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Title: L'olmo e l'edera
Author: Barrili, Anton Giulio, 1836-1908
Language: Italian
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(This file was produced from images generously made
available by Biblioteca Nazionale Braidense - Milano)



  L'OLMO E L'EDERA

  VOLUME I.


  Tip. della Società Cooperativa.



  L'OLMO E L'EDERA

  RACCONTO

  DI

  ANTON GIULIO BARRILI

  Volume primo

  MILANO
  E. TREVES & C., EDITORI

  1869.



  Proprietà degli Editori



A ENRICO DESCALZI

_Sebbene io non l'ho per un lavoro eccellente, ma perchè ho deliberato
di mettere sopra ognuno de' miei libri il nome di un amico, amo
intitolare a Lei, uno dei pochi carissimi, questo mio racconto, che
non sarà po' poi la cosa più brutta del mondo in questo genere di
manifatture letterarie.

Intorno alle quali vorrei pur dire alcun che, tanto per levare
l'appiglio ad una riprensione che mi potrebbe esser fatta, del non
sapere io uscire a cercare le mie inspirazioni e i miei temi fuori di
porta Pila, o di porta Lanterna. Ecco il secondo romanzo, e, contando
gli altri in corso di stampa, il quarto che s'è allogato tra le mura
di Genova. Ora, è tutta in Genova la vita italiana? O non s'ha a
vederci un po' d'amore del campanile, in questo non badare che a lei?

No, l'amore del campanile non c'entra per nulla. Ella sa, gentile
amico, che amo casa mia, e mi sento morire dal mal del paese quando
sono lontano da questa prediletta mia terra; ma avrebbe il gran torto
chi ascrivesse a cotesto il restringer ch'io fo l'orizzonte dei miei
quadri, e non volesse vederci in quella vece il dito della necessità,
siccome vo' dimostrare ai benevoli.

A me, anzi tutto, la non m'entra, di celebrare l'unità, col far
nascere a Roma, o a Firenze, ciò che ho copiato, bene o male, dal
vero, nel mio piccolo spazio di terra, sotto il mio lembo di cielo;
chè non vo' far dipinture stonate. E poi, mi venisse anco fatto di
dettare un romanzo fiorentino pretto sputato, e' riuscirebbe forse più
schiettamente italiano?

Noi (s'ha da mettere in sodo) non abbiamo in Italia l'_urbs_, il
cuore, il capo, e il ventre della nazione in una sola città. La
Francia, rispetto a vita sociale, è tutta quanta a Parigi, come
l'Inghilterra a Londra; ma da noi gli è il caso contrario. Firenze,
Milano, Napoli, Palermo, Genova, Venezia, Roma, Bologna e Torino (Ella
vede che le pongo a mazzo) sono esse tutta l'Italia, e ognuna di esse,
insieme coi caratteri comuni a tutte, porta i suoi caratteri
particolari. Valentuomo colui che meglio saprà cogliere la fisionomia
di uno tra questi centri della vita italiana, e meglio allogare le sue
fantasie nelle strade e nelle usanze della città ch'egli conosce più
addentro! Parlo, s'intende, del romanzo di costumi; che per lo
storico, la bisogna corre diversa, essendo mestieri di studiare i
luoghi colla storia tra mani, giusta le impressioni che balzano fuori
dal raffronto.

Io dunque, genovese, serberò fede a Genova. Ma anco a danno della
diffusione de' miei libri? Sì, certamente, e perchè no? Alle corte,
chi legge i nostri libri? chi li compera? Egli è già molto quando si
rifà le spese della carta e dell'inchiostro; le penne e la fantasia ci
si mettono per sovra mercato. Dov'è l'editore italiano? E a cui
profferisce volonteroso i suoi tipi e il suo danaro[1]?

Salvo tre o quattro, giunti a fatica sui greppi del Parnaso librario,
nè tutti con meritata autorità di nome, ogni scrittore ha da
industriarsi colle sue mani, farla da autore, da editore e da
spacciatore della sua mercatanzia, E chi è poi, di questi tapini, che
rompe le porte Scee ed introduce il suo cavallo di legno, carico di
volumi, nella città non sua?

Per chi ha fisso il chiodo di scrivere, e di stampare dopo di aver
scritto, non rimane che la propria. E qui non c'è nemmanco da cantar
vittoria. La città nella quale si vive, alla quale si dimanda il
sussidio di quattrocento lettori, vuol essere, rispettivamente al
libro, spartita in tre classi. V'hanno coloro che comprano; amici e
conoscenti, i quali, come non pretendono che l'orologiaio regali loro
un oriuolo, nè il mercatante un sacco di grano, così non pretendono
che l'autore faccia loro un presente di quel libro che egli ha già
dovuto pagare al tipografo; ottimi cittadini che vedono il nome
dell'amico sulle cantonate e si ricordano di passare dal libraio (che
intanto la è tutta strada) per pagare un cortese tributo all'amor
delle lettere. V'hanno coloro che leggono, e lodano lo scritto, o la
buona intenzione dello scritto, ma pigliano il libro ad imprestito.
V'hanno finalmente coloro che lo scherniscono, senza averlo comprato,
nè letto. Ora dimando io, come ha da cavarsela il povero autore, in un
simile stato di cose?

Noi italiani, quanti siamo a saper leggere e scrivere, non ci
adoperiamo punto, per fare un po' di strada al libro italiano. La
stampa periodica non reputa ufficio suo prestarsi a quest'opera di
grande utilità, e molto per colpa sua (lo si lasci dire a me, laureato
in questa magra disciplina), gli scrittori intisichiscono coi loro
libri nelle rispettive cerchie di mura. Per contro, la stampa
sullodata aiuta, e grandemente, a far comperare da tutti il libro
forastiero. L'annunzio facilmente accolto, la volubile loquacità del
novelliere parigino, la notizia bella e fatta, che non c'è altra
fatica a pigliarla, fuor che un colpo di forbici, finalmente
l'andazzo, la necessità di mostrarsi al fatto d'ogni novità letteraria
che sia strombettata tre mesi a tutti i trentasei venti della bussola,
fanno sì che il libro francese sdruccioli alla lesta da noi,
aspettato, ammirato, salutato, come una nave che dopo una lunga fatica
di mastri d'ascia e calafati, finalmente abbandona il cantiere, per
tuffarsi nel suo elemento.

Nè io mi lagnerei di cotesto, se cogli italiani si adoperasse del
pari. Ma di questi, o per noncuranza, o per deliberato proposito, si
tace. Gran mercè quando s'è amici: imperocchè il giornale tira giù
quattro righe, ma senza ombra di pensamento, senza lume di critica,
così alla dozzinale, come si va scodellando la minestra ai poveri
sulla porta dei conventi: ed allora, la è grazia profumata. Donde
avviene che ogni lettore italiano sa il nome, non pure dei quattro o
cinque luminari della scienza_ _e dell'arte forastiera, ma eziandio
delle costellazioni minori, e financo delle nebulose; ma nulla, o
quasi, degli autori nostrani, e il milanese non ha notizia del
napoletano, nè il fiorentino del torinese. Quel po' di notorietà che
si spande, dopo lungo anfanare, tra letterati, è un semenzaio di
pettegolezzi, una società di mutua denigrazione.

Io quasi vorrei proporre ai giornalisti e scrittori italiani un
congresso, per sciogliere _inter pocula_ questi problemi: a che giova
la proprietà letteraria, se il libro non val nulla? che vuol dire che
facciamo sempre la pappa altrui, e alle cose nostre non provvediamo?
se il libro è una buona cosa, come arte e come industria, come decoro
letterario e come fonte di guadagno per molta gente, perchè non
aiutiamo ad arricchire il paese? e se non lo è, perchè ci lagniamo
della scarsità dei buoni studi tra noi?

A tali distrette è la letteratura italiana! E se non facciamo ancora
uno sciopero (che forse sarebbe il meglio, e nessun compratore della
nostra derrata se ne recherebbe più che tanto) rimanghiamo tuttavia i
più gran scioperati del mondo, e quando lavoriamo, c'è nell'opera
nostra la svogliatezza di chi lavora senza mercede; non c'è ordine,
non comunanza di propositi, non cospirazione di intendimenti. Siamo
una dozzina di scuole, che tutte si adoperano alla spartita, che tutte
cominciano dal loro abbicì, e non riescono a capolavori.

E avanti così, poichè così vuole la nostra fiacchezza. Uno si ferma
disanimato a mezza strada, e ripiglia l'avvocatura; l'altro s'agguata
ad una cattedra, contento di marcirvi; un altro muore d'inedia. Povera
arte, povera scienza, fino a tanto che nessuno si capaciti della
necessità d'un rimedio.....

Ella ora, gentile amico, condoni la tantaféra, ed ami il suo

    Di Genova, il 26 maggio 1867._

               ANTON GIULIO BARRILI.


  [1] Questo, ed altre cose che seguono, non sono più vere per me,
    siccome dimostra il fatto della presente edizione, che è la
    seconda del libro, e potrebbe dirsi più ragionevolmente la prima;
    tanto l'antecedente fu ristretta per numero di copie, e soffocata
    per angustia di mercato. Amo cionondimeno lasciarle correre, come
    furono scritte dapprima, per non avere a ritoccare la dedicatoria,
    nella quale v'hanno, io mi penso, considerazioni giustissime
    intorno alle grame condizioni della vita letteraria italiana. E
    prego il cortese editore a lasciarle correre del pari, rammentando
    che _repetita juvant_, e per molti rispetti, se non per tutti,
    verranno a taglio anche adesso.

            Aprile, 1869
                                            A. G. B.



L'OLMO E L'EDERA



I.


Racconto una storia vera, giusta il mio costume, che dovrebb'essere di
tutti coloro i quali non sono molto esercitati nell'arte del
novelliere. Facile è lo inventare, e ci si mette quanto a dir male del
prossimo; difficilissimo, poi, dare alle sue invenzioni la evidenza
del vero, lumeggiarle con quei tocchi di pennello che le fanno balzar
quasi dalla tela. I fatti, per tal guisa affastellati, si tengono
ritti per miracolo; i caratteri, dipinti di maniera, non istanno nè in
riga nè in spazio; gli è insomma un guazzabuglio, il quale non mette
nulla in rilievo, nulla, se non forse la tracotanza dell'autore.

Io, digiuno di studi, e non rallegrato che da una scarsa vena di
fantasia, ho pigliato da un amico il savio consiglio di non dipingere
mai, se non quello che ho veduto; di non scrivere se non quello che
m'è rimasto impresso nella memoria, de' casi miei, o degli altrui. E
qui mi soccorre eziandio l'autorità di un grande scrittore, il quale
ebbe a dire come inventare non fosse poi altro che ricordarsi. Ma egli
dovette pure ricordarsi di grandi cose, poichè ne inventò di così
svariate e mirabili; laddove io, uomo di corta memoria, non vi dirò
che una storia semplicissima, che mi parrà molto se starete a
leggerla, senza badare a chi scrisse.

Siamo dunque intesi; varietà poca, o nissuna; ma verità da capo a
fondo. E cotesto non dico per accattar fede al racconto, il quale, del
resto, è fatto col debito riserbo, con nomi mutati e prudenti
contraffazioni; sibbene (e vo' dirlo candidamente) per farmi benevola
quella parte di gentili lettori, i quali pigliano maggior gusto alla
narrazione di cose che sanno essere un giorno accadute.

Ora, narrando a memoria, debbo lasciare in bianco l'anno e il mese da
cui la mia storia incomincia. Ma se il lettore genovese ricorda in che
stagione si rappresentasse sulle scene del teatro Carlo Felice, e per
la prima volta, il _Ballo in Maschera_ del maestro Verdi, egli può
scrivervi di suo pugno la data.

Era per l'appunto in quell'anno e in quella stagione; sulle scene del
teatro Carlo Felice si rappresentava, non so se per la decima o per
l'undicesima sera il _Ballo in Maschera_, e non c'era più in platea
quella frequenza di spettatori che è (salvo il diverso giudizio degli
impresari) il malanno delle prime rappresentazioni.

Scemata la calca, il teatro diventa, per così dire, una famiglia;
rimangono i consueti frequentatori, che si conoscono tutti tra loro;
si gira liberamente da un capo all'altro dell'emiciclo, dando un
saluto a diritta, una stretta di mano a sinistra, appuntando il
canocchiale sulla mostra di _avorii molli_ che fa la marchesa
Collalto, sui diamanti della signora Vallechiara, sugli occhi della
signorina Morati che brillano assai più dei diamanti e, a parer mio,
valgono anche di più; si naviga insomma con placido remeggio in un
lago di cui si vedono d'ogni parte le sponde, di cui si conosce ogni
promontorio, ogni golfo, e sto per dire ogni seno.

Quella sera, adunque, nel secondo intermezzo dello spettacolo, ero
andato a piantarmi comodamente, e senza paura di gomitate, contro la
parete circolare della platea, e là, fantasticando non so che cosa,
volgevo sbadatamente le lenti del binoccolo su questo e su quello dei
palchetti di seconda fila. Ma siccome non c'è viaggio che non abbia la
sua stazione, anche il mio binoccolo fece sosta, e lunga sosta, al
palchetto della marchesa Bianca di Roccanera, quella meravigliosa
bruna, che parecchi de' miei lettori rammentano di certo, dalla
persona snella, dal portamento di ninfa, celebrata pel ricco volume
dei neri capegli, attorcigliati con leggiadra negligenza là dove il
conte Ugolino amava mettere i denti all'arcivescovo Ruggieri, e
ricadenti sul collo in due larghe ciocche crespate, che le davano
un'aria (ma intendiamoci bene, un'aria!) di malinconia incantevole.

La marchesa Bianca ci aveva un'altra aria eziandio, che non s'ha a
dimenticare in un ritratto come questo. Sebbene ella avesse già
varcato i venticinque, e i suoi occhi, quando a caso si posavano su
qualcheduno, avessero virtù di trapassargli il cuore e lasciar nella
ferita l'impressione gelida dello strumento omicida, la ci avea pure
un non so che di vergineo, anzi d'infantile a dirittura, che
traspariva da tutti i suoi modi, e guai a chi ci si fosse lasciato
cogliere; imperocchè quel candore, se non era artificiale, era pur
tuttavia il più pericoloso di tutti gli artifizi, come quello che era
in lei un retaggio della natura, una forma, un'apparenza, una lusinga
di più, della quale essa era come inconsapevole, ma che, anco
inconsciamente, le serviva per tirarle ai piedi quegl'incauti, che poi
dovevano morire assiderati sulla soglia del santuario, sempre chiuso
com'era.

Io ho parlato colla marchesa Bianca due volte appena, in tutto quel
tempo ch'ella stette a Genova, ma tuttedue le volte in carnevale,
colla maschera sul volto. L'incantesimo di quella sua meravigliosa
bellezza o di quel candore vergineo fu tale, che la paura soverchiò la
fidanza, e cansai sempre le occasioni di esserle presentato.
Dell'anima mia nel mondo di là non so che debba accadere; ma se
l'inferno c'è, non voglio cominciare a provarlo nel mondo di qui;
però, dopo averne saggiato una volta, _temporibus illis_, fuggo le
pene dello spirito come il diascolo l'acqua santa. Egli c'è a questo
proposito un adagio, triviale se volete, ma calzante: «_il cane non
torna dove fu bastonato_.»

La marchesa Bianca sembrava non saper nulla della sua tentatrice
bellezza, o, se ella lo sapeva, le doveva parere la cosa più naturale
del mondo; donde avveniva che non ne facesse pompa. Ma ogni suo gesto,
ogni volger di ciglio, facevano scorgere quella bellezza sotto un
aspetto nuovo e sempre migliore del primo. E cotesto, siccome ho
detto, senz'ombra d'artifizio. Sia che la si facesse guardare di
profilo o di fronte, sia che arrovesciasse il capo e mostrasse una
fila di denti candidissimi e piccini, sia che pensierosa aggrondasse
le lunghe ciglia sugli occhi semichiusi, ella era sempre la più bella,
la più desiderata tra le donne. Arguta e colta com'era, neppure si
avvedeva di dire cose leggiadre, e mostrava di accorgersi sempre di
quelle che si dicevano a lei, o dintorno a lei. Segnatamente per le
sue sorelle in Eva, ella era cosiffattamente buona, da parere, non che
magnanima, spensierata. Figuratevi che la dicea schietto alle sue
amiche qual veste o quale acconciatura di capo ella avesse divisato
mettere per la festa da ballo della Prefettura, o per altra delle
pochissime a cui si aprivano le sale de' suoi pari. E quelle subito ad
imitarla; ma, quantunque facessero, la sarta non conferiva loro quel
garbo della persona, quella grazia che spesso è ascosa in una piega da
nulla, come gli amorini nello zendado di Venere.

Tutto insomma era natura in costei. Nata bella in una culla d'oro,
cresciuta in mezzo a tutti gli agi di un lusso intelligente, tra i
profumi della nativa eleganza, io credo che ella succhiasse l'arte col
latte. Credo eziandio che facesse versi, ma sarei pronto del pari a
scommettere che non avesse imparate mai le regole della prosodia. Ella
era, giusta la frase culminante della adorazione mascolina, un angelo
sceso in terra, ma un angelo femmina, s'intende, a cui fossero state
recise le ali per tornarsene in cielo. La qual cosa, quanto sia vera
per gli angeli, dicano i teologi. Per la marchesa Bianca, io reputo
che un po' meno di bellezza e un po' più di cuore, non avrebbero
guastato, anzi avrebbero reso più ragionevole il paragone.

Ho fatto un lungo discorso della marchesa di Roccanera, in primo luogo
perchè le cose rare vogliono una più grande attenzione, e poi perchè
la era l'unica donna che io guardassi molto, a que' tempi. Non
l'amavo, e, come ho già detto, fuggivo le occasioni di accostarmi a
lei; ma, poichè era bellissima, mi pareva che, veduta ad una
ragionevole distanza, colorisse alla mia mente il tipo della donna; e
in lei guardavo un tipo, non altro; consolavo un affetto d'artista,
soddisfacevo ad una curiosità di studioso. Così, allorquando m'ero
ristucco colle noie della vita giornaliera, me ne andavo a teatro,
dove sapevo di trovar la marchesa, al davanzale del suo palchetto, nel
suo solito posto, colle spalle rivolte alla scena; andavo a piantarmi
ben lontano da lei, all'altro fuoco dell'elisse; e laggiù, confuso
nella moltitudine, mettevo mano allo strumento di Galileo e
investigavo il mio tipo, facendovi su ogni sorta di dotte
considerazioni. Ero come l'astronomo che guarda una stella lontana
nello spazio, ne misura il volume o la densità, ne arguisce la
temperatura e tutte l'altre proprietà fisiche.

Da cotesto argomentate che cosa io facessi per l'appunto in quella
sera donde piglia cominciamento la mia narrazione. Senza desiderio di
lei, senza invidia del marito, senza fastidio de' cavalieri serventi,
che facevano la dozzina come i segni dello Zodiaco, m'ero posto a
contemplare la bellissima donna. Ella in quel momento, col gomito
fermo, alzava ed abbassava in cadenza la mano, percuotendo leggermente
il velluto del davanzale con un occhialino di madreperla, raccomandato
all'anulare da una sottil catenella d'oro. Guardavo quella manina
sottile che scherzava col suo gingillo meno prezioso di lei, e quel
braccio che usciva, stupendamente tornito e stupendamente bianco, da
un'onda di pizzo nero. Dal pizzo i miei occhi salivano all'omero
ignudo (faticosa salita dove si sarebbe voluto far sosta ad ogni
tratto, come su per gli scaglioni della piramide di Chèope), e
dall'omero, considerata l'impervia dirittezza del collo, spiccavano un
salto sul viso. La marchesa Bianca rideva; rideva pazzescamente,
ascoltando certi complimenti che, col viso curvato a poca distanza dal
suo, le andava sciorinando Eugenio Percy, seme forastiero trapiantato
in terra nostra, uno dei più ricchi, dei più eleganti e dei più colti
cavalieri di Genova.

Mentre io stava fantasticando di questa guisa, una mano posata sulla
mia spalla e il suono di una voce nota, mi vennero a rompere il filo
delle considerazioni. Erano la mano e la voce di Guido Laurenti.

--Sempre fermo al tuo posto di combattimento!--mi disse egli
sorridendo.

--Sì, al mio posto, ma non già di combattimento, come tu dici. Io sono
neutrale, come l'Inghilterra; e tu?

--Io! qui certamente più dell'Inghilterra e di te.

--Che vorresti tu dire, Laurenti? O perchè saresti più neutrale di me?

--Non guardi tu la Roccanera?--mi chiese egli.--Non è ella, per tua
stessa confessione, la donna che tu guardi più volentieri da un pezzo?

--Sì, la guardo, e che perciò? È uno studio innocente il mio, e
null'altro. Quella donna mi piace, come a te, naturalista famoso, un
coleòptero dalle ali più vagamente screziate, o una bella conchiglia
dell'epoca terziaria, e ne faccio argomento di studio. Poi, dove
giungo io? Pianto forse una spilla nella tenera corazza del
coleòptero, o porto la conchiglia nella mia stanzuccia? Tu lo vedi; mi
contento a guardarla da lunge; piglio da lei quello che non mi
potrebbe negare, che non desta la gelosia di nessuno, e che non mi
costa la menoma fatica ad ottenere.

--Lassù,--rispose Laurenti--ce n'è un altro il quale vorrebbe qualcosa
di più.

--Si serva, se così piace a lui e alla dama.

Laurenti stette un tratto senza rispondere, ma guardando sempre col
suo binoccolo verso il palchetto della Roccanera; poi, seguendo il
filo di un interno ragionamento, esclamò a bassa voce:

--Povera Luisa!

--Tu hai toccato il tasto;--soggiunsi.--Ma che vuoi, Laurenti? questi
signori uomini sono tutti d'una pasta, o, per dir meglio, d'una mota.
Le donne per fermo hanno ad essere migliori di noi; e non già perchè
abbiano un altro sangue nelle vene, ma perchè più gelosamente educate.
Del resto, la signora Luisa si consolerà anche lei, come tante altre.

--T'inganni, ideologo, e consenti che il naturalista t'insegni
qualcosa. Ella è su d'un letto, sfinita, abbandonata alle cure
prezzolate de' suoi servi, e senza un amico che la conforti, al
capezzale. Intanto il signor Percy, la cagione di tutti i suoi mali, è
qui, a fare il cascamorto presso quest'altra. Che te ne pare?

--Ah! se la è così, mi duole della Roccanera, che non capisce queste
cose.

--Ella? O che vuoi che le ne importi? Tu che studi quel corpo celeste
(e non si può negare che lo sia) hai forse trovato che abbia una
densità centrale da potersi mettere in conto? In quel corpicino
snello, il cuore non c'è che come un centro ai canali del sangue, ma
non pretendere che faccia altro. Quelle, amico mio, sono donne
incaricate da Dio dell'alta e bassa giustizia in materia di amore.
Fanno pagare a certi uomini, in sospiri, angoscie d'ogni maniera, e
talfiata anco in colpi di pistola alle tempie, i dolori, le angoscie,
che essi hanno cagionato a lor volta. Laonde io penso che siano
necessarie nella economia sociale, come tanti altri malanni,
imperocchè, senza di loro, non ci sarebbe più giustizia in questo
mondo per le donne tradite.

--Sono sconfitto, Laurenti; dò un calcio alla ideologia e mi metto a
studiare di scienze naturali. Del resto, io non ho mai pensato che
madonna fosse diversa da quella che tu la dipingi, e per giungere a
cotesto non ho avuto mestieri di studiarla. In quanto a lui, fa la sua
strada. Dieci anni di amore, dei quali bisogna contarne quattro di
catena, gli hanno fatto sentire il bisogno di scuotere il giogo. Egli
ha fatto come una delle tue crisalidi, dopo una troppo lunga dimora
nel bozzolo.

--Egli è un tristo!--interruppe Laurenti.

--Un tristo? e perchè? qui posso darti lezione io, Laurenti. Questa
che tu biasimi, è la natura dell'uomo, come della crisalide.

--Lo credi? Sarà: ma, dato il caso, a me pare di non essere di questa
specie di animali.

La conversazione tirava al serio; Laurenti s'era fatto buio come
un'imposta chiusa. Stava per cominciare il terz'atto dell'opera, e
l'amico mi porse la mano, a mo' di commiato.

--Te ne vai?

--Sì, me ne vado.

--Aspettami, vengo anch'io.

--O che?--mi disse egli, accompagnando la frase con un sorriso
ironico.--Non rimani a studiare la densità della tua stella?

--Ti pare? La m'è venuta in uggia maledettamente.

--Ma se lo dicevo io!--esclamò Laurenti.--E ci voleva tanto a
persuadersene?

Ciò detto, Laurenti ficcò il suo braccio sotto il mio, e ambedue ce ne
andammo a passeggiare all'Acquasola, facendo un dialogo scucito e
malinconico, in continuazione di quello che ho riferito ai lettori.



II.


Chi ha conosciuto Guido Laurenti? E chi si ricorderebbe di lui, anco
se io dicessi il suo vero nome? Nessuno, io credo; imperocchè egli era
un giovine modesto, il quale non faceva parlare di sè, e il suo modo
di vivere non attirava l'attenzione di alcuno; perchè se ne stava
quasi solo ed aveva pochissimi amici, cheti e modesti come lui;
perchè, finalmente, nel fatto delle relazioni sociali, quattro o
cinque anni di assenza sono l'eternità, o poco meno.

Egli è sparito da Genova, e nessuno ha chiesto, un mese dopo la sua
partenza, che cosa fosse avvenuto di quel giovine biondo, dallo
sguardo e dal portamento severo, che si vedeva qualche volta per via;
perchè lo si chiederebbe adesso? I due o tre che lo conoscevano un po'
da vicino, sono dispersi anch'essi sulla faccia della terra; poi gli
eventi molteplici e tempestosi di questi ultimi anni sono passati su
di noi tutti, ed hanno cancellato perfino la sua pallida figura
dall'albo delle ricordanze, fuggevoli come la impronta fotografica che
non è stata anche fermata sul vetro dal.... aiutatemi a dire..... dal
cloruro d'oro. Unico suo amico rimasto sulla breccia, e non immemore
mai, so che c'era, perchè l'ho amato di molto; so che è andato via,
perchè l'ho accompagnato alla calata del porto, dond'è partito per
alla volta d'Alessandria d'Egitto, perchè ricevo spesso sue lettere,
ed una or non è molto da Bombay, nella quale mi dice che certamente
non tornerà più in Europa.

Ell'è una storia semplice, la sua; è la storia di un gentil cuore, ed
io amo raccontarvela, perchè onora la specie umana, la quale, pigliata
in complesso, si disonora tanto al cospetto di Dio, con tutte le sue
ire ingenerose e i suoi ignobili amori.

Guido Laurenti era l'ultimo rampollo di una ricca famiglia della
Liguria occidentale, il che è quanto dirvi che era ricco egli stesso;
ma, più assai che di danaro, era ricco d'ingegno e di nobiltà di
carattere. Non pativa difetto di nulla per essere noverato e celebrato
tra i primi; ma non gli andava a' versi, e se ne stava da sè, vivendo
alla cheta, con pochi amici e molti libri, che sono i migliori amici
del mondo.

Quando io lo conobbi, egli dimorava in una di quelle gaie viottole,
così frequenti a Genova, dove la montagna, disposta ad anfiteatro,
manda verso il piano tante collinette digradanti. Le piccole valli
sono diventate, o diventano, larghe e magnifiche strade: su per le
colline laterali s'inerpicano le viottole, tra muri di giardini e di
ville, e fianchi di palazzine gelose. Ora io non dirò in quale di
tante viottole dimorasse Laurenti; indovinate, tra quelle di S.
Gerolamo, dei Cappuccini, di S. Bartolomeo degli Armeni, e
qualchedun'altra lì presso.

La casa era piccina; due piani, con sei camere per ciascheduno;
dipinta da fuori di colore aranciato, che era una vaghezza a vederla;
uno dei lati coperto, fino al cornicione del pian di sopra, da una
spalliera di gaggia e di gelsomini; al pian terreno la sala, il
salotto, il tinello, la cucina, la cameretta del servitore e quella di
una vecchia fante, o cameriera che fosse; al pian di sopra la camera
da letto, lo spogliatoio, la biblioteca, e tre camere per gli ospiti
di Laurenti, che erano coleòpteri, lepidòpteri, uccelli, pesci,
rettili impagliati, conchiglie, denti ed altri avanzi di animali e
piante fossili.

Imperocchè, già lo sapete, studio prediletto e passatempo di Guido
Laurenti era la storia naturale. Egli aveva incominciato colla
botanica e colla entomologia, scienze vicine di casa, come è vicino
l'insetto al fiore, ma era presto salito per tutti gli altri rami
delle scienze naturali. Non si è appassionati cultori della flora,
senza darsi anche allo studio della fauna, nè dell'una e dell'altra,
viventi, senza correre alle estinte, le cui forme sono eternate nel
grembo della terra. Gli è uno studio che affascina, e accade allo
studioso come a quel tale cacciatore della leggenda, che fu condotto
dai voli di un merlo fantastico da un capo all'altro d'Europa. Dalla
osservazione della natura in tutti i suoi grandi periodi, nasce il
desiderio di approfondire le origini. L'antichità della terra, scritta
in vaste pagine stratiformi, conduce difilati al problema della
costituzione della materia, a quella sostanza vaporosa che turbinò un
giorno nello spazio, agitando e rassodando in sè medesima tutti i
germi delle cose. Per tal guisa, di naturalisti si diventa astronomi;
si corre di analogia in analogia, di ipotesi in ipotesi, a bisdosso
delle comete; si naviga da Marte ai pianeti telescopici, da Giove a
Saturno, a Urano, a Nettuno, e si è balestrati fuori del sistema
solare a investigare i segreti della Via lattea. La scienza è una
grande catena; la cellula che forma il tessuto organico del
microscopico infusorio e le sterminate migliaia di mondi che si
riflettono in un cantuccio di lente del vostro telescopio, sotto la
pallida forma di una nebulosa, sono i due capi della catena, che
ambedue si saldano nell'infinito, nello infinito dove l'anima,
sbigottita dapprima, vacilla e dubita di sè stessa, poi confidente si
addorme.

Guido Laurenti era tutto a questi studi geniali, alternando le
materie, e la teorica colla pratica. Mattiniero come le lodole, dava
le prime ore alla botanica del suo giardino, volonterosamente
inchinandosi a tutti gli uffici del perfetto giardiniere. Sarchiava,
innaffiava le sue aiuole, potava i rami, curava le margotte, maritava
le viole e i garofani, creava nuove famiglie di tulipani, fantasticava
le camelie azzurre. Poi ordinava in battaglia sempre nuove legioni di
scarabei, di farfalle e d'altre minute bestiuole, a complemento delle
sue collezioni; perdeva le ore intorno alle antenne di un grillo, alle
alucce di una libellula, con una sollecitudine, con una pazienza da
scienziato tedesco.

E adesso i lettori benevoli non me l'abbiano in conto di un arido
professore, di un pedante noioso. Già, le scienze naturali sono lo
studio di chi ha cuore, e giovano a serbargliene la nativa freschezza.
Nell'involucro dell'entomologo e del botanico, come dell'astronomo,
c'è sempre il poeta, giusta il più profondo significato della parola.
So bene che cotesto sembrerà un paradosso a molti, pei quali il
sentimento, fior di poesia, sta tutto e si mostra nel passeggiare a
caso, colla testa in aria e gli occhi svagati, nel contorcersi a
teatro per un gorgheggio di soprano, nel far la cera languida ad una
donna e susurrarle settenarii, e sopratutto poi nello aver ribrezzo
d'ogni cosa materiale. Un uomo il quale applichi l'algebra a quelle
stelle lucenti che piovono una luce sì tepida sui nostri amori, o dia
un nome semibarbaro e latino, per amore di classificazione, a que' bei
fiori che noi offriamo, insieme coi rilievi del nostro cuore, alle
dive della ribalta, non può essere che un pedante, un arnese da museo,
un tomo _in folio_ che manda odore di rinchiuso, cinquanta passi
discosto.

A costoro basterebbe rispondere che il più gran poeta del secolo,
Goethe, è stato uno scienziato di vaglia, e lo studiare di chimica non
parve disdicevole al creatore di Margherita e di Werther. Uno
scrittore francese, e dei più originali, fa ancora, io credo, il
giardiniere a Nizza, ed è tanto superbo di aver dato il nome ad una
nuova varietà di camelie, come di averlo stampato, a molte migliaia di
copie, nelle storie di _Sous les tilleuls_ e di _Fort en thème_. Non
gli è dunque vero che lo studio della natura inaridisca la mente. Egli
è per l'appunto nello indagare la vita dei minimi che si aguzza lo
ingegno alle più sottili analogie, e si fa la mano a tutte le varietà
degli umani sentimenti. Gli amori misteriosi delle piante, le simpatie
che governano il mutamento dei colori nei petali della viola del
pensiero, o della camelia, iniziano meglio d'ogni altra cosa al
segreto lavorìo delle passioni. La scienza non apparta dalla umanità,
e da nessuna delle sue ineffabili consolazioni. Chi sa come sia
formato il microscopico _rotifero_, che vive in una goccia d'acqua,
che si dissecca e muore con lei, pronto a rinascere alla prima stilla
che inumidisca la inerte materia, può spesso divinare gli arcani
patimenti del cuore, e la potenza dei rimedii infinitamente piccoli
sulle piaghe più grandi.

La casa di Laurenti, il giardino e il terrazzo (loggiato al pian
terreno e terrazzo di sopra) erano dunque un tempio della scienza.
Egli era sempre lassù; salvo qualche visita al Museo dell'Università,
dove andava a studiare con Lessona, e le gite autunnali dei monti,
egli usciva di rado dal suo nido. Faceva pochissime visite, e non avea
altra distrazione che il teatro Carlo Felice, perchè amantissimo della
musica.

E il cuore?--chiederanno le lettrici.--Giovane, come voi dite, non
amava egli? Tutto quel piccolo mondo di intelligenza e di gentilezza
non era avvivato, riscaldato dalla presenza di una donna?



III.


No, la donna non c'era; ma, poichè racconto ogni cosa, non posso
negare che c'era stata. Laurenti aveva ventott'anni, come mi pare
d'avervi detto, e se non ve l'ho detto, sappiatelo adesso; ora e' non
si giunge a quell'età senza aver sentito almeno una volta le
trafitture dell'arciero bendato.

Quello di Laurenti era stato uno di quegli amori poggiati sul falso,
tormentosi come un cattivo sogno, che toccano talfiata, acerbo
tirocinio del cuore, ai giovinetti inesperti. Egli s'era a
diciott'anni invaghito di una donna, non bella davvero, ma che pareva
ed era celebrata bellissima, come tutte quelle che sanno far risaltare
qualche fisico pregio con arte maravigliosa, lo circondano di
svenevolezze, parlano al cuore dei riguardanti coi sogni che lasciano
concepire, colle speranze che lasciano nascere, o che coltivano
quotidianamente, colle vaporose malinconie, coi sorrisi, tenendo gli
adoratori in un'aria impregnata d'acque nanfe e di arabici profumi. Le
quali cose, accortamente vestite di seta o di velluto, accomodate con
vezzi di perle e diamanti, vi creano di punto in bianco la regina
delle donne, in quel regno effimero, che dura molto, solo perchè si
mutano e si rinnovano i sudditi.

Costei, ch'io ho conosciuto al pari di Guido Laurenti, aveva sudditi
molti, seguitata, corteggiata, adulata, e perciò senza un micino di
cuore. La donna che è centro di molte adorazioni è stata paragonata al
sole in mezzo ai pianeti; ma in verità io non conosco immagine più
falsa di questa, sebbene tutti l'adoperiamo sovente. Quella apparenza
estrinseca che ha giovato a rendere accetto il paragone, anche qui è
fallace come in altre cose moltissime. Sta bene che una di cosiffatte
regine da salotto e da teatro dia l'immagine del sole, e i suoi
adoratori appariscano altrettanti pianeti, i quali fanno la loro brava
rivoluzione intorno a lei, sempre attratti nella sua orbita e tenuti
in riga del pari. Ma guardate per bene oltre la scorza dell'apparenza
e vedrete che il paragone non corre più. Il sole attira i pianeti, dà
loro la luce e il calore, fa germogliare le piante, produce la
temperatura, che è condizione di vita ad ogni organismo, fa godere,
amare, vivere insomma. Che fa, in quella vece, una delle donne di cui
si ragiona? Dà luce, calore e vita ai suoi pianeti? No certo; ella non
spande nè luce, nè calore, nè vita; tutto riceve da essi, e non rende
mai nulla. Gli adoratori sono altrettanti fuochi che l'hanno tolta per
centro, che la irradiano, la riscaldano, o tentano riscaldarla.
Tentano, notate bene, tentano! Invero quella levigata superficie si
riscalda un tratto; la prima crosta, l'epidermide, sente il frizzare
di quelle lingue fiammanti; ma il centro, il nocciolo dell'astro
maggiore, è un gelo eterno, e ogni alito infocato che giunge fin là,
si converte in ghiacciuolo. Quei pianeti che danzano intorno a lei,
come le mitologiche Ore intorno al Tempo, le dicono che essa è bella,
che è adorata, che il suo regno è felice; raggiano verso di lei con
tutta la potenza della gioventù e della passione; essa non riverbera
nulla, è un corpo opaco, e le rare fosforescenze che a volte ella
sprigiona, simulando la luce e il calore, non giungono neppure ai
poveri pianeti; le gode qualche cometa, che viene turbinosa dalle
profondità dello spazio a descrivere la sua curva violenta vicino a
lei, per dileguarsi da capo.

Ad una di cotai donne aveva dato il mio Guido le primizie de' suoi
affetti soavi. Novellino agli inganni, aveva fatto la sua scuola, e
bisogna soggiungere, ad onor suo, che mai scuola tornò più
profittevole di quella. Egli è dato cadere in trappola così agli
accorti, come agli sciocchi; senonchè gli sciocchi vi rimangono, e gli
accorti se ne cavano fuori. Ora, Laurenti, quantunque non senza
difficoltà, nè senza danno, se n'era cavato; aveva patito, ma alla
guisa delle anime forti, e non lo avea fatto scorgere. Il futuro
entomologo aveva (condonatemi la frase) dato di piglio al suo cuore
infermo; lo aveva aperto, arrovesciato e strizzato, per ispremerne fin
l'ultima goccia d'umor guasto; poi, rasciutto, lo aveva rimesso a
posto e s'era dato anima e corpo allo studio, gran rimedio alle anime
affannate.

Ecco perchè non c'era nulla nel cuore del giovine naturalista; ecco
perchè non c'era un'immagine di donna negli arcani penetrali della sua
vita operosa.

Santa quiete dell'anima! Come il filosofo di Orazio, ma non disutile,
nè paganamente beato come lui, Guido Laurenti se ne stava nella sua
solitudine, monaco di un ordine nuovo, senza un espresso voto di
verginità, e senza desiderio di infrangerlo. I nobili cuori hanno di
cosiffatte calme, come i grandi mari; e stanno allora, le vele
penzoloni, aspettando le etèsie.

Ma un giorno (allorquando si racconta, e' bisogna sempre giungerci, a
questo benedetto _ma_ e a questo benedetto _giorno_), egli avvenne che
Guido Laurenti facesse una piccola variante nelle sue consuetudini
giornaliere. Egli soleva dedicare la mattina al suo uffizio di
giardiniere, e il pomeriggio alla passeggiata; ma quel giorno, dopo il
desinare, per non so quale ragione, si trattenne in casa, e in cambio
di andare alla sua solita gita, scese in giardino e andò a sedersi con
un libro tra le mani, a quel posto dove era uso sedersi la mattina,
dopo avere inaffiato i suoi fiori.

Qui cade in acconcio uno scampolo di descrizione. Il giardino di
Laurenti era una lista di terreno, che correva per forse cinquanta
metri lunghesso la collina, e dal lato della scesa era sostenuto da
uno spesso muraglione, del quale ogni acquaio, ogni screpolatura,
alloggiava un cespo di semprevivi, di capperi o d'altre pianticelle di
facile contentatura. A' piedi del muraglione si dilungava comodamente
una conserva di piante esotiche, ultimo lembo di un vasto giardino,
anzi di una villa signorile, che andava a far capo ad una palazzina
gialla, il cui piano superiore e il tetto rilevato a quattro acque,
col suo parafulmine in cima, si vedevano sbucare da una selva di
magnolie e di allori. Intorno a quella palazzina era il vero giardino,
con ogni maniera di fiori; e tra il giardino e il muraglione saliva
dolcemente una larga prateria, qua e là seminata di fiori disposti a
canestri, di salci, larici pigmei, e tutta corsa da stradicciuole
sabbiose che serpeggiavano per ogni verso, fino alla conserva
anzidetta.

Quel giardino era sempre stato argomento d'invidia pel nostro
botanico. Ogni mattina, dopo aver curato i suoi fiori, egli andava a
sedersi sul ciglio del muraglione, e contemplava quell'orto delle
Esperidi. Misurava la vastità di quel terreno coltivato, così
difficile a trovarsi nel centro della città, paragonandola coi pochi
metri del suo giardino pensile, e stava guardando lunga pezza, con
fanciullesca attenzione, i lavori di quel beato giardiniere che aveva
spazio così largo da albergare tanta varietà di magnifiche piante
della flora dei tropici.

Il luogo dove il nostro botanico andava a sedersi, era presso un olmo
di smisurata altezza, appartenente al giardino inferiore, ed ultimo
avanzo di un lungo viale che era stato disfatto, per cedere il campo
alla prateria. Quel malinconico superstite di una rigogliosa dozzina
di olmi, sacrificati alla moda britannica, saliva co' suoi rami più su
del giardino pensile di Laurenti. Il muraglione, per tutto quel
tratto, era coperto di edera, e i lettori già capiscono che cosa ne
avvenne; che cioè l'edera, come una donna innamorata, aveva un bel
giorno gettate le sue braccia al collo, vo' dire al tronco,
dell'albero maestoso. Amplessi tenaci, che si ripeterono in breve su
per i rami, producendo tra l'albero e il muro una sequela di
pittoreschi festoni e una lieta figliolanza di neri corimbi. Marito e
moglie, era una vaghezza a vederli. Non curante della proprietà
altrui, smesso perfino quel ritegno naturale che vieta alla donna di
fare il primo passo, l'edera s'era maritata, e Dio misericordioso
aveva benedette le nozze. I rispettivi proprietarii, che non s'erano
accorti degli amoreggiamenti, non si vollero riscaldare il sangue
quando il pateracchio fu fatto, e la prescrizione passata. Poi, la
consuetudine di vederli uniti (e vi so dir io che facevano assai
miglior figura di certi matrimonii) fu tale, che allorquando il
proprietario di sotto fu per atterrare i due filari di olmi del suo
viale all'antica, non gli diè l'animo di far mettere la scure
sull'ultimo albero, e di vedovare quella tenera, quantunque assai
nodosa, consorte.

Per amore di verità debbo dirvi che egli non ci si piegò tutto ad un
tratto, e stette anzi in forse per qualche dì. Ma finalmente vinse la
pietà, e, più ancora che la pietà, il pensare che in fin de' conti
quell'olmo era l'ultimo del viale, che era molto accosto al
muraglione, e in quella che sarebbe rimasto come una rarità, non
avrebbe fatto impedimento, nè sconcio.



IV.


Colà dunque, sul ciglio del muraglione, dov'era anche un sedile di
pietra addossato al murello, andava a sedersi Laurenti, nell'ora in
cui il giardiniere di sotto girava attorno alle sue piante e le
ripuliva dai pericolosi baci della rugiada, con larghi spruzzi d'acqua
del suo anaffiatoio, innanzi la levata del sole.

Il vedersi ogni mattina, l'uno giù e l'altro su, aveva recato una
certa dimestichezza tra Guido e il giardiniere. L'uno signore, l'altro
bracciante, s'erano indovinati i medesimi affetti nelle medesime
occupazioni; ma non avevano impreso ancora a discorrere insieme. Il
giardiniere, quando giungeva col suo anaffiatoio e col suo sarchiello
fino alle ultime aiuole, nel vicinato dell'olmo, alzava il naso verso
il sommo del muraglione, donde gli sorrideva il viso biondo del
giovine signore, rischiarato dai primi raggi del sole, e metteva la
mano al cappello. Laurenti rispondeva al saluto con un grazioso cenno
della mano o del capo, e la conversazione era finita.

Egli per tal modo non aveva mai chiesto di chi fosse la villa; il caso
non l'aveva mai condotto a udire il nome del padrone, e, non
affacciandosi colà che di buon mattino, mai berretta di velluto
ricamata d'oro, mai veste serica tra i meandri fioriti, mai corsa
chiassosa di allegri fanciulli sul prato, aveva rivelato a Guido
Laurenti gli abitatori di quella palazzina gialla, il cui tetto
rilevato a quattro acque sbucava, là in fondo, da una selva di
magnolie e di allori.

Ma un giorno (ripiglio finalmente il mio _ma_ e il mio _giorno_)
Laurenti ruppe la consuetudine, e andò nel pomeriggio a sedersi presso
la sua edera e presso l'olmo dei vicini.

Mai giorno di primavera era stato così serenamente bello; mai raggio
più tiepido di sole aveva svolte per l'aria, in sottilissime
vaporazioni, le fragranze dei fiori. Bei giorni, momenti beati, nei
quali l'uomo, penetrato da quei raggi di sole, rallegrato da quelle
fragranze, si sente vivere con voluttà, dimenticando un tratto la
grave molestia dell'esser nato!

Guido aveva un libro tra mani, l'Eneide di Virgilio; un libro di
scuola, che aveva tradotto da capo a fondo sulle panche di prima
Umanità, e che però non avea più da leggere per amor di novità, ma che
amava pur di leggicchiare a spizzico, nelle ore di ricreazione. E già,
sostenuta insieme con Enea quella brutta burrasca suscitata dal
consiglio di Giunone, egli aveva dato fondo nella rada di Tunisi, o
poco presso, e andava a caccia su per la costa, prevedendo
l'apparizione della cacciatrice divina che lo avrebbe fatto andare bel
bello fino alle porte di Cartagine.

Senonchè, per effetto di distrazione, egli s'era fermato a mezza
strada. Faceva quattro esametri di viaggio, e poi si baloccava a veder
volare una mosca. I balsamici effluvii, il tepore dell'aria, il cheto
remeggio di una nuvoletta rosea nelle diafane lontananze
dell'orizzonte, quei raggi obbliqui che andavano a rifrangersi sui
vetri delle finestre e sulle banderuole dei tetti circostanti, lo
distoglievano ad ogni tratto dal primo libro dell'Eneide. Si rimetteva
a leggere alcuno di quelli esametri divinamente armoniosi, scandendone
a voce sommessa i melodici numeri (i latinisti che mi leggono
capiranno benissimo questa voluttà delle voluttà), ma al primo
rompersi del periodo in un emistichio del verso seguente, egli
ricadeva subito nella sua contemplazione.

Gira, rigira, di fermata in fermata, gli occhi di Laurenti erano
andati a posarsi su d'un bel pino domestico, che sorgeva nella villa
sottostante, come una rarità di vegetazione; dio Termino piantato
sull'estremo lembo della prateria, accanto al sentiero maestro che
andava a nascondere i suoi meandri tra le magnolie del giardino.

Quel pino lo condusse a pensare alla casa paterna e ai felici giorni
della prima adolescenza, allorquando suo padre lo faceva alzare per
tempissimo per averlo compagno alla caccia, ed egli, sebbene non gli
andasse a' versi quella maniera di passatempo, era lieto di correre su
pei monti insieme con suo padre, di aiutare il rustico servitore a
portar le gabbie degli uccelli di richiamo, le verghette di ferro e la
pania da distendervi sopra.

Colà, sul ciglio di una costiera piantata di piccole roveri, un grosso
pino segnava il cominciamento di una nuova regione vegetale. Di là
passavano a stormi i pellegrini dell'aria, i fringuelli, i cardellini,
le cingallegre, i fanelli; e là, disposta ogni cosa per bene, le
verghette impaniate tra i rami dell'albero, i richiami tra i cespugli,
ambo ascosi in un cappannuccio di frasche, attendevano il passaggio
degli spensierati, che, attratti dal canto traditore dei compagni
prigionieri, venivano a dar ne' panioni, donde non c'erano santi che
potessero cavarli.

Il santo era qualche volta Guido Laurenti, cioè quando il padre suo si
partiva di là, lasciandolo solo nella tesa. L'adolescente non pensava
più agli uccelli. Accoccolato nel suo nascondiglio, col viso
appuntellato sulle palme, e gli occhi nel vano dell'apertura, stava
fantasticando una vaporosa forma di donna; vedeva la castellana, o la
fata dei luoghi, scendere dalle rovine di un antico maniero e sedersi
ai piedi di quel pino, e sè medesimo, nobilmente vestito di velluto,
con le calze divisate di bianco e di rosso, il giustacore serrato ai
fianchi, una berretta piumata capricciosamente posta a sghembo sui
biondi capegli, stare a' piedi di quella gran dama, baciarle per tutti
i versi quella mano bianca ch'ella gli aveva abbandonata tra le sue, e
canticchiarle la sua prima ballata d'amore.

Il dar d'uno sciame di lucherini nell'albero, lo sbatter dell'ali che
sempre più si invescavano sulle verghette fallaci, il pigolare
doloroso dei poveri pennuti, lo risvegliavano dalla sua estasi.
Sbucava sollecito dal suo capannuccio, si arrampicava sull'albero, e
andava a spiccare i tapinelli, badando a non strappar loro le penne
maestre; ripuliva dal vischio le loro graziose zampine, e li rimandava
con Dio, in nome di quella bellissima dama che era sparita pur dianzi.

Poco stante capitava il babbo.--Orbene, non c'è stato nulla?--Nulla,
babbo; uno sciame di lucherini ha dato nei rami, ma la pania non
teneva e non ho fatto a tempo per coglierli; se ne sono volati via.

E il babbo, che notava i piumini sulle verghe e la buona presa del
vischio, a non credere un'acca dei discorsi dell'adolescente, a
sgridarlo un tratto, ma compiacersi in cuor suo delle invenzioni del
figlio, pur promettendo che non l'avrebbe più condotto ad uccellare
con lui.

Bei tempi, bei tempi! e chi non ha di somiglianti memorie, piccoli
quadri dell'adolescenza, che si richiamano, si ridipingono e
s'incorniciano tra le meditazioni dell'uomo adulto, belli di quella
velatura ineffabile che distende sovr'essi la lontananza degli anni?

Ed ecco come la vista di quel pino, sull'ultimo lembo della prateria
sottostante, faceva fantasticare Laurenti, seduto presso il suo
muraglione, colla sua Eneide tra mani.

L'illusione delle circostanze era perfetta; non ci mancava neppure la
castellana.

Essa era laggiù, com'egli l'aveva sognata adolescente. Capelli neri e
morbidi, chiusi in una reticella di filo d'oro, le cui larghe maglie
non ne scemavano la lucentezza; la persona svelta e di graziosi
contorni, a cui aggiungevano maestà e leggiadria le molli pieghe di
una lunga veste di seta cenerognola e uno sciallo rosso di Persia,
lavorato a fogliami, negligentemente raccolto intorno alla vita.

Alla distanza in cui era, non si poteano distinguere i lineamenti del
viso, ma s'indovinavano regolari e bellissimi, al soave effetto che
facevano da lunge. L'ovale un tal po' allungato di quella faccia, la
carnagione bianca, pallida come di una bella morente, richiamavano
alla memoria una di quelle madonne in cui il pennello di Carlo Dolci
ha così mirabilmente accoppiata, compenetrata quasi, la bellezza col
patimento della materia, di guisa che il rimirarle vi sveglia ad un
tempo la voluttà negli occhi e l'angoscia nel cuore.

Laurenti rimase estatico a quella vista, senza sapere se vedesse da
senno, o se per avventura non fosse quella una continuazione delle sue
ricordanze giovanili. Poi, come avviene per simiglianti immagini del
passato che fanno insieme tenerezza e sgomento, si sentì sopraffatto,
e si fe' scorrere una mano sul fronte, quasi sperasse in tal modo
dileguar dalla mente la diletta visione. Si provò a ripigliar l'Eneide
e proseguir la lettura; ma il primo emistichio che gli cadde
sott'occhi «_Et vera incessu patuit Dea_» non fece altro che
richiamarlo all'argomento della sua contemplazione, e ricondurgli lo
sguardo sotto quell'albero di pino.

La dea era pur sempre colà, innanzi agli occhi suoi, dea al volto, al
portamento, all'incesso. Ella era tuttavia sotto l'ombrello del pino,
ma veniva lentamente in su pel sentiero sabbioso, la testa un tal po'
reclinata sull'omero, come persona stanca, una mano al seno sui capi
dello scialle, che senza quel ritegno sarebbe caduto, mentre l'altra,
che si potea scorgere da lontano bianca e sottile, penzolava
mollemente lungo le pieghe della veste fluente.

Non era quella un'illusione per fermo. Il giovine meravigliato
richiuse sull'indice le pagine aperte del libro e rimase intento a
guardare la bianca apparizione. Per la prima volta dacchè dimorava
lassù, egli vedeva qualcheduno, oltre il solito giardiniere, nella
villa sottostante. La divinità misteriosa di quel tempio era là,
pallida, sfinita, ma bella, come la principessa della favola, chiusa
da un incantesimo di mago geloso in un castello dalle mura di
diamante.

La pallida signora si muoveva lentamente su pel sentiero, dando
un'occhiata, ora a questo, ora a quello dei fiori delle aiuole
circostanti. Ella si soffermava spesso, non tanto per guardarsi
dintorno, come da lunge pareva, quanto per aspirare a labbra socchiuse
(labbra di pallido corallo!) quell'aria tepida e ristoratrice. Appena
ella fu presso ad un sedile di ferro dipinto, vi si lasciò andare la
persona, come se fosse stanca oltremodo della via; adagiò gli omeri
contro la spalliera, e rimase inerte, colle dita intrecciate, le
braccia prosciolte, e gli occhi languidamente rivolti verso il sole,
che si nascondeva allora dietro i monti d'Arenzano.

Anch'ella, povera bella, fantasticava; ma, più infelice di Laurenti,
ella soffriva, e le memorie che le tornavano in mente non erano punto
liete, nè caramente malinconiche, come quelle del giovine naturalista.

Venne la notte, ed ella era ancora sul suo sedile, nella istessa
postura; Guido medesimamente fermo a guardarla, coll'indice tra le
pagine del libro.

L'ultimo filo di luce del crepuscolo rischiarò la doppia comparsa del
giardiniere che andò a dar la mano alla signora per ricondurla nella
palazzina, e del servitore di Laurenti che, temendo non s'infreddasse,
da quell'uomo prudente ch'egli era, portava il cappello per coprir la
testa al padrone.



V.


Un nuovo e più vivace elemento entrava nella vita di Guido Laurenti.
Era una bella e nobile vita la sua, intelligente, studiosa, operosa, e
si disponeva acconciamente a diventar feconda d'intendimenti generosi.
Ma il calore non c'era; non c'era quella tal cosa che fa dire col
poeta latino: «_spiritus intus alit_». Egli era, se posso giovarmi del
paragone, come un bel disegno senza colore, o come un bel paese senza
luce, il che poi torna lo stesso, imperocchè i colori non sono che le
sette persone di quella santissima _Settenità_. Ora, quel nuovo
elemento era come l'alba che rischiara il paese, facendolo nuotare
dapprima in una vaghissima nebbia, tinta a gradi con tutte le più
soavi temperanze della tavolozza dell'iride, e dandogli da ultimo que'
toni più giusti, que' lumeggiamenti ricisi, che fanno risaltare ogni
cosa in tutta la sua schietta bellezza, colla debita osservanza a
tutte le leggi della prospettiva.

Tutte queste belle cose, che io dico del resto così male, non le disse
a sè stesso, nè mal nè bene, il mio giovine protagonista. Egli non
fece esame di coscienza allorquando, dopo aver pigliato il suo
cappello dalle mani del servitore, stette ancora un pezzo immobile a
guardare colà dove la bella gentildonna era sparita nel buio della
sera, e non pensò neppure a farlo, quando con passi lenti e misurati
rifece il viale del suo giardino per tornarsene in casa.

A che cosa pensava egli, mutando i passi dell'uomo pensieroso? A
nulla, proprio a nulla. E del pari senza pensare a nulla, entrò in
casa, appiccò il cappello alla prima gruccia del cappellinaio, e andò
svogliato a sedersi su d'un divano del suo salotto.

Per la prima volta dopo dieci anni si sentì senza desiderio di metter
mano a cosa veruna; se il servitore, vedutolo entrare colà, non si
fosse affrettato ad accendere la lucerna, egli non avrebbe pensato a
chiedere un po' di lume. E non pensava a nulla, non gli veniva neppure
in mente di chiedere a sè stesso il perchè non pensasse a nulla.

Si alzò, e poichè si vide dinanzi il cembalo, andò a sedersi alla
tastiera, su cui non metteva le dita da parecchi mesi, e accesi i
torchietti, si fece a suonare quella stessa musica che vide
squadernata sul leggio. La era una mazurka, ed egli suonò la mazurka;
poi diede di mano ad un altro quaderno, e suonò quel che c'era, dalla
prima all'ultima nota, senza nemmanco badare al genere del pezzo.
Senonchè, la era musica in _minore_, e il _minore_ è come le ciliegie,
che una tira l'altra; e Guido Laurenti, senza metter mano ad altri
quaderni, suonò una infilzata di romanze malinconiche, andando da
ultimo a immorbidirsi in quella famosa del Verdi: «_Quando la sera, al
placido_» con tutto quello che segue.

L'amore entrava, come i lettori vedono: c'era già la sera, e il
placido chiarore del cielo stellato.

Egli tuttavia, ripeto, non ne sapeva nulla, e continuava a suonare
come se fosse stato quello lo studio e il passatempo di tutte le sere,
in cambio della _Trasformazione delle specie_ di Darwin, o del
_Cosmos_ di Alessandro Humboldt.

Così del resto avviene mai sempre. Se l'uomo al primo mutar dell'aria
fosse sollecito a mettere la sua brava flanella, non ci sarebbero più
reumi nè bronchiti. E se ai primi segni di una simpatia, ma proprio ai
primi, un uomo assennato facesse il suo esame di coscienza, pesasse il
pro e il contro sulla bilancia, i rischi e i guadagni, io metto pegno
che non andrebbe più innanzi. Ma, passano due giorni, e la flanella
non è giunta a tempo per isviare la tosse; passano cinque, e i
gagliardi propositi non custodiscono più dai colpi di un affetto
veemente. La malattia è nei bronchi; la passione è giunta al cuore, e
arrivederci col senno di poi!

Il primo pensiero di Laurenti (gli era proprio tempo che tornasse a
pensare!) fu per la gentildonna veduta pur dianzi; ma era un pensiero
innocente, naturale come la curiosità, legittimo come la compassione
del prossimo. Ed ecco poi in che forma logica gli si dipanò nella
mente, in quella che stava seduto al cembalo, cogli occhi sopra uno
dei torchietti accesi:

«.....Povera donna! mi pareva molto stanca. Che male avrà? Era bianca
come la cera intorno al lucignolo, e liquefatta del pari. Che la sia
offesa nei polmoni? Sì certo; son queste le malattie in apparenza più
dolci, che uccidono a gradi, e non c'è bisogno di starsene inchiodati
in un letto per sentirsi morire. Si sfiaccola come questa candela; ci
si rimette ogni giorno uno strato di vitalità; si ama sempre più la
luce, il calore, quanto più vanno mancando di dentro; poi, la cera
liquida, giunta all'ultimo strato, si riversa nella padellina, il
lucignolo si abbatte, stride, e buona notte!

«Povera donna! Ma perchè non cura la sua salute? Le son malattie da
badarci per bene. I medici le hanno sentenziate insanabili, poichè
essi guardano alla interna rovina di un organismo e non alle cause
morali che la guidano, come soprastanti alle opere di demolizione.
Questi mali s'hanno a pigliare anch'essi pel loro verso; vuolsi curar
l'anima in pari tempo del corpo. È ci vuol altro che olio di fegato di
merluzzo! S'ha da svagare il malato, fargli mutare sensazioni, mutando
paese, e via via. La dama è ricca. A quella palazzina e a quel
magnifico giardino dee rispondere un largo censo. Perchè si lascia
sgretolare a quel modo dal male!

«Chi sa? forse la ci avrà le sue millanta ragioni a non muoversi. Si è
a volte legati in un paese con funi di canape, a volte con fili di
seta... che tengono assai più forte del canape. E invero un marito non
può essere impedimento a fare quello che la cura del proprio corpo
consiglia; laddove un amante... Un amante! e perchè?...»

La supposizione dell'amante non pareva gli andasse molto a' versi. La
masticò un tratto fra i denti, quindi balzò in piedi con piglio
d'insofferenza.--Vadano in malora gli amanti!..... esclamò.--E le
amanti!--soggiunse, ma più sommesso, come chi senta di dire una mezza
bugia a sè stesso. E uscito dal salotto, andò a cangiar vestimenta,
zufolando (egli che non zufolava mai); quindi uscì, dopo aver detto al
servitore che sarebbe tornato tardi, poichè andava al teatro Carlo
Felice; e uscì zufolando pur sempre.

Quella per fermo era serata di musica!

Il teatro Carlo Felice quella sera aveva faccia di legno. Laurenti, il
quale non s'era più ricordato d'essere in lunedì, se ne addiede come
fu alla porta; ma non se ne dolse; che anzi! Egli aveva detto al
servitore e a sè medesimo che andava a teatro, soltanto per dire
qualcosa, e gli parve una ventura di dover appiccare la voglia
all'arpione.

Ha mai pensato il lettore che siamo sempre in due, dentro di noi, o,
per dir meglio, che il nostro _noi_ è composto di due persone, che una
vuole e l'altra disvuole, e quella che vuole o disvuole più
tenacemente non è sempre la prima per ragione di dignità? Egli avviene
spesso nel nostro interno come un dialogo, un battibecco inavvertito,
una sorda puntaglia, e le gambe e le mani nostre non eseguiscono
sempre i comandi della parte più autorevole. La parte seconda, che è
la materia, l'istinto, o quel diavolo che vorrete, pensa anco lei, e
talfiata ragiona anche meglio dell'intelletto; testimone il fatto
degli ubbriachi che non si rompono mai il _nomine patris_, e trovano
sempre la toppa dell'uscio di casa, senza mestieri del lumicino della
ragione.

Ora, uno dei due contendenti voleva che Guido andasse a passeggio; e
fu proprio quello che si rallegrò nella mente sua, quando il capo di
casa trovò chiuso il teatro.

Laurenti se n'andò dunque girelloni per la città, ma con una spasimata
voglia di salire. E fu di tal guisa condotto per una strada larga,
nella quale non si vedeva anima viva, e che egli per conseguenza potè
popolare di morti a sua posta, vo' dire delle sue ricordanze
giovanili, delle care imagini de' suoi parenti, e perfino de' suoi
compagni di scuola, allorquando pigliava i primi granchi nel mare del
sapere, chiamando le lettere dell'alfabeto con nome sempre diverso da
quello che avevano avuto, dai Pelasgi fino al tempo presente.

Erano, in fin dei conti, innocentissime meditazioni, e non c'era nulla
a ridire. Ma chi avesse potuto (come fa il lettore dietro la scorta di
un minuto racconto) notare le speculazioni di Laurenti dal ciglio del
muraglione, e scorgere nel suo soliloquio accanto al cembalo il germe
di una simpatia per la signora della palazzina gialla, avrebbe anche
notato che quella strada nella quale era ito a meditare, andava per
l'appunto a far capo, indovinate dove! alla palazzina gialla.

Per la chiusa del primo giorno, non c'era male davvero!



VI.


Il giorno seguente, mattiniero come al solito, il giovine botanico si
diede tutto alle sue piante, e proseguì la sua opera di giardiniere
accurato fino all'ora dell'asciolvere. Dopo i fiori, stando alle
consuetudini, avrebbero dovuto venire gl'insetti; ma per quel giorno
gl'insetti non ebbero molestia, e i trattati di entomologia dormirono
sugli scaffali.

I fiori, poveretti, avevano sempre bisogno di qualche cosa; e in
particolar modo quelli che stavano sul murello, sull'ultimo lembo del
muraglione, che riusciva meno discosto dall'albero di pino. Laggiù
c'era sempre qualche pianticella da curare, qualche mala erbuccia da
sterpare, qualche ramo da tener ritto.

Tra questi lavori giunse l'ora del pranzo; poi giunse la sera. E
sull'imbrunire, quando tacciono i mille rumori confusi del giorno,
quando le fragranze delle erbe e dei fiori salgono come una vespertina
preghiera della natura verso il cielo azzurro, una bella rosa di
Torino e un magnifico garofano, che stavano vicini su quell'ultimo
lembo del muraglione che ho detto, se avessero avuto parola umana,
avrebbero fatto udire una conversazione curiosa. E' la fecero invero
nella lingua loro, e nessuno avrebbe a risaperne verbo; ma io,
costretto dal mio uffizio di romanziere a saper tutte le lingue, a
origliare i soliloqui delle anime, a intendere perfino i sospiri, ho
inteso anche quel dialogo, e posso riferirvelo dalla prima all'ultima
parola.

--Ohè, vicino!--disse la rosa al garofano, toccandolo leggermente col
sommo delle foglie agitate dalla brezza.--Dormite forse?

--Non dormo;--rispose il garofano--pensavo. E voi madonna?

--Io ho desiderio di far quattro chiacchere. Avete sentita la rugiada
di quest'oggi?

--Sì, madonna, e vi so dir io che m'ha fatto un gran bene.
Tuttavia......

--Tuttavia, che cosa?

--Tuttavia, egli c'è stato un momento che mi sono provato a dir basta.
S'intende acqua e non tempesta. Figuratevi, madonna, che ho preso la
risciacquata per cinque volte alla fila.

--Com'io per l'appunto; ma io non me ne sono lagnata.

--Oh, voi siete buona come il carbonio di cui ci nutriamo; ma
confessate che la è stata una cosa insolita. Gli altri giorni non s'è
mai andati oltre le due.

--Gli è verissimo; quest'oggi il giardiniere ci ha avuto una gran
sollecitudine per noi. Vedete, bel vicino, egli m'è stato attorno in
un modo da dover essergli grata per tutto il tempo ch'io viva. Ci
avevo già cinque o sei di que' brutti animaletti i quali
s'inverdiscono del nostro sangue; ed egli, buonino, me li ha cavati
con un fuscellino, che solo a sentirlo mi facea tenerezza.

--E a me, madonna, ha levato di dosso un bruco villoso...... sapete,
di quelli che poi fanno i farfalloni......

--Son carine, le farfalle, con quelle loro ali screziate e asperse di
polverina d'oro!

--Sì, ma i bruchi son pure le moleste bestiaccie. Io rinunzio alle
farfalle, madonna, se, per vedermele poi aliare dattorno, ho da
lasciarmi strofinare dall'epa di quei vermiciattoli neri. Insomma ei
me lo ha tolto dai piedi, e poi mi ha strappato alcune foglioline
avvizzite che mi erano uggiose.

--Gli è un bravo e bel giovinetto--disse la rosa di Torino.--Io non
rifinisco mai di guardarlo, e certo il primo bottone ch'io farò, vuole
rassomigliargli di molto.

--Badate, madonna! e' riuscirà troppo pallido.

--Ah, sì, gli è un giovine malinconico e sempre sovra pensieri.....

--Avete veduto--interruppe il garofano,--che cosa faceva egli
quest'oggi?

--Che cosa?

--O non avete notato quell'arnese che si recava spesso davanti agli
occhi, e che teneva qui sul murello, vicino al mio vaso, per averlo
sempre sotto la mano?

--Sì, sì, un coso con due buchi lucidi, che devono esser fatti per
guardare da lunge. E' lo alzava e lo abbassava ad ogni tratto, sempre
nella direzione del giardino di sotto.

--Benissimo, ma usando sempre la precauzione di mettersi dietro le
vostre foglie, o dietro le mie.

--Che cosa vorrà dire, vicino?

--Chi sa? Certo non lo avrà fatto per guardare il tempo.

--Ottimo giovine,--proseguì la bella rosa, che avea fermo il chiodo in
quella considerazione.--Lo vorrei veder contento. Per me, vo' dirvela
schietta, se ha da essere così impensierito, amo meglio che non mi dia
da bere nemmanco un fil d'acqua.

--Oh, questo poi!--esclamò il garofano.--Io qui non mi accosto alla
vostra opinione.

--Signor egoista!

--Madonna tenerina!

Un terzo interlocutore, dalla voce sonnacchiosa e burbera, venne a
rompere quel dolce colloquio. Gli era un _geranium triste_, il quale
stava lì presso, nell'angolo tra il muraglione e un muro di tramezzo,
che separava il giardino di Laurenti da un camperello contiguo.

--Sì, adesso bisticciatevi ancora! La notte è fatta per dormire, e voi
altri non lasciate pigliar sonno a nessuno.

--Che cos'ha quest'altro?--mormorò la rosa sbigottita al garofano.

Il garofano mulinava una risposta, ma non trovandola lì pronta e tale
da offerire a madonna un alto concetto della sua dignità mascolina,
non rispose un bel nulla.

Intanto il geranio proseguiva:

--Già, i contenti sono sempre incontentabili; hanno dieci e vorrebbero
aver quindici, poi venti, e via discorrendo. Io che sto dietro questo
muro.....

--Comodamente al riparo dalla tramontana!--interruppe beffardo il
garofano, che aveva trovato la parola da dire.

--Io che sto dietro a questo muro--ripetè, senza dargli retta, il
geranio--io non ho avuto uno sguardo del vostro Narciso, nè uno
spruzzo d'acqua per cavarmi la sete. M'avesse detto: crepa! Già, io ci
ho il peccato addosso di non essere sul murello, daccanto a voi altri.
Il bruco che egli ha tolto da voi, messer garofano garbato, egli me lo
ha gittato sopra di me senza neppure guardarsi da fianco. Ora voi non
vi ringalluzzite tanto, madonna rosa! Io ci ho un occhio per foglia, e
da qui, sporgendo il capo, ho potuto vedere che cos'è tutta la sua
tenerezza per voi.

--E che cos'è?--si provò a dire sgomentita la rosa di Torino.

--Ah, ah! gelosa! C'è laggiù, in quel giardino, una bella signora, più
bella di voi a gran pezza....

--Da che parte?--chiese pronto il garofano--da che parte, ch'io non
l'ho veduta ancora?

--Là, dietro quella selva di magnolie e di allori. La viene qualche
volta a diporto, per quel sentieruolo a manca. Ieri il vostro amico è
stato per due ore a contemplarla. Oggi non la è venuta affatto, ed
egli ha avuto un bell'aspettarla, e darvi da bere a voi altri, e
cavarvi i bruchi, signor garofano, e spidocchiarvi, signora rosa...

--Oibò!--disse la rosa, arricciando le foglie.

--Eh! io non ve le so dire le belle parole; dico acqua all'acqua, e
non so come il vostro bel giardiniere battezzi quelli sconci
animaletti che ci avete voi sulla persona, bella schifiltosa! Del
resto sappiatelo: la dama per tutt'oggi non s'è vista, ed egli se ne
strugge... ve lo so dir io, se ne strugge!

--Adesso, crepa di rabbia!--aggiunse mentalmente il geranio a guisa di
perorazione, e si messe a dormire, contento come chi pensa d'aver
fatto un'opera buona.

--Povero giovine!--mormorò la bella rosa di Torino, e reclinò
pensierosa le sue foglioline.



VII.


Tre giorni passati a meditare di continuo su d'una cosa, la
solitudine, che è potentissima esca ai vigorosi affetti, e più di
tutto dieci anni di vita senza amore, avevano dato Laurenti in balia
della passione, e così profondamente scolpita nel suo cuore la imagine
della bella sconosciuta, da non poterla più cancellare.

Allorquando egli venne finalmente a pensare sulla natura de' suoi
sentimenti, allorquando, rientrato un istante in sè medesimo, si
addiede della gravezza del male, chiuse gli occhi e gridò: non è vero.

Non è vero! Frase presto detta; e intanto egli era sempre inteso a
guardare la palazzina gialla e gli cuoceva di non veder più comparire
quel bianco viso di donna.

Uno dei primi e dei più noti sintomi di quella affezione cardiaca che
non è considerata in alcun trattato di patologia, ma che tutti
conoscono, e molti conservano allo stato cronico, è il girandolare che
si fa nei pressi di una certa abitazione. Si gira, si va, si viene, ma
non si esce mai dai paraggi dell'Isola ignota; si bordeggia, si getta
l'àncora in vista, come farebbe una fregata in crociera.

Un altro sintomo è quella curiosità di sapere un certo nome. Si
adoperano, per soddisfarla, tutti i più sottili artifizi; si passeggia
più volentieri coi ciceroni della cronaca cittadina; si stringe la
mano con maggior piacere alle persone che hanno qualche attinenza
colla Dea, ancora senza nome, e solo per farlo cascare, questo
benedetto nome, a guisa di un diamante smarrito che si cerchi, tra i
ritagli di una conversazione capricciosa.

E questi sintomi c'erano ambedue. Guido Laurenti, chi avesse voluto
trovarlo, era in giardino, o per quella tal via che metteva alla
palazzina, ma senza veder mai la bella innominata. Poi, di sera andava
a teatro, in traccia di gente chiacchierina; ma senza cavarne un
costrutto. E per vero, non avendo mai veduto la dama per via, nè in
altro luogo di ritrovo, non sapeva da che parte incominciare, non
poteva metter le mani su chi la conoscesse, o di persona, o di nome.

Un giorno la fortuna gli condusse tra piedi un conoscente, persona
curiosa che andava per le vie alte della città, a dare un'occhiata ai
nuovi edifizi. L'occasione non aveva che tre capegli sul cranio, ma
Guido li afferrò destramente, conducendo il compare per quella tal via
che sapete, e là domandandogli di chi fosse quel palazzo rosso, di chi
quel bianco, di chi quella casa grigia, e via discorrendo, sempre con
aria sbadata e per mo' di chiacchera.

Di tal guisa, tirando innanzi, seppe finalmente che la palazzina
gialla era la villa Argellani.

--Argellani! che gente è?

--Non so;--rispose l'amico--forastieri, che l'hanno comperata, credo,
dai Visdomini. L'uomo è morto, lasciando la vedova, che deve starci di
casa.

E' fu tutto quanto potè sapere Laurenti; ma era già molto; una vedova
ed un cognome!

La Argellani, ei l'avea già udita nominare, epperò non gli giungea
nuovo il parentado; ma quando, e in che modo, non rammentava. E il
nome di battesimo? quello era il busilli.

Così egli rimase senz'altro lume, a mezza strada. A chi far capo?
Chiederne ai ciceroni della cronaca, gittar loro innanzi quel nome per
avere tutte le altre notizie, gli parea cosa disdicevole; inoltre,
siccome avviene agli innamorati, sembrava a lui che il primo venuto
gli avrebbe letto il suo segreto negli occhi.

Meditò, meditò, ma non gli venne alcun partito che valesse. Parlare
col giardiniere! sì, certo; quello era lo spediente migliore, anzi
l'unico buono; ma come fare? La conoscenza c'era; ma non andava oltre
il saluto, e la cosa era come passata in giudicato. O come avrebbe
fatto per entrare in discorso con lui?

Il giardiniere diventava, issofatto, un gran personaggio, e per
accontarsi ragionevolmente con esso lui, ci voleva proprio una
diplomazia di quella più fine, una diplomazia da Talleyrand, e da
Metternich.

Ci pensò una notte e un giorno; finalmente ebbe trovato lo spediente.
Era molto arrisicato, e poteva anco non approdare; ma il nostro
diplomatico non ci aveva da scegliere tra parecchi il più acconcio;
gli bisognava sperimentare quel solo che avea potuto trovare.

Uscì a tarda notte in giardino. Il cielo era buio, e propizio al gran
misfatto. Giunse fino al muraglione, presso ad una bella pianta di
camelie, che era una rarità della specie; sollevò il vaso tra le
palme, lo sospese fuori del murello, e lo lasciò spietatamente cadere
nella prateria sottostante.

Quindi si allontanò sollecito da quel luogo, ma non tanto, che non
udisse il tonfo del vaso.

--Povera camelia!--esclamò, affrettando il passo: e fu quella
l'orazione funebre dell'uccisore alla sua vittima.

Come aspettasse impaziente il mattino, potete argomentarlo, o lettori.
All'alba era già in piedi. Scese in giardino, ma senza ardir nemmanco
di guardare dov'era rimasto il vuoto nella fila dei vasi, e se ne andò
ad inaffiare le sue aiuole più lunge, da dove nessuno, che fosse nella
prateria, avesse potuto veder spuntare il sommo della sua testa.
Un'ora passò; quindi un'altra mezz'ora, e già egli pensava che la sua
camelia fosse perduta senza utilità, allorquando udì levarsi dai piedi
dell'olmo una voce che gridava:

--Signore! signore!

Il cuore gli balzò in petto; ma e' non si mosse. Intanto la voce
ripigliava più forte: signore! ohè, signore?

Si avanzò allora fino al murello, e si provò a guardare. Gli era per
l'appunto il giardiniere, che aveva rizzato la povera pianta, e stava
col viso in aria a cercare di lui. I cocci del vaso erano sparsi sul
terreno, ma il terriccio di castagno era agglomerato tuttavia intorno
alle radici; la vittima respirava ancora.

--Signor.... signor.... La mi scusi; non so il suo riverito nome.

--Laurenti, ai vostri comandi, brav'uomo.

--Signor Laurenti, veda..... questa è roba sua;--proseguì il
giardiniere, levandosi con una mano il cappello, e additando la
camelia coll'altra.

--Che? come?--gridò Laurenti.--Oh la mia povera camelia! E come mai la
è caduta? Forse il vento....

--Oh, non ha tirato vento, stanotte;--rispose il giardiniere.--Sarà
stato quel tristo d'un Grigio. Sa Ella? un gatto bellissimo, ma e' ci
ha il ticchio di scorazzar la notte, per dar la caccia ai topi. Si
sarà arrampicato per l'edera fino alla fila dei vasi, e avrà fatto lui
il malanno.

--Ah!--esclamò Laurenti. E siccome il Grigio non era lì per
protestare, la calunnia ebbe corso.

--Mascalzone d'un Grigio!--proseguì il giardiniere,--se lo colgo, n'ha
a toccare una serqua!

--Oh no; povera bestia!--disse Laurenti, che non voleva far bastonare
un innocente, quantunque gli giovasse lasciarlo accusare.--Esso ha
operato a fin di bene per ammazzarci i topi, e non gli s'ha a dare un
castigo. Poi non è un gran male, quello che ha fatto; soltanto mi
rincresce un tratto per quella pianta....

--Sicuro, una bella pianta! _Camellia maculata Adhemari_!--sentenziò
il giardiniere dopo averne esaminati i bianchi petali chiazzati di
rosso cupo.--Ma per ventura non la s'è fatta un gran male. Il peso del
vaso la fece cader ritta.

--Ah, manco male.

--E purchè la sia rimessa subito in terra.. Veda, non ci ha che un
ramo guasto, ma il tronco è sano, e le radici del pari; la terra non
pare quasi che abbia fatto quel salto.

--Manderei a torla;--soggiunse timidamente Laurenti,--ma non ho il
servitore in casa.

--Che! la porto io;--rispose il giardiniere, alzando il cespo da terra
con molta accuratezza.

--Voi? Mi duole davvero che v'abbiate a pigliare questa molestia.

--Son pochi passi, signor.... signor Laurenti. C'è qui presso la
postierla che mette nella viottola; due salti e sono da Vossignoria.
Ah Grigio, Grigio! Ne fa sempre qualcheduna delle sue.

E così accagionando il povero Grigio, l'amico giardiniere s'incamminò
per la discesa del prato, verso la postierla che aveva accennata a
Laurenti.

Il nemico era dunque costretto ad accettare battaglia. Il primo colpo
da gran capitano era fatto; e' bisognava saper fare il secondo;
entrato in dimestichezza col giardiniere, cavargli le parole di bocca.

Laurenti andò a riceverlo sull'uscio di strada. Gli era un uomo sui
cinquantacinque, piuttosto alto della persona, robusto e vegeto, dalle
labbra tumide, indizio di bontà, e dagli occhi limpidi ed arguti. I
capegli corti e brizzolati, in ragione dell'età; sulle guancie, sul
mento e sul labbro superiore si scorgeva quella tinta turchiniccia che
è segno di una folta barba, ma accuratamente rasa di fresco; e che
fosse rasa di fresco, _ante lucem_, e per mano del suo legittimo
padrone, lo dicevano cinque o sei tagli disposti in tutti i versi, con
qualche goccia di sangue rappreso sui margini. Portava una camicia di
tela grossolana, ma di bucato, il collare della quale si ripiegava in
due lasagne sulle risvolte di un panciotto di pannolano cenericcio,
partito a quadrelli, come i calzoni; ed aveva il capo coperto da un
cappello di feltro nero, dalla testiera bassa e tonda, e dalla tesa
larga, come usavano un tempo i cavalieri, e come usano adesso i
contadini della Polcevera. Del resto, in maniche di camicia, come
soleva stare tutto il giorno.

Entrò col cespo di camelia tra le braccia, salutando il giovanotto con
quel sorriso che vuol dire: ci conosciamo, e non occorrono altri
complimenti.

--Dove vuole Vossignoria che mettiamo questa povera ammalata?--disse
egli, appena ebbero fatti pochi passi nel viale.

--Di qua, se non vi spiace, galantuomo.

--Galantuomo, sì certo, e Giacomo per sovrappiù, con licenza di
Vossignoria;--aggiunse il giardiniere, che, come il lettore ha già
veduto, era uomo faceto anzichenò.

--Orbene, Giacomo, venite qua, in fondo al giardino. C'è molta terra
di quella che si confà alle camelie e posta a solatìo. Qui la
metteremo, ed il Grigio sarà bravo, se verrà a buttarmela giù.

--Gatto indemoniato!--disse Giacomo, mentre deponeva il suo fardello
sul ciglio dell'aiuola.--Se non fosse perchè distrugge i topi... Già,
con licenza di Vossignoria, _gatti e donne_, diceva mio padre,
buon'anima, _nemici necessarii_.

--O come, tutti a mazzo? chiese Laurenti, ridendo.

--Perchè no? Così gli uni, come le altre, debbono stare in casa; ma
gli uni amano far le scappate sui tetti, e le altre..... volesse Iddio
che ci andassero! In quella vece, amano andare attorno, con tanto di
crinolino, e orecchini d'oro, e fanno gettare i quattrini a palate.

--Siete ammogliato, forse?

--No, per la grazia di Dio. Non nego d'essere stato lì una volta per
pigliarla pur io; ma la donna ci ha avuto più giudizio di me, e n'ha
sposato un altro. Baie, in fin dei conti; o dove diamine sono andato a
parare?

--E chi ha cura delle vostre robe, e chi vi ammanisce il desinare?

--Che! o non ci ho le mani, io? Un po' d'acqua in pentola, poi un
pizzico di sale, e il suo bravo spicchio di manzo a bollire, fino a
che non sia cotto, o che il Grigio non me l'abbia cavato fuori, come
fa qualche volta. Oh, non ha paura lui che la pentola scotti.

--Gli è proprio un gatto terribile, questo Grigio?

--Sicuro, ed io l'avrei già fatto correre di buone gambe, se egli non
fosse il cucco, il beniamino, della signora Tonna.

Quella signora Tonna fu come una stilettata nel cuore di Laurenti.
Tonna! Aspettava un nome leggiadro, e si udiva dir Tonna. Non già che,
se la signora della palazzina si fosse chiamata Tonna, ei non
l'avrebbe amata del pari; forse quel nome, portato da lei, sarebbe
diventato anche bello. Ma per la prima volta, così alla sprovveduta,
sentirsi a dire: la signora Tonna!

Chiedo scusa per Laurenti a tutte le signore Antoniette che mi
leggono, se egli non potè mandar giù quel diminutivo, così poco
vezzeggiativo, del loro nome, e se io pure sono costretto a pensarla
come lui. Elleno poi, in nessun caso, neppure nel santuario della
famiglia, non si lascino chiamar _Tonna_, nè _Tonietta_, e sarà tanto
di guadagnato per tutti.

--Chi è la signora Tonna?--dimandò il giovinotto, dopo una breve
sosta.--È la vostra padrona, forse?

--O che, le pare? È la donna di casa, la governante, e che so io;
vecchia zitellona che biascia paternostri, legge le _Vite dei Santi_ e
mangia biscottini.

Laurenti respirò con tanto di polmoni, come dovrebbe respirare
Encelado, se gli levassero l'Etna dallo stomaco.

Intanto il trapiantamento della camelia era condotto a buon fine, e il
giardiniere dilettante, non volendo lasciarsi fuggire il giardiniere
maestro, fino a che non si sbottonasse del tutto, lo tenne a bada col
fargli vedere per ogni verso il teatro delle sue geste agronomiche e
botaniche, considerate con molta attenzione, e lodate con acconcie
parole dal sentenzioso orticoltore.

--Vossignoria conosce il mestiere a menadito. Già, loro signori,
quando ci si mettono, vengono a capo d'ogni cosa.

Sempre intento a trovare un nuovo appicco al discorso che gli premeva,
Laurenti condusse Giacomo a vedere le sue raccolte entomologiche, i
suoi ofidii, i suoi batracii ed altre simiglianti bellezze della
natura vertebrata. Le quali cose veggendo, e in particolar modo alcuni
mostricini e pezzi patologici conservati nello spirito, il Giacomo
spalancò la bocca ed inarcò le ciglia.

--Ma Vossignoria è medico!

--Medico e chirurgo;--soggiunse Laurenti--ma non ho studiato
quest'arte, se non per impratichirmi in alcuni rami delle scienze
naturali, e non ho mai più fatto un salasso, nè scritto una ricetta.

--Oh, non importa;--ripigliò il Giacomo.--Vossignoria ha da essere pur
sempre un uomo che sa il fatto suo, da quello che vedo. Non fo per
entrare nelle sue faccende, che non mi risguardano, e ricordo il
proverbio dei miei vecchi: «impacciati ne' fatti tuoi;» ma Ella fa
molto male a non esercitare una professione così bella. O che, mi
canzona? Quel toccare il polso ad una persona, e veder subito, ad
occhi chiusi, che cosa ci ha dentro di guasto; trovare per ogni male
il suo rimedio, come io lo trovo per le mie piante..... E dire che le
mie piante, quando hanno male, le si capiscono subito, e i rimedii si
contano sulle dita; laddove per gli uomini, e per le donne, gli è un
altro paio di maniche. Ma io vado fuori del seminato, con queste mie
chiacchere.....

--No, caro Giacomo; amo anzi molto di barattare quattro parole colla
brava gente del vostro stampo.

--Grazie della sua bontà!--rispose commosso il giardiniere, e nella
commozione si lasciò andare a stendergli la sua mano callosa.--Verrò,
con sua licenza, a vederla qualche volta, e per fare qualcosa, le darò
anche una mano in giardino. Vossignoria, per esempio, mi scusi veh!...
ma non la mi sembra aver molta pratica delle margotte.

--Avete un subbisso di ragioni; fo tutto d'inspirazione, come vedete,
e avrò caro che mi correggiate. Ma... le vostre visite non
dispiaceranno poi... al vostro padrone?

--Che padrone? Io non ho padroni. La mia signora, che è sola in casa e
comanda lei, è una dama come va, e non sarà dolente, quando lo sappia,
che io faccia qualche cosa per un così buon vicino, e sopratutto così
cheto, che non lo si sente mai.

--Che cosa volete voi dire?--dimandò ansioso Laurenti.

--Dico quello che è. Veda, due anni or sono, ci stava qui una famiglia
chiassosa che nulla più; mezza dozzina di marmocchi che facevano un
casa del diavolo; poi una fantesca che gridava come una spiritata, con
una vociaccia da schiuder le orecchie ai sordi; poi de' buontemponi
che venivano a giuocare alle pallottole col capo di casa.... Insomma,
la mia povera signora non poteva uscir mai nel giardino, che ella ama
pur tanto; non poteva affacciarsi mai sulla prateria qui sotto, a
cagione di quel diavoleto.

--Non l'ho mai veduta;--disse Laurenti con piglio sbadato.

--Bravo, perchè Vossignoria guarda le nuvole, sia detto con sua buona
licenza. Ma noi l'abbiamo veduta, sul muro accanto all'olmo, proprio
l'ultima volta che la signora venne in giardino.

La conversazione diventava importantissima pel nostro innamorato;
laonde, facendo uno sforzo supremo per vincere il suo turbamento, si
affrettò a sostenerla con quest'altra frase posticcia:

--Ama molto i fiori, la vostra signora?

--Oh molto; ma, poverina, non può goderne come vorrebbe. La è giù di
salute, e v'hanno giorni che non le dà neppur l'animo di uscire
all'aperto.

--E che cos'ha?

--Non so; Ella non vuol saperne di medici, e dice che non è nulla, che
il suo male passerà presto. Ma io non ne credo un'acca.

--E la gente di casa perchè non cerca di persuaderla?

--Oh, signor Laurenti!.....--rispose Giacomo, stringendo le
labbra.--La è tutta gente che pensa al suo guadagno e non guarda più
in là. La governante, quella del gatto, è una beatella egoista, che è
contenta di pigliarsi gli spogli della padrona e far roba per sè. Il
cameriere è uno zotico, che non parla mai; le due fanti peggio che
peggio; insomma, la veda, l'unico che si curi un tratto della signora
sono io, io Giacomo Vernazza, suo giardiniere.

--E siete un uomo a modo;--gli disse Laurenti, mettendogli una mano
sulla spalla. Iddio vi compenserà dell'amore che portate alla vostra
signora.

--Oh se Dio la sentisse, signor Laurenti...

--E che cosa?....

--Nulla, nulla! Acqua in bocca; se no, dico qualche eresia da
dovermene andare a confessare dal Papa.

--Comunque sia,--ripigliò Guido--sta a voi di persuaderla a mandare
pel medico.

--Eh, non sono già stato a farmelo dire. Quindici giorni fa, ho tanto
picchiato che la mi ha detto; fa a modo tuo; e il medico ce l'ho
condotto. Ha toccato il polso, ha guardato la lingua, gli occhi, la
pelle, ha fatto una dozzina di domande, poi ha ordinato certe acque,
del moto, dei vescicanti, e poi se n'è andato via. La padrona lo ha
lasciato fare, lo ha lasciato dire, l'ha accompagnato fino all'uscio
con gli occhi, e con un sorriso malinconico, e poi non ha fatto un bel
nulla. Del resto, salvo il moto, che mi pare utilissimo, in tutte le
altre cose che ha detto il magnifico, ci ho fede come nella settimana
dei quattro giovedì.

--E perchè? Non siete voi che poco fa dicevate tanto bene dei medici.

--Sì, sì, ma non di quello, che mi pareva, con licenza di Vossignoria,
un asino calzato e vestito.

Guido era cosiffattamente accorato, che non potè nemmanco ridere dei
motti del giardiniere.

--E nessun amico di casa la consiglia?--soggiunse egli.

--O chi vuole che la consigli, se non viene in casa nessuno? Ma, la
non dubiti, ci penserò io. Sono una bestia, con sua licenza, ma le mie
buone inspirazioni di tanto in tanto ce l'ho. Ora Ella scusi la
chiaccherata, che è stata lunga oltre il bisogno; ma sono fatto così:
quando posso aprire il cuore, lo spalanco addirittura.

--Bravo, Giacomo! a rivederci.

--A rivederci sicuro. E con questo, fo di cappello a Vossignoria.



VIII.


Per l'anima di Laurenti fu quello un giorno di sole. Imperocchè, avete
a sapere, o lettori, che l'anima ci ha i suoi giorni di sole, e i suoi
giorni di nebbia, i quali non concordano sempre colle notizie
meteorologiche dell'Osservatorio. Laonde, egli può essere giorno di
nebbia fitta, ed anco di burrasca, per voi, quando per tutti gli altri
mortali risplende il cielo e sale a venti gradi il mercurio nel
termometro di Réaumur; laddove, per contro, e' sarà giorno di sole per
voi, quando pioverà a catinelle. Io, verbigrazia, mi ricorderò sempre
di una splendida giornata, quando un fitto nevischio..... o che
diamine? ero sul punto di raccontarvi i fatti miei.

Insomma il ghiaccio era rotto, e squagliato nel medesimo tempo. Il
giardiniere gli era diventato amicissimo, e stavano già come pane e
cacio. La signora lo aveva veduto, pensava qualche volta a lui, poichè
a lui era debitrice di quella tranquillità, di quella solitudine, che
le consentivano di uscire a diporto nella villa. Nessuno andava a
visitarla; non c'era dunque un amante, neppure un cavaliere servente
che aspirasse a diventarlo. Quante buone notizie, e tutte scovate in
fondo ad un vaso di camelie!

Non sapeva ancora il suo nome; ma, innanzi a tutto quello che già gli
era noto, il nome non faceva più caso, come dapprima. La conoscenza
era avviata, e, a giudicarne da quel tanto che ne aveva cavato, non
gli sembrava che tutte l'altre novelle importanti dovessero farsi
molto aspettare. La bella innominata era inferma, poverina! ma sarebbe
risanata; ancora non vedeva il come, ma certamente e presto.

Gli era un giorno di sole, davvero, e Laurenti vedeva bella ogni cosa.

Uscì a diporto. Il giardino gli pareva troppo stretto, per contenere
una gioia così grande. Venti minuti dopo, gli pareva stretta la
cerchia delle mura. Corse dai Busnelli, si fe' sellare un bel baio che
teneva nelle loro scuderie, e andò a fare una trottata verso il bel
paese di Quinto. Gli bisognava respirare largo, muoversi a precipizio,
in cadenza coll'allegra torma dei suoi nuovi pensieri.

--Donna divina!--pensava egli, mentre le zampe ferrate del suo cavallo
scalpitavano sul ponte levatoio di Porta Pila;--ed io ho vissuto tanto
da presso a lei, senza vederla, senza accorgermi di nulla! Ho
respirato la medesima aria che ella respira.... Sì, e mi giova
respirarla più da vicino. Oramai, bisogna che io la veda. Il male è
fatto; sono innamorato come un pazzo.... Ed è poi un male? Ella non è
una di quelle civette, che fanno caccia di adoratori, povero stuolo di
prigionieri che esse appendono la notte, chiusi nella reticella de'
loro capegli, daccanto al capezzale, perchè consolino i sogni delle
spensierate dormenti. Ella, poverina, è sola, sempre sola,
ammalata.... Ma risanerà.... sì certo! Non si può morire così, quando
sorridono la gioventù e la bellezza. Inoltre, ha da essere una donna
d'alto sentire. Quando il Giacomo narrava della visita del medico, mi
pareva di vederla, tranquilla, sorridente, a guardare il pericolo,
disposta a lasciare una vita che non le importa punto. Imperocchè,
ella non ama nessuno; il suo cuore è vuoto d'affetti; forse non ha
amato mai di un affetto verace e profondo....--

Il cavallo galoppava su per l'erta di San Martino d'Albaro, e il
cervello del cavaliere galoppava del pari.

--L'amerò dunque. E perchè no? Ella pure mi amerà. Un affetto profondo
vince sempre la prova, se la donna che si ama ha almeno tanto di
cuore. E l'amore che narrano i Greci aver dato anima alla statua di
marmo, non riscalderà costei, non le ravviverà le fonti della vita?
Che male è il suo? Non è certamente offeso il polmone, come io ho
fantasticato l'altro dì. Giacomo me lo avrebbe detto, se così fosse.
Ella ha forse patito di una lunga malinconia, di qualche tormento di
cuore, tutte cose che lavorano sordamente, ma presto, in un organismo
sensitivo. La donna è già di per sè una macchina così delicata....
imperfetta a forza di finitezza! Gli è un paradosso cotesto? No; gli
estremi si toccano. Dio ha messo troppe cagioni di fisici patimenti in
quel fine involucro che è stato la sua ultima opera.--

A questo punto del soliloquio di Laurenti, il cavallo, dopo aver corso
a galoppo serrato quel lungo tratto di strada che è dalla scesa di San
Martino fin oltre il sasso memorando di Quarto, e di là fino alla
villa De Fornari, accorgendosi che il cavaliere non badava a lui,
aveva rallentato la sua corsa, passando dal galoppo al trotto, e dal
trotto al passo. Ed anche i pensieri di Laurenti mutarono metro.

--Come avvicinarmi a lei? Qui giace il nodo. O non sarebbe probabile
che, dopo aver fatti così facilmente i primi passi, non giungessi più
oltre? E invero, come vederla? come venire a capo di parlarle? Rimarrò
sempre sull'uscio del paradiso, a ragionare col custode giardiniere?
Tra Giacomo e lei c'è l'abisso della disparità di stato, e meglio
varrebbe per fermo la conoscenza di uno sciocco ganimede, che le
andasse a far visita una volta alla settimana....--

Il pensiero di cosiffatte difficoltà lo ricondusse a pensare dov'era.
La veduta dei piani di Quinto gli rammentò che era già troppo lontano
da Genova; e lì, appoggiar di sprone a sinistra, girar le redini e
voltare il cavallo a ponente, fu un punto solo. Il baio sentì che il
cavaliere si ricordava finalmente di lui, e su a galoppo verso casa.

--Bravo, Beppo, corriamo, e alla bottega da caffè di San Martino ci
sarà il pezzetto di zucchero.

Parole che il generoso animale dovette intendere per fermo, imperocchè
raddoppiò di zelo e di lena, e dieci minuti dopo, era dinanzi alla
bottega da caffè, per pigliarsi la sua mercede e una carezza del
padrone.

Alla prima svolta della discesa, la veduta della città si offerse
intiera agli occhi di Laurenti; ma egli non si curò che di un punto,
il quale si scorgeva spiccatamente sulla costiera dell'anfiteatro, la
palazzina gialla; la palazzina gialla che pareva sorridergli da lunge,
con le gelosie spalancate.

--Oh, risanerà! risanerà!--esclamò egli, spingendo lo sguardo per
quelle finestre.--Con questo bel sole, con questa mitezza di cielo, le
rifioriranno i bei colori sul volto. Io farò di vederla...... le
parlerò ad ogni costo. I mezzi non mancano, solo che si sappia
cercarli....

Qui, egli non potè fare a meno di sorridere, pensando ai suoi mezzi
famosi, e alla _Camellia maculata Adhemari_.

Questa cavalcata fu cagione che egli giungesse a casa tardissimo, che
già era trascorsa l'ora consueta del pranzo. Ma egli non era mai stato
gastronomo, e quel giorno poi, lo stesso Apicio, ne' suoi panni, non
avrebbe badato alla tavola. Mangiò in fretta e quasi nulla, come tutte
le persone turbate da un'improvvisa allegrezza e fu sollecito ad
alzarsi.

Le disgrazie non vengono mai sole, e le venture vanno anch'esse
appaiate. Quello doveva essere giorno di festa intiera, dappoichè la
fortuna attendeva Guido Laurenti in giardino, dov'egli corse, appena
ebbe mandato giù l'ultimo boccone.

Si assise nel suo posto prediletto; come Don Abbondio si messe le dita
nel collare per poter dare una guardata a destra e a manca; ma non
ebbe da compiere quella doppia voltata di testa, e rimase fermo a
destra. Domineddio aveva fatto un miracolo per lui; la signora stava
in giardino.

Ella era vestita come la prima volta che egli l'aveva veduta, e
passeggiava per quel medesimo sentieruolo sabbioso, il quale, uscendo
dal fitto delle magnolie, saliva costeggiando la prateria fino alla
conserva delle piante esotiche a' piedi del muraglione. Il fidato
giardiniere le veniva rispettosamente da fianco, additandole questa e
quella delle zolle fiorite, e ragionandovi su, da quel sapiente uomo
ch'egli era, e che i lettori conoscono. Ella guardava ma con aria
distratta, dove il giardiniere voleva, e probabilmente gli dava retta
del pari. Come fu giunta presso l'albero di pino, parve volesse
fermarsi; ma cotesto non doveva entrare per fermo nei divisamenti del
Giacomo, imperocchè le accennò la conserva, ed ella si ripose in
viaggio, come chi non vuole fortemente una cosa, e si lascia guidare
dal consiglio altrui.

Guido la vedeva giungere, con quel suo passo misurato e leggiero, che
parea non toccasse la terra. Lo strascico della veste fluente
conferiva maggior verità a quella illusione degli occhi. Egli allora
aperse il suo Virgilio (benedetto Virgilio!) e fe' mostra di leggere;
ma tra gli occhi suoi e il sommo della pagina correva una linea retta,
che un matematico avrebbe potuto prolungare fino ai piedi della
bellissima inferma.

Man mano che la si avvicinava, si scorgevano meglio i suoi lineamenti.
Il viso era ovale perfetto; il fronte prominente era mezzo nascosto,
ma non tanto che con si potesse indovinarne la forma purissima, da due
liste di capegli neri e lucidi che scendevano ad accarezzare le
tempie, e sparivano sotto i due capi di tulle bianco, orlati a ricami
di seta nera, di una cuffia che portava in testa per custodirsi dalla
prima impressione dell'aria. Grandi sopracciglia arcate pendevano,
temprandone la vivezza, sulle nere pupille che balenavano dal centro
di un globo bianco azzurrino, e venivano in fila sottili a
congiungersi quasi sulla radice di un naso diritto, grecamente
diritto, e grecamente reciso alle nari, dove una curva leggiadra
scendeva a profilare il labbro più soave che mai fosse dato di
scorgere. Le labbra dovevano essere state di corallo, ma il loro natio
colore si era smarrito affatto, come il colorito della pelle, sul
volto, nel collo e nelle manine affilate.

L'interna malattia traspariva da quella carne mirabilmente composta ad
espressione di bellezza femminea, e tanto più traspariva, quanto più
leggiadre erano le forme, sulle quali essa stendeva i suoi pallidi
colori. Nella mente dell'innamorato osservatore si agitavano le
ricordanze del medico, e il medico, pigliando dall'innamorato il senso
della divinazione, mormorò, guardando quel volto scolorato, la parola:
_anemia_.

Intanto, più la leggiadra inferma si avvicinava, e più Guido Laurenti
accostava il libro agli occhi, fingendo di leggere arrabbiatamente.
Voltava le pagine ad ogni tratto, come se ad ogni carta del suo
Virgilio, edizione _Lugduni, notis brevioribus, tabulisque
geographicis adornata_, ci fossero dieci esametri in cambio di
trentacinque.

E si noti che qualcosa leggeva; i suoi occhi, quasi per isgravio di
coscienza, qualche emistichio lo beccavano al volo; ma la mente era
giù, a carezzare i capegli della bella signora, a scherzare coi capi
svolazzanti di tulle, della sua cuffia leggiadra; ed essi, i poveri
occhi, non poteano rimanersi che non guardassero a destra, non
dissimilmente da scolaretti in castigo che stanno a rimasticare la
lezione, vigilati dal pedagogo, e danno sguardi furtivi e frequenti ai
più felici compagni che scorrazzano allegri nel sottoposto piazzale.

Ora, in quella ch'ei si provava a leggere tre esametri intieri, rosso
in viso come una ciliegia, poichè si vedeva tanto vicina la dama e ne
udiva la voce salire fino a sè per la prima volta, soave come un
susurro della brezza, fu scosso improvvisamente dalla festevole
parlantina del giardiniere.

--Signor Laurenti, buon giorno!

--Oh, buon giorno, Giacomo.

--E come va la camelia?

--Bene, grazie tante;--rispose Laurenti, come se gli fosse stato
chiesto di una persona di casa.

Ma in quelle due frasi di risposta egli aveva cercato di mettere tutta
la più gentile melodia della sua voce. Poscia, levatosi in piedi,
salutò con un profondo inchino del capo.

La signora che alla esclamazione di Giacomo aveva alzata la testa, per
naturale corrispondenza, rese il saluto.

Cotesto fu un attimo; ma anche in un attimo Dio aveva fatto la luce,
che doveva rischiarare il creato in eterno.

Laurenti, fortemente turbato, ripigliò la lettura, o, per dir meglio,
il suo atteggiamento di lettore; la dama, poi che ebbe risposto al
saluto, ricondusse lo sguardo nella serra, per le cui aperte vetriere
il Giacomo le accennava le piante.

--Veda, signora Luisa,--diceva egli--quella pianta d'alto fusto, dalle
larghe foglie disposte ad ombrello, è il banano, della famiglia delle
_musacee_, che fa quei frutti eccellenti... ma non qui. Ne fa invece
l'ananasso, della famiglia delle _narcisoidée_, che Vossignoria vede
qui basso.

--Bello!--disse la signora, con voce lenta e fievole.--E questa, che
pianta è?

--Pianta di pepe; arbusto della famiglia delle.....

Non seguirò il dotto giardiniere nella infilzata delle sue
classificazioni, per non riuscire uggioso al lettore benevolo. Il
Giacomo parlava ad alta voce, collo scopo manifesto di farsi udire dal
giovine naturalista, e dargli un buon concetto della sua sapienza
botanica; ma che cosa importa al lettore la sapienza del Giacomo?

La signora prese un ramoscello che il giardiniere spiccò per lei
dall'arbusto, un ramoscello di verde cupo, dalle foglioline lanceolate
e dall'odore aromatico; quindi, a lenti passi, com'era venuta, si
ritrasse di là.

Guido la seguitò lungamente cogli occhi; contò ogni sassolino che i
suoi piedi calpestavano; poi la vide sparire tra le magnolie e gli
allori.

Poco dopo la signora Luisa, anche la luce del giorno se ne andò via.

Ma non se ne andò Laurenti, il quale non si addiede nemmanco della
notte sopraggiunta. Per lui, il muraglione, la prateria, l'aria
tuttaquanta, erano rischiarate da una striscia luminosa, come la luce
elettrica, via lattea spiccata dal cielo e distesa lunghesso il
sentieruolo sabbioso.

O non era stata quella una gran giornata di sole per l'anima sua?
Quante cose in un giorno! E come l'aria, rischiarata dal passaggio
della bellissima donna, doveva essere popolata d'immagini graziose, di
dolci speranze e di promesse arcane!

Luisa! Bel nome! Egli lo sapeva finalmente, e stava con fanciullesca
cura a pronunziarlo, non come si fa a Genova, ma scandendolo in tre
sillabe: _Lu-i-sa_, e sibilando un tal poco l'esse, alla maniera
toscana.

E' non era un nome strano, di quelli che certi capi scarichi impongono
alle bambine, per dare importanza di eroine da romanzo o da dramma
alle loro creature grame. Gli era un nome quieto, gentile, dolce a
pronunziarsi e dolce ad udirsi: Luisa!

E' non era _Elisa_, nome da mettere in endecasillabi morbidi e flosci
come quelli di... acqua in bocca, per non farci maledire dal secolo,
che li ha in gran pregio; non era neppure _Eloisa_, nome da far
ricordare la badessa del Paracleto, innamorata d'un teologo, o la
svizzera di Gian Giacomo Rousseau, innamorata di un astrologo
sconclusionato. Era _Luisa_, modestamente, umanamente e soavemente
_Luisa_.

Questo nome gli suonò nell'orecchio tutta la notte e il giorno
vegnente; questo nome gli balzò spiccato dal viso e da tutti i
contorni della signora, quando egli la rivide un'altra volta in
giardino, sicchè gli pareva non potesse ella in altro modo chiamarsi.

E il modo di avvicinarsi a lei? Dov'era il secondo vaso di camelie che
dovesse, rompendosi a tempo, condurlo a fianco della bella signora?

In verità, debbo dirlo ad onore di Laurenti, e' non ci avea più
pensato. Que' pochi fatti, quelle poche impressioni che mi sono
provato a narrarvi, gli formavano come un viatico che gli sarebbe
bastato per un mese di strada. Più tardi certamente sarebbe venuto il
desiderio di nuove cose; imperocchè nessuno ignora esser l'amore una
specie di scala di Giacobbe, il cui capo è arrembato all'uscio del
paradiso e salito il primo piuolo si vorrebbe salire il secondo e così
via via fino a tanto che non si giunga a cantare le litanie coi
serafini. Ma Laurenti avea fatto un po' di sosta, come per misurare
l'altezza a cui era giunto, e già gli pareva un bel tratto.

Il momento di ripigliar la salita, anzi di spiccare un gran volo a
dirittura, veniva intanto senza che egli se ne accorgesse, senza che
ei lo aiutasse, o vi si disponesse colla tensione dei nervi.

Una sera, verso le nove, egli stava nella sua biblioteca (ma non
potrei giurarvi che studiasse) allorquando udì scampanellare all'uscio
di strada. Si fece alla finestra, in quella che il servo, uscito dal
pianterreno, andava ad aprire.

--Chi mai può essere, a quest'ora, e con tanta premura di entrare?

--Presto, presto!--gridò una voce affannata--dov'è il signor Laurenti?
Venga subito, subito!

Laurenti aveva già riconosciuto la voce del Giacomo, e innanzi che
egli finisse di parlare, aveva fatte le scale.

--Eccomi, Giacomo, eccomi qua. Che ci è di nuovo?

--La signora sta per morire, Dio mio! Non le si sente più il polso. La
faccia presto, per carità!.....

Laurenti non istette a pensare; si morse il labbro fino a far sangue;
afferrò il cappello, e giù a furia per la viottola, oltrepassando il
Giacomo, che pure non andava di gamba malata. Come fu alla postierla
della villa Argellani, vi si cacciò sollecito: il giardiniere la
rinchiuse da dentro, e ambedue corsero, volarono per la prateria, fino
alla palazzina gialla.



IX.


Guidato dal giardiniere, Laurenti entrò in quel _sancta sanctorum_,
pur dianzi inaccessibile, di tutte le sue quotidiane adorazioni.

La prima persona che incontrò, fu un'adiposa femmina, dalla faccia
bitorzoluta con qualche pelo sul mento e gli occhi mezzo chiusi da
palpebre carnose, la quale ei riconobbe, senza averle parlato mai, per
la signora Tonna, la governante di casa. Costei, che non istarò a
dipingervi, poichè non ne franca la spesa, era una di quelle donne
tutte miele in apparenza, affettuose a parole, ma che non si
muoverebbero da un seggiolone per dar la mano a chi casca, buonissime
a dire una terza parte di rosario secondo la vostra intenzione, perchè
non hanno altro da fare, ed egoiste nel profondo dell'anima.

--Ecco il medico!--gridò il Giacomo, appena l'ebbe veduta--ecco il
medico!

Laurenti, nella furia del correre e del pensare alla signora che si
moriva, non pose mente al grido del giardiniere. Egli era corso perchè
Giacomo ne lo aveva pregato, e perchè si trattava della signora Luisa;
ma non si fermava a considerare il perchè egli fosse stato chiamato, e
non altri, a darle soccorso.

Ma il Giacomo sapeva benissimo quello che faceva. Il lettore ricorderà
ch'egli pretendeva di avere di tanto in tanto delle buone
inspirazioni. Ora la buona inspirazione che egli aveva avuto fin dal
momento del suo primo colloquio con Guido Laurenti, era quella di
chiamarlo lui, come medico, a curare la sua bella padrona.

E la inspirazione, lasciando da parte l'amore di Guido che egli non
conosceva, era ottima. La signora Argellani andava sempre peggiorando;
i ragionamenti e i consigli del medico che aveva chiamato, non le
erano sembrati buoni e non ci aveva punto badato. Anche il Giacomo,
nel suo buon senso, aveva inteso che quella della signora non era una
malattia da risguardarsi soltanto sotto l'aspetto fisico, ma che,
derivando da cause morali, chiedeva rimedio del pari alla scienza del
fisico e alla sapienza del metafisico. Intendiamoci bene; non erano
queste le parole che gli venivano in mente a colorire il concetto; ma
il concetto c'era, e il concetto s'incarnava nel nome di Laurenti, di
quel savio e modesto giovine addottorato in medicina, che sapeva tante
cose e che studiava sempre.

--Questo è un uomo che mi va a genio;--aveva detto il Giacomo--e
poichè un medico s'ha a chiamare oggi o domani, tanto meglio che sia
lui. Egli finalmente non si contenterà di fare una visita e di
scrivere una ricetta.--

Nato il concetto, rimaneva da lavorarci attorno, considerarlo per
tutti i versi. E più il Giacomo lo considerava, e più gli piaceva. Nel
fatto, c'era una sola, ma grande, difficoltà a metterlo in pratica.
Come avrebbe egli persuaso la sua signora, che non volea saperne di
medici, a chiamare il vicino, giovanotto sconosciuto nell'arte
d'Ippocrate, e all'apparenza più fatto per dare immagine di Marte che
non di Esculapio?

Egli dunque stava cercando l'occasione, e rimuginando disegni, l'uno
più strambo dell'altro; allorquando l'occasione si offerse da sè, e
tanto facile, che il nostro buon Giacomo se ne spaventò, e l'avrebbe
voluta più difficile, più lontana eziandio.

Ma in fin de' conti, non l'aveva fatta lui, nè chiamata. Si dolse
dell'improvviso male che aveva colto la padrona, e se ne dolse tanto
più, in quanto che, sulle prime, a lui uomo ignaro di siffatte cose,
era parso assai più grave di quello che invero non fosse, ed aveva
creduto la padrona _in articulo mortis_. Ma il suo primo pensiero,
appena si parlò di chiamare un medico, fu quello di metter la mano sul
giovine vicino. E per verità, fu tutto amore per la signora, e amore
intelligente, che gli fe' pigliare la strada della collina, anzi che
quella del piano.

Laurenti fu fatto passare dalla governante in un salotto, e di là nel
pensatoio della signora Argellani, dov'ella aveva i suoi libri e il
suo telaio da ricamo, quindi nella camera da letto.

Egli penetrava a bella prima nel santuario della dea; ma il suo
turbamento non gli consentì di badare a cotesto, nè allo sfarzoso buon
gusto che aveva presieduto all'arredamento di quella camera.

Su d'un letto a baldacchino di seta azzurra come i paramenti della
camera, adagiata sul copertoio di raso color di rosa, trapunto a
fiorami, era la signora Argellani, vestita ancora, ma col seno
discinto. Le sue fanti, non avendo avuto tempo nè agio a spogliarla,
si erano fatte ad agevolarle il respiro a furia di forbici, tagliando
per tal guisa la vita della veste, il busto e lo scollo di una camicia
di tela battista, che pendeva arrovesciato a brandelli.

Il giovine si accostò al capezzale. La signora era bianca e fredda
come persona morta; e tuttavia, sebbene così fredda e bianca, cogli
occhi chiusi e le labbra scolorate, appariva bellissima; quel collo e
quel seno, mirabilmente modellati, davano immagine di quelle stupende
forme di cera nelle quali l'arte rivaleggia colla natura, e fa, Dio mi
perdoni, pensare assai più che la natura viva.

Fu prima cura di Laurenti mettere la mano al polso e quindi sul cuore
della supina, per accertarsi che la vita non l'avesse abbandonata. Ma
giammai indagine di medico fu fatta con più casta riserbatezza. Egli
non aveva nè occhi nè senso che per esplorare le pulsazioni del sangue
e i battiti del cuore. E nulla sentì; solo un lieve sudore che gli
inumidì le mani additava il patimento di quella povera carne senza
colore, e insieme col patimento la vita.

Lo stato d'anemìa era evidente, e una breve osservazione da vicino
raffermò nell'animo di Laurenti il concetto ch'egli si era formato
pochi giorni innanzi, vedendo la signora Argellani da lunge. L'anemìa,
questo brutto male che (parlo agli ignari di medicina e di grechi
paroloni) significa privazione, scemamento considerevole della
sostanza del sangue, era visibile nello scoloramento dei tessuti,
nella scomparsa dei vasi sottocutanei; donde l'estremo pallore della
pelle e delle membrane mucose delle labbra, nelle quali qualche vaso
filiforme portava a mala pena un po' di color roseo sbiadito.

Luisa era come una povera pianta, che aduggia, intristisce, sottratta
alla benefica azione della luce. Che grave rammarico aveva fatte le
tenebre intorno a lei? Qual era il sole della sua vita, che,
oscuratosi ad un tratto, le scemava negli interni meati e le scolorava
il sangue, nutrimento necessario dell'organismo umano?

Questa era la incognita che Laurenti avrebbe voluto scoprire. E
intanto chiedeva alle fanti che cosa avessero fatto per richiamarla in
sè stessa.

--Le abbiamo spruzzato il viso,--risposero,--con acqua di fior
d'arancio.

--Che! Non serve a nulla. C'è acqua di Colonia?

--Credo di sì,--rispose la signora Tonna, avvicinandosi allo specchio,
dove erano boccette di acque odorose.

Ma siccome la signora Tonna, da quella tranquillona che era, non si
spicciava punto, Guido corse egli stesso a rovistare in tutti quelli
arnesi del mondo muliebre.

--C'è dell'acqua di Felsina;--disse la governante,--ma di Colonia non
ne trovo.

--Acqua di Felsina? tanto meglio; è più aromatica. Prendete qui, voi
altre, strofinatele con quest'acqua il petto.... più giù.... sul
cuore, mentre io le ne stropiccio le mani. Così va bene; ancora,
ancora, fino a tanto che ricuperi i sensi.

--Oh Gesummaria!--esclamò la signora Tonna, lasciandosi cadere su
d'una scranna--povera signora! E adesso crede Lei che potrà
rimettersi?

--Sì, certo, non dubiti. Vede? La comincia a muover le labbra; queste
frizioni aromatiche fanno il loro effetto. Ma che modo le è venuto
male? Forse qualche commozione improvvisa?....

--Oh no, signore; io stava di là, nella mia camera, e mi disponevo a
venirle a chiedere se avesse bisogno di me, per andarmene a dormire.
Poichè, sappia, signor dottore, che io patisco di nervi; la fatica
prolungata mi fa male, e bisogna che mi metta a letto di buon'ora....
Questa sera son certa che passerò una cattiva notte.... molto cattiva.
Figurarsi! Dopo un colpo così forte....

--Ma, signora Tonna!--le gridò spazientito il Giacomo, che stava
sull'uscio, cogli occhi addosso a Laurenti, e già lo vedeva mordersi
le labbra,--Non è del suo mal di nervi che le domanda il dottore,
bensì della padrona, per sapere in che modo la è caduta in svenimento.

--Ah sì, perdevo la testa!--soggiunse la pacifica governante.--Ero
dunque venuta qui presso, nella camera accanto, per chiedere se aveva
nulla a comandarmi. La signora stava sdraiata sul lettuccio, ma non ci
badai, perchè la c'è tutte le sere e non parla mai, anche quando ci
son io a tenerle un po' di compagnia. Le parlai e non mi rispose; solo
mi accennò colla mano che me ne andassi pure; ma io mi avvidi che
soffriva, e fu un miracolo di nostro Signore che non ubbidissi; poichè
subito dopo mandò un gemito e mormorò: mi sento morire. E allora io
chiamai gente, perchè ha da sapere che io non posso veder patire una
mosca, e mi coglie subito il mio male.... un brutto male....

--Ma,--interruppe Laurenti,--Ella ha detto, se ho inteso bene, che la
signora è tutte le sere a meditare sola e silenziosa nel solito posto.

--Tutte le sere, e alla stess'ora! Oh la non dubiti, che non manca
neppure una volta. Già, e' bisogna dir tutto.... Ella si stanca con
quelle sue passeggiate in giardino, così cagionevole com'è; ed io l'ho
raccomandato più e più volte al Giacomo, che la lasciasse tranquilla.
Egli è qui presente, e può dire se non è vero.

Il Giacomo incominciò a rispondere crollando le spalle, come colui che
non menava buone alla signora Tonna le sue fisime intorno ai danni del
moto.

--Oh che?--soggiunse poi,--L'aveva da star sempre murata in casa? Ella
ci sta fin troppo per sua elezione, la povera signora; che se noi non
le si dice di muoversi un tratto e di scendere a respirare, un poco
d'aria, ella starebbe di continuo sdraiata sul suo lettuccio a contare
i moscherini che volano.

--Egli ha ragione;--disse Laurenti.--Queste sono malattie che tolgono
insieme colle forze la volontà, e s'ha da vincere, col moto continuo,
colla mutazione dell'aria, quella naturale propensione che hanno gli
ammalati a stare fermi. Così pure è necessario che siano distolti da
quella malinconia del pensar sempre. L'eccesso della vita
intellettuale riesce a danno della vita fisica, e non aiuta a far
sangue.

In quella che così ragionavano, la signora Argellani si mosse e diede
un gemito. Laurenti, il quale l'aveva sempre tenuta per mano,
proseguendo a stropicciarle le estremità coll'acqua di Felsina,
s'inchinò rasserenato verso di lei.

La vita era a poco a poco tornata; il sangue rifluiva liberamente.
Poco dopo, la signora Luisa aperse gli occhi, sebbene a mezzo, e senza
guardare in nessun luogo.

--Stia di buon animo, signora;--le disse dolcemente il giovine.--E'
non è stato nulla.... un po' di debolezza soltanto.

--Dove sono?--mormorò ella,--Mio Dio! La vita non mi ha dunque
abbandonato?

--Oh, che cosa dice mai?--esclamò la signora Tonna, che si era
affrettata ad avvicinarsi al capezzale.--Vossignoria ha avuto un po'
di male, come l'altra volta; ma noi tutti le siamo sempre stati
dattorno....

--Grazie, mia buona Antonietta, grazie! E così dicendo, la signora
Argellani aperse gli occhi del tutto, provandosi a guardare. La prima
cosa che vide, fu lo stato suo, la persona discinta; e una fiamma
pallida e lieve le serpeggiò sulle guancie. Laurenti intese il
pensiero dell'inferma, e afferrato un capo del copertoio di raso sul
quale era adagiata, fu sollecito a ravviarlo sul petto ignudo; ed
ella, seguendo degli occhi quel braccio di persona ignota che le stava
daccanto, si volse a guatare il giovine, tra spaurita e curiosa.

--Non abbia timore, signora;--le disse egli allora, per rispondere in
qualche modo a quella muta interrogazione.--Sono un amico.

--Gli è il medico,--soggiunse Giacomo, facendosi innanzi anco lui,--ed
io sono andato a chiamarlo in fretta, appena mi fu detto che
Vossignoria si sentiva male.

--Un cattivo medico, in verità;--ripigliò Laurenti.--Ma in un momento
di bisogno, val meglio che nulla.

--Grazie anche a Lei, signore;--disse la bella inferma, stendendogli
la mano;--ho molto sofferto, ma le sue cure mi hanno giovato, e adesso
mi par di rinascere.

--Aiutiamo dunque, e presto, la madre natura. Ella incominci a
mettersi a letto senz'altro, che intanto noi penseremo al rimanente.

Ciò detto, si ritrasse, perchè le sue donne avessero agio a
spogliarla, e dopo avere ordinato qualche pozione che le confortasse
lo stomaco, andò a sedersi nel salotto vicino, per meditare sulla
malattia di quella donna gentile, ma anzitutto per raccogliere e
mettere a sesto i suoi pensieri confusi.

Colà seduto a fantasticare da solo, gli avvenne di innamorarsi della
malattia, come già s'era innamorato della donna. Il cuore e la mente
erano interessati del pari in quella grand'opera. Poter vincere quel
male, e restituire il sangue in quelle vene colme di linfa! Egli in
quel punto si pentì davvero di non aver confortato colla pratica
assidua lo studio di quell'arte salutare, che gli appariva tanto più
nobile allora, in quanto che doveva rivolgersi a salvare una vita
cotanto preziosa per lui. Ora questo _per lui_ significava per tutto
il mondo. Il mondo senza quella donna gli sarebbe paruto a gran pezza
più paurosamente nero di quel sogno sulla distruzione delle cose, che
Lord Byron descrisse in versi tali da mettere i brividi addosso ad
ogni generazione di lettori.

Salvarla, salvarla! Ma come? Il suo consiglio senza guida si aggirava
in un circolo vizioso di ragionamenti, come un povero disgraziato nel
labirinto di Creta, senza il filo pietoso di Arianna.

La causa, pensava egli, la causa morale di questa malattia, chi la
indovina? Che giova sapere come si restituisce al sangue la materia
colorante, se quel nemico nascosto, invisibile, seguiterà a guastare
il faticoso lavoro della scienza? Si sa che il nemico c'è, e che
veglia ai danni vostri! mirabile scoverta! Ma dove sia, donde venga,
come sia forte, la scienza di tutta la facoltà riunita, non saprebbe
chiarirvi.

Gli è un uomo; sì certamente un uomo! Ma è vivo, o morto, rammarico
del passato, o angoscia del presente? O forse non è nè l'una nè
l'altra cosa? La negazione dell'amore, la mancanza di questo
necessario elemento di vita in un cuor sensitivo, non potrebbe
inaridire le fonti della esistenza in quella gentil creatura, come, e
forse peggio di un amore violento?

Ogni cosa è possibile. I segni della clòrosi sono cosiffattamente
somiglianti a quelli dell'anemia, da farle parer quasi gemelle, ed
esse, come si scambiano a vicenda i caratteri, così avviene che
possano anco scambiarsi le cause.

Il nemico, il nemico! Scoprire il nemico nascosto; gli è questo il
problema.

Così pensava Laurenti, seduto su d'un seggiolone, coi gomiti
appuntellati sull'orlo di una tavola rotonda che sorreggeva una gran
lucerna di bronzo dorato. La lucerna era accesa, ma la luce, sebbene
gli illuminasse la fronte, non gli rischiarava punto i pensieri.

Questo è il problema!--disse, e cangiò postura. Nel muoversi a quel
modo, gli venne veduto un volume, legato stupendamente, colle carte
dorate e le iniziali della signora impresse a fuoco sulla coperta. Le
mani gli corsero a quel libro, mentre il pensiero era altrove, e
macchinalmente ne apersero i fermagli.

Era quello un albo da ritratti, o alla prima figura che gli cadde
sott'occhio, un pensiero gli balenò nella mente. La soluzione ch'io
cerco si avrebbe a trovare qui dentro? Se un amante c'è, vediamo dove
può essere stato collocato. L'albo è la raccolta di tutti gli amici e
di tutti i conoscenti effigiati. Ma costui, come indovinarlo? Dove
metterò il dito, per dire: egli è qui? Cerchiamo intanto; di solito,
smaglianti ritratti dell'uomo amato si mettono nelle ultime carte,
confusi fra una signora grinzosa, un parente lontano, od altre persone
di minor conto, per modo che non risaltino agli occhi del riguardante
curioso.

Sfogliò il libro con molta cura; vide persone note, ma nessuna figura
d'uomo gli parve colorire il concetto ch'egli s'era formato. Uno solo
lo trattenne alquanto a pensare, un solo ritratto d'uomo, che veniva
dopo quello della marchesa di Roccanera, anzi, chiudendo il libro,
combaciava con esso.

--Chi è costui? Ah, lo ricordo, il Percy; un bel giovine, in fede mia;
occhi neri e grandi; capelli nerissimi e lucenti; i contorni
finissimi; ma egli c'è alcun che di duro, di sarcastico, in questa
fisonomia che vuol parere soave. Gli è stato messo accanto alla
marchesa Bianca, alla Bianca, come dicono i nostri eleganti, e ci sta
bene. L'altro giorno erano insieme all'Acquasola, ella su d'un
magnifico leardo pomellato che correa l'ambio, ed egli su quel sauro
che ha comperato per quindicimila lire dal Nelli di Rovereto, e il
Nelli le ha subito perse in una notte al Casino. Ma che diamine vo
almanaccando io? Qui non c'è l'uomo ch'io cerco, e forse ha ancora da
nascere. Quella è una malattia la cui causa morale è una negazione, e
non altro.--

Buttata là questa sentenza, e l'albo sulla tavola, si alzò più
contento, per ritornare nella camera della signora Argellani.

La bella inferma si era addormentata, e la lieve respirazione, il
battito regolare del polso, sebbene assai debole, facevano
testimonianza del buon effetto delle frizioni aromatiche e della
pozione corroborante che aveva bevuto poco prima.

Egli stette a contemplarla un tratto, al fioco chiarore del lumino da
notte, posato sulla lastra marmorea del tavolino, accanto alla cortina
del capezzale. Com'era bella in quella tranquilla postura, e com'era
dolce quel sonno!

L'opera sua per quel giorno era finita, e con essa si dileguava in
quel momento l'ansietà del medico che indaga ed aiuta lo scioglimento
di una crisi. Allora il giovine cominciò a guardare con altri occhi,
vo' dire cogli occhi del cuore, la signora Argellani, e a misurare il
gran passo che aveva fatto in quella sera, nel corso di due o tre ore.
Egli si vedeva là, nel santuario, accanto a quella donna che poco
innanzi ei temeva di non dover avvicinare giammai; si vedeva solo,
autorevole, al suo capezzale, angiolo custode del sonno, e certamente
suo salvatore più tardi.

Così almeno pensava e prometteva a sè stesso, con quella fidanza
generosa che è propria dei giovani, e segnatamente degli innamorati.

Studierò, diceva in cuor suo; la scienza, interrogata dall'amore, non
ha segreti, Studierò, consulterò, vaglierò tutte le sentenze dei
maestri, pur ch'io sottragga questa bella creatura alla morte.

Poi, sempre guardando alla dormente, si ritrasse dalla camera sulla
punta de' piedi, e uscì dalla palazzina, dopo aver raccomandato che
non turbassero il sonno all'inferma, e detto che sarebbe tornato alla
mattina vegnente.



X.


È mia opinione che il sole non spuntasse mai più splendido dal monte
di Portofino, che in quel giorno il quale segui la visita di Laurenti
alla sua bella vicina.

So bene che molti si proveranno a darmi sulla voce, mettendo fuori le
loro ricordanze personali (e chi non ci ha le sue, lampi di gioia viva
in un cielo di tenebre!) o quelle dei loro amici; ma io tengo fermo, e
non patisco osservazioni. Essi notino, del resto, che nell'anima di
Guido Laurenti si riunivano, si maritavano anzi, due consolazioni:
l'amore nascente che ottiene la sua prima vittoria, e la coscienza
d'essere stato utile in qualche modo alla persona amata.

Il giovanotto s'era addormentato con cinque o sei libri di medicina
tra le pieghe del suo coltrone, e si svegliava più tardi del solito.
Però, quando fu alzato, vide che il servitore aveva fatto egli stesso
il giardiniere, e maneggiato l'inaffiatoio per lui; cosa che non era
accaduta tre volte in un anno.

Si vestì con la sua eleganza consueta, che era gemella della
semplicità; passeggiò alquanto pei viali; poi quando gli parve ora,
scese nella viottola, e spinse l'uscio del giardino di sotto, che il
Giacomo aveva già aperto secondo la sua intenzione.

Il Giacomo, dal canto suo, quantunque non avesse nulla a fare laggiù,
stava baloccandosi nella prateria, e rimondava un salice, che ci aveva
la gran ventura d'essere vicino a quella postierla per cui doveva
entrare il _Magnifico_.

--Buon giorno a Vossignoria--gridò il giardiniere, appena lo ebbe
veduto.--Questa mattina ella ha aspettato l'alba dei tafàni per
alzarsi da letto.

--Sì, ero un po' stanco. Ma come va la signora?

--Benissimo, e sia benedetto il medico che l'ha curata! Io ci ho
proprio avuto una buona ispirazione, e me ne voglio vantare,
quantunque i miei vecchi dicessero che chi si loda s'imbroda. Sa Lei,
signor Laurenti? L'ispirazione m'è venuta quando eravamo in casa sua,
dove, per sua grazia, mi condusse a vedere quella filza di bestiuole e
di barattoli. E veda un po' se non ho fatto bene; la signora ha detto
che da tre mesi in qua non aveva più avuto un sonno così tranquillo
come stanotte. Bravo, signor Magnifico, e bravo io che l'ho tirato giù
dal suo muraglione!

--Voi dimenticate, caro il mio Giacomo, che prima d'esser tirato giù
da voi, vi avevo tirato su io stesso con una pianta di camelia......
che io avevo tirato giù a bella posta.

Il lettore intenderà di leggieri che quest'ultima parte del suo
ragionamento, Guido non l'avea messa in parole, e se l'era tenuta
gelosamente per sè.

--Del resto, buon Giacomo,--proseguì il giovane,--la gran medichessa è
stata sempre la natura. V'hanno sostanze semplici le quali fanno
tutto, e l'uomo se ne piglia immeritamente il vanto, come se fosse lui
l'inventore, il creatore delle sostanze stimolanti e delle deprimenti
che un giorno a caso conobbe, nè tutte per bene, e che battezzò tutte
con orribili nomi. Nel caso della vostra signora, e' non c'era a far
altro che stimolare un tratto l'inerte materia, e questo ho fatto io,
senza molta fatica.

--Sì, sarà vero, ma queste sostanze bisogna saperle adoperare a tempo
e luogo. O che, mi canzona? Vossignoria è un gran mago, e non vuol
sentirselo a dire.

Laurenti si messe a ridere, e salutato il buon giardiniere, si avviò
verso la palazzina.

Anche per la signora Argellani il sole s'era levato più bello, quel
giorno. Ella s'era alzata alla sua ora consueta, e stava seduta presso
la finestra, a bere la tiepida aria del mattino, quando Laurenti entrò
nel suo pensatolo.

La donna gentile arrossì lievemente, come poteva una povera _anémica_,
vedendo il suo giovine Esculapio.

--Signora,--balbettò egli, inchinandosi profondamente, come per
nascondere la sua commozione--già alzata a quest'ora?

--Sì, mi sentivo meglio, assai meglio dei giorni scorsi;--rispose la
signora Argellani,--ed ho voluto poterle testimoniare col fatto la
efficacia delle sue cure. Ma anzitutto il suo nome, perchè io lo
ricordi come quello di un amico.....

--Guido Laurenti, signora, e desideroso di meritare questo titolo.

--Già siamo buoni vicini;--disse ella;--ma io per verità non sapevo
che Ella fosse medico, e che il rimedio stesse accanto alla malattia,
con un semplice muro di separazione. Qui tutti la credevano un
naturalista, e più particolarmente un botanico.

--Mi diverto, signora; lo studio è una grande consolazione alla gente
sola, e fa bella la solitudine stessa.

--Alla sua età!

--Ho già vissuto molto, signora, e senza lo studio, che apre nuovi
orizzonti allo sguardo dell'anima, avrei potuto finir male. Ma
parliamo di Lei; come va il polso?

--Veda;--gli rispose la signora Argellani, sporgendogli il braccio.

--Non c'è male; ma sono troppo piccole pulsazioni. Signora, badiamo
bene; qui c'è una malattia di sfinimento, che alla sua età (lasci che
parli anch'io dell'età) che alla sua età non ci dovrebbe essere. Ora,
se io le ragiono liberamente della sua malattia.....

--Oh non ho paura, io!--interruppe la signora Luisa sorridendo
malinconicamente.--Amo anzi che mi si parli così.

--Sta bene, e ciò mostra la buona tempra dell'animo suo; ma io non ho
poi da dirle nulla che metta alla prova il suo coraggio;--rispose
Laurenti.--Se io le ragiono liberamente della sua malattia, egli è che
il suo organismo non ci ha punto colpa, sibbene il pensiero.

La signora Luisa non fe' motto, quantunque Laurenti si fosse fermato a
bella posta per avere una parola di lei, da riappiccare il discorso.
Ella in quella vece chinò la testa e guardò il pavimento.

--Orbene, gli è il pensiero che fa guerra all'organismo, e in Lei,
signora, l'organismo ha resistito e resisterà ancora un pezzo; ma non
bisogna far troppo a fidanza con esso. Quello che è accaduto ier sera
non deve ripetersi.

--Oh lo desidero anch'io;--esclamò con atto di sgomento la signora
Argellani--Fu invero una brutta visione. Stavo seduta pensando.....

--A che cosa?--interruppe Laurenti.

Quella dimanda parve riuscisse molesta alla signora, poichè, fattasi
anche più pallida dell'usato, alzò gli occhi a guardar fiso Laurenti.

--Signora--proseguì egli--non le paia disdicevole la mia dimanda. Chi
le parla è un medico, e quando anche non lo fosse, Ella ha voluto
cortesemente salutarlo col nome di amico.

--Sì, sì, e perchè alla perfine tacerei?--disse l'inferma, dando in
uno scoppio di pianto improvviso.--Stavo pensando a morire. Mi pareva
d'essere già supina nella bara, ad attendere il mio ultimo momento. La
campagna tutt'intorno era bella; un usignuolo cantava tra i rami di un
albero dietro la mia testa: più lunge mi pareva di scorgere una strada
e centinaia di allegre persone che andavano e venivano, ragionando e
ridendo, senza accorgersi punto di me. Ma le son fanciullaggini,
coteste.....

--No, signora; rispose Laurenti, prendendole affettuosamente la
mano--La prego anzi a continuare.

--Orbene, mentre l'usignuolo cantava, ed io avrei pur voluto
scorgerlo; mentre quella moltitudine allegra andava a diporto, mentre
il cielo era sereno e una brezza leggiera correva per l'aria, facendo
stormire le fronde, a me andava man mano affievolendosi il respiro. La
vita se ne andava, e mi pareva di vederla, come un umor diafano,
rifuggirsi dalle estremità, rifluire verso il cuore, dove c'era uno
spiraglio, per cui quell'umor diafano svaporava, svaporava sempre. Io
non potevo muovermi; le mani e le braccia, che già erano gelide, non
mi obbedivano più, siccome avrei voluto, per metterle contro quello
spiraglio aperto e chiuder dentro un rimasuglio di vita, tanto almeno
ch'io potessi veder dileguare in fondo della scena quella allegra
processione di felici, e udir l'ultimo gorgheggio dell'usignuolo che
seguitava a cantare. Volevo gridare, ma non mi veniva fatto; lo sforzo
anzi non faceva che aiutare, precipitare, lo svaporamento di
quell'umor diafano che rifluiva al cuore, ed io, con gli occhi
sbarrati, ne stavo a contemplare la spaventosa consunzione. E il
vapore saliva, saliva in leggieri vortici che non mi era dato di
respirare, imperocchè quella brezza che se li rapiva, non giungeva mai
fino alle mie labbra. Oh, fu un lungo e terribile sogno che io non
vorrei rifare per fermo.

Così dicendo, la donna gentile si nascose il viso tra le palme,
singhiozzando amaramente.

Guido stette un momento sovra pensieri; quindi, accostandosi a lei, le
disse con accento soave:

--Signora, desidera che io le spieghi il suo sogno?

--Ella?

--Sì, io; non ho la scienza dei magi antichi, ma ho fede che il mio
poco ingegno riesca ad interpretare il suo sogno, e meritarmi il suo
favore, come la interpretazione di un altro sogno meritò a Giuseppe
ebreo la grazia del Faraone. Vuol dunque udirmi?

--Ella è il mio medico, sebbene da ieri soltanto;--disse la signora
Luisa--ed ha il diritto di farsi ascoltare.

--Orbene, signora, la sua triste visione dice apertamente una cosa:
che Ella ama la vita.

--Io?--esclamò l'inferma, accompagnando la parola con un amaro
sorriso.

--Sì, Lei. Non l'ama certamente come l'amano tanti, per le sue gioie
materiali, pe' suoi sollazzi, ma l'ama, perchè è istinto della
creatura amar quello che il creatore le ha dato; perchè infin de'
conti, nella vita più malinconicamente vissuta, egli c'è sempre alcun
che di leggiadro, di gentile, poniamo il canto di un usignuolo
invisibile, la favella arcana di una onesta coscienza, o il soffiar
della brezza, o un raggio di sole, alito e luce di poesia, che i
crassi vapori della tristizia dei più non possono dileguare nè
spegnere nelle anime elette. Guai se non fosse così; guai se l'istinto
della conservazione non fosse riposto qui, nel profondo del cuore. Chi
di noi non vorrebbe farla finita, e rompere ad un tratto questa catena
di miserie? Il suicidio, atto di aberrazione, quando non è una pena
volontariamente inflitta alla colpa che si giudica da sè, diventerebbe
la cosa più normale del mondo. Ella ama la vita, signora; Ella ama la
vita, inconsapevolmente, come l'amo io apertamente, dopo aver bevuto
la sua coppa, e sentito che era amara. Dunque, signora, mi lasci
parlare, mi consenta di entrare nel segreto del suo cuore, colla
discreta autorità del medico e dell'amico. La sua malattia è una di
quelle che crea il pensiero, e in esse si compiace; ed Ella si
strugge, perchè il pensiero, dopo aver dato argomento al male, assiste
inerte ai suoi spaventosi progressi.

--È vero!--disse la signora Argellani, guardando in viso, non senza
curiosità, quel vecchio di ventott'anni, dai capegli biondi e dagli
occhi cilestri che le parlava a quel modo.

--Ora,--proseguì Laurenti,--come il pensiero sta seduto a contemplare
la propria rovina, così le sue membra si prostrano, e direi quasi che
rifuggono dal moto, se il rifuggire non indicasse moto egli medesimo.
Ecco perchè, più le sue forze si scemano col distrursi della sostanza
vitale, più Ella ama rimanersi immobile, seduta lunghe ore su d'una
scranna; ecco perchè il pensiero ha modo di foggiarsi una bara e
adagiarvisi dentro ad aspettare la morte. Non è così?

L'inferma accennò dal capo, in atto di assentimento.

--Così seduta, non turbata da alcuno, perchè è padrona in casa sua, e
può sorseggiarsi a sua posta quel veleno soave, Ella pensa, pensa di
continuo. Il sangue, in cui vanno sempre scemando la materia colorante e
le altre parti più sostanziali, s'è fatto più acquoso, a gran pezza più
leggiero, e scorre dieci cotanti più rapido. Donde un facile mutarsi di
pensamenti e d'imagini; i dolori della vita..... Io non conosco, nè
m'attento d'indagare i suoi, signora; ma ci debbono essere, ed io li
considero come un elemento della mia argomentazione.... I dolori della
vita, dico, le fanno ressa, si affollano intorno al cuore, esalano al
cervello di continuo, si trasformano in pallide visioni, le quali per
l'appunto riflettono lo scemarsi della vita nelle sue vene, e il suo
struggersi in tenui vapori; e qui la mente si offusca, il cervello
dolora, fischiano gli orecchi, le idee cozzano, si confondono, la lingua
s'impaccia, e sventuratamente non c'è tanta vitalità insita nelle fonti,
per rifluire vigorosa alle estremità, e dissipare quella orrenda
pressura.

--È vero tutto ciò, è spaventosamente vero!--disse la inferma
crollando mestamente il capo.

--Or bene, signora, tutto ciò ha da finire. Gli stimolanti della
scienza possono in cosiffatte agonie richiamare la vita, ma fino a
tanto che la loro efficacia non siasi perduta, consumata dalla
consuetudine sulle regioni cardiache e sulle estremità delle membra.
Ma all'interno vuolsi provvedere, perchè coteste agonìe non si
ripetano. Le sostanze ferruginose, i tonici, i cibi analettici (tutte
parole che io non le starò a spiegare, perchè la scienza non perda
anch'essa la sua _materia colorante_) debbono rinnovare il sangue, e
ravvivare l'organismo per conseguenza. Alla complicità assassina del
pensiero debbono far guerra i mezzi igienici, che consistono
principalmente nel moto, nel mutamento dell'aria, cose tutte che
recano novità di sensazioni e, disviando gradatamente l'animo dalle
sue morbose consuetudini, finiscono a cacciar di sede l'interno
nemico.

La signora Luisa stette anch'essa un poco sopra pensieri, come solea
fare il suo interlocutore; poi gli rispose con quella lentezza che le
era dimestica:

--Ella parla divinamente, signor dottore. Intendo ora com'Ella abbia
saputo incantarmi il Giacomo, il quale non sa discorrere più che di
Lei. E certo, se a me premesse molto di ricuperare la salute per
godere la vita, io potrei mettermi ad occhi chiusi nelle sue mani, ed
esser sicura del fatto mio. Ma innanzi di pensare a risanare,
bisognerebbe che rinascesse in me il desiderio di vivere.

--Ma questa che Ella mi chiede sarebbe la convalescenza;--rispose
Laurenti--ora nessun medico, sia pur Boherave redivivo, potrebbe
condurla di primo salto a cotesto.

--Vede Ella dunque? Io non desidero la vita. Soltanto mi spaventa il
dolor fisico; quello svenimento di iersera mi ha fatto paura, lo
confesso. Ma se io potessi andarmene chetamente, senza una commozione
violenta.....

--Ma perchè, Dio santo, perchè?.....--proruppe Laurenti, cogli occhi
gonfi di lagrime.--Questo, signora, è odio di sè, e un'anima eletta
non ha da sentire di così brutte passioni.

--Odio? no--rispose l'inferma.--Io non ho mai odiato nessuno, lo giuro
a Dio che mi ascolta, e che Ella ha invocato. Non odio neppur me,
povera creatura, che non ho mai fatto male ad alcuno. Ho a tedio ogni
cosa, ecco tutto, senza frasi sonore, senza ira, senza rammarico.

Laurenti non seppe rispondere più nulla. Quella malattia resisteva a
tutti i suoi consigli, a tutte le sue esortazioni. Chinò il capo,
chiuse il volto nelle palme, e stette immobile, silenzioso, mentre nel
profondo del suo cuore infuriava la tempesta.

Il soave accento della signora venne ad interrompere quel lungo
silenzio.

--Suvvia, che cos'ha? che cosa ho detto io di male?

--Oh, gli è doloroso, signora, ciò che Ella dice, e più doloroso
ancora ciò che fa pensare altrui. Perchè dispregia la vita? La vita è
triste, ma è santa del pari, come tutte le tristi cose. V'hanno dolori
da temprare, lagrime da tergere, adorazioni da innalzare, splendori da
scorgere, e ci lasceremmo intristire nello sconforto? Il mondo, o
signora, ha pure le sue gioie severe, le sue consolazioni profonde,
che francano la spesa di vivere.

--Lo credo anch'io, signor Laurenti; Ella, come uomo, ha potuto
trovarle, e nella sua operosa gioventù saprà prepararsi il conforto
della età matura. Ma che faremmo noi donne, noi deboli, noi diseredate
di questo gran patrimonio dell'umana attività?

--C'è apparenza, non sostanza di verità, in ciò che Ella dice. Io le
concederò che la donna, o per natura sua, o per diversità di
educazione, ma sempre per tirannia di consuetudine, non apparisca
chiamata a partecipare ai gaudii multiformi della operosità umana. Ma,
dicendole tirannia di consuetudine, ho detto ogni cosa. La educazione
si può mutare; la natura si tempera col mutarsi della educazione.

La signora Argellani rispose a queste parole con un sorriso
d'incredulità che messe Laurenti al punto di volerla convincere.

--Ella sorride?--soggiunse egli.--Voglia starmi ad udire. Andrò un po'
fuori della medicina, ma che importa? Poi, con una malattia come la
sua, anche il mio ragionamento potrà riuscire un rimedio.

--Vediamo dunque il rimedio--disse la signora Argellani.--Ella ha da
dimostrarmi che la donna può partecipare alle grandi consolazioni
della operosità umana. Io ho detto che non può; Ella dice che
potrebbe, se non fosse la consuetudine. Io dico ciò che è; Ella ciò
che dovrebbe essere. Ora io la avverto, signor dottore, che il mostrar
la terra promessa da lunge, il dire «così potreste essere» non è punto
un rimedio.

--Ho io detto cotesto?--rispose Laurenti.--La donna apparisce non
chiamata a certe cose, ma pur ch'ella voglia, può dare una mentita a
tutte le teoriche de' suoi avversarii. Poi, egli non è detto che tutte
le supreme consolazioni della attività, consistano nel dar leggi ai
popoli, nello scoprire i segreti della natura, nel sottoporre a
teoremi il finito e l'infinito. V'hanno gaudii più conformi
all'odierno modo di vivere della donna, i quali superano di gran lunga
quelli dello scienziato e del pensatore, ed Ella non vuol metterli in
conto?

--E quali sono?--chiese la signora Luisa.

--La storia progressiva della educazione e della importanza della
donna nell'umano consorzio li dimostra assai meglio d'ogni mio
ragionamento;--rispose il giovine.--Andando per due o tremil'anni a
ritroso nella storia della civiltà, noi vediamo il ginecèo essere
l'antica forma dell'esistenza femminile in quella medesima società di
cui siamo gli eredi. Colà, in que' tempi, la donna non è che strumento
di voluttà. I figli stessi che essa dà alla luce, non li educa lei.
Sparta ed Atene educano i figli in comune; Roma stessa li sottrae per
tempissimo alla madre, per metterli sotto la bacchetta del precettore.
L'adolescente romano canzona sua madre intorno alle segrete
trattazioni del Senato, e gli scrittori applaudono a quell'arguto
sennino, imperocchè le donne non hanno da entrare nelle faccende dei
loro mariti e figliuoli, ma da starsene in casa, alla conocchia ed al
fuso, per meritarsi l'epitaffio della matrona romana: _Casta vixit,
lanam fecit, domum servavit_. L'unica donna libera dei tempi antichi
era la cortigiana, l'_eteria_; la quale, per conseguenza, era la sola
che fosse utile a qualche cosa nel mondo, dappoichè intorno a lei
convenivano, come oggi nella conversazione di una gentildonna, i più
ragguardevoli personaggi, ed ella inspirava i filosofi e i magistrati,
governava la repubblica ed esercitava il più bel diritto del reggitore
di Stati, il diritto di grazia. Per tal modo la famiglia, diventando
presso che inutile, tornava uggiosa all'uomo. Quella importanza che si
negava alla moglie, alla sorella, alla madre, alla donna di casa, era
acquistata dalla _eteria_, col sacrificio del pudore, il quale in
fondo in fondo non doveva parer troppo grave, se era fecondo di tanti
benefizi per lei.

--Fin qui, disse la signora Argellani, salvo l'ingegno del mio ottimo
medico, non vedo nulla che faccia al caso mio.

--Ora vengo al buono, gentil signora, rispose Laurenti sorridendo.--La
società cristiana ha trasformato la donna, o, per dir meglio, ha
accettato la trasformazione che il cozzo di parecchie nazioni, la
fusione di un nuovo metallo di Corinto, avevano recata nel suo grembo.
Certo, per dar ragionevole nascimento all'uomo-dio, bisognava
immaginare una donna superiore a tutte le altre, un vaso d'elezione.
Ma se Maria nei primi tempi cristiani è già grande, non è ancora la
Madonna, la consolazione degli afflitti, la madre della misericordia,
la regina dell'amore. Il gran miracolo dell'affetto, nei primi tempi
di cui parlo, è compiuto dalla donna di Magdalo, anche essa
un'_eteria_, che sparge d'unguenti preziosi i piedi del Nazareno, che
li asciuga col volume dei suoi capegli, che è la prima ad affermare il
mistero della risurrezione. La vera donna, il tipo della società
moderna, si manifesta più tardi, quando la società germanica e la
società giudaica si confondono nella nuova fede, quando la Vestale
romana, la profetessa di Rugen e la profetessa d'Israele, scompaiono,
e rimane, giganteggia la forma femminile più umana e più vera, che è
rappresentata dalla donna teutonica che combatte sui carri, e dalla
gran madre dei Maccabei, Nella nuova società, la donna è già
considerata come l'educatrice dei proprii figli, la consigliera del
marito, il compimento dell'uomo. Cotesta gran novità ha portato i suoi
nobilissimi frutti. Nel medio evo la donna è già elemento potentissimo
di civiltà; essa ingentilisce il costume, accende gli animi alle
mirabili imprese, e, dopo aver presieduto le corti d'amore, detta un
poema a Dante, un canzoniere a Petrarca. Ancora un passo innanzi, ed
ella stessa contenderà all'uomo gli allori, sarà viaggiatrice ardita
con Ida Pfeiffer, scienziata insigne con Maria Sommerville, scrittrice
e pensatrice profonda con Giorgio Sand. Se ella possa diventar pari
all'uomo, non so, e non voglio indagare, poichè mi è noto che in tante
e tante cose lo ha superato. Ma veniamo al caso nostro, signora. Ella
è sola, ha cuore e mente, e nessun ostacolo allo svolgimento della sua
operosità. Quanta libertà di azione, che alla più parte delle donne è
vietata, sta raccolta nelle sue mani! Ed Ella non vorrà usarne? Si
lascierà vincere da arcane malinconie, si lascierà morire come la
povera vittima dell'antico ginecèo, perchè l'uomo, il sultano, l'aveva
posposta ad un'altra?

--Non intendo il paragone;--disse la inferma rizzando il capo e
guardando in volto Laurenti, come se volesse indagar negli occhi di
lui un intento riposto di quelle sue ultime parole.

--Ed io non ho voluto fare un paragone;--rispose prontamente ii
giovine.--Le chiedevo in quella vece se le paresse dicevole una
imitazione di quella fatta.--

La signora Luisa stette un tratto silenziosa; poi, a mo' di commento a
tutto il discorso del suo medico, si fece a dirgli:

--Queste sue argomentazioni, delle quali riconosco il pregio, sono
molto generiche, e non mi persuadono ancora della utilità del vivere,
per una donna mia pari.

--Perchè? C'è egli bisogno di intender tutto? Si opera secondo il
proprio cuore, secondo il proprio consiglio. L'attività è l'uomo.
_Fare, fare_, è l'impresa gentilizia di questo grande ignorante che è
l'uomo, di questo credente nel cuore, scettico nella mente, che Goëthe
ha incarnato nel suo _Fausto_. Fare, fare; ed è perdonato anco
l'errore, e i patti col diavolo, anco se scritti col proprio sangue,
non tengono; chi più ha operato, colla coscienza di voler giungere al
vero, ha salvato l'anima sua. Infine, o signora, chi saprà dire il
perchè siamo nati? E se cotesto non si potrà saper mai, perchè
fermarci a mezza strada? Operiamo con retti intendimenti; non turbiamo
l'ordine prestabilito. Ella, che si reputa un granellino di sabbia, la
cui scomparsa non abbia a guastare, e nemmanco ad essere notata, può
essere in quella vece necessaria a qualche cosa per utile di
qualcheduno, o a qualcheduno per utile di qualche cosa. Mi avvedo che
comincio a ragionare come un filosofo tedesco, ma la sostanza è
vera.--

Il naturalista filosofo si fermò, aspettando qualche nuova obbiezione
da combattere; ma la signora Luisa era rimasta muta. I concetti che
egli aveva svolti le giravano confusi per la mente, come una musica
nuova di cui non s'è anco potuto cogliere il senso melodico.

--Dunque,--proseguì egli, a mo' di perorazione--farà Ella ciò che io
le ho detto?

--Non so, signor Laurenti.--E perchè, poi?...

--Perchè? Già lo ho detto le sode ragioni. Se queste non approdano,
metterò mano alle scherzevoli. Pensi Ella che il suo medico è giovane;
che ha bisogno di una clientela, e che se Ella si lasciasse morire, e'
si farebbe canzonare da mezzo mondo, e l'altra metà non vorrebbe far
capo a lui. Ella dunque vede che si può esser sempre utili a qualche
cosa.

--Oh, se la mia missione in terra ha da esser questa...--disse la
signora Luisa.

--Ho trovato questa,--rispose Laurenti--poichè Ella non ha voluto
saperne delle altre.

--Intendo benissimo; ma anche per questa, mi ci vorrà la vocazione, e
in verità non la sento ancora, sebbene io vorrei pare far cosa grata
ad un amico come Lei. Non creda del resto che io desideri morire; la
verità si è che non mi sento la voglia, nè il bisogno di vivere. Ella
faccia i suoi esperimenti; gli è ciò che io possa consentire al mio
medico; ma penso che sarà una vana fatica.

--Vedremo!--sclamò Guido, e si alzò, poichè notava che quella lunga
conversazione aveva affaticato lo spirito della signora
Argellani.--Del resto, tornerò domattina.

--Ella sarà sempre il benvenuto.

--Come medico?

--Come amico.

--Torna lo stesso, infin de' conti. Gli amici sono ottimi medici, ed
io ci guadagnerò una doppia laurea. Ella intanto si attenga alle
ordinazioni del suo.... amico.

Com'egli fu uscito dalla camera, la signora Luisa si fece a meditare
su tutte le cose che egli le aveva detto, ma con pochissimo frutto,
imperocchè il dolore che la donna gentile ci aveva nel profondo, non
la perdonava a nulla, pari all'orribile tenia che si cela nelle
viscere e distrugge il cibo, volto al sostentamento del corpo.

--Buon giovine e forte intelletto!--pensò la donna gentile.--Se fa il
medico, salirà presto in rinomanza. Ma la sua fama e' non ha certo a
cominciarla con me.--

E sospirò. Il suo pensiero era già altrove.



XI.


La malattia della signora Luisa appariva ostinata oltre ogni credere,
e Laurenti scorgeva come fosse malagevole il vincerla, imperocchè
tutto quanto egli avrebbe tentato di fare, coll'aiuto della scienza,
per rinnovare il sangue in quel morente organismo, sarebbe stato
quotidianamente combattuto, contramminato, distrutto dall'interno
nemico.

Questo nemico e' lo aveva sentito, quasi lo aveva veduto. Alcune
frecciate, accortamente tratte, avevano colto nel segno, e l'interno
struggitore avea dato cenno della sua assidua presenza.

A chi non è egli avvenuto, nei dì dell'infanzia curiosa e
sollazzevole, di andarsi a sdraiare su d'un prato, quando l'erba è
falciata, e la terra lascia scorgere, tra ciuffi di verde reciso,
tutti i misteri della sua crosta? Si notavano allora certi buchi,
artisticamente scavati tra le radici della gramigna o del sermolino,
che andavano in linea diagonale nel profondo della terra, e dato di
piglio ad un fuscellino, il più diritto e il più lungo che si potesse
trovare, si frugava leggermente in quella piccola tana, fino a tanto
che non si vedesse sbucar fuori un animaletto nero, dalla corazza
rabescata. Era il grillo solitario, il notturno cantore, che faceva
capolino sull'uscio, e si rintanava sollecito.

Questo ricordo d'infanzia tornò alla mente del giovine. Il negro
animale, stuzzicato dalle sue dimande improvvise, era comparso più
volte, mostrando le sospettose antenne, ma s'era rimbucato da capo. La
sua presenza era posta in sodo, ed oramai, per sloggiarlo, e'
bisognava lavorar di fine, usare accorgimento e prudenza, ma non
dargli più tregua.

Ella non vuole essere risanata, pensò, dappoichè non vuol consolarsi,
riamare la vita. S'ha dunque da risanarla a suo malgrado, e senza che
veda, senza che sospetti il come. Disturbiamo il suo pensiero, non gli
diamo più agio di operare, e sarà tanto tempo guadagnato pel lavorìo
della scienza. La natura farà il rimanente. Nei recessi dell'anima
stanno rimedii sottili, imponderabili, ignoti, ma potenti, efficaci,
solo che abbiano il modo di svolgersi. E' fu un sassolino, spiccatosi
dal monte, che scese a rovesciare la statua. L'operosità latente,
stimolata da un nonnulla, in certe occasioni particolari, si sveglia e
riedifica; il germe, bagnato da una goccia di rugiada, si fa pianta e
prospera anco in una fenditura di marmo.

Laurenti argomentava benissimo, e il suo cuore indovino metteva le
fondamenta di un ottimo sistema terapeutico. Ma egli v'era alcun che
di maggiore, di più efficace, che gli veniva in aiuto, e che egli per
fermo non poteva scorgere, non che mettere in conto, poichè quella tal
cosa era egli, egli stesso. La signora Argellani non aiutava il suo
medico, non lo secondava nei generosi conati ch'egli faceva per
arrestare lo struggimento delle sue forze vitali. Ma intanto un nuovo
elemento era penetrato nella sua esistenza, e creava necessariamente
consuetudini nuove. Il ghiaccio era rotto; la primavera alitava
dintorno a lei, tutti i suoi stimolanti profumi, tutti i suoi vivaci
tepori. La bella inferma credeva di esser sempre sola col suo
rammarico, e non lo era già più. Il suo deserto era popolato, e
un'aria di giovinezza, spirando da tutti i lati, recava i germi della
vita nuova. Stava daccanto a lei l'apparenza del medico; ma sotto
quella spoglia tranquilla, palpitava il cuore, ardeva la mente
dell'innamorato, che doveva circondarla di una rete invisibile,
operare per la sua anima, ingombra dal tedio d'ogni cosa, quello che
aveva operato la fantastica volontà di un altro innamorato per gli
occhi di Caterina di Russia, allorquando fiorivano i giardini e
sorgevano i villaggi lungo la brulla strada che essa doveva
percorrere.

Ora, questo innamorato, fin dal primo momento aveva impreso a
fabbricare la sua rete. Uscito dalle stanze della inferma, era andato
dal Giacomo, diventato di botto suo primo assistente, ad indettarsi
con lui per tal cosa che questi dovesse fare nel giorno medesimo.

La conseguenza di questo dialogo si fu che, verso il cadere del sole,
la signora Argellani scese a diporto in giardino.

Era fiacca, come al solito, la donna gentile, e dopo aver passeggiato
per pochi minuti, come fu presso l'albero di pino, si adagiò sul
rustico sedile, e rimase immobile per contemplare le nuvole rosee
dell'occidente. L'immagine del suo medico era le mille miglia lontana.

Ma il medico, lontano dalla sua mente, non era distante dall'albero di
pino. Egli veniva lentamente pel sentieruolo, col capo chino, col suo
solito libro tra mani, e si avvicinava a lei, che finalmente allo
scalpiccio de' piedi sulla ghiaia, volse gli occhi dalla sua parte, e
si addiede della sua presenza.

La prima impressione che quella vista fece nell'animo della signora
Argellani, fu di molestia; ma, cortese com'era, si pentì tosto, e
volse al suo medico il più affettuoso saluto.

Laurenti intese quel senso di molestia, e si sentì stringere il cuore;
ma vide il pentimento subitaneo e si riebbe. Il volto diafano della
signora era uno specchio fedele di tutte le interne sensazioni.

--Signora, le disse egli inchinandosi, le chieggo scusa e licenza ad
un tempo di venirla a turbare nella solitudine del suo giardino. Ero
venuto a cercare del Giacomo, del mio amico e collega in botanica.

--Ella non ha da chiedere nè licenza nè scusa, signor dottore, ed è
qui, come lassù, padrone assoluto.

--Grazie; ed io vengo per l'appunto a far atto di padronanza.

--Ah! esclamò là signora con un sorriso che invitava a proseguire.

--Sì, soggiunse Laurenti, debbo impadronirmi d'una bella varietà di
viole del pensiero, la quale io non ho, e il suo giardino ne ha
parecchi esemplari. Così passeggiando sono sceso ne' suoi dominii....

--Col fidato volume tra mani, aggiunse la signora.

--Fidato davvero; è il mio Virgilio.

--Come? Dalla scienza alla poesia?

--Sissignora, ma poesia latina.

--Che differenza ci vede ella, signor dottore?

--Grandissima. Qui c'è la fragranza arcana della lingua disusata; però
si studia ogni frase, si colgono intime bellezze di espressione che
nella lingua nostra non si avvertirebbero nemmanco.

--Ed ecco una consolazione che noi povere donne non possiamo avere,
noi sbandeggiate dagli studi classici.

--Ah, Ella si ricorda della conversazione di stamane? Questo è buon
segno, almeno per me!

Ciò detto, e per non prolungare un dialogo che la signora Argellani
aveva cominciato per mero debito di cortesia, Laurenti si volse al
giardiniere, che stava pochi passi discosto a sarchiellare un'aiuola.

--Orbene, Giacomo; la mia pianta...

--Oh, non se l'ha mangiata il lupo, signor Magnifico, ed è laggiù che
l'aspetta. Se Vossignoria vuole portarsela con sè, venga e la leveremo
da terra.

--Signora,--disse Laurenti, volgendosi alla donna gentile--potremo
averla patrona in opera di tanto rilievo?

--Volentieri.

E la signora Argellani si alzò: ma Guido non le offerse il braccio,
sebbene ne avesse una voglia spasimata. Con quella donna ci voleva
giudizio, e l'amore, che lo fa perdere a tanti, ne dava al giovine
naturalista una libbra di più.

Egli anzi, con quella facilità che è sempre l'eccesso dello stento, si
messe a chiaccherare di botanica e di orticoltura col Giacomo, dei
proverbi contadineschi sul bel tempo e sulla pioggia, e di altre cose
simiglianti, con le quali io non eserciterò per fermo la pazienza del
benigno lettore. Venne poscia una filatessa di considerazioni sulle
figure che erano rappresentate dai quattro petali screziati della
viola del pensiero; quella per esempio che il Giacomo levava da terra
per lui, era il ritratto parlante di un professore di greco di sua
conoscenza.... e sapeva il greco del pari. Considerazioni che fecero
ridere la signora Argellani, quantunque ne avesse così poca voglia nel
cuore.

Ma erano pallidi sorrisi, come dicono i francesi con efficacia
d'immagine. La gentil donna non era punto distratta; anzi seguitava la
conversazione, e con quella eletta cortesia che è pregio naturale
delle grandi anime, tenea vivo ella stessa il dialogo, aiutava le
arguzie a sbocciare. Senonchè, mentre le labbra parlavano e
sorridevano, in fondo al cuore c'era il vuoto, e di tanto in tanto
ella ne sentiva gli arcani stringimenti.

Intanto venne la notte, e colla notte l'eterno discorso della rugiada,
che invita a mettersi al coperto. Guido stava per accomiatarsi, ma la
signora Argellani lo invitò ad entrare in casa, ed egli si tenne i
suoi saluti tra i denti.

Era quella la tristissima ora, l'ora saturnia della giornata, per
quella povera bella. Era l'ora in cui, in altri tempi, il campanello
scosso mandava il più argentino dei suoi squilli, e poco dopo il
servitore, sollevando la portiera del salotto dov'ella stava a
lavorare, o a suonare il cembalo, diceva le consuete parole: «il
signor Eugenio Percy.»

Egli entrava e portava la luce con sè. Ragionavano di nonnulla, nei
primi tempi, stavano a guardar la luna dai vetri delle finestre, si
bisticciavano fanciullescamente per una fettuccia, per una
acconciatura di testa, per un'aria di ballo; ma i nonnulla dicevano
una cosa sola; la luna sollevava nei loro cuori la marea di un solo
sentimento; tra le loro contese, tra gli sdegni e il volar degli
strali, danzava sempre, si rigirava uno spirito folletto colle alucce
di farfalla, il quale spandeva filtri amorosi nell'aria e avvelenava
le punte col miele.

Più tardi, non si guardava più la luna, non si contendeva più di
nonnulla; era in quella vece un intimo favellio, un ricambio di dolci
pensieri, una melodia susurrata, sospirata anzi, nella nicchia d'un
sofà di velluto, colle mani strette nelle mani, gli occhi incantati
negli occhi. Poi la lettura di un libro, spesso interrotta, o
insensibilmente trasmutata in un'estasi; poi l'attesa di lui, fino a
tanto che ella si fosse vestita per andare a teatro: poi un mondo di
cose, e tutto in quell'ora, tutto ricordato in quell'ora, riassunto in
quell'ora.

E quell'ora, già consacrata da tanto affetto, era vuota. I bei giorni
erano finiti; il nodo si era spezzato; ma quell'ora non poteva essere
dimenticata, per le consuetudini che essa richiamava alla mente.

A me duole di averlo a dire, perchè mi si darà forse, ed
immeritamente, nota di materialista. La consuetudine è un forte
vincolo; ella rafforza l'affetto quando è vivo e lo fa parer vivo
quand'esso è già morto. Per tal guisa durano certi amori e certe amare
ricordanze che la dignità offesa dovrebbe aver discacciate dall'anima.
Imperocchè, se il cuore sanguina, la ragione può rimarginare la
ferita; ma la consuetudine, quest'abito morboso della esistenza,
offende i nervi anche dopo il risanamento, e riproduce la sensazione
del dolore.

Quell'ora dunque era vuota; nessuna novità veniva mai a turbarne la
solitudine dolorosa, e la povera inferma, seduta in un angolo del suo
pensatolo, suggeva più veleno in quell'ora che in tutto il rimanente
della giornata. Guido Laurenti, senza conoscere la cagione, aveva
indovinato il male, anzi il punto culminante del male.

Entrato nel salotto della signora Argellani, egli stette a discorrere
di cento cose. Ella era un tal poco distratta: ma era già molto che
non fantasticasse da sola. Di discorso in discorso, di palo in frasca,
si venne a ragionare di viaggi, e Laurenti si fece a dirle della mania
ch'egli aveva da giovine di correre il mondo, mania tanto più forte,
quanto egli era più impossente a soddisfarla.

Suo padre amava che egli studiasse; danari quanti ne voleva, ma non si
muovesse per nissun pretesto da Genova. Un giorno, cionondimeno, fatti
gli esami del primo anno di medicina, e' gli aveva mandato un bel
gruzzolo di monete, perchè contentasse la sua voglia di andare a Roma.
Quel viaggio e' lo aveva in mente da un pezzo, e gli parea mill'anni
di non mettersi la via tra le gambe; ma l'uomo propone, e gli amici
dispongono. I danari del babbo erano andati in mano di uno strozzino,
per salvar dalla prigione un suo amico e parente, che era meno ricco e
più scapato di lui, Come cavarsela con suo padre? E sopratutto, come
cavarsi la voglia di fare una gita? Pensa, ripensa, e' non trovò altro
partito che quello di viaggiare nelle proprie tasche, e dettare una
relazione del viaggio, per mandarla a suo padre.

Gli era un bel paese davvero, sebbene un po' brullo. Anzitutto non
c'era da snocciolare nemmanco una lira in beveraggi a' cocchieri; il
conto dell'oste si pagava colla massima agevolezza; i ciceroni non
costavano nulla. La scatola dei solfanelli lo conduceva a dotte
considerazioni sul progresso delle industrie; il fil di seta col quale
erano cucite quelle tasche, lo guidava fuori del laberinto, e di
costura in costura lo portava a passare la Manica. Una lettera, un
sigaro, erano accidenti importantissimi del viaggio. La scoperta di un
ultimo scudo nel taschino del panciotto, era un amico, un compaesano
trovato a mezza strada. Il conto del sartore che lo aveva vestito,
poteva adombrare benissimo un incontro di briganti che lo avessero
spogliato. E giù di questa conformità. Il padre aveva letto, aveva
riso, ed aveva mandato qualche altro migliaio di lire a suo figlio,
perchè andasse a viaggiare da senno.

Il racconto era condito di piacevolezze, di argute considerazioni, di
modeste reticenze. La signora Argellani, da distratta si fece attenta,
si lasciò andare in balia di nuove sensazioni, e viaggiò anch'essa col
suo medico, diventato di punto in bianco umorista, sulle orme di
Enrico Heine e di Giuseppe Revere.

Suonarono le dieci. La negra cura per quel giorno era vinta; il medico
otteneva il suo primo trionfo, senza rullo di tamburi e senza suono di
trombe.

Nè fu la sola. Il giovanotto, diventato prudente come la serpe della
Scrittura, aveva diradate le sue visite mattutine, poichè il permesso
di scendere dopo il pranzo nella villa Argellani, gli recava la dolce
consuetudine di veder la signora con manco cerimonie, e accompagnarla
di prima sera in casa, dove stava a ragionare una o due ore con lei.
Gli era un medico, un amico ed un vicino insieme; condizione
complessa, irta di difficoltà, imperocchè egli aveva sempre qualche
cosa a temere. La donna malinconica, infastidita del vivere, poteva un
bel giorno non vedere altro in lui che il medico ostinato a risanarla,
e ribellarsi alle sue cure. L'interno nemico, stretto soverchiamente,
potea rivoltarsi anco lui, e condurre la signora Argellani a sospettar
dell'amico, a diffidare delle cortesie del vicino. Gli bisognava
dunque temperare accortamente una cosa coll'altra, star di continuo
all'erta, indovinare qual lato dovesse porre in rilievo, qual altro
dissimulare. Fatica improba, che solo un profondo amore potea far
sembrare gradita.

Le ore dopo il pranzo erano, come ho detto, consacrate al giardino.
Virgilio rallegrava il viaggio dalla postierla fino all'albero di
pino; quindi andava a dormire nelle tasche della giubba, e
cominciavano le svariate conversazioni. La signora era di mente colta
come di cuor delicato, e Laurenti sapeva farla pensare, com'ella
sapeva farlo parlare. Si usavano cortesie a vicenda, e le ore
passavano rapide come baleni.

I pallidi sorrisi, le dolci malinconie, i subitanei stringimenti di
cuore, rispondevano ai diversi stati dell'animo della signora
Argellani. Ma intanto la natura operava, e le nuove consuetudini si
filtravano inavvertite nel suo delicato organismo. Guido Laurenti, il
quale, per tutta la gente di casa, era il _Magnifico_, vo' dire il
medico, e che ci aveva acquistato una grande autorità, dettava la
lista della colazione e del pranzo; poi, col pretesto di procacciare
sonni lunghi e tranquilli all'inferma, le dava a bere i suoi tonici,
le sue pozioni ferruginose, e le andava man mano rinnovando il sangue
nelle vene.

Non se ne addava ella punto? No certamente, poichè non le accadeva mai
di pensarvi su. La sua melanconia non era apertamente turbata, ed ella
lasciava che il medico facesse a modo suo. I modi del giovine erano
prudenti e cortesi; la conoscenza di lui non riusciva di peso, ed ella
non poteva scorgere in lui un amante.

O come non lo vedeva?--chiederà taluno. Le donne vedono sempre ogni
cosa.

Sì, benigno lettore, esse vedono sempre ogni cosa, ma quando non
abbiano in mente una di quelle preoccupazioni, le quali tolgono di
badare al rimanente. Vi è egli mai avvenuto di amare una donna, la
quale vi usava ogni maniera di cortesie, e frattanto non andavate
innanzi di un passo? Quella donna, se vi rammenta, pensava ad un
altro, e voi, poverino, voi non eravate che un semplice amico. Noi,
pigliati a mazzo, uomini e donne, non abbiamo cuore che per chi piace
a noi, e quando il cuore non c'è, egli avviene eziandio (salvo il caso
di una dichiarazione, la quale non consenta più di ignorare) egli
avviene, dico, che non ci sia neppure la mente. E voi, un bel giorno
che quella lunga adorazione sulla soglia del tempio v'era paruta
troppo lunga, fattovi un cuor da leone, incominciavate a parlare. Ella
a prima giunta si meravigliava di quella novità, poi vi compiangeva,
s'industriava a consolarvi con melate parole, e finalmente vi metteva,
sebbene con tutti gli onori dovuti ad un cuor generoso, fuori l'uscio
di casa. Voi tosto a maledire il giorno, l'ora e il momento che
l'avevate veduta; voi a farle colpa de' suoi superbi disdegni, e
perfino delle sue gentilezze. Povera donna! Come si è spesso ingrati
ed ingiusti per ragion d'egoismo!

Non mi si dica dunque che le donne vedono tutto. Vedono, quando non
hanno altra immagine che loro ingombri la vista. Se il loro cuore è
tranquillo, sì certamente elleno si accorgeranno del vostro amore,
anche quando sia ai cominciamenti, anche prima che ve ne accorgiate
voi medesimo. Ma pur troppo, con tutta la loro avvedutezza, con tutta
la loro perspicacia, le povere donne hanno la benda sugli occhi,
quando amano e soffrono.

E nulla vedeva, di nulla si accorgeva, di nulla sospettava la signora
Argellani. Vi ho già detto che ella non si addava quasi dell'opera del
medico, e che ignorava affatto il lavoro possente della nuova
consuetudine. Il rimedio arcano, imponderabile, si era svolto dai
recessi della sua anima, ed operava inavvertito come la dose
dell'omeopatico.

Guido Laurenti, dal canto suo, cercava sempre il nemico, e lo
combatteva gagliardamente, efficacemente, senza conoscerlo ancora.



XII.


Impastata, se così può dirsi, di bellezza e di fiele, per modo che
l'interno umore spandendosi sul volto gli conferiva un'aria
antipatica, e per contro la bellezza delle forme faceva a molti
dimenticare di chieder novelle dell'anima, la signora Perrotti Maria
Aurelia al fonte battesimale, era una delle più eleganti dame di
Genova, e delle più reputate eziandio.

Ella teneva conversazione il lunedì, nel suo sontuoso quartierino di
via Palestro, e convenivano colà tutti coloro che cantassero e
chiacchierassero di più entro la cerchia daziaria della capitale
ligustica. Colà tenori, baritoni e soprani dilettanti assassinavano
Verdi e Rossini; colà, vecchie che volevano parer giovani, stolidi di
ogni età e d'ogni risma, Veneri pensionate, Adoni in disponibilità,
assassinavano la riputazione del prossimo. Le novelle del giorno, i
pettegolezzi della civil compagnia, passando pel salotto della signora
Aurelia, uscivano rifatti nella forma più corretta, come la pasta
bianchiccia che si mette nella cartiera, esce tesa, levigata ed
asciutta sul cilindro, per modo che ci si potrebbe già scrivere.

Aveva un amante la signora Perrotti? Oibò, la era una
rispettabilissima dama, e la maldicenza aveva abbastanza ossequio
figliale per lei da non rivoltarsi contro sua madre. Io medesimo vi
giuro che ella non amava nessuno, e che nessun uomo, di que' tali che
onorano una donna dandole l'incenso dei loro affetti, s'era mai
innamorato di lei. Ve l'ho dipinta bella, e non v'era alcuno per
verità che non la salutasse tale; anzi a molti piaceva; ma i cuori più
ardenti, fattisi da presso a lei, sbollivano gradatamente; intorno a
quella donna, senza saperne il perchè, si gelava. I coraggiosi c'erano
stati, ma non di que' tali che ho detto più sopra; ed io potrei
narrarvi una storia.... Ma non la voglio commettere a questi fogli,
perchè pur troppo non fo altro che copiare dal vero, ed anco i meno
facili conoscitori di maschere, potrebbero dire: è la tale!

Costei un giorno, dieci anni innanzi i tempi di cui ho impreso a
narrarvi, insuperbiva della corte spietata che le faceva Eugenio
Percy. Ma la Argellani in quel torno era capitata a Genova, e il
signorino, attratto da quella nuova e più efficace bellezza, aveva
levato prontamente l'assedio che ancora non era scavata la seconda
parallela. L'amor proprio, che di tutti gli amori è il più permaloso,
aveva toccato una ferita mortale. Ma la signora Perrotti se n'era
ricattata a misura di carbone. Percy non aveva anche baciato il sommo
delle dita alla bella Argellani, che già il suo trionfo era
strombazzato ai quattro venti. Il signor Argellani, vecchio Alcibiade
che se la spassava a Milano, lunge dalla bella moglie, ma molto vicino
ad una prima donna di mezzo cartello, di mezzana bellezza e di mezzana
virtù, vide pioversi le lettere anonime che assassinavano la fama
(intemerata, vi so dir io, intemerata) di sua moglie, e gli parvero
un'ottima ragione per ravvicinarsi sempre più al mezzo cartello
sullodato, e chieder poscia una separazione _in formis_.

Il processo era fecondo di scandalo, e c'era a Genova chi se ne
stropicciava le mani e l'acquolina gli correva alla bocca. Ma il
vecchio Alcibiade, un bel giorno (io lo chiamerò proprio un bel
giorno) era capitombolato da cavallo e s'era rotto una gamba. La
cangrena era sopraggiunta e se lo aveva beccato, lasciando libera la
mal maritata signora Luisa, e gli amici dello scandalo con un palmo di
naso. La donna gentile stette fuori di Genova qualche tempo; poi
tornò, e vivendosene sola, fuori di scena, ridusse anche le male
lingue a tacere. Infatti, che cosa di nuovo rimaneva loro da dire, se
tutto il peggio già l'avevano detto, quando non era anco vero?

Le rare comparse in teatro, lo andar sempre a diporto in carrozza e
fuori di città, l'avevano come appartata dal mondo. Pochissime signore
andavano a farle visita, tra le quali la signora Perrotti, che giurava
d'esserne innamorata e di non poter vivere senza di lei. Diplomazia
femminile, che potrebbe dare dieci punti dei sedici ai gran maestri
dell'arte politica!

Senonchè, anche le visite da lunga pezza erano cessate. La malattia
era stata un ottimo pretesto per la signora Argellani a non muoversi
di casa, e in breve quelle poche visitatrici, amiche del buon tempo, e
ligie al cerimoniale, avevano spulezzato. Da tre mesi non se n'era
veduta una alla palazzina gialla, nemmeno la signora Aurelia, quella
che non potea vivere senza vederla!

Il lettore può dunque argomentare come fosse gran meraviglia per tutta
la gente di casa, veder giungere un dì, verso le due dopo il meriggio,
la signora Perrotti, inamidata, impettita, colla piuma bianca sul
cappellino, e un gran galano sotto il mento, per visitare l'inferma.

La gente di casa non sapeva che in tutti i ritrovi e conversazioni di
Genova, dove la signora Argellani era conosciuta, correva la voce di
un peggioramento della sua malattia. Già i medici, a detta di ognuno,
l'avevano data spacciata; epperò la signora Perrotti, la sua buona
amica, non poteva ritenersi dallo andare da lei, per vedere che figura
facesse un'amica moribonda. Il cuore di alcune donne ha delle strane
consolazioni!

La signora Luisa era in quel punto seduta nel suo salotto, insieme con
Guido Laurenti, che le aveva portato un libro nuovo, promessole la
sera innanzi. Ella cominciava a provare i benefici effetti della cura
assidua, affettuosa del suo medico. I colori della bella salute non
erano anche tornati sulle sue guance smarrite, ma per chiunque
l'avesse veduta un mese innanzi, il miglioramento era notevole, e
prometteva grandi cose.

Quando le annunziarono la signora Perrotti, ella rimase stupefatta, e
fu molto che potesse sollevarsi a mezzo dal sofà, come in atto di
farsi incontro alla Aurelia, che correva ad abbracciarla.

--Or bene, come va questa bella inferma?--disse la Perrotti, dopo aver
fatto scoppiettare le labbra asciutte sulle guance della signora
Luisa.--Ma bene, in verità! Qui c'è odore di miracolo...

La signora Aurelia aveva pur ragione a maravigliarsi, dappoichè lo
stato della Argellani non rispondeva punto al ritratto che le avevano
dipinto i benevoli.

--Mia gentile Aurelia--le disse la signora Luisa, ricambiandola di
atti cortesi--io ti ringrazio davvero della buona memoria che hai
conservata di me.

  (volume secondo)

--Che, che! Figurati se io non pensavo alla mia Luisa! Non ho potuto
correre, come avrei pur voluto, prima d'ora, per tante cose che avrò a
dirti più tardi. Già saprai che il Gigi è stato a letto anche lui
parecchie settimane, pel suo solito male; poi i figli di mia sorella
da rimandare in collegio, dove non volevano stare... Insomma ognuno ci
ha le sue da contare. Ma finalmente eccomi qui! Come son lieta di
vederti, la mia buona Luisa!

E così parlando con una volubilità straordinaria, la signora Aurelia
stava girando e rigirando per tutti i versi, accarezzando e mettendosi
sul cuore, le manine sottili della signora Argellani.

Laurenti era lì presso, in uno stato d'angustia che ognuno intenderà
di leggieri. Egli già stava per mettere la mano sul suo cappello e
prender commiato, allorquando la signora Argellani, vedendo come
l'amica sua lo avesse già più volte guardato, si fece a dirle,
accennandolo:

--Il dottore Laurenti, al quale io sono debitrice della vita.

--Ah!--esclamò la signora Perrotti, guardando fiso il giovine--sono
lieta di conoscerlo. Signor dottore, se Ella ci risanerà la nostra
bella Luisa, noi le vorremo un gran bene.

--Grazie--rispose Laurenti alzandosi, e facendo un inchino;--ma la
signora Argellani risanerà, perchè è giovane e forte, ed io non ci
avrò merito alcuno.

--Troppa modestia, signor dottore!--ripigliò a dire la Perrotti, in
quella che stava notando il turbamento del giovine;--la gratitudine di
tutti gli amici della mia bella Luisa, non può venir meno per
simiglianti dichiarazioni. Ma sai, Luisa, che tu sei grandemente
mutata? Tu mi sembri già fuori di convalescenza, e noi vogliamo
vederti in mezzo a noi, senz'altro indugiare.--

Queste erano le parole proferite dal labbro; ma ecco che cosa pensava
intanto la signora Perrotti:

--Qui c'è del segretume, e bisogna metterlo in chiaro. Me la davano
spedita dai medici, ed ella è qui seduta nel suo salotto, col suo
medico accanto... un medico che non si sa chi sia, nè donde venga...
un medico molto giovine, troppo giovane, e bello per giunta alla
derrata, il quale si turba, perde le staffe appena gli si mettono gli
occhi addosso. A me non le si danno ad intendere! L'innocentina! Era
lì per morire! E la ci ha il cascamorto a' fianchi!... Qui c'è del
segretume, dico, ed ho fatto assai bene a venire.

Intanto la signora Argellani rispondeva alle cortesie della Perrotti:

--Mia buona Aurelia, sono così fiacca, ed ho così poca voglia di
muovermi!

--E che fatica ci hai tu da fare? Ti metti in carrozza, e via. Tutti i
lunedì in casa nostra c'è sempre il fiore della buona compagnia. Canta
la Morati, con una vocina da soprano che innamora, e un buon gusto,
poi, un buon gusto... E la Roccanera! Quella fa bene ogni cosa; canta,
e si accompagna sul cembalo in un modo!.....

Gli occhi della signora Argellani si rabbuiarono, al ricordo di quel
nome di donna.

--La è davvero una bella donnina!--continuò la Perrotti.--Dicono che i
suoi occhi non abbiano riscontro in tutta Genova, ed io, imparziale
come sono, lo ammetto. La gentilezza de' suoi modi, il suo ingegno,
poi, non temono rivali. Che te ne pare, mia buona Luisa? Non la è un
ottimo acquisto per le nostre serate? Se tu non ti lasciassi
intristire in casa, se tu volessi tornare a risplendere in mezzo a noi
colla tua bellezza e la tua bontà, come in altri tempi, certo anche le
più belle dovrebbero tremare; ma che vuoi? Chi si ritira dal campo,
perde la battaglia.--

Laurenti non poteva patire quella parlantina, innocentissima in
apparenza, e piena di tradimenti nel fondo. Egli, avvezzo da molti
giorni a notare ogni cosa, e cogliere i sospiri al volo, vedeva come
la signora Luisa soffrisse a quelle parole della sua visitatrice. Ed
egli pure si sentiva a disagio, ma, fiutando la guerra, non perdeva
una sillaba.

--Anche il Percy, sai, è venuto ai miei _lunedì_. Che farfalla, Dio
buono, che farfalla gli è mai! E da te, cara Luisa, non è venuto da
molti giorni?

--Nè da giorni, nè da mesi;--rispose la signora Argellani, posta alla
tortura.--Io non vedo nessuno da un pezzo.

--E allora perchè raccontarmi una frottola?--disse la caritatevole
amica, con aria di chi faccia una domanda a sè stesso.--Or saranno due
settimane, gli ho chiesto di te, ed egli mi ha risposto che stavi
benissimo. Io perciò ho creduto che fosse stato a vederti. Ma guardate
un po' che cavalieri, a' dì nostri! Non parlo per Lei, signor dottore;
ma invero i signori uomini hanno oggimai certe consuetudini!....
Cavalli, cani, giuoco e bellezze di palcoscenico! Bisogna vederli in
teatro, metter fuori le braccia dai palchetti e dagli scanni, per far
pompa d'applausi!.... A proposito di teatro, sai, Luisa? Abbiamo
un'ottima prima donna, una francese, un fior di bellezza, checchè ne
dica il Percy. Figurati che l'altra sera, da me, c'è stata a questo
proposito una discussione coi fiocchi. La Bianca affermava, e con
ragione, che fosse bellissima; Percy s'era incaponito a dire di no, e
indovina il perchè? Te lo do alle mille.

--Non saprei.....--si provò a dire la signora Argellani.

--Eh, capisco che bisognerà dirtelo. Percy non voleva che la prima
donna fosse bella, perchè non aveva gli occhi della Bianca, i capegli
della Bianca, il profilo della Bianca, e giù una litania di questa
fatta, che gli die' causa vinta. È molto arguto il Percy..... ma, a
dirti il vero, mi diverte qualche volta e non mi piace mai.

--Signora, che è? si sente male?--gridò Laurenti, balzando dalla sedia
ed accostandosi alla signora Argellani, che egli era sempre stato a
guardare attentamente, fino a quel punto.

La donna gentile si sentiva diffatti venir meno, e, non osando farsi
scorgere, s'era aggrappata, per tener ritta la persona, al bracciuolo
del sofà, mentre gli occhi smarriti, stravolgendosi nelle orbite,
troppo chiaramente mostravano il patimento dell'anima.

--Nulla..... Nulla.....--rispose ella, chetandolo con un cenno della
mano distesa.--Il caldo mi soffoca....

--Oh, povera la mia Luisa!--gridò, strillò la Perrotti, giungendo le
mani.--E che fare adesso, signor dottore?

--Aprire quella finestra, anzitutto!--rispose Laurenti; poi,
volgendosi alla inferma, si fece a dirle:--Animo, signora; un po' di
calma, e il male passerà subito. Senta l'aria fresca che viene.... Io
già le aveva raccomandato più volte di non stare così rinchiusa, e ier
l'altro, per l'appunto, Ella ebbe a pentirsi di non avermi voluto dar
retta.--

Non era vero niente; ma Guido aveva notato ogni cosa, aveva indovinato
che crudel passatempo fosse venuta a pigliarsi quella pietosa amica, e
non voleva che il patimento improvviso della signora Argellani potesse
rimanere senza una spiegazione ragionevole innanzi a quella donna
impastata di bellezza e di fiele.

Che ella fosse persuasa dalle invenzioni di Guido Laurenti non vi
dirò; certo in apparenza le menò buone, e ne tolse argomento a
parecchie esortazioni, affinchè la sua Luisa, la sua cara Luisa,
volesse ascoltare i consigli di chi le voleva bene ed amava vederla
risanata prestissimo.

Frattanto il giovine che voleva salvar le apparenze per gli altri,
tradiva sconsideratamente sè stesso. L'ansietà che traspariva dagli
occhi e dal gesto, era a gran pezza maggiore di quella che avrebbe
potuto manifestare, in un caso più grave, il medico più dimestico, più
stretto in amicizia alla persona inferma. In genere, il seguace di
Esculapio, come quegli che intende le ragioni del male, e che ha fatto
il callo a tutte le commozioni, non si spaventa, non si riscalda oltre
misura. Guido, in quella vece, era come tramortito, bianco nel volto
come un cencio lavato, e se la signora Argellani non fosse stata là,
adagiata sul lettuccio, cogli occhi stralunati e le membra prosciolte,
si sarebbe potuto credere che l'ammalato fosse lui.

--Ah, ah!--pensava la signora Perrotti, guardandolo di sottecchi.--Il
medico ha perduta la testa. E si voleva darla ad intendere a me!
Vedete l'innocentina che si moriva d'affanno per l'abbandono di Percy,
e già si diceva che fosse per innalzarsi il rogo, come la regina di
Cartagine. Che l'amor proprio abbia patito, s'intende; ma far l'eroina
da romanzo, poi, figurarsi! Il consolatore è un bel giovine, in fede
mia. Se Percy lo vede, metto pegno che va in collera. Quell'altro là è
un vanitoso, il quale s'immagina che tutte le donne abbiano a morire
per lui, e non può credere che una, piantata in asso da lui, si
consoli con un altro. La Roccanera lo ha sulle corna, e quando egli se
ne sarà persuaso, il che non tarderà molto, e' vuol starmi fresco
davvero! Bene, bene; qui c'è da far quattro chiacchere per lunedì
sera. Ma anzi tutto andiamo a darne notizia a qualche amica; intanto,
qui non ho altro da fare.--

E finito questo monologo, si alzò per andarsene.

--Se tu avessi bisogno di me, e se io potessi esserti utile, rimarrei.
Ma qui sono d'impaccio e null'altro, mia cara Luisa, e il tuo ottimo
medico e la signora Tonna porranno ogni cura a farti riavere da questo
male passeggiero. Non è egli vero, signor dottore, che sarà una cosa
da nulla?

--Certamente, signora; un po' d'aria, un po' di moto, e cosiffatti
vapori si dileguano subito.

--Ne sono proprio contenta!--esclamò la Perrotti.--Addio dunque,
Luisa; fatti animo. Io, se avrò domani un ritaglio di tempo, verrò ad
abbracciarti risanata, e se non potrò io, manderò il servo a pigliar
le tue nuove.

--Grazie, mia buona Aurelia;--rispose l'Argellani stendendole la
mano--a rivederci--

Fatte ancora quattro parole col dottore per raccomandargli colei che
essa amava più degli occhi suoi (frase che si adoperava fin dai tempi
de' Romani, e che ha perduto ogni efficacia, come tutte le frasi
vecchie), la signora Perrotti, inamidata, impettita, se ne andò,
gittando un bacio col sommo delle dita alla Luisa, e simulando di
asciugarsi una lagrima.

La signora Argellani aveva resistito a quella conversazione con una
virtù non minore per fermo di quella dei martiri cristiani, che si
lasciavano tanagliare il petto senza mettere un lamento. Il non essere
ella andata del tutto fuori dei sensi, potrebbe citarsi come una
testimonianza dei trionfi che ottiene un semplice sforzo di volontà
senza altro estrinseco aiuto. La virtù dell'animo l'avea tenuta col
fronte alto, e le labbra sorridenti; la virtù dell'animo le aveva
dettate quelle parole: «_mia buona Aurelia_» che certamente non
avevano ottenuto licenza dal cuore. Ma appena la Perrotti fu andata
via, ella ruppe in un grido: «è male! è male!» fe' per alzarsi dal
sofà, come se volesse sottrarsi al patimento che stava per vincerla,
ma tosto ricadde contro la spalliera, priva di forze e di sensi.

Guido per ventura era là, pronto a soccorrerla con tutti i partiti
dell'arte sua. La casa era sossopra: le fanti facevano una cosa;
un'altra il giardiniere; la signora Tonna non faceva nulla, ma era già
molto che non lisciasse il gatto, o non biasciasse paternostri;
Laurenti, poi, badava a tutto e si faceva obbedire a puntino. Per tal
guisa, il male, combattuto sui cominciamenti da una intelligente
volontà, non ebbe agio a sopraffare la donna gentile, come avea fatto
la volta innanzi, e non v'ebbe altro danno che la paura.

Ma qual cuore fosse quello di Guido, lascio che vel pensiate voi, o
lettori. Le parole della caritatevole amica gli avevano aperto gli
occhi, e quegli occhi correvano assiduamente dal volto della Perrotti
al volto della Argellani, cogliendo sensi arcani di espressione, così
nel viso del carnefice, come in quello della vittima. I nomi della
Roccanera e del Percy avevano scosso l'inferma; la narratrice delle
loro geste aveva sorriso, e non era uscita dall'argomento. Nulla era
sfuggito alla attenzione di Laurenti. Il nemico c'era, ed era colui
che la Perrotti aveva nominato. Glielo diceva il cuore; glielo diceva
il turbamento della donna gentile; glielo diceva più apertamente di
ogni altra cosa la malvagità che trapelava dall'accento affettuoso
della signora Perrotti.

Il colpo che la signora Argellani aveva ricevuto, lo aveva sentito pur
egli, ed era stato così poderoso che egli ne era rimasto a prima
giunta sbalordito, senza aver tempo nè modo a pensarvi, senza misurare
nemmanco la grandezza del dolore. Certo il colpo non gli dovea tornar
nuovo; chè, intelligente com'era, il suo nemico e' lo aveva indovinato
fin da principio. Le prime impressioni sono sempre le più giuste. Più
tardi la sua perspicacia, esercitata nel vuoto, s'era smarrita. Alcune
considerazioni sulla malattia dell'Argellani, voluta derivare dalla
negazione anzi che dalla prepotenza dell'amore, lo avevano
addormentato, ed egli era a mezzo del più bel sogno che uomo potesse
far mai, quando la voce stridula della signora Perrotti era venuta
improvvisamente a svegliarlo.

E' fu un brutto ridestarsi pel povero Guido; il suo castello di carte,
tirato su con tanta costanza, con tanto affetto, era crollato ad un
soffio. E bisognoso egli stesso di aiuto e di conforto, aiutava e
consolava la inferma, la quale lo ringraziava delle sue cure, delle
sue consolazioni, con parole fatte per tribolarlo di più, per cacciare
più profondamente il verrettone nella ferita.

--È inutile, è inutile ogni cosa!--gli aveva ella detto, porgendogli
amichevolmente la mano.--Cominciavo a chetarmi, a dimenticare. Ma la
fatalità mi perseguita; il passato mi uccide. Adesso, Ella sa il mio
segreto, signor Laurenti, e sa perchè non ho più nessun desiderio di
vivere.



XIII.


L'amore è una triste cosa, e sto per dire una delle più gravi malattie
dei tempi odierni. Non già che fosse sconosciuto agli antichi, chè
sarebbe dir troppo; ma ogni lettore assennato vorrà ammettere che
quella passione, rozza forma dell'istinto, passò per molte e molte
filiere lungo il corso dei secoli, innanzi di affinarsi a quel modo
che oggi si nota, e di aguzzarsi tanto, da penetrar nelle carni a
guisa di pugnale.

Le svariate e progressive forme della educazione umana hanno
temperato, mutato ogni cosa, e l'amore anzi tutto. L'uomo primitivo,
colui che s'innoltrava nella boscaglia armato di una accetta di selce,
non sentì altro nel cuore che la voce confusa dello istinto brutale.
La donna non gli fu data da santità di connubio, ma dal furto, dalla
rapina, e il giorno delle nozze non fu celebrato da geniali conviti,
nè da canto di bardi. Chiusa nella spelonca, ella amò il suo rapitore,
perchè era forte, perchè combatteva le fiere e portava a lei le
spoglie sanguinose; perchè le ornava il collo coi denti del mostro
ucciso, o con le pagliuzze del rilucente metallo, raccolte nel letto
dei fiumi. Essa lo temeva e lo desiderava ad un tempo; non lo
rispettava, non lo amava ancora. Ed egli, poi, non riconosceva che il
diritto della forza; quando si sentiva offeso, combatteva; quando la
donna gli andava a versi, combatteva ancora. La vita era la guerra; la
soddisfazione dell'istinto era il trionfo.

Più tardi, fu gran segno di civiltà la donna chiusa in uno
scompartimento della tenda. La famiglia creò le consuetudini; le
consuetudini assunsero forma ed autorità di legge. Allora la donna non
si rubò più; si ebbe dai parenti, in pegno d'alleanza, o in mercede di
prestati servigi, sempre come una cosa, e senza dolersi molto, o
rompere il patto, se ella aveva gli occhi cisposi. Si pigliava la
donna come moglie, o come serva, ma non la si amava ancora; ella per
contro incominciava ad amare colui che la rendeva feconda. Per lei,
talfiata, se bella, si facevano guerre; il nemico calava sulla tribù
come un avvoltoio sulla preda; uccideva il padrone, e ne ereditava la
donna, timida creatura, senza volontà per resistere, senza odio per
respingere l'amplesso di mani insanguinate.

Il greco ed il romano, tutti intesi alla vita pubblica, non hanno
tempo per gli affetti soavi. La donna che amano e cantano, non è mai
la moglie, ma una facile bellezza, straniera alla famiglia, Lalage,
Lesbia, Cinzia, e tutte l'altre regine dell'ode e della elegia, sono
donne intorno alle quali si perde la umana dignità, donne che fanno
piangere in distici Catullo, Tibullo e Properzio, ma non uccidono
nessuno. L'amore è un arciero bendato, che scaglia le sue frecciate
perfino a Giove, suo avolo; ma nessuno muore per le conseguenze della
ferita. Paragonate cotesto con Werther e Jacopo Ortis.

Antichi esempi di forti amori ve n'ha, ma feroci, teatrali, cantabili,
come la forma tragica od epica per cui gli hanno fatti passare i
signori poeti. L'amore da pari a pari, che si filtra in tutte le
costumanze, in tutte le bisogne della vita, è scaturito dal medio evo,
da questo gran crogiuolo di cose nuove, da questo ricostruttore del
mondo. La donna nelle più umili sfere sociali è già la compagna
dell'uomo; nelle più alte è, più che compagna, regina; tende a
superarlo, e ne verrà a capo, imperocchè essa ha più virtù, più
affetto, più sottile intelligenza di lui. Egli è ancora per molti
rispetti lo schiavo della materia; essa è già la forma eterna, il
_weibliches Wesen_ del dottor Fausto, la _diva_ degli antichi. Anchise
che fu innalzato al talamo di Venere, Peleo che ottenne in maritaggio
da Giove la più bella delle sue oceanine nipoti, non sono più a' tempi
nostri invenzioni mitologiche. Il mondo appare a prima giunta più
materiale, ed è in quella vece dieci cotanti più poetico di prima. Si
soffre per l'amore, perchè l'amore si è immedesimato nella vita. È
egli vero che noi diventiamo più deboli, più infermicci, diventando
più civili? Le armature degli avi ci opprimono col loro peso, nè più
verremmo a capo di tendere l'arco di Ulisse. Per contro, un dardo che
a' tempi andati vellicava la cute, oggi ci entra nelle carni e ne
uccide. L'amore è una malattia. Chi lo avrebbe mai detto ad Ippocrate?

Guido Laurenti era infermo da senno. Come fu uscito dalla casa
Argellani e si ridusse nella sua camera, pianse a guisa d'un bambino,
ma le lagrime non valsero a sollevarlo. Il suo caso era grave. Se la
signora Luisa fosse stata una donna leggiera, la quale avesse
stuzzicato l'amor suo per farsene giuoco di poi, egli avrebbe potuto
odiarla tre mesi e disprezzarla per tutto il rimanente della sua vita.
Questi odii e questi dispregi, anco sragionati (poichè non sempre si
ha ragione intiera contro la donna che ci offende) aiutano a vivere, e
danno, se mi è consentita la frase, il tono, il chiaroscuro alla vita.
Ma come odiare la donna gentile, che era innocente d'ogni artifizio,
d'ogni lusinga più lieve con lui? E come sperare di farsi amare da
lei, da quella donna diventata necessaria alla sua esistenza, se nel
cuore di quella donna era scolpita l'immagine di un altro? Pari alla
vezzosa Minoide, abbandonata dormente sul lido di Nasso, egli non
vedeva scampo, nè uscita, nè speranza, nè tregua.

Uscì finalmente di casa, dopo avere stancata la mente in ogni più
disperato proposito. Aveva giurato di non andar più da quella donna;
ma come fare? Non era egli il suo medico? E doveva lasciarla morire,
perchè essa non lo amava e non lo avrebbe amato giammai? Era dicevole,
onesto, generoso, il fuggire da lei?

Questa interna battaglia durò molti giorni. Il povero giovine voleva e
disvoleva; malediceva e pregava; rimpiangeva le gioie della materia e
la vita sollazzevole che avrebbe potuto fare, ad annegarvi dentro
quella delicatezza di sentire che è sempre ragione di tanti patimenti;
cercava gli amici e li sfuggiva; andava a consolare l'inferma, poi
correva a teatro, dove qualche volta vedeva il Percy, e si struggeva a
guardarlo. Se avesse potuto sfogarsi contro di lui! Ma la vendetta gli
avrebbe forse divelto l'amore dal seno?

Intanto la donna gentile era sospesa tra la vita e la morte. La
scienza di Guido la teneva in vita, senza salvarla, senza allontanarla
d'un passo dall'orlo pauroso del nulla.

Fu questo dolente spettacolo quotidiano che rafforzò nell'anima
tribolata di Laurenti il più generoso consiglio: rimanere al suo
posto, contenderla con ogni sua possa alla morte, o morire con lei.
Questa specie di patto, di compromesso tra il suo dolore e il dovere,
valse a calmarlo, e, mostrandogli la morte come una uscita aperta nel
fondo, a farlo rimanere, tranquillo in apparenza e sereno, presso la
povera donna.

La malattia della signora Argellani, fatta più grave dalla ricaduta,
non era di quelle che inchiodano la loro vittima sul letto. V'erano
giorni ch'ella stava alzata e scendeva anche in giardino; ma lo
sfinimento era manifesto, e riusciva più doloroso a vedersi, in quanto
che si scorgeva la bellissima donna attendere tranquillamente a tutte
le consuetudini della vita.

Un giorno, con dolce violenza, egli l'aveva condotta a diporto in capo
alla prateria, vicino alla conserva delle piante esotiche. Là seduta,
ella stava guardando in aria, senza fare parola.

--A che pensate, signora?--le chiese Guido, mettendo per la prima
volta nel suo discorso la forma amichevole del voi.

--Penso al sole che muore;--rispose Luisa.--Vedete che dolce morire,
senza improvvisi contrasti di luce e di tenebre! I raggi si vanno
allontanando man mano dalla terra; poi le nuvole, anch'esse, di rosee
si fanno pallide; giunge il crepuscolo.... e tra poco la notte,
inavvertita quasi, apportatrice di calma.

Laurenti si nascose il viso tra le mani, per celare le lagrime che gli
rompevano improvvise dagli occhi; ma il singhiozzo, che non potè
nascondere del pari, fece volgere dal suo lato la signora.

--Perchè piangete, amico mio?

--Oh, voi mi fate un gran male con simiglianti discorsi!--proruppe
egli a dire.--Ho la disgrazia di esser giovine, e di non saper
conservare la serenità dell'animo, dinanzi alle malattie come la
vostra, nelle quali la prima cagione è la volontà, e che assumono, già
ve l'ho detto una volta, il carattere del suicidio. Morire! morire,
perchè un uomo non vi ama!....

--No, signor Laurenti; mi conoscete assai poco. Io morirò perchè la
vita non mi par bella, nè desiderabile punto. Anche gli uomini possono
aver contribuito a farmela parer tale, ma non è per essi che io muoio.

--Sofisma!--esclamò il giovine,--Voi, intanto, infastidita del
presente, rimpiangete il passato.

--Se ciò fosse vero, ve lo direi schiettamente;--rispose la donna
gentile.--Credetemi, amico; e che io possa perdere la stima di un uomo
generoso come voi siete, se io non penso ora, e fermamente, che, posta
innanzi a me la scelta tra la più misera esistenza e il ritorno delle
prime illusioni, non istarei in forse un solo momento ad eleggere
quella. Ma, noi, povere donne, siamo pur troppo come quell'edera
lassù, che dal vostro muraglione è andata ad allacciarsi al tronco
dell'olmo. Non l'avete mai osservata, voi?

Guido sospirò, e non rispose.

--Or bene, io l'ho guardata spesso, e sempre con tenerezza ineffabile.
Essa è il nostro simbolo, sebbene l'abbiamo così mal battezzata nel
dizionario dei fiori; essa è il simbolo del cuore, di cui le sue
foglie hanno quasi la forma, di cui le sue costumanze riproducono la
vita. «_Où je m'attache, je meurs_» bella impresa che fa trovata, io
credo, da una povera figlia d'Eva, la quale guardò una pianta di edera
prima di me, e vi riconobbe l'immagine sua!

--L'uomo, dunque...... sempre l'uomo!--esclamò, con accento di
amarezza Laurenti.

--Sì, l'uomo, se così volete,--soggiunse la signora Argellani,--ma non
già un certo uomo. Strappate quell'edera dall'albero, al quale s'è
abbarbicata, ed ella muore. Ma muore ella forse perchè non può più
avvinghiarsi a quell'albero, e pendere in graziosi festoni dai rami?
No, signor Laurenti; essa muore perchè è stata divelta, schiantata ed
infranta. Noi siamo come l'edera; divelte dal nostro luogo di elezione
moriamo; ma non istate a credere che rimpiangiamo l'affetto degli
uomini dappoco, e che moriamo perchè esso ci manca; dite piuttosto che
siamo le vittime dei nostri errori, e paghiamo largamente colla vita
un fallato giudizio. Io dunque non rimpiango nulla, se non forse di
aver fatto perdere il tempo al mio ottimo medico.

Guido la ringraziò con un cenno del capo, ma non rispose motto. Egli
pensava a mille cose in un tempo, e, tra i concetti che gli giravano
confusi nella fantasia, gli pareva che dovesse esserci il buono. Però
stava cercando, e non rispondeva nulla a quel disperato ragionamento.
Ma come gli parve di aver trovato, si alzò in piedi e le disse:

--Mi avete promesso di venire domani a fare una gita in carrozza.

--Sì, e non disdico la mia parola. Sarà la mia ultima uscita. A che
ora verrete?

--Alle undici, se non vi dispiace.

--No, certo; e dove andremo?

--Perchè questa curiosità? Quando io vi ordino qualche pozione,
domandate voi come si chiama?

--Avete ragione, e poichè non c'è nulla che m'abbia a risanare, mi
farò presso di voi un merito di non chiedervi nulla.

Laurenti stette muto per la terza volta; ma per la prima volta,
accompagnandola in casa, le offerse il suo braccio. Ella del resto era
molto stanca, e ne aveva bisogno per reggersi in piedi.



XIV.


Era una bellissima giornata, una di quelle giornate che fanno nascere
nell'anima dei poveri condannati al lavoro quotidiano, il desiderio di
una modesta entrata e di una carrozza per uscirsene alla campagna. Il
cielo limpido, trasparente, rasserenava lo spirito e tingeva d'azzurro
i pensieri; l'aria fresca del mare temperava la vampa del sole e
ristorava i polmoni.

Fuori della città, i terrapieni, i fossi e le praterie, si smaltavano
di margheritine, oracolo a buon prezzo per le fanciulle innamorate. I
mandorli, i peschi, i peri fioriti, ornavano co' loro pennacchi
bianchi e rosei le falde dei colli, non abbastanza inverdite dalle
fronde novelline degli alberi. Rideva tutt'intorno quella giovine
bellezza di natura che il pittore, costretto a cavare i suoi effetti
dalla abbondanza delle frasche, dalle balze sassose, dai campi
biondeggianti, non può ritrarre con efficacia; bellezza che forse
apparirebbe falsa e stonata sulla tela, ma che parla al cuore e lo
soggioga con tutte le grazie innocenti della prima gioventù. Oh
primavera, gioventù dell'anno! Gioventù, primavera della vita!

La carrozza della signora Argellani uscì per via Carlo Felice e via
Giulia, verso porta Romana. La signora Luisa non aveva sulle prime
badato a questo itinerario; ma, come fu alla porta, chiese a Laurenti:

--Perchè non siamo andati per porta Pila? Dove mi conducete voi?

--Vi contento, signora;--rispose Guido.--Mi dicevate un giorno che
sareste andata molto volentieri.....

--A Staglieno; me ne ricordo. Ma ricordo altresì che voi mi avevate
risposto...

--Che non era ben fatto; sì certo, vi ho risposto così.

--Che la vista dal camposanto faceva male;--proseguì la Luisa.

--Sì, anche questo; ma oggi ho mutato pensiero,--disse il giovine,
sospirando--Voi non volete più essere di questo mondo; i consigli
degli amici non valgono a rattenervi, e bisognerà lasciarvi fare a
modo vostro. Andiamo dunque al camposanto, ed avvezziamo gli occhi
alla nuova dimora. Anch'io, signora, sono molto stanco di vivere.

--Voi! e perchè?

Laurenti le rispose con un'altra dimanda.

--Ah, credete di aver voi sola cagioni di rammarico e tedio della
vita? Non tutti i forti dolori si manifestano negli occhi, o si
dipingono sulle guancie.

Così dicendo, chinò la testa sul petto, e non fece altre parole. La
signora Argellani non cercò di riappiccare il discorso, e ambedue
fecero la strada in silenzio, fino al termine della malinconica gita.

Come furono al camposanto, la carrozza si fermò; Guido saltò a terra
ed aiutò la signora a discendere, in quella che il custode della
necropoli, aperto il cancello, si faceva incontro ad essi col berretto
in mano.

Magnifica dimora è il cimitero di Staglieno, e quando sarà finito,
nessun'altra città d'Italia potrà vantare il somigliante per ricchezza
di marmi e di disegno. Tutto quanto il genio capriccioso di un pittore
potrebbe fantasticare per darci immagine di una antica città, arcate
sovrapposte ad arcate, templi, colonne, monumenti sovrapposti a
gradinate gigantesche, giuoco mirabile di linee in prospettiva,
pensile orto babilonese di architettoniche meraviglie, che si innalza
a guisa di piramide sul fianco della montagna, tutto ciò si vede, non
dipinto, non fantasticato, ma vero, ma edificato, scalpellato, a
Staglieno. La morte è maestosa lassù; mirabile effetto del complesso,
dell'armonia del tutto, contemplata da una giusta distanza.

Io non so (e chi può sapere siffatte cose?) che mala fine faranno le
mie ossa. Ma dovunque e comunque io avessi a morire, non vorrei essere
sepolto nel camposanto di Staglieno. Colà lo sfarzo opprime; colà il
solito orpello della vita, la consueta menzogna, vi seguono nella
morte, e non c'è per compenso un filo di verde, di cui un amico,
venendo a salutarvi, possa dire: è succo della sua carne. Per me, ho
sempre sognato una modesta fossa ed una modesta pietra, sulla cima di
un poggio che guardi al mare, a' piedi d'un albero di pino, il mio
albero prediletto, che ho amato da ragazzo pe' suoi frutti che andavo
avidamente sgusciando sul focolare domestico; da giovinetto per le sue
resinose fragranze che mi facevano bello il dimorare nella boscaglia;
da giovine perchè piaceva a _lei_, e più tardi perchè in terre lontane
mi raffigurava la mia prediletta, la mia sacra terra di Liguria.

Così vorrei dormire il sonno eterno, lontano dalle visite cerimoniose
dei viventi e dalla mala compagnia dei defunti. Ma ohimè, quando
morrò, e se morrò nel mio letto, il mio sogno non gioverà a nulla,
anco se confidato alla carta bollata di un testamento. I becchini
verranno a pigliarmi, armati della legge municipale, e mi toglieranno
anche la libertà della sepoltura. _Libertas!_ _Libertas!_ I nostri
padri scrivevano questo motto, insieme coll'arma della repubblica,
sulla porta delle prigioni.

La signora Argellani e Guido Laurenti entrarono sotto le arcate del
cimitero. Luisa non era stata da molti anni colà, e ogni cosa le
sapeva di nuovo. Avvezza poi da qualche tempo ad accarezzare
nell'animo suo il pensiero della morte, quella vista non le strinse il
cuore punto punto, e, sospesa al braccio di Guido, ella si fece anzi a
correre spedita come una giovinetta curiosa che entri per la prima
volta in un bel giardino annesso al palazzo in cui essa ha da metter
dimora.

Cotesto non isfuggiva alla gelosa attenzione del giovine, e il suo
cuore si riempiva di amarezza. Essa è felice, pensava egli, è felice
perchè sente d'essere vicina a morire e non s'avvede, e nulla le dice
che qui, daccanto a lei, c'è taluno che l'ama, e che morirà se ella
muore! Che s'ha egli a dire di quella potenza magnetica che fu
fantasticata svolgersi in raggi invisibili da tutti i nostri pori,
circondare un corpo, un'anima diletta, e stringerla in una cerchia di
arcani effluvii che la inebbriano e la soggettano a noi? Baie di
cerretani! Se questa possanza non fosse una invenzione, la mia volontà
l'avrebbe sprigionata, e a questa donna non balzerebbe ora il cuore
per l'allegrezza, pregustando la voluttà della morte.

Ma se la signora Argellani non sentiva l'influenza magnetica del
braccio a cui era sospesa, ella non istette molto a sentire
l'influenza malinconica delle tombe.

--È un bel luogo--disse ella, dopo aver varcato le prime gallerie--ma
è molto triste. C'è troppa bianchezza di marmi.

--Eh, signora mia!--rispose Guido, crollando la testa.--Ci vuol pure
un po' di lusso, dopo la morte. La menzogna, che ci veste e che ci
guida nella moltitudine dei vivi, dovrà forse fermarsi alla porta del
cimitero?--

In quel momento un gran mausoleo (un mausoleo in tutta la forza del
vocabolo, poichè era la tomba di un re di danari, se non di provincie,
ed era stato eretto da una nuova Artemisia) si parò davanti agli occhi
dei due visitatori.

--Chi dorme là dentro, ch'io non vedo la scritta?--chiese la signora
Argellani

--Un padre di famiglia, o signora. La vedova e i figli inconsolabili
ci hanno speso cinquantamila lire. Gli è un magnifico monumento, in
verità; le statue delle tre virtù teologali sono assai finamente
condotte nel più bel marmo che si scavi a Carrara; quel ritratto è
parlante. Era il banchiere Corradenghi, un uomo savio e liberale, che
fece tanto bene al prossimo. Lasciò venti milioni di sostanza. Poveri
suoi figli, abbandonati in così tenera età dalle cure paterne! La
moglie, poverina, la conoscete voi, quella bionda signora, piccina e
graziosa, che avrà oggi i suoi quarantaquattro anni e l'usufrutto del
patrimonio, sua vita naturale durante? Il bassorilievo è del celebre
Ghisolfi, quel tale che l'accompagna sempre a teatro e a diporto.
L'epigrafe dev'essere stata commessa a quel valente professore del
Federici, ma oramai non si sa come appiccicarla qui, a cagione di un
certo aggettivo _inconsolabile_, che ci starebbe proprio a pigione.--

La signora Luisa chinò il capo a quella infilzata di tristi verità.

--Siete crudele!--disse ella.

--Ma giusto, ma veritiero. Non son mica un'epigrafe, io, e non sono
stato pagato per parlar qui in un modo, e lasciar pensare ed operare
più lunge in un altro. Del resto, non c'è da far colpa a nessuno; tale
il morto, tali i superstiti.--

Qualche lettore schizzinoso dirà che Laurenti poteva tenersi in corpo
le sue considerazioni, dappoichè nella casa dei morti disdice la
satira. Ma a cotesto si risponde: disdirà la satira nel cimitero,
quando non c'entri più il panegirico, nè la bugia. In quanto a me,
narratore fedele, ma anco un tantino mallevadore dei discorsi de' miei
personaggi, non reputo sconvenevoli le note sarcastiche di Laurenti,
imperocchè esse hanno riscontro nella consuetudine di tutti. Una mano
sul cuore, lettori miei, e rispondetemi la verità. Chi di voi, andando
a visitare un cimitero, non è stato tirato a simiglianti
considerazioni, se non forse più acerbe?

Laurenti, poi, ci aveva la sua ragione particolare, a dire la verità
nuda e cruda. Il suo disegno era pietoso, come vedrete a suo luogo.

Egli condusse la signora Argellani dinanzi ad un nome illustre nella
scienza, e là, cavata una bella rosa che aveva tenuta nascosta sotto
le risvolte dell'abito, la depose modestamente sull'urna.

--Che cosa fate?--gli chiese la signora Luisa, guardandolo in volto, e
vedendo una lagrima tremargli negli occhi.

--Mando un saluto ad un amico, ad un maestro. Costui, signora, fu
grande e fu umile. Hanno innalzato un monumento al suo ingegno;
nessuno lo ha fatto al suo cuore, che fu più grande dell'ingegno a
gran pezza. Povero e venerando amico! Vivo, lo avevano fatto
commendatore; si ascoltavano le sue parole come altrettanti responsi;
ed era onore grandissimo accompagnarsi con lui per le vie; ma una
bronchite ha rotto il filo a tutte le ammirazioni, a tutti gli
ossequi. Ossequi ed ammirazioni, si sono raccolti, sdebitati in questo
marmo; l'affetto solo non reputa di avere saldato il suo debito alla
rara bontà dell'animo, che faceva di quest'uomo un consolatore degli
afflitti, la provvidenza degli sventurati. Imperocchè quest'uomo, o
signora, è morto povero in una casa presso che vuota: quello che egli
possedeva, lo avevano i bisognosi; la grande autorità ch'egli avrebbe
potuto mettere a frutto per sè medesimo, fu sempre spesa a profitto
d'altrui.

--Non siate adunque egoista,--soggiunse intenerita la donna
gentile,--e consentite che anch'io metta la mano su questa rosa, per
associarmi coll'animo al vostro tributo affettuoso. Ora voi, colle
vostre parole, mi dimostrate che non è tutto menzogna in questi
luoghi, come avevate detto pur dianzi.

--Ho io detto ciò in forma assoluta? No certo. E poi, anche il mio
ricordo, che cos'è? La virtù di quest'uomo vive nelle mie ricordanze,
ma come una pallida immagine del passato. Io, che l'ho amato come un
padre, io vivo senza di lui, non sento la necessità di stargli
daccanto. Gli altri, poi, e parlo dei buoni, leggono le sue opere, ma
non hanno bisogno di salutar vivo l'autore. Vengono qui a caso,
guardano con reverenza la sua tomba, e poi se ne vanno a desinare,
forse un tal po' melanconici, per la visita fatta alla casa della
morte, ma senza mandar giù un boccone di meno. Questa è la morte, o
signora, e questa è la vita.--

Fecero alcuni passi in silenzio, chè ognuno dei due ci aveva da
meditare su quel tema. Là presso era una porta, che metteva, per un
ampio giro di scale, ad una galleria superiore. E per di là Guido fece
salire la signora, affinchè ella cansasse la fatica di una lunga rampa
all'aperto.

Sull'ultimo pianerottolo di quella scala, si apriva lateralmente una
di quelle gallerie chiamate, con nome latino, colombarii; lunga
sequela di nicchie aperte nei fianchi delle pareti, nelle quali si
mettono le casse, e che poi si chiudono con un accoltellato di
mattoni, sul quale si dà l'intonaco, e si appiastra l'epigrafe col suo
numero d'ordine. Questa dei colombarii è la forma più triste della
morte.

La signora Argellani, guidata dal medico, entrò nell'aria soffocata
del colombario, e le si strinse il cuore alla vista di quella bassa
vôlta, di quelle pareti le quali parevano doverla opprimere, man mano
che si fosse inoltrata in quell'andito.

--Ohimè!--disse ella, guardando compassionevolmente quelle
nicchie.--Come si ha da stare a disagio qui dentro! E non c'è fiori,
non ghirlande, che dimostrino il memore affetto dei parenti e degli
amici, a questi poveri rinchiusi!

--Che volete, signora? Si dimentica presto. C'è un'ora di viaggio, a
venire fin qua.

--Ah, ecco delle foglie secche;--soggiunse ella;--gli avanzi di un
mazzolino!

--Povera Caterina!--esclamò Guido, fermandosi a guardare là dove s'era
fermata la signora.

Gli occhi della Argellani corsero allora a leggere l'epigrafe.

--Ah!--disse la donna gentile.--È qui la Caterina Stella?

E rimase immobile a guardare la nicchia, in atto di chi medita, col
mento raccolto tra il pollice e il medio, il gomito stretto al seno, e
l'altra mano penzoloni lungo le pieghe della veste.

Guido stette taciturno un tratto a contemplare quella statua vivente
della meditazione, e indovinando i tristi pensieri che le ingombravano
la mente, si fece daccanto a lei, parlandole in tal guisa:

--Sì, la Caterina Stella. Eccola lì, dietro questa parete sottile, tra
quattro assicelle di quercia. Oltrepassate questo muro, spiate tra le
fessure di quelle tavole cogli occhi della mente, e la vedrete, la
Caterina Stella, il cui casato era così leggiadro tema di bisticci,
foggiati a complimento. I suoi capegli d'oro, pari a quelli di madonna
Laura, cantati da nuovi Petrarca, dipinti da un altro Simon Memmi,
sono là entro, disciolti, senza la natìa lucentezza, corrosi dal
tarlo. Quel volto ovale, quella bianchezza mirabile di carnagione,
quegli occhi che mandavano faville..... non c'è più nulla! Vi
ricordate della Caterina Stella ne' suoi bei tempi? C'era ressa di
adoratori dintorno a lei, sebbene il marito fosse geloso come una
fiera, e minacciasse pur sempre di mordere. Il Riccoboni lo dicevano
il preferito tra tutti i suoi cavalieri, sebbene il Cigàla avesse
avuto tre duelli per lei, e sebbene il Grandi, a chi ne parlava,
dicesse con una certa sua aria misteriosa che le erano tutte
chiacchere. Ella avrebbe forse trentadue anni, se vivesse; e sono già
otto anni che la è qui povera Stella senza luce, povera Pleiade
scomparsa dal firmamento! Io vengo qualche volta a vederla, e ho
sempre notato che ella non ha mai avuto un fiore da nessuno, ella che
ne riceveva tanti, il dì della sua festa, il 19 di Maggio! Nessuno de'
suoi tanti adoratori, neppure quel tale che per lei si aperse nel
petto una ferita, dichiarata risanabile in quaranta giorni, vien qui a
piangere sulla tomba di lei, di lei che li aveva tutti quanti sotto il
suo palchetto in teatro, pronti a raccogliere e voltare a sè ognuna
delle occhiate che ella mandava sbadatamente in giro, o posti in
sentinella sotto le sue finestre per cogliere il momento che ella si
facesse a sollevare lo sportello della gelosia.

--E questi fiori secchi?--dimandò la signora Argellani.

--Sapete chi li ha posti qui?--disse Laurenti.--Il marito. Squallido
come un tronco d'albero sul quale sia caduta la folgore, il solo
amante vero che ella abbia avuto, fu lui. Gli altri tutti, allegro
stuolo di farfalle, si sparpagliarono per l'aria. Egli in cambio, ogni
anno, ogni mese, ogni settimana era qui, presso la sepoltura di sua
moglie, e qui l'ho veduto entrar io molte volte. Ma oggi, anche lui
s'è stancato, ed ha chiamato un'altra compagna sotto il vedovo tetto.
Il suo dolore ha vissuto sette anni, e non ha potuto durare più a
lungo neppur esso. Chi la ricorda più, ora, la povera Caterina dai
capegli d'oro? Io, a caso, venuto qui insieme con voi. Tra i viventi
che si accarezzano e si addentano laggiù, in quel popoloso centro di
affetti e di rancori, la sua immagine non torna più alla mente di
nessuno; il suo nome non è più sulle labbra di amici o di nemici; ella
è morta due volte. Chi pensa all'orma sua sul selciato di Via Nuova, o
sul battuto dell'Acquasola? Ah, bella cosa, in fede mia, bella cosa il
morire!--

La signora Luisa era rimasta grandemente turbata da quel discorso
doloroso del suo medico; ma l'ultima frase la scosse.

--E perchè no?--disse ella.--Bella cosa, pur sempre!

--Sì,--incalzò Laurenti,--bella cosa davvero! Con questa luce che
splende fuori, voi sarete qui, rinchiusa in uno di questi androni,
soffocata in una di queste nicchie, col capo da questa parte e i piedi
dall'altra. Non vedrete più la terra, il mare, i fiori, sorriso di
Dio. Qui sempre, sola, sola! Una volta all'anno, le cerimoniose usanze
del mondo tireranno quassù un branco di curiosi viventi, che non
volgeranno nemmeno uno sguardo su voi; gente felice, o distratta,
dimentichevole sempre, che verrà a fare la sua passeggiata, e sarà
molto, imperocchè i cento presenti faranno pensare ai centomila che
stanno lontani. Se i morti pensano, se l'anima loro rimane e in
qualche modo si dà pensiero del suo abito logoro, e' debbono pure
dolersi di aver posto il loro affetto in cuori di sasso, di aver
sudato per figli ingrati, di aver patito per chi non rammenta più che
fossero nati. E allora che pensieri, che amarezze, nella notte di
quelle nicchie sconsolate! Addio, Caterina dai capegli d'oro! Io non
ho mai vegliato sotto le vostre finestre, non ho mai desiderato uno
de' vostri sguardi fiammanti; pure, non vengo mai al camposanto, senza
salire quassù, a salutarvi e portarvi le novelle degli uomini che vi
hanno dimenticata.--

Ciò detto, Guido si volse alla donna gentile che stava ad udirlo.

--Ed ecco, o signora, per chi spesso si muore. L'amore.... bella cosa!
Pigliatevi il fastidio di morire per cotesto, di lasciare il sole, i
supremi diletti della intelligenza, le ineffabili consolazioni della
fede, della carità, della speranza, il gusto delle arti, la curiosa
investigazione delle scienze, la ricerca delle anime buone che
intendano la vostra, e colla vostra facciano manipolo contro il volgo
profano! Il Nume, a cui v'immolate, merita davvero il sacrifizio di
questi nonnulla!--

--E le vostre consolazioni non tradiscono del pari? La ricerca delle
anime buone non conduce ella forse di sovente in inganno?

--Sì, di sovente; ma chi cerca trova; gli inganni sono fermate, sono
ostacoli, che non debbono disanimare i generosi, come il mal esito di
uno sperimento non disanima il cultore della scienza. Del resto, il
paragone tra l'amore e le altre consolazioni di cui vi ho parlato, non
corre. Lo scienziato che studia, non si avvilisce punto per aver
fallita la strada; l'uomo che ha errato nel giudicare degli altri, non
si disonora a sperare che nuovi amici valgano meglio dei primi;
laddove nelle cose di amore, segnatamente per le donne, il cercar
molto, il far troppi sperimenti, conduce alla abbiettezza. Ma, appunto
perchè non si possono moltiplicare le prove, appunto perchè bisogna
starsene alle prime, non s'ha nemmanco a sentenziare sommariamente e
condannarsi da sè a scontar la pena di un errore. Gli affetti mal
posti, quando si riconoscono tali, contristano; ma non dobbiamo
altrimenti lasciarci sopraffare; tanto più che l'amore, considerato in
sè stesso, non è punto necessario alla vita.

--Dite da senno?

--Del migliore ch'io m'abbia. Anche in me, per avventura, la pratica
potrà romper guerra alla teorica; ma, ch'io ami o no, non rileva, non
toglie nulla alla bontà della tesi. E la mia tesi è questa, che si può
vivere senza amore, che fuori dell'amore v'hanno gioie sublimi,
altissimi conforti. Nè già pretendo che ognuno abbia ad intenderla
così. Tutti vogliono provare, ed hanno diritto a provare. Ma io parlo
per le anime inferme, che hanno provato e patito. L'amore non deve
uccidere; non si ha da sacrificare a lui l'esistenza. Io lo considero
come uno dei colori che compongono l'arcobaleno della vita, come un
elemento che affina le anime, iniziandole al dolore ed alla pietà. Ma,
passato l'amore, grandi cose rimangono ancora; rimane, verbigrazia, la
carità, questa altissima tra le passioni, che ha tante forme, tante
diramazioni quante sono le forme, i meati, della operosità umana.--

La signora Argellani era fortemente commossa. Il luogo, le dolorose
sensazioni, il parlare tra sarcastico ed affettuoso, tra sdegnoso e
malinconico, del giovine Laurenti, avevano destato un tumulto di
pensieri, una vera rivoluzione nel suo spirito infermo.

Erano intanto usciti all'aria aperta, ed ella si era seduta su d'uno
scaglione presso un cortiletto, dov'era la postierla del camposanto,
che mette alla viottola sul dorso della montagna. Là seduta, la donna
gentile stava raccolta in sè stessa, quasi ad udire il suono delle
vigorose parole di Laurenti nel profondo della sua anima, suono che
svegliava tanti echi e destava tante voci confuse.

Dopo una breve pausa, Guido si mosse, e nelle zolle erbose che
facevano tappeto a' piè di un muricciuolo, colse una margheritina, che
portò alla signora Argellani.

--Sarà,--disse egli--un ricordo del cimitero che porterete in città.

--E voi,--si fece ella a dire, seguendo il filo dei pensieri che
internamente rivolgeva, in quella che pigliava il fiorellino dalle
mani del giovine--non avete nessuna memoria qui dentro?

--Nessuna, salvo quel venerando amico che vi ho detto.

--Non una donna?--proseguì la signora Luisa.--E che cosa venivate così
di sovente a far qui?

--A passeggiare. Le urne fanno bene allo spirito, anche quando non
siano tutte urne di forti. Venivo qui a passeggiare, a pensare, per
tutti coloro che non pensavano punto.

--Credevo che solo una morta avesse potuto tirarvi qua.....

--Una morta..... sì c'è stata una donna morta, ma non della morte
materiale; però essa non dorme nel cimitero. L'ho sepolta
qui....--così dicendo, Guido accennava il cuore--e la pietra, che vi
ho posta sopra, non s'ha più da smuovere.--

La signora Luisa, a queste parole, alzò gli occhi per guardare in
volto Laurenti, e, per la prima volta, nel suo medico, nell'amico,
vide un fratello nel dolore.

--E perchè--chiese ella--non discacciarla del tutto dal vostro cuore?

--No, signora; bisogna ricordar sempre. Perdonare è da generoso;
dimenticare è da stolto. Ricordare dunque, ma non morire, perchè non
abbiano a riderne gli sciocchi.

--Potreste aver ragione;--soggiunse ella, con aria pensierosa.--La
morte è assai brutta qua entro.--

Un lampo di gioia balenò negli occhi di Laurenti, ma la signora
Argellani non se ne addiede.

--Andiamo via--disse ella, poco stante, al suo compagno.--Mi sento
oppressa da quest'aria di tomba.--

Laurenti fu sollecito ad accompagnarla verso la porta, che era chiusa
da un semplice saliscendi.

--Andiamo in giù per la viottola--le disse egli--e non avrete a rifare
la strada in mezzo al marmo e alle croci.--



XV.


La loro comparsa sul limitare, disturbò i negozii ad un crocchio di
fanciulli che stavano là giuocando per terra, raccogliendo sassolini
sopra cocci di stoviglie e pezzetti di lavagna, sucidi, scalzi,
moccicosi, coi capegli arruffati, le vesti sbrandellate, come è
agevole argomentare di ragazzaglia del contado, ma tutti pieni di
salute e allegri come passere.

--Ecco la vita daccanto alla morte!--esclamò Laurenti.--La filosofia
filtra i suoi esempi dappertutto.

I marmocchi s'erano levati in fretta, e due più grandicelli, e per
conseguenza più ruvidamente soggettosi, giuocarono di calcagna, lesti
come ramarri all'avvicinarsi dell'uomo.

--Che bel bambino!--disse la signora Argellani, adocchiandone uno, che
era rimasto fermo, e che era meglio in arnese degli altri.--Come ti
chiami?

Il fanciullo non rispose, e spalancò i suoi occhi azzurri per guardare
la bella signora.

--Via, sii buonino! Come ti chiami?--ripetè ella, accarezzandolo.

--Non lo so--borbottò il fanciullo, dimenando le spalle e chinando gli
occhi sopra un coccio che teneva tra mani.

Ma la signora Luisa, a cui quella scena campestre risvegliava nel
cuore quella passione pei bambini che tutti sentiamo, segnatamente
quando non ne abbiamo dei nostri, volle averne l'intiero e proseguì:

--Vuoi venire a star con me?

--No!--rispose asciuttamente il fanciullo.

--E perchè? Ti metto forse paura?

--No!--ripetè egli, che quella parola la sapeva dire per bene.

--E perchè dunque non vuoi venire con me?

--Perchè voglio stare con mia madre.

--Carino! E dov'è tua madre?

--È in casa.

--E dov'è la casa?

Il marmocchio, stretto da tutte quelle dimande, non rispose più nulla.

--Prendi;--entrò a dire Laurenti.--Questo lo porterai alla mamma.

E gli messe in mano uno scudo. Il ragazzo lo guardò; parve paragonarlo
col coccio, poichè lasciò tosto cadere quest'ultimo, voltando e
rivoltando invece con molta curiosità quel nuovo balocco che gli
luccicava tra le dita; poi si mosse per andarsene, dando ragione a
quello scettico che lasciò scritto:--«volete levarvi uno dai fianchi?
dategli in mano cinque lire.»

--Come si dice, Giovannino? Fa una riverenza al signore e alla
signora, e di' loro: grazie tante!--

Queste parole erano dette da un nuovo personaggio, di genere
femminino, cioè dalla madre del ragazzo, che era capitata allo svolto
della viottola, chiamata colà dai fuggiaschi.

--Grazie!--borbottò Giovannino, udendo la voce della madre, presso la
quale fu sollecito a ricoverarsi.

--È vostro figlio?--chiese la signora Argellani.

--Sissignora; e scusi se gli è un orso. Ma quando gli è in casa parla
anche troppo. Che cos'è questo? che cos'è quest'altro? E giù una
litania di domande e di ciarle, che m'introna la testa.

--È un bel biondino, e vi somiglia di molto.

--Oh, non lo dica, per carità; gli è tutto il suo povero padre.

--Siete vedova?

--Per mia disgrazia, sì.

--Oh, poverina! Ed è molto?

--Saran tre anni a San Giovanni Battista, e al mio piccino, che allora
lo portavo ancora nel seno, ci ho voluto mettere il nome. Oh, beati
Loro, che li hanno qui, i loro morti da vedere. Io, disgraziata, non
posso nemmeno andare a dire un deprofundis sulla tomba del mio povero
Sandro.--

E così dicendo, la contadina si asciugò due grosse lagrime col lembo
del suo grembiale.

--Dove è morto?--chiese Laurenti.

--Lassù, per l'Italia, a San Martino. Oh, me lo aveva detto, quando lo
richiamarono sotto le armi: «Maddalena, non ti vedrò più, e morirò
d'una palla, o d'inedia, lontano da te.» Ed io allora: «Che hai,
Sandro? Non ti accorare; tornerai. Fatti onore...» E mi scoppiava il
cuore a dirgli così, proprio come mi scoppia adesso che me ne ricordo.
E lui a dirmi: «Ama mia madre e mio padre, poveri vecchi, che ti hanno
sempre voluto bene, come se tu fossi la loro figliuola. Ama nostro
figlio, e se io non debbo vederlo, non gli dare un altro padre, che
metta le mani addosso al mio sangue...» Oh, poveretto, così buono! Il
dì ch'io avessi a sposarne un altro, vorrei morire maledetta, e non
andar nemmeno a riposare nel sagrato.

--Sarà morto da valoroso, il vostro Sandro...

--Oh per questo, sì certamente, e ci ho accanto al letto la sua
medaglia al valor militare, che se l'ha guadagnata appunto quel
giorno. Il signor sindaco, a cui l'ha mandata il colonnello, ha voluto
venire egli stesso, per sua grazia, a portarmela... Oh, mio povero
Sandro! La mi pareva bagnata del suo sangue, quando l'ho vista, e sono
caduta come morta sul pavimento.

--Povera donna!--mormorò la signora Luisa, voltandosi a
Laurenti.--Guardate; il dolore la rende anche più bella. Suvvia, buona
Maddalena, fatevi animo; mirate il vostro bambino, che a vedervi
piangere, fa greppo egli pure. Accompagnatemi a casa vostra, se non è
lunge; berrò volentieri un bicchier d'acqua, e mi siederò, perchè sono
stanca oltremodo. Mi consente il mio medico, di bere un bicchier
d'acqua?

--Sicuramente, e' non c'è nessun male.

La Maddalena si rasciugò le lagrime e si fece con rispettosa
sollecitudine innanzi alla signora Argellani, per additarle il
cammino, lieta e superba dell'onore che le faceva quella gran dama.

Era una bella giovane, la Maddalena, e certo essa non lo ignorava.
Sandro glielo aveva detto le tante volte, prima di condurla in moglie,
e non rifiniva di dirglielo tutti i giorni; più tardi, gliene faceva
testimonianza il ronzar continuo di certi mosconi intorno alla villa e
qualche stornello cantato di nottetempo nella viottola, che a lei
faceva alzare disdegnosamente le spalle tra le lenzuola. Ma, se ella
sapeva di avere un viso piacente, non sapeva per fermo come fosse
elegante la sua persona, come il taglio della vita fosse aggraziato,
il piede fatto al tornio, le mani piccine, la carnagione finissima,
sebbene il sole l'avesse un tal po' abbruciacchiata e sparsa di minute
lentiggini.

Simiglianti bellezze non sono rare nei pressi delle grandi città. E'
si direbbe che il tipo della bellezza, gelosamente custodito dalla
tradizione, accarezzato dall'ozio, rammorbidito dalla frescura,
rinfrescato mai sempre dagli esemplari del buon gusto e da tutte
quelle misteriose affinità che ne governano la riproduzione nei centri
popolosi, spiri alcunchè della sua arcana virtù nelle circostanti
campagne, sicchè le rustiche madri, come le cavalle di Erittonio,
secondo narra Omero, fecondate da Borea, partoriscono talfiata di
cosiffatte Veneri campestri che il pittore girovago ammira, e si
affretta a ritrarne la fuggitiva immagine nell'albo, e che il
cacciatore contempla, dimenticando i tordi e le quaglie, troppo spesso
assenti dalle nostre colline.

--Siete bella, Maddalena!--le disse la signora Luisa, appoggiandole
amorevolmente il braccio sulla spalla.

--Oh! Vossignoria dice per celia!--rispose Maddalena.--Ella, sì, può
tenersene, che è bella come la Madonna. Ma, La mi scusi, veh! se metto
la lingua dove non istarebbe a me. Ella ha da far del moto, stare
allegra, perchè mi pare che La non s'abbia riguardo.--

Luisa sospirò e non rispose.

--Brava, Maddalena, ditegliele anche voi, due ragioni in croce!--gridò
Laurenti che veniva dietro, dando la mano al Giovannino, suo amicone
dopo la faccenda dello scudo.

Frattanto erano giunti dinanzi ad un rustico portone, sull'arco del
quale c'era una Madonna nella sua nicchia, colla scritta _Salve_,
_solve_, _salva_, miracolo di epigrafia bisticciosa di qualche
letterato secentista. Maddalena, fattasi da un lato, introdusse
gentilmente i suoi ospiti per un sentieruolo sassoso, il quale
s'inerpicava tra due file di macìe, coronate di ulivi e peschi
fioriti, fino alla casa colonica, dov'ella abitava.

Daccanto all'uscio di quella casa, e sopra un ceppo d'albero, segato a
mo' di sedile, stava a soleggiarsi un bel vecchio, dal volto arsiccio,
incorniciato da due ciocche di capegli bianchi, che gli uscivano dalla
risvolta di una berretta di lana rossa, e cadevano sui larghi solini
arrovesciati di una camicia bianca, il cui sparato lasciava scorgere
le corde vigorose del collo e il sommo del petto villoso. Egli se ne
stava là, colle spalle appoggiate al muro, e le braccia incrociate,
che uscivano abbrustolite dalla rimboccatura delle maniche, a guardare
le persone che salivano il sentieruolo; ma come la signora Luisa fu
giunta al ripiano della casa, si levò da sedere, e cavatasi la
berretta, fece un profondo inchino.

--Buon giorno a Vossignoria;--disse egli, con quella facile cordialità
rusticana che par zotichezza ai pratici del nostro riguardoso
galateo.--Ella ha fatto bene a venirsene un tratto quassù. C'è alto
come in Paradiso; ma quando ci si è, con sua licenza, non si direbbe
mai di andarsene via.--

--Padre,--disse Maddalena al suocero,--la signora è venuta a bere un
bicchier d'acqua e riposarsi un tantino.

--Vino! Oh, ce ne abbiamo del buono, grazie al cielo, quantunque le
annate siano scarse. E non fo per dire, ma ce n'ho un barlozzo di quel
bianco, che è passante come l'acqua, e a berne un dito, prima di
desinare, fa venir l'appetito. Mariangela! Mariangela! Fatevi innanzi!

--Vengo, vengo;--rispose una voce di dentro.

--Non vi state a pigliar fastidio per me;--disse la signora
Argellani--non chiedo che un bicchier d'acqua.

--Gli è un po' sordo, signora,--disse Maddalena,--ed è l'unico difetto
del mio bravo suocero.

Poi, accostandosi al vecchio, gli disse a voce alta:

--La signora vi ringrazia, padre mio, ma non vuole che un po' d'acqua.

--Ah!--soggiunse egli, ridendo,--l'acqua è buona, e fa gli occhi
belli. La nostra è di fontana, e l'appanna il vetro come i sorbetti.
Io preferisco due dita d'acqua rossa, perchè son vecchio, e il vino,
con sua licenza, è il latte dei vecchi. Mariangela, andate ad empir la
brocca alla fontana del Coppo!

--No, vado io,--disse la Maddalena che già usciva di casa colla brocca
in mano.

Mariangela, una vispa donnina sui sessanta, degna Bauci di quel
Filemone, era intanto venuta fuori con due sedie per la signora e per
Laurenti; ma egli diede la sua a Luisa, perchè stesse più a suo agio,
appoggiando i piedi sulle stecche, e andò comodamente a sedersi
sull'erba, di riscontro a lei, presso il primo palo di un anguillare
di viti.

Poco stante, la bella Maddalena fu di ritorno coll'acqua, e,
risciaquati i bicchieri, ne offerse alla signora Argellani e a
Laurenti. Quell'acqua meritava davvero gli elogi del vecchio. La
fontana del Coppo, anzi il Coppo, come dicevasi per brevità, godeva di
una fama di freschezza singolare a dieci miglia discosto.

Mentre bevevano, e Guido anzi si faceva empir da capo il bicchiere, il
Giovannino era andato a ficcarsi tra le ginocchia del nonno, per
mostrargli lo scudo.

--Bella moneta!--esclamò il vecchio. Ce ne vogliono cinquanta di
queste, tutti gli anni a San Michele, per pagar la pigione. Quando
c'era tuo padre, le si raggruzzolavano più presto; due mesi di viaggi
a Genova, colle ortaglie e le frutte, e si metteva anche qualcos'altro
di costa; ma ora....

--E non ho buone gambe da andarci io?--disse la nuora.

--Che! ti pare? una bella e delicata creatura come sei tu, Maddalena,
far di queste corse tutte le sante mattine? Si guadagnerà meno; si
farà anche un po' di digiuni, oltre quelli che la Chiesa comanda, e
non ci si pensi più. Il Santo poi non è un cattivo giovine, e quando
può, non tralascia di andare.

--Chi è il Santo?--chiese la signora.

--È un brav'uomo,--rispose Maddalena,--un povero trovatello che mio
suocero ha tolto con sè, per fornire i lavori più gravi, che egli, co'
suoi sessant'anni sulle spalle, non potrebbe più fare. Ah, quando ci è
mancato il Sandro, si è perduto ogni cosa.

--E come vanno le vostre faccende?

--Non bene, signora. I tempi sono grami; le raccolte scarseggiano, e
non c'è punto riprese. La vigna ci ha la maledizione addosso: gli
ulivi anch'essi hanno dato poco frutto nell'ultima annata; delle
ortaglie si è cavato qualcosa, ma non già come ai tempi del Sandro.
Egli si alzava per tempissimo; correva a Genova in quattro salti;
faceva buon negozio, e tornava ancora a tempo per tutto il rimanente.
Non è vero, padre mio? Guadagno scemato, e spesa più grande!

--Grande! Sì! è grande, la villa--disse il vecchio, che stava attento
a raccogliere il più che potesse delle parole di Maddalena--è troppo
grande oggi, e mi fa sentire quelli che mancano.

--Consolatevi, buon padre!--gli disse la signora, tirandolo dolcemente
a sè, per parlargli nell'orecchio;--il Sandro vi manca, ma avete
acquistato una buona figlia.

--Oh, quanto a questo, la dice una verità sacrosanta. Maddalena lavora
per due, e poi, vuol bene ai suoi vecchi, e Dio la benedirà. O che,
crede che io non le capisca, certe cose? Gli orecchi non mi servono
più molto, ma gli occhi vedono meglio e più lontano di prima. Bella
com'essa è, i partiti le fioccano attorno, ma essa non vuol saperne, e
lascia che cantino.

--Padre, padre,--gridò intenerita la bella nuora, facendosi rossa come
una brace,--e potreste credere che io lascierei, anco per tutto l'oro
del mondo, la casa del mio Sandro, di lui che mi ha voluto tanto bene?
Veda, Vossignoria; qui tutto mi fa ricordare di lui. Qui, dov'Ella è,
Sandro stava seduto a far sempre qualcosa, quando ci aveva finita la
sua giornata.... Ed erano faticose le sue giornate! Quando egli aveva
sudato pei campi fino a sera, e' non aveva anche finito, ma dava
l'acqua pei solchi dell'orto. E' non erano che sassi, e lui a furia di
sudore, li ha fatti diventare una buonissima terra, dove si ricava il
meglio del podere. E questo bel filare di viti, chi l'ha messo, se,
non lui?....

--Va a prendere il ritratto del Sandro e la sua medaglia, che la
signora veda!--interruppe il vecchio, che aveva capito tutto, parte
udendo, colla mano raccolta intorno all'orecchio, e parte indovinando
ai gesti e agli atti della nuora.

Maddalena non se lo fece ripetere, e corse in casa per spiccar l'uno e
l'altra dalla parete.

La signora Argellani prese in mano il ritratto, e si fece a
contemplarlo insieme con Laurenti. Il Sandro era vestito da sergente,
del settimo reggimento di fanteria, e a malgrado delle basette che gli
coprivano il labbro superiore, e della disparità degli anni, si vedeva
che Maddalena non aveva detto bugia a sostenere che il Giovannino era
tutto suo padre.

--Era sergente?--esclamò Guido.

--Sì, e avrebbe anche potuto diventare ufficiale, perchè sapeva
leggere e scrivere;--s'affrettò a rispondere la vecchia madre.--Quando
ei ci ha mandato il ritratto da Milano, ci ha scritto una lettera, che
tutti ne hanno fatto le maraviglie. Il mio povero figlio!....

E ciò detto, la vecchia andò a sedersi sulla soglia, nascondendo la
fronte tra le mani.

La signora Luisa intanto s'era posta a guardare la decorazione.

--Or bene, che ne pare a Vossignoria?--disse il vecchio.--Se l'ha
guadagnata, il Sandro! Non le davano mica a tutti, allora!....

--E come l'ha avuta!

--Oh lo abbiamo saputo da un suo compagno;--prese a dire la
Maddalena--e' pare che in quel giorno le cose non andassero molto
bene, e il re aveva detto: «figliuoli, o facciamo noi San Martino
lassù, o i tedeschi vengono a farlo da noi». Allora il capitano della
compagnia disse: «ragazzi, c'è quel cannone lassù, che seguita a fare
un fuoco indiavolato. Sei uomini di buona volontà per andare ad
impadronirsene, e fo avere la medaglia a tutti». Chi saltò fuori il
primo? Sandro. Piglia con sè i primi che escono dalle file, e li
conduce dietro ad un ciglio di terra, fino a cinquanta passi discosto
da quel maledetto cannone. La mitraglia rompe fuori, e si spande con
fracasso. Uno casca morto, due altri si trascinano carponi; ma il
Sandro, con gli altri due, corre addosso al cannone, lottando
disperatamente contro i cannonieri, a colpi di bajonetta e di calcio,
come venivano meglio. Insomma, il cannone fu preso, ma Sandro era
ferito a morte, ed ebbe appena il tempo di alzare il cappello sulla
punta della baionetta, facendo cenno ai compagni di affrettare il
passo, e gridare: viva l'Italia!--

Qui Maddalena si fermò, e diede in uno scoppio di pianto.

--Maddalena! Mariangela!--gridò il vecchio contadino.--Vi ho già detto
che non voglio veder piangere nessuno. Viva l'Italia! L'ha gridato mio
figlio, e lo griderò anch'io. L'Italia mi ha preso il mio Sandro, ma
ora nessuno verrà più a metterci i piedi sul collo. Ero ragazzo,
quando vennero qui inglesi e francesi a far le fucilate su queste
montagne, e mangiavano e bevevano senza pagare lo scotto!.....--

Quel povero vecchio l'aveva trovata egli, la buona ragione. I mali
della servitù gli avevano fatto intendere i pregi della libertà;
specie di argomentazione _ex absurdo_ che valeva tutti i ragionamenti
_a priori_ del mondo.

Guido Laurenti era commosso da quella magnanima semplicità. Là, in
mezzo alla gente dei campi, aveva trovato l'idilio e l'elegia; ma
certo e' non pensava di averci a trovare per giunta l'epopea.--Voi
ragionate dirittamente;--andò egli a gridare all'orecchio del
contadino,--ma io penso che non andrete molto d'accordo col parroco.

--Oh, dica Don Venanzio quel che gli pare; le sue ragioni non
m'entrano. Dio ha fatto la terra per gli uomini e gli uomini per la
terra. Ognuno ha da essere padrone in casa sua. Questa è la mia
opinione; e poi, male non fare, paura non avere.

E il vecchio contadino, inconsapevole apostolo della religione
naturale, si andò a sedere sul suo ceppo d'albero, come un uomo, se
non per avventura contento di sè, certo tranquillo nella coscienza.

--Animo, buona madre; animo, buona moglie!--disse Laurenti alle
donne.--Pigliate esempio dal capo di casa, e non istate a piangere;
pensate a questo piccino, immagine di Sandro, che verrà uomo a sua
volta, e sarà un bravo figliuolo come suo padre.

--Lo spero bene;--soggiunse Maddalena.--E' va già a scuola, ed ha
molto amore allo studio.

--Davvero, Giovannino? Vai già a scuola? Sai leggere?

--Conosce le lettere;--rispose Maddalena,--alla sua età, è già molto.

--Orbene, leggi un po' qui!--disse Laurenti, cavando di tasca un
taccuino, e scrivendovi un verso colla matita, a lettere
maiuscole.--Che cos'è questo?

--Elle!--rispose il bambino.

--Bene; e questo?

--U, Lu....

--Ma benissimo! Sai già compitare?

--I... Lui... esse... a... sa... Luisa!--proseguì il marmocchio, più
contento di Archimede, quando ebbe a gridare il suo storico Eureka.

--Ma bravo Giovannino!--gridò Laurenti, ammirato.--Eccoti un altro
scudo. Luisa; sì, proprio, Luisa!

--È il nome della signora?--chiese Maddalena.

--Sì;--rispose Laurenti, non senza arrossire un tantino.

Maddalena si accostò al vecchio, che stava contemplando la scena,
senza capirne un'acca, e gli disse all'orecchio:

--Giovannino ha letto il nome della signora, che si chiama Luisa.

--Riverisco la signora Luisa;--soggiunse il vecchio.--E il suo signor
marito come si chiama?

Così dicendo, il vecchio accennava del gesto Laurenti; e i lettori
argomenteranno di leggieri come questi si facesse rosso a quella
dimanda. Guardò in viso la signora, e anch'ella, non potendo
arrossire, appariva fortemente turbata da quell'errore innocente.
Laurenti, allora, dopo averle dato una seconda occhiata, colla quale
pareva volesse chiedere scusa, si volse a Maddalena e le disse:

--È in errore vostro suocero; la signora Luisa non è che mia sorella.

Maddalena stette un tratto incerta (sono così perspicaci le donne!),
poi ripetè al vecchio le parole di Laurenti.

--Ah, mi scusino le Signorie Loro;--disse il vecchio
contadino.--Credevo proprio che fossero marito e moglie. Che bestia!
Dovevo bene accorgermi che si rassomigliano. E si vorranno bene, a
quanto pare. Egli è ben fatto, amarsi tra fratello e sorella.... Un
fratello e una sorella, sono, con loro licenza, come il palo e la
vite.

--O come l'olmo e l'edera;--mormorò Laurenti, tanto che potesse udirlo
la signora Argellani.

La signora sorrise dolcemente dell'errore del vecchio, della
spiegazione trovata e della considerazione del suo medico; poi, come
per rompere quella conversazione che traeva al difficile, volse la
parola al fanciullo:

--Giovannino, tu dunque non vuoi venire con me?

Il fanciullo stette zitto, dondolandosi nel suo solito modo.

--Suvvia, rispondi!--entrò a dirgli la madre.--Vuoi andare con questa
bella signora?

In cambio di rispondere, anzi forse per rispondere meglio, il
Giovannino si aggrappò alla veste di Maddalena.

--Lasciatelo stare, Maddalena; egli non mi ama punto.

Cotesto non pensava il fanciullo, e lo significò facendo greppo a
quelle parole della signora Argellani, che lo abbracciò teneramente,
non badando alle sue vesti di seta perlata che a quella stretta non ci
guadagnavano per fermo.

--Manco male!--disse ella.--Tu dunque mi ami un pochino. E verrai
colla mamma a trovarmi?

--Sì, sì!--gridò Giovannino rasserenandosi in viso e battendo le
palme.

--Ti darò delle chicche; ti comprerò un bell'abitino pel dì delle
feste, e dei libri colle immagini, per imparare a leggere.

Fu quello il colpo di grazia per la ritrosia del fanciullo. Ma egli
ricordava lo scudo di Laurenti, il quale non era di là da venire, come
le chicche, l'abitino e i libri; e la sua gratitudine si manifestò con
una dimanda che risguardava appunto il generoso donatore.

--E questi ci sarà?

--Come, questi?--gridò Maddalena.--Ti saresti per avventura allevato
con lui? S'ha a dire questo signore; hai capito?

--Sì, ci sarò anch'io;--soggiunse Guido temperando l'effetto del
rimprovero materno con una carezza.

--Carino!--proseguì la signora.--Fate che vada sempre a scuola,
Maddalena, e portatemelo qualche volta a Genova. Vi lascerò il mio
nome e il mio ricapito. Signor fratello, scriveteglielo voi su d'un
pezzetto di carta.

Sorridendo di quella parentela che egli stesso le aveva imposta,
Laurenti cavò il taccuino, e spiccandone un foglietto, vi scrisse il
nome della signora col ricapito della palazzina gialla. Ciò fatto, la
signora Argellani si alzò per accomiatarsi da quella buona famiglia.

--Ora, disse Maddalena, se Vossignoria non si è annoiata nella
compagnia di povera gente come noi, venga a trovarci qualche volta.
L'aria è così buona quassù, e non potrà farle che bene!

--Sì, grazie, verrò;--rispose la signora, ed aggiunse a voce più
sommessa, come parlando tra sè medesima:--se pure non dovrò venirci a
stare per sempre.

La contadina udì le parole e indovinò il senso riposto; però,
afferrando con impeto affettuoso le mani della gran dama, si fece a
ragionarle così:

--Che dice Ella mai? Perchè queste tristi parole? Vossignoria ha da
vivere, perchè è giovine e bella, ha da vivere per esser felice e far
gli altri felici. Sono rari già troppo i buoni, a questo mondo!

La signora Luisa rispose a quella voce del cuore con un malinconico
sorriso e strinse le mani a Maddalena; poi si volse al vecchio per
prender commiato da lui.

--Ancora cent'anni di vita così vegeta e robusta!--gli disse ella
nell'orecchio.

--Son troppi, son troppi!--rispose il contadino;--ma se verranno, non
li manderò via certamente.

Intanto giungeva Mariangela, che era andata lì presso a raccogliere
alcuni fiori per farne un mazzolino. Erano garofani e mughetti
salvatici, pratelline e ramoscelli di timo, che la buona vecchia legò
con un virgulto di ginestra, e li offerse alla signora Argellani.

--Grazie, buona madre; andrò a casa, fiorita come una sposa. Ci ho
anche una margheritina.... la vostra, signor fratello.

--Ah, credevo che l'aveste perduta.... gittata via.

--Bravo! e dove avete mai veduto che io faccia così poca stima delle
cose che mi sono regalate? Eccola qui!--

Laurenti chinò il capo, in atto di chi riconosce il suo torto, ma in
verità per nascondere la commozione che lo avea preso, al veder la
margheritina uscire dallo sparato della veste di Luisa.

Poco stante, scendevano dalla collina, accompagnati dai contadini,
Guido da un lato e Maddalena dall'altro, aiutarono la signora a far
quella strada sassosa fino al piano, dove li aspettava la carrozza.

--A rivederla, signora!--le disse Maddalena, come la vide
tranquillamente adagiata.--Io non le ho ancora parlato che una volta,
e l'amo già, direi quasi, come una sorella, se non fosse che Ella è
una gran signora e io una povera contadina.

--Maddalena, ricordatevi che in questa terra, qui presso, noi
ridiventiamo tutti uguali, e chiamatemi pure sorella. A rivederci,
dunque; portatemi il Giovannino, perchè vo' fargli da madrina, sebbene
io non l'abbia tenuto al battistero.

--Che importa? e' sarà per la cresima, quando verrà il tempo di
pigliarla. Ho detto bene?--

La signora Luisa sorrise all'augurio, e la carrozza partì al trotto
per alla volta di Genova.

Gli avvenimenti della giornata, avvenimenti psicologici, s'intende,
erano stati tanti e così affollati, che i due compagni di viaggio non
reputarono dicevole di stare a barattar parole. La signora guardava i
suoi fiori, e pareva tutta affaccendata a considerarne i colori e a
contarne le foglie; Guido stava spiando colla coda dell'occhio quello
che essa faceva, ed aveva aria di guardare sbadatamente il paese.

--Che cosa fa ella adesso?--pensò egli, vedendola deporre il mazzolino
e ripigliare in mano la margheritina che egli le aveva donata. Ma non
istette molto a venirne in chiaro, poichè la signora Argellani
volgendosi a lui, gli disse:

--Permettete? Vorrei fare una dimanda a questo fiore, e per farla
bisogna che lo guasti.

--Oh, fate pure; ma che cosa volete chiedergli?

--Se vivrò.

--E in che modo?

--In un modo semplicissimo; per sì e per no.

--Gli è un giuoco inutile, poichè il vivere è in voi quistione di
volontà, e potete saperne da essa quanto vi torni.

--No, io non ne so nulla, non voglio nulla da per me. Se la
margheritina non mi dirà di no, accetterò il responso. Vedete?
incomincio. Sì, no, sì, no, sì....

--Badate, signora; avete strappato due petali in una volta....

--Orbene, un no di più, e vado innanzi. No, sì, no, sì,.... no.....

--E sì--gridò Laurenti, respirando liberamente.--La è propria finita
con un bel sì. Oramai siete condannata a vivere.

--Che!--rispose la signora, lasciandosi andar la persona contro la
spalliera della carrozza.--Gli è un giuoco e null'altro; voi lo avete
detto pur dianzi.

--No, no; voi lo avete voluto come un responso, e adesso bisognerà
rassegnarsi. La vostra volontà non c'entrava, diceste; orbene! non
l'adoperate adesso per far contro all'oracolo.--

La signora Argellani non rispose più nulla, e fu silenzio fino alla
palazzina gialla, dove ella discese, e Guido prese commiato da lei.



XVI.


Nel ringraziarlo della sua cortese compagnia, la signora Argellani
aveva detto a Laurenti come ella si sentisse stanca e pensasse di
andare a riposarsi di buon'ora. Donde avvenne che quella sera, rotte
le sue consuetudini, il giovine rimase come un pesce fuor d'acqua,
nella agonia della incertezza, che è la peggiore di tutte. Dopo il
desinare andò a passeggiare pel giardino, ma non c'era nè luce, nè
aria, nè fiori per lui. Uscì per la città, ma non sapeva dove andarne
a parare; tornò a casa e aperse un libro, ma non potendo reggere alla
lettura, uscì di bel nuovo, e andò viaggiando all'impazzata, in uno
stato d'animo che gli innamorati intenderanno; temendo e sperando,
facendo e disfacendo senza posa castelli in aria, d'ogni forma e
d'ogni misura.

Come a Dio piacque, giunse la notte, e colla notte un po' di sonno. Il
mattino seguente, quattordici ore erano passate, e cotesto parve un
sollievo a Laurenti, il quale scese per tempissimo in giardino ad
inaffiare le sue piante, e poi, per far ora, se ne andò ad erbolare su
pei terrapieni, fuor delle mura.

Egli aspettava le dieci con impazienza, e intanto, cercava di
ingannare il tempo, sradicando giusquiamo, euforbia e cicuta. Quella
mattina era consacrata proprio allo studio dei tossici. Suonarono le
dieci, ed egli non si mosse di lassù castigando sè stesso con altre
due ore di quel molesto indugiare; di guisa che, allorquando fu per
tornarsene a casa, già era il tocco dopo il meriggio.

--C'è stato nessuno a cercar di me?--chiese egli al servo.

--Non so;--rispose questi.--Io sono stato fuori per tante cose, e sono
tornato poco fa.

Laurenti entrò in casa coll'animo scombuiato, e stringendo i pugni
dentro le tasche della spolverina.

--Ah!--esclamò la governante, appena ebbe veduto il padrone.--Che cosa
ha, che le vedo gli occhi così stralunati?

Crollò le spalle a quella dimanda della donna, e si volse alla scala
per salire nelle sue stanze; ma non aveva anche posto il piede sul
primo scalino, che il servo si fece innanzi per presentargli i
giornali e le lettere tolte dalla posta.

--Sta bene.... Ma qui c'è una lettera che non viene dalla posta. Chi
l'ha portata?

--Il giardiniere di casa Argellani;--rispose la governante.

--E perchè non dirmelo subito, che ci era questa lettera? E' poteva
trattarsi di cose rilevanti....

--Ma se Vossignoria è giunta appena adesso.... Non ho avuto ancora il
tempo di parlarle....

--Benissimo; avete ragione.

E così dicendo, salì frettoloso al piano superiore; corse nella sua
camera, e andatosi a sedere presso la finestra, ruppe il suggello,
cavò un foglio scritto su tutte le quattro facce, d'una scrittura
fitta e sottile, che cominciava colla parola _amico_ e finiva col nome
della signora Argellani. Ora, come gli tremassero le dita, e come il
sangue gli rifluisse veloce dal cuore alle tempie, sel pensi ognuno
che abbia ricevuto la prima lettera di una donna amata.

La prima lettera d'una donna amata! E' non v'è cosa al mondo che valga
questo preziosissimo dono. Pensare che quella mano sulla quale
imprimereste tanti baci, si è appoggiata sulla carta per formar quelle
lettere; che quegli occhi, dai quali implorate uno sguardo fuggevole,
vigilavano la scrittura; che quella mente, nella quale vorreste regnar
solo, dettava i pensieri e le parole; e tutto per voi, non pensando
che a voi! Egli è perciò che le cose di minor rilievo, i nonnulla,
acquistano un pregio grandissimo; le virgole che determinano il più
semplice concetto, parlano un'arcana favella all'anima vostra; uno
svolazzo di penna, la filettatura di una maiuscola, sembrano dirvi «ti
amo» poichè tutta quella gentile fatica è stata fatta per voi, non
pensando che a voi.

Anelante, turbato, Laurenti spiegò il foglio e lesse la lettera della
donna gentile.


    «Amico,

  «Consentite che vi scriva, poichè non mi verrebbe fatto dirvi a voce
  tutti i nuovi e confusi pensieri che mi vanno turbinando nella
  mente.  Ho bisogno davvero di vederli uscir neri dalla penna in
  parole formate, per raccapezzarmi io medesima in questo tumulto di
  sentimenti, in questo brulichio di nuove paure e di nuovi desiderii.
  Forse, anco volendo e potendo, non ardirei farvi la confessione che
  ora commetto alla carta.

  «Debbo ringraziarvi, amico mio? Sì certamente, perchè voi siete
  stato l'angiolo consolatore nelle tenebre della mia agonia,
  aiutatore, benefattore accettato e deriso ad un tempo, imperocchè io
  ho sfruttato i soccorsi momentanei della vostra scienza ribellandomi
  poi a tutte le sue lontane deduzioni e cercando in cuor mio di farla
  mentire. Il ringraziarvi non è dunque altro che un rendere
  giustizia, abbenchè tarda, alle vostre cure amorevoli.

  «Io (quasi arrossisco a dirvelo) non desidero più di morire. E non
  m'abbiate, per carità, in conto di una paurosa femminuccia! La scena
  del mondo aveva orizzonti nuovi, che io, chiusa tutto intorno da
  nuvole fitte, non avevo saputo scorgere. Voi, medico pietoso
  dell'anima, avete squarciato un lembo di quegli uggiosi vapori, nei
  quali io stava per addormentarmi, disperatamente tranquilla, e
  m'avete fatto trapelare in lontananza il cielo sereno.

  «È una assai triste cosa la morte. In quella che voi parlavate, io
  mi sono misurata nella buca, ed ho veduto che ci si stava a disagio.
  Inoltre, quel silenzio immane, pesante come una cappa di
  piombo.... ed eterno, mi parve orribile, orribile! Chi lascia
  ricordanza ed affetti dietro di sè, può morire. Forse la certezza
  del rimpianto altrui, fa della morte una raffinatezza di voluttà. Ma
  soli, soli sempre, e nulla che ci ricordi.... e dal mondo, per cui
  si muore, nessun profumo che salga fino a noi, triste cosa per
  fermo, eterno ghiaccio che ci avviluppa, e, siccome avete detto voi
  così acconciamente, ne uccide due volte!

  «Egli m'è sovvenuto di certa leggenda antica, di que' poveretti che
  andavano al camposanto sepolti senza lenzuolo, e il dì dei morti,
  uscendo da terra per andare a salutare i parenti e gli amici, non
  avevano un cencio di che coprire le loro miserevoli nudità. Vedevano
  i compagni, ben coverti dalla pietà ricordevole dei superstiti,
  valicar leggieri la soglia del camposanto e correre colla brezza
  notturna fino all'abitato, per deporre un freddo bacio sulla fronte
  dei cari viventi, raccolti a meditazione dintorno al focolare
  domestico. Ed eglino, poveretti, nulla!  Eglino, dimenticati dal
  mondo, erano costretti a rimanersi vergognosi nel sacro recinto, e a
  richiudersi intirizziti nella fossa.

  «Vedermi morta là dentro, senza affetto, senza rimpianto, vedermi a
  dormire ignorata, obliata in eterno, senz'altro compenso della
  comune allegria dei superstiti, che una menzogna scolpita sul marmo,
  argomento al sogghigno dei riguardanti curiosi, fu una amara
  lezione, della quale io vi sono debitrice.

  «Ma dove avete imparato voi, cuore di donna in petto virile, il
  segreto di scuotere la fibra intorpidita dall'agonia, di cogliere un
  dolore nel profondo, di irritarlo, di cacciarlo da tutte le sue
  ridotte, suscitando a congiura tutte le ire dormenti, tutte le
  speranze affievolite di un'anima che più non intendeva sè medesima,
  e soffocarlo, nell'impeto supremo di tutte quelle forze collegate? È
  la scienza forse, che vi ha fatto indovino, mago e ricreatore di
  spiriti?

  «Vi ricordate di quei bambini che si trastullavano sulla porta del
  cimitero? Ohimè, come la vita è vicina alla morte! ma, per contro,
  come il rimedio è provvidenzialmente vicino al male!  Cari
  fanciulli! Essi non sanno nulla della vita; ignorano se dalle sue
  battaglie deriverà ad essi la morte o il trionfo, il dolore o la
  gioia; ma vivono e sorridono, e più tardi, giunti all'età
  dell'affetto, avranno desiderii e speranze, conformi alla legge che
  tutti trascina. Certo avranno a patire, e taluni anche a desiderare
  di non esser nati mai. E frattanto, il far del bene a costoro, anco
  per renderli infelici, è un bisogno dell'anima, ufficio gentile
  della virtù e fonte di gaudii ineffabili. La rondinella che porta
  pagliuzze al nido e cibo ai figli seminudi, adempie al precetto
  dell'amore e fa opera buona, anco se intenda che quei poveri
  pennuti, appena potranno volare, affaticheranno vanamente le ali per
  lunga distesa di mari, o cadranno fulminati dal piombo del
  cacciatore crudele, che addestra l'occhio e la mano ad uccidere le
  indifese creature di Dio. E Maddalena vive maternamente così; ella
  soffre in pace e spera che il suo Giovannino rassomigli a Sandro, al
  continuo argomento de' suoi affettuosi pensieri.

  «Vo' fargli del bene, al Giovannino, se vivrò.  Egli del resto non
  dovrà serbarne gratitudine a me, sibbene a voi solo, mio nobile
  amico, che avete guidato i miei passi.

  «Quante belle cose sono da farsi nella vita!  Sì, credo anch'io che
  si possa vivere senza l'amore.  Davanti al sepolcro di Caterina
  Stella ho pensato, pesato anzi la vacuità di questi affetti
  fuggevoli, che non sopravvivono alla morte, spesso nemmeno alla
  gioventù e non valgono il sacrifizio di noi medesimi.

  «Anch'io penso con voi che v'abbiano buoni e malvagi nel mondo, e
  che bisogni amare i buoni, dimenticare i malvagi. Anche i buoni sono
  deboli, ed hanno il loro lato gramo, quello in cui la materia vile
  predomina. Perdonare, non dimenticare il male che si fa; comportare
  le debolezze, render giustizia alle virtù; non disperare della
  specie umana, far del bene, operare insomma, operar sempre, e non
  curarsi del premio; è questa una buona e consolante dottrina.

  «Cotesto pel cuore. Per ciò che riguarda la mente, è conforto
  grandissimo, e gaudio dell'intelletto che riverbera su tutta
  l'esistenza, studiare, indagare il vero in ogni ragione di cose,
  diventar lucidi come il prisma, poter come esso rifrangere la luce
  più pura, e scomporla in sette colori.

  «Ah, noi donne siamo pur disgraziate! Nessun lavoro di educazione,
  nessuna voce amica ci chiama a queste regioni dove saremmo tanto più
  felici quanto più ci sentiremmo nobili. In quella vece ci si
  rinchiude nella cerchia dei mezzi conforti della mente, dei mezzi
  gaudii del cuore, nè certo i più eletti, e poi ci si comanda di
  vivere!

  «Infine, che vi dirò? Voi mi avete disvelata a me stessa; io mi
  sento, per opera vostra, rivivere, e voglio vincere, se fia
  possibile, il male, che uscito dallo spirito, mi regna ancora nel
  sangue. Fate voi; la vostra scienza mi aiuti.

  «Come vi ricompenserò? Voi non badate a mercede. Appena vi ho
  scorto, v'ho inteso amico sincero, e pietoso a me per comunanza di
  affanni.  Voi avete molto patito, ma, forte per natura, armato di
  ingegno e di virtù, vi siete sollevato di per voi nelle più alte
  regioni, dove non giungono i grossi vapori della materia, e operate
  il bene per la necessità dell'animo vostro. Che cosa potrei io
  profferirvi? E che cosa avrei io da profferirvi, che già non
  abbiate, vo' dire la contentezza interna, il sorriso sereno della
  vostra coscienza?

  «Addio! L'orologio suona le nove, e mi sento spossata. Vo a letto, e
  dormirò tranquilla, aspettando che questa lettera vi giunga domani
  per tempo. Voi siete mattiniero, e la leggerete mentre io dormirò,
  forse sognando di essere risanata da voi. Addio, dunque vi aspetto.

           «LUISA».



XVII.


Vi aspetto! Luisa aveva proprio scritto così; cionondimeno Laurenti si
fermò un'ora a pensare su quella lettera dopo averla letta tre volte.
Due opposti sentimenti combattevano l'anima del taumaturgo, nel
considerare che egli faceva il suo miracolo; la gioia dell'artefice
che vedeva per opera propria, mercè una divinazione spontanea,
rinascere a vita quella povera morente, e il dolore di scorgere
com'ella lo avesse inteso a puntino.

Il poter vivere senza l'amore, era la cosa che la signora Argellani
avesse meglio capito tra tutte le massime del giovine; era la dottrina
che ella aveva fatta sua, midollo delle sue ossa, globulo del suo
sangue. Egli è infatti dimostrato da lunga esperienza che un concetto
comune, facile e piano, difficilmente trionfa, come quello che non fa
profonda impressione; laddove il paradosso ha maggiore efficacia, e
gli è appunto per via di paradossi che il mondo cammina. Ma che cos'è
alla perfine il paradosso? Un'idea contraria a quella che si ha
comunemente per vera; donde non consegue che possa chiarirsi assurda.
Buona nella sostanza, ella si fa stimolante per la forma; ora le ròzze
che tirano il carro del progresso hanno davvero bisogno di stimolo.

Un paradosso di questa fatta era appunto la massima di Laurenti che si
potesse vivere senza l'amore. Concetto giusto fino ad un certo segno,
come tanti altri che si presentano sotto la forma: «si può vivere
senza questo,» alla qual forma il popolo, che grossamente ma
direttamente ragiona, usa sempre rispondere: «ma con questo si vive
meglio.»

Intanto, con quella sua lettera, Luisa diceva chiaro a Laurenti di
aver fatto pro' delle ricette, ma di non avere inteso punto il cuore
del medico. Facendolo troppo alto, non lo considerava più come un
uomo. E cotesto non si poteva ascriverle a torto, imperocchè
simiglianti sformazioni sono la cosa più naturale del mondo. Noi,
quanti siamo, non immagineremo mai Socrate innamorato; lo vedremo
sempre filosofante, perfino nella casa di Aspasia.

Guido insomma si avvedeva, leggendo la lettera della signora
Argellani, di aver fatto opera sottile a suo danno, di essersi, come
dice argutamente il proverbio, aguzzato il palo sulle ginocchia.

--Ma infine, pensò egli alzandosi in piedi, che importa che io abbia a
patirne il danno, se ella risana? Percy è morto nel suo cuore, ed io
l'ho salvata; questo è l'essenziale. Oramai la cura andrà da sè; la
scienza darà i suoi medicamenti, infonderà il ferro nel sangue,
discacciandone la linfa sovrabbondante; la mite stagione, l'aria, il
moto delle membra e la calma dello spirito, le rifioriranno le
guancie. Animo, su! Percy è morto. E poi, quando sarà risanata, morrò
io.--

Questo pensiero, già parecchie volte accarezzato dal suo dolore nei
profondi inesplorati recessi dell'anima, gli si affacciò al tribunale
del raziocinio, armato di tutti gli arnesi della logica.

--Che cosa farei io, senza l'amore di quella donna? Si può egli vivere
senza l'amore, quando non si disprezzi chi ve lo ha inspirato? Sono io
tal uomo da andar co' sotterfugi, per vie coperte, a guadagnare tratto
tratto un po' di terreno? Son io tale da accontentarmi alla sua
amicizia? Son io uomo da consolarmi, da poter vivere senza di lei? È
tale la mia tempra, da piegare innanzi alle difficoltà, da sviarsi
tranquilla di rincontro agli ostacoli?

A tutte queste dimande, il raziocinio inflessibile rispondeva di no.

--Orbene, la risanerò affatto, e ne morrò io. Ripeterò sulla mia
persona l'esperimento di prosciugar le vene ad un sano, per rinnovare
il sangue e rinfrescar la vita nelle vene del moribondo.

Questa deliberazione, considerata per tutti i lati, gli parve buona, e
la prese. Andò allo specchio, e gli sembrò di avere il volto sereno,
quasi ilare pel fatto proposito. Sorrise alla sua immagine, si ravviò
alla lesta i capegli, si vestì elegantemente come un forte che va a
morire, e si recò difilato in casa Argellani.

La signora Luisa era nel suo salottino, intenta a cominciare un ricamo
sul telaio. La vita si risvegliava in lei, e colla vita il desiderio
di ripigliare i suoi consueti passatempi. Era ancora un po' fiacca per
la gita e per le commozioni del giorno innanzi, ma piena di volontà; e
colla volontà in aiuto, si fanno miglia di molte.

Il povero Guido non l'aveva mai veduta così bella come in quel punto,
e in quell'operoso atteggiamento; ma chiuse gli occhi, o, per dir
meglio, comandò ai suoi occhi di non vedere. Si fece in cambio a
ringraziarla della sua lettera, la quale gli dimostrava com'ella
avesse cavato profitto dai consigli del suo medico, e di tal guisa non
mettesse a nudo la pochezza del suo sapere.

Ad ogni costo, e in breve, ella voleva essere risanata. Il ritorno
alla vita si palesava in lei con una tal potenza di desiderio, da
insuperbire ogni altro discepolo di Galeno che non fosse stato
Laurenti. Ma egli, poveretto, era tutto umile in tanta gloria, e
rimaneva oppresso dai ringraziamenti della bellissima inferma. Le
toccò il polso con molta gravità, cercando di dimenticare che le sue
dita premevano le carni della donna gentile; ordinò alcune pozioni; le
disse che sarebbe tornato più tardi per condurla in giardino, e partì
mezz'ora dopo che era entrato da lei.

E' fu un medico e nulla più; si ristrinse nel suo ufficio, come la
chiocciola si rannicchia nel suo guscio; e di fuori appariva tutto
gaiezza, tutto sorrisi, mentre sentiva lo schianto nel cuore.

Più tardi, in giardino, fu la medesima cosa. Uditrice la signora
Luisa, e' fece una lezione di botanica col Giacomo; parlò della
pioggia e del sereno con una mirabile franchezza. La donna gentile si
stancò della passeggiata, ed egli le offerse il braccio per ricondurla
in casa. Seduto accanto a lei sul canapè, si pose a leggerle un canto
dell'Ariosto, facendole assaporare le prelibate dolcezze del racconto
e la scioltezza di quelle stanze divine, fino a tanto gli occhi non le
diventarono piccini dal sonno, e allora egli prese commiato.

Per tre o quattro giorni durò in quel modo, salvo che, in cambio di
condurla a passeggio pel giardino, l'accompagnò in carrozza a fare
qualche gita verso il bel paese di Pegli. La sottile brezza marina
rinvigoriva il petto all'inferma; le resinose fragranze del pino
ridestavano le inerti fibre; quel muoversi, quel mutar di vedute e di
pensieri, le rallegravano lo spirito. Egli spiava con sollecita cura
il rinnovarsi di quella esistenza preziosa, precorreva col pensiero
impaziente il tempo che dovea risanarla, ed uccidere lui. E Luisa non
si addava di quelle interne battaglie; ella si lasciava ire in balìa
di tutte le sue rinnovate sensazioni, curiosa, inconscia e serena come
il fanciullo che per la prima volta esca dal suolo natale per correr
nuovi paesi; raccontava con affettuosa dimestichezza ciò che sentiva;
dimandava ingenuamente ragione d'ogni cosa al suo medico; guardava
sempre dinanzi a sè, e non volgeva mai gli occhi da fianco.

Egli frattanto, nelle ore che gli restavano disutili (ed erano molte
ed eternamente lunghe) si condannava allo studio, e poichè s'era
accorto che a meditare sui libri presto perdeva il filo della lettura,
ricadendo nei soliti molesti pensieri, correva all'impazzata su per le
circostanti montagne ad erbolare, ma più ancora a farneticare da solo.
Dura vita che nessun uomo di cuore vorrebbe vivere un mese!

Un mattino, tornando a casa da una di quelle corse rabbiose, fu grande
la sua maraviglia al vedersi venir tra le gambe il Giovannino, vestito
da festa e razzimato, lisciato, come un putto dell'Albani, il quale,
dopo aver ricevute le sue carezze, lo tirò per le falde dell'abito
verso il viale, in capo a cui gli fece vedere la signora Argellani,
seduta sul muretto, accanto all'olmo, e la Maddalena ritta, poco lunge
da lei.

La signora Luisa non aveva mai posto piede in casa sua; però
argomentate come rimanesse stupefatto al vederla colà, e seduta là
appunto dove egli si stava quel giorno che per la prima volta aveva
veduto lei, e l'amore gli era penetrato come una freccia avvelenata
nel seno.

--Oh! Era tempo!--esclamò la donna gentile, appena lo ebbe veduto.

--Signora....--balbettò egli;--io non potevo certamente
aspettarmi.....

--Zitto, per carità, coi vostri complimenti! Sapete che non mi vanno a
sangue.... e se m'andassero a sangue, chi sa? a quest'ora sarei già
insanguinata, o non sarei caduta inferma. Vi piace il bisticcio?

--Molto, signora; l'ammalato, che celia sulla sua infermità, è sul
punto di mandarla a quel paese. Ma.....

--Ma infine vorreste sapere perchè sono venuta qua; non è egli vero?
Vi contenterò subito. Maddalena è scesa la seconda volta a Genova per
salutarmi, e il Giovannino, che non vi ha visto la prima, s'è
richiamato per violazione di patti. Allora abbiamo pensato di venirvi
a cercare, ed è un'ora che siamo quassù. Ma dove siete stato, voi?

--Ad erbolare, signora.

E qui Laurenti mostrò un fascio di pianticelle raccolte sui greppi.

--Ma sapete che voglio venire anch'io?--disse la signora
Argellani.--Voi raccoglierete erbe, ed io darò la caccia alle
farfalle.

--E' sarà un grande onore per me; ma le vi faranno correre e sudare di
molto, quelle che già abbiano messe le ali. Quelle altre poi che sono
ancora nel primo stato di bruchi, o in quello di larve, vi faranno
ribrezzo.

--Orbene, io raccoglierò le erbe che mi direte, e voi le farfalle, i
bruchi, e quello che vorrete; oppure io starò seduta su di un sasso
muscoso a vedervi correre. Vi torna, così?

Laurenti fece un profondo inchino, e si avvicinò a stringerle la mano.
Quella donna, per fermo, anco noncurante, non si poteva che amarla,
dirò meglio, adorarla.

Il Giovannino fece gran festa a Laurenti, che gli regalò un bel libro
di storia naturale, pieno d'immagini dipinte d'ogni maniera d'animali,
cominciando dall'uomo. Quindi, fatta vedere partitamente la casa a'
suoi ospiti, Laurenti scese con essi alla palazzina gialla.

Lungo il tragitto, appoggiata al suo braccio, la signora Argellani
diceva a Guido:

--Se sapeste come mi sento meglio! come sono contenta! Non mi ricordo
più di nulla, non penso più a nulla. Oggi vivo per vivere, e più tardi
vivrò per studiare, per rallegrarmi lo spirito, per fare tutto il bene
che potrò.

Discorso che stringea il cuore a Laurenti! Ed io morrò per voi!
pensava egli frattanto.

Poco stante, Maddalena si accomiatò, e la signora Argellani la fece
ricondurre nella sua carrozza fino a Staglieno.

--Vi eravate dimenticato di quella brava gente?--chiese la donna
gentile a Guido, come furono soli.

--Sì;--rispose egli asciutto.

--Cattivo dottore! E non ricordate già più che quei buoni contadini ci
hanno avuto la parte loro, mercè vostra, s'intende, in quella giornata
che io reputerò sempre il principio della mia seconda vita?

Un amaro sorriso sfiorò le labbra di Laurenti.--Ed ella lo
crede?--pensò egli--Ed ella può giudicarmi così dimentico?

E fatte alcune altre parole, se ne andò, pensando che le donne non
avevano più che tanto di cuore.

Quel giorno medesimo, andando pensieroso per via, s'avvenne in un
amico.

--Ohè, Laurenti, come va?

--Bene.

--Con che abbondanza di parole lo dici! Tu m'hai l'aria d'uomo che non
istà bene affatto, se non per avventura di corpo, certamente di
spirito.

--Tu vuoi celiare, oggi. E quando mi hai tu veduto diverso?

--Oh, parecchie volte, ma invero nei tempi passati; chè ora, come
dicono i toscani, o non ti si vede, o quando ti si vede non ti si può
parlare. Laurenti, Laurenti! Tu se' innamorato fradicio.

--Io? se' pazzo?

--Lo so di buon luogo.

--Che sei pazzo?

--No, che tu sei innamorato. Ti dico e ti ripeto che lo so. Figurati
che se n'è fatto gran chiaccherare l'altra sera in fiorita
compagnia.... in casa Perrotti, insomma.

--Che? come?--proruppe sbigottito Laurenti.

--Ah, vedi? _Cascano i filinguelli al paretaio_....

--Casco io? T'inganni; io argomento in quella vece che nelle
chiacchere alle quali tu accenni ci sia una bella e buona malignità
femminile.

--In quanto è a cotesto, avrai forse ragione. La signora Aurelia è un
Asmodeo diventato femmina. Ma, in fin de' conti, non ti si faceva
ingiuria a dire che sei il medico di una bellissima signora, che tu
sei innamorato di lei, o ella....

--Taci; quei signori non sanno quel che si dicano. In tutto cotesto,
salvo il negozio del medico, non c'è ombra di vero. E dimmi, fu
pronunziato il nome?

--Mi pare di no, ma tutti capivano. I connotati c'erano tutti, e il
nome lo si aggiungeva del proprio, nel fondo della coscienza.

--E tu non hai protestato?

--Io, amico carissimo? Ora sei tu il pazzo, non io. O come? Si dice
innanzi a me che il mio Guido è avviluppato in una ventura amorosa con
una bellissima dama (e la dicevano invero bellissima), che egli è
contento, od è ad un pelo di esserlo; ed io, amico suo, dovrei saltar
fuori a sacramentare che non è vero? che cotesto è impossibile, perchè
Laurenti è brutto, spiacente, e non ha da trovare una donna che gli
getti il tulipano dalla finestra? Di amici che possano farti
simiglianti servigi vattene a cercare altrove, Laurenti mio, non nello
studio del primo avvocato di Genova (primo per ingegno s'intende, e
non per copia di mali negozi), dove io sto facendo conclusioni, senza
conchiudere mai nulla per me.

--Hai ragione, chetati, hai ragione. Ma in quello che s'è detto dai
Perrotti non c'è ombra di vero, sai? te lo giuro per la memoria di mia
madre.

--Perdio, lo credo anco senza bisogno che giuri. Ma infine, perchè ti
nascondi da ogni sguardo profano?

--Tu sai che è sempre stato il mio costume di vivermene soletto; ed
ora sto appunto per andarmene...

--Che?

--Sì, vado a Milano.

--O quando?

--Dimani; vado a passare alcuni giorni laggiù, dove alcuni amici mi
aspettano. Tu, se odi ancora a sparlare, puoi dire chiaro e tondo che
io non sono neppure a Genova; poichè, alla fine, una calunnia,
segnatamente quando risguardi una donna, se si può levarla di mezzo
con due parole....

--Dici ottimamente, e, non dubitare, ti servirò a misura di carbone.

--Addio, dunque!

--Addio; buon viaggio, e fammi una retata di pallide lombarde.--

Verso sera Laurenti andò dalla signora Argellani, come aveva promesso.
La conversazione non fu molto ordinata, nè ricca di belle novità,
sebbene la donna gentile fosse d'un umor gaio oltre l'usato. Pensando
alla sua partenza, che gli era nata in mente a mezza strada come una
felice inspirazione, Guido non badava molto a tener vivo il dialogo
con quelle immaginose parlate che egli sapea fare su d'ogni tema, solo
che gli si desse appiglio con quattro parole.

Come fare a dirle che parto? pensava il giovine, mentre la donna
gentile gli venia raccontando le sue pensate di quel giorno.--Il mio
viaggio è nato lì per lì, senza preparazione, senza avvertimento di
sorta... Ma infine, che cosa le importerà che io me ne vada? Ella
oggimai non ha bisogno del medico, ed io d'altra parte non debbo a
nissun costo lasciar credere alla gente che amo questa donna, cosa pur
troppo verissima, e che ella ama me, il che non è punto vero. Ella
amar me? Ella avvedersi solamente che io l'amo?...

Tutti quei bei pensamenti lo condussero finalmente a dire ad alta voce
che la mattina seguente egli doveva partire per alla volta di Milano.

--Che? voi partite?

--Si, signora; parto.

--O come, aspettate a parlarmene adesso?

--Perchè stamane.... non ci ho pensato punto. Un amico di là mi prega
di andare;... un amico d'infanzia...

La signora Argellani era rimasta attonita a quell'annunzio improvviso.
Il pensiero che Laurenti, il suo medico, che ella era avvezza a vedere
di continuo, se ne andasse da Genova, anco per una diecina di giorni,
non le era venuto in mente giammai.

--Gli è strano!--pensò ella--gli è strano!

E fu per guardare colla coda dell'occhio la faccia di Laurenti; ma si
trattenne, e si ristrinse a dirgli:

--Dunque ve ne andate domattina!

--Sì, ma vi lascio in convalescenza cosiffattamente avviata, che non
può fallir più.

--Oh non dico per cotesto, signor dottore, che diffatti io mi sento
rinata, e per vivere la mia seconda vita non ho d'uopo che di
attenermi alle vostre ordinazioni. Mi duole in quella vece di veder
partire gli amici.

--Starò pochi giorni--disse Laurenti alzandosi a mezzo dalla scranna
per accompagnare quelle parole con un inchino, e voltarle ad un
ringraziamento.

Pochi minuti dopo, si congedò, ed uscì dalla palazzina co' denti
chiusi e i pugni stretti, come per vincere lo sforzo che il dolore gli
faceva di dentro. E intanto la signora Luisa pensava a quella
improvvisa partenza, ripetendo tra sè: «gli è strano davvero! Che
cos'ha il signor Laurenti, che io non lo riconosco più?»



XVIII.


      LUISA A LAURENTI

                                  «15 aprile....

    «Amico,

  «Grazie della vostra lettera, sebbene la si facesse aspettare un po'
  troppo. Cattivo dottore!  Sei giorni a Milano, senza mandarmi
  quattro versi per raccontarmi qualcosa di voi e chiedere novelle
  della vostra convalescente! E poi, mi scrivete due paginette
  asciutte, per dirmi.... che cosa? Aspettate, le rileggo; non c'è
  proprio nulla, e non sono nemmanco due paginette. La prima
  incomincia a mezzo il foglio, e la seconda ha quindici versi a
  stento, mettendo nel conto l'ultimo paragrafo dei soliti
  complimenti, il _devotissimo servitore_ ed il nome.

  «Basta, se non avessi da ringraziarvi dell'esservi finalmente
  ricordato di me, avrei a sgridarvi ben bene. Ma non lo fate più, se
  no posso andare in collera a dirittura.

  «Io vivo, amico mio, e potrei dire che vivo bene, se non fossi un
  pochino annoiata. Mi manca la vostra utile compagnia, il vostro
  leggiadro conversare. La è colpa vostra, d'avermi così male
  avvezzata. Ogni cosa che noi vedessimo, anco un fil d'erba, era
  argomento a svariate considerazioni, nelle quali io centellava la
  vostra scienza multiforme, senza pompa, senza occhiali, e sopratutto
  senza tabacchiera.... Ora argomentate voi quante ore della giornata
  mi rimangano disutili e sciocche.

  «Scendo nel giardino per tempo, ad aiutare, o, per dire più
  veramente, ad impacciare il Giacomo, quando inaffia le
  aiuole. Giungo così, seguitandolo, fin sotto all'olmo; saluto la
  vostra edera, e poi torno in casa all'ora dell'asciolvere.  Il cuoco
  non si diparte dalle vostre leggi, non ardisce pensare a novità nel
  reggimento di questo povero regno dissanguato, dissestato, che è il
  mio. Fuor di metafora, mangio prosaicamente dei pezzi di carne
  arrostita, che mi dipinge le labbra innanzi di andare a far sangue
  in petto, e bevo vino di Bordò. Il verde è sbandeggiato dal regno;
  perfino la innocente lattuga è condannata, come un pericoloso
  cittadino, un agitatore di popoli. Quindi mi metto a passeggiare da
  capo, ma all'ombra della casa, e dopo un'oretta vo a lavorare un
  tantino, quando non giungono visitatori; i quali sapete chi siano;
  la Maddalena e suo figlio.

  «La Maddalena è già venuta due volte, dacchè siete partito; e ieri
  l'ho fatta rimanere a pranzo con me. Il Giovannino studia, e vi
  manda tre baci, tre soli! Gli ho chiesto se vi voleva bene, e mi
  rispose di sì; quante sacca, e mi rispose tre. Egli ha in mente il
  numero tre, simbolo forse de' suoi affetti infantili che si
  incarnano in sua madre, in voi, e nella vostra umilissima cliente.

  «Sapete già che mi è tornata la mania del ricamare, come intermezzo
  a studi più gravi. Per punirmi delle mie passate malinconie, ricamo
  le più prosaiche pantofole che vi possiate immaginare.  La signora
  Tonna, vedendomi lavorare con tanto fervore e metter seta e fili
  d'oro in forma di fiori e rabeschi, s'è posta in mente che io voglia
  mandare un'offerta a Roma; la qual cosa mi ha fatto ridere, ma
  proprio di cuore.  Leggo poi di astronomia nel trattato di Arago, e
  di storia naturale nei libri che mi avete donati; faccio insomma un
  intriso di scienze, che non ardisco ancora battezzare col nome di
  studio.

  «Dopo il pranzo, mi metto in carrozza e me ne vo fino a Pegli, o
  dall'altra banda fin oltre Nervi; respiro aria marina, e torno, a
  luna alta, in casa. E qui non apro più un libro; me ne vo a letto, e
  dormo subito della grossa, come un filugello, non già sognando di
  far seta, ma di essere tranquilla e contenta in uno di que' paesi
  fantastici che voi m'andavate qualche volta dipingendo, senza averli
  veduti più che tanto.

  «E voi? Se non vi è troppo grave tener mezz'ora la penna tra le
  dita, come faccio io senza fatica, ditemi un po' quel che fate. E
  intanto ricordatevi della vostra riconoscente amica, ma non
  _divotissima serva_

                                  «LUISA.»


      LAURENTI A LUISA.

                                 17 aprile....

      «Signora,

  «Io vegeto. Questa sarebbe l'unica frase che io dovrei mettere in
  carta, per darvi le più certe e le più chiare novelle de' fatti
  miei, _Sed si tantus amor casus cognoscere nostros_, cioè se voi
  avete tanto desiderio di conoscere particolarmente e diffusamente
  come io vegeti, _incipiam_, comincierò.

  «Mi alzo anch'io di buon mattino, e vado a contemplare i monumenti
  di questa bella ed illustre città; poi in Brera a meditare su d'un
  quadro di Raffaello, o all'Ambrosiana a scartabellare vecchi codici,
  come un erudito, e senza intendervi nulla, del pari.

  «Più tardi, all'ora in cui i milanesi si alzano da letto, vo a far
  colazione al caffè Martini, dove si scambiano le prime parole della
  giornata. Sto a sentire le chiacchere di certi buontemponi, intorno
  all'ultimo amante della contessa tale, intorno alla festa della tal
  altra, o i giudizi sul ballo della Canobbiana, o i commenti
  sull'ultimo articolo del _Pungolo_. Quindi si piglia una carrozza e
  si va a desinare fuori le porte; o si desina in città e si esce a
  fare una cavalcata sui bastioni col dottor C. uno dei miei più cari
  amici, il quale ha un umore come il mio; poi si va a teatro, e da
  capo al Martini, o al Cova, o dove meglio torna al mio bizzarro
  collega.

  «Ma quello che io faccia davvero, non so. Per rompere un tratto la
  monotonia del vivere, siamo andati fino a Bergamo, a salutare la
  statua di Torquato Tasso nella più malinconica piazza antica che io
  abbia veduta mai; di là fino a Brescia, e, Dio cel perdoni, fino a
  Lonato. Se non ci fossero i tedeschi, saremmo andati fino a Venezia.
  A Lonato, un bel paese che ha una chiesa più grande del naturale, ho
  visitato le rovine di un castello dei Veneziani, dal sommo del quale
  si vede il lago di Garda. Mi parve di scorgere il mare, e non ebbi
  pace fino a tanto non giunsi a Desenzano, dove mi imbarcai per
  Sirmione, a visitare gli avanzi della villa di Catullo. Ma non mi
  chiedete ricordi; viaggio con desiderio fino alla meta; quando
  giungo, mi passa la voglia, e non vedo l'ora di tornarmene via.

  «Eccovi la mia vita; sono stanco, e sapete il perchè? Io credo di
  averlo indovinato. Di tanto in tanto, sul mare della vita vi colgono
  di cosiffatte calme moleste; non tira una bava di vento; la vela non
  giova, e non s'ha braccia per andare a remi. Io sono in questo
  misero stato, e se non fossi il vostro medico e non temessi colle
  opere di far contro alle mie stesse parole, potrei dirvene di belle,
  circa la utilità della vita.

  «Voi intanto risanate, che siete chiamata a risplendere nel mondo
  per bellezza e bontà. Io pure ho speranza di vincere questa
  fiacchezza, e venir presto ad ammirare l'opera mia.... anzi a
  baciarle le mani.

                                       «GUIDO.»

      LUISA A LAURENTI

      «Amico,

  «Ho letto attentamente la vostra lettera, e mi sono convinta che
  avete lo spirito infermo assai più di quello non vogliate
  parere. Ogni cosa vi tradisce; perfino l'arguzia vi esce stentata
  dalla penna; il vostro stile è arido e smorto; volete fare un
  racconto e non riuscite che ad una infilzata di fatti, da lasciarvi
  indietro una tavola cronologica.

  «Io non so le cagioni del vostro male, e quelle che voi dite non
  sono cagioni, ma segni piuttosto e poetiche dipinture del
  male. Tuttavia v'hanno rimedi che giovano a tante malattie, e vo'
  dirvene uno. Sapete di che cosa avreste bisogno, voi? Di
  lavorare. Lasciate che faccia un po' la medichessa, e cerchi di
  risanarvi a mia volta.  Lavorate; scrivete per esempio un libro, voi
  che sapete tante cose; non vi restate inoperoso, poichè l'ozio, se
  non è padre di tutti i vizi, come l'hanno detto gli antichi, è
  certamente il padre di molti dolori.

  «E poichè sono venuta, io povera donna, a parlarvi su questo tono,
  lasciatemi dir tutto. Io pure incomincio a credere che fosse errore
  qualcosa di ciò che ho creduto, come voi di ciò che avete detto per
  consolarmi lo spirito. Egli è verissimo, e lo sento io dentro di me,
  che si possa vivere senza l'amore, ma quando lo si abbia provato,
  non prima. Ora voi, mio ottimo amico, avete anche un amore a
  provare, quello della famiglia. Voi siete giovine, atto a far felice
  una donna e ad esser felice per lei. O perchè non ne trovereste una
  fra tante, bella, buona e colta, da poterla rifare a vostra
  immagine, riflesso della vostra anima generosa? Voi l'amerete molto,
  ed ella vi amerà; i vostri passatempi saranno i suoi; i vostri
  studi, i vostri viaggi ugualmente. Se saprete cavarla fuori dalle
  sue frascherie, da' suoi nonnulla, dalle sue vanità muliebri, vera
  rovina del nostro sesso, ella vedrà la parte più degna della vita,
  v'intenderà, e voi sarete la sua guida; l'avrete innalzata nelle
  regioni del vostro pensiero, ed ella saprà tenervisi a pari.

  «A proposito di donne, sapete chi fu da me ieri mattina? La
  Perrotti. Ella è venuta a congratularsi con me del mio risanamento,
  e davvero non s'è congratulata invano. Quando ella è giunta, io,
  forse per la prima volta dacchè mi conoscete, era colorita in viso,
  e la poverina non ha potuto nascondere la sua maraviglia dispettosa.
  Mi ha invitata all'ultimo de' suoi lunedì, che si chiudono con una
  gran festa da ballo; e chi sa? son donna da accettare l'invito.

  «Addio; non istate a smarrirvi per le vie di Milano e venite presto
  a vedere la vostra sincera amica

                                       «LUISA.»


Se io non temessi di offendere il lettore, mostrando di dubitare della
sua perspicacia, vorrei pure appiccicare un commento a questo
carteggio. Solo per coloro che hanno letto più sbadatamente, dirò
brevi parole.

Luisa era annoiata e non sapeva il perchè; ne accagionava il mancare
improvviso della scienza chiaccherina del suo medico, e non indovinava
che a mezzo.

Laurenti si sentiva morire, ed egli sì lo sapeva, il perchè; ma, non
dandogli l'animo di dirlo a colei che era debitrice a lui della
ricuperata salute, se n'era fuggito come un codardo che ha paura del
male, e, nella fuga diventato anche ingiusto, non le scriveva e si
adirava contro di lei.

Ella infine si era addata di qualche cosa. Riscontrando alcuni fatti,
alcuni pensamenti, aveva veduto balzarne una scintilla di vero; ma non
voleva ancora aggiustar fede a sè stessa. E intanto scriveva una
lettera piena di pessimi consigli, pessimi come tutti quelli che danno
le signore donne, quando e' non escono loro dal cuore.

--Oh, ella non mi amerà giammai!--aveva detto Guido, percuotendosi il
fronte colla palma della mano, alla lettura di que' paragrafi.--Ella
può credere che io amerò un'altra donna! Sì certo, lo può credere, se
non si è neppure avveduta che amo lei, disperatamente lei! E adesso
tornerà nei geniali ritrovi, nei teatri, nelle conversazioni... bene,
bene, tre volte bene!

E passeggiando a passi concitati per la camera ripetè due o tre volte
con Shakespeare, sebbene la citazione c'entrasse come i cavoli a
merenda:

    _--Fragility, this name is woman!--_



XIX.


Egli era un sontuoso appartamento, quello della Perrotti, in via
Palestro. Le sale non erano stragrandi, come quelle dei vecchi
palazzi, ma spaziose abbastanza, e la quantità teneva luogo
dell'ampiezza, imperocchè di due quartierini, posti al medesimo piano,
se n'era fatto un solo, e ci stava ad agio in una fila di salotti,
dove, alle conversazioni del lunedì, o a qualche festa da ballo,
conveniva la miglior compagnia, vo' dire la più ricca e la più
sfoggiata di Genova.

Oltre la sala da ballo, i salotti da conversazione e la credenza,
c'erano le camere da giuoco sacre al _goffo_ tradizionale, giuoco
genovese pretto sputato, contro cui si sono rintuzzate le armi della
moda, tiranna ordinatrice di _whist_ e di _lansquenet_, come di
crinolini rigonfi e di vesti sfiancate, di spalle ignude e di
capigliature tolte a prestanza. Là, il signor Cesare Perrotti,
perdendo quasi sempre di bei danari, s'era guadagnato il nome di
magnifico, egli che usava lesinare la mattina sui venti centesimi in
piazza de' Banchi, egli che non aveva mai reso servizio ad un amico in
angustia.

Del signor Cesare Perrotti vo' appunto raccontarvene una che vi darà
un giusto concetto dell'uomo. Un giorno fu da lui un tale, suo
conoscente e degnissima persona, per chiedergli un migliaio di lire ad
imprestito. Costui non era ricco, siccome vi tornerà agevole
argomentare dal bisogno che aveva; ma gentiluomo perfetto qual era, e
universalmente stimato, metteva la sua onoratezza a guarentigia della
restituzione. Il signor Cesare Perrotti non poteva dirgli
asciuttamente di no, nè come ricco mercatante, nè come uomo che la
pretendeva a gran signore. Ma rastiate il Russo, dice il proverbio, e
sotto l'intonaco v'apparirà sempre il barbaro. Ora sotto l'intonaco
del signore e del ricco, c'era sempre il Perrotti.--Mi duole, rispose
egli all'amico bisognoso, mi duole davvero di non potervi accomodare
di questa somma. Come sapete, io traffico insieme col Branca, e nella
nostra ragione di commercio c'è una clausola molto fastidiosa, che
m'ha più volte vietato di far servizio agli amici, quella cioè di non
far mai imprestiti sulla cassa comune.--Ma, aveva risposto
quell'altro, egli non è già alla casa Perrotti e Branca che io domando
questo servizio...--Sì, sì, intendo quello che volete dirmi, ma
lasciatemi finire. Io, sempre per questo malaugurato atto di società,
non piglio dalla cassa che ventimila lire all'anno, per mantener la
famiglia, e il mio socio del pari. Ora, che cosa si fa con ventimila
lire all'anno? Io lo domando a voi. Mettete su casa, tenetela in piedi
con un certo decoro, senza scialaquo, e ve ne accorgerete al finir di
dicembre! Avevo ancora tremila lire di sparagni, e le ho imprestate la
settimana scorsa ad un tale, che conoscete anche voi, e rimarreste
grandemente meravigliato se vi dicessi il nome. Già capisco che quelle
tre mila lire io dovrò segnarle tra le partite perdute, ma tutti
facciamo la nostra parte di minchionerie. Figuratevi, amico mio, se
non vi accomoderei di questa piccola somma, sol ch'io potessi!.....
Per fortuna, se non posso io, ci saranno cinquanta altri che si
ascriveranno a ventura di darvi una mano in questo vostro bisogno.

In questa guisa si sgabellò il Perrotti; ma quanti altri non s'avranno
a riconoscere in questo bozzetto? Imperocchè, già m'è occorso di
dirvelo, io copio dal vero, e posso dire a parecchi, con Orazio Flacco
alla mano:

        _......mutato nomine, de te
    Fabula narratur._

E adesso gli è tempo di indossare il vestito nero, coi guanti
paglierini, e di entrare nella festa da ballo dei Perrotti.

La signora Aurelia aveva già raccolti in casa tutti i suoi convitati.
Nelle sue sale, alla luce dei doppieri, splendevano le più celebrate
bellezze ligustiche, ornate, o no, di blasone, la Cisneri, la
Roccanera, la Morati, la Vallechiara e tante altre. Tra gli uomini si
notavano il Nelli di Rovereto, che aveva rassegnate da poco tempo le
sue spalline di maggiore per non allontanarsi dalla Torralba, della
quale era più che mai invaghito, il Pietrasanta, il Percy. Seguiva poi
uno sciame di farfallini, solita mercatanzia, anzi zavorra di tutte le
feste da ballo, senza di cui la contraddanza non avrebbe più il numero
giusto di figure, e la polka o la scozzesa lascierebbero troppe
signore a far tappezzeria di rincontro alla parete. Grande era lo
sfarzo, non di diamanti, poichè la era una festa senza cerimonie (così
almeno dicevano i padroni di casa), ma di sete, merletti, e foggie che
avrebbero indotto in tentazione anco il povero Sant'Antonio.

Le danze erano per cominciare, allorquando un accalcarsi di uomini
nelle prime sale, un pissi pissi, un voltar gli occhi curiosi tutti da
un lato, annunziarono l'arrivo di una bella signora. La padrona di
casa le era già andata incontro, e la conduceva nel folto della
compagnia, in mezzo a due ale di riguardanti ammirati.

Era la signora Argellani, vestita di raso bianco con uno strascico
abbondante, gli sgonfi della veste, i cappii e il dinanzi della
vita raffermati da ramoscelli di fiorellini della memoria
(_vergiss-mein-nicht_), i quali facevano eziandio bella mostra di
sè nelle treccie nere, e col loro castissimo colore azzurrognolo
non offendevano la bianchezza del volto, anzi giovavano a metterne
in rilievo quel po' d'incarnato che già cominciava a mostrarsi
sulle guance della bellissima donna.

Il vecchio signore che la accompagnava, era tutto pomposo, e andava in
gota contegna, con quell'aria che vuol dire alla gente: ammiratemi ed
invidiatemi. Ma chi non li conosce e non li pesa, questi innocenti
amici di tutte le donne, piante parassite sull'albero della bellezza,
talfiata draghi posti a custodia, che si contentano di guardare il
pomo e non lo toccano mai? Veri servitori delle gran dame, e' vivono
vicino ad esse, ma sempre in anticamera, e se qualche volta hanno sui
visitatori il vantaggio di vederle nelle ore indebite, si ha a credere
che ciò avvenga perchè le dame sullodate non li hanno neppure in conto
di uomini.

L'apparire di quella donna produsse una vera rivoluzione negli animi,
e mentre molti ammiravano quella stupenda figura, molti altri
avrebbero voluto essere invisibili agli occhi suoi. La più parte dei
convitati la conoscevano, e parecchi tra essi, uomini e donne, le
erano stati dimestici, ma l'avevano a poco a poco lasciata sola;
v'erano anzi taluni ai quali non era neppur sembrato dicevole
allontanarsi da lei con un po' di rispetto alle convenienze sociali;
ed erano i più famigliari. Ella stessa, dal canto suo, s'era lasciata
andar giù, aiutando in tal guisa l'oblio dell'universale. Percy
l'aveva abbandonata; che le importava del rimanente? Ferita nel cuore,
ella si lasciava morire, e dimenticare innanzi d'esser morta, ma non
odiava, non disprezzava nessuno; la sua maggior vendetta era stata
quella di mettere nell'albo il ritratto del Percy accanto a quello
della marchesa Bianca. Atto puerile forse, ma indizio d'anima nobile.
E così ridotta allo stremo, si appartò dal mondo, siccome il mondo si
appartava da lei. Se non che ella era inferma, morente, e la sua
generosa noncuranza non iscusava punto l'oblio di quella gente tra la
quale era vissuta, alla quale aveva dato i più belli anni della sua
giovinezza.

Cotesto farà intendere ai lettori che spero benevoli al mio racconto,
come il vederla risanata, rientrar d'improvviso in iscena, riuscisse a
molti peggiore di una mazzata fra capo e collo, e in taluni destasse
come una ansiosa curiosità, in tal'altri il rimorso.

Tra questi ultimi più colpevole e più fieramente combattuto il Percy;
al quale la sua apparizione gelò il sangue nelle vene come se fosse
stata la testa di Medusa, sicchè egli non ebbe nemmanco la forza di
muoversi dalla scranna su cui stava seduto presso la marchesa Bianca
di Roccanera.

Povero regnatore di salotto! Egli era da qualche tempo assai giù. I
suoi vagheggiamenti non gli avevano fruttato un bruscolo presso quella
superba, che gli usava sempre le solite cortesie, ma gli faceva
scorgere molto chiaramente che il suo gli era tempo sprecato. La
marchesa Bianca non amava altri che sè; il leggiadro Percy, diventato
suo adoratore, aveva saziato la sua vanità, e non c'era per lei più
altro da spremerne. Per tal modo egli era capitombolato nel fosso,
innanzi di afferrare i bastioni, e non è a dire com'egli fosse
avvilito di quello smacco. La vergogna, soltanto la vergogna, lo
riteneva colà, argomento alle beffe dell'universale, dispettoso,
ingrugnato con lei, che fingeva di non addarsene punto, in quella che
faceva buon viso alle cavalleresche gentilezze del duca di Marana y
Cuelva, un giovine spagnuolo che correva per suo diporto da un capo
all'altro del mondo, e si riposava un tratto a Genova di un suo
recente viaggio alle Indie.

Donna di buon gusto, e di fino accorgimento, quella marchesa Bianca!
Senza muoversi, e sopratutto senza commuoversi, ella sfiorava
l'etnografia, facendo un albo di adoratori di tutte le razze. Chi sa
che a furia di studiare, di raffrontar tipi diversi, ella non giunga
alla scimmia! Gli è questo, dicesi, l'ultimo passo degli scienziati
odierni, e certo, senza mestieri del dicesi, è l'ultimo passo di molte
superbe, le quali, dopo aver molto cercato, e molto rifiutato, fanno
capo a qualche gramo personaggio, diventato di botto l'archetipo della
specie.

Lo stato di Percy era compassionevole davvero. La signora Perrotti non
gli aveva lasciato trapelar nulla di quella apparizione improvvisa. E
come d'altra parte avrebbe ella potuto dargliene sentore? La relazione
di lui colla signora Argellani era come tante altre che si stringono e
si rompono di continuo in questa nostra società bastarda. Tutti
sapevano di quella intrinsichezza, ma tutti dovevano ignorarla del
pari. Egli andava in casa della Luisa, come tanti e tanti altri; era
sempre dove ella era, e mai dov'ella non fosse; ognuno poteva
mormorarne alla spartita, nessuno buttargli sul viso quella indebita
frase: voi, voi siete l'amante. La signora Perrotti non poteva dire a
Percy, anche se lo avesse veduto i giorni innanzi, «badate che verrà
l'Argellani» senza aver l'aria di sapere che c'era stato del fuoco e
poi del ghiaccio tra i due, e che egli non aveva nemmanco ricordato il
suo debito di cortesia verso l'inferma.

E poi, che serve? la signora Perrotti non si dava un pensiero al mondo
delle angustie di quel leggiero corteggiatore di donne; ella badava a
restituire in trafitture profonde i colpi toccati alla sua vanità. In
quel battibuglio che ella pensava di far nascere, ce n'era per lui,
vecchio ingrato, come per tante donne, regine di fresco, alle quali
doveva sicuramente nuocere l'apparizione di quella donna, fantasma del
passato, bellezza rinnovata, resa più efficace dalla oscurità in cui
s'era lungamente costretta. La Luisa Argellani ricordava all'Aurelia,
impastata di bellezza e di fiele, ciò che questa aveva patito per lei;
ma poteva essere anco un'arma potente, un carro falcato da scagliarsi
contro altri nemici, a vendicare più recenti sconfitte. Arcani del
cuore! È egli mestieri di altre parole per farli intendere ad ogni
generazione di lettori?

Ora l'effetto del carro falcato fu grande, più grande di quello che
non s'argomentasse l'Aurelia. Come è bella! dicevano gli occhi di
tutti, voltandosi alla nuova venuta. Intorno agli altri soli (soli che
ricevono luce e calore, come ho già detto al principio di questo
racconto, e non ne danno ai pianeti), intorno agli altri soli s'era
fatto un ambiente freddo; v'ebbero donne le quali si credevano amate,
e in quel momento sentirono mancarsi qualcosa d'attorno, e sto per
dire l'aria respirabile. L'ammirazione era tutta laggiù; i pianeti
raggiavano tutti verso la signora Argellani.

La bellissima donna sorrideva; di sotto all'arco eminente delle lunghe
sopracciglia, i suoi occhi mandavano lampi, ma non già di tempesta;
l'incarnato del volto non diceva soltanto la ricuperata salute, ma
eziandio la modesta contentezza della vittoria. Strinse
affettuosamente la mano alla Roccanera; si lasciò presentare qualche
nuovo cavaliere, e presto fu dintorno a lei un crocchio di
gentiluomini, una gara di motti leggiadri.

E intanto che faceva il Percy? Egli stette parecchi minuti sopra di
sè; poscia, come uomo che dopo aver lunga pezza combattuto, si ferma
ad una deliberazione che non gli par buona, ma che è pure l'unica a
cui possa appigliarsi, si armò di coraggio e si fece innanzi. La
signora Luisa aveva notato ogni cosa, ma il suo viso sereno non
lasciava trasparir nulla delle fatte considerazioni.

--Posso io salutare la signora Argellani?

--Oh, signor Percy, Ella può farlo certamente. Io non ho dimenticato i
miei vecchi amici.

Ella aveva detto queste parole con tanta cortesia e insieme con tanta
misuratezza, che nessuno degli iniziati ai pericolosi nascondimenti di
quel dialogo, potè scorgervi ombra di seconde intenzioni. Le donne
stesse, che pur capiscono tante cose, non capivano nulla di quella
schietta urbanità, non potevano cavarne un costrutto. Ella non aveva
premuto della voce su nessuna parola; quella sua risposta era stata
una musica, un sorriso, ma senza affettatura, senza ostentazione di
sorta.

--Ah!--disse alla sua vicina un tale che s'imputava a volerla
indovinare.--La è sempre innamorata come prima. Non vedi quei
ramoscelli di _non ti scordar di me_? L'Argellani è sempre stata
quella dei simboli. La viene per riconquistare il Percy.....

--E ne verrà--a capo--rispose l'amica,--perchè la Bianca lo tiene da
un pezzo sull'uscio, a morire dal freddo.--

In breve, passato di bocca in bocca, recato da un crocchio all'altro,
fu quello il concetto universale. Percy stesso, senza saper nulla di
que' ragionamenti, vedendosi così bene accolto da lei ed onorato di
particolari discorsi, se pure non lo disse chiaramente a sè medesimo,
certo ne adombrò in cuor suo e ne accarezzò quasi inconsapevolmente il
pensiero.

La marchesa Bianca era in gran faccende pel ballo, ed egli ne fece suo
profitto per rimanere da presso alla Luisa, non già solo con lei, ma
di brigata con altri parecchi, i quali tenevano vivo il discorso.

In un intermezzo delle danze, il crocchio si accrebbe. Il duca di
Marana si faceva presentare dalla padrona di casa alla signora
Argellani. Era un bel giovine, il duca di Marana y Cuelva; forte di
ricchezza e di nobiltà in un mondo nel quale non si pregiano che
queste due cose; d'ingegno e di cognizioni svariate, che lo facevano
amare dagli uomini assennati; di modi leggiadri e magnifici, che lo
rendevano accetto alle donne. Se fosse uomo da lasciare il suo cuore
in pegno, non era noto, e non si poteva ancora argomentarlo dal
corteggiar che faceva la marchesa Bianca; ma io potrò parlarvene con
più agio in un'altra storia, vera come questa, che mi farò a
raccontarvi, se m'accorgerò che a questa facciate buon viso.

La presentazione del duca di Marana fu il colpo di grazia per gli
ondeggiamenti del Percy. Ah, ah! pensò egli. Costui che corteggiava la
Bianca, or viene a' piedi della Luisa!.... Ma qui non troverà
certamente vanità di femmina da accarezzare.

E questo pensiero intanto accarezzava la sua. La Luisa, quella Luisa
che egli aveva abbandonata per correr dietro alla marchesa Bianca,
valeva ben più di costei, se l'adoratore novello della Roccanera
disertava con armi e bagagli per venire nel campo della Argellani. Ora
cotesto, meglio assai che le grazie evidenti della persona di Luisa,
significò a lui l'efficacia di quella rinnovata bellezza, e lo
fortificò nel suo folle proposito.

--Signora--disse il Marana, inchinandosi davanti alla Luisa,--io non
mi sono fatto presentare a Vostra Mercede soltanto per ossequiarla, ma
eziandio per iscrivere il mio nome nel suo libriccino, se egli c'è un
foglietto bianco per me. Mi concede Ella l'onore di una contraddanza,
o d'altro ballo che non abbia impromesso?

--Signor duca, io debbo, con mio grande rammarico, negarle questo
nonnulla, come agli altri gentili cavalieri che me ne hanno richiesta.
Son fresca di malattia, e non ardisco ancora provar le mie forze.

--Mi duole--soggiunse il Marana;--ma Vostra Mercede non avrà
certamente negato a nessuno la grazia di rimanerle vicino.

--Oh questo poi no.--

Il duca di Marana si sedette presso a lei, pigliando il posto che gli
offriva cortesemente un amico, e cominciò allora una gaia
conversazione che non dovea garbar punto al Percy. Il cuore di costui
pativa un'aspra battaglia, al vedere Luisa tanto cortese col giovine
spagnuolo; la qual cosa lo conduceva all'amarissima considerazione che
quella bellissima era stata sua, e che egli non era più nulla per lei,
nè aveva più ragione a dolersi.

Luisa cionondimeno era sempre pari a sè stessa, e non faceva
differenza tra lui e il Marana, od altri de' suoi ammiratori stretti a
crocchio d'intorno al sofà sul quale essa stava adagiata. A lui spesso
volgeva la parola amorevole, incuorandolo a parlare, ed egli notò che
ella, avendo per caso a ragionare della marchesa Bianca, ne disse un
gran bene, senza che dalle sue parole trapelasse pure un'ombra di
rancore. Ma così fatto è il cuore dell'uomo, che perfino quelle
schiette lodi tornavano amare al Percy, il quale avrebbe amato meglio
scorgervi uno zinzino di gelosia.

Alla credenza, dove il duca di Marana la condusse, fu un vero trionfo
per la donna gentile. Il ballo, quando ripigliò, ebbe a rimanere un
po' fiacco, per la contumacia ostinata dei cavalieri. Sissignori,
cotesto avvenne, contro tutte le buone creanze. Ognuno di que'
vagheggini pensava che la sua assenza non avesse a far sconcio, e per
tal modo ne rimasero una dozzina, a far le viste di satollarsi, ma nel
fatto per non allontanarsi dal contemplare la regina della festa, che
tale essa era stata salutata per acclamazione.... di votanti maschi,
s'intende.

Luisa che si addiede di quella diserzione dal ballo, e non voleva po'
poi farsi odiare oltre il bisogno dalle sue sorelle in Eva, fu
costretta a mandare, con dolci esortazioni, parecchi de' suoi
conoscenti nella sala delle danze.

Uno dei più renitenti ebbe l'impertinenza di rispondere, così forte
che tutti potessero udirlo:

--Vado, signora, vado, ma solo perchè ella me lo comanda.--

Bel complimento invero per la dama alla quale egli andò a chieder
l'onore di una mazurca.

Della signora Argellani, che era là seduta a sostenere gli assalti
della ammirazione verbosa di otto o dieci cavalieri, le galanterie
foggiate a madrigale, e gli inni ristretti, lampeggiati in languide
occhiate; della signora Argellani, dico, si notava la nobile
compostezza, si levavano a cielo le risposte leggiadre, si respiravano
avidamente i sorrisi. Uccisa dai caritatevoli rimpianti delle donne,
ella rinasceva nello spirito innamorato degli uomini. E chi aveva
ardito dire ch'ella fosse imbruttita, se era anzi bellissima, e
nessuna delle più celebrate per eccellenza di forma poteva entrare a
paragone con lei? Che occhi profondi! che profilo delicato! che collo
voluttuosamente tornito! E giù una filatessa di pregi, in lingua
pigliata a prestanza dal pittore e dallo scultore. I signori uomini
sono assai materiali quando nei loro crocchi ragionano delle bellezze
di una donna, e ci hanno del brutale nella loro ammirazione.

Ma brutale o no, l'effetto era grande. Perfino la rinomata bellezza
della marchesa Bianca aveva impallidito dinanzi alla regale maestà di
persona della nuova venuta, e dinanzi alla divina serenità di quel
viso. Fu insomma un subisso, una battaglia campale, una vittoria per
quella rinnovata bellezza che appariva d'improvviso, tremenda,
irresistibile, giusta il biblico paragone, come oste schierata in
campo.

«Non ti scordar di me» dicevano umilmente i suoi fiori; ma il trionfo
oltrepassava que' modesti desiderii. In quella che taluni si pentivano
d'averla dimenticata, il suo regno era assicurato su salde basi nel
cuore di tutti. Ella rientrava loricata, catafratta, in quella società
dove il suo petto inerme aveva ricevuto un colpo terribile, e dond'era
uscita semiviva; vi rientrava col cuore sano, libero e forte, educata
dai suoi danni a conoscere uomini e donne, a non amare nè odiare;
magnanima, non fiaccamente pietosa; superba, non orgogliosa, come
colei che sapeva la sua forza e si sentiva di tutti a gran pezza
migliore.

E nessuno la aveva intesa, quella pericolosa guerriera; nessuno aveva
indovinato il segreto dell'anima sua generosa.

Cotesto doveva tornar fatale al Percy.

Il giovinotto aveva fatto male i suoi conti, come tutti coloro che
lasciano far d'abbaco alla propria vanità. Meglio per lui se avesse
dato ascolto alla vergogna, la quale gli diceva di non osare. Ma la
vanità era a tortura; la gelosia di quella donna che era stata sua,
rinasceva più gagliarda, quanto più gli altri tutti la dicevano bella
e colle parole e con gli occhi. Gelosia e vanità lo persuasero a
ridiventar tenero; dopo essere stato villano. Infine, per chi era il
dolce richiamo di quei fiorellini simbolici che le adornavano tutta la
persona, se non per lui, per l'antico ed unico amante? Se ella avesse
incominciato un romanzetto amoroso col suo medico, siccome era stato
bisbigliato da qualcheduno, perchè sarebbe venuta alla festa da ballo?
E perchè, dato il caso di un capriccio che l'avesse fatta uscire dal
suo eremo, perchè il medico, che pure dicevano essere un giovanotto,
non c'era anche lui? No, no, il medico non c'entrava punto;
quell'amore sbocciato di fresco tra una ricetta e una toccata di
polso, era una calunnia bella e buona; Luisa non amava nessuno;
dunque....

Il dunque veniva pe' suoi piedi; dunque ella poteva amar lui, anzi lo
amava ancora, non aveva mai tralasciato di amarlo. Que' fiori erano
una confessione ed una preghiera: o non era quella una donna che aveva
aspettato di ripristinarsi in salute, per tornare, armata di tutto
punto, fresca e bella come prima, a ripigliarsi il suo? Sì certo, la
era così, non poteva essere altrimenti.

Fatti tra sè questi bei ragionari, Percy colse il momento che potè
dirle due parole da solo, e fattosi animo le susurrò questa frase:

--Mi permettete di venire ad implorare perdono?

Ciò detto, chinò gli occhi a terra e stette tutto tremante ad
aspettare la risposta. Fu quello un momento terribile per lui; la
terra gli mancava sotto i piedi, e dimenticandosi di aver ragionato
con tanta logica pur dianzi, già si sentiva fulminato da uno sguardo e
da una parola di superbo dispregio.

Ma egli, chinato com'era, non vide lo sguardo, e la parola giunse in
quella vece al suo orecchio dolcissima e carezzevole.

--Perdono? di che, sig. Eugenio? di non essere venuto a vedermi? Oh,
non avete bisogno di scuse; io ho inteso benissimo lo stato vostro.
Sarete stato trattenuto....

--Sì;--s'affrettò egli a soggiungere, cogliendo imprudentemente il
pretesto che ella gli offriva;--compiangetemi; ho avuto molti torti
con voi, ma vi giuro....

--Oh, ve li ho già perdonati, i vostri torti;--proseguì la signora
Argellani.--Noi donne intendiamo di molte cose, senza bisogno che ci
si dicano, e impariamo ad essere generose... Ma non parliamo di ciò;
ecco qui il duca di Marana che torna.

--Questa donna ha da ridiventar mia!--esclamò tra sè il Percy, e in
quella che l'altro si avvicinava alla signora, si pavoneggiò da lunge
in uno specchio che copriva tutta la parete di rincontro. Le grazie
irresistibili del suo volto non erano punto scemate, e il nostro eroe,
rifattosi animoso, pensò con lieta baldanza a que' tempi in cui sapeva
ridere e piangere così bene, e commuovere a suo talento quel cuore di
donna.

Povero vanitoso! Mezz'ora dopo, egli e il duca di Marana
accompagnavano la signora Argellani fino alla sua carrozza dov'ella
salì in compagnia del vecchio custode che ho già fatto conoscere di
profilo ai lettori.

Quella notte la marchesa Bianca se ne andò a casa soletta; chè non
poteva parerle compagnia quella di due o tre vagheggini di
second'ordine, solite ombre di Percy, quando c'era lui per ricondurla
da teatro o da qualche veglia notturna.

Intanto alla signora Luisa, nel salire in carrozza, era parso di
raffigurare sul margine opposto della strada il volto mesto e severo
di Guido Laurenti. Il cuore le balzò forte nel petto; rispose a mala
pena poche scucite parole ai complimenti di commiato de' suoi
accompagnatori, e si rannicchiò pensierosa nel fondo della carrozza,
che pigliava al piccolo trotto la discesa della via.



XX.


Se tu lo avessi veduto, o Percy, quello sguardo! Se tu lo avessi
sentito, quel sobbalzo repentino del cuore di lei! Certo la baldanza
ti sarebbe svanita, e più tardi, la speranza di riconquistare il
terreno perduto, di essere riamato da lei, non ti avrebbe popolato di
sogni leggiadri la solitudine del notturno riposo.

Il cuore ragiona assai comodamente talvolta, allorquando il raziocinio
è fuori di casa ed egli va a sedersi sulla scranna deserta del vicino.
Tira a sè tutti i più minuti particolari e i più inconcludenti, per
farne manipolo a sostegno di ciò che egli desidera; storce a nuove e
inaspettate apparenze le cose, sicchè coloriscano meglio i suoi
dirizzoni; non dissimilmente da un avvocato storcileggi che fa forza
agli articoli del codice, per far parere il dritto storto e il torto
dritto. Senonchè il leguleio vede il baco della argomentazione, e
Percy non vedeva quello della sua; anzi avrebbe dato del pazzo a colui
che gli avesse detto come tutti que' nonnulla da lui posti a mosaico
non avessero cemento da tenerli uniti, e come Luisa nel fondo del
cuore ci avesse ben altra immagine che la sua.

Io non fo, lettori umanissimi, un romanzo a guisa di trappola, per
cogliervi alla sprovveduta colle mie invenzioni; e neppure vo' tenervi
a bada con meditate reticenze e bene architettate sospensioni. Se io
tenessi voi sulla corda, potreste darla di santa ragione a me, che ho
scritto per fare una dipintura di caratteri, la quale non debba avere
altro pregio, salvo quello del vero, dell'umile vero. Però, non voglio
(sebbene sarebbe stato più fine accorgimento) aspettare altre otto o
dieci pagine per dirvi che Luisa non pensava punto a riconquistare il
Percy. Ma il Percy le era necessario, e per averlo a' piedi ella non
ebbe neppur bisogno di artifizi, di lusinghe donnesche; egli aveva
dato nella pania di per sè, e la pania non era stata che la
naturalezza della donna gentile. Il perdono della noncuranza,
temperato dalla cortesia di un'anima che non voleva ricordarsi di aver
patito, egli, ingegno volgare, lo aveva interpretato come un dolce
richiamo ad altri tempi, che la sua sconfinata baldanza, memore di
tutti i trionfi ottenuti, gli faceva credere di poter rinnovare.

Alla dimane, come fu ora di visita, andò a salutarla, vestito con
studiata eleganza di foschi colori. Ella lo accolse colla stessa
serenità, colla medesima dimestichezza della sera innanzi. Ma egli non
poteva tenersi in que' modesti confini dov'ella stava così
agevolmente; volle scusarsi del passato, e per iscusarsi, mentì,
sebbene ella non gli chiedesse nè menzogne, nè scuse. Parlò della
marchesa Bianca come di un capriccio nel quale era stata impegnata la
sua dignità mascolina; lasciò intendere che dal suo trionfo medesimo
era stato costretto a rimaner lontano da quella che non aveva mai
tralasciato di amare; che poi la vergogna, il timore di averla offesa,
e che so io, lo avevano tenuto in disparte, vicino ad una donna che
non gl'importava un bruscolo; ed ella diffatti, la signora Luisa,
aveva potuto vedere co' suoi occhi com'egli se ne fosse liberato
senz'altri riguardi.

Tutto ciò sembrerà orribile ai lettori, imperocchè io ho già detto
come stessero le cose tra lui e la Roccanera; ma se cotesto è
orribile, non parrà altrimenti inverosimile, nè strano. Quanti,
mettendosi con un po' di buona voglia a frugare nella loro coscienza,
non ci troveranno la colpa di una così trista bugia, che non parve
delitto, solo perchè fu sussurrata all'orecchio di un amico?
Calunniare una donna è la cosa più agevole del mondo. La veduta delle
esterne apparenze aiuta la credibilità nell'animo di chi ascolta;
tutti vi hanno veduto aliare intorno a quella donna, come l'ape
dintorno al fiore; che cosa c'è di più naturale che il fiore abbia
aperto il calice de' suoi profumi e dato ascolto all'amoroso ronzìo
dell'alato raccoglitore di miele? La credulità del mondo è come una
macchina bene inoliata; date col dito sul primo congegno e la macchina
va, stritolando a vostro benefizio la prima riputazione che le avrete
messa tra i denti.

Luisa stette silenziosa ad udire i racconti apologetici del bruno
Percy. Aggiustava ella fede a quelle triste invenzioni? Io non saprei
dirvelo; forse non vi badava più che tanto. Egli del resto non
raccontava le cose appuntino; chè ella non lo avrebbe consentito; ma
si aiutava a furia di mezze parole, rigiri di frasi e reticenze
sottili, che adombravano il pensiero, senza metterlo in evidenza, e
facevano indovinare il nome della donna, senza che fosse mai
pronunziato.

L'arrivo di nuovi visitatori interruppe la difesa di Percy, il quale
non potè nemmeno sapere che impressione avesse fatto il suo discorso
nell'animo di lei. E frattanto, Laurenti non si vedeva comparire.

Il giorno seguente, fu la medesima storia, con questo solo mutamento
che il Percy era accompagnato dal duca di Marana. Dopo un'oretta di
conversazione, piacque a Percy di invitar la signora a scendere un
tratto in giardino; ma la signora Argellani non ne volle sapere,
perchè era un po' stanca; padroni essi, se ci volevano andare.

--Oh, non sarà mai!--gridò il Marana.--Un giardino senza fiori, non è
un giardino.

Perchè ricusava di scendere in giardino la signora Argellani? Temeva
forse di far vedere in sua compagnia il Percy a Guido Laurenti, che
certamente doveva essere appiattato dietro i vasi del suo muraglione!
O forse non voleva guastare il giardino, sacro ai soavi rapimenti di
un nuovo affetto, oltre i quali ogni passo di piede profano sarebbe
paruto un sacrilegio?

Io, per me, mi accosto più volentieri a quest'ultima sentenza.

Frattanto quattro giorni passarono, quattro giorni segnati a nero
dalla assiduità del Percy e di molti altri visitatori dei due sessi. E
di Laurenti nessuna notizia; le sue finestre erano sempre chiuse.

Era proprio lui che essa aveva veduto, nel salire in carrozza? La
donna gentile voleva dubitarne, ma non le veniva fatto. Tra pel buio
della strada e per la fretta del salire, ella non lo aveva ben
guardato; ma l'impressione che aveva risentito dalla vista di quel
malinconico personaggio sul margine estremo della via, era stata così
violenta da non consentire alcun dubbio intorno alla materiale
presenza di Guido. Quella veduta aveva operato su lei come una
corrente elettrica; ora una semplice rassomiglianza, un dubbio,
avrebbero forse potuto far tanto?

Come a Dio piacque, venne il quinto giorno, e suonarono le due dopo il
meriggio. La signora Argellani era seduta nel suo salotto col bruno
Percy, e col duca di Marana che veniva per la seconda volta a
salutarla, quando fu annunziato il signor Guido Laurenti.

Lascio pensare a voi quale effetto facesse, e segnatamente in quel
punto, il semplice annunzio. Luisa tremò tutta; a Percy, memore delle
ciarle altrui intorno al medico della signora, si strinse il cuore;
solo il duca di Marana rimase tranquillo ad aspettare la comparsa del
nuovo venuto.

Dopo dieci secondi, che bastarono a Percy e alla signora Argellani per
ricomporsi, ma non già per avvedersi scambievolmente del loro
turbamento, Laurenti apparve sull'uscio. Egli era pallido come la
morte, severo nel portamento, accigliato nel viso, sicchè non parve
più a Luisa quello di prima. E invero egli non era più quel Laurenti
che col suo Virgilio tra mani si avanzava modesto pel sentieruolo
della villa verso l'albero di pino, a' piedi del quale ella stava
seduta; non era più quel Laurenti che le diceva un inno di amore cogli
occhi, innanzi di volgerle la prima parola.

Questo mutamento vide Luisa nella occhiata fuggevole che volse a lui,
mentre egli entrava con passo misurato nel salotto, volgendosi al
canapè sul quale ella stava seduta. In quel viso sparuto, in quegli
occhi affondati nelle orbite, ella lesse il lavorìo distruttore di un
lungo soliloquio. L'amore, con tutti i suoi patimenti, con tutte le
sue collere, trapelava da quel volto e da quegli sguardi severi.

E frattanto dovergli sorridere, come al più spensierato, al più gaio
de' suoi visitatori! E frattanto dovergli rivolgere una di quelle
parole in cui non si potesse indovinare l'accento della pietà, sorella
dell'amore! Povera donna! Era quello un tristo momento per lei; o
essere male intesa da lui, o sospettata dagli altri.

Mentre questi pensieri si agitavano confusi nella mente di Luisa, gli
occhi di Percy e di Laurenti si scontrarono, acuti e gelidi come lame
di pugnale; chè amendue si sentivano nemici implacabili e fatali.

--Finalmente!--esclamò Luisa, simulando il più gaio sorriso.--Ella è
di ritorno, signor Laurenti?

--Ella!--ripetè amaramente in cuor suo il giovine Laurenti.--Ella!
Ella! Si torna allo stile di cerimonia, a quanto pare. Donne, donne,
avrò io sempre a provarvi mutevoli, fugaci come l'onda?--

Questo pensò, e frattanto si avvicinò a lei per stringerle la mano; ma
il pensiero comandava agli atti, e la sua mano freddamente toccò la
mano di Luisa, senza quella pressione che dice tante cose nel
fuggevole ma veemente scocco di una scintilla elettrica fra nervi e
nervi. E Luisa del pari non aveva ardito stringere la mano di Guido.

--Quando è Ella arrivata?--gli chiese la donna gentile, così per tener
vivo il discorso.

--Ieri a sera, signora, e non ho voluto lasciar passare la giornata
senza venire a chieder sue nuove.

--Il signor di Marana; il signor Percy!--disse ella presentando i suoi
visitatori a Laurenti; quindi, voltasi ai due nominati, presentò loro
il nuovo venuto, a cui soggiunse andar debitrice della ricuperata
salute.

I tre s'inchinarono leggermente, salutandosi a vicenda; ma il duca di
Marana, il quale senza saperne il perchè, sentiva d'essere la testa
più tranquilla della conversazione, fu il solo che si facesse a
parlare.

--Signor Laurenti,--disse egli,--io sono lieto di conoscerla, e di
unire i miei ringraziamenti a quelli di tutti i sinceri amici della
signora Argellani. Avevo udito parlare della sua scienza e m'è
accaduto, come a tanti altri in simili occasioni, di crederla un
vecchio professore. L'autorità del sapere si dipinge sempre nella
nostra mente coi capegli grigi; ma quind'innanzi io sosterrò ch'essa
li ha biondi, o neri, e sarà tanto di guadagnato per l'onore della
gioventù calunniata.

--Io la ringrazio, signor di Marana;--rispose Laurenti
arrossendo.--Qui per l'appunto il gran medico, se non è stato un
giovane (che non posso attribuirmi questo vanto) è certamente stato la
gioventù, ed io non ho fatto che secondarla.

--La modestia del dottor Laurenti si giova perfino dei
bisticci--interruppe Luisa.--Ma ora, Ella ci dica un po' che cosa ha
fatto a Milano.

--Nulla che franchi la spesa di essere raccontato, signora mia. Ho
passeggiato, ho curiosato, mi sono distratto, come si può fare in ogni
altra città.

--Non in tutte, signor dottore!--gridò il duca di Marana.--Qui Ella
casca in una materia nella quale io mi tengo baccelliere. In ogni
città si può passeggiare e curiosare, non già distrarsi. La vera
distrazione e' bisogna andarla a cercare molto, ma molto lontano, e
non certamente nei ristretti confini dell'Europa.

--In India, per esempio, come ha fatto Ella!--disse Luisa sorridendo.

--Appunto, in India. Colà si vive una vita nuova, ed io non ho potuto
dimenticare l'antica se non colaggiù. In ogni città di Europa, il
sole, il tramonto, la luna, e tutte le ore della giornata mi
richiamavano alla mente ore simiglianti vissute a Madrid, e colle ore
mi rinnovavano nel cuore i maledetti stringimenti di una travagliata
giovinezza. Le conversazioni, i teatri, le passeggiate di Parigi, di
Vienna, di Napoli, mi mettevano sempre sotto gli occhi le _tertullie_,
i teatri, il _Prado_ della mia nativa città. Il raffronto mi
perseguitava dovunque; la negra cura saliva in arcioni con me, e mi
guastava il piacere del correre; un cappellino di donna elegante che
io vedessi a passare per via mi faceva giungere all'anima i dolori che
m'erano già derivati da un altro cappellino e da un'altra veste di
seta. La conformità del costume in tutti gli angoli di questa vecchia
Europa non mi dava pace nè tregua.

Una parentesi, e sarà breve. In quella che il duca di Marana
proseguiva il suo ragionamento, Guido cercava uno sguardo di Luisa. Ma
gli occhi della signora cansavano sempre i suoi. Percy le era seduto
vicino, e la dardeggiava di malinconiche occhiate; ella sorrideva ai
discorsi del Marana e poi andava a finire il sorriso dal lato di
Percy. Le era caduto il fazzoletto, e Percy s'era chinato
sollecitamente a raccoglierlo: donde i muti ringraziamenti e gli
inchini scambievoli.

Il cuore di Laurenti durava un'aspra guerra, una tortura così acerba
da togliergli perfino la coscienza di sè.

--E dica, signor di Marana,--soggiunse egli,--come è venuto a capo di
distrarsi dalle sue cure laggiù? Come ha potuto dimenticare?

--La contento in poche parole. In India c'è, sto per dire, un altro
sole; almeno ei non rassomiglia punto a quello d'Europa. Là non c'è
tramonto; l'astro maggiore se ne va dall'orizzonte _insalutato
hospite_, e al giorno succede improvvisa la notte. C'è già dunque il
risparmio delle malinconie del crepuscolo. Là, il dramma è la guerra
cogli uomini e colle fiere; la conversazione si fa colle tigri, delle
quali si odono i ruggiti in lontananza. I fiori di quella regione non
ricordano i mazzolini di rose e viole che si offrivano in Europa ad
una bella spensierata o crudele; le _jungle_ di folti bambù e di liane
avviluppate in giganteschi festoni non le rammentano i querceti dove
Ella è andato a nascondere i suoi primi dolori. Io là, signor
Laurenti, ho amato Sumitra... un elefante sul cui dorso andavo alla
caccia della tigre, e il cui barrito mi annunziava l'appressarsi del
nemico. Ad Ellora ho ammirato i templi scavati nel sasso, e mi
piacquero quelle immani divinità dai mille piedi, dalle mille braccia,
e dal viso terminato in proboscide, poichè non arieggiavano nessuna
fisonomia di cristiani. Insomma l'ho detto, la natura è al tutto
diversa colà, e la dea della bellezza, che da noi si chiamerebbe
Venere ed avrebbe il viso bianco, laggiù porta il nome di Lacmi, ed è
tutta dal capo alle piante di color cioccolatte.

--Ella ne parla con molto affetto, dell'India!--soggiunse la signora
Argellani.

--Sì, perchè io le sono debitore della pace dell'anima. Ero infermo e
l'India mi ha risanato. Ero partito dall'Europa colla morte nel cuore,
e sono ritornato pieno di vita, e così forte che ho potuto rivedere
Madrid senza tristezza, e le persone che mi avevano fatto patire,
senza che il mio cuore accennasse con un battito più frequente di
averne sentito la vicinanza.

--Veda che strano concatenamento di pensieri e di cose!--esclamò
Laurenti.--Ella parla dell'India, signor duca, ed io ci andrò tra
pochi giorni..... sebbene io non abbia da andare a cercarvi altre
medicine che quelle della sua flora così ricca e svariata.

--Ella in India?--proruppe Luisa; ma seppe frenar subito il
ribollimento del sangue; di modo che, allorquando Laurenti volse gli
occhi a lei per risponderle, non ebbe a notare che uno sguardo sereno
e freddo, e quello sguardo gli gelò il cuore, dove accanto alla
menzogna già stava per germogliare il rammarico di averla detta.

--Sì, in India, o signora. Mi è stata offerta una missione
scientifica; ed era da ricusare o da accettare sui due piedi. L'ho
accettata, e debbo per conseguenza recarmi ad Alessandria d'Egitto; di
là fino al golfo Persico...

--Oh, non faccia questo viaggio senza visitar le rovine di Babilonia e
di Ninive!--interruppe lo spagnuolo giramondo.--Quello è uno
spettacolo mirabile, fecondo di commozioni, in mezzo alle quali
l'antiquario diventa poeta.

--Certamente farò com'Ella mi consiglia, e vedrò anche Balsora e
Bagdad, la città del califfo Arun Al Rascid, la culla meravigliosa
delle _Mille e una notti_; poi m'imbarcherò per Bombay.

--Benissimo, e le raccomando, quando sarà a Bombay, di dare una scorsa
fino ai templi d'Ellora. Felice Lei, signor dottore! Se le mie
faccende non mi tenessero ancora per qualche mese in Europa, chi sa?
mi salterebbe il ticchio di partire con Lei. Sono due anni da che ho
lasciato que' paesi, e mi paion già mille.

--L'aspetterò a Madras, sulla costa del Coromandel;--rispose Guido che
provava un amaro diletto a parlare di quel suo viaggio imminente,
natogli pur dianzi nel cervello.

--Sta bene, siamo intesi. Io già ho sempre avuto in pensiero di
tornarvi, e la sua presenza sarà un incentivo di più.

--E' pare--disse Luisa,--che nasca una grande amicizia tra il signor
di Marana e il signor Laurenti!

--Sotto gli auspici di Vostra Mercede, come no?--rispose con
galanteria il Marana.--Il dottore è un giovinotto come me, sebbene io
ci abbia qualche anno più di lui; egli è un dotto, ed io un dilettante
di scienze; ecco dunque pareggiati i conti fra noi due. Abbiamo, da
quanto ho potuto intendere, i medesimi gusti, e perchè, se egli
l'accetta, non gli profferirei la mia schietta amicizia?

--Grazie, signor di Marana!--soggiunse Guido commosso, mentre si
alzava per stringergli la mano.--Quando Ella vorrà, vogliamo correre
l'India da cima a fondo.

--Dalle vette nevose del Davalagiri fino al capo Comorino! rispose lo
spagnuolo.--A Lei il viaggio riuscirà certamente più profittevole che
non a me; ma che importa? Ella sarà il capitano ed io il sopraccarico;
imparerò comodamente quello che avrà studiato Lei, e le insegnerò quel
poco che so per esperienza, cioè dove si trovano le più belle tigri e
i più sperticati boa.

--Che orrore!--gridò la donna gentile.--Dunque ella, signor dottore,
ci ha portato questa bella novità da Milano?

--Non da Milano signora; da Torino, dove ho passato questi ultimi
giorni.

--Questi ultimi giorni!--pensò Luisa.--Il disegno è dunque nato qui a
Genova... dopo la sera di lunedì.

La signora Argellani si tenne naturalmente queste considerazioni per
sè, e proseguì a voce alta:

--Anch'io ho in animo di viaggiare, ma non andrò così lontano. Poichè
la salute m'è tornata, piglierò il bordone di pellegrina e andrò,
secondo l'antica usanza, a sciogliere il voto a qualche santuario
famoso.

--Davvero... Ella partirà?--chiese turbato il Percy, che fino a quel
punto era stato tranquillo e sorridente vicino a lei.

--Sì, partirò; ma non si ponga in mente, per carità, che io voglia
andar molto lunge. L'Oberland della Svizzera e le sponde del Reno
avranno pure qualche eremo dove io possa andarmi a rinvigorire le
membra affralite.

--L'Oberland! il Reno!--pensò il bruno Percy.--Anch'io potrò andare da
quella parte quando mi aggradi.

Questo pensiero gli restituì la calma e gli fece rifiorire il sorriso
arrogante sulle labbra.

A Laurenti, in quella vece, il cuore si stringeva, si gelava sempre
più. Se egli rimaneva ancora dieci minuti nel salotto della signora
Argellani, certo schiattava, non potendo contenersi più oltre.

Si alzò allora per accomiatarsi da lei.

La signora Luisa, turbata anch'essa, si alzò del pari; gli porse la
mano, che egli toccò a mala pena, e guardandolo in viso con una
cert'aria ansiosa che il Percy non poteva scorgere, seduto com'era
dietro di lei, ma che bene notò il duca di Marana, gli disse:

--Ci vedremo?

--Sì;--rispose asciutto Laurenti.--Verrò di questi giorni a ricevere i
suoi riveriti comandi.

E inchinatosi a lei, stretta convulsivamente la mano al duca di
Marana, salutato severamente quell'altro, uscì con rapido passo dal
salotto.

Il giovine addolorato non vedeva nemmanco la strada; le lagrime, non
potendo uscire, per la vergogna, dagli occhi, gli offuscavano la
vista. Come fu a casa, nella solitudine della sua camera, si lasciò
andar bocconi sul letto, mormorando tra i singhiozzi che gli facevano
gruppo alla gola:

--Oh, mio povero cuore! mio povero cuore!



XXI.


Io non ho l'animo crudele di uno sgherro o d'un giudice del
Sant'Uffizio, da compiacermi a noverare i patimenti di Guido in quella
brutta giornata. E v'hanno poi di cotali dolori che non si possono
descrivere e che non intende neppur bene colui che li prova; dappoichè
essi, per la loro intensità medesima, gli tolgono la coscienza
dell'essere.

Egli fu nella notte, in mezzo al silenzio di ogni cosa creata, che
Laurenti cominciò a leggere nella sua anima afflitta, a raccogliere i
suoi dolori e ordinarli in forma di pensieri. La mezzanotte era
suonata, quando egli, che ancor non era uscito dalla sua camera, sentì
il bisogno di muoversi e di respirare un'aria manco soffocata di
quella. Aperse la finestra, e la brezza notturna e l'azzurro del cielo
stellato, parvero chetargli un tratto lo scompiglio della mente.

Dalla finestra della signora Argellani si scorgeva un po' di lume che
trapelava dalle stecche della persiana.

«Non dorme ancora;--pensò Laurenti--che fa ella? Ricorda le gioie
della sua bella giornata, rinnova nel suo cuore le fiamme che vi
accesero i lunghi sguardi del suo innamorato Percy! Io ho lavorato per
gli altri, mi sono affaticato per gli altri, ho messo per altri il
cervello a partito.... Gran colpo che ho fatto! gran vittoria che ho
riportato! Ma forse non lo avrei fatto, forse non mi sarei affaticato
del pari, sapendo che doveva tornarmene questo premio? O si ha da far
il bene solamente per l'utile che se ne spera? Guido Laurenti sarebbe
egli diventato un'egoista?»

Mentre egli così pensava il lume si spense nella camera della donna
gentile.

«Dormi, dormi, e ti consolino i sogni, le immagini leggiadre delle
feste a cui torni fidente e serena. Va, dove certo ti aspettano i
sogni del tuo Percy; senti la stretta del suo braccio che poderoso ti
sostiene, mentre i vostri piedi si aggirano in cadenza nel vortice
della danza e il suo alito infuocato ti bacia i capegli. Egli così
tenero non pensava a te, egli non ti faceva argomento de' suoi sogni,
allorquando tu ti spegnevi a poco a poco nella solitudine del tuo
dolore. Allora, chi sedeva al tuo capezzale, chi interrogava ansioso
le lievi pulsazioni del tuo cuore, chi persuadeva la vita all'anima
tua, mentre la infondeva nelle membra, chi viveva della tua esistenza
e ti faceva partecipe alla sua, era un ignoto, era Guido Laurenti, il
quale aveva giurato di restituire i bei colori della salute e della
giovinezza al tuo volto e morire egli di poi; imperocchè egli ti amava
e il cuore gli diceva che, risanata, non avresti più dato il cuore a
nessuno.

«Morire! Aveva giurato di morire per lei.... pazzo, tre volte pazzo! A
che terrei la promessa? a chi dunque! Si muore, quando non si ardisce
dire alla donna salvata: amatemi in ricompensa del benefizio; l'amore
vi ha fatto male, che importa? tornate a patire per me. Ma questa
donna oggi ama un altro; anzi riama l'antico. Che altro significa il
rinato desiderio delle feste? che altro il ritorno del Percy ai piedi
di lei? Ed ella che lo comporta e sorride!....

«Dio santo, avete voi così plasmata di fango la più bella delle vostre
creature, ch'ella abbia senza vergogna e senza rimorso da ricader
nelle braccia all'uomo che l'ha abbandonata, e ritorna a lei per amore
di novità, senza avere patito con lei? Cosiffatti amori, accesi
soltanto dalla vista di due labbra vermiglie, che sfuggono il sudario
della morte e tornano colla risurrezione della carne, sono invero una
profanazione della dignità e della logica. E perchè non ha inteso ella
cotesto? Perchè!.... La è stoltezza, la mia, a domandarlo. C'è forse
mai stata virtù di logica, o senso di dignità, nel cuor vostro, o
figlie di Eva? O non siete voi piuttosto quelle che noi vi andiamo
immaginando, noi adoratori degl'idoli fatti colle nostre mani, e di
attributi scaturiti dal vaneggiamento delle nostre contemplazioni? Il
camaleonte muta i colori secondo che la luce percuote il suo tenue
involucro di membra; noi vi illuminiamo coi raggi della nostra mente,
vi coloriamo coll'iride delle nostre passioni, e voi risplendete. Uno
spensierato gaudente che passi da vicino, vi scorge suffuse di roseo,
irradiate di splendori, opera tutta dell'amore di un artefice
affettuoso. Ed egli allora, che non ha fatto nulla per voi, che non ha
sudato all'opera, che non vi ha neppure guardato quando giacevate
smorte e dimesse, egli allora si fa innanzi sollecito, si pone fra il
disgraziato artefice e voi, si piglia egli la luce, si beve egli il
calore.

«Ed io ho studiato tanto, senza sapere tutto ciò? Povero uomo, suda
sui libri, rapisci i segreti alla terra ed al cielo! Ma che dico io di
libri? E l'esperienza dolorosa del passato! Mio povero cuore, viscere
smemorato che sei, o non ti valse a nulla aver patito gli aspri
tormenti una volta? Tu sei ricaduto stupidamente nell'inganno; hai
soffocato nel tuo profondo il primo suono di quella corda già offesa
da un antico strappo, la quale avrebbe potuto con le sue stridule
vibrazioni dare il segnale d'allarme alla ragione dormente. Va; se non
fosse che Laurenti non dee morire pel signor Percy, saprei soffocarti
ben io in una violenta affollata, in una mareggiata improvvisa di
sangue».

Così pensando, si tolse dal vano della finestra, ov'era rimasto fino a
quel punto; corse allo stipo, e aperto un cassettino, ne cavò una
boccetta che gittò sdegnosamente a terra. Il cristallo si ruppe, e
quelle poche goccie di liquore che v'erano rinchiuse, spruzzarono il
pavimento.

«Va, disperditi, veleno che dovevi uccidermi, senza che rimanesse
traccia di te, così ch'io rimanessi fulminato, senza che altri, anco a
spararmi le membra, potesse ascrivere la mia morte a disperato
proposito! Va, disperditi; io non farò altro che castigare il mio
cuore, flagellare, rompere per sempre la malaugurata corda dell'amore.
Andrò in India.... partirò subito... due o tre giorni basteranno per
dar sesto a tutte le cose mie.... Buon padre! egli mi ha fatto il
triste dono della vita, ma egli mi ha lasciato altresì la ricchezza,
per custodirmi contro i mali della turpe necessità. Io non sarò un
Prometeo incatenato sullo scoglio; io correrò lontano lontano, dove
non vedrò, dove non udrò nulla, più nulla!...

«È egli vero che si possa dimenticare, come asserisce il duca di
Marana? Gli amori di vent'anni, sì certo; ma gli amori di trenta.....
gli ultimi..... che! che! troppo profondo è lo schianto. Si cancella
il solco; ma il vallo romano di Caledonia, ma il canale di Neco
nell'istmo egiziano, si scorgono ancora dopo diecine e diecine di
secoli. No, io non la dimenticherò; ma ella almeno non mi vedrà a
patire, e il suo Percy non avrà a sorridere di compassione. O potrei
io rimanere vicino a lei, spettatore dolente, e spregiato? O forse
potrei vivere qui solo, a nutrirmi di memorie, a contemplare quel
mazzolino di fiori secchi che ella un giorno mi ha dato, e che hanno
aria di deridermi al capezzale?.....»

A quel povero mazzolino, già i lettori lo vedono, era minacciata la
sorte del veleno. Laurenti si mosse per ispiccarlo dalla parete; ma
appena lo ebbe afferrato, gli caddero le forze e lo sdegno, e così,
coi fiori tra mani, si lasciò andare su d'una scranna, dove rimase a
contemplarli malinconicamente.

«Fu un bel giorno, o divina, quello in cui mi avete donato questi
fiori salvatici, dimezzando il mazzolino che vi aveva offerto la
vecchia contadina. «Siete voi, mi diceste, che mi avete condotta
lassù, dov'è incominciata davvero la mia guarigione ed è giusto che ne
abbiate la parte vostra.» Sì, l'ho avuta la parte mia, e con buona
misura eziandio! Poveri ramoscelli di timo e di sermollino, voi soli
direte come io l'ho amata, e come sarei stato felice se il vecchio
suocero di Maddalena si fosse apposto al vero, quando ebbe a credere
che Luisa fosse mia...... mia.....»

Il ricordo di quell'errore del contadino condusse l'addolorato giovane
nella regione dei sogni. Vivere con quella donna, anco a patto di
dover comandare agli impeti della passione, sarebbe stato il colmo
della umana felicità. Ed egli, forte dell'amore di quella donna, la
rapiva agli sguardi, alle adorazioni profane del volgo. Quelle regioni
lontane dov'egli andava per disperazione, gli profferivano un asilo
pe' suoi amori felici, E già si vedeva colà, a mutare i passi lenti
con lei in una di quelle grandi foreste, dove un largo padiglione di
musacee e di liane intrecciate non lasciava penetrare la sferza del
sole. Le ancelle, vestite dei variopinti tessuti di Madras e
Mazulipatnam, uscivano dallo _chattiram_ con larghi ventagli di acacia
per venirle a rinfrescar l'aria sul viso, mentr'ella se ne stava
adagiata nel suo letto pensile, saldato ai noderosi rami di due alberi
di mangifere. Ed egli, seduto daccanto a lei, le stava leggendo un
dramma di Calidasa o un canto del Ramayana, nella lingua sacra dei
Bramini, che essi avevano imparata per loro diletto e ad inganno del
tempo. Per vivere in quella guisa, che non avrebbe fatto egli? Come
Visvamitra, il gran re penitente, di cui narra Valmiki nel suo immane
poema, egli si sarebbe rassegnato a mille e mille anni di ascetismo,
pur nella speranza di essere innalzato dalla virtù della sua
contemplazione al triplice regno di Indra, al firmamento azzurro de'
suoi desiderii.

Un dolore immenso, profondo, senza speranza di tregua, ha pure di
simiglianti allucinazioni, come la sete prolungata ha i suoi miraggi
nelle arene del deserto. Spaventose allucinazioni, quando svaniscono;
dolorosi miraggi, quando il pellegrino trafelato giunge al luogo dove
la fata morgana gli aveva fatto scorgere il pozzo di Nachor.

Fu un triste svegliarsi, quello di Guido! Ripose nel suo luogo il
mazzolino, mentre le lacrime gli innondavano le guancie, e recatosi
allo scrittoio, cominciò una lettera per quella donna da cui voleva
accomiatarsi senza pure vederla.


    «Luisa,

  «Vi ho amato; ho sognato. Vi amo ancora, ma il mio sogno s'è
  dileguato ed ho scorto la dolorosa verità. Povero stolto, che volevo
  risanar gli altri, e sono caduto infermo io medesimo!  Ma io porterò
  la pena dell'errore; amate, siate felice, io mi allontanerò dagli
  occhi vostri per sempre.

  Non vengo a prender commiato da voi; chè non potrei vedervi contenta
  e sorridente a fianco del Percy, dell'uomo che riamate, e per contro
  mi riuscirebbe troppo gran peso il mesto addio, consigliato al
  vostro cuore da una sterile pietà....»


Qui Laurenti si fermò per rileggere lo scritto; ma com'ebbe scorso il
foglio, gittò la penna con atto di sdegno, e fece la carta in pezzi.

--Che Percy! Debbo io scrivere quel nome? E debbo mandare una lettera
che la faccia ridere di compassione? Scriviamone un'altra, e il cuore
si tenga in disparte.--


    «Signora,

  «Il bisogno di provvedere alle cose mie per un viaggio così lontano
  come ebbi l'onore di annunziarle, non mi consente di venire a
  rassegnarle gli atti del mio profondo ossequio, siccome sarebbe
  debito insieme e desiderio per me. Poi, debbo dirle ogni cosa? Si
  prova rammarico a dipartirsi dagli amici, a il commiato è sempre un
  doloroso momento per tutti.  Non si è buoni medici, senza
  affezionarsi un pochino ai clienti; non si è veduta una gentile
  inferma tutti i giorni, senza pigliare quella tal simpatia che
  deriva dalla intrinsichezza.  Ecco perchè....»


--Perchè... perchè coteste sono fanciullaggini, e coll'aria di voler
nascondere il vero, farò ridere due volte, in cambio di una. Un nobile
dolore ha egli da aver vergogna a mostrarsi? Percy vedrà la lettera!
La veda pure. Io starò disgraziatamente ancora parecchi giorni a
Genova. Venga egli a sorridermi sul viso, e vedrà, in fede mia, che
bel giuoco! Suvvia, un'altra lettera, e sia l'ultima.


    «Signora,

  Perdonatemi! Io partirò senza venire a dirvi addio. In verità, non
  mi sento di rimetter piede in quella palazzina gialla dove ero
  entrato come un amico, e dove sono rimasto come un innamorato.
  Perchè non ardirei confessarvelo? Vi ho amato, sì, vi ho amato, e
  voi forse ve ne sarete avveduta. Voi non amate me, e di cotesto mi
  sono accorto ben io. Donna gentile, perchè verrei io a piangere a'
  vostri piedi, cagione di rammarico per la vostra anima pietosa? Noi
  non possiamo comandare al nostro cuore; nè voi voltarlo ad un
  affetto che non era spontaneamente venuto, nè io a soffocarvi il
  mio, nato vigoroso, ribelle ad ogni argomento della ragione.

  Perdonatemi dunque, o signora, e siate felice.  Un giorno, pensando
  allo scomparso amico, non ricorderete ch'egli.... che il suo affetto
  vi abbia mai cagionato un dolore....


--Legga pure il Percy questa frase, e sorrida, se gli dà l'animo!
gridò il giovine; quindi seguitò a scrivere:


  «La è questa, l'unica consolazione che porterà seco, in terre
  lontane, il vostro

        GUIDO LAURENTI.»



XXII.


Alla dimane, quando la lettera fu al suo ricapito, Guido ebbe dolore
d'averla scritta. Ora gli pareva di soverchio patetica, ora troppo
compassata; ad ogni modo poi gli pareva che in cambio di scriverla,
avrebbe saviamente e cortesemente operato ad andare in persona a
licenziarsi dalla donna gentile.

Tutti ragionamenti dettati dall'agonia del non doverla vedere più mai,
quella bellissima che lo aveva ridotto a quel punto. Ma la era fatta,
e non c'era rimedio.

La giornata passò non affatto male, tra per l'operosità concitata
degli apprestamenti di viaggio e per le corse che ebbe a fare fuori di
casa.

C'è sempre un mondo di nonnulla a cui provvedere, innanzi di cangiar
paese. C'è, verbigrazia, da pensare alle cose che si porteranno seco,
e a quelle che si lasciano: c'è da ordinare le sue carte, bruciare le
inutili e quelle segnatamente che risguardano altrui. E qui, fermate,
commozioni ad ogni tratto! In que' foglietti che vengono tra le mani,
foglie disperse della Sibilla, v'hanno pensieri fuggevoli che fanno
ricordare con amarissima voluttà il giorno in cui furono scritti;
v'hanno lettere che bisogna rileggere, fragranze del passato che si
aspirano più e più volte, quasi per provare da capo sensazioni
lontane; v'hanno di certi fogli, di certi ricordi che non si ardisce
distruggere così sui due piedi, epperò si ripongono sull'orlo del
tavolino, per modo che abbiano ad essere gli ultimi sacrificati, quasi
che nel tempo che gli altri si mutano in cenere, dovesse
sopraggiungere tal cosa che li avesse a scampare dal fato comune.

Fornita quella mesta bisogna, che si portò via tutto il mattino,
Laurenti uscì di casa per andare dal suo banchiere a metter sesto alle
cose sue, la qual cosa non riuscì punto difficile, dacchè tutto
l'avere di Guido era posto a frutto nei banchi, o nelle cartelle del
debito pubblico. Rimaneva la casa col giardino, dov'egli abitava; ma
per questo negozio il giovine stava appunto accarezzando un disegno
che vedrete di poi.

Venne quindi la volta dei servi da congedare e da consolare nel tempo
istesso, poichè erano gente buona e molto affezionata a quell'ottimo
padrone ch'egli era. Guido li accomiatò da gran signore, lasciando a
tutti larga memoria di sè.

In queste ed altre faccende giunse la sera. Tornandosene a casa, trovò
il giardiniere della signora Argellani, che lo aspettava sull'uscio.

--Buon giorno, ed anzi buona sera a Vossignoria!--disse il Giacomo
levandosi il cappello.

--Oh, Giacomo,--rispose Laurenti, facendo uno sforzo grandissimo per
sorridergli--che buon vento vi mena quassù?

--Buono? Chi sa? Vossignoria ne fa di belle, in fede mia!

--Io? che cosa?

--O che, le pare? andarsene così, senza dire: addio bestia!.....

--Giacomo, gli è necessario.

--Necessario un..... presso che nol dissi! la mi perdoni, veh! Sono un
uomo troppo vecchio per potermi cangiare. Chi l'ha nell'ossa lo porta
alla fossa. Che Vossignoria se ne vada, s'intende; ma non dire neppur
crepa al povero Giacomo....

--Ma sono ancora qui;--rispose Laurenti--voi mi vedete, ed io posso
stringervi la mano....

--Sì, ma non già per grazia di Vossignoria, sibbene perchè la signora
me lo ha detto. Ma che? e' sembra proprio che si siano dati la posta!
anche la signora se ne va....

--Davvero, Giacomo? e dove?

--A Firenze; così ha detto stamane, e lascio pensare a Vossignoria che
pianti in casa!

--Ma non voleva andare in Isvizzera?....

--Oh, io non so nulla di cotesto. Ha detto Firenze.... per ragioni di
famiglia.... Pare che la ci abbia un'eredità da raccogliere.... delle
liti, e che so io! Poi, ha detto che vuol cambiar aria per compiere la
sua guarigione.....

--Ella fa molto bene;--soggiunse Laurenti.--Io stesso le avevo
consigliato di andare a passare qualche mese fuori di Genova.

--Qualche mese! Altro ci è; vuole andarsene del tutto.

--Ma come? perchè!

--Che vuole che ne sappia io? Ci ha da esser qualcosa nell'aria, che
diventano tutti matti; la signora.... Lei, con sua licenza....

--Oh dite pure, io non me ne reco; matti dunque?....

--Sicuro, ed io, scusi se ardisco mettermi nella brigata, io sono il
terzo matto.

--O come?

Così dicendo, Laurenti stette a guardare attentamente il giardiniere,
che si faceva grave, sostenuto, come chi si appresta a fare un
discorso di molto rilievo.

--Signor Laurenti, ho a dirle una cosa; ma non rida per carità.

--No certo; non è mio costume neppure.

--Bene! Come Vossignoria sa, il povero Giacomo è solo.....

--Lo so.

--Non ha parenti; i suoi vecchi sono tutti iti; non ha moglie, grazie
al cielo, nè figli per conseguenza; non ha altra affezione che per la
sua signora, e la sua signora se ne va.....

--Orbene?

--Mi lasci dire! Avevo cominciato a voler bene a qualcheduno..... da
povero villano, s'intende; ma insomma, anche l'amore della povera
gente vale qualcosa.... e questo qualcheduno se ne va anco lui! Che
cosa resta il povero Giacomo? Un vecchio ceppo di castagno, buono da
grattargli il fradicio per far la terra alle camelie, e da buttare il
rimanente sul fuoco!... Mi stia a sentire! Il Giacomo ha pensato una
cosa, con licenza di Vossignoria.....

--Dite, dite!

--Vossignoria se ne va laggiù alle Indie, a fare il naturalista. Il
Giacomo, non fo per dire, è un giardiniere che sa il fatto suo, e
qualcosa ha pure imparato, in cinquant'anni di vita; è robusto; gli
piace la fatica; ama vedere un po' di paese anco lui...

--Ho capito, Giacomo, ho capito.....

--No, non basta! Il Giacomo può essere buono ancora a qualcosa, come
aiutante, come servitore, come..... e perchè no? come padre. Senta, ho
venticinque anni più di Vossignoria..... Chi la aiuterà come il
Giacomo, quando correrà la campagna? Chi avrà cura di Lei, come il
Giacomo, quando le verrà un po' di male? Sì, l'ho detto e lo sostengo,
come un padre.... come un padre....

E le lagrime gocciolavano a quattro a quattro sulle guancie abbronzate
del vecchio giardiniere.

--Giacomo! gridò Laurenti, abbracciandolo--voi siete il più brav'uomo
che io mi conosca. Qua la mano, e contratto fermato! Ma la signora lo
sa?

--Sì, gliel'ho detto.

--E che cosa vi ha risposto ella?

--Che faccio bene, e che se Vossignoria mi piglia con sè, sarà un gran
piacere per lei, che in tal modo sarà più certa di avere notizie di
Vossignoria.--

Stranezze del cuore umano! In fondo a quello di Laurenti cominciava
come un barlume di speranza, un punto di luce, pari a quel lumicino
dei racconti della nonna, fievole ancora, che non lasciava indovinare
se fosse di castello lontano, o di tugurio, o di carbonaia
boschereccia, ma che pure facea rinascere da morte a vita l'eroe
disgraziato della favola.

--Orbene, Giacomo--disse Laurenti--preparate le cose vostre; noi
partiremo posdimani a sera per alla volta di Corfù.

--È lontano Corfù?

--Sì, di là dall'Italia, e ci andremo sull'_Amerigo Vespucci_. A Corfù
troveremo un'altra vaporiera che ci porterà in Alessandria d'Egitto.

--E avanti sempre!--gridò il giardiniere.--Ma se lo dicevo io, che
sono il terzo matto! chi non le fa in gioventù le fa in vecchiaia, e
nessuno ne scampa.--

Il giorno seguente, Guido vedeva giungere il Giacomo con tutte le sue
carabattole in una piccola valigia che depose in anticamera.

--Già fatto?

--Sì; io non ho come Vossignoria da provvedere a tante cose, Sono come
la chiocciola che ci ha addosso ogni suo avere.

--Vi siete già congedato dalla vostra padrona?

--No, ci torno stassera, poichè ella non partirà fino a domattina.

--Così presto?

--Sì; la dice che egli è un negozio di molta urgenza, quello che la fa
andare a Firenze.

--E la sua casa, chi ne avrà cura?

--Oh per questo la ci ha il suo notaio, un fior di galantuomo.....

--Chi è costui?

--Il signor Marinasco; non lo conosce Vossignoria?

--Sì, un'ottima persona davvero! E poichè mi fate ricordare che debbo
andare da un notaro per certe faccende, mi recherò appunto da lui.--

Un'ora dopo, Laurenti entrava nello studio del notaro Marinasco, a
fare un atto di donazione della sua casa.

Il notaro fu un tal poco maravigliato quando udì il nome del
donatario.

--Questo ragazzo è nato vestito,--mormorò egli tra i denti.--E' non
avrà neanco a piatire coi vicini di sotto, per ragion di confini.--

Io spero che l'avveduto lettore avrà capito la cagione di questa
maraviglia del notaro, e perchè borbottasse di confini, e di ragazzi
che nascevano vestiti.

Fu triste, assai triste, l'ultima notte che Laurenti passò nella
solitaria dimora. La sua anima sconsolata, posta nel giorno a continua
tortura dalla fretta degli apprestamenti e da tutte le altre cure
della partenza, era caduta in una specie di rilassatezza, nella quale
c'entrava anco per molto la prolungata insonnia di quei giorni, così
tristamente fecondi d'ogni maniera di dolori.

Scese a passeggiare in giardino. La notte, stellata, azzurra,
trasparente, sembrava irridere colla sua imperturbabile calma alle
procelle del cuore di quel giovine che stava ritto presso il
muraglione, vero simulacro della pochezza umana al cospetto
dell'infinito. Guidato dall'invisibile auriga, il Carro seguiva
l'eterno viaggio; Cassiopea, i Gemelli, la cintura d'Orione,
splendevano colle loro forme più ricise in mezzo a quelle miriadi
sterminate di corpi celesti nelle profondità dello spazio. Il
firmamento era muto, tranquillo, come l'immensità di cui esso appare
unica forma visibile ai mortali; ed egli, povero microcosmo, agitato,
sconvolto da violenti uragani, non contava nulla in quel gran mare
dell'essere.

«Addio, mia povera casa! addio, lembo di cielo che sorridi a questa
conca di terra popolosa, dove ho vissuto così tranquillo tanti anni
come in mezzo al deserto. Ah, fossi rimasto mai sempre intento a
guardarvi, o stelle del mio cielo, a indagare i vostri segreti, o
fiori del mio giardino!

«Nulla! nulla! nemmeno un saluto! Ella parte dimani.... questa
mattina, anzi; chè oramai sono le tre dopo la mezzanotte. Ma che cuore
ha costei, che non sente neppure il bisogno di dire all'amico,
all'uomo che l'ama e che ella non vedrà mai più: perdonate, io non
posso amarvi, ma sono triste del vostro dolore?

«Forse ha ragione; forse nel suo cuore di donna ella ha sentito essere
manco acerbo fuggire, che darmi un ultimo addio, nel quale io non
avrei scorto che un atto cortese di pietà, di quella pietà che io
ricuso!»

Questi erano i pensieri di Laurenti. Dopo aver corso da capo a fondo
il viale, dopo essersi fermato più volte a contemplare la palazzina
Argellani che appariva opaca nel fondo, e cercato di ricreare una
forma bianca sotto l'albero di pino, il cui ombrello si dipingeva
foscamente riciso nel primo strato azzurro che lasciassero discoperto
le digradanti colline, l'assiduo evocatore di amare ricordanze andò a
fermarsi presso il noto sedile di pietra, accanto ai rami dell'olmo.

Ella non era per fermo venuta a salutare quel punto estremo della sua
villa, innanzi di partire! Che cosa doveva importarle degli amplessi
tenaci dell'edera, di quell'idillio di piante nel quale egli, ebbro
d'amore, aveva raffigurato un idillio di cuori, il sogno della sua
vita?

Diede un lungo sguardo di malinconia a quelle nozze verdeggianti, un
lungo sospiro a quelle ricordanze amarissime; spiccò una fogliolina
d'edera, in forma di cuore, poi un'altra, e le ripose ambedue tra le
faccie del suo taccuino; quindi si lasciò andare sul sedile, spossato
di membra e di anima, senza volontà, senza pensieri.

La natura, così a lungo dimenticata, voleva la parte sua. Guido cadde
in un sonno profondo, tosto visitato da un sogno che io chiamerò sogno
di prigioniero, imperocchè l'uomo privo di libertà, impedito da
catene, sogna sempre l'aria aperta, i viaggi, l'uso infine di tutti
quei diritti che gli sono menomati dal chiavistello e dalle sbarre del
carcere; e Guido, abbandonato dalla donna gentile, sognò che essa gli
era daccanto, e che ambedue adagiati in una nuvoletta rosea
veleggiavano verso l'orizzonte lontano, in mezzo a soavi splendori di
cielo, le mani nelle mani, gli occhi amorosamente fisi negli occhi, e
mormorandosi a vicenda: ti amo!

Quando si svegliò, il sole era già alto e scottava la lavagna su cui
egli s'era sdraiato. Intorno a lui stavano rispettosamente aspettando,
e vigilandolo che non cadesse a terra, i servi e il buon giardiniere.

--Ma che diamine è saltato in capo a Vossignoria di dormire qui
all'aria aperta, per buscarsi qualche malanno? O non sa che la rugiada
è tanto veleno che si filtra tra carne e pelle a chi sta smemorato a
pararla?

--Sì, sì, ma che volete? Ero stanco e mi sono addormentato qui, senza
pure avvedermene. Che ora è?

--Sono le dieci suonate da un pezzo.

--Ah, gli è troppo tardi, ed ho ancora molte cose da fare!--

Gli era venuto in mente di chiedere al Giacomo se la signora Argellani
fosse partita, e se gli avesse lasciato qualche cosa da dire a lui; ma
si ritenne, parendogli poco conforme alla dignità del momento. Si
vergognava anzi d'essersi lasciato cogliere in quel luogo, dando
argomento a sospetti, e mostrando la sua debolezza alla gente.

Questo pensiero lo raffermò nel proposito di non chiedere nulla al
Giacomo e di mettersi in mare senza parlargli di lei. Ella era partita
senza mandargli un saluto; buon viaggio! Ella non si curava punto
punto di lui; così doveva finire! Insomma, e' flagellò il suo cuore,
lo stritolò, se mi è consentita la frase, sotto il martello della
logica, e pari al fanciullo spartano a cui la volpe nascosta sotto la
tonaca addentava le carni, compose il suo viso a noncurante alterezza.

Dopo essersi convenevolmente rassettato, uscì di casa per andare a
salutare due o tre amici, i soli che s'avesse, e il lettore che
rammenta il cominciamento di questa storia ricorderà, chi fosse uno
tra essi.

--Dunque, te ne vai?

--Sì, parto stassera.

--Guido, gli è un acerbo dolore quello che ti spinge così lontano da
noi.....

--Che!..... Parto perchè ho desiderio di vedere un po' di mondo.
Dolori, io? E per che cosa? Per chi?--

E tirò giù per cinque o sei minuti su questo metro; ma poi, tanto era
l'affetto suo per l'amico, finì a confessare ogni cosa.

Quell'amico e gli altri più intrinseci che vide, gli tennero compagnia
a pranzo. Ei non era più il Guido Laurenti de' tempi andati, severo ma
tranquillo, pensieroso ma cortese negli atti e nelle parole.
Tranquillo era in apparenza, ma il viso sparuto accennava i patimenti
dell'anima; per consolare gli amici che erano tristi della sua
partenza, rideva a sbalzi e celiava fuor del costume; ma la celia e il
riso gli erano spesso interrotti da subitanei stringimenti di cuore, e
allora gli si scombuiava il volto e pareva che tutte le facoltà vitali
si raccogliessero di dentro, a soffocare, se pur veniva fatto, una
cura, un'angoscia che voleva sopraffarlo.

Anche il _dulcis amor patriae_ parlava in que' momenti supremi più
forte nel cuor di Laurenti che non avesse mai fatto da prima. Ad ogni
piè sospinto gli accadeva di fermarsi per raccogliere i suoi pensieri;
ogni piazzetta, ogni crocicchio, dimandava un lungo sguardo di
affetto; perfino certe faccie di viandanti, che gli erano un po' più
dimestiche, gli facevano rallentare i passi. Persone e cose alle quali
per lo innanzi non usava badare più che tanto; persone e cose che lo
commovevano allora, come quelle che gli davano imagine della sua
terra, della sua terra da cui si allontanava per sempre.

Finalmente giunse la sera. Gli amici, dopo un'ultima libazione, per
render propizio Nettuno, e dopo lunghi e ripetuti abbracciamenti, si
separarono da Guido sulla calata del porto. Egli scese col Giacomo in
un canotto, che si allontanò subito dalla riva a furia di remi, poichè
l'ora era tarda, e la caldaia dell'_Amerigo Vespucci_ accennava coi
suoi nuvoli di fumo di non aver tempo da perdere.



XXIII.


Intenderà l'agonia di Guido Laurenti colui il quale s'è violentemente
strappato dalla sua terra, col duro proposito di non tornare mai più.

Triste cosa, acerbo strazio dell'anima sferrare dal lido e dover dire:
ecco, è l'ultima volta che io vedo tutto ciò! La rondine lascia per
terre lontane il nido saldato con tanta assiduità di cure al trave
della casa ospitale; ma come l'anno è trascorso, la rondine torna a
pispissare, con l'ali aperte e ferme, dintorno al nido abbandonato.
L'uomo che lascia la patria, a lui cara per le consuetudini della
vita, cara per la ricordanza dei dolori, l'uomo che rompe di tal guisa
la trama sottile de' suoi affetti, soffre, io mi penso, come la pianta
che, divelta dal suolo, lascia nel profondo le sue più dilicate
radici. Il cuore sanguina, e il patimento non si disacerba col
piangere; regna anzi sul volto una calma severa, ma dentro
ribolliscono, lava ardente, le collere tutte, i rancori, i furori
dell'anima.

La notte era alta, e la vaporiera s'innoltrava brontolando nella fosca
distesa del mare. I passeggieri, gente assai tenera della propria
salute, erano scesi nel salotto per non buscarsi infreddature. Guido
solo rimaneva sul cassero di poppa, seduto, colla testa sprofondata
nel cavo degli omeri, che si appuntellavano forte al capo di banda del
piroscafo, e cogli occhi aggrondati, che guardavano verso terra.

Genova, quantunque vicina, non si vedeva già più. I contorni della
montagna erano spariti, confusi nel buio dell'atmosfera, e in cambio
di quel mirabile anfiteatro di palazzi e di case variopinte che è così
bello a vedere di giorno, si scorgeva un fantastico anfiteatro di
bagliori, disposti a capricciosi scaglioni in un fondo d'azzurro cupo.
Parevano stelle, fuochi fatui, sospesi a centinaia sulla superficie
del mare.

Qualcheduno dei passeggieri radunati nella sala di prima classe, si
dilettava a suonare il cembalo, e le gaie battute di un valzer
giungevano fino agli orecchi di Guido. Ma quali pensieri danzavano
nella sua mente, al suono di quella musica? Tristi pensieri; danza
turbinosa.

Dov'era in quel momento Luisa? Egli non ne aveva più chiesto al
Giacomo: ma certo ella era sulla via di Firenze. Non voleva pensare a
lei, e ne discacciava sdegnosamente l'immagine; ma quella immagine,
figlia del suo spirito infermo, gli tornava a balenare negli occhi, ed
egli invano tentava di chiuderli, come il fanciullo allo spesseggiare
dei lampi in una notte tempestosa, dappoichè la luce penetrava le
palpebre e gli ripeteva quella sensazione molesta.

Fu una notte tormentosa, a gran pezza peggiore delle altre, come
quella che gli recava i primi dolori della disperazione. Tutto era
finito; gli ultimi stami erano recisi: nè più speranza, timidamente
vagheggiata nel profondo del cuore, di mutate venture; nè più agio a
pentimenti della sorte capricciosa; la sentenza era irrevocabile,
chiuso il libro dei fati.

Giunse l'alba, e il povero condannato era tuttavia seduto al suo
posto, cogli occhi sbarrati, ma senza veder punto quel miracolo di
bellezza che è lo spuntar dell'aurora in alto mare.

Il cielo s'imbiancava man mano; poi di temperanze in temperanze,
riusciva di un azzurro carico, simile a quelle dipinture cinesi, fatte
di turchiniccio, a vaporosi contorni, una fusione insomma di cielo e
di mare. Ma l'aurora dalle rosee dita, come l'hanno chiamata i
classici, cominciava a spargere il suo color prediletto dal balzo
d'oriente; i vapori si diradavano, le leggi della prospettiva
incominciavano a trionfare. Le nuvole, allungate in cirri fantastici,
risaltavano tinte di rosso sulla linea dell'orizzonte, donde
emergevano, nereidi mattiniere, le isole e le coste del Tirreno.

L'_Amerigo Vespucci_, come la nave di Giasone, s'innoltrava baldanzoso
in mezzo a quel risveglio di deità marine; ma Guido, ben diverso dagli
argonauti, non vedeva nulla, nè splendori di cielo, nè luccicar d'onde
guizzanti, nè variopinti sereni in lontananza. Tutto chiuso nella sua
cupa tristezza, egli non badava a quella grandiosa veduta. Le
maraviglie della natura, come quelle dell'arte, vogliono mente calma e
serena; colui che ha l'anima oppressa, non dà retta alle esterne
sensazioni, legge senza intendere, guarda senza vedere. Egli badò
soltanto ad alcuni viaggiatori i quali uscivano dai camerini, per
venire a godersi la prima frescura, e pensò che se gli altri uscivano,
egli doveva andarsi a rinchiudere, poichè non voleva farsi scorgere,
così rabbuffato e sciatto com'era.

Ma in quella che si alzava per scendere, vide comparire dall'orlo del
cassero di poppa la testa del Giacomo, il quale saliva la scaletta per
venire da lui.

--O come?--gridò il giardiniere, vedendo sulla persona di Laurenti e
sul viso i segni della insonnia prolungata.--Non ha dormito,
Vossignoria? Male, male! Se la va di questo passo quando saremo
laggiù, non vuol durarla di molto.

--Tanto meglio, Giacomo, tanto meglio! La vita non franca davvero la
spesa di essere vissuta. Ma vedete un po' che stupendo mattino!

Era il primo sguardo che Laurenti volgeva a quel risveglio della
natura.

--Mattino! mattino! altro che mattino!.. borbottava tra i denti il
giardiniere.

--Che paternostri dite voi ora?

--Oh, lo so io, quello che dico. Il viaggiare è assai bello, e
contemplare il levar del sole piace anco ai cacciatori di pernici; ma
sarebbe assai meglio dormire nelle ore del sonno. Se Domineddio ha
fatto il giorno e la notte, gli è segno che ci aveva le sue gran
ragioni.

--Che cosa volevate da me, Giacomo?

--Ah, ora che ci penso...... ma in verità non ardisco parlarne......
Si figuri Vossignoria che ho fatto la più grande bestialità del mondo,
e bisogna che Ella me la perdoni.

--Che cosa?--gridò Laurenti turbato.

--Vede? Vossignoria si riscalda già il sangue.

--Ma che cosa, in nome di Dio, che cosa?--incalzò Guido spazientito,
il quale indovinava che nell'errore del Giacomo si trattava della
donna gentile.

--Vossignoria mi perdonerà? ripetè il Giacomo.

--Sì, sì, vi perdono. La fatalità mi perseguita, ed io non darò
cagione a voi dei colpi ch'ella mi avventa. Suvvia, dite, che cosa
avete fatto di male?...

--Ecco! avevo una lettera fin da ieri mattina, per consegnarla a
Vossignoria; ma Ella è stata sempre fuori; alla sera poi tutti que'
bravi signori, amici di Vossignoria, mi hanno fatto alzare il gomito
un po' troppo. Lo sciampagna non è acqua.... ed io, oltre a quello che
mi mettevano nel bicchiere, ho trincato anche quello che Vossignoria
non voleva mai bere.

--Giacomo, non mi tenete in aria coi vostri racconti! Quella
lettera.....

--L'ho giù nel camerino, e se Vossignoria la vuole.

--Se la voglio! Andate, correte a pigliarla!

L'accento di Guido era cosiffattamente imperativo, che il Giacomo non
istette a baloccarsi più oltre, e scesa la scala a precipizio,
disparve nel vano della boccaporta.

Laurenti avea la febbre addosso. Che cosa era scritto in quella
lettera! Che fatalità pesava su lui, da farlo partire senza che il
Giacomo si ricordasse di dargli quel foglio, nel quale certamente
v'era la sua vita o la sua morte?

Così pensando, rimase inchiodato sul sedile, ansante, sgomentito, ad
aspettare che il Giacomo tornasse. Questi venne finalmente venne con
aria contrita, il manigoldo, tenendo la lettera tra le mani.

Guido gliela strappò dalle dita; ma come l'ebbe afferata, non gli diè
l'anima di rompere tosto il suggello. Guardò il cielo con atto
disperato, come per accusarlo, nella piena del suo dolore, di quel
calice d'amarezza ch'egli era forse sul punto di bere; quindi,
scuotendo il capo, aperse la lettera e lesse:


    «Guido,

  «Bisognerà dunque cadervi a' piedi e gridar mercè? Voi temete di
  porre a risico la vostra dignità, parlando; e quando parlate, siete
  già lontano, come se aveste paura dell'effetto delle vostre parole.

  «Vi amo; vi ho sempre amato, fin da quel giorno che mi avete
  condotta al camposanto, o per dire più veramente, egli fu in quel
  giorno che mi accorsi di amarvi. Che? credete voi forse che alla
  margheritina io dimandassi soltanto se sarei risanata?

  «V'hanno di tali cose che non si può, non si ardisce, non si dee
  dirle a voce. Ma pensateci un tratto voi stesso e poi
  giudicate. Poteva io operare diverso con voi? Potevate voi
  fraintendermi a quel modo? Io, povera donna abbandonata da tutti,
  dovevo andare incontro alle vostre mezze confessioni? La passione di
  un gentiluomo par vostro, so di meritarla; ma un giorno sarebbe pure
  venuto che voi avreste pensato a quello stato di cose nel quale vi
  eravate per la prima volta imbattuto in me, e Luisa non poteva
  correre il risico dei vostri pentimenti.

  «Ecco perchè ho riconquistato il mondo, innanzi di dirvi una parola,
  o di udirne una simigliante da voi. Ho veduto molti a' miei piedi, e
  vi giuro che ad ottenere cotesto non mi bisognarono lusinghe. Direte
  che fu vanità, o non crederete piuttosto che la dignità mia voleva
  così?

  «Intanto, vedete quello che ho fatto. Quel regno che mi tornava in
  balìa, io l'ho rispinto, non esso me. Io esco regina, regina per
  tutti, salvo per voi che avete voluto vedermi ginocchioni, udire la
  mia confessione, in quella che io avrei avuto il compenso di molti
  patimenti ad udire la vostra. Ora tutti sanno che sono partita da
  Genova, dove non tornerò. Ho annunziato che andavo a Firenze, dove
  non mi troveranno di certo. Che importa a me? Vo a vivere una vita
  nuova, e per viverla debbo dimenticare affatto la prima.»


Una vita nuova! Dove? La lettera non diceva altro, si fermava a quel
punto.

Guido non intendeva nulla di quel mistero. La confessione di quella
divina lo aveva commosso per modo che non sapeva più dove fosse, se in
terra o in cielo; la chiusa poi lo teneva sospeso nell'abisso, tra il
cielo e l'inferno.

Il vecchio Giacomo era sparito, mentre egli leggeva. Si alzò agitato
per andarlo a cercare, ma non potè fare un passo verso la scala.
Dall'altra banda del cassero e' vedeva comparire il giardiniere, che
col suo cappello in mano aiutava una signora a salire lassù.

Quella signora era vestita di seta cenerognola, a larghe pieghe;
portava uno sciallo rosso di Persia mollemente raccolto intorno alla
vita, e sulla bruna capigliatura aveva posato un cappellino di velluto
alla foggia garibaldina, colle sue tre penne rosse nella risvolta
della fronte.

Il cuore di Guido Laurenti fu per rompersi a quella vista, e le sue
labbra mormorarono un nome: Luisa!

La donna gentile che già era salita sull'ultimo gradino, volse gli
occhi sfavillanti verso di lui, gli sorrise, e si pose un dito sulle
labbra, accennandogli che si volesse chetare.

Giacomo rideva di sottecchi, il susornione!

Allora Guido ricadde sul sedile, sopraffatto dalla gioia improvvisa; e
come poco innanzi aveva mormorato il nome di Luisa, così mormorò
ancora quest'altre parole:--regina delle donne!

Il sole in quel punto usciva radiante sul mare, e un lungo sprazzo di
luce inondava la tolda dell'_Amerigo Vespucci_, che parea navigare in
un oceano di splendori. La costa e le isole vedute in distanza,
circonfuse di azzurro e di ranciato, non avevano apparenza di terre
conosciute, ma piuttosto di regioni fantastiche alle quali due anime
innamorate andassero a chiedere l'oblio del volgo umano e l'ombre
propizie al più verecondo, al più nobile affetto che mai infiammasse
creature mortali.


FINE.



NOTA DI TRASCRIZIONE

Sono stati corretti i seguenti refusi dell'originale:


    anfiteatro, manda verso il piano tante colinette

    Per amore di verità debbbo dirvi che

    dell'uomo. Cetesta gran novità ha portato

    --Che bel bambimo!--disse la signora





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