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Title: Tristano e l'ombra - Commedia romantica in tre atti
Author: Stefani, Alessandro de
Language: Italian
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*** Start of this LibraryBlog Digital Book "Tristano e l'ombra - Commedia romantica in tre atti" ***


                         ALESSANDRO DE STEFANI


                           TRISTANO E L'OMBRA

                     Commedia romantica in tre atti



                                 MILANO
                        CASA EDITRICE VITAGLIANO



                     PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA

             I diritti di riproduzione e di traduzione sono
                      riservati per tutti i Paesi,
             compresi i regni di Svezia, Norvegia e Olanda.

                               30-1-20-1

                 Copyright by Casa Ed. Vitagliano, 1919

  Officine Grafiche SAITA & BERTOLA — Milano, Corso Porta Romana, 113.



PERSONAGGI:


  TRISTANO
  RE LANGUIS
  DUCA ERASMO, _fratello del Re_
  ARDEN, _vecchio guerriero_
  HUBBO, _nano_
  ONINONI }
  ELINER  } _briganti_
  CARIADO }
  GERUSALISTO, _vecchio avaro_
  CRISAURO, _giovane triste_.

  ISOTTA BIANCAMANO.

  _Baroni — Briganti — Gente del séguito._

Nel regno di re Languis, in tempo di fantasia.



ATTO PRIMO


SCENA PRIMA.

_Sulla riva di un mar tranquillo e fosforescente. Scogli e stelle._

                              Da un oscuro antro Hubbo veglia la
                              notte.


HUBBO.

  Hubbo ha fatto l'incantesimo del mare con le sirene
  ed ha mescolato sale con sangue.
  Ed aspetta: un gabbiano stride e ride
  ma non alla tempesta.
  Ecco; le stelle de' suoi occhi sono in cammino,
  e tutto questo nero è la sua chioma.
  Ma quando ella sia qui? Hubbo si celerà...
  in fondo alla sua miseria, e spierà, piano piano...
  Che ombra s'avvicina?

                              (Hubbo si rintana nel buio, mentre
                              TRISTANO, mascherato ed ammantellato,
                              si ferma dinanzi all'antro. Una pausa).

  Anche tu, guardi morire la notte
  su questa fosforescente riva?
  O temi il candore del giorno?
  Eh! Eh! Bello sei tu, alto, diritto:
  ma il viso perchè lo nascondi?

TRISTANO.

                              (Dopo una pausa).

  Perchè non è mio.

HUBBO.

  Che nome hai? E che schiavitù
  ti fa portare viso altrui?

TRISTANO.

  Tu chi sei?

HUBBO.

  Qui, nella mia ombra, una voce sono
  che ti vede, ma tu se mi vedessi
  più risate faresti che l'acqua su gli scogli.

TRISTANO.

  Non rido, se anche tu il mare
  chieda in matrimonio.

HUBBO.

  Sotto la maschera,
  chiudi il segreto d'una vergogna?
  Od un mostro tu sei, in abito di lutto,
  per la bellezza che ombra solo t'accompagna?

TRISTANO.

  Mangi pesci crudi, tu, qui?

HUBBO.

  Hubbo vive. Taluno viene e butta
  ossi da rodere ed anche monete tintinnanti,
  pur ch'egli parli con la stella di ciascuno
  e ripeta quel ch'essa risponde.
  Eh! Tutti credono d'avere la sua stella.

TRISTANO.

  E non v'è più stelle che uomini?

HUBBO.

  E più malanni che stelle.
  Ma le monete, Hubbo le dona alle onde
  per essere più ricco del re davanti al mare.

TRISTANO.

  Vengo a vivere, se mi vuoi, con te.

HUBBO.

  No, che Hubbo non ti vuole. Per vivere insieme
  dovremmo avere invidia od amore,
  e parliamo invece per sciupare le nostre parole.

TRISTANO.

  Ti chiedo la grotta solo per dormire.

HUBBO.

  Eh! Ti uccide Hubbo nel sonno,
  per vederti la faccia e sapere di che male sia nera.
  Curioso e crudele, l'hanno fatto i marosi.

TRISTANO.

  E non puoi leggere, nell'abisso
  di qualche mia stella, le pagine della mia vita?
  Anch'io sono curioso della fine.

HUBBO.

  Ma dopo fammi il dono d'andar via.
  Hubbo vede, oh, che vieni di lontano,
  dopo un affannato addio,
  vede che sei tagliato in due,
  e il mare in mezzo respira e piange,
  e giovine sei,
  e vecchio di disperazione,
  e vieni... carogna, contro me. Via!
  Vattene! Vedo il tuo domani che mi brucia!

                              (Gli tira una pietra gridando).

  Storpiare ti potessi...

TRISTANO.

  Tante pietre butta, da seppellirmi qui,
  che poi avresti da mangiare,
  ma carne amara.

HUBBO.

  Vattene! Annega! Essa viene! È qui!

                              (Entra ISOTTA con ARDEN).

ARDEN.

  È questa la grotta di Hubbo, astrologo del mare?

HUBBO.

  Hubbo è qua! Hubbo è qua!

ARDEN.

  Siamo venuti senza lanterna, come vuoi,
  per interrogare la tua sapienza segreta.

HUBBO.

  Benvenuta, gentile signora.
  Hubbo pesca per te nelle onde del cielo e del mare.

ARDEN.

  È una figlia mia...

HUBBO.

  Bugia... Bugia...

ARDEN.

  Perchè non esci, non vieni
  più vicino alle nostre domande?

HUBBO.

  Hubbo resta qua. Hubbo sa
  le cose da dire e da ascoltare.
  Con Hubbo non c'è da mentire,
  neanche figlia di re.

ISOTTA.

  Parla.

HUBBO.

  Hubbo da tre notti prepara la verità:
  egli sapeva che saresti venuta
  ed ha scrutato in flussi e riflussi,
  perchè il re Languis malato sia più dei suoi anni,
  e stanco da non sopportare il peso
  neanche della sua corona.
  Non questo domandi figlia del re e della notte?

ISOTTA.

  Rispondi. Non interrogare.

HUBBO.

  Hubbo ti dice i segreti che sa.
  Ti guardi mai tu nello specchio,
  signora dalle bianche mani?
  E la tua pelle più bianca del latte,
  l'hai tu veduta, e tremato?
  E misurati i capelli di tempesta?
  Eh! Ti deve parlare d'orgoglio
  lo specchio, nei vostri colloqui.
  Spezzali tutti i tuoi specchi,
  e dimentica il tuo volto!
  Eh! Eh! Ma chi t'ha guardata,
  non può dimenticare...
  Maledetto! Maledetto
  Dicevo, perchè il tuo volto può salvare
  il re Languis, ma se tu lo veli e custodisci
  con religione, che nessuno mai lo sorprenda di baci,
  o se no lo baceranno tante lacrime
  quante il mare ne ha vedute stillare a Hubbo,
  che sa mordere anche,
  ma tutto è cancellato...
  La vedi, la tua stella,
  signora dalle bianche mani?
  Eh! Sta per cadere e spegnersi nel mare:
  è legata ad un capello solo.
  La vedi? In mezzo al mare?
  Consacra ad essa la tua castità
  e sarai salva in eterno e salvo il padre.
  Ma giurare devi.

ARDEN.

  Principessa, fiabe racconta, tessute di spavento.
  Il nobile duca Erasmo vi ha chiesta in isposa,
  ed è ricco di terre e di vassalli!

HUBBO.

  Castità! Castità!

ISOTTA.

  Mia madre aveva fede in questo invisibile profeta...

HUBBO.

  Hubbo le predisse che moriva se non dava
  una sua ciocca nera alle fiamme di venerdì.
  Ma essa amò i suoi capelli più della vita.
  Amerai tu la vita e la tua carne di più?

ISOTTA.

  Amo mio padre di più, e gli occhi suoi spenti.

HUBBO.

  Giurare devi.

ISOTTA.

  Io giuro senza parole, nel mio silenzio.

                              (Sono comparsi improvvisamente con
                              fiaccole i Briganti. Hubbo si rintana,
                              fuggendo la luce).

ARDEN.

  Non è gente della scorta... Che vogliono costoro?

HUBBO.

  Spegnete le luci, per carità...

ONINONI.

  Dove entriamo noi si fa luce, ed illuminazione di gran gala!

CARIADO.

  E se non ti piace, fuoco d'incendio e sangue che fuma!

ARDEN.

  Sono briganti. Indietro. Che volete qui? Sapere forse come la mia
          spada uccida e recida?

HUBBO.

  Non siate malvagi; con me foste pietosi di frutta, talvolta.

ONINONI.

  Il cuore anche noi l'abbiamo, per la Vergine santissima, e tu ci hai
  dato spoglie di naufragi.

CARIADO.

  Ma quando non s'è mangiato da ieri, e qua c'è ricchezza regale,
  bisogna bene aprire denti ed unghie! Dunque su! facciamo caccia
  grossa, la figlia del re è piatto d'oro!

ARDEN.

  Guai a chi la tocca!

ELINER.

  Te vecchio ti demolisco: e la ragazza a me.

                              (Arden si difende con la spada,
                              ma, vecchio e debole, è presto
                              sopraffatto).

ARDEN.

  Aiuta mia fedeltà!

                              (Arden ferito cade. Hubbo allora
                              si precipita dal suo nascondiglio,
                              disperato e deforme).

HUBBO.

  No! Maledetto chi la sfiora! Il mondo crolli se la principessa vien
  toccata! Hubbo la difende! Hubbo!

ONINONI.

  Ah! ah! ah!

CARIADO.

  Il rospo paladino!

ELINER.

  Non dovevi uscire dal tuo buio...

CARIADO.

  Innamorato sei?

ONINONI.

  Indietro, buffone!

                              (Con uno spintone lo scaraventa contro
                              uno scoglio).

HUBBO.

                              (Piangendo).

  M'ha visto! Essa m'ha visto!

ELINER.

  Ride anche il morto, se ti guarda.

ONINONI.

  Questo vecchio? L'hai ucciso?

ELINER.

  Combattendo.

ONINONI.

  Non si doveva: era vecchio!

CARIADO.

                              (Inchinandosi presso Arden).

  Non è morto.

ONINONI.

  Bisogna curarlo.

ELINER.

  Poveraccio, difendeva la sua signora.

ONINONI.

  È un bravo guerriero... Quanti anni avrà?

ELINER.

  Può esser mio nonno.

ONINONI.

  Imbecille: bel coraggio hai avuto di ferirlo!

ELINER.

  Stoccheggiava contro me.

ONINONI.

  E tu chi sei?

ELINER.

  Come te.

ONINONI.

  Bene, noi siamo dei cani, ecco tutto.

ELINER.

  Cani e canaglie, per grazia del nostro destino.

CARIADO.

                              (Si segna).

  Amen!

ONINONI.

  Ecco, si sveglia: ferita da niente. Buon vecchio, perdonaci. È
  stato, anche il nostro, un dovere. Vorremmo essere briganti con
  gentilezza, ma come si fa? La vita è piena di pericoli. Su: al
  bottino, ora. Se ci mettiamo a piangere anche questa volta, non si
  mangia. Sei nostra prigioniera, principessa Isotta. E il vecchio
  vada libero e dica al re che ci paghi il tuo riscatto. Non aver
  paura: a te non faremo alcun male, ma ti canteremo canzoni d'onore,
  poichè sappiamo anche noi le regole del bel mondo. L'abbiamo
  abbandonato per disgusto e per protesta contro le ingiustizie
  che ogni giorno vi si commettono. Uno sputo sul mondo, così. Beh,
  insieme berremo un coraggioso bicchiere di vino, o due, alla salute
  di tuo padre, che è un buon re, e per questo ha perduto tutte le sue
  guerre e gli occhi.

ELINER.

  Vero, compagno. Parli da gentiluomo.

CARIADO.

  Ma ora basta, e via!

TRISTANO.

  Avete detto che si chiama Isotta?

ONINONI.

  E chi è questo? Di dove uscite?

ELINER.

  L'ombra di qualche morto insepolto...

TRISTANO.

  Isotta, dite?

ONINONI.

  Sì, la figlia del re Languis, a cui Dio conceda molti anni ancora...

CARIADO.

  Amen!

ONINONI.

  E tu non sarai un brigante d'oltre tomba che ci voglia portar via
  quello che è nostro?

ELINER.

  Perchè i briganti a noi non ci garbano un fico. E bada quindi a te!

TRISTANO.

  Se vengo d'oltre tomba è per un nome,
  simile al tuo, principessa.
  Io son tutto una corda che canta
  se dico Isotta.
  Briganti, amici, suo padre è vecchio e cieco e buono.
  Lo sapete. Ed io so che è tanto malato
  da non poter portare la corona.
  Con un dolore grande, volete voi
  spingerlo fuori di vita? Volete questo?

ONINONI.

  No, che non vogliamo, perdio!

TRISTANO.

  Ma questa figlia, che si chiama Isotta,
  se non gli ritorni con l'alba a casa,
  certo egli si spegne.
  E voi ne avreste la colpa e il danno,
  che non è come uccidere un nemico o un ladro
  ma terribile delitto uccidere un bravo re.

ONINONI.

  Eh... re Languis è un bravo re!

TRISTANO.

  Chi verrà dopo di lui?
  Un re è come la salute:
  se buona da non la perdere.

ONINONI.

  Vero, sangue di Cristo!

CARIADO.

  Ma noi abbiamo fame.

TRISTANO.

  Anch'io. Mangeremo insieme.
  E se non amici, nemici miei.
  Io so far la mia giustizia con le mie mani.
  Ed è per voi allora che non sorge più il sole.

ELINER.

  È un brigante che sa fare il brigante.

CARIADO.

  Amen!

TRISTANO.

  Dunque lasciate costoro che vadano in pace
  e di buon mattino troveremo pane.
  Se ci chiudono le porte,
  eh, c'è tanti onesti malvagi
  che rubargli non è peccato per l'anima mia.

ONINONI.

  Se agisci come parli, tu mi vai a genio. Chi sei?

HUBBO.

  Il diavolo l'ha mandato.

TRISTANO.

  Avete nessuno di voi una madre?

ELINER.

  La mia è morta quando avevo dodici anni, che se no, non facevo il
  brigante.

ONINONI.

  La mia s'è annegata quattro anni fa, per la Madonna dei Sette
  Dolori.

CARIADO.

  E la mia, poveretta, era vecchia, e son tre giorni che l'ho
  seppellita, con queste mani sacrileghe. Una croce, una lagrima e un
  po' di terra. Amen.

TRISTANO.

  Ed io peggio di tutti voi: non l'ho veduta mai...

ONINONI.

  Mai?

ELINER.

  Ohè, dice che la sua, non l'ha veduta mai!

TRISTANO.

  Aveva nome Biancofiore.
  Ed è morta quando io nascevo,
  anche m'hanno dato un nome triste,
  e porto il maleficio nel mio sangue.
  Oh, voi, la ricordate, almeno, la madre...
  Per essa, che è una sola, sotterra, oramai per tutti,
  vi prego, lasciate questa principessa Isotta che vada...

ONINONI.

  Che vada... se ci preghi.

CARIADO.

  Ma tu resti con noi.

ELINER.

  Se parli, un po' si illude la fame.

ARDEN.

                              (Che s'è alzato).

  Signore...

TRISTANO.

  Va.

                              (Isotta e Arden _exeunt_).

HUBBO.

                              (Piano, un po' trascinandosi dietro
                              loro).

  Castità! Castità

ONINONI.

  Compagno, ma ci mostrerai la faccia che tua madre t'ha dato. Tra
  amici, è come darsi la mano.

TRISTANO.

  No. Io ne ho fatto dono ad altri
  nella mia povera vita
  che è stata rossa.
  E questo che vedete è il tizzone nero
  dopo l'incendio.
  Ed il mio è stato gran delitto,
  che voi brava gente, non avreste osato mai...
  Ah, il mio viso, laggiù, nei giorni lontani,
  al di là del mare e del rimorso,
  tali baci e carezze l'hanno consumato,
  che ora non patisce vento nè sole.

ONINONI.

  Fratello, poveretto, hai perduto un tuo grande amore?

CARIADO.

  Hai ucciso la tua fede?

TRISTANO.

  La fede del mio re.

ELINER.

  Credi a me, non c'è che il vino e il canto, per rimedio.

TRISTANO.

  E morire. Andiamo.

ONINONI.

  Nasce l'alba.

ELINER.

  Non c'è neanche bisogno di nasconderci poichè abbiamo finito
  santamente la notte: ma, compagno brigante, se triste sei, ti
  canterò lungo la strada una canzone d'allegria. Tutta roba fatta da
  me, aria e parole. Passo il tempo così, quando non c'è da trafficare
  in meglio.

                              (Tristano, Cariado, Eliner e Oninoni
                              _exeunt_).

_La canzone di Eliner._

  Chi senza legge va
  vive di quel che può
  non dice mai di no
  e quel che non sa fare, impara e fa.
  È brigante ed è re.
  Oggi qui, diman lì,
  son trottole i suoi dì;
  canzoni nella testa ed ali al piè!

HUBBO.

  La mia notte ha perduto tutte le sue stelle!
  Hubbo, e tu i sogni!
  La maledizione su quella maschera nera.
  Ed Hubbo la seguirà
  per avvelenargli l'acqua che beve.
  I briganti, sì, sono brava gente:
  ed Hubbo è un rospo senza più maschera.
  Ma, se egli è fatto male, può anche far del male.

                              (_Exit_).


SCENA SECONDA.

_Una sala nel palazzo di re Languis. Entrano ISOTTA, e il duca
ERASMO._


ERASMO.

  Il re si va spegnendo, alfine stanco
  d'errare per le vie della pazzia;
  Non vive più, vaneggia e si allontana.
  Se cieco, egli non vede il precipizio,
  tu lo devi salvare, con il regno.
  Ecco: t'offro domani la corona
  ed essere regina dove sei
  ancora figlia taciturna, ed oggi
  t'offro la mano mia, ed il mio petto.
  Dentro questa saldezza la tua bianca
  fragilità ripari come in torre
  sicura. Non tacere, chè mi piaci,
  nipote, ed io ti parlo con negli occhi
  la verità che vuole la sua preda.
  Ti spiace questo mio perduto fiore
  di giovinezza? I frutti di più sugo
  maturano di su tronchi rugosi.
  E gli anni a me, m'han dato gagliardia.
  Guardami. So volere, eppur domando.
  Vuoi che per farti più sdegnosa, appenda
  sempre le mie parole al tuo silenzio?

ISOTTA.

  Nobile zio, questa notte nel mio silenzio
  ho fatto voto di castità.

ERASMO.

  Per andar salva di quei tre briganti?

ISOTTA.

  Solo per consiglio delle stelle.

ERASMO.

  Mi beffi. E se davvero hai fatto voto,
  non è per chiuder la tua porta a' miei
  desiderî?

ISOTTA.

  Non è stata aperta mai.

ERASMO.

  Tu infili parole come al gioco
  delle perle. Ma ventitrè baroni
  con tutti i loro vassalli sono mia
  gente giurata: e se non regno ancora
  è per mia viltà e della sorte.

ISOTTA.

  Iddio è con mio padre.

ERASMO.

  Iddio non vale il ferro d'una lama!
  Ed in ogni guerra Iddio contro tuo padre
  ha combattuto!

ISOTTA.

  No. Dio è sempre col vinto.
  La sconfitta è una divina prova
  e dentro a chi la sopporti nascono alti pensieri.

ERASMO.

  Sei sulla via del chiostro, mia nipote!!
  Ma non voglio: sei più bella che santa,
  e calpesto i tuoi voti col mio piede...

ISOTTA.

  Bada zio, che sapranno di veleno.

ERASMO.

  Queste mani, le tue candide mani...

ISOTTA.

  Il re.

                              (Squilli. Entra il re LANGUIS, ARDEN ed
                              alcuni baroni).

ERASMO.

  Bel Sire, la salute rifiorisce
  oggi, per queste sale, e vien con voi.

LANGUIS.

  No. Sentiamo noi la vita andarsene come la sabbia che si spande via
  da un sacco bucato, piano piano. Voi credevate che fosse pieno di
  pietre preziose il sacco. No, sudditi nostri; non era che sabbia.
  Noi la vediamo, anche se ciechi, perdersi nel gran turbine della
  morte dove danzano tutte le sabbie dell'eternità, come pulviscoli
  nel sole.

ARDEN.

  Sacra Maestà, ricordatevi di essere re.

LANGUIS.

  Noi, sovrano sfiorito di questa fiorente contrada, vogliamo secondo
  le nostre cadenti forze donare quella felicità ch'è possibile ai
  popoli che ce la domandano. Poichè non siamo seduti su questa sedia
  che ha nome trono, per nostro piacere, ma per il servizio di tutti.
  Al timone della nave non sta che un marinaio, di mano franca e
  d'occhio acuto. Ma la nave non è sua. È del mare. E il mare è di
  Dio. Or noi non abbiamo più occhi, e la mano trema. Però dobbiamo
  credere che sia giunta alfine l'ora di guardare al contenuto della
  nave, poichè, per grazia divina, siamo in tempo di bonaccia. Ma
  sanguinose guerre hanno devastato questo nostro povero paese, e
  i nostri anni. Noi vogliamo che il popolo ci perdoni tali guerre,
  sopportate per la traboccante prepotenza dei vicini, e perdute, come
  Iddio ha voluto, senza che perduto fosse l'onore. Anche i vincitori
  s'avvedono, ma tardi, a che poco concluda la favola rossa. La
  guerra, gente nostra, è un'infelice strada che sembra tutta archi
  di trionfo, perchè vegliata di cipressi e coronata di stelle, ma non
  conduce che a un cimitero!...

ARDEN.

  Sacra Maestà, ricordatevi di essere re.

LANGUIS.

  Sì, perdono di tutti i vostri passati mali, popolo, non perchè noi
  ne siamo la causa, ma perchè non vi abbiamo salvato da tutti. Ed ora
  godiamo una vecchiaia onestamente povera. Siamo un re che per sua
  guardia tiene solo un guerriero vecchio quanto lui. Siamo un re che
  in elemosina ha speso il suo e quel degli avi, e d'oro gli è rimasta
  quest'unica corona... E si è donata a quei briganti che stanotte, ci
  ha detto nostra figlia, avevano fame, e quindi tramavano il male.

ERASMO.

  Sire, re...

LANGUIS.

  Ordiniamo e vogliamo che così sia. E la terra del nostro regno
  vada interamente divisa e in parti uguali fra tutti gli uomini
  cittadini nostri sudditi dai venticinque ai sessant'anni, con
  l'obbligo ciascuno di lavorare alla coltivazione del proprio avere.
  Nella terra e nell'amor della terra è la via del cielo. Non avranno
  diritto a questa legge tutti coloro che sian cresciuti senza voler
  famiglia nè figli, rinnegando così la posterità ch'è sacra. Costoro
  potranno essere giustamente mendicanti!

ARDEN.

  Sacra Maestà...

LANGUIS.

  Lo siamo, re. E crediamo di saggiamente ancorare in porto la nave
  dello Stato così facendo, e di raccomandare onestamente a Dio
  il gregge di cui siamo stati per tanti anni il pastore. Pertanto
  ordiniamo e vogliamo che così sia. Sian bandite queste ultime nostre
  leggi, come d'usanza, dal balcone al popolo.

ERASMO.

                              (Dal balcone).

  Cittadini, per ordine e volontà del re Languis,
  queste sono le sue ultime leggi.
  Il re fa dono della sua corona
  ai briganti!

                              (Mormorìo di dentro).

  E dona tutta la terra del regno
  ai contadini!

                              (Mormorìo di dentro).

LANGUIS.

  Che risponde, il popolo, laggiù?

ERASMO.

  Che la vostra saggezza, Maestà,
  i limiti oltrepassa dell'umano
  onde non è compresa e non ne siete lodato.

LANGUIS.

  Non è lodi che aspettiamo.

  E aggiunto sia che a nostro successore designamo, non te, od altri
  di sangue nostro. Ma dalla voce del popolo sia scelto, e vorremmo
  un popolano. Conoscerebbe meglio il cuore de' suoi compagni. Così,
  Erasmo, ti salviamo dal peso di regnare, ed è il solo dono paterno
  che ti possiamo largire... Ordiniamo e vogliamo che così sia.

                              (Il Re, Isotta e Arden _exeunt_).

ERASMO.

  La sua demenza è tanto manifesta
  che, avete udito? il popolo gli grida
  ch'è pazzo ed alle leggi si ribella...

I BARONI.

  Le sue parole tradiscono il regno!
  La patria ne pericola!
  C'è più veleno ne' suoi pazzi sogni
  che nelle spade de' nostri nemici!

ERASMO.

  Voglio dimenticar ch'è mio fratello
  ed agire o morire.

                              (Entrano altri baroni).

                     Ebbene, il popolo?

I BARONI.

  Borbotta e maledice.
                       La vecchiaia
  solo difende ancora il re...
                               Ma troppo
  si lamenta il buon senso della gente!

ERASMO.

  Ma della terra data ai contadini,
  che dicono?

I BARONI.

              Diffidano.
                         Non è
  beneficio, ma trappola, commentano
  i saputi.
            E costui, dicono tutti,
  è un re che non è re.

ERASMO.

                        L'avranno, il re.
  Voi, propagate, intanto, la mia causa
  fra la gente. Ma è buona, e basteranno
  poche parole. E voi, con me, vicini.

                              (Qualche barone _exit_. Il duca Erasmo
                              va al balcone).

  Cittadini, il re Languis troppo d'anni
  carico e di follie, come vedeste,
  lascia il governo della patria a me,
  che accetto, se vi piace, di salire
  al trono, e giuro con più sacre leggi
  di rimediare a' suoi senili errori,
  e di risollevare l'avvilita
  gloria delle armi nostre. Rispondete!

VOCI.

  Evviva Erasmo re!
                    Evviva Erasmo!

ERASMO.

  Noi vi benediciamo, figli nostri,
  e vi invitiamo all'incoronazione,
  domani, qui.

                              (Venendo in scena).

               L'esilio per il vecchio!
  Non per le colpe sue che perdoniamo;
  ma il popolo potrebbe, è come il vento,
  ripentirsi di noi, e rivolerlo.

                              (Rientra Isotta).

ISOTTA.

  Il re...

ERASMO.

           Non è più quello, principessa!
  Il popolo ha saputo usar la legge
  proclamata dal nostro pio fratello.
  Ed ha scelto che noi fossimo re.

ISOTTA.

  E mio padre?

ERASMO.

  La sicurezza e l'ordine del regno
  ci forzano ch'ei parta per l'esilio.

ISOTTA.

  Questo comanda il popolo e lo Stato?

ERASMO.

  Ed ora vuoi dividere non più
  le speranze ma il regno, principessa?

ISOTTA.

  Voglio col mio padre e re dividere l'esilio,
  se qui nessuno sorge a dire che tal legge è menzogna.

ERASMO.

  Avrete buona scorta ed un palazzo
  per dimora.

ISOTTA.

                              (Dopo una pausa).

  Una grazia vi domando,
  e se anche figlia di re scacciato,
  conto mi sia concessa.
  Il mio padre nulla sappia della verità,
  che me stupisce, ma poco,
  lui, avvelenerebbe.
  Possa, egli ancora essere illuso,
  credere buona la gente,
  fedele il popolo, giusto il fratello,
  saggio il destino.
  È cieco. Ed è sereno.
  Se intorno regni il silenzio,
  egli riposerà beato.

                              (Tutti chinano i volti, intorno,
                              silenziosi.

                              Entra il re LANGUIS con ARDEN).

LANGUIS.

  Abbiamo inteso come un clamor di festa, su cui galleggiava il grido
  di re. È forse il popolo che si rallegra del nostro paterno amore?
  Non c'è nessuno qui?

ISOTTA.

  Sì, padre: io.

LANGUIS.

  Ed era la gioia del popolo, è vero?

ISOTTA.

  Sì, padre.

LANGUIS.

  Figlia nostra, quant'è buona la gente! È tutta una famiglia
  l'umanità. Ed è come la terra, il cuore... Se bene semini, bene ti
  rende...

ISOTTA.

  Sì, padre: ti rende...

LANGUIS.

  Oh, il nostro povero merito non vuole tante lodi, ma ci è pur
  di conforto la riconoscenza: è come il tepore di una primavera
  sulla stanchezza del nostro inverno. Ahimè, non possiamo vedere i
  volti beneficati dalla nostra umile saggezza, ma sentiamo intorno
  sorridere le anime...

ISOTTA.

  Sì, padre... intorno a voi
  c'è solo amore e fede...

LANGUIS.

  L'aver creduto, in ogni ora, in ogni evento, nella bontà del mondo,
  questa lieta conferma ci dona suggello della nostra vita d'uomo e di
  re.

ISOTTA.

  Sì, padre...

LANGUIS.

  Ma tu sembri, lontana da noi, tremare. E ti conosciamo ferma e
  forte.

ISOTTA.

  Di commozione, tremo.

LANGUIS.

  Ah, la felicità degli altri, se ha le radici in noi, è come un
  premio dolce e caro... Ne piangiamo anche noi... Sono le sole luci
  de' nostri occhi, queste lacrime calde... popolo nostro, per te...

ISOTTA.

  Padre... se le cure del regno oramai
  lasciate a chi il popolo vuole suo capo...

LANGUIS.

  Non gli sarà fatto violenza, al popolo nostro?

ISOTTA.

  No, padre. Si prenderà
  chi gli somigli e chi gli convenga.

LANGUIS.

  È ingenuo come un bambino, facile ad essere ingannato.

ISOTTA.

  Ora, padre, vorrei condurvi
  e condurvi via nel verde della campagna
  o presso il buono azzurro del mare.

LANGUIS.

  Non ti piacciono più le dolci cose, che la gente dice, se ti vede?

ISOTTA.

  No.

LANGUIS.

  Ma qui abbiamo i nostri fedeli baroni e il nostro pio fratello,
  tante care persone che amiamo.

ISOTTA.

  Meglio il silenzio e le dolci cose
  delle cicale e degli usignoli.

LANGUIS.

  Come ti piace: viviamo nella tua giovinezza e non in noi.

ISOTTA.

  Andiamo, padre: ho fretta.
  E il vostro pio fratello ci prepara
  una quieta dimora, lontano.

LANGUIS.

  Egli ci vuole bene... E viene con noi?

ISOTTA.

  Rimane senza di noi.
  Arden, sarete la nostra sola compagnia.

                              (Fanno per andare).

LANGUIS.

  Dimenticavamo... questa corona...: per i briganti.

                              (Isotta prende la corona del Re e la dà
                              silenziosamente a un barone. Quindi re
                              Languis, Arden e Isotta _exeunt_).

IL BARONE.

                              (Porgendo la corona al re Erasmo).

  Per voi, Sire!


SCENA TERZA.

_Un viottolo di campagna. Alberi. Nel fondo una torre, con una finestra
chiusa da inferriate, all'altezza di un uomo. Ai piedi della torre uno
stagno ed erbacce._

                              (Eliner, Oninoni e Cariado stanno
                              giocando a carte, seduti su di un
                              sasso, e vociano).


ELINER.

  Come rispondi a questa mazzata?

ONINONI.

  Ecco, la paro. E ti frantumo. A te!

ELINER.

  Un basilisco. E sei morto e putrefatto.

CARIADO.

  Ragazzi, fermi. Un omiciattolo vien dalla città. Porta un sacco:
  forse c'è dentro pane per i nostri denti.

ONINONI.

  Ma il capitano non vuole, senza suo comando.

CARIADO.

  Poi gli diremo tutto: questo è un colpo che s'è buono, non ritorna.

ONINONI.

  Be', vediamo.

                              (S'appiattano. Entra il vecchio avaro
                              GERUSALISTO; si ferma).

GERUSALISTO.

  Tremila seicento a casa... E settecento, fanno quattro mila
  trecento...

ELINER.

  . . . . giorni che passerai in purgatorio, a cominciare da domani,
  per ivi scontare i tuoi peccati!

GERUSALISTO

  Ahi... me misero! Ah, chi siete? No. Aiuto, aiuto!

ONINONI.

  Silenzio. La vedi quell'acqua verde? Se non ti taci, dentro a
  dormire!

GERUSALISTO.

  Ma... per carità!

CARIADO.

  Quel sacco a noi.

GERUSALISTO.

  No... Non fatemi questo delitto... È tutta la mia vita... Ho tredici
  figliuoli...

ONINONI.

  Donde vieni?

CARIADO.

                              (Che ha aperto il sacco).

  Eh... oh... ah...

ELINER.

  Oro!

GERUSALISTO.

  Sì... ma... oro non mio... dei miei quindici figliuoli...

ONINONI.

  Come ti chiami?

GERUSALISTO.

  Sono il povero Gerusalisto... ho a casa venti figliuoli...

ONINONI.

  Per la coda di Sant'Anna, hai cambiato faccia!

GERUSALISTO.

  Mi son lasciato crescere la barba.

ONINONI.

  Dieci anni fa eri usuraio, mi ricordo.

GERUSALISTO.

  No... così... aiutavo gli amici con qualche soldarello, per grazia
  di Dio.

ONINONI.

  E facevi la spia...

GERUSALISTO.

  Oh... calunnie... calunnie...

ONINONI.

  E vendevi di nascosto veleni che non lasciavano traccia.

GERUSALISTO.

  Calunnie, calunnie.

ELINER.

  E quest'oro, chi te l'ha dato?

GERUSALISTO.

  La giustizia, brav'uomo. Ieri è finita una lite che il giudice ha
  concluso a mio favore. Oh, c'era un coniglietto senza denti, un tal
  Crisauro che pretendeva di non darmi quest'oro... Ma c'erano carte
  scritte. E si è fatta giustizia. È frutto di giustizia, brava gente.
  Volete che vi doni un ducato per l'anima dei poveri defunti?

CARIADO.

  Tu ci lasci il sacco.

GERUSALISTO.

  Ah no... Le leggi lo vieteranno... Il cielo! I miei venticinque
  figli!

ONINONI.

  Troppi. Mettetelo nel fosso!

GERUSALISTO.

  No. No. Per Giacobbe e Geremia!

ONINONI.

  E allora vattene a piangere altrove i tuoi ducati.

GERUSALISTO.

  Ma reclamerò alla nazione, alla giustizia...

CARIADO.

  Nel fosso!

GERUSALISTO.

  No. Non reclamerò... ma...

ELINER.

  Via.

GERUSALISTO.

  Vado... vado... Oh disgraziato me... oh infelice me... o tapino
  me...

                              (_Exit_).

CARIADO.

  Un sacco d'oro... Un sacco...

ELINER.

  E il capitano che dirà?

ONINONI.

  Che siamo furfanti, per la croce di Dio. Ma quel vecchio è più
  furfante di noi. Quindi non ho rimorsi.

                              (Entra CRISAURO, giovane triste).

ELINER.

  Oh... siamo spiati!

ONINONI.

  Dove vai, compagno?

CRISAURO.

  Per il mondo!

ONINONI.

  E, così solo, non hai paura dei briganti?

CRISAURO.

  Non saranno mai peggio di quelli di città, che han nome di giudici,
  e di gente onesta.

ELINER.

  Che t'hanno rubato, passerotto?

CRISAURO.

  Il mio. Quattr'anni fa avevo fatto un debituccio con un vecchio
  avaro. Oh, pochi ducati per mio padre ch'era povero e malato, e
  poi è morto. Non ho potuto pagare il debito, ma l'ho rinnovato,
  moltiplicato, ingigantito. Tre mesi fa, l'usuraio viene ed esige la
  somma che non avevo. S'infuria, mi minaccia. Alfine vuole ch'io gli
  firmi una carta, l'aveva pronta, per cui gli cedevo l'eredità d'uno
  zio, se mi fosse toccata. Muore lo zio, sono l'erede di settecento
  ducati, che la giustizia mi condanna a pagare a quel Gerusalisto per
  un debito di tre ducati. Ora andrò per l'elemosina, finchè non trovo
  lavoro.

ONINONI.

  Ti chiami Crisauro, tu?

CRISAURO.

  Sì, Crisauro.

ONINONI.

  Ah!!

CARIADO.

  Eh?

ELINER.

  Ma!

ONINONI.

  Compagni... avete inteso?

CARIADO.

  Abbiamo inteso.

ELINER.

  Sono dei porci, in città.

ONINONI.

  E che si fa?

CARIADO.

  Aspettiamo il capitano.

ONINONI.

  Io, credo che il capitano farebbe così, e faccio così, corpo del
  diavolo! Passerotto, vien qua: eccoti i tuoi seicento ducati.

CRISAURO.

  Come?

ONINONI.

  Ssst! Noi siamo un'altra giustizia vagabonda e senza parole nè
  avvocati. Piglia e va. Solo non dire d'aver avuto quest'oro da noi,
  nè da nessuno. Quell'altra giustizia potrebbe venire e ripigliarsi
  il tuo.

CRISAURO.

  Oh... ma... voi siete gente di Dio.

ONINONI.

  Siamo...

CARIADO.

  . . . . . disgraziati. Ecco, cosa siamo!

CRISAURO.

                              (Offrendo dell'oro).

  Per voi, non volete?

CARIADO.

  Eh...

CRISAURO.

  Prendete!

ONINONI.

  No... Così, basta... Tre ducati: il tuo debito vero. Per mangiare
  oggi, domani, e forse anche doman l'altro. Grazie, coniglietto.
  Buona fortuna.

                              (Crisauro _exit_).

CARIADO.

  Però... sempre così. Siamo dei poveri briganti!

ONINONI.

  Ricchissimi, ed abbiamo fatto quel che doveva fare il re, sangue di
  Giuda!

CARIADO.

  Dunque siamo come il re, amen!

                              (Entra Tristano mascherato).

TRISTANO.

  Ho lasciato di là quattro salici ed il vento,
  abbiamo lungamente sussurrato insieme
  e lacrimato.

ONINONI.

  Male: Hubbo, lo stregone, m'ha detto che il pianto è l'essenza della
  vita, e noi la sciupiamo troppo. Ma chi non piange, non muore, ha
  detto.

TRISTANO.

  Chi non piange, non vive.
  Ma voi che facevate, intanto?

ELINER.

  T'aspettavamo, pescando la fortuna a caso.

ONINONI.

  Di qua, prendere, di là dare. C'è rimasto tal piccolo rimedio, per
  la fame.

TRISTANO.

  Avete rubato con onestà?

ONINONI.

  Per l'anima di San Bartolomeo, con piena onestà!

TRISTANO.

  Vi credo: non voglio sapere.

ELINER.

  Che uomo, eh! Di noi, si fida!

CARIADO.

  Ma ora si vorrebbe, in premio di virtù...

ONINONI.

  Una storiella: Lo sai, compagno: viviamo delle tue favole, da quando
  ci hai vietato il solo mestiere che sapessimo: briganteggiare!

TRISTANO.

  Ed io ve la dico, una storiella d'amore e di peccato. Sedete, brava
  gente, ed ascoltate.

  C'era una volta un re
  che volea prender moglie
  ed un nipote manda
  a scegliere la sposa.
  Biondi i capelli e fini come quelli
  che volando una rondine al castello
  avea recato un dì.
  Ei la voleva così.

  La trova e la conduce
  il cavaliere al re.
  Ma navigando insieme
  la sposa ed il nipote,
  un filtro gli vien dato di magìa
  e dissennati non san più che sia
  dovere e fede e Dio;
  bevuto hanno l'oblìo.
  Si bevono la bocca,
  veleno e voluttà,
  e il mare non li annega,
  oh, mar senza pietà!
  Il re sospetta, spia l'anime mute
  di quelle due creature perdute.
  Alfine triste il sire
  piange del suo soffrire.

  Ed il nipote allora
  quel pianto non sopporta
  ma dice, e sa volere,
  che andar bisogna in bando.
  Ma prima veder vuole il suo peccato
  e mormorare l'ultimo commiato.

  Amore, io parto. Taci.
  Ci resteranno i baci
  che il vento piglia e porta.
  La vita ci divise:
  la morte ci unirà.
  Guardate gli occhi e il pianto,
  Anima bella, così è di noi,
  nè voi senza di me,
  nè io senza di voi.
  E fugge e piange e va
  e sempre piangerà.
  Amici, questo è tutto quel che so.

ONINONI.

  Nè voi senza di me
  nè io senza di voi...

ELINER.

  Ma questa è la regina Isotta e il cavalier Tristano...

TRISTANO.

  Ssst: quel nome è maledetto.

_La voce d'Isotta._

                              (Cantando).

  Nè voi senza di me
  nè io senza di voi!

TRISTANO.

  Dentro quella torre, chi c'è?

ONINONI.

  Tristezze, tristezze, capitano. C'è... la figlia del re, col suo
  padre. C'è stata la rivoluzione nel palazzo. E l'usurpatore li
  ha chiusi là dentro, ad aspettar la morte. Questa, capitano, è la
  giustizia degli uomini.

TRISTANO.

  Allora, la principessa Isotta...

ELINER.

  Canta, come me, per malinconia. Oh, non ha perduto il suo Tristano,
  come l'altra, ma, peggio, ha perduto quella libertà che almeno, noi,
  l'abbiamo e la godiamo.

ONINONI.

  Capitano, hai sentito? Pareva che ti rispondesse.

TRISTANO.

  Su quanti uomini sicuri
  potete voi contare, nel paese?

ONINONI.

  Eh, bisogna far la lista e far la somma.

                              (Oninoni, Eliner e Cariado rimangono a
                              ragionar contando, mentre Tristano si
                              avvicina alla torre).

_La voce d'Isotta._

  La vita ci divise
  La morte ci unirà.

                              (Quando Tristano è vicino alla torre,
                              Hubbo salta fuori dalle erbacce,
                              minacciosamente).

HUBBO.

  Non si passa, non si passa per di qua.
  Hubbo veglia giorno e notte.

TRISTANO.

  So che nessuno passerà...

HUBBO.

  Neanche tu.

TRISTANO.

  O piccolo guardiano d'un tesoro,
  hai sentito, tremavo
  raccontando una mia canzone
  e da questa torre m'è venuta
  la risposta d'un tremito gemello
  d'un dolore simile al mio.
  Lascia ch'io lo veda.

HUBBO.

  E non vedrai.

TRISTANO.

  Ma è un dolore che ha nome Isotta!

HUBBO.

  Non è la Isotta tua,
  non è la bionda, la spergiura,
  è la mia, è la mia!

TRISTANO.

  Maledetto... non bestemmiare!

HUBBO.

  Sì... cavaliere senza fede... Hubbo dirà...

TRISTANO.

                              (Soffocando quasi, mentre i briganti
                              ascoltano, incuriositi).

  Niente. Non è degna la tua bocca.

HUBBO.

                              (Balbettando).

  No. Va via.
  Hubbo ha paura, ha paura di te.

TRISTANO.

  Sì. Porto sventura.
  Ma tu, là dentro, rinchiusa,
  anima che non conosco,
  ma che nome hai d'Isotta,
  non mi temere.
  Ma credi che il tuo soffrire
  sarà redento da un altro soffrire,
  poichè nella notte del mondo
  i vagabondi si dicono una parola sola
  quando al lume della luna
  s'incontrano spauriti.
  E quella parola è il nome.
  Il tuo, donna, fa ch'io ti consacri
  questa nuda mia disperazione.
  E per il mio viso ch'è già sepolto
  ti giuro...

_La voce d'Isotta._

                              (Cantando).

  E fugge e piange e va
  e sempre piangerà.

TRISTANO.

  Sì... Piango e vivo
  e m'inginocchio ai miei ricordi...
  Ah Isotta... mia vera Isotta!

                              (Rialzandosi, risoluto, ai briganti).

  Dunque, siete?

ONINONI.

  Più di mille, capitano!

TRISTANO.

  Comando il convegno di tutti.
  Ragazzi, e volete anche il mio nome?
  Tristano.

ONINONI.

  Il cavaliere?

TRISTANO.

  No. L'ombra.

ELINER.

  Ti bacio le mani.

ONINONI.

  Sei davvero un principe nel sangue e nel cuore, per San Luca e San
  Matteo. E noi ti siamo fedeli. E lo saremo, oggi, domani, e fin che
  stiamo in piedi.

CARIADO.

  _Amen._


_Fine del primo atto._



ATTO SECONDO


SCENA PRIMA.

_L'interno di una prigione; una porta: una finestra chiusa da
inferriate._

                              (Su una poltrona sta seduto il re
                              LANGUIS; in piedi, presso la porta,
                              Arden, e presso la finestra, ISOTTA).


ISOTTA.

  Oggi come vi pesa la stanchezza, padre?

LANGUIS.

  Placidamente: aspettiamo sempre la visita del sole.

ISOTTA.

  Che tarda ancòra...

LANGUIS.

  Non abbiamo mai vissuto tanti giorni senza la sua tiepida
  consolazione...

                              (Una pausa).

  E perchè tutta la gente che viene, tu dici, figlia, come in
  pellegrinaggio qui, è gente silenziosa?

ISOTTA.

  Temono d'essere importuni parlando.

ARDEN.

                              (Contraffacendo voci diverse).

  Maestà, vi rendiamo omaggio d'anima... Io non vorrei confondere i
  pensieri di Vostra Maestà... Io son felice di vedervi... Anch'io...

LANGUIS.

  E le nostre terre sono felici?

ARDEN.

                              (Con la sua voce).

  Ecco un vecchio contadino che vi può dire novelle di ciò...

LANGUIS.

  Avanti, figlio nostro, vieni avanti.

ARDEN.

                              (Avvicinandosi, con altra voce).

  Mio buon re... son venuto a scaricare la mia felicità ai tuoi piedi:
  pago così i miei debiti. La terra che tu m'hai dato...

LANGUIS.

  L'ami ora di più?

ARDEN.

  Eh, signor re, è mia, ora... E amo di più il mio re.

LANGUIS.

  Chiamalo padre... Date qua la mano, figlio.

ARDEN.

                              (Con la sua voce).

  Sacra Maestà, ricordatevi di essere re.

LANGUIS.

  E se ce ne vogliamo dimenticare, un giorno?

ARDEN.

                              (Con la sua voce).

  Io son qui, per vostro comando, a raccattarvelo in mente.

LANGUIS.

  Bene: la mano, contadino!...

                              (Prende la mano di Arden).

  Non è callosa?

ARDEN.

                              (Contraffacendo la voce).

  È poco tempo, Sire, che me la faccio colla terra e i suoi arnesi.

LANGUIS.

  E prima?

ARDEN.

  Ero servo, in un palazzo...

LANGUIS.

  Va... E nell'ampia libertà de' tuoi campi...

ARDEN.

  Sì: pregherò per tutti coloro che sono senza libertà!

LANGUIS.

  Tutti i cari sudditi venuti a salutarci, noi salutiamo, e ci lascino
  con nostra figlia.

                              (Arden imita lo scalpiccìo di molte
                              persone, ed _exit_).

  Isotta, vorremmo anche noi risentire l'odore della terra... E non è
  mai nato il sole?

ISOTTA.

  Sì, ora sta liberandosi dalle nubi, padre.

LANGUIS.

  Oh, andiamogli incontro... È un ospite da fargli festa, dopo tanto
  oblìo. Non è l'ora della nostra passeggiata d'ogni giorno?

ISOTTA.

  Sì, padre: venite al mio braccio.

                              (Languis, al braccio d'Isotta, cammina
                              per dove essa lo conduce: e son giri e
                              rigiri che nella prigione i due fanno.
                              Dalla finestra ora scende un raggio
                              di sole. Rientra Arden, s'inginocchia,
                              e si fingerà mendicante, quando il Re
                              crederà d'incontrarlo).

LANGUIS.

  Dove siamo, qui?

ISOTTA.

  Nel corridoio che dà sull'androne... Ecco i vostri
  arcieri...

LANGUIS.

  Buon giorno, brava gente...

ISOTTA.

  Ed ecco la porta... Ed ecco il verde, i prati...

LANGUIS.

  Vorremmo un poco camminar sull'erba.

ISOTTA.

  I contadini dicono che non cresce bene l'erba
  calpestata, ma s'avvilisce.

LANGUIS.

  Hai ragione... E lì v'è il monte, è vero?

ISOTTA.

  Sì, padre... E questa è una pietra ove sedere.

LANGUIS.

  No. Andiamo avanti; verso il sole.

ISOTTA.

  E qui c'è il faggio che vi piace.

LANGUIS.

  Ieri ci pareva più lontano.

ISOTTA.

  È che oggi camminate con più fretta.

LANGUIS.

  Sì, fretta di sole.

ISOTTA.

  Ed ecco il vostro mendicante.

ARDEN.

                              (Contraffacendo la voce).

  Mio benefattore... per carità... non vi dimenticate...

LANGUIS.

  Noi non abbiamo niente... Ma tu, figlia...

ISOTTA.

  Sì, gli do io.

ARDEN.

  Che Iddio vi benedica... e v'aiuti... e vi salvi...

LANGUIS.

  Ma il sole...

ISOTTA.

  Eccolo.

                              (Essa ha collocato il padre nel raggio
                              di sole che entra nella prigione).

LANGUIS.

  Ah, com'è tiepido... e bello. Ma ce n'è poco, poco. Perchè? Qui non
  c'è più. Solo qui, su noi.

ISOTTA.

  È tutto annuvolato il cielo, con piccoli spiragli.

LANGUIS.

  Ma questo che muro è?

ISOTTA.

  È...

ARDEN.

  Mio Sire!

LANGUIS.

                              (Toccando l'inferriata).

  E questi ferri? Isotta! Isotta!

                              (Grida e tumulto di dentro).

  E questo tumulto? Dove siamo?

ISOTTA.

  Non so... Dio!

LANGUIS.

  Si grida... Si combatte... E noi chiusi forse... Isotta va, corri...

                              (Entra TRISTANO seguito da una banda di
                              briganti vocianti e rissosi).

I BRIGANTI.

  Largo! Siamo noi! La difesa del re! Ferro e fuoco! Evviva la
  libertà!

TRISTANO.

  Fermi e silenzio!
  Non paura, voi. Siamo gente poverissima
  ed abbiamo una sola regina, l'amicizia,
  ed un vecchio re, il dolore.
  Tu gli somigli, e siamo venuti, re.

LANGUIS.

  Chi sei che parli?

TRISTANO

  Anche tu? Volete tutti sapere chi sono? Un pazzo, un morto, un
  vagabondo. E se dico Tristano, che sapete? Tristano significa forse
  onesto? O buono? O caro? Posso aver nome Tristano ed essere principe
  ed essere ladro ed aver violata una sorella ieri, e portare oggi
  le mani in croce e parlare di preghiere e di bestemmie! Al cavallo
  che nuovo trovate non domandate chi sia, ma gli salite in groppa e
  se ubbidisce e vola siete contenti. E coll'uomo anche fate così: le
  parole son chiavi false per tutte le porte ma i fatti son d'oro e
  di ferro. Vorreste vedere la mia faccia? Il suo colore? Maschera,
  maschera è la carne: l'anima dovreste volere, e non si vede. E
  allora, per gli altri, e per me lasciami tutto nero, mio bianco re.
  Ti servo con la spada che non porto più, col cuore che non porto più
  e con la morte che sempre mi accompagna.

CARIADO.

  _Amen._

LANGUIS.

  Ma che vieni a far qui? E dove siamo qui?

TRISTANO.

  Eh, sul mondo siamo, e fra gli uomini!
  E questa che reggia credevi, è prigione!
  Una figlia con voce di menzogna,
  ti scaldava di luce, la tenebra.
  Eri chiuso, vigilato, illuso.
  Non sapevi? Bene. Non eri più re.
  Sì: l'anima tua era sempre re!
  Ma ti libero; ed io che non possiedo nulla
  ti dono il cielo colle sue nuvole e il vento,
  e la corona che t'aspetta,
  e l'amore. E il popolo tuo
  questa prigione non riconosce,
  che tu non conoscevi. Fuori! Fuori!
  Ed obbedisci al tuo dovere, anche tu, re! !

                              (Una pausa. Il re piange in silenzio.
                              — I briganti gli si avvicinano, bruschi
                              e commossi, ma reverenti).

ELINER.

  Guarda: non parla perchè piange, povero re!

ONINONI.

  No, no, non bisogna. Un re, piangere, cuore di Dio!

CARIADO.

  Dopo tutto, siete ancora re!

ELINER.

  E, che diamine, molta gente vi vuol bene.

ONINONI.

  Noi, perdio: abbiamo molto pelo sul petto e pochi stracci indosso,
  ma una parola sola in bocca.

CARIADO.

  E siamo uno stormo.

ELINER.

  Eh, capisco: è stata una solenne porcheria, di vostro fratello
  canaglia...

ONINONI.

  Ma ora l'avranno a che fare con noi, quei malandrini vestiti di
  broccato!

ELINER.

  E rideremo. Hanno da ballare, hanno...

ONINONI.

  Accidenti, se rideremo! Su, ridete, bravo re, sarà una festa, per
  tutti i cristiani, e lo giuro sulla mia miseria e su Sant'Agostino,
  mio protettore!

ELINER.

  E voi, principessa, un giro di furlana: c'è la reggia vera per lui,
  e per voi... abbiamo un capitano mascherato...

ONINONI.

  Sangue nelle vene, ce n'ha... Com'è buon capitano, può diventare
  ottimo consorte...

TRISTANO.

  Ciarloni, che fate qui? il parlamento?
  A palazzo, a palazzo! Questa torre
  è caduta come pomo maturo,
  ed ora la capitale! Il re con noi,
  e per istrada cresceremo gente
  come la valanga. Principessa,
  la mano vi porgo in pegno della voce
  che v'ha giurato per un nome, libertà:
  oggi venite al sole.

LANGUIS.

  Il sole?

TRISTANO.

  Oh splende, buono. E splende per tutti, il sole.
  Ma per me, no.
  Solo me non posso liberare!
  Ed amo le spade, i colpi, e l'andare,
  e il fracasso del mare
  per disperdere un poco i miei pensieri
  che sono, sì, catene e prigionia...
  Ma sù, ragazzi, per me e per il re!

I BRIGANTI.

                              (Con un urlo).

  Per te e per il re!

                              (_Exeunt omnes_).


SCENA SECONDA.

_Una sala nel palazzo di re Languis._

                              (I briganti stanno intorno al Duca
                              ERASMO legato).


ELINER.

  Ora sì che mi piaci davvero, capponcino mio!

ONINONI.

  Quanta gioia ti sei bevuta abitando sul trono rubato? Hai da
  sputarla tutta.

CARIADO.

  Ti credevi forse d'essere diventato re, perchè ti chiamavano re?

ELINER.

  Eh, barbagianni caro, puoi sgranare gli occhi, e noi si ride!

CARIADO.

  Te l'abbiamo tagliata, la barba!

ONINONI.

  E, corpo di San Lazzaro resuscitato, ti abbiamo insegnato a tacere:
  e toccherà questa volta a te far la muffa dentro una cantina, e noi
  che siamo furfanti abbiamo schifo di un furfante come te!

ERASMO.

  Siete pidocchi, siete! E vi diverte
  sputare sopra me che sono in terra,
  ma i denti in bocca mi restano ancòra.

CARIADO.

  E te li caveremo!

ELINER.

  Dopo, per mangiare, ti daremo, come ai porci, acqua sporca e bucce
  di patate!

ONINONI.

  Ti vestiremo da buffone, e ci divertiremo anche noi come tanti re.

                              (Squilli. Entra re LANGUIS. Silenzio).

LANGUIS.

  Quel nostro fratello che ci tocca perdere, è qui?

ERASMO.

  Oh, non fuggo, m'hai fatto legar bene!

LANGUIS.

  Legato? Sia subito sciolto!

ONINONI.

  Sciolto? Dalle corde? E la giustizia?

LANGUIS.

  Nessuno può difendersi serenamente, se libero non sia.

                              (Erasmo viene slegato).

ERASMO.

  Ma non voglio difendermi di niente.

LANGUIS.

  Erasmo, e perchè non chiedere che ti dessimo la corona e tutto?

ERASMO.

  Perchè chiedere è vile, ma pigliare
  piace, e forza significa, di sè.

LANGUIS.

  E si perde, lo vedi? anche l'amore, di tutti.

ERASMO.

  Quello d'Isotta non l'ho mai avuto.
  Degli altri, che mi fa? O comandare
  e mi devono tutti essere schiavi,
  o sono vinto, e se anche mi si pesta
  non udrai un lamento uscir da me.

LANGUIS.

  È forza la tua, ferocia forse, ma solidità...

ERASMO.

  Ambizione! E con me la patria sale,
  per obbedienza, e mi diventa forte.
  E tu buono, la snervi e per amore
  la fai tutta di latte e di cuscini!

LANGUIS.

  E se davvero fosse così? Erasmo, noi non possiamo condannarti:
  quand'uno agisce per sua necessità, l'uomo non ha potere alcuno
  contro di lui, perchè l'uomo non è Dio, e, dentro, non può vedere.
  Onde, senza dire se la tua forza sia virtù o peccato, ti assolviamo,
  per umiltà e povertà dinnanzi ai misteri delle anime.

ONINONI.

  Assolvere? Ah, lingua di Giuda! Ma la è ingiustizia da far gridare
  le pietre!

ELINER.

  Io ragionare non so, ma ti dico: è una canaglia, ecco, e basta!

CARIADO.

  E se tu lo assolvi, gli è come condannare noi, che abbiamo rifatto
  l'ordine del regno.

ONINONI.

  E se tu lo assolvi, non ti dice grazie, questo Caino, ma ti rimanda
  nella tua prigione, e noi sulle forche!

LANGUIS.

  Nella prigione credevamo di star bene, quindi stavamo bene.

CARIADO.

  Ma il popolo stava male e non lo puoi, ora, tradire!

LANGUIS.

  Ordiniamo pertanto e vogliamo che il fratello nostro Erasmo libero
  vada, ma fuori del regno, perchè la gente abbia la nostra pace,
  ed a lui sia aperta la via del cielo, dove il giorno che avremo
  riacquistata tutti la vista, ci ritroveremo.

ERASMO.

  Ed io, fratello troppo buono e cieco,
  ti perdono di avermi perdonato.
  O brigante mi faccio, od eremita.

ONINONI.

  Eremita! Brigante, con noi, non ti vogliamo!

CARIADO.

  Evvia, signor Duca, in esilio!

                              (Erasmo _exit_).

LANGUIS.

  A voi, mia gente della terra e semplici di cuore, che vi
  possiamo dare o dire? Oh, siamo troppo al di sotto della vostra
  trasparenza...

ONINONI.

  Re, nostro re... tu ci parli difficile e noi non si arriva mica a
  capirti, ma se un poco siamo arrivati, a capire, a me pare che tu
  ti credi debitore... ed è una cosa che ci confonde e non ha senso,
  per la testa del gigante Golia!... Tu non devi dirlo più, parola
  di gentiluomo, e pensarlo neanche, perchè noi si è fatto, io e gli
  altri, così per fare, e tu sei un padre che bisogna bene aiutare,
  e lui non deve mica dire grazie, ma siamo noi a dirgli grazie... è
  un onore insomma... e non c'è merito... anzi ho detto... no, non ho
  detto, perchè io a scuola, e neanche gli altri, non ci siamo andati,
  dove s'impara a parlare con i re... e allora, tu, re, capisci...
  e...

CARIADO.

  _Amen._

ELINER.

  Ma se c'è uno di noi che vale, che ha studio ed educazione, è il
  capitano...

ONINONI.

  Sì: quello, ecco, noi si direbbe che è sangue di re!

LANGUIS.

  Sarete la nostra guardia, che è come dire gli amici nostri più
  vicini. Andate, figli: e godete del vostro mangiare e del vostro
  bere...

CARIADO.

  È giustizia, dopo che s'è lavorato tanto!

LANGUIS.

  E al capitano gli daremo quel che abbiamo...

                              (I briganti _exeunt_).

  Pare che il suo nome sia Tristano e che il suo abito sia nero: ma
  non è tutto nero quello che noi vediamo? E siamo certi che d'anima
  egli è grande, e puro di fede, e sicuro di cuore. Che potremmo noi
  volere di meglio?

                              (Da opposte parti entrano, silenziosi,
                              _Tristano_ mascherato, e _Isotta_).

  Sconosciuto è vero. Ma i fatti parlano per lui, e sono d'oro e di
  ferro, ha detto. E i briganti, che non sanno mentire, hanno detto,
  sangue di re...

                              (Una pausa).

  Sarebbe l'ultima letizia della nostra povera vita, saper congiunta,
  la fragilità bianca d'Isotta alla nera solidità di Tristano. Sarebbe
  il sole per questi giorni miei di ultimo freddo. Ma non diremo
  niente: il cuore non patisce timone nè cervello; troppi scogli
  minacciano nascosti. Possiamo pregare solo e a lui dire, se questo
  è un dono, ebbene prendilo.

                              (Re Languis fa per alzarsi, Isotta gli
                              si avvicina).

ISOTTA.

  Eccomi, padre, se cercate di me.

LANGUIS.

  Sempre cerchiamo di te, e ti troviamo sempre, anche nel silenzio.

ISOTTA.

  Io sono dove il cuore mi porta
  senza che lo vogliano i pensieri.

LANGUIS.

                              (Avviandosi).

  Come ti piace quel Tristano che ci ha liberato?

ISOTTA.

  Porta la maschera, padre.

LANGUIS.

  Tutti, al mondo, figlia: solo, lassù, saremo noi... Dunque, ti
  piace?

ISOTTA.

  E a voi, padre?

LANGUIS.

  A noi piacerebbe molto.

ISOTTA.

  Andiamo, padre.

                              (Re Languis ed Isotta _exeunt_).

TRISTANO.

                              (Rimanendo immobile).

  Al mondo vive dunque chi trama la felicità degli altri?
  La felicità: un fumo che ha nome domani,
  o ieri, se rimpiangi un'ora consumata:
  oggi, mai. Io, felice? Rido:
  due parole d'assurdo, in croce.
  O mi diletto io, del mio soffrire?
  E mi lego alla sofferenza come un amante,
  e me la serro al cuore?
  Che faccio per vivere? Ricordo,
  disperatamente: una donna, un peccato.
  Ma quella donna dov'è? C'è, sul mondo?
  L'ho io, davvero conosciuta?
  O mi sono foggiato, di lei, un fantasma
  che non voglio ritrovare in vita,
  perchè ho troppo accarezzato in sogno?
  Costei anche si chiama Isotta...
  Isotta! Sognavo ieri, e mi desto oggi?
  O vivevo laggiù, e sogno qui?
  La vita, ecco, m'offre un bene:
  per essere fedele a quel che fuggo
  lo rifiuterò? Per non deludere il mio sogno?
  E che so io del vero? E chi sono io
  per credere che la sventura m'abbia segnato
  così da reputarmi già morto, quando respiro?
  E dov'è il ricordo che mi tormenta?
  Sulla mia carne? No. No. Io non ho segni
  nè ricordi. Io voglio non aver vissuto.
  Non avere anima nè carne.
  O sì, mie, per donarle ancora.
  Un ideale, sì, l'avevo. Si chiamava
  Isotta: e l'ho trovato qui. È falso?
  Ah, quante meschine trame
  per una mia sciocca curiosità!
  Sono due nomi eguali, pazzo!...
  E se fossero due anime, eguali?
  Se la sorte... E non si può giocare anche la fede
  come la vita, in battaglia?
  Tristano, si può dare tutto per niente!
  E per un filo d'erba, l'eternità!
  E per una parola, un regno!
  E per un bacio, il paradiso!
  E per una goccia d'avvenire, tutto il mare del passato!
  Ah no, buffone... Guarda...
  Io vedo un abisso. Mi ci butto. E rido. E canto.

                              (Canticchiando).

  «Così è di noi,
  nè voi senza di me,
  nè io senza di voi!»
  Ah! Ah!

                              (Ad Isotta, che è comparsa, quasi
                              ironicamente).

          Un inchino, principessa.
  Bella come il sole di vostro padre,
  e l'ombra mia!

ISOTTA.

  Grazie. Mi spiace le parole del re
  abbiate inteso, vane fantasticherie.

TRISTANO.

  No, Isotta... Lasciate vi chiami per nome,
  io mi lego ad un nome
  come il cipresso a un cimitero...
  Il re supera voi e me per saggezza.

ISOTTA.

  Ma sogna, e non può vedere.

TRISTANO.

  Ma prega, e spera.
  E non vorreste fargli di sole
  questi giorni suoi di ultimo freddo, Isotta?

ISOTTA.

  Voi dite il mio nome, come se da sempre
  lo aveste avuto in cuore...

TRISTANO.

  Davvero? Oh maraviglia!
  È tutto quel che so di voi, il nome,
  e l'amo prodigiosamente.

ISOTTA.

  Perchè? Siete bizzarro...

TRISTANO.

  Ho forse la coda? Tre mani?
  Oh! sono banale, banalissimo:
  credo, principessa, con licenza del sacerdote,
  vi saprei fare sette figli, e tutti maschi!

ISOTTA.

  Amo, signore, d'essere intatta
  e nelle mie vesti mi chiudo,
  come dentro un monastero.
  Ma non vorrei per amor di me,
  perdere un sorriso di mio padre.

TRISTANO.

  Che vi piacerebbe? Mentirgli ancòra?
  E che io vi fossi complice e falso marito?
  Sì: mentire so, e tanto bene
  che illudo anche me stesso, Isotta!

ISOTTA.

  Io sono devota d'una religione fredda
  che mia madre m'apprese,
  la religione delle stelle, vergini anch'esse,
  che piangon a volte, o liete parlano meco,
  e credo a quel che intendo
  e mi prometto loro
  e tengo fede alle mie parole.

TRISTANO.

  Voi tenete fede? Gloria! gloria!
  Sarete una sposa modello...
  Io no, non son fedele... Frantumo le mie parole:
  ne faccio monili per me, per voi, per tutti!

ISOTTA.

  Ho giurato di salvare per sempre
  la mia castità: sono vestale
  d'un mio patto puerile ma sacro.
  Sarei una troppo sterile consorte!

TRISTANO.

  Quella ch'io voglio, perfetta!
  Oh son fatto, io, di musica, non di carne.
  Casta! Vi amo... La mia virtù compagna
  sarete, il vostro peccato, io!
  Ecco, ecco... un anello, no. Dopo.
  E mi volete, se anche mascherato?

ISOTTA.

  Io non per la follìa d'un nome,
  ma per ubbidire al re.

TRISTANO.

  Isotta Isotta!... Allora io posso dire ancora...
  Isotta! Ti amo... ti amo... Sei mia!
  Posso chiudere gli occhi e udire il tuo respiro...
  Taci, taci... non parlare: Isotta!
  posso ascoltare il ritmo vicino
  della tua vita profumata, e dire
  Isotta, finalmente, sei mia moglie, tu!...
  Non sei più del re, sei mia... solo mia... mia...
  per sempre... e senza lacrime... Isotta... mia...

ISOTTA.

  Tristano!

TRISTANO.

  Taci! Ho la febbre, ho il delirio!
  Vado a nozze con la mia fantasia allucinata.
  Sono felice, perchè voglio essere così.
  Vieni, vieni con me.

                              (_Exeunt ambo_).

(_Marcia nuziale_).


SCENA TERZA.

_Un giardino, di notte. Lampioncini di carta colorata. Una fontana.
Lontani, canti d'allegria e suoni striduli di musiche._

                              (Su un sedile di pietra, HUBBO, vestito
                              da buffone, accovacciato, immobile.
                              Entra ISOTTA, come fuggisse, inseguita
                              da TRISTANO, mascherato).


ISOTTA.

  Non mi perseguitare:
  m'hai già crocefissa col mistero de' tuoi occhi,
  lasciami, ora.

TRISTANO.

  No, Isotta, hai cambiato nome:
  ti chiami moglie!
  e non sei più di te stessa: mia sei.
  Con una paroletta hai cancellato la tua persona,
  la tua volontà, tutto quanto eri!
  Perchè fuggi? Ti ripiglio.
  E ti dico: a sedere. E ci stai.
  E ti sputo negli occhi. E sopporti.

ISOTTA.

  Che dici?

TRISTANO.

  Canto anch'io, l'inno al matrimonio,
  in questa notte ilare di nozze!
  Ora tu non sei più tu: sei me,
  la mia maschera, la mia scarpa sei.
  E l'amore, l'amore dov'è?
  Nessuno t'ha domandato, è vero?
  E se domani uno venga che piace a te,
  e tu a lui: e tremate nel guardarvi,
  oh... follìa... tu non puoi, tu, moglie!
  Tu non sei più viva, morta sei, mummia!
  E mi diverte fare il carceriere
  e chiuderò tutte le porte
  e spierò le fessure dell'anima tua
  e digrignando i denti, urlerò di te:
  mia proprietà, mia proprietà!

ISOTTA.

  Ti sei vincolato a lasciarmi casta...

TRISTANO.

  E chi t'assicura che manterrò?
  Sono spergiuro, pazzo, vagabondo.
  Chi t'ha detto di credere a me?

ISOTTA.

  Io ti credo, Tristano.

TRISTANO.

  Insensata: ho viso deforme,
  spellato, arso, tagliato...

ISOTTA.

                              No.

TRISTANO.

  Ed altre virtù non conosco
  che furia e menzogna...

ISOTTA.

                          No.

TRISTANO.

  E ti forzerò, contro la mia parola
  e la tua giurata verginità
  calpesterò...

ISOTTA.

                No.

TRISTANO.

  E ti segnerò di lividi e di piaghe,
  e beverò il liquore delle tue lacrime...

ISOTTA.

  No.

TRISTANO.

  Che sai di me?

ISOTTA.

  Tutto... perchè...

TRISTANO.

                     Perchè? Non aver paura!
  Ho raccolto le sozzure per la via;
  puoi buttarmi qualunque bestemmia.

ISOTTA.

  Sì. Perchè ti amo...

HUBBO.

                              (Facendo irruzione).

  Ah ah ah... Quanti palloncini
  verdi, e rossi, e gialli!
  Che gala nella mia gioia!...
  Ognuno si può impiccare al colore che vuole
  e chiamarlo stella!
  È proprio una festa, signora,
  da perderne la testa,
  ed anche il nano di Corte
  vi bacia la veste, oggi, si può,
  e fugge via, fugge lontano,
  tanto lontano che non lo troverete più,
  e sarà ai piedi vostri...

                              (Sparisce in un tintinnìo di sonagli,
                              ma ritorna a spiare ed appiattarsi, di
                              lì a poco, dietro la fontana).

ISOTTA.

  È il buffone!

TRISTANO.

  Ecco il povero mendicante,
  che vivrà sulla soglia della tua bellezza.
  e questa volta sarò io marito
  e geloso cent'occhi
  e severo cento supplizi!
  Ah, mi diverto, mi diverto smisuratamente.
  Ma se tu davvero mi ami, Isotta...

ISOTTA.

  Non giocare colla mia vita: taci.

                              (Una pausa. I due sono seduti sul
                              margine della fontana. E s'avanza
                              ONINONI con passo quasi di danza; lo
                              segue ELINER, cantando; ultimo CARIADO,
                              lugubre. Sono in fila, a distanze
                              uguali, ubriachi tutti e tre, ma
                              contegnosi).

ONINONI.

  A me, una festa così, mi fa ringiovanire. Se la musica non fosse
  fuori di tempo, farei quattro giri di danza, ma è fuori di tempo...

ELINER.

                              (Cantando).

  La vita è una sorpresa...
  c'è la salita e poi c'è la discesa...
  Ed oggi tocca a me, domani a te,
  e finalmente al re!
  La vita è una sorpresa...

CARIADO.

  Ma io la sposa non ce l'ho... e l'avrei voluta anch'io... e l'avrei
  molto accontentata... ma non ce l'ho... Amen...

ONINONI.

  Questo, per Sant'Agata vergine, si chiama giardino? E noi ci
  spasseggiamo dentro come padroni... Ma, sacramento! questa è
  acqua... Maledetta sia l'acqua e chi la beve. E quindi anche la
  pioggia, maledetta. Però ai campi fa bene, la pioggia. Sì, ma noi
  non siamo campi!

CARIADO.

  È deserta la vita, ecco...

ELINER.

                              (Cantando).

  La vita è una sorpresa...

                              (I tre briganti _exeunt_).

TRISTANO.

  Io sono uno dei loro e come loro
  ubriaco di pensieri.
  Ma, Isotta, per te devo...
  Vuoi un poco di veleno e di verità?

ISOTTA.

  Nulla voglio, e nulla domando.

TRISTANO.

  Se mi ami, devo ben farti soffrire!

ISOTTA.

  E tutto ascolto.

TRISTANO.

  Non t'ho ancora dato l'anello:
  eccolo: guarda: trasparente! Biondo come...

ISOTTA.

  L'hai gettato nella vasca!

TRISTANO.

  Eh sì! Quando tu prendere lo voglia
  devi affogare...

ISOTTA.

  Mi butto.

TRISTANO.

  No. Che è un anello? Ombre. Ombre.
  Ma quello... Sì, Isotta!
  tu sei mia moglie.
  Isotta, io t'ho sposato, ridi,
  è tempo di risate,
  t'ho sposato perchè amo un'altra donna.

ISOTTA.

  Sapevo.

TRISTANO.

  Perchè sono infelice, ed ho voluto
  esserlo di più...

ISOTTA.

  Sapevo.

TRISTANO.

  Perchè ho voluto potermi disprezzare!
  Perchè ho voluto avere anch'io
  quella catena che ha lei,
  per essere come lei,
  sotto il peso di un eguale dolore,
  ed ho scelto te perchè tu mi sia
  l'aguzzino, il carnefice, l'infamia,
  e torturandolo, tu faccia più divino
  quest'amore che io ho tanto dilaniato
  e che dilania me.

ISOTTA.

  Sapevo.

TRISTANO.

  T'ho presa come si prende, ecco, la morte,
  con disperazione,
  e avevi il nome di lei,
  dell'assente, della mia Isotta,
  del mio sogno
  e l'anello era suo.

ISOTTA.

  Puoi piangere, ora, con me.

TRISTANO.

  No. Non so piangere. Rido.
  Ma tu sei come un balsamo
  sul mio ridere malato...
  Oh, senti, cantano laggiù:... per chi?

ISOTTA.

  Per noi.

TRISTANO.

  Sì? E perchè non ci amiamo?
  Ho ben infranto la mia fedeltà.
  Sacrifica tu, la castità.
  Che vogliamo noi, donna?
  Divoriamoci coi denti,
  cerchiamo dentro noi il nostro fango!
  Ah, Isotta, perdona: guariscimi tu!
  Insegnami a credere ancòra,
  ed a non ricordare più.
  Tu hai mani bianche e leggere,
  di fata: dammele...
  Costruiscimi una vita tenue,
  nuova come un sogno nuovo.
  Chiudi la porta a tutti i pensieri
  che vengono di lontano
  o che vogliono volar via...
  Salvami, salvami tu, pura..

                              (S'inginocchia — essa gli mette le mani
                              nei capelli).

_La voce di Hubbo._

  La bionda Isotta, per gelosia
  di re Marco, suo marito,
  mentre tu ridi, soffre,
  dentro una prigione,
  cavalier Tristano!

TRISTANO

                              (Levandosi).

  Tu hai parlato? Tu?
  L'anima mia? L'ombra?
  Sì. È vero! Una prigione...
  Voglio una prigione anch'io!
  Perchè devo io qui solo respirare la libertà,
  godere la notte, ubriacarmi d'illusione
  Come lei, come l'amor mio vero!
  Tu no, non ti conosco.
  Chi sei? Chi sei? Ti odio!
  Vattene. Una prigione, voglio!
  E soffrire anch'io!
  Sii gelosa, dunque! Sii gelosa,
  t'ho sposata per questo solo.
  Fammi male, se mi vuoi bene!
  E chiudimi in una prigione,
  ti prego, te ne prego, ti supplico...
  e dopo, fanciulla, ti benedirò...

_La voce di Eliner._

                              (Cantando).

  La vita è una sorpresa,
  c'è la salita, e poi c'è la discesa...


SCENA QUARTA.

_Una prigione. Attraverso l'inferriata qualche stella._


TRISTANO.

  Sono giunto al porto, qui?
  Ho tanto navigato per questo?
  No: ancora non è la morte vera.
  Buio, sì, ma qualche stella vive, lassù:
  nero, nero voglio: lutto sovrano.

                              (Togliendosi la maschera).

  Mio viso ti sbendo: l'infinito sole
  è presente, e l'infinito è lei: mia signora
  che spia: la sento qui, là:
  Isotta, mi maledici? No, non devi,
  nessun bacio ha cancellato i tuoi baci:
  tra qualunque creatura di carne e me,
  sempre tu, ombra, ho veduto e vedo,
  ed a questo carcere tu mi condanni!
  Perchè dovrei, spietata, maledirti,
  ma folle di sentirmi così tuo,
  ti dono invece questo viso nudo
  come un cadavere risorto, e godo
  delle tue ineffabili carezze e spasmo
  verso questa tua divina oscurità.

                              (Entrano dall'inferriata le voci dei
                              briganti).

_La voce di Oninoni._

  Oh, capitano, è vero che sei lì dentro?

_La voce di Eliner._

  Non risponde!

_La voce di Oninoni._

  Siamo venuti via: che si poteva fare più. San Giuda benedetto?

_La voce di Cariado._

  Anche i re muoiono, e re Languis è morto...

_La voce di Oninoni._

  Il popolo allora ti ha fabbricato qualcosa come una repubblica...

_La voce di Eliner._

  E siamo venuti qui, da te.

_La voce di Oninoni._

  Ci vuoi non ci vuoi?

_La voce di Cariado._

  Si torna a fare il brigantaggio.

                              (La faccia di ONINONI appare
                              all'inferriata).

ONINONI.

  Silenzio!... Oh, olà! Sacripante, è morto anche lui!

                              (Oninoni sparisce, le voci si perdono).

_La voce di Eliner._

  Era un po' strambo, poveretto!

_La voce di Oninoni._

  Ma tutto cuore!

_La voce di Cariado._

  _Amen!_

TRISTANO.

  Resterò dunque solo? Ma se il mondo
  mi crollasse intorno ed io sopravvivessi,
  unico, non mi lasceresti ancòra, Isotta,
  ma dentro me sempre rimani,
  a divorarmi come fai!

                              (Una pausa).

  C'è un grillo, nella notte.
  Per tre volte un usignolo era venuto
  a farmi tacere, poi silenzio.
  Ora i grilli. Domani i vermi,
  Tristano, ti sei chiuso, ma cammini,
  cammini verso di lei
  e l'ombra ti segue, fedele.

                              (Due mani bianchissime appaiono tra i
                              ferri della finestrella; e Tristano le
                              vede).

  Chi m'offre questi grandi fiori bianchi,
  virginali? Oh fiori di gelo e di giglio!
  Mani! O mani senza persona,
  mani recise. Di chi siete?
  Mie, mie, e del sogno! No, sue.
  Mani, mani che hanno più forza
  che non la fede, che non la fame!
  Mani esangui e capaci di tanto delitto
  su me, che m'abbandono!
  O mani di regina, sì,
  ma dei burattini!
  Io mi muovo secondo che voi mi guidate,
  e io sono il vostro pagliaccio,
  e mi fate saltare, danzare, giacere,
  e vi faccio la mia reverenza!
  E cerco i fili colle dita: e non ci sono...
  Perchè siete due ragni mostruosi,
  che avete tessuto la mia perdizione!
  Ragni: ed io credo... No, vedo...
  Isotta, sei tu morta? E vieni a darmi l'addio?
  Devo morire anch'io? Mi chiami? Mi vuoi?
  Prendimi. Oh sì, donami questa grazia.
  Ah, immobili siete, quasi spente,
  ma io sento che voi sentite.
  E se vi pungessi, nascerebbe il sangue.
  Coi denti, coi denti!... Ah, delizia...
  Baci... baci... Che volete? L'anima?
  Ahi mute e tenaci come due pensieri, lì,
  come due chiodi. No!
  Andate via! Via! Sparite!
  Siete nebbia, lo so. Siete sogno, lo so.
  Debbo destarmi; voglio destarmi, su,
  sono in piedi. Vivo. Vedo.
  E sono lì, bianche come due peccati bianchi!
  Isotta, sei tu... Che mi asciugavi le lacrime,
  buona ti conosco. No, tragica,
  feroce. Rivuoi l'anello? Ah, sì! Ecco!
  L'anello! Perduto! Annegato!
  Come una persona viva... Perdona,
  perdona. Guarda, congiungo le mie mani,
  e tu perdona! Ah, maledetta!
  Basta: le prendo, le spezzo... le adoro!
  Dietro queste mani, nella notte, vive
  Isotta, la mia divina, e queste, sì,
  mi portano le più silenziose carezze
  nate dalla sua pena...
  O dita fredde qui sulla mia faccia
  rovente... Adoro le immagini sacre,
  l'incubo mio,
  le due lampade bianche per la mia tomba,
  le due anime vive e disgiunte e gemelle
  come le nostre due, Isotta, Isotta!...
  Tu sei qui... È vero? Ah meraviglia,
  tu sei vera, tu sei viva, tu sei mia!
  Isotta, lasciami morire, e chiudimi gli occhi
  tu, divinamente muta, così...


_Fine del secondo atto._



ATTO TERZO


SCENA PRIMA.

_L'interno di un casolare, nudo, da pescatori._


HUBBO.

                              (Entrando).

  Ecco il frutto della mattinata:
  due scombri-cavalli, carne dura
  per i tuoi denti di neve, ma di meglio non c'è.
  Poi tre uova di gabbiano.

ISOTTA.

  Siamo poveri poveri.
  E noi che ti possiamo dare?

HUBBO.

  Niente!... È mio dovere.
  Puoi usarmi come arnese di cucina
  come cane, come coltello,
  [_lacuna nel testo_] mi buttare via, signora.

ISOTTA.

  Triste un buffone, in tanta nudità!
  Ma egli è malato, io donna: ci puoi servire.

HUBBO.

  Grazie.

                              (Tra sè).

          Idolo bianco,
  ti ha difesa perchè sei bella e sua,
  Hubbo, lo scorpione. E non t'abbandona.
  Ma pazzo, anzi meschino, lotta,
  con quel pazzo vero e nero, che ti fiuti,
  sì, ma non ti morda.
  E Hubbo vincerà.
  Qui c'è il suo veleno
  che una goccia sola potrà fare giustizia.

                              (Rimescola un barattolo e lo ripone).

ISOTTA.

                              (Fra sè).

  Quanta luce in questo casolare
  e non ci libera dall'ombra.

                              (Hubbo _exit_).

  La trasparenza delle cose, ahimè, avvilisce le nostre anime opache!

TRISTANO.

                              (Entrando cauto).

  Non c'è nessuno? Tu? Ssst! Un segreto...
  Non lo dire poi. Vieni qui.
  In punta di piedi. Piano. E... grazie!
  Io credo di non essere più io.
  Siamo tanto soli qui... taci,
  non ti muovere, non respirare,
  penso che lei non sappia il luogo,
  questo luogo. Sfuggiti le siamo!
  E starà frugando ancòra, nei palazzi,
  chissà dove... Gliel'abbiamo fatta!
  Qui, dove si potrebbe nascondere, l'ombra?
  Non c'è ombra. Tutto sole. Intendi?
  E credo che ti posso baciare finalmente
  senza che _lei_...

ISOTTA.

  Non far peccato contro il tuo Dio.

TRISTANO.

  Dio? Quale? L'abbiamo perduto.
  Siamo in esilio, in libertà.
  Il mare solo colle sue bianche braccia
  e il suo fragore copre le nostre parole.
  Grazie, mare, anche a te.

ISOTTA.

  Ed hai paura, se parli piano.

TRISTANO.

  Sono stato in agonia... Non oso
  sventolare la salute, ma la fascio,
  la carezzo... Per essere diverso
  e non più riconoscibile, ho seppellito
  là, nella sabbia, la maschera, stanotte.
  Neanche la luna mi ha veduto.
  Ora sono bianco, un altro sono!
  Mi siedo e chiamo: Psst, psst, i miei pensieri
  che mi vengono a dormire stanchi nel cuore,
  dopo tante corse, e me li sento, un po' sudati,
  amici, respirare...

ISOTTA.

                      I tuoi pensieri,
  rondini, un attimo ferme,
  son pronte a ripigliar volo e garrito.

TRISTANO.

  No, mentre dormono, tu li ucciderai.
  Ti spaventa? Cattivi pensieri,
  mi hanno fatto soffrire tanto!

ISOTTA.

  Se io sapessi, come si può fare!

TRISTANO.

  Guarda. Sì. Sì. Così. Buona...
  Poi ti siederai qui, e filerai.
  Come una moglie di pescatori!
  Eh, non siamo più niente...
  Dobbiamo guadagnarci la vita.
  Ecco: filare. E io farò il falegname.
  Un onorevole mestiere. Anche il padre di Gesù
  non se ne vergognava, ed il figlio era re.
  Noi avemmo il padre re.
  E qui legheremo un cane
  che abbaierà alla sua ombra...
  No; niente ombra, niente cane. Silenzio!
  Un gatto grigio. Ed il buffone
  ci farà da sguattero, e Giuseppe
  lo chiameremo. Sì, sì,
  una vita come gli altri, nascosta,
  ogni giorno monotona, eguale
  e lei forse non ci troverà più,
  e noi moriremo, colla barba bianca,
  tu con cento rughe... Isotta...
  Ma perchè ti chiami... Isotta?
  Cambia nome: vuoi che seppelliamo
  anche il tuo nome, sotto la sabbia?

ISOTTA.

  È l'unico dono che m'è rimasto
  di mio padre, il nome.

TRISTANO.

  Beato, in pace con sè stesso!

ISOTTA.

  Non mi ha giovato il voto...

TRISTANO.

  E perchè non te ne sciogli?
  Se tu m'aiuti...
                   Posso io?

ISOTTA.

  Ma devi me cercare dentro le mie braccia,
  non l'assente: solo me,
  e mi conoscerai allora, se pallida,
  marmo no, malata di languore,
  come notte di maggio e di luna,
  e s'aprirà la mia chiusa forza,
  come un altro mare...

TRISTANO.

  Chi sei? Guardo la tua bocca
  dir queste parole, e guardo
  la tua gola vivere, e queste mani...
  Le mani... Erano tue?

ISOTTA.

  Le riconosci vive, qui?

TRISTANO.

  Le tue! Dunque sei tu? Tu!
  Ecco: ti accarezzo... E ti abbraccio...
  Nessun velo fra te e me...
  Nessun'ombra! Posso... Sì.
  Posso dire forte, Isotta!
  Più forte, Isotta... Più forte, Isotta!
  Libero sono... Salvo per queste mani
  mie, che erano te,
  che sono te, Isotta cara...

                              (Entra HUBBO con in mano la maschera di
                              Tristano).

ISOTTA.

  Che c'è?

HUBBO.

           Questo, c'è...

TRISTANO.

                              (Cupo tra sè).

                          L'ombra?...

HUBBO.

  Il mare ha scavato la sabbia
  ed è venuta su questa pezzuola
  del signor Tristano...

TRISTANO.

                              (Delirando).

                         L'ombra!
  M'ha ritrovato! Ecco: sorridevo!
  Ho parlato forte... troppo forte...
  M'ha udito... M'ha ripreso, è qui...

ISOTTA.

  No... Non è che la tua maschera...

TRISTANO.

  Ma _lei_ me la rimanda!
  Oh, conosco i suoi segni...
  i suoi gesti senza parole...
  le sue pause d'agonia... e d'ironia!
  Mi dice: ricopri quel viso ch'è mio.
  Tuo? Perchè? Ti rispondo: no!
  E guarda... le calpesto la maschera...
  le sputo su... le ballo su... ballo...

HUBBO.

  Signor mio...

TRISTANO.

                Ballo... ballo...

HUBBO.

  Dentro un barcone ora approdato
  c'è un prete, barba così,
  che racconta d'Isotta...

TRISTANO.

                           Di chi?

HUBBO.

  Racconta che Isotta regina,
  la moglie di re Marco,
  è stata da re Marco ferita
  per furore, ed essa langue ora,
  e par che dica: Muoio... Tristano...

TRISTANO.

  Maledetto! Tu muori... tu!
  No. Hai ragione... Per questo
  la maschera m'ha spedito... La bacio.
  Sa di sale! Sì. È come
  un'anima avvilita e lagrimosa.
  Ma lei ferita hai detto? E muore?
  Per furore... per gelosia!
  Isotta, hai capito? Ebbene
  voglio essere ferito anch'io.

ISOTTA.

  Non divagare... Ritorna
  alla tua vita nuova...

TRISTANO.

  Al gatto?... Al falegname?
  Come _lei_, sempre come _lei_,
  per morire come _lei_, almeno questo!
  Provoco e chiedo ciò alla tua gelosia.
  Hai detto d'aver cuore e sangue...
  Su, su. Ferisci! Dove vuoi...
  Nel mio cuore... nel mio sangue...
  Voglio, intendi? voglio essere ferito.

                              (Hubbo spalma dell'unguento del
                              barattolo un coltello e lo pone sul
                              tavolo).

ISOTTA.

  Non essere crudele con te e con me!

TRISTANO.

  Un coltello!

                              (Brandisce il coltello ch'è sul
                              tavolo).

               O mi ferisci,
  o mi scanno. Isotta mia, ti sento,
  e ti obbedisco! So quello che vuoi...

ISOTTA.

  Chi può sapere? Interroga quel frate...

TRISTANO.

  Sangue! Il mio bel sangue nero!
  Ecco: non colpisci? Io, allora io...

ISOTTA.

  No...

TRISTANO.

  Taglia... taglia... un po' di carne
  lacerata mi salverà dall'ascoltare
  l'anima mia... e i ricordi... su... taglia!

ISOTTA.

                              (Pungendogli il collo).

  Ecco: una goccia di sangue...

TRISTANO.

                              (Subitamente calmo).

  Una gemma. Fermi! Devo morire.
  Sono sulla soglia del palazzo eterno...
  Sì, povera vita mia, ti lascio... Una gemma:
  di questo rubino fatti l'anello di nozze
  che non t'ho dato ancòra... Pace.
  Non urlo più. Non tremo più.
  Vedo la morte che mi viene incontro.
  Quanto tempo?

                              (Una pausa).

                Sì? Grazie,
  anche a te, morte. Posso vederla, ancòra!
  Hubbo, sali sul barcone ch'è approdato,
  riprendi il mare, vola, e va dalla regina ferita,
  laggiù, di' che Tristano muore,
  e che insieme, insieme si ha da morire,
  e portala qui. Se torni con lei,
  alza vele bianche, senza, vele nere.
  Aspetterò, tenendomi la vita colle mani.
  Va!

ISOTTA.

      Va!

                              (Hubbo _exit_).

TRISTANO.

          Ed ora comincio ad aspettare.
  Guardo. Un po' d'acqua... Ho sete...
  Grazie... E lasciami solo... Va via: solo:...
  Voglio pregare, se ripesco qualche parola
  nella mia memoria...

ISOTTA.

                       Ti posso insegnare...

TRISTANO.

  Tu?

ISOTTA.

  Io prego sempre. Ripeti:
  O voi che proteggete chi patisce...

TRISTANO.

  O voi che proteggete chi patisce...

ISOTTA.

  Fate che Isotta mi venga ridata...

TRISTANO.

  Fate che Isotta...


SCENA SECONDA.

_A bordo d'una barca a vela: in alto mare. Tempesta._

                              (In piedi, ERASMO, in abito d'eremita,
                              regge la barra del timone. Accovacciato
                              HUBBO tiene la corda della vela).


HUBBO.

  E chi vede più niente in questo inferno?
  Si scivola... si vola a precipizio!

ERASMO.

  Io gli scogli non scorgo, ma Dio veglia:
  Ci diriga se vuole, o ci frantumi!

HUBBO.

  Sono maledizioni di saette...
  E non arriveremo che al naufragio!

ERASMO.

  Io sono pronto.

HUBBO.

  Eh vecchio sei barbone amico di Dio,
  ma Hubbo la morte lo spaventa.

ERASMO.

  Tira! Oh senti la campana! È l'ora
  nostra... Su, su... L'ondata passa... e spazza!
  Amavi tu la vita come i re?

HUBBO.

  Come un rospaccio cui tirano sassi
  anche i marmocchi fior d'innocenza...
  Ah quant'acqua... Non si regge più!
  Tu forse avrai goduto.

ERASMO.

  Avidamente ho steso le mani
  su tutti i beni della terra e nulla
  è stato mio: le mani or tendo al cielo
  e qualche cosa piglierò lassù.

HUBBO.

  Hai amato ed hai sofferto per amore?

ERASMO.

  Prega... Il vento cambia. Forza!

HUBBO.

  Tutta la barra. Ancòra. L'albero cede.

ERASMO.

  No. Tien saldo. Mi piacque una nipote
  principessa di mani come il vento...

HUBBO.

  Isotta!

ERASMO.

  L'hai conosciuta? E casta come morta...

HUBBO.

  No, casta. Tu non sai l'amore suo!

ERASMO.

  Per chi? Su! Grida più dell'uragano!

HUBBO.

  Per un Tristano che se l'è sposata...

ERASMO.

  Ah parole più fulmini del fulmine!
  L'ama? È felice? Parla! Com'è fatto?

HUBBO.

  Oh piangere la fa! Chè lui non l'ama!

ERASMO.

  Piangere? Miserabile!.. Oh vendetta...

HUBBO.

  Compiuta, la vendetta. Tristano muore.
  E vuole anche morir contento!
  E com'è stato fedele a un'altra Isotta,
  a un suo peccato, manda noi,
  che gliela riportiamo, questa Isotta,
  per essere felice, nel trapasso, ed in eterno,
  ed infelice in eterno quella che tu amavi.

ERASMO.

  Lascia la vela. Ed io lascio il timone.

HUBBO.

  Ma la barca impazzisce disperata...

ERASMO.

  Giù! Giro tondo e vortice che sale!

HUBBO.

  È la fine! È la fine!

ERASMO.

  Che importa? Vuoi che io serva a quel Tristano?

HUBBO.

  Ho promesso... Ho paura...

ERASMO.

  Ma ti viene la morte e ti cancella
  e le promesse annegano con te...

HUBBO.

  No. Non si può camminare...

ERASMO.

  Se non gli giunga, se mai più riveda
  quest'altra Isotta, morirà furioso?

HUBBO.

  Furioso, sì, come un cane.

ERASMO.

  E d'Isotta, la mia?

HUBBO.

  La nostra, sarà un po' contenta...

ERASMO.

  Quale nostra?... Anche tu? Maledizione!

HUBBO.

  No. No. Non ho che pianto. Pietà di me...

ERASMO.

  Verme! Rospo, hai osato? Ma si muore...
  Vieni qui. Parla. Non tremare. Parla.
  Ancora è bella? E le sue mani bianche?

HUBBO.

  Come la spuma... Oh, no. Si sprofonda!

ERASMO.

  Sì.

HUBBO.

  Salvami! Non vedi? Non vedi?

ERASMO.

  Sì. Ma parla di lei! Parla di Dio!

HUBBO.

  È triste, Isotta... E non ci ha mai sorriso...

ERASMO.

  Isotta, Isotta...

HUBBO.

                    Isotta...

                              (S'inabissano).


SCENA TERZA.

_Lo stesso casolare della prima scena dell'atto._


TRISTANO.

                              (Su un giaciglio).

  Quanta polvere! Due pescatori
  han pescato un morto fra gli scogli:
  un annegato colla barba e glie l'hanno tagliata.
  Poi l'hanno portato in questo casolare
  e sono io... Povera gente!
  Il mare mi cullava. Qui sono un cane
  malinconico che aspetta per poter morire
  l'arrivo del suo padrone,
  ed agita la coda...

ISOTTA.

  Sei tu che vivere non vuoi...

TRISTANO.

  Non so, non so vivere...
  Se tu m'avessi insegnato!

ISOTTA.

  Che potevo fare di più?
  Tacere e patire, oltre le mie forze.

TRISTANO.

  Ascolta. Ho fatto un sogno, non so come,
  senza chiudere gli occhi mai.
  Sognavo che tu e lei foste una Isotta sola,
  e Languis e re Marco un solo vecchio
  ed ero felice o mi pareva,
  e t'ho guardata,
  e tu eri tu, sola,
  e Isotta mia, lontana!

ISOTTA.

  E se non t'amasse più, colei?

TRISTANO.

  Più? Me?

ISOTTA.

  Non esiste il verbo dimenticare?

TRISTANO.

  Dimenticare?

ISOTTA.

  Chiudere nel cuore il ricordo,
  sorridere a nuove parole,
  aver pietà di sè.

TRISTANO.

  Ho potuto io, dimenticare lei?
  E lei come...?

ISOTTA.

                 Come una donna.

TRISTANO.

  Vile bugiarda! E vuoi rubarmi nell'anima!

ISOTTA.

  Un po' di pace vorrei darti,
  se anche tu con odio mi ripaghi.

TRISTANO.

  Pace mi darà la morte.
  Ma lascia che io creda in quest'amore!
  O per chi avrei vissuto?

ISOTTA.

  Per te.

TRISTANO.

  Oh, io non valgo la mia vita!
  Muoio, e non per me... non per me.
  Ti ho fatta soffrire, ho fatto soffrire me,
  funesto a nemici ed amici,
  almeno per grande fuoco, ciò:
  amore è come patria, giustizia,
  come Dio! E tu che ami,
  non dire sacrilegio contro l'amore!
  Ed essa viene. Sento che essa viene,
  Isotta! Ha chiuso tutte le sue lacrime
  per sorridermi ancora una volta.
  Vieni qui. Ascolta. Tu non la conosci.
  Io sì. Io non conosco che lei.
  Essa avrà detto: perchè partite?
  Eh! Perchè sono partito? Potevo rimanere.
  Delitto, sì. Ma le lacrime di Marco
  non valevano le sue, nè le tue,
  che non hai pianto. Ma così ho fatto:
  sono partito. Ed ho potuto non ritornare più!
  Come ho fatto? Così. Per viltà
  e per essere pietra d'eroismo,
  senza cuore nè sangue. E li ho, ribelli.
  Tu mi conosci! Ma non credere che Isotta
  abbia dubitato mai di me,
  o mi abbia maledetto mai. Te maledetta,
  se lo credi. Essa, lo sento, mormorava:
  Tristano vuol così, e così sia.
  Ma io le grido: Tristano è un vile!
  Ma quando il tuo buffone le ha detto:
  Tristano muore, vieni, essa si è levata
  in piedi, su, benchè morente, e l'anima sua
  è volata qui prima del corpo, è qui.
  Essa è qui, intendi? E io parlo a lei...
  non a te... E aspetto il bacio suo!
  Non il tuo, Isotta... Il suo, d'Isotta!...

                              (Spossato ricade sul giaciglio).

ISOTTA.

  Povera pena! Come vorrei tu avessi
  una piaga sanguinosa e non questa tortura
  di un'idea!

TRISTANO.

  Donna, vuoi guardare dalla porta?

ISOTTA.

  Perchè?

TRISTANO.

  Guarda il mare, il mare...
  No. Io: lascia che mi levi!

ISOTTA.

  Non ti reggi!

TRISTANO,

  Sì. Posso camminare...
  Ma non vedo lontano. Vedo te
  che non voglio vedere. E là non vedo
  nemmeno il mare. Muoio? Ah no!
  Morire... non ancora... non ancora...

                              (Ritorna a buttarsi sul giaciglio).

ISOTTA.

  Riposa.

TRISTANO.

  Guarda tu... Guarda... E di'.
  La sua barca si vede? La vedi?
  O sei cieca anche tu, donna?
  Non tacere per gelosia dell'altra!

ISOTTA.

  No. Tristano. Penso a te, soltanto.

TRISTANO.

  Non piangere. Non piangere. Guarda
  con occhi asciutti o non puoi vedere...

ISOTTA.

  Non c'è sul mare che un correre di onde.

TRISTANO.

  Anche tu non sai vedere! Essa c'è sul mare.
  Ed è vicina. La sento io.
  La sento meglio che tu non veda...
  Guarda! Sforza lo sguardo! Su! Su!... Parla...

ISOTTA.

  Sì. Forse... hai ragione.

TRISTANO.

                            Non farmi morire
  d'ansietà...

ISOTTA.

  Una barca... Una piccola barca...

TRISTANO.

  Le vele?... Che vele?...

ISOTTA.

  Vele bianche.

TRISTANO.

  È lei... col suo cuore... i suoi capelli...
  I suoi occhi miei... Vederla!...
  Un suo bacio... Il suo bacio... Morire...
  Festa... la mia morte... La barca... Isotta!

ISOTTA.

  Approda.

TRISTANO.

           Piano... Gli scogli... Attenda...
  Il mare può... tradire... No, no...

ISOTTA.

  Ecco. Una donna...

TRISTANO.

  Lei!... La vita!...

ISOTTA.

  Scende sulla spiaggia, sale, viene verso qui..

TRISTANO

  Mia carezza... sento... musica... bionda... lei... quanta notte...
  d'oro... Lei.. Dov'è Dov'è?

ISOTTA.

  S'avvicina. Io vado. Col mio povero nome,
  ch'è suo, e col mio sangue
  ho tenuta accesa la lampada
  della tua vita e del tuo dolore...
  Ora essa è qui. Ho finito. Vado. Addio.

TRISTANO.

  Lei... Isotta!... Isotta!... Vieni...

                              (Isotta da una porta _exit_).

  No... Non ti dico niente del mio male...
  dei giorni... no... non ho sofferto...
  tutto sparito... ho aspettato...
  questo minuto... solo... te...
  Beato... Ah... ah... Il paradiso...
  apre le... porte...

                              (ISOTTA da un'altra porta ricompare).

                      Ah... sì... tu... Sei tu...
  Mio cuore... non era un sogno...
  Tu c'eri... al mondo... viva... Io...
  Io... sono felice... tanto... tanto...
  Qua... vicina... vieni... Piglia l'anima... mia...
  fra le tue braccia.... Nè io... senza di te...
  nè tu senza di me... Un bacio...
  Tutta la mia vita... anche la tua... per un bacio...
  Moriamo... insieme... sì...

                              (Isotta viene a baciarlo).

                              Vedo il tuo...
  bianco... me... ra... viglia... feli... cità...
  Sono... non più... Tristano... sono Dio...

                              (Muore. Isotta s'inginocchia).


FINIS.



INDICE


  Atto Primo    Pag.  7

  Atto Secondo   »   63

  Atto Terzo     »  109

                              -----


Che cos'è il “raccontanovelle„ della Casa Editrice Vitagliano?

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Si sono pubblicati nella prima serie:

  N.  1. — VIRGILIO BROCCHI: Fragilità.
  N.  2. — DARIO NICCODEMI: Spirto gentil...
  N.  3. — SABATINO LOPEZ: Risate.
  N.  4. — MARIO MARIANI: Trabocchetti.
  N.  5. — ALESSANDRO VARALDO: Questa o quella...
  N.  6. — FLAVIA STENO: Nappina azzurra.
  N.  7. — GINO ROCCA: I capitomboli.
  N.  8. — COSIMO GIORGIERI CONTRI: Di chi l'amore...

Compariranno successivamente:

  N.  9. — MICHELE SAPONARO: L'Allodola.
  N. 10. — FEDERICO TOZZI: La gallina disfattista.
  N. 11. — MARIO PUCCINI: Quando cade il velo.
  N. 12. — F. M. MARTINI: L'ultima confessione di Don Giovanni.
  N. 13. — E. L. MORSELLI: Il Club dei Solitari.
  N. 14. — LORENZO RUGGI: Palmi di naso.
  N. 15. — LUIGI SICILIANI: L'ignota.
  N. 16. — ENRICO CAVACCHIOLI: La tua bocca, signora.
  N. 17. — CARLO VENEZIANI: Donnine di lusso.
  N. 18. — ENRICO SERRETTA: L'Ospite.
  N. 19. — LUIGI ANTONELLI: Dove si sarà seduto...
  N. 20. — SILVIO ZAMBALDI: Il cuore d'argento.
  N. 21. — RAFFAELE CALZINI: Quattro storie galanti.
  N. 22. — GIUSEPPE LIPPARINI: L'amore di Fatma.
  N. 23. — FRANCESCO SAPORI: Piangi, amor mio.
  N. 24. — CARLO PANSERI: La vita e il sogno.
  N. 25. — PAOLO DE GIOVANNI: Una donna trovata.

Abbonamento a 12 numeri L. 10 — Abbonamento a ventiquattro numeri L. 20


                              “ROMANTICA„

                       _OGNI FASCICOLO UN ROMANZO
                    OGNI ROMANZO UN AUTORE CELEBRE_

NELLA PRIMA SERIE:

  R. CALZINI: Il profeta e la peccatrice.
  M. PRAGA: I tre Maurizî.
  S. GOTTA: Canzone disperata.
  M. MARIANI: L'eredità.
  G. ROCCA: Volersi bene.
  M. SAPONARO: Amore d'agosto.
  L. ZÙCCOLI: Magda, la sorella.
  A. VARALDO: Rosso e nero.
  TÉRÉSAH: La morte della bambola.

                   OGNI FASCICOLO CON UNA COPERTINA A
                    COLORI DI VENTURA, CRESPI, ECC.
                                L. 1,50
                 ABBONAMENTO A 12 NUMERI L. 15, —

Inviare le prenotazioni alla nostra Amministrazione:

14, VIA DURINI — MILANO — VIA DURINI, 14


              Pubblicazioni della Casa Editrice Vitagliano
                              per ragazzi:

                              I GIOIELLI

CARLO VENEZIANI. — =Pap Pep Pip Pop Pup=, con disegni in nero ed otto
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ANTONIO RUBINO. — =Viperetta=, con disegni in nero ed otto tavole a
colori di RUBINO.

SERGIO TOFANO (Sto). — =Storie di Cantastorie=, con disegni in nero e
dieci tavole a colori di STO.

FILIBERTO SCARPELLI. — =Cuore di Fantocci=, con disegni in nero e dieci
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_Ogni volume in carta di lusso di duecento pagine in grande formato
illustrate a colori ed in nero L. 10._

_La serie continuerà ad essere pubblicata dal Gennaio 1920, e
comprenderà volumi dei più noti scrittori italiani._

  È intanto in preparazione:

CARLO VENEZIANI. — =Tappa, Tatappa e Túmmele.=

Seguiranno altri libri per bambini, di RENATO SIMONI, ALESSANDRO
VARALDO, RUBINO, GOTTA, ecc.



Nota del Trascrittore

Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo
senza annotazione minimi errori tipografici. La nota [_lacuna nel
testo_] a pag. 109 segnala il punto in cui la pagina originale risulta
strappata, rendendo illeggibile parte del testo.





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