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Title: I viaggi di Gio. da Mandavilla, vol. 2
Author: Mandeville, John, Sir
Language: Italian
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*** Start of this LibraryBlog Digital Book "I viaggi di Gio. da Mandavilla, vol. 2" ***


                                I VIAGGI
                                   DI
                           GIO. DA MANDAVILLA


                     VOLGARIZZAMENTO ANTICO TOSCANO
                    COLL'AIUTO DI DUE TESTI A PENNA

                              per cura di

                          FRANCESCO ZAMBRINI.


                                VOL. II.



                                BOLOGNA.
                       PRESSO GAETANO ROMAGNOLI.
                                 1870.



                     Edizione di soli 206 esemplari
                          per ordine numerati.

                                N. 199.

                  IMOLA. — TIP. D'I. GALEATI E FIGLIO

                           Via del Corso, 35.



DI MOLTI VARII E DIVERSI PAESI CHE SONO DI LÀ, E DEL MONTE ATALANTE, E
DELLA CITTÀ DI TRABISONDA, DOVE GIACE SANTO ATANAGIO, E DI MOLTI REAMI
DI BARBARIA.

Poi che io v'ò detto e scritto di sopra el magnifico[1] della Terra
Santa, e del paese d'intorno, e di molte vie per andare a quele
tere e al monte Sinai, e della minore Babillonia, e degli altri
luoghi sopradetti, oramai è tempo di parlare, se vi piace, del paese
confinante e de le altre province e isole di diverse gente e bestie
che sono oltre a quegli confini, perchè nel paese di là sono di molte
strane contrade e molte diverse regione per cagione di quatro fiumi che
vengono dal paradiso terrestre, perchè Mesopotamia, il Reame di Caldea
e Arabia sono tralle due riviere di Tigris ed Eufrates: e i Reami di
Artusia, di Assiria, di Media e di Persia sono tralle riviere del Nilo
e di Tigris: e Soria, della quale v'ò parlato di sopra, e Palestina e
Finice sono tra il fiume di Eufrates e il mare mediterraneo; el qual
mare mediterraneo dura di lungo da Maroch sopra il mare di Spagnia
infino al mare grande, sì che e' dura oltra Gostantinopoli oltre a
CCCº. XL. leghe lombarde, verso el mare Occeano. In India è il mare di
Sithia, il quale è sempre serrato di montagnie: e poi di sotto Sithia,
dal mare Caspio infino al fiume di Tanai, è Amazonia, cioè terra di
femine, ove non sono se non femine: e poi il Reame di Albania, el quale
è molto grande; e chiamasi Albania, perchè le gente del paese sono più
bianche che l'altre d'intorno. In questi paesi son cani sì grandi e
sì forti, che uccidono e lioni. E poi appresso v'è Ircania, Ibernia
e molte altre regione. E tra el mare rosso e el mare Occiano, verso
mezo dì, è la regione di Etiopia e la superiore Libia; la quale Libia
comincia al mare di Spagnia, dove sono le colonne d'Ercole, e dura
infino inverso Etiopia e Egitto. E in questo paese di Libia è assai el
mare più alto che la tera, e pare che la tera si deba coprire d'acqua;
niente di meno l'acqua non passa il suo termine. E vedesi da quel
paese il monte Atalante che passa le nuvole, dove non si può andare;
ma chi va inverso oriente, in questo paese, l'ombra del suo corpo gli
va a man dritta, sì come abiamo di qua a man sinistra. In questo mare
di Libia non vi si truova pesci, però che pel caldo del sole l'acqua
è tanto calda, che non vi posono vivere. In questa Libia son molti
Reami e diversi paesi, e quali sarebe cosa lunghissima a parlarne e a
narrargli. E similmente nelle parti basse, inverso il mare di Spagna,
vi sono molte regioni; come il reame di Zeb, e il reame di Terruza,
e il reame di Raugia, e il reame di Algarbo, e il reame di Turnita di
bella marina, e di Maroch, e di Monte Fiore, di Cartagine e di Affrica,
e molti altri sono inverso cristianità; de' quali tutti non vi potre'
racontare, ma assai appresso vi parlerò più pienamente delle parte
orientale. Adunque chi volessi andare verso Tartaria e verso Persia,
verso Caldea, verso India, enterebe nel mare a Genova, a Vinegia, o
vero ad alcuni altri porti sopraddetti; e vassi per mare a una buona
città chiamata Trabisonda, che soleva essere chiamata Porto di Porti.
E ivi è il porto de' persi, e de' medii e altre contrade di là. In
questa città giace santo Attanagio, che fu vescovo d'Alesandria. Questo
vescovo fu gran dottore in teologia e fece il simbolo: _Quicumque vult
salvus esse_. Il quale, perchè profondamente parlava della Divinità
e della Trinità, fu acusato per eretico e imprigionato per lo papa; e
fece il detto simbolo in prigione, e mandollo al papa, domandandogli
se lui era eretico, ciò era perchè gli articoli di quelo simbolo non
erono buoni[2]. E poi che 'l papa l'ebe veduto, disse, che quella era
la nostra fede, e comandò che si cantassi ogni dì a prima, e riputollo
vescovo valente e vero cristiano, e fu liberato; ma mai non volle
ritornare al suo vescovado, però che per invidia era stato acusato di
eresia. Trabisonda soleva esere dello imperadore di Gostantinopoli, ma
un ricco uomo, mandato per lo imperadore per guardia del paese contro
a' turchi, ha usurpato la terra e subgiogato il paese, e chiamasi
imperadore. Di Trabisonda si va per la piccola Armenia, chi vuole.


DEL CASTELLO DI SPARVERI, DOVE STA UNA BELLA DONNA DE' DONI DI VENTURA,
LA QUALE DÀ, A CHI FA LA VEGHIA VII. DÌ NATURALI, QUELLO CHE 'L SA
ADOMANDARE.

E in questo paese sono dua castegli antichi, le mura de' quali sono
alquanto coperte di edera, e sono di sopra a un monte. E uno di quegli
castegli è chiamato[3] Castello delli Sparvieri, e è posto oltra la
città di Laiais, e è assai apresso della villa di Persipea, la quale
è del signore di Zench, il quale è ricco e valente e buono cristiano.
In questo castello si truova uno sparviere sopra una pertica, molto
bello e pulito, e una bella donna di doni di ventura, la quale guarda
questo sparviero; e chiunche vegliasse sopra questo sparviero sette
giorni naturali, et alcuni dicono tre soli, sanza dormire nè tanto nè
quanto, questa donna verrebbe a lui, fatta la veghia, e domanderebbeli
el primo augurio che egli si sapesse augurare delle cose terrene.
Questa medesima veghia già gran tempo fece uno valente principe, Re di
Armenia; e da poi che ebbe veghiato, la donna venne a lui e dissegli,
che egli havea ben fatto il dovere. Il Re rispose, che era assai gran
signore e bene in pace, e havea assai gran riccheze, e che non si
augurarebbe altro al suo volere, che havere il corpo di questa donna.
La donna rispose, che ella non sapeva, perchè egli domandava così
fatta cosa, e ch'e' non la potrebbe havere, e che non doveva chiedere
altro che cosa terrena, e che ella non era terrena, anzi spirituale.
Il Re disse, che non voleva altre cose. E la donna disse: Poi ch'io
non vi posso ritrare del vostro volere e stolto core, io vi fo un dono
sanza aguriare, che tutti quegli che discenderanno di voi, per insino
al nono grado, sempre abbiate guerra senza ferma pace, e sarete in
subiezione di vostri inimici, e harete bisogno di riccheze. E dapoi in
qua, nessuno Re d'Armenia è stato in pace, e non è stato abondevole,
e sempre è stato sotto tributo de' saracini. Item, il figliuolo d'uno
povero il simile fece una volta la veghia, e sì si augurò, che elli
si potessi ben guardare dalla fortuna e d'essere bene avventurato in
mercatanzia. E la donna gli concesse, e diventò il più rico e 'l più
famoso mercatante che potesse essere nè in mare nè in terra. E tanto
fu ricco, ch'el non sapeva la millesima parte di ciò che egli haveva;
e costui fu più savio in augurarsi, che non fu il Re. Uno cavaliero
del tempio per lo simile veghiò, e augurossi una borsa sempre piena
d'oro, e la donna gliel concesse, ma li disse che haveva dimandato
la destruzione di casa sua e del suo ordine, sì per la fidanza di
questa borsa, sì per la grande superbia che harebbe; e così avenne. Ma
guardisi bene tutta via colui che farà la detta vigilia, che egli non
potrebbe sì poco dormire, che egli sarebbe perduto in tutto, e mai più
non si rivedrebbe. Questa non è però punto la dritta via per andare
alle prenominate parte, ma chi volesse vedere sì fatta maraviglia, lo
potrebbe fare. E chi vuole andare per la dritta via a Trebisonda verso
la grande Armenia, va a una cittade, chiamata Articon. Questa soleva
essere molto buona e abondante, ma li turchi l'hanno molto guasta. Ivi
d'intorno nasce poco vino e pochi altri frutti. In questo paese è la
terra molto alta, e èvi gran fredi, e sonvi assai buone acque di fonte,
che vengono da uno fiume del paradiso terrestre, e viene di sotto
terra et è chiamato Eufrates, e è dilungi el fiume dalla città quasi
una giornata; e viene questa riviera sotto terra d'India, e risurge
alla terra di Altasar, e passa apresso a Armenia, e entra nel mare di
Persia. Da questa città di Articon si viene a una montagna, chiamata
Sabisacola.


DELLA MONTAGNA DI ARARATH, DOVE SI FERMÒ L'ARCA DI NOÈ, E DELLA CITTÀ
DI LAIDENGE, E DELLA CITTÀ DI THAURISSA, E DELLA ABONDANZIA SUA.

Et ivi allato è un'altra montagna, chiamata Ararath, e li giudei la
chiamano Camon[4], dove si fermò l'arca di Noè dopo il diluvio; e
ancora oggidì v'è sopra questa montagnia l'arca, e vedesi quando el
tempo è ben chiaro. È questa montagnia alta ben VII. leghe; e dicono
alcuni, che vi sono stati, che ànno veduto e toccato l'arca e posto
el dito nel buco per lo quale uscì el nimico, quando Noè disse:
_Benedicite _: ma tutti questi che ciò dicono partono a lor piacere,
però che niuno vi poterebe salire suso. Per la grande abundanzia delle
neve, che sempre vi stanno il verno e la state, uomo niuno non vi
poterebe montare, nè mai montò dopo il diluvio di Noè, salvo che un
monaco, el quale per la divina grazia se ne portò un pezo dell'arca, la
quale è al presente appiè della montagna in una chiesa. Questo monaco
aveva grande disiderio di montare insu questa montagnia, e sforzossi
un dì per salire; ed essendo montato infino alla terza parte del monte,
trovossi molto lasso e stanco: più oltre non potea andare, e riposossi
a dormire; e isvegliato che fu, si ritrovò a piè de la montagnia. E
allora dolcemente pregò el nostro Signiore, che gli volessi concedere
e aconsentire, che vi salisse. Onde uno angelo vi venne, e dissegli,
che montasse un'altra volta, e così fece, e reconne quel pezo; e dapoi
niuno mai non vi salì; ma così fatte parole non sono però da credere.
A piè di questa montagnia era la città di Laigdenghe, la quale edificò
Noè; e dall'altra parte, assai d'appresso, la città di Ani, nella
quale soleva esere mille chiese. Da questa città si va alla città
di Thaurissa, che soleva esere chiamata Farsi, la quale è una bella
città, e grande, e una delle magiori che sia al mondo per mercatanzia.
Qui vanno mercatanti per comperare roba di pregio: questa è la terra
dello imperadore di Persia, e dicesi che lo imperadore à più rendita di
questa città, per cagione della mercatanzia, che non à il più ricco Re
de' cristiani di tutte le sue terre, però che quivi sono mercatanzie
d'ogni sorte sanza numero. In questa città è una montagnia di sale,
della quale ogni uomo ne toglie quanto n'à bisogno. Ivi dimorano molti
cristiani sanza trebuto de' saracini; e da questa città si passa per
molte ville e per molte castella, andando verso India; e vassi a una
città chiamata Sodoma, ch'è dilungi da Taurissi X. giornate, ed è molta
nobile città e grande, e ivi la state sta lo imperadore di Persia;
imperò che 'l paese è assai fresco; e qui sono di molte riviere, che
portono navilii. E dipoi si va al camino di verso India per molte
giornate e per molte città, e passasi a una città chiamata Cassach,
la quale è molto nobile città e abundante di biade e di vino e d'altre
cose. Questa fu la città onde si trovorono e si ragunorono insieme, per
la divina e inmensa grazia, e tre Re per andare a Bethlem per vedere
e adorare e presentare il nostro Signiore Iesù Cristo. E da questa
città infino a Bethlem sono LIII. giornate. Da questa città si va a
una altra città, chiamata Tech, la quale è a una giornata dal mare
arenoso. Questa è la magiore città che abia el Re di Persia, e in tutta
la sua terra dicono al vino _vape_, e alla carne _dagabo_: e i pagani
dicono, che in questa città non possono lungamente vivere e cristiani,
e però poco vi stanno; e di ciò non so la cagione. Poi si va per molte
città e per molte ville, delle quale sarebe lunghissimo contare, infino
alla città di Cornea, la quale soleva esere tanta grande, che le mura
d'intorno tenevono XXV. leghe di circuito: le mura parevono dipinte;
ma non è la città così grande, come solea. E da Cornea si va per molte
città et eziandio per molte terre e molte ville infino alla terra di
Iob; e ivi finisce la terra de lo 'mperadore di Persia: e se volete
sapere le lettere de' persi, e come son chiamate, legete qua[5].


DELLA TERRA DI IOB E DELLA ABUNDANZIA D'ESSA, E COME SI RICOGLIE LA
MANNA, E DELLA PROPRIETÀ SUA.

Poi, partendosi da questa città di Cornea, si entra nella città di Iob.
Questo è bel paese, e ivi è grande abundanzia d'ogni bene, e chiamasi
la terra Sichessa: e in questo paese è la città di Tenian. Iob fu
pagano, figliuolo fu del Re Aredengorza: e' tenea questa tera a modo di
principe del paese, ed era sì ricco, che non sapea la centesima parte
di ciò che aveva; e quantunque fussi pagano, non di meno serviva al
nostro Signore Idio, sicondo la sua legge; e il nostro Signore Idio
aveva a grado il suo servigio; e quando lui cadde in povertà era d'età
d'anni LXXVIII. E poi che 'l Signor vide la sua grandissima pacienzia,
lo rimisse nella sua grandeza e richeza, e nella sua alteza; e poi
fu Re di Idumea, dopo el re Esaù. E quando e' fu Re, e' fu chiamato
Iobab: e in quel reame Iob visse CºLXX anni; e quando lui murì aveva
CCXLVIII. In quela terra di Iob non è mancamento di cosa alcuna a
l'uomo bisognoso. Ivi sono montagnie, dove si truova magiore e migliore
abundanzia di manna più che in niun'altra parte. Manna è chiamata pane
degli angioli, ed è una cosa bianca e molto dolce e dilettevole, e asai
più dolce che mele o zuchero, e viene dalla rugiada del cielo, e cade
sopra all'erbe di quel paese, e poi aggelasi e viene bianca e dolcie: e
di quella si mette in medicine per gli ricchi uomini; però che netta il
ventre e purga il cattivo sangue e leva la malinconia dal cuore. Questa
tera di Iob confina col reame di Caldea.


DEGLI ORNAMENTI DE' CALDEI, E QUALI SONO BEGLI UOMINI, E LE FEMMINE
SONO BRUTTE E MAL VESTITE.

Il Reame di Caldea è molto grande, e questo linguaggio[6] è el magiore
che sia di là dal mare. Di qui si passa per andare alla terra di
Babillonia, cioè la grande Babillonia, della quale v'ò altre volte
parlato, là dove e linguagi furono in prima trovati; ed è quatro
giornate di qua da Caldea. E nel Reame di Caldea sono gli uomini begli,
e sono nobilmente apparati di corege dorate, e i drappi loro sono
ornati con fregi d'oro, di perle e di pietre preziose nobilisimamente:
e le donne loro sono bruttissime e mal vestite, e vanno a piedi ignudi,
e portano una brutta foggia di vestimenti, larga e corta infino a'
ginochi, e sono le maniche larghe a modo d'uno scapolare da monaco; e
queste maniche pendono infino a' piedi: e queste femine ànno e capegli
neri e scompigliati, e spenzolano giù per le spalle: e sono le dette
femmine molto nere, brutte e non punto graziose; e sono spaventose
a risguardare, e in loro si truova tanta bruttura, che io non saprei
scriverlo. In questo reame di Caldea è una città chiamata Hus, e ivi
stette Thar, padre d'Abraam patriarca, e fu nel tempo di Nino, che
fu Re di Babillonia, di Arabia e di Egitto. Questo Nino fece la città
di Ninive, la quale avea Noè cominciata a fare; e poi che Nino l'ebe
compiuta, sì la chiamò del suo nome, Ninive. Ivi giace Tubbia profeta,
del quale parla la santa Scrittura. Da questa città d'Hus, per lo
comandamento di Dio, si partì Abraam dopo la morte di suo padre e menò
seco Sara, sua moglie, e Loth, figliuolo del suo fratello, però che
lui non aveva figliuolo. E poi dimorò Abraam nella terra di Canaan in
un luogo chiamato Sichem; e questo luogo fu salvato quando Soddoma e
Gomorra e altre città furono arse e somerse in abisso, là dove ora è
il mare morto, sì come v'ò detto altre volte. In quela tera di Caldea
egli ànno lor proprio linguagio e lor propie lettere fatte come qui di
sotto.[7]


DEL REGNO DELLE AMAZONE E DE' LOR COSTUMI E USANZA, E DI TRAMEGITTA,
DOVE ALESSANDRO MAGNO FECE EDIFICARE ALESSANDRIA.

Da poi, oltre a Caldea, è il paese di Amazonia, cioè la terra di
femine. Questo è un reame dove non abita se non femine, non punto come
alcuni dicono, che gl'uomini non vi poterebono vivere, ma le femine
non vogliono che gli uomini abino signoria sopra di loro; però che
anticamente fu uno Re, el quale era Re di quello paese, e maritavansi
gli uomini colle donne, come altrove si fa[8]; e quello re era chiamato
Colapino. Guerregiando col Re d'Africa, fu morto in battaglia insieme
col nobile sangue del suo Reame; e vedendo la Reina, insieme con altre
nobile donne, che elleno erono rimase tutte vedove, e che la gentilezza
di quel paese era perduta; a modo che disperate, tutte s'armorono, a
ciò che tutte l'altre femine del regnio della loro veduità le facesono
compagnia, e uccisono tutto el resto degli uomini del paese; e d'allora
in qua non ànno voluto che niuno uomo abiti fra loro più di sette dì,
e non vogliono compagnia d'uomini: elle si riducono inverso le terre
de' lor confini, e ivi truovono e loro amici che le vicitono e con
esse dimorono X. giorni, e poi ritornono indietro. E se elle ànno
figliuoli maschi, o sì ch'elle gli uccidono, o vero che dipoi che
eglino sono d'anni due, che eglino ànno apparato a mangiare da loro e
andare, gli mandono ai lor padri; e le femine che nascono di gentil
sangue gli tagliono, o vero cautarizano la mammella sinistra, a ciò
che sien più atte a portar lo scudo: e s'elle son femine populare, gli
tagliono la destra poppa, acciò che non le 'mpacci a saettar coll'arco
turchesco, però ch'elle tragono molto bene. In questa terra si è una
Reina, la quale governa tutto el paese, e tutte le femine ubidiscono
a lei. Questa Reina si fa sempre per elezione, ed è eletta quella
che è più valente in arme. Queste femine sono molte buone guerriere,
prode e savie e valente, e spesse volte vanno al soldo per guadagnare,
e aiutono degli altri signiori e mantengonsi vigorosamente. Questa
terra de Amazonia è una isola tutta circundata d'acqua, salvo che in
dua luoghi, per li quali sono due entrate, e allato di queste entrate
stanno e loro amici, colli quali elle vanno a sollazare a lor volontà.
Allato Amazonia è la terra di Tramegitta, la quale è un paese molto
buono e dilettevole. Per la grande bontà del paese, il Re Alesandro
fece fare prima ivi la sua Alesandria, la quale è ora chiamata
Cielsite: dall'altra parte di Caldea è Etiopia, un gran paese, el quale
si stende infino a' confini d'Egitto.


DI ETIOPIA, E COME IVI SONO GENTI DI DIVERSE MANIERE, PERCHÈ ALCUNI NON
ÀNNO PIEDI, ALTRI SONO FANCIUGLI E ÀNNO CANUTI E CAPEGLI, E QUANDO SON
VECHI GLI ÀNNO NERI.

Etiopia è partita in due parte principale, cioè nella parte occidentale
e nell'altra parte meridionale: la parte meridionale si chiama
Montagnia, e ivi sono le persone più nere che altrove. Ivi è una fonte
che di dì è tanta fredda, che niuno none può bere; e di notte è tanto
calda, che niuno vi poterebe tenere le mani dentro. E più oltre a
questa parte meridionale, tutta via inverso al mezo dì, al passare del
gran mare Occeano, quivi è una gran terra e un gran paese, ma niuno
non vi poterebe abitare per lo gran caldo del sole, che sopra a questo
paese dirittamente sparge li suoi ragi. In Etiopia tutti' fiumi sono
turbi, e l'acque sono insalate per cagione del gran mare Occeano. Le
genti del paese spesso si imbrodono, cioè imbriacono[9], e non ànno
mai grande apetito di mangiare, e ànno comunemente flusso di corpo,
e vivono poco tempo. In Etiopia sono gente di diverse maniere, tra
le quali è una gente che non à se none uno piede tanto largo, che,
distendendosi in terra, coprono tutto il resto del corpo, e corono sì
forte, ch'è una maravigliosa cosa a vedere; e sono chiamati Cussia.
Ivi i fanciugli ànno i capegli canuti; quando diventon grandi, si fanno
neri. Item, in Etiopia è la città di Sabba, de la quale fu signiore uno
de' tre Re, e quali vicitorno il nostro Signiore in Bethlem. Di Etiopia
si va in India per molti e diversi paesi, la quale si chiama India
alta e magiore, la quale è paese caldissimo: in India mezana è il paese
temperato.


COME SI FA IL CRISTALLO, COME NASCONO LE PERLE, E COME NASCONO E
DIAMANTI, E COME CRESCONO; E DELLA VIRTÙ E PROPIETADE SUA, E COME E'
PERDONO LA VIRTUDE, E COME SI CONOSCONO E BUONI DA' CATTIVI.

India minore, che è la terza parte et è verso settentrione, è paese
freddissimo, nella quale, per la continua freddura dell'acqua, si fa
cristallo sopra e sassi. Di questo cristallo nascono buoni diamanti,
e quali ànno similitudine di colore di cristallo torbido e giallo,
che trae al colore d'olio: e questi diamanti sono tutti duri che non
si possono pulire. Altri diamanti sono che si truovono in Arabia, che
non sono così buoni, e sono più bruni, e sono più teneri, e truovasene
ancora nelle terre di Macedonia, ma e migliori e più preziosi sono in
India. E molte volte si truovono diamanti nella massa della minera
d'oro, quando, affinando, si rompe, e sono molti duri, ma e' si
conviene rompere la massa per minuti pezi; e truovasene alle volte de'
grandi come uno quattrino fiorentino, e tal volta minore; e sono così
duri, come quegli d'India e tagliono l'acciaio e 'l vetro legiermente.
E quantunque in India sopra e sassi di cristallo si truovino buoni
diamanti, niente meno si ne truova sopra e sassi di may[10] e sopra le
montagnie dove è miniera d'oro. E diamanti si truovono e crescono molti
insieme, l'un piccolo e l'altro grande, et àvvene alcuno della grandeza
d'una fava[11]; e lo più grosso, che possa esere naturalmente, è della
groseza d'una nocciuola; e tutti son quadrati e acuti, per natura senza
opera d'uomo, e sono chiamati in India Ameseth, e si truovono, come
di sopra t'ò detto, nella via dove passa la miniera d'oro, e crescono
insieme maschi e femine, e sì si nutricono della rugiada del cielo,
e sì concepono e generono de' piccoli a lato a loro, e comunemente
multiplicono e crescono ogni anno. Io ò molte volte esperimentato,
che, mettendo el diamante a la rugiada colla punta in suso e spesso
molificarlo della rugiada di maggio, elli crescono, e li piccoli si
fanno buoni, grandi e grossi, sicondo la loro natura. E veri diamanti
fanno come fanno le perle, che si concriono alla rugiada del cielo[12];
e come le perle naturalmente pigliono ritondità, così e diamanti
per divina virtù pigliono quadratura. Ogni diamante, portato dallato
sinistro, è di magiore virtù che portarlo dallato destro, perchè la
forza dell'origine loro viene da settentrione, che è la sinistra parte
del mondo, ed è alla sinistra parte de l'uomo quando volge la faccia
verso oriente. Se voi volete sapere la virtù del diamante, quantunque
voi abiate li vostri lapidari, non dimeno, perchè ogni uomo non lo sa,
io la metterò qua, secondo che dicono e afermano quegli d'oltrammare,
da' quali è proceduto ogni scienzia e profezia. Il diamante, a colui
che 'l porta, dona ardire e forza a custodire e membri corporali
interi: dona vittoria di inimici in piato e in guerra[13], se la
cagione è giusta; e tiene il portatore in buono stato e sentimento, e
difendelo da lite, e contese, e cattivi spiriti; e qualunque volesse
afatturare, o incantare colui che 'l porta, per la virtù della pietra,
le fatture, o vero incantazioni, tornerebono sopra de' maestri:
niuna bestia salvatica arebe ardire d'assalire colui che 'l porta.
Il diamante debbe essere donato sanza miseria d'avarizia e sanza
comperarlo, e allora à magior virtù, e fa l'uomo più forte e più fermo
contro a' suoi inimici, e libera e lunatici e li indemoniati; e se
veleno o altra mala puntura o animale venenoso son posti in presenzia
del diamante, subito diventa umido e comincia a sudare. In India sono
alcuni diamanti che sono violati, o vero più bruni che violati, i
quali sono ben duri e preziosi; ma alcuni non gli amono punto tanto
quanto gli altri, ma io, quanto per me, gli amerei bene altrettanto,
imperò che io gli ò veduti isperimentare. E d'altra maniera ne sono,
bianchi quanto cristalo, ma pur alquanto più torbidi, e son buoni
e di gran virtù, e tutti sono acuti; e tali quadrati; altri ànno
sei coste, e altri tre: sono così di natura formati: però li grandi
signori, scudieri, cavalieri, e altri gran maestri, che cercono onore
in fatti d'arme, o vero nelle guerre e nelle battaglie, gli portono in
dito. Quantunque io alquanto mi dilunghi dalla materia mia, nondimeno,
a ciò che egliono non sieno ingannati da' barattieri del paese che
gli vanno vendendo, io parlerò alquanto più de' diamanti. Chi vuol
comperare diamanti, gli conviene che gli sapia conoscere, però che gli
contraffanno di cristallo giallo e di zafiro; di luopa e di citrino;
d'una pietra chiamata Iris, e d'alcune piccole pietre che si truovono
ne' nidii delli sorci, cioè ratti, che sono molte dure; ma tuttavia e
contrafatti non sono così duri come e naturali, e la punta leggiermente
si rompe; e sì si puliscono meglio; ma alcuni rubaldi non gli puliscono
maliziosamente a ciò che si creda che non si possino pulire per sua
fineza. La esperienza del diamante si fa in questo modo: prima si
pruova a tagliare in zafiro o in altre pietre preziose, e in cristallo,
e in acciaio; poi si toglie una pietra di calamita buona, cioè la
pietra de' marinari, che tira a sè il ferro; e se la calamita non fussi
troppo grossa, sopra di questa pietra si mette el diamante, e poi si
mette apresso un ago; e se 'l diamante non è contrafatto, anzi sia
diamante vero, mentre che 'l diamante sarà presente, mai la calamita
non trarrà l'ago, s'ella non fusse troppo grossa, la calamita[14].
Questa è la pruova che fanno quegli d'oltrammare. Ma interviene, che un
perfetto diamante perde la virtù per lo inconveniente di colui che 'l
porta, e alora è di bisognio fargli ritornare la propia virtù, o vero
che sarà di minore virtù e valuta.


DI INDIA E DELLA DIVERSITÀ DELLA GENTE CHE VI SI TRUOVONO; E DE L'ISOLA
DI ORIENS; E DE L'ISOLA DI CANNA, DOVE SI FANNO DIVERSE ADORAZIONE, E
LA RAGIONE PERCHÈ FANNO QUESTO; E PERCHÈ NON SOTTERRONO E LORO MORTI.

In India sono molti diversi paesi e molte diverse contrade, ed è
chiamata India per uno fiume, el qual corre per lo paese, apellato
Indo. In questo fiume si truovono anguille lunghe XXX piedi; e le gente
che abitono intorno a questo fiume sono tutte verde e gialle. In India,
e qui intorno a India, son più di V. Mª isole, buone e grande, sanza
quelle che sono inabitabili e piccole. In ciascheduna isola è grande
numero di città e di ville e di gente sanza numero, però che gl'Indiani
sono di così fatta maniera, che egli non escono del suo paese; perchè
eglino non sono mobili, perchè e' sono sotto el primo clima, cioè
Saturno, ch'è tardo e poco mobile, però che sta XXX. anni a voltarsi
pe' XII. segni del zodiaco, e la luna passa quegli XII. segni in un
mese: e perchè Saturno è di così tardo movimento, per questo le gente
che son sotto poste a lui non curono di muoversi del luogo loro. Nel
nostro paese è tutto el contrario; noi siamo sotto el settimo clima,
cioè della luna, la quale è di legieri movimento, ed è di pronta via da
caminare per diverse vie, di cercare cose strane[15], e la diversità
del mondo; però che ella circunda la terra più presto che altro
pianeto, come di sopra ò detto. Item, pel mezo d'India si va per molte
e diverse contrade infino al mare Occeano, e poi si truova una isola
che si chiama Ormes, dove vanno spesso mercatanti viniziani e genovesi
e d'altri confini per comperare mercatanzie. In questa isola è così
gran caldo che, per la stretta del caldo, gli testicoli degli uomini
gli escono di corpo, e ivi pendono infino alle gambe per la grande
disoluzione; ma le gente che sanno la natura del paese, si fanno legare
bene fermamente e ugnere d'uno unguento ristorativo e rinfrescativo
per tenere e testicoli nel corpo, che altrimenti non poterebono vivere
in questo paese. E in Etiopia e in altro paese le gente stanno nude
nelle riviere dell'acqua, uomini e femine tutti insieme, da l'ora di
terza in fino a bassa nona, e giaciono nell'acqua infino alla faccia
pel caldo, ch'è tanto ismisurato, che apena si può fugire; e non ànno
le femine punto vergogna de gl'uomini, ma giaciono privatamente a lato
a lato infino che 'l caldo è abattuto. Ivi si possono vedere di molte
brutte figure ragunate, spezialmente apresso a di buone ville. Ad
Ormes sono le nave di legnio sanza chiovi di ferro per li sassi della
calamita, della quale nel mare è tanta quantità, che è una maraviglia.
E se per questi confini passassi una nave che avessi ferro, di subito
perirebe; però che la calamita tira a sè per natura el ferro. Per la
quale cagione tirerebe a sè la nave, nè più di là si poterebe partire.
Di qui si va per mare a un'altra isola, chiamata Cana, nella quale è
grande abbondanza di biade e di vino. Quella isola soleva essere grande
e solevavi essere buono porto, ma al presente il mare l'à fortemente
guasta e sminuita. Il Re di questa soleva esere tanto potente, che
guerreggiava col Re Alessandro. Le genti di queste terre ànno diverse
legge, però che alcuni adorono il sole, alcuni il fuoco, alcuni gli
alberi, alcuni e serpenti, alcuni altri la prima cosa che iscontrono
la mattina, alcuni simulacri e altri idoli; ma tra' simulacri e idoli
si fa diferenzia. Simulacri sono figure fatte a similitudine d'uomo o
di femine o del sole o di bestie, o vero d'altre cose naturali: idolo
si è una certa immagine fatta stoltamente, la quale non si potrebe
assimigliare ad alcuna cosa naturale, come sarebe una immagine di
quattro teste e uno uomo colla testa d'un cavallo o d'un bue, o d'altra
bestia, che non vide niuno giammai, sicondo la disposizione naturale.
E sapiate, che ognuno che adora simulacri, il fa per riverenzia
d'alcuno valente uomo, già stato, come fu Ercole, e molti altri, e
quali nel tempo loro feciono molte maraviglie. E però queste gente
dicono, che egli sanno bene, che questi tali valenti passati non sono
dii, anzi è un solo Dio di natura, il quale criò tutte le cose, ed è
suso nel cielo; e che e' sanno bene, che loro non poterebono fare le
maraviglie che fanno, se none per la speziale grazia di Dio; e perchè
costoro furono amati da Dio, loro li adorono. E il simile dicono del
sole, però che egli muta il tempo e dà caldo e nutrimento a ogni cosa
sopra la terra: e però che il sole è di tanta e sì perfetta virtude,
e' sanno bene, che questo aviene, perchè Dio l'ama più che l'altre
cose, onde egli gl'à donato le magiore virtù che a cosa che sia del
mondo. Adunque è ragionevole, come e' dicono, che sia onorato e fattoli
reverenzia. E il simile dicono nelle loro ragioni degl'altri pianeti
e del fuoco, però che gli è utile. E degl'idoli dicono, che il bue è
la più santa bestia che sia in terra e dell'altre la più utile, imperò
che fa di molti beni e niun male; e sanno che ciò non poterebe essere
sanza spezial grazia di Dio; e però loro tengono il loro Dio mezo bue
e mezo uomo, imperò che l'uomo si è la più nobil criatura, che sia in
terra, e à signoria sopra a tutte le bestie. E il simile fanno de'
serpenti e de l'altre cose che iscontrono la mattina, spezialmente
tutte le cose che ànno buono incontro; e questo ànno lungamente
sperimentato; e però dicon loro, che buono iscontro non può venire
se none per la grazia di Dio, e però fanno fare gli dei simiglianti
al buono iscontro, per riguardargli e adorargli prima la mattina che
egli scontrino cosa contraria. Alcuni cristiani dicono, che alcune
bestie ànno buono iscontro, e alcune cattivo, come si dice ch'è stato
provato molte volte, che la lepre è cattivo iscontro, un porcello, e
più altre cose. Per lo simile, uno sparviere e altri uccegli da rapina,
volando innanzi a gente d'arme, se 'l piglia, è buon segnio; e se nol
piglia, è cattivo. E altri dicono, che 'l corbo è cattivo iscontro.
In simili cose molte volte le genti credono (ma non se gli debba dare
fede, ch'è gran peccato, da poi che li cristiani, che sanno la santa
dottrina, sono a lor vietate queste oppenioni) e a tal credenza egli
dànno credito. Adunque ora non è da maravigliare, se' pagani, e quali
non ànno altra dottrina che la naturale, e' per la loro semplicità più
largamente le credono. E veramente io ò veduto pagani e saracini, che
chiamono auguri, che, combattendo noi in arme, o vero in alcuna parte
contro ai nostri nimici, per voli d'uccegli egliono ci promettono per
tutto quel dì vittoria; e tutto quello che poi noi troviamo e facciamo,
egli molte volte mettono per pegnio la lor testa, che così sarà; e
quantunque tutto ciò, ch'egli dicono, avenisse, niente di meno non si
debe dar fede a così fatte cose, anzi si dee avere ferma credenza nel
nostro Signiore, il quale può fare e disfare tutto ciò che gli piace.
Questa isola di Canna ànno guadagnata e saracini, e sì la tengono. In
questa isola e in molte altre non si sotterrono e corpi morti, però che
'l caldo è sì grande, che in brieve tempo la carne si consuma infino
all'ossa. Da questa isola si va per mare verso India magiore, e a una
gran città chiamata Zarba, la quale è bellissima e buona. Quivi stanno
di molti cristiani di buona fede, e quivi sono molte religione, e
spezialmente di mediani. Da questa città si va per mare insino a Lomba.
In questa terra cresce il pepe in una foresta, chiamata Combar, la
quale dura XVIII. giornate.


COME NASCE IL PEPE E COME SI COGLIE, E DI QUANTE MANIERE DI PEPE SI
TRUOVA, E CHE MODO SI TIENE PER LI SERPENTI CHE IVI STANNO.

In questa foresta sono due buone città, l'una chiamata Flandrina e
l'altra Ginglante, e sono molte isole, e in ciascuna di quelle stanno
gran numero di cristiani e di giudei, però che 'l paese è buono, ma è
molto caldo. Voi dovete sapere, che 'l pepe cresce a modo d'una vignia
salvatica posta appiè d'uno albero, al qual si possono e palmiti[16]
di quella sostenere; il frutto pende a modo di grappoli d'uve, e
caricansi tanto gli alberi, che pare che tutti si debono rompere. E
quando è maturo, è tutta via verde a modo che sono badie di edera, e in
quela ora si vendemiono a modo che si fa le vignie, e poi il seccono
al sole tanto, che diventa nero e crespo. In uno albero viene tre
maniere di pepe; il primo pepe è lungo, el sicondo è nero, e l'ultimo
pepe è bianco. Il pepe lungo è chiamato Sorbotin, el nero Sulfur, e 'l
bianco Bavos. Il primo, che viene quando la foglia incomincia a venire,
s'asomiglia alquanto a la fazione[17] del fiore de le nocciuole, che
viene prima che le foglie, e pende a basso: e poi viene il nero, che à
la foglia a modo di grappoli d'uva, molto verde e ricolto: dopo il nero
viene il bianco, el quale è asai migliore del nero, e di questo non se
ne porta in questo paese, perchè egli lo tengono per loro, però che è
migliore e più temperato che 'l nero, e non ànno sì grande abundanzia
del bianco, come del nero. In questo paese son molte maniere di serpe
e d'altri vermini per lo gran caldo del paese e del pepe. Alcuna gente
dicono, che quando si ricoglie il pevaro, che si fa fuoco a pie' degli
albori per cacciare le serpi e colubri, ma salvo la grazia di quanti
ciò dicono, egli non metterebono fuoco per cosa alcuna del mondo, però
che secherebono e arderebono così quegli alberi, come gli altri; ma
quando egli vogliono ricorre el pepe, e' s'ungono le mani e' piedi di
sugo di limoni, o vero che e' portono erbe con loro che ànno grande
odore; per lo quale odore le serpi fuggono, sicchè, quando sono unti,
vanno sicuramente a vendemmiare, e non ànno paura che serpe nè altri
vermini sì si approssimino per nulla. Item, verso il capo di questa
foresta è la città di Palomba, sopra la quale è una montagnia chiamata
Palomba, per la qual piglia el nome la città.


D'UNA FONTE CHE À SAPORE D'OGNI SPEZIE, E DELLA SUA VIRTÙ.

Su questa montagna è una fonte, la quale à odore e sapore d'ogni
maniera di spezie, e ciascuna ora ella muta odore e sapore, e chiunche
ne bee tre volte a digiuno, di questa è curato da qualunque infermità
che abia, e li abitatori ivi d'intorno, che spesso ne beono, mai non
ànno malattia, e sempre, mentre che vivono, paiono giovani. Io ne bee'
tre o quatro volte, e ancora mi pare ch'i' mi senta meglio; e' dicono,
che questa fonte vene dal paradiso, e però è di tanta virtù. Alcuni la
chiamono la fonte de' giovani, perchè quegli che l'usano a bere, tutta
via paiono giovani: per tutto questo paese cresce ottimo gengiovo. La
gente del paese, per la loro semplicità, adorono el bue, e dicono che
'l bue è la più santa bestia che sia in terra, perchè a loro pare che
sia sempice ed è buono da arare, piacevole e utile e santificato; però
che a lor pare che ogni virtù abia. Egli sì 'l fanno lavorare VI. o
VII. anni, e poi se lo mangiono con gran solennità; e il Re del paese
à sempre con lui un tal bue, e colui che lo à a guarda riceve ogni dì
la sua fiamata e la sua orina in due vasi d'oro, e poi la dà al loro
prelato, che egli chiamono Archiproth, o Papaton. E questo prelato la
porta innanzi al Re, e 'l Re, per grande divozione, mette la mano in
quela orina, la quale egli chiamono Gau, e così si bagna la fronte e
'l petto con gran divozione e riverenzia: e dànno a intendere che sia
ripieno delle sopradette virtù che à el bue, e che sia santificato de
la virtù di questa cosa, che nulla vale. Dopo il Re, lo fanno e gran
signori, e, dopo i signori, gli altri gran maestri, quando ne possono
avere, ma alcuna volta no ne rimane. In questo paese e' fanno idoli,
che sono la metà uomo e la metà bue: in questi simulacri e diavoli
parlono a loro, e dànno a loro risposta di tutto ciò che egliono
dimandono.


COME IN QUESTO PAESE FANNO SACRIFICIO DE' PROPII FIGLIUOLI, E COME,
MORTO EL MARITO, LA MOGLIE S'ABRUCIA CON LUI INSIEME.

Innanzi a questi simulacri egliono uccidono spesse volte i suo'
figliuoli, e aspergono e simulacri del sangue di morti; e in questo
modo fanno i loro sacrifici. Quando alcun muore nel paese, egli ardono
il corpo per nome di penitenzia, a fine che non patisca pena in terra;
però che dicono, che' vermini gli mangerebono; e se la moglie del
morto non à figliuolo, egli l'ardono con lui, e dicono, che è ragione,
che ella gli faccia compagnia nell'altro mondo, così come à fatto
in questo. E se le moglie ànno figliuoli, egli le lascion vivere per
nutricare e figliuoli; ma se la moglie vuole innanzi vivere co' suoi
figliuoli, che esere arsa col suo marito, ela è sempre imputata maligna
e falsa, nè alcuno si fiderebe in lei, nè mai è più appregiata. E
morendo la moglie prima che 'l marito, el marito si fa ardere con ella
piangendola; e se lui non vuole, non è costretto, anzi si può maritare
un'altra volta sanza biasimo. Item, in questo paese crescono forti
vini, e le femine beono vino, e gli uomini none beono punto. Da questo
paese si va, passando per molti confini, verso un paese, dilungi a
due giornate, il qual si chiama Maburon. Questo è molto gran reame, e
sonvi di belle città e di belle ville. In questo Reame giace el corpo
di santo Tommaso appostolo, in carne e in ossa, in una bella sepultura,
nella città di Calamia, perchè ivi fu martorizato e sepulto; e li
assirii feciono già portare il suo corpo in Mesopotania, nella città
di Edisse, e dipoi fu riportato indietro il braccio colla mano che
mettee nel lato del nostro Signiore Giesù Cristo, quando gli apparve
dappoi la resurresione, dicendo: _Noli esse incredulus, sed fidelis_.
E al presente, el detto braccio con la mano, è fuora del vaso, dove è
il corpo. E con quella mano quegli del paese fanno le lor sentenzie
e giudicii, e sanno chi à ragione e chi il torto, perchè quando è
quistione tra due parte, e ogni uomo si tiene d'avere ragione, egli
mettono nella mano di santo Tomaso le ragione delle parte predette in
iscritto, e di subito la mano gitta via il torto o vero la falsità,
e ritiene il dritto, o vero la verità. E così vengono di lungi paesi
molte cause dubbiose per questo giudicio.


DEGLI IDOLI DI QUESTA GENTE E DELLA GRANDE DIVOZIONE CH'EGLI V'ÀNNO.

Item, san Tomaso giace in una bella e grande chiesa, la quale è
piena di grandi simulacri, cioè di immagini di idoli loro, chiamati
dii; delle quali la minore è per grandeza come due comuni uomini; e
infra l'altre è una immagine assai maggiore dell'altre, tutta coperta
d'oro e di pietre preziose e è a derisione de' falsi cristiani[18]
rinnegati, et è sopra una cattedra molto nobile; e à intorno al corpo
suo di larghe cintole lavorate d'oro e di perle e pietre preziose.
La chiesa è tutta dorata: di dentro a questa chiesa si va comunemente
in pellegrinaggio con gran divozione, a modo che vanno e cristiani a
santo Antonio e a santo Iacopo di Galizia. E molte gente, che dilunge
terre si muovono per andare inverso questo idolo, con grande divozione
per tutto el viagio sempre sì tengono gli ochi bassi, nè ardiscono
d'alzare le lor teste per risguardare d'intorno, per timore di non
veder cosa che gli rimuova da la loro divozione. Alcuni vi vanno in
pellegrinagio, che portono coltegli nelle lor mani, e sì si vanno
fedendo et impiagando nelle braccia, ne le gambe e ne le coscie, e
spargono el sangue loro per amor di questo idolo; e dicono che beati
[sono] coloro che muoiono per questo idolo, Idio loro. Altri sono che
menono i lor figliuoli per uccidergli e sacrificargli a questo idolo, e
poi aspergono l'idolo del sangue de' suo figliuoli. Altri vi sono che,
da l'ora che si partono di casa loro, a ogni terzo passo s'inginochiano
tanto, che aggiungono a questo idolo; e quando e' vi sono arivati,
lo incensono d'incenso e d'altre cose odorifere, a modo che fussi il
corpo del nostro Signiore, e vengono ad adorare questo idolo dilungi
più di Cº. leghe. E innanzi al munistero di questo idolo (_sic_) è
a modo d'una peschiera, o vero laghetto pieno d'acqua, nella quale e
pelegrini gettono oro e ariento e perle e pietre preziose sanza numero
per offerta. Quando e ministri dell'idolo ànno bisogno d'alcuna cosa
per la chiesa, subito vanno a la peschiera e pigliono tutto quelo
che è bisogno per la rifezione della chiesa, sì che nulla vi manca,
che subito non sia aparechiato. Item, quando si fanno le gran feste
di questo idolo, come la dedicazione della chiesa, tutto el paese si
viene d'intorno a questo idolo con gran riverenzia; il quale idolo sta
sopra a uno carro molto bene adornato di drappi d'oro di Tartaria; e
così lo menono intorno alla città. Inanzi al carro vanno primamente a
processione ordinatamente, a due a due, tutte le pulzelle del paese;
appresso le pulzelle vanno e pellegrini, che sono venuti dilungi
confini, de' quali pellegrini alcuni si fanno o lasciono cadere in
terra di sotto al carro, sì che il carro colle ruote gli passa a dosso;
alcuni uccidono di subito, altri rompono braccia o gambe; alcuni le
cosce; e tutto ciò fanno per grande divozione e per amor del loro Dio;
e credono che, quanto magior pena e tribulazion patiscono per amor di
questo idolo, tanto più presso saranno a Dio e in magiore allegreza.
E brievemente in diversi modi fanno sì aspre penitenzie, e colli loro
corpi portono e sofferiscono tanti martiri, per amor del loro Dio, che
quasi niuno cristiano arebe ardire portare la centesima parte, per
amore di Giesù Cristo. E poi io vi dico, che innanzi al carro, più
presso, vanno e sonatori del paese con diversi istrumenti, che sono
sanza numero, e fanno fra loro di grande melodie. E quando egl'ànno
circundato tutta la città, e' tornono a la chiesa e rimettono il
loro idolo nel suo luogo; e alora per amor de l'idolo e per riverenza
della festa egliono uccidono CCº. o CCCº. persone, che di lor volontà
si fanno uccidere, de' quali e corpi son posti dinanzi all'idolo; e
dicono che costor son santi, imperò che, per sua buona volontà, son
morti per amor del loro Dio. E così, come di qua un casato o provincia
sarebe onorata per uno santo che fussi stato di quello o vero di quelli
fatti, de' quali si metterebbono in iscritto per farlo canonezare, così
tengono di là onorati quegli che s'uccidono per amore del loro Dio;
egli gli mettono in iscritto colle loro letanie; e così si vantano l'un
co l'altro, e dicono: io ò più santi del mio parentado, che voi non
avete del vostro! E ànno questa usanza, che, quando egl'anno intenzione
d'uccidersi pel loro Dio, fanno mandare per tutti e loro amici, e
con grande abundanzia di pifferi vanno innanzi all'idolo, menando
gran festa; e colui che si debe uccidere tiene nelle mani un coltello
bene aguzato, e tagliasi un pezo di carne, e gittalo nella faccia
dell'idolo, dicendo le sue orazioni, e racomandandosi al suo Dio; e poi
si ferisce e impiagasi in qua e in là tanto, che cade morto. E allora
gli amici presentono il corpo a l'idolo, e dicono, cantando: Guardate,
Dio, che à fatto el vostro leale amico e servidore! lui à abandonato
la moglie, figliuoli, richeze e tutti e beni temporali di questo mondo
e' à rinunziato, per amor di voi, e à fatto sacrificio del suo sangue
e carne; sì che adunque vogliatelo riposare allato a voi, fralli più
diletti da voi, nella gloria del paradiso; perchè egli à bene meritato.
E dopo questo e' fanno un gran fuoco e ardono el corpo, e ciascheduno
piglia della cenere, e sì la conserva in luogo di reliquie: e dicono
che questa è una buona cosa, che di nulla temono, mentre che gl'ànno di
questa cenere sopra di loro.


DELL'ISOLA LAMORI E DELLA GENTE CHE IVI ABITA, E LA RAGIONE PERCHÈ
VANNO NUDE; E COME MANGIONO CARNE UMANA, E QUANTI GRADI È TUTTO IL
FIRMAMENTO.

Da questo paese si va per lo mare Occeano per molte diverse isole e
per molti diversi paesi, [che] il racontare e iscrivere sarebe lungo
e tedioso: però toccherò alcuna principale riviera e città. Da quella
isola, della quale io ò parlato, infino a un'altra terra, che è molto
grande, chiamata Lamori, sono LII. giornate. In questa terra è gran
caldo: la gente del paese à questa usanza, che gl'uomini e le femine
vanno tutti ignudi, e sì si befono, quando vegono alcuno forestiero
vestito, e dicono, che Dio, il qual fece Adam, il fece ignudo, e che
Adam e Eva furono fatti ignudi, e che l'uomo non si dee vergognare di
mostrarsi tale quale Dio lo fece, però che niuna cosa è brutta che sia
naturale. E dicono, che quegli che si ornano, son gente che non credono
in Dio; e egli, dicono, che ben credono in Dio, el quale creò el mondo
e fece Adam e Eva e tutte l'altre cose. E egli non isposono mai femine,
anzi sono tutte le femine del paese comune, e elle non rifiutono niuno,
e dicono che pecherebono, s'elle rifiutassino gl'uomini, e che Dio
comandò così a Adam e a quegli che discendono di lui, quando disse:
_Crescite et multiplicamini, et replete terram_. In questo paese nissun
può dire: questa è mia moglie; nè alcuna dire: questo è mio marito.
E, quando elle partoriscono, dànno e figliuoli a qualunque gli piace,
di quegli che ànno avuto in sua compagnia. Il simile, tutta la terra è
comune; uno la tiene uno anno, e un altro l'altro; e ciascuno piglia di
quela parte che vuole. Il simile, tutti e beni del paese son comuni,
biade e altre cose, però che niuna cosa sta serrata infra loro nè
ascosa: ciascuno à d'ogni cosa ciò che gli piace sanza contradizione
alcuna; e in tal modo è così rico l'uno, come l'altro. Ma egl'ànno una
cattiva usanza, però che loro mangiono più volentieri carne d'uno uomo,
che di niuna altra cosa che sia; e però el paese è molto abundante
di biade e di pesci, d'oro e d'ariento e d'altri beni. Quivi vanno
e mercatanti e menono a vendere e fanciugli, e quegli del paese gli
comprono; e se son grassi, subito gli mangiono; e se son magri, gli
fanno ingrassare, e dicono che questa è la migliore e la più dolce
carne del mondo.

In questo paese, e in molte altre terre di là, non si vede il
polo artico, cioè la stella tramontana, la quale è immobile verso
settentrione, ma vedesi un'altra, la quale è al contrario di quella
verso mezo dì, chiamata polo antartico. E come e marinai si governono
di qua per la stella ch'è inverso setentrione, così fanno e marinai
di là per la stella che è verso mezzo dì; sicchè quella di mezzo dì
non appare a noi, nè a loro appare quela di settentrione. Per la qual
cagione si può comprendere, che 'l mondo si è di ritonda forma, perchè
una parte del firmamento apare in un paese, che non appare in un altro:
e questo si può provare per esperienza e per sottile indagazione;
che se si trovassi passaggio di navi e di genti che volessino andare
cercando el mondo, sì vi si poterebe andare con navilii intorno al
mondo e di sotto e di sopra; la qual cosa io l'ò provato, perchè sono
stato inverso la gente di Brabin, et ò riguardato con lo astrolabio,
che la tramontana si è ivi alta LXIII. gradi, e in Alamagna, verso
Boemia, LXVIII. gradi; e più avanti, inverso le parte di Settentrione,
ella è alta sessanta due gradi e alcuni minuti; però che io stesso l'ò
misurato con lo astrolabio. Ora voi dovete sapere, che sono due stelle
tramontane, come è detto di sopra; l'una si chiama Artica e l'altra
Antartica: queste due stelle sono inmobili, e per loro si volge tutto
il firmamento del mondo, sì come una ruota si volta per lo suo mezo,
sì che queste due stelle dividono tutto il firmamento in due parti
eguale, ed è tanto di sopra quanto di sotto. Io sono andato poi nelle
parte meridionale, e ò trovato verso l'alta Libia, che si vede prima
il polo antartico; e quanto più andavo inanzi a quelle parti, tanto più
ritrovavo questo polo antartico più alto, sì che più inanzi, ne l'alta
Libia verso Etiopia, questo polo antartico era alto XVIII. gradi e
alcuni minuti: li LX minuti fanno un grado. E poi andando verso questo
paese, del quale io v'ò parlato, e verso altre isole e altri paesi, a
l'incontro io trovai l'antartico alto XIII. gradi e VI. minuti; e se io
avesi trovato navile e compagnia per andare più oltre, io mi son certo,
che noi aremo veduto d'intorno la ritondità del firmamento; imperò, sì
come io v'ò detto di sopra, la metà del firmamento è fra queste due
stelle; e questa metà io l'ò tutta veduta, verso settentrione, sotto
la tramontana LXII. gradi e X. minuti; verso le parte meridionale,
io l'ò veduto di sotto l'antartico XXXIII. gradi e XVI. minuti. Ora
la metà del firmamento tiene cento ottanta gradi; e di questi cento
ottanta gradi, io n'ò veduti LXII. in una parte, e XXXIII. in un'altra
parte; che sono novantacinque gradi e quasi la metà d'un grado. E così
mi mancono, aver veduto tutto il firmamento, LXXXIIII. gradi e quasi
la metà d'un grado; e questi non sono la quarta parte del firmamento,
perchè la quarta parte del firmamento è ottanta gradi; sì che ne manca
cinque gradi e mezo della quarta parte: e così io ò veduto le tre
parte della ritondità del firmamento, e V. gradi più, e quasi mezo.
Per la qual cosa io dico certamente che l'uomo può bene ritondare
o vero circundare tutta la terra del mondo, così di sotto, come di
sopra, e ritornare nel suo paese, avendo compagnia di navile, e sempre
ritroverebe buone terre e isole, come in questo paese. E sapiate,
che quegli che sono al diritto di l'antartico, egli sono dirittamente
piedi contrappiedi a quegli che sono al diritto dell'artico; e così
quegli che stanno d'intorno a' poli, per diritta opposizione, stanno
piedi contrappiedi; imperò che tutte le parti del mare e della terra
ànno ne' loro oppositi abitabili o vero trapassabili, e di qua e di
là. E sappiate, che, sicondo che io posso col mio ingegnio vedere
e comprendere, la terra del Prete Giovanni Imperadore d'India, è di
sotto a noi, perchè andando di Scozia, o vero d'Inghilterra, verso
Gierusalem, tutta via si saglie; però che le parte nostre sono ne la
bassa parte de la tera, verso occidente, e la terra del Prete Giovanni
è ne la bassa parte verso oriente: e li indiani ànno il giorno quando
noi abiamo la notte; e così, per contrario, egli ànno la notte, quando
noi inghilesi abiamo el dì; imperò che la terra e il mare sono di
ritonda forma; e quando si saglie da uno lato della terra, alora si
discende dall'altro lato. Ora voi avete veduto di sopra, che Gierusalem
è nel mezo del mondo: questo si pruova per una lancia diritta in
terra nell'ora del mezo dì a tempo di equinozio; la quale, essendo
diritta, non fa ombra dallato alcuno. E che Gierusalem sia nel mezo
della terra, il profeta David disse: _Et operatus est salutem in medio
terræ_. Adunque quegli che si partono di queste parte per andare verso
Ierusalem, tante giornate, quante egli fanno per andare a Ierusalem,
altrettante giornate si può fare, partendosi da Ierusalem, per infino
agli altri confini della estremità della terra di là: e quando si va
alcune giornate verso India, tuttavia si va circundando la ritondità
della terra e del mare per di sotto il nostro paese di qua.


D'UNO CHE ANDÒ CERCANDO EL MONDO E RITROVOSSI IN PAESE, DOVE E' SI
PARLAVA IN SUA LINGUA.

E imperò mi sono maravigliato molto d'una cosa, che io udi' già
recitare, essendo piccolo; come uno valente uomo del nostro paese,
già fu gran tempo, si partì per andare cercando el mondo: il quale,
avendo lui passata tutta l'India e le isole alte di India, dove son
più di semila leghe, per molte stagione, e' tanto andò circundando il
mondo, che trovò una isola, nella quale udì parlare in suo linguaggio,
e vide caricare e buoi e dire quelle parole medesime, che si dicono
in suo linguaggio, o veramente nel suo paese. Di che si maravigliò
grandemente, imperò che non si sapeva dare a intendere a qual modo
potessi essere. Ma io dico, ch'egli era tanto andato per terra e per
mare, che lui aveva circundato infino nel suo paese, dove egli era
conosciuto. Ma lui ritornò indietro per la via onde lui era venuto; e
dipoi stette un gran tempo, e quivi perdè molte delle sue sostenute
fatiche nel suo ritornare indietro, sì come lui medesimo disse;
perchè una volta verso Noverga il sopprese una tempesta fortissima
in mare, per la quale lui fu portato in una grande isola, la quale
riconobe esere quella isola, nella quale egli aveva udito parlare il
suo linguaggio e menare e buoi al carro. E questo fu bene pussibile,
quantunque a la grossa gente pare, che non si possa andare sotto terra,
e che si cascherebe verso el cielo di sotto: ma questo non può esere
altrimenti, che se noi cascassimo da la terra, dove noi siamo, verso il
cielo; però che sì come a noi pare, che noi siamo di sopra a loro, così
a loro pare, che noi siamo di sotto a loro: e se vero fussi, che l'uomo
potessi cadere dalla terra infino al cielo, molto maggiormente la terra
e 'l mare, che sono così grandi e così pesanti e gravissimi, doverebono
più presto cadere infino al firmamento. Ma questo è impussibile, però
che questo non sarebe cadere, anzi sarebe salire e ascendere. E però
dice il nostro Signiore: _Ne timeas me qui suspendi terram in nichilo_.


DELLA GRANDEZA DI TUTTA LA TERRA.

E quantunque sia pussibile circundare tutto el mondo, non dimeno
de mille l'uno non si dirizerebe così bene per ritornare inverso il
suo paese, come fece colui, per la grandeza della terra e del mare.
Si poterebe andare per mille altre vie, delle quali niuna sarebe
perfettamente diritta per ritornare verso le parti donde si mosse[19];
che quantunque sia pussibile circundare la terra, come ò detto, non
dimeno non poterebe andare nè dirizarsi per la diritta via, se ciò non
fussi fortuna, o per grazia di Dio; perchè la terra è molto grande
e alta, cioè larga; e dura la ritondità d'intorno, di sotto e di
sopra, sanza el mare, ventotto milia CCCCº. XXV. miglia. Di queste,
sicondo l'oppinione degl'antichi e savii, la quale io non ripruovo,
ma sicondo la parvità del mio intelletto a me par di dire, salvo la
lor grazia, che sie più migliaia. E perchè intendiate meglio quelo
ch'io ò detto, io sì ò immaginato una figura, nella quale sia un gran
compasso orbiculare e sperico, in mezo del quale sia un punto, el
quale chiamo centro. E in questo compasso grande ò fatto un piccolo
compasso; poi ò partito tutto il gran compasso in XL. passi, partiti
per le vie diritte, che tutte cominciono dalla superfice del grande
compasso, e sieno terminate al centro del piccolo compasso; doverebe
esere così partito in XL. parte, come il grande, quantunque le parte
sieno minore che e suoi spazii. Or facciamo che 'l gran compasso, il
quale è d'intorno al centro, ripresenti la terra; e conciò sie cosa che
tutti gli astronomi sappino, che 'l firmamento è partito in XII. parte,
cioè di XII. segni, e ciascheduno di questi segni è partito in XXX.
gradi, che verrebe il fermamento eser partito in CCC.º LX. gradi. E il
simile la terra è partita in altrettante parte, e corrisponde ciascuna
parte della terra a un grado del firmamento, che sarebe ottanta
volte trentuno migliaio e cinque cento migliaia, e ciascuno di otto
stadii; sì che tanto à la terra di ritondità e di circuito d'intorno,
sicondo quel che io posso comprendere per lo detto delli Astrolomi,
come io ò detto di sopra. E per meglio intendere il fu giustificato
per termini mensurali, io metterò questa distinzione: _Quinque pedes
passuum faciunt, passus quoque centum viginti quinque stadium dant, sed
miliaria octo faciunt stadia, duplicata dant tibi legam_: una torsa fa
X. piedi. E, seguendo la mia materia, io dico, che non debe dispiacere
a quegli che legono di ciò, che io dico, che una parte di India è
sotto a' nostri piedi, e che per lo simile una parte del nostro paese
è di sotto a una parte d'India dirittamente. A lo opposito, sì come al
diritto oriente è opposto el diritto occidente, e sì come a la parte
meridionale è la parte settentrionale, de le quale io v'ò di sopra
parlato, quantunque a la grossa gente pare che non si possi andare
sotto la tera, e che si deba cadere verso 'l cielo di sotto, così
a noi doverebe parere, che siamo sotto a loro. E se vero fussi, che
l'uomo potessi da la terra al cielo cadere, molto magiormente la tera
e il mare, che sono tanta materia e sì possente e grave, doverebono
cadere infino al firmamento; e questo sarebe impossibile e contro a
natura, perchè non sarebe cadere, ma sarebe salire; e però dice el
nostro Signiore: _Ne timeas me, quia suspendi terram in nihilo_. Ora
tornando: è vero ch'io ò misurato collo astrolabio, che quegli che
stanno nelle parte settentrionale, stanno piè contra piè a quegli che
stanno dalla parte verso 'l mezo dì, e così siamo noi contro a una
parte delle isole di India. E se verso oriente e verso occidente fusson
segni immobili o vero stabili, pe' quali si potessi misurare le parte,
a modo che si fanno le parte che sono verso settentrione o verso mezo
dì, per le due stelle immobile, cioè artico e antartico, certamente
si troverebe l'isole, che a la terra del prete Giovanni serien
declinate. E circundando più la terra di sotto, che non sono le parte
di settentrione e di mezo dì, de' quali io ò fatto menzione di sopra,
io so bene, che io ò fatte più giornate andando verso settentrione e
diritto verso mezo dì, che da occidente verso oriente. E poi che la
terra è ritonda, adunque è altrettanto da settentrione verso mezo dì,
come dal diritto oriente al diritto occidente. Per la qual cagione io
dico come si passa oltre a questa misura: e di sotto a noi circulando
la tera, non è però di sotto più, quantunque si dica per intelligenzia.


DELL'ISOLA DI SIMBOR, DOVE GL'UOMINI E LE FEMINE SI FANNO SEGNIARE
NELLA FRONTE CON UN FERRO CALDO PER GENTILEZA; E DELL'ISOLA DI BOTEGON.

Item, a lato di questa isola[20] di Lamori sopra detta, verso mezo dì,
è un'altra isola, chiamata Simbor. Questa è una grande isola, e il Re
è molto possente; e le gente di questo paese si fanno segniare nella
fronte con un ferro caldo, uomini e femine, per grande nobilità e per
esere conosciuti dall'altra gente, perchè e' si tengono più nobili
che l'altre gente là d'intorno, perchè stanno sempre in guerra con
quela gente nuda, de' quali ò parlato di sopra. Assai apresso questa
isola è un'altra, la qual si chiama Botegon, la quale è molto buona e
abbondevole, con molte altre isole che sono ivi d'intorno, nelle quali
abitano molte diversità di genti: e perchè volendo io parlare di tutte
sarebbe lunghissimo sermone, io non parlerò di tutte, ma piglierò le
più notabile.


DELL'ISOLA DI GIANNA, E DELLE COSE CHE IVI NASCONO, E DELLA POSSANZA DI
QUESTO RE, E DEL SUO PALAZO, EL QUALE È UNA COSA MOLTO STUPENDA.

Assai apresso questa isola di Botegon sopra detta, passando un poco di
mare, è un'altra isola, che è un gran paese; la quale si chiama Ianna,
e circunda quasi dumila leghe. Il Re di questo paese è un gran rico e
possente, e à sotto lui sette altri Re di sette altre isole, che sono
ivi d'intorno. Questa isola di Gianna è molto bene abitata e popolata
di gente. Ivi vi cresce d'ogni maniera di spezie più abundantemente che
altrove, come è gengiovo, chiodi di gherofani, cannella, noce moscade,
zedoc e maci. E sappiate che e maci sono propii a modo che la noce,
e à di fuori una cappannella, dove sta avilupata infino a tanto che
è matura, poi cade fuori; e così è della noce moscada e del mastice.
Molte altre spezie e molte altre cose crescono quivi in questa isola,
perchè d'ogni bene abonda, e d'oro e d'ariento in gran quantità, salvo
che di vino. Il Re à un palazo nobilissimo e maraviglioso molto e il
più rico che sia al mondo: gli scaglioni, per li quali si saglie ne
le sale e nelle camere, son fatti come quadretti d'oro e d'ariento,
e tutte le mura loro, a modo che si dipignie di qua, son coperte
di piastre d'oro e d'ariento; nelle quale piastre sono battaglie e
istorie di cavalieri rilevati; tutti hanno grillande in testa di pietre
preziose e di grosse perle; e tutte le sale e le camere di dentro sono
soffitate e lastricate d'oro e d'ariento sì e talmente, che, chi non
avessi veduto, non poterebe credere le nobilità nè le richeze che sono
in questo palazo. E sapiate, che questo Re di Ianna è un semplice Re
e il più possente Re del mondo; e già spesse volte à voluto el Gran
Cane di Cattai disfarlo, el quale è il più possente imperadore che
sia sotto il firmamento di qua nè anche di là dal mare; e però ànno
spesso guerregiato insieme, però che 'l Gran Cane lo voleva fare suo
tributario e riconoscere la terra da lui, ma costui si è sempre bene
difeso contro di lui.


DELL'ISOLA DI PATEM, DOVE SONO ALBERI CHE FANNO FARINA; ALTRI FANNO
VINO, ALTRI FANNO MELE, E ALTRI VELENO; E D'UN CERTO LAGO, NEL QUALE
NASCONO CANNE CHE ÀNNO NELLA RADICE PIETRE PREZIOSE.

Appresso questa isola, andando per mare, si truova un'altra isola
buona e grande, la qual si chiama Talamasi, e alcuni la chiamono
Patem. Questo si è un gran reame, e il Re del paese à molte bellissime
città e molte belle ville. In questa terra e in questo paese crescono
alberi che fanno farina, de la qual si fa buon pane e bianco e di buon
sapore, e pare che sia di grano, ma non è però di sapore di grano. E
ivi sono altri alberi, che fanno mele buono e dolce; e altri alberi
vi sono, che fanno vino: altri sono che fanno veleno, contra 'l quale
non è altro che una sola medicina, la qual è a bere el proprio sterco
stemperato con acqua; e veramente chi non l'avessi, presto morrebbe,
sì che nè triaca nè altre medicine lo poterebono aiutare. Di questo
veleno avevon mandato e giudei a torre a uno di questi alberi per
velenare tutta la cristianità, siccome io udi' dire alla confessione
nella lor morte; e, per la divina grazia, quantunque fallisse il loro
male proponimento, nondimeno egliono ne feciono grande mortalità. E
se a voi piace sapere in qual modo si fa la farina degl'alberi, io vel
dirò. E' perquotono gli alberi con una accietta atorno a' piedi, sì che
la scorza intorno in molte parte si lieva, e d'indi n'esce un licore
spesso, el quale egli fanno seccare al sole, e poi diventa farina bella
e bianca. El mele, el vino e 'l veleno son tratti dagli altri alberi
per questo medesimo modo, e poi si conservono ne vasegli. In questa
isola è uno mare morto, cioè un lago, al qual non si truova fondo, nè
mai fu trovato; e tutto ciò che cade in questo lago non si truova mai.
In questo lago crescono canne, ch'egli le chiamono Tabi, e sono lunghe
XXX. torse e più. Quivi sono altre canne non così lunghe, le quali
crescono appresso della riva e ànno le radice lunghe IIIIº. aripanti,
o vero tormature[21] di terra e più; e ne' nodi delle radice di queste
canne si truovono pietre preziose di gran virtù. Chi porta una di
queste pietre sopra di lui, non può essere magagnato nè impiagato, nè
di lui tratto sangue con ferro nè con acciaio. E perchè egl'ànno queste
pietre, sì combattono arditamente per mare e per terra, però che arme
niuna non gli può nuocere; ma quegli che ànno a combattere con loro,
che sanno le loro maniere, gli tragono con lor saette e quadregli
sanza ferro: e così gli percuotono e uccidono. E di queste canne ne
fanno casse, navi e altre cose, a modo come noi facciamo di qua d'altri
legnami. Ma non crediate, che io parli per ciancia, nè per menzogna,
avisandovi che io vidi cogli occhi miei canne sì grandi sopra queste
rive, che XX. de' nostri compagni non poterono levare una sola da
terra.


DELL'ISOLA DI TALANOCH E DEL SUO RE E DELLA POSSANZA SUA, E DEGLI
ELEFANTI, I QUALI LUI TIENE PER SUA DIFESA; E DI DUE ALTRE COSE
MARAVIGLIOSE CHE VI SONO.

Dopo questa isola si va per mare a un'altra isola che si chiama
Talanoch, nella quale è molta abundanzia di bene. Il Re di quel paese
à tante femine quante ne vuole, però che 'l fa cercare le più belle per
tutto il suo paese e pel paese d'intorno, e falle menare innanzi a lui,
e piglia una notte l'una, e l'altra notte l'altra; e così fa lui tanto,
che n'à mille e più, e non giacerebbe con una più d'una notte, cioè
non arebe seco a fare più d'una volta, salvo se una non gli piacessi
più delle altre. Questo Re à gran numero di figliuoli: tale n'à cento,
tale dugento; e alcuni più e altri meno. Questo Re à circa XIIIIº.
mila elefanti privati, e quali si fa nutricare a' suoi villani per lo
paese, perchè a caso di bisogno, avendo a far guerra con alcuno altro
Re d'intorno, egli fa montare gente insu castegli di legname posti
sopra e leonfanti per combatter contro a' suoi nimici: e così il simile
fanno gli altri Re di quegli confini, perchè il modo di guerregiare di
là non è simigliante al nostro ordine di qua. Ivi chiamono gli elefanti
Varqui.


QUI SI FA MENZIONE D'UNA GRAN MARAVIGLIA, DEL PESCIE CHE SI GITTA ALLA
RIVA DI QUESTA ISOLA.

In questa isola è una grande maraviglia, la quale non è in altra parte
del mondo; però che ogni maniera di pescie viene una volta l'anno
dritto alla terra, e sì si gittono alla riva di questa isola, sì che
e' non si vede in mare se non pesci; e ivi stanno tre dì, e ciascuno
del paese ne piglia quanto ne vuole. Poi questa maniera di pesci si
parte, e vienne un'altra; e così l'una maniera drieto all'altra ne
viene per insino a tanto, che di tutte le ragioni del pescie di mare vi
vengono; e così ordinatamente l'una drieto all'altra stanno tre giorni,
tanto che ogni uomo del paese n'abbi preso d'ogni maniera, quanto ne
vuole. E' non si sa la cagione perchè questo si sia; ma quegli del
paese dicono, che questo è per fare riverenzia a loro Re, il quale è
il più degnio che sia, come e' dicono, e perchè il loro Re adempiscie
quello che disse Dio a Adam: _Crescite et multiplicamini_. E, perchè
chi multiplica a questo modo il mondo di tutti li suoi figliuoli, per
questo gli manda el pescie di tutto il mare, perchè e' ne pigli al suo
volere, per lui e pel suo paese; e così tutti e pesci si arrendono a
lui, faccendogli onore come il più eccellente e il più amico di Dio al
mondo, sicondo che dicono. Io non so la ragione perchè è questo: Idio
la sa, il qual sa el tutto, ma questa maraviglia non è punto di natura,
anzi è tutta contra a natura; che gli pesci, che ànno a governare tutto
el mondo[22], si vengono abondantemente a rendere alla morte di lor
propria volontà, sanza che sieno costretti; e però io son certo, che
questo non può essere sanza grande significazione. In questo paese
son chiocciole grande, che nelle case loro molte persone poterebono
abitare e abergare a modo d'una piccola casetta; e altre ve ne sono
minore molto più l'una dell'altra. Vi sono vermini grandi a modo d'una
coscia d'uomo, e sono bianchi colla testa nera; e degli altri ve n'è
minori, della fazione di quegli che si truovano ne' legni marci; e di
questi vermini si fa la vivanda regale al Re e per li gran signiori. E
se uno uomo sposato muore in questo paese, egliono soppelliscono la sua
moglie viva a lato a lui, e dicono che ragion vuole, che ella gli facci
compagnia nell'altro mondo, come à fatto in questo.


DELL'ISOLA DI RAFFO, OVE DÀNNO GL'UOMINI A MANGIARE A GL'UCCEGLI.

Da questa isola si va per lo mare Occeano a una isola chiamata Raffo.
La gente di questa isola, quando gli amici lo' sono amalati, egliono
gli apicono a uno albero, e dicono, ch'egli è meglio, che gl'uccegli,
e quali sono angioli di Dio, gli mangiono, che sien mangiati in terra
da' vermini, che sono così brutti. Da questa isola si va a un'altra
isola, dove son gente di malvagia natura. Questi nutricano di gran
cani, e sì gli tengono per fare istrangolare i lor parenti, quando
sono amalati, perchè egliono non aspettono tanto che muoino della loro
morte naturale, perchè e' dicono, che e' sofferiscono troppo gran pena.
E quando sono così strangolati, si ragunono insieme per mangiarli in
luogo di cacciagione.


D'UNA ALTRA ISOLA CHIAMATA MULCA, DOVE SONO CATTIVISSIME GENTE CHE
BEONO SANGUE D'UOMO; E DELL'ISOLA CHE SI CHIAMA TRACONDIA, DOVE SON
GENTE CHE NON PARLONO, MA SIBILLANO.

Da poi si va per molte isole di mare per insino a una isola, che si
chiama Mulca; e quivi è ancora cattivissima gente, perchè e' non si
dilettono in alcuna cosa, tanto quanto fanno nel battagliare e in
uccidere l'un l'altro, e spezialmente forestieri: e egliono beono
tropo volentieri sangue d'uomo; il qual sangue chiamono Dan: e quello
che più ne può uccidere, è più onorato fra loro. E se due persone, che
si portino odio, si sono acordati per amici, o vero che alcuni fanno
patto e obligazioni fra loro, fa di bisogno che ciascun bea del sangue
dell'altro, altrimenti la concordia, o patto, o vero obligazione sarebe
nulla: se un facesse contro a tal concordia, o patto, o ubligazione, di
nulla sarebe biasimato nè riprobato. Da questa isola si va per mare,
di isola in isola, infino a un'altra isola che si chiama Tracondia,
ove sono le gente tutte bestiale a modo che inrazionale, e stanno in
caverne che fanno in terra, perchè e' non ànno tanto senno che sappin
fare case; e mangione carne di serpenti e altre brutte cose. Egliono
non parlono, ma sibillano l'uno a l'altro a modo di serpenti, e di
nesuno aver si curono, salvo che d'una pietra preziosa, la quale è
di XL. colori; e però il nome dell'isola è chiamata Tracondia. Egli
amono molto questa pietra, e non sanno che virtù s'abbia, ma egliono
disiderono solamente la sua belleza.


DELL'ISOLA ONGAMARA, DOVE SON GENTE CHE ÀNNO TESTE DI CANI, CHE SI
CHIAMONO CENOFALI, E DELLA GIUSTIZIA DEL SUO RE.

Dopo questa isola si va per mare Occeano per molte isole infino a
una isola chiamata Ongamara[23], la quale è molto bella e grande e
tiene di circuito più di mille leghe. Tutti gl'uomini e le femine
di questa isola ànno teste di cani, e son chiamati Cenofali, e sono
gente ragionevole e di buono intelletto, e adorono un Bue per suo Dio,
e ciascuno di loro portono nella testa uno Bue d'oro o d'ariento,
a dimostrazione che egliono amono bene il loro Dio: e vanno tutti
ignudi, salvo che portano uno drappetto per coprire le loro secrete
membra. Eglino sono grandi, forti e buoni combattenti: eglino portano
una targa grande, che gli cuopre tutto il corpo, e una lancia in mano;
e se pigliono alcuno in battaglia, e' lo mangiono. El Re di questa
isola è molto potente e ricco e divoto, sicondo la lor legge, e porta
intorno al suo collo CCCº. perle grosse d'oriente, incordate d'ariento
a modo di pater nostri. E come noi diciamo pater nostri e ave Maria,
contando e pater nostri d'ambra in ambra, così questo Re dice ogni dì
CCCº. prieghi divotamente al suo Dio prima che mangi. E similmente
porta ancora intorno al suo collo un rubino orientale fine, nobile,
lucente, el quale è quasi lungo un piè, e V. dita largo; però che
quando egli elegono il loro Re, egli gli dànno a portare questo rubino
in sua mano; e così lo menono cavalcando d'intorno alla sua città; e
da quel dì innanzi e' son tutti ubidienti a lui; e il Re debbe portare
tutta via questo rubino intorno al suo collo, perchè se egli non avessi
il rubino, e' non lo terrebono punto per Re. El Gran Cane di Catai à
molto disiderato di questo rubino, ma mai non l'à potuto avere, nè
per guerra, nè per niun modo. Questo Re è molto divoto, sicondo la
lor legge, e molto giusto; per la qual cagione si può andare molto
sicuramente per tutto il suo paese, e portare tutto ciò che gli piace,
che niuno sarebe tanto ardito che rubasse alcuno, imperò che el Re
subito ne farebe giustizia.


DELL'ISOLA DI SILLA, E DI MOLTE STRANE E DIVERSE NATURE D'ANIMALI CHE
QUIVI SI TRUOVONO.

Da questa isola si va a una altra, la qual si chiama Silla, la quale
circunda circa V. Cº. leghe. In questa isola è molto la terra guasta e
diserta, nella quale sono molti serpenti, e tanti dragoni e cocodrilli,
che niuno ardisce star quivi. Questi coccodrilli sono serpe gialle e
rossette, e àno quatro piedi, le gambe corte e l'unghie grande: alcuni
sono lunghi sette torse, alcuni X; e dove e' vanno per lo sabbione,
pare che un grande albore vi sia strascinato. Ivi sono molte altre
bestie salvatiche e spezialmente leofanti. In questa isola è una
montagna assai grande, e in mezo di quella è un lago grande, in un
bel piano, et evvi grande quantità d'acqua; e dicono che Adam et Eva
piansono sopra questa montagna Cº. anni, quando furono scacciati del
paradiso, e per lo lungo pianto, delle lagrime loro si fece questo
lago: e nel fondo di questo lago si truova di molte pietre preziose
e perle grosse. In questo lago crescono di molte canne e di grandi
glagos, e sonvi dentro molti coccodrilli ed altre serpe e di grande
sansughe[24]. Il Re del paese, ogni anno una volta, dà licenza a le
povere gente d'entrare in questo lago a pescare di queste pietre; e
questo fa per limosina, e per amor di Dio e di Adam; e ogni anno se ne
truova assai; ma per le serpe e vermi che vi son dentro, e' s'ungono
le mane e le braccia di sugo di limoni e d'altre erbe, e poi non ànno
paura nè di cocodrilli e d'altri vermini. Questa acqua corre e passa
per una costa della montagnia: in questo rivolo si truova gran quantità
di pietre preziose e di perle; e dicono comunemente in questa isola,
che nè serpente, nè bestie salvatiche del paese non tocherebono, e
non farebono male, nè alcuno dispiacere a' forestiere niuno che entri
nel paese, salvo solamente a quegli che son nati nel paese. In questo
paese, e negli altri che sono d'intorno, sono oche salvatiche, che ànno
due teste. E qui son lioni bianchi tutti, e grandi come buoi, e molte
altre bestie diverse. Ivi sono uccegli che non sono di qua da mare. E
sappiate, che in questo paese, e in altre isole d'intorno, el mare è
tanto alto, che pare che penda dall'onde, e che deba coprire tutta la
terra[25]. Io non so perchè modo si possa così sostenere, eccetto che
per la divina grazia: ed è bene tanto alto verso l'alta Libia; e però
dice David: _Mirabiles helactiones maris, mirabilis in altis Dominus_.


DELL'ISOLA DI DONDINA, DOVE E' MANGIONO L'UNO L'ALTRO, QUANDO NON
POSSONO SCAMPARE; E DELLA POSSANZA DEL LORO RE, IL QUAL SIGNIOREGIA
LIIIIº. ISOLE; E DI MOLTE MANIERE D'UOMINI, I QUALI ABITONO IN QUESTE
ISOLE.

Da questa isola, andando per mare verso mezo dì, è un'altra contrada
e larga isola, chiamata Dondina. In questa isola son gente di diverse
nature, perchè il padre mangia el figliuolo, e il figliuolo el padre,
e il marito la moglie, e la moglie il marito. Quando el padre o la
madre o veruno altro di loro amici sono amalati, subito el figliuolo,
o vero altri, vanno al Padre de la lor legge e prieganlo, che voglia
adomandare al suo idolo, se 'l padre morrà di quella malattia, o no.
El Padre della loro leggie allora va, insieme col figliuolo dello
ammalato, innanzi al loro idolo; e per virtù del diavolo, el quale v'è
dentro, gli risponde e dice, che egli non morrà di quella infermità; e
insegna loro in qual modo debba guarire. E allora el figliuolo ritorna
e serve el padre, e fagli ciò che l'idolo gl'insegnò, per insino che
'l padre è guarito. El simile fanno le mogli pe' mariti, e' mariti
per le mogli, e gli amici l'uno per l'altro. Ma se l'idolo dice, che
deba murire, alora il prete va col figliuolo, o cola moglie, o vero
coll'amico a l'amalato, e sì gli mettono un panno sopra la bocca per
torgli il fiato; e così, soffocandolo, lo uccidono. E poi tagliono
il corpo in pezzi, e fanno pregare tutti i loro amici che venghino a
mangiare di questo corpo morto, e fanno venire quanti pifferi possono
avere, e così il mangiono con gran festa e con gran solennità. E quando
egliono ànno mangiato la carne, pigliono l'ossa e sì le seppelliscono,
cantando e facendo gran festa e gran melodìa; e tutti e lor parenti,
che non sono stati a questa festa, sono riprobati, e ànno gran vergogna
e dolore, perchè più non sono riputati per amici: e dicono gli amici,
che lor mangiono le carne per liberarlo delle pene, sì com'egli dicono.
E se la carne è troppo magra, gli amici dicono, che egl'ànno fatto
gran peccato averlo lasciato tanto languire e sofferire pena sanza
ragione; se ella è grassa, egli dicono, che ciò è ben fatto, e che
presto l'ànno mandato al paradiso, e non à punto sofferto pena. Il Re
di questa isola è molto possente, e à di sotto di lui liiiiº. isole
grande, le quale io l'ò tutte vedute. Nelle quale isole son molte e
diverse gente; e ciascuna di queste isole à un Re coronato; e tutti
questi Re ubidiscono a lui. In una di queste isole stanno gente di
grande statura, come giganti e spaventosi a vedere. Questi ànno solo un
ochio in mezo la testa, e non mangiono altro che carne e pesci sanza
pane. E in una altra isola, verso mezo dì, stanno gente di brutta
statura e di malvagia natura. Questi non ànno punto di testa, e ànno
gli occhi nelle spalle e la bocca storta a modo che d'un ferro di
cavallo in mezo el petto. In altra isola son gente sanza testa, e ànno
gli occhi e la bocca dietro alle spalle. In un'altra isola son gente
che ànno la faccia tutta eguale sanza naso e sanza ochi, salvo che
due buchi ritondi nel luogo degli ochi, e una boca piatta a modo d'una
sfenditura sanza labbra. In un'altra isola son gente di brutta fatta,
che ànno labbra di sotto la bocca grande, che quando vogliono dormire
al sole, e' si quoprono tutta la faccia di questo labbro. In un'altra
isola sono piccole genti a modo di nani, e tutte sono due tanti magiori
che li pigmei. Questi ànno un piccolo buco in luogo di boca, per lo
quale e' conviene lor pigliare, per un legnio bucato, tutto ciò che
mangiono e beono. Egli non ànno lingua, nè parlon punto, salvo che
egli sibillono, e fanno segni l'uno all'altro a modo che' muti, alla
mutesca; e così intendono l'uno l'altro. In un'altra isola son gente
che ànno orechie, che gli pendono infino a' ginochi. In un'altra isola
son gente, che ànno piedi di cavallo: questi sono forti e possenti, e
corono forte per modo, che, correndo, pigliono bestie salvatiche, le
quali mangiano. Item, in un'altra isola son gente che vanno in quatro
sopra e piedi e mani loro, come fanno le bestie: questi sono tutti
pilosi, e salgono legiermente sopra gli alberi, come fanno le scimmie,
e così prestamente. Item, in un'altra isola sono ermofroditi, cioè
uomini e femine insieme, che ànno una mamilla dalla parte destra, e
niente da l'altra, e ànno membra d'ogni ragione d'uomini e di femmine;
e usano di quel che gli piace, dell'uno una volta e dell'altro l'altra.
Quando egliono usono el sesso femminino, egli ingenerono figliuole; e
quando egliono usono el mascolino, egli concipono e portono figliuoli.
In una altra isola son gente che vanno sempre co' ginochi molto
maravigliosamente, e pare che a ogni passo debbin traboccare; e da
ciascun piede ànno otto dita. Nelle altre isole ivi d'intorno, son
molte altre maniere di gente, delle quale si potrebe tenere lunghissimo
parlamento, ma perchè la materia mia sarebe troppo lunga, io me ne
passerò assai brevemente.


DEL REAME DI MAURI CH'È MOLTO BUONO E GRANDE, E DELLE MANIERE E COSTUMI
DI QUELLE GENTE.

Di questa isola andando per lo mare Occeano, verso oriente per molte
giornate, si truova un gran paese e un gran Reame, el qual si chiama
Mauri. Questo paese è in India magiore, e è la migliore terra, e il
migliore paese, e più dilettevole, e abondevole d'ogni cosa, che sia in
possanza de l'uomo. In questa terra stanno molti cristiani e saracini,
perchè il paese è grande e buono. In questo paese sono più di mille
città, o vero dumila città grande, sanza le ville. El popolo è molto
grande in questo paese, più che i' nisuno altro luogo di India: per la
bontà sua[26] nissun dimanda pane per Dio, però che in tutto el paese
non è povero alcuno. Ivi sono bella gente, ma sono molto pallidi e
ànno gl'uomini la barba chiara con pochi peli e lunghi; quasi che uno
uomo non à L. o LX. peli nella barba, un pelo in qua l'altro in là,
a modo d'una barba di leopardo, o vero di gatta. In questo paese sono
le femine molto più belle che i' niuno altro luogo. La prima città di
questo paese, la quale è una lega dilungi dal mare, si chiama Latori, e
è assai più grande che non è Parigi. In questa città è un gran fiume,
che porta navilio, el quale va infino al mare: niuna città è così ben
fornita, come è questa: tutti quegli del paese adorono idoli. In questo
paese tutti gli uccegli sono due volte magiori che di qua: ivi sono
oche bianche e rosse intorno al collo, e ànno uno grosso becco sopra
la testa e sono dua volte[27] magiori che le nostre. E ivi sono gran
quantità di serpi, delle quali e' fanno gran festa, e sì le mangiono
con gran solennità; però che chiunque avessi fatto una gran festa,
e avessi dato tutte le vivande che si sapessi dare, non avendo dato
una vivanda di queste serpi, non arebe fatto nulla; però che niuno
aprezerebe cosa che avessi fatta ma'. Buone città sono in questo
paese, e ivi si è grande mercato di vivere che non saperei dire, nè
io domandare. In questo paese son molte chiese di religione sicondo
la lor legge; e sono in queste chiese idoli grandi come giganti, a'
quali idoli dànno a mangiare il giorno delle feste loro in questo modo:
e' portono le vivande inanzi a loro così calde, come le tolgono dal
fuoco e lasciono ascendere il fummo inverso l'idolo: alora dicono, che
l'idolo à mangiato: e dipoi e riligiosi mangiono di queste vivande. In
questo paese son galline bianche, che, in luogo di piuma, ànno lana
bianca, come pecore. Le femine maritate ivi portono un segnio a modo
che un corno sopra la testa, per esere conosciute da quelle che non son
maritate. In questo paese è una bestiuola chiamata idria[28], la quale
abita in acqua, e vive di pesci. Le gente del paese amaestrono questa
bestiuola per modo, che a lor piacere la gittono nell'acqua, e ne'
laghi, e ne' fiumi profondi, e quela bestiuola areca fuori presto di
gran pesci; e così ne pigliono quanti ne vogliono. Passammo per questo
paese per molte giornate.


DELLA GRANDE CITTÀ DI CASSAGA, E DELLE SUE MANIERE.

Da questa città è un'altra città[29], la più grande del mondo, la qual
si chiama Cassaga, ciò è a dire, città del cielo. Questa è di circuito
circa L. leghe, ed è così bene abitata, che in una casa stanno ben
XII. famiglie. In questa sono X. porte principale, e di fuora ciascuna
porta, a tre leghe, o vero a quatro, è una gran villa. Questa città
è situata in un lagume di mare a modo che è Vinegia, e sono in detta
città più di XII. mila ponti; e sopra ciascuno ponte sono di forte
torre, ove stanno guardie per guardare la città per lo Gran Cane; però
che questa terra confina col Gran Cane. Da una parte della terra corre
uno gran fiume, dilungi dalla città. Ivi stanno religiosi cristiani,
e spezialmente mediani e mercatanti di molte nazione, perchè el paese
è buono e abondevole. Ivi fanno molto buon vino, il quale chiamono
Bighon, ed è molto possente e grazioso a bere. Questa è una città
reale, dove soleva stare el Re di Mauri o vero Marchi. Per questa città
si va per acqua sollazando e giucando infino a una gran Badia, la quale
è asai presso, dove stanno gente religiose, sicondo la lor legge.
In questa badia son giardini molto grandi e begli, ove sono alberi
di molte maniere di frutti. Fra questi giardini è una montagnia ben
fornita d'alberi, nella quale sono giardini d'intorno, e molte diverse
nazioni di bestie, come sono babuini, scimie, marmote e altre diverse
bestie. E quando el convento di questa badia à mangiato, fa portare
li loro avanzi nel giardino per limosina, e fa sonare una campanella
d'ariento, la quale tiene l'abate nella sua mano; e subito discendono
di questa montagnia queste tale bestie sopra dette, che tre, o vero
quatro mila ivi si riducono a modo che' poveri. E alora li è dato tutte
le reliquie che sono avanzate al convento con belli vasi d'ariento
dorati. Quando queste bestie ànno mangiato, l'abate suona un'altra
campanella, e e' ritornono ne' lor luoghi, donde vennono. Questi
religiosi dicono, che queste bestie sono anime di gentili uomini, che
ivi sono entrate per fare penitenzia, e loro gli dànno da mangiare per
lo amore di Dio; e dicono, che l'anima de' villani, dopo la morte loro,
entrono nelle bestie villane; e così credono fermamante, in modo, che
niuno gli può rimuovere di quella oppinione. Egli nutricono le dette
bestie in gioventù, quando ne possono avere; e egli le pascono de la
limosina, come v'ò detto di sopra. Noi gli dimandamo, se non sarebe
meglio, che egliono donassino quele reliquie a' poveri. Ci risposono,
che nel paese non era alcun povero; e quantunque vi fussi poveri, non
dimeno a lor pareva, che la limosina fussi meglio data a queste anime,
le quali fanno loro penitenzia, e che non sanno ove guadagnare, nè
afaticarsi, che non sarebe nella povera gente, le quali anno senno
e possanza di guadagnarsi le spese. Molte maraviglie sono in questa
città, o intorno pel paese, le quali io non iscrivo.


DELLA CITTÀ DI CHILAFONDA, E DELLA TERRA DELLI PIGMEI E DELLA STATURA
LORO.

Da quella città si va a un'altra città presso a quella a sei giornate,
la quale città è chiamata Chillaffonda, della quale le mura circundan
circa 20. leghe. In questa città sono circa LX. ponti di pietra, e più
begli che io già vedessi mai. In questa città fu la prima sedia del
Re di Mauri, perchè ella è più bella e molto più abondante di tutti
e beni: poi si passa a traverso d'un gran fiume, chiamato Dalai, lo
quale è la maggiore riviera d'acqua dolce che sia al mondo, perchè ove
ella è più stretta, ella è ben IIIIº. miglia, o vero leghe larga. Di
là si va più inanzi, e poi s'entra nella terra del Gran Cane. Questa
riviera passa pel mezo la terra di Pigmei: questi pigmei sono gente di
piccola statura, i quali sono lunghi circa a tre spane, e son begli
e graziosi, uomini e femine, per rispetto della loro piccoleza. Egli
si maritono nella età di sei mesi, e in due, o vero tre anni, sì ànno
figliuoli, e non vivono comunemente più di sei o vero VII. anni; e chi
vive VIII. anni, è riputato vechissimo. Questi pigmei son i più sottili
e' migliori maestri d'opera di seta e di bambagia, e d'ogni cosa che
sia nel mondo. E' fanno spesso guera cogl'ucegli del paese, e sono
molte volte da loro presi e mangiati. Questa piccola gente non lavorono
terra nè vignia, ma fra loro sono gente grande, come siamo noi di qua,
che lavorono le terre, e sì gli sostengono come fa di bisogno. E quella
gente grande sono da loro scherniti, come noi faremmo loro, se eglino
fussino di qua infra noi. Una buona città infra l'altre v'è dove è
gran moltitudine di questa picola gente, ed è questa città molto bella
e grande. Quando gl'uomini grandi, che stanno fra loro, ingenerano
figliuoli, e' diventono così piccoli, come li pigmei, però che quela
terra è di tal natura. Il Gran Cane fa guardar ben questa città, perchè
è sua; e quantunque li pigmei sieno così piccoli, niente di meno e'
sono razionali, sicondo il lor tempo, e sanno assai sì di senno e sì di
malizia.


DELLA CITTÀ DI IANCAI, E DELLA CITTÀ DI MENCA, E DELLE LORO RICHEZE E
USANZE.

Da questa città si va innanzi nel paese per molte città e per molte
ville, insino a una città chiamata Iancai; ed è molto nobile, e rica, e
bene situata. Ivi vanno gran parte di mercatanti per ogni mercatanzia.
Questa città val più che niuna altra del paese, perchè el lor signiore
n'à ogni anno d'entrata, sì come dicon quegli della città, L. mila
tome di fiorini d'oro, perchè e' contono ogni cosa a tome. Ciascuna
toma vale X. mila fiorini d'oro, e questo si può bene sommare. Il Re di
questo paese è molto possente; non dimeno è sotto posto al Gran Cane;
e 'l Gran Cane à sotto di sè XII. simile provincie; e in questo paese
sono buone ville. Quivi è una buona usanza, perchè sono alcuni ostieri,
a li quali, volendo far festa, o veramente convito, si dice: fatemi
aparechiare domane per tanta gente da mangiare; dicendogli propio
tutto el numero, e le vivande manifestandogli; e dicendogli: io voglio
ispendere ancora tanto, e non più. Subitamente l'oste farà aparechiare
sì pulitamente, che di nulla vi fallerà; e più presto e con assai meno
spesa, che non farebe nella sua propia casa. E da questa città, lungo
V. leghe, verso il capo di questa riviera di Dalai, è un'altra città,
chiamata Mencha. In questa città si truovono grandissimi navilii, e
sono tutte le nave bianche, come neve, per la natura del legnio, e
sono grandissime e bellissime navi e bene ordinate; ne le quali sono
sale con camere; e sono così bene ordinate e adobbate, come fussino in
terra, edificate in una casa. Poi si va, per lo paese, per molte ville
e per molte città insino a una città che si chiama Lenterim, la quale è
di lungo otto giornate dalla città sopra eletta. Questa città sta sopra
una riviera grande e larga, che si chiama Caromoran: questa riviera
passa pel mezo Catai, e spesse volte dannegia el paese, quando ela
cresce troppo.


DELL'ISOLA DI CATAI, E DELLE CITTÀ CHE IVI SONO, E DEL PALAZO DEL GRAN
CANE, E DELLE SUE MAGNIFICENZIE.

Catai si è un'isola bella e buona, e mercatantesca, e rica. Ivi vanno
ogni anno e mercatanti per ispezie e per altre mercatanzie più che non
vanno altrove. E sapiate, che' mercatanti, e quali vanno da Genova
e da Vinegia e da l'altre parte di Lombardia e di Romagna, e' vanno
per mare e per tera XII. mesi, e anche più, prima che possano venire
a l'isola di Catai, la quale è principale Reame di tutte le parte di
là e del Gran Cane. Da Catai si va verso oriente di molte giornate, e
truovasi una buona città, fra l'altre, chiamata Sugramarcho. Questa
è una città me' fornita del mondo di seta, di spezie e d'altre
mercatanzie in grandissima quantità. Poi si va più innanzi, verso
uriente, a un'altra città antica, la quale è ne la provincia di Catai:
e, allato a questa città, gli tartari ànno fatto fare un'altra città,
che si chiama Caadonia, la quale à XII. porte, e trall'una porta e
l'altra sì à una gran lega, sì che le due città, cioè la vechia e la
nuova, ànno di circuito più di XX. leghe. In questa città è la sedia
del Gran Cane in un grande e nobilissimo palazo: le mura di quello
circundono circa a due leghe e più. Questo palazo è pieno di dentro
d'altri palazi, e dentro v'è un giardino e un monte, sopra el quale
è un altro palagio, il quale è il più bello e il più ricco che si
potessi divisare nel mondo. Intorno al palagio e 'l monte sono fossi
grandi e profondi pieni d'acqua, e allato vi sono gran peschiere da
una parte e dall'altra: e ivi si è un bel ponte per passare e fossi.
In queste peschiere sono oche salvatiche, anitre, cisoni e anghironi
sanza numero; e intorno le fosse e le peschiere è un gran giardino
tutto pieno di bestie salvatiche; sichè il Gran Cane, quando e' vuole
avere di queste bestie e uccegli salvatichi, egli va a cacciare, e
pigliane da la finestra sanza uscir fuori de la sua camera. Questo
palazo, dove è la sedia, è molto grande e bello d'intorno, del quale
nella sala sono XXXIII. colonne d'oro fine, e tutte le mura sono
coperte di dentro di belli coiami rossi di bestie chiamate pathios,
le quale sono molto odorifere; sì che, per lo buono odore delle pelle,
nissuno cattivo aere vi poterebe stare nè entrare nel palazo; e' peli
di quelle pelle son rossi a modo di sangue, e lucono contro al sole,
che quasi niuno vi può guardare. Molte gente adorono queste bestie,
quando le veggono, per la lor virtù grande; e, per la virtù che ànno,
egliono apprezono tanto queste pelle, più che piastre d'oro. In mezo
di questo palazo è un tribunale per lo Gran Cane, tutto lavorato d'oro
e di pietre preziose e di perle grosse; ed è quadrato per ogni cantone
de la quadratura; e in su ogni canto di questo tribunale sono IIII.
serpe, tutte d'oro; e d'intorno, alquanto largo, vi sono un Re e una
Reina fatte di seta d'oro e d'ariento e di perle grosse, le quale
pendono atorno a questo tribunale; e di sotto a questo tribunale sono
condotti delle bevande che si beono nella corte dello imperadore; e,
a lato a questi condotti sono molti vasi d'oro, colli quali quegli
del palazo beono al condotto. La sala del palazo è molto solennemente
ornata, e molto maravigliosamente bene aparechiata d'ogni cosa che
si può aparechiare. Primamente, a capo della sala, è el trono dello
imperadore, ben alto, dove e' siede a la tavola, ed è adornata di fine
pietre preziose e ricamature intorno d'oro, le quali sono tutte piene
di pietre preziose e di perle grosse; e' gradi, pe' quali si saglie,
sono tutti di diverse pietre preziose e di fine oro. Da la sinistra
parte del seggio dello Imperadore, è il seggio della sua prima moglie,
e è un grado più basso del seggio dello Imperadore, e è di diaspro
ricamato d'oro e di pietre preziose. E poi segue el seggio della sua
seconda moglie, e è un grado più basso che quello della prima, e è
di diaspro lavorato così come l'altro. Lo terzo seggio, che v'è, si è
quello della sua terza moglie, e è un grado più basso che il secondo;
imperò che lo 'mperadore à tuttavia tre moglie in qualunque parte si
sia. E, dopo le sue moglie, in quel medesimo luogo, siedono le donne
e fanciulle del suo lingnagio, ancora più basso, sicondo la loro
condizione; e tutte quelle che sono maritate ànno uno piede contrafatto
d'uomo sopra le loro teste, lungo circa d'uno cubito, lavorato tutto
di perle grosse di oriente, e di sopra lavorato di penne lucente di
pagone, o vero di collo di grù, a modo che un cimiero, o vero d'un capo
d'elmetto, a dimostrare, che ele sono in subiezione e sotto e piedi
de l'uomo; e quele che non sono maritate none portono. Da la destra
parte de lo 'mperadore siede prima el suo primogenito, il quale debe
regnare dipoi lui, e siede un grado più basso che lo 'mperadore, a
modo che quegli delle imperadrice stanno; e dapoi segue quegli del suo
lignaggio, sicondo le loro condizioni. Lo imperadore à la sua tavola
fatta d'oro e di pietre preziose e di cristallo bianco, intarsiata
d'oro e de amatisto e di legno aloes, che viene di paradiso; e d'avorio
bianco ricamato d'oro. E ciascuna delle sue mogli à una tavola di
per sè e' suoi figliuoli, e altri gran signori che seggono presso a
lui: per lo simile non è tavola ivi, che non vaglia un gran tesoro.
E sotto la tavola dello Imperadore seggono IIII. uomini litterati,
e quali mettono in iscritto tutto quelo che dice lo 'mperadore,
o ben o male che sia; però che si conviene ritenere tutto ciò che
dice, perchè egli non può mutare o stornare la sua parola. Inanzi a
la tavola dello imperadore sono gran feste: ivi sono tavole d'oro,
e pagoni d'oro ismaltati molto nobilmente, e sonvi di molte altre
maraviglie d'uccegli, tutti d'oro ismaltati molto nobilmente, e sonvi
molte altre cose e d'altre maniere: e fanno questi uccegli ballare,
danzare e cantare sopra le tavole, percotendosi le palme; e di ciò
fanno gran festa e buffoneria. Io non so se questo sia per artificio,
o per nigromanzia. Ed è pure una bellissima cosa a vedere e una gran
maraviglia, come ciò possa essere; ma questo posso bene io dire, che
queste sono le più sottil gente in ogni scienzia, nella quale egli
s'intromettono. In ogni artificio che sia, o che possa esere per lo
universo mondo, egli el sanno bene; e per questa cagione e' dicono,
ch'e' vegon ben da due occhi, e i cristiani non vegono se none da uno
occhio; però che egliono sono e più sottili da poi loro, ma tutte
l'altre nazione sono cieche in opere e in iscienzia. Io durai gran
fatica per sapere il modo con che fanno ciò, ma il maestro mi disse:
io ho botato a Dio immortale di non lo insegnare ad alcuno, ecetto al
primo mio genito, e così voglio oservare. Item, di sopra alla tavola
dello imperadore, cioè da un lato della sala, è una vigna tutta messa
a oro fino, la quale à molti grappoli e racimoli di pietre preziose di
diversi colori, come bianche, gialle, rosse, verde, nere. Le bianche
sono di cristallo di berillo e di yris; le gialle sono di topazzi[30];
e li rossi sono di rubini granati e di albandina; li verdi sono di
smiraldo, di perides e di grisolido; e i neri sono di onichini; e sono
così bene lavorati, che egli paiono veri grappoli d'uve. E inanzi a la
tavola istanno e gran baroni e gli altri che egli servono, e non v'è
uomo di tanto ardimento, che vi dicessi una parola, non parlando a lui
lo 'mperadore, salvo che e pifferi[31], che dicono canzone e giuochi
e altre cose per sollazzo dello imperadore. Tutti e vasi, con che si
serve nelle sale e nelle camere, son di pietre preziose, spezialmente a
le gran tavole; o che sono di diaspro, o di cristallo, o di ametisti;
e sonvi tazze e cuchiai di smeraldo e di zafiro e di topazio e di
peridos e di molte altre pietre: e sonvi ancora vasellami d'oro
fine e di ariento. Non ve n'è però alcuno che eglino aprezino tanto
l'ariento che e' si degnino fare vasi, ma d'argento fanno i gradi, e le
colonne e aparamenti delle sale e delle camere. Item, inanzi a l'uscio
della sala stanno molti baroni e cavalieri a ciò che niuno entri
sanza comandamento e volontà dello imperadore, salvo che' servidori
e ministri dello ostello e quali entrano e escono a loro volontà, e
nessuno altro è tanto ardito che ardisca apressimarsi a l'uscio della
sala. E sapiate che i miei compagni, e io insieme lo servimo al soldo
per ispazio di XV. mesi contra il Re di Manthi, col quale aveva guerra;
e la cagione fu, che noi avavamo disiderio grande di vedere se lo
stato, la nobiltà, l'ordine e il governo della corte sua era tale qual
noi avavamo udito. E certo noi trovamo nella corte sua asai più ordine,
nobilità, eccellenzia e maraviglia di quello che c'era stato detto, e
giamai creduto non l'aremo, se non avessimo veduto; però che a pena
niun potrebe credere la nobilità e la moltitudine della gente che è
nella sua corte, se non lo vedesse; perchè ivi non è come di qua; che'
signiori di qua vanno con poca gente, cioè con poco numero, e 'l Gran
Cane à ogni dì, a suo spese, gente quasi sanza numero. Ma l'ordine,
e il costume, e il vivere, la onestà e la netteza non sono simile a
quelle di qua, però che ivi la comune gente mangia sanza tovaglia,
sopra piedi e sopra ginochi, e mangiano di ciascuna maniera di carne,
e poco pane; e dopo mangiare si forbono le mane alle giornee, e non
mangiono altro che una volta el dì: ma lo stato del gran Signiore è
grandissimo, e richissimo, e nobilissimo. E quantunque alcuni sieno
che non credono, e tengono a favola e bugia quel ch'io discrivo della
nobilità di sua persona, di suo stato, di suo cortesia e del grande
ordine di gente che tiene, niente dimeno io dirò alcuna parte delle
maniere e dell'ordine di lui e della sua gente, sicondo che io ho
veduto molte volte. Chi mi vuol credere, mi creda, se gli piace; e
chi nol vuol credere, sì lasci stare, però che io so bene, se alcuno è
stato nel paese di là, quantunque non sia stato infino al luogo dove
sta il Gran Cane, arà udito parlar di lui e del suo stato tanto, che
legiermente mi crederà. E quegli che saranno stati nel luogo e nel
paese, o vero nella stanza del Gran Cane, saperranno ben se io dico il
vero; sì che per quegli che nulla sanno e non credono altro che quello
che egli vegono, non lascerò di scrivere una parte di lui e del suo
stato che mena quando va da uno paese all'altro, e quando egli fa feste
solenni.


PERCHÈ SI CHIAMA EL GRAN CANE E DI CUI DISCESE, E DEL NOME DE' SETTE
LINGUAGGI DI BARBERIA.

E inprimamente iscriverò la cagione, perchè lui è chiamato Gran Cane.
Voi dovete sapere che, dapoi el diluvio, esendo il mondo distrutto,
rimase Noè co la sua famiglia. Noè aveva tre figliuoli, cioè Cam, Sem
e Iafet. Cam fu colui che rise del padre, quando innebriò per lo bere
del vino, addormentato e discoperto, e però fu maladetto; ma gli altri
tre suo frategli, di ciò dolendosi, copersono el padre. Questi tre
frategli presono tutta la terra in libertà. Cam per sua crudeltà prese
la parte orientale, chiamata Asia, la minore e la magiore: Sem prese
Africa, e Iaphet Europa, e però in tre parte è la terra divisa. Cam
fu el maggiore e 'l più possente dei suo frategli; e di lui discese
più generazioni che degl'altri. Di Cam nacque Chus, del qual nacque
Nebroth gigante, el quale fu primo Re al mondo, el qual fece la torre
di Babillonia. Colle femine della generazione di questo Cam giacevono
e dimonii, e ingeneravono gente diverse, come sono monstri e gente
sfigurate; alcuni sanza testa, alcuni con gli orechi grandi, alcuni
con uno ochio, altri con piè di cavallo e con altri membri disformi.
Dalla generazione di Cam discese la pagana gente, e la diversità delle
gente che son nelle isole del mare e per tutta l'Asia. E perchè egli
era il più possente, e niuno poteva contastare a lui, egli si facea
chiamare figliuol di Dio, e superiore di tutto 'l mondo: e per questo
Cam, tutti gl'imperadori poi son chiamati tutti Gran Cani e figliuoli
di Dio per natura, e superiori di tutto el mondo, e così si chiaman
nelle sue lettere. E della generazione di Sem discesono e giudei e'
saracini. Della generazione di Iaphet sono discesi li occidentali, che
stanno in Europa. Questa oppinione ànno e giudei e' saracini, e così
m'ànno dato a intendere, prima ch'io andassi in India, cioè che per la
detta ragione lo imperadore de' Tartari era chiamato Cane: ma quando
io fui in India, io trovai altrimenti essere la cosa: nondimeno gli
tartari e quegli che stanno nella grande Asia discesono da Cam, ma lo
imperadore di Catai non si chiama punto Cane, anzi Cam; e io vi dirò
el vero, e in che modo si chiama Cam. Non sono ancora Cº. e LX. anni
passati, che tutta la tartaria era in subiezione e in servitù d'altre
nazione d'intorno, però ch'egli erono tutti bestiali, e era la vita
loro come bestie nelle pasture. Ma tra tutti questi tartari erone
sette principali nazioni, le quali erono superiori a tutti loro; de
le quali e primi erono chiamati Tartari; e da questa nazione pigliò
el nome tutta Tartaria, però che questi erono più nobili e li più
appregiati degli altri. Il sicondo lingnagio era chiamato Fhanghut,
el terzo Bionch, il quarto Vilar, il quinto Semoth, el sesto Mongil,
il settimo Coboch. Del primo lingnaggio fu uno valente uomo vecchio,
non ricco chiamato Canguis[32]: giacendo una volta costui nel suo
letto e dormendo, per visione gli parve, che gli venisse inanzi un
cavaliere armato di bianche arme, il qual gli disse: Cam, dormi tu?
a te mi manda Dio immortale: i' vo' che tu dica alli sette lingnaggi,
che tu se' lo' mperadore, però che tu conquisterai il paese che è qua
d'intorno, e li confinanti saranno i' nostra subiezione, sì come voi
siete stati nella sua, perchè questa è la volontà di Dio immortale.
Venendo la mattina, Canguis si levò, e andò a dire alli sette lingnaggi
ciò che gli aveva detto el cavaliere; e i sette lingnagi feciono
beffe di lui, e dicevono che lui era impazato. Onde lui si partì
tutto vergognioso: e la notte seguente el bianco cavaliere venne a li
sette lingnaggi, e comandogli da parte di Dio immortale, che eglino
facessono Canguis loro imperadore, e che egliono sarebono fuori di
subiezione e di servitute, e torrebbono gli altri regni intorno a
loro nella loro subiezione. Onde la mattina egli elessono quello
Canguis per imperadore, e sì l'assettorono sopra uno feltro nero, e,
insieme col feltro, egli lo levorono alto con gran solennità, e sì
lo assettorono in una cathedra, e tutti gli feciono riverenzia, e sì
lo chiamorono Cam, a modo che aveva detto il bianco cavaliere. Quando
costui fu talmente eletto, e' volle assagiare, se si potessi fidare in
loro, e se egli vorrebono esere ubbidienti; e fece fare molti statuti
e ordini, chiamati Isacham. El primo statuto fu, che egli ubidisono
e credessino in Dio immortale e onnipotente, al quale piacesse di
tragli di servitute, e 'l quale sempre chiamassono in adiutorio nei
loro bisogni. L'altro statuto fu, che tutti gl'uomini del paese che
potessino portare arme, fussino numerati, e che a ciascuna decina fusse
dato uno maestro; et a venti, uno altro, e a Cº. uno capo, e a M^e. un
capitano. Da poi comandò a tutti e principali dei sette lingnagi, che
egli lasciassono e rinunziassono ciò che avevono di bene di redità, e
che in quell'ora poi rimanessino contenti di ciò, che farebe di sua
grazia: egliono lo feciono subito[33]. Da poi fece un altro oribil
comandamento a tutti e principali sopradetti, che ciascuno faciessi
venire il suo primo genito, e con loro propie mani ogni uno tagliassi
il capo al suo figliuolo sanza dimora alcuna: e subito fu compiuto
el comandamento. Quando el Can vide che e' non contradicevono a cosa
alcuna che e' comandassi, si pensò che molto bene si poteva fidare; e
presto comandò loro, che fusino tutti aparechiati in arme per seguire
la sua bandiera; e poi per forza sottomettesse tutte le terre che sono
d'intorno. E avenne, che, un dì cavalcando el Cane con poca compagnia
per riguardare la forza del paese, che egli aveva guadagnato, si
riscontrò con gran multitudine di suoi nimici; e ivi fu il suo cavallo
morto e lui abattuto. E vedendo la gente sua i' lor signiore abattuto,
e credendo che fussi stato morto, tutti si missono in fuga; e i nimici
gli seguitorno apresso, e non si avidono, che per la lor fuga lo
imperadore s'andò ascondere per un picolo e spesso bosco. E ritornati
i nimici dalla fuga, andorono a cercare pel bosco, se vi trovasino
alcuno ascoso. Molti ne trovorono e missongli a morte; e mentre
ch'egl'andavano cercando verso el luogo, dove era el Cane, vegono sopra
uno albero, dove era il Cane, nascoso uno uccello chiamato Rub. Allora
dicevano fra loro, che poi che quelo uccello stava sopra quell'albero,
ivi non era alcuno riposto; e così nelle altre parte tornorono. Lo
imperadore, salvato dalla morte, si partì di notte a salvamento, e
inverso la gente sua andò, la quale molto fu lieta della sua venuta
e renderono grazie a Dio immortale e a quello uccello, per cui si fu
salvato i' lor signore; e però sopra a ogni altro uccello del mondo
egli onorono quello, e se possono avere della penna, la serbono in
luogo di reliquie e conservono molto preziosamente, e la portono sopra
loro teste, e credono, quegli che la portono, essere difesi da ogni
pericolo. Dipoi il Cane ordinò suo gente per andare sopra quelli che
l'avevono asalito, e tutti gli distrusse e misse a servitute. Quando
il Cane ebe guadagnato e sotto poste le terre e 'l paese d'intorno
di qua dal monte di Beliam, el bianco cavaliere un'altra volta venne
a lui dormendo, e disse a lui: Cam, la volontà di Dio immortale e
onnipotente è, che tu passi el monte Belliam, e guadagnerai le terre,
e sottometterai a te molte altre nazioni; e perchè tu non truovi bene
passaggio per andare verso quel paese, và al monte Beliam, el quale è
sopra el mare, e inginochiati IX. volte verso oriente, al nome di Dio
immortale. e a lui chiedi che ti mostri il camino dove tu puoi passare.
El Cane fe' a quel modo che gli fu comandato, e di subito el mare, che
toccava el monte, si ritrasse adietro, e dimostrava una via larga e
bella VIIII. piedi. E in tal modo passò colla sua gente, e per quelle
VIIII. inginochiate, e per li VIIII. piedi della via, dall'ora in qua
el Cane e tutti e Tartari ànno auto e anno il numero VIIII-nario in
gran riverenzia. E per questo, quando lui vuole presentare o cavagli,
o ucegli, o archi, o frutti, o qualunque altra cosa, tutta via manda
il numero di nove, e il presente è più degnamente ricevuto, che se
fusse Cº. o CCº.; perchè a lor pare, che questo numero sia santificato,
però che 'l messaggio di Dio immortale el costituì. Dopo che 'l Cane
ebe guadagnato el paese di Catai e sotto posto molto paese intorno,
lui cadde in malattia, e ben conobe, ch'egli dovea murire, disse a'
XII. suo figliuoli, che ciascuno di loro gli portassi una delle sue
saette. Subito lo feciono; e poi disse, che tutte a XII. fussono legate
insieme con tre legami: e, così legate, dette al primo suo figliuolo,
e disegli, che le rompessi tutte insieme: el figliuolo si sforzò di
romperle, ma non potè. El Cane comandò al sicondo figliuolo che le
rompesse; e così da l'uno a l'altro, ma niun di loro le potea rompere.
Dipoi disse il Cane al più giovane: separa l'una da l'altra, e rompi
ciascuna di per sè; e così fece. E poi disse el Cane al primogenito
e agl'altri, perchè cagione non l'avevono rotte? Risposono, che non
potevono, perchè erono legate tutte insieme; e egli disse: perchè egli
l'à rotte el vostro minor fratello? però che eron separate l'una da
l'altra. E allora disse el Cane: figliuoli miei, el simile è di voi,
imperò che, mentre che sarete legati insieme di tre legature, cioè
d'amore, lealtà e di concordia, niuno vi poterà agravare; ma se voi
sarete separati da questi legami, sì che l'uno non aiuti l'altro, vo'
sarete distrutti e annichiliati. Adunque argomentatevi, e ricordatevi
del mio consiglio: onoratevi e amatevi l'un l'altro, chè sarete
signiori e superiori di tutto: e, fatti gli ordini suoi, si murì.

Dopo lui sì regniò Othetana Can con suo primo genito, e gl'altri
fratelli suoi andoro a guadagnare altri paesi e molti regni, infino
alla terra di Prussia e di Rossia: e tutti si feciono chiamare Can;
ma erono però sotto l'ubidienzia del lor primo fratello; sì che per
questa cagione fu lo 'mperadore chiamato Cam; e dappoi successono tutti
gli altri. Dopo Otetana Cam, regniò Brunon Cam, e poi Mango Cam[34],
e questo fu buon cristiano battezato, e dette a tutti e cristiani
lettere[35] di perfetta pace, e mandò suo fratello Alaon con gran
multitudine di gente per guadagnare la terra santa, e per ridurla
nelle mani de' cristiani, e per distruggere la lege di Maometto, e per
pigliare el Califfe di Baldach, che era signiore et imperatore di tutti
e saracini. E, quando fu preso il Califfe, tanto tesoro vi fu trovato,
che appena ne doveva esere altrettanto nel resto del mondo. Alaon fece
venire el Calife inanzi a sè, e dissegli per qual cagione e' non aveva
tolti molti soldati per una parte di questo tesoro, per difendere il
suo paese; e lui rispose, che si credeva assai avere di questi del
suo paese propio. Allora disse Alaon: tu fusti a modo che Dio tra' e
saracini, e li Dii non debono mangiare vivande mortale; imperò tu non
mangerai altro che pietre preziose, e 'l tuo tesoro, che tu avevi tanto
acomulato e tanto ragunato e amato. E fecelo mettere in prigione, e
tutto il suo tesoro appresso a lui: e quivi si murì di fame e di sete.
E dappoi Alaon arebbe guadagnato tutta la terra di promissione e messo
nelle mani di cristiani, ma il Gran Cane murì fra quel termine; onde la
impresa rimase tutta impedita. Dapoi Mango Cam, regniò Cobilla Cam, el
qual fu cristiano e regniò XLII. anni: edificò la gran città di Ieuis
in Catai, la quale è assai magiore di Roma. Gli altri Cam, che vennono
dappoi, diventorono pagani, e così e successivi, tutti sono stati
pagani infino al presente.


DEL TITOLO DEL GRAN CANE, E DEL GOVERNO DELLA CORTE SUA QUANDO SI FA
FESTA, E DELLE MANIERE DE' BARONI CHE SERVONO A TAVOLA, E DELLI SAVI
CHE VI SONO, E DI MOLTE ALTRE COSE MIRABILE E STUPENDE.

El Gran Cane è el più possente imperadore che sia sotto il firmamento,
e così si chiama per titolo nelle sue lettere: _Cam, filius Dei
excelsi, omnium universam terram colentium summus Imperator, et Dominus
omnium dominantium_. Le lettere intorno al suo suggello suonano
talmente, cioè: _Deus in cœlo, et Cam super terram, eius fortitudo
omnium hominum Imperatoris sigillum_. E così è scritto nel suo piccolo
sigillo. E quantunque questo imperadore non sia di presente cristiano,
niente di meno lui e tutti e tartari credono in Dio immortale e
onnipotente. E quando egli vogliono minacciare alcuno, dicono: Dio sa
bene, che tu ti comprasti quello che io ti farò: tal cosa dicendogli,
ciò che voglion fare. Poi che io v'ho detto la cagione, per la quale
lo imperadore si chiama Cane, iscriverò ora il governamento de la
corte sua, quando egli fa festa solenne, cioè le quattro principale
feste dell'anno. La prima festa è de la sua natività; l'altra della
sua presentazione nel luogo di Moisach, cioè nel tempio dove fanno una
maniera di circuncisione: le altre due feste sono di duoi loro idoli;
la prima quando l'idolo fu prima posto nel tempio e intronizzato[36];
l'altra quando l'idolo cominciò a parlare, o vero o fare il primo
miracolo. Altre feste solenne non fanno, se non quando un de' suo
figliuoli pigliassi moglie. Or sappiate, che a ciascuna di queste feste
è grandissima copia di popolo, e molto ordinato e armato per migliaia
e per centinaia e per decine; e ognuno sa ben chi el debe servire, e
ciascuno si è ben acorto e atento a quelo che gl'apartiene; che non v'è
difetto alcuno. Prima vi sono quatro mila baroni, richi e possenti,
per guardare e ordinare la festa e per servire lo 'mperadore. Queste
feste solenne son fatte di fuori nelle tende fatte di drappi d'oro di
Tartaria e di camosciato, molto nobilissimamente. Tutti questi baroni
ànno corone d'oro sopra le teste loro, molto nobile e molte riche,
lavorate di gran pietre preziose e di perle grosse orientale, e tutti
son vestiti di drappi d'oro di Tartaria, o vero di camossciato, e
più pulitamente che nel mondo si potessi pensare nè scrivere. E sono
queste vestimenta tutte fregiate d'oro d'intorno e lavorate di pietre
preziose molto ricamente; e non dimeno drappi d'oro e di seta sono
quivi a miglior mercato, che non sono di qua e panni di lana. Questi
quatro mila baroni sono partiti in quatro parte, o sia compagnie; e
ciascun migliaio è vestito di drappi d'un colore solo, e sono così bene
adornati ricamente, che è una maraviglia a vedere. El primo migliaio,
il quale è di duchi, di conti e di marchesi e d'amiragli, son vestiti
di drapi d'oro, tessuti di seta verde, e ricamati d'oro e di pietre
preziose, al modo come io ò detto di sopra. El sicondo migliaio è
vestito tuto di drappi di colore di diaspro e di seta vermiglia,
tuta fregiata a oro e a perle, molto nobilissimamente lavorate. El
terzo migliaio è vestito di drapi di seta purpurina di India. El
quarto miglaio è vestito di drapi bianchi, e tute le lor veste sono
nobilissime e pulitamente lavorate d'oro, di pietre e perle, chè uno
uomo di nostro paese, avendo una sola di queste veste, potrebe per
vero dire, che mai non sarebe povero; però che le lor pietre e perle
varebono un gran tesoro di qua, più che non fanno di là. E, in tal
modo aconci e chiamati, vanno ordinatamente a due a due inanzi a lo
'mperadore sanza parlare, inclinandosi solennemente. Ciascuno di loro
porta inanzi a sè una tavoletta di diaspro, o d'avorio, o di cristallo,
o di ametiste: inanzi a loro vanno tutti e pifferi, sonando di molti
e diversi strumenti. Quando el primo migliaio è passato, e fatto la
sua mostra, e' si tirano da lato a una parte. Poi passa oltre l'altro
migliaio, e così el terzo, e anche il quarto, a uno modo; nè uno solo
v'è che parli una sola parola. A lato a la tavola dello imperadore,
il quale siede in tribunale, seggono di molti filosafi e savi di
molte scienzie, come d'astronomia, di geometria, di negromanzia, di
idromanzia, di augurii e di molte altre scienzie. Alcuni di questi
filosafi ànno, inanzi a loro, astrolabii, sproni d'oro, vasi d'oro
pieni di sabione, teste di morti, ne le quali fanno parlare maligni
spiriti; e alcuni vaselli d'oro pieni di carboni ardenti; vaselli d'oro
pieni d'acqua; altri d'olio; altri di vino; oriuoli d'oro e molti altri
loro istrumenti, sicondo le loro scienzie. A certe ore, quando pare a
loro, e' dicono a' suoi vassalli e a' famigli, che tutta via stanno
inanzi a loro, disiderosi e pronti per fornire e loro comandamenti:
fate pace. Allora dicono e famigli: fate pace; ascoltate. Poi dicono
e filosafi: ciascuno faccia riverenzia, e fortemente inchini allo
imperadore, il qual è figliuol di Dio e signior superno di tutto
il mondo, perchè l'ora è di presente: e ciascuno abassa el capo a
terra. Poi dicono questi filosafi: levate su. Poi a un'altra ora
dirà un filosafo: mettete il vostro piccol dito nell'orechio vostro:
e subitamente egli el fanno. E un'altra ora dirà un altro filosafo:
mettete la vostra mano inanzi alla vostra bocca: e egli il fanno. Poi
dice un altro: mettete la vostra mano sopra la vostra testa: e egli
subitamente el fanno. Poi dice, che egli la levino; e così fanno. E in
questo modo, d'ora in ora, gli dicono diverse cose; e dicono che queste
cose ànno grandissimo misterio. Io gli domandai da parte, qual misterio
e qual significazione avevono queste cose. Egliono mi risposono,
che l'abassar le teste in questa ora aveva così fatto misterio, che,
tutti quegli che l'avevono abassata, sarebono sempre ubidenti a lo
imperadore, che nè per doni nè per promesse poterebono mai esere
corroti, nè, per alcuno avere, inclinati a fare alcuno tradimento. Di
mettere il dito nell'orechie dicevono, che niuno di quegli poterebe
mai udir cosa contro a lo imperadore, che subito non gliene dicessino,
se ben fussi il padre, figliuolo o fratello che 'l dicessi. E così di
ciascuna persona o di cosa ch'egli dicono o fanno fare, eglino dànno
diversi misterii. Siate certi che nessuna cosa si fa che appartenga
allo imperadore nè drappi, nè panni, nè veruna altra cosa, salvo che a
quella ora che dicono e filosafi, e' non moverebono un passo, se none a
punti di stelle. E se nella terra de lo 'mperadore si fa guerra, o vero
cosa a lui contraria, questo subito e filosafi e negromanti el vegono,
e dicono a lo 'mperadore, o al suo consiglio: Signiore, di presente
nella terra vostra, o in tal parte, si fa la tal cosa. E subito lo
'mperadore manda gente verso quella parte, e fa la sua providigione.
Quando e filosafi ànno così fatto e suoi comandamenti, e' pifferi
cominciono a sonare, e ciascuno el suo istromento, l'uno e poi l'altro,
e fanno una gran melodia. Quando ànno sonato un gran pezzo, uno de'
pifferi dello imperadore monta alto sopra una sedia lavorata molto
nobilmente, e grida, e dice: fate pace; e ciascuno si tace. Da poi
vengono tutti quegli del parentado dello imperadore, aparechiati molto
nobilmente di drapo d'oro, e quali ànno aparechiati cavagli bianchi,
quanti ne possono avere; e poi il siniscalco della corte chiamagli
tutti, e nomina prima il più nobile, dicendo: siate aparechiati con
el tale numero di cavagli bianchi per servire il nostro imperadore,
signior nostro. E così, digradando, chiama tutti quegli dello
'mperadore; e poi, quando gli à così chiamati tutti, e' passono inanzi
a lo 'mperadore l'uno dietro a l'altro; e, così ordinati, entrono
l'uno dopo l'altro e presenton loro cavagli bianchi a lo 'mperadore,
e passono oltre. E dapoi viene gli altri baroni, ciascuno di quegli
gli dona, o vero presenta gioielli, o vero altra cosa, sicondo la lor
condizione. Dipoi vengono e prelati de la lor legge, e ciascun gli dona
qualche cosa: poi quando egli ànno tutti oferto a lo 'mperadore, el
magiore de' prelati dona la sua benedizione, dicendo l'orazioni de la
sua legge. Poi cominciono e pifferi a sonare un'altra volta; e quando
gl'ànno così un pezzo sonato, e' restono e fanno venire inanzi allo
'mperadore lioni provati e altre bestie, aquile e avoltoi, e altre
ragione d'animali, di pesci e serpe, per fargli riverenzia, perchè e'
dicono che ogni criatura debe ubidire a lui e fagli onore e riverenzia.
E poi vengono giocolatori e incantatori, che fanno trope maraviglie;
però che fanno venire nell'aria el sole e la luna per sembianza (per
fare riverenzia al Re), di tanta chiarezza, che quasi l'uno non può
veder l'altro. Poi fanno venire la notte, sì che e' non si vede quasi
niente. Poi fanno ritornare el dì: poi fanno venire danze con le
più belle fanciulle del mondo, sì come paiono; e fanno venire altre
fanciulle, che portono coppe d'oro piene di latte di vacca, e dànno
da bere a' gran signiori e a gran donne; e po' fanno venire cavalieri
che giostrono nell'aria, armati molto pulitamente di tutte l'arme che
s'apartengono a giostra, e rompono le lance sì ferventemente, che e
tronconi volano per tutte le tavole. Poi fanno venire cacce di cervi, e
di cinghiali, e di cani coridori, e in somma fanno tante diverse cose,
che è una maravigliosa cosa a vedere. E questi giuochi fanno insino a
ora di mangiare. Questo imperadore à molte gente per servirlo, come
io v'ò altre volte detto, e di piferi el numero è di XIII. cornuas:
uno di questi cornuas fa di numero X. migliaia; ma e' none istanno
però tutti con lui: però che tutti e piferi vengono inanzi a lui di
qualunque nazione: egli gli fa tenere nella sua stanza; e quantunque
e' vadino in altre terre, egliono non dimeno si chiamono piferi dello
imperadore; e però n'è così gran numero de' valenti. E famigli[37] che
sono diputati a la guardia degl'ucegli, astori, girifalchi, sparvieri,
falconi gentili di riviera, e pappagalli parlanti, e altri uccegli; e
così quegli che guardano le bestie salvatiche, mille elefanti e più,
e altre diverse bestie arabiche, scimmie, marmotte, e altre bestie
sono per numero XV. cornuas: e li fisici per la sua persona sono
CCº., e i più sono cristiani, e sonvene XX. saracini; però che più si
fida nell'opere de' cristiani che de' saracini. L'altra comune gente
e famiglia è quasi innumerabile, e tutti ànno ciò che bisogna dalla
corte dello imperadore. Ne la corte vi sono molti baroni e servidori
che sono cristiani, che ivi stanno convertiti a la buona fede per le
predicazioni de' religiosi cristiani che ivi sono; ma vi è molti, che
non vogliono che si sappia, che sieno cristiani. Questo imperadore può
spendere quanto vuole sanza istimazione, perchè egli non fa spendere
oro nè ariento; nè d'altro fa moneta, che di corame e di papiro
improntato. Ed è la moneta di vario pregio, sicondo la impronta sua;
e quando la moneta è fatta vechia per molto manegiarla e è rotta e
guasta, el tesoriere dello imperadore ne dà della nuova per la vecchia,
una per una, per tutto el suo paese e per tutte le sue province, perchè
ivi, come ò detto, non fanno monete d'oro nè d'ariento; e però pote
egli spendere assai; ma dell'oro e dell'ariento, che è in suo paese,
fa tutta via lavorare nel suo palazo e far cose diverse e mutare e
rimutare sì come a lui piace. Nella sua camera è una colonna d'oro,
sopra la quale è un rubino de la lungheza d'un piede, el quale di notte
alumina tutta la camera. Questo rubino non è però diritto vermiglio,
ma tiene di colore d'un bruno amatista: ivi sono molte pietre preziose
e molti altri rubini, ma questo è el meglio e il più prezioso che lui
abia. Item, al tempo della state sta lo imperadore a una città, che è
inverso Bissa, la qual si chiama Sedon: ivi è assai freddo. Al tempo
di verno sta in una città di Camacalech, ove è molto caldo paese,
ma comunemente sta a Chaida, o vero in Ions, che è buon paese e asai
temperato, secondo el paese di là: ma di qua parrebbe troppo caldo[38].
Item, quando lo imperadore cavalca da un paese a l'altro, egli fa
ordinare IIIIº. oste delle gente sue. El primo oste va inanzi a lui
una giornata, però che questo oste giace la notte, dove lo 'mperadore
debe giacere la mattina: ivi truova ogni uomo ciò che gli bisogna; e a
questo primo oste, e da cavalo e da piede, son per numero L. cornuas:
un altro oste va a la destra parte, di lungi una meza giornata, e
l'altro a la sinistra parte altrettanto; e a ciascuno di questi due
osti son tante genti, quante nel primo. El quarto, che è assai magiore
che niun degl'altri, va dietro a lo 'mperadore, lontano a una arcata; e
ciascuno oste ànno la sua giornata ordinatamente in certi luoghi, dove
debono star la notte, e ivi egli truovono quanto fa di bisognio: e se
aviene che una di quelle oste muore, subito n'è rimesso un altro in suo
luogo, sì che il numero rimane sempre intero.


DELLA MANIERA DEL GRAN CANE QUANDO LUI CAVALCA, E DI COLORO CHE
CAVALCANO SECO, E DELLA SIGNIORIA E GRAN POSSANZA SUA.

E sappiate, che lo 'mperadore colla sua persona non cavalca mai:
el simile e gran signiori di là, salvo se eglino volessino andare
in alcuna parte con poca compagnia secretamente; e questo per non
essere conosciuto. Lo 'mperadore va in una carretta di IIIIº. ruote,
sopra la quale è una bella camera fatta d'una ragione legno chiamato
aloes, el quale è condotto per un fiume dal paradiso, come io ò detto
di sopra. Questa camera è molto odorifera, per cagione di questo
legnio, e è tutta coperta di dentro, la camera, di piastre d'oro con
pietre preziose e perle grosse: quattro elefanti e quattro destrieri
bianchi, coperti di riche coperture, tirono questa carretta, e sei gran
signiori vanno d'intorno a la carretta, a cavallo e aparechiati molto
nobilmente: e niuno s'aprossima a la carretta, salvo questi signiori
e quegli che son chiamati dallo imperadore per parlare. Sopra questa
camera sono posti certi girofalchi, a ciò che, vedendo lo 'mperadore
uno uccello salvatico, e volendo vedere e aver piacere di quello, gli
lascia uno d'essi suoi girofalchi e più, come gli piace: in questo si
piglia diletto passando pel paese. E, come io ho detto, niun cavalca
inanzi a lui di sua compagnia, anzi tutti vengono dipoi, lungo lui, e
niuno s'ardisce apressarsi a la camera, ecetto que' signiori che sono
intorno a lui: e tutto l'oste vien dopo lui pianamente, dove è gran
moltitudine di gente. In una simile carretta, e similmente ordinate
vanno le imperadrici, ciascuna per sè, in IIII. osti, a modo che va
lo 'mperadore, ma non con così gran moltitudine di gente. Dappoi il
primo genito suo va in un altro carro e per un'altra via, per questa e
con questa medesima maniera, ed è una maravigliosissima cosa a vedere
la gran multitudine di gente: nissuno crederebbe la somma, chi non la
vedessi! Alcuna volta aviene, che lo 'mperadore non va molto dilungi da
loro, anzi va insieme, e sono loro gente nobile e ordinate e partite
in IIII. parte[39]. Item, lo imperio di questo Gran Cane è partito
in XII. province: in ciascuna provincia sono più di duo mila città, e
ville sanza numero; e 'l suo paese è molto grande, però ch'egli à XII.
Re principali, de' quali ciascuno à molti Re sotto posti a lui, e tutti
ubidiscono al Gran Cane. La sua terra e la sua signoria dura tanto,
che si starebe a andare da l'un capo a l'altro, per mare e per terra,
più d'un anno: e pe' diserti, dove non si truova alcuna villa, vi sono
ordinati ostelli per giornate, dove i trapassanti possin trovare quel
che gli fa bisognio, a ciò che si possa andare per lo paese.


DEL MODO CHE OSSERVONO E CORRIERI SUA IN PORTARE PRESTO LE NUOVE, E
DELLE COSE CHE SI FANNO AL GRAN CANE QUANDO CAVALCA PER LO SUO PAESE.

In quello paese è una maravigliosa usanza, ma è utile, perchè quando
alcuno contrario viene, o altre novelle che tocchi allo imperadore,
sì sa tanto in un dì, che un altro non saprebbe in tre, perchè ha
gli cavallari ordinati che subito montono sopra durmedrari, o vero
cavagli corridori, e vanno sempre correndo infino a uno oste de'
predetti; e, quando lui s'appressa, suona un corno, e colui che è
all'oste lo intende, e subito è aparechiato un altro e dà le lettere,
e va correndo; e così, correndo, tramutandosi l'uno e l'altro, giugne
a lo 'mperadore; e a questo modo à presto novelle: e son questi
corrieri nel lor linguaggio chiamati adilla, che tanto vuol dire,
quanto messaggieri. Quando lo 'mperadore va da un paese a un altro,
sicondo il modo che io ò detto, e passa per le città e per le ville,
ciascuno inanzi al suo uscio fa fuoco, e ardono polvere d'incenso
molto odorifero, per donare buono odore a lo 'mperadore; e le genti
s'inginochiono intorno a lui; e lungo le contrade sì gli fanno gran
riverenzia: e i cristiani e i religiosi, che stanno nelle sue terre,
gli vanno inanzi a la procissione colla croce e aqua benedetta; e
andando verso lui cantano ad alta boce:_ Veni, creator spiritus_.
E quando egli ode, comanda a' signiori, che sono dallato a lui, che
cavalchino e faccino venire inanzi a lui questi religiosi. E quando
e' s'appressono e che vede la croce, si leva el suo galeotto, che
siede sopra a la sua testa a modo d'un cappello di feltro, fatto
d'oro e di pietre preziose e di perle grosse, el quale è tanto ricco,
che sarebe stimato un reame di quel paese; e poi s'inginochia contro
a la croce e fagli riverenza. Poi il prelato di questi religiosi
dice inanzi a lui orazioni, e poi lo benedice colla croce; e lui
s'inchina alla benedizione molto divotamente: e poi il prelato gli
dona alcun frutto al numero di nove in un piattello d'ariento, cioè
pere, o frutte, o pomi, o altre frutte; e lui ne piglia uno, e poi
ne dà agli altri signiori che son d'intorno; però che l'usanza è
tale, che niuno forestieri venga inanzi, che non gli doni qualche
cosa, sicondo l'antica lege, che dice. _Non apperebis in conspectu
meo vacuus_. Di poi lo 'mperadore dice a li religiosi, che si tirino
indietro, a ciò che non sieno soffocati per la grande multitudine de'
cavagli che vengono. El simile fanno a quelli che stanno nel campo
della imperadrice: il simile fanno al primo genito, presentandogli
dei frutti. E sapiate, che queste tante genti, che sono in queste
tante oste d'intorno a lui e intorno alle moglie e i suoi figliuoli,
non istanno continuamente con lui, ma, ogni volta che gli piace, son
comandati, e poi tornono nelle propie stanze, salvo quegli che stanno
per servire a lui e alle sue moglie e lor figliuoli per governare
la sua corte. E quantunque tutti gli altri si partino, non dimeno
comunemente e onorevolmente si stanno con lui nella corte L. mila
uomini da cavallo e dumila da piedi, sanza e pifferi, e sanza quegli
che guardano le bestie salvatiche, e gl'uccegli; el numero de' quali
ò di sopra detto. Sotto il firmamento, nè sopra terra, nè sotto terra
non è sì gran signore[40], come è il Gran Cane. El prete Giovanni,
el quale è imperadore dell'alta India, e 'l Soldano di Babillonia
con lo imperadore di Persia, nè di nobilità, nè di richezze non ànno
comparazione alla sua possanza; imperò che egli avanza tutti i principi
terreni. Adunque gran danno è che e' non creda in Dio fermamente. Lui
ode molto volentieri parlare di Dio, e lascia farsi cristiano chiunque
vuole per tutto el suo paese; però che a niuno è negato e vietato a
mantenere qual legge si vuole. In questo paese uno à cento moglie,
uno XL.; e chi più, e chi meno: egli pigliono le loro parenti per
moglie, ecetto la madre, e le figliuole, e le sorelle; ma egli possono
pigliare le sorelle da parte di padre d'un'altra femmina, e le moglie
de' frategli, dopo la morte. E' portono tutti e drappi larghi sanza
foderare, e sono interi dinanzi e di dietro, e dallato è allacciato
e formato di seta; e portono le pelliccie di sopra, e non portono nè
vestono nè usono cappucci. Usono una maniera di mantegli fessi dallato,
sopra e quali si vestono e capucci a modo d'un capperone. Le femine
loro si vestono a modo che gli uomini, sì che e' non si conoscono
gl'uomini dalle femine, se non le maritate, che portono un segno sopra
'l capo; e gl'uomini non istanno insieme colle femine, ma ciascuno da
sè; e l'uomo va da quella che gli piace a la sua casa; uomini e femine.
Le case loro sono ritonde, fatte di bastoni, con una sola finestra
ritonda di sopra, la quale fa i' lume, e dove n'esce il fummo: il
coperto e le parete dentro sono di feltro. Quando e' vanno in guerra,
e' portono le case seco a modo che noi facciamo le tende e' padiglioni,
e fanno el fuoco nel mezzo della casa. Item, egli ànno grandissima
moltitudine d'ogni maniera di bestiame, salvo che de' porci, de' quali
egli non notriscono.


DEL MODO DEL SACRIFICARE LORO, E DE' NOMI DEI FIGLIUOLI DEL GRAN CANE.

Costoro credono in uno Dio, il quale criò e fece ogni cosa, e non
dimeno egli ànno idoli d'oro e d'ariento e gli offeriscono sempre latte
di bestie loro; così delle vivande e del vino prima ch'egli mangino; e
ispesse volte oferiscono cavagli e altre bestie, e chiamono, lo Idio
di natura, Iroga; e il loro imperadore, abia il nome come si voglia,
egli lo chiamono Cane. Quando io fui in quel paese, il loro imperadore
aveva nome Tinth Cane, e 'l suo figliuolo aveva nome Cosuc, e quando
sarà fatto imperadore si chiamerà Cosuc Cam. Questo imperadore aveva
XII. figliuoli, sanza quello, e nomi de' quali son questi: Cahadai,
Vinim, Neag, Vocab, Cadi, Sida, Tuie, Soalac, Rabi, Cam, Gare,
Gan[41]; e aveva tre moglie; la prima e principale fu figliuola del
prete Giovanni, e aveva nome Serocam, e l'altra Heracam. Queste genti
cominciono a fare ogni cosa a luna nuova, e molto onorono la luna
e il sole, e spesso s'inginochiono verso di quegli. Egli cavalcono
comunemente sanza isproni, ma portono sempre una sferza in mano, colla
quale isferzono il cavallo.


DELLE COSE CHE E' TENGONO PER PECATO E DELLA PENITENZIA CHE GLI
CONVIENE FARE PER QUESTI PECCATI, E DEL MODO CH'EGLI TENGONO A
PRESENTARE IL GRAN CANE.

Egli tengono molto contro a cuscienzia e a gran peccato a gittare un
suo coltello nel fuoco, e a tagliare col coltello la carne, e apogiarsi
colla sferza colla quale si sferza el cavallo, e a percuotere il
cavallo col suo freno, e a rompere uno osso con un altro osso, e a
recare[42] un piccolo fanciullo sopra porpora. Un grandissimo peccato
tengono a pisciare ne la casa dove stanno; e, chi vi pisciasse,
certo l'ucciderebbono; e di ciascuno di questi peccati è bisogno che
si confessino al lor prete, e pagare una gran somma d'ariento per
penitenzia; e conviene, il luogo dove è stato pisciato, sia lavato e
benedetto, e altrimenti, niuno vi ardirebe stare, nè entrare. E quando
egli ànno pagato la lor penitenzia, egli gli fanno passare pel mezzo
del fuoco e pel mezzo di due porte, per nettarlo di quel peccato. E
quando alcun viene a presentare o a fare imbasciata a lo 'mperadore,
è di bisogno, che lui, e il presente, e lo portatore passi per due
fuochi ardenti per fagli purificare, a ciò che non vi sia veneno, o
cosa cattiva che nuoca a lo 'mperadore. L'uomo preso in fornicazione
è ucciso. Egli uccidono qualunque ruba cosa alcuna; e' sono tutti
buoni arcieri, e corrono così bene le femine come gl'uomini. Le femine
fanno tutte le cose, come drappi, tele, e altre arte, e menono carri e
carrette: universalmente fanno ogni mestiero, salvo che archi, saette
e armi[43], le quali fanno gl'uomini. Tutte queste femine portono le
brache, come gl'uomini: tutte le genti di questo paese sono ubidienti
molto ai lor signori e supriori. Egli non sono contenditori, nè fanno
quistione l'un co l'altro, e nel paese non è alcuno rubatore: molto
si onorono l'un l'altro, ma non portono onore a gente strana nè a
forestieri, quantunque fussino principali. Egli mangiono cani, gatti,
lupi, volpi, giumenti, puledri, asini, topi e ogni altra bestia grande,
e salvatica privata; e mangiono tutte le bestie dentro e di fuori,
e non gli cavono alcuna cosa, se non la feccia. Poco pane mangiono
e usono, salvochè nelle corti de' gran signiori; e in molti luoghi
del paese non fanno altro per minestra che brodo. Quando eglino ànno
mangiato, eglino si nettano le mani a' gironi, perchè eglino non ànno
tovaglie, se non alle corti de' gran signori, come è detto di sopra.
E li signiori usono spesso pelle di bestie in luogo di tovaglie, e
così la comune gente. E quando egli ànno mangiato, e' rimettono le
scodelle non lavate nel lavegio[44], o vero nella caldaia del brodo,
infino a tanto che vogliono mangiare un'altra volta. E richi uomini
beono latte di cavalla e d'altre bestie, ed un'altra bevanda, che fanno
d'acqua e di mele cotto insieme, perchè non ànno nel paese nè vino nè
cervogia, e vivono molto cattivamente; e, come io ò detto, non mangiono
se none una volta el die, e anche poco. Uno uomo di nostro paese
più mangerebe in un dì, che loro in tre; e a' messaggi forestieri,
che vengono dallo imperadore, gli dànno mangiare una volta el dì e
poco. Egli guerreggiono molto saviamente, e sempre si studiono di
confondere e nimici: ciascun di loro à due archi o tre, e delle saette
in grandissima abundanzia, e una grande accetta in mano. Li gentili
uomini ànno spade larghe e tagliente da uno lato, e ànno piastre e
elmi di coiame pulito, di pelle di dragoni; e il simile le coperture da
cavallo: e se alcun di loro fugge dalla battaglia, egliono l'uccidono.
Egliono usono una gran malizia quando sono a uno assedio ad una terra
murata, promettendo loro ogni cosa che sanno adimandare, oro e ariento,
e ogni altra cosa, se s'arendono. Ma quando si sono arenduti, tutti
gl'uccidono e sì gli tagliono gli orechi, e sì gli fanno quocere, e di
questo mangiono a modo d'insalata: di questo fanno ancora guazzetto per
li gran signiori. E' ànno intenzione di sottomettere tutte le criature,
e dicono, che sanno bene per profezia, che saranno vinti per gente
arcieri, e sì si convertiranno alla legge di quegli che gli vinceranno;
e però sostengono pacientemente, che ogniuno, di qualunque legge si
sia, abiti nel paese. Quando vogliono fare e loro idoli, o vero alcuna
immagine in memoria d'alcuno amico morto, li fanno sempre nudi, e le
immagine tutte ignude sanza segnio di vestimenta, perchè egli dicono,
che nel buono amore non è coperta alcuna, e che e' non si debe amare
per nobil vestimento, nè per nobile apparamento, ma solo amare pel
corpo, il quale naturalmente è dotato di virtù, e non per vestimenti,
che non son dote di natura. Item, un gran pericolo è a seguire e
tartari quando fugono in battaglia, perchè, fugendo, tragono indietro,
uccidendo gl'uomini e' cavagli. E quando s'aparechiono e aconciono per
combattere, e' sono sì serrati insieme, che dua milia non paiono uno, e
guadagnono molto bene le terre altrui, ma non le sanno guardare; però
che sono più usi a stare nella campagna in tende e in padiglioni, che
in ville e in castella. Egli non aprezono alcuna cosa nè 'l saper de
l'altre nazione. Egliono apreziono e vendono molto olio d'ulive, però
che dicono, che è una nobile medicina. Tutti e tartari ànno piccoli
ochi e poca barba e chiara, e sono sì falsi e sì malvagi traditori,
e tanto fraudolenti, che niun si dè fidare nè nelle parole nè nelle
promesse loro: e' sono assai durissima gente e possono sofferire molta
pena e sinistro, molto più che altra gente; però che egli ànno molto
bene imparato nel propio paese. Nulla spendono quando alcuno debe
murire per malattia: e' mettono una lancia apresso del malato, e quando
_laborat in extremis_, ciascuno fugge fuori della casa, tanto che sia
morto; poi lo sotterrono nei campi.


DEL MODO CHE SERVONO QUANDO MUORE LO IMPERADORE IN SOTTERRARLO, E DEL
MODO CHE TENGONO QUANDO NE FANNO UN ALTRO, E DELLE PAROLE CHE LUI DICE
ALLA ELETTA.

Quando lo 'mperadore muore, egli lo mettono in una catedra[45] a sedere
nel mezzo della tenda sua molto onorevolmente, e inanzi a lui una
tovaglia con carne e con vivande e uno nappo pieno di latte, innanzi
a lui, di cavalla; e mettongli apresso il suo puledro e una cavalla
sellata col suo freno, e, sopra alla cavalla, oro e ariento; e empiono
la tenda di strame; poi fanno una gran fossa e larga: con tutte queste
cose il sotterrono, e dicono, che, quando e' sarà nell'altro mondo,
e' non sarà sanza stanza, nè sanza cavallo, nè sanza oro, nè sanza
ariento, e la cavalla gli darà latte e gli farà altri cavalli, tanto
che sarà ben fornito nell'altro mondo. Alcuni de' suoi cavalieri e
uficiali si mettono nella fossa con lui per servirlo nell'altro mondo,
però che credono, che a l'altro mondo si viva in sollazo con femine,
a modo che fanno di qua. Ancora molte volte egli lo fanno sotterrare
secretamente di notte nel più salvatico luogo che possono; e sopra la
fossa vi rimettono l'erbe e gli roghi, acciò che niuno lo truovi mai
più, e che più non venga in memoria a niuno degli amici suoi. Allora
dicono, che si troverà vivo nell'altro mondo e che lui è magiore
signore di là che non era di qua. Dopo la morte dello imperadore e
sette lingnaggi si ragunono e elegono il suo figliuolo maggiore, e
sì gli dicono: noi laudiamo (_sic_), ordiniamo, e vi preghiamo, che
voi siate nostro Signiore, e nostro imperadore, e nostro governatore.
E lui risponde: se voi volete, ch'io regni sopra di voi, ciascun
di voi faccia ciò che io gli comanderò, e tutto quello che io dirò
sia compiuto. Egli rispondono tutti a una boce: tutto ciò che voi
comanderete, sarà fatto. Poi dice a loro lo imperadore: sappiate che da
ora inanzi la mia parola sarà tagliente come ispada. E poi l'assettono
sopra nel feltro nero, e poi il mettono nella sua sedia, e sì gli
mettono la sua corona. Poi il paese gli manda tutti a presentarlo in
modo, che in quel dì à più camegli carichi d'oro e d'ariento, sanza
e gioielli de' gentili uomini, d'oro e di pietre preziose, che sono
sanza estimazione; e sanza i cavagli, sanza i drappi di porpora e di
camosciati di Tartaria, che sono sanza numero.

Questa terra di Catai è nella profonda Asia, e poi di qua è Asia
maggiore, e confina col Reame di Tarsia dallato verso occidente; el
qual Reame di Tarsia fu d'uno de' Re, che venne a trovare e presentare
il nostro Signiore in Bethlem; e quegli che sono del linguaggio di
quel Re, son tutti cristiani. In Tarsia non mangion carne, nè beono
vino. Di qua dal Reame di Tarsia, da lato, verso occidente, è il reame
di Turcquestem, el qual si stende verso occidente infino al reame
di Persia, e di verso settentrione, infino al reame di Corasina. In
questo paese di Turcquestem sono poche buone città: la migliore città
di quello reame si chiama Ottorai. Ivi sono grande pasture e poche
biade, e però son eglino tutti pastori, e giaciono nelle tende, e beono
cervoge fatte di miglio.


DELLA CITTÀ DI CORASINA, E DI MOLTI PAESI STRANI.

Poi da lato di qui è il Reame di Corasina, el quale è buon paese
abondevole, [ma] sanza vino: verso oriente è un diserto, che dura
più di Cº. giornate. La magiore città del paese si chiama Corasina,
della quale el reame piglia el nome: quegli del paese son molto buoni
guerrieri e arditi. E poi di qua è il reame di Comano, del quale
anticamente furono discacciati li comani, che furono in Grecia. Questo
è uno delli magiori reami del mondo, ma non è tutto abitato, però
che da una parte, verso Bissa, è il freddo sì grande, che nissuno lo
potrebbe mai patire; e sonvi tante mosche, che non si sa in qual parte
volgersi. In questi paesi sono pochi alberi fruttiferi, onde vi sono
poche legnie. Gli uomini giaciono nelle tende e ardono sterco secco di
bestie. Questo reame viene discendendo verso Prussia e verso Russia;
e pel mezo di questo reame corre el fiume di Tigris, el quale è una
de le magior riviere del mondo, e si aghiaccia sì forte, che spesse
volte sopra il ghiaccio sono ragunati combattenti a cavallo e a piedi,
più di XXX. mila persone. E tra questa riviera è il gran mare occeano,
che si chiama el mare Mauro. Verso il capo, di sotto questo reame, è
il monte Cochis, el quale è uno de' più alti monti del mondo. E tra
il mare Mauro e il mare Caspio, ivi è uno molto istretto passo, per
andare verso India; e però vi fece fare Alessandro una città, che
chiamò Alessandria, per guardare el paese, acciò che niuno vi pasasse
contra sua voglia: e al presente si chiama quella città, Porta di
ferro. La principal città di Cumana si chiama Barach, ed è una delle
tre vie d'andare in India; ma per questo passo non potrebbe andare
gran multitudine di gente, salvo che di verno: per questa via si ruba
l'altra via, per andare nel reame di Turquesten in Prussia, e per
questa via son molte giornate di diserto. La terza via è, per la quale
(_sic_) si viene di Cumana, e vassi per lo gran mare, e per lo reame
di Archas, e per la grande Armenia. E sapiate che tutti questi reami,
e tutte queste terre, infino a Prussia e a Russia, ubidiscono tutti il
Gran Cane di Catai e molti altri paesi e confini, sicchè il suo potere
e la sua signioria è molto grande.


DELL'IMPERIO DI PERSIA, E DELLE CITTADI CHE IVI SONO.

Poi che io v'ò discritto le terre e i reami inverso le parte di
settentrione, discendendo da la terra di Catai infino alla terra de'
cristiani, verso Prussia e verso Russia, io vi scriverò altre terre e
reami, iscendendo per questa costa verso la parte destra, infino al
mare di Grecia, inverso la terra di cristianità. E dipoi lo 'mperio
di Catai, è lo imperio di Persia, e minori reami. Io parlerò prima del
reame di Persia. Dua reami vi sono; il primo comincia di verso oriente
infino a la riva di Frison, e di setentrione infino al mare Caspio,
e verso mezzo dì infino a' diserti d'India. Questo paese è buono
e ben popolato, e evvi dua buone città principali; l'una Botrura e
Socvergant, la quale alcuni chiamono Sarmagant. L'altro reame di Persia
si stende per la riviera di Frison, verso la parte occidentale, infino
al reame di Media, e verso settentrione infino alla grande Arminia e
'l mare Caspio, e in verso mezo dì infino a la terra di India. Questo
si è buon paese e abondevole: ivi sono III. principali città, Neabor,
Saphaon e Carmasana: dapoi è Erminia, ove soleva esere IIII. reami.
Gli è un nobile paese, e abondevole di beni, e comunemente comincia
a Persia, e sì si stende verso occidente dilungi infino a Turchia:
da l'altra parte dura, dalla città chiamata Alessandria (da altri
chiamata Porta di ferro) sopra detta, infino al mare di Media; e in
questa Armenia son molte buone città; ma Taurissa è la più famosa. Di
poi è 'l reame di Media, il quale è molto buono, e non è men largo[46];
e comincia verso oriente, alla terra di Persia e alla minore India,
e sì si stende verso occidente, verso il reame di Caldea, e di verso
settentrione discendendo verso la piccola Armenia. In questa regione
di Media son molte grande montagne, e poca terra piana. Gli saracini
tengono questo reame, e un'altra maniera di gente, che sono cordiani.
Le due magior città che sieno in questo reame sono Serra e Carima.
Apresso a questo è il reame di Giorgia, il qual comincia verso oriente
a una montagna grande, chiamata Absor, ove stanno diverse gente e
diverse nazioni, e chiamono il lor paese Allano. Questo reame si
istende verso Turchia, e verso il gran mare, e verso il mezzo dì, e
confina colla grande Armenia.


DEL REAME DI GIORGIA, E DEL REAME DI ABTHAS, E DELLA PROVINCIA DI
BONAVISON, NELLA QUALE È UNA COSA MOLTO MARAVIGLIOSA, E DELLE GENTE CHE
IVI ABITONO.

In questo paese sono due reami, l'uno è questo Giorgia, e l'altro
è il reame di Abthas, e tutta via sono tuta duo e paesi cristiani,
ma quello di Giorgia è sotto posto al Gran Cane. Il reame di Abthas
è più forte paese, e àssi vigorosamente e fortemente sempre difeso
contro a qualunque l'à assalito e non fu mai sottoposto ad alcuno. In
questo reame di Abthas è una grande maraviglia, perchè v'è una certa
provincia, la quale circunda tre giornate, ed è chiamata Bonavison,
ed è tutta coperta di tenebre sanza alcuna chiarezza, sì che niun può
sapere che cosa vi sia, e niuno vi ardisce d'entrare; ma quegli del
paese dicono, che alcuna volta ànno udite voce di gente [gridare] e
cavagli anitrire, e galli cantare; e sassi bene di certo, che vi stanno
gente, ma non si sa che gente. E dicesi, che queste tenebre vennono per
divin miracolo, perchè fu già uno imperadore di Persia, malvagio uomo,
chiamato Sauro. Costui perseguitava tutti e cristiani per istringelli
e per fagli sacrificare agli suoi idoli, e cavalcava a oste bandito
per confondere tutti gli cristiani. In quello paese dimoravano molti
cristiani, i quali, lasciando i loro beni, volevano fuggire in Grecia.
Essendo pervenuti in un piano il qual è chiamato Imegon, ivi venne
incontro il malvagio imperadore coll'oste suo per una valle, per
distruger tutti questi cristiani. Li cristiani, vedendo questo, si
missono inginochioni, e feciono prieghi a Dio, e di subito venne una
nuvola tanto fonda e spessa, che coperse lo 'mperadore coll'oste suo
per sì fatto modo, che non poterono andare inanzi nè a dietro. E così
questi stanno fra le tenebre, che mai poi n'uscirono; e i cristiani
n'andorono dove a lor piacque, e li inimici loro stettono confusi sanza
fare colpo. E possono bene dire:_ A Domino factum est istud, et est
mirabile in oculis nostris_. Però che un grande miracolo fu questo, che
Dio fece per loro, sì come apare di presente per la cagione predetta;
sicchè tutti e cristiani doverebono per questo esser più divoti del
nostro Signiore che non sono; però che sanza dubbio, se non fussi la
malvagia gente e i peccati de' cristiani, egli sarebono signiori di
tutto el mondo; chè la bandiera di Giesù Cristo è sempre spiegata e
aparechiata per ogni uno suo buon cristiano e servidore per aiutarlo;
sì che per uno valente uomo amico di Dio, ne sconfondorebe mille
cattivi, come dice David nel Salterio: _Cadent a latere tuo mille et
decem millia a dextris tuis: Ad te autem non apropinquabit. Et in altro
luogo: Quoniam persequebatur unus, mille et duo fugarunt decem millia_
(_sic_). E come può essere, che uno ne cacci mille, David profeta dice:
_Sequendo quia manus Domini fecit omnia_ (_sic_). Il nostro Signior
dice per la bocca del profeta: _Si inimicis meis ambulaveritis super
tribulantes vos mississem manum meam_ (_sic_). Sì che noi vegiamo
apertamente, che se noi vogliamo esser buoni, niuno poterebe durare
contra di noi. Item, fuora di questa terra tenebrosa è una gran
riviera, la quale dimostra segniale, che dentro stanno gente, ma niuno
vi vuole stare, nè dimorare, nè entrare per vedere. E sapiate, che in
questo reame di Giorgia e di Abthas e della piccola Armenia, vi sono
uomini cristiani e ben divoti, perchè si confessono e comunicono ogni
settimana una volta o due; e molti vi sono, che si comunicono ogni dì,
e noi di qua non lo facciamo punto, quantunque San Paolo lo comandi,
dicendo: _Omnibus diebus dominicis ad comunicandum hoc est tempus_:
egli el custodiscono, e noi no.


DELLA TURCHIA E DELLE PROVINCE CHE VI SONO, E DI CALDEA, DI
MESOPOTAMIA, E DI MOLTE COSE CHE LÌ SI TRUOVONO.

Item, apresso questo paese di qua, è la Turchia, la quale confina colla
grande Armenia e colla piccola. La Turchia à molte province; Chomana,
Capadocia, Sarra, Bricca, Chessa, Chompitam, Gea, Comana, Nachi; e in
ciascuna città di queste province son molti buon cristiani. La Turchia
si distende infino alla città de Stachala, la quale siede sopra el mare
di Grecia, e confina con la Soria. Soria è gran paese e buono, come di
sopra è detto; e ancora dallato di sopra verso il Reame di Caldea, il
quale si distende dalle montagne di Caldea inverso oriente, infino alla
città di Ninive, che siede sopra alla riviera di Tigris; e di largheza
comincia verso Bissa a la città di Marga; e sì si distende fino mezzo
dì infino al mare occeano. In Caldea è il paese piano, e poche montagne
e fiumane vi sono. Da poi è il reame di Mesopotamia, il qual comincia
a li confini di Giorgia, a una città chiamata Mossella, e sì si stende
verso occidente infino al fiume di Eufrates, e poi sì si stende verso
una città chiamata Roais: di largo tien dal monte d'Armenia infino a'
diserti d'India minore. Questo è un buon paese e piano, ma son poche
riviere. In questo paese non sono se non due montagne, l'una chiamata
Simar, l'altra Lison, e confina questo paese col reame di Caldea e col
reame di Arabia. Ancora, verso le parti meridionali, sono molti paesi,
molte terre e molte regioni. Prima si è la terra di Etiopia, la quale
confina verso oriente con gli gran diserti, e verso occidente con gli
reami di Nubia, e verso mezzo dì col Reame de Mortagna, e verso Bisa
con lo mare rosso. In questo paese son molte genti con molti reami:
dipoi si è Mortagnia. Da Etiopia, infino a l'alta Libia, giace tutto
questo paese di lungo el mare occeano verso el mezzo dì; e in questi
paesi son molti reami, e confina da l'altra costa con Nubia, la quale
confina colle terre sopradette, e co' diserti d'Egitto: li nubiani sono
cristiani. Dopo Egitto, del qual di sopra ò parlato, è l'alta Libia e
la bassa Libia, la qual discende a basso verso il gran mare di Spagna,
ne la quale sono i reami di Seoth, Taramensa, Tunisi, Cartagine,
Buglia, Algarba, Bellamarina, Montefiore, e molti altri reami, e molte
altre diverse gente.


DEL PAESE DI CADISSA E DELLE COSE CHE IVI NASCONO, E DELLI MONTI CASPI,
NEI QUALI SONO RINCHIUSI E GIUDEI, E DI MOLTE ALTRE COSE.

Io v'ò iscritti di molti paesi che son di qua dallo grande reame
di Catai, i qua' molti paesi ubidiscono al Gran Cane; ora farò
discrizione, seguendo, d'alcuni altri paesi e d'alcune isole che sono
di là. E dicono, che passando tutta la terra di Catai, verso l'alta
India e verso Bacaria, si passa poi per una regione chiamata Cadissa,
la quale è paese molto grande e bello. E ivi crescie una region di
frutti a modo che carobe, ma assai più grossi: e, quando sono maturi,
si fendono pel mezzo, e truovasi dentro una bestiuola in carne e in
ossa e in sangue, a modo d'un piccolo agnello sanza lana, sì che si
mangia insieme col frutto: e questo frutto è di gran maraviglia e di
grand'opera di natura. Niente di meno io dissi ad alcuno del paese,
che io non tenevo questa opera per gran miracolo, però che son così
alberi (_sic_) nel nostro paese, de' quali e frutti sono uccegli; e
ancora ne sono in altre parte, che nelle nocciuole è il vermine, che
è animal sensitivo, benchè non abia ossa. Ivi son pomi di buono odore
e sapore, lunghi, de' quali ne sta insu nun ramo più di Cº., e tanti
insu un altro ramo; e ànno foglie grande e lunghe un piede e più, e un
altro piede e più larghe. In questi paesi e in altri, quivi intorno,
crescono molti alberi, che fanno chiovi di gherofani e noce moscade e
grosse noce d'India, e altre spezie. Ivi sono vigne che fanno grapoli
de uva sì grandi, che uno uomo arebe affanno a portare una palmetta[47]
co' grappoli. In questa medesima regione sono e monti Caspii, chiamati
Uber: alcuni di quegli del paese gli chiamono Gothet e Magoth. In
questi monti sono ancor serrati i X. tribi d'Israel co' loro Re, nè
uscir possono. Ivi furono rinchiusi per lo Re Alessandro con XXII. Re
di corona col popol loro, el quale sta ne le montagnie di Scizia; e
infra questi monti Caspii dal detto Re furono incalzati. Vedendo il Re
Alessandro che non gli poteva rinchiudere per opera degli uomini suoi,
come e' credeva, pregò lo Idio di natura, che gli volessi aempiere
quello che aveva cominciato; e quantunque non fusse degnio d'esere
esaudito, non dimeno Dio, per la sua grazia, chiuse e monti insieme, sì
che quivi stanno serrati intorno da altri monti; salvo che da uno lato,
dal quale è il mare Caspio. Potrebono domandare alcuni: poi che 'l
mare è da uno lato, perchè non escon egli, e vadino dove a lor piace?
A questo rispondo, che questo mare Caspio esce fuori di terra di sotto
a questa montagna, e corre pe' diserti da una costa di quel paese e
si stende infino a' confini di Persia; e quantunque sia chiamato mare,
non dimeno non è però mare, nè rocca d'altro mare[48], anzi è un lago
magiore del mondo. E quantunque e' si mettessino in questo mare, non
saperebbono dove arrivare; però che non sanno altro linguaggio, che
il loro propio; e però non si metterebbono a uscire. Ma non crediate
però, che siano quegli proprio che incalciò il Re Alessandro, ma
sonvi quegli che son discesi di loro, però che quegli non sarebbono
vissuti tanto tempo. E sappiate, che gli Giudei non ànno terra propria
in tutto el mondo, se non quella fra quegli monti; e anco di quella
rendono tributo alla Reina d'Amazonia, la quale fa molto ben guardare
quegli monti, acciò che non eschino, perchè la terra sua confina con
quegli monti. Alcuna volta aviene, che alcuno giudeo sale su per quegli
monti, ma la moltitudine non vi potrebe montare, nè dismontare, perchè
e monti sono sì aspri, forti e alti, che a malgrado loro vi possono
stare, perchè non ànno uscita da parte alcuna, salvo che per un piccolo
sentiero e stretto, el qual fu fatto a mano per forza, e dura forse
quatro leghe e è tutta terra diserta, dove per niuno ingegno si può
trovare acqua. Per la qual cagione non vi si può abitare; e sonvi
tanti dragoni e serpenti e altre velenose bestie, che non vi si può
passare, salvo per grande verno; e chiamasi questo passo Olirem: e
questo fa guardare la reina d'Amazonia. E se pure alcun ne esce, non
sanno altro linguaggio, che 'l suo, e non sanno parlare con altra gente
che si truovino; ma dicesi ch'egl'usciranno al tempo d'Anticristo. E
per questa cagione tutti e giudei che son dispersi per tutte l'altre
terre, imparano il parlare ebreo a speranza, che que' de' monti Caspi
escino fuori e egli si possino intendere co loro: e questi conduceranno
quegli per cristianità, per distruggere e cristiani; imperò che gli
giudei di qua dicono, che egli sanno per profezie, che quegli de' monti
Caspii usciranno e spargeransi pel mondo. E così, come e giudei sono
stati sotto posti a' cristiani, così e cristiani saranno sotto posti
a' giudei. E se voi volete sapere a qual modo e' troveranno uscita,
sicondo che io ò inteso, io vel dirò. Nel tempo d'Anticristo sarà una
volpe, la quale arà una tana in quel luogo, dove il Re Alessandro fece
fare una delle porte; e tanto anderà questa volpe cavando e perforando
la terra, che ella passerà oltre questa terra verso questi giudei; e
quando e' vederanno queste volpi, forte si maraviglieranno; però che e'
non vidono mai sì fatta bestia, e però che d'ogni bestia ànno con loro,
salvo che delle volpi. Allora cacceranno questa volpe e seguiteranla
tanto, che enterrà nella sua tana; e egliono v'anderanno drieto,
perseguitandola infino alla tana tanto, che egliono troveranno le
porte, che fece fare il Re Alessandro, di pietre grosse. Queste pietre
romperanno, e a questo modo troveranno uscita.


DELLA TERRA DI BACARIA, E DI CERTE ARBORE CHE FANNO LANA; E DELLA
GROSSEZA DEL GRIFONE, E D'ALTRE COSE CHE LÌ SONO.

Da questo paese si va verso la terra di Bacharia, dove sono malvage
gente e crudeli; e in questa terra sono alberi che fanno lana come
fanno le pecore, de le quale si fa drappi per vestire. In questo paese
son molti ipotami; altri gli chiamono centauri. Queste son bestie
che conversono alcuna volta in acqua, e alcuna volta in terra; e
sono d'uomo e di cavallo[49], e mangiono le gente, quando ne possono
pigliare. E ivi sono riviere che son tre volte più insalate del mare;
e ivi sono più grifoni che in altre parte. Alcuni dicono che i grifoni
ànno corpo di lione a dietro, e d'aquila dinanzi; dicono il vero,
perchè son fatti di così fatta forma. Ma il grifone à il corpo maggiore
e più forte, che non è otto lioni di qua, e à più grandeza e fortezza,
che cento aquile; imperò che porta al suo nido volando un gran cavallo
co l'uomo di sopra, se lo truova; o vero due buovi legati insieme,
almodo che si legono al carro; perchè egli ànno alie e unghie dinanzi
così grande e lunghe, come sono corna di bue e di vache; delle quali
si fanno vasegli per bere, a modo che di corna di bufoli; e delle coste
delle penne dell'alie, se ne fanno di grandi archi per saettare.


DELLA POSSANZA DEL PRETE GIOVANNI, E DELLE GENTE E NAZIONI E REAMI CHE
GLI SONO SOTTO POSTI, E DEL CAMINO CHE SI FA PER ANDARE IVI, E DELLE
RICHEZE E PIETRE PREZIOSE CHE SONO IN QUELLE PARTE.

Di là si va per molte giornate per le terre del prete Giovanni, el
grande imperadore d'india, a un reame, el qual si chiama Avison, o
vero la isola di Pontesoro. Questo Presto Giovanni à molte gran terre,
e molte buone città, e molte ville e buone isole, diverse, grande e
larghe, nel suo reame, perchè questo paese de India è tutto partito per
isole, per cagione de' gran fiumi che vengono dal paradiso terresto, e
quali partono la terra in molte parte: il simile in mare vi sono molte
isole. La migliore città dell'isola di Pontesoro è chiamata Nisa, la
quale è città reale molto nobile e molta rica. Il prete Giovanni à
sotto di lui molti Re, molte isole, e molte diverse gente; e il suo
paese è molto buono e rico, ma non però sì rico, come quel del Gran
Cane per li mercatanti che non vanno così là comunemente per comperare
mercatanzie, come fanno nella tera del Gran Cane, perchè il paese è
troppo lontano, e eziandio perchè egli truovono nell'isola di Catai
seta, spezie, drappi d'oro, e tuto quel che fa bisogno. E quantunque
egli avessino migliore mercato ne la città del prete Giovanni, non
dimeno e' dubitono de la lunga via e degli gran pericoli che sono in
quel mare, perchè in quel mare, in molti luoghi, sono molti scogli, e
assai sassi di calamita, che tira a sè il ferro co la sua propietà; e
per questo non passa nave dove sia chiovi o bandelle di fero. Questi
sassi di calamita, per sua propietà, tirono le nave e mai più di lì
non si posono partire. Io medesimo vidi in quel mare, di lungi a modo
d'una isoletta, ove erano alberi, spine e pruni in quantità; e dicevono
e marinai, che ciò erano nave, che quivi erono restate pei sassi de
la calamita; e perchè erono marcite, lì erono cresciuti questi alberi,
spine, pruni e altre erbe, che vi sono in gran quantità. Questi sassi
vi sono in molti luoghi in quele parte, e però non v'usano passare
mercatanti, se egliono non sanno molto bene la via, e se e' non ànno
buono guidatore. E ancora temono la via molto lunga, sì che adunque e'
vanno più presto a l'isola di Catai, e lì pigliono ciò che vogliono:
la quale è più presso; e non è però così presso, che non si peni
XI. o XII. mesi a andare da Vinegia, o da Genova insino a Catai. E
ancora la terra del prete Giovanni è più dilungi di molte giornate; e'
mercatanti, che vanno di là, passono per Persia, e vanno per una città
chiamata Hermopoli, perchè Hermes filosofo la edificò. Poi passono
un braccio di mare, e vanno a una gran contrada, o vero città, che
si chiama Cobach; e ivi truovono ogni mercatanzia e papagalli, e, a
modo che di qua, l'allodole. E se e mercatanti vogliono passare oltre,
e' possono andare sicuramente. In quel paese à poco fromento e orzo,
imperò mangiono riso, miglio, latte e formagio, o vero frutte. Questo
prete Giovanni piglia tutta via per moglie la figliuola del Gran Cane,
e 'l Gran Cane piglia tutta via per moglie la figliuola del prete
Giovanni. Ancora, ne la tera del prete Giovanni, sono molte diverse
cose, e molte pietre preziose, sì grande e sì grose, che ne fanno
vasegli, piattegli, scodelle, taglieri e molte altre maraviglie, che
sarebe cosa lunghissima a scrivere. Ma d'altre isole principale del suo
stato e delle sue legge iscriverò alcuna cosa.

Questo imperadore, prete Giovanni, è cristiano, e così è gran parte
del suo paese; ma tutta via non ànno gli articoli della fede che noi,
e credono nel Padre e nel Figliuolo e nello Spirito Santo. Egli sono
molti divoti e leali l'uno co l'altro, e non si curono di baratterie,
nè di cautele, nè d'alcune fraude. Egli à sotto lui LXXII. provincie,
che tutte gli dànno trebuto, e ciascuna provincia à uno Re. In suo
paese sono molte maraviglie: ivi è il mare arenoso, el quale è tutto
di rena e di granelle sanza gocciola d'acqua, e fa grande onde, fluendo
e refluendo, a modo che fa l'altro mare, e mai per niun tempo non posa
nè sta quieto. Niuno può passare questo mare nè con nave, nè con altro
ingegno; e però non si può sapere che terra sia oltra questo mare. E
quantunque non vi sia punto d'acqua, non dimeno si truova di molti
pesci alle fiumane d'altra maniera e d'altra fazione, che non sono
quegli dell'altro mare; e sono di buono gusto e dilicati a mangiare.
E, a tre giornate dilungi a quello mare, vi sono gran montagne, delle
quali escie fuori un fiume, il qual viene dal paradiso terresto; ed
è tutto di pietre preziose, sanza acqua, e corre a basso pel diserto
a grande onde, a modo che fa el mare arenoso, e finisce in questo
mare, e ivi si perde. Questo fiume corre a questo modo tre volte la
settimana, e mena seco di molte grosse pietre del monte, che fanno
gran romore: e subito, come sono entrate nel lor mare arenoso, più non
si veggono e perdonsi. Queste tre giornate che corre, niuno ardirebe
d'entrarvi, ma negli altri dì vi s'entra. Item, oltre a quel fiume, più
inanzi nel diserto, v'è un gran piano arenoso; e, tralle montagne, è
questo piano. Ogni dì, quando si leva el sole, cominciono a crescere
albucegli piccoli, e crescono infino a mezzo dì, e fanno frutti; ma
niuno s'ardisce a pigliare di questi frutti, perchè sono a modo di cosa
afatata; e, dopo mezzo dì, discrescono e entrono in terra, sì che al
calare del sole più non si veggono: e così fanno ogni dì; e questa è
una grande maraviglia. In questi diserti sono molti uomini salvatichi,
cornuti e spaventosi; e' non parlono, ma rughiano a modo che' porci.
Ivi è gran quantità di papioni, cioè cani salvatichi qui sono molti
pappagalli, che gli chiamono, in suo linguaggio, parsistat: ve ne
sono alcuni, che parlono di sua natura e salutono le gente che vanno
pe' diserti; e parlono così perfettamente, quanto se fussi un uomo:
quegli che parlono bene ànno la lingua larga, e ànno sei dita. Un'altra
ragione v'è, che non ànno altro che tre dita per piede: questi parlano
poco o nulla, e male s'intendono, e non fanno se non gridare.


DEL MODO CHE TIENE IL PRETE GIOVANNI QUANDO CAVALCA CONTRA' NIMICI, O
VERO PER LA TERRA; E DEL PALAZO SUO, E DE L'ORNAMENTO DELLA SUA CAMERA.

Quello imperadore, prete Giovanni, quando lui va contro al Gran Cane
in battaglia, o vero contra alcuno de' confinanti, egli non porta
stendardo nè bandiera innanzi a sè, ma fa portare XIII. croce grande
e alte d'oro fine e di pietre preziose. Ciascuna croce è posta in un
carro e guardata da più di cento mila uomini a piè[50]. A modo come
di qua si guardono gli stendardi. A tempo di guerra questo numero di
gente è sanza oste prencipale e sanza le schiere ordinate in battaglia.
E quando e' non fa guerra e cavalca con privata compagnia, non fa
portare innanzi a lui altro che una croce semplice, di legnio, sanza
dipintura, e sanza oro e pietre preziose, per memoria che Giesù Cristo
sofferì morte sopra a una croce di legnio. Il simile, fassi portare
innanzi un piattello d'oro, pieno di terra, a memoria, che la nobiltà
di sua persona e possanza delle sue carne diventeranno e torneranno in
terra; e fassi portare altri vasegli d'ariento, ne' quali sono gioegli
d'oro e di pietre preziose, in segnio della sua signioria e della
sua gentilezza e della sua possanza. E' dimora comunemente nella sua
città di Susa, e ivi è il suo principale palazzo, el quale è sì rico
e sì nobile, che non si poterebe dire nè istimare. E di sopra della
maestra torre del palazzo sono due pomi d'oro; in ciascun di quegli
sono due carbonchi grandi e larghi, che lucono molto chiaro di notte.
Le porte principali di questo palazzo sono di pietre preziose, che si
chiamano sardonio; e le ricamature delle porte d'intorno, e le sbarre
e le traverse sono d'avorio: le spere della sala e della camera sono di
cristallo. Le tavole dove mangiono, alcune sono di smiraldi, alcune di
matiste, e altre di pietre preziose; e sono ornate d'oro. E trespoli di
queste tavole sono di quelle medesime pietre; e' gradi, dove si saglie
al trono dove lui siede, l'uno è di onice, l'altro è di cristallo,
l'altro di diaspro verde, l'altro di amatiste, l'altro di sardonio,
l'altro è di cordellino; l'ultimo, sopra lo quale lui tiene i piedi, è
di grisolito; e tutti questi gradi sono d'oro fine, ornati e lavorati
di pietre preziose e di perle grosse d'oriente. Le parte della sedia
sono di smeraldo, e ornata d'oro molto nobilmente e d'altre pietre
preziose e perle grosse. Nella sua camera sono colonne d'oro fine con
pietre preziose e con molti carbonchi, e quali rendono di notte gran
chiarezza; e quantunque gli carbonchi luchino, non dimeno arde tutta
via uno vasello di cristallo pieno di balsamo, per dare buono odore,
e per cacciare l'aire cattivo. La forma del suo letto è tutta di fine
zaffiro bene adornato d'oro, però che el zaffiro fa bene dormire e
rifrena la lussuria, perchè non vuole giacere colle sue moglie altro
che quattro volte l'anno, sicondo le quattro stagioni; e questo fa
solamente per generare. E nella città di Nissa si è un bel palazo e
molto nobile, nel quale sta quando gli piace; ma quivi non è aere così
temperato, come a Susa. In tutto il suo paese non si mangia altro che
una volta el dì, come fanno a la corte del Gran Cane; e nella sua corte
mangiono ogni dì più di XXX. mila persone, sanza quegli che vanno e
vengono; ma quegli XXX. mila di suo paese e del paese del Gran Cane,
none spendono tanto bene, quanto farebono nel paese di qua XII. mila.


DELLI SERVIDORI DEL PRETE GIOVANNI, E DEL MODO CHE LORO TENGONO IN
SERVIRLO.

Questo prete Giovanni à sempre, insieme con lui, un Re per servirlo.
Gli Re si partono a mesi, e sì si mutano l'uno l'altro; e, insieme con
questo Re, sempre sono LXII. duchi e CCCº. XL. conti. Nella sua corte
mangiono ogni giorno XII. arcivescovi e XX. vescovi e il patriarca di
san Tommaso; e così, come el papa, li arcivescovi, vescovi e abbati
in quello paese son Re; e ciascuno de' gran signiori sanno ben di che
debon servire. L'uno è maestro dell'ostello, l'altro è camerieri,
l'altro serve di scodelle, l'altro di tazze, l'altro è siniscalco,
l'altro è maniscalco; e, gradati, ciascuno à l'uficio suo; e a
questo modo egli è molto nobilissimamente servito. La sua terra, per
larghezza, à quatro mesi di giornate; e dilungi, sanza misura; perchè
lui tien gran parte delle isole sotto terra, che noi diciamo, che sono
di sotto a noi.


D'UNA ISOLA CHIAMATA MILSCORACH, NELLA QUALE STAVA UNO UOMO MOLTO
CAUTO, CHE AVEVA FATTO UNO PARADISO; E DELLE COSE MARAVIGLIOSE CH'ERANO
IN QUESTO PARADISO, E COME FU DISTRUTTO COSTUI.

Item, allato a l'isola di Pontesoro, sì v'è una grande isola lunga e
larga, che si chiama Milscorach; ed è ubbidiente al prete Giovanni. In
questa isola è grande abundanzia di beni; ivi soleva essere uno ricco
uomo, non è molto tempo, el quale si chiamava Gatalonabos, uomo molto
liticoso e cauteloso[51]. Costui aveva una montagna con un castello
sì forte e sì nobile, quanto si potessi dire. Egli aveva fatto murare
tutta la montagnia nobilmente, e, dentro a questi muri, erono i più
begli giardini che si potessino trovare e avere. Quivi aveva fatto
piantare ogni cosa buona e odorifera, e tutti gli alberi e l'erbe che
fanno nobili fiori e che si posson trovare e avere; e sonvi ora molte
belle fontane allato, alle quali avevavi fatto fare molte belle sale
con belle camere, tutte dipinte d'oro e d'azzurro, e aveva fatto fare
molte e diverse truffe di istorie: quivi aveva uccegli, che si movevono
e cantavono con ingegni, come fussino vivi. In questo giardino aveva
posto d'ogni ragione di gente e di bestie, che aveva potuto avere,
i quali potessino piacere e dilettare a l'uomo per il tocare e per
guardare. Ivi aveva poste le più belle fanciulle di età di XIIII. anni,
che aveva potuto trovare, e i più begli giovinetti di simile etade;
ed erono tutti vestiti di drappi d'oro; e diceva, che erano angeli.
Costui aveva fatte fare tre belle fontane e nobile, tutte intorniate
di pietre preziose e di perle, con certi condotti sotto terra; sì che,
quando voleva, faceva per l'uno correre latte, e per l'altro vino,
e per l'altro mele: questo luogo lui lo chiamava paradiso. E quando
alcuni giovani valenti, prodi e arditi venivono a veder costui, gli
menava a vedere il suo paradiso, e mostravagli le diverse cose, gli
piaceri, e gli diversi canti degli uccegli, e le belle fanciulle, e le
belle fontane di latte, e di vino, e di mele, e faceva sonare diversi
strumenti musici e cantici in una alta torre, sanza veder quegli che
sonavono: e diceva, che quegli erono angeli di Dio, e che quel luogo
era il paradiso, che Idio aveva promesso alli amici suoi, dicendo:
_Dabo vobis terram fluentem, lac et mel_. Dopo che gli aveva mostrato
tutte queste cose, gli dava una bevanda; di che subito s'imbriacavono;
e così ubbriachi, gli parevono quelle cose più grandi. Allora costui
gli diceva, se egliono volevono murire per amor suo, che, dopo la
morte, e' verrebono in questo paradiso, e si troverebono della età
di queste fanciulle; e sempre sollazzerebono con quelle, e sempre si
troverebono quelle fanciulle pulzelle, e che poi gli metterebbe in un
altro paradiso più bello assai, dove vederebono visibilmente Idio di
natura, nella sua maestà e gloria. E allora questi giovani, che più
altro non sapevono, si offerivono a lui far tutti i suoi voleri. Da poi
lui gli diceva, che eglino andassono al tal signiore, il quale era suo
contrario, e confortavagli, che non temessino punto di farsi uccidere,
per lo amore di lui; imperò che gli metterebe, dipoi la morte loro,
in un altro paradiso, cento volte più bello; e ivi starebbono sempre
con le più belle damigelle. E per questo modo e giovani uccidevono gli
signiori del paese, e loro propii si lasciavono uccidere a speranza
d'andare a quel paradiso. E in tal modo quello vechione, con sue
cautele e sagacità, si vendicava degli aversari suoi. Quando gli
uomini possenti di que' confini si furono aveduti di ciò, e conobono
la malizia, e la cautela, e la cattività di quel vechione, sì lo
distrussono, e sì distrussono tutti i begli luoghi, e tutte le nobilità
che erono in quel paradiso. E luoghi vi sono ancora delle fontane e
delle altre cose, ma le richezze non vi sono rimase, e non è gran tempo
che il luogo fu distrutto.


DELLA VALLE PERICOLOSA, DOVE STANNO DIAVOLI, E DELLE COSE PAUROSE CHE
SI TRUOVONO IN QUESTA VALLE PERICOLOSA.

Allato a questa isola di Milscorach, dalla sinistra parte, verso la
riviera di Frison, si è una maravigliosa cosa, cioè una valle fralle
montagne, che dura circa a IIII. leghe. Alcuni la chiamono la valle
di montagnia[52], altri la chiamono la valle pericolosa. In questa
valle si vede e ode di gran tempeste e di gran voci e spaventevoli.
Ogni giorno e ogni notte è gran romore, e gran suoni di tamburini, di
nachere e di trombe, come sempre vi fusse nozze. Questa valle è tutta
piena di diavoli e stanno tutta via; e dicesi, che è una delle entrate
dello inferno. In questa valle è molto oro e molto ariento, per li
quali molti infedeli e cristiani entrono spesso, per pigliar tesoro;
ma pochi ne ritornono, e spezialmente degli infedeli più che dei
cristiani, chè per avarizia vi vanno; però che subito sono da' diavoli
strangolati. Nel mezzo di questa valle, sopra un sasso, v'è una testa
col viso d'un diavolo, orribile a vedere, e non si vede altro che la
testa insino alle spalle. Ma io non credo, che sia uomo al mondo, sia
chi si vuole, tanto ardito, nè tanto sicuro, che guardandolo, non abbia
tanta paura, che gli par venir meno, tanto è spaventoso a vedere, e sì
taglientemente[53] riguarda le persone! e à gli ochi tanto orribili
e sfavillanti, che per certo è gran maraviglia! e cambia e trasmuta
spesso la sua maniera e la sua continenzia, e per così fatto modo, che
niuno la può perfettamente riguardare una volta pure, o appresso o di
lungi. E da quella n'esce fuori fuoco e fiamma con tanta puzza, che a
pena niuno la può sofferire. Ma tutta via e buoni cristiani, e quali
sono in buono stato e fermi nella fede, v'entrono bene sanza pericolo.
Niente di meno non sono però sanza gran paura, quando e' vegono
visibilmente e diavoli d'intorno a loro; e egli gli fanno di molti
assalti e minacci, in aria e in terra, di colpi di tuoni e di tempesta;
e tutta via l'uomo teme che 'l nostro Signiore non faccia vendetta di
quel che è contro a la volontà sua. E sapiate che, quando io e li miei
compagni fumo in questa valle, noi entramo in gran pensieri, se noi
dovessimo mettere e corpi nostri in ventura, e entrare nella difesa di
Dio. Alcuni de' compagni s'accordavono, e altri erono al contrario, ma
dua valenti uomini, frati minori, che erono di Lombardia, dissono, se
v'era alcuno di noi che vi volessi entrare, che si mettessino in buono
stato, et egli enterrebono con loro. Quando questi frati ebono così
parlato, sopra la fidanza di Dio e di loro, noi gli facemo dir messa,
e sì ci confessamo e comunicamo e entramo noi e XIIII. compagni. Ma
allo uscire, non ci trovamo se non VIIII, nè mai più potemo sapere, se
i nostri compagni fussin perduti, o ritornassino indietro. Ma, fussi
come si volesse, noi non gli vedemo mai; ed erono due greci e tre
spagnuoli. Il resto de' compagni non volono entrare, anzi se n'andorono
per una altra costa, per esere inanzi, come furono. E in questo modo
noi passamo la detta valle; e ivi vedemo di molti beni, oro e ariento e
pietre preziose e molti gioielli in gran quantità di qua e di là, come
a noi pareva. Ma non sapiamo noi però, s'egli erono veri, però che 'l
diavolo è tanto sottile, che spesse volte fa parere quel che non è, per
ingannare la gente; e per questa cagione io non volli tocar cosa che
io vedessi, e perchè non mi volevo levare dalla mia divozione; imperò
che io ero in quela ora molto divoto per paura, perchè io vedevo molte
brutte figure, e per la moltitudine de' corpi morti, che io vedevo
giacere per tutta la valle; che se vi fussi stato una battaglia, non
vi doveva essere tanti morti quanti erano in quella valle, che certo
era una oribil cosa e spaventosa a vedere! Io mi maravigliai molto,
come e in che modo v'erono tanti corpi morti, e come e corpi erono
così interi; perchè pareva che di nulla fusson putrefatti. Io credo,
che e diavoli gli facessino parere così interi, però che, sicondo
el mio giudicio, non potrebe essere che tanti nuovamente vi fussino
entrati, nè che vi fussino cotanti morti, che non puzasono. Molti ve
n'erono in abito di cristiani: io credo che fussino ingannati, per la
troppa avarizia, perchè e' disideravono del tesoro che e' vedevono, o
vero perchè ebbono il quore debole, e non poterono soferire la puzza,
sì che per tanto noi eravamo più divoti. E questa valle à assai bella
entrata, ed è bella nel cominciamento, e va la via sempre calando infra
e sassi, torcendosi or qua e or là, ed è assai chiara infino a mezza
lega, e poi l'aria comincia a esere spessa, a modo che è tra giorno e
notte. E quando noi fumo caminati bene una gran lega, l'aria era tanta
spessa e scura, che noi non potavamo vedere, se non come di notte,
quando non lucon le stelle. Poi noi entramo in tutto ne le tenebre, le
quali durono bene una lega; e quivi avemo molto che fare e sofferire, e
credavamo certamente essere tutti perduti. In questo punto noi eravamo
tutti religiosi; e se alora ognun di noi fussimo fatti signori di
tutto el mondo e di tutta la terra, aremo ogni mondana cosa volentieri
renduta, pur che noi fussimo stati fuori di quegli pericoli; imperò
che veramente noi non credavamo mai portare novele al mondo di queste
tenebre. Fumo noi tutti abattuti più di mille volte, e in molte maniere
noi non eravamo così tosto ridirizati, che subitamente noi eravamo
riabbattuti. Ivi erono grande multitudine di bestie, ma non potavamo
vedere che bestie si fussono, ma istimavamo che fussino, al tocare, a
modo di porci neri e di molte altre bestie, le quali corevono fralle
nostre gambe, e sì ci facevono cadere una volta a ritto, l'altra volta
a rovescio, e ora da uno lato, l'altra da l'altro; e talvolta era, che
la testa andava giuso bassa, a modo che in una fossa. Alle volte noi
fumo abattuti a terra per tuoni, alcuna volta per folgore, e tal volta
per venti grandissimi: alcuna volta a noi pareva fussimo feriti nelle
reni, e ora per traverso. Noi trovamo molti corpi morti sopra e quali
noi passamo co' piedi; e quali, nel passare sopra loro, si lamentavano
e piagnevono che li passassimo per adosso; e era una cosa terribile e
spaventosa a vedere! Io credo certisimamente, che se noi non avessimo
riceuto il _Corpus Domini_, che noi saremo rimasi quivi tutti e
perduti. In questo luogo ebe ciascun di noi un segniale; perchè quivi
fu ferito ciascuno di noi duramente per sì fatto modo, che stemo tutti
strangosciati, a modo che morti, lungamente. Io non so come si fussi,
ma in quela angoscia noi vedavamo spiritualmente molte cose, delle
quale io non ardisco parlare, perchè e monaci, che rimasono insieme
con noi, proibirono a noi, che non parlassimo di ciò cosa alcuna. salvo
che di quelo che noi avavamo veduto corporalmente, per celare i grandi
segreti del nostro Signiore Giesù Cristo. Noi fumo feriti in diversi
luoghi, e in questi luoghi delle ferite, ognuno di noi aveva una tacca
nera, di largheza d'una mano; l'un nel viso, l'altro nel petto, tale
da un costato, e altri dallato. Io fui ferito nel collo per così fatto
modo, che io mi credetti che 'l collo mi fussi separato dal corpo; e
io n'ò portato il segniale, nero come carbone, più di XVIII. anni,
e molte persone l'anno veduto. Ma poi che io mi sono ripentito de'
miei peccati, e che io mi son posto a servire a Dio, sicondo la mia
flagellità, questo segnio mi s'è convertito in niente, e ò in questo
luogo la pelle più bianca che altrove; ma tutta via vi pare il colpo,
e del continovo vi sarà, infino che l'anima nel corpo durerà. Per la
qual cagione io non consiglierei alcuno che mai v'entrasse, però che,
al parer mio, al nostro Signiore non piace punto che alcun v'entri. E
quando noi fumo nel mezo di queste tenebre, noi vedemo quela spaventosa
figura sotto a un sasso profondo: una volta pareva presso, e un'altra
da lunga; e così ardenti e sfavillanti erano le fiamme del fuoco
che gittava, che gli erano d'intorno, ch'era una cosa spaventosa a
vedere. Ma noi non eravamo tanti arditi che 'l potessimo ben guardare;
lui tutta via guardava noi: e ivi noi avemo gran paura, tal che
noi venavam meno quasi in tutto, e poco vi mancò che totalmente non
fossimo istinti. E così passamo oltre con gran fatica, tanto che abiamo
passato queste tenebre. Quando noi rivedemo la chiareza, quantunque noi
fossimo infino lì tormentati e tribulati da' nimici, e quali in ogni
guisa ci avevono tribulati, pur noi ci consolamo assai. Io non saprei
punto scrivere tutto quel che noi vedemo, perchè io ero molto atento a
pregare per divozione, perchè fui molte volte battuto per venti, tuoni
e per tempeste, ma tutta via ci aiutava Dio colla sua grazia e pietà:
e in questo modo, per sua misericordia, noi passamo questa valle sanza
danno di noi, che n'uscimo.


DI DUE ISOLE, NELLE QUALI ABITANO GIGANTI DI GRANDE STATURE, E FEMMINE
TERRIBILE COME EL BASILISCO.

Appresso, oltre a questa valle, è una grande isola, che v'è giganti
lunghi XXVIII. o vero XXX. piedi. Questi non portono altri vestimenti
che di pelle di bestie sabatiche, le quali e' pongono sopra loro come
si levano da dosso alle bestie, e non ànno pane, e mangiono carne
cruda, e beono sangue; però che ànno assai bestiame; e non ànno case;
e mangiono più volentieri carne umana che altra carne. In questa
isola niuno v'entra volentieri, nè vi si apressa, però che se eglino
vedessino una nave con gente dentro, e' mangerebono bene quelle genti.
In un'altra isola di là da questa, sicondo che ci dicevono le genti
di quel paese, v'erano assai giuganti magiori, come di grandeza XLV. o
vero L. piedi, e altri vi sono lunghi L. gomiti; ma noi non gli vedemo
punto, nè volontà avavamo d'aprossimarsi a quel luogo; imperò che niuno
entra in quel paese, nè in altro, che non sia divorato. Fra questa
gente son pecore così grande come sono buoi di qua, e ànno la lana
grossa rispondente della grandeza. Io ò ben veduto di queste pecore
molte volte, e molti sono stati veduti di questi giuganti pigliare
la gente in mare, e portarne dua in ciascuna mano e andarli mangiando
crudi. Un'altra isola è verso austro, dove sono molte crudele femine
e malvage, le quale ànno pietre preziose negli orechi, e sono di tal
natura, che se riguardono alcuna persona con ira, egli la uccidono
solamente del guardare, a modo che fa il bavalischio.


D'UN'ALTRA ISOLA, E DELLA USANZA CHE TENGONO IN ISPOSARE LE LOR MOGLIE,
E PERCHÈ NON DORMONO LA PRIMA NOTTE CON LORO, MA E' VI DORME UN ALTRO.

Un'altra isola v'è molto grande e molto buona e bene popolata, nella
quale è usanza, che, la prima notte che lo sposo debe giacere co la
moglie, e' fanno giacere un altro uomo con lei per dispulzellarla[54],
e di ciò gli donono buon salario: e, per questo mistiero, in ogni
villa sono certi valletti o vero servidori, i quali non fanno altro
che questo; e chiamono questi in suo linguaggio cadeberia, e suona in
nostra lingua, matto, disperato; però che quegli del paese riputono
questo così gran cosa, e tanto pericolosa, cioè ispulzellare una
femina, ch'a lor pare, che quegli che la dispulzellano si mettino a
dubio di murire; e se la seconda notte e mariti non truovono le moglie
dispulzellate per alcuna cagione, egli si lamentono del valletto,
el quale non à fatto el suo dovere, non altrimenti che 'l servidore
l'avessi voluto uccidere. Ma oltra la prima notte, da poi che sono
dispulzellate, egli le guardano strettamente, che non ànno tanto
ardimento che ardischino a parlare ad alcuno. Noi gli dimandamo per
qual cagione e' tenevono sì fatta usanza: e' risposono, che, per
dispulzellare femine, anticamente alcuni ne sono morti; però che eglino
avevono serpi nel ventre. Per questa cagione e' mantengono questa
usanza ancora; tutta via si fanno fare credenza del passo, prima che
egli si menino alla ventura.


D'UN'ALTRA ISOLA, E DELLA USANZA CHE ÀNNO QUANDO NASCE UNO E QUANDO
MUORE, E DEL RE DI COSTORO, E DELLA BUONA GIUSTIZIA CHE S'OSSERVA IN
QUESTO PAESE.

Apresso è una grande isola, dove le femine fanno gran dolore quando
nascono e figliuoli; e quando e' muoiono fanno grande allegreza e gran
festa; e così morti gli gittono in un gran fuoco ardente. E quelle
che amono i lor mariti, se gli lor mariti muoiono, egli si gittono nel
fuoco con loro e li figliuoli, e dicono, che 'l fuoco gli purgherà da
ogni immondizia e da ogni vizio, e puro e netto se n'anderà nell'altro
mondo, e i mariti loro gli meneranno seco. E la cagione perchè lor
piangono, quando e figliuoli nascono, e che fanno alegreza quando e'
muoiono, si è, che dicono, che quando e figliuoli nascono, e' vengono
nel mondo a la fatica, al dolore e a tristizia; e quando e' muoiono
e' vanno al paradiso, dove ànno fiume di latte e di mele, e vivono
in allegreza e in abundanza di beni, sanza dolore e sanza fatica. In
questa isola si fa un Re per elezione, e non si elegge il più nobile,
nè il più rico, ma tutta via si elege colui che è stato di buoni
costumi e di virtù dotato, e che è di grande etade, e che non abia
alcun figliuolo. In questa isola sono gl'uomini molto leali e molto
diritti, e fanno diritto giudicio a ciascuno, così del grande come
del piccolo, sicondo il delitto commesso. El Re di questa isola non
può giudicare l'uomo a morte sanza el consiglio de' suoi baroni, e
conviene che tutta la corte se n'accordi. E se 'l Re, lui medesimo fa
omicidio, o vero commetta cosa da morte, conviene che muoia così bene,
come farebe una spezial persona; non però che a lui sia messa mano,
nè toccato, ma è divietato che niun sia tanto ardito che gli faccia
compagnia, nè che gli sia parlato, nè che gli sia donato, nè venduto
alcuna cosa, nè che uomo gli ardisca a servire, nè che li sia dato
mangiare e bere; e in cotal modo gli conviene murire in miseria. Egli
non perdonono ad alcuno che abia fallito, nè per amore, nè per favore,
nè per richeza, nè per grandeza: a ognuno è fatto giustizia, secondo
el loro delitto. Tra quelle isole v'è un'altra isola, dove è grande
abundanzia di gente, le quali per cosa alcuna non mangerebono carne
di lepre, nè di gallina, nè d'oca; e nondimeno molte ne notricono per
vendere e solamente raguardare; e mangiono carne d'ogni altra bestia,
e beono latte. In questa isola e' pigliono i lor figliuoli, le sorelle
sue, li lor parenti per moglie; e se in una casa sono X. o XII. uomini,
tutte le moglie loro sono comune a ognuno, sì che ogni uno dorme
con chi gli piace, ma per una notte con una, e l'altra coll'altra; e
il figliuolo è dato a colui che prima giace colla madre; e a questo
modo non si sa di chi si sia il figliuolo. E per questo modo ànno un
proverbio, che dice, che se egli notriscono e figliuoli d'altrui, e
altri nutricono i suoi. In quella isola, e per tutta India, è gran
moltitudine di coccodrilli, e quali sono una ragione di serpi, come
ò detto di sopra, che abitono di notte nell'acqua, e di dì sopra la
terra nelle grotte, o vero nelle cave di sassi, e non mangiono per
tutto verno, e stanno in questo tempo freddo tra due terre (_sic_)
umide, a modo che fanno l'altre serpi. Queste serpe, mangiando, muovono
le mascelle di sopra, e non quelle di sotto, perchè in esse non ànno
giunture.


COME NASCE EL COTONE, E DI MOLTE ALTRE COSE MARAVIGLIOSE E STUPENDE CHE
SONO IN QUESTI PAESI.

In quello paese, e in più altri di là, eglino mettono a opera la
semenza del cotone, e seminono ogni anno; e di quela nascono piccoli
albucegli, e quali portono el cotone, del quale ànno grande abundanzia
per tutto il paese. Per questo paese tutto, e in molti altri, v'è una
ragione di legnio duro e forte, e carboni del quale accesi, sotto
la cenere durerebono vivi uno anno e più. E questo albero chiamono
ginepre, e somiglialo alquanto: à le foglie e à ogni propietà come
el ginepro. Ivi sono ancora molti alberi di ebeno, e quali non posono
per alcun modo ardere nè marcire. Ivi sono nocellari che portono noci
grosse come el capo di un uomo. Ivi son molti oraflos in alberi: egli
gli chiamono giefaris, o vero girifalchi. E ivi è una bestia alta a
modo che un corsiero, e à el collo lungo circa XX. cubiti, e la groppa
e le corna a modo che cervio. Questa bestia guarderebe sopra il tetto
d'una casa, e chiamasi giraffa. In questo paese son molti camalioni,
i qua' son piccoli a modo che chierons salvatichi, e vanno tutta via
colla gola aperta per pigliare l'aere, imperò che e' vivono solamente
de l'aere, e non mangiono nè beono alcuna cosa, e cambiono colore
spesse volte, perchè alcuna volta si vegono d'un colore, e un'altra
volta d'un altro, e si possono mutare d'ogni colore che vogliono,
salvo che in rosso nè in bianco. Quivi sono serpenti grandi, grossi
e lunghi 100. e 200. piedi; e sono serpi di molti e diversi colori,
rossi, gialli, verdi, neri, tutti maculati; e son lunghi, qual cinque
torse, tal IIIIº. E altre serpi ivi sono, che ànno le creste sopra 'l
capo e vanno sopra piedi, alquanto diritti; e son ben lunghi quatro
torse o più, e sono grossi e abitono tutta via nelle caverne de' sassi,
e sempre stanno colla gola aperta, della quale a ogni ora li gocciola
veleno. E ivi son porci di molti colori salvatichi, così grandi, come
sono di qua e nostri buoi, e sono tacchellati, o vero traversati a modo
che un cinghiale. Ivi sono spinosi, o ricci, grandi come di qua, e sono
e nostri porci salvatichi. Ivi sono leoni bianchi tutti. Ivi sono altre
bestie grandi come destrieri o più, gli quali chiamono toncherons, e
quali ànno la testa nera e tre lunghe corna nella fronte, tagliente
a modo d'una spada, e 'l corpo fievole; e cacciono e uccidono gli
elefanti. Ancora vi sono altre bestie molto cattive e crudele, che non
sono magiore che come è un vermine[55], e ànno la testa a modo ch'un
cinghiale, e ànno sei piedi, e per ciascuno piede unghie larghe e
tagliente, e ànno el corpo come el vermine, e la coda come lioni. Ivi
sono oche tre tante magiori che le nostre di qua, e son rosse, e ànno
la testa e 'l collo e il petto nero tutto. In questo paese, e altrove
intorno, son molte altre ragione di bestie e molti diversi uccegli, i
quali, volendo tutti iscrivere, sarebe cosa lunghissima.


DELL'ISOLA DI BRAGMANI, E DE LA LOR BUONA VITA, E D'UNA LEGIADRA
LETTERA, LA QUAL MANDORONO AD ALESSANDRO MAGNIO.

Oltr'a questa isola è un'altra isola grande e buona e abondevole,
ne la quale è buona gente e divota e di buona vita, sicondo la fede
loro. E quantunque e' non sieno perfetti cristiani, e che e' non
abino la lege compiuta, come noi, nondimeno egli di legge naturali
son pieni e d'ogni virtù, e fugono ogni vizio e ogni malizia e ogni
peccato, però che non son punto superbi, nè avari, nè accidiosi, nè
invidiosi, nè golosi, nè lussuriosi. Egli non ànno alcun peccato, e
fanno ad altrui quelo che e' vogliono che sia fatto a loro, e egliono
adempiono tutti e X. comandamenti. Egliono non ànno cura d'avere, nè
di richeza: egliono non dicono bugia per alcuna cagione, ma dicono
semplicemente sì e no, perchè dicono, che quegli che dicono bugia e
giurono, vogliono ingannare il suo prossimo, e però egli favellono e
parlono sempre sanza giuramento. Questa isola si chiama terra di fede,
e alcuni la chiamano l'isola Bragmani. Per mezo di questa isola corre
una grande riviera, la qual si chiama Theba; e generalmente tutta la
gente dell'isola, ivi intorno a questi confini, sono più leali e più
diritti che non sono in alcuna parte del mondo. In questa isola non è
ladroni, nè assassini, nè meritrice, nè mai vi fu morto uomo. Ivi son
le gente così caste, e mantengono buona vita, come potrebe fare alcuno
religioso: ogni dì digiunono; e perchè e' sono così leali e così pieni
di buone condizione, e' non furono mai gravati di tempesta, nè di fame,
nè di pestilenzia, nè di niuna altra tribulazione, come siamo noi di
qua molte volte per li nostri peccati. Per la qual cagione e' pare
che Dio gli ami, e abi a grado la lor fede e le lor buone operazione.
E' credono bene in Dio, il qual fece e criò ogni cosa, e lui adorono,
e non aprezono niuno onore terreno; e sono così diritti, e vivono
così ordinatamente e così sobriamente nel mangiare e nel bere, che e'
vivono molto lungamente, e molti di lor muoiono sanza che abino auto
malizia alcuna; però che la natura gli viene a meno per vechieza. El
Re Alessandro anticamente gli mandò a disfidare, perchè lui voleva
guadagnare il lor paese; e e' mandorgli imbasciadori, e quali portorono
lettere per parte del paese, che dicevono così: Re Alessandro, che cosa
poterebe assai essere a colui, a chi tutto el mondo non basta? tu non
troverai in noi quella cosa, per la quale tu ci debbi guerreggiare,
perchè noi non abbiamo richezze alcune, nè disideriamo, perchè tutti
e beni del paese qui sono comuni tra noi, e il mangiare e 'l bere è
per lo sostenimento de' nostri corpi e la nostra richeza; e, in luogo
di tesoro e d'oro e d'ariento, noi facciamo tesoro di concordia e
pace e amore l'un coll'altro: in luogo di belle vestimenta pei nostri
corpi, noi usiamo d'un cattivo panno per inviluppare le nostre carne,
solamente quanto basta a difenderci dal freddo e coprire le segrete
membra del corpo; e le nostre donne, o sia moglie, non si adornono per
piacere, anzi terrebono per grande tristizia ogni aparechiamento che
si facessi per abellire e per adornare el corpo, a ciò che paresse più
bello, che Idio non l'à fatto di sua natura: elle non sanno e non si
curono d'altra belleza, che di quella che Idio dette a la natura loro.
La terra n'è aparechiata per due cose; la prima, per sostentazione,
mentre che noi viviamo: e per la nostra sepultura dopo la nostra morte.
Noi abiamo sempre avuto pace fin qui perpetuamente, della qual voi
ne volete discacciare. Noi abiamo un Re, non già per fare giustizia,
perchè fra noi non si truova chi commette pecato, ma noi l'abiamo per
mantenere nobilità, e per mostrare, che noi siamo ubidienti; però che
non à a fare, nè adoperare giustizia fra noi, perchè noi non faciamo
cosa altrui, che non vogliamo che sia fatta a noi; sì che adunque a
noi non potete voi torre alcuna cosa, salvo che la nostra buona pace,
la quale è durata sempre fra noi. Quando el re Alessandro ebe letto
questa lettera, si pensò, che tropo gran male sarebbe, se gli turbassi;
e allora gli mandò una buona pace, e che e' non si dubitassino punto di
lui, e che e' mantenessono la lor buona usanza e modo che usati erono.


DI DUE ALTRE ISOLE, CIOÈ MESIDRATA E GENOSAFFA, NE LE QUALI FU
PROFETIZATO LA INCARNAZIONE DEL FIGLIUOL DI DIO; E D'UNA GENTIL
RISPOSTA QUAL FECIONO AD ALESSANDRO MAGNO.

Due altre isole vi sono; una si chiama Mesidrata, l'altra Genosaffa,
nelle quali sono così buone genti, leali e piene di gran fede, e
mantengono el costume de l'isola sopra detta. In queste isole entrò
Alessandro; e quando lui vide la lor buona fede e la loro lealtà,
disse, che non gli graverebe punto che gli domandassono richeze o
altre cose, che gli donerebe volentieri. E' risposono, che egli erono
assai richi, poi ch'egli avevono da mangiare e da bere per sostenere
il corpo, e che le richeze e' tesori in questo mondo nulla vagliono,
nè vogliamo; ma se lui ci potessi donare, che noi non morissimo, e che
fussimo inmortali, di ciò gli renderebono grazia e mercè. Re Alessandro
rispose, questo non potrebe fare, chè lui era così mortale come erono
loro. Egli dissono: per qual cagione dunque, se se' mortale, se' tu
così rigoglioso e fiero e di vani pensieri, che vuoi sottomettere tutto
el mondo a modo che tu fussi Dio inmortale? In termine alcuno non ài
vita, nè ora, nè meza; e tu vuoi ragunare tutto l'aver del mondo, il
quale in brieve tempo tu lascerai, almeno quando tu morrai; e in cotal
modo quelo ch'è stato d'altrui prima che tuo, sarà d'altrui dapoi ch'è
stato tuo, però che teco non porterai alcuna cosa, e come nascesti
nudo, così nudo ritornerai in terra, de la qual fusti criato. Tu debi
pensare e sapere, che niuno è inmortale, salvo che Idio, che ogni cosa
criò: tu non debi disiderare quel che a te non può rimanere. Per questa
risposta il Re Alessandro fu sbigottito, e partissi da loro sanza
alcun male. E quantunque questa gente non abino gli articoli della fede
totalmente, come noi abiamo, non dimeno per la loro buona fede naturale
e per la loro intenzione buona, io mi penso e rendomi certo, che Dio
gli ama, e ch'egli piglia e lor servigii a grado, a modo che fece di
Iob, che fu pagano; e benchè fusse pagano, pure Idio lo tenne pel suo
leale servo. E, benchè sieno assai più leggi diverse per lo mondo,
io credo che Iddio ami tutti quegli ch'amano e servono lui, cioè in
verità, lealtà et umilità, e che dispregiano la vita di questo mondo
a modo che fanno quelle genti, e come Iob faceva. E questo diceva el
nostro Signiore per la bocca de Osea profeta: _Scribam ei multiplices
leges meas_. E altrove dice la Scrittura: _Qui totum subdit suis orbem
legibus_ (_sic_). Per lo simile dice il nostro Signore nello Evangelio:
_Alias oves habeo, quae non sunt ex hoc ovili_; ciò è a dire che aveva
altri servi, che [son] quegli che sono sotto la lege di natura, [non]
cristiani. E con questo si concorda la visione che ebe santo Petro
al Giaffo, quando l'agniolo discese dal cielo e recogli inanzi molte
ragioni di bestie, di serpi e altri rettili della terra in grande
quantità, e disse a san Pietro: piglia e mangia. E san Piero rispose:
io non mangiai mai di cotal bestie immonde. E l'angiol disse: _Non
dicam immunda quae Deus mandavit_ (_sic_); ciò è a dire, che non si
dee avere in odio e a dispetto alcuna gente cristiana per la diversità
della lege loro, nè alcuni di loro giudicare; anzi si dee pregare Idio
per loro, perchè noi non sappiamo quelli che Dio ama, nè quegli che
abia in odio; imperò che Dio non odia creatura che abbia fatto; e però
disse san Piero, che seppe la significazione di quella visione: _In
veritate comperi, quia non est acceptor personarum Deus, nec discernit
inter judeos et gentiles, sed omnis[56] qui timet eum, et operatur
iustitiam acceptus est illi_. E per cotale esemplo, quando io dico _De
profundis_ per le anime passate, io lo dico, congiugnendo [tutti] con
li cristiani insieme, cioè per le anime di tutti e morti _pro quibus
sit orandi_; però che io dico, che Idio ama questa gente per la lealtà
e per la umilità loro, perchè tra loro tutta via sono perfetti molto.
Ve ne sono stati di continuo in questa isola, che ànno profetezato la
incarnazione del nostro Signiore Giesù Cristo, come e' doveva nascere
di vergine, bene tremila anni o più imprima che nascesse. Egli credono
la incarnazione perfettamente, e non sanno in qual modo sofferisse
morte per noi, nè non sanno li Evangeli suoi, nè la sua operazione così
bene, come sappiamo noi.


DE L'ISOLA DI FRACAN, DOVE LE GENTE VIVONO DEL SOLO ODORE DE' POMI
SALVATICHI, E D'UNA ALTRA ISOLA, OVE SONO LE GENTE PILOSE.

Tra queste isole v'è[57] una gran città chiamata Fracan, e à il nome
dell'isola. La gente di questa isola non coltivano nè lavorono la
terra, però che egliono non mangiono alcuna cosa, e sono di buon colore
e di buona fazione, sicondo la lor grandeza; però che sono piccoli; ma
non però così piccoli come li pigmei. Costoro vivono d'olore di pomi
salvatichi; e quando vanno in alcuna parte dilungi, portono seco de'
pomi; però che, se sentissino male odore e non avessino seco di questi
pomi, subito morrebono; e non sono molti ragionevoli, ma sono tutti
semplici e bestiali. Dopo questa isola è un'altra isola, dove le genti
son tutte pilose, salvo che 'l viso e le palme delle mani. Queste genti
vanno così per mare come per terra, e mangiono carne e pesci tutti
crudi. In questa isola v'è una gran riviera, la quale è larga circa due
leghe e mezo, e chiamasi Lebuermar.


DEGLI ARBORI DEL SOLE E DELLA LUNA, E DELLA CAGIONE PERCHÈ SI CHIAMA
PRETE GIOVANNI.

Da questa riviera, a XV. giornate dilungi, si va pe' diserti, e sonvi
gli alberi del sole e della luna, e quali parlarono ad Alessandro
Re e predicerono a lui la morte sua. E dicono che 'l prete Ianni, e
gl'altri che guardono questi alberi, e mangiono di lor frutto e del
balsamo, el quale ivi crescie, e' vivon bene CCCCº. e CCCCCº. anni, per
la virtù del balsamo; perchè dicono, che ivi in que' diserti crescie
gran quantità di balsamo, e altrove no, salvo che in Babillonia, ove
di sopra scrissi. Noi saremmo andati volentieri verso le parte di
quegli arbori, se a noi fussi stato pussibile, ma io non credo che Cº.
uomini potessino a salvamento passare questi diserti, per le grande
multitudine di bestie salvatiche e di grandi dragoni, e gran serpenti,
e quali uccidono e divorono quanti ne giungono in questi paesi. Vi
sono elefanti bianchi e bigi sanza numero, et unicorni e altre bestie,
le quali ho inanzi scritte; e molte altre bestie assai orribile e
spaventose. E molte altre isole sono nella terra del Presto Giovanni, e
sonvi molte maravigliose cose, le discrizioni delle quali sarebe cosa
lunghissima; però ò lasciato. Molte richeze vi sono e nobile città,
e magnificenzie; fra l'altre cose v'è grande abundanzia di pietre
preziose. Io credo che voi sappiate bene, o vero abiate udito dire, per
qual cagione questo imperadore si chiama Prete Giovanni; ma ancora, per
quelli che non sanno, io iscriverò la cagione.

Fu già uno imperador valente e animoso, il quale, avendo in sua
compagnia cavalieri cristiani a modo che à costui che è al presente,
gli venne voglia di vedere la maniera e modo degli ufici divini, e
altri costumi di cristiani. In quel tempo durava la cristianità di
là dal mare per tutta Turchia, Armenia, Soria, Gierusalem, Arabia,
Allape e per tutta la terra d'Egitto. Questo imperadore venne con poca
compagnia, e andò un dì di sabato a una chiesa d'Egitto, e fu propio
il sabato presso a la Pentecosta, ne l'ora e punto, che 'l vescovo
d'Alessandria faceva l'ordine della messa. Lo imperadore ascoltò e
risguardò l'ordine dell'ufficio; poi domandò, chi doveva esere quella
gente che era innanzi al vescovo, o vero prelato, i quali avevono a
fare così grande misterio. Questi erono preti, diacani e soddiacani
e altri, solennemente apparati al modo che s'usa di qua nelle nostre
parti occidentale. Un cavaliere rispose, che quegli erono preti. Allora
lo imperadore disse, che non voleva essere imperadore, nè re, ma voleva
esser prete e avere el nome del primo che uscirebe fuora dell'uscio
di quella chiesa. Allora il vescovo con gli altri preti partendosi
per uscire fuori, venne per sorte, che il primo che uscì di fuori ebbe
nome Giovanni, benchè noi, corrompendo il nome, lo abbreviamo, dicendo,
Ianni; e però quello Imperadore de India dipoi è stato chiamato Prete
Ianni. Nella terra di questo prete sono buon cristiani, di buona fede e
di buona legge, e spezialmente quegli del suo paese propio. Egli ànno
comunemente i suo cappellani che canton la messa e fanno i sacramenti
di pane, a modo de' greci, ma e' non dicono tante cose quanto fanno di
qua; però che egli dicono solamente quelle che gl'insegniò san Tommaso
apostolo, a modo che cantorono gli apostoli, dicendo el Pater Nostro
e le parole colle quali si consacra il corpo del nostro Signiore: ma
noi abiamo molte addizioni, che ànno dappoi fatte li papi, le qua' cose
egli non sanno.


DELL'ISOLA TABROBANA, DOVE SONO DUE STATE E DUE VERNI, DOVE I LOR
GIARDINI SEMPRE SONO VERDI.

Verso le parti orientali, di là dalle parte delle terre dello Prete
Giovanni, vi è una grande isola e buon reame, el quale è chiamato
Tabrobana. Questa isola è un paese molto buono e notabile e fruttuoso.
Il Re di quella è molto ricco: quegli del paese fanno sempre un Re
per elezione, ma tutta via questo re ubidisce il Prete Giovanni. In
questo paese sono due state e due verni, e ivi si semina due volte
l'anno biade ed ogni altre ragione cose; e i giardini son sempre verdi
e fioriti. Ivi istanno buone genti e ragionevoli tra loro. Ivi sono
molti cristiani, che sono tanto richi, che non sanno quanto abbino.
Anticamente, quando nelle nave antiche s'andava da la terra del Prete
Giovanni a questa isola, si penava a passare XXXIII. giornate e più,
ma nelle loro nave moderne si passa da una parte a un'altra in VII.
giornate, e vedesi el fondo dell'aqua in più parti, imperò che non è
profondo.


DELL'ISOLA ORILLA, E DI ARGUTA, NE LE QUALI SON GRANDI TESORI E BEN
GUARDATI, E DEL MODO CHE SI TIENE A AVER DEL DETTO TESORO.

Dallato a questo reame son due altre isole; la prima si chiama
Orilla, e l'altra Arguta. Tutta la terra di quelle è di minera d'oro
e d'ariento. Queste due isole sono là dove il mare rosso si parte
dal mare occeano. In quelle isole non si vede quasi alcuna stella
che paia chiaramente, salvo che una, la quale è molto chiara, ed è da
loro chiamata canopos. Ivi in ogni lunazione non si vede mai se none
el sicondo quartieri della luna. In queste isole son montagne grande
d'oro, le quale sono dalle formiche molto ben guardate e custodite
curiosamente. Queste formiche separano l'oro puro dallo impuro e
naturalmente bene affinandolo; e sono grandi come cani grandi[58];
onde la gente non usa aprosimarsi alle montagne, perchè le formiche
gli assalterebono e da quello non si poterebono difendere, sì che e'
non possono sanza ingegno aver di questo oro; e però al tempo caldo,
quando le formiche sono sotto terra nascose, dall'ora di terza infino
a bassa nona, le genti vanno con cammegli e dormedarii e carregiono
pian piano, e poi si fugono inanzi che le formiche escin fuori della
terra. Ma nell'altro tempo, quando non è tanto caldo, e che le formiche
non s'ascondono, e' s'ingegniano per altro modo, e pigliono giumente
ch'ànno i puledri piccoli, e sì gli mettono a dosso duo vasegli per
uno, a modo che due cesti, neri e aperti di sopra, pendenti infino
appresso a terra, e mandono queste giumente a pasturare al contorno di
queste montagne, e gli puledrini ritengono legati. Quando le formiche
veggono questi vasegli, e' vi montono suso, et entranvi dentro; e ànno
per natura, che non si lasciano alcuna cosa d'intorno, nè in caverna,
nè sotto terra, nè in altra parte dove stanno, e sempre vanno rimovendo
e rimutando or qua, or là; onde loro stesse empiono questi vaselli,
d'oro. E quando, le gente che aspettono, pensono che le giumente siano
assai cariche, e' menono inverso loro e puledri e fannogli rughiare,
e subito le giumente tornono verso loro, e egliono le scaricono, e
ànno l'oro per cotal maniera in gran quantità; però che le formiche
conoscono gl'uomini dalle bestie, e comportono bene che le bestie
vadino tra loro, ma non vogliono patire l'andare degl'uomini.


DEL PARADISO TERRESTE E DE' FIUMI CHE ESCONO DI QUELLO.

Oltre alla terra e l'isole del Prete Giovanni, andando verso oriente,
non si truova altro che gran montagnie e regione tenebrose, dove non si
potrebe vedere nè di giorno nè di notte, sì come testimoniano quegli
del paese. Queste montagnie diserte, e questi luoghi tenebrosi durono
da una costa (_sic_) infino al paradiso terreste, dove Adamo nostro
padre ed Eva furono in prima posti, e quali non molto vi rimasono. Il
paradiso è verso oriente a cominciamento della terra; ma quelo oriente
non è già il nostro oriente di qua quando el sole si leva a noi; però
che, quando el sole si leva all'oriente verso el paradiso terresto,
allora è meza notte tra le parte di qua, per cagione della ritondità
della terra, sì come io ò scritto di sopra. E perchè il nostro Signore
fece la terra tutta ritonda nel mezo del firmamento, bene che vi sia
monti e valli, questo non è naturalmente, ma venne per ragion del
diluvio, che fu al tempo di Noè, el quale guastò la terra molle; e la
dura terra, e e sassi rimason montagnie.

Io non saperei propiamente parlare del paradiso, che io non vi fui
mai, e ciò mi duole; e penso, che io non fu' degno, ma quel che io
ò udito dire a' più savi di là, io volentieri lo discriverrò. E'
dicon che il paradiso terresto è la più alta terra del mondo, e è in
oriente al cominciamento della terra, e così alto, che tocca quasi
el cerchio della luna: per lo quale cerchio, o vero spera, la luna fa
il suo torno. Il paradiso è tant'alto, che il diluvio di Noè coperse
di sotto e di sopra e intorno tutta la terra, salvo che questa del
paradiso. Questo paradiso è serrato intorno di mura, e non si sa di
che cosa sia murato, e non vi par pietre, nè anche altra materia della
quale siano le mura. Questi muri si distendono da mezo dì verso Bissa.
Una sola entrata v'è, che sta serrata di fuoco ardente per modo, che
niuno uom mortale no può entrare per diritto. Nel mezzo de la più
alta terra del paradiso è il fonte, el quale getta li quattro fiumi,
e quali corrono per diverse terre. Il primo fiume si chiama Phison, e
corre per India, nel qual sono molte pietre preziose, e molto legnio
aloes e molti granelli d'oro; l'altro si chiama Gion o vero Nilo,
quale passa per Etiopia e per Egitto; l'altro si chiama Tigris, el
quale corre per Soria e per la grande Armenia: e 'l quarto si chiama
Eufrates, il qual passa per Media e per Persia e per Armenia. E dicono
gl'uomini di quel paese, che tutte l'acque dolce del mondo, di sopra
e di sotto, pigliono origine da quel fonte, e da quello tutte l'acque
dolce escono. El primo fiume si chiama Phison, che vuol dire in nostra
lingua, ragunanza, o vero congregazione, perchè molti altri fiumi si
ragunono e vanno in questo fiume: altrove si chiama Ganges per uno
che fu Re in India, chiamato Ghangores, però che correva per la sua
terra. Questo fiume è in alcun luogho torbido, in alcun chiaro, in
alcun caldo, e in alcun freddo. El sicondo fiume, che si chiama Gion, o
vero Nilo, è detto, però che sta sempre torbido, e Gion, nella lingua
di Etiopia, vuol dire torbido. El terzo fiume si chiama Tigris, ciò è
a dire, tosto, corrente; imperò che corre più presto degli altri, e a
similitudine di questo, v'è una bestia chiamata tigris, la qual corre
molto velocemente. El quarto fiume si chiama Eufrates, ciò è a dire,
ben portante, perchè molti beni crescono sopra questo fiume, frutti,
biade e altre cose. E sapiate, che niuno uomo mortale può andare,
nè aprosimarsi al detto paradiso per la moltitudine delle bestie
salvatiche che sono in quegli diserti, e per l'alteza di quele montagne
e per l'aspreza de' sassi e quali niuno poterebe passare[59]. Molti
gran signori ànno voluto molte volte isprementare e andare per questi
fiumi verso el paradiso, con gran compagnia, ma mai non poterono trovar
la via; anzi molti di loro murirono per la foresta e per lo navicare,
e molti altri rimasono orbi, e altri sordi per lo strepito della acqua,
e altri son morti e perduti nell'onde. Sì che pertanto niun mortale vi
si può approssimare, salvo che per ispezial grazia di Dio. E di questo
luogo io non saperei discriver più; e pertanto tacendo, ritornerò a
quel che io ò veduto.

Chiunque avessi grazia di sapere tener la via diritta, sì poterebe
passare per queste isole sopradette della terra del Prete Giovanni, le
qua' sono sotto terra, quanto a noi di qua, e per altre assai isole più
inanzi, e circundare la terra e poi ritornare dirittamente alle parte
de le quale si fussino mossi; e arebono circundato tutto el corpo della
terra. Ma perchè vi converrebe gran tempo, e molti pericoli vi sono nel
passare, parte per le isole diverse, parte per li gran mari e parte per
dubio di smarrir la via, pochi uomini si mettono a farlo, quantunque si
possa fare, tenendo la diritta via in modo, che io ò detto di sopra: e
per questa cagione si ritorna da queste isole sopradette, costegiando,
nella terra medesima del Prete Giovanni.


DELL'ISOLA DI CAISAM, CH'È MOLTO GRANDE E BUONA, E DE LA USANZA CHE
TIENE IL FIGLIUOL, MORTO IL PADRE, IN QUESTO PAESE.

Dipoi, ritornando, si viene a un'altra isola, chiamata Charsam, la
quale isola tiene di lungo 60. giornate e di largo 50. o più. Questa è
la magiore isola e 'l migliore reame del mondo, eccetto Cataim. Questo
paese è così bene abitato e così pieno di città e di ville e di gente,
che, quando e' s'esce fuora d'una città per andare in qualunche parte
si voglia, si vede un'altra città inanzi a sè. In questa isola è una
grande abundanzia di vino e di spezie. Il Re di questa isola è molto
possente e gran ricco, ma nondimeno riconosce la sua terra dal Gran
Cane e ubidisce lui; però che questa isola è una de le XII. province
che 'l Gran Cane à sotto di sè, sanza la sua propia terra e de le isole
migliore, de' le quali n'à molte. In questo paese son gran boschi di
castagneti, e se e mercatanti usasino così in questa isola, come fanno
ne l'isola di Catai, ella sarebe asai migliore che Catai. Da questa
isola si viene, ritornando, a un altro reame, chiamato Riboeh, che è
sotto posto al Gran Cane, ed è un buon paese e abondevole di biade e di
vino e d'altri beni. Le gente di questo paese non ànno case, ma stanno
nelle tende e padiglioni fatti di feltro nero. La lor città principale
o reale è tutta murata di pietre preziose, cioè nere e bianche, e
tutte le strade di questa son ben lastricate di queste simile pietre.
In questa città non è uomo che ardisca spander sangue d'uomo nè di
bestie per riverenza d'uno idolo ch'egli adorono. In questa città
istà il Papa della fede loro, il quale e' chiamono Sabasi, e concede
tutti e benifici e tutte l'altre cose, che apartengono agl'idoli. E
tutti quegli che riconoscono alcuna cosa de le lor chiese religiose,
e altri ubidiscono a lui, al modo che fanno qua le genti di santa
chiesa al Papa. In questa isola è una usanza, che, volendo el figliuolo
grandemente onorare el padre, quando e' muore, manda per tutti gli
amici e' parenti suoi, religiosi e preti e pifferi in gran quantità, e
portono il corpo del padre sopra a una montagnia, facendo gran festa
e solennità. Poi che l'ànno lassù portato, il maggior prelato sì gli
taglia el capo e sì lo ripone in uno piattello grande d'ariento dorato:
dipoi lo dà al figliuolo. Allora el figliuolo o gli altri il pigliano e
portano, cantando e dicendo molte orazioni. Poi gli preti e religiosi
tagliano el troncone del busto per pezzi, dicendo orazioni; e gli
uccelli del paese, che sono usitati a quella usanza per lungo tempo,
vengono, e sì si apresentono di sopra, volando come fa tra noi il
nibbio a la carogna; e i preti gittono e pezzi de la carne, e gl'ucegli
gli pigliono e vanno alquanto dilungi, e sì la mangiono. E poi gli
preti cantano a modo che di qua per gli morti, e dicono l'uficio in
loro linguaggio ad alta voce. Dipoi dicono: Riguardate come era valente
uomo costui, il quale gli angioli di Dio son venuti a trovare e portare
in paradiso. Alora pare al figliuolo che sia molto onorato, quando gli
ucegli ànno mangiato il suo padre. E colui, a chi viene maggiore numero
d'uccelli, è quello che gli pare abbia avuto maggiore onore più che
gli altri. Da poi il figliuolo rimane a casa cogl'amici e co' parenti
suoi e fagli gran festa; e gl'amici racontono tra loro qual mente
gli uccegli gli vennono a torre; e così ragionando, in questo molto
si gloriano. E quando sono raunati a casa, il figliuolo fa cuocere
la testa del padre, e alquanto della carne dà in luogo di guazzetto;
e danne a ciascuno de li suoi più speziali amici; e dell'ossa del
craneo se ne fa fare una tazza, colla quale lui e i parenti beono con
gran divozione a memoria del santo uomo, mangiato dagl'uccegli; e il
figliuolo serba questa tazza; e tutto 'l tempo della vita sua bee con
quela per memoria di suo padre.


D'UNO UOMO MOLTO RICO, E DE LO STATO SUO, E DELLA CONCLUSIONE DEL LIBRO
CHE FA L'AUTORE.

Da questa isola, ritornando per X. giornate per mezo la terra del Gran
Cane, è una grand'isola e buona e buon reame, nella quale è uno rico e
potente Re. Fra gli altri di questo paese v'è uno uomo richissimo, el
quale non è principe nè amiraglio nè duca nè conte, ma sono molte gente
a lui suggette che tengono terre da lui; e à costui una grandissima
entrata ogn'anno, e è troppo ricco, perchè à continuamente più di tre
mila cavagli caricati di biada e di riso, anno per anno. Costui fa
molto nobil vita: sicondo l'usanza di là, lui ha cinquanta damigelle
vergini, le quali tutta via lo servono quando mangia. E quando egli
è assettato a tavola, tutte quelle vergini gli portano insieme una
maniera di vivande, e sempre la portano cantando una canzona. Poi gli
tagliano innanzi quella vivanda, e di quella lo imboccano, però che lui
non fa alcuna cosa, se non tenere le mani sopra alla tavola e mangiare
le vivande che gli danno quelle damigelle; imperò ch'egli ha l'unghie
tanto lunghe, che non potrebbe colle mani nè tenere nè pigliare alcuna
cosa; e quando si va a coricare, quelle damigelle lo spogliano, e così
quando si leva lo rivestono. La nobilità degli uomini di quello paese
è lasciarsi crescere l'unghie quanto possono; e sono molti nel paese,
che, tanto se le lascion crescere, che circundano tutta la mano: e
questo è tra loro gran gentilezza. E la nobilità delle donne loro si è
aver piccoli piedi: e per questo, come son nate, legono e piedi così
stretti, che non crescono la metà di quelo che doverebbono. Sì che
queste fanciulle cantono canzone mentre che e' mangia; e quando lui
à mangiato quela vivanda, ne portone un'altra, cantando a modo che di
prima; e così fanno per insino che à mangiato, e ogni dì fanno a questo
modo. E in tal modo usa costui la sua vita, come ànno fatto i suoi,
e come fanno gl'uomini dati all'ozio e al ventre e alla gola, e quali
sempre disutilmente vivono sanza fare alcuno bel fatto o altre opere
degne di laude e di virtù. O quanti ne sono oggi a lui simiglianti che
disiderano la vita solo per stare a riposo a grattarsi el ventre, come
fa el porco nella grassa! Egli ha molto bello palazzo e ricco, dove
si sta; del quale le mura circundano due leghe. Dentro vi sono be'
giardini: le sue camere e sale sono d'oro e d'argento, e nel mezo d'un
bel giardino si è uno monticello, ove è uno piccolo praticello, nel
quale è uno munisterio con torri e pinacoli tutti d'oro. Molte volte va
costui a questo munisterio, che non è fatto per altra cagione, se non
per diletto di costui.

Da questo paese si ritorna indietro per la terra del Gran Cane,
della quale io ò detto di sopra, però non bisogna c'un'altra volta
vi discriva, nè di quale si tenga conto. E sapiate, che di tutto quel
paese e di tutte quell'isole e diverse gente e diverse legge e fede,
ch'egl'ànno, le quali io ò scritto, niuna gente non è lì, la quale,
pur che abia ragione e intelletto, che non abia alcuno articolo della
nostra fede e alcun buon punto di ciò che noi crediamo, e che eglino
non credino in Dio, il qual fece il mondo, el quale egli chiamono
Hiretarze, ciò è a dire: Dio di natura, sicondo che dice il profeta:
_Et intuentur omnes fines terrae_; e altrove: _Omnes gentes servient
ei_ etc. Ma egli non sanno però perfettamente parlare di Dio padre, nè
del figliuolo, nè dello Spirito santo; nè sanno parlare della Bibbia,
e spezialmente del Genesis e degl'altri libri di Muises, de l'Esodo
e degli profeti, però che non ànno chi gl'insegni; sì che non sanno
se non di loro intelletto naturale. E' dicon bene, che le criature
ch'egliono adorono, non son punto Dio, ma egli le adorono per le gran
virtù che sono in quelle, le quali non vi poterebono esser sanza grazia
di Dio. Dei simulacri e idoli e' dicono, che non v'è alcuna gente, che
non abino idoli; e questo dicono, perchè noi abiamo le immagine e le
figure della nostra Donna e di molti altri santi che adoriamo noi; ma
e' non sanno, che noi non adoriamo punto le immagine di legnio, nè di
pietre, anzi e santi, a memoria de' quali son fatte; perchè, a modo
che la lettera dimostra a' litterati che è come si dee credere, così le
immagine e le pitture dimostrono alla idiota gente a pensare e adorare
e santi, a nome de' quali son fatte; però che 'l pensare umano ispesse
volte è invilupato per molte cose, per le quali e' dimenticherebono
di pregare Dio e nostra Donna e gl'altri santi, se le figure, fatte
a lor nome, non gli rendesson memoria. E dicono, che gli angioli di
Dio parlono a loro ne' loro idoli, e che e' fanno di gran miracoli:
e di ciò dicono vero, perchè negli idoli loro ve ne sono, ma sono due
ragione d'angioli, buoni e cattivi, come dicono e greci; _chalo bono
e caccho malo_, cioè: _chalo_ vuol dire _buono_, e _chacho_ vuol dire
cattivo; sicchè gli buoni angioli non sono negli idoli loro, anco vi
sono i malvagi e cattivi, per mantenergli nel loro errore.

Molti altri paesi diversi, e molte altre maraviglie sono di là, le
quali non ò già tutte vedute; e di quelle che io non ò vedute, non
saperrei propriamente discrivere; e nelli paesi propii, dove io
sono stato, molte cose diverse sono e strane, delle quali io non fo
menzione, perchè sarebe cosa lunghissima a ricontare il tutto, perchè,
se io iscrivessi tutto ciò che è ne le parte di là, chiunque poi si
afaticassi e travagliasse la persona per andare per le parte di là
cercando i lontani paesi, volendo racontare, o vero iscrivere delle
cose strane, si troverebe impacciato per la mia discrizione; però che
non poterebe nè dire nè contare cosa novella, della quale gli auditori
si potessino dilettare. E ancora dicesi: _Omnia nova placent_, ciò è a
dire, che tutte le cose nuove piacciono; sì che pertanto io farò fine,
sanza più ricontare delle cose strane e diverse che si truovono nelle
parte di là. E ciò che io ò scritto d'alcun paese, è tanto, che debbe
bastare. E sapiate, che quello che io ò scritto, si è la propia verità,
come se fussi il santo Evangelio, benchè saranno molti, che non lo
crederanno, ma lascio il giudicio ad altrui che voglia andare di là;
però che loro molte altre cose troveranno da scrivere, e vederanno se
io dico il vero o no[60].

FINITO IL LIBRO BELLISSIMO DI GIOVANNI MADIVILLA, RIDOTTO IN LINGUA
TOSCANA. Laus Deo omnipotenti. Amen[61].

Io Giovanni de Mandavilla sopradetto, il quale mi partì di nostro
paese, e passai el mare nell'anno di grazia 1322; e dipoi ho ricercato
molte terre e molti paesi, e sono stato in molta buona compagnia, et
ho veduto molti begli fatti, benchè io nonne faciessi mai alcuno nè
altro bene, del quale io debbi parlare, et ora al presente io sono
allo stanco riposo ritornato oltre a mia voglia, per cagione delle
gotti antiche. E per prendere alcun sollazzo nel mio tristo riposo,
ricordandomi del tempo passato, ho compilato e messo in iscritto le
sopra dette cose, secondo el meglio che ho potuto ricordarmi, nell'anno
di grazia 1357, nell'anno tregesimo quinto che io mi parti' di nostro
paese. E priego tutti quegli che qui leggieranno, se a loro piace,
voglino pregare Iddio per me, che io pregherrò per loro; e tutti
quegli che per me diranno uno Pater nostro, acciò che Iddio mi faccia
remissione degli miei peccati, io gli faccio tutti participevoli, e sì
gli conciedo parte di tutti gli miei peregrinaggi e di tutti gli buoni
fatti, e quali io feci e farò insino alla fine mia. E priego Iddio,
dal quale ogni bene discende e ogni grazia, che tutti quegli cristiani
che qua leggono o odono leggiere, che gli voglia adempiere tanto della
grazia sua negli corpi e anime loro, salve fare (_sic_), alla gloria e
laude di lui; il quale è trino et uno sanza cominciamento e sanza fine;
senza equalità buono, e senza quantità grande; in ogni luogo presente,
e in sè ogni cosa continente; il quale niuno bene può migliorare, il
quale è in trinità perfetta [e] vive e regna per ogni seculo e per ogni
tempo. Amen.


  FINIS: DEO GRATIAS.



INDICE.


  Di molti vari e diversi paesi che sono di
    là, e del monte Atalante, e della città
    di Trabisonda, dove giace santo Atanagio,
    e di molti reami di Barbaria                   Pag.  5
  Del castello di Sparveri, dove sta una bella
    donna de' doni di ventura, la quale dà, a
    chi fa la veghia VII. dì naturali,
    quello che 'l sa adomandare                     »    9
  Della montagna di Ararath, dove si fermò
    l'Arca di Noè, e della città di Laidenge,
    e della città di Thaurissa, e della abondanzia
    sua                                             »   12
  Della terra di Iob e della abundanzia d'essa,
    e come si ricoglie la manna, e della proprietà
    sua                                             »   16
  Delli ornamenti de' Caldei, e quali sono begli
    uomini, e le femmine sono brutte e
    mal vestite                                     »   17
  Del regno delle Amazone e de' lor costumi
    e usanza, e di Tramegitta, dove Alessandro
    Magno fece edificare Alessandria                »   19
  Di Etiopia, e come ivi sono genti di diverse
    maniere, perchè alcuni non ànno
    piedi, altri sono fanciulli e ànno canuti
    e capegli, e quando son vechi gli ànno
    neri                                            »   22
  Come si fa il cristallo, come nascono le
    perle, e come nascono e diamanti, e come
    crescono; e della virtù e proprietade
    sua, e come e' perdono la virtude, e come
    si conoscono e buoni da' cattivi                »   23
  Di India e della diversità della gente che
    vi si truovono; e de l'isola di Oriens;
    e de l'isola di Canna, dove si fanno diverse
    adorazione, e la ragione perchè
    fanno questo; e perchè non sotterrono
    e loro morti                                    »   29
  Come nasce il pepe e come si coglie, e di
    quante maniere di pepe si truova, e che
     modo si tiene per li serpenti che ivi
    stanno                                          »   35
  D'una fonte che à sapore d'ogni spezie,
    e della sua virtù                               »   37
  Come in questo paese fanno sacrificio dei
    propii figliuoli, e come, morto el marito,
    la moglie s'abrucia con lui insieme             »   39
  Degli idoli di questa gente e della grande
    divozione ch'egli v'ànno                        »   41
  Dell'isola Lamori e della gente che ivi abita,
    e la ragione perchè vanno nude;
    e come mangiono carne umana, e quanti
    gradi è tutto il firmamento                     »   46
  D'uno che andò cercando el mondo e ritrovossi
    in paese, dove e' si parlava in
    sua lingua                                      »   52
  Della grandeza di tutta la terra                  »   54
  Dell'isola di Simbor, dove gl'uomini e le
    femine si fanno segniare nella fronte con
    un ferro caldo per gentileza; e dell'isola
    di Botegon                                      »   58
  Dell'isola di Gianna, e delle cose che ivi
    nascono, e della possanza di questo Re,
    e del suo palazo, el quale è una cosa
    molto stupenda                                  »   59
  Dell'isola di Patem, dove sono alberi che
    fanno farina; altri fanno vino, altri fanno
    mele, e altri veleno; e d'un certo lago,
    nel quale nascono canne che ànno nella
    radice pietre preziose                          »   61
  Dell'isola di Talanoch e del suo Re e della
    possanza sua, e degli elefanti, i quali lui
    tiene per sua difesa; e di due altre cose
    maravigliose che vi sono                        »   63
  Qui si fa menzione d'una gran maraviglia,
    del pescie che si gitta alla riva di questa
    isola                                           »   64
  Dell'isola di Raffo, ove dànno gl'uomini
    a mangiare a gl'uccegli                         »   67
  D'una altra isola chiamata Mulca, dove
    sono cattivissime gente che beono sangue
    d'uomo; e dell'isola che si chiama
    Tracondia, dove son gente che non parlono,
    ma sibillano                                    »   68
  Dell'isola Ongamara, dove son gente che
    ànno teste di cani, che si chiamono Cenofali,
    e della giustizia del suo Re                    »   69
  Dell'isola di Silla, e di molte strane e diverse
    nature d'animali che quivi si truovono          »   71
  Dell'isola di Dondina, dove e' mangiono
    l'uno l'altro, quando non possono scampare;
    e della possanza del loro Re, il
    qual signioregia LIIIIº. isole; e di molte
    maniere d'uomini, i quali abitono in queste
    isole                                           »   73
  Del reame di Mauri ch'è molto buono e
    grande, e delle maniere e costumi di
    quelle gente                                    »   78
  Della grande città di Cassaga e delle sue
    maniere                                         »   81
  Della città di Chilafonda, e della terra
    delli Pigmei e della statura loro               »   83
  Della città di Iancai, e della città di Menca,
    e delle loro richeze e usanze                   »   85
  Dell'isola di Catai, e delle città che ivi
    sono, e del palazo del Gran Cane, e delle
    sue magnificenzie                               »   87
  Perchè si chiama el Gran Cane e di cui discese,
    e del nome de' sette linguaggi di
    Barberia                                        »   96
  Del titolo del Gran Cane, e del governo
    della corte sua quando si fa festa, e delle
    maniere de' baroni che servono a tavola,
    e delli savi che vi sono, e di molte altre
    cose mirabile e stupende                        »  106
  Della maniera del Gran Cane quando lui
    cavalca, e di coloro che cavalcono seco,
    e della signioria e gran possanza sua           »  118
  Del modo che osservono e corrieri sua in
    portare presto le nuove, e delle cose che
    si fanno al Gran Cane quando cavalca
    per lo suo paese                                »  120
  Del modo del sacrificare loro, e de' nomi
    dei figliuoli del Gran Cane                     »  125
  Delle cose che e' tengono per pecato e
    della penitenzia che gli conviene fare per
    questi peccati, e del modo ch'egli tengono
    a presentare il Gran Cane                       »  126
  Del modo che servono quando muore lo
    imperadore in sotterrarlo, e del modo
    che tengono quando ne fanno un altro, e
    delle parole che lui dice alla eletta           »  131
  Della città di Corasina, e di molti paesi
    strani                                          »  134
  Dell'imperio di Persia, e delle cittadi che
    ivi sono                                        »  136
  Del reame di Giorgia, e del reame di Abthas,
    e della provincia di Bonavison,
    nella quale è una cosa molto maravigliosa,
    e delle gente che ivi abitono                   »  138
  Della Turchia e delle province che vi sono,
    e di Caldea, di Mesopotamia, e di molte
    cose che lì si truovono                         »  141
  Del paese di Cadissa e delle cose che ivi
    nascono, e delli monti Caspi, nei quali
    sono rinchiusi e Giudei, e di molte altre
    cose                                            »  144
  Della terra di Bacaria, e di certe arbore
    che fanno lana; e della grosseza del
    Grifone, e d'altre cose che lì sono             »  149
  Della possanza del prete Giovanni, e delle
    gente e nazioni e reami che gli sono
    sotto posti, e del camino che si fa per
    andare ivi, e delle richeze e pietre preziose
    che sono in quelle parte                        »  150
  Del modo che tiene il prete Giovanni quando
    cavalca contra' nimici, o vero per la terra;
    e del palazo suo, e de l'ornamento
    della sua camera                                »  155
  Delli servidori del prete Giovanni, e del
    modo che loro tengono in servirlo               »  158
  D'una isola chiamata Milscorach, nella
    quale stava uno uomo molto cauto, che
    aveva fatto uno Paradiso; e delle cose
    maravigliose ch'erano in questo Paradiso,
    e come fu distrutto costui                      »  159
  Della valle pericolosa, dove stanno diavoli,
    e delle cose paurose che si truovono in
    questa valle pericolosa                         »  163
  Di due isole, nelle quali abitano giganti
    di grande stature, e femmine terribile
    come el basilisco                               »  170
  D'un'altra isola, e della usanza che tengono
    in isposare le lor moglie, e perchè
    non dormono la prima notte con loro,
    ma e' vi dorme un altro                         »  172
  D'un'altra isola, e della usanza che ànno
    quando nasce uno e quando muore, e del
    Re di costoro, e della buona giustizia
    che s'osserva in questo paese                   »  173
  Come nasce el cotone, e di molte altre
    cose maravigliose e stupende che sono
    in questi paesi                                 »  176
  Dell'isola di Bragmani, e de la lor buona
    vita, e d'una legiadra lettera, la qual
    mandorono ad Alessandro Magnio                  »  179
  Di due altre isole, cioè Mesidrata e Genosaffa,
    ne le quali fu profetizato la incarnazione
    del figliuol di Dio; e d'una
    gentil risposta qual feciono ad Alessandro
    Magno                                           »  183
  De l'isola di Fracan, dove le gente vivono
    del solo odore de' pomi salvatichi, e d'una
    altra isola, ove sono le gente pilose           »  187
  Degli arbori del sole e della luna, e della
    cagione perchè si chiama prete Giovanni         »  188
  Dell'isola Tabrobana, dove sono due state
    e due verni, dove i lor giardini sempre
    sono verdi                                      »  191
  Dell'isola Orilla, e di Arguta, ne le quali
    son grandi tesori e ben guardati, e del
    modo che si tiene a aver del detto tesoro       »  192
  Del paradiso terreste e de' fiumi che escono
    di quello                                       »  194
  Dell'isola di Caisam, ch'è molto grande
    e buona, e de la usanza che tiene il figliuol,
    morto il padre, in questo paese                 »  199
  D'uno uomo molto rico, e de lo stato suo,
    e della conclusione del libro che fa l'autore   »  202



EMENDAZIONI AL SECONDO VOLUME.


  Pag.  lin.

    5.    7   el viaggio               el magnifico.[62]
   30.   14   mercatanzie In questa    mercatanzie. In questa.
   59.    3   di genti, e perchè       di genti: e perchè.
   74.   25   la bocca, per torgli     la bocca per torgli.



NOTE:


[1] Qui i codd. leggono invece el _magnifico_.

[2] _e disse che se egli era eretico che ciò credeva; e perchè gli
articoli di detto salmo erano buoni, però così credeva_. Così il cod.
Ricc. Il Magliab. e le stampe leggono altresì confusamente come sopra.

[3] Qui il cod. Magl. è mancante: mi valgo del Riccardiano e delle due
edizz. del 1488 e 1492.

[4] Qui rientra il cod. Magl.

[5] Manca, come altrove.

[6] Così i codd. e le stampe: forse _lingnaggio_.

[7] Qui pur manca, come altrove.

[8] Il cod. Magl. e le stampe leggono: _fu uno Re nel paese e abitarono
insieme con uomini maritati, come si fa altrove_. Sembrami che la lez.
sia difettosa in tutti e quattro i testi.

[9] Così amendue i codd. Nella stampa del 1488 manca _si imbrodono
cioè_.

[10] Il cod. Ricc.; _di mari_: il Magl. e le stampe leggono _di mai_ e
_di may_.

[11] _e nissuno è di grandeza d'una fava_: cod. Magl. e ediz. del 1488.

[12] _perle fine, le quali si conceranno e ingrosseranno della
rugiada_: cod. Ricc.

[13] _in pace e in guerra_: cod. Magl. e st.

[14] Il cod. Ricc. legge: _a se l'agulia, e sopra di quella pietra si
mette il diamante, e poi se gli presenta l'agulia; e se 'l diamante è
vero e virtuoso, mentre che 'l diamante è presente, mai la calamita non
tirerà l'agulia, se la calamita non fussi troppo grossa._

[15] Così il cod. Magl. e le stampe: la lez. del Ricc. legge come
segue: _et è proprietà di via e di camminare per diverse vie e cercare
cose strane_.

[16] Cioè _tralci_.

[17] In signif. di _forma_.

[18] Così il cod. Magl. e le stampe: il cod. Ricc.: _et è lo Adabo de'
falsi cristiani_.

[19] Qui vien meno per tutto il Capitolo il cod. Riccardiano: noterò
più innanzi dove rientra.

[20] Qui rientra il cod. Riccardiano.

[21] così il cod. Magl.: il Ricc. legge _tornature_, e la stampa del
1488 _tornate_.

[22] Così i codd. e le stampe: forse _mare_.

[23] Il cod Ricc. _Machumaram_: il cod. Magl. e le stampe, come sopra.

[24] Così i codd. e le stampe: sinc. di _sanguisughe_.

[25] Così il cod. Magl. e le stampe. Il Ricc. _che pare che venga dagli
nuvoli e pare che egli voglia coprire tutta la terra_.

[26] _per la bontà del paese in questo paese_: cod. Magl.: _per la
bontà sua. In quello paese_: cod. Ricc.

[27] Il cod. Magl. legge: _e ànno una grossa bocca sopra la testa e
sono nove volte_. Anche le antiche stampe recano _una grossa bocca_.

[28] Cod. Ricc. _Utria_: edizz. ant. _Udria_.

[29] Così il cod. Magl. e le stampe. Il cod. Ricc. ha invece. _Passando
per quello paese per più giornate è una città_.

[30] Il cod. Magl. legge _compassi_, come altresì hanno le stampe: nel
Ricc. manca.

[31] Nota qui usato _piffero_ per suonatore di _piffero_: i
vocabolaristi non ne adducono che un solo es. tratto dalla _Vita di
Benvenuto Cellini_.

[32] Il cod. Ricc, ha variatamente _Chiamgnus_ e _Chagnus_.

[33] Così il cod. Magl. o le stampe. Nel cod. Ricc. varia la lez. nel
modo seguente: _che eglino oservassino a tutto quello che egli aveva
detto e ordinato, e che in quell'ora, e dipoi eglino rimanessino
contenti di ciò che egli gli farebbe di sua grazia: et eglino
dissono, ch'erano, e sarebbono presti a ubbidire e fare tutti e sua
comandamenti_.

[34] Il cod. Ricc. qui ed altrove legge sempre _Magno_: forse meglio.

[35] Così il cod. Magl. e le stampe: il Ricc. ha _le terre_.

[36] Da _Intronizzare, Mettere in trono_. Del verbo, niuno es. cita il
vocab.; dell'add. un solo, tolto dalle _Rime di Alessandro Allegri_.

[37] Il cod. Ricc. legge: _e gli valletti e' famigli_.

[38] Così i codd.: forse _patirebbe troppo caldo_; o _proverebbe troppo
caldo_. L'ediz. del 1488 legge _perebbe_.

[39] Così i codd. e le stampe.

[40] _E dico che sotto il firmamento non è sì gran Signore_: cod. Ricc.
_Sotto il firmamento nè in terra_ ec. cod. Magl.

[41] _sanza el suo primogenito, de' quali e nomi loro sono questi:
Chadai, Balach, Rabilan, Sare, San, Vrin, Neagu, Vocab, Cadi, Sidan,
Turen_. Cod. Ricc.: le stampe: _Cahadai, Vinim, Nengu, Vocab, Cadi,
Sidam, Tulem, Soalach, Rabbi, Can, Gare, Gan_.

[42] La stampa del 1488 legge _arectare_.

[43] Il cod. Magl. e le stampe: _salvo che arte di seta e armi_.

[44] Nota _laveggio_ in signif., pare a me, di quello stanzino ove si
lavano e si ripongono le pentole, le tegghie, i piatti ed ogni altra
sorte di stoviglie: chiamasi oggi da alcuni lo _acquario_, da altri lo
_scaffale_ e da altri il _secchiaio_.

[45] Il cod. Magl. legge carriera: le stampe _cadrega_, forse per
_carega_.

[46] _ma non è molto largo_: cod. Ricc.

[47] Così i codd.: le stampe _polmetta_: intendi _uno palmite_, cioè
_un tralcio_.

[48] Cod. Ricc. _nè rocca d'alto mare_.

[49] Così i codd. e le stampe.

[50] Il cod. Ricc. _da più di 1000 uomini_ ec. Le stampe: _da più di
cento millia cavaleri da cavallo_, o _da cento millia homini da pè_.

[51] Questi è il famoso _Veglio della Montagna_, di cui parlarono
eziandio Marco Polo e il beato Odorico ne' loro Viaggi, e da cui il
Boccaccio trasse argomento della sua Novella 8. Giorn. III.

[52] Ediz. del 1488: _la valle di fontana_.

[53] Nota avver. efficace, detto in sen. fig. per _acutamente,
sottilmente, in modo assai penetrante_ e che offende. Registrasi nel
Vocab. in signif. prop. soltanto, e senza es.

[54] _Spulzellare_ o _spulcellare_ per _isverginare_ citasi nel
Vocabolario, ma senza veruno esempio.

[55] Così i codd. e le stampe.

[56] Ne' testi moderni della Scrittura venner tolte via le parole _nec
discernit inter judeos et gentiles, sed omnis_.

[57] Il cod. Ricc.: _un'altra isola grande, chiamata Pichon, la gente_
ec.

[58] Le parole _come cani grandi_ si leggono soltanto ne' due testi
a penna. Nell'edizione del 1488, che ho qui sotto gli occhi, dicesi
semplicemente _e sono grandi_: onde per verisimiglianza sarà da
preferirsi la lezione della stampa a quella de' manuscritti.

[59] Il cod. Riccardiano à il segu. brano per soprappiù: _et etiam per
gli luoghi tenebrosi che vi sono molti. E per acqua non vi si potrebbe
andare, perchè non vi sono altre acque marine, se non gli sopradetti
fiumi per gli quali per modo alcuno non si potrebbe andare nè navicare,
perchè corrono e discendono così forte e impetuosamente e con onde sì
grandi, che niuna nave vi potrebbe andare: eglino fanno tanto romore
e menano tanta tempesta e stridore per gli alti e aspri sassi, onde
discendono, che benchè si gridassi forte, niente nelle navi l'uno non
potrebbe intendere l'altro_.

[60] Cod. Ricc. _di là in quelle parti, però che molte cose troveranno
ancora a scrivere, delle quali io non ò fatto menzione_.

[61] Fin qui il cod. Magl.: quel che seguita appartiene al Riccardiano.

[62] Colla scorta delle stampe prescelsi _el viaggio_ al _el
magnifico_ de' codd., che posi in nota. Ora considerato per bene
la diversità dalla lez., sembrami si debba anteporre la lez. de'
mss., come più consentanea alla mente dello scrittore. Secondo che
chiaramente apparisce, _magnifico_ qui è posto sostantiv. e ha forza di
_magnificenza_.



Nota del Trascrittore

Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute,
correggendo senza annotazione minimi errori tipografici. Le correzioni
("Emendazioni") indicate a fine libro sono state riportate nel testo.





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