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Title: Le seduzioni - Le vergini folli
Author: Guglielminetti, Amalia
Language: Italian
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*** Start of this LibraryBlog Digital Book "Le seduzioni - Le vergini folli" ***


                         AMALIA GUGLIELMINETTI


                              LE SEDUZIONI

                            LE VERGINI FOLLI


                   _Con prefazione di_ G. A. BORGESE

                              18º MIGLIAIO



                             TORINO-GENOVA
                        S. LATTES & C., EDITORI



                          PROPRIETÀ LETTERARIA

               TORINO — Tipografia VINCENZO BONA (13881).



UNA POETESSA


_Saffo dalle chiome di viola. Chi se l'immagina rediviva? I secoli
l'hanno circonfusa in una nebbia leggendaria di ardente impurità.
Immaginate dunque il suo spirito riemerso dall'onda Egea, trasmigrato
verso un'ansimante metropoli moderna, vestito un'altra volta di membra
giovanili e di panni che non ondeggiano intorno al libero corpo, come
il peplo della fanciulla greca, ma lo stringono dentro una morbida
guaina, come la moda di Parigi comanda. Non passeggia, circondata
di alunne e coronata di fiori, sul margine delle rupi ascoltando
il singulto del mare, ma solitaria e frettolosa, sepolta nell'ombra
dell'immenso cappello piumato, sguscia nel trambusto crepuscolare della
città rosseggiante sotto le lampade appena accese, prestando orecchio
al confuso romorio delle cupidigie che si risvegliano nell'ombra.
Brutta, come Giacomo Leopardi la pensò, ed amorosa della morte perchè
respinta da un crudele Faone? No. Leopardi cercava ingenerosamente,
per consolarsi, una compagna della sua miseria. Se gli occhi foschi
e profondi di Saffo rediviva sogguardano dalle palpebre reclini,
tutta la figura s'accende in un improvviso lampo di bellezza. Ma,
se in fantasia l'accecate, se per un momento la considerate come una
statua diserta dalla luce della sua passione e del suo dolore, ecco vi
sorprende in quella femminilità non so che di troppo rude e mascolino
ed aspro. Forse troppo larghe e potenti le mascelle, forse troppo secca
e diritta la sagoma dall'occipite al tallone e troppo lunghe le dita
ed un po' roca, come per un fremito perenne, la voce. Bella, ma di
una bellezza aspra e funesta; immagine di nemica formidabile sebbene
inerme, che soffre ella medesima della sua ostile solitudine, ma pur
non sa piegarsi, e non vuole, ad amare come gli uomini vogliono essere
amati. Abbandonandosi, minaccia; abbracciando, respinge. Ha un sorriso
di felicità che sembra ghigno di scherno; se promette la fedeltà la sua
promessa trema sulle labbra con la febbrile vibrazione della colpa.
Non nasconde uno stiletto nella manica sinistra? E Faone non l'ama,
quantunque ella lo cerchi con smisurato ardore. Ha paura. Non dello
stiletto, ma dell'ardore con cui la donna l'ama. Preferisce le facili
galanterie o i sonnolenti vincoli matrimoniali a questo vortice di
fiamma, ove l'anima sua s'incenerirebbe. Passa oltre, desiderando e
tremando. E passa oltre anche Saffo, non per osare il salto suicida
dalla rupe di Leucade, ma per cantare, irridendo, un canto di selvaggia
sfida e di crudele impudicizia._

_Io non so, nè credo che a questa immaginazione corrisponda la persona
di Amalia Guglielminetti. Io parlo della sua poesia. In una incredibile
concentrazione fantastica, questa fanciulla ha vissuto la vita della
peggiore femmina moderna; amante, attrice, adultera, cortigiana. Essa
ha letto, al chiarore perverso d'una lampada incerta, i grandi romanzi
francesi._

    _Romanzi letti con anima piena_
    _di febbre, a notte, mentre in ombre il lume_
    _ripeteva negli angoli ogni scena._

    _L'amata emersa dalle trine a spume_
    _e l'amante a' suoi piedi, ebbro di lei,_
    _si sprigionavan molli dal volume._

    _Illanguidiva i suoi grand'occhi rei_
    _smaniosa d'amar la Bovary,_
    _o con la barba a punta e con i bei_

    _denti rideva fatuo Bel-Ami._

_Ed ecco la lettrice si trasfigura in protagonista. Che cos'è la donna
vera e vivente? Una costola strappata dal fianco di Adamo. Essa è la
materia plastica, nella quale la volontà mascolina si foggia la figura
visibile del suo desiderio. Ester, Medea, Alceste, Lalage. Beatrice,
Laura, Francesca. Ogni grande poeta ha fabbricato nella solitudine del
suo sogno il simulacro dell'amore e della bellezza, perchè le donne
viventi gli s'affollassero con ansia dintorno imitandone le fogge ed
i modi. Sanguinaria e frodolenta affermatrice del sesso e della razza
nei libri biblici, crudele dominatrice, “urna di tutti i mali„, nella
primitiva immaginazione greca, sale o decade alla funzione di schiava
domestica in Roma, che fila la lana incuriosa degli intellettuali
splendori in cui folgoreggiano le venali nipoti di Aspasia. Le figure
contraddittorie della superdonna, della sposa e della cortigiana
s'incrociano ancora indecise nell'antica poesia, ma le letterature
moderne si dividono nettamente il còmpito. Sorge in Italia la donna
angelicata, la radiosa creatura di perfezione che “al ciel conduce„,
e si chiama Beatrice, ma subito dopo s'umanizza alquanto in madonna
Laura. Rimane ai tedeschi l'eredità di Giuditta, di Medea, perchè
l'indomabile e perfida eroina rinasca nella Crimilde dei Nibelunghi e
seicent'anni dopo generi un'intera prosapia di meravigliose criminali
nell'opera di Hebbel è di Ibsen, cui non da lontano somiglia quella
di Wagner. La pura e devota compagna dell'uomo soffre tessendo corone
di disperata fedeltà nel dramma e nel romanzo inglese; mentre la
letteratura francese, sviluppando l'esile germe che Catullo aveva
deposto nelle sue tenere ed irose odicine a Lesbia civetta e bugiarda,
dimentica le sottili smancerie di Gianfredo Rudel, seppellisce le
taciturne e pazienti compagne dei paladini, ed elabora alla perfezione
quella che per antonomasia si chiama la donna moderna: quella che
Molière inventò in Climena per vendicarsi della moglie, quella che si
chiama Jacqueline in De Musset e Michelle de Burne in Maupassant, che
percorre col nefasto fruscìo delle sue sete la scena di mille drammi
e di mille romanzi e strappa come gocce di sangue le rime al cuore di
venti poeti lirici. Questa donna non ha ancora trent'anni, ma li ha
quasi, è ricca ed ha un marito ricco, non è bella, ma splende di una
grazia irregolare e capricciosa, non ama, ma si dà; non abbandona,
ma tradisce. Non sposa e non cortigiana, non dominatrice nè schiava,
ma semplicemente anarchica, essa è la donna libera nella famiglia
costituita, la creazione più singolare della Francia, un incomparabile
strumento di piacere, un inimitabile oggetto di lusso, un detestabile
arnese di tortura. Bergeret l'ha chiamata “la parigina„. Essa è
parigina di nascita ed è il segreto e palese tormento di tutte le
provinciali, francesi od italiane che siano._

_Quando le donne si riconobbero in madonna Laura, ne vennero fuori i
sonetti di Vittoria Colonna e di Gaspara Stampa; quando si riconobbero
nelle candide spose shakespeariane, germogliarono le rime di Elisabetta
Barret-Browning. Ma nessuna ebbe il coraggio di proclamarsi l'eguale
di Beatrice Portinari. Ci voleva troppo orgoglio. E nessuna fin'oggi
aveva osato di foggiare la sua femminilità secondo il modello della
_Parigina_ di Becque. Era anche più arduo, perchè l'orgoglio non
bastava senza un'inconcepibile dose di umiltà, essendo la donna
francese una creatura dell'amore e del disprezzo degli uomini._

_Ecco ora Amalia Guglielminetti. La protagonista di _Notre Cœur_, ma
più sensuale ed ardente, è uscita dalle pagine del romanzo, è divenuta
poetessa, si canta e si confessa da sè, quale Guy de Maupassant invano
l'amò. Poetessa di qual valore? Evitatemi la pena di tentare una
comparazione. Costei è un'artista di tale strepitosa forza che bisogna
lasciarla sola._

_Le _Seduzioni_ sono il romanzo autobiografico di questo tipo ideale
di donna moderna. Romanzo senza intreccio; tutto quanto di momenti
psichici, fissati in una settantina di strofe, ciascheduna di tredici
versi ordinati in terzine._

_La protagonista vive nel suo sogno di folle giovinezza, solitaria e
superba, senz'altra gioia fuor di quelle che ad ogni ora le finge la
sua voluttuosa immaginazione. Non vale piangere, v'è la Giovinezza, sua
unica amica che l'accompagna e la consola._

    _Tenti la lode e mormori: — Sei bella!_
    _e scherzi: — Hai sui capelli una corona..._
    _e m'accarezzi come una sorella_

    _finch'io non ti sorrida: — E tu sei buona!_

_Altre volte ella ha cantato pene d'amore, nei _Canti della
Giovinezza_, nelle _Vergini Folli_, che attraverso l'aspra fatica del
sonetto, in cui l'alunna di Vittoria Alfieri tormentava la sua cocciuta
libertà subalpina desiderosa di classici freni, trasparivano i primi
segni della futura perfezione. Aveva cantato la sua pura passione._

    _Io piangevo così note d'amore_
    _come la cieca in sul quadrivio, volta_
    _al sole, canta il suo buio dolore_

    _e non s'avvede che nessun l'ascolta._

_Ora non più; non più l'amore, ma l'indifferente ed ostile desiderio.
La Primavera l'ha guarita:_

    _Scossi da me l'antico e il nuovo danno_
    _e balzai, folle di desii fugaci,_
    _incontro al riso d'ogni bell'inganno:_

    _gli risi coi notturni occhi: — Mi piaci!_

_Conosce ora il fascino degli occhi ignoti, che abbagliano con un
vorace sguardo, conosce la gioia di mutare il vecchio laccio corroso
con un nuovo laccio di fiori, e gli sguardi che son “come mani
d'amanti, indugianti ignude entro un tesoro di feminee chiome„ e il
silenzio adescante dei parchi solitarii e la tentazione delle gemme
esposte nelle vetrine abbarbaglianti. Conosce la mano virile “lenta
in ogni suo gesto, ma febbrile nella carezza quasi da far male„ e
l'ebrietà dei profumi e la mollezza dei frutti rari e la frenesia del
lusso e la soavità delle morbide stoffe iridate:_

    _So l'ombra delle piume in cui la faccia_
    _s'imbianca d'un languor di passione_
    _in cui la bocca bella, benchè taccia,_

    _parla parole di seduzione._

_Sente il calore soffocato delle voci che chiamano dall'ombra,
l'oscura nostalgia delle sere cittadine, il piacere di sferzare
l'orgoglio dell'amante, l'impura gioia di concedersi per carità.
Ecco, una donna incrocia col passo lento dei due amanti la sua
rapidità leggera, e li saetta di sotto il ciglio basso. Egli segue
con l'occhio e col desiderio la passante, ed esclama: _Com'è bella!_
Essa lo lascia di scatto con un gran riso “d'ilare odio e di pietà
beffarda„. Conversazioni astiose, congedi improvvisi, paci torbide,
gelosie iraconde, menzogne voluttuose, capricci malvagi, avventure
_sans lendemain_, ansie per la giovinezza che fugge, ricordi trepidi
della purità conventuale, convegni notturni e letture proibite,
desiderii dell'ignoto e languide convalescenze, segreti intimi e sogni
inconfessabili: tutto il triste ed arido ed infecondo arrovellio d'una
bella donna senza religione e senza cuore passa fissato in quadri di
un'accecante intensità e d'una stupefacente bellezza d'arte:_

    _Io non so chi tu sia: so che una sera_
    _noi ci gettammo l'anima negli occhi_
    _con l'impeto di chi brama e non spera._

    _La ripigliammo cauti, quasi tocchi_
    _da un dubbio, e ancora la scagliammo a segno_
    _come la freccia cui convien che scocchi._

    _Senza accostarci, senza altro disegno_
    _che quello di guardarci ebbri d'amore,_
    _ma disgiunti da un qualche aspro ritegno._

    _Così il male durò. Più tentatore_
    _d'allora, a tratti, il tuo volto m'abbaglia._
    _Curiosità di te mi punge il cuore,_

    _desiderio di te me lo attanaglia._

_Mi dispiace il verso, retorico e convenzionale, che ho sottolineato;
ma, nel rimanente, la passione convulsa è costretta dentro argini di
tale granitica solidità, che i poeti, non le poetesse, son pregati
d'imitare, se sanno. E così è tutto il resto; quando la protagonista
legge l'ultima lettera d'amore:_

    _Balenan lampi nelle ciglia chine_
    _della lettrice, e quando un mal represso_
    _desio irrompe in parole ebbre alla fine,_

    _ella ne freme come d'un amplesso;_

_e quando nelle vie crepuscolari segue, quasi invidiando, la cortigiana
imbellettata; e quando ripensa alle glorie ed agl'innumeri amori delle
attrici, e quando, deridendo un corteggiatore troppo timido, riepiloga
in quattro versi adamantini il suo glaciale disprezzo per se medesima e
per il suo sesso:_

    _Ciascuna donna è come una via nuova_
    _che alcun percorra in notte senza luna:_
    _molte sorprese il passegger vi trova;_

    _ma le affronta affidato alla fortuna._

_Pari e patta: anche una donna può considerare gli uomini come vili
strumenti di piacere:_

    _Poichè, se alcun le sue treccie ha disfatte_
    _od impresse d'un morso la sua gola,_
    _o lasciò le sue labbra più scarlatte,_

    ella è pur sempre quella che va sola.

_Con questa feroce dichiarazione si conchiude il poema. Al quale
seguono taluni sonetti, più duri, più faticosi, meno precisi,
lampeggianti anch'essi di tali bellezze che basterebbero da soli a
rivelare un artista di prim'ordine; ma che, pubblicati in coda al
poema, impallidiscono. Viceversa, non vale la pena di accennare alle
strofe deboli e sbagliate che s'incontrano qua e là come isole di
pigrizia in questo lucido fiume di poesia. Trapiantate in un mediocre
volume di versi, le cose brutte della Guglielminetti vi farebbero
esclamare balzando dalla seggiola: c'è qualcuno qui dentro._

_Annie Vivanti? Ma Annie Vivanti scherza col peccato, e si diverte
un mondo a piroettare con biricchina indecenza per scandalizzare
i seminaristi. Annie Vivanti è licenziosa; ma l'impudicizia della
Guglielminetti è rigidamente vereconda. Perchè la corruzione fatta
d'immaginazione più che di costume, e non di costume, è tragica,
non è frivola. Annie Vivanti somiglia ad Olindo Guerrini; Amalia
Guglielminetti somiglia alla cupa sensualità di d'Annunzio.
Intendiamoci bene: somiglia a d'Annunzio per la materia. Ha letto
l'_Intermezzo_, il _Trionfo_, la _Laus Vitae_ (ricordate? “altre,
pallide e lasse, — riarse d'amore sino — alle midolle — perdute il
cocente — viso entro le chiome — con le nari come — inquiete alette,
— con le labbra come — parole dette, — con le palpebre come — le
violette„). Anch'ella adora le quattro divinità celebrate nella _Laus_:
Volontà, Voluttà, Orgoglio, Istinto. E nessun'altra. Gli somiglia pure
nella forma, perchè la Guglielminetti, italianissima e classicissima,
così classica che pare impossibile in una donna tanta precisione
d'immagine, di parola e perfin d'ortografia, si ricollega al più
recente maestro. Ma gli somiglia, a mo' d'esempio, come d'Annunzio
somiglia a Carducci: per parentela di discepolo a maestro, non per
identità d'imitatore a modello. La sua vorticosa originalità ha
inghiottite ed eliminate tutte le influenze. E ne è balzato alla luce
un miracolo di poesia._

_La forma del verso, del periodo, della terzina è, se volete, un po'
troppo generica ed accademica; perfin troppo perfetta. Questa è la
principale colpa della Guglielminetti. Ma l'anima che vi spira dentro
è tutta sua e tutta nuova: l'amarezza del piacere, il fremito penoso
del desiderio instancabile, la fosca penombra del sogno illecito non
trovarono mai una espressione così austera nella sua impudicizia, così
solenne nella sua futilità. Verranno i moralisti e le caste amiche a
lamentarsi che tanto ingegno non sia messo al servizio del pudore e non
produca libri da additarsi a modello di “composizione italiana„ negli
educandati. La Guglielminetti non perderà il tempo a rispondere che
la lascivia pornografica e ridanciana può essere indegna dell'arte,
non la lascivia passionale, che, essendo dolorosa, esce purificata
dalle sue stesse fiamme. Non ripeterà l'oziosa autodifesa di Marziale:
_lasciva nobis pagina_... — i nostri scritti sono impudichi, la
nostra vita è pura — ; poichè l'opera d'arte dev'essere accettata o
respinta com'opera d'arte, e non malignamente travisata in un documento
autobiografico._

_Essa è ben degna di riconoscere se medesima e di percorrere la sua
via._

                                                       G. A. BORGESE.

  Da “_La Vita e il Libro_„. Editore Bocca. Torino.



LE SEDUZIONI

LE VERGINI FOLLI



LE SEDUZIONI



QUELLA CHE VA SOLA


le seduzioni

      Colei che ha gli occhi aperti ad ogni luce
    e comprende ogni grazia di parola
    vive di tutto ciò che la seduce.

      Io vado attenta, perchè vado sola,
    e il mio sogno che sa goder di tutto,
    se sono un poco triste mi consola.

      In succo io ho spremuto ogni buon frutto,
    ma non mi volli sazïare e ancora
    nessun mio desiderio andò distrutto.

      Perciò, pronta al fervor, l'anima adora
    per la sua gioia, senza attender doni,
    e, come un razzo in ciel notturno, ogni ora

    mi sboccia un riso di seduzïoni.


dolcezze

      Questo m'abbaglia un attimo e scompare,
    disperso in lieve polverio di fuoco
    che cade dietro i monti o dentro il mare.

      Solo una meraviglia di bel gioco
    e uno sprazzo di luce entro i miei occhi
    ne resta, che si spegne a poco a poco.

      Ma sembrami talora che mi tocchi
    una mano leggiera e di dolcezza
    viva l'anima chiusa mi trabocchi.

      E se cerco chi mai quella carezza
    tentò nell'ombra con la man furtiva,
    sorprendo la mia folle giovinezza

    che sorridendo, muta, mi seguiva.


la giovinezza

      Giovinezza, a te sola io m'accompagno.
    Tu sai tacere quando son serena,
    sai parlare quand'io aspra mi lagno.

      Sai ammonirmi con la voce piena
    di blandizia: — Ma piangere che vale?
    Meglio cantar con voce di sirena.

      Mi baleni negli occhi un riso eguale
    al tremore d'argento d'una stella,
    meravigliando d'ogni mio gran male.

      Tenti la lode e mormori: — Sei bella!
    e scherzi: — Hai sui capelli una corona...
    E m'accarezzi come una sorella

    finch'io non ti sorrida: — E tu sei buona!



CIÒ CHE FU


l'antico pianto

      Quindi prosegua per cammini ombrosi,
    a fior di labbro modulando un canto
    che per me l'altra notte mi composi.

      Poichè talor non piango io il mio pianto,
    lo canto, e qualche mia triste canzone
    fu come il sangue del mio cuore infranto.

      Tempo fu che le mie forze più buone
    stremai in canti a' piedi d'un Signore
    che m'arse di ben vana passïone.

      Io piangevo così note d'amore,
    come la cieca in sul quadrivio, volta
    al sole, canta il suo buio dolore

    e non s'avvede che nessun l'ascolta.


l'antico desiderio

      Seduzïone più d'ogni altra forte,
    prima d'ogni altra e più cruda fu quella
    per cui l'invito io ti sorrisi, o Morte.

      Per cui il desiderio che flagella
    la prima volta, sgomentò di muto
    stupor la mia verginità novella.

      E mi conobbi mani di velluto
    per le carezze lunghe, e per i nomi
    cari una voce dolce di lïuto.

      E sentii nella mia bocca gli aromi
    d'un frutto al morso cupido maturo.
    Ma l'acre impurità de' sensi indomi

    mortificai con il mio orgoglio puro.


l'antico male

      Mortificai la mia anima schiava,
    ma sotto cruda sferza di sarcasmi
    l'incatenata più s'umilïava,

      più inseguiva per vane ombre fantasmi
    dolci d'amore, come chi per sete
    succosi frutti col desio si plasmi.

      E fatta a me nemica, con inquete
    pupille e voce roca e gesto asprigno
    snudavo l'ansie e le viltà segrete.

      Freddo disdegno chiuso in freddo ghigno
    m'oppose: — Donde vieni? E chi sei tu?
    Ed io invocai gemendo quel benigno

    sonno per cui non v'ha risveglio più.


la guarigione

      Ma alle porte del ciel spiò il domani
    madonna Primavera, vïolette
    sciolte recando nelle cave mani.

      E colei che soffriva si godette
    un poco di quel riso mattinale
    che vestiva di fior tutte le vette.

      E un'erba o un fiore buono pel suo male,
    mossa a pietà, la bella maliarda
    forse le insinuò sotto il guanciale.

      Come un'inferma in cui vita riarda
    a poco a poco, io errai quasi leggiera
    per gli orti rosa, quasi già gagliarda

    cantando: — Grazie, monna Primavera!


incertezze

      Pure, ancora di qualche trafittura
    tremavo, a guisa di convalescente
    ch'ogni indizio del suo male impaura.

      Non ben certa di me, trepidamente,
    il mio silenzio intimo ascoltando,
    mi premevo sul cuor le mani intente.

      M'indagai, mi scrutai, mi dolsi, e quando
    m'avvidi in qual tenacità d'affanno
    esasperavo un dubitar sì blando,

      scossi da me l'antico e il nuovo danno
    e balzai, folle di desii fugaci,
    incontro al riso d'ogni bell'inganno,

    gli risi coi notturni occhi: — Mi piaci!



NUOVI INCANTI


l'ingannatore

      Bevvi a piccoli sorsi la menzogna,
    come un filtro che induce fantasie
    fascinatoci al cuore di chi sogna.

      In ogni cosa io scoprii malie
    nuove. Talvolta perseguii la traccia
    di un dolce incanto per malcerte vie.

      Non riguardai l'ingannatore in faccia,
    per non tremar di oscura diffidenza
    nell'amoroso cerchio di sue braccia.

      Quegli blandiva: — Niuna sapienza
    che insegni vale un bel gioco che finga.
    E mi versava in cuore una sua essenza

    fatta d'ombra, d'amore e di lusinga.


occhi ignoti

      M'inebbriai di sguardi fuggitivi,
    rapidi come il balenio di fiamma
    che guizza a notte per i cieli estivi.

      Conobbi dentro ignoti occhi la gamma
    torbida della muta cupidigia,
    che ravvolge ne' suoi vortici il dramma.

      V'opposi un mio disdegno d'alterigia,
    godendo di passar fra la schermaglia
    senza recarne su di me vestigia.

      Ma pur conobbi l'attimo che abbaglia,
    colsi a volo la lucida scintilla
    che scatta in fondo a un ciglio, come scaglia

    d'oro, e in un altro sguardo risfavilla.


le nuove attese

      Attimi di bellezza, quando intera
    l'anima sopra un volto s'appalesa,
    siccome l'ostia dentro la raggera!

      Tutta raccolta nell'incerta attesa
    d'un qualche bene che sarà, che forse
    non sarà mai, fra due dubbi sospesa,

      già ignara d'ogni male che la morse,
    per la nuova catena che la tenta
    ella discioglie quella in cui s'attorse.

      E mentre intorno a' suoi polsi s'allenta
    il laccio che il suo pianto già corrose,
    l'illusïone, dolce anche se menta,

    glie n'offre un altro tenero di rose.



INCITAMENTI


mollezze

      Alle catene molli offrir per poco
    le mani, benchè sia leggiadro incanto,
    è per il chiuso cuor ben nuovo gioco.

      Ma lunga schiavitù già gli fu tanto
    grave d'affanni, ch'esso cerca il riso
    fugace, quel che non ritorna in pianto.

      Cerca in amore un bel razzo improvviso,
    un breve incontro di due eguali gesti,
    di labbra mute nel languor del viso.

      I desideri giova tener desti
    fin che il buon tempo dell'amor seduce.
    Prima ch'esso in un'ombra alta s'arresti

    berrò la sua meravigliosa luce.


i doni

      Assai doni di gioia e assai di grazia
    sono offerti a chi vede ed a chi sente
    col bel fervor di un'anima non sazia.

      Nulla si nega a chi, senza nïente
    chiedere, con il suo sogno conquista
    tutto e v'imprime il suo suggello ardente.

      Così, il ciel più divino il buono artista
    dentro una tela piccola racchiude,
    per goderne egli sol, puro egoista.

      O ardor degli occhi che somiglia un rude
    gesto di preda, o sguardi che son come
    mani d'amante, indugïanti ignude

    dentro un tesoro di feminee chiome!


avidità di vivere

      Avidità di vivere, tu ieri
    non vorace così mi strazïasti,
    e avrai domani morsi anche più fieri.

      I desideri tuoi, via via più vasti,
    temon che a farli spiriti di gioia
    giovinezza col suo fervor non basti.

      Temono ch'essa troppo presto muoia,
    e tagli loro i belli artigli e l'ali
    il tempo con la sua fredda cesoia.

      E m'incitano ardendo: — I beni e i mali
    tentar bisogna. Vivere si deve.
    Ama e combatti e odia e piangi e sali.

    La vita è chiusa nel tuo pugno breve.



INDUGI


fascini

      Colei che a un riso di seduzïoni
    tutta sola sen va, volgesi e gode
    or dei fascini belli ed or dei buoni.

      Talora si sofferma e una sua lode
    sorridendo susurra, ma sì piano,
    che niuno fuor del suo silenzio l'ode.

      Ascolta il mare urlar tragico un vano
    suo amore, oppur gioisce in numerare
    gl'intrichi delle vene in una mano.

      Sosta in ansia d'attesa al limitare
    d'un vecchio parco, oppur s'abbaglia al gioco
    d'arcobaleno delle gemme rare

    sotto rovesci calici di fuoco.


al mare

      Al mare getta un dì sogni ed amori
    come l'altra sua amante solitaria
    gli getta fra due nubi fiori ed ori.

      E ride con la sua anima varia,
    mentre le spume in favolosi aprili
    fioriscon gigli fatti d'acqua e d'aria.

      Ella getta nel mar tutti i monili
    dei quali, per piacere a sè, si para
    la stoltezza dei cuori giovanili.

      E ride ancora, ma con bocca amara.
    Sul bene ch'ella non possiede più
    sembran le spume i fiori d'una bara

    e un poco di sè stessa è ormai laggiù.


una mano

      Fu caro, un giorno, a quella che va sola
    sentirsi preso da una mano il cuore
    e averne un riso in bocca e un pianto in gola.

      Era una mano ambigua, di pallore
    femineo, di linea virile:
    mano bella di dolce ingannatore.

      Lenta in ogni suo gesto, ma febbrile
    nella carezza, quasi da far male,
    forte alla stretta da parere ostile.

      Forse in sue vene un fluido mortale
    fluiva ed ella con labbra voraci
    lo suggeva, e un sapor torbido, eguale

    a un acror di veleno era nei baci.


vecchio parco

      Quasi in ansia d'attesa ora io m'attardo
    presso il cancello d'un antico parco,
    fra sbarra e sbarra acumino lo sguardo.

      Certo, qualcuno apparirà nell'arco
    verde-cupo che intrecciano le piante
    laggiù, ove s'apre nell'azzurro un varco.

      Una piccola dama in guardinfante
    del minuetto striscerà l'inchino
    ridendo a qualche incipriato amante?

      Seduzïone muta d'un giardino
    chiuso su l'ombra morta delle cose
    pel cui ritorno non v'ha più cammino,

    pel cui sogno non nascono più rose!


perplessità

      Ieri io indugiai su quel punto che sta
    fra la saggezza e la follia, sospesa
    fra l'una e l'altra in gran perplessità.

      Amor sollecitava, aspro d'attesa,
    esauste tutte le sottili frodi,
    le insidie che trascinano alla resa.

      Ma, su l'incerto limite, i custodi
    spiriti della giovinezza chiara
    mi trattenevan con più onesti modi.

      Curiosità mi rise avida: — Impara!
    il Desiderio: — Tenta! — m'incitò.
    E all'una e all'altro la superbia amara

    di quella che va sola disse: — No.



TENTAZIONI


le gemme

      Seduzïone aspra di gemme e d'ori
    sotto accesi convolvoli rivolti
    a versarvi o a riceverne i fulgori.

      Dietro il cristallo han palpiti raccolti
    i tesori e colei che vi si attarda
    sopra v'allarga i suoi grand'occhi stolti.

      I solitari di bell'acqua guarda,
    com'Eva guardò gli occhi del serpente
    raggianti la promessa maliarda.

      Riflette sotto il battito frequente
    de' cigli la freddezza imperiale
    degli smeraldi e l'iride sfuggente

    che balena nel cuore dell'opale.


la meraviglia

      Incatenata dalla meraviglia,
    s'indugia ancora e il sangue dei rubini,
    forse, il pallor del volto le invermiglia.

      O perle opache, o bei fiori marini
    che le regine attorcono in collane
    su le grazie de' nudi alabastrini.

      Dolci turchesi ed ametiste strane
    prescelte ai fasti della liturgia,
    gemme per dita sacre e per sovrane.

      Gioie di nozze e prezzo di follia
    ch'offre amore a far sazia la sua sete.....
    Taluno che la riguardante spìa

    esce dall'ombra e tenta: — Che scegliete?


cose maliose

      Male si tende il lucido tranello.
    Io ammiro, e per il mio spirito assorto
    più del possesso il desiderio è bello.

      Tutto mi piace. Con il volto smorto
    d'ebbrezza aspiro essenze in rare fiale,
    m'attira un frutto pendulo in un orto.

      Qualche voce nel cuore mi fa male
    tanto m'è cara, e qualche rosso occaso
    m'incanta con un suo drago che sale.

      Carezzo di mia man l'anse d'un vaso
    che con arte foggiò greca fucina,
    increspo l'onde morbide d'un raso,

    o gioco con le spume d'una trina.



ELEGANZE


le essenze

      Ora io mi dico: — Per ciascuna goccia
    d'essenza una fiorita di corolle
    offre la sua bellezza appena sboccia.

      Carne di fiori d'un pallor sì molle
    da sembrar carne di delizia, nata
    in tepori di serra o in cima a un colle,

      uccisa a sommo della sua giornata
    e con lungo martirio, perchè tutta
    si doni, all'ombra e al sole macerata!

      Freschezza che si spreme e che si butta
    poi che stillò l'umor di cui viveva.
    Pura bellezza vegetal distrutta

    per far più impura la bellezza d'Eva!


i profumi

      Nel solco di profumo che si scava
    talor fra il vario ansare d'una via
    quasi un languor voluttüoso grava.

      Ma il desiderio torbido si svia
    dietro l'ignoto passo che pel vano
    suo ardore allunga l'olezzante scìa,

      sfogliando un fiore, o sminuzzando un grano
    d'ambra, o stillando issopo e benzoino,
    già con altri confuso e già lontano.

      Fruscìo di seta, o palpitar di lino,
    o sviluppo di chiome, come odori,
    fiato che, quasi a notte da un giardino,

    da tutto un corpo tepido vapori!


un frutto

      Ma il frutto che sul ramo si matura
    per la sete del suo coltivatore
    ha la bontà della bellezza pura.

      Non è vaghezza sterile di fiore
    nato al piacer dell'occhio e dell'olfatto,
    ma polpa e succo buono e buon sapore!

      Semplice è il frutto. Un riso di scarlatto
    sembra avvampar su la sua guancia tonda,
    per chi sa quale suo gioir, d'un tratto.

      Si dona, benchè un poco esso nasconda
    il rossor dell'offerta tra due foglie.
    Ma tutto splende, nudità gioconda,

    nella man che si tende e che lo coglie.


le sete

      Io so la rigidezza delle sete
    garrule al passo. O vesti d'ave, bene
    riposte in grandi scatole segrete!

      So delle trine la mollezza lene,
    l'onda dei veli donde emerge il viso
    come da spume volto di sirene.

      So l'iride in mille iridi diviso
    perchè ogni donna la sua veste faccia
    del colore più adatto al suo sorriso.

      So l'ombra delle piume in cui la faccia
    s'imbianca d'un languor di passïone,
    in cui la bocca bella, benchè taccia,

    parla parole di seduzïone.



SENSAZIONI


una voce

      Una voce nell'ombra ha qualche volta
    la morbidezza calda d'una cosa
    tangibile. Non s'ode, non s'ascolta,

      ma sul cuor che l'accoglie quasi posa
    le sue parole ad una ad una, come,
    quando langue, le sue foglie una rosa.

      Se invoca piano, in ansia, un caro nome
    par che vi tremi il mal represso ardore
    d'un bacio non osato fra le chiome.

      E di soverchia intensità essa muore
    soffocata ed il pianto che l'assale
    sembra il principio dolce dell'amore,

    ed è l'inizio acerbo del suo male.


la sera

      E quella che va sola ama sostare
    a vespro sotto cieli d'alabastro
    chiari ancora d'un lume che traspare.

      Guarda l'ombra affinar d'un vïolastro
    pallore i monti, e attraversare il cielo
    l'ultimo raggio come un lungo nastro.

      Poi, tutto andar sommerso dietro un velo
    su cui ansa, sgomenta d'esser sola,
    la prima stella, come un cuore anelo.

      Stella solinga, amara è la parola
    di chi ti dice: — Io sono come te! —
    di chi presso la notte si desola

    tanto, e non osa dirtene il perchè.


la libertà

      Dono di gelo, libertà, che vali?
    Io vago, tratta da tue aeree dita,
    per tante strade, e tosto oblio per quali.

      Vado, e non so che strana ansia m'incita
    di luogo in luogo, sì che giunta a pena
    già mi sospinge a nuova dipartita.

      Nuova lusinga all'anima balena,
    l'attira con la sua dolce menzogna
    ov'è d'oro o di ferro la catena.

      Chi t'ha perduta, o libertà, ti agogna.
    Chi ti possiede non t'apprezza più.
    D'averti, alata scorta, si rampogna,

    e t'adopra a cercar la schiavitù.


insegnamenti

      Ma amore in schiavitù più non mi vuole.
    Il despota gettò catena e sferza
    e m'addottrina d'ilari parole.

      — Quand'io v'incontro, — amabile egli scherza,
    — la prima volta, molto vi torturo,
    ma poco la seconda e men la terza.

      L'antico male col recente io curo,
    e il cuor v'agguerro sì che a poco a poco
    possa affrontarmi, sempre più sicuro.

      E poi ch'io osservo: — Assai perverso è il gioco, —
    no, — ribatte — è saggezza salutare.
    Quando il bimbo sentì l'ardor del fuoco,

    molto di rado tornasi a bruciare.



OSTILITÀ


un rancore

      Non so che sorda ostilità mi armasse
    ieri contro di te. Forse un rancore
    oscuro alla guerriglia acre mi trasse.

      Pareva che un sottile aizzatore
    incrudisse il mio riso ed il mio gesto,
    accosciato nell'ombra del mio cuore.

      Amore è il tuo avversario: non già questo
    che a tratti or sì, or no, fra noi balena,
    ma un altro, assai nel mio cuore più desto.

      Quel che fu dono non offerto, pena
    non detta, slancio trattenuto in me.
    Il vampo di follia, la vita piena

    in cui non mi travolse altri, nè te.


una carità

      T'ostinasti a picchiare alle mie porte
    con il tuo cuor nella tua mano a guisa
    di pietra e a lungo mi chiamasti forte.

      E m'ostentavi la tua faccia intrisa
    di pianto, come un mendicante astuto,
    per più carpir dalla pietà improvvisa.

      Se a qualche carità, pregando aiuto,
    tu mi forzasti, non imaginare
    ch'io n'abbia al par di te molto goduto.

      Labbra pietose si fan spesso amare,
    più amare quando vinsero un ritegno
    per addolcire il cuore di chi appare

    dopo, ma tardi, d'ogni dono indegno.



OMBRE


doppio gioco

      Mentre parliamo di comuni cose
    leggere, tu via via a me t'accosti,
    pieghi su me con ciglia curïose.

      Quasi straniero ieri ancor mi fosti,
    or ci avvicina fredda cortesia,
    domani andremo per cammini opposti.

      Tu t'inchini su me, come chi spia,
    come chi è attratto a forza e intanto dici
    cose vane con grazia e leggiadria.

      Ma quando un gioco d'ombre tentatrici
    scopri, io abbozzo un sogghigno involontario.
    Tu indietreggi, e tra noi, fatti nemici,

    ondeggia blando il conversar più vario.


gelosia

      Non so dov'ella era nascosta: forse
    in fondo all'ombra vacua degli specchi.
    Non la vidi ma il suo riso mi morse.

      Sottile mi vibrò dentro gli orecchi
    con qualche nota di canzonatura,
    parve squillar dietro gli arazzi vecchi.

      Così sentii l'ignota creatura
    di voluttà, la preda di lussuria,
    colei che imprime la sua traccia impura

      E di gelo restai sotto la furia
    del desiderio, mi difesi fiera
    contr'ella che rideva acre un'ingiuria,

    e contro chi gemeva una preghiera.


un incontro

      La donna che incrociò col nostro passo
    lento la sua rapidità leggera,
    ci saettò di sotto il ciglio basso.

      Tu con l'occhio e il desìo la passeggera
    seguisti. Ella sparendo ebbe nell'anca
    una grazia perversa di pantera.

      Subitamente io vacillai, sì stanca
    che a te mi ressi. Mi pungeva il viso
    quel sottil gelo che le labbra imbianca.

      Ma già da nuova bramosìa conquiso,
    tu comentavi ancor: — Che malïarda!
    Di scatto io ti lasciai, con un gran riso

    d'ilare odio e di pietà beffarda.


una prudenza

      Tronchiamo l'ansia che incrudì già quasi
    tra noi in febbre. Non ancor ci ha vinti
    amore, ci irretì gioco di casi.

      Non ancor per gli incauti labirinti
    del male ci guidarono le crude
    curiosità, ci attrassero gli istinti.

      Ciascun di noi nel suo intimo chiude
    buia tuttor quell'anima diversa
    che solo scopre il desiderio rude.

      Esso poteva smascherar perversa
    o fiacca o vile questa sconosciuta.
    Perciò quella che perdi, ancor sommersa

    nell'ombra, per prudenza, ti saluta.



ONDEGGIAMENTI


la felicità

      Ma quella che va sola ancora sa
    tratto tratto pel suo vagabondare
    trovar un'ombra di felicità.

      Oh! ma un'ombra così lieve che pare
    quella del pesco, quando primavera
    gli fa una veste di rosette amare.

      Certa non è se gioia era o non era,
    e a sera lo domanda ella a sè stessa
    sciogliendo adagio la sua chioma nera.

      O voce che dicevi sì sommessa:
    — Mi piaci! — o riso di perplessità,
    o mano che non parla ma confessa,

    eri o non eri la felicità?


incertezze

      Forse non eri, perchè tanto triste
    a notte, con il volto nel guanciale
    io piansi molte lacrime non viste.

      Non eri, perchè ancor di non so quale
    spasimo, di non so che interïore
    morso nel seno il cuore mi trasale.

      Quasi per un gran male di languore
    il sangue mi ristagna nelle vene,
    come nei polsi inerti di chi muore.

      Non eri. E chi su le mie ciglia piene
    d'ombra, socchiuse sul pensiero vano,
    chi senza passi e senza voce viene

    così dolce a chinarsi e così piano?


qualche amarezza

      Tu ieri con le tue pallide mani
    per altre donne ancor sfogliavi rose,
    per altre già ne sfoglierai domani.

      Oggi la tua sottile arte compose
    per me una lieve ghirlandetta molle
    da scomporre con dita desïose.

      Insieme noi sfacemmo le corolle
    soavi per estrarne ogni dolcezza,
    per gustarla con bocca un poco folle.

      Pure, non so da chi, qualche amarezza
    mi viene: forse dalla donna ignota
    che sentirà domani la carezza

    del tuo respiro sopra la sua gota.


la rivale

      Ella m'è ignota, anche la sua effigie
    m'è ignota, ma la imagino felina
    nei gesti lenti e nelle iridi grigie.

      Forse per via già mi passò vicina,
    e in quel momento mi percorse diaccia
    del brivido la scossa repentina.

      Talor la vedo dietro la tua faccia,
    la spìo ne' tuoi occhi e nel tuo riso,
    sento la forma sua fra le tue braccia.

      Allora su l'enigma del tuo viso
    sfogo in carezze un'ira vïolenta,
    fin che certa non sia d'avervi ucciso

    quella parvenza sua che mi tormenta.


schermaglie

      Sogghignare io potrei di te, dell'altra
    donna lontana a cui forse ritorni,
    toglierti a lei con sottigliezza scaltra.

      Ma non voglio. Va pure. Verran giorni
    soli a me sola e avran cappe di ghiaccio
    e poi saranno di vïole adorni.

      Ed io com'essi muterò. Ora faccio
    ira a me stessa, perchè ho in gola un roco
    lamento e solo per orgoglio taccio.

      Un giorno anch'io saprò, ridendo un poco,
    dire a colui che molto amore agogna:
    — ti voglio bene! — dirglielo per gioco,

    perchè gioisca della mia menzogna.


la menzogna

      La menzogna è così cara talvolta:
    sembra una donna di molt'arte esperta
    che per bontà sa fingersi un po' stolta.

      Le piace con la sua moneta incerta
    che d'oro ha solo una sottil vernice
    comprar le rose della gioia certa.

      Se falsa è la moneta essa non dice.
    Sembra d'oro e qualcuno illuderà
    sol anche un'ora d'essere felice.

      L'amor rifugge dalla verità,
    rara parola ha col pensier concorde.
    Man che carezza artiglio aspro si fa,

    bocca che bacia spesso a sangue morde.



ORE FOLLI


il capriccio

      E tu, Capriccio, genïetto rosa
    che svolazzi con ali di farfalla
    e un riso su la bocca desïosa,

      talvolta io ti sentii su la mia spalla
    lieve posare e un'avida parola
    colsi, al riparo dell'aluccia gialla.

      Fu qualche sera, quando d'una sola
    fiamma bruciano i nostri occhi e le stelle,
    e ci trema la voce, arida, in gola.

      Qualche sera in cui sembran così belle
    le labbra che si porgono e così
    molle l'odor delle rose novelle,

    ch'è duopo susurrare un dolce: — sì!


un cuore

      Io intesi un cuore in fondo alla sua nicchia
    a colpi sordi palpitare, in fretta.
    Domandai: — È il mio cuore o il tuo che picchia?

      Noi l'ascoltammo urtare nella stretta
    sua cella, in ansia, come si dibatte
    forzata in prigionìa la passeretta.

      Ascoltammo con anime disfatte
    dalla dolcezza i palpiti concordi
    chiedendoci: — È il mio cuore o il tuo che batte?

      Udimmo rallentare i colpi sordi
    e tanto attenüarsi nel languore,
    che sospirammo, come chi si scordi

    di vivere: — È il mio cuore o il tuo che muore?


notte

      Io vado nella notte alta al tuo fianco.
    Non so da chi, non so da che atterrita,
    spesso trasalgo e al tuo braccio m'abbranco.

      Ascendiamo io non so quale salita
    passo passo, e la notte è come un mare,
    come un'onda nel mar la nostra vita.

      Più non vedo il tuo sguardo tutelare
    vigilarmi nell'ombra. Su qual traccia,
    dove come perchè dobbiamo andare?

      Verso qual meta? La paura diaccia
    quasi nel seno il battito m'arresta...
    Ma tu mi levi fra sicure braccia,

    mi baci lento, mi susurri: — A questa.


chi ti vuole

      Come non so, ma quando più son piene
    di grazia le mie ore e il cuor d'oblio,
    di volerti, non so come, m'avviene.

      T'aspetto, a un tratto, ed il tuo passo spio
    con tremor d'ansia e con fervor di fede,
    con la nuca già offerta al tuo desìo,

      al bacio che si sente e non si vede,
    l'insidïoso, quello che propaga
    dalla nuca il sottil brivido al piede.

      E m'avviene di volgermi con vaga
    meraviglia e di chiedermi: — Non c'è?
    E poi, mentre la prima ombra dilaga,

    premere a forza i miei singhiozzi in me.


oblio

      Son qui raccolta in un oblio profondo
    contro il tuo cuore. Credo che ancor siamo
    nella vita, ma già fuori del mondo.

      So che tu mi desideri e ch'io t'amo,
    e tutto che oltre questo è gioia o pena
    o bene o male noi dimentichiamo.

      Ho il senso di volar su un'altalena
    vertiginosa, come fanciulletta
    balzavo nell'azzurrità serena.

      Ne discendevo con la gola stretta
    dal batticuore e con sperduti sguardi,
    come or che tu m'avverti: — Il tempo ha fretta

    di separarci, o amore. Andiamo, è tardi.



INQUIETUDINI


seguace

      V'era qualcuno, un tempo, non veduto,
    che ovunque mi seguiva, da vicino
    senza stancarsi, con un passo muto.

      La sera in qualche tacito cammino
    parevami sentir sui miei capelli
    rabbrividendo il suo profilo chino.

      Forse eran molli ali di pipistrelli
    che passavan su me con la prudenza
    trepida di leggeri polpastrelli.

      Io non sapevo, e m'affrettavo senza
    paura, ma non più tanto leggera,
    o volgevo con rapida movenza

    gli occhi a scoprire dietro me chi v'era.


chi era

      Lo seppi un giorno: or presso ed or lontano
    me seguiva e la sua triste follia
    l'uomo che amore flagellava invano.

      Lo vidi ormare la mia stessa via,
    sostare alle mie soste, con il volto
    duro, e lo sguardo acuto di chi spia.

      Egli andava col suo cuore sconvolto
    pel desiderio fatto a sè tortura,
    nulla godendo e disperando molto.

      E non sapeva che la vana arsura
    me pur struggeva, che un'angoscia eguale
    fustigava la mia anima oscura,

    ch'io pur morivo dello stesso male.


un grido

      Fui per chiamarlo: — O mio fratello, vieni!
    Non piangere per me quello ch'io piango
    per altri. Lascia ch'io ti rassereni.

      Ti tergerò le lacrime ed il fango
    con mani indugïanti in puri gesti.
    — Non t'amo, — ti dirò, ma: — ti compiango.

      Lascia che dal tuo incubo ti desti,
    per risvegliarmi io pure a poco a poco,
    fin che in noi di dolore orma non resti.

      Fui per dire: — Ed allor ci parrà un gioco
    degno di riso questo mal vorace...
    Ma in lui o in me non so che grido roco

    negò: — Non voglio! Il mio soffrir mi piace!



DESIDERI


vortice

      Noi ci fissammo, con un folgorio
    d'occhi tenace. Io so che in quel momento
    il cuore ti tremò del tremor mio.

      Eravamo seduti con il mento
    nella mano, in un'ombra di veranda,
    in qual tempo, in qual giorno, io non rammento.

      Rammento che giungeva a ondate, blanda,
    una lontana musica e che spesso
    ripeteva un motivo di domanda.

      A un tratto ci trovammo così presso
    da provarne vertigini, e smarriti
    impallidimmo del pallore stesso

    come su un buio vortice che inviti.


un addio

      Folle è lasciarci, tutti accesi ancora
    di desiderio, ancor pronti a godere
    di tutto ciò che l'un dell'altro ignora.

      La volontà che tiene prigioniere
    le nostre giovinezze le flagella,
    per farle in solitudine tacere.

      Ma più le volge incitatrice a quella
    gioia non mai gioita, che la morte
    pur ci farebbe nel suo riso bella.

      Più dolce sorte è la comune sorte:
    darsi con umiltà l'un l'altro, ciechi.
    Abbandonarsi al vortice più forte

    e dirsi dopo un breve addio, senz'echi.


l'ignoto

      Io non so chi tu sia. So che una sera
    noi ci gettammo l'anima negli occhi,
    con l'impeto di chi brama e non spera.

      La ripigliammo cauti, quasi tocchi
    da un dubbio, e ancor la scagliammo a segno,
    come la freccia che dall'arco scocchi.

      Senza accostarci, senza altro disegno
    che quello di guardarci ebbri d'amore,
    ma disgiunti da un qualche aspro ritegno.

      Così il male durò. Più tentatore
    d'allora, a tratti, il tuo volto m'abbaglia.
    Curiosità di te mi punge il cuore,

    desiderio di te me lo attanaglia.



INFERMITÀ


la crisi

      Il morbo s'iniziò fra due sorrisi,
    in un languore, s'incrudì in un male
    vïolento, toccò l'estrema crisi.

      Parossismo d'amor cieco che assale
    la pazïente e la travolge, quasi
    ad uno stato di demenza eguale.

      Dal cuor sconvolto irruppero le frasi
    inconsulte ed il pianto acre. Il dolore
    contorse i polsi dalla febbre invasi.

      Da queste crisi stritolato il cuore
    esce, come da macina esce il grano.
    Fatto diverso, muto di stupore,

    s'ascolta, balza, si ritrova sano.


la convalescenza

      Sano, ma ancora un poco stanco, ancora
    debole di quel grande struggimento
    ch'ogni vigor di buon sangue divora.

      Convalescenza, invermigliarsi lento
    delle labbra già tinte di vïola,
    ribalenar dello sguardo già spento!

      La risanata, sola con sè sola,
    resta, si guarda intorno: — Fui malata? —
    dice, e ascolta suonar la sua parola.

      Dice: — Ricordo! — e i grandi occhi dilata.
    — Ieri un nemico m'ha contorto ed arso
    le carni e il cuore. Assai m'ha strazïata!

    Ma il mio male guarì. Egli è scomparso.


pallore

      Oggi mi trovi pallida, ma sai
    che un poco sempre io son pallida. È strano
    come il mio volto non s'accenda mai.

      Solo la bocca un fior di melagrano
    sboccia sotto il tuo bacio, e il cuore pulsa,
    — oh così forte! — sotto la tua mano.

      Ma goda o soffra l'anima convulsa,
    il marmo della fronte non confessa
    gioia di amore o strazio di ripulsa.

      Quando più sfatta io piego su me stessa,
    più s'impietra la maschera del volto.
    Ma allorchè cedo, dall'angoscia oppressa,

    piango non vista il mio pianto raccolto.



VORAGINI


l'etèra

      Io t'ho seguita, sotto i primi lumi
    rossastri d'una sera cittadina,
    pallida etèra grave di profumi.

      E parvi la falena che s'ostina
    intorno ad una lampada notturna,
    sempre più attratta e sempre più vicina.

      Curiosità di male, taciturna,
    mi trascinò nell'orbita di quella
    ch'era del male più goduto l'urna.

      Colei che attira asseta arde e flagella,
    l'ombre accendeva di sua rossa chioma,
    e molle andando, alla falena snella

    vampava della sua carne l'aroma.


multiforme

      Tu hai mill'anime in una, o multiforme.
    Innumeri tumultuano i cuori
    dentro il tuo cuore piccolo ed enorme.

      Ognuno sa com'odi e come adori,
    avventuriera arguta della scena,
    ognun sa come vivi e come muori.

      O bramata dagli uomini, una vena
    fragile del tuo polso assai più forte
    li allaccia della più salda catena.

      E quando ti atterrò sfatta la morte
    dinanzi a folle cupide di te,
    la voluttà su le tue labbra smorte

    bevono nelle alcove d'oro i re.


l'abisso

      Dissero: In questo punto ella gettossi
    nel vuoto; agonizzò pochi minuti
    laggiù, ove i sassi appaiono ancor smossi.

      China, io sentii tutti gl'inviti muti,
    gli assorbenti richiami degli abissi,
    il vortice che afferra gli sperduti.

      La vertigine tragica con fissi
    occhi d'acqua verdognola ipnotizza
    sotto capelli d'alighe prolissi.

      L'oblio, dal fondo, svolgesi e si rizza
    con le sue braccia d'ombra arcate a culla,
    e con la bocca di vampiro vizza

    sugge il male a chi piomba ebbro nel nulla.



PROFILI


un discreto

      Troppo discreto. Amore non s'afferra
    con timidezza trepida di gesti
    ma con sagace strategia di guerra.

      Quando ore ed ore mediti pretesti
    a sfiorar con la tua mano la mia,
    una pietà pensosa in me tu desti.

      Più che languire di malinconia
    o disperare di sconforto giova
    spronar d'orgoglio l'anima restìa.

      Ciascuna donna è come una via nuova
    che alcun percorra in notte senza luna.
    Molte sorprese il passegger vi trova,

    ma le affronta affidato alla fortuna.


un pauroso

      Mi temi: tale è la ragione oscura
    per cui mi sfuggi armato di corrucci
    mascherando di sdegno la paura.

      Nè io posso, a evitar che tu ti crucci,
    celar lo sguardo mio che ti fastidia
    e t'inquieta in ombre di cappucci.

      Io non tramo alla tua pace perfidia
    di tranelli. Guerrier di buona scuola
    sa che a fuggiasco non si tende insidia.

      Pur: — fuggiasco — non è giusta parola.
    Più somigli a un bizzarro palafreno
    che spesso adombra e in pazza corsa vola,

    ma ben s'ammansa con scudiscio e freno.



L'INVITO


l'attesa

      T'aspetto qui. La casa è ancora quella
    della mia infanzia, quella che mi vide
    occhi innocenti sotto bionde anella.

      La casa sa che tu verrai. Non ride
    non palpita e non trema essa. Mi pare
    di sentirtela ostile, aspra di sfide.

      Non te che corri con le labbra amare
    di sete a ricercar le mie, furtivo
    ladro d'amore, ella sperò ospitare.

      Troppo ella ha atteso, ritta sul suo clivo,
    il dolce sposo che, per chiara via
    giungendo, le annunciasse alto il suo arrivo

    e sul suo cuore mi portasse via.


l'accoglienza

      T'odia per questa la mia casa antica.
    Da te delusa sotto il vecchio tetto
    t'accoglierà con fronte di nemica.

      Dirà: — Sviasti dal cammin più retto
    colei ch'io prediligo e mal risponde
    l'anima ingrata al mio vigile affetto!

      Ridimi, o amor, le tue risa gioconde
    perch'io non oda il lagno dell'offesa
    garrir fra uno svettare ampio di fronde.

      Vieni! Quel suo rimproverar mi pesa.
    Forse ormai vivo del mio stesso errore.
    Pure, io sento con lei che questa attesa

    tradisce un suo e un mio gentile amore.


il saluto

      Tu verrai una notte alta, di luna,
    e prima di varcar le mute soglie
    bacerai le mie dita ad una ad una.

      Ti celerà la gran pianta che accoglie
    l'ombra sopra la porta e la rabesca
    con profili di rami erti e di foglie.

      Nell'aria ondeggerà l'essenza fresca
    de' fieni e odoreranno le mie chiome
    di quell'acre profumo che t'adesca.

      Tu giungerai a notte fatta, come
    un predatore bene esperto, ed io
    gemendo su la tua spalla il tuo nome

    ti dirò forse: — Ed or ritorna. Addio!



BELLE ISTORIE


i romanzi

      Pur t'insinui fra pagine di libri
    candide e nere, o riso di sirena
    subdolo, e come sottilmente vibri!

      Romanzi letti con anima piena
    di febbre, a notte, mentre in ombre il lume
    ripeteva negli angoli ogni scena!

      L'amata emersa dalle trine a spume
    e l'amante a' suoi piedi, ebbro di lei,
    si sprigionavan molli dal volume.

      Illanguidiva i suoi grand'occhi rei
    smanïosa d'amar la Bovary,
    o con la barba a punta e con i bei

    denti rideva fatuo Bel-Ami.


le favole

      Ma non han sempre fascino perverso
    le belle istorie. Quante care favole
    ci empiron di prodigi l'universo!

      Bimbi, ricordo, in giro a tonde tavole,
    sotto velate lampade e velate
    voci di dolci narratrici avole.

      E la notte chinavansi le fate
    sul letto dei fratelli, e bei guerrieri
    baciavan le sorelle addormentate.

      Poi, nella torre alta dei Desideri,
    come la moglie pia di Barba-blù,
    una fu chiusa, ed io l'udii pur ieri

    gridare: — Anima mia, che vedi tu?


il poema

      Più malïardo splende il bel poema
    dove lo squillo vario della rima
    come un riso febeo palpita e trema.

      Ogni verso è uno stel che reca in cima
    la sua corolla, e a tre a tre le intesse,
    sì che l'un fiore l'altro non comprima.

      Vi ride amor le sue vane promesse,
    o vi lamenta la mentita fede,
    o vi miete una sua sanguigna messe.

      E un gel mi guizza dalla nuca al piede
    pur mentre il tuo torbido amor m'adesca,
    s'io leggo qual pagasti aspra mercede

    pei baci del tuo Paolo, o Francesca.



VIBRAZIONI


un dubbio

      Son io giovane ancora, anima mia?
    I miei capelli ancor mi son mantiglia
    densa le notti di malinconia?

      Talor per questa strana meraviglia,
    notizia di me stessa a me domando
    con un solco di dubbio fra le ciglia.

      O giovinezza, io ho già scordato quando
    venisti a maturare in frutto molle
    in fior d'infanzia dal profumo blando.

      Tutta nuova da sue bianche corolle
    l'adolescente emerse allor, stupita.
    Or, con un riso leggermente folle,

    riconta che anno fu, su le sue dita.


mattini

      Pensa: — Fu l'anno in cui lasciai le monache
    del mio convento? O l'anno avanti, o appresso?
    Tu, april, vestivi le tue rosee tonache.

      Insieme ci destammo in uno stesso
    mattino, tu con l'anima leggera,
    io col piccolo cuore così oppresso!

      Tu inverno, io bimba ci cullò la sera.
    Io aprii le ciglia fatta giovinetta,
    tu apristi i cieli, fatto primavera.

      Forse il succo di qualche vïoletta
    bistrò de' miei assorti occhi l'incavo...
    Ormai ero colei che sa ed aspetta

    e a qualche avido sguardo sussultavo.


asprezze

      Aspra son io come quel vento vivo
    di marzo, il quale par crudo di geli
    ma discioglie la neve su pel clivo.

      Vento di marzo che agita gli steli
    pigri, scopre vïole in mezzo all'erba,
    scompiglia erranti nuvole pei cieli.

      Asprigna io sono e rido un poco acerba.
    Mordere più che accarezzar mi piace
    ed apparir più che non sia superba.

      Come il vento di marzo io non dò pace.
    Godo sferzare ogni anima sopita,
    e trarne l'ire a un impeto vivace

    per sentirla vibrar fra le mie dita.



LE LETTERE


il giardino segreto

      Carezze consumate nel pensiero,
    parole dette senza voce viva,
    intimità ravvolte di mistero!

      Lettere, orto occulto che coltiva
    per sè ogni donna: frutti per la sete,
    fiori per la narice sensitiva.

      E steli ch'ella sa intrecciare a rete
    ed erbe amare come le cicute
    ed ortiche che pungono segrete.

      Per l'amore che in sè portano mute,
    per i sogni ch'è dolce in lor trasmettere,
    per le menzogne di cui son tessute,

    un sottil sortilegio arma le lettere.


lettere intime

      Giungono con un volto tormentato
    dalla fatica rude del vïaggio
    con segni, impronte, tracce in ogni lato.

      Ma dalla busta immune esce il messaggio
    e colei che lo attende a sorso a sorso
    lo gusta, come un dolce beveraggio.

      Qualche parola, a un tratto, il cuor le ha morso.
    — Ah! scherzi. — Fra le righe un riso fine
    guizza, quasi fra pause d'un discorso.

      Balenan lampi nelle ciglia chine
    della lettrice, e quando un mal represso
    desìo irrompe in parole ebbre alla fine,

    ella ne freme come d'un amplesso.


lettere rese

      Anche talor si rendono i carteggi
    a chi li scrisse. Partono coperti
    di baci e tornan crudi di motteggi.

      Sembran figliuoli prodighi, inesperti,
    che rifanno il cammin già un dì percorso
    ricchi d'oro e di gloria, oggi deserti.

      Tornano a chi da sè li svelse. E a sorso
    a sorso, ancor l'amaro beveraggio
    s'assapora, con brividi pel dorso.

      Si stupisce: — Ma è mio questo linguaggio?
    Non più nostre, non più, sembran le frasi
    di follia. Ora il cuor s'è fatto saggio,

    forse, e l'amore è già lontano, quasi.



LA VITA


dimenticare

      Dimenticare! Balsamo d'oblìo
    che reca il tempo nell'incavo vecchio
    della sua palma con un riso pio.

      Il tempo è ammonitore. Anche un suo specchio
    porge a ogni donna e mormora un consiglio,
    mentr'ella vi si mira, entro il suo orecchio.

      Questa si sbianca in viso come un giglio,
    quella sorride d'arido disdegno,
    un'altra china il suo volto vermiglio.

      Dentro lo specchio io ho scoperto un segno
    piccolo, un solo, il primo, un'ombra ancora.
    Ma mi avvertiva il re del vecchio regno:

    — La vita vuole il suo tributo. È l'ora.


il tributo

      Vecchio, lo so. Ma è grave quel tributo.
    Son lievi i sogni e sono dolci i giochi
    d'amore, anche per chi spesso ha perduto.

      La vita è grigia, e si consuma in pochi
    momenti attedïati dai doveri,
    fra i — no — imperïosi ed i — sì — fiochi.

      Ma i sogni, i miei amici lusinghieri,
    la sillaba che nega aspra non sanno.
    — Sì — mi diran domani, come ieri.

      E se talor mi traggono in inganno,
    l'un mi delude e l'altro mi consola,
    così che assai fraternamente fanno

    breve la via a quella che va sola.


i sogni

      Dicono presso ad ogni fiamma fatua:
    — Che fuoco buono pe' tuoi freddi piedi!
    e: — Che cuor pel tuo cuore! — ad ogni statua.

      Cullano le mie noie: — O cari tedi —
    cantilenano in coro, — o rari mali
    per cui nessuno troverà rimedi!

      M'agitano sul capo un frullo d'ali
    e stupiscono: — Intendi? Chi è passato?
    Sarà morte con falce o amor con strali?

      Ma la voce sul mio sonno agitato
    attenuano, bisbigliano un saluto,
    zittiscono, e ciascun mi posa a lato

    e dorme fra le mie chiome sperduto.


il domani

      Allora io sento l'ombra del domani
    ferma, in attesa, a canto al mio guanciale,
    col bene e il male chiusi entro le mani.

      Terrà nascosto la sinistra il male?
    E la destra terrà nascosto il bene?
    Quale a me vorrà mai porgere, quale?

      Ma per incerte strade il sonno viene
    a sussurrarmi: — Dormi, non pensare! —
    e a porre il dito sui miei occhi, lene.

      Dormi. Il domani ha forse l'ore amare
    strette nel pugno. Non pensare, è meglio.
    Scorda l'ombra che è là muta a spiare

    per balzar su te, pronta, al tuo risveglio.


il desiderio

      Pur taciturno è il desiderio. Saggio
    sembra, ma in fondo alle pupille cova
    la vïolenza del suo cuor selvaggio.

      L'amore è sorda lotta, è dura prova
    per chi assai l'ama, e a molti impeti sciocchi
    avventa chi ben cerca e male trova.

      Questo imparò colei che smarrì gli occhi
    dietro i suoi sogni e ride ora, ma batte
    le ciglia perchè il pianto non trabocchi.

      Poichè, se alcun le sue treccie ha disfatte,
    od impresse d'un morso la sua gola,
    o lasciò le sue labbra più scarlatte,

    ella è pur sempre quella che va sola.



SONETTI



ROSSO E NERO


NO

      Sillaba sola che vibrando scocchi
    come freccia dall'arco dell'orgoglio,
    teso a colpir colui che impone: — Voglio!
    se il desiderio in ira gli trabocchi.

      Sfida ed arma sì accesa dentro gli occhi
    di lampi di rivolta e di cordoglio,
    da ricondur, di tracotanza spoglio,
    l'uomo a implorare, curvo in sui ginocchi.

      Superbia pura della carne impura,
    potenza della debolezza, grido
    ch'è di vittoria e sembra di paura!

      Grido che il cuor segreto in sè smentì,
    timido lamentando: — O amore infido,
    era più dolce sospirarti: — Sì.


SE VOI MORISTE

      Se voi moriste, io non verrei con mani
    colme di freschi fiori a dirvi addio,
    chè, per voi vivo, nel giardino mio
    troppi già io ne colsi e troppo vani.

      Io guardinga verrei, forse, il domani,
    con dentro gli occhi un cupo folgorio,
    a indagar come quel sonno d'oblio
    il vostro altero volto trasumani.

      M'indugerei, assorta in atto, china
    sopra il corpo raccolto nel sudario,
    sul pallor della faccia resupina.

      E m'attrarrebbe ancor, quanto la magica
    luce de' vostri sguardi d'avversario,
    quella inconscia di sè maschera tragica.


CRUDELTÀ

      Tutte le donne che attrarrà la fresca
    tua bocca, come un saporoso frutto,
    lamenteranno il lor bene distrutto
    dalla dolcezza folle che le adesca.

      Tu sai foggiar del tuo bel riso un'esca
    abile a trascinar fra inganno e lutto
    qualche cuor che arderà, brucerà tutto
    prima che il tuo a intepidir rïesca.

      Maestro in crudeltà, fanciullo bello,
    sei pure, così dolce nella sfida,
    così fiero di colpi nel duello.

      Lusinghevole in trar fra le tue spire
    quella che voglia piangere ma rida,
    per trastullarti con il suo soffrire.


LA PAROLA

      Tu m'osservi: — È sì dolce quando tace
    la tua bocca, se ride così arguta.
    Ma perchè quando parla si trasmuta
    ed è più amara quanto più loquace?

      Sol fatta di silenzio è la mia pace,
    vigila il cuore se la bocca è muta.
    Se parla, in suono, in voce, va sperduta
    quell'intima armonia che in me ti piace.

      La parola è un potere vïolento
    che mi strappa una parte di me stessa
    e la disperde, come piuma al vento.

      Io vorrei, pur con bocca taciturna,
    veder l'anima mia in te riflessa,
    sentirmi chiusa in te come in un'urna.


IL DESTINO

      La donna, con il volto fra le mani,
    nell'ombra di sua gran chioma raccolto,
    pensa: — Avrò ancora il mio nome e il mio volto
    fra un anno, oppur fra dieci anni, o domani?

      Darò la carne quasi fatta a brani
    a un figlio ancor nel suo mister sepolto,
    o isterilita, l'offrirò allo stolto
    desìo, all'arsura de' piaceri insani?

      Fragile donna, ella non sa, non vuole,
    non dispera: l'ignoto è un grande peso
    sul suo piccolo cuor che non si duole.

      È il suo destino orribilmente bello,
    sempre a un filo esilissimo sospeso:
    a un filo tenue come un suo capello.



UN RITORNO


I.

      Simili a sonaglietti aspri, dal vento
    scossi, o da mani assai lievi di gnomi,
    trillano i grilli, immersi negli aromi
    del prato, il loro ridere d'argento.

      A me che torno, trangugiando un lento
    veleno: amaro di disdegni indomi,
    dicon saluti e mi rivolgon nomi
    teneri, con il lor piccolo accento.

      — Folle sorella, ben ritorni a noi,
    ma quello che cercasti fra la gente,
    per terra e per mare, lo trovasti poi?

      Io non posso rispondere, o non so;
    mi butterei fra i timi acri e le mente
    per soffocarvi un disperato: — No!


II.

      Rispondere non so, tanto son stanca,
    ma vorrei dire: — Andar, restar, che vale?
    Seco ha ognuno il suo bene ed il suo male,
    lo scorta il bene e il male gli si abbranca.

      Meglio forse sostar, chè più s'affranca
    dal duol chi sogna in una pace eguale,
    di chi poc'ombra con molt'armi assale
    e più la insegue quanto più gli manca.

      Ma ai notturni cantori poco assai
    giovano insegnamenti di parole,
    già qualcuno stupì: — Che pensi mai?

      Taccio e m'appar fra l'ombra alta lassù
    la buona casa, che con me si duole:
    — Da tanto aspetto. Non tornavi più!


III.

      Da tanto aspetto! E dimmi ora: — Dov'eri?
    In abbandono la tua vecchia casa
    contava i giorni, da gran buio invasa,
    e sempre l'oggi somigliava all'ieri.

      V'eran nei nidi rondinotti neri,
    e già volaron via per la cimasa,
    la messe ne' tuoi campi già fu rasa
    e il lor frutto già dettero i poderi.

      Solo la vigna ancor non si spogliò,
    molti grappoli dolci essa matura
    per la sete che ancora ti restò.

      E anch'io rimango, fra i tuoi pini, qui,
    a consolar la tua anima oscura
    per la gioia che ancora ti sfuggì.


IV.

      Ed io mi seggo sopra i suoi gradini,
    come raccolta presso i piè di un'ava.
    Narro sommessa: — Ieri io trascinava
    il mio mal per insoliti cammini,

      a piedi nudi, sotto i più turchini
    cieli, su sabbia calda come lava,
    rendendo quasi l'anima mia cava
    per accogliervi i suoni più divini.

      Cantava il mar con lunghe voci a me
    su l'onda rotta in pallide corone
    che va e che viene e non si sa il perchè.

      Più spesso m'esortava aspro: — A che mai
    tu scruti la mia immane passïone
    e quella breve del tuo cuor non sai?


V.

      E all'orizzonte s'indugiavan vele
    quasi sospese fra due cieli chiari,
    quasi sommerse fra due calmi mari,
    tese, come all'amore anime anele.

      Le feriva un ardor quasi crudele
    di sole basso, un saettar di rari
    dardi diritti d'un fulgor di fari
    spruzzava d'oro le lor bianche tele.

      Poi le colmava l'ombra di non so
    che molli fiori, e mentre una spariva,
    scorgevasi ancor l'altra or sì, or no.

      Pareva ognuna un'anima che va,
    dopo un amor che la rïarse viva,
    a smarrirsi in sua fredda libertà.



ABBANDONI


UN INGANNO

      Poi ch'io concessi un'ora alle tue braccia
    l'illusïone di serrarmi intera,
    non gioirne. Dell'ora menzognera
    il molle riso dal ricordo scaccia.

      Io non vidi il pallor della tua faccia.
    Un altro volto dentro gli occhi m'era,
    diceva un'altra voce la preghiera
    lunga in cui par che l'anima si sfaccia.

      Non eri tu, ma un altro era. Il lontano.
    Io sentii nella tua bocca i suoi baci,
    le sue carezze sotto la tua mano.

      E soffersi fremendo un muto affanno,
    ma tu, fiso nei miei occhi mendaci,
    gioisti senza sospettar l'inganno.


UNA DEDIZIONE

      Cómpiasi dunque ciò ch'è ne' tuoi voti.
    Io cedo, m'abbandono, m'annïento:
    tu, come impetüosa ala di vento,
    m'investi, mi travolgi, mi riscuoti.

      Voglio che la vertigine mi ruoti
    a torno a torno con fulgor di cento
    faci e la voluttà folle un momento
    m'arda, mi strugga sui suoi roghi ignoti.

      Più non m'apparterrò. Sarò la cosa
    chiusa nel pugno del dominatore,
    pel bene ch'egli spera e il mal ch'egli osa.

      Ma, calmata l'angoscia dei desii
    torbidi, tu, se non vuoi farmi orrore,
    fuggi, e il tuo volto ed il tuo nome io oblii.


È TARDI

      È tardi ormai. In troppo lunga attesa
    mi sono esausta. Imagini mendaci
    a forza e in solitudine m'han presa,
    hanno imposto al mio cuore avido: — Taci!

      S'avvinghiarono a me quando protesa
    chiedevo amor con muti occhi voraci,
    sognando di morir senza difesa
    sotto furie implacabili di baci.

      È tardi. Torna vana ogni follìa
    per chi tutte le finse, a farsi lievi
    i giorni della sua malinconia.

      T'accendesti di larve. Or più non ardi,
    Desiderio. Al buon fonte più non bevi.
    Ti sazïasti di menzogne. È tardi.



SOLILOQUÎ


VAGABONDAGGI

      Vagar pel mondo, sole, ove ci spinga
    il capriccio del giorno o del momento,
    talor cagiona qualche smarrimento
    ma l'inquieta fantasìa lusinga,

      benchè curiosità spii la raminga
    e la tedi con suo sciocco comento,
    benchè, se un volto osservi ella fra cento,
    tosto una brama questo esprima o finga.

      Donna che un po' di gioia si procaccia
    peregrinando sola, per la gente
    da bene corre di venture a caccia.

      Qualche stolto che preda si presume
    viene a tiro. Ma passa ella e non sente,
    non vede. Guarda d'una stella il lume.


L'ALTRO VOLTO

      Oltre lo schermo d'una lastra tersa
    m'interroga, mi scruta l'altro volto,
    e muta io indago lo stupor raccolto
    ch'esso dagli occhi troppo grandi versa.

      Da tempo, sempre egual, sempre diversa,
    o taciturna, io ti conosco, io ascolto
    il tuo pensiero vigile, da molto
    tempo il mio sguardo con il tuo conversa.

      Tu, chiusa nello specchio, mi somigli,
    sei forse un'altra me, ma sempre come
    una straniera, tu mi meravigli.

      Nuova mi resti e spesso tu, con tale
    pallor mi fissi in densa ombra di chiome,
    ch'io ti chiedo: — Chi sei? Qual'è il tuo male?


LA CURIOSITÀ

      S'ama talor per folle passïone,
    più spesso per curiosità d'amore,
    per guardar da vicino il tentatore
    riso sottil della seduzïone.

      Il desiderio instabile ora impone
    impeto cieco, or languido torpore.
    Ma la curiosità viva è migliore
    incitatrice: essa ha più certo sprone.

      Punge, e colei che a qualche amore stolto
    di sè darebbe, per prudenza, un poco,
    curiosità sospinge a ceder molto.

      Cede vigile prima e cauta dona
    la curïosa, e poi ch'è nuovo il gioco
    e dolce l'imparar, vi s'abbandona.



COMMIATO


LA MIA VOCE

      La mia voce non ha rombo di mare
    o d'echi alti tra fughe di colonne:
    ma il susurro che par fruscìo di gonne
    con cui si narran feminili gare.

      Io non volli cantar, volli parlare,
    e dir cose di me, di tante donne
    cui molti desideri urgon l'insonne
    cuore e lascian con labbra un poco amare.

      E amara è pur la mia voce talvolta,
    quasi vi tremi un riso d'ironia,
    più pungente a chi parla che a chi ascolta.

      Come quando a un'amica si confida
    qualche segreto di malinconia
    e si ha paura ch'ella ne sorrida.



LE VERGINI FOLLI



ANIME


sorelle...

      Sorelle, io errava taciti sentieri,
    scuri or nell'ombra ed or chiari nel sole,
    quando fanciulle in bianche lunghe stole
    m'accostaron coi lor passi leggieri.

      Chi avea negli occhi trepidi pensieri,
    chi labbra vaghe di leggiadre fole.
    A me ciascuna bisbigliò parole
    caute, svelando tenui misteri.

      Pareva ognuna un fiore di giunchiglia,
    uno stel di ligustro o di giaggiolo,
    e s'atteggiaron tutte a meraviglia

      poi ch'io: — Non so se buon destin vi manda —
    risposi. — A ognuna il suo segreto involo:
    ch'io ven sappia foggiar degna ghirlanda.


le più lodate

      E le esaltai: — Lodate voi, Sorelle,
    dal puro giglio fra le pure mani,
    simili a incerti albori antelucani
    nell'ondeggiar delle figure snelle.

      Lodate voi, dagli occhi di gazzelle
    dolci, che un raggio abbaglierà domani,
    attonite a un fiorir di cuori umani
    come di rose in primavere belle.

      Ma più lodate voi, cui brilla al ciglio
    tremor di pianto, e voi che del più amaro
    sangue del cuor battezzerete il giglio.

      Più lodata colei che avrà premuto
    nell'anima il singulto e il sogno caro
    sola, nell'ombra del suo duolo muto.


colei che tace

      Allora io vidi alcuna alzare il dito
    al labbro ed implorar con occhi mesti.
    Onde: — Sorella, — io l'ammonii, — con questi
    miei detti io forse un duolo oscuro irrito.

      Ma non ti turbi s'anche paia ardito
    il mio parlar. Ben più te ne dorresti
    s'io mascherassi sotto gaie vesti
    l'aspro mal ch'ogni gioia ci ha rapito.

      La voce mia la persuase a un riso
    lievissimo d'assenso. La sua diaccia
    mano mi porse reclinando il viso.

      — Sorella, — disse, — d'uopo è pur celarla
    questa ferita. È ben che occulta io giaccia:
    ma tu, per quel ch'io tacqui e piansi, parla.


colei che dispera

      E parve un'altra uscir da un suo stupore
    di febbre, per pregar con voce spenta:
    — Anche per me tu parla. Ch'io risenta
    arder la voluttà del mio dolore,

      ch'io ascolti, pel tuo labbro evocatore,
    tremar questo desìo che mi tormenta,
    pianger la passione che sgomenta
    mi trasse a invidiar chi amando muore.

      — O disperata, a te sia pace. Oblia! —
    Io le invocai pietosamente. Ed ella:
    — Oblio cercando incontrerò Follia.

      Io baciai le sue mani e la figura
    esile sparve, come fra le anella
    di un gorgo nero, in sua capigliatura.


il sereno canto

      Ma bionde treccie fulsero nel sole
    in serpentini avvolgimenti d'oro.
    Tinnule voci squillarono in coro:
    — Qui regna giovinezza e chi si duole?

      Sembravano fiorir da intatte aiuole
    queste, recando un candido tesoro
    nel cavo delle palme. I polsi loro
    venavan quasi tenere viole.

      Fecer corona di lor rosee braccia
    e cantarono insieme: — Amare, amare!
    Parean volar del sogno in su la traccia.

      Quand'una m'accennò ridendo: — Vieni!
    io negai, fisa al suo sguardo di mare.
    Non eran gli occhi miei tanto sereni.


ignare

      Io mi ritrassi all'ombra d'un abete
    e al tronco scabro m'appoggiai, rivolta
    ad osservar quella leggiadra accolta
    aprir del cuor le dolci ali segrete.

      Avean movenze sì agili e discrete
    ch'ogni grazia pareva in lor raccolta.
    E poi che venner gaie alla mia volta,
    le interrogai: — Perchè d'amar chiedete?

      Sorriser tutte come a un sol richiamo,
    ed una disse: — Lieta cosa è amare,
    e se una gioia è amor, noi l'invochiamo.

      Io insinuai: — Amore mente, affanna...
    Sciamaron via e risero le Ignare
    gridando: — Ah taci! È bello anche se inganna!


la rinunzia

      Ma quelle che già dissero pensose
    alla Rinunzia: — Avvolgimi in tuo velo, —
    fiorian dall'ombre, come l'asfodelo
    dai laghi immoti che le sponde han rôse.

      Fu forse il sogno a inanellarle spose?
    O l'errore, o il timore, o uno sfacelo
    d'illusioni, o un bacio aspro di gelo
    al — no — perenne il labbro lor compose?

      Videro il mio pensier su la mia fronte
    esse, e mi cinser con un mormorare
    lene d'acqua che sgorghi dalla fonte.

      — A che dischiudi suggellate porte?
    Ci è sì dolce in quest'ombra dileguare...
    Non è più vita e non è ancora morte.


la fedeltà

      — La nostra è morte in vita, — allor sommesso
    gemette un lagno d'accorata voce.
    Con le mani sul sen foggiate a croce
    veniano altre, e con sì stanco incesso!

      Venian quelle cui fu tutto promesso,
    cui tutto in fior mietè la falce atroce,
    bianche tra i veli, sotto il lor precoce
    lutto, spiando l'ombra d'un cipresso.

      E le vergini vedove, le spose
    senza nozze, le sacre a una memoria
    d'amore, le fedeli dolorose

      sfilarono, funerea teoria,
    in attitudin di pietà scultoria,
    goccia a goccia gustando l'agonia.


per amore

      Tanto più gaudiose innanzi agli occhi,
    tristi tuttor, m'apparvero le Amate,
    in tal figura d'anime beate
    ch'io me n'estasiai, muta, a ginocchi.

      — Questo fervor ch'è in noi sembra trabocchi,
    ne accenda, quasi lucciole d'estate.
    Più non risplendon torcie in sacre arcate
    che i nostri cuori da tal fiamma tocchi.

      Ed erano i lor detti luminosi,
    e i sorrisi e le fronti e gli occhi loro
    sì, ch'io parlando il volto mi nascosi.

      — Cantate tutti i canti verginali —
    dissi. — Già scende Amor con ali d'oro
    a celebrar con voi i suoi sponsali.


disdegno

      Allor s'udì concorde tintinnare
    d'un lungo riso l'eco del vicino
    bosco. Ciascuna un gelo repentino
    lungo le vene si sentì guizzare.

      Parea vibrante d'ironie amare,
    freddo di sdegni il riso cristallino.
    Ripigliaron le Amate il lor cammino,
    ma un dubbio errava su le fronti chiare.

      L'ombra io esplorai. Sorpresi le ridenti
    disdegnose riunite a' piè d'un faggio,
    intente ad intrecciar fiori e comenti.

      Le udii: — Di un'aspra schiavitù si vanta
    quel folle stuolo. Il nostro cuor più saggio,
    ebro di libertà, ilare canta.


mistiche

      Simili a gru, migranti ad oriente,
    trasvolavan le Mistiche, in sì mite,
    in sì celestial sogno rapite,
    ch'ogni atto lor ne sorridea eloquente.

      Del passato obliose, del presente
    inconscie, già viventi delle vite
    serafiche, già assunte alle infinite
    promesse, il cui promettitor non mente.

      Già le fronti raggianti, quasi incluse
    nell'aureola. Già le lunghe ciglia,
    quasi abbagliate dal fulgor, socchiuse.

      Già presso al limitar della vallea
    sacra, ove il re in clamide vermiglia
    dirà a ciascuna: — Veni Sponsa mea.


pellegrine

      Come romei rivolti a' luoghi santi,
    sopraggiungean nuove pellegrine,
    ma simili a Valchirie ed a regine
    nel fiero ardor de' bei volti sognanti.

      Fissavan gli occhi e i desideri avanti
    lungo un raggio ascendente senza fine.
    Corone su le fronti alabastrine
    parean portar, corazze sotto i manti.

      Quella io accostai che meno assorta andava,
    e una stella additò essa al mio sguardo,
    incastonata nella volta cava.

      — Alta è la mèta e il dubbio ci sconforta, —
    sorrise. — Ma il voler sprona gagliardo.
    Lungo è il cammin, ma vigile la scorta.


l'invocazione

      — O bianche pellegrine, m'accogliete
    nel vostro stuol. Se un male o una follìa
    dal mio cammino arido mi svia,
    voi saggie guide a stolto cuor sarete.

      Alacri ha il sogno l'ali. Irrequiete
    ma ben fiacche il voler. La lunga via
    deserta io temo. Anela ad ogni ombria
    mi fa sostare insaziata sete.

      Indugiarono a udir la mia preghiera
    le pellegrine, e con un parco gesto
    mi ammiser nella loro esigua schiera.

      Ond'io seguii le mie suore novelle,
    cercando in cielo con fervor ridesto
    il mio fior d'oro tra un fiorir di stelle.



SPIRAGLI


il convento

      Accoccolato a' piè della collina
    s'assopiva sereno il buon convento:
    noi no, chè dentro il suo cuor sonnolento
    eravam come rondini a mattina.

      Susurri e cinguettii l'ombra azzurrina
    degli alti muri confidava al vento
    quando, raccolto fra le palme il mento,
    obliavam la paziente trina.

      E chi aguzzava sguardi e fantasia
    a spiar se giungesse il cavaliere
    rapitore per qualche incerta via.

      Foggiava ognuna a sè la finzione
    più bella, e tutte con dita leggiere,
    tesseansi ori o fiori di corone.


il risveglio

      Gli occhi tu apristi in una buia sera
    afferrata da un torbido sgomento,
    mentre il viale di tigli del convento
    piegava urlando sotto la bufera.

      Quasi un'anima nuova, prigioniera
    in te, gemeva un fievole lamento,
    si lagnava d'un male ignoto e lento,
    e un gran pianto piangea la notte nera.

      Su le bianche dormenti la fiammella
    vegliava, come un occhio appassionato
    sotto una fronte virilmente bella.

      L'adolescente in quel fulgor s'affise
    marmorea, ostil. Poi, l'angelo svegliato
    raccolse l'ali e al sogno umano rise.


il mistero

      Al suo convento la novella sposa
    tornata un'ora, fra le giovinette
    compagne d'ieri, garrula sedette,
    franca nel gesto e nel narrar scherzosa.

      Ella pareva la corolla ch'osa
    sbocciar precoce e sola fra le vette
    dell'albero e turbar le timidette
    sorelle, chiuse in lor grazia ritrosa.

      Sì che ognuna nel suo intimo cuore
    tremava, riguardandola, d'un senso
    vago di meraviglia e di timore.

      E poi ch'ella partì, nel monastero
    s'effuse, tra l'usato aulir d'incenso,
    lo stupore confuso d'un mistero.


notturno

      Ma tu non odi un timido picchiare,
    un ticchetto tenue a' tuoi vetri?
    Ascolta un poco: alcuno par che impetri,
    e fuori è buio, e le stelle son rare.

      Tutte han varcato le rondini il mare,
    chè temon dell'inverno i giorni tetri.
    Questa, innanzi che il gel tutta l'impietri,
    cerca rifugio: essa non può emigrare.

      Essa è ferita, e il sangue si raggruma
    goccia a goccia sul suo piccolo cuore,
    e il sangue è rosso fra la bruna piuma.

      Socchiudi: fuori infuria la bufera,
    ma presso a te che morbido tepore...
    Ah! tu non apri, e la notte è sì nera...


il pianto

      Il pianto è la benefica rugiada
    che nell'ombra ogni nuova anima irrora.
    Gioia amara di quella che s'accora
    viatrice solinga in buia strada.

      Quando sul suo cammin non mai dirada
    la notte nè il timor, s'attarda un'ora
    la pellegrina e geme, e geme ancora
    fin che la sua più ardente stilla cada.

      Raccoglie allor le sue forze smarrite
    e prosegue. Dal ciel pendono mute
    le stelle, come lacrime impietrite.

      Sola prosegue, col suo cuore solo.
    Nè sa se le sue lacrime sperdute
    daranno un fior d'amore o un fior di duolo.


l'ombra

      L'ombra furtiva, quasi in sè rattratta,
    che sta in agguato su la nostra porta,
    è pronta a ingigantir se resa accorta
    che il terror de' suoi biechi occhi ci abbatta.

      Cupida allora dal suo covo scatta,
    assale, incalza, è pungolo ed è scorta,
    fin che in ignoti bui l'anima porta
    per fosche vie immemore, disfatta.

      Paura del futuro, ombra che assalta
    colei ch'è sola, se acuì la vista
    per fissare una stella in ciel tropp'alta.

      Ombra che il voi d'ogni baldanza arresta,
    l'ignorar chi sarà e pur se esista
    il fido cuor su cui poggiar la testa.


vigilia

      Grava su te, o insonne cuore, l'arco
    pensoso di tua bianca ultima notte:
    corta vigilia che il mistero inghiotte
    giungendo, ora per ora, a estremo varco.

      Tace ogni sogno e ascolta oppresso, carco
    d'un confuso timor, le ininterrotte
    voci dell'ombra, le parole rotte
    forse da un dubbio, l'ammonire parco.

      Nessuna ti racqueta o t'assicura,
    anima sbigottita, cuore pieno
    d'ansia, che aspetti ad una soglia oscura.

      Nessuna sa. Tu sola saprai tutto:
    se nèttare, se cenere, o veleno
    t'offra la vita in suo supremo frutto.


il silenzio

      Ogni pensosa vergine si cinge
    del suo silenzio, come d'un velario,
    e d'ombre un ondeggiar tenue e vario
    con fantasia sottile vi dipinge.

      O vi s'impietra, irrigidita sfinge
    in muto enigma. O al suo cuor solitario
    ne tesse inviolabile sudario,
    fra aròmati d'oblio ve lo costringe.

      Grave è il sudario del silenzio, e il cuore
    che vi si avvolge desiosamente
    più non si desta da quel suo sopore.

      Pur, se a scoprirlo, con ben caute dita,
    ella s'attenti, ancor vede il dormente
    gemere sangue dalla sua ferita.


sera di vento

      Dolce salire nella chiara sera,
    sola col vento che m'abbraccia, folle
    più d'ogni amor, la strada erta del colle
    fra un presagio lontan di primavera.

      Dolce, s'io pur di un'ironia leggiera
    mi punga, come chi desto da un molle
    sogno, se quasi già doler si volle,
    ride di sua stoltezza passeggiera.

      O breve inganno, io ben di te mi spoglio.
    Fatta serena, del destino il gioco
    senza umiltà io seguo e senza orgoglio.

      Ma mi figuro d'avanzar guardinga
    e curiosa, per gioir fra poco
    d'altra menzogna bella di lusinga.


un'amarezza

      Quell'amarezza fu senza parola:
    ma l'assenzio ed il fiele ed il veleno,
    tutto ciò ch'è più amaro, dal mio seno
    saliva gorgogliando alla mia gola.

      L'angoscia che nessun bene consola
    più non mi urgeva. Sol d'amaro pieno
    era il mio sangue, nè veniva meno
    in me quell'onda lenta eguale sola.

      M'ammorbava il palato il suo sapore,
    n'esalava il disgusto la mia voce,
    come l'acredin d'un malvagio fiore.

      Pure, un mio riso ritrovai ancora:
    quel riso d'un amaro tanto atroce
    che stride in bocca e l'anima divora.


la malinconia

      Dentro le vene la malinconia
    s'insinua, ed è un morbo sonnolento
    cui giova non trovar medicamento,
    uno stupor di morbida follìa.

      Il desiderio più tenace svia,
    smemora del più intenso sentimento,
    quasi vapori un greve incantamento
    d'oppio, in cui goda più chi più s'oblia.

      Essa è come un giaciglio, ove un'inerte
    stanchezza ci abbandoni svigorite,
    con le treccie disciolte e a braccia aperte.

      Ed ha il torpor d'alcune notti estive,
    in cui ci s'addormenta indolenzite
    dallo spasimo oscuro d'esser vive.


al sonno

      Sonno soave, il tuo suggello nero
    sopra l'aride palpebre m'imprimi.
    Sosta a lungo su me, tu che sopprimi
    tedio di vita e male di pensiero.

      Fasciami di torpor, se il tuo mistero
    non ha asprezza d'aneliti che limi,
    se i più dolenti s'inabissan primi
    nel nulla d'un morire passeggiero.

      Non darmi sogni; lasciami in letargo
    giacer, con le tue dita sui miei cigli,
    sotto il tepor del tuo mantello largo.

      Se puoi, le dita sui miei occhi tieni
    fin che il Signore mio giunga e bisbigli
    al mio orecchio: — È l'aurora. Alzati e vieni!


creta indocile

      Mi foggiò la natura in una creta
    indocile, e la vita non mi vide
    materia inerte fra sue mani infide,
    del suo pollice al solco mansueta.

      Perchè la vita sembra un fine esteta
    cui una strana fantasia sorride:
    ora l'opera plasma, liscia, incide;
    contr'essa or s'accanisce, ed or s'acqueta.

      Buona sorte ha per sè chi, ammasso informe,
    a' suoi bizzarri spiriti s'adatta,
    sopporta oppresso ed obliato dorme.

      Folle chi i nervi a più sentire affina,
    vigila, freme, ad ogni colpo scatta
    ed inerme a difendersi s'ostina.



IL SIGNORE


catene

      Signore, tu venisti con catene
    pesanti, come un despota. Sapevi
    ch'io invocavo per me quelle sì grevi
    che lunga impronta il polso ne mantiene.

      — Signore, — io allor ti dissi, — un qualche bene
    per questa dura servitù mi devi.
    E un riso schernitore tu ridevi,
    come chi vuol negar, ma si trattiene.

      Già m'avvinceva e mi turbava l'ombra
    dinanzi a cui la fuga è salutare,
    tanto di dubbi e di viltà c'ingombra.

      Ma io le spalle per fuggir non volsi,
    il despota affrontai, vidi cerchiare
    di sue catene i miei febbrili polsi.


il male

      S'appiatta, a guisa d'aspide che dorme,
    dentro il più tortuoso penetrale
    del cuore, questo immedicabil male,
    lo soffoca talor, incubo enorme.

      V'imprime gravi e oscure le sue orme,
    sigle roventi del dolor vitale,
    che il calmo orgoglio del voler non vale
    a cancellar con le sue fredde norme.

      Se lo lambisce con insidiosa
    lingua, v'incita l'anelare muto
    che invan dissimulato arde e non posa.

      Ma, se lo morde, il cuor ch'è solo grida
    ad invocar perdutamente aiuto,
    perchè il mal violento non lo uccida.


spirito ostile

      Io vi parlai con l'orgogliosa asprezza
    che quasi svela una nemica fiera.
    Pur s'appagava un desiderio, ed era
    pur quello un lungo sogno di dolcezza.

      L'ora più grave certo non s'apprezza;
    non s'annunzia quest'ora, passeggiera
    del bene, oppur del male messaggera;
    sorprende l'urto che non s'ode e spezza.

      Nè mentiva il mio accento di disdegno.
    Spirito ostile, cruda ragione
    io in voi conobbi a qualche occulto segno.

      L'anima si slanciò con ali pronte
    sospinta da sua mala illusione:
    ma urtò nel marmo d'una chiusa fronte.


ebrezza

      Tenace cuor, le tue forze non dome,
    nè fatte già da assiduo impero ignave,
    in te risorgono, ribellate schiave,
    che alla tempesta scuotono le chiome.

      Torbido mal t'opprime e t'arde, come
    suggel di passione troppo grave;
    ma l'ami; esso è quasi l'aspra chiave
    d'una tua ebrezza, cui non so dar nome:

      Soffrir con gioia. Respirar la vita
    in sussulti d'angoscia. Lacerare
    senza pietà la propria ferita.

      E più goder di questo estremo affanno:
    che le tue grida tanto ardenti e amare
    a chi ti strazia mai non giungeranno.


in cammino

      Io seguo il mio cammin, cieca, a tentone,
    e so che molte e incerte son le mète.
    Nè, restio, la man voi mi porgete
    che mi guidi a trovar salvazione.

      E m'è d'uopo, con vana finzione,
    ancor dissimular l'ansie segrete
    del mio fatale andare, e l'acre sete
    che la fredda ragion vostra m'impone.

      Nè io men dolgo. Spirito diverso
    da quel che vi consiglia io non vi voglio:
    mi ammalia ciò ch'è in voi saggio e perverso.

      Mi piace avervi a mio avversario forte,
    e per voi che sferzate aspro il mio orgoglio
    di passione impallidire a morte.


rammarico

      Il rammarico oscuro che m'accascia,
    io lo ritorco contro me in pungenti
    sarcasmi, e sferzo di ragionamenti
    ironici la mia arida ambascia.

      Ma un solco vivo ciascun scherno lascia
    dove i suoi colpi insiston violenti.
    Sen duol con malinconici lamenti
    quei che il duro voler urta e non sfascia.

      Tristemente si duole: — A che sogghigni?
    Più tu ti senti miserabil cosa,
    più t'affanni a ostentar sdegni maligni.

      Ecco: ora piangi, sfatta d'umiltà,
    or s'avvilisce l'anima orgogliosa
    ch'altro destar non seppe che pietà.


gioco di sguardi

      Gioco di sguardi è cosa tanto vaga
    e al vostro vano ardir piacevol cosa.
    Ma questa inferma anima, se l'osa,
    vi si strugge in contesa e non s'appaga.

      Simile io sono a chi cela una piaga
    ma l'accusa con fronte dolorosa,
    e trattiene coi denti senza posa
    il tremor che in sue vene si propaga.

      Voi sembrate colui che si compiace
    spiando in volto ad un febbricitante
    i segni d'un sottil morbo vorace.

      E gode a udir su quelle labbra amare,
    arse dallo stupore delirante,
    un solo nome, il suo nome tornare.


l'imagine

      Come perisce preziosa istoria
    se fiamma assai sue miniate pagine,
    così s'offusca, spar la vostra imagine
    rôsa dal muto ardor della memoria.

      D'altri ricordi la già vecchia scoria
    vi dirama un'inutile propagine,
    pure è impotente la più assorta indagine
    a trovarvi una vostra ombra illusoria.

      Io v'ho smarrito per fervor soverchio
    di ritenervi. Il cuor vi sa; v'oblia
    la mente, chiusa in troppo breve cerchio.

      Ond'io vi cerco e non vi vedo. Ascolto
    parlar di voi, di voi l'anima mia
    e più non trovo il dileguato volto.


anima errante

      Se il mio signore segue la sua via
    con cuore assorto o con sereno volto,
    sol con sè solo crede andar, raccolto
    nel suo pensier, senz'altra compagnia.

      Ed ei non vede alcuno che lo spia,
    passo passo, alla sua mèta rivolto,
    alcun che sta del suo cuore in ascolto
    e gli parla con tenera follia.

      Ecco: al suo piede un'ombra or lunga or breve
    accanto o dietro o innanzi a lui cammina,
    nè mai la stanca quel suo andar sì lieve.

      Essa è colei che troppo sola muore,
    è la notturna anima pellegrina
    che persegue il suo sogno ed il suo amore.


lamento vano

      Piccolo cuore folle, a che ti lagni?
    Tu che sfidavi a prova la tortura
    più cruda, or soffri di poc'ansia oscura,
    lasci che vano affanno ti guadagni.

      Il male che ti tien sotto grifagni
    artigli, come sua preda sicura,
    t'avvilisce così che la paura
    e il dubbio ormai ti son soli compagni.

      Ora tu sai che non disseta il duolo,
    sai che a quetare il tuo lagno furtivo
    ti basterebbe un piccol bene, un solo.

      E piangi, curvo su la tua ferita,
    e invano tenti saziar nel vivo
    suo sangue la tua sete aspra di vita.


un desiderio

      Piangere piano piano, con la faccia
    contro la vostra spalla io vorrei bene,
    come una bimba che più non sostiene
    il segreto che l'arde e che l'agghiaccia,

      ma restare così finch'io mi taccia
    nella vaga atonìa d'un sonno lene,
    finchè il maligno incanto che mi tiene
    si smaghi e in me non ne rimanga traccia.

      Il cuore io sentirei farmisi immoto,
    vanire leggermente entro il mio seno
    e lasciar dove pesa un nero vuoto.

      Dolce allor mi sarebbe d'improvviso
    ritrovar il mio spirito sereno,
    rialzarmi e fuggir, squillando un riso.


una preghiera

      La pietà del silenzio io solo imploro,
    freddo spirto, da voi, cui fu gradita
    vista l'aprirsi della mia ferita,
    cui piacque un dolorar senza ristoro.

      Certo il riso sottil, ch'io non ignoro,
    a un prudente tacer me pure incita;
    ma è l'aspra gioia di mia chiusa vita
    spargerne al vento l'unico tesoro.

      Morbosa voluttà in cui s'umilia
    ogni baldanza, in cui oggi più duole
    la pena già sopita alla vigilia.

      Ben io vorrei, ma il desiderio è folle,
    esacerbar di mie vane parole
    tanto come chi amò, chi amar non volle.


la mèta fallace

      Chiusa è la casa dov'io giungo alfine,
    spossata dall'asprezza ardua dell'erta.
    Ai cardini s'abbrancano le spine,
    la casa è chiusa e la soglia è deserta.

      Par ch'essa punga d'un suo muto e fine
    sdegno chi sta fra timida ed incerta,
    col petto ansante e con le ciglia chine,
    e che del folle suo inganno l'avverta.

      Che val sostare? Anima mia, che vale
    piangere con la bocca sul gradino
    dove si posa il piede di chi sale?

      Che val chiamar chi è sordo o non ascolta?
    A ritroso facciam ora il cammino...
    Non tremare così, anima stolta.



PROFILI


le oscure

      Negli angoli discreti degli altari
    scorron corone fra le dita snelle
    figure curve come vecchierelle,
    cui lumeggian di scorcio i lampadari.

      Tutte han gli stessi movimenti rari,
    gli stessi volti scarni di zitelle.
    Si salutan con occhi di sorelle,
    cercando un riso in fondo ai cuori amari.

      Sembran celare con gelosa cura
    il male di sentire a ogni ora farsi
    più vuoti i polsi e l'anima più oscura.

      E ciascuna furtiva si dilegua,
    senza rumore, quasi per sottrarsi
    a un dileggio sottil che la persegua.


mater inviolata

      Come avvisaron suora Benedetta
    che la sua dolce alunna era partita,
    senza un addio a chi nella sfiorita
    ombra, materno cuor, l'ebbe diletta,

      ella restò a fissar la finestretta
    graticolata e a torcer fra le dita
    il suo rosario, un poco impallidita,
    quasi in un cerchio di stupor costretta.

      L'oratorio era vuoto. Fuori un volo
    di rondini saliva ed ella rise
    un riso bianco come il suo soggolo.

      — La mia bambina volò via stamani,
    sapete? — rise fievole, e s'assise:
    — Ora l'aspetto, tornerà domani.


l'amico

      Per noi l'amico sconosciuto vive
    una sua vita tenue e profonda,
    quando un bianco stupore ancor ci inonda
    ma già al volo addestrammo ali furtive.

      A noi con le sue risa suggestive,
    lo trasse il sogno quasi a fior di un'onda,
    come il cigno traeva ad Elsa bionda
    Lohengrin lungo le fiorite rive.

      Cavalier di leggenda, o eroe antico,
    mistico sposo, ignoto fidanzato,
    l'ombra di un'ombra è solo il dolce amico.

      Ma è tal che sdegna un meno puro altare,
    tal che la carne già desta al peccato
    vede, effimero amore, dileguare.


Suora Rosaria

      Suora Rosaria, bionda in velo nero,
    mai sazî sguardi rivolgeva al monte
    de' Capuccini e la sua liscia fronte
    s'adombrava di un trepido pensiero.

      Le palpebre chiudeva, in atto austero,
    quasi ardesse al suo pallido orizzonte
    un sogno troppo dolce, e troppo pronte
    pupille ne accogliessero il mistero.

      E ancora sollevando al chiostro pio
    in vetta al monte le sue ciglia chiare,
    ella chiedeva la sua pace a Dio.

      Ma udiva dello stesso suo dolore
    pianger, là in alto, a' piedi d'un altare,
    chiuso nel saio, il suo perduto amore.


la sfinge

      Il pensier più sagace invano indaga
    la purezza di tua fronte scultoria,
    turbato dalla bocca derisoria,
    dagli occhi bui di maliarda maga.

      Pur, questa tua seduzione vaga
    di bell'enigma che ti rechi a gloria,
    copre sol una oscurità illusoria
    d'anima ambigua ch'ombra fredda allaga.

      L'intima vanità mente a te stessa:
    tu presumi l'assenza del pensiero
    profondità di un'anima complessa.

      E mentre un occhio osservator ti scruta
    tu, certa di celar qualche mistero,
    t'atteggi a sfinge impenetrata e muta.


virgo fragilis

      Un languor di stanchezza io riconosco
    nel volger delle tue pupille schive.
    Fragil tu sei com'edera di bosco
    che solo a un tronco avviticchiata vive.

      Come l'acqua tu sei, che in ogni chiosco
    verde si lagna e geme in fratte e in rive,
    finchè tremando, giù pel greto fosco,
    sposi al fiume le sue acque giulive.

      Si porgono le tue docili mani,
    sè stesse offrendo a una catena grave
    con fervor d'umiltà nei gesti piani.

      L'anima tua in fondo a' tuoi sfuggenti
    occhi, saprà sorridere soave
    sol quando per amare s'annienti.


tediata

      Tu t'abbandoni, o pallida indolente,
    nella ricca mollezza de' cuscini,
    e in sonnolenta voluttà reclini
    le ciglia gravi tediosamente,

      quasi un'ebrezza tenue la tua mente
    oziosa per strane ombre trascini,
    o velino i tuoi verdi occhi felini
    soporiferi aromi d'oriente.

      O sei come una bella agile tigre,
    che s'allunghi a giacer sotto una palma,
    con sue movenze regalmente pigre.

      Ma non t'insidia il serpe tentatore,
    e tu per scuoter la tua uggiosa calma
    ti lasceresti pur suggere il cuore.


frutti maturi

      Venne al frutteto l'anima superba
    cui non pur anche amore avea sorriso:
    l'ombre assorte tacean, le fronde, l'erba
    quasi in un orto muto dell'Eliso.

      Come colei che un suo mistero serba
    ella era grave. E col suo sguardo fiso,
    fosco d'un velo di tristezza acerba
    contrastava il languor molle del viso.

      Poi ch'estate era al sommo, tra le foglie
    porgea ogni frutto la sua gota rosa
    alla man che carezza e che raccoglie.

      Ma il più perfetto, a un tenue tremore
    del ramo, cadde a' piè della Pensosa:
    ella sentì cadere anche il suo cuore.


sposa bianca

      Nessuno mai passò ne' tuoi capelli
    fluenti la carezza di sue dita,
    nè reclinò la tua faccia smarrita
    a chiuder con le labbra gli occhi belli.

      Ma invano amor t'ordì vaghi tranelli;
    la virtù del godere ha in te esaurita
    mestizia assidua. Brama non t'irrita
    di spezzarne gl'immobili suggelli.

      Desiderio di gioia non t'assale.
    Tu custodisci un'unica dolcezza
    sì intensa, che a pensarla ti fa male.

      È la tua fedeltà silenziosa
    rampogna a chi t'offese. A te è l'ebrezza,
    la gioia nuziale, o bianca Sposa!


vendicatrice

      Tu che inasprisci di superbi scherni
    e strazî di freddezze noncuranti
    l'uomo già altero, che t'umilia avanti
    il duol dei giorni alle sue ansie eterni,

      tu che il suo lungo desiderio alterni
    fra viltà disperate e stolti pianti,
    non sai che lacci hai con un gesto infranti,
    qual vendetta tu compia non discerni.

      Costui che fra le tue sottili dita
    fatte artigli tu stringi, e soffre, e duolsi,
    schiavo d'amor che il tuo negar più incita,

      ingiustamente espìa, con una pena
    cruda, il gioir di chi fragili polsi,
    per suo trastullo perfido, incatena.


le deluse

      Io vidi queste tendere le braccia
    in vana attesa d'anime deluse,
    con ciglia di febbrili ombre soffuse,
    con labbra accese nell'esangue faccia.

      Con quelle labbra su cui par si taccia
    il gemito scorato delle accuse,
    ma tremi la dolcezza che le schiuse,
    quasi fiori che nuovo alito allaccia.

      Le vidi premer sopra il cuor conserte
    le dita e susurrargli: — O folle, taci! —
    con la voce che han l'anime deserte.

      E reclinare la turbata fronte,
    come assetati ch'odono loquaci
    rider l'acque e non trovano la fonte.


la respinta

      In te fu sospettata la nemica
    subdola, quella ch'arti e audacie aduna
    a irretir l'ingannevole fortuna
    d'amore, e nelle sue reti s'intrica.

      Fosti respinta. Come una mendica
    che insista nel suo chiedere, importuna,
    fosti respinta. E tu ben taci: niuna
    parola esiste che il tuo male dica.

      Non ti fu vista la tua morte in viso.
    Si rinchiuse il tuo cuor pieno di strida.
    Su se stesso piegò, come un ucciso.

      Pur, s'addolcì benigna la ripulsa.
    Di pietà si velò la voce infida...
    Come ride la tua bocca convulsa!


serena

      Male s'umiliò la tua serena
    fronte, o Sorella, perchè a te compose
    gaia fortuna i suoi serti di rose
    e ti protesse contro ogni aspra pena.

      Meglio inseguir per una strada amena
    le libellule a volo, flessuose,
    che ricercar per ombre insidiose
    il fior che dolce odora e che avvelena.

      Non ti stupir se con la voce amara,
    il mio folle disdegno non ripeta,
    beffardo il riso di tua bocca ignara.

      Più dona gioia il pueril tuo giuoco
    che desiderio d'anima inquieta
    morsa e bruciata dal suo stesso fuoco.



VERITÀ


peregrinando...

      Peregrinando pe' sentieri umani,
    tra i rivi, chiare verità raccolsi,
    quando in quell'acqua io amai temprare i polsi,
    sorseggiarla nel cavo delle mani.

      Talora ne gustai ben acri e strani
    sapori. Pure non me ne distolsi.
    Dissi: — Oggi è amara, — e un poco me ne dolsi.
    Poi risi: — Dolce mi parrà domani.

      Buona lusinga è cara a giovinezza,
    ma, per il gioco della vita forse,
    l'amaro soverchiava la dolcezza.

      Se una vena sottil d'acque migliori
    sgorghi in cammini che il mio piè non corse,
    ch'io la trovi e con gioia l'assapori.


il miraggio

      Sorelle, presto dileguò il miraggio
    che c'illudeva nelle notti inquete
    di nostra chiusa adolescenza, a maggio,
    quando l'anima ardea d'ignota sete,

      e la vita annunziavasi un viaggio
    meraviglioso di venture liete
    e dolci e folli... Con pensier più saggio
    ora guardiamo a nostre oscure mète?

      Ah no! L'illusione in noi non posa,
    come il rosaio, fin che primavera
    dura, non cessa di fiorir la rosa.

      Supremo è il bene che non giunge mai.
    L'illusione incuora: — Attendi e spera.
    Ma non dàn frutto steli di rosai.


gli inganni

      D'inganni ha sete la natura nostra
    s'anche un suo amaro diffidar la invade.
    Innamorata del suo error, se cade
    si solleva. S'abbatte, non si prostra.

      Una lusinga sempre ancor dimostra
    che un bene attende in non lontane strade,
    e non addita le taglienti spade
    che cozzeranno in qualche incerta giostra.

      Misero, o forte, del suo dubbio stesso
    il cuor che spento già si crede, aspetta,
    pur dal coperchio di sua bara oppresso.

      Meglio il dolor fra le sue crude spire
    lo soffocasse in una sola stretta,
    che agonizzare, e non saper morire.


virtù incauta

      Noi ci affidiamo incautamente, forse,
    alla vita sì corta e sì meschina.
    Ogni bene il suo mal seco trascina
    e taluna di ciò già ben s'accorse.

      Contr'essa già la vita cieca torse
    punte acute di scherni, e la confina
    dove un gelo solingo di rovina
    già la costringe in sue tenaci morse.

      Solo nocque a costei l'esser migliore
    di molte, e attender dal destino infido
    un dono pieno ed unico d'amore.

      Troppo ingenua virtù di salde tempre
    ripetere a un Atteso a un Solo il grido:
    — Tutto o nulla per te. Giammai o sempre.


l'ora sospesa

      Questa, o Sorelle, è della nostra vita
    l'ora più ricca e più vibrante. È l'ora
    sospesa, in cui chi tutto brama e ignora,
    su tutto il folle desiderio incita.

      V'è nell'ombra un'altr'ombra che c'invita
    con un sorriso sì dolce che accora.
    L'anima attende in sua chiusa dimora
    una promessa ancor non profferita.

      Tutte le nostre facoltà son come
    ali, anelanti un volo periglioso,
    allo slancio già pronte e ancora indome.

      L'anima nostra è un ciel raccolto in sè
    che, di sue stelle al tremor radioso,
    aspetta il sole, il donatore, il re.


esaltazione

      Un'ora di rivolta mi flagella,
    nè mai io seppi un'ora come questa,
    nè mai con sensi ed anima in tempesta
    mi sentii tanto forte e tanto bella.

      Il marchio del mio duol si dissuggella
    perch'io goda la mia più dolce festa:
    mi par d'alzarmi sopra una funesta
    ombra e brillar come una chiara stella.

      O Vita, il piè m'è lieve e il cuor m'è forte
    per salire la tua scala vermiglia
    e per varcar le tue incantate porte.

      Aprimi, io vengo... Ah no! Qualcun mi fissa
    dalle tue soglie, ostil, con fredde ciglia
    e nel mio lungo strazio m'inabissa.


l'enigma

      Enigma oscuro della vita questo:
    che lo straniero, ancor lunge all'aurora,
    a sera, nel tremor muto di un'ora,
    l'imper più dolce imponga e più funesto.

      Così il fanciullo, con un piccol gesto
    imprigiona la lucciola che indora
    l'ombra di maggio, ed egli stesso ignora
    s'ei le dirà: — Mi piaci — o: — Ti calpesto.

      Enigma oscuro, che uno sol fra cento
    tragga da un chiuso cuor virtù d'amore
    tal, da farlo di sè quasi sgomento.

      E l'indoma s'ammansi, e la superba
    si faccia schiava d'un crudel signore,
    nuocendo a sè, come nemica acerba.


ironia

      Quando amor vuole imporre aspra catena
    si compiace affinar sua tirannia
    e su le ignare vittime balena
    un sottile sogghigno d'ironia.

      Ei fa del saggio un misero che pena
    e arranca ed ansa per un'ardua via,
    sopra l'orme di chi, con pari lena,
    dietro altri passi, indocile, s'avvia.

      — Ama chi t'ama è fatto antico — insegna
    messer Francesco. Per destin talvolta
    sprezziam chi ci ama e amiam chi ci disdegna.

      Questi a noi porge supplicanti braccia.
    Noi un altro invochiam che non ci ascolta.
    E l'ironia ci ride allegra in faccia.


contrasto intimo

      Dove un dolente amore si nasconde
    un odio sordo quivi pur s'annida;
    l'uno inasprisce di sue acerbe strida
    l'altro smarrito fra mal note sponde.

      L'odio superbo spesso si confonde
    all'amor che s'umilia e che diffida,
    poi che un'eguale passione guida
    entrambi, ciechi, per sue vie profonde,

      V'è in noi, forse, una martire che gode
    del suo martirio, ed una prigioniera
    che si rivolta e le sue corde rode.

      L'una vorrebbe baciar quella mano
    che contr'essa si fa sempre più fiera.
    L'altra avventarle un morso disumano.


l'arte

      Più che tremor di pianti trattenuti,
    più che improvviso impallidir, che sguardi
    gravi d'angoscia, che sorrisi tardi,
    dalla pietà del proprio mal spremuti,

      giovan gl'inganni blandamente astuti
    di sapienza, che avvicenda ai dardi
    i balsami negli occhi maliardi
    e veste i lacci d'ori e di velluti.

      Sincerità non val, sol arte giova.
    Destreggiarsi e regnar saprà l'esperta
    quando vinta cadrà l'anima nova.

      L'arte non è sottil; diletta forse.
    Disperde i sogni e tien gli spirti all'erta.
    Facile è l'arte, dove amor non morse.


bellezza della vita

      Bellezza della vita, io non ti trovo.
    Pure ti cerco in me, pure ti spio
    su fronti di sorelle. Ombre d'oblio
    or tento ed or gelosi veli io smuovo.

      Il primo balenar d'un riso nuovo
    scruto, m'insinuo in qualche spirto pio,
    indago ogni speranza, ogni desio,
    ma a scoprirti con vana ansia mi provo.

      Tu esisti forse in spiriti virili
    esperti in trar da ciascun fiore ebrezza,
    o in chiara gioia d'anime infantili.

      Non nel nostro anelar d'anime inermi:
    inquete fiamme, chiuse da saggezza
    d'antiche norme fra leggiadri schermi.


l'attesa

      Di questa lunga attesa che vi snerva
    non vi dolete, o anime fraterne.
    Dolce è ondeggiar fra le lusinghe alterne
    d'un sogno che nessun vincolo asserva.

      La vita, non ancor fatta proterva,
    ci vezzeggia con sue grazie materne.
    E un'alba fausta, forse, in sè discerne
    quella che intatto un bene suo conserva.

      Costei ha ancora all'arco suo la freccia
    della fortuna e quella dell'amore:
    cerca il suo segno e a sè corone intreccia.

      Si faccian sterpi i fiori del giardino,
    tragga l'arco ad un segno ingannatore.
    Noi non mancammo, a noi mancò il Destino


commiato

      Del suo primo esitar non va disciolta
    pur sul tacersi la tentata lode,
    chè, Sorelle, con duolo intimo l'ode
    colei che si godea d'ombra raccolta.

      Per senno scarso e per malizia molta
    chi poco intende, assai sogghigna e gode.
    Vigilava uno spirito custode
    muto, il mister di vostra bianca accolta.

      Pur, d'ogni velo fatta impaziente,
    anime acerbe, macerate, rôse,
    io vi snudai con mani violente.

      Perdono io trovi. E se la mia parola
    ghirlanda temeraria vi compose,
    possa il suo ardire umiliar me sola.



INDICE


  PREFAZIONE di G. A. Borgese         Pag.   v

  LE SEDUZIONI                         »     3

  QUELLA CHE VA SOLA                   »     5
  Le seduzioni                         »     7
  Dolcezze                             »     8
  La giovinezza                        »     9

  CIÒ CHE FU                           »    11
  L'antico pianto                      »    13
  L'antico desiderio                   »    14
  L'antico male                        »    15
  La guarigione                        »    16
  Incertezze                           »    17

  NUOVI INCANTI                        »    19
  L'ingannatore                        »    21
  Occhi ignoti                         »    22
  Le nuove attese                      »    23

  INCITAMENTI                          »    25
  Mollezze                             »    27
  I doni                               »    28
  Avidità di vivere                    »    29

  INDUGI                               »    31
  Fascini                              »    33
  Al mare                              »    34
  Una mano                             »    35
  Vecchio parco                        »    36
  Perplessità                          »    37

  TENTAZIONI                           »    39
  Le gemme                             »    41
  La meraviglia                        »    42
  Cose maliose                         »    43

  ELEGANZE                             »    45
  Le essenze                           »    47
  I profumi                            »    48
  Un frutto                            »    49
  Le sete                              »    50

  SENSAZIONI                           »    51
  Una voce                             »    53
  La sera                              »    54
  La libertà                           »    55
  Insegnamenti                         »    56

  OSTILITÀ                             »    57
  Un rancore                           »    59
  Una carità                           »    60

  OMBRE                                »    61
  Doppio gioco                         »    63
  Gelosia                              »    64
  Un incontro                          »    65
  Una prudenza                         »    66

  ONDEGGIAMENTI                        »    67
  La felicità                          »    69
  Incertezze                           »    70
  Qualche amarezza                     »    71
  La rivale                            »    72
  Schermaglie                          »    73
  La menzogna                          »    74

  ORE FOLLI                            »    75
  Il capriccio                         »    77
  Un cuore                             »    78
  Notte                                »    79
  Chi ti vuole                         »    80
  Oblio                                »    81

  INQUIETUDINI                         »    83
  Seguace                              »    85
  Chi era                              »    86
  Un grido                             »    87

  DESIDERI                             »    89
  Vortice                              »    91
  Un addio                             »    92
  L'ignoto                             »    93

  INFERMITÀ                            »    95
  La crisi                             »    97
  La convalescenza                     »    98
  Pallore                              »    99

  VORAGINI                             »   101
  L'etèra                              »   103
  Multiforme                           »   104
  L'abisso                             »   105

  PROFILI                              »   107
  Un discreto                          »   109
  Un pauroso                           »   110

  L'INVITO                             »   111
  L'attesa                             »   113
  L'accoglienza                        »   114
  Il saluto                            »   115

  BELLE ISTORIE                        »   117
  I romanzi                            »   119
  Le favole                            »   120
  Il poema                             »   121

  VIBRAZIONI                           »   123
  Un dubbio                            »   125
  Mattini                              »   126
  Asprezze                             »   127

  LE LETTERE                           »   129
  Il giardino segreto                  »   131
  Lettere intime                       »   132
  Lettere rese                         »   133

  LA VITA                              »   135
  Dimenticare                          »   137
  Il tributo                           »   138
  I sogni                              »   139
  Il domani                            »   140
  Il desiderio                         »   141

  SONETTI                              »   143

  ROSSO E NERO                         »   145
  No                                   »   147
  Se voi moriste                       »   148
  Crudeltà                             »   149
  La parola                            »   150
  Il destino                           »   151

  UN RITORNO                           »   153
  I                                    »   155
  II                                   »   156
  III                                  »   157
  IV                                   »   158
  V                                    »   159

  ABBANDONI                            »   161
  Un inganno                           »   163
  Una dedizione                        »   164
  È tardi                              »   165

  SOLILOQUI                            »   167
  Vagabondaggi                         »   169
  L'altro volto                        »   170
  La curiosità                         »   171

  COMMIATO                             »   173
  La mia voce                          »   175

  LE VERGINI FOLLI                     »   177

  ANIME                                »   179
  Sorelle                              »   181
  Le più lodate                        »   182
  Colei che tace                       »   183
  Colei che dispera                    »   184
  Il sereno canto                      »   185
  Ignare                               »   186
  La rinunzia                          »   187
  La fedeltà                           »   188
  Per amore                            »   189
  Disdegno                             »   190
  Mistiche                             »   191
  Pellegrine                           »   192
  L'invocazione                        »   193

  SPIRAGLI                             »   195
  Il convento                          »   197
  Il risveglio                         »   198
  Il mistero                           »   199
  Notturno                             »   200
  Il pianto                            »   201
  L'ombra                              »   202
  Vigilia                              »   203
  Il silenzio                          »   204
  Sera di vento                        »   205
  Un'amarezza                          »   206
  La malinconia                        »   207
  Al sonno                             »   208
  Creta indocile                       »   209

  IL SIGNORE                           »   211
  Catene                               »   213
  Il male                              »   214
  Spirito ostile                       »   215
  Ebrezza                              »   216
  In cammino                           »   217
  Rammarico                            »   218
  Gioco di sguardi                     »   219
  L'imagine                            »   220
  Anima errante                        »   221
  Lamento vano                         »   222
  Un desiderio                         »   223
  Una preghiera                        »   224
  La mèta fallace                      »   225

  PROFILI                              »   227
  Le oscure                            »   229
  Mater inviolata                      »   230
  L'amico                              »   231
  Suor Rosaria                         »   232
  La sfinge                            »   233
  Virgo fragilis                       »   234
  Tediata                              »   235
  Frutti maturi                        »   236
  Sposa bianca                         »   237
  Vendicatrice                         »   238
  Le deluse                            »   239
  La respinta                          »   240
  Serena                               »   241

  VERITÀ                               »   243
  Peregrinando                         »   245
  Il miraggio                          »   246
  Gli inganni                          »   247
  Virtù incauta                        »   248
  L'ora sospesa                        »   249
  Esaltazione                          »   250
  L'enigma                             »   251
  Ironia                               »   252
  Contrasto intimo                     »   253
  L'arte                               »   254
  Bellezza della vita                  »   255
  L'attesa                             »   256
  Commiato                             »   257



Nota del Trascrittore

Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo
senza annotazione minimi errori tipografici.





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