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Title: Pasquale Paoli - ossia la rotta di Ponte Nuovo
Author: Guerrazzi, Francesco Domenico
Language: Italian
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                             PASQUALE PAOLI

                                 OSSIA

                        LA ROTTA DI PONTE NUOVO


                            ROMANZO STORICO
                                   DI
                            F. D. GUERRAZZI



                                  ROMA
                    EDOARDO PERINO TIPOGRAFO-EDITORE
                                  1883



CAPITOLO I.

Il vetturino livornese


Gli dei di Ausonia se ne andarono, ed il suo cielo con essi! — esclamò
Giacomo Boswell, fiore di galantuomo inglese, levando la faccia in alto
e ricevendovi bravamente in mezzo uno sbuffo di acqua piovana.

Il vetturino che lo menava, non intendendo bene codesta dotta
esclamazione, tacque e, seduto alla peggio su le stanghe del calesse,
continuò a toccare il cavallo perchè accelerasse il passo. Il signor
Giacomo, tra lamentoso e stizzito, ripigliò a proferire più forte: — Ed
è egli questo il tanto vantato cielo d'Italia?

Allora poi il vetturino non si potè più reggere; e quantunque la
domanda non fosse volta a lui, bensì a tutto il genere umano, egli, a
ragione reputandosi particola di questo genere, pensò gli spettasse il
diritto di rispondere per tutti, ed invero rispose:

— Sia benedetto! io glielo aveva pure avvisato innanzi di partire
da Pisa: l'acqua è in terra, ma vostra signoria che cosa ha saputo
replicarmi? «Non importa.» Lo ha ella detto, sì o no? Adesso, se ciò
che si prevedeva accadde, non ci rimane a fare altro che quello che mi
lasciò detto mio padre.

— Ed era?

« — Chi non seppe ben fare, sappia almeno ben tacere.» E poi anco
questo altro, il quale però ha da capire come per via di metafora,
non perchè si riferisca punto a lei: «Quando il ladro è di casa, non
bisogna chiamare il bargello.»

Il signor Giacomo, chinato il capo, non fiatò più, anzi si pentì di
avere aperto bocca, e, riprese il viaggio, accompagnato sempre dalla
pioggia, giunse a Livorno e andò a smontare in via Borra al palazzo
delle colonne di marmo, abitato dal signor Giovanni Dieck, scudiere e
console di Sua Maestà Britannica in cotesta città.

Gittandosi giù dal calesse, il signor Giacomo con voce burbera
interrogò:

— E devo pagarvi?

— Ma!.... due scudi fu il patto, e la buona mano, se le piace.

Queste parole pel modo, col quale vennero pronunziate, avrebbero
fornito agli studiosi dell'arte musicale subietto stupendo ad ammirare,
perchè dai suoni risentiti scesero giù giù per una scala semitonata ad
una specie di bisbiglio; e questo in virtù del diritto che, fatta la
prima parte, lasciava luogo alla speranza, la quale pareva persuasa che
essendo fuori a quell'ora, non poteva buscare altro che acqua.

— Bene; ecco i due scudi. Buona mano ch'è?

— Diavolo! Oh! che? non ha mai viaggiato vostra signoria? oh! che? ci
è ella piovuto dalle nuvole in Italia? La buona mano, a ragionarvi su,
propriamente vuol dire la mancia che i viaggiatori, quando si trovano
serviti bene, donano al vetturino oltre il fissato.

— Quando si trovano serviti bene: ma io mi trovo servito male, dunque
non vi do nulla.

— Capisco che buon viaggio non fu di certo il suo — e così dicendo gli
levava la valigia di cassetta — ma ci ho colpa io? Me ne rimetto alla
sua coscienza.

— E poi la vostra definizione della mancia è mal fatta.

— Quanto a questo poi, io me ne ho da intendere più di lei.

— Vi dico che manca; e manca questo: denaro al vetturino oltre al
fissato, perchè vada ad ubbriacarsi all'osteria e bastoni poi la moglie
e i figliuoli.

— È vero, — rispose il vetturino abbassando il capo.

— Bene, dunque portate in pace se non vi do nulla; perchè temo che Dio
mi domanderebbe conto di avere dato causa col mio denaro a degradare la
creatura: la creatura, capite, dove Dio impresse la sua santa immagine,
ch'ella si affatica tutto giorno a cancellare sostituendovi quella
della bestia; anzi no, perchè le bestie non si ubbriacano. Dite: avete
mai visto per le strade cani, cavalli od asini briachi?

Il vetturino, finito questo acquazzone di parole acerbe, rispose
ingenuo:

— No, signore, io non ce gli ho visti, ma io aveva creduto in coscienza
potere omettere la sua giunta, perchè all'osteria non vado mai.

— Bene.

— E nè manco bevo vino.

— Benissimo.

— Non tanto come la si figura lei; ma che vuole? Bisogna stenderci
quando il lenzuolo è lungo: che ho moglie e figliuoli, e quello che
guadagno col padrone basta per pagare il fitto e pel pane; con le buone
mani si rimedia al resto.

— Avete moglie? avete figliuoli? non andate all'osteria? non bevete
vino? Oh! allora è diverso. Perchè non me lo avete detto avanti?
Potevatelo dirmelo prima, chè mi avreste risparmiato la mala azione
d'ingiurarvi a torto. Vi domando perdono: ecco la buona mano, e il
Signore vi dia la buona notte.

E, lasciata la valigia nello androne, schizzò su per le scale presto
così, che gli pervenne mezzo all'orecchio il «Dio gliene renda merito»
che il povero vetturino gli mandava dietro nella pienezza del cuore.

Il giorno dopo, verso le nove di mattina un uomo di florida età, bello
in sembiante e, più che bello, sereno, stava fermo sopra il secondo
gradino del palazzo delle colonne di marmo, guardando trasecolato il
cielo ora da una parte, ora dall'altra, e pareva non si potesse saziare
di contemplarlo.

Egli era il signor Giacomo Boswell, giovine di trenta e qualche
anno, di capelli biondi, occhi cilestri come la più parte de' suoi
compatrioti appaiono: bensì proprio di suo ci metteva la sembianza, che
l'Onestà stessa avrebbe potuto pigliare in presto, se le fosse venuto
il capriccio di fare una visita al mondo vestita, come la signora
Bloomer, da uomo, ed un misto di costanza, di argutezza ed anco di
malizia, ma di quella buona, quasi fuoco che scalda e non iscotta. Il
signor Giacomo si lasciava governare dalle sue voglie, le quali, per
quanto talora si manifestassero singolari, essendo sempre dirette alla
conoscenza del vero, all'ammenda e al sollievo dei proprii simili,
se da un lato movevano al sorriso, dall'altro invitavano a tenergli
dietro le lacrime. Così in primavera il sole si mescola talvolta
con la pioggia, e i fiori giocondati da quello e da questa smagliano
come diamanti: vera festa della Natura. Sogliono gli uomini francesi
chiamare questi umori britanni stranezze, gl'irridono. Sta bene; essi
sono tutti uniti, tutti lisci, anzi uguali tra loro come mattoni. Però
badino: co' mattoni si fanno i pavimenti, non le cupole, e basta.

Il signor Boswell non apparteneva alla setta dei _Fratelli_, o
vogliamo dire _Quaccheri_, ma assai le si accostava coi costumi e
col vestire; abborriva la cipria; i capelli portava stretti dopo le
spalle con un nastro di seta nero senz'altra acconciatura; la barba
rasa diligentissimamente, chè gl'Inglesi non erano a quei giorni
venuti a contesa di pelo con gli orsi; le vesti tutte (se togli i
pannilini bianchi e le scarpe nere) di una stoffa eguale e colore
di piombo; nella mano manca tra l'indice e il pollice portava una
tabacchiera d'argento, alla quale imprimeva di tratto in tratto un moto
ondulatorio, e qualche volta, nelle veementi commozioni, mercè un colpo
dell'indice della destra, la faceva girare dentro la medesima morsa.

Ed ora appunto gli avea dato questo colpo solenne: nè a torto,
imperciocchè adesso il cielo gli si spandesse sul capo immenso di
azzurro sereno; e se l'occhio dell'uomo avesse potuto arrivare fino
costà laggiù nel profondo del cielo, ci avrebbe contemplato Dio nelle
magnificenze della sua gloria. Il sole, stupendo di calore e di luce,
incedeva per lo emisfero come creatura che senta la solennità del
messaggio di bandire alla terra la bontà infinita del suo Creatore. Le
aure di aprile alitavano in faccia alla gente con la salute il profumo
dell'arancio, dacchè a quei tempi Livorno non andasse gremito di case
lunghe, intirizzite, fabbricate una sopra le spalle all'altra come
frotta di perdigiorno su ritti in punta di piedi per vedere il cane
barbone che porta in giro la scimmia a cavallo; bensì abbondasse di
spazi grandi lavorati a giardino, fiorenti di ogni maniera di agrumi,
ed appunto davanti la casa del console inglese se ne ammirasse uno
vasto quanto leggiadro, attiguo al palazzo fabbricato dai signori
Franceschi di origine côrsa.

— Bene, benissimo! — ripeteva il Boswell con accenti sempre più
musicali; e il piede inconsapevole, davanti tanta armonia di cielo,
batteva la misura chè la melodia di un bel giorno d'Italia gli
s'insinuava nel sangue — bene! gli dei ritornano, e naturalmente con
essi l'Olimpo, ch'è casa loro.

Intanto un uomo, il quale già quattro volte e sei lo aveva richiesto,
pregato e supplicato a tirarsi da parte tanto ch'ei potesse passare,
accorgendosi che con le buone non ne sarebbe venuto a capo, lo spinse
oltre soavemente e passò. Ho detto soavemente, bene intesi però che
questo ed altri avverbii cotali non vestono natura assoluta, bensì
relativa: tanto vero questo, che la spinta, soave, quanto all'uomo
che la dette, non parve tale al signor Giacomo che la sofferse,
essendo andato di schianto a battere con la spalla nella colonna
sinistra del portico; ond'è che, richiamato così _ex abrupto_ al senso
delle faccende della vita, non senza un po' di collera egli prese ad
esclamare:

— Galantuomo! il maestro della buona creanza vi ha proprio rubato il
salario.

— Oh! è lei? In verità, vestito così da signore, io non l'avea mica
riconosciuto.

— Bene; ma, o io o un altro, dovete convenire che a fare le cose con un
po' più di garbo non ci si scapita nulla. Orsù passate...

— Eh! no, signore.

— Come no? Poc'anzi mi avete dato uno spintone da rompermi il capo
contro le pietre per passare, ed ora mi state piantato là come un palo.

— Oh! che ci è da stupire? Io non ho più bisogno di passare adesso...
Cercava per lo appunto di lei.

— Me?

— Proprio lei. Si ricorda vostra signoria dei ragionamenti che tenemmo
ieri sera circa alla buona mano?

— Sì, mi pare; qualche cosa fu detto.

— E come! Su le prime lei non mi voleva dare niente...

— Avanti.

— E poi me la dette, ma era buio: ella si mise la mano in tasca e non
ci badò, ed io nè meno. Tornato a casa consegnai la moneta a Caterina;
e non ci era da sbagliare, in tasca mia cotesta moneta ci si trovava
figliuola unica di madre vedova, e poi di oro non ci sono mai usate;
Caterina guardò la moneta e me negli occhi; dopo disse: «E te l'ha data
proprio lui?» Oh, chi me la deve aver data gua'? disse io. — Allora
Caterina da capo: «Dunque dev'essere sbaglio.» Malanaggio! dissi io;
se non isbagliava, stasera si rimediava al companatico. Venire ieri
notte a riportarle la moneta non mi pareva che c'incastrasse, perchè a
casa tornai tardi, chè prima mi toccò asciugare e governare il cavallo;
stamani subito che ho potuto, vengo a fare il debito mio.

E stesa la mano porgeva la sterlina al Boswell, il quale, dondolando la
scatola via via, diceva:

— Bene, bene. — Ad un tratto domandò: — Di che paese siete?

— Di Livorno.

— Proprio?

— Eh! di sicuro e battezzato in duomo.

— E ce ne hanno di molti vetturini come voi a Livorno?

— Lo credo, e devo crederlo; quali e quanti non so; perchè io bado al
fatto mio e tiro lungo.

— Bene, come vi chiamate?

— Mi chiamo Giovanni.

— Non fu sbaglio, caro Giovanni: vi prego anzi a pigliare anche
quest'altra, e la porterete da parte mia alla signora Caterina vostra
consorte, che saluterete da parte mia e le direte che la spenda... la
spenda come le farà piacere; chè so che non bisogna de' miei consigli.

— Ma che? le pare? rispose Giovanni respingendo con la manca la mano
del Boswell, e con la destra sporgendo sempre la ghinea. Ma che? le
pare? di questa sola ce ne sarebbe di avanzo.

— Non ricusate, Giovanni, la provvidenza che Dio vi manda; non vogliate
peccare di superbia.

— Eh! giusto; io sono troppo povero, mio signore, per concedermi il
lusso dei peccati mortali.

— Dunque obbedite; prendete e andate per le vostre faccende.

— Obbedirò, e Dio gliene renda merito un'altra volta. Oh! la è pure la
bella cosa essere ricco: ed io, veda, mi ci sono messo a desiderarlo
più di una volta, perchè mi è parso che a far bene ai poveri si ha
da provare un gusto matto; e ora che mi è capitata questa fortuna, il
gusto me lo vo' cavare ancor io; una delle monete che vostra signoria
mi ha dato, vo' mandarla al Paoli.

— Com'entra qui il generale Paoli? come conoscete voi il generale
Paoli? in qual modo è egli povero il signor generale Paoli?

— Io lo conosco, e lo posso conoscere come gli altri, perchè la buona
reputazione entra _gratis_ nelle orecchie di noi altri poveri come
in quelle dei ricchi. Lo credo povero, perchè, il Paoli e la Corsica
facendo una cosa sola, so che la Corsica è poverina e poi, ne vada
la testa, non vuole patire prepotenze dalla Francia, la quale non si
vergogna di mettersi a repentaglio con lei, chè sarebbe come se un
pescecane invitasse a' morsi un ghiozzo del molo. E ci entra il Paoli,
e ci entro io, perchè ad amare la libertà non si paga nulla, ed io amo
con tutto il cuore la libertà e il Paoli, e benedetta la sua faccia che
la difende!

— Oh! — proruppe il Boswell cacciandosi a precipizio la scatola
dentro la tasca della sottoveste; poi, con ambedue le mani libere,
presa la mano del vetturino e stringendogliela e scotendogliela fino
a slogargli la clavicola del braccio, ripeteva: — Benissimo, bene...
bene! Giovanni, io da questo non vi dissuado davvero, perchè quello
che voi avrete speso in benefizio della libertà del genere umano, Dio
misericordioso, oltre il merito nell'altro mondo riservato alle anime
sante, ve lo renderà centuplicato anco in questo, non fosse altro, col
sentimento della vostra dignità.

Aveva meco stesso disegnato non interrompere con digressioni il filo
del racconto, properando a scavezzacollo verso la fine, come insegna
Orazio nella poetica, ma con inestimabile amarezza mi tocca a rompere
il proponimento, non già per colpa mia, bensì per contraddire a certe
voci che mi odo bisbigliare qui attorno. «Costui, dicono le voci,
delira; comprendiamo anco noi che a chi racconta novelle è mestieri
fare la parte larga della fantasia, ma spingere fino al mostruoso
la immaginazione, questo non patiremo mai. S'intende acqua, ma non
tempesta! I vetturini di Livorno, a sentirlo, procedevano sviscerati
della libertà nel secolo passato, mentre nel nostro gli stessi signori
negozianti e gli altri che vanno per la maggiore in cotesta terra, o
non la conoscono o, conosciuta, si affretterebbero a disfarsene come
la peggiore delle derrate.» Ora io rispondo: Quanto ai Livornesi del
tempo che corre, io non saprei, chè da parecchi anni vivo lontano
da casa; ma non ci credo, e mi giova non crederci. Forse qualche
sciagurato non aborrì procacciare a' suoi figliuoli perpetuo retaggio
d'infamia; ma come un fiore non fa ghirlanda, così nè anche, dove
apparisce un diavolo, ecci lo inferno. Ad ogni modo i Livornesi soli
accolsero i Tedeschi a cannonate in Toscana; certo nelle difese non
durarono nè potevano durare; non importa, non per questo palesarono
meno l'odio contro la razza esecrata: e se tu pensi alla comune viltà,
quanto fu minore la possa, invece di cavarne materia di biasimo, come
fanno taluni codardi maligni, tanto ti parrà più grande il cuore di
avere maledetto faccia a faccia un prepotente nemico. Quello che narro
del popolo livornese del secolo passato, se non vuolsi credere a me,
credetelo ad Ottavio Renucci, che prima fu gesuita e poi galantuomo
(trasformazione difficile, ma che pure è talora accaduta); credetelo
all'abate Giovacchino Cambiagi, le scritture dei quali (che storie non
mi attento dire) io vi prometto farvi toccare proprio con le mani in
altra parte di questa storia. Per ora contentatevi così.

Dunque si metta in sodo, per quello che può valere, come, _cento anni
sono_, il popolo livornese amasse la libertà.



CAPITOLO II.

Il mercante côrso


Il signor Boswell, consultato il suo taccuino, si condusse senza
sbagliare nella piazza grande: quando fu sopra la crociata del duomo,
si girò a destra, e visto di fondo alla lunga strada spuntare parecchi
pennoni di bastimenti, avviossi costà con passi accelerati, sicuro
del fatto suo. In andando teneva la faccia voltata sopra la spalla
sinistra, come le nottole nel volare costumano, e fissa a leggere
il numero dipinto sopra gli stipiti delle porte de' casamenti. Di un
tratto sta, rilegge il numero e mormora:

— Senz'altro è qui.

Guarda meglio, volta la faccia in su e mira una casaccia sciatta,
scappata di mano all'architetto tra uno sbadiglio e uno starnuto,
con certe nicchie ovali a tutti i piani nel sodo, tra una finestra
e l'altra ornato di busti, i quali a tanta lontananza non sapevi
distinguere se fossero di marmo o di bronzo o di che cosa si fossero;
e peggio ancora non si conosceva se rappresentassero principi di corona
o persone di garbo, o se _turchi, ebrei o cristian rinnegati_. Ai noti
segni confermandosi nel suo giudizio, il signor Giacomo, dato un giro
alla tabacchiera, ripetè:

— È qui.

Ma dove qui? abbacava poi dentro di sè. Da un lato gli si mostra una
bottega con la insegna di una immane mignatta di lamiera tinta di
verde, la quale vomitava un torrente di bambagine colorita nella robbia
in simulacro di sangue e faceva fede lì dentro vendersi le mignatte.
Ora pareva al signor Giacomo che un mercante _rispettabile_ (anche a
quei tempi in commercio chiamavasi rispettabile chi aveva quattrini,
fuori di commercio divo ed augusto, e tuttavia si chiama) non avesse a
trovarsi in combutta con le mignatte: e posto eziandio alla più trista
che la prima qualità di _mercante_ non facesse ostacolo, per la seconda
poi di _rispettabile_ non ci quadrava assolutamente. Dall'opposto lato
dentro un'altra bottega, il più innocente dei peccati mortali, sotto la
forma di marzapani e di zuccherini, tendeva le reti per uccellare anime
al demonio. Quante insidie alla nostra salute! e la nostra umanità è
tanto frale! Chi avrebbe mai presagito un dì che Satana, proprio lui,
per perdere un'anima cristiana, avesse potuto assumere la figura di
confetto parlante? Ci pensino i confessori, ci pensino seriamente e ci
provvedano.

Però, se un _mercante rispettabile_ non poteva avere pratica con
le mignatte, molto meno era da credersi tenesse domicilio comune
co' marzapani. Tuttavolta, quasi nascosta tra gli sporti delle due
botteghe, a cui ci avesse con diligenza atteso, sarebbe riuscito
scoprire un'altra porta angusta, nera nera nera poco meno della
coscienza di un _gesuita_ o di un _moderato_, chè _ella è tutta
una minestra_; ma, a quanto appariva, la porta era di bottega; e
tuttavolta non ci cascava dubbio, cotesto per lo appunto era il luogo
che indicavano i ricordi del signor Boswell. Ora, poichè non ci lesse
scritto sopra:

    Uscite di speranza, o voi ch'entrate,

come su la porta dello inferno (e nello inferno il signor Giacomo non
ci credeva; e quando anco ci avesse creduto, egli non ignorava che
anco dallo inferno si esce, non fosse altro, agguantandosi ai peli
dell'anguinaia del diavolo, a modo che Dante adoperò), il nostro eroe,
risoluto, si mise dentro alle segrete cose.

Inoltrandosi nello andito lungo, a poco poco la luce illanguidì, cassò
del tutto, tornò ad apparire annacquata, un po' meno; per ultimo venne
a riuscire in una chiostra.

Chiostra ho detto, e doveva dire campo di battaglia non che museo
delle geste e delle glorie del commercio, quivi disposto dalla mano
della Memoria in trofeo. Colà il signor Giacomo contemplò botti,
damigiane, caratelli incerati, involture di canapetta, brani di stuoie,
casse di ogni maniera, fra le quali ne riconobbe parecchie di origine
britannica, nobile orgoglio per un cuore inglese! Sul culmine del
trofeo, come su l'elmo di quel Niccolino che combattè a Benevento e fu
sì infesto al re Manfredi, sedeva un gatto.[1]

Il gatto da prima comparve degno dell'alto seggio a cui era stato
assunto in virtù delle sue zampe (e troppi più che Dio non vorrebbe,
per andare in cima, non posseggono cagione migliore di questa) mercè
la fronte di bronzo e la immobilità veramente imperiale; e non senza
_quia_ dico imperiale, affacciandomisi al pensiero quel Costanzo Cloro,
che riputò parte cospicua della sua dignità non soffiarsi mai il naso:
se non che ad un tratto sprigionata una zampa dalla coda, che aveva
tenuto fino a quel momento inanellata a mazzocchio attorno alle gambe,
prima se l'accostò alla bocca e la baciò, poi se la stropicciò a più
riprese pel capo disopra l'orecchia, e lungo il muso, quasi intendesse
augurare il ben venuto al signor Boswell, secondo il costume degli
orientali. Il signor Giacomo, senza rendergli nè anco il saluto, ed in
questo non fu cortese, si girò intorno per vedere se incontrasse cosa
che lo mettesse su la buona strada: ed ecco pararglisi davanti un cane
ed un uomo, se uomo in buona coscienza poteva dirsi costui: berretto,
giubba e ogni altra veste color marrone, pelosi quanto pelle di capra,
e di vero tutte erano fatte di panno côrso, il quale le donne tramano
co' ferri a mano come la maglia delle calze. Costui, che côrso era,
aveva i piedi nascosti nella paglia, sopra la quale giaceva supino con
le mani sotto il capo a mo' di capezzale ed il berretto tirato su gli
occhi; i suoi capelli copiosi si mescolavano con la barba, ed entrambi
apparivano coltivati quanto le boscaglie del suo nativo Niolo, e per
di più nella tinta, pari al berretto e alle altre vesti; immobile
affatto, se non che nella guisa che il fumo del cammino ti assicura
che nella capanna perduta in mezzo allo scopeto ci vive l'uomo, i
buffi fetidi dell'erba côrsa, che scoppiettando dentro la pipa ardeva,
lo manifestavano vivo. Sopra la stessa paglia un cane di pelo corto,
bianco brizzolato di rossigno, la coda a ricciolo su la groppa, il
muso tra la volpe e il lupo, stava eretto su le zampe, appuntando le
brevi orecchie e mostrando due file di denti acuti come lesine. Non
brontolavano l'uomo nè il cane, ma pareva tenessero apparecchiate le
armi alla zuffa, e con quattro occhi, pari a quattro punte di freccia
su la noce della balestra, non lasciavano di seguitare il sopraggiunto
in ogni suo moto.

Però il signor Giacomo cotesti allestimenti non badava o temeva, bensì
esitava pensando se, per ottenere risposta profittevole, tornasse
meglio voltarsi al cane od all'uomo; ma perchè aveva fretta, e la
indagine sarebbe andata per le lunghe, s'indirizzò ad ambedue per via
di domanda generale:

— Il signor Giacomini di Centuri?

Veramente rispose l'uomo, ma non si potrebbe negare che rispondesse
anche il cane; imperciocchè se il primo levò la barba in su e
adoperando la pipa come l'ago della bussola indicò una porta, il
secondo abbassò il labbro superiore e nascose i denti come la fregata,
calati gli sportelli, fa scomparire i cannoni, volgendo a sua posta il
muso colà dove il compagno aveva appuntato la pipa. Il signor Boswell,
in mancanza di meglio, si tenne per informato e andò oltre.

Stretta era la porta, e delle imposte una chiusa, l'altra semiaperta
con una finestrina sopra munita d'inferiata: nè a questa finestra
mancavano i suoi telai ed i vetri; se non che, quasi andasse ella
stessa capace che in quel luogo non poteva compire veruno degli ufficii
pei quali vengono aperte le finestre, e come vergognosa di reggere il
sacco all'architetto ignorante, si era da molto tempo velata la faccia
con un sudario di ragnateli; meritandosi, in difetto di altro migliore,
il nome di sincera.

Il signor Giacomo, guardata prima la finestra, che non mandava lume,
aperse l'uscio, fece un passo e stette. Curioso uomo costui: caso mai
gli fosse toccato di morire di freddo, egli era strumento da tornarsi
indietro dal campo santo per ispecolare sul termometro con quanti gradi
sotto il zero e' lo avesse ucciso.

Egli guardando vide un magazzino a volta grandissima, sorretto da
parecchi pilastri; a manca intorno alla parete molte tavole assicurate
sopra mensole fitte nel muro: e su le tavole, ciotole piene di saggi
di grano alternati da mucchi di pietre focili e sacchetti di pelle;
anzi in qualche corbello (insegnamento supremo a popolo che non vuole
soggiacere a tirannide, rivendicarsi in libertà) mescolati palle e
grano; in terra alla rinfusa corami, scarpe, sciabole, cappotti, di
ogni ragione ferramenta, piombo in pani e perfino due colubrine turche,
coperte in parte con la bandiera côrsa, rappresentante la immacolata
Concezione.

   [Illustrazione: Il signor Giacomo, pazientissimo uomo,
   attendeva in piedi, che il signor Santi si fosse accorto di
   lui. (_pag. 21_)]

Di profilo, prossimo alla sola finestra che traverso vetri verdissimi
mandava un cotal poco di luce colore di cavolo cappuccio, compariva
il banco tinto di cenerino col piano inclinato, coperto di cuoio nero
confitto con bullette dalla capocchia di ottone; dal lato destro sur
un ripiano di legno si apriva la bocca del calamaro, quasi orefizio di
vulcano; il qual paragone tanto meglio calzava se ponevi mente agli
schizzi che, simili alla lava, infiniti e per così dire procellosi
prorompevano da tutti i lati. Anche le penne con la chioma a strappi,
dalle morsicature lacere, assai davano aria alle povere piante che si
ostinano ad abbrustolire intorno cotesti fornelli della terra, vere
anime dannate della vegetazione. Sopra lo scrittoio, fitti al muro uno
su l'altro, tre quadri condotti a olio da artista più che mediocre,
e splendidi per cornice indorata: quello di mezzo rappresentava la
Concezione di Maria, al patrocinio della quale si commisero i Côrsi,
quando, partito dall'isola il principe di Würtemberg, si dettero al
re di Spagna che non li volle accettare. Nel medesimo modo e con pari
fortuna i Fiorentini elessero Gesù Cristo re della repubblica; donde
si ricava che gli uomini opereranno sempre direttamente a confidare
negli aiuti celesti, a patti che non trascurino i terreni. Sopra
la Concezione l'arme côrsa, che faceva testa di moro, e allora con
la fascia intorno al capo: circa alla quale fascia è da sapersi che
_ab antiquo_ i Côrsi la finsero calata su gli occhi del moro per la
medesima ragione che persuase il Buonarroti ad effigiare la Notte
addormentata sul sepolcro di Giuliano dei Medici; cessata la sventura
e con questa il danno della servitù, i Côrsi rimossero la benda dagli
occhi del moro e gliela cinsero al capo in segno di dignità. Quando poi
i Francesi con forze prepotenti e con frode oppressero la nobile isola
correndo l'anno 1770, ardirono levare via del tutto la benda e se ne
vantarono con un verso latino che sonava così: _altri finse sollevarla,
noi l'abbiamo tolta davvero._ Ahimè! vi è tale ch'è nato per imbiancare
i sepolcri come i Savoiardi per pulire i camini. Disotto la immagine
del generale Paoli e davanti a quella pendente dal palco il signor
Boswell vide accesa una lampada. Difficile cosa per altrui ed anco pel
signor Giacomini sarebbe stato distinguere a quale dei tre quadri egli
più particolarmente accendesse la lampada; imperciocchè se ne fosse
formato nel suo cuore un insieme indivisibile, di cui il tutto non
potesse andare senza la parte, nè la parte senza il tutto. Degno uomo!
Non basta avere la patria sventurata soltanto, ma bisogna anco averla
magnanima per amarla, siccome il signor Giacomini l'amava.

Santi Giacomini, côrso di Centuri, stava seduto sopra un seggiolone di
cuoio nero; comecchè fossimo entrati in aprile, egli teneva la persona
inviluppata dentro una coperta di lana, e dietro le spalle ed ai lati
parecchi guanciali da letto lo sorreggevano: tossiva continuo, ora
languido, ora da rompergli il petto: con angoscia spurgava; poteva
del suo sembiante conoscersi poco, perchè un berretto a maglia di seta
nera, il cappello ed una ventola di taffettà verde gli coprivano col
capo buona parte del viso, e, come se tanto non bastasse, difendeva la
vista con occhiali verdi; la parte inferiore della faccia quasi tuffata
dentro il fascettone da collo.

Quanti fossero i suoi anni non appariva giusto; ma, pochi o assai, si
leggeva chiaro che la morte stava in procinto di tirarne la somma.
La pelle sul naso aveva tesa così, che gli spigoli della costola
mostravano gli angoli taglienti; le narici attenuate e cosparse di
quella tale forfora che sembra mazzamurro di ossa tritate; la pelle
colore di cera vieta e madida di sudore; sul sommo delle guancie una
striscia vermiglia quasi raggio estremo del sole che, posato sopra
le alture, chiami le campane al lamento dell'avemaria. Come mai in
cotesto stato potesse vivere, non si capiva: l'amore di patria lo
teneva attaccato alla vita, ed era appunto miracolo, e non il solo,
dello amore di patria: questo, e non altro, con tale una tenacità da
sbalordire il fisiologo, contrastava in lui la morte, e da un anno a
questa parte egli le respingeva in gola ogni giorno il fiato che costei
già soffiava per ispegnerlo: così la foglia a mezza verno dura, mutata
di colore, a tremare al vento, in virtù di una delle mille fibre che
un dì la tennero appesa sull'arbore, nè ella vuole morire se prima non
abbia veduto spuntare sul ramo la gioconda sua erede.

Questo miracolo di ostinato volere teneva nella destra un fascio
di carte e nella manca un temperino. Nello scorrere i fogli talora
abbandonava il capo sopra la spalla così spasimato, che se la morte
fosse giunta in quel momento, sarebbe ita oltre senza toccarlo dicendo:
«Questo è lavoro fatto;» tale altra poi le pupille di sotto ai vetri
verdi mandavano fuoco, le labbra parole indistinte fremevano, ed egli
feriva della punta del temperino i fogli con la ferocia con la quale il
Côrso si butta a corpo perduto sopra l'odiato nemico.

Il signor Giacomo, pazientissimo uomo se altri mai ne visse al mondo, e
se ne vantava, attendeva in piedi che il signor Santi si fosse accorto
di lui; intanto, dondolando la scatola fra le dita, squadrava l'uomo
e ne avvertiva i cenni; all'ultimo, ciò che aveva presagito accadde:
al vecchio Côrso venne fatto notarlo, ond'ei si rimescolava e con voce
scorrucciata proruppe:

— Come voi qui? che volete? qual siete? come vi chiamiate? andate
via... e subito. — E con la punta del temperino gli mostrava la porta.

Ed il Boswell, senza moversi nè anco per ombra, pacato, di rimando:

— Caro signore, salva la grazia vostra, io non veggo nelle vostre
parole quella sana logica che ogni gentiluomo deve recarsi a pregio di
professare: quietatevi, e con la quiete verremo a capo di tutto.

— Ma qual siete? vi dico, qual siete?

— Voi lo vedete: molto vi preme di sapere chi sia; ora ditemi, che Dio
vi benedica, come giungereste a saperlo se cominciassi ad andarmene?
Dunque principierò dal restarmi e dal mettermi a sedere.

Il signor Giacomo nel compire questo moto si accorse essersi ingannato
e di molto nel supporsi solo in compagnia del signor Santi, però ch'ei
si vedesse il cane dietro a un pelo dai garretti con la batteria dei
denti scoperta, e dopo il cane l'uomo castagno con la destra dentro
una tasca di giubbone, dove era più che probabile che non ci avesse il
rosario, o almeno non ce lo avesse solo. Però a liberarlo da coteste
due minaccie bastò un cenno della punta del temperino del signor
Santi (pare che al signor Santi il temperino fosse come il bastone ai
marescialli), e le due creature, l'uomo dico e il cane, nel modo che
senza rumore erano entrate, senza rumore se ne andarono.

— Molto bene! — disse il signor Boswell quando le vide fuori
dell'uscio. Poi rivolto al Côrso, soggiunse:

— Ora sappiate che mi chiamo Giacomo Boswell e vengo d'Inghilterra e
voglio andare in Corsica.

— Andateci. E come c'entro io co' vostri viaggi? In Corsica! Oh! che ci
andate a fare?

— Dirò: molte cose ho sentito contare di voi altri Côrsi.

— Sì, eh?

— Sì, e ne ho anche lette e non poche.

— E che avete sentito dire dei Côrsi? che cosa ne avete letto? Poveri,
ma onorati, per la Immacolata! e sopra tutto liberi.

— Io ho inteso dire ed ho letto, la Corsica essere una macchia di
uomini salvatichi, dentro la quale l'uno cerca l'altro per ammazzarsi.

— Lo avete inteso?

— Già: ancora, che siete barbari così che, paragonandovi con gli orsi,
ingiurieremmo questi animali dabbene.

— Lo avete inteso?

— Ed in fede della incomportabile barbarie vostra adducevano che i
vostri montanari non portano parrucca e non si danno la cipria.

— Ed anche questo avete inteso voi?

— Questo non intesi, bensì lessi nel libro di _monsieur_ Jaussin sopra
la Corsica.

Il signor Santi fece spallucce e senza ira soggiunse:

— I Francesi fanno numero, ma non fanno gente; la lode di costoro mi
avrebbe oltraggiato, ma l'oltraggio non mi affligge.

— Però ne ho sentito contare delle peggio da altri che pure non sono
francesi.

— Peggio?

— Peggio: perchè vi predicavano bugiardi, infingardi, cupidi dello
altrui, avari del proprio, vendicativi, ingannatori e traditori....

— Traditori? Per Dio santo! anco traditori?

— Anche traditori; insomma tali, che i Romani, i quali di uomini se ne
intendevano, non giudicandovi buoni nè anco per ischiavi, vi buttavano
via come cani tignosi.

— Qual è lo sconsagrato che ha detto questo, perch'io gli passi
il cuore? — urlò il vecchio levandosi a mezzo sul seggiolone e
scompigliando i guanciali, di cui due cascarono in terra. Il signor
Giacomo li raccolse, e, intanto che a bello agio li riassettava,
proseguiva con la solita flemma:

— E che bisognava condursi proprio in Corsica per toccare con mano
che chi disse sette i peccati mortali, disse uno sproposito, perchè il
diavolo in Corsica ne aveva annoverato fino a settantamila e non si era
anco rimasto dal contare.

— E voi ci avete creduto?

— Io? vado a vedere.

— Ma io vi domando se voi ci credete?

— No, non ci credo: anzi credo il contrario, perchè ho fatto a dire:
la libertà non è fungo che nasce dal fracido; ella deriva come sequela
da premessa di virtù e completa il sillogismo della dignità umana. I
Romani vi odiarono e vi portarono per bocca perchè nello stritolarvi
si scorticarono le mani; i corpi vostri essi vinsero, non le anime,
le quali, durando a loro marcia voglia, inconcusse nello aborrimento
di qualunque tirannide, eglino screditarono per selvatiche. La gente
odierna corrompere ed essere corrotta appella civiltà; prosuntuosa
quanto vile, non le basta chiamare la pazienza imbelle accortezza, la
paura sagacia, temperanza l'astio misero di ambiziosa impotenza, bensì
provocando scredita ogni generoso irrompere alle armi, come febbre di
mente feroce o partito da matto, il quale metta il fuoco a san Pietro
di Roma per cuocersi una coppia d'uova;

— È vangelo! — esclamò il Côrso; e prese un mazzolino di mughetti che
gli stava accanto sul banco e, sollevati gli occhi alla immagine della
Immacolata, riprese:

— Era per lei, ma adesso lo profferisco a voi, e la nostra Avvocata non
se ne arrecherà di certo.

— Per lei fu côlto e a lei sta bene, — rispose il Boswell alzandosi
e facendo quello che forse aveva dimenticato il signor Giacomini,
cioè porre il mazzetto dentro un bicchiere davanti la immagine. Nel
riassettarsi però vide il Côrso il quale, rannuvolato da capo, sfondava
col temperino i fogli che teneva sul banco. Successe un silenzio lungo,
per ultimo interrotto da un sospiro del Giacomini, cui tenne dietro la
dolorosa esclamazione od interrogazione:

— Ma ahimè! voi siete inglese...

— Sì certo, la Dio grazia: avreste per avventura in uggia gli Inglesi,
signor Giacomini?

— Eh? gl'Inglesi no, l'Inghilterra sì. A me gl'Inglesi paiono tante
partite di un conto corrente, scritte dagli angioli, l'Inghilterra poi
la somma tirata dal diavolo in persona.

— Oh!

— Io non posso pensare alla Inghilterra senza che mi si affacci
alla mente il mio Monterotondo: più che si salisce, più è freddo; in
cima ghiaccio perpetuo. Gli uomini vostri, finchè privati, sentono e
palpitano; fatti ministri, eccoli bilancia e iarda: allora il popolo
più meritorio per essi è quello che logora maggior copia di balle
di bambagino, l'ottimo dei governi quello che franca dai dazi le
manifatture inglesi e grava le altrui.

— Egli è un dannato governo.

— Vedete? ne andate d'accordo ancor voi. Il primo dovere di un popolo
libero non istà nel sovvenire gli altri popoli a liberarsi dalla
schiavitù?

— No, signore. Il primo dovere dei popoli e di chi li governa consiste
nel procacciarsi la maggiore somma possibile dei beni.

— Come, come?

— Senza dubbio. Prima che i popoli diventino Cristo, il quale si fece
crocifiggere per la salute dei genere umano, tempo ci vorrà; ed anco
Cristo fu solo.

— Dunque perchè mormorate contra al vostro governo?

— Io gli do torto perchè i governi, promovendo gli interessi proprii,
devono avere occhio agli altrui: altrimenti ogni cagione di alleanza
durevole casca. Ora l'Inghilterra, proteggendo la Corsica a conservare
la sua libertà, metterebbe un altro piede nel mediterraneo; sostenendo
voi altri nella vostra indipendenza, si assicurerebbe la vostra
amicizia. L'ingegno degli uomini di stato, mio caro signore, non mette
allo sbaraglio le cose proprie per avvantaggiare le altrui, bensì
s'industria di toccare la cima della prosperità per via del bene degli
altri; imperciocchè, voi lo vedete chiaro, nel primo caso rovinano
ambedue, nel secondo fioriscono entrambi.

— Sia: anzi per lo appunto la va così; ed è per questo che
l'Inghilterra nel giudizio dei popoli deve accomodarsi fin d'ora di
andarsene allo inferno senza salvazione, mentre la Francia può sempre
confidare nel limbo o alla più trista nel purgatorio. Di fatti nel
giorno del giudizio l'Inghilterra che cosa vorrà mettere sul guscio
della bilancia per equilibrare l'ira di Dio? Forse la leggerezza
della Francia? Ma no, perchè ella medita sempre col dito teso verso
la fronte. Forse l'orgoglio della Francia? Ma no, chè il giusto
sentimento del volere e del potere non fa orgoglio. Forse la iattanza
della Francia? Neppure. L'Inghilterra si astiene dalla stima e dal
disprezzo anticipato, aspetta, giudica e onora quanto trova degno di
onore. L'Inghilterra pertanto proverà più pesante la mano di Dio per
la ragione, che al tristo savio sarà chiesto conto più rigoroso che al
tristo folle.

— Badate, caro signore: la vita dei popoli non si compone mica di
anni e nè anche di secoli: onde, vedete, l'Inghilterra ha un bel tempo
dinanzi a sè per pentirsi.

— Sì, e intanto gli uomini si disperdono dentro i sepolcri.

— Ma non i popoli, non la libertà.

— Parole stantìe, senapismi ai piedi di tutte le agonie della libertà
che passano! Vallo a predicare ai porri che, ammazzati i cani, saranno
le pecore custodite meglio; intanto i lupi allestiscono le maschere per
il carnovale. Parole scellerate, parole traditore, come le altre che
s'ingegnano insinuare, i cittadini essere cosa diversa dalla città,
i paesani dal paese, i governanti dal governo! No, per Dio santo! e'
formano tutti una cosa; e se il governo è tristo, fa conto ch'ei sia il
gavocciolo, e i governanti gli umori pestiferi che lo creano.

— Mio caro signore, bisogna avere avvertenza a questo, che i governi,
quantunque potentissimi, non possono mica sempre tagliare la veste
dalla pezza. I mali vengono a capitomboli e se ne vanno con le grucce,
e chi sta su la fossa piagne il morto. Assicuratevi, signore, che nelle
faccende pubbliche se, invece di tirare a modo e a verso, taluno si
avviasse dare uno strettone, correrebbe rischio di trovarsi con la
corda strappata in mano e le gambe per aria.

— Che strettoni farneticate voi, che strappi? Ora l'Inghilterra ci ha
promesso Roma e toma, e, dopo avere aizzata la Corsica a ricuperare
la libertà, la lascia in asso: tale altra viene, vede, butta bombe
e granate, piglia Bastia, San Fiorenzo, e pare la voglia sgarare
con la Francia finchè le rimanga pezzo in mano; di un tratto caglia,
lascia lì sacco e radicchio; ha fatto pace soddisfatta lei, contenti
tutti, e a chi si muove guai! Allora proibisce che qualche anima buona
ci soccorra, ci condanna a morire come cani arrabbiati: di angioli
diventammo demonii; a bandirci uomini dabbene non ci trova più conto,
le torna meglio adesso di chiamarci ribaldi. «Accomodatevi,» ella urla
nel nuovo furore di pace, «accomodatevi come potete.» «Ahimè!» noi
rispondiamo «a noi è dato accommodarci tranne nelle fosse del campo
santo.» «Bene,» replica l'Inghilterra forbendosi le labbra, «anche
costà si trova pace.»

— E rispondendo alla terza domanda — disse il Boswell.

— Quale domanda?

— Di che vada a fare in Corsica. Siccome mi hanno confidato che voi
siete in procinto di spedirvi un bastimento...

— Chi ve lo ha detto? non è vero nulla. Corrono degli anni più di dieci
che io non commercio più con la Corsica: tutte bugie, tutte bugie.

— Signor Giacomini, vi saluto, e siatemi cortese, prego, del vostro
perdono se vi ho arrecato disturbo.

In così dire il Boswell si alzava tendendo la mano al Côrso iroso in
atto di commiato amichevole. L'altro, a cui pareva avere detto troppo
e già se lo rimproverava, sbalordito da tanta mansuetudine, riprese:

— Non ve lo avreste a caso avuto per male? Credete, io l'ho fatto per
isfogarmi, non già con intenzione di offendervi.

— Perchè mi avreste offeso? Primamente voi avete nella massima parte
ragione; in seguito, se togliessimo agli infelici il lamento, che cosa
altro rimarrebbe a loro?

— Ma via, qui in confidenza ditemi un po': che cosa ci andate a fare in
Corsica?

— E voi in confidenza ditemi: ci spedite o non ci spedite il bastimento?

— Io non ci spedisco nulla.

— E allora a che pro la vostra curiosità per me ed anche per voi?

— Perchè, essendo io Côrso, potrei vedere.... voi mi capite...
m'ingegnerei agevolarvi la faccenda.

— Ma voi ci mandate la mezza galera sì o no?

— Che diavolo farneticate di mezza galera? Io non ci mando nulla.

— Ed io non vi voglio dire dei fatti miei nulla.

— Signor Inglese, voi siete un testardo.

— Signor Côrso, io stavo appunto pensando lo stesso di voi. Di una sola
cosa mi rincresce, ed è che il generale Paoli riceverà più tardi certe
lettere importanti ch'io aveva tolto il carico di portargli.

— Voi avete lettere pel generale?

— Sicuro.

— E chi è che manda coteste lettere?

— Ma! ce ne ha di sua grazia lord Pembroke, del reverendissimo vescovo
Harley, del cappellano Burnaby, del signor Giangiacomo Rousseau
cittadino di Ginevra.

— Sì, signore, io spedisco la mezza galera in Corsica; e quando vi ci
vogliate imbarcare, consideratela come cosa vostra.

— Bene! — rispose il Boswell facendosi girare la scatola fra le dita;
— ma perchè vi siete ostinato fino...? — Ed esitava a finire.

— Fino alla bugiarderia? — domandò il Giacomini, ed abbrancati
con infinita passione i fogli deposti sul banco, disse: — Potete
ripromettervi che il vostro sangue inglese, il vostro sangue di uomo
libero, spingendosi contro il vostro cuore, non lo romperà d'ira e
di vergogna? Lo potete? Udite allora. Sua Maestà il re di Francia,
l'amatissimo Luigi XV, si degna avvisarci come egli ci abbia comprato,
e la repubblica di Genova venduto. Capite bene: noi, anime cristiane,
redente del sangue di Gesù Cristo, comprate e vendute! Poi ci promette
che si compiacerà governare la nostra isola con vantaggio di coloro i
quali si sottometteranno ai suoi _diritti sovrani_, la preserverà dai
_tumulti che da tanti anni l'agitano_, e spera _non trovarsi ridotto
dalla necessità a trattarvi come sudditi ribelli_, mostrandosi i Côrsi
_solleciti di evitare i torbidi che distruggerebbero un popolo accolto
con tanta benevolenza dal re nel novero de' suoi sudditi_.[2] Che ve ne
pare? Non è egli magnanimo, liberale, generoso questo prediletto Luigi
XV?

— Così ho letto nell'Addison che sant'Antonio predicava ai pesci
esultassero perchè il Salvatore gli aveva eletti per sua particolare
pietanza.[3] In verità le sono cose da ridere coteste.

— Certo sì, farebbero ridere, se la fortuna matta non avesse ricucito
insieme ventisei milioni di cotesti matti; ma ohimè! ventisei milioni
di matti fanno piangere sempre i savii. Adesso mo' sentite quest'altro:
_Monsieur_ Claudio Francesco marchese di Chauvelin, gran croce
dell'ordine reale e militare di san Luigi, maestro della guardaroba del
re, governatore dei castelli e della città di Uguina, tenente generale
degli eserciti del re, comandante in capo delle milizie di Sua Maestà
Cristianissima in Corsica, ordina e comanda che tutti i naviganti côrsi
prendano bandiera francese sotto pena di essere trattati come _pirati_
e _furfanti_, e qualunque bastimento fosse trovato sprovveduto delle
patenti regie si confischi senza altro. Ora come signore discreto,
andrete capace come io non mi tenessi obbligato di confidare al primo
venuto che io sto in procinto di spedire un legno in Corsica; per
ultimo molto più che, innanzi d'inalberarci quella cosa sciapita della
bandiera bianca, io torrei a farlo passare per occhio. Dopo quanto vi
ho esposto, io dubito che vi sia uscita la voglia di andare in Corsica.

— All'opposto, mi è cresciuta due volte. Io andrò senz'altro.

— Ma allora abbiate fiducia in me, come io l'ho avuta in voi.
Ditemi se per avventura vi manda il governo di S. M. Britannica.
Ha egli conosciuto finalmente il solenne sproposito commesso nello
abbandonarci? Su via, purchè si faccia presto, ci è sempre tempo a
ripararlo. Parlate... parlate, chè questa notizia mi riavrebbe da morte
a vita. — E il vecchio moribondo agitavasi con la persona troppo più
che non facesse il Boswell, giovane e gagliardo.

— Nessuno mi manda, io vengo da me; però molti amici si appassionano
meco per la libertà della Corsica e la sovverranno, mossi dai miei
conforti, per quanto valgono le loro facoltà. Ancora, noi non siamo
bastanti a costringere la corona, a mutare governo, ovvero a imporle
modo di politica esterna diverso da quello praticato fin qui,
tuttavolta siamo forti quanto bisogna per moverle potente opposizione
e persuaderla per lo suo meglio a mutare. Questa è la verità.

— Ebbene andate, nel nome santo di Dio! andate, e vi prenda pietà delle
piaghe di un popolo doloroso. Io vi raccomando con tutta l'anima mia
la patria, la libertà e il generale Paoli. Se io possedessi un regno,
gliel'offrirei; e se giovasse, io gli darei anco l'anima, perchè so
che la spenderebbe in benefizio della libertà. Altobello, Giocante e
voi capitano, tenete questo uomo dabbene come uno dei nostri, anzi più
dei nostri; perchè in noi amare la patria e nei bisogni sovvenirla è di
natura, in lui lezione e larghezza di cuore.

A sentire rammentare cotesti nomi, il signor Boswell, voltato il capo,
vide dietro a sè tre uomini giovani, robusti a meraviglia e belli, i
quali tutti gli porsero le mani ch'egli strinse con affezione. Uno di
loro, che alla faccia riarsa dal sole si palesava per uomo di mare, gli
disse:

— Signore, i Francesi costumano tenere le spie a Livorno e non poche:
veramente ventisei milioni di guerrieri, che pigliano a sgararla
con duecento e pochi più mila montanari, dovrebbero vergognarsi di
ricorrere a questi ripieghi; ma ciò spetta a loro, a noi preservarcene.
Stanotte o piuttosto nella notte di domani tra le dieci e le undici
manderò pei vostri bauli all'albergo che vi compiacerete indicarmi.

— Al consolato inglese.

— Inoltre, cominciando da domani sera, procurerete trovarvi poco prima
della calata del sole sopra la via del Molo, e precisamente colà dove
sopra un muro di cortina osserverete dipinta a olio una grandissima
àncora bianca: quanto al resto non vi pigliate travaglio di nulla, io
penso a tutto.

— Bene, così farò, — disse il signor Boswell; poi tacque un pezzo,
chè stava fra due, e la perplessità lo rendeva impacciato: da un canto
pensava andarsene senza altre parole, ma poi non profferire il nolo di
passaggio gli sembrava cosa da lesina; per ultimo temeva che l'offerta
non adontasse cotesta gente superba. Stretto dal nodo, ricorse ad un
partito medio: introdusse l'indice e il pollice della destra nella
tasca del farsetto, intanto che con gli occhi sbirciava i volti,
parato, secondo che scopriva la marina, a compire l'atto cavando la
borsa ovvero la scatola, la scatola, urna per lui di tutte le buone
ispirazioni, alla rovescia di quella di Pandora, piena zeppa di mali;
la borsa, àncora di ogni tempesta, caduceo di amicizia, scudo superiore
a quello di Astolfo contro qualunque pericolo. Di ciò accortosi il
signor Giacomini, per levarlo di pena, gli disse:

— Ho capito: non vi garba avere obbligo con noi altri povera gente; voi
volete pagare il vostro nolo... gli è vero?

— Veramente io credeva disdicevole...

— Chi disse inglese, disse superbo...

— Veramente io voleva...

— No, signore, voi non dovevate credere e non dovevate volere: anch'io,
sapete, sono superbo, e tutti noi Côrsi siamo: non perduti affatto quei
popoli ai quali nella miseria loro avanza la superbia! Se per virtù
propria la non si può tenere, abbila per un barbacane che impedisce
l'anima dal rovinare nel pantano dell'abiezione. Se Lucifero, oltre
questo, non possedeva altro peccato, era più facile diventasse papa che
diavolo. Orsù volete pagare, pagate. Ecco qua, questi sono dispacci:
il più piccolo consegnerete o farete consegnare al signor Francesco
Maria Niccolaio Giacomini, mio nipote a Centuri; quest'altro più
grande importa che lo ricapitiate irremissibilmente nelle mani del
Generale a corte o a Rostino nella casa paterna della Stretta, ovvero
in Pastoreccia nella casa materna; insomma dove si troverà. Io contava
mandarci un mio fidato a posta, e, stillando il quattrino, le sue cento
lire mi andavano via: ora il passaggio ne costa quaranta; dunque vi
rivengono sessanta lire.

E alzata la tavola del banco, pigliava da una ciotola nove scudi e,
contatili, diceva: — Eccovi il resto, ed avrò fatto un buon affare.

— Oh! — esclamava il Boswell, e, presa la scatola, offeriva
sporgendola, una presa di tabacco per via di preliminare di pace; indi
soggiungeva: — Bando dunque al dare e allo avere. Potrò io procurarmi
la contentezza di vedervi un'altra volta?

— Voi ed io stiamo per partire: voi per la Corsica, io per la eternità.
Perchè farei l'ora della separazione grave di un sospiro da vantaggio?
Noi non ci abbiamo a rivedere più.

— Nel mondo forse, ma là, — riprese il Boswell alzando il dito — ma là
porto ferma fiducia che noi ci rivedremo: perchè voi, in grazia dello
infinito amore che professate alla patria, vi siete guadagnato di certo
la salute eterna; rispetto a me, mi sono ingegnato e m'ingegnerò a non
demeritarla.

— Così piaccia al Signore!



CAPITOLO III.

La partenza


Nella notte di quel medesimo giorno, mentre il signor Boswell stava
leggendo la Bibbia, udì pianamente aprire l'uscio della sua camera e
vide entrare l'uomo dal colore castagno col suo cane rossigno dietro
le gambe: costui si piantò in mezzo della stanza senza far motto.
Il Boswell, che aveva ammannito la valigia, gliela indicò; e quegli,
recatasela su le spalle, si volse per partire non profferendo parola
o accennando a saluto. Riavuto dallo stupore, il Boswell, toltosi
prestamente uno scudo di tasca, corse dietro al Côrso, gli mise
la mano sul braccio manco e glielo offrì. A cotesto atto gli occhi
del Côrso balenarono come stiletto cavato dal fodero; sollevò con
impeto la spalla quasi volesse buttare la valigia addosso al signor
Giacomo: subito dopo un nuovo pensiero parve sopraggiunto a temperare
l'acerbezza del primo, imperciocchè ripigliasse il cammino senza
interrompere la sua taciturnità.

Ci vorrà giudizio per governarmi con questa razza di gente, pensò
Boswell, e si pose da capo a leggere la Bibbia, allorchè, quando se lo
aspettava meno, si vide riapparire l'uomo colore castagno dinanzi e con
voce strozzata dirgli:

— Avvertite, signore Inglese, ch'io non sono un _camallo_;[4] con
Santi Giacomini siamo cugini in _terza_. Ho voluto assicurarvi del mio
perdono, perchè ho pensato che, come forestiero, non vi corre punto
l'obbligo di conoscere le nostre usanze.

E voltate le spalle uscì fuori.

— Bene! — esclamò il signor Giacomo — tutto bene! Come, tutto bene?
Certamente questo detestabile odore di erba côrsa che sempre mastica
costui, non è bene.

Ed aperse le finestre per mutare aria alle camere. Ciò fatto, si
assettò allo scrittoio, ne trasse una carta, dentro la quale c'involse
con molta diligenza lo scudo e ci scrisse sopra: «Oggi 27 aprile...
sono stato perdonato da un Côrso per avergli voluto donare questo
scudo;» e sotto: «_et olim meminisse iuvabit;_» poi lo ripose dentro
una tasca insieme con altri ricordi dei casi più notabili della sua
vita, arnesi strumentali della sua filosofia.

Dopo tre giorni, mentr'egli verso le ore ventitrè s'incammina adagio
adagio, secondo il solito, per la via grande verso la porta Colonnella,
o piuttosto _Coronella_, come pare che si abbia più veramente a
dire,[5] occorre in gente affollata davanti alla porta del banco del
signor Giacomini. Allora egli prese ad affrettare il passo senza che
paresse fatto suo, sicchè presto venne su la faccia del luogo. Di
vero vi si trovava stipata una folla di preti, di frati, e croci, e
lampioni, e gente incappata col cappuccio su gli occhi, insomma tutti
gli attrezzi messi in opera nei riti cattolici quando portano via il
morto di cui l'erede può pagare le spese. Il cugino in _terza_, col suo
invariabile vestito di colore castagno e il cane appresso, teneva su
le braccia da un lato un grosso fascio di torce pei preti, dall'altro
uno dei moccoli per la compagnia: intorno al cugino bisticciavansi
e preti e frati a cagione delle torce; i francescani contendevano
le grosse di libbra ai domenicani, ma i francescani, che superavano
in numero e, più che nel numero, in isfrontatezza, la sgararono: poi
il curato di sant'Antonio pretendeva la candela più grossa perchè il
morto era fratello della confraternita; ma gli contrastava quello di
san Sebastiano per essere stato il parrocchiano anima della sua cura.
Intanto i ragazzi, approfittandosi dello impaccio del cugino, tiravano
giù dal fondo del fascio i moccoli, e presili, scappavano: chi rideva,
chi brontolava, il cane ringhiava. Intanto i preti e i frati, con
quella decenza che ha fatto dire la sfacciataggine nata in sagrestia
e allattata in convento, continuavano a litigare. Per ultimo il cugino
usci da' gangheri e proruppe:

— Giuro alla Immacolata che, se non vi chetate, vi rompo le torce sopra
la cherica!

   [Illustrazione: Il vetturino seduto alla peggio su le stanghe
   del calesse, ricevendo uno sbuffo di acqua piovana, toccava il
   cavallo perchè accelerasse il passo. (_pag. 5_)]

Allora quietaronsi, ed anco a indurli al silenzio valse uno stropiccìo
di piedi di gente che cammini aggruppata a disagio, la quale moveva
giù dalle scale. Per siffatto rumore parecchie esclamazioni escono dal
capannello della gente affollata che dicono: «Eccolo! eccolo!...» Di
vero, indi a breve comparisce una cassa portata giù da quattro uomini
incappati, che la reggono mercè maniglie di fune infilate dentro ai
fori laterali. E poichè la cassa manca di coperchio, che porta dietro
un quinto incappato, è concesso contemplare così di volo la effigie
del morto. Ecco la folla accalcarcisi intorno per appagare la spietata
curiosità; le donne, come suole, più smaniose degli altri, si avventano
co' bambini in collo non badando che in mezzo a quel trambusto le loro
creature potevano rimanere storpie, forse anche infrante. Il signor
Boswell, sentendosi a posta sua limare dalla curiosità, si mette in
punta di piedi, ma non venne a capo di nulla; perocchè, appena egli
ebbe scorte due mani composte in croce e legate di un nastro nero, ecco
precipitare giù il coperchio, che sottrae il cadavere agli sguardi
disonesti, e subito dopo si sente il picchio del martello che presto
presto lo conficca, e si vede spiegarvisi sopra il tappeto e metterci
il guanciale di velluto nero a frange, nappe e ricami di oro, un
Cristo d'argento in mezzo, e intorno al Cristo una ghirlanda di fiori
in simbolo che il signor Giacomini era morto in istato di presunta
verginità. Ciò fatto, ecco difilare la mandra dei preti e dei frati
belando e mugghiando. Al cane rossigno sembrando che tra tante voci
poco umane potesse starci anche la sua, prese a guaire, ma, tocca una
pedata delle solenni, si tacque; e sì che tra tante finte e pagate la
sua era lamentazione sincera e gratuita, ma non gli valse: giustizia
umana!

Un incappato, passando vicino al signor Boswell attonito da cotesto
spettacolo tra sozzo e grottesco, gli susurrò dentro all'orecchio:

— Presto al Molo!

Il signor Giacomo, ripresa la flemma consueta, continuò il suo cammino,
ormai chiarito che il morto non potesse essere altri fuori dell'uomo,
col quale aveva alternato ieri ragionamenti d'ira, di grandezza e
di speranza: e con molta amaritudine andava considerando il mistero
che pare condanni un'anima, potente d'impeto e copiosa di concetti,
alla catena di un corpo cascante a pezzi, arpa con corde rotte in
mano ad un angiolo. Nè questo è il peggio, chè lo inferno vero prova
quaggiù la creatura compita, l'anima sana nel corpo sano, balestrata
in mezzo alla turpitudine di una gente prava che non conosce vergogna,
o, se la conosce, s'industria a lavorarla in foglie di alloro per
inghirlandarsene il capo; gente che giace traverso al tempo come le
macerie di Palmira pel deserto, ingombro alla via e testimonianza di
una vita che non può essere revocata mai più. Guai ai venuti tardi!
Almeno Arnaldo e l'Huss e Girolamo da Praga dal sommo dei roghi
consideravano le loro ceneri seme fecondo della nuova dottrina, e
prendevano conforto dell'essere venuti troppo presto; ma guai, ripeto,
a coloro che vennero troppo tardi!

Mentre così il Boswell si sprofonda di pensiero in pensiero, si sente
cingere a mezza vita, sollevare in aria, e prima che possa riaversi
dalla maraviglia, si vede trasportato sopra la coperta di un legno in
procinto di salpare dal porto.

La mezza galera del capitano Angiolo Franceschi, liberata dagli ormeggi
di prua e dalla mano di ferro che la teneva ferma nel fondo del mare,
abbassò il rostro svelta e graziosa, come l'uccello che, aperte le
ali, vola, si mise a vele spante a sfiorare lieve lieve il piano delle
acque. Non fregio, non cintura dipinta di bianco o di vermiglio sotto
le paratìe, la rendevano cospicua, bensì appariva di un colore tutta,
e questo era nero; ma per gramaglia non iscema bellezza, all'opposto
innamora così che la gente prega Dio non la faccia mai lieta. Insomma
la mezza galera di capitano Angiolo, comecchè vestita a bruno, portava
il vanto su quante navi stavano in quel momento ancorate nel porto di
Livorno.

Il signor Giacomo, fermo accanto alla ruota del timone, guarda
scomparirgli davanti gli occhi l'anfiteatro dei monti che dal mare si
distende fin su l'alpe di S. Pellegrino e il Marzocco, torre marmorea
testimone della magnificenza della repubblica fiorentina, e i colli di
Montenero. Gli balenò per un momento alla vista la villa del Paradiso a
mezza costa sopra l'Antignano, dove il povero Smollet cessò alle muse
e alla vita; e tempestando sempre la mezza galera a golfo lanciato
appariscono e spariscono, quasi fantasime per la bruna della sera,
la torre del Romito, Castelnuovo, Rosignano con gli altri castelli
montanini della Maremma. Maravigliando della stupenda celerità e
tuttavia sentendosi disposto a meste considerazioni, il signor Boswell
disse: — Ecco, l'uomo è cosa che passa sopra cosa che passa, — forse
raffigurando le generazioni umane in un uomo solo, e il mondo nave
sopra la quale egli si fosse imbarcato per arrivare, traverso il fiume
del tempo, al mare magno della eternità. Ci hanno di parecchi tra noi a
cui immagini siffatte fastidiscono, ma ci vuole pazienza. Ogni popolo
possiede un garbo proprio per concepire e per dichiarare il concetto:
gl'Inglesi serbano il loro e ci tengono; essi non baratterebbero il
Byron coll'abate Frugoni, nè Shakspeare coll'abate Pietro Metastasio,
nè anche dando l'abate Bettinelli per giunta: avranno torto, ma la
intendono così.

Quasi dall'alto scendesse una ispirazione a conforto del signor
Boswell, gli venne fatto di voltare gli occhi in su e vedere la
bandiera côrsa con la immacolata Concezione, e, sopra le stelle
che le incoronavano il capo, le lettere che dicevano: _Libertà_. La
bandiera, quasi avesse senso di alterezza, si avviluppava, distendevasi
scoppiettando; nè meno sembrava esultante la brezza vespertina di
drappellarla insaziabilmente pel cielo ausonio. Di vero, o signori,
in quale altra parte di mondo il santo vessillo della libertà sarebbe
meglio venuto di qui? Qui, dove libero è tutto l'acqua, il vento e
il cielo non sanno che sia tirannide di uomo: per poco ch'eglino si
commovano, lo ricacciano cadavere su i lembi della terra: colà pianga
o faccia piangere, ma mora e infracidi.

Il signor Giacomo, levata la destra in atto di auspicare alla bandiera,
esclamò:

— Dio ti salvi!

— E la salverà; e quando nel suo giudizio fosse sortita a cascare, le
bandiere cascate nel sangue risorgono.

Il signor Boswell, voltatosi per guardare da cui coteste parole
movessero, conobbe uno dei giovani, ai quali lo aveva raccomandato il
signor Giacomini.

— Dunque quel povero galantuomo è morto eh? — tosto gli dimandò; e
l'altro:

— Poveri siamo noi che perdemmo un cuore senza pari nel mondo, quanto
a morte non è così; gli uomini come lui vivono finchè le rupi della sua
isola non subbissino in mare.

— Bene.... però....

Qui il signor Giacomo venne interrotto dalla vista di un frate, il
quale sbucò fuori dal boccaporto, e dopo il primo un secondo e dietro
un terzo, un quarto, un quinto da mettere i brividi addosso all'onesto
inglese, filosofo in tutte le cinque parti del mondo, in casa sua
anglicano riformato a tre peli. Per la quale cosa, facendo girare tra
l'indice e il pollice la sua tabacchiera più veloce delle vele di un
molino a vento, scorrucciato interrogava:

— E adesso come ci entrano cotesti frati? O che cosa vengono a fare
costoro?

— Vengono a pregare Dio.

— E se ne aveano voglia non lo potevano pregare così giù come su?
Oh sentiamo anco questa, via! Dio sente meglio di sopra che disotto
coverta?

— Non è così, ma sotto la volta del cielo, al chiarore delle stelle che
una dopo l'altra balenano pel firmamento, come se rispondessero a Dio
che le chiama per nome, pare a noi di trovarci più vicini alle orecchie
del Creatore.

— Bene: ma allora e perchè presumete imprigionare lo spirito eterno
dentro le chiese? Io non vi capisco: avete forse una maniera di adorare
Dio sopra il mare ed un'altra sopra la terra?

— Signore, piacciavi ricordare che gl'Italiani fabbricarono in Roma
S. Pietro, gl'Inglesi hanno costruito a Londra S. Paolo; per tutti i
figliuoli di Adamo si leva il sole e poi casca la notte.

— Bene: però voi dovete convenire meco che la preghiera parlata è
cosa assurda; anzi pure oltraggio espresso alla divinità: imperocchè
Dio veda i nostri pensieri prima che di embrione si facciano idea,
ed oda il senso del cuore prima che diventi palpito. Levate gli occhi
al cielo e basta. Dio vi penetra nel midollo delle ossa e vi giudica.
Dio conosce i vostri bisogni, e, se crede che si abbiano a soddisfare,
li soddisferà. Che ne sapete voi? Come potete comprendere gli arcani
della natura? Forse domanderete mattoni, e vi farà mestieri calcina.
Perchè tribolare con la favella, arnese manco, i concetti che riboccano
infiniti dallo spirito dell'uomo? Lasciate spandere libere le acque
della anima, costringete in canali quelle sole che irrigano gli orti
vostri.

— Sentite! — l'altro rispose.

_Ave, Maria_, incominciarono a cantare i frati in suono grave; il
quale però, temperato dall'ampiezza dello spazio e dallo strepito delle
acque, percoteva dolcissimo: quando il Boswell se lo aspettava meno,
ecco a cotesto canto accordarsi l'accompagnatura di uno strumento, che
gli parve arpa, ed era cetra: fra tanti guai, dono dei Mori ai Côrsi,
e non senza consiglio, imperciocchè Dio concedesse ai mortali arche
supreme di salute in ogni diluvio di acque o di tirannide sopra la
terra: musica e poesia.

Se lo squillo della campana, che piange il giorno che si muore, stringe
l'anima al nuovo pellegrino, ora che cosa non potranno mai corde di
cetera e voce di uomo? Le preci, trasportate da venti lontano su le
acque, empiono lo spazio di echi infiniti, i quali da tutti i lati
ripercossi ti pungono con tale un'acre voluttà, che ti rimescola, e
pure non vorresti cessata; conciossiachè gli echi dall'alto pàianti
messaggi celesti, che ti annunzino le tue preghiere avere trovato
grazia al cospetto di Dio; i sottani, che i tuoi morti le hanno intese
e ringrazianti; i circostanti, che i tuoi vivi in quella medesima ora
pensano a te e prece con prece ricambiano.

— Tanto è, — esclamò, come suo malgrado, il Boswell dando un colpo
maiuscolo sopra la tabacchiera — tanto è: tutte le strade menano a
Corinto. — E aggiunse poi, levando lento gli occhi dal confine del mare
al punto culminante del cielo: — Da tutti i lati, quando hai la fede
per viatico, e l'amore ti accompagna, si arriva lassù.

Compite le preghiere, un frate passò vicino al Boswell e gli disse:

— Il Signore vi benedica.

Il Boswell non rispose, anzi in atto mezzo acerbo gli si voltò di
costa quasi invitandolo a passare oltre. Il frate sostò un momento ed
aggrottò le ciglia, ma subito dopo placido riprese:

— Signore, la benedizione di un povero vecchio non ha mai fatto male ad
alcuno: pigliatela; il servo di Dio non ha altro da darvi.

Uno scrittore elegante del nostro idioma accozzò per gioco le parole
_amabile fierezza e terribile dolcezza_; questo accoppiamento si
verificava nel frate di capello bianco più che neve, e dai soppraccigli
folti e neri quanto penna di corvo.[6]



CAPITOLO IV.

Il Frate


— Codesto vostro frate mi ha sconbussolato il cervello, — disse il
Boswell.

— Io credo che, se lo conosceste, voi gli vorreste bene.

— E chi è costui?

— Gli è un uomo uscito di galera.

— Oh!

— E appunto per questo voi lo ricevereste come padre.

— Ohibò!

— Vi contentate ch'io mi provi a farvelo riverire ed amare?

— Provate.

— Voi avete dunque a sapere come codesto frate si chiami padre
Bernardino da Casacconi ed è francescano, d'ingegno certo minore
all'Analdo, al Savonarola, al Campanella, al Sarpi e agli altri
terribili frati usciti fuori dal seno d'Italia; però d'anima pari e,
forse senza dubbio, superiore nella costanza operosa, impiegata in
benefizio della patria. Voi lo riputereste giovane, e così veramente
apparisce tanto per lo intelletto fresco, quanto per lo irrequieto
agitarsi: però la massima parte degli uomini agli anni suoi raggiunsero
i loro padri nel sepolcro, o si chiamano decrepiti. Mezzo secolo
addietro egli si aggirava per le pievi dell'isola predicando pace, e
stornati i ferri omicidi dal petto dei Côrsi, gli appuntava concordi in
quelli dell'abborrito dominatore.

— Bene! Onesto frate in verità!

— All'ultimo cadde nelle mani del nemico, il quale lo trasse a
vituperio in Bastia dove gli ordinò ritrattarsi: la quale cosa
ricusando il degno frate di fare, ebbero cuore di esporlo alla gogna, e
il boia accanto. Innanzi di sbigottirsi, sentite un po' che cosa mi va
a pescare padre Bernardino. Aspetta che tutto il paese gli si affolli
d'intorno, perchè (mi rincresce dovervelo dire, ma la riputazione
del paese vuole che voi lo sappiate) Bastia di faccia alla rimanente
Corsica rappresenta la piaga su le ginocchia di san Rocco...

— E san Rocco ch'è?

— Oh! non ve l'ho già detto? Egli era santo e per di più pellegrinava
sempre.

— Ed aveva le piaghe alle gambe?

— Ed aveva piaghe alle gambe.

— Bene: ma allora doveva smettere di camminare, e fermarsi in casa a
guarire. Sapete che avete di santi curiosi voi altri?

— Può darsi: ma quando saremo arrivati a casa, intendo in Corsica,
io vi supplico ad astenervi da simili considerazioni; o se non potete
astenervene, tenetevele in corpo.

— Così farò: adesso tiriamo innanzi col frate.

— Quando vide i Bastiesi gremiti intorno alla berlina, ecco il frate
scotere arrabbiato il capo, e con voce di bombarda rimproverarli di
viltà e disamore per la patria, ributtare loro in faccia la virtù dei
padri, chiarirli che a cotesto modo tirando avanti, Dio non gli avrebbe
voluti e il diavolo rifiutati: poi, dopo il diluvio, l'arco baleno
di tanto dolci e mansuete parole che già co' singhiozzi e co' fremiti
la gente cominciava a dare certissimi segni di vicina tempesta: onde
e' fu mestieri levarlo di su la gogna, diventata cattedra di libertà,
e ricondurlo in trionfo alla prigione, dalla quale lo avevano cavato
fuora per buttarlo in balìa della infamia.

— Ed ora come si trovi qui?

— Volete che io glielo domandi?

— Dacchè parmi entrare nel paese degl'incanti, fate. Il giovane andò
con presti passi alla volta del frate, che, fattasi notte buia, ormai
si disponeva a rientrare sotto coperta, e, presagli la mano, disse:

— Padre Bernardino, prima di andarvene non mi permetterete ch'io vi
baci la mano?

— Quale siete voi?

— Uno che da zittello ve la baciò delle volte più di mille.

— Figliuolo, non ti riconosco; e per la faccia, sebbene gli occhi non
mi dicano più il vero, pazienza! chè fa buio; ma nè anco alla voce.

— Eppure giuoco il cuore contro una ghiaia, che voi non avete
dimenticato Altobello di Alando.

— E tu non lo avresti mica perduto il tuo cuore, caro, caro figliuolo.
Un bacio... to' un bacio... un altro ancora... o caro... caro!....

E con ambo le mani presogli il capo, pareva non si potesse saziare di
baciargli i capelli. E tuttavia tenendolo stretto come tanaglia al
pesce del braccio e coll'altra asciugandosi la fronte, imperciocchè
padre Bernardino quando si sentiva intenerito non piagnesse; bensì
sudasse, con la faticata baldanza côrsa interrogava:

— Sei venuto per batterti, n'è vero? Hai sentito la patria che
chiamava Altobello, e tu subito: «Presente.» E babbito[7] dove l'hai tu
lasciato? E il barba perchè non è teco?

— Ve lo dirò, padre, ma cominciamo da voi. Oh! che miracolo è questo di
vedervi comparire qui?

— Miracolo? Io mi trovo naturalmente al mio posto, mi pare.

— Sì, senza dubbio, e anche io, come vedete, ci sono; ma vorrei sapere
qual santo vi aiutò a uscire da prigione.

— Non mi ci hanno cavato i diavoli, ma davvero nè anco i santi. Ma
i Francesi mi fecero il processo; e quei cosi neri che si chiamano
giudici, avendomi trovato colpevole del misfatto di volere la patria
franca da straniera dominazione, mi condannarono, senza troppo
gingillare, a morte: e mi parve che facessero serio: ond'io mi era
acconciato delle cose dell'anima e rimesso in Dio, quando, senza
saperne la causa, ch'è, che non è, legato di catene le mani e i piedi,
m'imbarcarono per Genova.

— Povero padre Bernardino!...

— Oh! Non ti dolga di me, figliuolo mio, bensì di quei santi,
sacerdoti, di quei martiri frati, che il dannato generale francese
di cui le opere inique chiarirono pur troppo che non a caso aveva
sortito il nome di _Magliaboia_,[8] impiccò a centinaia agli alberi coi
paramenti sacerdotali addosso. Ora a noi non rimane che a vendicarli,
e quest'obbligo sacratissimo noi compiremo; non è vero, figliuolo mio,
che li vendicheremo?

— Faremo quello che potremo. Ma da Genova come vi riuscì di salvarvi?

— Lasciami ripigliare fiato: che furia, santa fede! A Genova mi
trovai chiuso con un certo santo padre, il quale da mattina a sera mi
serpentava che, se mi fossi risoluto a rivelare l'ordine della congiura
e i nomi dei congiurati, ben per me; perciò che oltre alla libertà
avrei conseguito dalla serenissima repubblica grazie ed onori. Sta a
vedere, dissi fra me, che per fare la spia ti consacrano vescovo! Che
vuoi tu? La carne tira, la tentazione era grande, ed io mi lasciai
svolgere....

— O padre Bernardino, che mi contate mai! — interruppe Altobello con
sembianze disfatte.

E il frate rise soggiungendo: — Lasciami finire. Un bel giorno dunque
mi lasciai svolgere e gli dissi: «Tu mi pari un uomo dabbene e molto
zeloso dei miei vantaggi; orsù ti voglio contentare, io rivelerò
la congiura e i congiurati.» «Non a me, costui rispose, bensì lo
hai a fare al magnifico segretario del senato.» «O a te, o a lui,
per me è tutta una, soggiunsi io, assettati come ti garba.» E il
segretario venne più che di passo, si mise a sedere e, tratti fuori
carta, calamaio e penne, levò la faccia in su e disse: «Voi potete
incominciare.» Io allora, strascinando a stento le catene, mi condussi
al cospetto del segretario e dopo averlo un cotal po' mirato in viso
gli domandai: «Voi dunque non conoscete i congiurati côrsi davvero?»
«Io sono venuto espresso per saperlo da voi.» «E la signoria desidera
proprio di saperli tutti?» «Ma sì, ma sì» gridò il segretario stizzito.
«Non v'inquietate; riponete i vostri scartabelli, chè in due parole
mi spiccio: congiurati in Corsica io ne lasciai 220 mila (chè a tanto
montava allora la popolazione); adesso levateci quelli che sono morti,
aggiungetevi gli altri che sono nati, ed avrete il numero giusto dei
congiurati; il capo della congiura sta in Genova.» «In Genova?» «Nè
più nè meno, anzi nel palazzo ducale, ed è il doge in persona, il
quale col mal governo ha condotto i Côrsi al partito di volere mettere
allo sbaraglio la roba e la vita piuttosto che piegare il collo a voi
altri.» — Da quel giorno in poi se mi scemassero il pane non si dice
nè manco; mi lasciarono inciprignire le piaghe delle gambe cagionate
dalle catene... insomma patii spasimi atrocissimi; non importa, chi
ha paura non vada alla guerra. Voi, Signore, che leggevate nell'anima
mia, sapete, se in quel punto il re Luigi di Francia fosse entrato in
carcere e mi avesse detto: «Padre Bernardino, vuoi barattare le tue
catene con la mia corona?» io gli avrei risposto: «Tirate di lungo,
Maestà.» Con quel filo di voce che mi era rimasto io mi raccomandava
così: «Vergine benedetta, se la mia dolcissima patria tanto provocò
l'ira del tuo divino Figliuolo, che i patimenti sofferti da lei
fino a tutt'oggi non bastino a placarlo, e a me pare che, se laggiù
s'intende discrezione che sia, ce ne dovrebbe essere d'avanzo, allora
pregalo per amore mio, che a te, misericordiosa, volli sempre tanto
bene, a scassarli dal conto della Corsica ed impostarli a debito mio,
ch'io mi protesto di pagare per tutti. Se vedi che ci sia verso di
scampare dallo inferno, tu fammelo risparmiare; ma se, per salvare la
patria, dovessi perdere l'anima, vada la salute eterna, purchè rimanga
stritolato l'abborrito straniero.» Confesso che simile proposta non
veniva da mente sana; ed anco fatta con sensi più convenevoli, grande
presunzione sarebbe stata la mia esibirmi in iscambio della nobile
patria. Così non venni accettato. Papa Clemente XII, cui non garbavano
i frati tormentati, a meno che li tormentasse egli medesimo, mi chiese
alla repubblica con un breve: e la repubblica, immaginando che il
papa le risparmiasse la spesa della sepoltura, volle farsi l'onore del
sole di luglio e mi consegnò. Uscito di prigione, con una scrollatina
buttai giù apprensioni e malanni: pensa se voleva acquietarmi nel
convento di Monticelli, dove il papa mi aveva rilegato. Mi calai dai
muri e, mentre i Francesi e i Genovesi mi credevano terra da ceci,
eccomi da capo in paese di Comune a predicare e a tirare archibugiate
per la maggior gloria di Dio e per la salute della patria. Ora poi
che Genova ci ha venduti, e Francia comprati, a dirtela schietta,
figliuolo mio, mi pare essermisi sgravato il cuore di un grossissimo
peso, perchè quel sentirmi minacciare la morte e chiedere la vita
nella mia stessa favella mi faceva proprio cascare le braccia. Non
più pietà, non ritegno: fratellacci i Genovesi ci erano, tuttavolta
fratelli; adesso forestieri tutti. Per la quale cosa, persuaso che per
questo quarto di ora i Côrsi maggiore merito si acquistino presso a
Dio menando di mani che a recitare il breviario, mi sono aggirato pei
conventi italiani a reclutare questi buoni religiosi côrsi, ai quali
su le prime parve duretto, ma io li convinsi dicendo: «E' non ci ha
dubbio; all'obbedienza del vostro padre guardiano sopra questa terra
voi trasgredite, ma lo fate per osservare la voce del padre guardiano
di tutti che sta nei cieli, ed io vi assicuro che l'angiolo custode
non vorrà farsi scorgere a pigliarne l'appuntatura: ad ogni modo io
rispondo per tutti.» Allora essi hanno detto: «_Ecce ancilla Domini_;
faremo quello che potremo;» e si sono provvisti di carabine che valgono
un Perù. Ecco che io ti ho contato la mia, ora contami la tua.



CAPITOLO V.

Lo zio


— Babbo è morto...

— Oh povero uomo! E di che male? e dove?

— Di puntura a Venezia.

— Vedete di che male è andato a morire un galantuomo che poteva finirla
con una brava archibugiata in Corsica e per la Corsica!.... E lo zio?

— Lucantonio è rimasto a Venezia.

— E perchè non venne teco?

— Ma se mi tagliate le parole dalla bocca, io non vi potrò dire niente,
e voi non potrete intendere niente.

— È giusta; tira innanzi.

— Voi vi avete a figurare che le notizie del trattato di Compiègne e
dell'altro di Versaglia, vergogna nuova su la faccia di Francia, se
su cotesta faccia potesse capire vergogna, arrivarono a Venezia prima
assai che in Corsica, e lo zio, leggendo le gazzette, mutava di colore
in viso; poi brontolava: «Che importa a me di Corsica? Non me ne hanno
cacciato fuori? Chi l'ha a mangiare la lavi.»

— Bò! Tentazionacce! Ma che, ci si pensa nemmeno quando si vuol bene
davvero?,

— E presa la gazzetta se ne accendeva la pipa.

— Tutta superbia.

— Se non vi chetate, smetto.

— No, per lo amore di Dio!

— Alla domane, quando io stava per uscire di casa, dicevami:
«Altobello! guarda un po' se ci ha notizie di Corsica; e se le
raccapezzi, portamele subito, sai.» Certo di la posta di Ancona recò
un piego maiuscolo, immaginate come un mattone; nella sopraccarta si
leggeva: _Al nobile uomo l'illustrissimo Lucantonio Alando, colonnello
della guardia côrsa al servizio della serenissima repubblica di
Venezia._ Il sigillo, largo quanto uno scudo, rappresentava l'arme
di Corsica riformata, vo' dire colla fascia intorno alla testa. Capii
che si doveva trattare di cosa seria; però difilato al quartiere, dove
di fondo alle scale cominciai a urlare: «Zio! zio!» «Che ci è egli di
nuovo?» rispondeva il colonnello di sul letto dove lo teneva conficcato
la più parte del giorno la sua malattia. «Pieghi di Corsica.» «A me?»
«Proprio a voi.» «Fa presto.» «Più di quattro scalini per volta io non
posso montare.» Arrivai in camera con un palmo di lingua fuori e dalla
soglia gittai il plico allo zio: egli lo prese con ambedue le mani, se
lo accostò devotamente al petto, poi si pose a considerare il sigillo
e, levatosi in atto di riverenza il berretto di capo, lo baciò; voleva
aprirlo, e non gli riusciva, tanto gli tremavano le dita. Allora disse:
«Altobello, leggi un po' tu, chè io ho dimenticato dove abbia messo
gli occhiali.» Buono zio! gli occhiali avevali davanti sul guanciale,
ma le lacrime gli velavano la vista ed anco a me un certo batticuore
mi teneva sospeso ad aprire il piego; tuttavolta lo apersi e lessi una
lettera, ma vi so dire una lettera da schiantare l'anima, comunque si
fosse di granito dell'Algaiola.

— Sì eh?

— In verità, padre Bernardino, ella mi fece tanta impressione, che la
lessi e rilessi, la copiai più volte, finchè mi rimase stampata nella
memoria. Incominciava col dare in succinto il ragguaglio della origine
e dei successi della guerra, gli accomodi insidiosi, le concessioni
fallaci, le frodi sfrontate, le turpi offerte e gli empî contratti:
aggiungeva, come per consenso di teologhi solenni fosse stato
dichiarato potersi impugnare legittimamente l'arme contro Genova; tanto
più poterlo adesso contro la Francia, sfacciatissima ed immanissima
compratrice di umano e libero sangue; gli ufficî buoni, le mediazioni
dei potenti, le suppliche stesse essere riuscite invano; la tremenda
vanità francese smaniare nella libidine di possedere la Corsica, perchè
Inghilterra acquistò Gibilterra e Porto Maone, e correre voce voglia in
un modo o in un altro recarsi nelle mani Orano in Africa e Buenos-Ayres
nell'America; tutto concederci la Francia, tranne la libertà; tutto
sopportare la Corsica, tranne la servitù; guerra a qualunque costo
volersi, e guerra fosse, chè i Côrsi non contano i nemici, ma ricordano
quello che Giulio Cesare scrisse dei loro antichi: _seu vincendum
belligerando, seu moriendum_. «Nessun principe, proseguiva il mirabile
scritto, ha compassione di noi; l'avrà Dio. Assicurati fino da
principio di combattere questa guerra per sottrarre alla perdizione
anima, sangue, onore, libertà e sostanze, ricorremmo e ricorriamo
sempre a Dio con pubbliche penitenze, frequenza di sacramenti,
esposizione del Venerabile ed altre siffatte cautele.» Toccati poi
parecchi particolari di minore importanza, ripigliava con pietosissime
parole: «Ora, o carissimi fratelli, invitiamo anche voi acciò veniate
ad unirvi con noi nell'ultimo cimento della patria. La causa è comune,
nè voi sapreste sopravvivere alla caduta nostra: venite pertanto ad
esserci compagni, a mietere palme sopra i nemici vinti, o ad unire il
vostro col nostro sangue, acciò ingrossandosi il torrente faccia più
clamoroso lo spirito che risuoni al Dio delle misericordie, e l'accetti
in sacrificio di martirio per le patrie leggi, e resti memoria
onorata ai secoli futuri, che i buoni hanno voluto piuttosto morire
tutti, che vivere in più lunga servitù. La pietà e l'onore vostri non
abbisognano di altro stimolo per imprendere subito il viaggio verso
di noi, bastandovi conoscere la imminente rovina nostra. Via dunque
superate ogni ostacolo per sovvenirci in tanta stretta; tutto è lecito
per compire il debito verso la patria; nè vi ha scusa che valga a
dispensarvene. Certo accettissime ci comparvero e fuori di misura grate
le tante vostre lettere, piene di ammonimenti e di avvisi: però, a
parlare alla libera, poveri noi se avessimo a condurre le imprese col
consiglio dei lontani! Deh! Lasciate in pace la penna ed impugnate una
volta la spada, chè è tempo questo di spargere sangue, non inchiostro;
tempo di combattere fra i perigli, non già di consigliare al coperto.
Ricordatevi Curzio, il quale ebbe a gloria di precipitarsi nella....»

— No, signore....

— Come no, signore? O non diceva per avventura così?

— Già; diceva in quest'altra: «Ricordatevi che l'amore santo di
patria ha reso incuranti del fuoco, delle voragini, uomini fortissimi
e onoratissimi; venite a morire con esso noi voi altri che con
noi nasceste, nè vi spiaccia trovare la tomba là dove sortiste i
natali....»

— È vero; parlava come dite voi; dunque anco voi la imparaste a mente?

   [Illustrazione: I preti e i frati, con quella decenza che ha
   fatto dire la sfacciataggine nata in sagrestia e allattata in
   convento, continuavano a litigare. (_pag. 32_)]

— Io? La scrissi....

— La scriveste voi? — gridò saltandogli al collo Altobello; e il
signor Giacomo, stringendogli a sua volta e squassandogli la destra,
esclamava:

— Ma dunque voi siete proprio un frate dabbene?.. Pare!

Male possiamo supporre quello che il padre Bernardino avrebbe risposto,
caso mai avesse sentito cotesto strano complimento: fatto sta che,
preoccupato dall'Alando, non ci pose avvertenza.

— Oh! che credevi? — soggiungeva il frate favellando con Altobello,
— che il tempo speso a imparare a leggere e a scrivere me lo fossi
giocato a tarocchi, io? E poi quando si butta giù quello che scoppia di
qua dentro (e il frate si picchiava il petto da rompersi una costola)
e si fa sempre presto e sempre bene.

— Benedetti quel cuore e quelle mani! Dunque posso smettere di
recitarvi la lettera, poichè l'avete scritta voi?

— O che tu smetta o che tu prosegua per me la è tutta una.

— Non così per me, salvo vostro onore: e se nulla impedisce, vorrei
pregare il signore Alando ad essermi cortese perchè continuasse....

— Ripiglierò la lettera, e, là dove sbagli, voi, padre Bernardino, mi
verrete correggendo. Dopo avere discorso degli apparecchi formidabili
del re di Francia, dei bandi rigorosissimi contro qualunque Côrso si
attentasse in qualsivoglia maniera sovvenire alla patria, e delle
pratiche fatte presso le corti di Europa per metterci al bando dei
popoli cristiani, quasi nella sua superba viltà disperasse con ventisei
milioni di uomini venire a capo di duecentoventimila, prorompeva in
questi lamenti: «Noi siamo considerati dai principi bersaglio degli
uomini. Fu lecito ai legni genovesi, ancorchè neutrali, somministrare
nelle recenti guerre munizioni a Tolone, nella Sicilia, in Catalogna
ed altrove: fu generoso noleggio ed onesto guadagno traghettare nel
1358 settantamila infedeli in Grecia per la profanazione di cotesto
popolo cristiano, aprire il varco ai maomettani nella Europa con tanta
iattura dello impero di Oriente, a scapito della fede cattolica;
ma che adesso drizzi taluno la prua verso la Corsica a causa di
mercatura, si reputa fellone e sacrilego; la sostanza rapinasi, il
corpo apprendesi. Cristiani siamo e combattiamo giustissima guerra
e d'incolpevole difesa: onde chiunque sovvenga noi meschini non può
temere le scomuniche della bolla _in cœna Domini_, e vive sicuro di non
offendere le santissime leggi del giusto e dell'onesto, anzi è certo
del contrario, essendo stato sempre atto di misericordia soccorrere gli
oppressi. Ora voi vedete, fratelli, quanti mali ne circondano: guardivi
Dio dalla vergogna di starvene spettatori da lontano: non consentite
che tanta ignominia si aggravi sul vostro capo: vi prenda rossore di
chiedere nuove degli avvenimenti di Corsica con le mani alla cintola
lontani, come se si trattasse di paese forestiero, di cui la curiosità
sola vi muova a sapere le notizie. Venite, venite alla fatica e alla
guerra, chè col sudore e col sangue o vinceremo o moriremo da forti:
_si moriemur enim, non moriemur inulti_. Con amarezza inestimabile
l'anima nostra trascorre a considerare come non anco vi punga il
rimorso per avere tardato ad accorrere in sostegno della patria
cadente, e come patiste aspettare le nostre grida di angustia. E voi
pure, sacerdoti, ecclesiastici paesani, chiamiamo a ridurvi, senza
mettere tempo framezzo, a casa vostra, non mica per combattere, chè le
armi vostre sono le orazioni e le lacrime, bensì perchè, vedendo da
vicino le battiture di questo povero popolo, possiate con più ardore
pregare Dio, con maggiore pietà benedire gli estremi aneliti delle vite
nostre[9]...»

— Fa punto, figliuolo, e avverti che questo io ci misi così per
mettercelo; chè credo Dio ascoltare bene e meglio la preghiera di
ogni creatura si rivolga a lui senza mestiero di frati. E' s'intendeva
sottinteso fra me che scriveva e quelli che leggevano, come dovessero
venire a menare santamente le mani...

— Bene! io mi congratulo infinitamente con voi, signor frate; voi siete
un degno gentiluomo in verità.

— Eh! no, signore, io sono nato pastore...

— All'ora è diverso...

— Niente affatto, la è tutta una, mi pare.

Ma Altobello, per troncare ogni quistione molesta, riprese: —
Rinunziate forse, padre Bernardino, a sentire la fine dal mio racconto?

— Al contrario; di' presto.

— Orbe': giunto al punto in cui mi avete interrotto voi, mi interruppe
anche lo zio domandando; «Ecci altro?» Ed io: «Ecci l'augurio che
l'arcangiolo Raffaello accompagni ognuno per la via caso mai che
muova per la Corsica: la firma dei Nove, del Supremo Consiglio,
quella del generale Paoli e per ultimo il sigillo del regno e la
firma del gran cancelliere Massesi». «E finisce affatto?» interrogava
egli ansiosamente. «No, in fondo io leggo: _volta_». «Volta dunque e
vedi». «Ecci un'altra lettera». «Firmata?» «Sì, firmata aspettate...
dal Paoli». «Be', riprese serenandosi, leggi piano e distinto». «Caro
Lucantonio...» «Dice proprio: caro Lucantonio?» «Ecco qui se volete
vedere...» «Non importa, tira innanzi». «Sambucuccio di Alando fu
padre della côrsa libertà: voi suo nipote potete patire che casa
vostra sia ridotta in servitù? I Côrsi furono venduti come pecore, ma
i Côrsi hanno deliberato difendersi come leoni, imperciocchè sebbene
io non la faccia facile, pure adoperando virtuosamente le mani ci
ha caso di vincere, e allora oltre la salute della patria verremo ad
acquistare bellissima fama; o saremo soprafatti, e i nemici impareranno
a rispettare i superstiti dal valore dei morti superati dal numero non
dal valore, ed anco in questa guisa gioveranno alla patria. I popoli
côrsi, memori di Sambucuccio, domandarono: È spenta la stirpe degli
Alando? Essendosi fatti a visitare le tombe di casa vostra, non hanno
trovato alcuno sepolto con lo scudo ai piedi; e allora domandarono da
capo: Dove vivono gli eredi? Mentre la patria ha bisogno di difesa a
che vi state in Venezia voi prestantissimo in arme? Forse, perchè vi
fu cugino Mario Matra, credete corrervi obbligo di procedermi nemico?
Mario mi assalì alla sprovvista nel convento di Bozio cercandomi a
morte; mancavano ai miei ed a me le munizioni: di accordi egli non
ne volle sapere: in difetto di arnesi per rompere porte, egli appiccò
il fuoco al convento, e noi, tenendoci per ispacciati, avevamo ormai
raccomandato l'anima a Dio, allorchè una mano di popolo trasse a
sovvenirci.

«Mario in cotesta puntaglia rimase prima ferito, poi morto innanzi
che io potessi recargli soccorso. Lo piansi, e non con le lagrime con
le quali Cesare pianse Pompeo; e me lo potete credere, conciossiachè
il cuore mi si schiantasse meno per lui che pei mali che presagiva
imminenti alla patria: lo preservai da ogni insulto; con le mie mani
gli detti onorata sepoltura, con le mie labbra gli supplicai pace:
parlo cose a tutti note; fossero a tutti sconosciute, le affermo io,
e basta. Lucantonio Alando presterà fede a Pasquale Paoli, perchè
Pasquale Paoli presterebbe fede a quanto gli affermasse Lucantonio
Alando. Ma, posto che il caso fosse andato diversamente, e Mario avesse
avuto ragione come ebbe torto, che entrano odii privati col bene della
patria? Vi piaccia considerare me non come Pasquale Paoli, bensì come
magistrato eletto dal volere del popolo a difesa della libertà. Se vi
riputate più capace al bisogno, venite e comandate voi; se invece vi
paressi più adattato io, venite e militate sotto le bandiere della
vostra patria. Più tardi, cessata la guerra, ripiglierete, se vi
sembrerà giusto, il vostro odio e vendicherete nel mio il sangue di
Mario. Frattanto io, in considerazione vostra, ritardo fino a maggio
la rassegna delle milizie, perchè desidero che a quel tempo, facendo
la chiamata dei difensori della patria, qualcheduno esca a mostrare
viva la nobile stirpe degli Alando. Dio vi aiuti. Il vostro compatriota
Paoli.»

Lo zio non disse parola; fece atto che gli porgessi la lettera, la
quale avuta piegò e ripose in seno, poi accennò che io uscissi. Per tre
giorni interi non aperse bocca sopra la lettera; su l'alba del quarto
il caporale Tancredi mi svegliò e mi disse: «Su via, signor tenente,
chè l'illustrissimo signor colonnello lo aspetta.» Andai e rinvenni lo
zio a letto con gli occhi rossi e il viso pallido più del consueto,
notai il lume sempre acceso e le lenzuola macchiate d'inchiostro: il
povero zio aveva vegliato tutta la notte, forse anco pianto. Quello
però che mi fece maraviglia fu ch'io lo trovai vestito della sua assisa
di gala con in capo il tricorno gallonato e piumato. Per man mi prese
tostochè mi fui avvicinato al letto, e così mi favellò con voce piana:
«Altobello, fra un'ora partirà per Ancona il brigantino le _Anime del
purgatorio_, capitano Gabriello Tagliaferro: voi vi c'imbarcherete
sopra, d'Ancona per terra ve ne andrete a Livorno e quinci partirete
per casa» A questo punto, volendo io fare qualche avvertenza, egli mi
strinse forte la mano e aggrottò le ciglia continuando:

«Quanto alla licenza, eccola qua, la repubblica ve la concede ampissima
con la promessa di mantenervi il grado senza pregiudizio dell'anzianità
quante volte vi piaccia ripigliarla; imperciocchè come i principi,
sebbene fra loro capitali nemici, si accordano mirabilmente dove si
tratti conservare i popoli in servitù, così le repubbliche avrieno ad
intendersi per tenere su in piedi la libertà: ma gli uomini sempre
e gli stati troppo spesso queste cose capiscono tardi, e temo forte
che Venezia le abbia apprese più tardi che altrui; ad ogni modo le
ha capite, ed è perciò che vi concede la licenza. Questa lettera
consegnerai in Livorno al signor Santi Giacomini, che vi procaccerà il
passo sicuro per Corsica; queste altre sono pei cugini di casa; queste
poi rimetterai nelle proprie mani del generale Paoli, in proprie mani,
capisci e con essa questi mille zecchini, senza dire niente, perchè il
danaro dato al Paoli è danaro dato alla patria: a te ecco la spada di
Alferio fratello mio, che fu tuo padre; egli la illustrò combattendo
per gente non sua, io procurai mantenerla senza ruggine, tu, più
felice, adoprala per casa tua. Dammi un bacio e andate pel vostro
dovere.» Ed ora, padre Bernardino, voi avete saputo come e perchè io mi
trovi imbarcato qui con voi alla volta della Corsica.

— Sangue di Alando non poteva mentire, benedetto ne' tuoi figliuoli e
nei figliuoli de' tuoi figliuoli. Altobello, la fortuna può levarti gli
averi, ma levarti la fama ormai non istà più in sua podestà.

— Vedete un po' che razza di gente sono questi Côrsi! Chi mai lo
avrebbe pensato?

Il signor Boswell, comechè urbanissimo fosse, preso dal consueto
svagamento, lasciò scapparsi questa osservazione di bocca con voce più
alta che non avrebbe desiderato: per la quale cosa fra Bernardino, il
quale era vago dei forestieri come il cane delle mazze, facendo grugno
interrogò Altobello:

— Donde hai cavato tu cotesto coso? Com'entra nelle nostre faccende
costui?

Padre Bernardino adesso veniva a movere sul Boswell quella medesima
domanda che il Boswell aveva poca ora prima fatta sul frate; tanto
vero che le bisogne umane presentano spesso il rovescio così appuntino
uguale col loro diritto, che nè anche chi primo li fece, saprebbe
distinguerli: ma poichè la domanda fratesca palesava intenzione acerba,
dubitando Altobello che di parola in parola non divenisse lite, era
sul punto di rompere con qualche suo trovato il colloquio, quando
il capitano Franceschi lo sovvenne molto opportunamente gridando dal
timone:

— Ammaina le vele; i passaggeri abbasso.

Allora i nostri passeggeri si accorsero come il vento, mutandosi ad
un tratto, di tramontana si era volto a libeccio. Grosse nuvole nere,
pari a gravi battaglioni di esercito, una dopo l'altra venivano ad
attelarsi pei campi del cielo, mentre altre più leggiere percorrevano
in sembianza di bersaglieri.

— Avremo burrasca, neh! capitano Angiolo? — domandò fra Bernardino
affrettandosi ad obbedire al capitano Franceschi; e questi:

— Bò! Ma per istanotte in Corsica non si arriva mica; e' sarà bazza se
in tutto domani.

— Ciò mi sconcia; ma in questo come in ogni altro la volontà di Dio sia
fatta.

E si avviò sotto coperta seguitato dagli altri.



CAPITOLO VI.

Perchè i Côrsi non amino i forestieri


Altobello, senz'altro dire, si giacque a canto allo amico suo Giocante
Grimaldo, il quale, comechè animoso molto e della patria sviscerato,
pure non sapeva fare altro che menare le mani e dormire. Fino da quando
egli ebbe uso di favella non si ricordava avere parlato tre minuti
senza sbadigliare quattro volte. Soleva dire che la rettorica del
soldato sta sul taglio della spada, e se per questa ei non capisce, o
con questa non si fa capire, gli è segno ch'ei nacque per servire la
messa, non già per esercitare la milizia. Giocante per tanto dormiva;
ma siccome riesce più agevole perdurare nel sonno che incominciarlo,
come ogni uomo può avere esperimentato, così accadde che, sebbene
Altobello, il Boswell e padre Bernardino ci si mettessero di proposito,
non ne vennero a capo. E davvero, posti ancora da parte i pensieri che
ad ognuno di loro mulinavano pel capo, non persuadevano il sonno lo
zufolio del vento pel sartiame, il fiotto dei marosi che, rompendosi
contro la prua, scivolavano cigolando lungo le bande della galera, e
quel tracollo da poppa a prua squassa la carena alle navi e le viscere
ai passeggeri. Infatti Altobello, dopo essersi voltato delle fiate
più di venti ora sul manco, ora sul diritto fianco, si mise a sedere,
tirando in su le gambe, e su quelle appoggiati i gomiti, introdusse la
faccia nelle mani aperte come dentro una morsa. Fra Bernardino, notato
l'atto e parendogli buono, non pose tempo fra mezzo ad imitarlo, e il
signor Giacomo, quasi a far prova del quanto sia contagioso lo esempio,
tenne dietro a que' due.

Parevano gli amici di Giob quando, invece di consolarlo, andarono a
fargli scappare la pazienza, finchè preso il morso fra i denti, il buon
patriarca dette di fuori. Per la qual cosa io non sono mai arrivato a
comprendere come sia passata in proverbio la pazienza di Giob. Scorsa
lunga ora in silenzio, fra Bernardino chiamò:

— Altobello!

— Che desiderate da me? — rispose il giovine côrso.

— Mi è venuto lo scrupolo di avere proceduto con manco di cortesia con
questo gentiluomo su dianzi in coperta.

— La coscienza non v'inganna; consideratelo voi: questo gentiluomo per
visitarci muove da casa sua.... dalla Inghilterra....

— Ah! Inglese? La è dunque inglese vostra signoria? _Angli olim angeli,
nunc diaboli_,[10] come ho sentito dire a Roma.

— E non solo le parole vostre mi parvero inurbane, ma se penso che voi
foste lettore di filosofia, senza discorso di ragione, — riprese a dire
più acerbamente Altobello.

E il Boswell allora con voce blanda soggiunse:

— Buttiamo la filosofia in un canto, contrario alla carità predicata da
Cristo, di cui voi giuraste praticare e bandire la dottrina: contrario
al divino precetto che vi ordina di riverire e amare ogni uomo come
fratello....

— Per Dio Santo! voi volete fare la predica al predicatore? Circa a
mancare alla creanza, può darsi; voi l'avete inteso, io me n'era quasi
avvisato da me; rispetto poi a carità, signor Inglese, voi avete il
torto. Se voi sapeste quante desolazioni, quante rovine ci abbiano
diluviato addosso i forestieri, voi parlereste diversamente. Io dubito
riuscirvi sazievole, signor Inglese, ma tanto è; bisogna che voi mi
porgiate ascolto: ce ne va della mia riputazione; e poi voi non potete
dormire col vento che tira: per ultimo considerate che, se non vi porgo
la chiave, voi non potrete entrare nella ragione dei fatti nostri. In
breve mi spiccio.... vi degnate ascoltarmi?

— Parlate a vostro agio, signor frate: anzichè infastidirmi, penso che
mi recherete molto piacere, se m'ingannassi, ve ne accorgerete....

— Sentendovi russare? In qualunque caso ci guadagnerete un tanto.

Il signor Boswell non rispose, ma aperta la scatola offerse tabacco
al frate, il quale ne prese, e anco ad Altobello il quale ricusò; il
signor Giacomo ne tolse anch'egli la sua porzione: ond'è che, tirando
su in coro col frate la polvere attinta nel medesimo vaso, si sentivano
questi due cristiani più che a mezzo riconciliati.

— I forestieri — finito il tabacco, disse il frate Bernardino — i
forestieri si ficcarono in Corsica dolorosi quanto i chiodi nelle
santissime carni di Gesù Cristo: questo vi ho detto e questo vi provo.
Raccontano che certi popoli vecchi, dei quali non si trova memoria
e non importa trovarla, disertate le terre native, qui ponessero
stanza. Se la cosa stia per lo appunto come la contano, io non so dirvi
davvero; ma, posto che sia, ciò importa, che la Corsica ha amicizia
antica con la disdetta. Difatti e come potreste figurare che codesta
gente uscisse di casa? O ci fu cacciata da altri assalitori, e allora
chi non ebbe virtù a difendere il proprio, si conosce a prova ingiusto
con la roba altrui e ladro: o la inopia del vivere la costrinse ad
esulare, e in questo caso ella ci cascò addosso ospite accetta quanto
al Senapo le arpie: o per ultimo la tirò l'avarizia, e questo sarebbe
stato il peggio, conciossiachè fame satolla si attuti, cupidità umana
non dice mai: basta. Ma scendiamo a tempi più prossimi. I Cartaginesi
un giorno intimarono a quella gente antica, focea od etrusca che fosse:
«Chi ha ballato dia luogo; e a noi aborigeni voi altri ci servirete a
questi patti: non seminerete nè pianterete; noi vi somministreremo il
vivere dall'Africa.» Di tanto ci ragguaglia Aristotele, ch'era antico e
lo poteva sapere: adesso taluno, che non lo può sapere, contraddice e
sostiene che ciò non torna in chiave; imperciocchè, andando avanti di
questo passo, bisognava che i Cartaginesi spesassero tutti i Côrsi, e
questo non pare possibile; e, non potendo provvedersi la vittuaglia, i
Côrsi avrieno dovuto impiccarsi ai larici delle loro foreste. Questo si
chiama ragionare a vanvera; perchè salta agli occhi come i Cartaginesi,
deviando i Côrsi dall'agricoltura, vollero che intendessero unicamente
ai lavori delle miniere, a tagliare legna e a raccogliere la pece che
stilla copiosa nelle macchie dell'Asco, cose tutte, non che utili,
necessarie per popoli dediti alle faccende del mare come i Cartaginesi
furono: ma per me m'immagino ci covasse sotto un'altra ragione, e ve la
voglio dire.

I popoli commercianti, fatti presto i quattrini, smettono la pristina
asperità (che mi andrebbe di coscienza chiamare virtù) e tuttavia,
o cupidi di acquistare di nuovo, o trepidi di difendere il vecchio,
abbisognano di armi: ora costumando essi per abito di trafficare ogni
cosa, si consigliano potersi provvedere anime e fede non altramente
che tele bambagine o pesce salato. Cristoforo Colombo genovese lasciò
scritto che a contanti si comprava anche il paradiso; e badate ch'ei
fu dei buoni. Ora i Cartaginesi, secondo me, invece di comprare
soldati al bisogno, come usavano le repubbliche italiane, pensarono
tenersi in vivaio un popolo intero per servirsene alla occorrenza;
però, somministrando ai Côrsi paga e panatica, ordinarono che in pace
attendessero ad esercitarsi nelle armi, per adoperarle poi a profitto
loro in guerra. Per questo modo due popoli antichi ci porgerebbero
esempio di istituti contrarii, perchè gli Spartani, destinando
gl'iloti alla coltura delle terre, sè conservavano interi alle armi; i
Cartaginesi all'opposto, dediti alle industrie mercantili o rustiche,
commettevano il carico della guerra, se non tutto, almeno in parte
ai popoli deditizii o conquistati. Nè vi paia nuovo che, messe da
parte le compagnie di ventura, i Romani, spogliate le virtù prische,
sovente ricorressero alle spade dei gladiatori, invocando inviliti a
difesa coteste anime che comprarono superbi agli immani sollazzi. E
credo ancora che i Cartaginesi a mantenere, come ho detto, quel vivaio
di uomini, ci trovassero il proprio interesse; perchè, quantunque
l'abbaco non avessero ancora inventato, pur di conto sapevano fare
anche a quel tempo. Intanto ai Romani erano allungati i denti anco
su le marine: però vennero in Corsica con l'armata, dove uno Scipione
romano, contendendo dell'osso con Annone cartaginese, glielo strappò
dai denti, rimandandolo concio come un _ecce homo_ in Cartagine. Io ho
letto su i libri come, per molto volgere che abbiano fatto di carte,
non sieno riusciti a trovare la cagione donde i Romani mossero contro
la Corsica; ma e' non sono curiosi costoro? La forza che va limosinando
un po' di apparenza dal diritto, è trovato di moderna ipocrisia: a quei
tempi la forza procedeva nuda e cruda, e non avrebbe tenuto in casa il
diritto nè manco per le spese. Oppressori furono i Romani perchè forti,
oppressi noi perchè deboli. Badate di non appuntarmi di contraddizione
se, mentre vi dissi dianzi che i Côrsi destinavansi dai Cartaginesi
alle armi, adesso ve li do per deboli; perchè la contraddizione si cava
di mezzo avvertendo che forza e debolezza sono termini relativi; per
la qual cosa i Côrsi, comecchè in sè forti, potevano comparire deboli
di petto ai Romani o per numero, o per arti di milizia, o per questo
altro ch'io vi vado a dire. Popoli veramente forti sono quelli che da
una mano trattano la zappa e dall'altra la spada; il popolo dalla zappa
sola casca facile preda di chiunque vada armato a sottometterlo; il
popolo con la spada sola si vende e si rivende, e ammazza per vivere.
Il popolo poi che ha da difendere la casa, il campo e il camposanto,
pare che non muoia mai, perchè di lui non si viene ordinariamente a
capo, se prima, passato per ogni estremo, non si senta rifinito di
forze; e la natura sembra che abbia voluto in certo modo avvisarcelo
quando commise al medesimo metallo l'uno e l'altro ministero;
perchè dandogli la zappa di ferro gl'insegnò che con quella aveva da
lavorare, e dandogli la spada di ferro lo ammonì che con quella doveva
difendere il frutto delle sue fatiche. Affrancati noi dalla tirannide
cartaginese, a non patire la romana, avevamo ragione da vendere,
ma avemmo torto quando mettemmo innanzi la ragione senz'armi per
sostenerla; tuttavia, con l'ingegno supplendo al mancamento di forza,
una volta ci capitò di circuire Claudio Glicia, nè gli lasciammo altro
scampo che riscattarsi a patto di pace a noi comportabile. L'accordo
dispiacque al consolo Varo e al senato, ai quali riuscì ottenere
vittoria non ardua di noi ormai assicurati della pace. Solo, per
conservare illesa la fede quirita, ci mandarono Glicia in catene perchè
lo martoriassimo; noi visto il tapino, dicemmo: «Mancano carnefici
a Roma?» Difatti respinto da noi, essi lo ammazzarono in carcere.
Le ipocrisie della giustizia odio più della stessa ingiustizia. Non
solo, nè in catene, dovevano renderci Glicia i Romani, bensì co'
suoi compagni armati ed in mezzo alle strette dove gli avevamo chiusi
noi: allora avremmo forse vinto, non però senza strage, chè i Romani
erano usi a quei tempi di morire con la carne fra i denti. Oppressi,
non vinti, il cuore non si sbigottì; però riparati su le pendici,
a mano a mano che le vene ci si riempivano di sangue, scendevamo ad
arrisicarcelo al giuoco delle battaglie su le pianure rubate. Ci vinse
la seconda volta Marco Pinario pretore ammazzando duemila dei nostri:
tolse seco ostaggi, c'impose l'annuo tributo di centomila libbre
di cera. Otto anni dopo col cuore medesimo, ma con forze maggiori,
tornammo a metterci allo sbaraglio e con fortuna del pari sinistra:
chè anco per questa volta Publio Cicereio tagliò in pezzi settemila
dei nostri, ai superstiti impose doppio tributo. Bisogna dire che
la vittoria non fosse lieta nè anco per lui, all'opposto piena di
ansietà; imperciocchè le storie notano ch'ei votasse a Giunone Moneta
una cappella se gli dava sgararla. Non vi crediate già che per queste
battiture i Côrsi, come gente ricreduta, quietassero; se voi lo
credeste, v'ingannereste a partito; di lì a breve ci rividero i Romani
più tenaci e più forti; la nuova impresa fu commessa a Papirio Masone,
che veramente la condusse a termine glorioso a lui, funesto per noi, ma
con tale e tanto sudore, che il senato la giudicò degna del trionfo,
il quale Papirio condusse sul monte Albano. Adesso poi i Romani come
sicuri posavano il capo su due guanciali, quando di un tratto la
sentono ribellata da capo minacciare più feroce di prima. Giovenzio
Talma, collega di Tito Sempronio, le mosse contro con molto naviglio ed
esercito consolare: al cimento delle armi ruppe i Côrsi cinque volte e
sei; ma così apparve nella estimativa dei Romani o così desiderata o
così trepidata la vittoria, che il senato decretò rendersi pubbliche
grazie alle deità tutelari. Valerio Massimo ha di questo consolo un
caso strano, ed è che, sopraggiuntogli il messaggio con l'annunzio del
senatusconsulto mentr'egli stava sagrificando sul lido tanta allegrezza
lo assalse che, mancatigli ad un tratto gli spiriti, cascò morto a piè
dell'altare. Lascio altre ribellioni, altre stragi, le quali, come sono
sazievoli a raccontarsi, furono truci a patirsi; unicamente vi chiedo
che consideriate questo: anco gli imbelli, innanzi che conoscano di che
cosa sappia la vendetta del superbo dominatore, possono avventurare
la prima ribellione: solo gli animosi arrisicano la seconda prova e
la terza consapevoli delle rovine che perdendo si chiamano addosso:
ma contendere sempre senza consolazione di vittoria mai, anzi con la
certezza di perdere e non isbigottirsi, è più che da uomini.

In seguito, a Mario e a Silla piacque fondare su i nostri campi
colonie mandate quaggiù, non sappiamo se a fecondarli con la fatica o
piuttosto col sangue. I Côrsi, fatti simili agli uccelli, per quanto
si può da cui va senza ale, dai comignoli dei monti agguardavano le
pianure abbandonate da loro, dopochè i Romani, deriso l'antico tributo
delle libbre dugentomila di cera, pretesero spogliarli di quanto
in biade o in vino o in olio produceva la terra, e rigidi esattori
inviarono a riscuoterlo Oppio e Tiberio Gracco pretori. Dall'alto
delle pendici i Côrsi, quasi spettatori seduti in circo, mentre da un
lato spasimavano pei perduti retaggi, dall'altro blandivano le ferite
dell'anima alla vista dei duelli che l'avarizia o l'odio provocavano
tra gli abborriti dominatori. Però nè anche le rupi salvarono, e
queste ultime gioie vennero rapite; imperciocchè i Romani, conchiusa
la guerra, incominciarono la caccia degli uomini. Nè dico cosa che
non sia vera, dacchè con reti e cani si diedero a perseguitare per
le selve i Côrsi come bestie feroci: fattane raccolta, mandavanli a
Roma chiusi in gabbie per cavarne schiavi accomodati ai piaceri od
alle necessità loro; ma per quanto ci si affaticassero attorno, non
riuscivano ad acconciarli a nulla, e Strabone ne chiarisce le cause
con queste parole: «Quantunque volte un capitano romano, scorrazzando
l'isola, metta insieme una funata di schiavi e li mandi a Roma, destano
in cui li mira grandissima maraviglia, non si sapendo se prevalga in
essi la stupidità o la ferocia: molti abborrendo la vita si ammazzano,
gli altri impazziscono o paiono corpi morti per guisa, che il padrone
piglia a detestarli, maledicendo il danaro, comecchè poco, gittato in
comperarli.» Strabone, pensando vituperarli, non poteva lasciarci della
natura indomita dei padri nostri testimonio più solenne di questo;
imperciocchè fino da tempi remotissimi si conosca com'essi sapessero al
tedio della servitù preferire la morte.

Dai Romani cascammo in potestà dei Greci, come un brandello di carne
che il lupo vecchio, non potendo masticare, regala alle zanne dei
lupicini. Sotto la dominazione loro i Côrsi, stremi di ogni bene,
ebbero a pagare i tributi con monete di creature battezzate: così
è, in vece di bisanti, figliuoli: ed il flagello, come in gravezza,
crebbe di numero, perchè in un groppo ci capitarono sul capo Vandali,
Goti, Saracini e Longobardi. Questi ultimi, oltre i mali presenti,
ci lasciarono il germe dei futuri, come i Numidi fuggendo balestrano
frecce avvelenate. I Saracini non potevano durare; perchè, pazienza
se, figurandosi di aver dato il mondo a fitto, si fossero contentati
dei raccolti, lasciando tanto ai coloni che potessero vivere! ma no;
essi portavano via bestie, biade e coloni: sicchè voi capite bene
che questa storia non si poteva rinnovare ad ogni capo di anno. In
effetto gli storici, massime i romani, raccontano come Dio, tocco dalle
supplicazioni del papa, c'inviasse il liberatore: vediamo quale. Carlo
Magno, usurpato il regno ai nepoti, scende a combattere Desiderio,
presso cui si erano rifuggiti cognati e nepoti. Incomincia da Carlo la
forza a farsi ipocrita: ladro ai nepoti, costui s'industria dare ad
intendere che Dio gli manda lo _star bene_ a mediazione del prete; e
il prete di Roma parve nato a posta per questo. «Facciamo a mezzo, egli
bisbigliò nell'orecchio allo imperatore dei Franchi, ed io ti reggo il
sacco. Vuoi tu che ti spedisca la patente di galantuomo soltanto, o ami
piuttosto che io ti mandi in paradiso addirittura? Questo rimetto a te,
prima che spartiamo la roba.» Carlo Magno, che, a confessarla giusta,
fu generoso quanto un pirata, rispose: «In paradiso più tardi»; e,
donati a san Pietro i più bei tòcchi d'Italia e con essi la Corsica, si
contentò di essere creato galantuomo in virtù della bolla pontificia.
I Genovesi assegnano proprio a questa epoca la conquista operata dalle
armi loro di Corsica sotto la condotta del conte Ademaro: non potevano
scegliere peggio. Genova allora non era principe bensì vassalla come le
altre città italiche, di Pipino; e Ademaro reggeva la Liguria prefetto
in nome di lui; nè egli genovese, bensì franco, e lo dice espresso
Einardo nella vita di Carlo Magno; nè i Genovesi allestirono l'armata,
al contrario apparecchiavala il re Pipino e spedivala; per ultimo non
vinse i Saracini Ademaro, al contrario rimase sconfitto e per di più
morto; chi li vinse fu il contestabile Burcardo, che l'anno seguente
tra le acque sarde e le côrse gli sterminò. Tanto mi piacque rammentare
perchè tra i novellatori di questa canzone io trovo Uberto Foglietta,
uomo certamente amico della libertà, per la quale ebbe a patire non
poco, ma, come nato a Genova, non amico del pari della giustizia almeno
rispetto alla Corsica. Gran cosa è questa che, mentre il mondo avrebbe
bisogno di giustizia più che di pane, avviene di lei quello che vediamo
accadere del sole, il quale mentre schiarisce metà del globo, ne lascia
l'altra metà nelle tenebre! Ma ditemi in grazia, signor Inglese, vi
annoio?

— No in verità; anzi mi pare pigliarci diletto, mi pare.

— Ditemelo senza cerimonie, sapete; poichè mi accorgo essermi cacciato
dentro un ginepraio da non poterne uscire senza scapito. Al modo col
quale ho cominciato, dubito che l'amore di patria non faccia piangere
la carità del prossimo.

— Quanto a questo, pensateci voi; accomodateli insieme senza che
strillino troppo.

   [Illustrazione: Disse lo zio ad Altobello: — Dammi un bacio,
   e andate pel vostro dovere. (_pag. 55_)]

— Allora favoritemi una presa di tabacco, e ripiglio il filo
baldanzoso, facendo conto che amore di patria e carità abbiano a
formare tutta una cosa: che se per disgrazia fossero due, e l'ultima
avesse a toccarne, ora che mi ci sono messo vo' dire tutta la verità:
poichè chi l'ha da friggere la infarini, ch'io ne farò penitenza a
bell'agio. Carlo Magno dunque, incoronato da papa Adriano, costumò
come tutti i cristianelli di Dio, i quali passata la festa gabbano
il santo; dacchè ora con questo, or con quell'altro amminicolo andava
schermendosi dal consegnare quanto aveva promesso, e, preso alla gola,
dava a spizzico e tardi: la Corsica poi non dette mai: la governarono
per lo impero i marchesi di Toscana e con essi i conti feudatarii
delle varie terre dell'isola. Voi saprete le diavolerie successe tra
i discendenti di Carlo Magno, che si strapparono l'impero di mano
come una giubba rubata: in mezzo al tramestio l'erede del pescatore
figurate un po' voi se gittava il giacchio nel torbido. Antiche memorie
e tradizioni sempre vive assegnano a questi tempi la investitura di
tutta o parte dell'isola a un certo Ugo Colonna romano, e dopo al conte
di Barcellona, con questo patto, che retribuissero a Roma il quinto
dei raccolti e la decima dei fanciulli. Che cosa poi andassero a fare
cotesti fanciulli a Roma, sarà più bello non inquisire che onesto
trovare. Però negano questi fatti di due maniere persone: quelle che,
zelando troppo il patrio decoro, dubitano ricevere dal turpe tributo
non reparabile infamia; e gli sviscerati della curia romana, cui non
ripugna il caso, bensì lo scandalo. _Si non caste, saltem caute_, mi
capite? Però riesce più comodo negare che facile chiarire falso cotesto
fatto e gli altri che la storia aggiunge, voglio dire i rigidi delegati
spediti dal papa fino al numero di cinque per vigilare che i tributarii
non frodassero delle grasce nè dei fanciulli. Se i Côrsi avessero
aspettato dalla verecondia romana la cessazione di cotesto censo,
aspetterebbero anche adesso: ci si pose di mezzo Arrigo Belmessere e,
intercedendo ancora il vescovo di Aleria, fece lasciare la presa ai
mastini papali. Dicono che ciò non si ottenesse senza difficoltà, e al
vescovo di Aleria ne toccasse una ramanzina delle buone, facendo specie
che un ecclesiastico, un vescovo impedisse la osservanza dei dettami
evangelici; della quale cosa maravigliato costui chiese spiegazione, e
gli fu data così: «Non disse forse Gesù Cristo ai suoi discepoli, che
allontanavan i fanciulli da lui: Lasciate ch'essi vengano a me? Ora
il papa non rappresenta egli Cristo, e voi uno dei discepoli suoi?»
Caro mio, quando l'interesse ci ficca la coda, non vi aspettate a più
santi commenti della parola di Dio, massime dai preti. Voi intanto
notate questo, che ne franca la spesa: da prima i Côrsi, ridotti alla
disperazione dai Greci, vendono eglino medesimi i figliuoli per pagare
i tributi; i Saracini poi se li pigliano da sè; per ultimo spettava
alla corte romana mettere per patto nella investitura feudale la decima
dei fanciulli.

Ora le città italiche per forza o per amore incominciano a costituirsi
a comuni franchi da soggezione imperiale. Comuni noi non avevamo, bensì
conti: ma siccome la libertà piace a tutti, principalmente a quelli
che non la vogliono lasciare godere altrui, anch'essi si vendicarono
dalla servitù forestiera per contendere indi a breve della signoria
domestica, e, virtù fosse o fortuna, tra questi rivolgimenti primeggiò
il conte di Cinarca. La storia registra l'orribile governo che i
tiranni facevano dei Côrsi; ma ad eterna onoranza dei nostri padri
registra eziandio queste parole: i principi imperando a tirannide,
i Côrsi agguantano le armi e bandiscono la libertà; poi convocata
l'assemblea a Morosaglia, si costituiscono rettore Sambucuccio di
Alando. Così è, signor Inglese; questo santo antenato del nostro
Altobello fu padre della libertà côrsa. Sambucuccio giunse a stabilire
il governo di Terra del Comune: di molte e sconcie botte picchiò
i conti, ma innanzi di morire non venne a capo di superarli tutti,
sicchè, morto lui, rialzarono la cresta. Il popolo, non si sentendo
valente a resistere da sè, pare che chiamasse in aiuto i marchesi
Malaspina di Massa. Io dico _pare_; imperciocchè per questi tempi
non ci avanzino che scrittori e carte di donazioni chiesastiche, e a
fabbricare storie con questa razza di materiali, adagio. Vo' che ve ne
basti uno esempio. A questi giorni ho letto nelle _Antichità italiche_
di Ludovico Muratori una carta del 1019 o 29, la quale fa fede come
un messere Rolando, conte per la grazia di Dio e signore di tutta la
Corsica, Giulio giudice, e messere Giovanni legato _sentenziario e
scapolaro_, costrinsero certi villani a pagare alla badia di Santo
Stefano di Venaco libre cento di buoni danari e a sfrattare dalle terre
in fra tre mesi sotto pena di 300 fiorini d'oro e della scomunica per
parte di messer legato. Il dabbene proposto, comecchè poco tenero di
Roma, tuttavolta ha preso un granchio nel darci questa carta come
genuina: infatti pare impossibile come gli sia passato per occhio
che una sentenza del 1019 o 29 non poteva ricordare i fiorini d'oro,
battuti dal comune di Firenze nel 1252.

Come a quei tempi le cose camminassero io non vi so dire per appuntino,
nondimanco, essendoci guerra tra popolo e baroni, e non potendo
questi vincere quello, nè quello questi, è facile indovinare che le
procedessero per la peggio. Intanto, poichè non ci ha meraviglia che in
Roma non si deva vedere, scappò fuori Gregorio VII, il quale, vicario
di Cristo, che disse a cui non lo volle sapere, il suo regno non essere
di questa terra, pretese nulla meno che dominare sopra tutta la terra.
Costui, informato come la matassa andasse arruffata in Corsica, ci
mandò legato Landolfo, vescovo di Pisa, a scoprire marina, limitando
però il suo ufficio a _distruggere_, _sradicare_ e _costruire_ in
punto di religione, non altro. Il vescovo ch'era malizioso più di una
squadra di sbirri, trovato il terreno morbido, non contento di ficcarci
la pala, ci ficcò anche il manico, disse mirabìlia della potenza del
papa, promise Roma e toma; sicchè i popoli ignoranti e abbindolati
si commisero al papa a patto che con validi aiuti li sovvenisse per
superare i baroni di oltremonte. Il papa rispondendo mette in sodo
avanti tutto questa volontaria dedizione, poi gli ammonisce ch'egli è
per di più: perchè eglino avrieno a sapere, come l'universo intero lo
sa, il dominio dell'isola appartenere alla santa Chiesa per diritto
di proprietà; ladri, sacrileghi e dannati i tre imperatori e i tre re
che la tennero senza prestare l'obbedienza a san Pietro. Il legato si
trasforma in governatore, si mettono da parte le cose dell'anima per
non parlare altro che di faccende terrestri. Però il carico assunto di
difendere l'isola il papa teneva per novella: in lui non era potere
nè volere a sostenere la guerra: ond'egli, inteso a mietere senza
seminare, concesse l'isola in feudo al medesimo Landolfo, a condizione
che gli retribuisse le metà delle rendite: non vi par egli generoso
costui? Al tributo di sangue ei rinunzia, ma cresce quello dei frutti
da un quinto, come sotto Gregorio IV, alla metà. Dopo quattordici
anni Dalberto, vescovo di Pisa, uomo rotto, visto che la carne non
valeva il giunco, scrisse al papa che egli a pescare per il proconsolo
non la capiva: ripigliasse l'isola. Urbano, considerato tra sè e sè
ch'egli era come se il vescovo gli avesse risegnato la luna, rispose:
«Mira larghezza! io te la dono.» E l'altro soggiunse: «Manco male,
ricatterò le spese.» Però quando fummo su l'atto del donare, ostico a
tutti, ma per la Chiesa più doloroso dello spasimo del parto, il papa
mascagno insinuò nel contratto due cose: che donava l'isola alla chiesa
pisana, quantevolte però il vescovo fosse stato eletto canonicamente
dal _clero e dal popolo_ e confermato dal papa; e retribuissero al
palazzo lateranense l'annuo censo di lire 50 in moneta lucchese. Così
quello che non può tenere, Roma dona; ma come i marinari quando gettano
l'àncora in mare ci lasciano sopra il gavitello galleggiante per
ripescarla a tempo e a luogo, il prete studia ch'esca fuori del dono un
addentellato per poterselo ripigliare.

Giustizia vuole che io dica come i Pisani dimorassero nella isola
con garbo assai migliore di quello col quale ci entrarono: noi non
reputarono essi vassalli, nè noi reputammo essi signori: ci accolsero
come fratelli tornanti in famiglia; accomunarono con noi carichi ed
onori: anzi ci alleviarono i primi, trovandoci alle lunghe sventure
ridotti al verde.

E di questa benevolenza scambievole durano tuttavia i testimoni sia nei
monumenti pubblici, sia negli animi dei Côrsi, propensi a stanziarsi
in Toscana a preferenza di ogni altro paese, quando necessità o
vaghezza li tira fuori di casa; e più che tutto nella lingua loro, da
noi conservata con tanta diligenza, che qualche voce costà disusata,
o non più intesa quaggiù, s'incontra sopra le labbra dei montanari
viva della sua primitiva significazione. I cagnotti di corte non
cessano mai d'infamare il popolo come ingrato: voi per ismentirli fate
tesoro del caso che vi raccontava, al quale aggiungerete quest'altro:
degli oppressori antichi, dei Romani e dei Saraceni qui non troverete
memoria, ed in breve nè anche dei Genovesi, eccetto qualche tomba.
Fama, delitti e ossa dei vecchi e dei nuovi tiranni seppellimmo interi
dentro un medesimo sepolcro.

Ora i Genovesi, sopportando molestamente la parzialità di Roma per
Pisa, studiano ogni ora per levargliela convertendola in proprio
profitto, o almeno per pareggiarla; e la fortuna, come suole a cui sta
su la intesa, ne porse loro il destro. Urbano II, per tenersi bene
edificato Dalberto, lo creò arcivescovo assegnandogli suffraganei i
vescovi di Corsica; questi, subillati dai Genovesi, ricusavano a viso
aperto la consacrazione dello arcivescovo di Pisa, il quale pesta
mani e piedi; e i Genovesi lì alle costole a mettere legna sul fuoco.
Questo era tempo che Roma, voltata a Genova, le dicesse: «Com'entri
tu in questi negozi? Bada ai fatti tuoi, o che ti scaravento addosso
un nugolo di scomuniche»; e le scomuniche a quei giorni scottavano.
Pensate voi che lo facesse? Nè manco per ombra. Roma in mezzo a cotesto
tafferuglio non vide chiaro che una cosa sola: raspollare quattrini.
In effetto considerate che spedienti adopera per aggiustare due emuli
insatanassati: innalza il vescovo di Genova alla medesima dignità
dell'arcivescovo di Pisa e gli assegna per suffraganei tre vescovi
côrsi di Mariana, di Nebbio e di Accia, a patto che ogni anno paghi
una _libbra_ di oro, a san Pietro, ci s'intende. Naturalmente e' fu
uno spegnere l'incendio coll'olio: d'allora in poi fra Genovesi e
Pisani non tregua mai nè pace, nè si rimasero i primi finchè non ebbero
ridotti in piana terra i secondi. Innanzi però della rovina della
Meloria, ecco come i Genovesi arrivarono ad incastrarsi nell'isola.
Gli uomini di Bonifazio esercitavano la pirateria (mestiero a quei
tempi tenuto nobile, quantunque fatto a minuto) recando continui danni
ai Genovesi, frequentatori di coteste spiaggie per loro traffici. Di
ciò meritamente stizziti, commisero ai proprî consoli che andassero
a richiamarsene ai consoli di Pisa, e questo essi fecero. Venuti
al cospetto dei Pisani favellarono: «E' non ci pare onesto, uomini
dabbene, che, mentre la pace dura fra noi, i vostri concittadini
corrano addosso ai nostri e gli spoglino. I vostri castellani
bonifazini fanno il diavolo a quattro a danno della nostra mercatanzia:
ciò non istà in chiave: ordinate pertanto a costoro che restituiscano
il mal tolto, altrimenti sarà rotta la pace, e cui avrà torto faccia
tristo Dio.» I Pisani risposero: «Quello che voi ci dite ci accora
forte, perchè avreste a sapere che il castello di San Bonifazio non
ci appartenga, e i castellani, innanzi di essere nostri uomini, ci
contradicano in tutto e come i vostri mettono a ruba i mercatanti
nostri: accordiamo a raccogliere insieme un'armata e andiamo uniti a
farli stare in cervello.»

Non dissero a sordo. I Genovesi, allestito un naviglio poderoso alla
chetichella, assaltarono i Bonifazini quando se lo aspettavano meno
ed occuparono la terra. Se i Pisani levassero scalpore per la presa
di Bonifazio, ve lo potete figurare: ma i Genovesi rispondevano: «Voi
vi lagnate di gamba sana: invece di ringraziarci di avervi levato
un bruscolo dall'occhio senza che vi costi un quattrino, perchè ci
maledite?» E aumentavano le provvisioni per difendere l'acquisto,
perchè i Genovesi quando mordono tengono maladettamente: così vero
questo che, per rammentare Genova, stringono le mascelle per paura che,
non che altro, il nome della patria caschi loro dai denti. Rimase ai
Pisani con le beffe il danno, pagando la pena della doppiezza loro.
Donde io piglio occasione di ridere dei barbassori i quali si mettono
in quattro per sostenere la diplomazia trovato moderno: no, signore, la
diplomazia è vecchia quanto la bugiarderia, anzi una volta si riputava
una cosa stessa con lei: soltanto ai dì nostri a taluno essendo venuto
talento di separare la diplomazia, ci ha rinvenuto la bugiarderia e la
gagliofferia rinterzata con la sfrontatezza. Appena i Genovesi ebbero
messo il piede nell'isola, incominciarono a gittare con la pala ai
Bonifazini danari, privilegi, insomma ogni bene di Dio: donde entrò, se
non in tutti, almeno in corpo a moltissimi la voglia di venire a parte
della cuccagna: arti antiche e tuttavia sempre efficaci; le mosche si
pigliano col miele dacchè mondo è mondo. Calvi fu la prima a non si
poter reggere e, accordatasi a patti, mise dentro i Genovesi; poi,
continuando a declinare le fortune pisane, parecchi conti, voltate
le spalle come suole ad occidente, si girarono a oriente. Allora si
consigliarono spedire in Corsica Giudice di Cinarca con armi e navi
per mantenersi nella devozione i vassalli fedeli, i ribelli reprimere:
questi veduta la mala parata ricorrono ai Genovesi, che agguantano la
occasione a braccia quadre. Cristo giudicò la lite contra i Pisani non
senza ammonirli prima che s'imbarcassero, lasciandosi cascare di cima
allo stendardo in Arno, che non era per loro. Se fu come la contano,
certo non lo mossero i meriti dei Genovesi: forse in quell'ora i
peccati dei Pisani pesarono più su la bilancia della giustizia divina,
che quelli dei Genovesi. Roma, origine di tanti guai, considerando
adesso che i Genovesi da un lato non erano pesci da abbocconare[11]
l'amo di san Pietro, e dall'altro che i Pisani erano sfidati dal
medico, ripiglia la Corsica e, poichè aveva le granfie stese, piglia
anche Sardegna (era come fare un viaggio e due servizii), e concede
la investitura di ambedue a Giacomo II re di Aragona. Teneva in quel
punto l'accetta, voleva dire le chiavi degli apostoli, Bonifazio
VIII, di mestiere avvocato: però s'egli sapesse tirare l'acqua al
molino non occorre dire. Costui mise nel diploma per condizione,
il re prestasse omaggio, pieno vassallaggio e giuramento di fedeltà
alla Chiesa; la sovvenisse con cento uomini di arme corredati di un
destriere e due palafreni per uomo, e cinquecento fanti, di cui cento
almeno balestrieri con le balestre nuove, tutti aragonesi o catalani;
ancora pagasse il censo annuo di due mila marchi sterlini di argento
buono al romano pontefice in qualunque parte si troverà; e se non
paga, scomunica e decadenza. Lui morto, succede poco dopo Clemente V,
francese; quindi non parrà strano che dove Bonifazio rase la barba,
ei ci facesse il contropelo: in effetto allo sprofondare di Corsica
e di Sardegna aggiunse Pisa e l'Elba mercè l'aumento di altri mille
marchi di argento da pagarsi dai reali d'Aragona. Roma vendeva a buon
mercato provincie ed isole: bisogna dire perciò che le costavano anco
meno; e per me giudico ch'ella avrebbe venduto il sole: basta che
si fosse trovato chi avesse voluto comprarlo e sopratutto pagarlo. I
reali d'Aragona ebbero fama, quanto a fede, di star meglio dei Turchi;
sicchè, venuti alle strette con Roma, imaginate se la battesse tra
il rotto e lo stracciato: così vero questo, che Giacomo, conquistata
la Sardegna, mandò a dire al papa che, avendo speso un occhio per
impadronirsene, durante dieci anni almeno non gli avrebbe potuto pagare
un bolognino; dopo, se gliene avesse dati cinquecento, sarebbe bazza.
Se il papa soffiasse a siffatte iniquità ed arricciasse il pelo, non è
a dire; molto più che in quel torno nei piedi di san Pietro pescatore
si trovava Giovanni XXII, famoso per tirare al quattrino:[12] ma ormai
re Pietro se l'era presa, e bisognò, comechè al Papa paresse mandare
giù una resta di grano, ingozzarla, non mica per perdere tutto, bensì
per lesinarsela fra loro. Giovanni con quei paroloni pei quali Roma
è unica ad onestare le più sozze cose, ammoniva primamente re Pietro
come quel degno uomo di Carlo I di Napoli, malgrado le spese enormi
per conquistare il regno, aveva sempre pagato puntuale come un banco
il censo alla Chiesa; poi disse che per l'amore sviscerato che a lui
figliuolo dilettissimo portava, _quantunque la sede apostolica non
solesse mai fare rimessioni_, sarebbesi adattato a ricevere mille
marchi per soli dieci anni; e cascasse un quattrino, a monte ogni
pratica. Per allora continuò a quel modo, ma parecchi anni dopo
Giovanni re di Aragona non volle pagare più nulla e ne allegava per
causa, che regnando due papi, Urbano e Clemente, egli, che semplice era
e timorato di Dio, il vero dal falso non sapeva distinguere, e molto lo
atterriva il risico di somministrare pecunia allo scismatico; parergli
meritorio a scanso di guai tenersela in tasca.

I Côrsi di Terra di Comune e i conti di Cinarca, vedendosi allora
ruinare sul capo cotesto nuovo flagello di dominazione straniera, ed
anco saliti in furore per trovarsi così venduti e rivenduti peggio che
bestie in fiera, accontatisi insieme, fermarono di darsi ai Genovesi
mercè certe convenzioni di cui fecero carta; la quale, sebbene sia
andata dispersa, pure il contenuto in grazia di vecchi scrittori delle
cose patrie, pervenne fino a noi. Voi mi direte: «Questo darsi a bel
patto in potestà altrui fu affare serio»; ed io rispondo: seriissimo e
degno del castigo che Dio per mezzo di Samuele fece sapere agli Ebrei
sarebbe loro cascato addosso, quando di riffa vollero costituirsi un
re. In effetto il castigo non si fece aspettare; imperciocchè scappasse
fuori di levante una morìa, la quale avventatasi su l'isola menò tanta
strage, che il terzo degli abitanti appena rimase vivo. Veramente
pareva che avesse a bastare: piacque in altro modo alla provvidenza, e
la peste fu per così dire l'antifona del salmo. Ma qui facciamo punto
e miriamo qual fosse lo stato dell'isola in cotesto tempo. I signori
a posta loro se ne dicevano gli Aragonesi e i Genovesi; quelli per
investitura pontificia, questi per virtù di arme e per patto. Ora
esporvi anco alla grossa gl'indiavolati viluppi che ne successero,
sarebbe troppo lunga la storia; bastivi che gli Aragonesi non essendo
comparsi nell'isola così tosto come temevano, dei conti, che si erano
sottoposti ai Genovesi, incominciò la più parte, massime i cinarchesi,
a friggere per la maluriosa soggezione.

I Genovesi mandarono in Corsica Tiridano dalla Torre per tenerli al
_quia_; e i conti, conoscendo da sè soli non poter mordere, spedirono
Arriguccio della Rocca in Aragona al re Pietro, per soccorsi;
scarsi però, quanti bastassero al tenere in subbuglio il paese e lo
stremassero di sangue agevolandogliene l'acquisto. Quando il re Pietro
conobbe i Genovesi dalle contese quotidiane ridotti al lumicino, mosse
ad opprimerli; e gli riuscì di leggieri sgomberarne l'isola, tranne
Calvi, Bonifazio, San-Colombano e qualche distretto in Terra di Comune.
Inferma la repubblica, cinque mercanti accozzatisi in Banchi dissero:
«Lo stato in mano della signoria va come acqua messa nel vaglio;
facciamo un negozio in comune e tentiamo di guadagnare la Corsica
per noi.» Detto, fatto; la signoria, che, simile a papa Lione, quello
che non poteva avere, donava, risegnò la Corsica ai cinque mercanti,
i quali, costituitisi in società commerciale chiamata la _Maona_,
raccolsero armi ed armati e vennero a combattere Arriguccio. Costui
datene e ricevutene parecchie, all'ultimo disse ai Maonesi; «Che Dio
vi aiuti, in Corsica che cosa ci siete venuti a fare? Per guadagnare di
certo. Ed io perchè ci sto? Forse per perdere? Ma continuando di questo
passo voi ed io ci rimetteremo il mosto e l'acquerello: accordiamoci;
accettatemi sesto tra voi, e viviamo in pace.» Piacque il partito,
e si spartirono l'isola. Intanto che Arriguccio patteggiava così co'
Genovesi, persuadeva ai baroni côrsi non si movessero, aspettassero
il destro di coglierli alla spicciolata; nè la occasione si lasciò
attendere un pezzo, conciossiachè, stipulato il convegno dei Maonesi,
chi andò di qua, chi di là: rimasero insieme due di loro con poca
gente, e questi improvvidi assalirono, uno ammazzarono, l'altro fatto
prigione ebbe a riscattarsi con seimila fiorini di taglia. I superstiti
dei Maonesi, stroppi tra per questi tra per altri casi che si tacciono,
un bel giorno, mandata la Corsica dove Luigi XI mandò Genova, voglio
dire al diavolo, grulli grulli se ne tornarono a casa. Ma quel dovere
lasciare la Corsica era per Genova una gran spina al cuore; per la qual
cosa la signoria trovandosi meglio fornita di danaro, ripigliata la
concessione, ci manda governatore lo Zoaglio, che venuto alle mani con
Arriguccio lo sconfisse. Costui ch'era della razza di Anteo, il quale
picchiato un tonfo in terra si rizzava più rompicollo che mai, tornò in
Aragona, dove, ottenuto qualche sussidio dal re Giovanni, si fa vivo da
capo su per le rupi dell'isola: indi a breve la grande computista dei
conti umani tirò di frego alla sua vita facendo la somma: morì senza
figli, ad eccezione di Francesco bastardo. Accorsero i parenti a stormo
urlando: All'albero caduto accetta, accetta! Chi tira un brandello
del suo retaggio, chi l'altro; sicchè Francesco, disperato, se non
volle rimanere ignudo, ebbe a vendere al comune di Genova il castello
di Cinarca per mille scudi di oro e le ragioni tali quali si trovava
a possedere egli sopra la Corsica _pomontana_.[13] Per questo modo
tornata in mano della signoria di Genova la stanga del torchio si mise
a strizzare a suo bell'aggio il paese, finchè Vincentello d'Istria,
parente di Arriguccio, non si reputando vincolato dalla vendita di
Francesco, tentò più volte ripigliare il suo con armi proprie.

Provata la fortuna contraria, si volge, secondo l'antico costume,
al re di Aragona, il quale per questa volta intende usufruttare per
sè le pontificie munificenze: sceso armato nell'isola, di leggeri
occupa i luoghi aperti, espugna Calvi, mette l'assedio a Bonifazio.
I benestanti, come suole, più studiosi della roba che della libertà,
accordano rendersi, dove la città non venga soccorsa dentro certo
termine prefisso. La vigilia della scadenza il popolo tumultua e cassa
il convenuto; mandansi messi per notificarlo al re Alfonso, allegando
per causa il soccorso nella notte antecedente entrato in città. Alfonso
nega possa essersi intromesso il soccorso e li rinfaccia di fede
tradita: i Bonifazini a purgarsi del rimprovero e in testimonio di
verità esibiscono due caci freschi, i quali avevano fatto di latte di
donna; di che Alfonso rimase confuso; nondimanco ordinò l'assalto, ma
quantunque egli e i suoi ci si adoperassero attorno con tutti i nervi,
rimasero ributtati valorosamente. Egregie opere in vero sono queste,
però con troppo sangue acquistate e per dir più per causa non sua. Oh
quanto meglio vivere liberi in pace all'ombra della vite e del fico
proprii! Se togli Bonifazio, la intera Corsica venne in potestà di
Alfonso; ond'ei un bel giorno, buttata giù buffa, impose una taglia di
arbitrio. Il popolo comincia a bollire: allora Vincentello gli dice:
«Da pignatta che bolle si allontana la gatta; leva la tassa.» E il re:
«Oh bella! e se non posso mettere taglie come e quanto a me piace,
a che sarei venuto a fare il re?» E Vincentello: «Qui tra noi non
costuma imporre tasse senza il consenso dei popoli.» Il re, guardatolo
fosco, conchiuse: «Questa è mala sudditanza e se non la sanno i Côrsi,
gliela insegneremo noi.» La provvidenza volle che, invece di farla
a noi, noi facessimo la lezione a lui, e di che tinta! La più parte
dei Catalani lasciò le ossa in Campoloro; al punto stesso Calvi,
per ardimento di Pietro Baglioni, si rivendica in libertà, e quasi
presago che il cognome antico sarebbe un giorno infamato dal più grande
traditore comparso al mondo dopo Giuda, smesso quello di Baglioni,
Pietro assunse meritamente l'altro di _libertà_. La famiglia _Libertà_
partorì di ogni ragione uomini illustri: trapassata in Francia tenne
cariche supreme; uno de' suoi difese Marsiglia contro gl'imperiali;
e in cotesto paese si estinse. E' pare destino che, nome o cosa, la
libertà, nata e cresciuta in altre terre, o in Francia o per cagione
di Francia, deva morire! Alfonso, conosciuto che aveva preso a menare
l'orso a Modena, maledicendo le fatiche durate e i quattrini rimessi,
si parte lasciando l'isola a cui se la vuol pigliare. I Genovesi,
arrabattati a strapparsi di mano la patria, adesso non badano a noi, e
i baroni riarsi dalla superbia antica si legano insieme per ricuperare
la perduta dominazione: il popolo, non sapendo che pesci pigliare,
consulta i vescovi, e, come se avesse la virtù della bettonica, questi
propongono Roma: chi ce la vuole, e chi non ce la vuole: chi ce la
vuole manda gente ad offrire l'isola alla Chiesa. Eugenio IV con fronte
romana bandisce accettarla perchè la commette alla sua fede il consenso
universale dei popoli; e intanto manda parecchie migliaia di armati a
dare sul capo a cui contradicesse. Da quello che pare, a Roma avevano
dimenticato la storia côrsa; gliela rinfrescarono alla memoria i Côrsi
mettendo in pezzi i papalini e Monaldo Paradisi che li capitanava.
Allora il papa Niccolò V conobbe più sicuro attenersi alle pratiche
de' suoi antecessori, e vendè cotesta manata di spine a Ludovico
Campofregoso. Ora, sebbene non cessino qui i guai cagionati da Roma
alla mia povera patria, domando a voi se da persone che rappresentano
sopra questa terra il nostro Signore Gesù Cristo, potevamo aspettarci
più e peggio?

— Che vi dirò io, signor frate? — rispose il Boswell. — Da per tutto
Roma suona la stessa musica. Quel vostro Gregorio VII trasferiva dai
Sassoni nei Romani l'Inghilterra, perchè eglino si fossero mostrati
poco premurosi di osservare la legge di Canuto circa al pagamento del
tributo annuale da farsi a Roma. Offa, dopo ammazzato a tradimento
Edelberto, domanda l'assoluzione al papa: concedergliela a patto che
l'Inghilterra gli paghi ogni anno il denaro di san Pietro, il quale
era tassa di un denaro per casa. L'Inghilterra scontava a contanti
il delitto regio! Indi a breve passando il prete improntissimo i
modi più avari, instituisce decime sopra i salari, le mercanzie, le
paghe ai soldati, che più? fino sul turpe guadagno delle meritrici,
indegnissima cosa e non però la più rea: nel vero voi troverete come
Gregorio II, inviando il frate Agostino nella Britannia, per convertire
gli abitanti, gli desse per precetto di provvedere cauto, avanzarsi
bel bello, chiudere un occhio, se trovasse duro non si opponesse ai
sacrifizi delle vittime; quanto sopra la religione cattolica potesse
innestarsi di pagano accettasse, allo scopo che la gente rozza, senza
che se ne accorgesse, all'antica religione trovasse sostituita la
nuova: così, rinnegata la tradizione di Cristo dentro e fuori, la
Chiesa cattolica è pagana. Tira, tira, un bel giorno la corda si
stiantò, e l'Inghilterra si divise per sempre da Roma.

— E fece male.

— Come male? Anzi, dopo quanto vi ho inteso ragionare, io non
concepisco come voi la duriate monaco. Sareste di quelli, salvo vostro
onore, che parlano bene e razzolano male?

— Adagio ai ma' passi, signor Inglese. Io sento e parlo in modo unico.
Nè io solo, ma quanti ecclesiastici viviamo in Corsica, conoscendo
le rovine originate alla Chiesa dai peccati dei supremi correttori,
massime dall'appetito disordinato dei beni terreni, senza rispetto ne
riprendiamo gli abusi. Affermano i curiali di Roma il potere temporale
necessario allo splendore della Chiesa. Santa fede! Oh quale altro
splendore può pareggiare quello che le viene dalla faccia di Dio?
Ma, conoscendo tuttavia e deplorando le abominazioni della Chiesa, e
di quelle con tutto lo spirito supplicando dal Signore riparo, noi
non la crediamo meno santa; ammiriamo la vastità del concetto, la
efficacia degli ordini secolari, e ci affatichiamo; per quanto è dato
a noi oscurissimi figliuoli suoi, a mantenerne incolume la stupenda
unità. Ditemi che avete fatto voi altri Inglesi, e con esso voi i
luterani, i calvinisti, i zuingliani e socii vostri? Avete preso il
male per medicina: invece di rammendare la veste di Cristo, l'avete
strappata peggio di prima: non operarono lo stesso i soldati della sua
crocifissione?

— Signor frate, — rispose imperturbato il Boswell, — questi argomenti
desiderano discussione positiva, messi da parte tropi, metafore e
figure rettoriche di ogni maniera. Voi altri siete i soldati della
riscossa, e levate i pezzi della disciplina per salvare il dogma.
Ora voi sapete come il cattolicesimo arrivasse a mettere i suoi dogmi
in custodia di Dio nel cielo, e degli sbirri in terra: inondando la
barbarie, preti rozzi stettero al governo spirituale e sovente al
temporale di popoli più rozzi: costoro fecero a gara a cui guastava
di più, ma le sconcezze nel buio non apparivano. Più tardi, anzi
troppo tardi, alcuni prelati romani, dotti, quanto pii, conobbero
dove stringeva la scarpa, ma che farci? Ormai la natta tanto era
ingrossata, che tagliandola correvano risico di ammazzare l'infermo;
e la sbagliarono, perchè i medici pietosi sono proprio i babbi
del canchero: di fatti gl'increduli trassero pro dagli errori per
dissuadere da ogni fede gli empii per mandare tutto a rifascio sotto il
flagello dello scherno. Dio è la regola, il Vangelo la chiosa; chiosa
su chiosa è mestiere da mozzorecchi. Il cristianesimo, che taglia dalla
pazza e può accomodare ottimamente di vesti la umanità mano a mano
che scesce: i preti cattolici vollero stringere troppo e per sempre,
quindi la cintura stiantò in più parti e tornerà a stiantarsi da capo:
avendo eglino preteso non solo il concetto, bensì ancora le parole
infallibili, adesso discredono l'uno e le altre. Che abbiamo fatto
noi? domandate. Noi abbiamo rotto i cancelli alla libera indagine,
la quale, come le altre libertà sorelle, deve appuntare in Dio padre
misericordioso di tutte.

— Zucche! Voi avete, rinnovata Babele. _Tot capita tot sententiae._
Fortunato quegli che sa distinguere con voi da che parte tira la
tramontana e da quale altra mezzodì! Per me quello starsi fermo come
torre che fa la Chiesa per bene diciotto secoli contro le persecuzioni
dei suoi nemici, e più ancora contro le prevaricazioni dei suoi indegni
pastori, emmi non dubbia prova dello aiuto divino. Se Dio non la
governasse con le sue sante mani, ormai pei papi la Chiesa avrebbe dato
in secco chi sa da quanti secoli!

— Codesto vostro è l'argomento di Abramo giudeo quando, dopo essere
stato in corte di Roma, volle il Battesimo; lo racconta il Boccaccio
nelle Novelle....

— Io l'ho letto dentro il commento della _Divina Commedia_ scritto da
Benvenuto da Imola, — rispose fra Bernardino con voce alterata.

— Bene; egli è tutto uno, che la botte non fa il vino. Ma diamo un
taglio a questi discorsi, chè io non venni in Corsica a disputare di
teologia: torniamo sul tasto dei forastieri.

   [Illustrazione: Alfonso ordinò l'assalto,..... ma rimasero
   ributtati valorosamente. (_pag. 76_)]

— La Corsica adesso è capitata nelle branche a san Giorgio, voglio
dire della Banca di S. Giorgio. Questa compagnia è un banco che ha
leggi e governatori a parte, prestava e presta al governo, il quale gli
commise in appalto bestie, cristiani, gabelle, rendite, città, castelli
e provincie quando il governo ne aveva: San Giorgio arrolò eserciti,
allestì armate, sottomise paesi, dettò codici, istituì tribunali,
fece giustizia; insomma fu ed è Stato dentro lo Stato: non manca gente
che lo ammiri; gusti da donne gravide. Quanto a me lo giudico censura
solennissima della repubblica ligure; imperciocchè badate a me, _aut,
aut_: lo sperimentano buona cotesta amministrazione in preferenza
del governo ordinario, e allora quella si tengano, questo mandino
allo scorticatoio; o la faccenda va all'opposto, ed allora io non
capisco come un reggimento bene ordinato patisca quel calcio in gola.
Sopratutto io poi lo considero prova manifesta ed incentivo ad un punto
del disamore che i Genovesi hanno per la patria. Per lui si chiarisce
come una parte di Genovesi, messi in salvo gli averi, si dieno senza
pietà a ruinare la patria: per lui l'altra parte, sicura di non perdere
i danari, lascia nabissare ogni cosa; mentre se, sprofondata la patria,
vedessero andarle dietro le fortune private, se non per benevolenza,
almanco per avarizia i Genovesi si rimarrebbero da mal fare. Il Banco,
solito a volere i negozi spicci, conobbe che il nodo stava nello
abbattere con gli aiuti della Terra del Comune i baroni pomontani; nè
riputò disperato lo assunto, conciossiachè, quantunque costoro fossero
parecchi, pure, nel modo che gli universi fiumi della Corsica mettono
foce nel Golo e nel Tavignano, si riunivano tutti sotto le due case
della Rôcca e da Leca. Pel Banco di san Giorgio ogni partito buono, ma
sopra gli altri gli piacquero il fuoco, il tradimento, il coltello.
Antonio Calvo, governatore, fece una ghiacciata di ventiquattro
baroni ad un tratto; gli altri fuggirono via atterriti riparando a
Napoli. Beati loro se la volontà o gli anni li persuadevano a starsi
in esiglio! E' vollero perfidiare nel cimento delle armi; e su le
prime andò bene, chè Vincenzo da Leca, sorpreso Ambrogio Marabotto
in quella che stava per entrare in Cinarca, lo tagliò a pezzi con
tutti i suoi. Se non che Antonio Spinola, governatore, considerando
come a mantenere viva la nuova guerra contribuivano massimamente gli
aiuti che cotesti signori cavavano dal contado del Niolo divotissimo
a loro, trovò partito più certo essere quello di sterminarlo e così
fece: la desolazione e la morte percossero tutto il tratto di paese
che giace tra Soana e Calvi: il passeggero che attraversa quel
deserto, il quale nel suo silenzio maledice la straniera dominazione
più che non potrebbero fare cento predicatori, sente venirsi addosso
il ribrezzo della febbre. Ciò fatto, per mezzo di congiunti da bene,
fa sapere ai da Leca che, ove si disponessero venire alla obbedienza,
li perdonerebbe; chiesto di confermare la promessa con giuramento,
giura. Fidasi Vincenzo, ma non si fida Giocante, che la scàpola,
conservandosi a tempo men reo. Lo Spinola, avuti nelle mani Vincenzo,
Mannone suo padre di ottant'anni vecchio e due bastardi di Renuccio da
Leca, senza misericordia macellò; ai quali aggiunse contro la religione
dei patti quattro baroni di casa Rôcca, Antonio e il figlio, Arrigo
e il figliuolo del conte Polo. Cotesto Spinola indi a poco moriva di
un trabocco di sangue; ed era ragione, ne aveva bevuto tanto che non
bastava a capirlo. In questa, Genova sciolto un nodo ne lega un altro:
dopo avere sperimentato tanti signori paesani, pare che voglia rifarsi
la bocca tastando la straniera servitù: cacciati pertanto i Fregosi,
si dà in balìa di Francesco Sforza e poi gli porge pecore da tosare di
seconda mano. Ecco in Corsica gente insolita, consueti supplizii: il
Cotta, vice-duca, per conto di non so quale tumulto, manda di punto
in bianco su le forche una brigata di vassalli di baroni; e poichè
cane non morse mai Côrso ch'ei non volesse del suo pelo, i popoli di
Terra di Comune presero le armi e si elessero a capitano un secondo
Sambucuccio di Alando, che fece ritirare le mani a cotesto sollecito
Cotta. Anco i duchi di Milano passarono; Francesco Sforza morì;
_Galeazzo Maria suo figliuolo rimase spento della morte dei tiranni
senza che ne approdasse la libertà._ Ora San Giorgio ripiglia l'isola,
disfà la lega di Tommaso Fregoso e Giampaolo da Leca, cacciando l'uno
in prigione, l'altro in esigilo. Sorge vendicatore Renuccio da Leca.
Potevano i Genovesi vincerlo in guerra, ma parve caro e gli proferirono
uno spediente di molto risparmio. Capitato a sorte un figliuolo
di Renuccio a Genova, lo acciuffano, poi, pensando cavarne partito
migliore, lo rimandano in Corsica in compagnia di Filippino Fiesco
amico vecchio di casa.

Qui giunti il Fiesco fa sapere a Renuccio che, se ha caro il riscatto
del figliuolo, vada per esso. Renuccio, che accivettato uomo era, non
si fida e continua a starsi chiuso nel castello di Zirlina: allora
Fiesco va a trovarlo e negozia con lui la restituzione del figliuolo
e l'accordo con Genova. Renuccio, vergognoso di mostrare diffidenza
o paura, si consiglia visitare l'amico; il diavolo lo tira; preso e
incatenato, dopo breve spazio di tempo muore nelle prigioni di Genova;
gli storici genovesi scrivono di malattia e non hanno torto, perchè
_anco un capestro al collo è una infermità e di che tinta!_ In questo
modo finiva la potentissima casata dei baroni da Leca; rimaneva adesso
l'altra della Rôcca, sbattuta è vero, tuttavia sempre tale, da mettere
in suggezione. I Genovesi, prima di venire in essa a mezza spada,
spedirono governatore nell'isola Ambrogio di Negri, personaggio rotto
alle più sottili arti di governare i popoli. Costui s'ingegnò staccare
i Côrsi dall'affezione dei loro signori eccitando la vanità del
popolo, blandendo la superbia dei caporali e principalmente saziando
la cupidità di tutti: così seminato il terreno da Ambrogio di Negri,
il Banco di san Giorgio mandò la falce tagliente a mietere, e la falce
fu Nicolò Doria. I Doria stettero un giorno e credo tuttavia durino
emoli degli Spinola; e poichè si era poco prima acquistato Nicolò
Spinola bella fama tra i suoi per avere menato sterminio del paese tra
Calvi e Soana, Nicolò Doria, dopo avere vinto Renuccio della Rôcca,
a fine di precidere i nervi ai baroni, delibera condurre all'ultima
rovina il Niolo, sul quale essi per ordinario facevano fondamento.
Essendosi pertanto il nuovo governatore introdotto nella terra, assai
forte su le armi, chiese per pegno di fedeltà sessanta ostaggi delle
principali famiglie promettendo averne buona cura: avutili nelle mani,
bandisce tutto il popolo esca dalla isola non badati sesso nè età. Un
popolo intero ebbe ad esulare disperdendosi per le terre d'Italia; e fu
sentenza dove uomo durava fatica a distinguere se la empietà superasse
la mattìa, perchè i villani stessi ingrassano l'agnello per ammazzarlo
a pasqua, e nol cacciano via dal presepio. Peggio accadde a Talavo, se
pure peggio può dirsi la morte in paragone della vita, sofferta lontano
dalla patria. Il prode uomo manda a sangue tutto il popolo di cotesto
paese alla rinfusa, tranne una donna chiamata Lucrezia delle Vie,
la quale ebbe ad ammazzarsi da sè per fuggire vergogna. Grande cosa
ella è questa, che il nome di Lucrezia comparisca fatale in Italia;
imperciocchè tre Lucrezie ci si ammazzarono per istudio di pudicizia e
di carità patria, Lucrezia Mazzanti a Firenze, Lucrezia delle Vie in
Corsica e la più antica Lucrezia a Roma. Le prime due, forse le più
innocenti, perirono invano; fortunata l'ultima. Di tre, una giovò, e
se, come di quelli delle donne, andasse pei sacrifizi degli uomini,
avventurosi noi! Quando Renuccio udì coteste nuove, dubitò tutto il
mondo gli cascasse addosso: come poteva starsi in Genova tranquillo
mentre menavano siffatto scempio dei popoli devoti alla sua casa? La
sua quiete non sarebbe stata argomento ch'egli avesse venduto il suo
sangue a oncia a oncia? Se lo appellassero Giuda, non gli sarebbe parso
che gli dessero il suo avere. Racimola quello che può di genti e di
armi, e ricomparisce su i campi. Le arti del Di Negri così partorirono
pessimi effetti, chè i Genovesi poterono opporre a Renuccio cavalli
côrsi capitanati da un Cacciaguerra côrso. Incontraronsi in campagna,
e non appena si videro (chè di ogni odio più bestiale è il fraterno),
l'uno si avventò contro l'altro, si annodarono, nè si sciolsero prima
che Cacciaguerra cadesse in terra sbranato. Poichè i Côrsi per mutue
ferite si fecero scemi di sangue, Nicolò cauto con molta brigata si
presenta a disperdere Renuccio della Rôcca stremo di forze; impresa
copiosa di sicurezza, vuota di gloria; ma che importava al Genovese la
gloria! Qui fu che apparve intera la virtù di Renuccio; imperciocchè,
essendogli morto sotto il cavallo, e trovandosi travolto nella fuga,
appena potè districarsi dai suoi, egli tornò addietro solo per tagliare
la cinghia della sella, la quale postasi sul capo in mezzo a un turbine
di archibugiate nemiche riparò incolume fra i suoi gridando: «Di me
Genova non vanti trofeo!»

La guerra tirava in lungo, e ormai questo Côrso diventava un cattivo
affare nelle mani dei mercanti Genovesi: si posero a vedere se ci era
verso di finirla a buon mercato, ed anco per questa volta lo trovarono.
Renuccio della Rôcca fuggendo da Genova ci aveva lasciato a studio
due figliuoletti: Nicolò Doria ordinò glieli mandassero, ed avutili
nelle mani, intimò a Renuccio deponesse le armi, altrimenti guai!
Questi, ora paventando la sconfinata perfidia del nemico, scingeva la
spada; ora, parendogli impossibile che trascorresse a tanto nefanda
immanità, ne stringeva l'elsa più forte, e così tra il sì e il no la
sua mente tenzonava. Nicolò a rompere le ambagi di lui gl'invia per
acconto la testa mozza di un figliuolo con la giunta di quella di un
nipote; e siccome Renuccio preso da terrore non si risolveva sollecito
come la sua impazienza desiderava, gli ribadisce il chiodo nella testa
facendogli assassinare un altro nipote. Allora il barone sbalordito
tremando per ogni vena scappa via dalla isola imprecando e supplicando
che per l'amore di Cristo non gli ammazzino il figliuolo superstite:
però riavutosi dal ribrezzo ritorna cieco di furore a brandire il
ferro, niente altro cercando che sbranare od essere sbranato. Per
questa volta gli si oppose Andrea Doria, cui non repugnando gli
esempii del cugino, mise a ferro e a fuoco terre, case e cristiani:
anch'egli intimò a posta sua Renuccio posasse le armi, diversamente
gli ammazzerebbe l'altro figliuolo: ma Renuccio, ormai anima e corpo
diventato una piaga, non sentiva percosse o non le curava. Dopo varie
vicende tutte infelici, ridotto a sostenere la guerra con solo otto
compagni, gli tesero insidie e lo lasciarono crivellato di ferite sopra
la pubblica strada. Ecco come rimase estinta la schiatta dei baroni
nella Corsica, nobile e valorosa gente, fiera, superba, larga del
suo, per nulla oppressora, amica del popolo: gli spensero i Genovesi
persuasi da diverse cagioni, delle quali principalissime queste: la
prima fu, che i mercanti si sentivano umiliati da quel fare signorile
dei baroni, che ostentavano disprezzare mentre formava la loro astiosa
disperazione: l'altra perchè, tolti di mezzo i baroni, reputarono
condurre i Côrsi al termine che fosse loro meglio piaciuto: il popolo,
giudicavano essi, non ha sapore di libertà, e col sapore gli manca
il valore: viva, lavori e serva: tanto ha da bastare a lui, e per noi
ne avanza. I Genovesi però fecero il conto dello scarpatore,[14] che
stiantata la siepe pensa non dovere attendere ad altro che a insaccare
i cavoli, mentre di un tratto si trova faccia a faccia col cane, il
quale gli brontola alla spartana: «Vieni a pigliarli!»

— Bene, così doveva essere, — interruppe il signor Giacomo; a cui fra
Bernardino di rimando:

— Io dico male; e come regge il cuore a voi, che pure sembrate persona
di garbo, di sostenere che fu bene?

— Ho detto così, non mica per lodare le colpe che mi siete venuto
raccontando, Dio me ne liberi; bensì perchè esse mi inspirano reverenza
pei miei maggiori, i quali, in grazia della bontà e prudenza loro,
apparecchiarono a noi altri posteri termini di vivere libero e modi di
migliorarlo.

— E che cosa fecero, in grazia, di bello i vostri nonni, signor Inglese?

— Oh! i miei nonni innanzi tratto non chiamarono mai lo straniero per
aggiustare i conti loro; qualche volta egli ci entrò pur troppo, ma
per forza, ed invece che gl'Inglesi diventassero o Danesi, o Sassoni,
o Normani, questi ebbero alla lunga a farsi Inglesi: inoltre quando
i diversi ordini ruppero lite fra loro, adoperarono la prudenza di
non condurre ora l'uno, ora l'altro, secondo che vinceva o perdeva,
alla disperazione; bensì, temperando il talento o l'ira delle ingiurie
patite, chi vinse si contentò di costringere il provocatore in parte
dove non potesse trasmodare, contento di essersi procurato un arnese
capace di valersi della libertà presente e di ampiarla nell'avvenire.
Voi altri meridionali costumate come i selvaggi, che per raccattare il
frutto, tagliano l'albero. Mirate un po' i Genovesi: non si chiamano
contenti finchè non hanno schiattato i baroni; dopo i baroni ecco
il popolo, che non sa od abborre le vie di composizione; ed ecco per
ultimo il principe, che, piuttosto che reggere con giusto impero, si dà
in balìa di podestà straniera: a questo menarono le stemperatezze così
dei popoli come dei principi in Italia.

— Signore Inglese, salvo vostro onore, vi dirò che dallo anteporre che
voi fate la vostra gente alla nostra, anzi a quella dell'universo, vi
lodo molto; ma che vi serviate della vostra predilezione per crescere
la soma dei già troppo carichi, questo va contro alla carità ed al
giusto. Alla carità, perchè bisogna compatire i miseri, non avvilirli;
contro il giusto, perchè ho letto che i vostri re quando ci si misero
fecero di tutto; e Guglielmo il Tegolaio e Giacomo Paglia informino
che cosa importi anco tra voi fidarsi a pergamene regie giurate
o non giurate, sigillate ovvero senza sigillo; e quando il popolo
prese la rivincita non mondò nespole, chè non si tenne prima di avere
giustiziato re Carlo: così un capo regio saldò il conto di due capi
plebei, e non fu caro. Egli è vero, che il re condannarono i giudici
a modo e a verso, e i plebei mandati alle coltella; ma ciò non vale;
nelle faccende di Stato, sicarii o giudici, mannaia o pugnali sono
tutti una cosa: rimane inteso sempre che, con le solennità o senza,
il vinto ha da morire, e il coltello in questi casi parmi più spiccio;
sopratutto più sincero. Quanto poi a chiamare lo straniero, voi ce lo
chiamaste mercè le nozze di Maria con lo spagnuolo; ce lo chiamaste
quando, cacciato l'ultimo Stuardo dal trono, vi commetteste alla fede
del suo genero olandese; ce lo chiamaste, quando morta la regina Anna
andaste ad accattare un padrone in Germania, quasi ve ne mancassero
in casa vostra: ce lo chiamò Giacomo II, e potentissimo e cupido dello
altrui, sicchè dalla dominazione straniera vi preservarono la tempesta,
o la morte: qualche briciola di virtù, ma di prudenza nè anche un
chicco. Leggiamo le storie anche noi altri, sapete? E leggendo, e
meditando, siamo venuti nella sentenza di pregare Dio che non ci voglia
male, imperciocchè allora il senno degli uomini diventi cenere, ed il
ragazzo spacchi la testa al gigante.

Il signor Boswell rimase percosso dalle parole del frate, e non ardì
per allora rispondere; seguitò un lungo silenzio, durante il quale la
destra del signor Giacomo era un via va, un via vieni dalla tabacchiera
al naso. Quando non ci trovò più tanto tabacco, che bastasse ad essere
preso tra il pollice e l'indice, ne versò ogni residuo nella fossetta
che contraendo i nervi si fa tra l'aggiuntatura della mano col braccio,
e tirò su su da riporne i granelli in mezzo al cranio; alla fine quasi
a dispetto disse:

— Signor frate, io ve lo confesso schietto; da prima quanto si trova
nelle mie vene di sangue avvocatesco, e tutti ce ne abbiamo anche
troppo, si era risentito, per disputare ogni virgola e ogni punto del
vostro discorso, ma poi pensandoci su ho veduto, che nel sottosopra
voi avete ragione. Ringraziovi per tanto di avermi annacquato il vino
della superbia, e queste reputo tale guadagno, che, quando non me ne
venisse altro, io giudicherei non avere gittato dalla finestra tempo nè
danari nel venire in Corsica. Se vi piace tirate innanzi, ch'io sto ad
ascoltarvi.

— Levati di mezzo i baroni, il Banco di San Giorgio prese a camminare
di un portante sì dolce, da disgradarne Brigliadoro, ma e' fu il
trotto dell'asino. Il sale da quattro soldi, come eravamo convenuti,
al bacino, a mano a mano si portò a dieci; ci tolsero le cancellerie
civili; subito dopo i giudizii dei potestà; scarsi gli ufficii
conferiti ai Côrsi così, che valeva proprio meglio non darne loro
punti: per ultimo i dodici caporali aboliti. Veramente i Côrsi non
avevano molto a lodarsene, ma lo istituto piaceva, e quando lo istituto
accomoda, gli uomini tristi che lo tengono, muoiono, e i buoni possono
succedere: e poi in qual momento toccarono questi cofani! giusto
allora, che Giocante della Casabianca, comandante della piazza di
Genova, emendando con la sua molta fede la poca prudenza della Signoria
e del Doria, salvava la città dalla congiura del Fiesco.

E' fu in questo tempo, che i capitani di Arrigo II di Francia,
raccoltisi a Castiglione della Pescaia, misero partito se dovesse farsi
la impresa di Corsica, e fu vinto di sì, perchè di utilità grande
a mantenere viva la guerra che i Francesi combattevano grossissima
contro le armi imperiali su quel di Siena ed in altre parti d'Italia.
Mandarono innanzi Altobello Gentili sotto colore di visitare i
parenti, ma in sostanza a riconoscere quali le difese e gli umori dei
terrazzani: tornato, egli riferiva le prime inferme, non avversi i
secondi, almeno in parte. Allora i Francesi vennero ed acquistarono
il paese non senza valore com'essi costumano, ma con molte lusinghe
altresì, e con frode non poca: indi successe una guerra promiscua:
zarosa, piena di sterminio, vuota di concetto, imperciocchè i Francesi,
intesi unicamente a divagare gl'imperiali d'Italia, non ne avessero
alcuno che fosse buono pei Côrsi; nè questi, a cui pareva essere
stati messi allo sbaraglio senza pro, nol tacquero al Termes. In fatti
mentr'essi vedevano succedersi a sostenere la guerra per parte di Carlo
V tedeschi, italiani e bisogni spagnuoli, di francesi non ne arrivava,
e i pochi che ci erano, andavano stracchi ai cimenti; il Termes dava
loro erba trastullo, e molto li tratteneva con la speranza del soccorso
dei Turchi. Vennevi Andrea Doria, vecchio di presso a novanta anni,
generale di tutta la impresa, e assediando San Fiorenzo sminuì la
sua gloria, governando le altre faccende crebbe il nome di spietato,
imperciocchè nello assedio dimostrasse senile ostinatezza, non già
perizia, e nella rimanente amministrazione rabbia di non poter vincere.

Intanto i Francesi accorgendosi come male i Côrsi si pascessero di
parole, mandarono a chiarirgli solennemente, che il re per levare loro
del dubbio, e i Genovesi di speranza, aveva incorporato l'isola alla
Corona di Francia; cosa non consentita mai nè prima nè dopo alle altre
provincie da lui conquistate; e ciò essere avvenuto mediante partito
del suo consiglio reale, vinto con tutti i voti favorevoli; fatto
degno di grandissima considerazione, conciossiachè egli d'ora in poi
non potesse abbandonarli, se prima non abbandonasse la propria corona.
Questo nel 1557. Tuttavolta, non vedendo alla magnificenza delle
promesse conseguitare gli effetti, i Côrsi stavano di mala voglia; i
timori crebbero dopo il rovescio toccato dai Francesi a san Quintino,
epperò i caporali si condussero da Giordano Orsini per venirne in
chiaro. Giordano li confortò a non dubitare: quegli avendogli detto
volere mandare gente al re per raccomandarglisi, rispose, non cadercene
il bisogno, pure mandandola non farebbero altro che bene: senonchè la
pace era già stata bella e conchiusa a Castello Cambrese; e l'Orsini
la sapeva, ma la dissimulò per vergogna o per paura. Sul quale
proposito certo storico genovese scappa fuori con due sentenze, una
buona, l'altra cattiva; buona quella con la quale rampogna l'Orsini,
il quale, se veramente cristiano e gentiluomo era, non doveva patire
che gente in procinto di essere abbandonata da lui, aizzasse con
nuove ingiurie l'animo dei signori abbastanza inacerbito, massime
che le offese fresche cociono più delle vecchie: cattiva l'altra con
la quale sgrida il re Enrico di avere preso le parti dei Côrsi, non
dovendo egli scomodare la Francia pei fatti nostri. Nel raccontare
queste avventure mi pigliano i sudori freddi, e l'attaccherei, Dio mi
perdoni, anche co' santi: ma sopratutto io mi arrovello con Sampiero,
il quale, a quei tempi, era, si direbbe, il sopracciò della Corsica.
Costui avendo militato nella ultima guerra della repubblica di Firenze
contro l'Imperatore, doveva rammentarsi come i poveri Fiorentini
restassero conci dai Francesi. Anche allora re Francesco, con mille
promissioni e giuramenti, gli assicurò non gli avrebbe mai abbandonati;
giunse perfino a dire, che avrebbe preferito perdere i figliuoli in
Ispagna che abbandonare i confederati, e questo non tolse; che indi
a pochi giorni li tradisse a Cambraio, e così vituperosamente, che
Giuda stesso non avria fatto peggio. Anzi quando gli oratori fiorentini
andarono a moverne querimonia in corte, udite un po' come li saldassero
i ministri regi: — o che presumevate, dissero loro quei cortigiani
guardandoli a stracciasacco, che pei vostri begli occhi perdessimo
i figliuoli? Mandate la lingua al beccaio se non volete, invece di
un nemico, tirarvene addosso due. La pace di Cambraio, e quella del
Castello Cambrese, aspettando altre che le facciano il vezzo, tornano
agli orecchi della Francia come i pendenti alla sposa. Talvolta però
mi arrapino più col popolo che coll'uomo, imperciochè questo sia
caduco, e invecchi, e instupidisca, e dimentichi, ma quello si rinnovi
sempre, goda di giovinezza perpetua, e, dove voglia, non gli fanno mai
fallo la mente o le braccia. Ma tanto è, quando mi metto a considerare
come l'uomo spicciolo, e le masse degli uomini dimentichino presto,
mi cascano le braccia, e torrei piuttosto a scalpellare un pezzo di
granito dell'Algaiola, che imprimere in cotesti capacci un ricordo
per loro governo. Oh! quante volte, fatto un falò dei miei libri, mi
sarei ridotto in qualche eremo lontano, dove non si sentisse nè anco
il rumore dei ranocchi... ma poi me ne dissuase la speranza, che dài,
picchia, martella, una volta l'abbiano a capire.

— La capiranno, con un grossissimo sbadiglio disse Ferrante Canale,
e ci mise dentro un suono di voce, che male si distinse se attendesse
approvare o piuttosto interrogare.

— Però, riprese il frate, di raccomandazioni e buone parole, secondo
il solito, per la parte dei Francesi non fu penuria, e giovarono
quanto l'incenso ai morti. In effetto i Francesi senza ridere
chiesero guarentigia di buon governo ai Genovesi, e questi di proteste
empirono loro le tasche, ma appena eglino ebbero svoltato il canto,
ci acciuffarono peggio di prima, gravandoci di 20 soldi, non più a
fuoco, bensì a testa, e con altra imposta troppo più incomportabile,
ch'era un tre per cento sul valore delle terre. Sarebbe stato piuttosto
agevole cavare a san Bartolomeo una seconda volta la pelle, che a Côrsi
quattrini, sia che ne patissero a quei tempi inestimabile inopia, sia
che le terre, a cagione di cotesti trambusti, andassero nabissate, ed
anco a parte ciò, fossero state stimate quattro cotanti oltre il giusto
prezzo. Dopo molti strazii il Banco di San Giorgio se ne accorse, e
soppresse il balzello, ma il Senato, udito ciò, fece una lavata di
capo a San Giorgio delle buone, e gli disse: che cotesto suo era un
pigliare il male per medicina, e che per uscirne a bene co' Côrsi ci
abbisognano tre cose: forche, e poi forche, e sempre forche; e Côrsi
e forche stavano insieme come la pasqua e l'alleluia. San Giorgio,
che se ne sentiva fradicio, rispose, che una volta voleva fare come
gli tornava, e un'altra come gli piaceva, e a cui non garbasse gli
rincarasse il fitto. Voi lo sapete, le parole sono come le ciliege una
tira l'altra, sicchè alle corte il Senato ripigliò il governo della
isola, dando licenza a San Giorgio, strano a dirsi, per la prima buona
azione commessa durante la sua vita.

A carne di lupo dente di cane: tornò Sampiero in compagnia di undici
fidati, e con esso la fortuna côrsa. Sampiero sì che avrebbe meritato
la famosa tromba del signor Torquato, non quel coso del Buglione,
il quale non leva mai un ragnatelo dal buco. Così è, signor Inglese,
mentre per fare ammirande le geste di parecchi, che il mondo costuma
salutare grandi, bisogna aggiuntarvi un terzo almanco di fantasia, per
quelle di Sampiero è mestieri sminuire la verità a fine di non passare
di sballone.

Soccorso il valentuomo non ebbe da veruno, chè tale non si potria dire
quel po' di munizione speditagli da Cosimo duca di Firenze, nè gli
ottomila scudi con le undici bandiere di Caterina regina di Francia,
intorno alle quali occorreva ricamato in oro il motto: _Pugna pro
Patria!_

Singolare aiuto in fede di Dio; tanto più singolare, se si consideri,
che Federico re di Prussia mandò al degno erede della grande anima di
Sampiero, generale Paoli, una spada con la medesima leggenda: _Pugna
pro Patria!_ senz'altro. Le quali parole voltate in buon volgare
significano: — il nostro mestiere, che è quello di re, non ci permette
aiutare repubbliche; se ti puoi reggere da te reggiti, se no impiccati.
— Certo tra Caterina dei Medici e Federico di Brandenburgo ci correva,
ma in fondo avevano ragione ambedue; e i principi fino da piccini si
ficcano bene nel cervello la dottrina del dispotismo, mentre il popolo
fin qui o non la seppe comprendere, o non la potè ritenere in mente.
Le milizie genovesi intorno a Sampiero si consumavano a mo' delle
farfalle intorno al lume; per la quale cosa i magnifici Signori avendo
sperimentato come l'assassinamento costasse meno ed attecchisse meglio,
commisero al Marcendino provenzale, e a Paolo Mantovano, di ammazzare
quegli Sampiero, questi Achille da Campocasso, ed ambedue lo tentarono,
il primo col ferro, col veleno il secondo, ma fallirono il colpo.
I magnifici Signori non si sgomentarono per questo, anzi più alacri
di prima si aggiunsero complici al delitto tre Ornani, e un Ercole
d'Istria: questi chiamarono a parte della congiura frate Ambrogio di
Bastelica (che Dio danni in eterno l'anima di quel maledetto frate),
il quale, abusando della confessione, persuadea a Vittolo, fidato
servitore di Sampiero, che avrebbe il favore della Repubblica, si
guadagnerebbe la indulgenza plenaria e la remissione dei peccati,
mettendo le mani nel sangue del suo padrone.

Ahi! Sampiero, perchè ti lasciasti cogliere alla ragna? E sì che
gli anni della discrezione non ti mancavano contandone tu più di
settantaquattro; ma tanto è, ognuno ha da filare la lana che gli ha
messo tra mano la fortuna. Certa sera recano a Sampiero lettere false a
Vico di taluni amici della provincia della Rocca, le quali lo avvisano
essere disposti a tumultuare; corresse difilato su i luoghi. Sampiero
con giovanile avventatezza, senza ombra di considerazione, tolti seco
il figliuolo Alfonso, e Vittolo, con alquanti cavalli, cavalca forte
fino a Corticchiati; il giorno dopo passa a Ciglio, dove in cognizione
come un uomo della terra facesse la spia al nemico, senz'altra forma di
processo ordinò di presente lo impiccassero; quinci si affrettava alla
posta datagli, la quale era a Cauro: senonchè tra Eccica e Suarella
allo svoltare del poggio si vede accorrere di corsa parecchie centinaia
di archibugieri a cavallo capitanati dal comandante Giustiniani e dai
tre Ornani. Egli allora si giudicò morto, e rivolto al figliuolo gli
disse: — E' vogliono me, tu sàlvati, chè quanto posso li tratterrò; —
e siccome il signor Alfonso nicchiava, con gran voce Sampiero riprese:
— Va via, se anco tu caschi morto, chi resta a vendicarmi? — Quegli
allora voltò la briglia salvandosi a precipizio. Sampiero posto da
questo lato l'animo in pace, sprona francamente contra il nemico: il
primo ch'ei giungesse fu Michelangelo d'Ornano cui disse: — Traditore,
tu sei morto! — E quegli di rimando: — Anzi tu, assassino di femmine!
— E si spararono l'uno alla vita dell'altro gli archibugi. Sampiero ne
uscì illeso, e Michelangelo soltanto ferito un cotal poco nel collo.
Allora Sampiero chiese al Vittolo, gli porgesse un altro archibugio,
e quei glielo porse, ma non fece fuoco, perchè Vittolo nel caricarlo
aveva messo la palla nella canna prima della polvere. In quella, ch'ei
stava maravigliato e sbigottito per la novità del caso, Giovannantonio
di Ornano gli menò della spada su la faccia sfregiandolo di sconcia
ferita, Sampiero afferrò per la canna lo archibugio, ed adoperandolo
a guisa di mazza, con tanta forza ne diede in testa a Giovannantonio,
che aperte le braccia come se dicesse: _Dominus vobiscum_, balenò per
cascare da cavallo. Vittolo, che aspettava il destro, visto Sampiero,
acciecato dal sangue, armeggiare con le mani, gli sparò a bruciapelo
l'archibugio nelle spalle, e l'uccise di botto.

Il commissario, quando gli fu messo dinanzi il capo mozzo di Sampiero,
ebbe ad ammattirne per l'allegrezza; buttò moneta dalle finestre,
fece le luminarie, commise tutte le artiglierie menassero gazzarra, e
quante Ajaccio ha campane sonassero a festa. Dicono che certi fanti
tedeschi, al soldo della Repubblica, chiedessero le viscere del
tradito, e l'ebbero, ed in vendetta dei compagni ammazzati in guerra
se le mangiassero: però bisogna avvertire che questo caso raccontano
i francesi; sul quale proposito per me giudico, che i tedeschi sono
capaci di far quello ed altro, e i francesi di dare ad intendere quello
e peggio. Ma quanto sto per raccontarvi tenete per sicuro perchè ce
lo attesta uno scrittore genovese: il corpo di Sampiero essendo stato
ridotto in pezzi, tanto il Fornari si mostrò vago possederlo intero,
chè ne riscattò a contanti ogni brandello dai soldati. Allora Genova
diede al mondo spettacolo nuovo d'infamia e non dimenticabile mai,
imperocchè Roma, Tiberio e Nerone imperando, vedesse spie e sicarii
disputarsi il prezzo del sangue, ma non davanti ai tribunali o al
Senato: in Genova poi fu al cospetto dei magistrati che Raffaele
Giustiniani litigò co' fratelli Ornani per la taglia messa sul capo
di Sampiero: milleottocento scudi toccarono per sentenza agli Ornani,
ma Raffaele non si acquietò al giudicato, e ricorso in appello, oltre
i duecento scudi chiese il decimo sopra i milleottocento assegnati
ai suoi avversarii. Come andasse codesta infamia a finire io non lo
so, questo so bene, che a Genova non se ne vergognavano; in effetto
di che cosa avevano a vergognarsi i Genovesi? Considerando essi i
delitti negozii mercantili come gli altri, qual maraviglia se nella
maniera medesima li trattassero? Però la è cosa piena di amarezza
infinita osservare come l'avarizia e la cupidità giungano a spegnere
la coscienza non pure dei presenti, ma dei futuri eziandio: non pure
dei partecipi al misfatto, bensì degli altri, i quali o per mitezza di
discipline, o per religione di ufficio, ed anco per trascorso di tempo
dovrieno mostrarsi più giusti. Così Casoni non abborisce dettare queste
empie parole, che la strage del Sampiero fu evento molto favorevole
alla Repubblica, permesso da Dio per sollievo e per quiete dei Côrsi, e
quasi gli paresse poco, a ribadire la empietà, più oltre afferma, che
alcuni di prudente e circospetta natura conobbero che Dio con questa
morte pareva che manifestamente favorisse la causa della Repubblica.
Alfonso, figliuolo di Sampiero, sostenuta un pezzo la contesa piuttosto
con virtù che con fortuna, ebbe alla per fine a capitolare: molti patti
egli pose alla resa, e molti la Repubblica gliene promise, ma fuori
dal concedere a lui e a' suoi compagni di esilio di menare con esso
loro un cavallo e parecchi cani per uomo, sembra che gli altri o non
osservassero od osservassero poco.

E perchè la guerra tirava alla fine, i Genovesi per illustrarla con
tale un fatto che togliesse ai posteri la speranza di potere non
che superare, uguagliare la loro virtù, fecero questo. Lionardo da
Casanuova, tornato di Francia, dove si era condotto per la quinta
volta in cerca di soccorso, casca in podestà dei Genovesi, i quali
lo condannano a morte. Antonpadovano, recatosi alla Bastia con una
fantesca nel disegno di liberarlo, ottiene facoltà per la fante di
visitare Lionardo; la quale cosa facendo la donna quotidianamente, ed
anco talora lo stesso giorno più volte, opera in modo che le guardie
rallentino la consueta diligenza. Allora Antonpadovano piglia le
vesti della fantesca, e penetrato nella carcere, persuade il padre
a salvarsi in abito donnesco. Veramente Lionardo tentennò un pezzo,
poi lasciò svolgersi dalle parole del figliuolo, che si sforzava
capacitarlo com'egli innocente, ed infiammato di carità figliale, non
corresse pericolo o poco. Anzi meritava premio, e non glielo negarono i
Genovesi, no in fede di Dio non glielo negarono, però che ordinassero:
il giovane Antonpadovano ad una finestra della casa paterna di Venaco
s'impicchi, la casa, dopo lui morto, si abbruci.

Al fine delle sue parole il frate abbassò la voce, comecchè brontolasse
sempre corrucciato: così il fragore del tuono per allontanarsi non
cessa atterrire i petti dei mortali. In ultimo il tuono si spense sopra
le labbra frementi di lui: allora si nascose la faccia dentro le mani;
nessuno vide se pianse, o Dio solo conobbe le sue lagrime segrete, e
certo un giorno vorrà retribuirgliene il merito in palese. Di un tratto
il frate, dopo alcuna pausa, sorse risoluto in piedi, e favellò:

— Basta; il resto un'altra volta, per oggi io non ne posso più.

E trovata a tastoni la scaletta, che menava sopra la coperta, prese a
salirla. Il signor Giacomo, dondolando a furia la scatola fra le dite,
esclamava:

— Bene! benissimo! Ma sapete, signor Alando, che cotesto vostro signor
frate... come lo chiamate? Oh! ecco... frate Bernardino da Casacconi...
che cotesto frate ha tutto l'aria del galantuomo, e giocherei cento
sterline ch'io non m'inganno... volete giocarle, signor Alando?

— Io lo so di certo, che padre Bernardino ha camminato sempre nel santo
timore di Dio e nel santissimo amore della patria.

Al Boswel, indole temperata se altra fu mai, quantunque sembrasse
strano quel positivo dato al timore di Dio accanto a quell'altro
superlativo aggiunto allo amore di patria, pure si tacque, uso ad
ammirare i nobili affetti anche quando paiono eccedere. E noi altri
Italiani sovente non adoperiamo nelle parole misura: di questo
particolarmente ce ne porsero esempio i nostri padri, come quelli che
si sentivano il sangue a mille doppii più caldo di noi altri assiderati
nepoti, e nei miei scritti sono soventi volte venuto rammentando
l'avvertimento lasciato da uno di casa Alberti ai suoi figliuoli — che
bisogna anteporre alla salute dell'anima la salute della patria.



CAPITOLO VII.

Il cattivo incontro


Frate Bernardino, uscito all'aperto, scrollò quattro volte e sei la
testa, e parve ricrearsi nel refrigerio dell'aria fresca, che gli
s'insinuava per la barba e pei capelli: nè ciò bastandogli, fatta delle
mani votazza, pigliava l'aria a guisa di acqua, e se la gettava nel
viso. Così temperato alquanto l'ardore, s'incamminò tastoni verso la
poppa, alla quale appressandosi gli fu domandato:

— Chi è là?

Il frate, riconoscendo la voce, rispose:

— Oh capitano, siete voi?

— Buon giorno, padre Bernardino; già mi figuro, che non avrete chiuso
occhio tutta la notte.

— Io no, e nè anco voi sembra che siate andato a riposare.

— Per me la faccenda è diversa; quando navigo non dormo mai, e in terra
poco: mi sfogherò a dormire dentro la fossa.

— Ma dove ci troviamo adesso? Qui dintorno buio, parmi essere entrato
nel pozzo di san Patrizio; sento fischiarmi il vento sul capo mentre la
galera barcolla appena, che novità è questa capitano?

— Voi avete la fantasia accesa, padre Bernardino; diversamente avreste
indovinato a un tratto che ci siamo messi a ridosso della Capraia.

   [Illustrazione: .... ridotto a sostenere la guerra con solo
   otto compagni, gli tesero insidie, e lo lasciarono crivellato
   di ferite sopra la pubblica strada.... _(pag. 86)_]

— È vero sì, ma perchè non avete continuato il cammino?

— Perchè ho fatto il conto, che a proseguire era più la perdita del
guadagno: della bussola non poteva giovarmi avendo dovuto per certa
ragione, che non importa palesare, interdire rigorosamente qualunque
fuoco a bordo; e il mare, comechè non procelloso affatto, impediva
inoltrare senza molta fatica, nè a vela si poteva ire, e co' remi
a stento, sicchè ammazzandoci tutta la notte saremmo arrivati a
giorno chiaro in prossimità della costa del Macinaggio, dove temo
che corseggino parecchie navi francesi. Trovandomi sotto vento alla
Capraia ho pensato: piano ma sano: qui passeremo la giornata al sicuro,
e stassera, per la bruna, con gente fresca e il mare abbonacciato, in
quattro o cinque ore schizzo al Macinaggio.

— Pace e pazienza, e morte con penitenza, rispose il frate: da che non
ci si para di meglio sbarcherò a visitare i religiosi che ci abitano,
e mi consolerò a vedere i luoghi nobilitati dal valore dell'Achille
côrso; non sapreste mica dirmi se ci sia rimasto egli stesso a
governarla?

— Nè manco per ombra; il comandante Achille Morati dopo la conquista
tornò al fianco del generale: credo che ci abbiano mandato il
commissario Astolfi.

— E qual è costui?

— Per me non lo conosco; ha fama di essere uomo di stocco, e dicono,
che sarebbe capace di farsi mettere in quattro sui cannoni prima di
renderla.

— Dammelo morto.

— Come! non conoscete il commissario Astolfi e ne diffidate?

— Oibò! mi fido... cioè mi fido come uomo che sa quanto sarebbe grazia
di Dio potere non fidarsi di alcuno.

— Badate, padre, al proverbio che dice: Il diavolo è triste perchè è
vecchio; o meglio, ricordatevi del precetto: Non misurate se non volete
essere misurato.

— Santa fede! quando si ha per le mani la salute della patria bisogna
pesare e misurare tutto il giorno, e non basta, perchè la peggior carne
a conoscere è quella dell'uomo.

— Voi altri fate professione di carità, ond'io devo credere che voi non
parlate a vanvera; parlatemi chiaro; avete qualche motivo per dubitare
del commissario Astolfi?

— In ispecie io non ne ho veruno; però voi sapete quello che dicono i
vecchi: fidati era un galantuomo, ma non fidati poi era più galantuomo
di lui: per ultimo ve l'ho da dire come in confessione?

— Dite pure.

— Mi sento il cuore peso, e questo mi dà cattivo augurio: mira un po'
da levante ora che incomincia a schiarire; non vedi come il cielo
paia tinto di ferro, e cotesti nuvoloni, che precipitano per costà
non ti sembrano le anime del purgatorio, che strascinando i lenzuoli
sepolcrali si affrettino alle antiche sepolture?

— Padre mio, poco più poco meno i giorni si rassomigliano; speranze
lunghe, tribulazioni perpetue, e prosperità a spizzico, come il pepe
su la minestra. I poeti cantano _mirabilia_ su l'alba che nasce, e in
cui non se ne intende mettono la voglia in corpo di ruzzolare da letto
avanti giorno: fantasie! Per me ho visto il più delle volte alzarsi in
mezzo ad una nebbia di sangue, e rassomigliare lui stesso all'occhio
del parente, che abbia pianto tutta la notte il morticino in casa.
— Di vero io non capisco in che avrebbe il sole a gioire uscendo a
illuminare questa culla della sciagura. — Io vedo il sole che, come
tutte le altre cose di questo mondo, per diventare più luminoso e
bello, bisogna che staccandosi dalla terra si avvicini al cielo.

— Voi parlate come un dottore, capitano Angiolo: pure vi hanno fra
tanti neri dei giorni bianchi, quantunque rari; e il cuore sembra che
vi annunzi con qualche segno così gli uni come gli altri.

— Sua eccellenza il generale Paoli mi disse: che l'uomo deliberato di
vivere e di morire per la patria non abbisogna altramente di attendere
ai presagi; imperciocchè avvenga che può, in questo mondo non si muoia
mai alla gloria presso gli uomini, nell'altro al merito presso Dio.

— Egli parlava da cristiano, ed io ti parrà che parli da pagano, pure
io dichiaro riuscirci più facile negare, che astenerci dal dare retta
ai presentimenti; così vero questo, che il generale, in onta della sua
sapienza, io so ch'ei ci crede. Ma orsù il dì comincia a farsi chiaro,
e tu che aspetti, figliuolo mio, a inalberare la santa bandiera, e a
salutarla con la cannonata?

— Aspettiamo che butti giù la maschera quella torre costà; — e così
favellando il capitano Angiolo additava al padre Casacconi una torretta
quadrata, che costruita su di una pendice sta come a cavaliere su
la scala della Capraia, e serve pei segnali. Quivi tutte le notti
accendevasi, e tuttavia si accende, una lanterna, la quale manda
tanta luce, giusto quanto basta per vedere in quale razza di scogli ti
scaraventi il grecale a perdere anima e corpo.

— Per fermo, soggiunse il frate, quando tu sarai assunto al comando
supremo del nostro naviglio, veruno negherà che la Corsica possiede un
ammiraglio prudente.

E il capitano che intese la botta, sorridendo rispose:

— Io non lo nego; mi trovo carico di ferro e di paura; come dice il
nostro proverbio, e lo vedrete: d'altronde metto subito a profitto la
vostra lezione sopra la diffidenza...

— Certo... certo la cautela non fu mai troppa...

Intanto ch'egli profferiva queste parole, ecco tirarsi su lungo
l'antenna della torre la bandiera; subito dopo, il saluto di un colpo
di spingarda. Il vento, il quale, sebbene abbassato pure soffiava
sempre con violenza, spiegò in un attimo la bandiera inalberata e ci
mostrò dipinta la insegna di Francia; scudo celeste con gigli di oro,
tenuto ritto da due angioli in campo bianco.

Me ne rincresce proprio per la reputazione di padre Bernardino, che
egregia anco ai dì nostri gode in Corsica; ma come storico mi trovo in
obbligo di raccontare, ch'egli proruppe in un sacramento coi fiocchi
all'aspetto della odiata bandiera; strinta con man rabbiosa la barba,
se ne strappò due ciocche o tre, e quando la passione sfocata gli
concesse la favella, non rifiniva mai di esclamare:

— E ora, che novità è questa? O come sta questa cosa? Che l'abbiano
assediata, non ci è pericolo; ne avremmo avuto odore a Livorno. Santa
fede! il diavolo al sicuro ci ha messo dentro la coda.

Diciamolo in onore del frate: quantunque egli sciorinasse dottrine di
diffidenza da disgradarne Macchiavello, in pratica fino a quel momento
aveva creduto spesso, e spesso ingannato, non si era ancora corretto,
e però non gli passava nè manco per ombra nel cervello il sospetto,
che l'Astolfi, corrotto per denari, avesse reso la Capraia ai Francesi,
senza nè anco un simulacro di assalto, che valesse a colorire la brutta
compra e la più brutta vendita. Però il sospetto, che ultimo si offerse
alla mente del frate fidente, speculativo, fu il primo che venne nel
pensiero del fiducioso pratico, di cui la faccia diventò bianca come
panno lavato: senonchè dopo un brivido leggiero per tutta la persona,
ed un aggrinzamento appena visibile dei labbri, disse:

— Padre, andate sotto coperta.

— Vo' restare io; vo' vedere il fatto mio; scendiamo armati e tentiamo
ricuperare l'isola per forza.

— Fra Bernardino, qui comando solo. Rammentate che l'ubbidienza è uno
dei vostri voti, ed obbedite. Svegliate il pilota, e ditegli che venga
tosto da me.

Il frate abbassò il capo, ed eseguì il comandamento; indi a breve
comparve il pilota, il quale, desto di soprassalto, si fregava gli
occhi come mezzo assonnato.

— Memè, gli susurrò negli orecchi il capitano Angiolo, abbiamo dato
nella bocca al lupo. La Capraia è venuta in potestà dei Francesi, ed
allungato il braccio additava al pilota la bandiera sopra la torre.

— Oh! proruppe Memè sbarrando gli occhi.

— Va, metti tutta la gente al remo, tira su l'àncora, dammene il segno;
attenti al fischio, e giù in un attimo i remi dagli scarmi; — il timone
lo reggo io.

— E da quei frati non si potrebbe cavarne partito?

— Il bisogno è grande; parlane a padre Bernardino, digli da parte mia
che i primi discepoli di Gesù Cristo furono pescatori, ed ora importa
ch'egli se ne rammenti.

Si udì un fischio da prua, a cui rispose un altro da poppa, e in
meno che non si dice _amen_, la ciurma sfrenellando mise i remi in
voga, ed arrancò a golfo lanciato: il capitano Angiolo, pratico del
luogo, lasciò prima correre la galera diritta per un cento palate:
poi spingendo di uno strettone la manovella a destra la fece girare a
poggia; la nave cedevole piegò come vela di molino a vento rasentando
gli scogli, e sempre scivolando a pelo della costa irta di punte, con
destrezza mirabile trapassò di sotto al forte, senza che i cannoni la
potessero offendere.

— Anche questa è passata, esclamò frate Bernardino, quando la galera,
spuntato capo Fico, mise la prua verso ponente, e fermo sul remo
raccoglieva con la mano il sudore che gli sgocciolava dal viso,
gittandolo lontano da sè sul ponte.

— Non dir quattro finchè la noce non è nel sacco.

— Per la Immacolata! O che ti pare che non basti la perdita della
Capraia? Per soddisfare un presagio malurioso non ti par egli che ce ne
sia d'avanzo?

— Padre! padre! Avete visto?

— Che cosa? rispose il frate voltandosi di sbalzo.

— Due legni — due legni francesi a mezzo tiro di cannone.

— Io non ho visto... io non vedo niente.

Ed avevano tutti e due ragione, però che il vento fosse abbassato, ma
il mare si mantenesse grosso, e rotolando immani volumi di acqua, ora,
come dentro capacissima valle, celavano le navi, ed ora la sospingevano
quasi sopra la cresta di un monte; donde l'apparire e lo scomparire di
due grossi sciabecchi francesi, legni molto usitati in Francia a quei
tempi, dopochè ella ebbe smesso fino dal 1740 le galere e le mezze
galere.

— Santa fede! oh! li vedo; li vedo ancora io, prese a urlare di un
tratto frate Bernardino, cui si fecero a sua volta palesi i due legni
nemici. Ecco là cotesti scomunicati gigli d'oro, ma ciò che mi fa più
saetta sono quegli angioli che li sostengono: che cosa ci entrino qui
gli angioli io non mi so capacitare, a meno che non fossero di quei
briganti che Dio agguantò per il petto, e arrandellò giù dal paradiso.
Su da bravo, capitano Angiolo; spiegate la bandiera côrsa e andiamo
contro questi cani, salvo il battesimo; presto chè lo indugio piglia
vizio; uno dopo l'altro come le ciliegie.

E non a torto il frate parlava parole avventate, chè il capitano
Franceschi, bianco come un busto di marmo, pareva non sapesse a qual
santo votarsi; di modo che il frate dubitando cotesta inerzia, paura,
gli si accostò borbottando: — Ai cani mansueti ogni lupo par feroce.

Gli occhi del capitano balenarono; un lampo solo, e le labbra
ricomposte al consueto risolino, rispose:

— Padre Bernardino, a voi piacciono i proverbi, e garbano anche a me;
ora meditate su quello che dice: dove la pelle del lione non arriva,
bisogna aggiuntarvi quella della volpe.

Senz'altre parole scese sotto coperta, dove venutigli intorno gli
ufficiali e i passeggeri, così palesò con succinto sermone il suo
concetto:

— Signori, abbiamo sopravvento due sciabecchi francesi, però noi non
possiamo fuggire, chè il bastimento oltre a trovarsi stracarico, a
cagione del mare grosso i remi non giovano; ma quando fossimo vuoti, e
il mare più tranquillo, col vento che tira non potremmo mai salvarci
dalla caccia dei Francesi: quanto a menare le mani, noi non dobbiamo
combattere.

— O come non dobbiamo combattere? uscì fuori frate Bernardino
arrapinandosi; e il capitano Franceschi di rimando:

— State zitto, padre, per lo amore di Dio, ch'io so quello che mi dico;
noi non possiamo... noi non dobbiamo ricevere palle a bordo. Innanzi
ch'essi ci chiamino alla obbedienza, io faccio conto di andare ad
incontrarli. Memè, buttate in mare il caicco; voi, signore Inglese,
vorrete usarmi la cortesia di accompagnarmi; mi pare che siate munito
di passaporto per Bastia, firmato dal console francese di Livorno.

— Così è, rispose il Boswell, ed anco porto meco lettere commendatizie
per parecchi gentiluomini francesi.

— Tanto meglio; voi lascerete parlare a me; solo approverete, quanto
starò per dire.

— Bene, non ci è da fare di meglio: tuttavolta chiedo licenza
ammonirvi, che se le cose le quali voi siete per esporre, fossero
troppo lontane dal vero, io non saprei in coscienza approvarle.

— Confesso che questo intoppo m'imbroglia la matassa: ma andate franco:
io procurerò che le cose intorno alle quali attesterete, le sieno vere:
quanto al rimanente non ci porgete attenzione; figuratevi, che non
sieno fatto vostro.

— E badate, aggiungeva frate Bernardino, che le bugiarderie fra noi
altri cattolici si pagano sette anni di purgatorio l'una; onde voi
vedete il bel guadagno che fareste a confessarvi cattolico; e non
finisce qui, chè per le bugiarderie che vi accadesse profferire adesso,
come dirette a fine di bene, voi potreste contare sopra il ribasso
almanco di un cinquanta per cento.

E il signor Giacomo sorridendo rispose:

— Un bel ribasso in verità, maggiore di quello che costumano le
fabbriche di Birmingham; ma è meglio non mentire.

— Memè, continuava il capitano Angiolo favellando al pilota, il quale
aveva fatto gettare il caicco nell'acqua; intanto che noi andiamo a
bordo al francese, voi senza parere fatto vostro vi scosterete bel
bello uscendo dal tiro del cannone: allora, se vi riesce, mettetevi
alla cappa; se fra due ore, o meno, vedrete tornare il caicco con
bandiera a prua, aspettateci; se non vedete nulla, approfittatevi del
campo preso e salvatevi all'Elba.

Giocante Canale, che senza dir verbo, mentre questi casi avvenivano,
aveva tratto fuori le armi ed osservato se la polvere stava bene nello
scodellino, udite le parole ultime del capitano, le rimise da parte
borbottando:

— Qui i soldati fanno da cappuccini, i cappuccini da soldati: ma
tradimento non ci è.

Altobello, che pure lo intese, non sapendo che cosa pensarne, si
strinse nelle spalle: quanto al signor Giacomo, che aveva assunto per
regola di condotta la impresa dell'Accademia del Cimento _provando e
riprovando_, disse fra sè: — Tiriamo innanzi, chè chi volge il dorso
non fugge sempre; — e poi a voce alta riprese: — Eccomi pronto a
seguitarvi.

Il capitano, come uomo che si sottragga dalla tentazione, corso alla
banda del bastimento e agguantata la corda scivolò giù per essa di
tonfo nel caicco: dove assicuratosi bene in piedi si affrettò a porgere
aiuto al signor Giacomo, mal destro a pericolarsi su quei rompicolli
di scale, massime in mezzo al mareggiare dei marosi: ma il signor
Giacomo, sebbene quattro volte e sei gli sprazzi lo infradiciassero
fino alla camicia, e sebbene altrettante stesse a un pelo di dare il
tuffo nell'acqua, nè con atto nè con detto disonestò la pacata gravità
del suo portamento; per lo contrario, seduto appena sul banco, trasse
fuori la scatola che, prima di lasciare la galera, aveva avuto cura di
riempire, e prese, con la consueta pace, la sua presa di tabacco.

Il capitano Angiolo drizzò il timone del caicco verso lo sciabecco più
vicino, e dopo molto menare di remi pervenne alla banda di quello.

I Francesi avevano calato giù a posta loro scala e funi; e così
persuadendoli la indole loro certamente servizievole, non furono scarsi
di aiuto per tirare su il capitano Angiolo e il signor Giacomo Boswell:
i quali, senza mettere tempo fra mezzo, furono intromessi al capitano
dello sciabecco, che gli accolse vestito in gala, e appena vistili
sciorinò questa diceria:

— Noi vi salutiamo, signori, come amici di S. M. cristianissima,
imperciocchè senza aspettare altramente la cannonata, che vi chiamasse
alla obbedienza, siete venuti a renderci conto dello essere vostro e
della causa che vi conduce per questi mari.

— Eccellenza, rispose il capitano Angiolo, ossequiandolo coll'abbassare
la berretta fino alle ginocchia, atto così turpe di brutta servilità,
che il signor Giacomo sentì venirsi la nausea al cuore. Lo stesso
Francese, cui pure piaceva lo incenso, sentendosi arrivare da una
fumata un po' troppo ardita, rispose:

— Questo titolo in Francia spetta agli ammiragli; basterà che ci diate
dell'illustrissimo.

— Illustrissimo, dunque, perdonate all'ignoranza, — senza scomporsi
continuò il Côrso sempre in accento carezzevole, — il mio nome vi sarà
senza dubbio ignoto, ma per vostra regola io vi chiarisco chiamarmi
Francesco Maria Semidei, comandante da parecchio tempo cotesta
vecchia carcassa, di cui è armatore un tale Salvatore Padovano côrso,
domiciliato a Livorno. Ora importa che sappiate com'egli avendomi fino
a questi ultimi tempi spedito in Sicilia, in Provenza e in Barberia, le
faccende succedessero di bene in meglio. Tutto a un tratto mi carica di
grano, e di non so quali zacchere, e mi dice: — Capitano, piglierete
le spedizioni per Corsica. — Va bene, rispondo io; andrò a mettermi
in regola col console di Francia. — Che Francia, e che non Francia,
prese a urlare il vecchio matto, io vi spedisco al generale Paoli,
e voi avete a procurare, girato il Capo Côrso, di surgere all'isola
Rossa, donde darete avviso al generale, che vi manderà l'ordine circa
a mettere in terra il carico. Allora, udendo con giusta indignazione
che si trattava di venire in aiuto di briganti, risposi: — Armatore,
mi maraviglio di voi, che essendomivi mostrato fin qui uomo religioso
e dabbene, mi spingiate a commettere cose contrarie ai comandamenti di
Dio, i quali c'insegnano ad obbedire ai principi, che governano per
volere divino, senza darci briga di indagare dond'essi vengano; e se
nel caso lo volessimo cercare, avendoci S. M. cristanissima comprato, è
chiaro, che non potrebbe avere conseguito titolo migliore di disporre
di noi anime e corpi: tuttavolta, mi parve dovere di aggiungere,
tuttavolta messo da parte questo, degnandosi un re potentissimo, qual
è quello di Francia, aprirci le braccia e accettarci per sudditi e
servitori, o dove avete messo il cervello a rendergli morsi per baci? E
poi, che prosunzione è questa di stare a tu per tu col Cristianissimo?
Oh! non corrono più i tempi nei quali David ammazzava Goliat con una
sassata; e avvertite ancora, che ciò non accadde senza miracolo di Dio,
essendo Goliat filisteo. Ora se aspettate che Dio operi miracoli in
danno del suo prediletto il re di Francia, starete fresco. Per ultimo,
ma vi par egli giudizio, che mentre tante armate formidabili vanno di
su e di giù pei nostri mari, possa vivere un pezzo questa capretta di
Corsica, lasciata lì appesa ad uno scoglio senza che veruno la difenda?
Sapete che ci è di nuovo, signor armatore? Voi dovreste ringraziare
Gesù a mani giunte, come faccio io, di averci sortito al bene di
servire il re Luigi. Di qual popolo più degno del francese potevamo noi
desiderare riuscire vassalli? Di qual principe più magnanimo di Luigi
XV diventare servitori? Luigi chiamato dai suoi fedelissimi sudditi la
delizia del mondo.

— Veramente, interruppe il capitano francese con rara ingenuità, il suo
giusto titolo è _bene amato_.

— Voi avete ragione: perdonate alla ignoranza; Luigi il bene amato. Ora
per finire, illustrissimo, dirò che l'armatore finse pigliare le mie
considerazioni in buona parte, e rispose: Ci penseremo. Fortuna volle,
che un buon religioso mi avvertisse in segreto, l'armatore meditare il
tiro di levarmi di punto in bianco il comando del bastimento. Allora
dissi fra me: Che faccio? Permetterò io che questo legno, il quale
dovrebbe glorificarsi con la bandiera dei gigli d'oro, si veda scorrere
i mari sotto la brutta insegna della testa di moro? Può egli un buon
cristiano in coscienza sostenere questa infamia, mentre sta in lui
impedirla? Non lo può, e non lo deve: questa mezza galera prima di
disfarsi abbia la grazia di aiutare quanto può la signoria del suo re
in Corsica... ma, illustrissimo, era più onorato pigliare, che agevole
compire il partito preso; da un lato mi bisognava fare presto e bene,
dall'altro salvarmi dalle spie, che mi codiavano. Andare in consolato
di Francia per ottenere la patente era un guastarsi l'uovo in bocca,
indugiarsi era perdersi: insomma, io dissi: Che fai? Che pensi? A
restare, il danno è certo; a partire, ti possono accadere tre casi, o
traversare il mare senza imbattere in cosa molesta, o venire trattenuto
da qualche nave francese e lasciato ire, ovvero essere accompagnato
fino alla Bastia: certo questo ultimo sarebbe un grossissimo smacco;
certo ciò non meriterebbe la tua fede pel re di Francia, nè il tuo
trasporto per l'illustrissima nazione francese: ma che importano
le apparenze a patto che si salvi l'onore, il quale consiste nello
impedire qualunque ostilità contro il benigno sovrano, che vuole
deliziare del suo governo la Corsica? Ed essendo venuto in cognizione
come questo gentiluomo inglese intendesse passare in Corsica, dove si
ripromette essere accolto lietamente, a cagione del merito guadagnatosi
or ora dalla Inghilterra presso la Francia, per avere vietato ai
suoi sudditi, sotto asprissime pene, di aiutare i ribelli côrsi, lo
presi a bordo; molto più che, provvisto di passaporto francese e di
commendatizie pei principali del governo, avrebbe in ogni caso ottenuto
fede nella testimonianza di tutte quelle cose del mio racconto...

E qui gittò di scancio una occhiata sul Boswell, e vide come questi
arrossisse, e imprimesse col dito una furiosa giravolta alla scatola:
però da quel solenne pilota ch'egli era, con una stretta maestra di
timone scansando lo scoglio aggiunse: — che riguardano la sua persona.

Alla coscienza degli Inglesi basta non dire il falso: quanto al vero è
un altro paro di maniche: chiunque non sa, o non può pescarlo dentro
le loro parole, suo danno: onesti fino alle porte dell'inferno, non
già fino a quelle del paradiso: e pei mercanti è anche troppo; onde
il signor Giacomo credè potere affermare senza rimorso: Per quanto mi
spetta, io faccio fede del vero. E subito dopo, non aspettando invito,
si cavò di tasca il portafoglio, e lo porse al capitano francese,
il quale, composti i labbri al sorriso, tuttochè protestasse che non
faceva caso, lo prese, lo aperse ed esaminò diligentemente le carte
dentro al medesimo racchiuse. Il passaporto egli trovò in perfetta
regola, delle lettere una andava al marchese di Graind-maison, un'altra
al conte Narbonne Pelet di Fritzlar, eravene una pel conte Gabrielle
Riquetti di Mirabeau, quel desso di cui la vita assai si rassomigliò
alle processioni, le quali, dopo aver vagato un pezzo per poche strade
buone e per moltissime cattive, rientrano sempre colà donde uscirono:
conte nacque, e conte morì. Ma la lettera che, sopra tutte le altre,
percosse il capitano, fu quella diretta a sua eccellenza Luigi Carlo
Renato conte di Marbeuf, gentiluomo di camera del fu re di Polonia,
duca di Lorena e di Bar, luogotenente del re nei quattro vescovati
dell'alta Bretagna, commendatore, eccetera, tenente generale delle
milizie regie in Corsica, eccetera, eccetera: questa, trovandola
senza suggello, spiegò e lesse. Le lodi che in essa si facevano al
signor Giacomo, comechè peccassero di esagerazione e non poco, bisogna
dire però che nella massima parte egli meritava. Eravi ricordata
la sua qualità di membro del parlamento inglese: nè vi si taceva il
grandissimo conto in cui lo tenevano i medesimi ministri della Corona.
Poichè il capitano l'ebbe scorsa fino alla firma, che trovò nientemeno
essere quella del segretario del duca di Choiseul, si affrettò a
restituirla ripetendo più ossequioso che mai: — Mio signore, vi aveva
pur detto che non faceva caso, e mi sono piegato a leggerla proprio per
farvi piacere. Capitano Semidei, quanto avete operato in servizio di
sua maestà nostro padrone e signore vi manifesta perfetto galantuomo:
in Francia si ammira lo zelo e si premia: signor Boswell, sono
desolato, che con questo mare sottosopra non potrò farvi l'accoglienza
che meritate, ma imperversino mare e vento quanto sanno e vogliono,
non sia mai detto, che essendosi incontrate tante brave persone, non
abbiano bevuto un tratto alla salute del re.

— Bene; con tutto il cuore, rispose il Boswell stringendo la mano al
capitano e scotendogliela alla dirotta. Intanto che aspettavano il
vino, il capitano Angiolo, cui premeva avere carte in tavola, uscì con
queste parole:

— Illustrissimo, dell'ottima mente che vi degnaste mostrare verso di
me, vi rendo grazie quanto posso maggiori: spero e desidero, che come
questa fu la prima volta che c'incontriamo, così non sia l'ultima.
Ora vi pregherei a mettere il colmo alla vostra cortesia veramente di
gentiluomo francese concedendomi due cose: di cui la prima è il presto
di una bandiera di sua maestà cristianissima, affinchè la mia galera
possa con quella fare il suo onorato ingresso nel porto di Bastia;
l'altra un certificato, che renda testimonianza delle mie dichiarazioni
e della obbedienza prestatavi prima di qualunque richiamo.

— Ma ci s'intende, ci s'intende: anzi vi chiedo perdono se non vi ho
offerto prima la bandiera: capisco benissimo quanto vi angustii entrare
senza di lei in un porto francese: però voglio darvi la bandiera,
ma ad un patto, ed è che ve la teniate in dono per amor mio, circa
alla dichiarazione ci aveva già pensato: e mi corre anzi l'obbligo di
munirvene per discarico mio non meno che vostro: solo mi rincresce, che
gli sbalzi del bastimento non mi consentiranno dilungarmi quanto vorrei
io e meritate voi.

— Illustrissimo, o breve o lungo, voi non potete fare altro che bene
— rispose capitano Angiolo abbassando le palpebre per nascondere gli
occhi che gli smagliavano come quelli del gatto salvatico; poichè
volete ch'io tenga la vostra bandiera, sarà mia cura darvene un'altra.

In questa venne il mozzo coi bicchieri e col vino. Allora il capitano
francese con bella cortesia sollevando il bicchiere; invece di
propinare pel suo re, fece brindisi per sua maestà Giorgio III re
d'Inghilterra, cui il signor Giacomo prontamente replicò bevendo alla
salute di sua maestà Luigi XV re di Francia, e il capitano Angiolo,
facendo coro ad entrambi con urli da spiritato, gridava: Viva il Re,
viva il Re, vivano tutti i Re!

La marineria, comecchè non convitata a bere, pure a cotesto grido sentì
commoversi le servili viscere, e dal ponte, dalle coffe, dalla sentina
con tuono formidabile di voce rispose _viva il Re!_ Lo sciabecco
intero parve avere preso senso di umanità francese, per fare atto di
servitù. — A cotesti tempi (bisogna pur dirlo) i Francesi erano ebbri
di dispotismo peggio che di vino; e per le storie occorre, come a certa
ciurma di vascello in procinto di sprofondare nell'oceano, nulla calse
di patria, di famiglia e nè di Dio, bensì coll'urlo di _viva il Re_,
disparve nella morte. Di tal gente nacquero coloro, i quali nel passato
secolo vennero a insegnarci libertà, e in questo a ministrarci servitù,
aspetto diverso di una medesima tirannide. Qualche menno d'ingegno
vorria che queste cose non si avessero a dire: non gli date retta;
l'adulazione è delitto di lesa maestà presso i popoli grandi.

Il capitano francese non capiva dentro la pelle, abbracciava il signor
Giacomo, stringeva il capitano Angiolo fino a levargli il respiro, e
non rifiniva di gridare, come Gargantua quando uscì fuori dall'orecchio
sinistro della madre: — Da bere! da bere! — Però rammentandosi della
promessa, chiesta licenza scese nel suo camerotto, donde, scorso
spazio non lungo di tempo, tornò con la bandiera e col foglio, dove
con elogi sgangherati metteva il Franceschi col nome di Semidei
innanzi ai massimi difensori della patria antichi e moderni, perchè
tradiva la sua. Pervertimento di senso morale, di cui l'anima nostra
va contristata con esempii quanto schifosi, altrettanto spessi.
Consegnati il foglio e la bandiera, il capitano Angiolo, in grazia
del primo, venne a conoscere il nome del capitano francese, per la
quale cosa riempito il bicchiere a modo di addio propinò alla salute
dell'illustrissimo signor capitano Torpè di Rassagnac, cavaliere di san
Luigi, invitando il Boswell ad imitarlo, cosa che questi fece senza
esitazione: ma il capitano Torpè si tenne obbligato per cortesia a
rispondere al Franceschi e al Boswell separatamente. Alcuni ufficiali
del bordo, richiesti di pigliare parte alle libazioni, non ebbero
mestieri di scongiuri, onde in breve incominciarono tutti a parlare,
nessuno ad ascoltare, mareggiando per proprio conto assai più, che pel
barcollamento dello sciabecco. Il capitano Angiolo, colto il destro,
chiese in cortesia al capitano Torpè gli desse licenza, imperciocchè,
quantunque il vento calasse di minuto in minuto, pure restando il mare
gonfio, e dovendo egli bordeggiare per accostarsi alla spiaggia, gli
pareva non aver tempo da perdere se disegnava entrare in porto prima
di notte e così farsi onore con la sua bandiera. Il capitano Torpè,
abbastanza pratico del mare, per conoscere ch'egli aveva ragione,
gli dette commiato, non però prima di essersi reiterate fra loro le
proteste di stima scambievole, e le promesse di rinnovare l'amicizia in
Marsiglia o in Bastia.

Il capitano Angiolo scese nel caicco, considerato il mare e il vento,
che lo spingeva al suo cammino in filo di ruota, lasciò il timone
in mano del marinaro: egli assettavasi di contro al signor Giacomo,
fischiando. Ma il signor Giacomo, uso ad almanaccare sopra gli uomini
e i casi che si passavano tra le mani, battuto coll'indice un colpo
sul coperchio della scatola, interrogava sè stesso: — Questo côrso
è galantuomo? — e dopo lieve intervallo data un'altra percossa alla
tabacchiera, domandò: — Questo côrso non è galantuomo? — È galantuomo:
e allora o perchè non si è industriato di accostarsi ad uno dei due
sciabecchi, e giratogli da poppa col vantaggio dei remi spezzarlo con
una scarica diagonale, che gli avrebbe dato in un attimo la vittoria,
e poi subito serrarsi alla vita dell'altro? Ma posto eziandio ch'egli
dubitasse di potere ridurre felicemente a termine questo partito,
a che pro la spontanea obbedienza? O non poteva egli, sforzando le
vele e i remi senza avvilirsi con tante invenie rifugiarsi all'Elba
o a Livorno? O di che cosa temeva? Con questo rullo di flutti male si
possono assestare i tiri, e se il diavolo, ficcandoci la coda, avesse
voluto che il Francese lo cogliesse di una palla, non sarebbe poi stato
il finimondo, massime adoperandovi i remi. — Non è galantuomo, ma in
questo caso come si spiega l'ordine dato al pilota di levarsi bel bello
dal tiro, e di riparare all'Elba, se non ci avesse veduto di ritorno
fra due ore? Perchè non si è messo addirittura nelle mani del Francese?
Perchè non chiese gente dallo sciabecco per marinare la galera? Perchè
a questa ora non ci troviamo tutti prigioni? — Per altra parte, chi lo
capisce è bravo, se col Francese egli parlò in celia, io ne disgrado il
Garrik a fingere meglio di lui. Ho letto nella relazione di Gerardo,
visconte di Argentina, fatta a Federico imperatore, ch'egli giudicava
i Côrsi tutti curiali: altro che curiali! Se rassomigliano a questo,
ognuno di loro può vantarsi di tenere il bacile a quattro avvocati ad
un tratto. — E in mezzo a cosiffatte ambagi l'animo suo tentennava
sospeso, se non che adesso gli venne fatto di fissare gli occhi in
viso al capitano Angiolo, e lo mirò così sereno di onesta baldanza, e
direi quasi illuminato dalla interna contentezza, che la bilancia dello
esame tracollò giù di piombo a favore del capitano, per la quale cosa,
picchiando egli colla mano aperta sul coperchio della tabacchiera,
disse a voce bassa: — È galantuomo, e poi a voce alta: — E lo vedremo
tra breve.

— E che cosa vedremo noi di corto? gli domandò il capitano Angiolo,
con tali un suono ed un gesto, da far comprendere al signor Giacomo,
ch'egli non visto avesse assistito in terzo all'arcano ventilare tra
lui e la sua coscienza; ond'ei con certa paura rispose:

— Eh! vedremo il Paoli.

— Ah! voi lo vedrete, soggiunse il capitano Angiolo con un sospiro; io
no, chè il dovere mi chiama in altra parte, e chi sa per quanto tempo
e con quali fortune: però voi quando lo vedrete gli direte....

— Che cosa gli dirò?

— Quello, che avrete veduto, aggiunse il capitano come pentito di
essersi lasciato troppo ire: nè al signor Giacomo, per quanto vi
s'industriasse con varii trovati, riuscì cavargli una parola di bocca.

Arrivarono per ultimo su la galera, la quale aveva fatto quanto poteva
per rammezzare loro la strada. Saliti sul ponte, il primo oggetto che
si parasse dinanzi gli occhi del capitano Angiolo, fu Giocante, il
quale reputandolo, se non traditore, almanco codardo, non intendeva
ormai rispettarlo nè obbedirlo: all'opposto a manifestargli disprezzo
gli pareva quasi fare opera meritoria; però, in onta al divieto
rigorosissimo del capitano di accendere fuoco a bordo, egli fumava a
gloria. Il capitano Angiolo gli si accosta mansueto e quasi peritoso,
quando poi gli fu presso, agile come il gatto, gli strappa la pipa di
bocca, e glie la scaraventa lontana nel mare. Se il sangue saltasse
agli occhi di Giocante non importa dire, e concitato mosse a pigliare
le armi; senonchè il capitano afferrandolo pel braccio, gli ci ficcò
le dita con tanta violenza, che, malgrado i panni, ne portò la impronta
livida per giorni parecchi, e con voce tutta soavità gli disse:

— Signor tenente, se movete un passo, io vi mando a tenere compagnia
alla vostra pipa. — E siccome l'altro infellonito stava lì lì
per pronunziare qualche sproposito, egli pronto gli turò la bocca
aggiungendo: — Guardatevi da dire cosa che io come comandante avessi
a punire: per ora basti così; giunti a terra mi troverete disposto a
darvi la soddisfazione che saprete desiderare.

— E la vorrò di certo.

   [Illustrazione: .... il padre Bernardino proruppe in un
   sacramento coi fiocchi all'aspetto dell'odiata bandiera;
   strinta con man rabbiosa la barba, se ne strappò due ciocche
   o tre.... (_pag. 101_)]

— Sia come vi piace.

In questa taluni della ciurma o dei passeggeri si erano accostati a
loro dubitando di qualche sconcio ma il capitano, lasciato il braccio
di Giocante, continuò a dirgli piacevolmente tre o quattro parole
quasi sequela di discorso, facendo credere che il tratto della pipa
fosse stato uno scherzo. E al punto stesso volto al pilota: — Memè,
gli disse, tira su la bandiera di Francia all'albero di mezzana, poi
vedremo di salutarla con un colpo di cannone da prua.

Frate Bernardino, contemplando sventolare la bandiera di Francia su la
galera côrsa, strinse il pugno, e sollevato il braccio, glielo vibrò
contro aprendo la mano come se volesse tirargli una sassata, e con
quanto aveva di voce in gola gridò: — La maledizione di Sodoma sopra di
te....

E proseguiva, senonchè il capitano Angiolo lo interruppe dicendo:
Padre Bernardino, i Francesi non possono sentire le vostre parole, ma
possiedono ottimi cannocchiali per vedere i vostri gesti: andate sotto
coperta; io ve lo impongo.

Ma siccome dai moti di stizza del buon frate il signor Giacomo conobbe,
che il suo voto di obbedienza stava sul punto di ricevere un serio
affronto, gli bisbigliò destramente negli orecchi: — Venite che vi
racconterò tutto il successo su lo sciabecco francese. Il frate,
curioso come tutti i compatrioti suoi, non se lo fece dire due volte,
ed i compagni lo seguitarono.

Il signor Giacomo raccolse tutte le sue virtù oratorie per fare
un racconto a modo e a verso, capace di tenere ferma l'attenzione
dell'uditorio; e su questo aveva abilità da rivendere. Più difficile
gli riuscì presentare le cose in maniera, che tornassero in vantaggio
della reputazione del capitano Angiolo: tuttavolta, quantunque ci
mettesse dentro ottimo volere, ebbe a concludere che quanto alla
fedeltà del capitano gli pareva potere dormire, e con esso lui tutti i
gentiluomini a cui aveva l'onore di parlare, su due guanciali: forse
non tanto si sarebbe confidato nella sua audacia: ma permettersi
osservare che nel caso presente l'avventatezza poteva per avventura
perderli, mentre la prudenza e la sagacia gli aveva salvati....

— Ma noi abbiamo bisogno di audacia, gridò il frate, e sempre audacia;
davanti a questa i Francesi cagliano, l'umiltà altrui ne cresce la
superbia.

— Eh! sarà come dite, mio signor frate; ma dacchè sembra, che anche per
tutt'oggi noi dobbiamo restarci sul mare, non vi parrebbe opportuno di
finire il racconto delle fortune côrse? Assicuratevi, ch'io ne ricavo
diletto pari alla istruzione.

E fu colpo maestro del signor Giacomo, e quasi un grattare la
pancia alla cicala: imperciocchè il frate, premuroso di provare
come i Côrsi, nelle frequenti loro ribellioni e vendette, avessero
fatto opere da meritarsi il paradiso, rispose: — Sicuramente che io
ve la vo' finire la mia storia; e vera, sapete, non come l'hanno
raccontata tanti bricconi di Genovesi, che il diavolo confonda:
però mi bisognerà toccare i sommi capi, e su i casi minori scorrere
di volo, chè altrimenti la sarebbe faccenda lunga. Voi lo sapete,
gl'invasori rassomigliano un po' noi altri frati: quando chiudiamo
la sepoltura diciamo: chi sta dentro se n'è andato in pace: però noi
caliamo nella tomba i morti, mentre gl'invasori presumono metterci
i vivi. Così i Genovesi a noi. Levateci le penne maestre, invece di
blandire l'angoscia della indipendenza perduta, essi presero a bucare
gli statuti pattuiti peggio dei vagli; con la forza talora tappavano
i pertugi, ma ogni dì si tornava da capo; la fame fu reputata arte di
regno, e così la ignoranza, e così lo sperpero delle famiglie. Voi vi
avete a figurare che a tale intento moltiplicarono fino a sessantasette
i conventi dei frati, mentre di monache ne concessero a pena uno...

— Io non comprendo, disse l'Inglese, a cui il frate si affrettò
rispondere:

— La è chiara come l'acqua, perchè le donne stando a casa si maritano
e stremano le famiglie per via delle doti, e gli uomini, rendendosi
frati, in virtù del voto di castità non danno opera allo incremento
della popolazione.

— Il signor Giacomo guardò il frate sottecchi, per conoscere se e'
burlasse o dicesse da vero, ma visto che il frate non aveva muscolo che
non fosse di buona fede, data una giravolta alla scatola riprese:

— Bene! ora capisco.

— Ogni giorno una ferita: ora esclusero i Côrsi dalle dignità
ecclesiastiche tutte, perfino dai benefizii semplici, ora dagli
officii civili di luogotenenti, cancellieri, capitani di presidio,
sindacatori, castellani, notari, massari, munizioniere, esattore; e via
via rinfrescandosi i divieti negarono loro gli ufficii di giusdicente,
capitano, alfiere, sergente, caporale, ed anco di soldato nei presidii.
Rispetto a ladri io ben vi voglio dire altro che questo: certo
patrizio genovese, parente di un governatore, reduce della Corsica, gli
domandò: le montagne ce le hai lasciate? Ed un altro, quando sentiva
sonare a morto, innanzi di recitare il _de profundis_, domandava:
tenne ufficio in Corsica il defunto? — se gli rispondevano: lo tenne;
egli ripigliava: allora è fiato buttato; dallo inferno nessuno lo
può cavare. Signor Inglese, ponete mente, non siamo noi Côrsi che
giudichiamo, bensì sono questi giudizii di Genovesi su Genovesi.

— Bene, bene, ma gli raccontate voi altri, mormorò il Boswell fra i
denti.

— Però non vi date mica ad intendere che le apparenze offendessero
la onestà, anzi il decoro: la tirannia appena nata si agguantò alle
gonnelle della ipocrisia, come i putti costumano a quelle della
balia per non cascare. Tutti gli oppressori, o vuoi domestici o vuoi
forestieri, hanno imparato da Caco a tirarsi dietro i peccati mortali
per la coda, affinchè la gente vedendo le orme impresse in terra alla
rovescia, li creda usciti, mentre all'opposto sono entrati in casa al
tiranno; ma le sono arti che non salvarono nessuno dalle mazzate di
Ercole. Di vero non si poterono lungo tempo nascondere le discordie da
loro aizzate, gli omicidi promossi come la più grossa delle entrate.
Un degno ecclesiastico, il padre Cancellotti della compagnia di Gesù,
computa che, durante 30 anni di dominio genovese, la Corsica annoverò
28,000 morti di omicidio, e non furono tutti; e questo perchè? Perchè
giudicando il Governatore ad arbitrio o come dicevano _ex informata
conscientia_, vendeva le condanne, poi le grazie o salvocondotti di
venire liberamente in paese, detti di _tutto accesso_, donde le ire
riardevano, e quindi morti, ed incendii, e assassinii, desiderata messe
di guadagno pei magistrati egregi. Genova faceva pagare un occhio
per la patente del porto di arme, e ne vendeva settemila all'anno.
Supplicata, vieta le armi, e per ricatto del provento delle patenti,
impone due lire per fuoco, ma poi continua a dare le licenze per
danaro, ed ella stessa vende ai Côrsi di contrabando le armi, sicchè
quando nel 1739 il Magliaboia le levò, furono trovati ai Côrsi mille
schioppi proprio con la croce della serenissima Repubblica di Genova.
Ma sentitene un'altra: dopo averci immesso alla sordina gli schioppi,
ella _fustibus et gladiis_ mena a frugarli, e se li trova, guai! chè
fra carcere e multe tu sei rovinato. L'assassinio, come per lo innanzi,
tenuto in pregio di arte di regno: Giafferi, Venturini e Natali seppero
a proprie spese, come lo stile della cancelleria genovese stesse
a petto dello stile della romana curia, provato già da quel povero
padre di fra Paolo Sarpi. Ho sentito dire, che procedessero i nostri
oppressori libidinosamente, non meno che avaramente e crudelmente, e
ci credo, perchè tutte queste qualità si tengono compagnia; ma come a
religioso a me non addice allargarmi su questi tasti, ed anche dubito,
che presto passasse loro la voglia di toccare i ferri sul banco del
magnano: imperciocchè essendosi certa volta vantati di fare strazio
delle donne della Isola-rossa, le quali di concerto coi mariti la
difendevano, ributtati che gli ebbero dalle mura, esse sortirono
arrabbiate, e presine 400 li nudarono, e li percossero con mazzi di
ortica tanto, da parerne tanti _ecce homo_. Dopo l'assassinio non parrà
strano nè forte, se l'incendio e la desolazione si reputassero dai
Serenissimi pratiche di governo.

Così la storia nostra registra 120 villaggi arsi di un tratto,
provincie intere disertate, popoli spenti: e' pare che per ultimo si
trovassero contenti di essere salutati re del deserto. — Nè in casa
nè fuori i Genovesi seppero reggere da cristiani mai; ma quando alla
incapacità si aggiunse l'odio pauroso, o l'avara gelosia, allora,
a giudizio dei loro medesimi concittadini, vinsero quanto ricordano
d'immane le storie antiche e le moderne. Essendosi ribellata Savona
ventilarono in senato se la si dovesse smantellare delle fortezze, e
parve di sì; ma la spesa atterriva; allora sorse in piedi un senatore
di casa Doria, il quale così favellò: — Se pur volete ruinare le
mura di Savona, senza spenderci un quattrino d'intorno, io ve ne
propongo il modo: mandateci due governatori simili all'ultimo, ed è
lavoro fatto. Così durò il popolo côrso una lunga agonia, e sarebbe
morto, se fosse possibile a un popolo morire: alla fine proruppe;
molti fuori, e parecchi in casa, come l'andasse per lo appunto o
non sanno o mal sanno: io vi dirò proprio il modo in che fu fatta,
perchè mi ci trovai. Piloti pratichi delle tempeste civili a più di
un segno avrebbero presagito imminente il turbine; con parole ardenti
alla scoperta si andava tastando ora questo, ora quello spediente
che pungolasse il popolo con maggiore efficacia; s'incominciò dal
sale, che prima pattuimmo ci fosse venduto 4 lire il moggio, e poi
lo aumentarono oltre al giusto, ma non partorì l'effetto; aggiunsero
voler soppressa la tassa pel rimborso del presto stanziato alla
Corsica nel 1680 in occasione della fame: buono anche questo, ma
il popolo non si mosse. Meglio operò quest'altro: nel presidio di
Finale un soldato côrso per certe maccatelle fu messo alla panca:
i terrazzani allo strazio aggiunsero lo scherno menandogli dietro
la baiata; della quale cosa egli infellonito mise mano all'arme, e
sovvenuto da parecchi soldati suoi compatrioti, molti uccise, troppi
più ferì; furono tutti impiccati: pensate voi se i parenti dei morti,
saputa la nuova, bollissero; e la gente a soffiare in quel fuoco non
mancava; ed io con i miei religiosi ci spargemmo per le pievi come
seme di libertà componendo in pace vecchie discordie, ed avventando
le ire côrse contro la abborrita tirannide. Ora sul finire del 1729 il
luogotenente del governatore Pinelli si condusse a Corte, dove volendo
starsi a bell'agio senza un pensiero al mondo, si tolse per segretario
un prete cortinese chiamato Matteo Pieraggi, il quale gli faceva
ancora da cappellano: e fin qui non ci era male: il male fu che non gli
volendo dare un becco di quattrino per salario, lo facultò a imporre
un balzello di 8 danari a fuoco per farsi l'assegnamento; donde gli
venne il nome di prete _baiocca_, perchè appunto 8 danari formano una
baiocca, e se non è morto a questi giorni, tuttavia gli rimane. Intanto
essendo sopraggiunto il tempo di pagare la tassa dei seini, certo
paesano, chiamato Cardone, andò a Bozio per pagare a modo e a verso i
suoi due seini: dopo aver pagato i seini gli chiesero la _baiocca_, ed
egli rifiutò darla: allora l'esattore gli rese i seini, rimandandolo
con una carta d'ingiurie. Cardone che zoppo era, ranchettando per la
via, contò la cosa a quanti paesani incontrava, i quali tentennando
il capo avevano esclamato: — La vuol ir male; — e recatisi gli arnesi
in spalla, chè il giorno voltava a sera, lo accompagnarono facendogli
dietro codazzo fino alla piazza della terra. Giusta in quel punto
ci capitava io, però mi posero in mezzo raccontandomi il successo, e
domandarono consiglio.

Io risposi alla ricisa che non dovevano pagare la baiocca nè i seini;
quella perchè imposta nuova, e le imposte per antico convegno non si
potevano alterare; ad ogni modo non poterlo il luogotenente: questi
perchè compenso del provento pel porto di arme, che avevano promesso
proibire, ed all'opposto avevano continuato, cavandone maggior
profitto di prima. E come dissi fecero, nè solo in Bozio, bensì a
Tavagna e altrove. Il governatore Pinelli manda una squadra di sbirri
e un esattore a Tavagna per mettere capo a partito ai malcontenti. I
Tavagnini, non estimando gli sbirri gente da potersi combattere con
onore, gli accolgono senza contrasto, gli albergano e convitano; nella
notte gli legano, alla dimane gli rimandano disarmati con un carpiccio
di busse delle buone! l'esattore non ebbe a deplorare altro danno che
vedersi trasformato durante la notte il suo cavallo in asino. Cotesto
fu stoppino buttato sul pagliaio; indi a breve lo incendio si dilatò
per modo, da non temere più trombe: talune brigate corsero fino a
Capocorso dove nessuno le aspettava e s'impadronirono alla sprovvista
delle armi nelle torri: altre scesero nella Balagna, con la vista
di sorprendere le armi e le provvisioni dell'Algaiola, senonchè il
luogotenente avutone odore, valendosi dello aiuto dei paesani, potè
metterle al sicuro in Calvi. I Côrsi tanto si arrovellarono contro i
loro compatriotti per questo fatto, che di cima in fondo nabissarono
l'Algaiola. Gli Algaiolesi certo avevano pessimamente operato,
meritavano quello e peggio, ma non istava ai Genovesi punirli se la
obbedienza a loro avessero anteposto alla carità della patria; in
effetto non li punirono; all'opposto gli rimunerarono, e udite come
(però devo avvertirvi prima, che io non burlo; e da questo apprenderete
larghezza genovese che sia): con pubblico decreto il senato genovese
compartì agli Algaiolesi il privilegio di andare accattando per la
città di Genova.

— Dunque, osservò Altobello, una _baiocca_ fu l'origine di questa
guerra, che dura a un bel circa quarant'anni?

— Non è così, rispose il frate, non può il primo granello nè l'ultimo
vantarsi di dare il tratto alla bilancia; ci hanno del pari merito
tutti; quello, che la fa traboccare, somministra nome, non cause al
tracollo.

— E se, con voce solenne aggiunse il Boswell, i popoli oppressi
si movono per cagione vile, non s'incolpino essi, bensì coloro che
gl'imbestiarono. — La più parte dei tumulti popolari nascono dalla
fame, e sta bene; il tiranno, rapito al popolo il pensiero dell'uomo,
bisogna pure che gli lasci l'istinto della bestia: moltiplice, non
contentabile mai, divino il pensiero; unico l'istinto: però quanto
procurano i tiranni sopprimere quello, altrettanto mettono studio a
soddisfare questo; e tuttavolta neppure a questo possono provvedere
le arti schiave, imperciocchè le industrie, o vogli agricole o vogli
commerciali, desiderano ingegno educato, e la educazione non esce
fuori se la mano della libertà non la semina, e la libertà non semina
mai un seme solo, nè forse lo può; donde avviene, che da qualunque
parte tu pigli le mosse, uscirai perpetuamente alla conseguenza che se
qualche uomo è fatto per la tirannide, gli uomini non sono fatti per la
servitù.

— O caro, sclamò frate Bernardino levando le mani al cielo, voi parlate
come un quinto evangelista; e voialtri, figliuoli, sappiate che se
metterete questi precetti alla coda di quelli del decalogo, voi non
farete altro che bene.

Ma andiamo innanzi: tanta accendeva a quei giorni la smania di
possedere armi i petti dei Côrsi onde adoperarle in pro' della patria,
che parecchi di loro venderono i bovi per comprare uno schioppo. Circa
300 armati trassero alla Bastia, e presa di un tratto Terravecchia,
fanno le viste di assaltare Terranuova. La storia non rammenta tutti
i nomi di quelli, che su le prime mosse capitanarono il popolo, e dei
pochi che ricorda dice appena il nome e la fine; miserabile fra tutti
quella di Fabio da Loreto o Fillingheri, il quale, caduto in podestà
dei Genovesi, ebbe mozzo il capo, poi fu squartato; Angiolo Taddei,
richiesto di parlamento dal comandante genovese di Monserrato, con
quattro compagni a tradimento rimane ammazzato; di Emmanuele Ciatra
non so darvi ragguaglio, ma già la è cosa vecchia, chi inforna la
rivoluzione non la mangia; e il popolano non si appaga di rumore di
fama; tanto le lodi sono foglie, qual prima qual poi, cascano tutte;
ma quando il verno ha spogliato l'albero, rimangono il fusto e i rami
per riprodurle da capo, il popolo dura erede di ogni gloria dei suoi
padri e dei suoi figliuoli, se la intende con Dio, e da lui spera
misericordia e conforto nel giorno che quieterà nel suo seno come
il Golo, dopo il rotto cammino, riposa nelle acque del Mediterraneo.
Poco chiedevano i Côrsi, e da quello che domandavano voi piglierete
argomento della giustizia della domanda: essi volevano il sale si
pagasse un seino a bacino; si concedesse facoltà a tutti di portare
arme, poichè nonostante la tassa dei 2 seini, a tutti non si negava, e
la parzialità noceva più dell'uso universale, la tassa a soldi 20 per
fuoco, com'era in antico, si restituisse; gli ufficii almanco in parte
ai Côrsi si conferissero; i fuorusciti si richiamassero; il carico
della vitella si sopprimesse.

— E che è di grazia questo carico della vitella? — interrogò il Boswell.

— Abbiate pazienza voi altri, ch'egli è forestiere e non ha obbligo di
sapere le cose nostre come noi; in due parole mi sbrigo. In capo ad
ogni due anni la repubblica scambiava il governatore in Corsica, il
quale ci si trasferiva con la famiglia; ora le zitelle delle nostre
comuni presero il costume d'ingrassare una vitella e donarla alla
nuova governatrice per tenersela bene edificata: certa volta essendo
accaduto che ci venisse un governatore scapolo, le zitelle giudicarono
potersi astenere da presentare la vitella, tanto più che ella era
pretta elargizione: ma il governatore che, se non aveva condotto
la moglie, ci aveva portato l'avarizia, mutò con violenza il dono
della vitella in balzello di pecunia, costringendo tutte le comuni
a pagare ad ogni nuovo governatore 17 lire di buona moneta; e poichè
questo iniquissimo aggravio non vergognarono i Genovesi di mantenere,
i Côrsi, per ricordarne sempre la origine, continuarono a chiamare
il peso della vitella. — In questo sollevamento non fu penuria per
parte del governatore Pinelli delle solite tagliole ricoperte con le
frasche delle scuse, delle promesse e delle ciurmerie, nè difettarono
i benestanti, cui i garbugli danno la febbre, d'interporsi sminuzzando
i bocconi al lupo ammalato; e molto meno la castroneria nel popolo di
rimettersi a patti col padrone impaurito: certo, povero popolo! i suoi
svarioni pagò, secondo il solito, in moneta di sangue; ma non importa;
mentre i tiranni si rallegrano nella fede di avergli tagliato il capo,
si accorgono che non gli hanno scorciato altro che le ugna, le quali
col tempo crescono due cotanti più rasoi di prima.

Però non vi era tempo da perdere, e bisognava dare base a questa
faccenda, chè il tumulto va a catafascio come Dio vuole, ma per
la guerra ordinata è un altro paio di maniche. Nel decembre del
1730 giusto l'antivigilia di pasqua di Ceppo, i Côrsi convenuti
nella pianura di san Pancrazio si accordarono facilmente sopra i
partiti da praticarsi; solo non sapevano dove darsi di capo per la
scelta di un generale, quando di un tratto vedono passare, montato
sur un mulo, il signor Andrea Ciccaldi, uomo nobile e facoltoso di
Vescovato: lo fermano e lo eleggono capitano: egli bada a ringraziare,
e dichiarandosi indegno dell'onore lo rifiuta: gli rispondono,
accetti, altrimenti come a nemico torranno la vita e ne diserteranno
i poteri. Se però il signore Andrea prese a contragenio il comando,
non lo esercitò con minor fede o prodezza; e quando in appresso io
gli rinfacciai cotesto suo schermirsi, egli mi rispose sorridendo: —
Che volete, padre Bernardino? anche Gesù Cristo parve aver caro gli
fosse rimosso il calice della passione dai labbri; in effetto codesto
comando fu, per quel signore, calice di passione, e quanto amaro! Oltre
le fatiche, le cure e i pericoli manifesti, appene potè sfuggire le
insidie, massime quando Camillo Doria (i generali genovesi trattavano
meglio il veleno della spada) tentò farlo avvelenare da Petruccio di
Orezza; e i beni si vide arsi, le case disfatte; parecchi dei suoi
morti, ed egli finalmente ebbe a esulare in Ispagna; dove, a vero
dire, si trovò accolto a braccia aperte e promosso a colonnello di
fanteria, ma ad ogni modo quel dovere vivere fuori di casa è una gran
pena al cuore; adesso che i suoi occhi avrebbero potuto deliziarsi
nello aspetto della patria risorta, glieli ha chiusi la morte. Dio
esalti la sua anima secondo i meriti. — Il signore Andrea, col consenso
dell'assemblea, si aggiunse nel comando Luigi Giafferi di qua dai
monti, e di là Luca d'Ornano e Domenico Raffaelli preti: il pievano
Aitelli, uomo capace di governare un regno, fu eletto a segretario,
anzi si deve a lui la scelta dei compagni che fece il signore Andrea,
la quale non poteva cascare in persone più acconcie al fine di
raccogliere in mazzo tutti gli umori della isola, imperciocchè egli
rappresentasse l'ordine dei nobili, il Giafferi i popolani, Luca la
memoria di Sampiero primo vendicatore della libertà côrsa, il prete
Raffaelli, gli ecclesiastici svisceratissimi dell'indipendenza della
patria. Questo, a mio parere, fu ottimo partito e da seguitarsi da
quanti s'affaticano nelle civili rivolture, imperocchè importi nei
casi di momento impegnare tutti i cittadini a sostenerli coll'arco
del dosso, e la esclusione partorisce superbia da una parte ed odio
dall'altra; dove poi occorrono umori dei quali tu a verun patto ti
possa servire, allora dà un'occhiata alla punta della tua spada,
un'altra al cielo, e dopo decidi quello che tu ne abbia a fare. — I
generali, assembrata la consulta in Corte, questa, non contrastando
alcuno, bandì la libertà côrsa e la decadenza della Repubblica genovese
dalla sovranità della isola: poco dopo diciotto teologhi convenuti nel
monastero di Orezza, disputata sottilmente la materia, dichiararono
giusta la guerra contro Genova, come quella che se mai aveva avuto
diritto a reggere l'isola, la trascinava tiranna: questa sentenza
confermò più tardi con nobilissimo scritto monsignor Natali, vescovo di
Tivoli, nato in Oletta, il quale, da quel valentuomo ch'egli era, prese
a chiarire tirannia che fosse, e potersi, anzi doversi, combattere il
tiranno. I Genovesi commisero a certo azzeccagarbugli di rispondergli,
ed egli lo fece con uno scritto sciatto, intitolato _Anticurzio_; ma
non lo trovando concludente, incombenzarono un sicario a confutarlo
meglio; questi vi adoperò uno stilletto a tre tagli, e ne ferì nel
ventre monsignor Natali, che si condusse a fine di vita, la quale però
gli fu salva per l'intercessione della Immacolata, e mercè le cure del
suo compatriota Saliceti, archiatro di sua santità Pio VI.

E poichè nella ingenerosa mercatanzia si apprende a truffare forse,
ma si disimpara a reggere e a vincere i popoli, i Genovesi, sfidati
di venire a capo della ribellione côrsa, si volsero per aiuto allo
imperatore Carlo VI: qual coltello tal guaina: il tedesco di Austria,
povero e avaro, in bottega o nella reggia, traffica sempre; sennonchè
nella reggia, vende sangue; di fatti Carlo VI si chiamò pronto ad
accomodare la Repubblica di dieci e più mila Tedeschi se le garbasse,
a patto, che vivi gli mantenesse e morti glieli pagasse; la Repubblica
spilorcia rispose per ora gliene basterebbero 3000, e tanti ebbe dal
conte Daun, governatore di Milano, condotti dal barone di Schemettau,
ma poi parvero pochi, e ne chiesero altri duemila. A prima giunta
questo gentame ci fece del male assai, ed io lo so, perchè sortito,
quando ce l'aspettavamo meno, da Bastia, ruppe i nostri, ed io ci
cascai prigioniero: taccio gli strazi che patii; qui fu che esposto
alla berlina non dubitai confermare sotto il patibolo, in profitto
della libertà, la testimonianza che aveva palesata in Orezza; però
dissi con gran voce queste parole: «La guerra che fanno i Côrsi è
giustissima; io fui primo a chiarirla tale nella consulta di Orezza:
e per dimostrarvi come per la patria e per la libertà io voglia patire
tutto, ripeto qui la medesima cosa, intendo dire, ch'è giustissima la
guerra impresa dai Côrsi contro Genova.» Ma come fossi quinci remosso
a vergogna, trasferito a Genova, condannato a morte e salvato, non
importa raccontare; bensì giova che voi sappiate, come i Tedeschi
movessero contro la torre di san Pellegrino, e l'ebbero per tradimento;
ma i nostri ce li chiusero dentro, per modo che non potendo cavare il
vivere tranne dalla parte di mare, e questo indiavolato non permettendo
gli approdi, furono costretti di venire a mercede. Il generale Giafferi
aborrì di mettere a morte i supplichevoli, concedendo loro abilità di
tornare a Bastia, e tregua di due mesi: sperò il generale che i modi
onesti fruttassero qualche via di accordo ragionevole, e s'ingannò,
perchè spirata la tregua i Genovesi bandirono la taglia di cento lire
per testa di Côrso, e gli usseri, ubbriacati dalla cupidità del premio,
ne portarono parecchie in Ajaccio e l'esposero, com'essi dissero, in
_esemplare corona su i merli della città_. Avrebbero potuto in vendetta
i Côrsi vendere i prigioni genovesi ad Aronne giudeo, che ne profferiva
80 mila piastre, ma non lo vollero fare, chè carne battezzata, quando
è nemica, si ammazza, non si vende; e indi a breve una grossa mano
di Tedeschi, condotta dal colonnello Vius e da Camillo Doria, uscita
da Calvi, assalta Calenzano: erano 500, e prima di sera l'imperatore
potè spedirne la fattura alla Repubblica in 50 mila fiorini, perchè
erano tutti morti, e a 100 fiorini per testa sommano a tanto. Noi gli
seppellimmo in luogo a parte, ed ogni anno celebriamo una messa per
l'anima loro, ed aspergiamo le fosse con l'acqua santa: ah! signore
Inglese, voi non siete prete e non potete sentire la dolcezza tutta
divina di pregare pace pei nemici sepolti nella nostra terra.... e con
le nostre mani.

Il signor Giacomo, cui parvero coteste parole feroci, si voltò verso il
frate con la intenzione di fargliene rimprovero, senonchè lo vide così
compunto di compiacenza, e sto per dire quasi trasfigurato dall'estasi,
che dando un grossissimo colpo alla tabacchiera pensò: — Si danno certi
sentimenti, che su due piedi non si può giudicare se meritino salire
in alto per fermarsi su la forca o per continuare fino al paradiso: ci
mediteremo a comodo.

— Nè questi furono i soli; nell'ottobre verso san Pellegrino accadde
il memorabile fatto di arme, nel quale più di mille Tedeschi rimasero
morti sul campo; ormai gli animi inviperiti ruggivano, i quartieri
da una parte e dall'altra non si davano e nè si chiedevano. Parve
bene mutare registro; allora vennero il principe Luigi di Wurtemberg,
il barone di Schemettau e il principe di Culbah accompagnato da
quattromila uomini; i sopraggiunti ne toccarono e ne fecero toccare;
Schemettau assaltò il Nebbio, e prese Lento e Tenda, ma alla Chiesa
Nera ne rilevò una battosta delle buone; il principe di Wurtemberg non
potè penetrare, come divisava, in Balagna; allora pubblicò l'editto
col quale si bandiva perdono universale, promessa di udire le istanze
ed appagarle se ragionevoli; l'imperatore garantirebbe ogni cosa.
Dei Côrsi alcuno accettò volentieri, parendogli duro avere a cozzare
coll'Impero, tal altro mal volentieri, chè avendo gustato di già le
promesse genovesi se ne sentiva ancora alleghiti i denti; ai generali,
considerando che se rimasti uniti era malagevole resistere, impossibile
riusciva allora che gli animi andavano divisi, parve bene accordare;
ebbero dai Tedeschi carezze infinite; il principe di Wurtemberg li
convitò a pranzo, bevve alla salute; partito egli, Wactendock, che
aveva ruggine co' generali per le sconfitte sofferte, d'accordo col
commissario genovese Rivarola, gli arresta, e li manda a Bastia: quinci
imbarcati spedisconsi a Genova, che senza un rispetto al mondo li
caccia, contro la fede dei trattati, in prigione a Savona. Da prima
si bociava volessero strozzarli, poi si disse la Repubblica starebbe
contenta a tenerli prigioni: di cotanta infamia si commossero i Côrsi,
e, a lode del vero, non pure uomini principalissimi, bensì popoli
interi di Europa; il canonico Orticoni, personaggio di bello aspetto e
ben parlante, corse fino a Vienna a far valere la ragione dei traditi
presso la corte: vi s'interpose lo stesso principe di Wurtemberg, che,
nonostante tedesco, pare che fosse galantuomo; vi adoperò di ogni
maniera ufficii il barone di Neuhoff, allora oratore di Carlo VI a
Firenze, ma sopra tutti valse il principe Eugenio di Savoia, nell'anima
del quale l'onore della giustizia superò quello della gloria. I
Genovesi, volendo sgararla, mandarono alla volta loro a Vienna un
marchese Girolamo Pallavicino con buone genovine e con cattive ragioni.
L'imperatore s'intascò prima le genovine, poi disse, che lo esposto
dall'oratore genovese era bugiardo, e tillato dal cervello di dieci
curiali; sicchè mettessero i prigionieri in libertà e presto: allora i
Genovesi non potendo calmare la paura, vollero compiacere alla vanità,
ed introdotti i generali Ciaccaldi e Giafferi, il pievano Simone
Aitelli e il prete Simone Raffaelli nella sala del gran consiglio alla
presenza di una moltitudine di gente, ebbero a protestarsi pentiti
dell'operato e ringraziare la Repubblica della restituita libertà.

Questi furono i benefizii degli Austriaci alla Corsica: Genova ci spese
meglio di 8 milioni di scudi; dei regali ai Wurtemberg si fece un gran
dire a quei tempi; appena la nave che lo condusse a Genova sorse nel
porto, lo salutarono con le artiglierie; posto piede a terra, cannonate
da capo; fu ricevuto da due deputati del consiglio grande, che lo
menarono con le carrozze del governo nel convento dei Carmelitani, dove
gli avevano fatto apparecchiare l'alloggio; lo invitò il Doge alla
grande; e di ritorno a casa fu presentato con casse di cioccolate e
di varia ragione liquori; ancora di una canna d'India diamantata e di
una spada altresì, intorno alla impugnatura della quale si leggevano
incise le parole: — _Mi acquistasti con gloria, conservami con onore._
— Per ultimo venivano quadri rappresentanti le sue imprese di guerra
e di pace operate in Corsica, e si crede di certo che il pittore, cui
furono commessi, ebbe a sudare meno di quello che dipinse le geste di
Alessandro Magno. La fama raccontò che il valsente dei regali sommasse
a meglio di 80 mila genovine; ma forse fu iattanza dei Genovesi, i
quali, quanto sottili nel dare, altrettanto sono larghi a magnificare;
ad ogni modo spesero molto, e non levarono un ragnatelo da un buco,
anzi opinarono parecchi che avessero peggiorato le loro faccende, e
fu appunto in proposito di questa guerra, che il marchese di Argens
inventò l'apologo dell'ortolano e del cacciatore, il quale, come
giocondo molto, vi voglio raccontare. Certo ortolano non poteva venire
a capo di salvare i suoi cavoli, chè una maladetta lepre quanti ne
nascevano, tanti gliene mangiava, ond'ebbe ricorso a certo cacciatore
suo vicino, raccomandandosi che andasse a cacciargliela: questi glielo
promette, ed un bel giorno arriva co' cani, che sguinzagliati sopra la
lepre, la perseguitano di su e di giù facendo maggior danno in un'ora,
che la lepre in un anno; al fine la lepre scappa; il cacciatore chiede
la mancia, e consiglia l'ortolano a turare le buca della siepe donde
la lepre potrebbe rientrare nel verziere. — I Genovesi, costretti
ad osservare, almeno in apparenza, i termini dello editto imperiale,
mettono su con poche lire una mano di furfantoni a chiedere grullerie,
le quali subito concedendo, intendevano potere affermare di avere
largito quanto i Côrsi avevano saputo chiedere, anzi qualche cosa di
più; ma sventarono il tranello Giacinto Paoli, Simone Fabiani, G.
Giacomo Ambrosi e Angiolo Luciana e Antonio Marengo, i quali prima
chiarirono come quei ribaldi non avessero ricevuto veruna commissione
dal popolo, e poi che coteste l'erano cianciafruscole, e ci voleva di
altra maniera riforme per riparare i vecchi abusi; così bisognò alla
fine promulgare un regolamento, dentro il quale non si sguazzava, ma si
lasciava vivere; l'imperatore l'approvò e ne guarentì l'adempimento; i
Genovesi lo sottoscrissero e deliberarono non osservarlo. Dio sta in
alto e il re abita lontano, dicevano i vicerè di Napoli; i Genovesi
non lo dicevano, ma lo pensavano, ed operavano giusto secondo tale
opinione. — Siccome lo espediente più corto e ad un punto più sicuro
di ottenere il silenzio sta nello ammazzare chi parla, così Simone
da Campoloro, Giovanfrancesco Lusinchi assassinano, l'Alessandrini
imprigionano, citano a comparire in Bastia Giangiacomo Ambrosi,
Giacinto Paoli ed altri parecchi; domandando essi salvocondotto, si
mandano 450 soldati in Rostino sotto il comando del capitano Galliardi
ad arrestarli; i Côrsi gli assaltano e rompono. Felice Pinelli,
surrogato a Girolamo Pallavicino, bandisce perdonerebbe la ribellione
a patto gli consegnino i capi.

   [Illustrazione: Lo zoppo Cardone contava la cosa a quanti
   paesani s'imbatteva, i quali, recatisi gli arnesi in spalla
   esclamavano: — La vuol ir male... (_pag. 119_)]

In questa arriva il vecchio Giafferi, che i Genovesi dandogli pensione
e carico di comandante, avevano tentato confinare a Savona, e raccolti
gli armati, espugna Corte e il castello; quivi si convoca la consulta,
la quale risponde al bando del Pinelli abolendo il governo della
Repubblica e ardendone gli statuti. La guerra risorge più feroce che
mai; fu varia la fortuna delle armi, ma più spesso arrise alla virtù
côrsa, che al numero dei Genovesi, come a Moriani, dove rimase disfatto
il figliuolo del Pinelli e il vescovo di Aleria, ma la corruzione da
una parte, il diligente corseggiare delle galere genovesi intorno alla
isola dall'altra, impedendo l'arrivo delle armi, e per ultimo dividendo
gli animi, ridussero le cose all'estremo: ormai costretti a chiedere
pace avevano loro risposto, consegnate le armi si rimettessero alla
misericordia di Genova; disperati di ogni umano soccorso si volsero
a Dio con le parole del Salmista: — _Et tu, Domine, usquequo?_ — E il
Signore, che non patisce sia detto avere egli abbandonato i difensori
della patria, mandò, quando meno se lo aspettavano, in aiuto della
Corsica il barone Teodoro di Neuhoff. Egli si mostrò su le coste di
Aleria, dove lo condusse la nave inglese, comandata dal capitano Dick,
in arnese stupendo; portava cappello a tre punte piumato e gallonato;
la parrucca con cipria; sottana e zimarra all'armena, questa verde,
l'altra vermiglia; le pantofole rosse alla barbaresca, un bastone
ritorto in mano e la scimitarra turca pendente alla cintura: pareva
venuto a posta per essere piantato in mezzo ad un campo di saggina per
ispaurire gli uccelli, e invece volle essere re. Gli dissero che re
non usavano in Corsica, si contentasse che lo salutassero salvatore
del popolo; e' non ne volle sapere; i Côrsi poveri non poterono
dargli altro scettro, che di quercie, ma ahimè! o di quercie o di
oro lo scettro non è meno atto a fracassare le ossa del popolo. In
ciò ammirate la mano di Dio, il quale a salvarci adoperò l'arnese che
apparve più sconcio. Accompagnavano Teodoro, Saverio Buongiorno, tre
barbareschi, fra i quali Maometto, stato schiavo a Livorno su le galere
toscane, due giovani livornesi scappati da casa, Attiman e Bondelli,
un prete di Portoferraio, Francesco dell'Agata fiorentino, una Costa,
un Fozzani, un Loczi; insomma una vera brigata di saltatori. Quali e
quanti soccorsi portasse seco, io non vi so dire, chè stava sempre
prigioniero a Genova; però ne corse diverso il grido: chi pretese
avvilirlo disse: 200 fucili, altrettante pistole, alcuni piccoli
pezzi di artiglieria, certe quantità di sciabole; ed anco genovine e
zecchini, ma pochi: all'opposto quel barone Friderik, che si faceva
credere suo figliuolo ed era un frate sfratato, volendo magnificarlo
sostiene, che Teodoro venne in Corsica con una fregata e due navi
cariche di 14 mila sacca di grano, 6 cannoni di bronzo, 12 di ferro,
20 mila fucili, 14 mila vesti, altrettanti cappelli e para di scarpe
e 100 mila zecchini. Forse, secondo il solito, la verità è tra due. Ma
poco importa sapere quale dei due racconti sia il vero; questo intanto
è certissimo, che senza l'apparizione di Teodoro, tra la gola côrsa e
il rasoio genovese non si vedeva che si potesse mettere di mezzo.

— Bene: io mi sento lieto nel vedere, che non vi unite agli altri per
dare la baiata ad un uomo forse generoso, certo infelice.

— Ohibò! So che i Francesi lo hanno preso a godere come quella forca
del Voltaire: cotest'altra buona lana del marchese di Argens gli
dedicò il secondo volume delle lettere ebree, come i tre successivi
a Don Quicotto, a Sancio Panza ed a Amadigi delle Gallie: il Casti,
vergogna del clero toscano, lo mise in canzone in un dramma; breve;
all'albero che casca, accetta accetta, secondo il solito; non io così;
ma confessando, che senza la sua comparsa per la Corsica era finita,
non posso tacere che alla gratitudine nostra si chiuse ogni via quando,
approfittandosi delle angustie nelle quali versavamo, ci mise il gancio
al collo, e volle dominarci re; e degno di corona apparve nella breve
potestà, se consideri la lascivia, la ferocia e l'abbiettezza di lui.

La lascivia lo condusse a toccare un carpiccio di bastonate a Cervione,
ma delle solenni, e ciò per opera di un giovanotto di Alesani, che
stando di sentinella alla casa di Teodoro, fu visitato dalla sua
sorella; vedutala il re volle tirarsela a letto; e a letto veramente
ei ci si condusse, ma solo e con le ossa rotte. Di talento immane
fe' prova quando nella presa del forte dell'isola Rossa, trovato
un tenente côrso complice di certa congiura contro di lui, ordinò
che gli mozzassero la lingua, poi legato ad un albero lo ardessero
vivo. I Genovesi, avendo preso uno del suo seguito, lo impiccarono,
ed egli senza porre tempo tra mezzo, fece impiccare di un tratto 40
prigionieri genovesi sotto le mura di Bastia; certo qui si può scusare,
perchè intese ammaestrare quei cosacci dei nostri nemici nelle buone
creanze; pure ecco questa la trovai anch'io un tantino abbrivata;
peggio fu mandare a morte, _brevi manu_, due Côrsi venuti a zuffa
tra loro; e questo nacque da considerarsi, come re, sopra le leggi
e i maestrati; ciò poi, che più di tutto gli nocque, fu la morte di
Angiolo Luccioni, capitano di valore, che avendo favellato con manco di
riverenza di Teodoro, egli se lo fece ammazzare sotto gli occhi in onta
alle supplicazioni dei circostanti: dell'abbiettezza rammenterò una
cosa sola, ed è la vendita della Corsica ai suoi creditori; e questo
stette meglio ai Côrsi che il vezzo alla sposa; dacchè si dettero
come schiavi, fu giusto, che si trovassero venduti come bestie. Chi
fosse questo uomo, chi lo mandasse, da cui ritraesse i quattrini, o
non è noto, o poco manifesto. Affermano avere vagato pel mondo a mo'
di zingano sotto nomi diversi, ora pigliando quello di Napaer, ora di
Limber, ora di Nisun, ora di Seimbough; quanto a titoli potete credere
ch'ei non si lasciasse patire; in Londra passò per tedesco, in Livorno,
per inglese; di commendatizie non conosceva penuria, perchè, dicono,
se le fabbricava da sè; assicurano eziandio, ch'ei dimorasse schiavo
qualche tempo a Tunisi. La fonte dei quattrini taluno la trova nel Gran
Turco, altri nel Bey di Tunisi, cui promise arrolare un reggimento di
Côrsi; altri per ultimo l'attribuisce ad una sequela di truffe, dentro
le quali accalappiò un Burazzo di Sartene, l'ebreo Sebagh di Livorno, e
certe religiose di casa Fonseca stanziate a Roma nel convento dei santi
Sisto e Domenico: voi per avventura ne saprete qualche cosa di più
sicuro, perchè credo che morisse a Londra, e forse l'avrete conosciuto.

— Difatti io l'ho visto, ma non so di qual colore sia la sua voce,
imperciocchè ad ogni mia interrogazione rispose col silenzio: ciò può
non parere gentile, ma egli aveva perfettamente diritto di fare così.
Io posso darvi contezza precisa della sua vita e della sua morte...

— Oh! sì fatelo, che siate benedetto.

— Suo padre si chiamò Antonio barone di Newhoffen della contea della
Mark in Vesfaglia, e condusse a moglie la figliuola di un mercante di
Visen nel paese di Liegi: tribolato dai rinfacci della famiglia per le
turpi nozze, va in Francia con la principessa palatina moglie del duca
di Orléans; favorito da lei ottenne un impieguccio nel Messin, dove
morì giovine e povero; lasciò Teodoro, nato sul finire del seicento e
il cominciare del settecento; la duchessa di Orléans se lo prese per
paggio, più tardi lo mandò luogotenente nel reggimento della Mark.
Indole irrequieta, concetti avventurosi, anzichè magnanimi, pure non
ingenerosi del tutto; uomini di ferro fusi nelle medesime forme dove
gli uomini di Plutarco uscirono di oro: preso in uggia quel lento
arrampicarsi dei soldati poveri su pei gradi della milizia, pianta la
Francia, e ripara nella Svezia: milita con Carlo XII, entra a parte
nella congiura del barone Goertz per deprimere la Inghilterra; a
questo fine è spedito in Ispagna al ministro Alberoni. Nel frattempo
Carlo III muore ammazzato a Fredereishal, Goertz paga la congiura,
riuscita a male, col capo. Allora l'Alberoni lo piglia a proteggere,
e lo fa colonnello di un reggimento; giovane di anni, di aspetto
giocondo e d'ingegno bizzarro piacque a lady Sarsfield, figliuola di
lord Kilmarnock; la sposò e la lasciò; se per colpa sua o della moglie
non so, forse di ambedue. Recatosi a Parigi si amica Law, ed entrambi
porta via il turbine amministrativo di cotesto Vesuvio delle sostanze
pubbliche e private, allora viaggiò in Inghilterra, nell'Olanda e
nell'Oriente, in cerca di buona fortuna: in Amsterdam, strinse lega
con parecchi ebrei per certi traffici, che si fanno più volontieri
di quello che si confessino. Che venisse a Firenze rappresentante di
Carlo VI non trovo, nè credo che fosse: credo all'opposto che dimorando
egli a Livorno, alcuni Côrsi, massime quel vostro canonico Orticoni,
gli proponessero farsi re dell'isola, e questo a fin di bene; in prima
per cavare da lui qualche soccorso, trovando chiusa ogni porta; poi
per mettere fine alle gare dei Capi côrsi, le quali impedivano si
potesse venire mai a capo di qualche cosa di buono: certo pochi saranno
stati a parte del segreto ma ch'ei spuntasse fuori come un fungo,
caro signor frate, non è da credersi. — Il barone tastò l'imperatore,
i re di Francia e di Spagna, non meno che quello di Sardegna, ma si
ebbe cartacce; nell'Oriente in quel tempo s'intorbidavano le acque, e
Teodoro ci si recò a pescare: la guerra stava sul rompersi tra Russi e
i Turchi; e sembrava sicuro che l'imperatore avrebbe fatto causa comune
con la Russia. Teodoro, accontatosi col principe Rakocus e il conte di
Bonneval diventato Osman pascià, nemici mortali dell'Austria, mulina
la scesa in Italia con un esercito di Mori di Algeri, Tunisi e Tripoli;
quinci per la parte del Friuli assaltare l'Austria, intantochè un altro
esercito turco metterebbe a soqquadro la Ungheria. Teodoro terrebbe
la Corsica in feudo della Porta, nè si fermerebbero qui le larghezze
di lei. Ecco pertanto donde trasse i primi sussidii e i danari col
marchio turco: più tardi, avendo la Porta mutato concetto, egli ebbe a
ricavare denari dagli ebrei di Amsterdam, sue conoscenze vecchie, che
poi messi dall'oratore genovese a Londra lo perseguitarono infelice,
e lo fecero mettere in carcere dove languì sette anni. Orazio Walpole
un bel giorno si rammentò di lui, e un po' per bizzarria, un po' per
buon cuore prese a perorare la sua causa davanti al popolo inglese; il
Garrick recitò una sera a profitto di lui e questi lo fece tutto per
cuore: breve; tanto da cavarlo di prigione, fu messo insieme; quanto
bastasse a spesarlo con agio negli ultimi anni della vita, no; visse
poveramente, e morto si può dire giovane ancora, perchè annoverava 56
anni, gli fu dato sepoltura nel cimitero di sant'Anna a Westminster.
Sopra la sua tomba si legge un molto strano epitaffio, il quale giudico
fattura del medesimo lord Walpole; in italiano sarebbe così; «qui
vicino sta sepolto Teodoro re di Corsica, morto in questa parrocchia
l'11 decembre 1756, subito uscito dalla prigione del Banco reale,
godendo il benefizio dei falliti, in sequela del quale assegnò il regno
di Corsica ai suoi creditori.

    Gran maestra è la fossa: al segno stesso
      Paltonieri riduce e semidei,
      E condannati al remo, e re sul trono;
      Ma Teodoro vivea mentr'ebbe in sorte
      L'acerbo insegnamento; chè fortuna
      Donogli un regno, e gli contese un pane.»

— Se la sta come dite, riprese fra Bernardino, noi dobbiamo portare
il voto alla Madonna, perchè i disegni di costui non abbiano sortito
effetto: ad ogni modo rimarrà sempre vero che, sua mercè, i Côrsi
rinfrancarono l'animo, ed ebbero armi per durare. Tornò due altre
volte; la prima fu respinto dalla tempesta a Napoli, e i capitani
olandesi congiuravano a darlo vivo o morto in mano ai Genovesi e
forse ci riuscivano; ma egli che stava su le intese, riparò in casa
di un principe napoletano, il quale lo fece scortare a Gaeta, e quivi
custodire in prigione; donde andò a Terracina, e quinci di nuovo in
Corsica. L'ultima volta venne sopra una nave svedese; mentre stava
sorto su le àncore travagliato in cuore per non avere visto accorrere
i Côrsi a fargli festa, si addormenta, e sogna essere arso vivo;
destosi va in compagnia di tre suoi famigli nella stanza del capitano
Wichmanhausen, e lo trova inteso ad apparecchiare una mina, che
sottoposta alla sua camera doveva buttarlo all'aria. Teodoro, ch'era
uomo di modi spicci, ordinò lo impiccassero all'antenna della nave;
poi si allontanava senza che più si facesse vedere, sia che la fredda
accoglienza dei Côrsi gli levasse il coraggio, sia che conoscesse
non poterla durare contro i nuovi ausiliarii della repubblica, o
si chiarisse a prova come stesse a cuore ad ogni maniera di gente
guadagnare la taglia delle 2000 genovine che la repubblica aveva messo
sopra il suo capo: egli è vero che egli aveva fatto il medesimo su
quello del Doge, ma nessuno gli dava retta, perchè sapevano che le
genovine della repubblica ci erano, e belle e contate, le sue nessuna
zecca le aveva battute fin lì.

Ai Genovesi disperditori un giorno della potenza pisana, ai Genovesi,
che mirano a un pelo la rovina della veneta, temuti padroni dei mari
fino a Caffa e a Trebisonda, ora rimangono le mani per limosinare
una spada straniera che li difenda, o per trattare lo stiletto; in
prima trovarono Grigioni e Svizzeri; dei primi ne vennero dodici
compagnie, dei secondi tre reggimenti, e fu per morire; tornarono
anco più tardi, e fatti prigioni, la repubblica negò barattarli con
altrettanti Côrsi; noi allora li liberammo senza compenso, a patto che
le tre leghe non mandassero gente ai danni nostri; questo promisero, e
questo mantengono; e noi ci loderemo degli stranieri quante volte non
si mescolino nelle nostre faccende in bene nè in male. — Partiti gli
Svizzeri, i Genovesi ricorrono alla Francia, e le chiedono gente per
due milioni: poco cacio fresco, poco san Francesco; gli fecero capaci
che più di tremila soldati non c'incastravano ed anco per breve tempo.
Genova rispose, per ora basterebbero.

Il conte Boissieux ce li condusse; il canonico Orticoni e Giampietro
Gaffori, uomo dal cuore di ferro e dalla bocca di oro, a nome dei
Côrsi scrissero al cardinale Fleury: che novità era cotesta? come ci
entravano i Francesi? che volevano dai Côrsi? — I Francesi, che ai
tempi di Enrico II mandavano navi, armi e soldati in soccorso dei Côrsi
combattenti contro Genova per la libertà della patria, que' dessi che,
non potendo più combattere per noi, spedirono danari a Sampiero, e le
bandiere col motto _pugna pro patria_ per confortarlo a durare nella
guerra, sì signori, quei medesimi sotto Luigi XV, interprete dei sensi
loro il cardinale Fleury, scrivevano ai Côrsi: sottomettessersi ai
legittimi padroni genovesi: poco importare come lo fossero, bastava
il possesso antico e la conferma delle potestà straniere: non essere
lecito resistere ai principi stabiliti da Dio, e il sacro testo parlar
chiaro in proposito: i mali delle rivoluzioni superare di lunga mano
qualunque incomodo fosse per partorire la obbedienza: però essi non
mirare ad altro che a sottoporli di nuovo alla repubblica, che gli
acconcerebbe pel dì delle feste. — O Francesi! O Francesi! O Francesi!
dirò tre volte come fece Creso quando condotto a morte chiamò Solone,
e più non voglio dire. — Tanto è, i Francesi vennero in fregola di
entrare pacieri: invano i nostri dichiarano ogni accordo con Genova
tornare loro più amaro che morte: invano concludevano co' Maccabei,
volere piuttosto morire che contemplare i mali del popolo; e' vollero
un memoriale che spiegasse in che si dolevano, e come intendessero
che ci fosse riparato; e l'ebbero; poco dopo domandarono otto ostaggi
per sicurezza che il regolamento o lodo per la pace sarebbe stato
osservato: parve, e fu duro patto, ma gli ebbero; e mandaronli in
Francia. Allora venne il lodo, e il conte Boissieux impose ai deputati
lo approvassero a nome di tutti i Côrsi; i deputati rispondevano,
che i Côrsi non gli avevano investiti di tanta autorità, e quando
gli avessero, non poterlo fare se prima non vedevano lo scritto.
Qui il conte dà nelle stoviglie, e minaccia bestie e cristiani: non
crediate mica che fosse un tristo il conte Boissieux, — egli era
Francese: allora sentite il ripiego: attela su la spiaggia del mare
i suoi 3000 uomini, ci chiama il commissario genovese, e poi commette
al suo aiutante di campo Goumai lo legga ad alta voce e in italiano:
poi parendogli questa solennità fosse poca, ordinò a parecchi suoi
mandati che lo leggessero ad alta voce alla foce di quanti più monti
potevano. Questo lodo era una cosa ladra: concedevasi un tribunale di
giudici forestieri, ma il senato aveva a sceglierli, i Côrsi pagarli;
le condanne _ex informata conscientia_ abolite, ma data facoltà ai
Genovesi di arrestare e tenere in forze i sospetti; la Francia e
l'Austria mallevavano l'adempimento del lodo, salva però la sovranità
della repubblica su la Corsica: tempo 15 giorni a deporre le armi, e
accettare: e altrimenti guai. Avete visto i cavalloni, che dianzi si
cacciava davanti il libeccio; tali voi dovete figurare che fossero
i Côrsi raccolti a Orezza per sentire questo stupendo portato del
cervello francese. Il Boissieux, per mostrare ch'ei diceva da vero,
manda 400 uomini a Marana per operare il disarmo, egli si apparecchia
a correre la Biguglia coll'altra gente. Giangiacomo Ambrosi va a Marana
e si ingegna persuadere ai Francesi con le buone, che non fa buon'aria
per loro, tornino a badare ai fatti proprii a Bastia; e' predicava
ai porri; alfine gli scappò la pazienza, e prese a menare le mani;
accorse il Boissieux a sostenere i suoi: ma sì! lacero, lasciando il
terreno coperto di morti, ebbe di catti di riparare a Bastia, dove
non sopravvisse che pochi giorni al dolore di trovarsi disfatto da un
branco, com'egli diceva, di villani. — I preti sono testardi, e in
Francia non si conosceva allora, nè credo si conosca adesso, quanto
sia più giudizioso riparare la ingiustizia con la generosità, che
ribadirla col sopruso; però il Cardinale manda di Provenza rinforzi;
un reggimento sopra parecchi brigantini, e 4 compagnie su due tartane:
la tempesta parte annega, parte disperde: le 4 compagnie caddero
prigioniere in mano dei nostri: il Cardinale poteva apprendere cotesto
caso come avvertimento del cielo, ma anche qui gli nocque essere
prete, imperciocchè essi credono che il cielo mandi gli ammonimenti
di giustizia per gli altri non mica per loro; e coi rinforzi invia
Maillebois.

Voi sapete, signore Inglese, come non vi abbia gentildonna in Francia,
la quale ricusi diventare marchesa a patto di passare per la via delle
sgualdrine,[15] come del pari gentiluomo che senta ribrezzo di venire
in cima a quelli che in lingua di corte si chiamano onori, facendo di
tutto un po', ed anco direi di che, ma l'abito mi persuade a tagliare
corto; però essendo stato promesso il bastone di maresciallo al
nuovo generale se arrivava a mettere in cervello i Côrsi, pensate voi
se le sue gambe si arrestassero dinanzi a fosso divino o umano. Io
non vi ci metto su nulla di mio; quanto vi narro lo cavo da persona
molto privata di lui, la quale ne scrisse la storia: non gli bastando
quindicimila uomini tra fanti, cavalieri e bombardieri a vincere la
facile impresa, trovandosi i Côrsi si può dire senz'armi, dette opera
di seminare la discordia fra i capi, screditando gli uni presso gli
altri come traditori; alcuni corruppe con premii presenti, e speranza
di maggiori vantaggi avvenire; ad altri fece toccare con mano la
condizione disperata delle cose, e poichè non venne a capo di ottenere,
che staccatisi dai compagni si mettessero alla scoperta dalla parte
sua, si contentò della promessa che nelle difese andassero fiacchi;
dopo questa nobile arte adoperò l'altra di devastare le pianure, perchè
i possessori colligiani o per salvarle dalla ruina si sottomettessero,
ovvero calando per difenderle al piano, gli dessero abilità di
lacerarli con le artiglierie; e questo parve per un tempo il miglior
partito, ma non gli riuscendo sollecito, giusta il suo desiderio, ne
saggiò un altro, e fu non solo negare quartiere a quanti gli capitavano
nelle mani, ma eziandio farli con tormenti crudelissimi morire; a
Giussoni quaranta patriotti insieme al parroco furono arsi vivi,
sbracciandosi in questo alto gesto il colonnello Arboville; e perchè la
immanità francese moderna nulla avesse ad invidiare le antiche torture,
segarono in mezzo alla maniera di Tamerlano un Côrso: in ispecial modo
Magliaboia l'aveva co' preti e coi frati, talchè a Corte fece impiccare
un parroco in mezzo a due contadini; a Olmeta due frati vestiti del
loro abito religioso; anche le ipocrisie giuridiche erano trascurate;
il prete Gianni, preso, fu impiccato su l'atto; la persecuzione
francese sofferta dalla chiesa di Corsica per amore della libertà, non
disgrada veruna delle romane per amore di Cristo; e se vi piace saperne
il delitto, ve lo dirò con le parole dei loro stessi storici; insomma
bisogna dire, che altro non si opponeva, tranne una smania eccessiva
per la _indipendenza ed uguaglianza di tutti gli stati, cosa senza
dubbio colpevole_; e in altra parte favellando costoro del venerabile
curato di Zicavo, lo chiamano bandito perdutissimo per avere fatto
giurare il suo popolo davanti il sacramento di difendere la patria fino
all'ultimo sospiro.

Io desidero, che sappiate come gli ecclesiastici côrsi amassero la
libertà, e patissero per lei, perchè ciò vi chiarirà della cagione
per la quale il popolo qui continua a proseguirci di riverenza e di
affetto, mentre altrove, diventati ormai cagnotti della tirannide, ci
hanno in conto poco meno di scorpioni. Frate Serafino di Ampugnani (Dio
beatifichi l'anima sua), condotto alla presenza del Magliaboia, avendo
notato un colonnello che con gesti minaccevoli e voce sdegnosa gli
favellava, comprese che non gli faceva il panegirico; non intendendo
il francese non capiva per lo appunto le parole, onde pregato taluno
glielo spiegasse, e udito come fossero oltraggi, gli sbatacchiò sul
mostaccio il vangelo dei cinque evangelisti con tanta grazia, che gli
mandò giù due denti in gola, e subito dopo, arraffatto lo schioppo
alla sentinella, glielo sparò contro stendendolo in terra morto; preso
e portato alla forca, ritto come un cero, il frate dabbene con alta
voce cantò per tutta la via il _Tedeum_. I Genovesi si consultarono
col Magliaboia per mettere sesto a questa faccenda dei Conventi; e
proposero chiuderli addirittura, mandando i padri gesuiti a predicare,
conforme i miserabili loro istituti persuadono, il servaggio: ma al
Magliaboia non parve partito buono, non fosse altro, per essere stato
messo innanzi da altri: consigliò piuttosto far venire in Corsica frati
francesi, ormai avvezzi a chinare la schiena e mescolarli coi Côrsi,
confidando che in breve gli avrebbero istruiti nella civiltà, che così
in Francia, ed anco un po' in Italia, si chiama l'arte del servitore.
Ai Genovesi, non meno presuntuosi del Magliaboia, non piacque nè anche
questo ripiego; pensatoci su offersero regalare alla Francia tutti i
parenti e fautori dei fuorusciti, non che i ribelli rimasti o tornati
in casa, affinchè ella gli spedisse alla Luigiana o altrove. Allora
il Magliaboia, come preso da orrore, rimprocciò il senato ligure, che
mentre gli altri principi si adoperavano popolare i proprii Stati, essi
li disertassero: il francese ingegnoso trovava differenza tra il bando
da casa di un popolo, e il tenervelo dentro a mo' de' capponi nella
stia, per tirargli il collo la vigilia delle solennità. Ad un tratto,
ch'è, che non è, i Francesi dopo avere raccomandata la loro memoria
in Corsica al fuoco e alla corda, l'abbandonano lasciando Genovesi e
Côrsi ad aggiustarsela in famiglia, non dandosi un pensiero al mondo
della umanità spaventata come con tanta leggerezza potesse accoppiarsi
tanta ferocia. I Genovesi considerando che, durante la guerra della
successione, avrebbero teso indarno la mano usa a chiedere l'elemosina
di un po' di forza, si avvisano ad operare l'altra del tradimento;
monsignore Mariotti vescovo di Sagona, che ormai dalla repubblica
non isperava più pace, e lo diceva, pigliano e mettono in fondo di
torre; richiesto da Benedetto XIV, negano darlo, scaldandocisi il Papa
lo rendono; il giorno dopo la sua libertà muore; i Genovesi avevano
trovato, che il camposanto custodisce meglio della torre, e il veleno
carceriere fidato cui non si fa le spese; rendutisi sempre più odiosi e
privi di forza; per tenere il popolo in obbedienza sguinzagliano ladri
e assassini dalle carceri, richiamano sbanditi, mettono sottosopra
l'isola, e ciò col fine che, lacerandosi, si mantenga debole, per
poterle poi in tempi più destri rimettere le manette ai polsi.

I Côrsi non volendo andare a sacco e a sangue, provvedono al caso
eleggendo tre uomini per sopraintendere al buon governo, li chiamarono
protettori, e fu tra questi Giovampiero Gaffori; la repubblica si
risente, come quella che, per la creazione di siffatto maestrato,
immagina offesa la sua autorità. Il commissario Giustiniano a suono di
cannonate mette in un mucchio di sassi la casa del Gaffori a Corte,
e ne cattura il figliuolo. Ma il Gaffori non era uomo da spaventarsi
della casa disfatta nè del figliuolo preso; al contrario, il pericolo
crebbe l'ira a lui ed ai suoi: oh! allora i Côrsi combattevano in
guisa, che non ci era paragone che gli uguagliasse, e spero, prima
Dio, che combatteranno anche adesso: i soldati del castello rimasero
come annegati da un rovescio di piombo; quando si arresero non ne
fu trovato veruno illeso, e parecchi con più ferite. Parrebbe che i
Genovesi non si fossero dovuti lamentare del commissario Giustiniano,
dacchè in verità che cosa potesse tentare di più e di peggio non si
sa vedere; non si tennero soddisfatti: lo richiamarono e gli fecero
così feroce bravata, che dalla paura il dabbene patrizio si rese frate
somasco, ed indi a breve morì. Inviarono il Mari, che promise Roma e
Toma, ma stremo di denaro non riusciva a motivo che valesse; avendo
menato per teologo il padre gesuita Porrata, si ristrinse seco lui per
consigli; questi propose levare gli argenti dalle chiese e con pretesto
di tenerli custoditi in Bastia, valersene; al Mari piacque la pensata,
e gli mandò a pigliare; dalla sola Annunziata, chiesa dei Serviti, ne
cavò 600 libbre, e gli parve averli rimessi in buone mani. Raccolti gli
argenti, perchè la faccenda si mantenesse segreta, spedì il gesuita
a venderli a Livorno; e questo il gesuita fece; solo non ritornò,
simile al corvo dell'Arca ei battè l'ale in contrade lontane; benchè
altri affermi ch'ei se ne andasse a Roma a mettere in salvo il bottino
nel collegio di Gesù, dove i suoi superiori, dopo lunghe disamine,
sentenziarono che il ladro, il quale ruba al ladro, non fa peccato
e lo venerarono due cotanti meglio di prima. Quando i Côrsi se lo
aspettavano meno, ecco commoversi le materne viscere di Maria Teresa (i
Papi le hanno paterne) e a Carlo Emanuele altresì, e prima coi bandi,
poi con buon polso di gente comandata da un colonello Cumiana aizzano
i Côrsi a dare addosso ai Genovesi; la imperatrice, d'accordo col re,
aperti un bel giorno gli occhi, vedono «che la repubblica ha violato la
umanità e la giustizia continuando nei modi più aspri alla distruzione
dell'onore, delle sostanze e della vita degl'infelici Côrsi.» Cagione
della nuova tenerezza la lega di Genova con la Francia e la Spagna per
istabilire l'infante don Filippo nel ducato di Parma e Piacenza, nella
quale la repubblica era condotta a cagione del marchesato di Finale,
che donato prima da Carlo VI ai Genovesi, il medesimo imperatore con la
consueta verecondia di casa di Austria, cesse al re di Sardegna. Così
questi signori, a seconda dei loro interessi, si dicono corna, e quando
a vicenda l'uno ha scoperto gli altarini dell'altro, maravigliano
se il popolo si ride dell'autorità di tutti.... oh! non sono curiosi
costoro?... Dietro ai Sardi e ai Tedeschi si accordarono gl'Inglesi,
ch'erano allora di balla; i Francesi per astio ritornano l'isola in
mano a loro, pari alla veste di Cristo, giocata a dadi tra sbirri
briachi. Che parlo, o che taccio? La lingua per queste infamie non si
avvolge impunemente, come chi cammina per la melma senza macchia non
può uscirne.

I principi discordi stipulano un armistizio, nel quale includono i
Côrsi; nella pace finale di Aquisgrana li dimenticano. Donde ciò? Gli è
chiaro: gl'includono nell'armistizio, affinchè continuando a combattere
non iscompiglino le uova nel paniere; gli scordano nella pace, perchè
i Genovesi, aiutati da capo dai Francesi, abbiano facoltà di rimettere
loro le mani dentro i capelli. Di fatti i Francesi, per la smania di
mestare, entrano di mezzo e arruffano la matassa peggio di prima; a
una parte non piacciono, all'altra sgarbano, e inimicatisi Genovesi e
Côrsi lasciano da capo ogni cosa in asso dicendo: chi l'ha da mangiare
la lavi. Ora sì che i Genovesi non sapevano a qual santo votarsi; i
Gesuiti, in ammenda del furto, si proffersero seminare zizzania fra i
Côrsi e fino a un certo punto riuscirono, chè un certo padre Ricchini,
imbroglione di tre cotte, arrivò a scalzare il generale Giuliani, uomo
dabbene, ma facile ad essere aggirato; il Gaffori tenne sodo, e fu
mestieri venire a patti con lui: richiesto dalla repubblica di mettere
in carta le sue pretensioni, rispose, dandosi un paio di fregate alla
fronte: è presto fatto, e incominciò: non si parli di _concessioni_
perchè questa parola implica facoltà di ritirarle, quando anco ci si
aggiunga l'altra d'irrevocabili e perpetue; dicasi _convenzioni_:
ancora tacciasi di _perdono_, perchè la natura somministri ad ogni
uomo il diritto di pigliare le armi per la libertà; si _adoperi_ il
termine _dimenticanza_ e sarà meglio, molto più che potrebbe convenire
ad una parte ed all'altra; e così di seguito. I Genovesi crederono
diventarne matti, cotesti repubblicani bottegai a sentirsi toccare la
regia autorità andarono su i mazzi; le consorti repubblicane offersero
cedere le gioie per sostenere nuove guerre, anzichè perdere il titolo
di regine di Corsica; vanità di vanità! senonchè i nobili mariti
anche per questa volta ricorsero all'assassinio come spediente meno
costoso, ed un bel giorno il Gaffori si vide circondato nel bel mezzo
di una macchia da uomini, che gli ordinarono scendere da cavallo,
e raccomandare la sua anima a Dio, ed egli lo fece, ma, da quel
Giovanni bocca d'oro ch'egli era, con tante belle ed amorose parole
gli raumiliò, che gli caddero ginocchioni davanti, chiamandolo padre,
e chiedendogli perdono. Così per questa volta la scampò: allora i
Genovesi sapendo che, come dal migliore vino si cava l'aceto più forte,
l'odio del pari ribolle mortalissimo tra le persone, le quali per
vincolo di sangue arieno maggiormente ad amarsi, confidarono l'opera
di sangue ad Antonfrancesco fratello di Giampietro, che si aggiunse
compagno Giambatista Romei, detto biscaglino. Quando entrerete a Corte
vedrete a manca un convento di cappuccini; lì proprio sul canto fu
ammazzato a schioppettate il Gaffori che ritornava da visitare una
casa che fabbricava in campagna; inoltrandovi troverete una piazza
dove stanno ritte le forche, e questa è l'area su la quale sorgeva la
casa del Romei sovvertita dalla vendetta pubblica; su lui non si potè
sfogare, che, dopo essersi riparato a Calvi, andò a Genova ov'ebbe il
prezzo del sangue; le forche fra noi chiamansi _biscaine_, facendo,
del nomignolo dello assassino, nome al patibolo per memoria d'infamia:
dirimpetto alla feritoia del castello, dove fu esposto il figliuolo
di Giampietro, contemplerete la casa sua novellamente ricostruita, e
nondimeno sopra ogni altra più vecchia famosa: qui fu che la moglie
di Gaffori, assediata in assenza del marito, poichè vide i difensori
scorati dalle morti di parecchi fra di loro, e dalle ferite ormai
disposti a capitolare, accostatasi con un tizzo acceso ad un barile
di polvere disse: Cugini cari, se ripigliate a combattere ci è caso
che taluno di voi si salvi, se cedete le armi siete morti tutti,
perchè quanto è vero Dio, metto fuoco alla polvere. — Ricominciorno le
schioppettate, e soccorsi in tempo scamparono. Qui la stessa donna,
fatta toccare la camicia insanguinata del marito al suo figliuolo di
12 anni, ordinò che giurasse: — Sacramento di perseguitare a morte i
Genovesi — e lo sacramento pel sangue di mio padre, e pel dolore di mia
madre. — Qui finalmente, avuto nelle mani il caino cognato, gli fece
bere sotto i suoi occhi a lenti sorsi la morte, e per ultimo mazzolare.
— Povera donna, chi non la compatirebbe se con ogni partito onesto
s'industriava a temperare la sua angoscia?

Il Boswell si sentì come rimescolato a udir coteste parole, che ei non
sapeva se avesse a considerare più o selvatiche, o bizzarre, e voleva
dire la sua riprendendo cotesto atto di ferocia, biasimevole in tutti,
ma guardati con la coda dell'occhio i compagni, ne vide i volti così
arricciati, che non gli parve aria da avventurare considerazioni.

— Compiti questi ed altri assassinii, i Genovesi ricorrono da capo
alla Francia; a vero dire sfidati, che la sapevano ristucca, e più
di una volta si erano sentiti dire sul muso da lei: voi siete buoni a
bastonare i pesci, non già a reggere stati, ma ci mandarono un mezzano
di nome Agostino Sorba, che si vantò bastargli l'animo: di vero e'
ci pervenne; udite come: avendo letto di Temistocle, il quale soleva
dire, il figliuolo suo comandare a tutta la Grecia, conobbe, che certe
faccende bisogna pigliarle per la coda. Ora il duca di Choiseul come
ministro poteva tutto su l'animo del re, su quello del duca la duchessa
di Grammont sua bagascia, su la duchessa la cameriera Giulia: pertanto
egli barattò alla cameriera Giulia 500 mila franchi di credito sul
Canadà, che scapitavano 75 per cento; con tanti biglietti della banca
di San Giorgio, ch'erano d'oro in oro, e per questa guisa tornarono
i Francesi a sostenere in Corsica le parti dei principi legittimi,
immagini sopra questa terra di Dio ottimo massimo, come tutti sappiamo:
aspettate, mi dimenticava un tale Dumoriez che, dopo avere offerto
di noleggiare la sua spada ai Genovesi contro i Côrsi ribelli, venne
ad offerirla ai Côrsi contro i Genovesi tiranni, prima persuade al
duca di Choiseul di mandare armi in Corsica, ma per guadagnare cento
luigi detta una memoria per chiarirlo che farebbe un buco nell'acqua;
però ha la fronte di scrivere che ci mise dentro ragioni da sassate,
e con questo confessa che rubò i luigi. — Insomma andare pel minuto a
ridire tutte le infamie di questi maneggi, l'anima umana per vergogna
invilisce; e per dar fine, basti, che i Francesi, aizzatori prima
dei Côrsi contro la oppressione genovese, in seguito ausiliari della
tirannide genovese contro i Côrsi, adesso ci hanno comprati come bovi
da macellare, e ci bandiscono traditori e felloni se non porgiamo di
buona grazia la gola. Ma Dio ci ha inviato Pasquale Paoli, e staremo
a vedere se creature, cui il prete insufflò l'_effeta_ di Dio, se
anime immortali, redente alla libertà dal sangue di Cristo, possano
essere vendute a mo' di stime vive o morte col podere del creditore
fallito! Ora abbiamo o non abbiamo ragione di odiare i forestieri, noi?
Ditelo voi nella vostra coscienza. Con tutte le potenze dell'anima e
del corpo non devono i Côrsi custodire la libertà? — Me ne rimetto in
voi, signore Inglese. Parlate franco, gli uomini liberi sanno del pari
favellare ed udire la verità.

— Eh! vi dirò; viaggiando per Toscana arrivai ad un paesotto, dove
lessi sopra la spalliera del seggiolone del Giudice un avvertimento,
che chiedo in grazia potervi ricordare.

— Dite pure.

— _Priore, udite l'altra parte._ L'altra parte qui non occorre, sicchè
la possa sentire io: e voi sapete, che con un bove solo non si fanno
solchi: pertanto io giudico, che parecchie delle cose da voi esposte
non sieno vere.

— Voi dunque mi date del bugiardo in faccia?

— Ohibò! Voi mi avete narrato quello che avete letto ed udito, ma
passione e sete si rassomigliano nel mandare giù acque e novelle
che confortino, senza badare da qual fonte nascano; parte le credo
aggrandite sempre in virtù della passione che ho detto, tutte poi
guardate sotto la luce di un cuore in burrasca.

— Insomma nel sottosopra fandonie.

   [Illustrazione: Il barone Teodoro di Neuhoff, in arnese
   stupendo, si mostrò su le coste di Aleria, condottovi dalla
   nave inglese.... (_pag. 128_)]

— Ma no, signor frate, no: i colli, i campi, il mare dinanzi ai quali
ci troviamo adesso, sono sempre quei dessi; da un giorno all'altro non
variano di certo: tuttavolta contemplateli quando il sole smaglia nel
vostro azzurro sereno, e quando un tendone di nuvole nere lo ricopre,
e vedrete come vi appariranno diversi. — Io però credo, che Dio ha
creato gli uomini liberi ed uguali, e mi viene dimostrato appunto
dalla impossibilità della tirannide di attecchire su la terra: tiranno
risponde a oppresso; padrone a schiavo: ora dalla oppressione nasce
l'odio, dalla ingiustizia la vendetta, e tutto questo non mica per
elezione, bensì per necessità: e ciò è così vero, che nella tirannide
l'uomo buono o tristo nè giova nè nuoce; ella partorisce, spontanea e
per forza, i frutti, che poi matura l'ira del Signore. Onde, secondo la
mia opinione, trovo, signor frate, grandemente a riprendere voi altri
Côrsi, che vi arrovelliate a saccheggiare Aristotele, san Tommaso e
quanti vi hanno vecchi e nuovi dottori per dimostrare il diritto che
avete alla libertà, e affastelliate argomenti sopra argomenti, come se
aveste paura che vi dessero torto. Le verità capitali non patiscono
bisogno di dimostrazione, e dovrete ricordarvi di colui, che per
chiarire Pirrone della verità del moto prese a passeggiargli dinanzi,
e non gli disse parola. Ponetevi la mano aperta sul cuore, contemplate
il cielo, ch'è la casa di Dio, e dite: io sento e voglio essere libero.
Ogni di più, signor frate, sciupa il negozio.

— Anche in questa maniera ci possiamo intendere, disse Giocante; e
il frate, che, bisognoso di respirare aria più aperta aveva posto un
piede sopra la scala, e teneva il capo volto su le spalle per ascoltare
il Boswell, raggruppò le dita della destra, se le recò ai labbri, e
confidatoci un bacio lo vibrò a mano aperta verso di lui, esclamando:

— Benedetto voi e chi vi ha fatto, meritereste essere Côrso. Il Boswell
sorrise, notando però che in pari caso egli avrebbe detto: meritereste
essere inglese.

Dopo pochi momenti ecco precipitare, piuttostochè scendere, dalla
scaletta frate Bernardino trasfigurato in sembianza; i denti stretti
non gli lasciavano il varco alla parola, solo lanciava a destra
e a sinistra sguardi smarriti. — Ch'è? Ch'è? — Furongli intorno a
domandargli i compagni; ed egli con molto stento rispose: — Traditi...
traditi... siamo in dirittura della tomba dei Minelli abbrivati a
Bastia.

— Perdio santo! urla Giocante mettendosi le pistole al fianco, e salta
in coperta.

Altobello e l'inglese Boswell gli tengono dietro con minore prestezza,
non con minore agitazione. Appena sorti dal boccaporto tendono gli
occhi, e loro davanti si para la costa orientale dell'isola divisa
nelle sue tre vallate di Sisco, Pietra Corbara e Rogliano, crestata con
le torri di Cassaiola, Sisco, Osso, Santa Severa e Tomino; stanno al
loro cospetto come dipinti sopra un ventaglio aperto marine e paesi,
e il porto di Macinaggio, fine della impresa navigazione. Il capitano
Angiolo, fermo sul cassero governa col _biagio_ del timone in mano la
galera senza far motto e nè sembiante di accorgersi di cosa alcuna.
Il frate Casacconi sopraggiunse, comecchè più tardi, e vista la scena
mutata si fregava gli occhi come trasecolato. — Sentendosi il signor
Giacomo più padrone di sè, si accosta piacevolmente al capitano, e gli
domanda:

— E ci vorrà molto tempo prima di arrivare?

— No; verso l'un'ora di notte ci saremo. Colle bordeggiate ho finito;
questa ultima è stata la più lunga; pensava mi conducesse fino a
Bastia; adesso ho stretto il vento, e come vedete vado di burina ch'è
un incanto: non vi par ella la mia galera così chinata un gabbiano che
radendo il mare vi tuffa un'ala? Grazie alla Immacolata siamo fuori di
pericolo così degli uomini come del mare.

I Côrsi tornarono sotto cheti; il Boswell non si partì più dal fianco
del capitano, finchè questi non gli disse: Ci siamo: adesso faccio
calare il caicco, che ci rimorchi fino alla spiaggia col piombino alla
mano per iscandagliare il fondo.

— Ed ora in quanti passi di acqua giudicate voi che peschiamo?

— Giudico venti.

Il Boswell, fattosi allora al boccaporto, vi si affacciava gridando: —
Su, su che siamo a casa.

Salirono; la notte già scura non dava luogo a contemplare la faccia
della gente: ma si sentiva gli aneliti, i gemiti e per fino i brividi:
segni tutti del tremendo affetto che gli agitava. Dalla parte di terra
non comparivano distinte le cose; solo i contorni di monti neri dipinti
in cielo meno fosco, e le masse dei fabbricati; però di su, di giù,
sopra la spiaggia andavano e venivano persone con ischiappe di pino
accese nelle mani, rammentando le miriadi delle lucciole sfavillanti
pei bui sereni delle notti estive. Il frate Casacconi andò difilato a
prua e colà, sporte le braccia dal parapetto delle nave, con voce di
pianto esclamava:

— O madre! o madre mia!

E il Boswell, che gli veniva dietro rispose:

— Bene, bene; mi rallegro con voi, signor frate, che abbiate la madre
viva: deve aver a quest'ora una bella età.

Ma il frate non lo badando continuava:

— Tu mi stendi le braccia... e ohimè! a te vengo.

Il Boswell dietro:

— Non sarebbero mica i vostri occhi di natura di gatto, che vi vedono
di notte?

Mentre così il signor Giacomo favella, il frate spicca un salto di
sopra al buonpresso, e giù di tonfo nel mare.

— Misericordia! grida il signor Giacomo spendolandosi fuori della
galera — affoga... il signor frate si affoga — pare... tengo
opinione... salvo suo onore... che sia ammattito.

E sopragiunsero Giocante e Altobello, i quali, chinandosi a loro posta,
videro il frate in mezzo alle onde, che sotto i suoi colpi vigorosi
smagliavano fosforo, notare, malgrado la sua tonica, come un tonno:
parve non avesse a traversare gran tratto per mettere i piedi sul sodo,
dacchè fu visto sorgere ritto e rompere le acque, che gli gorgogliavano
intorno alle gambe, con passi veloci, mentre anch'egli alla sua volta
gridava:

— Tocco la madre mia: lasciatemi con la mia mattana, e voi, signor
Inglese, restatevi con la vostra sapienza, che buon pro' vi faccia.

— Grande è l'amore di patria, diceva in questa Altobello, in ispecie se
riposino nel suo seno i nostri parenti, imperciocchè allora ci appaia
come l'erede del loro affetto per noi.

— Bene; siamo d'accordo: ma non vedo ragione di bagnarsi senza bisogno
fino all'osso; e mettersi al cimento di troncarci il collo per voler
bene alla patria.

— Certo, rispose Altobello, non cascava nel quarto ad aspettare tanto
da scendere a modo e a verso... oh! sentite? sentite?...

— Che cosa ho da sentire?

— Non vi pare che una voce, chiami: Altobello! Altobello! Ditemi,
signor Giacomo, non la sentite voi?

— Io non sento nulla.

— Sì, che la sento io... È mia madre... mamma! mamma!

— Eh! dico, signor Altobello, non vi venisse mica la tentazione
d'imitare il frate... per amor di Dio non fate... fermatevi.

E visto Altobello in procinto di gittarsi giù capovolto in mare, lo
afferrò per le falde; invano però, chè il vestito cesse, e il signor
Giacomo si trovò come la moglie di Putifarre quando dette l'assalto a
Giuseppe ebreo: così almeno racconta la Genesi al capitolo trentanove.

Allora il signor Giacomo si volse agli altri, che gli facevano calca
d'intorno, e con voce alta predicò:

— Il soverchio, signori miei, rompe il coperchio; cotesti due
gentiluomini, il signor frate e il signor Altobello non hanno, a
mio parere, fatto mostra di buon giudizio... e non andò oltre che lo
interuppe un tonfo, poi due, poi tre: insomma la smania di buttarsi
in mare, per giungere un tantino prima a baciare la sacra terra della
patria, invase tutti i passeggeri a mo' di contagio, — e nonostante
che il signor Boswell si aggirasse dintorno infuriato, come non fu mai
prima nè poi in tutta la sua vita, urlando: Siete diventati i montoni
di Panurgo, o Dio mi perdoni, vi è entrato il diavolo in corpo...
badate... vi romperete le gambe... le braccia... il collo, — fiato
perduto; vide però con piacere, che i marinari e le ciurme restavano
a bordo; e perchè questo facessero bastò una parola sola; è vero che
la parola sonava così: il primo ch'esce dal bordo senza permesso,
sarà impiccato; ma infine gli dava sempre argomento di maraviglia
considerare come il capitano con una parola sola era riuscito farsi
obbedire, mentre a lui che ne aveva dette tante, nessuno aveva dato
retta; ond'è che accostatosi al capitano così gli disse:

— Voi avrete letto di certo, signor capitano, che nei tempi antichi il
popolo di Abdera durò matto tre giorni: questa molti reputano favola,
ed io era fra loro; oggi poi avrei incominciato a crederla, se non
eravate voi, che con savio e prudente contegno avete fatto eccezione
tra i vostri compaesani.

— Per amore di Dio, tenetevi in tasca il vostro elogio, perchè io non
so chi mi tenga che non mi butti giù dalla galera per correre dietro a
quegli altri.

— O tempo, o danari buttati via! Se partito da Londra e venuto in
Corsica io non ci doveva vedere altro che pazzi, era meglio che me ne
stessi a casa sfogandomi a visitare Beldam tutti i giorni... e con mio
comodo.

Poichè fu ormeggiata la galera ed acconigliarono i remi con le debite
cautele, il capitano Angiolo invitò il signor Giacomo a recarsi con
esso lui nel medesimo schifo a terra, dove in breve ora giunti ambedue,
il capitano si diede subito in cerca di padre Bernardino; non gli fu
arduo rinvenirlo, che lo vide girare e rigirare come un arcaiuolo,
dispensando e ricevendo all'intorno un diluvio di baci. Il capitano
riconobbe il frate per la pratica grande che ne aveva, imperciocchè
diversamente non lo avrebbe trovato in capo a un mese; di lui come
dello spettro di Ettore avrebbe detto Virgilio; _ehu quantum mutatus
ab illo_; in effetto egli aveva spogliato la tonaca, che inzuppata di
acqua gli sarebbe divenuta pesa come se fosse stata di piombo, ed alle
consuete vesti ne aveva sostituite altre tumultuariamente senza badare
se convenissero o no; le gambe mostrava ignude, dal ginocchio alla
cintura andava coperto di un paio di mutande bianche, poi vestiva una
camiciola di lana rossa da marinaro, sulle spalle portava un mantello
da pastore e un cappello a tre corni da prete sopra la testa; la barba
sua così candida, e il viso, presentavano più tinte della tavolozza dei
pittori, primeggiando però fra esse il nero, il verde e il giallo, e
questo in virtù delle centinaia di labbra colorite di erba côrsa, che
lo avevano baciato. Il capitano Angiolo gli pose ardito una mano sulla
spalla dicendo: — di voi appunto cercava.

— Di me? rispose il frate con voce mal sicura temendo chi sa qual
rabbuffo pei suoi mal sortiti sospetti; — e l'altro:

— Di voi. Vi paiono azioni da gente bene allevata disertarmi di bordo
come se aveste paura ch'io volessi menarvi schiavi in Algeri?

— Figliuolo, abbiate pazienza...

— Pazienza! Questa non tutti la intendono a un modo: per voi altri
frati è un vestito; io non ve la posso perdonare, massime che mi faceva
bisogno dei vostri frati e di voi...

A questo punto Giocante si accostò ai due che parlavano, ma il capitano
finse di non lo vedere, e continuò: — aveva proprio bisogno dei vostri
frati e di voi perchè mi aiutaste a scaricare il bastimento.

— O che ci avete preso per camelli?

— Io vi ho preso per buoni patriotti, capaci a mettere in terra presto
e bene un carico che preme molto al generale e alla patria.

— Com'è così, torna onorata ogni cosa.

— Ma non basta; è necessario, date retta, è necessario che ve ne
andiate in chiesa, e la sgombriate fino all'altare maggiore; se trovate
accesa unicamente la lampada del Santissimo Sacramento, lasciatela
stare, fuori questa, le altre spegnete; le casse mettete da un lato,
i barili dall'altro, il ferro e le cuoia a rinfuso nel mezzo: intorno
alla chiesa piantate in sentinella quattro religiosi perchè con parole
oratorie persuadano la gente a non si accostare; ma siccome potrebbe
accadere, che delle parole non facessero caso, così per cautela, ho
recato certi moschettoni, i quali distribuirete ai predetti quattro
religiosi con raccomandazione, che, occorrendo il caso, non gli lascino
dormire; con altri frati, che potrete darmi, valendomi ancora di parte
della ciurma, ordinate la catena, per mezzo della quale uno passando
all'altro il barlozzo o la cassa, in breve ora avremo sgombrato la
galera.

— Ma non si potrebbe fare con maggior comodo e meglio queste cose
domani?

— Eccoci qui da capo per perfidiare; e parrebbe che non fosse stato
mai frate: e sì che avreste a sapere, che il primo obbligo del
frate, e (qui si volse di un tratto a Giocante) del soldato, consiste
nell'obbedire. O signor Giocante, mi perdonerete se prima di aggiustare
i conti con voi, io penso a mettere in sicuro il carico.... non lo
farei se non appartenesse al governo.

— Capitano Angiolo, di grazia non vogliate rammentare le parole dette
sul mare; il vento se l'è portate via.

— Non così; ogni mancanza merita punizione.

— Quanto a punirmi poi...

— Tacete, la vostra punizione sarà vigilare in terra a che il discarico
succeda con massima puntualità: vorreste ricusare questo servigio alla
patria?

— Quanto a questo eccomi pronto con tutto il cuore.

— Vedete? voi v'inalberate di nulla. Prima vi tiravate addietro
arruffato, adesso che mi avete udito, veruno riuscirebbe a farvi metter
giù questo carico. Crescete il peso dall'altra parte perchè la vostra
bilancia possa andar giusta.

L'orologio della parrocchia batteva le due dopo la mezzanotte, e la
gente rifinita dalla stanchezza camminava come ebbra con le palpebre
socchiuse, quando il capitano Angiolo, volto al padre Bernardino e
Giocante, domandò loro: — Dov'è andato il signor Altobello?

— In verità non lo so, rispose il frate: appena sceso in terra, una
donna lo ha arroncigliato con una furia di amore materno...

— Dite piuttosto con la ferocia del gatto salvatico....

— Sicuro, voi dite bene, Giocante, ci era anco del gatto, e se lo portò
Dio sa dove...

— Andiamo a cercarlo perchè lo vo' salutare.

— O non sarebbe meglio andarcene a dormire?

— Ouf! padre Bernardino, vi dico, che ho bisogno di salutarlo.

E domandando seppero il luogo dove Alando si era riparato con la madre
sua: apersero pianamente l'uscio, un lume ardeva sul lastrico, sicchè
poterono vedere di colta una donna di sembianze severe, assettata
sopra un letto di paglia, con le spalle al muro, in grembo della
quale dormiva Alando; ella non faceva altro che, guardato il figlio,
levare gli occhi al cielo; guardato il cielo, declinare gli occhi sul
figliuolo, come se volesse condurre Dio in terra a pigliare sotto la
sua speciale protezione il figliuolo, deporre l'anima di questo nel
grembo di Dio come adesso ne riposava il corpo sopra il suo grembo.
Anche le mani teneva giunte insieme, ma tratto in tratto le spaiava o
per asciugargli il sudore o per iscacciarne qualche insetto pertinace
a recargli fastidio. Michelangiolo ma Michelangiolo solo, se a caso
si fosse imbattuto costà, avria saputo cavarne modello a significare
in marmo lo abisso della gioia materna da mettere a riscontro della
_Pietà_, abisso di dolore di madre, da cotesto Divino confidato alla
pietra.

Padre Bernardino, che la riconobbe, senza appunto avvertire lo strano
arnese nel quale in quel momento si trovava, le si accostò alla
domestica dicendo:

— Siete qui, donna Francesca Domenica? Oh! che miracoli sono questi?

La madre, interrotta nelle soavi cure, gli sbarrò in viso certi occhi
truci da mettere i brividi addosso ad ogni fedele cristiano; ma l'altro
senza scomporsi:

— Oh! che vi ribolle, ne'! Francesca Domenica, che mi fate gli
occhiacci?

— Qual siete voi? andate via!

— Questa la è nuova di zecca! dopo dieci anni arrivo adesso, e voi mi
volete mandar via?

Intanto Altobello destandosi si era ritto in piedi, e vergognoso di
avere piantato in asso la compagnia, stava per farne le scuse, quando
il capitano Angiolo lo prevenne parlando.

— Signore Altobello, vi domando perdono se sono venuto a svegliarvi, ed
a voi pure, signora, domando umilmente perdono se vi levo per un minuto
il figliuolo dal seno: mi pareva non potere partire col cuore contento
se non avessi detto addio a voi come agli altri nostri compagni di
viaggio. Addio dunque, datemi tutti, e pigliatevi un bacio; desidero,
e spero che ci rivedremo quaggiù; ma se a Dio piacesse altrimenti, ci
rivedremo ad ogni modo, perchè il nostro padre Bernardino ci ha fatto
toccare con mano col suo libro, che chi muore per la patria va in
paradiso senza passare pel purgatorio, e, padre, scusate, il mio cuore
me lo aveva detto prima di voi.[16]

— Come! volete partire subito? Non piglierete un'ora di riposo? Che
prescia è questa? Si udiva domandargli d'intorno ed egli:

— Mi tarda di andare a rendere la bandiera di Francia allo sciabecco
che me la imprestò, e vedere se mi riuscisse fargli inalberare la
côrsa. Signor Giacomo, voi mi avete promesso, che al nostro Generale
raccontereste quanto avreste veduto. Di grazia accostatevi. Così
parlando raccatta di terra il lume a mano, e messolo sopra una botte,
che lì si trovava a caso, si cavò dal seno uno astuccio di foglia di
argento; da questo aperto trasse fuori una lettera, che spiegò con
tremito religioso, e lesse con voce strozzata:

— Al signor Angelo Franceschi. Casinca 4 ottobre 1768. Il vostro zelo
ed onoratezza hanno riscosso gli applausi di tutta la nazione, dalla
quale sarete contradistinto: ed io vi farò conoscere quanto vi sono
particolarmente tenuto. Se vi faranno proposizioni indegne del vostro
coraggio, dite per unica risposta: viva la libertà! Cordialmente vi
saluto. Il generale Paoli.[17]

Dopo averla ripiegata, chiusa nello astuccio e bene assicurata sul
petto riprese: — Voi gli direte, che il capitano Angiolo ha sentito
farsi proposizioni infami, e non le ha respinte, anzi le ha accettate;
ditegli, che egli prese in prestito una bandiera francese, ammainò la
côrsa, ed in sua vece inalberò la nemica... però aggiungetegli tosto
che il capitano Angiolo lo ha fatto per salvare cento e più patriotti
come questi (e qui toccò le mani a padre Bernardino, ad Altobello e
a Giocante), ed un amico, come siete voi, alla patria: e questo è già
molto; e l'ha fatto eziandio per condurgli sano e salvo un carico di
armi e di polvere, dal quale può dipendere la salute della patria,
stante le angustie in cui ella si versa; di qui il mio abborrimento
a combattere, e di qui l'odio per la vostra pipa, signor Giocante:
per ultimo ditegli che, depositate in terra anime e beni, egli, senza
porre tempo fra mezzo, si è partito per andare a vincere o morire
onoratamente combattendo i nemici.

Altobello gettò le braccia al collo di sua madre, e singhiozzando disse:

— O mamma mia, quando avrete un figliuolo che rassomigli al capitano
Angiolo?

Padre Bernardino, dopo essersi sentito mareggiare il terreno sotto più
che non aveva provato la galera in mare, cascò di stianto ginocchioni,
e presa la mano del prode uomo la baciava e la ribaciava; intanto
Giocante, levatesi le pistole di tasca, le porgeva al capitano con
queste parole:

— Capitano, io vi supplico di accettare queste pistole, perchè ogni
volta vi capiterà gettarvi gli occhi sopra, vi rammentiate di un folle,
che voleva spararvele nel capo per traditore.

— No, tenetele per voi, che vi faranno bisogno più spesso che a me;
e il paese soffre penuria di armi; d'altronde quando mai potessi
dimenticare Giocante Canale, io vado persuaso che i vostri gesti mi
riporteranno il suo nome più spesso che io saprei desiderare.

Il signor Giacomo, anche prima che Giocante avesse offerto le
pistole, aveva pensato lasciare al capitano qualche pegno che a lui
lo ricordasse, e da prima si fermò sulla tabacchiera ma subito dopo
conoscendo quanto necessario arnese gli fosse, torse lo sguardo altrove
e lo posò sopra un anello che aveva in dito, ma questo era ricordo
della sua madre defunta: allora la sua volontà cominciò dentro a
ondeggiargli dalla scatola all'anello come la cima di un cipresso al
rovaio: quella, bisogno frequente del naso; questo, bisogno perpetuo
dell'animo; si rinnovava la battaglia antica tra lo spirito e la
materia, e il signor Giacomo uscì da cotesto parapiglia da galantuomo
par suo, imperciocchè sporgendo la scatola:

— Quanto a questa spero non ricorreranno i motivi delle pistole per
escluderla, però quando ci anderete a cercare una presa di tabacco....

— Io non piglio tabacco, signor Giacomo, e levare a voi la tabacchiera
sarebbe proprio come rubarla di su l'altare. Mio buono e generoso
Inglese, se in qualche parte vi piacqui, se in alcuna cosa vi parve io
meritassi di voi, vi supplico a mani giunte di un guiderdone, e questo
sia avere a cuore il generale Paoli e la mia patria.

— Mio degno amico, sì, quello come padre, questa come madre. —

Il gallo chiama Francesca Domenica alle opere diurne; deposto
soavemente il capo del figliuolo, ella lo ricopre col _pilone_ affinchè
la brezza mattutina non lo raffreddi, poi si fa ad esaminare il
fornimento dell'ospite e del figliuolo. Egli era negozio serio quello
del signor Giacomo: due valigie, e come pese! una sacca, una cassetta
e un mazzo fra ombrello, canna e spada: a considerare tante robe la
donna alza le mani quasi per dire: manco male, che colui non si porta
dietro la casa; allora va e soppesa anche la valigia del figliuolo, e
la trovando, fuori di ogni presagio, grave, si stringe nelle spalle;
intanto si accosta ai labbri uno dopo l'altro il pollice, l'indice e
il medio, e mormora: tre di certo, ma ce ne bisogneranno quattro; e via
fuori dell'uscio.

Attinse una mezzina di acqua, e la portò nella stalla ad abeverarne
il ciuco; tratte da una sacchetta tre manciate di castagne gliele mise
per profenda davanti; ma subito dopo pensando che quel giorno avrebbe
fatto cammino sforzato, gliene crebbe due altre: uscita all'aperto,
mentre andava in fretta verso una casa, vide una capra che, scioltasi
durante la notte, brucava le cime del polloni agli ulivi, ond'ella
presto presto la ridusse al laccio e proseguì; in questa una donna
al bruzzo la prega: mi fareste la carità a darmi una mano a mettermi
questo fascio sul capo? e Francesca Domenica, preso il fascio di legna
da un lato, le rende il servizio; dopo le chiede: mi sapreste indicare
dove potrei trovare bestie da prendere a nolo? — Ho il fatto vostro,
voi non avete a far altro che andare in cotesta casa lassù, e chiedere
dello Zembo vetturale.

— Buon giorno e buon anno, disse Francesca Domenica dando una spinta
all'uscio, dubitando che a codesta ora dormissero in casa tuttavia,
ma rimase delusa, chè si trovò a petto di un'altra donna non meno
sollecita di lei, che avendo già acceso il fuoco, e scaldato il latte,
adesso ci buttava giù la farina di castagna rimuginando sempre per
impedire li zolli, e preparare una scodella di _brilloli_ superlativi;
costei levò il capo di su la pignata e rispose:

— Buon giorno. Qual siete? E che volete?

— Vorrei pigliare a nolo quattro muli o cavalli per tre o quattro
giorni. Gli avete? Volete darli? Quanto prendete per giorno?

— Noi non gli abbiamo tutti; possiamo cercare quelli che mancano; ma
dove hanno a ire?

— A Corte.

— Viaggio lungo.

— Lungo.

— E pericoloso; il mozzo ha da venire con voi?

— Sì.

— Strade dove spesso le bestie capitombolano; nemici nel paese alla
busca, e se si perdono, chi me gli rimette?

— I muli non sono fatti mica per stare in convento; coteste strade pure
hanno a correre e a ricorrere, e non sarà da oggi che le passeggeranno;
quanto a' nemici è un altro paio di maniche: se vi saranno ritenuti ve
ne manderemo altrettanti, e meglio dei vostri.

— Bo! Spaccata pomontinea,[18] e tacque.

— Insomma li volete dare o non li volete dare?

— Assicuratemi prima che me li rimetterete sani e salvi, poi parleremo
del resto.

— E come volete che io vi assicuri?

— Datemi un pegno.

— Un pegno? Vi darò questa croce di oro?

E la donna, tirato avanti il mento e col labbro di sotto copertosene il
superiore, faceva atto di disprezzo.

— Non vi basta? eccovi questi orecchini. — E la donna ripeteva il gesto.

— Aggiungerò questi anelli.

— Fossero tutti di oro potrebbero bastare, ma ci vedo questi vetri che
non valgono una baiocca.

— Vetri! baiocca! Ma sapete che sono diamanti del valsente mille volte
superiori all'oro?

— E via spaccate; ad ogni modo vo' contentarvi, mi darete cinquanta
soldi al giorno per bestia, con questo che ci mettiate la profenda di
vostro, e li ferriate a vostre spese caso mai venissero a sferrarsi: il
mozzo verrà pel vitto e venti soldi al giorno.

— Domine, aiutateci! tanto varrebbe a comprarli addirittura.

— E tu comprali.

— Su via non istiamo a bisticciarci, vi darò trenta soldi al giorno per
capo.

— E tu comprali.

— Vada per trentacinque.

— Se casca un quattrino da cinquanta soldi, voi non gli avrete.

— Pazienza! mi provvederò altrove, rendetemi le orerie, certo io non
avrei mai creduto di trovare tanta mal fidanza, nè tanta tenacità; ma
voi altri del Capo Côrso siete mezzo Genovesi.

— In Capo Côrso, come per tutto il mondo, ce n'è dei buoni e dei
cattivi, interruppe una voce di uomo che apparve sull'uscio; tu poi,
moglie mia, venisti al mondo per levare la riputazione alla Immacolata,
rendi le orerie, brutta scimmia, e ringrazia Dio se non ti lascio sulle
costole la memoria di questa giornata. Va via, levamiti davanti gli
occhi.

La donna uscì non prima però di aver levato la pignatta dal fuoco
per paura che i brilloli pigliassero di bruciato e nello andarsene
brontolava:

— Sono più vicini i denti che i parenti; se manca pane, raccatterò le
ghiaie per darle ai vostri figliuoli.

— Non vi state a confondere; dicendo voi che noi altri siamo Genovesi,
per questa volta avete colto nel segno meglio che non credevate, perchè
mia moglie mi viene diritta diritta da Genova; quanto a interessi certo
è stretta più della cruna dell'ago, un po' per genio, ma troppo più per
necessità: in tutto il resto è una spada: se per amore dei figliuoli
vi riuscì fastidievole, voi madre scusatela. Sappiamo chi siete,
sappiamo ancora la causa che vi muove a cercare le bestie da soma;
padre Bernardino ci ha ragguagliato di ogni cosa, noi tutti dobbiamo
tenerci bene edificato l'ospite illustre.... così imponendo l'antica
riputazione di ospitalità della nostra patria, e le angustie nelle
quali viviamo. — Avrete quatto bestie, quello che non si potrà mettere
sulla schiena dei muli, porteranno le donne. Signora Alando, non vi
sia per rimprovero, ma vogliate credere che anche qui a Capo Côrso il
popolo palpita per la salute della patria.

— E questo è ciò che non si potrebbe negare senza taccia di follia, o
senza essere presi dalla ira; e voi sapete che ira è breve insania.

Altobello ed il Boswell erano già in piedi, e pronti a partire;
Giocante aveva tolto il carico di portare la lettera al Giacomini a
Centuri; il padre Casacconi si scusava di non potere accompagnargli
più oltre volendo dare una giravolta pei conventi del Capo Côrso, e
vedere da sè se vi era cresciuta la buona semenza, ovvero frammesso il
loglio della perdizione, gli avrebbe quanto prima raggiunti. Francesca
Domenica di ciò si mostrava lieta, perchè ormai le tardava tornarsene a
casa, chè le faccende dovevano soffrire; e qui disse avere apprestato
le bestie e le donne pel viaggio, nè tacque il come. In questa
comparvero i quattro muli ed il ragazzo; Francesca Domenica, invano
contrastandolo Altobello, cavò fuori il suo, e gli mise gli arnesi;
intanto il signor Boswell, chiamato a parte padre Casacconi, seco lui
si trattenne breve ora, e parve a fatica lo persuadesse su qualche
punto di quistione sorta fra loro; sopraggiunsero anche due donne, le
quali, un po' per difetto dei muli, un po' perchè la cassa, la sacca e
lo scrittoio del signor Giacomo mal si adattava sul basto dei muli, si
proffersero portarle in capo; parve la cosa sì enorme al buon Inglese,
che non voleva assentire a verun patto, ma le donne lo supplicarono a
non defraudarle di codesto guadagno; per loro camminare due giorni o
tre con quei ninnoli in capo gli era, si può dire, un trastullo, molto
più che munite della pietra quadra non poteva vincerle la stanchezza, e
così favellando si cinsero sotto il ginocchio un dado colore di ferro.

Avendo domandato il signor Giacomo che cosa tutto ciò significasse,
gli fu risposto che la pietra _catochite_ era una pietra come vedeva,
cuba e ferrigna, glutinosa a modo di pania, di cui avrebbe incontrato
copia a Origlia sotto la torre di Seneca: correre antica credenza
che, attaccata sotto il ginocchio sinistro, partecipasse in quale
la portasse la virtù di non si straccare mai. Il signor Boswell si
strinse nelle spalle, e prese tabacco.[19] Frate Bernardino così
ordinò la cavalcata: tre muli carichi di una valigia per uno (chè
l'angustia delle strade non permetteva ingombro maggiore) precedevano
col mozzo, seguitavano le due donne; sul mulo più grosso a quando
a quando sarebbero saliti Francesca Domenica, o Altobello, e per la
piana ambedue. Per ultimo il signor Giacomo sul mulo di casa Alando,
coperto di un bel manto vermiglio da disgradarne un cardinale. Padre
Bernardino, reiterati tre o quattro volte i saluti, andò pei fatti
suoi; gli altri, compresi il Côrso, proprietario delle bestie, e la
genovese consorte, gli accompagnarono un pezzo, poi dopo mille augurî
di buon viaggio tornarono addietro.

La sottile massaia genovese rientrando in casa non ebbe poco a
maravigliarsi vedendo in mezzo della stanza padre Casacconi seduto
sopra un sacco, il quale, appena ebbe scorta la donna, si rizzò in
piedi e le disse: — Ecco qua, Caterina, il Signore vi ha provveduto,
questo è un buon sacco di grano, ch'egli vi manda, e questi scudi per
le spese dei vostri figliuoli: ringraziate dunque Dio, e pensate che
quando si rende servizio alla libertà, sempre di là, e più spesso che
non si crede di qua, se ne riceve mercede.

— Potrei sapere chi mi ha mandato questa carità?...

— I've l'ho detto; Dio. Non vi basta? E sì che la curiosità perse la
prima donna, e da cotesta ora in poi avreste potuto emendarvene.

— Eh! padre mio, non era per questo, bensì per pregare Dio in pro' del
nostro benefattore.

— Il nome non fa nulla; pregate sempre. Dio lo ha veduto, non abbisogna
di certo che voi gli diciate chi sia.

Il viaggio dei nostri pellegrini era per Tomino, donde per la valle
di Luri, traversato il Capo Côrso, intendevano ridursi al Pino, o a
Beretali. Mentre passo passo s'incamminavano alla prima stazione, il
signor Giacomo incominciò a dire:

— Capisco ancora io, signor Alando, che ai tempi della cavalleria si
tributava alle femmine riverenza eccessiva, e sto per dire che scemata
di una buona metà se ne sarebbe appagato anco Dio; ma i Côrsi poi mi
pare, che trattino le donne come se non fossero madri o mogli di loro.

— Io penso che v'inganniate, perchè è difficile, che tra noi un Côrso
vizii una fanciulla e poi la pianti.

— Bene; ma avverto che ciò potrebbe accadere piuttosto in grazia della
paura pei parenti, che del rispetto alla donna.

— E non vi sembra carità grande quel collettarci che costuma fra noi
per fare la dote alle fanciulle povere? Non reputerete amore quel
coltivare _gratis et amore Dei_ i campi della vedova e della orfana?

— Carità e fiorita, non rispetto; per ordinario la donna lavora, e il
marito fuma; ospitando gente la donna non siede, bensì serve a tavola;
ella va scalza, l'uomo calzato; ella sempre a piedi, e per giunta col
fascio della legna in capo, l'uomo dietro a cavallo; che più? entrando
in una casa al Macinaggio ho veduto una grama femmina girare la mola
per macinare il grano.

   [Illustrazione: .... aperto pienamente l'uscio, fu potuto
   vedere una donna di sembianze severe, assettata sopra un letto
   di paglia, in grembo della quale dormiva Alando. (_pag. 153_)]

— Questo ho sentito dire, che trae origine dalle inimicizie, flagello
antico del paese, imperciocchè l'uomo dovesse poggiare in alto per
iscoprire gli agguati camminando con la barba sulla spalla, e la mano
su l'archibugio.

— Benissimo; ma com'entra questa scusa col macinare il grano in casa?

— Perchè l'interno della casa è reame esclusivo della femmina.

— Bene; anzi male. Bello impero davvero quello dove il re è condannato
alla parte di schiavo! Mio giovane amico, soffrite che io vi ammonisca,
che chi tutto vuol difendere per ordinario non discolpa nulla. La
nemica mortale dell'ammenda è la prosunzione: ora lo stato in che senza
rimorso o vergogna mantenete la donna fra voi, mi dà la misura giusta
della barbarie nella quale vivono gli uomini.

E tacquero, finchè non furono a Tomino; qui giunti, mentre passavano
davanti la chiesa, al signor Giacomo venne fatto vedere nella
nicchia, a destra di cui mira la facciata, una bomba di ferro, onde
piacevolmente interrogò:

— Gli è un santo côrso cotesto?

— No, è un predicatore, che ci hanno mandato i Genovesi, rispose
un Côrso che in cotesto punto passava, il quale dì e notte come dal
pulpito bandisce, che dai forestieri non ci dobbiamo aspettare miglior
bene di quello. — Però i Genovesi non giunsero mai ad espugnare
Tomino; e gli uomini di questo paese traendo alla chiesa, nel vedere
la bomba, ne cavano argomento di supplicare con tutta l'anima Dio, che
alla occasione non ci faccia peggiori dei nostri padri. Se vi piace
scendere, vedrete il Tabernacolo, meraviglia della Corsica, sto per
dire del mondo.

Scesero tutti, ed entrarono nella Sagrestia, dove sta esposto il
modello di legno assai bene architettato, e condotto con fino lavorio,
pure non tale da meritarsi codesta lode smodata; senonchè la guida
aggiunse: — Prima era tutto di argento, donato alla chiesa da un
Filippi arricchito in America, a cui costò un milione e mezzo di
lire; prima di disfare il Tabernacolo di argento ne cavammo questo
modello per memoria dell'opera, non del dono; avrete forse sentito a
dire o sentirete da qualcheduno che noi Tominesi repugnando dal dare
il nostro Tabernacolo al generale Paoli pei bisogni della patria, lo
sottraessimo mettendolo sotto terra; non gli date retta; fummo proprio
noi che glielo andammo a profferire, come offrimmo a Roma il magnifico
ostensorio di argento del peso giusto di un rubbo, e il Papa in
beneficenza ci promise quattro scudi romani all'anno!

— O pelo o pelle con Roma bisogna lasciarci, pensò il signor Giacomo;
nè anco l'uno per cento senza contare la fattura: la Curia romana è
donna, ma non ebbe mai bisogno di curatore: poi a voce alta chiese:
avete detto promesso; per avventura non li pagarono mai?

— No, signore, li pagarono per pochi anni; in seguito le disdette della
chiesa non permisero retribuire più oltre questo piccolo censo.

— Ahimè! si direbbe, che la vigna del Signore sia peggio trattata di
quella dell'empio; colà sempre grandine, sempre tempesta.

Altobello, pauroso che il colloquio pigliasse piega spiacevole per
la madre sua piuttosto pinzochera che devota, unica macchia fra tanto
splendore, alzando il dito accennò:

— Vedete cotesta torre là? noi altri la chiamiamo la torre di Seneca,
e tutto questo distretto ha nome da Seneca.

— Se questo fu il luogo della relegazione di Seneca, certo non si
riconoscerebbe per la orribile descrizione ch'egli ne fa nella epistola
ad Elvia sua madre, ma il tedio dell'esilio glielo avrà fatto comparire
più tristo, e da quel tempo in poi voglio credere, che la natura e la
industria lo abbiano reso più bello.

— Poi oltre la torre troveremo Mercurio, dove la fama narra, che
Seneca fosse flagellato con le ortiche dalle donne a cagione della sua
incontinenza.

— Ohibò! coteste mi paiono grullerie: vi sembra probabile, che Seneca
fra tante angustie avesse capo a siffatte novelle? Uscito di Roma,
sazio di femmine senatorie e imperiali, come supporre, che gli venisse
vaghezza di rincorrere le donne per questi balzi a mo' di Satiro? Che
ne dice la mia rispettabile signora Francesca Domenica?

— La medesima vendetta si racconta che le donne di Bonifazio e di
Sollacarò abbiano preso in simile occasione; ma io le reputo favole
tutte, perchè la donna prudente difende l'onore suo, e non ostenta
la difesa, sentendosi abbastanza umiliata dal sapere, che altri con
parole, anzi pure col pensiero, le abbia recato oltraggio.

— Bene, mia signora, bene.

Ma il fine pel quale Altobello aveva intromesso discorso, gli venne
tronco appunto per causa del medesimo, imperciocchè la piissima madre
riprese a dire: — Invece di trattenervi in queste pantraccole avrebbe
dovuto il mio figliuolo raccontarvi come oltre quel poggio di Pietra
Corbara in riva al mare sorga il santuario di santa Caterina, dove tra
le altre sante reliquie si conserva una zolla di terra adoperata dal
Padre eterno nella creazione dell'uomo.

— Che mai dite, mia rispettabile signora! proruppe il signor Giacomo
levandosi alto su le staffe.

— Già; una zolla di terra servita alla formazione del nostro padre
Adamo.

— Diavolo! esclamò da capo il signor Giacomo, e stava lì lì per
uscire dai gangheri, senonchè alzata la faccia occorse negli occhi
di Altobello, i quali con muto linguaggio lo supplicavano ad avere
misericordia della fede di quella semplice donna; ed egli che filosofo
veramente era, e per ciò tollerantissimo, si astenne di portare
lo scompiglio nell'anima di lei con importune considerazioni; solo
facendo l'atto del tacchino quando ingola una noce, tacque, e la donna
soggiunse:

— Ed oltre la zolla ci ha un vaso di manna raccolta nel deserto; un
frammento della verga non ricordo bene se di Aronne o di Mosè; alcune
goccie di latte della Madonna, e parecchie gugliate di refe, torto
proprio con le sue sante mani.

Il degno signor Giacomo sostenne bravamente la enumerazione di coteste
reliquie come un granatiere inglese la scarica di una cannonata a
mitraglia, rinnovando però ad ognuna l'atto del tacchino che ingola le
noci.

Così ora tacendo, ora alternando i ragionamenti, arrivarono, traversato
il Nebbio, su i gioghi di Lento e Canavaggia, donde scesero nelle
strette del Golo a Pontenuovo, già famoso per la resa dei Tedeschi al
prete Castineti, e sortito dai cieli a ben altra, e per questa volta,
lacrimevole celebrità. Intanto che scendevano da Lento, Francesca
Domenica indicando i colli dalla parte opposta della valle avvertì:

— Vedete colà quel paese? Lo vedete? Lì dietro giace la terra benedetta
che ha dato alla Corsica il generale Pasquale Paoli, mio cugino _in
terza_.

— E usciremmo molto di strada se andassimo a visitare la sua casa?

— Non troppo, no, chè, per Saliceto e Pietrarossa riusciremo verso
Omessa sopra la strada di Corte.

— Dunque... con voce un po' tremante dalla commozione incominciò il
Boswell, e la Côrsa conchiudendo in fretta:

— Venitemi dietro, che io vi condurrò fin là; e voi altri proseguite,
che vi raggiungeremo.

Allora Francesca Domenica, seguitata da Altobello e dal Boswell, salito
il colle, arrivò alla valle, e lasciatosi dietro Morosaglia, giunse
alla Stretta nella pieve di Rostino. A mano a mano che si accostavano,
il luogo sembrava, e veramente si empiva di orrore religioso; pareva
lo sbocco di un vasto torrente, qua e là seminato di massi enormi,
fra mezzo i quali scendevano mille rivoli di acque, che ripetendosi
da più parte gli echi, e confondendo le voci, mandavano intorno come
un fremito di armi. E com'era vocale la terra, così dall'alto non
iscendeva meno misteriosa la copia dei suoni; questi poi uscivano dalle
fronde di castagni secolari, i quali mossi dal vento susurravano, e
a volta a volta, o coprivano di ombre il sentiero, o vi lasciavano
penetrare un raggio fulgidissimo di sole; passato il torrente, le
coste si alzano blande, a scaglioni alberati tutti di castagni, fra
cui l'occhio spazia lontano di viale in viale, sicchè tu credi infinito
quel bosco. Non pertanto alla svolta di un poggiuolo, custodita dalle
ombre di parecchi castagni apparisce la casa del Paoli.

— Qui è nato da Giacinto Paoli e da Dionisia Valentini mia cugina il
generale Paoli nel 1724.

Il Boswell vide attonito due corpi di fabbrica coi tetti dispari, e
formanti insieme una casa di cui il più umile dei fattori si sarebbe
appena giovato; poche le finestre ed anguste, la porta ottimamente
munita d'imposta ferrata, alla quale non si poteva giungere che con
molta difficoltà. Poichè rinvenne dallo stupore il Boswell chiese, se
avrebbe potuto, senza indiscretezza, visitare dentro.

— Signore! rispose Francesca Domenica, o chi para? — E qui con
una specie di fischio acutissimo incominciò a urlare: — Minugrò,
Marifrancè, Orsantò.

Cotesti fischi avrebbero avuto la virtù di resuscitare i morti senza
altrimenti attendere la chiamata degli Angioli, pensate se di far
correre i vivi: di fatto indi a breve tra la macchia s'intese un grido
come di cuculo; dopo altro spazio di tempo comparve un villano, che,
riconosciuta la donna, con grandissima dimestichezza favellò:

— O signora Francedomè, siete voi? Il generale non ci è, e nè anche
Minugrò e Orsantò: entrate a rinfrescarvi. Dove siete stata? Donde
venite? Questi signori chi sono?

— Questo è mio figliuolo Altobello, questo altro è un signore nostro
ospite e amico, sono andata a riscontrarli, e torno con essi a casa.

Il villano, dopo aver bene udito queste cose, schizzò fuori dei denti
uno spruzzo di saliva verde a cagione del sugo dell'erba che masticava,
e forbitosi col rovescio della man manca le labbra abbracciò e baciò
Altobello; volendo in seguito praticare la stessa cerimonia col
Boswell, questi lo respinse mettendogli con quanto possedeva di forza
il pugno al petto: per la qual cosa il Côrso aggrondato brontolò: — Per
Dio santo, o che frulla a costui?

Senonchè Altobello sovveniva pronto a quel frangente mormorando nelle
orecchie al Côrso: — Costà nelle parti d'Inghilterra il bacio tra
uomini non usa, e il vostro ospite è inglese.

— Allora muta aspetto, e ripresa la consueta compostezza il Côrso
soggiunse: — Passeremo dalla Cappella ne'?

Entrarono in una stanza terrena foggiata a modo di Cappella, nè
priva di eleganza, certo poi netta e fresca come se fosse nuova.
Appena Francesca Domenica vide una lampada accesa davanti la immagine
della Immacolata ed uno inginocchiatoio ci si gettò giù di sfascio;
Altobello e il Boswell l'ebbero ad imitare a scanso di scandali:
questi dopo convenevole intervallo levò il capo per iscoprire marina,
ma la donna teneva sempre gli occhi chiusi, e la faccia bassa su le
mani giunte; dopo lui, e scorso altro spazio di tempo, si provò di
specolare Altobello; non ci era apparenza di prossima fine; tossirono,
starnutarono: peggio! Ci volle pazienza, chè la Francesca Domenica
quinci non si rimosse se prima non ebbe votato e scosso il sacco;
per ultimo fattasi il segno della redenzione, con un bellissimo
inchino si licenziò dalla Immacolata. Allora passarono nel celliere, a
giudicarne dai vasi vinarii di ogni maniera sparsi qua e là: donde per
via di scala di legno, che metteva capo ad un'apertura nel pavimento,
riuscirono al piano superiore. — Occorse agli occhi del Boswell una
sala vastissima cui faceva soffitto la travatura del tetto con un
camino proporzionato alla grandezza del luogo nella parte meridionale;
il camino, come ogni altro antico di Corsica, pareva dilettarsi a
distribuire imparzialmente il fumo fuori e dentro casa, imperciocchè
i travi, le muraglie e tutto in cotesta sala apparisse ingrommato di
vernice nera: mobili unici una tavola in mezzo, parecchi seggioloni a
braccioli con la spalliera diritta, e la predella ignuda da cuscino;
su la parete a tramontana, un quadretto, che forse conteneva una
immagine, ma stante la piccolezza sua e la distanza non era dato
distinguere. Tutto questo com'è da credersi, fu presto veduto; però
senza quasi fermarsi passarono in certa cameretta quadra, di forse
sette passi, a otto non ci arrivava, per lato, e qui videro una
cassa, una scrivania, una seggiola, uno inginocchiatoio; nella parete
sopra lo inginocchiatoio coi bullettoni inchiodate due stampe, una
rappresentante la inevitabile Immacolata, l'altra il ritratto di
Sampiero D'Ornano: in fondo della stanza un arco, non però in mezzo
della muraglia, bensì tutto su un lato, per la quale cosa mentre a
sinistra del riguardante posava sopra un pilastro fuori di tutte le
regole largo, a destra finiva ad angolo acuto sopra la stessa parete;
la tenda di bordato larga quanto l'aria dell'arco, impedendo la vista,
il maggiordomo di casa fu sollecito di tirarla, ed espose per questo
modo un lettuccio, una scranna, e un lavamano. Il signor Boswell con
qualche leggera impazienza disse: — Non importa che mi mostriate di
questa casa più oltre; menatemi addirittura al quartiere del signor
generale[20].

— Gli è bello e finito; nelle altre camere abita la famiglia, cioè i
cani e i servitori.

Il signor Giacomo trasecolava, anzi considerando più minutamente vide
che le finestre non andavano munite di cristalli, e di vetri, bensì da
impannate, onde non potè trattenersi dallo esclamare:

— Senza vetri! Senza cristalli! Qui siamo ai tempi di Adamo; per lo
meno a quelli di Noè.

— Veramente prima che il signor generale venisse da Napoli, io ce li
feci mettere, ma egli entrato in casa, tostochè li vide, li ruppe col
bastone che teneva in mano, dicendo: impannate ci lasciai ed impannate
io ci vo' trovare: anche traverso il cristallo il lusso entra nelle
case, e allora addio parsimonia, senza la quale la repubblica è vergone
da civettare beccafichi.

Il Boswell taceva, solo non rifiniva di cacciarsi su nel naso tabacco
sopra tabacco. Rientrato in sala il maggiordomo convitò gli ospiti a
mensa, che parve al nostro Inglese più che patriarcale davvero: sopra
rozza tovaglia avevano posto un catino di zuppa di magro, copiosa di
legumi e di erbe; accanto al catino due zucche, una piena di acqua,
l'altra di vino, dove ogni commensale poteva dissetarsi a suo talento:
assettatisi a tavola misero davanti al Boswell una scodella di zuppa,
e gli dettero forchetta e cucchiaio di bossolo: non sentendosi troppo
allettato da cotesta vivanda, egli si pose a considerare la posata
fatta con bellissimo garbo, ma, per molto uso, pingue di grasso. Il
manente notò l'attenzione dell'ospite, e non gli sfuggì nè anche un suo
gesto di disgusto, ch'egli non valse a reprimere; per la qualcosa credè
molto a proposito dirgli:

— Vedete, signore, anche il generale da principio non ci si sapeva
adattare, e ne scrisse a suo padre signor Giacinto buona anima perchè
da Napoli gliene provvedesse di argento; il signor Giacinto ecco cosa
gli rispose: — qui si levò da tavola, e salito su di una seggiola
staccò dalle pareti il quadrettino, il quale appunto conservava sotto
il cristallo la lettera del vecchio Paoli al suo figliuolo; lo porse al
Boswell, che lesse:

«Signor figlio.

Mi congratulo con la patria e con voi per la espugnazione della torre
di San Pellegrino; però sarebbe stato meglio, che più in tempo aveste
avvertito come senza artiglierie non si potesse pigliare: adagio col
sangue altrui; del vostro siete padrone. Quanto alle posate di argento
che mi chiedete, innanzi di mandarvele mi occorre sapere da voi se
sia morto costà Solimano, che le faceva di legno, ecc. — Giacinto
Paoli[21].»

L'Inglese rimase sbalordito; incominciava quasi a temere di trovarsi al
cospetto del Paoli: di vero leggendo Plutarco, nell'udire i magnanimi
gesti, e i detti non meno mirabili degli uomini sommi, tu ricorri
sovente a contemplarne le immagini, ma se fissandoci troppo la mente
ti avvenga di credere, che gli occhi o le labbra loro si movano, ti
si mette addosso la paura di trovarti così piccolo, così gramo, così
imbelle, così insensato a tu per tu con un Temistocle, un Camillo ed
anco con un Mario. Non ci ha prosunzione moderna la quale, urtando
taluno di cotesti grandi, non caschi giù come vescica sgonfiata. —
Molte cose ricercò del Paoli, e molte ne seppe che lo confermarono
nell'alto concetto che aveva di lui: egli è da credersi che la notte
lo avrebbe colto in cotesta casa, se Francesca Domenica non avesse
sollecitata la partenza, essendo ormai l'ora tarda.

Comecchè il sole fosse da parecchio tempo tramontato dai poggi, pure
il cielo conservava tanto di luce, che i nostri viaggiatori usciti
allo aperto potessero vedere, addossati ai monti dirimpetto, Omessa,
Sueria, Castirla ed altri non pochi paesi. Francesca Domenica, a mano
a mano che si accostava a casa, cresceva d'irrequietezza: parendole
fastidioso il moto del mulo, scese e percorse spedita per quei colli al
pari di un mufflo: ora cantarellava qualche frammento di vocero, ed ora
(incredibile a dirsi!) anche qualche canzone di amore: allo improvviso
stette, e:

— Signore Inglese, incominciò, vedete cotesto paese là di faccia a noi?
Lo vedete? Colà abita una santa donna mia cugina in _terza_, e ciò che
importa se non di più, certo del pari, una donna che si farebbe mettere
in pezzi per la Patria.

— Bene; lo credo senz'altro, ed ha nome?

— Eufrosina Cervoni; se il general Paoli viveva, debitore della sua
vita prima a Dio, poi a lei.

— E come andò, signora? Sto su la brace per saperlo.

— Eh! ve lo direi se non temessi destare il cane che dorme: ad ogni
modo quello che ho sul cuore, ho sulla lingua. La famiglia di mio
marito parteggiò sempre pei Matra, massime per Mario; io non credei mai
questo sciagurato venduto nè traditore, bensì ossesso di ambizione e
di superbia: posposto al Paoli nel generalato lo avversò con le frodi
e con le armi; riuscitegli vane ambedue, si gettò per disperato in
braccio ai genovesi, i quali armatolo da capo lo vomitarono nell'isola
a rinfocolare la guerra civile. Mentre il generale improvvido scorreva
la provincia di Aleria, ecco il Matra cascargli addosso con ottocento
uomini tra Zuani e Pietraserena, ond'egli ebbe di grazia scampare
fuggendo; seguitato da quaranta uomini si chiuse nel convento di Bosio;
sopraggiungono i Matristi, e chiusolo d'intorno, lo assediano; io non
vi racconterò le vicende dello assedio, bastivi che non essendo stati
soccorsi quei di dentro dopo due giorni di battaglia erano ridotti
agli estremi; e ormai le porte incendiate cascando a pezzi aprivano
la strada agli scellerati che urlavano: ammazza! ammazza! Per salvare
il nostro eroe ci voleva un miracolo: e il miracolo fu operato per
la virtù di mia cugina Eufrosina. Sentendo ella il pericolo del Paoli
scese dalla camera soprana in traccia del figliuolo Tommaso, il quale
stava seduto intorno al fuoco, gli porse lo schioppo e gli disse:
— Tomè, che fate voi qui? Non sapete che il nostro generale corre
pericolo? Pigliate lo schioppo e andate co' nostri a liberarlo, o a
farvi ammazzare. — Tommaso non si movendo punto rispose che col Paoli
aveva ruggine vecchia e non parergli vero che altri facesse la sua
vendetta. — La vendetta non è da cristiani, nè da cittadini, se prima
che io abbia recitato un Paternostro non siete in via, vi prometto
abbandonare la casa vostra, lasciandovi invece la maledizione di una
madre. — Tomè non se lo lasciò dire due volte, e messasi la via tra
le gambe arrivò a tempo per salvare il generale. Dicono che di colta
ferisse Mario in un ginocchio: o egli o altri, fatto sta che ferito
rimase e poco stante morto di molte ferite; dicono ancora che il
generale nel vederlo cadavere piangesse; e su ciò la verità al suo
luogo, perchè quello che ci fosse da piangere, io non ci so vedere; ciò
che non si potrebbe negare si è che egli gli fece fare onesti funerali;
nè di più deve attendersi da cui teneste nemico.

— Lo zio, riprese Altobello, che si trovò in cotesto tafferuglio,
mi assicura che il Cervoni con Giovannifelice Valentini molto
contribuirono ad accertare la vittoria del Paoli, ma quelli i quali
veramente lo salvarono, furono due popolani Pierinotto da Fornoli
e frate Ambrogio; questi sul campanile senza far conto delle palle,
non altrimenti che fossero castagne, picchiava la campana a martello,
l'altro accorrendo con poca gente sonò il _colombo_[22] per le macchie
vicine con tanto furore, che i Matristi paurosi, di essere sorpresi
cessarono l'assalto per andare alla scoperta dei sopraggiunti; lo zio
mi disse ancora, la moschettata che colpì il signor Mario nel ginocchio
essersi partita dagli uomini di Pierinotto, non già da quelli del
Cervoni.

— Sia come si vuole rimarrà sempre degno di memoria l'atto magnanimo di
Eufrosina, — osservò Francesca Domenica, cui rispondendo il figliuolo
disse: senza dubbio, senza dubbio.

Intanto le ombre della notte si erano sparse sopra la terra, e
Altobello, tenendo per la cavezza il mulo dove stava seduta la madre,
lo mise dentro un calle angusto in mezzo di foltissima macchia,
il quale faceva capo alla casa paterna per la via più diritta,
imperciocchè Corte non fosse città murata, e la più parte delle case
stessero a que' tempi sparse per la campagna come giovenchi alla
pastura: essendosi per questo modo Altobello scostato alquanto dal
signor Boswell e dagli altri compagni di viaggio, con bassi accenti si
fece ad interrogare la madre.

— Ma com'è che siete venuta, mamma, a incontrarmi fino al Macinaggio?
Chi vi ha avvisato del mio arrivo?

— Il generale.

— Possibile! Egli non poteva saperne niente.

— Eppure lo sapeva. Domenica scorsa mentre usciva da messa lo trovai
sul prato davanti la chiesa; tostochè mi vede egli mi si fa dappresso,
e mi dice: Buon dì e buon anno; come va la salute, cugina? — Eh!
piaccia a Dio quando va male la vada sempre così. — Che nuove abbiamo
dei parenti? — Di quali parenti? — Di quelli di Venezia. — Ne vivo in
pensiero, perchè come saremo a Santa Giulia, correranno due mesi che
non ricevo lettera di loro. — Non vi confondete, cugina, accertatevi,
che stanno per arrivare. — Santa Vergine, che cosa mi dite! e verranno
tutti e due, cognato e figliuolo? — Se tutti e due, non saprei, ma
uno di certo e sarà Altobello. — Generale, non mi tacete nulla, ve ne
supplico; capite... io sono madre. — Capisco tutto, epperò vi paleso
che tra pochi giorni il vostro figliuolo arriverà al Macinaggio su la
mezza galera del capitano Franceschi, almeno così spero: ma subito dopo
ripigliandosi ha soggiunto: — No, ne son sicuro. — L'ho ringraziato, e
tornando a casa pareva una rondine: credo avere cantato per via, sicchè
se la gente non mi ha creduta matta sarà stato un miracolo; spazzai la
camera, mutai le lenziola di sul letto, misi in sesto ogni cosa, e poi
badandomi bene d'intorno, affinchè nessuno mi frastornasse, sono venuta
ad incontrarti.

Altobello la prese per mano, e glie la baciò due volte, — e quindi a
breve soggiunse: — Però cotesto annunzio del generale mi riesce strano.

— Non fartene meraviglia, figliuolo, perchè il generale fu beneficato
da Dio col dono della profezia, e te ne accorgerai.

Il ragionamento tra la madre e figliuolo venne interrotto da uno
scoppio di archibugio, anzi Altobello sentì persino quel sibilo che
manifesta il passaggio della palla: subito dopo in lontananza urli e
pianti disperati.

— Ho paura sia successo qualche disgrazia, osservò Altobello alla
madre. — Ne dubito anch'io, questa rispose, e proseguì in silenzio.
Non erano andati guari, che fu udito per la macchia uno stormire come
di cignale che rompendo le roste si faccia via traverso alla foresta:
soprastettero sospettosi, intanto lo strepito più e più sempre si
appressava; ad un tratto proruppe fuori della macchia un uomo di cui i
gesti, per quanto lasciassero vedere le ombre della sera, palesavano
il terrore; con le mani faceva l'atto di aprirsi le frasche davanti
al passo, e il capo teneva volto sulla spalla manca, qual è colui
che tema di vedersi inseguito. Nè badando, e nè credendo d'incontrare
molestia per cotesta via, venne ad urtare con violenza nel petto di
Altobello che allargate le braccia lo recinse a mezza vita prima che
costui se ne accorgesse. L'effetto, che prima percosse il fuggitivo,
fu la paura, a giudicarne dallo strido straziante che cacciò fuori;
ma subito dopo prevalse l'amore della salvezza, dacchè incominciò a
dare crolli da schiantare un pino. Altobello, quanto egli si sforzava
svincolarsi, tanto intendeva con supremi conati a tenerlo stretto.
Il signor Giacomo, studioso della libertà del cittadino, pensava se
fosse lecito per mera suspizione privare, come Altobello aveva fatto,
un uomo dell'esercizio delle sue facoltà; e intanto che discuteva la
cosa stavasene a cavallo al mulo e non lo sovveniva. Dopo parecchie
scosse riuscì allo sconosciuto sprigionare il braccio destro, che in un
attimo cacciò nella tasca delle brache, e lo ritrasse armato di stile:
già lo teneva levato per conficcarlo nelle spalle ad Altobello, quando
Francesca Domenica, che alta era e gagliarda, con ambedue le mani gli
attenagliò il polso, e costringendolo a piegare, tale vi impresse un
morso, che lo sciagurato, sentendosi a lacerare carne e muscoli, con
doloroso guaito lasciò cadere lo stiletto. Non per questo meno egli
tentava scappare con ogni modo, e Altobello affannoso gridava: — Una
fune, una fune! levate la cavezza ad un mulo.

Il signor Giacomo appena ebbe ombra, che lo sconosciuto avesse cavato
lo stile, non istette più a tentennare; ma anche egli si precipitava
alla riscossa, se nonchè si trovò prevenuto dalla madre; e nondimeno
il suo intervento fu utilissimo perchè appena sentì chiedere la fune,
frugatosi in tasca fra un arsenale di arnesi rinvenne una matassa di
cordicella; con essa adoperandovisi egli medesimo, legarono l'uomo,
che grugniva maledizioni e bestemmie. Mentre lo legavano, Altobello non
senza un po' di stizza, disse al Boswell: — Veramente potevate venire
prima a darmi una mano.

— Bene, rispose l'inglese, ma io stava perplesso a considerare se non
essendo magistrato, e per semplice sospetto, poteva io privare della
libertà un cittadino.

— E come va, che adesso lo legate con tanto garbo, che salvo vostro
onore parrebbe non vi giungesse nuovo il mestiere?

— Oh! tra un cittadino che va per fatti suoi, ed uno che ha tentato
ammazzare il suo prossimo, corre divario; e questo senza scrupolo lego.
Circa agli elogi di vostra signoria circa il mio modo di legare, io
opino che quando l'uomo si mette a fare qualche cosa deve studiarsi di
farla meglio che può.

Così proseguirono fin presso la casa paterna di Altobello allorchè
questi sentì all'improvviso scivolarsi su la mano qualche cosa di
liscio e viscoso, ond'è, che trasalendo esclamò: — Che diavolo mi
capita di nuovo adesso? — Allora si fece sentire un brontolìo, il
quale quantunque in favella dalla nostra diversa, pure assai chiaro
esprimeva: smemorato! tu mi avevi già messo in dimenticanza, ed io anco
al buio ti ho riconosciuto.

— O Leone, rispose Altobello, e tese le braccia al cane e il cane le
zampe a lui, sicchè si abbracciarono nelle regole, e si baciarono come
vecchi amici.

Intanto erano giunti a piè della porta, e Francesca Domenica a tastoni
trovò la chiave depositata dentro una fessura del muro; l'aperse, e a
tastoni mise la mano su l'acciarino e l'esca, che innanzi di partire
insieme alla lanterna lasciava in luogo destro. Appena acceso il
lume gli occhi di tutti si appuntarono nella faccia del prigioniero;
sinistra ella doveva essere sempre, ora poi tutta impiastricciata di
catrame metteva spavento. Altobello non seppe ravvisarlo, e la madre
sua, per molto studio ci mettesse, nè meno: interrogato chi fosse,
torse gli occhi in atto di rabbia e di minaccia, mandò un grugnito.
Il signor Giacomo, intanto che dava una mano a levare le valigie dalle
groppe ai muli, proponeva:

— Io direi, salvo la vostra approvazione, di mettere questo sciagurato
in luogo sicuro — intendo nelle mani del magistrato.

— Potrebbe per ora non essere il luogo più sicuro, rispose Altobello.

— Bene; allora in altro modo; e mentre la signora vostra madre e
quest'altra gente danno sesto alle robe, noi andarcene un po' a
scoprire marina; e poi sentite.... fattosegli accosto gli bisbigliò
dentro gli orecchi — importa che nessuno esca di casa prima del nostro
ritorno.

Altobello spinse il prigioniero dentro il celliere, di cui chiuse
diligentemente le imposte, rallentò un poco la legatura delle mani di
lui; chiuse del pari la porta della stanza per di fuori; raccomandò
sottovoce alla madre non lasciasse uscire le donne nè il ragazzo; per
ultimo prese il braccio del Boswell in atto di condurlo fuori.

— Adagio, questi disse, e voltosi a Francesca Domenica, dopo avere
frugato nel consueto arsenale delle sue tasche, continuò: signora
mia, non ci ha persona al mondo, almeno spero, sempre però salvo
vostro onore, e quello del vostro signor figlio, che mi superi nella
osservanza nel quinto precetto del Decalogo; ma si danno casi nei quali
senza peccato possiamo tenergli per non iscritti; quali essi possano
essere a me non importa chiarire adesso; però mi pare bene lasciarvi
qui un arnese che possa farvi approfittare della eccezione — e trasse
fuori una pistola — la sorella tengo per me.

— Non ve ne private: ho il fatto mio; e la donna andò nella sua camera
tornando subito dopo con lo schioppo, la _carchera_ e il pugnale, che
col rosario facevano a cotesti tempi compagnia ad ogni Côrso, e sovente
alle donne loro fuori di casa; sempre ai Cristi côrsi in casa.

— Bene; scusate, e si avviò dietro ad Altobello.

Nel passare davanti la finestra del celliere questi favellò
piacevolmente al signor Giacomo: — Voi avevate avvertito alle difese
interne, a me spetta provvedere all'esterne. Leone, qui — il cane gli
era dietro ai calcagni — Leone, cùcciati qua; prima del mio ritorno non
ti movere.

Il cane come gli fu comandato fece.

Forse di dieci minuti potevano essere partiti, e Francesca Domenica
si stillava il cervello ad apparecchiare cena senza avere bisogno di
mandare persona fuori di casa, e con le donne e il ragazzo faceva un
gran tramestare di su e di giù, quando dal celliere uscì una voce che
chiamava:

— Francedomè! Francedomè!

— Che vuoi?

— Ohimè! mi sento trangusciato. Portatemi da bere.

Stette la donna alquanto sospesa; il cuore le si rimescolò perchè le
parve riconoscere codesta voce pure, animosa com'era, aperse la porta,
e col lume in una mano e una ciotola d'acqua nell'altra entrando disse:

— Te', bevi.

— Francedomè, dopo bevuto riprese il prigioniero, la corda mi sega i
polsi: allentatemela tanto che non mi faccia soffrire.

— Offrilo al Signore in isconto dei tuoi peccati.

— Sono innocente come Cristo.

— Meglio per te; ha patito tanto egli, puoi patire un tantino anche
tu...

— Ma voi, Francedomè, volete mandarmi alla morte...

— Perchè? Oh! non siete innocente?

— Cugina! non mi riconoscete?

— Zitto là; non riconosco nessuno.

— Sono Giovà Brando figliuolo della cugina carnale del fratello di
vostro cognato; capite, carne vostra; cugino vero in terza, all'usanza;
vi basterà il cuore di mettermi in mano al boia, ne'? e la vergogna del
parentado?...

— Zitto là, ti dico.

— E i rimproveri del cognato e dei cugini? — e la vendetta?... sì, per
Dio, la vendetta... di casa Alando non rimarrà pietra sopra pietra;
arsi gli uliveti, ammazzate le bestie...

— Che chiasso è questo in casa mia?...

   [Illustrazione: ... Francesca Domenica, con ambedue le mani
   gli attanagliò il polso, e tale v'impresse un morso, che lo
   sciagurato lasciò cadere lo stiletto. (_pag. 173_)]

Questa voce singolarissima, come quella che avendo incominciato
in tuono basso terminava in falsetto, mosse da un personaggio
soppraggiunto, di cui vale il pregio disegnare la figura; grasso il
viso ma frollo, del colore del lardo invietito, la barba come cavolo,
verde; capelli e peli spelazzati, rari e quasi venuti a lite fra loro;
gli occhi tondi in fuori e nelle pupille nerissimi, se non che stando
immobili gli partecipavano l'aria stupida dei tacchini; in capo portava
una berretta di cuoio logora e bisunta; piuttosto che vestito pareva
imballato a forza dentro un farsetto di ciambellotto di un certo colore
che non si poteva affermare in buona coscienza colore; forse fu giallo
in origine ritinto in verde, ma qua il sole lo aveva sbiadito, là
qualche acido alterato, in altra parte qualche grasso unto; insomma
era un problema tintorio; gli occhielli stavano lì lì per iscoppiare,
intanto che le flosce membra a festoni gli scappavano di sotto e di
sopra l'abbottonatura; dalle maniche corte uscivano certe manacce,
fatte ad uso di mestole da bucatai; la pancia in isconcia guisa
appuntata, le calze giù bracaloni, e i piedi immani resi più turpi
da ciabattaccie lacere donde sbucavano più che mezzi fuori. Costui a
prima giunta moveva a risa, perchè su cotesta faccia primeggiavano i
segni della melensaggine, ma subito dopo ti rabbrividivano gli altri
della frode, della viltà e della ferocia senza compassione. Questi era
Mariano fratello dello avvenente Altobello, nè la santa castità della
madre apriva adito al sospetto che fosse illegittimo: ghiribizzi della
natura!

— Cugino Mariano, Dio vi manda per riparare qualche casaccio; voi
vedete come mi hanno concio vostro fratello, e un cane di forestiere,
che egli ha menato quaggiù.

— Mio fratello! da quando è arrivato? Faceva meglio a stare a Venezia.
Che cosa è venuto a fare? Mamma! ve lo ha detto che sia venuto a fare?

— È venuto a fare quello che non puoi, nè vuoi far tu, a travagliarsi
in pro' della patria.

— Misericordia! quanti bauli! E come pesi! sarebbe diventato ricco?

— Di suo non ce n'è che uno! gli altri appartengono all'ospite.

— Cugino Mario, per Dio santo, mi volete slegare ne'? Innocente come
Cristo?

— Chetatevi là; mi gira altro pel capo adesso: ed ove albergherà
l'ospite?

— Dove l'albergherebbe Altobello se non in casa sua?

— Casa sua? Dove ha casa Altobello?

— Oh! questa non è sua?

— È mia! È mia! Tutta mia. La sua parte se l'è mangiata.

— Davvero? Da quando in qua!

— Eh! faranno cinque anni come arriveremo a San Martino.

— Mi giunge nuova; io non ne aveva saputo nulla prima di adesso.

— E da quando in qua importa che le donne sappiano tutte le faccende di
casa? Voi altre siete adattate a conservare i segreti come i panieri il
vino.

— Non monta, l'ospiterai tu; sosterrai tu l'onore di casa.

— Io? Che razza di onore gli è questo farsi mangiare il suo da gente
che non si conosce?

— Sta quieto: farò io la spesa.

— Voi? per la Immacolata! Ne avete dunque moneta? Lo aveva sempre
sospettato io; già le buone massaie governando la casa trovano sempre
la maniera di mettere qualche cosa da parte: sentite una cosa, mamma,
voi fareste carità fiorita a darli a me quei vostri quattrini.... già
infine di conto sono miei perchè gli avete guadagnati col marito.

— Perchè non dici dirittura rubati?

— Dio mi liberi; via dateli a me; voi che state su la fossa potete
piangere il morto; considerate le spese quotidiane, i raccolti scarsi,
gli aggravi per questa maledettissima guerra.

Francesca Domenica, femmina avvistata molto, al primo comparire del
figliuolo presagì che non l'avrebbe cavata netta; però, ingegnandosi
di allungare il colloquio finchè tornasse Altobello, toccò questo altro
tasto.

— La libertà, come preziosissima, se costa cara non ha da dolere.

— La libertà? che importa a me questa libertà? Mi pota gli olivi?
Raccatta ella le mie castagne? La libertà se non consiste nel fare
quanto ci piace, massime non pagare nulla, per me non so capire
che sia. Dicono che i Francesi abbiano bandito di farci franchi da
qualunque gravezza se ci sottomettiamo a loro; dove volete trovare
libertà migliore di questa?

— Mariano, non mi volete dar retta, per Dio santo? Anche voi vi
accordate a tradire il vostro cugino Giovà Brando? Bada che i Brando si
rassomigliano al carbone, tingono e scottano.

— _Guelfo non son, nè Ghibellin mi appello; Chi mi dà da mangiar, tengo
da quello:_ questo si chiama ragionare.

— O che ci guadagnate a farmi impiccare come un cane? Nulla; anzi
correte rischio di ritrovarvi anche voi compreso nella vendetta, che di
traverso va fino al terzo grado... e voi sarete nel primo.

— Per me questi Paoli mi paiono una manica di avari che vogliono
campare alle spalle degli altri, e mettere in serbo le entrate....

— Mentre se mi mandate libero, il _chioso_ della Padulella, che fa
corpo col vostro _procoio_, delle Lungagnole....

— Oè! scusate, Giovà, se non vi ho atteso.... la Padulella dunque.

— Che fa corpo al vostro _procoio_ io ve la regalo; voglio dire:
prometto vendervela al prezzo che mi avete offerto, e, capite bene?
torna lo stesso, che donarvela.

— Passata la festa si leva l'alloro: chi mi assicura che manterrete
sciolto la promessa fatta mentre eravate legato?

— Voi mi potrete sempre accusare di avere _tombato_.... non è così....
di avermi preso con le armi alla mano la notte, che ammazzarono il
colonnello Albertini....

— O povero colonnello! che ti aveva fatto quel degno galantuomo,
scellerato?

— Francesca Domenica, io sono innocente come Cristo.

— Sentite, Giovà, se volete che vi sciolga, bisogna che mi confessiate
alla libera di avere ammazzato il colonnello Albertini; allora sì che
mi mettete la caparra in mano, e di voi io mi potrò fidare.

— Be'; tagliate le corde.

— Lo avete tombato o non lo avete tombato?

— Io l'ho tombato, e non l'ho tombato: tagliate le corde.

— Niente. Sì o no? Su bello e tondo....

— Sì l'ho tombato, taglia.

— Sia ringraziato Dio! esclamò Mariano.

— Madonna della Vasina benedetta! che bestemmi, figliuolo.

— Eh! voi vedete la cosa dalla parte del morto, e vi pare bestemmia;
io, che la miro di qua dalla parte della Padulella mi sembra
un'_alleluja_.

Mariano preso un coltello si avvia a liberare Giovanni Brando, se non
che gli si oppose risoluta la madre ordinandogli di non muovere passo:
egli procurando tirarla in disparte strilla con la sua voce agrodolce:

— In casa mia son padrone io, e non ci voglio brighe.

— Aspetta tanto che torni Altobello e vi consiglierete.

— Mi trovo forse ancora nei pupilli io? È mio tutore Altobello? Largo,
mamma, largo.

— Non ti muovere per quanto hai cara la grazia mia. Altobello me l'ha
consegnato, e a lui mi tocca renderlo.

— Orsù, dacchè non fanno frutto le buone....

— Le cattive non gioveranno, gridò con voce spaventevole Francesca
Domenica, e dato di piglio al moschetto lo spianò contro Mariano
aggiungendo: — chi ti ha fatto ti può disfare.

Mariano stralunato per la paura, con le braccia levate correva via
tutto di un pezzo come se nelle gambe non avesse giunture intantochè
un po' in basso, un po' in falsetto, strillava: — lo schioppo.... lo
schioppo alla vita del figliuolo.

— Ipocrita! e tu perchè hai messo la madre a repentaglio di farsi
rispettare con le armi alla mano?

                   *       *       *       *       *

Altobello e Boswell, tenendo dietro alla gente che traeva concitata
verso un medesimo luogo, arrivarono alla montata del castello dove
si parò innanzi a loro un molto fiero spettacolo. Gli accorsi e gli
accorrenti giunti a pena smettevano ogni clamore facendo più spesso
il cerchio che circondava un uomo morto. Qualcheduno reggeva torcie
di resina, la più parte schiappe di pino, onde gli oggetti e gli
uomini apparivano rischiarati da luce, che potremmo dire sanguigna;
ancora, se ne eccettui alcuni, come taciturni, così restavano immobili;
adoperandoci forza di spalla e di gomiti il Boswell e Altobello
riuscirono a mettersi nelle prime file, e videro una fanciulla
meravigliosamente bella, alta di persona, co' capelli neri giù per le
spalle, pallida come se di marmo, gli occhi un po' sbalestrati; sovente
le palpebre le si chiudevano e le si aprivano per tremito convulso,
sicchè pareva mandassero faville come spade incioccate fra loro; anco
le labbra ad ora ad ora le sussultavano: si conosceva espresso che un
uragano di passioni molinava in codesta povera anima; e nondimanco il
supremo sforzo della volontà impediva loro prorompere. Ella era intenta
a prestare gli ultimi uffici al morto; alcune donne ministrandole con
acqua tepida e vino ella li lavò la faccia sordidata nella caduta;
gli occhi li chiuse e la bocca; tolta via ogni traccia di sangue dalla
persona gli fasciò la ferita, immane ferita che nel petto gli fracassò
alcune costole, e riuscendo dietro le spalle in mezzo le scapole gli
aveva sbrizzato le vertebre della spina; all'ultimo gli pose fra le
mani un crocifisso, un guanciale ripieno di paglia sotto il capo, in
capo il suo cappello gallonato: non vincibile miscuglio nella natura
côrsa di religione e di vanità. Ciò fatto si lasciò andare prostesa
sopra la faccia del morto e parve piangesse, ma non si sarebbe potuto
affermare, imperciocchè di tratto in tratto lei dimostravano viva
soltanto i brividi della persona; pure di repente assorse più feroce
che mai.

— Ora vendetta, ella urlò; voi altri miei parenti più prossimi mettete
mio padre su cotesta barella; recatevela sopra le spalle e seguitemi:
voi altri amici con le torce accompagnateci.

E corse via; tutti gli altri dietro; eccetto lo strepito dei passi
accelerati non si udiva altro rumore, ma la fanciulla fermatasi ad ogni
capo di strada ripeteva il grido: — vendetta! vendetta! — La gente
traeva ai balconi, e vedendo quel cadavere portato a furia, la corsa
turbinosa di coloro che recavano le torcie, e la donna di cui i capelli
ventilati le fischiavano di dietro le spalle come serpenti, gemevano
— Ohimè! qualche flagello ci è sopra. — Gli uomini volevano uscire,
e le donne, madri o mogli, si provavano a trattenerli; ma era niente;
che essi con modi più o meno acerbi si sbarazzavano da loro, ed alla
sinistra associazione si aggiungevano.

La fanciulla, ch'era figliuola all'ammazzato e si chiamava Serena,
mentre andava sì che pareva che volasse, sentì con maraviglia grande
tanto rasente a lei lo strepito di altre pedate, che giudicò lo
inseguente dovesse porre il piede giusto nell'ombra dond'ella lo
cavava; si volse senza intermettere la corsa, e si riconobbe a lato
Orso Campana, nemico mortale del padre suo; si fermò, lo ghermì per il
collo e gli disse:

— Sei venuto a pascere gli occhi nella morte di mio padre? Tu morrai.

— Serena figliuola mia, lasciatemi; io fui emulo di vostro padre;
egli contro me si adoperò duramente, io contra lui; ma la sua morte
fu angoscia, e, comechè per causa diversa dalla vostra, pure mi preme
quanto a voi, ch'ei sia vendicato.

— Prega il tuo Dio di non mentire, rispose Serena; e gli levò le mani
dal collo.

— La emulazione è necessaria nelle repubbliche, e diversifica
dall'odio. Non pianse Cesare quando gli mostrarono il capo di Pompeo?

— Forse pianse di piacere. Sii sincero; veramente.... veramente non è
adattato il luogo, pure anche la bara del padre ammazzato può offrire
l'altare dove si giurino fede due anime riconciliate davvero.

— Lo vedrai.

La consulta del 1762 aveva conferito facoltà di far sangue ad una
giunta di dieci uomini presieduta dal generale, e poichè stanziavano
in Corte, ed erano noti a tutti, riuscì facile a Serena condurre la
processione alle case loro: colà bussando in modo da far sentire i
morti, con immensi urli gridavano: — fuori, signori dieci! fuori!
venite a far vendetta. — I decemviri, i quali per essere l'ora anco
presta si trovavano levati, scesero in fretta sulla strada presagendo
guai; e solleciti per quanto stava in loro di prevenirli. Venuti in
mezzo alla moltitudine rimasero travolti come dalla piena del fiume,
che gli menò davanti la casa Albertini, dove allestiti, in meno che
non si dice, tavola, lumi, e scanni, crocifisso pei giuramenti, e
arnesi a scrivere necessari, fecero assettare i decemviri; la barella
col cadavere del colonnello deposero ai piedi della tavola, e poi con
un tal piglio, che in sembianza di prego era comando, gli assembrati
dissero: — sentenziate!

— Il presidente manca.

— Non importa: prima di dare la sentenza sarà tornato, battete il ferro
adesso ch'è caldo.

— Chi accusa?

— Io, risposero ad un punto Serena ed Orso Campana.

— Il delitto pur troppo è manifesto, ma chi il colpevole?

— Sentite, uomini prudenti, soggiunse Orso: io fui emulo antico di
questo valoroso soldato di cui vista davanti il cadavere; però dopo i
suoi congiunti, ai quali corre l'obbligo di procacciarne la vendetta,
importa a me, che si scopra il reo e si punisca a fine che il sospetto
maligno non si posi sopra di me. Ora pertanto ricercando sono venuto
in chiaro, che nella mattina d'ieri in quella d'ier l'altro, salvo,
il colonnello ebbe la malavventura di accapigliarsi con Grazio Romani,
giovine che ha le mani più pronte della lingua, quantunque anco questa
abbia prontissima; dicono che il colonnello alzata la mazza gliela
desse sul capo, e Grazio tratto il coltello giurasse ammazzarlo e lo
faceva se altri non lo avesse tenuto: però nello andarsene lo minacciò
che mettesse in sesto le faccende dell'anima perchè aveva la morte in
tasca; ed altre più fiere parole adoperò tutte rivelatrici l'animo
suo deliberato ad ammazzarlo: stamane per tempo fu visto uscire di
casa collo schioppo, nelle prime ore della sera aggirarsi intorno alla
casa dello infelice colonnello: tutti questi indizii a parere mio sono
sufficienti, non dico già a condannare Grazio Romani, Dio mi liberi,
ma almeno a ricercarlo sottilmente intorno all'atroce caso non ha guari
accaduto.

Le opinioni delle moltitudini, troppo più spesso che non si vorrebbe,
fanno come le acque alle quali per poco sgrondo si dia o per un po' di
canale loro si scavi, tu le vedi pigliare tutte quel verso, di fatti
intesi molti altri testimoni, che pure non avevano interesse nè voglia
di attestare il falso, sia che una frazioncella di vero sopprimessero,
o un frammento di meno vero sostituissero, qui un bricciolino
alterando, là il giudizio proprio offerendo come realtà, vennero a
generare nella mente dei giudici e degli astanti la persuasione della
colpa di Grazio! E tanta fu l'ira, che accese di subito quei petti, che
i decemviri avendo ordinato al capitano delle armi andasse per esso,
e senza indugio lo traesse davanti a loro, questi non potè impedire,
che una turba dei più clamorosi agitando schiappe accese di pino gli
si accompagnasse. Trovarono Grazio che dormiva, e a quello che pare
aveva legato l'asino a buona caviglia, imperciocchè non si accorse
di loro prima di avergli intorno al letto urlanti: — Svegliati, cane
rinnegato da Dio, dopo di averne sparso il sangue cristiano, oh! non
ha cuore questo furfante di dormire come un galantuomo? — Grazio,
desto di soprassalto, agguantò lo schioppo che aveva a capo del letto,
non sapendo quello che si facesse, e solo per istinto; cento mani gli
cascarono addosso su le braccia, sul petto, sulle gambe, sicchè non
gli riuscì dare più crollo, e lui invano gridante e scontorcendosi,
con gli occhi strabuzzati, e la bava alla bocca, vestito appena quanto
la decenza desidera, portarono di peso al cospetto dei decemviri. Si
può immaginare il rovescio d'ingiurie, che scoppiarono dalla bocca di
Grazio quando ebbe modo di parlare; ce ne fu per tutti: sacramentò come
un turco, urlò che gli slegassero le mani tanto che potesse agguantare
lo schioppo (il quale insieme con la sua _carchera_ vedeva depositata
sopra la tavola dei giudici), e metteva pegno di sbertirne una dozzina
in meno che si dice il _Credo_. Alle interrogazioni dei giudici se
egli avesse ucciso il colonnello rispondeva, ch'erano matti: ai gridi
del popolo, che lo chiamava assassino, opponeva più sgangherato il
grido: ch'erano tutti briachi. — Insomma e' nacque un garbuglio, una
confusione, un tramestìo da non potere descrivere.

All'improvviso un uomo fattosi largo a furia di spinte arriva affannoso
alla presenza dei giudici; egli era Orso Campana; che a strappi come
uomo cui o la troppa passione o la troppa fatica impedisca il dire,
favellò:

— Ecco, ecco la prova del costui delitto.... Assassino!.... dei meno
sfrontati di te se ne manda in galera.

E gettò sulla tavola una palla di piombo schiacciata insieme ad un
foglio di carta mezzo arso.

— Ch'è questo? dimandò il capo dei decemviri.

— Ch'è? È la palla che ha ammazzato il povero colonnello: l'abbiamo
rinvenuta a piè del muro dove egli rimase ucciso; e questo è lo
stoppaccio, che servì a caricare lo schioppo....

— Io non comprendo, che notizie aggiungano a quanto sappiamo.

— Leggete.... leggete la carta.

Il Decemviro spiegò la carta, e accostato un lume lesse ad alta voce:
— lib.... co.... Romani.... pino la.... a.... quei.... pan... nacci:
— qui il Decemviro interrompendosi interrogò da capo — e questo che
importa?

— È chiaro come il sole; costui ha caricato lo schioppo con la carta
stracciata dal libro di conti di casa sua; non ricordate voi che suo
padre vende legname? Il diavolo insegna a fare le pentole, ma non
insegna a fabbricare i testi.

— È vero, è vero, grida la moltitudine con crescente furore, la
provvidenza lo ha convinto; su via condannatelo; va impiccato subito,
e qui al cospetto del morto.

E come per incanto furono viste alzarsi da terra le forche, un paio
di scale, e intorno ad esse sbracciarsi gente ad ammanire la fune,
e insaponarla. Le quali provvidenze, a cui serbava la mente pacata
lasciavano sospettare che tutta quella faccenda fosse apparecchiata
di lunga mano, e qualcheduno facesse fuoco nell'orcio perchè l'indugio
non pigliasse vizio. Intanto Grazio aveva perso il lume degli occhi, e
diventato del tutto insano per rabbia, con le minaccie e i giuramenti
rendeva pessima la sua causa già cattiva. I giudici titubavano non mica
perchè le prove difettassero, che anzi credevano ce ne fosse d'avanzo,
ma perchè pareva loro cedere all'impeto popolare: l'unica cosa che
li tratteneva dal dare la sentenza era il timore che il generale
rinfacciasse loro averla conceduta allo schiamazzo popolare; però si
conosceva chiaro che avrebbero terminato col mandare su le forche il
Romani, sì perchè lo avevano preso in ira, ed anco perchè dubitavano
non lo impiccasse il popolo senz'altra forma di giudizio.

In questa suprema ansietà la moltitudine dopo le spalle dei Decemviri,
obbedendo ad impulso che veniva da lontano, incominciò a diradarsi
spartendosi a manca e a sinistra, nella guisa che le acque tagliate
fuggono gorgogliando lungo i fianchi del piroscafo che si avanza;
sempre e più sempre slargandosi, per ultimo lasciò il campo ad un nuovo
personaggio, il quale appena comparso venne salutato dal popolo con le
voci: — Viva il generale! viva il Paoli!

Il signor Giacomo tutt'occhi fissò l'uomo, e lo vide alto, complesso,
di faccia larga e accesa, senza pelo alcuno, di sopracciglia grosse e
aggrondate, lo sguardo feroce, portava un berettone nero fino sugli
occhi, e di sotto a quello scaturivano alcune ciocche di capelli di
color fulvo; il suo vestire era la gamarra di panno côrso cinta alla
vita con la _carchera_ donde pendevano sciabola, pistole e pugnale;
nelle mani stringeva il moschetto; notabili i calzari composti di
strisce di pelle di cignale concie con la polvere di mirto. Egli si
fece innanzi con passo sicuro, mentre un cane gigantesco gli teneva
il muso quasi appoggiato alle gambe; senza rispondere, senza salutare
si locò in mezzo ai Decemviri; le turbe sì clamorose poco anzi, adesso
tacevano, sicchè si udiva il fiotto della Restonica quantunque scarsa
di acque; egli con voce chiara parlò:

— Degni di libertà veramente voi? Meritevoli proprio del plauso della
Europa i Côrsi, che impongono le sentenze ai giudici come in Algeri le
bastonate agli schiavi?

Serena, che fino a quel punto non aveva trovato occasione di far
sentire la sua voce, si gittò in ginocchio a capo del cadavere di suo
padre, e con le braccia levate prese ad esclamare:

— Vendetta, signor generale! vendetta!

Il Paoli le vibrò un'occhiata terribile e rispose:

— Qui non siamo per fare la vendetta di un uomo, bensì la giustizia del
paese; rimovete di qua cotesto morto; potete deporlo nella cappella là
dirimpetto.

— Nessuno lo tocchi; nessuno; non deve starsi separato da me.

— E voi andate con esso, e pregate per l'anima sua; questo si addice
meglio a fanciulla e a figliuola: vostro padre adesso si raccomanda più
al perdono di Dio, che alla vendetta degli uomini.

Intanto quattro uomini presero la barella dove giaceva il cadavere
dell'Albertini, e Serena affisse gli occhi a terra forse nel concetto
del marinaio che getta le àncore, perchè la nave non venga strappata
dalla spiaggia da qualche raffica di vento: però non rimase a lungo
in cotesto proponimento, che a mano a mano si allontanava la bara
la faccia sua si sollevò, si piegò alla parte dond'essa scompariva,
e quando stette per passare la soglia della cappella, e uscirle
affatto dagli occhi, la pietà vinse l'odio nel cuore della mestissima
fanciulla, la quale con un sospiro quinci levossi, e si recò a tenere
compagnia al morto padre ed a pregare per lui. Allora in mezzo al
solenne silenzio che tuttavia durava, fu udita una voce che parve
straniera, la quale esclamò: — Bene, bene, benissimo; — e subito dopo
uno strepito di cosa percossa. Il signor Boswell non aveva potuto
frenarsi dal manifestare la propria approvazione con la solita formula
e col solito picchio sopra la scatola; nè ciò sfuggi al Paoli, che
sottilissimo indagatore era, e dardeggiò uno sguardo dalla parte donde
vennero il rumore e la voce, senonchè restando il signor Giacomo al
buio potè sottrarsi alla curiosità del generale. A quanto parve, il
Paoli aveva raccolto per via qualche notizia del caso, imperciocchè
volse addirittura queste parole a Grazio:

— Orsù, Grazio, confessa la verità,

— Anche voi?... rispose il giovane.

— Io possiedo argomenti terribili per cavare la verità di bocca
agli ostinati; potrei adoperare teco la tortura; non voglio, ti ho
conosciuto sempre manesco, è vero, pure schietto; confessa, dopo il
peccato, Dio ha fatto la penitenza per tornare in grazia sua.

Il giovane alle parole prime del Paoli si contorceva come se avesse il
diavolo in corpo; ci fu un momento, che sembrò non potersi più tenere
da tagliare le parole del generale: ma a grado a grado che questi
procedeva, rimase tocco dal tono di voce che di severa si fece blanda e
oratoria; onde il poveretto diede all'ultimo in uno scoppio di pianto.

— Anche voi mi condannate? e sì che una volta mi volevate bene: quando
vi accompagnai in Aiaccio co' miei compagni a suono di violini per
far vedere a Genova che soggezione ci pigliavamo de' suoi soldati,
mi picchiaste su la spalla, e mi diceste: Bravo Grazio — voleste che
bevessi un sorso di vino alla vostra zucca... e ora... anche voi date
addosso all'innocente...

— Dio lo volesse! E se sta come affermi, Grazio, ti supplico a porgermi
modo di chiarirti innocente; perchè, vedi, l'ufficio di giudice è
quello che mi pesa di più, la esperienza insegnando che l'assassino col
coltello mena strage di un uomo, ma il giudice con la legge ammazza la
umanità. Dà retta; avevi, o no, nimicizia col colonnello Albertini?
— No. — Ma non venisti ieri a contesa con lui? — No; egli fu che
venne a lite con me. — Ciò non rileva; e la cagione? — Avendo egli
restaurata la casa, noi gli fornimmo il legname, che ricevuto da lui
senza eccezione mise in opera; avendo bisogno del saldo dei conti pei
fatti nostri, ieri capitatomi davanti gli dissi: Signor colonnello,
a vostro comodo vi pregherei del resto del mio avere. Il colonnello
rispose: Prima di saldarlo bisogna aggiustarci, perchè non trovai tutto
il legname di qualità perfetta.

Allora saltai su, e senza barbazzale soggiunsi: Mi maraviglio di voi
che mettiate in campo questi amminicoli; il legno avete ricevuto e
adoperato senza richiamo, e furono nostri patti qualità andante e
non perfetta. Il colonnello si fece rosso come un gambero fritto e mi
buttò in faccia: Chetati, villano; io di rimando: Se io sia più o meno
villano di voi la faremo giudicare, ma che voi siate un prepotente la
è cosa sicura. Qui il colonnello levò la mazza gridando: t'insegnerò
io come in Austria si mettono i briganti pari tuoi a partito; ed io
cavato fuori il coltello urlai più di lui: Ed io vi ricorderò con qual
moneta in Corsica si barattino le bastonate. Il colonnello pare si
persuadesse che quanto aveva imparato al servizio dello imperatore non
era buon'aria insegnare quaggiù; egli abbassò il bastone, ed io riposi
il coltello in tasca; se altre parole ci corressero e quali, non so
dirvi, ma può darsi benissimo che ce ne siano state; tuttavolta non me
ne rammento, perchè dalla rapina in quel punto non vedeva lume. — E se
ti avesse percosso gliel'avresti tirata la coltellata? — Per Dio santo!
come bere un uovo. — Stamane sei uscito di casa con lo schioppo? — Già,
come gli altri giorni per andarmene al bosco a vigilare i lavoratori;
ma ecco lì lo schioppo, è sempre carico; anzi a capo di questa strada
avendo incontrato il povero colonnello, e non mi sentendo più stizza
in corpo, l'ho salutato; egli, un po' brusco per dire la verità, mi
ha risposto; Addio, Grazio. — Dove ti hanno preso? — A letto mentre
dormiva; da quando in qua, signor generale, i Côrsi si fanno pigliare
come una volpe malata dentro il covo? — Cotesto è il tuo schioppo? —
Sì. — Ne hai altri? — No. — Sai leggere? — E scrivere e procedere da
galantuomo quanto ogni altro Côrso, che ama la libertà. — Leggi questo
straccio di foglio e dimmi quello che te ne paia. — Dico che questo
carattere è mio, e il foglio fa parte del libro dei conti che tiene
nella camera da letto mio padre. — Gli è strano! mormorò il Paoli,
e si mise a sedere appoggiando il capo alla mano come per meditare:
allora comparve accanto al suo viso un muso enorme di cane, che volto
in su incominciò a guaire quasi volesse raccomandargli pietosamente
qualche sua istanza. Il popolo, visto il caso, ad una voce prese a
dire: — Ora sì che scopriremo l'assassino; Nasone ne ha bisbigliato
il nome nell'orecchio al Generale; Nasone sa tutto; se poi dalla parte
di Cristo o dalla parte del diavolo chiariremo più tardi. — Come dalla
parte del diavolo? rispose un altro; o non fu a frate Damiano, che per
ispirazione divina fu rilevata la scienza del cane Nasone? — E poi,
intervenne un terzo, il Generale avrebbe bisogno del cane Nasone per
indovinare le cose occulte? Il Signore non ha fatto anco lui degno di
un tanto dono? — Il signor Giacomo udendo siffatti discorsi tanto non
si potè tenere, che non domandasse al suo vicino: — Dunque voi reputate
il vostro Generale anche profeta? — E come! — E avete avuto molte prove
del suo profetare? — Tante, signore, ed il Côrso, a cui volgeva il
discorso, agguantò dei suoi folti capelli quanti gliene capivano nella
mano e mostratili al Boswell soggiunse: — Più che questi capelli non
sono, e poi state attento, e vi scaponirete.

Intanto il Paoli, poichè ebbe meditato un pezzo, si levò in piedi da
capo, e voltosi ad uno dei presenti gli disse:

— Santo, va a bottega, e portami le tue bilancie.

In questa un vocione aggiunse: — Santo, prima dimmi, dacchè nessun ci
sente, se le vanno giuste le tue bilancie.

— Minuto Grosso, se San Michele mi proponesse barattarle con le sue
senza giunta, non accetterei.

— Sarà, ma Dio mi guardi di essere pesato sopra di quelle nel giorno
del giudizio.

— Silenzio! interruppe il Paoli; Minuto Grosso, qui si tratta della
vita di un uomo, e non ci entrano arguzie: ma forse senza intenzione
hai dato nel segno; va da Gieppicone lo speziale e ordinagli da parte
mia, che venga qua anche lui con le sue bilancie.

Lo speziale arrivò al punto stesso del merciaiuolo, e depositarono
entrambi le loro bilancie sopra la tavola; il Paoli, per natura e per
necessità accostumato a notare ogni cosa quantunque piccola, osservò
nel merciaiuolo certa smorfia di malcontento, onde piacevolmente gli
disse:

— Santo, ti giuro in onore che se fossi venuto in bottega tua a
comprare seta o cotone, non avrei desiderato dalla tua in fuori altra
bilancia, ma adesso si tratta pesare la vita di un uomo, però non
t'impermalire se sto sul malfidato, e voglio il riscontro. — Dunque,
recandosi in mano la palla schiacciata rinvenuta da Orso Campana,
soggiunse: questa è la palla che ammazzò il colonnello!

— Almeno così si crede.

Allora il Generale pesò, e riscontrò, e: Mirate, signori, riprese a
dire, questa è la palla di oncia. Grazio, di' su, oltre questo hai
schioppi in casa? — In camera a Babbo ce ne ha da essere un altro,
ma vecchio e rugginoso: questo è l'unico mio. — Lo prese, lo esaminò
attentamente all'acciarino, poi alla bocca, vi introdusse un dito
per tentare se fosse lordo di polvere bruciata, e al punto medesimo
misurare il calibro; indi soggiunse: Grazio, cotesta _carchera_ è
la tua? — Sì. — Ci hai palle grosse? — Sì. — Il Generale l'aperse, e
cavatene parecchie palle con molta diligenza le provò alla imboccatura
della canna, poi le pesò, e rinvenutele poco più di mezza oncia favellò
risoluto: — Questo schioppo non ha ucciso l'Albertini; e poi voltosi al
comandante delle armi: — Signor Serpentini, sia vostra cura di condurre
senza indugio dinanzi al tribunale Orso Campana, e Telesforo Romani
padre di Grazio; nella casa di quest'ultimo staggirete il suo libro di
conti, e lo porterete con esso voi. Usate diligenza. — Signor Generale,
Babbo giace infermo di dolori da più di un mese. — Signor Serpentini,
pigliate la mia bussola, copritelo, fasciatelo, venga a pezzi, ma
venga.

Il padre di Grazio dormendo in certa stanza posta sull'orto dietro
la casa, non aveva udito il tafferuglio quando menarono via il
figliuolo, e le donne assistenti non si erano attentate dirglielo
per paura che peggiorasse; onde come rimanesse sbigottito allo
annunzio dello accaduto può immaginarselo ogni uomo; pianse, smaniò,
strappandosi i capelli esclamò che il suo figliuolo era innocente,
averglielo calunniato, volerne la morte i suoi nemici, con altre più
cose, che non importa riferire; pure il Serpentini arrivò alla fine a
fargli intendere la ragione, e allora Telesforo, cessate le smanie,
si buttò giù dal letto per correre così come si trovava in camicia
alla difesa del figliuolo, senonchè il Serpentini, e meglio i dolori
lo trattennero: rimessolo a letto e incamuffatolo fino agli occhi
lo trasportarono al cospetto del Tribunale. Qui stava sul punto di
rinnovare i piagnistei, quando il Generale gli disse: — Telesforo,
cessate di smaniarvi, attendete a rispondermi, e vi rendo il figliuolo;
sciogliete Grazio; siete contento così? Via, su da bravo, calmatevi
e rispondete. — È questo il vostro libro dei conti! — È. — Ci avete
strappato voi tre fogli? — Ci sono dei fogli strappati? Non ne sapeva
nulla, fanno sei giorni, ch'io non l'ho preso in mano. — Chi maneggia
questo libro? — Io e Grazio. — Nessun altro? — Nessuno. — Pensateci
bene; può nessun altro averci messo le mani sopra? — Aspettate....
sicuro, che ci hanno messo le mani degli altri.... voglio dire un
altro.... Orso Campana.

I presenti tanto non si poterono frenare, che non prorompessero in voci
di ammirazione, mentre il volto del Paoli pareva che prorompesse luce:
or bene, questi disse, raccontateci pianamente in qual modo il libro
capitò nelle mani di Orso Campana.

— Oh! l'è faccenda facile; Orso ieri l'altro, che fu l'ascensione di
nostro Signore, venne a visitarmi e mi parlò della mia infermità, del
figliuolo, e di altre novelle, per ultimo disse: Telesforo, io credo di
avere un debito con voi. — L'è poca cosa, il saldo di un conto vecchio,
non vale il pregio di ragionarne. — Anzi sì, vo' vedere quanto devo
e pagarlo; perchè vi faccio sapere che ho pensato restaurare tutta la
casa. — Voi opererete da pari vostro, perchè le case dei nostri padri
non si devono trasandare, e la vostra casca a pezzi. — Molto più che
il colonnello Albertini ha rimesso a nuovo la sua, e non vo' di faccia
al paese apparire da meno di costui. — Benone, chè i Campana non sono
da meno degli Albertini. — Di certo, ma però io non intendo aprire
conto nuovo se prima non pago il vecchio. — Fate come volete; il libro
dei conti è là sulla scrivania; da un lato troverete appuntato il
legname che riceveste, dall'altra gli acconti che pagaste, tirate la
somma, fate il diffalco, e quello che resta è il vostro debito. Orso si
assettò alla scrivania, e terminato il calcolo me lo mostrò, affinchè
vedessi se stava a dovere. — Va d'incanto; voi mi dovete ventiquattro
lire, sei soldi, e otto. — E me le pagò, rimise il libro al posto, e
dopo essersi trattenuto qualche altro po' di tempo meco, prese commiato
augurandomi la pronta guarigione della mia infermità.

— Se non abbiamo scoperto un reo abbiamo però riconosciuto un
innocente, e tanto basta per ringraziarne Dio. Grazio, fatti in qua; tu
sei un cattivo mercante e diventeresti un ottimo soldato: a trafficare
ci vuole pazienza, e tu l'hai troppa corta; bisogna sapere contare e
tu sai menare le mani più con lo schioppo, che con la penna: vuoi tu
entrare nelle mie guardie?

— Magari! se me ne credete degno, e se Babbo se ne contenta.

   [Illustrazione: ... si fece innanzi con passo sicuro, mentre
   un cane gigantesco gli teneva il muso quasi appoggiato alle
   gambe.... (_pag. 187_)]

E poichè il vecchio incominciava a guaire come se intendesse cosa
grandemente molesta, il Generale stringendo le ciglia soggiunse:

— Telesforo, voi siete stato a un pelo di raccattare la messe che
seminaste: sopportate in pace l'affanno col quale il Signore ha voluto
punire la negligenza con la quale avete educato il vostro figliuolo; la
riga non è mai troppa, dice il proverbio; voi lo dimenticaste, ed egli
vi si è fatto rammentare da sè. Lasciatemi Grazio, io ve lo renderò
corretto: in ogni sinistro pensate che la educazione vostra fu lì lì
per metterlo su la forca; la educazione mia può condurlo alla morte,
ma a quella morte per cui nè padre, nè patria credono avere perduto
un figliuolo o un cittadino, perchè chi muore per la libertà vive
eterno nella memoria degli uomini e nella benedizione di Dio. Voi altri
poi, disse favellando più acerbo alle turbe, imparate ad astenervi da
mettere su le bilancie della giustizia il peso delle vostre passioni.
Per colpa vostra stette a un pelo che non s'impiccasse un innocente
stasera. Ogni volta che un innocente è condannato, il cielo trema,
chè si rammenta la morte di Gesù redentore nostro: meglio io vi dico
provare la fame e la peste, che l'ira di Dio accesa per la strage
dell'innocente. Adesso tutto è finito.

— Domando scusa, disse Altobello facendosi innanzi, ma io credo che
appena abbiate incominciato.

— Qual siete voi? interrogò il Paoli squadrandolo così di traverso,
però che quel volto non gli arrivasse novo, e la voce gli paresse
straniera.

— Io sono Altobello di Alando, e penso potervi consegnare l'assassino
del signor colonnello Albertini.

Serena avvertita dello inopinato mutamento dei casi lasciò la cappella,
perocchè arrivando giusto in quel punto che Altobello favellava coteste
parole, corse verso di lui, gli pose una mano sopra la spalla, e
sbarratigli gli occhi fissi nei suoi parlò:

— Straniero, se dici il vero.... io ti dovrò.... io ti dovrò.... non
aver perduto il bene dell'intelletto.

Altobello da cotesti sguardi arditi si sentì come ferito; declinata
la faccia rispose: — non sono straniero, e non mentisco mai; con
buona vostra licenza, signor Generale, permettete che il comandante
Serpentini mi accompagni con alquanti uomini suoi.

Giovan Brando venne tratto al cospetto dei giudici: lo spavento, e
la rabbia che in cotesto punto lo possedevano sarebbero bastati a
renderlo pauroso, ma imbrattato com'era di catrame, più che altro aveva
sembianza di demonio, per la qual cosa molti rifuggirono accalcandosi
sopra i vicini, le donne si fecero il segno della croce, talune si
copersero il viso col grembiale; i ragazzi strillarono. Altobello nel
consegnare Giovan Brando in mano ai magistrati espose minutamente
quando e come era giunto a fermarlo; la sua testimonianza venne
confermata dal signor Giacomo, e dagli altri della loro compagnia,
eccetto Francesca Domenica; che pregò il figliuolo a non metterla
nel bertovello, dacchè di lei potevano fare a meno. Interrogato il
prigioniero chi fosse, e ostinatosi a tacere, gli lavarono la faccia a
più riprese coll'olio, poi con acqua e sapone, e così i presenti ebbero
comodità di riconoscerlo. — È Giovan Brando, si udì ripetere da tutte
le parti, Giovan Brando, Dio lo perdoni.

Il Generale avendo preso a interrogarlo, nè per lusinga nè per minaccia
trovò maniera di venire a capo di farlo rispondere. Tentate e ritentate
le preghiere, ormai deliberava co' colleghi se gl'indizi raccolti
formassero quella prova incompleta è vero, bensì assai prossima
alla convinzione per cui potesse senza taccia di barbarie ricorrere
allo esperimento della tortura, quando tornati gli uomini spediti
dal comandante Serpentini sopra le traccie del Campana, riferirono
nonostante le sottili indagini non lo avere rinvenuto in casa nè fuori:
solo affermavano alcuni averlo visto passare a cavallo fuggendo via
come se cento diavoli lo cacciassero: Matteo da Casamaccioli aggiungeva
che Orso chiamatolo a sè lo aveva pregato si conducesse fino a casa
sua a rassicurare le donne, e dir loro che fatto fagotto andassero a
trovarlo alla Bastia: del rimanente non si prendessero travaglio, e chi
era in ballo ballasse.

Un lieve suono, che parve grugnito, uscì, suo malgrado, dalle labbra
compresse di Giovan Brando, e il Generale pratico a maneggiare coteste
nature côrse fu pronto a reggere quel capo per isvolgere la matassa.

— Sicchè, Giovan Brando, voi lo vedete di per voi stesso, il
vostro complice vi abbandona; dirò di più, vi schernisce dopochè,
approfittandosi della vostra semplicità, vi ha spinto al delitto.

Il Generale metteva fuoco alla polvere, ma non ci era bisogno nè meno
di tanto; nè lo ignorava già egli: di fatti Giovan Brando si morse per
furore due o tre volte le mani legate, strabuzzò gli occhi pieni di
sangue, digrignava i denti, sicchè pareva che li volesse stritolare;
per ultimo con rotti accenti così palesò l'animo suo.

— Volete sapere chi abbia ammazzato il colonnello Albertini?

— Ah! così non lo sapessi....

— E v'importa anco sapere come e perchè? State a sentire, che in poche
parole vi levo di tedio.

Conoscete voi l'amore, signor Generale? — Conoscete voi Lellina
figliuola di Orso Campana? Voi non conoscete veruno dei due: meglio
per voi, non maledico già Lellina, povera figliuola! Ella mi ama con
tutte le viscere; il male fu che ella amasse troppo anco il padre; o
piuttosto no, che questo non potrebbe essere male, così aveva decretato
la mia sorte. Insomma volete o no darmi la vostra figliuola? veniva io
sovente istando presso il Campana, ed egli dicendo: bisogna pensare più
di due volte a quello che si fa una volta solo, mi rimandava. Tentai
Lellina di maritarci senza attendere più oltre il consenso del padre,
ma parve a lei così enorme proposta, che non ci rispose nè manco.
Inacerbito dalle continue dilazioni, al fine minacciai mandare a monte
il trattato; allora Orso mi raumiliò con dolci parole conchiudendo;
domani venite a desinare da me; dopo pranzo aggiusteremo la soma
all'asino: andai, e bevvi oltre il consueto. Lellina e la serva dopo
mangiato andarono in chiesa al vespero, noi restammo a tavola. — Or bè,
incominciai, perchè differite le nostre contentezze? Non sono da pari
vostro io? Quanto a dote non ve ne cerco. — Questo non fa al caso, egli
rispose, e la dote non manca. Io da Lellina in fuori non ho figli, e
vorrei che il marito di lei mi tenesse luogo di figliuolo. — E questo
non posso fare io? — Potreste, ma vorrete? Il figlio eredita tutti gli
amori, e tutti gli odî del padre, egli fa sue così le amicizie come
le inimicizie paterne; a questo avete pensato voi? — Ho pensato. — Non
basta, riprese Orso, io inoltre ho fatto un voto, ed è di non maritare
Lellina se non prima non sia levato dal mondo il colonnello Albertini.
— Ma in che vi offese il colonnello, signore Orso? — In che mi ha
offeso? Già fra le nostre famiglie dura antica nimicizia e mortale;
adesso poichè costui per gioco della maladetta fortuna militando in
Austria si è arrampicato ai primi onori come la zucca quando salì
sulla quercia, non passa giorno senza che di me faccia strazio. Lascio
la insolente ostentazione della sua ricchezza, lascio il continuo
sbottoneggiare, i soprusi, gli strapazzi, mi fermerò a questa ultima;
dietro a casa sua ha tirato su un muro che togliendo la vista alla
mia, me l'ha ridotta a carcere; e siccome io gliene feci tenere
proposito parendomi che egli murasse, anzichè per comodo suo, per
dispetto mio, rispose essere padrone di levare fabbriche fino al cielo,
e sprofondarle fino all'inferno, e se non mi piaceva gli rincarassi
il fitto. Se costui vive non posso vivere io, e non sarà mio genero
chi non mi aiuta a levarmi cotesto pruno dagli occhi. — Persuasioni
non valsero a fargli mettere giù il suo proponimento; le preghiere
lo irritavano; alla fine tirato pei capelli dal diavolo promisi quel
che volle; allora egli disse: tiriamo a sorte chi di noi farà il
colpo, e scrisse due nomi su due pezzetti di foglio che accartocciati
gettò nella berretta, poi ne trasse fuori uno, e questo fu il mio....
che aggiungerò? Non lo so nemmen io: il cuore mi si scoppia per la
passione. Il giorno appresso tornai a casa di Orso, che mi consegnò i
cartocci per caricare lo schioppo, affermandomi averli fatti colle sue
proprie mani di polvere inglese; a Lellina non mi riuscì parlare, solo
uscendo ella apparve alla finestra e ingannata dal padre suo mi disse:

— Giovà, obbedisci a babbo, e subito dopo ci maritiamo.

— Povera Lellina, tu non sapevi che mi mandavi a sposare la morte....
e qui il singhiozzo lo strinse alla gola, sicchè incominciò ad
arrangolare senza potere profferire parole articolate.

Dal violento ondeggiare dei capi, e dal cupo fremito, che le diverse
passioni cavavan dai petti, la moltitudine quivi raccolta ricordava
il mare che rompe intorno le patrie scogliere. I giudici declinata
la faccia stavano pensosi, più degli altri era commosso il Paoli, che
appoggiata la fronte alla mano sinistra sembrava in balìa di angosciose
meditazioni. — Quando questi, aperti lento lento gli occhi, li volse
alla parte dove stava legato Giovanni Brando, vide accanto a lui un
vecchio di sembianze austere, e da angoscia sconvolto, e pure degno di
riverenza in vista come di rado si vede. Non fu tardo a riconoscerlo
il Paoli, che fattogli cenno con la mano lo chiamò a sè vicino, e gli
disse:

— O signor Matteo! mio onorato cugino, quanto siamo infelici!

— In effetto una voce molesta mi è giunta fino a casa che mi annunziò
il mio figliuolo arrestato; qui giunto, con inestimabile amarezza
vedo che non fu fallace la nuova. E quale è la colpa che appongono al
mio figliuolo? — Siccome il Paoli esitava, il vecchio insistè: — dite
franco, signor Generale, accusato per la Dio grazia non significa reo,
molto meno condannato.

— Lo accusano di omicidio proditorio con premeditazione.

— Ohimè! e chi lo accusa?

Al Paoli non bastò l'animo favellare; ma sollevò la mano col dito teso;
il vecchio fissò gli occhi in cotesto dito, e con ansietà seguitandolo
vide che dopo avere trascorso su molte teste si fermò su quella del
proprio figliuolo.

— Cristo! allora egli esclamò con grido strazievole; e per parecchio
tempo non fu inteso verun suono dintorno, eccetto qualche gemito: alla
fine il vecchio levò la faccia bianca del pallore della morte, e con
voce velata incominciò a parlare:

— Compatriotti, amici, Matteo Brando di Russio crede non avere
demeritato di voi.

— Perdonate se io v'interrompo, cugino, disse il Paoli; conosco a
prova la modestia vostra, che non consentirebbe ricordare nè manco
un terzo di quello che operaste in pro della patria. Côrsi! Matteo
Brando fu quegli, che spinse la pieve di Bozio a ricusare il pagamento
dei seini; donde l'origine della guerra con Genova, e la causa della
nostra libertà; egli sostenne le prime imprese; non si conosce campo nè
pendice nell'isola, dove fu combattuta battaglia o fatto di arme, che
non abbia veduto Matteo Brando nell'ora del pericolo; egli a Furiani,
egli a Calenzano, egli a Pontenuovo, egli da per tutto — E così come di
sangue, prodigo delle sue sostanze....

— Perdonate se interrompo a mia volta voi, signor generale, riprese il
vecchio; non era questo che voleva dire, bensì quest'altro: io credo di
non avere demeritato l'amore de' miei compatriotti per essermi ritirato
dalla milizia e spedito a surrogarmi il mio unico figliuolo, perchè vi
giuro da uomo onorato, che me ne ha trattenuto legittima causa; fin
qui non la palesai per paura che mi credessero capace di rinfacciare
alla patria i servigi, che per mia buona fortuna le potei rendere:
ma se adesso lo manifesto, spero che sarò compatito — e qui apertesi
le vesti mostrò fasciato il petto — vedete, di tutte le altre questa
maligna ferita non si volle rimarginare, sicchè di ora in ora mi arreca
spasimo tale, ch'io ne rimango privo di sentimento; se dunque operai
qualcosa in pro' della patria, se non demeritai l'antica benevolenza
di voi, deh! per le piaghe santissime del nostro Signore non vogliate
permettere che Matteo Brando chiuda la tomba del suo unico figliuolo...
dell'ultimo dei suoi...

La gente oppressa dal dolore taceva. Matteo ripreso fiato a strappi
continuò: — uditemi, amici; noi combattiamo una dura guerra, massime
ora che entra in campo un nemico munito di ogni maniera di arme: poche
all'opposto le nostre, le artiglierie pochissime, e senza di queste
io ve ne assicuro, non verremo a capo di nulla; tale è pure l'avviso
dei periti; ebbene, io vi provvederò di due cannoni di bronzo, con
l'arme di Corsica, carretti, arnesi, ed otto muli da carreggiarli; non
basta, io armerò una compagnia di soldati, e fin che dura la guerra
la manterrò a mie spese; del mio figliuolo non ne vorrete sapere più
altro; capisco; ebbene ve gli ammaestrerò io, li condurrò da me stesso,
dirò alla mia ferita: chiuditi; se non vorrà chiudersi, procurerò mi
dolga meno; e se vorrà continuare a tribolarmi, tal sia di lei; ognuno
si piglierà cura di sè dal canto suo; ma, patriotti miei, amici,
parenti, accettate vi supplico il prezzo del sangue, non consentite che
il figliuolo di Matteo Brando finisca strozzato sopra la forca.

Al fine delle sue parole s'intese un gemere basso fra la gente, un
rammarichio come quando i congiunti accompagnano alla fossa un caro
defunto. Serena si provò a gridare: vendetta! ma la voce le rimase
attaccata alla gola, e proruppe anch'essa in un singhiozzo. Il Paoli
si strinse a parlamento co' Decemviri: parve piuttosto stesse a udire,
che favellasse: per ultimo a quanto sembrò, ed anco l'effetto diede a
divedere, vennero in una sentenza, la quale fu significata dal Paoli in
questi termini:

— Matteo Brando, la gente côrsa in premio dei vostri benefizii vi
compartì da parecchi anni il nome di padre della patria; il popolo non
può dare altro ai suoi benefattori, ma che cos'altro al mondo può stare
a pari di questo? Adesso affinchè tutti conoscano che così chiamandovi,
egli non intese conferirvi un titolo vano, commette nelle vostre mani
la salute del paese, la maestà delle leggi, l'assoluzione e la pena,
la fama sua onde vivrà perpetuo alla reverenza, o al vituperio dei
posteri. Sedete qui; voi siete in questo momento supremo dittatore
della nazione.

Il vecchio tra attonito e spaventato si schermiva da sedere sopra il
seggio del Paoli, ma il popolo con uno scoppio di gridi urlò: — no, no,
sedete e giudicate.

Il vecchio sedè, forte agguantandosi con le mani ai bracciuoli: il
volto per l'agitazione sofferta in quel punto aveva vermiglio; volse
sottecchi uno sguardo al figliuolo, quasi dubitasse ch'ei fosse
desso, e lo aspetto di lui gli somministrasse qualche speranza: invano
però, che Giovanni giaceva disfatto sotto il peso del rimorso e della
vergogna; allora il signor Matteo si fece d'un tratto bianco, strinse
gli occhi, ed abbassò il capo sul petto; da un punto all'altro il suo
viso sformandosi pigliava il colore livido del cadavere; ci fu anzi un
momento nel quale crederono ch'ei fosse morto addirittura, e più di un
grido di terrore s'intese; ma di questo fu niente, chè all'improvviso
sollevò il capo, aperse gli occhi e con voce tremula, e pure forte
perchè tutti sentissero, parlò:

— Come padre doveva pregare, ed ho pregato, come giudice condanno.

E cadde svenuto. Il Paoli sostenendolo fra le braccia gridò:

— Segretario, scrivete: in virtù dei poteri delegatici dalla nazione
ordiniamo che il nome di Matteo Brando di Russio venga inciso nelle
tavole delle parrocchie fra coloro che dettero la vita per la patria,
e tutte le domeniche venga letto dal sacerdote dopo l'Evangelo
all'altare, affinchè questo sia di onore a lui, esempio della virtù
côrsa ai presenti e ai futuri. — Poi commettendolo alle cure degli
astanti soggiunse: — Che se taluno opponesse come egli non abbia dato,
a tenore della legge, la vita per la patria, quanti siete padri quaggiù
ditegli, che dando la vita del figliuolo in ostia consacrata alla
giustizia, egli fece più.... troppo più che dare la sua.

Un grido unanime rispose: — troppo più.

Il Paoli da capo: — voi altri, cittadini pietosi, sollevate questo
magnanimo infelice, e trasportatelo soavemente nel palazzo del governo;
se fossimo in Roma antica vi avrei detto: portatelo al Campidoglio e
deponetelo nel tempio di Giove.

Però, mentre il vecchio svenuto era trasferito altrove, il Paoli
compresso un gemito esclamava: — che non per questo sarebbe meno al
cuore di padre il monte Calvario!

— Giovanni Brando di Russio, raccomandatevi a Dio; il cielo può
perdonarvi, ma sopra la terra non vi rimane che espiare la colpa.

Era più che mezza inoltrata la notte, quando al lume sanguigno delle
torce quasi consunte, fra il silenzio sepolcrale delle genti per cui
si sarebbe potuto sentire il rumore del grano di sabbia nell'ampolla
dell'orologio a polvere, fu letta la sentenza, la quale condannava
Giovanni Brando ad essere impiccato alle forche _biscagline_; era
inoltre fatto per essa comandamento, che veruno si attentasse rimoverne
il cadavere senza ordine superiore, pena la vita.

Mentre Altobello e il Boswell se ne tornavano a casa, per così dire,
intirizziti dalle molte e fiere commozioni, il primo rompendo il
silenzio domandò: — che ve ne pare del nostro generale?

E l'altro dimentico della scatola, del tabacco, di tutto insomma, si
scosse e rispose breve:

— Ah! mi pare un Dio.

Pasquale Paoli non era un Dio, no, bensì una di coteste creature, che
molti doni ebbero in sorte da lui, segnatamente quello di penetrare
con uno sguardo nei cuori, e leggerne i più reconditi pensieri come
in un libro aperto; onde nel porre la sua firma sotto la sentenza, che
condannava a morte Giovanni Brando, osservò che la scrittura di quella
offeriva svolazzi e rifioriture di penna, come avviene se un uomo
scriva cosa che gli faccia piacere. N'era stato scrivano Matteo Massesi
figliuolo di Giuseppe Maria, grande cancelliere del regno; giovane per
eccellenza d'intendimento, e venustà di corpo facilmente primo fra i
giovani che stavano intorno al Paoli, e da questo tenuto in delizia. Il
Paoli, intanto che firmava, notò di più, guardando obliquo, gli occhi
del giovane mandare un lampo di gioia; fu un lampo solo; ma non andò
perduto. Nel recarsi al palazzo il generale si appoggiò al braccio del
giovane senza dire motto: giunto sopra la soglia della sua camera si
fermò e gli volse la parola in tali termini:

— Matteo, mal giorno fu questo; pensava ultima l'angoscia del caso di
Giovanni Brando; e m'ingannai; mi venne cresciuta, e la cresceste voi.

— Io? E perchè signor Generale?.

— Perchè mi avete fatto conoscere che chiudete in seno un cuore
cattivo. Voi avete esultato della morte di Giovanni Brando.

— Io? — rispose Matteo mutando colore: — certo se sentirsi compreso
d'indignazione contro uno scellerato assassino è colpa, io confesso
averla commessa.

— Per voi dovevate serbare la pietà; a noi giudici lasciare la
giustizia. L'uomo giudica dai fatto, nè l'ingegno infermo gli concede
adoperare altra misura; Dio poi, che conosce le ragioni recondite del
fatto, io credo che sovente scusi dove l'uomo condanna; però chiunque
non si trovi in condizione di giudice farà molto bene a starsi col
cuore dalla parte di Dio, che sovente scusa, e sempre ai pentiti
perdona.

Ciò detto lo licenziava senza permettere che gli entrasse nella camera,
dov'era solito leggergli, prima di addormentarsi, qualche tratto della
vita di Plutarco.

Lo so, l'ho detto, e lo ripeto: interrompere il filo della narrazione
per frammetterci dentro avvertimenti e sentenze fa contro le regole
dell'arte; raffredda il libro, guasta la composizione, insomma equivale
a porre in tavola un pranzo diaccio ai convitati: di più questo
affibbiarmi la tonaca censoria sa di predicatore lontano un miglio,
e chi vuole spacciare quaresimali attenda la quaresima: per ultimo
siffatti ammonimenti screditati per dichiarazioni importune nessuno
vuole intendere; anzi alla comune degli uomini riescono incresciosi;
però aveva pensato evitarle con diligentissimo studio, ma tanto e'
caccia via il tuo vizio dalla porta, e ti rientrerà in casa dalla
finestra, sicchè in proposito del fatto di Giovanni Brando _trovo_
(dizione da me imparata su i bandi austriaci quando _trovano_ di
fucilare i cittadini, e di taglieggiare le nostre città) da notare,
che di esso e di altri simili, memoria scritta appena si rintraccia,
e la tradizione ogni giorno più illanguidisce nei ricordi dei Côrsi;
nè senza ragione, che alla moderna civiltà paiono delitti le virtù
antiche; così i casi di Postumio Tuberto, di Manlio Torquato, di Spurio
Cassio, di Decimo Sillano, di Marco Scauro, di Antonio Fulvio o si
nascondono, o si vituperano, o si negano; poi i focosi lo bandiscono
addirittura immanità contro natura, i moderati lo screditano per falsa
virtù. L'età servile ha bisogno discredere le virtù di cui l'esempio e
lo eccitamento riescono perniciosi; all'opposto ricorda con compiacenza
il cavaliere di Assas, eroe del servaggio, e questo perchè ai tempi
che corrono ci trovano il conto loro così padroni come servi; i padroni
nella speranza che torni il secolo di oro della obbedienza, i servi pel
premio che ne diviene agli eredi del morto. Da una parte e dall'altra
si vogliono virtù, che si possano comprare, vendere, mandare al monte,
impegnare in mano all'usuraio: virtù insomma da cavarne costrutto. Le
virtù le quali si propongono a scopo la fama, o la patria, non sono
virtù di consumo: cose di lusso scomunicate meritamente dalla buona
economia. Quanto non può ridursi a moneta ai dì nostri si giudica
infame, per lo meno pessimo. Un banchiere, udendo narrare _mirabilia_
dei trovati di Galileo, domandò quanto fruttavano per cento d'interesse
all'anno. Oh! se l'apostolo delle genti tornasse a pellegrinare nel
mondo non troverebbe più scritto sul frontone del tempio: _Deo ignoto_;
no, davvero, perchè il Dio è bello e trovato, ed il suo nome si legge
sul fastigio delle basiliche, nelle facciate dei palazzi, nei frontoni
dei tribunali, in carcere, in bottega, in sagrestia, alla taverna,
al bordello, in faccia ad ogni uomo segnato tra ciglio e ciglio,
da per tutto insomma, da per tutto, ed è il _Dio quattrino_. Quanto
alla Francia la cosa è diversa, e ognuno lo sa; quivi Dio tutelare
del gran popolo continua ad essere la trinità: _libertà, fraternità,
uguaglianza....!_

Tornando Altobello a casa in compagnia del signor Giacomo, egli si
accorse dal non rispondere di costui a parecchie proposizioni, o
rispondervi a vanvera, che il suo spirito galoppava in rimote contrade;
si rimase pertanto in silenzio, e lo condusse per mano come si costuma
i fanciulli; egli entrò senza accorgersene, o almeno senza darne segno,
come del pari si assise alla mensa. Altobello allora notò cosa, alla
quale a cagione del tumulto dell'animo non aveva avvertito prima,
cioè l'assenza del fratello Mariano, e notò eziandio la miserrima
imbandigione, non già che di questo a lui venisse molestia, che
avvezzo dalla infanzia alla frugalità, e soldato, si sapeva adattare,
bensì se ne crucciava per l'ospite, ed anco per la superbia naturale
ai Côrsi, che li persuade a ostentare maggior stato di quello che
veramente possiedano, mentre adesso vedeva cascare la madre nel vizio
opposto, mostrandosi di gran lunga più disagiati di quello che fossero;
però a cavarlo ben tosto di pena valse l'osservazione, che il signor
Giacomo continuava nel suo stato di estasi non badando, nè curando
quanto gli cascava dinnanzi agli occhi; singolare qualità di queste
nature settentrionali, che come i sassi posti su la cresta dei colli,
quanto più sono pesi a smovere, tanto più difficilmente si fermano
una volta abbiano preso il ruzzolone. Di questo divagamento in quel
punto insanabile furono segni tuffare le dita nella scodella del pan
bollito nel latte e recandosele al naso come per prendere tabacco, e
scambiando la scatola col bicchiere accostarla alla bocca per bevere;
allora Altobello giudicò conveniente accompagnarlo nella sua stanza, e
quivi lasciarlo in balìa dei suoi pensieri: arrivati che furono sopra
la soglia, il Boswell riscotendosi disse:

— Signor Alando, egli è certo che nell'ordinario andamento della
vita, quando i bisogni del corpo abbaiano, l'anima tace paurosa: dove
poi questa sia tocca dal fuoco celeste, ella si strascina dietro il
corpo quasi schiavo al trionfo. Il bisogno che si pasce di pane forza
è che taccia davanti al bisogno che si nutrisce di meditazione e di
preghiera.

Però Francesca Domenica lo aveva precorso nella camera, e con la
sollecitudine solita alle buone massaie gli andava indicando:

— Veda, ecco qui il suo cavastivali....

— Nei tempi moderni non saprei a cui paragonarlo, e negli antichi a
veruno, se togli Licurgo.

— No, signore, egli è modernissimo, me lo riportò l'altra settimana
maestro Nottola; se le farà bisogno qui troverà il suo vaso da notte.

— Degno proprio di essere messo in paradiso.

Francesca Domenica, trasecolata, guardava il vaso da notte, guardava il
signor Giacomo; quando questi, scosso il capo, volse attorno gli occhi
consapevoli, e favellò:

— Gran peccatore, in fede mia ha da essere quello che abita qui dentro;
e' pare che tema l'assalto non di un diavolo, bensì di una legione di
demoni.

— O signore! tutta scandalezzata esclamò Francesca Domenica, come
potete dire questo?

— È chiaro; a che tanto presidio di santi in fortezza se non temeste la
scalata di centomila diavoli? Idolatri! Voi non sapete come si adora,
nè come si prega Dio.

Qui di un salto il signor Giacomo balzò sul letto con terrore di
Francesca Domenica, che vedeva nabissare la sua bella coperta di
cataluffo nero a fiorami amaranti, che dopo l'ultimo parto non aveva
più messa fuori; dove piegate le ginocchia e giunte le mani in atto
d'ineffabile compunzione, esclamò:

— Dio onnipotente, in ogni opera della tua creazione ti benedico e ti
ammiro; quando poi mi mostri un cuore di uomo illuminato da intelletto
divino, io ti ringrazio con tutta la effusione dell'anima mia,
imperciocchè allora io creda che aperto il tuo santo tabernacolo tu mi
renda degno di contemplarti faccia a faccia...

Francesca Domenica si segnò tre volte, e bisbigliando nell'orecchio al
suo figliuolo disse:

— Altobello, io temo forte che il sole abbia offeso il cervello di
questo povero inglese, ed ei ne sia diventato matto.

— Ah! mamma mia, piacesse a Dio che di questi matti possedesse molti il
mondo, come pur troppo ne ha pochi, che adesso non si troverebbe più il
seme dei ricchi insolenti, dei poveri disperati, nè di oppressori nè di
oppressi.

Chiusa la porta, e seduto Altobello al fianco della madre, prese a
dirle con voce sommessa:

— Di Mariano che n'è? È infermo? In campagna? Come accade che io non
l'abbia anco visto?

— Ah! è infermo.

— Perchè tacermelo?

— Figlio mio, ci hanno malattie che incominciano dal corpo e ne
discacciano l'anima; ce ne ha delle altre che incominciano a guastare
l'anima per distruggere anco il corpo, e sono le peggiori; il tuo
fratello vive travagliato dalla pessima fra queste.

— Misero lui! e come si chiama questo flagello?

— Senti, tanto tacertelo non si può, e forse ho mal fatto a differire
fin qui, e tu mi pari giovane savio... ah! tu solo mi ritrai il tuo
povero padre. Accostati, che nessuno ci senta; Mariano è preso dalla
più feroce avarizia che si sia mai vista al mondo; accostati ancora,
chè morirei di vergogna se qualcheduno lo sapesse; egli mi ha cacciato
di casa... Chetati! non dare in furore, altrimenti chiudo la bocca e
non dico più nulla.

— Continuate, mamma mia, io sono tranquillo quanto posso essere udendo
tali enormità.

— Il suo angiolo custode ed io abbiamo tentato il possibile per
salvargli l'anima, ma il demonio l'ha vinta, ed ora che ci ha messo
il nido, temo che non ci abbia partorito la sola avarizia. Quanto
ho sofferto! Ogni giorno mi erano contati i bocconi, ogni momento mi
ributtava in faccia il tozzo di pane che cibava, e nonostante ciò io
fingeva non capire per evitare scandali, finchè una mattina mi disse
che non poteva sopportare la spesa di mantenermi, onde pensassi a
ricoverarmi presso i miei parenti; risposi che la casa apparteneva metà
a te, e che se non mi voleva sul suo, sarei rimasta sul tuo. Io non
ho visto mai bestia arruffata come Mariano a queste parole; urlava,
pestava i piedi, si svelleva i capelli, Dio e i suoi santi peggio di un
turco bestemmiava, e in mezzo alle bestemmie non rifiniva di affermare
che la casa era sua, averla comprata da te, tu non averci a fare più
nulla. Possibile, Altobello, che tu abbia venduto la casa di tuo padre?

— Andate innanzi, mamma... io sono tranquillo.

— Allora, sentendomi strappare il cuore nel pensiero di dovere
uscire vecchia e madre dalla casa dove entrai giovane e zitella, una
ispirazione mi suggerì queste parole: «non v'inquietate, Mariano, io
me ne andrò, ma non prima che mi abbiate reso la mia dote.» E' sembra
non ci avesse avvertito, perchè rimase come tocco da accidente; ed io,
prevalendomi del suo sbigottimento, gli proposi si tenesse la dote,
mi lasciasse abitare il piano terreno della casa; al mio mantenimento
avrei provveduto da me.

— E adesso come fate a camparvi?

— Alla meglio, figliuolo; un po' sul _chioso_ degli olivi che mi lasciò
la zia Bartolommea a mezzo col cugino Bastiano, un poco lavorando;
certo tutto questo non fa spesa grassa, ma mi contento; solo con questo
signore in casa non so a qual santo votarmi, perchè quanto a danari
sono più povera dei cappuccini.

— Oh! per venire al Macinaggio come l'avete stillata?

— Ci vogliono quattrini per questo? Ho preso il mulo di casa, senza
curarmi della sciarrata che ne avrebbe mossa Mariano, gli ho messo sul
groppone un bravo sacco di castagne, e per la via sono bastate crude
per lui, cotte per me.

— E a dormire?

— Dormire due o tre notti su la paglia non fiacca le ossa, nè guasta la
nobiltà.

— Ma chi ha pagato i muli che avete preso a nolo?

— Me l'hanno fidati a credenza senza pegno.

— Manco male pei muli; ma che potevate pure chiedermi danaro per
provvedere alla cena; sudava acqua e sangue nel vedere la imbandigione
che ogni più gramo Côrso sariasi vergognato presentare al suo ospite.

— Quanto a questo non ho colpa, Altobello, vedi; io non ci pativa meno
di te: prima di partire pel Macinaggio lasciai nell'armadio vino, olio,
farina, frutta, _micischia_, _lonzo_, cipolle, insomma da tirare avanti
un mese: durante la mia assenza pare che Mariano, aperto l'uscio con
qualche altra chiave, abbia portato via ogni cosa.

— Anche ladro?

— Ma! lo avrà fatto per pagarsi il nolo del mulo che menai meco
al Macinaggio; mi sono accorta tardi della mancanza, e a venire a
chiederti in pubblico i quattrini per cena non mi ha retto l'animo;
mi è venuto in mente il santo patriarca Abramo, il quale andando pel
monte disse ad Isacco: Dio provvederà, e mi son gettata anch'io nelle
sue braccia, e Dio ha provveduto, come vedi, perchè il signore inglese
non ha voluto cenare e non si è accorto di nulla: quanto a noi altri
mangiare poco o assai torna lo stesso.

— E la gente che ci ha accompagnato le bestie, dove l'avete riposte?

— Non dartene pensiero, l'ho raccomandata al cugino Bastiano, e da lui
accettai il pane e il latte.

— Signore! sclamò Altobello coprendosi la faccia con tutte e due le
mani, o nobile casa di Alando, a che punto ridotta! Ma il fratello
Mariano sa il mio arrivo?

— Lo sa: quando eri fuori egli è comparso qui, voleva ad ogni patto
sciogliere cotesto sciagurato di Giovà, ed io l'ho impedito; allora
ricorse alla violenza, ed io l'ho impedito.

— Tutto questo aggiusteremo con l'aiuto di Dio domani: ora andiamo a
letto.

— Che importa? Fra poco sarà giorno; per dormire un'ora o due, tanto
vale non coricarsi del tutto.

— Mamma mia, sento forte il bisogno di dormire.

— Signore! Stenditi sul pavimento e dormi, perchè.... perchè al mio
figliuolo non posso offrire altro letto.

— Ma non vi ha lasciato Mariano tutto il piano terreno?

— Disse di lasciarmelo, ed anco per pochi giorni me lo lasciò ma poi mi
ritolse ora una stanza per la legna, ora pel grano ora per le castagne,
che son rimasta con la cucina e con la camera da letto; e dubito che
non si rimanga finchè non mi abbia cacciato dentro un sottoscala.

Altobello, dopo avere passeggiato un pezzo di su e di giù per la
stanza, scotendo ad un tratto il capo come uomo deciso, favellò:

— Qui importa vederne il chiaro; prima di tutto, pigliate qua, mamma,
questo è denaro, e spendetelo come conviene all'antica rinomanza della
magnifica nostra casa: adesso accompagnatemi da Mariano.

— Altobello! Altobello! per amore di Dio, non mi far pentire di quello
che ti ho detto.

— Non dubitate, gli occhi di Dio in cielo e quelli della madre in terra
preservano l'uomo dalle male azioni, venite.

   [Illustrazione: Come padre dovea pregare, ed ho pregato, come
   giudice condanno. (_pag. 201_)]

Francesca Domenica, recatasi la lucerna in mano, precedè rischiarando
il figliuolo al piano superiore: arrivata sul pianerottolo incominciò
a bussare adagio prima, dopo qualche intervallo più forte, ed anco più
forte, fino a tanto che una voce agra non si fece sentire, la quale
domandava chi fosse e che volesse.

— Apri, Mariano, apri, è tuo fratello, il figliuolo di tuo padre, che
dopo dieci anni viene ad abbracciarti.

Si sentì per di dentro brontolare, ma troppo fu potente lo scongiuro,
perchè un Côrso, avesse anco dato l'anima al diavolo, si attentasse
resistervi; subito dopo il rumore di passi pesanti e lo scatenìo di
chiavacci; finalmente si aperse la porta, e comparve la lurida figura
di Mariano. Altobello gli gettò le braccia al collo ed accostò la bocca
alla bocca di lui per baciarlo, ma quegli torse altrove il volto e
profferse l'una e l'altra guancia. Fosse ira o coscienza, Mariano non
rese il bacio, che tra i Côrsi si ha per cosa sacramentale; Altobello
finse di non ci badare, e sospingendo alquanto Mariano entrò in casa.

— Mariano, allora senza perdere tempo gli disse, vi ho da parlare.

— Potevate sciegliere ora meno incomoda, ma non rileva, sto ad
ascoltarvi.

— Accendete il lume....

— Le parole non hanno bisogno di esser vedute...., e poi spero che
finirete presto: in ogni caso basta la lucerna che mamma ha lasciato
sul pianerottolo.

— Lo zio vi manda a salutare caramente voi e la vostra moglie.

— Grazie, rispose Mariano, e dopo lui una voce in falsetto uscita
dall'altra stanza ripetè: grazie.

— Lo zio vi prega accettare certi suoi regaletti...

— Era meglio che mandasse quattrini; e che roba sono questi regali?

— Un bel taglio di panno per voi, un altro di stoffa di seta per la
cognata, e di più una collana di Venezia.

— Meglio quattrini, ma per la verità le mie vesti sono tutte toppe.

— E non reggono più il punto, non reggono più il punto, ripetè la voce
stridula per di dentro.

— Mi ci rivestirò... o non sarà meglio barattarlo in panno côrso, e la
differenza farcela dare in quattrini; che ne dici Lucia?

— Quattrini, quattrini, ripeteva la moglie con lo strido della civetta.

— O se ti parrà che io ne possa fare a meno per qualche altro po'
di tempo, venderemo tutto, panno, seta e collana, e ridurremo in
quattrini.

— Sì.... in quattrini.

Altobello sentì venirsi la nausea al cuore, ebbe un capogiro durante
il quale gli parve che un turbine di monete luminose facesse remolino
dentro la stanza. — Voi ne farete quanto vi piacerà; ma adesso,
Mariano, vi prego dirmi da quando in qua in Corsica, massime in casa
Alando, si ricevono nel modo con che avete fatto, ospiti e fratelli?
Così vi preme la riputazione dei nobili nostri antenati?

— A vero dire, io credo che ai nostri antenati all'ora che suona non
prema più di fama e ne manco d'infamia: ad ogni modo se gliene importa,
ci pensino da loro; quanto a me io so che chi dà pane ai cani degli
altri è abbaiato dai suoi.

— Lasciamo stare il pane, ma almeno un po' di ricovero!

— Anzi, su questo per lo appunto bisogna camminare col piè di piombo:
non bisogna metterci in casa gente che non conosciamo; chi mi assicura
che egli non sia un ladro?...

— Mariano!

— Non v'inquietate; ad ogni modo è meglio vergognarci di avere tenuto
chiusa la porta, che pentirci per averla aperta; e poi, alla meno
trista, co' forestieri sono creanze gettate; costoro ci hanno sempre
fatto del male; i Saracini informino.

— Ma il signor Giacomo Boswell non è mica un Saracino, bensì un
gentiluomo inglese.

— Peggio, mille volte peggio; è un eretico che non crede nel Papa,
mercanzia d'inferno; sento fin di qua il puzzo di zolfo che manda; lo
senti, Lucia, il puzzo di zolfo?

— Puzzo! zolfo! io non sento niente.

— Perchè sei una bestia... una scema, e non apri mai bocca che per
contradire il tuo marito; lo senti o non lo senti il puzzo dello zolfo?

— Zolfo! zolfo! strillò la donna.

— Povera creatura, sospirava Francesca Domenica, costui l'ha fatta
scipidire senza rimedio.

— Me ne rincresce per voi, proseguì Altobello, perchè so che vi aveva
portato di bei regali dal suo paese.

— Circa a questi li faremo benedire, e non recherà stroppio tenerli; ma
lui sarebbe opera buona buttare a terra dalle scale.

— E di lui non parliamo più, ma di me?

— Di voi? Di voi sarebbe stato altra cosa se foste venuto solo; per
una notte, ricovero ve lo avrei dato; e pel figliuolo di mio padre una
fetta di pane e un bicchiere di acqua l'avrebbe avuta di certo.

— Non ci era da appuntellare la casa per timore di ruina.

Mariano fingendo non avere inteso, continuò: ma siete venuto con
un branco di bestie e di cristiani, anzi con un eretico; e come se
fosse poco mi ci avete tratto legato anco Giovanni Brando. O questa,
che novità è stata? Dove non si guadagna, fratello mio, la perdita
è sicura. Se costui commise malefizio, tocca pensarci il bargello:
adesso mi avete messo su le braccia tutti i parenti di Giovà: non
rifiniscono dire che ora si fa buona giustizia; me ne rallegro tanto,
ma se mi tagliano gli olivi, ammazzano le bestie, bruciano le biade,
_accintolano_ i castagni, chi mi rifà il danno? E se mentre vado
attorno per le fiere da qualche macchia mi viene un'archibugiata
nella testa, chi mi ce la cava? La giustizia eh! Continuando a vivere
insieme, voi capirete, Altobello, che voi mi mettete a brutto partito;
onde confido nella vostra compitezza...

— Se temevate davvero che dallo starci sotto il medesimo tetto ve ne
potesse derivare danno, il ripiego ci era prontissimo.

— Quale?

— Andatevene di casa.

— Come! uscire di casa mia?

— E perchè sarei uscito io? per farvi piacere? Questa casa non
appartiene a me come a voi? I campi, i chiosi, le selve non sono mie
come vostre? Quando abbiamo diviso?

— Diviso mai, nè divideremo.

— Dunque, se sopra la mensa comune voi aveste imbandito il frutto della
terra comune, non mi avreste dato nulla del vostro.

— Nulla del mio? Ma che svagellate, Altobello? O non vi rammentate?

— Di che ho a rammentarmi io?

— Del contratto...

— Qual contratto?

— Quello col quale mi avete venduto i vostri beni così mobili che
immobili, semoventi, usi, servitù, comodi diritti, crediti, insomma
tutto, niente escluso, eccettuato di quello che vi spettava sopra la
eredità paterna.

— Io vi ho venduto questo?

— Già, vale a dire il vostro procuratore, prete Stallone, un degno
sacerdote in verità, il quale riscosse il danaro per voi e si prese la
fatica di portarvelo fino a Venezia.

— Fino a Venezia? In verità non me n'era accorto; e mi immagino che ne
avrete le prove.

— E come! Primieramente ho il mio libro di amministrazione, che attesta
avere io sborsato tutta la somma di un tratto, il quale pagamento, a
cagione della scarsità dei quattrini, mi ha messo in piana terra; non
è vero, Lucia?

— Piana terra! Piana terra!

— Lo sentite, lo dice anche Lucia, che non fa altro che contradirmi, e
poi ho la ricevuta.

— Ricevuta di chi? Mia, forse?

— Ella è come se fosse vostra, perchè fu sottoscritta dal prete
Stallone, vostro procuratore, un degno sacerdote...

— Sta bene; per questa volta abbiamo discorso assai, ora tornate a
dormire che dovrete aver sonno.

Mariano non se lo fece dire due volte per evitare di sentirsi chiedere
materasso o paglia, dove i suoi parenti potessero adagiare le membra;
fingendo non ricordarsi che una sola stanza occupava la madre, ed
ignorare ch'era stata ceduta all'ospite, sbatacchiato l'uscio tirò
precipitosamente l'uno su l'altro i chiavacci. Pertanto non recò
piccola maraviglia al suo fratello, quando dopo alcuno spazio di tempo,
si sentì chiamare traverso il buco della chiave.

— Altobello, Altobello.

— Che volete da me?

— Se domani uscirete di casa prima che faccia giorno alto — di che
vi pregherei — in questo caso vi raccomando l'osteria del Violino —
pulita, sapete! e ci si spende poco; costà la gente si leva da letto
prima dell'alba; — voi potreste aprire i bauli e cavarne i regali,
che lo zio ha mandato a me e alla mia Lucia; — pensate che non è roba
vostra, e che il vostro dovere vi obbliga consegnarmeli; se me li
ritenete un minuto più del necessario sarebbe un rubarmeli, capite...
un rubarmeli; sicchè fate ch'io li trovi dopo che sarete andato via.

— Non dubitate, sarà pensiero mio.

— E quelli dello inghilese, saltò su a strillare la scema: anche quelli
dell'inghilese io voglio... li voglio... e che puzzino di zolfo non me
ne importa niente... li voglio... li voglio...

— Altobello, se vi riescirà averli per contentare questa povera donna,
ve ne sarò obbligato; poi verremo a ringraziarvi voi e lui quando
sarete alloggiati alla osteria del Violino.

Altobello, seguitato dalla madre, scese al pianterreno col cuore
chiuso; pareva, ed era troppo più triste che irritato; senza dire
parola stese il suo cappotto per la terra e ci adattò sotto una
valigia per capezzale; piegate di poi le ginocchia si mise a pregare
per la madre, per sè e pel suo sciagurato fratello, affinchè Dio lo
ravvedesse. La madre stette a contemplarlo estatica, poi d'impeto
lo baciò e lo benedisse, esclamando: — Tu sei il figliuolo della mia
consolazione.

— Ma voi, ora che ci penso, dove dormirete, mamma?

— Dormirò seduta — e presa una seggiola l'accostò alla tavola,
accomodandosi meglio che potè; nè stette guari che parvero addormentati
ambedue; però la madre vegliava; ella leva cauta la testa, e poichè dal
sospiro profondo si accerta essere il sonno disceso sopra le palpebre
del figliuolo, si alza piano piano e si mette a giacere traverso la
porta della scala che conduce alle stanze di Mariano... intanto ch'ella
si chinava premendosi con la destra il petto bisbigliava:

— Perchè questo? Capo mio, capo mio, oh! non dirlo a questo mio cuore.

Noi non meriteremo di essere messi in mazzo tra preclari e tra
grandissimi scrittori (come Gualtiero, il marchese, _eccetera_) che
tanto nobilmente dettarono storie dal 1847 in poi, nè manco pel fatto
della verità, se affermassimo che il signor Giacomo Boswell si destasse
con lo entusiasmo col quale si era coricato: anzi, di quanto nella
notte questo gli scemava, di altrettanto gli cresceva l'appetito, onde
fu consiglio buono quello dell'Alando di provvedere in tempo; cibò il
signor Giacomo di tutto largamente e con gusto, tornò all'usanza antica
del prendere tabacco, dondolare la scatola e ripetere: bene, sia che
c'incastrasse, sia che ci stesse come Barabba nel Passio: avvezzo a
vivere fra gente di ogni maniera, e per natura discreto, non essendogli
fatto motto dei parenti, capì che non ne doveva cercare e non ne cercò;
solo gli parve dicevole affrettarsi a consegnare al generale le lettere
a lui confidate dal signor Giacomini, non che le proprie: a questo
scopo uscì di casa accompagnato da Altobello; per via seppero che lo
sciaurato Brando era stato rimesso in braccio ai confortatori, e al
tramontare del sole sarebbe stato giustiziato; i congiunti suoi avere
sporta supplica al generale poichè la corda mutasse in fucilazione, ma
non essere stata accolta; finalmente sboccati dinanzi al palazzo del
Governo videro parecchi capannelli dintorno alle porte, e in mezzo loro
una ventina di uomini a cavallo; questi vestiti di assisa soldatesca
non si potevano dire, tuttavolta portavano abito uniforme di panno
scuro, schioppo e banderuola, sciabola, pistola e stiletto; in capo un
berrettone nero appuntato, con nappa in cima parimente nera; montavano
tutti cavalli côrsi scarsi di altezza e di carne, di pelo la più parte
sauro, però inquieti e di guardatura salvatica; altri sei cavalli più
appariscenti e avvantaggiati stavano in mezzo bardamentati di tutto
punto, ma vuoti; tra questi mirabile uno di razza araba, storno,
con morso e staffe alla turca di argento, la gualdrappa di velluto
chermesino ricamato in oro alla grande.

Naturalmente venne fatto ai nostri personaggi di domandare la causa di
cotesta adunata, e cui appartenessero cotesti cavalli: da principio
non trovarono chi volesse loro rispondere, ma quando dichiararono
uno di essi forestiero e l'altro giunto dopo lunga assenza il
giorno precedente, seppero la cavalcata doveva muoversi a ricevere
l'ambasciatore che il re di Francia mandava al Governo di Corsica;
cotesti cavalli spettare ai comandanti Valentini, Serpentini, Saliceti
ed altri; l'arabo a sua eccellenza il generale; averglielo mandato a
regalare il Bey di Tunisi, perchè il generale impedì saccheggiassero
una sua nave data in secco su la spiaggia di Aleria, e manomettessero
la ciurma; in cotesta occasione essere uscito un bando bellissimo, il
quale in sostanza diceva che l'uomo colpito dalla fortuna non deve più
considerarsi turco, ebreo, anzi nemico, bensì sventurato, e come tale
correre l'obbligo a tutti di confortarlo: in sequela di ciò i naufraghi
affricani, dopo risarcita la nave, ebbero la facoltà di tornarsene a
salvamento in Affrica: non ingrato il Bey, avergli spedito un oratore,
che venuto al cospetto gli disse: il mio signore ti saluta e ti vuol
bene, poi donatogli il cavallo, ed altre robe di valsente, gli fece
profferte grandi per parte sua in ogni emergenza si ritrovasse. — In
questa si udirono parecchie voci, che dissero: eccoli! e la gente in
fretta si ammucchiò curiosa di vedere. Di un tratto con un mediocre
stupore del Boswell uscirono dal palazzo alquanti uomini ottimamente
vestiti di panno scuro, con rovesci al collo e alle mani di velluto
verde, armati come gli altri cavalieri, che rispettosi rimasero a
piedi finchè il Paoli non salì sopra il suo cavallo. Dove non lo
avessero avvertito, a gran pena il Boswell lo avrebbe potuto ravvisare,
imperciocchè adesso gli comparisse davanti coi capelli colti e ripresi
dietro al capo in un nodo, e il cappello a tre punte piumato; vestito
da capo a piedi di velluto verde trapunto in oro su le costure e negli
orli; oltre il consueto doviziosa notò essere la spada che gli pendeva
al fianco; tutto insomma, sembianza, gesti e addobbi, tramandavano un
misto di grandezza e d'impero, per modo che il nostro signor Giacomo,
sbalordito, non sapeva che cosa pensare.

Un tiro di archibugio fuori delle ultime case di Corte la cavalcata
incontrò il cavaliere Valcroissant accompagnato da un ufficiale e
da parecchi suoi famigliari; appena si scorsero, che da una parte
e dall'altra smontarono alternandosi urbane accoglienze secondo che
porgeva l'indole diversa, aggraziate nel francese, sostenute nei côrsi,
che risaliti a cavallo posero in mezzo al generale e al comandante
Achille Murati, con molta cerimonia, l'oratore francese, mutando a
quando a quando fra loro qualche motto senza costrutto. In questo modo
procedendo erano arrivati quasi presso al palazzo, allorchè fu vista
comparire fuori della porta di una casa certa vecchia a capo nudo,
segno nelle femmine côrse della massima costernazione, esprimente nelle
sembianze sconvolte l'estremo dell'angoscia e del terrore; appena vide
gente lasciò cadersi giù di sfascio in ginocchio, e con le mani aperte
e con le grida implorava soccorso:

— Aiuto! per carità, ella esclamava, lo ammazza, lo ammazza, mio marito
ammazza il suo figliuolo.

Il Paoli in un attimo sbalzò da cavallo, il cavaliere Valcroissant
anch'esso, prima di pensare a quello che facesse, si trovò col piede
a terra; gl'imitarono gli altri, e tutti di corsa alla casa dove stava
per commettersi l'atroce misfatto; nè la donna aveva punto alterato il
successo, imperciocchè il Paoli trovò un vecchio infellonito, per tutte
le membra tremante, che ad ora faceva l'atto di accostarsi alla spalla
lo schioppo e spararlo contro un giovane di piacevole aspetto, il quale
ritto accanto alla parete opposta aveva l'aria che non si trattasse di
lui.

— Fa l'atto di contrizione, borbottava fremendo il vecchio, se non vuoi
andare di posta all'inferno.

— Ma, signor padre, sentite la ragione...

— Non vo' sentir nulla, preparati a morire.

Intanto il Paoli, sopraggiunto costà, mirando che il cane dello
schioppo era inarcato, fu cauto con un colpo del braccio voltarne la
canna al soffitto, e al tempo stesso diceva:

— Per Dio santo, Quirico, hai dato l'anima al diavolo, che vuoi
ammazzare il tuo figliuolo?

— Non ci è Cristi che tengano; ha da morire; non l'ho generato io; lo
rinnego per figliuolo; deve morire... e deve morire...

— Pare che l'abbia fatta grossa costui!

— Eh! una cosa da niente; — vedete, dianzi gli ho detto: Vito, l'aria
si carica da levante, avremo presto burrasca; il generale raccoglie
una compagnia di mille giovani, fiore di Côrsi, per combattere questi
prepotentacci di Francesi, che dopo avere finto amicizia per quattro
anni, adesso ci si scuoprono nemici; non istare a gingillarti, procura
essere dei primi a segnarti, perchè i Savelli non sono usi di farsi
aspettare. Ora sapete che mi ha risposto quel figliuolo ribelle? —
Mi ha risposto che chi ne aveva voglia, andasse. Dunque, se non vuoi
difendere la tua patria, vai fuori, carnaccia da ingrassare gli olivi.

E qui faceva prove di liberare lo schioppo di mano al Paoli: questi
però tenendolo stretto si volse al giovane con mal piglio esclamando:

— Dunque vive nella Corsica un vile?

Il giovane, rosso come un focone allora sbraciato, rispose risentito:

— Se ci vive, non sono mica io, sapete, signor generale; ma babbo qui
si arrapina per un filo di paglia, e poi non vuol sentire la ragione:
mettetevi di mezzo, perchè mi ascolti, ascoltatemi voi stesso, e se ho
torto condannatemi. Diavolo! Dove sono uomini, sono modi.

— Questo non si può per giustizia negare, Quirico mio; anco ai banditi
si permette difendersi.

— Così va pei suoi piedi. Voi sapete che in casa eravamo tre fratelli
maschi senza più. Giampaolo rimase ucciso a Furiani, Niccoletto
morì al convento di Bozio, quando accorse a cavarvi dalle brande del
Matra; l'ultimo sono io. Quando babbo mi ha comandato di scrivermi
nella compagnia dei volontari, ho fatto a dire: pare che la disdetta
voglia che i Savelli non abbiano a uscire vivi di battaglia: chiedo
perdono, non deve dirsi disdetta, e veramente chi muore per la patria
vive alla gloria e nello amore dei suoi; però, meno che sotto questo
aspetto dovete convenire, signor generale, per tutti gli altri, o che
l'uomo spiri nel campo o nel letto, quando è morto è morto. Ora ho
fatto a dire, se questo caso mi accade, ecco, lascio qui i miei poveri
vecchi soli, abbandonati negli ultimi giorni della loro vita; chi li
consolerà? chi ne piglierà cura? chi porgerà loro un bicchiere di acqua
se cascano infermi? Però ho fatto a dire: io sono promesso a Chilina
di Marco Aurelio Brandone, e ci dobbiamo sposare a Pentecoste; dunque
sarebbe meglio che prima me la sposassi, ed una volta che la sapessi
incinta, e per parte mia, signor generale, vi prometto che farei
presto, venire senza un pensiero al mondo a menare le mani, perchè
se campo, tanto di guadagnato; se casco, tagliato il ceppo rimane il
pollo, e Chilina resta in casa in luogo di figliuola ai miei poveri
vecchi.

Ora, per Dio santo, domando un po' a voi se qui ci trovate motivo di
saltare su i mazzi, e di _tombare_ un povero figliuolo come un cane?

Il vecchio Quirico, che a mano a mano il figliuolo ragionava si faceva
sereno, alle ultime parole, mentre s'incamminò a depositare lo schioppo
in un canto, disse:

— Come è così, la faccenda muta di aspetto: ma nossignore; nè anco così
va bene, perchè vedi, figliuolo mio, tutti i giorni capita morire di
punta, di catarro, insomma di uno di quei tanti malanni che il diavolo
ci manda; ma l'occasione di morire con una brava palla in testa per la
libertà della patria capita di rado, e mentre t'indugi per le nozze,
potrebbe scappare: sicchè, Vito, fa' a modo di tuo padre, non perdere
tempo a segnarti.

— Ecco, si potrebbe, soggiunse il Paoli, pigliare due colombi ad una
fava: invece di celebrare le nozze a Pentecoste, o chi para di farle
domani? Vito ha promesso (e così dicendo il Paoli batteva sorridendo
la mano su la spalla del giovinotto), che non si farebbe aspettare ad
accertarvi la successione, e lo credo; sicchè tra un mese io mi figuro
che potrebbe essere lesto: ora, per male che vada, prima del giugno non
ci avrebbero ad essere batoste.

— Gua', per un accomodo ci sto; perchè non è una galanteria ammazzare
un figliuolo, ed anco il patriarca Abramo non ci si adattava mica di
buona voglia, sebbene glielo avesse ordinato un angiolo; immaginate
se io, che non aveva ricevuto ordine da persona; però vatti veggendo
se Marco Aurelio se ne accontenta, il quale fuma più di un camino e
gli parrebbe rimanere vituperato se i _mudracchieri_ non andassero a
prendergli la sposa a casa, e non facessero la travata, con tutti gli
altri fastidi d'usanza.

— Ciò non tenga; ditegli che accompagnerò io stesso la sposa alla
parrocchia; e parmi se ne dovrebbe contentare.

— Ma ci credo! È onore troppo grande per lui, ed anco per me.

— Dunque addio, a domani.

— La benedizione di Dio sia su di voi, signor generale, gli augurò la
povera madre, che piangeva e rideva.

— _Amen_, buona donna, e su voi ancora; e tutta la comitiva rimontò in
sella.

Il generale entrando in palazzo rinvenne l'anticamera ingombra di gente
più che non soleva, ci vibrò sopra uno sguardo, e gli parve vedere
facce nuove, ma studioso di praticare verso il cavaliere francese ogni
termine di convenienza, si trattenne ad indagare. Licenziato sulla
soglia la compagnia entrò nel gabinetto coll'oratore ed un frate.
Il signor Giacomo, il quale comecchè si fosse riconciliato in parte
co' frati dopo l'incontro del padre Casacconi, pure si sgomentava a
trovarsegli sempre fra i piedi, domandò ad Altobello: — E chi è quel
frate che si chiude in conclave col generale e coll'ambasciatore
francese?

— Costui si chiama Buonfigliuolo Guelfucci; appartiene all'ordine
dei Servi di Maria, o vogliamo dire servita; lo dicono uomo di molta
dottrina, e di prudenza grande; detta con molta eleganza di lingua,
sicchè in Toscana lo chiamarono a parte dell'Accademia della Crusca,
custode, come saprete, della purezza del parlar toscano; il signor
generale se lo tiene da molti anni per segretario, ed ha da lodarsene;
ma ecco che esce dal gabinetto.

Di vero fra Guelfuccio, comparso nella sala, fece intendere con
urbanissime parole rincrescere al generale non potere sul subito
accogliere le persone ivi presenti; confortarle a non aspettare;
tornassero dopo la calata del sole, che avrebbe provveduto in modo
da trovarsi libero. Taluni si partirono dicendo si sarebbero fatti
rivedere il giorno appresso; altri risolverono aspettare: solo una
donna di bello aspetto e giovane ancora non si tenne contenta, ed
incominciò a strillare:

— Ho furia io, mi sono partita innanzi giorno da Castirla, e non posso
ritornare; sì, veramente è la via dell'Orto da Castirla a Corte; e
poi ho furia io; bisogna che parli subito al generale, e gli voglio
parlare.

— Ma capite bene, buona donna, la veniva ammonendo il servita, che il
generale adesso sta in faccende per lo Stato.

— E se il generale fa le sue faccende, io non posso mandare a male le
mie: ho furia, vi dico, ho furia: bisogna che inforni il pane, dia da
mangiare ai maiali, annacqui i fagiuoli: insomma ho furia.

Tanto e tale mandava schiamazzo costei, che il generale importunato,
dopo chiestane licenza al Valcroissant, levatosi da sedere, si affacciò
alla porta con volto torbo interrogando:

— Che bordello è questo? Perchè non cacciate via il temerario?

— Non sarebbe un temerario, bensì una temeraria; ma se merito questo
nome, giudicherete poi; intanto bisogna che vi parli, ed ho furia.

— Dunque sbrigatevi.

— Vien qua, Giacinto; vedete eh! che pezzo di figliuolo? Sentiamo,
quanto gli fate? Ma voi non indovinerete da qui a mezza notte, però ve
lo dirò addirittura io, perchè ho furia; egli è entrato in sedici anni
la festa di san Giacomo e Filippo apostoli...

— Sbrigatevi, vi dico.

— Lasciatene il pensiero a me, che ho da tornare a casa a infornare il
pane. Io, per l'addietro, non rifiniva mai rinfacciare a questo povero
figliuolo di mangiarsi il pane a tradimento; perchè come si trattava
recarsi in mano una zappa, sudava peggio di un cavallo bolso; sempre
lì con lo schioppo in mano, sempre erpicato pei comignoli delle rupi,
o sempre inabissato per le fratte delle valli.

— Donna, pel vostro meglio, vi consiglio andarvene...

— Ma no; ma no; coll'interrompermi mi fate perdere tempo, ed io ho
furia; ieri, dunque, mirando che il mio zitello ammanniva lo schioppo
per uscire di casa, gli ho detto: scioperataccio che sei, almeno,
dacchè da quella rocca in fuori non vuoi toccare altro, tu la sapessi
maneggiare come ogni fedele cristiano; gioco un seino che non ti basta
l'animo di ammazzarmi quel falco, che fa la ruota costassù. Giacinto
si ripose in tasca il misturino dei pallini che stava per arrovesciare
dentro lo schioppo, e cavata dalla carchiera una palla la cacciò nella
canna, e mi rispose: adesso è troppo alto. Intanto il falco calò, e
Giacinto: mamma preparate il seino! — Il falco giù come cencio bagnato.
Allora detti spesa al mio cervello e parlai: — Figliuolo, mi sembra che
ci stia sopra le spalle un tempo in cui si deve sparare l'archibugio
contro qualche cosa di meglio che un falco; dimani verrai meco a Corte:
questo domani è oggi, ed io ve l'ho menato, perchè se vi abbisognasse
albergare a trecento passi una palla di oncia dentro la testa di
qualche prepotente francese, egli è il fatto vostro. Certo il vostro
bando chiama alle armi gli uomini da diciotto anni in su; ma ciò non
tenga, gliene darò due de' miei, o, se non erro, non vi farà disturbo,
generale, dargliene anco due dei vostri.

— Devota, poichè mi pare che siate Devota Pieragia di Castirìa....

— Sì certo, giusto, voleva dire che voi non mi aveste riconosciuta!

— Il vostro zitello non avrà mestieri di questo brutto regalo, se come
corpo gagliardo gli deste cuore disposto adoperare virtuosamente in pro
del suo paese.

— Ma sicuro che gliel'ho dato; fatti qua oltre... o dove sei ito?
Presto che ho furia.

Il giovanetto si era rimpiattato dietro le spalle alla madre; ella lo
spinse dinanzi a sè tutto vergognoso con gli occhi bassi.

Il generale gli pose la destra sul capo e gli disse:

— Guardami in viso.

Ed egli lo guardò: allora il generale si volse alla madre, e soggiunse:

— Non occorre altro, Devota; questo giovane farà dire di sè, o non mi
chiamo più Paoli; lo metto nella mia compagnia col fiore dei giovani
del paese.

— E adesso vado a infornare il pane: mio Colombo addio; un bacio e
addio... un altro, e un altro. Signor generale, non ha da costarvi
nulla... capite... grazie a Dio ho da fargli le spese, e ad un altro
ancora se occorrerà; gli manderò o gli porterò la provvista settimana
per settimana: ve lo raccomando perchè l'ho solo, ma all'occorrenza
non lo risparmiate veh! Giacinto mio obbedisci il signor generale come
obbedivi a tuo padre, che vuol dire un zinzino più che a tua madre, e
ora anche un bacio... e addio, chè ho furia.

E via di corsa; il generale stava per richiamarla, senonchè Minuto
Grosso gli diede su la voce notando:

— Lasciatela andare, eccellenza, che la buona femmina pare che abbia
furia di andare a infornarvi il pane, e un altro figliuolo.

— Minuto! dubito che la stagione dei tuoi motti sia passata: per me
penso che se la nostra causa sostenuta dal sangue più puro delle
viscere del popolo avesse a soccombere, sarebbe segno che Dio ha
ritirate le sue sante mani da questo mondo.

Rientrò il Paoli nella stanza, e chiusane diligentemente la porta si
volse al cavaliere Valcroissant dicendo:

— Signor colonnello, se vi piacerà espormi il fine della vostra
ambasciata, sono disposto ad ascoltarvi.

Il cavaliere attendeva ricevere lo invito di assettarsi; visto però
che il Paoli prese a camminare su e giù per la stanza, non fu tardo ad
imitarlo; intantochè essi si movevano su due linee parallele, il cane
Nasone, messosi in terzo, si era cacciato nel mezzo regolando i suoi
moti con quelli dei nostri personaggi. Il cavaliere, ch'era uomo dotto,
non potè astenersi, a cagione dell'accompagnatura, di paragonare il
Paoli con gli eroi dei tempi a mezzo barbari, come Evandro, Patroclo,
Telemaco e Siface, che Virgilio, Omero e Tito Livio ci rappresentano
inseparabili dai propri cani, e per la irrequietudine sua a Catilina,
il quale, giusta quando avverte Sallustio, nè vegliando nè dormendo
poteva star fermo un momento, tuttavolta con felice disinvoltura
incominciò:

— Innanzi tratto permettetemi, signore, che io mi congratuli con voi,
che col senno e la fermezza, che tutta Europa onorano, avete saputo
ridurre i Côrsi dallo stato in cui vivevano a quello in cui oggi li
vediamo....

— E li conoscevate voi questi Côrsi?

— I Francesi, che con la distanza di parecchi secoli visitarono
l'isola, ci lasciarono ragguagli così copiosi come veridici.

— E adesso li conoscete voi questi Côrsi?

— Spero dimostrarvelo, signore. Il mio padrone e signore....

Il Paoli gli vibrò un'occhiata di traverso.

— Sua maestà il re di Francia voi sapete che va degnamente insignito
di due titoli del pari gloriosi: uno lo possiede comune co' suoi
antenati; l'altro glielo deferivano i popoli riconoscenti: desideroso
sempre più meritarsi i nomi di cristianissimo e di bene amato, prese
in matura considerazione la guerra secolare che lacera due illustri
popoli, il Côrso e il Genovese, e poichè per esperienza propria ed
altrui conobbe ormai disperato che tra loro potesse cadere termine
alcuno di concordia, deliberò affrancare la Corsica dallo odiato
governo della repubblica genovese. Se la Provvidenza non avesse riposte
nelle sue auguste mani le forze della prima nazione del mondo, forse
avrebbe comandato ai Genovesi sgombrassero da una contrada che non
avevano o voluto o saputo nel corso di tanti secoli felicitare; e
trovatili contumaci a obbedire, sarebbe ricorso all'ultima ragione
dei re; la potenza sua unita in bello accordo con la magnanimità gli
persuase partiti più blandi, volle risparmiare sangue cristiano, e la
Provvidenza secondò il pio desiderio. La Francia, ricca abbastanza
per pagare la sua gloria, con molto denaro acquistava il diritto di
beneficare la Corsica; e così operando era mossa dal desiderio di
appagare i voti secolari di questi popoli generosi, dacchè con grato
animo essa rammenta che un giorno vennero ascritti alla famiglia dei
sudditi di S. M., che sotto le bandiere francesi militarono, e per
ultimo che anche nei tempi recentissimi manifestarono per mezzo di
oratori e di istanze, non una volta, ma molte, il fermo proposito di
essere chiamati a parte della naturalità francese. La Francia pertanto
oggi senza ostacolo vi apre le braccia, e voi potete commettervici con
effusione di cuore.

   [Illustrazione: Giacinto mio, obbedisci il signor generale
   come obbedivi tuo padre... (_Pag. 222_)]

Uniti alla Francia, di deboli diventate ad un tratto potenti; invece
di temere le minacce dei nemici, sta adesso ai nemici a imparare la
paura delle vostre; la Francia conosce le vostre piaghe e vuole e
può ripararle: nuove strade si apriranno, saranno asciugati paduli,
ponti eretti, l'agricoltura ricondotta in fiore, i commerci promossi;
questa fortunata isola sta per diventare in mano alla Francia scala
dei suoi traffici per tutto Levante, arsenale per le sue armate più
acconcio dello stesso Tolone; per la copia dei suoi legnami cantiere
privilegiato, per la moltitudine dei porti fidatissima staziona navale;
i vasti golfi le accertano la scuola di marina quasi esclusiva; qui
ufficiali sì civili che militari, qui prelati, e con essi le belle
case, le splendide masserizie, l'urbanità, le arti del lusso, le feste.
Stupendo a dirsi! Quello che la Francia con la fatica di molti secoli
conseguì, voi altri Côrsi in un giorno, anzi in un'ora, acquistate;
nè questo è tutto: S. M. cristianissima intende ancora sopra i suoi
antichi sudditi felicitarvi; non mica che in lei, ch'è fonte di
tutta giustizia, possa allignare parzialità, bensì perchè qui vede
urgente riparare le ingiurie della dominazione altrui; a questo scopo
divisa affrancare i Côrsi per trent'anni dal pagamento di qualunque
imposizione o gravezza. E voi, illustre signore, che per l'egregie
opere vostre meritaste che un principe barbaro mediante onorevole
ambasciata vi palesasse l'alto concetto nel quale vi teneva, non
maraviglierete certo se il re cristianissimo, ch'è quanta gentilezza
vive nel mondo, per mia bocca vi partecipa la sua ammirazione e
il desiderio di vedere con la presenza vostra onorata la Corte con
ufficio degno, come sarebbe quello di tenente generale degli eserciti
del re, o, se meglio vi aggradisce vita più tranquilla, rimette in
voi la scelta della provincia di terraferma, dove vorreste andare
governatore.»

Finchè il Paoli conobbe che questo discorso era per durare un pezzo
stette quieto, o parve; mano a mano però che volgeva alla fine, il
suo passo si fece più accelerato; gli s'infiammò la faccia, tremava;
tuttavolta si contenne e socchiuse gli occhi per nascondere le faville
dell'ira che quinci prorompevano. Tacque fin tanto gli fu possibile
senza offendere l'urbanità; costretto per ultimo a parlare, con voce
tremula incominciò:

— Signor colonnello, i miei complimenti per la vostra facondia:
perdonerete le mie disadorne parole; rettorica non ci so mettere, e
sapendo non ci metterei; studierò all'opposto di mostrarmi più schietto
che per avventura la mia condizione non comporta. Orsù, il vostro
discorso contiene due parti: la prima concerne la patria, la seconda
me. Quanto alla patria, mi fate sapere che il vostro padrone ci ha
comprato interi, terra e anima, come si acquistano poderi con le stime
vive e morte; ovvero, che mentre l'Europa incomincia a vergognarsi
per la tratta dei negri, S. M. cristianissima non prova ribrezzo alla
compera dei bianchi: un'altra cosa vedo nei vostri discorsi, ed è
che il vostro padrone, ottimo padre di famiglia, vi manda a pigliare
possesso del podere acquistato, con facoltà di levare di mezzo
imbarazzi col migliore mercato possibile...

— Signore, voi fate ingiuria...

— Colonnello, io non vi ho interrotto, adesso non interrompete me,
e ricordatevi che il vostro signore e padrone non è il mio, anzi
ponete addirittura che nessuno, intendete bene, nessuno sarà padrone
del Paoli, eccetto Dio. Or via, supposto che siffatti traffici non
sieno infami, che cosa ha potuto comprarsi da una parte, che vendersi
dall'altra? I Genovesi mentiscono quando vantano aver conquistato la
Corsica, e di questo vi chiarirà il libro di Don Gregorio Salvini,
che fece stampare in Oletta, e l'altro più breve di mole, e forse di
argomento più notabile, di monsignor Natali, vescovo di Tivoli.[23]

Quale, non dirò pudore, ma conformità in voi? Ci aiutaste prima col
sangue, con la pecunia, con armi a rompere il giogo aborrito della
repubblica genovese, anzi ci mandaste per conforto a perseverare le
bandiere col motto _pugno pro patria_; più tardi vi siete uniti con
la repubblica genovese, e non risparmiaste nulla, nè anche delitti,
per ribadirci al collo le catene di Genova; ora vi augurate esercitare
la tirannide, auspice Genova, ma per conto proprio. Dio eterno,
ma che credete voi che i popoli sieno la cavalla morta legata al
piede di Orlando matto? Voi dite che ci volete felici, e cominciate
intanto col rendere i Côrsi schiavi, me traditore. Certo, non vo'
negarlo, costretti dalla necessità e mossi ancora dalla gratitudine,
che nei nostri cuori facili a commuoversi esageriamo del pari che
l'odio, ci proferimmo a voi, e voi ci accettaste e prometteste
tenerci perpetuamente a parte del vostro reame; ma questo accadde,
vi piaccia rammentarvelo, quando le forze di Carlo V, il più potente
degl'imperatori dopo i Romani, mosse di Germania, di Spagna e d'Italia,
minacciavano inondarci; comunque sia, noi ci demmo, voi ci accettaste;
come ci teneste? Voltabili nella fortuna contraria, non fermi nella
buona, appena credeste aggiustare i fatti vostri con vantaggio ci
gettaste via a modo... a modo di donna, che butta là un ventaglio
sgualcito. Un'altra volta ci proferimmo a voi, lo confesso, e fu quando
intromessi pacieri tra Genova e noi, con gravità non so se più stupida
o feroce, ci andavate avvisando: tendete prima il collo al rasoio, e
poi aggiusteremo le cose! nè a noi giovava punto rispondere: Dio ve
ne renda merito, morti una volta non vale medicina, che imperturbati
voi nella medesima proposta insistevate; allora vi si proffersero i
Côrsi nella guisa che il condannato, al cui arbitrio si lasci morire
di laccio o di mannaia, sceglie la scure, sperando patire meno, e
tuttavolta voi non ci accettaste. Adesso voi volete dare ad intendere
a voi stessi ed a noi che di questa razza uffici a voi conferiscano
diritti, a noi obblighi? Senza ridere voi vi vantate benefattori, e
noi sul serio ci confesseremo beneficati? Ah! colonnello, forti siete,
perchè venti e più milioni legati ad un medesimo giogo tirano un monte,
e non importa se trattisi di bestie o di uomini; ma quanto a ingegno,
che nella solitudine può salire fino alla divinità, non presumete
vincere le menti latine. Il vostro re ha sentito (voi lo accertate)
pietoso ribrezzo di spargere sangue cristiano per costringere i
Genovesi a vendere i Côrsi, ma pare non proverà scrupolo a versarlo a
bigonce, caso mai i Côrsi repugnassero a confessarsi comprati. — Voi
volete rendere i Côrsi felici; lo siete voi, signor colonnello, in casa
vostra? Ah! voi pretendete guarirci mettendoci a parte dell'olio santo
che già vi ha amministrato il prete?

— Signore, noi siamo potenti.

— Potenti? Sia; ma oltrechè la felicità di rado nasce dalla potenza, io
talora credo che la potenza sia la fortuna in maschera: ad ogni modo
se fortuna e potenza sono due enti diversi, io gli ho veduti spesso
seduti al medesimo tavoliere passarsi alternativamente nelle mani il
bussolotto co' dadi. Presumereste forse di avere preso a pigione la
fortuna voi altri, frammento minimo della rovina romana? Colonello,
io non ho, in fede mia, intenzione di oltraggiare la Francia; pure
non crediate che noi ignoriamo quali rovesci condussero le paci di
Utrecht e di Rastdat sotto Luigi XIV, che scambiò una candela col
sole, e prima di morire la vide condotta al verde: avendo comandato
troppo in casa altrui, finì col comandare appena in casa propria,
quantunque affermasse l'opposto. Ditemi, la pace di Aquisgrana vi venne
persuasa dalle vostre vittorie? Per la Francia non si bisbiglia che
il vostro ben amato re si nabissi nello stravizio e nelle lascivie,
meno per talento naturale che per sottrarsi al senso dei mali che il
suo stato patisce? Voi non siete potenti, voi non felici, ma se io
errassi, lasciateci stare; contentatevi dei doni della Provvidenza
e non disturbate noi poveri grami. Noi non possiamo essere felici a
modo francese, bisogna lo siamo a modo côrso; la vostra civiltà mi
sa di acqua nanfa sparsa nella stanza mortuaria per coprire il fetore
del cadavere fradicio; come si mariterebbe ella alla barbarie côrsa?
E noi siamo barbari, e prego Dio con tutte le viscere dell'anima
mia ci mantenga lungamente così; la vostra civiltà travasata tra noi
riuscirebbe schifosa a vedersi come il vomito di pasto reale sopra
un masso di granito. Perdonate la turpezza del paragone in grazia
della verità. Il Côrso è superbo: prosuntuoso; ombratico, non patisce
padrone, e non per tanto ha in uggia i vili; con lui ci vogliono
esempi buoni piuttosto che leggi; onesti fatti e forti, non già
parole dolosamente leggiadre; ad emendarli, appena bastano amore di
padre, carità di fratello, e tanto tu hai ad adoperarci industria,
che ammaestrandoli paia che da per loro trovino l'insegnamento; di
pazienza non parlo, perchè qui ci bisogna troppo più di pazienza; in
effetto non solo importa sopportare le ingiurie, ma per mantenersi
in credito fingere che non te ne sia accorto nemmeno; la naturale
superbia persuadendo il Côrso a non chiedere mai scusa, e al tempo
stesso la sua rettitudine sforzandolo a compensarti il male che ti ha
fatto. Ora lascio considerare a voi se i Francesi possono praticare
queste ed altrettali provvidenze additate nel consorzio quotidiano co'
Côrsi; e se, potendo, vorranno essi così impazienti, così superbi. Anco
conceduto che voi poteste e voleste, tanto non verrete a capo di nulla,
perchè non vi recate in mano la fiaccola della libertà, bensì la spada
della forza. Ora che i Côrsi non vorrebbero stare nè anco in paradiso;
e voi la libertà non amate, anzi offendete e perseguitate: miseri! che
la libertà matura nel suo segreto la vendetta, e quando un giorno vi
sentirete appetito di lei, i vostri petti spasimeranno accesi non di
amore, ma di libidine, e la santa libertà da voi invocata con bramiti
di belve non vi consolerà alito respirato dal creatore su la creatura,
ma come furia vi si attaccherà alle ossa. Non istarà per voi che la
libertà non si faccia detestabile quanto il dispotismo e più.

Il proposito nel Paoli di tenersi fermo alle regole del severo
ragionamento era ito, tutto il suo ente pareva un mazzo di ferro che il
fabbro cava arroventato dalla fornace; però di un tratto facendosi più
mite riprese:

— Adesso resta a favellare di me; e da parte mia direte al vostro
ministro che, innanzi di propormi i partiti discorsi da voi, egli
doveva considerare se mi stimava ambizioso, se ambizioso od onesto;
come avrei scambiato il governo di una provincia di Francia col comando
supremo di un popolo? Come la libertà col servaggio, per lo meno con
la soggezione? Se onesto, come spero, che tradissi il popolo che ho
giurato difendere, e che difenderò finchè mi basti l'anima? — Oh!
fossi padrone del fulmine — perchè sghignazzate, signor cavaliere, e mi
sporgete irridendo alle mie parole il volume di Plutarco? Lo so, lo so
quello che volete dirmi. Non fu uomo al mondo, che affaticandosi per
la libertà del popolo, non capitasse male: corre molto tempo, che mi
sono ammannito anche a questo; però avvertite bene, con animo diverso
di quello che supporreste voi, imperciocchè abbia considerato, che i
nemici del popolo non si condussero a fine migliore, e i primi ebbero
il conforto della pace dell'anima, i secondi le angosce del rimorso,
la quale cosa non è pericolo capitale nelle ultime ore; finalmente
i grandi benefattori come i grandi malfattori sopravvivono al
sepolcro, ma questi alla infamia, quelli all'amore dei popoli pentiti
e riconoscenti. Ora, per gli animi gentili non si conosce premio che
superi questo in bontà, quantunque gustato da loro unicamente per via
di presagio.

— Io non mi offenderò, rispose l'oratore di Francia, generale, delle
vostre parole, ammiro le nobili doti dell'animo, anco quando paiono
eccedere. Senza punto cancellare le cose, che già vi dissi, pregovi
avvertire quanto altro brevemente vi dirò; la questione côrsa offre
due aspetti, il primo esterno, il secondo interno. La vostra sagacia
vi avrà a questa ora chiarito che gli stati d'Europa intendono
estendersi, e bilanciarsi così per mare come per terra. La Russia mira
allungare i piedi a Costantinopoli per iscaldarseli al sole: lo ha per
testamento dello czar Pietro il grande; l'Austria suda acqua e sangue
per mettere capo ai mari; lei tiene addietro la repubblica di Venezia,
però è riuscita a ficcarsi nel ducato di Milano, e quivi sta nel mezzo
d'Italia, come un topo chiuso in dispensa; lasciatela rodere, è il
suo mestiero, da qualche parte bucherà: ma mettiamo da banda i casi
remoti; ragioniamo degl'imminenti. Voi vedete Francia e Inghilterra,
emule eterne, ed io credo meno per volontà che per necessità
provvidenziale: adesso riposano non amiche, bensì come gladiatori
stanchi di combattere, che la Inghilterra aspira al dominio dei mari,
massime del Mediterraneo, come quello che fu e tornerà un giorno ad
essere la fiera dove hanno a concorrere la più parte dei popoli del
mondo: di già ella si è presa Gibilterra, occupò porto Maone unico per
sicurezza a giudizio universale dei marinari; le coste africane furono
un dì municipî fiorentissimi dei Romani, anche i Crociati le tennero,
Carlo V tentò farsele soggette, e riuscì in parte; l'Egitto ci offre la
strada più spiccia, comunque disusata, di penetrare in Asia: questi ed
altri concetti mulinano nella mente degli uomini di Stato, e secondo
l'opportunità colgono il destro di allungarci la mano. La Francia non
può dunque patire che la Corsica barcolli in mezzo al mare come caicco
senza padrone in pericolo di venire in potestà del primo occupante: o
bisogna che la pigli, o la lasci pigliare; e tra i due partiti non si
domanda quale le garbi di più. Repubbliche di san Marino non possono
reggere su i mari, e se mi opponete Malta, io vi dirò che vive sì, ma
come la lodola perseguitata dal falco; in meno di venti anni Malta
diventerà una gemma della corona di Francia.... o d'Inghilterra; ma
questa parmi più difficile. Non vi potendo sostenere da voi, qual senno
vi persuade a rigettare la offerta, che vi chiama a parta delle fortune
di un popolo grande, a voi di lunga mano conosciuto, e se non concorde,
nemmeno da voi affatto disforme? — Pensateci. Circa all'interno, vi ho
detto che conosceva i Côrsi; intendo provarvelo adesso. Non in tutti
vive un animo solo: anche i popoli che avete nelle mani procedono con
voglie divise; nei presidii vi si professano avversi, e da ogni parte,
compreso l'interno dell'isola, fioccano suppliche di omaggio in corte
di Francia a fine di non essere ultimi alla pioggia dei regi favori.
Cupidissimi noi proviamo i Côrsi, è di ogni lavoro nemici giurati:
degli agi e delle vanità del lusso insaziabili, ma questi agognano
come regalo di favore, non come premio della fatica; col governo
intendono guadagnare, non già fargli le spese; la libertà, che non
paga, ed invece vuol essere mantenuta, incomincia a riuscire sazievole
all'universale. Sono parecchi anni che vedono la faccia di Luigi, e
per quanto so ci spasimano di amore davanti, perchè la è faccia di oro,
che costa ventotto lire di vostra moneta. Ah! signore, voi vi credete
circondato da eroi, e lo siete da traditori.

— Oh! non è vero.

— A Dio non piaccia che dobbiate farne amaro sperimento. Intanto voi
non avete provvisione di danari, non di vettovaglie, pochissime le
milizie stanziali, le altre, comecchè valorose, certo non disciplinate,
ed incapaci a sostenere gli sforzi dei veterani di Francia: di
artiglierie grosse scarsi, di minute al tutto manchevoli, non ospedali,
non chirurghi. Ora posto che in uno scontro, che in due, possiate avere
il disopra, credete in coscienza sgararla coi Francesi, i quali se
favoriti dalla fortuna vi opprimeranno di un tratto, se contrariati
s'infiammeranno di furore, non consentendo, nè savi nè matti, di
apparire vinti al cospetto del mondo da una mano di montanari. Cogliete
l'occasione, signore; adesso nello accordo potere mettere un po' di
volere; più tardi non vi rimarrebbe che a obbedire.

— Quanto a me state certo che non obbedirò: ma se veramente ci ama
la Francia, laddove arrivasse ad accertarsi i profitti che desidera,
perchè si ostina a levarci la libertà? Ci diventi protettrice;
accordiamoci con un trattato in virtù del quale sia lega perpetua
fra noi; per continuare la vostra similitudine, se non può lasciarci
barcollare come caicco senza padrone, ci attacchi dietro alla sua nave,
ma non ci faccia passare per occhio sfondandoci senza misericordia:
le condizioni dei mutui commerci e dei mutui uffici ella detti, e noi
le accoglieremo con gratitudine, adempiremo con fedeltà. Il duca di
Choiseul mi scrive che non manda milizie in Corsica ai nostri danni, e
intanto incomincia a rompere la tregua prima dello spirare del termine:
non intende recarci ingiuria, e alla sprovvista assalta ed occupa
quanto paese più può; corrompe, e la corruzione mi butta in faccia come
argomento di servitù da parte nostra, di dominio da parte sua; compra
pugnali e poi cerca atterrirmi con le minacce del tradimento.

— Signore, a me non fu conferito mandato di proporre o di accettare
leghe, nè la Corsica si trova in termini di presumere di avere per
confederato il re cristianissimo.

— Ho capito; quanto a me il mio avviso vi fu manifesto: adesso
l'obbligo mio sta nel sottoporre la proposta vostra alla Consulta, che
fra pochi giorni si adunerà qui in Corte: se vi piace, potete fermarvi
a sentirne la conclusione.

— Lo credo inutile, perchè la gente chiamata sarà a voi pienamente
devota, e voi le saprete persuadere di leggieri quanto vi piace.

— V'ingannate; come capo di governo l'obbligo mio consiste nello
esporre la proposta e nulla più. Non mi si concede parlare pro o contro
di quella; anzi la legge mi ordina uscire dalla sala mentre accadono
i dibattimenti e la votazione. Importa a me più che a voi conoscere se
i Côrsi intendano sinceramente respingere od accettare le proposizioni
della Francia.

— In questo caso rimarrò,

— Vi manderò a stanza nel convento dei Francescani, e spero ve
ne chiamerete contento; ci manderò guardie per onore e tutela: se
desiderate guida vi darò il più giovane dei miei segretari, giovane
d'ingegno svegliato e di modi gentili.

Qui reiterati da una parte e dall'altra i complimenti, il Paoli ordinò
ai comandanti Serpentini e Morati conducessero l'oratore di Francia
alle stanze del convento dei Francescani, gli ponessero guardie,
procurassero tenerlo con ogni maniera di cortesia bene edificato; a
Matteo Masessi commise andasse, finchè il cavaliere stesse in Corte, ai
servizi di lui.

Il lettore avrà notato, come la baldanza del Paoli nella seconda parte
del colloquio col colonnello francese scemasse, e questo accadde perchè
gli fu messo il dito dove gli doleva: infatti appena il colonnello
ebbe posto il piede fuori delle stanze, egli con tutte e due le mani si
strinse il capo esclamando:

— Pur troppo! Oh! perchè consentii la tregua quadrienne coi Francesi?
Perchè permisi i mercati settimanali dei paesani con loro? Di questo
fallo io temo mi abbia a chiedere severo conto Dio; ignorava forse che
a mo' delle arpie i Francesi dove toccano contaminano?

Poi quasi per divertire la mente da angosciose considerazioni chiamò il
segretario fra Bonfigliolo, commettendogli introdurre la gente rimasta
ad aspettare la udienza. Qualcheduno fra gli antichi afferma, Socrate
avere sentenziato, che l'uomo virtuoso in lotta con l'avversità offre
spettacolo degno degli Dei, ed è a mio parere troppo fiero giudizio;
piuttosto mi sembra degno questo altro, che lo sgomento delle anime
forti così comparisce pieno di spasimo e di passione da meritare che
Dio lo sollevi con prontissimo aiuto.

E veramente allora parve che le cose passassero come ho avvertito,
imperciocchè il frate Bonfigliolo mise dentro di un tratto frate
Casacconi, Alando, Giocante, il signor Boswell e il Giacomini di
Centuri, i quali tutti venivano per faccende comuni, sebbene poi non
mancassero averne delle speciali a ciascheduno di loro.

Il padre Bernardino, comecchè più innanzi degli altri negli anni,
avvezzo a lasciarsi trasportare dal sangue saltò al collo del generale,
e gl'innondò la faccia di baci e di lacrime, intanto che con frasi
rotte diceva:

— Benedetto! Benedetto! Tu non mi conosci, ma ti avrà parlato di me
quel galantuomo di tuo padre Giacinto: noi altri vecchi abbiamo fatto
quello che abbiamo potuto, ma se voi altri giovani opererete meglio vi
batteremo le mani, non ne dubitate vi batteremo le mani.

— Noi non avremo mai la presunzione di vincere i nostri padri
nell'amore della patria, contenti di poter dire anco noi un giorno:
abbiamo fatto quello che abbiamo potuto; sta alla Provvidenza coronare
di lieto successo gli sforzi degli uomini.

Queste cose furono discorse con voce così solenne, accompagnate con
gesti tanto dignitosi che fra Bernardino, quasi smarrito, si sentì come
costretto ad aggiungere:

— Spero, signor generale, che non avrete preso in mala parte la libertà
che si è tolta con voi un vecchio amico di vostro padre!

— Mala parte! Sì certo, e di ciò parleremo più a lungo sta sera a
mensa, perchè l'amico paterno è giusto che non abbia alloggio fuori
della casa del figliuolo del suo amico. Intanto perchè venite così
tardi?

— Figliuol mio, prima perchè mi hanno tenuto prigione, poi perchè
scappato ho fatto a dire: vecchio e solo qual mai profitto potrai
arrecare al tuo paese? Allora mi sono dato a mettere insieme alquanti
religiosi dei buoni, e gli ho menati meco disposti ad usare la
parola dell'evangelio in pro' della libertà, ed anche un zinzino la
schioppetta.

— E forse un po' più la schioppetta che la predica? domandò il Paoli
sorridendo.

— Eh guà! potrebbe anche darsi — rispose il frate stringendo li occhi
mentre i peli della barba su i labbri gli si movevano a guisa di ale.

— E voi, signori, chi siete?

— Eccellenza, io sono Altobello Alando...

— Ah! io vi aspettava... ma vostro zio sarebbe forse morto, che non lo
vedo con voi?

— In letto...

— Sta bene, non poteva essere altrimenti: morto o infermo... sangue di
Alando non può fallire; spero non sia grave la sua malattia.

— Per ora no, ma incurabile, perchè frutto degli strapazzi e degli
anni. Queste sono lettere, che vi manda, e con esse questa tenue
offerta, che gli serva come prezzo del cambio.

Il generale lesse la lettera, e mutò, per la commozione, di colore più
volte; poi preso il danaro depositato da Altobello sopra la tavola lo
porse al segretario dicendo:

— Padre Guelfucci, consegnerete questo danaro al tesoriere ordinandogli
che noti su i registri il nome di cui lo manda, e la causa per la quale
è mandato: ancora scriverete lettere circolari ai parroci perchè nella
domenica prossima bandiscano dai pulpiti il fatto ai popoli. — Questi
sono i nostri diarii, signor Altobello, e mi paiono sopra gli altri
onorevoli: non costano nulla, e le bugie, e le calunnie, e le frodi
per ordinario peritandosi di entrare nella casa di Dio rimangono sulla
porta.

— Vi chiedo licenza, signor generale, di presentarvi questo mio amico
Giocante Canale; esso non seppe resistere alla vostra chiamata, amico
non volle dividersi dall'amico: egli era tenente alla compagnia di cui
io stava a capo come capitano.

— Datemi un abbraccio, Giocante: la vostra venuta mi fa bene più di
quello che non potete credere; qui non vi è penuria di fatiche, nè di
officii, io vi terrò entrambi presso di me, voi in grado di maggiore,
Altobello, e voi, Giocante, capitano: io ho bisogno di officiali
esperti: dentr'oggi vi faremo spedire la patente. Voi, signore, siete
inglese? Qual grazia vostra o merito di noi vi conduce ospite in questa
povera isola?

— Signor Paoli, nato libero, amo la libertà; di voi e dei vostri
udii parlare con diversa sentenza, volli venire a sincerarmi da
me stesso se voi eravate un bandito o un eroe: quanto ho visto mi
basta, e me ne avanza per andarmene pienamente convinto che voi siete
un rispettabile... un molto rispettabile... un rispettabilissimo
gentiluomo in verità. Però concedetemi ch'io vi stringa la mano, e
dimani me ne torno a casa.

— Anzi rimanete, perchè di molte cose ho da parlarvi, le altre molte
mostrarvene.

— Questo è una copia di testamento, disse fra Bonfigliolo.

— Leggete su, ordinava il Paoli, e quegli:

— In nome di Dio. Amen....

— Correte via alle disposizioni.

— _Jure legati_, o come meglio, lascio a S. E. il generale Paoli quale
rappresentante della nazione côrsa tutto quanto la mia casa apparirà
creditrice per provviste da guerra e da bocca da me spedite al governo
della Corsica fino dal principio della guerra contro i Genovesi. —
Item, lascio al prefato generale Paoli, sempre nella sua qualità, tutte
le provviste sia da guerra che da bocca, che si troveranno in essere
al tempo della mia morte nei magazzini messi a bordo senza spesa.
Item lascio al medesimo generale Paoli il mio orologio; se fosse una
corona non gliela lascerei, perchè sarebbe un presente indegno di uomo
libero, ed egli la butterebbe via. Nella universalità degli altri
miei beni, veruno escluso nè eccettuato, instituisco erede Tiburzio
Giacomini di Centuri mio nepote, al quale faccio invito, e in quanto
occorre comando, di recarsi a Livorno, e continuare il traffico della
mia ragione, industriandosi favorire come ho fatto io con l'opera,
col consiglio e co' beni la libertà della patria. A guerra finita, se,
come spero e desidero, col vantaggio della Corsica, liquidi ogni suo
interesse, e convertiti gli assegnamenti in danaro cessi la mercanzia,
e si faccia agricoltore: in cotesta occasione porterà seco le mie
ossa, e le seppellirà a piè dell'olmo davanti casa dove la gente va a
meriggiare, e la sera a prendere fresco; se (e questo Dio non voglia)
la Corsica avesse a cascare sotto la dominazione straniera, allora
venda le terre e le case di Corsica e pigli stanza fuori; mi lasci
stare dove mi troverò, perchè mi sembra che a me morto non darebbe meno
uggia dormire nella patria schiava che a lui vivo strascinarvi la vita.

— Padre Bonfigliolo, anco lui, anco lui mettete nella Circolare ai
parroci; senza mancare di reverenza ai santi antichi mi sembra, che su
gli altari ci possano stare anco questi. Che ne dite, padre Bernardino?

— Veramente bisognerebbe aspettare la canonizzazione da Roma; ma non
fa caso, perchè quando Roma o non vorrà o non potrà salutare come santi
quelli che amarono la patria, io credo che anch'ella potrà fare il suo
testamento.

— Bene, bene, benissimo! esclama ad alta voce il Boswell, e tosto gli
occhi di tutti gli astanti gli si voltarono contro corrucciati; egli
a ciò non badando riprese: se mi cedete cotesta lettera io vi darò in
compenso cento... anche centoventi.... forse.... quando non possa farsi
a meno, centocinquanta lire sterline....

— Signore... interruppe il Giacomini battendo di un piede la terra; ma
il Boswell imperturbato continuò:

— Io metterò in quadro cotesta lettera e l'attaccherò al muro nella
Borsa di Londra perchè i mercanti inglesi, anzi tutti i mercanti
del mondo la leggano, e si vergognino, o meglio ancora la leggano e
imparino ad imitare il cittadino Santo Giacomini.

Allora lo sdegno cessò come vela al cessare del vento, e gli sorrisero
benevoli.

Il Giacomini in quel punto colse il destro per favellare: modestissimo
uomo era costui, e appena ardiva sollevare gli occhi, sicchè arrossendo
disse: — Signor generale, mi sono mosso da Centuri per confermarvi
colla mia bocca sentirmi disposto a soddisfare con tutto il cuore i
desiderî del mio signore zio, che Dio abbia nella sua misericordia;
siccome mi sembra che la faccenda stringa vi prego parteciparmi i
vostri comandi anche subito, che senza indugio col vostro beneplacito
mi avvierò a Livorno.

— Non prima di domani; per questa sera albergherete qui meco, s'intende
che anche voi, signor Boswell, farete lo stesso; di ciò vi prego — e
sorridendo aggiunse — e vi consiglio di non ricusarlo al barbaro capo
di tribù selvaggie. Altobello spero non mi appiccherà lite perchè
io gli rubi l'ospite — e qui strettogli tra il pollice e l'indice
un bottone della veste lo tirò dolcemente in disparte bisbigliando:
capirete quanto necessiti tenerci questi signori bene edificati.

— Anzi, rispose Altobello, voi mi levate dal più grande impiccio che mi
sia venuto addosso dacchè sono al mondo, — e visto il generale che si
turbava un cotal po' a siffatto strano discorso, fu sollecito a dire:
sul quale proposito importa ch'io vi parli subito subito, e in segreto.

Il generale, accommiatata la gente che gli stava dintorno coi modi
più urbani che si addicono a perfetto gentiluomo, rimase solo con
Altobello: allora questi gli espose per filo e per segno quanto dopo
il suo arrivo gli era accaduto col fratello Mariano; la vergogna
sofferta, e l'ira che repressa per decoro della famiglia sentiva in
procinto di prorompere: dall'altra parte lo combatteva la paura di
affliggere quell'angiolo di sua madre più che non era già afflitta, e
il pensiero si avesse a propalare la infamia del fratello con iscapito
di reputazione della onorata sua stirpe. — Questo racconto mise i
brividi addosso al generale, che troppo bene sapeva la miseria di
Mariano, ma ignorava, atteso la prudenza della madre, che egli fosse
arrivato a tale estremo di ribalderia: si strinse, come costumava nei
casi gravi, con la manca mano la fronte, e poi con la solita veemenza
parlò guardando l'orologio:

— Avanza tempo, per aggiustare anco questa, nè la giudico tale da
patire dimora. Altobello, volete rimetterla in me?

— Io l'ho fatto a posta; e voi mi userete non solo piacere, ma carità
se comporrete questa lite, che minaccia fine ben triste.

— Va bene; scrivete — e gli dettò, tuttavia passeggiando, un
compromesso nelle regole, col quale gli conferiva facoltà di decidere
le differenze insorte tra lui e il suo fratello Mariano, senza strepito
come senza forma di giudizio, con la renunzia allo appello, e a
qualunque altro rimedio, o piuttosto veleno, inventato dai legali per
fare scontorcere il litigante, finchè gli basti un filo di vita nel
corpo. Compito che fu gli porse un libro aggiungendo: — ritiratevi
là nella mia camera da letto, e lì rimanete finchè io non vi chiami:
intanto voi potete leggere; sono tragedie di un conte piemontese, che
parlano e molto altamente di patria e di libertà; certo le quercie
partoriscono limoni, ma tanti miracoli ha offerto ai nostri occhi il
secolo, che non ci può fare maraviglia nè anche un conte piemontese che
predichi libertà.

Altobello ridottosi nella camera prese a scartabellare il libro; su le
prime rimescolato, dirò anzi più, inferocito dalle parole rotte, dai
contorcimenti delle frasi convulse e dallo strepito del verso piacevole
quanto la grandine schioppettante su i vetri, stette per gittarlo
fuori dalla finestra, ma non lo fece, tornò quasi a marcio dispetto
a rileggerlo, e a mano a mano, dimenticata la scorza inamabile, il
concetto insinuatosi nella sua mente la vinse, e l'agitò in guisa, che
incapace di starsi più oltre seduto, egli prese a correre di su e di
giù per la stanza, a fare gesti da spiritato e mettere urla da chiamare
gente sotto le finestre.

— Che diavolo fate? gli domandò ad un tratto il generale sporgendo il
capo dentro la stanza dalla porta semiaperta — voi mi mandate all'aria
tutta Corte.

— Chiedo perdono. Questo benedetto conte mi caccia l'argento vivo nel
sangue.

— Lo fa anche a me, ma non alzate la voce, tra poco sarà qui vostro
fratello Mariano, che ho già mandato a cercare, nè vorrei che vi
sapesse in casa.

— Procurerò leggere piano, e se non mi riesce chiudere il libro.[24]

   [Illustrazione: .... ma giunto alla presenza del Paoli, che
   lo guardava fisso, colle maniche della giubba si asciugò il
   sudore, col rovescio della mano il naso, che poi si strofinò
   dietro ai calzoni. (_Pag. 240_)]

Mariano non istette guari a comparire; brutto fu sempre, adesso poi
piuttosto laido che brutto, imperciocchè gli crescessero deformità la
paura di un pericolo che gli pareva respirare nell'aria; ei venne con
le vesti lerce e rattoppate, le calze bracaloni, e in ciabatte; con la
coda dell'occhio ora si guardava a destra ora a sinistra; le mani aveva
in tasca, ma giunto alla presenza del Paoli, che lo guardava fiso, ne
cavò la destra e con la manica della giubba si asciugò il sudore, col
rovescio della mano il naso, che poi si strofinò dietro ai calzoni:
per ultimo costretto a parlare, osservando il Paoli ostinatamente il
silenzio, incominciò:

— Signor generale... e avaro di parole come di ogni altra cosa si
tacque.

— Buona sera, signore Mariano; vi ho mandato a chiamare per affari che
vi spettano — Me? — Per lo appunto; il vostro signor fratello mi ha
messo a parte di quanto gli è accaduto dopo il suo ritorno nella casa
paterna.

— Perchè gli avete dato retta?

— Io gliel'ho data — rispose il Paoli lampeggiando col guardo, pensando
allo scandalo che avrebbe mosso nel paese il sentire che al soldato
accorso a spargere il suo sangue per la patria era stata chiusa la
porta in faccia della sua casa; — gliel'ho data perchè la lite fra due
fratelli a cagione del retaggio paterno è pessimo esempio a popolo
che mi affatico temperare a sensi di virtù; — gliel'ho data perchè
i dissidii per averi, ordinariamente gl'incomincia l'avarizia, e li
termina l'assassinio, massime tra fratelli; — gliel'ho data perchè
straziandovi con ispese di giudizii, se il vinto piangerebbe, il
vincitore non avrebbe motivo di ridere.

Di tutto questo discorso la parte che trovò la via del cuore a Mariano
fu quella delle spese; onde quasi atterrito rispose, — ma o le spese,
che ci erano ai tempi dei Genovesi, non furono tolte via? A che cosa è
buona questa libertà se ci tocca a spendere come prima? Inoltre, o come
ci entrano spese se possiedo i miei contratti in regola?

— I contratti non salvano sempre, anzi quasi mai, dalle liti; i legali
sanno sforacchiarli con mille malizie, a mo' di esempio appuntandoli
di lesione, di simulazione, di errore, di violenza, di frode; sentiamo
un po' in virtù di qual contratto voi possedete il retaggio del vostro
fratello?

— Di compra e vendita; a titolo oneroso, anzi onerosissimo, perchè io
gli pagai la sua parte due cotanti più che non meritava.

— E questo prezzo pagaste a lui proprio?

— A lui no, al suo procuratore, ma voi signor generale, mi insegnate
che torna lo stesso.

— Ed era il suo procuratore? — Prete Stallone, quel santo uomo, quel
degno ecclesiastico. — E il fratel vostro aveva nominato egli questo
suo procuratore? — Veramente non lo elesse costui; la procura era a
nome mio, ma contenendo facoltà di surrogare, io lo sostituii a me
nella procura, e voi m'insegnate, che non poteva fare a meno dacchè il
compratore dei beni del fratello era io stesso.

— E a prete Stallone pagaste il prezzo?

— Giusto! un po' con la dote della moglie, un po' coi danari accattati
in presto, che mi costano un occhio.

— Immagino ci sarà ricevuta. — Sicuro; nel contratto medesimo, perchè
io sborsai la moneta alla presenza del notaro e dei testimoni. —
Dico ricevuta di vostro fratello. — Eh! questa avrà... questa deve
avere prete Stallone; voi mi insegnate che questa ricevuta non mi
riguarda. — Ma se prete Stallone non avesse la ricevuta? se prete
Stallone gli avesse truffato il denaro? — Ohibò quel santo uomo? Quel
degno ecclesiastico? — Certo la supposizione sente del temerario;
pure sapete, anco i santi peccarono; ad ogni modo si procede per via
di supposizione: immaginiamo dunque che il prete avesse truffato il
danaro, sapete voi a qual cimento si sarebbe esposto costui? — Che
volete che io sappia? — Sappiatelo dunque; egli se ne andrebbe in
galera dopo quattro o sei ore di gogna! — Un religioso! Un prete! — La
legge, proseguì il Paoli con voce terribile, non guarda in faccia nè
a preti, nè a frati; e la santità dell'abito deve essere stimolo alla
virtù, freno al delitto, non causa di esenzione alla pena meritata;
il prete tutto che prete andrà in galera, non prima però di provare
qualche strappatella di corda, affinchè confessi i complici della
truffa, — caso mai ci fossero complici.

Mariano tornò ad asciugarsi il sudore con la manica del vestito.

— Però, riprese egli, voi sapete, eccellenza, che non è concesso
mandare un uomo alla fune se non concorrono gl'indizii; _ad torturam_,
e qui non ce ne possono essere. — Mariano, volete che io v'insegni
una cosa della quale vorrei voi faceste senno? compromettete in me la
vostra lite col fratello, ed io la deciderò in famiglia senza scandalo,
e sopratutto senza spesa; avrò a sportula gratissima e desideratissima
la conservazione della fama di una famiglia come la vostra.

— Signore! io possiedo i miei contratti in regola; ora come ci cade
arbitramento?

— Su tutto si disputa: volete o no compromettere in me?

— Io non dico.... io non ricuso assolutamente di compromettere;
ma che vi pare, non ho ragione io? — Se devo essere giudice, voi
capite, Mariano, che non posso aprirvi l'animo mio; perchè se il lodo
confermasse il parere dato, equivarrebbe contro tutte le regole di
giustizia a sentenza già conosciuta; o lo contraddicesse, e allora non
andrei immune dal rimprovero di cervello leggero, o forse di coscienza
prevaricatrice. — Sicuro... Sicuro! Tuttavolta voi m'insegnate, che
senza tradire la coscienza il giudice in via privata può benissimo dare
ad intendere... in certo modo da qual parte propenda l'animo suo...
non già che questo sia obbligo... molto meno contratto... vorrei che
mi capiste. — Io vi ho capito benissimo, e penso che questa vostra
distinzione tra giudice e privato non abbia luogo, tuttavolta voglio
contentarvi, e alla ricisa vi dichiaro che se le cose stanno come le
contate voi, avete ragione da vendere.

— Io l'ho sempre detto, che voi per la Corsica siete _homo missus a
Deo_; peccato non vi chiamiate Giovanni. Adesso bisognerà vedere se ci
vuole stare Altobello. — A questo io l'ho già disposto. — E sopratutto
importa comporre il compromesso in modo che non si lasci adito a
scappatoie, e di un sol colpo tagli la testa al toro, perchè voi
m'insegnate... — Io non potrei insegnarvi cosa, che voi non sappiate
più e meglio di me; ecco qua il compromesso; io ho procurato insinuarci
tutte le clausole più estese; nondimanco voi esaminate se vi paia
a dovere; avvertite ancora che, a scanso di arzigogoli, feci che il
signore Altobello lo scrivesse tutto di suo carattere.

Mariano lesse e rilesse la carta: — e' sta a pennello, — finalmente
disse, e presa la penna, la quale tenendo sospesa aggiunse: — dunque vi
pare che io abbia proprio ragione?

— Vi ho detto, e vi ripeto, che se le cose stanno come me le avete
esposte voi, la ragione è vostra.

— Eccovi il compromesso firmato; adesso vado a pigliare i contratti.

Mariano uscendo disegnava, è vero, recarsi a casa per cercarvi i
contratti, ma voleva provvedere in un punto ad altra faccenda della
quale tacque, e questa era di consigliare prete Stallone a svignarsela
mettendosi al soldo dei Francesi come spia; gli troncò la pensata il
Paoli, che mettendosegli traverso alla porta disse:

— Dove andate? — Vado per le carte. — Non importa; rimanetevi: padre
Guelfucci!

Il servita segretario subito comparve, e il generale gli disse: —
siatemi cortese di recarvi al convento di San Francesco, e pregate il
padre guardiano, che per amor mio voglia venire fin qui portando seco
la immagine miracolosa del Crocifisso che si adora all'altare dei santi
Pietro e Paolo. Voi signore Mariano, intanto che Cristo viene, potete
impiegare il tempo utilmente leggendo questo volume — e gli pose in
mano la istruzione criminale dove venivano descritti i delitti e le
pene con le quali si vendicavano. Il Paoli sempre passeggiando prese
ad esaminare un fascio di fogli annotandoli con lapis velocissimamente
sui margini. Il guardiano non venne, bensì reputò bene confidata alla
religione del padre Bonfigliolo la immagine miracolosa del Crocifisso;
il Paoli ordinò al frate che la scoprisse, e depositasse sulla tavola,
poi gli fece cenno che andasse via. Chiusa la porta, chiamò:

— Altobello di Alando, comparite davanti il giudice.

Altobello uscì dalla stanza palpitando per la commozione ricevuta, e
per quella che stava per ricevere. Il generale in piedi, con una mano
sopra la immagine, solenne negli atti e nel suono della voce severo,
favellò:

— Mi vergogno, ed ho ribrezzo a rammentare, come faccio, a due côrsi,
figliuoli della più illustre casata dell'isola, giuramento che
sia e che cosa importi: mi scusi presso voi l'ufficio di giudice.
Il giuramento è atto solenne in virtù del quale invochiamo Dio in
testimonianza della verità delle nostre parole: allo spergiuro per
legge divina spetta nell'altro mondo l'inferno, in questo per legge
umana la galera. Altobello, giurate di non aver mai ricevuto da veruna
persona in tutto nè in parte il prezzo dei beni da voi posseduti per
eredità paterna.

— Lo giuro.

— Ora a voi, Mariano, giurate aver pagato il prezzo di questi beni a
persona, o a persone, al fine che lo facessero pervenire nelle mani di
vostro fratello a Venezia.

— Vi chiedo perdono, signor generale, non già che mi metta paura
giurare, che non un giuramento io posso prendere, ma mille, bensì per
non pregiudicare i miei diritti vi osservo, che i contratti parlando
chiaro per me, io non devo essere obbligato a giurare. Io non farò
il torto di credere che il figliuolo di mio padre abbia giurato il
falso, no davvero, ma in fine di conto se prete Stallone si è mangiato
il danaro che ci ho a fare io? Quanto a me basta avere eletto a suo
procuratore un uomo reputato generalmente onesto, e prete Stallone è
tale, e per di più prete.

— Voi dimenticate i termini del compromesso; io sono facoltato a
procedere come meglio mi parrà senza obbligo di osservare forma alcuna
di giudizio.

— Io non lo nego, ma voi siete per insegnarmi che qui non si tratta
di forma, o vogliamo dire di procedura, sibbene d'jure, ovvero di
sostanza.

— Io sono per insegnarvi, che l'uomo onesto non fa scudo della sua
probità un pezzo di carta, ed invitato a porgere testimonianza in
qualsivoglia modo della rettitudine delle opere e parole sue, lo fa con
animo volenteroso e fronte serena.

— Dunque voi volete che giuri?

— Di avere pagato il prezzo dei beni di vostro fratello a persona o
persone col fine che glie lo recassero a Venezia.

— Lo giurerò.... e levata la mano già la calava sul Crocifisso,
e le sue labbra già componeva all'atto di pronunziare le parole
sacramentali, quando Altobello con la manca fermatogli il braccio, e
con la destra aperta turatagli la bocca gridò:

— Sangue di Alando!... e sottovoce aggiunse: — le ossa di nostro padre!
— poi comecchè disfatto in volto, e per le membra tremante, disse con
voce pacata:

— Signor generale, giusto adesso mi venne in mente come persone degne
di fede mi abbiano accertato che questo mio fratello pagò veramente
il prezzo dei miei beni al prete Stallone; certo questi non mi
fece pervenire mai uno scudo del denaro riscosso, forse lo tiene in
serbo; forse gli fu portato via, ad ogni verso questo è negozio che
distrigherò col prete, onde non merita che ne pigliate altra briga,
pregandovi frattanto a perdonarmi il disturbo che vi ho dato fin qui;
dichiaro che la lite quanto a noi è finita.

Il Paoli, come colui che ormai non poteva più frenare l'impeto dello
sdegno, abbrancato Mariano, e scotendolo forte gridò:

— Chi è che nega la trasmigrazione? Ecco qui la prova che nel costui
corpo trasmigrò l'anima di Caino: no, no... questa sarebbe troppa
cosa per lui: Caino fu fratricida, ma non si legge che rubasse la
sussistenza al suo fratello a tradimento, sarà l'anima di Giuda, o
di altro anco più tristo. Queste infamie non si hanno a tollerare; e
qui meno che altrove: ringrazia il tuo Dio che non ti posso giungere
senza ferire lo immacolato onore della tua famiglia. La mia sentenza è
questa, che io procurerò ridurre in forma legale; entri Altobello nel
possesso di tutti i beni Alando, e gli usufrutti interi per tanti anni
quanti li tenne il suo indegno fratello, spirati questi torni Mariano
a possederne la metà; ciò varrà meglio di un rendimento di conti che
sarebbe scandalosamente ladro. Tu, Mariano, sgombrerai da Corte, e ti
ridurrai a vivere nel procoio di Biguglia, che ti costituirono in dote
quando conducesti in moglie la infelicissima donna, che hai imbestiata.
Danari, bugiardo, tu non avesti da lei nè accattasti d'altrui; quivi
rimanti fastidioso a te, abominato da tutti. La peste, allorchè non
possiamo estinguere, vuole essere isolata. Il giorno di domani non ti
ha a vedere in Corte, e bada che il Paoli non usa replicare i comandi
più di una volta: ora levami il tuo odioso aspetto davanti agli occhi.

Mariano rimase sbalordito; uscì facendo angolo coi ginocchi, e
strascinando i piedi così, che l'uno urtava dentro l'altro: tanto era
il suo terrore che non ebbe balìa non di profferire, pensare nè manco
ad una imprecazione: entrato in casa si mise a sedere su la cenere
del camino come una cosa balorda, e alla moglie, che gli strillava
dintorno: — che hai? che hai? non rispondeva, e forse non la sentiva.
Ad un tratto dandosi un pugno nel capo urlò:

— Presto, scappiamo, che non mi abbia a mettere le mani addosso;
presto, bisogna scansarci...

La donna spaventata rispose accorrendo alla finestra col grido: — al
fuoco! al fuoco!

— Taci là, scema, il tuo cognato non ieri sera come fingeva, ma oggi mi
ha portato doni veramente fraterni; si è messo di accordo col Paoli,
già i birboni s'intendono all'odore... come i cani, e adesso mi trovo
condannato ad esiliarmi da Corte prima di domani, e a lasciare i miei
chiusi, le mie terre e le mie case in podestà di Altobello: ma giuro
alla Immacolata, tal bove crede andare all'aratro, e va al macello,
e la somma si tira a fine del conto. Orsù, donna, io vado pei muli;
forse mi acconcerò con quelli che hanno menato qui Altobello; chi mai
lo avrebbe creduto che avessero a condurre lui, e levare me! Dovrebbero
pretendere poco perchè sono muli di ritorno, e il ragazzo pare fidato.
Ora fa tosto, donna, e metti insieme il buono e il meglio da caricarsi
sopra le bestie.

E borbottando uscì. La donna dalla crudele miseria del marito era
rimasta così percossa nello intelletto, che ormai aveva perduto il
giudizio intorno alla diversa importanza delle cose. Appena costui
si fu allontanato, prese un sacco e con quello alla mano incominciò a
rovistare per la casa: ci mise dentro il mazzo dell'esca, la matassa
degli stoppini, non omesso quello che aveva mezzo consumato, un
mozzicone di candela di sego, non so che trucioli, e alcuni pochi
cannelli di carbone; poi stovigli, su gli stovigli la _batteria_
religiosa, la palma e l'olivo benedetti, l'agnus dei, un Gesù bambino
di cera, e una sant'Anna visitante la Madonna accartocciata, per ultimo
un gatto e una gallina. Buon per tutti che il gatto e la gallina erano
conoscenze antiche, e ognuno di loro, nella propria specie, d'indole
angelica: altrimenti Gesù o sant'Anna avrebbero avuto un saggio della
pena ordinata dalla legge pompea su i parricidi. Pieno un sacco, diè di
piglio a un altro dove mise chiodi, spaghi e sciarpe di ogni maniera.
In questa rientra Mariano, e vista la squisita diligenza della massaia,
tanta ira lo assale che avventandosele contra le mena una recchiata
così solenne, che il muro gliene rende un'altra.

— Maledetta da Dio, non so chi mi tenga che con queste mani non ti
ammazzi! Ti pare ora questa da badare a siffatte ciammengole?

La donna piagnucolando rispondeva al marito indracato: — prima mi
picchiavi perchè non teneva conto delle bazzecole, adesso mi batti
perchè le ho raccattate; se continui così so io quello che farò....

— E che farai?

— Che farò? Ti lascerò solo, oppure quando dormi ti ficcherò un chiodo
negli occhi.

— Vien qua, scempia, e aiutami a cavare fuori i quattrini.

— Quattrini! E da quando in qua hai quattrini? E ce ne hai di molti? E
perchè non me l'hai detto?

Mariano non rispose, ma andato nella latrina, sconficcò un asse dal
pavimento, e dal vano che ivi sotto comparve trasse fuori a manciate
molta quantità di moneta. La sua sospettosa avarizia lo aveva persuaso
a tenere celato cotesto nascondiglio perfino alla propria moglie, e
quando gli cascava nelle mani qualche danaro, sotto pretesto di bisogno
corporale chiudevasi nello stanzino, dove mediante una fessuretta
praticata nella tavola gittavalo dentro. La donna alla vista di tante
monete saltava, e batteva le mani e strillava: — quanti quattrini!
quanti quattrini!

— Sta cheta, che tu possa cascar morta, aiutami a portarli sulla tavola.

Allora incominciò un via va, un via vieni del marito e della moglie
a raccattare danari di per la terra, e portarli su la tavola:
siccome in cotesta fatica presto incominciarono a grondare sudore
dalla faccia e con le mani sozze dal maneggiare metallo se l'erano
asciugato, divennero orribili a vedersi. In effetto la moglie fissando
all'improvviso il marito proruppe in altissimo strido, e si fece il
segno della croce.

— Scema! che ti frulla pel capo adesso?

— Santissima vergine, che paura! mi era parso mi fosse apparito il
diavolo.

— A te è parso vederlo, ma io lo vedo di sicuro. — Mettiti accanto a
me, separiamo le monete di rame da quelle di oro e di argento, dacchè
tutte non le possiamo portare.

Ed uno allato dell'altro, rischiarati dal lucignolo di un lume a mano,
presero a fare tre mucchi di queste diverse monete. Chiunque gli avesse
veduti conci com'erano, anima e corpo intenti a cotesto travaglio, non
so se più avrebbe pianto o riso sopra la miseria umana. Mariano che con
un occhio guardava il gatto coll'altro la padella sospettò la moglie
gli avesse involato una moneta, onde brontolando disse:

— Dove hai messo la moneta?

— Qual moneta?

— Quella che tenevi poc'anzi fra le dita.

— Al monte.

— Non è vero nulla; mostrami la mano, — eccola. — Mostrami quell'altra.
— Bada bene di non rubare, perchè altrimenti tu andrai all'inferno, e
poi io ti spaccherò la testa con questo pietrone.

Compita la cerna, Mariano favellò:

— L'oro porteremo addosso noi, l'argento caricheremo su i muli: il
rame appiatteremo in qualche sito, perchè capisci ci tocca a camminare
per luoghi deserti dove non so se sia da temersi più degli amici o dei
nemici.

— Tu sempre mi chiami scema, Mariano, e veramente mi pare esserlo pur
troppo, ma tu sei più scemo di me e non te ne accorgi. Hai distinto
le persone, nelle quali ci accadesse d'imbatterci, in amici o nemici;
ma dove mai noi possiamo avere amici? E poi ci vorranno frugare e
svaligiare, e a che giova la separazione delle monete? Avremo di catti
se ci lasceranno la camicia addosso. O salvi tutto, o perdi tutto,
però rimescola l'oro coll'argento, e non lasciarti dietro il rame.
O piuttosto senti il parere di una folle: guardati dal metterti in
viaggio in tempo di guerra con danari addosso; e se ti venne in uggia
la vita va nell'orto, e impiccati al primo fico che trovi, che così la
farai più spiccia.

— Hai ragione, hai ragione; a lasciarlo mi si stacca il cuore, ma a
portarlo mi può strappare la vita; sarà meglio lasciarlo; ma dove? Chi
lascia la via vecchia per la nuova spesse volte ingannato si ritrova;
lo rimetterò colà donde io l'ho tratto.

— Là non lo metterai perchè è luogo frequentato, e il rumore del vano
può facilmente palesare il nascondiglio.

— Hai ragione, hai ragione; dunque che cosa si stilla?

— Rimpiattiamolo sotto la catasta delle legna.

— Va via, matta, queste saranno le prime che il maledetto fratello
adoprerà.

— Buttiamolo dentro il tino del vino.

— Sta zitta, scema, questo sì che piglieranno all'assalto.

— Sotterriamolo nell'orto.

— Sei una bestia, le zolle smosse di fresco daranno indizio dello
scavo. O Signore, dove celerò io questo mio sangue? Mi viene in mente
di confidarlo a mamma; donna segreta ella è; adesso Altobello non
si trova in casa, nè temo che glielo volesse dare: resta a vedere se
non lo pigliasse per sè.... perchè no? La madre ladra del figliuolo!
Nella sacra Scrittura Rebecca non invola gl'idoli al padre Labano? Se
la figlia ruba al padre, la madre può rubare al figliuolo. Maledetto
l'uomo che confida nell'uomo: ti lascio considerare moglie mia, che
diavolo egli avrebbe detto se discorreva di donne; e lo Spirito Santo,
capisci, se ne ha da intendere, capisci?

— Capisco.

E si rimasero lungamente in silenzio costernati: per ultimo dopo molto
torturarsi il cervello, Mariano non trovò di meglio che sotterrare il
danaro in un angolo del giardino, e quivi sopra ammucchiare pietre;
ancora volgervi pruni lì oltre cresciuti, e vitalbe, cosicchè paresse
che da tempo antico non fossero state rimosse. — Quando rifinita di
forze dopo quattro ore di dura fatica la moglie domandò se adesso si
giudicasse sicuro, egli rispose:

— Come posso reputarmi sicuro se ho confidato il mio segreto ad una
donna.... a te? Bisognerebbe ch'io ti tagliassi la lingua.

— O le mani non indicano? Gli occhi, i piedi non accennano?

— Certo, certo, adesso che ci penso, era più sicuro sotterrarti co'
quattrini.

— Nè anche questo, perchè dopo un'ora ti domanderebbero: che hai tu
fatto della tua moglie? Per sicuro costui l'ha scannata.

— Ouf! non avrei mai creduto che fosse tanto difficile sbarazzarsi
della moglie e conservare i danari.

                   *       *       *       *       *

Quando declinato il sole all'occaso il signor Giacomo Boswell si recò
alla mensa del generale Paoli, non ebbe a maravigliarsi mediocremente
nel considerare intorno alla tavola raccolti di ogni generazione
frati e preti; eranvi parecchi soldati, e tali apparivano piuttosto
che dall'assisa, dalle armi che scinte avevano deposte in un canto.
Il generale spogliate le vesti pompose vi compariva co' suoi abiti
consueti alla côrsa; seduti tutti, un domenicano lungo e ossuto, di
faccia bianca come la cera, l'occhio grigio, recitò con voce cupa
il _Benedicite_, e dopo ognuno attese a cibarsi in silenzio come nei
refettori di frati. I romanzieri e i poeti, non esclusi gli eroici,
ossia in virtù della memoria, ossia in virtù della speranza, molto
si talentano a raccontare come e quanto si cibassero i propri eroi;
io non gl'imiterò in questo: basti dire, che il pranzo fu parco, e
i commensali da venti; nè già si creda che gli spesasse il Paoli;
all'opposto la patria nutriva anco lui; e la Corsica, costumando
passare gli alimenti a parecchi magistrati, risparmiava e provvedeva
alla concordia, e ad altri, che non importa dire, beni, raccogliendoli
intorno alla mensa del generale.

— Anche questa è fatta, disse il Paoli gittando il tovagliuolo su la
tavola: arrivò finalmente l'ora mia, e la dico mia, perchè le altre
spettano alla patria, eccetto alcune, che si piglia la morte, o il
sonno, che è tutto uno, e come sarebbe a dire marito e moglie. Io dico
poi mia quest'ora, perchè ragionando con gli amici conduco il corpo e
l'anima ad esercitarsi sanamente in pro' loro. Il corpo, a cui se dopo
il pasto torna nocivo il moto violento, gli giova il moderato qual è
appunto il leggere a voce alta, o il disputare con modi cortesi, con
amici cortesi: così almeno la pensava il buon Plutarco, che ci lasciò
nove libri di dispute convivali, ed io di leggieri consento con lui:
l'anima, come quella che per ozio non si irruginisce, e tratta alacrità
dal rinnovato vigore del corpo prova con seco, o con altrui, concetti
e partiti prima di metterli in pratica. In effetto le dispute tra gli
amici si possono paragonare alla scherma con la quale il soldato si
addestra alle vere battaglie. Platone, Aristotile, Epicuro e i Greci
tutti, assai si piacevano di cosiffatti colloquii; Plutarco ne formava
sua delizia, nè i Romani rimasero a dietro di loro, e quando Plutarco
racconta che Cornelia, orba di marito e di figliuoli in cotesta
sua villa nel Miseno, dopo il convito consolava la sua vecchiezza
discorrendo di Tiberio e di Caio Gracchi, della indole, dei concetti
e delle imprese loro con labbra severe da disgradarne quelle della
storia, io ho pianto di molte lacrime, e volentieri lo confesso. —
Intanto per incominciare da me (che il primo prossimo è se stesso) io
desidererei che mi diceste, signor Boswell, donde avviene che voi non
mi chiamate mai generale? Fu per caso, ovvero con intenzione che voi mi
avete chiamato sempre signor Paoli?

— Io lo feci apposta; il titolo di generale dichiara una qualità
che possedete comune con infinita schiera di uomini, e di per sè
non significa niente, mentre il nome Paoli mi rappresenta un uomo
meritevole dello amore dei buoni e dell'ammirazione di tutti.

— Cospetto! riprese il Paoli sorridendo, pensava dovervi fare un serio
rabuffo, ed ora mi tocca a ringraziarvi.

— Che dite mai, mio signore? Sono io che devo ringraziare voi,
imperciocchè stanziando a Roma io con infinito sconforto contemplai in
quali miserabili rovine può traboccare un popolo, e più delle stesse
rovine mi umiliò l'aspetto della brutta ellera che le ricopre.

— Io non ho mai visto l'ellera di cui parlate.

Il signore Giacomo esitò alquanto, ma all'ultimo animosamente continuò:
— intendo dire la Corte romana. — Egli dubitava dover sostenere un
rovescio di riprensioni, forse d'ingiurie per parte dei preti e dei
frati quivi adunati, ma con suo stupore essi non fecero cenno pro' nè
contro, non altramente che se fossero stati santi dentro le nicchie. —
Bene! qui all'opposto l'anima mi si riaperse alla speranza purificata
dallo spettacolo di un popolo che risorge per l'aiuto prima di Dio, e
poi di un grande uomo.

— Voi altri Inglesi vi rassomigliate al metallo che quanto più tarda
ad arroventarsi, tanto infocato più ci arde. Troppo tratto corre
tra questo popolo e il romano; altri i tempi e i fini, i quali anche
potendo aborrirei si proponesse pari, dacchè i romani intesero vincere
e dare leggi al mondo, e a noi basterebbe non si frastornasse nessuno,
paghi di fare leggi per noi soli. Quanto a me il cuore mi palpita come
a romano, ma il mio petto è angusto; se io vi paio grande non è merito
che mi appartenga, bensì colpa dei tempi; io sono grande come le ombre
diventano lunghe al tramonto del sole; grande della piccolezza altrui;
in vile secolo eroe. Se grande io fossi e metuendo davvero, i sovrani
come Caterina di Russia e Federico di Prussia non si trastullerebbero
meco come con ninnolo strano.

— Bene; non poteva essere a meno che voi mi favellaste così, dacchè la
modestia formi massima parte della grandezza.

— V'ingannate, io la penso come la dico, e se mi paragono co' vivi
mi sento grande, ma io mi metto in confronto co' morti, e lo sgomento
mi assale. Lascio da parte Cesare ed anco Alessandro, il quale reputo
migliore assai della sua fama; che a parere mio lo denigrarono i suoi
generali per farlo meno desiderabile ai Greci dopo averlo ammazzato, e
messo in brani l'impero: misuratemi con Epaminonda, con Pelopida, con
Trasibulo, mi troverete più corto chi sa quante spanne, anzi neppure
con Aratro io mi posso mettere a petto, che a lui riuscì impadronirsi
dell'Acrocorinto, mentre io non giunsi per forza o per ingegno a
superare giammai una terra murata.

— Mi pareva avere udito che espugnaste San Fiorenzo.

— Non io, bensì i generali Andrea Colonna e Luigi Giafferi; io ne
fui ributtato, e se volete udire come, Clemente mio fratello ve lo
racconterà.

— È breve storia, incominciò a dire un uomo che molto arieggiava
il generale, senonchè la complessione e la statura sua erano tutte
avantaggiate, le sembianze non si poteva conoscere ad un tratto se
più malinconiche o più rigide, ma forse ci entrava un po' dell'uno e
un po' dell'altro, — è breve istoria, e poco gloriosa. Indettati con
Francesco Arena e i Gentili, mio fratello ed io movemmo il 7 febbraio
1760 all'acquisto di San Fiorenzo: sessanta uomini condotti da Giovanni
Rocca buon'anima, fiore di valoroso, si accostarono a mezza notte su
due barche ai bastioni dalla parte del mare; le acque trovarono basse
per via del rovaio che si era messo a soffiare forte di prima sera,
e le scale trovarono corte al bisogno: l'accidente cagionò perdita
di tempo, ma a nessun cadde in mente di abbandonare la impresa. Su i
bastioni stava, e sta tuttavia appoggiato il muro di una casa dentro
la quale giaceva un infermo custodito da certa femmina del luogo:
ora nel punto che i nostri salivano, a costei venne voglia di votare
non so che vaso, per la quale cosa affacciatasi alla finestra gli
scoperse di botto, e prese a rangolare: battaglia! battaglia! — Le
sentinelle trassero, e il povero Giovanni rotolò giù in mare gridando:
su, figliuoli. I nostri si arrampicarono come gatti, e messo il piede
in sodo si stringono a zuffa manesca co' soldati; sopraffatti dal
numero riparano in alcune case prossime alla porta, e quinci attendono
a difendersi da uomini. Io me ne stava co' miei quatto di fuori, ma
sentendo le grida non mi parve tempo di gingillare; dato di piglio
alle accette in breve ora con lo aiuto di Dio mandammo in fascio le
imposte accorrendo in aiuto dei pericolanti. Il comandante genovese
non si rimase ad aspettarci, ma rinchiusosi nel castello incominciò
a fulminarci con la batteria dei cannoni: tanto è, i cannoni non ci
facevano paura, e volevamo ad ogni modo spuntarla. Alla provvidenza
piacque altrimenti; trecento soldati genovesi spediti a dare la
muta al presidio di Bastia, sbattuti dal vento avevano preso terra
in Capogrosso, dove udito il caso di San Fiorenzo mossero a marcia
forzata, ed occuparono il posto di Santa Maria fuori delle mura: di
assedianti diventammo assediati di mezzo a due corpi, ognuno dei quali
superava di numero il nostro, e per più avevamo di fronte una fortezza.
Conobbi che ostinarmi più oltre sarebbe stato tentare Dio, chinai il
capo ai divini voleri, e mi ritrassi.

— Troppa più lacrimevole vicenda fu quella di Aiaccio, soggiunse
Pasquale Paoli, Giuseppe Masseria, il quale come avvocato dei
poveri aveva facile accesso nella cittadella, e nel maschio dove si
custodivano i carcerati, mi fece sapere essere disposto a darmi nelle
mani la città: esitando io di seguitare il trattato per colpa della
fortuna sperimentata nemica in simili avventure, egli per pegno di
fede e per conforto alla impresa mi mandava in ostaggio la moglie con
due suoi figliuoletti: allora, gettato via ogni dubbio mi accostai
con duecento soldati regolari, e un corpo di volontarii co' quali
mi fermai a 10 miglia da Aiaccio nel convento dei Francescani alla
Mezzana; quinci spedii un corpo ad Alata con ordine che occupasse i
conventi dei francescani e dei cappuccini per istornare l'attenzione
dei Genovesi, mentre commetteva al colonnello Buttafuoco, che con molto
maggior punta si accostasse ad Aiaccio, e sentito il tiro del cannone
desse la scalata. Il Masseria per mandare a compimento il disegno si
era confidato nello aiuto di certi banditi côrsi i quali gli mancarono
non per difetto di volontà, bensì perchè la sentinella negò lasciarli
entrare in fortezza; obbligato allora di rimediare alla meglio condusse
seco due preti e il suo figliuolo maggiore, con questi entra nel
maschio, investe con le coltella le guardie, e lo occupa; subito dopo
con l'accetta rompe le porte delle carceri, libera i prigioni, e con
parlare succinto dice loro, che se hanno cara la vita lo sovvengano
nella impresa recandosi a difendere le porte del maschio; quinci ancora
invia un soldato al commissario genovese, affinchè lo ammonisca che
non si attenti movere passo, altrimenti appiccato fuoco alle polveri
manderà sottosopra la terra con quanti ci rifiatano dentro; lui volere
restituire la patria alla libertà; cercasi la chiave della polveriera
al magazziniere, che col ferro alla gola confessa averla confidata
alla moglie, la quale o fedele o maligna se la cava di tasca ed in un
attimo la sbalestra nel mare; non per tanto sbigottisce il Masseria,
che spinto il figliuolo e un prete in cima al maschio per dare il
segno col cannone al Buttafuoco, affinchè tentasse la scalata, resta
coll'altro prete a rompere l'uscio della polveriera. Il figlio Masseria
accosta la miccia al focone, e il colpo non parte; tenta da capo, e
invano; specolato il pezzo lo trova scarico; adesso mentre quei grami,
poveri di consiglio si baloccano lassù, un nugolo di palle sparate
di casa il commissario, ammazza il Masseria, e ferisce il prete. I
prigioni, liberati, vista ogni cosa a rovescio, inviliti disertano la
porta, che viene sforzata dai Genovesi irrompenti. Il Masseria che si
adoperava intorno alla polveriera, la quale, oltre alla estimativa, ai
suoi supremi conati resisteva, ferito a morte casca; nondimanco messo
ai tormenti, incolpò sè e il figliuolo, i preti disse ignari di tutto,
e da lui condotti per diporto lassù; indi a poco moriva. Uomo degno di
memoria nelle storie per l'ardimento, per la fine generosa, e per la
magnanimità sua, dacchè nel mettersi a tanto sbaraglio, niente aveva
chiesto per sè; solo qualche privilegio pei suoi concittadini. Tentai
anco sorprendere il forte di San Pellegrino e non l'ebbi; all'opposto
vi perdei Felice Valentini, soldato di valore e mio parente; la presa
della torre della Paludella non vale il pregio di essere rammentata,
sicchè voi vedete che io non posso in coscienza venire a contesa di
fama col Demetrio _Poliorcete_[25] nè con Ambrogio Spinola _espugnatore
di fortezze_.

   [Illustrazione: .... il sig. Giacomo Boswell non ebbe a
   meravigliarsi mediocremente al considerare intorno alla
   tavola, raccolti di ogni generazione frati e preti; eranvi
   parecchi soldati... (_Pag. 251_)]

— Benissimo; ho avvertito nel vostro discorso che avete ragionato di
milizie regolari e di volontarii; a me la fama riferì che di soldati
fermi non conoscevate in questa isola la mala semenza.

— Porgete ascolto; tanto è volere sfondare il cielo con un pugno, che
presumere di vincere le guerre co' volontarii soli: lo ammiraglio di
Coligny lasciò detto amare meglio di condurre mille diavoli che cento
volontarii, ed io consento con lui. Senza disciplina, gente armata
saranno masnadieri, guastatori, tutto quanto vorrete, tranne milizia
atta a vincere battaglie; i volontarii desidero per segnarsi soldati,
da questo in fuori devono pareggiarsi agli altri. Quanto al soldo
sarebbe lodevole poterne fare a meno; Roma per 374 anni non ammise
milizia pagata, allora la introdussero i patrizii per gratificarsi
il popolo, ma i tempi ed i costumi nostri non concedono questo; ho
ordinato due reggimenti a cui assegnai istruttori svizzeri e prussiani,
e questi pago; se i casi persuadono a tenere le altre genti oltre lo
stabilito, retribuisco a ragione di venti soldi per giorno, e ci stanno
volentieri; ma il nostro Achille Murati, che in coscienza di cristiano
si è guadagnato sette volte con le sue imprese il nome di Achille, vi
chiarirà intorno agli ordini delle nostre milizie.

— E' sono ordini semplici, mio caro signore, prese a parlare l'eroe
della Capraia, uomo che al guardo, al naso, alle forme spigliate
rassomigliava all'aquila; da diciotto a sessanta anni ogni Côrso ha
da combattere; dei preti, i curati soli esclusi; dividonsi in due
terzi; ogni terzo va al campo e si ferma otto giorni a spese proprie,
gli altri succedono di mano in mano: si chiamano i più prossimi al
luogo dove si tiene il campo; i rimasti a casa si addestrano; massime
la domenica, e tanto riescono capaci, che Ambrogio, guardia del
generale, non è il solo che con un colpo abbia ammazzato due Genovesi.
In ogni paese stanzia un capitano, in ogni pieve un commissario di
cui lo ufficio consiste nel levare e istruire le reclute; ci sono i
due reggimenti dei quali vi ha parlato il generale, la sua guardia,
quella dei magistrati, e qui finisce; tutti insieme possono sommare
a quarantamila uomini, ma da farci proprio assegnamento sopra, un
venticinquemila.

— E i bagagli, le artiglierie, gli ospedali, le munizioni al bisogno?

— I cannoni, abbiamo quelli presi ai nemici, o pescati in mare dai
legni perduti; circa agli ospedali vi racconterò la risposta data
testè da un Côrso ferito a Barbaggio ad un Francese: _il Côrso muore
volentieri all'aria aperta_. Per ciò che spetta alle munizioni, ogni
uomo porta le sue per una settimana; dove mancassero, la carità patria
supplirebbe a ribocco, e perchè non la crediate jattanza io vo' che
sappiate come gli abitanti del piccolo casale di Altipiani nudrissero
per bene otto giorni tremila uomini ricusando qualunque compenso.

— I bagagli sono guaio per le spedite mosse degli eserciti, osservò il
Paoli; i Romani solevano chiamarli _impedimenta_, ed avevano ragione;
io penso che i bagagli i quali si strascica dietro adesso un esercito
di cinquantamila uomini sarebbero stati di avanzo a tutte le legioni
romane; ma se l'averne troppi reputo guaio, certo mancarne affatto non
giova. Lo stesso dicasi delle artiglierie; qualche pezzo ho ordinato a
Livorno, altri promette allestirne in breve Settecervelli col bronzo
delle campane donate. I nostri preti, signor Giacomo, hanno creduto
che in tempo di guerra per la patria il bronzo glorificasse meglio Dio
ridotto in cannoni che in campane, però ogni chiesa ha donato la sua.
Settecervelli è il nostro Archimede: quando prima fondai la zecca a
Murato ci proposi certo maestro svizzero assai pratico nell'arte, e
Settecervelli lo aiutava per garzone; un bel giorno il male del paese
pigliò lo svizzero, e Settecervelli rimase solo, e nondimeno tanto
per la bontà del suo ingegno istruito, che non pure manda innanzi
la zecca, ma getta artiglierie, fabbrica ordigni di nuova invenzione
che fanno maraviglia a vederli. Quello di cui non so darmi pace è la
mancanza di ospedale e di cerusichi: la risposta del mio compatriotta
ricordata da Achille palesa la costanza côrsa nel soffrire, ma per
la Immacolata, questa costanza non è ragione perchè soffrano, colpa
la povertà nostra, di tante angustie. Ah! che non darei io per essere
ricco; il vostro Shakspeare, signor Giacomo, mise in bocca a certo suo
personaggio queste parole: — mi conierei anco il cuore! — io farei di
più, piglierei moglie....

— Come! aborrireste voi il matrimonio?

— Certo nella condizione in cui mi trovo lo aborro sopra tutte le cose,
dacchè il matrimonio scemi la passione per la patria, o la diverta, e
a me ha da essere moglie la Corsica, figliuoli i Côrsi, pure sposerei
una moglie oltre modo facoltosa per convertire la sua dote in sollievo
dei miseri feriti nelle difese della patria.

— Bene!

— Affinchè divampi il fuoco che arde nel cuore dei Côrsi ricercai gli
spedienti adoperati nei tempi antichi e nei nuovi: piacquemi sopra
tutti quello degli Spartani i quali non accettavano nella legione
il milite se non a patto che presentasse la sua amante, essendosi
attestato dagli storici come queste o per paura di vedere ferito
l'amato compagno, o per smania di vendicarlo morto, combattessero da
leoni: ora tali amori non consentendo i costumi, mi industriai ottenere
il medesimo fine con più diritto amore, epperò composi le compagnie
per quanto potei di parenti e di vicini, trovando giusto il proverbio
che dice mezza parentela la vicinanza. Sto dietro a raccogliere, avendo
perciò spedito lettere circolari ai parroci, i nomi dei morti in guerra
dal 1729 in poi, e questi intendo stampare, e tener fissi dentro una
tavola in ogni chiesa; avranno elogio funebre annuale; degli altri, che
sortiranno non so se io mi abbia a dire grazia o sventura di cadere
combattendo, di ora in avanti ne sarà cavato il ritratto per essere
esposto nella sala del consiglio qui in Corte; i figliuoli di questi
eroi fu statuito che per dieci anni vadano immuni da qualsivoglia
gravezza; ricevano istruzione gratuita; arrivati alla età legale
siedano di pieno diritto nelle consulte, affinchè, dichiara il decreto,
— il sangue degli eroi venga con pubblici onori solennemente distinto.

— Ma con quali leggi vi governate? Non chiamaste Giangiacomo Rousseau
a dettare per voi uno statuto, un codice?

— Invitai Rousseau di riparare in Corsica, mosso da compassione delle
sue sventure, e gli avrei anche concesso di dettare la storia di questo
paese; intendiamoci però la storia epica, quale compose Erodoto, che
parla alla passione del popolo e commovendolo lo migliora, non già
la storia dell'uomo di Stato, che stillata dal cervello si volge al
cervello, e conviene meditare notte tempo, al lume di lucerna, seduti
sopra un gradino di marmo a canto della statua della Patria. Certo,
ingegno, e grande possiede costui, ma bizzarro, inquieto, e presuntuoso
al pari del Voltaire; uno chiama l'altro _povero uomo_, questi quello
_garzone_, e veruno di essi ha torto di disprezzarsi così quando nel
mutuo orgoglio si reputano capaci di dettare leggi co' ghiribizzi
loro ad un popolo che non conoscono. Di rado i letterati intendono di
Stato; in effetto il Macchiavelli passava piuttosto per uomo non senza
lettere, che letterato. Però tutti i governi abbisognano di uomini
periti delle lettere e nelle scienze, decorandoli troppo meglio che le
pompe, e le orerie, di ogni onore degni quando accreditano i reggimenti
benevoli della umanità, vituperevoli quando onestano la tirannide,
e nondimanco luce sempre, comechè in un caso conduca allo scampo, e
nell'altro a perdizione.

— A quanto sembra voi reputate assai il Macchiavello; non so se
sappiate che i Francesi vadano dicendo, che voi lo portate sempre in
tasca.

— Passiamo le grullerie francesi, troppo spesso essi giudicano senza
verità, e senza conoscimento. Non porto in tasca il Macchiavello chè
darebbe incomodo, bensì nella mente dove arreca beneficio; anche il re
Federico di Prussia senza conoscerlo lo sprezza, o piuttosto finge,
e fa, secondo il motto arguto del Voltaire, come colui che sputa
su la vivanda, perchè altri schifato la lasci stare ed egli possa
mangiarsela tutta. Del Macchiavello è somma l'arte di considerare; e
se volge la mente ai suoi tempi, la materia infelice gli somministra
argomento a tristi pensieri, se ai fatti degli antichi ne cava precetti
di ottimo vivere civile. — Questo vi chiarisca; da lui si mette la
religione base principalissima dell'umano consorzio; anzi con forti
raziocinii ed acconcissimi esempi dimostra che venuto meno ogni altro
vincolo, dove questo uno rimanga saldo, basta a salvarlo; all'opposto
Federico nelle lettere al maresciallo Keit ostenta l'ateismo. _Bella
consolazione davvero per un guerriero moribondo sentirsi dire: tra poco
voi non sarete più nulla!_[26] Con tali insegnamenti non si possono
sperare uomini grandi, sopratutto buoni. Dalla setta di Epicuro un
solo uomo degno, la scuola degli stoici ne fu semenzaio. — Il signore
Giuseppe Maria Massesi, cancelliere del governo, vorrà essermi cortese
d'informare l'ospite nostro delle leggi, e del modo di amministrare la
giustizia.

— I Genovesi (così prese a favellare un grave personaggio, che al
sembiante arieggiava un po' il bue, un po' la faina, tipo assai
facile a incontrarsi nella classe dei magistrati), ci lasciarono certi
statuti, i quali contengono ordinamenti generali quanti bastano per
incamminare a fine uniforme lo esercizio della giustizia; comporre
codici a noi non importa, nè giova; questi reputano miglioria, e
sono impedimento; in effetto essi sommano i beni partoriti dai buoni
costumi, e poi si parano come la steccaia in mezzo al fiume, la quale
trattiene il flusso delle acque finchè non arrivino a soperchiarla:
così il codice impedisce la immissione quotidiana e regolare dei
buoni costumi nelle leggi fino al giorno che la discrepanza diventi
massima e ostile. Nè il codice per quanto prolisso tu lo immagini può
comprendere la descrizione dei casi speciali, epperò ad ogni codice
fa coda la faraggine della giurisprudenza; donde avviene, che quanto
sarà più concisa la legge meglio ti troverai; pensate a Dio; con soli
10 comandamenti provvede più che tutti i legislatori con i codici
loro. — Posta la regola, il cuor sincero e la mente retta ti faranno
più giudice che il Baldo ed il Bartolo non saprebbero. Furono fabbrica
di curiali i codici non semplici e non compiti, ma così ammezzati
e difficili, per ridurre la giustizia a mestiere privilegiato. No,
signore, la giustizia entra nel pane quotidiano dell'uomo, ed ognuno
deve sapere allestirla per sè, e ministrarla agli altri. — Ogni paese
elegge annualmente un potestà, e due padri del comune; il potestà
giudica senza appello le liti fino a dieci lire, unito ai padri del
comune fino a trenta, e senza appello: in qualche paese nominano due
podestà, in tale altro eleggono padri del comune fino a dodici. Prima
di entrare in ufficio i magistrati provinciali li confermano; talora il
governo commette ai medesimi le incumbenze dei magistrati provinciali;
non hanno paga. Le cause di merito superiore giudicano essi ancora, ma
le sentenze si possono appellare alla ruota composta di tre giudici:
brevi i giudizii, non graditi gli avvocati, in arbitrio del giudice le
chiusure del processo: le decisioni non si raccolgono, nè si allegano,
chè andiamo persuasi come ogni sentenza motivata da casi speciali non
può estendersi, se non per via di garbugli, ad altri casi non mai pari;
questa è la nostra giustizia civile.

— La quale, salvo il vostro onore, mi sembra un po' parente della
giustizia turca.

— Ditela addirittura sorella, riprese il Paoli, e dubitando offenderci
voi ci avrete lodato: ora ve ne dirò la ragione: educato al foro ho
potuto osservare come nei paesi che si chiamano civili, le sentenze
proferite dai tribunali di prima istanza vengono almeno per la metà
revocate dai superiori; ora se ciò avvenga o perchè siasi fatto errore,
o per causa della contradizione che corre nelle vene dell'uomo, poco
rileva; la cosa sta: — conceduto adesso che anche i Turchi sbagliassero
per metà, avremmo di risparmio gli avvocati, le spese di giustizia,
le disperate lungaggini, e quella turba di giudici mestieranti, che
si abbarbica vera pianta di passione sulla facciata del tempio della
giustizia. Quanto a noi vi so dire che di rado si appellano, e delle
cause appellate, nè manco un quarto se ne baratta; onde vi accorgete,
che non abbiamo punto vaghezza di cercare miglior pane che di grano.

— Questo concerne la giustizia civile, e la criminale come si
amministra ella?

— Eh! rispose il Massesi come se gli fosse andata una lisca per la
gola, vostra signoria capisce che in tempi torbidi, minacciati da
nemici interni ed esterni, la non si può guardare tanto al sottile.

— Esponete liberamente, soggiunse il Paoli, affinchè non accada
che dove non meritiamo lode di bontà non ci neghino anco quella di
schiettezza.

— Or bene, da prima fu conferita alla Ruota la facoltà di giudicare
al criminale, ma poi, crescendo i pericoli, l'ebbe una giunta di
guerra composta di dieci ufficiali, presieduta dal generale; e quando
la setta dei Matra istigata dai Genovesi si sbracciava a mandare
sottosopra l'isola, commisero al Antongiulio Serpentini il potere di
far sangue nella provincia del Verde, e in pari casi la confidarono
anche ad altri ufficiali di armi: di presente può condannare a morte un
tribunale composto di uno del supremo consiglio e di uno dei magistrati
provinciali, referendone però al supremo consiglio per conseguire la
conferma del giudicato. La confisca e la tortura furono mantenute;
prima fucilavano i rei, ora gl'impiccano, e ragione vuole che aggiunga
che tutte queste provvidenze furono prese a mia insinuazione.

— A vostra insinuazione! esclamò il Boswell allontanando spaventato la
seggiola da quella del Massesi, che gli sedeva accanto. Questi crollò
il capo, e sorrise; poi ripigliò:

— Che volete dirmi? Forse questi essere partiti barbari? Lo so meglio
di voi; ma i tempi e gli uomini in mezzo ai quali viviamo non ne
consentono migliori. Il Côrso, che fa caso della sua vita quanto di
un sorso d'acqua, trema al pensiero di lasciare la famiglia nella
indigenza e si astiene dal tradire la patria. Se il terrore della corda
non fosse, bisognerebbe renunziare a sapere la verità; ed avvertite
bene, la conservazione della tortura ci dispensa dall'adoperarla,
imperciocchè il Côrso reputa infamia patirla, e la minaccia di
applicargliela basta perchè confessi. Opinano i filosofi, l'uomo
non possedere diritto ad uccidere l'uomo, ed è vero; però non ad
ucciderlo solo, ma a imprigionarlo altresì, a tribolarlo in qualunque
altra guisa, imperciocchè, leviamo la maschera, distruggerlo in linea
retta, o per via obliqua, egli è tutt'uno. Zitti dunque a potestà,
e dichiariamo che le pene nascono dalla necessità della difesa: chi
afferma, che la pena vendica la offesa non ha discorso; i legislatori
la statuirono affinchè l'esempio trattenga altri da offendere; ora
la fucilazione del colpevole tra noi non otteneva altro scopo che la
vendetta, e questo era barbaro e di poco profitto, non ispaventandosi
punto i Côrsi di tal genere di morte; all'opposto al pensiero di morire
appiccati battono i denti come se il freddo li gelasse nell'ossa.
Tuttavolta avendo avvertito che il nostro boia è mal pratico, e fa
patire troppo i pazienti, io ho inventato un arnese, che non iscemando
il terrore al supplizio ne agevola la esecuzione: datemi ascolto, che
m'ingegnerò darvelo ad intendere con esattezza.

— Ve ne dispenso, ve ne dispenso.

— Spero, disse il Paoli, che vi garberà sapere come in tutta la
Corsica non si trovò chi accettasse il mestiere del boia, e convenisse
pigliarlo fuori: in effetto egli è siciliano.

— Pregiudizii! riprese il Massesi, il boia dovrebbe tenersi in pregio
quanto ogni altro magistrato: per me più ci penso e meno raccapezzo la
ragione dell'odio che gli porta la gente. Sarebbe forse perchè uccide
gli uomini per premio? Ma i giudici non tirano anch'essi salario? Essi
infornano il pane, egli lo cuoce. Prima che il suo capestro strozzi
il colpevole il magistrato lo ha ucciso con la penna. Che giudizio
è questo pigliarsela col sasso, e non con la mano che lo ha tirato?
Anzi se il giudice fa bene, il boia opera meglio; se quegli fa male,
questi non ne ha colpa, essendo uno strumento cieco. Se poi si aborre
perchè ammazza persone che non gli nocquero mai, e a cristiani, e
inabili a difendersi, i soldati che pure reputiamo onoratissimi non
fanno lo stesso? Nè mi si opponga, che questi ammazzano i nemici della
patria, perchè nelle guerre civili da una parte e dall'altra si stimano
tali; e il boia leva dal mondo per ordinario facinorosi che sono il
flagello dell'umanità: e nè anco i soldati uccidono sempre gente che
loro contrastino con le armi alla mano; per lo contrario senza scapito
di onore godono il privilegio di farsi la festa in famiglia. Potrei
aggiungere altre cose, ma queste paionmi sufficienti ad affermare, che
negli Stati civili si avrebbe ad assegnare al boia il posto tra i più
cospicui magistrati.

— Negli stati civili io spero che non occorreranno carnefici, nè
giudici che condannino a morte; ma voi, signor Paoli, come non vi
studiaste con le arti e con le lettere ingentilire i costumi di questi
isolani?

— Padre Mariani, sta a voi rispondere.

— Ed io lo farò, generale, se non con dottrina, certo con piena
convinzione. Distinguo tra arti e lettere; queste, spirituali essendo,
quanto più si perfezionano e allargano tanto meglio sublimano lo
spirito; quelle versandosi sopra cose fisiche io non dirò che lo
disamorino dalle spirituali, bensì lo affezionano oltre il giusto
alle materiali: e questa è la prima ragione per cui io le ho per
sospette. Le arti quando crescono, se non hanno bisogno dei vizii per
alimentarsi, per lo meno vivono di lusso e lo promuovono: ora il lusso
sappiamo per esperienza essere stato il verme roditore degli Stati
più potenti: e questo allego per seconda ragione di curarle poco. La
perfezione delle arti segna il principio della decadenza dei popoli e
il fine della loro virtù; in Italia ne porgono testimonianza i secoli
di Augusto, di Lorenzo dei Medici, di Leone decimo; in Grecia il secolo
di Pericle; in Francia quello di Luigi XIV; degli antichissimi, io
taccio. I popoli o perfetti nella civiltà come pretendono alcuni, o
corrotti dalle morbidezze come sostengo io, diventano sempre conquista
dei barbari: e questa è la terza ragione che mi allontana dal culto
delle arti. Non nego, che troppo più spesso che non si vorrebbe le
lettere apparirono vili, corrompitrici, e venali e ribalde; ma noto,
che a ciò non le spinge necessità, bensì la malattia, da cui non vanno
esenti in questo mondo le cose più sane; mentre le arti si trovano
condotte per bisogno di vita a piaggiare i ghiribizzi dei potenti, e
a soddisfarne le voglie. Per secolo non breve la religione sostenne
le arti, ed in quel tempo a mantenerle in fiore contribuì eziandio il
culto degli uomini grandi: e questa fu per loro la bella stagione;
ma anche in tale periodo per lavorare fecondarono con offesa della
religione la superstizione, e furono complici a propagarla nelle menti
dei mortali; e per una statua di Socrate ne scolpirono trecento a
Demetrio Falereo. Le lettere nocquero alla umanità, ma con la medesima
agevolezza ripararono l'errore; un esempio mi valga a chiarire il mio
concetto. Plinio racconta che Teodoro gettò la statua di Nerone alta
110 piedi, e che un pittore gli dipinse il ritratto dell'altezza di
120 piedi; immaginiamo che lo scultore e il pittore, vergognando delle
opere loro intendessero per ammenda fondere il simulacro di Cristo,
o dipingere la immagine di Bruto con la dimensione della statua e
del ritratto di Nerone, lo potrieno essi? Non lo potrebbero, per lo
più scarsi come sono di facoltà. — Dove all'opposto se un letterato
inciampa, di lieve si raddrizza, e con un quinterno di carta, un po'
d'inchiostro ed una penna, può edificare eterno monumento al suo nome.
— Forse sarà che le arti splendano l'ultimo raggio di un popolo, e
se così è, io come vedete ho buoni motivi per desiderare che venga
tardi, e per ammonire che, venuto, gli si tenga l'occhio addosso
perchè non faccia guasto. D'altronde sarebbe strano che ad un popolo
inetto a cucire scarpe e giubboni avesse a insegnare dipingere quadri:
par quanto poi appartiene a lettere, i Côrsi abbisognano piuttosto
di freno, che di sprone, chè gli stessi Francesi, parchi lodatori
altrui, confessano questa propensione dei nostri ad ogni maniera di
letteratura: nè ciò era sfuggito agli antichi, avendo, fra gli altri
il Grevio, nel suo _Tesoro delle antichità_, dichiarato come — sub
lingua Corsi... cum lacte et mele habent aculeum, ideoque foro nati
sunt[27]. — Ciò sia detto quanto ad eloquenza; rispetto alla poesia voi
non troverete pastore che non legga i nostri sommi poeti, massime il
Tasso, e se vi affermassi che in capo all'anno si vendono più volumi
della _Gerusalemme liberata_ che lunari, voi non potreste appuntarmi di
menzogna. Pressochè tutti qui improvvisano versi, e le donne altresì,
anzi più degli altri le donne, e vi so dire che tremenda cosa sono
i loro _voceri_ sopra i corpi dei congiunti ammazzati. Ma posti da
parte i naturali talenti del popolo, auspice il nostro generale, per
coltivarli in regola abbiamo fondato una università.

— Università? Il signor Bournaby mi consegnò una cassa di libri da
offerire in dono alla scuola di Corte, però di università non mi tenne
parola.

— La scuola è diventata Università; poca cosa invero, pure bastevole
per ora, e coll'aiuto di Dio crescerà. I professori tutti frati; io
indegnamente la reggo, ed insegno istituto civile, e canonico, etica,
e diritto di natura e delle genti. Padre Leonardo da Campoloro,
che mi siede accanto, minore osservante come me, espone filosofia e
matematica; i cappuccini Angelo da Venaco e Giambattista da Brando
leggono il primo teologia morale, il secondo rettorica; l'instancabile
nostro padre Bonfigliolo Guelfucci servita, che vi sta rimpetto,
segretario del generale, ammaestra gli scolari nella teologia dommatica
e nella storia ecclesiastica; e come fosse poco, trova tempo di dettare
storie; e mantenere corrispondenze coll'Accademia della Crusca di
cui è socio. Viviamo insieme, e con esso noi venti scolari educati e
nudriti per l'amore di Dio, oltre i figliuoli dei morti per la patria.
La istruzione costa nulla, e fu provveduto affinchè gli altri scolari
trovassero in Corte vitto ed alloggio con piccolissima spesa; di
più sappiate che nè anche allo Stato l'Università costa. Noi, memori
del detto del Vangelo _gratis accepistis, gratis date_ distribuiamo
altrui senza guadagno il sapere che ricevemmo senza spesa; agli altri
bisogni vien supplito così: ogni pievano contribuisce con lire 18
all'anno, ogni curato 9, i canonici 6 a testa: ancora noi abbiamo molte
confraternite nell'isola, le quali, quante volte muore un fratello,
danno lire 20 in denaro o in candele per onorare il mortorio, onde
dicemmo loro: Fratelli, sta bene la luce ai morti, ma sta meglio ai
vivi; figurate avere un morto di più per anno fra voi, e date venti
lire per ognuna alla Università; e come le supplicammo fecero. Nati dal
popolo, stiamo con lui; quanto possediamo gli diamo così di sostanza
come d'insegnamenti e di sangue, però se egli ci chiama padri, e noi
figliuolo, questi non escono suoni vani dalle nostre labbra. Siamo una
stessa famiglia deliberata a vivere o a morire nello amore di Dio e
della libertà.

— Bene, signor minore osservante, bene, superlativamente bene, e
vi so dire che se in Inghilterra i frati avessero rassomigliato voi
e i vostri degni compagni, ella a questa ora si manterrebbe sempre
cattolica.

— Ed ora del governo vi ragguaglierò io, prese a favellare il Paoli;
quando la consulta di santo Antonio della Casabianca nel 1755 mi
elesse a reggere la Corsica, volle conferirmi assoluta potestà, la
quale ostinatamente rifiutai, imperciocchè sebbene io non mi sentissi
legno da tagliarci il tiranno, pure mi parve che meritasse più lode di
prudenza chi si astiene dal pericolo, che di costanza chi ci resiste,
e la occasione, voi lo sapete, fa l'uomo ladro: istituii pertanto
senza indugio un consiglio supremo di nove uomini animosi e savi, i
quali governassero meco standomi al fianco tre per volta ogni quattro
mesi; questi fanno l'ufficio che presso a poco esercitano da voi
i ministri della corona; io presiedo a vita il consiglio, ed ho la
condotta delle armi; questo mio potere come eccessivo, ha da mutare:
in parte è più, in parte è meno di un re inglese; forse si rassomiglia
meglio allo statolderato di Olanda. Poteva come Mosè, Licurgo, Romolo
ed altri parecchi, dettare solo le leggi; non volli, sembrandomi che
il popolo partecipando alla composizione di quelle le avrebbe amate
e rispettate di più: ancora, il dispotismo rinfaccia al popolo la
sua inettezza: ipocrisia! imperciocchè se tieni sempre il fanciullo
stretto in fascie, come imparerà a camminare? Ora veruna scuola di
libertà supera il pubblico dibattimento su le faccende della patria. Il
principe vero della Corsica è la consulta: da tempo antico costumavano
i padri nostri assembrarsi in congressi cui appellavano Vedute, per
lo più nella valle di Morosaglia; andate in disuso con la tirannide,
rinacquero con la libertà. Così si compongono oggi; ogni villa elegge
un procuratore di comune, e gli confida il mandato per mano di notaro;
finchè sta fuori di casa il comune del paese lo paga a ragione di
una lira al giorno; anche qui va emendato, dacchè in taluna villa la
popolazione non arriva a 40 persone, in altre supera le 400. Prima
eleggeva tutto il popolo e da sè senza che se ne mescolasse il governo,
ma riuscendo le elezioni scompigliate sempre, e le più volte inani,
fu provvisto così: il podestà e il padre del comune proporrebbero i
cittadini da eleggersi a procuratori; quali dove non uscissero eletti,
toccherebbe ai padri di famiglia designarli; e se nè anche questi
restassero approvati, cotesta villa o comune per quell'anno perderebbe
il dritto di mandare procuratore: resta eletto chi raccoglie più voti,
che devono superare la metà degli elettori. Nè questi soli compongono
la consulta, chè in prima c'intervengono tutti i consiglieri supremi
usciti in carica, poi i figli dei morti per la patria, per ultimo i
procuratori dei magistrati provinciali di cui vi chiarirò fra poco. La
consulta convocata da me si riunisce ordinariamente una volta l'anno
in Corte; occorrendo più, volte, e in altri paesi; appena adunata essa
nomina due procuratori comunali, ed uno dei magistrati di provincia:
i tre eleggono il presidente, e l'oratore dell'assemblea; il primo
presenta le leggi a nome del governo, il secondo a nome del popolo;
mandate a partito, una volta si vincevano con due terzi di voti, ora
ne bastano la metà; la legge del governo appena vinta si eseguisce,
quella del popolo può restare impedita dal governo, ed allora fino
alla consulta dell'anno seguente non può riproporsi. Vi parrà questo
eccessivo, ed è; ma io desidero il popolo libero affinchè meco concorra
e mi aiuti a fabbricare la sua libertà; ma procurai che, poco esperto
e facile a rimanere carrucolato, non avesse le braccia libere di
scombussolarmi di una mala legge ogni cosa; io e gli amici miei come
il profeta Eliseo stiamo distesi su questo popolo per infondergli la
libertà col nostro alito; questo vogliamo, questo faremo, ma oltre
questo ministero di vita, ecci forza armare la mano di spada per dare
in testa a chiunque con violenza e con frode si argomenta ricondurre la
Corsica in ischiavitù. Oltre discutere o votare le leggi, la consulta
elegge i magistrati provinciali e i sindacatori; però nella nomina dei
primi pigliano parte unicamente i procuratori delle provincie, nella
nomina dei secondi tutti. Sono i magistrati provinciali composti di un
presidente, due consultatori, un auditore, un cancelliere; si rinnovano
ogni anno; lo stipendio scarso, sono nudriti dal pubblico; sta agli
ordini una guardia pagata: questi sono dieci, quante le province nelle
quali si scompartisce l'isola: 6 cismontane e 4 oltramontane; giudicano
le cause civili di qualunque importanza oltre le lire 30, e criminali;
le sentenze di morte e di esilio non si eseguiscono se il supremo
consiglio non le approva. I sindacatori dicono istituisse Carlo Magno;
certo è che la Repubblica Genovese li ebbe: ufficio loro raccogliere
le lagnanze del popolo, inquisire i magistrati, non escluso il capo
supremo dello Stato, conoscere le colpe e ripararle o punirle. Qualche
volta mi elessero sindaco, non sempre, diverso in ciò da Andrea Doria
che si fece nominare dal sindacato a vita, onde fra per questa autorità
esorbitante, e per conservare forze proprie capaci da opprimere
chiunque lo contrariasse, che razza di libertà intendesse egli donare
alla sua patria a me non riuscì mai di comprendere. Dimenticava dirvi,
che mentre dura il dibattimento, e il voto delle leggi, il generale e
supremo consiglio hanno da uscire dalla sala della consulta.

Arrivato a questa parte del suo ragionamento, chiesta prima licenza,
entrò una guardia del generale, che gli presentò lettere sigillate:
egli stava per metterle in tasca e leggerle a bell'agio, quando la
guardia gli disse: — Avvertite! — Allora il generale guardando meglio
vide scritto nella sopraccarta: — preme. Scusatosi con la compagnia,
lesse una volta, e due, poi ripiegati pacatamente i fogli, senza
mutare sembianza soggiunse: — va bene; e licenziò la guardia; dipoi
voltosi al Boswell continuò: Fin qui non vi ho detto il peggio; nella
coda sta il veleno, io posso di mia autorità far arrestare sospetti,
posso anche mandarli a morte... non vi spaventate; questa è tirannide,
ma come vi hanno tiranni che curvano i popoli nella servitù, così la
dura necessità vuole che talora abbisognino tiranni per raddrizzarli
alla libertà. Ai popoli corrotti, o imbestiati dalla oppressione, per
purgarsi fa mestieri a modo del Dante di passare per lo inferno e forse
ha meno pericoli il nostro mare nelle bocche di San Bonifazio, che
il diritto del suffragio universale, e pure in questo fuoco bisogna
ritemprarsi. Se da una mano io pongo un pugnale atto così a difendere
come ad uccidere la libertà, importa che io tenga armata l'altra
mano per riparare in tempo; lasciamo da parte i privati cittadini e
supponete un procuratore comunale, uno del magistrato provinciale, che
più? uno del supremo consiglio, che io sappia per sicuro macchinare
tradimento a danno della patria, ma il tempo manchi al giudizio, anzi
riesca impossibile procacciarsi prove legali, e il pericolo si versi
nello indugio: aggiungete, che nelle cause di Stato se aspettiamo che
il delitto sia compito, allora la patria è venduta, la libertà spenta,
il giudice in catene. Quando il traditore può in un momento sovvertire
la patria, deve potere la pubblica vendetta colpirlo improvviso come
la folgore di Dio; ed io stringo nella mia destra questo fulmine
pronto sempre ad avventarlo quando occorre. Poteva conferirsi questo
diritto al consiglio intero; ma oltrecchè sarebbe sembrato sanzionarlo
con legge, enorme cosa, i consigli procedono sempre lenti, di rado
concordi, almeno sulle prime, e i casi piuttosto si indovinano, che
si dimostrino, nè può definirli nelle moltiplici specie la legge,
mostrandosi ordinariamente la malizia più feconda al nocere, che la
sapienza a riparare. Io rabbrividisco per questo diritto di sangue
che possiedo, e non lo depongo, disposto a renderne conto a Dio ed ai
sindacatori; voi però non crediate che meco stesso non vada ravvolgendo
la contingenza, che quello che a me parve necessità suprema ad altri
tale non paia; ed anco confesserò di più, che temo mio malgrado la
passione più o meno non entri a sprigionare dalla volontà la parola che
apre alla creatura una tomba infame. Ahimè, spesse volte — troppe volte
— questa ragione di Stato rassomiglia alla croce che l'uomo porta sul
calvario dove lo crocifiggeranno la ingratitudine dei popoli, l'odio
dei nemici, e le perfidie della fortuna...; non importa, perocchè io
sia uno di quelli, che fermamente credono essere l'anima nostra un
angiolo smarrito, che ritroverà il suo paradiso per la via del dolore.
— Qui il valent'uomo versò alquanto di vino nel bicchiere, e levatosi
in piedi disse con raccoglimento: — Quando anco questo fosse sangue del
mio cuore, io non lo berrei meno volentieri alla salute della Patria:
viva la Patria!

Tratti da un medesimo spirito, i convitati assorgendo risposero: viva
la Patria!

— Avrei voluto, comecchè voi, signor Boswell, non rassomigliate l'eroe
troiano, ed io assai meno Didone, avrei voluto, soggiunse Paoli, che
qualche Jopa côrso vi avesse dato contezza della musica e della poesia
côrsa: ciò sarà per un'altra volta. Intanto _suadent cadentia sidera
somno_, e assai fatiche ci toccarono in questo giorno perchè non
dobbiamo più oltre rifiutare riposo alle stanche membra.

Qui, fatto e ricevuto ogni maniera di cortese salutazione, presero il
Paoli e i suoi compagni commiato.

                   *       *       *       *       *

Aura di maggio, oh! come divina quando il sole abbandona il nostro
emisfero; per lei le chete superficie delle acque s'increspano in così
dolci pieghe, che rammentano il sorriso della vergine quando l'amante
le diventa sposo, o quello della madre allorchè le presentano la sua
prima creatura dicendo: ecco, un figliuolo ti è nato; — all'aura di
maggio dall'aperto calice commette intero il suo profumo la rosa,
quasi fanciulla, che, combattuta l'ultima battaglia del pudore, lascia
andarsi in balìa dell'affetto che la vince; — al soffio di lei le
foglie del pioppo ora ti mostrano il lato colore di cenere, ora quello
di smeraldo come per ammonirti, che neanche l'inferno possa spegnere
amore, e i cipressi custodi dei sepolcri, mossi da lei tentennano
l'uno verso l'altro le cime bisbigliandosi in loro favella, che ciò
che l'uomo chiama morte è trasformazione; l'amore feconda anche le
fosse, e da una vita cessata sgorgano innumerevoli rivi di vite che
incominciano; — le stelle ai fiati di lei corruscano più somiglianti
a mo' di fiaccole, le quali ventilate divampano; e quando dall'acque
si leva la luna, e a lei piace sospingerle incontro qualche nuvola,
par che Febea corra a precipizio pei bruni campi del cielo alla caccia
delle fiere del firmamento, come ella già le selve correva su le orme
delle belve terrestri. Pei lidi ricurvi, per gli aperti piani, per le
arcane foreste, in terra, in cielo, in mare suona un misto di voci,
che ad alcuni parve sospiro, ad altri riso, ed è l'una cosa e l'altra,
imperciocchè riso e sospiro scintillassero su l'animo dei mortali col
medesimo baleno, e spesso si confondono scambiandosi tra loro forma ed
ufficio; così la gioia sovente sospira, e il dolore, esaurita la fonte
delle lagrime, ride. Gemito e riso, alfa ed omega della vita umana!

E poichè non ci ha festa senza musica, una famiglia di rosignoli,
aspettato che il fragore delle opere divine cessasse sopra gli olmi
della piazza di Corte, conveniva ai canti alternando le armonie alle
melodie con note così infinitamente alte, che incominciate sopra la
terra sembrava che non si rimanessero finchè non erano giunte lassù in
fondo dei cieli, dove si mescolavano ai cori degli angioli; però in
cotesta sera tacevano; anzi gli usignoli avevano disertato l'arbore
diletto; spandendosi per la campagna con istridi acuti ammonivano
gli altri a torcere altrove le ali perchè qualcosa di spaventoso li
minacciava lì presso. In verità i poveri uccelletti avevano ragione;
poco discosto dall'olmo appeso alla traversa della forca dondolava
il cadavere di Giovanbrando impiccato. All'ultimo palpito del sole
corrispose l'ultimo del cuore, quello s'immerse nel mare, questo
nella eternità; e lo lasciarono appeso in obbedienza dell'ordine
del generale; non posero sentinella a guardarlo, reputandolo
abbastanza vigilato dalla giustizia inesorata ma retta che percoteva
indistintamente umili e superbi.

   [Illustrazione: .... erasi recata in mano le molle, e
   percotendo con quelle, di tratto in tratto, il pavimento, ne
   aveva scheggiato un mattone. (_Pag. 276_)]

I Côrsi in quei tempi non consumavano olio per risparmiare sole,
onde si coricavano a buon'ora: ordinariamente prima delle due di
notte andavano a giacere, se qualche occorrenza non li persuadeva a
vegliare; sicchè chi si fosse aggirato per le vie di Corte avrebbe,
meravigliando, veduto dopo assai cotesto tempo due lumi accesi in due
case diverse. Per cui manca di discorso gli obietti estremi passano
a un dipresso come acqua piovana per la doccia; chi poi costuma
notare, da tutto piglia argomento di speculazione, e quindi causa di
conoscenza; per la quale cosa non parrà strano se affermo che dal modo
con che la luce dei lumi viene riflessa fuori dai vetri delle case tu
puoi distinguere in quale stato si trovino le famiglie. Calda e, per
così dire, petulante è la luce che rischiara i conviti e i festini;
però, se da imposta allo improvviso aperta essa prorompe, ti parrà che
insulti la notte, anzi pare che la provochi e la ferisca. Più modesto,
non pertanto meno sicuro splende il lume compagno agli studi della
sapienza, come quello che sa essere luce in traccia di luce; ma il lume
acceso della tribolazione trema, e supplica che al suo dolore non si
aggiunga il dolore della tenebra: abbastanza la travaglia la vita delle
miserie circostanti, perchè non vengano anche i fantasmi della notte a
crescerle il peso.

E non sarebbe stato difficile indovinare che i lumi, i quali in cotesta
notte scaturivano dalle finestre delle due case di Corte, erano stati
accesi dalla tribolazione: per verità uno ardeva nella casa del padre
di Giovanbrando, l'altro in quella di Orso Campana.

Vi rammentate di Lellina la figliuola di Orso, che doveva esser moglie
di Giovanbrando? Ebbene, essa è quella che veglia. Bisogna che voi
impariate meglio a conoscerla, diventando d'ora in poi parte importante
della nostra storia; e perchè vi entri bene nella fantasia io ve
la vado a descrivere con parole succinte. Di statura è breve, e di
membra asciutte, però mirabilmente disposta a sopportare le fatiche;
forte come l'acciaio, destra quanto i muffli dei suoi paesi; la pelle
pallida le imbrunì il sole, chè il padre usava menarla sempre seco
pei monti a caccia, o ai _procoi_ per vigilare le faccende di villa:
giusta il costume côrso le vela il capo un pannilino bianco fino alle
sopraciglia curve in bell'arco, ma quasi invidiose; gli occhi sempre
teneva mezzo chiusi e bassi forse per modestia, o piuttosto perchè
sapesse che mettevano paura: in effetto le sue pupille apparivano
chiazzate di nero, di celeste chiaro e di giallo, ma, quietando
essa, quest'ultimo colore non si distingueva troppo; e gli altri due
componevano un cotal grigio scialbato assai somiglievole al piombo
polito; quando poi qualche passione l'agitava, il giallo si estendeva,
si accendeva; insomma i suoi occhi allora diventavano pari a quelli del
gatto salvatico; il volto ovale con sì perfetto contorno che meglio non
avrieno disegnato le Grazie: la bocca ombreggiata dalla caluggine del
labbro superiore mostrava due margini stretti, e rovesciati in dentro,
indizio sicurissimo di animo deliberato e costante.

Questa fanciulla stava seduta sopra una panca dinanzi al camino per
abitudine, non già perchè la stagione invogliasse a scaldarsi; da
parecchio tempo erasi recata in mano le molle, e percotendo con quelle
di tratto in tratto il pavimento, ne aveva scheggiato un mattone; di
contro a lei giaceva in terra la serva, vecchia côrsa con gli occhi, il
naso e le mani uguali agli occhi, al becco e agli artigli del falco, e
forse la somiglianza di lei col falco non finiva qui; teneva le spalle
appoggiate, o come i Côrsi dicono, _arrembate_ alla parete, le gambe
su ritte, e con le braccia tese e le mani aggruppate si agguantava
i ginocchi; anima propria, o piuttosto volontà ella non aveva; bensì
con l'occhio fisso nel volto della fanciulla spiava quello che avesse
a fare o non fare; il cane in mezzo a loro, aggomitolato a modo di
chiocciola, pareva che dormisse; però di tanto in tanto squittendo dava
ad intendere sè essere pronto ad avventarsi dove la padrona ordinasse.

Lella, riposte le molle su gli alari, si levò, e dalla cantera della
tavola in mezzo alla stanza trasse fuori un trinciante: avendone
tentato il taglio col dito le parve ottuso; prese allora la cote,
e premendovi sopra la lama con le dita incominciò a strisciarvela
obliquamente: poi lo tentò da capo, e trovatolo affilato lo avvolse
dentro una salvietta, e lo ripose in tasca. La serva l'agguardava senza
far motto, e quando Lella le disse: — andiamo! — si levò su tutta di un
pezzo mettendosele dietro, non interrogando dove s'incaminasse, nè per
quale causa, nè nulla: il cane sorse a sua posta, e scotendo il pelo
parve si accingesse a seguitarle, senonchè la fanciulla fattogli cenno
col dito gli ordinava: — tu rimarrai — e il cane mandato un guaito
tornò a cucciarsi.

Le donne uscirono e si avviarono difilate alla casa di Matteo Brando.
La Lella battè un colpo solo — ma forte e risoluto così da significare:
apritemi presto: tuttavolta aspettò e dopo convenevole spazio di tempo
ne percosse un altro; — poi un terzo, un quarto: quei di dentro pareva
non sentissero, o non volessero sentire; finalmente fu visto il lume
mutare luogo, e poco appresso una voce domandò: qual siete voi?

— Aprite. — Schiuso l'uscio Lella entrò, e alla donna che tenendole
dietro con la lucerna ripeteva: qual siete voi? non rispose niente,
bensì andava tuttavia. Arrivata nella camera soprana la perlustrò
con gli occhi, e vide in un canto Matteo Brando genuflesso davanti la
immagine della Madonna dei sette dolori; le mani teneva giunte sopra
una sedia, e su le mani declinato il capo doloroso. Lella lo tocca
lieve lieve su la spalla e il vecchio solleva la faccia domandando: chi
siete? che cercate?

— Matteo, voi avete un figliuolo?

— Lo aveva.

— Sta bene; ma ora resta di levare il suo corpo di forca.

— Chi di coltello ammazza conviene che muoia; se l'è meritato.

— Se l'è meritato?

— Certo; era corsa inimicizia tra i Brando e gli Albertini ma non
ingiuria, non offesa accadde mai tra noi; egli ha sparso sangue umano
senza vendetta, nè odio.

— Ha fatto meglio; lo ha sparso per amore. Orsù, volete venire a dare
al vostro figliuolo sepoltura cristiana?

— Lo lascerebbero forse esposto al vento ed alla pioggia?

— Ne sono capaci: e ai corvi, che gli beccheranno gli occhi, e agli
avoltoi che gli strazieranno le carni.

— Oimè! lo ha meritato.

— E le sue ossa andranno in bocca ai cani, nè saranno riposte nella
tomba dei suoi antenati.

— La tomba dei Brando non raccoglierà mai le ossa di un impiccato.....

— Di certo?

— Di certissimo.

— Ebbene allora le raccoglieranno le tombe dei Campana. Il padre si è
vergognato del suo figliuolo, ma la sua promessa gli rimarrà fedele
anche alla forca. Addio vecchio. Io vi venni a cercare non mica per
bisogno di voi, ma come padre del mio sposo volli adoperarvi questo
atto di rispetto. Addio.

Senza ira, come senza fretta uscì al modo stesso col quale era entrata,
e seguìta dalla serva riprese il cammino per la piazza delle forche.
Non aveva mutato ancora cento passi, che vide venirsi incontro un uomo;
la luna si era levata, e sebbene non fosse anco giunta al sommo del
cielo, pure spandeva tanta luce da lasciare poca speranza a Lella di
potersi nascondere fra le ombre della via angusta: deliberò guardare in
faccia la fortuna, e procedè oltre: quando le venne vicino il notturno
camminatore, lo riconobbe pel giovane Matteo Massesi, il quale con la
cetera in mano pareva si affrettasse a qualche posta: senza per ciò
smarrirsi di animo la fanciulla gli accolse salutandolo:

— Buona notte, Matteo, e dove andate a questa ora, in tanta prescia con
la cetera in mano?

— Voi non me lo avreste a domandare, Lella; adesso posso tornarmene.

— In verità, non m'indovino niente.

— Ah! Io veniva sotto le vostre finestre.

— A farmi la serenata per l'allegrezza avuta?

— Le corde sono come chi le suona; piangono o ridono e la voce canta
così il _Tedeum_ come il _Miserere_.

— Ma voi non me lo potete negare, ci avete avuto gusto alla morte di
Giovà?

— Io? Dio me ne liberi; io vi amo...

— Sì; ma alla morte di Giovà ci avete avuto gusto.

— Vi ripeto di no; solo costui m'impediva la speranza che voi un giorno
pensaste a me.

— Arzigogoli! Una volta che la sua morte ha levato l'impedimento il
vostro cuore ne deve avere esultato.

— Lella mia, deh! non andiamo tanto a squattrinare col cuore io non ho
pensato ad altro, che a voi.

— Dunque voi mi amate molto, Matteo?

— Non ve lo ho io detto?

— Detto sì le mille volte, ma provato mai.

— Provate.

— Avvertite alle parole che vi escono di bocca, Matteo: potrebbe
venirmi voglia di mettervi al cimento.

— Provate.

— Vi provo. Voi non mi avete domandato perchè a questa ora io mi
trovassi sola per le strade; ve lo dirò io; vado a levare di su le
forche Giovanbrando; se mi amate davvero, venite meco, ed aiutatemi...

Matteo si sentì mancare sotto le gambe, e gli fu mestieri appoggiarsi
al muro.

— O Lella mia, qual diavolo vi tenta. E non sapete il bando che
minaccia del capo chiunque si attenti di toccare lo impiccato?

— Lo so: per questo v'invito; se ciò non fosse, bella forza sarebbe
levare un morto; allora basterebbe il becchino.

— Ma il segretario del generale deve essere per lo appunto quegli che
ne trasgredisce i comandi?

— E se preferite i comandi del generale ai desiderii miei, sposatevi il
generale.

— Sentite, Lella, pensate che io sono figliuolo del gran cancelliere,
e quanto ne accadrebbe scandalo se si venisse a scoprire che le
leggi furono rotte dal sangue di colui che la nazione elesse a farle
custodire.

— Matteo, voi mi parete ottimo segretario, eccellente figliuolo, ma
pessimo amante — e scivolò via lasciando il giovane tutto confuso.

Eccola giunta a piè della forca: sosta alquanto, e contempla il
derelitto che al vento notturno dondolava; la serva anche essa
guardando in su non sapeva in qual guisa la fanciulla avrebbe
salito in alto; per lei tanto non ci trovava modo: senonchè Lella la
cavò presto di dubbio: di botto ella con le cosce e con le braccia
aggavigna l'antenna; poi datosi un tratto con la persona si arrampica
un sommesso; distende da capo in su le braccia; ma all'improvviso
sdrucciola per quanto è lungo il palo battendo terra così aspro, che
ne rimase intronata: ripresa lena ricomincia la salita, nè per questa
volta la seconda meglio la fortuna; imperciocchè mentre stende la mano
alla traversa, e già l'agguanta, torna a scorrere giù a precipizio.
Si sentiva le braccia rotte, le cosce e il petto indolenzito, le
bruciavano le mani: mentre alla serva pareva perduta la prova, sovvenne
Lella un nuovo consiglio; china per terra si bagna le mani e le braccia
con la rugiada caduta su l'erba, e braccia e mani s'imbratta poi
d'arena: così allestita ritenta, e la ruvidezza dell'arena le vale;
abbrancata la traversa ci si appoggia con le costole restando con le
gambe penzoloni; penoso le riuscì moversi di traverso, ma aiutandosi
con le braccia e col petto arrivò in breve sul capo all'impiccato:
senza perdere tempo allora cavò di tasca il trinciante, e di un colpo
recise il laccio orribilmente teso: il corpo tracolla con infelice
rovina; dietro a lui giù di piombo la fanciulla, che sciolto il laccio
se lo cinge intorno alla vita.

— Su presto, intantochè si avvolge la fune alla persona, favella alla
serva; so che a tela ordita Dio manda filo, tu piglialo da capo sotto
le ascelle, che sei più forte e meno affaticata di me; io lo agguanterò
per le gambe e via.

E come disse fecero; la serva passò le proprie sotto le braccia di lui,
lo strinse forte, e se lo recò sul petto; l'altra si mise tra mezzo
alle gambe recandosene una per braccio, e si allontanarono gambettando
leste come pernici inseguite. Arrivate a casa, stesero il morto su la
tavola; ciò fatto Lella ordinava alla serva:

— Ora va a casa da i parenti miei, batti forte ma senza furia, e
aspetta tanto che ti abbiano sentito. Quando qualcheduno si sarà
affacciato alla finestra gli dirai: — in casa Campana evvi un morto —
e te ne andrai subito senz'altre parole, capisci? senz'altre parole.

Partì la serva; ella rimase sola col morto; prima di tutto gli ricacciò
gli occhi in testa perchè gli erano schizzati fuora, e come meglio potè
glie li rinchiuse. Che Lella possedesse anima e nervi di bronzo, non
importa ch'io dica, nondimanco cotesti occhi penzoloni le mettevano
paura; lo lavò col vino, lo pettinò; con molto stento lo vestì della
cappa della confraternita di San Francesco del padre suo; gli coperse
le faccia di un mantile bianco su cui ella medesima aveva ricamato il
nome di Maria; gli sottopose al capo il guanciale ripieno di paglia
fresca; tra le mani gli adattò un Cristo, quantunque non le riuscisse a
piegare le dita irrigidite del morto tanto, che sembrasse le tenessero
strette; e ai quattro lati della tavola accese quattro candele di
cera. Ciò fatto s'inginocchiò da piedi sul terreno ignudo, e aperto il
breviario prese a dire l'uffizio dei morti.

La serva in questa si aggirava per Corte dando l'avviso alla
parentela dei Campana: grande sbigottimento si faceva in coteste case,
imperciocchè chi fosse il morto non sapevano. Orso a quell'ora si
trovava a Bastia; i fratelli e i nepoti di rado si recavano a Corte;
rimaneva Lella, ma lei non poteva essere, dacchè era ella che li
mandava ad avvisare: temevano di qualche tranello, e per altra parte
sembrava enormezza non rispondere alla chiamata in tanto estremo;
scelsero pertanto una via di mezzo, mandarono le donne a scoprire
marina; chiariti da loro del come si mettevano le cose, sarebbero
andati ancora essi.

Le donne una dopo l'altra arrivarono, e, chi è morto? domandavano esse,
Lella in piedi accanto alla tavola rispondeva: — il mio fidanzato.
Allora le donne avvicinandosi alla fanciulla una dopo l'altra ne
prendevano il capo con ambedue le mani, e fronte accostata a fronte
così restavano per circa un minuto; poi traendo dolorosi omei non senza
percotersi il seno e il volto, e taluna anche stracciandosi i capelli,
andavano a porsi ritto lungo la parete. — Questa cerimonia i Côrsi
chiamano _Scirrata_.

                   *       *       *       *       *

La lettera ricevuta dal Paoli conteneva queste parole: — Eccellenza.
Adesso adesso ci giunge l'avviso, che il corpo di Giovan Brando è stato
rapito; stiamo dietro a rintracciare i trasgressori.

E forse per questa causa il generale abbreviò le sue quistioni
convivali troppo più presto, che non avrebbe desiderato. Rimasto solo
diè forte del pugno sulla tavola ed esclamò:

— Sarebbe stato meglio non fare quel bando; ma una volta fatto si
deve obbedire: altrimenti ritorna la Babele genovese; e il punto va
raccattato sotto pena di vedere andare a male tutta la calza.

E calcatosi il cappello sul capo uscì: menò seco Minuto Grosso ed
Ambrogio; il cane Nasone non invitato precorse. Anche il signor
Giacomo, che confuso per le tante vicende accadutegli nel giro di
ventiquattro ore, e dalle cose che aveva udito si sentiva il cervello
proprio in istato di caldaia bollente, si era posto alla finestra per
mettere un po' di sesto a quella matassa arruffata dei suoi pensieri,
appena ebbe scorto, che il generale invece di dormire se ne andava
attorno, scese e si pose a seguitarlo come Simon Pietro quando menavano
Gesù Cristo al Pretorio. Non ci ha dubbio, la curiosità lo spingeva,
nè cotesto suo contegno poteva reputarsi discreto, ed ei lo sentiva; ma
appunto perchè lo sentiva, lo spirito di contraddizione che dentro noi
regna e governa aveva in un subito accumulato tante ragioni per farlo
discredere, che un avvocato con metà meno avrebbe vinto in una causa
più spallata di quella.

Il Paoli con la sua comitiva arrivato sotto la forca prese a speculare
sottilmente il terreno e ci vide là orme di piedi scalzi, ma poche:
invece moltissime di piedi calzati brevi così che appena si addirebbero
a fanciullo; le quali accanto lo stile della forca si moltiplicavano
in più versi e con diverse profondità. In questa sopraggiungevano
una dopo le altre le guardie mandate alla scoperta, che interrogate
in proposito rispondevano tutte nella medesima maniera: niente. Il
Paoli allora levata la faccia scorse un pannolino rimasto appeso alla
traversa, e sicuro di avere in mano il bandolo ordinò salissero e glie
lo portassero: recata una scala eseguirono il comando. Cotesta era la
salvietta dentro la quale Lella aveva avvolto il trinciante, adesso per
inavvertenza rimasta lassù. Appena il Paoli l'ebbe in mano, la spiegò
esaminandola su i quattro canti, certo di trovarci marcate le iniziali
del nome del proprietario, ma gli fece fallo il presagio; la salvietta
era senza marca.

— Qui bisogna venirne a capo. Nasone! gridò guardandosi attorno, e non
lo vide perchè gli stava accanto — Nasone! quà — e gli mise sotto il
naso per parecchie volte la salvietta; — poi gli disse: — cerca. Il
cane col muso in terra cominciò a fiutare ora declinando a manca ora a
destra, pure proseguendo sempre dietro una traccia; e tanto fece, che
si condusse dopo breve ora per lo appunto alla porta della casa di Orso
Campana.

Stando la porta chiusa, e disegnando il generale penetrare nella casa
inaspettato, disse sotto voce qualche parola a Minuto Grosso, che
rispose affermativamente accennando col capo; subito dopo guidati da
lui si avviarono dietro la casa dove giaceva il giardino circondato
da un muro a secco, che fu agevole cosa scavalcare; ed avendo, come
speravano, rinvenuta socchiusa la porta, che dalla casa menava al
giardino, all'improvviso comparvero in mezzo della stanza del morto.

Se fosse stato il luogo aperto, le donne al comparire di costoro
sarebbero fuggite via porgendo materia alla similitudine di colombe
spaventate, ma chiuse così rannicchiaronsi in un canto e fecero
grappolo a guisa di api, che cacciate dal bugno si rifugiano a fretta
su di un ramo di albero.

— Qual è che ha rapito dalle forche l'impiccato? domandò severo il
Paoli. — Io, rispose a occhi bassi, e con voce velata Lella. — Perchè
lo avete tolto? — Vivo me lo toglieste voi, ed io me lo ripigliai morto
per dargli sepoltura. — Questo toccava al padre, forse, e non a voi.
— Ed io andai a persuaderlo al padre, ma chiuso in Dio, egli non pensa
più ad affetti terreni. — E voi chi siete per togliervi questo carico?
— Io sono... vo' dire doveva essere la moglie di Giovanbrando.

— Avete compagni? riprese il Paoli con un suono più mite.

— No; gli avessi, non ve li direi, e a voi non istà bene domandarmelo.
— Perchè no? Quando il popolo intero fa la legge corre a tutti il
dovere obbedirla; e il pregiudizio che sia infamia a rivelare i
malfattori ha da perire: chi era il vostro compagno dai piedi scalzi?
— Sono io sua nudrice una volta, adesso compagna per servirla. — Fu un
giudizio di quanti la udirono che la nutrice di Lella in tutto il tempo
della sua vita trascorsa non si era arrisicata mai a discorso tanto
lungo, e dicono ancora, che, in quella ch'ebbe a vivere poi, non ci si
attentò più. — Voi per certo ignoravate il bando, che sotto severissima
pena vietava si toccasse il cadavere del giustiziato — riprese a dire
il Paoli volgendosi a Lella con manifesta intenzione di porgerle il
filo alla scusa, ma la fanciulla pronta: — Anzi lo sapeva, — Dunque
sapete che tocca morire anche a voi? — Sarete pietoso a riunire
la sposa col suo sposo come foste spietato a separarli. — Non io,
fanciulla, non io vi separai, ma la legge del popolo, e il suo delitto.
— E questa corda — aggiunse Lella scingendosi il capestro dalla vita.
— Forse credete che io senta gusto a condannare a morte i miei simili?
Potete rimproverarmi di parzialità? Il primo che mettessero a morte
per omicidio non era mio parente? — Oh! nessuno vi contrasta la fama
di spietato. — Sta bene, spietato; ma la mia severità ridusse nè
manco a dieci gli ammazzamenti che una volta sommavano in ogni anno a
mille; ora fate conto se costa più lacrime la mia asprezza o l'altrui
clemenza. La pena bandita contro il rapitore del giustiziato non pose
la legge; che in questo caso potrei compiangervi non già salvarvi;
bensì il governo, e posso rimetterla, e la rimetto. Povera _tinta_! io
vi perdono: onorate il morto col costume patrio... capisco... rispetto
a voi, egli periva in virtù del grande amore che vi portava; solo fate
che venga sepolto prima di giorno nel camposanto della parrocchia.

Così ordinando il Paoli era mosso dal pensiero, che la pietà del
caso della fanciulla poteva per avventura scemare lo abborrimento
al delitto, ed il terrore alla pena; sicchè erano da evitarsi le
peregrinazioni, e le fiorate alla tomba del giustiziato, le quali
quantunque non si potessero vietare affatto, pure nel cimiterio
comune avrebbero mantenuto modo più comportabile. Al Boswell, mancato
ogni pretesto per dimorare più oltre là dentro, toccò uscire dietro
al Paoli; tuttavolta avendo avvertito, come egli assorto ne' suoi
pensieri non lo badasse, si ristette nella strada in aspettativa di
quanto fosse per accadere. — Nè andò guari, che i parenti e gli amici
incominciarono ad accorrere alla casa di Lella Campana a due, a tre,
e a quattro: imperciocchè gli uomini, simili ai ranocchi, finchè dura
il pericolo per ordinario si tuffano sott'acqua rimpiattandosi chiotti
nella belletta: quando poi uno di loro o più improvvido o più animoso
degli altri torna a galla, e dà il segnale altrui che non ci è più da
temere, allora tutti ficcano il capo fuori dello stagno, e chi più
ebbe paura più gracida. Il signor Boswell, osservato come adesso i
parenti lasciassero la porta aperta, credè non commettere indiscretezza
rientrare in casa alla coda di loro; cacciatosi in un cantuccio egli
vide gli uomini anch'essi farsi incontro alla fanciulla, ed uno per
volta abbracciatala disporsi lungo la parete di faccia alle donne
senza però o piangere o favellare. Poichè dopo qualche dimora non
giunse altra persona, le donne una dietro l'altra si mossero pigliando
a circuire la tavola, e intanto che giravano chiamavano pietosamente
il morto, rammentando le virtù poche che possedeva, e le moltissime
che non aveva mai posseduto: di grado in grado, nei moti e nella voce
s'infervorarono così, che le donne parvero menare proprio una ridda
frenetica. Intanto Lella nel mezzo accanto al morto lo guardava con
occhi socchiusi tenendo verso di lui tesa la destra con le dita aperte:
di repente si caccia via dal capo il mandile lasciando giù correre per
le spalle i capelli quasi criniera di polledro; spalanca gli occhi e
ne vibra dintorno le pupille fiammeggianti come spada in mezzo alla
strage.

— Silenzio! dissero gli uomini, cessate il _caracolo_; sta per cantare.

— Attente al vocèro — risposero le donne, e tacquero. Lella con voce
velata, e da prima tremula, tenendo sempre la mano tesa incominciò a
cantare:

    — Giovan Brando a che vi state
      Là disteso su la _tola_?
      Della sposa, che vi chiama
      Non sentite la parola?
      Via, porgetemi la mano,
      Non lasciatemi qui sola.

    Di campane e di archibugi
      Come levano rumore!
      Quanto in chiesa di Sant'Anna
      Ci è concorso, ci è splendore!
      Su Giovà, che il _cavaliere_
      Sta su l'uscio e porge il fiore.[28]

    Curciarella[29]! ava' tu gli hai
      Su la soglia la _travata_[30],
      L'orzo sparso per lo capo
      E la rocca _infrisciulata_[31]
      Prima vedova son fatta
      Che dal prete maritata!

    Niuno leva tra i parenti
      Per aitarti o mano o voce.
      Dietro l'urlo: dàlli! ammazza!
      Ti perseguita feroce;
      Se _babbìto_[32] ode il tuo nome
      Si fa il segno della croce.

    Non ritrovi in cielo e in terra
      Un rifugio alla tua testa;
      Non pai carne battezzata,
      Tanto ogni uomo ti calpesta;
      Ma da tutti maladetto
      La tua sposa anco ti resta.

    La tua sposa? Ahimè! dal petto
      Lo mio core hanno schiantato;
      Rotte l'ale il mio colombo
      Giace in terra insanguinato;
      Mi rubarono lo sposo,
      Mi hanno reso un impiccato.

La fanciulla come spossata si abbandonò con le braccia e con la testa
sul cadavere; dalla scossa convulsa delle spalle soltanto si faceva
manifesta la tremenda agitazione dell'anima; certa vecchia, che aveva
vanto di cantatrice, pigliò da cotesto istante di quiete il destro di
profferire i suoi consigli in questa maniera:

    — Deh! consolati figliuola,
      Porta in pace il tuo dolore;
      Giovan Brando adesso è in cielo
      Fra le braccia del Signore.

    Fissa gli occhi in questo Cristo,
      Che t'insegna a perdonare;
      Non por legna sopra il fuoco,
      Abbastanza è torbo il mare:
      La giustizia non fa patti;
      Chi ha tombato ha da pagare.

La fanciulla leva d'un tratto la testa: aveva la bocca contratta e il
guardo truce più che non abbia tigre che si avventi, e fra singulti
rispose alla malavvisata consigliatrice:

    — Se alle nozze di Chilina
      Vi mandava il boia in dono
      Quella corda, che strozzava
      Vostro genero Omobono,
      O Lucia, mi avreste udito
      Se io parlava di perdono?

    Chi lo uccise caschi morto
      Come bove con la mazza,
      Le sue membra messe in brani
      E gettate su la piazza.
      Oh! potessi con un soffio
      Spegner tutta la sua razza

    A infocar l'ira di Dio
      Non mi bastano gli accenti.
      Ma vorrìa vedere in fiamme
      Le sue case, e gli suoi armenti,
      Le sue vigne e gli oliveti
      In balìa dei quattro venti.

    Al soffitto ecco ti appendo,
      O capestro scellerato;
      Gli occhi miei ti hanno abbastanza
      Con le lacrime bagnato;
      Resta là, finchè io non ti abbia
      Dentro il sangue rituffato.

    Coi serpenti nei pruneti
      Vo' seguir vita e costume,
      Purchè in mezzo delle strade
      Del tuo sangue corra fiume.
      Io lo giuro sopra il corpo
      Del mio sole senza lume.

    Troppo grande è lo mio danno,
      Troppo forte il mio dolore;
      Una semplice vendetta
      Non contenta lo mio cuore;
      Se io sarò troppo crudele
      Mi perdoni lo Signore.

    Giovan Brando, ava' obbedisci
      Alla tomba che ti appella;
      Non badar, che la promessa
      Ti abbia dato una zitella;
      Che per far la tua vendetta
      Sta sicuro, basta anch'ella.[33]

Quando tacque, il sudore della morte le imperlava la fronte; traballò
per cadere, ma agguantatasi alla tavola le riuscì mantenersi in piedi;
tacevano tutti col capo basso, le labbra strette, i sopraccigli
aggrondati, finchè riavutasi la fanciulla esclamò: — su gente,
portiamolo al camposanto, poichè così ha ordinato il vostro padrone e
mio.

E come ella disse, eglino fecero; e la povera salma fu portata alla
sepoltura senza lume, senza croce, e senza canto, in silenzio, con
sospetto come i contrabbandieri costumano i frodi; bene incontrarono il
becchino, ma questi stava dietro a scavare un'altra fossa e non ci fu
modo di farlo smettere prima che l'avesse terminata; allora ne cominciò
un'altra accanto; a coloro che lo ricercavano cedesse la prima, rispose
caparbio non potersi fare perchè era stata pagata, e non gli rompessero
il capo, se non volevano che lo rompesse a loro; e in così dire alzava
con tutte e due le mani la zappa. Intanto, consumandosi il tempo ora in
questa, ora in quell'altra cosa, spuntò l'alba, e fu udito il canto del
_Miserere_ accostarsi vie via sempre più al cimitero; — interrogato il
becchino che novità fosse cotesta, rispose: che non ci capiva novità,
essendo un altro morto, il quale veniva a pigliare possesso della sua
ultima casa; in questo modo uno accanto all'altro terranno compagnia.
Come si chiamasse il morto non domandarono; imperciocchè in quel punto
la compagnia sboccò dal canto e videro Serena figliuola del colonnello
Albertini. Le due fanciulle si scorsero, e non avendo lo stiletto
addosso si ricambiarono una occhiata; veramente un colpo di coltello
avrebbe fatto più danno, non però svelato odio maggiore. Il prete
chiese a Serena se avesse desiderato seppellissero altrove il corpo di
suo padre ma ella rispose:

— No; così, stendendo la mano, piglierà pei capelli il suo assassino,
e lo trascinerà al tribunale di Dio.

Lella dal canto suo diceva al becchino: — lasciate la terra accanto
a Giovanbrando vuota fino al muro, che appena basterà per coloro che
hanno da pagare la sua morte.

Il signor Giacomo condottosi fin là per osservare ogni cosa, picchiando
alla disperata sopra la scatola esclamò:

— Che gente! Che gente! A che cosa vanno a pensare invece di porre
mente ai decreti della Provvidenza, la quale ordinò l'assassino
scendesse nella sepoltura prima dello assassinato, e tremare della
giustizia, che fece tenere la pena dietro al delitto come tuono al
baleno.

                   *       *       *       *       *

Pel buio della notte i colli circostanti a Corte si rimandano l'èco
delle conche marine, e paiono scolte che si eccitino mutuamente a
vigilare su la Patria. Quando prima si fu messo un po' di raggio si
videro calare giù da mille sentieri i popoli accorrenti alla consulta
in sembianza di cascatelle di acqua piovana le quali arrivate in mezzo
alla valle si uniscono senza confondersi: però che la confusione delle
genti impedissero le vesti, e le bandiere diverse: rispetto a queste
ogni drappello costumava adoperare i suoi colori, che stavano attaccati
a mo' di fiamma su lo stendale in cui tutti portavano dipinta la
immagine della Immacolata. Veramente muove a ira vedere come gli uomini
non abbiano mai saputo smettere il vezzo di prendere Dio a complice
delle mattie e delle ferocie loro; pure se è lecito invocare il cielo
quando avventiamo le armi omicide, o lo possiamo nelle guerre per la
salute della Patria, o mai. — Dapprima venivano i commissari delle
armi, seguitati dalle compagnie addestrate dai medesimi; portavano il
moschetto a bandoliera, e pistole, e pugnale; la _carchiera_ della
polvere e delle palle davanti, dietro lo zaino; nessuno aveva loro
ammannito le provvisioni, nessuno l'alloggio; nello zaino recavano pane
e cacio, nella zucca vino, e tanto bastava per tempo non lieve: circa
alle stanze, l'erba verde e la fronda di un'elce o di uno olivo era
quanto sapessero desiderare; per loro i locandieri potevano impiccarsi
dalla disperazione alla soglia dello albergo. Certo non presentavano
l'aspetto delle milizie ordinate, pure assai composte procedevano nei
moti, e quello che massimamente importa, sembravano decise a mettere
in isbaraglio anime e corpi. Talune compagnie erano comandate da
frati; altre da preti; fra i primi terribile di aspetto il padre Paolo
Roccaserra, che con la spada in mano rammentava proprio san Paolo quale
stampavano a Venezia nei frontespizii del Testamento nuovo; per amore
di Patria e per prestanza, pari, se non superiori a lui, venivano dopo
i frati Serafino, Venanzio, Sammarco, e Agostino; dei secondi erano
mirabili Domenico Leca vicario di Guagno, anima di ferro in corpo di
ferro, e il prete Mugghione grave e solenne, cui faceva contrasto il
nostro conoscente prete Settembre. Inseparabili in vita, come poi lo
furono in morte, il prete Piscione e il pievano Astolfi. Con quali
argomenti questi preti e questi frati si schermissero dai sacri canoni
non so, e non m'importa sapere; questo altro conosco, e mi piace che
altri conosca, come oltre al Natali vescovo di Tivoli, il quale scrisse
con San Tommaso potersi anzi doversi ammazzare il tiranno, e il padre
Lionardo da Campoloro, che nel suo trattato dei primi rudimenti affermò
martiri i morti per la Patria, il frate Filippo Bernardi addirittura
sostenne degno di assoluzione colui che in qualsivoglia maniera un
nemico spegnesse. Onde non è da maravigliarci se i Côrsi, commettendosi
a loro, fossero certi di rimettersi in buone mani. Oltre cinquanta
frati e preti furono deputati; cinquecento combatterono, terrore dei
Francesi, che alcuni in guerra col ferro, i superstiti in pace con la
corda barbaramente trucidarono; nè ciò bastando ad assicurarli degli
altri, i quali pure erano rimasti all'ombra dei chiostri, mandarono
in Corsica una frotta di frati francesi, affinchè gli educassero alla
servitù, appunto come nella India si servono degli elefanti ammansiti
per pigliare i selvatichi.

   [Illustrazione: .... fra i primi terribili di aspetto, il
   padre Paolo Roccaserra, che con la spada in mano..... (_pag.
   291_)]

Co' frati e co' preti gareggiavano le donne, nè tutte a modo di
gregario, bensì taluna in vista di capitano; e queste furono Rossana
Serpentini, la moglie di Bartolo da Barbaggio già famosa in guerra, la
moglie di Giulio da Pastoreccia, ed altre parecchie, tra le quali degna
d'immortale memoria la nepote del vicario di Guagno onde l'inclito
amico nostro Salvatore Viale con patrio orgoglio cantava:

    — Coll'archibugio in mano, e in sen lo stile
      Donne vedeansi valorose e ardite
      Che abito assunto al par che alma virile
      San le maschie emular vergini scite[34].

E prima di lui Ottaviano Savelli con nobilissimo carme latino il quale
recato nel volgare nostro suona così:

    — Quanto femmina possa, a prova impara.
      Forza ho nel corpo sano e nelle vene
      Il patrio sangue, e la virtù nel core,
      Nè sola o prima ch'io mi cinga al fianco
      La spada, e porti in su la spalla l'arme,
      E di sandali cinga il piè veloce:

    Emularono molte i gesti aviti,
      Adesso teco agli ultimi cimenti
      Io mi commetto, e le più ree fortune
      Patirò; spirerò l'anima teco,
      Tu duca mio, tu padre....[35]

E' pare, non vo' negarlo, che alle donne si addicano studi più miti,
ma le côrse use alle fatiche, nelle quali si travagliavano troppo
più degli uomini, trattarono le armi non per andazzo di tempi, o per
muliebre vanità, bensì, perchè ci si sentivano atte; di vero parecchie
imprese vinsero sole; tutte poi sostennero stupendamente.

Dietro gli armati veniva la varia moltitudine di vecchi, di fanciulli,
e di donne, e in mezzo a questa il deputato, o vogliamo dire il
procuratore del comune; i più pedestri, vestiti come gli altri, che
lo stipendio di una lira al giorno non consentiva lusso maggiore; i
troppo vecchi procedevano sopra piccoli muli, e taluno di loro davanti
si recava un tenero ragazzetto, in groppa una donna mingherlina; tale
altro stava seduto in modo da permettere che dal basto pendessero
attaccate due ceste, dentro le quali uno per parte giacevano due
pargoli; le madri seguitavano filando, e al primo gemito recatisi
i bambini in collo porgevano loro la mammella: avrebbero voluto a
un punto filare, camminare, e allattare, e ci si erano provate; ma
conosciuto il pericolo, non senza rammarico erano rimaste da filare.
Forse di queste cose taluno sorriderà, e tuttavolta, in fino d'ora, lo
avverto, che se lo universale dei Côrsi avesse praticato costumi non
diversi da questi, la Francia sarebbe venuta meno contro la virtù di
quel pugno di gente.

Intanto dal palazzo del generale uscirono Damiano, Minuto Grosso,
Ambrogio, ed altri famigliari di lui, i quali andando attorno, e
mescendosi ai varî capannelli, assai destramente pigliavano lingua dei
nomi, stato di famiglia, casi; insomma più che potevano dei caporali
di cotesta moltitudine; in simile faccenda sopra tutti sbracciavasi
frate Damiano con quel fare procaccevolone, che nei frati diventa
natura; egli porgeva ai fanciulli la mano, alle donne la croce della
corona a baciare; agli uomini poi lo scatolone di tabacco, che senza
empietà si sarebbe potuto mettere a petto con la misericordia di Dio,
imperciocchè come quella pareva non dovesse avere mai fine. Quando
ebbero fatto sufficiente raccolta, se la svignarono andando a riferire
ogni cosa al generale, che, dopo averli ascoltati per bene, si dispose
a scendere a sua posta in istrada, e mescolarsi fra il popolo. Ora
vuolsi sapere come il Paoli possedesse memoria non affermerò superiore
a quella di Giulio Guidi suo compatriotta da Calvi, che ebbe il
soprannome _dalla grande memoria_, e mandò trasecolato il Mureto
nella università di Padova, ma certo da stare a pari con Temistocle,
Teodosio, od altri famosi dell'antica e della moderna storia; però
bisognava, che per imparare le cose a mente qualcuno gliene dicesse; e
tale incombenza appunto commetteva ai suoi famigliari; onde egli poteva
salutare a nome infinite persone mostrandosi eziandio ragguagliato
di molte particolarità concernenti alle medesime. Questa pratica gli
conciliava benevolenza, e credito inestimabile, reputandosi ogni uomo
col quale entrava in parole conosciuto da lui specialmente, e sempre
più confermando la opinione, che per volontà di Dio a lui fossero
rivelati i più riposti segreti. Se i tempi lo avessero consentito
è da credersi, che egli avrebbe osato di più, che senza un po' di
meraviglioso gli ordinamenti dei legislatori tra popoli rozzi non
attecchiscono, ed ei lo sapeva; e nè anche andava del tutto immune da
certe sue superstizioni alle quali pure partecipò Napoleone Buonaparte;
sia che la Provvidenza lasciando insinuare negli alti spiriti simili
debolezze voglia insegnarci come niente di perfetto esista su questa
terra, sia, come credo piuttosto, che i primi germi della educazione ci
rimettano nostro malgrado il tallo nell'animo; e i Côrsi allora erano
superstiziosissimi, ed anche oggi, comecchè molto meno, sono. Pertanto
il Paoli qua e là aggirandosi, con maraviglia pari al contento di
cotesti fieri isolani, quale chiamava a nome, quale col suo nomignolo,
e a quello chiedeva contezza del padre infermo, della moglie incinta,
del garzoncello spoppato, a questo del pastino, degli olivi piantati,
della vigna potata, ad altri altre cose, e poi ad un tratto li tastava
di scancio intorno ai casi imminenti; imperciocchè sapesse, che il
suffragio universale si rassomiglia assai a cavallo sfrenato cui fanno
mestieri un po' di briglia e un po' di sprone, e se fosse vissuto ai
giorni nostri egli lo avrebbe paragonato volentieri alle carrozze
a vapore, le quali, finchè corrono incastrate nelle rotaie, vanno
d'incanto su per erti argini e per cieche botti, dove prive di guide
ruzzolerebbero, o darebbero di cozzo dentro le muraglie: ond'egli
si era tolta quella fatica nel concetto di persuadere gli avversi,
sostenere i vacillanti, i risoluti confermare; ma non n'ebbe bisogno;
che da tutte parti sentì rispondersi su questo punto: fate il vostro
dovere, e noi faremo il nostro. Egli allora, attentandosi più oltre,
interrogati costoro che cosa intendessero per suo dovere, gli udiva
replicare alla recisa: voi comandate la guerra, e noi per Dio santo la
combatteremo. — Fino all'ultimo? — Fino all'ultimo. — Allora siamo a
cavallo, disse fra sè il Paoli, e ritornò in palazzo per mutare vesti,
che l'ora per la Consulta stringeva.

Deposti gli abiti di panno côrso, vestì la sfoggiata assisa di velluto
verde gallonato di oro, cinse la spada, dono di Federigo, e con in mano
il cappello del pari gallonato e piumato s'incammina verso la chiesa
di San Marcello dove era convocata la Consulta; teneva la mano su la
maniglia della sua stanza quando gli si schiuse con impeto la porta
davanti, cosicchè per poco stette, che non gliela sbatacchiassero in
faccia:

— O padre Bernardino siete voi? che novità portate? voi mi parete torbo.

— E lo sono, disse il frate agguantando il Paoli per un braccio, e
sbarrandogli negli occhi due occhiacci da spiritato. Le novità le
fate voi, e non ho a contarvele io; chiaritemi un po' che significhi
là in chiesa quel baldacchino di damasco rosso? sareste per avventura
diventato il Santissimo Sacramento? se così è ditemelo, perchè mi
possa inginocchiare dinanzi a voi, e venerarvi come meritate. Ancora,
che importa quel seggiolone di velluto chermesino con la corona reale
ricamata nella spalliera?

— La è chiara; in trono siede il principe, o chi lo rappresenta; qui
la nazione è principe, ed io ne sostengo le parti, però in luogo di
quella mi assetto in trono. — La corona reale, voi avrete osservato,
che sormonta l'arme del regno di Corsica; veramente questo titolo non
va bene; bisogna mutarlo; ma per ora si mantiene a fine che la Europa
non creda sia rovinato in Corsica il finimondo.

— No, io ho osservato, che la spalliera del seggiolone fu fatta alta
per modo, che la corona viene per lo appunto ad adattarsi sul capo di
quale ci si ponga a sedere.

— A questo non badai.

— Ci ho badato io.

— Orsù via di che temete voi? Che io mi faccia tiranno?

— Pasquale, nelle anime rette la rea passione non entra mai per la
porta maestra, ella piglia per dietro, e si caccia per la gattaiola;
penetrata in casa, in un attimo diventa in guisa gigante, che non la
puoi buttar fuori dalle porte nè dalle finestre.

Pasquale, io ho veduto perfino le immagini della Immacolata diventare
nere per troppo incenso. — Te lodano ogni giorno, e lo meriti; se ti
lodassero meno farebbero meglio, e tu saresti savio se a coteste lodi
sbardellate ponessi modo; e se, come credo, aborrisci veramente farti
tiranno, non pigliare nè manco usanza con le apparenze della tirannide.

— Ma io non mi sono accorto di avere offeso così la temperanza dei
padri nostri di lasciare adito a sospetti: in casa mia alla Stretta si
adoperano ancora posate di bossolo, e le impannate coprono le finestre.

— Sì, ma qui le usi di argento; e questi, che vedo alle finestre, sono
cristalli; nè il velluto, per quanto io sappia, fu mai lavorato in
Corsica.

— Come privato vivo secondo l'osservanza antica, ma come magistrato
supremo mi parve degno della nostra nazione mostrare alquanto più di
decoro.

— E vi parve male. Pensate voi, che Pirro e i suoi legati stimassero
più o meno il popolo romano e Fabrizio perchè lo trovarono a cuocere
rape?

— Oh! volgevano allora altri tempi; in cotesti giorni di virtù
repubblicana la povertà tenevasi in pregio; adesso si reputa colpa;
certo la non si legge scritta in verun codice, ma la trovi scolpita in
luogo troppo più dannoso, nel cuore umano.

— Pasquale! Pasquale! Picchiatevi il petto, e dite _mea culpa_; perchè
concedeste i passaporti ai francesi? Perchè permetteste i mercati in
prossimità dei presidii? L'oro francese serpeggia come veleno nelle
vene dei Côrsi; e il lusso non entra mai solo nei paesi, bensì a
braccetto della corruzione.

Il Paoli divampò in volto; senza dubbio perchè senti mordersi il
cuore: cotesto rimprovero che adesso gli moveva il frate ad alta voce,
sovente, come in altra parte fu avvertito da noi, glielo sussurrava
sommesso la coscienza; onde piuttosto acerbo rispose: — Voi, usi nei
chiostri, delle faccende umane intendete niente. La Corsica difettava
di danaro, e per sostenere guerra giusta contro i nemici faceva di
bisogno procacciare artiglierie, di ogni maniera, armi, munizioni e
simili altri monimenti: ora a tutte queste cose provvidi coi denari
del nemico: e senza i mercati concessi, in quale guisa io glieli avrei
potuto cavare di tasca? In verità se voi non me lo insegnate non saprei
indovinarlo io. I partiti politici presentano sempre molte facce: ogni
diritto ha sempre il suo rovescio, e la necessità costringe i cimenti;
gli uomini poi non possono prevedere tutte le sequele, di qui, padre
Bernardino, di qui, la fortuna buona è la rea. D'altronde ho fatto
esperienza di questi fieri fratelli nostri, e non li trovo punto
corrotti.

— Oh! qui sui monti no, perchè sui monti si vive più da presso a Dio,
ma per le città e le campagne circostanti temo che sia diverso. — Ad
ogni modo piaccia alla Provvidenza, che i quattrini francesi rechino
minore danno a noi che a loro il ferro che ne abbiamo comprato.

— Padre Bernardino, uditemi: voi per fermo sapete come Marco Aurelio
assunto allo impero consegnando la spada al prefetto del palazzo gli
dicesse: — Tu con questa difendimi finchè osservo la legge; quando
la trasgredissi ammazzami con questa; — e io dico a voi: — pigliate
questo pugnale; ve lo do con le medesime intenzioni di Marco Aurelio,
pigliate.

— No, Pasquale: vogliate non essere nè manco Marco Aurelio; egli si
professò filosofo, ma a fine di conto rimase imperatore; onde a ragione
Epitteto evitava disputare con lui, reputando cosa da matto venire a
litigio anche di parole con tale che teneva al suo comando sessanta
legioni. Coteste erano chiacchere; se Marco Aurelio avesse temuto
del prefetto questi avrebbe finito come la _giustizia_ di Arragona.
Persuadetevi, giova più per tutti procurare che il male non accada, che
rimediarci accaduto.

— Ma adesso che questo benedetto trono sta su ritto, io non so a qual
santo votarmi.

— Non vi date travaglio per ciò, ecco, che io vi profferisco un partito
bellissimo: assettatevi accanto al trono, e se taluno interroga, perchè
usiate così, e voi rispondete: il trono fu eretto per la libertà della
nazione, la quale, comecchè sia ente astratto pure noi tutti dobbiamo
estimare presente alle nostre deliberazioni, affinchè ella ci infonda
partiti degni di lei.

— Mi piace; così farò, siete contento?

— Sì, sono; ma vorrei un'altra grazia da voi; la ricuserete all'amico
di vostro padre?

— Parlate.

— Vorrei, che mi diceste proprio col cuore se vi siete avuto a male di
quanto vi discorsi?

— Datemi la mano: ecco io ve la bacio come quella di mio padre quando
mi castigava per mio bene.

— Ed io, soggiunse il frate liberando la sua mano e ponendola sul capo
al generale, vi benedico, come avrebbe fatto la grande anima del povero
signor Giacinto, nel nome del Padre, del Figliuolo e dello Spirito
Santo.

                   *       *       *       *       *

Il presidente della Consulta, Paolo Luigi Vinciguerra, poichè tutti si
furono assettati, in mezzo al silenzio universale, volto al Paoli gli
disse: — Esponete.

Il Paoli parlò in piano stile, e disse delle pratiche tenute,
mediatrice la Francia, con la repubblica di Genova per la pace, essere
state respinte le offerte del tributo annuo di lire 40 mila pel feudo
di Bonifazio e per Capraja, le franchigie commerciali, e le cerne
di soldati côrsi in tempo di guerra: allora, poichè ai repubblicani
genovesi coceva tanto la perdita del titolo di re, avere proposto che
sel tenessero, e la Corsica, purchè sgombra di loro, avrebbe retribuito
un omaggio annuale a mo' che il Re di Sicilia costumava con Roma: in
oltre (e questo era quel più, che da lui si fosse potuto consentire)
tenesse Genova presidio in qualche città litoranea della Corsica:
nè anche questo avere potuto attecchire. Fra tanto i gesuiti spinti
fuori di Spagna essere stati accolti dai Genovesi in Calvi, Ajaccio,
Algajola, dalla qual cosa inalberati i Francesi votarono codesti
presidii; noi stavamo a un pelo di occuparli; si posero fra mezzo i
Francesi, perchè fino al termine della lega gli lasciassimo stare;
allora se Genova non si fosse composta con esso noi ci chiarivano
liberi di tutelare i nostri diritti come la intendessimo. Desideroso
tenermi bene edificata la Francia, obbedii. Di un tratto la Francia,
o piuttosto il suo ministro duca di Choiseul, pari all'amico che
frequentando la casa dello amico ne concupisce la moglie, promette
lasciare libera la Corsica di governarsi a suo senno, a patto che gli
concediamo noi San Fiorenzo e Bastia con tutta la contrada, che da
queste due città si distende fino a Capo Côrso. E' parve pretensione
strana, perchè in breve spazio due governi diversi e per necessità
ostili non potevano durare; massime se potentissimo l'uno, e l'altro
si sente ed è in effetto debole; la pignatta di ferro accanto a
quella di coccio; per ultimo, popoli da evo immemorabile congiunti, di
repente lacerati; dissi: amare meglio ci sottomettessero interi, che
pigliarci a questo modo divisi. Onde non lasciare intentato spediente
per vedere se umiltà vincesse superbia, offersi altresì che il re
di Francia assumesse titolo e ufficio di protettore della libertà
Côrsa, per difendere la quale presidiasse Bastia, San Fiorenzo e Capo
Côrso. Risposero smettessero i Côrsi l'audacia di presumere che il
Cristianissimo volesse accettare di simile sorte confederati. Subito
dopo corse una voce molesta, che la Francia avesse comprato noi altri
da Genova; da Genova, contro la tirannide della quale un giorno ci
somministrò armi e sussidii; da Genova, contro la tirannide della quale
ai tempi nostri stette per difenditrice; da Genova, che sa non potere
vantare su di noi potestà se non convenzionata, e però tale che senza
il consenso delle parti contraenti non possa mutarsi; e compra noi
altri che da quaranta anni ci travagliamo nelle lotte sanguinose della
libertà, come il macellaio costuma un branco di montoni. La Francia è
potente, troppo potente per noi, onde potrebbe astenersi dagli inganni;
ma no, le piace approfittarsi anche di questi, e mentre il duca di
Choiseul mi manda a dire, che delle nuove milizie spedite in Corsica io
non mi adombri, ecco che il conte di Marbeuf appena sbarcato m'intima a
rimettergli in mano senza indugio San Fiorenzo, Bastia, Algaiola, Isola
Rossa, Macinaggio, e Gornali. Risposi breve: averli i Côrsi acquistati
col sangue; senza sangue non li avrebbero lasciati. Il marchese di
Chauvelin, capitano della impresa, da Bastia ha pubblicato il suo
bando; voi lo conoscete; promette farvi del bene assai, e confida di
non avervi a trattare da ribelli; e voi dovete estimarvi avventurosi
di essere cascati nella _servitù_ della Francia, perchè la libertà non
temperata da buoni ordinamenti mena i popoli alla _servitù_. Frattanto
si rompe slealmente la guerra prima che spiri la tregua, e, malgrado
la resistenza dei nostri, parte del Nebbio, molti luoghi di Casinca
e di Capo Côrso vengono espugnati da loro. Già la gazzetta di Francia
ridonda delle iattanze consuete intorno al valore ed alla fortuna delle
armi del Re. È inutile che io v'informi come la mia fama sia fatta
segno di vituperii; dove io, essi affermano, dove io non insidiassi la
libertà vostra, forse avrei avuto virtù per governarvi con gloria; i
cieli vi destinano a sovrano Luigi XV il quale possiede certo le virtù
di reggervi con gloria serbando intatta la vostra libertà. A me poi se
lamento la iniqua oppressione rispondono: colpa vostra; perchè quando
volevamo mutilare la Corsica del Capo Côrso, di San Fiorenzo e di
Bastia, voi urlaste meglio è che le tolghiate addirittura la vita; noi
abbiamo visto, che voi avevate ragione e l'ammazziamo. In questa guisa
si ragiona in Francia. Adesso che vi ho esposto lo stato delle cose nel
quale ci versiamo, deliberate voi liberamente se vi piaccia accordare
o piuttosto respingere la forza con la forza: se vi garbi la pace,
io tornerò in esilio dispiacente di non aver fatto per la mia patria
quanto poteva, e senza dubbio poi quanto voleva, pure sempre obbediente
ai voleri del popolo, sia restando, sia partendo; se all'opposto
sceglierete la guerra, considerate se l'abbia ad amministrare io od
altri; se giudicherete altri, dirò come la madre di Brasida diceva del
figliuolo: esulto, che la patria abbia cittadini migliori di me; se io,
sarò una spada nelle vostre mani, la quale percoterà sempre, finchè o
non vinca o si rompa.

Così avendo parlato si disponeva a partire, quando Marco Aurelio Rossi
oratore della Consulta saltò su a dire, non doversi a verun patto
permettere, che in faccenda tanto grave il generale si allontanasse:
rimanesse, e quasi anima dell'assemblea con i suoi consigli la
ispirasse.

— Che piacenterie sono queste, oratore? proruppe sdegnoso il padre
Bernardino Casacconi, il quale giusto sedeva nella Consulta come
procuratore del Comune di Casacconi. — Non vi vergognate? chi fece la
legge primo la obbedisca: fuori il generale.

— E ciò, soggiunse pacato il Paoli, tanto più importa che sia in quanto
che restando non mancherebbero di bociare su pei canti avere io con
rigiri strascinata la Consulta alle mie voglie. Il procuratore di
Casacconi ha ragione; concedete, che io vi lasci liberi a discutere
il partito desiderando, e sperando, che riesca quale la dignità della
Patria aspetta da voi.

Uscito di chiesa con piccola accompagnatura intendeva tornarsene a
casa per aspettare costà il partito della Consulta, ma il capo gli
bolliva così, che gli parve bene rimanersi alcun poco all'aria aperta.
Intanto che andava pensieroso s'imbattè nel colonnello Valcroissant, il
quale in compagnia di certo suo ufficiale di ordinanza, e di Altobello
Alando datogli in quel giorno di guardia, percorreva le strade notando
diligentissimamente i casi che si succedevano. Appena il colonnello
ebbe scorto il generale gli si fe' incontro, e dopo alternati i saluti,
gli domandò:

— Or come avviene, signor generale, che non vi troviate a presiedere la
consulta?

— A me non tocca.

— Sia pure così: ma almeno dovreste stare presente alle deliberazioni,
massime quando scottano davvero.

— La legge mi esclude giusto perchè il negozio è serio; mi pareva
avervelo già avvertito...

— Sicuro, ma io credeva, che voi...

— Avessi dato ad intendervi una bugia; ecco a che siete ridotti voi
altri Francesi; chiunque vuole ingannarvi d'ora in poi non avrà a fare
altro, che dirvi la verità.

— Vorrei domandarvi un favore, signor generale.

— Parlate.

— Desidero, che mi permettiate visitare il castello.

— Venite meco; io non ci vedo alcun male, perchè quando la guerra si
ridurrà attorno al castello, e' sarà come la vita, che si stringe al
cuore, per cessare.

Innanzi di porre piede dentro al castello venne fatto al colonnello
di osservare una casa tutta piena di cicatrici fattevi dalle palle di
carabina, e di spingarda; quelle di cannone erano state murate; pure
se ne osservano tuttavia le toppe. Pertanto il colonnello, preso da
vaghezza di sapere che fosse, interrogò:

— Qui si fece battaglia a quello che pare?

— E terribile, rispose il generale. Questa fu casa di Giampiero
Gaffori: allorchè il commissario Giustiniano gli fece rapire il
figliuolo, la moglie sua ch'è donna feroce gli andò incontro forsennata
urlando: Giampiero, rendimi il figlio! — E Giampiero, condotte notte
tempo bertesche e feritoie intorno casa sua, cominciò su l'alba a
fulminare quanti Genovesi si affacciavano ai baluardi; il commissario
ordina gli si sfasci la casa con le artiglierie; ma provò che questo
era più agevole a dirsi che a farsi, imperciocchè quanti artiglieri
comparivano a maneggiare il pezzo tanti colti di punto in bianco
andavano a gambe all'aria. Allora il diavolo agguantava per i capelli
il commissario, il quale ordinò pigliassero il figliuolo del Gaffori,
lo legassero sul piano della cannoniera, intantochè riparati da lui
potessero gli artiglieri ammannire con sicurezza il pezzo. Ai nostri
atterriti da simile vista cascano le braccia, e si volsero al Gaffori
senza far motto, ma in atto di domandargli: e ora che pesci si piglia?
— Sicuro, uno strettone se lo sentì dare il Gaffori, ed anche dei
buoni, ma scosse il capo disse: badate a tirare diritto: — magari!
se possiamo scansarlo! — Se Dio non vuole noi generiamo i figliuoli
appunto perchè muoiano per la Patria.

— E questi fu quel Gaffori che poi i Côrsi assassinarono? domandò
malignamente il Valcroissant.

— Cioè due o tre Côrsi a istigazione del diavolo, e dei Genovesi.

— E ci abitano sempre i Gaffori?

— No, di presente l'abita un giovane, assai cosa mia, di Aiaccio,
originario di Toscana, che si chiama Carlo Buonaparte con la moglie
Letizia Ramorino.

Esaminato ch'ebbe il Valcroissant il castello disse: certo deve essere
stato costruito quando non si conoscevano le artiglierie.

— Si adoperavano, ma a stento; le memorie avvertono lo fabbricasse
Vincentello d'Istria sul principio del 1500.

— Di fatti, oggi con quei monti a ridosso, che lo pigliano a cavaliere
non potrebbe fare resistenza contro a nemico munito di artiglierie.

— Ed io non avrei mancato di fortificare coteste alture se non sapessi,
che non sarà decisa qui la causa della libertà côrsa. Oh! ecco qui;
questa è la cannoniera dove fu attaccato il figliuolo del Gaffori.

— Perchè non ci mettete un marmo, che rammenti il fatto?

— Le memorie di marmo e di bronzo sono mute quando il cuore degli
uomini dimentica. I Côrsi non hanno mestieri sveglie per ricordare le
prodezze dei loro padri; e poi troppo marmo ci vorrìa per indicarle
tutte. — Se non vi gira il capo, colonnello, mirate un po' che
precipizio!

Il colonnello agguantandosi al parapetto sporse la testa per vedere il
pauroso dirupo su cui sta il castello, e lo ricinge da tutti i lati,
tranne il settentrionale dove pure la strada appariva sì stretta, che
due persone ci si potevano erpicare a gran pena.

— Sta bene; lo trovo proprio quale lo descrive il Tuano: — _arx
Curiæ saxo fere undique prærupto imposita;_ — e da che nasce quel
ribollimento di acque laggiù in fondo, che anche di qua mette paura a
vederlo?

— Colà le acque della Restonica si azzuffano con quelle del Tavignano,
ma fatta subito la pace procedono poi di amore, e d'accordo fino al
mare. La Restonica, forse per menare un'arena fina possiede la virtù
di forbire ogni maniera di metalli, massime il ferro; onde noi altri
vi lasciamo immerse canne da schioppi e ferramenti per pulirli dalla
ruggine. Il balzo come voi dite fa rabbrividire a mirarlo, e nondimeno
non una, ma parecchie volte i Côrsi prigionieri dei Genovesi ci si
misero giù a repentaglio, e si salvarono sempre.

Intanto nella chiesa di S. Marcello si faceva un gran tramestio tra
i procuratori intorno al partito da vincersi per la pace o per la
guerra: e colà come altrove coloro che in fondo volevano che la guerra
spuntasse, più degli altri sembravano avversarla, però i difensori
della pace, mentiti, o veraci, di petto ai contrarii erano pochi, e le
ragioni non facevano frutto. Ormai le voci discordanti ogni momento più
si accordavano nel grido: Guerra! guerra! quando il padre Mariani detto
il Rosso da Corbara levandosi con impeto esclamò: — Guerra! guerra!
Se a farla fosse agevole come a dirla adesso chi più di me sentireste
arrangolato a gridarla? Contro cui di grazia combatteremo questa
guerra? Contro il re di Francia, tra i potentati di tutta cristianità
potentissimo? Avete forse Mosè, che divida le acque del mar Rosso con
la verga? O forse contate fra voi Giosuè che valga a fermare il sole?
Qui ci vogliono miracoli; perchè co' partiti ordinarii dove possiamo
riuscire, io davvero non comprendo. E noi che siamo? Un pizzicotto di
gente seminato su di uno scoglio in mezzo al mare, senza quattrini,
senza fortezze, senza munizioni, senza soldati esperti nei modi della
moderna disciplina. Coraggio possediamo, anzi di questo ce ne ha
di avanzo; ma questo basta per morire, non basta per vincere: e qui
entrando in confronti prolungati, e minuti gli riusciva facile mostrare
a prova, che la guerra era partito da gente disperata; per la qual cosa
consigliava si piegasse il capo alla fortuna, non rendendo pessimo con
la resistenza uno stato a bastanza lacrimevole; come conforto della
libertà perduta pigliassero quei beni che la coscienza estorceva di
mano al non giusto dominatore.

Al frate Mariani rispose un altro frate e fu padre Lionardo Grimaldi da
Campoloro; le parole di costui non andarono esenti da passione, anzi ce
ne entrò di molta, ma così parvero allora persuadenti, che la storia in
parte e la tradizione ce le conservarono: vale il pregio riportarle,
non fosse altro per conoscere come or fa quasi cento anni sapessero i
frati favellare in Corsica.

— Quando gli Ateniesi ammazzarono Licida persuasore di accordi
col barbaro, male provvidero alla fama e agl'interessi loro. Noi
permettendo, anzi lodando le libere parole ci mostriamo assai più
civili degli Ateniesi, e meglio esperti nei governi dello Stato. Di
fatti uditi diligentemente i difensori della pace abbiamo sommato
questo, che dobbiamo astenerci dalla guerra, perchè la perderemmo
di certo. Veramente non possediamo Moisè, ma ne anco gli Ateniesi
lo ebbero; ed entrambi questi popoli o non conobbero fortezze,
o le abbandonarono, chè il mare, i monti, e i petti degli uomini
sentirono essere fortezze di bontà supreme, e pure vinsero in mare
e in terra eserciti, e armate piuttosto immani che grandi, fugarono
re potentissimi, nè contarono i nemici tranne per seppellirli. Ma
lasciamo in disparte gli esempi antichi, veniamo ai moderni, anzi
ai nostri: se Federigo re di Prussia invece di combattere i nemici
si fosse giù gittato a confrontare il numero di quelli col numero
dei proprii soldati, all'ora che corre se gli restava il marchesato
di Brandeburgo era bazza. E sì che gli Svizzeri quando superarono
i Tedeschi si avvantaggiarono dei monti, gli Olandesi per annegare
i Francesi apersero le cateratte dei dicchi, ma Federigo non potè
approfittarsi di monti, e nè di dicchi; forse opponete che il re di
Prussia eredò dal padre copia di danari, e di omaccioni alti sei piedi
e più, ed io rispondo, che i quattrini non erano tanti e poi li spese,
e che gli uomini non si misurano a canne, e noi sortimmo dalla natura
corpi infaticati, anima sicura, e combattiamo per la libertà, mentre
quei bestioni Prussiani si battevano pel padrone. Ma, santa fede!
oh! che sarebbe la prima volta questa che i Côrsi combattano contro
forze tre, quattro, e sei volte superiori alle loro? Veramente prodi
soldati sono i Francesi, ma le vecchie fanterie spagnuole di Carlo V
non ebbero vanto fra le prime del mondo? La Francia annovera parecchi
illustri capitani, ma il principe Andrea Doria passava forse per un
castrato della cappella del Papa? — Non siamo più buoni a quello che
seppero fare i nostri vecchi? Forse Dio ci levò il senno, la forza?
Oibò; queste cose se non le buttiamo via da noi altri nessuno può
levarci. Le nostre madri hanno smessa l'arte di partorire Sampieri? —
Ve lo dirò quello che manca a noi, e non ebbero i padri nostri. Manca
la concordia, manca l'animo deliberato in un proposito: tre fratelli,
tre castelli, e questo perchè? Perchè smesse le virtù avite ci piace
poltrire negli ozii lascivi, e nelle mollizie del lusso. Troppo più del
ferro temo l'oro francese.

Qual'ebbe dalla Francia grado nella milizia, o carico nella
magistratura trova il massimo dei beni nella dependenza francese, e già
di amico diventò avverso, di lodatore, detrattore, in breve aspettatelo
Caino, e Giuda. Per altra parte non vi crediate che la Francia si metta
coll'osso del dorso in questa impresa; io so che la piglia a malincuore
aggirata dal ministro, che dà ad intendere l'acquisto di Corsica
compensarla con usura del Canadà, e di altri luoghi perduti, e ciò per
allontanare la disgrazia che minaccia cascarle tra capo e collo; lo
stesso re non ci va di buone gambe, uggito delle miserie del popolo,
e corrucciato, che altri vada a scombuiarlo nella vita che mena; io so
che a dare la balta al ministro ci si è messa con le mani, e co' piedi
l'amante, dico male, l'amica, peggio che mai, la donna, ma costei è
sfregio delle donne di garbo, insomma quella cosa che il re tiene ai
suoi piaceri, e si chiama la Dubarry, di balla col duca di Aguillon il
quale da un anno a questa parte dice allo Choiseul: — levati di costà
che ci voglio entrare io — e questi fa orecchi di mercante. Per ultimo
io vi accerto, che lo Choiseul non chiude mai occhio pel sospetto,
che la Inghilterra ci abbia a pigliar parte. Santa fede! si avrebbe a
vedere anco questa, che la prima volta che si trovano d'accordo fosse
in pregiudizio della povera Corsica; e poi ci va della sicurezza della
Inghilterra a impedire che la Francia si allarghi nel mediterraneo,
nè si deve credere che voglia attendere, che la pietra sia cascata nel
pozzo per darci soccorso. Cotesti Inglesi, più sottili degli aghi che
fabbricano, non hanno mestieri imparare da noi, che mentre il cane si
gratta la lepre scappa. Mettiamo tutto alla peggio, e meniamo buona
la sentenza del padre Corbara; perchè dubiteremo noi del miracolo se
sfidati di ogni aiuto terreno porremo ogni nostra speranza nel cielo?
Forse non l'operò allorquando Filippo II mosse con la grande armata
contro la Inghilterra? Ecco il re spagnuolo già pensa al discorso col
quale accoglierà il sindaco di Londra, che gli porta le chiavi della
città e in questo mentre _Deus afflavit et dissipati sunt_; Iddio
soffia e vanno tutti al diavolo. E non si obietti che gl'Inglesi
essendo eretici questo soccorso non viene da Dio, perchè chi dicesse
così mostrerebbe avere poco giudizio: in effetto tra eretici, che
difendono la propria libertà, e cattolici, che vanno ad abbacchiarla,
la giustizia di Dio non può tentennare. Tuttavolta, amici e fratelli
miei, non giace qui il nodo; la questione deve proporsi in quest'altra
maniera: supposto, che la Corsica non possa durare contro la potenza di
Francia, dobbiamo piegare il collo spontanei alla oppressione, ovvero
più che ci è dato resisterle? Patirla, o accettarla? Chi si abbandona
Dio abbandona; e l'uomo libero che acconsente alla servitù, non può
in seguito tentare di affrancarsene senza taccia di ribellione; sopra
tutti dura, e tenace, e meritata la tirannide quando può mettersi
la larva della giustizia. Cotesta lanciata nel costato del Diritto
è sorella dell'altra che Longino avventò contro Gesù Cristo. — Al
contrario la tirannide, la quale ebbe bisogno di far sangue per
reggersi, ad ogni piè mosso sdrucciola, e non riesce a camminare; il
Diritto ha accompagnato i difensori della Patria nella tomba, e non
poteva fare a meno, anzi ci si è rinchiuso con loro; ma non ci sta
mica morto per questo, e di tratto in tratto alza il coperchio con la
testa e fa capolino per vedere se gli capita dare negli stinchi alla
tirannide con un osso di morto, e traboccarla giù in terra. Cento anni
di prepotenza, di tirannide e di oppressione non valgono un minuto
di Diritto: non lo spengiamo dunque con le nostre mani: procuriamo
che sventoli finchè possiamo glorioso sul candelabro; poi quando il
temporale soverchia nascondiamolo sotto il moggio, affinchè a tempo
debito il popolo trovi dove accendere la fiaccola che propagata di
lume in lume _lumen de lumine_ torni a rischiarare la terra. _Ah! si
muoia una volta, ma in libertà su la patria terra, ed apprendano gli
oppressori della nostra Patria che i Côrsi sanno esserci qualche cosa
preferibile alla vita; onde tremino anco vincendo._[36]

   [Illustrazione: Così votiamo ai piedi di questa croce, a Gesù
   Cristo che ci ascolta, che veruna di noi si congiungerà in
   matrimonio se non dopo finita la guerra. (_pag. 312_)]

La consulta mareggiava muggiando come onda flagellata dal vento, ma
vedendo che padre Bernardino Casacconi tutto aggrondato recavasi in
mezzo della chiesa, nel presagio di udire cose singolari si tacque.
Il cappuccino levata la mano impetrò l'attenzione degli uditori, e di
leggieri l'ottenne, allora con voce sonora e lentamente disse:

— Mi vennero riportate di taluni di voi altri infamie sacrileghe; mi
affermarono come vi ha taluno fra voi, che scoperchiata la sepultura
di sua madre grida a chi passa: entrate signori, a vedere le ossa di
una meretrice: mi accertano, che taluno fra voi così si vanta: io giuro
per la Immacolata, che stilla di sangue di mio padre non mi corre nelle
vene. Voi fremete tutti d'ira e di rabbia; sta bene, ed io pure, se non
mi tratteneva la reverenza dell'abito che porto avrei di un coltello
spaccato il cuore all'empio calunniatore. Però in siffatte sventure
l'ira non rimedia nulla, nè le pugnalate si ricevono per prova: voi
però tanto Dio ama, che vi ha conservato uno spediente di ridurre in
cenere con una parola... una parola sola cotanto vituperio. — Qui
trasse fuora dalla manica un rotolo di carta il quale, dopo avere
spiegato, con molta solennità, lesse: — «il nostro attaccamento, e il
nostro rispetto pel Re di Francia sono sempre più umili e inalterabili,
e a lui affidando le nostre speranze non avremo più luogo a dubitare
in appresso della sua compassione; ma se per disgrazia tanta fiducia
ci venisse a mancare, non ci rimane altro che abbandonarci nelle
braccia del Dio degli eserciti, e noi ci armeremo di una disperata
risoluzione di morire piuttosto gloriosamente in guerra, che
ignominiosamente servire, ed essere spettatori dei mali innumerabili
che si tramanderebbero alla nostra posterità: laonde termineremo col
sentimento dei Maccabei: _melius est mori in bello quam videre mala
gentis nostræ._»

Così i padri vostri decretarono nel 1733; ora chiunque accetta questa
eredità si manifesta figliuolo pietoso e degno cittadino; chi la ricusa
dichiara, che intende essere tenuto e chiamato bastardo.

E' fu come mettere fuoco alla mina; dallo scoppio degli urli, fu visto
tentennare il Cristo dall'altare maggiore, come se volesse scendere
giù dalla croce e mettersi a parte della difesa della libertà; gli
stendardi appesi al cornicione presero ad agitarsi violentemente
quasi drappellati da mani invisibili; le immagini dei santi, le lapidi
delle sepolture si circondarono di un nuvolo di polvere, i campanelli
della chiesa scossi dall'aria rotta suonarono; l'acqua santa si spinse
impetuosa di contro gli orli delle pilette, e li superò; le fiammelle
delle lampade accese davanti il sacramento ventilate sfavillarono;
insomma cose animate e inanimate al sacro grido di libertà palpitarono.

La più parte dei procuratori proruppe fuor dalla chiesa, esultanti come
gli apostoli uscirono dal paracleto, e come gli apostoli si diffusero
fra la moltitudine a bandire l'evangelio; imperciocchè ai montanari
côrsi l'annunzio della guerra sonasse proprio _lieta novella_; taluno
però staccate le bandiere dal cornicione della chiesa si fece in fretta
a drappellarle su in cima al tetto; altri si attaccò alle funi delle
campane tirando giù alla disperata, anzi vi fu tale che tratto fuori
dalla passione, dimenticando mollarle andò a dare di picchio col capo
al palco quando la campana volse la bocca impetuosamente all'insù;
ventimila labbra presero a cavare suoni dai _colombi_ da cacciare i
morti dalle sepolture a dieci miglia dintorno, e ventimila dita al
punto stesso toccato il grilletto spararono ventimila tra schioppi
e pistole a marcio dispetto del padre Casacconi che arrangolava:
risparmiate la polvere; ma non lo sentivano, a giudicarne dai gesti
furibondi lo pigliavano per lunatico. Non era da credersi, che il
castello di Corte fra tanto fracasso eleggesse starsene zitto; in vero
appena mirò sventolare le bandiere sul tetto di san Marcello prese a
esprimere la sua contentezza a cannonate. Il bombardiere o fosse uomo
di poca creanza, ovvero la soverchia gioia gli facesse dare la volta,
sparò il cannone dietro le spalle del Paoli e del Valcroissant senza
avvertirli, ond'essi spiccarono un salto come caprioli.

— Che significa questa storia? domandò il Valcroissant tutto intronato.

— Significa certamente, che la consulta ha deciso doversi difendere
dagl'ingiusti assalti fino all'ultima goccia di sangue.

— Non ci è rimedio, sono matti!

— Silenzio, signore, allorchè gl'Inglesi vinto in più battaglie il
vostro popolo, scorse le vostre terre, occupato Parigi, una povera
villana mosse a sollevare gli spiriti abbattuti, promettendo la
vittoria in nome di colui, che esalta gli umili ed abbatte i superbi,
la chiamaste matta voi altri? Ciò, che su le sponde della Senna
considerate divino, con qual pudore oltraggerete come follia su quelle
del Tavignano? Non fate getto di tutte le virtù che onorano i popoli;
poichè buttaste fuori di finestra la giustizia, non le mandate dietro
il giudizio, e se ad ogni modo vi garba vituperare, pensate prima
chi meriti maggiore biasimo fra questi due, o il potente che intende
commettere la ingiustizia, o il debole, che mette allo sbaraglio averi,
e vita per non patirla.

Il Francese abbassò la coda come il cane il quale abbia assaggiato
la mazza, ma per poco; e come la sua natura comportava, indi a breve
comparve più baldanzoso di prima; onde nello scendere dal castello
avendo veduto un capannello di gente intesa ad ascoltare un uomo che
ritto sul muricciuolo delle case Gaffori favellava accompagnandosi con
gesti accesissimi volle anch'egli accostarsi mescolandosi ai Côrsi.
Invano ne lo dissuadeva il Paoli, e certo è da credersi che se fosse
stata nei Côrsi minore o l'osservanza della ospitalità, o la reverenza
pel generale, cotesto era mal giorno pel colonnello Valcroissant.
Pertanto da veruno offeso e nè meno proverbiato potè mirare un giovane
di sembianza gentilesca, di vestire eletto che orava alle turbe in
questa sentenza:

«I popoli cultori della libertà avere sofferto strane vicissitudini,
le quali però valsero a renderli famosi nella storia. Per isgarare
il punto tutte le virtù buone, ma la pertinacia suprema. Se a
conseguire la libertà bastasse il desiderio, qual gente incontreremmo
adesso serva nel mondo? Però se un tanto acquisto costasse così poca
fatica non sarebbero giudicati pari alle divinità gli uomini, che la
patria loro condussero, o restituirono a libertà. Sciaguratamente
la esperienza dimostra come gli stati liberi movano in altrui non
ammirazione sola, bensì ancora invidia, ed odio, onde se una parte
di Europa affila il coltello per segarci le vene, e l'altra mostra
volersi stare neghittosa a vedere la strage, voi non anderete lontani
dal vero se pensate ch'elleno facciano tutte così per levarsi davanti
gli occhi una nazione, che avendo il cuore più grande della fortuna
sotto ruvidi panni rinfaccia al mondo la sua viltà. Prodi uomini!
adesso siamo giunti alle strette davvero; ora vedremo di che qualità
fossero i nostri padri, e di che noi; e se queglino sopportarono
fatiche ed affanni e l'anima sdegnosa versarono solo perchè alla prova
noi avessimo a comparire indegni perfino dell'acqua del battesimo,
che ci fu data, perfino immeritevoli della sembianza umana che ci
compartirono. Io lo confesso; mi riesce duro a pensare, che quel
medesimo re il quale s'interpose una volta affinchè i Genovesi non ci
opprimessero, e da cui speravamo protezione e sollievo, ora intenda
abbattere la nostra libertà; tuttavia se il cielo ha decretato, che
il monarca più potente della terra venga a combattere il popolo più
piccolo, accettiamo con franco petto la prova, imperocchè ci si para la
occasione di vivere o di morire ugualmente gloriosi. Prodi uomini! Si
pretende, che gente assoldata stia sul punto di mettere a repentaglio
la vita per interessi non suoi, e per vantaggio della tirannide, e a
noi mancherà il cuore di esporre la nostra per interessi proprii, e per
la libertà? Fate dunque di vincere con la vostra prontezza la comune
aspettazione, affinchè il nemico si persuada, che altro è volere, ed
altro potere ridurre in servitù un popolo libero.»

Questi concetti dell'oratore ci ha conservato la storia e tanto parvero
onesti allo stesso francese, che si sentì invogliato di sapere il nome
del giovane oratore. Il Paoli interrogato da lui rispose:

— Egli è il gentiluomo di Ajaccio assai mio familiare, che si chiama
Carlo Buonaparte[37] ed è quel desso, che ora abita la casa Gaffori;
i suoi maggiori avendo esulato di Toscana per causa della libertà, è
naturale che da pari suo continui ad amarla.

— Costui per certo non verrà mai a vivere in Francia.

— Chi sa, che il destino non ce lo meni a morire.

Accostandosi vie più al centro della terra occorse loro una frotta
di donne stipate intorno alla croce della chiesa di san Marcello come
pecore sotto la sponda dei castagni quando diluvia; solo ne appariva
una ritta a canto la croce in atto di parlare.

— Forse reciteranno il rosario, osservò il Valcroissant.

— Penso, che non la indovinate, rispose il Paoli, affrettiamo il passo;
avvegnachè le donne sieno di poco più mansuete degli uomini: spero che
non correremo pericolo ad accostarci.

In effetto si accostarono, e giunsero in tempo per ascoltare le ultime
parole della zitella su ritta accanto alla croce, le quali furono:

— E siccome non ci ha dolore al mondo, che vinca il dolore di madre nel
contemplare i suoi figliuoli intisichire nella servitù, così votiamo a'
piedi di questa croce, a Gesù Cristo, che ci ascolta, che veruna di noi
si congiungerà in matrimonio se non dopo finita la guerra.

Assentirono tutte non senza gemiti di dolore, o accenti d'ira giusta
l'indole di ciascuna di loro; e il Valcroissant quinci torcendo il
cammino, tentennato il capo, diceva: — ecco un voto ch'è più facile
profferire, che osservare.

Non lo udì il Paoli, che conosciuta la zitella si volse a salutarla:
ella era Serena, figliuola dell'Albertini assassinato. Il generale,
prima di entrare in casa, si fermò sopra la soglia, dove, dopo avere
fatto non so quale cenno a Minuto Grosso, che salì lesto le scale prese
a favellare in questa sentenza:

— Signor colonnello, voi avete udito la deliberazione della Consulta,
e qualora vi piaccia potete aggiungere se spontanea o provocata da me.
Adesso la vostra presenza qui non gioverebbe più a noi, e nè a voi.
Iddio assista la causa migliore, Altobello, pigliate una dozzina di
guardie, e scortate l'oratore francese, e la sua compagnia a qualche
miglio fuori di Corte; voi Ambrogio gli servirete di guida fino alla
foce del Golo per la via di Accia procurando non deviare mai dalla
strada battuta. — In questa scese Minuto Grosso con un foglio stampato,
e una penna; il Paoli prese l'uno e l'altra, scrisse il suo nome, e
poi consegnata la carta ad Ambrogio aggiunse: — questo è il passaporto:
dove occorra mettetelo subito fuori, e minacciate da parte del Supremo
Consiglio, a cui si attentasse toccare a questo ufficiale pure un
capello, severissime pene...

— Come? correrebbe forse pericolo un ambasciatore di S. M.
Cristianissima? Così osservano la fede quaggiù? Di questa sorte è
dunque la vantata lealtà côrsa?...

— Col riprendere aspramente i vizî altrui voi siete usi di onestare i
proprii, cavaliere Valcroissant. Voi foste i primi a violare la fede
assaltando a tradimento Patrimonio, e Barbaggio...

— Signor generale, questo è tale oltraggio che un soldato di Sua
Maestà....

Ma il generale trattolo in disparte con voce turbata, quantunque
sommessa, soggiunse: — Tacete, e ripigliatevi questi danari e questi
arnesi co' quali voi, ospite, che invocate il diritto di ospitalità,
tentaste corrompermi i miei servitori. Se voi altri conservaste in
cuore uno scampolo di quelle virtù di cui tenete fondaco su le labbra,
beati voi! felice il mondo! Partite, e più presto tra me e voi porrete
il tratto che giace tra Corte e Bastia, tanto meglio farete. Addio.

Il cavaliere Valcroissant, quantunque rotto ad ogni sfrontatezza
cortigiana, sentì salirsi le vampe alla faccia; appena ebbe balia di
salutare il generale, e mogio mogio tornò a casa. Colà ridotto, la
mortificazione testè ricevuta non ebbe, a quanto sembra, valore di
sconcertarlo in guisa da impedirgli di aprire l'involto per vedere se
alcuno mancasse dei danari o degli arnesi donati. Bisogna confessarlo
a malincuore: non ci erano tutti; onde il Valcroissant ebbe ragione
di fregarsi le mani in atto di compiacenza; non l'ebbe ad esclamare: —
siamo a cavallo!

Ebbe ragione di rallegrarsi perchè non sentirsi soli dà fiato anche
ai tristi; sarà se volete allegria di dannati, ma la cosa sta come la
conto; ebbe torto, perchè un diavolo, ed anco due non fanno l'inferno,
e prima di venire a capo della libertà della Corsica e' sarà forza
mandar giù pane pentito, e di molto.

Si affrettò pertanto il cavaliere a partire; Ambrogio gli camminava
dinanzi ad esplorare la strada, poi veniva il cavaliere solo assai
torbo in vista; dietro la sua compagnia, e con la scorta condotta
da Altobello di Alando, formava parte della comitiva del colonnello
Rinaldo Cassagnac, purissimo sangue guascone, che le sparava grosse
come campanili, ma da questo difetto in fuori, mettici un po' di
prepotente e un tantino di bue, era la miglior pasta di giovane che
vivesse in Parigi; egli e Altobello a voce sommessa alternarono
lungo la via discorsi pei quali si sentirono tratti a stimarsi
scambievolmente: sicchè quando furono in procinto di lasciarsi,
l'Alando gli disse:

— Voi siete un giovane dabbene, signor Rinaldo, e al tutto degno di
combattere per una causa migliore.

— Potrebbe darsi; ma non importa; voi capite bene, signor Alando, che
io non posso presentarmi in corte per dichiarare al Re, che sta in
bilico di commettere una solenne castroneria; a noi bisogna obbedire.

— Sarà...

— Come? ne dubitereste?

— Adesso non fa caso ragionarne; forse la non vi parrà sempre così.
Intanto pregovi di accettare questo pugnale côrso in ricordo di me...

— Un pugnale! un milione e mezzo di grazie; noi altri non usiamo di
cotesta generazione d'armi.

— Eh! via pigliate; adoperato alla scoperta il pugnale desidera più
cuore della spada, e circa a maneggiarlo alla sordina, caro signor
Rinaldo, o che credete, che non leggiamo libri noi? Di quale arme morì
Enrico III? E con quale arme trafissero Enrico IV? Anzi il prediletto
Re, che adesso vi regge, non corse pericolo di trovarsi stilettato dal
Damiens? Su, su, pigliate, ve ne stuzzicherete i denti. Di un altra
cosa io vo' pregarvi, se mai ci avessimo ad incontrare sul campo di
battaglia promettiamoci di scansarci.

— Voi mi chiedete un terribile sagrifizio; ma non importa, ad ogni
modo ve lo prometto, perchè capisco che a trovarsi nella necessità di
ammazzare uno dei migliori amici che abbiamo deve essere una cosa...
una cosa da fendere il cuore.

— Sta bene; io vi supplico per pura amicizia di non essere ucciso dalle
vostre mani.

— Toccate qua, disse Rinaldo, porgendo la destra ad Altobello, intanto
che con la manca si lisciava le basette: — è negozio conchiuso.

L'Alando licenziandosi con assai cerimonie dal colonnello lo lasciò
alla condotta di Ambrogio, il quale prese a studiare con più diligenza
il passo, andando su e giù e sovente internandosi nei macchioni da
parte come costuma il cane inteso a levare le starne: in effetti
egli ne aveva cagione perchè ad ora di sopra le siepi, o di mezzo
le fronde dei cornioli si vedevano scaturire canne da schioppi e
berretti appuntati da mettere il ribrezzo addosso anco ai più audaci:
se non che Ambrogio accorreva pronto agitando dalla lontana sul capo
il foglio sottoscritto dal generale, arragolando: — Salvacondotto! —
Parlamentario! — Passo libero sotto pena di forca.

E il Valcroissant, che capiva non doversi scherzare coll'orso, non
risparmiava scappellate nè baciamani, salutando anche quando non vedeva
nessuno: amici miei! miei figliuoli!

Come Dio volle verso sera arrivarono alla Foce di Golo, e Ambrogio
fermatosi in capo al ponte disse:

— Signore, finchè venendo con me voi correvate pericolo vi ho
accompagnato; adesso che inoltrandomi con voi il pericolo sarebbe mio
permettete che vi lasci con la buona sera.

— Gran mercè, signor Ambrogio, mille complimenti al signor generale
e accettate questo per bere — e così parlando gli cacciò in mano un
bellissimo luigi doppio nuovo di zecca. Ambrogio monete d'oro non
ne aveva mai viste, sicchè guardava questa con infinita curiosità;
il Valcroissant covava con gli occhi Ambrogio a mo' che fa il rospo
all'usignolo; all'ultimo questi domandò; ed a che è buono questo coso
signore?

— A che è buono? Ti senti fame, egli ti darà da mangiare. Hai sete, ed
egli ti porgerà da bere. Vuoi amore? Te ne comprerà a sporte. Desideri
amici? Mettilo dicontro al sole e gli amici ti cascheranno addosso al
pari delle allodole attirate dallo specchietto. Ti stucca un nemico?
basta che tu consenta a perdere questo pollice di oro, tu gli farai
consegnare un palmo di ferro nella pancia o nella gola a tua scelta.
Secondo a te piaccia egli ti spalancherà a due imposte le porte del
peccato o della grazia; i tuoi pensieri possono fargli crescere l'ali
come ad un cherubino e trasportarti in paradiso, o granfie da diavolo
che ti traboccheranno nello inferno: piglia la moneta di oro... ella
può tutto.

— Io credo che sbagliate, ed è chiaro; spesso mi trovo su i monti in
mezzo ai boschi, e colà se mi chiappa la fame do una squassatina ad
un castagno, ed egli mi piove di desinare; se la sete faccio con le
mani scodella alla prima cascata del torrente ed ecco la bevanda; di
questi miracoli non opera il vostro luigi di certo: lo amore quando era
giovane me lo dava l'amore; allora e adesso l'amicizia mi genera amici:
quanto a nemici me li aggiusto da me; le mie devozioni si trovano da sè
la via del paradiso, Dio mi salvi da quella dello inferno. Forse nelle
vostre città la moneta d'oro partorisce tutte le belle cose che voi
dite: qui non ha corso; e poi perchè mi date questa d'oro?

— Perchè mi avete scortato fin qui; ogni servizio merita premio.

— Curiosa! Mostrare la strada lo chiamate servizio: per noi è dovere,
come dare acqua, fuoco ed anco un po' di pane quando ne abbiamo;
rispetto a servizio, badate bene, io non ve lo avrei reso nè anco
a patto di diventare re; e lo feci per obbedire ai comandi di Sua
Eccellenza, e non parliamone più. Prima di rendervela però vorrei che
mi diceste che sia questo segno qui sopra.

— Cotesta è la sacra immagine di S. M. Cristianissima il re di Francia
— rispose il Valcroissant, levandosi il cappello.

— Il re di Francia è vostro padrone, n'è vero? — Padrone, e signore.
— Ma sarebbe egli forse parente della Immacolata, che voi vi levate il
cappello?

— Certamente, e perciò gli fu concessa la facoltà di operare miracoli,
come sarebbe guarire scrofole solo a toccarle col dito grosso del
piede.

— Oh! guarda via, ma allora perchè non ci segnarono il piede, mentre su
la moneta io non vedo altro che il capo?

— Ci effigiarono la testa come quella che è la più nobile parte del
corpo.

— Ma sapete, signore, che io vi trovo mal fatto mostrare così ad ogni
momento il capo del vostro padrone, cugino della Immacolata, separato
dal busto; anche noi abbiamo per arme la testa di Moro; però qui ci
sta a capello, perchè un giorno una gentaccia avara venne di fuori per
impadronirsi della isola, e i nostri padri che non volevano padroni, a
quanti di questa gente, che era saracina, cascavano loro nelle mani a
tanti tagliavano la testa; poi la pigliarono per impresa a fine che i
loro discendenti senza tanti discorsi imparassero l'arte, caso mai si
rinnovasse il fastidio.

— Stupenda in verità! Dai vostri discorsi potrebbe inferirsi, che la
testa del re mostrata ai Francesi potesse far venire in essi il ticchio
di tagliargliela. Curiosa!... Curiosa!... merita proprio che la noti al
taccuino.

— Oè, urlò Ambrogio al colonnello, che spronato il cavallo si
allontanava, oè, e di questa moneta che ho da farne?

— Quello che vuoi; un cavaliere non ripiglia mai quello che ha dato.

— E nè manco un Côrso serba quello che non ha accettato — e la
scaraventava dentro le acque del Golo aggiungendo: — Così potessi
buttarci tutte quelle che ci portaste, insieme con coloro che ce le
portarono.

Poichè ebbe percorso di galoppo un buon tratto di via, il colonnello
Valcroissant mettendo a passo il cavallo disse a Rinaldo:

— Capitano Cassagnac, ho paura che S. M. comprando questa isola abbia
fatto un negozio da figliuolo di famiglia. — Era quello che pensava
ancor io; ricusano l'oro. — Non tutti però. — E regalano il ferro;
guardate, mi hanno donato questo stiletto; non so perchè mi dà cattivo
augurio. — Chi ha da mangiarla la lavi; quanto a me basta poter dire
sempre come ogni altro buon francese: viva il re. — Viva il re, rispose
il capitano, ed ambedue rilanciarono i cavalli al galoppo.

La natura dei Francesi è inchinevole alla iattanza, e per questa
volta, considerata la facilità con la quale avevano fatto impressione
nell'isola, non sembrava fuori di luogo nella più parte di loro; se
nonchè quelli che eran pratici del paese tentennando il capo dicevano:
prima di vendere la pelle dell'orso aspettate ad averlo preso. Intanto
al Paoli ogni dì più si rendeva necessario percuotere un gran colpo,
sia per dare animo ai suoi, sia per rintuzzare la baldanza nemica; a
questo fine tu vedevi un insolito affaccendarsi intorno al palazzo:
chi andava, chi veniva a piedi e a cavallo; preti, frati, montanari,
pianigiani, gente insomma di ogni generazione; e chi portava rapporti
dai posti avanzati e chi esplorazioni proprie. Fu detto, e bene, che
presso i medici la menzogna si converte sovente in virtù, e tuttavolta
l'amore di Patria possiede maggiore prestanza; imperciocchè in grazia
sua la spia in ogni tempo e in ogni luogo obbrobrio della natura umana,
diventa sacra come quella che senza gloria corre supremi pericoli;
talora senza premio di sorte, e sempre senza premio condegno dei rischi
ai quali si espone. Taluni partivano con ordini, altri con inviti o
preghiere o istruzioni; brevemente, contemplando cotesto brulichio, e
l'altro che sotto la sferza del sole facevano allora le formiche, tu
non avresti saputo se quello a questo, o questo a quello potevasi con
maggiore convenienza paragonare.

Altobello in compagnia degli altri ufficiali da mattina a sera
attendevano ad ammaestrare giovani e vecchi nelle mosse militari:
da principio incontrarono difficoltà e quasi disperarono; ma quando,
cessati gli esercizii a solo, i militi si agglomerarono, si spiegarono
in ordinanza e condussero sul terreno tutti gli altri movimenti che
sono massima parte dell'arte soldatesca, non è da dirsi il gusto che ci
pigliavano; anzi non trovavano verso di farli riposare nè manco nelle
ore più calde: ritiratisi gli ufficiali, i soldati continuavano da per
sè soli mettendosi a capo quelli che si palesavano meglio prestanti.
Clemente Paoli, come gli altri, contemplava da prima quei giri e
rigiri, e rideva a fior di labbro quasi sprezzando: anch'egli insegna,
ma a spaccare una noce messa su di un ramo di larice a sessanta e
più passi di lontananza: e i più vecchi stavano con lui. Altobello,
guardando i tiri maravigliosi di Clemente, notò come dall'acciarino,
quando egli scattava il cane, oltre la vampa e il fuoco della polvere
accesa prorompesse un lampo che abbarbagliava gli occhi, e non sapendo
a che cosa attribuirlo era voglioso di domandarglielo; la occasione non
si fece troppo aspettare, dacchè Clemente considerata la solerzia del
giovane, e preso in buon concetto gli esercizii militari, quando ebbe
a confessarne la efficacia incominciò a ricercare la compagnia di lui:
a vero dire Altobello da parte sua non sentì per qualche giorno minore
repugnanza per Clemente; gli mettevano ribrezzo quel viso truce riarso
dal sole, gli occhi chiazzati di bile e di sangue, ora socchiusi e come
coperti di velo ed ora sbarrati e fulminanti; ma poi gli piacquero quel
maneggiare disinvolto che Clemente faceva dello schioppo come se fosse
un giunco, e il tiro infallibile; la modestia, il valore celebrato da
tutti ed anco il suo ragionare, però che egli usasse armare la mente
di sillogismi taglienti come il suo stile; e battagliava feroce con
le argomentazioni del pari che con le ferite. La gente côrsa, che non
temeva nulla, pigliava soggezione di Clemente; onde appena lo mirava
comparire soleva susurrare: — bada alla burrasca, il signor Clemente
è alle viste! — Per ultimo l'affetto di Clemente traboccò per così
dire sopra Altobello, allorchè un giorno quegli avendolo pregato di
attendere tanto che ei potesse recitare le sue orazioni, Altobello
gli rispose: — e non potrei pregare con voi? — Ed egli: con tutto il
cuore, figliuol mio, con tutto il cuore. Da quel momento in poi il
signor Clemente si compiaceva ripetere che il Signore in sollievo della
sua vecchiaia gli aveva donato un figliuolo. Allora come è da credere
Altobello trovò il destro d'interrogare Clemente da che cosa nascesse
il lampo che balenava dal suo acciarino: sorrise a tanto il vecchio; e
soddisfacendo volentieri al desiderio dell'Alando gli disse: — mirate
un po'; che cosa vi parrebbe che fosse questa pietra focaia?

— Non so; mi sembrerebbe a prima vista cristallo.

— Giusto; avete indovinato; è cristallo di rocca, e la natura lo foggia
pentagono, che meglio non potrebbe il lapidario; lo trovano sul margine
del lago Ino, ed anche talvolta nelle montagne d'Istria: ridotto a
pietra di archibugio lo sperimento unico in bontà, e quando in lui si
rinfrange la vampa della polvere, come avete notato, balena: ne ho in
serbo parecchi pezzi e ve ne donerò uno o due; consento gli adoperiate,
perchè non vuolsi trascurare nulla di quanto vale a incutere nei nemici
terrore e negli amici reverenza: solo tenete in voi, perchè chi dice
quello che sa e niente serba, può andare con le altre bestie a pascere
erba; — così almeno m'insegnarono i vecchi.

Ora accadde certa sera, che Clemente e Altobello uscendo dal generale,
il primo dicesse: — la sera è proprio quale deve essere comparsa a Dio
dopo che ebbe attaccato al posto loro le stelle; e che altri ne pensi,
a me piace più la notte serena con le stelle sole che con la luna: in
effetto questa, vestita per così dire delle spoglie del sole, non mi
commove coi suoi splendori accattati, mentre il numero infinito delle
stelle mi attesta la magnificenza di Dio come il mare di luce che piove
giù dal sole: moviamoci dunque per queste ombre; odoriamo l'odore dei
_mucchi_, rinfreschiamoci alla brezza che tira dal monte, godiamo i
doni di Dio.

Assentiva Altobello, e così di ragionamento in ragionamento, di
passo in passo si trovarono dinanzi al camposanto in custodia dei
padri capuccini; lo circondava un muro a secco, ed anco un cancello
lo chiudeva, però senza serrame, impedimento alle bestie, non ai
visitatori che potevano aprirlo solo che lo avessero sospinto. Clemente
si soffermò e disse:

— Oh! mira un po' dove ci siamo condotti, forse non senza permissione
di Dio; entriamo a pregare pei nostri se vogliamo che altri preghi
per noi. La natura manda la rugiada ai fiori, ma il suffragio alle
anime spetta mandare ai vivi; — e la preghiera giusto è la rugiada pei
defunti.

— Volentieri, signor Clemente; perchè la maggiore contentezza ch'io
abbia provata nel mondo, mi venne dal pregare pei morti; ciò fa bene
a due; alle anime, che, sentendosi ricordate con amore, sicuramente
devono esultare; a noi che ne pigliamo speranza di non essere a
nostra volta obbliati, e con questa speranza ci viene l'ardire delle
belle cose. La preghiera io credo che sia l'unico tesoro, che mentre
arricchisce chi lo riceve non depaupera chi lo dà.

Ed entrarono nel camposanto, in fondo al quale stava una capella
col portico di un arco solo e due finestrelle di qua e di là dalla
porta donde uscivano raggi dalla lampada che ardeva dentro dinanzi al
sagramento, e si prolungavano pel campo dei morti.

Serena, la figlia desolata dell'ucciso Albertini, mossa anche ella
dall'ora mesta e dalla dolce stagione, sentì desiderio di visitare la
tomba del padre suo; però ne la dissuadevano il trovarsi sola ed anche
il timore di qualche pericolo; non pertanto come quella che animosa
era molto, dopo breve dubbio si cinse sotto le faldette la carchiera
paterna con le pistole e lo stile, e si avviò al camposanto. Senza
che alcuno l'avvertisse andò oltre; inosservata da tutti s'inginocchiò
sopra la fossa del padre, intorno alla quale aveva fatto condurre una
rosta per proteggere cesti di salvia e spigo e rose piantatevi; quivi
si genuflesse e pianse col cuore. Mentre che si tratteneva in cotesta
opera pia, ecco sente lì presso levarsi un sospiro profondo, uno di
quei sospiri, che chi per prova dolore intende sa come traggono seco
grande parte dell'anima.

— Qual è chi geme? interrogò Serena.

— Ohimè! le fu risposto, un infelice che piange sopra il suo figliuolo
defunto.

— Ed io piango il padre perduto.

— Certo anche questa è grande sventura, ma la Provvidenza ordinò che il
nostro pellegrinaggio in questa vita avesse un termine.

— Pur troppo, ma non volle la Provvidenza, anzi vietò che questo
pellegrinaggio fosse abbreviato dalla mano dell'uomo; ed io mi trovo
innanzi tempo orfana e sola.

   [Illustrazione: .... già con le mani toccano i davanzali delle
   finestre, quando giù dai tetti rovinano camini, lavagne e le
   pietre con le quali le difendono dagl'impeti del vento. (_pag.
   346._)]

La voce che moveva certo da persona giacente dall'altra parte della
rosta si rimase alquanto di tempo, poi riprese più fioca di prima: —
ma pure è scritto che i figli sopravvivano ai padri, se voi sapeste,
o piuttosto possiate non sapere mai, come sia acerbo pei genitori
raccogliere le eredità dei figliuoli! Voi troverete consorte quale si
merita la bontà vostra, mia figliuola, e in lui avrete sostegno della
vita, e poi la prole che vi consolerà e ricondurrà la gioia nell'anima
contristata; ma io non ho più alcuno al mondo; l'albero tagliato giace
in terra co' suoi frutti e le sue fronde.

— Ma voi chi siete? Forse?....

— Io sono il padre di Giovan Brando.

Così è; questo misero nelle vigili notti, fra la solitudine della casa
aveva sentito rimorso per la durezza dimostrata al suo figliolo; pensò
come gli avesse armato la mano non l'odio, bensì l'amore, e ciò se non
poteva fruttargli scusa alcuna al cospetto del mondo, almeno il padre
doveva sentirne un po' di compassione: ancora la superbia del nome
intemerato, l'affetto immenso di Patria vediamo formare in parecchi una
seconda natura che ad ora ora soffoca la vera natura; ma questa quando
te lo attendi meno manda dal profondo un grido che il cuore dell'uomo
è costretto ad ascoltare; però il padre di Brando obbedendo a questo
grido nel buio della notte, prosteso sopra il monticello senza croce e
senza nome che copriva le reliquie del suo figliuolo, gemeva e pregava.
Dopo avere aspettato un pezzo che Serena gli rispondesse, non udendo
parola, il vecchio riprese: — dunque voi non avete nulla a dire al
desolato Matteo?

— Che dovrei dirvi? Voi avete data la vita a colui che la levò al padre
mio.

— E ne siete stata vendicata pur troppo!

— Che fa a me la vendetta? Forse mi rende il padre?

— Pure la desideravate coll'ardore del cane che perseguita il cervo.
E non sapevate, che la vendetta dà meno di quello che promette, anzi
non dà nulla o male? Io lo appresi da molto tempo: voi lo apprendete
adesso: fatene senno, figliuola mia, e perdonate.

— Io? Al padre di chi mi ha ammazzato il padre?

— Perdona il padre di cui fu impiccato l'unico figliuolo: — considera;
tuo padre fu onorato e compianto, il mio figliuolo portarono al
sepolcro senza lume e senza croce: veruno lo rammenta senza ribrezzo;
il padre stesso lo condannò.

— Io non vi odio, Matteo; ma la memoria del vostro figliuolo mi sarà
sempre argomento di maledizione.

— Senti, figliuola, nè io, nè questa terra che già fu mio figliuolo
abbisogniamo di perdono; non io, perchè mi senta immune di colpa;
se i padri confidassero ai figliuoli l'anima come lettere chiuse ai
condottieri di navi, le quali aperte nei luoghi indicati impongono loro
quello che si abbiano a fare, certo che il mio figliuolo continuerebbe
ad essere adesso la gioia della mia vecchiezza: e di vendetta non
temo, che vendetta è conservarmi non tormi la vita, la quale in breve
io renderò al mio Creatore in mezzo a maggiori spasimi che i miei
nemici non saprebbero immaginare ed anco credo desiderarmi. Nepoti
non ho; congiunti, remoti ed ignorati o conosciuti poco; tutta la
mia stirpe porto meco nel sepolcro; la mia casa mi rovina addosso;
fra pochi anni andrà dimenticato perfino il nome dei Brando — nel
modo che alle prime brezze di autunno cessa di farsi sentire questo
singulto della notte.... questo canto di cuculo.... o in questi pochi
anni lo terrà vivo nella memoria degli uomini un delitto commesso, un
supplizio patito, un padre morto di dolore. Del tuo perdono molto meno
ha mestieri il mio figliuolo, se, come spero, il suo pentimento gli
fruttò quello di Dio; e se così non è, ed io a pensarlo inorridisco,
e se così non è, che cosa può aggiungere, o figliuola, il peso della
tua ira al furore dello Eterno? Io lo faceva per te.... per te che
vedrai suscitata la tua stirpe nella benedizione del Signore.... per
te, felice se potrai dire con onesta baldanza nel tuo cuore; non ho
demeritata la bontà di Dio; per te, se misera, che potrai levare il
capo al cielo senza rampogna sì, ma ed anco senza paura, e dire col
santo David: e tu Signore fino a quando? — Se al tuo consorte, se ai
tuoi figliuoli accadesse mai di offendere, tu moglie e madre avrai
diritto di chiedere perdono, perchè tu figliuola avrai perdonato.

— Cessate, signor Matteo, io non posso perdonare; il dovere mi obbliga
ad avere in odio la memoria dei Brando eternamente.

— La giustizia umana ha percosso in questo mondo; la giustizia divina
percoterà, se crede, nell'altro; e tra queste due giustizie come fa
ad entrare il tuo odio sconsigliato? Sono convenienti a dirsi queste
parole sopra le fosse dei morti? Stanno bene a cristiana?... a zitella?

— O signor Clemente, per poco non sono cascata; tanto la vostra
improvvisa comparsa mi ha rimescolato il sangue. Dunque voi che foste
amico del mio povero padre, mi confortate a buttar giù l'odio? — E
nello accento di Serena traluceva l'esitanza di persona che tuttavia
difendendosi desideri rimanere vinta.

— Ma sicuro.... non ci ha dubbio: o con cui vorreste prendervela? Forse
con le ossa del defunto? Coteste sono voglie di cani affamati, non già
di cristiani battezzati. Forse con questo vecchio? Per Dio santo, o
non vedete che l'odio stesso se lo incontrasse per via rintascherebbe
il coltello, e passandogli da canto gli direbbe: Dio ti dia pace. Il
Côrso mette vanto nel vendicarsi; egli si dà ad intendere, che ci vada
del suo onore, persuaso che la storia intingerà la penna nel sangue
che egli ha versato e ne tramanderà il nome alle tarde generazioni.
Fosse almeno così! una scusaccia l'avrebbe, ma no, i nomi di questi
uomini sanguinarii si buttano nella spazzatura, e vivono soli così
nella memoria come nella reverenza delle genti coloro che perdonarono,
massime donne; in effetto non dà argomento a storie e canzoni Marianna
Pozzo di Borgo cui essendo stato ucciso il figliuolo vestì abito
virile e trasse con la sua gente ad assediare la casa dell'omicida,
la quale avendo espugnata, e lui preso, mentre legato ad un albero
aspetta la morte, ispirata da Dio, salva? Non vive eterna nei ricordi
Dariola di Appietto, che avendo sorpreso con molti dei suoi ad una
fonte l'uccisore del proprio marito, poichè il sopraffatto non volle
arrendersi ad altri fuori che a lei, ella abborrì comparirgli minore
della fiducia che aveva posta in lei; onde gli disse: va, ti dono alla
tua moglie, per vendicare una vedova non voglio farne due? Però se vi
garba la fama, se desiderate la benevolenza altrui e la grazia di Dio,
perdonate.

Serena ascoltava Clemente, ma piegata la faccia nel palmo della manca
mano guardava Altobello, a cui, posto ch'ebbe termine alle sue parole
il Paoli, ella domandò: — e voi, signore Alando, perdonereste?

— Io! Per me penso che rimettere la ingiuria al potente sia tanto vile
quanto non perdonarla al battuto da Dio e dagli uomini; — e tacque,
ma pur tacendo col moto dei labbri e col guardo soave pareva ripetere:
perdona.

Serena non fece motto; si accosta al vecchio e postegli ambedue le
mani sopra le spalle, declina il capo e glielo appoggia sul petto,
mormorando: — la pace sia con voi e il perdono col vostro figliuolo.

Il vecchio a sua volta strinse il capo alla donzella, la baciò in
fronte e disse: — Dio ve ne rimeriti, figliuola.

In questa si udì stridere sinistro come l'urlo della civetta lo
_scuccolo_, il quale era un suono gutturale costumato dai Côrsi per
vantare la vendetta fatta o per annunziarla da farsi. Il vecchio e
Serena si strinsero spaventati come colombi che sentano rombare sul
capo le ale del falco, e Clemente in un attimo inarcato l'archibugio
con voce alta esclamò: — quale è che vuole vendetta metta fuori la
faccia.

Però nessuno rispose, onde Serena avvertì:

— Consoliamoci di questo, che il triste urlo non si rivolge a noi — e
involontariamente conchiuse le parole con un sospiro.

Il vecchio Matteo scioltosi dalle braccia di Serena, disse: — Clemente,
accompagnate a casa un vecchio amico; io non mi reggerei solo, e poi ho
parecchie faccende da consultare con voi.

E si avviarono seguitandoli a breve distanza Altobello e Serena.

— Clemente, incominciò il vecchio; poichè a questo mondo oramai non
mi attacca più altro vincolo che il dolore, ho fatto proponimento di
consacrare il restante de' miei giorni a Dio.

— Avete pensato santamente.

— Clemente, voi sapete, che alla usanza del paese io posso stimarmi
ricco.

— Lo so.

— Ora vorrei che voi che siete tanto religioso, mi consigliaste un po'
sul modo di disporre delle mie sostanze.

— Per me, in verità, credo, che il miglior modo di essere accetto a Dio
sta nello amare dopo lui con tutte le viscere la Patria; per la quale
cosa promovendo coi vostri averi la sua libertà, penso che sarete a
buon porto per ottenere la remissione dei vostri peccati e di quelli
del vostro figliuolo.

— E questa è proprio la vostra fede, Clemente?

— Per Dio Santo da quando in qua altri può dubitare che Clemente Paoli
una cosa ne dica e un'altra ne pensi?

— Non vi arrabbiate, Clemente, mi aspettavo altro consiglio da voi.

— In _primis_ chiedo perdono a voi dell'impazienza e a Dio di avere
rammentato il suo santo nome invano; poi vi domando quale consiglio
aspettavate da me.

— Ma! immaginava m'aveste suggerito a lasciare il mio a qualche
convento per la celebrazione di messe quotidiane in suffragio
dell'anima del mio figliuolo e della mia.

— Avete immaginato male, anzi malissimo; e vi confermo che adoperando
il vostro patrimonio alla difesa della Patria voi provvederete meglio
ai casi vostri, e a quelli del defunto, che con le messe; quantunque,
intendiamoci bene, che voi non mi pigliaste per qualche eretico,
anch'esse siano utilissime e santissime. Ma, badate bene, non ci ha
cosa che guasti tanto gli ordini religiosi quanto di simile maniera
lasciti che furono loro fatti o fanno: adesso noi proviamo preti e
frati, se non perfetti buoni, della Patria e della libertà zelatori
sviscerati, e ciò perchè essendo poveri si trovano costretti a stare
col popolo, a vivere con quello che il povero loro largisce, ad essere
carne della sua carne ed ossa delle sua ossa: affinchè si facciano
amare bisogna che lo amino, con lui piangano, delle sue gioie si
rallegrino, padri insomma si mantengano e fratelli, o se altro ci
ha vincolo più forte e soave di questi lo cerchino e lo adoperino:
allora saranno, come i nostri sono, veri medici dell'anima. Anche
san Giovanni Grisostomo lo ha detto: finchè la chiesa usò calici di
legno, i sacerdoti si conservarono d'oro; all'opposto se diventassero
ricchi voi li fareste superbi, dacchè la superbia sia la ruggine del
benefizio nè qui cadrebbe il peggio: da prima metterebbero ori, marmi
fini e gemme nella casa di quel Dio che nacque nel presepio e morì in
croce; e dopo averla fatta teatro, le cerimonie auguste convertirebbero
in rappresentanze da scena; canterini ormai, e istrioni, non più
sacerdoti. Il lusso in chiesa mena la morbidezza in convento, e i vizii
in cella. Se questo avvenga, guai! Il mondo non conoscerà nemico a gran
pezza più pericoloso del frate; difficile pigliarlo in fallo, perchè
la ipocrisia da mattina a sera gli fabbrica una corazza delle virtù di
quei santi che invoca sempre e non imita mai; con le parole rinfaccia
altrui il peccato che intende esercitare solo, come se lo avesse in
appalto con patente regia, e le opere palesi le adopera per coonestare
le occulte a mo' del pastrano che il ladro si tira su la faccia per non
essere riconosciuto, impossibile percoterlo, dacchè niente niente che
tema si rifugia dietro la croce, e quivi canta salmi; onde tu non puoi
vibrare il colpo per paura di mettere in pezzi la croce, e ai semplici
sembra empio rompere le ossa al cane che abbaia in suono del _Tantum
ergo_; celatamente corrompe; la codardia battezza per carità, saluta
gli uomini fratelli, affinchè senza rimorso quelli siano tiranni, senza
ribrezzo questi durino servi, ed ammannisce impunità e leva infamia al
tradimento; diventato ignorante odia ogni lume di scienza, che spento
un giorno egli riaccese; — e così viziato, ignorante, imbelle e schiavo
diserterà il popolo per arrolarsi al soldo del re il quale metterà il
frate in mazzo allo sbirro, alle manette, al giudice, al boia e agli
altri arnesi di governo. Però voi, Matteo, non renderete questo cattivo
servizio alla Patria; deponete il vostro disegno perchè davvero e'
sarebbe come se alla Corsica voi voleste dare il male per medicina. —
Matteo Brando si attenne al consiglio di Clemente Paoli, istituendo
erede delle sue sostanze la patria, con l'obbligo però di fare in
capo all'anno celebrare non so che messe in suffragio dell'anima del
figliuolo e della sua. Indi a breve scomparve, nè s'intese più oltre
favellare di lui; dicono si riducesse a menar vita romita in Olmetta
di Capo Côrso: la verità è che in codesta pieve su di un poggio vediamo
anco ai dì nostri una torre, mezzo rovinata, che i terrazzani chiamano
la torre dell'Eremita.

Alando e Serena tennero un pezzo dietro ai signori Clemente e Matteo,
ma considerando come, impegnati nel discorso, a loro non ponessero
mente, piegarono ad una svolta per guadagnare le proprie case.
Tacevano, e nondimanco sentivano che un medesimo pensiero occupava lo
spirito di ambedue; un poeta avrebbe detto che le colombe di Venere
sentono a quel modo il giogo stesso che le allaccia al carro della
Dea, e non l'odiano. Sempre in silenzio arrivarono a casa della
Serena, e lì si dissero: buona notte, un cotal poco alla trista; e
si volsero le spalle turbati, ma Serena troppo più di Altobello, e
con maggiore ragione; infatti ella pensava: a lui spettava parlare;
anche quando mi sentissi scoppiare il cuore, la verecondia insegna
così, e sta bene lasciarci vincere, ma nessuno ci ha da pestare peggio
che schiave. Altobello dal canto suo ragionava alla medesima guisa;
pure ella avrebbe dovuto dargli un cenno, alla lontana se vuoi, pure
tale che lo animasse, perchè, signore Dio! se avesse sbagliato ei ne
sarebbe morto di vergogna e di dolore. All'incontro, Serena, presaga
di codesti pensieri opponeva: oh! non ci sono quei pericoli, ed
egli doveva saperlo, non glieli ho dati io questi segni per quanto è
permesso a fanciulla dabbene, e vie più là che il mio stato angoscioso
non consentiva? Quante volte in chiesa piegai il capo, ed una volta
fingendo sedermi lo voltai del tutto per ricercarlo con gli occhi, e
trovatolo, cogli occhi gli sorrisi; certo due o tre volte mi aspettò
davanti la porta sperando che lo guardassi, ed io non lo guardai; ma il
rossore che mi avvampò la faccia doveva pure chiarirlo ch'io lo sentii.
— Quel giorno ch'egli le porse l'acqua benedetta deve essersi accorto
che la sua mano tremava come foglia di castagno al vento di dicembre, e
l'altro quando ella entrò in casa Filippi, e allo improvviso le apparve
dinanzi Altobello, non proruppe in un grido, che s'ingegnò giustificare
dando ad intendere che aveva battuto il piede sopra la soglia? Ancora
non si rammentava egli, che andando ella per la via, egli la salutò
levandosi il cappello, ed ella che in cotesto punto teneva l'anima
tutta compresa in lui sopra pensiero rispose: — Buon giorno, Altobello
— come che ripigliandosi tosto aggiunse: _sciò_ Alando? E tutto questo
non basta? O da quando in qua le fanciulle hanno da palesare i dubbiosi
desiri con lettere da appigionasi? Signore! per mantenersi così
gabbiano valeva proprio il pregio che Altobello lasciata casa se ne
fosse ito fin oltre a Venezia.

Qui taluna leggitrice (me lo sento piovere dietro le spalle) obietterà:
ma voi dimenticate, signor Francesco, che lasciaste il giovane in
istrada, e la giovane sul pianerottolo, mentre per fare tutti questi
discorsi anche col pensiero ci vorrebbe tanto tempo quanto ne occorre
per iscorrere almeno quattro miglia di strada. — No, signora: il
pensiero degli innamorati, vostra signoria ha da sapere, va più veloce
di Maometto quando viaggiò pei sette cieli; egli non conosce tempo
nè spazio; in meno che palpebra non percota palpebra, trasvola non le
diecine, ma le migliaia di idee; alza venti torri più alte di quella di
Babele, scava altrettanti pozzi più profondi di quello di san Patrizio;
fa, disfà e rifà da capo, s'incupisce, si eclissa, sfavilla più
abbagliante di prima, piange, ride; mesce in un bicchiere veleno, poi
lo butta al diavolo, lo risciacqua, lo riempie di vino di Chianti e se
lo beve cantando; o introduce il capo al capestro o accosta il rasoio
alla gola; indi a poco attacca la corda a due rami di albero e ci fa
l'angiroccolo; col rasoio si rade la barba per apparire più bello;
insomma la è una strana, ma strana potenza quella dell'amore, signora
mia: e quando l'avrà provato, sono sicuro che ella mi darà ragione:
capisco, ella mi ha contradetto perchè si mantiene sempre ingenua; non
me ne sono mica arrecato, solo la prego a ricordarsi del proverbio: chi
non prova non crede; — provi e poi ci riparleremo.

Pertanto affermo, che i pensieri da me ricordati con la compagnia
di cento altri si affollarono allo spirito di Serena, prima che la
sua mano (a vero dire lentamente) avesse fatto girare su gli arpioni
la porta di casa un quarto di quadrante; onde Altobello, di subito
voltatosi e chiamata Serena, fu a tempo a impedire che una imposta
della porta s'incastrasse nell'altra come si stringono due labbra dopo
che hanno detto: addio. Allora egli si allentò più oltre, e pose un
piede su lo scalino, mentre lasciava l'altro sopra la strada; Serena
rimase appoggiata con la spalla alla soglia dell'uscio. Così atteggiati
non potevano durare gran pezza in silenzio, ed in vero non ci durarono,
chè Altobello continuò:

— Signora Serena, mi parrebbe... crederei che non istesse bene che vi
rimaneste in casa a questo modo sola... voglio dire senza sufficiente
difesa...

— Oh! chi mi deve offendere? Non non ho nemici che io sappia.

— Avete udito nel camposanto lo scuccolo?

— E qual può dire che sia stato per me?

— Se ho da confessarvela intera, soggiunse Altobello bassando la voce,
io tengo in mano prove più manifeste che qualche occulta vendetta mi
perseguita.

— O Signore, anche voi? — e si strinse vieppiù ad Altobello, chè nulla
vale a destare il mutuo affetto quanto la minaccia del comune pericolo.

— Ieri l'altro passando di sotto casa Campana precipitò dall'alto
un sasso il quale per poco non mi schiacciò la testa; e' fu proprio
fortuna che mi battesse un palmo davanti ai piedi dove sbrizzandosi
mi cacciò nel volto un nuvolo di schegge. Guardai subito in su; le
finestre erano chiuse; presi lingua nel vicinato chi mai ci abitasse di
presente e mi risposero essere vuoto, che l'unica figliuola del Campana
lo aveva abbandonato e si credeva si fosse ridotta a vivere in villa,
o avesse raggiunto il padre alla Bastia.

— Signore Altobello, questo vi viene per me; una furia invisibile si è
attaccata alla mia vita, nè sembra che voglia risparmiarmi, quantunque
femmina.

— Oh! di grazia, che cosa vi avvenne?

— I miei castagni furono _accintolati_; parecchi olivi e molte viti
recise; al mio cavallo dentro la stalla tagliarono gli orecchi: mirate
qui; vedete questo buco sul sommo dell'uscio; stamane ci ho trovato
confitto un coltello; ieri...

— Ieri?

— Oh! ieri se rimasi viva e' fu proprio miracolo; io me ne andava a
dare un'occhiata alla vigna del pignone, quando arrivata al ponte di
legno, a un tiro di schioppo dalla casa, il cavallo mi si ferma in
quattro: io che avevo premura vado a frustarlo, ma egli duro come un
masso; stizzita scendo, e avvoltemi le briglie intorno al braccio metto
il piede sul ponte; e' parve che le tavole ci stessero attaccate con la
pece, dacchè a quel tocco leggero rovinarono, ed io sarei andata giù
a catafascio con esse se le briglie erano meno salde o il cavallo men
forte non avesse puntato le gambe dinanzi tanto da tenermi su ritta.

— Serena, qui non ci è caso, voi abbisognate di qualcheduno che vi
difenda.

— Non pensate che mi troverebbero sprovvista, Altobello, — e remossa
un cotal poco la faldetta gli mostrò la carchera con le pistole e il
pugnale.

— Sì, ma in due ci difendiamo meglio, cara Serena.

— Questo non si può negare.

— E poi... e qui tacque alquanto per ripigliare lena come costuma torre
campo chi intende spiccare un gran salto, — e poi che la stirpe degli
Albertini si ha da spegnere? Respingerete un reverente amore che vi
venisse offerto? Vi condannerete a vivere sterile nel mondo! Voi, che
sapete, anche senza porci mente, ispirare amore, non vorrete sentirlo
mai? E... e...

Oh! che sgomento invase allora l'anima del giovane, però che Serena
presa da forte pensiero forse non lo udiva, od anche udendolo lo
lasciava dire senza porgergli filo: ond'ei si smarriva, e le sue parole
gli cascavano dalla bocca rotte, e rade come le prime e le ultime
gocciole della pioggia. Ad un tratto Serena gli pose la mano sopra la
spalla e favellò pacata.

— Altobello, voi mi vorreste per moglie?

— Ah!

— Ed io vi accetto per marito; e vi accetto perchè una voce qui dentro
mi dice: Serena, fallo: tuttavolta io sono orfana e potrei errare: per
la qual cosa mi bisogna sentire il signor Pasquale; egli ha detto che
si mantiene scapolo per servire di padre a tutti i Côrsi.

— Ed in effetto lo è; dunque pigliate il mio braccio e andiamo.

— Dove?

— Dal generale.

— A questa ora? Così su due piedi?

— Che monta l'ora? Forse il tempo governa il Paoli? Egli in un modo o
in un altro è sempre occupato di noi; — per ultimo chi tempo ha, tempo
non aspetti.

— Ma le nozze non possono farsi se non dopo passato il lutto; ancora,
io ho giurato, e meco fatto giurare le fanciulle di Corte astenersi dal
matrimonio finchè dura la guerra.

— Il papa dispensa dai voti.

— Dispensi il papa, non io; o questo patto o niente. Caduta la Patria
le nostre nozze faremo sotterra; io non intendo lasciarmi dietro
figliuoli superstiti alla servitù; questo giurai alla Immacolata, e
questo confermo.

— E sia così; come fidanzati potremo mutuamente soccorrerci e
difenderci.

Il generale, comecchè la notte fosse avanzata, vegliava. Nasone
cucciato fra le gambe di lui, annunziò lo appressarsi dei giovani con
un lieve schiattire, senza moversi nè schiudere gli occhi. Accolti
nella sua camera da letto essi parlarono sentenze così piene di
generosità, di amore santo di Patria, che il generale per non piangere
ebbe a levarsi e correre piuttosto che camminare su e giù per la
stanza. Gli abbracciò, li benedisse a più riprese, e tanto erano tutti
al dipartirsi profondamente commossi, che il generale in veste da
camera con un candelliere in mano gli accompagnò fin giù in istrada
senza accorgersene, e eglino pure se ne avvidero allorchè non ci era
più tempo impedirlo. Solo Nasone, sempre presente a sè stesso, lo
accompagnò inosservato sia all'andata che al ritorno, per cento prove
oggimai era stato chiarito come nessuna commozione avesse potenza di
distrarre il cane da addentare un osso e da custodire il padrone.

Se mai visse popolo al mondo il quale meritasse che uomo mettesse a
repentaglio anima e corpo per lui, veramente fu il côrso di un secolo
fa. In effetto il maestro di campo Grandmaison, rompendo contra la
religione dei patti la tregua, aveva occupati Patrimonio e Barbaggio,
che sono in certo modo le porte del Capocorso; e con essi tutta questa
provincia; dall'altra parte il marchese di Arcambal ridusse a devozione
pressochè intera la Casinca; il marchese Chauvelin sostenuto dal conte
Marbeuf partendo da S. Fiorenzo si era spinto fin sopra Murato, ed
espugnatolo, pareva che volesse pigliare Corte come dentro una rete.
Sopra i teatri fa maraviglia non piccola lo ingegno dei macchinisti
i quali così presto sanno mutare le scene che l'occhio appena se ne
avvede, e non pertanto anco più veloce operavasi il cambiamento delle
fortune della guerra appena si mossero le compagnie côrse al comando
del Paoli. Dappertutto i Francesi tentarono resistere, ed anche in
parecchi luoghi con molta costanza, ma non valse, che si sentivano
portati via a modo di foglie dal libeccio.

Decio Cottoni, in compagnia del capitano Guiducci, si avventa
nel Nebbio, e sgombrati davanti a sè i Francesi ripiglia Murato,
impadronendosi di armi, di provvisioni e di non pochi prigionieri tra
ufficiali e soldati.

Di breve Giocante Grimaldi, Francesco Gafforio e il dottore Acquaviva
sboccando con le loro genti, e fatta massa con quelle del Cottoni e del
Guiducci, corrono contro il Grandmaison accesi nel desiderio di fargli
scontare la tregua tradita. Il Grandmaison da una parte non si sentendo
capace di resistere a tanta furia, e dall'altra fatto per avventura
meno animoso dal sentimento del grosso debito che presto gli avrebbero
fatto pagare, non istette ad aspettarli, lasciando per la precipitosa
fuga in Oletta tende, bagagli e due cannoni.

In Casinca, dove aveva fatta maggiore impressione il nemico, convennero
Clemente Paoli, Antongiulio Serpentini, Nicodemo Pasqualini, Domenico
Buttafuoco; raccolti a Tavagna deliberarono le difese estreme, e già si
ammannivano a metterle in atto, quando sopraggiunse un Taddei di Pero
spaventato in vista, il quale schiamazzando affermava la resistenza
vana, ogni cosa perduta, doversi rifuggire tutti a Campoloro. Clemente
che conosceva l'uomo capace di fare di ogni lana un peso gli voltò la
faccia verso mezzogiorno, e datogli una spinta nelle spalle gridò:
scappa presto a Campoloro prima che t'agguanti qualche palla di mio
— e costui che era corrotto dalla pecunia francese non se lo lasciò
dire due volte. Allora accadde una guerra arrabbiata, alla rinfusa,
con vicenda di sconfitte e di vittorie; per ultimo la fortuna arrise
ai Côrsi: il Serpentini andò a Orezza e la riprese; il capitano Colle
vinse a Vignale. Clemente Paoli con gli altri di prima colta riscattò
Sant'Antonio; donde scorrendo il paese gli venne fatto penetrare in
Vescovato, e comecchè la terra si fosse mostrata parziale ai Francesi,
in quale maniera incominciassero a conciarla non è da dire; sopratutto
la rabbia dei Côrsi si avventò contro le case di Matteo Buttafuoco
traditore, a sovvertire le quali adoperarono ferro e fuoco; ma i
Francesi si rannodarono, cacciarono i Côrsi, e giunsero a spegnere
le fiamme; i Côrsi per altra parte fermi a sgararla, ripigliata lena,
tornarono: dopo lungo accapigliamento, dove i coltelli giuocarono più
dei moschetti, riaccesero l'incendio, nè si ristarono finchè videro
pietra su pietra.

Matteo Buttafuoco, per comune consenso dei Côrsi, Napoleone Buonaparte
compreso, viene reputato traditore. Ai giorni nostri il suo figliuolo
Antonio Semideo, togliendo occasione dal libro dettato dall'abate
Giammarchi intorno alla vita di Pasquale Paoli, si è sbracciato a
purgare la memoria del padre: meritano reverenza la pietà filiale,
e compassione i tempi durante i quali siffatta difesa può farsi e
accettarsi. Matteo Buttafuoco tradì perchè oratore presso al duca di
Choiseul per la Corsica, vinto dalla ingordigia del premio, si mutò in
promotore della dominazione francese in Corsica; di ciò lo incolpano
le parole, molto più le opere; nè si nega, ma il suo figliuolo
sostiene come questo non si chiami tradire, bensì amare la Patria,
imperciocchè i Côrsi non potessero sostenersi contro le forze della
Francia; matta impresa ed esosa, piacendo ai Côrsi assoggettarsi alle
leggi di quella; ed a ragione, chè per questa via essi arrivarono a
tal grado di prosperità e di gloria, che in altro modo sarebbe stato
follia sperare. — A ciò si risponde, che affermare i Côrsi volonterosi
della dominazione francese dopo novanta anni di conquista non è
onesto; d'altronde la storia lo bugiarda, perchè il Paoli non governava
tiranno, bensì col voto delle Consulte liberissimo, e quando ogni altro
testimonio mancasse durano i campi, le pendici e i fiumi consacrati da
tanto sangue cittadino nelle disperate lotte contro la oppressione. In
quanto a prosperità e gloria quello che non potrebbe un côrso diremo
alla recisa noi: se la fortuna della Corsica avesse prevalso, oggi
ella possederebbe meno accattoni e più lavoratori, meno cavalieri e
più contadini; non avrebbe quello che si costuma chiamare _civiltà_
alla francese, la quale le casca di dosso come veste non sua, bensì
propria; non presenterebbe adesso un mostro non francese nè italiano,
bensì paese sano e gagliardo di sangue naturale; e per dire tutto in
poco, non servirebbe di pollaio alla Francia donde cava marinai per le
sue navi, soldati per i suoi eserciti, sbirri per i suoi bargelli...
per rimandarli poi (quando ce gli rimanda) stroppi di corpo, o,
quello ch'è peggio, nabissati nell'anima, a rosicchiare un tozzo di
pane, spesso, ah! troppo spesso impastato d'infamia e di rimorso.
Questo non affermiamo di tutti, che non sarebbe giusto, ma di molti,
ed è vero. — Ancora si può domandare come mai Matteo Buttafuoco, se
credeva la opinione sua partecipa dai più, s'industriasse a tutt'uomo
di procurarle fautori per via di corruzioni inique, e di peggiori
scandali? Perchè la Francia gli compartiva il titolo di Conte, e gli
donava lo stagno di Chiurlino? E perchè il figliuolo imprendendo la
difesa del padre ostenta questo titolo il quale sarebbe stato senno
nascondere come uno sfregio sulla faccia? Questo, in buon latino,
significa negare il paiuolo in capo. Ma queste parole bastano, anzi
a taluno parranno anco troppe; però importa chiarire come la stirpe
dei Buttafuoco, se ebbe macchia dal tradimento di Matteo, lei resero
veneranda nella memoria dei posteri Giambattista che vendè massima
parte del paterno retaggio per sovvenire ai bisogni della Patria, e
per ultimo le diede anco la vita; Domenico, che con le proprie mani
contribuì a rovinare le case del parente fellone, ed altri parecchi che
sarebbe soverchio rammentare.

Più grave zuffa avvenne a Loreto, dove i Francesi assaliti da quattro
parti sostennero per sette ore furiosissimi assalti; ormai disperati
dal vincere tentennavano tra il rendersi, ovvero aprirsi colla spada la
via, quando con inestimabile maraviglia videro i Côrsi fuggire per la
campagna; non sapevano a che ascrivere il caso; però decisero valersi
della buona fortuna e rafforzarsi per durare con esito migliore;
ma presto appassirono coteste speranze dacchè i Côrsi non fossero
mica fuggiti, bensì andati a provvedersi di nuova polvere, avendo
logorata la prima, in certe macchie dove l'avevano nascosta; allora
dolse ai Francesi non avere colta l'occasione, e non gli sovvenendo
migliore partito tornarono a volersi ritirare combattendo; dicono che
sommassero a 150 quando uscirono da Loreto. I Côrsi dietro ai fianchi
a mo' di canatteria sguinzagliata; certo come il cervo i Francesi,
di tratto in tratto voltata la faccia, qualcheduno sventravano, ma
subito dopo bisognava fuggire, e sempre in peggio arnese di prima.
Stracchi e trafelati arrivarono circa mille al fiume Golo gonfio per
pioggie recenti; nè questo gli annoiava, anzi se ne confortavano,
imperciocchè non si sentendo perseguitati così da vicino giudicavano
passare il ponte, e subito passato rovinarlo; onde le acque grosse
invece d'impedimento a loro avrebbero trattenuto i nemici. Ed anco
qui nel conto non entrò il lupo, perchè il signor Clemente cheto
cheto, presi seco duecento uomini, aveva passato il Golo sul ponte
del Lago Benedetto, e colà messo su in fretta alcune trincere faceva
mostra di finire quanti si attentassero di avventurarci il piede: e
poichè nei Francesi non è per certo l'ardire quello che manca, ci si
provarono, e non una volta, nè due: però toccarono troppi morti per
non invilirsi; al fiume non avevano avvertito molto; che sguazzarlo
mentre lo cavalcava un ponte parve inonorato; adesso lo arieno fatto
più che volentieri, ma lo videro terribilmente gonfio, nè minacciatore
di morte meno sicura, che il ponte; e il tempo a deliberare stringeva;
perchè dai parapetti côrsi fioccavano moschettate fitte come grandine.
Scelsero la via del fiume o perchè la credessero meno perigliosa di
quello che provarono, o perchè sperassero poterne più facilmente venire
a capo. Il Golo li passò veramente, non tutti però; chè si risovvenne
essere côrso, e contro lo straniero doversi industriare tutti, così
uomini come cose; mille entrarono nelle sue acque e ne rese seicento;
e a quelli che toccarono la sponda non parve caro il nolo.

I Francesi cacciati da tutte le parti della Casinca fecero testa al
borgo di Marana dove comandava il signor de Ludre, soldato vecchio
di buona rinomanza: scrivono taluni che la sua gente sommasse a 550,
altri la stimano a 700; ma errano entrambi, perchè se prima fu 550,
sembra certo che dopo la congiunzione dei cacciati della Casinca, anco
contando solo gli sfuggiti dal Golo, a meno di 1150 non montavano.

Il borgo è paese costruito su di un colle di figura conica che si
solleva sopra un piano inclinato, il quale a oriente confina col mare,
a mezzogiorno lo chiude il Golo, a tramontana lo stagno di Chiurlino;
dalla parte di ponente gli sta sopra la Serra di Stretta, che per
la via di Oletta e di Olmetta comunica con la pieve del Nebbio; una
volta colle e pianura ebbero fama di ferocissimi, e forse anche adesso
sarebbero, ma la malaria funesta il piano; e il colle quantunque non
ingiocondo pure dalla passata prosperità differisce assai. Narrano
che Mario vicino al mare vi stabilisse una colonia, e sarà; ai giorni
nostri non ne rimane nè anche orma; avanzano alcuni ruderi nè romani
nè pagani, bensì cristiani e a quanto può giudicarsene pisani. Il
luogo comparisce facile alle difese, e malgrado che trent'anni prima
i Francesi ci rimanessero rotti per modo, che il conte di Boisseux,
nipote del maresciallo di Villars, ne morì di dolore, eglino non
trascurati o immemori statuirono tenerlo ad ogni costo. A tale effetto
circondarono la sommità del Borgo con terrapieni e palizzate; e mandati
a prendere a Bastia nuovi cannoni gli adattarono in varii fortini, i
quali comecchè fossero fabbricati di terra e di pietra senza calcina
non parevano men acconci alle offese come alle difese.

   [Illustrazione: Egli venne menato in gran fretta nella
   cittadella di Bastia, e quindi chiuso dentro il carcere della
   fortezza di S. Carlo... (_Cap. VIII._)]

Pasquale Paoli, secondando il vento, che gli spirava favorevole, decise
ferire un gran colpo, il quale, se non bastasse a dargli vinta la
impresa, gli porgesse almeno l'adito agli accordi, o alla più triste
respiro fino al nuovo anno, ricordevole di quello antico dettato,
che cosa fa cosa e tempo la governa: convocati pertanto i capitani
dell'arme su le alture della Stretta a consiglio, non discrepando
nessuno, di comune accordo venne statuita la impresa del Borgo.
Clemente chiudendo il parlamento aveva detto: qui i padri nostri
cantarono ai Francesi i vespri _côrsi_ (che così ebbe nome la disfatta
del Boisseux), adesso tocca a noi a dire _compieta_.

Per quanto le memorie dei tempi ci tramandarono, questo fu l'ordine;
Saliceti, Grimaldi, Raffaelli e Agostini dovevano investire il Borgo da
ponente con cinquecento uomini; Gaffori e Gavini da levante con altri
cinquecento; Clemente Paoli con Altobello, Canale e trecento, fiore di
bersaglieri, su la strada del Nebbio: Antongiulio Serpentini doveva
starsi con duecento alla Stretta; Pasqualini con altri duecento sul
pendio di Luciana; se nonchè il Serpentini, che assai avventato uomo
era, e la sua moglie Rosanna la quale non iscompagnandosi mai da lui
metteva senza posa legna sul foco, visto arrivare il generale su le
alture di Luciana accompagnato da Decio Cattoni e Giantommaso Arrighi,
tanto seppe dire, che fu lasciato andare con gli altri a combattere il
Borgo: corse giù di furia con la sua gente, e trovando come nulla anco
fosse incominciato, Rosanna prese a tempestare urlando che si dovesse
assalire subito subito, e che a lei, quantunque donna, bastava l'animo
di mettere sottosopra le trincere francesi in meno che non si recitava
un credo. — Perinotto Agostini, soldato vecchio d'inestimabile prodezza
fece spallucce e replicò:

— Se le donne non furono create per dannarci, io proprio non so vedere
a che altro sieno buone. State in costà, signora Rosanna; che dei denti
francesi quelli che compariscono fuori non sono i più mordaci; o non
sapete che dietro alle trincere hanno messo in batteria tre cannoni?

— Lo so benissimo, soggiunse la donna petulante, ed appunto per questo
giudico che bisogna assalire senza indugio; se ci gingilliamo con le
mani in mano usciranno i soccorsi di Bastia e ci troveremo in mezzo a
due fuochi.

— Per non mettere tutta la posta sur un tratto di dadi fa mestieri
che noi pure attendiamo a munirci di terrapieni, e fossati; se di
assedianti diventeremo assediati, vedrete che scoppierà quella nuvola
rimasta là sull'altura della Stretta, la quale se non m'ingannano gli
occhi, di ora in ora s'ingrossa.

— Qui non si tratta di occhi, ma di cuore; mirate un po' come si fa.

E l'arrabbiata donna, presa una scala in ispalla, moveva ad appoggiarla
ai parapetti francesi.

— Per Dio santo, gridò Perinotto, non sia mai detto che le donne prime
salissero su le trincere del Borgo, e respinta Rosanna le tolse la
scala, correndo poi con quella in braccio ad appoggiarla ai muri; ma
non era anco giunto a mezzo cammino, che il cannone balenò, fumò,
ed indi a breve una grandine di mitraglia flagellando la terra, e
spingendo all'aria polvere e sassi, ricoperse il povero Perinotto.

Rosanna cacciò uno strido, e accorse per sovvenire il Perinotto
immemore del pericolo a cui si esponeva. Perinotto non dava segno
di vita, non gli mancarono cure chè la Rosanna gliele prodigava con
ismanioso affetto, lacerata dal rimorso che ciò fosse accaduto a
cagione della sua protervia; e se questa dolesse anco al marito non è
da dire, perchè gli pareva meritarsi il biasimo che più di una volta
aveva sentito apporsi, di lasciare troppo lenta la briglia sul collo
della moglie; però vista allestita la lettiera per trasportare fuori di
battaglia Perinotto, con mal piglio disse:

— Donna, seguiterete il ferito alla Stretta continuando a curarlo come
ve ne corre il debito. — E siccome Rosanna disusata dall'obbedire
faceva bocca da rispondere, Antongiulio infuriato riprese: — Per la
Vergine! ed anche ricusi rammendare gli strappi che hai fatti; esci di
qua in tua malora, o ti rimando legata a casa con le mani e co' piedi.

E non si può negare che siffatti modi sentissero poco della prelibata
urbanità che sogliamo adoperare noi verso il sesso gentile; ma che
farci? I Côrsi costumavano così, e non per questo amavano meno le donne
loro, o n'erano riamati; anzi solenni professori di proverbii essi
solevano dire: che donne, cavalli e noci vogliono le mani atroci; ma di
ciò lascio giudicare a cui se ne intende.

La vasta tela che ho per mano non mi consente che io possa, come pure
vorrei, esporre minutamente la storia di Perinotto. Giuseppe Mattei lo
ha fatto, e se all'ottimo volere rispondeva l'ingegno, a veruno sarebbe
lecito toccare questo pietoso argomento; altri se ne invoglierà perchè
davvero lo merita; intanto giovi sapere come Perinotto ferito nelle
tempie e per la fronte salvasse la vita, non gli occhi. Visitato dal
generale al convento di Luciana, dov'egli lo aveva fatto trasportare,
lo consolò con amorose parole, lo baciò più volte, e quantunque di
sostanze non copioso, il Paoli gli assegnò sopra il suo patrimonio
la pensione annua di trecento lire, che finchè visse e in ogni sua
fortuna procurò fosse religiosamente pagata. Questo è bello, ma questo
altro più tenero; egli erasi fidanzato con una zitella di Ortiporio,
di nome Elisabetta, la quale, appena si fu messo in piedi, andò a
visitare: arrivato davanti la casa senza mettere il piede sopra la
soglia chiamò con gran voce: Elisabetta! — e quando dal rumore dei
passi la riconobbe, con voce tremante aggiunse: Elisabetta, voi vi
sposaste ad un illuminato ed ora sono fatto cieco, — Elisabetta,
sono venuto a rendervi la vostra promessa. Ma questa santa fanciulla,
rispose ingenuamente: — Perinotto mio, guardateci due volte, che ora
di moglie avete bisogno troppo più di prima; tenetevi la mia promessa
e sposiamoci nel nome di Dio. — E così fecero. Perinotto finchè visse,
e visse molto, fu il cantore e lo storico del paese; dicono che i suoi
canti avessero virtù maravigliosa di accendere gli animi, e ci credo,
perchè le muse noi tutti abbiamo dentro di noi e le sortimmo da madre
natura, solo che la fiamma del cuore arrivi a riverberare sul cervello,
la luce del canto sgorga a rivi dalle labbra umane. I nuovi signori lo
presero in sospetto e gl'imposero tacesse; ma egli si oppose allegando
che dei vivi costumava non dire bene nè male, unicamente celebrare
i morti; ora parergli invidia peggio che barbara impedire la lode ai
defunti, ed eglino, lo ricordassero vantarsi promotori di civiltà in
Corsica: si vergognarono, e lo lasciarono cantare; il giorno nel quale
egli non cantò degli altri, altri cantò per lui, ma questa volta fu il
_Miserere_.

Il signor Ludre, vista la mala parata, mandò messi sopra messi a
Bastia, affinchè si affrettassero a soccorrerlo, avvisando il marchese
di Chauvelin trovarsi minacciato dai mali del blocco e da quelli dello
assedio, i primi però più terribili degli altri essendo stremo di
viveri e mancando di modo per provvederne, quantunque anche i secondi
dessero a pensare, considerando come i Côrsi attendessero a munirsi di
opere quali avrebbono potuto condurre i più esperti ingegneri.

Il marchese de Chauvelin dopo gli ultimi fatti considerava la
guerra e il paese diversi da quelli che a prima giunta gli era parso
vedere; e come nelle nature eccessive lo sgomento corrisponde alla
esaltazione e la supera, così ora scriveva in Francia lettere su
lettere non bastargli i sette reggimenti, le legioni Soubise e reale,
gli artiglieri e i micheletti, che prima lo avevano accompagnato in
Corsica; volerci bene altre forze per resistere al clima pestilenziale
e allo strazio della continua persecuzione per greppi e per bricche
di un nemico che non si incontrava mai, comecchè vi molestasse sempre
da ogni lato. Questo non era, dacchè il nemico egli avesse incontrato
più sovente che non desiderasse, ma gli parve più bello confessarsi
vinto dalle gambe che dalle braccia del nemico. Luigi XV, che teneva
in delizia questo marchese, provvide gli spedissero da Tolone otto
nuovi battaglioni i quali arrivarono a Calvi e a S. Fiorenzo sopra 38
navi scortate da 3 fregate e da due sciabecchi; in questa bisogna si
affaticò con tutti i nervi anche il ministro Choiseul, dacchè avendo
fatto strombettare sopra la _Gazzetta di Francia_ le prime vittorie
francesi, ebbe a patire la umiliazione di leggere nella più parte dei
diarii europei le allegrie che si menavano per le sconfitte in ultimo
rilevate. Però il querulo generale non si rimase per questo e continuò
a ragguagliare la corte, come quello che Seneca aveva scritto intorno
alla Corsica non raggiungesse il quarto del vero: terra sterile, aria
maligna, popoli salvatichi e posseduti dal diavolo della cupidità; non
basterebbero 200 milioni a ridurla in termini comportabili; non avere
commesso peccati tali da meritarsi lo inferno; ad ogni modo non essere
anco morto per andarci. Queste ed altre cose egli mandava scrivendo a
tutti, massimo al suo fratello abate, gobbo irrequieto e procacciante,
il quale metteva a screditare la impresa côrsa e far sì che il
fratello si richiamasse quel medesimo ardore col quale perseguitò in
Francia la compagnia dei gesuiti: nondimanco il marchese di Chauvelin
avrebbe dato, sto per dire, un occhio, per provare che se consigliava
a smettere la conquista della Corsica non era per mancanza di virtù,
bensì proprio perchè la carne non valeva il giunco: però accolse con
inestimabile contento il destro di combattere i côrsi col peso di tutte
le sue forze vicino a Bastia, donde potevano ricavarsi sicuramente a
mano a mano rinforzi, caso mai pigliasse mala piega la faccenda: onde
ristrettosi col conte di Marbeuf in breve rimasero d'accordo sul da
farsi; tra le altre provvidenze spedirono ad avvisare il marchese di
Grandmaison, il quale stanziava grosso ad Oletta, che per tragetti,
senza che persona lo subodorasse, dal Nebbio si trasferisse in Marana,
percotendo improvviso i Côrsi ai fianchi e nelle spalle. Messi in
ordine i soldati e le munizioni partirono da Bastia sicuri di vincere;
e menavano seimila soldati, tra i quali tutti i granatieri; quei di
Ludre, come fu detto non sommavano a meno di 1500; altri 1500 tenevano
per certo gli avrebbe condotti il Narbona, e così in tutto 9000, più
che bastevoli, considerato il numero, la perizia e la qualità delle
armi, a sgarare la puntaglia.

Arrivati su i luoghi a mente tranquilla reputarono prudente, ed era,
levare su alcuni ripari di terra e quindi bersagliare i Côrsi tanto,
che questi difettando di cartocci cessassero i tiri, dando campo ai
granatieri avanzarsi a man salva, ma i Côrsi si accorsero presto dalla
malizia e si rimasero dallo sparare. Allora i granatieri francesi
trascinati dall'èmpito ed anco dalla necessità proruppero fuori alla
scoperta, e s'ingaggiò battaglia; la vera scarmigliata battaglia piena
di urli, di minacce, di gemiti e di morti. Le case côrse avevano preso
tutte sembianze della chimera favolosa, la quale vomitava fuoco da
ogni spiraglio della sua faccia: piovevano le palle come grandine, nè i
Francesi potevano andare capaci per qual ingegno i Côrsi mantenessero
cotesto fuoco non interrotto mai, quasi gli schioppi contenessero
venti o trenta cariche. Ma quello che ai Francesi appariva miracoloso
era naturale pei Côrsi; imperciocchè le donne di casa così giovincelle
come vecchie quasi decrepite, e i ragazzi di sette ed otto anni (quei
di dieci sparavano) dietro ai parenti caricavano gli schioppi e li
porgevano a chi aveva tratto. Tra la moltitudine dei gesti degni di
storia non fia grave udire quello di Orso Lusi vecchio ormai giunto
alla tarda età che chiamiamo decrepitezza; costui fu del pari valente
agricoltore e soldato; fra gli altri pregi ricordarsi essere stato
il primo che nella sua pieve di Biguglia coltivasse la saggina. Da
parecchi mesi egli stava seduto sopra un seggiolone a braccioli,
donde non si moveva che a stento ed aiutato; appena udì lo strepito
della moschetteria quasi per miracolo si levò in piedi, e disse:
lo schioppo! — Il quale avuto egli si fece a canto di una finestra
per trarre; dallo altro si mise il suo minore nipote e per un pezzo
attesero alle loro faccende, però il nipote considerando che il vecchio
per debolezza della vista impiegava troppo tempo a pigliare la mira,
e con molto pericolo rimaneva scoperto oltre il dovere gli disse: —
Caccaro, per la Immacolata Vergine vi supplico ritiratevi di qua; aveva
appena finite le parole, che il vecchio cacciò fuori un singhiozzo e
il nipote lo vide barcollare e subito dopo spumargli la bocca di un
licore sanguigno; represse l'angoscia il forte giovane, e gittategli
pronto le braccia a mezza vita perchè non cascasse gridò ad alta voce:
— no, Caccaro, no: bisogna assolutamente, che vi togliate di qua:
e sollevatolo lo trasportava; a coloro che li dimandarono che cosa
facesse rispose: qui il Caccaro è troppo esposto, vado metterlo nello
abbaino dove meno osservato aggiusterà i tiri a comodo. La confusione
orribile in cui si versavano tutti non permise che badassero troppo
a quello ch'ei facesse o dicesse, e il giovane portato il nonno nella
sua stanza lo depose sul letto, gli chiuse gli occhi, lo baciò e poi
asciugandosi col rovescio delle mani il pianto susurrò: — Caccaro!
dormi in pace, io vado a vendicarti. Gli altri parenti seppero
cotesto loro antico congiunto morto a un tempo e vendicato e questo ne
rattemprò alquanto l'angoscia.

I Francesi chiusi col Ludre adesso conoscono che se si vogliono
liberare, importa mettersi allo sbaraglio per congiungersi a quei
di fuori; la quale cosa se venisse loro fatto di conseguire poteva
senza dubbio dirsi vinta la prova; parte comandati e parte volontari,
un cento irruppe fuori dei ripari per fare impeto da un lato in
quelle case, le quali dall'altro in quel momento stesso assaltavano i
granatieri; i Côrsi che videro cotesto tentativo lo giudicarono, se
fosse riuscito, tale da saldare ogni conto; onde passandosi voce da
una casa all'altra per via delle finestre o dei pertugi praticati nei
muri laterali, stabilirono adoperare gli sforzi supremi per mandarlo
a vuoto: in effetto quando se lo aspettavano meno, dopo una scarica
universale, si apersero violentemente gli usci di parecchie case e
ne rovinò fuori una torma di gente che con le pistole incarcate in
ambedue le mani e lo stiletto ignudo fra i denti, si avventò balenando,
e trasse così di concerto che fu inteso un colpo solo; i nemici
stramazzarono in un mucchio alla rinfusa chi morto, chi ferito, chi
sano, ma strascinato dagli altri; i Côrsi, gittate vie le pistole,
impugnarono il coltello e giù di botto su cotesta massa di carne
menando colpi disperati. I Francesi rimasti dentro i ripari presi da
terrore e paurosi di sfolgorare i compagni in quella zuffa mescolata
stettero inerti e i Côrsi approfittandosi dello sbigottimento saltano
indietro e si rinchiudono in casa; di loro pochi ne rimase feriti:
nessuno morto; dei Francesi (incredibile a dirsi se i ricordi de' tempi
non lo accertassero senza screzio fra loro), soli sedici sopravvissero
ed anco malconci, gli altri ottantaquattro giacquero spenti; miseranda
strage, operata in un attimo, come dal fulmine di Dio.

I granatieri i quali dall'altra parte del caseggiato avevano bensì
inteso il grido di baldoria dei compagni, ma non vista la fine,
instavano più fermi che mai per aprirsi il varco; gittarono da prima
le granate a mano, le quali cagionarono strepito molto non danno; poi
o muniti di scale o armati di scuri si affrettarono a salire per le
muraglie e a spezzare le porte; spingendosi innanzi con la veemenza
che fa quasi sempre invincibile l'assalto francese, erano giunti sotto
le feritorie dei Côrsi, ai quali ormai di poca utilità riusciva lo
schioppo; ma allora posero mano a nuova maniera di difese, che giù dai
pertugi incominciarono a piovere acqua ed olio bollenti. Se riuscissero
atroci coteste scottature, pensatelo voi, e nondimeno quei bizzarri
cervelli ne celiavano: — e largo, dicevano ai compagni, largo che i
Côrsi pigliano i gatti a pelare. — Subito dopo il sole rimase oscurato
da un nugolo di masserizie domestiche; talune, a vero dire, incapaci
a recare grave danno, altre poi lo portavano gravissimo, come conche,
catini, mortai di pietra ed altri siffatti; ed anco qui la giocondità
francese trovò ad incastrarci la sua, che l'uno all'altro diceva: — tè
questa mestola, camerata, e' sanno che tu ti sei fatto sposo e vogliono
aiutarti a drizzare su casa. — Un uffiziale ebbe il capo malamente
rotto da una culla, e nel sovvenirlo il suo compagno tra serio e faceto
gli diceva: — in fè di Dio, non si è mai visto peggio; anche Golia
rimase vinto da un bambino e pazienza! ma da una culla senza nè manco
bambino riesce dura a trangugiarla. — In questa rovinando una madia
fracassa la spalla al motteggiatore e l'altro comecchè con la faccia
piena di sangue ridendo rispondeva: chi avrebbe creduto che la morte
stesse a pigione nel luogo dove si fa il pane? — Ma piangendo e ridendo
si muore del pari, e intanto per le mirabili difese non si poteva
spuntare. Il Marbeuf sputava fuoco, allo Chauvelin pareva di sognare;
però ambedue ordinate nuove colonne di attacco le sguinzagliavano
contro le combattute mura; già si sa, agli assalti la faccenda cammina
diversa che a mensa dove si salutano beati i primi: a quell'ora
dovevano avere votata la casa di arnesi e logori l'acqua e l'olio,
sicchè era a sperarsi avventuroso il nuovo sforzo; pertanto si spinsero
cantando e schernendo; tacevano i moschetti con augurio felice; le
scale appoggiano, salgono, le braccia stendono, già le mani toccano
i davanzali delle finestre, quando giù dai tetti rovinano camini,
lavagne e pietre con le quali le difendono dagl'impeti del vento;
nè questo solo, che seguitarono travi, travicelli e brani di muro.
Sarebbe sazievole del pari che tetro narrare il vario e nondimanco
sempre terribile spettacolo delle morti infinite: fuori delle macerie
qua sbucava una mano sola, là un capo; di ossa e viscere schizzate,
infame il terreno, la strada fatta lago di sangue; indietreggiavano i
Francesi, e tuttavolta non ismentivano l'indole festosa, chè ci fu tale
che disse: — eh! chi l'avrebbe creduto? mentre io vedendo i casamenti
levarsi il cappello m'ingannava volessero salutarci per signori e
padroni.

Il conte di Narbona Fritzlar arrovellava come un mastino vinto, e
non ci volle manco del comando espresso del marchese di Chauvelin
perchè ristasse dallo avventurare un nuovo assalto; sicuramente i
granatieri avrebbero obbedito, ma stanchi ed anco sgomenti egli era
come cimentarli a morte certa; quasi per tacito consenso delle parti
combattenti furono sospese le ostilità verso il mezzogiorno.

Il Grandmaison ricevuto il comando ad Oletta, conobbe come senza molto
accorgimento non lo avrebbe potuto mandare ad esecuzione, imperciocchè
gli Olettesi meno che offenderlo con la forza (che questo per essere
tenuti in rispetto dai suoi soldati non potevano), con ogni altra
maniera cercavano farlo capitare male; nascosti pertanto messaggio e
messaggiero, dette lingua volere andare a mantenere in devozione il
Capocorso; per ultimo quando trasse i soldati dai quartieri bandì ad
alta voce che voleva menarli ad esercitarsi nei dintorni; maggiore
astuzia non gli avrebbe giovato, ma le troppe precauzioni gli nocquero.
Ora dopo avere menato i soldati per buon tratto di via verso Barbaggio,
il Grandmaison comandando si voltassero dalla parte di Rutali li pose
dentro certe macchie che rasentavano il torrente, che sbocca allo
stagno di Chiurlino; da principio le cose camminarono d'incanto; però
via via che s'inoltravano la macchia si faceva più spessa, i sentieri
più rotti: onde a fatica potevano andare innanzi: il Grandmaison
sicuramente non si aspettava incontrare destri cammini; pure trovandoli
adesso così scellerati non si poteva rimanere da borbottare: s'intende
acqua ma non tempesta! Potevano avere trascorso una diecina di
miglia, ed omai procedevano con lena affannata, tutti molli di sudore
e co' piedi indolenziti, allorchè il capitano giudicò necessario si
riposassero alquanto: non è a domandarsi se se lo facessero dire due
volte; ridotte le armi in fasci chi qua chi là giacque sul terreno
quale per riposarsi e quale per ripigliare conforto di cibo e di
bevanda.

Davvero non fu carità sturbare cotesto riposo, e nondimanco i Côrsi lo
disturbarono, e di che tinta! Da prima s'intese uno scoppio lontano
e un sibilo vicino; poi dieci, poi cento; assursero i soldati ed
imbracciate le armi attesero gli ordini dei capi: non era facile
darli nè eseguirli; le angustie dei luoghi; e i colli dirotti non
presentavano campo a verun provvedimento di milizia; penetrare nelle
macchie peggio, tirare contro le frasche inutile; il nemico sentivano
da per tutto e non lo trovavano in verun luogo: in breve l'uragano
imperversò nella sua furia; ogni foglia di sul capo sgocciolava una
palla, disotto ogni sasso avventava una palla, palle vomitavano i
cespugli da ogni lato, insomma non un cerchio bensì una sfera di
fuoco e di piombo li circondava; e questo accadeva perchè i Côrsi si
appollaiavano su gli arbori come scoiattoli, dietro le macchie o dietro
i sassi si rannicchiavano come vipere.

Clemente Paoli capitanava questa imboscata, e davvero in male branche
erano capitati i Francesi: costui appiattato dietro una sughera in
compagnia di Altobello non mandava colpo se prima non si accertava
del fatto suo; ora accennando al compagno con la canna del moschetto
un giovine uffiziale: — peccato! disse, cotesto sembra un prestante
giovane; oh! quanto orgoglio ne deve avere cavato sua madre; oh! quanto
dolore sta per recarle; me chi gli ha detto di cacciarsi qua dentro?
_Requiem æternam dona eis Domine_ — scattò il grilletto, e il giovane
stramazzò giù a capitomboli sul terreno; Clemente col medesimo suono di
voce continua: — _et lux perpetua luceat ei._

Contemplando cascare il giovane, certo ufficiale più provetto proruppe
in orribili bestemmie e gli si gittò addosso a speculare di che sorte
fosse la ferita, ma accortosi che la povera creatura era spacciata
s'inviperì più che mai urlando che cento, mille Côrsi non reputava
bastanti a vindicarlo. Intanto Clemente aveva ricaricato lo schioppo —
e' mi dispiace proprio, disse, che cotesta anima deve comparire davanti
al suo Creatore fuori dello stato di grazia; ma ci ho colpa io, se con
la morte in bocca si comportano così poco cristianamente? _Ora pro eo._
— Al fine delle parole il vecchio andò a far compagnia al giovane;
di loro la storia non ricorda il nome, e non importa investigarlo,
conciossiachè la maggiore carità che possiamo adoprare per coloro che
sono morti a sostenere la causa degli oppressori consiste appunto a
lasciarli nell'oblio nel quale s'immersero interi. Ad un tratto venne
al pensiero di Clemente il salmo 143 del santo re David, il quale, a
quanto sembra, in parecchie cose buone arieggiava con lui e incominciò
a cantare: _Benedictus Dominus meus qui docet manus meas ad prœlia
et digitos meos ad bellum_ — e al fine del versetto il suo schioppo
ficcava una palla di oncia o nel capo o nel petto di un Francese. —
Veramente pochi canti di guerra possiedono virtù di eccitare l'odio
dello straniero fino al delirio come quel salmo meraviglioso; però
appena può immaginarsi non che dirsi la veemenza con la quale Clemente
urlava:

«Signore abbassa i tuoi cieli e scendi: tocca i monti e fa che fumino.

«Vibra il folgore e dissipa quella gente; avventa le tue saette e
mettile in rotta.

«Stendi le tue mani dall'alto e riscotimi, e trammi fuori, dalle grandi
acque, di mano degli stranieri, la cui bocca parla menzogna e la cui
destra è destra di frode.

Acciocchè i nostri figliuoli sieno come piante novelle bene allevate
nella loro giovanezza, e le nostre figliuole sieno come cantoni
intagliati dell'edificio di un palazzo.

E le nostre celle sieno piene e porgano ogni spezie di beni, e le
nostre greggie moltiplichino a migliaia e a diecine di migliaia nelle
nostre campagne.

Ed i nostri buoi sieno grossi e possenti e non vi abbia nelle nostre
piazze nè assalto, nè sortita, nè grido alcuno.»

Ventura fu pei Francesi che Clemente non ricordasse il salmo 120 o
non lo credesse adattato all'uopo, perchè chiudendo ogni versetto
con la morte di un uomo, cotesto salmo contando versetti 176, avrebbe
menato uno scempio di loro, mentre il 143 annoverandone sol 15, la sua
recitazione non costò troppo caro ai Francesi.

Il Grandmaison si accorse presto, che o per previdenza, o per avviso
ricevuto in tempo il nemico gli aveva tese insidie; ignorava il numero
degli assalitori; ma o pochi o molti era chiaro che dei Francesi non
ne sarebbe scampato un solo; e fu mestieri dar volta. Mesti per tante
morti e avviliti per non averle potute vendicare, forse non si riduceva
persona nei quartieri di Oletta, se il vento che soffiava da levante
non avesse portato agli orecchi di Clemente un suono di rombo e voci
che domandavano aiuto.

Lasciamoli andare, disse allora questo Aiace côrso, che hanno avuto
il loro compito; io penso che quelli che arrivano al quartiere
appiccheranno i voti alla Madonna, dacchè da questa parte non ci è
da temere più nulla, su da bravi, figliuoli, un sorso di vino, e via
difilati al borgo.

Alle ventidue il marchese Chauvelin avendo riposato la sua gente ed
ingrossatosi co' rinforzi che di ora in ora gli arrivavano con celeri
passi da Bastia statuì tentare un altro assalto. Pasquale Paoli dalle
alture di Luciana avendo avvertito il nuovo turbine che si andava
formando, comandò a Decio Cottoni e a Giantommaso Arrighi pigliassero
tutta la gente che gli stava dintorno e scendessero a investire di
fianco i Francesi; avendogli Decio avvertito ch'egli rimaneva solo, e
in caso di bisogno su che pensasse appoggiarsi, Pasquale rispose: — non
fa caso; vi dirò come Abramo: Dio provvederà, qui non ci ha tempo da
perdere, partite.

Vi rammentate di frate Bernardino da Casacconi? Voi ve ne ricordate
di sicuro; ora non vi potrete dare pace com'egli che sapeva così bene
movere la lingua, non menasse meno valorosamente le mani. Sentite; non
è colpa sua, bensì mia, che nè tutto nè di tutti io posso dire; però
egli si era chiuso con i più valorosi de' suoi compagni nel convento
dei cappuccini del Borgo e quinci dispensava in copia moschettate
come in tempo di pace benedizioni: il nostro padre Bernardino durante
la tregua era salito in campanile condotto dalla medesima causa,
che teneva il generale ritto sopra le alture di Luciana a specolare
il paese; ed egli pure aveva notato uno dopo l'altro arrivare i
rinforzi da Bastia, ordinarsi e certamente allestirsi a rinfocolare la
battaglia; onde messo da parte il moschetto aveva preso un martello e
con quello picchiava con garbo sopra la campana più grossa procurando
cavarne lo squillo maggiore; avrebbe pure desiderato imprimere a
quel suono un accento di dolore, di agonia, di scongiuro, d'istanza
smaniosa, di rabbia furibonda, in breve di tutte le passioni, che
in quel punto scompigliavano l'anima del frate; e ci si arrovellava
dintorno per ottenere al meno l'equivalente. Indi a poco gli risposero
da una valle un'altra campana e un corno marino: allora il cuore del
frate esultò, perchè era riuscito a far sentire ai Côrsi la voce della
madre che li chiamava; e questi furono i suoni che percossero anche
Clemente Paoli, troppo discosto dal Borgo per sentire il martellare del
padre Bernardo. Questo fu nuovo trovato per trasmettersi le chiamate
nei pericoli; in antico però, secondo che testimonia Pietro Cirneo,
si partecipavano notizie di ogni maniera, in guisa che il moderno
telegrafo elettrico più poco seppe aggiungere di velocità, e senza la
spesa di un quattrino. In effetto taluno per ordine del Comune saliva
sul più alto colle della pieve dove, dopo avere sonato il corno,
gridava con quanto gliene poteva la gola: «gente del tale e tale
luogo, sappiate ch'è accaduto la tale cosa nel tale e tal altro paese;
fatela sapere intorno a voi.» E il popolo accompagnava il banditore
coll'immenso urlo: «viva il popolo! viva la libertà!»

L'agonia del frate Bernardino si calmò alquanto allorchè su le pendici
dei monti di faccia e a mano destra aguzzando gli occhi vide comparire
e subito sparire alcuni punti neri a mo' di muffli, che dopo aver
saltato da una roccia all'altra si rinselvano. Allora lasciato il
martello riprese lo schioppo ed abbassò gli occhi giù nel paese fuori
delle trincere dei Côrsi; colà vide il brulichìo dei granatieri in
procinto di avventarsi da capo; dai gesti argomentò i proponimenti
feroci; tanto pareva ai Francesi delitto che le vittime non cantassero
_alleluia_ a sentirsi sgozzare dalle armi del Cristianissimo, e non
levassero le mani ai suoi gloriosi carnefici? Gli ufficiali parlavano
ai soldati accese parole, massime il conte di Marbeuf, che ritto
su di un rialzo di terra gli arringava tutti e col dito accennava
i deboli ripari dei Côrsi; pareva gli rimproverasse, e certo gli
rimproverava, di non avere saputo espugnare cotesti deboli ripari di
terra, abborracciati da gente ignorante di ogni arte guerresca. — Sul
più bello del suo discorso sentì chiamarsi a nome:

— Ohè! signor conte Marboffe, ohè! — Il conte si guardò, meravigliando,
dintorno, e non vedendo persona ripigliava la orazione, ma la voce
continuò:

— Signor conte, non miri di quà e di là; si volti in su al campanile;
veda, son io che le parlo, frate Bernardino da Casacconi indegno servo
di Dio: le pare carità questa di aizzare carne battezzata contro carne
battezzata come se fossero altrettanti mastini? O che gliel'hanno
rubata la Corsica perch'ella si arrovelli tanto a conquistarla? Eh! si
vergogni; queste non sono opere da cristiani nè da gentiluomini...

— Che gracchia quel corbaccio lassù? proruppe il conte; Luigi fagli per
la sua predica l'elemosina di una palla di oncia nel capo.

Luigi ch'era fante del Marbeuf non intese a sordo, e di un colpo portò
via una ciocca della barba al cappuccino.

— Per Cristo! esclamò il frate, e subito dopo si morse le labbra,
ma ormai era ita e di un salto agguantato lo schioppo con gran voce
aggiunse:

— Signor conte, io le baratto il suo scudo in moneta côrsa; badi s'ella
è di buona lega.

— Ah! frate — disse il Marbeuf cascando — mi ha morto.

I Francesi, per le vecchie e per le nuove ingiurie infelloniti
tornarono ad avventarsi con furore impossibile a descriversi; i Côrsi
non avevano perduto tempo ad allestire altre difese; da capo scalate,
da capo olii ed acque bollenti, ma per questa volta pareva si facesse
di tutto, imperciocchè dietro ai liquidi buttavano i vasi; da capo
gambe infrante, uomini capitombolati e rotti su le selci, ferite di
ferro e di fuoco, membra lacere sotto il continuo rovescio dei sassi e
di muri; sempre più terribile l'aspetto delle moltiplici morti.

Decio Cottoni arrivato su i luoghi si appostò in uno dei rialzi di
terra abbandonati dai Francesi e si diede subito a trarre; Clemente
pure giunse dall'altra parte e omai di ripari non voleva sapere niente,
bensì fare impeto alla scoperta: più cauto Altobello ne lo dissuase
confortandolo ad imitare il Cottoni; dai ripari ammazzarono a man
salva, e comecchè i Côrsi non isbagliassero il colpo a volo vi avete a
figurare se a fermo, onde pareva la morte vendemmiasse; chè gli uomini
cascavano giù stretti insieme da parere propriamente grappoli. Nè i
bersaglieri si contentavano di volgari ferite; al contrario volevano
scegliere; così colpirono i colonnelli del reggimento Rovergue e del
Sassone, e dopo questi la più parte degli ufficiali. Il marchese di
Chauvelin non anco disperato di vincere chiamava a sè il marchese di
Tilles e il visconte di Beauve, ed ordinò, che preso un distaccamento
dai reggimenti Medoc e Brettagna, si recassero a sloggiare i Côrsi
dai fortini: i valorosi colonnelli partirono ad eseguire il comando;
non li trattennero la pioggia delle palle, non i morti che seminavano
per la via; per essere i parapetti bassi saltarono i ripari e quivi
incominciarono a trucidare, con le baionette in canna, i Côrsi si
provarono resistere co' pugnali, ma conosciuto subito impari il gioco
fuggirono e si sbandarono; i Francesi stando raccolti in manipoli,
appena usciti perderono il loro vantaggio: sarebbe stato sano consiglio
anco per loro tornare indietro alla guardia dei fortini; ma non seppero
o non vollero; fatto sta che continuarono il Tilles a perseguitare il
Paoli verso Biguglia; il Beauve, il Cottoni verso Luciana.

— E adesso, che come generale non mi resta a fare più nulla, andiamo a
sostenere le parti di soldato — disse Pasquale Paoli — rispetto a voi,
signor Boswell, restate qui, chè non è giusta, che ne abbiate a toccare
per fatti non vostri; addio; — Nasone andiamo.

— Con vostra buona licenza, signor Paoli dacchè abbiamo passato tanta
parte di giorno assieme, permettete ch'io lo finisca.

— Ma voi non siete armato...

— Di fatti io non mi presento alle palle francesi in qualità di
soldato, bensì d'invaghito.

— Non praticate da savio, signor Giacomo; arrosto che non tocca
lascialo andare che bruci, dice il nostro proverbio — e mentre il Paoli
così favellava correva, e il signor Giacomo dietro sbuffando.

   [Illustrazione: — Mariano, Mariano, oh! non lo vedi che ti sto
   accanto: la colpa è del buio: vuoi che accenda un altro lume?
   (_pag. 384_)]

— Bene, il proverbio non manca di senno, ma ora che sono diventato
mezzo Côrso mi tocca più che non credete.

Intanto che andavano Nasone percorreva fiutando la terra; di repente lo
videro fermarsi, poi raspare, dimenare forte la coda, poi squittì dando
segni di sorpresa e di allegrezza.

— Fermi: qui dietro ci ha qualche cosa di nuovo, notò il Paoli; in
effetto di lì a pochi secondi ecco dai cespugli uscire a diecine, a
ventine, cani meno grossi, ma della razza di Nasone, quale grigio quale
rossigno, i quali si ricambiarono quei convenevoli, che il Galateo dei
cani diverso da quello di monsignor della Casa predica onesti; dietro i
cani naturalmente vennero i padroni, i quali mirando, ed essendo mirati
dal generale, corsero ad abbracciarsi di cuore, erano montanari delle
Costiere e li guidava Vinciguerra da Canavaggia. In breve spiegarono,
che, quantunque non comandati, sapendo come la battaglia andasse per
le lunghe erano venuti a dare una mano ai fratelli, e menavano seco
certi compagnoni, dai denti dei quali si ripromettevano quanto dalle
proprie mani se non di più. — Raccolti insieme sommavano a cento uomini
ed a sessanta cani. Il generale ripigliando subito il cammino disse a
Boswell:

— Lo aveva presagito che Dio provvederebbe.

Già erano venuti in parte dove le palle passando via zuffolavano,
od abbattevano i ramoscelli degli alberi, allorchè un pedone tutto
affannato venne loro incontro agitando da lontano un foglio; si
fermarono, e quegli fattosegli più presso correndo disse:

— Ah! signor generale, siete voi? Manco male che vi ho trovato subito;
non ho potuto esentarmene; eccovi la lettera consegnata in proprie mani
secondo il desiderio del moribondo, e adesso addio.

E ratto com'era venuto andava via; al generale che gli urlava dietro:
dove vai? dove vai? — Rispose: — torno a battermi.

Il generale spiegò e lesse lo scritto, vergato con mano tremante, il
quale diceva così: «Signor generale, raccomando mio padre a voi, la
mia anima a Dio. Fra un'ora sarò con gli altri valorosi morti per la
patria. Vito Savelli.» Ah! quel caro giovane pareva se la sentisse
piovere addosso.

— Bene, prese a dire il Boswell; benissimo; che manca a questa lettera
per essere bandita sublime in tutte le scuole del mondo, se non essere
scritta alle Termopili da uno dei trecento di Leonida?

— Chiedo perdono, rispondeva il generale tuttavia correndo; Leonida e
i suoi si consacravano morendo agli Dei infernali. Vito rende la sua
anima a Dio di cui si sente parte. La differenza mi sembra enorme.

— Bene; voi parlate sempre bene.

Erano sul punto omai di sboccare dall'estremo lembo del bosco, allorchè
videro venire incontro a loro un uomo fuggendo, il quale ne teneva un
altro in collo quasi intendesse rapirlo. Il generale che se lo trovò
addosso, lo abbrancò pel petto gridando:

— Ah! dall'altra parte è il nemico e tu fuggi?

— Non fuggo, no, rispose trangosciato il Côrso; lasciatemi andare;
Cristo! o non vedete che questo che io porto è morto; mi fu ucciso
accanto; no in verità, signor generale, finchè il mio povero fratello
mi sta davanti, non mi riesce levargli gli occhi di dosso; e non mi
posso battere... vado a seppellirlo e torno subito.

Allora il generale mettendo una mano su la spalla dell'uomo:

— Tu sei di Alesani parmi, e dei Tommasi: non piangere....

— Io non piango.

— Va, torna indietro; chi ti comanda?

— Il capitano Decio...

— Bè; aspetta (e scrisse sopra un foglio col lapis: fa quello che ti
dirà il Tommasi. P. P.) porta questo al capitano, ed ordinagli da parte
mia, che ceda a poco a poco il terreno dilungandosi dal Borgo verso il
lago Benedetto, e procuri tirarsi dietro i Francesi: in quanto a questo
valoroso non darti pensiero a seppellirlo; lo riporrò io stesso con
queste mie mani sotto terra; sei contento?

Il Côrso non potendo parlare gli baciò le mani; gli pose fra le sue
braccia il fratello, e preso il foglio in un momento disparve.

In questo modo, sicuro il generale che il distaccamento francese non
lo avrebbe molestato, con urli che andavano a cielo, suoni di cento
corni e latrati di una torma di cani cascò improvviso alle spalle
dei granatieri che operavano sforzi più che umani per rovesciare i
parapetti côrsi e penetrati nel Borgo sovvenire la gente del Ludre;
in parte si vedevano mucchi di cadaveri a piè della trincea senza
che l'avessero potuto manomettere; in parte però compariva aperta,
e lì dentro la rottura si battevano a baionetta, a coltello, nè le
sassate mancavano, nè i pugni, nè i morsi; però il sudore si mescolava
col sangue; per mancanza di forza le ferite sdrucivano piuttostochè
trapassassero le carni; gli sosteneva la rabbia, la paura e la vergogna
del perdere: ormai dall'una parte e dall'altra toccavano il punto in
cui anco un grano poteva dare il tracollo alla bilancia; e veramente
sessanta cani e cento montanari erano qualche cosa di più di un grano e
lo provarono avventandosi con furore non più visto al mondo: terribili
gli uomini, ma due cotanti più i cani; le gambe addentate e le cosce
non le lasciavano più per ferite nè per colpi anzi nè anco morti, e fu
mestieri con taluno aprire co' ferri i denti e liberarlo della testa
mozza del cane.

I Côrsi visto il generale a loro tanto diletto, raccolsero quel po'
di lena che si sentivano nelle braccia per non apparirgli minori
dell'aspettativa ed anco delle promesse che gli avevano fatte: ed
egli in mezzo alla tempesta e senza nè pure cavare la spada sereno e
tranquillo diceva: — su da bravi, anche uno sforzo e abbiamo vinto!

Mentre voltatosi al signor Boswell, il quale colla scatola in mano lo
aveva seguitato, intendeva domandargli: — si può egli fare di meglio?
— vide sparirgli il cappello di capo, onde temendolo ferito proruppe in
dolorosa esclamazione, senonchè il signor Giacomo sorridendo rispose:

— Poca perdita, un cappello frusto, — e continuò a tirare su la
presa di tabacco che aveva incominciato ad annasare — però indi a
breve avendo scorto Nasone il quale corso dietro al cappello glielo
riportava, soggiunse: — anzi guadagno, e grosso perchè il cappello
intero prima costava due scudi o meno, ora forato in questa congiuntura
acquisterà un valore venale di dieci sterline o più — forse anco venti.

Il generale non potè astenersi di tentennare il capo pensando come
in Inghilterra anco i più generosi, in grazia del costume, ogni cosa
ragguaglino a lira, soldo e denaro: ond'ei teneva, per certo, che
quando con microscopii perfezionati si potesse speculare la materia del
sangue della stirpe anglo-normanna, si sarebbe rinvenuto di certo come
nella composizione del medesimo capissero moltitudine di cifre d'abbaco
invisibili ad occhio nudo; e questo teneva per articolo di fede da
mettersi addirittura in fondo al simbolo degli Apostoli, volgarmente
detto il _Credo_.

I Francesi balenarono, e il supremo capitano non aspettando la
disfatta, sonata la raccolta dava opera a provvedere che la ritirata
si eseguisse col minore scompiglio possibile. Senonchè l'uomo propone e
Dio dispone; dopo qualche cento passi i perseguitati perdendo animo e i
persecutori acquistandolo, gli ordini scompigliaronsi, e nonostante le
minacce e le preghiere degli ufficiali, i Francesi ruppero in fuga.

— Sarebbe bene, diceva un ufficiale francese ad un altro ufficiale
mentre levavano a più non posso le gambe verso Bastia, sarebbe bene che
la Francia provasse il capitanato di qualche plebeo, perchè da un pezzo
in qua voi altri signori ci conducete come montoni.

— Non è così, rispose l'altro; gli uomini che combattono per la libertà
valgono tre volte tanto i soldati del re, la più parte dei quali non sa
quello che si fa; taluni come me lo sanno e lo detestano.

Il primo di questi ufficiali si chiamava Dumouriez, il vincitore futuro
di Jemmappes e di Valmy; il secondo Mirabeau di cui la lingua scalzava
il trono di Francia peggio che non avrebbero fatto cento leve di ferro.

Come si confusero gli ordini dei fuggenti, così e più si scompaginarono
quelli dei persecutori pigliando ognuno di essi a spacciare il suo;
anche i cani aizzati dalla fuga crebbero di rabbia sparpagliandosi per
la campagna, e ne successero duelli che sarebbe sazievole riferire.

Non tutti i Côrsi uccisero, nè tutti i cani sbranarono; qualcheduno
all'opposto salvò: basti di questi rammentare Nasone, a cui mentre
scorazzava per le macchie, occorse un Francese giacente, si fermò in
quattro, poi innanzi di accostarsegli fiutò e rifiutò il terreno quasi
per ricordarsi: quando parve essersi rammentato, andò oltre spedito,
venutogli dappresso si dette ad esplorare se fosse morto o svenuto;
bisogna dire lo riscontrasse soltanto svenuto, imperciocchè allora
s'industriò a scoprirgli la piaga, e trovatogliela nella gamba sopra
il ginocchio, dopo avere strappato il panno, si pose a lambirgliela.
Non rimase senza aiuto a lungo nella opera pietosa, che un giovanetto
côrso sopraggiungendo, alle sembianza e alle vesti parve ravvisare il
Francese; egli pure si affrettò a soccorrerlo; piegato il ginocchio a
terra esaminò la ferita; la palla non ci era rimasta dentro ma aveva
lacerato le carni e forte ammaccato l'osso; il dolore e la perdita
del sangue avevano ridotto a tale cotesto infelice; il giovane trasse
fuori della carniera un pugno di fila le quali intinte in certo suo
unguento le appose a modo di faldella su la piaga, indi la fasciò: su
quel subito non ci era da fare altro nè meglio. Tutto intento alla sua
carità il giovane non si accorse che gli era caduto il berretto e molto
meno che un altro arrivato lo stava contemplando in tacita adorazione:
ad un tratto levando la faccia si vide davanti Altobello, onde subito
l'abbassò rossa come la fiamma; Altobello già da parecchio tempo aveva
riconosciuto Serena.

— Da quando in qua voi qui?

E Serena sorridendo: — Da quando ci siete voi; voi avete sparato le
armi che vi caricava io, e porgeva per di dietro. Allora nel vostro
cuore pieno di odio non ci sarebbe entrato di amore nè manco quanto è
grosso un granello di panico; però non avete sentito, che io vi stava
vicino.

Altobello le prese la mano con le sue, e premendogliela forte disse: —
non mi rimproverate, Serena; se vi sapeva di faccia il nemico non avrei
potuto fare altro che coprirvi col mio corpo.

In questa il Francese sciolto un fievole sospiro risensava, ed
acquistata a pena conoscenza di sè, vedendosi accanto quella immane
testa di cane, prese a supplicare così:

— Deh! ammazzatemi di una buona moschettata nel capo, non consentite
che mi sbrani il cane.

— Fatevi animo, signor Rinaldo, voi siete fra amici.

— Ah! signor Bertovello...

— Altobello, corresse sorridendo l'Alando.

— Altobello sì, torna lo stesso; con voi può darsi, ma come mi
trovi fra amici, con questo signore ch'io non conosco, e con questa
bestiaccia che sembra voglia fare di me la sua colazione, non
comprendo.

— Voi siete ingrato, capitano. Nasone ch'è il cane del generale vi
ha riconosciuto amico tra i nemici, e questo giovane, nel quale non
ravvisate la mia sposa Serena, tenendogli dietro vi ha tolto da morte
sicura.

— Domando perdono, madama, e anche voi, signor Nasone; ma sapete,
signor Altobello, che questo farsi accompagnare in guerra dalle donne
e dai cani si rassomiglia assaissimo al costume barbaro altra volta
praticato dai Cimbri e dai Teutoni!

— Mio signore, i Cimbri ed i Teutoni si reputano barbari, e furono,
non mica pei modi di fare la guerra, bensì pel fine della medesima: in
vero disprezzando la terra nella quale gli aveva collocati la natura
uscirono per chiedere ai Romani terra italiana e l'ebbero: voi sapete
come.

— Sta bene; ho capito; il paragone dei Cimbri con voi si attaglia come
la luna co' granchi; ma che volete? Da un uomo che ricupera appena
i sensi dopo quattr'ore di svenimento non si può pretendere una dose
maggiore di buon senso: dicono che quand'anche il mio intelletto tocca
il suo meridiano non si mostri guari più splendido: e mi calunniano:
io vi posso assicurare, che quando mi ci metto, ragiono anche meglio di
così.

— Non istento a crederlo.

— Malizioso! Ma non sarebbe opportuno esaminare un po' se ho qualche
cosa in corpo che non ci dovrebbe stare, come per esempio una palla,
inquilino incomodo e che per giunta non paga pigione...

— State tranquillo; Serena che vi ha visitato e medicato accerta che
la palla lacerò senza fermarsi, cagionando ferita dolorosa, non già
mortale.

— Mille grazie! madama Serena: questo è bello in verità, magnifico:
con vostra licenza procurerò che venga stampato nella _Gazzetta di
Francia_: di barbari che vi proclamavano m'impegno a farvi bandire fra
un mese pei popoli più civili della cristianità per le quattro parti
del mondo. — Rispetto al vostro nome, madama, egli sta per empire le
bocche dei parigini per una eternità, la quale, come sapete, in Francia
si compone di tutta una settimana e talora anche di un po' del lunedì.

— Non vi pigliate questo disturbo, capitano; in quanto a me desidero
che il mio nome non esca dalle pareti domestiche: mi piacerebbe
però che i vostri compatrioti assumessero della mia patria migliore
opinione, e sopratutto consigliassero ad operare più giustamente.

— Come vi accomoda, madama, e adesso, signor Altobello, se non vi
sembra troppa pretensione per un prigioniero, mi vorreste un po'
ragguagliare per mio governo come intendete cucinarmi.

— A me non ispetta dirvelo; voi siete prigioniero di Serena.

— Oh! ma questo sta per diventare magnifico; il valore prigione della
bellezza come nei tempi della cavalleria che in Francia piangono
perduta, ed io ritrovo florida in Corsica: or dunque, madama nemica mia
amica, fatemi trasportare nel vostro castello e tenetemi schiavo della
vostra beltà.

— Se veramente a me tocca decidere su di voi, io considero che in casa
mia manchereste dei comodi ai quali il vivere delicato vi ha forse
assuefatto: inoltre non mi sembra offendere la patria restituendovi
alla libertà, dacchè i suoi destini non penso che dipenderanno da
un uomo di più o da un uomo di meno; in ogni caso la vostra ferita
vi toglie la facoltà per parecchio tempo di trattare le armi. Signor
capitano, voi siete libero; aspettate tanto che la notte infittisca, e
procureremo mandarvi un uomo e un mulo per trasportarvi sino a Bastia.

— Mille milioni di grazie, mia generosa nemica; ma dite un po' quanto
vi piace, voi non m'impedirete di pubblicare con la _Gazzetta di
Francia_ questo atto prodigioso, unico al mondo, e scriverne a mia
madre.

— Voi ci disservireste, signor Rinaldo, disse Altobello, imperciocchè
ci fareste cadere in sospetto dei gelosi patriotti per aver reso la
libertà ad un prigioniero come voi; e co' sospetti ai tempi che corrono
non si canzona.

— Che poi lo scriviate alla vostra signora madre io non dissento, anzi
ve ne prego, soggiunse Serena; e le direte che ho pensato alla sua
angoscia, e ne rimasi impietosita, dacchè tutte le donne che soffrono
sono sorelle; ditele ancora, che presentandosele occasione di sollevare
qualche mio povero compatriota ella lo avrebbe fatto in virtù del
suo buon cuore senz'altro eccitamento, ma se la memoria dello aiuto
prestato al suo figliuolo renderà più consolante la sua voce, più
benevola la sua carità, io penserò che mi abbia rimunerato oltre il
merito.

Il capitano Rinaldo a notte inoltrata, posto come si potè meglio su
di un mulo, era condotto in Bastia: certo sofferse molto, e due volte
svenne; tuttavolta la strada che mena alla libertà non sembra mai tanto
dolorosa da dissuadere veruno dallo scorrerla sino in fondo.

Mentre il generale Paoli stava per mandare intimazione al comandante
Ludre di arrendersi senza indugio, gli fu annunziato un parlamentario
per parte dei Francesi; fattolo subito mettere dentro la stanza lo
accolse secondo il suo costume in piedi e passeggiando. Il cane Nasone
tornato a casa aveva ripigliato il suo ufficio standosene a giacere in
mezzo alla sala. L'ufficiale dopo i consueti saluti espose con parole
succinte, il comandante Ludre avrebbe reso il borgo se in capo a 24 ore
non fosse stato soccorso: intanto gli mandassero i Côrsi provvisioni
di bocca, che verrebbero pagate a prezzo corrente; passate le ore 24,
senza che alcuno uscisse ad aiutarlo, gli fosse lecito abbandonare il
Borgo con gli onori di guerra, le bandiere spiegate, tamburi battenti,
e tornarsene con tutta la sua gente a Bastia, portando seco cannoni,
bagagli e munizioni di guerra.

— Avete da aggiungere altro?

— Non ci è altro.

— Tornate al signor comandante, salutatelo in mio nome e ditegli:
circa agli onori di guerra egli gli avrà tutti; le sue bandiere porti
seco; millanterie nè iattanza garbano ai Côrsi, e chi abusa della
buona fortuna dimostra non meritarla; le umiliazioni inaspriscono
gli animi e piacciono ai barbari o ai vili. Rispetto alle armi e alle
munizioni noi ne siamo privi; bisogna che ce le diate; non vi sarebbe
nè manco onore vincere gente disarmata; gli arsenali di Francia poi
ne possiedono a macca per rifornirvene fra giorni; potrei esigere il
giuramento, che fino a guerra finita non ripiglierete più le armi, ma
ci rinunzio perchè avendo veduto come per ordinario siffatte promesse
non si osservino, voglio risparmiare a voi la vergogna di mancarci, a
me il disgusto di punirvi, caso mai mi ricapitaste fra mano; tutti i
Francesi con queste condizioni escano dal Borgo fra un'ora; gli altri
rimangano. Andate.

— Signor Generale, rispose il parlamentario con voce alterata facendo
sforzi infiniti per contenersi, signor Generale, voi ci trattate come
se ci aveste messo i piedi sul collo; un'ora! ma ci vuole più tempo a
sellare i cavalli. Questa condizione non palesa punto la cortesia che
presumete mostrarci.

— Per Dio santo! urlò il Generale picchiando col pugno chiuso su la
tavola, intanto che i suoi occhi balenarono — e chi siete voi per
vituperare in altrui quello che voi stessi stimate potere fare con
lode? Vi rammentate? Qui.... sono pochi mesi, quando contro la fede
della tregua voi scorrazzavate per Capo côrso, il Nebbio e la Biguglia,
mandai da Lento un messaggio al marchese Chauvelin perchè mi concedesse
sei giorni di armistizio al fine di radunare i rappresentanti del
popolo perchè sopra le proprie sorti deliberassero. Avete obliato
quello, che mi mandò a rispondere? Noi lo ricordiamo: se vi piace
sottomettervi sottomettetevi: tregua non vi si concede nè manco
un'ora. E a ridurre un popolo fiero, che da quaranta anni combatte per
la libertà, al giogo amarissimo del servaggio straniero, mi sembra,
signore ufficiale, che ci volesse un po' più di tempo, che a poche
centinaia di vinti per uscire da un ricinto di case. — Quando voi mi
pagaste cotesta moneta la dicevate fatta di oro di coppella, perchè
coniata da zecca francese; ed ora che io ve la restituisco tale e
quale, non la riconoscerete più? Osereste sostenere ch'io ve l'abbia
falsata? A cui sputa contro vento la saliva ritorna in faccia. Non una
parola di più, partite.

E levandosi l'orologio di tasca lo pose sopra la tavola. L'ufficiale
si partì pensando forse poteva darsi, tutto il torto non fosse del
Generale côrso, e per la presunzione francese non era poco.

Il comandante Ludre radunò da capo il consiglio di guerra; veramente
non s'intendeva a che fare: ma e nelle malattie non si manda pei medici
ed anco più famosi quando l'infermo boccheggia _in articulo mortis_?
L'uomo è schiavo legato alla catena dei costumi. La milizia francese
indi a breve conobbe i patti della resa, e le parvero ostici: perchè la
cosa che abbia virtù di percotere più forte le menti dei Francesi sia
la umiliazione, e volentieri lo confesso, quella che sopportino meno,
e vendichino più presto; ma la necessità gli stringeva con tanaglie di
ferro.

Si trovava allora per caso tra i Francesi al Borgo un Mattei di Lota
traditore e spia, il quale si era condotto al Borgo per rivendere
l'anima sua a minuto indicando strade, scoprendo imboscate, e
commettendo anco di peggio se di peggio avessero avuto i Francesi
bisogno, ed egli protestò di farlo. Avvertito dei patti della resa se
gli sentì appuntare al cuore come la cima d'una spada; però non mise
tempo fra mezzo di condursi ai quartieri del Ludre per dimostrargli
il debito, anzi la necessità di salvarlo ad ogni costo: respinto dal
piantone schiamazzò, pregò e per ultimo minacciò: e furono parole
perdute; convinto finalmente ch'ei diceva le sue ragioni agli sbirri,
si apprese a nuovo partito il quale fu questo: salì sul tetto della
prossima casa, e quindi arrampicandosi giunse a quello del quartiere
del Ludre: qui rovesciò la lavagna murata ad angolo su la cappa del
camino, e bravamente si cacciò giù per la gola fuligginosa. Mentre
il comandante approfittandosi del tempo brevissimo stava per mettere
fuoco ad un fascio di carte portate sul camino, ecco con molta paura
rotolare giù una figura mostruosa, che non avrebbe così di leggieri
riconosciuta, se non si fosse dato pensiero di gridare subito:

— Non dubitate di nulla, signor comandante, sono il vostro confederato
Mattei: ho sentito cosa alla quale mi riesce impossibile credere,
voglio dire che quel traditore del Paoli non vuole ricevere a patti
che i Francesi soltanto, in quanto a lui, cotesto ribelle di S. M.
cristianissima, lo conosco capace di questo e di altro, ma voi spero,
signor comandante, che siete quanta lealtà e quanto onore vivono nel
mondo, rigetterete di certo il vituperio di simili condizioni.

— Non istà in mio potere farlo: dopo la ritirata del marchese di
Chauvelin non mi avanza scelta.

— Voi vi disonorate...

— Io? gridò il comandante, e gli si spinse contro con mano aperta
per dargli uno schiaffo; poi si ritenne aggiungendo con ineffabile
disprezzo; voi non meritate nè anco uno schiaffo; che debito ha con voi
S. M.? Voi vi siete venduto, egli vi ha comprato, e a parere mio più
caro di quello che meritavate; la è partita saldata. Uscite.

Il Mattei voleva ripetere, e dalle labbra frementi e dagli occhi che
schizzavano veleno si poteva argomentare di che razza parole, ma due
granatieri lo acciuffarono, e lui repugnante e sbuffante di un solenne
spintone cacciarono a capitombolare giù delle scale fino a mezza
strada. — Cotesto modo di palesare la propria intenzione parve anco
al Mattei tale da dissuaderlo a tentare da capo col Ludre; si provò a
procacciarsi miglior ventura co' soldati; aveva dimessa ogni petulanza,
dalla procacia trapassando alla più abietta umiltà, supplicava lo
ricevessero nelle loro fila, sopportassero fingerlo camerata; la carità
non fa macchia, o fatta, ella stingerla con le proprie mani subito;
deh! non impedissero che vestita l'assisa soldatesca, si mescolasse fra
i granatieri.

La più parte di cotesti militi repugnava non comprendendo, o ricusando
capire, che se il tradimento frutta infamia, metà appartiene a cui
lo commette e metà a cui se ne approfitta; ma un sergente che già fu
usciere di Parlamento, e risegnò lo ufficio affermando, che gli pativa
meno l'anima di vedere ammazzare la gente colla spada che con la penna,
chiesta ed ottenuta a parlare licenza osservò come il punto adesso
stava nel ricattarsi; però più che mai abbisognare essi di gente devota
che per un po' di danaro mettesse a repentaglio per loro anima e corpo:
considerassero che incominciava allora la guerra: anco le spie comporre
fra loro un'arciconfraternita, e di che tinta! questo rispettabile
corpo si terrebbe offeso dello abbandono di uno dei suoi membri: non
per lui certo, ma per proprio interesse persuaderlo a tenerlo bene
edificato, non rifiutandogli l'ultimo rifugio nel quale confidava
la sua salute. Cicerone non poteva orare di meglio nè persuadere più
arguto: lasciarongli pertanto vestire la militare assisa e confondersi
fra loro.

Dalla rottura di una trincera incominciarono a defilare i vinti;
volevano passare a due e a tre, ma venne loro impedito; e fu mestieri
adattarsi a uscire ad uno per volta; mala parola era questa pel Mattei,
il cuore gli s'impiccolì; pure nelle sembianze si mantenne sicuro;
sperava sempre non badassero tanto pel sottile. A mano a mano che si
accostava però gli venne fatto di notare con terrore, che Minuto Grosso
con una schiappa di pino accesa stava agguardando tra ciglio e ciglio
chiunque passasse; ora per maledetta disgrazia egli aveva pratica
con costui; lo avrebbe riconosciuto di certo, denunziato, tradito;
e il sudore freddo gli gocciolava lungo la schiena; ma forse sotto
altre vesti poteva sfuggirgli, e poi Minuto Grosso aborriva restare
lungamente a gola secca e l'acqua detestava quanto la sete; non era da
credersi che giusto in quel giorno ei si fosse astenuto dal bevere;
e gli tornava il cuore in corpo: intanto egli si avvicinava; ora la
coscienza tormentandolo da capo gli faceva toccare con mano che Minuto
Grosso non era stato preposto costà per nulla, e quello specolare
uomo per uomo chiariva espresso che qualcheduno cercava; e il Mattei
tornava a sdilinquire; ma su coraggio, che non vorrà riconoscermi,
e farà la gatta di Masino: diavolo! avevano bevuto insieme; egli era
come mettergli la corda al collo; non si tradiscono così i compari, gli
amici, i patriotti....

— Eccolo là; pigliatelo, costui è il traditore.

Queste parole tagliavano a mezzo le consolanti speranze del Mattei; e
così stavano ammaniti a mettergli le mani addosso, ch'ei si trovò preso
e legato quasi prima di essersene accorto. Qualcheduno dei granatieri
francesi, certo spinto da indole generosa, fece atto di proteggerlo, ma
in quel punto essendosi fatte sentire queste altre parole che pronunciò
il capitano Decio:

— Anche questa si doveva vedere! i granatieri di Francia coprire con la
propria divisa un traditore.

I granatieri rimasero impietriti; e dopo breve ora si allontanarono con
celeri passi e fronte abbassata.

Il Mattei tratto davanti al consiglio di guerra si voltò a destra, e
con istupore ravvisando un suo parente esclamò:

— Queste cose si fanno a un parente, Lorenzo?

E quegli gli rispose:

— Non ti si fanno come a parente mio, ma come una carne con Anton
Francesco Gafforio, che vendè il sangue del fratello ai Genovesi.

Allora colui piegò a sinistra e riconobbe in chi lo teneva il suo
fratello:

— E tu mi meni alla mazza, Liborio? Non sono più tuo fratello?

— Sì, come Caino lo fu di Abele.

— Compatriotti, ammiccando col capo in giro gridava, rammentatevi che
sono dei vostri.

— Anche Giuda fu degli apostoli.

Breve il giudizio; riconosciuto e condannato.

Oltre la _Relazione_, il signor Giacomo Boswell lasciò scritte
parecchie memorie intorno ai fatti degni di ricordo, ch'ei vide; tra
queste occorre uno scritto su la tragedia del Mattei, il quale merita
di venire riportato con le sue medesime parole:

«Condannato ch'ei fu, narra il dabbene inglese, immaginando che lo
avrebbero spedito a suono di moschettate, e forse come era piuttosto
da credersi con la corda, io aveva pensato di andarmene a cena e
poi mettermi al letto, chè le fatiche della giornata mi avevano reso
indispensabili il cibo e il sonno; dalle otto della mattina in poi
non era entrato altro nel mio corpo che una libbra di pane, forse due
dozzine di albicocche, un poco di lonzo (molto celebrato dai Côrsi, ma
da farci poco capitale su), un tocco di formaggio di capra (delizioso
in verità!) ed un pezzo di castrato arrostito, sicchè si poteva dire
ch'io m'era quasimente digiuno: ricordo che, avendo voluto vedere l'ora
che faceva, cavai l'orologio di tasca e postomelo sotto gli occhi mi
balenavano così che non potei distinguere i numeri: allora compressi la
molla perchè sonasse, e avrà sonato perchè nè allora nè poi lo rinvenni
mai guasto, ch'egli era dei buoni, avendolo comprato a Londra da Doddy
figlio e compagni, dieci lire sterline: ma non sentii nulla; tanto mi
aveva intronato lo strepito della lunga battaglia; nondimanco al lume
dei pini accesi scorsi consegnare il traditore a sei uomini, tra i
quali un prete: essi lo legarono su la groppa di un mulo a mo' di sacco
e lo ricopersero di una sargia nera; subito dopo montarono a posta loro
a cavallo traendo sospiri e facendo atto di disperato dolore: — povera
gente! gridava dietro il popolo, non meritavano questa angoscia. — La
curiosità di sapere come andava a finire cotesta faccenda mi tolse
per incanto il sonno e la fame: però considerando che se al sonno
non poteva rimediare, lo stesso non era a dirsi della fame; andando
sul cavallo mi empii le tasche di roba buona a mangiare; e comecchè
perdessi qualche tempo, non mi fu difficile raggiungere la compagnia
pel chiarore che mandavano da lontano le schiappe di pino; quando venni
appresso di loro essi non mi salutarono: non m'invitarono a seguitarli,
non mi respinsero; fecero le viste di non accorgersi di me: viaggiammo
tutta la notte; l'alba ci colse in riva al mare dalla parte meridionale
dello stagno di Chiurlino presso la punta di Arco. Scesero tutti e
trassero il traditore da cavallo; già pareva fatto cadavere, ma la
posizione diversa, la brezza mattutina o che altro si fosse gli ravvivò
la faccia, onde ei rivolse attorno gli occhi consapevoli. — Nicolò,
bisogna morire — disse uno della compagnia. — Come morire? rispose con
fievole voce il traditore, io non mi vedo attorno che parenti; quei
del mio sangue mi hanno menato qua per ammazzarmi? — I circostanti col
capo accennarono di sì. — E voi pure, sacerdote di Dio, siete venuto
qui per ammazzarmi? — Il prete lo guardò truce e non rispose nulla;
però voltosi agli altri disse così: — Parenti miei pei meriti vostri e
per quelli dei nostri illustri maggiori avete ottenuto che costui non
morisse di corda, bensì fu commesso a voi farlo sparire dal mondo nel
modo che paresse più onorato per noi, credete voi dopo ciò potergli
lasciare la vita? — Agitarono tutti violentemente il capo da destra
a sinistra. — Parenti, figli dei miei zii, fratelli miei, lasciatemi
vivere; vi dono quanti denari tengo addosso, e quanti altri tengo
sotterrati a Bastia. — Un potentissimo schiaffo gl'insanguinò le labbra
mentre a coro urlavano d'intorno: — Taci.

Il prete riprese a parlare: — Parenti, io vi accompagnai disperato di
salvargli la vita del corpo, ma con ferma fiducia di scamparlo alla
morte dell'anima; fatevi un po' in là tanto che lo riconcilii con Dio.

— Questo non sarà, interruppe il più vecchio dei parenti; deve morire
intero; anco Giuda rovinò disperato nell'inferno.

— Ah! Lucantonio che bestemmiate mai! La misericordia di Dio ha sì gran
braccia, che piglia tutto ciò che con pentimento vero si rivolge a lei.

— Prete Barnaba, insistè il vecchio, io non costumo troppe parole:
questo è il mio pensiero; voi mi siete nipote di fratello, vi ho
allevato come figliuolo e più vi voglio bene; ora bisogna che scegliate
a vedere me o lui in paradiso; perchè caso mai si salvasse, ed io
lo avessi ad incontrare lassù, prima gli sputerei in viso, e gli
spaccherei il cuore anche sulle ginocchia del Padre Eterno, poi direi a
San Pietro, aprimi l'uscio, il paradiso non fa per me; vado all'inferno
per vedere se ci tira miglior vento.

Il povero prete levava ambedue le mani giunte al cielo per supplicarne
Dio a turargli gli orecchi per non sentire coteste immanità, o almanco
condonarle alla passione di quel fiero vecchio vissuto per sè e pei
suoi fino a quel punto incontaminato; non durò molto cotesta preghiera,
e pure bastò perchè nello intervallo tra la prima e l'ultima parola
un'anima fosse cacciata per violenza fuori del suo corpo mortale; il
vecchio di un colpo in mezzo al cuore lo freddò; poi vedendo che gli
altri parenti si allestivano di sparargli addosso i propri schioppi, ne
rialzò la canna dicendo: — Basta; ei non valeva una carica; voi serbate
le vostre pei nemici della patria.

Il prete a sentire lo scoppio era caduto in ginocchioni esclamando: —
Signore, perdonalo.

Intanto i parenti dopo aver frugato sottilmente il cadavere, e
levatogli da dosso tutto quello che si trovava di contante, lo
avvilupparono dentro la sargia nera, e al collo e ai piedi gli legarono
due enormi sassi; quindi cercata e trovata una delle barche che colà
solevano ordinariamente dar fondo per la pesca dello stagno, in quella
deposero il corpo, e dato mano ai remi andarono in alto mare dove lo
precipitarono. Il vecchio ch'era rimasto sulla riva, mostrando allora
accorgersi della mia presenza, mi strinse il braccio dicendo:

— Signore inglese, voi racconterete ai vostri come si puniscono i
traditori in Corsica.

— Tuttavolta, io risposi, salvo l'onore vostro, mi pareva che un po' di
sepoltura cristiana non avesse guastato nulla.

   [Illustrazione: .... senza pigliare nè cibo nè riposo, nella
   notte picchiò di casa in casa, levando i mariti dalle braccia
   delle mogli. (_Cap. IX._)]

E l'altro con piglio severo: — No signore, sarebbe stata cosa indegna
ch'egli dormisse nel seno della madre che aveva tradito: i traditori
non appartengono a veruna religione — e mi voltò le spalle. Meditai
profondamente su cotesto fatto; guardandolo con occhio inglese mi si
aggricciavano le carni; mi provai considerarlo sotto altri aspetti e
mi parve che potesse stare. Tanto è, i santi vanno veduti nelle loro
nicchie; però quel danaro grancito addosso all'ammazzato mi tornava
a gola; il sospetto dell'avara crudeltà guastava ogni più benevola
interpretazione. Parecchi giorni dopo mi abbattei per le vie di Corte
nel medesimo vecchio; vestiva a lutto, e camminava con la faccia
bassa; scosso dal mio saluto la sollevò a stento; povero uomo! in pochi
giorni aveva vissuto anni, e di quelli ultimi che mettono proprio capo
al sepolcro: pensai di offrirgli una presa di tabacco per pigliarne
occasione di scoprire marina; ma devo confessare a mia lode, che
detestai subito lo spediente come ipocrito e ingeneroso, avrei voluto
vincere la mia curiosità, ma non potei, che questa malattia mi ha messo
il tarlo nelle ossa, onde scegliendo mostrarmi piuttosto che finto
impronto, domandai:

— Qualche nuovo dolore?...

— E oh! quanto grande!... quanto grande mio Dio! — e pianse come un
bimbo battuto.

— Chi affanna sa consolare...

— Ormai mi sento in fondo di angosce e di consolazioni; tra breve
Lucantonio terrà dietro al meschino Barnaba...

— Barnaba! Il prete è morto?

— Ohimè! quell'angiolo volò al paradiso, voglio dire ce lo hanno fatto
volare, perchè se dipendeva da lui sarebbe rimasto a chiudere gli occhi
ai poveri genitori.

— O come l'è andata? — mi scappò senza che la potessi agguantare, ma il
vecchio riprese:

— Vi rammentate che pigliammo la moneta che trovammo addosso al
traditore?

— E come! soggiunsi io, ed egli:

— La consegnammo al prete, perchè egli la riportasse ai compratori
di cotesta anima dannata; e il prete a giorno alto si recò a Bastia
dove chiese di parlare al generale; caso volle lo menassero dal conte
di Marbeuf, il quale non rimase morto, bensì ferito nella spalla:
e siccome la piaga lo costringe a starsi lungamente inoperoso, si
arrovella come cane arrabbiato e giura d'impiccare con le sue mani
quanti religiosi gli capiteranno sotto. Intromesso da lui il prete
Barnaba gli disse, che gli riportava il prezzo del tradimento, e forse
avrà anco aggiunto, perchè me lo promise, che ai popoli grandi se non
piace la giustizia dovrebbero almeno astenersi dalla viltà: i Francesi
avere a vincere col ferro non coll'oro; massime i Côrsi, che di petto
a loro erano, si poteva dire, come una mosca accanto all'elefante.
Gli uomini quando mancano di scusa rispondono con le ingiurie, però
il Marbeuf stizzito favellò: — I preti sogliono col prezzo del sangue
comperare campi; di fatti con quello di Giuda non acquistarono il
terreno del pentolaio? Prete, tenetevi cotesto denaro: il vostro cugino
se lo guadagnò in buona coscienza. Prete, il danaro non manda puzzo, e
questo attestò l'imperatore Vespasiano a Tito quando gli pose sotto al
naso la moneta del dazio su i cessi. — Il cugino Barnaba era un agnello
di mansuetudine, tutto pazienza, tutto amore di Dio: ma Graziano,
che gli stava accosto, lo vide alle provocazioni del malnato conte
diventare bianco come il lenzuolo, e prima che lo potesse impedire, il
cugino Barnaba gli allungò uno schiaffo così potente che dal seggiolone
dove stava seduto il conte stramazzò in terra. Ne nacque un tafferuglio
da non si potere con parole raccontare. Graziano si approfittò della
confusione per svignarsela, e come a Dio piacque gli venne fatto; prete
Barnaba rimase senza muovere passo nè mostrar paura: preso, bistrattato
e battuto non fiatò; accusato non si difese, condannato non maledì;
solo quando venne tratto sopra la piazza di santo Nicolaio, a voce
spiegata intuonò il _Te Deum_; e poichè giunto sul luogo non lo avea
finito; chiese in grazia glielo lasciassero cantare fino in fondo;
la quale cosa ottenne; dopo il _Gloria Patri_ piegò i ginocchi e le
palle soldatesche ruppero quel petto dentro al quale l'amore di Dio
e della Patria stavano come dentro al santo ciborio: ahimè! povero
prete Barnaba, la tua morte mi ha rotto le ossa e l'anima: e adesso mi
consumerò desolato per essere privo della tua cara faccia e più ancora
per non poterti vendicare.»

Qui finisce su questo fatto il giornale del signore Giacomo Boswell
intorno al caso del Mattei di Lota traditore della Patria.

Per la presa del Borgo vennero in mano dei Côrsi 1700 schioppi, tre
cannoni, dodici barili di polvere, diciassettemila cartocci, oltre
ad inestimabile quantità di attrezzi ed altre munizioni da guerra, le
quali nelle angustie in cui si versavano i Côrsi, furono provvidenza di
Dio.

I Francesi che vittoriosi avevano ricusato concedere tanto di tregua,
la quale bastasse a consultare la volontà del popolo intorno ai
provvedimenti di suprema salute, adesso, vinti, mandavano i padri
serviti Caracciolo e Marazzani a chiedere sicuri i quartieri da
inverno: rispose il Paoli, che sicurissimi e' li potevano avere
tornandosene a casa, e lasciando senza invidia ai Côrsi poveri tugurii;
ma poichè questo a loro non garbava, offerse starsene quieto, a patto
che essi si ritirassero nei presidii; nè anche ciò piacque; onde la
guerra durò moltiplice, varia di fortune, copiosa di morti, eccitamento
a offese più acerbe.



CAPITOLO VIII.

Gioco del Lotto

                        Ah! se sapesse il mondo il cor che egli ebbe.

                                                             Dante


In una giornata d'inverno lugubre, quando tutti gli oggetti paiono
tinti in colore di cenere, e dal cielo piove acqua e fastidio, il
generale Paoli, solo nel suo studio, stava scrivendo una lettera; e'
pare che si trattasse di faccenda seria, perchè risparmiando l'opera
del segretario, ei si piegasse contro il suo costume a scrivere da sè;
questo giudizio poi avrebbe raffermati due cotanti il doppio, quale
avesse visto il generale rimpiattare precipitoso il foglio sotto altre
carte, appena sentì girare la stanghetta della porta: quindi voltando
un po' risentito la testa, domandò:

— Chi è? — E stava per aggiungere qualche parola di rimprovero, ma al
comparire che gli fece davanti la placida faccia del signor Giacomo
Boswell sempre vestito color di piombo, sempre dondolante la sua
tabacchiera nelle mani, sempre atteggiato dalla perpetua sua curiosità
a punto d'interrogazione, sentì, nonostante le cure, passare nella
propria anima l'aura soave che spirava dall'anima dell'inglese dabbene.

— Orsù, incominciò il Boswell, io vengo a dirvi addio, e certamente
sarebbe questa l'ora più trista della mia vita se vi lasciassi senza
la speranza di rivedervi in breve e di operare durante la mia breve
assenza in pro' della vostra patria e di voi.

Il Paoli tentennato il capo, rispose:

— Ah! mio caro, ormai io temo la sia spacciata per la mia patria....

— Come questo? Mi parve all'opposto che ella non provasse mai miglior
fortuna, nè fama più grande di adesso....

— Può darsi in quanto a fama; rispetto a fortuna, o Dio! ella si disfà
nelle sue vittorie....

— Non capisco, voi avete vinto al Borgo, a Migliaia, a Olmeta,
all'isola Rossa, a Murato e in cento altri scontri; ciò reca animo a
voi, sconforto ai nemici.

— Ogni scontro ci apre una vena, e il sangue gronda da tutto il nostro
corpo; ai Francesi poco nocciono le morti, meno le ferite: per uno che
ne muoia ne surrogano quattro vivi: se vincono, pigliano baldanza, se
perdono, raddoppiano la pertinacia e le forze. Tutte le nostre vittorie
non impattano la presa di Barbaggio.

— Bene; vorrete darmi ad intendere disperata la fortuna côrsa perchè
espugnarono un villaggio e fecero forse un 250 prigioni?

— Cotesto villaggio apre e serra il Capo côrso; i 250 prigionieri sono
i migliori soldati ed ufficiali che possedesse la Corsica. Ogni giorno
noi ci stremiamo e i Francesi su 38 vele scortate da tre fregate e due
sciabecchi hanno a questi giorni spedito otto battaglioni di rinforzo;
segreti avvisi mi annunziano prepararsi per la primavera una spedizione
con il conte di Vaux a capo, e 40 mila uomini di accompagnatura;
munizioni copiosissime, tesoro infinito; premio dell'impresa il bastone
di maresciallo al capitano. E come tanto non bastasse ad assicurare
la vittoria, dopo impugnate le armi dei forti non trascurano le vili,
comprano il tradimento, forse anco l'omicidio; certo è che spingono a
prezzo d'oro il fratello a insanguinarsi con la strage del fratello.

— Benissimo. Ciò contrasta a quanto mi venne referito, che il
reggimento real côrso al soldo di Francia, avendo dichiarato che non
patirebbe combattere contro la patria, ne ottenne scusa.

— Anzi plauso: vecchie lustre, che presero e prenderanno fino al
terminare dei secoli i credenzoni; intanto i Buttafoco, il Boccheciampe
arrolano compagnie côrse in Bastia, il Capitano Cannocchiale in
Tavagna, i Fabiani nella Balagna.

— E voi che fate?

— Io? Chi posso impiccare, senza misericordia impicco; altri a cagione
delle grandi aderenze e del pericolo d'inimicarsele bandisco: chi non
arrivo, lascio stare — insomma mi trovo al verde; appena faceste rumore
all'uscio mi prese vergogna e nascosi un foglio; ora mutato consiglio
io ve lo vo' mostrare, perchè giudichiate a che termine siamo ridotti,
e perchè mi sembra che ciò faccia più scorno al mondo che a me.

Qui cavò il foglio e lo pose sotto agli occhi del Boswell, che si
schermì un pezzo da leggerlo; vinto poi dalla curiosità propria e
dall'insistenza del Paoli lesse: «la prego farmi il solito gioco
alla benefiziata con la estrazione de' numeri praticata altre volte.
Alla signora monaca suora Maria Domenica Rivarola a Livorno. Corte, 9
gennaio...» — Il signor Giacomo levando il capo, soggiunse: «e questo
cosa vuol dire?»

— Vuol dire, che mi bisogna confidare al giuoco del lotto la salute
della patria.

— O le prese del capitano Lazzaro Costa?

— La prima volta su le spiagge di Provenza s'impadronì di una tartana
con 334 barili di polvere e qualche cento schioppi; la seconda qui
presso Aiaccio di un'altra tartana che portava sei ufficiali, 64 mila
franchi, e non so che altre masserizie d'oro, una fava in bocca al
leone.

Il Boswell rimase pensoso, e dopo avere picchiato due o tre volte la
tabacchiera, disse:

— Io vado in Inghilterra; non vi prometto troppo, perchè dopo il
mantenere poco, il promettere troppo sia ciò che massimamente detesti;
ma se il governo non vi aiuta, non istarà certo nè pei miei amici,
nè per me: solo vorrei che voi figurando entrare nei miei piedi mi
suggeriste un po' che cosa avessi a dire.

— S'io fossi in voi, parlerei così: Inglesi, voi vi date vanto di
emulare i Romani; e certo lo dovete, imperciocchè non si arrivi senza
il consenso di Dio alla suprema altezza, la quale impone obblighi alla
stregua dei doni; dove il popolo fatto grande trascuri il debito di
difendere il debole, di promuovere il bene degli uomini, di schermire
la libertà, commette peccato, diventa inutile, distrugge le cause della
sua vita, prendono a combatterlo di fuori l'odio, dentro lo sfinimento,
e languisce maledetto come le cose maligne abbandonate dalla potenza.
Volete vedere, aggiungerei, come si comportassero i Romani coi deboli
minacciati da ingiusti potenti; leggetelo nel capit. VIII del libro I
dei Maccabei. Il Paoli prese la Bibbia e ad alta voce lesse: «e Giuda
ebbe contezza dei Romani e della loro possanza, e come concedessero
quanto loro si domandava e pigliassero in protezione chiunque a
loro si accostasse; — sentì delle loro guerre e delle imprese fatte
nella Galazia, la quale vinta avevano sottoposta a tributo; — e le
grandi cose operate nella Spagna e come si fossero insignoriti delle
miniere dell'oro e dell'argento governando il paese colla pazienza e
col senno — terre lontanissime soggiogassero, rompessero re mossi a
danno loro dalla estremità della terra, gli stritolassero, con fiera
battitura li percotessero; gli altri poi avessero accolto a patto di
tributo annuale; Filippo e Perseo re dei Macedoni scopertisi nemici
prostrassero in battaglia; — e con pari ventura mandassero Antioco il
grande re dell'Asia sceso in campo con 120 elefanti, cavalli, carri
e potentissimo esercito; e preso che l'ebbero ordinarono pagasse un
grosso tributo in perpetuo e desse ostaggi secondo il convenuto; le
provincie conquistate, copiose di beni, donarono a re Eumene.

«Ora quei della Grecia avendo disegnato di abbatterli, essi lo seppero
e andarono sotto il comando di un capitano a fare battaglia con loro,
molti ne uccisero, le mogli e i figliuoli ridussero in ischiavitù,
disertarono il paese, occuparono le terre, sovvertirono le mura, i
superstiti fecero servi come anco adesso sono. Con quelli poi che loro
amici si protestavano e alla loro fede si commettevano mantenevano
lega, regni prossimi o lontani donavano, perchè dovunque giungeva
il nome di loro li temevano forte. — Quelli che essi consentivano a
lasciare sul trono regnavano, gli altri cacciavano, sicchè in ogni
parte gli esaltavano; e non pertanto veruno tra loro portava diadema,
nè porpora per pompeggiare con quelli; bensì avevano eletto un senato
dove ogni dì 320 persone deliberavano le faccende del popolo per fare
quanto credevano spediente; a capo di anno conferiscono il maestrato ad
un uomo perchè regga lo stato: gli obbediscono tutti senza invidia nè
gelosia fra loro. Allora Giuda deputò Eupolemo figliuolo di Giovanni,
e Giasone figliuolo di Eleazaro per mandarlo a' Romani a stringere
lega d'amicizia con essi; affinchè gli liberassero dal giogo dei Greci,
considerando come questi s'industriassero a ridurre in servitù il regno
d'Israele. E quelli andarono a Roma, che fu lungo cammino; dove entrati
in senato favellarono così: Giuda Maccabeo, i suoi fratelli ed il
popolo dei Giudei ci mandarono a voi per fermare lega e pace con voi,
e perchè ci scriviate tra i confederati ed amici vostri. E la proposta
piacque. Ecco il rescritto il quale inciso sopra lastre di bronzo
spedirono a Gerusalemme perchè vi stesse pei Giudei monumento di questa
pace e confederazione: «Felicità ai Romani ed alla gente giudea in mare
e in terra eternamente: lungi da loro la spada e il nemico; che se i
Romani o taluno dei loro confederati si troveranno primi in guerra, la
gente giudea darà soccorso con pienezza di cuore secondo la ragione dei
tempi; e ai combattenti Giudei non somministreranno armi, nè danaro,
nè navi, così essendo piaciuto ai Romani, e quelli obbediranno senza
pretenderne soldo. Parimente se prima la gente giudea avrà guerra, i
Romani la sovverranno con animo pronto, giusta la qualità dei tempi; e
agli aiuti romani non somministreranno i Giudei armi, danari o navi,
così piacendo ai Romani, e gli aiuti obbediranno senza frode. Questo
è il patto fra Romani e Giudei. — Oltre a ciò rispetto alle ingiurie
arrecate loro dal re Demetrio gli abbiamo scritto di questo tenore:
«per quale cagione hai tu reso più duro il giogo ai Giudei amici e
confederati nostri? Se dunque essi ricorreranno di nuovo a noi, noi
faremo loro giustizia movendoti guerra per terra e per mare.»

Tali i Romani favellavano, tali erano; non basta gridare: _civis
romanus sum_; bisogna sentirsi nel cuore e nelle braccia romano;
queste cose dite ed altre che saprete aggiungere di vostro, e forse vi
ascolteranno.

— Bene; e voi sperate che in questo modo verremo a capo
coll'Inghilterra perchè pigli andatura degna?

— Ho detto forse; certo non mi nascondo punto che i nobili vi sono
superbi, le plebi abbiette ed i borghesi intenti ai guadagni, ma non
tutti così; e poi anco i pessimi colà amano il vivere libero; ora la
libertà non è, come i borghesi pensano, un bel cappone da metterlo in
istia e mangiarselo a Natale in famiglia.

— Sì bene la libertà non è un cappone per metterlo in istia....

— E fate loro toccare con mano che la libertà, fra tutti gli astri
bellissimo, per diffondere di raggi non iscema luce; la sua vita sta
in questo, ricevere lume da Dio e tramandarlo ai mortali. Il giorno nel
quale le impediranno il santo ministero, ella ripiglierà il cammino del
cielo come l'operaio terminato il lavoro torna a casa; e la notte della
tirannide calerà su tutto il mondo.

— Addio dunque, signor Paoli: il tempo stringe così che far subito non
mi parrebbe presto abbastanza; vi prego dei miei saluti al rispettabile
vostro signor fratello Clemente e a tutti gli altri egregi uomini e
dilettissimi amici, massime al signor Altobello, — e già da un pezzo
teneva in mano la destra del Paoli e la squassava con forza bastante
a stiantare una imposta dalle bandelle; finalmente si staccò, e il
Paoli comecchè si sentisse indolenzito fino alla spalla, pure facendo
bocca da ridere si ammaniva ad accompagnarlo in istrada per metterlo
a cavallo, quando di botto il signor Giacomo si voltò a Nasone e gli
disse:

— Mi rincresce proprio, Nasone, di andarmene senza lasciarvi un pegno
che valga a rammentarvi la stima in che vi ho, e lo amore che vi
porto. La natura avendo pensato a farvi le spese in quanto a vestiario,
qualcheduna delle mie spoglie non sarebbero al caso. — Intanto aveva
stesa la mano, e il cane intendendo ottimamente che si cercava la sua
zampa, gliela porse; così stretti insieme faccia appuntata a faccia,
il Boswell proseguì: — Anelli non sono adattati per le vostre dita, e
poi non convengono ad uomo, nè a cane libero; rispetto ad ore voi vi
servite del sole, sicchè avente in tasca gli orologi di Doddy figlio
e compagno di Londra con tutti i fabbricanti di orologi nel mondo. A
tutte queste cose il cane rispondeva; come rispondeva? Sì signore, ei
rispondeva in due maniere, e però con una più che non saprebbe fare
l'uomo, con uno schiattìo e con uno agitare della coda; ora questo
ultimo è fuori della potestà dell'uomo. — Ma, riprese il Boswell,
affatto affatto senza ricordo non vo' che ci separiamo, prendetevi
queste che ordinai apposta per voi — e rovesciatosi le tasche ne
versava una pioggia di ciambelle di farina e mele; il cane non
assuefatto a cotesto lusso, stette da prima in forse s'e' fossero per
lui; poi rassicurato da un cenno, svincolata la zampa, ci si avventò
sopra infuriato menandone strage, mentre che il signor Giacomo con
voce melanconica terminava il suo discorso: — Tutto passa nel mondo,
le nostre sensazioni, i nostri affetti e noi, e nondimeno desidero,
Nasone, desidero e spero che serberete memoria di me anche quando
avrete mangiato e digerito le vostre ciambelle che ho impastate colle
mie mani, e fatte cocere sotto i miei occhi.

Quantunque la parte finale della orazione fosse senza dubbio la più
commovente, bisogna confessarlo a scapito della fama dei cani in
generale, e di Nasone in particolare, fu la meno ascoltata; il Paoli,
che pure non aveva costume di ridere, si sentì costretto a mettersi una
mano su i labbri perchè non si aprissero; però nel tempo stesso ei fu
obbligato a levarla fino sugli occhi, parendogli che qualche cosa, come
sarebbe un bruscolo, stesse sul punto di farglieli lagrimare.

                   *       *       *       *       *

Difatti Altobello d'Alando era stato preposto col comandante Carlo
Raffaelli alla custodia del Borgo; cotesto luogo come un calcio in
gola molestava i Francesi, imperciocchè oltre a tenere difesa tutta
la Corsica, offeriva posta unica per vigilare le mosse del nemico,
sorprenderne le frazioni, apparecchiargli imboscate; insomma con ogni
maniera di fastidii tribolarlo; non pareva spediente al comandante
francese tentare di ricuperarlo, ma d'altra parte studiavasi il modo di
rintuzzare la baldanza del presidio; su tutti preso di mira Altobello,
come colui che le arti della milizia unendo agli audaci accorgimenti
della guerra guerreggiata arrecava danni quotidiani e insopportabili.

La madre Francesca Domenica, affermando che starsene lontana dal
figliuolo le pareva rimanere senza cuore, aveva tenuto dietro al
figliuolo al Borgo, e Serena considerandosi e considerata ormai sposa
di Altobello ci seguitava la socera; le donne si erano accomodate in
certe stanzette dove sembrava loro albergare come in paradiso, dacchè
Altobello quasi ogni dì andasse a passare parecchie ore con esse loro.
Bene o male che facesse, egli costumava tacere le fazioni, che era per
imprendere, le raccontava compite, sicchè quelle donne cominciavano a
sentirlo rabbrividendo, e diventando bianche come panni lavati; quando
poi giungeva in fondo del racconto il cuore palpitava più forte, e
il sangue sobbolliva loro nelle vene, nell'orgoglio di avere un tanto
figlio e un tanto amante.

— Buona sera, Altobello, scotendosi giù dal pilone copia di neve
fioccatagli addosso, disse un uomo dalla soglia del quartiere del
giovane ufficiale verso l'un'ora di notte di una rigidissima giornata
di gennaio; buona sera; dove diavolo siete? O perchè non avete acceso
il lume?

— Chi siete, e perchè m'importunate? A me piace stare al buio.

— Via, accendete la lucerna, mi ravviserete alla faccia, giacchè della
mia voce non vi ricordate più.

Altobello appena ebbe fatto lume esclamò:

— To', Bastiano, come sei qui?

— Con le mie gambe, padrone; prima di tutto ecco qui un broccio che ho
fatto proprio per voi; una volta vi piaceva tanto, e spero che i viaggi
non vi avranno fatto pigliare in uggia la roba di casa.

— No davvero, ma donde vieni?

— Adesso di poco lontano; ma fin qui stetti pei poggi a pascolare le
bestie di casa, or fa due giorni mi mandò a chiamare sciò Mariano,
perchè si sentiva male e credevano che morisse; stamane parve si
sentisse un po' meglio, e chiamatomi mi ha consegnato una lettera
perchè ve la portassi al Borgo; io per rivedervi, dopo tanto tempo, ve
l'avrei portata a casa del diavolo; però ho preso un paio di brocci
tanto per non venire con le mani in mano, mi son messo la via tra le
gambe ed eccomi qui co' brocci e con la lettera.

— Dà qui la lettera, e i brocci porterai a casa, perchè mamma Francesca
Domenica è venuta a tenermi compagnia a Borgo.

— Veramente sciò Mariano mi ha raccomandato di consegnarvi la lettera
senza che persona se ne accorgesse, ed anco di non farmi vedere
da alcuno, ma certamente egli ignorava che si trovasse con voi la
Francesca Domenica.

Altobello aperse la lettera, la lesse di un tratto; tornò quindi a
leggerla a riprese, soffermandosi per pensare sopra ogni periodo; alla
fine disse:

— Bastiano, e ti è parso veramente che mio fratello si trovi a mal
termine?

— Io l'ho sentito lamentarsi notte e giorno.

— Bastiano, ma dal viso, dalla persona, questo suo gran male apparisce?

— In quella sua faccia gialla si legge come in cotesta lettera mentre
era sigillata, quanto a mangiare, per quanto mi sia accorto io, non
ha mangiato, ma sciò Mariano fu sempre di poco pasto, sia che voglia
acquistarsi il paradiso in virtù di digiuni non comandati, o che altro;
bisogna dunque starci a quello che dice; e quello ch'ei dice è che si
sente vicino a comparire davanti a Dio, e che ha commesso di peccati
grossi, massime contro voi, e crede fermamente che andrà dannato dove
non vi abbia chiesto e voi datogli perdono; poi non so altro, e d'altro
non m'intendo.

— E in casa ci hai tu visto gente?

— Nessuno; però date retta, mentre usciva per venirmene a voi, una
maniera di scimmia, una sconciatura di zitella, o donna che fosse,
grama e colore di foglie di castagno quando cascano, mi passò d'accanto
montata su di un cavallo; andava via come una saetta e per poco non
m'investì; intanto che mi volto per dirle; a rotta di collo, la vedo
ferma dinanzi la porta di casa sciò Mariano, scende, getta le briglie
sul collo al cavallo, che rimane lì come impietrito, ed in un attimo
entra; altro non so.

— Bè; fatti insegnare la casa di mamma, tu troverai con lei un'altra
persona; salutale ambedue, e di' loro, che se per istasera non mi
vedono non istieno in pensiero; tu puoi fermarti finchè non ritorno.

Bastiano uscì; egli era il pastore di casa Alando; fino a pochi dì
innanzi erasi trattenuto con le mandre su i poggi lasciando mano a
mano i più alti per ridurle secondo il solito nel core del verno alle
marine; del successo fra i fratelli Alando non sapeva molto; però
estimavasi sempre uomo di tutti e due; poco si sentiva propenso verso
Mariano, e dalle sue parole si è potuto argomentare; pure lo riveriva
come il maggiore di casa, e la poca pratica che teneva con lui non gli
dava balìa di conoscere i suoi vizii ed abborrirli.

Altobello, riponendosi la lettera in tasca, disse: — quello che si
vuol fare facciasi presto; i primi pensieri dell'uomo, se seguitati,
lo menerebbero al Campidoglio; se aspetta, gli ultimi lo spingono alla
forca; — scese e sellò il cavallo sempre ragionando tra sè: — l'anima
in questo rassomiglia il suo astuccio, ch'è il corpo; l'uno va tre
miglia o quattro, al quinto non arriva; l'altra basta a due colpe,
basta a tre; la quarta, come troppo pesa, non può portare; ladro,
e spergiuro già è molto, e tra spergiuro e traditore, tra ladro e
assassino pure gran tratto ci passa: a ogni modo andando subito non
si dà tempo alla insidia. Però, deciso di rendersi alla chiamata del
fratello, non gli parve poi dovercisi fidare tanto da dissuaderlo di
pigliare lo schioppo, e tentare se la polvere nello scodellino delle
pistole andasse a dovere.

Ratto si pose in via, e correndo per sentieri a lui e al cavallo
conosciuti, presto fu giunto: parve non lo attendessero, perchè dopo
aver domandato chi fosse, lo fecero aspettare un pezzo; alfine la
cognata aprì strillando:

— Siete voi! siete voi! siete voi!

E in mano teneva un lume in agonia; Altobello con molta ansietà
domandava:

— E Mariano come si sente?

— Come si sente? Adesso vado a domandargli che cosa vi devo rispondere.

E lo lasciò al buio: dalla stanza accosto si sentiva un rammarichio
incessante e smanioso come da persona presa da colica: ad Altobello
parve ancora sentire aprirsi una finestra, e romore di cosa che si
gitti via e poi richiudersi con prestezza pari; ma questo scarico
dalle finestre della camera di un infermo non era cosa per un Côrso
da badarci, poichè essi sani od ammalati giudichino la finestra come
la via più naturale di buttare fuori di casa tutto quanto non può
convenientemente farci dentro dimora. In questa tornò la cognata, e
disse: — Male, male, ma ora capite non vi può ricevere — e fatto un
cenno, soggiunse: — Avete capito?

— Sfido a non capire: ho inteso perfettamente, aspetterò.

Allora la donna, sempre in chiave di falsetto:

— Avete fame? Volete pane? Volete cacio? Volete _micischia_? Volete
lonzo? — E senza attendere risposta uscì portandosi il lume, tornò
dopo tratto non breve con una mezzina di acqua, e postala sulla tavola
disse:

— Intanto rinfrescatevi; l'acqua della mia cisterna porta il vanto su
tutte le cisterne di Corsica.

E via da capo col lume, che dibattendosi contro l'agonia quasi per
miracolo si manteneva vivo. Altobello non poteva astenersi da sorridere
alla vista di tanta miseria; egli era chiaro, che da quel lume in fuori
in casa non ne accendevano altri, egli già incominciava a spazientirsi,
quando la cognata aperse l'uscio della camera dicendo:

— Venite Altobello, fatevi pure avanti, che Mariano ha finito.

Entrando si fece di posta una stincatura dentro una seggiola, da tanto
che mandava luce la lanterna; un odore insopportabile gli assalse a un
punto il naso e la gola; pure andò innanzi a tastoni guidato dal guaire
del fratello. Vuolsi credere che con molta tenerezza non gli avrebbe
favellato mai, ma ora sbalordito dalla puzza travagliato dal dolore
acuto del ginocchio percosso, egli quasi latrando gli domandò:

— Come vi sentite, Mariano?

— Soffro come un dannato.

— Vedo che venni in mal punto; non mi pare tempo di discorrere adesso;
tornerò un'altra volta, intanto vi manderò un medico dal Borgo con
Bastiano.

— No, no, non ve ne andate, gridò vivamente Mariano levandosi a sedere
sul letto; questi atroci dolori cominciano a passarmi, un po' d'acqua,
Lucia... dov'è andata quella donnaccia? Dove sei, maledetta da Dio?

— Mariano, Mariano, oh! non lo vedi che ti sto accanto: la colpa è del
buio, vuoi che accenda un altro lume?

— Sta ferma; mi vorresti acciecare, neh! la luce mi offende gli
occhi come ferro rovente: e poi nel bello stato in cui ci troviamo,
scialacquare l'olio, eh! sciattona...

Ebbe l'acqua, bevve a centellini, tornò a guaire, tacque, si riposò
tanto che Altobello incapace a tenersi più a lungo:

— Orsù, disse levandosi in piedi, tornerò domani.... o domani l'altro.

— No, potrei morire sta notte, fermatevi.

Altobello rimase; allora Mariano incominciò, come se si confessasse,
ad esporre in qual modo il peccato dell'avarizia prendesse a mettergli
le barbe nel cuore, e come aumentasse, a quali deplorevoli fatti lo
spingesse; aveva un bel ripetergli Altobello confiderebbe queste
cose con più frutto al confessore; Mariano voleva dire, e dicendo
s'infervorava così, che agli accenti mostrava non essere in termine di
moribondo; poi giù giù scese a descrivere minutamente le infamie di
Corte, e al fratello, invano ripetente saperlo anch'egli pur troppo,
non importare nè giovare rinfrescarle adesso, se ne tacesse per sempre,
o meglio ancora si obliassero; volle dirle e ridirle; chiese perdono
in più modi e in tutti gli venne facilmente concesso. Da questa parte
non ci era più nulla; allora si attaccò a ragionare dei lasciti, dei
funerali e delle messe, ma Altobello gli troncò riciso le parole in
bocca osservandogli, che di questo potria ragionare a suo bell'agio
nel testamento. — Qui entrò su le difficoltà di avere il notaro, e
Altobello gl'impose silenzio accertandolo in qualunque modo avesse
rinvenuto scritte le sue volontà le avrebbe osservate punto per punto.
— Di botto gli capitò in mente un trovato, ma prima dando di un gomito
nelle costole di Lucia urlò — Va su, scimunita, a vedere se l'uscio è
ben chiuso.

— Ohi! Ohi! è chiuso sicuro...

   [Illustrazione: ... Si vedevano scaturire canne da schioppi e
   berretti appuntati da metter il ribrezzo addosso anche ai più
   audaci. (_pag. 315_)]

— Va cionostante a vedere, e richiudi prima.

Altobello tra irritato e avvilito disse:

— Parmi che abbiate ripreso lena: il male non sarà grave come temevate;
il mio perdono lo avete avuto, lasciatemi andare a vedere mamma, che
per la mia prolungata assenza adesso sta in pensiero.

— Fratello, non mi basta il vostro perdono; io voglio ricuperare la
benevolenza dell'inclito nostro concittadino il generale; la fortuna me
ne ha porto il destro, ma senza voi non posso far nulla; non importa,
io mi sento davvero letificato di spartire con voi la gloria di questo
fatto; voi ne accrescerete la vostra, io salderò col nuovo onore la
vergogna vecchia.

— Or bene via, spicciatevi, che l'ora si fa tarda, e udite... questo
tuono minaccia pioggia.

— E vi accorgerete, che quando ne va della salute della patria pregio
il danaro meno della pula del grano.

— Dunque?

— Voi avete a sapere come il signor conte di Marbeuf, volendosi
vendicare a ogni patto dell'archibugiata sparatagli contro da padre
Bernardino, ha deliberato di tendergli una trappola quinci oltre,
dacchè il frate dabbene bazzica per questi luoghi più che non dovrebbe;
però mi ha fatto ricercare d'imprestargli la mia casa per rimpiattarci
venti granatieri: egli stesso verrebbe a capitanare la fazione: voi
capite bene, Altobello, che bisogna concedere a colui che può pigliare;
nondimanco ho chiesto tempo a riflettere, e del tempo mi valgo per
consultare la vostra opinione.

— La mia opinione è, che se mi aiutate ad arrestare questo carnefice di
conte io vi regalo di mio cinquanta luigi di oro.

— Cinquanta luigi di oro! Che dite? Ma proprio in verità! Lo giurereste
da cristiano battezzato? Oh farebbe il doppio....

In questo si udì strepito di arme, e lo scatto di molte molle di
acciarino quando s'incarca: al punto stesso sonò lugubre tre e quattro
volte lo _scuccolo_. Altobello traballando di orrore non già di paura
mandò un urlo straziante:

— Gesù mio, ch'è questo mai?

Si spalanca l'uscio, otto o dieci moschetti sono appuntati sopra di
lui; dietro a questi si attengono altri granatieri; ogni resistenza
sarebbe non pure temeraria, ma stolta. Un sergente dei granatieri così
gli parlò:

— Su da bravo, fortuna di guerra; voi siete prigione di Sua Maestà.

Altobello non rispose parola, si voltò per fulminare con lo sguardo il
fratello rimasto sul letto; ma egli era scomparso senza che ei potesse
indovinare il come. Lo frugarono, privaronlo dell'arme e del danaro,
poi lo incatenarono per la mano destra e per la gamba sinistra; egli
si lasciava fare come smemorato; così lo aveva percosso l'inaudito
tradimento che non gli pareva sentirsi più uomo. Finalmente dalla
camera venne tratto nella prima stanza, e quivi con nuova meraviglia,
al lume di uno dei lampioni portati dai granatieri francesi, contemplò
intorno alla tavola posta nel mezzo quattro strane figure; il suo
fratello Mariano che contava monete di oro, un ufficiale francese che
gliele contava, la cognata Lucia che batteva le mani e strillava: —
Quattrini! quattrini! per ultimo il pastore Bastiano che girava il
capo dalla destra alla sinistra spalla a mo' di pendolo da orologio.
Altobello lanciò su Mariano gli occhi acuti quanto coltelli, ma costui
co' suoi fuggiva pauroso che gli fossero feriti; non aveva membro che
gli stesse fermo, e tuttavia ostentando petulanza diceva:

— Bisogna pure rifarci, caro fratello; — questi luigi mi pagheranno
la pigione di casa donde mi avete fatto cacciare via, e le spese dello
sgombero.

— Come! esclamò l'ufficiale francese restandosi dal contare con una
moneta in mano, questo uomo che ci consegnate è vostro fratello?

— Già; da ciò vedete che lo rubate mezzo per venticinque luigi...
quanti ne avevamo contati?

— Ventidue...

— Mi pareva ventuno.

— E non saranno nè manco se voi non ci rimettete quelli che avete
rubato e che ora tenete in mano, e la vostra degna consorte non cava
fuori gli altri che si è rimpiattati in tasca. —

— L'aveva fatto per distrazione sapete! perchè la Dio grazia casa
Alando ha onore da vendere...

— Si vede; e voi signora perchè avevate grancito il luigi?

— Io? distrazione... Dio grazia... casa Alando... onore da vendere...
rispose singhiozzando la donna.

— E tre venticinque, si affrettò a dire l'ufficiale schifato da tanta
sozzurra; ma poi ravvisandosi e prendendo un'aria carezzevole, posta
la mano su la spalla di Mariano, riprese: — voi mi piacete; siete uomo
fabbricato a prova di bomba; la vostra casa sembra fatta a posta per
tendere la tagliola; se vi garba e vi garberà di certo, continuare
ad esercitarvi nel mestiere in cui avete tanto bene incominciato, io
vi prometto di farvi pagare per ogni ufficiale prigioniero dieci o
quindici luigi secondo il merito.

— Toccate qua; è affare fatto, e se — disse pigliando tra il pollice
e l'indice un luigi per l'estremo contorno — e se non sapessi quanto
i Francesi procedono alla grande, e come amino piuttosto dare che
ricevere, sempre splendidi... sempre generosi, io vorrei darvi questo
luigi in senseria del mercato fatto... promettendo e obbligandomi pel
seguito di darvene mezzo (e come l'ufficiale strabuzzava gli occhi,
costui pauroso si riprese dicendo) di darvene uno per ogni affare che
mi procurerete.

L'ufficiale si morse le labbra; Mariano, senza avvertirlo, nella
ingenua sfrontatezza della sua infamia gli aveva ribadito uno schiaffo
su l'una e l'altra guancia e non ci era modo di risentirsene.

Non sovvenendo partito migliore all'ufficiale, cavò dalla sua borsa
due luigi e quelli dando a Mariano soggiunse: — pigliate, io sono uso
a regalare, non ad accettare mancie.

Mariano non se lo lasciò dire due volte, ed acciuffò a volo i due
luigi; nel riporseli assieme agli altri in tasca, riprese: — ve li
menerò buoni sui prossimi mercati tenendoli in conto di caparra.

— Io ve li dono, urlò l'ufficiale pestando i piedi, cioè non ve li
dono, vi saldo l'ingiuria che mi avete fatto pigliandomi per sensale di
tradimento.

— E voi costumate pagare le ingiure a luigi di oro?

— Non ho trovato migliore partito in difetto di potervela pagare con un
colpo di spada.

— Caro mio, non lo dite ad altri che a me, perchè voi mettete troppe
anime in tentazione di dirvi ingiure.

— Eh? caro mio, non ci sarebbe mica il gran male che immaginate,
perchè presto mi troverei in fondo co' quattrini, e allora, per vostro
governo, farei da' miei soldati rompere le ossa all'insolente e lo
salderei a bastonate.

— Allora vi chiedo perdono, ma davvero proponendomi voi di comprare per
conto altrui i prigionieri che mi capitasse mettervi in mano, credeva
in coscienza potervi reputare sensale. Non ci è stata malizia per
parte mia; facciamolo giudicare e vedrete che avete torto: se poi vi
siete avuto a male che vi abbia offerto poco, non andate in bestia; ci
accomoderemo da onesti amici; dove ci hanno uomini ci ha modo.

Mariano aveva torto nel considerare l'ufficiale parte accessoria del
tradimento, mentre tutti quelli che vi partecipano sono principali
in faccia a Dio che tiene l'archipendolo in mano della vera ragione,
gli uomini si governano con altro passetto; tanto vero questo che
l'ufficiale per lo zelo messo nel servizio del re fu eletto cavaliere
di San Luigi, mentre se capitava nelle mani del Paoli lo avrebbe
impiccato, e il generale in coscienza si sarebbe persuaso, come se ne
persuase il re, di avergli regolato il conto giusto.

Uscirono i granatieri traendo Altobello, che levando il capo si vide di
un tratto davanti a sè Bastiano; lo fissò dentro gli occhi con isguardi
taglienti pensando costringerlo ad abbassare la faccia svergognata; ma
Bastiano aggrottò a volta sua le ciglia e rispose colpo per colpo. Non
dissero parola, veruna voce fu udita, e pure Bastiano capì benissimo
che Altobello gli aveva domandato: Anche tu Bastiano? E Bastiano
aveva risposto: — Ed osi tu pensarmi traditore? Allora la sembianza
di Altobello si fece mansueta e Bastiano abbrancandosi con la destra
il petto dalla parte del cuore parve volerselo staccare e metterglielo
sotto gli occhi perchè si sincerasse.

Rimasero Mariano, il quale non si dette pensiero di seguire nè manco
con gli occhi il tradito, e la stupida consorte intorno alla tavola.
Mariano disse:

— Mira, Lucia, i Francesi ci hanno lasciata una lanterna; anche questo
è tanto guadagnato, oltre la candela che facendo a miccino può bastare
per quattro sere od otto.

— Anche dodici, notò Lucia, basta non accenderla mai.

— Va via, grulla; intanto ripassiamo un po' la moneta per vedere se va
bene.

— Per questo sarebbe tempo perduto, che la festa è fatta, ma rallegra
tanto il cuore la vista dei quattrini.

E quattro mani tremanti presero a maneggiare i luigi, ora
sparpagliandoli su la tavola, ora ammucchiandoli in gruppetti di
cinque, ora di nove; in chiunque gli avesse visti a quell'ora in
cotesto atto, avrebbero richiamato in mente i due porci del Boccaccio,
che presi gli stracci impestati prima col grifo e poi coi denti
squassandoseli su le guancie a sè dettero morte e furono cagione che la
morìa si distendesse sopra Firenze. Forse chi sa fino a quando avrieno
protratto il turpe diletto, se Lucia non fosse saltata su a dire:

— Ma di questa maniera, amore mio, la candela non durerà nemmeno
quattro sere.

— Hai ragione, Lucia, e infuriato dall'avarizia soffiò sul lume e
rimasero al buio. Intanto che a tastoni cercavano il letto, Bastiano
il pastore, che non si aspettava trovarsi così di posta licenziato,
cercando l'uscio di casa e trovatolo, di su la soglia gridò:

— Mariano, addio.

— Oh! chi è? ladri! assassini!

— Sono Bastiano.

— Ouf! sei tu?

— Sono io; e vi ho detto: addio Mariano; ho sbagliato, doveva dirvi:
addio Caino.

— Tu sbagli, rispose Mariano piegando il ginocchio su la sponda del
letto, Caino ammazzò il fratello...

— Voi l'avete tradito soltanto, dunque: addio Giuda.

— E anco qui pigli un granchio, soggiunse Mariano infagottandosi nelle
coperte. Giuda tradì il suo maestro e Altobello non mi ha insegnato mai
nulla: altra differenza; Giuda vendè Gesù trenta sicli di argento ed
io ho venduto il mio fratello venticinque luigi d'oro; per ultimo Giuda
s'impiccò ad un albero di fico ed io mi stendo bello e lungo dentro al
mio letto; buona notte, Bastiano.

— E da questo momento intendo di non istare più con voi.

— Meno galline, meno pipite.

— Sta bene, adesso che non siamo più padrone nè servo, ve la dirò io
una diversità tra voi e Giuda, che voi non avete saputo indovinare.

— Ci avrò gusto a sentirla.

— Giuda s'impiccò da sè, e voi, se altri non v'impicca, v'impiccherò
io. Buona notte, Mariano.

                   *       *       *       *       *

La notizia dello arresto di Altobello arrivò presto a Corte come
costuma delle disgrazie; i particolari del caso però, secondo il
solito, vari; e ciò era quello che meno importava al generale il quale
pensando a mille spedienti per riscattarlo, conobbe se non il più certo
almeno il manco pericoloso essere questo; chiamato pertanto a sè Matteo
Massesi gli disse:

— Matteo, tu sei un giovane di giudizio e capisci per aria le cose;
avrei pensato di mandarti a Bastia.

— Di contrabbando? interrogò il giovane balenando di allegrezza negli
occhi.

— No davvero, che ti potrebbe cogliere qualche disgrazia, e se
ciò accadesse non ne avrei mai pace; andrai col salvacondotto di
parlamentario.

— Oh! voi mi amate sempre?

— E perchè non dovrei amarti? disse il generale fissandolo in faccia.

— Non so.... mi pareva, rispose il giovane arrossendo ed evitando
incontrarsi con gli occhi del generale.

— Vien qua ragazzo, e sì dicendo gli vezzeggiava il volto, assèttati
al tavolino e scrivi quanto ti detterò. «Eccellenza. Voi mi avete
richiesto di fare a buona guerra con voi; parmi, per parte mia, avere
operato secondo il vostro desiderio rimandandovi fin qui i prigionieri
senza riscatto; ho atteso invano voi mi restituiste i miei. Questo a
parere mio non si chiama fare a buona guerra dalla parte vostra; pure
mettendo per ora questa discussione da parte, devo partecipare a V. E.
come ieri notte fosse condotto non a modo di prigioniero di guerra a
Bastia, bensì come persona rubata da ladroni, il signor Altobello....

— Ahi! ahi! urlò il giovane lasciando cascare la penna.

— Ch'è? che ti avvenne?

— Ahimè! Da parecchi giorni un dolore reumatico di tratto in tratto mi
piglia il braccio da cavarmi il fiato.

— Ebbene, lèvati di costà e scriverò da me. — Il generale riprese la
lettera con la quale in sostanza ammoniva il marchese di Chauvelin come
la cattura dello Alando fosse fuori di ogni ordine di buona milizia: la
stima che faceva di lui persuaderlo a credere che ancora egli pensasse
così; se mai s'ingannasse avrebbe barattato il comandante Alando con
due colonnelli ritenuti già a Corte per curarli delle ferite, e adesso
prossimi a guarire.»

Scritta la lettera la lesse a Matteo, nè intento come era alla presente
faccenda, si accorse del giovane che con alterna vicenda impallidiva,
arrossiva, sudava e qualche lagrima rara ed ardente versava dagli
occhi; poi chiudendo la lettera aggiungeva: — Matteo, tu te ne andrai
a Bastia dove ti presenterai al marchese di Chauvelin per consegnargli
questa lettera ed aspettarne la risposta. Se mai t'interrogasse, gli
dirai che il signor Altobello è ufficiale degno della estimazione di
ogni uomo dabbene; aggiungi che lo fanno degno di riguardo l'essere
figliuolo unico adatto a soccorrere la madre vedova, parlagli della
sposa novella che lascia in casa e finalmente non gli nasconderai
amarlo io e stimarlo oltre ogni termine... che hai che batti i piedi?

— Il dolore mi cuoce.

— Una buona sudata ti guarirà, e però chiarirai il marchese che
oltre il cambio, il quale mi sembra superiore a quello che si pratica
ordinariamente, io gli professerò sempre obbligo infinito. Eccoti dieci
luigi che ti basteranno e ce ne sarà di avanzo, rammenta che la patria
è povera ed io più di lei.

— Signor generale, rispose il giovane con voce alterata, io non voglio
andare.

— Non vuoi andare? urlò il Paoli con tale un grido da fare arricciare
i peli dallo spavento.

— No, più stizzito che mai, replicava il giovane.

— Bè, Ambrogio!...

La guardia fedele comparve sopra la soglia.

— Ambrogio conducete in prigione il signor Massesi.

— In prigione io? Io che prima voi amavate unicamente?

— Vi amai finchè vi conobbi buono, ora...

— Ora?

— Non vi amo più; voi siete invidioso, e peggio ancora, se peggio può
darsi, voi esultate del male del prossimo.

— Signor generale, non mi mandate in prigione, non mi discacciate da
voi, mia madre ne morirebbe di dolore; se non lo fate per me fatelo per
mio padre.

— Orsù dunque, partite; tra un quarto di ora a cavallo, e procurate
farmi dimenticare ogni trista impressione col ricondurmi il signore
Alando. D'ora in poi, giovane sconsigliato, porrete il vostro studio in
emulare, non già ad invidiare chi vale troppo meglio di voi.

Matteo Massesi, figliuolo del gran cancelliere fu bellissimo giovane:
di persona tanto bene formato che meglio non avria potuto tratteggiare
valoroso pittore; e nella faccia non aveva parte che non sembrasse
ritratta da modello greco, lenemente squadrate le guancie e il mento,
dove a ciocchette qua e là si arricciava la rada calugine; le labbra
rosse ranuncolo, tumide e semiaperte, traverso le quali, per così
dire, splendeva la candidezza dei denti, e gli occhi limpidi e bruni
come notte di state senza luna; i capelli neri e lustri da digradarne
l'asfalto; una forma divina che vista appena ti padroneggiava la mente,
così ti sforzava ad amarla, e nondimanco quanto più si pigliava usanza
con lui, tanto sentivi scemare l'affetto che ti aveva vinto da prima,
non ad un tratto, no, e neppure con diminuzione di momento, ma a poco
a poco, a piccoli frammenti come il tempo nell'orologio a polvere
si consuma in atomi di sabbia; infatti a considerarlo sottilmente,
la sua persona incedeva con un certo ciondolío quasi non sapesse
imprimere salda orma sul terreno; ancora gli occhi pure oscillavano
paurosi di fissarsi in qualche obbietto, e più di essere fissati da
altri occhi; le mani sempre fredde mettevano, toccandole, ribrezzo non
altrimenti che di morto si fossero; la fronte bassa, la vece varia;
ciò in quanto al corpo; per lo spirito facile ad amare con trasporto, e
facile del pari a disamare come povero di alimento a nutrire la divina
fiamma dello amore; ma i primi trasporti tanto più furiosi quanto
meno durevoli; nella invidia pertinace, perchè la virtù di amore sia
operosa, mentre la invidia si distrugga inerte; però come la vipera
la quale stuzzicata allunga i denti e avvelena, la invidia in lui
inasprita diventava odio immortale e inevitabile. Il generale Paoli in
parte aveva conosciuto, in parte indovinato l'animo del giovane; pure
gli aveva diminuito, non però tolto l'affetto, e ciò a cagione delle
qualità buone e non buone, consuete alle forti nature; l'uomo egregio a
male in cuore s'induceva a supporre tristo altrui, e supposto triste,
gli talentava crederlo incapace delle ultime scelleratezze, aggiungi
che gli doleva confessare di essersi ingannato molto di faccia ai suoi
famigliari, molto più di faccia a sè, perchè se lì ne pativa più la sua
superbia, qui gli pareva sentirsi spezzare il cuore.

Non impedito da cosa che gli si parasse per la strada molesta, il
Massesi arrivò a Bastia, dove chiese parlare col marchese di Chauvelin,
se non che questi, di salute infermo e su le mosse di partire per
Francia, lo rimandò al conte di Marbeuf. Era disegno accogliere
acerbamente il messaggiere di Paoli, fargli un rabbuffo di male
parole, e senza leggere lettere, nè udire ambasciate, respingere il
tapino oratore; quando poi gli fu davanti il bellissimo giovane, e in
modesti atti, soffuso il volto di rossore, gli porse il foglio, gli
mancò l'animo di mostrarsi scortese. Tanta virtù esercita la bellezza
anco nei più duri! Onde prese la lettera, la lesse e poi incominciò
a interrogare Matteo con parole oneste. Da prima è da credersi che il
facesse senza cattiva intenzione, ma procedendo nel colloquio presentì
poterne cavare qualche costrutto pei suoi fini; almeno gli parve, che
valeva il pregio tentarlo; allora disse: trattarsi di negozio grave,
non potergli rendere risposta senza avere consultato prima il consiglio
di guerra; fermassesi: qui volto ad un giovane cornetta dalla fisonomia
maligna da vincere una scimmia, gli disse: Signor Tilly, io lo confido
a voi; adoperatevi perchè questo giovine gentiluomo non si annoi
troppo.

E il cornetta senza cerimonie intrecciando il proprio braccio col
braccio di lui: — Vien meco, il mio caro orsacchiotto côrso, gli
diceva, tu stai per bubbolarmi la ganza, ma non importa; a ciascuno
tocca la sua volta; quando verrò a Corte ti ruberò la tua; — e via via
con la vivacità consueta ai Francesi, massime se giovani e allegri,
capaci a far tacere il più assordante passeraio che mai s'udisse
sopra olmo, accanto alla fontana del villaggio. — Ei lo condusse a
pranzo in compagnia di ufficiali più o meno scapestrati di lui, ma
scapestratissimi tutti. Quali fossero i costumi di Francia, allora i
libri francesi dissero, e ogni giorno ricordano tuttavia; a noi sarà
bello tacerlo; solo tanto ne basti che il Voltaire poteva scerre ad
argomento di poema lubrico la sacra magnanimità, e il martirio della
vergine orleanese liberatrice della Francia, nè solo il poteva, ma
erane lodato. Non pure ai tempi di cui favelliamo sapevano i Francesi
decorare il vizio con l'eleganze delle grazie; bensì ora saccheggiavano
le antiche e moderne scuole di filosofia per confermargli il regno,
ed accrescergli dominio. Matteo, sobrio per usanza non per volontà,
casto per costume, non per desiderio, si trovò di punto in bianco
tra le commessazioni di un Mirabeau giovine di ventiquattro anni,
del Dumouriez, figaro della monarchia francese, e di altra gente di
siffatta risma; immaginate che torrenti di lava infocata dovevano
sgorgare dalle labbra del Mirabeau a ventiquattro anni, pensate alla
girandola de' motti arguti che scoppiettava su la bocca del Dumouriez!
Ci era da fare fuggire la virtù rossa come una fravola, con le mani
su gli orecchi, e, corsa a rimpiattarsi tra le pieghe della santissima
Vergine, non si trovare nè manco in mezzo a quelle sicura.

Si frequentavano è vero le chiese, ma non si credeva in Dio, donde
nacque la generazione dei preti, che dette quel Lomenie Brienne il
quale proposto a Luigi XVI per arcivescovo di Parigi fece dire quel
meschino: — ahimè! bisognerebbe almeno che l'arcivescovo di Parigi
credesse in Dio. — Gli antichi, conducendo i Numi sulla terra, certo
avevano concesso alla materia troppa parte a scapito dello spirito,
ma i Francesi mettendo la materia in cielo e in terra vennero a
creare unico Dio il piacere: e parvero allora anacoreti quelli che
emendarono la dottrina di Aristippo così; sia Dio il piacere a patto
che non abbia per sacerdote il delitto. Vennero bocce di vino di
Sciampagna, vennero donne, donne e bocce spedite di Francia; e due di
codeste cortigiane si posero in mezzo Matteo, e piacque ad ambedue:
ma egli che potrà vincere il rimorso, non seppe vincere il pudore,
e si svincolò dalle braccia delle male femmine, con dispetto loro,
ilarità di tutti, che vedendo il giovane menare calci e sergozzoni ne
smascellavano dalle risa, urlando: — Due volte Giuseppe! due volte! —
Per ultimo i giovani sazii di bere e della invereconda petulanza delle
femmine, cacciarono fuori di finestra le bocce, e fuori della porta le
femmine per dar luogo però a vizio peggiore, il giuoco. Questo veleno
che senza rimorso si propinano a vicenda gli amici, tramandato a noi
dalle barbarie rude, ed amaro, la civiltà seppe addolcire e ingentilire
così, che a' tempi di cui parliamo nessuno poteva presumersi cavaliere
compito se non avesse rovinato almeno un paio di amici, e barare
non faceva caso; anzi se ne tenevano; della quale cosa ce ne porgono
testimonianza le memorie del cavaliere di Grammont. Matteo stimolato
a giocare, vergognando di comparire povero, mise fuori i suoi dieci
luigi, e li perse in un soffio; allora si rimise, ma punto sopra la
sua parsimonia, vergognando passare per avaro, accattò danaro che il
cornetta gli profferse, ed anche questo andò dietro all'altro; adesso
pensò mancargli assolutamente il potere di restituirlo, e vergognando
partirsi da Bastia in voce di truffatore, se ne fece imprestare ancora,
il quale finì come il primo, come il secondo e come due altre partite,
che cieco ormai, prese da chiunque gliene volle dare.

— Diavolo! costui accatta danari come se l'avesse a fare coi nostri
padri, i quali si contentavano essere rimborsati dei presti nell'altro
mondo.

Gli occhi di Matteo non videro quale avesse proferito le amare parole,
ma i suoi orecchi le intesero, e allora lo assalse la buona vergogna,
la vergogna che doveva venirgli prima ed in tempo, mentre adesso era
tardi e inopportuna, quella cioè d'ingolfarsi in debiti, che ormai non
sapeva come avrebbe pagato; uscì che il capo gli pigliava fuoco, si
ridusse a casa e si gettò vestito sul letto: aveva perduto sessanta
luigi, dieci suoi o piuttosto del generale, e 50 tolti in prestito;
ed ora come li pagherebbe? Di tratto in tratto sbalzava su da letto
e si bagnava le tempie, che gli battevano come se volessero rompersi,
con l'acqua diaccia; insomma e' fu notte cotesta quale anime dannate
possono patire pari, più affannosa non credo. Quanto prima si fu messo
un po' di albore, improvido di consiglio uscì di casa; i marinari e
gli operai usi a levarsi prima del sole, scorgendo quel giovane pallido
errare così mattutino, si fermarono a rimirarlo per maraviglia; ond'ei
che se ne accorse, per sottrarsi agli sguardi altrui, trovandosi presso
alla chiesa di San Rocco, vi entrò. La vasca dell'acqua benedetta
era posta in prossimità della porta maggiore accanto al battisterio
dove mantenevano i devoti perpetuamente accesa una lampada; quivi
egli intinse le dita chinando il capo, e mentre rialza la persona per
segnarsi, di rimpetto a sè gli apparisce, in atteggiamento eguale al
suo, Lella Campana. Gli occhi grigi di costei mandarono un lampo:

— Voi qui? susurrò a fior di labbra, e quegli: — pur troppo!

— Vi accadde qualche disgrazia? Venitemi dietro, che vi menerò a casa.

Matteo obbedì senza nè anco pensare a quello che facesse; giunti in
casa il giovane lasciò cadersi sopra una seggiola trambasciato, allora
Lella vedendolo così gramo esclamò:

— O signore! vi sentite male?

— Porgetemi per carità un bicchiere di acqua, ohimè! mi si sfianca il
cuore — e bevve l'acqua; poi riprese — ho.... ho.... che mi abbisognano
ora.... subito.... cinquanta, anzi sessanta luigi, altrimenti sono un
uomo morto.

— E dove volete, che trovi sessanta luigi? tra beffarda e rabbiosa
rispose Lella; ma come siete qui? e disperato, e bisognoso di tanto
danaro?

E Matteo a pezzi e a bocconi glielo disse, dando la colpa di ogni
cosa al Generale che lo aveva sforzato a venire in Bastia: aggiunse,
ogni giorno più lui allungare gli ugnoli da tiranno; oggimai non gli
si poteva più reggere accanto; avere reso a tutti manifesto il suo
cuore ingrato e maligno: ai vecchi amici preferire qualunque nuovo
avventuriere; quelli che lo amarono tanto, e tanto patirono per lui,
messi in non cale; prima essersi innamorato di quella statua di cera
del Boswell, adesso impazzire dietro quel fastidioso arrogante dello
Alando; lui, una volta ad ogni altro preferito, adesso posposto a
tutti; non adoperarlo in ufficio più degno che quello di staffiere;
la sua bocca non aprirsi più per lui a confidenze di sorte alcuna, al
contrario se sopraggiunga inaspettato mentre egli con altri ragiona,
tacersi come davanti a sospetto; a queste querimonie ne aggiungeva
altre infinite accendendosi, e per così dire inviperendosi col suono
della propria voce nel modo che il cavallo inferocisce allo squillo
delle trombe di guerra. Lella lo agguardava fisso dentro gli occhi
mentre egli favellava: dapprima le pupille del giovane sfuggirono
cotesto ardente sguardo; per ultimo ne rimase vinto e tacque come
ammaliato; la fanciulla cominciò a guardarlo e a pensare; ad un tratto
rompendo il silenzio disse:

— I danari si potrebbero trovare....

— Ah! e come?

— Sposandomi.

— Ma questo sarebbe a toccare la cima dei miei pensieri. Voi sapete,
Lella, quanto vi abbia amato; s'ebbi a renunziare a voi fu colpa mia,
Lella?

— Certo fu mia; io non volli ascoltarvi, e nè anco adesso vi ascolterò.

— Dunque mi desiderate morto e infamato?

— No, io intendo essere vendicata. Sul corpo di Giovan Bruno giurai
che non avrei tolto a marito se non quello che avrebbe vendicato il suo
sangue.

— Io lo vendicherò.

— Voi?

— Io.

— Ci avete pensato?

— Ci ho pensato.

— E ne sarete capace?

— Vedremo.

— E farete quello che vi ordinerò?

— Tutto.

— Allora venite.

E presolo per un braccio lo spinse dietro la stanza dove dormiva
il padre suo Orso, gridando: — babbo! babbo! — e al punto stesso
spalancava le finestre.

Il vecchio scombuiato a cagione del sonno rotto, dell'urlo, e della
luce improvvisa che gli feriva gli occhi, balzò a sedere sul letto,
strepitando a sua volta.

— Demonio di figliuola, non si può chiudere un occhio con costei.

— Li terremo tanto chiusi quando saremo morti, babbo! E poi ho furia;
vi ho condotto un uomo, che mi vuol essere marito, e al quale io voglio
essere moglie.

Orso strofinandosi gli occhi esclama:

— E l'altro? E l'altro?

— Perchè vendica l'altro, e voi e me...

— Ah! come si chiama costui? E donde viene?

— Viene da Corte e si chiama Matteo Massesi.

— Il figliuolo del gran cancelliere? Questo è un tradimento.

— Babbo; fin qui avete condotto voi la trama della vendetta e avete
rovinato voi e me; adesso lasciate un po' che mi ci provi io: ciò
che non valse a fare granfia di leone lo potè dente di topo. Dunque
acconsentite voi che io lo sposi?

— Piglia il diavolo che ti porti, ma a quel patto.

— Siamo d'accordo.

— Ma come ti assicuri ch'ei te lo mantenga?

— Questo è mio pensiero.

— Ma egli ti sposerà?

— È pensiero mio: scrivete il vostro consenso e sbrigatevi.

Il vecchio sopra di una tavoletta, che Lella gli posò su le ginocchia,
scrisse e firmò il suo consenso; il quale Lella dopo avere letto ripose
in seno; allora si fece a richiudere le finestre e le imposte dicendo:
buttati giù, babbo, e piglia sonno contento nel pensiero che, mentre
dormi la tua vendetta cammina: quindi agguantato Matteo pel braccio
riprese: — su via andiamo.

Dove andassero, che cosa statuissero sarà chiarito altrove; intanto
importa sapere che Matteo tornato al ridotto del gioco pagò come un
banco i suoi creditori; invitato alla rivincita si scusò allegando
la sua partenza avere a succedere da un momento all'altro ed usci:
però in tutto quel giorno abbandonava Bastia, e fu visto aggirarsi
per le strade a mo' di trasognato in compagnia sempre di uno zitello
lesto e vispo come una scimmia; non lo riconoscendo persona, pensarono
fosse venuto con esso lui; il dì appresso essendosi recato dal conte
di Marbeuf per domandargli la conclusione del negozio pel quale
era venuto, lo rinvenne focoso, lo guardò truce, gli porse un plico
sigillato, ed oltre questa non gli fece altra parola: — qui dentro è
tutto. —

Lo zitello, che non si scompagnava mai da Matteo, allora si accostò al
conte, il quale fissatolo lo riconobbe e sorrise: — O damigella, voi
siete proprio una Maga!

— Or bene, riprese Lella, spero che non mi dissuaderete da accompagnare
il mio novello sposo...

— Quantunque mi pesi vedere il nostro cielo vedovato di uno dei
suoi astri più belli, tuttavia mi professo troppo buon cristiano per
contrariare al precetto: quello che Dio unì l'uomo non separi.

— Fin qui non ci ha unito Dio; voi lo sapete, ciò sarà più tardi, e con
migliori auspici, spero; intanto provvedeteci di due passaporti.

Avutili, tolsero commiato dal conte, che rasserenatosi gli accompagnò
sino alla porta, colmandoli di carezze e di promesse tra le quali
mesceva per via di giocondità la preghiera di essere scelto testimone
alle nozze, e compare del primo figliuolo.

   [Illustrazione: Poichè ebbe percorso di galoppo un buon tratto
   di via, il colonnello Valcroissant disse a Rinaldo... (_pag.
   317_)]

Bene tornò ai viaggiatori la provvidenza di Lella, imperocchè ad
ogni piè sospinto s'imbattessero in pattuglie che gl'interrogavano
dell'essere loro, e del dove andassero, e perchè si movessero; alle
quali tutte domande non avendo Lella punto voglia di rispondere, si
toglieva d'impaccio cavando da tasca il passaporto. Anche Matteo ebbe a
patire simile minuta inquisizione e a liberarsene gli valse l'esempio
di Lella. Usciti alla fine fuori delle porte di San Giuseppe presero
a trottare difilato verso il Golo per la Cansica. Arrivati che furono
sotto Furiani, Lella pregò Matteo che andasse oltre pian piano intanto
ch'essa si recava a salutare certa sua conoscenza, e gli teneva dietro.
Tornando a Corte ella aveva fatto disegno di avvisarne Mariano, caso
mai volesse commetterle qualche incumbenza; al volgere di una siepe
ella pensava scorgere il tetto di casa sua: per questa volta non vide
niente, onde ella incolpò la propria memoria che, distratta da tante
faccende, le serviva così infedelmente da farle sbagliare la strada;
affretta il passo, arriva in altra parte dove per sicuro si scopriva
la casa, ma anche adesso non mira nulla: curiosa a un punto e commossa
precipita il corso, e all'improvviso le percuote la vista un mucchio
di sassi affumicati. Ristette come impietrita, poco dopo quasi volesse
sgombrare la mente di pensieri molesti si fregò la faccia a più
riprese: proponendosi di chiederne notizie al primo che le capitasse
davanti, già voltava briglia quando di dietro le macerie vide sbucare
un uomo che portava una croce tinta di nero dove appariva scritta
in bianco qualche leggenda. Lella trattenne il fiato per non dare a
sospettare la sua presenza e di dietro la siepe vide cotesto uomo,
che scavò un buco fra i rottami, e piantatavi la croce la fissò dritta
mercè di sassi collocati in torno a contrasto; allora potè leggere lo
scritto che in caratteri più grossi diceva: — _Casa di traditore_: —
e in più minuti aggiungeva: — sotto questa rovina giacciono i corpi di
Mariano, indegna stirpe di Alando, e della sua moglie Lucia: le anime
andarono dannate nell'Inferno.

Cotesto uomo era il pastore Bastiano, che aveva mantenuto la promessa,
senonchè gli era parso bene d'introdurci qualche variante, invece
d'impiccare aveva appiccato fuoco alla casa, e invece di mandare
Mariano solo all'inferno ce lo aveva spinto in compagnia. Lella
scappò a precipizio e allorquando ebbe raggiunto Matteo, quantunque
usa dissimulare ogni più fiero turbamento, tanto non potè sopra sè
medesima, che non comparisse stravolta: quegli lo notò e glielo disse,
ma Lella pronta rispose: — era andata a salutare un cugino da parte
di madre ed ho trovato, poverino! che gli amministravano l'estrema
unzione. — Poi tacque e Matteo rispettando il nuovo dolore non si
attentò moverle altre domande.

A molta distanza da Corte Lella si divise da Matteo, e scesa la notte,
andando, per giravolte a lei conosciute si ridusse alla casa paterna,
senza che persona avesse avvertito la sua partenza, o ne notasse
il ritorno, costumando lasciarsi vedere di rado per Corte e facendo
correre voce, che giacesse inferma nel letto.

Matteo smontò al palazzo del governo e intromesso subito nella camera
del Generale, contro la sua aspettativa lo rinvenne ilare; anzi egli
prima incominciò:

— Già me lo immagino, tu mi ritorni con le pive nel sacco: non sei
riuscito neh? Già i Francesi sogliono dire, che ciò ch'è buono a
pigliare, è anche meglio a tenere, e co' fatti lo dimostrano; sentiamo
un po' che cosa dichiara cotesto foglio che ti ninnoli tra le mani:
rompi il sigillo e leggi:

Matteo aperse il plico e lesse: — Signore. Voi siete astuto ma badate:
anche delle volpi se ne piglia, e ride bene chi ride all'ultimo. Vostro
servitore, Conte di Marbeuf.

— Ah! Ah! se l'è presa a male; ma in verità io non ci ho merito. Matteo
va a riposarti, che devi sentirti stanco, domani parleremo del resto.

Matteo baciò la mano al Generale ed uscì, ma quale non fu la sua
maraviglia quando nella prima persona, che gli si fece incontro,
riconobbe Altobello di Alando, che lo salutò molto cordialmente, e
motteggiando gli disse: — caro signor Massesi, sebbene io avessi buona
opinione nella vostra abilità diplomatica, voi non mi porterete il
broncio se ho preferito di fare un po' da me stesso i fatti miei.

Matteo rispose a strappi, e si allontanò strofinandosi gli occhi
incerto se vegliasse o se dormisse.

E adesso racconterò per qual guisa Altobello si liberasse dalla
prigione francese. Egli venne menato in gran fretta nella cittadella
di Bastia, e quivi chiuso dentro il carcere della fortezza di San
Carlo, il quale fabbricarono i Francesi sopra uno scoglio altissimo,
che domina l'imboccatura del porto. Il prigioniero nuovamente spinto in
carcere, per primo, anzi per unico pensiero bada subito come riuscirà
ad affrancarsi: tanto l'ansia del vivere libero governa i petti
mortali, che questo studio si fa sentire più forte allora appunto che
sembrano costretti a doverne deporre perfino la speranza.

La cosa che prima agguarda il carcerato (ed io lo so per molta
sperienza fattane) è la porta, parendo a lui che la via ordinaria
per uscire abbia ad essere quella per la quale egli entrò, ma in
breve con caratteri di chiavistelli e di bandelle viene chiarito, che
all'opposto, senza la volontà di cui ti ci ha messo, la porta quasi
sempre presenta la via meno facile per uscire di là; allora si volta
ad esaminare le inferriate, poi le pareti, il pavimento, per ultimo
il soffitto: e se l'uomo possiede forza, volere, coraggio e prudenza,
sopra dieci volte nove scamperà: vero è però che queste tre ultime doti
raccolte in un'anima, e la prima in un corpo, fanno l'uomo grande, e la
più parte delle anime uscite di mano a Dio appaiono piccole e i corpi
fiacchi, quindi quelli che rimangono a morire in carcere si contano a
migliaia, gli altri che se ne affrancano, su le dita.

Bisogna confessare però che Altobello men che ad altro, quando entrò in
prigione, pensava a liberarsene; sentiva forte la necessità di trovarsi
solo, e posare in qualche parte il capo che gli pesava indolenzito per
la immanità fraterna: bocconi sul materasso, stretta con le mani la
faccia, girava e rigirava questo pensiero dentro il cervello, lacerante
peggio di un chiodo; non ira, non orrore lo agitavano, non ribrezzo, nè
vergogna, nè paura, nè nulla insomma; queste o talune di queste cose
verranno dopo; per ora soffre; e così lo travaglia il patimento che
non ascolta lo stridere dei chiavistelli intorno agli anelli, nè il
cigolare delle bandelle intorno agli arpioni: e fu proprio mestieri che
più volte una mano lo scotesse per le spalle perchè tornasse ai sensi
della vita: allora lo percosse una voce nota che in suono piacevole gli
diceva:

— Caro signor Altobello, non vi lasciate disfare dalla malinconia:
ricordatevi che la morte ci ha da trovare vivi.

L'Alando di un tratto voltandosi si mise a sedere e rispose:

— Capitano Rinaldo, ben venuto.

— Mi rincresce non potere dire lo stesso anche a voi.

— Non importa; la sventura è la pietra di paragone dell'amicizia: senza
questo accidente non avrei indovinato la eccellenza del vostro cuore di
accorrere spontaneo a consolare...

— Certo... non ci ha dubbio... però non affatto spontaneo, perchè...
avete a sapere come io sia il comandante della fortezza.

— Voi?

— Io in persona; la maledetta palla, ve ne ricordate? che mi colpì
sotto al ginocchio nella battaglia di Borgo mi ha rattrato un nervo,
per la qual cosa zoppico, e i medici giudicano che arrancherò
per qualche mese ancora: il signor conte di Marbeuf, a cui venni
raccomandato dalla sorella del cocchiere del parrucchiere della
marchesa du Barry, amica del re, mi ha preposto alla custodia
della cittadella per non troncarmi i progressi della professione, e
mantenermi nell'attualità del servizio.

— Tutte le quali cose insomma significano, che voi siete il mio
carceriere?

— Fortuna di guerra, signor mio; certo voi potreste dirmi, che non
foste preso con le armi alla mano; ma armato o no, quando capita, giova
sempre pigliare il nemico; potreste anco osservarmi, che vi tesero un
tranello e voi c'incappaste dentro, ma vincasi per virtù o per ingegno
fu sempre lodato il vincitore: voi potreste dire...

— Signore, io non dico nulla.

— Manco male: ognuno a sua volta dunque, e allegramente. Non vi
accomoda la stanza? ve ne darò un'altra; or ora vi manderò biancherie,
legna e quanto occorre; già ebbi ordine di provvedere a tutto; pure
sapete che io ho obbligo di esservi amico, mancasse l'obbligo, mi
sentirei inclinato verso voi per simpatia... comandate dunque... non vi
prendete della soggezione... figuratevi essere in casa vostra...

— Signore, io non vi domando nulla....

— Ho capito via... e vi compatisco... per ora vi dura la rabbia
in corpo, vi rivedrò più tardi; se le faccende non lo impediscono
desineremo insieme.

Tornato nelle sue stanze ormai tra la lettura dei giornali venuti di
Francia e il motteggiare tra gli amici, aveva dimenticato Altobello,
quando verso sera l'usciere gli annunziò una donna instare di essere
presentata al signor comandante.

— M'immagino che non sarà vecchia nè brutta, in caso diverso le avresti
detto e alla occasione giurato che non era in casa.

— Difatti è giovane ed anco bella.

— Presto dunque falla passare, che la noia m'ammazza.

Ma il giocondo capitano fece viso da funerale allorchè si vide
comparire davanti la severa, malinconica sembianza di Serena: nondimeno
le andò incontro con quella maggior grazia che seppe, e disse:

— Già ci era da aspettarcelo: preso il tortore non può mancare la
tortora: ah! perchè non si vede in voi disposizione alcuna di praticare
coll'esempio il detto italiano: morto un papa se ne fa un altro.

— Signor Rinaldo, dunque Altobello è veramente qui? rispose Serena
senza badarlo, o fingendo di non badargli — non ha ferite addosso?

— Figurate! gli è sano come una triglia pescata adesso.

— Dio ve ne renda merito: permettete che io m'assetti un po'....

— Scusate, ma non mi avete nè manco dato tempo di offrirvelo: —
Onorato! Onorato! presto, portate vino, aranci, zucchero.

— Non ho bisogno di nulla, mi batteva il cuore dall'ansia e dalla
fatica....

— E venite?

— Dal Borgo, donde mi sono mossa ora fanno due ore....

— E volete vedere il vostro sposo?

— No, signore....

— Come, non lo volete vedere?

— No, lo voglio liberare; sono venuta per chiedervelo, persuasa che
non vi parrà vero di saldare la partita dell'obbligo che avete con una
vostra nemica.

— Oh! signora Serena, che cosa mai dite? voi non sapete che la vostra
proposta mi mena diritto in piazza San Nicolaio a ricevervi otto palle
nel petto, le quali naturalmente mi troncherebbero ogni aspettativa di
promozione, mentre la mia famiglia ed io nudriamo speranza di vedermi
elevato al grado di maggiore, colonnello, ed a suo tempo di generale,
maresciallo di campo, e poi anche, chi sa, al grado di maresciallo
di Francia. Questo è impossibile, madama, ve lo dico col cuore in
pezzi; chiedetemi tutto, pigliatemi la vita, le mie sostanze, non
ve lo contrasto; ma che io mi esponga ad essere tratto in piazza San
Nicolaio.... voleva dire mi esponga a vedere troncare il corso della
mia fortuna, questo è impossibile, assolutamente impossibile.

La vanità è feroce quanto il delitto e più, Serena lo guardò in viso, e
conobbe che tornava lo stesso che picchiare alla porta d'una tomba: non
si smarrì per questo che a molto animo accoppiava ingegno pronto; onde
dissimulare il cruccio e il disprezzo, con aria ingenua riprese:

— Mira un po'! ed io la faceva facile. Potrò almeno vederlo?

— Circa a questo, cara madama, soggiunse il capitano, sollevato di un
gran peso, chè aveva temuto rimbrotti, ingiurie e peggio per la sua
ingratitudine, ed ora esultava nel vedere come ei si fosse con tanto
bel garbo accomodato, — circa questo, certo ci trovo intoppi non meno
gravi; ordini espressi lo vietano (e non era vero, ma lo affermava per
dare ad intendere che un grave pericolo gli pendea sul capo, e che per
amor di Serena sfidava); ma che non ardirei per voi? Ogni Francese
per compiacere alle dame si sente addosso un po' del duca della
Rochefocauld, il quale cantava in rima alla principessa di Longueville:
per meritare il vostro cuore, per piacere ai vostri occhi ho fatto la
guerra ai re, e l'avrei fatta anche ai numi. Voi lo vedrete, madama;
quando anco dovessi attirarmi sul capo la indignazione di sua maestà
cristianissima, lo giuro. — E qui stese la mano in atto poco diverso
da quello di Annibale quando il padre Amilcare gli fe' giurare su le
viscere palpitanti della vittima odio eterno ai Romani.

— Conducetemi dunque.

— Non io, madama; voi capite quanto sarebbe scortese indiscretezza
cotesta; un cavaliere francese si rispetta abbastanza per astenersi da
mettersi in terzo nelle conferenze — senza dubbio — tenere, fra sposo
e sposa.

— Fate come volete, ordinate che mi conducano al suo quartiere. Spero
che uscendo vi potrò salutare.

— Anzi vi dichiaro espresso che se partiste privandomi dell'onore di
baciarvi la mano, ne porterei lagnanza alla cancelleria della urbanità;
quella dello amore non mi ascolterebbe.

Serena non porse orecchio a coteste sguaiataggini; era proprio roba
buttata via; l'accompagnò Onorato, il quale confidatala al carceriere
disparve; questi giusta gli ordini le aperse la prigione.

Serena come le consiglia l'affetto stava per abbandonarsi nelle braccia
del suo sposo, imperciocchè sia natura degli animi gagliardi frenarsi
nel manifestamento delle mediocri passioni, traboccare nelle supreme;
quando ad un cenno di Altobello si trattenne e girando intorno paurosa
gli occhi vide il carceriere ritto sopra il limitare della porta: presa
da vergogna e da dispetto gli disse acerbamente:

— Che fate costà? Andate via.

Il carceriere, che francese era, comprendendo più dai gesti che dalle
parole le domande, rispose: che ci stava perchè ci doveva stare,
essendo suo ufficio avvertire quello che dicessero i visitatori ai
prigionieri, e sopratutto quello che gli portassero. Ognuno può
immaginare che la presenza dell'importuno custode abbreviasse di
molto il colloquio dei giovani; anzi a propriamente dire Altobello
non fiatò; quella che fece le carte fu Serena, la quale presto presto
nel dialetto più puro di oltremonti gli frullò non so che parole, cui
egli acconsentì accennando col capo. Il carceriere, trovando contro le
regole di non capire, uscì fuori ad osservare, che era cosa inaudita
servirsi, per discorrere, di lingua diversa dalla francese: ciò
dare indizio della ignoranza e sopratutto della barbarie dei Côrsi:
parlassero in francese, ovvero tacessero, correndo loro il dovere
di farsi intendere. Serena che aveva terminato di dire quanto le
importava, strinse la mano allo sposo e quindi voltasi al soldato gli
disse:

— Voi siete un insolente; andiamo....

E fingendo una grossa collera si fece a trovare il capitano Rinaldo
querelandosi della grosseria del carceriere.

— Capisco, riprese il capitano ghignando, capisco la zotichezza di
questo gaglioffo, e capisco quanto abbiate dovuto stridere a non
potervi trovare sola col vostro marito; davvero ne soffro più di
voi.... io non posso mica dare ordini contrarii ai regolamenti; certe
cose bisogna che il carceriere comprenda da sè o piuttosto bisogna
glielo facciano comprendere i prigionieri o quelli che vanno a
visitarli....

— Insomma poichè non mi è riuscito parlargli, spero che non sarà caso
di stato potere mandare al mio sposo la provvisione da casa....

— Circa a questo poi, madama, io mi sono detto: è possibile, capitano
Cassagnac, che la legge ti stringa così duro da non lasciare in qualche
modo che la tua profonda riconoscenza non si dimostri? No, deliberai
meco stesso, il signor Alando pranzerà alla mia tavola.... cioè farò
portare il mio pranzo in camera sua.

Serena impazientita percoteva col piede la terra, sicchè non si potendo
più reggere proruppe:

— Per carità non vi dite più nulla... e rispondete a me: posso o no
mandare provvisioni da casa al mio sposo? Voi comprenderete che noi
gente semplice non siamo abituati alla cucina vostra; e poi, sia
superbia, sia dignità, un Côrso non consentirà mai di mangiare alle
vostre spalle.

— Vi chiedo umilmente perdono, madama, ma questo, mentre per me sarebbe
grandissimo onore, non penso che apporterebbe scapito alla dignità del
gentiluomo: ma poi fate quello che volete e mandate pure ciò che vi
piace.

Fu portato un paniere per parte di Serena pieno di robe buone a
mangiare e a bere; e parve che di stupendo appetito fosse provveduto
Altobello, ovvero la rabbia glielo avesse cresciuto, perchè il giorno
appresso lo rese vuoto. Serena sul mezzogiorno tornò a visitare
Altobello; memore dello insegnamento del capitano lo mise in pratica,
ed ebbe a lodarsene, imperciocchè il carceriere sebbene non arrivasse
fino a lasciargli nella prigione inosservati, pure si mise colle
spalle fermo alla soglia fischiando senza punto badare alle parole che
si dicevano, e mostrando in certo modo che codesta prima concessione
poteva considerarsi come uno scalino della lunga scala, che a un
bisogno gli dava l'animo di scendere: però anco in quel giorno il
colloquio fu breve; e Serena uscendo si recò dal capitano per questa
volta assai pacata in volto; chi l'avesse avuta in pratica l'avrebbe
giudicata gioconda.

— Capitano Rinaldo, ella disse, voi avreste a farmi un grosso piacere.

— Madama, voi sapete che il piacere lo fate a me quando mi mettete a
prova di rendervi servizio... potendo.

— Ma sì che lo potete; anzi me lo avete profferto ed io sconsigliata lo
ricusai; mi accorgo con amarezza che Altobello si lascia pigliare dalla
malinconia; procurate di tenerlo un po' lieto con la vostra amabile
conversazione...

— Diavolo? Oh! non mi era esibito a pranzare con lui....

— Giusto! fate così; mettete in comunella i vostri pranzi, e state
allegri più che potete.

— Magari! Solo mi rincresce non potere incominciare oggi; domani senza
fallo daremo principio.

— Bò; e siccome domani ricorre l'anniversario della mia nascita, io
intendo regalarvi di una pietanza côrsa... di un bel fiadone.

— Fia?..

— Fiadone; eccellente roba in verità; dopo averlo gustato vo' che me ne
diciate le novelle. Però ordinate a quel brutto zotico del carceriere
che non me lo guasti, come fece ieri il broccio che lo spampanò tutto
per frugarlo dentro. Misericordia! O che temeva il villano, che avessi
rimpiattato un cannone in corpo ad una ricotta? Che bestia! pare
impossibile che di siffatti tangheri nascano in Francia.

Il capitano, che aveva proprio con la sua bocca imposto cotesto ordine,
diventò rosso fino alla radice dei capelli, ed impicciato più di un
pulcino nella stoppa, rispose:

— Certo... sicuramente... da qui innanzi voi non frugherete la sporta
di madama Serena...

— Se mi era fatto lecito di frugare la sporta di madama Serena ciò fu
perchè...

— Zitto! mezzo giro a sinistra... marciate...

Il carceriere uscì bestemmiando sotto voce. La panierata all'ora solita
venne, e l'onesto capitano fece in guisa di trovarsi sul pianerottolo
della scala, dove preso il paniere e scopertolo come per vaghezza di
vedere che cosa vi fosse di bello, ad alta voce disse: — E' non sembra
che la sobrietà entri nel numero delle virtù dei Côrsi; e sommesso:
anco stamani l'ho visitata: in seguito non importa, io pranzerò con
lui. — Come vedete, il capitano non mangiava il pane a tradimento a S.
M. il re di Francia.

Il giorno appresso il paniere era più grosso; conteneva parecchie bocce
di vino smagliante, triglie, che parevano ci fossero sguizzate dentro
dal mare allora, una mezza dozzina di pernici e il famoso fiadone; a
chi nol sapesse si fa noto come il fiadone sia una maniera di broccio
manipolato con zucchero, uova ed altri ingredienti che messo a cuocere
in forno rigonfia formando sopra una crosta spessa: però raffreddandosi
la crosta casca: ma in questo non era andata così, che o per via di
carta o di cerchio di staccio l'avevano tenuta su ritta in guisa che
presentava per l'appunto la forma di un coperchio di forno di campagna.

Serena sopraggiunse dopo; intromessa subito nella prigione di
Altobello, per prima cosa gli domandò dove avesse posto il paniere,
e rispondendole quegli che non lo aveva per anche visto, caddero
ambedue in grande perplessità; ricambiatesi appena alcune parole Serena
scese nelle stanze del comandante dove trovò il paniere coperto,
e il capitano Rinaldo giocondo al solito. Questi le disse che si
dava premura di assestare tutti i negozî per non venire disturbato
ingratamente quando pranzava col caro amico Altobello; avrebbe quanto
prima portato egli stesso il paniere; volere con le sue proprie mani
imbandire la mensa. Di questo suo proponimento forte lodò la donna,
aggiungendo che la presenza dei servitori mette sempre in soggezione,
nè allora possono gl'interni pensieri prorompere fuori liberi, ed anco
un po' scapestrati a giocondare la brigata.

— Certo voi parlate di oro, soggiunse il comandante, però non ci
terremo appresso altri che Onorato.

— Onorato! e non è egli il vostro servitore?

— Onorato non è un servitore, bensì un cameriere.

Serena non istette a perfidiare, diede volta, entrando su diversi
particolari, e quando fu sull'andarsene, si accorse di essersi
dimenticata del suo _mandillo_ nella prigione; allora chiese licenza
di andarselo a pigliare, la quale agevolmente ottenuta si fece ad
avvertire Altobello dell'intoppo; questi levò le spalle, e disse:

— State di buon animo, Serena; il bisogno fa bravo, e tempo darà
consiglio.

Verso le quattro dopo mezzogiorno Altobello udì la voce del comandante
pel corridoio; subito dopo si spalancarono le porte e furono visti
parecchi soldati portare lumi, fiori, il paniere di Serena e con
esso un assortimento di vivande che il capitano ci aggiungeva di
suo, bastevole ad ogni grande corredo. Dimessi i soldati, rimasero
Altobello, Rinaldo e il cameriere, che proverbiandosi con urbane
arguzie presero ad apprestare il convito come persone a cui torni
benvenuto ogni accidente capace a far perdere il tempo. Sonavano le
sei, quando si assettarono a mensa, non prima però che Rinaldo si fosse
scinta la spada e spogliata la divisa militare, vestendo in vece sua
la palandrana: secondo il solito da prima tacquero, ma saziato appena
il più urgente desiderio di cibo, ricominciarono il giocondo favellio,
a cui Onorato servendo sempre da scalco e da donzello pigliava parte;
così mangiando e bevendo, ma molto più cicalando, arrivarono alle ore
otto della sera, e quasi al termine del pranzo.

— Ed eccoci, disse il capitano, prossimi ad assalire il famoso
fiadone...

— Sicuramente, ma prima di metterci le mani sopra mi parrebbe bene che
Onorato se ne andasse ad ammanire il caffè...

— Non ci è mestieri che ei corra troppo lontano; corri, Onorato, nella
mia stanza, prendi l'occorrente sul cammino e lo faremo bollire qui...

— Di grazia no; cotesto odore nella stanza mi offende i nervi...

— Mi pare che lo facciate bollire tutte le mattine...

— Già, per questo bisogna che non ce lo faccia bollire anco la
sera, perchè, capite; la mattina si aprono le finestre e si dà aria,
benefizio che non può godersi la notte, almeno senza danno; e poi
giusto, voleva pregarvi ad ordinare che mi bollissero il caffè anche la
mattina fuori di stanza.

— E così faremo di certo, che intendo e voglio che tornato in libertà
voi abbiate a desiderare la prigione francese...

— Credo che già siate a mezza strada. Oh! soggiunse Altobello
percotendosi della mano la fronte, lo scemo che sono; e i liquori?

— Non vi buttate via, che giù in camera ci devo avere una boccia di
vecchio cognac da resuscitare un morto.

— Per amor di Dio non mi parlate di cognac, che al solo sentirlo
rammentare casco in deliquio: poichè assolutamente bisogna terminare
regalmente un convito così bene incominciato e con tanta solennità
fino a questo punto condotto, io vi prego, amico carissimo, di mandare
Onorato con un mio biglietto a Serena, perchè ci mandi una boccia di
liquore di ginepro stillato in Corsica: voi non sapreste immaginare
di che bontà, di che eccellenza sia il ginepro di Corsica; bastivi
tanto, che Plinio il vecchio lo rammenta con onore nella sua storia
naturale!...

— E dove alberga madama Serena?...

— Qui sotto al Pontetto...

— E che ora fa?

— Le otto come sonano...

— Sono sonate, interruppe Onorato, ma se piace al signor capitano in
due salti vado e torno.

Allora Altobello scrisse un motto, e indicò il numero della casa; poi
lo porse al capitano, il quale senza leggerlo lo consegnò ad Onorato,
ordinandogli magnificamente:

— Partite...

Ora è da sapersi che durante il pranzo molto si erano trattenuti
favellando di carceri e di cose a quelle attinenti, come morti,
torture, liberazioni; Rinaldo aveva narrato la fuga maravigliosa del
Latude dalla Bastiglia, ed altre dei tempi suoi; per converso Altobello
parecchie, che pareano impossibili, dai Piombi e dai Pozzi di Venezia:
ma più curiosa di tutte fu reputata tra noi, continuò a dire Altobello,
la fuga di un Gafforio dalla cittadella di Corte: egli aveva detto, poi
era stato interrotto da vari accidenti testè esposti; adesso, che le
faccende ripigliavano il corso ordinario, il capitano Rinaldo vago di
novità instava:

— Dunque, come l'andò a finire quel caso del Gafforio?

— Sentirete, che so che ci avrete gusto. Il Gafforio prigioniero invitò
a pranzo il Commissario genovese, al quale parve dovere accettare;
essendo egli venuto di fresco, gli prese voglia del fiadone, ed ebbelo.
Lo aveva ordinato grande perchè bastasse a cibare il presidio della
cittadella e per qualche altra cosa: venuto il momento d'imbandire la
vivanda sopra la tavola, il Gafforio si levò come faccio io, la pose in
mezzo della mensa in questa medesima maniera....

— E poi? domandava il capitano ridendo.

— Poi, mutato il volto di piacevole in feroce, aggiunse Altobello, dato
uno scappellotto alla crosta mise mano al ripieno, e appuntatolo al
petto del castellano gli disse: — zitto! o sei morto.

E queste cose aveva l'Alando non solamente detto ma fatto, onde il
capitano Cassagnac quando se lo aspettava meno si vide appoggiato
al cranio due bocche di pistola; egli per certo era animoso molto, e
vuolsi credere che nonostante il pericolo avrebbe gridato; senonchè
Altobello gli tolse il tempo di riscotersi dalla sorpresa e dal
terrore, e di una spinta rovesciatolo a terra, gli mise le ginocchia
sul petto, la destra su la bocca, mentre con la sinistra si cavava in
fretta di tasca certi tovagliuoli ammaniti all'uopo; con questi gli
cinse il capo per modo che non un gemito avriasi potuto sentire di lui;
nè sicuro a tanto, lo voltò bocconi e con altre salviette gli strinse
le mani.

— Se vi pare bello, signor francese, tormi la libertà a tradimento,
spero che non troverete brutto ch'io la recuperi con ingegno e con
valore.

E intanto che diceva queste parole vestì la divisa militare del
capitano, si mise in capo il suo cappello, prese dal grembo del fiadone
una matassa di corde di seta intrecciate a scala, ed un paro di guanti
imbottiti di cotone, che ci aveva nascosto la provvida Serena; usci
franco, e data volta alla chiave se la mise in tasca lasciando il
carceriere incarcerato. La notte era fredda ma limpida, sicchè le
sentinelle invece di starsene appiattate nei casotti correvano su e
giù lungo i battuti per iscaldarsi le membra intirizzite: anche questo
dava impaccio, e non poco; però non bisognava gingillarsi; infatti
Altobello va difilato dalla parte orientale della fortezza, dove
declinando si distende sopra l'estremità dello scoglio; colà stavano
poste in batteria due colubrine in custodia di un soldato, e Altobello
accostandovisi spera non gli domanderà il _santo_ scambiandolo
pel comandante della cittadella, e s'ingannava, imperciocchè la
guardia prima gl'intimò si fermasse, poi le desse il nome; frattanto
Altobello erasi avvicinato fino a tre passi, e la guardia abbassava
lo schioppo per respingerlo. La necessità in cui versava l'Alando gli
ferì il cervello, ma fu breve, quasi stretta di mano, e via: teneva
la pistola inarcata, gliela sparò nel petto, adoperando quasi senza
accorgersene la pratica imparata dal signor Clemente di recitare una
prece giaculatoria in pro' dell'anima dello ammazzato. In meno che
non si dice _amen_ legò la cima della scala alla corona del cannone,
che sporgeva fuori delle mura, e lasciò andarsi giù talora trovando
appoggio e talora no; ad un tratto col piè tocca lo scoglio, dacchè e'
facesse un po' di cornice intorno alla base dei muri della fortezza:
cercare al buio la scala rimasta lì su aggrovigliata, calarla di nuovo,
commettercisi poi era lo stesso che darsi al disperato; Altobello come
giovane di subiti partiti spiccò un salto tuffandosi in mare quanto
meglio potè lontano dallo scoglio; mentre fendeva l'aria pensò che
i panni mezzi gli avrebbero arrecato non lieve impaccio al notare,
quindi si provvedeva di prudenza per risparmiare le forze, di costanza
per durare; con sorpresa pari al contento egli non ebbe a mettere a
prova queste due virtù, dacchè tornato a galla si sentì acciuffare da
una mano di rovere pei capelli, e subito dopo da un'altra nel collo,
e scaraventare dentro la barca come un sacco. Ciò fatto s'intese
sfrenellare due remi, che si misero in voga alla dirotta; in questo la
fortezza di San Carlo sembrò aprire gli occhi, chè lungo le feritoie
apparve una lista di fuoco, e insieme al fuoco piovve una grandine
di palle; non avvertimento fu dato, non preghiera profferita, un
gemito lieve, seppure era gemito, parve che movesse dalla parte di
poppa. Bastarono poche palate per mettersi fuori del tiro del fucile,
in quanto al cannone non faceva caso, chè pretendere colpire per la
notte una barca con le artiglierie era lo stesso che cercare un cece
in mare. Allora in un medesimo punto due voci chiamarono Altobello,
e questi riconobbe la madre e Serena. Francesca Domenica animo e
corpo di ciocco menava il remo meglio che mai facesse il bonavoglia,
Serena teneva il timone, Bastiano era il terzo. Le donne, presaghe dei
sinistri che potevano per avventura accadere, avevano portato seco
vesti che servirono ad Altobello per mutarsi in fretta; poi mise la
madre al timone, egli e Bastiano ripigliarono la voga, Serena mandarono
a riposarsi delle fatiche sofferte e più delle agitazioni, ed ella si
giacque a prua senza farsi pregare.

La fortuna ora da sè discorde volle favorire questa impresa, onde sani
e salvi arrivarono alla punta di Arco; trovarono muli allestiti su
i quali salendo, presero, senza mettere tempo fra mezzo, la via del
Borgo. Furono ricevuti a braccia aperte: qui accadde che Altobello
stringendo improvviso al suo petto Serena fu cagione che questa
gettasse un strido, per la qual cosa cercando premurosamente se e come
le avesse fatto male, conobbe lei essere stata ferita da una palla
nel braccio manco; la poveretta quantunque se lo sentisse passato
fuor fuora non n'aveva mosso parola, anzi perchè curando lei non
perdessero tempo si era accocollata a prua mordendo il fazzoletto, e
così in silenzio si era posta una fascia intorno alla ferita. Appena
le sfuggiva il grido, vergognando di avere mostrato paura, diede della
mano destra su la spalla ad Altobello e con un tal suo sorriso tutto
amore, lo rimproverò:

— Se nei vostri garbi voi metteste un po' più di grazia, mamma
Francesca non avrebbe saputo che io era stata ferita.

Francesca Domenica, quando si trattava vegliare infermi, medicare
feriti, in breve, consolare qualunque afflizione, pareva chiamata a
nozze; nudò il braccio di Serena prima che se ne accorgesse, staccò
senza farla troppa penare il panno ingommato di sangue dalla piaga,
la quale diligentemente esaminata trovò che non aveva offeso l'osso nè
parte alcuna d'importanza; nondimanco dopo averla medicata le impose di
andare a riposarsi.

Rimasti soli Bastiano e Altobello, il primo disse al secondo:

— Quando venni al servizio di vostro padre, Altobello, gli promisi che
egli avrebbe spellato me od io lui: difatti io gli scavai la fossa: con
voi non ho patti. Ora ditemi se per tutto il tempo che vi ho servito vi
mancai in parole, in opere o altrimenti.

— O Bastiano; per te solo, finchè vivemmo piccoli orfanelli, quasi non
ci accorgemmo ci mancasse il padre.

— Bò; dunque datemi un bacio e addio.

— Tieni Bastiano, pigliane anche tre; ma non capisco che cosa tu voglia
significare.

— Ecco io voglio tornare alle mie montagne di Niolo, e da qui innanzi
non obbedire altro padrone che Dio.

— Come può esser questo, Bastiano? Ti avrebbe qualcheduno offeso in
casa mia?

— Sì, e molto, e l'offensore siete voi.

— Io?

— Si, voi avete dubitato di me; voi avete sospettato un momento
Bastiano traditore; non lo negate; lo so.

— E tu sai male; io non ti ho mai creduto traditore.

— E con quel vostro sguardo in casa Mariano che mi chiedeste voi?

— Lo vedi; se ti avessi reputato traditore avrei potuto domandarti se
mi avevi tradito?

— E se mi credevate fedele come avreste potuto interrogarmi se ero di
balla con Mariano? No, tanto è, ho deciso, Altobello, il cuore rotto
non si rincolla; l'odio mio è contro colui che adoprandomi per zimbello
mi fece supporre complice del suo tradimento. Addio dunque! salutate
per me Francesca Domenica, perchè non mi basta l'animo di dirle addio.

   [Illustrazione: ... convitati il 3 maggio a festivo pranzo
   gli ufficiali superiori, levate le mense commise che con le
   artiglierie si facesse gazzara. (_pag. 445_)]

Altobello si avventò al collo di Sebastiano piangendo: parole non disse
che ben sapeva più facile smovere Monte Rotondo che quel feroce petto,
e Bastiano con lagrime punto meno dirotte baciò e abbracciò lui. Pareva
che non si potesse staccare; si sarebbe detto che non sarebbe partito,
ma di repente si asciugò gli occhi, aggrondò le ciglia, schiuse le
labbra e recatosi lo schioppo in ispalla si avviò fuori della porta.
Quando si trovò fuori, come se vacillasse per ebbrezza, si appoggiò ad
un muro e si pose la mano sul cuore: il forte Côrso sentiva come sia
affanno peggiore di ogni morte sopravvivere ai propri affetti.

Ma questo affanno, richiamandogli alla mente la causa che lo aveva
partorito, sollevò nel cuore un'altra tempesta e più truce.

Taluno affermò che i Côrsi odiano molto perchè molto amano: sembra
sofisma, e pure così estimando non si va lungi dal vero. Sebastiano,
poichè si fu diviso da Altobello, corse difilato a incendiare la
casa di Mariano; — Dicono che non fosse sua intenzione arderne gli
abitatori, ma veramente sembra non se ne possa dubitare, se pogniamo
pensiero alla iscrizione che piantò sopra le rovine, e più all'avere
prima di appiccarci il fuoco remosse le scale, le quali erano due; la
prima pubblica dove passavano tutti, l'altra secreta che metteva capo
a certa apertura praticata sotto il letto di Mariano, donde lo vedemmo
sparire alla fine del colloquio che tenne con Altobello. Tali a quei
tempi erano i Côrsi.

                   *       *       *       *       *

Quando i Romani stavano in procinto di profferire le sentenze
assettavansi, e lo starsi seduto dicono confacesse molto alla
eccellenza del giudicato come alla dignità del giudice; e può darsi;
l'uomo però ha bisogno di aprire la dura mano della necessità per
pigliarvi i presagi del futuro, deve starsi a modo di lottatore. I
pensieri talora scoppiano in mezzo ai rumori del giorno simili a baleni
di raggio ripercosso sopra lo scudo; tal altra nella pace della notte
scendono spessi e luminosi al pari delle stelle cadenti, ma e nell'un
caso e nell'altro, dove la facoltà intellettiva non venga mossa dal
sangue agitato, impadula come acqua morta. Per questo il generale
Paoli, abbandonata per tempo la mensa era sceso nel giardino per
meditare su le faccende della Patria; quantunque il vento dai monti
soffiasse gelato, aveva scoperta la testa e di tratto in tratto ne
scompigliava i capelli, affinchè l'aria fresca vi si rinnovasse per
entro. Il suo sangue bolliva, e dalla bocca gli scoppiavano parole
rotte appunto a modo di sonagli che saltino su da un liquore che bolle.

— Perchè tanto odio contro la libertà?... Egli diceva. Fin qui i
governi della terra si modellano su quello di Polifemo, mungere e
mangiare il gregge.... Però Ulisse comechè nano dirimpetto a lui gli
cavò l'occhio; sta bene, ma gli Ulissi vennero sempre rari nel mondo,
massime ora. Adesso la viltà del gregge supera la ferocia dei Ciclopi;
se restassero gli uomini un giorno privi di padrone, urlerebbero
alla fine del mondo... Dicono la forza tenere il popolo pei capelli,
mentre gli introna gli orecchi col grido: io sono il diritto: non è
vero, la forza non può tanto se non la aiutasse la paura... Il carro
del diavolo tirano queste due bestie; forza e paura... Ah! uomo di
poca fede, perchè dubitasti? Questo sconforto nasce dal desiderio
ingeneroso di essere sortito tra quelli che raccoglieranno e non tra
quelli che arano, tra i trionfatori e non tra i combattenti... Per
mezzo alle tenebre, da schiavi ignudi, tra le feste che la prepotenza
ubbriaca concedeva alla disperazione digiuna, una fiaccola sola
trasmessa velocemente di mano in mano passava il Reno, passava il
Danubio ad infiammare alla vendetta il sangue dei barbari, saliva per
monti, scendeva per valli finchè non arrivasse; così la libertà passa
di generazione in generazione nella corsa desolata che esse menano
traverso i secoli, finchè non arrivi agli eletti che con questo fuoco
acceso nell'ira e mantenuto dall'odio inceneriranno il rogo della
tirannide: nè i tempi paiono lontani... e come? Non so, ma l'aria che
respiro mi sembra pregna di tempo nuovo: certo poca cosa sono io....
e non uso a pescare nelle acque dove si cova il destino dei popoli,
lontano dal mondo, in mezzo ad un'isola; che importa questo? Quando
l'uomo del settentrione vuole accertarsi se il diaccio ha messo crosta
sul Boristene da reggere il passo dei suoi carri e di lui, manda
innanzi la volpe; il disprezzato animale origliando il minimo rumore
di cretti invisibili dà all'uomo quella sicurezza che questi non può
procurarsi con le sue facoltà. Tra cento anni saranno spariti dal mondo
la casa di Borbone, la casa di Austria e il pontificato di Roma, i tre
chiodi che tengono fitta in croce la umanità...

Intanto che il Paoli molinava simili concetti, in un luogo remoto
del giardino lungo il muro, si vedeva strisciare pian piano su la
terra un mostro immane; però la Corsica non contiene serpi grandi nè
piccoli, almeno così credono, e il nuovo mostro presentava la mole
del massimo dei boa per grossezza; ancora costui sembrava allungare
e ritirare branche proporzionate al corpo, e spesso sostava quasi
che impaurisse dallo scroscio delle foglie secche che si sgretolavano
sotto i suoi passi; sovente levava il capo e lento lo volgeva dintorno
come sospettoso di vedere oggetto di che non avesse paura. Scopo dei
suoi passi sembrava veramente che fosse il Generale, ma si comprendeva
chiaro che ei non ardisse cimentarsi troppo; però era da credersi
che il Generale, vagando come lo menavano le gambe nelle frequenti
giravolte, pigliasse il verso da codesta parte: quindi il meglio era
aspettarlo a piè fermo: questo parve appunto deliberare la strana
figura e rannicchiata dietro un tronco di albero attese.

Il cane Nasone non si scompagnava mai dal suo signore, in ispecie
quando usciva fuori di casa; ma quella sera lo trattenne Matteo
Massesi che pronto si mise tra il cane e la porta, e mentre ne
chiudeva l'uscio, con un pezzo di zucchero tirò a sè Nasone. Nasone
capiva trovarsi in buone mani, andava tranquillo che ciò non fosse
punto preordinato a fin di male, ed anche lo zucchero lo tirava;
egli non aveva il lusso dei sette peccati mortali come l'uomo (e
taluno ne possiede anche otto), ma la gola era la sua pecca; tuttavia
trangugiato ch'ebbe lo zucchero si voltò gagnolando alla porta e quivi
raspava e col muso s'ingegnava ad aprirla. Matteo poneva ogni studio a
quietarlo; ma era niente; gli pose altro zucchero, e' tornò invano: di
un tratto il cane si ferma allungando le gambe davanti e le posteriori
raggruppando, leva il capo come fa il bracco quando punta, e subito
dopo tese le orecchie, aggrovigliata la coda, tutti i peli irti si
avventa contro la porta con un furibondo latrato; al tempo stesso
fu udito dal giardino un colpo di pistola; e' parve che ne restasse
ferito Matteo, imperciocchè vacillasse, e dati indietro due o tre passi
percotesse con le spalle nella opposta parete; ma si riebbe presto,
e asciugandosi il sudore colla manica del vestito aperse l'uscio
donde precipitò con Nasone in traccia del Generale. Lo trovarono
fermo e sereno, senonchè entrambi, cane ed uomo, essendogli con furia
saltati al collo, poco mancò che non cadessero giù tutti in un fascio:
frattanto con lumi ed armi traeva gente da ogni luogo, per la quale
cosa il Paoli si vide circondato da una frotta dei suoi; richiesto,
appagò l'ansietà loro dicendo come passando presso all'albero lì vicino
un uomo posto in agguato gli sparasse contro una pistola; a parere suo
molto avere a costui dovuto tremare la mano perchè il colpo era stato
a bruciapelo e non si poteva sbagliare, ma la Provvidenza anche per
questa volta essersi degnata salvarlo. Rientrò in casa dopo queste
parole accompagnato da molti; e più prossimo di tutti gli procedeva
accanto il Massesi, il quale sembrava non potersi saziare di baciargli
la mano e domandargli se veramente non l'avessero colpito e se si
sentisse male. Molti furono i ragionari intorno all'accaduto che non
importa riferire; il Paoli giudicò che il colpo partisse senza dubbio
dai Francesi, e su tale proposito disse queste parole dure:

— La vanità dei Francesi è più crudele della ferocia dei cannibali; se
traverso la via che mena al Campidoglio incontreranno il cadavere del
padre, ogni francese si sentirà il cuore di Tullia per passargli sopra
e correre a coronarsi d'infamia e di alloro.

Maravigliando poi di non vedere il cane fidato e parecchi dei suoi che
pure gli erano comparsi nel giardino, lo chiarirono come fossero corsi
dietro le traccie dell'assassino; allora il Generale osservò:

— Gli è tempo perso; il male lo abbiamo in casa....

Aveva appena finito di parlare che il cane entrò tenendo un foglio in
bocca, il quale si fece a depositare su le ginocchia del Paoli: — ed
ora, che significa questo? interrogò; poi preso il foglio e gettatovi
sopra gli occhi: curiosa! aggiunse, è una lettera indirizzata a te
Matteo.

— A me? Ah! forse nella confusione mi sarà cascata di tasca.

— Senza dubbio, senza dubbio, e sarà, io gioco, di qualche tua dama:
ecco dunque spiegata la causa per la quale ti vedo meno frequente
intorno a me: quasi quasi mi piglierebbe vaghezza di conoscere la bella
che mi fa concorrenza.

— Oh! voi non lo farete.

— Perchè no? Anzi dovrei; perchè se dritto amore, mi toccherebbe
promuoverlo, se illecito reprimerlo.

— Per amore di Dio rendetemi la lettera.

— Io non sono geloso; spero che non sia affetto del quale tu abbia ad
arrossire; ecco la lettera, e tu Nasone torna a cercare, per questa
volta l'hai fatta corta; — e così dicendo porse la lettera a Matteo il
quale stese la mano pronta come un baleno, ma così tremula che girava
intorno al braccio del Generale senza poterlo toccare; quando fu per
pigliarla, un altro braccio sporto fra mezzo, la portò via dalle dita
del generale esclamando:

— Questa lettera ci manda la Provvidenza per iscoprire qualche nero
tradimento.

— O padre Bernardino, eccovi qui sempre co' vostri eterni sospetti;
rendete via la lettera allo zitello: non vedete che con quegli
occhiacci da spiritato lo fate morire di paura.

— Questa è sfrontatezza fratesca; come ci entrate voi? Rispettate
i miei segreti o che io... la lettera... per Dio!... la lettera — e
Matteo si slanciava destro come un gatto sul frate, il quale steso un
braccio col pugno chiuso, respinse il giovane intanto che diceva senza
punto scomporsi:

Non vi confondete, figliuolo; io sono confessore, e la conoscenza di
molti altri peccati sta sepolta quaggiù: dove si tratti di fragilità
umane resteranno fra voi e me; nessuno ne saprà straccio, in fede
di sacerdote; e senz'altro aspettare spiegò la carta: appena scorsa
con rapido sguardo alzò gli occhi e vide Matteo che quatto quatto si
accostava alla porta tentando nel suo folle pensiero di svignarsela
inosservato.

— Altobello, gridò il frate allo Alando che in quel punto si trovava
più vicino al Massese impeditegli di fuggire, perchè quanto è vero Dio,
il traditore è costui.

— Traditore! gridò balzando in piedi il Generale, e poi ricadde a
sedere facendosi in viso pavonazzo come se lo avesse colto la gocciola;
con la mano accennava aprissero le finestre per lasciare libero
l'ingresso alla corrente dell'aria. In quanto a Matteo non importava
reggerlo! egli era cascato disfatto su le braccia all'Alando.

In mezzo ad un silenzio di sepolcro venne letta la lettera funesta, la
quale diceva così:

                                             Bastia, 7 febbraio 1769.

  «Matteo!

«Il tempo stringe e tu mi giri nel manico: caso mai ti ripegliasse
la solita vigliaccheria, ti avviso che ti perdi senza prò. Se lo
scellerato si troverà vivo di qui a otto giorni egli leggerà la
ricevuta che in doppio originale, uno per me, l'altro pel signor
conte di Marbouef, scrivesti e firmasti di tua mano, la quale se per
avventura avessi dimenticato, ti copio per tuo governo e dice così:
— io sottoscritto ho ricevuto da S. E. il signor conte di Marbouef
luigi sessanta da lire 28 l'uno che tanti mi paga a conto dei luigi
cento costituiti in dote da S. M. cristianissima alla nobile donzella
Caterina figliuola del nobile signor Orso Campana; la quale signora
Caterina ha promesso pigliarmi per suo legittimo sposo a patto che
nel corso del corrente mese di febbraio 1769 io abbia a consegnare
vivo o morto, in mano dei Francesi Pasquale Paoli tiranno della
Corsica, patto da me acconsentito e accettato; ed in fede io Matteo
Massesi mano propria. — Tu vedi dunque che siamo in buona regola: però
volendo, com'è dovere di sposa venire in aiuto del marito, ti mando
questa lettera per uomo fidato che si è profferto di ammazzare il
Generale, purchè gliene sia dato il comodo, e questo tu potrai molto
agevolmente fare consegnandogli la chiave della porta del giardino dove
il maledetto da Dio si reca a passeggiare talora dopo pranzo. Se ci
capiterà solo od anche in poca compagnia il nostro uomo assicura ch'è
affare finito; e ammazzato ch'ei l'abbia scapperà per la medesima porta
alla campagna salvandosi sopra un buon cavallo per la via di Aleria
o dalla parte che gli tornerà più destra. Tu partirai il dì dopo od
anche la notte medesima. Sbrigati dunque, se è vero che il mio amore ti
prema e se vuoi guadagnarti le grazie che ti sono state promesse. Tua
affezionatissima sposa Caterina Campana.»

Giuseppe Maria gran cancelliere di stato, padre di Matteo, uomo di
partiti rigidi ed inventore di nuove maniere di supplizio conobbe vano
supplicare misericordia: in cotesta medesima notte risegnò la carica,
e consegnati i sigilli si ridusse in sua lontana campagna a nudrirsi di
dolore e di veleno. I Francesi, più tardi, divinando il tesoro di odio
contro gli uomini che si doveva essere accumulato in cotest'anima, lo
chiamarono a pigliare parte al festino di sangue, ed egli accorse come
dicono che costumi l'iacal, a rodere le ossa della gente sbranata dal
leone.

Matteo però fu giudicato con tutta la solennità dei riti forensi e
comecchè nè egli nè altri sapessero addurre scusa la quale valesse se
non a torre, almeno a scemare la colpa, non dimanco ebbe la difesa.
Gli uomini a quei tempi chiamavano ed anco adesso chiamano coteste
formalità osservanza ai sacri diritti dell'uomo, ma in effetto e' sono
grullerie o ipocrisie, e bene spesso l'una cosa e l'altra, quando
la colpa è manifesta, e il reo non la nega: o quando il principe
vuole la tua morte, e i giudici tirano salario per servirlo del loro
mestiere, che montano tante storie? Fuori il carnefice addirittura;
sarà tanto tempo risparmiato; e il tempo, pensateci bene, è moneta;
così predicano quotidianamente gl'inglesi principali economisti del
mondo. La storia infama come crudele Sisto V, che volendo s'impiccasse
subito quel giovane fiorentino che ammazzò uno sbirro, e sentendosi
opporre che bisognava innanzi giudicarlo rispose: giudichisi pure a
patto che s'impicchi prima di desinare, e stamane rammentatevi che ho
fame; e Cosimo de' Medici, che sotto i ragguagli del fiscale scriveva
asciutto: s'impicchi: se gli Spartani avessero posseduto la forca non
potevano adoperare concetto più laconico; e finalmente quel Ferdinando
di Napoli, delizia del Romano Pontefice Pio IX, che mandò una compagnia
di moschettieri al Presidente di una Corte di giustizia facendogli
sapere che si sbrigasse a giudicare gli accusati perchè i moschettieri
avevano ordine di fucilarli prima di rientrare nei quartieri, la quale
cosa importava accadesse prima di vespro; crudeli certamente furono e
molto, ma bisogna confessare che furono eziandio molto sinceri. Matteo
Massesi fu condannato a morire strangolato con lo strumento paterno.

Tutto il giorno fu triste; rossi nuvoloni andavano in volta sul cielo
rombando con un tuono continuo come se i demoni dell'aria se gli
strascinassero dietro; verso sera si abbassarono; e squarciandosi
con folgori terribili e spaventoso fracasso mandarono acquazzoni a
diluvio e bufere di grandine: pareva che cascasse giù il cielo; il
vento penetrò le case spazzando la polvere del pavimento, strappando
i ragnateli dai palchi, sbatacchiando porte rompendo vetri e sfondando
impannate, poi dagli usci socchiusi mandò fuori gemiti, urli, stridori,
che suscitavano negl'inquilini giusta le più recenti avventure patite,
o la ricordanza della moglie morta fra le angosce del parto, o quella
del rantolo della lunga agonia del padre, o il rammarichio del pargolo
che si dibattè tra gli spasimi, o il vagellamento del fratello
che traboccò nell'altra vita delirando vendetta; ancora il vento
indiavolato si avventa a spire su per la cappa del camino spingendo
innanzi a sè faville sommovitrici di lontani incendii: allo sbocco
rovina l'angolo dei tegoli murato su la cappa per riparare il fumo,
schianta pietre e lavagne mulinandole attorno a mo' di foglie secche.
Guai a cui in quel punto passa per la via! che contro cotesta pioggia
schermo di ombrello non vale. Inoltre si infilò nei campanili, si
erpicò per le scale e prese ad agitare le campane a strappate, le quali
di tratto in tratto cacciarono uno squillo che pareva un singhiozzo;
quinci si spinse su la cuspide arrovellandosi intorno alla banderuola,
scotendola a destra, a sinistra, poi ravvolgendola velocissimamente
intorno all'arpione: adoperando insomma l'estremo di sua forza per
iscassinarla di costà quasi in vendetta della testimonianza ch'ella
di cotesta altezza faceva agli uomini della sua incostanza e della
sua cattività; scendendo entrò in chiesa, e menando remolino per le
colonne, per gli altari e su per le cupole ci destò diverse voci e
tutte paurose, perchè sul pavimento fischiava come se dalle sepolture
i peccati mortali dei sepolti ne prorompessero in forma di serpenti,
dagli altari come se i santi corrucciati rimproverassero agli uomini
le sempre cresciute offese al Signore, e pel vacuo delle cupole
reboando gelava il cuore per paura, che gli angioli sonassero le
trombe per la chiamata dei morti al giudizio universale. Tutte le cose
avevano un gemito sotto il flagello della natura presa da furore; gli
alberi rovesciavansi gli uni su gli altri stridendo come soldati di
esercito sconfitto, e le acque stesse dei fiumi e dei fonti schizzando
percotevano a mo' dei flagelli, delle furie.

Il Paoli chiuso nella sua stanza, seduto contro al suo solito
stringendosi con la manca mano le tempie, la bufera infernale o non
sentiva o non ci badava; così durò fino a notte avanzata; allora si
levò e apparve scolorito; non si sarebbe potuto dire se avesse pianto;
certo gli si vedevano gli occhi infiammati; prese un coltello, si
coperse con un gabbano e uscì di casa.

Aveva mutato appena due passi nel corridore dove metteva la prigione di
Matteo Massesi, che si vide venire incontro la burbera faccia del padre
Bernardino, il quale disse:

— Il cuore me lo porgeva che sareste venuto quaggiù.

— Però mi aspettavate? rispose il Generale aggrottando le sopracciglia,

— No; io non aspettava voi; bensì aspetto che ei si svegli — e col
dito accennava la carcere di Matteo — come per me la morte corporale lo
colpisce, vorrei che anche per me la vita dell'anima gli si schiudesse.
Ma e quando anco avessi aspettato voi, il merito non sarebbe stato
minore.

— Frate! io non amo che si guardi così al sottile nella mia vita, ve ne
avverto, e la vostra vigilanza mi pesa, abbiatelo per inteso.

— Pasquale, figliuolo mio, non lasciarti sopraffare dal demonio della
superbia; io ti rammento che fui l'amico di tuo padre; epperò immagina
che per la mia bocca ti parli cotesta anima benedetta. Soffri le mie
parole; esse sono amare come la medicina, ma apportano la salute come
quella. Tu sei venuto a salvare lo sciagurato.

— E che fa a voi cotesto?

— Che fa? quando, e Dio non voglia, a te non importasse più della tua
fama, la tua fama appartiene alla Patria, ella è nostra e noi dobbiamo
averne cura.

— Oh! ma allora io diventai il peggiore dei servi; io sarei lo schiavo
di tutti.

— Non si va in alto senza portare seco molti doveri, e non ci si
mantiene senza molti dolori. L'uomo rettore di popoli si rassomiglia
in tutto a san Bastiano: egli è esposto a chiunque vuole scoccare la
freccia contro di lui; ma come il santo in premio del martirio acquistò
le glorie eterne del paradiso, tu per breve fastidio godrai rinomanza
immortale, mentre noi perduti dentro il tuo raggio non lasceremo
memoria della nostra comparsa nel mondo, nè manco nella famiglia da cui
nascemmo. La tua gloria divorerà tutte le nostre glorie, a modo che il
serpente uscito della verga di Mosè si mangiò quelli che nacquero dalle
verghe dei maghi di Faraone.

— Tuttavolta non vedo come da salvare un condannato me ne abbia a
venire scapito di reputazione; all'opposto sempre fra gli uomini fu
benedetta la clemenza.

— Ci è tempo di clemenza e tempo di giustizia. La tua giustizia ha
lavato la Corsica del sangue fraterno pel quale era infame; la tua
giustizia ha ricondotto la osservanza delle leggi e la pace nel paese,
la sicurezza nelle famiglie; perchè dunque di un tratto ciò che prima
ti piacque ora t'incresce?

— Non m'incresce, ma mi percuote la mente la sentenza del Montesquieu,
la quale dice: la grazia compone il fiore più bello della corona dei
re.

— Può darsi dei re, perchè i fiori di queste corone sono spine nel
capo dei popoli; fatto sta che la grazia è l'opera dell'uomo il quale
si costituisce superiore alla legge; la grazia rompe l'ordine della
uguaglianza sovente in prò di cui se lo merita meno, per ultimo la
grazia converte la giustizia in ingiustizia tanto di faccia a coloro a
cui si concede, quanto agli altri a cui si nega. I nostri statuti ti
conferivano per errore simile facoltà, e tu accorgendotene non te ne
prevalesti mai. Più tardi potranno mitigarsi le pene; quella di morte
abolirsi; la legge meno acerba esattrice dovrà contentarsi di essere
pagata in ragione di 15 soldi per lira, ma ognuno ha da pagare.

— Signore! E' troppo duro che muoia cotesto sciagurato appena giunto al
ventiquattresimo anno.

— E quanti anni contava di più Giovanni Brando? Tu non salvasti amici
nè parenti; che mai diranno se salvi questo? — Diranno — ed abbassò la
voce; che chiuso ad ogni affetto di sangue e di amicizia il tuo cuore
sostenne offendere la giustizia per passione sconsigliata.

— Questo non diranno; amai cotesto giovane; forse lo amo ancora, non
però oltre la giustizia e il debito. Nell'ora suprema, che per lui si
avvicina, abbia, dacchè dargli alcun altro sollievo mi è tolto, le mie
consolazioni; lasciatemi andare, io voglio vederlo per cinque minuti.

— Generale, vogliatemi favorire il vostro orologio.

— Che volete farvene?

— Ci guarderò sopra il trapasso dei cinque minuti e ve li rammenterò;
voi non ce li guardereste di certo: adesso cotesto arnese non può
giovare a voi che ponendolo nelle mie mani.

Il Paoli tenendo un candeliere acceso in mano si accostò al letto
di Matteo: egli dormiva, e dal sembiante giocondo pareva che in quel
punto lo allietassero sogni soavi: il capo egli inchinava appoggiato
al destro braccio sporto penzoloni fuori del letto; i capelli
copiosi inanellati gl'inquadravano la bella faccia; un madido rossore
gl'imporporava le guancie; le labbra aveva socchiuse e frementi come
se dessero un bacio o favellassero parole di amore. Il Paoli non
ne sostenne la vista; riportò il candeliere su la tavola e prese a
passeggiare incerto se dovesse svegliarlo o se partire senza avere
ricambiato motto con lui: lo tolse di dubbio un sospiro, e dopo il
sospiro un grido.

— Ah! disse Matteo levandosi, io n'era sicuro, e il sogno me lo
accertava pur dianzi. Il signor Generale non ti lascerà morire,
no: egli ti ama tanto! Certo io l'ho offeso, non lo nego; non mi
state a dire che merito castigo; lo so: non mi rimproverate la mia
ingratitudine; io la sento: non mi avvilite con obbrobrio; voi non
potreste vituperarmi come mi vitupero io. Così, signor Pasquale, non
ponete in me più fede, ritiratemi il vostro affetto, fate quello che
volete; ma non mi lasciate morire, non è questa l'età in cui si muore;
io vi parerò il sole col mio corpo; vi farò schermo contro le palle
nemiche; servitevi di me come di piumaccio per riscaldarvi i piedi, o
di poggiuolo quando salite a cavallo; ma non mi lasciate morire.

— I cinque minuti sono passati — si udì ammonire la voce del padre
Bernardino traverso la porta.

— Ah! rimescolandosi tutto, gridò Matteo, e poi con accento più spedito
soggiunse — che se non vi degnate tenermi più accosto a voi, ebbene
me ne andrò lontano, mi bandirò dal paese, andrò in terra straniera ad
espiare la mia colpa col rimorso.

— Sono passati sei minuti.

— O piuttosto, sentite, compenserò con altrettanto utile il danno che
stava per recare al paese: vi pagherò il tradimento tramato in tanta
vendetta compita; mi condurrò a Bastia, dove dimostrerò il colpo essere
andato fallito per difetto del sicario: mi farò dare altri denari e
ve gli manderò: m'ingrazierò presso di loro, ne spierò i segreti e i
disegni, e ve ne ragguaglierò ora per ora; m'introdurrò nella cucina
del conte di Marboeuf il giorno che metterà tavola agli ufficiali
dell'esercito, e gli avvelenerò tutti....

— Sciagurato! proruppe il Paoli col pugno levato come se volesse
schiacciargli il capo, e chi ti ha dato il diritto di giudicare così
malignamente di me?

— Otto minuti sono passati.

— O Dio! O Dio! non mi lasciate morire...

Il Paoli si tenne a mezzo l'atto: intese a ricomporsi per alcuni
momenti; alla fine con voce ferma aggiunse:

— Matteo, voi dovete morire...

— Grazia, per carità! E allora che cosa ci siete venuto a fare?

— Ecco, rispose il Paoli, cavandosi di tasca il coltello e buttandolo
sopra la tavola — capisci — altro non posso darti: addio.

— Ah! è questo l'ultimo dono che Pasquale Paoli serbava per Matteo
Massesi?

E intanto che il Generale allontanandosi da lui s'immergeva nel buio
in che stava sepolta la parte estrema della prigione, con suono via via
più languido disse:

— Madri tenerissime e magnanime a figliuoli illustri e amatissimi,
quando non poterono sottrarli da morte, di pari doni presentarono,
affinchè fuggissero la infamia del patibolo.

— No... così non ha da essere... voi con una parola potete salvarmi la
vita... e voi avete a dirla questa parola... o non ne direte più altre:
e, gittandosi sul coltello ne butta via il fodero correndo in furia
colà dove era scomparso il Generale; dopo pochi passi gli riapparve
l'ombra davanti, ne muove alcun altri e gli sembra... anzi di certo gli
sta davanti una persona diversa.

— E voi chi siete? urla disperato.

— Io sono il Confessore — rispose il padre Bernardino.

Dopo un'ora padre Bernardino bussava alla porta della camera del
Generale che trovò levato, col medesimo gabbano fradicio addosso col
quale era stato alla prigione; lo salutò, e posto il suo coltello sopra
la tavola:

— Vengo a riportarvi il coltello dalla parte di cotesto sciagurato
— disse; e dopo alcuna esitanza, con suono che difficilmente poteva
conoscersi se fosse sincero o beffardo, aggiunse: — egli piglia la
infamia del patibolo in parte di espiazione del delitto commesso, e
intende farsene merito presso a Dio.

— Ho capito; gli manca il cuore d'ammazzarsi. — Buttò via il gabbano e
assestatosi al tavolino scrisse alcune righe che consegnò al frate.

— Anche questa carità, padre, e attendete che venga adempito questo mio
desiderio; in quanto occorre comando.

— Ma avvertite, Pasquale...

Questi levando minaccioso il dito, soggiunse:

— Zitto! Importa che sia così: la vista del patibolo somministra
argomento di curiosità agli stupidi, e scuola di ferocia agli
scellerati.

Quando fu riaperta la porta del carcere, dopo le spalle del frate
entrarono due altre persone che portavano qualche cosa di peso e
rimasero lì presso la porta; la candela oramai consumata mandava più
fumo che luce. Matteo giaceva bocconi sul letto traendo di ora in ora
focosi sospiri: appena sentì stridere il chiavistello si mise a sedere
sul letto, gridando:

— Padre, m'avete ottenuta la grazia?

E siccome quello metteva alcuna dimora alla risposta.

— Almeno una proroga?

— Senti figliuolo; dopo che ti ho lasciato, sarebbe un impossibile che
tu in pensieri, opere od omissioni non ti sia tornato ad imbrattare
l'anima che io ti aveva resa proprio bianca di bucato: ora prima di
tutto riconciliamoci con Dio.

— Sì, qualche altro peccatuzzo avrò commesso, sì voglio riconciliarmi
con Dio, ma la grazia me la fa? Me l'ha fatta?

— E batti lì: ti aveva lasciato coll'ali all'anima, e ora mi sei
ricascato giù nel pantano. Vieni qua... dimmi, figliuolo, hai
bestemmiato Dio?

— Sono da voi Padre; ma che vi ha detto il Generale; dove siete, chè
non vi vedo?

— Sono qua... da questa... porgetemi la mano, non tremate, figliuolo...
su coraggio...

— Coraggio! e perchè?

— Sedete... voi siete per mancare...

— Sì la terra mi scappa di sotto — e tastato all'intorno, trovò un
seggiolone e vi si pose a sedere.

— Figliuolo riconciliatevi con Dio...

— Oh!

— Dite: Gesù, Giuseppe e Maria, vi raccomando l'anima mia....

— Perchè? Perchè?

— Perchè è arrivato l'ultimo momento della vostra vita.

La fune gli cinse il collo, che stretta subito sui buchi della
spalliera venne dalle mani del carnefice aggrovigliata con un
nottolino; invenzione, come avvertimmo, di Giuseppe Maria Massesi.
Questo trovato parve buono, e nella Spagna gli fecero buon viso,
e tutta via glielo fanno: in Francia no, perchè ai Francesi parve
scapitare di reputazione, se non mostravano, che anco nei supplizi
possedevano immaginativa da rivendere italiani e spagnuoli: difatti il
medico Guillottin trovò la _ghigliottina_, che dapprima non valse la
seggiola del Massesi o la _garotta_ spagnuola, come quella che operava
mediante un ferro tagliato a mezza luna; e' fu proprio Luigi XVI, il
quale coll'occhio esperto, che i re sortono dalla natura per siffatte
bisogne, esaminata la macchina disse, che il dottore, eccellente fisico
se si voleva, era un asino calzato e vestito in fatto di meccanica;
imperciochè l'arnese non sarebbe mai perfetto se prima al ferro non si
mutasse forma riducendolo, invece di mezza luna, a ugnatura. I Francesi
fecero _sentire_ più tardi al re Luigi che egli aveva avuto ragione.



CAPITOLO IX.

La battaglia di Pontenuovo

                            Dentro il memore petto i sacri affanni
                              Va rinnovando il tuo gorgoglio, o fiume:
                              Però che il giorno io mi riduca a mente
                              In cui l'onda cruenta i forti corpi
                              Menò travolti, e le spoglie infelici.
                              Veggo morti giacere, e vedo le armi
                              Sparse per la campagna, e le ferite
                              Tabe stilanti. Oh! degli eroi gli spirti
                              Debitamente supplichiamo. Molto
                              Poi nel cor sospirando, e molte a Dio
                              Mettendo preci, io passo.

                                              _L'uomo del Bosco._[38]


Di tratto in tratto Pasquale Paoli metteva fuori il capo dalla camera
che abitava nel convento di Murato, terra grossa nel Nebbio, e con
impazienza sempre crescente domandava ad Altobello ed agli altri che
stavano fuori; non si è anco visto nessuno?

— Nessuno, gli rispondevano sempre.

Per ultimo comparve un vecchio, cui crederono parecchi raffigurare, ma
così alla confusa, che postisi appena sur un sentiero ne smarrivano la
traccia; infatti com'era possibile mai riconoscere padre Bernardino
da Casacconi senza barba, con due baffi formidabili, una parrucca
infarinata, ingessata e per di più vestito da soldato? Da soldato in
verità, nè basta; da soldato nemico, da soldato traditore, in breve
da soldato delle compagnie côrse composte da Matteo Buttafoco e messe
sotto il comando di Ferdinando Agostini, del cavaliere Lazzaro Costa,
di Orso Campana e di Angelo Luigi Matra, le quali furono il colpo di
grazia alla libertà della Corsica. Egli si presentò con un certo fare
insultante e beffardo che unito alla nappa bianca francese appuntata
al cappello gli avrebbe fruttato disgustoso saluto se di subito non
chiedeva del generale. Questi, a quanto parve, stava con le orecchie
tese, imperciocchè spalancò in un attimo la porta esclamando:

— Ben venga il nostro venerando in Dio, padre Bernardino; stavo sui
ferri arroventati non vi vedendo arrivare.

— Ed io finchè non arrivava mi sentiva molto vicino al piombo bollente;
ma eccomi qua come piace al Signore, ed è faccenda finita.

   [Illustrazione: .... ad un tratto il cielo si ricoperse di
   nuvoli... (_pag. 447_)]

Entrati nello studio dove era distesa per terra una carta geografica
della Corsica, padre Bernardino incominciò: — voi già saprete lo
sbarco a S. Fiorenzo del generale comandante conte De-Vaux; il
Marboeuf fu promosso all'ufficio di capo civile: come però egli duri
sempre a mestare nei negozii soldateschi non saprei: fatto sta, che
ci si mescola. Voi conoscete questo De-Vaux, che altre volte militò
in Corsica lasciandovi fama di poco valore e di molta ribalderia; or
bene i suoi amici affermano, e dove bisogna anco con giuramento, che
il tempo gli ha logorato il poco di buono e cresciuto a dismisura il
cattivo. Il duca di Choiseul non ha trovato di meglio a cui appoggiarsi
adesso che traballa: dicono che dove vinca presto, gli abbia promesso
in fede di gentiluomo il bastone di maresciallo di Francia, ma dicono
eziandio che senza pregiudizio della fede di gentiluomo, perda o vinca
non gli darà nulla. Lo precede la reputazione di lunatico, di beone e
di crudele per ferocia e per bizzarria: e già taluno ha provato che la
fama non mentisce. Poichè, come voi sapete meglio di me, non manca mai
in Francia qualche persona che a parole non ti sovvenga, massime se
la parola buona per te trafigga altrui; così nell'udire la commissione
del conte De-Vaux, il quale nei suoi colloquii si dimostra troppo più
perito di forche e di ruote che di battaglie, corse sul conto del duca
di Choiseul il motto: prima comprò le pecore, ed ora manda il macellaio
a spellarle; dalla quale rampogna desiderando il duca schermirsi gli
mise a canto non so quale ufficiale affinchè lo temperasse, ma gli
è stato un buttare polvere negli occhi; in vero per altra parte gli
raccomandò si riportasse ai consigli del Sionville...

— Sionville! Quel vecchio feroce che insanguinò la Corsica sotto
Teodoro, e rese odiosissimo ai Côrsi quest'uomo il quale si era
presentato come liberatore?

— Per l'appunto lui. Il De-Vaux afferma a chi non lo vuole e a chi lo
vuole sentire, che fa caso di ridurre a partito la Corsica come di bere
un uovo; anzi ha giuocato dopo pranzo con Lord Pembroke dodici dozzine
di bottiglie di vino di Canarie di averla ridotta alla devozione del re
prima della rinfrescata.

— Jattanze francesi che si potranno verificare pur troppo se manchi ai
Côrsi la consueta virtù; — ora ditemi quante forze di certo il nuovo
capitano può adoperare contro noi?

— La paura, e andiamo franchi, anche la prudenza che conta vi direbbero
molte anzi troppe: danno per sicuro, ch'egli possa campeggiare con 50
battaglioni non comprese le artiglierie che sono un subisso, e più dei
battaglioni e delle artiglierie, assai mi fa paura un'altra cosa.

— Ed è?

— Parecchi milioni di lire in luigi d'oro e la facoltà di conferire
impieghi militari e civili; i francesi medesimi fanno le stimate non
sapendo donde la corte abbia potuto cavare tanti quattrini; ma purchè
il duca di Choiseul duri al governo, non rileva se per ammazzare mille
Côrsi bisognerà che duemila francesi muoiano di fame.

— Ah! padre mio, da questa parte la patria disarmata riceverà il
colpo mortale. Dio ci assista — e il Generale, chiusi gli occhi piegò
dolorosamente la testa.

— _Amen!_ rispose il frate.

Il generale rinfrancato l'animo nel raccoglimento interrogò di nuovo:

— E non vi è venuto fatto di penetrare nulla intorno all'ordine col
quale intendono condurre la guerra?

— Ve lo dirò per disteso, anzi ci sono venuto a posta per questo,
altrimenti mi sarei rimasto. Quando mi fui acconcio come mi vedete,
talchè specchiandomi non ravvisava più me stesso, me ne andai difilato
dal conte di Marboeuf, e gli dissi voler pigliare soldo per Francia;
interrogato del nome io glie lo dissi: Bernardo da Casacconi; sarei
volentieri entrato nel corpo delle guide, che agli altri servizi io
mi sentiva inetto, o per lo manco meno atto: egli mi rimandò a Matteo
Buttafoco che si dimena come il diavolo nell'acqua santa a portar
fascine per bruciare la sua Patria; a me che non garbava punto questo
andare da Erode a Pilato, fatto del core rocca risposi: che non mi ci
entrava; volere servire la persona del conte; se così gli piaceva mi
accettasse, diversamente mi lasciasse stare, perchè ogni uccello sa il
suo verso, ed io intendeva fare il mio.

Il Conte di rimando: la si potrebbe accomodare, ma sacco vuoto mal si
giudica, ed io se non ti conosco non ti maneggio. Voi siete un signore
prudente, risposi io; e in questa come a Dio piacque entrò Ferdinando
Agostini; certo mi fece e per più cagioni un tuffo il sangue, ma
mostrando il viso alla fortuna replicai: ecco qua qualcheduno che potrà
darvi buona contezza di me, e volto all'Agostini ripresi: compare, dite
senza rispetto al signor conte qual è il mio nome nè più nè meno, e se
mi credete capace a insegnargli le vie che menano a Corte. L'Agostini
mi guardava come uomo che riconosce la voce, ma poi non gli corrisponde
alla sembianza, e tra il sì e il no si confondeva; io gli ammiccai
degli occhi, ed egli rabbrividì: tenni che stesse per denunziarmi e non
lo fece; forse la mia audacia lo mise sottosopra: forse la coscienza
del bene che altre volte gli aveva fatto lo rimorse; può darsi che la
paura dei miei vendicatori lo stringesse, o piuttosto, come ho potuto
conoscere confessando, Dio ordinò che nei cuori più tristi restasse
sempre una particella sana, non fosse altro, perchè sentissero la
diversità che corre fra le opere buone e le ree, e trovassero per così
dire sempre aperta una porta alla penitenza, fatto sta che rispose
asciutto; costui si chiama Bernardo; ed è de' Casacconi senza dubbio!
quando voglia, non troverete uomo più adatto di lui per condurvi a
salvamento per tutti i tragetti dell'isola.

— Non occorre altro, voi starete a posta mia e questi vi dono per
gaggio.

— Così disse il Conte e mi dette sei monete d'oro, che eccole qui —
diss'egli frugandosi in tasca e mettendole sul tavolino.

— E che me ne ho a fare io?

— Pigliarle e spenderle in vantaggio della Patria, voi che lo sapete,
io non le posso tenere, che ho fatto voto di povertà. — Dov'eravamo?
Aspettate; non m'interrompete più; o che io perdo il filo. Uscito
l'Agostini sopraggiunse un uomo corto e grosso, che fin dalle scale
gridava; Conte! Conte! dove diavolo siete, Conte? Il signor di
Marboeuf gli si fece incontro col cappello in mano, dandogli della
Eccellenza, ed egli a lui; però presto mi accorsi ch'egli era il
De-Vaux, imperciocchè spiegando un involto di carte continuò ad urlare;
— corpo qui; sangue là; insomma bestemmie da staccare i travicelli
dal muro; chi credereste voi di avere per generale? forse il Conte de
Vaux? Voi v'ingannate. Il generale sta a Parigi; di là si vedono meglio
le cose, e soprattutto ci si vedono più riparati; il generale è il
duca: lo spirito santo gli ha versato sul capo le virtù a catinelle;
in breve voi lo sentirete creato cardinale, forse anche papa, — ecco
qua — aggiunse rabbiosamente gettando l'involto su la tavola — egli mi
manda da Versaglia bello e fatto l'ordine della guerra; egli comanda
e vuole che in due punti si abbia a campeggiare; uno nel Nebbio per
mettere fuori il Capo Côrso, e l'altro nella Casinca per penetrare
nell'interno dalla parte di Aleria: questo come vedete è perfettamente
assurdo; tra me e il capoluogo delle operazioni metto un paese
intero, mi dilungo senza sapere dove troverò il nemico, mi espongo
ai disastri di una marcia arrisicata, ed offro campo di proseguire a
nostro danno la guerra di avvisaglie che sperimentarono così acerba i
miei antecessori: no, signore io non la intendo così; la colonna nel
Nebbio sta d'incanto, ma sostenuta da corpi vicini, i quali operino di
concerto con lei; una colonna manderemo anche in Casinca per tenere in
rispetto il nemico, e torgli il ruzzo di raccogliersi in massa: ma la
terza colonna che mi dispongo a comandare io voglio che s'inoltri per
la sponda sinistra del Golo e faccia capo sotto le costiere di Lento,
dove congiunta coll'altra che scenderà dal Nebbio mi concederà potere
da un lato di occupare la Balagna, dove ci aspettano a braccia aperte,
dall'altro, sforzato il passo del fiume, correre fino a Corte e così
darmi di un tratto vinta l'impresa...

— Chi è quell'uomo là? — a questo punto scorgendomi domandò il De-Vaux.

— Non dubitare è dei nostri; l'ho preso ai miei stipendi per guida.

— Sta bene, ma mandatelo al diavolo: e poi cotesto furfante sapete voi
che aggiunse? Aggiunse: e se la sua faccia non mentisce, mi sembra che
mandandolo al diavolo lo abbiate a mandare proprio a casa sua. — Andate
via, Bernardo, mi disse allora il Marboeuf, buttate su di un fico
cotesta pelle di orso per vestire la divisa di S. M. cristianissima. —
Dopo una licenza così inchiodata e ribadita non vedeva verso di potere
fermarmi: andai a vestirmi e mi trattenni finchè ieri notte, colto il
destro, me ne sono venuto via con armi e bagaglio.

Appena frate Bernardino ebbe chiuso la bocca, che Altobello entrò
avvisando un frate domenicano che partito in fretta da Calvi chiedeva
conferire col generale:

— Venga il padre domenicano.

Il padre comparve come uomo sgomento: disse mandarlo a furia il suo
superiore ad avvertirlo che si vedeva bordeggiare tra il capo di Alga
e quello di Spano un'armata francese industriandosi a pigliar terra.

— Grazie in nome della Patria a voi e al vostro superiore; i Francesi
lo possono fare; possiedono naviglio e soldati più che bastevoli
a questo. Andate a riposare, che morite di stanchezza. Ambrogio,
pigliatevi cura di questo degno sacerdote.

— Generale! affacciandosi di su la porta disse Altobello, un altro
frate, ma questa volta dei servi di Maria, partito da Ajaccio, fa
istanza di essere accolto da voi.

— E parrebbe che questi padri si fossero dati la intesa per confessare
e amministrare il viatico e la estrema unzione alla Corsica: entri
il servita. — Il servita ammesso alla presenza del generale espose
arrivare ratto a chiarirlo come grossa mano di soldati francesi
sbarcata ad Ajaccio si fosse sentita dire che rifatte appena le forze
del travaglioso viaggio si sarebbe messa in cammino per pigliare i
Côrsi alle spalle. Impallidì leggermente a tale annunzio il Paoli e
raccomandò anco il servita alle cure di Ambrogio. Appena uscito il
frate, il Paoli portando la manca mano su gli occhi esclamò con voce
cupa; — Noi non possiamo più vincere...

Padre Bernardino stava lì lì per fargli un rabbuffo, quando venne
annunziata una femmina la quale piena di angoscia in vista recava un
foglio che dichiarava non volere consegnare in altre mani eccetto
quelle del signor generale: facilmente accolta, ella disse averle
dato il foglio a Olmeta un soldato, ordinando portasselo a Murato,
e avvertisse darlo proprio al Paoli; se nol facesse, guai; i suoi
figliuoli e la sua casa pagherebbero per lei; onde la scusasse se per
caso avesse fallato. Il generale confortò la povera donna, e donatole
alquanto di danaro l'accommiatò; gittato l'occhio, su la carta ebbe
a meravigliarsi non poco considerando com'ella fosse straccia e
sgualcita; presago in cuore che contenesse cose vituperevoli, la porse
al Guelfucci perchè la leggesse; e il segretario con voce che mano
a mano procedeva nella lettura si mostrava alterata lesse: — «Sua
eccellenza il comandante generale delle forze terrestri e marittime di
S. M. cristianissima al capo dei ribelli Côrsi: che S. M. il re avendo
comperato dalla serenissima repubblica di Genova l'isola di Corsica
per più danari che non vale, e però appartenghiate alla Francia pel
sacrosanto diritto di compra e vendita, voi già sapete e non importa
che io vi dica: quello che importa che sappiate è che noi siamo cinque
volte tanti in maggior numero di voi; misericordia ci consiglia a
tenere tuttavia levato il pugno sul vostro capo; approfittatevi del
momento per inchinarvi alla bandiera di Francia e meritarvi perdono:
vi si concedono due volte ventiquattro ore, le quali trascorse senza
ridurvi a consigli migliori, potranno ben cercare, chi ne ha voglia, i
tritoli delle vostre ossa, ma non li troveranno.»

Assai prima che la lettura cessasse, il Paoli si aggirava per la
stanza a mo' di lione dentro la gabbia; le mani apriva e chiudeva quasi
intendesse stringere l'elsa della spada; squassava il capo: in breve da
tutta la persona spirava, non che ira, furore: di botto sta, si stringe
con la destra le tempie e del piè pestando la terra comanda:

— Buonfigliuolo, scrivete; no, no di quella carta, bensì dell'altra
papale dove registransi le deliberazioni del regno.

Il padre Guelfucci preso un foglio e adattatoselo dinanzi con molto
magistero, speculata prima traverso la luce la penna di cui le punte
andavano a sesto, pose la manca aperta sul foglio, con la destra
intinse la penna nel calamaio, e stretti i labbri, levato il capo in su
aspettò.

— «Eccellenza, dettava il Paoli tremando a verga e agguantandosi al
tavolino, — se veramente vi sentite cinque volte più forte de' Côrsi,
voi dovreste comportarvi cinque volte più generosamente di loro. Se la
Francia, la quale un giorno ci sovvenne per liberarci dai tiranni, oggi
si mette nei piedi di loro, questa è sventura nostra ed anco vostra non
poco, nè credo possa somministrarvi argomento a inorgoglirvi troppo.
In ogni caso se a voi servitore sembra onesto obbedire i comandi del
vostro padrone, non dovreste trovare reprensibile che io uomo libero
obbedisca alle leggi della Patria mia. Minacce e oltraggi tra gente
valorosa non usano: ho sentito dire che i gentiluomini francesi una
volta se ne astenevano. Con le parole non ci possiamo dire più nulla:
noi vi attendiamo su i campi dove vincendo ci aspetta gloria immortale,
e perdendo non troveremo vergogna, perchè avremo combattuto con
Francesi, e cinque volte, voi lo affermate, più numerosi di noi.» —
Fin qui l'egregio uomo dettava, poi tolta la penna segnò il suo nome
fulminando a zig zag come si dipingono le saette.

— Se non sono scoppiato, egli disse piegando la lettera, posso
garantire il mio petto di acciaio. Orsù, Ambrogio, mettiti il tuo
meglio vestito, e voi, signore Altobello, invitate a mio nome il
signore Stein a portare nella qualità di parlamentario questa lettera
al generale in capo dei Francesi; lo troverà in Oletta; spedita la
faccenda tornate, che ho da commettervi cose di molta premura.

Quando il conte De Vaux ebbe letta la risposta del Paoli si sentì
umiliato e nel profondo; ma all'incontro di accogliere cotesta
mortificazione come castigo o come ammenda, se ne valse per alimentare
la ingiusta ira; però sorse in piedi quasi fuori di sè urlando: —
_S'impicchi! s'impicchi!_

I circostanti, qualunque fosse la buona voglia loro per obbedirgli,
non sapevano che farsi, dacchè non rammentava alcun nome; onde egli
mirando cotesta loro inerzia vie più si arrovellava; per buona ventura
capitò il conte di Marboeuf, che vistolo con gli occhi strabuzzati,
e pavonazzo in viso da fare temere imminente un colpo di apoplessia,
essendosi informato della cosa licenziò tutti, e quando fu rimasto solo
con lui così gli parlò:

— Signore, i Côrsi meritano quello e peggio che minacciò loro con tanta
giustizia vostra eccellenza; ma come sapete bisogna lasciare andare tre
pani per coppia, per amore delle convenienze: e il parlamentario per di
più non è punto côrso, bensì prussiano, gentiluomo e inoltre colonnello
di S. M. il re di Prussia.

— Diavolo! Allora è un altro paio di maniche; ma vedete un po' dove si
vanno a ficcare i gentiluomini? Questo travagliarsi dei nobili in pro
della plebe e farla comparire qualche cosa non può condurre a bene,
assolutamente non può...

— Voi parlate d'oro, signore, ma che farci? Intanto vi piacerà
senz'altro di accogliere il parlamentario?

Il colonnello fu inondato di convenevoli, e non sapea che per poco non
lo avevano appeso: la superba arroganza del De-Vaux pensava emendare
adesso con la copia degli ossequii la malcreata villania di dianzi.
Anche ad Ambrogio, venuto come trombetto, toccò il benefizio del
vento mutato, sicchè invece di un nodo scorsoio ebbe in regalo dieci
bei luigi nuovi di zecca, che fece proposito depositare nella cassa
pubblica, ma poi in onore del vero gli rimasero in tasca; tutta colpa,
già s'intende, della cattiva memoria.

Altobello compito il comando tornò in camera del generale scorato;
così appariva nel sembiante disfatto, che il padre Bernardino non potè
astenersi da domandargli se si sentisse male.

— Ohimè! rispose Altobello, noi non possiamo più vincere...

— Già, proruppe il frate dabbene, nei decreti della Provvidenza, per
Dio Santo, dacchè me lo fate dire, non ci ha anco letto nessuno; e dei
miracoli se n'è visti anche ai dì nostri; non ci è stato un David solo
che abbia rotto la testa a Golia; ed un popolo, fermo davvero a non
lasciarsi vincere, sovente opera miracoli da per sè senza incomodare
Dominedio: ad ogni modo ci rimane morire...

— Morire! morire! riprese Altobello facendo spallucce, e il frate
crucciandosi più che mai gridava con quel suo fare avventato:

— Certo! morire. Per la Immacolata! così disse Leonida alle Termopili
ai suoi trecento, e nessuno fece spallucce; e chi era Leonida? Un
pagano; e che disse ai suoi trecento? Sta sera cenerete meco, domani
ceneremo tutti a casa del diavolo. — Mentre io posso assicurarvi,
Altobello, che morendo per la Patria voi andrete a cena con gli Angioli
diritto come un cero.

E Altobello: — E non è per questo che io parlo; bensì perchè pensava
che la Patria si aspettasse da noi qualche cosa meglio che morire.

— E ancora io lo penso; però, figliuolo, io vo' che tu sappia non
essere cosa di piccolo momento lasciare a cui viene dopo una vendetta
da compire; i figliuoli non possono davanti agli uomini, e nè davanti
a Dio ripudiare la eredità sanguinosa. E datagli una grande stretta di
mana se ne andò pei fatti suoi.

Altobello quando entrò nello studio del Paoli lo rinvenne sempre inteso
sopra la carta geografica; appena ei lo avvertì rizzossi in piedi, e
tale prese a parlare:

— Io non comprendo niente nell'ordine di guerra del nostro nemico:
affermano moversi in tre colonne, una nel Nebbio, e sta bene; l'altra
per la forra del Golo; finalmente l'ultima contro la Casinca; e' pare
che non sappiano, forra del Golo che sia, e non temano incontrarci
ostacolo, onde scorrendo fino alla costiera pigliarci alle spalle
se contrastiamo nel Nebbio, tagliarci la ritirata se indietreggiamo;
meglio così. Se il tradimento non ci consegna a mano salva in potere
dei Francesi, potremmo anche sgarrarla; accostatevi, Altobello; se mai
venissi a mancare, perchè i casi della guerra importa prevedere tutti,
e per me non sono i soli che io deva temere, giova che voi conosciate
i miei disegni e procuriate mandarli a compimento. Bisogna che i
patriotti sgombrando subito il borgo si affrettino a ingrossarsi al
ponte in foce di Golo, e quivi alzando bastie e terrapieni adoperino
ogni industria a ributtare il nemico dalla Casinca. Da ciò due sequele;
o il corpo nemico si ferma in capo al ponte, o si ritira in Bastia,
e tanto minori forze avremo a combattere noi: ma questo non sembra
verosimile; bensì reputo certo ch'ei si unirà alla colonna la quale
per la forra del Golo avvisa pigliarci alle spalle; se ciò avviene,
_erat in votis_. Ora passiamo al Nebbio: qui andranno più gagliardi,
perchè per primo scopo con lo stare forti in Patrimonio e in Barbaggio
vorranno separarci dal Capo Côrso, e questo dubito che sia per venire
loro conseguito con molta agevolezza; e poi mireranno a spazzarci via
dal Nebbio cacciandoci dalla costiera di Lento e Canavaggia giù per
la vallata del Pontenuovo. Le forze non ci bastano a tutto; intorno
a Patrimonio e Barbaggio, dopo avere sostenuto il nemico irrompente
quanto desidera l'onore della milizia, i nostri si ritirano su Rapate e
Murato, e si uniscono agli altri di San Pietro per difendere le bocche
di Tenda: alzino terrapieni, asserraglino strade, mettano travate alle
case, i ponti rompano; ad ogni costo si sforzino sostenersi; avendo
a cedere, riparino al campo trincerato di Santo Nicolaio; non si
potendo reggere nè meno a San Nicolaio, scendano giù per la costiera
gettando rinforzi in Lento e Canavaggia. Qui poi bisogna tenere fermo
o morire; però studiate mandarci in fretta le robe e gli uomini che vi
ho minutamente distinto nell'ordine di numero 9. Quanti non capiranno
là dentro si riducano a valle, e passato il fiume a Pontenuovo riparino
sopra la destra sponda del fiume. Per ora basta così: commetto il mio
quartiere generale a Murato, dovendo lasciarlo lo trasferirò a Rostino,
laddove ci possiamo mantenere nel Nebbio meglio che mai; se non
possiamo, ecco la massima parte dell'oste francese stipata nell'angusta
e dirotta valle del Golo: ora la Corsica la tiene nel palmo della mano:
solo ch'ella stringa le dita con l'usato valore ed eccola soffocata;
dalla destra le rovescio addosso i popoli di Casacconi, Ampugnani,
Santo Antonio e Santo Angiolo co' circostanti paesi; a sinistra quelli
di Bigano, Campitello, Scolca, Valpaiuola e Vignale; Lama, Pietralba e
Ortenga di faccia; tutta la Casinca alle spalle. Padre Bernardino è già
in via per tenere bene edificati i popoli di Casacconi e delle pievi
convicine; ora voi pigliate tutti questi ordini e spediteli; procurate
affidarli a giovanotti dalla gamba destra e dall'occhio acuto; sapete
a cui potete fidare?

— Quanto a ciò non dubitate — e così rispondendo Altobello pensava
a tali di cui il nome dovrebbe leggersi nel calendario dei santi dei
popoli liberi e che pur troppo non vi si leggono, imperciocchè i popoli
di Europa fin qui libertà che sia veramente non sanno e calendario non
posseggono; per ora è fuoco di paglia, forse avverrà diversamente più
tardi; e si avviava; senonchè lo trattenne sopra la soglia il Generale
e dolcemente richiamandolo aggiunse:

— Altobello, il dovere di cittadino o la stima di amico mi persuadevano
prima della spedizione di cotesti ordini a domandarvi se al vostro
giudizio si fosse affacciato partito che vi paresse migliore per
salvare la patria.

— Risponderò leale come merita la lealtà vostra. Ho sovente udito
dire dal mio zio ed anco rammento avere letto, che Sampiero, il quale
fu eccellente maestro di guerra ai tempi suoi, diceva che le vere
Termopili della Corsica erano alla stretta di Omessa.

— Ed è così, ma Sampiero non si trovava con cinquantamila uomini su
le braccia da combattere: le artiglierie si trattavano allora con poca
industria, massime nei monti; nè aveva la Corsica intera a difendere;
per sostenermi a Omessa contro il de Vaux mi occorrerebbero venti
cannoni, munizioni in copia e artiglieri capaci; tutta la parte della
isola lasciata scoperta cedendo alle corruttele francesi, perderebbe
l'amore della libertà, di amica la sperimenteremmo nemica: a Sampiero
non capitò mai di vedersi così com'io ricinto da tutte le parti:
finalmente Omessa ci rimarrà sempre per ultimo partito, quantunque io
tema forte che questa sia l'ultima battaglia che combattiamo, se la
fortuna ci si mostri contraria.

Il conte de Vaux con 24 Battaglioni di fanti e tutta la cavalleria,
eccetto la legione di Soubise, stanziò ad Oletta, dove avendo convitato
il 3 maggio a festivo pranzo gli ufficiali superiori, levate le mense
commise che con le artiglierie facessero gazzarra in segno d'allegria
per la vicina battaglia. Invero all'alba del giorno veniente egli
mosse con parte delle milizie ad assalire Rapale, altre ne mandò verso
San Pietro e altrove a scarrozzare il paese per prendere lingua delle
opere di fortificazione costruite dai Côrsi, e dei difensori di quelle.
Certo pertinace fu la resistenza dei capitani Colle e Pelone a Rapale,
però non si deve credere che sarebbero stati bastanti a ributtare i
Francesi dove questi avessero deliberato di spuntarla; al contrario
deve credersi che il de Vaux, uomo rotto agli scaltrimenti guerreschi,
a questo modo operasse per indurre i Côrsi nella fallace opinione
ch'ei tornerebbe ad assalirli in quel punto nel giorno veniente e
così divertirli da Murato dove intendeva operare ogni suo sforzo.
Però non si deve tacere che il Paoli, sia che si accorgesse dello
strattagemma del nemico o no, difettava di forze per fronteggiarlo
in due luoghi; anzi dove quegli appariva più debole, pure era tanto
da vincerlo tre volte di numero. La mossa di Murato minacciava di
tagliare il Paoli fuori del centro dell'isola ricacciandolo nel Nebbio,
nel Capocorso e verso Bastia in mezzo al nemico grosso e padrone
delle terre fortificate; non ci era tempo da perdere; dato dunque
il segnale della raccolta, si ritirò con solleciti passi al campo di
San Nicolaio, dove potendo avrebbe voluto sostenersi; ma il capitano
di Francia inseguendolo stretto non gliene diede abilità; e poi il
campo di San Nicolaio, ottima positura per chi può campeggiare ad
armi uguali al nemico, non apparisce fornito da veruno dei naturali
vantaggi, onde, si reputa dai maestri di guerra un luogo atto alle
difese: pertanto il Paoli ebbe anco di lì a sgombrare e tosto: per
questa mossa si trovò separato dal Nebbio e dal Capocorso, dove i
popoli stavano in aspettativa per sollevarsi; se non che, vista poi
la mala parata, cagliarono; le milizie rimaste fuori si sciolsero
sperperandosi per evitare la prigionia e forse peggio: soccorse ai capi
una nave d'Inghilterra usa fino da cotesti tempi ad accorrere dove
accadono naufragi per raccoglierne le reliquie; la quale imbarcati
Antonlionardo di Belgodere, Achille Murati, il capitano Pelone, un
Pizzoni con altri 176 compagni li trasportò a Onelia, donde tornarono,
ma tardi. Un altro danno troppo maggiore per lo scoramento fu questo,
che avendo spedito gente a Pietralba, affinchè si aprisse l'adito in
Balagna e quivi reprimesse le scorrerie dello Arcambal, la incontrò
trista e curiosa, perchè i terrazzani in parte spauriti dai progressi
del nemico, in parte sobillati dalla fazione fabiana avversissima al
Paoli, le avevano contrastato i passi: ond'ella per non dare al nemico
gradito spettacolo di guerra cittadina, se n'era tornata. Dall'altro
lato a conforto dell'animo sbattuto del Paoli soccorreva il pensiero,
che sgombrato il Nebbio, di poca importanza alle fortune della guerra
appariva la Balagna; e più di questo la vista delle bandiere côrse che
scendendo giù dalla vasta costa conobbe sventolare prima su Lento, poi
su Canavaggia: deliberato di stabilire questi due punti quasi perno
delle mosse future fece alto mostrando francamente la faccia al nemico
tanto che ottenne risposta ai messaggi in tutta fretta spediti agli
uomini di cotesti due paesi a domandare se di soldati o di munizioni
desiderassero rinforzo.

Reduci e messaggi gli riferirono, che i Lentini e i Canavaggesi lo
ringraziavano; avere a sufficienza di tutto, vivesse tranquillo,
terrebbero fino all'ultimo fiato _per lui_. Allora scese giù in valle
di Golo, in sembiante allegro, ma chi gli avesse visto il cuore avrebbe
esclamato: Oh Dio che passione! In vero la risposta dei popoli della
costiera lo aveva trafitto più che tutto: egli pensava amaramente come
lui non più considerassero una cosa con la Patria, bensì colle parole
_lui_ oggimai distinguessero dalla Patria: il quale linguaggio palesò
sempre a chi intende, che altri già si decise a tradirli o prese a
prestare le orecchie credule od interessate ai sobillatori, che sempre
intenti alla rovina di un popolo danno ad intendere come la causa
della patria sia diversa da quella del suo custode. Giunto a valle
gli occorse un corriere che lo ammonì da parte del Serpentini avere
il Marboeuf tentato il passo del fiume, ma respinto con perdita non
pareva disposto per ora a rinnovare la prova. Questa fu buona novella
e se ne rallegrò; sicchè il suo volto riapparve sereno, e' sembra
che la Provvidenza pei suoi arcani fini volesse provare la tempra di
cotesta anima con l'assidua vicenda del dolore e della gioia capace
ad abbattere anche le divine non che le umane nature; lotte ineffabili
sono coteste; qualcheduno ne scampa e il Paoli fu tra questi; ma pari a
quella che Giacobbe sostenne coll'Angiolo, chi n'esce, ne rimane tocco
per tutta la vita.

Passò il ponte che ha nome di nuovo, lungo ben cinquanta braccia; lo
trovò benissimo in ordine, munito di trincere e fortini; uno dei quali
a metà del ponte: poichè tutta la sua gente lo ebbe passato ed egli
ultimo, chiamò a se il conte Gentili preposto al comando dei prussiani
e degli Svizzeri messi a custodia del ponte, e gli disse che l'esito
della guerra dipendeva nella massima parte dalla difesa di cotesto
ponte; confermasse i soldati nella ottima mente; con ogni partito più
acconcio li persuadesse a tenere il fermo. Cotesta gente rude, ma fida,
udì con lieto animo le parole del generale e rispose farebbe il debito:
allora il Gentili su la fede di soldati e di cristiani la richiese
di giurare che avrebbero senza rispetto, finchè l'anima le bastasse,
sparato adosso a qualunque si fosse ardito passare. Appena passato il
ponte, il Paoli scrisse lodando Saliceti, Cottoni e Serpentini, strenui
mantenitori della foce del Golo, e raccomandò loro che operassero in
modo che durante la notte gli spedissero di rinforzo quanta più gente
potesse, senza però mostrare di sguernire il ponte. Giunto a Rostino,
appena scese da cavallo, prese penna e calamaro e di suo proprio pugno
vergò sopra un foglio d'ordine al comandante delle compagnie côrse
stanziate al ponte alla Leccia: pigliasse sul far del giorno mille
uomini fra i più gagliardi e valicato il Golo a Ponte Rotto per via di
traghetti s'insinuasse nelle macchie di Canavaggia, donde ingaggiata
la battaglia avesse ad irrompere improvviso percotendo il nemico di
fianco o alle spalle. Dopo questi ordini parve più quieto, e proseguì a
mandare comandi da ogni parte e a riavere ragguagli; i corni côrsi non
cessarono mai tutta notte di rispondersi da valle a valle, e più che
di uomini parvero voci delle foreste secolari, di vetusti dirupi che
si dessero la posta per la prossima battaglia; però come se il cielo
volesse chiarire le sue sinistre intenzioni, ad un tratto si ricoperse
di nuvoli e quindi a breve il vento precursore della tempesta, scotendo
gli alberi fronzuti di foglie novelle, empì la campagna di un segreto
rammarichio, di un suono di piante come se le anime dei morti per
la Patria da quarant'anni in poi uscissero dalle antiche sepolture
per lamentare il prossimo infortunio, poi scoppiò il fulmine e il
tuono lungamente ritronante di forra in forra terribile come la voce
dell'Angiolo che sveglierà i morti di tutta la terra e dirà: — sorgete,
o morti, e venite al giudizio! — Durò la tempesta poco più di due ore;
ma la sconcia pioggia empì fossati, ingrossò i torrenti, e alle tante
voci di terrore il Golo aggiunse il suo brontolìo mentre menava torvo
le gonfie acque: passate due ore le stelle tornarono a scintillare
più vivide come se avessero terso i raggi nei lavacri del cielo. Il
Paoli ora si affaccia ad una ed ora ad un'altra finestra, impaziente
di scernere su l'estremo orizzonte quella lista di luce grigia foriera
del giorno; ma non vedendola comparire, scende e montato il cavallo
s'inoltra solo per la via che da Rostino mena a Ponte Nuovo; il poggio
sul quale si era cacciato ingombravano allora macchie di cornioli e
qualche sughero, onde poco si poteva scorgere di giorno, molto meno
di notte. All'improvviso il cavallo si ferma e il Paoli scorge due
uomini armati ognuno da un lato tenergli il morso; veramente non si può
nè manco dire che la costanza in lui fosse virtù; piuttosto qualche
qualità naturale del suo temperamento; tuttavolta si tenne giunto
alla sua ultima ora e non gliene increbbe; chiuso in sè, sdegnoso di
profferire parola stette ad attenderla: però rimase poco in cotesta
ansietà dacchè una voce amica rompendo il silenzio disse:

— Ecco, per un capo di esercito questo è trascuratezza degna di biasimo.

— O padre Bernardino, chi vi può riconoscere sotto le fogge che ogni
giorno mutate, è bravo davvero!

— Mi sembra che non vi abbia a tornare nuovo che i frati trattino le
armi in Corsica, e chi crede altrove che le virtù del chiostro chiudano
la porta in faccia alle virtù della Patria ha torto marcio; ma ciò non
monta adesso: tornate indietro, Pasquale e spedite i vostri ordini da
Rostino, procurando di non mostrarvi fra i soldati, perchè vi ha tra
essi non uno ma più Giuda, che hanno venduto il vostro sangue e già
riscosso il prezzo.

— E come ardite affermare questo?

— Perchè lo so, essendomi stato rivelato in confessione, e veniva
appunto per avvisarvene.

— I traditori quali?

— Si palesa il peccato, non il peccatore; io lo ebbi in confessione, e
basta.

— Dunque il popolo pel quale ho sofferto tante fatiche e tanti dolori
mi rinnega adesso?

— Il popolo non vi rinnega, prese a dire l'altro personaggio, il popolo
non sa tradire; se vi avesse preso in odio vi ammazzerebbe, non vi
tradirebbe; chi vi tradisce sono gl'incipriati; come hanno imparato
a mentire il colore dei capelli, così mentiscono adesso la qualità
dell'anima.

   [Illustrazione: — Più su ancora, più su, gridava a tutti
   avanti Altobello; le vette dei monti ci allontanano dai
   travagli degli uomini e ci avvicinano alle consolazioni del
   cielo. (_Cap. IX_)]

— E voi chi siete?

— Io sono Orsone di Tavera, che voi non conoscete; ma egli conosce voi,
e alla vostra chiamata lasciò quattro figliuoli maschi (le femmine non
si contano) a casa, per fare il debito come patriotta e come cristiano.

— E adesso dove andate?

— Sto col popolo dei Casacconi, che di esso sono i parenti miei dal
lato della moglie; e vado qui con fra Bernardo per fare il debito come
patriotta e come cristiano.

— Andate e rammentatevi e rammentate altrui, che per cosa che vediate
o che sappiate, veruno, per quanto amore porta alla Patria, si attenti
a passare il fiume della destra sponda alla sinistra se prima non ne
abbia ricevuto segno, Dio sia con voi.

— E con voi altresì, rispose il frate, avete le vostre pistole?

— Le ho.

E mentre il frate col compagno scendeva verso il Ponte Nuovo, il
Paoli rifacendo i passi s'incamminò sopra la via di Rescamone; giunto
forse tre miglia lontano del Ponte Nuovo non gli bastò il cuore di
proseguire, e non curando il pericolo lì scese, lì si pose a sedere
sopra un greppo col capo appoggiato al tronco di una sughera; l'aurora
lo sorprese colà.

Bella fu oltre ogni credere cotesta mattina, e i poeti l'avrebbero
paragonata meritamente a Venere quando emerge dalle onde: imperciocchè
come la Dea ridesse e come la Dea stillasse acqua, la natura l'aveva
dapprima circumfusa di una tenue nebbia, che poi diventata più
vermiglia abbandonò all'appressarsi del sole, pari alla sposa novella,
che arrossendo si spoglia l'ultima zona all'appressarsi del talamo
nuziale. La natura vagheggiando la sua diletta figliuola aveva di
propria mano appeso copia infinita di gemme ad ogni foglia di albero,
ad ogni pianta, a ogni fiore, poi commise alla brezza e alla luce
di ministrare come ancelle, e quella le penetrò nelle intime fibre
scotendo di un tremito di voluttà le foglie, le piante e i fiori, i
quali parvero piangere per eccesso di piacere, e questa le mise su
la faccia gli splendori di Dio; — stupendo tutto e divino, senonchè
il lamentìo delle acque grosse che il Golo menava a rompersi per
gli scogli del suo letto, a mo' dello scheletro ai festini dei re di
Babilonia, ti ammoniva che la sventura è figliuola della gioia, la
morte starsi accanto alla vita; dopo la libertà succedere la tirannide.
Terribili trapassi e non pertanto fatali!

E sopratutto empiva di affanno la vista di una quercia fulminata; la
sua frasca, che fatto meriggio a venti generazioni, eccola in terra
sparsa, i rami cionchi in parte inceneriti, in parte riarsi; il merlo
cercando il noto nido scoteva alquanto le ale sopra il luogo dove
fu l'arbore, e non rinvenendo le amate frasche vibrava nell'aere un
gemito e fuggiva via: tutti avevano abbandonato il povero percosso;
dal suo casolare lo guardava il boscaiuolo, e intanto che aspettava
occasione di metterlo in pezzi senza disturbo, affilava l'accetta.
Non vi ha dolore al mondo che uguagli a questo, avvegnadio finchè
dura la tempesta o la battaglia imperversa, il tuo spirito si mescola
all'uragano, brontola col tuono o si lascia in balìa del lampo, ovvero
ancora aspira l'odore delle polveri fulminanti, alle fiere armonie
delle zuffe trasale; ma dove si presenti a te pacato dinanzi in
mezzo ai fiori il cadavere di un bambino colto anco lui fiore dalla
mano della morte, e il raggio mattutino del sole di maggio gli vesta
la faccia mentre tutto d'intorno rinnova la vita e ne gode persino
l'importuno moscone che non rifinisce mai di zufolare ronzando intorno
alle labbra e agli occhi del caro defunto, oh! allora se il tuo cuore
non sanguina, va, tu sei più o meno di un uomo, ma cento volte su di
una anche meno di una bestia.

Passate con inestimabile ansietà le prime ore del giorno, ormai
il sole era arrivato a mezzo del suo cammino; dal ponte della foce
di Golo arrivato a gran fretta Giancarlo Saliceti con mille uomini
occupava i posti assegnati: tutta quella gente colà raccolta, circa a
4000, anelava come una persona sola; la mano sul grilletto, l'occhio
alacre, il piede impaziente. Clemente Paoli dalla sua esaltazione
cavava argomento di esaltarsi; voleva parlare e non gli riusciva, le
parole cozzavano urtandosi fra i denti donde prorompevano in fremiti,
pure scorrendo per le fila co' gesti concitati, gli occhi leonini e
le chiome irte ispirava terrore e furore. Di repente dai poggi che
menano alla volta di Bigorno balena un lampo, poi due, poi cento; era
la vanguardia della colonna francese che sboccava nella valle di Golo.
Clemente la vide e immemore dell'ordine di battaglia e della disciplina
di cui egli pure fu osservatore piuttosto rigido che scrupoloso,
immemore di sè, gittato un urlo, col gesto accennò voler assalire il
nemico; chi lo ama il seguisse, e tempestando si slanciò sul ponte.
Difficilissima cosa era tenere con le ammonizioni e con gli esempi
l'empito dei Côrsi; immaginate chi avrebbe potuto attraversarsegli
adesso che gittava legna sul fuoco il meglio reputato dei loro
capitani; i Prussiani e gli Svizzeri messi a guardia del ponte non lo
tentarono nè manco, massime perchè la consegna portava a impedire la
entrata non già l'uscita del ponte. Scoppiarono fuori i Côrsi dal ponte
angusto come spirilli di acqua compressa e senza assembrarsi, senza
ordinarsi si avventarono a mo' di gatti salvatichi contro i Francesi:
questi erano buona e cappata gente in Francia, distinta allora
meritamente col nome di granatieri; imperciocchè oltre fare uso delle
armi ordinarie, come fu avvertito altrove, costumavano gettare granate
nel folto della mischia.

A Clemente teneva dietro frate Bernardino come il tuono al baleno.
Poemi, storie e racconti vanno pieni di fatti di guerra, sempre
ai medesimi colpi seguitano le molteplici forme della morte, tutte
terribili, tutte cause di pianto sconosciuto o non curato; però anco
in quest'arte (alcuni la dicono scienza) lo ingegno umano ogni giorno
supera sè stesso: verranno tempi nei quali due popoli strapperanno il
fulmine dal cielo, non al modo di Franklin, bensì per armarsene le mani
ed avventarselo contro: allora potranno, se vogliono, sterminarsi in un
minuto. Lo faranno essi? La speranza crede di no, ma la esperienza le
tentenna il capo dopo le spalle dicendo: — povera folle!

Noi non esporremo i vari casi di questa battaglia: diremo solo che
i Côrsi a saltelloni e alla scoperta corsero incontro ai reggimenti
francesi; parte per trovarsi più spediti gittarono gli schioppi,
avventaronsi contro le baionette, con le mani agguantarono le sciabole;
giocarono di stiletto. I Francesi a cagione dell'asperità del terreno
non poterono ordinarsi come avrebbero voluto, dacchè possiamo supporre
che se fosse loro riuscito mantenere il fuoco, i Côrsi non avrebbero
retto.

Frattanto arrivati sopra un po' di piano si strinsero e adoperandovi
ogni sforzo rigettarono i Côrsi; i quali tornarono addietro sì, ma come
uomo che per islanciarsi con maggior foga piglia campo; i Francesi
riguadagnando le alture, fosse accorgimento di guerra o necessità,
questa volta si divisero, ed una parte di loro si ritirò a Lento
l'altra a Canavaggia; i Côrsi anch'essi si separarono ed inseguendo
i nemici mettevano l'orma dov'essi la levavano; questo dicasi dei
fuggenti, fra i pertinaci accadevano duelli; dove mancate le armi
guerresche, il furore ne ministrava altre inusitate; si finivano a
morsi, o a colpi di pietra sul capo; gli aliti fumosi dell'assalito e
dello assalitore si confondevano; sentiva l'uno il palpito del petto
dell'altro; spesso esalarono ad un tempo l'anima, bocca accostata
a bocca. — Misericordia non si domandava nè si concedeva; preghiere
non ne furono dette, o se dette, assunsero il suono delle bestemmie;
pianti, urli, minaccie, singhiozzi, tutto pigliava un rumore confuso
pari al bramito della fiera che dopo lungo digiuno azzanna il carcame.
La gente di Francia si giudica perduta imperciocchè ritirandosi su
le alture di contro alle terre di Lento e Cavanaggia, munite di arme
copiosissime e di uomini decisi a menare le mani da disperati, stretta
così fra due fuochi non sembra che abbia più scampo.

Cotesta mossa avventata, comecchè favorita fin qui dalla fortuna,
potrebbe partorire inestimabile danno, forse anco la perdita della
impresa; ma la può essere sostenuta dalle compagnie côrse le quali fino
dall'alba devono avere lasciato il ponte alla Leccia. Si sono elleno
mosse? Non si sono mosse, e ciò per colpa del capitano, che, compro
con premio presente e speranza di onori futuri, oggimai si era venduto
alla Francia. Il nome di costui si conosce e potremmo rammentarlo,
ma a noi giova tacerlo; imperciocchè ai traditori dalla loro stessa
infamia venga pure qualche fama; e le cose buone sieno rammentate,
le triste no. Costui appartenne a stirpe inclita per delitti, per
tradimenti e per isventure da un lato, dall'altro per gesti magnanimi
e per morte gloriosa; onde meritamente potè dirsi la famiglia degli
Atridi di Corsica; però compensando il molto di cattivo col molto di
buono, ragione vuole che le siamo cortesi di oblìo; e ciò tanto più che
oggimai rimane di lei un vecchio solo, foglia secca di ramo morto; di
breve egli cascherà, se a quest'ora non è caduto nelle tenebre eterne,
e il suo nome dopo essersi propagato tuttavia per tre generazioni o
quattro cesserà dalla memoria nella guisa che sopra il sasso cascato
nel mare, poichè si succedono quattro ruote o sei, torna gelida e unita
la faccia delle acque.

Paolo Luigi Nasica ufficiale delle compagnie côrse stanziate al ponte
alla Laccia, consapevole degli ordini mandati, dal generale, vedendo
il sole alto senza che apparisse o desse il segnale della partenza, a
ciò sospinto eziandio pei conforti dei più zelanti fra i suoi compagni
salì risoluto le scale della casa dov'era albergato, e fattosi alla
porta della camera chiese licenza di entrare; la quale venendogli tosto
concessa egli entrato disse:

— Signor comandante, voi senza dubbio vi rammentate che giorno sia
questo?

— Lo so.

— Oggi forse si decide della libertà della Corsica... forse adesso i
Côrsi stretti corpo a corpo co' Francesi combattono l'ultima battaglia.

— Mi sembra molto verosimile.

— Il Generale ci comandò di moversi alla punta del giorno e accorrere
al Pontenuovo.

— È così.

— Posso domandarvi perchè dunque non siamo in cammino?

— Innanzi tratto costumo secondo le regole della buona milizia dare
discarico della mia condotta ai miei superiori, non già ai sottoposti.

— E va bene, ma io a nome di parecchi compagni non pretendo, imploro.

— Che compagni? Tre o quattro cervelli balzani come il vostro.

— Domando perdono, signor comandante, saremo dugento e più.

— Dugento! come può essere questo? ad ogni modo vi voglio dire che
l'ordine del Generale dichiarava: partissi all'alba e dopo che fossero
arrivate le vettovaglie le quali egli spediva: ora non avendo vista
la vettovaglia ho dovuto argomentare che il Generale non giudica più
necessaria la nostra mossa.

— Vi domando perdono, signor comandante, ma il vostro argomento nè meno
conclude a star fermo; perchè o ci moviamo o no, il vivere bisogna pure
procurarcelo.

— Cotesta è la vostra opinione; io la penso diversamente.

— Inoltre osservate che l'ordine del signor Generale va distinto in due
parti; una principale, l'altra accessoria; la prima sta nel trovarci
sul campo di battaglia, la seconda nel procurarci la munizione.

— Io non sono teologo ed obbedisco gli ordini come li leggo: obbedienza
cieca e passiva è la prima virtù del soldato.

— Nè qui si tratta di teologia, bensì di carità patria e di amore della
libertà; partiamo, vi supplico, per via troveremo di che nutrirci, e
poi per ventiquattro ore senza pane non morì mai nessuno.

— Non posso: la obbedienza cieca e passiva è la prima virtù del soldato.

— Facciamo una cosa; lasciamo qua un picchetto il quale arrivando la
vettovaglia la scorti dietro noi.

— Non voglio. Obbedienza cieca e passiva!

— Accomodiamoci in quest'altra maniera: mezzi dei nostri rimangano qui
con voi, e mezzi mandatene meco contro il nemico.

— Peggio che mai. Obbedienza cieca e passiva!

— Ma come fate a starvi così tranquillo a quest'ora? Come calmare il
sangue che bolle?...

— Aspettate; or ora scendo e giocheremo insieme una partita _alle
piastrelle_.

— Alle piastrelle! Per durare così su le brace bisogna essere san
Lorenzo, e nè manco quel santo ci stava volontieri.

— Forse presumeresti disobbedirmi?

— Se potessi io vi fucilerei su' due piedi, signor comandante.

E uscì impetuoso urlando ch'erano traditi; quanto a partirsi subito chi
gli voleva bene o piuttosto chi amava la Patria lo seguisse.

Circa ducento lo seguitarono; gli altri della famiglia del comandante,
o cognati di lui, si rimasero; più tardi i Francesi promossero al grado
di generale colui che non aveva voluto combattere.

I giovani snelli e animosi corsero via, e camminando tutto di un fiato
arrivarono al Ponte-rotto dove sentirono lo strepito delle moschettate
che si ricambiavano i combattenti: si sentivano rifiniti, ma bevuto
alquanto di acqua che col cavo delle mani attinsero dal fiume si
riposero in via cacciandosi per le macchie che vestono il colle a
mezzo-giorno di Canavaggia. Di botto cessa lo scoppio delle armi; che
significa questo? — Abbiamo vinto, abbiamo perso? Prima che sbocchiamo
allo aperto ci vuole un secolo. Vien qua Zembo, tu che ti arrimpichi
come una scimmia salisci su cotesto albero, e mira un po' che cosa si
veda. Il Zembo che non per una, ma per molte qualità si assomigliava
alle scimmie, in meno che non si dice comparve su in vetta all'albero.
— E bene che vedi? — Vedo — Presto! ti pigli un accidente — Vedo
Canavaggia... sì, è lei... è Canavaggia — E poi? Ma non si scorge mica
tutto, alcune case più soprane e i tetti di altre sottane. — E chi ha
vinto? — Aspettate... Ecco vedo una bandiera... — Côrsa? — Non mi pare
— Ha la testa di Moro? — Non ha la testa di Moro — Oh! che angoscia,
o che bandiera ella è? — Bandiera bianca, per la Immacolata, bandiera
francese! — Va via, traditore, morte al traditore!...

E al medesimo punto lo circondò un nuvolo di sassi; da taluno si
schermì, altro lo colse; per buona ventura la palla di moschetto, che
gli sparò contro il suo patrigno, gli portò via il berretto. Il gobbo,
lasciandosi scivolare giù a guisa del ragnatelo per un filo della sua
rete, strillava: All'inferno quanti siete!... su gli alberi non mi fate
salire più; che colpa ho io se la bandiera è francese?

Anelanti, invasi di furore e di spavento ecco sboccano allo scoperto e
innanzi ai loro occhi si palesa un molto infelice spettacolo. I Côrsi a
furia di sangue avevano respinto i Francesi fino a piè delle trincere
costruite per la difesa di Canavaggia, e si tenevano oggimai sicuri
della vittoria, che da un punto all'altro aspettavano vedere irrompere
fuori i Canavaggesi a farne strage, quando... oh! tradimento, oh!
dolore... sul campanile della chiesa fu inalberata bandiera bianca e
dalle aperte trincee sortirono freschi e ordinati parecchi battaglioni
francesi, i quali presero a sparare con tanta maestria, che i tiri di
tutti parvero uno scoppio solo. La moltitudine dei Côrsi dalla lontana
parve un arbore, che per impeto di vento piega a destra e a mancina, e
investito a un tratto dalla gragnuola semina il terreno di foglie; pure
si riebbe e fece vista di resistere; se non che per darle il colpo di
grazia, il medesimo tradimento nella medesima guisa operavasi nel punto
stesso a Lento, donde il nemico prorompeva più grosso, traendo seco
qualche artiglieria da montagna. I Côrsi sotto le trincere di Lento non
poterono tentare nè manco le difese e furono respinti, rotti come il
flutto iemale, che si avventa contro la rupe della spiaggia. I Francesi
rovinando giù procellosi accennano percotere di fianco le milizie
côrse, che tuttavia si ostinavano a contrastare il colle di Canavaggia,
e se venga loro fatto, circuirle e prostrarle di un colpo.

E' bisognò pensare a ritirarsi se non volevano rimanere tagliati
a pezzi. Le ritirate, quando non sono fughe, stroppi sono sempre:
sogliono celebrarsi la ritirata antica di Senofonte e la moderna di
Moreau, e sta bene; ma come a cui cascando da tre piani invece da
fiaccarsi il collo si rompe una gamba si dà il mi rallegro; chè in
altro modo non pare ragionevole. Ora poi la ritirata dei Côrsi doveva
riuscire tanto più disastrosa in quanto che si operava dall'alto al
basso; sicchè agl'inseguenti ogni oggetto offeriva materia da offesa,
e lo impeto della velocità cresceva la forza; nè compariva per tutta
la china ostacolo o schermo, dove i respinti potessero attestarsi a
rintuzzare l'ardente foga dei persecutori: per ultimo il tradimento
dei paesi di Costiera aveva scorato l'universale, e anco i più arditi
sentivano tremarsi l'anima dentro. Pure a Clemente venne fatto
osservare due rialti quasi in fondo della salita, i quali comechè
poco rilevati e di piccola mole, nondimanco potevano per un po' di
tempo difendersi, e fra tanta confusione, fra un turbine di ferro e
di piombo il prode uomo senza punto scomporsi, chiamò ad alta voce
parecchi dei più strenui compagni; taluni risposero, tali altri no; ma
questi, eccetto quella degli angioli, ormai non udiranno più altra voce
nel mondo: ai rispondenti ordinò si addossassero ai poggiuoli; quanto
potessero tenessero fermo; pareva a lui, ed era così, che se i Côrsi
riuscissero a passare il Ponte, e a mettere tra loro e i Francesi il
Golo ingrossato per la sconcia pioggia, forse le fortune della Patria
non erano anco perdute.

Egli poi scelse il rialzo a destra come più pericoloso, e quivi lo
seguitarono venti frati col padre Bernardino in capo. Quello che
cotesti frati operassero certo non troverebbe posto adatto nel _Flos
sanctorum_, bensì potrebbe registrarsi nei libri che insegnano a
venerare il sangue versato per la Patria; combatterono come gente
che sa di compire un dovere ferendo finchè il fiato la regga, ed è
convinta, che la palla nemica le varrà quanto l'eucarestia e l'olio
santo per biglietto d'ingresso in paradiso. Le varie morti io non
posso raccontare e nè anco ridire i nomi degli uccisi: la storia
tutto non registra, ed anch'ella non si mostra troppo parziale pei
vinti: la tradizione, fuoco domestico conservato sotto la cenere,
anch'egli viene meno, se allo straniero padrone del paese rincresca
e al compatriotta servo ammansito non garbi che tu ci soffi su: ma il
supremo dispensatore del premio e della pena li vide, li notò, e adesso
riposano nel suo seno, dov'è Washington, e dove non è Napoleone di
certo, quantunque il primo non credesse nel papa, ed il secondo sì.

Clemente e padre Bernardino, con l'anima legata negli occhi e nelle
mani, non avvertivano la strage che intorno a loro menavano le
scariche nemiche: morti o feriti tutti i compagni, rimanevano soli:
feriti recavansi un lembo della tonaca in bocca e quella mordevano per
frenare i lamenti, affinchè altri preso da compassione di soccorrerli
non si distogliesse da combattere. Quando Clemente e padre Bernardino
volsero intorno gli occhi consapevoli a mirare tanto eccidio, si fecero
bianchi; l'uno vide l'altro, ma non dissero parola e l'anima loro si
oscurò; ma e' fu nuvolo che passa, onde Clemente disse:

— Padre Bernardino, avete carico lo schioppo?

— Sì, l'ho.

— Prestatemelo in cortesia; quel capitano sconsagrato con la spada tesa
aizza come un mastino la sua gente; gli ho tirato una volta e non l'ho
colto.... ma non lo sbaglierò la seconda.

— Dov'è il maledetto? Lasciate fare a me...

— Non di grazia, l'avrei di coscienza...

— Tiratevi in là; dov'è egli? Ah! Eccolo là... è fatto, rotola nella
polvere: _requiem aeternam dona ei Domine..._

— _Et lux perpetua luceat ei_, rispose Clemente. Bravo frate!..

— Se bravo, porgetemi lo schioppo che vedo là un granatiere in procinto
di gittare la granata.

— Lo vedo anch'io... Lo vedo anch'io. Faccio da me.

— Eccoti saldato il conto; granata in questo mondo non getterai mai
più, cane rinnegato.

— Bel colpo! ecco la granata cadutagli di mano scoppiò... e come
scappano! pare, che ne abbia feriti parecchi e morto qualcheduno.

E così continuavano alternando i ragionamenti come nelle Egloghe
costumano Titiro e Melibeo se non che conchiudevano la parlata con un
colpo di moschetto, morte sicura di qualcheduno dei nemici, i quali
potevano bene essere offesi, ma non trattenuti da cotesto ostacolo,
tanto scendevano poderosi ed arditi; non per anco essi aveano circuito
i poggioli, ma ormai spuntatigli a destra e a sinistra gli fulminavan
di fianco; le palle fioccavano fitte come grandine. Il poggiolo a
manca era deserto o piuttosto taceva non a cagione della fuga, bensì
della morte dei suoi difensori. Clemente, all'improvviso sentendo padre
Bernardino allontanarsi a passi precipitati, urlò:

— Padre Bernardino, o che ve ne andate sul più bello?

— Clemente, riprese l'altro balbuziendo, credo di sì... io me ne vado
all'altro mondo...

— Oh! come mai signore?...

— Ma... per virtù di un'oncia di piombo qua nel petto.

— Non sarà niente... vediamo... e si accostava intantochè finiva di
caricare il moschetto.

— Non importa vedere; lo sento; però vorrei morire da cristiano come
spero essere vissuto... udite la mia confessione...

— Che avete a confessare voi, povero uomo di cui la vita fu tutta un
martirio per la Patria... e poi a me?

— Sì a voi, perchè camminate diritto nel sentiero del Signore... e per
di più siete mezzo ecclesiastico.

— Vi ascolterò dunque per santa obbedienza; _in nomine Patris, Filii,
et Spiritus Sancti_. Di su, — e in questa alzata la martellina inescava
lo scodellino.

— Clemente, io penso in questo mondo avere peccato assai di orgoglio,
d'ira, di avventatezza, peccati gravissimi in tutti massime in un
frate...

— Padre... abbiate pazienza di aspettare un po' prima di morire... vedo
un cane che ha conficcato la spada in corpo a un giacente, certo era
ferito non morto...

— Fate il fatto vostro, figliuolo...

— È stato pagato... potete continuare, e Clemente teneva gli orecchi
intesi al moribondo, gli occhi al nemico, e con le mani intanto
meccanicamente caricava da capo l'archibugio.

— Ma voi non mi badate...

— Vi bado benissimo, ma fo un viaggio e tre servizii.

— L'altro grosso peccato di cui sento dover chiedere perdono a Dio è
di non avere avuto carità del prossimo odiando, i Genovesi e i Francesi
come se non fossero stati carne battezzata...

— Oh! questa per Dio santo non si può sopportare.

— Come non la sopportate?... Ma mi pare che voi gli abbiate odiati due
cotanti più di me...

— Scellerati! O non hanno tagliato la testa a un côrso morto e fitta su
la lancia della bandiera?... il sangue colando giù l'ha battezzata...

— E non è giusta, Clemente, che riceva il battesimo del solo sangue
côrso; fa, o fratello in Cristo, diceva il frate moribondo, di
mescolarvici un tantino di sangue francese.

— Giusto stava per domandarvene licenza... aspettatemi... è vero, che
mi aspetterete finchè non ritorni?

— _In quantum possum_, figliuolo, _in quantum possum_.

Tre furono i colpi sparati da Clemente, e tre le anime, che spinte
fuori con violenza dai loro corpi vendicarono il truce fatto: allora
egli in parte placato tornò al frate, che oramai se ne andava; il velo
della morte di mano in mano s'infittiva sopra i suoi occhi, le labbra
pavonazze susurravano appena le parole attraverso la spuma del sangue.

— Padre, avete altro da aggiungere?

— No, figlio mio, assolvimi, e vattene.

— Io vi assolvo a nome di Dio... e per penitenza reciterete venti
rosarii alla Immacolata... ed una volta per settimana fino a tre
settimane digiunerete...

— Che diavolo farnetichi? O non lo vedi che mi avanzano dieci minuti a
vivere.

— Perdonate; io non ci ho proprio garbo a confessare: allora
raccomandatevi la vostra anima da voi, che in verità è in buone mani...

— Di tutto cuore... di tutto cuore... Ora vattene Clemente: mettiti in
salvo; salva la Patria... io sono uomo morto... in questa estrema ora
bastano l'uomo e Dio, un terzo ci è di troppo.

— Ma che vi pare, che io voglia lasciarvi prima che siate spirato?

— Parti ti dico... obbedisci.

— Io non vi obbedirò, non ho mica fatto voto di obbedienza io.

— Anzi lo hai fatto perchè sei terziario.

— Ma voi non conosco per superiore:

— Addio Clemente... salva la Patria... un saluto a Pasquale... Gesù,
Giuseppe, Maria, vi raccomando l'anima mia... ouf!

— Povero padre... è morto... beato lui, che non vedrà la ruina della
patria.

Lo baciò e fuggì via, perchè il caso non consentiva davvero dimora,
nè querimonie più lunghe; le palle percotendo dintorno aravano, per
così dire, il suolo, ed aveva ricoperti ambedue di terra; parecchie
ancora schiacciandosi di contro allo scoglio e rimbalzando gli
ammaccarono in più parti; fu proprio miracolo, che in quel rovescio
di moschettate nessuno li cogliesse in pieno. Clemente non riportò nè
manco una scalfittura; il padre Bernardino, eccetto quella ferita,
fin qui non fu tocco da altre. Padre Bernardino non era anco morto;
lo finse il generoso, per indurre Clemente a partirsi, sapendo, che nè
per preghiera nè per minaccia lo avrebbe potuto allontanare, tanto era
pertinace costui; ora parendogli che avesse a trovarsi lontano sospirò
e disse:

— Sia ringraziato Dio che Clemente si è posto in salvo, ed adesso se
ti piace, Signore, abbrevia la mia agonia. _Nunc dimitte servum tuum in
pace._

Mi guarderò da affermare che Dio lo esaudisse; fatto sta che un
gruppetto di palle fin lì sviate trovarono maniera di ficcarsi tutte
di un tratto in corpo al nostro frate Bernardino, il quale ne rimase
come di peso portato un par di braccia più in là: egli non ebbe tempo
di proferire altre parole, eccetto queste:

— Ora le sono buone mosse.... _in manus tuas Patriam.... animam..._

Tali i frati novant'anni addietro in Corsica, perchè nati dal popolo,
non si reputavano divisi da lui. Roma allora non gli arrolava docili
arnesi da mettersi al servizio della tirannide, come la Svizzera ci
manda i suoi montanari. Il frate poi, in obbedienza a Roma, divenne
il tarlo della libertà; non vi ha dubbio, egli arrivò pur troppo a
bucherarla alquanto: ma come il tarlo egli è vicino a morire nel buco
che ha fatto.

Ma il tema incalza: egli è amaro, ma pure bisogna compirlo. Le
compagnie côrse, lacere non disfatte, correndo verso la testa del
Ponte-nuovo, già lo toccavano con immenso anelito, come àncora
di salute; arrivano a piè la porta della torre in mezzo al ponte,
che speravano trovare spalancata, e invece la rinvengono chiusa,
nè malgrado gli schiamazzi pare che la vogliano aprire; intanto
sopraggiungono altre genti continue, impetuose come onda sopra onda; le
ultime arrivate non sapendo o vedendo le cause della sosta infuriano
e spingono; le prime strette dalla pressione di mille corpi urlano,
bestemmiano, adoperano sforzi disperati invano; prese come dentro una
morsa cascano infrante a piè della porta; in breve colà fu visto un
lago di sangue, un mucchio di membra cionche e di ossa stritolate;
pure alla fine la porta tentennava su i cardini minacciando stiantare.
Allora le due compagnie di tedeschi messe alla custodia della torre
e del ponte, senza punto avvertire se l'ordine di passare fosse dato
per cacciarne nemici o amici, non sapendo o non volendo rendersi
capaci della terribile necessità che premeva coteste genti, presero a
bersagliare quelle masse stipate senza misericordia. Quali lo spavento,
la strage e imprecazioni, è impossibile esporre, ed anco difficile
immaginare; molto più, che la credenza di essere traditi adesso veniva
a ribadirsi nella mente paurosa: recederono quei che furono in tempo,
dal ponte lasciandolo fino alle spallette ingombro di cadaveri, e si
posero a correre di su e di giù lungo le sponde del fiume, che menava a
sbalzelloni grossi volumi d'acqua rompentisi fra i massi, simili alla
criniera arruffata di lioni in furore; costoro parevano anime, che
i poeti finsero vaganti su le rive di acheronte, le quali implorano
invano di valicare la riviera infernale. Disgrazia volle, che uno
dei più atterriti e manco gagliardo si attentasse passarlo; senonchè
giunto appena a un terzo di cammino il flutto lo travolse, e di lui,
dopo che due volte si videro le gambe e due il capo non comparve più
altro; si strinse il cuore di affanno anco ai più animosi e ripresero
a correre ululando lungo le sponde: non che udissero la voce dei capi,
per poco non gli sbranavano; e questi taciturni circondavano Clemente
Paoli, taciturno anch'egli. Intanto i Francesi si ordinavano su le
Costiere, e mandando i varii corpi nei luoghi più adatti si ammannivano
a investirli con una cintura di fuoco; fingete un antico anfiteatro,
ponete i Côrsi in luogo degl'istrioni, e i Francesi in quello degli
spettatori, e voi avrete immagine giusta del misero stato in cui si
trovavano ridotti. I capi côrsi miravano la bufera addensarsi su le
alture, e da un punto all'altro aspettavano il tuono; difatti non si
fece aspettare; incominciò un'archibugiata, poi due, e altre e altre,
rade da principio a modo delle prime stille della tempesta, poi spesse;
per ultimo furiose.

Ed ogni palla colpiva il suo uomo, sicchè in breve il terreno venne
coperto di morti: allora Clemente levando la voce esclamò — Signore, ci
hai tu destinati a morire come coniglioli?

I capi lo udirono, e preso consiglio da codesta voce subitamente
urlarono: — Uomini côrsi, moriremo noi come conigli?

La quale voce superando lo strepito della moschetteria, ed il fragore
delle acque del Golo, percosse i Côrsi, che parvero destarsi da un
sogno pieno di spavento; diversi gli atti, e singolari tutti: chi
guardava in alto come se la voce fosse uscita dal cielo, chi si faceva
delle mani conca e se le accostava agli orecchi per raccogliere meglio
le parole, chi si stropicciava gli occhi quasi per detergerne la
molesta caligine, chi una cosa chi l'altra: finalmente come un uomo
solo corsero a ripigliare le armi sparse sul terreno; e subito dopo,
senza che veruno lo comandasse, unicamente per virtù del senso di
conservazione che natura pose in ogni animale, si sparpagliarono per la
campagna mostrando faccia risoluta al nemico.

Questo fu il più disperato combattimento che avvenisse nel secolo
passato e forse nei secoli antecedenti; il quale mostrò, o che i Côrsi
non sapevano misurare o non sapevano temere il pericolo: soverchiati
da numero quattro volte maggiore del loro, circuiti da ogni lato,
sfolgorati da luoghi sicuri, parvero fiere ridotte in parco per le
facili caccie dei baroni; e lì per la stretta valle non sorgeva argine,
non pietra, non albero, non casa, non muro dove potersi riparare dalla
furia della moschetteria; cadevano in copia spaventosa non altramente
che le olive mature nei patrii chiusi quando il demonio del libeccio
rovina scatenato giù dai monti del Niolo, e macina, non iscuote le
piante. Ecco tu chiudi gli occhi sur un drappello di uomini forti che
combatte nella sicurezza delle sue forze, riaprili e quel drappello
non è più: la neve che si strugge al raggio del sole di giugno, la cera
che si liquefà al calore del fuoco, l'arena che casca dall'orologio a
polvere non davano immagine sufficiente di quella subitanea e terribile
distruzione della specie umana.

E non pertanto vi fu un'ora di resistenza dovuta a tale trovato, che
a pur pensarlo mette ribrezzo più della stessa strage. Un padre cadde
di ferita mortale; indi a poco si levò a stento appoggiato al gomito
per combattere non fosse altro col guardo contro il nemico, e a figlio,
che gli dolorava accanto, improvvido del come potesse sovvenirlo disse:
— Di me lascia il pensiero al Signore, tu rannicchiati dietro il mio
corpo e riparato così attendi a combattere: innanzi di spirare fa che
veda un po' di vendetta.

E il figlio addossato alle spalle del genitore caricava e traeva
facendo esultare l'anima di lui nella certezza che molti lo precedevano
per la via sanguinosa nel regno della morte.

   [Illustrazione: .... contemplò intorno alla tavola quattro
   strane figure: suo fratello Mariano che contava monete d'oro,
   un ufficiale francese che gliele contava.... (_pag. 388_)]

Notarono la inventiva; e conosciutala buona la misero subito in
pratica e la migliorarono; dacchè di materiali non si pativa penuria,
accatastarono cadaveri umani, e in breve ebbero costruito parapetti e
trincee di carne umana. Dirò cosa incredibile, se non fosse vera, e
confermata dalla testimonianza degli stessi scrittori francesi: sia
per ribrezzo o piuttosto, come credo, per pietà, esaminando i Côrsi
diligentemente i corpi innanzi di ammucchiarli, quante volte trovavano
che un filo di vita gli animasse li lasciavano stare; alcuni dei meno
feriti sorsero, e da per sè stessi trassero a mettersi in cumulo, i
più percossi sporte le mani imploravano per Dio e per i santi, che gli
accettassero a rendere cotesto ultimo ufficio alla Patria, e poichè
videro riuscire vane le loro parole, carponi, adoperandovi le mani e i
piedi segnando per la terra larga striscia di sangue, o versando dai
fianchi squarciati le viscere, arrivarono ad aggiungersi alla massa;
dove arrivati schiusero le labbra pavonazze al sorriso quasicchè
avessero conseguita cosa di contentezza suprema. Questo non occorre
nelle antiche nè nelle moderne storie; tanta costanza pare che superi
la natura umana, e la nostra mente ne resta sbalordita: non di manco
appena ne avanza memoria. Ora voi che leggete, dite, vedeste mai
più rea e più vile piaggiatrice della gloria? Anch'essa, anzi ella
principalmente seguita vassalla il carro della cieca fortuna.

I Francesi da prima sostarono fidenti che i Côrsi curando la raccolta
dei morti ormai avessero deposto ogni proponimento di resistenza; e
s'ingannarono; imperciocchè assestati alla meglio i ripari prese a
scoppiare da loro un fuoco impetuoso, che spazzò via quelli i quali
punti dalla curiosità si erano fatti più da presso; oltre al volgo
dei morti per questa scarica uscirono di vita gli ufficiali francesi
Segur, Chamisso, Bezon ed altri parecchi tenuti meritamente in pregio
di valorosi; quindi riarse il furore nei petti già inacerbati per le
perdite sofferte, nè lo spediente a cui ricorsero i Côrsi, bastevole a
fare più sanguinosa la vendetta, era atto a lunga difesa, molto più che
di minuto in minuto arrivavano sul campo le colonne nemiche ordinate
lungo la via; sparve il terreno, il cerchio si strinse, e ormai i più
infuriati avventandosi mandavano in pezzi a colpi di baionetta, di
sciabola, e di accetta quei baluardi di carne: allora incomincia la
miserabile rotta, non di tutti però, che molti prescelsero incontrare
a piè fermo la morte dei forti e l'ebbero; e chi prima giacque potè
estimarsi fortunato; imperciocchè quelli che furono tardi a morire
ebbero a sopportare immani strazii, e forse degli strazii peggiori
assai gli oltraggi, ma la massima parte si sbandò incalzata ai reni
dalle punte nemiche: parecchi urlando precipitaronsi nel Golo, che,
accettato quel sagrifizio di anime, dopo molto errare ne consegnò i
corpi al mare Tirreno; taluno però, fortuna fosse o prestanza, attinse
la riva opposta comecchè ammaccati nella persona; altri ripararono
nei boschi; ma togli gli avventurati cui toccò in sorte valicare il
fiume, agli altri non giovarono fuga o nascondiglio: furono scovati
coll'ardore del cane da caccia e spenti senza pietà; se la resistenza
inviperiva, non placava chiedere mercede; alla preghiera rispondeva
lo scherno; la empietà e la strage gavazzavano pel campo di battaglia
come Menadi prese dal vino: e di vero ebbre esse erano, ma di sangue.
E perchè la rabbia umana lasciasse, mercè dei gesti francesi, la prova
del grado infernale a cui ella può giungere, come in quel giorno i
Côrsi mostrarono a quale apice possa toccare la carità di Patria,
i soldati di Francia si dettero a cercare, tra i corpi che avevano
formato il memorabile baluardo, chi serbasse qualche reliquia di vita;
e questo facevano toccando ai trafitti le mani, le quali se trovavano
tuttavia calde, tirato fuori pei capelli il moribondo, con tagli e
punte dolorosissime ne inacerbivano l'agonia!

A rendere più lugubre la scena, scesa la notte, i poggi d'intorno
s'illuminarono con la sinistra luce di pini accatastati quasi pira
funerea della Patria defunta; e si sparse dintorno un suono di pianto,
un singhiozzare dirotto, sicchè pareva che ogni macchia, ogni cespuglio
piangesse; intantochè il fragore delle acque del Golo rotte fra i
sassi, empiva di affanno come se la Corsica intera si lamentasse sopra
i suoi figli caduti, ancora, le braccia delle donne infelici tese
verso il cielo e lumeggiate dai medesimi fuochi offrivano sembianza
dell'isola infelice, che nuovo Briareo levasse le sue cento braccia
per implorare da Dio la maledizione sopra la stirpe scellerata, che non
contenta della infamia del servaggio a casa sua veniva a ministrare con
violenza il tossico della tirannide.

Anche il fango quando vi batte in mezzo il raggio della luna par di
argento: così l'uomo, il quale per nascita o per altro caso tiene la
suprema potestà di un popolo, è levato a cielo, anzi più in alto del
cielo: finchè nella destra di lui sta chiusa la speranza, e nella
sua sinistra la paura dei mortali, la turpe e famelica genia, che si
avventa alle mammelle dello Stato come le mignatte si attaccano alla
vacca scesa a pascere nel palude, si lima giorno e notte il cervello
per trovare sgangherate adulazioni. Gli stessi uomini grandi non
valgono a liberarsene; qualcheduno dopo esserne rimasto per tempo
più o meno lungo offuscato, se ne distriga simile alla bella faccia
degli astri, che sviluppa dai vapori notturni, mentre i più ne restano
contaminati, imperciocchè fino dall'antichità osservassero come anche
le statue degli Dei per troppo fumo d'incenso diventassero nere.

Però il grande genera il grande; e questo dura: il potente solo provoca
l'immane che rovina sotto il peso della folle sterminatezza. Nessun
tiranno al mondo ebbe immagini più sperticate di Nerone; Zenodoro gli
gittò una statua di bronzo alta 110 piedi; lui morto le mutarono il
capo e dedicaronla al sole; altri gli dipinse il ritratto dell'altezza
di 120 piedi e fu arso nei giardini di Mario. La modesta immagine di
Bruto fu conservata alla coscienza dei popoli dai magnanimi pochi i
quali non giudicano le opere dal successo, e Tiberio, che la bandiva
dalle mostre pubbliche, non osò stenderci sopra la mano.

E poichè con ali mentite non si vola o poco, e a voli esiziali: quando
la potenza abbandona gl'Icari redivivi, questi imperatori di terra
cotta, questi re di carta pesta, la pietà si maraviglia come deve
compassionarli mai tanto, chè i loro stessi delitti ella conosce essere
stati partoriti dalla insania, e gli sperimenta a prova così misere,
così inette creature, che spogliate del mestiere di tormentatore non
sanno procacciarsi tanto da sostenersi in vita, anzi incapaci perfino a
guadagnarsi l'acqua da lavarsi le mani e il viso. Lo scherno umano che
si accosta per beffarli, dopo averli sotto e sopra squadrati, diventa
serio, e si parte pensando se più meritino riso costoro, o la stirpe
degli uomini che gli ha adulati, maledetti e sofferti per tempo sì
lungo.

Però se l'uomo, spogliato dalla potenza, possiede tanto di suo, che
molti tuttavia lo riveriscano, qualcheduno lo ami e la calunnia non
si attenti ferirlo eccettochè larvata, nel cuore della notte, allo
svoltare del canto, di' pure: — costui meritò migliori destini, —
e non isbaglierai di certo. E tale fu il Paoli; i suoi nemici non
ardirono morderlo, solo per biasimarlo si velarono la faccia con la
menzogna del bene della Patria, ma non fecero frutto, che il velo era
rado e sotto ci traspariva l'interesse o l'agonia di giustificare il
tradimento; sicchè come da impresa disperata si posero giù. Per questa,
come per altre volte mancò piuttosto la Italia al suo Washington, che
il Washington all'Italia. Se mai la fortuna ti menasse nella illustre
isola di Corsica, tu osserva come il ritratto dell'ottimo cittadino di
rado s'incontri nelle città, ma per l'opposto lo troverai sempre nei
casolari e negli alberghi, nello interno dell'isola a canto a quello
del Sampiero; il popolo ha riconosciuto i suoi padri e se gli stringe
al seno. Io lo notai, imperciocchè una voce soave mi bisbigliasse
dentro: — la coscienza del popolo per passione propria o per inganno
altrui spesso forvia, ma il tempo la riconduce su la strada. Molte
cose fanno scienza; però il senno umano si compone di solo queste due:
persistere ed aspettare. — Questi consigli mi educavano alla pazienza,
che negli anni giovanili da me derisa, oggi m'insegna com'essa non solo
sia virtù; ma che senza la sua compagnia veruna virtù si fermi dentro
al petto degli uomini; però intendi bene pazienza con le mani tese;
e non già rassegnazione con le mani giunte. Pazienza che si fruga in
tasca per pigliare il coltello, non già pazienza che cerca in tasca per
trovarci il rosario.

Sopra l'uomo egregio non pertanto si posa un biasimo che affermato
dalla malavoglienza e dalle sbadataggine, e non contraddetto a
bastanza, piglia col tempo fondamento, e questo si versa circa al non
essere comparso nel giorno della rotta sul campo di battaglia; onde
in Francia misero in dubbio il suo coraggio come uomo e l'attitudine
come soldato. Da quanto esposi fin qui fu chiarito come credibili
avvisi di assassinio meditato lo dissuadessero da condursi sul campo
di battaglia; e le insidie più volte tesegli dai Francesi, e dagli
stessi storici loro confessate, basterebbero a giustificare l'assenza
del generale; ma egli non era uomo da ristarsi per questo, e la passata
come la successiva sua vita lo palesarono incapace non pure di terrore,
bensì di esitanza. Egli non si mosse da prima, perchè aspettava gli
annunzi del comparire dei Francesi, deciso allora di spingersi al
ponte per sostenere le difese, dacchè per veruna cosa al mondo avrebbe
consentito i Côrsi passassero dall'altra sponda e ingaggiassero
battaglia col nemico all'aperto senza riparo. Troppo ci correva tra
i Côrsi e i Francesi per ordini militari perchè potessero cimentarsi
insieme con isperanza di buon successo pei primi; e il Paoli animoso
era molto, non però temerario.

Quando un messo speditogli dal comandante prussiano posto a guardia
del ponte andò a ragguagliarlo che i Côrsi erano passati tutti su
la sinistra sponda del Golo sentì trafiggersi da dolore e da sdegno
inestimabili; non senza tremito considerò come quando l'ora della
maledizione colpisce popolo od uomo torna tutto funesto, e le dimore
e gli ardori; mentre quando Dio vuole, Fabio e Marcello stavano
entrambi; comecchè considerasse che da questa mossa fosse per uscirne
danno gravissimo, egli era ben lontano da presagire la rovina che ne
venne; però si affrettava a riparare, quando per via gli sopraggiunse
la notizia del tradimento di Lento e Canavaggia: poco più oltre quella
del comandante della milizia del ponte alla Leccia, il quale come a
suo luogo raccontai, sotto pretesto di manco di vettovaglie non aveva
mosso un passo; cotesto suo avvicinarsi al Pontenuovo si rassomigliava
alla via del Calvario; ad ogni piè sospinto inciampava dentro un nuovo
affanno; messi su messi gli portarono Caccia avere accolto per opera di
un traditore i Francesi e così essere rimaste rotte le comunicazioni
con la Balagna; la Casinca anch'essa per tradimento allagata dal
nemico, il quale accennava ferire di fianco; forse anco tagliare la
ritirata oltre monti; che più? le pievi di Vallerustie, di Giovellina
e di Orezza oggimai disperate, avere spedito uomini a posta al generale
di Vaux per sottomettersi ed essere ricevute in grazie del Re. Mentre i
dolori della passione contristavano cotest'anima afflitta, una mano di
superstiti alla strage di Pontenuovo laceri e mezzi, perchè dopo avere
salvato la vita dal fuoco avevano dovuto contrastarla all'acqua, gli si
fecero incontro schiamazzando:

— Dove andate? Dove andate? Perchè volete farvi ammazzare come un cane?

E Orsone da Tevera, ch'era tra questi, ma non poteva così di leggieri
riconoscersi a cagione di una fascia che gli bendava il capo mezzo
sfracellato gli soggiunse:

— Ah! generale, ve lo aveva pur detto, che i vostri _incipriati_
avrebbero venduto la Corsica e noi come Cristi.

— Orsone, siete voi? E padre Bernardino?...

— In paradiso, rispose Orsone levando le braccia al cielo.

— E...? soggiunse esitando il Paoli qual chi a un punto trema e si
strugge di sapere una cosa.

— E chi?

— Il mio fratello Clemente? alfine egli disse.

— Io l'ho veduto combattere da per tutto e sempre: quanto al fuoco non
lo può offendere, perchè gli è ciurmato; se non rimase nel Golo ve lo
vedrete comparire dinanzi.

Allora il Paoli raccolse quella maggiore gente che potè, e fu poca,
donde ebbe campo di argomentare la gravità della rotta, e si condussero
a Corte. Di uno sguardo conobbe, che non si poteva fare capitale su i
pochi che lo avevano seguitato pur troppo sbigottiti e male in arnese;
posti alquanti soldati in castello, passò in Vivano nel concetto di
ritentare la fortuna della guerra coi terzi di oltremonti.

Clemente Paoli rispettarono il fuoco e l'acqua: uscito grondante dal
Golo non si rivolse nè manco a dietro a contemplare il fiume pauroso
dal quale era scampato; senza pigliare cibo nè riposo, nella notte
picchiò di casa in casa e strappò i mariti dalle braccia alle mogli, i
figli alle madri, li garrì, li spaventò colla paura della maledizione
di Dio; la quale non può mancare a cui lascia nelle angustie desolata
la Patria, e la mattina si presentò pronto a combattere i Francesi,
che dopo occupato Rostino moveano a Corte; e di fatto a piè fermo gli
attese presso san Pietro di Morosaglia e per più ore contrastò loro
il passo; quando poi seppe lo sgombro di Corte e il nemico stringerlo
dentro una rete, poderoso e rinforzato con le riserve di Bastia, colto
il destro disparve come un fantasma davanti agli occhi dei Francesi.

I quali progredivano non pure in virtù delle armi strabbocchevolmente
superiori alle côrse, quanto dell'oro che sparnazzavano come si costuma
la fiorata dinanzi alle processioni: nè questo si reputi inventiva
côrsa per iscemare l'onta della disfatta, però che noteremo in breve
quale somma di pecunia ci spendessero attorno i Francesi: che se
taluno versato nelle storie di Francia maraviglierà come potesse
profondersi tanto tesoro in Corsica, mentre tanto si penuriava in
Francia, che gli stessi valletti di corte chiedevano la elemosina,
cesserà da stupirsi quando pensi che la impresa côrsa si combatteva
per sostenere il credito vacillante del ministro Choiseul, il quale
voleva dare ad intendere che con l'acquisto della Corsica la Francia
sarebbe stata compensata con usura delle perdite sofferte durante
il suo ministero; ora è manifesto, che quello, che carità di Patria,
amore di parenti e compassione del prossimo non sanno trovare o non
possono, troverà sempre l'ambizione. Che importava allo Choiseul, che a
Parigi morissero di fame e i servi del suo re accattassero, purchè egli
potesse mantenersi in officio? E nondimanco il Voltaire celebrò cotesto
uomo, dando nuova prova, che le lettere scompagnate dal gran cuore
sono pessime dispensatrici così del biasimo come della lode. Napoleone
giovanetto alla scuola di Brienne, narrasi, che vedendo il ritratto di
questo duca appeso in una sala, agguardatolo torvo, gli dicesse: — tu
mi renderai ragione del sangue côrso e delle nostre libertà manomesse!
— Beato lui se fosse morto mentre florida gli santificava a quel modo
l'anima la virtù, però che egli vivendo confermasse la verità della
sentenza, che Dio a cui vuol bene manda presto la morte; di vero le
grinze sul cuore vengono più spesso e più brutte che sulla fronte, ed
egli morendo a tempo non avrebbe nudrito la sua fama col sangue e con
la libertà dei popoli. Per colpa di questo uomo, che parve un Bruto in
erba, la umanità si strascica sempre come colombo che abbia rotto l'ale
sul cammino della libertà.

I ricordi dei tempi pertanto hanno tenuto nota, che furono largite
dugento ottanta lire a testa a quei del presidio del Castello di
Corte affinchè lo consegnassero senza contrasto, e al tempo stesso
mandarono un bando, il quale diceva: i villaggi privi di trincere
che si attentassero resistere sarebbero arsi, le terre devastate,
gli abitanti spediti a mo' di misfattori in Francia, se dopo essersi
sottomessi fossersi rinvenute armi presso gli abitanti, sarebbero
mandati irremissibilmente in galera; anche dei non sottomessi quelli
che portassero armi senza permesso dei superiori militari, in galera;
chi piega il collo beato lui!

Malgrado la disposizione vecchia che i Francesi avevano e la necessità
presente di esagerare le cose, essi non poterono cavare materia
d'iattanza da cotesta conquista: abbiamo notato, come vi adoperassero
un cinquantamila uomini, della migliore gente che possedesse la
Francia, e ce ne rimasero 10,721, se meritano fede i registri del
ministero della guerra, di cui 5,949 morti all'ospedale e 4,334 in
campo: fra questi, 539 uffiziali; ma il sangue, nota il Dumouriez,
giusto in proposito della guerra presente, nei calcoli della politica
non conta; però parliamo del danaro; tutta la impresa costò 80 milioni,
somma per quei tempi di troppo maggiore importanza, che a' nostri,
compreso il credito che la Francia teneva verso la repubblica di Genova
pei soccorsi somministrati, sicchè le spese proprio per la guerra del
1767 e 1769 si trova appunto ammontare ai 180 milioni di franchi. Al
De Vaux, dopo averlo scarrucolato un pezzo, negarono dare il promesso
bastone di maresciallo, bisbigliandogli nelle orecchie: la smettesse
e dello avuto si contentasse; bella forza! vincere con cinquantamila
uomini provvisti di ogni maniera munizioni di guerra, poderosi di
artiglierie, un'armata quale da molto tempo non era uscita dai porti
di Provenza di rinforzo e per ultimo il terreno spazzato davanti a
furia di luigi d'oro. Il De Vaux non fiatò più: ma se tacque egli,
altri volle dire la sua; per l'Italia ne corsero le pasquinate ed
anco qualche cosa peggio: così menò rumore un certo distico latino che
pronunziava arditamente questa sentenza:

    Gallia vicisti! profuso turpiter auro;
    Armis pauca, dolo plurima, jure nihil.

Dicono lo componesse un Giuseppe Cambiasio presidente del regio senato
di Nizza; e questo ho voluto rammentare perchè si veda come novant'anni
addietro in Italia ci vivessero uomini di toga che avevano cuore di
dire verità, le quali adesso non basterebbe l'anima a palesare, anco a
un democratico dei buoni; e poi negano il progresso; se questo non si
chiama avvantaggiarsi nel servaggio, che cosa sia progredire io non lo
so davvero.

Ma più che tutto strano parrà a cui per poca pratica non è uso a
meditare su i cervelli degli uomini e i ghiribizzi loro, che i Francesi
tre anni dopo conquistata la Corsica non sapessero più che cosa
farsene: pigliatala in fastidio proffersero restituirla a Genova pel
prezzo di 28 milioni di lire, ma i Genovesi che per averla tenuta nei
tempi addietro si sentivano anche piene di pruni le mani, e il tempo
gli aveva condotti a consigli più giudiziosi, risposero che poichè
se la erano presa la conservassero; allora la misero all'incanto, ma
non trovarono chi ci volesse dire sopra; e il nostro eroe scrivendo
da Londra il 30 luglio 1771 prorompeva in questo grido, tanto più
straziante quanto più semplice. — Ahimè! dunque noi siamo quel povero
cencio, attualmente posto all'incanto fra i potentati della Europa?

Più tardi il tedio della Francia per la Corsica crebbe; forse era
presentimento, e nell'Assemblea costituente l'abate Charrier propose
indurre il duca di Parma di cedere il Piacentino al Papa e dargli
in compenso la Corsica col titolo di Re; non ne vollero sapere nè
l'uno nè l'altro. O non sono curiosi questi liberaloni di Francia, i
quali non sanno smettere il vezzo di considerare la gente umana come
bestie vaccine a cui si possa far mutare padrone secondo che piace?
La Corsica, agguantata, agguanta; cani e uomini côrsi fanno buona
presa. L'hanno voluta, se la tengano; Ercole non potè strapparsi la
camicia di Nesso, se non sul rogo: ma io ho precorso gli eventi; ne
domando perdono e torno a raccontare la storia per filo e per segno
come conviene ad uomo che proceda con la _calma pensosa_ tanto amica ai
tranquilli amatori dell'_ordine_.

Le cose e le creature si amano più pei dolori e pei travagli che
costano, che pei piaceri che procurano; però i padri ben vogliono
ordinariamente i figli assai più che non ne siano benvoluti: onde non
è da dirsi se il Paoli mettesse a tortura anima e corpo per trovare
spediente capace della salute della Patria che amava e per la quale
aveva patito mai tanto. Il giocatore non si alza dal tavogliere se
prima non abbia avventurato il suo ultimo scudo; ora le ree passioni
dovranno essere più tenaci delle buone? Il patriotta mostrerà a prova
minor costanza del giocatore? Ciò a Dio non piaccia.

La parte cismontana dell'isola non fu lasciata senza l'estremo
contrasto. Clemente Paoli addentrandosi nel bosco di San Pietro
occorse in Antongiulio Serpentini e nella moglie sua Rossana che con
una mano di gente si aggiravano per quelle parti smaniosi di vendetta
quanto più disperati della vittoria: poco più oltre rannodarono il
capitano Pilone: insieme uniti, pei conforti massime di Clemente,
si apparecchiavano a tentare un colpo ardito; si rammenta che alla
opera egregia si aggiungesse anche Giancarlo Saliceti, come per
miracolo rimasto illeso sotto un mucchio di cadaveri alla battaglia
di Pontenuovo, donde uscì a notte alta e scampò con meno pericolo
degli altri, perchè il nemico si fosse disperso nelle vicinanze, e
il fiume, che molto tiene del torrente, in quelle ore avesse scemato
assai dalla sua turgidezza: racimolati da 500 uomini penetrarono nel
Niolo dove sorse sempre la prima aurora e si spense l'ultimo crepuscolo
della libertà côrsa; sopra coteste aspre giogaie la gente semplice e
forte pare che abbia agio di favellare più d'appresso con Dio che in
loro ispira carità indomita di Patria. I Niolini senza tanti ragionari
si dissero parati a tutto; richiesti di vettovaglie, non ne avevano:
proposero andarne alla cerca a Giussani, Asco, Muttifao ed in altre
terre prossimane, e andarono, ma tornarono co' sacchi vuoti; i popoli
atterriti dalla vista dei Francesi stracorridori, i quali avevano
incominciato a mostrarsi fin là, gli supplicarono a non gli esporre a
sicurissimo eccidio: col nemico così inviperito e così grosso su gli
occhi, non essere a tentare cosa che valesse; gli uni e gli altri si
riserbassero a fortune migliori. Allora passarono i monti; e qui si
rinfocolò la guerra.

A Fritzlar conte di Narbona, uomo superbo e di natura feroce, fu
commesso opprimere la parte oltramontana; reputandola impresa appena
degna del suo valore uscì veramente grosso e munito ottimamente di
artiglierie da Ajaccio, ma procedeva alla sbadata, sicuro di non
incontrare veruno intoppo per la via; ma giunto che fu a Mezzana ecco
occorrergli Clemente Paoli, ch'egli credeva rimasto morto a Pontenuovo,
a contrastargli il passo: salito il buon conte in furore perchè si
attentassero resistergli, raccolse le sue forze per levarsi, com'egli
diceva, per sempre d'intorno quel fastidio d'insetto, ma intantochè il
tafano lo pungeva or qua or là dolorosamente, ed ei menava invano le
mani, ecco arrivargli notizie, che i Côrsi comparsi a Peri facevano le
viste di piombargli alle spalle: di vero erano accorsi ai suoi danni
con quanti avevano potuto trarre seco l'Abbatucci, l'Ornano e il padre
Paolo Roccasserra buono a predicare, meglio a combattere. Il conte
obbligato a riparare al nuovo pericolo smezzò le forze, ma respinto
da ambe le parti si strinse nel fiuminale di Celavo dove riparò in
forte positura munendola di terrapieni e di artiglierie, deposta poi
ogni intempestiva baldanza, invece di assaltare attese con diligenza a
difendersi assalito.

I capi Côrsi esaminata bene la faccenda vennero nel parere di non
arrisicare battaglia, bensì circuire tutta cotesta gente, bloccarla e
ridurla a darsi prigioniera per falta di viveri. Il conte di Narbona a
prezzo d'ingordo premio trovò modo di avvisare il conte di Vaux delle
angustie in cui si trovava ridotto, onde questi, che ormai credeva
vinta la impresa urlò, bestemmiò e poi piuttosto con ismania febbrile,
che con sollecitudine soldatesca, si dette ad ammanire corpi di milizie
spingendole con parole accesissime e con larghe promesse a correre
e impedire lo smacco; da prima spedì il marchese della Valle, e ce
n'era di avanzo; ma dopo poco gli avviò dietro con altro distaccamento
il barone di Bamenil; e tuttavolta parendogli che fossero pochi ci
aggiunse tre corpi di milizie côrse, comandate da tre capitani côrsi,
il nome dei quali per rispetto altrove discorso non mi giova ricordare,
nè altri ha da mostrarsi voglioso di apprendere. Tutte queste milizie
per la Biguglia, la Casinca e le pievi del Verde e di Aleria, dovevano
penetrare nel Fiumorbo e quinci per vie montane giungere in tempo
per bloccare i bloccatori. E' sembra, che gl'impedimenti naturali
stimassero poco, quelli degli uomini nulla, perchè più pericolosa via
non era dato immaginare: di fatti piccola mano di montanari tra Poggio
e Isolaccio arrestarono tutte queste milizie.

Pasquale Paoli non posava giorno nè notte per rianimare, eccitare,
ordinare: e in qualche parte gli veniva fatto con buon successo, più
sovente no; non mica che all'aspetto di lui non si accendessero,
od alle sue parole non fremessero, ma a mano a mano, ch'egli
si allontanava, essi si sroventavano; il pensiero ripigliava il
sopravvento alla passione, e lo schioppo testè carico ponevano da parte
non senza un sospiro.

Dal paese dove nacque e morì Sampiero d'Ornano, dalla terra bagnata dal
sangue dell'eroe, vennero, e non poteva fare a meno, cinquecento uomini
improvvidi magnanimamente del poi, non volendo nè sapendo guardare
nulla oltre il dovere, e si offersero al Paoli per la vita e per la
morte. Per quanto tu ci pensi sopra, tu non verrai a conoscere tutti i
benefizî che una grande anima largisce alla contrada dove per grazia
del cielo ella comparve, i presenti sono meno, nè i più importanti,
perchè le generazioni, che la circondarono non la compresero, o se
compresa, non ebbero virtù d'imitarla; ma ella partendosi lasciò
quasi un modello ai futuri, affinchè i pensieri e le opere loro ci
adattassero; ognuno del popolo si reputa erede di un frammento di
cotesta anima, quale come un santuario riposto dentro di lui lo fa
sacro, ed ogni senso di viltà, di bassezza ne allontana, quasi sozzurra
che valga a inquinarlo: e non fie vana fede quella che ti fa credere,
che cotesta anima indefessamente stemperandosi nell'aere mandi aliti
sani al tuo corpo e affetti sani al tuo spirito; beata la terra, che
vanta per genio del luogo un'anima grande!

In Ornano pertanto stavasi Pasquale, e circondato così da gioventù
feroce, fremente arme, che dimenticata la realtà dei casi consolandosi
con la speranza del futuro o con la memoria del passato. Gli pareva
potere ritentare la prova, anzi pensava vincerla e di un colpo
ardito opprimere il nemico: il suo spirito pregustava la esultanza
della patria consolata, i gaudii della gloria, la commozione della
gratitudine: davanti a sè teneva aperta la carta geografica dell'isola
e accennando col dito i sentieri per valli e per poggi, sempre più
infervorandosi esclamava:

— No, non può mancare; coraggio, Côrsi, la stella della Corsica non è
ancora tramontata.

E quasi coro Altobello, Canale, Ugo della Croce, Romano Colle e
Rutilio Serpentini con altri dintorno ripetevano! — no, non è ancora
tramontata.

Ad un tratto si aperse la porta della stanza e fu visto entrare
un soldato, il quale prima di ogni altra cosa si volse addietro
a richiuderla: era Clemente Paoli mandato a chiamare e venuto
in obbedienza agli ordini del suo generale: dopo la battaglia di
Pontenuovo dove fu così funesto il suo ardore, o ira contro sè o
coscienza lo rimordesse, non si attentò più comparire davanti al
fratello: ed ora oh! quanto si mostrava diverso dal prode guerriero,
che rimasto per fortuna intatto dalle palle nemiche aveva fama di
essere ciurmato: la faccia sordida di colore oscuro, le labbra nere del
continuo mordere le cartuccie, la congiuntiva degli occhi ingombra di
sangue e di bile; di persona l'ombra appena di sè stesso, le vesti gli
cascavano di dosso, non più Clemente, bensì lo scheletro di Clemente
Paoli; e quasi la fortuna volesse fargli perdere tutto ad un tratto
anche la sua invulnerabilità, adesso appariva fasciato alle braccia e
alle gambe: anche nel capo era stato percosso e gravemente; e nondimeno
si conosceva, che questa rovina gli veniva meno dalle ferite del corpo
che da quelle dell'anima.

Entrò, fece il saluto militare e stette davanti il suo fratello, il
quale a vederlo si sentì commosso da un tumulto di affetti: voleva
abbracciarlo, voleva rimproverarlo: quel suo stato così gli strinse
il cuore, che per poco non iscoppiò in pianto; pure facendo forza a se
stesso, e tentando con la voce del corpo vincere il grido dell'anima,
con molto impeto disse:

— Venite Clemente. Dio ci ha flagellati, ma non ci vuole oppressi;
egli nella sua misericordia ci dà campo da vendicare mille offese in un
punto, e ciò che più importa ristorare le fortune inferme della Patria.
Altobello si reca (guardate su la carta) a Zicavo, e fatta raccolta
di gente accorre in aiuto dei Fiumorbini i quali hanno già arrestato
i corpi di milizia spediti dal de Vaux in soccorso del Narbona: tra
quei gioghi, in mezzo di coteste foci può presentarsi il destro di
sterminarli; ad ogni modo basta che li trattenga; questo deve farsi;
se si avventurano nella foresta dei pini non ne escano più. — Io piglio
il comando del campo di Mezzana e vi prometto non farmi uscire di mano
questo tracotante del Narbona: a voi Clemente, il periglio e la gloria
maggiori; prendete con voi Serpentini e Saliceti, attraversate il Niolo
dove vi aspettano a braccia aperte, quindi scendete in terra di Comune,
assalite improvviso i Francesi alle spalle nei monti del Fiumorbo,
separateli da Bastia, e per fame o per ferro voi sterminate il marchese
della Valle e il barone di Bomenil, io il conte di Narbona: non
domando cose strane da voi; solo che mostriamo la consueta celerità, la
vittoria è sicura....

Clemente, mentre il fratello infervorato favellava, fu visto tentennare
a modo di albero che il boscaiolo a grandi colpi di accetta cerca di
abbattere; ora non si potendo più tenere cadde di sfascio nelle braccia
del fratello e proruppe in pianto; le bende scomposte per quel moto
smanioso lasciarono grondare la piaga del capo, sicchè scendendo giù
sul volto al desolato sangue e lagrime, parve che piangesse sangue.
Pasquale anch'egli avrebbe pianto se non restava atterrito dallo
stato del fratello: egli non lo aveva mai visto piangere, e le lacrime
dell'uomo forte sbigottiscono appunto per questo, che l'animo nostro
pensa quanto grave ha da essere il cumulo dei mali che valse a vincere
coteste indomite nature. Lo stianto della passione dolorosa aveva
tolto a Clemente la favella, e si temeva peggio; onde dopo averlo
adagiato sopra una seggiola, Altobello corse verso la porta per uscire
in traccia del medico; ma Clemente tentato di levarsi su ritto per
impedirlo e non lo potendo, con le mani, con gli occhi, con tutta la
persona sembrava supplicarlo a non aprire la porta; ma non lo intesero;
e ad ogni modo non sapendo darsi ragione di codesta strana fantasia non
l'avrebbero atteso; però Altobello venuto più presso la porta l'aperse.

Dalla porta semiaperta sbucarono fuori due mani: ho detto due mani,
e doveva dire granfie che pelose erano tanto e armate di ugnuoli da
disgradarne quelle della jena; e subito dopo tenne dietro alle mani una
maniera di ceffo orribile per enorme naso adunco e il mento sfuggevole
verso la gola; gli occhi piccoli, tondi e immobili, il cranio calvo
con pochi peli dietro la nuca, che parevano venuti a lite fra loro,
gli davano aria dello avoltoio monaco che muta le penne; comparve al
fine la persona scarna, ossuta, figura proprio da cataletto. E' sembra,
che la natura nei momenti di mal umore crei siffatti animali, perchè
servano di annunzio alle sciagure come i gabbiani al cattivo tempo:
di vero tu li trovi dove qualche infortunio, o peggio ancora, qualche
iniquità sta per consumarsi; nella stanza dell'infermo avvisano che il
prete coll'olio santo è per le scale, in casa all'inquilino precorrono
i famigli che vengono a gravare i mobili pel debito di pigione: nel
fondaco del mercante precedono il sindaco del fallimento accorrente
ad apporre i sigilli; nelle famiglie danno cenno, che quivi la carità
nel partorirci l'odio vi è morta per l'operazione cesarea: però il
marito sta in procinto di repudiare la moglie, il padre di diseredare
il figliuolo; nelle assemblee notificano prossimo il partito, che torrà
la reputazione al popolo, o spegnerà la libertà del paese. Nudriti di
disprezzo trasudano malignità da tutti i pori del corpo. Tito, passate
ventiquattro ore senza avere beneficato persona ebbe ad esclamare
_ho perduto un giorno_! questi non lo diranno, ma sentiranno averlo
perduto se nel medesimo periodo di tempo non mettono alla disperazione
ventiquattro povere anime. Dopo lui si mostrarono due faccie pecorili
come si trovano in maggioranza per tutti i municipii, che paiono
destinati ad ospitarle a mo' dei presepii i bovi; facce stupide, facce
grulle le quali, se la demenza possedesse case da affittare ai matti,
metterebbe sopra le porte pei _appigionasi_.

Costoro entrarono e soffermatisi al cospetto del generale attonito
per simile novità, il caporione che dalla servile domestichezza
e dalla paurosa petulanza dimostrò appartenere alla razza degli
azzeccagarbugli, vergogna del fòro e peste delle città, squadernato un
foglio leggeva:

— Eccellenza! I padri del comune Delle Vie, di Sartene, Scopamene,
Garbini e generalmente di tutti gli altri della provincia della Rocca,
essendo venuti in cognizione come V. E. sia decisa di sostenere la
guerra contro le armi di S. M. cristianissima, hanno dovuto considerare
come qualmente essi non trovino in questo il tornaconto loro e nè anche
nel sottosopra il diritto. Non il diritto, perchè non una, ma parecchie
volte i Côrsi invocarono gli aiuti della Francia, onde non sembra ben
fatto rifiutarli adesso, che ce li profferiscono; non l'interesse....

— Concludete, chè il tempo e la pazienza mi mancano di sentirvi leggere
cotesta filastrocca; che volete da me?

L'oratore piegò il foglio, se lo ripose in tasca e disse:

— I comuni della provincia della Rocca, protestando il dovuto rispetto
alle virtù di V. E., dichiarano, che innanzi tratto le raccomandano
di cessare le ostilità, e di gettarsi, com'essi fanno nelle braccia
di S. M. cristianissima; caso mai, che V. E. per sostenere il punto, o
per qualche suo particolare interesse s'incaponisse a tirare avanti la
guerra, allora la supplicano a uscire dalla provincia per non renderla
immeritevole della grazia di S. M. cristianissima; di più conoscendo a
prova l'amore, che l'E. V. ha portato sempre ai grami Côrsi, e porti,
umilmente implorano che dove prescelga (che sarebbe il meglio) di
abbandonare l'isola, si astenga imbarcarsi a Sartene, non mancando
nella costa orientale golfi e cale assai più adattati, che non è il
porticciuolo.

   [Illustrazione: PASQUALE PAOLI]

Il generale fu visto impallidire: ma fu un momento; poi rilevò maestoso
la persona sicchè parve ingrandito, e con voce forte rispose:

— Non io venni spontaneo come il barone Teodoro di Newhoff chiedendovi
per compenso di poco soccorso il regno; chiamato obbedii alla voce
della Patria la quale in dieci, in venti consulte mi commise difendessi
la sua libertà; e questo ho fatto con la fede di cittadino e di
cristiano. Separare adesso la causa mia dalla vostra, fingere privata
querela ciò che i nostri avi sostennero, è viltà. — Dite piuttosto,
che renunziate alla eredità dei vostri maggiori; dite, che rinnegate
quarant'anni di martirii, di sangue, di gesti gloriosi e di sciagure:
dite che vi venne in fastidio la libertà, che vi piacque farne danari,
come di cosa che non si usa più... questo dite, chè la menzogna aumenta
la infamia e non può giovarvi in nulla.

In premio dell'opera voi mi date l'esilio, e certo pensando alla inopia
che mi aspetta in terra straniera, al tedio continuo e alla mancanza di
ogni consolazione, dovrei affliggermi molto per me se il presagio della
miseria a cui siete riservati, e al disprezzo di voi stessi, ultima
sciagura! non mi togliesse al senso dei miei mali per desolarmi con
ogni fibra del mio cuore per voi. Ah! avessi potuto lasciarvi miseri,
non avviliti; la speranza avrebbe potuto ricondurre un'altra aurora per
tutti.

Se la bandiera côrsa strappata da mani repugnanti fosse caduta sul
campo di battaglia, la Immacolata che vi sta dipinta sopra avrebbe
raccolto il sangue sparso per la Patria e portato al trono dello
Eterno implorando vendetta per lui; ma adesso di che volete ella
supplichi Dio per voi? La viltà si detesta così in cielo come in
terra: disertata dalla Beata Vergine, ecco la vostra bandiera diventò
tutta bianca, potete usarne come _mandilo_ per asciugarvi le lacrime,
potete servirvene come lenzuolo per involtarci dentro la patria, perchè
la patria è morta; ella va a raggiungere dentro i sepolcri i suoi
figliuoli, i suoi veri e legittimi figliuoli che hanno combattuto, e
sono morti per lei; _finis_, (e qui prese con ambe le mani la carta
geografica della isola che gli stava davanti, sbarrò le braccia e
fecene due pezzi, aggiungendo con voce tremante) _finis Corsicae_.

Poi con un gesto ineffabile di disprezzo e d'imperio comandò agli
odiosi oratori gli sgombrassero davanti.

Se ne andarono l'avoltoio e i pecori municipali, i quali usciti
all'aperto, il primo disse agli altri:

— Ringraziamo Dio, la è ita a finire meglio ch'io non pensava; ad
ogni momento io temevo, che dato di piglio al bastone non ce ne avesse
amministrato un carpiccio delle buone.

E gli altri due, tuttochè pecori comunali, risposero:

— Magari! che con un po' di tempo e qualche empiastro si poteva
guarire, ma egli ci ha battuto il cuore, e a questo noi non potremo
trovare rimedio mai.

Sul fare della notte secretissimi messi partirono portatori di
lettere ai comandanti delle milizie a Mezzana, al ponte di Peri, al
fiuminale di Celavo, ai boschi del Verde in Fiumorbo, colle quali
s'ingiugneva cessata ogni resistenza tornassero di quieto a casa
nascondendo le armi in luogo sicuro per ripigliarle in migliore
occasione: per ora impossibile tenere fronte al nemico: non clamori,
non minaccie; si conservassero a fortune migliori. Giunse a tutti oltre
ogni estimativa amaro cotesto ordine, come quelli a cui, ignorando
la diserzione dei compagni, pareva poter resistere con vantaggio;
celarono le armi per grotte montane, taluni vollero portarle seco
loro, e male gliene incolse; prima però accesero i fuochi anco sopra
il consueto, perchè il nemico accorto del partirsi che facevano non
si fosse mosso a perseguitarli. Alla mattina le sentinelle avanzate
dei Francesi non udendo i soliti rumori, nè per quanto aguzzassero
la vista vedendo comparire persona, si attentarono trascorrere più
oltre e conobbero i Côrsi avere abbandonato il campo: ciò riferirono
subito ai superiori, che sospettosi d'insidie dettero il comando di
moversi, ma adoperandovi tutte le precauzioni costumate dai cautissimi
capitani quando si inoltrano in paese doloso. — Dopo due o tre miglia,
ebbero a persuadersi che i Côrsi erano affatto scomparsi, e facilmente
attribuirono il caso alla gran paura che avessero preso di loro; essi
che stremi di viveri già avevano incominciato a parlare di resa per non
rimanere morti di fame nel fiuminale di Celavo! — Allora non contenti
di essere così per miracolo liberati e nè manco di vincere a man salva,
parve loro non avere fatto nulla se non riuscivano a mettere le ugne
addosso al generale Paoli: lui bramavano, lui spasimanti agognavano per
rendere più splendido il trionfo a Parigi di cinquantamila Francesi
gente cappata, sopra poche migliaia di Côrsi mal vestiti e peggio
armati.

Senza ostentazione e con modi semplici secondo la sua natura gli
dettava, il Paoli chiamati gli ultimi compagni della sua fortuna, disse
loro:

— Amici miei, i Francesi cercano di me ed io non credo giusto
invilupparvi nelle mie venture; fate una cosa, tornatevene in famiglia
ed anco voi cedete a tempo per conservarvi a sorti migliori.

Ma gli altri torvi risposero:

— Che vi abbiamo fatto per meritarci questo oltraggio? Noi saremo
con voi in vita e in morte: voi padre, voi madre, voi moglie, voi
figliuoli, voi tutto.

Il Paoli si strinse gli occhi con la mano, e ce la tenne un pezzo; poi
a strappi soggiunse:

— Vi domando perdono. Partiamo.

Fatto gomitolo si avviarono pei gioghi di Bavella, e quando scopersero
il mare sostarono per vedere se sopra il lontano orizzonte si scoprisse
qualche naviglio con la prua rivolta a coteste sponde; non nube in
cielo, non vela in mare, l'uno e l'altro deserto nella magnificenza
dello azzurro sterminato. Allora ristrettisi a consiglio determinarono
sbandarsi sì per procacciarsi alla spicciolata il vivere per cotesti
luoghi montani, sì per isfuggire più facilmente alle ricerche del
nemico; e convennero altresì, che quale primo scorgesse qualche
bastimento ne avrebbe porto avviso ai compagni, se di giorno con tre
fumate, se di notte con tre vampe, coll'intervallo di un quarto di
ora di uno dall'altro, affinchè potessero esserne avvisati tutti e
accorrere alla posta.

E bene incolse loro il partito preso, imperciocchè indi a pochi giorni
comparvero stracorridori Francesi i quali si dettero a frugare di
qua e di là come bracchi alla campagna: ventura fu che le compagnie
côrse agli stipendii del nemico venissero adoperate a battere i boschi
di foce di Verde e di foce di Vizzavona che giudicarono più atte a'
nascondigli, però che altramente non sarebbe stato lieve fuggire; pure
parecchie notti il Paoli ebbe a passare dentro tane da volpi, di cui
l'apertura copersero con pruni intralciati a piante selvatiche, da
allontanare qualunque sospetto; ed una volta, narra la fama, che la
passò a cavalcione su di una sughera nascosto dalla spessa fronda di
quella; intantochè una squadra di Francesi sdraiati a piè dell'albero
andavano trattenendosi fra loro del guadagno che ne sarebbe loro
toccato se lo avessero preso e degli onori (giudicavano a quei tempi i
Francesi degno del rimerito di onori agguantare a mo' di facinoroso un
difensore della patria libertà), come pure degli strazii che avrebbero
fatto a quel brigante del Paoli traendolo incatenato traverso la
Francia.

Il Paoli però la più parte della notte passava in compagnia di
Altobello e di Nasone lungo la spiaggia a speculare se qualche legno
giungesse; la notte del 12 giugno prima assai che il sole cascasse
dietro ai monti si era levato uno scilocco fresco, che in breve ora
aveva sommosso la superficie delle acque; per quanto l'occhio si
spingeva lontano si vedevano miriadi di ondate spumanti simili a
cavalli bianchi sfidati a gara di corsa verso la riva; parecchi di
questi ad occhi meno esercitati avrebbero potuto parere vele, ma quelli
del Paoli e dello Alando non si potevano ingannare; e poi non dirò la
sfiducia, ma un senso di avversità si era per modo insignorito della
loro mente, che non si avventuravano a credere le cose prospere se non
si manifestavano certissime. Pure non seppero lasciare il lido finchè
non sorse alta la notte; allora Altobello rompendo primo il silenzio,
favellò:

— Signor generale, parmi, che sarebbe bene andarcene; quest'aria non è
sana, e col vento che tira, non pare verosimile che sia per approdare
veruna nave alla spiaggia.

— Vi ringrazio, Altobello, perchè questo fiotto di onde che si rompono
sul lido mi sonava come il pianto delle migliaia degli eroi defunti
venuti a lamentare la rovina della Patria. L'anima mia ne rimaneva
inebbriata di amarezza, e non sapeva staccarsene. Voi avete rotto
l'incanto: andiamo.

Lenti, silenziosi ripresero la via lungo la costiera che ha davanti a
sè gli scogli di Facina e delle Capricaglie: di un tratto parve loro
squittire Nasone, ma non ci porsero troppa avvertenza perchè appunto in
quel momento Altobello quasi rammaricandosi, esclamasse:

— Gran che! manco una vela: gli amici si sono proprio dimenticati di
noi?

— Figlio mio, nel pellegrinaggio che imprende la sventura talora ho
veduto accompagnarsele la pietà, di rado l'amicizia.

— Voi avete calunniato una virtù come Bruto a Filippi le calunniò
tutte... — Fu sentita una voce, che al Paoli parve, e veramente era
quella del signor Giacomo Boswell, il quale spietatamente soggiunse:
— e salvo vostro onore, con maggior biasimo di lui, perchè egli era
pagano, mentre voi siete cristiano.

— Signor Giacomo!

E il signor Giacomo lo abbracciò con tutta la tenerezza di cui si
sentiva capace; ma siccome l'ossatura, per così dire, della sua anima
andava composta alla rettitudine, continuò:

— E con tanto maggior biasimo, perchè oltre l'astratto voi oltraggiaste
immeritamente il concreto, dacchè qui meco sono il capitano Angiolo
Franceschi e Achille Murati, e il vostro parente Antonleonardo
Belgodere.

Il Paoli tacque, sia perchè, parlando, sentiva avrebbe aggravato i suoi
torti, sia perchè la gioia l'opprimeva, tanto più intesa quanto più
inaspettata.

Calmati i primi affetti il signor Boswell espose in brevi accenti il
governo di S. M. Britannica comecchè la impresa côrsa stimasse la più
giusta del mondo, e il Paoli, che la sosteneva, mettesse in paradiso
con tutte le sue simpatie (fino da quei tempi gl'Inglesi prodigavano
le simpatie, specie d'indulgenze politiche imitate dalle indulgenze
sacerdotali di Roma), pure non ci trovando per quel quarto di ora il
suo conto, non gli mandava nè uno schioppo nè uno scudo: gli amici
della libertà avere noleggiato due navi, ed empitele di munizioni,
avviate nel Mediterraneo: avvertito della rovina delle cose di Corsica
egli sbarcò a Livorno le munizioni, richiamò da Oneglia i Côrsi che
vi stavano rifugiati dopo la occupazione del Capocorso; ad una nave
prepose il capitano Angiolo, al comando dell'altra mantenne il capitano
Smittoy, persona da farcisi sopra capitale: difficile l'approdo
perchè l'isola perlustrata intorno intorno da un nugolo di sciabecchi
corseggianti di certo per agguantare il generale. I capitani dopo
avere veleggiato più giorni senza potere approdare a cagione dello
avvertito ostacolo, essersi prevalsi della _buriana_ di cotesta sera
per accostarsi, e averlo fatto: però il tempo non patire indugio, che
le àncore adesso a mala pena tenevano, e per poco rinforzasse il vento
e' gli avrebbe spinti a rompersi sul lido.

Posero subito mano alle stiappe e alle frasche, e accesero la fiamma:
prima che si accendesse la seconda quasi tutti convennero: non ci
fu mestieri accendere la terza. La storia rammenta il nome di alcuni
generosi i quali con forte petto anteposero gli affanni dello esilio
alla servitù; a me parrebbe, e voglio sperare che sembri anco altrui,
sacrilegio tacerne; dolendomi non avere potuto rinvenire il nome degli
altri. Di qui taluno toglie argomento di proverbiare la gloria, come
quella che procede a ghiribizzi peggio della fortuna, questo senza
perchè levando in alto, quello senza perchè tuffando in Lete; noi
caviamone all'opposto il conforto, che oltre questa via dove sono
eterni i premi, e li dispensa chi tutto vede, ed è fonte di giustizia,
nessuno rimarrà senza il meritato guiderdone. A noi mortali pare una
gran cosa questa del sonare un tempo in venti secoli o trenta; ma
che sono mai i secoli di fronte all'eternità? Sassi gettati dentro
un abisso noi gli sentiamo urtare rimbalzando sopra a quattro roccie
o sei, e poi silenzio. Il mio regno non è di questo mondo ha detto
Gesù Cristo, così ai laici che lo intendono poco come ai preti che lo
vogliono intendere anco meno.

I seguaci di Pasquale Paoli furono il suo fratello Clemente,
Antongiulio Serpentini, Giancarlo Saliceti, Nicodemo Pasqualini,
il conte Gentili, Giovanfrancesco Giafferi, Pietro Colle, Francesco
Pietri, Masseria, Giacomofilippo Gafforio, Carlo Raffaelli, Francesco
Petrignani; gli altri rammentati sopra, e trecento più tra uffiziali,
preti, frati e soldati.

Raccolti insieme presero a deliberare come si avessero a distribuire
sopra le navi condotte dal generoso inglese e assai di leggieri vennero
nella sentenza che per metà si spartissero sopra ognuna delle navi;
ma il signor Boswell impetrato silenzio tirò da prima una presa di
tabacco, poi disse:

— Bene, io aveva previsto ma per mio avviso sarebbe un partito
pessimo, e lo provo. Qui presso costeggiano parecchi sciabecchi di
S. M. cristianissima per darci la caccia: è molto probabile che non
rispetteranno la bandiera di S. M. britannica, perchè conoscono che
non si romperà la guerra per una nave visitata contro le regole;
scriveranno da una parte e dall'altra due risme di carta, sciuperanno
dieci libbre di cera di Spagna e faranno come la nebbia che lascia
il tempo come lo trova. Benissimo: ora divisi sopra sopra due navi,
veruna di questa si troverà equipaggiata in guisa da resistere ad uno
sciabecco francese, caso mai volesse usare prepotenza; e lo faranno,
perchè nella composizione di questi Francesi che Dio danni, ci entra
carne, ossa e prepotenza. Bene; dunque una delle navi bisogna si
salvi per forza, l'altra per astuzia: ora voi tutti imbarcatevi sopra
la nave del nostro bravo capitano Angiolo, e se vi si para davanti
qualche sciabecco francese mandatelo a picco; ai pesci piacciono molto
i Francesi per cena. Benissimo; io piglierò su la mia nave il signor
Paoli e vi prometto sopra la mia anima di condurvelo sano e salvo a
Livorno; in qual modo non domandate; ciò è mio segreto; questo vi basti
che visitata o no la nave non ci starà meno sicuro il nostro amico.
Bene, molto bene, benissimo.

Come il signor Giacomo consigliò, essi fecero; quantunque di malavoglia
i Côrsi dettero spesa al cervello e acconsentirono: più difficile
era persuadere Nasone, per la qual cosa il Paoli pregò Altobello che
lo recasse in disparte, raccomandandoglielo con parole caldissime, e
aggiungendo:

— Addio non vi do, perchè ci rivedremo domani o domani l'altro a
Livorno; affido a voi quel mio povero Nasone.

— Vivrà o morirà con me: quanto allo addio, datemelo signor Pasquale,
e un bacio; sono tanti i casi... voi lo sapete.

E così dicendo gli si gettò nelle braccia baciandolo con immensa
passione. Il Paoli agitato da molti pensieri non pose mente a
cotesta smania, la quale gli sarebbe parsa soverchia per momentanea
separazione, onde un po' così alla leggera gli disse:

— Animo! Altobello, ci rivedremo in breve, e un giorno, spero, ci
sentiremo felici.

— Oh! anch'io lo spero, e per non separarci mai più — e si allontanò
turandosi con ambedue le mani la bocca per non prorompere in
singhiozzi.

Le navi ebbero diversa fortuna. Quella guidata dal capitano Angiolo
o perchè fosse più carica o per altra ragione, non potè durante la
notte staccarsi molto dalla spiaggia. La mattina quando sorse il sole
si videro davanti la Corsica tutta smagliante pei raggi del pianeta
emerso dalle acque tirrene proprio di faccia a lei, sicchè pareva
una Madonna vestita della pienezza della sua gloria. Metteva al cuore
pietà infinita vedere tutta quella gente ammonticchiata a poppa con
le mani tese in varii atteggiamenti verso la terra natale, mentre le
lagrime si versavano dagli occhi sopra coteste faccie riarse, come
acqua traboccante da un vaso troppo pieno. Invano il capitano Angiolo
bociava, che mettendo a quel modo tutto il peso da un lato la nave non
poteva fare cammino; non gli davano retta, e la sua voce di quando in
quando gli restava chiusa nella gola. All'improvviso si udì il suono
della cetera côrsa; e le anime dei circostanti tremarono. Perchè i
popoli massime meridionali confidano le gioie, le glorie ed i dolori
all'armonia? Certamente perchè dentro di noi fu posta l'armonia come
l'anima. Questa uscendo dai petti mortali vola a Dio, quella al cielo
dove ha sede perenne; sicchè gli uomini, commettendo i loro messaggi
alle ale dell'armonia, sperano e non isperano invano, che fedelmente e
celeremente saranno ricapitati al cospetto del Creatore.

Cotesti furono suoni pieni di dolce mestizia, ma quando vi si
accompagnò il canto, il capitano Angiolo non potè reggersi in piedi; si
pose a sedere su la tolda, rannicchiò le ginocchia, se le strinse con
le braccia e dopo averci nascosta la faccia, pianse.

Il canto fu questo: avrei desiderato metterlo in rima e mi ci provai
come feci pel vocero di Lella Campana, ma io ebbi sempre in uggia le
rime e i giandarmi, perchè le prime menavano il pensiero ed i secondi
il corpo dove nè il pensiero nè il corpo volevano andare: i miei
lettori saranno contenti, che io ne riporti loro il concetto in prosa
e credo ci guadagneremo tutti e due. Il canto dunque diceva così;


§ 1.

— Mia madre talora mi ha sgridato e mio padre qualche volta mi ha
percosso: ma tu, o Patria, sia che da te mi partissi, ovvero a te
ritornassi, mi hai sempre riso. Mia madre mi ninnò dentro la culla
cantando, ma io piangendo le recitai il _Miserere_ sopra la fossa.
Mio padre mi addestrò le mani ai primi tiri, ma io quando la morte lo
chiamò gli composi sul petto in croce le sue prima di chiuderlo dentro
la cassa. Tu poi o Patria, appena uscito al mondo mi consolasti con la
luce e col calore: vivo mi nutrisci col tuo seno e nel tuo seno sazio
di giorni mi raccoglierai. Perpetua madre, tu non ti stacchi in verun
tempo i tuoi figliuoli dalle braccia: tu doni sempre e non ricevi mai.

— Benedetta la Patria!


§ 2.

— Bella la patria mia! Tu in grembo al mare rassembri quasi un mazzo
di fiori messo in fresco dentro un vaso di cristallo. Satana stesso
passandoti allato, nel contemplarti tanto divina per forza di amore,
ti ebbe a salutare come l'Arcangelo fece a Maria: Ave Italia piena
di grazia! furono udite dire le labbra del diavolo; ma lo straniero è
venuto, ha visto le magnificenze del tuo valore, la gloria delle tue
antiche libertà, e la vipera dell'astio gli morse il cuore: allora egli
adattò sopra il suo arco due strali: con uno, che gli dette Giuda,
ti ferì l'ala destra; con l'altro, che gli porse Attila, sotto l'ala
sinistra. O nobile falco pellegrino, ecco tu giravi in terra e del
tuo sangue è rossa l'aria, intantochè un grido corse di valle in valle
pei tuoi casolari; la Patria è spenta! — Lo straniero si ammanisce a
strapparti ingegno, libertà, figliuoli e favella e memoria, come il
cacciatore costuma con le penne dello uccello poichè lo ha morto.

— Maledetto lo straniero!


§ 3.

— Oh! nò, la Patria non è spenta ancora. Che cosa vuoi per riaverti,
o Patria? Il nostro sangue? Gli è poca cosa; l'uomo sparnazza questo
liquore delle sue vene peggio del liquore della vite. Vuoi la nostra
vita? La è poca cosa; ella quotidianamente si disperde come spuma di
cavallone rotto, sopra la costiera della morte. Vuoi la nostra fama?
Ella è poca cosa; fumo d'incenso, che il fuoco abbruciando consuma. Noi
ti daremo anco l'anima quando pure dandola a te la togliessimo a Dio,
ma questa la è una stolta parola; Dio e la patria sono una cosa sola.

— Benedetta la Patria!


§ 4.

— Vuoi tu sapere dove sia la reggia dello straniero? Quando cominci a
vedere costole e stinchi rotti, di': io sono sulla via che mena alla
reggia dello straniero. Quando ti occorreranno cumuli di teschi come
davanti l'apertura dell'antro di Polifemo, fermati: cotesta è la reggia
dello straniero. Vuoi ammirare il tempio delle glorie dello straniero?
Eccolo là; riconoscilo ai trofei di donne appese, di vecchi lacerati,
d'infanti percossi alle pareti. Vuoi sapere che cosa semini tra i Côrsi
lo straniero? L'odio e la morte. Quello che egli vendemmia e che miete?
Maledizione e sangue. Vuoi tu leggere la storia dello straniero? Ecco,
ei la stampa dove passa con caratteri di fuoco e di rapina. — Guardate
le mura fumanti dei paesi del Niolo, ha detto lo straniero; noi le
abbiamo guardate ed abbiamo gridato:

— Maledetto lo straniero!


§ 5.

— Ma benedetta la Patria! Benedetta nel cielo che la copre, esultanza
nei giorni di gioia, consolazione in quelli della sventura Benedetta
nel mare che la bagna; benedetta nelle nevi dei suoi monti e nell'erbe
delle sue valli; benedetta nei suoi laghi e nei suoi rivi; benedetta
nella eterna primavera, che la fa parere gemella con ogni alba che
nasce; benedetta nel verde immortale dei suoi aranci, dei suoi mirti e
dei suoi allori che le procaccia il titolo di sempre giovane.

— Benedetta la Patria, benedetta!


Fosse perchè tutti quelli che si trovavano a bordo così marinari come
passeggieri, intenti al mesto addio, trascurassero il governo della
nave, o fosse per altra cagione, essi piegarono a mano manca, onde non
potendo più agguantare il vento si trovarono spinti fino in Sardegna;
dopo parecchi giorni di navigazione travagliosa toccarono Portoferraio,
e il 22 luglio approdarono a Livorno, termine del loro viaggio.

La nave condotta dal capitano Smittoy al contrario bordeggiò a mano
destra e le riuscì schivare il vento e il mare grossi; ma per compenso
si trovò tra Capo Côrso e la Capraia, appunto dove il signor Giacomo
incontrava altravolta gli sciabecchi, o poco discosto. La fortuna
sovente si compiace con bizzarra insistenza rinnovare i medesimi
casi; almeno in questa occasione accadde così; di punto in bianco si
videro venire incontro di sopravento due sciabecchi armatori, di cui
uno, vedesse o no la bandiera inglese, sparò il tiro che chiamava ad
obbedienza: comecchè il capitano Smittoy ci patisse e attaccasse più
_Dio mi danni_ che non occorrono santi nel calendario, pure in sequela
dell'ordine del signor Boswell, calò il caicco in mare ed in compagnia
di lui si recò a bordo dello sciabecco francese.

Appena messo piede sul ponte, il signor Giacomo si trovò proprio
davanti la faccia porporina del capitano Torpè di Rassagnac questi di
porpora diventò pavonazzo come se gli balenasse sul volto un lampo
di vino; l'altro rimase tranquillo, con la sua inalterabile aria di
bontà, anzi schiuse le labbra ad un mezzo sorriso e sporse verso lui la
scatola profferendogli tabacco; ma il capitano Rassagnac la respinse
con un gesto che aveva imparato al teatro di corte, quando Ippolito
rigetta Fedra, la quale gli esibì quello che gli esibì.... e l'altro
non lo volle.

— Ah! siete voi? finalmente balbuziendo proruppe il capitano Torpè.

— Proprio io, ai vostri comandi.

— A cui appartiene la nave?

— A me.

— A voi? E voi chi siete?

— Ma, gentiluomo inglese e membro del Parlamento inglese, come potete
chiarirvi esaminando queste carte. E la stava appunto come la diceva;
sicchè il capitano rendendogliele soggiunse con molta amarezza:

— Però non mi sembra azione da gentiluomo ingannare un ufficiale
onorato ed esporlo a perdere la grazia del suo Re.

— Bene: voi dite unicamente — soggiunse il Boswell pigliando tabacco
con la sua aria più ingenua: onde il capitano Rassagnac stizzito
esclamò:

— Trono di Dio? e pare, che non si dica nè manco a voi.

— Innanzi tratto, capitano, salvo vostro onore, mi permetto osservarvi,
che a gentiluomo, suddito di S. M. cristianissima, a soldato, massime
di mare, esposto ogni minuto a molteplici maniere di morte e tutte
inopinate; non istà bene profferire bestemmie come fate voi.

— Spero che vi rammenterete non correre adesso tempo di quaresima e ci
risparmierete la predica.

— Stava appunto per finirla, e poi intendeva aggiungere, che se la
vostra memoria vi serve bene io, altro non dissi, nè di altro vi
assicurai, ch'era vera del discorso del capitano côrso quella parte
che spettava alla mia persona, e vera la mantengo. Tanto bastò alla
mia coscienza e deve bastare alla discretezza vostra, sul rimanente
avrei dovuto farvi la spia, e se voi siete uomo onorato, e la croce che
vi vedo in petto mi persuade essere voi onoratissimo e valorosissimo,
penso che non immaginerete manco per ombra ch'io potessi rendervi
cotesto servizio.

— Però quando si tratta dell'interesse del Re non si chiama fare la
spia se riveliamo notizie in pro' dello stato.

— Può darsi; materia ardua a districarsi, signor cavaliere, materia
ardua; però pregovi considerare che io sono suddito di S. M.
britannica.

— È giusto, — riprese il cavaliere Rassagnac tutto addolcito, perchè
quel buffo calido di lode aveva avuto possanza di far salire dieci
gradi in su il mercurio nel termometro della sua buona grazia: —
tuttavolta, soggiunse, mi permetterete ch'io possa visitare la vostra
nave.

— Sentite bene: come inglese io scerrei mille volte mandare per occhio
la nave, che permettere di visitarla a voi se presumeste farlo con
violenza: come amico e voglioso di compiacere vostra signoria, io vi
pregherò di venire co' vostri ufficiali al mio bordo; molto più che mi
corre l'obbligo di ricambiarvi le vostre finezze, e in questa occasione
voi rovisterete a beneplacito ogni cosa.

— È affare conchiuso.

E si toccarono le mani.

Andarono e misero sottosopra ogni cassa, ogni ripostiglio sul ponte e
nelle stanze; nello entrare in dispensa si fermarono dinanzi due botti
sopra una delle quali era scritto _rum_, sull'altra _porter_; sotto la
cannella ad entrambe stava posto un boccale per impedire lo stillicidio
imbrattasse il pavimento.

— Adesso, incominciò il Boswell, è ragione che beviate alla salute del
nostro re Giorgio, com'io bevvi a quella del vostro re Luigi: questo è
liquore nazionale, e del meglio che si possa trovare; gustatelo e poi
me ne direte le novità.

E data volta alla chiave della cannella ne proruppe una maniera di
minestra mora che levò nel bocale un flagello di schiuma rossiccia,
ne superò gli orli e si precipitò di fuori allagando il tavolato:
distribuito tosto il liquore nei bicchieri, lo ministrarono al
capitano Rassagnac e ai suoi degni ufficiali. Non ci si poteva trovare
eccezione; birra era e della perfetta, chiamata appunto _porter_ perchè
a cagione della sua forza sogliono berla i facchini; i Francesi non
assueti a cotesta dannata bevanda torcevano la bocca e strabuzzavano
gli occhi come se avessero il diavolo in corpo pure sopportavano
in pace cotesta cortese tortura, finchè il capitano Rassagnac con
una specie di mugolio depose il bicchiere mezzo vuoto su la tavola,
esclamando:

— Ouf! Io non ne posso più; signore, non potremmo bere alla salute
di S. M. britannica con altro liquore meno che con la birra,
eccellentissima come inglese, ma che a noi altri che non abbiamo
l'onore di essere sudditi di S. M. britannica scortica il palato? per
esempio questo _rum_ farebbe il caso, ed osservo che si può considerare
anch'egli inglese, perchè vi viene dalle vostre colonie.

— Benissimo, come vi garba, signor cavaliere.

E come dissero fecero: della birra non si tenne altramente discorso:
del rum poi bevvero in tanta copia, che nè anco la metà di quella
avrebbono trovato nella botte di birra, quantunque in apparenza più
capace, imperciocchè il signor Boswell nella sua previdenza l'avesse
fatta fabbricare col doppio fondo, e presso alla cannella contenesse
circa un barile di birra della più gagliarda che avesse saputo
rinvenire: ogni altra rimanenza era vuota, e aveva un coperchio che per
via di congegni combaciava con le doghe, mentre uno dei cerchi di ferro
ne nascondeva ai riguardanti le commettiture. Qui dentro stette celato
Pasquale Paoli: il caso è sicuro, e tradizioni e ricordi manoscritti
e stampati lo accertano del pari: merita non lo dimentichi la storia,
affinchè per esso si comprenda come novanta anni fa avesse a scampare
dalle mani dei Francesi l'uomo che sarebbe stato il Washington della
Italia, se come lui avesse avuto non solo la libertà a difendere, ma un
popolo altresì più numeroso sparso per terre sterminate, meno povero e
tutto di un cuore.

Nel primo capitolo di questa storia ho promesso far toccare con
mano come circa un secolo addietro i miei concittadini Livornesi si
mostrassero zelatori della libertà: adesso cade il luogo acconcio di
mantenere la promessa. Riporto scritture, se non isciatte del tutto,
almeno rozze; non importa; avvertesi al fatto, non al modo col quale lo
raccontano.

L'abate Giovacchino Cambiagi nel suo libro chiamato (Dio lo perdoni)
storia, IV, pag. 209 scrive: «la nave poi che aveva a bordo il Generale
era approdata a Livorno il 16. Siccome gli uomini di sommo merito
sanno cattivarsi l'amore ancora di chi non li conosce, così il Paoli
appena giunto a Livorno talmente trovò gli animi di quelli abitanti in
favor suo prevenuti, che tanto mi sia permesso il dire non esigerebbe
un nuovo sovrano dai suoi sudditi, correndo il popolo quali frenetici
or qua ora là per dove doveva passare non mai saziandosi di vederlo,
venendo acclamato dai più sensibili e ammirato dai più riflessivi e
finalmente da altri compianto per la sua poca buona fortuna in questi
ultimi incontri, avendo dato bastantemente a conoscere le di lui
operazioni quanto aveva saputo adoperarsi per rendere libera e alta una
nazione stata per lo addietro serva e ignorante.»

Il buono abate aggiunge che lo accolse anco _benignamente_ S. A. R.
Pietro Leopoldo, il quale _generosamente_ concesse agli esuli côrsi
asilo nei suoi _felicissimi_ Stati, a patto però che Pasquale lasciasse
loro un _assegnamento_ per mantenersi _onestamente_. Il che suona che
il Granduca non gli mandò via purchè si facessero le spese co' proprii
danari: la qual cosa se non arriva alla carità di Don Tubero che
biasciava lo zucchero agli ammalati, ci corre poco. Ma a quei tempi i
principi, quando non portavano via, parevano donare.

Il Paoli fece come ordinò l'ottimo principe, lasciando il fratello
Clemente ad amministrare le relique della fortuna pubblica; e questi
per assottigliare le spese si ridusse a vivere nel monastero di
Vallombrosa compiacendo alla sua severa natura: gli altri Côrsi per la
medesima causa si sparsero nei piccoli castelli della Toscana. Come vi
stessero, quali memorie vi lasciassero si ricava dal libro di un altro
abate chiamato Francesco Ottavio Renuccini: egli nel libro V del tomo
I della sua Storia (Dio perdoni anco lui) di Corsica, narrando come
Pasquale Paoli dopo lunghi anni di esilio ritornasse in patria, ci
chiarisce; «come buon numero di Toscani, che trovandosi a Bastia gli
presentarno i loro omaggi appalesandogli in nome della patria la più
_profonda_ venerazione, ringraziando nel tempo stesso gl'illustri esuli
così per lo esempio delle virtù che avevano dato alla Toscana durante
il loro soggiorno in quella. Paoli graziosamente rispose loro, e tra
le altre cose disse: che la Corsica, non mai dimentica dello asilo
accordato dalla Etruria ai suoi figliuoli, avrebbe riguardato sempre i
Toscani come suoi concittadini ed anche con maggior predilezione».

Ai giorni nostri i Toscani non lo avrebbero ringraziato di nulla,
perchè delle virtù ne hanno da vendere, almeno così ci porgono i
discorsi, gli scritti, i manifesti, gli avvisi, le leggi e i moniti
delle pubbliche magistrature; la civiltà poi possiedono in copia
maggiore che non l'Australia l'oro; onde ne fanno uno spreco che è una
passione. Comunque ora ciò avvenga, mettiamo in sodo anco questa, che
i Toscani novanta anni fa sentivano gratitudine a cui porgesse loro
esempio imitabile di valore, e avevano la modestia di manifestarglielo.

Il nostro Pasquale in compagnia del conte Gentili s'incamminò alla
volta di Londra, togliendosi il carico di essere la provvidenza dei
suoi compagni di esilio: passando in Germania lo vide e gli fe' vezzi
Giuseppe II; dietro lo esempio del Sovrano grosso glieli fece tutta
la varia gradazione dei principi alemanni, che salvo il rispetto,
arieggiano assai alle canne di un organo dove la demenza prova le sue
sinfonie pel di delle feste.

   [Illustrazione: .... e trasportatolo presso al procoio di
   Santa Colomba lo esponessero alla pubblica strada; perchè la
   gente lo stimasse il corpo di Altobello. (_Cap. IX._)]

Allora correva l'andazzo fra i principi di dilettarsi della libertà
come dei mostricini di bronzo che ai dì nostri usano tenere sopra le
tavole per calca-lettere; certa volta parve loro si movesse e veramente
si moveva; allora gl'invase una sconcia paura e corsero a pigliare
le molle per agguantarla e buttarla sul fuoco come si costuma agli
scorpioni: senonchè voltando le spalle essi se la trovarono addosso
così ad un tratto gigante che col capo toccava il soffitto minacciando
salire anche più in su: si attentarono mostrarle la porta perchè
uscisse, ed ella mostrò loro la finestra perchè la saltassero; staremo
a vedere come l'andrà finire, perchè per ora nè ella è salita dove
voleva andare, nè i principi saltati dove li voleva scaraventare:
staremo a vedere.

Ora è di mestieri raccontare due fatti degni di commemorazione
successi uno poco prima della partenza del Paoli, l'altro il giorno
dopo. Comincierò dal primo: quando si sparse la fama del prossimo
arrivo dei francesi a Corte i Côrsi che sapevano come quantunque un
popolo butti in faccia ad altro popolo gli omicidi, le rapine e gli
stupri, sull'entrare dentro terre vinte, pure in verità la batte
tra il galeotto e il marinaio, eccetto gli Austriaci che in fatto di
bestialità stanno in cima dalla scala senza dire al calcagno viemmi
dietro, uomini e donne vecchi e fanciulli presero a fuggire alla
rinfusa verso il Monterotondo.

Lettore mio, per poco il cielo ti abbia largito immaginativa, fingi
un monte altissimo perpetuamente incoronato di neve, orrido per selve
e per dirupi di gioghi moltiplici, dove occorrono laghi e cascate di
acqua, e in mezzo a questi orrori ti rappresenta una donna giovane di
severa bellezza col grembo grave di crescente prole salire affannata
di greppo in greppo sotto la sferza dei raggi solari; ella dissimula
così la interna ambascia, che di tratto in tratto muove parole di
conforto al suo compagno sbigottito; e qualche volta presa da pietà
per la stanchezza di lui, ostentando forze che non ha, gli porge il
braccio soccorrevole. Cotesta è Letizia Ramolina che porta in seno il
castigo di Francia, l'uomo è Carlo Bonaparte, quell'avventato giovane
che udimmo sul poggiolo di casa Gafforia favellare al popolo gagliarde
parole.

Ora, Lettore mio, non immaginare più nulla, bensì pensa come l'uomo
per virtù propria condotto in alto, se è primo ad essere rischiarato
dai raggi del sole e della gloria, per compensare si trova esposto
a tutti gli strali di offesa e d'ingiuria che gl'indirizza il volgo
senza nome, non però senz'astio, che vede rappresentata in lui una
ingiustizia tanto più aborrita quanto meno facile a ripararsi; per
la quale cosa tra molti e meritati biasimi contro Napoleone, fatto
tiranno del mondo, i rigattieri delle sconcie parole ve ne mescolarono
altre così turpi come bugiarde. Di vero in parecchi libri Napoleone
trovasi infamato come figliuolo adulterino del conte di Marbeuf, ed è
falso; la Letizia Ramolina era da sette mesi incinta di lui mentre si
arrampicava sui gioghi di Monterotondo fuggendo l'ira francese. Carlo
Bonaparte si mantenne fedele alla causa della libertà, anzi mordeva
gli apostati, e condendo tuttavia il vezzo di aombrare gli eventi con
le allegorie pastorali, ripigliò la Corsica della sua voltabilità con
la canzone satirica: _Pastorella infida sei_; ma durò poco; povero
e vanitoso di breve cesse ai tempi. I Francesi a cui stende la mano
non rifiutano il tozzo, ed ei se l'ebbe: morì lungi della famiglia a
Montepellier sempre male in arnese. Più tardi quando la destra della
fortuna agguantò pei capelli Napoleone, il municipio di Montepellier
propose erigergli uno sbardellato monumento composto delle statue della
città di Montepellier, della religione e di altre parecchie; la città
di Montepellier con una mano aveva da alzare il coperchio della tomba,
e con l'altra additare la base dove si dovevano leggere le parole «esci
dalla tomba; il tuo figliuolo ti leva alla immortalità».

Napoleone allora console rispose: «non turbiamo la quiete ai defunti;
alle ossa loro pace; anche mio nonno è morto e il mio bisnonno altresì;
perchè dovrebbonsi essi trascurare? Ciò andrebbe per le lunghe. Se
avessi perduto ieri mio padre, la cosa potrebbe andare che il mio
dolore si manifestasse con qualche segno di onoranza: ma ora corrono
venti anni dacchè è morto; il pubblico pertanto non ha parte in questo
caso: non ne parliamo più.»

Questo fatto dimostra tre cose almeno: che il pecorume municipale a
un di presso in ogni tempo e dappertutto si rassomiglia; che Napoleone
forse non volle al padre quel bene che portò sempre alla madre sua; per
ultimo che l'adorazione di sè non era per anco in lui diventata tanta,
che la troppa vampa dell'adulazione non gli facesse aggrinzare il naso:
e in vero, non anco tolto il titolo di padrone assoluto, come Console
la trinciava tuttavia di popolesco.

L'altro fatto, che si congiunge dolorosamente al fine della nostra
storia, merita di essere riportato proprio nel vero modo in che
avvenne. — Domenico Leca, o da Leca, curato di Guagno, il giorno dopo
la partenza di Pasquale Paoli, che fu il 14 giugno 1769, la mattina
a mezzogiorno raccolto nella chiesa di Sovrinsù quanti erano rimasti
di là dai monti fedeli fino alla morte alla causa della Libertà,
celebrando la messa, quando fu sul punto di comunicarsi, lasciata
l'ostia su la patena si volse agli assistenti e con piglio truce, così
prese a parlare:

— _Dilecti in Cristo fratres._ — «Quando i peccati degli uomini
sforzano la bontà divina, Dio memore del patto non manda più il
diluvio, bensì manda i tiranni. Ora a questi parrebbe quasi essere
felici se Dio gli segnasse su la fronte della stimata di Caino; Caini
senza segno ogni uomo può ucciderli senza incorrere nell'ira del
Signore; ecco la paura e l'omicidio come due vipere mettono il nido
nel cuore del tiranno; egli educa metà del genere umano negl'istinti
del mastino, le dà denti, le dà collare di spunzoni e l'avventa contro
l'altra metà; egli piglia il ferro, e fattene due parti, quella che
tocca a lui foggia in arme da punta e da taglio per tormentare, e in
ceppi per incatenare; l'altra che tocca al popolo lavora in vomeri e
in badili, e gli dice: con questi arnesi apri la terra per seminarvi
il grano per me ed anco per te, o seppellirvi i tuoi corpi; e non
pertanto il terrore gli dura: allora chiama un sacerdote (non più
sacerdote, che tale non rendono la veste e il rito, bensì l'anima
conservata tempio degno della divinità) e gli sussurra dentro gli
orecchi: mettimi a parte del cielo, ed io spartirò teco i beni della
terra, circondami di spavento, distendi intorno a me l'inferno a modo
di vallo come lo mettesti intorno a Dio; fammi terribile, sbigottisci
le anime, e persuadile che sono parte di Dio, che egli mi impose con
le sue sante mani sopra la terra, chi tocca me tocca lui; il medesimo
fuoco immortale arderà chi ardisce levare non che altro un pensiero
ostile contro la sua divinità e la mia. Il sacerdote non sapeva, o non
volle rammentarsi delle parole del Redentore: Satana, è scritto che
tu non mi tenterai. Strinsero insieme il patto, e quando il tiranno
salì su l'altare, Dio lo disertò. — Ma la paura durava, se il tiranno
vestiva la corazza la paura s'immetteva fra la sua carne e le piastre
di ferro; nella notte sul letto solitario atterrito dai sogni stendeva
la mano sotto il guanciale per tema di un ferro; paventò prima il ferro
in mano al barbiere, e barba e capelli si fece accortare co' tizzi
ardenti; gli mise ombra lo spillo della moglie, e orribile a dirsi!
volle che ella si nudasse prima di entrare nella stanza del talamo:
e nè anche questo bastando a quietare la febbre dell'apprensione,
mandò per un dottore; voi sapete, o diletti fratelli in Cristo, come i
dottori in ogni tempo abbiano sostenuto coi sofismi loro il tiranno;
uno ne visse il quale richiesto dallo imperatore di giustificare in
senato la strage del fratello, rispose: «è più facile commettere
il fratricidio, che difenderlo[39]», e basta; dicono di tratto in
tratto ve ne fosse degli altri buoni, e sarà; però tutti insieme e'
si possono contare su le dita. Il tiranno dunque disse al dottore:
io ti metterò a parte della mia potestà di uccidere e spogliare, a
patto che tu la dimostri intangibile; il dottore scese agli accordi
e scrisse: «il bene del consorzio umano volere, che si ubbidisse ai
principi accettati col consenso espresso o tacito dei popoli (consenso
tacito è la paura del boia); occorrendo certi casi (e li dicevano);
stare nella comunanza dei sudditi il diritto di muovere rimostranze
al Principe ed anco di bandirlo; ammazzarlo mai; il singolo in verun
caso potere levare la voce e molto meno la mano, dacchè la volontà
altrui non s'interpreta, e bisognerebbe ad uno ad uno farsi conferire
il mandato. Chi opera altrimenti, il consorzio umano deve giudicarlo
perturbatore dell'ordinato vivere civile, e degno così del supplizio in
questa vita come d'infamia eterna nell'altra.» — Ipocriti! In qual modo
potrebbero profferire siffatto consenso labbra sigillate dalla paura?
Come andare in giro a raccogliere i voti l'uomo cacciato dai segugi
del tiranno peggio che belva in bosco? In questo modo, come poterono,
hanno creduto provedere alla propria sicurezza i tiranni; alla forza
aperta contrappongo centuplice forza e ordinata; alla violenza segreta
lo spavento religioso, il clamore dell'interesse, il sofisma dello
intelletto pervertito o confuso; e nondimanco il pallore regna su la
faccia dei re; e ciò che ormai non valgono ad ottenere giustizia o
pietà, la paura vale. Nel naufragio del diritto, quando il tiranno
aveva comune con l'uccello di rapina il nido su la rupe, l'istinto
ladro, le voglie crudeli e gli artigli sanguinosi, la giustizia abitò
le catacombe al pari dei discepoli di Cristo, e attese a difendere
l'umanità. Sopra la terra di Vestfalia venne prima istituito il
tribunale della santa Vema, segreto e terribile, che giudicava i
delitti dei potenti e li puniva. Le medesime cause partoriscono
naturalmente i medesimi effetti; la nostra forza fu infranta davanti
a forza maggiore, il diritto è calpestato, i lamenti derisi, le acque
dell'amarezza ci annegano. Che fare? Dileguarci nei sepolcri sarebbe
il meglio; ma a i figli, alle donne, a tutti quelli insomma che per
infermità o per natura si sentono pusillanimi, come provvederemo
noi? Repugna l'animo nostro dal partito estremo adoperato dai Giudei
quando Tito Vespasiano espugnò Gerusalemme; e non lo praticheremo
noi. Costituiamoci a posta nostra Tribunale, invisibile tutela degli
straziati, e vendicatori dei misfatti. Omai servire bisogna, tra noi
e i Francesi Dio ha giudicato, e davanti a cui egli ci atterrava,
forza è pur troppo che ci atterriamo noi, e se lo stato dei nostri non
inaspriscono vivremo, e lasceremo che vivano: noi non pretenderemo, che
nelle nostre piaghe infondano olio e vino come adoperò il Samaritano,
ma nè anco patiremo, che ci stillino veleno. Se poi ci ridurranno
alla disperazione noi cadremo improvvisi come il fulmine e terribile
come lui. Ottenga allora la paura quello che non poterono procurarci
la giustizia nè la misericordia: e veruno straniero commetta colpa
senza tremare continuamente il vendicatore che lo colga. A me è parso
che in questa guisa possiamo sempre benemeritare della Patria e della
umanità; ci ho meditato sopra nella notte quando il silenzio e le
tenebre schiudono la mente ai casti pensieri della tomba, ci meditai
a piè degli altari: mi consigliai col mio angelo custode, implorai Dio
che m'illuminasse, e non sentii niente che mi dissuadesse, anzi tutto
mi confermò nel proponimento. Gli è molto facile, che la mala morte ci
colga, ma io ho considerato che ogni setta, anco la più empia, ebbe
martiri, la Patria, che pure si reputa nobilissima fra le religioni,
non vanterà i suoi? Può darsi che il mondo ci chiami infami, ma a cui
sprezza la morte, che importa il mondo? Dio che sente i nostri cuori ci
darà premio o pena: ed io vi accerto, che ci aspetti il premio eterno
in paradiso.»

Così orava fervorosamente Domenico da Leca curato di Guagno: s'egli
avesse ragione a me riesce arduo giudicare: questo ben so, che i
Francesi ebbero torto, gli acerbi gastighi meritarono, e a questi
più che ad altro furono debitori i Côrsi se la immane ferocia degli
stranieri oppressori pigliò col tempo andatura più umana. Queste cose
si rammentano non in odio dei Francesi, bensì della tirannide, che
gli angioli stessi renderebbe demonii. Per fermo tu provi generosi
gl'Inglesi, ed alacri soccorritori delle miserie altrui, pure coteste
generosità e misericordia loro difettano di un certo tepido alito,
che consolando blandisce; si sente sempre un braccio che dall'alto si
stende al basso, un'anima che sa, senza menomare la copia della sua
felicità, potertene far parte; insomma non è l'inglese il ricco epulone
che lascia languire alla porta del suo palazzo Lazzaro affamato,
bensì gli manda a ribocco i rilievi della mensa, forse anco qualche
vivanda intatta; i Francesi poi ti aprono il penetrale domestico, ti
mettono a parte della famiglia, ti accostano al proprio cuore e ti
ravvivano, eglino, arguti nella beneficenza, arrivano a persuaderti
essere la sventura, come l'ingegno, come il valore, e le altre nobili
facoltà, pregio desiderabile della specie umana. La cavalleria nacque
in Francia, e colà più che altrove fu educato questo fiore della
barbarie, il quale propagandosi diventò la civiltà dei tempi moderni:
ciò non pertanto i Francesi si comportarono in Corsica tali, che le
belve più feroci non possono somministrare sufficiente paragone alla
efferatezza di loro; e ciò per la ragione avvertita, che l'uomo messo
su lo sdrucciolo del tiranno e del cagnotto, per quanta virtù possieda,
forza è che diventi tormentatore.

Quanto affermo suona grave, io lo comprendo ottimamente, e non lo
avrei scritto se non fosse per rifrescare dinanzi agli occhi degli
uomini una esperienza che troppo spesso li proviamo disposti a mettere
in oblio, e per altra parte siccome senza buone autorità non sarebbe
creduto, reputo obbligo chiarirlo con carte in mano. Incominciando
dai generali, innanzi tratto pongo un frammento di lettera scritta
da Napoleone Bonaparte ventiquatrenne, la quale Nicolò Tommaseo
giudica per probità, per calore di eloquenza e per feroce ironia,
degna di Gian Giacomo Rousseau. Questo frammento voltato in italiano,
imperciocchè la lettera comparisca scritta in francese, suona così:
«parte dei patrioti propugnando la libertà della patria periva,
parte abbandonava proscritta la terra fatta ormai nido di tiranni, ma
troppi più non erano morti, nè fuggivano e diventarono segno di ogni
maniera persecuzioni. Coteste forti anime corrompere non si potevano,
e dall'altro canto il dominio francese, se le non si sperdevano, non
poteva attecchire. Ahimè! Questo partito fu troppo bene portato al
compimento; taluni perirono vittime di accuse falsamente apposte:
tali altri, traditi dalla ospitalità e dalla fiducia posta in uomini
venduti, espiarono sopra i patiboli i sospiri e le lacrime sorpresi
alla loro passione: molti ammonticchiati, dal Narbona Fritzlar nella
torre di Tolone, avvelenati col cibo, tormentati dalle catene, oppressi
dai bistrattamenti, vissero, vita affannosa, e furono distrutti da
morte atrocemente lenta.»

Che se si opporrà, che la età della bollente giovinezza, e la
temperie della stagione (correndo in quel torno l'anno 1793) potevano
partecipare colore esagerato alle scritture, e noi confermeremo la
verità dello esposto con la sentenza di Giovan Carlo Gregorio, uomo
maturo e grave magistrato, scritta sessanta anni dopo della lettera
di Napoleone Buonaparte. Sul finire del libro per me ricordato, nella
prefazione egli dichiara: «poi cominciò il governo dai servi tremanti,
adulatori e ribaldi chiamato felice, ma la Consulta di Orezza del 1791
lo qualificò il più infame, il più esecrando di tutti i reggimenti!
governo che durò lunga pezza, sopra del quale non hanno gli storici,
come ne correva loro l'obbligo sacrosanto, disacerbato la ignominia
amarissima che meritava, contenti di prorompere in vilipendii codardi
contro la dominazione genovese, che dalla tomba ove giace, erano sicuri
che non sarebbe più uscita a infierire contro i numerosi e sazievoli
detrattori di lei» E questo si chiama scrivere bene col cervello e col
cuore!

Delle promesse di gravezze diminuite anzi renunziate non si parlò
neppure; come suole aumentaronsi. Bene si parlò subito, che sarebbe
messo a morte irremissibilmente qualunque fosse rinvenuto con le
armi addosso, e poichè questo partito non approdava, poco dopo
mandarono fuori ordini rigidissimi contro chi, possedendo armi, non le
consegnasse al governo. Chi non piegava la cervice giurando fedeltà
al re cacciavano per boschi e per pendici non altramente che belva
si fosse: in vero ci adoperarono cani e cacciatori e questi la più
parte côrsi: aizzando così fratello contro fratello, onde il misfatto
di Caino, mercè le virtù dei Francesi cessando di comparire delitto,
fu reputato quasi opera meritoria; più di 500 tra preti e frati di
mala morte finirono: fu gloria non avere pietà, e vanto la frode
sanguinosa. Racconta la storia, come parecchi, tra gli altri un Pace
Vincenzini e varii uomini della famiglia Franchi essendosi arresi, per
le persuasioni di Monsignore Guernès vescovo di Alearia, al Marbeuf che
gli assicurò della vita, questi appena gli ebbe in mano, gl'incatenò
e mandò in galera; e al vescovo a cui parendo incomportabile tanta
enormezza se ne rammaricava, rispose: «di che guaite voi? La vita
promisi e la vita hanno.» Al sacerdote Salvatore Stappanova fu promessa
libera l'andata insieme col suo nepote, però che egli disperando,
vecchio com'era, di mai più rivedere la Patria, fatto danaro di ogni
sua sostanza s'imbarcò per a Livorno, ma appena allargatosi dalla costa
un miglio, ecco abbrivarglisi addosso a voga arrancata due barche regie
di cui la ciurma urlava: «ferma! ferma!» Lo imperterrito sacerdote,
senza esitare nè manco un attimo, tolse a sè l'occasione della morte
ignominiosa ed ai persecutori la causa scellerata del tradimento,
imperciocchè legatosi il sacco dei danari al collo si precipitò nel
mare gridando al nepote: «vienmi dietro!» e questi lo faceva, ma pietà
insensata fosse, o piuttosto prodizione, lo tennero, ond'ei di lì a
poco col laccio fu tolto di vita.

Lo dico lo taccio? Lo dirò pure in conferma, che gli Urban e gli Haynau
non sono mica bestie esclusivamente austriache, bensì comuni ad ogni
popolo che imbestia nella oppressione di altro popolo.

I Francesi messe le mani addosso ad un famoso bandito, il quale per
lungo tempo aveva menato strage di loro, tanto furono acciecati dal
furore, che non si tennero contenti prima che l'ebbero segato vivo.
I Côrsi per non restare in debito di ferocia, preso un francese,
mandarono a invitare i compagni di lui andassero a vederlo bruciare
vivo: la crederono celia e non si resero alla posta: i Côrsi, che non
celiavano, ci furono e vivo arsero il meschino. Certo mio maestro
mi sgrida e forte per avere io in qualche parte affermato, che se
le bestie avessero senso dei torti che vengono loro fatti quando
si sentono paragonate con gli uomini, potrebbero sporgere querela
d'ingiurie con buona speranza di ottenere ragione. Il mio maestro non
sa quello che si dica, cosa che gli è come naturale; di fatti veruno
nega all'uomo il volere, ed anco il potere d'inalzarsi sopra la sua
creta accostandosi alle sostanze divine, ma ad un punto con questo
volere e potere egli possiede facoltà di avvilirsi sotto le bestie;
in lui ci è il verme, in lui ci è Dio, e troppo più spesso le nobili
facoltà sue egli adopera pel secondo che pel primo intento. Così vero
ciò, che non si lesse mai di un branco o vogli lupi, o vogli jene,
i quali abbiano profferto le zanne e gli ugnoli loro a un lupo, o ad
una jena incoronati, per istraziare altre bestie, massime della loro
specie, mentre questo negli uomini tutto giorno accade; il lupo e la
jena per istinto lacerano e per fame divorano, leccano non irridono il
sangue, le membra strappate portansi nelle tane o quivi se ne pascono
chete, di nascosto, brontolando al contrario se altri li disturbi,
non ne menano vanto, non chiedono medaglie, non ne ottengono, croci
nemmeno, benedizioni nè anco per ombra, non passa a loro pel capo di
millantarsi sostegni del trono e dell'altare, per ultimo non hanno mai
cantato il _Tedeum_.

Tali e peggiori enormezze commisero gli Svizzeri a Napoli ministri
della più atroce tirannide che da parecchi anni contristasse il
mondo, se ne eccettui quella dell'Austria; tali e più inumani ne hanno
commesso pur dianzi in servizio del prete cortese, padre dei fedeli,
immagine vera di Cristo redentore venuto al mondo per sigillare col
sangue il patto di fratellanza fra gli uomini.

La Corsica ebbe a sostenere in quei giorni il tipo, per così dire, di
perfezione ideale di uomo siffatto: costui, come altrove esposi, venne
prima con Teodoro, e combattè crudelissimamente per la libertà, poi
s'ingaggiò co' Francesi, ed anco più trucemente mise le mani nel sangue
per la tirannide, gli fu patria la Lorena; due amori egli ebbe nel
mondo: sangue e vino, nè metteva differenza o poca a versare dell'uno
come dell'altro; la sua spada profferiva come il carnefice la mannaia;
percoteva senza saperne la causa, nè si curava saperla; niente gli
premeva conoscere chi avesse torto o ragione e nemmeno lo domandava;
mascagno e maliziato partecipava della jena e della scimmia; come
Margutte professore solenne di cose inique, le quali a lui sembravano,
come diceva, una minestra senza sale, un'insalata senz'olio, se non le
condiva con le sue facezie più strazianti delle sue medesime atrocità.
Costui, avuta carta bianca dal governo di Francia, per ridurre la
isola a devozione, la correva di su e di giù portando da per tutto la
miseria, ma non gli bastava, che avrebbe voluto eziandio spargervi
il terrore, e questo non gli riusciva; sovente qualcheduno dei suoi
mancava alla chiamata, e se ne chiedeva ai paesani, nessuno lo aveva
visto: finchè frugando qua e là lo trovavano sforacchiato da una palla,
raramente da due, più spesso non trovavano nulla, chè la terra lo aveva
coperto col suo mantello di zolla: talora qualche palla a costui portò
via il cappello di capo, e una volta lo spallino: non passava sera che
non sentisse fischiarsi intorno agli orecchi tre o quattro palle, che
piacevolmente appellava zanzare côrse: da tutto questo comprese, che se
non si levavano le armi di mano ai Côrsi non si veniva a capo di nulla,
fermo in simile disegno, il quale per avventura era il più razionale
di ogni altro, vi lascio figurare s'ei mettesse a tortura il cervello
per pescare trovati capaci di farglielo conseguire: sopraggiungeva in
un paese alla sprovvista e notturno, e inondate le case di sgherri,
rovistava ogni luogo per rinvenirci armi: niente era salvo dalle sue
ricerche; rompeva muri, scassinava mobili, rivoltava il terreno e
maritali letti sfondati e laceri lasciava in mezzo della stanza, e
per mettere fine dirò che nè le gole dei camini, nè altre più immonde
andavano esenti dalle sue investigazioni: costumò ancora occupare uno
o più paesi e quivi prendere stanza campando con la sua gente a spese
dei paesani, finchè non gli avessero portato le armi; e bene egli potè
vedere l'ultimo pane di cotesto popolo, non già uno schioppo solo:
mise in pratica anche questo altro spediente; entrato sopra una pieve
minacciò disertarla col fuoco se non rendevano le armi, incominciando
ad ardere gli olivi, le viti e ogni albero fruttifero sopra la decima
parte del contado, e promettendo che ogni giorno avrebbe operato
altrettanto su l'altro decimo se non gli consegnassero le armi, e i
Côrsi videro con dolore inestimabile ridotti in cenere quegli olivi,
testimonianza della benevola sollecitudine dei padri verso i figli, in
cenere la vite sola capace ormai di portare un raggio di gajezza sopra
il loro cuore contristato, e i frutti idonei ad addolcire alquanto
le loro labbra amare: li videro ma non consegnarono uno schioppo.
Di un tratto egli mutò registro a modo dei sonatori degli organi: a
cui facesse la spia bandì avrebbe dato di grosse mance e poi perfino
rimessione di ogni pena a quale spontaneo consegnasse l'arme, e tanto
di danaro che valesse quattro volte il prezzo dell'arme consegnata,
ed anco questo non gli valse. Merita particolare menzione quello che
fece a Castirla ch'è paese di tratto non lungo discosto da Corte:
il Sionville prese tempo per entrarci dentro, allorchè il popolo era
in chiesa alla messa: circuita la parrocchia dai suoi sgherri, egli
inosservato quatto quatto salì la scala che metteva al pulpito e quivi
rannicchiandosi rimase senza farsi vedere, finchè il Pievano finita
la messa si volta al popolo che benedicendo accommiata con le parole:
_ite missa est_. Allora egli sbalza su ritto come un di quei diavoli di
saltaleone scappano fuori dalle scatole di finto tabacco, e voltosi al
popolo favellò:

— Neh! dilettissimi, neh fratelli, avete a sapere, che io sono venuto
a farvi la predica.

E siccome i Côrsi scandalizzati da tanta profanazione mostravano volere
uscire con segni manifesti di orrore, egli continuò.

— Sicuro! bella come il Pievano io non ve la posso dire, ma siccome
mi preme che la sentiate in fondo, così vi avverto, che quale si
attenti uscire sarà ricacciato in chiesa a calci di fucile, sicchè
disponetevi ad ascoltarmi con benevolo orecchio.» E questo a fè di
Dio mi sembra un bellissimo esordio a cui i maestri di rettorica non
hanno pensato dalle mille miglia. Sputò e ripigliò a ragionare. — Ora
dunque voi avete a sapere, che ieri notte dormendo sul manco lato io
mi sono fatto un sogno: mi pareva vedere la testa di Moro, che è la
vostra impresa, con una bellissima corona reale in capo e la benda
cavata dagli occhi, la quale prima mi rise mostrandomi da coteste sue
labbra grosse due fila di denti, che sembravano fagioli bianchi e poi
disse: «maresciallo, buona sera; tu vedi che io porto corona reale e
fui sempre arme di regno, figurati se mi adattava di cuore a servire
d'impresa ad un villano nato e sputato com'era quel coso di Pasquale
Paoli! però della mia reverente fedeltà pel Cristianissimo tu non hai
a dubitare, questa benda che i Côrsi mi avevano messo su gli occhi io
me la sono levata per vedere i fatti così come vanno in servizio di S.
M.; avendo pertanto esaminato con diligenza le faccende ho conosciuto,
che nella pieve di Talcini, e precisamente nel paese di Castirla, ci
vivano mucchi di briganti, che bisognerebbe ardere di un bel fuoco di
pruni secchi, fa presto a visitarla che ci troverai armi, munizioni
ed altri testimoni dell'odio implacabile che cotesti ribaldi portano
al prediletto loro padrone e signore: Io; che credo ai sogni, ho dato
retta alla testa di Moro, ed eccomi tra voi.»

A queste parole quella povera gente sbigottita, consapevole come fosse
stato dichiarato il possessore dell'armi reo di morte, con voci rotte
si mise a gridare:

— Signore maresciallo, credete per la Immacolata Santissima, che vi
hanno ingannato, la è pretta calunnia messa fuori dai nostri nemici
che ci vogliono condurre al macello: vi pigli carità di noi; noi non
abbiamo fatto male a nessuno e fin qui fummo fedeli e vi promettiamo
conservarci per lo avvenire obbedientissimi sudditi del nostro reale
signore e padrone, come dite voi.

— Zitti! riprese il Sionville, zitti! non urlate tutti assieme, che non
siete mica colpevoli... taluni non accuso, ma altri stanno lì lì per
ribellarsi, e ne sono sicuro; i primi facciano una cosa, si separino
dagli altri raccogliendosi qui sotto il pulpito, e così sceverata la
zizzania dal buon grano, vi lascio in pace...

— Nessuno signor maresciallo, qui nessuno è reo, tornò a gridare con
una sola voce il popolo presagio di guai.

— Olà, zitti! voi mi avete fradicio. A questa toppa io proverò un'altra
chiave. A voi, signor podestà, sbugiardate questi saracini, e ditemi
su, quali sono le persone, che qui in Castirla congiurano contro la
legittima autorità del re nostro sovrano, e la quiete della isola.

— Io conosco il popolo di questo paese, rispose il podestà
alquanto turbato, fedele e devoto; se avessi avuto odore, che ci si
nascondessero armi, io mi sarei già dato premura di scoprirle e vi
avrei tolto il disturbo di salire fin qua. Vivete tranquillo, signor
maresciallo, io vi assicuro, che potete proprio contare sopra i
sentimenti di fedeltà di questo popolo.

— O sentiamo via, signor dottore, e come hanno ad essere secondo voi i
sentimenti di fedeltà al sovrano?

— Parmi agevole dirlo: il dovere del suddito sta nell'obbedire con
anima volonterosa alle leggi, e amare e venerare il principe...

— Così asciutto asciutto senz'altra giunta?

— Che abbia a fare di più io non saprei, se vostra eccellenza non me lo
insegna.

— Sicuro, che ve lo insegnerò io, pezzo di somaro. Si ama il proprio
sovrano davvero quando ci mostriamo disposti a fare per lui quanto
gli può riuscire di servizio, invigilando i suoi nemici, spiandoli,
rivelando ai magistrati le trame, le insidie e le intenzioni loro, non
portando rispetto ad amici, a conterranei, a parenti, anzi nè anco a
mariti, a genitori, a figliuoli, ributtarli di casa, non visitarli, non
nudrirli, unirsi al reggimento provinciale côrso per isterminarli; ed
anche non basta: bisogna ingegnarci a scoprire e denunciare al Governo
le persone con le quali i sospetti mantengono usanza, quello che in
generale si pensa, in quali luoghi, in quali case sogliono adunarsi e
quando, e in quanti, se hanno armi, e dove le appiattino; se riesce,
le portino via essi, se no vengano a farne il rapporto. Ricordinsi i
buoni sudditi, che qualunque impegno di onore viene meno all'onore di
servire il proprio sovrano, i beneficî non tengono, nè promesse, nè
speranze, perchè veruno può beneficare più di lui, vincolo alcuno di
tanto può reggere ch'egli non valga a sciogliere; desiderio che persona
possieda più facoltà di lui di soddisfare. Questi obblighi crescono pei
magistrati, ed anco per loro aumentano via via, che occupano ufficio
più sublime.

«Ai parrochi in particolare, e ai confessori in generale corre dovere
di provocare le confessioni piene e circostanziate, e rivelarle, che
non ci ha segreto che tenga, quando si tratta d'impedire che i malvagi
arrechino danno a colui che dopo Dio, e come Dio, merita il profondo
omaggio della reverenza vostra. Di fatti, credete voi, parrochi e
confessori, di essere istituiti nell'interesse di Dio? Ma' mai lo
credeste, vi fareste canzonare, imperciocchè egli non abbia punto
bisogno di voi, l'occhio di Dio ti è sopra anche nella tenebra e vede
di notte più dei gatti; il suo orecchio ti sta sul cuore e sente venir
su i pensieri appena nati, anzi anco prima che nascano, _ergo_ Dio non
ha bisogno di voi; i vostri occhi e i vostri orecchi o non sono buoni
a nulla, o sono buoni in quanto gli mettete al servizio del re, ed ecco
per qual modo un buon suddito senza taccia di temerarietà può sostenere
di nutrire sentimenti di fedeltà verso il proprio sovrano.

Il parroco, offeso nella sua religione e nella sua onestà da cotesti
scempi discorsi, esclamò dall'altare:

— Signor maresciallo, voi operereste assai meglio dando voi stesso lo
esempio del timore di Dio, levandovi da un luogo che non vi spetta, e
cessando discorsi pieni di scandalo.

— Come pieni di scandalo? Oh! non lo ha detto San Paolo, che le podestà
furono messe da Dio, e che va dannato chi le disobbedisce? Dunque,
che vi ribolle? Lo so io da che nasce questo, egli è perchè voi siete
Paolista, nemico del buon governo, dell'ordine, anche voi perturbatore
della dignitosa tranquillità dei popoli, un commettimale, uno
avversario della concordia; insomma un repubblicano, un parricida, e vi
mettete in quattro per ricoprire le colpe di questi vostri briganti.

— Io sono sacerdote e voi soldato, però non potendo, nè dovendo
vendicarmi, badate, i vostri oltraggi fanno come le processioni; io
vi attesto pel sangue di Gesù Cristo redentore, che tutti questi miei
parrocchiani sono innocenti della colpa di cui gli accusate.

— Ohibò! Non istà bene a un prete dire bugiarderie: e ve lo provo...

— Siamo innocenti! urlava il popolo, siamo innocenti!

Intanto il Sionville aveva staccato il Cristo dalle staffe dentro
le quali lo collocano a manca del pulpito, e recatoselo accanto
all'orecchio diceva:

— Vien qua, dolce Gesù Cristo, signor mio, e bisbigliami dentro
l'orecchio il nome dei traditori del re di questa terra, mostrando così
che fra me e te siamo pane e cacio assai più che questi rinnegati non
credono.

Ormai quello che non aveva avuto la virtù di operare la propria salute
operava l'amore della religione: la rabbia vinceva la paura, e già
usciva dai petti anelanti la voce cupa e minacciosa furiera delle
procelle umane: ogni uomo aveva adocchiato o candegliere, o scranna,
o arnese altro qualunque, che il furore converte in arme, quando il
Pievano, persona prudente, considerando che il nefandissimo atto non
avrebbe menato a danno di persona, come colui ch'era consapevole non
trovarsi armi nel paese, supplicò a mani giunte il popolo a quietarsi
tanto, ch'egli avesse potuto parlare, la quale cosa avendo a stento
ottenuta, egli disse:

— Or via, finitela, e diteci quali voi accusate colpevoli.

— Eccomi subito, e raccostato il Cristo all'orecchio disse: i rei
che mi sono stati rivelati, quei che tengono armi nascoste nelle loro
case sono: Filandro Vinciguerra ed Imperio Castineta ambedue di questo
paese.

— E qui presenti, soggiunse il Pievano additandoli e disposti, io
penso, a somministrarvi tutte le giustificazioni che stimerete più
convenevoli.

— Sì, signore, risposero ad un tempo cotesti due onesti cittadini, la
nostra coscienza non ci rimprovera delitti di veruna specie e sopra il
santo evangelo possiamo giurare...

   [Illustrazione: ... accatastarono cadaveri umani, e in breve
   ebbero costruiti parapetti e trincee di carne umana. (_pag.
   464_)]

— È fiato perso, perchè per non farmi credere una cosa basta
giurarmela; se sarete innocenti lo vedremo tra pochi minuti, e così
dicendo scese dal pulpito. Venuto in chiesa egli barattò non so quali
parole col podestà, spinse il Pievano in sagrestia e ce lo chiuse
dentro: guai a lui se si attentasse uscire, lo avrebbe fatto portare
a Corte legato come un Cristo, ci pensasse, poi aperte le porte della
chiesa andò difilato alle case Imperio e Filandro; le scombussò, mise
sossopra, fece il diavolo e peggio, e non trovava nulla; si mordeva
allora lo sciagurato le labbra per la rabbia, davasi dei pugni nella
fronte, un po' pregava Dio, un po' lo bestemmiava: mentre la sua
smania cresceva al punto da rompere in convulsioni, ecco accostarsegli
un uomo, che a guisa di bracco gli strisciò da lato e fuggì via: di
un tratto si placò il furore del Sionville; che trapassando a gioia
smoderata, si mise a sghignazzare, spiccò salti, battè forte le mani
gridando:

— Le ho trovate! le ho trovate!

E seguito da tutti corse a certa stalla, che appartata dalla casa del
Castineta e del Vinciguerra, possedevano in comune fra loro; quivi dopo
poco rivoltare di paglia rinvennero tre o quattro schioppi rugginosi
e in malo arnese, che non avrieno preso fuoco nè manco a metterli in
forno. Il Sionville con fronte di bronzo, fingendo una grossissima
collera, riprese a tempestare peggio di prima.

— Briganti! Traditori! Mi aveva detto il giusto Gesù Cristo neh? Quando
s'incomoda egli dal paradiso a fare la spia, credete che ci si metta
per canzonare un pari mio? Incatenateli, a Corte, alla forca, _marche!_

Gli urli, i pianti, le disperazioni, ed anco le minacce potevano sul
Sionville quanto il suono del mandolino sopra un lupo affamato: quei
miseri furono carichi di catene e circuiti dagli sgherri, che a furia
di armi contenevano appena il popolo, erano tratti a Corte.

Partirono, e forse un miglio era il paese rimasto loro dietro le
spalle, quando un ufficiale di età assai provetta mise il suo cavallo
accanto a quello del Sionville, che cavalcava cantando in quilio certa
sua canzone da taverna, e così gli disse:

— Maresciallo, già siamo d'accordo, che non eseguirete mica sul serio
la pena di morte sopra cotesti due poveri grami.

— Non siamo d'accordo per niente, io gl'impiccherò bene e meglio appena
arrivati a Corte.

La fama, come suole, precorritrice delle tristi novelle (quella delle
buone arriva sempre zoppicando) empì Corte del fatto del Sionville,
onde gli animi se ne sgomentavano, e un pezzo stettero in dubbio di
andare a vedere se fra i tratti a vituperio al supplizio vi fosse
alcuno dei loro cari; alfine vinse la pietà, e s'incamminarono a
incontrarli; prima di tutti fu vista Francesca Domenica, la quale allo
accostarsi del carro sentì sfinirsi dentro e le convenne con ambedue
le mani coprirsi gli occhi, ripreso cuore, separò un pocolino un dito
dall'altro e per quel filo di luce agguardando le parve non distinguere
il contorno della sembianza del suo povero figliuolo; allora risoluta
buttò giù le mani, e vide che tra gli incatenati sul carro non era il
suo figliuolo: pensando alla disperazione che l'avrebbe invasa se le
compariva davanti la cara faccia, se ne tornava quasi lieta, quantunque
altri affanni non meno strazianti l'aspettassero a casa.

Chè quivi da parecchi giorni giaceva inferma Serena. Vi ricordate la
giovane baliosa, la quale si mesceva tra i combattenti e si cimentava
alle prove più perigliose? Ohimè, adesso quanto apparisce mutata da
quella! Il suo cuore come arco troppo duramente teso si ruppe. Noi
andiamo soggetti a due maniere di malattie, la prima maniera esterna
nabissa il corpo, onde l'anima è costretta a uscirne come l'inquilino
dalla casa aperta alle intemperie delle stagioni; la seconda muove
dall'anima, la quale a guisa di pugnale troppo affilato, taglia il
fodero; quelle sovente guariscono, queste non mai. Troppo cumolo di
affetti si era precipitato su di lei: la strage paterna, l'atroce
vendetta che ne seguitò, l'amore per Altobello, la sua prigionia, il
caso di Mariano, il quale tanto non si potè celare, che qualche odore
non ne arrivasse anco a lei, le acute trepidazioni per la vita che
si era condotta a menare l'uomo da lei scelto a sposo, le vicende
infortunate della guerra, la fuga del Paoli da lei riverito come
secondo padre, i mali presenti, il presagio dei futuri, tutte queste
passioni a troppo largo palpito avevano dilatato quel povero cuore,
perch'egli avesse potuto durare senza sfiancarsi. Da prima l'assalse
una quiete stanca, una mestizia assidua che la chiamavano al pianto;
ora le pareva mancarle sotto i piedi la terra ed ora un ronzìo molesto
le zufolava dentro le orecchie; di un tratto vide più soli, o il sole
spezzarsi in milioni di faville che le ferivano gli occhi; un po'
più tardi ad ogni subitaneo rumore, o di porta che sbatacchiasse, o
di masserizia che cadesse, ella rabbrividiva battendo a verga tutte
le fibre da capo a' piedi; le lacrime che avevano preso a versarsi
non piante dagli occhi suoi, e anche gli sguardi si succedevano uno
più lungamente lucido dell'altro a mo' di lampada presso a morire;
la vita le fuggiva per tutti i sensi incessante, minuta come l'arena
d'orologio a polvere: la voce sonava a mo' di strumento scordato, e il
riso appariva su le sue labbra simile alla viola tra i fiori. Durante
questo periodo della sua infermità, per attutire alquanto l'arsura
che le avvampava le viscere, ella prese a vagare per la campagna
ma i suoi piedi si voltavano sempre al camposanto dove al fianco;
del padre assassinato dormiva l'omicida; qui stava ore e ore, e per
tempo lunghissimo nel medesimo atteggiamento, sicchè di leggieri chi
passava poteva supporla una statua sepolcrale; sopra tutto le piaceva
considerare le spoglie della natura, che il verno soprastante le rapiva
pari al conquistatore entrato in paese nemico, e sembrava consolarsene;
un giorno la fermò una foglia la quale sola sul tronco si dibatteva al
soffio gelato di novembre; dopo averla fissata un pezzo la staccò, e
pian piano la depose su la terra dicendo:

— Abbi pace anco tu in compagnia delle tue sorelle già secche; che
giova contrastare al destino? Per le foglie e per gli uomini cascati
non si rinnova la primavera.

E sempre e più sempre crescendo in lei il talento delle cose lugubri,
incominciò visitare gl'infermi e ad assisterli, senonchè migliorando
essi cessava ella di andarli a trovare, tuttavia sovvenendoli con robe
o con denari; se si aggravavano non gli lasciava più giorno nè notte;
spiava i moti dell'agonia, le guise di esalare l'anima, e se la morte
fosse scienza da impararsi, certo ella non ebbe scolare più diligente
di Serena alle sue fiere lezioni. Quando il morto si trovava in là con
gli anni, ella nel chiudergli le palpebre diceva:

— Beato te! di cui gli affanni sono finiti.

E se per lo contrario giovane, rendendogli il medesimo ufficio con pari
affetto, esclamava:

— Beato te: di cui i dolori non incominciarono mai.

Quantunque il vento della fortuna avesse portato via parecchi amici
della famiglia Alando, pure la reverenza vetusta e lo amore indomabile
gliene aveva conservato qualcheduno; tra questi un vecchio dabbene,
medico del luogo, il quale aveva veduta nascere Serena, e non sapeva
darsi pace di averle a sopravvivere. Egli la visitava mattina e sera e
le ordinava posasse l'animo, non si tribolasse con pensieri funesti;
dopo il tempo cattivo venire il buono; Dio misericordioso avrebbe
sentito pietà di tutti, massime di lei innocente come Gesù, pura quanto
la Vergine Maria; con altre più cose che le anime afflitte non possono
fare e che durando sono capaci a trapanare il granito nonchè il cuore
umano; e poi la dieta di latte e i sughi di lichene e le altre cose che
le si possono fare e si fanno, ma non giovano a nulla. Nè egli punto
s'illudeva considerando alla inferma gli occhi diventare ogni giorno
più acutamente fulgidi, quasi la Provvidenza li disponesse alla dignità
delle visioni spirituali, e sul sommo delle guance infoscarsi il colore
vermiglio, ultimo addio dell'astro della vita che tramonta; per la
quale cosa ogni volta che Francesca Domenica l'accompagnava all'uscio
interrogando come l'andrebbe a finire, e se ci fosse punto di speranza,
egli sempre rispondeva:

— Mia signora, i rimedii per coteste infermità gli speziali non tengono
nei barattoli, bensì Dio nei tesori della sua misericordia; la gliela
raccomandi a Dio nelle sue orazioni, signora Francesca Domenica, chè
quella povera _tinta_ in coscienza lo merita.

— Oh! davvero; ella è una santa; e par che il cielo la richiami a casa;
ed anco voi, signor dottore, pregate per la mia cara figliuola...

— Si figuri! Ma le orazioni di un vecchio peccatore, come sono io,
credo che poco possano giovare ad un'anima benedetta come la sua: ad
ogni modo non mancherò, signora Francesca Domenica, non mancherò...

Francesca Domenica per non destare sospetti nell'animo di Serena,
tornando a casa ebbe la precauzione di salire le scale, senza scarpe,
ma le tornò inutile, imperciocchè appena questa la vide le disse:

— Mamma, a questa ora dove siete stata?

— Io?... Io?...

— Ho sentito il rumore dei vostri passi fin giù su la strada... Perchè
volete negarlo? Voi fate male, mamma, a non dirmi la verità...

— Io non ho negato, Serena, nè sono usa a mentire; vi dirò, ma non vi
turbate; era andata a vedere se caso mai fosse venuto Altobello, ovvero
persona che me ne portasse le nuove...

— Se lo confidavate a me non avreste sciupato i passi, perchè ho saputo
qui che non è anche giunto, ma non tarderà ad arrivare.

— E chi può averlo detto, figliuola mia?

— Chi me lo ha detto? Veramente tale, che lo può sapere: dopo che siete
uscita voi, una voce mi ha chiamato: Serena! Serena! — Io stava in
forse di rispondere perchè non riconosceva la voce, e mi sembrava non
averla mai udita, ma la voce replicò da capo: Serena! Serena! Allora
mi sono fatta cuore, ed ho risposto: Chi è che mi chiama dalla parte
di Dio? Sono io, mi ha risposto la voce, sono il tuo babbo, che vengo
ad annunziarti, che ti aspetto in luogo di salute, ma prima di morire
rivedrai il tuo sposo Altobello. Dopo ciò non ho sentito più voce,
bensì le ha tenuto dietro lo _scuccolo_ con istridi così assordanti,
che mi pareva proprio la nottola si fosse posata sul davanzale della
finestra.

Francesca Domenica tacque e pensò tremando al presagio di prossima
morte, che i Côrsi reputano infallibile quando la voce dei defunti
chiama gl'infermi, o piuttosto quando sembra a questi esserne chiamati;
nè meno atterrì lo _scuccolo_, sfida di vendette che non avea cessato
mai di perseguitarla, e da un pezzo in qua si faceva sentire più
frequente di prima: certo le sembrava respirare un'aria pregna di
sciagura.

Adesso parliamo di Altobello: talvolta unito, talvolta separato dal
piovano di Guagno aveva scorso in tutte le parti dell'isola rendendo
a misura di carbone il male che i Francesi commettevano; senza dubbio
il disegno loro non era andato del tutto fallito, imperciocchè, come
avvertimmo, sebbene le persecuzioni durassero ardenti, tuttavia nella
mente dei più speculativi era caduto il pensiero correre stagione che
cotesto rigore cessasse o almeno si temperasse e si provvedesse alla
pace con più miti consigli. Ho detto che le persecuzioni duravano
ardenti come prima, ma in verità infierivano maggiori, e ciò perchè
ogni moto in fondo è più veloce, e innanzi di comparire mansueti,
i Francesi studiavano opprimere pienamente i banditi, sia per non
mostrare di farlo per paura, sia per impedire che cotesto tizzo
lasciato acceso non rinfocolasse.

Cacciati di pieve in pieve i banditi si erano ridotti nei monti della
Bavella e di Cagna, e per le boscaglie dell'Aitone e del Coscione
traendo giorni pieni di patimenti e di pericoli: difficile, per
non dire impossibile, diventato lo scendere ai paesi per procurarsi
tanto che gli sostenesse in vita; e dopo essere calati, più di una
volta ebbero a tornarsene con li zaini vuoti, perchè i paesani non
possedessero bene di Dio da spartire con loro o perchè la paura delle
asprissime pene minacciate li trattenesse da soccorrerli. Raccolsero
quanto poterono castagne, cibarono corbezzole; che più? Non abborrirono
dalle stesse ghiande; ma omai questo misero frutto mancava; arrivava il
dicembre e il verno si metteva rigido oltre l'usato. Da qualche giorno
tacevano, timorosi di accrescersi il peso dei mali partecipandoseli;
da parecchio tempo stentavano, ora poi pativano di ogni necessità,
trenta ore non avevano gustato cibo, e già in alcuno cominciava a farsi
sentire la stiracchiatura convulsa allo stomaco preludio degli spasimi
della fame, allorchè all'improvviso un mufflo, assicurato senza dubbio
dal silenzio e dalla immobilità loro si avanzò in mezzo ad essi: parve
lo mandasse Dio; Altobello, Ferrante e gli altri giovani che avevano
stretto fra loro sviscerata amistanza, come più destri degli altri,
inarcato lo schioppo sgrillettarono e a veruno fece fuoco; essi tutti o
la più parte di loro avevano viaggiato in Italia, militato ai soldi di
Principi grandi, avevano ingegno ed anco coltura non ordinaria, e pure
si sentirono scorrere il gelo per le ossa a causa della superstizione
côrsa, che crede i morti impedire lo sparo dei moschetti perchè il
rumore gli sperderebbe, nè indi a dieci anni potrebbero più riunirsi; e
tutti in un moto fecero il segno della croce sul guardamacchie, rimedio
indicato come solo efficace a rompere lo incanto e ripetere il colpo,
ma il mufflo non si rimase ad aspettare i loro agi, che scappò via pari
a saetta volante.

Allora Nasone di tutta foga dietro, e così uno fuggendo l'altro
perseguitando, arrivarono sopra il ciglione di un dirupo che al solo
vederlo metteva i brividi addosso. Il mufflo presentendo forse il
pericolo si fermò di botto puntando le zampe davanti e volgendo in
un attimo il capo a destra e a manca quasi a speculare se avanzasse
altra via di salute; parve che non la trovasse, e il cane intanto si
accostava arrangolato; il mufflo ridotto agli estremi senza più esitare
si precipitò giù col capo in avanti dalla balza; poco dopo sopraggiunse
il cane, il quale o non avvertisse il pericolo, o avvertito lo
disprezzasse, anch'egli si cacciava nel precipizio in un fascio col
mufflo: ma con sorte diversa, però che il mufflo difeso dalle corna, se
le ruppe entrambe e accosto alla radice e giacque alquanto tramortito,
ma poi si rialzò e riprese la fuga come una cosa balorda, ma Nasone
non si rilevò più; le sue ossa rotte in parte gli uscivano fuori della
pelle, dalla testa fessa ciondolava il cervello, i denti schizzati
dalle mandibole gli stavano sparsi d'intorno come le armi al guerriero
caduto in battaglia. Altobello non potè dargli sepoltura; ed egli che
ormai non aveva più lacrima pei patimenti dei proprii simili nè per i
suoi torse gli occhi dal miserando spettacolo e pianse come un bambino.

Il piovano di Guanco sul ciglione della rupe preconizzò la povera
bestia con queste parole:

— Noi siamo fatti simili a quelli che sgombrano la casa vecchia per
tornare nella nuova; essi levano a mano a mano le masserizie dalla
prima e quando l'hanno vuota, lasciano la chiave nell'uscio e si recano
ad abitare nella seconda; non passa giorno che noi non depositiamo
qualche affetto nella tomba: oggi toccava a te, Nasone, esempio di
fedeltà, da far vergogna a molti uomini; poco più a noi rimane di
qua di questa vita, Nasone, tu non ci aspetterai molto in seno della
terra.... e forse... chi sa! anco nella vita eterna.

E dall'alto lo benedisse, memore che tutti siamo creature di Dio e Dio
stesso versa senza distinguere la sua benedizione sul creato.

Ciò fatto il Pievano appoggiò alquanto il mento sopra la bocca dello
schioppo come persona oppressa da pensiero molesto e che fra sè tenzona
se debba o no manifestarlo, vinse il partito del sì, dacchè egli con
piccola voce riprese:

— L'addio è sempre una parola che viene proferita col cuore chiuso anco
tra la gente felice, la quale spera rivedersi presto.

Si abbracciarono e baciarono; poi si partirono facendo strada da
più lati, senza parole, senza lacrime; il cuore stretto non dava
adito nè anco a un sospiro; parecchi affrettarono il passo, altri
lo rallentarono, taluno si coperse con le mani la faccia ed ebbe il
refrigerio del pianto; ve ne furono di quelli, che mossi da un medesimo
spirito voltarono nello stesso punto il viso e si videro e corsero a
braccia aperte a rinnovare gli amplessi con quello intenso abbandono,
con la infinita svisceratezza che due cose sole al mondo danno,
l'altissimo amore e l'altissima sventura.

Altobello fu, senza che gl'invitasse, seguitato da Ferrante Canale,
da Romano Colle, da Ugo della Croce e da Rutilio Serpentini; e
poichè ebbero scorso insieme buon tratto di cammino, si volse loro e
gl'interrogò:

— Non vi parrebbe bene separarci anco noi?

— No, rispose Ferrante dalle rade parole, se in molti riesce difficile
vivere, l'uomo solo dall'altra parte male si può aiutare.

Allora Altobello da capo: — o dove andiamo noi?

E Ferrante di rimando: — Tutta la Corsica è patria, ma in Corte nacqui
e fui battezzato; ci serva di bussola il luogo del nostro nascimento:
quando anco non ci fruttasse altro che deporre le nostre ossa nella
terra dove dormono quelle dei nostri padri, ci condurrà sempre bene.

— Tu di' santamente; le tue parole, Ferrante, sono rare ma preziose
come le perle; e poi io per me credo, che su le montagne prossime
a Corte noi ci batteremo con meno pericolo che altrove, però che i
nostri persecutori non si potranno mai immaginare che abbiano posto
stanza tanto vicini quelli ch'eglino stimano ormai disperati vagare per
l'estremità della isola.

Arrivarono a piè dei colli di Corte attriti dal digiuno e dalla fatica;
i piedi avevano sanguinosi; privi da molto tempo di scarpe si erano
composti certa foggia di sandali con la scorza degli alberi; ma questa
non bastando sola perchè feriva le carni, se gli erano fasciati con
bende, le quali avendo dovuto strappare dalle vesti; ora così mezzo
ignudi intirizzivano dal freddo: nella buona stagione non pensarono al
verno o se ci pensarono ebbero speranza che Dio provvederebbe; ma non
provvide, e gli uomini?

Taluno per le terre dove passavano vedendo comparire codesti strani
aspetti credè che fossero anime dannate, e fuggì via riparando senza
sangue addosso a battersi il petto ai piedi del Crocifisso; altri si
accorse ottimamente di quello che gli era, ma per paura più vile gli
evitò; l'abbietto interesse aveva di già insegnato ai Côrsi la lezione:
che dove non si guadagna, la perdita è sicura; e lì con loro ci era
da perdere moltissimo e in doppia guisa; però sarebbe ingiustizia
tacere come parecchi li confortarono con parole e sovvennero co' fatti,
massime fanciulli e donne, i primi perchè il tempo non gli aveva anco
spruzzati con la tristezza degli anni, le seconde perchè su loro si
posano meno così i forti come i tristi proponimenti; una cosa, dicono
compensa l'altra; per me stimo che l'utile superi due cotanti il danno.

Da prima passarono per le terre lavorate, pei vigneti e pei chiusi
degli ulivi; si lasciarono addietro castagneti e macchie di cornioli e
di corbezzoli; nè anco lì si fermarono; continuando a salire traversano
foreste di larici di faggi e di abeti; ma la lena a taluno di loro vien
meno e avvilito domanda;

— Dove ci mena Altobello? Quando ci fermeremo?

— Avanti, avanti, rispose Alando, chè ci bisogna ire dove non è
chiamato l'uomo a lavorare, a raccogliere o ad uccidere. Noi abbiamo
adesso due soli protettori, il deserto e la morte.

Eccoli giunti dove massi enormi appaiono ammonticchiati alla rinfusa o
sparsi pei fianchi del monte in tutti i sensi, parte su ritti, parte
a giacere, screpolati o interi; pareva il campo di battaglia dove
rimasero fulminati i Titani figliuoli della terra.

— Più su ancora, più su, gridava a tutti avanti Altobello; le vette
dei monti ci allontanano dai travagli degli uomini e ci avvicinano alle
consolazioni del cielo.

Oramai erano in parte, dove chi va senz'ale più in alto non può
arrivare: appena ci ebbero fermo il passo, un nugolo di falchi
schiamazzando fuggì via spaventato: indi a breve si mise a girare con
le sue larghe ruote intorno alla pendice; qualcheduno ancora si provò
calare al vecchio nido, ma fu cacciato via con le grida e co' sassi;
non per questo e' rimase, chè trovarsi così sfrattato dalle antiche
dimore sembrava gli avesse a parere gran cosa. Certo, torto egli non
aveva, perchè l'uomo, se felice, pigli le terre feconde dei tesori
della natura, e se infelice, occupi i deserti e le rupi. Dove mai
adunque avranno di ora in poi a vivere le altre creature di Dio?

Là su quel vertice, benchè il fiato gli uscisse affannoso dal petto e
le tempie e i polsi gli battessero terribilmente, Altobello volse gli
occhi dintorno per contemplare lo spettacolo che gli si parava davanti.
Davvero desolazione maggiore egli non aveva visto mai; coteste vette
ignude erano fatte a strappi, cosicchè meno acuti e taglienti appaiono
i vetri rotti su recinti degli orti per allontanarne lo scarpatore;
si conosceva espresso come la natura spasimante pel fuoco interno che
la bruciava cacciasse le mani nelle proprie viscere e a brandelli
le lacerasse per fare strada al vulcano; qua e là cespi di pruni e
tignamiche e arbusti altri cotali che crescono in luoghi sterili,
arruffati a mo' di chiome della disperazione; e quei fessi tutti erano
vocali, sicchè il vento che perpetuo soffiava costà, rotto in mille
punte zufolava in suoni molteplici e fastidiosi sinistramente, quasi
che tutte le anime degli ammazzati a ghiado nella Corsica si fossero
date la posta su cotesti scogli per querelarsi della mala morte. Da
occulte scaturigini usciva e si sparpagliava in cascatelle moltitudine
di acque, le quali precipitando giù si rammaricavano da prima come
chi piagne basso, ma poi stringendo in meno rivi il volume diverso ed
anche aggiungendone altro da sorgenti nuove, si aumentava lo strepito,
sicchè pareva che il luogo echeggiasse di singhiozzi; per ultimo le
acque ristrette in un fascio si avventavano giù nello abisso a mo' di
chi prorompa in pianto irrefrenato. Su l'orlo della voragine l'acqua
si rompeva, schizzava, rimbalzava e ora ravvolgendosi in sè stessa
o ribolliva o mandava all'aria sonagli, e ora andava sbrizzata in
minutissimi spruzzi, vera polvere di acqua; lì i fianchi della montagna
tremavano; la Ninfa del luogo pareva essere Scilla dalla cintura dei
cani, perchè un continuo latrato intronava le orecchie; gli scogli,
quasi mostri animati, si minacciavano con gli urli pure aspettando
il destro di potersi avventare l'uno contro l'altro e sbranarsi; in
capo al giorno un raggio di sole si arrischiava di penetrare fin là
dentro, e allora per un momento cotesta polvere, cotesti sonagli e
coteste bolle si tingevano in colori dell'iride; ma indi a breve la
paura tornava a impadronirsi del luogo, anzi pel contrasto vi dominava
più terribile. Così l'angiolo del perdono si accosta fino alle porte
dello inferno, pure tentando riscattare qualche anima; e quando privo
di speranza ne torce l'ale, i dannati al pianto eterno sentono i loro
tormenti oltre misura inaspriti dalla visione celeste. — Più lontano,
nella pianura dove o entrano in qualche lago o si affrettano al mare,
le acque si mostrano placide, simili al cuore dell'uomo, che logorato
dalle passioni, quieta a misura che si accosta alla suprema quiete del
sepolcro; egli dura in vita, ma la mano della morte si è stesa sopra di
lui.

— Ecco il nostro regno, esclamò Altobello dopo avere lungamente
specolato dintorno: peccato! che non ci si presenta un po' di tetto per
mettere a riparo la nostra testa.

— Questo è ciò che vedremo; prima di biasimare, assicuriamoci se merita
spregio.

E i banditi si misero alla cerca, nè si dilungarono troppo ch'ebbero
trovato grotte e caverne capaci di uno, di più ed anco di moltissimi
uomini, dove pararonsi loro dinanzi lembi di veste fradici, armi
di tempi andati, alabarde o corsesche arrugginite ed ossa umane;
miserabili testimonianze che cotesta terra era antica alla sventura;
ma in coscienza qual terra può vantarsi nuova ai carnefici ed alle
vittime? ogni secolo sperò, e spera vedere mutato il fiero ordine delle
cose invano; il demonio vie vie si aggroviglia altro pennecchio alla
vita e dura a filare la corda per la tortura della umanità: dicono che
Noè maladicesse il solo Cam: io avrei gusto davvero che qualcheduno mi
mostrasse in che cosa approdava la sua benedizione a Sem e ad Jafet.

Tutte coteste grotte funestate a quel modo non garbarono: e statuirono
le avrebbero adoperate solo allorquando non trovassero meglio, ad uno
di loro cadde in testa che tutto cotesto stormo di falchi doveva pure
avere fatto costà i nidi, i quali non apparivano, e ci era da giocare
che scoperta la caverna, l'avrebbero provata migliore di ogni altra;
allora mettendoci un po' di attenzione, sentirono stridere dietro
uno smisurato cespo di marruche che remosse lasciarono l'adito a
capacissima grotta; e quivi dentro apparvero parecchi nidi di falchi di
ogni maniera dallo implume uscito dall'uovo pure ieri, fino al piumato
in procinto di affidare le penne al volo; questo apportò loro non
mediocre conforto nella inopia in cui si versavano di cibo, e Ferrante
osservò:

— Dio manda le quaglie ad Isdraelle nel deserto.

Sicchè egli e i compagni messo in un attimo mano ai coltelli si dettero
a menare strage di cotesti uccelli i quali, almeno i più adulti, non
si adattarono a lasciarsi sgozzare senza difesa, onde gli uccisori
ne rilevarono parecchi graffi di artigli e di becco. Finchè durò la
guerra, Altobello come gli altri si arrovellò nell'uccidere; compita la
carnificina si battè della mano la fronte ed esclamò:

— Anco questo è presagio peggiore di tutti; abbiamo sparso il sangue
della creatura invano: noi non ciberemo queste carni, perchè il fuoco
col quale le avremmo a cocere ci scoprirebbe col fumo il giorno, e
col chiarore la notte. Ora qualunque causa muova l'uomo a far sangue,
o fame, o pena, o guerra, quando la necessità cessa il peccato
incomincia; gittiamo lontano dai nostri occhi questi accusatori della
nostra insania e della nostra ferocia.

Ed egli primo tolse una manata di cotesti uccelli e gli scaraventò
fuori della grotta; imitaronlo gli altri, e giù per le roccie della
rupe cadde una pioggia di falchetti sgozzati: maraviglia a vedersi, i
padri le madri accorsero a tiro di ale per ripigliarsi le loro geniture
e trasportarle in luogo men reo; ma conosciutele morte ruppero in
istrida desolate, e andavano e venivano, si rimescolavano tra loro come
chi percosso da immenso dolore non sa più quello che si faccia; di un
tratto parecchi fra essi si dirizzarno alla grotta donde erano stati
scacciati, e quivi librati su le piume stettero sul capo dei banditi,
poi presero a scotere con inestimabile celerità le ale e prorompere in
urli assordanti: certamente io penso che prima piovessero a modo loro
la maledizione su gli scannatori, e poi gli sfidassero a battaglia;
imperciocchè subito dopo rovinarono giù di piombo a ferirli. Non fu
leggera fatica liberarsene, nè poterono venirne a capo, se, nonostante
la repugnanza e il pericolo grande che correvano i banditi, non si
adoperavano i moschetti.

Animosi erano tutti, e lo avevano provato e lo proveranno, e nondimeno
i banditi, rosi dal tedio, sovente sorprendevano in se stessi con
raccapriccio il tremito della paura. Questo avviene per ordinario
quando il coraggio non rinfranca l'uomo come virtù dell'anima, bensì
come forza di sangue, allora si vide chi affrontò il ferro e il fuoco
su i campi di battaglia, gelare nelle ombre, abbrividire alla vista
di un animale, e la storia ricorda Carlo V cui un topo bastava a
mettere in convulsioni; io poi rammento eziandio di tale ai miei tempi,
che per paura lontana di una specie di morte da lui abborrita, si
uccise dolorosissimamente straziandosi le vene; per questo i banditi
avvezzi a dare la morte e a patirla a cielo aperto e mercè di una
palla piantata nelle regole nel cuore o nel cervello, si peritavano
calare dalle pendici; e con mentite spoglie aggirarsi pei paesi in
cerca di vettovaglia, ma necessità vince natura, e da prima ebbero la
sorte di abbattersi in certi casolari pei castagneti che i montanari
costumano abitare la estate per condursi coi greggi al piano durante
l'inverno: povere robe, anzi poverissime trovarono là dentro, le
quali a cagione della penuria che gli stringeva, parvero ad essi, e
in vero furono, tesoro; però non durarono molto e alla perfine e' fu
mestieri risolversi o morire di fame, o recarsi a procacciare i viveri
nei paesi. Posto che qualcheduno di loro si avventurasse (postergato
il pericolo quasi sicuro di cascare in mano agli stracorridori del
provinciale côrso che indefessi frugavano in ogni cantuccio), senza
danaro non avrebbero potuto provvedere i cibi; e possedendo danaro, se
la prima volta riusciva passarla liscia, per la seconda non ci era a
pensarci nemmeno, essendo cosa insolita nei paesi di Corsica, massime
in quelli dentro terra comperare le derrate che ognuno raccatta sul
suo, o serba in casa per sè e per la propria famiglia: onde non poteva
fare a meno che dessero nell'occhio se ne contassero le novelle e
mettesse loro sulla traccia i mastini del vincitore. Il Canale dopo
averci su ruminato un pezzo, disse:

— Ci andrò io!

E Altobello allora punto rispose:

— Perchè non io?

— Perchè tu fosti in vista più di me. Io ci sono appena conosciuto, e
poi bisogna che vada io a rompere il ghiaccio, poi andrai tu....

Ferrante a così parlare era mosso dalla paura che fosse accaduta
qualche disgrazia ai parenti di Altobello, e che rovinandogli addosso
improvvisa la nuova non fosse tratto dalla passione a precipitarsi.

— Ma dove vuoi andare? Qual'è il tuo disegno?

— Che ti preme saperlo? Tu non lo puoi aiutare: rispetto a consigli
noi siamo a tale che tutti paiono buoni, tutti cattivi, e forse il più
tristo può riuscire migliore. Lasciami andare; se non ci avessimo a
rivedere, addio, ma non mi voglio intenerire... Solo mi di', Altobello,
e voi compagni miei, parvi ch'io sia molto mutato da quello che fui?

— Ahimè! tutti siamo trasfigurati e come!

— Io non parlo di voi, parlo di me.

— Guarda noi, e fa il tuo conto per te.

— Allora questo è bene e male ad un tratto, ma al male ci ho trovato
il suo rimedio e subito. Altobello, cavati dal collo quel crocifissino
d'oro e prestamelo...

— Ah! ho indovinato... Ferrante!... ohimè! tu le dirai...

— Zitto! Io sento qui ottimamente nel cuore quello che ho da dire, e
non vo' perdere tempo a sentirmelo ripetere peggio con gli orecchi.
Se dopo due giorni non torno, ditemi un _de profundis_; però non vi
affrettate troppo, ed anco se avessi a tardare, tu non disperarti.

Il giorno seguente un povero boscaiuolo fu visto entrare in Corte
con un grosso fascio di legna verdi su le spalle sotto il quale
ei vacillava; il suo sembiante non compariva, perchè parte glielo
adombrava la frasca, e parte perchè procedeva curvo così, che ad ogni
ora sembrava in procinto di cadere, nè veramente era finzione quella
che faceva andare a quel modo Ferrante Canale, però che si sentisse
rifinire di fatica e di fame: pure, come Dio volle, giunse al mercato
dove lasciò andare giù il fascio asciugandosi con la manica del vestito
il sudore che gli grondava dalla fronte, comecchè fossimo quasi a
mezzo decembre, e lì rimase ad aspettare che qualcheduno andasse a
comprarglielo. Ebbe ad aspettare un pezzo, dacchè fosse giunto verso
il mezzodì, ora nella quale ogni buona massaia si è già provvista, nè
mette più i piedi fuori di casa, in ispecie nella stagione invernale;
pure venne alfine una fantesca, che viste le legna verdi levò le spalle
e senza contrattarle se ne andò pei fatti suoi; e così due, e così tre.

Ferrante sentì cascarsi il cuore, pure volgendo attorno gli occhi
vide più oltre la bottega di un fornaio, ond'egli abbrancato con forza
convulsa il fascio della legna, lo gittò ai piedi del bottegaio; e gli
disse con tal voce ch'era preghiera e poteva sembrare minaccia:

— Un tozzo di pane in baratto di questo fascio di legna... per carità.

— Che vuoi tu che mi faccia delle tue legna verdi? Mi guasterebbero il
forno; e quanto al pane, la farina è cara; — e così dicendo si staccò
dai panni la mano che Ferrante gli aveva posto addosso, e lo respinse
da sè. Allora un baleno passò dinanzi agli occhi del reietto di cui la
destra corse sotto le vesti, e senza sangue non finiva, se per somma
ventura non entravano in quel punto due micheletti regi nella bottega,
di cui la vista bastò a tenere in cervello Ferrante, che mordendosi le
labbra fino a lacerarle, chiotto chiotto se ne uscì, e gli parve bazza.

Nello inverno presto arriva la sera, ma dal tocco alle ventiquattro
tempo ci corre, ed egli poteva destare sospetto, molto più che i
villani sbrigate le faccende ripigliano il cammino dei paesi: mentre ei
sta perplesso sul partito da seguitare, vede una brigata di mendicanti
avviarsi verso il convento dei Francescani posto in fondo al paese:
gli parve ventura, e poichè le sue vesti stracciate gli servivano anco
a questo uso, imbrancatosi con gli altri, arrivò al convento. Correva
il dì che i frati dispensavano la minestra, e tu vedevi cento destre
tese in garbi simili a quelli dei deputati dell'assemblea nazionale in
Francia dipinti dal David nel famoso quadro francese del giuramento
della palla a corda. Poichè ogni paltoniere aveva recato seco gli
arnesi della sua professione, si misero all'opera. Ferrante, venuto
senza, se ne stava lì come smemorato, non avendo motivo di fermarsi,
ed a qual modo ritirarsi ei non sapeva; quando il frate laico levato in
alto il ramaiuolo gridò:

— Porgi la scodella o te la rovescio sul capo.

Ed egli pietoso rispose:

— Io me la sono dimenticata.

— E tu allora rimarrai senza.

Un accattone, il quale strabuzzando gli occhi e piangendo dalla pena
aveva ingoiato la minestra bollente, senza curare le scottature,
borbottò a Ferrante:

— Se mi dai mezzo della tua parte ti presto la scodella.

— Magari! soggiunse Ferrante; ma il torzone sempre col ramaiolo
all'aria esclamò:

— Non sia mai detto, che qui sulla porta del convento di San Francesco
si abbia a commettere il brutto peccato dell'usura.

   [Illustrazione: E così per miracolo, la fortissima madre in
   mezzo alla tempesta ed ai fulmini.... fu messa in salvo dal
   figliuolo. (_Cap. X._)]

E ributtata la broda nella caldaia, sbatacchiò la porta in faccia
agli accattoni, tirò strepitosamente il chiavaccio e non si fece più
sentire. Ferrante tacque, solo levò gli occhi al cielo; io voglio
credere che ei lo facesse per preghiera, però la lancia di Longino deve
avere balenato a quel modo o poco meno sinistramente.

Costumavano, ed anco adesso non tutti, ma parecchi côrsi costumavano
scendere dai paesi in città sopra certi somarelli grandi quanto i
cani di San Bernardo, ai quali arrivati che sono, levano la cavezza
e danno per profenda un calcio nella pancia: le grame bestiole si
cacciano da per tutto per procurarsi un po' d'alimento; io ne ho visti
ficcarsi fra le gambe dei soldati francesi mentre attendevano agli
esercizi militari, e certa volta andando per visita da un personaggio
dell'isola (già s'intende in giubba nera e in guanti paglierini), mi
accadde incontrarne uno su per le scale del terzo piano. Ferrante,
adocchiando uno di questi animali, gli si mise dietro nel pensiero che
lo scorterebbe con più intelletto e certo poi con meno odio dell'uomo;
quanto all'odio se indovinasse non so, ma quanto a giudizio prese
errore, dacchè lo condusse in un campo di cavoli dove l'asino cominciò
a menare scempio, il che vedendo l'ortolano proruppe fuori di casa con
un cannocchio in pugno, tirando giù che pareva un maglio. Il somaro
gustata la prima non aspettò la seconda; allora l'ortolano si spinse
a Ferrante facendo le viste di rinnovargli la zolfa addosso, nè a
questo bastava dire non appartenergli la bestia, nè affermarlo con
giuramento, finchè inasprito, tratto fuori un coltello e sacramentando
che gli avrebbe fesso il cuore se si attentava avvicinarsigli ancora
di un passo, mise a partito il villano. La fortuna faceva addirittura
al mal capitato giovane il viso dell'uomo di arme; ma egli tuttavia
non si volle dare per perso: parendogli, non ostante la sua prudenza,
anzi a cagione di questa, essere incappato in troppi casi per non dare
nell'occhio, prese il partito di buttarsi in terra accovacciandosi
dietro una massa di fieno.

Scese alla fine invocata la notte, ed egli cauto e guardingo si accostò
alla casa di Alando; ben gl'incolse la sua previdenza, imperciocchè
vide, dal canto dove si mise rannicchiato, un'ombra passare e ripassare
dinanzi alla porta di cotesta casa, accostarsi il capo per origliare,
poi venuto in mezzo della strada voltarsi in su per istudiare dai
moti del lume, che cosa vi si facesse dentro, così non una, nè due,
bensì parecchie volte. Egli era manifesto che stavano spiando la casa;
Ferrante non ci trovava rimedio, e ormai si disponeva ad allontanarsi
con ineffabile angoscia, quando codesta ombra strillò come la nottola e
fuggì via. Ferrante comprese trattarsi di vendetta privata e gli parve
faccenda da apprensionirsene assai più della vigilanza del governo;
pure reputò per codesta notte la esplorazione non si sarebbe rinnovata,
e questa si appose: ciò nonostante si rimase tuttavia in agguato e
quando gli parve ogni cosa d'intorno sicura, egli incominciò a moversi
stendendo e ritirando a vicenda le mani e i piedi, e strisciando col
ventre sulla terra al modo stesso che la volpe mascagna si accosta
al pollaio, intantochè la massaia fila cantando lì accosto e non se
ne avvede. Rifinito di lena Ferrante arriva a piè dell'uscio della
casa Alando e chiappa un ciottolo per bussarci dentro, ma non gli
fu mestiere, che il cane di dentro, avvertito dall'odorato dello
appressarsi dello sconosciuto, si avventa contro la porta col pelo
irto su la schiena, abbaiando disperatamente; codesto fracasso tornava
in più modo dannoso, sì perchè non dava adito a sentire il picchio, e
più perchè poteva destare l'attenzione del vicinato; però Francesca
Domenica come donna accorta, avvisando che qualche cosa covasse là
sotto, aperse la finestra, e guardato in giù scorge un viluppo scuro
che si movea; e subito dopo la percosse questa voce:

— Signora Francesca Domenica, portate via il cane e apritemi, ho da
parlarvi per parte di Altobello; per l'amore di Dio fate presto.

Esitò la donna, ma non perse tempo, e scendendo a precipizio la scala
diceva tra sè: di che ho da temere?

E tastatasi il petto conchiuse: va bene; forza non ne posso patire.

Il cane fu chiuso in cantina, la porta aperta, e Ferrante entrò
carponi; appena entrato agguantandosi al muro si drizzò in piedi a
stento e con piccola voce disse:

— Signora Francesca Domenica, voi non mi ravvisate neh? Mirate se
riconoscete questo crocifisso?

La donna, gittato appena lo sguardo sul crocifisso, con orribile
pacatezza domandò:

— Morto?

— No, la Dio grazia vive.

— Libero?

— Sì....

E così rispondendo Ferrante voltava dintorno gli occhi stralunati
e feroci, onde Francesca Domenica gli ebbe a domandare non senza
sospetto:

— Che avete? Che cercate? Chi siete voi?

— Io sono Ferrante Canale...

— Bugiardo...

— Ah! pur troppo capisco, che devo parervi mentitore, e nondimanco io
sono Canale... nè meglio ravvisereste il vostro figliuolo....

E così favellando sempre girava gli sguardi a mo' di ossesso, sicchè la
donna da capo lo veniva interrogando:

— Ma che avete? Che avete? Vi sentite male?

— Nulla.... io muoio.

E vacillando cadeva, senonchè pronta lo sostenne fra le sue braccia
Francesca Domenica, la quale conobbe subito che il giovane per
commozione o per istanchezza fosse svenuto; lo trasse al fuoco, lo
spruzzò con acqua di laccia, gli fece odorare aceto forte; insomma
compì tutti gli uffici soliti a costumarsi in questi casi; lo
svenimento durò un pezzo, e quando riaperse gli occhi memori alla vita
Francesca Domenica con affetto di madre gli disse:

— Come vi sentite, Ferrante?

— Muoio di fame.

— Santa Vergine! E Altobello?

— Quando trova ghiande... si ciba.

La donna non profferì altre parole: tenendo sempre a cagione della
inferma carni al fuoco, ristorò il giovane con alquanto di brodo e
di vino, raccomandandogli, che così per un po' di tempo dimorasse, in
breve si sarebbe più copiosamente cibato.

Attizzò il fuoco, e salì a custodire la inferma; la quale appena la
vide così le favellò:

— Mamma, voi avete ricevuto notizie di Altobello.

— Io?

— Sì, voi; lo so, il mio sposo vive, e o Dio! qual vita!

— Ma chi vi dice tutte queste cose?

— Una voce qui dentro che non mentisce mai.

— E sia così; che ci è egli da contristarci in questo?

— Siete voi che parlate, mamma? E non sapete qual vita meni Altobello?
Nè anco quella della fiera, però che a questa la natura faccia almeno
trovare il cibo necessario a mantenersi viva.

La madre tacque; quando sentì potere mandare fuori la voce senza
tremito soggiunse:

— Or bene; figliuola mia che cosa dobbiamo mandargli a dire?

— Da parte della sua sposa e di sua madre... mamma perdonate se mi
metto innanzi a voi... l'uomo, voi lo sapete, ama la sua moglie sopra
tutte le cose. Dio lo ha detto...

— È vero, ma la madre ama il figliuolo sopra il padre, e il marito, e
voi Serena lo saprete un giorno.

— Io? Parvi stagione questa di lunsingarmi, mamma mia? Guardatemi
queste braccia — ed ella se le guardò e riprese — in che differiscono
dagli scheletri che mettono a piè dei catafalchi nella messa dei morti?

E dopo passato alquanto spazio di tempo senza che nè l'una nè l'altra
donna potessero aprire bocca, Serena continuò:

— Da parte della sua sposa e di sua madre, vorrei mandargli a dire che
partisse di Corsica e si riparasse in Italia ma egli non lo farà....

— Perchè non lo farà?

— Non lo farà, perchè pei cuori come Altobello non vi ha morte che
eguagli l'angoscia di lasciare la Patria serva e infelice; perchè
nessuna pena in lui pareggerebbe quella di starsi lontano dal mio
sepolcro e dalla vostra casa; perchè non gli arride la fede di potere
migliorare le sorti dell'uomo, ora che contempla la ingiustizia coprire
intera la terra come un nuvolo nero: — egli è sopravvissuto a tutte le
speranze, — egli non lo farà, non lo può fare.

Francesca Domenica non istette a contradirle temendo affliggerla, e
poi simile paura si era insinuata ancora lei nell'anima; prese i ferri
ed il bacchetto, e si mise a fare le calze di lana pel suo figliuolo;
calze, camiciole, berretti di lana ella tutto tutto pel suo Altobello
con le proprie mani lavorava; per sè le comprava; e mentre attendeva a
infilzare maglie, il suo pensiero preso a cotesto filo non si staccava
mai dal figliuolo, sicchè sempre l'era presente, le sue necessità
immaginava, ci provvedeva, e verun caso mai, per quanto insolito,
poteva sopraggiungerle improvviso, ch'ella non ci avesse di già trovato
il suo partito. Adesso le femmine sanno condurre maestrevoli ricami
ed ordire trine e dipingere fiori, ornamenti di lusso per sè, e per le
camerette loro; più belli sì, ma non però più cari. Passato convenevole
spazio di tempo, Francesca Domenica tornò a Ferrante e con buoni cibi
ed ottimo vino lo rimise da morte a vita. Quando poi conobbe che il
discorrere non gli poteva recare molestia, si fece dire a parte a
parte i vari casi del figliuolo e dei compagni suoi; per ultimo gli
domandò a che venisse, e Ferrante le espose come costretti a lasciare i
monti più scoscesi dell'isola per penuria di viveri, e per essere con
sottile solerzia esplorati, si erano ridotti a finire l'inverno nei
colli prossimi a Corte per le medesime cause, che gli aveva persuasi
a disertare dagli altri, perciocchè pareva a loro che quivi sarebbe
riuscito più destro a procacciarsi vettovaglia, e forse non pensando i
Francesi che tanto si potessero avventurare i banditi, li vigilassero
meno; però non avere trovato fin lì persona su la quale potersi fidare,
ed egli appunto essersi messo allo sbaraglio per venire a trovarla, e
concertare il modo con esso lei di non morire d'inedia come pur troppo
ne correvano quotidianamente il rischio. Posto ch'ebbe fine Ferrante al
suo ragionare, Francesca Domenica incominciò:

— Voi per la difesa della Patria avete fatto abbastanza....

— Per la Patria veruno al mondo ha fatto tanto che basti...

— Quando Pasquale e Clemente Paoli con i loro famosi compagni hanno
reputato spediente conservarsi a giorni migliori, mi sarà lecito senza
presunzione supporre che i Côrsi abbiano per adesso compito l'obbligo
loro.

— Per la difesa della terra io ne convengo, non già per la difesa e per
la vendetta degli uomini....

— Anco per questa; dacchè si sente affermare dai magistrati fino
alla sazietà, che il re di Francia intende consolarci, solo per farci
sentire gli effetti della sua clemenza aspettare avere purgato il paese
degli ultimi strascichi dei banditi....

— E voi lo sperate?

— Io da molto tempo non ispero e non temo nulla; lo dicono.

— Lo dicono come il lupo s'industriava persuadere al cane del pecoraio
di disfarsi del collare di ferro per strangolarlo a tutto agio.

— Ferrante mio, mettiamo da parte la superbia; pare in coscienza a voi
potervi paragonare al collare di ferro? A voi, che i travagli resero
l'ombra di voi stessi? A voi che la necessità di ogni cosa conduce a
morire d'inedia due volte almanco per settimana?

Ferrante, non sapendo che si avesse a rispondere, tacque mentre la
donna continuò:

— E al pericolo di essere ad ogni momento presi e impiccati, pensaste
mai?

— Ci pensammo.

— E i parenti vostri avete dimenticato affatto?

— No, mai, mai.

— All'aria aperta, su i monti, il moto, le cure della vita, gli stessi
pericoli, anche senza volerlo fanno obliare ogni cosa più caramente
diletta, ma noi povere donne chiuse, circondate da oggetti che ci
parlano di voi, per voi lavorando, vegliando per voi, vi rammentiamo
sempre, sempre.... e se poteste immaginare come talvolta l'amore o la
paura vi ritraggono alla nostra mente... se lo poteste.... io non ve lo
dirò.... non mi riescirebbe dirvelo.... avreste compassione di noi tre
povere donne. Dunque tornate ad Altobello, e scongiuratelo per l'amore
che porta a Gesù Redentore, alla madre sua, alla sua povera Serena,
che il pensiero del suo pericolo strugge come la candela, che ripari in
Toscana dove gli prometto di andarlo a raggiungere con la sua sposa...
(qui la buona femmina dentro di sè aggiungeva a mo' di restrizione
mentale: se però mi potrà accompagnare); glielo direte, Ferrante?

— Glielo dirò di sicuro.

— Non basta; promettetemi che voi secondo il vostro potere lo
persuaderete a partirsi.

— Anco questo farò.

— E voi lo accompagnerete, Ferrante?

— Questo non ve lo posso promettere, signora Alando.

— Chi è che vi possa impedire?

— Io.

— E voi perchè?

— Signora Francesca Domenica, rispose Ferrante facendo atto con la
mano, che parve ad un punto preghiera e comando — è mio segreto;
rispettatelo.

Francesca Domenica sapendo a prova, che incaponirsi a cavare di corpo
ad un Côrso un segreto quando non lo vuol dire torna lo stesso che
presumere di trapanare il porfido con un dito, tacque. Ferrante dopo
breve ora soggiunse:

— Signora Alando, vi prego allestirmi la roba, che con vostra licenza
io mi riposerei qualche ora perchè ho proprio bisogno; senza fallo
verso le tre ore dopo la mezzanotte io sarò sveglio; scrivete le
lettere tanto voi quanto Serena, e se piace a Dio porterò tutto a
salvamento.

Ferrante non conosceva il cuore di madre; da molto tempo ella aveva
ammannito il danaro, le vesti, polvere, piombo e cibi secchi e biscotto
in parecchi fardelletti da stringersi insieme agevolmente e farne uno
o parecchi maneggiabili, nè mancò di preparare fieno per fasciarli,
affinchè il portatore porgesse sembianza di recare un fascio di strame
a qualche stalla vicina; anche le lettere erano belle e pronte,
non però sigillate, che ogni giorno ella ci andava aggiungendo un
poscritto, ed oramai eravamo al quindicesimo; nonpertanto lasciò che
Ferrante se ne andasse a dormire, ed ella si assettò al tavolino per
iscrivere il decimosesto poscritto. Con una mano già si posava su la
lingua l'ostia per bagnarla e con l'altra teneva sollevato il margine
del foglio per applicarcela, quando la prese il rimorso di chiudere la
lettera senza intendere anco una volta da Serena se avesse qualche cosa
da far sapere al suo sposo: salì pianamente la scala e accostatasi al
letto la trovò assopita; come ella grondava sudore prese il pannilino
e lieve le sfiorò la fronte, pure tanto valse a svegliarla, e:

— È partito il paesano?

— No, rispose Francesca Domenica, quasi dispettosa che Serena mostrasse
così poca passione, ma subito dopo ne sentì pietà pensando quanta parte
di vita avesse ormai abbandonato quel cuore; — no, anzi era venuta
per dirvi se volevate che scrivessi qualche cosa da parte vostra ad
Altobello.

— Sì, scrivetegli, mamma, che il penultimo mio pensiero sarà pel
Signore, l'ultimo per lui.

Francesca Domenica, come colei che piissima era, tossì due volte o tre
quasi le fosse andata qualche cosa a traverso per la gola; poi dubitò
avere frainteso, onde riprese:

— Tu hai sbagliato, figlia mia; volevi dire che il tuo penultimo
pensiero sarà per Altobello, l'ultimo per Dio: io tuttochè madre non
potrei promettergli di più.

— Non ho sbagliato; scrivete addirittura come vi ho detto io.

— Dunque voi amate poco il vostro Creatore, Serena?

— Al contrario io lo amo infinitamente, lo amo pel bene che mi ha fatto
e per le prove che mi ha mandato; lo amo pei conforti che mi prodiga al
doppio dei dolori, su questo letto, lo amo per la prossima morte, ma
se Altobello non era, io a quest'ora lo avrei rinnegato: egli dopo la
morte di mio padre mi salvò dalla disperazione, prima col vendicarlo,
poi consolando col suo amore questa anima desolata. Io ricorderò Dio
dopo Altobello perchè ho obbligo a lui di amare sempre Dio.

Con persona travagliata a morte dal mal dell'etico s'imprendono
intempestivamente davvero quistioni di teologia; e poichè quantunque
cotesta chiosa non sonasse ortodossa a Francesca Domenica, pure nè
manco del tutto le sgarbava, con la voce più dolce insistè.

— Null'altro, Serena?

— Se sapessi che fruttasse, Dio sa se mi rimarrei da implorare a mani
giunte, che volesse abbandonare questa isola dolorosa; ma egli ne
sono certa, non lo farà; pure ditegli... ditegli... che mi contento di
rivederlo in paradiso... e purchè mi si conservi fedele... non dia il
suo cuore ad altra donna... perchè il suo cuore è mio... e non intendo
liberarlo nè anco dopo la mia morte... a questo patto renunzio, quanto
a me, di abbracciarlo ancora una volta su questa terra.

Poco innanzi delle tre, e mentre Francesca Domenica si disponeva a
entrare nella stanza dove dormiva Canale, questi surse di botto come se
l'orologio gli fosse scoccato dentro la testa, e fregatosi alquanto gli
occhi si chiamò disposto a mettersi in viaggio.

— Andate con Dio, pigliatevi questo bacio, che deporrete su le labbra
di Altobello, disse Francesca Domenica, poi stata alquanto su di sè
aggiunse, — voi tornerete con la risposta il giorno di S. Tommaso;
non qui, che sarebbe tentare Dio, bensì al _procoio_ di santa Colomba,
dove mi recherò sotto qualche colore; conoscete il mio _procoio_ della
Colomba accanto alla Restonica? Voi lo conoscete. A rivederci; addio.

— Signora Francesca Domenica, di una cosa bisogna che vi avverta ed
è, che qualche nemico vi tiene di occhio: guardatevi. Mentre stava in
agguato per assicurarmi di battere alla vostra porta, inavvertito ho
visto uno sconosciuto spiare la casa e dintorni, e per ultimo sparire
dopo aver fatto lo _scuccolo_.

— Grazie; io lo sapeva, procurate guardarvi, che io dal canto mio farò
lo stesso.

Il giorno di san Tommaso, Francesca Domenica si recò secondo il solito
a vespero alla novena del Natale; comecchè usasse andare in Chiesa
per tempissimo, quella volta ci si avviò un poco tardi, e mentre la
folla degli uomini si trattiene più spessa lì su la porta maggiore per
vedere passare le donne. Si sa, egli è costume vecchio coloro che vanno
a portare il tributo di amore dentro il tempio a Dio possono senza
peccato trattenersi di amor umano fino al limitare, anzi ce ne ha di
quelli, che non lo depongono nè anco su la soglia, e io immettono con
esso seco dentro; si è visto ancora con l'uno alimentare l'altro, a
mo' dell'olio che versato nella lucerna partecipa facoltà al lucignolo
di spandere la luce, questo poi se sia peccato io non lo posso dire,
a cui preme può conferirne col suo padre spirituale: quanto a me mi
basti ricordare, che Gesù Cristo perdonava molto a cui aveva amato
molto; e le creature umane, massime le donne, sembra che assai bene se
ne rammentino, e ci facciano capitale sopra per la loro eterna salute,
sicchè senz'altro torno alla storia.

Francesca Domenica si mescolò assieme alle donne genuflesse imbacuccate
con la faldetta, e poi bel bello si fece dappresso alla porta laterale
della chiesa, donde quando il prete dà la benedizione, e tutti tengono
il capo chino in atto di terrore per la presenza di quel Dio amoroso
cui avrebbe ad essere suprema dolcezza della creatura contemplare
faccia faccia, se la svignò movendo ratta i passi fuori della terra
verso la posta dove aveva avviato il _manente_ con la cavalcatura;
raggiunto che l'ebbe salì spedita sopra la sella, ed ordinando all'uomo
tornasse a casa per la via maestra, ella sotto non so qual pretesto si
mise pei tragetti. Arrivata al procoio senza intoppi, accese il fuoco
ed apparecchiò da cena, attendendo ferma in sembianza, ma col cuore
palpitante, il Canale.

A notte inoltrata anch'egli venne e, dopo confortato col calore e col
cibo, alla Francesca Domenica che lo interrogò dicendo: ebbene? — egli
rispose:

— Signora mia, è stato fiato perso; Altobello non ne vuole sapere;
egli dichiara, che non gli dà il cuore di allontanarsi dalle persone
unicamente dilette nel mondo, che siete voi sua madre e la sua moglie
Serena, tanto più che gli parrebbe quasi tradire questa ultima, ora che
la conosce inferma.

— Ma egli non le può essere di verun sollievo... glielo avete detto?

— Io gliel'ho detto, ma mi ha risposto che se gli toccasse a morire
lontano da lei e da voi gli parrebbe morire due volte; e poi ha
osservato, che vale meglio finirla con una brava palla di moschetto a
casa sua, che vivere nell'altrui come cosa disutile...

— E voi che gli avete contrapposto?

— Gli ho contrapposto ch'egli aveva ragione da vendere.

— O santissima Vergine, va, che io ho messo in buone mani i miei
negozii!

— Sentite signora, noi abbiamo fatto già da parecchio tempo giuramento
nelle mani del curato di Guagno dinanzi all'ostia consacrata di non
parlare mai d'esilio, bensì qui fermarci, e spendere l'ultima stilla di
sangue per la nostra patria.

— Signore! Signore! esclamò angosciosa Francesca Domenica levando le
braccia al cielo: dunque non ci è verso di farlo ricredere?

— Siete côrsa e madre di Altobello; voi avreste a saperlo più di me.

— Avete ragione; andate a riposare, ci parleremo dopo.

Rimasta sola la madre côrsa meditava:

— S'egli possedesse un trono non lo vorrei partecipare con lui, ma
la sua miseria non voglio partecipare con altri; sono vecchia, che
importa? Amore di madre non conta gli anni. Imperversano i venti
ghiacciati, nevi e grandine quasi ogni dì si rovesciano sopra la
terra; speriamo che Dio vorrà intepidire il gelo e rasserenare il
tempo alla povera madre: e dove il mio Creatore non credesse nella
sua misericordia esaudirmi, io vorrei sapere in che consisterebbe il
merito se andasse separato dal sacrifizio? Chi ha dato la vita all'uomo
può solo senza paura, senza fastidio, anzi con gioia, affrontare la
morte per lui; anche la sposa... sì, lo può... ma in caso supremo...
due volte o tre... ed anco quattro o sei... poi se non si spenge
rallenta... unico lo amore di madre si nudrisce di affanni... e più
avvampa quanto più soffre... la moglie può pretendere al titolo di
regina dello amore; quella di regina del dolore appartiene alla madre.
E a chi mai la madre confiderebbe la cura di alimentare il figliuolo?
Ai servi di casa? Poniamo, che per reverenza e per affetto ci si
adattassero, ma essi hanno mogli, o figli, o padri, o madri e per
portare il cibo al mio figliuolo correrebbero rischio di perdere la
vita, e con essa ridurre alla disperazione tutta la loro famiglia;
mentre io non corro un rischio al mondo; perchè quale nato da donna
vorrà condannare a morte la madre la quale continua a esercitare il
compito impostole dalla natura di nudrire la sua prole? Ed anco si
trovasse questo servo fedele... chi mi assicura che durerà sempre
così? Quante ansietà! Quanti sospetti! Tanto varrebbe ripormi in seno
un nido di scorpioni... Ahimè! L'oro di Francia si è cacciato in mezzo
ai cuori di fratello e di fratello, anzi di padre e di figliuolo e gli
ha divisi, qual parte di Corsica si è conservata sana dall'influsso di
questa maledetta _febbre gialla_? Maria santissima, tu fosti madre, tu
conosci a prova tutti i dolori del cuore materno, nelle tua braccia si
commette una madre desolata e non ti dice di più.

Ferrante dopo breve riposo si mostrò sollecito a partire; la Francesca
Domenica oltre alla vittovaglia, gli consegnò un involto di carte
dov'ella gli disse che aveva distintamente descritto quello che era
da farsi; ne raccomandasse la esecuzione al suo figliuolo punto per
punto, tornasse senza far capo alla casa, e si volgesse alla tomba
degli Alando; avrebbe trovato la chiave del cancello in una fessura del
muro accanto all'arpione destro da basso; entrato nella tomba aprisse
la cappella con la chiave, che ella deporrebbe su l'architrave della
porticciola, e colà troverebbe di che provvedersi; pel caso poi ch'egli
per qualsivoglia accidente non fosse potuto venire, ella fu cauta di
farsi insegnare da Ferrante ogni sentiero da lui fino a quel momento
esplorato che conduceva in vetta ai colli; nè si rimase contenta alle
semplici parole, che volle averne un po' di disegno sopra un foglio,
il quale indicasse alla distesa ogni sasso e ogni arbusto, affinchè
non si smarrisse; anzi per maggiore sicurezza, sopra i tragetti noti
egli avrebbe avuto pensiero di porre di tratto in tratto mucchi di
quattro pietre a mo' di calvario, su l'ignoti non avrebbe trovato verun
segnale.

La vigilia di Natale, che fu giorno frigido e coperto, sicchè i Côrsi
per lo insolito rigore della stagione se ne stavano rannicchiati
intorno al focolare, poco prima che sonasse l'_Angelus_ il piovano
di santa Divota si recò a visitare Francesca Domenica. In casa sua,
chè piissima donna fu all'usanza di quei tempi, epperò amica della
gente ecclesiastica; convenivano parecchi preti, onde non ci era da
maravigliarsi se ci si facesse vedere anco il piovano di santa Divota;
però bisogna dire ch'egli ci usava di rado, in ispecie a cotesta ora.
Tuttavolta Francesca Domenica lo accolse con la consueta reverenza,
e quegli le domandò della nuora, e come stesse e quanta speranza ci
fosse di rivederla sana, dalla risposta dell'Alando, che la infermità
le pareva pur troppo grave, ed ogni giorno andava di male in peggio,
sicchè se Dio non ci metteva le sue benedette mani, dei rimedii terreni
ormai era disperata, il piovano prese argomento di deplorare questa
nostra vita caduca; e dirla, come veramente ella è; un singhiozzo
convulso tra la culla e la tomba; aggiunse che anche tra i pagani ebbe
fede la sentenza che il Cielo ama chi libera presto dalle tribolazioni
di questa vita; e lo stesso cristianesimo averla trovata tanto vera
che la confermò tra gli articoli di fede. Felice chi muore presto! I
nostri occhi di carne, che non hanno virtù d'infatuarsi piangono spesso
come sventura ciò che Dio nella infinita sua bontà c'invia come grazia
espressa. Insomma, il buon prete girava largo dal cantone; si vedeva
chiaro che ad una conchiusione egli voleva venire, ma non trovava la
via, e il filo gli si allungava fra le mani: ad ora ad ora volgeva
il capo alla porta di casa come persona che abbia nel pigliare una
impresa fatto capitale sopra il soccorso altrui e non lo veda arrivare;
finalmente venne nella persona del medico di casa: povero soccorso
in verità, perchè appariva chiaro, ch'ei si era rasciutto le lacrime,
alle quali altre n'erano successe pronte a sgorgare, ma la compagnia
dà coraggio, e il priore forse per la millesima volta allora chiuse
l'argomento aggiungendo: — veri cristiani dinanzi alle disgrazie dovere
imitare le vergini della scrittura che aspettavano lo sposo celeste con
la lucerna accesa, e in fondo in fondo bisogna capacitarci che quando
ci capita addosso qualche malanno ci guadagniamo un tanto, e più grosso
ch'egli è, meglio che mai: — però non era da dubitarsi che la signora
Francesca Domenica, persona tanto pia... tanto religiosa non fosse per
ricevere con rassegnazione...

— Che mai?

— Una... una...

Il dottore proruppe in uno scoppio di pianto; la Francesca Domenica con
faccia fosca compì la frase.

— Una grande sciagura. Poi si mise l'indice della manca su traverso
le labbra e con la destra indicando la stanza dove giaceva la inferma,
disse:

— Zitto! Andiamo altrove; cotesta desolata se vi sentisse rimarrebbe
sul colpo.

Scesero nella camera terrena dove un po' il piovano, un po' il dottore
la ragguagliarono come in prossimità del _procoio_ di santa Colomba,
appunto su la strada, che rasenta la Restonica, dov'è la cappella della
Immacolata lì a piè del cipresso a mancina avessero trovato ucciso
il suo figliuolo Altobello; la _giustizia_ recatasi su i luoghi dopo
avergli rinvenuto addosso il suo passaporto, il congedo amplissimo
della repubblica di Venezia, con altre più carte assai, ed una lettera
scritta da lei sua madre con la quale lo confortava a lasciare la
compagnia dei banditi sconveniente al suo lignaggio, si tenesse
nascosto per qualche giorno al _procoio_, ch'ella con la parentela
avrebbe adoperato in modo che S. M. cristianissima lo avesse pigliato
in grazia; e di questo nutrire buona speranza: dove mai fosse rimasta
delusa, gli avrebbe procurato modo di riparare in Toscana, ovvero
tornarsene a Venezia dov'egli avrebbe condotto vita più onorata, e
certo poi più tranquilla.

Francesca Domenica lasciava dire, e metteva a un punto maraviglia e
spavento nei suoi visitatori la terribile calma di lei; i quali affetti
crebbero in loro quando di repente gl'interrogò:

— E gli hanno dato molte ferite?

— Eh! parecchie, a quello che ne dicono.

— Mortali tutte?

— Ma!... a quanto pare orribili!

— E chi può averlo ammazzato sospettano?

— Tengono per fermo, che i suoi compagni inaspriti per essersi veduti
abbandonati da lui lo abbiano raggiunto; e' pare che sien venuti a
parole, dopo a fatti; e Altobello sia rimasto soverchiato dal numero
non senza difesa nè senza vendetta...

— E come mai?

— A giudicarne dalla pozza del sangue sparso lì intorno troppo più
copioso, che se fosse di un individuo solo, e da una ciocca di capelli
strappati che gli trovarono fra le dita aggranchite.

— Oh! esclamò Francesca Domenica, e quasi un baleno di contentezza le
illuminò il viso, poi senza aggiungere parola aperse furiosa la porta
di casa, e fuggì via. Il piovano ed il dottore le trassero dietro con
tardi passi, intantochè l'uno diceva all'altro: — Ahimè! Ahimè? povera
signora, ho paura che la vampa dell'angoscia le abbia incenerito il
cuore...

— E dubito anche il cervello, piovano mio...

— Oh! che sciagura, che grande sciagura!

Il popolo avvisato del caso, un po' per compassione, molto per
curiosità, faceva gomitolo ingrossandosi alle spalle dei due desolati;
i parenti così donne come uomini dell'amplissima famiglia Alando
tanto non furono trattenuti dalla speranza o dal timore della nuova
dominazione, che si restassero in cotesto caso supremo dagli uffici
consacrati dal costume e resi più religiosi adesso, che con la morte di
Altobello veniva a spegnersi l'ultimo fiato dell'inclita casa Alando.

La madre arrivò sul luogo dell'omicidio, e vi rinvenne il cappellano
e parecchi dei manenti, i quali avevano messo insieme in fretta la
cassa con alcune tavole sottili, e quivi dentro riposte le infelici
reliquie dello ammazzato, poi chiuse col coperchio dipinto per tutta
la lunghezza di una croce nera senza però conficcarlo; ciò compito,
senza far caso della brezza gelata si erano messi col capo scoperto in
ginocchioni intorno la cassa a pregare.

Arrivò la madre, e fece volare il coperchio, chinandosi giù genuflessa
sul cadavere. Signore! Egli era spettacolo da rompere ogni altro
cuore non che quello della madre: almeno alla madre di Cristo resero
il corpo del figliolo intero, certo forato nei piedi e nelle mani,
con la lanciata nelle costole; certo con la persona livida per truce
flagellazione, e le tempia e la fronte lacere dalla corona di spine;
certo con le labbra nere per l'ultima bevanda di aceto e fiele, ma
pure intero: ora quale Francesca Domenica rivedeva la carne sua! e'
sembra gli avessero sparato un trombone a bruciapelo nella testa,
imperciocchè tutta la parte superiore della faccia era sparita;
nell'angolo destro al sommo della cassa si vedevano con raccapriccio
ammonticchiati i frammenti di ossi, i brani delle carni e del cervello
raccolti sul terreno; traverso la bocca che conservava appena tre o
quattro denti si vedeva l'aria; innumerevoli gli sdruci e le ferite
per tutta la persona: su le mammelle come nelle altre parti più carnose
del corpo si mirava, barbarissimo strazio! la impronta delle bullette
delle scarpe di chi lo aveva calpestato; però fra le dita avevano
insinuato un crocifisso senza però levarci la ciocca dei capelli, quasi
testimonianza che la religione e la vendetta fossero due affetti del
pari sacri pei Côrsi.

   [Illustrazione: Lella trattenne il fiato, e vide cotesto uomo
   che, scavato un buco fra i rottami e piantatavi la croce, la
   fissò diritta. (_pag. 403_)]

Il cappellano e i manenti, vedendo da lontano comparire il popolo,
gli andarono incontro col Cristo grande e coi lampioni: intanto la
madre si era messa a sedere in terra con la manca sulla sponda della
cassa facendo l'atto di cullare, e con la destra armata di bacchio
allontanava lo stormo dei corvi di già scesi all'odore del morto, i
quali con istupenda insistenza secondo la natura loro improntamente
ritornavano per beccare. Ben doveva essere crudele chi non piangeva
contemplando così stranamente riprodotto lo spettacolo della madre, che
dimena su gli arcioni il letticciuolo del suo pargolo e veglia a studio
che non lo molestino le mosche. E non poteva cadere dubbio che in quel
punto simile fantasia occupasse la mente della derelitta, conciossiachè
con la solita cantilena idonea a conciliare il sonno, ella cantasse la
_nanna_ famosa composta nel dialetto della provincia di Coscione:

    Nelli monti di Cuscioni
    V'era nata una zitedra
    E la sò cara mammoni[40]
    Li faceva l'annannaredra
    E quand'ella l'annannava
    Stu talentu[41] li pregava.

    Addurmentati parpena[42]
    Allegrezza di mammoni
    C'aghiu da allestì la cena
    E da cusce[43] li piloni
    Pe 'u to tintu[44] babbaredru
    E pe li to fratedroni

    Quando vo' saretti grandi
    Vi faremo lu vestitu
    La camicia, lu bannedru[45]
    E l'imbustu ben guarnitu
    Di dru pannu sfinazzatu[46]
    Chisistessea Carticciatu[47]

    Vi deremu lu maritu
    Ailevatu a li strazzali[48]
    Un bellissimu partitu
    Esarà lu capurali
    De li nostri montagnoli
    Pecorai, e caprachioli.

    Quando andretti sposata
    Purteretti li frenieri,[49]
    N'anderetti incavalciata
    Con tutti li mudracchieri[50]
    Passerettri insannicciata[51]
    A caramusa imbuffata[52]

    Lo sposu n'andrà avanti
    Cu li sò belli cusciali
    Vi saranno tutti quanti
    Li sò cugini carnali
    Alla Zonza di Tavera[53]
    Vi farannu la spaller.[54]

    Quandu arrivate a lu stazzu
    Dove avete poi da stani
    Susterà la surerani
    E bi tuccherà li mani:
    E bi arà presentatu
    Un tinedrudi caghiatu[55]»

Le donne o congiunte o amiche, quando furono da presso si disciolsero
le chiome, e con urli e pianti miserabili principiarono la _scirrata_,
chiamando il morto co' nomi più soavi, rammentandone le virtù vere o
supposte, e dolcemente riprendendolo perchè se ne fosse andato e si
mantenesse sordo agl'inviti di tornare. Una sola, una donna sola, e
questa fu Lella Campana venuta anch'essa perchè parente della Francesca
Domenica, e più per refrigerare l'anima assetata di vendetta, si
chinò su la cassa col pretesto di piangere sul cadavere difformato,
ma in sostanza per esplorarne sottilmente le parti rimaste intatte,
in ispecie le mani: allora Francesca Domenica forse nel suo delirio
gelosa di cotesto affetto, o quale altra più vera causa la movesse, di
un tratto si rizza in piedi, forte stringendo la fanciulla la trascina
seco; poi agguanta un'altra donna, ed ordinando che a sua volta questa
ne impalmasse un'altra, diede il segno del _caracolo_ intorno al morto.
Guido Reni fece opera di bellezza immortale dipingendo a Roma il ballo
delle ore in giro al carro del sole; Michelangelo solo avrebbe potuto
ritrarre l'orribile caribo di vecchie e di fanciulle nel delirio del
dolore turbinato a tondo quel misero corpo; gli occhi sfavillavano
come spade percosse fra loro; urli più strazianti non lacerarono mai
orecchi umani, i capelli bianchi, biondi e neri mescolavansi ventilati
e sferzavano i volti; le vesti anch'esse scoppiettavano agitate dalla
violenza dei moti; pallidi i volti come per morte a molte, a talune
chiazzati quasi da vivido sprillo di sangue; gli atti vari e tutti
paurosi: visione tremenda di spettri inebbriati di dolore. A crescere
la selvaggia pietà della scena, alla mente inferma di Francesca
Domenica si affacciò la voglia di mettere il ritornello ad ogni
_scirrota_, pianta da talune delle donne: questo era inconsueto nei
voceri, e solo costumavasi nelle allegre serenate o nei canti nuziali
dove al termine di ogni strofa tutti gli astanti ripetevano in coro il
ritornello da loro chiamata la succhiella, dopo la quale sparavano gli
archibugi. Siffatta novità per questo appunto percoteva l'anima più
tristamente, perchè una lieta usanza venisse tradotta a cosa piena di
mestizia, nè il ritornello poteva essere scelto più lugubre; di vero,
quando una donna finiva, Francesca Domenica con le altre tutte cantava
o piuttosto ululava un versetto del salmo _De profundis clamavi ad te,
Domine: Domine, exaudi vocem meam_.

Quantunque non si temesser disordini, pure il governator di Corte
mandò il maresciallo di campo Sionville e il capitano Orso Campana con
alquanti micheletti del provinciale a dare un'occhiata. Sionville si
spazientava a vedere tutte codeste diavolerie; egli non sapeva darsi
pace che per un morto si dovessero tribolare tanti vivi; il Campana
gli stava dintorno raumiliandolo il meglio che poteva, e lo confortava
a tollerare coteste vecchie usanze del paese; in tutto ciò che non
tornava a disservizio del re lasciasse andare tre pani per coppia;
ma l'altro arrovellato non lo voleva intendere, e tempestava che i
morti si avessero a seppellire senza tante smancierie, e chi ha avuto
ha avuto. Cotesto loro alterco da cattive parole sarebbe tralignato a
peggio fatti, se una nuova apparizione non fosse venuta repentinamente
ad interromperlo.

Fu vista spuntare dalla lontana una barella portata adagio adagio
sopra le spalle di quattro uomini, come se dentro vi giacesse persona
gravemente inferma, e pur troppo l'apparenza corrispondeva alla realtà,
imperciocchè trasportassero la infelice Serena.

Poco dopo la partenza da casa di Francesca Domenica, un accattone che
soleva frequentarvi per la elemosina, approfittandosi dello scompiglio
salì su in camera della inferma, e le disse alla ricisa:

— Signora! Signora! La gran disgrazia ch'è successa a questa casa! La
gran disgrazia? La sapete voi?

— Quale mai disgrazia? ricercò Serena facendosi in volto color di
cenere.

— Madonna santissima, non vi spaventate.... hanno ucciso.... anzi
crivellato di ferite il vostro sposo, signore Altobello.

E questo fu tiro della Lella Campana, la quale si valse della
scempiaggine di codesto mendicante per dare del coltello nel cuore alla
desolata Serena.

Serena resistè alla percossa forse per la medesima causa per cui la
rovere si rompe all'avvicinarsi dell'uragano, e la canna no; rinvenuta
dallo sbalordimento fece chiamare certe sue amiche, e mercè loro
ottenne la trasportassero in barella sul luogo dove giaceva l'ammazzato
per dargli l'ultimo addio. Contrastare a qualunque il compimento di
queste voglie lugubri parrebbe peccato, molto meno si giudicava pietoso
negarlo a lei, povera tinta! che oramai più pochi giorni aveva da
passare sopra la terra.

Le fanciulle amiche della Serena, parte circondavano e parte
precedevano la barella: queste ultime, quando la gente affollandosi
dintorno impediva il cammino, dicevano: «fate largo, è la sposa
dell'ammazzato, che viene a dirgli addio,» e tanto bastava perchè si
ritirassero e facessero spalliera cavandosi il berretto.

— Certo, meritano lode i popoli presso cui la sventura offre argomento
di commiserazione; i Côrsi poi in questa parte singolari, non solo
compiangono i percossi dalla fortuna, ma li venerano; così gli antichi
ebbero sacri i tocchi dal fulmine.

Appena dall'alto della barella potè scorgersi il luogo dove giaceva
il morto, fu vista mettersi a sedere con grande stento una larva di
donna, e stendere due braccia scarne più paurose degli ossi da morto,
sì per fermo più paurosi, dacchè vedendo lo scheletro tu conosci averlo
omai abbandonato la vita, e le ossa nude ti dicono essere diventata
proprietà della morte; ma le braccia del tisico ti pongono dinanzi agli
occhi la morte che ha messo il piè sul petto della vita e non l'ha anco
uccisa, una lunga agonia da bere a sorso a sorso, e spasimi nuovi e
più dolorosi di tutti perchè ultimi, — nel punto stesso in mezzo ad una
maniera di rantolo s'intese singhiozzata una voce:

— Altobello!

Francesca Domenica tutta fuori di sè dall'agitazione della strana
cerimonia che aveva provocata, non vide, nè sentì nulla fino a quel
punto: ora colta all'improvviso da cotesto lamento si sciolse furiosa
dalle braccia altrui, ed abbrancato il coperchio della cassa ne coperse
precipitosamente il cadavere, poi ci si assettò sopra nascondendo la
faccia su i ginocchi e agguantandosi il capo con ambedue le mani.

— Largo alla sposa dell'ammazzato, largo!

E la barella fra le teste del popolo ora appariva, ora spariva a guisa
di barca sospinta dalla tempesta contro lo scoglio dove ha da rompersi.
Per ultimo la barella fu deposta accanto alla cassa, e Serena potè dire
con fiochissima voce:

— Mamma mia, non ci contrastate vedere anco una volta la faccia di
Altobello! era mio sposo alla fine. Abbiate pietà di me, a cui da
questa in fuori non avanza altra consolazione nel mondo.

Francesca Domenica levò la faccia e mostrò gli occhi pieni di sangue ma
senza lacrime, e rispose:

— No...

— Oh! perchè no? Non era egli carne della mia carne.

— Portatela via... ella non ci ha più che fare...

— Questa è crudeltà, prese a dire un astante, non può negarsi alla
moglie di baciare per l'ultima volta il suo marito. — La pietosa era
Lella Campana; la riconobbe Francesca Domenica e la guardò: spesso
avrete sentito affermare come gli occhi della creatura umana possiedano
la virtù di atterrire i serpenti; non credete nulla; perchè se gli
occhi nostri avessero questa potenza, sotto lo sguardo di Francesca
Domenica, Lella Campana sarebbe rimasta fulminata.

All'opposto la feroce non se ne sentì commossa nè sgomenta, e continuò
a schiamazzare:

— La è divenuta matta! Menatela in casa... e la poverina abbia il suo
sfogo...

E fattasi più temeraria, forse con la speranza di essere sovvenuta,
ella si attentò accostarsi a Francesca Domenica e metterle le mani
addosso: questa balzò in piedi come arco scattato, e ghermitala
per la cintura la squassò forte tre o quattro volte, poi la spinse
con immensa rabbia a rotolare per terra lontano da sè: subito dopo
tornò a custodire la cassa, ed imbattutasi a caso nei chiodi che il
falegname aveva lasciati lì in terra, li prese e si provò conficcarli
col pugno; accortosi che a quel modo si lacerava le carni e non veniva
a capo di nulla, agguantò un sasso e con esso fece migliore opera.
Questi casi tutti accadevano in minor spazio di tempo che non fu
speso a raccontarli; però quantunque tra la gente radunata prevalesse
la opinione che la ambascia avesse tolto l'intelletto alla signora
Alando, pure si capì, che codesta sua ripugnanza a scoprire la cassa
nasceva dalla pietosa voglia di nascondere agli occhi della inferma
lo spettacolo dello straziato consorte; quindi biasimo della proterva
Campana, e lode a lei e tenera premura di sollevarla nel tristo ufficio
d'inchiodare la cassa del figliuolo ammazzato.

Francesca Domenica compita l'opera pregò il piovano, il dottore e gli
amici di casa a portare, senza mettere tempo di mezzo, il cadavere
nella tomba degli Alando e a dargli sepoltura; ai servi ordinò
andassero con loro, ella basterebbe sola a confortare Serena...

Il maresciallo Sionville presente a tutte queste avventure metteva
di tratto in tratto le mani sur una zucca piena di acquavite e se la
recava alla bocca; da prima parvero gli spazi ragionevoli, ma l'ultimo
si può dire ch'ei facesse una bevuta continua: quando ebbe a mettere la
zucca proprio a perpendicolo nell'orizzonte e squassarla a più riprese
per isgocciolarne l'ultima stilla, si sentì venire come un solletico
sotto le mammelle, ch'egli battezzò per compassione a casa sua; onde
afferrato il braccio del Campana:

— Orsù! gli disse, capitano bando ai rancori. Andiamo via; in verità
le son cose a far piangere i sassi. Di ora in poi sua eccellenza il
signor governatore, quando mi commette a simili spedizioni mi ha da
restituire il soprassoldo di guerra e penso che quegli che ne andrà di
sotto sarò io, perchè ci vuole, per durare, triplicata la provvista di
acquavite... e voi ne potrete fare al bisogno buona testimonianza.

Orso si lasciò condurre; egli non pensava a niente, ma si sentiva
il capo intronato; giunto a casa tardi non volle cena, e preso
il candeliere, senza profferire parola si avviò alla sua camera;
mentre stava sul punto di chiudere l'uscio, vedendo comparire la sua
figliuola, le disse:

— Lella! Adesso che ti pare, la tua vendetta è soddisfatta?

— Forse — rispose costei; ed Orso stizzito traendosi dietro l'uscio con
violenza imprecò:

— Quando andrai all'inferno ce ne troverai dei meglio di te.

Francesca Domenica adagiata ch'ebbe la povera Serena sul letto, la
prese pel capo, la baciava e ribaciava, poi accostatale quanto più
poteva la bocca all'orecchio di lei ci sussurrò sommessa:

— Perdono, figliuola mia, io vi domando perdono; Altobello non è morto,
ma vive e vi ama, e vi supplica a pigliare animo.

— Come! Come! non mi hanno ammazzato Altobello mio? E quegli che era là
morto...?

— Calmati, figliuola mia, bevi questo... il cuore ti palpita
orribilmente sempre... la carne ti brucia... te lo racconterò un'altra
volta... più tardi.

Se non che Serena, con la potenza della volontà dominando lo scompiglio
del corpo, comparve quasi tranquilla.

— Mamma, dite pure senza sospetto, io sono quieta... vedete, io rido.

E rise, povera fanciulla! Francesca Domenica si fece all'uscio, speculò
se alcuno stesse in ascolto, chiuse la imposta, e da capo china su
l'orecchio di Serena, espose:

— Altobello averle mandato a rispondere anteporre all'esilio dalla
Patria morire da presso alla sposa e alla madre, dilettissime sue,
mettesse giù la speranza di fargli mutare pensiero, e lo perdonasse;
eccetto che in questa lo avrebbe rinvenuto in ogni altra cosa
obbedientissimo; e poi ad osservare simile risoluzione stringerlo
il giuramento. Ora la madre di Alando patirebbe il suo figliuolo
spergiuro? E' ci era da deplorare ch'egli avesse preso questo
proponimento, e come! ma credere che lo potesse mutare, sarebbe stata
follia. Altobello bensì prometteva di starsi quieto, e per quanto
era in lui, industriarsi in modo che dimenticassero ch'ei fosse in
vita; solo domandare lo provvedessero di quanto abbisogna puramente
per non morire di fame; dolergli forte non potere esimere i parenti
da questo carico, imperciocchè la montagna, dopo scesi i pastori con
gli armenti alla pianura, era rimasta deserta. — Messami a considerare
di proposito (Francesca Domenica continuava) la faccenda, conobbi che
tale incumbenza non era da commettersi a persona, comecchè fidatissima;
troppo il pericolo per altrui, e poi viviamo in tempi tristi, figliuola
mia; se Gesù tornasse, non un traditore sopra dodici, ma undici e' ne
conterebbe, e nel rimasto chi sa quanti carati troverebbe di mondiglia.
Quello che la madre e la moglie possono fare per la salvezza del marito
e figliuolo loro non devono confidare altrui. A sovvenirlo pertanto con
efficacia bisognava ottenere due cose, la prima di condursi ad abitare
la villa senza movere sospetto, e l'altra addormentare la persecuzione
vendicativa che ci fa guerra, pensa e ripensa, mi cadde in mente
un partito orribile, ma necessità non ha legge; innanzi ch'ei fosse
stato messo a esecuzione sperai che Dio lo volesse perdonare all'anima
disperata di una madre, ma ora dubito di aver creduto temerariamente,
dacchè vedo che t'ho partorito tanto dolore, e siamo sul cominciare?

— Magari! che a furia di dolori si potesse salvare Altobello.... se
fossero sette mi parrebbero pochi...

— Benedetta tu sia! Consigliai che pigliassero lingua se qualche
giovane di statura non molto dissomigliante da quella di Altobello
fosse venuto a morte nei paesi dintorno; lo cavassero dalla terra
con diligenza; affinchè veruno sospettasse della sottrazione, lo
deformassero in volto e trasportatolo presso al procojo di Santa
Colomba lo esponessero alla pubblica strada; perchè la gente lo
stimasse il corpo di Altobello, provvidi a suscitare subito la voce
che i suoi compagni in vendetta di essere stati abbandonati da lui lo
avessero ucciso; indosso gli feci porre il suo passaporto, il congedo
della Repubblica di Venezia, con parecchie altre carte comprovanti
l'essere suo, e per ultimo certa mia lettera nella quale con preghiere
e ragioni e promesse lo confortava al passo che doveva parere essergli
costato la vita. Nella tomba degli Alando divisava seppellirlo, e ce
l'ho fatto seppellire per avere occasione di visitarlo spesso, io poi
doveva fingermi ammattita, e così ho cominciato, e se Dio non ordina
meglio così continuerò. Tu capisci adesso la causa per cui io pertinace
ricusai mostrarti il cadavere — se tu non ti addavi del soppiantamento,
dubitava che alla vista dell'orribile strazio (e davvero lo hanno
concio da fare pietà) tu per la stretta del cuore rendessi l'anima
a Dio; oppure ti apponevi, e allora temeva che la tua improvvida
allegrezza non mandasse nell'aria tutta la trama, tanto più che molti
nemici così pubblici come privati stavano ad esplorare con maligna
intenzione. Se te lo tacqui, Serena non mi accusare, perchè lo feci
a fine di bene, riserbandomi a dirtelo poco per volta, perchè la tua
salute, che merita tanti riguardi, non se ne sentisse scossa. Ai servi
ordinai badassero bene di non fiatare, ma l'uomo propone e Dio dispone,
e tu sei venuta a saperlo per altra via, e male; però dubito non ci
entri Dio, bensì il diavolo, o Lella Campana ch'è tutt'uno...

— E che le ho fatto io?

— Che le abbiamo fatto noi? Io madre, tu sposa di Alando che mise le
mani addosso a Giovan Brando suo fidanzato... e tu domandi che cosa le
abbiam fatto?

— Ahi! odio, odio, e sempre odio, esclamò Serena, cacciandosi le mani
dentro i capelli; ma Francesca Domenica la venne consolando con queste
parole:

— Però vedi, Serena, Dio non le concede tutte vinte ai maligni, anzi
opera spesso che i loro tiri resultino in vantaggio dei grami che
volevano perdere; e questa grazia ha fatto adesso a noi perchè la tua
venuta quaggiù ci somministrerà causa onesta di rimanerci in campagna,
dicendo e facendo dire la tua salute non permettere nuovo trasporto;
non istenteranno a credere che dopo il colpo di stamattina non
potrebbero moverti senza esporti a subita morte.

— Ed io voglio vivere... disse Serena di cui la fronte si rischiarava
mano a mano che Francesca Domenica procedeva nel racconto, così alla
brezza montanina si dirada il velo delle nuvole davanti la faccia del
sole; ma ahimè! con fine diverso, dacchè dalle nuvole rotte prorompe il
raggio che ravviva, mentre quando la fronte di Serena apparve pacata,
ella prese la mano della socera; se la recò alla bocca, la baciò e
cadde riversa sopra i guanciali.

Francesca Domenica sentendosi umida la mano se la mirò sbigottita e ci
vide il contorno dei labbri di Serena delineato col sangue: la tenne
spirata, e cadendo ginocchioni, esclamò:

— Ah! beatissima Vergine, accogliete questa povera martire nelle vostre
sante braccia.



CAPITOLO X.

I Proscritti


Costumavano i Côrsi, per poco essi fossero provveduti di beni di
fortuna, e tuttavia molti fra loro costumano fabbricare in luoghi
appartati dei propri tenèri, cappelle funerarie, e quivi di intorno
recinto di muro, alquanto spazio di terra destinarlo per le sepolture
della famiglia. Talora, ma raro, ne fanno parte ai clienti di casa
benemeriti per diuturni uffici e chiari di fama: perchè essi hanno per
cosa sacra le tombe.

Vagando per la campagna, e quando te lo aspetti meno, là dove più
folti intralciano i rami gli olivi per riunire le forze contro la
tempesta, arte che gli alberi hanno appreso e gli uomini no; là dove i
cipressi accostano fra loro mollemente le cime come innamorati che si
pieghino a dire e a sentire una dolce parola, e la rosa silvestre anco
lo inverno tratto tratto fiorisce quasi a esplorare se la primavera
anco nasca; là dove il mandorlo non perde mai le foglie, e l'alloro
mantiene sempre verdi le sue per incoronare forse la fronte del Messia
della libertà, che su questa terra infelice aspettiamo da molti secoli
e non viene mai; in mezzo dico a tanta pompa di natura, ti comparisce
davanti un sepolcro. In questi recessi ombrosi, mentre tutto è silenzio
intorno a te, sembra che la Provvidenza ti voglia mettere come in mano
un libro, che nel numero del mondo tu dimentichi spesso di leggere.
La vista delle cose dilettabili, che la natura in tanta copia creò,
rallegra eccessivamente l'uomo, e troppo lo amica alla vita; quella
poi del sepolcro ignudo di ogni conforto, lo deprime troppo col
rammentargli sempre ch'è polvere; all'opposto queste tombe rallegrate
dalla vegetazione dei campi temperano l'anima nostra a giusta misura:
per loro meglio che per ogni altro insegnamento s'impara che lo spirito
dell'uomo è crepuscolo di un giorno che muore e di un giorno che nasce;
il suo intelletto, baleno che può nella breve durata segnare una parola
di Dio nella faccia del firmamento; nè la stessa materia trasformandosi
merita querimonia o almeno sì grande, se è destinata a crescere la
massa delle cose capaci a giocondare la vita, di chi viene dopo di noi.

Anche Bastia, città che più delle altre sente l'alito che le viene
dallo straniero pel mare, conserva la religione delle tombe e ne
mostra gremita una valle che prolungandosi per le coste di Santa
Lucia e di Gardo arriva fino su l'alture dell'antica pieve di Pietra
a Bugno; anche di giorno non si contempla senza venerazione, ma nelle
notti divinamente serene di state quando la brezza chiusa nella forra
rende vocale ogni pianta, e gli usignuoli empiono l'aere di note e
le lucciole di splendori, sicchè tu pensi che il canto accenda l'aria
la quale giubilando mandi faville; e la luna consola con la sua luce
benedetta le tombe dei defunti e l'anima di chi affettuosamente gli
rammenta, se mai ti avvenga affacciarti dall'altura che sta alle spalle
della tomba degli Arena, ben sei feroce se non ti sentirai commosso
da religioso terrore, ben duro se non ti parrà vedere uscire pallide
larve dai sepolcri e udirle scambiarsi miti colloqui, ben selvaggio se
non comprenderai come la salute di un popolo non è mai disperata finchè
conservi così profonda la reverenza pei morti.

Visitano le tombe i congiunti e spesso gli amici, ma in troppo maggior
copia donne che uomini. Le parenti aprono le porte e chiudonsi dentro
sicchè di rado si vedono; le amiche poi s'inginocchiano su la soglia
col capo appoggiato alle porte di ferro e quivi pregano intensamente,
così fervidamente, che passo di viandante nè di somiero vale a
scoterle, anzi neppure gridi scomposti o strepito di cosa che accenni
a danno avvenuto, o li minacci; e di questo io faccio fede perchè l'ho
sperimentato. O come ama la donna, quando ama davvero!

La famiglia Alando possedeva le sue tombe nel procoio della Restonica
o di Santa Colomba; però parve plausibile la causa che trattenne la
Francesca Domenica, molto più che si diceva, ed era naturale, che
l'angoscia di trovarsi sola superstite di tutta la famiglia le avesse
alterata la mente: per ultimo senza grave pericolo non si sarebbe
potuto trasportare la Serena che ormai presso a morire tornava
in chiave non si allontanasse dalla tomba; vi fu anche taluno che
ripetendo queste novelle aggiungeva per via di arguzia che la signora
Alando nel perdere il cervello ci aveva guadagnato un tanto, perchè era
da dubitarsi se sana avrebbe saputo eleggere così savio partito.

Altre sventure, che non sono queste, sprofondano nel mare morto dello
interesse umano con minore scompiglio della triste superficie: così per
qualche giorno la commiserazione del caso sonò universale; in capo ad
una settimana le opinioni si divisero e parecchi cominciarono a dire
ch'era doloroso comprare a questo prezzo la pubblica tranquillità, ma
che pure la proviamo tanto necessario elemento all'ordinato vivere,
che qualsivoglia prezzo non si può stimare mai troppo; altri poi si
attentarono predicare addirittura ch'ella era stata grazia di Dio, e
avrebbero dovuto appendere il voto, dacchè la rabbia si era manifestata
fra i cani, e il paese veniva a purgarsi dai banditi senza scapito
incamminandosi bel bello a quel grado di civiltà che stava in cima dei
pensieri di sua maestà cristianissima, che era Luigi XV, il quale per
avventura a tempo avanzato ne favellava con la madama Dubarry.

Francesca Domenica si conduceva quotidianamente e spesso anche più
volte al dì, non meno che la notte, a visitare la tomba del figliuolo;
chiudevasi nella cappella ed attendeva a fare colletti di vettovaglie
di facile trasporto: e col continuo portarvi robe, la cappella aveva
preso l'aspetto di una canova, senza, per mio avviso, dispiacere
dei santi colà dentro dipinti. Ella poi per ripararsi dal freddo
o per altre cause si era vestita di una cappa nera col cappuccio
parimente nero: sebbene non avesse dato più in ismanie come il giorno
della morte del figliuolo, all'opposto assunto un fare malinconico,
non per questo sembrava le fosse tornato il cervello in sesto; ed
invero ella procedeva sempre col cappuccio tirato giù su la faccia,
e borbottava parole senza discorso, sicchè all'ultimo i fanciulli
avevano preso a impaurirsene, e le mamme per farli stare cheti non
trovavano meglio che minacciarli così: «ecco che viene la donna
nera!» Siccome la superstizione di sua natura è male attaccaticcio,
le mamme nell'applicarla altrui la svegliarono in sè stesse, onde se
qualche faccenda andava loro al rovescio, subito ne incolpavano il
mal di occhio della donna nera; se incinte la incontravano per via,
sputavano subito per gittare il fascino per terra, gli uomini vennero
più tardi, pure vennero anch'essi non mica per affannarsi della moglie
o dei figliuoli, bensì per la vacca, il vitello, il cavallo e le
capre, perchè vivono rari ma rari bene i villani i quali tutte queste
creature non antepongano alla moglie, ed anco un tantino ai figlioli.
Crebbe il terrore per averla veduta, come affermavano, nella stessa ora
in più luoghi; tali gli atti, il sembiante il borbottìo e le vesti:
un paesano giurava averla incontrata a pie' dei colli di Tiventoso
dond'era partito la mattina all'alba su di un cavallo che volava, ed
essere rimasto di sasso quando traversando la strada che passa davanti
al procoio di santa Colomba le apparve in procinto di uscire di casa
quieta e composta come se fosse uscita allora dal letto.

Senza incontrare molestia così durarono fino agli ultimi di gennaio.
Ferrante vestito di una cappa nera col cappuccio tirato su gli occhi
imitando i passi e i gesti di Francesca Domenica si recava ogni lunedì
alla posta dov'essa lo aspettava e date e ricevute le salutazioni,
ei metteva su le spalle e pigliava sotto le braccia i colletti delle
provvisioni recandole su la cima delle rupi; a sollevarlo da tanta
fatica lungo la via più erta rinveniva i compagni, e tra di loro
nascevano sempre liti intorno al volerla portare fino alla grotta
Ferrante, e al volergliela torre i compagni, e sempre finivano col
levargliela e lasciarlo addietro stanco com'era. A quei giorni Ferrante
richiesto le centinaia di volte si adattò ad appagare un desiderio di
Francesca Domenica dal quale egli aveva tentato dissuaderla invano,
ed era di voler ad ogni costo salire sul monte per refrigerarsi un
po' il cuore con la cara vista del figliuolo suo: andò pertanto il
Canale la notte del lunedì, si tenne nascosto nella cappella tutto
martedì mattina, e come battè l'un'ora di notte si mise con la
Alando in viaggio: avevano lungo tempo discusso fra loro se giovasse
meglio mutare vesti o andarsene ambedue con la cappa ed il cappuccio
neri: dopo avere ventilato bene il guadagno e lo scapito, decisero
mostrarsi ambedue con la cappa e imbacuccati, imperciocchè se occorreva
che qualche Côrso li vedesse insieme, avrebbe creduto incontrare
i _battutoli_ e sarebbe fuggito via peggio che se lo cacciasse il
Trentadiavoli.

Il giorno gli sorprese a piè dei colli, giorno infermo, promettitore
fino dal suo nascere di uggia e di guai; sembrava rovesciato l'ordine
della natura per modo, che il cielo non mandasse più la luce sopra la
terra, bensì questa illuminasse il cielo; infatti le pendici coperte di
neve spiccavano di luminosa bianchezza sul fondo grigio dell'orizzonte.
Nel mettersi dentro l'angusto calle Ferrante, e' sembra che gli
occorresse cosa che lo inquietasse, perocchè non valse a frenare un
moto di fastidio, il quale avvertendo la sua compagna gli domandò:

— Ch'è ciò, che vi molesta?

— Nulla.

— Che serve! Vuolsi serbare segreti con me?

— Mirate! Mi mettono malumore addosso queste pedate qui...

— Mi sembra, che non ci sia ragione da ombrarvene; e' posseno essere
scesi fin qua, e poi risaliti...

— Ma allora perchè non appaiono punto orme all'ingiù?

— Forse quando scesero non nevicava, o forse tanto si trattennero giù,
che la neve novella ha coperto le traccie della vecchia.

— Dio ci aiuti, ma camminiamo con precauzione.

Il sentier di cotesto monte, o piuttosto di quello ammasso di roccie si
avvolgeva per contigui giri, ed ora saliva, ora scendeva per erpicarsi
da capo.

   [Illustrazione: E non è giusta, Clemente, che riceva il
   battesimo di solo sangue côrso; fa, o fratello in Cristo,
   diceva il frate moribondo, di mescolarvici un tantino di
   sangue francese (_pag. 460_)]

Ferrante nell'avvicinarsi a certa vetta udì parole, che gli portava il
vento, però accostandosi con maggiore studio, ficcò il capo in mezzo
alla spaccatura di uno scoglio e declinati gli occhi vide quello, che
pur troppo temeva di vedere, i micheletti del provinciale, i quali ad
argomentarne dagli atti, andavano in su di malavoglia. Dietro tutti
il capitano Orso Campana che, ormai vecchio, e di persona grave, si
era fermato a discorrere, e quasi avrei a contendere con un officiale
francese: difatti così alto favellava, che il Ferrante, tra altre
molte, ebbe abilità di udire queste parole: — Per me, le mi paiono cose
da matti, mio padrone riverito, perchè, stia qui col cervello, o e' ci
sono, o e' non ci sono; se non ci sono, corriamo il rischio di morire
stecchiti innanzi di arrivare lassù; e se ci sono, posto che vinciamo
la prova del freddo, rimane a superare quella del fuoco: veda che i
soldati non possono camminare eccetto che ad uno per volta, sicchè un
uomo solo in qualche giravolta può fare testa a tutti; oltre questo
ci è un altro pericolo da non disprezzarsi punto, e consiste in un
nuvolo di pietroni, che già sento piovermi addosso. Ora, padron mio, è
chiarito, che in Corsica capi a prova di pietre non ne sono mai nati.

— Ed in Francia neppure, signor capitano. — Dunque come avremmo a
comportarci?

— Veda! con modi assai destri disfacendo il fatto; tornarcene a basso,
mettere un picchetto in fondo alla salita, entrare in qualche casa
di pastore per asciugarci e riscaldarci; mangiare un poco, bere un
tantinello di più, riposarci fino a domani, che il tempo sarà senza
dubbio migliore: allora esploreremo il colle, e vedremo se oltre questo
offre altri sentieri; se gli ha vi ordineremo sentinelle raddoppiate:
insomma convertiremo l'assedio in blocco.

— Pure quel leggere il proprio nome nel rapporto al re, che il capitano
Lepitre, in mezzo ai turbini della neve, e a un nuvolo di palle, acqua
e fuoco come vedete, ha scalato una rupe retta a perpendicolo, dove ha
reciso l'ultima testa all'idra della ribellione, bisogna convenire che
sarebbe superbo, magnifico!

— Il blocco però è più certo; e dubito forte se della nostra impresa
vorranno farne rapporto al re; più forte dubito se riputeranno glorioso
un assalto contro banditi; credo poi, che il re non leggerà nulla, e
quando leggesse, è sicuro che gliene importerà anche meno.

— E pure mi sembra che ad assalire queste rupi ci sia pericolo quanto
a montare su la breccia di Anversa o di Bergop-Zoom.

— Avete proprio trovato il tasto; il pericolo ci è anco maggiore; ma a
morire qui equivale a recitare la Fedra del vostro Racine sur un teatro
di fiera anzichè sul teatro di Versaglia: a tutte le cose bisogna
scegliere il tempo opportuno; anco a morire.

— Addietro, comandò il nostro capitano Lepitre; voi mi avete dette
cose, che rasentano molto il senso comune.

— Raccomandatevi a Dio di udirle una volta l'anno almeno, come la
chiesa comanda la confessione, e allora può darsi che ci facciate
conoscenza.

Prima assai che questi officiali ponessero fine ai loro ragionamenti
agro-dolci, Ferrante si era ritirato dal fesso e persuaso la Francesca
Domenica a volgere le spalle. Le parole che mutarono fra essi furono
rade ed amare: venuti in fondo, Ferrante si raccomandò alla donna
tornasse a casa; egli avrebbe fatto prova di trovare qualche calle che
lo guidasse fino su la cima; par quanto amore portava alla Madonna,
porgesse ascolto ai suoi consigli.

— Vi ho detto, che voglio vedere mio figlio.

Queste parole furono profferite con la voce della disperazione che dopo
aver pianto le sue lacrime siede sopra una pietra in mezzo della via,
guardando il cielo senza pregarlo nè maledirlo. Ferrante tacque, e le
prese a camminare avanti.

Codesto ammasso di roccie va come la più parte dei monti dell'isola
composto a strati, talora perpendicolari tal'altra pendenti a destra
o a sinistra, sovente ti sembra che la natura, volendo spaccarli, dopo
averci fitto dentro il cuneo ci picchiasse sopra due o tre martellate,
e poi distratta smettesse il lavoro in tronco senza ripigliarlo più;
così quelle aperture si presentano ad angolo, e per dirla alla povera,
a modo di V: le acque piovane scolando per questi canali ci hanno
scavate buche, dentro le quali puoi mettere un piede, e così andare
su su inosservato anche da cui stesse dieci passi discosto, come per
una scala: se non che sovente gli scavi cessano, la pietra casca giù
a perpendicolo e a te non avanza far altro che dopo mirato due volte o
tre quel lavoro condotto coll'archipendolo, tornartene addietro.

Ferrante si cacciò dietro uno di questi fessi e sentiva dietro a sè
la madre di Altobello mettere il piede nell'orma ch'ei lasciava: non
profferiva parola, e gli pareva non avere mai palpitato di speranza
e di terrore come adesso; però fin lì non avevano incontrato intoppo
che non avessero potuto superare con mediocre fatica; anzi parve a
Ferrante discernere qua e là qualche vestigia di opera di uomo, sia per
allargare, sia per assicurare il cammino; già la gioia gettava su la
sua anima un raggio sbiadito sì quanto il crepuscolo di autunno, pur
sempre affetto diverso dall'angoscia, quando, quasi per fargli scontare
codesto atomo di contentezza, lo percosse il fragore del torrente:
gli corse lungo i reni il sudore freddo, presagendo che in breve si
sarebbero trovati su l'orlo di una fenditura impossibile a passarsi.
Raddoppiò il passo come uomo a cui l'incertezza pesi più insopportabile
del danno; nè si era punto ingannato: in cotesta parte delle roccie, in
mezzo ad una apertura, rovinava uno dei cento torrenti della montagna.
Ferrante si sentì mancare il respiro, la vertigine un momento lo
prese; un momento, perchè fu uomo d'anima e di nervi di ferro: allora
esplorando meglio conobbe, comecchè la neve caduta li coprisse, che
nel fianco del dirupo erano stati a forza di scalpello condotti incavi
dove poteva appoggiare il piede per discendere; certo col precipizio
da un lato, il monte quasi a perpendicolo dall'altro, e cotesti buchi
dalla neve resi sdrucciolevoli e ciechi, non presentavano cammino gran
fatto dilettabile; ci voleva occhio, piedi e cuore saldi, Ferrante e
Francesca Domenica li possedevano.

A mezza costa cessava il sentiero, se sentiero può dirsi, sopra uno
scoglio sporgente in fuori dal fianco della rupe, e dal fianco opposto
si osservava sporgere uno scoglio uguale, quasi due mensole lavorate
dal terremoto quando egli si mise a fare da maestro muratore nel
mondo, o piuttosto due gheroni laterali di ponte, che o non compì,
o compito per ghiribizzo ruppe. Da molti secoli stavano l'uno contro
all'altro senza potersi più riunire, pari a due fratelli, che l'odio
abbia divisi; invano ravvisiamo in loro la origine comune, invano i
segni del medesimo grembo che li portò; del medesimo seno che porse il
latte ad entrambi; le loro anime mostrano le ferite insanabili, che si
sono recate scambievolmente; se ambedue avessero ad essere accolte in
paradiso, una delle due supplicherebbe in grazia la precipitasse Dio
nell'inferno. Anche quando dello amore di tutti gli angioli potesse
tessersi un laccio, non varrebbe ormai a rilegare due cuori pei
quali l'odio divenne la più acuta delle gioie, il più spasimante dei
tormenti, la sorgente unica della vita.

Il torrente stretto fra codesti scogli urlava come lupo preso a mezza
vita dalla tagliuola; le acque compresse si avventavano contro la rupe
con rabbia impotente, pari alla vipera dardeggiante la lingua contro
il villano, che gli spezzò i reni; quantunque di mole più angusta non
era questo spettacolo meno tetro di quello notato da Altobello; così
l'Averno antico traversavano parecchi fiumi nella difformità loro tutti
ugualmente terribili.

E pure l'uomo perseguitato dall'uomo aveva conteso quei luoghi agli
uccelli rapaci, imperciocchè oltre il sentiero scalpellato su la
parete della rupe apparisse un nuovo segno della presenza di lui in
due tronchi di albero gittati sopra le mensole che abbiamo descritto,
e stretti insieme con corde di spartea. Da quanti anni durava costà
codesto ponte? Erano fradici i legni e tuttavia capaci di sostenere
il peso di un corpo umano? Cotesta spartea che pure pendeva giù
sfilacciata avrebbe bastato a tenerli uniti? Chi lo sapeva? Chi poteva
saperlo? Una cosa era certa, che verun ponte del mondo somigliò tanto
quello che Maometto immaginò attraversare l'inferno. Ben è vero, che
Maometto sotto l'Al-sirat mette fuoco, e qui rovina l'acqua, ma di
qualunque caschi di sotto a quello od a questo, la perdizione sarà del
pari sicura.

Occorrono casi nella vita, intorno ai quali se tu, sebbene animoso,
pensi più di una volta, rifuggi sbigottito: il passo di questo ponte
poni addirittura tra quelli, e Ferrante non avrebbe mai pensato a
traversarlo se non ci si fosse trovato sopra senza sapere come: appena
giunto in cima dall'altra parte, provò rimorso della sua audacia,
immaginò l'affanno della povera madre rimasta su l'altra sponda senza
potere a posta sua varcare, sentì quale cuore in codesto punto doveva
essere il suo nel sospettarsi abbandonata; e allora si volse d'impeto
per gridare alla madre stesse sicura, ch'egli lo ripassava subito per
andare fino a lei; ma con meraviglia pari allo spavento egli la vide
pallida e sicura venuta fin'oltre a mezzo del ponte. Egli non ardì
dirgli una voce di conforto, non mormorare una preghiera per lei; le
facoltà della sua vita rimasero sospese; si peritò perfino a porgerle
la mano per aiutarla. Ella pose il piede dall'altra parte senza dare
a conoscere paura del passato pericolo, o allegrezza di averlo vinto;
solo a Ferrante, che s'inchinò dinanzi a lei per baciarle l'orlo della
veste, ella sollevandolo disse:

— Voglio vedere mio figlio.

La via dall'altra parte, tenuto di conto delle asperità incontrate fin
ora, poteva dirsi agevole, non perchè piana, ma perchè gli scalini i
quali tornavano a salire erano scavati con abbastanza larghezza; mentre
ascendevano notarono parecchie grotte, che avevano aspetto di più
comode delle altre fin lì abitate dai proscritti, e talune apparivano
difese da un po' di muro e da un assito a mo' d'imposta per ripararle
dal vento, adesso logore per vetustà. Di sopra le grotte tornarono i
mali passi, ma nel presagio che fossero gli ultimi, si fecero cuore; di
vero questa volta la speranza non li deluse, e dopo averci adoperato un
po' le mani ed i piedi, si trovarono su la spianata in cima al monte.

I proscritti voltavano tutti le spalle dalla parte dove sboccava la via
consueta, e là intenti miravano, sia che fosse giunto fin lassù qualche
insolito rumore, sia che si struggessero nella impazienza di vedere
arrivare Ferrante: erano tutti a un dipresso della stessa statura, le
vesti o piuttosto gli stracci in tutti pari, e pure Francesca Domenica
non isbagliò a riconoscere il figliuolo suo. Non lo chiamò perchè il
tremendo anelito non concedeva l'adito alla parola, ma egli la sentì,
però che ei volgesse come presago, e per ben due volte con suono di
voce, che non può ridirsi, esclamò:

— Mamma! mamma!

Mamma, e non madre, chiamano i Côrsi, dacchè come per proverbio
ripetono spesso gentilmente, che _per dì mamma s'impiccicanu e labre
duie volte_, cioè _si baciano due volte le labbra_. Coteste due
povere creature si abbracciarono, si strinsero, la bocca incollarono
sulla bocca, un medesimo alito fatto di due fiati respirarono;
pareva volessero confondersi co' corpi come con la respirazione; non
parlarono, o piuttosto si parlarono coi palpiti, cuore sovrapponendo
a cuore; e certo troppe più cose, e troppo meglio si dissero con un
palpito solo che con la favella. Il corpo è carcere così dell'anima
come della intelligenza; e il pensiero schiavo della materia non può
riscattarsi dall'avaro carceriere se non gli lascia in mano massima
parte del tesoro dei suoi concetti.

Che cosa è mai il tempo per coloro, che lo vorrebbero spento? E questi
sono di due maniere enti; o i troppo felici o i troppo miseri; ai
primi qualunque durata pare meno di un baleno, ai secondi rincrescono
i minuti come la eternità; Altobello e Francesca Domenica per doppia
cagione potevano avere smarrito la misura, ma in quel momento si
sentivano felici. Ferrante fu quegli che, osservando declinare
il giorno, si attentò mettersi fra mezzo a quei santi affetti, e
ricondurre le anime immemori ai tristissimi uffici della vita, e:

— Signora, diceva, la luce presto vien meno sul fianco orientale della
montagna, e voi correte risico di restare quassù.

Francesca Domenica di tanto non potè tenersi, che non facesse
spalluccie. Altobello, il quale conobbe tosto quella non essere la via
per venire a conclusione con sua madre, soggiunse:

— Mamma, osservate, che voi siete l'unico legame, che ci unisca al
mondo; se voi aveste a restare chiusa qui con noi, voi perdereste
la vita, e questo non vi importerebbe gran fatto, ma con la vostra
perdereste anco quella di questi valorosi giovani... ed anco la mia.

— Tu parli da quel savio figliuolo che fosti sempre, Altobello;
affrettiamoci, via; accompagnami fin qua oltre che la via non è troppo
dirotta, e ragioneremo scendendo.

Fu allora, che Altobello pose mente al nuovo sentiero donde erano
venuti la madre e Ferrante, e maravigliando interrogò perchè avessero
tenuto cotesta inusitata via per salire, e perchè trascurassero la
vecchia per discendere: saputane la cagione, osservò non parergli cosa
da farne caso, anzi ci spese sopra un motteggio, o due; e tuttociò per
non apportare giunta di angoscia alla madre, mentre in fondo dell'animo
vedeva con terrore stringersi il cerchio come quello in cui viene
preso lo scorpione, al quale non avanza altro scampo che uccidersi
per non restare ucciso. La madre interrogata da lui intorno a Serena,
e che facesse, e come si portasse, e se la infermità le dava tregua,
a sua posta con pietosa menzogna lo accertava non andare di peggio,
correre per le malattie di petto la stagione, oltre l'usato rigida,
veramente dannosa, pure aversi a sperare che presto rimetterebbe della
sua asprezza; certo la povera Serena al primo alito di primavera si
sentirebbe ricreata; intanto ella pensare sempre a lui; da mattina
a sera non rifinire mai raccommandarlo alla beata Vergine, a Dio e
a tutti i suoi Santi; ed anco a raccomandarsi a lui affinchè non si
cimentasse senza necessità; per ora stesse quieto; quando finirebbero
mai cotanti affanni? E ancora io, ti supplico come sorella in Gesù
Cristo, e come madre ti comando a non esporti. A questo pensa, che
tu ti metterai a pericolo di vita forse una volta in capo al mese
e noi ti ci tremiamo dieci volte all'ora; pensa che nell'ardore del
combattimento tu non puoi e tu non devi ricordarti di noi, ma noi non
cessiamo un minuto di averti dinanzi gli occhi.

Così di parole in parole scesero su la parte avanzata, che faceva
risega alla montagna dove stavano appoggiate le teste degli arbori.
Altobello non s'immaginando nè pure per ombra che sua madre avesse
quinci a passare, esplorava attorno come procedesse la via: quando
seppe non presentarsene altra eccetto quella del fiero ponte si volse
alla madre per impedirle con preghiera il passo, ed esperto della
ferrea volontà della madre sua, disposto ad usarci anco la forza; ma
non fu a tempo perchè Francesca Domenica già ci avea messo sopra il
piede; allora egli si chiuse gli occhi per non vedere; quando gli
riaperse avvisò la madre in salvo dall'altro lato che gli mandava
saluti col cenno della mano; subito dopo disparve nelle ombre del
crepuscolo che moriva.

I proscritti tornavano taciturni alla grotta; tanto gustarono di cibo
e bevvero vino, quanto bastava a mantenerli in vita; quasi per tacito
accordo cotesta sera non alterarono ragionamenti; mesti, scorati
giacquero su la massa di foglie, che serviva loro di letto, e come
poterono meglio si schermirono dal freddo con le pelli di capra;
fingevano dormire, ma la vigilia dell'uno si palesava all'altro col
frequente crosciare delle foglie peste dallo spesso dare di volte
sull'uno e l'altro fianco ch'essi facevano, con gli sbadigli convulsi,
ed anco con qualche gemito comecchè soffocato.

Alla dimani poi seduti sopra i loro giacigli tennero parlamento;
molti e varii i pareri e concludenti poco come accade nelle estreme
angustie; piacque su le altre la opinione di Ugo della Croce, la quale
fu, non aversi punto a credere che la guardia della costiera dovesse
durare; cotesta essere una scorriera passeggera del provinciale, se
già a quell'ora non era cessata; parergli impossibile che i soldati
lungamente si trattenessero costà, massime nella perversa stagione,
molto meno volessero stanziarvisi, privi di asilo per ripararsi
dalle intemperie; e questa opinione piacque non mica perchè fosse
più giudiziosa delle altre che furono emesse, ma perchè meglio delle
altre garbava, chè l'uomo comunque sagace è fatto così, e di colta
crede sempre a tutto ciò, che più lo lusinga, o che l'offende meno.
Così anco in mezzo alla procella un raggio di sole trova la via tra
nuvolo e nuvolo per dare agli uomini speranza, che cotesto scompiglio
della natura cesserà presto; ma come quel raggio in breve si dilegua
così disparve da cotesti cuori la fiducia ricadendo nel buio della
disperazione. Tuttavolta statuirono che Ugo sarebbe andato a specolare
se il suo presagio rispondeva al vero, e Ferrante per la nuova
strada a vedere se da cotesta parte fosse rimasto sgombro il passo.
Ugo tornò fedele come la colomba dell'arca, ma non portava come lei
fronda di olivo; contro la sua previsione i soldati del provinciale
avevano preso stanza a piè della salita, e fabbricataci una capanna
per dimorarci la notte. Ferrante venne più tardi, ma non recò migliori
novelle; egli si era arrisicato fino alle case dei montanari, e mentre
si avvisava penetrare dentro la più appariscente, averla con somma
meraviglia rinvenuta aperta cioè senza traverso alla porta, perchè su
i monti le case non abbisognavano a quei tempi serrame più solido di
un segno qualunque, che attestasse la volontà del padrone, che nessuno
s'introducesse in casa sua; non dimanco entrato egli scorse un uomo in
atto di rovistare: temendo di essere scoperto, senza punto pensarci si
trovò ad avere inarcato il moschetto pigliando di mira il malcapitato
montanaro: quegli però non mostrando cenno alcuno di viltà avergli
detto: — giovane, non fa caso, alzate su lo schioppo che io non fui mai
traditore, nè incomincierò adesso. Alla voce sicura, alla sembianza
onesta essersi arreso, e quegli, cavato di seno l'_abitino_ della
Madonna, averlo scucito e trattone fuori una cartuccia gliela porse
dicendo «Sapete leggere?» ed egli lesse così: «Noi Pasquale Paoli,
generale del regno di Corsica, facciamo fede come Asone di Tavera
meriti la riconoscenza della Patria e la riverenza di tutti i buoni
patriotti; nelle condizioni in cui ci versiamo non ci è dato, oltre
questa, largirgli altra ricompensa: ella basterà al suo cuore generoso,
non basta all'obbligo mio e alla gratitudine dei suoi concittadini.
Vivario, 10 giugno 1769. Pasquale Paoli.» Dopo ciò, deposto ogni
ritegno Ferrante avergli aperto lo stato suo e dei compagni, e quegli
così averlo ammonito: — figliuolo mio, la è una matassa arruffata;
credete, il meglio sarebbe seguitare il consiglio della signora Alando,
recarvi a San Bonifazio cogliendo il tempo opportuno, e ripararvi in
Sardegna; ma, poichè mi dite questo esservi tolto dalla religione del
giuramento, io vo' che sappiate aspettarvi sicurissima prigionia e
morte, se mai vi attentaste avventurarvi verso Corte: piena dei soldati
del provinciale la campagna; veruna capanna, verun casolare senza
micheletti o spie: ogni viandante sottoposto a sottili indagini; a lui
pastore, tornato a casa a pigliare certo danaro sepolto per comperare
bestiame, che, stante la rea stagione, molti del piano gli offerivano
a grato prezzo, non essere stato concesso arrivare fin là senza
passaporto e mallevaria di due notabili bastiesi, senza andare soggetto
a quattro visite lungo il cammino. Ferrante allora, interrogato Asone
se, tornando in Casinca, piglierebbe per Corte, e quegli rispostogli di
sì, averlo pregato di porgere avviso di tutto l'accaduto alla signora
Alando, e quegli avergli promesso; di più sarebbe andato in cerca per
quei luoghi di castagne, e, se gli venisse fatto raccoglierne, le avria
portate in casa, dove Ferrante a bello agio poteva andarle a trovare.

Asone mantenne la promessa, portò circa un sacco di castagne in casa
sua, e passando da Corte, tentò fare l'ambasciata alla signora Alando;
visitarla non gli pareva ben fatto, e poi non gli sarebbe ad ogni modo
riuscito; allora prese lingua del confessore della Francesca Domenica,
e, conducendosi da quello, sotto pretesto di confessione lo supplicò
ragguagliasse la signora Alando di quanto concerneva il suo figliuolo:
poi l'uomo dabbene andò pei fatti suoi, ed il Pievano adempì anch'egli
il carico preso.

La ragione, per la quale il pastore da Tavera non si era attentato
visitare la madre di Altobello, fu questa, che il governo ormai deciso
di sterminare il seme dei banditi, ordinò si sostenessero i parenti
più prossimi di quelli, e ai più lontani, come pure gli amici, si
minacciassero asprissime pene, caso mai ardissero provvederli di
vettovaglia; sperando in questa maniera gli avrebbe spenti la fame.
Francesca Domenica, compassionando altrui, sè confidava immune da
cotesto bando, ma non accadde così, imperciocchè, o cominciasse a
sospettarsi la verità della morte del suo figliuolo, o quale altra ne
fosse la causa, comecchè ritenerla prigioniera non si attentassero,
pure le misero sentinella alla porta, con ordine di vigilarla dovunque
avesse indirizzato il passo, e pigliare nota di quanti la visitassero;
onde, se togli il pievano e il dottore, gli altri tutti, per paura di
perdere, o di non acquistare, si rimasero da frequentarla.

Dopo la partenza di Francesca Domenica, una maniera di smania febbrile
invase i nostri proscritti, e li condusse a rifrugare tutte le latebre
della costiera per vedere se, oltre le due conosciute, offerisse
qualche altra via di scampo; ci si affaticarono attorno per più di un
dì, aggrappandosi ai rocchi con le mani, ovvero calandosi agguantati a
qualche fune, e sempre invano, perchè di botto si parava loro davanti
uno scoscio formidabile tagliato a perpendicolo, dove le corde non
bastavano, ovvero una seguenza di scogli appuntati e taglienti, dove
avrebbero lasciato a frusto a frusto la carne e le ossa senza venirne
in fondo. Allora, cadendo la febbre, prese a impossessarsi di quei
meschini una tristezza grave, infinita, che in breve doveva condurli ad
amare la morte come l'amica più fedele della loro vita.

Primo a cascare sotto il peso del tedio fu Rutilio Serpentini, che
ricercato il giorno appresso a levarsi dal suo giaciglio di foglie di
castagno, rispose:

— Non mi annoiate, mi sento le membra e l'anima stanche.

Coteste parole erano profferite con voce pacata, e pure contenevano in
sè tanta preghiera e sconforto e minaccia, che i compagni ne rimasero
scossi; e lasciaronlo stare; ciò poi accadeva perchè con echi simili
tutto il loro ente ripeteva cotesto grido. Uscirono i quattro più
perseveranti e spesero il giorno come gli altri; la notte passarono
vigili e non pertanto silenziosi: quando un poco di raggio si fu messo,
non senza sforzo, sorto in piedi Altobello, disse agli altri:

— Andiamo.

Ferrante, appuntellandosi sul gomito ed aiutandosi con le mani, giunse
a mettersi diritto, non così gli altri tre, e Ugo della Croce ponendosi
ambedue le mani sotto il capo, e le gambe tenendo rannicchiate una
soprammessa all'altra, sbarrata la bocca a lungo sbadiglio, disse:

— Io vo' dormire.

Romano da Colle, scosso più volte, non rispose nè meno.

Come il vento trasporta i semi da una pianta all'altra, così la inerzia
del Serpentini durante la notte si era appiccata ad Ugo della Croce
ed a Romano, nei quali avendo rinvenuto il terreno disposto vi aveva
prodotto germogli e frutti. I due rimasti si strinsero le spalle e
uscirono soli; perchè? Ritentare le cose disperate è supplizio che
si legge imposto nello inferno ai perduti; si consigliarono pertanto
scendere il monte per la via ultima scoperta e spiare se ci fosse modo
alcuno allo scampo. Il ponte, che prima mise spavento ad Altobello,
ormai per frequenza ei non curava; quando non fosse stato così, ei si
sentiva tale da non reputare sventura precipitarsi di sotto. Pervenuti
al lembo del bosco si divisero, pigliando questi da un lato e quegli
dall'altro, dopo molto errare si riunivano, e ricalcando la sera
avviliti la strada, quasi sempre si ripetevano le medesime novelle:
avere scorto la campagna gremita di picchetti, parte fermi in case o
capanne, e parte in giro; ora si erano potuti sottrarre alle costoro
esplorazioni celati dietro il fusto di un larice girando via via che
i micheletti procedevano, ed ora rannicchiandosi dietro un sasso: tale
altra dovevano lo scampo all'essersi ficcati sotto la neve: impossibile
pertanto pareva loro scivolare da cotesta catena; si sentivano presi
non come uccelli in gabbia, bensì come belve nei parchi, e destinati a
cadere inevitabilmente sotto i colpi del carnefice: di fatti, con quale
speranza, sfuggiti dal primo picchetto, avrebbero evitato il terzo ed
il quarto? Come traversare inavvertiti tanto spazio di via? Come senza
sospetto entrare e stare nelle terre? Almeno possedessero qualche panno
da travestirsi, ci era da correre il rischio! ma non avevano altra
veste eccetto i cenci che portavano addosso, e la cappa nera, uguale a
quella che usò per lo addietro Francesca Domenica, ormai nota e presa
appunto di mira: non ci pensiamo più: abbiamo lottato quanto a forza
umana era concesso: contro il destino non vale dare il cozzo; e nè noi
sortimmo dalla natura nervi di ferro, nè Dio ci dotò della sua potenza
per poterlo vincere.

Ultimi giacquero disfatti dalla empia virtù del tedio, epperò il
tracollo di loro fu più duro di quello degli altri. Sentirono farsi
pese le membra, a fatica sollevarono le mani non altramente che se
fossero di piombo, appena le stendevano a pigliare cibo o bevanda
molestati dalla fame; e bisognava che gli stringesse suprema qualche
altra necessità perchè si movessero da giacere; l'aria stessa provavano
greve e sul petto una sbarra di ferro come anticamente ponevano in
Inghilterra su quello dei traditori. Da prima gli stimolò continuo il
bisogno di stirare le braccia, sbadigliare, allungarsi con la persona,
poi parve loro più giovevole lo starsi rannicchiati senza muoversi;
spesso gli pigliava un languore di stomaco, cui tenevano dietro due o
tre boccate di acqua; di breve i languori si mutarono in granchio, e
il vomito dell'acqua in sete; ad ora uno zufolìo increscioso fischiava
dentro le loro orecchie, e davanti agli occhi turbinavano nuvoli di
faville. Tale il corpo; la facoltà intellettiva non sonnecchiava,
bensì si struggeva in opera inane, imperciocchè la tenesse assorta
la contemplazione di un punto fosco dal quale, invece di spicciare
luce, o idea o immagine, usciva, spandendosi ed infoscandosi vie più
sempre, il buio; gli era un tormento di sepolto vivo, o di anima
condannata alla custodia del suo corpo morto: per ultimo cotesto
punto diventava doloroso quanto una capoccia di chiodo ardente ma non
infocato, e allora un gemere vario empiva cotesto luogo già miserabile
per tanta sciagura. Se il cuore in loro vivesse non si accorgevano, nè
ci badavano; forse se quelli che li cercavano a morte fossero saliti
a scovarli fin lassù, mossi dall'istinto che domina ogni animale
per la propria conservazione, si sarebbero difesi, ma per andare
ad assaltarli eglino stessi anche con la certezza di vincerli, per
certo non avrebbono fatto un passo; il più mortale nemico loro poteva
passargli da canto senza paura, perchè lo avrebbero bene agguardato
alle spalle finchè non fosse scomparso, ma veruno avrebbe posto il dito
sul grilletto per isparargli dietro lo schioppo. Foglie secche, rimaste
a mezzo dicembre su l'albero della vita.

Pure Altobello un giorno con supremo sforzo si levò su le ginocchia,
e camminando carponi fino alla bocca della caverna, si rinfrescò la
fronte inaridita con un pugno di neve; scosse potentemente le fibre
del corpo gli dettero forza a rizzarsi, appoggiandosi ai sassi, ed
a muovere due o tre passi fuori, l'aria vivida gli cagionò le solite
vertigini, sicchè per poco non ricadde a terra, pure si resse; di breve
acquistò vigore da sgranchiarsi le membra, si agitò, rifluì vivido il
sangue nelle vene, la memoria e il pensiero tornarono nella consueta
loro sede.

Qual sede e dove? Racconto storie, non detto trattati di metafisica:
però basti al lettore sapere che la memoria e il pensiero tornarono
nella sede dove, senza dubbio, stanno il pensiero e la memoria.

E con la memoria tornarono gli affetti eziandio, però che appena
Altobello ebbe, per così dire, riscattato la sua anima, si fece
indietro ed affacciandosi alla caverna esclamò:

— Chi vuol vedere il cielo? Chi lo vuol vedere?

Nessuna risposta, ed egli da capo:

— Chi vuol vedere il cielo?

— Io lo vorrei, ma non posso; rispose una voce, la quale quantunque
roca, Altobello ravvisò per quella di Ferrante; allora quegli, come
pauroso dell'influsso dell'aere maligno, entrò di corsa e preso
Ferrante sotto le ascelle lo trascinò fuori della grotta: quivi gli
stropicciò la neve in faccia, gli stirò gambe e braccia; lo sovvenne a
rizzarsi in piedi, lo sostenne ritto; però parve che Ferrante non ne
restasse gran cosa soddisfatto, dacchè guardava Altobello a squarcia
sacco, e continuava a mostrare la sembianza stravolta come uomo a forza
desto.

— Orsù, disse allora Altobello, andiamo a vedere, se gli antecessori
nostri abitassero stanze più agiate delle nostre, perchè da questa
caverna dobbiamo uscire per sempre; dal soffitto come dalle pareti
sembra che stilli malinconia.

Ferrante gli tenne dietro senza rispondere; entrarono nelle grotte, e
le rinvennero meno spaziose della loro, ma più asciutte e provviste
di qualche comodità; ne avevano visitate tre e ne avanzava due
altre: una di queste era chiusa da un assito; lo remosse Ferrante, ed
allungando il piede per penetrarci inciampò in qualche cosa che gli
dette molestia; abbassando lo sguardo vide essere un teschio umano,
con altro ossame sparso la dentro; preso da subita stizza, sferrato
un calcio lo colse in pieno scaraventandolo a capitombolare per le
roccie; il teschio rimbalzando percosse su tre o quattro punte, e con
un suono fesso parve brontolare; poi caso volle che al quarto sguizzo
la scheggia di uno scoglio gli entrasse nel pertugio sotto la mascella,
onde vi rimase ritto, e dondolando a destra e a sinistra per ultimo
si rigirò, tenendo i fori degli occhi in su quasi per mirare chi gli
avesse usato villania.

Altobello non si potea tanto reprimere, che non gli uscisse questo
rimprovero di bocca:

— Voi non avete fatto opera buona, Ferrante?

— Che pretendereste voi? Forse che ad ogni teschio di bandito io mi
cavassi la berretta e gli dicessi: eccellenza?

— I morti sono sacri.

— Non i banditi.

— E noi non siamo banditi?

— Tra bandito e bandito ci corre; costui quando visse, mise le mani
nella roba altrui per cupidità, e nel sangue per vendetta privata,
mentre noi se c'insanguinammo le nostre, e' fu per vendicare i torti
della Patria.

— E chi vi ha detto che costui fosse bandito di questa ragione; o non
piuttosto uno dei padri, forse un compagno di Sampiero, condotto quassù
per la medesima causa per la quale ci riparammo noi altri? L'ossa di
rado chiariscono se appartennero al carnefice o alla vittima, ma il
luogo giustifica, e la storia, che c'insegna che la tirannide, vecchia
inquilina del mondo, in Corsica poi ci avesse le sue proprietà. E posto
anco che la cosa stesse come supponete, Ferrante, dove fossimo presi
pensate voi che proponendo cotesta distinzione ai nostri giudici, ce la
menassero buona, o piuttosto varrebbe a mandarci alla mazza più presto?

— Non so se mi varrebbe, perchè non la proporrei.

— Nè io meglio di voi, ma si figura per amore di ragionamento. Il
giudice apre il libro e legge: non ammazzare! — ma tu, ripiglia, hai
ammazzato: dunque, conchiude, hai da morire. Le scuse non contano, o
poco, perchè non mancano mai a cui non ne ha, e chi ne ha, sbigottito
le tace.

— Può darsi, che così sia coll'uomo, ma con Dio non ci ha mestiere
allegare scuse; egli conosce da sè le intenzioni.

— Voi dite saviamente, ma poichè non può conoscerle altri eccetto
Dio, lasciamone a lui la conoscenza e il giudizio. Se costui fu
ladro, chi sa quale stretta lo condusse alla colpa? La rabbia della
fame, l'avarizia altrui, la pietà forse o di padre, o di figliuolo,
tutte queste cause o distinte o congiunte insieme possono disarmare
la giustizia divina; e così pure l'omicida che, o per veemenza di
passione, o per irresistibile istigazione di parenti, o per necessità
di vendicare il sangue paterno, troverà se non perdono intero, almeno
benigno riguardo. La giustizia umana procede spietata perchè cieca.

— Voi avete più parole di un leggìo; a sentirvi dovrei vestirmi di
sacco e percotermi il petto con una pietra per aver dato un calcio al
teschio di un bandito.

— Non dico questo, bensì affermo, che nei casi dubbi è prudente
astenerci dal giudizio, e nei crudeli la carità vuole che veruno
offenda senza bisogno.

— Ed io, che da ventun'anno in poi licenziati i tutori, una volta
faccio come mi piace, ed un'altra come mi pare, e a cui non garba mi
rincari il fitto.

Altobello, nato e nudrito in Corsica, sapeva che l'anima del côrso
agitata dalla passione devia dalla rettitudine nel modo stesso che
urtata la bussola, l'ago si scosta dal polo, ma come questo a mano
a mano che la vibrazione va cessando ritorna dove la natura lo tira,
così l'anima côrsa nella quiete ritrova la via della giustizia. Per
la quale cosa tu vincerai co' Côrsi, se avendo ragione, ti lascerai
pel momento vincere; la contraddizione gli aizza, e quando il sangue
bolle, la superbia partorisce sofismi sopra sofismi, e villanie, e
non sopportabili ingiurie. Anche gli antichi loro legislatori ebbero
a considerare la triste conseguenza dei mali generati, da questo
perfidiare, epperò lo puniscono con gravi pene. Gli uomini educati per
ordinario appaiono guariti da tale difetto; i meccanici un po' meno, le
donne punto, e credo ormai che si giudichi infermità disperata.

   [Illustrazione: ... e le direte che ho pensato alla sua
   angoscia, e ne rimasi impietosita... (_pag. 361_)]

Pertanto l'Alando, messe da parte ogni altro rimbecco, lasciò solo
Ferrante con la sua coscienza, la quale non andò guari a bisbigliargli
dentro: tu hai torto. Ed egli, a lode del vero, non lasciò dirselo due
volte, ma subito dopo si levò in piedi, scese, si erpicò, e tanto mise
in opera le mani e i piedi che, ricuperato il teschio, se lo recò sul
braccio coll'atto amoroso di madre che porta il suo figliolo: depostolo
poi sur un masso gli si genuflesse davanti, e favellò agitato:

— E tu prima di me, come me e forse più di me, conoscesti le ore nere
del bandito, però perdona com'io ti avrei perdonato. — Quindi giunte le
mani, declinato il capo e chiusi gli occhi, recitò molto devotamente un
_de profundis_ per l'anima del bandito.

Altobello, scosso l'amico suo per una spalla, gli disse:

— Ferrante, io non istarò a cercare adesso quale delle due misericordie
meriti il primato, se quella dei morti ovvero quella dei vivi; certo è
però che l'una senza l'altra non regge: andiamo pertanto a riscattare
dallo abbattimento i nostri amici, affinchè se abbiamo a morire,
moriamo come uomini non come lumache.

E come dissero fecero, traendo per forza all'aria aperta Ugo, Romano
e Rutilio; sopra i quali come già su loro, operò il refrigerio del
moto, del vivido aere e del freddo lavacro. Essendosi intanto fatto
sentire il bisogno del cibo, Altobello si offerse andarlo a cercare
nella grotta abbandonata, però che avessero di comune accordo statuito
abbandonarla come stanza maluriosa: colà si accorse di cosa a cui non
aveva posto mente egli nè i compagni suoi, avanzare tanto di cibo
quanto appena bastava a un solo. Lo prese, e messolo davanti agli
amici, non tacque che era l'ultimo, se Dio non provvedeva.

— E Dio provvederà, risposero, o col mandarcene, o col togliercene il
bisogno.

Un'agitazione insolita adesso s'impadroniva di cotesti mal capitati,
la quale doveva attribuirsi meno alla inquietudine della mancata
vettovaglia, che al mutamento del tempo. Infatti la stagione acerba,
e tirata dalla rigida tramontana, cedeva davanti allo scirocco, che
si avanzava baldanzoso come insegna di esercito sicuro di vincere, e
nuvole dietro nuvole affrettavansi appunto pari a legioni accorrenti
sul campo di battaglia; ancora il rombo incessante del tuono in
lontananza pareva lo strepito delle artiglierie: sul declinare del
giorno il cielo si oscurò affatto; allora ogni oggetto prese secondo
la sua natura a manifestare lo sgomento per la vicina tempesta; tutte
le cose mandavano suono, e tutto suono era rammarichìo. Altobello
uscì con Ferrante dalla nuova grotta benedicendo Dio nelle glorie
della procella, però che anch'essa, anzi ella principalmente, valesse
a sollevare la sua anima e a indurla alla dimenticanza delle miserie
presenti; rannicchiati nel breve resedio, di faccia al luogo dove cascò
il teschio, stavano ammirando lo scompiglio degli elementi: l'emisfero
era buio come il folto della mischia, e al pari di quello terribile
d'infiniti strepiti: però di tratto in tratto quasi lo spirito del
male battesse le palpebre, scoppiava il baleno a illuminare il cielo e
la terra; nè di colore sempre uguale; all'opposto era vermiglio quasi
volesse mettere fuoco al creato o lo avesse spruzzato, di tal altro
livido quanto la faccia della viltà abbattuta ed ora per ultimo glauco
di quell'azzurro grigio che ritiene la congiuntiva dei trapassati
prima che una mano pietosa ne abbia chiuso le palpebre al sonno che
non ha risveglio. Bastava questo spettacolo per atterrire ogni più
saldo cuore, e pure si sentiva che qualche cosa di più tremendo stava
per sopraggiungere; e sopraggiunse, in tutta la sua maestà si mostrò
il Signore del bene e del male, sotto il soffio del quale le quercie
piegano quasi giunchi palustri, i monti traballano come menadi ebbre,
gli oceani spariscono via al pari delle lacrime dagli occhi dell'erede,
e i cieli si ripiegano a guisa di tenda del pellegrino del deserto,
che passata l'ora del meriggio ripiglia il cammino; il firmamento non
sostenne la sua presenza senza lacerarsi da un capo all'altro, e dal
fesso si rovesciarono giù acqua, neve e grandine mescolate insieme; la
faccia di Dio si rivelò paurosa nei fulmini, il suo potente braccio
picchiò sopra la terra come il guerriero il suo scudo di battaglia.
Orrendo a udirsi e a vedersi; ululavano i monti pari a larve dei primi
abitatori del mondo fuggite fuori delle antiche sepolture; e i grappi
della neve strappati dalla violenza del vento sembravano chiome canute,
che le dolorose svellessersi nell'impeto della disperazione, intantochè
i mille rivi ingrossati di acque erano immagine delle lacrime prorotte
da occhi che da secoli e secoli non avevano pianto.

— Lì!... lì!... gridò spaventato Altobello, abbracciando strettamente
pel collo Ferrante... l'avete visto? l'avete visto?

— Chi mai, Altobello? La fantasia vi atterisce...

— No... vi dico di no... io l'ho visto...

— Ma chi?

Che mai aveva veduto Altobello? La cara immagine materna circondata
dalle vampe del fulmine, tra le schegge della rupe percossa, che si
spandevano all'aria come falde di neve infiammata; e l'aveva vista
prima cadere in ginocchio poi rovesciarsi col capo in dietro e le
braccia aperte ad implorare dal cielo un soccorso, che non poteva
ormai più sperare dagli uomini. Il suo pensiero più veloce del baleno
avvertì, che forse l'apparizione non era di persona viva, sibbene
l'anima della madre, che, passata all'altra vita per subito infortunio,
veniva a visitarlo; poteva anche supporre che fosse errore della sua
fantasia, come poco prima aveva notato a Ferrante; ma quanto l'uomo è
corrivo ad accogliere difetto in altrui, tanto è restio a confessarlo
per sè: quindi o quella che gli compariva davanti fosse sua madre viva,
o l'anima di lei defunta, si sentì rimescolato dalle ugna dei piedi
fino alla punta dei capelli.

— Mamma! Mamma!... siete qui!

— Sono qui...

— Viva...?

— Sì, per la grazia di Dio; ma dammi aiuto... che non so se intera...

— Dove?

— Qua... per di qua... vieni diritto alla voce...

— Oh! vi ho vista... allungate la mano...

— Non ci arrivo...

— Guardate di alzarvi un po' voi... io non posso di più staccarmi dalla
roccia... l'agguanto con due dita...

— Mi proverò... ecco...

— Un altro po'... stringetemi forte con una mano... l'altra...
agguantatemi coll'altra... vi sentite bene assicurata?

— Sì...

— Dunque su?

— Su pure...

E così, come per miracolo, la fortissima madre, in mezzo alla tempesta
e ai fulmini, quasi precipitata tra i laceri di una rupe, fu messa in
salvo dal figliuolo, il quale appena fermo sul ripiano della grotta,
bagnato più di sudore, che di pioggia, cadde sfinito, non così la
madre, che a tastoni gli cercò la bocca, e accostata alle sue labbra
una fiaschetta di liquore:

— To', disse, figliuolo, ristorati, che devi averne bisogno.

Rientrati nella grotta per comune avviso deliberarono accendere il
fuoco, nella fiducia che, mentre durava la bufera, nessuno ci avrebbe
atteso; e se ci avessero atteso, se si sentivano cuore, salissero a
spegnerlo. Costà di foglie e di rami secchi non si pativa penuria.
Francesca Domenica sana e salva, eccetto qualche contusione, fe'
voto recarsi in pellegrinaggio alla Madonna della Vasina per la
grazia ricevuta, andò ad asciugarsi in una grotta, i proscritti
rimasero nell'altra, dove tanto piacere presero a vedere il fuoco
e a confortarsi le membra al benefico calore di quello, che quasi
dimenticarono lo stato in cui si trovavano ridotti.

Intanto che quei meschini si ricreano, ragguagliamo il lettore del
come la Francesca Domenica si trovasse lassù. Abbiamo detto il Governo
avere ordinato, che le sentinelle vigilassero giorno e notte intorno
alla casa Alando, non per impedire la gente a entrarci, od uscirne,
bensì per tenere di occhio alla Francesca Domenica, e spiarla sempre
in qualunque luogo ella s'incamminasse: non era per tanto difficile
accorgersi com'ella fosse segno di continua attenzione, nè per dire il
vero il Governo si curava troppo che ella ed altri se ne avvedessero,
reputandosi assodato abbastanza per dispensarsi dal dissimulare; nè
ella, come prudente, pretermise abbigliarsi con la consueta veste, e
recarsi a visitare quotidianamente la tomba: nè anco trascurava ogni dì
portarci le consuete provviste di biscotto, vino, acquavite, ed altre
cose al vivere necessarie, ma ogni dì con terrore crescente si chiariva
come tutto rimanesse intatto; segno certo, che o a Ferrante erano
chiuse le vie per passare, o qualche malanno era capitato lassù. Simile
dubbio diventò ansia, subito dopo, angoscia, indi a un'ora agonia, ed
ella capì che sotto cotesta doglia smaniosa non avrebbe potuto nè manco
durare due volte in ventiquattro ore.

Il giorno successivo, quando vespero declinava a sera, Francesca
Domenica insieme col Pievano di santa Devota stavano accanto al letto
di Serena. Misera lei! La sua vita, la quale aveva combattuto mirabili
lotte contro la distruzione, adesso davasi per vinta, in guisa che
il suo lento avviarsi si mutò ad un tratto in un correre verso il
sepolcro. Conforme è indole di cotesta infermità, di grado in grado
che le persone assistenti deponevano la fiducia di vederla sanata,
la speranza recingeva lei coll'iride dei suoi lieti colori; però le
parole di Serena non si versarono mai come ora gioconde circa la dolce
stagione di primavera: nè mai come ora la punse vaghezza dei lieti
raggi del sole, e dello incanto delle notti stellate: ora le tornava a
mente la famiglia dei fiori, ed ella salutavali peculiarmente a nome
quasi amici lontani; e ricordava il colle erboso, e il bosco degli
ulivi, dietro al tronco dei quali, dopo aver tirato al padre un melo
granato, si nascondeva; nè qui si restava, che crescendo la esultanza
dei presagi le fioccavano nella mente i pensieri di Altobello, della
messa nuziale, e il suono dell'organo, e la parola sacra davanti a Dio,
che unisce i due enti come un ente solo, e giorni placidi, e figliuoli
diletti, e l'addormentarsi pieni di anni nelle braccia del Signore. Le
ultime forze della vita svaporano per così dire in cotesti delirii;
infatti dopo aver vagellato un pezzo cadde rifinita in un torpore
foriero della morte. — Sogliono taluni maledire siffatto fenomeno
quasi perfida lusinga della natura, mentre altri più dirittamente
crede, che ciò non avvenga senza consiglio pietoso della Provvidenza;
ed invero nelle altre infermità, la creatura prima di morire cade
per ordinario in uno stato di stupidezza, onde senza accorgersene
penetra nel regno della morte; non così l'etico, se non fosse la tenace
speranza che gli benda l'intelletto, egli sentirebbe entrare i suoi
piedi uno dopo l'altro nella fossa, il diaccio di quella corrergli su
pei reni mentr'ei vi si adagia supino; vedrebbe cascare fino l'ultimo
atomo di arena della sua esistenza: a goccia beverebbe il calice della
distruzione. Ora questo pare troppo crudele supplizio perchè possa
patirlo Dio.

— Ella dorme, andiamo di là nell'altra stanza, Pievano, che io vi ho da
parlare, — disse Francesca Domenica, rizzatasi in piedi, dopo che curva
con la persona ebbe mirato in faccia Serena.

Quando vi furono, ella proseguiva sommesso: — Di queste due cose una
accadde di certo: o me gli hanno tutti ammazzati, o, se vivi, poco più
devono penare per morire di fame, dacchè vedete da parecchi giorni i
viveri non sono tocchi.

— Signore! Quanto mi angoscia.... Io darei una libbra di sangue per
chiarirmene, non fosse altro per metterli a modo e a verso dentro
sepoltura cristiana.

— Qui bisogna uscire d'incertezza, e voi mi dovete aiutare.

— Gesù! E come vi entro io povero prete?

— Oh! non avete detto poco anzi che avreste dato una libbra di sangue?

— L'ho detto, e lo mantengo.

— Ebbene io non vi chiedo tanto; per un giorno o due imprestatemi le
vostre vesti.

— E a qual fine, signora Francesca Domenica?

— Per travestirmi, e tentare se possa giungere in questo arnese fin
lassù; guardando tra i vetri mi sono accorta che a voi non tengono
dietro; però, quante volte io riesca senza sospetto a uscire allo
aperto, collo aiuto di Dio spero arrivare a salvamento.

— Ma che vi pare? Gli abiti di un sacerdote addosso ad una donna!

— Per avventura, signor Pievano, temereste voi, che vi venissero
contaminati da me?

— Ohibò! Una donna pia e timorata di Dio come siete voi non può che
edificare così gli uomini come le cose... e nondimanco vorrei mi
capiste, gli abiti sacerdotali se non si hanno a considerare sacri,
religiosi per lo meno sono.

— E fossero sacri, che monta? Era pur sacra la veste di Cristo, nè egli
si scandalizzò quando i soldati se la divisero, e la giocarono a dadi;
immaginate se volesse corrucciarsi con voi per averla prestata ad una
povera madre, affinchè ella possa sovvenire il suo figliuolo prossimo
a perire di fame; e, posto ancora che un po' di peccatuzzo ci cadesse,
reputate voi, che non sia capace a farvelo rimettere Maria Santissima,
madre anch'essa piena di dolori?

Il Pievano mosse due volte o tre le labbra come per replicare, ma
poi non trovò argomento migliore di quello di levarsi la callotta, e
grattarsi la testa, sicchè la Francesca Domenica ripigliò:

— Capisco, che pericolo voi lo correte...

— Francesca Domenica, avvertite che io non vi ho parlato di pericolo...

— Ma forse ci avete pensato.

— No, sul carattere di sacerdote.

— Allora io ci ho pensato per voi; io mi taglierò i capelli come voi a
zazzera, canuti gli abbiamo ambedue, per istatura siamo pari o la batte
lì, nè credo vorranno badare tanto al minuto, e poi fo conto uscirmene
a buio fitto, me ne andrò alla Canonica per avvisare il Cappellano,
affinchè, se qualcuno andasse, o mandasse per voi, gli dica, che vi
trovate impedito: io m'industrierò scivolare tra le ascolte; caso
mai m'imbattessi in qualcheduno, e m'interrogasse, dirò, che vado per
soccorrere infermi ridotti _in extremis_; voi vi rimarrete qui, finchè
io non torni, a custodire la inferma.

Per tacito consenso Francesco Domenica non toccò, e il buon Pievano
non la interrogò sul tasto ugualmente probabile di rimanere arrestata:
però il Pievano vide un altro ostacolo sul quale non potè dispensarsi
di parlare:

— E... signora Francesca Domenica, se vi pigliate le mie vesti, almeno
le più necessarie... da quella donna previdente che siete, avete
pensato come resto... questo discorso, capite, ve l'ho dovuto fare
_honestatis causa_...

— Dite santamente; non ci aveva pensato, ma ci si rimedia presto... vi
metterete gli abiti di Altobello.

— Ma signora... che vi pare alla mia età, e col mio carattere,
vestirmi da soldato! Se (e Dio non lo voglia) se accadesse di dovere
amministrare i sacramenti alla signora Serena... come potrei comparirle
dinanzi vestito da capitano di fanteria con Gesù Cristo in mano?

— Dite santamente: venite meco, che vi darò la veste da camera del mio
defunto marito, che di colore oscuro vi si adatta benissimo.

A questo modo usciva, non già inosservata, ma non curata la valorosa
donna; ella compì per appuntino quanto aveva detto: lungo la strada
sovente ebbe a rifare i passi o per iscansare scorrerie, o perchè non
vollero lasciarla ire innanzi; cento volte stette ad un pelo di essere
scoperta, e cento fu per iscoprirsi ella stessa. — Per ultimo, ella
disse, arrivai sul fare della notte su l'orlo estremo del bosco, dove
mi introdussi in casa di Orsone dopo essermi bene chiarita che l'era
vuota; qui deposi le vesti del Pievano, e il carico; grama cosa in
verità, pure tanta, che a voi parchissimi basterà finchè non verranno
a levarvi di quassù: poi con quel poco di biscotto e con la fiasca
dell'acquavite ho ripreso subito la via fra le roccie.

— Ma che? sul far della notte la tempesta non era anche scoppiata
chinamonte?[56] domandò Altobello.

— E come!

— E perchè siete partita prima che smettesse; o almanco rallentasse?

— E perchè sarei rimasta? Ogni passo che mi accosto è un dolore
abbreviato al mio figliuolo e ai suoi compagni, diceva io, ed anco
mi parve, che non avrei mai potuto desiderare migliore occasione per
giungere fin qua senza intoppo come la procella.

— E il ponte come passaste voi?

— Al chiarore dei lampi.

— Dio santo! a pensarci mi piglia il ribrezzo...

— Io non mi sono mai sentita tanto sicura, perchè mi affidavano la
fiducia in Dio, e l'amore di madre...

— O mamma! esclamò Altobello gittandoselo nelle braccia, intantochè gli
altri presi da uguale meraviglia dicevano:

— Qual donna!

Francesca Domenica, a cui non garbava lasciarsi troppo in balìa delle
commozioni, di un tratto con certa sua festività soggiunse:

— E come vedete mi condussero a salvamento, tranne quel po' di fulmine,
che veramente mi ha intronata tutta; ma salvo qualche ammaccatura non
ci ha nulla di guasto.

— Ora, figliuoli miei, ascoltatemi bene, che mi sento stanca e intendo
andarmi a riposare per essere in piedi prima del dì, onde potrebbe
darsi, ch'io partissi senza rivedervi. Ferrante, voi andrete, quando
vi parrà il destro, a prendere le vettovaglie al solito ripostiglio;
voi altri aspettate un mio avviso; qui non vi ci potete più fermare,
perchè tra giorni si squaglierà la neve, e si spingeranno a cercarvi
fin quassù; io ho mandato per Orsone e con lui concerteremo la maniera
della fuga o ad uno per volta, o tutti assieme. Il modo non mi è chiaro
ancora; pensateci anco voi altri; se non potessi venire io, manderò
persona fidata. Su, figliuoli, state di buon animo; rammentatevi, che
il diavolo non è brutto come si dipinge, e sperate nello aiuto di Dio,
ed anco un po' in quello degli uomini, perchè qualche cuore veramente
côrso non ha cessato di palpitare, e già qualcheduno mi si è profferto,
non curando il pericolo, di ospitarvi.

Altobello, accompagnando la madre nella grotta dov'ella aveva da
passare la notte, la venìa interrogando sopra la salute di Serena,
e la madre, per non isconfortarlo troppo come per non dargli troppa
speranza, gli diceva: non esserci di peggio, di questo stesse sicuro,
non avrebbe omesso cura, affinchè la povera figliuola si rimettesse in
sesto; poi per tagliar corto ripetè sentirsi stracca morta, ed in vero
era così, per la qual cosa Altobello la lasciò quieta.

Alla dimane, prima che spuntasse l'alba, Francesca Domenica sorse dal
suo letto di foglie di castagno, e messo appena il piede fuori della
grotta, incontrò Altobello e Ferrante: con esso loro senz'altre parole
prese a calarsi giù di greppo in greppo. Mentre andavano, spuntò
l'aurora vermiglia e lieta, comecchè stillante umidità; così forse,
avrebbe immaginato un poeta. Diana sorpresa da Atteone, sorse dipinta
in volto coi colori della vergogna dai lavacri di Gargazia. Al ponte
periglioso si separarono così ordinando Francesca Domenica, la quale,
ripreso il suo travestimento, dopo miracoli di sagacia, potè ridursi
alle sue case del procoio di Santa Colomba.

Tre giorni erano passati dopo l'ultima partenza di Francesca Domenica,
e già la ruggine del tedio ripigliava a esercitare la sua virtù su le
anime dei nostri proscritti, i quali di rado si cambiavano parole,
e comecchè l'uno potesse appartarsi dall'altro, pure si sfuggivano:
al quarto verso mezzogiorno, Ferrante e Altobello, tenendo entrambi
gli occhi rivolti al medesimo punto, videro moversi qualche cosa pel
dirotto calle, che menava alle caverne, ed agguardando meglio conobbero
essere un fanciullo, che con lena affannata si affaticava di pervenire
in cima alla rupe, Ferrante si levò ritto inarcando il moschetto
contro il mal capitato, e da lontano gridò: si fermasse, dicesse chi
fosse, ed a che venisse. Il garzone come impedito dall'ansia mostrava,
agitandola, una carta, e a posta sua urlava: Altobello! Altobello!

Fu convenuto lasciarlo accostare, e il giovanetto venendo oltre domandò:

— Qual è di voi Altobello Alando?

— Io, rispose subito Ferrante, che volete da me?

— Ecco ho da consegnarvi questa lettera per parte della vostra signora
madre: intantochè la leggete io mi riposerò.

Aperta la lettera, Altobello e Ferrante lessero:

  «Caro figliuolo.

«Se dubitassi del tuo coraggio ti farei torto, ma non t'ingiurio se
ti raccomando raccogliere tutto il tuo coraggio intorno al cuore.
Ora bisogna, che tu sappia come Serena la tua sposa della quale a
fine di bene io ti dissimulava il vero stato, si trovi in procinto
di morte. I medici appena le danno due giorni di vita. Quale sia la
nostra desolazione non istò a dirti, massime, che la meschina non
trova pace, e smania, e dice, che morirà disperata se prima non ti
vede per darti l'ultimo addio, molto più che le si è fitto in mente una
fisima da inferma per cui pensa, che i suoi sponsali teco senza prete
nè benedizione della Chiesa, non sieno senza peccato; epperò vorrebbe
sposarti co' riti della nostra santa religione, magari in _articulo
mortis_ Io le ho promesso scriverti, e mantengo la parola, però nel
medesimo punto non ti conforto a venire, nè te lo dissuado; come madre
io avrei caro tu ti restassi, pure mi rimetto in te. Lo zitello, che ti
porta questa lettera è nipote del Pievano di Santa Divota, mi sembra
svelto, ed anco lo zio me lo afferma maliziato più di una squadra
di sbirri; però servizievole: se ti parrà giovartene, fallo senza
rispetti, che ciò a lui piacerà, ed altresì allo zio. Addio; ti lascio
con la mia benedizione.»

Finita la lettura, Ferrante aggrondato interrogò il garzone.

— Chi ti ha dato la lettera?

— La signora Francesca Domenica.

— Chi l'ha scritta?

— Lo zio.

— Quale zio?

— Tè! Lo zio Venanzio Pievano di santa Divota a requisizione della
signora Francesca Domenica.

Allora entrò su a dire Altobello:

— E da quando in qua state col Pievano?

— Faranno due mesi come saremo a san Biagio.

— E vi ha preso pei servizii di casa? Soggiunse dandogli una sbirciata
alle mani.

— Giusto! M'insegna il latino, servo le messe, e mi tira su a prete.

— Ma io non aveva mai sentito dire che il Pievano avesse fratelli.

— Difatti, lo zio non ne ha; io sono figliuolo della sua sorella
maritata a Vivario.

Tutte queste domande erano consigliate ad Altobello ed a Ferrante dal
sospetto in cui vivevano d'insidie perpetue: nè qui finirono, che molto
si allargarono a domandargli quale e quanto avesse provato la vigilanza
dei micheletti, e come fosse riuscito a evitarla, e se pensava di
correre rischio al ritorno. Il garzone vispo rispondeva a tutto con
arguzia maravigliosa: cotesta sua non pareva mente di fanciullo, bensì,
piuttosto, che diventatogli adulto lo spirito, il suo corpo fosse
rimasto nell'adolescenza. All'ultimo, come uggito, egli disse:

— Voi mi avete fradicio, lasciatemi un po' mangiare un boccone, e
dormire un paio di ore e me ne torno pei fatti miei, chè non vorrei lo
zio stesse lungamente in pensiero.

E con la beata trasandatura del fanciullo, mangiò e bevve, poi entrò
nella prossima grotta, dove indi a breve fu preso da tal sonno, che
il russare si sentiva fino dal posto in cui erano rimasti Altobello e
Ferrante.

Poichè l'amico suo non rompeva il silenzio, a Ferrante parve bene
domandargli:

— E quando fate conto di partire Altobello?

— Io? Giusto adesso stava ventilando meco le ragioni così dello stare
come dell'andare, e mi è parso dovere concludere di rimanermi.

— Voi avete ad andare, ciò vi persuadono il bene vostro ed il nostro.

— Che vi dirò? L'animo mi porge che, andando, qualche infortunio
mi aspetta; e poi la paura di avervi ad abbandonare per sempre, mi
percote; finalmente la faccia di cotesto fanciullo, non so il perchè,
mi riesce sinistra.

— Questo nostro sospettare di tutto e di tutti deriva dallo stato in
cui noi siamo ridotti; ogni novità pel misero è argomento di miseria.
Voi avete andare; se non per voi, almeno per noi. Arrivato sano e salvo
al procoio, come non dubito, potrete attendere al modo di levarci di
qui, e, quello che mi sembra ed è, per l'ora che corre, troppo più
difficile, a rinvenire quattro cuori fidati e valorosi, che ci vogliono
ricoverare; e ciò sia detto col debito ossequio della signora vostra
madre.

— Tanto è, io non andrò.

— Amico, non ci mettiamo sul perfidiare, altrimenti presa una
deliberazione non ci moveranno quattro pari di bovi: noi componiamo
insieme una repubblica, chiamiamo Ugo Romano e Rutilio a parlamento, e
quello che i più vorranno voi eseguirete.

Altobello avendo trovato giusto il partito, convennero insieme tutti
i compagni e, ventilate lungamente tra loro le ragioni della partita
e della permanenza, conchiusero, che Altobello avesse ad ogni modo
a recarsi al procoio; ed egli si lasciò svolgere, e promise sarebbe
andato: però a fine di non omettere precauzioni statuirono fra loro di
accommiatare lo zitello con la notizia, che Altobello non partirebbe,
perchè, s'egli fosse o spia o indiscreto, con lo svesciare, non solo
non attraverserebbe, ma si agevolerebbe l'andata di Altobello, mentre
se all'opposto (come non era a dubitarsi) e' fosse messaggero fidato,
poco male saria uscito dalla falsa ambasciata, dacchè Altobello
giungerebbe subito dietro a smentirla.

E come dissero fecero, onde il garzone si partì tenendo il broncio
e brontolando, che se lo avesse potuto indovinare sarebbe rimasto
con molta sua maggiore soddisfazione a giocare alle piastrelle su la
piazzuola della chiesa.

Circa un'ora dopo la partenza del garzone, Altobello fece animo
risoluto, strinse la mano agli amici, li baciò in volto, e si staccò
col cuore chiuso da loro come presago di non averli a rivedere mai più.
Scese lento, arrivato al ponte vi mise sopra il piede, lo ritrasse,
si voltò addietro, credendo che una voce lo chiamasse, o sperando di
vedere cosa, che a sè lo traesse.

Fantasticherie maluriose di cervello infermo! Altobello si fece il
segno della croce e passò spedito dall'altra parte.

Appena il suo capo scomparve sotto le punte degli scogli, ecco uscire
dalla crepa di una roccia lo zitello messaggero, e ratto ratto avviarsi
al ponte. Troppo alto avevano parlato Altobello e i compagni, ond'ei,
tuttochè dormisse, o fingesse dormire, aveva sentito il partito preso
di andare senza dirglielo, anzi dandogli ad intendere il contrario;
ed egli aveva avuto la pazienza di starsi nascosto là dentro per
esplorare se dicessero da vero, oppure lo dileggiassero: allorchè poi
si fu schiarito, che Altobello mandava a compimento la deliberazione
vinta, proruppe in segni manifesti di allegrezza, taluni strani
però, come sarebbe quello di cacciarsi le mani dentro i capelli e
scombuiarseli tutti: amara gioia in vero quella che usurpa i gesti
della disperazione!

Il passo del garzone è spedito e leggiero, come conviene alla sua
età, ma perchè tiene egli la testa alta, e gli occhi tesi verso
la parte donde disparve Altobello? Badi dove mette i piedi, o male
gl'incoglierà.... e male veramente gl'incolse, imperciocchè mentre
correva lesto su pei tronchi di arbore, il piede destro gli entrò
sotto la legatura rilasciata della corda di spartea, e subito dette
di uno stramazzone per terra: come gli persuadevano lo istinto di
conservazione e il pericolo supremo nel quale ei si versava, si
aiutò con le mani agguantandosi, ma non gli valse perchè la furia del
tracollo non meno che il peso del corpo vinsero la forza della mano
manca che sola scivolò intorno al tronco senza poterlo afferrare. Il
piede rimase dentro la corda, che aggrovigliata a mo' di laccio lo
tenne a contrasto coll'arbore, impedendo al fanciullo di ruinare giù
in fondo al torrente. L'infelice si sentì sbalordito; indi a breve,
contorcendosi tutto, si sforzò ripiegarsi sopra sè stesso per arrivare
ai tronchi; moti faticosi e disperati erano quelli: quietò un momento
per noi... una eternità per lui, perocchè in cotesto atomo di tempo
egli vedesse lacci, forche e impiccati; e sentì i terrori della morte
ed anche lo spaventarono i tormenti della vita futura; intanto la
respirazione si attenuava penosa, il peso dei visceri gli gravitava sul
cuore, e per le orecchie gli andava un ronzìo vie più sempre molesto,
le tempie battevano tremendamente come se gli si volessero rompere;
da prima gli oggetti reali, e le fantasme della sua immaginazione
gli trescavano davanti sanguinosi di sangue di arteria, poco dopo
tinte nell'altro sangue di vena, per ultimo diventarono azzurre; le
goccie del sangue sentiva stillarsi nel cervello gravi e ardenti come
se fossero di piombo strutto: dapprima dalla bocca colava spuma, ora
però la lingua gli si fece arida e gli si attaccava al palato: innanzi
che questo organo gli rifiutasse il suo ufficio volle gridare e'
cacciò fuori un suono roco, come di uccello di rapina; e per tale lo
appresero gli uccelli di rapina nella prossima pendice che risposero
alla chiamata, allora si avventò lo stormo dei falchi stridendo in
molte guise come se volessero congratularsi seco del largo pasto che
la Provvidenza gli metteva d'avanti. Il garzone ne sentì l'arrivo
con lo schiaffo delle ale nelle guancie, e collo incarnarsi degli
artigli nella cute del cranio, sicchè agitate le mani per l'aere come
costuma il naufrago in procinto di annegare, egli giunse a scacciarli
un istante: pochi secondi dopo tornarono, ma questi pochi secondi
erano bastati perchè la mancanza dell'aria, e lo stravaso del sangue
nel cervello cagionassero la morte del fanciullo per apoplessia e per
asfissia.

Almeno i periti dell'arte medica affermano morte la completa
inconsapevolezza dei nostri sensi, ma se tuttavia nell'intimo l'anima
continui a rispondere in virtù di qualche altro segreto legame col
corpo, davvero io non saprei, nè credo che altri possa sapere: fatto
sta, che anche quando i falchi si furono adagiati, a mensa intorno
a codesto cadavere, di tratto in tratto egli dette in iscossoni, che
gli fece allontanare un momento stizziti; così osserviamo gli uccelli
strangolati, dopo assai tempo che gli hai appesi per le gambe al
chiodo, battere di repente l'ala, e scontorcersi da cima a fondo.

Pur troppo era vero; fino dalla mattina di codesto mal giorno il
dottore con le lagrime agli occhi aveva chiarito Francesca Domenica,
che la Serena, se fosse arrivata alla sera, non avrebbe scorsa la
notte, onde, sebbene delle cose dell'anima la povera figliuola stesse
sempre acconcia, pure desiderò rinnovare la confessione e la comunione:
sul far della notte, osservando i noti segni della morte imminente,
le amministrarono anco l'olio santo, allora le deposero la stola
sui piedi, a lato sul guanciale le misero il Crocifisso, che con la
mostra dei suoi ineffabili dolori consola gli altrui, e Francesca
Domenica genuflessa da un canto del letto, il pievano di santa Divota
dall'altro, stavano a recitare preghiera. Serena dondolava lievemente
il capo nella sonnoveglia della morte; quasi foglia che, sul punto di
spiccarsi dal ramo, trema.

Di repente, con lena maggiore di quella, che le si fosse potuto
supporre, ella disse:

— Eccolo!

— Chi ecco? domandò Francesca Domenica, ed ella:

— Il mio sposo.

Il Pievano, immaginando che intendesse parlare nel linguaggio simbolico
della Chiesa, pel quale Gesù Cristo è lo sposo di tutte quelle che
si rendono monache, o che muoiono in stato di verginità, esclamava
infervorito:

— Accettatelo, figliuola mia, col cuore contrito ed umiliato.

— Col cuore esultante volete dire... ei viene...

Di fatti in quel punto, tirato il paletto, si aperse l'uscio della
camera e comparve Altobello.

   [Illustrazione: .... lo racconta il Boccaccio nelle sue
   Novelle... (_pag. 79_)]

Se ad Altobello si fosse mostrato un capo mozzo come quando il
carnefice lo acciuffa per i capelli grondante sangue e lo fa vedere al
popolo crudelmente imbecille; o se la faccia dello strangolato con la
chioma irta, gli occhi sconvolti, la pelle nera, la bocca violetta,
e la lingua morsa fra i denti; egli avrebbe potuto sostenerne la
vista senza ribrezzo, come senza paura avrebbe contemplato il volto
mansueto dell'ucciso dal piombo, e il feroce del trafitto dal ferro:
la sembianza pallida del disfatto dalla pestilenza, e la pagonazza del
colto dalla gocciola, perchè in tutti questi, ed in altri ancora si
palesa la morte nella sua potenza solenne; onde a ragione gli antichi
l'adorarono Dea, l'eressero altari, e le sacrificarono vittime. Se
nell'universo ella si fece sentire eterna come Dio, non può dirsi;
certo è, che appena nata, a lei egli ebbe a concedere facoltà pari alle
sue, quantunque egli se la serbasse per creare, ed ella la prendesse
per distruggere; anzi queste facoltà diventarono subito così intricate
tra loro, che l'occhio dell'intelletto non le sa più distinguere,
ravvisando il principio di nuove vite nell'atto che il comune dei
uomini appella morte, e mille morti nel principio, che suole chiamare
vita. Sotto la forza di cotesto ente, che non ha forma, e trasforma
tutti gli enti, lo spirito più saldo può confessare senza viltà, che
prova spavento, perchè si mescola col senso della religione che arcano
e profondo vive eternamente. Ma la morte cessa comparire Dea quando
adopra l'etisia a disfare la forma umana; allora ella si deturpa,
diventa condennenda e schifa, perocchè anco il male non va assoluto
dalla onestà; sozza come un immane ragnatelo, ella avviluppa dentro le
sue branche sterminate la creatura e ne risucchia gli umori, ne macera
le carni, nervi e muscoli cincischia, contamina le ossa... — Chi può
descrivere quale Serena apparisse allo atterrito Altobello? Non io.
Troppo spesso ho veduto la faccia del tisico, troppo ella mi sta fitta
nella mente perchè io la descriva senza dolore: però me ne passo.

Altobello atterrito vide davanti a sè il volto della sua diletta
Serena ridotto all'estremo della etisia; e con isforzo più che umano
comprimendo l'orrore e il dolore disse:

— Mi avete chiamato... sono... venuto...

— O santa Vergine, chi ti ha chiamato?

Esclamò Francesca Domenica, levando al cielo in atto di desolazione le
mani.

— Non voi? Non voi? Con la lettera che mi portò il nepote del Pievano?

— Io non ho nepoti, disse il Pievano.

In questa furono udite nella prossima stanza le pedate di parecchi
uomini, che camminino con precauzione, e al tempo stesso lo
scricchiolare dello scatto di acciarini quando si armano i moschetti.
Tanto bastò per fare ad Altobello palese il tranello in cui era
incappato. Non si commosse per questo, o se si commosse, non lo diede a
divedere, ma con un gesto, accennò alla madre tacesse, e subito si fece
verso la porta.

— O mamma, sospirò dolorosamente Serena; dove va egli? Appena venuto
mi fugge? Ditegli che si trattenga tanto, ch'io muoia: io farò presto
a morire.

— Sta quieta, figliuola, egli è andato a dare alcuni ordini alla sua
scorta, adesso adesso ritorna.

Altobello aperto l'uscio, vide la stanza piena e stivata di soldati
che non avrebbe dato, per così dire, luogo a un chicco di panico e
comandante di quelli gli comparve dinanzi il capitano Rinaldo.

— Oh! capitano Rinaldo, siete voi?

Rinaldo stentava a ravvisare, nell'uomo che gli appariva dinanzi,
quell'Altobello Alando tanto fiorente un dì, pure sovvenuto dal luogo
e dalla voce: rispose un cotal po' tremante:

— Oh! signor Alando, siete voi?

— Sono io soggiunse Altobello, e so perchè venite.

— Vedete laggiù si muore — e aperto un po' l'uscio gli mostrò la
giacente circondata dai segni dell'agonia — ella è Serena che muore,
la sposa mia; pochi momenti le avanzano di vita, deh! non funestiamo
questi ultimi suoi sospiri con la maggiore angoscia ch'ella abbia
provata fin qui; non vedano gli occhi suoi, vicini a spegnersi, il suo
sposo prigione.... e tratto a morte....

— Signore, voi che militaste, sapete il dovere del soldato.

— Ho saputo sempre che la veste del soldato non trasforma l'uomo in
lupo. Signor capitano, io ho armi addosso, e non mi menerete come
agnello al beccaio: certo mi ammazzerete, ma prima ammazzerò quanti
più possa di voi: veniamo a patti: questo costumano eziandio i soldati
valorosi, io vi consegnerò tutte le armi, e voi in compenso, mi
concederete mezz'ora.

— Signore Alando, un'altra volta mi scappaste di mano, e per voi mancai
di essere promosso maggiore; adesso mi fucilerebbero addirittura.... e
ancora io.... voi lo sapete.... ho una madre....

— Ebbene vi giuro in onore, che non vi fuggirò, e poi...

— E poi? interrogò il capitano Rinaldo osservando che l'altro esitava.

— E poi, continuò l'Altobello placidamente, pure facendosi rosso in
viso, potete circondare di un cordone di sentinelle la casa... se non
vi fidate.

— Non fa caso, aspetterò mezz'ora.

Però le sentinelle erano già state messe.

Altobello rientrò nella stanza col sorriso sui labbri, e disse:

— Eccomi tutto a te, sposa mia; prima di lasciarci, sono venuto, perchè
il nodo che ci congiunse in vita riceva la benedizione della chiesa:
abbiamo mantenuto il giuramento di non procreare figliuoli in servitù,
ma non per questo devono essere meno le nostre nozze sante al cospetto
di Dio.

— Se vuoi darmi questa infinita consolazione, sposo mio, fa presto, che
io mi sento morire.

— Ecco, signor Pievano, mi raccomando a voi.

Il Pievano singhiozzando pronunciò le parole sacramentali, congiunse
le destre mentre sentiva mancargli sotto le dita, il polso di Serena,
impose loro sul capo le mani, e supplicò il Signore, non già che ci
versasse grazie, bensì misericordie; non compartisse gioie, che ormai
non era tempo da questo, ma termine a tanti patimenti.

Altobello prese la mano di Serena quasi fredda, e la inanellò con
l'anello che le porse la madre; poi, superato il ribrezzo, baciatala in
fronte, disse:

— Vita mia!

E la morente con un filo di voce:

— Non dirmi vita, perchè allora temerò che il tuo amore sia caduco
e affannoso, come la vita che mi manca; chiamami anima, e allora lo
crederò immortale come lei — e lo continueremo lassù...

— Oh! sì, anima pura, anima degna di miglior sorte quaggiù — e si
coperse con le mani il volto, perchè sentiva scoppiarsi il pianto; ma
l'agonizzante, con suono appena distinto, lo supplicò:

— Deh! non celarmi la tua bella faccia, Altobello mio, stringimi la
mano, sorridimi; il sorriso è fiore dell'anima, ed io me ne vo andare
in paradiso in mezzo ai profumi dell'amore.

E, piegato il capo, diè in un gemito, che non fu di angoscia; versò una
lacrima, che non espresse il suo dolore; bensì fu gocciola di rugiada
celeste, che l'Angiolo custode scosse dall'ale in refrigerio di cotesta
desolata creatura.

— Mamma, è spirata?

— È spirata... figliuolo...

In questa si vide pienamente schiuso l'uscio della stanza, e da quello
sporgere con tutta gentilezza il capo del capitano Rinaldo, che chiamò:

— Signor Alando?

E Altobello gli mosse subito incontro, e gli domandava: — che ci è?

— Come si sente madama Serena?

— È morta...

— Tanto me... allora _ho l'onore_ di rammentarvi che io e la mia gente
da tre notti non pigliamo sonno, e il Governatore ci aspetta levato.

— È giusto; anco cinque minuti, capitano Rinaldo, e sono da voi.

Il capitano ritirò il capo curvando le spalle come persona che portare
altro sopraccarico nè vuole, nè può.

Altobello rientrato nella stanza, disse al Pievano: prendete il lume, e
andate là in fondo alla stanza a pregare davanti la immagine di cotesto
Crocifisso, perchè io ho da trattenermi in segreto con mia madre sopra
alcune faccende di casa prima di andare.

Il prete, docile, prese il lume, e fece quanto gli veniva comandato.

Altobello tornò ad assettarsi al lato destro del letto, mentre la
madre sua erasi rimasta con la faccia appoggiata sul materasso dal lato
sinistro; e, dopo alcuni istanti, favellò sommesso.

— Mamma?

— Figliuolo.

— Avete inteso?

— Ho inteso.

— Sapete voi, che cosa mi aspetta?

— La forca.

— Forse anco la ruota.

— Forse.

E tacquero; quindi appresso Altobello chiamò:

— Mamma?

— Altobello.

— Di casa Alando morì mai alcuno giustiziato, che sappiate voi?

— Nessuno: tu saresti il primo.

Da capo silenzio, e Altobello con voce più tenue disse:

— Mamma?

— Figliuolo... figliuolo...

— Ho da chiedervi prova suprema di affetto.

— Chiedila.

— Avete il coltello, che vi lasciò babbo nel suo testamento?

— L'ho.

— Lo manteneste tagliente?

— Come un rasoio.

— Vorrei... mamma...

— Che vuoi?

— Che me lo imprestaste.

— Porgimi la mano qui, di sopra il capo della povera defunta.

— Ecco la mano.

— Ecco il coltello.

E ci fu nuova pausa: al fine della quale, non più con tremula, bensì
con ferma, comecchè sempre bassa voce, Altobello invocò per la quarta
volta il nome di sua madre.

— Mamma?

— Figlio mio.

— Datemi la vostra mano, qui, per di sotto al capo di Serena.

— Ecco la mano.

— Stringetemi la mia... stringetemela forte.

Ciò fatto, prese quanto potè del lenzuolo co' denti, perchè non
sentissero nè manco un sospiro.

Dalla tremenda stretta della mano, dal gelido sudore, che stillarono le
dita, da un gemito profondo sebbene soffocato, Francesca Domenica si
accorse, misera! che il suo figliuolo si era ucciso: di fatto egli si
aveva ficcato sino al manico lo stiletto nel cuore.

Successe un molto terribile silenzio, durante il quale si udiva il
lievissimo rumore, che movevano le labbra del Pievano incontrandosi nel
recitare le preghiere.

Stanco del lungo aspettare il capitano Rinaldo, dacchè non cinque
minuti, bensì un quarto di ora avvantaggiato fosse già corso, aperse la
porta, e con qualche risentimento disse:

— Signore Alando... voi vi fate aspettare...

E più non disse: che pallida come panno lavato, con sembianze per
dolore impietrite, gli si fece incontro Francesca Domenica, tenendo
con la destra la lucerna, e con la manca tirandosi dietro il capitano
Rinaldo, che sgomento nel presagio, si lasciò condurre: giunta presso
al figliuolo, gli mise il lume su la faccia, e, lì accennando col dito,
disse:

— Mira, straniero; — quando torni al tuo paese racconta come muoiono i
Côrsi, innanzi che patire servitù.

Il capitano non sostenne la vista della truce guardatura del morto
Altobello; e, abbassando il volto, rimase sbigottito.

Il Pievano anch'egli si accostava; e, quasi macchinalmente, alzò la
destra; poi, come pentito, stette a mezzo l'atto; lo notò la madre,
lo guardò... ond'egli, vinta ogni esitazione, sollevata la faccia e le
mani al cielo, in suono solenne pronunciò queste parole:

— Dio ti giudicherà nell'altro mondo, frattanto in questo io ti
benedico nel nome del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo.

Il giorno successivo al fiero caso un dispaccio fu spedito dal
Governatore al capitano Orso Campana, nel quale, dopo avergli
rimproverata con parole agre la sua oscitanza, gli si ordinava
scorrazzasse a qualunque costo le roccie, purgasse il paese dai pochi
banditi, che lo tenevano in subbuglio: spento il capo, più poco erano
a temersi gli altri senza reputazione, e con manco seguito: dove a lui
non bastasse la vista, commetterebbe ad altri il carico di levargli
cotesto pruno dagli occhi. Se la commissione e più il modo col quale
veniva trasmessa, garbassero al Campana non importa dire; tuttavolta,
celando il malcontento o solo manifestandolo col raddoppiare di durezza
contro i suoi sottoposti, ordinò apparecchiassersi quanti erano,
pigliassero viveri per due giorni, fra un'ora si partirebbe pei monti.

Cotesta era sentenza di morte per parecchi di loro; e lo credevano,
però non ci avrebbero pensato, se, come una volta, si fossero mossi
contro il nemico; ma adesso per comandamento altrui, incamminarsi ad
ammazzare o essere ammazzati, e con gente di un medesimo sangue che
non ti aveva mai offeso, pareva cosa acerba, e pure ella non è il meno
tristo frutto, che si raccoglie dall'arbore della servitù.

Camminavano in silenzio, un dopo l'altro, pensosi qual sarebbe il primo
cui, colpito dalla palla funesta, toccherebbe rotolare giù pei dirupi
a servire di pasto agli uccelli di rapina; andarono un pezzo, e niente
incontrarono di molesto; forse, essi dissero, ci aspettano in cima per
farci una scarica a brucia pelo. Per certo era meglio se cominciava
il fuoco: allora la vista del sangue infiamma il sangue, e le ferite
eccitano alla vendetta; ma così sempre sotto la impressione della
paura che fioccava loro addosso come neve senza vento, non poterono
tutti di un fiato proseguire; cinque volte si riposarono rifiniti;
e strano accidente! uomini che facevano professione di sgozzare, per
parecchi baiocchi al dì, uomini che nulla nulla inveleniti si sarieno
fatti mettere in brani prima di cedere, adesso avrebbero renunziato ad
un mese di soldo, pure di potersene tornare addietro: ma e' si erano
venduti, e bisognava andare avanti, e andarono come gente, che una
volta stipulato il contratto lo sa osservare: — e nondimanco, se togli
le asperità del cammino e la trepidazione, non ebbero ad incontrare
altra molestia, onde sani e salvi attinsero il vertice delle costiere.

Colà maravigliando, rinvennero, vestigia di recente dimora, ma i
banditi erano scomparsi: per ordinaria contradizione dello spirito
nostro, mentre poco prima non sembrava lor vero di non averli
incontrati e ne ringraziavano Dio, ora si arrovellano perchè fossero
così fuggiti loro di mano; sopra tutti se ne doleva Orso Campana,
al quale si cacciava addosso la paura, che i Francesi, reputandolo
complice della fuga dei banditi, od anco fingendolo, (imperciocchè per
natura propria voltabili gli sperimentava molto, e quanto facili ad
accettare soccorsi qualunque e' si fossero nell'ora del pericolo; e
larghi a promettere, altrettanto portavano molestamente il carico della
riconoscenza, e comparivano scarsi nell'osservare), non gli togliessero
il grado della milizia, e col grado la pensione. Gli andavano per la
mente torbidi pensieri, che dopo avere mandata fuori la coscienza,
tradito la Patria, perseguitato i suoi, e vendutone il sangue a oncia
a oncia un po' per vendetta, e molto per quattrini, ora la viltà col
rimorso gli tornassero a casa ignudi; mentre con le mani congiunte
dietro il dorso, e la testa bassa passeggia agitato, gli occorrono
davanti gli occhi più frequenti le orme verso una parte dell'orlo
della rupe, osservando meglio i sassi colà più che altrove screpolati
gli parve che accennassero potersi scendere da quel lato il monte vi
calarono uno di loro più svelto della persona, al quale andando giù
giù venne fatto di leggieri incontrare il sentiero che menava alle
grotte: appena ei l'ebbe scoperte, tornò a darne avviso ai compagni,
i quali l'un l'altro aiutando, a posta loro scesero, e con essi Orso
Campana. Rinnovaronsi le apprensioni, ma questa volta erano superate
dalla smania di combattere e di vincere. Irruppero dentro una grotta
furiando, la rinvennero vuota; la seconda del pari; per ultimo...
miserando spettacolo! entrando nella più spaziosa delle grotte si
pararono dinanzi ai loro occhi quattro cadaveri dentro un lago di
sangue.

Tutti tenevano la faccia rivolta al cielo in sembiante piuttosto di
cui minaccia, che di cui prega; ognuno stringeva con mano rigida il
manico del coltello, e questo coltello non appariva già fitto nel
proprio seno, bensì in quello del compagno: breve; si erano uccisi l'un
l'altro.

Sopra la pietra, che serviva loro di mensa, stavano come esposti in
mostra di più maniera viveri, e zucche piene di vino e acquavite,
mentre una tazza ricavata dalla corteccia di una zucca conteneva in
fondo alcun poco di acqua pura.

Nella faccia anteriore della pietra; di color vermiglio scritta a
stento, si leggeva questa iscrizione:

                                 _Dio._

      _Ferrante Canale, Ugo della Croce, Romano Colle, e Rutilio
    Serpentini, non potendo sopravvivere alla libertà della Patria
    si sono dati la morte._

                            _Ora pro nobis._

      _25 Gennaio 1770._

Perchè poi mettessero in mostra il cibo e la bevanda non parmi arduo
indovinare; senza fallo il fecero per chiarire, che studio di libertà
e fastidio della tirannide gli aveva condotti a morte, non già la
disperazione: più difficile è rinvenire la causa onde invece di
ammazzarsi da per loro si trucidassero; forse li dissuase da portare
le mani violente contro sè stessi il pensiero, che così facendo
commettevano un peccato gravissimo, mentre ammazzandosi tra loro
continuavano la sequela degli atti, che compiti per necessità della
Patria difesa, secondo la loro opinione, non potevano imputarsegli
a colpa; ad ogni modo spengersi da sè reputarono peccato nuovo, e
furono dubbi di sperimentare anco per questo del pari indulgente
la misericordia di Dio. Se non fosse così, io mi confesso povero di
consiglio per ispiegarlo.

Orso, col capo basso, e le mani sempre conserte dopo le spalle guardò
fisso quei miseri, e si accorse dal dito rimastogli insanguinato,
come lo scrittore della leggenda fosse stato Ferrante: rimasti tutti
lungamente in silenzio, per ultimo Orso favellò dicendo:

— Erano quattro bravi cuori in verità... poi subito pauroso, che
cotesta lode riferita gli partorisse pregiudizio si affrettò di
soggiungere — comecchè cotesta sorte se la siano meritata, ed anco
peggio, perseverando da ribelli al leggittimo dominio di S. M.
cristianissima nostro signore.

— E padrone, disse il sergente con tale un suono, che non lasciava
distinguere se parlava da senno, o per istrazio; non ci attese Orso o
non ci volle attendere, bensì continuò:

— Ora noi altri non ci abbiamo a vedere più nulla, e avvertiremo i
preti che vengano a pigliarli per metterli in sepoltura cristiana; —
e qui sempre pauroso di essersi sbilanciato, accorse a palliare con
le parole: poichè dobbiamo credere, che ciò torni a grato di S. M.
cristianissima il re nostro signore.

— Ma sicuro! continuò il dicace sergente — non si ha da chiamare
cristianissima mica per nulla.

Allora vedendo come scavata nel masso una strada, della quale non
avevano avuto conoscenza fino a quel punto, deliberarono fra loro
di seguitarla per debito di ufficio, e per facilitare le future
esplorazioni; così andarono finchè giunsero al ripiano dove metteva
capo il fiero ponte. Quei che prima arrivarono stettero atterriti dal
pericolo, non meno che dalla vista di quel corpo penzoloni.

— Tè! mira... chi sarà cotesto che ci pende attaccato per un piede come
il rospo che i villani appiccano ai fichi.

— Tu, che sei avanti, va a vedere di levamelo.

— Passi, eccellenza, come disse la volpe al lupo: per me non ci anderei
nè manco per un luigi.

— Va tu dunque, Pierantò...

— Io? mica: non vedi i falchi che gli hanno fatto grappolo intorno come
le api...

In questa arriva Orso Campana, il quale visto il caso disse:

— Qui non ci è verso, bisogna che qualcheduno vada a staccare cotesto
cadavere penzoloni: di certo sarà qualche bandito tracollato di sotto
mentre passava, e rimasto preso col piede dentro la serratura.

Vedendo che la sua gente nicchiava, Orso riprese:

— Vieni qua Pierantò; tu se' svelto, e non hai paura: va tu e fa
quanto ti dico, che non correrai un pericolo al mondo; mettiti giù
a cavalcione su i tronchi degli alberi, poi, aiutandoti con le mani,
tirati oltre bocconi; quando sarai proprio sopra al morto, con una mano
agguantati sempre all'arbore, coll'altra passagli il nodo scorsoio
di questa corda, che noi terremo dall'altra cima, al piè rimasto
attaccato, poi taglia la spartea; e quegli verrà così a svincolarsi;
certo prevedo, che darà una sconcia battitura nelle roccie della rupe,
ma ormai il compare mi sembra ridotto a tale che per un picchio più o
un picchio meno non vorrà dire: ohi!

E si tacque, parendogli avere discorso come Cicerone, e conchiuso la
parlata con un'arguzia da rimettere un po' di allegria in corpo alla
sua gente: e di vero i soldati risero, e ne rise anco il sergente,
il quale per quello che appariva o si era preso o gli avevano dato
in cotesta compagnia l'ufficio, che nelle tragedie greche vediamo
esercitare al coro; se nonchè aggiunse:

— Con buona licenza, signor Capitano, io credo che Pierantò
adopererebbe da savio non farne niente, ma se ad ogni mo' egli vuole
andare, ditegli che porti seco un altra corda, e con essa stringa di
una nuova legatura i tronchi prima di tagliare la sparteria, altrimenti
e' corre rischio che gli arbori slegati si sfascino e rovinino portando
giù un vivo per compenso di un morto, e questo non sarebbe buon
baratto, almeno se consideriamo la faccenda con gli occhi di Pierantò.

Il consiglio fu trovato ottimo, e Pierantò, senza danno alcuno mandò a
compimento quanto gli veniva commesso: il cadavere liberato dal laccio
piombò giù; ma, trattenuto dal cadere in fondo dall'altra fune, dette
uno strettone andando a percotere duramente nelle roccie come aveva
avvertito Orso.

Non si sarieno potuto annoverare i falchi, che ci stavano aggroppati
sopra, i quali, stridendo di rabbia, piegavano altrove le ale per
tornare; ve ne fu uno, che, non volendosi a patto alcuno staccare,
rimase schiacciato tra lo scoglio e il capo del cadavere.

Orso, che con ambedue le mani tenne fermo il capo della fune mentre
il corpo cadde, ora chiamò per aiuto a tirarlo su, la qual cosa in
breve fu fatta, ma chi poteva mai ravvisarlo? le carni, non che del
viso, delle mani, erano tutte stracciate, pochi brindelli di vene e
di muscoli pendevano dalle tempie, e poi la fiera battitura gli aveva
spaccato il cranio; dagli occhi diventati due buchi scaturivano lembi
della sostanza cerebrale; insomma e' metteva raccapriccio e spavento.

Nel frugargli addosso si accorsero come non fosse già uomo come
mostravano le vesti, bensì femmina e giovane, a giudicarne dalla
freschezza del petto; allora, pensando che ella fosse forse sorella, o
moglie, o innamorata di qualche bandito, colta da cotesta mala morte,
mentre la poverina si era messa al cimento per sovvenirli di vivere,
anche quei petti venduti sentirono qualche cosa dentro, che si sarebbe
potuto chiamare pietà. Intanto un soldato, avendo rinvenuto alcuni
fogli nelle tasche del corpetto, esclamò:

— Fogli! fogli!

— A me quei fogli, ordinò Orso, e gli furono dati; il quale, gittativi
sopra gli occhi, rimase colpito da un piego che sembrava recente,
sigillato con le armi di Francia. Sopra rinvolto si leggeva scritto:

                 «Al signore Luciano Micheli — Corte.»

Lo aperse, e dentro diceva così:

«Madamigella. State tranquilla, che se ci capita il capo brigante,
secondo lo avviso che mi porgete, i posti saranno rinforzati, la casa
circuita da sentinelle, sicchè se non ha ale, tenetelo preso. Mentre io
vi prometto di porre ai piedi di S. M. cristianissima nostro Signore
e padrone questo nuovo tratto della vostra devozione alla legittima
causa, concedetemi, che io vi significhi il mio gradimento per le
continue premure vostre in servizio del Re, e pregando Dio che vi tenga
nella santa guardia, mi confermo.

                       «Di voi madamigella

  «Corte, 22 Gennaio 1770.

                       «Devotissimo Obbligatissimo servitore
                       IL MARCHESE TUILLIER DE LORDURE
                       Commendatore dell'ordine di S. Luigi,
                              e Governatore di Corte.

    «A Madamigella
  CATERINA CAMPANA.»

Tutto questo Orso lesse in un battere di palpebre, gli cadde il
foglio di mano; traballò, e se men pronti erano a sostenerlo sarebbe
tracollato giù nel precipizio.

Il sergente non lo sostenne, ma tanto non potè dissimulare lo interno
affetto, che non gli scappassero di bocca queste parole:

— Dio non paga il sabato, ma paga.


                                 FINE.



INDICE


  CAPITOLO I    Il vetturino livornese                  Pag.  5
      »    II   Il mercante côrso                        »   13
      »    III  La partenza                              »   31
      »    IV   Il frate                                 »   40
      »    V    Lo zio                                   »   46
      »    VI   Perchè i côrsi non amino i forestieri    »   57
      »    VII  Il cattivo incontro                      »   96
      »    VIII Gioco del lotto                          »  374
      »    IX   La Battaglia di Pontenuovo               »  432
      »    X    I proscritti                             »  556



NOTE:


[1] Da ciò codesto cavaliere Niccolino fu appellato sir del Gatto, che
i suoi nipoti mutarono in Sirigatti, e di questo cognome si valgono
tuttavia.

[2] Bando di Luigi XV da Compiègne 15 agosto 1768. Si nota che la
cronologia dei fatti nel racconto, per amore dell'arte, è stata
alquanto alterata.

[3] Addison's Remarks on several parts of Italy. Hague, 1718, p. 42.

[4] _Camallo_ significa facchino, e viene dall'arabo: l'adoperano i
Côrsi e i Genovesi.

[5] Dall'opera di fortificazione, detta _corona_, murata un giorno in
codesto luogo.

[6]

    E sebben Ciccio di Andrea
    Con amabile fierezza,
    Con terribile dolcezza.

          REDI, _Bacco in Toscana_.

[7] Babbito tuttavia i Côrsi dicono per babbo tuo.

[8] Così chiamavasi dai Côrsi il generale Maillebois.

[9] La lettera, eccetto pochissime varianti per adattarla al racconto,
ho levato di peso da certo manoscritto di storia côrsa conservato dal
signor Antonfelice Santelli di Bastia.

[10] Lo racconta proprio il Boswell che un frate gli disse così.

[11] Pigliare con la bocca. Manca al Vocabolario, e lo ha il Sassetti.

[12] Tra gioie e contanti questo papa, modello della povertà
evangelica, lasciò 25 milioni di fiorini d'oro; circa un miliardo e
mezzo di lire fiorentine.

[13] Nel linguaggio côrso equivale oltremontano, e mi pare da adottarsi.

[14] Scarpatore chiamasi il ladro di campagna.

[15] Rammentiamo che il frate parla dei tempi di Luigi XV.

[16] Questo libro veramente non fu scritto da frate Bernardino
Casacconi bensì da frate Lionardo da Campoloro, e porta il seguente
titolo: _Discorso sacro civile, col quale s'insegna che i morti per la
patria sono martiri._

[17] Questa lettera, in parte che non rileva, alquanto varia, è
stampata nella Raccolta delle Lettere del Paoli a p. 164.

[18] A intendere questo bisogna sapere che la Corsica è divisa
da monti; e a torto o a ragione i Côrsi orientali tengono i Côrsi
occidentali un po' _guasconi_.

[19] Boswell, _Relazione della Corsica_. Londra 1769.

[20] Io scrittore ho veduto questa casa rimasta intatta e per lo
appunto così.

[21] Notiamo bene ve'; è pura storia.

[22] Colombo o conca marina; dicono la chiamassero così a cagione della
sua bianchezza. Ai tempi del Paoli era considerato come il palladio
della libertà.

[23] _Giustificazione della Rivoluzione di Corsica, con la ferma
risoluzione presa dai Côrsi di non sottomettersi mai più al dominio di
Genova._ Oletta, 1758. Nella stamperia della Unità. Con l'approvazione
di tutti i savi. — _Disinganno intorno alla guerra di Corsica, scoperto
da Curzio Tulliano côrso ad un suo amico dimorante nell'Isola._
Colonia, 20 novembre 1736.

[24] Grandissimo conto faceva il Paoli dell'Alfieri, e l'Alfieri del
Paoli. Il Valery nel suo viaggio in Corsica afferma, che delle cose
saccheggiate al Paoli talune poterono recuperarsi, e tra queste la
copia delle opere di Alfieri stampate dal Diderot nel 1788 mancante
di un tomo. Su la prima pagina del Timoleone scritta dalla mano
dell'Alfieri leggevansi queste parole:

   All'egregio Côrso dei nuovi francesi fattosi compagno e maestro.

       — Tu invan col brando, ed io con penna invano,
       Paoli, destar la Italia un dì tentammo;
       Vedi or se accenna i sensi tuoi mia mano.

                                     V. A. Parigi, 11 aprile 1790.

Se poi taluno volesse notare, che nel 1768 non ci erano tragedie
dell'Alfieri stampate, dirò che ha ragione, essendosene fatta la prima
stampa in Roma nel 1783, e non di tutte; mi si scriva a debito di
_anacronismo_.

[25] _Poliorcete_ significa _espugnatore di città_.

[26] Precise parole del Paoli.

[27] Sotto la lingua i Côrsi col miele e il latte ci hanno il
pungiglione, epperò paiono nati per essere forensi.

[28] Nelle nozze un uomo a cavallo va a porgere un fiore alla sposa
mentre sta per uscire di casa onde e' si chiama il _cavaliere del
fiore_.

[29] Poverina, ed anco _tinto_, significa misero, gramo, infelice e
simili.

[30] Lo stesso che una volta a noi il _serraglio_; ovvero catena di
giovani tenentesi per le mani che non aprivano il varco alla sposa se
non si riscattava con qualche moneta.

[31] Infioccata — ed è segno di padronanza della casa ove entra la
sposa.

[32] Tuo padre.

[33] Le idee, e parecchie espressioni furono cavate da varii vocèri;
massime da uno terribilissimo, che ebbe la empia virtù di costare la
vita a trenta persone.

[34] Dionomachia.

[35] Il poemetto del Savelli ha il titolo di _Vir Nemoris_, l'Uomo del
Bosco, e si versa appunto su le vicende di Domenico Leca vicario di
Guagno, e della sua nepote.

[36] Parole storiche.

[37] Padre di Napoleone, morto a Mompellier.

[38]

    .... tua murmura flumen
    Exagitat memori sacros in corde dolores:
    Tempus enim relego, quo fortia corpora volvens
    Exuviasque virum, suffusa cruore, repressit
    Unda pedem refluens panditque cadavera coelo
    Arma fusa vadis et adhuc removentia tabem
    Vulnera — Tunc animas heroum rite vocamus
    Multaque cum gemitu memorantes, multa precantes
    Digredimur...

                                  _Vir nemoris._
                                   POEMA CÔRSO.

[39] Caracalla a Papiniano dopo il fratricidio di Geta.

[40] Nonna.

[41] Fortuna.

[42] Un poco.

[43] Cucire.

[44] Povero.

[45] Gonnella.

[46] Sopraffino.

[47] Villaggio d'oltramonti.

[48] Procoi-poderi.

[49] Freno o rocca infioccata. Vedi il vocero di Lella Campana.

[50] Scorta di cavalieri che conduce la sposa a casa lo sposo.

[51] Con sussiego.

[52] A suono di cornamusa gonfiata.

[53] Villaggio su quel di Sartene.

[54] Travata: serraglio.

[55] Un secchio di latte rappreso.

Questa canzone è ricavata dalla raccolta dell'egregio vecchio
consigliere S. Vitale, testè morto, che qui rammento per onoranza e per
affetto.

[56] _Chine_, _line_, _quine_ sono rimaste parole vive nel dialetto
Côrso per l'odio, che ha la nostra lingua contro le stroncature; e
_chinamonte_ si usa in Toscana dai contadini: i cittadini parlano, e
gli scrittori dei diari per ordinario parlano e scrivono una lingua
senz'altro tersa, ma non però italiana.



Nota del Trascrittore

Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, così come
le grafie alternative (molteplici/moltiplici, desideri/desiderî,
brulichio/brulichìo e simili), correggendo senza annotazione minimi
errori tipografici.





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