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Title: Commentario de le piu notabili, & mostruose cose d'Italia, & di altri luoghi - di lingua aramea in Italiana tradotto, nelquale si impara, - & prendesi estremo piacere
Author: Lando, Ortensio
Language: Italian
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*** Start of this LibraryBlog Digital Book "Commentario de le piu notabili, & mostruose cose d'Italia, & di altri luoghi - di lingua aramea in Italiana tradotto, nelquale si impara, - & prendesi estremo piacere" ***


                               COMMENTA-
                           RIO DE LE PIU NO-
               tabili, & mostruose cose d'Italia, & altri
                      luoghi, di lingua Aramea in
                      Italiana tradotto, nelquale
                          s'impara, & prendesi
                            estremo piacere.

                          VI SI È POI AGGION-
            to un breve Catalogo de gli inventori de le cose
                  che si mangiano, & si beveno, nova-
                     mente ritrovato, & da Messer
                           Anonymo di Utopia
                               composto.



                          IN VINETIA AL SEGNO
                               DEL POZZO.

                                 M D L.



                           AL MOLTO ILLUSTRE
                            ET CORTESE S. IL
                              CONTE LODOVI
                              co rangono.


Imaginando come io vi possa ragioire, & dar qualche spasso, mi sono
risoluto nell'animo mio, non poter cio meglio fare, che porgendovi
qualche piacevol lettione per laquale vi ralegriate l'animo, spesso
percosso da duri colpi di fortuna: legete adunque il presente
commentario, che mi e (non so per qual via) venuto alle mani, & la
mia buona intentione di farvi sempre cosa grata amate (& sel vi pare)
insieme lodate.



                    COMMENTARIO DELLE PIU MOSTRUOSE
                             ET MEMORABILI
                cose c'habbia L'Italia et altri luoghi.


Piu fiate havendo letto nelle antiche storie tante maravigliose cose
dalli Italiani virilmente oprate, et essendomi da mio avolo molte volte
detto esser l'Italia la piu bella parte, la piu ricca, & la piu civile
che ritrovar si possi, nacquemi nel petto un'ardentissimo disio, &
vennemi un istrema voglia non sol di vederla, ma di habitarla mentre
vivessi: & al mio pensiero fu il cielo sì favorevole & propitio, che di
piu osato non havrei di desiderare. Volle adunque mia buona ventura,
che nel paese nostro che si chiama il regno de Sperduti, capitasse
spinta da contrari venti una nave, che dall'isola di Utopia carca
di carote veniva, sopra dellaquale, fra molti, vi era un Fiorentino
chiamato Tetigio, ottimo maestro di piantar carote, & perche oltre di
questo, egli era faceto, motteggiatore, & piacevole molto, Lo chiesi
se voleva rimanersi meco, & essermi guida nel viaggio d'Italia, ch'io
li darei honesta, & al suo giuditio convenevole provisione, oltre
che l'havrei sempre in luogo di carissimo fratello. Non spiacque
l'offerta al Fiorentino, anzi riverentemente mi ringratiò che degno
reputato l'havessi del mio servigio, promettendomi ch'egli mi sarebbe
ossequente piu che il vento, & obediente piu che la lepre
alla campagna, & che tutta l'Italia gli era non meno nota, che si
fussero le stanze delli Antipodi, et che haveva notitia di tutte le
famiglie illustri, di tutti gli huomini bellicosi & litterati, e delle
piu belle & vaghe donne, et che mi avvertirebbe fedelmente secondo la
varietà delli costumi Italiani, liquali piu spesso si cambiano che non
fa il Cameleonte. Stette la nave delle Carote forsi sei mesi in porto.
Il padrone era Raguseo, li ministri parte Genovesi, parte Napolitani,
il scrivano era sciotto. Di si longa dimora fu cagione non tanto la
contraditione de venti, quanto il mercatantare che fecero, conobbero
tantosto che di Nave scesi furono esser la Regione nostra copiosa di
rare cose: compraro adunque anzi per dir meglio, contracambiarno; à noi
lasciando delle lor Carote, & essi portandosene di quelle cose delle
quali l'Italia mancava: per Napoli tolsero di belle prospettive delle
quali si diletta quella natione sopra tutte l'altre. Per Roma tolsero
le piu belle cortegiane che n'havessimo nel Regno, quasi che le ci
mancassero: Per Siena di molte funi, & di molte catene. Per Firenze
mille Cantarri di speranza vana. Per Perugia morsi, et briglie. Per
Lucca di molte odorifere misture per profumare il loro maraviglioso
volto. Per Vinetia non vollero nulla, affermando che bastava portarvi
delle Carote lequali trapiantate in quel terreno salso & dolce,
crescevano ad estrema bellezza. Vollero per Genova una certa radice
della quale chi ne mangia dopo'l pasto à stomaco digiuno, ha gran
proprietà di fermare & stare, & stabilire i vacillanti capi. Mentre
cotai cose mi riferivano, accendevasi tutta via il desiderio di veder
l'Italia, & ogni indugia m'era troppo molesta. Longo sarebbe & non
molto necessario, se io volessi raccontare cioche se ne portarno per
Milano, qual mi dicevano esser una città grande, populosa, & molto
ricca, prima che Francia, Spagna, & Alemagna li succhiassero non solo
il latte, ma il sangue. Hora per conchiuderla spogliarno quasi tutto 'l
paese di virtuose radici, herbe, & liquori affermando esser l'Italia
tutta da vari morbi oppressa & impiagata, et non vedersi in lei parte
veruna che sana fusse. Hor quando ad Iddio piacque salimmo su la nave
ben corredata, et da ottimi marinai governata, & date le vele à venti
per quindici giorni navigammo felicemente, levossi dopoi un vento
impetuoso molto, che ne constrinse (nostro mal grado) pigliar porto
in una isoletta da man destra poco habitata da huomini, ma piena de
conigli, & cervi, daini, lepri, papagalli, tortore, & usignuoli, piena
de pretiosi frutti, & soavissimi fiori, copiosa di chiare fontane, dove
fummo raccolti con lieto viso & gratiosissimamente ristorati, & certo
n'havevamo gran bisogno per la molta angoscia che n'haveva fatto sentir
l'ira del mare. Mentre quivi soggiornammo, ne fu detto esser nell'isola
un'Eremita dotato di Spirito profetico ilquale non lontano dal nostro
albergo habitava, io che fui sempre curioso di cose nove deliberai
visitarlo. Gran cosa & degna di stupore mi parve ch'egli appena veduto
m'hebbe, che per proprio nome mi salutò et tutto pieno di amorevolezza
bacciommi la fronte. Era questo huomo d'aspetto sopra modo venerabile,
di statura alto, di habitudine di corpo magro, di favella soavissimo,
vestito di tela celeste col capo tondo, & ricciuto: presemi per mano,
introdussemi nella sua cella, & postosi sopra di una panca à sedere, in
cotal modo incominciò à favellarmi. Sono molti giorni figliuol mio, che
bramosamente ti aspetto: io so che tu sei per girtene in Italia, ove
molte strane cose vedrai, & scorrerai molti pericoli, ma se tu haverai
fede nel Signor Iddio da qualunque sciagura serai liberato. Io vidi
già l'Italia quando ella fioriva, & era carica di Trofei, et nel vero
parvemi un terrestre paradiso, ma hora intendo che le voglie divise
delli infelici Italiani le hanno fatto mutar faccia et cambiar costumi.
Troverai molte cose, che sommamente ti aggradiranno, et molte che ti
saranno cagione di strema noia, spera pur figliuol mio nel S. che ti
farà trar di questa tua longa peregrinatione utilissimo frutto, fa che
senza intermissione adori, & preghi l'eterno padre, dal quale procedono
tutti i beni, fa che li occhi tuoi non s'invaghischino d'altro
spettacolo che della salutifera croce di Giesu Christo, nelquale habbi
tutta la fiducia & egli farà la guida tua, non ti fidare nella propria
prudentia, ma fidati in quella divina providentia, che regge & governa
l'universo; Custodisci il cuore con ogni diligente custodia, imperoche
da quello procede la vita nostra. Rimuove da te le labra detrattrici.
Fuge le lingue bugiarde, & guardati dall'ira, imperoche egli è scritto
nelle sagre lettere, che l'ira alberga nel seno de pazzi. Schiva le
conversationi delle malvagie femmine, amara assai piu che asentio, &
piu che morte. Attende à conservarti buona & intiera fama, laquale pel
testimonio di Salomone è di ogni pretioso unguento piu soave. Tu te
n'andrai sano & salvo à quella nobil provincia, laquale dalli Vitelli
ha preso il nome: Vedrai quella felice & beata amenita di Campania &
pareratti comprendere, che solo in quella parte del mondo la natura
triumphi, godi & gioiosa si stia, gusterai una maravigliosa temperatura
di cielo, vedrai campi fertilissimi, Colli aprichi, spelonche opache,
fronzute selve, infinita copia di biade, viti, mandorle, & olive, molto
armento, copioso grege, molti fiumi, & molti chiari fonti. Vedrai Roma
nudrice di tutto'l mondo, eletta dal magno Iddio per adunar i sparsi
imperii, & mollificare le dure usanze, & aspri costumi de barbari, &
per esser finalmente patria comune à tutte le genti: Ricordoti però
figliuol mio, che quando sarai nella alma città di Roma che di cosa
che tu vega contra l'opinione tua, non te ne scandalizi. Troverai
per Italia & ispetialmente nel Regno di Napoli, nel paese di Roma, et
per Lombardia infinito numero de Tirannetti li quali sono à sudditi
peggio che la peste, rubbandoli & violandoli le donne loro, sovengati,
che Iddio fa regnar cotai mostri per li peccati de popoli & prega il
S. ne spenga à fatto il seme di queste crudeli Arpie, ma ragionato
habbiamo à bastanza, tempo mi pare di ristorare il ventre importuno
essattore di quanto se gli deve, piacciati rumpere il digiuno con esso
meco, ne ti rincresca di fare un poco di penitentia: io lo ringratiai
dicendoli, che troppo singolar beneficio mi faceva degnandomi della
sua mensa, per laquale havrei rifiutato quella di Nino, & di Lucullo,
ne invidiarei à giove, nettare, o ambrosia, & cosi il buon Romito
puose mano ad un tovaglino piu bianco che falda di neve, & ingombrò la
picciola tavola de fichi secchi, nocelle, mandorle, & uva passola, &
di un pane bruno anzi che nò, ma leggiero, ben fermentato, saporito,
& ottimamente stagionato: Vino non ci puose egli ma di un'acqua mi
dette bere, dotata diquelle conditioni, che si ricercano ad una buona
acqua: superava di chiarezza ogni ben lucido cristallo, non haveva
alcuno sapore, non odore, non determinato colore, non finalmente
alcuna qualità. Finita la colatione & rese le gratie al S. egli mi
diede la sua benedittione, chiedendola io importunamente, & da lui
tolto commiato allo albergo feci ritorno. L'oste, che longamente
m'haveva aspettato credendosi ch'io fussi digiuno, incominciò à
burlarsi di me. Era questo hoste un buon brigante, amico anzi schiavo
della gola, per un ortolano, per un beccafico, per un fegatello,
egli sarebbe ito nel fuoco, bevitore era piu che Tiberio, piu che
Cinciglione, & piu che Novello tricongio: del resto, era faceto, &
ben parlante ne haveva punto del sciocco, anzi gli avanzava molto del
tristo. Dopo che di me preso si hebbe quel trastullo che li piacque,
sgannatosi finalmente che digiuno non fussi, ma in piu modi ben
ristorato cosi à parlarmi incominciò. Anchora che il Romito t'habbi
sofficientemente ammonito, & consigliato di quanto ti fie bisogno pel
viaggio d'Italia, pur per l'amicitia fra noi in questi pochi giorni
contratta, non voglio ti parti senza alcuni miei salutevoli ricordi.
Io mi persuado d'haver veduto l'Italia piu diligentemente di lui, ne
guari è che partito me ne sono, dil che assai & non poco me ne pento,
& ne farò dolente fin ch'io vivo. Veramente ti porto grande invidia:
imperoche fra un mese (se i venti non ti fanno torto) giugnerai nella
ricca Isola di Sicilia, et mangerai di que macheroni i quali hanno
preso il nome dal beatificare: soglionsi cuocere insieme con grassi
caponi, & caci freschi da ogni lato stillanti buttiro & latte, & poi
con liberale, & larga mano vi soprapongono zucchero & canella della
piu fina che trovar si possa; oime, che mi viene la saliva in bocca
sol à ricordarmene. Quando io ne mangiava mi doleva con Aristoxeno,
che Iddio non mi havessi dato il collo di grue perche sentissi nel
trangugiarli maggior piacere, mi doleva che il corpo mio non si
facesse una gran capanna. Sel ti vien commodo di fare la quaresima in
Taranto, tu diventarai piu largo che longo, tanta è la bontà di que
pesci, oltre che li cucinano, & con l'aceto, & col vino, con certe
herbicine odorifere, & con alcuni saporetti di noci, aglio, & mandole.
Ma quanta invidia ti porto ricordandomi, che tu mangerai in Napoli
quel pane di puccia bianco nel piu eccellente grado, dirai questo è
veramente il pane che gustano gli Agnoli in paradiso: oltre quel di
puccia, vi se ne fa d'un'altra sorte detto pane di S. Antemo in forma
di diadema, & è tale che chi vi desidera con esso companatico, è ben
re di golosi: mangerai vitella di Surrento, laquale si strugge in
bocca con maggior diletto che non fa il zucchero, et che maraviglia
è se è di si grato sapore, poi che non si cibano gli armenti d'altro
che di serpillo, nepitella, rosmarino, spico, maggiorana, citornella,
menta, & altre simili herbe, tu sguazzerai con due caci cavallucci
freschi, arrostiti non con lento fuoco, ma prestissimo, con sopraveste
di zucchero & cinamomo. Io mi strugo sol à pensarvi: vedrai in Napoli
la Loggia detta per sopranome de Genovesi, piena di tutte quelle
buone cose che per ungere la gola desiderar si possano, mangerai in
Napoli di susameli, mostacciuoli, raffioli, pesci, funghi, e castagni
di zucchero, schiacciate di mandole, pasta reale, conserve rosate,
bianco mangiare: sarannoti appresentati de buoni caponi, fa che tu
alizi, Gropizi, & non coseggi, cioe mangia l'ali & il gropone, &
lascia star le coscie: se brami coscie, piglia coscie de pollastri,
& ali di caponi, & spalle di montone, & questi sono tre buoni bocconi
desiderati in ogni luogo, gusterai quelle percoche da far risuscitar i
morti: Mannucherai in Siena ottimi marzapani, gratissimi bericoccoli,
& saporitissimi ravagiuoli. Se n'andassi in Foligno assaggiareste
seme di Popone confetto, piccicata, & altre confetture senza paragone:
troverai in Firenze Caci mazolini, oh che dolce vivanda, o che grato
sapore ti lasciano in bocca; dirai io non vorrei esser morto per
milanta scudi senza haver provato si dilicato cibo; mangerai del pane
pepato, berlingozzi à centinaia, zuccherini à migliaia, & berai del
trebbiano non inferiore al greco di Somma. Vatene à Pisa dove si fa un
biscotto che se di tal sorte se ne facesse per le galee non vorreste
far tua vita altrove, poco lontano di Pisa in un luogo detto Val calci
mangierai le migliori ricotte, & le piu belle, che mai si vedessero
dal Levante al Ponente. In Lucca essendo, oh che buona salciccia, oh
che grati marzapanetti ti fieno dati. Se gusti del Tramarino di S.
Michele non te ne parti mai, egli ha proprietà uguale all'acqua di
Poggio reale. Non mi voglio scordar d'avvertirti, che in Bologna si
facciano salcicciotti, i migliori che mai si mangiassero, mangiansi
crudi, mangiansi cotti, & à tutte l'hore n'aguzzano l'appetito, fanno
parere il vino saporitissimo, anchora che svanito & sciapito molto
sia: benedetto che ne fu l'inventore io bacio & adoro quelle virtuose
mani: io ne solevo sempre portare nella sacoccia per aguzzar la voglia
del mangiare, se per mala ventura svogliato me ritrovava: Che ti dirò
della magnifica Citta di Ferrara unica maestra del far salami, & di
confettare herbe, frutti, & radici? dove berai l'estate certi vinetti,
detti Albanelle non si po bere piu grata bevanda: vi si godeno di
buone ceppe, sturioni, & buratelli, & fannosi le migliori torte del
mondo, desiderava io venesse la Giobbia, & la Domenica piu sovente
del consueto, per empirmi la pancia di torta. Haverai in Modona buona
salciccia, et buon Trebbiano: Se ti verrà disio di mangiare perfetta
cotognata, vatene à Reggio, alla Mirandola, & à Correggio, ma felice
te, se giungi à quel Cacio Piacentino, ilquale ha meritato d'esser
lodato dalla dotta penna del conte Giulio da lando, & dal S. Hercole
bentivoglio; mi ricordo haver mangiato con esso mentre in Piacenza
fui, certe poma dette Calte, & un'uva chiamata Diola, & ritrovarmi
consolato, come se mangiato havessi d'uno perfettissimo Fagiano.
Usasi ancho in Piacenza una vivanda detta Gnocchi con l'aglio laquale
risuscitarebbe l'appetito à un morto. Se avviene che passi per Lodi
(Dio buono) che carni vi mangerai, ti leccherai le dita ne mai ti
chiamerai satollo, ma vorrei ben esser nella tua pelle quando arriverai
à quelle minute pescagioni di Binasco. Goderai in Milano di cervelato
del peragallo cibo re de cibi, col quale ti conforto mangiar delle
offellette, & bervi dopo della vernaciuola di Cassano, d'Inzago, &
d'Avavro: goderai certi verdorini della buona delli arrosti: non ti
scordar la luganica sottile, & le tomacelle di Moncia, non le trotte di
Como, non li Agoni di Lugano, non le Herbolane, & Fagiani montanari,
che da i deserti di Grisoni à Chiavenna capitar sogliono; non anche
i maroni Chiavennaschi, non il cacio di Malengo, & della valle del
Bitto, non le Truttalle della Mera. haverai in Padova ottimo pane:
vino berzamino, Luzzatelli, & ranocchie perfette: non ti debbo dire
delli Poponi chiozzotti? delle passere, delle orate, ostreghe, cappe
sante, & ceffali Vinitiani? Haverai similmente in Vinetia cavi di
latte, ucelletti di Cipri, malvagia garba & dolce, & ottimo pesce in
gelatina, che di Schiavonia addur si suole. Io vado per la memoria
ricercando à mio potere tutte quelle cose che gustevoli parute mi sono,
accioche di cosa veruna non rimanghi defraudato, et il mio giuditio
lodi ne le cose appartenenti alla gola. Buoni vini havrai nel Frioli,
migliori in Vicenza, dove ancho mangerai perfettissimi capretti, tacerò
dirti de Carpioni di Garda? Goderai à Trevigi trippe & gamberi del
Sile de quali quanto piu ne mangi, piu ne mangereste: capitando in
Brescia voglio da parte mia vadi al S. Gioan Battista Luzago, overo
al S. Ludovico barbisono, & dilli che ti dia bere di quella vernaccia,
che gia piu fiate mi dettero: hanno i Bresciani oltre la Vernaccia di
Celatica, moscatelli superiori alli Bergamaschi, et alli Brianceschi,
et mi soviene che il consultissimo conte Camillo mene fece asaggiar di
uno che mai non assaggiai il migliore. Vi mangerai una vivanda detta
in lor lingua Fiadoni belli da vedere, grati al gusto, odoriferi piu
che l'ambra, et piu che il muschio, & morbidi al tatto, confortano
il stomaco, danno vigore à sensi, ristorano le forze, sono facili da
digerire, ne punto aggravano, io mi maraviglio grandimenti che que
tanti terzaruoli lodatori de bacelli, d'orinali, di ricotte, et d'altre
fanfalughe non si sieno posti à lodare i Fiadoni bresciani non però
mai bastevolmente lodati. Credo che l'altezza del sogetto li habbia
sbigotiti, ma che fa il Pocopagni aiutato dalla facunda musa di M.
Antonio di lui nipote, ch'egli non ne canti? che sta à guardare il
Cazago che non concordi cinquanta rime circa tal materia? Vorrei che'l
gentil Dionigi da Castello con il suo dir terso, & nuovo facesse fino
alli Indiani nota la Fiadonesca bontà. Ma perche certo sono che non
farai ritorno nell'amata patria che Genova non veghi, io ti aviso che
vi si fanno torte dette gattafure perche le gatte volentieri le furano
et vaghe ne sono, ma chi è si svogliato che non le furasse volentieri?
à me piacquero piu che all'orso il mele; ò le pera moscatelle, mangerai
delle presenzuole, de buoni fichi, & delle schiacciate fatte di pesche,
& de Cotogni, berrai moscatello di Tagia tanto buono, che se in uno
tinaccio di detto vino mi affogassi parerebbemi far una felicissima
morte, non ti mancheranno Corsi, racesi, & amabili. Non uso quella
diligentia ch'io potrei in dirti ciò che al ventre si appartiene, parte
perche mi penso che non sarai cosi inetto che non ti sappi procacciare
i tuoi bisogni, parte anchora perche ti voglio dare altri consigli:
tu sei giovanetto, ne per quel ch'io credo foste mai piu fuori di
casa, attendi adunque à me che fedelmente sono per consigliarti, se ti
abatti esser di brigata in qualche albergo, & vi sia poco pane, tienlo
in mano, se poco vino, beve spesso, se poca carne appiccati all'osso,
se hai poco letto, ponti nel mezo. Se l'estate cavalchi con grossa
compagnia, metteti avanti, & la vernata rimani indrieto, se ritrovi
qualche difficile & pericoloso passo honora il compagno, lascialo andar
avanti: & cosi se ti abatti di haver à passar qualche rapido & torbido
fiume, dirai come gia disse un savio contadino. Torbo ti trovo, torbo
ti lascio, se non sei chiaro io non ti passo, & vatene alla barca, ne
volere per sparmiare un carlino porti a rischio di morte & doventare
cibo de ingordi pesci: cavalcando per la Calavria porta che mangiare
nelle saccoccie, altrimenti ti potrai stare co guanti in mano: guardati
di rimescolarti con cortegiane ispetialmente in Napoli, Roma, Vinetia,
se non ne voi in premio riportare, gomme, piaghe, doglie, taruoli,
panocchie, dentaruole, & pellarelle. Guardati da Lombardo calvo,
Toscano losco, Napolitano biondo, Siciliano rosso, Romagnuolo ricciuto,
Vinitiano guercio, & marchegiano zoppo. Non albergare con hoste nuovo,
ne questionar con esso, ne lo pagare fin che non sei per andartene,
imperoche pagato ch'egli è, non è piu tenuto alla custodia delle cose
tue, non ti riposare nella fede loro, & guarda che non rubbino la
biada à cavalli, ogni cosa contaminano i ribaldoni, & quando credi
che le lenzuola sieno di bucato, vi havera dormito qualche leproso &
incancherito. Non ti lasciare sovragiungere la vernata in Abruzzo, ò
la state in Puglia. Ricordati del proverbio, Chi vuol provar l'inferno
l'estate in puglia, & nell'Abruzzo il verno. Guardati dall'aria
di Grossetto, di Piombino, di Pisa, di Sinigallia, di Macerata,
d'Arimino, di Cervia, & di Pesaro. Fuge come la peste i gabellieri
di Firenze, di Bergamo, di Brescia, & di Ferrara, non provaste mai
le piu importune & ingorde bestie. Schiva i zaffi Vinitiani degni
di mille forche. Non cavalcar la vernata per Lombardia se prima non
incanti la Nebbia, & questo sia l'incantesimo. Piglia una tazza piena
di Corso, o di moscatello briancesco, & dirai tre fiate, Nebbia nebbia
matutina che ti levi la mattina Questa tazza rasa & pina contra te
fie medicina. Aloggia per tempo, si di verno, come di state: habbi de
cavalli diligentissima cura, & essendo stracchi bagnali i testicoli
di vino caldo, non volendo passare qualche ponte, ò vero intrar in
barca. accostategli all'orecchio stanco, & congiuralo per l'invidia de
cortegiani, per la militar rapacita, per l'ingordigia de molti preti,
per la mormoratione fratesca, & per la desperata salute delli avvocati,
& incontanente passerà dovunque vorrai: nel pascerlo non ti curare
di empirlo la mattina di biada, ma ricordati del Proverbio francese:
disinar di fieno, & cenare di Avena: Fa poca stima de signore, che non
doni & favorisca, di Prelato che non conviti, & di mercatante che non
presti. Non rifiutar di disinare con Abbati, cenar con mercatanti,
merendar con comadri, & far colatione con innamorati: Cerca di far
Natale con signori. Pasqua nel tuo albergo, & lecito ti sia di far il
carnevale in ogni luogo. Guardati da mariuoli & taglia borse de quali
n'ha gran copia Napoli, Roma, & Vinetia. Se ti accade albergare nelle
case di qualche honorato cittadino, non esser curioso investigatore
de fatti altrui: sia cieco, sordo, & mutolo: non biasimar cosa che
veghi, loda etiamdio quello che loda non merita: à tavola essendo, et
non ritrovando le vivande secondo il tuo talento, non vituperare, ma
sovengati di cio che disse Cesare à suoi compagni. A chi non gusta non
ne mangi, & tacciasi. Non ti far molto intrinseco con signori liquali
sono come il fuoco, se moderatamente te li accosti, ne sei scaldato &
illuminato, ma se molto te li avicini, tu ti abrugi, et consumi. Schiva
le femine barbute et quelle che portano la braca de mariti, guardati
dell'andar in Norsia, Cassia, & Visse, perche Dio li maledisse.
Guardati di Calle, Seno, & Moncalino, un ladro, un traditore, e
un'assassino: di molte altre cose instruire ti potrei, ma mi confido
del tuo nobile ingegno, alquale (se sie bisogno) potra supplire questo
buon Fiorentino, ilquale mi par huomo della tavola ritonda, et credo
li sappia migliore il cotto che il crudo, & piu li piaccia l'agio,
che il disagio. Qui fece fine di cicalare il loquacissimo hoste, &
essendosi abonacciato il mare, & da ogni lato apparite le Alcione
segno certissimo di futura tranquillita, fatte le debite relationi di
gratie (si come tenuti eravamo) à quelle persone, che si humanamente
racolti n'havevano, & fornitici di rinfrescamento, salimmo la nave &
verso Sicilia indrizzammo il camin nostro: non fummo lontani di dugento
miglia, che incominciammo à vedere molte cose, che ne dettero tanto
sbigottimento, che anchora ci sudano le tempie; Apparve alla poppa
della nave un'huomo marino, & in tal sembiante apparve, che non fu
alcuno di noi si ardito, che non se gli aricciassero i capelli, et per
gran timore la lingua al palato non se le accostasse, ma longamente non
vi dimorò. Vedemmo un branco di Balene poste quasi che in Ghirlanda,
le quali ci rapresentarno l'isole Cicladi. Il giorno seguente apparve,
& non molto lontano da noi, gran numero de tritoni, Elephanti marini,
Vitelli marini, Orche, & Nereide, le quali sono di corpo peloso, & di
humana effigie. Si videro quel di medesimo testugini si grandi che del
coperchio di ciascuna si sarebbe agevolmente coperto ogni ampio, & gran
palagio: nulla vi dico della molta copia de Delfini, liquali da luogo
à luogo fra loro con gran lascivia scherzando, con maggior prestezza
andavano che non fa strale da cocca uscito: avicinatici finalmente alla
Sicilia meno di trecento miglia, Udimmo una notte cantare piu di cento
Sirene, lequali in vero si dolcemente cantarno, che io credetti tutti
gli chori delli Agnoli esser quivi dal cielo discesi: non le potemmo
gia vedere per esser buio, ma se la bellezza loro è tale, quale è la
dolcezza della voce, credo che ne in terra, ne in mare, vedere si possa
la piu perfetta cosa: Il decimo giorno dopo l'haver udito si grata
melodia con prospero vento, & con il ciel sereno, entrammo nel porto di
Messina. Hor quivi soggiornammo molti giorni, & con quella diligentia
che si puote maggiore, notammo tutte quelle cose che memorabili ci
parvero; poi sodisfatto il padrone della nave, et provedutoci de
cavalli, ci ponemmo curiosamente à cercare tutta l'isola laquale da
Tucidide è chiamata Sicania, da altri Trinacria, et da molti Triquetra
per la sua triangolar forma: è di tre promontorij adorna, delli quali
l'uno risguarda l'Italia, l'altro mira la Grecia, il terzo vagheggia
l'Affrica: montati finalmente à cavallo Tetigio, mio valletto allevato
in casa da fanciullo, & io lasciati i Mamertini, ò vero i Messinesi,
che li vogliamo dire, si dettemo à cercar l'isola, & primeramente
n'andammo à vedere il miraculoso monte di Etna, le cui faville ben
cocenti arrivano sovente fiate fin'a Catania, & fino Taurominio:
vedemmo il porto di Ulisse, le stanze de Ciclopi, i campi lestrigoni;
d'indi ne andammo à visitare la famosa, & nobil Siracosa, & nel bello
& chiaro fonte di Aretusa ci lavammo: cercammo dopoi i popoli Agirini,
Adranitani, Acestemi, Acrensi, Leontini, Semellitani, Triocarini, &
Paropini. Fui per molti giorni in Catania, ne cosa alcuna vi vidi, che
del memorabil havesse, fuor che il S. Cola maria caracciolo vescovo
di detta città, la cui prudentia mi dava gran stupore, & mostruosa
mi pareva in si giovenile età. Non ramemoro tutti i popoli da noi
visitati, che troppo tedioso sarei. Abonda questa isola di tutte quelle
cose, che al vivere humano necessarie sono, & talmente n'abonda, che
ne pò à vil pregio communicare altrui. Di tutte le nationi straniere fu
Sicilia la prima, che facesse amicitia, & venesse sotto la fede del po.
Ro. Fu parimenti la prima che fusse chiamata sotto nome di provincia
ilche risultò à grande honore dell'imperio: questa è quella isola
la quale insegnò à Romani quanto fusse dolce cosa il commandare alle
nationi peregrine, & di tanta fede & benivolenza co Romani si strinse
che mai niuna città si ribelò. Questa fece la scala à conquistare
l'Affrica: questa fu detta dal savio Catone Armario & dispensa della
Rep. & nudrice della plebe: questa è quella nobil provincia la quale
nelle somme difficultà di Roma, vestito nudrito, & armato ha li
esserciti Romani: supera ella certamente tutte l'altre di nobiltà, di
ricchezza, & di splendore, molte cose però vi trovai che strane (per
non dir peggio) mi parvero. Io vi vidi tener le razze d'huomini per
venderli come si vendono cavalli, buoi, muli & altri irragionevoli
animali, ilche parvemi pessimamente fatto, imperoche quantunque non
habbiano il sacro Battesimo, sono però dotati di ragione & possono
anch'essi dir SIGNATUM est super nos lumen vultus tui domine: portano
in fronte come noi altri l'imagine d'Iddio & per essi, come per noi
è morto Giesu Christo (pur che cosi creder possino) si doverebbono
adunque trattar con piu rispetto: intesi di piu che i padroni delle
razze spesso con le schiave lussuriosamente si rimescolano & que
parti che si generano, soggiacciono à quella medesima conditione che
soggiacere veggiamo quelli che di padre & di madre schiava nati sono.
Strana et mostruosa cosa mi parve il veder condur le donne à prezzo
perche pianghino li altrui defunti. Chi le vedesse stracciarsi i
capeli, farsi la faccia livida, direbbe che da estremo dolore trafitte
fussero, & vi è tal feminella che si trovera haver fatto simil uffitio
quattro & cinque fiate in un giorno & piangere sempre piu dirotamente
una volta che l'altra, direste che sotto ambedui i cigli riposto
vi fusse un copioso fonte di amare lagrime: vidi in Sicilia tanta
frugalita & si strema parcita nel vivere che io tenni grandimente
bugiardi Platone Strabone, Aristotele, Clearco & Aristophane, liquali
tanto lodarno le mense Italiane, & ispetialmente le Siciliane.
Mostruosa cosa mi parve veder que Siciliani sempre in briga, sempre
azzuffarsi, & esser della morte tanto timidi che come si veggono tratta
una gocciuola di sangue tramortiscono & in segno della lor timidità non
li basta armarsi il capo le braccia, & il petto, che portano di piu il
guarda naso, guarda orecchie & guarda bracchetto & armarsi infino alle
streme parti del corpo. Notabil cosa mi parve l'udir in alcune terre
la favella lombarda, si schietta et espressa come se stato fussi nel
centro di Lombardia: summa gelosia è in questi huomini anchora che il
paese caldo sia: & acuti sono sopra tutti. È l'isola piena de ladri,
ne spaventar lor possono manare, prigioni, forche, ceppi & catene. &
questo è quanto sono per dirvi della natura loro; Settantacinque giorni
consumai in visitar questa isola, la dove M. Tullio scrive nelle sue
verrine haverla visitata in cinquanta giorni: ritornammo in Messina,
& dal longo cavalcar stracchi, facemmo disegno di riposarsi alquanto:
quivi trovammo la schiatta di Pharaone Re dell'Egitto[1] qual credetti
del tutto estinta già tante centinaia d'anni sono. Ripossati quanto
ne faceva mestieri, passammo Scilla & Caridde assai piu spaventevoli
di nome che de fatti: lasciammo Reggio sul margine dell'Italia, et
entrammo nella Calavria, vedemmo il fiume Sagra dove si fece quella
memorabil rotta, et donde ne nacque il proverbio, Veriora his quæ apud
sagram contingere: visitammo i Locri fronte dell'Italia ove sempre
apparisce l'arco celeste: intrammo in Scillatio hora detto Squillatio
et dalli Atheniesi edificato richiamato Scilletio; non intendo voler
riferire tutto cioche gli occhi miei videro, ma sol quel che mi parve
trasordinario. Dico adunque che mirabil cosa mi parve vedere in quella
Provincia gli hospiti in hospitali: di piu: quando questa natione canta
par che pianga & quando piange par che canti. Strano mi parve che Iddio
ottimo & mass. al cui consiglio non si pò opporre, dia si largamente
la manna à questi popoli infami di micidij, ladronecci, & della piu
sporca & abominevol lussuria che imaginar si possa, non havendola gia
mai data ad altri che al suo popolo diletto: io li ho veduto piangere
piu largamente la morte de vermi,[2] che dei stretti parenti: vidi
in questi paesi un montone predicare la parola d'Iddio con singolar
gratia, & gridare à peccatori con mirabil fervore.[3] D'indi scorremmo
la Lucania, & vedemmo il sepolchro di Alessandro epirota, ilquale nel
medesimo tempo, che Alessandro (il magno) di costui nipote & cognato
andò all'espeditione di levante, fu da Lucani fuorusciti invitato à
venirsene in Italia, promettendogli che per opra loro s'insignorirebbe
di quella provincia: venne il misero & troppo credulo Alessandro,
ilche essendo da Lucani presentito, promisero à fuorusciti libero
& franco ritorno nella patria se amazzare lo volevano, ilche fecero
senza molto pensarvi, singolar essempio à principi di non dar molta
fede à fuor'usciti. Scorsi poi la fertile Puglia, vidi Salappia ove
il feroce Anibale si lasciò legare da una vil feminella. Entrai in
Siponto, Venosa, Canusio, Theano, et Hargirippa da Diomede edificata:
vidi li Aquilani, Caudini, Bebiani, Vescelani, Deculani, & Benevento,
gia detto Malevento, ove trenta mila sanniti furono morti. Scorsi
l'Abruzzo, ne contener potei le risa veggendo quei huomini piu vaghi
del pane unto che non è la capra del sale. Vidi in Puglia del sterco
de buoi farsi il fuoco & scaldarsi i forni. Maravigliosa cosa mi parve
il fatto della tarantola, ne creduto l'havrei se con i propri occhi
veduto non l'havessi; ivi certamente si comprende quanta sia la forza
della musica, poi che i morsicati per altra via sanar non si possono.
Usano le donne di questo paese di portar le calze larghe come sacchi,
& sopra delle calcagna ricadenti et hanno questa sciocca opinione, che
chi altrimenti le porta non sia femina d'honore. Sonoci alcuni luoghi
dove si menano le fanciulle, che si hanno à maritare in mercato sopra
delli Asini rabellite, con le treccie sciolte, & colui che le conduce
va avanti gridando chi la vuole. Sa cucire, sa tessere, sa filare, sa
cucinare, sa far bucato, chi la vuole? chi la vuole? & spesso aviene,
che una povera fanciulla verrà dieci fiate in mercato prima che trovi
ricapito. Veduta questa parte non però con molta diligentia, pigliammo
il camino ver Napoli città splendidissima, da Calcidensi edificata, &
da una sirena ivi sepolta: detta Partenope. Io non so veramente dove
veder si possa il piu bel sito, ne il piu accommodato, da una parte
tragonsi carra, dall'altra parte trahesi nave; ilche in niuna altra
città si vede. È questa natione molto dedita all'otio, & alle delitie,
& alle attilature, dilche maravigliandomi, fummi detto che di ciò non
mi dessi maraviglia, concio fusse cosa ch'ivi habitasse l'Epicuro il
quale con l'accecare li illuminati, & illuminare li accecati si haveva
grandissimo credito acquistato.[4] Parvemi strano che l'Epicuro fusse
anchor vivo, qual credetti morto già piu di due mila anni. Ho udito
canzoni in Napoli di maggior melodia, che non ha la musica Dorica, la
Lidia, la Phrigia, & la Beotica. Vidi castello Capouano per arte maga
da Capoua à Napoli traportato. Vidi castello dell'uovo da Zoroastre
d'un uovo di ocha edificato. Vidi andar per Napoli le Galeotte, senza
vele, & senza remi per lasciutto: Mostruoso mi parve vedere molte
caraffe, & molte pignatelle[5] bollir senza fuoco, ne facilmente
rumpersi, anchora che nel muro percuotessero. Mostruoso mi parve,
che in una si amena regione, ove di continovo habita primavera, vi
habitasse anchora Genaro:[6] intollerabil giudicai, che passata meza
hora di notte, non fusse lecito uscir di casa salvo, che in farsetto,
tanta è la copia de ladroncelli. Non ha similmente da tenersi per cosa
notabil c'habbi quel regno infinita copia di cavallucci, liquali non
mangiano ne fieno, ne biada, ne paglia, ne orgio, non sanno mordere,
ne trar de calzi, non portano, ma sono portati. Trovansi parimenti
Armeline, delle cui pelli non si foderano vesti, viveno senza mangiare,
& senza bere, & del continuo rinchiuse si tengono:[7] ne meno da
esser notato giudicai, che i cavalli facciano cascio.[8] Hocci veduto
huomini con le branche de Lioni.[9] hocci veduto un Porco,[10] & un
falcone[11] nella dottrina di Aristotile molto eccellenti. Hor goduto
che havemmo la città, deliberammo godere il contado, & a far l'estate
in Pusilipo n'andammo. È Pusilipo un monte di tanta vaghezza, & amenita
ornato, che io non credo trovarsi in tutto l'universo monte alcuno,
che ragionevolmente comparar se li possa, taccia pur chi loda il monte
Idalio, Otri, Menalo, Liceo, Tauro, Citoro, & qualunque altro piu
famoso, che mai mi si persuaderà, che tale sia, che à questo pareggiar
si possa: o che habitar magnifico, & reale vi si trova, quanti bei
giardini da dotta mano coltivati, che grate ombre vi sono, & dolcissimi
ridotti: oh che benigno, & chiaro aspetto di cielo. Quante belle
prospettive si di terra, come di mare vi si veggono: che dolce spasso
era il nostro in cogliere la mattina per tempo vacinij, gelsomini,
garoffoli, & viole di piu ragione; Quivi sono mele cotogne grosse
come il capo d'un bue, & piu belle di quelle che in Cidonia nascono,
donde prima à noi portate furono. Pruna di diverso colore, & nere,
bianche, verdi, gialle, rubiconde, & mischiate, vi sono le ordearie,
le asinine, le damascene, & le armeniache, lequali sole fra tutti le
spetie odorifere sono. Ho gustato su questo gratioso monte persiche
tanto saporite, di si pretioso odore, & di tanta bellezza, che se il
vecchio Adamo per tal frutto prevaricò; io lo reputo degno di scusa.
Ho alle volte creduto ch'egli fusse quel loto di tanta dolcezza, che
chi ne gustava: non si ramentava piu della patria, donde ne nacque il
proverbio. Egli ha gustato il loto: hocci mangiato di quelle persiche
dette galliche, & di quelle che dette furono Asiatiche. Qui trovai
tutti que frutti quai sesto Papinio reccò d'Affrica, & di Soria, qui
trovai tutti li ingegnosi insiti di Matio, di Getio, di Manlio, &
di Claudio. Quivi sono le mele appia da Appio de la famiglia Claudia
cosi dette. Sonovi le septiane da un libertino ritrovate di perfetta
rotondità, le quiriane, le scantiane, le Epirotiche, le Camerine:
sonovi le Crustumine, le Dolobelliane, le Favoniane, & le Tiberiane,
ci ho mangiato sorbe, che parevano nate in paradiso, et anchora me
ne sento il sapore in bocca. Su questo fertilissimo monte fatto da
la natura per produr frutti, & per ragioire le menti afflitte hocci
mangiato fichi Rodiotti, Tiburtini, Africani, Egittij, Cipriotti, &
di una sorte sopra a tutti gli altri dolce: credo sieno fichi hircani,
della cui natura parlando Onesicrito afferma superare tutti gli altri
frutti di dolcezza. Che dirò delle castagne assai migliori delle
Tarentine, piu belle delle coreliane, & piu saporite delle meterane.
Vi sono mora, & ostiensi, & tusculane, non vi mancano ciregi le quali
avanti la vettoria di Mitridate, non si videro giamai in Italia, L.
Lucullo le recò di Ponto, et in ispatio di poco tempo trapassarno
fin'in Britannia, ne creda alcuno che sol d'una sorte ve ne sia, vi
trovai le Aproniane rubiconde piu che fiamma, le Actie piu che pece
nere, le rotunde Ceciliane, & le macedoniche, non racconterò delli
Aranzi da Neratio ritrovati, non delle limoncelle, non de cedri, non
delle molte spetie di mortella. Infinite cose pretermetterò accioche
il mio commentario piu di me non cresca. Finita la state feci disegno
partirmi da Napoli & girmene à Roma benche duro mi paresse lasciando
la dolcissima conversatione del S. Mario Galeota, & del S. D. Lonardo
cardines, per mezo del quale conobbi la nobile & saggia princessa di
Salerno, la generosa Marchesa de la Palude, & la virtuosa contessa
di Nola, dal cui lato mai non si parte la discreta Luvigia carolea
gloria di Benevento, ma prima che à Roma me n'andassi: io volli veder
Venafro famoso per la copia & gran bontà dello olio. Vidi Capova gia
si potente, & hora quasi che destrutta. Fui in Caiazzo, in Teano,
in Aliffe, & in S. Agnolo, dove faceva sua residentia la contessa
d'Aliffe la quale senza haver altra notitia de fatti nostri mossa sol
da un regal spirito, & sospinta da una natural cortesia ci fece nelle
proprie case albergare. Io non ho lingua, io non ho parole bastanti
ad isprimere li honesti trattamenti, i gratiosi modi, & la rara
leggiadria di questa eccellentissima Signora[12] degna madre della
divina Violante, & della dolcissima Giulia Garlona: ne fu poi pel
viaggio da persone di somma fede, affermato, esser fra l'altre virtu di
tanta pudicitia che si sarebbe potuta pareggiare con Sulpitia figliuola
di Patercolo & moglie di Fulvio Flacco, la quale eletta fu fra cento
castissime matrone per consagrare il simulacro di Venere: ò donna rara,
ò gloria eterna del sangue Piccolomini & degna di maggior felicità
che non hebbe mai Lampido Lacedemonia overo Berenice. Partitomi dal
territorio di Aliffe, indrizzai il camino verso Roma, soggiornai tre
giorni in Gaieta, & tutta quella Riviera attentissimamente contemplai
& mi risolsi à credere che la piu bella & amena parte del mondo fusse
tutto quel tratto da Napoli à Gaieta: ne fu da paesani mostrato il
luogo dove M. T. fu per commandamento del crudele & scelerato M.
Antonio di vita privato: certamente contenere non potei allhora le
lagrime giudicando però divinamente fatto che il piu diserto & florido
oratore che mai per alcun tempo nascesse, nella piu florida parte
del mondo terminasse anchora i giorni suoi. Vidi il monte di Circe, &
tutte le stanze dove la scelerata maga habitava, & vi trovai un pezzo
della sua conocchia, due pentole, una guastada, molti lambicchi rotti,
alcuni Pentacoli, infinite Ampolle & Albarelli spezzati: d'indi senza
far dimora venni alle habitationi de volschi quai Virgilio chiama
veruti perche combattevano cò spedi, & albergai nelle case che già
furono di Camilla lor famosa reina: n'andammo poi à vedere i popoli
sanniti liquali furono già tanto potenti che dettero delle mazzate à
Romani & li vituperarono spogliandoli delle arme, poscia che rotti
li hebbero: con i Romani per ispatio de quarant'anni animosamente
contrastettero, & sostennero alcuna volta dui eserciti consolari:
furono finalmente constretti di cedere alla virtu Romana. Entrammo
poi in Alba, dalle cui ruine, crebbe già Roma, vedemmo il luogo dove
combatterno li Oratij & li Curiatij. Scorremmo il paese che già fu
de Latini, de Sabini, de Ferentani, de Falischi, et de Privernati.
Entrammo finalmente nell'alma città di Roma dove la principal nostra
cura fu di vedere il gran pastore del christiano grege, lo vedemmo
piu di una fiata, ma lecito non ci fu di fargli la debita riverentia
perche non havevamo chi ci introducesse nel cospetto di sua santita:
vedemmo il concistoro & molto n'increbbe che in si gran collegio de
cardinali sol vi fusse uno cortese:[13] sol uno pio & non piu & uno
agnolo solamente fra tante Gerarchie con esso loro habitava: vidi
un canuto Gambero sedere a concistoro, vidi un Cardinale che haveva
tre volti & uno che haveva tre denti: & uno ne conobbi ilquale per
quella parte mandava fuori il pane patito per la quale intromesso
l'haveva: trovai in Roma beccari liquali non scorticarno mai ne
vitella ne vaccina. Trovai colonne per se stesse mobili & molti orsi
di figura humana: dura & mostruosa cosa mi parve, che in Roma santa
si comportassero tante meretrici, & in tanta stima fussero, & a tante
facultà pervenessero, che paiano reine (mercè dell'humana incontinentia
& intemperantia) laquale lascia sovente mendicar i virtuosi: lascia
miseramente languire i poveri infermi nelli spedali, et arricchisce le
concubine, nodrica le carogne con offesa d'Iddio, con infamia del nome
christiano, et spesso con grave danno de propi corpi: che non vidi in
Roma di strano? Vidi huomini col capo di ferro,[14] altri col capo di
zucca & huomini vidi di Pietra, far versi & dialogi degni da esser piu
di una fiata letti. Partiti di Roma, n'andammo a visitare i Piceni,
hora detti Marchegiani, li quali già furono in molto maggior numero che
di presente non sono, trecento cinquanta mila, atti à maneggiar arme
si dettero già nella fede de Romani, si conobbero allhora li Ausimati,
Veregrani, Cingulani, Cuprensi, Falariensi, Pausulani, Plinitensi,
Ricinensi, Septempedani, Tolentinati, & li Triacensi con molti altri
popoli quai pretermetto per schivar la satieta à qualunque legerà
questo nostro Commentario: ma che vidi io nella marca di memorabile?
vidi bere il vin cotto, mangiar il pan crudo, & la carne dirupata.
Conobbi una natione robusta, & della fatica impatiente, come hanno un
pezzo di presciutto, & un casciotto, non si possono condur à lavorare
con mille argani. Conobbi nella Rocca contrada una santissima donna
governatrice d'un devotissimo monistero: era costei dotata di spirito
profetico, et miracolosamente nella scrittura instrutta, di cui era
sollecita imitatrice Clara vigera dalla rovere. Ma che si scriverà da
me particolarmente d'Ancona? ricetto singolare de schiavoni, ricapito
de giudei, albergo de Turchi, stanza de morlacchi, & nido de Greci, ove
sono molti ricchi mercatanti, & di qualunque cosa si fa gran traffico,
ne mai vi si vede contar un soldo. E' bagnata Ancona dall'onde del
mare, & di rado vi si vede pesce fuor che alla Pasqua quando ci fa
men bisogno: dirò di più che i giorni santi, ivi si trova infinito
numero di meretrici, & per altro tempo ve n'è piu caristia di quel che
forsi vorrebbe l'intemperanza nostra. Grata mi fu in questo luogo la
conversatione di M. Giovanni Gondi, & di M. Francesco Gabriele, huomini
di nobilissimo ingegno, e di gratissime maniere: cercai diligentemente
gli Umbri gente antichissima, et da Greci detti Umbri, perche rimasero
sani & salvi dopo l'universal inondatione. furono già da Toscani
crudelmente perseguitati, et trecento castella arsero loro: di questa
natione favellando un gentile & nobil poeta disse. ET SUBERE LEVIOR
UMBER. Condussimi finalmente à Sinigallia da Galli edificata, ove era
Vescovo il buon padre Marco Vigerio della rovere, huomo di bontà, et
di dottrina singolarmente ornato, dalquale commodamente albergati,
in molta consolatione molti giorni presso di lui ci ritenne; erano
del continuo i nostri ragionamenti dell'amore et timore, che à Dio si
deve, del dispregio delle cose mondane, della divina misericordia, de
i frutti della pace, della tranquillità della conscientia in Giesu
Christo, & delli effetti dell'oratione. Capitammo poi a Pesaro, ove
si ritrovava la S.D. Leonora Gonzaga duchessa d'Urbino, laquale
havendo presentito di nostra venuta albergar ne volle nel ducal
Palagio in molti modi scuoprendone la Magnificentia, & splendore del
suo gentilissimo animo. Faceva il medesimo la diletta nuora Vittoria
Farnese honor del sesso feminile. Hor havendo visitata la Marca, &
l'Umbria, deliberai passarmene in Toscana senza haver alcun riguardo
à dilungar il viaggio, à tragiettar monti, ò à varcar fiumi, & a Siena
giunsi della cui vista ero stato longamente desideroso, siede la nobil
Siena in un fruttifero monte, ricca di grasso piano, & de ameni colli.
Sonovi le donne piu savie de gli huomini, & sonovi le donne in guerra
forti[15], non è per tanto da maravigliarsi ne da reputar menzogna
le cose che si leggono di Arpalice, di Semiramis, di Pantasilea, di
Camilla, di Valasca, di Maria da pozzuolo, & di madama da Forli. Ecci
in Siena l'aria tanto sottile, che ogni anno ne escono de Gangheri
infiniti, de quali alcuni ne ritornano, & alcuni perpetuamente ne
rimangono pazzi; uno ne conobbi io ilquale si credeva d'havere il capo
di cera, et per tanto anchora ch'egli asidrasse di freddo ricusava
vedere il Sole, & accostarsi al fuoco. Un'altro ne conobbi, che si
dava ad intendere d'havere il capo di vetro, & le gambe di ferro: mi fu
mostro: che si riputava di esser un'olla, & passando davanti à qualche
Pentolaio, era sforzato (suo mal grado) di entrar nella bottega, & con
le braccia inarcate riporsi fra l'olle; & vi era fatica à poternelo
rimuovere, vidi chi si credeva d'havere un braccio di naso et andando
per la strada gridava, scostative, non mi vi appressate tanto: molti
impaciscono credendo di esser fatti Re, Imperadori, Duchi, Conti &
Marchesi: vi era uno fra molti ilquale era di questa credenza ch'egli
havesse in corpo gran quantità di rane, & se alcuno diceva di non
udirle cantare fieramente si adirava, vidi in Siena intronati ch'erano
molto svegliati[16]: storditi bene assentiti, crudeli assai pietosi:
piccolhuomini ch'erano grand'huomini, Saraceni tenuti buon christiani:
Venturi che presenti erano[17]: Salvi li quali erano in pericol posti:
Amadei, & pur si conoscevano per peccatori: Qui solamente trovai
huomini & donne belli & gai. Sono i Sanesi sopra tutti i Toscani (&
siami detto con buona pace & gratia) hospitali, affabili, liberali, &
gratiosi, amadori di virtu, & bellicosi molto: Fu il mio albergo nelle
case di messer Gioanni Lateringo, et honestamente trattato fui. Non
mi curai di gir à Perugia, intendendo che mesta, & lagrimosa si stava
per li molti cittadini fatti fuorusciti, & per essere stati condotti
in triumpho dal S. Pietro Luvigi confaloniero della Romana chiesa:
attristavansi di vedersi far dentro le mura una fortezza non solita
d'esservi: Pare à molti popoli che queste Cittadelle (che cosi hoggidi
si chiamano) facciano i Signori di quelle licentiosi, insolenti, &
meno circunspetti in offendere i sudditi, fidandosi di ricoverarsi
in quelle, se alcuno tumulto popularesco contro d'essi si levasse:
Dolevasi d'esser posta sotto la dura sferza di Monsignore della Barba,
terror de popoli sfrenati, & licentiosi[18]. Possono far ampia fede i
Perugini quanto sia pericolosa cosa il contradire alla volonta del Vice
re del cielo: Dopo Siena diligentemente veduta, à Firenze ne venni,
citta con gran maestria edificata, & bella sopra tutte le città di
Europa. Crebbe ella già per le rovine di Fiesole, abonda di amenissime
ville, de magnifici palagi, de sacri tempij, & de sottili artificij,
ma che vi vidi io de memorabile? che questa è la mia principale
intentione di osservare, acciò che i miei cittadini habbino quella
maggiore cognitione, che possibile lor sia delle cose Italiane, senza
solcar tanti mari, & passar per tanti boschi, dove appena vanno secure
le squadre armate: Io vi vidi Caponi[19] humanamente favellare: Dei
del tutto humani & mortali; Palle dissimili alle nostre con lequali
soliti siamo di trastularci: Alemani, che mai non videro l'Alemagna:
Carne secca molto fresca. Martelli, che non percossero mai chiodo, ne
Ancude. Medici, che non medicarno mai. Pazzi, che mai non si puotero
per alcuna industria guarir dalla pazzia, ne maraviglia parer ne deve,
poi che già congiurarno di amazzar i Medici: vi trovai Salviati[20],
non buoni da mangiar come sono i nostri. Da Firenze partitomi, à
Lucca ne venni. La quale gode, & per beneficio di Cesare, & per lor
vigilantia, una quieta & dolce libertà per mezo della quale fassi
tuttavia ricca, & nella mercatura acquista credito, & reputation
grande. Io vidi in Lucca gigli tutto l'anno fiorire[21], senza temere
ne vento, ne pruvina, ne tempesta, ne gelata: ma lasciamo star i gigli,
non è cosa stupenda, che in tanto paese da me ricercato non habbi mai
ritrovato Suocera, che ami Nuora, fuor che in Lucca? ne alcun'huomo
nobile, honesto, giusto, & di buon viso[22], eccetto, che in Lucca?
non è cosa stupenda, che quivi solamente trovato habbia huomini da Dio
dati? Ho in Lucca parimenti ritrovato Turchi, Malpigli, Orsucci non
selvaggi ma humanissimi. Ho veduto spade, che non feriscono, ne di
punta, ne di taglio: Ho veduto sbarre, che non sbarrano, ne strade,
ne finestre, ne porte; Poggi, che alto non poggiano, ma stannosi al
basso: Prosperi, poco felici; Calandrini[23] senza piuma, & che non
cantano, ne stanno in gabbia. Strano mi parve veder il lor volto Santo
con il calice sotto i piedi, quasi che lo dispregi, & per nulla lo
reputi, Se io fussi lor Vescovo, prohibirei tal culto, finche raunato
un picciolo Concilio d'huomini nelle sante scritture esperti con
l'auttorità Pontificale fusse determinato, se si dovesse in cotal
riverentia perseverare. Non parlo piu di Lucca, dove alloggiai con
li nobilissimi Ludovico, & Vincenti, non meno di buon'animo, che di
buon viso ornati, ma altrove mi transferisco, & dove mi transferirò
io? se non mi transferisco à Bologna per altro nome detta Felsina?
ne mi curerò per sodisfare al mio desiderio, di gir hor avanti, hor
indrieto; non lasciai parte alcuna dell'Italia, che à mio potere io
non vedessi (quantunque per esser brieve, di ogni cosa io non faccia
piena mentione). Venuto adunque in Bologna madre de studi, parvemi
certamente di vedere una città degna di regal residentia. Fu ella già
per ispatio di cent'anni posseduta da Bentivogli. Papa Giulio poi con
le arme Francesi, & con oprare, che i Vinitiani si stessero neutrali,
ne li scacciò da si caro possesso: in quel medesimo tempo trasse
ancho Perugia dalle mani dell'incestuoso Gioan Paulo Bagliono: ma
vegniamo alle mostruosità co propi occhi vedute: mi venne davanti alli
occhi un'huomo che haveva la bocca di ferro[24], & da quella bocca,
uscivano parole savie, & concetti divini. Vidi un Manzuolo pesar piu di
qualunque grosso bue, ne però altro era che un Manzuolo. Vidi una Torre
edificata dalli Asinelli essendo in guerra co gli orsi, ma questo non
fu lor sufficiente riparo, imperoche non havendo esercito da porre in
campagna (si come haver conviensi à chi vole prevalersi delle fortezze)
furono sforzati abbandonarla, et partiti da Bologna, andarno ad habitar
in Piasenza; ma fu si grande l'odio, fu si crudele la rabbia delli
orsi, che anch'essi si partirono con ostinata deliberatione di fargli
perpetua guerra, & essendogli vietato l'entrar nella città perche non
si turbasse la Pubblica quiete, & il comune riposo: fermarno le lor
stanze lontano forsi otto miglia, ilqual luogo infino al di d'hoggi
chiamasi Caorso: cioe casa delli orsi: Trovai in Bologna della schiatta
del re Marsilio[25], che già dette molto travaglio al reame di Francia:
Stravagante cosa mi parve, che quei dalle Arme non facessero arme:
& quei della Malvagia non vendessero malvagia: Vidi una manarona, la
quale non spiccava colli da busti, ma sol spezzava i cuori de pazzi,
& sensuali huomini, se fusser ben suti piu che'l diaspro duri: Vidi
una rovina[26] causata non da incendio, non da vecchiaia, non per
soffiamento de venti, ne per opra di torrente; con laquale molti vani
huomini non si curarebbono di rovinare: molte altre cose vidi quai
con silentio trapasso: non tacerò però d'haver veduto in Bologna la
morte, condotta all'hospedale[27], ilche mi dette tanta allegrezza,
che io non poteva capir nella pelle, et giudicai i Bolognesi sopra
a tutti gli huomini valorosi, havendo condotto l'inimica morte à
tal stato. Partitomi da Bologna corsi à Ravenna città per i passati
tempi molto potente, di gran traffico, altiera per l'esarcato, ch'ivi
habitava, dotata de molti privilegij: Concorreva in que tempi piu
antichi la chiesa Ravignana con la Romana. ma sopra tutto godeva d'un
cielo serenissimo, et di un'aria molto sana, & per la bontà dell'aria,
fu eletta per stanza de gladiatori acciò ch'ivi confermassero le
membra, & aumentassero le forze, & che ciò sia vero confermasi per
il testimonio di Vitruvio, ilquale insegnando come debbano esser le
Paludi sane, da l'essempio delle paludi Ravignane, d'Altino, & di
Aquilegia, ma ben mi accorsi che niuna cosa è stabile sotto il cielo,
vi trovai l'aria poco men che pestilente, poche ricchezze, niuno
traffico di mercatura, ne molto habitata: Andai finalmente à Modona
vidi la potta di Modona, ma non trovai chi veramente mi sapesse dire
l'historia, ivi trovai columbi trasformati in huomini[28], & huomini
vidi col capo di bù. Vidi nel contado un castello di vetro, per lo
quale stretti parenti erano in aspra contentione: pensate quel che
haverebbono fatto s'egli fusse stato d'oro, ò d'argento. Mentre sono
in Modona mi venne rifferito, come dui soldati huomini di molte prove,
dovevano combattere in Coreggio: Io veramente penava à credere, che
li Italiani fussero cosi folli, che si amazzassero, & tanto più ch'io
intesi esser la lor querela di niun momento: ito adunque à Coreggio,
castello piu pomposo, che ricco, piu ocioso, che laborioso, trovai il
steccato apparecchiato, & gli altri provedimenti, che far si sogliono:
allhora determinata vennero i combattenti in camisa con le braccia
ignude, col capo scoperto, con due spade piu che rasoi taglienti, &
se incominciarno à ferire con tanta rabbia, & furore, che parevano
dui Cingiali: come io vidi spicciar il sangue con si larga vena
de corpi loro, io hebbi à venir meno di dolore, & di sdegno, & dal
crudel steccato partitomi, incominciai à considerar fra me stesso la
miseria, & infelicità humana: discorreva nell'animo mio, come tutti
gli animali vivessero nella propria spetie tanto amichevolmente, &
con tanta unione, i Lioni non far guerra à Lioni: gli orsi vivere
fra loro pacificamente, i serpenti non esser mordaci contro gli altri
serpenti; ne le marine bestie esser dannose, salvo che contra quelle
che della medesima spetie non sono, & dall'huomo nascere sempre
all'huomo, danno, rovina, & spesse fiate totale esterminio, non so
pensare donde nasca tanta rabbia, et donde ne venga tanta superbia:
fragili piu che il vetro, & ignudi nasciamo, & dal pianto, & dall'esser
strettamente colle fascie legati, diamo principio alla miserabil &
dolente nostra vita. Noi poi delli animali brutti infelici, nulla
sappiamo fare, se prima non l'apprendiamo, non sappiamo favellare, non
caminare, non cibarsi, sol piangere sappiamo. ambitiosi poi, avari,
lussuriosi, superstitiosi. Niuno animale ha conseguito dalla natura
vita piu debole et caduca dell'huomo, e poi tanto altieri siamo, tanto
arroganti, et orgogliosi, che per ogni festuca, per ogni fuscello,
che ci si avolga fra piedi biastemiamo, & il cielo, & il fattore
del cielo, & ci azuffiamo come cani arabbiati, l'un l'altro di vita,
d'honore, et di robba avidamente spogliando, ma perche comporta Cesare
imperador christiano, perche sofferisce il santissimo pastore cotai
duelli? non sono questi abattimenti cose da huomini, ma da fiere, non
si ragiona già di duelli altrove che in Italia? Deh perche la carita
christiana non s'interpone alle volte à mitigare gli animi alterati,
& a pacificar l'ire de stolti? Hai quanti solfanelli, quanta esca da
maligni si porge perche l'anima col corpo infelicemente si perda. Hai
mostruosa Italia, vituperio del guasto mondo. Quanti n'ho veduti in
Italia infami, et scelerati, che havevano ardire di voler ne steccati
sostenere, che huomini da bene fossero, quanto ti fora piu utile, &
honorevole di ricuperare gli antichi tuoi honori, et la vecchia tua
reputatione, non debbo dirvi per cosa mostruosa di haverci ritrovato
un Corso[29], ilquale in vece di uccidere, & di assassinare altrui,
defendeva vedove & pupilli, distendeva bellissime prose, & concordava
dolcissime rime. Finito il singolar conflitto con morte de tuttedue;
Ciascuno de spettatori, se n'ando per i fatti suoi: io mi ritrassi
nel mio albergo, & come piacque al Re del cielo la seguente notte
fui sovragiunto da una febre, assai piu spiacevole di quello, che
havrei voluto, & che sarebbe stato di bisogno à si debol complessione.
Riseppero i Signori di detto luogo l'indispositione mia, & humanamente
mi visitarno & liberamente mi presentarno. Chi potrebbe mai narrare
le cortesie usatemi dalla S. Veronica da Gambara, dalla S. Lucretia
da Este Donne rare, & di honor amiche? Chi saprebbe mai ridire la
ineffabil Carità che mi mostrò la Reverenda & illustre S. Barbara
da Correggio? il cui essempio fu imitato dalla S. Virginia, & dalla
sorella che Angel beato mi pareva veggendola, & udendola: risanato
finalmente (la Iddio merce) & ringratiati que valorosi, & cortesi
Signori delle tante amorevolezze, diedimi à cercare curiosamente, se
alcuna strana cosa veder potessi in quelle amene contrade, & vennemi
fatto: Imperoche io vidi poco lontano un generoso Picco[30] uccello
si picciolo, haver ardimento di contrastar con una fiera Aquila: &
che maraviglia è poi, che è consacrato à marte Iddio della guerra?
Presi poi il camino verso Reggio di Lepido, dove trovai un Lauro si
bello, & si odorifero[31], che di piu non si potrebbe desiderare:
l'odore delle Frondi, non che altro: ricreava mirabilmente chiunque
per fiutar vi si accostava, pensate che doveva far il tronco, & qual
soavità dovevano porger le Bacche: Trovai in questa giocondissima
Città la famosa stirpe del famosissimo Ruggiero[32]: Vi trovai Fosse
non precipitose, ne lorde, ne profonde, ma di ottimo albergo, et vi
conobbi una Tortorina piena di buona gratia, & tutta amabile, & chi non
haverebbe già volentieri beccato? Uscito di Reggio, mi abattei in un
cavagliere di gentilesco aspetto, & de Sembianti cortesi[33], col quale
accompagnatomi buona pezza di strada, di varie cose ragionammo, egli mi
dimandò di mia conditione, & da qual pensiero mosso, preso mi havessi
si lungo & faticoso viaggio. Io li risposi, che da mera curiosità
spinto, giva cercando di veder cose strane, pregandolo m'insegnasse
per cortesia s'egli sapeva dove trovar ne potessi: egli mi disse, che
securamente andassi ovunque io volessi, che non mi mancherebbono delle
novità, & tante che mi verrebbono à noia, lasciata poi la compagnia del
cavagliere. Io, longo il Crostolo cavalcai, & quel di medesimo capitai
assai per tempo ad un castello del cortesissimo S. Rodolfo Gonzaga,
detto Puvino: Eravi la S. Isabella da Gazuolo piena di dolcezza, &
di religione, oh che raro esempio di virtù & di nobiltà, mi parve
questa divina donna: non pretermisero ambidui amatissimi consorti,
cosa veruna per honorarci: Venni poi a Parma et albergai nelle case
dell'Agnolo Gabriele, ilquale per divina commissione tagliava ferro per
armar essercito contro Turchi[34], & un picciolo Lione destramente,
& con sollicitudine l'aiutava: Trovai la razza del caval Baiardo in
huomini tramutata, e vi era una Baiarda laquale innamorava ognuno,
che la vedeva[35]. Vidi Cornazzani senza Corna (che si vedessero)[36]
& conobbi in Parma una donna, che ricusava di dormire col marito se à
guisa di meretrice prima pagata non era: mi fu raccontato che essendo
questa gentil madonna in una festevol compagnia mandò fuori del petto
un profondo sospiro, & essendo adimandata perche sospirasse: rispose
dolersi di non haver di se stessa compiacciuto ad un forte, & nobil
cavagliero, ilquale con grande instanza la richiese d'amore. Di Parma
facendo dipartenza, presi il camino verso Genova, passai il Tarro
ben'adirato, et poco vi mancò che Tetigio mio non vi si affogasse,
egli vi lascio però le bolge, il mantello, & il Capello: È Genova
capo della Liguria, & chiunque la vede, ò da presso, ò da lontano,
la giudica reina del mare. Quivi mostruoso mi parve veder montagne
senza legna. Mar senza pesce. Donne senza amore, & molti mercatanti
senza fede: vidi huomini marini, & molti Grilli di humana forma, et
alcuni scacciatori de vicini detti Paravicini[37]. Quivi sono molte
cose degne di memoria; ma li molti travagli, & assidui discorsi, me
le hanno fatto scordare. Dopo l'haver sentito molta consolatione del
soggiornare, ch'io feci in Genova, essendo un giorno il cielo ben
chiaro ne minacciando per molti giorni tempesta; mi fu mostrata la
Corsica già detta Cirne. Incontanente mi venne disio di vederla, &
salito il giorno seguente sopra d'un Bregantino ben'armato in Corsica
mi condussi. È l'isola aspra molto, si come ancho sono li habitatori,
& assai montuosa. Sono li huomini vendicativi fuor di misura, & per
cosa certa mi fu detto essersi ritrovato Corso ilquale haveva fatto
vendetta di cosa avenuta già quatro cento anni, & che in qualunque
luogo ritrovano femine Corse menar vita impudica, senza alcuna
remissione le amazzano. Produce questa Isola Cani ferocissimi, vini
ottimi, & huomini bellicosi. Veggendo facilissimo pasaggio di Corsica
in Sardegna non volli far ritorno, che ancho questa famosa Isola non
visitassi; ma far non vi potei troppo longa dimora per l'aria, che
vi è pestilente molto: non vi stemmo guari, che à tutti stremamente
duolse il capo, si che levar non potevamo gli occhi al cielo; oh che
aria crudele, & micidiale è questa. Se Platone ilquale per domar la
ferocità della carne, cercò luogo infermo, & malsano, dove collocasse
l'Academia sua havesse havuto notitia de l'aria Sardesca, non sarebbe
giamai ito altrove, & se qua venuti fussero ad habitare Ephodoro Re
delli Archadi, Egimio, Epimenide, Pistoreo, & Cinira Re de Cipri, non
havrebbono si longamente vissuti, come già con nostra gran maraviglia
vissero: Quivi sono moltissime herbe velenose, quivi gustammo il
mele amaro. Quivi conoscemo quella herba la quale fa morire ridendo,
onde ne nacque il proverbio. Riso Sardesco. Ritornati à Genova con
consiglio di penetrar alle piu interne parti di Lombardia, giunti che
fummo à Serravalle ci convenne (nostro mal grado) fermare il passo,
essendovi adunati dui esserciti, l'uno per il Re di Francia ilquale si
sforzava di passar in Piemonte, & l'altro era di Cesare per vietarli
il passo. Quel di Francia era tutto composto de Italiani, & parevano
nel vederli i Mirmidoni di Achille: l'altro era misto de Spagnoli,
Albanesi, Italiani & era guida della Cavalleria un Principe fiamengo
huomo di alto valore: vennero alle mani, ne molto vi stettero, che gli
occhi miei videro quel che mai m'havrei creduto di vedere: lasciaronsi
bruttamente rumpere li Italiani et davansi à gara in preda alli nemici,
correvano i banderali à presentare le bandiere come se troppo le
agravassero ò le cuocessero le mani. Furono veduti molti nasconderle
nelle Fosse & nelle Frate. Finita la zuffa raccolsero l'imperiali
forsi sei mila prigioni & ottanta insegna parandoseli davanti come
se stati fussero tanti montoni & facendoli caminar piu che di trotto
furono condotti non senza profitto del vincitore nella citta di
Milano, non avenne però questa confitta (per quanto li nimici istessi
mi dissero) per diffetto di chi li guidava, ma per mancamento della
militare disciplina la quale hoggidi nelli Italiani sopra ogni altra
cosa si ricerca, & si desidera: Io non dubito pero che se l'astuto, &
gentil conte della Mirandola congiunto si fusse con l'ardito Strozza,
& con il valoroso duca di somma adoperandovisi il maturo consiglio
del nobilissimo conte di Pitigliano: & del prudente Emilio Cavriana
che li imperiali di tal vittoria lieti non sarebbono, ma piu tosto
dolenti & lagrimosi: io hebbi veramente à dar allhora del capo nel
muro, quando io vidi tanta viltà d'animo, tanto disordine & si poca
isperienza del guerreggiare, et à Tetigio rivolto ilquale ne stava
con gran dispiacere & per vergogna & timore che di lui non prendessi
giambo, teneva il viso basso, son questi dico quelli Italiani li quali
sotto la scorta di Giulio Cesare in piu fatti d'arme fecero uccisione
di undici volte cento & nonantadue mila huomini, & à Pirati tolsero
virilmente combattendo ottocento quarantasei navi? sono questi quelli
Italiani, che furono cagione di far triumphare Pompeio di Mitridate, di
Tigrane, di Asia, di Ponto, di Armenia, di Paphlagonia, di Capadocia,
di Cilitia, di Siria, di Scithia, di Giudea & di Creta? sono questi
quelli Italiani che soggiogarno l'Affrica, la Francia, la Spagna,
la Brittannia, domarno i Cimbri, batterno Attila ne campi di Tolosa
accompagnato da quatro Re cioe dal Re delli Eruli, delli Alani, delli
Gepidi, & de Turcilinghi: son questi quelli Italiani liquali, in un
fatto d'arme, uccisero ducento mila Francesi? sono finalmente quelli
che di tutto'l mondo s'impatronirno? Hai quanto (per quel ch'io
vego) degenerati sono. Hai quanto dissimili mi paiono dalli antichi
padri loro, liquali & singolar virtu di cuore, & disciplina militare
ugualmente mostrarno havere & di questo non favello piu oltre, ma
seguito il mio viaggio alla volta di Piacenza, voleva girmene per il
piano, ma detto mi venne che se ito fussi per le montagne che non molto
lontano di Piacenza havrei veduto tante belle minere, che in tutto'l
resto d'Italia non vi sono le piu belle, ne forse in tanta copia, vi
trovammo christallo assai piu lucido et vago di quello che in india
o in cipri nasce, & di maggior grandezza di quello, che dedico L.
Augusta: gran travaglio per certo sentimmo nel cavalcar que monti,
& piu di una fiata dell'impresa mi trovai pentito, giunsi una sera
non però molto tardi in un grosso villaggio et volendo passar piu
oltre, per dubbio di non albergar male, mi si parò davanti il Signor
di detto luogo con un saio di veluto spelato piu che non è la mula
del vescovo di Sarezana, con barba bigia, con dui occhi da imbriaco
& pieno di maniere contadinesche, il quale, ne sforzò di alloggiar
con esso lui, noi credevamo di star molto agiatamente per esser egli
il signore: hor per la prima ci menò in una casa dove malvolentieri
vi sarebbono state le bisce & le ranocchie: venuta l'hora di cenare,
ci dette un pane negro, amuffito & che putiva del agro, un vino che
pareva vi fusse mescolato succo di cipolla: un'insalata amara piu
che la coloquintida, con olio che putiva fieramente di lana, dopo
l'insalata ci puose avanti un pezo di carne di pecora vecchia (vecchia
dico) piu che la vecchiaia: io ci hebbi à lasciar dui migliori denti
che io m'habbia in bocca: veggendo il civil hospite che non mangiavamo
piu carne, comandò al suo garzone che facesse cuocere dell'uova
& arrecasse del cacio, furono l'uova di tal forte, ch'io ho ferma
opinione che dentro vi fussero i pulcini, il cacio era duro et fuor
di modo salato, rasimigliavasi al sardesco, ma quel che mi confortò
à fatto si fu l'haver una tovaglia piu unta che il calderone d'alto
pascio, piu negra che un carbon spento, piu ruvida che una stamegna
nuova: venuta l'hora del dormire, venne il garzone con una lucerna
in mano & n'invita con gentil modo ad andar à dormire: Fui sforzato
allhora di ridere anchora che io fussi pieno di sdegno, considerando i
belli inchini & gratiosi gesti di detto garzone il quale era zoppo et
gobbo, haveva un palmo di naso, ornato di due guidereschi, gli occhi
li colavano del continuo, la bocca era storta et sempre bavosa. Fu il
letto proportionato all'altre cose, posamo sopra d'un saccone pieno
de frondi d'albero con un sol lenzuolo atto à grattar la rogna & aspro
come un cilitio, con una schiavinaccia da Galeotto: credo che qualche
sforzato fugito di galea ve la portasse, mai si chiuse occhio quella
notte & sallo Iddio se n'haveva bisogno il letto di Phormione & quel
di Ulisse presso di Omero, non furono mai si privi di morbidezza:
ma niuna cosa piu mi premeva che il vedere che i nostri cavalli non
havessero altro da mangiare che un poco di strame si grosso che à gran
fatica con una manara si sarebbe tagliato. Venuta la mattina ben per
tempo ci levammo & ringratiato il gentil hospite l'incominciato camino
seguitammo, veggendo i cavalli sfianchiti & talmente lassi, che à
gran fatica mutavano il passo, trovata un'hosteria lontano forse otto
miglia quivi mi fermai per ristorar i passati danni: era l'hoste ben
fornito di qualunque cosa all'humano vivere opportuna, ristoraronsi
ancho i cavalli ampiamente. Il di seguente gionsi in Piacenza: fui per
schivare Cremona essendomi detto ch'altro non vi udirei che biastemar
Dio, maledir la celeste corte, giurare & spergiurare & mille brighe
finalmente al giorno farsi: ma l'honorata fama de Signori stanga &
de Signori Trecchi lor cari parenti, mi ci fece andare & per molti
giorni con gran solazo dimorare. Entrai in Piacenza, a prima giunta
si fattamente mi dispiacque, che io credetti per antifrasi esser
detta Piacenza perche la non piacesse: non stetti però guari ch'io
mi avidi che l'era veramente degna d'esser bramata per ducal stanza
esser dotata di qualunque cosa che desiderar si debba in ogni buona
citta. Hai quante cose vi videro gli occhi miei strane, & fuori di ogni
natural ordine. Fummi mostrato per cosa mostruosa una madre mortal
nemica de figliuoli, & fummi mostrato un'huomo di statura picciolo
anzi che no, & delle gambe, & delle mani ugualmente impotente, ilquale
senza abbassar lancia, senza impugnar spada, senza sfoderar pugnale, ò
scroccar archibuso s'era novellamente fatto Signore di questa Città.
Era costui Gonfaloniero[38], & cosi storpiato se haveva sottoposti
non so quanti Gonfalonieri, tra quali uno ve n'era Capitano di non
picciolo valore, della cui opera servito s'era, & l'imperadore, et il
Re de Franchi. Ha questo paese gran copia de Baroni illustri & tutti
li fa quest'homiciuolo star al segno, & li fa ballar sopra d'un piede,
& per farli savi gli ha incominciato à darli del Sale, ilche non erano
usi à ricevere, & perche li giovava di star nella lor sciocchezza
arabbiano, & non vorrebbono ne Sale, ne Salina[39]. Mi parve mostruosa
cosa il veder in questa città due cognate si di animo concordevoli, che
niente piu concordante trovar si puo. Sono in questa città, huomini
c'hanno la bocca di Barile, altri che hanno la coscia d'oca, vi sono
Malvicini, vi sono de Pelavicini, Sforzeschi[40], ò sforzatori, che li
vogliamo dire. Vidi alcuni huomini col capo pelati[41], io credetti
fussero di que popoli da Omero detti Miconij, liquali naturalmente
sono tutti calvi: Vidi huomini, che havevano quattro occhi: Parvemi
questa natione armigera molto, & che il cielo à ciò assai l'inchini,
poi che non solamente gli huomini di portar arme si dilettano, ma
anco gli animali: Vidi Asinelli, Papaveri, Papaverelli, Formighini,
& Volpini[42] cingersi spada al fianco: & disfidar Marte à singolar
battaglia. Qui trovai tanti Scocesi, che tanti non ne ha tutta
la Scotia: & poco lontano da Piacenza habitare i Sarmati popoli
ferocissimi.[43] Quivi fontane sono senza acqua. Quivi sono huomini di
Bracciaforti piu che altrove. Quivi sono publichi barattieri, & non
si castigano, anzi in istima sono. Quivi habitano huomini, che per
la bocca gittano fuoco. Fu l'albergo mio mentre stetti in Piacenza
nelle case della S. Isabella Sforza donna di tal qualità ornata,
che ad esser Reina solo il reame le manca: tutte l'altre conditioni
vi sono si abondantemente, che se ne potrebbono ornar dieci Reine.
Lascio finalmente Piacenza & prendo il camino per Milano: Credeva io
di vederlo in quella maniera edificato, che già co suoi dotti versi lo
descrisse Ausonio Gallo: cio è circondato di tre mura, e questa città
molto grande, posta in un ricco piano, la cui grassezza, & bassezza
istimo sia potissima cagione, che vi si ritrovino tanti gottosi, & si
malamente vi s'invecchi. Armava per altri tempi cento mila cavaglieri,
& chiamavasi La seconda Roma, chi hora lo vedesse havendolo prima
veduto, direbbe, quello per certo non è Milano, egli non è d'esso, non
vi è stata Città in Europa già molti anni sono, tanto flagellata, &
si duramente percossa, & meritamente tuttavia è estenuata, essendovi
longamente state le usure publiche. Quivi s'è ritrovato donna à guisa
di Lupa affamata divorare i fanciulli, un Fratello giacersi carnalmente
con tre sorelle, & tre fratelli godere una sorella; il figlio la madre,
il Cio la nipote, il Cognato la cognata. Quivi si sono ritrovati
huomini si crudeli, che da niuna ingiuria mossi, sol per esser l'un
guelfo, & l'altro ghibellino, vivi gli hanno arrostiti, & mangiatoli
del fegato, e dentro'l corpo posto del fieno, et del orzo, & adoperato
i corpi humani per mangiatoia de cavalli. Quivi sonosi trovati huomini,
che hanno amazati nella propria chiesa i religiosi mentre cantavano li
divini ufficij, & Iddio lodavano, ne una sola volta questo è accaduto:
s'è trovato uno, di furore tanto accecato, che non si vergognava di
dir impudentemente ch'egli volessi far un lago del sangue ghibellino.
Non si sono vergognati in questa citta huomini per nobiltà di sangue
riguardevoli molto di starsi al bosco, & assassinare indiferentemente
chiunque li capitava alle mani: mi fu detto per cosa certa, che
ritrovandosi un gentilhuomo alquanto sospetto per haver seguito le
bandiere Francese, esser ricorso a l'aiuto di un Cavagliere qual pareva
fusse in buona gratia del nuovo Principe sforcesco, egli li promise
la sua iniqua fede che lo salvarebbe dall'ira, e dalla rabbia de
suoi nimici, poi segretamente commise a chi lo doveva condurre che lo
ammazzassero, ne hebbe rossore di chiedere la parte sua delle spoglie
in premio della usata lealtà: & quai cose piu di queste mostruose ne
vedere, ne udire si possono? non è bugia ciò che vi ho raccontato il
fratello carnale del perfido, & traditore, me l'ha raccontato. S'è
ritrovato una Femina detta Fiorina la quale di quatro mesi ci ha dato
parto perfetto & maturo. Quivi sono huomini, che cacano strazzi.[44]
Qui si veggono huomini del continuo Tosi, Crespi, Calvi, Selvatici
convertiti in Draghi, Capre, Cavalli, & Corvi. Quivi sono Taverne,
che danno splendidamente mangiar, e bere senza danari, o pegni.[45]
Quivi è la schiatta di Caino col spirito però di Abel. Sono in Milano
parimenti non solo huomini, & donne sante, ma ancho ci sono delle
Pietre sante: & ecci una setta da una gran Femina retta, la qual si
sforza di ridur i suoi seguaci alla battismale purità, & innocentia,
& del tutto mortificarli, & per quanto m'è stato rifferito da persone
degne di fede, per far prova della mortificatione fa coricare in un
medesimo letto, un giovane di prima barba, & una giovane, & tra di loro
vi pone il crocifisso, certo per mio consiglio meglio farebbe ella,
se vi ponesse un gran fascio di spine ò di ortiche. E' in Milano una
sorte de Medici,[46] che non sa medicare salvo che col fuoco, & col
pugnale, anchora che per il resto d'Italia habbia conosciuto de molti
signori titolati, non ho pero trovato Conti si belli, & si gioiosi come
in Milano.[47] Hor mentre contemplo diligentemente questa città mi
stupisco come si facilmente doventi preda di chi la vuole, essendovi
oltre il castello principale, che si giudica da dotti architetti
inespugnabile, molti altri castelli, castelletti, & castellacci.[48]
Non mi voglio scordare d'haver veduto in Milano un frate Eremitano
del monastero di S. Marco, ilquale haveva insegnato predicare ad un
storno, io l'udi piu di una fiata, et hebbi à smascellare delle risa,
veggendo il sforzo ch'egli faceva per dir ò Milano peccadore, un'altro
frate dell'incoronata à concorrentia sua haveva di modo operato,
che una Pica (ò Gaza, che la vogliamo chiamare) lo aiutava a dire
l'ufficio. Debbo tacere d'haver anche veduto un corvo il quale vide
la madonna far una torta, & merendar con una sua comadre et venuto il
padrone, il semplice Corvo incomincio a dir, Madonna ha fatto torta,
madonna ha fatto torta: il padrone chiede la donna dove sia la torta,
la donna con viso turbato, & piena di mal talento li risponde che non
vi è torta alcuna, & che di lui si maraviglia come piu tosto voglia
credere ad un'animalaccio, che à lei, acquetasi il buon marito, et
fatto ciò che haveva da fare, tornossi fuori, La donna iraconda (si
come sogliono esser quasi tutte) appena fu il marito scostatosi un
tratto di pietra, ch'ella se n'andò alla gabbia, & spelò il capo al
loquace corvo: non istette molto, che venne un frate à chieder del
pane, & cavandosi il capuccio, & essendo nuovamente raso, credette
il Corbo li fusse stato pelato il capo per haver parlato di torta,
& à lui rivolto, molte fiate repplicò, tu hai parlato di torta, tu
hai parlato di torta, & pareva si rallegrasse, che il buon frate
fusse caduto nella medesima sciagura, ch'egli cadde. Non debbo dir un
altro caso pur in Milano ne miei giorni avenuto, non cosi faceto, ma
pieno di stupore. Eravi un prete il quale havevasi per suo trastullo
nodrito un Fanello, adduttoli dalla Marca dove sono i migliori, che si
ritrovino, & stando un giorno tutto spaventato col becco fra le piume,
sopragiunse il prete, et si li disse, che fai bestia? alzò allhora
il capo il Fanello, & disse quel versetto di David pieno di mistero.
COGITO DIES ANTIQUOS ET ANNOS AETERNOS IN MENTE HABEO. Mentre giva per
la città considerando le cose mostruose: entrai à caso nell'hospedale
de pazzi consagrato à S. Vincenti, & mi maravigliai ch'egli non fusse
molto piu capace essendovi tanta copia de pazzi. Regeva la città
uno, che dava l'osso à gli altri, & per se teneva la carne.[49] Non
mi mancò in Milano chi mi si mostrasse cortese, & affabile: molti
honorati cavaglieri conobbi, & molte valorose donne, tra quali di
molto notabil essempio mi parve la S. Contessa Catherina visconte
Landesa. Oh quanta virtu, oh quanta bontà hò ritrovato in essa. Da
un fianco d'huomo vidi uscir un fanciullo, si come avenne anchora à
Budda prencipe di Gimnosophisti. Da Milano, andai à vedere i monti di
Brianza: Era già Brianza per quanto ritrovo scritto nelli annali di
Chrisermo scrittore antichissimo, città guernita di buone mura, & di
profonde fosse, edificata da Spartani, & Vrianza detta da questo verbo
Vrio, che vuol dir in lingua greca scatorisco: imperoche di ogni bene
alla vita humana utile, vi sorge, et scatorisce abondevolmente. Era
piena d'huomini bellicosi, & guerreggiava sovente con la Republica
di Milano, piu tosto vincitrice, che vinta rimanendo. Hor mentre vado
visitando hor questa terra, hor quell'altra considerando l'instabilità
delle cose humane, & la voracità del tempo, ilquale riduce il tutto à
nulla, giunsi à Perego luogo eminente, & ameno, stracco, & assetato,
& non potendo tollerar la sete, n'andammo al pozzo[50] per bere:
Miracolosa cosa, & per alcun secolo non mai udita: credendo noi ber
dell'acqua, detteci sorsi di dieci sorti di vino, & che vino? Certo,
che il Surrentino, il Gavriano, il Faustiano, il Signino, il Massico,
et il Cecubo, sarebbono reputati vini da lavar tigna, in comparatione
de questi, certa cosa è che se Cesare dittatore nella cena ch'egli
fece nel primo triumpho, & nel triumpho di Spagna, & nel suo terzo
consolato: quando mostro la ineffabil liberalità dando si largamente à
convitanti, Falerno, Chio, Lesbio, & Mamertino, s'egli havesse havuto
dico de cotesti vini, che il cortese Pozzo ne dette, non si sarebbe
punto curato di questi altri, tanto da bevitori istimati, non si
vidde tal miracolo ne pozzi di Giacob, ne ancho nella pietra da Mose
nel deserto percossa. Da monti Brianceschi passai à Como, dove era
un valent'huomo, ilqual scrivendo le storie, amazzava i vivi, & dava
vita à morti: trovai Cicalini & Cicaline, che d'altro si pascevano,
che di rugiada, ne sopra gli alberi cantando stavano come fanno le
nostre Cicale. Conobbi alcuni trasformati in Pobbie, & in Peri[51],
non paia adunque maraviglia ò bugia si reputi, se Dafne in Lauro, ò
Narciso in Fior leggiamo rivolti. Quivi, & non in altra parte ho veduto
visi d'huomini, & chi nelle risse sia di menar pace studioso[52],
qui mostruoso parve il vedere una matregna amar il figliastro, non
di lascivo amore, ma di savio, & honesto. Sono li huomini comaschi
generalmente cortesi, et affabili, & le donne piene di bonta & honesta,
quantunque non sia mancato un Scimonito scrittore, ilquale scrivendo de
varij costumi Italiani tassato habbi le donne comasche d'impudicitia,
benche detto habbi esser stato error d'intelletto, & non di volontà.
Da Como n'andai in Val Caspia, ove trovai due sorelle cugine de le
quali l'una haveva partorito un Serpente, et l'altra un'animale non
dissimile all'Elephanto, vi era anchora infinita copia de Ermaphroditi
gia detti Androgini: mi furono mostrati dui huomini li quali havevano
generato figliuoli l'uno di ottanta nove anni, di tre anni avanzando
Massinissa, & l'altro di ottanta, il che si legge anchora di Catone.
Quivi le rane sono mute come anche in Seripho, & mute anchora sono
le Cicale: i Galli parimenti come in Niba città posta in Tessalonica
di Macedonia non mandano fuori la voce. Io vi ritrovai huomini di
smisurata fortezza, & di lor vidi notabilissime prove, forse maggiori
di quelle che si raccontano di L. Sicinio Dentato, Di M. Sergio
vincitore non sol delli huomini: ma della Fortuna, di Trittano, di
Iunio valente, et di Rusticello detto per sopranome Hercole. È nella
detta valle una terra detta Libissa da Greci edificata, nella quale sia
pur il cielo quanto si vuole nubiloso sempre da qualche hora si vede il
Sole, ilquale è ancho privilegio à Rhodi, & Siracosa (sel vero narra
M. Tulio nelle sue verrine) conceduto. Quivi mi dissero i paesani non
esser mai cascato dal ciel saetta, nellaqual cosa non ha da invidiar
ne la Scithia, ne l'Egitto. Due volte l'anno vi si fa la vendemia, ne
mai vi si lascia riposar il terreno. Erano già in questa valle infinite
castella, ma per quanto appare nelli lor annali furono destrutti altri
da Sorci, altri dalle rane, & dalle Talpe insieme congiurati, ne furono
anchora dissipati dalli Conigli, & dalle locuste. Non hanno gli huomini
di questo paese (per quanto mi racontò maestro Grillo phisico senza
paragone) non hanno dico medolla nell'ossa, et in segno di ciò non
patono sete, ne dal corpo lor esce sudore. Molti si ritrovano, che mai
non furono veduti ridere, & molti similmente, che mai non piansero,
hò veduto una vacca, che haveva partorito à un parto sei vitelli, si
come anchora avenne al tempo di Tolomeo (il piu giovane). Veggonsi
nella detta Valle ucelli di varie forme, non usi à vedersi in altri
luoghi: presemi già gran maraviglia di vedere Merli di candido colore,
havendo letto presso de scrittori antichi non trovarsene, salvo che
circa Cillene di Arcadia. Io ci ho anche veduto uccelli del tutto
simili alle Meleagride di Beotia, solo in questo differenti, che nel
mangiar non vi si sente quel maligno sapore, che in quelle sentiamo,
le Grue, & le cicogne vi fanno perpetua stanza, ne se ne partono
furtivamente, si come fanno nelle altre contrade, à tal che niuno mai
si accorge se elle vengono, o se elle se ne vanno ma sol che venute,
ò che ite se ne sono, vi è gran copia de tordi, coturnici, rondini,
palumbe, & tortore. Da questa valle trapassai à Lugano, et à Locarno,
ove quel di medesimo una gatta partori un topo, & furon veduti volar
per l'aria molti travi affogati: apparvero tre lune il di seguente:
ilche mi fecero sbigottire, et temere che qualche sinistro accidente
non sopravenisse: partitomi adunque venni alle tre pievi, dellequali
era novamente ritornato S. il Marchese di Meregnano huomo nell'arte
militare esperto, & vigilante, pieno di ardire, & di consiglio. Vidi
Chiavenna, & Piuri, & chil crederebbe, che fra questi sassi io havessi
trovato infinita humanità, et piacevolezza, da quelli spetialmente,
che hanno il nome dal pestar l'ossa: n'andammo poi per certe balze,
che non vi sarebbono ite le capre scalze, et arrivai ad una terra detta
Micronia, nella quale trovai vecchi di cento otto anni, di nonantaotto
molti: alcuni altri di cent'anni: mi parve certamente di vedere un
Gorgia Siciliano, un Marco perpenna, un Valerio Corvino, & un Metello
pontefice, ne men vivaci vi sono le femine, poscia che ne trovai di
nonantasette anni, di nonantanove, di centosette, di cento quindici;
infinite di cento anni, & l'hostessa nostra era di cento quattro, ne
li mancava pur un dente, non era per catarro ad alcuno molesta, vedeva
acutissimamente, andava senza sostegno, & caminava piu ratto, che le
giovani non fanno; reggendo la famiglia, che picciola non era, con
grande auttorità. Veramente, che veggendo queste vecchie mi ramentai
di Livia, di Statilia, di Terentia, di Clodia, et di Luceia mima:
non si vive d'altro, che di casio fresco, orzo, cicoria, borragine, &
frutti: hanno l'aria serenissima: vicino à questo luogo evvi un gran
Villaggio, dove sono le femine tanto lussuriose, che correno dietro
alli huomini con la camisa in spalla: et se per aventura passa per il
lor paese huomo alcuno che mostri esser di buon nerbo, è sforzato far
qualche prova sono piene di Gelosia: amazzansi fra loro, come cagne
arabbiate, & ve ne sono state, che per gelosia hanno amazzato i mariti:
sono sanguinolente, vindicative, et animose: si dilettano d'incanti,
non per altra causa che per farsi amare, sono de visi belle, hanno
petti piu belli delle Romane: visi piu dilicati delle Modonese, di
schena non sono inferiori delle Tedesche, di bellezza di fianchi, non
cedeno alle Fiamenghe, di bella mano, non si lasciano vincere dalle
Senese, fanno li inchini come se francese fussero, & non men di loro
fanno trattenere, chi li visita, & vezeggia, di politezza superano
le Vinitiane, di creanza avanzano le Napolitane di sufficientia nel
maneggiare le cose domestiche, non darebbono luogo alle Bresciane,
usano di far certe statove di cera con magiche osservationi per
rivocare gli amanti disviati dal loro amore, & non potendoli rivocare
li amazzano o con ferro, o con veleno, ha questo luogo huomini piu
pazzi di Corebo, figliuolo di Migdone, ilquale (se il vero narrano
Luciano et Eustachio) si sforzava annoverare l'onde del mare. Sonosi
trovate donne di tanto animo, che à mezza notte senza compagnia sono
ite alle forche, et tratto hanno il groppo della lingua allo impiccato
per farsi amare. Fannosi temere dai mariti, portano arme, & è obligato
il marito come piu tosto egli ha menato la sposa à casa, provedersi
di coadiutore, ilche non facendo, la donna lo po rifiutare. Parvemi in
questo luogo veder risuscitare Proculina, Lectoria, Aufilena, telesina,
Hippia, Helena, Clitennestra, Agripina, Livia, Messalina, & quante
libidinose donne hebbe mai il mondo. Da questa diabolica terra partiti
in spatio di due giorni venemmo nella Val Telina, altri chiamano questi
popoli Vultureni, & altri vogliono sieno Rheti: ho ancho letto che
sieno delle reliquie dell'esercito di Pompeio: et nel vero vi sono
huomini bravi, di buona fede, cortesi, & amici de forestieri. Hor qui
bevei vino dolcissimo, & insieme piccante, ilquale non nuotando nel
stomaco, secondo la proprieta de vini dolci, ma cercando tutti i meati
del corpo, miracolosamente conforta chiunque ne beve. Quivi sono vini
stomatici, odoriferi, claretti, tondi, raspanti, & mordenti. Essendo
in Tilio al presente detto Teio, d'onde ne hebbe già il nome la valle,
e ritrovandomi nelle case del cortesissimo, et humanissimo S. Azzo di
besta, bevei di un vino detto il vino delle sgonfiate, credo fermamente
ch'egli sia il miglior, che al mondo si beva. S'è piu fiate veduto tal
isperienza, esser l'infermo abbandonato da medici, & per morto da cari
parenti pianto, et solo col vino delle sgonfiate essersi risanato, &
preso tal vigore, che pareva si fussero raddoppiate loro le forze: per
cotal vino credo havesse ardire Asclepiade di dir che il vino fusse
di potentia uguale à Iddio, & cosi quando Esiodo commanda, che per
venti giorni avanti il nascimento della Canicola, & per venti dopo si
beva liberalmente: senza mescolarvi gocciola d'acqua: vuole un Fidele
interprete che si toglia del vino delle sgonfiate, ne il Re Mezentio
per havere del vino dato havrebbe à suoi amici si pronto soccorso,
se creduto havesse, che dato li fusse altro vino, non si gustano in
questo felice paese, salvo che vini sani, & di tutta perfettione;
non vi trovai vino, che induchi rabbia alli huomini, si come in
Archadia, non vino, che faccia abortire le femine si come in Achaia,
ispetialmente circa Carinia, non trovai vino che induchi sterilità si
come in Trezenio: non vino, che ti privi del sonno, si come trovasi
presso li popoli Thasii: non si cambiano, non si corrumpeno nel nascere
della nocevole canicola: non acade mitigare l'asprezza loro col gesso,
come far si suole in Affrica, ne accade eccitarli con l'argilla, ò
col marmore, ò con il Sale come fa la Grecia: ne solamente vi sono
i vini perfettissimi, ma le canove anchora dove li ripongono, sono
fatte con le debite conditioni, rimote da ogni cosa fetente, & da
luoghi dove sieno piantati alberi de fichi, con le fenestre volte
verso Aquilone, & con i vasi l'uno dall'altro con debita proportione
distanti. Trovansi vini di quaranta, di sessanta, et di ottant'anni.
Ho spesse fiate veduto spezzar le botti, & rimaner il vino avilupato
in grossissima gomma dalla quale forata con un trivellino, se ne fa
uscir il vino, io ho preso di detta gomma, e fattala seccare & ogni, &
qualunque volta mi abbatteva à vino che non mi aggradasse, raschiava
con un coltello detta gomma nell'acqua, et facevasi un vino grato al
stomaco, utile à nervi, & giocondo al palato: provai in questa valle
la gratiosa hospitalità delli unitissimi fratelli Crotti, di Ponto,
&, isperimentai l'humanità del sottilissimo giurisconsulto il S.
Nicolo Quadro, del S. Giovanmaria guicciardo, & del S. Marco antonio
inquisitor dell'heretica pravità. Che dirò dell'ineffabil cortesia
ch'io trovai nel cavagliere di Tirano, & nel amato suo genero da Bormo?
dui lumi, anzi due chiare lampadi di quella felicissima valle: ma prima
di questi, isperimentai l'humanità grande, di M. Paulo Malacria, di M.
Nicolo Marliano, & dell'astuto & sagace Frigero. Partiti di val Telina
presi il viaggio verso la valle Camonica, laquale hebbe il nome dalla
copia delle camozze: ho quanti gozzuti, quanti storditi, intronati,
& del senso comune al tutto mancanti vi ritrovai. Hor mentre qui fui,
questo fortuoso caso avenne: Eravi un ricco huomo il quale haveva uno
ismisurato gozzo, et tanta noia li dava ch'egli per levarselo haverebbe
volentieri pagato la metà de suoi beni, hora un suo aversario col quale
piativa alla civile, veggendosi perder la lite, condotto da istrema
disperatione deliberò amazzarlo (che che se ne gli dovesse avenire) et
inguatatosi nele costui case, delequali era molto prattico, andossene
chetamente al letto, & dattogli al buio del pugnale nella gola, ratto
se ne fuggio, credendo d'haverlo morto, la piaga fu di tal sorte,
ch'ella liberò il buon huomo da quel difforme, & soverchio peso, senza
fargli sentir veruno danno. In quello medemo tempo, una vacca partori
un'agnello, la qual cosa puose il Bifolco di cui era la vacca, in
grande agonia, havendo fatto piu d'uno disegno sopra dell'aspettato
vitello. Io che mi ricordai d'haver letto in Egesippo, che avanti
la destruttione di Gierusalemme simil parto già si generasse temendo
dell'ira celeste, che non si sfogasse mentre ero nella Valle, affrettai
la partenza, et me ne venni à Brescia capo & metropoli de Cenomani.
Hor nel viaggio incontrai una volpe con due code, & un cane con dui
capi: ma diciamo di Brescia, che non vi viddi io di maraviglioso? Vidi
andar i Cavriuoli, & le Cavriuole per la Città, per i Boschi, & per
larghe campagne[53] senza temere ne cani, ne lupi, ne alcuno ingordo,
et rapace cacciatore. Tra molti Cavriuoli uno ve n'era giovanetto,
grasso, di pel rosso, tutto piacevole, & ottimo musico. Vennemi ancho
veduto per la città passeggiando una gentile, & gratiosa Cavriola
incoronata di camamilla[54]. Vidi molti Gambari di vario colore,
negri, bianchi, & bigi, & vidi una altiera, & ricca Gamberessa[55], che
haveva di molte uova, et diligentemente le custodiva, & per ogni via
cercava moltiplicarle: non caminavano cotesti Gambari all'indrieto,
& piu volentieri stavano all'asciuto, che al molle. Ho veduto in
Brescia le stelle à mezo giorno[56], non meno chiare di quelle, che
la notte appaiono. Vidi una picciola Liona miracolosamente danzare,
& con l'ago mirabilmente lavorare, bella, & affabile: non vi era chi
la vedesse, che incontanente non se ne innamorasse. Beato quel Lione,
à cui tocchera di abracciare si vaga Lionella. Hor se in Piacenza
trovai i mal vicini, quivi trovai i buon vicini, ma che si dirà delle
Rose, che tutto l'anno fiorite si veggono?[57] vadansi a nascondere
que scrittori, che celebrarno tanto le Melitensi, et le Milanese,
Queste Bresciane sono piu belle, & piu odorifere. Fu il mio albergo
col capitano della città. Il S. M. Antonio da Mula, oh che virtuosa
anima, che perfetto giudicio, & che sagace intelletto: egli mi fu uno
essempio di virtù: ne poteva non virtuosamente operare contemplando le
sue honorate attioni: Una sola cosa in lui vidi, che mi dispiaceva, et
facevami molesta si honorata stanza: egli amava molto un Porcello[58],
ne piu longi dilui vedeva, lo vagheggiava, & lo teneva alla sua mensa,
era in quel medesimo tempo Podestà della città il S. Gioanni Lipomani
fratello del vescovo di Verona, ilquale con la sua buona gratia, & con
la singolar humanità faceva falso parere il proprio cognome[59]. Si
come in Napoli Genaro vi fa perpetua stanza, cosi Maggio fa perpetua
stanza in Brescia[60]. Vidi palazzi, & sale mobili, & discorrenti
hor qua, hor la. Ricordammi mentre pensava al partir di Brescia, dove
stetti piu di quatro mesi acarezzato da molti, ispetialmente dal S.
Dionigi Maggio, dal S. Annibale Martinengo, & dal S. Pompilio Luzago
cavaglier senza rimprocchio: ma forse piu dal S. Lodovico Barbisono:
ricordammi dico, di non haver veduto ne Bergamo, ne Crema, per tanto
io vi andai incontanente, ne mi mancò la compagnia del gentilissimo S.
Dionigi da castello. Vidi in Bergamo Tassi vigilantissimi[61]. Zanchi,
che adoperar sol sapevano la mano dritta: & qui vidi huomini allegri,
tra quali uno Alessandro ci conobbi, dal cui candido petto uscivano
rime piene di dolcezza. Vidi in Crema huomini in lupi convertiti, non
sia adunque per l'avenir chi mi dica esser ciò cosa favolosa, oltre che
vi è il testimonio di Evante scrittore presso de Greci non sprezzato,
& di Demarco Parrasio, ilquale in un sagrificio fatto à Giove Liceo
si voltò in Lupo. Fu ancho Licaone da Giove in lupo convertito. Quivi
si trasformò per divino miracolo un bel Cespo di Artemisia[62], in una
bella, & leggiadra Fanciulla, & ne ritenne il nome. In Crema habitano
i S. Agnoli, inditio chiaro, & illustre della felicità cremasca. Hor
intendendo, che in Trento il giorno di S. Lucia celebrar si doveva
il tanto desiderato Consilio pel cui mezo si sperava dovesse riunirsi
il diviso christianesimo, & riformar la vita de mali chierici, & non
sol de chierici, ma de principi christiani usurpatori delli altrui
beni. Vengomi il primo giorno à Salò da Tesalonicensi edificato.
Quivi fui gratiosamente ricevuto da M. Cecilio conforto giovane di
gran speranza, poi à Boiago me n'andai, qual edificarno i popoli
Boi, ivi m'imbarcai, & felicemente navigando giunsi à Riva di Trento,
cosi detta, non perche stia alla riva del lago, ma perche vi fu fatto
già un Rio di sangue in un gran fatto d'arme. Era allhora di questa
terra governatore il conte SIGISMONDO d'Arco huomo per le sue rare,
& divine qualità degno di esser Re del piu florido & possente Regno,
che trovar si possa. Deh perche non acconsente il cielo ch'io vegga
tanta bontà essaltata al par de meriti suoi? perche non mi concede
Iddio, si come caldamente ne lo prego, di poterlo veder il piu felice,
& consolato cavagliere c'hoggidi terra calchi, ò il sol riscaldi? egli
non scordatosi della sua naturale, & solita cortesia, ne ricevette ad
albergo nella rocca, ne per honorarci pretermise cosa veruna, aiutava
la sua magnanima voglia l'amorevole natura del Carrettone, del Grotta,
del Bruvino, e del Barone, & del phisico de Grandi, L'antevigilia di
S. Lucia giunsi in Trento, & all'albergo delle due spade smontai.
Evvi un'hoste di buon'aria, affabile, & acconciamente discreto, &
s'egli non temesse la moglie, sarebbe miglior compagno ch'egli non
è. Il di seguente con alcuni altri gentilhuomini, n'andammo à far la
riverentia al principe Madruccio, ilquale buona pezza con dolcissimi
ragionamenti, con larghissime offerte, & con manierose accoglienze, ci
tratenne; La onde tutti in questa opinione cademo, ch'egli fusse degno
d'un Papato, ò d'un imperio. La mattina di S. Lucia ci appresentamo
al tempio di S. Vigilio, Udemo l'oratione di Monsignore Cornelio
vescovo di Betonto, piena di sottil artificio, sparsa de Retorici
colori, come se tempestata fusse da tanti rubini, & diamanti: egli
vi haveva consumato dentro tutti i pretiosi unguenti di Aristotile,
di Isocrate, di M. Tullio, & tutti i savi precetti di Armogene: Che
maraviglia è adunque s'egli ci puote insegnare, dilettare, & commovere,
ispetialmente essendo dotato di una voce simile à quella del Cigno?
È veramente questo valent'huomo la gloria di Piacenza, l'honore del
ordine Seraphico, & il splendor dell'episcopal collegio. Si aspettarno
i Lutherani, ò protestanti, che li vogliamo chiamare longamente; ne
mai apparvero, ne si sapeva la cagione, credevano molti si rimanesser
per essergli stato promesso il concilio altrove, che in Trento. Feci
disegno partirmi di Trento dopo alcuni giorni, per molti rispetti,
quai non accade raccontare: & cosi mi aviai alla volta di Mantoa.
Volle mia ventura, che io mi rincontrassi nel magnifico M. Bartholomeo
pestalossa giurisperito molto savio & aveduto, con esso lui à sue
persuasioni, andai ad alloggiare ad un gran monisterio della Ciartosa,
dove era priore un Venerabil Padre, qual haveva conosciuto alla
ciartosa della palude, stato della Illustrissima S. Maria Cardona,
Signora rara, et magnanima. Fummo raccolti come dui Agnoli dal cielo
discesi, & ne dettero una cena Papale, da carne in fuori, poche cose
si potevano desiderare, erano le vivande si ben condite, & stagionate,
Come se Apitio fusse stato il cuoco, e Platina il guattero. Dopo
mangiar si ragionò del stato de religiosi Ciartosini, & della lor
perfettione, quasi conchiudendo, che alcuno salvare non si potesse,
se di loro non si faceva, essortandomi ad esser della lor squadra,
io che non haveva la lingua in pegno al giudeo, à tutto risposi, &
soggiunsi che se mai mi venisse voglia di farmi frate, io mi sarei
fatto nel paese nostro, dove havevamo una religione, la quale haveva
i Monisteri edificati alla Ciartosina, l'habito de canonici regolari,
Le facultà de Monaci di monte Cassino, l'auttorità de frati di S.
Dominico, & il credito, che già solevano havere i zocolanti, ma che
io non vedeva (lor dissi) qual cosa m'havesse à muovere à rendermi
ciartosino, conciosia fusse che non ci vedessi quella perfettione qual
mi dicevano, ne vi conosceva sembianza alcuna della primitiva chiesa,
voi habitate li dico agiatamente, à tal che molti principi vi portano
invidia; Siete vestiti, & per difendervi dall'asprezza del freddo, &
dall'ingiuria del caldo, bevete de migliori vini, che appariscano in
terra, mangiate un pane che par fatto in paradiso, et quantunque (che
si sappia) non gustiate carne, mancanvi però i saporiti intingoli, &
i gratiosi manicaretti? mancanvi le torte de piu ragioni? le salse
eccitative del morto appetito? i sapori de piu colori? le frittate
de piu sorti? L'uova cotte in varie foggie i butiri freschi? i dolci
olij? di ogni qualità pesce, latticinij, frutta, & confetture? voi
non siete angariati di alcuna gravezza; i principi vi honorano, et i
popoli per santi vi adorano; non vi mancano (informandovi) ne medici,
ne medicine, ne servidori, che diligentemente vi attendano: vivete
senza pensiero, non vi molesta l'importunita della moglie, non vi
affanna la disubidienza de figliuoli, non vi attrista la contumacia de
perfidi servidori, non vi spaventa la tirannia de mali principi; non
vi tribolano i puntigli d'honore, & controversie de duelli: Forse che
andate come facevano li Apostoli, scalzi, & mezo ignudi, sostenendo
fame, patendo sete, pieni di sbigottimento, sempre temendo la crudeltà
de nemici di Christo? Tutta la fatica vostra consiste in cantare ad
alta voce un chirieeleison, & mormorar Salmi poco intesi: et io vi dico
che la pietà Christiana, & quella perfettione, che tanto essaltate,
altro richiede, ella vuole carità verso il prossimo, & carità non
simulata, ma sincera, ella vuole un'ardente fede verso Iddio: voi
non ministrate i sacramenti della chiesa à popoli, non manifestate la
santissima parola d'Iddio, & poi mi dite, che la vita vostra contiene
in se perfettione christiana? vi vantate di portar il cilicio, e di
levar à mattutino, le quai cose non sono di gran momento poi che
consisteno sol nel asuefarsi: Io non vidi mai ciartosino visitar
spedali, confortar incarcerati, ne andar ad udir il sacrosanto Vangelo:
vi gloriate della solitudine sopra modo: hor quivi prego à legere, &
considerar se tal era la solitudine delli antichi solitarij, essi non
habitavano già si vicini alle città, ma penetravano molto a dentro
ne i deserti della Thebaida, dell'Egitto, e della Cilicia. De santi
Monaci favellando il padre Gioan chrisostomo, dice ch'essi havevano
occupato le sommità de monti: Habitava Illarione un Tugurio simile piu
tosto ad un'horrido sepolchro, che ad una monacal cella, legete il P.
Basilio, legete il santissimo Geronimo: il buon Gioan Cassiano, il
divoto Gioanni Climaco, & vedrete come vivevano gli antichi monaci,
certo vi vergognereste di tal nome, essendo la vita vostra tanto da
quella distinta et separata: à tutte le mie parole fu molto saviamente
risposto, & venuta l'hora del dormire: havendo fatto pensiero di
partirmi a buon hotta, chiesi licentia dal Reverendo priore, dimandai
perdono se forse ecceduto havea nel parlar la christiana modestia,
et fatto troppo del Satirico. La matina per tempo entrai in Mantoa
qual trovai molto piu bella, & vaga da vedere, di quel che mi
credeva: Hor quivi, & non in altra parte appresi a conoscere donne
valenti.[63] Vidi in Mantoa huomini col capo di lupo: vidi agnelli
di tanto consiglio & prudentia dotati, quanta esser si puote, et
erano adoperati per ambasciatori nelle cose di somma importanza:[64]
Habitarno già in questa città de molti Passerini, liquali crebbero
in tanta forza, che poco vi mancò non se insignorissero di tutto'l
dominio Mantoano, & l'havrebbono fatto, se da piu potenti non fusser
stati impediti. Quivi si veggono molti boschetti vaghi, et ameni,
ne quali non habita alcuna dannosa fiera, ma sol conigli, & qualche
altro picciolo animaluccio. Quivi sono huomini di tanta felicità, che
dovunque vanno sempre per essi, si arriva bene.[65] Vi sono putelli
di cinquanta anni, et ve ne sono di quelli, che altro non fanno che
tridar pali. Vengomi poi à Ferrara, ove trovai molti contrarij, non
a me però, anzi benigni: trovai Fiaschi, & Fiasche di miglior tenuta,
che altrove non si veggono: Vidi alcune trotte le piu belle, & le piu
grandi, che mai si pescassero in alcun fiume, ò lago, quelle di garda
non son si belle: chi ne pigliasse de simili, sarebbe il piu felice
pescatore che mai nascesse, non havrebbe da invidiarne Dictis gran
pescatore, & nodritor di Perseo, ne Ermindo, ne Scilla (il Sicionio)
credo che ogn'uno si darebbe al pescare se sperasse di far tal preda,
ma elle non si pigliano con le Reti, non con le nasse, non con l'hamo
non con pasta artificiosa, ma con altre arti c'hora non le dico. Vidi
piu sagrati in Ferrara, che in Roma santa. Hocci ritrovato delle male
spine,[66] le quali, senza ricevere offesa, anzi con qualche diletto si
potevano di notte maneggiare & abbracciare: vi conobbi una malatesta
piena però di buoni & giocondi pensieri. Vidi una mamma, ch'era mamma
sin quando era nelle fascie. Hai quante cose videro gli occhi miei
in questa citta, fuori del commun'uso: Quei da le frutta non vendano
frutta: Quei dell'olio non vendono olio: i Cestaruoli non portano il
cesto: I Bevilacqua amano il vino, & fuggono l'acqua: Vidi un'huomo
di Recalco[67] cavalcar una mula vecchia, & magra piu che l'Asina di
Balam: Conobbi ancho una Cuoca,[68] di si fatte qualità, che non vi
è huomo per insensato ch'egli sia, che volentiere non se la vedesse
in cucina. Poche città ho ritrovato, ove sieno tante stravaganze,
quante sono in Ferrara, & infinite n'haveva notato; ma il timore di
non essere à lettori troppo fastidioso, me n'ha fatto tralasciare la
maggior parte, ma prima però ch'io esca dalle mura di Ferrara, dirò
come vi hò veduto il paradiso,[69] ilquale non ha in se molta bellezza,
non amenità, non consolatione alcuna, & qual maraviglia sarebbe se
l'amor del paradiso non ritirasse i Ferraresi dalle malvagie opere?
& che ciò sia vero, che bello non sia, gli Agnoli non vi fanno la lor
stanza, ma si hanno edificato una contrada la piu gioiosa, che veder
si possa: In paradiso non habita S. Gioan battista, ma se n'è piu
tosto ito ad habitar in terra nuova. S. Anna piu tosto s'è contentata
di starsi all'hospedale,[70] che in questo paradiso. S. Georgio è ito
fuori della terra, la Reina del cielo con la gloriosa Caterina, non
vi habitano, di maniera ch'egli rimane quasi che dishabitato, voglio
però confessar il vero, ne voglio defraudare città alcuna delle sue
debite lodi, che in Ferrara, & non in altro luogo, ho veduto huomini,
& donne pie:[71] et hocci veduto un'Agnolo degnarsi di far l'hosteria
à mortali: Fu il mio albergo col S. Hercole Riminaldo, ilquale mi
da speranza di doventar simile d'ardire à quel famoso Ercole di cui
son piene tutte le carte de scrittori: fu però gran parte della mia
conversatione col S. Ferrante trotto, & col S. Giulio zerbinato,
liquali mi parvero di tal valore, che fortunatissimo giudicherei quel
principe, che de simili n'havesse almeno due paia. Da Ferrara piglio la
strada ver Padova, et giunto à Rovigo, mi ricordai del Celio Rodigino
mio honorato precettore, per tenerezza fui sforzato piagnere si gran
perdita: giunto poi in Padova, ricordammi subitamente delle grandezze
sue, del numeroso popolo che l'haveva, delli infiniti cavaglieri, &
de i singolari privilegi da Romani lor conceduti: mai certo vi fu
città, che de simili ne havesse, hora la trovai quasi desolata, &
me ne venne gran pietà: Vado alle scuole de legisti, sto ad udir ciò
che dicono di bello, appartenente al viver civile, & alla unione de
cittadini, & non odo salvo che contradittioni, l'uno impugnar l'altro,
& oscurar il vero à piu potere: eravi tal legista, che per insegnare
à litigare, era con gran stipendio pagato, & ciascuna lettione li
valeva piu di 60 scudi: vado alle scuole de philosophi, penso udir
favellar di giustitia, di prudentia, di modestia, di fortezza, di
castità, et altre simili cose, penso veder huomini gravi, & ornati,
non di barba, & di pallio come erano i philosophi della grecia, ma de
bellissimi costumi, penso veder molti Socrati, molti pithagori, et
molti Platoni, et ingannato mi ritrovo, non odo favellare salvo che
di materia,[72] della quale parevami, che n'havessero pieno il capo:
di forma, non so se di Cacio, o da informar stivali, di privatione,
non so parimenti se intendessero de danari, ò di senno. Entro nella
scuola de Metaphisici, nella qual pensai udir ragionare della divina
maestà, delle celesti Gierarchie, della perpetua felicità de beati:
ma ecco che per molti giorni io non odo parlare d'altro che di ente et
uno. Vomene ad udir chi trasordinariamente leggeva i libri dell'anima,
& penso ch'egli m'habbi ad insegnar qual cosa adoperar mi debba per
salvar l'anima, che Satanasso non ne faccia rapina, come guardar la mi
debba da peccati, che gloria, che triumpho, se le aspetti dopo morte.
& ecco che non intendo altro che opinioni, che è composta di fuoco,
che è composta d'acqua che è di color purpureo, Tutta nel tutto, &
tutta in qualunque parte del corpo, che è seguace della complessione
corporale, che la non si cava dalla potentia della materia, ma che
ella se ne viene di fuori, & non dice donde, & che la si separa come
l'incorruttibile dal corruttibile: Vennermi a fastidio questi tanti
scaldabanchi, queste rabule, questi loquaci corbi, ne potei sofferir
di piu udirli, per il che, io mi diedi tutto all'investigatione delle
cose notabili, Dirò adunque come in Padova, & non in altra parte: hò
trovato huomini, & donne dotte:[73] non è adunque da maravigliarsi ciò
che si legge della dottrina di Probavaleria: di Eudoxia: di Nicostrata,
di Telesilla, & di Aspasia, ho parimente veduto huomini, & donne con
i capi di vacca: hocci veduto huomini in galline convertiti: Vi hò
conosciuto un Sperone formato da Iddio, non per isperonar giumenti, ma
per speronar la gioventu Padovana alla virtu, & alle buone lettere:
Io ci conobbi uno, che Frigendo melica era divenuto non men dotto,
che riccho già si divenisse in Piacenza un'altro per seccar melica:
vi conobbi un gentilhuomo ilquale vedeva le cose future, & non vedeva
le presenti[74]. Fu il mio albergo col gentilissimo S. Pio delli
Obizzi, per il cui mezzo, conobbi l'affabile, & gratiosa M. Lucretia
reloggia. Fastidito di star in Padova per la brenta già detta Meduaco,
mi condussi alla maravigliosa & possente Vinegia: Chi potrebbe ridir il
piacer ch'io hebbi in quella barca? Vi erano alcuni scolari Forlani,
c'havevano il capo sopra della berretta, piu furiosi di Athamante,
& di Oreste; Vi erano frati di color bigio, bianco, & nero, Donne da
partito, Barri & Giudei: I Scolari favellavano alla scoperta, senza
rossore, de carnali congiungimenti; i Frati se ne mostravano alquanto
schifi, & sorridevano facendo il bocchino della sposa. Le buone femine
girando gli occhi qua & la, cercavano di adescare i mal accorti: Eravi
un Giudeo, ilqual veniva allhora di Damasco pieno di arte maga, faceva
apparir gli huomini cavalli, Asini, Cani, & gatte. Fece apparir un
Lione, et poi mostrandogli un gallo lo fece incontanente sparire: egli
faceva arrestar gli uccelli nel mezo del lor volo: faceva venir i pesci
a riva: Sapeva la virtu di tutte l'herbe, haveva notitia di tutte le
lingue: Sapeva costui di arte Maga piu assai di Cetieo, di Dardano, di
Democrito, di Zoroaste, & di Gobria: suscitò costui un giorno pioggia,
si come anchora fece Arnupho egittio per abeverare l'esercito di M.
Antonio. Vi era ancho un Romagnuolo con una cetra, & si dolcemente la
sonava, che pareva un Iopa: un Philamono, un'Apolle, un Terpandro, & un
Dorceo: Giunsi finalmente nella miraculosa Città di Vinegia, della cui
edificatione, & aumento ne fu potissima cagione la rovina di Padova,
d'Altino, d'Oderzo, e di Moncelese già detto Acello, & di Aquileia
colonia de Romani, & capo dell'oriente. È opinione, che questi popoli
venessero in Italia con que Francesi liquali regnando Tarquinio Prisco
dettero il nome alla Gallia cisalpina: fa mentione Cesare di questi
Veneti ne suoi commentarij: Livio è di opinione, che sieno venuti dalla
Paphlagonia gente d'Asia, dopo l'incendio di Troia, è una natione molto
civile, dedita alli studi delle buone lettere, dedita alli acquisti
terrestri, et alli esercitij maritimi: Sono in questo mare pesci piu
saporiti, che in qualunque altro luogo, benche minori: stimasi esser di
ciò la cagione perche molti fiumi concorreno in questo Adriatico mare,
per la qual ragione anchora i pesci di Galipoli stimansi avanzare di
sapore, li altri scorrendovi dentro ventidue gran fiumi ispetialmente
il Dannubio, & il Tanai: Gode Vinetia un'aria felicissima, imperoche
la salsedine del mare, Calda essendo, & meno humida, genera una
temperatura molto opportuna alli humani corpi. Il flusso anchora &
reflusso purga l'aria, & se vi è cosa veruna di corrotto, la porta
nel mare. Quivi fermato essendomi, con intentione di starvi molti
giorni, incominciai à considerar attentamente gli ordini, & li costumi
loro, & fra molte cose grandimenti mi maravigliai intendendo da certi
vecchioni pieni di Reverentia, che mai questi Signori vollero armare i
popoli loro, & non piu tosto della propria militia servirsi: che della
straniera, nella quale sovente si sono trovati inganni, amutinamenti,
& tradigioni. Mi maravigliai intendendo, che nelle guerre, non
dessero alli lor capitani, le commissioni libere. Mostruoso mi parve
il vederci, Nani, grandi, Magni, piccioli: troni, terrestri, & non
celesti: Trivisani, Pisani, & Soriani, che non videro mai ne Trevisi,
ne Pisa, ne Soria: Notabil mi parve di veder molti Salomoni: ci trovai
Barbari latinissimi & humanissimi: Cicogne, di piu breve collo, ma
di miglior tenuta, che non sono l'altre: molti Garzoni, che passavano
sessant'anni: Tanti Marcelli, che tanti non ne vide Roma: non vide ne
anche mai tanti Lioni la Numidia, quanti n'ha Vinetia, i Barbi stanno
in terra, & non nelle acque. Sonci Balbi nel favellar ben espediti: Qui
non sono le mule sterili, ma feconde, come anche sono in Cappadocia,
& i delphini si veggono tramutati in huomini: i mori et le more non
sono nere, ma candidissime: Sonci de molti lombardi, che non vider mai
lombardia: Sonci piu savi che non hebbe mai la gratia, quelli furono
sette, & questi sono piu di duodici. Il mio albergo fu nella casa del
S. Benedetto agnello, dove molto volentieri me n'andai, & volentieri ci
stetti per essermi stato affermato da piu di dua, ch'egli era il padre
de virtuosi, & di perfetto cuore l'hospitalità esercitava, ne dal suo
volere discorda punto la sua honoratissima consorte. Trovai in Vinetia
un Siciliano ilquale, scriveva in un specchio d'acciaio, et quello che
nel specchio scriveva, ve lo faceva per reflesso, legere nella luna:
Faceva un sapone col quale si lavava la faccia, e poi con un stecco si
radeva sottilmente, & per molti giorni rimanevali la faccia odorifera
piu che ambra. Faceva apparire una mensa carica di ottime vivande, et
poi come fumo faceva ogni cosa sparire. Poneva un pezzo di Carta non
nata, ove erano scritte alcune parole ad una serratura, & incontanente
se li apriva ogni ben serrata porta: Cavava ogni grosso chiodo con i
denti, Convertiva in oro il rame, il ferro, il piombo, & finalmente
ogni metallo col spargervi sopra una certa polvere non piu veduta. Alla
presentia mia, et di tre altri fece parlar una testa di morto. Mentre
sono in Vinetia mi vien detto, che ci habitava il terrore de scelerati
principi, & il flagello de viciosi preti Pietro Aretino, lo visitai
piu d'una fiata, & parvemi vedere un'opra di natura piu che perfetta,
parvemi di udir una lingua possente à farsi amare, & temere, & farsi
tributarij sin alli estremi Morini, & li disgiunti Britani: conobbi
ancho in Vinetia l'oracolo di marte, dal qual correvano tutti gli
huomini martiali per farsi decidere le controversie dell'honore[75]:
Stato che io fui in Vinetia molti mesi, mi venne desiderio di gir pel
mondo, gran dolcezza sentendo sol in pensar ad alcune cose vedute,
duolsemi assai di dovermi partire di questa inclita città per molti
rispetti, ispetialmente dovendo rimanere privo di godere la dolce
conversatione della virtuosa M. Giulia Ferreta: & di M. Francesca
Ruvissa, laquale mi parve la Sibilla cumana, tanta sapientia & bontà
in lei scopersi. Egli è vero, & negar nol posso, che molte cose in
Italia mi piacquero stremamente, ma molto piu furono quelle, che mi
spiacquero, non hò scritto tutto ciò che veduto hò di mostruoso, ne
ho raccontato tutti i luoghi dove io fui: Hò pretermesso scrivere come
in Asti trovai huomini, & donne, che rane Cacavano,[76] & le piu male
balie, che veder si possano: hò pretermesso dire di quelli c'hanno
nella Mirandola i piedi d'oca, & portano del continuo le panze rase: ho
pretermesso d'haver veduto in Bologna una Medusa non dannosa come fu
quella anticha, ma gioveuole. Ho tralasciato d'haver veduto in Piuri
Lumache senza Corna, non con l'habitatione alle spalle, ne lente, &
tarde, ne suoi movimenti: Ho tralasciato d'haver veduto in Como, & in
Chiavenna salici fecundi, & non sterili: Se Homero n'havesse veduti
non l'havrebbe mai chiamato perdifrutto. Ho lasciato d'haver conosciuto
in Milano Cagnuoli,[77] che favellavano come se huomini suti fussero,
& molti pagani christiani: non hò detto d'haver veduto in Ferrara
Arriani; contro de quali non si faceva alcuna inquisitione, si come
facevasi contra de lutherani, nella qual città conobbi il bend'Iddio,
non per avanti conosciuto: non vi ho detto d'una Gattina, laquale
in Mantoa non pigliava sorci, anzi li temeva, li fuggiva, et n'havea
schifo, & haveva con le sue losenghe si fattamente innamorato di se,
un'abbate, che per transtullarsi con essa, non si curava punto di fama,
ne d'infamia, & spesso scordavasi il Breviario, et il Diurno: non paia
adunque favola, che Cratis pastor Sibaritano amasse già una Capra, poi
che un'Abbate, & di sangue illustris. si è invaghito di una gatta,
non vi paia maraviglia se Aristone Ephesio, amò un'Asina, se Fulvio
una cavalla, se Ortensio una Murena, & Ciparisso una cerva. Diro hora
di molte altre straniezze per le quali, l'Italia mi venne in odio, &
feci disegno partirmi: Io rimasi d'habitar in Bologna, veggendo starsi
fuori delle Porte la misericordia:[78] non volli star in Anchona,
veggendo che la Reina del cielo n'era uscita, & itasene à Loreto per
non star nell'Anchona, mi spaventai dell'habitar in Siena per timore
di non impazzire: già mi sentiva il capo formicolare, & se aspettava
la venuta di M. Agosto, per certo io dava la volta, ne so s'io fussi
piu ritornato, divenivo indubitatamente piu pazzo di Xenophanto, piu
di Mamacuto, piu di Cippio, e piu di qualunque Psillo dell'austro
vano combattitore. Non mi piacque il star in Firenze, parendomi mal
consiglio lo pormi nelle man de medici sano, & di buona voglia essendo.
Mi spaventai di star in Lucca, udendo, che ogni dui mesi, quando si
crea la nuova signoria, sia costretta giurare di oservar non so qual
statuto contro forestieri: Non hebbi cuore di fermarmi in Piacenza
havendo udito dir, che non sia buono, ne star sotto signor novello,
ne albergar con hoste, che novellamente hosteria faccia. Doveva io
star in Milano, vegendo, che la pace, le gratie: & gli Agnoli[79] non
osavano di starci, ma habitavano fuori delle mura? Doveva posarmi in
Genova dove la consolatione stassi in disparte fuori dell'habitato,
et ogni giorno si vorrebbe mutar stato: non è si volubile Vertunno,
ne si spesso mutasi il vento, come si muta il capo d'un Genovese.
Spiacquemi di stare in Brescia, dove a colpi di spada ci conviene
guadagnar la strada di sopra. Non hebbi cuore di stare in Bergamo
per le molte sottigliezze, che nel vivere, & nel mercantare si usano.
Spiacquemi il veder in Italia tanti Marchesi senza marchesato, Conti
senza contado, Cavaglieri, che non hanno ne cavalli, ne speroni, ne
stivali. Spiacquemi vedere, che in Italia le Signore havessero ardire
di scambiare alle lor damigelle il nome del Battesimo, & in luogo di
Catherina, Lucia, Margherita, Agata, Agnesa, & Appollonia, per fargli
sino ne i nomi belle, & lussuriose, le chiamano Cinthia, Flavia,
Fulvia, Flaminia, Camena, Sulpitia, & Virginia. Quanto mi sono io di
cuor maravigliato della lor prosuntione, parevami certamente fusse
risvegliata l'heresia de Pepuzziani; presso de quali (si come riferisce
il P. S. Agostino), erano solite le femine di battezare, & far l'uficio
di sacerdote: Parevami di esser in Caria, dove le femine barbute
fanno l'officio qual presso di noi far sogliono i frati. Brutta cosa
mi parve vedere li Italiani à si buona derata venuti, che alla guerra
vadino invitati, non da tre scudi, come era il consueto, ma spesso
tratti per tre Giulij. Brutta cosa mi parve, che ogni sciagurato si
voglia fasciare le reni di raso, & di veluto, ne stimarsi in Italia
chi humilmente si veste. Mi spiacque l'udir, che ogni Buffalaio, &
ogni bifolco giurasse a fe de gentilhuomo, & ogni vil putanella a fe
di gentildonna, & il veder pompeggiar sopra le facultà, ne in habito
esser differenti le donne honeste dalle dishoneste, i nobili dalli
ignobili, & ogni di mutarsi foggia di vestire, & cambiarsi le monete
con gran danno de poveri, che peggio è tosarli senza riportarne pena:
ogn'uno sa che in Mantoa ci sono i tosa beci, & non si puniscono.[80]
Spiacquemi il veder per forza por le fanciulle nei monasteri, et per
ogni lieve cagione condursi gli huomini in steccato, vedersi tanti
poveri impiagati per le strade mendicare: tante sette de Frati, &
de Suore: tanti Epicurei, tanti Sardanapali. Spiacquemi il veder le
donne farsi la bionda; et i capelli neri, con lor mal augurio fargli
simili alle fiamme, fargli di piu ricci, rappresentando i serpenti
che le circunderanno le tempie, quando saranno dal gran giudice alli
eterni supplicij destinate. Spiacquemi di veder l'Italia divisa in
tanti Signori. Spiacquemi vedere una Signora in Lombardia gloriosa
sovra modo, di haver animo di Reina, & non si avedeva, che putiva di
spelorchia, et viveva da mendica. Non poteva sofferire di vedere nella
lunigiana trenta marchesi ad un tratto sopra d'un fico per sfamarsi.
Oh come mi venne a noia il vedere in Arco, et in Lodrone due mila
conti, & un sol contado, molto stretto, & povero. Pensate poi, che
mi dovea parere vegendo i Marchesi di Ceva, e i conti di Piacenza, &
i cavaglieri di Bologna. Spiacquemi vedere in lombardia una Signora
ch'era pazza, & voleva esser tenuta savia: era vecchia, et voleva
esser tenuta giovane, era brutta, & sforzavasi di apparir bella. Se
io volessi racontar tutte le cose c'ho vedute degne di biasimo, non
ne verrei a capo in tre mila giorni. Risoluto adunque di partirmi,
chiamo Tetigio, & si li dico il mio pensiero, li manifesto la mia
deliberatione, pregandolo mi risolvi se egli vuol rimanere in Italia,
ò pur andarsene nel mio paese: egli mi rispose, che molto volentieri
nel mio paese se n'anderebbe, cosi risolti: li dico: Tetigio: Intendo
di volermene andar per il mondo à veder cose rare, tu ti rimarrai in
Italia, & voglio che tutta l'Italia scorri con la diligentia maggiore,
che ti sia possibile, & rechi nel paese nostro le cose ch'io ti dirò,
eccoti tre mila fiorini d'oro: se piu te ne sia bisogno: vattene da
parte mia al banco de Priuli: voglio per la prima cosa, che di Sicilia
mi adduchi due belle mule senza vitio (se possibil è di ritrovar mule
senza vitio) tre schiavi, due schiave, ma guarda sieno ben sani, &
nelle membra non habbiano veruno diffetto, non li toglier domestici,
ma selvaggi. Portami della seta di messina almeno cinquanta lire, &
della Manna di Calavria: cinquanta braccia di Dobleto da Catanzarro;
della Sargia, che si fa in Castro villere, & trenta lire della seta
di Mont'alto laquale è piu forte della Messinesa: vorrei venti braccia
della bambagina di Nardo, delli Coriandoli della costa di Malphi, del
Zafferano di Abruzzo: qualche insito delle olive di bitonto: portami
da Napoli dell'opre, che fanno que setaivoli, ispetialmente strenghe,
capelli, & borse fatte con l'aco, recami del Sivetto, del sapone di
Cervo, & de fiori di aranci, dui corsieri della razza del Re, ò di
quella del P. di Salerno: portami da Roma tre dozene di belle corone
per le nostre donne: torrai in Firenze due pezze di brocato riccio
sopra riccio, et due di tela d'argento, con dieci lire di quel filo
tanto sottile: portami di que fiaschettini lavorati con la seta,
che fanno le monache Fiorentine, & di quelle coseline, che fanno
i prigioni nelle stinche. Fammi havere ventisei braccia di panno
monachino, altretanto di perso: venti braccia di rascia, sei berrette
fiorentine per la state. Portami da Fabriano trenta risme di carta.
Da colle dieci dozine di palle. Da Urbino cinquanta piatti di terra
figurati. Da Bologna dieci fiaschi di vetro coperti di cuoio lavorato,
& cinquanta pallotte di quelle del Melone, & trenta braccia di velo. Da
Faenza, una credenza de piatti, & di scodelle di terra bianca. Portami
sei pezze di raso Luchese. Torrami in Ferrara due pezze di veluto
intagliato, & in Ancona tre pezze di ciambelotto, tre similmente di
Mocaiaro, due di zarzecano, dieci di Bedena, sei feltri: sei Tapeti,
cinquanta Cordovani di vario colore: in Genova due pezze di veluto di
tre peli: Di Sardignia addurammi un paio di cavalli per far l'amore.
Di Corsica voglio due paia di cani per guardia de nostri giardini.
compra in Cremona trenta braccia di Sargia: torrai in Brescia due
dozine di Forbici lavorati alla zimina, & due di cortelli, quatro paia
di Alari, o Cavedoni, che li vogliamo chiamare: torrai alla Scarperia
tre dozine di que ferretti da stuccio: In Modona venti rotelle: venti
Maschere: giunto in Reggio fornisceti di staffe, di speroni, & di
quelle opre fatte di corno, cioe calzatoi, di scriminali, corone,
anella, pettini. Se i speroni Rezzani non ti piacciano, pigliali in
Viterbo. Da Crema portami due pezze di tela sottile: compra in Mantova
dodici paia di calce di seta fatte con l'aco, & altri lavori d'oro, &
di seta. Di Milano sei corsaletti, sei celade: venti migliaia d'aghi,
cento paia di sonagli: venti sei braccia di stametto: & altre tanto di
Sargia pannata. Da Tortona sette vasi di Tiriaca: et dieci capelli di
paglia finissima: Da Seravalle, dieci buone lamme. Di Padova, trenta
braccia di quella Sargia cotonata: due Dozine di berette leggerissime:
venti paia di guanti, & per far razza di quelle Galline Padovane.
Da Vinetia venti specchi: cinquanta bicchieri di Christallo, & venti
tazze: trenta braccia di scarlatto: una pezza di veluto cremisino: sei
cassette di cipresso: dieci ventaruole di seta di vario colore: dodici
pettini d'avorio, venticinque braccia di damasco: qualche vasetto di
polvere di Cipri, & per profumar camere. Dato che hebbi questo ordine
inviai Tetigio alle facende & io mi posi in viaggio per gir come feci
errando. Credei (misero me) di starmi fuor di casa quattro, ò cinque
anni, & mi convenne starmi dieci, et per estrema fortuna gir di mare,
in mare vagando, & di regione in regione peregrinando, pareva che
Eolo, & Nettuno havesser congiurati ne miei danni: mai havemmo vento
che ci fusse benigno & propitio: piu di sei giorni quasi continova
pioggia notte & giorno ci bagnò il capo: pareva che le Pleiade et le
hiade fussero adirate con esso noi, non ci bastò l'esser sopra di una
nave che di securanza avanzava quella Argo, sopra della quale Iasone,
Tiphi, Castore, & Polluce andarno in Colcos per toglier il vello aureo,
avanzava la nave nostra di velocita Pistri, Centauro, Chimera, tritone,
& Gias, che tutte furono perfettissime navi & dalli antichi scrittori
celebrate. Non ci bastò l'haver nocchieri esperti piu che ophelte, piu
che Mnesteo, piu che Servio, piu che Carapo, piu che Amicla, et piu di
Peloro: che scorrer ci bisognò al dispetto nostro infiniti pericoli
maggiori: egli è vero, che dopo molte angoscie sostenute con assai
intrepida fronte: mi trovai lieto et contento d'haver si longamente
errato: parendomi di poter giustamente vantarmi, d'haver veduti piu
diversi luoghi, & piu maniere di costumi, che mai non vide ne Hercole,
ne il travagliato Ulisse. ho veduto li phrigij, quai afferma Herodoto
esser antichissimi, ne stette molto à veder gli Archadi, quai scrive
Apollonio nella sua Argonautica esser piu antichi della luna. Ho veduto
Parnaso, d'onde n'uscivano gia gli oracoli di Apollo, & acciò non mi
reputi alcuno bugiardo, darolli i contrasegni, egli è in Phocida, & è
ornato di due belle cime: hò veduto la selva Grinea, dove erano l'ombre
di quanti famosi Poeti furono mai al mondo: vi ci trovai d'alcuni
moderni Poeti l'ombre assai meste, & lagrimose, intendendo, che delli
lor poemi se ne facevano scartoccini da speciali, & da porvi dentro
le sardelle: ho veduto Colcos, & il fronzuto Idalio: fui per molti
giorni in Egira, ove si adorava l'amore, sotto un medesimo tetto con
la fortuna istessa: passai per Arcadia, ove si adora Aristeo, Dio del
mele, vidi in Tebe adorar l'Iddio Bacco, quasi che allhor io mi credei
d'esser traportato in Polonia ò in Alemagna: ho veduto presso delli
Elei, il tempio di Plutone, che si teneva perpetuamente chiuso: ho
veduto in Lampsaco, adorar il Dio Priapo, alquale l'asino si sacrifica
per grand'honore: vidi in non so qual luogo, mutarsi un'huomo, hor in
toro, hor in serpente, & molti ne vidi mutarsi in cervi, benche tal
metamorphosi spesso si vega in ogni luogo: mi son ritrovato dove la
bella Alcione si mutò in uccello, Calisto in Orsa Lyca in scoglio,
Myrrha in albero: Corone in cornacchia: Talo in perdice, Tereo in
upupa: & Tiresia in femina: fui costretto (misero me) di mangiar per
molti giorni un pane tale, qual fu il pane, rifiutato da Philoxeno
perche non si facesse notte a mezo giorno dalla negrezza istrema, che
in se haveva: et i prohemi delle cene nostre: erano radici amarissime:
ben sospirava io allhora il pane Padovano & i lumbi Vinitiani ma gran
ventura fu la mia, poi che si mal albergo fu incontanente dalla fortuna
remunerato, col farmi vedere gli orti di Alcinoo, liquali erano si
de vari frutti ornati, che appena l'uno era maturo, che l'altro vi
nasceva. Vidi non molto lontano, gli orti delle Esperide dove sono
gli alberi d'oro, et vidi il vigilante Dracone che li fa la guardia
perche furati non sieno. Vidi anchora gli orti di Adonide, & quei
nell'aria sospesi, che con tanto piacere in Assiria, & da paesani,
& da passaggieri si contemplano non so ben dire, se fusser fatti da
Cirro, ò da Semiramis: se nel venir in Italia vicino la Sicilia io udi
cantar le Sirene, hora le vidi, & insieme i stormenti ne quali cantano:
hanno il corpo di femina fino all'umbilico, il rimanente è pesce; le
ho anche udito chiamarsi per i propri nomi, una di quelle, che videro,
chiamavasi Aglaosa, Telcippoa un'altra; ve n'era una detta Pisna et una
ve udi per nome Iliga. La dolcezza del canto mi fece adormentare, & di
tal sorte, che io vidi li ministri del sonno, cioè Morpheo, Phabetore,
& Phanto, liquali mi parevano rasimigliarsi à certi miei amici, che si
lievano all'Alba de visconti, quando il Sole ci agiugne à meza gamba:
non debbo anchora narrarvi delle molte battaglie, che pel viaggio
vidi farsi da molti animali: la onde m'accorsi delle mortali nemistà,
che fra gli animali irragionevoli sono: vidi combattere eserciti
di cornacchie, & di nottole, di Nibbij, & de corbi, di aquile, & de
trochili di murene, & de congri, de delphini, & di balene, de cervi,
& de serpenti, de cameli, & de cavalli, di pecchie & de rondinelle,
& de formiche, & de sorici, & di salamandre, & de testugini, di
elephanti, & de dragoni, & di lacerte, & de lumache. Standomi un giorno
fra gli altri alla ripa del mare, aspettando si bonaciasse il tempo,
per ritornar (se possibil fusse) nella smarrita strada: vidi non in
sogno, ma chiaramente la Dea Thetis accompagnata da molte Halcioni:
dal cui lato manco v'era la dea Venere guidata da piu cigni, & da
molte columbe: dal lato dritto v'era Giunone, con una gran torma de
pavoni. Vidi poi Minerva con gran squadra di civette, che li andavano
avanti con riverentia, non molto lontano da lei, eravi Apollo con
grata compagnia de corvi, & de candidi cigni. Non si stette guari,
che mi apparve Giove con la sua Aquila in compagnia. dopo questa bella
veduta, abonacciossi il mare: si che n'andai commodamente à veder la
torre Pharia, le Piramidi del Nilo, andai dove era il tempio di Diana
ephesia: il sepolcro di Mausolo: il simulacro anchora di Giove olimpio:
& dove era già il Colosso del Sole di settanta piedi presso de rodiotti
con gran religione tenuto: ho veduto la casa di Cirro Re de Medi,
nella quale erano le pietre legate con l'oro: hò veduto il tempio che
à Giunone fece la reina Dido, et quel che fece Giarba re de Getuli à
Giove: un'altra nobil casa vidi non molto distante, copiosissima di
pretiose colonne, & de ingegnose statove di cedro fatte: non debbo
dirvi della casa del Sole, della quale ben si potrebbe dire, materiam
superabat opus. Ho veduto un teatro di trecento sessanta colonne,
la cui Scena, parte era di marmo, & parte di ben polito vetro: le
colonne inferiori erano di quarant'otto piedi, & fra le colonne vi
annoverai piu di trecento statove di bronzo, maestrevolmente fatte,
& era capace di settanta mila huomini: rassimigliavasi al Theatro di
M. Emilio scauro figliastro di Silla (per quanto mi sovviene della
descrittione) Hò veduto que quattro obelischi fatti si artificiosamente
dalli re di Egitto. hò veduto l'obelisco fatto da Ramise re di Egitto
di quaranta cubiti, che fu opra di venti mila huomini (sel vero mi
fu rifferito.) Ho veduto il Laberintho fatto da Dedalo, & un'altro
similmente nell'Egitto, con le colonne di marmore pario nell'intrare,
& le piu interne erano di marmore Sienito. Hò veduto i vestigij di
quella camera fatta da Alessandro Macedone, dove stavano cento letti
agiatamente, con le colonne d'oro, che sostenevano la sommità del
luogo, ch'era pur d'oro, nella quale stavano mille Persiani, mille
saetattori Macedonici, & cinquecento huomini con i scuti d'argento: &
nel mezo v'era un seggio d'oro, dove sedeva il sopradetto Alessandro,
con i suoi portatori di Sarisse: Compresi allhora chiaramente, che
dalle difficultà grandi, solite erano di nascerci molte consolationi
& infinite dolcezze: se tollerato non havessi patientemente, & senza
perdermi di cuore quelle tante fatiche che io tollerai, come sarei io
stato contemplatore di si memorabili cose? Hora essendo io da venti
qua, & la traportato: vidi una gran città piena di Ermaphroditi:
vidi li Arimaspi c'hanno un sol occhio: vidi li Arimphei giusti sopra
tutti i mortali, liquali stanno nelle selve, & pasconsi di Bacche: ho
veduto ancho un paese dove le femine sette figli ad un tratto sogliono
partorire, ne questo di rado accade, ma sovente volte: ho veduto alcuni
popoli, liquali usano di combatter co gli occhi chiusi, & altri che
maledicono, & biastemiano il sole, quando si lieva, & quando tramonta,
ne per nome alcuno fra loro si chiamano, & altri popoli non lontano
scorsi, liquali hanno dui estati, dui verni, & quatro solstitij: hanno
le mogli communi, & communi sono anchora le facultà fra di loro: vidi
in questo mio travaglioso viaggio, li Agriophagi, che si pascono di
carne de Lioni, & di Panthere, & li vagabondi Arthabati, & li Astomi.
perciò detti cosi, perche sono senza bocca, & di corpo molto pelosi:
vivendo sol di odore per lo naso ricevuto: hò scorso per gran fortuna
li Ethiopi hesperij, senza legge, & senza alcuno instituto viventi:
vendono i Padri li figliuoli per haver del formento da mercatanti: ho
scorso li Axoni, ho veduto presso delli Armenij, le nevi rosse, perche
adunque tanto si maraviglia Tullio di quel philosopho, che disse la
neve esser negra. ho considerato attentamente le usanze delli Assirij,
nel propor li infermi nelle vie publiche, acciò che da passagieri
ricevino consiglio, ho considerato li stravaganti costumi delli Abideni
e delli popoli atrij, tanto nemici de furti, delli asbiti, delli
adrimarchidi, delli besalti, & delli boristenidi da perpetuo freddo
tormentati: ho veduto li horridi Battriani, & li magnifici & splendidi
Persiani. ho ben considerato li corruttissimi costumi de Babilonici,
li rozzi Boetij, i religiosi Bithini, li sani Bragmani, gli inhumani
Berbici, li schifosi Budini, che de pidocchi si pascono: son stato fra
li Casiri & hebbi fatica à campare dalle lor mani, imperoche si pascano
de corpi humani. Son stato fra que popoli detti Ophiophagi perche
de serpenti si nodricano. Son stato fra li Choromandi huomini senza
voce, ma di horribil stridore, di corpo peloso, et de denti canini:
ho veduto femine partorir di cinque anni, ne vivere piu di otto; ho
veduto li Cauci, popoli settentrionali, che habitano case simili alle
navi, & sono gran mangiadori de pesci: ho veduto li Chelenophagi di
Carmania che viveno sol di carne di testugine: debbo tacere i Caspij, i
cureti, i Calcidensi, e la Caldea adoratrice del fuoco, et allo'ncontro
i Galleci che non adorano cosa veruna. ho veduto li sporchi Chij,
dalli quali nacque il proverbio CHILUS OMNIA PERCACAT. Ho veduto li
seditiosi Cercirci, li fraudulenti Cercopi, et li Crestoni, presso de
quali, ciascuno hà piu mogli: se fussero di tanta spesa à mariti quanto
sono le femine Italiane pur troppo n'haverebbono di una. Hò veduto li
Mitrati Cisti, li timidi, & effeminati Ciziceni, & li severi Derbici,
che ogni minimo delitto di dura morte puniscono: hò veduto li Essedoni,
liquali cantano ne funerali de lor padri. Ho veduto li Esseni,
astenenti di vino, di carne, & de feminili congressi, senza haver
fra di loro alcuna cosa di proprio: hò veduto li Epizefirij presso de
quali è pena capitale, per la salute del corpo à ber vino. Ho veduto li
superstitiosi Ephesii: & li Fanesii nell'oceano settentrionale, c'hanno
gli orecchi si grandi, che ne cuoprono tutto'l corpo. Ho veduto li
depinti Geloni, bevitori del sangue di cavallo, mescolato col latte:
Ho conversato molti giorni, col rigido Geta, col vagabondo Garamanto,
col nudo & selvaggio Gamphasando: con il Gimnosophista dell'otio,
& della pigritia capital nemico: con l'hiperboreo settentrionale,
indefesso cacciatore: con l'Eptacometa habitatore delli alberi, ò delle
alte torri: con l'hircano, che fa mangiar i suoi defunti da cani: con
l'Omolotta del bue amico, con l'inhumano Henioco, con l'Alizone di
Scithia gran mangiatore d'aglio, di cipolle, di lente & di miglio. Ho
veduto il ferino hibero, il dilicato Ionico, il fortunato Lothofago,
il Leuco, saettatore eccellente: il bellicoso Lacedemonio, il Lepreo,
nemico d'adulterij, il brieve Lacone, il giusto & hospital Lacano,
l'invidioso Lusitano, il lidio Taverniero & giuocatore di palla, il
lussurioso Lesbio, il libico cacciator di elephanti: ho conversato
con i Laciadi, con i Lirci, con i Massageti, con i Marsi domatori
de serpenti, con i Mandi che viveno di locuste, con i Menismini che
viveno sol di latte di cinocephali, con i Miconij vaghi dell'altrui
mense, con i Mosini che in publico mangiano, con i Masilli governatori
de lor cavalli, non con freno, ma con la sol verga, con i Molossi
cacciatori, con i Nasameni dottissimi nel saettare, con i Magneti
strenui domatori de cavalli, con i Mardi habitatori di spelonche; con
il Macedonico che non soffre che alcun si cinga se almeno uno de suoi
nemici ucciso non habbia; con il religioso Myso, con il Medo ottimo
cavalcatore, con il crudel Mosyneco, col soggetto Messenio, con il
tonduto Maco, con il Miniato Machylo, con il falso Megarese, con il
Melancleno, di veste nera ornato: con il Mendesio adoratore di capre,
col veloce Monomero. Ho veduto ancho il sfrenato Numida: ho veduto
il Norico ricco di ferro. Ho veduto l'indomabil Nervio, l'inhospital
Britanno del quale parlando Oratio scrisse. Visam Britannos hospitibus
feros. Ho cercato li Nabathei nell'accumular ricchezze giorno & notte
intenti: ho ricercato li Pelusioti, liquali nell'invecchiar della luna
si tondeno il capo, & guardansi come dalla peste di mangiar cipolle. Ho
ricercato le contrade de Cilici Pirrati, ho circondato tutta la regione
de Phenici che già tanta lode hebbe dal ritrovar le stelle, & le
lettere, con le arti belliche & navali. Ho veduto li Cubitali pigmei:
& li vivacissimi Pandori popoli dell'India, alli quali in gioventu i
capelli son candidi, & in vecchiezza si fanno neri, sono stato presso
delli unguentati & bevitori Parthi, liquali pasconsi di cicale. Ho
veduto li Agresti Paramesidi: vidi in questa mia longa peregrinatione
li Phaseliti popoli di Pamphilia, liquali sacrificano alli Dei di
certi pesciolini salati. Ho veduto li Pariani nell'helesponto, liquali
adorano l'amore per lor Iddio. Ho veduto li Pedalij, liquali ne lor
sacrificij altro a Dio non dimandano, salvo che giustitia: ho veduto
il feroce & lauto Pannone: ho veduto li Phigalei vicini alli Messenij
tanto vaghi del vino, che habitano nelle taverne & allogano le case
à forestieri: Ho veduto i Poltroni Rhegini, li industriosi Seri: &
quelli Sciti, c'hanno le case volubili sopra di carri poste: ho veduto
li Sauromati che si spesso cambiano stanza, habitano fra l'histro &
il Boristene: pratticai con li Suani, indomiti & cavatori dell'oro.
Se volessi dir quanti satiri m'habbia veduto sarei troppo prolisso:
non mi stendero molto in dirvi c'habbia veduto li ricchissimi Sabei,
ò li Sorboti che sono grandi otto cubiti non vi dirò d'haver veduto
li Sciopedi liquali dall'estremo calore si diffendeno con l'ombra
de piedi: ho veduto i Soriti, liquali viveno di pesce cotto al sole:
ho veduto l'efferato Svevo: ho veduto il leggier Siro & alla novita
di sua natura inchinato: ho veduto li Sogdij vicini à Bactriani,
liquali si lietamente corrono alla morte: ho veduto quelle donne
quai chiama Erodoto Selenetide che partoriscono uova, & di quelle
n'escono huomini di gran statura: Ho veduto i Sarabaiti sacerdoti
dell'egitto vestiti di pelli del porci, & de buoi, & habitano ne forami
delle pietre. ho veduto i Scriptovini gelati per le perpetue nevi,
i Spartani nemici dell'oro: & dell'argento, & amicissimi del ferro,
della qual materia sono anche li danari loro: ho veduto li popoli
Siginni, con i lor piccioli & pelosi cavalli: ho veduto li Samij, &
il gimnasio che dedicarno all'amore & mi sono ritrovato presente alli
sacrificij quai chiamano Eleutheri: ho veduto li amorevoli Sotiani & le
horride spelonche de Trogloditi: ho veduto l'isola Taprobana & sonomi
ammirato della lor vivacita poi che il campar cent'anni è si poca vita
stimato. Sono stato molti giorni con i Thraci, & mi sono riso della
lor fragil memoria, non sapendo annoverare oltre quatro: sono stato
presso delli Tentirithi, tanto da Cocodrilli temuti: Sono stato con i
Tapyri tanto altrui liberali delle lor mogli: Son stato presso delli
giusti Tybareni: son stato presso delli Thrausi, dove le femine sono
sopra modo innamorate de lor mariti. Son stato presso delli inquieti
Spagnuoli: de furibundi Galli, & de animosi Tedeschi. Son stato presso
delli Elusii, & delli Oxiomi di volto humanissimi, del rimanente poi
simili alle fiere: Se volessi scrivere quanto ho veduto, farei piu alto
volume che non fece Livio Patavino: stracco adunque di gir piu vagando:
deliberai inviarmi ver casa, dove giunto, fui lietamente da parenti &
da amici acarezzato; dil che sempre ne sia lodato Iddio, ilquale vive &
regna sin ne secoli de secoli. Amen.



NICOLO MORRA ALLI LETTORI.


Godi Lettore il presente Commentario, nato dal costantissimo cervello
di M. O. L. detto per la sua natural mansuetudine il Tranq. rincrescemi
che tu non lo possi godere, come il suo archetipo stava, impero che'l
rispetto n'ha fatto mozzar una buona parte, il sospetto un'altra,
et il dispetto ha fatto squarciar piu di tre fogli: Se ci fusse cosa
veruna che ti paresse Favola; sovengati della nave delle carotte nel
cominciamento. Io ti so ben dir come quello che familiarissimo li
sono, che non senza gran sudore ci hà dato questo parto, & gli è stato
mestieri di volger sossopra di molte & molte carte: Se in qualche
cosa ti parerà mordace, & furioso, & maldicente: habbili compassione,
perche egli era allhora in croce quando queste cose scriveva, & era
pieno di desperatione: havrebbe egli voluto poter rovinare tutto il
mondo, & certo s'egli fusse stato di vetro lo havrebbe piu d'una volta
spezzato. egli non si è curato di favellare ò di scrivere toscanamente
come hoggidi molti si sforzano di fare, ma piu tosto hà voluto scriver
nella lingua nellaqual nacque, oltre che fu sempre fin da fanciullo piu
studioso d'imitare la lealtà toscana, che la lor dolcissima favella,
de gli errori che sono nel stampare occorsi, perdona al stampatore,
perdona alla rozza & villa mano che lo scrisse da prima, & anche
perdona volentieri alla negligentia del correttore; ilquale haveva
allhora il capo pieno de grilli. Sta sano, & giudica candidamente,
pigliando questa picciola lettione per un passatempo. Di Vinetia alli
XXIIII di Settembre.



                                CATALOGO
                            DELLI INVENTORI
                             DELLE COSE CHE
                            SI MANGIANO, ET
                             DELLE BEVANDE
                             CHE HOGGIDI SI
                                 USANO.

                             COMPOSTO DA M.
                           Anonymo, cittadino
                               di Utopia.

                       CON PRIVILEGIO DELL'ILLU-
                         STRIS. SENATO VENETO.



                       AL VIRTUOSO, ET NOBILE S.
                      il S. Gioan battista Luzago.


Non potendovi mandar le novelle, che s'erano alli di passati ritrovate
sotto titolo di quel frate Cippolla, c'ha meritato d'esser lodato da
messer Gioan Boccaccio, vi mando il presente Catalogo, sotto vostro
nome publicato, & questo non hò già io fatto per dargli un protettore
contra di quelli, che sono piu pronti al calunniare, che all'imitare,
ne anche l'ho fatto per essercitar la vostra liberalità di sua natura
assai pronta à giovar chi n'ha bisogno; ma l'ho fatto sol perche vi
ho sempre conosciuto avido lettore di quelle cose dove io pongo la
mano: godete adunque questa picciola lettione, & quando l'havrete ben
goduta, fatene partecipi il generoso cavaglier Pompilio, & il molto
Reverendo signor Silvio; & qui facendo fine, à tutti tre di buon cuor
mi raccomando:

Di Vinegia alli X di Settembre.



                         CATHALOGO DELL'INVEN-
                        TORI DELLE COSE, CHE SI
                   mangiano, & delle bevande, ch'hog-
                             gidi s'usano.


Vivevano gli antichi nostri nella prima età, detta l'età dell'oro,
(vivevano dico) di giande: & delle frondi se ne coronavano le tempie:
Cerere poi, donna d'immortal fama & di eterno honore degna, ritrovò il
formento: & insegnocci à far il pane: Si visse longo tempo in Italia
di polte, si come in Grecia di polenta si viveva, & cosi fu incognita
la polenta in Italia, come anchora la polte in Grecia: Ennio nobil
poeta, descrivendo una gran fame dice, che i padri toglievano di
bocca à figliuoli l'offa, ne fa alcuna mentione di pane: habbiamo per
certo grande obligatione à Cerere, & non minore à Carmilia, laquale vi
aggiunse il fermento, perche facesse i corpi piu robusti, & ci porgesse
piu salutevole nodrimento: Facevasi già il pane à quella foggia, c'hora
si fanno i Caci cavalli: poi si ridusse in forma di schiacciata, se
è egli finalmente dato figura spherica. Papinio egittio insegnò à
mescolarvi l'aniso, & il burro, per farlo piu delitioso: longamente si
stette senza pistori: & era solamente opera di femine il far pane, & i
pistori erano detti dal pestare.

Hor volendo seguitare il mio Cathalogo, parmi d'avisare il lettore
della presente operetta, chel non si maravigli punto se non hò serbato
quell'ordine ch'egli forse havrebbe voluto: Io l'ho descritto di mano
in mano con quell'ordine, che ancho presso de vari scrittori mi è
accaduto di ritrovarle: non ho tessuto il presente Cathalogo dalli
scritti di un sol autore, ma forse di cinquecento; ne mai havrei
creduto, che di si picciola impresa non ne fussi riusciuto con minor
sudore, & travaglio di quel c'ho sostenuto. Hora perche l'opera
fusse non sol curiosa, ma anche insieme utile, non mi son contentato
di dir semplicemente gli inventori delle cose, che vi hò voluto
aggiungere l'utilità della cosa ritrovata, non diffusamente, ma sono
ito ristretto, quanto piu hò potuto, & dal pesce con favor celeste
incominciarò questa mia non inutile fatica.


Hirtia figlia di Sesostre Re dell'Egitto, la qual predisse al padre la
futura monarchia, fu la prima che mangiasse le Corniolette & le Tinche:
Una Lombarda le empi di aglio, & poi di soavi herbuccie.

Labissa di Boemia, divinatrice: fu la prima che mangiasse seguzzole,
ceppe, & Scolopendre: ma non le mangiò già si delitiosamente cucinate,
come hoggidi s'usa di fare.

Lementione: fu il primo che mangiasse Bottrici, & lasche, delle quali
molto n'abonda il lago di Perosa già detto Trasimeno, dove Romani per
temerità di Varro ne hebbero quella memorabil rotta.

Agomoncelo prefetto di Alessandro magno: fu il primo che cuocesse, & in
tavola ponesse il Schenale, et la Murena insalata: era costui di tanta
richezza & di tanto splendore, che si poneva sotto le scarpe i chiodi
d'oro.

Cleopatra l'ultima reina dell'Egitto: fu la prima, che ponesse in
tavola il Dragon marino, & il pesce Milvio: Apparecchiò costei una
cena ad Antonio, nella quale spese à conto di nostra moneta ducento
cinquanta mila corone d'oro: dal che si mosse Sidonio à chiamar le
sontuose vivande: Cleopatricas dapes.

L. Neratio scelerato (se altri ve ne fu à suoi tempi) fu il primo,
che ponesse in uso di mangiar scazzoni, pesce argentino, & quell'altro
pesce, detto da lombardi sputa pane: fa di costui mentione Aulo Gelio:
nelle sue notti attiche.

Cleope Re dell'Egitto, fu il primo che mangiasse Grancelli, Arcelle,
& il pesce Porco: fu costui ricchissimo, & per il smoderato spendere,
ispetialmente in far Piramidi si ridusse a tal termine, che puose la
figliola in guadagno, per acquistargli il vivere, & la dote.

G. Curione, tribuno della plebe, del quale si legge presso di Valerio,
che debito facesse seicento sestertij, fu il primo, che facesse marinar
il pesce, & si mangiasse il strenzo, & l'agone, la lumaca acquatica,
visse longo tempo solitario, & fu capital nemico delle donne.

Anchise menocchio: fu il primo, che mangiasse il Cephalo, & che sapesse
discernere, che il marino fusse migliore di quello c'habita ne fiumi:
è un pesce di sua natura sordido: Vedesi per tanto, nell'alto mare
spesso sommergersi, & diligentemente lavarsi: pochi pesci si trovano di
maggior numero: & questo avviene per il rispetto, che si porta all'uova
loro.

Ruffo castricio: fu il primo, che n'insegnasse à mangiar le conchilie,
delle quali molto n'abonda Lucrino, il mar rosso: & Bibaga Isola
dell'india amenissima.

Menade troiano: fu il primo, che mangiasse il Congro, non inferiore di
sapore all'anguilla; ma di carne assai piu soda, di figura però simile
all'anguilla: Plinio lo puone fra i pesci sassatili: & acciò che meglio
io sia inteso, dico che è quel pesce che Nicandro chiama grillo.

Archigenio Euboico: fu il primo che mangiasse quel pesce detto Coracino
peculiar molto nel Nilo: è un pesce, che frequentemente move gli occhi:
ne fa mentione Martiale: dicendo, Princeps niliacis raperis coracine
macellis: Pellæ prior est gloria nulla gule.

Menandro Trotenio: fu il primo, che portasse alla cucina il pesce
chiamato Cordilla: del quale parlando Martiale disse: Ne nigram raptus
in culinam, Cordillas madida tegas papyro.

Mascronico da torsi: fu il primo, che cucinasse il pesce Corvo:
il quale si pasce d'alga, partorisse due volte l'anno, & ha questa
proprietà, che nel mare è di color fulvo; & ne stagni, è di color
negro, cuocesi nell'aceto, aggiuntovi molto sale.

Nello Brentio: fu il primo, che mangiasse Gamberi: ritrovasene in
phenicia che habitano i liti, & sono di tanta velocità, che non si
possono aggiungere: cuocesi col pepe, & con poca acqua, & molto sale.

Mutio marello: fu il primo, che n'insegnasse mangiare di quel pesce
detto per nome Cestreo: ilquale ha questa proprietà, che esso solo
non mangia dell'altro pesce; onde ne nasce, chel non si possa pigliar
con l'esca, nascondesi nel fango, & di quel si pasce, credendosi come
s'ha nascosto il capo d'esser tutto nascosto: il Congro è molto vago
di mangiarlo, si come la Murena è vaga di mangiare il Congro, & acciò
che meglio sia cognosciuto, dicovi che è quel pesce che Theodoro gaza
chiamò in latina lingua Mugile.

Caridemo pannicio: fu il primo, che mangiasse quel pesce, che si chiama
Ciprino: stassi ne fiumi, & hà in luogo di lingua il palato molto
carnoso: ma non trovo in qual maniera sel cucinasse.

Belluzzo indiano: fu il primo mangiatore di quel pesce detto Cantaro
ilquale è della sua femina si geloso amadore, che per lei combatte
fin'alla morte, & è cagione quest'amore, ch'egli divenga spesse volte
preda de pescatori.

Carminio Tolosano: fu il primo, che mangiasse quel pesce detto da
volgari Canna: & dal dotto Theodoro è chiamato Hiatula: è di carne
molto molle, & per questo lo cucinava con l'aglio, & col zenzero,
cuocendolo nel vino per indurirlo.

Tiridate Armeno: fu il primo, che mangiasse il pesce detto Ceto, e
questo pesce di strema grossezza nel mar Atlantico: n'ho veduto et
mangiato di quello che era seicento piedi di longhezza. & trecento di
larghezza: & lo vidi entrar nel fiume dell'Arabia, adunque non senza
ragione (poi che sono si grandi) disse Statio Armigeri Tritones eunt,
scopulosaque cete: & un'altro scrisse, & Imannia Cete.

Telephane: fu il primo, che mangiasse il barbo, il quale fu detto
barbo, per haver egli la barba nel labro inferiore: Chiamasi per altro
nome mulo: la onde si mosse M. Tullio à chiamare alcuni barbatoli,
Muli.

Tericle da corone, fu il primo che mangiasse di quel pesciolino detto
Boca, ilquale manda fuori la voce simile à un mugito, adunque diremo
non esser vero il proverbio: è piu muto, che non è il pesce.

Vatinio malleno: fu il primo che mangiasse il carpione, & non lo
mangiava mai caldo, ma freddo: è di pretiosissimo sapore nel lago di
Garda, dannosi ad intendere i gardesani, che altrove non se ne trovino,
ma io so che s'ingannano, imperoche n'hò mangiato in schiavonia, & in
Francia de si buoni, quanto sieno li loro.

Harmonida: fu il primo, che mangiasse di quel pesce, che noi chiamiamo
citharedo, ilquale fu cosi chiamato perche dalla coda infin'al capo, hà
certe linee à guisa di musical stormento: trovassene gran copia nel mar
rosso.

Calonio trombetta fu il primo, che mangiasse l'acipensaro, ilquale hà
questa proprietà chel se ne va contra l'acqua con le scaglie alla bocca
rivolte: fu egli già in grandissima reputatione, & spesse fiate per la
sua rarità fu desiderato nelle sontuose mense di Claudio, di Tiberio,
di Vitellio, di Galieno imperadore, & di Eliogabalo: ch'egli fusse raro
lo dimostra M. Tullio ne libri di Fato: et non men chiaro lo dimostra
Plauto: di questo nobile, & saporito pesce, ne favella Martiale, cosi
dicendo. Ad Palatinas accipensera mittite mensas. Ambrosias ornent
munera rara dapes: mi maraviglio di Plinio, che dica al suo tempo esser
stato tenuto fra li pesci ignobili.

Stasicrato Romano: huomo infinitamente goloso, fu il primo che
mangiasse l'asola: che per altro nome si chiama Crissa: ma le piu
lodate sono quelle, che si trovano nel tebro.

Phereclo da sessara, fu il primo, che cucinasse il pesce attilo,
ilquale s'ingrassa per la pigritia, trovassi molto nel pò; & alle volte
se n'è pescato mille pesi: & è stato di mestieri trarnelo con i buoi.

Perillo: fu il primo che mangiasse l'orata: & Sergio fu il primo che
n'habbi instituito i vivai, donde anche ne prese il nome, & chiamossi
gergio orata: è simile al color dell'oro, & è il piu timido pesce
che si ritrovi: nascondesi nel reflesso del mare sotto le radici
degli alberi littorali: spaventato poi dall'agitatione delle frondi.
si lascia prendere: usa il coito col fregar del ventre & concepisce
l'uova: Le migliori, che si mangino (al mio giudicio) sono quelle del
lago Lucrino: Parlonne Martiale, & disse: Non omnis laudem prætiumque
aurata meretur.

Nicearco: fu il primo, che mangiasse l'anguilla, & cosi chiamasi per
la sembianza, che ha con l'angue. Solo l'anguilla morta non nuota fra
tutti i pesci: Vivono per spatio d'otto anni, & possono durar senza
star nell'acqua per ispatio di sei giorni: Vogliono l'acqua limpida,
& che fluisca & refluisca: la state non soffrono mutatione di luogo:
la vernata si: sene trovano, & io l'hò vedute nel fiume Gange, di
trenta piedi: Aristotele dice nella sua storia non esser ne maschio,
ne femina: Sono frequenti (si come Plinio mi dice) nel Benaco: pur le
migliori sono quelle del Timavo.

Il primo che mangiasse la Mustella pesce simile all'anguilla: fu
Basilio corcirense.

Del mangiar le Arenghe fu l'inventore Meleagene: è un pesce, che di
sola acqua si nodrisce: di lui ne trovo memoria presso di Columella, &
di Martiale.

Del mangiar l'Aphia fu l'inventore Arcesilao: è un pesce minuto,
generasi d'acqua, & di pioggia: Ecci il proverbio tra quelli che
Diogeniano raccolse: Aphia in ignem: non appena veduto hà il fuoco che
è cotto: Usasi tal proverbio quando vogliamo significar una cosa che
subitamente muoia, & si consumi.

Il primo che mangiasse le Mene fu Demetrio Albanese: questo pesce è
picciolo, la vernata è candido, & l'estate nero.

Del mangiare il Gobbio: fu inventore Damone Atheniese: è pesce di
eccellente sapore, ma di pochissimo nodrimento: vene sono di due sorti,
bianchi, & neri, ma il bianco è migliore: quanto fusse pel passato in
reputatione, cel mostra Giovenale, dicendo. Ne cupias mulum cum sit
tibi Gobio tantum, & Martiale scrisse: Principium cœnæ Gobius esse
solet: gode molto dell'Arena, & del starsi in compagnia; si che non
immeritamente è posto fra i pesci gregali.

Il primo che mangiasse l'oligine fu Termilio provenzale, è fra i pesci
molli.

Del mangiare il pesce Garo: fu inventore Zenodoto da Smirna: Scrive
Plinio, che il fele di cotesto pesce, & fresco, & invecchiato, col vino
è utilissimo alle sorde orecchie.

Sinesio Cirenense: fu il primo che mangiasse la Lampreda, & di tal nome
fu chiamata, per esser avezza à leccar le pietre.

Erodoto Cipriotto: fu l'inventore di mangiar le Testugini, che viveno
nell'acqua dolce: i Latini le chiamano Lutarias testudines: et i Greci
le chiamano emidas.

Il primo che mangiasse il Lacerto, fu Orlio Normano, è pesce attissimo
da salare, se ne veggono de grandi nella Arabia, ma maggiori sono
quelli dell'india.

Labieno dorico: fu l'inventore di mangiare il Lupo pesce: dalla
voracità sua, & dal nuotar solitariamente cosi detto: quel de fiumi è
miglior del marino: i piu eccellenti si pigliano nel tevere, fra dui
ponti, hà mortal nemistà col mugile, i migliori hanno la carne molle: &
candida come neve.

Polibio di Megara fu il primo inventore di mangiar il Pectunculo: è un
pesce senza squame: Gelio annovera fra li eletti et preciosi cibi, il
Pectunculo di Sio. Pur per quanto hò io gustato, sono migliori quelli
di Metelino: Oratio da la palma à quei di Taranto dicendo: Pectinibus
patulis iactat se molle Tarentum.

Il primo che mangiasse Testugini fu Archelao da Smirna, giova questo
cibo molto alli Tisichi, lienosi, et à quelli che patono il mal caduco:
& bisogna mangiarne assai ò niente.

Diogene fabro di Egina: fu il primo, che portasse in tavola quel pesce
detto da latini pediculus: è veramente (come si dice) il parasito del
Delphino, seguitando l'esca & la preda di quello, & volentieri ne lo fa
partecipe, & di qui nasce che sempre si ritrovano grassi.

Iasone Salamino fu l'inventore di mangiare la passera: è un pesce
piano, & dall'uccello prese tal nome: è ottimo cibo, & à golosi grato.

Archelao da Lisbonara, fu il primo mangiatore del Rombo: è anch'esso
piano, ne molto dissimile dalla passera: & fu già in maggior delitie
c'hora non è: i piu lodati erano quei di Ravenna, et davasi il secondo
luogo alli adriatici: ne parla Giovenale nella quarta Satyra: cosi
dicendo: Incidit Adriatici spatium admirabile Rhombi.

Il primo che mangiasse le lumache terrestri, fu Cheroso da Melara,
Festo Pompeio dal limo, limoci le chiama, Fulvio Hirpino fu il primo
che ne facesse i vivai, & le ingrassava col farro, & con la sapa.

Glauco petricono: fu il primo che mangiasse la rana: vi sono delle
terrestri, & delle acquatice: le terrestri, chiamansi da latini Rubetæ:
le acquatili usano il coito di notte, invitando il maschio la femina
à uscir dell'acqua sul lito: nell'isola Seripho, sono tutte mutte, ne
possono con il lor gridar significarci la futura pioggia (come fanno le
nostre) Theofrasto attribuisce tal accidente, alla smoderata frigidità
delle acque dove habitano.

Optato Heliptio prefetto dell'armata sotto Claudio principe, fu
il primo che mangiasse il Scaro: Lo portò dal mar Carpathio, & lo
disseminò tra il Seno d'hostia, & di Campania: hebbe già pel passato
grande honore nelle mense: Eliano lo chiama salacissimo, & fuor di modo
lussurioso: chi ne vuol far preda, pone la femina nel lito, & egli
per amore che le porta, doventa facilmente prigione: Scrive Opiano,
che solo rumina l'herbe, & nuotando si pasce: Scrive Suetonio, che i
fegatelli, & le viscera de Scari, erano nel piatto di Vitellio fra le
prime delitie, dove similmente erano mescolati cervelli de Fagiani,
& de pavoni, con lingue de phenicopteri, è un'ucello che ha le penne
rosse, la cui lingua stremamente lodano Apitio, & il goloso Martia.

Phrinonda Tebano: fu il primo che mangiasse il Scombro: è di questa
proprietà, che nell'acque egli hà il color sulphureo: & fuor delle
acque, lo ha simile alli altri pesci: ecci un'Isola in Spagna, laquale
si chiama scombraria, dalla moltitudine di questo pesce: ne confini di
Cartagine, per il testimonio di Plinio vi si trovano i migliori.

Anasarco Cipriotto: fu il primo, che mangiasse il Salmone: è questo si
perfetto nell'Aquitania, che è preferito il fluviatile al maritimo: Se
ne trovano de buoni nel Reno, & così nel Rodano.

Democrate Troiano fu il primo che ritrovasse la Salpa, laquale cuocer
non si pò, s'ella non è percossa molto bene dalla ferula.

Alcimenone Atheniese: fu il primo, che mangiasse il pesce Sola: è un
pesce piano & largo, & numerasi fra i piu dilicati cibi: sana la milza
se egli vi sia sopra posto.

Dimanta Corfuotto: fu il primo, che mangiasse le spongie, & è da
sapere, che ve ne sono di tre sorti, spesse, rare, & aspere: tutte
nascono però à torno à sassi, ò vicino alle riviere, & si pascono di
lotto: le piu molli l'ho ritrovate circa la Licia: in l'Elesponto si
trovano le aspere, & le spesse habitano circa il promontorio di Malea:
le piu triste sono quelle che si chiamano aplisie.

Aristodemo di Argo nobile architetto: fu il primo che mangiasse
strombi: sono di schiatta de conchilij, et hanno un Re qual sogliono
seguitare dovunque egli va, è di buono augurio à chi li piglia, & à
chi lo vede: Hò letto, che apresso de Bizantij si proponea una Dracma
attica a chi ne pescava.

Thrasea stoico severissimo fu il primo, che mangiasse la Squatina:
è della sorte de pesci piani: ha la cote rigida, è numerato fra
i Cartilaginosi: vogliono alcuni scrittori li quali prima di me
trattarno cotal materia (benche piu parcamente) che costui anchora
fusse l'inventore del sparolo: è un pesce picciolo, & vile, ne parla
Martiale, dicendo: Res tibi cum Rhombo est, at mihi cum sparulo.

Il Temalo da Latini detto Thymallus, fu prima mangiato da Cassandro
Epirota, La maggior grandezza è d'un cubito, è mezano tra il lupo, &
il cephalo: sel si accosta al naso, egli spira l'odore di quell'herba
donde ne prese il nome: habita nel Tesino, & nell'Adige: è bello da
vedere, & soave da mangiare: di lui favellando un nobilissimo scrittore
disse: quod mella fragrant, hoc tu corpore tuo spiras.

Quirino Capovano: fu l'inventore delle Trisse, c'hoggidi à Roma si
chiamano laccie: & à Napoli alose, le migliori sono quelle del tevere:
Scriveno alcuni non indegni d'esser posti fra i primi scrittori, che
nell'egitto attorno il stagno di Moroa, si pigliano con melodie, &
canzoni flebili.

Sisipho di Achaia ladron solenne: fu l'inventore di mangiare il Tonno:
solito è questo pesce navigar la primavera nel ponto Euxino. Scrive
Strabone, che in ispagna sono di strema grandezza, & che si pascono
di giande: il capo & la pancia soleva mangiar freschi, & il rimanente
conservava nel sale: ingrassansi mirabilmente, ne campano piu di dui
anni.

Theseo bizantino, che fu mediocre poeta, fu l'inventore di mangiar
tricchie, quai chiamano alcuni Sarde: Di questi parlandone Plinio
scrive: Intrantium Pontum soli Trichiæ, non remeant.

Titto Valgio Romano: fu inventore di mangiare il pesce rondine, il
pesce tordo, il pesce calamaro, le trotte, & le Agulie, & i lucci, il
fele de quali, giova alla vista, & forse, che fu detto luccio, perche
giova alla luce.

Emilio lepido: fu l'inventore di mangiar le agole, le boggie, & i
cavedoni.

Asmondo bertono, fu il primo che mangiasse la gobetta, il dentale, & il
sturione.

Callimaco da Granopoli: fu il primo che cuocesse il pesce, sulla
craticola, bagnandolo d'olio d'aceto, et di sale, hor con la salvia, &
hor col ramarino.

Philone Dalmatino fu il primo, che ponesse, et mangiasse il pesce in
gelatina, mescolandovi per dentro delle frondi dell'alloro, et per tal
inventione ricco divenne.

Phormione Affricano, perfido ladrone, fu l'inventore d'insalar il
pesce, al medesimo si attribuisce, che primo insalasse l'oche, &
l'altre carni, ma certo non ne sono, & però taccio.

Gasperia comasca femina virtuosa & pudica (si come à nostra età
sogliono esser quasi tutte le donne comasche) fu la prima che empisse
alcuni pesci di herbe, di marasche, di uva passola, di aglio, & altre
cosarelle.

Hippodamia Rauraca, fu la prima, che cuocesse il pesce hor nel vino,
hor nell'aceto, & che vi accompagnasse il petrosello, le noci, & la
Sapa.

Sabino Galla fu il primo facitore de pasticce cosi di venagione, come
anche di carne domestica: Il figliuolo poi che di lui nacque, & fu
cuoco del Re Clodoveo: fu il primo che facesse pasticci di cotogne, di
pera, di marasche, & d'altre cose.

Gasparone da velitri musico perfetto, fu il primo che mangiasse
piccioni di sotto panca, conservasse la carne, & gli uccelli,
ispetialmente le quaglie, & le starne nell'aceto.

Clemente da Chiavari, fu il primo facitore de migliacci, & fu il primo
che mangiasse franguellini, lucarini, & la squassa coda.

Menippo da Sessa legnaiuolo, fu quel che ritrovò il mangiar brasuole,
& soppressate, il mangiar splecco, & le trippe di capretto con cacio,
petrosello, & spetie dolci.

Montino da Cesenna picicaiuolo, fu il primo, che mangiasse polpette nel
schidone, entroponendovi lardo, spetie, salvia, & aglio.

Flavio montello scarpolino, fu il primo che introducesse nelle tavole
il cuocere la carne ne tegami, con prune, marasche, pera, & altre cose
atte ad eccitar lo appetito a un morto.

Phoco albanese soldato valoroso, fu l'inventore di mangiare la
frigilla, che in alcuni luoghi d'Italia, chiamasi il frinco, da
latini fu detta Frigilla per il freddo, nelquale è solita di cantare:
habita l'estate ne loghi caldi: & la vernata ne freddi: del medesimo
stimasi l'inventione della Folega: habita questo ucello vicino a
laghi & dal colore ch'essa ha fulica fu chiamata: è alquanto maggiore
d'una columba: è presaga della tempesta: è di tanta importanza questo
ucello, che ha meritato che di lui favelli Vergilio nel. I. libro della
Georgica.

Il primo mangiator del capone fu Melanthio soriano: s'ingrassano col
mele mescolato con la farina di miglio.

Il primo che mangiasse l'ucello detto la Cassita fu Corebo di
Marsiglia: fa il nido nelle biade, in quel tempo apunto che si
apparecchia di far la messone.

Albidio Siracusano fu il primo che habbi mangiato il gallo, ilche
davanti non si fece per la gran riverenza, essendo messaggiero della
futura luce, gratissimo a Latona, per esser stato a suoi servitij,
quando ella partori, fu di piu carissimo servidore di Marte, & in
questo ucello fu per ira tramutato, non essendo stato vigilante a far
la guardia mentre teneva Venere fra le sue braccia: la favola è nota,
ne fa (per quanto credo) mestieri che in questo luogo piu diffusamente
ve la spiani. Scrive Lucretio che i lioni n'hanno gran paura: a me non
s'appartiene a dirne altro, salvo chi sia stato l'inventore di porli in
tavola cotti: chi ne vuol saper distesamente, legga il terzo libro di
Varrone, nel nono capo.

Palemone Alessandrino, fu il primo che mangiasse la Galerita, cosi
detta dal galero, che l'ha in capo. Scrive Plinio, che se ella si
mangia arrostita sanarsi incontanente il difetto del Colon dove si
causa il dolor colico.

Formiano Messanese, fu il primo che cuocesse et mangiasse galline.
Scrive Alberto magno essersi ritrovato in Macedonia una Gallina laqual
fece diciotto uova, & di ciascuno ne nacquero dui pulcini. Scrive
Plinio che le galline di villa hanno in se religione & molta.

L. Tigellino Epirota fu il primo che mangiasse la merla: suol questo
ucello di negro diventar di color rufo: canta la state, & la vernata
balbutisse, & circa il solstitio divien in tutto muta: partorisce due
volte l'anno, & ama stremamente il tordo.

Licinio florido fu il primo che mangiasse perdici, lequai sono sopra
modo lussuriose: sono consacrate a Giove, & a Latona: le perdici della
Paphlagonia hanno dui cori (se il vero dice Theophrasto) & s'impregnano
sol in udir la voce del maschio.

Novellio Cresta fu il primo, che habbi mangiato palumbe: elle viveno
trenta anni, & infermando si purgano con l'alloro: fanno i lor nidi ne
gli alberi & nelle sepi.

Ortensio Romano nobilissimo oratore fu il primo che amazzasse il
Pavone, solito di vivere sino a vinti cinque anni. È uno essempio
d'invidia, & di vanagloria. Il Pavone di Samo è reputato il piu
dilicato. ama le columbe. Essendo Alessandro in India, vidde il Pavone,
& rimase tutto attonito di tanta bellezza: per il che comandò che niuno
havesse ardire d'amazzarlo.

Agamontino Persiano fu il primo che mangiasse fagiani: liquali presero
il nome da phasi fiume di Colchi. sogliono morire da pidocchi mangiati
se non si spolverizano ottimamente.

Spondillo calabro fu il primo mangiatore de tordi, liquali fanno il
lor nido nelle sommità de gli alberi. sono loquacissimi & grandemente
sordi: di modo, che ne ha fatto luogo al proverbio, piu sordo che non
è il tordo. sel si arrostisse con le bacche di mortella, giova a la
dissenteria mirabilmente.

Quirino Sabinello fu il primo che habbi mangiato Tortore, lequali
sono molto amiche de Papagalli, & amiche di castità. Al medesimo si
attribuisce l'haver prima d'ogni altro mangiato francolini, & pavoni di
India, dellaqual cosa n'andò longamente altiero.

Taigeto rodiotto medico eccellente fu il primo che mangiasse la Lodola,
da greci detta corydalus, vogliono Plinio & Svetonio ch'ella desse
il nome a la legione detta Alauda, della quale fa mentione il mio
M. Tullio scrivendo ad Attico. Ve ne sono di due sorti, l'una ha la
cresta, & l'altra n'è senza, & è di minor corpo.

Apidano Cretense fu il primo che mangiasse l'ucello detto Apiastra:
perche si mangia l'api molto ingordamente.

Pelusio Normano fu il primo mangiatore di quello ucello detto da latini
Ardea: & parmi cosi detto quasi ardua, per l'altissimo volo ch'egli
fa. Fa di questo ucello mentione Vergilio dicendo, Notasque paludes
deserit, atque altam supra volat Ardea nubem: prenuntia ne le arene
stando la futura pioggia, & cosi fa quando troppo alto vola.

Cattheo da Pisa architetto espertissimo fu inventore di mangiar
l'attagena, ucello Asiatico, & annoverato da golosi fra i piu dilicati
cibi. Sono piu saporiti quelli che nascono in Ionia. Ha questa notabil
proprieta, come è fatto prigione diventa subito mutolo.

Alessandro Etholo poeta fu il primo che mangiasse l'oca, la cui natura
è di calidissimo stomaco, & percio la veggiamo vaga di herbe fredde, &
dalle acque irrigate: & anchora che di pascer herbe & varie frondi vaga
sia, non tocca pero mai l'alloro. Lodossi gia il cuor dell'oca fra i
lodatissimi cibi. Scipione, o Metello, overo Sessio, che fra questi tre
batte la cosa, fu il primo che ingrassasse i fegati con il latte, & con
il vin cotto, & che se li mangiasse.

Pelione Thesalo: fu il primo, che mangiasse que uccelli detti
Alectoridi: sono di becco longo, pigliansi nelle sepi degli orti, &
delle vigne: n'è cagione il troppo amore che portano all'huomo.

Callibretto di Smirna: fu il primo, che mangiasse l'anitra: egli è ben
vero chel non soleva mangiare salvo che il petto, e quella parte che
noi chiamiamo la cervice: infermando, soglionsi purgare le anitre con
un'herba detta siderite: le pontiche, si pascono di veleno.

Theramene mitileneo, fu il primo che mangiasse Cicogne: Scrive Cornelio
nipote al tempo di Augusto esser stato in maggior pregio le cicogne,
che le gru: ma che poi al tempo di Vespesiano mutossi appetito &
cangiossi voglia: non hanno lingua, & sono da Thessalli nodrite contra
i serpenti: Scrive Eliano, che per beneficio delli dei in alcune isole
sono in huomini tramutate: solevasi scolpir l'imagine sua ne regali
scettri, per manifestare la pietà, & lindustria di che natura le ornò:
Sogliono nodrire i parenti quando sono invecchiati, ne più per lor
stessi si possono procacciar il vitto: havendo da combattere contro de
serpenti, soglionsi fortificar con l'origano.

Gavro perizone da Sio: fu il primo che mangiasse coturnici: non durò
longo tempo la gratia loro, nelle nostre mense, poi che ci fummo
aveduti, che elle si pascevano di velenoso seme, & che solo fra gli
ucelli era soggetta al mal caduco: fanno il lor nido nelle biade, ò
vero ne luoghi graminosi.

Lucio neratio da Metelino fu il primo, che asaggiasse del columbo: è
consecrato à Venere, ne usa il coito, sel non manda prima avanti il
bacio: Serba fede nel matrimonio: infermando, purgasi con un'herba
detta helsine: Ama grandimente i Pavoni, et odia l'aquile, & li
Sparvieri: Al medesimo inventore si attribuisce d'haver prima de gli
altri mangiato il beccafico.

Diomede Pescennio: fu il primo, che mangiasse starne fresche, Taine,
Erbolane, Cedroni, Mulacchie, Fatapij, Passere, Barattoli, Germani,
Farciglioni, Avelie, & Capitorzi, fu molto virtuoso in tutte le virtu.

Nello farullo: fu il primo c'habbi mangiato il botaccio, il Sassello,
la merla aquaiuola, il pettirosso, il piombino, il pescadore, la
rovesta, la scaverciaccia, la Calandra, il monacho, il Calenzuolo
ucello dalla natura indorato.

Sisigabo: fu il primo che mangiasse la Spaiardola, il riatolo, il
codirosso, & il codilungo non sol arrostiti, ma anche nel tegame.

Tiro da Forlimpopoli: fu il primo che mangiasse l'Oca marina: fu anche
il primo c'habbi arrostito la gru nel schidone, et credesi esser stato
il piu tristo huomo che mai terra premesse.

Petronio galeso: fu il primo huomo che mangiasse mai Ghiri: Sonvi però
alcuni, che attribuiscono cotesta inventione a Q. Scauro: dormeno i
Ghiri tutta la vernata, & l'estate ringioveniscono: inducesi presso
di Martiale à favellare in cotesto modo: Tota mihi dormitur hiems, &
pinguior illo tempore sum quo me nil, nisi somnus alit.

Phereciano di Thessaglia: è stato il primo, c'habbi posto i capretti
intieri su le tavole, arrostiti, & di aglio, & di petrosello pieni.

Camillo da Venaffro: è stato il primo, che facesse mai insalata delle
interiora de polli: Al medesimo si attribuisse d'haver prima d'ogni
altro mangiato le coradelle minucciate con cipolle per dentro et buone
spetie.

Cucculo da Granopoli: stimasi esser stato il primo, che mangiasse mai
pasticci, ò vero paste: fannosi à questo modo, si minuccia la carne, &
vi si pongono per dentro delle spetie: del grasso di vitella, et altre
coseline non ingrate al palato come pruna, marasche, et uva passa.

Ebuso Pirolo da monte ilcino: fu il primo che mangiasse funghi, et
freschi, et insalati, con il sapore, & perche non li nocessero freschi
essendo, li cuoceva per dentro delle pera selvatiche: Trovansi di piu
spetie funghi, & Galeno li chiama tutti pernitiosi: de Funghi parlando,
Dioscoride scrisse. FUNGORUM ALII GENERE, ALII COPIA, LAEDUNT.

Hippomenio da Tholosa: fu il primo che mangiasse quella vivanda detta
in alcuni luoghi caritea, laqual si usa la state piu che la vernata,
entranci ova, carne minuta, aceto, cacio, petrosello, et spetie dolci,
uva passerina, & marasche secche.

Soriano comasco: fu il primo che frigesse il pane nel butiro, benche
alcuni affermino esser stato un'Abrucese, & in testimonio di ciò
adducono, che insino al di d'hoggi si dica Abrucese pan unto.

Del far primo ravizze con l'agliata dassi l'honore à coradina da
pozzolo luogo ameno di Lombardia.

Di cuocere le porchette da latte piene d'aglio, serpillo, & lardo
pesto: fu inventore Melibeo da Tolosa ladro & tristo quanto esser si
possa.

Il primo che mangiasse luppoli, pastinache fritte, cocumeri, zucche
nostrane, & indiane: fu Melibea da Belinzona: una sua figlia poi
ritrovò di cuocerli per dentro dell'uova sbattute, & poseli nome
zucche maritate, & fino al di d'hoggi cosi si chiamano in Lombardia.
Alla medesima si attribuisce l'inventione della peverada qual usano i
contadini la vernata ispetialmente nelle montagne Trentine.

Oldrico svizzaro: fu il primo, che mangiasse in minestra Orgio, & Avena
pesta, era costui bellicoso à maraviglia.

Clemente d'Augusta: fu il primo che mangiasse la mosa fatta d'uova,
di latte, & di botiro, con spetie di sopra: al medesimo si attribuisce
l'haver prima mangiato il stoc fis.

Balaustio panormita: fu il primo, che mangiasse capre, & selvatiche, &
domestice: le salvatiche sono migliori: non perseverarno le capre di
venire alle nostre mense longo tempo per non esser mai senza febre:
spirano per gli orecchi, & non per le narigie, come fanno altri
animali. l'urina loro calda, sana gli orecchi: n'hò veduto in Affrica
grandi come cavalli.

Mintio carbonaro di Tolosa, fu il primo mangiatore de cervi, de quali,
sol i maschi hanno le corna (per l'opinione però di alcuni scrittori)
non dimeno leggo presso di Euripide queste parole: ti darò una cerva
cornuta per mano delli Achei, qual sacrificherai per tua figliola,
leggo anche presso de poeti, che la cerva ispugnata da Hercole, haveva
le corna: un Claudio da Granopoli fu il primo che ne facesse pasticci
all'usanza francesca.

Prometheo fu il primo che mangiasse carne di bù: v'era già una lege che
vietava sotto grave pena, ch'egli non si uccidesse, per esser ministro
di Cerere, & compagno dell'huomo nell'esercitio dell'agricoltura: dal
cadavero bovino, ne nascono l'api madri del mele.

Laberio Egittio: fu il primo che mangiasse il porco, la cui carne
preferisce Galeno à tutte l'altre: Se l'è castrato piu tosto
s'ingrassa: Non possono vivere nell'Arabia, è consagrato à Cerere, &
nelle leghe di amicitia, si soleva amazare il porco.

Taborro Egittio: fu il primo che mangiasse il Cingiale, & Plinio dice
che P. Servilio Rullo fu il primo che lo ponesse intiero su le mense
Romane: il che non penso però che discordi: li cinghiali dell'India
hanno i denti longhi un cubito: in Creta, & in Affrica, non se ne
ritrovano: quando l'è amalato si medica se stesso con l'edera.

Cremide Egittio: fu il primo che mangiasse dell'humil pecorella: le
buone pecore, deveno esser di gran corpo, di lana molle, & densa, di
ventre peloso, & di humil gamba: le migliori pecore, & le migliori
lane, sono (per il parer di Plinio) le italiane: hanno il secondo luogo
le Milesie, & di gran reputatione sono le pugliese, le tarentine, le
canusine, & in Asia le laodicene.

Marino rhetico: soldato tremebundo, fu l'inventore di mangiar le
Camoccie, & di cucinarle dilicatamente: Vede questo animale tanto di
notte, quanto fa di giorno, ne mai si li veggono gli occhi lippi:
un suo nipote, fu poi l'inventore di mangiare le Damme, animal
timidissimo, delle quali favella Martiale à cotesto modo: Dente timetur
Aper, defendunt cornua Cervum. Imbelles Damæ quid nisi præda sumus?
Del medesimo, credesi esser stata inventione, il mangiare quei animali
simili alle capre: i latini li chiamano Musimoni: & in alcune parti di
Lombardia si chiamano Stambecchi: veggonsi frequentemente in Alemagna,
ispetialmente nelle montagne de Rheti Alpini, hoggidi chiamati Grisoni.

Potamone Soriano: havendo isperimentato, che il latte camelino era
dolcissimo: incominciò à mangiar del Camelo cibo per avanti non
usitato: è un animale molto nemico del cavallo, & campa alle volte sin
à cent'anni: Se si arrostisse il cerebro del Camelo, & sia bevuto con
l'aceto, giova mirabilmente al mal caduco: il fele, posto col mele,
sana la scarancia: la coda arrostita scioglie il ventre, & la cenere
del suo sterco con l'olio, increspa i capelli.

Attalico di Cidonia fu l'inventore di mangiar carne di Lepre, la qual
dorme co gli occhi aperti: riposasi il giorno, & vassene vagando
la notte: se si conducono in ithaca (che fu la patria di Ulisse)
subitamente moiono: Partoriscono ogni mese: intorno Brileto, Tharne,
& nel Chersonesso, hanno dui fegati: Era vecchia superstitione, che
chi ne mangiasse, doventasse bello per sette giorni: fa di questo
fede Martiale: così scrivendo: Cum leporem mittis, semper mihi gellia
mandas: Septem formosus marce diebus eris.

Bubalino spagnuolo cittadino di Concha: fu l'inventore di mangiare
conigli, animali fecondissimi, & vaghi d'habitare nelli incavati antri,
come testifica Martiale, così dicendo: Mostravit tacitas hostibus ille
vias. Gaudet in effossis habitare cuniculus antris.

Licasto Caldeo, fu l'inventore di mangiare l'uova cotte col botiro
fresco, & di farne frittate, ò vero pescio d'ovo: fu similmente sua
inventione di cuocerle nel fuoco, & nel tegame con ottime spetie, &
agresta.

Partusio da Nicopoli, fu l'inventore di far torte de vari legumi,
herbe, & frutta.

Libista contadina Lombarda da Cernuschio: fu l'inventrice di far
raffioli aviluppati nella pasta, & di spogliati detti da Lombardi mal
fatti.

Macharia da Cremona: fu l'inventrice di far le tartare, & di cuocere
quella compositione, che dalle noci si chiama nosetto: ravolta questa
ne Cavoli: in alcune parti d'Italia chiamansi caponi: L'è il nosetto
una vivanda, che si usa la quaresima in alcuni luoghi di Lombardia, &
spetialmente in Milano.

Marina da Offlaga: fu l'inventrice de Fiadoni, & de Raffioli di Enola,
& del mangiare herbe amare.

Melibea da Manerbio: fu l'inventrice de casoncelli, delle offelle, &
delli salviati: fu costei donna di grande ardire, & è chiara cosa, che
con le proprie mani amazzò un'orso di grandezza mostruosa.

Meluzza comasca: fu l'inventrice di mangiar lasagne, macheroni con
l'aglio, spetie, & cacio, di costei fu anchora l'inventione di mangiare
formentini, lasagnuole, pinzoccheri, vivaruolo: mori di ponta, &
honorevolmente fu per le sue inventioni sepelita.

Il primo, che ponesse in costume di mangiar appio, fu Lanieno: prima
se ne coronavano solamente le tempie quando eravamo vincitori in Nemea:
così referisce Plutarcho nella vita di Timeleonte.

Claritia da Cremona: fu l'inventrice di mangiar fagioli col pepe, con
l'aceto, col sale, & olio, asciutti però, & non con brodo.

Camena da Piperno: fu l'inventrice del mangiar ceci, cicerbita, & lenti
con molto aglio et salvia per dentro.

Camilla anconitana: fu l'inventrice della fava menata, ben'oliata, ben
impepata, & vi poneva per dentro il porro, ne la reputava buona se non
era tanto tenera, che l'entrasse per un fiasco.

Il primo che usasse nelle vivande l'Aneto fu Bacchio di Corintho, il
seme suo (se il vero scrive Avicenna) è giovevole alli dolori, & il
seme anchora bollito & odorato rafrena i singhiozzi.

Coccolina da Lucca: fu l'inventrice di far composta di rape, di
carotte, di zucche, & de poponi: & fu anche quella che prima pose il
fenocchio, le pesche, la basiggia, & i cocumeri nell'aceto.

Calandrina da Pistoia: fu l'inventrice di por l'olive in compagnia del
rostito, di far le empiture de gli ucelli, & di mangiar le trippe di
Vitello, di bue, di porco, & di capretto, & ponevaci per dentro delli
aglietti, ò vero porretti, & di quelle spetie di Pistoia, che avanzano
tutte l'altre.

Il primo che usasse aniso, ne condimenti delle vivande, fu Creusa da
Megara: molto lo commendò Pithagora, toglie li insogni se l'è sospeso
al capezale.

Menina briancesca, fu l'inventrice della salsa verde, & della limonea,
gratissima ad ogni sciocco appetito, fassi ottima a Milano nel monister
maggiore per quelle sante mani di D. Anastasia cotta.

Meridiana da Cesenna, fu l'inventrice di far le minestre col
latte di mandorle, & di far le rossumate, & alcuni altri intingoli
saporitissimi.

Melina da Reggio fu l'inventrice del fare le insalatte delle carotte,
& di far cuocere i caci cavallucci nel schidone con prestissimo fuoco,
& col sopraporvi zuchero, & canella copiosamente: la medesima fu
inventrice di far quel rosto, che si chiama rosto annegato.

Calidonia Brunella: fu l'inventrice del sapore fatto di nocelle, di
far baldoni, lucanica fresca, insalata, et delle tomacelle, per le
quai cose, venne in gran riverentia il porco, che prima si schifava, &
crebbe piu quando furono asaggiati i salciciotti, & le mortadelle.

M. Apitio: fu il primo, che n'insegnasse mangiar le angurie, in cotesto
modo, facevali dentro un buco et vi poneva dentro di molto zucchero;
poi chiudeva, & facevalo star dui giorni al sole, & due notti alla
rugiada, avanti che li mangiasse. fu costui si goloso, che havendo
udito dire, che nella Libia nascevano ottime Carice, subitamente vi
navigò, & trovando non esser come gli era stato riferito, maledisse la
Libia, & chi vi habitava. Costui fu anchora il primo, che giudicasse
esser la lingua del Phenicoptero di perfettissimo sapore. fa di costui
mentione Martiale nel undecimo libro de suoi Epigrammi.

Il primo che usasse la Satureia detta per altro nome Timbra fu Marcello
Egineta: eccita Venere perciò fu detta Satureia, quasi Satireia, perche
li Satiri sono molto pronti alla carnal libidine.

Aristoxeno Cireneo: ritrovò quella vivanda detta dalli piu interni
Lombardi Ciambaglione: fu costui si studioso della gola, che inaffiava
la sera le lattughe col vin cotto, acciò fussero di piu dilicato
sapore, & piu largamente crescessero.

Sanctra golosissimo, delquale cosi scrive Martiale: Nil est miserius,
nec gulosius Sanctra: fu l'inventore delle rossumate, del brodetto, &
di quella vivanda detta cardinale.

Il primo che mangiasse delle lattughe per medicina fu Augusto, per
consiglio di Antonio Musa suo medico.

Susanna Melina, fu la prima che mangiasse porcelana, persuasa di
rafreddar per cotal mezo la lussuria sendo molto fredda.

Phagone da Smirna, fu quel che n'insegnò condir i fegatelli di porco
col suco di mele rancie agre, & col pepe: essendo una fiata questo
giottone introdotto alla Tavola di Aureliano: mangiò un porco selvatico
intiero: cento pani, un porcello domestico, & un castrato: cotesto
non vidi già io, ma Flavio Vopiscolo narra diffusamente, & per cosa
verissima l'afferma.

Astidama Milesio: fu il primo che accompagnasse l'uva moscatella con
il rostito; questo è quell'Astidama, ilquale essendo chiamato à convito
da Ariobarzane persiano solo mangiò quanto era stato apparecchiato per
tutti i convivanti.

Alessandra da Carinola: fu la prima che facesse le conserve rosate, le
schiacciate di mandorle, & confettasse i zenzovini.

Laufello Toledano, fu il primo che ritrovasse il bianco mangiare,
chiamanlo i Greci leucophagon: fu costui ottimo mariuolo.

Cornelia calandra: fu l'inventrice de susameli, mostacciuoli, &
pastidelle: & per questa inventione fu gratiosissima.

Camble Re de lidi: fu il primo che mangiasse lattimele, cagliata, &
delle ricotte fresche: hora col mele, & hora col zucchero, fu costui
si gran mangiatore, che si mangiò una notte la moglie, di questo ne fa
fede Musonio autor greco.

Galba imperadore: il cui studio fu tutto nel mangiare: vi aggiunse
l'acqua rosa, & il sale, perche si tosto come suole nel stomaco non si
corrumpesse.

Vedio Pollio fu il primo che accompagnasse il cacio con le frutta: era
costui si vago de le cose dilicate, che gettava i servi ne le piscine,
accioche i pesci doventassero di piu grato sapore mangiando le carni
humane di sapor dolcissimo.

Caligola, ilquale consumò quasi tutto il thesoro che li lasciò Tiberio
in far sontuose cene: fu il primo che formasse di zucchero, pesci,
funghi, castagne, torte, rafioli, & altre cose, il che si usa al
presente in Napoli madre de le delitie.

P. Gallonio fu il primo che confettasse i cotogni, & nel confettarli vi
ponesse il muschio: fu costui per la sua gola notato da Oratio, & da
Lucillo. Fra molte cose da Tertulliano biasimate fu il sontuoso viver
di Gallonio, la gola di Apitio, il giuoco di Curio, & l'imbriachezza
di Antonio, non dopo molto un suo nipote ritrovò di far il gelo, & di
confettar i pezzi interi: ne laqual cosa tiene à nostri tempi il primo
luogo sor Barbara da Correggio, il secondo donna Lodovica, & il terzo
la Gattina de la S. Lucretia da Este.

Cleonimo da Spelle fu il primo che confettasse le zucche, le lattuche,
& i cedri: fu costui di santissima vita.

Gnosippo Perla fu il primo che confettasse le pere moscatelle, le
nespole, le lattuche, & le radici di bugolossa.

Aglais Tibicina fu la prima che facesse marzapani, calissoni,
pignocate, zuccherini, & pane pepato, ma molto diverso di quello che si
fa hoggidi in Firenze.

Clodio Albino fu il primo che mangiasse terratuffole: cocevale costui
sotto le bragie, poi le lavava col vino odorifero, & con olio perfetto,
pepe, sale, & succo di limoncelle le godeva.

Abrone da Narni, fu il primo che mangiasse bericoccoli, canistrelli,
& caviadine, guardani, confortini fatte con zucchero, canella, uova
fresche, & butiro fresco.

Dorothea prisca da Bergamo fu l'inventrice dell'agliata: fu anche
la prima che frigesse l'aglio, & con l'aceto sel mangiasse: non fu
biasimata cotal inventione, conoscendosi esser l'aglio la vera Triacca
de contadini, & rilassar i spiracoli delle vene per quanto Dioscoride
afferma.

Trovasi sino al di d'hoggi presso di alcune nationi, un pane, ilqual
chiamavano gli antichi Artolagano. Facevasi di semela cotta nell'oglio,
aggiungendovisi un poco di vino, con pepe, overo con un poco di grasso:
delquale fu inventore Statiano da Nocera huomo molto bellicoso.

Usasi presso d'alcuni popoli una vivanda detta carica: laqual si
compone di varie cose al palato gratissime, & di molto sangue di porco
nel farla vi concorre, ne fa di questa vivanda mentione Ovidio nel
primo de suoi Fasti: i Lidij l'usavano assai frequentemente, & credeno
ne fusse l'inventore un certo Pericone pentolaio da Palermo, usasi
questa in Affrica.

Usasi appresso d'alcuni popoli ispetialmente in Puglia, una sorte di
pane, detto Coliphio: delquale fa mentione Plauto dicendo: Coliphia
mihi ne incocta detis. stimasi di cotal pane inventore Perna Sabino
hoste cortesissimo.

Dell'ozimo, vivanda fatta d'intestina, & è di soavissimo odore: fu
l'inventore Cardamo Dalmatino il piu sciagurato & il maggior parabolano
non vidde mai il sole.

Usasi da molti popoli una sorte di schiacciate, dette Elaphi, fatte
di Sesamo, & di fior di farina, delle quale fu inventore Pirro da
Capova. Al medesimo si attribuiscono molte altre foggie di focaccie,
ispetialmente le montiane, che erano di vino & di cacio composte.

Crespino Falisco fu il primo che facesse la scelta di tutti li piu
delicati cibi che si usorno al tempo di Eliogabalo, di cui egli fu
longo tempo cuoco: tolse prima per honorare un solenne convito il
Pavone di Samo, l'Atagena di Phrigia, tolse delle Grue Melice, capretti
di Ambracia, Pelame Calcedonie, Helopi Rhodiotti, Scari di Cilicia,
Datteri dell'Egitto, giande dell'Hiberia, conchilie di Lucrino, noci
pontiche, pera amerine, murene tartesie, schiacciate di Samo, tonni
tirij, conche pelorine, cestrei di Sciatho, menidi di lipari, rape di
Mantinea, o di Norsia, cacio Siciliano, & di luna.

Giulia fu la prima che ponesse in uso l'enola, ispetialmente la
campana, ch'è tenuta la migliore. è di sua natura nimica al stomaco,
mescolata pero con cose dolci, la vi diviene amicissima: fassi spesso
vino di Enola in Alemagna, & nella Val telina.

Platone fu de primi che ponesse in uso di mangiare in tavola fichi: &
non ne fu men vago che si fusse Claudio imperadore di mangiar il pesce
Scaro: per questo molti Greci il chiamarno philosicon: non dico perciò
che egli fusse il primo che lo mangiasse, perche nel vero fu Habram
hebreo. Il piu lodato fico si è l'Hircano, poi il Calcidico. ha buoni
fichi l'Affrica & Rhodi. tosto s'invecchia per la brevità delle radici:
& è piu fecondo ne le parti inferiori, che ne le sommità.

Il primo che mai mangiasse in Italia ciregi fu Calistonio trombetta,
& Lucullo fu il primo che ce le portasse di Ponto. rallegrasi
quest'albero di star ne monti acquosi; ne mai si puote per diligentia
che vi si sia usata, piantar in Egitto che frutto facesse.

Il primo che mangiasse Cornari fu Gadoleto Cipriotto: ha quest'albero
i rami duri & rigidi come il corno, & perciò se ne fanno haste & dardi
ottimi.

Il primo che mangiasse mai castagne & bollite, & arrostite fu Delio
Corfuotto. Vergilio le chiama hirsute, cosi dicendo, Stant et iuniperi,
et castaneæ hirsutæ.

Il primo che mangiasse cedri fu Demetrio Salamino. il legno di questo
albero non è mai infestato da tarme: l'olio del cedro conserva le cose
da putrefattione: i piu lodati sono in Creta, Affrica, & Siria.

Il primo che mangiasse mai Mandorle fu un Cesarisco di Puglia. In
questo albero (per quanto favoleggiano i poeti) fu tramutata Phillide;
l'è la prima che fiorisca, & avanti la maturità facilmente perde il
frutto.

Il primo che mangiasse noci fresche fu Carbonchio Epirota. Sono le noci
di tal natura che s'ingrassano per la vecchiezza. L'albero ha natural
discordia con la quercia: con la lor scorza si tingono le lane. L'ombra
sua è nemica alli seminati: & a nostri capi inducono doglia. Lelia
Romana fu poi la prima che le confettasse, & lodata ne fu.

Il primo che mangiasse Nespole fu un Prudentio Rodiotto: le foglie di
questo albero prima che caschino si fanno rosse: ha molte radici atte,
& inestirpabili. Non fu questo frutto in Italia al tempo di Catone.
suol essere l'albero molto infestato da vermicelli rossi, & pelosi.
Cassandra da Ferrara fu la prima che le confettasse.

Il primo che mangiasse more fu Caustio da Cotrone: l'ultimo albero fra
tutti che fiorisca, & aspettar suole che sia ben passato il freddo:
& per questo i poeti lo chiamano albero prudentissimo: erano i suoi
frutti bianchi, ma diventorno rossi dal sangue di Piramo & di Tisbe:
ama egli d'habitar ne monti, & tardi s'invecchia.

Il primo che mangiasse olive fu Alonseco di Medina: a questo albero
non cadeno mai le frondi: è consacrato à Minerva: & solevansene gia
coronare le torme de cavaglieri, cresce tardamente, et fassi sterile
per il morso caprino: dura quest'albero ducento anni. Philippello
spetiale è stato il primo che le habbi confettato in Sicilia.

Il primo che mangiasse pruna fu Carillo d'Andrinopoli: soncene di piu
ragioni; ma le piu lodate sono le Damascene: non è questo albero punto
amico de monti, ma de ben culti piani.

Il primo che mangiasse pera: fu Agatone soriano, fu chiamato sotto
cotesto nome Pero dalla figura piramide la qual pare imitare: li
Crostumini sono i piu lodati & poscia i Falerni: campa poco, e
facilmente perde il frutto: furono confettate da Achille alessandrino
spetiale.

Il primo che mangiasse Datteri fu Carmandro affricano: quest'albero
in Europa è sterile, & in ispagna fa il frutto di niuna soavità: hà
quest'albero l'uno & l'altro sesso, e non li cascano le foglie.

Antronio da cotrone: fu il primo che mangiasse in Italia Persica, le
quali tragono il nome da Persia; quest'albero ne fiorisce, ne fa alcun
frutto in Rhodi, altrove si, dicesi ch'egli fusse portato in Italia
per avenenarci, ma che la benignità del cielo italiano spense l'innota
sua malitia: sono alcuni che rasimigliano gli huomini losenghevoli e de
peggior fatti, di Persico dolce di fuori, & amaro dentro.

Clenandro da negroponte: fu il primo che mangiasse pignuoli freschi:
non fiorisce mai quest'albero, ne li cadono le frondi. Se alcuno li
lieva la cima diventa sterile, ne perciò muore, come l'è tagliato,
non si rimette mai piu, mai piu germina: e per questo Creso presso di
Erodoto, minaccia che distrugerebbe i lampasceni come si distrugge il
Pino.

Il confettar persica e pignuoli, è l'inventione di Curio Tripaldino:
huomo di ladronecci infame, & di sporchissima lussuria.

Il primo che mangiasse fritelle di sambuco, & di ramarino fu Giannotto
da Gorgonzola, che fu poi impeso per tradigione con duoi figliuoli a
canto.

Ortandro chiozzotto: fu il primo che mangiasse poponi, & li mangiava
con sale, & con perfetto cacio, & poi vi beveva appresso della malvasia
garba, mori costui per troppo mangiare.

Clorida da Ello, Bresciana, fu la prima che mangiasse, & cuocesse
fagioli freschi con la scorza, aggiungendovi dell'aglio, del pepe,
dell'aceto, & del petrosello: fu essa anchor la prima che mangiasse
l'erveglia à cotesto modo, se il vero mi narra Liombruno grammatico
nella sua cronica.

Clelia da Veruli; fu la prima che ponesse il vin cotto in servitio
delle vivande: Fu cotal inventione molto da savi medici approvata, &
assai ne fu da tutti commendata, se il vero però rifferisce Piliandro
scrittor de annali.

Cleope da Venafro: fu il primo che cucinasse Carcioffali nel brodo
grasso; fu anch'esso il primo che li frigesse col grasso di porco,
ponendovi pepe, sale, & aceto: Galeno il chiama Cinnara, & si
maraviglia come sia salito à tanta reputatione generando humori adusti,
concede egli però che conforti il stomaco.

Asclepiade Prusiense: famigliare di Gn. Pompeio, & medico si
eccellente, che puote risuscitar i morti: fu il primo che introducesse
il mangiar Spargi, cosi in minestra, come anchora in insalata: fu
questo medico il primo che si imaginasse sol con il vino variamente
dato, potersi risanar qualunque infermo: pose costui in uso i bagni
d'acqua dolce, & i letti sospesi per meglio procacciare all'infermo il
sonno.

Arcagato figliuolo di lisania peloponese; ilquale fu il primo medico,
che intrasse mai in Roma, fu anche il primo che mangiasse l'oche
arrostite vive, bagnandole d'acqua rosa, di botiro fresco, di zenzaro,
& di canella sottilmente pesta: fu la costui venuta dal cominciamento
gratissima: vedutone poi, con quanta crudeltà, & ferocità di cuore,
usasse l'arte sua nelle incisioni, & nelle adustioni, fu publicamente
chiamato per nome di Carnefice: Venne in Roma essendo Consoli L. Emilio
& M. Livio.

Aristogene medico, che fu già, servo di Chrisippo filosopho, fu il
primo che mangiasse le molignane fritte con l'aglio, & col petrosello:
hebbe costui gran reputatione per la mirabil cura ch'egli fece di
Antigono, & in picciol tempo ricchissimo si fece.

Acrone agrigentino medico: fu il primo che mangiasse il porro cotto
sotto le bragie, del qual cibo, tanto ne fu già vago Nerone, che niuno
piu vago esser ne puote, philosophò costui longamente in Athene insieme
con Empedocle, & fu assai più antico di Hippocrate.

Aristogene thasio, medico di Antigono re di Macedonia: fu il primo,
che ponesse in tavola le olive schiacciate, & li capperi mangiasse con
l'oximele: è il Fapero aperitivo, e molto giovevole alla milza.

Alconcio medico di Piaghe: che fu già condennato da Claudio di cento
sestertij, e confinato in Francia: fu il primo che ponesse in tavola
Aranci e limoni, premevali, e del succo bagnava le vivande; ma li
premeva negligentemente.

Agrane medico: fu il primo che portasse in tavola coriandoli confetti,
per reprimere i fumi, che sogliono per il pasto salir al celebro,
costui fu quello, che risanò Athene della peste accendendo de molti
fuochi.

Cresto bizantio sophista: fu il primo che facesse la Raffanata:
l'è un sapor fatto di raphano: usasi la vernata presso de tedeschi
frequentemente.

Mirtale, donna al ber deditissima: fu la prima che cuocesse l'uova
nel fuoco, e condite con sale e canella se le sorbisse: à costei si da
parimenti il vanto, che facesse la copeta, ponesse in Tavola pistacchi,
e ne facesse delle torte per quelli, ch'erano al lussuriare indisposti.

Pillade da Lucca: fu il primo che mangiasse castagnazzi, & minestra di
semola, & di questo ne riportò loda.

Diogirida Re di Thracia, fu l'inventore di mangiar bottarghe:
Aquilio fu poi quello, che le frigesse nell'olio, e con l'aceto se le
mangiasse.

Cisenno fu il primo che mangiasse caviaro, e ne facesse delle frittate,
un suo nipote dopo molti anni, cominciò a premervi sopra delli Aranci.

Pollidonio da macerata: fu quello che trovò il mangiar le mele granate
dopo'l pasto, persuaso forse da scritti di Cornelio celso, perche in
vero non lascino corrumpere il cibo nel stomaco.

Il primo che mangiasse aranzi, limoni, & poma di Adamo, confettate, fu
Pierio Landuccio Fiorentino.

Il primo che confettasse il seme di popone, l'aniso, & il fenocchio, fu
Laviniano da Tolentino huomo frodolento piu di ogni altro di età.

Il primo che cuocesse cipolle, & scalorgne, & ne facesse insalata: fu
Aliprando da Sigillo mercatante richissimo.

Un Pieruzzo comasco lecardo à maraviglia: fu il primo mangiatore delle
frettate dette rognose, le quai aguzzano l'appetito, ne sono punto
stuchevoli.

Il primo che ponesse fichi, pera, & mela in tavola fu Ermo Cipriota,
huomo protervo, fallace, & sopra modo bugiardo.

Il primo che ci ponesse in tavola mel cotto, & oximele per salsa, fu
Adriano di Corrira, il quale era infame de ladronecci, & in segno di
ciò fu impiccato à Negroponte.

Il primo che mangiasse quella herba detta Eringion fu Achille Troiano
di Troia di puglia. L'è una herba mordace, & n'è buona solamente la
radice, provoca la lussuria, mangiasi col cinamomo, & col Garoffano.

Il primo che mangiasse Cardi fu Protesilao macedonico, crescono
maravigliosamente in Cartagine, & in Cordova fa parer buono il vino:
la radice è buona per generar maschi, vogliono il sale, & il cinamomo,
benche hoggidi s'usi di mangiar col pepe, gli antichi li mangiavano col
mele, & con l'aceto.

Anaxilao philosopho: fu il primo che mangiasse l'aglio crudo: Galeno
lo chiama Triacca de contadini, & Oratio ne disse molto male, cosi
scrivendo. Edat cicutis allium nocentius: ò dura messorum ilia: Quid
hoc veneni sevit in præcordijs?

Il primo mangiatore del Raphano: puro, non dico della raphanea, che già
l'habbiamo detto, fu Oldrico da Sciaphusa: Androcida ne faceva mangiare
per riparare all'imbriaganza: Scrive Plinio che crescono in Alemagna
alla misura d'un fanciullo, guasta i denti, & credettero già gli
antichi ch'egli fusse contra il veleno.

Il primo che mangiasse zucche: fu Marullo egittio: ve ne sono di
lunghe, & di rotunde, le lunghe sono piu grate in su le mense:
Chrisippo medico le dannava, generano però buono humore, & giovano alle
febri coleriche per il parere di Avicenna: Avvertisce Columella, che
donne non vadino dove le sono piantate, ispetialmente se l'hanno il
flusso menstruale.

Li Arcadi furono i primi, che mangiassero delle giande.

Li Budini popoli dell'Asia maggiore, furono i primi che mangiassero
pidocchi.

I Nomadi dell'ethiopia, & i Simbari, furono i primi che mangiassero
delli Elephanti.

Li popoli Cinocephali furono i primi, che si pascessero di latte.

Li Agriophagi furono i primi mangiatori de Lioni, & di Panthere.

Li Antropophagi furono i primi che mangiassero carne humana.

I Mandi, & i Parthi furono i primi, che mangiarno locuste.

I popoli detti Solite, furono i primi, che mai mangiassero pesce.

Li Ophiophagi furono i primi mangiatori dei serpenti.

Li Arpei furono i primi che mangiato habbino Bacche.

Li Amazoni furono i primi che mangiassero lacerte, & per questo furono
detti Sauropatide, imperoche saura vol dir lacerta.

Protogene fu il primo che mangiasse lupini, & che insegnasse à
macerarli con l'acqua, per indolcirli.

Ebosio fu il primo che mangiasse zuccaro.

Nerullo fu il primo che mangiasse capretti.

Farello pedemontano: fu il primo mangiatore de Tragemmati, detti da
latini bellaria: componevansi anticamente di Cocco, di Fava, di Condro,
di Cacio di mele, & di Sisamide.

Il primo che ritrovasse que pani detti Thiagoni, dicasi à Dio Etholia
fu Larisso.

Trattaremo hora delli inventori dei migliori Beveraggi, & cominciaremo
dalla Vernaccia da Celatica, & da quella da Cassano, le quali traggono
sua nobil origine dall'antico Falerno, di cui favellando i scrittori
delle cose naturali: dicono non esser sano, essendo molto vecchio, ò
molto nuovo: la mezana età cominciar dal quintodecimo anno: Crispo
Fabiano fu quello che ne portò l'insito in Lombardia: variansi i
vini per la varietà del terreno, & dell'aspetto del cielo, si come
apertamente si vede.

I vini di Val telina, di Chiavenna, & di Piuri (dico quelli chi si
chiamano di Roncho) traggono sua origine da quello vino detto Puccino,
per il quale, diceva Livia Augusta esser pervenuta all'età di LXXII
anni, Pirro da ponte ne fu il traportatore.

I vini del lago di Como, & di Trezzo, sono discesi dal vino detto
Setino: qual Augusto preferi à tutti gli altri, e lo essaltò con
maravigliose lodi: Scipione bruno lo trapportò, e ne fu assai lodato, e
premiato.

Li racesi, amabili, e moscatelli, di Taggia, sono di schiatta del
Cecubo: reputato generosissimo, il quale, solo si accendeva con la
fiamma (sel vero afferma Pli.)

I Trebiani di Modona, & di Toscana: sono discesi dal Gaurano: Philippo
fusello fu il trapportatore.

I vini del Monferrato: sono delle radici del vino detto Faustiano: le
portò in que paese Lucio Trotellio huomo virile, e strenuo bevitore.

I vini da Drò, & da Tremenne: discendono da i vini Macissi: li portò in
questi paesi Carbonio Trentino solenne bevitore.

I vini Salerni & Sanseverini, erano i vini detti Caleni: benche hora
siano (al mio giudicio) migliori che prima non erano.

Il vino Corso venne da Velitri, & da Piperno: erano questi vini in gran
prezzo, hora non tanto: il terreno di quella isola l'ha di gran lunga
migliorato.

Il vino Briancesco dir si puo figliuolo del Signino: benche mutando
paese habbi mutato natura: era il Signino Austero & atto molto à
restringere il ventre. Fabio Porcino lo portò in questi monti, &
n'hebbe gran mercede.

Il Cesennato procede dal Surrentino, vino molto sano. Soleva dir
Tiberio Cesare che tutti i medici in ciò consentito havevano di dargli
la palma d'esser sano.

I vini Forlani procedeno da i Mamertini, da Giulio Imperadore
celebrati, si come appare nelle sue epistole.

I Vicentini nati sono da quei vini detti Potulani, grandimente
istimati: Calandro fu che ce li portò.

Le Albane di Ferrara nate sono del Taurominitano: ma hanno molto
tralignato da suoi progenitori. L'inventore fu Dalido da Tiano.

I vini Berzamini, che nel Padovano nascono, parte descendeno da quei
vini, che detti furono Pretutij, parte dalli Anconitani, de quali
favella Plinio honoratamente.

I vini di Santo Columbano & da Cesezzo, sono di schiatta del vino
Palmesio, et Mecenatiano: Pirro di haverlo traportato n'andò longamente
altiero.

I vini Rhetici, liquali sono da Vergilio preferiti à tutti, eccetto che
al Falerno: altri vogliono che siano latiniensij, altri gravicani, &
altri stoniensi: et si come molti vini hanno peggiorati, cosi questi
hanno migliorato tramutandosi da luogo à luogo: & di questo dassi
l'honore à Lentidio Pontano.

I vini d'Orliens sono discesi dal ceretano del quale si fa mentione
presso di Plinio; & lo ripone fra i vini lodati, un Parigino cortigiano
del re di Francia fu l'inventore di traportarne il germe.

I vini di Spagna per la maggior parte nascono da i vini di luna, à
quali la Toscana dette gia la palma: et questi sono divenuti migliori
delli suoi predecessori.

I vini di Beona da quei di Spagna nacquero (se non m'inganna un curioso
scrittore) li traportò un Scocese soldato, & bevitore eccellente.

Quelli di Hungaria hebbero l'origine da i Tarentini (mercè di Ungrado
mercatante lealissimo) che li condusse in quei paesi non senza grande
remuneratione.

Quelli vini che in Baviera nascono, hebbero origine dalli servitiani:
benche alcuni ostinatamente affermino esser discesi da quei vini, che
in Cosenza nascono: & questo beneficio si hebbe per opra di Claudio
Alemano.

Le viti che lungo il lago di zurrigo in tanta copia piantate sono,
furono tolte in Lucania da uno Oldrico eccellente bevitore.

Le viti che fanno la malvagia in Ragugia sono state portate da Candia
da un Bassiano Macedonico.

Il greco di Somma: venne dall'isola di Sio: donde ancho il mastico ne
viene, & portato vi fu da Papinio Suvessano.

I vini di Correggio: sono figliuoli delli vini di Lesbo, & di cotal
tralatione dassi la debita lode à Palmerio anginolo.

I vini della Valle d'elsa, descendono da i vini, che à Tempsarà già si
felicemente nascevano: fu l'inventore Nillo cresporio.

I vini della lunigiana nati sono da i vini detti Turini per industria
di Belloccio huomo facetissimo.

I vini pisani, secondo l'opinione di alcuni, sono discesi da quel vino
di Arcadia, ilquale faceva le femine fecunde, & gli huomini rabiosi.

Le viti spoletine vengono da quelle di Trezenio, che soleva indur
sterilità: perdette poi quella qualità si rea per la benignità del
cielo Italiano.

Le viti mirandolane furono tolte da sempronio megillo in lacanea già
detta Cidonia, luogo della Candia: hanno perduto gran parte del primier
vigore.

Del vino detto omphacio fu inventore Nicandro da berina: faceasi di
labrusca, et è detto da greci enantino.

Del vino di poma: credo inventore Publio negro.

Il vino Luchese ispetialmente quel che nasce à Vorno, à Forci, à
lopeglia, à S. Quirico, & à Marlia: credesi esser disceso da quel
nobil vino detto dalli antichi Thasio, & esserne stato il traportatore
Pompeio mintio.

Il vino di Geneva fu portato di oltra mare, & da quel vino procede, che
gia fu detto Arsio.

Il vino di Losana nasce da quel vino detto Naspercenite, molto
commendato da Apollodoro medico, in quel suo volume, nelquale scrive a
Tolomeo, qual sorte di vino dovesse bere: & è opinione d'alcuni, che
i vini Italiani allhora noti non fussero. tiensi di tal fatto autore
Lelio Capitone.

Il vino che nasce nel Casentino descende dal vino detto Mesogite:
ilquale soleva gia indur doglia di capo a chi ne beveva.

Dal Epheso; & dal Apameno derivano i vini della maremma di Siena per
opra di Erophilo nobile cavagliero.

Dal vino detto Protagio commendato molto dalla schuola di Asclepiade,
nacque il moscatello di Galbià, luogo ne monti di Brianza.

Del vino fatto col calamo aromatico, delquale fassi memoria nella
comedia di Plauto detta Persa, fu l'inventore Spurio Carbone.

Del vino fatto con la Salvia per confortare il stomacho & i nervi fu
inventore Theophane medico da Megara.

Del vino che si fa con il Rosmarino, fu inventore Theophilo da Egina
medico, non men dotto, che prudente.

Del vino che si fa con l'Enola per riscaldar i freddi stomachi, fu
inventore Archigene Cipriano medico esperto.

Del vino fatto con l'assentio (vino per certo utilissimo) fu
l'inventore Ruffo da Salamina medico molto acuto.

Del vino fatto con la pece: chiamasi da latini vinum piccatum, credesi
esser stato l'inventore Ruffo medico di molta isperienza.

Del vino fatto con le rose: del quale fassi memoria presso di Plinio:
credesi esser stato authore Onocrito Corfuotto medico eccellentissimo.

Di porre l'acqua marina nel vino: fu l'inventore Erasistrato huomo
dottissimo.

Di far la Graspia: fu l'inventore Pisone da Regio.

Di far la posca è stato il primo Clenardo da Pola.

Di dar il moscatello al vino: fu l'inventore Godinzo bresciano.

Di far l'hippocrasso, siamo tenuti à Gottifredo di Monlione.

Del vino fatto de prugnoli è stato l'inventore Polidamasso da spello.

Del far il vino col sacco: fu inventore Cosmo dalla Mirandola.

Del vino di mele granate tiensi fusse l'autore Philisto medico
Rhodiotto.

Dell'aquaruolo tiensi per authore Nonnio da Moncia.

Delle cervose ch'hoggidi si usano in alcune parte di Francia, Alemagna,
Inghilterra, & altri paesi: tiensi fusse l'autore uno maestro Placidio
da Vilna lituano: huomo nemico mortale dell'acqua, & sviscerato del
vino.

Di ber un sorso d'acqua fresca dopo il pasto, fu consiglio di Celso,
& io sovente senza nocumento alcuno (quantunque sia di stomaco debole)
n'ho sentito grande utilità.

Domitiano brunello: fu inventore di quella bevanda detta da popoli di
Thracia, Anysta, laquale, si soleva bere con gli occhi chiusi, ne fa di
questa mentione Oratio nel primo lib. de suoi versi.

Thimotheo Cogellio: fu inventore di quella bevanda detta oxihalma:
laquale si faceva di sale, & di fresco aceto, per andar ne luoghi
sospetti de fiati serpentini.

Hieroniano medico Rodiotto: fu inventore di quella bevanda detta
oxizaccara, fatta di zucchero, & di aceto, per rinfrescar i corpi
nostri: del medesimo autore, trovo in piu d'un luogo memoria presso di
M. Tullio.

Bestonio hidruntino: fu l'inventore della bevanda detta piratio: perche
de peri si faceva: & pigliavasi in luogo di vino. S. Gerolamo contra
Ioviniano persuade à Thimotheo, che non piratio, ma vino ne l'avenir
beva per il stomaco mal conditionato.

Callimeno pendonio: fu inventore del zitho, che si fa in Egitto, del
medesimo autore è inventione la bua: bevanda da fanciulli, de laquale
Catone fa ne suoi scritti grata memoria: il medesimo fu inventore della
Celia, & della cerea che si fa in ispagna: & della Cervisia gallicana:
laquale, se non si adacqua, imbriaca come fa il vino.

Hippocrate di Coo medico eccellentissimo: fu inventore della ptisana:
fassi d'orgio: fanne di questa mentione Martiale nel XII.

Gregorio buccalino dalmatino dell'isola di mezo: fu l'inventore della
bevanda detta Sabaia: fassi d'orgio, & di frumento, & è bevanda piu
usitata da poveri, che da ricchi.

                          SUISNETROH, SUNDAL,
                               ROTUA TSE



                         BRIEVE APOLOGIA DI M.
                            ORTENSIO LANDO,
                       per l'autore del presente
                               Chatalogo.


Mi par d'udir mormorare alcuni scioperati, & licentiosi, & dire, che
questo cathalogo sia per la maggior parte finto: & perciò io come
consapevole delle molte fatiche dell'autore: hò succintamente segnato
i nomi di coloro dell'opra de quali s'è servito: & primieramente dirò,
che questo valent'huomo s'è prevaluto dell'opera di Ephoro Cumeo, che
scrisse in vintisette libri l'historia di Galeno imperadore, di Ibico
Regino famigliare di Policrate tiranno: di Geronimo Rhodio scrittore
de fatti di Demetrio Poliorcete, & di Dione pruseo, ilquale scrisse
dieci libri delle virtù di Alessandro (il magno) s'è servito anchora
molto di Calistene Olinthio, & di quel Calisto, che scrisse in verso
heroico l'historia di Giuliano principe: s'è anchora (se non sapete)
servito di Cherilo Samio, & di Clearco solense, che scrisse de Varia
historia: trovo di piu legendo i scritti di Actio Pisauriense, di
Terentio Scauro, di Hiperide emulo di Demostene, di Trasimacho, di
Theopompo Unidio, & di Gn. Potamone: che molto di loro s'è nel suo
cathalogo servito, & halli diligentemente, & letti, & riletti: Se voi
lettori ne vorrete di questo far l'isperienza, la potrete commodamente
fare, à me basta d'haverveli addetati, ne vi paia già maraviglia, che i
sopradetti scrittori si antichi & rari, li sieno pervenuti alle mani:
essendo egli huomo di miserabile fortuna: imperoche fu costui longo
tempo posseditore de la libraria di Gordiano imperadore, dove furono
sessantadue mille volumi: ha vedute le librarie Pergamene, delle quali
favellando Plutarco, scrive che ne contenessero ducento mila: costui
rimase herede delli libri di Tirannione grammatico, che furono tre
milia: ne sol di questi, ma di quelli anchora fu herede quai lasciò
Triphone libraio del quale Martiale favellando, scrisse, Non habeo se
habet Bibliopola Triphon, alqualle Triphone scrisse già Quintiliano
nella Epistola liminare delle sue oratorie institutioni, siche parve
lettori, ch'egli habbi havuto il modo di scartabellare, & di ritrovare
quel che à molti altri stette longo tempo nascosto? molte cose hà
egli pretermesso di dire per esser il piu amico della brevità che mai
ponesse penna in carta: non altro dico: State sani lettori, & pregate
Iddio doni longa vita à questo nostro prosatore, che io vi prometto,
che s'egli campa, che del molto scrivere non cederà à Chrisippo,
non à Servio Sulpitio, non ad Atteio Capitone, non ad Empedocle, non
finalmente ad Aristarco discepolo di Aristophane grammatico, ilquale
scrisse piu di mille commentari.

Di Vinegia alli XXIII de Settembre.



NOTE:


[1] Casa Pharaoni.

[2] Vermi da far seta.

[3] Un frate di casa montone cosentino.

[4] La cecaria del Epicuro Caracciolo.

[5] Casa Galeotta. Pignatella. Caraffa.

[6] C. Genaro.

[7] Cavallucci & armeline sono picciole monete.

[8] Cascio di latte buffalino, detto cavallo.

[9] Casa Brancalione.

[10] Simone porco.

[11] M. Antonio delli Falconi.

[12] Donna Cornelia piccolomini figlia del Marchese di lecito.

[13] Il Cardinale Cortese da Modona. Il car. de pij da carpi. Il car.
S. Agnolo da Veruli. Il Car. da gambera. Il trivultio. Il tridentino.
Il cecis. Casa beccari. Colonna & casa orsina.

[14] Casa capo di ferro. Casa capizucca. Pasquino.

[15] Laodomia forte guerra.

[16] La academia delli intronati. Il stordito academico. Casa Crudeli
piccolhuomini Saracini.

[17] Venturi. Salvi. Amadei. Casa bellagaio.

[18] Il Vescovo di Casale gia detto M. Bernardino della Barba.

[19] Casa Caponi. Casa dei. palle. Alemani. Carne secca. Martelli.
Medici. Pazzi.

[20] C. Salviati. Salviato è un cibo. Congiura de Pazzi per uccider i
Medici.

[21] Casa gigli.

[22] Casa de nobili, Honesti Giusti, Buonvisi, Adeodati. Turchi,
Malpigli, Orsucci, Spada, Sbarra, Poggi.

[23] Prosperi, Calandrini.

[24] Il bocca de ferro filosofo. Casa Manzuoli.

[25] Ca. marsilij. Casa delle Arme, & della Malvasia. La Manarona.

[26] La Nuora di M. Carlo Rovino detta la Rovina.

[27] Lo hospedale della morte.

[28] Ca. Columbi. Casa co de bo. Castel vetro de Rangoni.

[29] M. Rinaldo Corso.

[30] Il s. Galeotto Pico.

[31] La S. Laura da montecchio.

[32] Ca. rugieri. M. Paulo, & Hippolito folia, hospiti dello autore. M.
Lucretia tortorella.

[33] Il cavaglier Gazuola.

[34] M. Gabriele, & M. lionello tagliaferro.

[35] Casa Baiarda. La S. Ottavia baiarda.

[36] Casa Cornazani.

[37] C. marini. Casa grilli. Casa Paravicini.

[38] Casa Gonfalonieri. Il S. Gio. Aluvigi Gonfalonieri.

[39] Il Sale presso delle S. Scritture significa la sapientia.

[40] Ca. sforza.

[41] Casa copelati.

[42] C. Asinelli, Pavari, Pavarelli, Formighini, volpini.

[43] Sarmato castello de Scotti. C. fontana. Casa Bracciforti.
Barattieri. Ca. Buttafuoco.

[44] Ca. Cacastracci. Ca. Tosi. Crespi. Calvi. Casa selvatici. Draghi.
Cavra. Ca. cavalli. Corvi.

[45] Ca. taverna. Ca. caino. C. de santi. Ca. pietra santa.

[46] ca. Medici.

[47] I conti di bel gioioso.

[48] ca. castello. ca. castelletti, & del castellaccio.

[49] C. davalos.

[50] il valente & accostumato capitano pozzo da Perego.

[51] C. Pobbia. C. da pero.

[52] Casa viso di huomini. Ca. mena pace.

[53] C. cavrioli.

[54] La S. Camilla cavriuola.

[55] La S. E.

[56] Ca. Stella. M. Vincenti stella. La S. Lionella rovata.

[57] Casa rosa. M. Paris rosa: & la S. Giulia rosa.

[58] Cap. Orlando porcello, comito in expectando.

[59] Lipomani significa molesto, & maniaco.

[60] C. maggio. C. palazzi. M. Gioanandrea palazzo. Ca. sala. M. Nicolo
sala.

[61] Ca. Tassi, Zanchi, & Allegri. Zanchi, altrove mancini. Ca. Lupi.

[62] La S. Artemisia scotta piena di virtu. Ca. santi Agnoli.

[63] Ca. Valenti M. Susanna valente. C. Capilupi.

[64] Il S. Lelio. Il s. Benedetto, il S. Gioanni agnelli. C. Passerini
da gonzaghi amazzati. C. boschetti.

[65] Ca. Arrivabene. Ca. putelli. M. Ludovico trida pali. C. contrarij.
C. Fiaschi. Alcune signore di casa trotti.

[66] La S. Tadea malaspina. La S. Genevra mala testa.

[67] Il medico recalco.

[68] M. Lucretia cuoca.

[69] Il paradiso un palazzo antico di Ferrara. La contrada delli Agnoli.

[70] Lo hospedal di S. Anna.

[71] Casa pij. La hostaria dello agnolo.

[72] Materia, forma, & privatione, principij delle cose naturali.

[73] Casa dotti. Ca. capi di vacca. M. sperone philosopho eccellente.
C. Gallina. C. Frigemelica. Ca. seccamelica in Piacenza.

[74] M. Iacopo da panago ceco & ottimo divinatore.

[75] Il conte di monte. Labbate imbasciatore di Urbino.

[76] Ca. cacherani. Ca. malabaglia. Madonna Medusa. C. lumaga M.
Cipriano & Gioan maria lumaghi. Il capitano Hercole salice. Ca. salci.

[77] C. cagnuoli. Il cap. Dominico Arriano. C. bendIddio. M. Nicolo.

[78] Il monastero della misericordia. Giuoco tra la citta & Ancona dove
suol star la madonna.

[79] S. Maria della pace, et delle gratie, & delli Agnoli.

[80] Casa tosabezzi.



Nota del Trascrittore

Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo
senza annotazione minimi errori tipografici sulla scorta di una
precedente edizione (1548).





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