrima; dopo che da lei era stato scoperto
  infedele, ed una donna fiamminga averle rapito il cuore del
  marito, ella non pianse più. Il corpo fu posto sopra un
  magnifico carro tirato da quattro cavalli, andandogli dietro un
  lungo codazzo di ecclesiastici, e di nobili, i quali lasciarono
  la città insieme con la regina la notte del 20 Decembre.
  Giovanna viaggiava la notte adducendone per ragione: «che una
  vedova, la quale abbia perduto il _sole della sua anima_, non
  deve esporsi alla luce del giorno.» Quando poi fermavasi il
  corpo del suo defunto marito veniva depositato in qualche
  chiesa, o monastero, dove si celebrava l'ufficio funebre come se
  Filippo fosse morto pure allora, e guardie armate vigilavano il
  feretro, a fine principalmente d'impedire che qualunque donna
  profanasse il luogo con la sua presenza. -- In altro viaggio a
  piccola distanza da Torquemada ella ordinò, che il cadavere
  fosse portato nel chiostro di certo convento; credeva che lo
  abitassero frati, ma quando seppe che ci albergavano monache,
  presa da orrore, fece senza porre tempo frammezzo trasferirlo in
  campo aperto: quivi ella si accampò circondata da tutto il suo
  seguito, fatto prima aprire la cassa per riscontrare lo stato
  del cadavere; il vento essendosi levato gagliardo spense le
  torce, onde passarono la intera notte a ciel sereno, nel buio, e
  al freddo.

  [20] Nella inopia di libri in questo paese non ho potuto
  rintracciare chi fosse l'arcivescovo di Napoli nel 1588. Bene
  scartabellando su i libri trovo un Bartolommeo _Chiaccarello_,
  che scrisse un libro _de Archiepiscopis Neapolitanis_, ma sì
  vattelo a pesca: potrei andarmene fino a Napoli a riscontrarlo
  nelle Biblioteche; e ci andrei se da un lato non mi trattenesse
  il pensiero che per un arcivescovo non vale il pregio mettersi
  in viaggio, e il Lamarmora, che nonostante la mia medaglia di
  deputato, parmi civile e militare a bastanza da cacciarmi nel
  Castello dell'Uovo con somma esultanza di tutti i Napolitani,
  come non mancherebbero scrivere i Giornali ministeriali. Alfonso
  Caraffa sembra che alla morte dello zio Pontefice contasse
  appena quindici anni, e arrivò ai ventiquattro non bene compiti:
  «il cardinale di Napoli, giovane di regolati costumi, pieno di
  umiltà e modestia, non si partiva mai dal fianco del Papa,
  intanto che molti il biasimavano: quasi che col tenere sempre
  rinchiuso seco questo giovanetto, che non passava l'età di
  quindici anni ed era anco di complessione delicata, senza dargli
  adito a ricrearsi, potesse manifestamente pregiudicare alla sua
  salute, e ridurlo a termine di qualche perniciosa abitudine,
  come l'esito dimostrò, essendo il Cardinale pochi anni vissuto
  dopo il Papa, e morto appena allo arrivare del venticinquesimo
  anno.» _Guerra degli Spagnuoli contro Papa Paolo IV_ di PIETRO
  NORES, C. 4. Ora Paolo essendo morto il 18 agosto 1559, il
  Cardinale Alfonso gli tenne dietro nel 27 Agosto 1565. -- Tanto
  avverto perchè o non mi appuntino di anacronismo, o avvertano
  questo essere stato per me volontario fallo. Circa poi ai
  rinfacci, che gli muove il Marchese d'Ayerba pur troppo veri, ce
  gli attesta la storia. Al duca di Palliano tagliarono il capo
  per avere fatto strangolare la moglie Violante Garlonia rea di
  adulterio con Marcello Capece, e il cardinale Alfonso
  strozzarono come complice di questo delitto: però non fu il
  solo, ed altri imputarono misfatti così all'uno come all'altro,
  che non importa discorrere; narrasi, che la prima corda messa
  intorno al collo del cardinale Alfonso nello strozzarlo si
  ruppe, e fu mestieri adoperarci la seconda; su di ciò uno
  _elegante spirito_, scrive il Summonte, compose il seguente
  distico:

    _Extinxit laqueus vix te Caraffa secundus,_
    _Tanto enim sceleri, non satis unus erat._

  (Te appena uccise il secondo capestro, o Caraffa, però che a
  tanta colpa non ne bastasse un solo).

  E pure Pio V, che dicono _santo_, dichiarò nulla la sentenza, la
  morte ingiusta, i processi falsificati, e il fiscale, che
  fabbricò il processo, quasi pubblico ladrone dannò alla forca.
  Come si chiamava cotesto fiscale? Si chiamava _Palantieri_, ma
  non monta: I FISCALI SONO IN TUTTI I TEMPI TUTTA UNA COSA, FANGO
  E SANGUE. Don Antonio marchese di Montebello scampò a Napoli, il
  figliuolo cardinale Alfonso non volle o non potè fuggire, e fu
  prima sostenuto in Castello e poi condannato in centomila scudi
  da pagarsi dentro certo tempo, e questo per tante gioie che non
  si poterono rinvenire dopo la morte dello zio. I Cardinali non
  potendo altro fare, mossi dalla sventura, e dalla bontà del
  giovane, si collettarono raccogliendo diecimila scudi, i quali
  posero nella Camera apostolica per liberarlo, e di più molti fra
  loro sodarono per lui chi in quattro, chi in cinque, e chi in
  diecimila scudi, fra i quali Santa Fiora, e Farnese. Il Papa,
  secondo il costume di cui regge perverso, studioso di dare alla
  soverchieria sembianza di generosità, gli rimetteva
  venticinquemila scudi; ma non per tanto lasciava il Cardinale
  libero di uscire di Roma, onde il Marchese suo padre, venduta
  una delle sue terre, lo riscattò; ed egli, uscito dalla città
  funesta alla sua famiglia, si ridusse a Napoli, dove visse e
  morì onorato, e compianto dall'universale.

  Aggiunta. Per le ragioni allegate dissuaso di recarmi a Napoli
  alla pesca di un Vescovo ci spedii una lettera, alla quale un
  dotto ecclesiastico fece la seguente risposta: «non si è trovato
  il _Chiaccherello_, bensì nella Biblioteca di San Domenico
  maggiore il _Parascandolo_, donde si cavano le seguenti notizie.
  Annibale da Capua dei duchi di Termoli patrizio napolitano
  successe al beato Cardinale di Arezzo nella Chiesa di Napoli che
  governò dal 1578 al 1596; reputato solenne giureconsulto,
  Gregorio XIII prima lo creò referendario di Segnatura e prelato
  domestico; poi nel 1576 nunzio straordinario allo Imperatore
  Rodolfo II, e quindi alla Repubblica di Venezia. Sisto V lo
  spedì nunzio apostolico co' poteri di legato _a latere_ a
  Stefano _Battory_, poi alla Dieta polacca. Nel 1595 convocò a
  Napoli il sinodo diocesano per la riforma dei costumi del clero
  e del popolo;» il restante delle laudi si legge nel suo
  epitaffio ch'è lungo lungo. Questa notizia essendo giunta tardi,
  non ho mutato nulla; _j'ai fait mon siège_ esclamai come lo
  storico Vertot, e non rimossi dal posto il Caraffa, perchè dava
  ad ogni modo saggio degli uomini e dei tempi.

  [21] Pietro Aretino incomincia la satira a Cosimo I col verso:

    Al tempo che volavano i _pennati_.



CAPITOLO IX.

Il Cardinale.


Finchè ebbero speranza di ridurlo a granaio, a taverna, o in uso altro
più vile, lo tennero sodo più che grappa impiombata; quando poi furono
intimati in virtù della legge _ne urbs ruinis deturpetur_ a reggerlo co'
puntelli, gli ebrei, che ci avevano prestato su danari ad ipoteca,
consegnarono il palazzo dei Pelliccioni in mano degli Edili, i quali,
per evitare che diventasse una macía, secondo il buon giudizio, che
governa ordinariamente i partiti municipali di tutto il mondo, lo
trasmisero nelle mani della Distruzione.

I dominatori, che sanno l'arte, gli oppressori genuini non entrano di
straforo nei paesi a mo' delle volpi nei vigneti per piluccare i
grappoli, bensì di coloni per pestarli dentro ai tini; di fatti i
capitani stranieri quando s'immisero nelle città italiche portarono la
lancia in resta ferma sopra la coscia; adesso quando vi s'insinuano,
adoperano altresì la lancia, ma quella con la quale _giostrò Giuda_[22];
onde i primi violentando solo i corpi poterono esserne cacciati, i
secondi corrompendo le anime non poterono, o tardi, o male.

La Distruzione poi prese possesso del palazzo Pelliccioni in modo
conveniente alla maestà sua; calcando col piè grave la gradinata del
palazzo ne ruppe gli scalini, coi gomiti scantonò i pilastri della
porta, ed, appena introdotta, di una capata sfonda il soffitto dello
androne: quivi gli alunni di Giulio Romano avevano molto maestrevolmente
dipinto la battaglia dei Titani contro Giove: adesso di cotesti
formidabili figliuoli della terra tu non miravi altro che un mucchio di
gambe tronche e di piedi, nè Giove era intero, bensì scemo della testa,
e il suo folgore privo di saetta ciondolava come il cordone umbellicale
di qualche altra divinità piovuta di fresco dal cielo. Il Byron, preso
dagli azzurri sereni dello empireo di oriente, afferma lassù, in fondo
in fondo di quelli contemplarsi Dio, ed anco nel cielo dello androne dei
Pelliccioni, finchè rimase intero, fece il Saturnio temuta mostra di sè;
ma adesso che la Distruzione lo aveva sfondato, se ci addentravi lo
sguardo, vedevi una tela di ragnatelo ordita per chiappare le mosche:
anco i Numi stanno in potestà della Distruzione.

Per quanto fossero ampie le camere, e le sale, la fiera Ospite non aveva
trovato luogo capace per sè; onde dopo avere spaccato i muri si
arrampicava sul tetto; il palazzo vinto dall'immane peso per molte crepe
pareva ridere nella guisa, che il gladiatore ferito a morte nel
diaframma rideva. Seduta sul letto come re sul trono la Distruzione
avendoci incontrati altri Dii dette subito mano a manometterli non solo,
ma altresì a norma della ragione di stato renderli contennendi e vili;
chè a Marte tolse via il naso e la spada; a Venere troncò la mano, che
pittori e scultori effigiano distesa a parare la sua nudità; nè su
questo si poteva in coscienza dare torto alla Distruzione; però che o
importava alla buona morale velare parte del corpo di Venere, e allora a
che ipocrisia sì fatta dopo averla scolpita o dipinta come uscì fuori
dal mare? Cotesta mano, in cotesto luogo, pareva messa proprio con la
intenzione medesima con la quale sopra i crocicchi drizzano i cartelli;
cioè per insegnare la strada e:

    Mi mostrano la via, che al ciel conduce,

disse messer Francesco Petrarca canonico di Padova, ma lo disse del
cuore non già degli occhi di madonna Laura, non della mano, la quale,
secondo quello ch'ei ci vuole dare ad intendere, non gl'insegnò mai
nulla -- quindi, o velisi la Venere come quella di Coo o la si lasci
ignuda schietta come l'altra di Gnido. La Venere di Firenze è Venere da
Gesuiti[23].

La Distruzione insediata sul trono scelse i suoi ministri, e secondo il
costume dei re tristi, li scavò peggio di lei; primo di tutti il fuoco,
il quale per darle saggio della propria abilità arrovellandosi su i
travi, i travicelli, le porte, e le imposte gl'incenerì mezzo regno; per
la quale cosa la Distruzione, ammirandone i forti partiti, e lodandone
lo zelo, lo mise in riserba per servirsene al bisogno: poi venne la
volta dell'acqua, che non osservando regola nè misura si rovesciò a
diluvi sul tetto, mandando giù sopra i passeggeri una benedizione mista
di tegoli, e di embrici; entrata in casa non rinvenne via più spedita
per uscirne, che le crepe antiche, e allora non parve più ridere, ma
piangere; dopo Democrito, Eraclito; quantunque non manchino autori degni
di fede, i quali ci affermino, che in antico Eraclito e Democrito non
fossero già due filosofi sì bene uno solo; e questo credo ancora io. Non
potendo adoperare quotidianamente un ministro del continuo lagrimoso, fu
provata l'aria; e l'aria al cimento rinvennero, se non più dannosa, più
molesta di tutti; imperciocchè ora sibilasse come se miriadi di boa
andassero in volta, ed ora guaisse a mo' di centomila anime dannate che
si fossero data la posta là dentro, ora con terribile rombo annunziava
imminente il finimondo, ed ora modulava un gemito come di amante,
rimescolato dal soverchio affetto; e la Distruzione ora accorreva tutta
impaurita, ora afflitta e non trovava mai nulla; che vento erano le
minaccie, e vento i sospiri; altri ministri di polso non si presentarono
a reggere; e' fu mestieri servirsi di questi alternando l'uno con
l'altro, come costumavano in Francia ai tempi di Luigi Filippo, e come
costumano in Italia ai tempi nostri; se potevano mettersi insieme, se ne
sarebbe composto un lievito eccellente per formare tutti i ministeri del
mondo, ma non si potè fare.

Ognuno di loro tirò su sempre secondo il solito l'acqua al suo mulino;
di topi un nugolo, che primi a entrare, si mostrano anco primi disposti
a uscire solo che fiutino alla lontana la schiaccia; modello vero del
perfetto cortigiano sempre inteso a rodere, sia di notte come di giorno,
berretti frigi, o bende imperiali, l'oro del tempio di Efeso, o i
calzari di Diogene: e con essi i tarli, stampa di amore senza pari come
quello che si addentra fin là dove altri non può arrivare; vennero i
biacchi a insegnare come si conservi la dignità nella reggia, e nei
parlamenti, i rospi e le vipere ci portarono l'arte di comporre i
giornali, gli scarafaggi, e i lumbrichi spontanei o invitati ci si
recarono a dare lezioni di diritto costituzionale, i gatti furono
professori di generosità, i corvi cappellani. La vetriola e l'edera in
compagnia di altre sorelle parasite si offersero a fare ufficio di poeta
di Corte adombrando gli spacchi e le latrine; e col verde bugiardo non
pure ascondere ogni più sozza cosa, ma dare ad intendere alla lontana,
che fosse incoronata di alloro.

Allo improvviso, e mentre ormai la Distruzione reputandosi donna e
madonna non sospettava di guai, ecco irrompere dentro il palazzo una
frotta di architetti, muratori, manovali, operai di ogni maniera, di
ogni ragione artisti, e ciascheduno armato dei suoi arnesi, sopra di lei
avventarsi con assalti riuniti, contro i quali non valse pertinacia di
difesa, o maligno volere; molto più che un giovane biondo e bello al
pari di Apollo di Belvedere lì compariva sovente con lo incesso di
cotesto Dio, che saetta il Pitone, e sembrava accendere co' raggi della
sua anima gl'intelletti degli uomini, di cui la opera allora ferveva per
trasformare in sede di magnificenza, di giocondità e di piacere
l'albergo che fu poco anzi di miseria, di tristezza e di dolore.

Questo giovane era Paolo, e come in tratto così breve di tempo avesse
potuto mutare la sua condizione di mendico in ricco io ve lo dirò senza
viluppi, che di colpi di scena non abbisogna il racconto, e poi noi
altri Italiani siamo di quelli che desideriamo mettere ogni cosa al suo
posto, e fare che il dieci venga subito dopo il nove; almeno una volta
era così.

Voi pertanto ricordate, che Paolo sorpreso nella caverna da Ciriaco,
vergognando di comparire ladro al cospetto del suo compagno bandito,
prese delle gioie arrapinate quelle che potè; gli argenti furono relitti
tutti: certo i tesori di Montecristo non erano sepolti là dentro, ma il
trofeo del ladroneggio costà superava troppo in valsente quanto n'era
stato rimosso. Quando Paolo con la famiglia ripigliò la via di Roma, due
fini si era proposto, il primo dei quali certo o poco dubbio,
incertissimo il secondo; gli pareva facile ripescare gli antichi
compagni, e aggiungendovene parecchi dei nuovi ricomporre la sua banda
per rompere le strade, e condurre altre non meno onorate imprese; gli
riusciva più arduo credere che i suoi compagni si fossero astenuti da
pellegrinare fino alla caverna per rovistarla ed appropriarsi quanto era
rimasto lassù; tuttavia volle tentare; però fatta sosta alla famosa
osteria della Ferrata, si diede a conoscere dall'oste pressochè
spiantato per falta di avventori, di salute mal fermo, e quasi losco dal
tanto piangere che aveva fatto la sua figliuola Maria; accolto a braccia
aperte sul subito come conoscenza antica, e consolatore delle presenti
miserie, crebbe di corto nella svisceratezza dell'oste, avendogli
rifiorito le languide speranze con promessa di migliorare in un modo o
nell'altro le sue condizioni. Interrogato l'oste da Paolo, insieme ad
altre cose, se qualcheduno dei compagni fosse a sorte comparso da
codeste parti ebbe a risposta, che non ci si era visto persona, però
preso maggiore coraggio gli disse, che pel dì veniente procurasse avere
sei muli od otto, e provvedesse zappe: se si sentisse in forze di
accompagnarlo insieme con Renzo fino alla caverna ben per lui; se no,
sarebbero iti egli e Renzo; nè per questo avrebbe avuto parte minore
delle robe, che egli viveva quasi sicuro di ritrovare.

Supremo scongiuro per l'uomo fu sempre il guadagno; pensate poi se lo
stringa il bisogno; in mal termine si trovava l'oste, ma fosse stato
peggio, sarebbe ito col materasso dietro; però vuolsi confessare che
alla cupidità si aggiungeva come in embrione il pio desiderio di
recitare un po' di _De profundis_ proprio sopra la fossa dove riposava
sepolta la povera Maria; e devo confessare altresì, che mano a mano
saliva, questo desiderio pigliava colore, sicchè, quando furono vicini
alla caverna, l'amore della figliuola bilanciava l'amore dello acquisto,
o poco gli rimaneva di sotto: entrato poi nella caverna e indicatogli il
luogo dove giaceva la sua creatura, si gittò giù di sfascio, rompendo in
dolorosi omei da movere a pietà, non che altro, i tronchi e i sassi, e
con le braccia aperte pure tentava di abbracciare il terreno. Paolo
lasciò sboglientarlo, che forse ci aveva il suo conto, e parve fosse per
lo appunto così, imperciocchè presto presto si dette a zappare in certi
luoghi a lui noti, dove trasse fuori due forzieretti, che si ripose in
tasca. Mentr'egli operava ciò, allegando non so quale pretesto, aveva
mandato Renzo fuori della spelonca, sicchè quando ei fu di ritorno i
forzierini erano spariti; di costui Paolo si fidava sì e no: gli faceva
mestieri di parecchie altre prove per isperimentarlo, ma in tempo di
carestia pane di vecce: rientrato il garzone, Paolo si volse all'oste, e
con sinistra cera gli ordinò che pigliasse la zappa per dargli aiuto, e
quegli la prese quasi trasognato, poi tornato al luogo donde si era
partito cominciò a menar giù a furia gridando:

-- Qui dentro è il mio tesoro, or ora lo metto allo scoperto.

Paolo parve atterrito al proponimento dell'oste, per la quale cosa,
fattosegli da presso, gli fermò il braccio dicendogli con voce benigna:

-- Il Padre Eterno solo, aprendo le fosse, ci caverà tesori, noi non
possiamo scoprirci altro che vermi; lascia stare, che hai pianto assai;
vien meco a procacciarti da vivere men tristo.

La parte spirituale, che aveva preso per un istante il sopravvento
nell'oste, cesse il campo alla cupidità; però senz'altre parole attesero
tutti e tre a scavare: l'aspettativa di Paolo invece di rimanere delusa
fu oltre il presagio soddisfatta; l'argento era stato battuto ma non
così che non lasciasse vestigio della forma antica, e quel pezzo ben si
conosceva essere stato pisside, l'altro candeliere, taluno anco Cristo;
non mancavano argenti profani, ma primeggiava il sacrilegio. Così
rinsanguato di pecunia Paolo scese dal Monte di Bove, nè mosse sì tosto
dalla Ferrata con la famiglia; lasciatavi la Violante, cui un sinistro
presentimento andava rodendo le viscere, si recò a Roma, dove dopo avere
tolto a pigione certa villa a Nettuno in luogo appartato e ombroso per
foltissime piante, ci trasportava in più volte le nuove ricchezze. Parrà
strano come a veruno dei compagni di Paolo saltasse in testa di
prevenirlo, ma chi visse molto nel mondo conosce non essere la stranezza
causa buona per discredere una cosa; e la stranezza troveremo minore
quante volte tu consideri che parecchi di loro ignoravano il tesoro
nascosto, e Paolo stesso nol conosceva intero; dei consapevoli, a quale
mancò il comodo di recarsi costà, a cui il coraggio; chi aveva preso
moglie e aperto un po' di traffico non cercava miglior pane che di
grano, chi si era fatto frate, e s'incocciava sul serio di santità:
insomma i benestanti non si movevano; chi si sarebbe mosso si trovava
ridotto in tale arnese, che correva rischio, scorrazzando per la
campagna, di capitare in mano a qualche sbirro a cui paresse acquistare
la indulgenza plenaria se lo avesse impiccato al primo arbore gli
occorresse per via. Messe in salvo le robe nella villa, Paolo ci
condusse la moglie dandole ad intendere com'egli adoperasse così per
pigliar tempo ad ammannirle il palazzo in modo conveniente all'eccelso
grado di lei, e ciò per solleticarla nella vanità, ma non ce n'era
bisogno, cupida come adesso ella si sentiva di tenebre e di solitudine.

La Distruzione del palazzo Pelliccioni, dopo avere tentato resistere, di
padrona parve rassegnarsi a diventare vassalla, contentandosi di un
lembo estremo in soffitta, o in cantina; non le dettero requie; da per
tutto cacciata si disfece a mo' di quei nugoli, che dondolandosi per lo
emisfero si consumano e sfumano. Però quando le sale sfolgoravano di
doppieri riflessi dentro gli specchi di Venezia, ripresero a ronzarvi
dintorno i parpaglioni della fortuna, i quali conoscono l'arte di
sfruttare la luce degli altri, senza bruciarvisi le ali; e più poi
allorchè dai camini sorse la colonna di fumo annunziatrice, che costà si
faceva grasso mangiare, ci capitarono a frotte amici vecchi e amici
nuovi fissi in lei con ansietà pari a quella degli isdraeliti con la
quale seguitavano la colonna di fuoco pel deserto; i vecchi abbracciando
Paolo gli venivano ricordando i motti, le blandizie, i gesti degli anni
suoi primi e per tenerezza piangevano, i giovani si recavano ad ammirare
il gentiluomo perfetto, di cui nelle lunghe sere di verno avevano udito
raccontare _mirabilia_ dai genitori, adesso, ahimè! sepolti. Dicono i
naturalisti che i soli pesci pigliansi per la gola, e non è vero,
imperciocchè per la gola si piglino anco gli uomini, se non che questi
si acchiappano per molte altre cose; di fatti parecchi facevano capo al
palazzo Pelliccioni per danaro, offerendo tutto sè stessi, il che
tornava a non offerire nulla. Paolo, stupendo a dirsi! non negava a
persona, o poco o assai veruno si partiva senza qualche soccorso, sicchè
tu pensa se la processione degl'impronti per la strada che menava al suo
palazzo occorresse gremita più di quella delle formiche. E da capo le
dicerie intorno alla origine delle sue ricchezze, nè onorevoli tutte; i
mercanti affermavano non potere averle fatte se non trafficando, e i
soldati se non combattendo; non mancò chi dichiarava avere sentito dire,
ch'ei si fosse imposto signore di certa isola in certe contrade rimote,
dove il fiume mena sabbia di oro per la ripe di argento, e i bimbi per
la strada giocano a' noccioli co' diamanti grossi quanto una pina o poco
meno; i nobili reputavano imbroccare nel segno pensando che S. M.
Cattolica lo avesse con la sua consueta munificenza rimunerato con
grosse pensioni _dei lunghi ed onorati servizii_ prestati alla corona
co' negoziati e con la spada; i prelati più che tutto trovavano
probabile, qualche vecchia vedova ricca sfondolata lo avesse tolto a
marito, e di corto mortagli con suo _inenarrabile rammarico_, egli ne
avesse raccolto l'intero retaggio; gli ammicchi degli occhi, e il
sorriso tenue, e lo stringere pietoso delle mani servivano quasi di
condimento a questa cicuta del Diavolo: altri altre cose; veruno pensò
al furto, e sì che la spiegazione l'avevano proprio all'uscio senza
mandare tanto in volta il cervello; ma così nelle faccende fisiche come
nelle morali talora per notare gli obietti bisogna patire del balusante.
Il ceto amplissimo femminino poi ne faceva di quelle coll'ulivo, e
sembrava avere dato nelle girelle per Paolo; non vi era mamma nobile, o
borghese, di molta o di poca sostanza, che non vagheggiasse in lui il
cappellinaio al quale attaccare le care gioie delle loro figliuole; le
fanciulle lo guardavano come il pellegrino contempla il santo ch'è
termine dello affannoso pellegrinaggio; e se il pellegrinaggio verso il
santo matrimonio a taluna di loro pesasse, lascio che lo immaginiate voi
altre mie cortesi leggitrici o leggitori, come meglio si abbia a dire;
massime poi a quelle cui pareva essere destinate di girarci sempre
dintorno e non entrarci mai; appunto nel modo che successe agli ebrei
quando lasciarono l'Egitto per la Terra promessa. Era, direbbe Omero,
spettacolo degno degli Dei mirare il coro delle donzelle disposte in
giro intorno a Paolo e sfolgorarlo con gli sguardi a mo' di balestrieri
che mirino uno stesso bersaglio; a canestrate gli gittavano virtù sopra
la testa come i fiori; tutta roba (già s'intende) prestata al futuro
marito di tutte, che poi tutte dopo la scelta vanno a risquotere con la
usura, non esclusa la moglie, e spesso questa più esigente di ogni
altra. Nè meno delle femmine comparivano alla prova prodighi gli uomini,
che come suole, ognuno di loro gli regalava la virtù, che gli premeva
maggiormente fosse posseduta da lui; i poeti lo predicavano generoso,
gli artisti di buon gusto nelle arti, i preti devoto, i gentiluomini
spiantati nobilmente cortese, e via via; maraviglia universale metteva
considerare come in _età così fresca_ tante cose sapesse, tante genti
avesse veduto, e tanti gesti operati (almeno per quello ch'ei ne
diceva), e qui pure ci entrava l'adulazione, imperciocchè sebbene la
fronte di Paolo fosse tale dove:

    I suoi strali spuntava amore e morte,

tuttavia anco da quanto appariva, la turba adulatrice dibatteva una
dozzina di anni.

Ma in Roma sacerdotale, massime a cotesti tempi, piacque due cotanti più
che a Napoli lo studio alla religione santissima, e quello messo nella
osservanza delle pratiche di santa madre chiesa: per la quale cosa ogni
mattina Paolo assisteva divotamente a messa genuflesso alla balaustrata
dello altare; e la messa la pagava di suo, raggiungendo il prete in
sagrestia, dove dopo avergli detto: _prosit_, gli pigliava la mano e ci
deponeva un ducato di oro smagliante; onde il prete quando si voltava
dall'altare implorando al popolo: _Dominus vobiscum_, sbarrava gli occhi
come spiritato per mirare se ci fosse: desiderò essere ascritto a
parecchie confraternite, e prima delle altre a quella dei Fiorentini di
San Giovanni decollato, di cui istituto è accompagnare i condannati a
guastarsi: in questa occasione apprestò rinfresco a tutti i fratelli, ed
i più eletti nel suo palazzo pasteggiò alla grande, nelle processioni
s'industriava far sì, che gli toccasse a portare taluna delle aste del
baldacchino o la residenza, e certa volta dette dieci scudi di elemosina
per portare il Cristo di legno, che gli parve peso; ma il tratto proprio
da maestro fu quello di scegliere confessore il padre Migali gesuita, il
quale per essere stato già confessore del povero Francesco Peretti
nipote del Papa, miseramente assassinato, si vedeva tutto giorno per
casa del cardinale Alessandro: certo era un mettersi tra male branche,
ma egli non si sentiva sortito alle parti di sorcio. Da ambe le parti
perfetti; proprio qui si vedeva alla prova che tra pirata e corsale non
ci corre altro che i barili vuoti; egli non rifiniva mai di levare al
sesto cielo la sapienza del Gesuita (la pietà non importava, chè si
suppone in tutti gli ecclesiastici, e in modo singolare nei Gesuiti), il
Gesuita mostrava andare in visibilio per la pietà di Paolo (di opinione,
di sapienza non faceva mestieri, supponendosi sempre in cui spende a
mano aperta, e mette tavola spesso). Ora accadde che certo dì favellando
insieme Paolo col padre Migali delle parti degl'infedeli, e sul modo di
propagarci la fede, tante eccellenti cose costui gli disse in parte non
conosciute prima ed in parte accomodate così che parvero nuove, che il
padre si dispose in tutto fare motto di questo distinto _soggetto_ al
Cardinale nipote, non mica perchè egli fosse capo della Congregazione
_de Propaganda fide_, a cui presiedeva lo stesso Papa, ma sì perchè il
cardinale Alessandro, se non la sola, per certo si considerava la più
sicura chiave di aprire il cuore dello zio. Nè fu difficile ottenere
udienza dal Cardinale, atteso il credito del Gesuita, e l'indole facile
del nipote di Sisto; il quale, per giudizio dei contemporanei, oltre la
buona natura ebbe pratica grande di negozi più che scienza, negoziando
sempre al cospetto del Papa, ovvero a norma delle sue istruzioni, onde
lo prepose alla Congregazione della Consulta per il governo della santa
Chiesa, che rispondeva a cappello a ciò che nei giorni nostri chiamiamo
_ministero dello interno_, e all'altro ufficio troppo più importante pel
Papa, ed arduo pel giovane, voglio dire, quello di ascoltare gli spioni,
e riferirgli con sagace diligenza quanto ne avesse cavato. -- Ancora, si
deve avvertire, che Paolo, appena si presentò, piacque al Cardinale,
però che la simpatia da taluni non si osserva nella sua genesi, e da
molti altri si nega, ma pur troppo vive, e dirò regna; impossibile,
almeno per ora, dichiarare in che cosa consista, ma per me quasi mi
persuado, che proceda da cause tutte animali, effluvi di sangue, virtù
magnetica di sguardo, od altre cotali; e dopo un po' di commercio la
simpatia crebbe, dacchè Paolo nascesse gentiluomo, ma la educazione
materna e il suo mescolarsi con gente di piccolo affare lo avessero in
certo modo invilito; mentre Alessandro, comecchè di lignaggio villano,
facevano gentile l'esempio dei colleghi, ed il continuo negoziare con
personaggi potenti; per la quale cosa si sentirono subito bilanciati
perfettamente tra loro, successo che da essi non fu mai prima di ora
provato, imperciocchè trovandosi con persone o affatto volgari, o
affatto signorili si sentissero come a disagio. Inoltre se bello era
Paolo, brutto non compariva Alessandro, e se in avvenenza egli cedeva
all'altro, ciò giudicava nel suo segreto la gente, ma non andava a
dirglielo, mentre a lui la naturale prosunzione impediva darsi per
vinto; di poi, non si poteva dubitare, che con le vesti da cavaliere un
giovane avesse a parere più elegante che incamuffato con quel viluppo di
panni rossi. Quanto a magnificenza, che la fama gli aveva porto
occorrere nel Cavaliere grandissima, il Cardinale non se ne pigliava
fastidio, anzi ci aveva gusto, perchè godendo di centomila scudi di
rendita sentiva poterlo superare: per ultimo rispetto a sapienza
conobbe, come Paolo fosse uomo sagace più per pratica di faccende, che
per istudio di libri (e qui pure non si confessò, nè era inferiore a
lui); e per quel po' di lettera ch'ebbe Paolo occasione di metter fuori
non era tale nè tanta da farne le stimate per chi viveva a cotesto tempo
in Roma, nè tra l'uno e l'altro ci correva un filaro di case. Insomma
Paolo possedeva tutte le doti per andare a genio ad Alessandro, dacchè
in quelle che riescono ad acquistarsi impossibili, come lignaggio e
bellezza, il Cardinale aveva argomento buono di reputarsi pari, e per le
altre che possono acquistarsi si reputava superiore.

Parlarono di molte faccende, un po' per tastarsi e un po' menati dal
giovanile talento, e finalmente caddero su quello che premeva all'uno
ascoltare, all'altro dire:

-- Sicchè a voi, Cavaliere, questa istituzione del Papato non garba...

-- Illustrissimo, per amore di San Diego ultimamente canonizzato[24], non
mi apponete di questa fatta eresie. Come non mi avrebbe a garbare il
Papato se istituito dalla propria bocca di Gesù Cristo? Io non sono così
tristo cristiano per ignorare che Pietro fu la pietra sopra cui si fonda
la Chiesa, contro la quale non prevarranno le porte dello inferno, bensì
dubito, rimettendomene sempre all'autorità dei miei superiori, massime
alla vostra, che la _navicella_ di San Pietro diventata _galera_
abbisogni di qualche altra vela, e di parecchi remi di rinforzo.

-- Cavaliere, parlatemi col cuore in mano; quantunque per ufficio mi
corra il debito riferire qualsivoglia cosa per me si oda, o si veda, a
Sua Santità, tuttavolta in fede di gentiluomo vi prometto, che delle
cose a voi piacesse favellarmi egli apprenderà quelle che voi vorrete
egli sappia, e se niente ha da saperne, e nulla saprà.

-- Illustrissimo, voi adopererete secondo la prudenza vostra, perchè a me
sembra non avere a dire cosa che possa tornare sgradevole a Sua Santità.
Il Papato nacque inerme e debole, e così un pezzo durò: se l'uomo fosse
meno perverso, e non si ostinasse nel peggio, il Papato, per trionfare
nel mondo, dalla sua origine divina in fuori non avria dovuto avere
mestieri di altri soccorsi: ma costoro, che pure si attentarono mettere
le mani nel sangue prezioso di Cristo, pensate se volevano peritarsi a
menare strage dei suoi pontefici! La storia pertanto della prima Chiesa
è tutta un martirio; le sue fondamenta, si può dire, furono poste sopra
sangue cagliato...

-- Questo non contrastano nè anco i nostri più fieri nemici....

-- Ed appunto per ciò, chi venne dopo considerava come divina cosa sia il
martirio, ma arcidivina il trionfo.

-- Avvertite, Cavaliere, che il terreno incomincia a farsi lubrico...

-- Illustrissimo, se male mi appongo, lascio a vostra signoria libertà
piena pienissima di anteporre il martirio al trionfo, e vedete e' ci è
da scegliere; tra i Monsulmani impalano, i Tartari segano in mezzo;
nella China uccidono frastornando il sonno...

-- Basta, basta, interruppe il Cardinale sorridendo, in fede di
gentiluomo, io mi confesso giusto, la passione del martirio non è la mia
dominante...

-- Appunto voleva dire... a diciannove anni... potente... copioso di beni
di fortuna, e capace ad usarne con prudenza... il martirio non è ospite
accetto. Per assicurare il trionfo della Chiesa, oltre gli aiuti divini,
prudenza volle che si facesse procaccio degli umani...

-- Gli aiuti divini non mancano mai a cui gl'implora con cuore contrito,
e gli attende con mente umiliata...

-- Illustrissimo, voi parlate da quel luminare di santa madre Chiesa che
siete; però piacciavi considerare che i primi a ricorrere agli umani
sussidii furono i Papi, non io: io racconto; apprenderò volontieri da
voi le cause che mossero i sommi Pontefici ad aggiungere alla fune
celeste un po' di filo umano....

-- Voi siete arguto, messere....

-- Illustrissimo, perchè mostrate il vischio se non mi volete impaniare?

-- Vi ho dato fede di gentiluomo e basta: nobiltà lega; forse mi piace
non ismettere la pratica, e giocare di scherma con maestro
schermitore.... Ora però basti, che lo spesso romperla guasta la
misura...

-- Di fatti non ricordo più dove mi sia rimasto: oh! ecco, i Papi dunque
prima che il Macchiavello lo scrivesse, conobbero che i profeti
disarmati capitano sempre male, e presero ad avvantaggiarsi, e per me
fecero bene, ma non in tutto nè sempre; a modo di esempio, non operarono
avvisatamente quando ricorrendo alla potenza temporale si confidarono
troppo alla divina, conciossiachè noi tutti dobbiamo sperare che Dio non
fie per mancarci mai di aiuto, anzi farà il miracolo a posta per noi, e
tuttavia prudenza vuole che noi ci sovveniamo più che possiamo da noi;
insomma, ond'io di corto chiarisca il mio concetto, la religione doveva
provvedere e rinforzare i partiti umani, non già i partiti umani
puntellare le forze religiose.

-- Perdonate, Cavaliere, parmi che la Chiesa abbia proceduto precisamente
nel modo che accennate.

-- Illustrissimo, domando mille perdoni a voi, ma se non presumo troppo
concedete che io vi persuada del contrario. Mirate, da prima si volle
abbracciare troppo, però invece di attendere allo incremento delle forze
materiali in casa, e mettere salda base di signoria, furono usate ed
abusate le spirituali fuori in lontane regioni, cosicchè mentre qui in
Roma ammazzavansi i Papi co' sassi, esultava la Chiesa nel sapere
tremanti innanzi ai suoi antistiti remoti dominatori. Certo la forza
scevra da pensiero non parrà cosa durevole, ma il pensiero scemo di
forza vale anco meno. Bene sta che i Romani spedissero un legato o due i
quali si attentassero chiudere come Popilio[25] il re Antioco dentro un
cerchio, e lo intimassero a piegare il capo; però, che se il legato non
arrivava a persuaderli con le parole, tenevano dietro quasi tuono a
baleno le legioni a stritolarli con le armi; considerate di grazia, il
bel civanzo che hanno fatto i Papi inviando messaggi difesi dalle
parole, e non dalle armi, ai potenti del mondo; o gli hanno presi per la
barba come Luigi XI di Francia il cardinale Bessarione, e con tale
strazio, che il valentuomo ne morì, o li costrinsero a mangiarsi
pergamena, sigillo e salimbacca delle bolle o ad annegare nel Lambro,
come Bernabò Visconti, Grimaldo da san Vittore, che poi fu Papa; e si
può dire gli usasse cortesia, imperciocchè quando gliene pigliava il
ghiribizzo gli arrostiva, e così accadde a cotesto frate tapino, il
quale per commissione d'Innocenzo sesto andò a predicargli contro la
crociata a Milano; o gli impiccarono addirittura, come a Firenze
adoperarono contro il Certosino spedito da Innocenzio IX a pubblicare i
cedoloni della scomunica; e per istringere il molto e il vario in un
ultimo esempio, si racconta di un re d'Inghilterra che rese scemi dei
testicoli loro i Canonici di Seez per avere obbedito nella elezione del
Vescovo piuttosto alla volontà del Papa che alla sua; e dopo tagliati
volle che li guardassero disposti in bell'ordine su di una tafferia.
Dalla quale disgrazia, Illustrissimo, Dio scampi e liberi ogni fedele
cristiano.

-- Il Cardinale sorrise alquanto, ma subito dopo tornato pensoso
soggiunse:

-- Ma noi non difettiamo di eserciti; armi possiede la Chiesa, e non
poche....

-- Tante da chiamarti il pericolo in casa, e non poterlo vincere; del
presente non parliamo, che se mi togliete le guardie svizzere e i
micheletti, altre non so vederne; per lo passato le armi pontificie
salvarono Roma dal Borbone? Se la provvidenza non aiutava, chi ai giorni
nostri ci scampava dal Duca di Alva? La Chiesa nei primordii assai
lodevolmente si comportò spogliando un altare e rivestendone un altro,
contenta di guadagnarci i moccoli; e come vassalla crebbe la sua potenza
fin dove non è più lecito rimanere sottoposto altrui senza certezza di
trovarsi a volta sua spogliata da un punto all'altro...

-- Cavaliere, voi non vi apponete, la Chiesa attese a farsi padrona di
tutto; se non ne venne a capo bisogna cercarne la colpa altrove.

-- Non erro; voi, Illustrissimo, accennate adesso agli Adriani, ai
Gregori e agl'Innocenzi e agli altri vetusti; questi procederono sempre
per via di arnesi religiosi, non già materiali; il Papa a cui si ruppero
in mano gli arnesi religiosi fu Bonifazio VIII, quando in risposta alla
Bolla: _ausculta fili_ si ebbe dal Re di Francia la famosa ceffata.
Aspra lezione cotesta, ma tale, che avrieno dovuto capire anco i sordi;
dopo questo caso, gli arnesi religiosi non dico si avessero a smettere,
bensì non si volevano adoperare soli, nè come principali, bensì in
sussidio delle armi molte e gagliarde.

-- E lo tentarono, Lione, Giulio, Alessandro ed altri parecchi.

-- Certo; ma nel modo che ho avvertito; da attirare il pericolo in casa,
non vincerlo; da spogliare uno per vestire un altro; per appoggiarsi al
braccio di quello o di questo, e non camminare mai solo; insomma armi
atte a perpetuare la servitù, non per istituire signoria.

-- Ma queste armi come si provvedono esse?

-- Trasformando lo stato e rendendole armi stanziali.

-- Piacciavi chiarirmi, ch'io non ci vedo lume.

-- Lo stato, finchè durerà ordinato nel modo che oggi si vede, non può
procurare armi molte, nè gagliarde. La vita dei Papi, per ordinario
durando poco, non dà campo allo eletto Pontefice di mettere in pratica i
suoi concetti, e assodarli con buone provvisioni; aggiungi, che rado
avviene non si elegga Papa vecchio, e per arroto infermo, e voi sapete
che al vostro grande zio giovò non poco ad acquistare il Papato il
trovarsi in là con gli anni e fingersi malescio; poni eziandio, che
sebbene questo stroppio oggi nuoca meno, tuttavia ogni Papa cerca, com'è
naturale, avvantaggiare i suoi; e se i nipoti del Papa, o i figliuoli
non si portano più via o Castro, o Parma, pur si hanno Paliano, ed altre
possessioni cotali, e alla più trista parecchi milioni di oro; il che
taglia i nervi allo stato, e lo condanna a perpetua debolezza. Lo dico o
lo taccio? Lo dirò senza tante ambagi; lo stato della Chiesa bisogna
che, per successione, si mantenga nella famiglia del Papa....

-- Parlate sommesso, disse il Cardinale ponendosi il dito traverso le
labbra, ed accostandosi a lui; poi riprese; -- e' fu tentato e non
riuscì...

-- Dal duca Valentino, è vero? Cotesto veramente fu tratto fuori dalla
pietra dove si tagliano i principi; ma non ci ebbe colpa, lo tradì la
fortuna a cui la gente non sa trovare riparo.

-- Il Collegio dei Cardinali dove si manda?

-- Si tiene in Roma, e si corrompe, o si atterrisce, o si spenge. I Papi,
ch'io sappia, non si mostrarono in verun tempo troppo teneri del sangue
dei Cardinali; il colore rosso impedisce, che il Pontefice si accorga
del sangue, che casca su la vesta dei Cardinali; in ogni caso si
strozzano come fece Urbano VI, o si avvelenano come Alessandro VI...

-- Silenzio, io sono cardinale...

-- Ma nipote del Papa... Togliete ai Cardinali i benefizii; pagateli coi
danari dello stato, e quando vi presenterete sotto l'aspetto del pane
loro quotidiano vi porranno maggior bene, che al _pater noster_.

-- Tuttavia, o farne a meno non sarebbe più spiccio?

-- Più spiccio sì, non però più sicuro; diventati i Cardinali specchi da
riflettere i vostri raggi, voi potrete con essi incendiare altrui e
romperli quando fa bisogno; pure che diate loro potestà di dominare per
di sotto, si mostreranno servi umilissimi per di sopra: anco Tiberio
anzichè diminuire accrebbe le prerogative del Senato: pensateci...

-- Ve lo dirò aperto, comecchè uso ai negoziati quello incessante
perfidiare mi uggisce; animale di contradizione è l'uomo...

-- Lasciateli dire, purchè vi lascino fare. Parla se vuoi che ti conosca,
dicevano gli antichi: dove li costringiate a tacere, come saprete voi
che cosa molini nel suo cervello la gente? La docile assemblea sembra la
mano di Dio, illustrissimo; ella è quasi un sigillo per suggellare gli
atti vostri; con essa portate a fine quello che solo non vi attentereste
pensare nè manco; essa piglia inizio di tutte le pratiche perigliose, e
se escono a bene, l'utile è vostro, se a male, suo l'obbrobrio e la
pena. -- Il re che sappia il suo mestiere raddoppia le forze per
procacciarsi i comodi propri con le assemblee, e trova nelle assemblee
il becco emissario sul quale riversare la colpa, caso mai il popolo
venisse a rompere la catena.

-- Cavaliere, voi potreste argomentare come Marco Tullio; io da
gentiluomo vi confesso, che queste università di cicale mi hanno dato
sempre uggia, imperciocchè tenetele quanto volete umili, gratificatele
quanto sapete, voi non potete fare in modo che talora non le pigli la
bizza di parere libere, e allora o ti agguantano il morso co' denti, o
tirano calci al vaglio dove hanno mangiato la biada. I calci più
pericolosi ti dà la bestia della quale ti fidi.

-- Per me penso, che il rimedio di alzare la mangiatoia basti, e in ogni
caso non avete ai vostri ordini le milizie?

-- Le milizie, che si avventino come cani mastini sul popolo, donde si
cavano elleno?

-- Donde? dal popolo.

-- Se dal popolo, quanto capitale voi ci potrete fare sopra? Uscite dal
popolo un giorno, un'ora si troveranno d'accordo con lui per darti
addosso.

-- No, mai; nudrite il soldato di carne del popolo ed essi diventeranno
nemici tra loro come il diavolo e la croce. Ponete mente a questo, mercè
vino, carne, e costume di belva educaronsi gladiatori a trucidarsi
ferocemente e allegramente l'un l'altro per dare spettacolo al senato,
_populusque_ romani; con qual ragione dubitate voi, che una parte di
popolo armato rifugga da sbranare il popolo disarmato? Solletica così
acuta la voluttà di far sangue! Inebria tanto, che chi la provò una
volta ama piuttosto morirvi annegato dentro che astenersene!

-- E allora tu avrai i pretoriani, che porranno lo impero allo incanto; e
se mai ti cingano il capo di corona, sì il faranno per venderlo più
caro.

-- E nè anco questo parmi vero, imperciocchè durante lo impero unica
forza dello stato furono gli eserciti, ma noi terremo su ritti il
senato, e il popolo, e li opporremo alle milizie in questa maniera, che
abbiano potenza di nocersi tra loro, non a te, e l'uno astii l'altro, e
lo contradii, e tu in mezzo a dare un colpo al cerchio, e un altro alla
botte. Ed avverti altresì, che il senato ha da tenere i cordoni della
borsa in mano, sicchè se non paga, la milizia sfuma: certo tra soldati
non ci ha scarto, escono tutti eroi come i mattoni di una misura fuori
dalla stampa, ma se li privi della luce dei due baiocchi al giorno,
cotesto eroismo casca morto dentro un boccale vuoto di vino. Per ultimo
bisogna tenerci sempre sotto la mano il popolo per valercene come àncora
di salvezza...

-- Dio mi guardi dal popolo, in fede di gentiluomo io sento pel popolo
odio naturale, nè so distinguere bene se più lo detesti o lo disprezzi.

-- Illustrissimo, voi avete torto: è tanto dabbene il popolo! Così
paziente! Un vero bove battezzato in Duomo; come il bove vive di lavoro
e muore di macello. Se volete averlo tutto vostro, e se vi piace vederlo
piangere di tenerezza, adoperate, come i nostri vecchi Romani
costumavano nei lupercali co' servi: un dì per celia li dicevano padroni
e gli servivano a tavola purchè il rimanente dell'anno essi servissero
davvero: procura provvedere al popolo l'alimento tanto che non muoia, ed
egli dirà doverti la vita; fa che il Senato, ed i soldati non lo
stritolino come ruota molare, ed egli giurerà doverti la libertà. I
nostri vecchi qui la sbagliarono, perchè il pane e i circensi rendono il
popolo scioperato, e querulo, e ladro; pel popolo prima ci vuole la
forca, poi l'aratro; a spizzico ancora la festa, e la baldoria.

-- Questi sono concetti smisurati....

-- Degni di chi sortì il sangue di colui che medita disperdere i Turchi
dalla faccia del mondo unendo insieme quante ha forze l'Europa da
mezzogiorno a tramontana, da levante a ponente, e intende conquistare
l'Egitto, mettere il mare Rosso in comunicazione col Mediterraneo,
rendere alla Italia la prosperità dello antico commercio, costituire
Roma metropoli della cristianità, epperò trasformare i monumenti gentili
in monumenti cristiani, e con la magnificenza moderna vince
l'antica[26]....

-- A tanto non basterebbe Cesare, od Alessandro Magno.

-- E il vostro grande zio avrebbe accettato le nozze di Elisabetta
d'Inghilterra per generare un nuovo Alessandro....

-- Le sono baie di novellieri coteste....

-- Ma non sono baie queste altre, che Sisto sacerdote, e vecchio,
irridendo le nozze della regina scismatica, nè reputando spedienti i
sussidii della remota Inghilterra, non era alieno, per venire a capo dei
suoi disegni, di procurarsi ad ogni patto quelli di Francia...

-- A me non sono noti siffatti arcani, ed in fede di.... nè credo punto,
che accennino al vero.

-- Illustrissimo, che da voi s'ignorino può darsi, ma io so, che il
cardinale Morosino certo dì propose, e segnatamente dopo la morte di
monsignore di Guisa a Blois, a sua maestà Enrico III, che dov'egli
avesse istituito suo erede don Michele marchese di Lamentana[27] vostro
illustre fratello, il Papa gli avrebbe ottenuto a consorte la infante di
Spagna, e così, composte in saldo accordo le liti tra i principati
cattolici, con forze unite combattere, e disperdere gli eretici e i
Turchi da tutta la cristianità.

-- E come vedete a prova ciò non accadde. Ora come potrebbe augurarsi di
tentare con buono esito un nipote del Papa ridotto alle sue poche
facoltà, senza gli aiuti di Francia e di Spagna, e forse dovendole
sperimentare nemiche?

-- Con ardimento maggiore, forze più intere, premio di fama immortale,
incremento sicuro della propria terra....

-- Basta, basta, Cavaliere, voi mi avete portato un pezzo qua e là
girandolando su l'ippogrifo di messere Ludovico, sicchè mi ha preso il
capo giro; e' sarà tempo scendere per tornarcene a casa....

-- Quando vi piace; tuttavia, Illustrissimo, pensate bene a quanto vi ho
detto.

-- In fede di gentiluomo io ci aveva pensato, Dio sa quante volte, ma
siamo giunti tardi; tardi pei tempi, e tardi per l'uomo; pei tempi,
perchè tra Alessandro VI e Sisto V ci ha il concilio di Trento, e peggio
di questo, il caso dei Caraffa; per l'uomo, perchè Sisto promosso al
pontificato di sessantacinque anni, adesso ne annovera sessantanove, nè
penso egli abbia a durare molto, che quei suoi spiriti irrequieti se
porgono testimonio della alacrità della sua mente, temo altresì che,
come la lama troppo affilata, taglino il fodero. -- Basta, adesso
attendiamo a quello che più importa: mentre il Pontefice reputava spenti
i banditi, ecco rinfocolarsi non solo ai confini, ma qui su le porte di
Roma, anzi in Roma; potreste voi suggerire rimedio alcuno per estirpare
questo cancro? Se siete da tanto, beato voi! Fate conto, che non vi sarà
cosa, per quanto alta ella sia, che il Pontefice non si troverà disposto
a concedervi in guiderdone del fatto.

-- Illustrissimo, l'uomo fa quello che può, ci proveremo.

-- Piacevi, che io vi presenti a Sua Santità?

-- Lo desidero quanto il cieco di vedere la luce.

-- In questo caso state disposto, che vi manderò l'avviso della udienza
fino a casa....

Da un lato e dall'altro, essendosi poi ricambiate affettuose
salutazioni, si separarono. Se cotesto colloquio fosse accaduto al buio,
veruno sarebbesi accorto chi di loro era il bandito, e chi il cardinale;
ma anco alla luce aperta avresti giudicato così, che nel Cardinale
occorrevano occasione difficile non impossibile, volontà languida,
ardimento nessuno, all'opposto nel bandito col difetto di ogni facoltà,
volere e ardire piuttosto eccessivi che inclinati di mettersi allo
sbaraglio. -- Animo malo in entrambi pari.


NOTE.

  [22]

    Senz'arme n'esce e solo con la lancia
    Con la qual _giostrò Giuda_.

    _Purgat._ 20.

  [23] Però alcuni sostengono la Venere dei _Medici_ fosse per lo
  appunto quella di Gnido.

  [24] Diego di Alcalà dell'ordine dei Francescani canonizzato da
  Sisto V nel 1588.

  [25] Ormai è comune errore, che Popilio Lena fosse il legato
  romano che chiuse Antioco nel cerchio; chi veramente lo fece si
  chiamava Gneo Ottavio. CICERONE, Phil. 9. PLINIO, Hist., L. 34,
  c. 14.

  [26] Tali con altri molti fu creduto che molinasse in quel suo
  fervido cervello Sisto V: è certo che in Persia, e co'
  maggiorenti degli Arabi e dei Drusi tenne pratica, non meno che
  con altre parti di Oriente: armò galere, si fece amico Stefano
  Battori re di Polonia, e sottoposte a lui le forze della
  Moscovia ebbe per fermo di salutarlo compagno e capitano nella
  impresa contro i Turchi. Su i Moscoviti egli esercitava autorità
  grande fino da quando Ivano Vasiliovitz tzar di Mosca mandò
  oratore a Roma, e parve mirabile per la barbarie sua: le
  credenziali di che andava munito per Venezia dicevano: _al
  grande governatore della signoria di Venezia_, ed interrogato
  della ragione di siffatto titolo rispose: per comune opinione in
  Moscovia reputarsi la Venezia dominio del Papa dov'egli inviasse
  governatori come a Bologna, e questo nel 1580! Il vino invece di
  temperare con l'acqua mescolava con l'acquavite, comecchè gliene
  apparecchiassero dei più fumosi. Non volendo questo ambasciatore
  per nessun verso baciare il piede al Papa, Sisto, allora
  cardinale di Montalto, con tante buone parole lo raumiliò, che
  alla fine si chiarì disposto a farlo; conservando poi sempre,
  finchè stette in Roma, usanza con lui, così lo edificava co'
  costumi, co' sermoni e con le opere che partendo disse: -- tanto
  avere provato il cardinale di Montalto diverso dagli altri, che
  se fratelli erano, di certo egli ebbe a nascere bastardo. --
  Questo moscovita poi, perché udiva che si chiamavano fratelli
  fra loro, credè che fossero davvero figliuoli di un medesimo
  padre. -- Quanto al concetto di restituire il commercio di
  oriente alla Italia conquistando l'Egitto e mettendo il
  mediterraneo in comunicazione col mare rosso, ne abbiamo memoria
  dal dispaccio del 23 agosto 1587 dell'Oratore Gritti al senato
  di Venezia, nè manca monumento storico della strana pratica di
  far succedere don Michele Peretti ad Enrico III: così ne parla
  il Ranke nella _Storia del Papato_, T. III. -- Questo occorre in
  certa memoria del signor di Schomberg maresciallo di Francia
  sotto Enrico III, che si conserva nella biblioteca imperiale di
  Vienna, n. 114, fra i manoscritti di Hohenbaum: «Qualche tempo
  dopo la morte del signore di Guisa accaduta a Blois il cardinale
  Morosini, per parte del santo padre, propose che dove S. M.
  avesse voluto dichiarare il marchese di _Pom_ (il nome
  certamente è errato) suo nipote erede della corona, e farlo
  accettare con le richieste solennità, il Papa da parte sua lo
  assicurava di fare in guisa che il re di Spagna concedesse in
  matrimonio al prelodato suo nipote la infante, donde avrebbero
  avuto termine i disordini della Francia. Il signor di Schomberg
  afferma come S. M. mostrandosi propenso ad accettare il partito,
  egli giunse a mandarlo a monte persuadendo il re che questo
  tornerebbe a rovesciare l'ordine di Francia, abolire le leggi
  fondamentali e lasciare ai posteri testimonio perenne della
  dappocaggine e pusillanimità sue.»

  [27] O della Mentana.


FINE DEL PRIMO VOLUME.



INDICE.


  DEDICA                                              _Pag._    v
  CAPITOLO    I. Sisto Quinto e il conte Olivarez       »       9
      »      II. Paolo Pelliccioni                      »      49
      »     III. Il Bandito e il Bargello               »      74
      »      IV. La donna superba                       »     132
      »       V. Contradizioni                          »     156
      »      VI. Nuove contradizioni                    »     173
      »     VII. È morta                                »     212
      »    VIII. Sangue romano                          »     250
      »      IX. Il Cardinale                           »     306



                *       *       *       *       *



Nota del Trascrittore

Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, così come le
grafie alternative (vice-cancelliere/vicecancelliere, follia/follìa,
scancìo/scancío e simili), correggendo senza annotazione minimi errori
tipografici. Al termine del capitolo VI, per la nota n. 16 è stato
aggiunto il richiamo, mancante nell'originale.





*** End of this LibraryBlog Digital Book "Paolo Pelliccioni, Volume I (of 2)" ***

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