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Title: Mia - Romanzo
Author: Memini, 1849-1899?
Language: Italian
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by Biblioteca Nazionale Braidense - Milano)



Mia

ROMANZO
DI
MEMINI



MEMINI

MIA

ROMANZO

MILANO

GIUSEPPE GALLI, LIBRAJO-EDITORE
Galleria Vitt. Em. 17 e 80.

1884


Proprietà letteraria

Tip. L.F. Cogliati



I.


Di provincia, questo sì, ma una casa colossale e delle ricchezze degne
della storica nobiltà del nome; una casa come ce ne son poche ormai,
mercè la sacra e rovinosa giustizia, cui dobbiamo l'abolizione dei
privilegi di primogenitura.

E (incredibile ma vero) l'attuale capo della casa, Sua Eccellenza il
signor Principe d'Astianello, un bell'uomo sui quarantacinque anni,
vedovo, con una sola bambina, non voleva saperne di rimaritarsi.

Non già che gli fossero mancati suggerimenti in proposito. Amici,
parenti, chi aveva diritto a dar parere e chi non l'aveva, tutti
battevan quella solfa. Gli parlavano continuamente di visetti
adorabili, di doti cospicue, di educazioni finitissime, di alleanze
sovrane. Egli non diceva di no, non sfuggiva la visuale dei visetti
adorabili, non sprezzava le doti cospicue, lodava le finite
educazioni, onorava le quintessenze di sangue bleu... ma, ecco qua:
non sposava!

E però egli era severamente giudicato da un venerabile sinodo di
nonne, di mamme e di zie, cui teneva bordone un coro, più timido ma
non meno malcontento, d'interessanti vedovelle. Egli non parlava mai
della defunta Duchessa; non pareva, nè era infelice. Era quasi sempre
gioviale e di buon umore. Non era per nulla un santo padre del
deserto, godeva largamente e pacificamente dell'esistenza. Non
s'occupava di politica, ma se se ne fosse occupato sarebbe stato un
conservatore feroce e un implacabile codino. Lo era bensì per conto
proprio ed in casa sua, dove serbava gelosamente inalterate le
costumanze e le tradizioni della famiglia.

In casa d'Astianello c'eran sempre state le razze di cavalli; orbene,
egli continuava quell'abitudine, le razze ci sarebbero sempre, per
l'appunto. L'estesa dei pascoli era immensa e colà nitrivano e
sgambettavano i puledri delle cavalle ch'egli aveva ereditate puledre
dal padre suo. Le razze di casa d'Astianello erano antiche e pregiate
e costituivano una questione di dare ed avere non indifferente nonchè
una delle più apprezzate vanaglorie della famiglia. Il Principe, a
dirla qui fra noi, non se ne intendeva più che tanto, ma altri della
casa se ne intendeva per lui e qualchevolta i suoi cavalli, buscavano
il premio alle esposizioni ippiche. E allora che baldoria nella
tenuta!

Il Principe amava parlare dei suoi cavalli. Specialmente quando
qualche imprudente e zelante amico tentava intavolare, anche alla
lontana, quel benedetto argomento del matrimonio. Allora sì che
entrava in campo la scienza ippica. Il Principe prendeva a sfoderare
le sue cognizioni in fatto d'allevamento. Apriti cielo.... S'intende
piova, ma non tempesta. Ed era invece tempesta, ma così fatta, a
chicchi così grossi, così innumerevoli che il povero interlocutore
seccato a morte, stordito, assordato, non vedeva l'ora di battersela e
alla prima interruzione, se la batteva senz'altro. Il Principe rideva
e continuava... a non sposare.

Da qualche anno in qua il nerbo degli amici cospiratori aveva mutato
sistema. Avevano detto: lasciamo fare al tempo. Ma il tempo passava
senza recare sulle sue decrepite ali una seconda principessa
d'Astianello.

Eppure il Principe aveva, a modo suo, amata moltissimo la sua povera
moglie. E forse appunto per questo egli era ora così fedele alla
memoria di lei e alla propria libertà.

Oltre a queste due sante cose, il Principe amava molto la sua bambina
e il pensiero di darle una matrigna gli tornava odioso. Non già che
vivesse molto con lei o che attendesse egli stesso alla sua
educazione. Ma gli era caro veder bazzicare per l'ampio dei grandi
saloni quel nonnulla di bambina, quella cosuccia bianca, delicata,
soave, che non voleva saperne di crescere, che nello studio non faceva
grandi progressi e non era nè impertinente nè spiritosa, ma che veniva
su adagino, lentamente come uno dei fiorellini esotici della serra e
che voleva tanto bene a lui. Gli era caro, quando saliva a cassetta
per condurre il tiro a quattro, veder la ragazzina andare in estasi e
contemplarlo rapita, come avrebbe contemplato un re, seduto in trono.
Una sola cosa gli dispiaceva; che la sua Camilla (Milla per amore di
brevità) fosse così timida e paurosa. E il bello è che essa non diceva
mai: ho paura. Ma come diventava smorta quando cominciava il temporale
come tremava quando suo padre parlava di metterla in sella; che
sgomento nei suoi occhioni amorosi quando egli aveva la crudeltà di
pretendere ch'ella assistesse in giardino ad un esercizio di tiro
colla carabina Flaubert! Decisamente Camilla non aveva in sè la
stoffa di un'amazzone. E il Principe, dopo essersene un po' stizzito,
finiva collo scusarla, considerando che già.... veramente era un po'
delicatina.

Ora anzi stava meglio di prima a furia di cure e d'aria d'Astianello,
ma non era proprio il caso di tormentarla nè per l'ardire, nè per
l'amore allo studio. Tutte cose che verrebbero poi a tempo debito. E
se non verrebbero... nemmen più tardi... poco male!

Il Principe, un po' per gusto proprio, un po' per la bambina, passava
buona parte dell'anno ad Astianello. Quella gran libertà della
campagna, la sovranità assoluta ch'egli vi esercitava, si confacevano
al suo carattere di feudatario benigno. Si sa; ogni tanto una
scappatina o a Parigi o a Torino, o a Firenze per rifarsi un po' della
solitudine. Bene spesso un'invasione d'amici alla villa; qualche
grande caccia che vi riuniva delle gaie brigate, occasioni gradite
d'esercitare una ospitalità larga, franca, veramente opulenta nella
stessa sua semplicità. Nessun cerimoniale, s'intende, nessun sussiego,
tutto schietto, alla mano, un po' all'antica, abbondanza eccessiva,
una buona dose di sperperi e d'abusi, ma lieta anche questa, quasi
consacrata dall'abitudine e dalla gratitudine. Una moltitudine di
persone di servizio, per far poco o nulla, ma per scialare
allegramente alle spalle del padrone che ignorava molto e tollerava
assai, ed era oggetto, da parte di quanti se la godevano alle sue
spese, d'una specie di culto, grossolano forse, ma se non altro
sincero.

La villa era bellissima, vecchia, ma d'un'architettura già emancipata
dallo stile greve e freddamente monumentale del più delle sue
contemporanee. S'alzava in mezzo al giardino su un rialzo di terreno
che componeva una vasta spianata tutta coltivata a fiori. Di fronte
alla facciata principale, si stendeva un viale di antichi ipocastani
che facevan capo ad un'ampia cancellata e all'entrata della villa. Il
viale costeggiava a destra il vastissimo fabbricato delle scuderie, a
sinistra il giardino.

I fabbricati rustici dipendenti dalla villa, rimanevan colati dietro
un folto boschetto di cipressi e celavano alla lor volta l'immediata
vicinanza delle prime case del villaggio. Ond'è che bene spesso, un
contadino, di ritorno dai campi o che avesse premura, si metteva
francamente pel viale e passava rasente alla villa senza che nessuno
ne facesse caso. Il cancello d'entrata era sempre aperto durante il
giorno. Il giardino era, come dissi, ricchissimo di fiori. Sulla
spianata, a ridosso della facciata principale, una doppia gradinata,
bipartendosi lateralmente da una fontanina, saliva, sino alla
terrazzina del primo piano, mettendolo così in comunicazione diretta
col giardino. Quelle due scalinate avevano una fisonomia gentilmente
teatrale d'idillio, colle loro barocche ringhiere ammantate da fitte
diramazioni di rosai, di serenelle, di caprifoglie; era come
un'invasione di fiori, intenti a dar la scalata alla casa.

Peccato che la finestra del terrazzino fosse sempre chiusa!

Dietro c'era una bellissima stanza da letto, tutta parata in raso
celeste. Quella era la camera matrimoniale del Principe e la Milla
v'era nata ma egli non ci metteva mai piede, nè permetteva che alcuno
l'abitasse.

Milla dimorava in un'altr'ala della casa. Aveva anch'essa uno stanzone
grande e ricco e il suo piccolo lettuccio pareva ancor più piccolo in
quella severa vastità d'ambiente. Ma, come a correggere l'esiguità di
quel lettuccio di bimba, accanto a questo s'accampava maestoso l'ampio
letto ove stendevansi pudicamente ogni sera, l'ossea carcassa e le
forme allampanate della rispettabile Miss Rhoda Spring, la governante
inglese della Principessina. A dire vero, Miss _Spring_ non faceva
grande onore al suo poetico nome. La primavera di quella degna signora
era da più anni compiuta ed era difficile persino il ricordo delle
mammolette e del ritorno delle rondini davanti a quella formidabile
persona, così maestosamente, così intrepidamente brutta. Con tutto
questo Miss Spring era un angiolo insulare di zitellona, buona,
ingenua, candidissima; ma nel villagio e nella tenuta non godeva le
simpatie dell'universale. Abituati a stimare altamente le razze di
cavalli inglesi e a pregiare sovra ogni altra, le puledre venuto
dall'Irlanda, quella brava gente non poteva capacitarsi come una
compaesana, per esempio, di Lady Rowena (quella famosa morellona che
aveva portato via il premio all'Esposizione di Roma) potesse essere
così brutta, e avere dei piedi cosiffatti, e una faccia smorta, che
pareva il muso d'una cavalletta. Il male era che, per l'appunto, il
Principe aveva scritto a un suo amico a Dublino di mandargli una
cavalla così e così. Infatti avevano viaggiato, si può dire, di
conserva, ma, giungendo, non avevano incontrato per nulla lo stesso
aggradimento. Il che non vuol dire però, che non avessero entrambe
fatta, ciascuna a modo suo, eccellente riescita: Rowena era l'idolo
della scuderia, e Miss Spring era l'idolo di Camilla.

A dirla schietta, non ci voleva poi gran che per diventare l'idolo
della Milla. Il suo cuoricino di bimba aveva un grande bisogno di
voler bene.

E in quella baraonda di casa, fra quell'andirivieni di gente,
esclusivamente occupata di cavalli e dove l'elemento femminile non era
rappresentato che dalle guardarobiere o dalle mogli dei fattori e dei
palafrenieri, una donna che si occupasse della bambina, che le usasse
certe cure, doveva, senza fallo, occupare un posto importante
nell'animo suo. Milla poi aveva un benedetto carattere.... Si
affezionava presto, con un grande ardore, che durava, nutrendosi del
proprio elemento, esaltandosi, raffinandosi, facendosi sempre più
scevro d'egoismo. Oh! come aveva amata quella zoticona della sua
balia, rimastale vicino sino a che ella avesse raggiunto il settimo
anno! Che pianti, che disperazione quando dovette lasciarla! E ora,
ecco, il suo amore era Miss Spring!

Certo; Miss Spring era proprio una buona donna, e anch'essa s'era
affezionata assai alla Milla.... Credeva in piena buona fede di far
l'educazione di quella creatura.... _darling_ Milla! Ma in realtà
_darling_ Milla si educava da sè sola, colla dolcezza infinita, soave
del suo carattere, col suo ardente bisogno di voler bene. Non faceva
immensi progressi nello studio, era molto timida, e non era punto
furba; ma questo cosa importava?....

Il signor Principe aveva raccomandato di non seccarla troppo, povera
piccina, con tutte le storie in _ia_...; non si curava affatto d'aver
una bambina prodigio, e d'altronde era di parere che una donna ne sà
sempre abbastanza. Ond'è che Milla passava sole poche ore del giorno
nel salotto così detto di studio, e quando il tempo lo permetteva, lei
e Miss Spring vivevano all'aria aperta, a passeggio o in giardino.
Anche il medico aveva suggerito di far così; e realmente, nulla
poteva tornar più giovevole alla salute della bambina. Miss Spring
prediligeva l'ombra fitta e fresca degli ipocastani; a mezzo il viale,
dal lato del giardino, il Principe aveva fatta fabbricare una specie
di capanna rustica con dei banchi e qualche seggiola, e questo era il
quartier generale della governante e dell'allieva. A destra, a capo al
viale, la casa; a sinistra, in fondo al viale, il cancello sempre
aperto; dietro il giardino; davanti, il muro basso, rossiccio,
interminabile delle scuderie.

Quanta gente ci viveva su quel lusso delle scuderie! L'allevamento era
una fonte continua di prosperità e di guadagni per la popolazione di
Astianello, e quasi tutte le braccia valide vi trovavano sicuro
impiego. E come andavano superbi di appartenere alla tenuta del signor
Principe! I cavallanti, poi, in ispecie formavano quasi una
corporazione privilegiata, dove la successione si trasmetteva di padre
in figlio. Avevano la riputazione d'essere esperti, arditissimi,
anche un po' temerari, se si vuole. Li chiamavano i diavoli
d'Astianello, ed essi erano lusingatissimi della loro denominazione e
si sforzavano di farle onore, cavalcando sempre di carriera, portando
il berretto in un modo speciale e usando un certo linguaggio,
pittoresco all'estremo, che strappava degl'innumeri _shocking_! dalle
labbra smorte di Miss Spring. Ma i cavallanti, forse perchè non
capivano il pudico valore di quella parola, non ristavano
dall'infiorare i loro discorsi di quelle energiche locuzioni. Era
un'abitudine, un vezzo come un altro; probabilmente essi eran persuasi
che ciò contribuisse assai al _chic_ della professione. I più giovani
naturalmente esageravano questa pretesa; tra i ragazzi poi, i
cavallantini in erba, era una cosa terribile. Bisognava sentir
Drollino, per esempio! Era per l'appunto il ragazzo più taciturno
della tenuta; ma le poche parole che diceva eran tutte moccoli....
proprio tutte!

Che tipo curioso quel Drollino! Veramente si chiamava Pietro, ed era
figlio d'uno dei più bravi cavallanti della tenuta. Le consuetudini
del dialetto della provincia avevano alterato il suo nome,
allungandolo: ne avevan fatto, Pedrolo. Senonchè, per distinguerlo dai
molti altri Pedroli e dal padre stesso, che si chiamava pur egli così,
il nostro Pedrolo diventò Pedrollino; poi, per abbreviare, si disse
Drollino. Egli portava bene quel nome spiccio. Era un ragazzeto sui
dieci anni, magrissimo, con una faccia fina, piccola, espressiva,
abbronzata dal sole ardente dei pascoli. Sua madre era morta nel darlo
alla luce, ed egli, che non amava la matrigna, non voleva saperne di
stare in casa... era sempre a zonzo pei pascoli, col padre suo o solo.
A scuola non ci voleva andare; veniva su alla libera, ignorante come
un ciuco, di tutto ciò che non fosse cavalli. Con questi, si sa, pane
e cacio; ed egli preferiva assai trovarsi in mezzo ai puledri che coi
compagni suoi. Cavalcava già, con destrezza mirabile. Il male era che
s'affezionava tenacemente agl'individui della razza, e, se accadeva la
vendita di qualche pariglia o di qualche allievo del quale egli si
fosse personalmente occupato, considerava quella misura quasi come un
insulto personale, digrignava i denti, bestemmiando come un Turco e
per più giorni batteva la pianura come un zingaro. Poi l'amore pei
cavalli lo vinceva e la pecorella tornava all'ovile.

Ragazzo com'era aveva già una salda esperienza del suo mestiere; ne
sapeva quasi tutte le malizie; ciò che piace ai cavalli e ciò che dà
loro ai nervi. Era un po' prepotente e quando imbizzarriva, tirava
calci e mordeva.--Mi spiace a dirlo, ma temo che Drollino non avesse
sulle parole _tuo_ e _mio_ delle nozioni d'una precisione matematica.
Il frutteto riceveva spesso qualche sua visita notturna e il
giardiniere trovava sempre mancanti all'appello certi limoni acerbi
ch'egli contava spesso con una cura piena di speranze. E Drollino
amava molto i limoni acerbi... Ma non si lasciava mai cogliere sul
fatto. Con tutto ciò era un ragazzo simpatico... aveva certe qualità
indicatissime pel suo mestiere. Oltre ai cavalli adorava il suo
padrone. Gli rubava i limoni è vero, ma per lui si sarebbe fatto
ammazzare, quando occorresse. Per Drollino il possessore di tutti quei
cavalli, di quella tenuta immensa non poteva essere un uomo come gli
altri. Era maestà infinita, senza pari. E quando pensava che, se il
padrone non si rimaritava, tutta la tenuta, la villa, lo spazio
immenso delle campagne apparterrebbero un giorno a quella creaturina
vestita di bianco che giocava nel viale, la bambina assumeva ai suoi
occhi un aspetto fantastico; diventava un essere straordinario anche
lei, come una specie di deità, destinata a uno splendore incomparabile
di avvenire. In quello, al povero Pedrolo, il padre di Drollino,
accadde un brutto caso. Un puledro mal domo, ch'egli stava governando,
gli sferrò un calcio terribile nella coscia. Il poveretto ebbe a
restare coricato per quaranta giorni e quando s'alzò s'avvide con
immenso dolore d'essere ormai irrimediabilmente sciancato! Si trattava
dunque di rinunziare ai cavalli. Che colpo per il povero
cavallante.... non poteva crederci, non sapeva rassegnarsi! Ma il
Principe impietosito seppe assicurargli un posto che, da un lato
almeno, tornava consono alla vocazione del ferito e alle sue attuali
condizioni di salute. Lo fece portinaio delle scuderie coll'alloggio
accanto a queste. Pedrolo non governava più i cavalli liberi, ma
vedeva gli altri, li udiva, poteva passeggiar tutto il giorno
arrancando colla sua gamba storpia nei pressi della scuderia. Drollino
naturalmente aveva seguito il padre nella sua nuova dimora.

Ma con quanto dispiacere! Scappava laggiù ai pascoli tutte le volte
che poteva; ma pure ogni tanto gli toccava star in casa! Almeno se
avesse potuto lavorare in scuderia! Ma i palafrenieri e i cocchieri
non eran punto teneri pei cavallanti; ed i mozzi erano in continua
lite con quel ragazzotto insolente, facevano apposta a non lasciarlo
giungere sino ai cavalli, lo canzonavano quando egli pretendeva dar
pareri.

Drollino si rodeva (forte dei suoi bricioli di esperienza), del suo
acuto istinto d'osservazione. Pensava a fuggire definitivamente. Aveva
un certo progettino; voleva, un giorno o l'altro, rubare un cavallo e
poi scappare, andarsene nella pianura illimitata. Capiterebbe Dio sa
dove, ma intanto avrebbe un cavallo suo, proprio suo, tutto suo!
Cristo!... che cosa!.... avere un cavallo suo!

Quando Drollino non ardiva allontanarsi soverchiamente dalla casa
nuova gironzava pel giardino e bene spesso scavalcando un muricciuolo,
capitava nel viale. E così fu che s'imbattè varie volte colla Milla
occupata ad ammonticchiare le castagne d'India, cadute dagli alti
piantoni. Dapprima, sgomentato, fuggiva come se vedesse la versiera;
poi s'era fermato a guardare, poi un sorriso della Milla gli aveva
dato il coraggio di fare un passo avanti, poi avevano scambiata
qualche parola e avevano finito col mettersi a giocare assieme. Miss
Spring sulle prime aveva mossa qualche obiezione; poi, vedendo che il
ragazzo si conduceva bene e che le sue letture riescivano meno
interrotte dacchè Milla aveva un compagno, finì per permettere che il
_fiery boy_ giocasse colla padroncina. Essa lo chiamava così: «ragazzo
ardito»; e in fondo non le dispiaceva. D'altronde, come il più delle
sue connazionali, aveva nel sangue un po' di manìa di proselitismo e
le era balenato nell'animo che in quel ragazzo indomito ci fosse
qualche cosa di convertibile. E se Milla, come quell'angelica Evelina
della _Capanna dello zio Tom_, fosse destinata a ricondurre sulla
buona strada il _fiery boy_ e farne per lo meno un _tetotaller_?... I
_tetotaller_.... erano il sogno di Miss Spring. Essa aveva molta fede,
molta immaginazione e i moccoli di Drollino nascevano così fitti, così
smozzicati fra i denti, che la credula governante, udendoli, non li
capiva e sorrideva benevolmente osservando quanto i nostri
differenziano dai dialetti della sua nativa natura e verde Erinni.

Certo è che i moccoli di Drollino erano d'una specie affatto
particolare. Li pronunciava a mezza voce, con un tono secco,
stridente, come se masticasse dei bottoni di porcellana. La Milla però
li capiva e se Miss Spring non era vicina lo sgridava.--Ah! Drollino!
non sta bene!--diceva con un'aria patetica di rimprovero.

E Drollino a furia di sentire quella vocina dire che i moccoli non
stanno bene cominciò ad arrossire ogni volta che, per caso, gliene
sfuggiva detto uno. Non già che non fosse stato mosso qualche appunto
al suo linguaggio, anche prima; ma chi gli faceva queste osservazioni
gliele faceva a suon di ceffoni e di tirate d'orecchio ed egli trovava
più comprensibile il linguaggio di Milla.

Erano bimbi affatto e giocavano di gran cuore. Egli le usava certe
attenzioni, delle quali nessuno l'avrebbe creduto capace. Le compose
un'altalena, e le rimproverò la sua dappocaggine e la sua paura dei
cavalli. Le portava degli uccellini semivivi, dei gatti d'una magrezza
incredibile; una volta le portò persino una marmotta, ancor mezzo
addormentata. Essa serbava spesso per lui qualche dolce del desinare.
Allora Drollino, che era fiero e non voleva mangiare i dolci a ufo, le
recava delle pesche stupende rubate per lei con somma maestria e non
lieve pericolo, dal frutteto stesso della villa. La bambina, complice
innocente, mangiava con piacere le frutta proibite! Invertita, ma pur
sempre la scena eterna di Adamo ed Eva!

Il Principe aveva visto più volte sul viale i due piccoli compagni di
gioco, ma la cosa non gli fece la minima impressione. Trovò anzi che
era naturalissimo. E lo era infatti, col sistema e le abitudini quel
tempo in cui egli pure era stato bambino!

Drollino giocava molto e parlava poco. Ma ora che era proprio in
confidenza colla Milla gli veniva fatto ogni tanto di accennare alla
sua grande, indomabile passione, i cavalli. Oh come rimpiangeva
l'epoca anteriore alla disgrazia di suo padre!--Oh se sapessi,
Milla.... cos'è!...--S'animava narrando le gioie della vita libera, le
voluttà delle corse sfrenate in groppa ai puledri vellosi! Oh! se
l'avesse lui.... un cavallo! Ma lo avrebbe voluto piccolo, appena
nato, per poterlo domare, educare.... Suo! suo! suo!... gli occhi gli
scintillavano d'entusiasmo.

Un giorno capitò sul viale come un uragano.

--Oh Milla! se sapessi! è nata or ora.... lì in scuderia.... da
Rowena.

--Chi?...--chiese innocentemente la bambina.

--Una puledrina!... Se la vedessi! dicono che sarà una meraviglia. È
grande così, guarda, come Lupo, il mastino di guardia! Se fosse mia,
ah Cris....

Si fermò perchè Milla faceva un visino scandalizzato.... Alzò le
spalle, con un atto sprezzante poi, di volo, ritornò verso la
scuderia.

Ci stette tardi, sin che potè.... sinchè il mozzo di guardia non lo
mandò via minacciandolo d'una pedata. Implorò di poter passare la
notte, lì sulla paglia, accanto alla neonata. Ma invano. In scuderia,
passate le dieci, non potevano rimanere se non le persone addette al
servizio notturno.

Uscì agitatissimo, con un desiderio febbrile di tornare là dentro. Non
poteva spiccarsi dai pressi della scuderia. Ronzava continuamente
attorno all'uscio serrato, correva di qua e di là, assorto nel
pensiero che tutto lo dominava; aspettando impazientemente l'alba che
gli avrebbe agevolata l'occasione di tornare in quel paradiso perduto
e di cacciarsi in un cantuccio. Oh! non importa dove, pur che fosse
là, vicino al _box_, dove Rowena collo sguardo stanco memore del male
sofferto e fatta ancor più intelligente dalla recente maternità,
fissava la piccola bestiolina pelosa che ancora non sapeva reggersi in
piedi.

Così venne la mezzanotte.

Era un tempaccio tempestoso: una luna color di sangue acceso
battagliava con una irosa schiera di nuvoloni plumbei, che la volevano
affogare. Lontano lontano, in un denso nereggiamento dell'orizzonte,
si susseguivano, con un brontolìo cupo e prolungato, tre o quattro
voci di tuoni, intesi a soperchiarsi l'un l'altro. A un tratto, in
mezzo a una folata di vento che passava, soffocata rasente al suolo,
Drollino sentì poco lungi un certo fischio sommesso, che col vento non
aveva nulla a che fare.

--Cosa sarà?--disse il ragazzo insospettito ma senza paura. Era già
nell'ombra; vi rimase, anzi s'ingolfò meglio nel buio, passando dietro
una gran macchia di ortensie e coll'acutissimo sguardo prese a
indagare, per quanto gli riesciva, il vasto sfondo del viale. Non andò
guari che un secondo fischio, ma stavolta appena percettibile
all'udito, gli giunse da quella direzione. Poi vide confusamente un
gruppo di due o tre persone camminare lente, con somma cautela, verso
il fianco settentrionale della villa.... dove per l'appunto si
trovavano le dispense e i tinelli della servitù. Drollino indovinò che
quella silenziosa comitiva erano ladri.

Non si sgomentò, non smarrì nessuna delle sue facoltà. Senti un'acre
gioia di averli veduti, di potere sventar i loro progetti.--Ah!
birbanti!--pensò con trasporto....--or ora vi servo io!...

Svoltò l'angolo della villa, si mise pel fossatello, e, scivolando
come una serpe per l'erba agitata dal vento, fu in un lampo alla corte
rustica. Svegliò il fattore, un vecchio animoso, che alla sua volta
destò e fece armare frettolosamente cinque o sei dei più arditi
famigli. Guidata da Drollino, la piccola comitiva avviata a
sorprendere i malviventi si recò nel luogo accennato dal fanciullo.
Allorchè vi giunse, i ladri, che non si erano ancor avveduti di nulla,
erano già intenti a smovere l'inferriata d'una delle finestre a
terreno, in faccia ad un corritoio che metteva capo al tinello, dove
alla sera si rinserrava l'argenteria.

Drollino capitanò la schiera dei famigli sino al riparo d'una vicina
macchia d'oleandri; poi si spinse solo, strisciando come un rettile,
finchè giunse quasi accanto ai ladri. Allora si voltò, accennando ai
suoi di farsi avanti. Ma in quel momento volle fatalità che la luna,
liberandosi inaspettatamente dalle nubi, piovesse sul mistero muto di
quella scena una viva striscia di luce mercè la quale il viso da
zingaro di Drollino e la sua mano alzata a far cenno, riusciron
visibili ai ladri.

Questi, lasciata sul momento l'inferriata, si diedero a fuggire
precipitosamente. Allora, nel silenzio della notte, si sentì, acuta,
stridula, rapida come lo scoppio d'un razzo, la voce di Drollino che
mandava il grido d'allarme «Ai ladri!» E gridando, s'era lanciato su
quello dei malfattori che gli stava più vicino e gli si era appeso ad
un braccio facendosi, nella fuga precipitosa di colui, trascinare
come un peso morto. Il cane di guardia abbaiava a squarciagola, i
contadini inseguivano correndo; s'era alzato un baccano incredibile.

A un tratto si vide un lampo, s'udì uno sparo, cui tenne dietro un
grido acutissimo. I fuggitivi erano incalzati da vicino, ma due di
questi riescirono a porsi in salvo; il terzo, quello a cui s'era
avvinghiato Drollino, e che per isbarazzarsene gli aveva sparato
addosso un colpo di pistola, fu preso. Ma il fanciullo giaceva inerte
sul terreno.

Non morto però, nè moribondo. La palla s'era acquartierata in un
polpaccio rispettando le ossa. Gli venne estratta la notte stessa ed
egli rimase l'eroe incontrastato dell'avventura.

Il Principe venne a trovarlo nello stanzino del portinaio; s'accostò
al letto, disse un sonoro «bravo», e cacciò la mano sotto il lenzuolo
per sentire il parere del polso. C'era un po' di febbre, naturalmente,
ma nulla di grave.

L'eroe era debole assai, ma grato, superbo di aver meritato tanti
onori e sopratutto una visita del Principe. Al padre che gli chiedeva
più tardi se nel momento terribile non avesse avuto paura, rispose
coscienziosamente di no.--Cioè--corresse un momento dopo--ho avuto
paura di due cose: che mettessero fuoco alle scuderie e che destassero
la signorina Milla!

Rimase a letto per una ventina di giorni. Il Principe non s'era
accontentato dell'elogio fattogli in quella notte memorabile. Mandava
ogni giorno a prender sue notizie e volle che fosse per tutto il tempo
della malattia nutrito a spese della casa. Poi un bel mattino, quando
seppe che era proprio guarito, lo mandò a chiamare.

Drollino venne subito accompagnato da suo padre. Era ancora assai
debole; il sangue perso e quei venti giorni di letto l'avevano
infiacchito assai; era magrissimo e aveva le labbra smorte. Il cuore
gli batteva forte e le gambe gli tremavano un poco mentre attraversava
la lunga infilata delle sale a terreno. Il Principe stava ad
aspettarli nel salotto chinese e vicino a lui c'era Milla vestita di
bianco come al solito, coi begli occhioni azzurri spalancati, per
contemplar meglio l'eroe di quella misteriosa nottata.

A dir vero, siccome essa dormiva placidamente quand'era accaduto tutto
quel tramestìo, non sapeva bene cosa fosse stato; ma dai discorsi di
Miss Spring, entusiasta del _fiery boy_, s'era capacitata che Drollino
aveva fatto qualche cosa di straordinario. E perciò lo guardava
ammirata, un po' impaurita forse da quella magrezza e da quel pallore
eccessivo.

Il ragazzo non era punto vanaglorioso in quel momento; tremava e
avrebbe voluto essere altrove; il Principe gli faceva animo parlando
in tono scherzoso del fatto; chiedendo particolari. Ogni, tanto il
padre metteva bocca anche lui e Milla guardava, guardava.

--Milla--disse a un tratto il Principe, con una serietà affettata,--e
tu non dici nulla a questo tuo compagno che è stato così coraggioso?
Orsù, fagli i tuoi mirallegro.

Pare che i mirallegro non fossero il forte della bambina; stava lì
attenta, immobile, senza parlare. Poi, a un tratto, stese timidamente
una manina, che Drollino non accennava per nulla di prendere.

--Ho capito--disse il Principe, ridendo.--Tu, Drollino, vieni qua e
tu, Milla, falla finita e dagli un bacio.

Drollino, il coraggioso! non era più pallido; era rosso rosso, e non
si moveva. Fu dessa a moversi, ad andargli incontro sorridendo,
cercando, colle labbruzze strette, riunite all'insù, le labbra pallide
del fanciullo, che, vergognandosi, si schermiva. Le trine del candido
abitino di mussola si gualcivano al contatto della rude fustagnina di
Drollino.

Miss Spring, presente a quella scena, stava perplessa fra uno
_shocking_ e un _darling_; ma il Principe rideva di gran cuore. E il
bacio, un po' per amore, un po' per forza, fu ricambiato.

--Oh!--disse il Principe--così va bene. Ma ora è giusto che abbi,
oltre a questo, un compenso più duraturo. E voglio lasciarne la scelta
a te. Dì su, ragazzo, cosa vuoi?

Sulle prime Drollino parve non capire. Poi, quand'ebbe afferrato il
senso della frase, quando capì che forse potrebbe ardire, ardire
assai, si fece di bragia, gli occhi gli scintillarono in fronte, sulla
sua mobile fisonomia si dipinse l'ansia d'un supremo desiderio.

Ma non seppe parlare.

Non gli riesciva.... l'idea della sua ambizione lo atterriva.... No,
no.... era impossibile.... era impossibile.... era troppo.

Il padre, cogli sguardi, col gesto, gli faceva animo; ma egli non
guardava suo padre e respirava a stento.

--Orsù, disse il Principe impazientito--hai capito di parlare? vuoi
farmi star qui tutta la mattina?

Drollino non aveva certo una così perversa intenzione; si sforzava,
poveretto, a parlare; ma la parola strozzata dall'inquietudine, gli
moriva in gola.

--Papà--disse timida, ma pronta, la bambina, tirando la manica della
giacchetta indossata dal padre--vuoi che te lo dica io... cosa
desidera Drollino?

Il Principe si mise a ridere.

--Tu?... ma cosa vuoi sapere tu, pettegolina che sei?

Essa non si offese. Insistette, armeggiando in siffatto modo colle
manine che il Principe dovette chinarsi e ascoltare le sue sommesse
parole.

--Vuole la puledrina di Rowena, quella che era appena nata quando
successe la storia....

--Oh!--rispose forte il Principe, alzandosi e squadrando Drollino con
un fare canzonatorio...--Vuole la puledrina di Rowena, eh! questo
monello!

Drollino tremava come una foglia. Ecco che l'avevan tradito! E ora....
lo caccerebbero di casa, naturalmente, per punirlo di aver osato
tanto.

Ma il Principe non parlò di scacciarlo. Trovava quell'ambizione un po'
audace, ma giusta. Non si adirò per nulla, e, dopo essersi divertito
un momento delle visibili angoscie del ragazzo, le troncò
d'improvviso, dicendo che avrebbe dati lui stesso gli ordini necessari
perchè la puledrina gli fosse consegnata.

--Ma--soggiunse--ci hai pensato bene? Non vorrei poi che nelle tue
mani quella povera bestia....

Non finì; s'avvide che ogni raccomandazione era superflua. La faccia
di Drollino sfolgorava. Egli non seppe ringraziare nè il padrone, nè
la Milla; ma da questa a quello scoccò rapidamente uno sguardo
impetuoso, esaltato. Volle bensì parlare, ma proprio non gli venne
fatto. E il Principe rimase contento, e disse a Milla ch'era una cara
pettegolina, e che, giacchè sapeva indovinar così bene, più tardi
sarebbe riuscita a condurre suo marito pel naso.

La Milla non capiva bene la profondità di questa frase, ma non ardì
chiedere altro. Rimase contenta anch'essa, benchè le toccasse
d'avvedersi, fra non molto, di non averci punto guadagnato
personalmente, colla sua intercessione fortunata. Drollino, dacchè
aveva la puledra, trascurava Milla indegnamente, era sempre in
scuderia, e non scappava più a giocare sul viale, all'ombra degli
ipocastani.

--Che bestia!--disse, la sera dopo, un vecchio stalliere ad un
camerata.--Chiedere una puledra, mentre avrebbe potuto farsi una
sorte! Ma già, è sempre stato un disperato colui! E ora, cosa fa?

--Oh!--rispose l'altro, mutando quartiere alla sua cicca--è in
scuderia, da ier sera. Non è uscito neppur pel desinare, e seguita a
ripetere: «È mia, è mia!»

--Dovrebbe chiamarla Mia!--disse burlando lo stalliere.--Domani glielo
dico.

--Perchè no?--rispose fieramente Drollino, quando udì quella
proposta, fatta in tono di scherno.--È mia! sapete?

--È matto,--dissero ridendo i mozzi e gli stallieri.--Ma la puledrina
aveva un nome ormai.

E, prima per chiasso, poi sul serio, venne chiamata così.

La neve cominciò presto quell'anno, e Astianello prese un'aria
malinconica, nella campagna, fatta brulla dal verno. Le caccie eran
finite, le brigate disperse; i cavalli dovevano esser ferrati a
ghiaccio, il casone non era guari riparato dal freddo, e il Principe
si annoiava.

Ma, benchè si annoiasse seriamente, non gli passò neppur pel capo di
prender moglie. Bensì gli venne in mente d'andare a passar l'inverno a
Parigi.

D'altra parte, era ormai tempo di mettere la Milla in collegio. E il
collegio c'era, bell'e pronto. Un austero convento, celebre come
educandato, e dove delle monache aristocratiche insegnavano un monte
di belle cose a una falange non meno aristocratica di signorine. Il
convento era a Torino, e quella santa regina di Maria Adelaide,
quand'era viva, ci andava di frequente. La superiora era una cugina in
secondo grado del Principe. Milla non poteva esser meglio
raccomandata, nè completare, sotto auspici più favorevoli,
l'educazione iniziata dalla povera Miss Spring. Affrettiamoci a dire
che Miss Spring aveva in vista, per consolarsi del dolore di quella
separazione, l'immediato avvicinarsi d'una: _sacra alleanza_ con un
coraggioso, ma non estetico, ministro della chiesa anglicana.
L'intrepido brittanno, a 65 anni, sposava Miss Spring. Ma la Milla,
che non era provveduta di siffatte prospettive consolanti, non si
poteva dar pace di dover lasciare il padre, Astianello e il suo amore
irlandese. Di tutto le rincresceva, persino di Drollino. Era proprio
sconsolata, quando ci pensava. E ci pensava spesso... così bambina
com'era....

E in paese, che dispiacere per tutti... I padroni andavano via...
davvero?... Il Principe sarebbe tornato a primavera, ma la bimba no;
andava in un convento lontano, e non sarebbe tornata che dopo varii
anni. La fattora lagrimava, la giardiniera anche lei, la guardarobiera
aveva gli occhi rossi... tutti dicevano: «Va via la _nostra_
signorina,» con un'aria triste, sinceramente triste....

Bisognava vedere quanta gente s'era riunita in corte, sotto il
portico, appiè dello scalone, la mattina della partenza, mentre in
scuderia si rivestivano dei finimenti i cavalli che stavan per essere
attaccati al _landau_. E la piccina, avvolta nel suo mantellone
foderato di pelliccia, col visino mezzo smarrito nella felpa bianca
della cappottina da viaggio, coll'aria confusa, cogli occhi rossi,
riceveva con affettuosa gratitudine quei saluti, quegli omaggi, e
andava ripetendo: «Addio, arrivederci, grazie,» colla voce proprio
commossa. A un tratto le si fece davanti il suo compagno di gioco,
Drollino!

Anch'egli aveva la faccia malinconica. Sulle prime pareva che volesse
dir tante cose; ma poi si morse le labbra, e disse solamente: «Buon
viaggio.»

--Addio,--disse affettuosamente la Milla. E togliendo dal guantino una
manina, microscopica nel suo guanto di flanella bianca, gliela porse.
Egli non la baciò; la prese un momento fra le sue; poi non si ricordò
neppure che avrebbe potuto stringerla, e la lasciò andare.

I due bambini si guardarono un momento in silenzio, con una certa
voglia di piangere; soli, avrebbero pianto... forse...

--Ricordati!--disse subitamente Milla.

Egli si fece rosso, e scosse energicamente il capo. No, non le avrebbe
dette più quelle brutte parole.

Si compresero, e sorrisero.

--Salutami Mia...--continuò gravemente la bimba.

--Vieni Milla,--chiamò il Principe.--È attaccato.

Drollino si mise a correre disperatamente lungo il viale. Giunse al
cancello, trafelato, ma in tempo per vedere a passar la carrozza...
per gettare nell'interno di questa uno sguardo profondo. Dietro il
cristallo alzato, si vide per un secondo una manina bianca che
salutava. L'agente, che era anch'esso venuto sin lì, prese per sè quel
saluto, e scappellò profondamente. Era molto lusingato, e Drollino,
accanto a lui, teneva dietro collo sguardo alla carrozza, che si
faceva già piccina piccina sulla neve della strada.

Stavolta gli onori e i rimpianti della partenza erano stati tutti
quanti per Milla, che non sarebbe tornata più per tanti anni. Il
Principe aveva detto gaiamente: «Arrivederci questa primavera,» e
nessuno s'era creduto in obbligo di commuoversi per lui. Pure
l'assenza sua doveva essere ben più lunga di quella di Milla, doveva
prolungarsi sinchè i mesi diventassero anni, gli anni secoli, e i
secoli eternità. I suoi agenti, i suoi cocchieri, i suoi cavallanti
l'avevano veduto per l'ultima volta. Morì a Parigi, sul finire
dell'inverno, d'un malore acutissimo, mentre la Milla, nel suo
grandioso e signorile convento, cominciava ad abituarsi a quella vita
di reclusa, a farsi adorare dalle sue compagne, e a innamorarsi
perdutamente della superiora, di sette suore, di due converse e di
quattordici compagne, e parlava di farsi monaca per star sempre con
loro.

E così avvenne che, per otto anni seguiti, la grandiosa villa rimase
chiusa. Invano, nel giardino ridente, i fiori olezzarono instancabili;
invano nella serra maturarono gli ananassi; invano l'allevamento
equino diede lietissimi risultati. Nessuno venne ad abitare quelle
camere, sempre chiuse, coll'atmosfera greve d'un odore di muffa e di
tarlo. Gli agenti soltanto andavano e venivano per conto dell'attuale
proprietaria di tutte quelle immense ricchezze; e questa era
un'educanda umile ed affettuosa, che non sapeva nulla del mondo e
della vita, e aveva un cuore grande grande, grande, e una statura
piccina, piccina, piccina....



II.


--Ouff!--disse il Duca Giuliano, uscendo dal _boudoir_ di velluto
color pesca a garofani di raso granata--ouff!... La signora di
Rèmusat, nelle sue agro-dolci _Memorie del primo Impero_, ci narra
come Napoleone si divertisse un giorno a mistificare crudelmente
alcuni dei suoi più intimi cortigiani, chiedendo loro cosa direbbe il
mondo s'egli, l'Imperatore, avesse a scomparire d'un tratto. E
nell'imbarazzo generale che susseguì a quella domanda, la risposta
suonò repentina, dalla bocca stessa che aveva posata la
questione:--Sapete cosa direbbe il mondo?... direbbe: ouff!...

Ora, date le debite proporzioni fra l'impero di un Bonaparte e quello
di una brillante Baronessa, può essere che l'ouff di Giuliano
rappresentasse del pari un sospirone di sollievo. Può essere che egli
avesse preventivamente desiderato di lanciarlo così ai quattro venti;
può essere che, entrando schiavo in quel tepido gabinetto, egli avesse
in animo d'uscirne libero; può essere che la perifrasi gentile,
destinata a velare l'odiosità d'un «basta,» fosse stata detta da lui e
non da lei... A malgrado però di tutte queste supposizioni, è cosa
positiva che il duca Giuliano si fermò un momento nell'andito-serra, e
rimase immobile accanto a un grande _arum_. Si fermò coll'orecchio
teso, coll'occhio attento, come aspettando. Un minuto completo, non la
parte di un minuto. Ma non udì nulla. Non voce angosciosa che
chiamasse, non rumore sommesso di singhiozzi, non strepito di seggiole
smosse, non tonfo di caduta... Nemmeno una scampanellata... per
chiamar la cameriera col _flacon_ del sale volatile. Si voltò anche a
guardare la porta ch'egli aveva testè serrata, ma, dietro ai vetri,
non passò la più lieve ombra.

Allora Giuliano diede un'energica crollata di spalle, si mise con
passo risoluto per la lunga infilata delle sale, raggiunse
l'anticamera, e scese allegro la scala di marmo, salutando
beffardamente il paffuto angiolo di stucco bianco che, recando sempre
fra le mani il tulipano di vetro del lume a gas, s'era tante e tante
volte veduto passare davanti quel bellissimo giovane.

La novella, la grande novella del giorno, fu pronta a percorrere tutta
Torino. In capo a qualche ora, nessuno dell'_high life_ cittadina
ignorava che il Duca Giuliano Lantieri aveva riacquistata la sua
libertà.

Allo spettacolo del Regio, quella sera, ci fu nei palchetti e nelle
poltrone un po' d'irrequietezza. Molti cannocchiali erano appuntati,
non già verso il palco scenico, dove _Mignon_ chiedeva dolcemente in
italiano, col pensiero di Goethe e colla musica di Thomas: _Kennst du
das Land?_; ma bensì verso un palco in seconda fila, occupato da una
splendida figura di donna non più giovanissima, ma di quelle che
hanno il privilegio di percorrere nella vita due o tre giovinezze
consecutive. La Baronessa Olga, benchè russa, era bruna di capelli.
Era vigorosa, non molto grande, con delle forme splendide, e una
fisonomia affatto straniera, non bella forse, ma ricca d'un certo
fascino irritante. Aveva il naso piccolo, un po' camuso, una bocca
quasi da mora, grande, sana, ridente, con dei denti che parevano quasi
fulgidi nella loro bianchezza di smalto e all'ombra di quelle labbra
tumide, violenti di forma, di colorito, d'espressione.

Dirimpetto a lei, al posto spesso occupato da Giuliano, brillava
l'insipida figura d'un Viscontino francese. Furono osservate varie
cose: primo, che la Baronessa Olga era più bella che mai; secondo, che
aveva una _toilette_ nuova; terzo, che serbava quella tal aria serena,
di buon umore, che la rendeva adorabile; quarto, che aveva
precisamente i modi, la maniera di guardare delle altre sere; quinto,
che il suo palco fu affollatissimo. Giuliano, quella sera, venne in
teatro, s'adagiò nella sua poltrona, andò a far visite nei palchi
delle signore di sua conoscenza. Non andò nel palco della Baronessa,
ecco tutto.

Ma al _Fiorio_, dopo il teatro, quante se ne dissero!... Tutti
sapevano il perchè di quella rottura... era un motivo frivolo, dietro
il quale si celava forse un reciproco senso di stanchezza.
Generalmente, si approvava Giuliano e la sua ribellione. La Baronessa
aveva qualche anno più di lui, e, a dir vero, viaggiava troppo. Un
signore, autorità vecchia, ma incontestata, di quel formidabile
palazzo di giustizia, fu il solo a sostenere che Giuliano aveva fatto
uno sproposito, enorme. Gli altri insistevano: diavolo! si sapeva
positivamente che la Baronessa aveva 6 o 7 anni più di Giuliano. Ma il
vecchio si ostinava. Ne avesse dieci o quindici di più! era pur sempre
la sola donna che Giuliano _potesse_ amare.

--Perchè, perchè?--chiesero tutti a una voce.

--Ah!--rispose il vecchio con uno di quei sorrisi brevi, che alla
lunga dovrebbero corrodere le labbra che li recano, tanto sono acri,
incisivi, mordaci.

--Povero Giuliano!--disse qualcuno--cosa farà ora?

E fu la fine.

Giuliano non fece nulla di straordinario per celebrare l'era della sua
riacquistata indipendenza. Si vide più festeggiato, più accolto, più
ben voluto che mai. Passò un carnevale delizioso, si divertì, fu
amabile, evitò ogni laccio, si congratulò molto con sè stesso, e
accompagnò a teatro due o tre volte la sua vecchia mamma. Un giorno,
un'idea bizzarra gli passò per la mente: «Se prendessi moglie?»

Ma la scacciò subito subito, come una tentazione.

Ora aveva la sua libertà e voleva goderla.

Goderla, ma come? Se avesse avuta una gran fortuna, ecco, sarebbe
andato a Parigi! E invece suo padre gli aveva lasciato un patrimonio
discreto, ma nulla più, e lui stesso, sicuro, un po' aveva speso... si
sa. Divini quei tre anni nei lacci della baronessa Olga! ma era
proprio una cosa curiosa il vedere quanto alla Baronessa Olga
piacessero i dolci, le statuine di Saxe, le tazze di _vieux Vienne_,
le rose durante l'inverno, le camelie in estate, i viaggi in primavera
e in autunno, e le gite in tutte le stagioni. Eh! non c'era che dire,
in quel patrimonio s'era fatto una gran buca! Come colmarla? E qui
l'idea della dote tornò in campo; odiosa, a dir vero, nella sua
arcigna fisionomia d'espediente. Il Duca la mandò via risoluto; ma
quella passò soltanto l'uscio, e si celò dietro un battente,
aspettando.

La libertà... celeste cosa! Ma, un giorno, Giuliano andò sulle furie
con sè stesso, perchè uscendo alla sera, senz'avvedersene s'era messo
per la via che conduceva alla dimora della Baronessa. Provò un gran
dispetto, imbizzì colla forza cieca dell'abitudine. No.... diavolo,
no.... E in quel giorno fu del parere del marchese Colombi, che le
accademie si fanno o non si fanno.

Ma, passata la prima gioia della sua liberazione, questa cominciò a
parergli uno strano arnese, come una foggia troppo attillata d'abito o
di cappello, in cui egli si sentisse un po' a disagio.

Certe ore gli parevano lente assai. Il disordine sistematico lo
seccava alla lunga, e non si trovava abbastanza ricco per organizzare
attorno a sè un lusso di vizio quale l'avrebbe inteso, in omaggio ai
suoi gusti raffinati e dispendiosi. Ricominciare ancora, tornare nella
stessa direzione, mettendosi per altro sentiero?... Chè.... non valeva
la spesa; allora, tanto valeva continuare a quell'altro modo. Tornar
da capo è noioso, e non tutte le belle signore hanno un marito dotato
di un carattere buono e conciliante, quale la Provvidenza l'aveva
impartito al barone Dornelli. E quel benedetto tirocinio.... che cosa
seccante! Prendersi un'altra volta la briga d'innamorarsi! Già, egli
non si sentiva fatto per le difficili fasi d'una grande passione; per
lui ci voleva proprio l'amore d'oggigiorno, piano, senza
complicazioni, ben educato. Era tanto pigro, tanto indolente quel
Giuliano! Anzi, era uno dei suoi pregi, dei suoi mezzi di seduzione
quella sua indolenza languida, dolce, gentile, che si tradiva nei suoi
modi, nella sua voce, fin nei suoi sguardi, che dava alla sua sana
bellezza bionda un carattere speciale. La Baronessa lo chiamava
creolo..., e quella disinvoltura che aveva l'arte di ridurre tutto a
un'espressione placida, facile, elementare, schiva-fatica,
armonizzava, forse per forza di contrasto, colla tempra insolentemente
energica di quella donna. Però l'aveva voluto e serbato schiavo sino
al momento in cui gli aveva concesso di ribellarsi. Le era parso che
qualcun altro l'avrebbe meglio, o solo altrimenti, divertita. E ora,
egli non ci voleva tornare laggiù in quel gabinetto color pesca a
fiori di granata, non ci voleva tornare. E non ci tornò.

Siccome era creolo, così accadeva qualche volta che la sua stupenda
vesta da camera orientale avvolgesse tuttora le sue forme da Apollo
impinguato, in quell'ora privilegiata durante la quale la gente per
bene esce di casa e popola i Portici, via di Po e il Corso. Allora
accendeva un _chibouk_ e sfogliazzava un romanzo. Ma tant'è eran
lunghette quelle ore.

Il suo salotto era un mezzo museo, e la povera mamma gli aveva dati i
suoi due _cachemires_ turchi, perch'egli ne facesse delle portiere; ma
dalla finestra di fianco si vedeva l'angolo d'un'ala del palazzo,
molto deteriorata, molto...; e Giuliano si ricordava che anche lo
scalone era in cattivissimo stato, e che il portinaio aveva un abito
bleu, sdruscito in un modo orribile. E la vecchia duchessa s'era
adattata a star lassù, al terzo piano.... per poter affittare i
quartieri migliori.... Bisognava trottare a piedi ora...; nelle
scuderie c'era un pigionante falegname; invece del nitrito, dello
scalpitìo dei cavalli, si sentiva continuamente lo stridere della
sega, lo scorrere della pialla, il rantolo quasi catarroso del torno.

Parve a Giuliano che allora soltanto tutto ciò si rivelasse a lui con
un aspetto e un accento insopportabilmente nuovi. E mentre,
disgustato, annoiato, pensava quanto il destino gli fosse avverso,
malevolo, l'idea ch'egli aveva così sgarbatamente messa alla porta
alcuni giorni prima, si riaffacciava adagino adagino, insinuandosi
silenziosamente, strisciando lungo le pareti, giungendo mezzo
inavvertita, sino a lui; s'insinuava nei suoi pensieri, si confondeva
nel profumo orientale delle volute di fumo che, attorcigliandosi in
alto, allungandosi, assottigliandosi, parevano quasi assumere una
femminilità indecisa di contorni, disegnare nell'aria una mossa pudica
di fanciulla, una semplicità fresca e schietta, di gesto e di sguardo.

--Puh!--osservò il Duca, socchiudendo i suoi begli occhi azzurri,
d'un azzurro carico di porcellana, come si fanno alle bambole.--Dopo
tutto.... Sì, veramente.... dopo tutto....

Si addormentò un momento, come se quel pensiero gli avesse cantato la
_ninna nanna_, scotendo ritmicamente la lunga poltrona americana sulla
quale egli giaceva.

Si svegliò di botto, spaventato. L'idea della scelta torturava già la
sua pigrizia. Simile a quel sibarita che sudava vedendo uno schiavo
occupato a spaccar legna, egli si asciugava la fronte pensando alle
venture perplessità del suo spirito quando si tratterebbe di
decidersi. Già, prima di tutto, egli non aveva mai potuto soffrire le
signorine, quelle modeste cifre incognite, quegli insipidi indovinelli
ammantati di bianco, di celeste, di rosa, presso alle quali bisognava
stare attenti alle proprie parole e agli occhi formidabili delle
mamme. Ah! che cosa opprimente!

Un momento pensò a una vedova. Ma poi scosse la sua bella zazzera
bionda.

Ah! no, una vedova! Ci sarebbe da lottare col.... fu.... poveretto. E
poi.... sciocchezze, se vogliamo, ma per lui ci voleva il dominio
completo, assoluto, primo. Ragazza, dunque, molto giovane, s'intende,
appunto per poterla avvezzare a modo suo; denari molti, cosa
indispensabile. Ma dove trovarla.... dove?

Ci pensò un poco.--Che seccatura--conchiuse sbadigliando--ne parlerò a
mia madre.

E la sua mente riposò in quest'idea.

Avevano finito di desinare, e la vecchia signora guardava di sottecchi
Giuliano, il quale teneva fra le sua belle dita paffute una sigaretta
di Salonicco, senza decidersi ad accenderla.

La Duchessa Lantieri non era stata bella. Attualmente era molto santa,
d'una santità sagace e che vedeva abbastanza lontano. La vecchia dama
stava bene, comodamente, in quell'atmosfera d'una devozione che
armonizzava colla sua fine e provata scienza del mondo. Senza avere
molto spirito, la Duchessa aveva quello della sua età; adorava suo
figlio, non lo seccava mai; viveva in una stretta, ma decorosa
economia. Era modesta, umile, semplice assai nei modi, di quella
semplicità queta e in fondo orgogliosissima, del più delle dame
piemontesi.

Giorno e notte pensava al maggior bene di Giuliano. Aveva avuto un
immenso dispiacere, ed era quello di vederlo avvinto nei lacci di
quella sirena del Nord. S'era consolata un pochino, però, pensando che
quella sconsigliata, priva del divino aiuto, era una Zorodoff, figlia
d'un ciambellano alla Corte imperiale di Russia, e aveva sposato un
barone Dornelli di S. Maurizio. Giacchè, pur troppo.... si sa.... la
gioventù eh!...--qui la Duchessa metteva un gran sospiro.--Meglio
così, insomma, che peggio ancora, ecco.

E Dio l'avrebbe esaudita certamente un giorno o l'altro, facendo
cessare quella triste cosa, e ispirando a Giuliano il pensiero di
prender moglie. E pregava di cuore; il che non le impediva di darsi
d'attorno perchè, nel caso d'un pronto esaudimento, non si sa mai, la
buona volontà di Giuliano non avesse a cogliere lei sprovveduta.

Giuliano era sopra pensiero. Le cose non andavano a modo suo, e
l'intendente di casa gli aveva presentato un certo quadro, il cui
ricordo non lo ricreava punto. Era stato al corso, e aveva veduta la
Baronessa in un _landau_ nuovo, stupendo, con una _toilette_
splendida, e un mezzo sorriso amabile, che gli aveva fatto un certo
effetto molto stizzoso. Egli era bensì andato a fare una lunga sosta
alla portiera della contessa Zeta, ma la contessa Zeta l'aveva
annoiato un pochino, e a fianco del _landau_ della Baronessa, aveva
veduto il Viscontino a cavallo.... Poi, come se non bastasse, lì nel
salottino c'era un odore di baccalà, che lo irritava al sommo.

--Che profumo!--disse languidamente a sua madre, recandosi alle nari
il fazzoletto coll'orlo ricamato a colori vivaci.

--È venerdì!--osservò umilmente la contessa.

Il male era che la cucina in quel quartierino ristretto si trovava a
due passi dalla sala. E in corte, nello scuderie vuote, profanate, la
sega andava in su o in giù stridendo allegramente.

Giuliano contemplò a lungo la pietra del suo anello, un occhio di
gatto cinto da nitidissimi brillantini.

La Duchessa pareva contare i punti del suo lavoro in lana, ma il
cuore, presago, le batteva, e le sue labbra fino sussurravano qualche
cosa all'indirizzo di _Nossgnôr_!

Giuliano accese la sigaretta e disse placidamente:

--Dov'è?...

La Duchessa attonita alzò gli occhi.--Cosa?--E poi, siccome un animo
l'avvertiva, soggiunse sorridendo:--Chi?

--Chi? (che orrore di sigaretta!) Dico; questa sposina, quando capita?

La Duchessa sentì un gran rimescolìo. Ma frenò la sua gioia. Sapeva
che Giuliano non amava nè le scene, nè le spiegazioni. Con voce un
po' tremante, con un pensiero d'accesa gratitudine verso Dio, rispose
soltanto;

--C'è....

--Uhm!--borbottò Giuliano. E siccome era un magnanimo gentiluomo,
chiese anzitutto:

--Bella?

La Duchessa ebbe un sorriso contento, e chinò il capo.

--Ricca?

La Duchessa alzò il capo.

--Tre milioni--susurrò poi con dolcezza infinita, assaporando
lentamente la frase.

Giuliano guardò sua madre sul serio. L'aveva sempre stimata, ma ora
una specie di languida venerazione sorgeva nel suo animo.

--Ah! ho capito. La figlia d'un banchiere ebreo.

Diceva così per celia, sapendo a che punto sua madre fosse inesorabile
per tutto ciò che avrebbe potuto urtare le loro tradizioni,
l'alterigia calma e serena che un lungo ordine di antenati aveva loro
trasmessa. La Duchessa ebbe una frase laconica:

--Corona chiusa!

Giuliano si gingillò un poco, curiosando nella scatola da lavoro.

--Mia cara mamma, tu possiedi dello forbici impossibili.... Quanti
anni abbiamo?

--Diciotto; ed è tuttora in convento.

--Un'educazione da farsi, nevvero? Ingenua molto? A meno che....
qualche volta sono sveglie, sai, queste educande, sveglie davvero. Mi
ricordo, anni fa, in un convento di monachine....

--Oh! Giuliano,--interruppe la vecchia,--che discorsi! Invece di
ringraziar Dio!

--Sì.... proprio!... credi che sia un gran divertimento il prender
moglie, rinunziare alla propria libertà per sposare una sciocchina
qualunque, che non ha mai visto niente in vita sua e alla quale
bisogna far da precettore.... mentre.... è così facile....

--Trovar qualcuno che insegni a noi.... nevvero, Giuliano?

La Duchessa aveva qualche volta, colla sua aria umile, di queste e
simili sortite. Giudiano ebbe per un momento l'idea di montar sulle
furie.... ma così, dopo desinare, non andava fatto. Sorrise soltanto,
e senza guardar sua madre:

--Già.... continuò.... quasi quasi...: è più facile e più
piacevole.... Dunque?

La Duchessa si sgomentò e bruciò le sue navi.

--Quando la vuoi vedere?

--Chi?

--Lei.

--La mia maestra?

--Giuliano!--mormorò angosciosamente la Duchessa, colla voce piena di
lagrime.

Egli si mise a ridere.... dondolandosi sulla seggiola.... E la
Duchessa cominciò a ragionare.... a pregare.... a spiegare.

--Sarei così contenta.... chiuderei gli occhi in pace!--La povera
donna era quasi eloquente. E l'odor di baccalà intanto penetrava,
intollerabile, nel salotto.

«Il primo piano per lei,» pensava pacatamente Giuliano; «la mia
_garçonnière_, al secondo.... la mamma avrebbe per sè sola questo
appartamento.»

--Oh Giuliano--continuava la madre....--credimi, fuori dell'ordine
morale non esiste vera felicità.... Ed è orfana, per cui, capisci....
il capitale subito, e una gran tenuta in Lombardia. Un carattere
adorabile, ti assicuro. Ci sono anche i brillanti di casa. E pensa un
poco, figlio mio, quando sarai vecchio, che consolazione aver la tua
famiglia!

--Già, un monte di biricchini che non vogliono studiare, o di
ragazzacci che fanno debiti.

Era veramente perplesso. Gli seccava di prendersi la briga di
decidere.

Abbasso in corte, la sega canzonava, col suo aspro gemito irritante.
La sala diventava buia nel tramonto primaverile. La pendola suonò le
otto con una voce strana uggiosa, colla voce di una pendola che non è
più di moda. L'ultimo raggio del sole entrava di sbieco dalla
finestra, e cadeva sul velluto scolorito, ammaccato d'una poltrona
zoppa.

Giuliano mise un sospiro lungo lungo, il sospiro d'un uomo che fa una
fatica enorme.

--Per farti piacere....--disse poi dolcemente a sua madre.--Ma sai che
amo le cose spiccie.

La Duchessa trattenne un grido di trionfo, e s'alzò.--Oh! Giuliano,
Giuliano.--Non voleva piangere, ma si mise a piangere, ciò non
ostante.

Le vecchie hanno facile il pianto e la Duchessa evitava con ogni possa
di tradire sè stessa in quel modo, davanti a Giuliano, che in questi
casi soleva prendere con aria grave il suo cappello e si ritirava un
tantino più frettolosamente del solito. Ma stavolta.... ah stavolta
non seppe proprio trattenersi. Ecco, era la Madonna della Consolata,
lei per l'appunto. Certo, un cuor d'oro.... lo comanderebbe subito....
a Canavero.

Giuliano non se ne andò. Ora che aveva fatto quell'immane sforzo, era
contento. Sì! era contento di fare una fine; e poi era contento anche
di sè stesso per aver data quella consolazione alla sua povera mamma.
Oh! per lei lo faceva volentieri quel sagrifizio, e per la vecchia
casa, che aveva tanto bisogno di esser riattata. La Baronessa forse
non se l'aspettava così subito; era una cosa divertente il pensare che
probabilmente, anzi inevitabilmente, un certo dispetto l'avrebbe
provato. Questo le insegnerebbe a inaugurare dei Viscontini francesi,
il giorno dopo la rottura con lui. Certo, il matrimonio doveva farsi
presto.... Egli sperava che sua moglie avesse delle belle mani.... era
una cosa alla quale teneva assolutamente. E se non sapeva vestirsi, un
inverno a Parigi avrebbe rimediato.

Si sentì virtuoso; eminentemente morale. Gli spuntò nell'anima una
bizzarra e affettuosa stima per sè stesso. Egli, così bello, così
signore, così gentiluomo, si adattava a prender moglie prima dell'êra
della parrucca, dell'obesità, dei denti finti, delle cambiali al 50
per cento. Sorrise placidamente, sorrise al futuro, e complimentò sua
madre.

--Brava mamma! e me l'hai tenuta in conserva per tutto questo tempo, a
malgrado....

Le vizze gote della Duchessa assunsero una tinta quasi giovanile.

--Aspettavo--disse semplicemente.--Ora, sì, che sarai felice!

--Credi? Ebbene, tanto meglio. Già, una fine bisognava farla, un
giorno o l'altro.

La sega taceva, e l'odore del baccalà veniva meno nella brezza
vespertina ch'era entrata da una finestra apertasi adagino adagino,
senza che nessuno se n'avvedesse.

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

«_Alla signora Rhoda Lawson Spring--Lawson's cottage S.... shire_

«Mi scuserà se questa volta non le scrivo in inglese; ma ho da dirle
tante cose, cose serie e importanti e di confidenza, che bisogna
proprio che gliele dica a modo mio. Non creda però che trascuri i miei
esercizi o i miei temi...; cioè, adesso veramente.... ma però in
avvenire.... Ohimè, vede come m'ingarbuglio?... Insomma, le prometto
di non trascurare l'inglese, perchè è tanto bello, e perchè so che lei
desidera ch'io non dimentichi ciò ch'ella ha avuto la bontà
d'insegnarmi. E la prego di non far attenzione se questa lettera non è
scritta bene, neppure in italiano, perchè la scrivo di nascosto, e
senz'avere il tempo di pensare alla sintassi ed a quelle altre
birberie così difficili della grammatica. Oh, cara signora Rhoda! se
sapesse quante cose sono accadute da che le scrissi l'ultima volta, e
che novità ci sono per la sua Milla!

«Certi momenti, mi par di sognare, e ho paura di svegliarmi; e certi
altri momenti, non so da che parola cominciare per ringraziar il
Signore. Mi accade, specialmente quando chiudo gli occhi, di
figurarmi che l'aria, dove sono, sia diventata azzurra, come nel cielo
che è in alto; è una stranissima cosa, che farà, ne son certa,
meravigliare anche lei. Con tutto ciò, non creda che faccia delle
follie; anzi, sono molto quieta, perchè vedo che il Signore ha voluto
aprire davanti a me una bella strada verde, con tanto sole e dei fiori
a bizzeffe. Insomma, mi proverò a dirle tutto quanto; e non so proprio
perchè, essendo così felice e contenta, provo come una specie di
timore nel dirle tutte queste cose.... guardi che sciocchezza!

«Si ricorda, quando le scrissi che volevo farmi monaca?... Per fortuna
che la mia cara Madre Superiora mi consigliò di aspettare per provarmi
la vocazione! Ora m'avvedo che avrei fatto un grande sbaglio! Ma
allora m'era venuta quest'idea perchè avevo visto a morire la mia
povera compagna Giulia Ferranito (ah! che dolore fu quello per me), e
la mia cara amica Teresa Reccadei era uscita di collegio, e avevamo
avuta in convento la vestizione di Maria San Fermo; cerimonia che mi
aveva fatto un grandissimo effetto. A dir vero, avevo anche un altro
motivo, ma quello non l'ho mai detto. M'era venuta una gran
malinconia, perchè al giovedì tutte le altre allieve eran chiamate in
parlatorio, e per me non veniva mai nessuno, mai nessuno! In quel
giorno non facevo altro che piangere, e quando le mie compagne
tornavano dalla grata e venivano, allegre, contente, a raccontarmi
certe novità, io mi sforzavo a parere d'esser contenta anch'io, per
non far loro dispiacere. Le monache erano, e son sempre state,
buonissime per me; ma quel tal dolore della mamma che non c'è, è
inutile, non si rimedia! Dunque (pensavo fra me) cosa andrei a fare io
sola in quel mondo terribile, pieno di pericoli, di pene e di dolori,
se non ho nessuno che si prenda cura di me e mi voglia bene, e
m'insegni le cose che vanno fatte?... E per questo avevo in animo di
farmi monaca, e di restar sempre qui con queste buone suore. Ma
adesso.... oh Dio.... è tutto cambiato.... il mio destino, il mondo,
tutto quanto!

«Lei saprà senza dubbio.... già glielo scrissi tante volte.... come la
nostra Madre Superiora, madre Maria della Croce, sia una santa donna,
che tutti venerano e onorano.

«Siccome prima di farsi monaca era Contessa di Ronano, così ha serbato
ancora nel mondo molte amiche, che vengono spesso a vederla per tener
con lei delle conversazioni edificanti e chiederle dei buoni consigli.
Una di queste sue amiche è una Duchessa Lantieri, una signora grande,
magra, che ispirerebbe molta soggezione, se non avesse una voce dolce
e delle maniere che, invece, fanno innamorare. Un giorno, la Superiora
mi disse di accompagnarla alla grata. Può immaginare che caso per me.
Tremavo come una foglia, ma poi mi rassicurai, quando, alla grata,
vidi una signora che mi fece un mondo di feste, e mi disse che un suo
nipote era cugino del cognato d'una grande amica della mia povera
mamma! Si figuri!... sentirmi a parlare della mia povera mamma.... mi
vennero le lagrime agli occhi!... La Duchessa (era lei) mi consolò....
mi disse tante belle cose, e promise che sarebbe tornata a trovarmi.
Infatti, quasi tutte le settimane anch'io andavo in parlatorio, e la
buona Duchessa mi portava quasi sempre dei regalini, delle immagini
sacre, belle, che non avevo mai viste le uguali, e dei libri devoti
che formavano la mia felicità e l'ammirazione delle compagne. Poi mi
chiedeva dei miei studii, mi domandava cento particolari sulla nostra
vita di convento; insomma io mi intenerivo pensando alla sua bontà per
me, e non vedevo l'ora che tornasse il giovedì per parlare ancora
colla zia del cugino del cognato dell'amica di mia madre!

«Ecco che un bel giorno, eravamo soltanto al martedì, la Superiora mi
manda a chiamare, mi accomoda la mantellina, mi fa mettere i guanti,
perchè avevo ancora un poco di geloni, e mi conduce lei stessa in
parlatorio. E lì, dietro alla grata, vedo subito la mia cara Duchessa,
accompagnata da un signore giovane, grande, biondo. Può immaginare
come rimasi...; credo che non seppi neppur salutare.... Ma la Duchessa
non se l'ebbe per male; mi fece ancora più festa del solito; disse che
quel signore era suo figlio, il quale era tornato da un viaggio a Roma
e veniva a portare alla reverendissima Madre Superiora un rosario
montato in argento, che il Santo Padre aveva benedetto per lei. Io ero
molto edificata, e ascoltavo quel signore, il quale diceva tante belle
cose con una voce che pareva una musica, e ogni tanto si rivolgeva
anche a me; ma io ero così intimidita che non trovavo il coraggio di
dire una parola. Quando furono per andar via, egli mi fece un saluto
cortesissimo, e disse che si raccomandava alle mie orazioni. Infatti,
io pregai proprio di cuore, pensando a quella visita che non mi sarei
mai aspettata, e all'ingiunzione fattami dalla Superiora di non
parlarne alle mie compagne, mulinando con una grande curiosità se la
signora tornerebbe il giovedì venturo, e se sarebbe tornata sola.

«Ma, quella sera stessa, madre Maria della Croce mi mandò a chiamare,
e mi domandò cosa mi pareva di quel signore. Io dissi che mi pareva
buono come la sua mamma. Allora la Superiora mi fece un gran discorso
sulla volontà del Signore, e poi mi disse che il Duca Lantieri,
sapendo che avevo ricevuta una così buona educazione in quel convento,
mi chiedeva in isposa.

«Può immaginare, signora Rhoda, come rimasi. Mi pareva come se
m'avessero data una gran botta al cuore.... non sapevo più in che
mondo mi fossi! Ma la Superiora mi fece animo, dicendomi che non
dovevo turbarmi, ma invece ringraziare il Signore che aveva voluto
evitarmi i pericoli che una giovane trova infallibilmente nel mondo,
facendomi subito trovare una così fortunata occasione di abbracciare
uno stato che, per quanto imperfetto, per quanto inferiore allo stato
religioso, era pure quello che la Provvidenza aveva destinato al più
delle ragazze. Mi fece l'elogio del Duca, della nobiltà della sua
casa, e mi dimostrò quanto dovevo essergli grato d'aver pensato a
un'umile educanda, mentre avrebbe potuto fare una scelta molto più
brillante. Dopo di che, mi disse che ci pensassi per tre giorni,
facendo una _retraite_ e implorando l'aiuto speciale del Signore,
della Madonna e di tutti i Santi, perchè illuminassero la mia mente e
mi rivelassero la volontà della divina Provvidenza.

«Allora fui subito più quieta, e a furia d'interrogare il Signore, la
Madonna e i Santi, mi parve proprio che rispondessero di sì, e che
facevo bene ad accettare. Anche il mio confessore fu dello stesso
parere, e io in capo ai tre giorni dissi alla Superiora che accettavo.
La Duchessa venne subito, mi chiamò la sua cara figliuola, e mi colmò
di regali stupendi, che fanno andare in estasi le mie compagne. Il mio
fidanzato tornò pure parecchie volte, e io adesso non capisco più come
ci sia scritto nella dottrina che la moglie ha _l'obbligo_ di amare
suo marito! Bell'obbligo, bell'impresa!

«Io, per dire vero, capisco di parere una stupida, perchè non so mai
trovare il coraggio di parlare, e sono anzi più contenta di star lì
quieta, dietro alla grata, a sentirlo parlare con una voce dolce come,
oh no, molto più dolce di quella della sua mamma, e a vederlo al di là
della grata appoggiare sulle sbarre la fronte bianca e la sua barba
bionda che par d'oro. Mi sono accorta che ha gli occhi celesti. Poi ha
delle mani bianche bianche, con un anello che getta certi lampi! Mi
dice delle cose.... delle cose.... Per esempio, si figuri, che aveva
sentito tanto a parlar di me, e che mi voleva bene anche prima di
conoscermi. Si vede proprio ch'è il dito di Dio che ci ha fatti
incontrare. Dice che farà di tutto per rendermi contenta, che esaudirà
i miei più piccoli desideri; anzi, per farmi piacere, è stato fissato
che, subito dopo il matrimonio, partiremo per Astianello. Ah, pensi,
il mio povero Astianello, che non rivedo da dieci anni! Sarà certo un
gran dolore lasciare il convento, e queste buone suore, e le mie
compagne, ma pure, benchè senta tanto dispiacere (sarà forse una
cattiveria?), sono contenta lo stesso, e mi pare, come le ho detto, di
essere in un altro mondo. Le mie amiche ammirano la mia felicità, le
suore sono contentissime, benchè ogni tanto parlino delle croci del
matrimonio; ma io credo che un pochino dicano così perchè non sanno
bene come sia. A me pare che non mi farei proprio monaca per tutto
l'oro del mondo, e che il Signore è stato troppo buono per me.

«Mi scusi quest'orrore di lettera. Si figuri poi se avessi scritto in
inglese con quell'impiccio di _should_ e _would_! Le scriverò per
dirle quando si farà il matrimonio. Chi sa che non ci possiamo trovare
ancora ad Astianello! Pensi! Ad Astianello, in primavera, con lui....
volevo dire con mio marito. Che parola curiosa, nevvero? Non
dimentichi il nome: Giuliano.... Duca Giuliano Lantieri.... Io però
l'ho sempre chiamato signor Duca sino ad ora, e lui mi dice signorina.
Chissà come farà per dire Milla!...

«Ieri ho pianto tanto pensando alla mia povera mamma, che non ho mai
conosciuta, e al mio papà, che ho perduto così presto! Oh! come
saranno contenti lassù in Paradiso!....

«Ecco che mi tornano le lagrime agli occhi. Mi scusi questa lettera,
chissà quanti errori ci sono! Mi scriva presto, e mi creda la sua
beata, felicissima allieva.

«Torino, convento dell....

                                              «MILLA D'ASTIANELLO.

«_PS._ Non si scordi il nome.... Giuliano.»



III.


Ad Astianello la notizia giunse improvvisa, in una lunga lettera
d'affari, scritta dal tutore all'agente. Il matrimonio sarebbe
celebrato a Torino, il giorno tal dei tali, e, dopo un viaggio di sei
ore, gli sposi giungerebbero alla stazione ferroviaria di ***, dove
troverebbero le carrozze di casa per recarsi alla villa. I viali
inghiaiati, dar aria all'appartemento celeste, quello della stanza da
letto che dava sul terrazzino, e prepararlo per gli sposi. Il desinare
per due, alle sette.

Fu una gran cosa, quell'annunzio inaspettato, quel vento di padrone
nuovo, che si era levato così repentino nell'atmosfera. Chi era?
com'era lo sposo della signorina?... questo essere privilegiato che
aveva incontrata una fortuna di quella sorte?...

Le informazioni giunsero poche e alla spicciolata, ma qualche cosa si
seppe di questo benedetto sposo. Era un Duca... un nobilone anche lui,
che sino ad allora aveva fatta la bella vita... e di quattrini non
glie n'eran rimasti molti. Si diceva però ch'era bellissimo, e la
signorina si era innamorata di lui in convento... anche perchè una
mamma avveduta aveva saputo metter le mani in pasta. Siccome il loro
quartiere non era pronto, venivano ad Astianello.

La curiosità era grande fra quella buona gente, e l'incertezza pure.
Come l'andrebbe con questo padrone nuovo? Chi comanderebbe, lui o lei?
E le razze? Se ne intendeva colui? Avrebbe saputo mantenerle bene?...
Nei pascoli non si parlava d'altro. E, a misura che s'avvicinava il
giorno dell'arrivo, una trepidazione più affettuosa, meno egoista,
teneva agitati i dipendenti della tenuta, e questo era il pensiero del
marito della signorina.

Finalmente il gran giorno spuntò. Un bel giorno degli ultimi d'aprile,
tiepido, sereno; un vero giorno di nozze.

L'agente diede ordini precisi. Alla stazione, alle 4 pom., il
_landau_, con quattro cavalli, e un cacciatore a cavallo per seguire
la carrozza: Drollino per l'appunto, ch'era il cavalcatore più destro
e più appariscente che ci fosse in tutta la tenuta.

Veramente, nello spazio di questi otto anni, Drollino s'era fatto
bellissimo. Era cresciuto rapidamente; snello e gagliardo come un
antico discobulo. L'indole sua non aveva subito grandi mutazioni; egli
aveva serbato una grande indipendenza di carattere, non era nè
allegro, nè socievole, e non bazzicava coi suoi compagni più di quanto
lo comportassero le esigenze del comune mestiere. Stava sempre in
mezzo ai cavalli, in scuderia e ai pascoli, errava continuamente per
tutta la vasta zona dell'allevamento. Ora non bestemmiava quasi più,
ma continuava nel suo sistema di parlar poco. Era ormai presso ai
venti anni, e, se avesse voluto, avrebbe potuto destare grandi
passioni fra le ragazze del paese; ma era così poco gentile con loro,
se ne occupava così poco, che le simpatie, scoraggiate, si smorzavano
presto. In complesso, ispirava più soggezione che simpatia. Ma nella
tenuta si faceva molto calcolo di Drollino.

Intollerante d'ogni lezione, aveva imparato solo, a furia di volontà
tenace, le più ardite prodezze del suo mestiere. Era il primo domatore
che vantasse casa d'Astianello. Ahimè! non più d'Astianello...
Lantieri! Aveva un metodo tutto suo per venire a capo delle bestie più
ribelli, un metodo ch'egli non insegnava ad altri, che aveva appreso,
si diceva, da un certo mandriano di tori, mezzo stregone, mezzo
zingaro, un pochino contrabbandiere. Può essere che non fosse tutta
arte naturale. Si dubitava d'un segreto; d'una specie di malìa. Egli,
per non essere seccato, lasciava che questa diceria si perpetuasse
nella tenuta; forse lui stesso ignorava come gli venisse fatto di
dominare a quel modo, con una specie di forza magnetica, i cavalli più
indocili. Voleva! ecco tutto.

Era sempre serio, benchè non si potesse accusarlo di tetraggine o di
malumore. E meglio che coi compagni, meglio che colle rusticane beltà
della tenuta, egli pareva trovarsi contento nelle solitudini grandiose
del piano, dove la sua compagna, quasi inseparabile, era Mia!

Mia era diventata una stupenda giumenta, celebre per la bellezza
eccezionale delle sue forme, e per le qualità dell'indole propria.
Quando Drollino attraversava i pascoli, cavalcando Mia anche a dorso
nudo, i palafrenieri ed i cavallanti interrompevano le loro faccende,
per fermarsi ad ammirare quel gruppo magnifico. La riputazione di Mia
aveva oltrepassati i limiti della tenuta e vistosissime offerte di
compra erano giunte sino a Drollino, ma il giovane rispondeva con un
no così brusco e reciso che ormai nessuno più s'attentava a intavolar
trattative. Mia era l'orgoglio, la passione di Drollino. Non aveva mai
permesso a nessuno di cavalcarla nè di governarla ed era istancabile
nell'usarle infinite e delicatissime cure.

Qualche volta le andava mormorando all'orecchio qualche parola, come
se ella potesse intenderlo... dargli retta. Si faceva ubbidire senza
mai batterla, l'aveva avvezzata ad una straordinaria sensibilità di
bocca... Il suo sogno di bambino era esaudito; quella cavalla, era
sua, sempre, veramente sua.... No! non sempre.

Un caso esisteva, solo, ma esisteva, in cui la voce di Drollino
perdeva ogni prestigio per l'orecchio di Mia. In _quel_ caso, Mia si
ribellava. Nulla poteva vincere quella ribellione, non cure, non
richiami, non castighi violenti nè scudisciate crudeli. Mia aveva
paura dello sparo di un'arme da fuoco.

Una paura insana, delirante, che determinava in lei come l'accesso
d'un pazzo orgasmo. Appena udito lo sparo essa partiva a gran
carriera, colle nari al vento, con un acuto nitrito di dolore. E per
non esser balzati di sella o dal legnetto leggero a cui Drollino
soleva talvolta attaccare la sua cavalla, bisognava proprio esser lui,
coi suoi garretti ed i suoi polsi d'acciaio. Drollino aveva fatto il
fattibile per guarire la povera bestia da quella suscettibilità
nervosa dell'udito; ma non era venuto a capo di nulla e Mia in quei
momenti, diventava anche per lui una cavalla pericolosa.

Nella tenuta si sapeva di quest'unico difetto di Mia; ma nessuno
ardiva tenerne parola a Drollino, da poi che un mozzo malaccorto, per
avergli rimproverata con scherno quella codardia della cavalla, s'era
buscata... Dio! che tempesta di pugni s'era buscata colui!

       *       *       *       *       *

Davanti alla piccola stazione pochi contadini attoniti e sbalorditi
guardano lo splendido _landeau_ che un cocchiere imponente, guidando
quattro massicci cavalli meklemburghesi, fa passeggiare al passo sulla
spianata.

Un po' in disparte, un palafreniere in gran livrea frena a stento lo
scalpicciare inquieto di una superba giumenta, Mia.

Ogni tanto Drollino la lascia sbizzarrire un po', osservando con
occhio malizioso il prudente _dietro front_ del sig. Damelli, agente
della casa, ch'è venuto anch'egli ad ossequiare gli sposi e che non
pare troppo smanioso di proseguire la sua passeggiata in vicinanza
della cavalla. Ma udendo il treno rumoreggiare in lontananza Drollino
si mette in guardia e raccoglie le briglie. Il _landeau_ si ferma
proprio dirimpetto alla stazione, la locomotiva è visibile e le teste
si protendono, curiose.

Un nereggiamento rumoroso s'avvicina velocissimo, traendosi dietro un
gran pennacchio di fumo bianco. Si sente una scampanellata, si vede
sventolare una bandiera rossa. Mia s'inquieta, sbuffa, accenna ad
impennarsi, ma il suo cavaliere le stringe i fianchi come in una morsa
di acciaio, mentre colla mano guantata in pelle di daino, accarezza il
collo della cavalla, battendo leggermente sulla criniera. Mia si
rassegna ed aspetta, ma colle orecchie tese, coi garretti frementi.

Un lungo fischio risuona oltre i cancelli, il treno si ferma e riparte
un minuto dopo, ed in mezzo ad un po' di ressa, emerge dalla porta
della stazione avanzandosi verso il _landeau_, una giovane e
bellissima coppia.

Son dessi!... Gli sposi di otto ore prima.

Drollino la vede subito, la guarda, come trasognato!

Si, è lei... la signorina. Ingrandita, di certo, ma non tanto e
sempre quel visino dolcissimo. Com'è pallida!... Ma ora, con quel
sorriso sulle labbra, par tal e quale la Milla di otto anni fa!

Porta un gran cappellone, tutto velluto nero e piume nere, un abito
inglese, attillato e scuro. Gira attorno uno sguardo, ch'è a un tempo
commosso, sgomentato e felice. L'intendente si fa innanzi ad
ossequiarla. Essa s'intenerisce.--Ah! signor Damelli, nevvero!... il
mio povero Papà...--Sulle palpebre castane spunta una lagrima. Poi la
sposa si scuote, sorride, arrossisce, e presenta il signor Damelli a
Giuliano... il duca... mio marito. È la prima volta che dice così:
«mio marito.» Il qual marito è senza dubbio un bellissimo giovane, non
molto grande, grassotto, con una barba d'oro alla nazzarena. I tratti
signorili all'estremo, tondi, tendenti al floscio. È amabilissimo col
signor Damelli, d'una amabilità languida, che, se si avesse il tempo
di studiarla, parrebbe un pochino sprezzante. Ha un non so che di
seccato che consola; nel suo sorriso fisso, nell'azzurro acceso dei
suoi occhi, si legge una premura insolente d'essere a casa.

Drollino, immobile, snello sulla sua bella cavallona, lo guarda
attentamente, scrutando quella nuova faccia di padrone, che non lo
soddisfa. Però, con una riflessione degna del suo senno pratico, pensa
che per giudicare infallibilmente d'un uomo bisogna prima averlo
veduto in sella.

Mentre si caricano i bauli, Milla si guarda attorno per ritrovare quel
noto paesaggio. E in questo paesaggio vede la macchietta immobile di
un palafreniere a cavallo. Guarda, le pare, non le pare, vede due
occhi scintillanti, una faccia bruna:

--Oh!--dice sorridendo, commossa.--Drollino!

Drollino s'inchina profondamente, mentre una fiamma impetuosa arrossa
la tinta bruna del suo viso. Milla avvicinandosi, gli dice:

--Oh, Drollino! come ti sei fatto grande!

Poi si ricorda di Mia, e gli chiede di Mia.

--Eccola--dice Drollino, accennando la sua cavalcatura.

Milla stende la mano come per accarezzar Mia, ed entrambi,
palafreniere e Duchessa, sorridendo, si ricordano.

Ma i bauli sono caricati, e il Duca s'è sbarazzato del signor
Damelli.--Milla! chiama con impazienza. Essa dimentica Drollino,
dimentica Mia, li lascia sui due piedi senza salutare, e si avvicina a
sua marito, che le offre il braccio, per aiutarla a entrare in
carrozza.--Avanti,--ordina il Duca; e sulla strada polverosa, stretta,
fiancheggiata dai vasti campi del grano ancor verde, i quattro cavalli
trottano rapidi e pomposi. Drollino è rimasto dietro la carrozza,
aspettando che una maggior larghezza della via gli permetta di
oltrepassar l'attacco. Il _landeau_ è aperto; ed egli vede il
cappellone di piume nero e l'elegante berretto scozzese da viaggio
farsi vicini uno all'altro, chinandosi, come se volessero intavolare
loro la conversazione..., vede delle larghe spalle irrequiete e delle
spalluccie fine che tremano un poco.... vedo dei profili in moto,
delle labbra che parlano e sorridono. Ma, ad un tratto, il cappellone
nero, come se avvertise un pericolo, si tira in là... bruscamente.

Allora il Duca, con un movimento d'impazienza quasi brutale, si
volta.--Passa avanti,--dice ruvidamente a Drollino.

Mia si sente a figgere gli sproni nei fiacchi, si sente spinta in un
passaggio strettissimo, che corre fra la carrozza ed i campi, a
sinistra della via. Passa rapida come un lampo, e Drollino non vede la
mano del Duca correre sotto l'ala del cappellone nero e posarsi,
imperiosamente morbida, sulla spalla della Duchessa.

Il personale della tenuta era quasi tutto riunito al cancello del
viale d'ipocastani. La balia di Milla e la fattoressa piagnucolavano,
affettuosamente, parlando della loro piccina che tornava, ed era
sposa! Era un sussurrìo continuo di osservazioni, di ricordi, di
pronostici.... e il coro non faceva sosta se non quando s'udiva da
lungi sulla via il rumore d'un veicolo. Allora le parole si facevano
tronche... sommesse... Ora viene... è lei... a momenti... è qui. Ma
non era mai lei, e intanto annottava.

Finalmente s'udì un galoppo continuo, concitato... Sono loro di certo.
E tutti ritti in punta di piedi, per veder meglio e prima. Ma no...
era Drollino.

Lui a briglia sciolta, coi capelli al vento, pareva un indemoniato.
Mia era tutta bianca di schiuma. Con due sbalzi, cavalla e cavaliere
oltrepassarono il cancello fra le due ali di folla che davanti a
quell'arrivo precipitoso s'erano ritirate gridando. Drollino non si
fermò a dar spiegazioni, corse via sempre di carriera, e scomparve
quasi subito nella direzione dei pascoli.

La carrozza coi quattro cavalli non giunse che venti minuti dopo.



IV.


Alla torre bruna del campanile, l'orologio, serio e grave, annunziava
le dieci e mezzo. Il desinare degli sposi era finito da non molto, ed
il Duca, parlando languidamente della stanchezza dei viaggio, aveva
subito condotto Milla di sopra, della loro stanza.... E la camere
illuminate e silenziose, la fuga delle sale a terreno avevano veduto
passare quella coppia, taciturna ormai.... sui passi del domestico,
che spalancava gli usci. Poi gli usci s'erano chiusi, e non si sentiva
rumore di sorta. Il chiasso e l'allegria s'eran concentrati nel
tinello della servitù.... dove e vino e motti festosi correvano senza
posa in mezzo alle libere risate e alle libere frasi. Ma quella
gazzarra schietta e grossolana moriva lì, tra le pareti crudamente
bianche di quel locale.

La casa era immersa in un silenzio religioso, come addormentata, nella
serenità luminosa della notte. Biancheggiava alta, chiusa, signorile,
nel vivo chiaro di luna che, piovendo senza riparo sulla facciata,
pareva rivestirla d'un'immensa frescura d'argento. L'ombra della villa
spiccava di fianco nerissima, sul verde umido del giardino. In quella
luce dolce, senza bagliori, tutto pareva acquistare un forte risalto
di contorni, ed il fogliame scuro del viale pareva staccarsi,
cesellato, sullo sfondo dell'aria serena, tinta d'un cupo azzurro
grigiastro.

Una pace infinita. Attorno al laghetto, nel canneto, qualche breve
sussurro di giunchi dondolati da una subita bava di vento notturno;
dalla parte del viale, qualche nota smarrita di rosignuolo.... L'aria
era pregna d'un odore forte e grato di serenella.... e ve n'era
infatti una gran macchia, tutta in fiore, poco discosto....

In mezzo a quella pace e a quel silenzio, una ombra mascolina or
s'allungava, or si faceva più corta sulla ghiaia del giardino, a
seconda della direzione del corpo che la proiettava. Era l'ombra di
Drollino.

Il giovane palafreniere s'era trovato lì senza sapere come, nè
perchè.... Quel fracasso infernale del tinello l'aveva stordito; era
uscito per respirare un po' d'aria fresca, e camminava in su e in giù
sulla grande spianata. Si fermò un momento dietro alla macchia delle
serenelle, guardando come trasognato la doppia scalinata che sale
sulla facciata della villa e fa capo alla terrazzina del primo piano.
Sapeva esser quello l'appartamento destinato agli sposi.

La brezza notturna si mette improvvisamente in moto. Allora tutto
quell'arruffio di piante arrampicanti, avvinghiate alla balaustra,
s'agita, freme, i fiori oscillano, rizzano le pendule teste sui rami
curvati ad arco. Anche loro vogliono vedere: come lui.... Perchè?...
Cosa importa ai fiori delle fatali ore umane? E cosa importa a lui, a
quel giovane ineducato, mezzo zingaro, mezzo selvaggio, che se la
dice e sta coi cavalli più volentieri che coi pari suoi?

La finestra s'aprì impetuosamente. Milla apparve.... lassù sul
terrazzino. Non aveva più il suo elegante vestito da viaggio; la sua
personcina, minuta, snella, era avvolta in un'ampia _douillette_ di
casimirra bianca. E subito, alle spalle di Milla, ecco il Duca....
Milla voltò il visino smarrito verso la luna.... quella vecchia amica
di tutte le gioventù! Ma egli no, non lo guardò neppure quel disco
pallido e muto.

Parlava, e il vento portava le sue parole, brevi, tronche, come
soffocate:

--Ma che idea! vieni, amor mio.... vieni.

Essa rideva, appoggiata, stretta alla balaustra, come una rondine che,
in tempo di bufera, si stringe alla gronda.

--Vieni, vieni!--ripeteva il Duca, null'altro che: «vieni.» Ma quella
parola vibrava.... ardente.... nell'aria fresca.

Milla lo pregava d'aspettare un momento.

--Oh! Giuliano.... no.... aspetta un momento.... ti prego....
guarda.... com'è bello!

Era smarrita, ansante; guardava quella gran pace di luce smorta,
quella divina poesia notturna, che nell'ora suprema della sua
esistenza metteva un minuto di suprema poesia d'amore.

Ma il Duca, in quel momento, non aveva nessuna voglia di contemplare
la luna, la trovava anzi molto inutile...; non disse più: «vieni,» ma,
avanzandosi rapidamente verso Milla, la recinse con un braccio alla
vita. Essa non lottò, lasciò andare il capo all'indietro, sinchè lo
sentì appoggiato sul petto di lui, ed alzò gli occhi a guardar
Giuliano. Allora egli chinò il volto, e le baciò la bocca dando un
passo addietro. E così, adagino adagino, con quel metodo, camminando a
ritroso, a furia di baci, di sconnesse parole, la ricondusse sulla
soglia. Poi sciogliendosi per un momento si voltò repentino a serrar
le gelosie, i vetri, le imposte e quanto diavolo c'era.

Di fuori, rimase il lume di luna, così perentoriamente messo alla
porta.

E nel lume di luna, la faccia turbata, quasi stravolta di Drollino!

Sua! mormorò il giovane.... E digrignò i denti....

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Si guardò attorno. Era precisamente in quel lato del giardino dove,
otto anni prima, aveva avvertito l'avvicinarsi dei malfattori. Rivide,
colla memoria, quelle tre faccie sinistre sbucanti cautamente
dall'oscurità del viale!...

Ma ora, la pace era completa. La facciata della villa taceva nella
molle bianchezza che l'illuminava.

Un subito pensiero scosse Drollino. Provò un impulso.... quello di
destare ancora, tutti con un grido d'allarme: al ladro.

Ma si trattenne, con uno sforzo violento che gli fece provare come un
senso di stringimento alle fauci.... Ah Cris....

Ma non potè finir quella parola... neppur quella...

Allora, come se lo avesse colpito un subito spavento, fuggì
rapidamente pel viale e scomparve nell'ombra, sforacchiata dai
cerchiolini argentei che piovevano a terra, sotto il traforo del
fogliame.

       *       *       *       *       *

Pochi giorni dopo, il Duca e la Duchessa vennero, in carrozza
s'intende, a visitare i pascoli. Le puledrine erravano, sgambettando
attorno alle madri, che posatamente pascevano, alzando ogni tanto le
teste per guardare, con quei loro occhi calmi e profondi, l'orizzonte
sereno del piano. Qualche gaio nitrito echeggiava qua e là nelle
mandrie e le grandi biche del fieno maggengo profumavano l'atmosfera,
accanto ai casolari.

Drollino, osservava con piena soddisfazione l'equipaggio, una
leggiadra _vittoria_ attaccata a due nervosi cavalli ungaresi. Stava
un po' in disparte, di fianco alla carrozza. Che cosa curiosa era mai
quella Duchessa! La sua piccola persona scompariva quasi nell'ampiezza
della vittoria e nell'intricata vicenda di trine bianche e _thibel_
grigio tenero della sua stupenda _toilette_ di primavera, ma la
bianchezza dell'incarnato, la delicatezza squisita dell'ovale e la
grazia soave della fisonomia componevano nello sfondo roseo
dell'ombrellino aperto, un quadretto supremamente gentile. Essa non
aveva più l'aria sgomentata; era un po' pallida, ma su quel
passeggiero abbattimento dei tratti, che dolcezza infinita di
contento, che luce ridente, quanto raggio di gioia, d'un orgoglio
nuovo, appassionato! Un sorriso lievemente estatico le posava sulle
labbra ed ella riusciva a gran stento a strappare ogni tanto dal volto
del Duca il suo sguardo, invincibilmente affascinato.

Il Duca, quieto, ilare e molto bello, nel suo elegante _tout de même_
inglese, rispondeva ad intervalli alla involontaria fissità degli
sguardi di lei, con certe rapide e molli carezze dell'occhio. E con
una compiacenza, non meno paga e sincera, guardava pure i cavalli che
il capo di scuderia gli andava accennando e che i mozzi della tenuta
facevano passeggiare avanti e indietro a fianco della _vittoria_.

Egli li esaminava, socchiudendo per vederci meglio, uno dei suoi
splendidi occhi azzurri.

Faceva il possibile onde persuadere gli astanti d'essere al fatto di
quanto costituisce la difficile arte dell'allevamento equino, ma le
sue cognizioni in proposito, limitate al dispendioso sì, ma ristretto
_dilettantismo_ dei più dei giovanotti eleganti, non impedivano che
ogni tanto gli scappassero detti certi maestosi strafalcioni, che la
Duchessa aveva per vangelo, ma che sortivano un ben altro effetto
presso gli altri. Qualche sorrisetto spuntava qua e là sui volti
abbronzati; mozzi e palafrenieri scambiavano certi sguardi, ch'erano
vere salve di canzonatura. Il Duca non se ne accorse, e incoraggiato
da un intimo sentimento della propria disinvoltura, volle scendere,
per scegliere un cavallo da sella, ch'egli destinerebbe al suo uso
particolare.

Ne provò parecchi e dei migliori, ma su tutti trovò a ridire. Questo
aveva la bocca dura, quello il trotto ineguale.... quell'altro
l'andatura sgarbata.... Alla lunga, s'impazientì. A lui non
piacevano.... ecco!... era abituato a ben altri _soggetti_.... Già;
con queste benedette razze italiane, è inutile, ci sarebbero sempre
degli inconvenienti! E anche le mandre, i riparti, i pascoli
lasciavano molto a desiderare.... Penserebbe, provvederebbe lui; ci
voleva un altro impianto; ecco cosa ci voleva!

A un tratto gli venne veduta, un po' in lontananza una cavalla alta,
di stupende forme, con una testa fina, delle gambe sottili e nervose,
un collo elegantissimo, sul quale i turgidi meandri delle vene
spiccavano in nitido risalto. La cavalla stava immobile, in una posa
felicissima e atta a far valere la classica bellezza delle sue linee.

--To! pensò il Duca! ecco il caso mio.

Si voltò verso l'intendente e gli disse accennando quella
cavalla:--Ecco un discreto prodotto; come si chiama?

--Mia!--rispose dietro alla _vittoria_ una voce giovane e vibrata.

Il Duca si voltò e vide che chi aveva detto quel nome era uno dei
cavallari. Per cui, senza rispondere a colui, si rivolse nuovamente
all'agente:

--Che nome ridicolo.... Dev'essere una buona bestia.... Amerei vederla
in moto.

D'un salto, e benchè Mia non fosse sellata, Drollino le fu in groppa.
Sciolse la cavezza, e si mise in moto. Con due o tre monosillabi fece
prendere successivamente alla cavalla il trotto, il galoppo, saltar
una barriera, fermarsi repentina, poi tornare scambiettando al sito
donde avea prese le mosse. E tutto questo fu compiuto in un momento,
con una maestria, una sveltezza, una _bravura_ ammirabili.

--Bravo, Drollino!--sclamò la Duchessa con entusiasmo e guardando suo
marito per vedere l'_effetto_ che sortiva in lui lo spettacolo della
valentìa di Drollino.

Ma il Duca non si degnò di esprimere la sua soddisfazione. Ordinò che
sellassero la cavalla; voleva provarla.

L'intendente rimase un po' imbarazzato.

--Veramente.... signor Duca....

--Cosa?--chiese brusco il padrone.

--Ecco.... signor Duca.... certamente..., si figuri.... ma vede,
quella cavalla.... sicuro.... è bensì un prodotto della tenuta, ma non
appartiene propriamente alla tenuta.

--No? e di chi è?...

--Mia!--disse tranquillamente Drollino, che, disceso di sella, stava
ritto accanto alla cavalla, guardando fisso il Duca.

--Ah!--rispose questi con suprema indifferenza.

Risalì in carrozza e si rivolse di nuovo al signor Damelli:

--Come mai si permette a un addetto alla tenuta di tener cavalli
proprii?...

Damelli tentò una specie di giustificazione.

--Era stato il fu signor Principe, in ricompensa d'un importante
servigio....

--Queste sono irregolarità--interruppe il Duca--cose che non
dovrebbero accadere. Mi avvedo che ci sono varie riforme da fare in
questa tenuta. Provvederemo, provvederemo.

Il signor Damelli, più ossequioso che mai, si affrettava a
scappellare, vedendo che il Duca si disponeva a dar l'ordine di
partenza. Ma i fastidi del buon intendente non eran finiti. Il Duca
gli fè segno d'accostarsi, e gli disse abbassando la voce:--Caro
signor Damelli, ella ha l'incarico di pagare a quel ragazzo il valore
della cavalla e di farla condurre stasera in scuderia.

--Avanti--ordinò poscia al cocchiere; e la carrozza si mosse in mezzo
ai saluti ossequiosi dei dipendenti.

Ma, appena rizzate, quasi tutte le teste ebbero un dondolìo: il nuovo
padrone non era riescito simpatico a nessuno, e lo si giudicava
severamente. Che boria! che fare sprezzante! E che bel modo di stare
in sella! com'era sgarbato a cavallo! che personale tozzo, che
corporatura floscia, molle! A loro non pareva neppur bello di viso con
quella faccia bianca e grassa, quegli occhi di vetro celeste, e quel
barbone biondo! La Duchessa, quella sì...; a lei, ch'era una donna,
stava bene il visino bianco. E com'era contenta, come sorrideva, come
conosceva tutti! S'era ricordata persino d'un vecchio mozzo che una
volta, quand'essa era piccina, le aveva fatto fare il giro del
giardino sulla carretta del fieno! Ah! che povera idea aveva avuta la
signorina d'innamorarsi di quel biondone spiantato che non sapeva far
altro che criticare a diritto e a rovescio.

--Eppure--concluse un Pedrolo osservatore--si capisce ch'essa gli è
_morta addietro_!

Morta addietro? Sì certamente; quel Pedrolo non andava errato. Milla
s'era completamente smarrita nella repentina rivelazione d'un amore
ch'essa non aveva avuto il tempo di prevenire, studiandolo o
immaginandolo.

Il cuore della bambina s'era improvvisato cuor di donna, e la scossa
subitanea di quella trasformazione era stata più forte di lei. La
prima goccia della tazza era bastata per inebbriare Milla; essa era
ebbra d'amore, pazza d'amore. E su di lei era piombata quella strana,
malaugurata specie di passione che invade facilmente le anime pure e
ignoranti, la passione più innocente e più pericolosa, più sublime e
più sciocca fra tutte, quella che non calcola, che spende, spande,
sperpera scioccamente tesori di tenerezza senza mai fermarsi a
noverare quanto ha dato, o a chiedere quanto ha ricevuto. Passione
sitibonda di schiavitù, che nell'oggetto del suo culto crea
infallibilmente il tiranno dell'oggi e forse l'annoiato del domani.

Alla sera di quel giorno memorabile, il signor Damelli, terribilmente
imbrogliato e coll'aria d'un cane che ha lasciata scappar la lepre, si
presentò al cospetto del signor Duca.

--Ebbene?--gli chiese questo imperiosamente.

Il sig. Damelli non sapeva da che parte rifarsi.

Ma finalmente, con molti giri e rigiri di frasi, finì col confessare
che aveva fatto un buco nell'acqua.

--Oh! Eccellenza, si figuri, è proprio riconoscentissimo quel giovane,
anzi mi ha detto di ringraziarla della sua generosa offerta.... Ma
creda.... che non.... insomma sarebbe per lui una vera disgrazia....
Egli adora quella cavalla.... non vuole.... insomma non può
separarsene!

--No?--disse il Duca.--Com'è ingenuo, caro signor Damelli. Non vede
che quel ragazzaccio voleva far salire l'offerta?

--L'ho fatta salire, l'ho fatta salire--s'affrettò a rispondere
l'intendente;--ho promesso una somma enorme, ho detto che il prezzo lo
fissasse lui. Ma nulla.... l'ostinazione di quel giovane fu
invincibile. Pare ch'egli abbia una specie di _arlia_ per quella
bestia.... Fu un attestato di riconoscenza del povero Principe, per un
import....

--Basta!--disse il Duca, rosso come un galletto....

Congedò bruscamente il signor Damelli, e passò nella camera della
Duchessa. Milla era occupatissima a provarsi un paio di scarpettine
ricamate; ma vedendo entrare Giuliano con quel viso rabbioso, si
spaventò. S'alzò, e, camminando con un piedino calzato e l'altro no,
venne a incontrar suo marito.

--Oh Dio! Giuliano! cos'è accaduto?

--È accaduto--sbuffò il Duca,--è accaduto che questa casa è una
Babilonia, e che c'è bisogno di riforme più del pane. Hai dei bei
tipi, sai, fra questi tuoi dipendenti! Ma lo manderò via quel
biricchino, lui e la sua rozza.... per insegnargli....

E le raccontò la storia, a quel modo, con delle minaccie rabbiose di
fare, di disfare, di metter tutto all'aria.

La Duchessa trovò ch'era un abbominio, e che Drollino avrebbe dovuto
stimarsi ben fortunato di cedere, non una, ma cento Mie a Giuliano.
Ma, mentre condannava Drollino, sorrideva a Giuliano con una soavità
biricchina di donna felice.

--Oh! che sciocco è mai colui.... E tu, Giuliano, non te ne curare....
Per una cavalla! non son tutte tue quelle dei pascoli e delle
scuderie?... E se vuoi, falle venir da Londra, là, dove dici che son
così belle.... Non pensar più a colui. È una cosa da nulla....--E per
quella cosa da nulla prodigava baci, carezze, soavità di sguardi e di
parole da bastare alla felicità di tutta un'esistenza.

Giuliano era disarmato, e il suo terrore delle scene, la sua pigrizia
naturale finirono di placarlo. Tralasciò di borbottare, e fu lui che
calzò l'altra pantofolina celeste sul piede rosa (grande come un
biscottino di Novara) della sua Milla.... Ma la collera non era
completamente passata; gli rimase una certa uggia verso Drollino. Quel
monello, che cavalcava come un cavallerizzo, che si permetteva d'aver
una cavalla propria, che aveva avuto l'ardire di rifiutarsi a
cedergliela, gli dava sui nervi. Tanto, che ne parlò addirittura
coll'agente.

--Non le pare che sarebbe bene mandarlo a spasso..., per dare una
prova di energia...? per incutere negli altri una salutare idea della
disciplina indispensabile? eh!...

Ma l'agente, con infiniti riguardi, espose varie buone ragioni.
Veramente, faceva osservare che, proprio, gli estremi non c'erano.
Avrebbe fatto più dispiacere che effetto a tutti quanti, il vedere
scacciato quel ragazzo. Sua Eccellenza sapeva senza dubbio il servizio
da lui reso, tempo addietro, alla casa. E poi, bisognava riconoscere
che aveva un'abilità straordinaria come allevatore e domatore.... e
nel resto teneva una condotta irreprensibile.

Giuliano capì il latino. L'ira gli era sbollita ormai, ed egli,
annoiato da quella prolissa difesa, si sentiva tornare addosso la
serena indifferenza del creolo. In cuor suo cominciava a trovare che
proprio non valeva la pena! Per cui finì coll'esser magnanimo, e
perdonò senz'altro a Drollino, col patto però che colui non avesse più
a capitargli fra i piedi.

Colui, dal canto suo, non aveva nessuna smania di capitar tra i piedi
di quell'eccelso signore. La faccia del Duca non gli tornava punto
simpatica. Trovava che rassomigliava a certi musi di cavalli
traditori, sparmiafatica, che non ci pensano punto a tirare un calcio
anche a chi li governa e riempie la mangiatoia davanti a loro.

La sua maniera di stare in sella lo esasperava, ed egli si compiaceva
di far osservare ai compagni il modo indegno col quale il Duca
guidando, rovinava la bocca alle bestie. No.... a lui non pareva
proprio che la signorina avesse fatta una scelta ammodo. Perchè mo'
aveva avuta tanta fortuna quella botte d'uomo con quella barba
pettinata! perchè l'aveva sposata, lei.... il loro orgoglio, quella
specie di madonnina bianca.... Almeno fosse sempre lì in ginocchio
davanti a lei!... Ma no, era sempre la signora che faceva a modo suo,
che godeva a vederlo spadroneggiare nella tenuta, nella villa. E lui,
con quell'aria placida, sicuro del fatto suo, che si lasciava adorare,
che criticava tutto! Eppure non c'è Cristi, il padrone ora era lui! La
villa, la terra, i cavalli erano suoi.... Anche Milla era sua.... E
non gli era bastata.... Anche Mia avrebbe voluto!...

--Mia! ah no!... piuttosto.... Cristo!...

Stava più che poteva nella pianura dei pascoli. Gli era accaduto
qualche volta, capitando per tempo alla villa, di vedere in giardino
la veste bianca di Milla, e attorno alla vita di Milla una gran
macchia scura, cioè il braccio del Duca. Aveva sentito di sfuggita,
passando, qualche sussurro di parole amorose. Come rideva, Drollino,
di quelle sciocchezze! Gli parevan così buffe che, quando poteva,
evitava di vederle e di udirle. Egli non capiva.... da loro non si
usava far all'amore così.... Pure, certe volte un'acre curiosità lo
tormentava! Come aveva fatto quel biondo antipatico a farsi voler
bene.... così?

Ecco, quando la Duchessa era sola e passava lì accanto, la cosa mutava
affatto. Non gli rincresceva allora di procedere franco, di farle un
saluto profondo...; non era forse lei la sua vera padrona, la signora
d'Astianello? La cosa era assolutamente diversa.

Milla, quando vedeva Drollino, rispondeva cortesemente al suo saluto,
ma non gli parlava. Gli serbava un po' di rancore, per essere stato
così ostinato e per non aver voluto ceder Mia al _suo_ Giuliano.

Un giorno, però, s'incontrarono nel viale. La Duchessa rispose con un
sorriso al saluto di Drollino. Poi si fermò, e gli chiese se stesse
sempre nella casetta della scuderia.

Drollino rispose di no. Dopo la morte di suo padre, era tornato
laggiù.... nei pascoli. Ora stava in una cascina.... Sa bene.... la
Favorita.

--Mi ricordo--disse Milla.--Ci sta la suocera della mia sorella di
latte.... E ti piace a star lì?

--Sì, rispose Drollino.--È come al tempo antico.... quando c'era il
signor Principe.

Negli occhi di Milla venne un luccicore umido.

--Oh! papà.... povero papà.... Com'era buono.... nevvero?

--Tanto!--disse con forza Drollino. E l'accento era così sentito che
Milla provò una specie di gratitudine.--Ecco, anche lui si
ricordava.... Oh! se il suo povero papà potesse vederla ora.... così
felice, così beata!--E subito il pensiero di Giuliano tornò ad
afferrarle l'anima, a sbandirne il passato, a immergerla di nuovo
nell'estasi delirante del suo presente. L'occhio di Milla era ancora
velato, ma aveva cessato di guardar l'orizzonte e di veder
Drollino.... essa pensava che Giuliano poteva già essere sceso in sala
da pranzo ad aspettarla. Disse in fretta;--Addio, Drollino--e voltò
strada, dirigendosi verso la villa.

Drollino, naturalmente, non capì, nè indovinò. Andò via lentamente,
pensando alla vecchia camera, all'entrata della scuderia, a un
muricciuolo facile a scavalcare, e a certe pigne di castagne d'India,
che per un soffio, per un sassolino diroccavano giù, ruzzolando in
tutte le direzioni sulla sabbia di quel viale, quello per l'appunto.

Drollino incontrò un'altra volta la Duchessa, e fu contento di
vederla, perchè aveva udito dire che la signora non stava tanto bene.
Si buccinava anzi che ci fossero delle speranze..., certe speranze
soavi, che si concretano nei preparativi d'una piccola culla....

La Duchessa aveva infatti l'aria un po' patita e Drollino, vedendola
passare lentamente sul sentiero soleggiato del giardino, con una mossa
stranamente dolce e stanca, rimase un momento come trasognato. Com'era
bella!.... le altre donne ch'egli vedeva lì e in città non le
somigliavano punto. Così piccola, minuta, com'era, rappresentava per
lui la gloria, la potenza, il pregio di casa d'Astianello. E per
questo egli la guardava così.... con quello sguardo devoto che
ammirava.

Anche stavolta fu lei a fermarsi e a rivolgergli la parola.

--Buon giorno, Drollino.

Drollino trovò il coraggio di chiederle come stesse.

Essa arrossì profondamente con un pudore giocondo. E
rispose:--Bene.--Ma rispose in fretta, colta da un conscio imbarazzo
davanti alla semplice, ossequiosa domanda d'un palafreniere qualunque.
E subito; per cambiare argomento:

--Drollino, sai che andiamo via?

Egli non sapeva nulla, e disse:

--Come mai? così presto.... due mesi soltanto....

E sbarrò gli occhi con un'espressione curiosa a vedersi, difficile a
definire.

--Sicuro.... si va via.... la settimana ventura. Io starei ancora qui
tanto volentieri, ma il Duca dice che bisogna andare ai bagni.

Diceva queste cose con rammarico, ma anche con una segreta gioia di
poter ardere questo rammarico, come un granello d'incenso, sull'altare
del suo nume.

Il Duca aveva parlato dei bagni, li aveva vantati come giovevoli alla
sua salute; non aveva detto positivamente «andiamo,» ma diceva a
Milla, con quella sua voce lenta e melodica, che il caldo ad
Astianello minacciava di farsi eccessivo, e che anche per lei, anzi,
ben inteso per lei, sarebbe stato meglio un po' d'aria di mare, un po'
di svago....

Quando Milla udì quella parola: svago, guardò per un momento Giuliano,
coll'aria incerta d'una persona che non capisce. Svago.... per lei?...

--Oh, Giuliano, Giuliano, come puoi credere?--disse finalmente,
ridendo.

Ma capì meglio un'altra volta, quando le venne udito, in pieno
giorno, senza ombra di causa apparente, un breve sbadiglio di
Giuliano.

Un'idea terribile le trapassò, come una spada, la mente. Giuliano....
forse si annoiava?

Senza forse, povera Milla! il primo mese era stato incantevole pel
Duca, il suo nuovo amore e i suoi nuovi splendori avevano occupato
egregiamente il secondo; ma il terzo.... il terzo.... Erano soli,
molto soli ad Astianello: e le ville vicine non sarebbero occupate che
durante l'autunno.

Quell'eterno argomento dell'allevamento lo interessava sino ad un
certo punto! Milla era un angiolo, oh questo sì, ed egli era il più
felice degli uomini; ma quella luna di miele così prolungata, così
esclusiva, prendeva delle proporzioni allarmanti. Giuliano trovava che
non bisogna abusar di nulla, nemmeno della felicità.

E Milla, che aveva fatto conto di rimaner lì celata, rannicchiata
nella suprema estasi del suo amore sino al Natale per lo meno....

Pure, un giorno, disse soavemente a Giuliano:

--Quando partiamo?

--Quando vuoi--rispose languidamente il Duca.

Ma come fu caro in quel giorno, e adorabilmente affettuoso per la sua
Milla!



V.


Tornarono sullo scorcio del settembre, nella molle e tiepida stagione
in cui l'anno, come un saggio epicureo, si riposa e dice: godiamo,
prima di prepararci a morire.

La Duchessa aveva lasciata ai bagni la sua celeste speranza. Aveva
abortito, chi diceva per una passeggiata troppo faticosa, chi per un
accidente, chi per uno spavento, chi per una grande emozione. Qualcuno
parlò di una scena avvenuta fra lei e Giuliano per certe gelosie,
senza capo, nè coda. Poi era successa una riconciliazione, e tutto era
finito: gli sposi tornavano e felicissimi.

Il Duca era ingrassato un altro po'; Milla invece era dimagrata. E più
ancora di prima, era pazzamente innamorata di suo marito.

Nel suo amore c'erano due elementi nuovi, la gelosia e il timore.

Ecco com'era venuta la gelosia.

Ai bagni a Viareggio, avevano trovata molta gente. Vecchie conoscenze
di Giuliano, che naturalmente non s'erano potute scansare.
L'isolamento, in un luogo così frequentato, sarebbe stato
assolutamente ridicolo. Almeno Giuliano diceva così, e Milla era
troppo ragionevole per non capire che Giuliano, sino a un certo punto,
non aveva torto. L'intimità dunque era finita. Bisognò unirsi a quei
gruppi chiassosi di bagnanti, prender parte a delle allegre gite,
cenare a ora tarda al Nettuno, fare scampagnate alla Pineta, a Massa,
a Lucca. Dio! che tormento! Erano tutte buone, gentili quelle
signore, e facevano un mondo di feste alla sposina; e i signori,
quelli poi gentilissimi, al punto di farla rimanere un po' impacciata,
qualche volta: ma che stordimento, che noia in quel chiasso, in quel
divertimento che pareva tanto piacere a Giuliano! Egli ci si trovava
come nel suo elemento, ed ella invece....

Uno sciaguratissimo giorno, era capitata da Livorno, con un vaporetto
della Marina, una compagnia elettissima.... oh si, proprio eletta....
di signore e di signori. Eran venute a fare una gita di piacere a
Viareggio. Fra quelle signore ce n'era una bellissima, vestita con
impareggiabile eleganza che a un tratto, aveva detto a Giuliano,
passandogli accanto--Oh caro Duca! lei qui?...--con una piacevolezza,
una disinvoltura infinita. Giuliano sulle prime era rimasto lì come un
po' impacciato; poi s'era messo a ridere. E aveva risposto:--Ma....
pare.... Baronessa....

--Olga!--aveva chiamata un'amica della signora, e la signora s'era
fatta accompagnare in là da Giuliano. Quindici minuti dopo, le due
società s'erano fuse in una sola, e la signora, che Giuliano aveva
presentata a sua moglie, le usava mille gentilezze, le presentava alla
sua volta i cavalieri del suo gruppo, e assicurava a tutti, con un
sorriso singolarmente gentile, che la Duchessa Lantieri era proprio
un'adorabile donnina!...

Milla non aveva mai visto Giuliano così animato. Si divertiva
immensamente, fu brillantissimo, prodigò mille attenzioni alle
numerose signore della brigata. Nella cena, che coronò splendidamente
quella giornata campale, il Duca fu spiritosissimo, i suoi occhi
azzurri ebbero certi strani lampi, come di sfida. La signora
elegantissima rideva molto, eran tutti di buon umore, e lo sarebbe
stata anche Milla, se non avesse afferrata al volo un frammento del
colloquio imprudente di due vicini.

--Caso?... davvero?--aveva chiesto un signore accennando, con un
lievissimo moto del mento, Giuliano e la signora elegantissima.

--Speriamo....--aveva risposto l'altro.

E s'erano guardati, ridendo, con una cert'aria, ammiccando.

Poi uno degli interlocutori aveva fatto, accorgendosi ch'ella era
vicina.--St..., come per avvisar l'altro. E avevan cambiato discorso,
con grande prontezza.

Allora essa sentì, per la prima volta, di non esser felice, sentì che
fra quella donna e Giuliano c'era _forse_ qualche cosa.... Ebbe un
momento d'angoscia terribile, l'angoscia dell'incertezza.... Oh!
quella cena terribile, lunga, così gaia per gli altri, così tremenda
per lei....

Non disse nulla, sentì la suprema necessità della dissimulazione. Ma
non potè impedirsi di osservare! E nell'osservazione, rimase astratta,
confusa, quasi istupidita. Li guardava come incantata: erano
abbastanza lontani da lei perchè la fissità del suo sguardo non
paresse rivolta soltanto a loro.... Essi erano allegri entrambi,
allegrissimi; quella signora lo trattava con una certa cordialità
serena, indulgente. Egli aveva l'aria contenta, molto contenta; essa
da lontano le mandò un sorrisetto amichevole, festoso, a cui la
Duchessa tentò rispondere con uno sforzo che le parve faticosissimo.
Il mare, sotto all'impalcato, diceva, nell'eccitamento ondoso della
notte sopraggiunta, delle cose gravi e severe, che nessuno ascoltava.
I tappi delle bottiglie volavano ad ogni momento, oltre le balaustre
di legno, e andavano a posarsi sui dorsi e sulle irrequietudini delle
spume candide, nel buio.

Finalmente, quell'angoscia crudele ebbe fine. La Baronessa e la sua
comitiva s'imbarcarono per Livorno.

Ma non prima d'aver combinato coi bagnanti della Spezia una seconda
gita. C'erano le regate a Genova; s'andrebbe tutti assieme alle
regate.

Milla si sentì morire.... E mentre il vaporetto illuminato
s'allontanava rapidamente sul mare, bianco di raggi lunari, essa
diceva a sè stessa:

--Stanotte gli domanderò....

Giuliano era di cattivo umore tornando a casa. Lo sciampagna non
valeva nulla, disse a sua moglie. E non aveva sonno. Era quasi
impensierito. Non triste, un po' irritato. Pure, a Milla, pareva più
affascinante che mai. E irritata anch'essa, malaccorta, impetuosa,
entrò bruscamente a interrogare:--Perchè quei due avevan detto
così?...

Giuliano s'alzò di botto, e sul viso stravolto di sua moglie lesse
l'avvicinarsi d'una scena.

S'alzò, s'inchinò lievemente e passò nella camera vicina.

E Milla rimase col martellamento della gelosia, col dubbio d'essere
stata una gran sciocca, col terrore d'aver offeso Giuliano. Era la
prima volta che le accadeva tutto ciò.

All'indomani, al Nettuno la Duchessa parve a tutti molto pallida.
Giuliano era più piacevole che mai, invece. Ma la povera sposa
soffriva così visibilmente che, alla sera, non potè uscir di casa....
E due giorni dopo, un'animuccia, disgustata, sgomentata, tornava
dond'era venuta, senza aver pagato all'eternità lo scotto d'un'umana
esistenza.

Nel momento del pericolo, mentre si sentiva oscillare fra la vita e la
morte, Milla ebbe una bizzarra parola. Disse a Giuliano:--Perdonami.

Il Duca, nell'angoscia stessa ond'era compreso, ebbe un istante di
maraviglia. Poi capì. Più tardi, quando La Duchessa, ancora
pallidissima nella sua veste da camera bianca, gli sorrideva, beata di
sentirsi a rivivere e di vederlo tornato suo, egli le disse
dolcemente:--Cattiva!

Ella chinò il capo, arrossendo. Oh! sì era stata tanto cattiva....
Aveva avuto certi pensieri.... Ma aveva sentito. E gli disse cosa
aveva sentito.

Egli prese un'aria seria, quasi paterna.--Ah! se la sua Milla non
fosse stata così bambina da dar retta a delle assurdità. Certamente,
un tempo c'era stato qualche cosa. Ma....

--Ah! c'era stato?...--osservò Milla, mentre sulle sue gote pallide
passava un rossore di fiamma.

Il Duca alzò le spalle e si mise a ridere.

--Certo--disse placidamente--ero un po' scapato ai miei tempi. E per
farmi far giudizio ci volevi proprio tu....

Essa arrossì ancora, ma d'orgoglio questa volta, d'un orgoglio
delizioso di donna amata!... E, col cuore pieno di gioia e di rimorso,
tese la mano a suo marito.

Egli la prese, e Milla capì a qual punto era stata sciocca e bambina!
Oh, sì! egli l'amava come essa amava lui, esclusivamente, e per
sempre.... Il passato non esisteva più.... era un sogno svanito.

Tornarono ad Astianello, prima del tempo fissato.

Milla stava attenta, molto attenta! Giuliano sbadiglierebbe ancora?

No. Giuliano non sbadigliava.... almeno in presenza di Milla. Ma,
certe volte, aveva un'aria un po' svogliata e, passeggiando sotto il
viale a passi strascicati, tormentava colla punta degli stivalini
lucidi certi poveri fiorellini, che proprio non ne avevan colpa.

Un giorno, Milla scese a colazione con una novità. Era una piccola
matita elegantissima, tolta ad un _carnet_ da ballo. E strettala fra
le ditine cominciò a tracciare sul margine del giornale, che Giuliano
aveva finito di leggere, qualche nome. La manina tremava un po', ma le
parole eran tracciate bene.

--Che fai?--chiese languidamente Giuliano.

Essa ristette dallo scrivere, con una mossa improvvisa, come d'una
bambina colta in fallo.

Poi, con una dolcezza infinita, disse:

--Penso che, dopo tutto, per l'ottobre si potrebbe invitar qualcuno.

E lo guardava, lo guardava, studiando la sua fisonomia, aspettando
forse ch'egli le dicesse di no.

Ma egli non disse di no. Disse soltanto--Ma cara Milla, tu sei un
angiolo!--E più tardi, quando s'alzarono di tavola, le diede il
braccio, guardandola e sorridendole quasi coma l'aveva guardata e le
aveva sorriso nei primi giorni del suo matrimonio.

E Milla, povera bambina, ebbe un momento di suprema gioia. Ecco!
l'aveva trovato il modo.... Contentarlo nelle piccole cose. Ah! ora
sapeva!

Milla era felice. Il suo Giuliano era tornato di buon umore. Si
divertiva un mezzo mondo mettendo la villa a soqquadro, rinnovando gli
addobbi delle sale, il mobiglio delle camere, rimodernando da capo a
fondo gli appartamenti. Aveva certo _trovate_ artistiche tutte sue,
sapeva combinare meravigliosamente quanto, oltre alla ricchezza,
rivela in un appartamento, il carattere e l'immaginazione signorile di
chi lo abita. Una vera legione d'operai s'era stabilita alla villa, e,
con una rapidità quasi magica, l'interno della casa andava assumendo
un nuovo e più brillante aspetto. Il creolo sapeva dar gli ordini
necessari, e Milla, ch'egli non consultava mai, era in uno stato di
continua ammirazione. Eppure, certe volte, in mezzo al suo entusiasmo
pel talento di Giuliano, un pensiero malinconico le si levava in
cuore: ecco, le vecchie cose se ne andavano tutte, una per volta.
Errava, con passo lento, quasi timido, in mezzo a tutta quella novità
fresca di ricchezze e d'eleganza, che per lei non avevano nessun
ricordo, nessuna attrattiva di segreta intesa. Astianello si mutava;
era una bella cosa, senza dubbio, ed era giusto che, dal momento
ch'essa aveva acconsentito a ricevere, i suoi ospiti avessero a
trovare in casa sua tutto ciò che probabilmente avevano in casa
propria; ma tant'è.... E un giorno, in cui Giuliano le chiese ridendo
dove andrebbero a far dimora durante gli otto giorni indispensabili
per rinnovare quella loro antiquata camera da letto, Milla si sentì
una gran stretta al cuore.

Abbassò il capo.... sentiva due lagrime sull'orlo delle palpebre.

Giuliano alzò le spalle. Ma non insistette; e Milla gli fu
indicibilmente grata di quel sacrifizio.

Il suo amore, sempre più cieco, sempre più assoluto, diventava
idolatria. In esso smarriva ogni equo giudizio delle rispettive loro
posizioni, ogni idea dei suoi diritti; non afferrava neppur per ombra,
col pensiero, l'assieme reale delle proprie circostanze. Adorava suo
marito, aveva riunite, per versarle su di lui, tutte le tenerezze
ond'era capace l'assurda potenza dal suo cuore; l'amava come e quanto
avrebbe amato suo padre, sua madre, i fratelli, le sorelle, con tutta
la somma degli affetti che il passato non aveva mai esatti dal suo
cuore, e che vi si eran sempre celati inoperosi. Essenzialmente donna,
nel sano rigoglio della sua imperiosa gioventù, ella subiva il fascino
di quell'uomo bellissimo, che all'ignoranza sacra della sua profonda
verginità morale aveva rivelato il Dio ignoto, quel Dio che alle anime
veramente pure si rivela anche con un mistico e singolare corteo di
purezze indicibili, di suprema poesia. Milla si sentiva completamente
travolta, assorbita nella vita nuova. La Duchessa amava a modo suo,
non a modo della prudenza e dell'antiveggenza. Amava coll'inconscia
forza di una volontà disarmata, con una doppia cecità di istinti,
quella del cuore e.... l'altra. Non era punto santa, e sopratutto non
era punto avveduta. Non chiedeva mai a sè stessa: «faccio bene o
faccio male ad amare così?» Non chiedeva altro a Dio, se non che
continuasse così..., e che ella potesse sempre far felice Giuliano!
Certi amori, onesti, virtuosi hanno un carattere bizzarro, bene
spesso. Si ha torto di non studiarli; sono anch'essi una curiosa
varietà psicologica, hanno profonde e stranissime forme. Si è detto
per molto tempo che il matrimonio è la tomba dell'amore; ma quando,
per caso, n'è la culla? E peggio ancora, quando è tomba da un lato e
culla dall'altro?... quando sulla verde sterilità del cipresso
s'innesta un ramo di rosa nel pieno fermento dei suoi primi
germogli?...

Il Duca si compiaceva assai, specialmente sulle prime, di
quell'adorazione costante, quasi insana. Il suo amor proprio era
soddisfatto; qualche volta, in cuor suo, n'era leggermente commosso.
Eppure.... accadeva, ogni tanto, ch'egli sentisse uno strano moto
d'impazienza. Dio! com'era mai bambina quella cara Milla. Aveva certe
fanciullaggini! Il lato sublime di quelle fanciullaggini gli
sfuggiva.... non era stato abituato _così_...; le fantasticherie di
sua moglie, certe _esagerazioni_ poetiche del suo amore per lui gli
riescivano, ahimè, alquanto stucchevoli! Gli toccava, certe volte, di
fingere di capire ciò che Milla gli diceva e questa per il creolo, era
una fatica improba! La sua lunga esperienza della donna gli tornava
vana di fronte al carattere bizzarramente affettuoso di Milla, davanti
a quel completo oblio di sè stessa, che in lei semplificava tutto, ad
un punto eccessivo. Ora, la semplicità nella donna, era cosa affatto
nuova per Giuliano; egli la confondeva facilmente colla povertà e
mentre trovava che l'amore d'una cara e ingenua donnina era pur
qualcosa di terribilmente elementare, non gli veniva mai la voglia o
la curiosità di studiare le profondità possibili e i probabili
congegni di questo sentimento elementare. Egli aveva certamente la
pretesa di raffazzonare sua moglie a modo suo, in tutto e per tutto,
per questo soltanto l'aveva sposata così giovane e tolta da un
convento, ma educare per lui non era sinonimo di studiare ed egli non
si sentiva affatto di far la parte odiosa del pedagogo. Egli aveva per
principio che colle donne non si discute mai. E però non discuteva
neppur con Milla. Le diceva spesso ch'essa era bellina e, qualche
volta, che le voleva molto bene. E per una di quelle: qualche volta,
per una delle eleganti frasi di affetto ch'egli si lasciava di quando
in quando cader dalle labbra, Milla si sarebbe gettata nel fuoco!

La sua premura di fargli piacere, assumeva talvolta le preoccupazioni
d'un'angoscia. L'aveva fatto arbitro assoluto d'ogni aver suo,
padrone di casa, nel più stretto senso della frase; essa non dava un
ordine senza chiedere il suo consenso e provava un acuto senso di
gioia, quando le accadeva di poter fare, _per lui_ un sacrificio
qualsiasi. E siccome il Duca, con una generosità senza pari, non aveva
più parlato dei progettati mutamenti nella famosa camera celeste,
Milla, in mezzo alla sua stessa soddisfazione, cominciò a provare la
puntura di certi rimorsi. Com'era stata scompiacente, egoista!

Ecco che obbligava suo marito a stare in una camera così male
arredata, mentr'egli, con quel suo buon gusto così squisito avrebbe
fatto chi sa che meraviglie per procacciare a lei il piacere di avere
una stupenda camera da letto. Dio! com'era bello Giuliano! Cento volte
più di lei.... s'intende! E com'era buono! che nobile fiducia aveva
per lei, non guardava mai nel suo scrittoio, come facevano le monache,
laggiù in convento, non leggeva mai le lettere delle sue amiche....
Mentre essa invece, da quell'egoista ch'ell'era l'avrebbe voluto
segregar lì, in campagna e quella volta.... là; a Viareggio!...

Il ricordo della scena di Viareggio era per Milla una vera trafittura.
Oh! com'era stata sciocca, imprudente, cattiva!

Per una parola, per un nonnulla aveva fatto a Giuliano quella
malaugurata scena!... Come se Giuliano fosse stato capace.... Non
perdonava a sè stessa l'ingiustizia cieca di quel dubbio.... le pareva
che ormai le corresse l'obbligo, per tutta la vita, di farselo
perdonare. Chissà quanto ne aveva sofferto, povero Giuliano, senza
dirne nulla!

E un giorno, nell'assurdità incredibile del suo povero cuoricino di
moglie innamorata, nacque un pensiero. Fu respinto sulle prime, e
rinnegato aspramente, tollerato più tardi e finalmente adottato.

Milla aveva ogni tanto il terrore di non essere all'altezza di
Giuliano. Egli trattandola sempre coll'indulgenza più o meno paziente
che si ha verso una bambina l'aveva facilmente persuasa d'esser tale.
E quell'animuccia ardente ed appassionata ne soffriva. Provava ogni
tanto un segreto senso d'umiliazione, aveva delle calde aspirazioni
verso una posatezza, un'assennatezza da gran dama, da signora calma e
sicura del fatto suo.... Diventare come Giuliano, per esempio; egli
non s'alterava mai.... Ah! ma quanto era lontana da questo ideale
colla sua ignoranza, colle sue sciocche timidità, colle sue continue e
tormentose esitanze!

Un giorno, le capitò, a caso, fra le mani, un romanzo inglese. In
esso, due coniugi, nati uno per l'altro, fatti per essere
costantemente virtuosi e felici, vedevano invece minacciata la loro
felicità da un triste malinteso. Un'antica fiamma del marito faceva
capolino nel loro presente, e per un momento le cose s'avviavano
maluccio. Ma la moglie, col suo senno, colla sua presenza di spirito,
con una fortunata audacia di confronti, avvedutamente cercati, con
un'illimitata fiducia, dimostrata al marito, riesciva a scongiurare
il pericolo, mentre il marito, subito ravveduto, avvertiva in quella
lotta stessa e per la prima volta il valore morale di sua moglie. La
rivale, vinta e schernita, s'allontanava, e il trionfo della moglie e
della morale si affermava incontrastato. Tutto questo era molto
gentilmente descritto nella calma sassone d'un nitido volume della
_Tauchnitz edition_.

A vent'anni (tanti ne aveva Milla, Duchessa Lantieri), un libro è bene
spesso una voce autorevole, una specie di suggeritore intimo, col
quale l'immaginazione fervida non tarda a mettersi in rapporto. Nella
sua ingenua ammirazione per l'eroina del libro, la nostra Milla
attinse un'ispirazione che le parve un'ammirabile misura preventiva.
Nel terrore d'un pericolo, che pure non esisteva al momento, essa
trovò il coraggio strano, inverosimile di scendere deliberatamente a
incontrarlo. Con un'audacia imprudente, in un accesso di temerario
ardire, cagionato da un timore intenso, essa volle, con un colpo
solo, tagliar tutte le teste possibili d'una Medusa avvenire, volle
conquistare intiero il futuro, improvvisarsi grande, prudente,
generosa e invincibile. Volle far vedere a Giuliano che la bambina era
una donna. Gli propose d'invitare ad Astianello la Baronessa Olga
Dornelli.... la signora della cena di Viareggio.

Giuliano cascò dalle nuvole:

--La Baronessa Olga?... dici sul serio?... la Baronessa Olga?

La voce di Milla non tremava punto mentre essa rispondeva bravamente:

--Sì, la Baronessa Olga.

Giuliano si mise a ridere.

--Non sei più gelosa, dunque?

--Gelosa, io?... ma ti pare.... sono le sciocche, le bambine che sono
gelose.... io.... so bene, sai, che tu.... che tu mi ami.

Egli la guardò coll'aria maravigliata di chi si trova a fronte d'un
problema divertente e nuovo.

--Cosa ti salta in capo?--le chiese poscia.

Milla era scontenta; avrebbe voluto veder la sua offerta accolta
altrimenti.

--Dico sul serio, sai. È una signora gentile.... elegante.... E.... le
scriverei oggi stesso.... a meno che tu non voglia....

Si fermò aspettando.... guardandolo negli occhi.

--Io? rispose il Duca....--anzi, figurati.... sono affatto
indifferente...; ma... la conosci così poco....

--Non meno delle altre signore che abbiamo invitate....--rispose
Milla. Ma aveva il cuore pieno di malinconia;... ecco.... egli non
s'accorgeva nemmeno....

--Uhm!--disse il Duca,--sai ch'è un'idea curiosa la tua?

--Non vuoi?--chiese impetuosamente Milla. E con un'imprudenza sublime,
piena di passione, domandò:

--Hai paura?

Egli prese a dondolarsi tranquillamente sulla seggiola.

--Bambina!--rispose quasi subito,--non vedi che non me ne importa
nulla?

Ella gettò un grido di gioia.

--Giuliano!... ah! Giuliano!

Nel silenzio del salotto suonò il rumore dolce d'un bacio. Poi ella
scappò via dicendo:

--Vado a scrivere.

Egli s'alzò per tenerle dietro, per dirle: lascia stare, non
voglio.... Poi rimase irresoluto, sopra pensiero.

--Puh!--disse poscia, tornando lentamente indietro,--lasciamo
correre.... Come la prenderà lei?... Non verrà.... forse.... anzi
certo.... non verrà.

Accese un sigaro.

--Sarei curioso, pensò, di vedere cosa dirà.... Dopo tutto, era
impossibile che non c'incontrassimo quest'inverno.... E se viene?...
Ebbene, vedrà come sono le cose, e che non ho perso nulla....
lasciandola.

Il sigaro non si voleva accendere.

--Curioso--continuò il Duca, parlando sempre tra sè.--Curioso
davvero.... Che idea da stordita ha avuta Milla!... Imparerà a
vestirsi, ciò le gioverà.... E se non venisse, quell'altra?... Diavolo
d'un sigaro, non vuol saperne d'accendersi.... _Tout passe, tout
casse, tout lasse!_ Chi sarà ora?... Ancora il Viscontino?... Eh!
sapremo!... Quando si dice il caso! Per fortuna che son sicuro di me
stesso e che....

Non finì il pensiero. Lo sigaro s'era acceso, ed egli fumava
coll'intima delizia d'un esperto.

--Non verrà!--disse risolutamente al fumo azzurro del suo sigaro.--Non
verrà!

--Ecco--pensava, dal canto suo, Milla con una specie di gaiezza
nervosa.--Ecco l'avvenire sicuro....--Ma nella gioia del suo trionfo
era stanca, agitata.

Oh Milla! se tu avessi avuto tua madre!...



VI.


Quando la disdetta ci si mette, è inutile, non si può vincerla, nè
impattarla. La casa era in ordine, gli appartamenti in pieno assetto.
Ma il capo di scuderia, quell'inglese antipatico, aveva, laconicamente
sì, ma colla più testarda ostinazione, chiesti i suoi otto giorni.

Proprio in quell'epoca! Andava via all'ultimo di settembre, e verso i
due o i tre d'ottobre capitavano i conti Garbi, i primi fra gli
invitati.

Giuliano era sulle spine. Come supplire lì per lì? E per l'appunto gli
premeva immensamente d'avere in quei giorni un servizio elegante,
inappuntabile di scuderia. Voleva telegrafare a Parigi, a Londra, a
Napoli.

Ma il signor Damelli gli diede un suggerimento più pratico:

--Provi Drollino.

--Drollino!--disse il Duca, attonito e scontento.--Drollino!

Poi, ripensandoci, cominciò a persuadersi.... Dopo tutto.... aveva un
personale adatto, quel monello! E, ormai, della sua valentìa non
poteva più dubitare.... tutti lo designavano pel più intelligente ed
elegante fra i direttori della tenuta.... È vero che era un
caratteraccio caparbio, insolente..., ma.... per la circostanza poteva
tornar utile; e il Duca non pensava certamente a nutrire rancori verso
un palafreniere che per ignoranza, senza dubbio, era stato
disobbediente ed ostinato.

Non disse nulla, però, al signor Damelli. Si rivolse invece alla
Duchessa.

Milla, lietissima, ringraziò con effusione Giuliano.... per quel
pensiero così delicato. E subito mandò a chiamar Drollino.

Quando se lo vide davanti serio, quasi cupo nel sembiante, rimase per
un momento imbarazzata, e l'esito della commissione non le parve
facile come le era parso un momento prima.

Non gli diede l'ordine di venire--Milla non sapeva dar ordini;--gli
spiegò la cosa e il bisogno che avevano di lui, in un modo gentile,
esitante..., pregandolo d'accettare, per far piacere al Duca, che
aveva sentito a dir tanto bene di lui.

Conviene supporre che l'espressione del viso di Drollino fosse poco
incoraggiante, perchè Milla si sentì intimidita, e seguitò, con una
voce mite mite, a dar spiegazioni, ad accatastar motivi. Tutto ciò, in
fondo, era ridicolo; ma Milla l'aveva proprio quel mal vezzo di
profondere con chicchessia quelle sue squisite delicatezze di
riguardi. Temeva sempre di urtare qualche suscettibilità, di ferire
qualche recondita sensibilità di fibra....

Drollino, sulle prime, ebbe la decisa intenzione di rifiutare.
Lui.... al servizio del Duca!... ah!... no, mai!

Ma egli non poteva spiegare a sè stesso cosa accadeva nel segreto
dell'animo suo; la resistenza a quel desiderio di Milla pareva farsi
sempre più difficile.

Rimase stranamente perplesso per un minuto; ascoltando la voce di
Milla, udendo quella sua frase gentile: «e anche a me, sai, farebbe
tanto piacere,» ebbe la coscienza d'un potere arcano che lo attirava
invincibilmente. Si fece triste, e guardò a lungo, con una espressione
quasi smarrita, i fiori variopinti del tappeto. Poi alzò gli occhi e,
di sfuggita, guardò lei.

--Verrò....--disse lentamente, con isforzo, come se una possa arcana,
alla quale egli obbediva a malincuore, gli imponesse quella parola
d'adesione.

--Oh! bravo, bravo--disse Milla, picchiando le manine una contro
l'altra.--Bravo, Drollino, così va bene. Vieni subito. Ora, abbiamo
gente--continuò animandosi--e il signor Duca sarà contento.

Egli, freddissimo, s'inchinò ed uscì.

Appena fu sotto al portico, si fermò; subitamente pentito. Cos'aveva
fatto? Aveva accettata una nuova forma di schiavitù; ora non potrebbe
più battere la pianura in libertà, diventava anch'egli un servitore
come gli altri, un servitore del signor Duca. Sentì un impeto d'ira
gonfiargli il cuore, e si voltò per tornare indietro, per andar a dire
alla Duchessa che, assolutamente, non poteva. Ma quella strada da
rifare gli parve difficile, troppo difficile. Fece un gesto d'ira,
contro sè stesso. Giunto a casa sua, sellò Mia, e per molte ore del
pomeriggio nelle più lontane distese dal pascolo, suonò concitato un
galoppo che non s'allentava mai.

Era venuto l'ottobre, e con lui gli ospiti attesi. Astianello
diventava una villeggiatura alla moda. Tutti i giorni qualche gita,
qualche divertimento; la servitù era sempre in moto, naturalmente.

--Ecco--disse Battista, il cameriere del Duca, accennando una signora
a Drollino dalla finestra del tinello--è quella là!

--Ah!--disse Drollino semplicemente.

--Bella donna, perdio!--continuò Battista.--Sett'anni, capisci! Ora
naturalmente è finita, ma è curiosa però che sia venuta anche lei, eh?

--Curiosa--ripetè Drollino.--È una bella donna, infatti.

Era una bella donna veramente, sana, forte, attraente. In vece di
dignità, la sua fisonomia possedeva un certo fascino pronto, ricco
d'infiniti sottintesi d'espressione. Era eccessivamente, fatalmente
donna, e sapeva anche esser signora senza pregiudizio d'ogni altra sua
prerogativa. Accanto alla semplicità delicata di Milla, pareva ancor
più pomposa e stranamente elegante. Nella sua ardita acconciatura da
mattino; la sua freschezza matura somigliava alla fioritura opulenta
d'un fiore esotico, dal profumo irritante. Aveva una chioma
splendidamente fulva, una bocca grande, e un riso sonoro, che scopriva
una dentatura irregolare, ma d'un bianco lucente, quasi di smalto.

Olga Dornelli Zorodoff era stata alquanto maravigliata dell'invito di
Milla, e l'aveva accettato unicamente perchè l'aveva interpretato come
una sfida di Giuliano. Aveva deciso suo marito ad accompagnarla, ed
eran venuti. Dopo tutto, erano parenti di casa Lantieri, e la visita
poteva assumere una apparenza di plausibità. Ed ora ella si compiaceva
di esser venuta. Trovava che Milla non era punto male. Aveva capito
subito che l'invito era stato una di quelle sublimi assurdità, delle
quali non può esser capace se non la più ignara delle inesperienze, e
l'idea d'un cordiale ammaestramento era penetrato nella mente ben
disposta della ex-rivale. Il suo programma era benevolo: guadagnare
l'animo di quella bambina, indurla a pienamente tradirsi, ridere un
poco con lei, e dirle:--Bada, bimba; non va fatto così. Bisogna
cangiar tattica.--Ordinariamente; queste educazioni fra donne sono
una cosa molto spiccia.

Olga seppe ad Astianello guadagnare tutte le simpatie. Sin dal primo
giorno, ebbe gli uomini dalla sua. E le donne, naturalmente, tennero
dietro. Ma la Duchessa no. Milla aveva subito provata per la Baronessa
una specie di avversione istintiva. La trovava più formidabile di
quanto l'entusiasmo della sua determinazione gliel'avesse
rappresentata. Vedendola, aveva subito imparata una crudele lezione.
Non la temeva precisamente; essa era sicura di Giuliano, oh!
sicurissima; ma, nel segreto dell'animo suo, avrebbe dato dieci,
vent'anni della sua vita per poter cancellare dal suo passato quel
momento d'insana temerità ch'essa, appena compito, aveva cessato di
spiegare a sè stessa.

Non già che colla Baronessa fosse sgarbata, o mancasse come che sia ai
suoi doveri di padrona di casa. Oh, no; era inappuntabile nel suo
contegno, nella sua cortesia. Ma si sforzava ad esserlo, e talvolta,
in quell'esattezza così rigorosa, lo sforzo era visibile. Olga cercava
invano d'accaparrarsi quell'animuccia di ex-educanda, di cui voleva,
moralissimamente, farsi un trastullo, poichè aveva generosamente
rinunziato ad un altro genere di divertimento. Ma il suo fascino non
la serviva bene in questa occasione. Milla non le era ostile; le era
soltanto aliena. S'era bensì provata a trattarla altrimenti, come una
amica; non le riusciva. Mentre la Russa l'avvolgeva, con un tatto
infinito, nelle apparenze di un'intimità cordiale ed affettuosa, essa
invece rifuggiva, quasi per istinto, da ogni dimostrazione
d'intrinsichezza. Non sapeva, colla schiettezza ignara dell'animo suo
prestarsi ad una commedia che non la persuadeva. Ond'è che agli ospiti
in generale, Milla, con quella sua contegnosità enigmatica, riesciva
meno simpatica di quella allegra Baronessa, sempre e così
schiettamente cordiale. E Olga cominciava a trovare più facili, più
piani i rapporti col Duca.

Il loro passato non li imbarazzava punto. Olga, colla sua semplicità
sapiente, con quella sua inalterabile uguaglianza d'umore, l'aveva
abolito. Con una manovra, d'un'audacia senza pari, aveva fatto punto e
da capo. Era convenuto che fra lei e Giuliano non esisteva più se non
l'amicizia.

Il Barone, dopo aver accompagnato sua moglie ad Astianello, era
partito per certe caccie maremmane, ma promettendo di tornare per
riprenderla e condurla poscia nel Mezzogiorno. Anche quello era un
matrimonio che andava benissimo.

       *       *       *       *       *

Si aspettava la colazione in giardino. Olga, seduta in una poltrona
americana, si dondolava con una mossa pigra, che le stava bene. Milla,
appoggiata alla balaustra del terrazzo, coglieva dei gelsomini;
accanto a lei, la Contessa Garbi tentava con molto, ma vano buon
volere un acquerello infelice. Più in là, due o tre signore si
ostinavano al _croket_, col concorso degli uomini della brigata.
Giuliano solo, postosi dietro la Contessa Garbi, guardava
l'acquerello progredire, e pareva approvarne caldamente l'esecuzione;
ma ogni tanto il suo grande occhio azzurro si distraeva.

--Mia cara Milla, tu disegni, nevvero?--chiese dolcemente la
Baronessa.

--Avevo principiato, ma ora non disegno più, dacchè ho visto quanto è
difficile per noi donne.

--Ma col tuo talento....--fu pronta ad aggiungere la Russa.--Perchè
hai un bel negarlo, cara mammoletta, tu hai proprio del talento, e per
tutto....

--Trovi?--chiese Milla impetuosamente, dando, senza saper bene perchè,
un accento di ironia a quella parola.

La Baronessa ebbe un sorriso indulgente, quasi materno.

--E tu non trovi?--chiese in tono sommesso.

Un silenzio, freddino assai, successe a quella domanda.

--Stupendo,--osservò Giuliano, alludendo al quadretto. Ma il suo
sguardo inquieto errava da Milla alla Baronessa.

--Non so,--rispose Milla quasi distrattamente. Vedeva sul viso di
Giuliano una specie di malcontento nuovo; e vedeva sul volto di lei un
sorriso dolce, pieno di benevolenza, che la turbava profondamente.

Ah!... perchè l'aveva fatta venir lì quella donna così calma, della
quale Giuliano ammirava tanto _les toilettes_!

Olga aveva fatto una confidenza a Milla. Quelle sue famose _toilettes_
non erano mica di Worth! Gliele mandava una sarta modestissima, un
vero genio dell'arte, ancora ignoto. Ella sola l'aveva indovinata, e
si guarderebbe bene di dar l'indirizzo di quella sua scoperta ad
un'altra signora. Per lei però, per Milla, sì, avrebbe fatta una
eccezione. Ma Milla, adducendo a scusa l'affezione da lei serbata alla
sua vecchia sarta, aveva rifiutato:

--No, grazie.

--Ah!--pensò Olga; E quando udì quel «Trovi?» lo mise da parte assieme
al «No, grazie.»

La Garbi s'era alzata per andar a cercare più in disparte un gruppo
d'alberi meno difficili a copiare.

Milla si vide sola fra suo marito e la Baronessa. Essi tacevano. La
Duchessa provò un timore strano, che tacessero per causa sua. Un
orgoglio intimo le morse il cuore, e di subito, cedendo all'impulso
primo, che ancor non sapeva nè scrutare, nè dominare, s'allontanò.

I due però continuarono a tacere.

--Mio caro--disse finalmente Olga,--voi siete l'uomo il più fortunato
di questo mondo. Vostra moglie è....

--Un angelo,--interruppe placidamente Giuliano.

--Ah!--continuò Olga non meno placidamente--lo sapete?

--Ma l'avete detto tante volte.... sfido io.

--Non mai abbastanza, mio caro. Quando si hanno delle fortune di
questa entità, bisogna capacitarsene.

Egli alzò le spalle sorridendo.

--Creolo!--disse la Baronessa.

Giuliano si fe' serio. Non rispose. Guardava laggiù, in fondo, nelle
brume della pianura.

Milla camminava diritta pel viale, senza voltarsi.

Olga disse ancora a Giuliano ch'egli aveva una moglie adorabile;
glielo disse sei giorni dopo a cena.

Ordinariamente, non si cenava alla villa. Quel giorno, però, una gita
lunga e divertentissima aveva ricondotto la comitiva ad ora tarda e
s'era sentita la necessità di un gaio: _souper_.

Alle frutta la Baronessa tornò sull'argomento.

--Adorabile! Guardate come le sta bene quel costume pifferaro...;
ecco.... avrebbe bisogno di esser sempre così.... contenta e animata.
È di carattere molto calmo, nevvero?...

--Sì,--rispose Giuliano. E soggiunse:--Un poco di champagne,
Baronessa?

--No, basta; grazie. Voi ne avete già bevuti cinque bicchieri...
Veramente, questo è eccellente.

--Non c'è male, infatti; io però preferisco....

--Il _Tokay_,--suggerì prontamente la Baronessa.

Poi, in modo che si vedesse bene, si morse le labbra. Ah! le era
sfuggito....

Egli depose il bicchiere e la guardò.... Ah! si ricordava! Sorrise e
bevette. Dopo tutto, che male c'era?

Essa cominciò subito a parlar di tutt'altro. Poi, come se cercasse un
rifugio più definitivo, tornò sull'argomento di Milla.

--Vi assicuro che è simpaticissima.

Giuliano si mise a ridere.--Proprio?--chiese. E, con quell'eterno
vezzo che hanno tanti a questo mondo di mostrare o di fingere lo
sprezzo di tutto ciò che loro appartiene, soggiunse:--Puh! una buona
ragazzetta!

--Oh, Giuliano!--insistè la Russa.--Orsù, datemi retta; ascoltate il
parere d'una vecchia amica.

--Vecchia?!--interruppe Giuliano, guardando cogli occhi lustri quel
viso fresco, forte, sodo, dove la vita rigogliosa imperava.

Si guardarono sorridendo. Essa era sicura del pensiero che quella
parola gli andava suscitando nella mente, sicura della parola che
avrebbe tenuto dietro a quel pensiero.

E nella fiacca, pigra facilità dell'animo di Giuliano, nella
vigliaccheria di quel momento, stranamente foggiato dai ricordi
ravvivati dallo sciampagna, quella parola uscì lenta, strascicata
sulle sue labbra:

--Vecchia, cioè prima!

--Oh!--rispose lietamente Olga--c'è qualche cosa di meglio dell'esser
la prima.

--Cioè?--chiese languidamente Giuliano.

--Esser l'ultima, per esempio.

Egli non rimase soddisfatto. Fece una smorfia bizzarra, grottesca, e
questa esprimeva un tale ammasso di contraddizioni intime,
involontarie forse, ma così patenti, che la Baronessa non potè
trattenere un gaio scoppio di risa.

--Quante sciocchezze!--rispose.--Ora datemi un mandarino, e state
zitto.

Mentre sbucciava il mandarino, mandò di sbieco una lunga occhiata
verso Milla, che calma, dignitosa, ma un po' pallida, guardava ogni
tanto laggiù, verso loro.

«Perchè non hai voluto venir con me nel _drag_?» pensava la Baronessa.
«Guarda ora!»

E si voltò verso Giuliano:

--Vi prego, fatemi fresco.

Gli porse il suo ventaglione di piume d'aquila, ed egli cominciò
coscienziosamente a farle fresco.

--Il caffè....--ordinò bruscamente la Duchessa,--di là.... in sala!

       *       *       *       *       *

Drollino era capo di scuderia, disponeva e preparava gli attacchi,
assegnava il posto ai cocchieri e ai palafrenieri. Egli non saliva
mai a cassetto. Pure una volta gli accadde di farlo. E fu così.

La Duchessa voleva andare, sola, ad un certo santuario distante quasi
tre miglia da Astianello. Accanto a quel santuario, in un vecchio
convento, pochi frati agostiniani esaurivano quietamente l'esistenza
propria e quella della casa. Fra essi si trovava il confessore della
Duchessa, il buon sacerdote a cui era toccato il facile còmpito di
guidare quell'anima innocente e soave. Essa andava a trovarlo ogni
tanto, facendosi per lo più accompagnare da una vecchia cameriera. Suo
marito, compiacente qual'era, le permetteva queste debolezze, col
patto, ben inteso, di non farsene complice.

In quella notte, nella stanza coi parati celesti c'era stato un gran
silenzio. Giuliano e Milla, turbati entrambi, avevano finto ognuno un
sonno straordinario. Milla stava immota, tutta raccolta al suo posto,
cogli occhi spalancati nel buio, colle mani strette tenacemente sul
petto. Ora che nessuno poteva vederla, si mordeva le labbra.... Oh,
com'era stata imprudente! Non accusava nessuno, no.... ma perchè
soffriva tanto.... perchè il ricordo di tanti episodi di quella gita
le riesciva intollerabile?.... perchè si rammentava ora tante piccole,
piccolissime cose?... perchè le recavano un fastidio così
intollerabile?... La sera precedente a quella notte s'era fatta tardi
ballando nel gran salone illuminato.... ella li aveva visti più volte
assieme... stretti nei giri molli d'una mazurka di Chopin.... Le altre
coppie non ballavano a quel modo, pallidi, in silenzio.... Oh! come la
martellava quel ricordo così recente! che ansie senza nome le destava
in cuore! Si sentì quasi infelice. E pensò alla necessità d'un
consiglio.... al conforto d'una parola intima, segreta di
consolazione.... Sì, andrebbe al convento da padre Loria, ci andrebbe
subito, di gran mattino, mentre le altre signore, stanche,
dormirebbero ancora mentre lui.... Giuliano.... sarebbe tuttora
addormentato. Il suo dolore senza nome, cullato da quella
risoluzione, s'acquietò in una malinconia spossata, che le procurò un
po' di sonno.

Giuliano dormì pure assai poco, durante quella notte. Era anch'egli
profondamente turbato; nei sensi, nella mente, in quel po' di animo
che Dio gli aveva consentito. Sentiva d'essere su una via pericolosa,
di subire un fascino che non era meno potente di prima, benchè lo
fosse altrimenti. Egli avvertiva bene, in quella specie di falsa
amicizia che aveva, senz'avvedersene, stretta colla Baronessa, il
fermento dell'antica passione, sentiva l'impero di quella donna
ch'egli aveva creduto un momento di poter punire, mortificare,
presentandosele in tutta la pompa della sua felicità. E ora, che suono
bizzarro aveva quella parola in bocca sua!...

Ebbe anch'egli una brusca, strana consolazione. In fin dei conti,
Milla non aveva _diritto_ di lagnarsi di nulla. Egli era tuttora un
marito.... fedele.... E lo sarebbe.... diavolo.... non c'era pericolo
del contrario.... Ma non si poteva negare che Olga.... perdio, che
donna di spirito! E il Viscontino! non era vero niente.... gliel'aveva
assicurato lei, positivamente.

       *       *       *       *       *

La Duchessa s'alzò di buonissima ora, dopo avere, nell'incerta luce
del mattino che penetrava dalla porta socchiusa, gettato uno sguardo
triste e appassionato verso Giuliano. Egli dormiva ora, bellissimo
nella sua attitudine riposata e serena. Essa richiuse la porta,
procurando di non far rumore, per non destarlo.

Mentre si pettinava, mandò giù la Carolina, la sua cameriera
prediletta, ad avvisare che attaccassero subito la _vittoria_.

La ragazza, una bella e franca giovanotta, fece la commissione a
Drollino. Questi chiese laconicamente:

--Sola?

--Eh! certo!--rispose la giovane, che trovava Drollino un originale
_mica antipatico_--chi vuol l'accompagni al convento a quest'ora? il
signor Duca?... forse?...

Quel «forse» biricchino, e illustrato da un sorriso maliziosetto,
avrebbe potuto essere un programma di conversazione; ma il capo di
scuderia non lo considerò sotto quest'aspetto. Fece un cenno col capo,
e s'allontanò.

--Stupido!...--pensò la ragazza mentre, leggermente indispettita,
teneva dietro collo sguardo a quell'originale.

Questi se ne andò a dar gli ordini. Ma non accennò al cocchiere che
avrebbe dovuto guidare la _vittoria_. Quando tutto fu pronto, egli
stesso salì in serpino. La Duchessa scese verso le otto, vestita
semplicissimamente, e seguita dalla Tonia, la vecchia guardarobiera.
Il legno aspettava davanti alla scalinata dell'atrio. A cassetta, a
fianco del domestico, stava Drollino, colle redini in mano, bellissimo
nel suo _raglan_ bianco.

Si misero in via, con un tempaccio malinconico. Una nebbia grigia
serrava la campagna circostante, circuendo gli orizzonti in una
sfumatura umida e greve. Giunsero finalmente, e la carrozza si fermò
sul piazzale del Santuario. La Duchessa scese, e la sua delicata
personcina scomparve dietro il portone, ingolfandosi nell'ombra mite e
tiepida della chiesa. Drollino, facendo muovere lentamente i cavalli,
aspettò un'ora all'incirca sul piazzale deserto, ornato da due filari
di tisiche acacie, sulle quali il cadere continuo e minuto della
pioggia produceva un lieve strepito cadenzato e susurrante. Finalmente
Milla riapparve. Si fermò un istante sulla soglia, guardando il tempo.

Si vedeva che aveva pianto molto, e con quell'effusione ardente che,
nei dolori delle anime giovani, diventa bene spesso un trasporto
delirante. E doveva aver pregato con una fede intensa, piena di
passione e d'angoscia. Il visino aveva pallidissimo, gli occhi gonfi e
sbattuti, con un gran cerchio livido. Il labbro serbava ancora un po'
di tremito, la mano stringeva sul petto il libro di preghiere, come
quella d'un guerriero che preme l'elsa della spada consueta, nel
giorno della battaglia.

Drollino vide tutto ciò. Sentì uno strano rimescolìo.... Ah! la
padroncina piangeva.... la padroncina pregava.... Ed egli sapeva
perchè.... Battista, il cameriere del Duca, aveva detto un giorno, tra
due bicchierini di cognac:--La signora ha paura della Russa....--E
aveva ammiccato, in modo che si sapesse, che si capisse, perchè la
padrona aveva paura della Russa.... Drollino fece avanzare i cavalli
sino a che la _vittoria_ fosse proprio di fianco alla porta; poi,
gettate le redini fra le mani del domestico attonito, fu d'un balzo a
terra. Rialzò il mantice e abbassò il grembiale di cuoio; porse quindi
rispettosamente il gomito alla Duchessa per aiutarla a salire.

Allora soltanto Milla lo ravvisò. Sul suo visino stravolto passò il
mesto sforzo d'un sorriso.... essa aveva ancora tanta voglia di
piangere!... Ma nel suo sguardo stanco c'era come una inconscia
preghiera, un ignaro appello alla compassione e alla simpatia. Essa
era tuttora agitatissima; calda ancora del recente slancio religioso,
aveva il cuore pieno di quell'entusiasmo profondo della preghiera che,
di tutto, fa anima e fraternità! Ci voleva ben poco per maggiormente
commoverla. Infatti, la vista di quella persona, ch'ella sapeva essere
affezionata a lei, alla memoria del padre suo, le fece in quello
strano momento un effetto non meno strano. Nel dolore delle sue
inquietudini, del suo isolamento morale, Drollino le parve quasi un
amico. Lo guardò con una dolcezza ignara, ma affettuosa, e per un
momento, senza saperlo, come una persona stanca che cerchi un
appoggio, trattenne la sua mano nuda, tremante, su quella, guantata di
camoscio, che Drollino teneva pronta per aiutarla a salire.

Un brivido forte, ma tosto represso, agitò per un secondo la magra
persona di Drollino. Un lampo, subito smorzato, passò nei suoi occhi
neri; poi egli chinò la testa come un colpevole, e, sorreggendo Milla
colla forza del suo pugno d'acciaio, l'aiutò a salire in carrozza.
Essa non s'accorse per nulla dell'impressione violenta che Drollino
aveva risentito in tutte le fibre dell'esser suo.

Drollino fu d'un salto a cassetta, e via, di trotto serrato, per la
strada fangosa. La Duchessa, rannicchiata nel suo _plaid_, immersa in
uno di quegli assoluti abbattimenti d'animo e di corpo che susseguono
quasi sempre all'ardore d'un sincero sfogo della mente o del cuore, si
abbandonava al rapido moto della carrozza. Il suo sguardo inerte si
smarriva nella nebbiosità malinconica, velata di piova, della
campagna. E Drollino faceva volare i cavalli. Li sferzava
continuamente, eccitandoli con certi _ehp!_ stridenti, che parevano
metter loro il diavolo in corpo. Il domestico, intimorito, lo guardava
ogni tanto, senza ardire d'interrogarlo. Nell'interno della _vittoria_
la vecchia guardarobiera, sgomentata, ripeteva sommessamente delle
innumeri _Ave Marie_. La Duchessa non avvertiva nulla di quelle
preghiere, nè di quel timore. Calcolava quanti giorni dovevano
passare, prima che spuntasse quello della partenza di Olga.

Giunsero a casa senza inconvenienti. Milla, nello scendere, s'accorse
che a mala pena si reggeva in piedi. Si ricordò che non aveva ancor
preso nulla; e perciò, invece di dirigersi verso il proprio
appartamento, pensò di fermarsi un momento in sala da pranzo. Questa
si trovava in un'altr'ala della villa, dove il rumore della carrozza
che giungeva poteva benissimo non essere stato avvertito.

La tavola per la colazione comune non era ancora preparata; ma, in un
cantuccio appartato nel vano d'una finestra, un tavolino
elegantissimamente apparecchiato, faceva testimonianza di un allegro
asciolvere, testè compiuto da due persone. Infatti, il Duca e la
Baronessa Olga avevano allora finito di prendere il caffè. Erano
soli; nè ospiti, nè servi. Nella stanza vicina però risuonava
incessante il _clic clac_ delle palle da bigliardo, urtantisi
continuamente sul panno verde, e un incrociarsi non meno insistente di
voci mascoline.

Olga era avvolta in un'ampia veste da camera di _cachemir_ rosso cupo,
e il suo collo spariva nelle pieghe intralciate d'una grande sciarpa
di trina fiamminga. L'energia slava della testa spiccava
maravigliosamente su quel piedestallo di trapunto e sullo sfondo di
cuoio cesellato della tappezzeria.

La Baronessa sedeva, molto allungata, su una poltrona, con un braccio
penzolone. Fumava una sigaretta di tabacco orientale ed un molle
sorriso sfiorava, tra le fresche gote carnose, le tumide e rosse sue
labbra.

Giuliano le era seduto vicino, a cavalcioni su una sedia, e teneva
posata una mano sulla spalliera della poltrona. Aveva chinata la sua
faccia, così bionda e regolare, verso di lei, tuffando con visibile
piacere il naso armato di _pince-nez_, nel fumo acremente profumato
della sigaretta. Poi d'un tratto, arretrando il naso colla mossa d'un
fanciullo che s'allontana dal frutto proibito, mandò un sospiro tra
mesto e comico.

--Ahimè!--disse poscia con un accento che anch'esso aveva un po' del
burlevole, un po' del patetico.--Sapete cosa mi figuro in questo
momento?

Ella lo sapeva benissimo, e non si diede la pena di chiedere cosa
fosse. Ed egli, per non lasciar morire il discorso, finì la frase
così:

--Mi figuro, il vostro _boudoir_ granata e rosa.

--Sciocchezze.... mio caro; quel ch'è stato è stato. Non è egli
convenuto che voi siete per l'appunto il più felice degli uomini? E se
mai, in vita vostra, avete fatto delle corbellerie, è giusto....

--Ch'io le sconti, nevvero?--chiese Giuliano con un'amarezza d'accento
che voleva esser patetica.

Ella ebbe un maligno sorriso:

--Ma, mio caro creolo, voi siete sempre stato molto indipendente, e
avete voluto....

--No.... non fui io, a volerlo--rispose stizzosamente--è stata mia
madre.

--Ah!--diss'ella.

E lo guardò sorridendo, con quel sorriso che scopriva tutto quanto il
lucido avorio dei suoi denti. In quella giornata grigia, piovosa,
nella atmosfera cupa dell'antica sala da pranzo, il suo volto aveva
una formidabile espressione di vita, di moto, che aizzava il
sangue.... Giuliano si sentiva diventar vile, vile.... vile....

Essa si mise a ridere, ma, nella direzione di quell'occhio azzurro,
languido che la guardava ricordando, mandò un po' di fumo, che
somigliava a un sospiro inebriante....

--Olga--disse il Duca senza curarsi d'abbassare la voce--ditemi, oh
ditemi che non tutte le corbellerie sono irreparabili, e che quella
immensa, mastodontica ch'io commisi nel prender moglie....

Olga, con uno dei suoi più chiassosi scoppi di risa, gli troncò la
parola in bocca. Aveva veduta la Duchessa, rigida, immobile sulla
soglia, di fronte a loro.

Aveva udito? Giudicando dal suo aspetto, c'era poca speranza d'una
risposta negativa. Ma Olga pensò che la fortuna arride agli audaci, e
con un gesto appena percettibile avvertì Giuliano. Poi, con una
disinvoltura superiore ad ogni plauso, s'alzò, e, col più amabile, col
più cordiale dei suoi sorrisi, andò ad incontrar la Duchessa.

--Buon giorno, cara, come stai? Sono scesa di buon'ora, nevvero? Le
altre dormono ancora.... che pigrone! E così, com'è andata la tua gita
misteriosa?

Milla non rispondeva, nè accennava di udire. Ansimava, e, con un gesto
nervoso e macchinale, tentava di togliersi i guanti.

--Poverina!--continuava Olga, sempre più premurosa,--si vede che sei
molto stanca. Lo credo.... con questo tempaccio.... Stavo appunto
dicendo a tuo marito....

--Sicuro.... sicuro--interruppe Giuliano, per secondare la
Baronessa.--Giusto.... mi diceva, e io rispondeva che tu facevi
malissimo, ch'era una delle tue ubbie solite, e che io permettendolo
avevo fatto una corbel....

Ma la Baronessa, che studiava attentamente il viso di Milla, troncò
con uno sguardo la trovata del Duca.

--Ti senti male?--chiese alla Duchessa, con un mirabile crescendo di
gentilezza.

Milla non rispose; si sentiva la gola serrata da uno spasimo isterico.
Eppure voleva parlare.... voleva dirla una parola atta ad esprimere il
senso d'indignazione che la padroneggiava. Ma l'agitazione nervosa che
scuoteva tutta la sua povera personcina fu più forte di lei. Milla si
sentiva smarrire, non ci vedeva quasi più, sentiva nelle orecchie uno
scampanio stridente. Vacillava, e, per non cadere, s'appoggiò con ambe
le mani a un tavolino lì presso.

Olga le corse vicino, e volle sostenerla. Milla, nel suo smarrimento,
avvertì il pericolo di quel contatto, e provò un sentimento così
violento di ripulsione e d'orgoglio che per un istante si riebbe,
galvanizzata.... Si rizzò, diede un passo addietro, e dalle labbra
smorte le uscì un «No» vibrato.... pieno d'odio e di ribellione.

Nella vasta sala da pranzo ci fu un momento di silenzio.... poco
piacevole.

Poi, a un tratto, la Duchessa svenne.



VII.


Eran tutte nel salotto rosso, un po' agitate, un po' inquiete.

--Veramente.... Milla si era sentita male?... Oh! poveretta! Ma
come.... perchè?... Forse, la stanchezza del ballo....

--Già--osservò la Garbi,--si vedeva, sulla fine, ch'era un po'
abbattuta.

--No,--sentenziò una vecchia signora.--Sarà qualche cosa, qualche
novità.

--Magari!--risposero in coro il più delle signore, con qualche
sorrisetto....

--Davvero?...--osservò Olga, ch'era entrata in quel momento.--Che
bella cosa sarebbe, che felicità per entrambi!...

--Tu eri in sala, nevvero.... quando quella poveretta si sentì
male?--chiese la contessina Ghisneri.

--Per l'appunto, mia cara, n'ebbi uno spavento grandissimo. Io ero
scesa a _déjeuner_.... A un tratto, Milla comparisce sulla soglia,
pallida come uno spettro. Era stata, Dio sa dove, a far la
meditazione.... che so io.... a confessarsi. Sapete, poverina, quanto
è pia, quanto è buona! Convien dire che l'umido le avesse fatto male,
che si fosse strapazzata.... Poi, è delicatina, nevvero?... Insomma,
la vidi annaspare, poi svenne.... lì.... sui due piedi. Corsi subito
a sostenerla, gridai.... chiamai; per fortuna, c'era gente nella sala
del bigliardo.... Venne subito anche il Duca.... scesero le cameriere;
la portammo su.... Si riebbe a poco a poco, e l'ho lasciata or ora,
che stava meglio.

--Anderò su a vedere--disse la vecchia dama.--Se vi fossero novità....
scriverei subito alla Duchessa Margherita.

--Dov'è ora quella cara signora?--chiese Olga.

--Oh! sempre a Torino. E come dicevo....

--Mia cara Marchesa,--osservò Olga con voce sommessa e
carezzevole--rammento ora che Milla stava per addormentarsi; forse un
po' di sonno le gioverebbe meglio d'ogni altro rimedio.

In quella entrò Giuliano, e tutti gli furon d'attorno a chiederle
notizie di sua moglie. Oh, era una cosa da nulla.... uno sconcerto
passeggiero, cagionato dal freddo.... dalla stanchezza. Milla si era
riavuta subito.... mandava a salutare le sue buone amiche; dormirebbe
per qualche ora, e scenderebbe senza dubbio a desinare.

Giuliano in cuor suo era di cattivissimo umore. Che bestia era stato!
uno scolaretto non ci sarebbe cascato più scioccamente.... E in
complesso... per.... nulla. E ora chi sa che scena gli toccherebbe,
quanti rimproveri gli rivolgerebbe Milla!

Senonchè, con sua grande sorpresa, Milla non gli aveva rivolti
rimproveri di sorta. Quand'egli entrò in camera, prima del pranzo, per
chiedere sue notizie, la trovò ancora coricata, immobile. Ella parve
non avvertirlo; chiuse gli occhi. Giuliano esitò un momento; poi
chiamò dolcemente:--Milla!--Essa aprì gli occhi, con un amarissimo
sforzo di sorriso, poi, lentamente, li richiuse.

--Milla!--disse ancora Giuliano.

Ella non rispose...; serrò gli occhi più forte, perchè non lasciassero
adito ad una lagrima.

Giuliano aspettò un momento, poi se ne andò; adagio e inquieto. Forse
avrebbe preferita la scena.

Condusse le signore a fare una trottata. Tornando, si seppe che la
Duchessa non scenderebbe neppure a desinare. Le era sopraggiunta un
po' di febbre. Gli ospiti espressero naturalmente il loro rammarico;
dopo di che, ognuno andò in camera sua a vestirsi pel pranzo.

Ma in quella mezz'ora affaccendata di pettinature riedificate, di
vitine assestate alle persone, di _fichus_ drappeggiati sulle spalle,
di baffi incerati ed unghie brillantate, una piccante notizia
s'insinuò fra una stanza e l'altra, venne scambiata in fretta nella
penombra dei corridoi. Dal tinello dei domestici, d'onde aveva prese
le mosse, una frase fece rapidamente il giro del primo piano. Quando
suonò la prima campana del pranzo, tutti (meno gl'interessati,
s'intende) sapevano il vero motivo dello svenimento di Milla.
Certo.... era capitata inattesa, e aveva veduto.... aveva udito....
Cosa?... Questo non si diceva, prima perchè non si sapeva bene, e poi
perchè nella reticenza c'era un delizioso sottinteso, un ampio
orizzonte di supposizioni. L'avvenimento aveva avuto un testimone
inavvertito, il domestico che aveva aperta, per la Duchessa, la porta
della sala da pranzo.

Naturalmente, le primizie dei commenti ebbero luogo in cucina. Il
passato di Olga e di Giuliano non era mai stato un mistero per la
servitù; la rinnovata infatuazione del Duca non era certo sfuggita a
nessuno di quegli arghi implacabili che si chiamano: i nostri
domestici. Si parlava dell'accaduto, senza ombra di reticenza.

I più compativano Milla, e fra questi erano, naturalmente, i
dipendenti nati della casa. Ma un certo nucleo si ostinava a
proteggere Olga, una bella donna, perdio, e che, quando montava a
cavallo, mostrava d'avere un gran coraggio e un polso d'acciaio!

Qualcuno interpellò Drollino:

--Che te ne pare, eh?...

Ma egli non rispose; disse che aveva altro pel capo.... un certo
puledro che gli pareva tendere ad azzoppare. Prese il berretto ed
uscì, benchè piovesse che Dio la mandava.

Olga scese a desinare, bellissima nel velluto verde-oliva della sua
ricca _toilette_. Ma alle _entrées_ cominciò a sospettare qualcosa.
Sorprese qualche sorrisetto bizzarro, qualche occhiata curiosa, che si
fermava un momento addosso a lei e poi fuggiva rapidissimamente.

All'arrosto, era quasi certa; al caffè, non serbava ombra di dubbio.
Qualcuna si rivolse a lei per chiederle, con una strana inflessione di
voce, le notizie di quella _cara_ Milla.

Olga non si scompose per nulla. Celò a meraviglia la sua viva
irritazione, fu più serena, più affettuosa, più amabile che mai.
Rispose sempre a tuono, ignorando i sorrisi, ostinandosi a non
afferrare nulla più del senso letterale delle varie interrogazioni che
le venivano rivolte.

Ma, in fondo al cuore, era furibonda. Con Milla, ben inteso. Cos'era
venuto in mente a quella sciocchina d'invitarla ad Astianello per
farle poi di quelle scene mute da vittima? E il bello era che lei non
se ne curava per nulla di quello stolido di Giuliano, ed era animata
delle migliori intenzioni. Lui, si sa, sfido io!

Olga aveva voluto provare, divertirsi un poco, nulla più. L'avevano
invitata per far vedere che non la temevano; è naturale ch'essa desse
loro una piccola lezione. Ma ora Milla, colle sue imprudenze, la
metteva in una posizione falsa, seccante..., e quasi quasi meritava
davvero....

Durante tutta la sera, quella valente schermitrice fu impareggiabile.
Si mostrò così gentile, così naturalmente calma, seppe talmente
manovrare, celando l'apparenza d'ogni manovra, che a poco a poco i più
creduli cominciarono a dubitare. E giunta l'ora di separarsi pel
riposo notturno, alcune fra le signore chiedevano a sè stesse:--E se
non fosse vero?--Molti aspettavano l'indomani per decidere. Bisognava
vederle di fronte.... Milla e la Baronessa. Davvero, sarebbe
interessante. A domani, dunque. Intanto non ci si annoiava ad
Astianello.

Ma l'indomani non fu apportatore della scena desiderata. Milla non si
era alzata e la febbriciattola perdurava.

Giuliano era crudelmente imbarazzato. I suoi doveri di padrone di casa
lo assorbivano in parte, occupavano buona parte del giorno; ma ogni
tanto bisognava pure che salisse a tener compagnia a sua moglie, e
quelle brevi soste nella camera azzurra non riescivano punto
piacevoli. Eppure Milla continuava ad astenersi dalle scene; essa non
gli rivolgeva mai la parola, non lo guardava. Era sfinita, non provava
che un immenso disgusto, un imperioso bisogno di assopirsi,
d'annientarsi nell'oblio. Oh! se avesse avuto sua madre! Se avesse
potuto chinare sul seno d'una vera amica la sua povera testa così
greve ed ardente e narrare, piangendo, la sua sventura! Ella, che
aveva tanto d'uopo d'amore, di simpatia! Si sentiva, per la prima
volta in vita sua, supremamente offesa.... Quando vedeva Giuliano, il
suo orgoglio di donna onesta si ribellava, imponeva silenzio
all'amore. Essa non poteva parlargli, non poteva guardarlo.... La
forza della volontà aveva e serbava alzata una barriera che pareva di
ghiaccio. Ma dietro a quella barriera, il povero cuore di donna
sanguinava lentamente, in silenzio!...

Il giorno dopo, fu chiamato il medico del villaggio. Era un buon
diavolo, onesto e capace. Giudicò, colla sua semplice esperienza, che
la Duchessa avesse, più che altro, bisogno di riposo; e, vedendo che
le circostanze, il tramestìo degli ospiti non si prestavano guari
all'attuazione di questo desiderio, pensò di parlarne francamente al
Duca. Ma il caso aveva disposto altrimenti. Nello scender le scale,
s'imbattè in una vecchia signora, la quale prese a informarsi
minutamente della salute di Milla, e finì coll'alludere discretamente
alla possibilità d'uno stato interessante.

Povera contessa Nemi, ci teneva allo stato interessante di Milla! Ai
suoi tempi, era il solo male che patissero le spose, ed essa non ne
intendeva altri. Rimase dunque attonita e quasi scandalizzata quando
udì che si trattava invece d'una febbre continua. Oh Dio.... ella che
aveva tanta paura delle febbri.... Ma di che sorta di febbre si
trattava?... Sperava bene che non fosse infiammatoria.... non
attaccaticcia....

--Eh! eh!--disse il dottore, cogliendo la palla al balzo--non so,
spero che non sia.... non si può precisar nulla per ora..., ma non
vorrei.... che.... certi lontani indizi di tifoidea.... Dio guardi,
potrebbero far capolino da un momento all'altro....

La contessa Nemi strisciò frettolosamente una semi-riverenza, e scappò
via. Il medico s'allontanò ridendo, senza nessun rimorso pel suo
stratagemma. I medici di campagna hanno talvolta delle benefiche
audacie di questo genere.

La sera stessa, la Contessa riceveva una lettera del suo notaio, che,
per un affare urgentissimo, la richiamava a casa. E, caso singolare,
la Garbi aveva notizie non troppo buone di sua madre. Due partenze
furono dunque annunziate per l'indomani. Le signore chiedevano col più
vivo affetto notizie di Milla, ma nessuna insistè, come avevan fatto
tanto gentilmente nei primi tempi, nell'offrirsi a tenerle compagnia.
E in capo a due giorni Olga pensò bene di ricevere un telegramma di
suo marito, il quale le chiedeva di venire a raggiungerlo, scusandosi
di non poter egli stesso recarsi a riprenderla, per affari molto
intricati, della cancelleria, s'intende.

Giuliano, quando seppe di questo telegramma, ebbe un momento di viva
irritazione. Ecco che se ne andavano tutti e lo lasciavano lì solo....
in faccia a quella donnina smorta, che non gli faceva scene, ma non
voleva saperne di alzarsi, nè di guardarlo in viso.

Poi ebbe un sentimento di soddisfazione. Eh, eh..., la cosa prendeva
un certo aspetto.... Meglio così.... forse la posizione avrebbe
potuto farsi critica, ed egli era tanto.... creolo!

       *       *       *       *       *

Olga prese a tempo la decisione di partire. Dubbi o non dubbi, la sua
fermata ad Astianello non era più indicata: le altre signore formavano
un formidabile areopago.

La simpatia per Milla era tornata, alla lontana sì, ma viva assai,
avvalorata dall'invidia che, alla lunga, Olga doveva pur destare in un
circolo femminile. L'invidia non ha molta strada da fare per diventar
censura, e la Russa conosceva molto bene ciò ch'era atto a giovarle, o
a recarle danno. Aveva saputo sino ad allora farsi perdonar molto, e
non compromettere in nessuna delle sue varie vicende di.... cuore
l'invidiabile posto che occupava nella società. C'era rimasta,
imponendosi o altrimenti, anche a dispetto della sua lunga avventura
con Giuliano..., ma essa sapeva benissimo sino a che punto si può
gettare impunemente della polvere negli ocelli. Trovò dunque un
effetto di partenza felicissimo; l'onore della ritirata era più che
salvo!... Ma in fondo era indispettita, e, all'ultimo momento, un
dubbio l'aveva inquietata. Forse la malattia di Milla era un'astuzia
di guerra.... la Duchessa si liberava così di lei e delle sue
apprensioni.... E, sotto l'impressione di quel sospetto, morse per un
secondo le bellissime labbra.

Di Giuliano non le importava affatto; pure seppe così bene simulare
presso di lui che, nell'animo di questi, quel po' di rimorso relativo
che s'era andato formando a fatica, tacque subitamente per dar luogo
ad una specie di vigliacco dispetto! Olga se ne avvide, e, mentre
saliva nel legno che doveva condurla alla stazione, mandò in su uno
sguardo rapido, ma strano, verso la finestra chiusa della camera di
Milla. E lasciò per lei i più affettuosi, i più cordiali saluti, certa
di rivederla presto, perfettamente guarita, fresca come una rosa. E
frattanto ella stessa era bellissima, forte e formidabile nella
pienezza vigorosa delle forme. Era molto attraente così, in abito da
viaggio. Le sue pelliccie non l'infagottavano punto come infagottano
il più delle signore; parevano avvolgerla come il manto d'una regina
selvaggia.

E Giuliano rimase solo coll'ammalata.

Non già un'ammalata grave. Di tifoidea nessun indizio; la
febbriciattola non cresceva, e veniva solo ogni tanto. Milla s'era
alzata per salutare la vecchia signora, amica di sua suocera, e anche
per assicurarla che ora stava propriamente benino. Ma, dopo la
partenza degli ultimi ospiti, era tornata a star così così. Non usciva
più di camera, mangiava poco o nulla, e ogni tanto si metteva a
piangere in silenzio. Con Giuliano non scambiava che qualche rara e
indifferente parola. Era esausta di forze, ma resisteva, e in quella
lotta, che nessuno avvertiva, la sua energia si consumava. Il suo era
uno di quei graduati sfinimenti a cui certi temperamenti femminili si
prestano fatalmente. Questo bizzarro genere di malattia non è punto
mortale in sè stesso, si può benissimo guarire, solo però quando lo si
voglia assolutamente. Se no, si muore, commettendo innocentemente un
insensato e crudele suicidio.

Due settimane passarono così. Giuliano incominciava a impensierirsi, e
il medico del villaggio a non saper più che dire. Un giorno, uscì a
proporre che si chiamasse un altro dottore.... per avere un parere di
più.

--Ah!--disse Giuliano.

Si sgomentò. E se veramente la povera Milla.... fosse proprio così
malata.... per aver udito quello sciagurato colloquio! Che stupido era
mai stato! E Olga lo aveva canzonato bellamente; dopo tutto!....
Mentre invece Milla l'adorava, povera creatura! Oh! sì!... ci voleva
proprio un bravo medico, una celebrità. E la celebrità, chiamata
telegraficamente da Giuliano, capitò pochi giorni dopo ad Astianello.

Non disse gran cosa, in complesso. Parlò di nervi, di gran simpatico,
d'anemia, di debolezza. E mentre faceva queste osservazioni e teneva
fra le mani il polso bianco e magro di Milla, guardava attentamente
ora Giuliano, ora la faccia rigida della Duchessa.

Finì dunque coll'assicurare che non c'era nulla di grave; ordinò
marziali, accennò alla necessità d'una vita molto quieta; e suggerì di
passar l'invernata nel Mezzogiorno. Poi se ne andò, certo in cuor suo
che quella donna soffriva crudelmente, senza concedersi uno sfogo. Il
celebre dottore non era soltanto celebre, era vecchio, conosceva del
pari la donna e la vita.

Nell'andarsene, ebbe una sorpresa. Giungendo alla stazione, vi trovò
ad attenderlo un giovinotto bruno, magro, con due occhi assai vivi e
profondi, il quale, qualificandosi per un addetto della tenuta
d'Astianello, gli chiese semplicemente, ma in modo abbastanza
categorico, se la Duchessa fosse ammalata molto, molto?...

Il medico non ricusò di rispondere, ma non si curò di dare al
giovanotto nulla più d'una di quelle elementari risposte, ch'egli
giudicava sufficienti a soddisfare la curiosità o l'attaccamento ai
padroni, da parte d'una persona di servizio.

Ma Drollino non si contentò.

--Potrebbe morire? chiese colla massima calma.

La celebrità medica, impazientita alzò le spalle.

--Caro mio, che andate chiedendo? Perchè dovrebbe morire? Ha un buon
temperamento, è giovane. Ha bisogno di quiete e che la lascino stare
in pace, ecco tutto.

--Già, disse Drollino.... Ma se invece....

Rimase in silenzio, con un'espressione bizzarra e cupamente inquieta.

--Che ci siano ancora dei servitori affezionati? chiese a sè stesso il
celebre medico mentre saliva sul treno, in una bella carrozza di prima
classe.

       *       *       *       *       *

--Ecco qua, borbottava in guardaroba, la vecchia Tonia, è la terza
volta che viene oggi, colla scusa di prender le notizie della signora
Duchessa.

--Eh, eh! rispose la Teresa, la guardarobiera in secondo, non ha poi
tutti i torti; non è il diavolo la Carolina. E lui ha un bel salario
ora, e sono tutti e due della tenuta. Sarebbe un bel matrimonio.

La Carolina entrò all'improvviso.

--Che c'è? chiese stizzosa, indovinando che la sua venuta aveva
troncato un discorso.

--Niente, niente. Si diceva soltanto di.... Drollino.

--Miracolo! ribattè la giovane.... E sarà per dirne del male, mi
figuro! tutti ce l'hanno amara con quel poveretto. E io invece
sostengo che....

--Eh! si sa, si sa....

--Cosa si sa?... Non è vero niente, a me non me ne importa niente
affatto di colui, non mi dispiace, no, perchè è un buon figliuolo,
affezionato alla signora.

--Sfido io, saltò su a dire la Teresa, sono stati beneficati tutti
dalla casa, quando c'era il padrone vecchio.

--Bene, bene.... Oh gli altri non sono forse stati beneficati anche
loro?... Eppure.... guardate se si rammentano di venire a vedere se la
padrona è viva o morta.

--Caspita! susurrò la Tonia, non hanno mica le ragioni che può avere
Drollino di venire in guardaroba.

La Carolina arrossì e tentò una smorfia.

--No, no ve l'assicuro, viene proprio soltanto per sapere....--Ma lo
diceva mollemente, con un mezzo sorriso biricchino e un po' ipocrita.

--Non è vero che sia cattivo, proseguì, anzi, ha buonissime maniere.
Vien su adagino.... per non far strepito e sta a sentire tutto quello
che gli dico.

E gliene diceva, quella buona ragazza.... Si rifaceva con lui delle
lunghe ore silenziose che le toccava passare in camera della Duchessa.
Gli narrava in disteso come la padrona divenisse ogni giorno più
pallida e più magra, e come ella la ritrovasse sempre immobile, cogli
occhi chiusi e con certi lagrimoni tanto fatti, sulle guancie. No,
no, alla Carolina non la davano a bere e i medici potevano dir nomacci
latini quanti ne volevano, ma il male di quella signora era tutta
passione, ecco cos'era, le gelosie e le pene che le aveva fatte
passare il Duca per quella strega grassa, per quella Russa che rideva
sempre.

Drollino ascoltava attentamente questi sfoghi della Carolina, senza
dir nulla, senz'avvedersi che la cameriera belloccia e garbata avrebbe
forse parlato anche di qualcos'altro. Egli aveva ben poco da fare in
quei giorni e però ammazzava il tempo a furia di lunghe, faticose
cavalcate, al ritorno delle quali Mia era bene spesso tutta bianca di
schiuma.

Qualche volta, in casa o pel viale Drollino si imbatteva col Duca.
Giuliano non s'accorgeva sempre della presenza del giovane, ma
Drollino avvertiva ogni volta, con una specie d'intuizione,
l'appressarsi del padrone e se n'aveva il tempo, evitava l'incontro.
Sentiva, vedendolo, uno strano brivido nel sangue, involontariamente
digrignava i denti, gli veniva come un'insana voglia d'essere
insolente verso quell'uomo, di ribellarsi a lui. Un'acre bestemmia
pareva destarglisi in bocca. Ma allora gli veniva in mente la
Duchessa, a cui le bestemmie spiacevano tanto, e non ardiva
proferirne.... Eppure con quale piacere egli le avrebbe scaraventate
in faccia al Duca.

Lo odiava profondamente.... senza scrupoli di sorta. Egli non era
persuaso di essere al suo servizio. La sua padrona era Milla. E ora
Milla.... forse morrebbe per colui!

Una volta Drollino, capitando in scuderia, ci trovò il Duca, che a
passo lento e a capo chino traversava l'andito. Gli tenne dietro con
uno sguardo torvo, e un'idea confusa, ma terribile, gli balenò nella
mente.

E per salvarsi da quel pensiero, ne evocò un altro, non mai
completamente abbandonato per l'addietro, un pensiero che l'aveva
agitato sin da bambino, quello di fuggire con Mia, d'andar lontano
lontano. Così non saprebbe nulla, non vedrebbe nulla se.... caso
mai!...

Lasciò la scuderia, e si diresse verso il suo antico alloggio.

Era una piccola cascina, addossata ad un vasto fabbricato ad uso
fienile, e stava proprio dirimpetto alla grande estesa del piano. Un
vecchio guardiano dei pascoli vi faceva dimora colla famiglia.
L'alloggio di Drollino consisteva in una ex-cucina a terreno; egli vi
aveva lasciato il suo letto, due seggiole e una vecchia cassapanca,
dove serbava, alla rinfusa, i pochi panni ereditati dal padre, i suoi,
non quelli di livrea, e qualche cianfrusaglia. Era un pezzo che non
capitava laggiù. La massaia aveva approfittato della sua assenza per
ammonticchiare in un canto della stanza l'ultima raccolta delle
patate; ampie ragnatele si erano acquartierate fra le travi del
soffitto, e l'unica finestrina aveva i vetri rotti.

Aprì la cassapanca, e prese a rovistare nei vecchi panni. A un tratto
s'arrestò. Gli era capitato sotto le dita un oggetto pesante, freddo.
Con un gesto vivace l'estrasse. Era una vecchia pistola a due canne,
ed egli riconobbe subito la solita arma di guardia di suo padre.
L'esaminò a lungo; era ancora in discreto stato; cercando bene, trovò
pure in un angolo della cassapanca lo scatolino delle cariche.

Drollino non pensò a rimettere in ordine i panni. Guardava fisso
fisso, come magnetizzato, quell'arma vecchia, cogli acciai un poco
irrugginiti.

Lentamente prese a pulirla, la rimise in assetto, poi la caricò,
pensando:--Servirà pel viaggio.

Ma quando la vide lucida, forbita, pronta, col grilletto obbediente,
si fermò di nuovo. Aveva il volto acceso, le tempia gli martellavano;
ed egli alzava, riabbassava, trattenendolo, il cane, con un gesto che
aveva qualcosa di convulso, come se si dibattesse nello stretto di
un'intima, formidabile lotta.

Finalmente, su quella faccia stravolta passò il lampo d'un pensiero
che vinceva. Drollino cacciò la pistola nella tasca interna della
giacca che indossava, poi ricacciò tutti assieme e confusamente i
panni nell'interno della cassapanca.

Giunto a casa, chiese della Duchessa. La febbre era aumentata.

L'indomani, cadde la prima neve e seppellì nel bianco silenzio
invernale gli orizzonti della splendida villa. Una grande malinconia
invase al casa. Il Duca non si vedeva quasi più, e Milla, da più
giorni non si alzava. Il freddo capitato così improvvisamente, le
aveva fatto male. Non già che soffrisse molto; anzi, s'era come
adagiata in una grande quiete funesta, le pareva di sentirsi cullata
nella progressione lenta, molle d'un'atonia che l'assopiva dolcemente.
E se a capo di questa progressione ci fosse anche la fine....
ebbene.... tanto meglio!... Così non si poteva vivere. Umiliarsi,
ella?... tanto offesa.... dimenticare? Ah no!... piuttosto morire,
morire....

Giuliano era, dal canto suo, profondamente agitato. Un rimorso grave
turbava quell'anima impotente. Egli provava il sincero desiderio di
salvare quella donna, che alla sconfinata vanità di lui offriva
l'olocausto della propria vita. Lungi dall'immediato dominio di Olga,
egli tornava in sè, si pentiva d'averla amata ancora, gli pareva
d'abborrirla. S'inteneriva sulla sorte di sua moglie, piangeva spesso,
uscendo dalla camera azzurra. Avrebbe pur voluto (egli che detestava
le scene) cadere ai piedi di Milla, dirle che però, in fondo, non era
colpevole come forse ella lo credeva.... implorare cionnullameno il
suo perdono... giurarle, e mantenerle poi, una fede sincera e....
assoluta.

Tentò due o tre volte una spiegazione. Ma essa lo guardò con
un'alterigia così profonda, così glaciale, ch'egli interruppe subito i
preliminari e rimise la spiegazione a.... più tardi.

Un giorno, la Carolina annunziò a Drollino una cosa che le faceva
molta pena. La Duchessa aveva mandato a chiamare il padre Loria.

Drollino non disse nulla più che il suo solito «Ah!» ma lo disse con
un accento rauco, quasi gutturale.

Allora la Carolina volle rassicurarlo. Oh! oh!... non era già perchè
proprio si fosse a questi estremi; ma la signora Duchessa era tanto
pia, e poi.... forse....

Drollino rimase serio, cupo, cogli occhi fissi sul tavolone dove si
stirava.

Nevicava fitto fitto, a grandi falde, lente e sfioccate, e il padre
Loria giunse sotto l'atrio in uno stato proprio compassionevole.
Mentre si asciugava davanti al fuoco acceso nel gran camino della
stanza da pranzo, il duca venne a incontrarlo. Il colloquio fu breve,
riuscì freddo, quasi come la giornata. Il prete e il padrone di casa
si studiavano a vicenda, e a vicenda diffidavano l'uno dell'altro.

Giuliano ebbe due o tre frasi un po' contorte; raccomandava di non
stancare la Duchessa, già piuttosto deboluccia, poveretta. Il padre
Loria ebbe due o tre mosse del capo, che non rassicurarono al tutto il
Duca. Ma questo dovette pure mormorare un cortese:--S'accomodi,--sulla
soglia della camera azzurra, e ritirarsi adagino, mentre la dolce
figura paterna del sacerdote s'accostava lentamente al letto di Milla.

Il padre Loria non fece certamente apposta a inquietare e a stancare
la Duchessa Milla, ma certo è che la inquietò e la stancò
orribilmente, e il loro colloquio riuscì critico e tempestoso. Fu un
vero duello tra l'autorità e la ribellione.

Milla gli narrò ogni cosa con uno sfogo febbrile, con tutto l'impeto
del suo risentimento, col bisogno di simpatia che la torturava. Gli
narrò, con subita energia, il suo amore pel marito, e il dolore che
sentiva roderle la vita, come il verme rode la radice d'un fiore. Oh!
essa l'aveva amato tanto.... così ardentemente.... No, la sua mitezza
non era stata vigliaccheria, la sua docilità, tenera, inesauribile non
era la debolezza d'un'anima inetta al dominio; era stato un volere
ragionato, era la sua interpretazione dell'amore, era una insaziabile
necessità di sacrifizio, una manìa innamorata di abnegazione! Essa si
era fidata.... aveva voluto fargli vedere che si fidava!... Voleva a
tutti i costi bastare al cuore di quell'uomo! E tutto ciò non era
valso a nulla. Era caduto un'altra volta ai piedi di quella.... E ora?

Il padre Loria la lasciò dire. Ma, quando essa ebbe finito, quando,
ancor tutta fremente del suo sfogo, si lasciò ricadere sui guanciali
con un gesto risoluto, egli prese a parlare.

Non fece discorsi lunghi.

--La comprendo e la compatisco,--mormorò dolcemente. Poi, mentr'ella
lo guardava smarrita cogli occhi grondanti lacrime, ingiunse
pacatamente:--Ora bisogna far due cose. La prima: perdonare.

Essa ebbe un lungo brivido.--E poi?--chiese con un'appassionata
ironia.

--Bisogna vivere....--rispose semplicemente il padre Loria.

Un'ora dopo, quando il vecchio prete uscì dalla camera della Duchessa,
s'imbattè subito col Duca, il quale, impaziente ed inquieto per il
lungo protrarsi del colloquio, camminava a gran passi in su ed in giù
nel corritoio. Confessore e marito scambiarono un saluto
cortesissimo.... ancor più cortese di quello dell'arrivo.... ma non
meno diffidente e pieno di mutua avversione.

Giuliano sentiva qualche cosa nell'aria. La minaccia, per esempio,
d'una spiegazione, che ora, suggerita dal prete, gli pareva di nuovo
formidabile ad incontrarsi. E fu per lui un vero sollievo quando udì
dalla cameriera che la signora, stanchissima, aveva raccomandato la
lasciassero riposare.

Milla aveva riposato...; ma ora era spossata.... Quel riposo era stato
in realtà una delle più aspre battaglie intime del suo povero cuore
offeso e innamorato a un tempo. La religione aveva dato un consiglio;
e la natura e la gioventù l'avevano avvalorato, con un assenso
segreto...; ma l'orgoglio aveva avuto anch'esso la sua ribelle parola.

Il crepuscolo invernale, prolungato dal bianco riflesso della neve
caduta e da quella tuttora cadente, scendeva lento, in una mezza luce
grigiastra. Nella progressione graduata della penombra, il letto
ampio, coi parati di raso sbiadito spiccava netto. La bianchezza del
visino di Milla si confondeva col morbido bianco dei guanciali, pareva
quasi assumere l'area sfumatura di contorni d'una larva.

--Comanda la lucerna?--chiese a bassa voce la cameriera.

--No,--rispose Milla, con voce stranamente affievolita. Va pure....
voglio riposare.

La giovane uscì, in punta di piedi.

Il silenzio della stanza era grave e solenne. Giuliano provava
un'angoscia inesplicabile, guardava, come affascinato il candore opaco
del letto, tentava d'afferrar nettamente, collo sguardo, l'incerto
contorno di quel corpicino femminile che giaceva, spossato, sotto alle
lenzuola e pareva quasi farsi di nebbia, illanguidire nell'ombra cupa
che andava invadendo la stanza. Avrebbe voluto parlare a Milla, udire
la sua voce, ne sentiva come un bisogno angoscioso. E mentre pensava
come potrebbe rivolgere a Milla una domanda anche indifferente, ma che
la obbligasse a rispondere, ecco che per l'appunto quella povera e
debole vocetta s'alzò in seno al silenzio pesante e misterioso,
pronunziando una parola, che, da tempo non s'era sprigionata dalle
labbra di Milla.

--Giuliano!

Egli trasalì e si chinò sul letto, premurosamente, con un terrore
indistinto di quell'ora e di quell'accento.

Ella gli porse la sua manina tanto smagrita.

--Giuliano....--ripetè lentamente, non debbo.... non bisogna che io me
ne vada. E per ciò.... sai....

Oh! non la sapeva recitare quella lezione; così sublime e così
crudele. Tremava.... si confondeva.

--Sai....--proseguì con uno sforzo eroico, volevo dirti che.... che io
non mi ricorderò più di niente. Ma bisogna che anche tu... se vuoi
ch'io....

Egli non la lasciò finire. Si gettò in ginocchio, le afferrò le mani,
le chiese perdono, con accento rotto, appassionato, le giurò ch'egli
l'adorava, che non era realmente colpevole, che ciò ch'ella aveva
udito non era stato che l'espressione d'un momento di delirio
passeggero.... un capriccio passeggero, senza base, senza
conseguenze.... E iterava proteste, ardenti e sincere, com'era in quel
momento, ardente e sincero il suo ravvedimento. E in quella tempestosa
reazione, in quel subito rinnovarsi del suo amore per la donna ch'egli
temeva di perdere; Giuliano riesciva eloquentissimo e si presentava
sotto un aspetto nuovo, l'aspetto cioè ch'egli, nella placida
sicurezza del suo dominio su Milla, non si era mai curato d'assumere
per lei.

--Ma tu m'ami, dunque, tu m'ami?--chiese l'ammalata, balzata in quel
momento in una calda e rapida transazione del suo amore, che le faceva
ancora scusare, perdonare, scordar tutto, che la consegnava cieca,
sorda, smemorata, in braccio ad una più potente, ad una più salda
illusione.

Egli la copriva di baci. Oh! se l'amava! Se aveva sofferto.... Oh la
sua Milla! la sua Milla adorata! Non era punto: creolo.... in quel
momento!

Allora Milla ebbe un subito e febbrile risveglio delle forze. S'alzò a
sedere sul letto, s'avvinghiò colle braccia scarne al collo di
Giuliano e gli si strinse convulsa sul petto, con un grido supremo di
trionfo e di desiderio: Vivere!... vivere!...

       *       *       *       *       *

La villa era ancor tutta sottosopra. Poche ore prima il Duca e la
Duchessa erano partiti per Napoli, dove li avrebbe raggiunti la
vecchia Duchessa Lantieri.

La partenza era recente e l'ardore dei commenti non era pur anche
venuto meno. Veramente la signora non era al tutto ristabilita; stava
però assai meglio. Ma ne aveva patito del male, poveretta! E che festa
per tutti, quando, era scesa a desinare per la prima volta!

Non la scorderebbero così presto, quella sera. Il pranzo era stato
preparato, non già nel salone grande, ma in un salottino caldo, caldo,
ornato delle più belle camelie della serra! Finito il desinare, la
Duchessa, appoggiata al braccio di suo marito, era venuta un momento
sotto il portico, per ringraziare quella brava gente che aveva tanto
gridato: Evviva! Aveva parlato quasi a tutti, aveva riconosciuta la
vecchia portinaia, salutata la fattora, poi aveva osservato che ci
erano due guardiani dei pascoli e persino Drollino, il quale, da quel
selvaticone che sarebbe sempre, se ne stava mezzo nascosto, dietro uno
dei pilastri. Anzi, lo fece chiamare.

--Ho saputo--gli disse soavemente--che tu pure venivi spesso a
chieder mie nuove. Ti ringrazio.

Egli la guardava fisso.... come incantato. Com'era bella e pallida....
e com'era diversa dalle altre!

Giuliano, che aveva bevuto del _Johannisberg_ molto vecchio in onore
della Duchessa, era di lietissimo umore!

--Certo....--sclamò benignamente--veniva ogni giorno a chiedere alla
Carolina.... eh!... eh!... guarda.... Drollino!

Drollino guardò infatti il Duca, e in modo siffatto che questi, pur
continuando a ridere, non proseguì a toccar quel tasto. E un momento
dopo, temendo che Milla fosse stanca, la condusse via.

Milla non si oppose; senz'avvedersene, ricadeva invincibilmente nella
obbedienza cieca e fiduciosa dell'amor suo.

Partirono adunque sui primi di dicembre, contenti, felici, e in
perfetta armonia. In casa rimaneva tuttora parte della servitù, quella
che avrebbe più tardi raggiunti i padroni a Napoli, e quella fissa
per tutto l'anno ad Astianello.

La sera stessa si trovarono riuniti in cucina, attorno all'allegra
fiammata del caminone. Drollino ci andò pure un momento, prima di
recarsi a letto.

Nel crocchio si discutevano, naturalmente, gli ultimi avvenimenti di
quella fortunosa villeggiatura.

--E la Russa?--chiese a un tratto il paggetto.

Il capo cuoco alzò una mano a livello del mento, e con una vivace
smorfia soffiò rapidamente sul palmo.

--Andata!--soggiunse con un'espressione comicissima, come un
prestidigitatore che fa scomparire una pallina di sughero.

E fu una risata generale.

Ma il paggetto maligno insistè:

--Per sempre?...

Il cocchiere alzò le spalle con un'aria da filosofo.

--Caro mio, chi sa l'avvenire?... Speriamo di sì! Certo è che, in
grazia di quella diavolessa, la nostra povera signora è stata a un
brutto rischio.

--Io dico che se le capita un'altra volta....--prese a sentenziare il
maggiordomo.

--Muore, eh, muore davvero?--interrogo premurosamente il paggetto.

--Al diavolo i monelli--rispose stizzosamente il maggiordomo;--che
c'entri tu, bardassa, a far cotesti discorsi?

E per fargli vedere che non c'entrava proprio, accennò ad allungargli
una pedata.

Ma non l'allungò, e si mise a ridere.

Drollino uscì dalla cucina senza che nessuno se ne accorgesse, e si
recò in scuderia.

In quell'ambiente vasto, l'atmosfera aveva un tepore dolce, e l'occhio
si riposava in una semioscurità, rotta ad intervalli dal chiarore di
certe lampadine appese alle arcate della volta. In fondo, presso alta
porta d'uscita, un piccolo lume ad olio ardeva vacillando davanti ad
un quadretto di Sant'Antonio e socio. In un _box_ aperto e
disoccupato, il sorvegliante di servizio, coricato su di una branda ed
avvolto nel suo bigio mantellone, russava saporitamente.

In scuderia non c'erano in quei giorni più di una quindicina di
cavalli. Stavano quieti. I più dormivano, alcuni si movevano ogni
tanto, con un lieve scalpitìo, accusando le proprie mosse col rumore
delle palle di legno appese alle _cavezze_.... che si urtavano contro
le pareti esterne delle mangiatoie.

Mia era ultima nel compartimento di destra, e dormiva stesa di fianco
sulla paglia; ma quando Drollino, avvicinandosi, la chiamò
sommessamente per nome, la povera bestia, destandosi, si rizzò
impetuosamente, con quel moto così rapido proprio del cavallo fino che
non si vuol lasciar sorprendere in una posa d'inazione. Voltò la
testina intelligente, e fissò il padrone coi grandi occhi espressivi.

--Mia!--disse Drollino col tono monotono di chi parla in sogno, e
accarezzando la lucida groppa della cavalla.--Mia!... è partita!...

Il riverbero del lumicino di Sant'Antonio accendeva un punto luminoso
nella pupilla attenta di Mia.

--Mia!--continuò Drollino collo stesso accento--se lei fosse morta....
io l'avrei ammazzato.... sai?...

Uno dei cavalli vicini diè un forte strappo alla corda, e la palla
picchiò rumorosamente contro la barriera.

--Ohe!--borbottò il mozzo, fra il sonno e la veglia.

Una gran quiete regnò in scuderia.



VIII.


Maggio e i suoi fiori, maggio e il suo cielo sereno, le sue nuvole
passeggere e i suoi tepori precoci! Maggio che sorride alla villa
d'Astianello, e Milla che sorride alle rose di maggio e d'Astianello.

In giardino ce n'è un'infinità, di tutte le qualità, di tutti i
colori; ce n'è persino una tutta verde, che non è punto bella, e il
cui arbusto costa un occhio del capo.

È una rarità, s'intende. Quella onesta varietà della specie avrebbe il
buon senso di non voler nascere a casa nostra, ben sapendo quanto
sfiguri in mezzo alle sue splendide sorelline. Ma noi, anzichè saperle
grado del suo accorgimento estetico e della sua ritrosia, ne la
castighiamo sforzandola invece a crescere stentatamente e a fiorire
di mala voglia nei nostri giardini.

Milla è stata china, a guardar la macchia, per un po' di tempo.
Finalmente si rizza, e, voltandosi, chiama:

--Giuliano!

Ogni traccia di malattia è scomparsa dal suo visino il quale è ormai
più tondeggiante e suffuso d'un lieve incarnato. La personcina è
sempre snella e minuta, ma le angolosità d'un tempo si vedono più.
Milla veste un'elegantissima _matinèe_ di mussola bianca ricamata,
adorna d'un profluvio di fiocchi azzurri e fiorellini rosa.... Sta
veramente benino quella gentile creatura; il vento fresco del mattino
le ha alquanto scomposta la capigliatura, ed i capelli biondi piovono
alla rinfusa sulla fronte, adombrando quei cari occhi castani, pieni
di luce, di gioia e d'amore.

--Giuliano!--ripetè a voce più alta, voltandosi verso la finestra d'un
salottino a terreno.

Giuliano, obbedendo a quel gaio appello, comparve finalmente nel vano
interno della finestra. Il suo busto emergeva nello sfondo bruno del
vuoto, e la sua faccia campeggiava bene, così bianca, e con tanto oro
di capelli e di barba. Guardandolo, però, pareva un poco invecchiato,
e, sotto ai suoi begli occhi azzurri, alcune rughette, appena
percettibili, s'eran dato convegno. Aveva anch'egli un'espressione
ilare e soddisfatta, ed il profumo del suo biondo sigaro d'Avana
giungeva sino alla macchia delle rose, mischiandosi in istrana guisa
coi loro forti e vari olezzi.

Milla lasciò la macchia e s'accostò al davanzale. Colla destra teneva
sola la famosa rosa verde, colla sinistra serrava un mazzo di stupende
rose _Gloire de Dijon_.

--Sai, Giuliano, non mi piace!

--Cosa?

--Questa rosa.

--E perchè non ti piace?

--Perchè non è una rosa schietta come le altre; ha voluto far
l'originale, e ciò non va bene.

--No?...

--No! bisogna aver buon senso, e fare ciò che fanno gli altri. E di
ciò son tanto persuasa, che non voglio predicar bene e razzolar male.
Non voglio essere come la rosa verde. Dunque, a giugno, andremo ai
bagni!

--Ma, mia cara, che bisogno c'è di andare ai bagni, se non ne hai
voglia? Potremmo benissimo rimanere qui.

--Sì, che ne ho voglia! E poi è giusto; so che, a lungo andare, la
campagna ti annoia. Andremo ai bagni.... dove vorrai tu, ben inteso, e
poi.... torneremo qui! Ah, qui si sta così bene, non è vero?

--Certo!--disse allegramente Giuliano; ma un'ombra fuggitiva gli passò
sulla fronte.

--Dunque--ricominciò Milla--dove andiamo? a San Moritz?

--Eh! vada per San Moritz.

--O a Recoaro, Lucca, Sorrento, Villa d'Este? Basta, decideremo poi.
Già, abbiamo tutto il mese per pensarvi. E quest'inverno, per un mese
o due, torneremo a Napoli?

--Certo, dove vuoi! Ammenochè gli affari....

--Oh! gli affari!--disse Milla con un'adorabile smorfietta.--Sai che
sei insoffribile con questi affari! Dacchè ti sei messo in capo di
rivendicare quei possessi nel Genovesato, ti sei cacciato a capo
fitto, nei litigi, nei processi, nei consulti d'avvocati, tanto che mi
diventi tu pure un vero leguleio.

Rideva, così dicendo, e cercava invano d'assumere un'aria
indispettita; ma in cuor suo era tutt'altro che avversa alle
occupazioni di Giuliano. Le avevan detto, e s'era persuasa, che una
occupazione indefessa, accaparrante poteva benissimo riescire una
salvaguardia.

--Orsù--continuò con una soave ipocrisia di pazienza--speriamo che si
_possa_ andare a Napoli. Ti ricordi di Napoli?

--Sì--diss'egli lietamente, rimovendo la cenere dall'estremità dello
sigaro.

--Oppure, andremo a Nizza. E di Nizza ti rammenti?

--Sì--disse ancora Giuliano, ma non lo disse lietamente.

--Oh! io mi ricordo, sai! La passeggiata degli Inglesi, il Circolo
della _Méditerranée_, et la _place Massena_, e il _Restaurant
français_, dove abbiam fatta quella famosa colazione. E il _Vallon
obscur_? E Cannes? E Montecarlo? A proposito, bada che, se andiamo a
Nizza, stavolta voglio proprio venire anch'io a Montecarlo.

Egli aggrottò le ciglia e parve scontento.

--Oh, bella!--continuò Milla, sempre più infervorata nei suoi
progetti.--Ci vanno tutti, ci voglio andare anch'io. E voglio vedere a
giocare; chissà che non m'arrischi io pure; sapessi quanto mi
rincrebbe di non poter venir con te il giorno in cui ci andasti! Ti
ricordi di quel giorno? Non mi sentivo bene, e rimasi a casa. Non
volevo far parere, ma mi struggevo di venir anch'io a Monaco!

Giuliano fece una strana smorfia, e balbettò fra i denti qualche
parola.

--Ma stavolta--continuò Milla--questo capriccio me lo voglio levare.
Sissignore, giocherò anch'io, e vedremo se la perdita di qualche
migliaio di lire farà venire, a me pure, la faccia da scomunicato che
avevi tu, la sera, quando tornasti.

Le venne voglia di ridere, e rise infatti, celando il visino nella
profumata bianchezza delle rose.

Egli s'era voltato bruscamente; per buttar via lo sigaro.

Una brezza freschina passava di lì, suscitando nell'erba un tremolìo
di amoerro, e facendo dimenar le cime alle rose, come se fossero tante
testine di piccole fate dubbiose. Milla alzò di nuovo il viso,
aspirando con gioia la frescura di quell'arietta.

Girò attorno lo sguardo, vide quella bella villa signorile, così
idilica, colla sua verde cintura di arrampicanti. Vide il giardino
ridente e il piano maestoso e i colli vicini, e tutto ciò le parve
bellissimo. Allora pensò che Giuliano, il suo fedele Giuliano, era
pure molto bello. E la vita dunque non era forse bellissima
anch'essa?... Chiuse gli occhi, e, paga, col cuore riboccante di
gratitudine e di dolcezza gioconda, mormorò sommessamente:

--Oh Giuliano! come sono felice!

Rimase per un istante come raccolta nel pensiero della sua felicità,
mentre Giuliano, pallido, tormentava fra le dita paffute, i ciondoli
del suo orologio.

Milla schiuse gli occhi e diede un sospiro.

--Che peccato che tu debba sempre andar laggiù, a Genova a conferire
con quell'avvocato! Non potrebbe venir qui lui ogni tanto?...

--Impossibile!--rispose recisamente Giuliano, mordendosi le
labbra.--Ma sarò assente per pochi giorni, te lo prometto.

--E penserai a me?--chiese timidamente Milla, ridendo, e colla vaga
intuizione di dire una gran sciocchezza.

--E tu, penserai a me?--rispose Giuliano, colla coscienza di dir
cinque parole orribilmente vane e stonate.

--Uhm!--rispose Milla--secondo.... se avrò tempo. Perchè,--soggiunse
con un fare soavemente biricchino--se tu hai delle occupazioni.... può
darsi che ne abbia anch'io.... e che siano importanti come le tue.

Egli la guardò, con un'espressione indefinibile.

--Come?...--mormorò--che intendi dire?...

--Sei curioso, eh? Ci ho gusto. Oh bella! perchè non avrei anch'io i
miei affari.... come li hai tu?...

--Perchè....--ripetè Giuliano--perchè?...

--Via, via, non far quegli occhiacci. Sai pure che di affari,
propriamente detti, non posso sentir a parlare per cinque minuti
consecutivi, senza addormentarmi. Ho piena coscienza che, se me ne
immischiassi, non sarei nulla più d'una guastamestieri; e poi non sei
forse tu che te ne occupi, che pensi e provvedi a tutto onde
risparmiarmi ogni briga?

Un profondo ed amaro turbamento si dipinse per un secondo sul volto di
Giuliano.

--Cara Milla!...--sussurrò quasi involontariamente, con voce
soffocata.

--Zitto là, Giuliano, e torniamo a bomba. Dicevo dunque che le mie
occupazioni, le ho anch'io. Ammetto che non somiglino alle tue, ma ciò
non scema la loro importanza, e un giorno o l'altro.... forse.... ne
vedrai il risultato.

--Oh! oh!--disse Giuliano, ch'era tornato a rasserenarsi,--e non si
può saper niente ora?

--Niente affatto. È una sorpresa; resterai con tanto di naso.

E rideva, allegra come una bambina, assaporando anticipatamente la
sorpresa e la soddisfazione di suo marito.

Questi le afferrò una mano, abbandonata sul davanzale.

--Milla!--chiese con accento rotto ed angoscioso--Milla! sei felice,
nevvero?

Milla tralasciò di ridere. Sporgendosi colla persona oltre il
davanzale, chinò il capo sulla spalla di lui. Egli sentiva il battere
concitato di quel vero cuor di donna e il calore di quella fronte, ove
piovevano scomposti i ricciolini d'oro.

Drelin, drelin, drelin.... la campanella della colazione!

Si divisero ridendo, movendosi entrambi, l'una al di qua, l'altro al
di là della finestra, e riuscirono ad incontrarsi sotto il portico.

--A proposito,--disse Milla a suo marito,--ricordati stavolta, di
portarmi il _pan douce_ e i canditi. E quando avrai finiti i tuoi
affari, andremo ai bagni.--Non voglio essere la rosa verde,--soggiunse
ridendo e appuntandosi sul petto una delle rose bianche.

       *       *       *       *       *

Giuliano partì il giorno susseguente. Milla tenne dietro, sino oltre
il cancello del viale all'elegante _phaèton_ che, guidato dal Duca
stesso, s'avviava verso la stazione. Poi tornò indietro, asciugandosi
gli occhi un po' rossi. Si fermò a terreno e mandò a chiamar Drollino.

--Senti, Drollino,--gli disse appena se lo vide davanti, serio e muto
come al solito,--di devi fare un piacere. Sceglimi in scuderia una
bestia buona, sicura, proprio quieta.

--Ci sarebbe Calif,--rispose Drollino, dopo aver pensato alquanto.

Calif, ai suoi giorni, era stato un fiero corridore, ma ora era
vecchietto assai e aveva smesso ogni baldanza.

--Bravo! Calif; per l'appunto. Sai cosa voglio fare?... Voglio montare
a cavallo.

--Lei!--disse Drollino attonito.

Era noto a tutti, nella tenuta, che quell'angiolo della Duchessa aveva
sempre avuto una paura terribile dei cavalli.

--Sicuro....--continuò Milla.--Il Duca avrebbe tanto caro che
imparassi. E ora, capisci, approfittando delle sue assenze, voglio
fargli questa sorpresa.

Drollino represse una specie d'amaro sorriso, e stette immobile,
ascoltando.

--A Nizza avevamo provato, in maneggio; ma sai, non vi riuscivo bene.
Ho paura di non esser molto coraggiosa.... Oppure non sapevano
insegnarmi. Ma ora, m'insegnerai tu, nevvero?

--Io?--disse impetuosamente, quasi spaventato, Drollino.

--Tu, sì....--rispose Milla ridendo--cominciando da oggi. Ho la sella
e tutto l'occorrente. Va a far sellare Calif, e aspettami in maneggio.
Io mi vestirò frattanto, e fra mezz'ora scenderò.

E così accadde che Drollino divenne _ipso facto_ maestro di
equitazione della Duchessa.

Sulle prime, la cosa durò fatica ad avviarsi. Milla era terribilmente
impacciata nella sua lunghissima gonnella di amazzone, e non sapeva
raccapezzarsi in nulla. Era molto bellina però, e nell'ampiezza del
maneggio la sua figurina delicata, acquistava una nuova leggiadria.
Il collo pareva veramente finissimo, quasi esile, così stretto nel
collettino ritto, fortemente insaldato, o compito alla chiusura da un
nodo di cravatta color verde cupo. Il visino tanto giovane e fresco,
coi capelli, strettamente raccolti sulla nuca, e adombrato dalla breve
falda d'un _pioppino_ inglese, pareva quello d'un giovanotto di primo
pelo. Drollino durava fatica talvolta a non distrarsi, guardandola in
quell'aspetto nuovo, che tanto armonizzava colle aspirazioni della sua
irresistibile vocazione. E per due ore al giorno, sinchè fu assento il
Duca, egli si trovò colla Duchessa, così vestita e affidata
completamente a lui. Toccò a lui a metterla in sella, a insegnarle il
maneggio delle redini, le chiamate, le attitudini. Milla trovava la
cosa ancor più seria di quanto s'era immaginata; non andava avanti che
a furia di buona volontà, facendo sforzi eroici per vincere la paura.
Ma questa ogni tanto ritornava, invincibile, e Milla, nei suoi
sgomenti irragionevoli, temendo sempre di cadere, smarrita,
soffocando la voglia di gridare, afferrava con mano convulsa il
braccio di Drollino. Questi sentiva alla sua volta uno strano
rimescolìo, un intimo turbamento lo sconvolgeva tutto. Ma senza
fermarsi a chiedere cosa fosse, lo dominava, e, calmo egli stesso,
rassicurava la Duchessa, ripetendole, col suo accento vibrato, di non
temere, di fidarsi di lui. Le faceva animo; con un sorriso che aveva
qualcosa d'imperioso e di supplichevole ad un tempo, con qualche
raro:--Brava!--Milla si fidava, e ciò le giovava immensamente.
Persisteva nella sua impresa, sostenuta dal pensiero che tutte queste
difficoltà le incontrava per Giuliano, per procurargli il piacere di
una sorpresa. E nei momenti critici, quando le pareva proprio di non
poter più reggersi in sella, guardava intensamente Drollino,
attingendo il sangue freddo nella calma scintillante di quello
sguardo, certa che, in ogni caso, la mano di lui l'avrebbe sorretta.
Ah, sì, Drollino era proprio un buon maestro!

Siccome il tempo era limitato, le lezioni si ripetevano ogni giorno,
benchè, a dir vero, quell'esercizio violento, al quale non era
abituata, stancasse non poco la Duchessa. Quando scendeva di sella, a
mala pena si reggeva in piedi, e bene spesso, per uscir dal maneggio,
doveva appoggiarsi al braccio di Drollino. Oh, com'era stanca....
tanto, che s'abbandonava quasi, così spossata com'era, sul saldo
braccio del giovane maestro.

Il ritorno del Duca pose fine al primo periodo delle lezioni.

Egli era pallido, sbattuto; ma ne accagionò presso Milla la stanchezza
della nottata, trascorsa in ferrovia. Era un po' nervoso, un po'
inquieto; gli affari si complicavano, ma egli voleva spuntarla ad ogni
costo, e però gli toccherebbe d'assentarsi ancora, forse, più volte.
Portò, oltre ai _pandouce_ ed ai canditi, una splendida collana di
corallo e una ventina di gingilli in filagrana. Milla ne fu così lieta
che si mise a piangere di contentezza, e non rifiniva di ringraziare
suo marito. Ma Giuliano non pareva gustare moltissimo quella sfuriata
di ringraziamenti, e forse per interromperli chiese d'un tratto:

--E la sorpresa?

--Non ancora--rispose Milla ridendo--sarà per quest'altra volta.

Ma non fu nemmeno per «quest'altra volta,» benchè, appena ripartito
Giuliano, la Duchessa ricominciasse di gran lena le lezioni con
Drollino. Quando il Duca tornò, non s'era per anco usciti dal
maneggio. Stavolta le portò in regalo un anello in brillanti, ma non
chiese della sorpresa. E, in capo a quindici giorni, ricevette delle
lettere d'affari che l'obbligarono a ripartire.

Milla, che sulle prime, e per la ragione che sappiamo, aveva fatto
buon viso alle nuove occupazioni di Giuliano, cominciava a trovarle
ora un tantino indiscrete. Ora per l'appunto, quando egli era
diventato così dolce, così compiacente, così premuroso per lei, glielo
portavano sempre via.... sempre.... quei benedetti affari!

Milla era veramente felice, dimenticava il passato come si dimentica
un brutto sogno. Giuliano s'era completamente ravveduto da quella
sciagurata sorpresa dello scorso autunno. In fin dei conti, un po' di
colpa ce l'aveva avuta anche lei, colla sua imprudenza. No, ora capiva
bene com'è l'esistenza. Bisogna esser prudente, fuggire le occasioni,
non mettere la paglia accanto al fuoco! Ora non c'era più pericolo di
sorta, ed ella ormai era sicura di nuovo, meglio anzi di prima, del
cuore di Giuliano!

Il giorno dopo la terza partenza di suo marito, Milla, nello scendere
in maneggio, ebbe una sorpresa. Invece di Calif, trovò ad aspettarla
Mia, già insellata e tenuta a mano da Drollino.

Esitò un momento, guardando il giovane.

Egli arrossì, ma disse dolcemente:

--Salga, signora Duchessa.

E quando l'ebbe bene adagiata sulla sella, soggiunse a bassa voce:

--Ho pensato che adesso, coi progressi che abbiamo fatto, sarebbe
bene di provare un cavallo nuovo.

--Ma non ti rincresce?--chiese Milla ridendo.

--No--rispose Drollino--e lei ci avrà più piacere a cavalcare Mia.

Infatti, era tutt'altra cosa! Mia aveva il boccato straordinariamente
fino, le mosse pronte e leggere. Milla a poco a poco smetteva la
paura, e prendeva a gustare l'indicibile soddisfazione del cavalcare.
Cominciava a tenersi bene in sella, ad acquistare destrezza e
disinvoltura; e Drollino provava un grande orgoglio quando vedeva la
leggiadra amazzone, franca ormai e sicura, sul dorso di Mia. Gli
parevano tutt'e due, nella bellezza aristocratica delle rispettive
loro razze, creature privilegiate, incomparabilmente pregevoli.
Entrambe in quel momento gli erano soggette, entrambe egli guidava
colla voce, col gesto, collo sguardo; sentiva per entrambe come una
bizzarra analogia di ammirazione appassionata; per Milla come per
Mia, sarebbe stato capace di tutti i sacrifizi. L'ora della lezione
era diventata per lui la più bella ora del giorno; l'aspettava
ansiosamente, ma pure non senza un certo vago, nuovo timore, che a
lui, così impavido, riesciva inesplicabile. Se a Milla, per esempio,
succedesse qualcosa?... se cadesse?... se si facesse male?...

Gli accadeva, certe volte, di dover frenare un tremito quasi doloroso,
quando serrava sullo stivaletto inglese della Duchessa la fibbia della
staffa, o quando, dandole la briglia, le sua dita s'impigliavano fra
quelle della signora. Certe volte, gli venivano delle strane idee;
nella sua mente si combinavano certe insensate ipotesi. Se, per
esempio, i loro cavalli, prendendo subitamente il morso fra i denti,
fuggissero di conserva, e così a rompicollo li portassero lontano
lontano.... in un sito d'onde non si potesse far ritorno...; se Mia
s'impennasse, ed egli potesse salvare la Duchessa.... magari anche,
morendo per lei!... Ma tutta queste vacue immaginazioni frullavano
solo per un momento, e di rado, in quella testa di 22 anni, o meglio
la sfioravano appena, e subito svanivano, di fronte alla logica
semplicissima della realtà.

Il bello fu quando si cominciò ad uscire dal maneggio!

La lezione allora aveva luogo per lo spazio infinito dei pascoli.
Drollino, nella sua qualità di maestro, cavalcava a pari della
Duchessa; e questa, che non era mai stata altiera co' suoi dipendenti,
non sdegnava di rivolgergli la parola, parlandogli alla buona, e
facendolo parlare, come quando erano bambini. Drollino era fiero di
poter condurre la signora per l'ampio verde dei pascoli che le
appartenevano; faceva sfilare le mandre davanti a lei, le spiegava le
consuetudini dell'allevamento, le insegnava a discernere le qualità
che costituivano il pregio dei prodotti. Le impartiva alcune fra le
immense cognizioni ch'egli possedeva sull'allevamento, e sapeva
porgerle in un modo che non era nè pedante, nè grossolano. Si
infervorava, parlandole di quelle cose che per lui erano intimamente
collegate alla forza, all'ardore della sua vocazione; i suoi accenti
assumevano una specie di schietta e virile energia, in cui vibrava
come un'eco lontana di passione invincibile.... La scena era bella,
infinita, davanti a loro. Milla respirava a pieni polmoni l'aria calma
e libera della pianura, e si compiaceva d'interrogare Drollino su
quanto le cadeva sott'occhio.... Altre volte invece la Duchessa non si
sentiva disposta a parlare, ed essi percorrevano in silenzio lunghi
tratti di via, al galoppo, mentre lo scalpitìo dei loro cavalli
risuonava così unito, così uguale sul terreno da parere il ritmo
affrettato d'un ritornello senza fine.

Milla aveva preso a voler bene a Mia; le portava dello zuccaro e
l'accarezzava di frequente. E a Drollino succedeva qualche volta, dopo
aver ricondotta la cavalla in scuderia, di rimanere per lungo tempo
immobile, collo sguardo fisso, colla mano posata sulla lucente
criniera di Mia, precisamente al posto dov'era scesa per un istante la
carezza lieve della Duchessa.

       *       *       *       *       *

Quando il Duca era in villa, le cose mutavano affatto, e Drollino
evitava con ogni sua possa di trovarsi coi padroni. Stava molto in
scuderia, e lo si trovava ordinariamente vicino al _box_ di Mia.

In casa era tornato il tempo lieto. Quello delle scene era passato: il
padrone s'era radicalmente corretto..., la malattia della Duchessa
aveva fatto miracoli. Egli non pensava neppur per idea a lagnarsi
della solitudine, non pareva sentir bisogno alcuno di svago, era
affettuosissimo per Milla, e le portava ogni volta bellissimi regali.
Tutti dicevano ch'era una vera consolazione, e che ormai la signora
Duchessa era proprio felice. E per persuadersene non bastava forse
vedere il Viso illuminato, raggiante di Milla? Essa metteva in opera
certe raffinatezze, certe civetterie a cui per l'addietro non avrebbe
certo pensato. Ogni tanto giungevano da Parigi delle _toilettes_
elegantissime, che la giovane signora sfoggiava ad ogni ritorno di
Giuliano. Era sempre in moto per casa, nel giardino s'udiva di
frequente la sua esile, ma graziosa vocetta tentare qualche strofa di
gentili romanze.

Era più che mai soave ed affabile, profondeva ai poveri vistose
elemosine, avrebbe voluto poter sollevare tutte le miserie che la
cadevano sott'occhio. Colmava costantemente di fiori gl'innumeri
vasetti del suo salotto, e si cullava per ore ed ore nell'_hamac_,
sognando, mezza desta, colle labbra semiaperte, in una dolcezza quasi
estatica di sorriso.

Ma un giorno chiese impazientemente a Drollino:

--Ora posso andare sola col Duca?

Drollino rimase un momento in silenzio, come se non avesse afferrato
bene il senso di quella domanda, ch'era pur tanto semplice:

--Dico--insistè la Duchessa--se posso andare per conto mio.... senza
maestro, insomma?

Egli esitò un poco poi, con voce fioca, disse:

--Non ancora.

Milla, scontenta, tormentava la punta del suo frustino.

--Ha ancora bisogno d'impratichirsi un poco....--soggiunse Drollino
dolcemente.--Ma presto potrà andar sola....

Essa fece un gesto annoiato.--Sola! non ho nessuna idea di andar
sola.... Va pure--disse poi distrattamente a Drollino.

Drollino s'inchinò e tornò in scuderia. Camminava a passo lento, a
capo chino.... come un uomo che ha ricevuto sul collo un colpo di
bastone.

Certo.... la cosa era semplicissima; tanto semplice ch'egli chiedeva a
sè stesso come mai non l'avesse avuta sempre davanti agli occhi.
Sicuro! quella era la conseguenza immediata del suo zelo nell'insegnar
l'equitazione alla Duchessa.... metterla in grado d'accompagnare....
anche a cavallo, suo marito.

Ancora qualche giorno, e le lezioni sarebbero finite.... ed egli
diventava inutile a Milla.

Ebbene.... tanto meglio!... Egli era stanco di quella vita, ne sentiva
talvolta come una specie d'uggia dolorosa, provava da qualche tempo in
qua un'irritazione latente, ma incessante. Sentiva, così ad
intervalli, un desiderio febbrile d'allontanarsi di lì, di mutar
vita.... d'imbattersi in qualche distrazione nuova, potente, che lo
togliesse alla vita stupida, inerte che avrebbe condotto ad Astianello
quando fossero finite le lezioni dell'arte ch'egli idolatrava!...

L'antica tentazione riprese il suo impero sul cuore di quel giovane
impetuoso. Egli si sentiva spostato ad Astianello, sapeva che i suoi
compagni non l'avevano caro. In quanto ai padroni.... Del Duca, in
fondo, non si poteva lagnare. Perchè, dunque, continuava ad
odiarlo?... perchè, quando lo vedeva giungere bello, placido, colla
barba d'oro così ben pettinata, si sentiva fremere e ribollire il
sangue? Oh, no! non s'era mai potuto avvezzare a vederlo, a saperlo
padrone, quell'intruso, quel gaudente, che tutto doveva all'amore
d'una donna, e che, per rimeritarla, l'aveva un tempo resa infelice,
l'aveva quasi condotta sull'orlo della tomba!... Drollino taceva,
mordendosi le labbra, quando sentiva dai suoi compagni, o dai
contadini, vantare l'attuale condotta di Giuliano; e quando lo vedeva
accanto alla Duchessa, gli venivano degl'impeti violentissimi
d'avversione. La diffidenza continuava, acre, spietata, nutrendosi del
proprio elemento. Ora che non aveva più una ragione positiva di odiare
quell'uomo, Drollino capiva d'odiarlo maggiormente. C'era dei momenti
in cui gli veniva come un insano rammarico che Giuliano avesse
lasciata la Russa. Pure egli avrebbe data la vita perchè Milla fosse
felice.... Cos'era dunque questa contraddizione strana.... questa
sensazione? Rimaneva come sbigottito da questa lotta interna, ch'egli
non sapeva spiegare a sè stesso, e che lo tormentava. E un bel
giorno, così all'improvviso, Drollino prese una decisione.

      *       *       *       *       *

--Impossibile!--sclamò la Duchessa, quando l'agente venne ad
informarla che il capo di scuderia s'era congedato per la fine del
mese.

--Impossibile!--ripetè, con vero dispiacere,--Ma perchè vuol andar via
Drollino? cos'è accaduto?... che ragioni dà?

--Ragioni, a dir vero, non ne dà nessune, signora Duchessa. È venuto
nello studio stamane e ha detto che se n'andava, ecco tutto!

Milla non poteva capacitarsi.

--Provi a mandarlo da me, chissà che io non venga a capo di scoprir
qualcosa. Dev'essere un malinteso. E lei, signor Damelli, non ha
proprio nessun sentore dei motivi, delle intenzioni di quel giovane?

--Nessuno, signora Duchessa.--A meno che... non so.... m'hanno detto
ch'egli avrebbe l'idea di farsi soldato.

--Soldato?... ripetè Milla. Soldato?

Il signor Damelli si congedò e di lì a cinque minuti capitò Drollino.

La Duchessa si trovava in quel tal salotto chinese dove tanti anni
addietro, aveva saputo ottenere per Drollino, il dono di Mia e dove
aveva dato a questo, per forza, quel memorabile bacio.

Milla avrebbe voluto ora far della diplomazia con Drollino. Ma la
diplomazia non era mai stato il forte di quella cara donnina. Si
limitò dunque a chiedere impetuosamente al giovane, il quale stava
muto, grave dinanzi a lei:

--Oh Drollino! è vero che vuoi andar via?

--È vero, signora Duchessa.

--Ma perchè.... che idea!... ma ti pare?... Ti hanno fatto qualche
torto, qualche soverchieria?

--No.... signora Duchessa.

--Di' la verità.... Hai qualche motivo?

--Nessun motivo, signora Duchessa. È così.... una mia idea.

--Vuoi che ti faccia aumentare il salario? vuoi tornare alla tenuta?
Se desideri qualcosa, dillo francamente. Lo sai che sono sempre
contenta di te e che t'ho sempre voluto bene.

--Lo so, rispose Drollino con voce tremante. E una specie di sorriso,
stranamente triste passò sul volto dei giovane.

--E anche mio marito,--proseguì Milla, anche lui, adesso, ti vuol
bene.

Il sorriso scomparve in un baleno dal volto di Drollino e gli
succedette una lieve contrazione nervosa.

--Sicuro,--continuò Milla, con soave insistenza, avevamo anche fissato
di mandarti a Londra, perchè accompagnassi qui i cavalli nuovi, pel
tiro a quattro.

Ma la Duchessa dovette accorgersi, studiando la fisonomia inflessibile
di Drollino, che neppure quella splendida suggestione, valeva a farlo
recedere dal suo proposito.

Non insistette. Quell'ostinazione invincibile la offendeva.

--Allora,--disse con subita alterigia, quand'è così, va pure.

Ma un momento dopo, sentì una lagrima spuntarle sul ciglio. Ella
voleva bene ai suoi; a quelli di casa sua. E ne rimanevano pochi ormai
ad Astianello. I nuovi servitori, scelti dal Duca, avevano a poco a
poco, accaparrati i posti migliori.

E ora.... anche Drollino. Era un altro lembo del passato che
scompariva.

Egli vide quella lagrima e rimase inchiodato al suo posto pallido,
atterrito.

--Signora Duchessa,--disse con voce tremante; creda.... anch'io.... mi
perdoni....

--Oh Drollino! sclamò Milla, smettendo subito il fare risentito,
perchè mi dai questo dispiacere?

Egli fece un passo avanti.

--Oh no.... non dica così.... signora Duchessa.... creda.... anzi....
che io....

--Ti assicuro--proseguì Milla, che faresti tanto dispiacere anche al
Duca.

Drollino diè un passo indietro, volle parlare, ma non gli venne
fatto....

--È impossibile! disse finalmente--_bisogna_ che vada.

Ma il suo viso aveva un'espressione così turbata, che Milla non seppe
più adirarsi.

--Dimmi almeno il perchè?--chiese mestamente.

Il giovane scosse il capo.

--Che vuole--signora Duchessa, m'è venuto un desiderio, che so io, una
smania di girare il mondo, di veder degli altri siti, delle altre
tenute. Ma mi ricorderò sempre sa, di lei.... della sua bontà per me.
E forse, di qui a un po' di anni.... chissà che non torni.... già....
a cercare ancora.... i miei cavalli.... qui a Astianello.

Drollino non sapeva più quel che dicesse. Milla, invece, cominciava a
persuadersi.

--Ah! Drollino!... mi rincresce tanto. Avevo certe idee.... certi
progetti.... Pensa.... andar via ora, dopo che m'avevi insegnato a
montar a cavallo.

Il giovane si morse le labbra.

--Sicuro....--rispose--così adesso si divertirà.... Adesso che può
andar sola....

Un momento di silenzio regnò nella sala. Poi Drollino disse
timidamente, con uno sforzo terribile:

--Signora Duchessa, vuol tenere Mia?

--Mia!...--esclamò la Duchessa, maravigliata e commossa.

--Sì, signora...; scuserà se mi prendo questa libertà, ma ho visto che
vanno così bene loro due.... e son persuaso che la tratterà sempre
bene, nevvero?... e così forse.... si ricorderanno qualche volta di
me....

--Oh! Drollino--disse intenerita la Duchessa--vuoi proprio lasciarmi
Mia?... Ma non ti rincresce.... davvero?

--No, no.... non mi rincresce.... Tanto, non saprei come fare a
condurla ora.... e poi è giusto.... perchè, si ricorda?... è stata lei
che me l'ha fatta avere....

Gli pareva di compiere un doloroso atto di giustizia. Aveva la mente e
gli occhi pieni del ricordo della scena accaduta lì.... in quella
stessa sala, tanti anni prima. Si vedeva, bambino, debole, agitato,
sentiva ancora sulle labbra un'impressione che gli pareva quella d'un
ferro rovente, l'impressione d'un bacio di bambina.

Milla, con un atto inconsulto, gli stese la mano.... Ma subito, memore
che non andava fatto, la ritrasse. Ma era indicibilmente commossa,
mormorò:

--Oh Drollino, oh Drollino!...--con un accento di gratitudine che
valutava e compensava tutto il sacrificio di quel povero ragazzo.

Egli tremava lievemente, e teneva il capo chino come un colpevole.

In quel bizzarro colloquio successe una pausa bizzarra anch'essa....
piena per entrambi d'indefinibili incertezze.

--Senti, Drollino--disse finalmente la padrona--vedo che tu.... hai
proprio fissato di andar via.... Ma non farmi il dispiacere di farlo
ora, mentre siamo qui. Tanto, fra poco, andiamo ai bagni.--Sperava che
in quel tempo si ravvedesse, chi lo sa, che rinunziasse a quel suo
assurdo progetto.

Egli rimase scontento, combattuto. Avrebbe preferito andarsene subito.
Un segreto istinto gli suggeriva di rifiutare, di lasciare Astianello
al più presto. Ma gli occhi castani di Milla, ancora umidi di _quella_
lagrima, erano alzati a guardarlo, senza alterigia di sorta, pieni di
benevolenza e di dolcezza. Egli non seppe dir di no.... Fece un cenno
d'adesione, e chinò ancora il capo.

--In quanto a Mia--disse Milla affettuosamente--ti ringrazio.... la
terrò sempre cara, e non ti dimenticherò mai.

Egli se ne andò colle labbra strette strette, cogli occhi semi-chiusi.

Il Duca, quando riseppe la cosa, non mostrò, a dir vero, tutto il
rincrescimento che Milla gli aveva generosamente attribuito. Non gli
faceva nè caldo, nè freddo, ora che non c'erano ospiti in villa. Non
perdette però quell'occasione di canzonare Milla, pei gusti vagabondi
dei suoi protetti. Non si commosse nemmeno pel dono di Mia. Chiese
solo a sua moglie quanto aveva avuta la dabbenaggine di pagargliela a
colui.

--Pagarla.... sclamò Milla--che cascava dalle nuvole.... pagarla?...
Ma t'accerto che non è stato nulla di simile.... Non abbiamo scambiata
una parola, su questo proposito.

--Eh! lo so anch'io che con te, non avrà parlato di prezzo. Ma te ne
avvedrai quando farai i conti col signor Damelli.

--Credi.... proprio?... E io che m'ero commossa!... Ma pure....

--Per bacco, mia cara, è chiara come il giorno. Voleva liberarsene;
non sapeva come, e te l'ha affibbiata; ecco tutto! Ora poi sarei
curioso di sapere ciò che pretendi fare di quella bestia, tu che non
hai mai voluto saperne di cavalcare.

--Ah!--rispose Milla, lieta del suo mistero.--Non importa, lascia fare
a me!... L'attaccherò alla _giardiniera_, e imparerò a guidare.

--Uhm!--disse il Duca--è troppo forte per la _giardiniera_, andrebbe
meglio col _phaèton_. È ancora una buona cavalla. Quasi quasi, ora che
non è più di quel biricchino, avrei una mezza idea di provarla io
stesso. Domani forse....

       *       *       *       *       *

Drollino era fermo sulla soglia del cancello di fronte al viale. E
quivi per l'appunto vide Mia, la sua Mia, attaccata al _phaèton_ e
guidata dal Duca.

Non molto ben guidata, a dir vero; Giuliano la conduceva come un
dilettante conduce, per lo più, un cavallo che sta provando. Alquanto
a casaccio, cioè, tirando indiscretamente i filetti ora a destra, ora
a sinistra, tormentandole il morso in bocca, spingendola, con certe
mosse intempestive delle redini che dovevano torturare la povera
bestia, abituata alla mano salda, mirabilmente esperta, di Drollino.

Questi divenne livido, sentì nell'interno dell'animo come uno
schianto. Cogli occhi spalancati, immoto, come impietrito, guardò
quello spettacolo, che lo straziava.

Il Duca non s'avvide di lui. S'indispettiva contro Mia che non voleva
ubbidirlo, e, in difetto di più persuasivi argomenti, le rovesciò
addosso una furia di scudisciate.

Drollino trattenne un grido. Ah! quelle scudisciate! gli parve
d'averle ricevute lui, attraverso alla vita! Ebbe un impulso violento
e prepotente di spiccare un salto, di precipitarsi verso il _phaèton_,
d'afferrare lui lo scudiscio e di....

Ma si contenne. Si morse a sangue le labbra, e torse lo sguardo. Mia
si avviava con un trotto incerto, rotto, pesante, mentre il Duca, con
una aria avvezza, dimenava trionfalmente la frusta.

Drollino s'accorse d'esser tutto sudato. Un pensiero crudele gli passò
pel capo:--Oh! se Mia potesse impennarsi in quel momento, far cadere
colui.... fargli rompere il collo....

Oh, se avesse saputo.... se avesse potuto prevedere.... Egli, che
aveva fatto quel supremo sacrifizio per lei.... per la Duchessa....
perchè avesse una buona cavalla e un motivo di ricordarsi.... del
passato. Oh! se avesse saputo.... Mia.... la sua Mia!

Un'onda di torbide fantasie gli sconvolse per un momento il cervello;
gli parve di smarrire ogni idea che non fosse dolore, ira, rabbia
impotente.

No, non poteva far nulla.... ormai.... Certo.... egli era stato un
grande imbecille; la colpa era sua. Doveva pur saperlo ciò che il Duca
era per Milla. Un idolo a cui tutto era dovuto, persino l'omaggio
ultimo.... il dono lasciato a lei, per lei da un povero cavallaro che
se ne andava. Non ebbe un pensiero di rimprovero per Milla. Ma la sua
avversione per Giuliano prese da quel punto le proporzioni d'una
passione tormentosa.

Se ne andò verso il pascolo, e non tornò alla villa se non tre giorni
dopo, quando seppe che Giuliano era andato di nuovo per la quarta
volta a Genova, onde conferire con quella celebrità d'avvocato che
trattava i suoi affari.

       *       *       *       *       *

Non si doveva risapere, eppure si riseppe. Fu per tutti una gran
maraviglia, e se ne parlò molto, sottovoce, con una vera grandine di
commenti. Va via per questo, per quest'altro. Non si poteva adottare
la versione nuda e semplice dell'affare: un capriccio di Drollino. Ci
doveva esser qualche motivo segreto, qualche grossa magagna scoperta
di recente.

--Eh!--osservò sghignazzando Battista in un conciliabolo tenuto allo
scopo di discutere la questione--avranno scoperto qualche cosa di
questo genere.--E fece colle dite aperto il gesto come di chi pizzica
le corde dell'arpa.--E siccome è uno della casa, e lo proteggono a
spada tratta, avranno accomodato le cose alla chetichella.... e fanno
figurare che....

--Non è vero, non è vero niente--urlò inviperita la Carolina,
prendendo le difese di Drollino con un calore, con una energia che le
valsero addirittura un subisso di allusioni più o meno riguardose; ma
tutte dirette a constatare lo stato veramente anormale del suo cuore.
Tanto che, sentendosi così accanitamente attaccata, la giovane battè
una pronta ritirata, e si rifugiò nei solinghi recessi della
guardaroba a piangere le sue speranze perdute, e a disperarsi della
partenza di Drollino e dell'insolenza di Battista.

Anche il conciliabolo ebbe un'eco, mentre sarebbe stato assai più
desiderabile che non l'avesse avuto. E fu la Carolina stessa che,
vantandosi apertamente della sua difesa, disse a Drollino cos'aveva
detto di lui quel birbante di Battista. Drollino l'ascoltò in pace,
non le fece nè ringraziamenti, nè scuse. Non si indignò delle accuse
del cameriere; ebbe un'ombra strana, pallida di sorriso. Forse non si
maravigliò; certo è che non accennò d'esser maravigliato. La Carolina
rimase scontenta e perplessa. Aveva sperato, senza confessarlo a sè
stessa, che Drollino sarebbe rimasto più colpito dal suo generoso
intervento e avrebbe data maggior importanza alla sua rivelazione. Ma
invece se ne andrebbe quietamente, senza rompere il muso a quella
canaglia di Battista.

Poichè, è d'uopo confessarlo, il cameriere del signor Duca non godeva
affatto le simpatie dei suoi colleghi. Non si poteva negare la sua
valentìa, egli possedeva in tutto e per tutto l'arte del suo mestiere.

Ma la sua onestà non era neppur più problematica ed egli, da qualche
tempo in qua, si trascurava non poco. Battista era bene spesso
ubbriaco, e s'andava ingolfando in certe avventure rustiche,
tutt'altro che perdonabili e pur sempre, se non perdonate, ignorate
dall'inesauribile indulgenza del Duca. Ora poi, in assenza del
padrone, Battista abusava assolutamente della sua libertà.... al punto
di passare quasi tutta la giornata, nonchè parecchie ore della sera,
in una botteguccia con spaccio di liquori, situata alla estremità del
paese e dove trovava del rhum più forte di quello della dispensa,
un'ostessa tarchiata e tre o quattro buoni compagni, ai quali egli
insegnava dei bellissimi giuochi di carte di una facilità
maravigliosa, e che ogni persona che si rispetta deve aver famigliari.
I buoni compagni avevano un'ammirazione illimitata per quel
personaggio così ben vestito e colle tasche così ben guarnite.

Drollino non aveva certamente fatto gran caso del riferto della
Carolina. Ma nella sua mente, così logica e risoluta, invece della
gratitudine, si levava per l'appunto una specie di rammarico e l'idea
che la cameriera avesse fatto male a dirgli come fosse andata la cosa.
Ora, tornava proprio indispensabile, prima ch'egli lasciasse
Astianello, ch'egli si prendesse la briga di cacciar quattro denti in
gola, a quella canaglia.

Lasciò passar qualche giorno; poi si decise. Già.... non lo aveva mai
potuto soffrire colui; quel protetto del signor Duca!

Andò a cercarlo la sera stessa, nel noto botteghino. Laggiù si giocava
molto e sicuri, dietro la complice ombra d'una cortina di cotone verde
che separava dalla bottega propriamente un bugigattolo scuro, stretto,
sucidissimo. La rustica sirena era andata ad una sagra vicina e in
vece sua stava al banco un ragazzotto mezzo addormentato.

Drollino non penetrò nell'antro dove si giocava, stette in bottega
aspettando, paziente ed immobile, davanti ad un bicchierino
d'anisette.

Dietro la cortina verde, si sentiva un vocìo assordante ed un continuo
moto di bicchieri, e ogni tanto lo squillo d'una moneta che risonava
sul tavolo. Allora soltanto il ragazzo si riscoteva, destandosi come
al suono d'una musica gradita e collo sguardo stupido, ma già vizioso,
ammiccava confidenzialmente Drollino.

--È il signor Battista! disse alfine e con voce misteriosa. È proprio
lui.... se sapesse.... quanti!...

--Quanti?... Che?... rispose Drollino distrattamente.

--Oh bella? denari. Non sa che _lui_ perde sempre; e sempre paga.

Il bello della cosa, pel ragazzo, era per l'appunto che il perdente
pagasse. Drollino invece non esternò nessuna meraviglia. Ma con un
susseguirsi, macchinalmente ragionato, di pensieri, egli finiva col
chiedere a sè stesso: Come fa?...

Battista aveva un forte salario; questo si sapeva. Ma si sapeva pure
che aveva dei vizi, anzi molti vizi, e che a mantenerli tutti, non
sarebbero bastate tre di quelle splendide paghe. E ora giocava così
rovinosamente e pagava.... pagava....

Di là, si sentivano correre le monete sul tavolo ma eran gli avversari
che vincevano. Era facile, ascoltando, tener dietro alle varie fasi
del giuoco.

--Come mai? chiedeva ostinatamente Drollino a sè stesso.

Finalmente ebbe termine la partita, ed i giocatori entrarono tutti nel
botteghino, che si riempì subito d'un denso fumo di pipe, e dell'eco
di grossolane esclamazioni, di parolaccie, di sguaiati scoppi di
risa. I vincitori facevano gazzarra, ma il vinto era anch'esso di
buonissimo umore e rideva, più rumorosamente degli altri. Anzi volle
pagare ancora un bicchiere di vino bianco alla compagnia.

--Diavolo!--urlò al ragazzotto che vedendoli già alticci, esitava a
servirli, hai capito di stappare? Hai paura, forse, che non ti si
paghi? Sappi, brutta faccia di pagnotta, che dove c'è Battista, la
miseria non ci può stare e che a casa mia quando non ce n'è più, ce
n'è ancora.

Scoccava già la mezzanotte, quando la comitiva si sciolse.

Battista uscì ultimo, e Drollino, il quale lo aveva sempre aspettato
in silenzio e senza unirsi ai buoni compagni, gli tenne dietro. Lo
lasciò andare avanti finchè non ebbe oltrepassato il villaggio. Non
voleva provocar chiassi e baruffe in vicinanza dell'abitato. Le
ragioni che aveva da dirgli gliele direbbe all'aperto, sulla strada
maestra.

Senonchè, quando furono usciti dall'ombra delle case, egli s'accorse
che colui aveva un modo bizzarro di camminare, tutto a sbalzi e a
zig-zag.

--Ho capito, pensò Drollino; è ubbriaco.

Non volle profittare di quella circostanza, cimentandosi con un uomo
che non avrebbe potuto tenergli testa.

--Sarà per un'altra volta! mormorò fra sè e sè.

E si pose a camminare frettolosamente, senza altro intendimento che di
far pronto ritorno alla villa.

Ma, oltrepassando il cameriere, s'avvide che questi era affatto
incapace di raccapezzare dove metteva i piedi. Era uno sconcio
spettacolo quell'uomo che camminava barcollando sulla strada, battuta
dal lume di luna, in vicinanza della villa... Bell'onore per la
casa.... se qualcuno lo vedeva.

E, sotto l'impero di questo timore, Drollino risolse di ricondurre
egli stesso Battista per evitare, se si poteva, ogni scandalo. Gli
s'accostò e lo chiamò forte per nome.

--Ah!--rispose l'altro fermandosi....--sei tu, Drollino?... Bel nome
davvero.... E un bel giovanotto, anche.... ma allegro come un martôro.
E dunque eh! ho sentito che te ne vai.... Fai bene, perdio.... Si
vegeta in questa baracca, in questo nido di.... colombini.

E strizzava gli occhi sorridendo sguaiatamente, con un'espressione che
tentava d'essere ironica.

--Bisogna vedere il mondo.... ragazzo mio.... Andare di qua, di là...,
a Parigi.... a Londra.... fare come ho fatto io col signor Duca....
Ah! allora però.... non erano i tempi buoni come adesso!... Denari,
ora, denari come terra.... Il signor Duca.... non dice mai di no....
quel briccone! Sfido io, sfi....

Ora si trattava di mettersi pel viale, e c'era da passare la
porticina. Fu una vera impresa che Drollino condusse a buon fine,
impiegandovi però più d'un quarto d'ora. Poi dovette aiutare colui a
percorrere il viale, evitando di urtare i tronchi degl'ippocastani, in
quell'ombra fitta che Battista faceva risonare delle sue frasi sempre
più sconnesse d'ubbriaco di buon umore. Ma, come Dio volle, giunsero
sulla spianata.

Erano scoccate le dodici; la villa dormiva quietamente, con tutte le
finestre chiuse, nel silenzio della notte.

Battista continuava a parlare, consigliando fervorosamente Drollino a
imitarlo, a star allegro, ad assicurarsi.... le bontà del padrone.
Gl'insegnava che i padroni vanno tenuti per il collo, vanno! E non
bisognava star ingrognati, bisognava essere come lui, allegri,
sollazzevoli.

E subito, colla voce avvinazzata, si pose improvvisamente a cantare le
prime strofe d'una canzonaccia.

--Cristo!--sclamò a bassa voce Drollino, tappandogli la bocca colle
mani,--taci, mascalzone; potresti destar la signora Duchessa!

--Ah!--rispose impermalito l'ubbriaco--che maniere!... va al diavolo
tu e la Duchessa!... Me ne importa tanto di quella faccia di carta!

Ma di subito cangiò parere.

--A proposito,--disse con somma confidenza a Drollino--se vuoi venir
qui.... ho una cosa da dirle.... alla signora Duchessa. Ho da
dirle....

E alzava la voce. Drollino, fremendo, lo interrompeva, cercava di
condurlo via in fretta, ma Battista, incaponito in un'ideaccia tutta
sua, non voleva muoversi, e seguitava a parlar forte.

Drollino stava per afferrarlo alla vita, portarlo via a forza, e
quindi gettarlo in un angolo remoto del giardino a smaltire il suo
vino; ma invece rimase immobile come impietrito, guardando l'ubbriaco
con uno sguardo spaventato. Una, fra le insensate frasi dello
sciagurato cameriere l'aveva colpito.--Valla a chiamare.... voglio
dirle la verità.... di Genova e del signor Duca.

--Il signor Duca?...--chiese cautamente Drollino, chinandosi verso
Battista.--Genova?..

--Sì, sì--ripeteva con voce gorgogliante l'ubbriaco--tanto bisogna che
lo sappia.... un giorno o l'altro.... che la Russa.... E
l'avvocato.... ah! l'avvocato!...

L'occhio di Drollino ebbe un lampo di feroce ansietà. Egli si chinò
ancora di più sull'ubbriaco, che seguitava:

--L'avvocato! l'ho visto io, l'avvocato!... Eh uno strascico lungo
lungo di seta e tanti bei ricciolini, e quelle spalle bianche. Per
Dio, ha ragione il Duca.... è bella quella Russa....

Di subito l'ubbriaco si fece malinconico.

--Poverina!--disse, tentando di accennare le finestre della
facciata--poverina, povera donnina, mi fa pena.... se sapesse?...

E si mise a piagnucolare: l'ubbriachezza in lui si faceva tenera,
sentimentale! E nell'iterarsi di grotteschi singhiozzi, in quel
lagrimare ributtante, le frasi riuscivano smozzicate, e le parole,
rotte, non avevan più senso.

Drollino rimase un momento in forse:--Vino o verità?--chiese
angosciosamente a sè stesso, guardando Battista, che, colpito
improvvisamente dal sonno plumbeo dell'ebbrezza, s'era buttato
sull'erba e pareva già addormentato.

--Bisogna saperlo.... ad ogni costo--mormorò sotto voce Drollino.--E
se è vero!...

Nel vivo lume della luna, una mano bruna, nervosa si protese con un
gesto di minaccia implacabile.

Poi Drollino afferrò l'ubbriaco, inetto ormai ad opporgli la minima
resistenza; se lo cacciò sulle spalle come un sacco di biada, e,
passando dalla scala interna di servizio, lo portò nella propria
cameretta, quella che occupava attualmente al terzo piano della villa.
Lo gettò sul letto in modo abbastanza ruvido; ma il sonno
dell'ubbriaco era ormai così profondo ch'egli non se ne risentì per
nulla.

Drollino sedette appiè del letto, e rimase desto per tutta la notte,
vegliando Battista.

Era giorno fatto quando il cameriere si risentì; girò attorno gli
sguardi, attonito di trovarsi lì, in camera di Drollino.

--Cosa diamine?--chiese.

--Nulla, mio caro.... Ti ho trovato per via e t'ho portato qui.

--Oh!--rispose Battista confuso, ma tentando un risolino.--Ho capito.
Eh, son traditori questi vostri vinetti leggieri; e poi un po' di
rhum.... sicuro.

Non era più brillo, ma aveva ancora la testa balorda, lo stomaco
sconvolto, o parlava con un fare melenso.

--Sicchè--continuò, alquanto impacciato--m'hai proprio trovato per
via? Sarà, sarà.... non mi ricordo più! E dormivo, eh?

--No, allora non dormivi; non facevi che strillare e chiacchierare.

--Ah! sì, chiacchieravo?--E divenuto subitamente inquieto, soggiunse
in tono negligente:--Oh bella, chiacchieravo? e, così per
curiosità.... cosa dicevo?

Drollino alzò le spalle, e si sforzò a sorridere. L'altro non ardiva
insistere, ma lo guardava, dubbioso.

--Mio caro--continuò Drollino--sta tranquillo. Hai detto un monte di
bestialità. Per fortuna che c'ero soltanto io a udirti, e ciò che tu
dicevi lo sapevo da un pezzo.

--Tu...!--sclamò Battista con vivo malcontento.--Sapevi già.... cosa?

--Ma certo!--continuò freddamente Drollino.--Credevi d'esser tu solo a
possedere il segreto del signor Duca?

--Ma come diavolo hai fatto a sapere?

--Ch'egli si reca là a Genova....--ed esitò ammiccando.

--Sì, per trovarsi con lei!--finì brutalmente Battista--con la Russa.
Capirai, tutte questo reticenze, che sugo hanno adesso? Il diavolo ci
porti.

--Questo--rispose pacatamente Drollino--è affar mio e non ti riguarda.

--Ma, allora, perchè non me ne hai mai parlato?

--Perchè? Perchè non m'accomodava. Cosa c'entro io con questo cose?
Io me ne vado fra poco, e buona notte. E può essere che, per tacere,
avessi anch'io delle buone ragioni come le hai tu.

Battista non arrossì, e si pose vivamente le mani in tasca.

--Non ce n'è quasi più--disse, facendo ballare fra le dita due o tre
monete.--Io però le godo e sto allegro, e fo star allegri gli altri,
mentre tu.... Che bocca amara m'è rimasta!... A dir vero, il Duca fa
le cose bene.... da gran signore, non è vero?

Drollino assentì. Certo; il Duca pagava bene il loro silenzio.

--Eh!--continuò Battista con una risata maligna--non gli conviene a
far diversamente. Davvero, si troverebbe in un bell'impiccio se a me
saltasse il ticchio.... Perchè, capisci, l'andrà; finchè mi pare, ma
se un bel giorno colui mi rompesse proprio le tasche, io vado da lei,
e le rifiato tutto quanto; capisci?

--Ah! le rifiati tutto quanto.... Andiamo, via, non sei capace!

--Io non son capace!... L'avresti a vedere. Vado là, franco come uno
schioppo, e le conto la storia. Signora Duchessa; succede così e così.
Il suo signor marito va a Genova per abboccarsi coll'avvocato.... E
l'avvocato, Dio mi danni, è la Russa.... quella Baronessa che.... se
l'è tornato a prendere per vendetta.

--Per vendetta?--chiese tranquillamente Drollino, stendendo appiè del
letto la sua snella persona.

--Sicuro--continuò Battista, che, passato il primo momento di
dispetto, trovava ora un certo gusto a potere finalmente parlar con
qualcuno di quella cosa così gustosa e proficua.--Ce l'aveva amara con
la Duchessa, perchè qui erano accadute quelle scene, ti ricordi? Bene,
dunque, quando noi fummo a Napoli, essa scrisse al padrone. Ma questi
aveva ancora la paura che gli morisse la moglie, e non rispose. Allora
quella s'impuntigliò, e gli tenne dietro a Nizza. La signora era un
po' indisposta e usciva di rado. Un giorno, lui se ne va a Montecarlo,
e ci trova la Russa. Stette ancora un poco sul tentennare, poi ci
ricascò.... meglio di prima. Ecco qua.... la sapevi tu com'era andata?

--No--confessò umilmente Drollino--non la sapevo così lunga. Sapevo
solo che ora.... si ritrovavano a Genova, colla scusa dell'avvocato.
Mi figuro che sarà sempre una cosa in grande. Ha cavalli, lei?--chiese
poscia con una subita premura di professione.

--No, rimessa.

--Ah! e lui?

--Niente, carrozza d'albergo. Lei sta in un villino, laggiù verso via
Carignano. La sera sul tardi escono assieme, vanno all'Acquasola.

Qui diede in un riso sguaiato.

--Una bella coppia.... sai....

--Certo--rispose Drollino,--una bella coppia....

--E la Duchessa?--continuò Battista--se lo sapesse!... Io dico che se
lo sa stavolta, gli riprende tutti i soldi che gli ha dato e lo manda
al diavolo.... ammenochè.... non si consoli.

--Come?...

--Eh, diamine! facendo altrettanto.

Drollino si drizzò d'un salto, cogli occhi iniettati di sangue,
pallido come un morto, e per un momento guardò l'ex-ubbriaco in un
modo molto bizzarro e poco rassicurante. Ma subito si calmò, e si mise
a ridere.

Si sarebbe detto che, a furia di star sempre così serio, avesse
dimenticato come si fa a ridere; certo che il suo ridere non
somigliava a quello di nessun altro.

--Ah! vorresti provare.... dici?...

--Sì.... per curiosità. Vorrei provare come la piglia. Certe volte,
quando la vedo allegra, contenta, mi viene come una rabbia, una smania
di dire la verità a quella povera donna. Almeno non farebbe più la
figura d'una bambina, e non si struggerebbe più dietro a quella perla
di marito, che va a Genova.... coi denari di sua moglie, beninteso. E
a te--domandò ancora Battista con un rimasuglio d'inquietudine--questa
voglia non ti vien mai?... dico..., non vorrei che tu m'avessi a
prevenire.... sai, perchè potrebbe darsi che lei, per saper
bene....--E fece il gesto di chi snocciola denari.

--No--disse Drollino....--io non ho nessuna idea di parlare. E ora me
ne vado, per cui.... Tanto, questa storia finirà presto....--soggiunse
con molta calma.

--Finirà?--chiese l'altro sbadigliando--credi che finirà?... Per
bacco, mi dispiacerebbe.... è un provento che mi garba.... E perchè
finirebbe?... sono innamorati cotti! La Russa gli comanda a bacchetta,
lo tratta come un imbecille, e lui.... contentone. Perchè avrebbe a
finire?

--Perchè finirà--disse con gran pacatezza Drollino.

E scese lentamente; era l'ora del primo pasto dei cavalli.

Battista, rassicurato, si ricacciò sotto le coltri per finir di
riposarsi; tanto, lui non aveva nulla da fare.... in casa ora c'era la
cuccagna!

Dopo il mezzodì, Drollino si presentò all'agente e gli chiese due
giorni di permesso. Voleva andar a vedere i puledri di casa Canossa,
prima che partissero per l'Esposizione ippica.

L'agente accordò il congedo. Drollino se ne andò la sera stessa; e in
capo a due giorni era di ritorno.

Tutti gli furono attorno a chieder dei puledri. Ma non ne disse gran
che, non ne fece maraviglie. Erano così così, come gli altri....

Non era stato alla tenuta Canossa; era stato a Genova e all'Acquasola.
Celato dietro una macchia, aveva visto passare, in una carrozza di
rimessa, il Duca e la Baronessa.... Era saltato in legnetto di piazza
e aveva tenuto dietro al loro equipaggio sino alle prime case di via
Carignano.

Nei giorni seguenti diede ancora due o tre lezioni alla Duchessa, e
rinunciò a dare la progettata lezione a Battista. Drollino era
quieto, calmo assai....

La sera dopo, mentre si distribuiva l'ultima razione di biada, il
signor Damelli capitò in scuderia, e diede precisamente quest'ordine:

--Domattina alle dieci l'_americana_ ad un cavallo per andare alla
stazione a prendere il signor Duca.

Drollino ch'era poco lungi, udì quell'ordine. Alzò bruscamente il
capo, e appoggiò per un secondo la mano sul muro, come se si sentisse
minacciato da una vertigine.

Poi disse rispettosamente:

--Sì signore.... ci penso io.

       *       *       *       *       *

L'indomani, il tempo era splendido. Suonavano le otto del mattino, e
sulla spianata della rimessa Drollino si teneva ritto davanti a Mia,
già attaccata al _phaèton_ e che, impaziente dell'indugio, allungava
ogni tanto il collo e colla lunga coda flagellava i suoi nobili
fianchi. Battista, già in livrea, ma colla tunica ancora sbottonata,
lisciava col gomito il pelo del cappello a coccarda. Un vecchio mozzo,
col capo coperto da una berretta scozzese e colla pipa in bocca, stava
poco lungi dal legno e guardava con ammirazione la cavalla che,
annoiata dalle mosche, or coll'una e or coll'altra zampa tormentava il
terreno.

--Ci siamo?--chiese il cocchiere, infilando i guanti di pelle rossa.

--Un momento,--rispose Drollino, mentre colla mano tremante disponeva
sul frontale una ciocca della criniera di Mia.

Il cocchiere salì a cassetta ed afferrò le redini.

Nella corte rustica, vicino alla rimessa, s'udì l'ululato cupo di un
cane.

--Cattivo segno,--osservò il mozzo, togliendosi la pipa di
bocca.--Pedrolo.... badate un po' ai fatti vostri.

Il cocchiere si mise a ridere, agitando festosamente la frusta.

--Quante bestialità!--rispose con gaio sprezzo. Era contento di
guidar Mia, quella famosa Mia, che per tanto tempo era stata così
esclusivamente custodita da Drollino.

Drollino passò ancora una volta, con una carezza prolungata e
tremante, la mano sulla criniera di Mia.... la guardò per un secondo,
con una intensità disperata.... Poi si ritrasse, e senza parlare, con
un piccolo gesto, avvisò il cocchiere che poteva partire.

S'udì in breve la sabbia del viale scricchiolare sotto le ruote del
leggero equipaggio, mentre il rumore del trotto elegante di Mia si
perdeva nella lontananza.

Drollino stava sempre immobile, fissando come trasognato lo spazio
dove Mia, un momento prima, aveva alzata, verso lui, la sua fina
testina.

--Per bacco!--disse il mozzo con molta simpatia
professionale--capisco, sapete. Non c'è che dire, una bestia che non
ha l'uguale. Vi rincrescerà, eh?

Drollino diede un guizzo coma se una serpe gli avesse morso il
tallone.... Poi chiese impetuosamente:

--Cosa?...

--Oh bella!... che ve l'abbiano portata via. È una cosa curiosa,
sapete, che ve ne siate stancato così, mentre, non c'è che dire, è
ancora un fior di cavalla! E l'avete proprio voluta cedere al Duca!...
Chissà, eh.... che buon affare?...

Uno spasimo passò sulla faccia di Drollino, ma egli rimase muto.

--Eh! si capisce. Se vi è venuto questo capriccio di girar il
mondo, vi gioveranno più i denari che la cavalla. E a dirla
schietta--continuò il mozzo, che s'era proprio messo in mente di voler
consolar Drollino ad ogni costo--la Mia era ormai un po' _sul tempo_
anche lei, come me! E poi il suo piccolo difetto ce l'aveva pure....
quello di non voler sentire gli spari.... E non s'è mai voluta
correggere.... eh?...

--No--stridette Drollino--no!

Il vecchio mozzo si mise a ridere.

--Via, via!... non v'arrabbiate a questo modo. Si sa che avete fatto
di tutto per toglierle quel vizio. È inutile.... ho provato anch'io.
Una volta nella tenuta c'era un alzano che....

Ma la storia dell'alzano non progredì. Drollino, il quale era stato
per un momento come sprofondato nelle sue riflessioni, si scosse
bruscamente e s'allontanò a rapidi passi.

Il mozzo rimase lì, in asso.

--Cosa diavolo gli piglia a colui?--disse tenendo dietro collo sguardo
a Drollino, il quale pareva quasi fuggire, tanto correva, nella
direzione della tenuta.

Non eran cinque minuti che Drollino era scomparso, quando Vincenzo, il
cameriere della Duchessa, si presentò sulla spianata.

--Drollino--chiamò--Drollino!

--È andato via or ora--rispose il vecchio mozzo.--Cosa c'è?

--Subito, subito, insellare Mia per la signora Duchessa, e Drollino
si prepara ad accompagnarla.

Il mozzo s'alzò.

--Mi dispiace--disse--ma in quanto a Mia la signora è bell'e servita.
La cavalla è stata attaccata all'_americana_ ed è già a mezza strada
della stazione. E Drollino è andato via per i pascoli, a zonzo.... Dio
sa dove!...

Il domestico scomparve, ma tornò subito, dopo cinque minuti,
trafelato.

--Sellare Calif; subito al momento, e chiamare Toni per andar dietro
alla signora.

Toni era in scuderia e fu subito avvisato.

Dodici minuti dopo, Milla, con un nuovo abito da amazzone, giuntole il
giorno avanti da Torino, col volto splendido della gioia misteriosa e
biricchina della sua sorpresa, s'avviava al trotto, seguita da Toni,
per la strada che dalla villa conduce alla stazione.

Drollino invece si dirigeva verso la sua antica dimora, nel grande
cascinale. Camminava a passi concitati stringendo le palme,
barcollando ogni tanto come sotto l'influenza d'un principio
d'ubbriachezza. Un momento, sentì che non stava più in piedi.... e
cercò di reggersi, brancolando, come se fosse al buio.

Un grido soffocato gli uscì dal petto:--Mia! povera Mia!

Sulle sue gote brune, schizzò una lagrima. Ma subito, come sotto un
soffio ardente, asciugò.

Si gettò bocconi sull'erba. Era appena fuori del giardino. La villa
era bellissima a vedersi, ancora immersa nel bacio mattiniero del
sole, cinta di verdura, colle lucide persiane inverniciate di recente.

Egli mordeva l'erba, digrignando i denti furiosamente. Ma a un tratto
si calmò. Il suo sguardo fisso, teso, si spingeva nell'interno della
camera della Duchessa.

La finestra del terrazzino era aperta, si vedevano passare pel vano le
teste delle cameriere in faccende. La brezza entrava curiosa, molle,
agitando le vecchie frangie degli addobbi della finestra, enfiando,
come fossero lembi di vele, i tessuti leggeri dei cortinaggi, le
bianche cortine del letto.

Drollino si fece calmo. Guardò a lungo lassù, come se quella vista gli
facesse bene, rinnovasse in lui l'energia dello spirito.

--Per lei!--disse finalmente a bassa voce, agitando la mano nel vuoto,
con un gesto pazzo ed appassionato di saluto.

S'alzò rinfrancato, ed in breve fu alla sua antica stanzetta. Vi
rimase circa un quarto d'ora. N'uscì senza che nessuno l'avvertisse,
vestito dei panni suoi, bianco come un cencio lavato, e colla destra
stretta al petto, sopra la tasca del lato ministro. Si mise pei campi,
in salita, evitando di por piede sulla strada maestra, e pur
costeggiandola.

       *       *       *       *       *

Egli stava immobile, accasciato dietro il muricciuolo del cimitero,
che in un dato punto, rasenta la strada maestra fra Astianello e la
stazione.

Era un cimitero piccolissimo, brutto, una vera miseria di cimitero.
Apparteneva a un paesucolo vicino, il quale non era nulla più che una
frazione di Astianello.

Il luogo era molto triste anche nella giocondità dell'ora mattutina.
Aveva un non so che di abbandonato, che dava alla malinconia naturale
del sito un carattere speciale.... pareva la dimora dell'oblìo. Quelle
povere tombe recavano patenti le traccie dell'intemperie; sulla
cappelletta di mezzo una misera immagine a fresco del Redentore,
arrossata dal gelo, si scrostava lentamente, trascinando nella sua
rovina l'intonaco, che si andava quasi sfarinando. Nel lato
settentrionale del recinto l'erba era umidissima, e la rugiada si
ostinava a serbar lucido lo zoccolo di pietra dell'unico monumentino
che vantasse il cimitero. Qualche aristocratica croce di ferro si
notava ancora in quel lembo riservato, ma era tuttora nell'ombra. Nel
lato soleggiato era la fossa comune, quella dei poverissimi del
comune. Al centro s'alzava una buona croce di legno, forte e poderosa,
e bastava per tutti i morti di quella classe.

La porticina pareva chiusa. Drollino, nell'entrare, aveva avuta la
precauzione d'accostarla.

Non si moveva punto.... Stava rannicchiato appiè del muricciolo,
silenzioso, immobile come le tombe senza nome che lo attorniavano....
Era livido in volto e teneva gli occhi sbarrati, ma sui tratti così
alterati, recava, come incisa, l'espressione immutabile d'una
selvaggia determinazione.

A un tratto s'alzò, e d'un salto, aggrappandosi alle tegole, sollevò
il capo oltre il livello del muricciolo.... scrutando collo sguardo
l'aperta campagna.

Aveva scelto bene il suo posto di agguato. La strada maestra passava,
scendendo, davanti al piccolo cimitero. Oltrepassandolo d'un trar di
sassi, faceva un gomito con una brusca voltata. Dall'altro lato della
via, il terreno si rompeva in uno scoscendimento ripido, terminando in
un burrone ghiaioso, che ai tempi di piova si mutava in un
torrentello. Quello era forse il solo punto della via che richiedesse
un po' d'attenzione in chi transitava di là. Anni addietro, un
carrettiere ubbriaco s'era ucciso, precipitando col suo mulo da
quell'erta traditora. Occhio ci voleva, e stare attenti, specialmente
allo svolto.

L'orologio d'un campanile poco lontano suonò le dieci.

--Ancora mezz'ora!--pensò Drollino.

Scese, si terse il sudore che gli rigava le tempie, estrasse di tasca
la pistola, la osservò attentamente, e la depose sul terreno accanto a
sè, a portata della sua mano destra. Nella macchia vicina i passeri
spionciavano senza fine, in lontananza il picchio ripeteva a misurati
intervalli la sua barocca canzone, nell'erba del cimitero gl'insetti
si movevano, saltavano, si facevano strada, fra gli steli. Attorno
alla croce comune, due farfalle, d'un bel giallo chiaro, si
inseguivano amorosamente.

Drollino non guardava attorno a sè. Teneva fisso al suolo quel
terribile sguardo interno, che l'occhio trova soltanto nei momenti
supremi della vita. Ogni tanto, quando sulla strada sottostante udiva
avvicinarsi il rumore d'una carrozza, Drollino illividiva, s'alzava,
stava in ascolto un momento, poi guardava in giù.

--Non è lui--diceva ogni volta, quasi ad alta voce.

E con una terribile pazienza, tornava a sedere, celato dal
muricciuolo.

S'era alzato un po' di vento; l'erbe grasse, ben nutrite del cimitero,
ebbero un moto, quasi un fremito di conscio ribrezzo.

       *       *       *       *       *

Il treno era giunto, in ritardo però di quasi un quarto d'ora, e il
Duca Giuliano usciva frettolosamente dalla stazione, cercando qua e là
collo sguardo il legno che doveva trovarsi ad aspettare. E non solo
vide il legno, la graziosa _americana_, alla quale era attaccata Mia,
ma vide altresì una elegantissima amazzone, che, seguita da un _groom_
in livrea, si avanzava alla sua volta.

--Giuliano! Giuliano!--disse l'amazzone, accostandosi e ridendo
lietamente.

Egli rimase di princisbecco.... quando ravvisò sua moglie; e

--Milla!--sclamò con accento schiettamente ammirativo.

--È la mia sorpresa,--continuò Milla, beata del successo del suo
segreto.--Sapevo che lo desideravi, e, mentre eri assente, ho
imparato. Non te lo dissi che avevo anch'io i miei affari?

Il Duca la contemplava muto e pallido.

--Milla!--esclamò involontariamente,--tu sei un angiolo e io sono
un....--Si fermò un momento, poi finì la frase:--un marito veramente
fortunato.

E subito le fece mille complimenti, lodò il suo pensiero, il suo buon
gusto. Quell'abito le stava a pennello.... come aveva scelto bene il
colore verde bottiglia, e che felice idea quella di quei bottoni
larghi, dorati della giacchetta! E che amore di _tuba_.... Era
veramente un'amazzone classica! Ora sì che era contento.... ora
andrebbero assieme alla mattina a far delle trottate lunghe,
piacevolissime. Ma che brava Milla!

--Ora andiamo a casa,--disse finalmente il Duca;--vuoi che
t'accompagni a cavallo?

--Veramente,--rispose Milla--ora che ho fatta la mia figura,
preferirei quasi di venir teco. Sono un poco stanca.

--Benissimo!--disse il Duca--Battista e Toni condurranno a casa i
cavalli, e io ti farò da automedonte, se non sdegni il mio legnetto da
giovanotto.

Milla scosse il capo, scese da cavallo, e salì prontamente
sull'_americana_ a fianco del marito.

Era lietissima!--Quanto mi diverte--disse--oh come me la godo....
dobbiamo far la figura di due scapestrati, nevvero, di due scappati da
casa!

Quell'idea la divertiva immensamente. Si figurava che i passeri delle
siepi l'avrebbero presa per una perversa creatura, in piena
rivoluzione contro le convenienze. Diceva mille gentili pazzie, col
volto acceso dal piacere, ed era veramente carina sotto l'ombra di
quel cappello mascolino.

E Giuliano, guidando Mia, che in quel giorno pareva straordinariamente
docile e savia, guardava con vero piacere la Duchessa, che gli pareva
molto più bellina del solito, con quel non so che di nuovo, di
biricchino, di piccante che s'era messo addosso, in un colla foggia
ardita, quasi mascolina, del suo acconciamento. E allora, nell'animo
vigliacco del creolo, un'ignobile contentezza si diffuse. Il rimorso
si ritrasse davanti alla segreta soddisfazione d'aver così bene
organizzato il libro mastro, in partita doppia, della sua esistenza.
Ora cominciava ad apprezzar Milla.... si proponeva di crearle
un'esistenza veramente beata.

Non era forse uno squisito contrasto quello che l'aspettava di piè
fermo, ad ogni suo ritorno da Genova? Nella placida, profonda
corruzione dell'animo suo, il gentiluomo aveva poste le basi del
_modus vivendi_ per l'avvenire, e si congratulava ignobilmente con sè
stesso. Marito ed amante fortunato, egli godeva contemporaneamente gli
orgasmi febbrili d'un antico ardore, ravvivato nell'attrattiva suprema
d'un secondo adulterio, e le pure, soavi soddisfazioni d'un affetto
ingenuo, delicato, gentile.... quasi abbastanza attraente per dare una
certa poesia persino alla noiosa prosa dell'amore legittimo.

Egli pensava così, e sul suo capo il cielo azzurreggiava intensamente,
il sole irradiava la sua strada, la campagna amena, sorridente lo
accompagnava colle sue verdi, infinite giocondità.

Per un po' quei due scappati da casa chiacchierarono allegramente. Ma,
quando furono al principio della discesa, Giuliano disse a Milla:

--Ora, carina, fammi il piacere di star quieta per un momento; siamo
vicini ad una certa voltata alla quale bisogna star attenti. Ci vuol
occhio e un cavallo sodo.

--Oh! Mia è una perla--rispose Milla, crogiolandosi nel suo cantuccio
e imitando scherzosamente la posa classica d'un _groom_ a cassetto.

Giuliano serrò il freno della meccanica, e, benchè la discesa non
fosse ancora principiata, mise Mia al passo.

Drollino, dietro al muro del cimitero, aveva udito da lungi il passo
di Mia. Oh! quel passo della sua cavalla!... l'avrebbe riconosciuto
fra mille. Sentì nel cuore un gran schianto, una ribellione tremenda.
Ma non cedette. Solo per esser più sicuro, guardò ancora una volta
oltre il sommo del muricciuolo.

No, non s'era ingannato. Sulla strada il sole batteva splendidamente
suscitando dei riflessi abbaglianti nei cristalli dei fanali. Ma ciò
non gli impedì di ravvisare Mia, l'_americana_, la barba bionda del
Duca, e accanto a lui l'uniforme verde coi bottoni dorati di Battista.
Ecco, il momento era venuto.

Scese, armò il cane della pistola, e, nicchiato dietro il muro,
aspettò che la carrozza passasse precisamente di lì. Mormorò due
nomi:--Mia e Milla!--Sì, egli liberava entrambe da un ignobile giogo!
Esse non lo sapevano, ma egli le vendicava in un punto solo, Mia e
Milla!

No! la Duchessa non _doveva_ correre il rischio delle rivelazioni d'un
mascalzone! E se moriva anche lui, questo mascalzone; ebbene, meglio
così, il segreto che, svelato, _potrebbe_ uccidere la Duchessa,
_morrebbe_ con lui e col Duca, laggiù, in quel burrone.

Mia giungeva in quel momento, al passo, davanti al muro del cimitero.

Drollino cessò di pensare. Sorrise, alzò la pistola e sparò.

Fu un tonfo terribile.

Subito, in strada, s'udì un galoppo sfrenato, poi un grido di donna
disperato, acutissimo.

Drollino balzò in piedi, s'avventò al vertice del muricciuolo e guardò
in giù.

Mia, furente, fuggiva a precipizio per la discesa con degli sbalzi
violentissimi. Il Duca, stravolto in viso, tirava le redini a dritta e
a sinistra con tutta la forza dei polsi; accanto a lui, invece di
Battista, c'era una donna.

Teneva il capo rovesciato all'indietro, il cappello le era caduto, e
Drollino ravvisò la Duchessa.

Rimase un secondo come fulminato. Poi urlò--Cristo!--s'avventò
all'altro lato del muricciuolo, spiccò un salto e cadde sulla via. Si
rizzò colle mani insanguinate. Mia, in preda al suo parossismo di
terrore, precipitando per la china giungeva in quel momento. Faceva
scarti violenti che sconquassavano l'_americana_, aveva la criniera
al vento, le nari fumanti.

Il Duca, cogli occhi smisuratamente aperti, gridava: aiuto! Era pazzo
di terrore, fissava il burrone verso cui si sentiva irresistibilmente
trascinato. Gettò un urlo e chiuse gli occhi.

Milla era svenuta.

Drollino, con un salto da pantera, s'era gettato sulla cavalla,
avvinghiandosele al morso, opponendo all'impeto delirante della corsa
sfrenata la forza d'una resistenza quasi sovrumana. L'uomo ed il
cavallo lottarono un momento, poi s'udì un nitrito di dolore, uno
schianto di legnami che si spezzano, poi, in un nuvolo di polvere, si
vide a pochi passi dal ciglio del burrone un informe gruppo di membra
umane e cavalline, che dibattendosi e rotolando, cadevano assieme. La
carrozza, con un ultimo violento sobbalzo, si fermò, mentre
quell'ammasso s'agitava sul terreno con una serie di moti convulsi,
che s'andarono gradatamente quietando. Tutto ciò era accaduto in
pochi secondi. Il Duca aprì gli occhi, si vide salvo, e vide che
Milla era soltanto svenuta. La sollevò fra le braccia e l'adagiò
sull'erba, al sicuro. Poi si accostò di nuovo al legno spezzato. Vide
Mia, distesa per terra, che dava gli ultimi tratti, e, sotto al fianco
palpitante della cavalla, vide colui che con atto di audacia disperata
era giunto in suo aiuto, in quel supremo istante di pericolo. Si chinò
a guardare, e in quell'uomo, immobile, morto forse o privo di sensi,
ravvisò Drollino.

Il rimbombo dello sparo aveva chiamata gente. La Duchessa, che
cominciava a riaversi, fu sopra una barella improvvisata ricondotta
alla villa. Il Duca, rassicurato sul conto di sua moglie, volle
tornare sul luogo del disastro dove i sopraggiunti finivano allora
allora di liberare Drollino.

L'infelice giovane era ancor vivo, ma il suo stato metteva
raccapriccio. Nella sua lotta disperata colla cavalla aveva ricevuto
da questa un violento calcio nel petto; un braccio era spezzato, e al
disopra dell'occhio destro il sangue generoso del giovane, spicciava
abbondante da una ampia ferita.

Il medico del villaggio, chiamato in fretta e furia, visitò sul luogo
stesso Drollino, che i contadini avevano adagiato sui cuscini della
carrozza.

Pareva ancora svenuto. Il dottore, dopo averlo attentamente esaminato,
si lasciò sfuggire un _ehm_ che non prometteva nulla di buono. Il Duca
lo interrogò ansiosamente.

--Mi spiace--rispose il dottore,--ma temo che i polmoni siano in
isconquasso. È un uomo andato.... questione di giorni..., capisce?

Drollino ebbe un moto ed un gemito. Era tornato in sè.... aveva udita
la sua condanna?

Chi potrebbe dirlo? Sul suo volto macchiato di sangue e di polvere
l'espressione era illeggibile.

Lo trasportarono, semivivo, nella sua antica stanzetta della cascina,
al limitare dei pascoli.

       *       *       *       *       *

La Duchessa s'era addormentata, e Giuliano, ritto a piè del letto,
guardava la bella testina serena, adagiata mollemente sul guanciale.
Egli aveva voluto, per eccesso di precauzione, che Milla rimanesse a
letto durante i primi tre giorni susseguiti al terribile avvenimento.
Ma la giovane signora s'era prontamente riavuta. D'altronde, la scossa
non era stata eccessiva, neppur per il suo delicato organismo. Svenuta
sui primordii del pericolo, ella non aveva assistito a tutte le fasi
del disastro: ritrovatasi incolume a casa, e vedendo illeso Giuliano,
non aveva pensato che a ringraziare fervorosamente Iddio. Le avevan
detto che la carrozza s'era fermata a tempo.

Il Duca, per non arrecarle dispiacere, aveva espressamente proibito
che le si parlasse di Drollino. Milla ignorava quella coraggiosa
intervenzione e le sue fatali conseguenze. Sempre allo scopo di non
affliggerla, non le tennero neppur parola della morte di Mia. Giuliano
le asseverò essere lo sparo fatale, che tanto aveva spaventata la
cavalla, nulla più che l'opera d'un cacciatore di passere. Milla
accettò, senza discuterla, la versione di Giuliano; si calmò
gradatamente, tornò lieta e serena. Non era forse Giuliano il suo
profeta infallibile e adorato? perchè non gli crederebbe quando per
l'appunto egli diceva così? Ecco, per esempio, egli le aveva detto or
ora:--Sii buona, e provati a dormire, hai bisogno davvero d'una
dormitina.--Ella non sentiva affatto il bisogno della dormitina; pure,
a furia di star quieta e immobile, il sonno era venuto. Dormiva ora
placidamente, con un abbandono dolce e sicuro, con una mano ancora
serrata fra quelle di Giuliano. E così noi, nella calma fiduciosa del
suo sonno sereno, vediamo per l'ultima volta la nostra eroina, la
Duchessa Milla Lantieri dei Principi d'Astianello.

Giuliano districò pianamente le proprie dita dalle dita di sua moglie,
depose con delicata cura la mano di Milla sulla rimboccatura del
lenzuolo, poi quasi furtivamente, in punta di piedi, uscì dalla
stanza.

Era profondamente turbato.... il corso pericolo, quel vedersi,
sentirsi di fronte a una morte terribile, e, diciamo pure, anche il
pensiero della sorte che aveva minacciata la Duchessa, avevano
lasciato nell'animo suo un'impressione grave. Il creolo era stato
fortemente scosso; non poteva sopportare il ricordo di quel momento,
ma il ricordo implacabile non lo abbandonava mai. La sua riconoscenza
per Drollino era infinita, e l'idea che quell'infelice morisse, così,
per loro, gli era penosissima. E, come se non bastasse, gli era giunta
all'orecchio una strana diceria, che aboliva intieramente il
cacciatore di passere, ed evocava in sua vece un nemico ignoto,
implacabile, il quale, edotto del difetto di Mia, ne aveva calcolate
le conseguenze, e s'era valso d'un mezzo che non lasciava traccie, e
avrebbe infallibilmente sortito i più funesti effetti, se Drollino,
per un'inesplicabile, quasi miracolosa circostanza del caso, non si
fosse trovato lì per l'appunto in quell'istante fatale. Ma come
scoprirlo questo strano nemico, come garantirsene in avvenire.... a
chi chiedere?... Drollino solo forse avrebbe potuto dir qualche cosa.
Ma Drollino, poveretto, non era certo in grado di fornir ragguagli: le
lesioni interne erano così gravi da non lasciar la benchè minima
speranza: s'indeboliva gradatamente, aveva continui sbocchi di sangue,
ed ogni parola che pronunziasse equivaleva ad un agitare della
clessidra, quando gli ultimi granelli di sabbia stanno per cadere
lungo la strettissima gola del cristallo.

In villa e per tutta quanta la tenuta la relazione dell'avvenimento
aveva suscitate forti emozioni, ammirazione illimitata per Drollino, e
dubbi gravi assai. Da tutti si compiangeva il giovane capo di
scuderia, si vantava il suo atto eroico di abnegazione, gli si
perdonava ora, in grazia dell'accaduto, il suo carattere aspro e
orgoglioso, le bizze, l'indipendenza un po' selvatica del suo passato.
Il primo giorno, alla cascina, c'era stata una vera processione dei
camerati della tenuta; ma ora il medico, d'accordo con Drollino
stesso, aveva rigorosamente proibite le visite; eccettuate, ben
inteso, quelle del Duca.

Il Duca si mostrava angustiato dallo stato di Drollino. Veniva spesso
a vederlo, e inquieto del rapido progresso del male, si recava alla
cascina ogni qualvolta poteva allontanarsi dalla villa senza dar
sospetto a sua moglie. E anche stavolta, non appena vide Milla
addormentata, uscì in fretta, dirigendosi verso la cascina. Nel
cortile, all'ombra d'un vecchio fico, stava riunito un gruppo di
contadini, inquilini del cascinale. Al giunger del Duca, s'alzaron
tutti, salutando rispettosamente.

Giuliano si fermò a chieder loro notizie dell'ammalato.

Un vecchietto rubizzo rispose subito e per tutti:

--Male, male assai, signor padrone. Stamane è venuto il prevosto, e
gli ha fatto fare le sue divozioni; e il dottore ha detto che sarà un
miracolo se passa la notte.

Il Duca mise un sospiro profondo e sincero.

--Vuole andar su?--chiese premurosamente una donnetta attempata,
ch'era allora allora sbucata da una prossima cucina.--Vedrà che cosa
da far pena! Son io che lo veglio, quel poveretto, e da tre notti non
chiudo occhio.

E così parlando, precedeva il Duca su una scaletta di legno, e poscia
per un andito scuro che faceva capo alla camera di Drollino. Entrarono
entrambi in punta di piedi.

La stanza era pulita; le patate c'eran tuttora, ma ammonticchiate
accuratamente in un canto, e non davan noia. La finestrina era chiusa,
e alla rottura dei vetri s'era riparato apponendo sulla intelaiatura
qualche spesso foglio di carta, attraverso il quale giungeva
affiochita la luce dall'esterno. Drollino sedeva sul letto,
appoggiandosi ad un ammasso di cuscini, e si sentiva sin dall'uscio lo
sforzo penoso del suo alitare. Il braccio rotto stava inerte e
stecchito nella sua fasciatura appeso al collo con un _foulard_ rosso,
colla mano libera; il giovane portava ogni tanto alle labbra un
fazzoletto bianco, e lo ritraeva quindi macchiato di sangue. Una benda
bianca gli serrava di sbieco la fronte, e lasciava vedere soltanto
l'occhio sinistro stranamente quieto e profondo, d'una luminosità
quasi paurosa. Qualche chiazza di sangue qua e là sulle lenzuola.

Il Duca, col cuore stretto da un'angoscia profonda, sedette appiè del
letto, su una seggiola che la vecchia gli aveva premurosamente recata.
Salutò l'ammalato, e cercò d'intavolare qualche frase di conforto e di
speranza. Ma non proseguì. L'occhio di Drollino s'era repentinamente
fissato su di lui con una forza così intensa di divieto che il Duca
smarrì il filo del discorso, e tacque.

Drollino alzò la mano che reggeva il fazzoletto, guardò la vecchia, e,
con quel cencio insanguinato, le accennò la porta.

La vecchia allibì, rimase un momento in forse; poi, completamente
dominata, uscì senza far rumore.

Al Duca parve che nella camera fosse piombata in quell'istante
un'ombra nuova ed arcana. E stava fermo, inchiodato sulla seggiola da
una possa misteriosa, ch'egli subiva suo malgrado.

Drollino continuava a fissarlo col suo occhio da ciclope, acceso
dall'ardor della febbre. Il silenzio continuava oppressivo, pesante.

Finalmente il Duca, tormentato, chiese a Drollino se avesse qualche
cosa da dirgli.

--Sì,--rispose Drollino.

La voce di Drollino era orribile a udirsi: roca, sibilante, con un
suono alterato, gutturale, come il congegno d'una macchina che,
spazzata, stride sotto la mano di chi lo tenta.

Il Duca dominò un brivido, e continuò:

--Forse, nevvero, vuoi parlarmi dell'accidente in cui la tua generosa
audacia.... Sapresti.... potresti dirmi chi?... Si dice che sia stato
un attentato. E tu sai...?

--Lo so!

--Oh, te se prego.... parla.... Capisci bene, è necessario.... perchè
possa premunirmi.... per l'avvenire.

Drollino ebbe una specie di sorriso, e le sue labbra si contrassero
con un'espressione d'ironia.

--Non c'è più bisogno di precauzioni! egli non può più farle del male.
Guardi....

E col fazzoletto indicò sè stesso.

Giuliano non poteva, non voleva capire. Gettò un grido.

--Tu?--disse finalmente, balzando indietro e tremando.

--Io.

--Tu.... sciagurato!... apposta?... apposta?... perchè rimanessimo
uccisi?

Drollino scosse il capo.

--Non loro due.... io non sapevo che ci fosse anche la signora....
Volevo.... solamente lei....

Sulle tempie del Duca scorrevano grosse goccie di sudore.

--Tu--sclamò ancora--tu? ma perchè? cosa t'ho fatto?

--A me.... nulla--rispose Drollino fra due sibili.--Ma perchè guidava
Mia? e perchè voleva far morire la nostra.... signora?

--Io?--gridò inorridito il Duca;--ma tu sei impazzito?

--No,--rispose Drollino,--l'ha detto il dottore.... e non era giusto
ch'ella morisse.... per causa sua.... Si ricordi.... l'autunno
scorso....

Il Duca cominciava a capire. Si fece pallidissimo; cercò invano, con
uno sforzo disperato, una parola di diniego, di scusa da gettare in
faccia a quel morente. Ma non la trovò, e non poteva mentire davanti a
quell'occhio unico che lo guardava immobile.

Drollino gli accennò d'avvicinarsi.

--Non abbia paura,--continuò, serbando sempre quel funebre simulacro
di sorriso--ora, ora.... vede bene.... è finita.

Si fermò, la voce gli venne meno in uno schianto di tosse, che gli
empi la bocca d'una salivazione sanguigna.

Giuliano aspettò, tremando verga a verga; poi:

--Ma ora.... ora....--tentò di mormorare.

--Ora....--rispose con uno stridore soffocato Drollino. E avventò,
ergendo il capo, una sola parola:--Genova!

Atterrito, annientato, il Duca chinò la testa. Vacillava come un
giunco mosso dal vento.

Drollino, passato l'accesso, continuava:

--Ora, sarebbe morta, forse.... quando lo avesse saputo.... E lei,
signor Duca.... ha preso Mia.... Allora mi sono ricordato, e volevo
che Mia fosse la causa.... Ma ho visto la Duchessa, e sono venuto....

Non potè proseguire; un secondo impeto di tosse gli mozzava
quell'aspro filo di voce. Allora, nell'accesso stesso sbattuto dallo
sforzo dello schianto rantoloso della tosse, ma tenendo sempre
Giuliano sotto il fascino spietato del suo sguardo, Drollino lasciò
andare il fazzoletto, e sollevando la mano, come un giudice che
condanna inesorabilmente, alzò un dito.

Nel silenzio della stanza si sentiva l'affanno ormai, quasi parimenti
angoscioso, di due aliti oppressi.

Un gorgoglio s'affoltò nella gola di Drollino. Ma egli, con uno sforzo
supremo, mormorò ancora una parola:

--Si ricordi!...

Poi tacque, cessò di guardar Giuliano, e adagiò il capo sui guanciali.

Passò un minuto prima che il Duca trovasse la forza di uscire.

Sulla soglia della cascina s'imbattè col dottore.

--Sta male, eh! quel poveraccio?--chiese il medico, vedendo il viso
alterato di Giuliano.

--Sì....--balbettò il Duca--temo che....

--Per bacco!... l'ho detto subito che era affar di pochi giorni. Ma
lei non ci venga più qui. Vada via, che questi non sono spettacoli per
lor signori; e tanto, ormai è finita. Vada via, le dico, e mi cambi
subito quella brutta cera, che, se no, son capace di farle un salasso
qui sui due piedi.

Giuliano rispose con un tentativo di sorriso agli scherzi e ai
consigli del medico; poi s'allontanò adagio adagio, perchè dal
cascinale non si avvedessero ch'egli si reggeva a stento sulle gambe.
E solo quando fu lontano sulla via, lungi da ogni sguardo, nell'ombra
discreta d'una macchia, allora soltanto si lasciò andare. Cadde a
sedere su un tronco d'albero.... brancolando.... cercando un appoggio,
come una donna che vien meno.

Il Duca era vinto.... la scena era stata troppo forte per lui. Sulla
sua fronte pallida il sudore si rinnovava ogni momento. Balbettava
sconnesse parole.... batteva i denti.... rabbrividiva, smentendo, nel
codardo abbandono di quel momento, tutta la sua calma di gentiluomo,
la sua placidità di uomo forte, la sua stupenda indifferenza di
creolo. Ebbe uno scoppio di pianto nervoso, quasi isterico, e non
cercò di frenarlo: chi lo vedeva colà, chi lo udiva?... Milla non era
in presenza del suo idolo. Olga era a Genova, lungi dal suo schiavo
gran signore! E i passeri della macchia non si curavano punto di quel
Duca in lagrime, buttato là come un cencio.... scosso da quei
singhiozzi spasmodici.... che non erano forse nè tutta paura, nè tutto
rimorso!...

       *       *       *       *       *

La camera di Drollino era quasi buia. Per terra, in un angolo, ardeva
un lumicino d'olio, e la sua poca luce era attenuata da una specie di
paralume improvvisato. Dietro ai vetri e alla carta della finestrina,
s'urtava un raggio di luna che cercava d'insinuarsi all'interno
disegnando sull'ammattonato e sulle pareti lunghe striscie bianche,
d'uno splendore freddo ed immobile. Nel camino ardevano lentamente
alcuni rimasugli di legna umida, e una vecchietta, adagiata in un
rustico seggiolone impagliato, lottava ostinatamente col sonno. Un
gentile odore d'erba secca veniva dal vicino fienile, e nel silenzio
della stanza giungeva ancora dal prossimo piano uno stridore ritmico
e incessante di grilli, cui teneva bordone una voce più immediata,
uscita dal focolare stesso del camino. E, a lunghi intervalli, qualche
nitrito affievolito dalla distanza.... qualche lontano interrotto
canto di rossignolo.... le voci solitarie dei pascoli, che si
stendevano addormentati ora e ravvolti nell'ombra notturna e infinita
del piano.

La donna non ne poteva più. Lo aveva detto al Duca; eran tre notti che
non chiudeva gli occhi! E ora quei poveri occhi stanchi si chiudevano
irresistibilmente. Il rumore affannoso, sibilante che Drollino faceva
respirando, non bastava più a tenerla desta. E i grilli,
nell'interminabile monotonia del loro coro, non parevano modulare che
una sola parola: dormire, dormire!

A dir vero, Drollino pareva molto più quieto adesso; il rumore dei
suoi rantoli affaticati pareva diminuire. Ora invece vaneggiava.

Sulle prime, essa aveva voluto dar retta alle parole, alle frasi
interrotte di quel quieto delirio. Ma poi se n'era stancata; eran
tutte frasi del suo mestiere, e non si capiva nulla. Piuttosto, per
tenersi desta, ricorse al rosario. Ma nemmen questo valeva: essa
pronunciava affatto macchinalmente quelle note e sacre parole; la
mente le si intorpidiva nel sonno.

--Mia! sta quieta,--diceva dolcemente Drollino.--No, no, non va bene
così! più ritta.... Avanzi il ginocchio.... ora terrò la staffa....
tiri a destra.

La vecchia provò a cambiare. _Salve regina, vita dulcedo, spes
nostra_....

Drollino continuava sempre più sommessamente:--Volti, ora; aspetti....
poggi sul fianco, niente paura..., più alta la briglia. Non abbia
paura..., non si farà male.... son qua io....

In quegli accenti spezzati si sentiva una modulazione quasi
carezzevole, qualche cosa di indicibilmente sentito e profondo. La
vecchia si destò con un sobbalzo, e continuò: _in hac.... lacrimarum
valle_....

Di repente sul volto di Drollino si operò un mutamento. I tratti
s'affilarono, informandosi sulle ossa, che parvero avanzarsi sotto la
pelle e sporgersi con un più marcato rilievo. Il volto assunse una
tinta grigiastra, d'una trasparenza perlacea, e sotto alla quale
s'accusava, sotto un lividore quasi violaceo, il colore di un frutto
troppo maturo che, toccato, si ammacca.

La vecchia s'era addormentata. Russava ora ella stessa, colla corona
abbandonata sulle scarne nocche delle dita. La lucernetta, in cui
l'olio veniva meno, mandava una luce vacillante, che si esauriva
lottando ad un tempo contro l'ombra della stanza e il chiarore incerto
del lume di luna.

Allora, nell'agonia solitaria di Drollino, cominciò la splendida
gloria d'un sogno. L'ordine della sua esistenza si capovolse negli
ultimi sforzi della memoria: presso alla fine, egli rivisse, l'estasi
suprema di un'ora della sua prima gioventù.

--Dagli un bacio,--diceva il Principe ridendo. E la testolina bruna
della bambina si chinava verso di lui; due labbruzze strette,
allungate cercavano le sue; una vocina festosa ripeteva:--Prendi,
Drollino, prendi!

Egli non si tirò in là, non ricusò. Mosso il braccio, brancolando nel
buio, come se volesse stringere.... afferrare.

Poi, con un'ospressione di supremo trionfo, gridò:--Mia!

La vecchia si destò di botto.... Gesù Maria!... parlava sempre quel
poveretto, non si chetava mai! Ecco che adesso chiamava la sua
cavalla.

       *       *       *       *       *

Stette ancora in ascolto, ma non sentì più nulla. Le parve anzi che il
rantolo fosse cessato.... a un tratto. Inquieta, s'alzò, attizzò il
lucignolo della lucerna e s'accostò al letto!

E subito, spaventata, si ritrasse per chiamar gente.

La camera s'empì in breve di contadini. Ma nessuno ormai, nulla al
mondo poteva turbare l'ultimo sogno di Drollino. Lo spirito,
all'estremo, s'era rifugiato in quel sogno, e aveva varcato il
confine.



FINE.


[Illustration]





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