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Title: I coniugi Varedo
Author: Castelnuovo, Enrico, 1839-1915
Language: Italian
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I Coniugi Varedo

E. CASTELNUOVO

I Coniugi Varedo

ROMANZO



MILANO
Casa Editrice BALDINI & CASTOLDI

Galleria Vittorio Emanuele, 17-80

1913



PROPRIETÀ LETTERARIA



MILANO--TIP. PIROLA & CELLA DI R. CELLA



I.

Una promessa di matrimonio.


--Buona sera, Gustavo--disse la signora Valeria Inverigo, alzando gli
occhi dal suo ricamo e tendendo la mano a un uomo di mezza età, di
statura giusta, d'aspetto simpatico, ch'era entrato senza farsi
annunziare.

--Buona Sera, Valeria. Come va?

Erano fratello e sorella, ella vedova, egli scapolo. Scambiati i
saluti, l'ingegnere Gustavo Aldini si avvicinò alla stufa.--Qui si sta
bene. Dai Nocera faceva un freddo....

--Vieni di là?

--Sì.... Anzi l'Adelaide m'incarica di dirti che ti rimanderà presto
quei giornali.

--Non c'è fretta--replicò la signora Valeria. Stette un momento
soprappensiero; poi soggiunse:

--E il consigliere è contento d'essere tornato a Venezia?

--Perchè non dovrebb'essere? Il trasloco a Venezia l'ha chiesto lui.

--Lui o lei?

--Lui, lui. Tutti gl'impiegati chiedono di tornar nel loro paese.

--Sarà... Se però i Nocera restavano ancora qualche anno laggiù era
meglio.

--Oh, Valeria.... Un tempo tu volevi molto bene all'Adelaide....

--E gliene voglio sempre.... È come una sorella minore per me.... Ma
via, tu capisci....

L'ingegnere si portò un dito alla bocca.--Zitto.... Non esser cattiva.
Parliamo di Diana piuttosto. È al liceo Marcello?

--Sarà qui a momenti.... Il professore Varedo s'è impegnato a non
parlare che per cinquanta minuti al più.

--Uhm!

--Già avresti fatto bene ad andarci alla sua conferenza.

--Io? No, no.... Sono refrattario alle conferenze, io.... E perchè non
ci sei andata tu?

--Ah, d'inverno la sera io non esco quasi mai. Tu potevi far
un'eccezione per una volta.

--Per sentire una predica?... Figurati!... Con quel tema: _Il
dovere_?... Che zuppa!

--Sei ingiusto con Varedo. È un giovine d'ingegno.

--Si può avere ingegno ed esser noiosi.

--Ma lui non è noioso...

--Opinioni. È un punto in cui non sono d'accordo con te e con
Diana.... Con Diana soprattutto.

Dalla fisonomia dolce e placida della signora Valeria trasparì il
dispiacere che le recava questo dissidio, ed ella borbottò:--E pure...

--Lo so, lo so--rispose l'ingegnere con una spallucciata--che mi
toccherà accettarlo per nipote.... s'egli ti farà l'altissimo onore di
domandarti la mano della tua figliuola... Perchè sarebbe tempo che si
decidesse, mi pare.... A ogni gita di quel signore a Venezia si crede
che la bomba debba scoppiare; poi egli torna tranquillamente alla sua
cattedra, e la conclusione è rimandata alle calende greche... Tirare
in lungo così non è bello.

--Verissimo.... E son risoluta anch'io a metterlo alle strette... Ma
io spero.... Zitto!... Hanno suonato.... Sarà Diana.

--Con chi è andata alla conferenza?

--Con miss Jane e con le Duranti che sono passate a prenderla....
Eccola.

Diana irruppe nel salotto, raggiante.

Portava un tòcco di lontra, una giacchetta color marrone guarnita di
lontra anch'essa, un vestito di lana scura, succinto, accollato.
Poteva avere ventuno o ventidue anni; aveva occhi bruni, a mandorla,
folti e indocili capelli castani che le ombravano la fronte, e si
raccoglievano in trecce dietro la nuca; persona svelta e ben
proporzionata; grandi, ma non tanto da sconciarle la fisonomia, il
naso e la bocca. In complesso piacente, senza essere bella.

--Sola?--chiese la signora Valeria.

--Miss Jane è qui dietro... Ci mette un secolo a far la scala.... Le
Duranti verranno domani. Ah, mamma, che peccato che tu non abbia
assistito alla conferenza!

--Troppo freddo in istrada, bambina mia, troppo caldo nella sala,
troppa folla--rispose la signora Valeria.

--Oh in quanto a questo, sì... La sala era gremita. Fino nel
vestibolo, fino sul pianerottolo, fin su nella galleria s'accalcava la
gente.

--Vedi dunque....

--Ma tu, zio--ripigliò la ragazza--non hai una scusa al mondo.

--Abbi pazienza; alle conferenze mi addormento, e se mi addormento
russo.

--A questa di Varedo non ti saresti addormentato.... Me ne appello a
miss Jane.

Miss Jane, ch'entrava in quel momento, rivolse uno sguardo
interrogativo alla sua pupilla. Era un'inglese, che aveva piuttosto il
tipo d'una tedesca, piccola, rosea, grassottella, flemmatica.

--Dica lei, dica il suo parere sulla conferenza di questa sera.

Miss Jane, che ansava un poco, posò il manicotto sopra una sedia, si
sbottonò i guanti, e rispose:--_O yes, beautiful indeed..._ Molto
bella.

Pronunciata questa sentenza, la governante si sprofondò in una
poltrona in un angolo del salotto.

Per Diana ci voleva ben altro.--Una maraviglia, un incanto... E mai un
pentimento, mai un'esitazione... E neanche una nota.

--Che memoria!--esclamò lo zio.

--Nossignore, improvvisava.

--Demostene addirittura.

La signora Valeria slanciò un'occhiata di rimprovero al fratello,
mentre Diana, piccata, replicava:

--Oh c'erano tante persone che applaudivano... tanti professori, tante
signore.

--Sentiamo, sentiamo di chi era composto questo sinedrio femminino?

--Ho proprio tempo da passarle in rassegna... C'era la Rigaldi con le
figliuole.

--Anche con quella di due anni?

--Sei intollerabile.

--So ch'è una famiglia dove si comincia tutto presto... Avanti...

--C'era la contessa Bisenti, la marchesa Terriani con la nuora, la
signora Astolfi, la moglie del provveditore agli studi...

--Povera donna!... Condannata a subirsi tutte le conferenze dalla
prima all'ultima... Suo marito crede che questo entri nei doveri
d'ufficio... Avanti...

--Non dico altro.

--E adesso non c'è più nessuno che non sappia quale sia il suo
dovere--ripigliò Gustavo Aldini con aria di mite canzonatura.

--Non la tormentare--interruppe la signora Valeria.--E tu, Diana,
levati il tòcco e la giacchetta, chè qui fa caldo e rischi di
prenderti un malanno. Dov'è la Giuseppina?

--Non ne ho bisogno. Or ora vado in camera per un minuto. Ma mi fa una
rabbia quello zio...

--O perchè gli dai retta?

L'ingegnere, che si divertiva un mondo a punzecchiar la nipote, tornò
alla carica.--Insomma io vorrei che così in due parole tu mi dicessi
il sugo di questa famosa conferenza.

--La finisci, Gustavo?--ammonì la sorella.

--Che male c'è?--replicò Aldini candidamente.--Desidero istruirmi.

--Oh--saltò su la ragazza--se desideravi istruirti sul serio, dovevi
venire e avresti imparato anche tu qualche cosa...

--Il mio _dovere_?

--Per esempio il dovere di non esser seccante.

--Brava! È una risposta che mi piace.

--Le tiri pei capelli le impertinenze--notò la signora Valeria.

--Ma che impertinenze? Non son mica permaloso, io.

--Oh, è buono in fondo--disse, carezzevole, Diana.

Aldini ricominciò:--E se domando il sunto della conferenza...

--Ma basta--supplicò la signora Valeria.

--Il professore Varedo la stamperà... La leggerai--rispose la
giovinetta.

--Vedi che non era improvvisata.

--A momenti ti graffio il viso--minacciò Diana mostrando le unghie.

--Fammi la grazia, Diana--disse la madre,--giacchè devi andare nella
tua camera, vacci subito.

--Sì... Ma prima una parolina all'orecchio... Non voglio che lo zio
senta... È troppo cattivo.

--Mi licenzi?

--No... resta lì accanto alla stufa.

L'ingegnere accese un sigaro, Diana si avvicinò alla signora Valeria e
le sussurrò piano, dopo aver guardato l'orologio:--Alberto... il
professore Varedo sarà qui verso le undici a prender il the con noi...
Lo scuserai se non viene prima, ma deve liberarsi dagli amici che gli
si sono attaccati ai panni per festeggiarlo... Se tu avessi visto!...
E quante signore se lo disputavano!... Ma egli preferisce la nostra
casa.

E gli occhi della giovinetta sfavillavano nella gioia del trionfo.

La madre le diede un buffetto sotto il mento.

--Sta bene. Lo scuseremo... e lo aspetteremo. C'è dell'altro?

Diana abbassò ancora la voce.--Mammina cara, non te ne hai a male se,
prima d'interrogarti, ho dato un ordine alla servitù?

--Che ordine?

--Quello di non ricevere stasera nessuno, a eccezione del professore
Varedo.

--Oh Diana, Diana!... E perchè?

--Ho ragione di credere--seguitò la ragazza--ch'egli abbia da parlarti
in segreto.

--Davvero?

--Sì.

La signora Valeria tirò a sè la figliuola e la baciò teneramente. Indi
Diana, svincolandosi dall'amplesso, si avviò saltellante verso
l'uscio. Ma, così di passaggio, fece una breve sosta presso la stufa,
appoggiò le due mani sulle spalle dello zio, e con accento risoluto le
disse:--Se mi vuoi bene, e son sicura che me ne vuoi molto, non devi
fare opposizione. Sai che sono ostinata. O _lui_ o nessuno.

Prima ch'egli avesse tempo di rispondere, ella era già fuori della
stanza.

Miss Jane s'era, alzata per uscire anche lei, ma la signora Valeria la
trattenne con un gesto. E le chiese:--C'è stato un colloquio stasera
fra il professore Varedo e la signorina?

La governante protestò vivamente in un suo italiano particolare che
conservava la costruzione inglese.--Colloquio?... Avrei non
permesso... Dopo la conferenza, Miss Diana volle complimentare
l'oratore come tutti... Io ero con lei. Il professore appena vide noi
venne incontro a noi con mani tese... Feci mie congratulazioni...
Molte altre signore e gentlemen spingevano da tutte parti... Per mezzo
minuto io fui separata da Miss Diana... Forse allora il professore le
parlò piano... Io potevo non... non potevo sentire... Signorina
raggiunse me subito dopo, incantata, _enchanted, delighted, yes_.

--E per la strada il professore era con loro?

--Oh no... Avrei non permesso... Eravamo con signora e signorina
Duranti... Signorina diede suo braccia a Miss Diana. Io fui con la
madre, _o yes_.

--Basta così. Se vuol ritirarsi, vada pure.

Miss Jane riprese il manicotto e uscì salutando.

--_Fata trahunt_--borbottò Aldini.

--Per carità, non sfoggiare il tuo latino. Ne ho d'avanzo dell'inglese
di Miss Jane.

--Dianzi parlava italiano.

--Peggio ancora. Stento quasi altrettanto a capirla. Ma vuol fare
esercizio. Ha già dichiarato che quando Diana si sposi ella si
ritirerà a Londra per darvi lezioni di lingua italiana.

--Staranno fresche le sue allieve... Ma tornando a noi, ci siamo,
pare?

--Pare... E ti confesso che sarò liberata da un gran peso... Lo dicevi
tu stesso; così non poteva durare.

--No certo.

--Dunque?

L'ingegnere allargò le braccia con un gesto rassegnato.

--Ma perchè, santo Iddio, devi esser così ostile ad Alberto
Varedo?--proruppe la signora Inverigo.

--Andiamo, Valeria, non ci badare--replicò Gustavo Aldini con
dolcezza.--Lo sai ch'io vado soggetto alle antipatie.

--No, tu ti sei fitto in capo che Diana non debba esser felice con
quell'uomo... E pure l'hai sentita un momento fa:--O lui, o nessuno.

--Verissimo... Avrò torto io.

--Io vorrei delle ragioni--insisteva la signora Valeria, incapace
d'adattarsi a non esser d'accordo con suo fratello in un argomento di
tanto rilievo.--Alberto Varedo è un galantuomo, viene da una famiglia
di galantuomini... Il suo papà, la sua mamma, morti, poveretti, in età
ancor vegeta, erano fior di gente sulla cui memoria non c'è un'ombra.

Gustavo approvò con un cenno del capo.

--Lui, Alberto--proseguì la Inverigo--è un bravo giovine, sfido a
negarlo.

--Non lo nego.

--A ventisett'anni ha vinto un concorso alla Università di Torino: È
già lì da due anni professore straordinario; ha pubblicato opuscoli,
libri, collabora in vari giornali scientifici, è molto stimato, non ha
vizi... Ne hai chiesto informazioni anche tu a que' tuoi amici di
Torino e mi hai confessato lealmente di averle avute ottime. A meno
che tu non mi nasconda qualche cosa...

--Nemmen per sogno.

--Te lo giuro, vi son dei momenti in cui penso che tu sia in possesso
di qualche segreto relativo a Varedo...

--Sei pazza?

--Che so io? Di qualche pasticcio galante?... Di qualche catena?

Aldini scoppiò in una risata.--Alberto Varedo?... Che diamine?--Poi
soggiunse serio:--E puoi credere che se avessi un indizio, un dubbio
su questo proposito non sarei voluto andare a fondo, non mi sarei
confidato con te? No, no, Valeria, levati queste ubbie dalla mente e
non far d'una mosca un elefante... Io non ho nessun fatto da
rimproverare a Varedo, non ho nessuna colpa da addebitargli; mi è poco
simpatico, è vero, ma che vuol dir questo? Ho forse da sposarlo io?...
E adesso, perchè tu non debba annaspar nebbia, e anche perchè questa è
l'ultima volta che si torna sull'argomento, e se di qui a mezz'ora
Alberto e Diana sono promessi sposi io non fiaterò più e farò invece
ogni sforzo per vincere quella mia antipatia; adesso ti dico in poche
parole perchè non mi piace... Intanto non mi piace fisicamente...
questo ti fa ridere?... Bello o brutto non vorrebbe dir niente, pur
che avesse l'aspetto giovine come si ha l'obbligo di averlo a
ventinov'anni. Invece ne mostra quasi quaranta, con quel viso grave,
con quel vestito da pastore evangelico, con quell'aria cattedratica di
uomo che sia nato professore... Ed ecco il secondo motivo per cui non
mi piace... È un pedante... Dà lezioni sempre, forse senza volerlo...
In fine è un puritano, si scandalizza di tutto, non ammette scherzi...
Anche la conferenza di stasera...

--Se non l'hai sentita!--esclamò la sorella.

--Basta il titolo: _Il dovere..._ Lasciamolo in pace questo famoso
dovere... Ossia ognuno ne faccia quel tanto che può, e discorriamone
meno.

--Non hai altro... proprio altro?--domandò la signora Valeria.

--Non ho altro.

--Sia lodato Iddio!... Perchè questo è ben poco... Che Varedo sia
brutto o bello, che mostri più meno della sua età, quando Diana n'è
contenta!... Ella non si sarebbe adattata a sposare un uomo frivolo.
Lo sai, è uno spirito entusiasta.

--Sotto cui si nasconde uno spirito critico.

--Credi?

--Ne son sicuro. Non rammenti quelle novelline, quei bozzetti satirici
che si divertiva a scrivere anni fa?

--Bambinate. Ora ha smesso, e mostra un'inclinazione a studi più seri.
Aiuterà suo marito, con cui è d'accordo anche nel puritanismo... Un
po' puritana è anche lei... Tiene del suo povero babbo.

--Oh per questo non ho paura. Le lezioni della vita le insegneranno a
essere indulgente come la sua mamma.

--Non però di manica larga come il suo zio materno--disse ridendo la
signora Inverigo.

--Del resto--concluse l'ingegnere--poichè Domeneddio ha disposto nella
sua sapienza ch'io diventi zio del professore Alberto Varedo, spero
che finiremo coll'essere amici... Io ci metterò tutto il mio buon
volere.

La signora Valeria tese al fratello ancora una volta la mano.--Grazie,
Gustavo.

Egli strinse quella bella mano bianca e nello stesso tempo si chinò su
Valeria e la baciò in fronte.

S'erano amati da bambini in su, ed egli era un cuor d'oro sotto il suo
scetticismo apparente.

--Sono le dieci e tre quarti--notò la signora guardando
l'orologio.--Varedo non può tardare... Non capisco che cosa faccia mia
figlia... A meno che non voglia lasciarmi sola col suo aspirante.

--In questo caso batto in ritirata.

--Ma no; tu sei, dopo di me, il più stretto parente che abbia Diana;
Varedo è avvezzo a vederti qui; rimani.

Il colloquio fu troncato dalla comparsa di Diana. Ella s'era mutata da
capo a piedi; aveva un elegantissimo vestito chiaro, un po' aperto sul
davanti. I suoi occhi ridevano.

La madre e lo zio ebbero un'esclamazione di maraviglia.--Che lusso!

--Se gli abiti belli non si mettono in queste circostanze--ribattè la
ragazza--quando si devono mettere?

--Diana, Diana--ripigliò la signora Inverigo, e c'era una nota di
sgomento nella sua voce;--sei poi sicura che accadrà stasera quello
che tu desideri?

--Sicurissima--replicò con baldanza la figliuola.

--E se _qualcheduno_ desidera parlarmi a tu per tu?

--Quel _qualcheduno_ avrà molto piacere ch'io ci sia.

--E io?--domandò Gustavo Aldini.

--Tu?... Ecco, se tu sei lo zio buono, accondiscendente, gentile ch'io
sono avvezza a conoscere e ad amare, la tua presenza sarà _per noi_
una gioia di più... se poi...

Anzichè terminare la frase. Diana tese l'orecchio e con un cenno della
mano intimò silenzio.

Com'erano accese le sue guancie! Come batteva il suo cuore!

L'uscio s'aperse; il domestico annunziò:--Il professore Varedo.

Mostrava realmente un po' più de' suoi ventinove anni; non ne mostrava
quaranta come aveva detto Gustavo Aldini; era piuttosto brutto che
bello; nella gravità, nell'andatura, nel vestito poteva risvegliar
l'immagine d'un pastore evangelico; ma in complesso non era nè così
brutto, nè così grave, nè così solenne come si sarebbe supposto
badando alla descrizione iperbolica dell'ingegnere. O forse l'emozione
naturale di quell'ora decisiva dava alla sua fisonomia un'insolita
mobilità.

Fatto si è che quella sera stessa Alberto Varedo chiese ed ottenne la
mano di Diana Inverigo.



II.

In casa degli sposi.


Poco più d'un anno dopo, in una sera fredda di marzo, l'ingegnere
Gustavo Aldini scendeva da una vettura di prima classe alla stazione
centrale di Torino.

I Varedo erano sotto la tettoia ad aspettarlo.

--Oh zio--disse Diana buttandogli le braccia al collo mentre il
professore lo liberava dalla valigia.--Bene arrivato. Perchè non hai
portato con te la mamma?

--Capirai, di questa stagione una donna d'una certa età si sposta mal
volentieri.

Diana protestò:--Una certa età?... È giovine ancora la mamma.

--Sicuro che non è vecchia... A ogni modo...

--Ma sta bene, non è vero?

--Sì, grazie al cielo, sì... E puoi immaginarti quante cose m'ha detto
per te, per tutti e due... A voi altri non domando come stiate; si
vede.

--Ci vedrai meglio a casa.

Aldini, venuto a Torino, oltre che per salutare la nipote, anche per
certi affari d'una Compagnia assicuratrice a cui egli apparteneva,
avrebbe preferito alloggiare all'albergo, ma i Varedo non glielo
permisero.

--Se ci fai un tiro simile--dichiarò Diana--non ti guardo più in viso.

Fuori della stazione, il professore aperse lo sportello di un fiacre e
vi fece entrare sua moglie e lo zio.--Io vado a piedi--egli
disse.--Passo un momento al Circolo filologico... Di qui a mezz'ora
sono a casa... Arrivederci... E bada Diana, se viene Bardelli, che
aspetti.

Gustavo Aldini fu riconoscente a Varedo d'averlo lasciato solo con sua
nipote, e forse anche Diana aveva piacere di trovarsi a tu per tu con
lo zio.

Onde, appena la vettura si fu mossa, vi fu un fuoco incrociato di
domande e risposte.

--Raccontami della mamma, della nostra casa, degli amici.

--Tutti benone, tutti ti ricordano. Ma parlami di te...

--Io sono contentissima... Ma ci vai ogni giorno dalla mamma?

--Quando sono a Venezia anche due volte al giorno... Dunque sei
contenta?... Proprio?

--Proprio... Se non avessi il cruccio della mamma ch'è così sola.

--Non tanto. Riceve sempre qualcheduno, la sera specialmente: le
Duranti, Rinardi, Frandini, il dottore Del Marmo, i Nocera... Ma tu
non ci annunzi ancora nessuna novità?

--Che novità?

--Via, non far l'ingenua... Le novità che si possono aspettare dalle
spose.

Forse Diana arrossì, ma in carrozza era buio, e lo zio non se ne
accorse.

--C'è tempo--ella disse.

--Lo so che c'è tempo... Ma spero bene che non ci farete sospirare
troppo.

--Non c'è fretta--ripetè Diana. E tornò sul discorso della
mamma.--Poteva venire a passar l'inverno con noi, che se pur qui fa
più freddo si è meglio riparati che a Venezia...

--Verrai tu a casa nella stagione dei bagni.

--Sì, ci verrò... Ma se la mamma avesse passato l'inverno a Torino non
si sarebbe rimaste divise che per pochi mesi... almeno in questo primo
anno.

--In agosto si compirà appunto un anno dal tuo matrimonio.

--Vi ho rifatto una visitina ai primi d'ottobre... dopo il viaggio di
nozze.

--Meno d'una settimana.

--Non si poteva di più. Alberto doveva esser qui per gli esami.

La vettura si fermò, qualcheduno uscì dalla portineria ad aprir lo
sportello e a prender la roba.

Era un quartierino modesto e tranquillo, in Via della Zecca, ceduto a
Varedo insieme a gran parte della mobilia da un collega
dell'Università che per ragioni domestiche aveva abbandonato
l'insegnamento e s'era ritirato in campagna. Solo una camera Diana
aveva voluto arredar tutta di nuovo secondo il gusto suo, ed era la
camera destinata ai forestieri, i quali però, nel pensiero di lei, non
dovevano esser che la sua mamma e lo zio Gustavo.

--Per mia sorella va egregiamente--disse l'ingegnere quando la nipote
ve lo accompagnò,--per, me è troppo; Non avevi un bugigattolo dove
mettermi? Sai ch'io ho abitudini quasi spartane.

--Se tu fossi venuto con la mamma--rispose Diana--certo che non mi
sarebbe stato possibile d'accomodarti bene, e forse avrei dovuto
lasciarti andare all'albergo... Ma poichè sei qui solo e sei il
_primo_ che venga a farmi una visita (ella sottolineò la parola
_primo_) voglio offrirti il meglio che ho.

Ella accennò ad andarsene.--T'aspetto nella stanza vicina, ch'è il
nostro salotto da pranzo.

--Vengo con te. Mi fai vedere tutto l'appartamento.

Diana si mise a ridere.--È presto fatto. Ma non prendi prima qualche
cosa?

--Senti, ho pranzato benissimo alla stazione di Milano, e non ho
bisogno di nulla.

--Una tazza di brodo?

--No, grazie... Prendete il the voi altri la sera?

--Sì.

--Ebbene, lo prenderò con voi quando sarà tornato a casa tuo marito.

--Come credi.

Diana condusse lo zio nella camera nuziale, nello studio di Varedo, e
in quello che doveva essere il salotto da ricevere, ma che in realtà
non era che un'appendice dello studio, ingombro di libri e di carte. E
dei libri ce n'erano da per tutto, perfino nel gabinetto da _toilette_
degli sposi. Fu anzi lì, presso lo specchio davanti al quale Diana si
pettinava, che l'ingegnere gettò l'occhio sopra un opuscolo legato in
pergamena con fregi d'oro.

--Che roba è questa?--egli chiese.

--Tò, non lo conosci?--esclamò ella alquanto maravigliata.--Ce n'è una
copia anche dalla mamma... senza la dedica però, che fu fatta stampare
apposta per me.

Ed ella porse allo zio il libricciuolo.

--Adesso vedo--disse l'ingegnere Aldini.--È la conferenza di Varedo
sul _dovere_.

--Sì... Guarda alla prima pagina.

--_Alla mia Diana il giorno delle nostre nozze_--lesse lo zio Gustavo.

Diana spiegò:--È stata una sorpresa. Ho trovato il libro nella mia
borsa da viaggio... Non ne sapevi nulla?

--No davvero.

--Fu un pensiero gentile.

All'ingegnere pareva invece una pedanteria insigne, ma non volle
mortificar la nipote, e si contentò di domandar sorridendo:--E rileggi
la conferenza anche quando ti pettini?

--Cattivo zio!... Sempre un po' canzonatore.

--Via, via--replicò Aldini in tono scherzevole--chiamatemi presto a
far da padrino a un bel maschiotto... Anche quella è una parte del
vostro dovere.

Poi, nel salotto da pranzo, mentre Diana rifondeva lo spirito di vino
sotto la teiera, lo zio ripigliò le sue interrogazioni.--E come passi
le tue giornate? Come passi le sere? Hai molte conoscenze?

--No, non molte... Ma non m'annoio. Son sempre occupata.

--Ti alzi presto?

--Alle otto, otto e mezzo... Attendo alla casa; do gli ordini per le
spese... Sono diventata una buona massaja... non lo credi?

--Anzi me ne rallegro.

--Così arrivan le undici ch'è l'ora in cui Alberto torna
dall'Università... Prima di mezzogiorno si va a colazione... Dopo si
lavora insieme...

--Come sarebbe a dire?

--Alberto studia; io ricopio i suoi manoscritti, gli correggo le bozze
di stampa, faccio dei sunti per lui...

--Sunti di libri scientifici?

--Già. Non capisco mica tutto, ma a forza di volontà riesco a
raccapezzarmi.

--Dunque, copiando manoscritti, correggendo stampe, facendo sunti, tu
fai venir l'ora di pranzo?

--No, verso le sei usciamo spesso con Alberto per una passeggiata
sotto i Portici o al Valentino, secondo il tempo... Alle otto si
pranza.

--E dopo?

--Dopo si esce di nuovo per un'oretta... Qualche volta si fa una tappa
al Caffè Romano.

--Non andate mai a teatro?

--Ci si va, ma di rado, perchè Alberto non ama perder tutta la sera.

--Anche la sera lavora... o piuttosto lavorate insieme?

--Si lavora, si chiacchiera, si prende il the.

--Sempre soli?

--Di tratto in tratto capita questo o quel collega di mio marito... o
una vicina... E poi, c'è Bardelli... Quello non manca.

--Chi è Bardelli?

--È il braccio destro di Alberto. È uno studente laureato da poco in
giurisprudenza e che aspira a entrare nell'insegnamento.... Bravo e
buono... Si getterebbe nel fuoco per mio marito... Lo vedrai... un
tipo unico... Pare un bimbo.

--E--seguitò lo zio--il pianoforte non lo apri mai? Dov'è?

--È di là, nel salotto da ricevere, seppellito sotto i libri... Lo
apro solo a lunghi intervalli... Alberto non è appassionato per la
musica.

--Così m'immagino che non si parlerà neanche più di quelle tue
esercitazioni letterarie, di quelle novelline, di quei bozzetti...

--Figurati!--interruppe Diana--Non oso rilegger neppur io i vecchi
manoscritti.

--Li hai portati con te?

--Mi son trovato un quaderno in fondo alla valigia. Ma Alberto non ne
sa nulla... Egli odia la cosidetta letteratura amena.

--E tu?

--Io faccio il mio dovere di moglie savia cercando d'uniformarmi ai
gusti di mio marito.

Ella si chinò sulla teiera; Aldini non insistette. S'era contenta lei,
o che gli era lecito di tormentarla con osservazioni inopportune?
Certo che molte cose gli parevano strane: e ch'ella si acconciasse con
animo sereno alla soppressione della propria personalità, e che la
vita impostale da Varedo potesse appagarla, e che questo freddo
pedante ne avesse veramente conquistato il cuore, ma, in fine, s'era
contenta, s'era felice?

Con gli occhi intenti nella sua teiera, Diana sussurrò:--L'acqua
bolle.

E diede un'occhiata all'orologio.--Alberto dovrebb'esser qui.

--Ha l'abitudine di farsi attendere?

--No, è puntualissimo... Tanto puntuale che verso il the anche per
lui.

In fatti Varedo entrava di lì a un minuto, tirandosi dietro un
giovinetto piccolo di statura, senza un pelo di barba, dai movimenti
impacciati, dal vestire dimesso.

--Avanti, Bardelli, avanti--disse Diana tendendo cordialmente la mano
al _factotum_ di suo marito. E si affrettò a presentarlo allo zio.--Il
dottor Eugenio Bardelli, un professore in erba.

--Oh--fece il presentato divenendo rosso come un papavero.

Il professore mostrò a Bardelli una sedia.--Si accomodi... Le dò
queste bozze corrette... Scusate, veh... Ma si tratta d'un articolo
che deve comparir domani nella _Rassegna giuridica_.

--Ah, quello sul _Diritto ateniese_?--osservò Diana.

Gustavo Aldini guardò sua nipote con uno stupore doloroso. Come gliela
riducevano, quella figliuola!

Ella intanto chiedeva a Bardelli:--Vuole una tazza di the?

--No, grazie... Non dormirei più.

--Un bicchierino di Marsala?

--Se mi dispensa mi fa un piacere.

--Un biscottino?

--Nemmeno... Ho pranzato tardi.

--Dio, che uomo incorruttibile sarà!

--Scusate--ripetè Alberto, mentre, sorseggiando il the, correggeva le
stampe con la matita.

Terminata la revisione, passò ogni cosa a Bardelli.

--Mi fido di lei. Le porta in tipografia subito.

--Immediatamente--rispose il giovine alzandosi dalla sedia. Chiese a
Diana se aveva comandi, e con molti inchini si accomiatò.

--Povero Bardelli!--disse la signora.--Si abusa di lui.

--No, no. È contentissimo di servirci.... E se l'anno venturo, come
spero, lo nominerò mio assistente, non potrà lagnarsi d'aver perduto
il suo tempo.

--Quanti anni ha?--domandò l'ingegnere.--Ne mostra meno di venti.

--Ne avrà ventitre sonati--rispose Varedo.

--Ed è già un'arca di scienza--affermò Diana.

Il professore sorrise.--Un'arca di scienza è troppo.... Ma è
studiosissimo.

Diana si rivolse allo zio.--Ti farò conoscere anche i fratelli, anche
la madre... È una famiglia esemplare.

--Nei pochi giorni che son qui me la lascerai per qualche ora tua
moglie?--disse l'ingegnere ad Alberto.

Questi assentì con bastante disinvoltura.

--Quando crede.

Rimasero intesi che Aldini sarebbe venuto a prendere la nipote ogni
giorno dopo colazione (perchè la colazione egli non s'impegnava a
farla con loro) e che più tardi, fra le cinque e le sei, si sarebbero
incontrati con Alberto o sotto i portici o altrove.



III.

La famiglia Bardelli.


L'ingegnere Aldini si divertiva un mondo a percorrere le vie di Torino
a braccetto di questa nipote ch'egli teneva in conto di figlia e verso
la quale, nonostante le molte dissomiglianze, lo attirava una simpatia
ricambiata. Certo che s'erano bisticciati sovente; egli, scettico
amabile, l'avrebbe voluta più duttile, più indulgente, meno recisa ne'
suoi giudizi; egli, uomo d'ingegno, ma nemico d'ogni pedanteria,
l'avrebbe voluta più chiassosa, più spensierata, più giovine insomma.
Adesso il gran timore di lui era che il matrimonio con un uomo come
Varedo avesse accresciuto i difetti di Diana. E in fatti egli la
trovava, più ancora che a Venezia, noncurante del vestito e della
persona, inesorabile nel condannare quello ch'ella chiamava il vizio
elegante, pronta a correre agli estremi in tutto per amore di logica,
onde il rompersi il capo sui volumi di giurisprudenza e di sociologia
le appariva una conseguenza naturale dell'aver sposato un
giureconsulto e un sociologo. Ma ella conservava intatte, e quest'era
un conforto per lo zio, la sua bontà, la sua rettitudine, la
semplicità de' suoi modi schietti e affettuosi. Quand'ella gli
camminava a fianco, a passo rapido, in quelle giornate fredde,
limpide, asciutte, e le guancie le si coloravano d'un vivo incarnato,
e gli occhi le splendevano giovanilmente, egli s'illudeva che fossero
tornati i bei tempi in cui strappando la fanciulla ai suoi maestri, al
suo pianoforte, a' suoi libri, l'accompagnava al Lido a coglier fiori
e a raccattare conchiglie... Anche ora egli la strappava alla stanza
chiusa, alle carte polverose, alle occupazioni indigeste... perchè
doveva egli ripartir così presto?... Ma forse era meglio. Egli non
avrebbe potuto risparmiare a lei le sue osservazioni, a Varedo i suoi
frizzi, e avrebbero finito con guastarsi.... E poi era evidente;...
Varedo consentiva a lasciargliela perchè si trattava di pochi giorni;
in caso diverso nè egli avrebbe rinunziato alla sua preziosa
collaboratrice, nè ella avrebbe voluto disertare il suo posto. Già di
tratto in tratto le venivano degli scrupoli.--Mi dispiace di non aver
corrette io quelle bozze.--Oppure:--Povero Alberto! Ha da faticar per
due oggi.

Lo zio Gustavo perdeva la pazienza.--O che razza di gente siete?... È
come se aveste una dozzina di figliuoli e vi mancasse il pane da
mettervi alla bocca... Non ho rimorsi, ho lavorato anch'io tutta la
vita, e non per questo mi son voluto privar dell'aria, del sole, della
compagnia de' miei simili.

--Belle parole!--ribatteva Diana.--Ma se tu avessi assunti
degl'impegni!... Se tu avessi un programma scientifico da svolgere, un
apostolato da esercitare!

--Questi sì che son paroloni--pensava Aldini. Ma si contentava di
tentennare il capo in silenzio.

Ella enumerava con mal celata compiacenza le occupazioni molteplici di
suo marito. _In primis_, la cattedra; poi la direzione di fatto (chè
il direttore di nome era vecchio e malaticcio) della _Rassegna
giuridica_; poi gli articoli per altre Riviste italiane e straniere;
poi le lettere da scrivere (almeno una mezza dozzina al giorno); e in
fine la grande opera sul _Dovere_, di cui la conferenza di Venezia
aveva tracciato le linee generali e che Varedo si proponeva di dar
compiuta agli editori entro un paio d'anni... insomma un cumulo di
roba da spaventare chi non avesse avuto la fibra, l'energia, la
potenza di applicazione d'Alberto.

--Ah--conchiudeva Diana--quando penso ai bei damerini che perdono il
loro tempo a correr dietro alle signore, a organizzar gite di piacere,
a diriger quadriglie e _cotillons_!... Che concetto hanno costoro
della vita?

Aldini sorrideva maliziosamente.--Non ne hanno. Vivono alla meno
peggio. E forse i savi son loro.

--No--protestava la nipote scandalizzata.--Lo dici per farmi
arrabbiare.

--Parlo sul serio... È tanto difficile averlo giusto questo concetto
della vita che può esser sapienza il non averne nessuno. «_Salvate,
oimè, le membra--Dal tarlo del pensiero._»--Ricordi questi versi?

--Oh, dei versi e delle sentenze ce ne son per tutti.

Tornavano a bisticciarsi così, come una volta, pur provando un gusto
immenso ad essere insieme.

Un giorno, in Via di Po, furono fermati da una vecchietta piccolina,
svelta, asciutta, vestita di scuro, con un cappellino di forma
vetusta, sormontato da un pennacchio nero.

Diana fece la presentazione. E spiegò allo zio.--La signora Marianna
Bardelli è madre di quel dottore Eugenio Bardelli che hai conosciuto
da noi.

Il pennacchio nero si agitò ripetutamente in segno di simpatia.--Lo
sapeva da Eugenio che era qui lo zio della madama... Eugenio mi
discorre sempre di loro... Lo colmano di gentilezze il mio figliuolo.

--Dica piuttosto ch'egli è troppo buono con noi e che noi siamo troppo
indiscreti.

A sentir questa enormità il pennacchio nero parve assalito dalle
convulsioni.--Signora Diana, signora Diana, per amor del cielo! Il mio
Eugenio non si sdebiterà mai col signor professore che lo ha
incoraggiato ne' suoi studi e che continuerà ad aiutarlo.... Perchè è
pieno d'intelligenza, ma è timido, Eugenio, non sa farsi valere, e se
non c'è chi gli dia la spinta...

--Eh non si lagni--interruppe Diana.--Lei è stata fortunata co' suoi
figliuoli...

--Questo sì, questo sì.... Anche Paolo.... Andavo appunto da lui, nel
suo studio.... a un passo di qui, alla svolta di Via Montebello....
Paolo aspetta sempre una visita della signora Diana.

--È vero.

Diana interrogò con lo sguardo lo zio, e a un cenno affermativo di lui
disse alla signora Bardelli:--Se la facessimo adesso la visita?

La vecchietta si profuse in ringraziamenti. Forse era il momento
buono, perchè Paolo aveva terminato il bozzetto per un monumento a
Garibaldi da presentare a Mondovì, a un concorso.... Non aveva mica
grandi speranze di vincere, con tanti altri artisti provetti che
concorrevano... Ma guai a non tentare!...

Al giungere dei visitatori, Paolo Bardelli gettò lungi da sè il
berretto di carta che gli copriva il capo e scese frettoloso da
un'impalcatura ove stava dando i primi colpi di stecca a una massa di
creta tuttora informe. Poteva avere due o tre anni più del fratello
Eugenio a cui somigliava nella statura e nella completa assenza di
barba; nella nervosità dei movimenti e nella loquacità un po'
disordinata ricordava la madre.

--Ah, il bozzetto!--egli disse scoprendo il modello del suo Garibaldi,
un Garibaldi ritto sopra la roccia, appoggiato all'elsa della spada
nuda, non senza una certa espressione di fierezza nel viso.--Una cosa
dozzinale.... Sonetti a rime obbligate... Arte subalterna... Si fa
anche quella per necessità... per cedere alle istanze della
famiglia... ma non ci si mette dentro tutta la propria anima...
Garibaldi!... Sicuro, un eroe... Ma tra in marmo, in bronzo, a piedi e
a cavallo ce ne sarà un centinaio di Garibaldi in Italia... Come non
ripetersi?... E con lo sforzo dell'originalità si cade nel
grottesco... No, non me lo lodino il mio bozzetto... non ne vale la
pena...

Il giovine scultore alzò gli occhi verso il masso di creta tuttora
informe, e borbottò:--Quello... chi sa?

--E che cosa dovrà rappresentare?--chiese l'ingegnere Aldini.

Paolo Bardelli abbozzò due grandi gesti con le piccole braccia, tentò
due volte una frase; poi la sua fisonomia si contrasse dolorosamente,
ed egli balbettò:--È impossibile... impossibile... L'idea è nel
cervello dell'artista, c'è tutta... come fin dal primo giorno c'è
tutto il bambino nel ventre materno; ma a volerla tirar fuori innanzi
tempo... è impossibile... è impossibile.

--Non ti domandavano mica di scendere a particolari--disse la madre,
alquanto mortificata.

Ma Diana s'interpose.--No, suo figlio ha ragione... Lo capisco
perfettamente... Credo che nel suo caso farei lo stesso.

Lo scultore la ringraziò con un'occhiata.

Dopo aver esaminato altre tre o quattro cosuccie incompiute, zio e
nipote presero congedo.

La signora Marianna uscì con loro; doveva passare dal suo terzo
figliuolo, che, viceversa, era il primogenito, Girolamo, quello che
teneva bottega d'orefice sotto i portici di Po. Non aveva l'ingegno
de' suoi fratelli, Girolamo, ma era maestro nella sua arte, e alla
morte del padre aveva assunto la direzione del negozio che, grazie a
Dio, continuava a prosperare abbastanza... Ed era buono, laborioso,
onesto, economo... Amministrava lui il modesto patrimonio, e per sè
non consumava nulla.... dava tutto in casa, per la madre, per i
fratelli.

Diana Varedo conosceva già questo Girolamo Bardelli ch'era nel suo
genere un finissimo artista; ora volle farlo conoscere allo zio. Così
ella manteneva la sua promessa di presentargli l'intera famiglia.

--Che onore, che onore!--andava esclamando lungo la strada la vecchia
Bardelli. E agitava le braccia e scoteva la testa, tantochè il
pennacchio nero del suo cappellino tremolava come la cima d'un pioppo
in un giorno ventoso.

Nella bottega modesta d'aspetto, benchè le vetrine e le scansie e la
cassaforte accogliessero oggetti di raro pregio, Girolamo Bardelli,
curvo sul suo banco, attendeva a uno di quei sottili lavori
d'oreficeria che i grandi artisti del Rinascimento non reputavano
indegno di loro. Una lampada ad alcool che gli ardeva vicino mandava
una luce azzurrognola sulla sua faccia pallida e sulle sue dita
scarne, annerite all'estremità; a portata della mano stavano lime e
ceselli di varia forma e misura ch'egli prendeva alternativamente al
tasto, senza levar gli occhi dall'opera sua.

--Girolamo, guarda chi c'è--gridò la madre, entrando con la solita
vivacità.

--Piano, mamma, piano!--diss'egli. E alzò adagio la testa,
dissimulando sotto un languido sorriso la noia che gli recava l'esser
disturbato in quel momento.

La signora Bardelli tornò a discorrere dell'onore che la madama e suo
zio avevano fatto a Paolo visitandone lo studio, dell'onore che
facevano a lui, Girolamo, venendo adesso nella sua bottega, delle
grandi benemerenze che il professore Varedo aveva acquistate verso il
loro Eugenio fornendolo di libri e di consigli e interessandosi pel
suo avvenire. Bisognava che anch'egli, Girolamo, ch'era il capo della
casa, ringraziasse la signora.

--Sicuro--balbettava l'orefice.--Anzi....

S'era ritto in piedi, rosso, confuso, con un'aria di gatto spaurito
che cerca il modo di sguisciar via.

Poi le maniere affabili di Diana e dell'ingegnere lo rinfrancarono, ed
egli parlò semplice e modesto di sè e dell'arte sua mostrando alcuni
de' suoi ultimi lavori condotti con isquisita finitezza, e
schermendosi dagli elogi col dire ch'erano imitazioni dall'antico.

--Imitazioni che possono stare a petto degli originali--notò Gustavo
Aldini.

Girolamo Bardelli negò risolutamente.--No, signor ingegnere, scusi....
Agli antichi non s'arriva.

Tirò fuori dalla cassaforte un calice d'argento dorato del cinquecento
la cui sottocoppa era formata da sei busti d'angeli ad ali aperte
sostenenti tralci e grappoli di vite, e si fermò con infinita
compiacenza, quasi con tenerezza, a rilevarne i pregi a uno a
uno.--Certo quegli uomini del cinquecento--egli diceva--avevano
l'occhio più acuto, la mano più sicura di noi... E che fioritura
inesauribile di fantasia! Guardi, signora, quegli archetti ogivali che
formano le nicchie del nodo. E, nelle nicchie, quegli altri sei
angioli con gli strumenti della Passione!

--Questo calice--raccontò la signora Marianna--mio marito buon'anima
l'ebbe per poco a un incanto... Poteva rivenderlo per una somma venti
volte maggiore, e non volle... Anche Girolamo avrebbe avuto più d'una
occasione...

--Non lo si vende--dichiarò in tono reciso l'orefice. Indi
soggiunse:--Perchè lo si venderebbe? La bottega è bene avviata e ci
basta... Col tempo i fratelli guadagneranno anche loro...

A questo proposito la vecchia Bardelli ricordò il figliuolo che urgeva
rimettere un'imposta nello studio di Paolo.

--Ho già dato l'ordine--rispose pronto Girolamo.

L'uscio della bottega s'aperse a mezzo, e una signora elegante insinuò
la testa fra i due battenti.--Il mio fermaglio è pronto?

--Sissignora... Fin da questa mattina.

--Quel Bardelli è d'una puntualità!--ripigliò la signora avanzandosi
verso il banco.

Diana e lo zio Gustavo, scambiatisi un'occhiata d'intelligenza e
rinnovati i complimenti e i saluti, s'accommiatarono.

--È ancora presto per incontrarci con Alberto--osservò
Diana.--Facciamo un giro per Dora Grossa.

--Come vuoi.

E s'avviarono chiacchierando.

Argomento della conversazione era la famiglia Bardelli. Per
l'ingegnere Aldini, Girolamo valeva incomparabilmente meglio degli
altri; Diana ne riconosceva i meriti, ma non trovava giusto di
deprezzar i fratelli più giovani. E si accalorava a difenderli contro
lo zio il quale pronosticava che non avrebbero cavato un ragno dal
buco. A un tratto ella s'interruppe e domandò:--Perchè sorridi?

--Nulla. È una sciocchezza.

--Sentiamo.

--Effetti dell'ambiente. Senz'accorgermene, almanaccavo anch'io
intorno al dovere.

--Cioè?

--Pensavo che il dovere somiglia un poco ai còmpiti di scuola. Questi
còmpiti c'è chi non li fa, chi li fa soltanto per sè, e chi li fa per
sè e pei compagni. Così il dovere. Io per esempio sono convinto che
quel Girolamo Bardelli lo faccia per sè e per tutti della famiglia. Ed
è uomo capace di non parlarne mai.



IV.

Al Lido.


Lungo quel tratto del Lido ove sorgono, allineate sull'arena, le
capanne dello Stabilimento dei bagni, dando a chi le vede dall'alto
l'idea d'un villaggio abissino, era, nel caldo pomeriggio di luglio,
come un brulichìo d'alveare. Donne e fanciulli in succinto vestito da
nuoto si rincorrevano per la spiaggia, si ravvoltolavano nella sabbia,
diguazzavano nell'acqua che toccava loro appena l'anca o il ginocchio,
si spruzzavano a vicenda fra gridi allegri e risate sonore. I bagnanti
più tranquilli, che avevano fatto la loro immersione al mattino, o che
non la facevano mai, paghi d'una cura d'aria e di sole, stavano
intanto dinanzi alle loro capanne a godersi la brezza del mare, gli
uni sonnecchiando e dondolandosi sui lunghi seggioloni di vimini, gli
altri stringendosi in crocchio a mormorare del prossimo. Ma alla
vivacità della scena contribuiva sopratutto la folla variopinta e
sempre rinnovellantesi dei visitatori che passavano, con volubilità di
farfalle, da questo a quel crocchio; signore eleganti e giovinotti
cincischiati, profumati, azzimati all'ultima moda, come si conviene a
degni campioni della cretineria cosmopolita. Portavano essi in giro le
cronache galanti, scandalose, ridicole dello Stabilimento e della
città, e la pianta del pettegolezzo fioriva dietro di loro come, dopo
la rugiada, fioriscono sui campi le margherite.

Sulla soglia d'una delle ultime capanne, ove il chiasso giungeva molto
attenuato, sedevano due signore di nostra conoscenza, la Valeria
Inverigo e la Diana Varedo.

--C'è un gran movimento quest'anno al Lido--disse la madre.

--Troppo--rispose la figliuola.--Ci si starebbe così bene se non ci
fosse gente.

La signora Valeria sorrise.--Cara mia, non possono mica tener aperto
lo stabilimento apposta per noi.

--Lo so, ma penso che sarà difficile persuadere Alberto a venir qui
un'altra estate.

--O che vorrebbe restar nelle vacanze a Torino?

--No; credo ch'egli preferirebbe d'andar in montagna, in un posto
quieto.

La signora Valeria, ordinariamente così calma, scattò
infastidita.--Per lavorare e farti lavorare come un cane?... Ci vada
lui nel posto quieto, e ti lasci per un mese qui a riprender lena....
Perchè, già non te lo nascondo, hai l'aria stanca, affaticata.

--Se dacchè sono a Venezia non faccio nulla!

--Sei da una settimana, e ci vuol altro!... No, abbi pazienza... È un
sistema sbagliato. Le donne non son nate per logorarsi sui libri... E
quando avrai figliuoli....

--Se ne avrò....

--Spero bene che ne avrai... E allora...

--Allora--disse pronta Diana--i figliuoli andranno in prima linea...
Ma--ella soggiunse per mutar discorso--a che ora si dev'esser sulla
terrazza?

--Basta alle sette, mi pare. A meno che tuo marito non anticipi e non
venga a prenderci.

--No, egli sa che il pranzo è ordinato per le sette e mezzo. Non si
farà aspettare ma non anticiperà.

--Il resto della comitiva--ripigliò la signora Valeria--si disponeva a
partire da Venezia col vaporino delle 6.40.

--Mi dispiace--notò Diana--che la presenza dei Nocera sarà una
sorpresa per Alberto.

La signora Valeria si annuvolò in viso.

--Non capisco l'antipatia di Alberto per i Nocera. A ogni modo, io non
li avevo invitati; non avevo invitate nemmeno le Duranti; volevo che
si desinasse qui in famiglia, tu e tuo marito, mio fratello ed io.
Invece jeri le Duranti, oggi sul tardi i Nocera mi hanno avvertita che
sarebbero dei nostri. Non potevo usar loro uno sgarbo. Del resto,
l'Adelaide Nocera, perch'è con lei che l'avete, avrà i suoi difetti,
ma è tanto simpatica, tanto buona...

--Troppo buona--replicò Diana con un filo d'ironia.

--A badare alle ciarle del mondo....

--Via mamma, non puoi negare ch'ella porti in trionfo la sua intimità
con lo zio Gustavo.

--Si conoscono da bambini... sono cresciuti insieme.

--Eppure assai pochi credono che si tratti di un'intimità
fraterna--replicò la Varedo.

--Sembra che il consiglier Nocera sia uno di quei pochi--disse la
madre.--_Ne soyons pas plus royalistes que le roi._

Diana si strinse nelle spalle.

--Per me--seguitò la signora Inverigo,--ho la massima, in mancanza di
prove, di accettar sempre l'interpretazione più benevola.

--Tu sei un angelo, mamma, ma qualche volta anche la soverchia
indulgenza ha i suoi inconvenienti.

--Tutti gli eccessi ne hanno; ciò nondimeno io preferisco l'eccessiva
indulgenza all'eccessiva severità.

Tacquero entrambe, nel timore di lasciarsi sfuggire una frase
pungente, di guastar bisticciandosi la dolcezza ineffabile di quei
giorni che stavano insieme. E, in fondo, ognuna delle due sentiva che
l'altra aveva una parte di ragione. La signora Valeria non aveva visto
con piacere il ritorno della Adelaide Nocera a Venezia, nè approvava
ora nell'Adelaide e in Gustavo, già maturi d'anni, il riaccendersi di
una passione colpevole che pareva sopita dal tempo e dalla lontananza;
ma il suo affetto per l'amica, la sua tenerezza pel fratello la
facevano pronta ad accorrere alla difesa de' due traviati. La Varedo,
dal canto suo, trovava che suo marito era talora troppo ispido ed
intollerante ma non voleva riconoscerlo, non voleva tradire nemmeno
coi prudenti silenzi, quei rigidi principî che, nel suo pensiero,
erano il fondamento della famiglia e della società. Perciò, nel caso
presente, ella stava in guardia contro sè stessa, contro la simpatia
che le inspirava lo zio Gustavo, sopra tutto contro il fascino che
quella sirena della Nocera esercitava intorno a sè.

Mancavano dieci minuti alle sette e la folla dei bagnanti, incalzata
dall'ora, risaliva frettolosa, simile a fiume che risale il suo corso,
verso il piazzale dello Stabilimento o verso lo stradone di Santa
Elisabetta, chi per prender il tram a cavalli, chi per fare una breve
passeggiata fino al vaporino. Sul suono smorzato dei passi
affondantisi nella sabbia, sul fruscìo leggiero delle vesti, sul
confuso borbottìo delle voci si levava qualche nota squillante:
appelli e risposte, richiami e saluti:--Presto, presto!--Buon
divertimento!--Buon viaggio!--arrivederci stasera in piazza!

--Vuoi che ci moviamo?--chiese la signora Valeria alla figliuola.

Diana assentì.--Moviamoci pure.

Si alzò per la prima, si avvicinò alla madre e le diede un bacio in
fronte, quasi a scancellare l'impressione delle parole di poco fa.

S'avviarono lentamente, a braccetto.

La signora Valeria guardava con ansiosa sollecitudine il volto pallido
e l'andatura stanca di Diana. No, una settimana di riposo non l'aveva
rimessa in forze e anzi ell'era piuttosto peggiorata che migliorata
d'aspetto dopo il suo arrivo a Venezia. Tutto si sarebbe spiegato con
una certa ipotesi molto ragionevole e naturale, ma Diana seguitava ad
affermare che quell'ipotesi non aveva fondamento, e il medico di casa,
fin che non si presentano nuovi sintomi, stava anch'egli tentennante
fra il sì e il no.

La fiumana della gente s'ingrossava lungo il cammino; la ritirata
aveva apparenza di fuga.

--Non avete furia voi altre?--dissero alla signora Inverigo e alla
Varedo alcune persone di conoscenza.

--No, restiamo qui a pranzo.

--Buon appetito, allora.

--Grazie.

Protetta dalle dune la spiaggia era avvolta nell'ombra, ma chi toccava
il sommo dell'erta sabbiosa doveva ripararsi dai raggi quasi
orizzontali del sole, ed era bello, levando gli occhi in su, veder
quella folla gioconda emerger nella luce, e sfavillar le tinte chiare
degli abiti estivi, e aprirsi gli ombrellini delle signore come fiori
che sbocciano d'improvviso. Più bello però, dalla parte del mare, era
lo spettacolo delle barche peschereccie che sfilavano lontano
ricevendo anch'esse, sulle vele bianche, rosse, gialle, turchine,
l'ultimo saluto del sole, mentre la liquida superficie, increspata da
una brezza leggera, prendeva, nel roseo tramonto, tutti i colori
dell'iride.

--Oh brave!--esclamò Gustavo Aldini quando sua sorella e sua nipote
comparvero sulla terrazza.--Ero lì lì per venire a sollecitarvi.
Tranne Alberto, che non può tardare, siamo _au grand complet_.

Le due Duranti col rispettivo consorte e padre, l'Adelaide Nocera col
consigliere marito mossero festosamente incontro alle nuove arrivate.

--Si voleva venire in massa a farvi visita--dichiarò l'Adelaide--ma
l'ingegnere disse ch'era meglio attendervi qui.

--La nostra capanna è così piccola--spiegò la signora Valeria--che ci
si sta appena in due.

--Sono troppo piccole e troppo affastellate quelle capanne. Non c'è
libertà--soggiunse la Nocera.

Il consigliere ch'era un po' sordo si fece ripetere la frase.

Era un uomo corto, grosso, di tipo volgare.

--A proposito--egli chiese ridendo sguaiatamente--è vero che signori e
signore passeggiano sulla spiaggia in semplice accappatoio?

--Ma no, che idee!

--A ogni modo--disse la Duranti madre, che era una signora
pudibonda--è una promiscuità scandalosa. C'è tanto rigore, ed è giusto
che ci sia, nell'interno dello Stabilimento per conservare la
divisione de' due riparti, e poi nelle capanne si lasciano stare
insieme i maschi e le femmine.

--Ma le capanne son fatte per le famiglie--notò il marito, intendente
di finanza a riposo.

--Già--riprese il consigliere Nocera con la solita arguzia
sopraffina.--E se vogliamo la famiglia dobbiamo voler l'unione dei
sessi. Ih, ih!

--Son tutte caricature, tutte ipocrisie--sentenziò la ragazza
Duranti.--E pensare che si pigliano questi fastidi per noi, per
tutelare la nostra innocenza!... Bella innocenza! Con quello che si
vede, che si sente e che si legge!

Il consigliere le slanciò uno sguardo d'incoraggiamento.

Invece la signora Susanna, la madre--Olga--ammonì, sgomentata--Olga!

Quella figliuola da qualche tempo aveva una libertà di linguaggio!

--Ebbene--domandò l'Adelaide Nocera a Diana, tirandola alquanto in
disparte e cingendole amorevolmente con un braccio la vita;--come va?
Ti giovano i bagni?

Non aspettava più i quarant'anni, l'Adelaide, ma era sempre una bella
brunetta dai grandi occhi vivaci, dalla folta capigliatura nera, dalla
persona svelta, piena di grazia e d'armonia. E aveva, nel vestire, un
istintivo buon gusto che i lunghi soggiorni in piccole città di
provincia non avevano potuto alterare e che destava l'invidia,
l'emulazione, la rabbia delle mogli dei colleghi.--La più elegante
_magistrata_ del Regno d'Italia--la aveva proclamata Sua Eccellenza il
commendator Farioli, Primo Presidente d'una delle nostre Corti
d'Appello. E nessuna Cassazione aveva osato annullar la sentenza.

--Se mi giovano?--disse Diana rispondendo alla interrogazione della
Nocera.--Uhm! Io li faccio per compiacere alla mamma, ma credo che
lascino il tempo che trovano. Ha una gran fede nei bagni di mare, lei?

--Secondo i casi.

--Lei non li fa?

--Io preferisco la doccia... Ma non ti vuoi proprio decidere a darmi
del tu?

Diana arrossì. Non solo non si voleva decidere; ma era anzi ferma nel
proposito di attenersi al lei che, seppure usato da una sola delle due
parti, bastava a impedir la troppa dimestichezza. Ella balbettò
qualche scusa. Non riusciva ad avvezzarsi... L'era stato sempre
difficile, in tutte le occasioni, perfino con le sue coetanee...

--Non crederai mica che voglia atteggiarmi a tua coetanea--replicò,
ridendo, l'Adelaide Nocera.--Lo so che posso esser tua madre; ci
corron pochi anni tra la Valeria e me... Ma hai principiato a vedermi
ch'eri una bambina. Ti rammenti quando ti portavo in collo?

--Dopo è partita.

--Partita, tornata, ripartita. Solo l'ultima volta sono rimasta
assente per un gran pezzo senza interruzione. T'avevo lasciata in
sottane corte, e t'ho trovata quasi alla vigilia delle nozze. E con lo
sposalizio per la testa non avevi agio da badare a quella che un tempo
chiamavi _la zia_ Adelaide. Ero diventata per te _la signora_ Nocera;
t'incutevo, sembra, una gran soggezione, io che non ho mai dato
soggezione a nessuno!... E il bel _tu_ confidenziale s'era perso per
via... Ma t'eri quasi impegnata a ripigliarlo dopo il matrimonio, te
ne rammenti?... Se no, bisognerà che mi metta in sussiego anch'io e
che ti faccia tanto d'inchini, e che dica:--Signora Varedo, come sta?

--Oh, questo poi, ci mancherebbe altro!

Diana era sulle spine. Cedere non voleva a nessun costo, ma non voleva
nemmeno manifestar le vere ragioni del suo rifiuto. O come mai la
Nocera, con la sua fama di donna intelligente, certe cose non le
capiva da sè? E se le capiva, perchè insisteva?

Per fortuna anche in quel momento capitò una provvida diversione.

--Diana! Signora Adelaide! Valeria! Signora e signorina Duranti!

Era la voce dell'ingegnere Aldini che desiderava l'approvazione dei
commensali circa al posto ov'egli aveva fatto apparecchiare la tavola.

--Qui si vede benissimo il mare e si è nello stesso tempo più riparati
dall'aria--egli spiegò.--Se però preferite avvicinarvi alla
ringhiera...

--No, così va perfettamente--risposero, a una voce, le signore
interrogate.

Indi seguì una serie di esclamazioni ammirative.

--Che eleganza!

--Che lusso!

--Che profusione di fiori!

--E chi li ha ordinati questi fiori?--domandò la signora Valeria.

L'Adelaide Nocera, ch'era a parte del segreto, sorrise.

Il consigliere marito, da uomo perspicace, indovinò subito.--Quest'è
un'improvvisata dell'amico Gustavo.

E, confidenzialmente, battè sulla spalla dell'ingegnere.

--Sempre perfetto cavaliere quell'Aldini--notò la signora Susanna
Duranti.

Ma Gustavo Aldini, schermendosi dai ringraziamenti, si voltò verso il
cameriere di quel riparto egli chiese:--Il nostro risotto a che punto
è?

--Si può servirlo quando vogliono.

--Benone... Aspettiamo un signore...

Accolto da applausi, giunse Alberto Varedo, vide i Nocera e durò
fatica a reprimere un moto di dispetto.

L'Adelaide, che s'era accorta della sorda ostilità del professore ma
non disperava di vincerla, gli si fece incontro con le mani tese.--Ci
perdona l'invasione? A Venezia, d'estate, se si vuol trovarsi, bisogna
venire al Lido... E io desideravo di star un'oretta con Diana... Così
ho scritto alla Valeria che, se non aveva nulla in contrario, avremmo
preso parte al pranzo anche noi.

--Anzi, è un piacere--disse Varedo. Le parole erano cortesi, ma
l'accento era gelido.

--Ecco il risotto!--gridò Gustavo Aldini.

Secondo le sapienti disposizioni dell'ingegnere le sedie erano
collocate soltanto a tre lati della tavola lunga e stretta, di modo
che nessuno voltasse le spalle al mare. Sul lato più lungo sedeva la
signora Valeria tra il cavalier Duranti, che aveva alla sua sinistra
Diana, e il cavalier Nocera, che aveva alla destra la signora Susanna
Duranti. Gli altri quattro commensali occupavano, fronteggiandosi, i
due lati minori; da una parte la signora Adelaide e Gustavo Aldini;
dalla parte opposta il professore Varedo e la signorina Duranti.

Questa che, dopo il matrimonio di alcune amiche più giovani di lei,
era diventata dura e spinosa come un vecchio carciofo, principiò
subito a malignare.

E poichè Varedo osservava che quell'abbondanza di fiori avrebbe fatto
credere a un banchetto di sposi--Oh--disse la ragazza--in questo caso
gli sposi sarebbero loro due... Ma non s'illudano... Quei fiori non
sono nè per Diana, nè per lei; sono per un'unica persona che, proprio,
non è una sposina... Ma dopo tutto, beate le civette!... E beati
quelli, uomini e donne, che dimenticano la loro età!

Aizzato dalla sua vicina, Alberto Varedo sbirciava di tanto in tanto
suo zio e l'Adelaide Nocera che non eran certo i più giovani, ma erano
i più giovanilmente allegri e vivaci dei commensali. E la riprovazione
ond'egli, puritano, colpiva ogni intrigo galante, si esacerbava per un
sentimento di diversa natura. Non era, non voleva essere invidia; era
una tacita protesta contro le ingiustizie della fortuna, così liberale
verso gli esseri frivoli, così avara verso coloro che hanno un alto,
austero concetto della vita.

Qualche cosa di simile passava intanto nell'anima di Diana. Ascoltando
distratta il cavaliere Duranti che vantava i servigi da lui resi allo
Stato quand'era intendente di finanza, ella guardava gli occhi
luminosi e ridenti dell'Adelaide Nocera, la quale doveva essere
avvezza a udire ben altri discorsi. E cercava di farsi un'idea
dell'esistenza di queste donnine amabili e spensierate che attirano
gli uomini come il miele attira le mosche e che volgono le forze del
piccolo ingegno a un unico fine, quello di piacere. E come vi
riescono! Come riescono a essere tollerate, accettate anche dalla
gente rispettabile! Ecco per esempio l'Adelaide Nocera che nessuno
credeva un fiore di virtù e che pur tutti andavano a gara per
festeggiare. La mamma di lei, di Diana, non la considerava una delle
sue migliori amiche? Non aveva pur dianzi preso calorosamente le sue
difese? La signora Duranti, così facile a scandalizzarsi, non la
trattava con cordialità, non ne frequentava, in compagnia della
figliuola, il salotto? È vero che quelle femmine trovan dei mariti
stampati a posta per loro, dei mariti i quali han l'aria di dire:--Se
siamo contenti noi, o chi ha il diritto di far lo schifiltoso?

Il consigliere Nocera era il tipo di questi cinici ignobili. Era lui,
proprio lui che quella sera a pranzo portava in campo certe storielle
scabrose d'infedeltà coniugali, e da un capo all'altro della tavola
dava nomi e cognomi, e date e luoghi e particolari minuti, e fingeva
di non sentire i richiami della sua vicina Duranti, e rideva
sguaiatamente delle sue grasse facezie.

--Povera mamma!--sussurrava nell'orecchio al professore Varedo la
Olga, la ragazza emancipata.--È sui carboni ardenti per me.

--Quel Nocera è un uomo molto volgare--notò Varedo.

Olga Duranti fece una spallucciata.--È un filosofo.

--Cara signorina, non calunni i filosofi.

--Voglio dire che subisce con rassegnazione il proprio destino... E
poi la sua è un'allegria forzata... Deve ingoiarne tante!

Abbassò ancora la voce, e sfogando il suo mal animo contro l'Adelaide
Nocera soggiunse:--Egli ha almeno il merito di mostrarsi quello che è.
_Lei_ invece pare una santarellina... Basta, quelle son donne
fortunate... Hanno i mariti propri, i mariti delle altre e gli scapoli
ch'esse sviano dal matrimonio.

Varedo sorrise; ella si morse il labbro, pentita d'essersi lasciata
sfuggire una frase che tradiva il suo risentimento personale.
Asserivano infatti che qualche anno addietro, prima del ritorno dei
Nocera a Venezia, ella, nonostante la grande differenza d'età, avesse
gettato l'occhio sopra l'ingegnere Gustavo Aldini come su uno sposo
possibile.

Frattanto, appunto per opera dell'ingegnere che tirò il discorso su
alcune ultime pubblicazioni letterarie francesi e italiane, la
conversazione mutò indirizzo. Quelle pubblicazioni chi le conosceva
chi no, ma dal più al meno si conoscevan gli autori, e ognuno volle
dire la sua. Inopinatamente alleati, la pudica signora Susanna Duranti
e lo sboccato consigliere Nocera si scagliarono contro Emilio Zola che
qualificavano a gara d'immorale e di corruttore. Già per loro fra i
romanzieri francesi non c'era che Ohnet. _Le maîtres des forges_,
quello era un libro. Che caratteri! Che situazioni! Che ambiente
_confortable_!

Il cavaliere Duranti non aveva, per Zola, l'antipatia di sua moglie.
Aveva letto poco, ma quel poco gli era piaciuto. Era uno scrittore che
sapeva sviscerare i suoi argomenti e trovar il dramma in tutto quanto.
Oggi la miniera, domani la Borsa, doman l'altro le strade ferrate.
Avrebbe potuto, volendo, fare un romanzo sull'amministrazione della
finanza, e ce ne sarebbero stati degli aneddoti piccanti e dei tipi
gustosi!

--Il romanzo del registro e bollo!--esclamò Nocera in tono
canzonatorio.

--Non c'è niente da ridere--rimbeccò, seccato, l'ex intendente.

Allora scese in campo, zoliano convinto, non fanatico, Gustavo Aldini,
e pur non negando i difetti dello Zola ne mise in rilievo gli
altissimi pregi, specie la virtù evocatrice e l'arte di far mover le
masse, onde se molti lo superano nello scrutare i misteri d'una
coscienza individuale, nessuno l'uguaglia nel rappresentarci gli stati
di una coscienza collettiva.--Certo--concluse l'ingegnere--non è una
lettura per tutti; non lo darei nè alle persone frivole che vi cercano
solo le indecenze, nè agli adolescenti, maschi o femmine, a cui è
inutile anticipar le brutalità della vita.

--Ma che adolescenti?--replicò la signora Susanna Duranti--Io dico che
nessuna donna per bene può tener sul suo tavolino quei libri... Io mi
vergogno di averne letti due o tre.

La signora Susanna ignorava che sua figlia li aveva, di nascosto,
letti quasi tutti.

Il consigliere Nocera, che, mentre Aldini parlava, aveva manifestato
il suo dissenso con energici cenni del capo, gridò:--Sentiamo
l'opinione del professore. Scommetto che il professore è con noi.

--Ma io non mi occupo di letteratura amena--rispose Varedo. Però,
poichè gli altri insistevano ed egli non voleva che il suo silenzio
fosse interpretato come un'approvazione delle idee esposte da Gustavo
Aldini, egli dichiarò che conosceva assai poco dell'opera di Emilio
Zola e che si limitava a dire una sua impressione. Ed era questa. Che
Zola, mezzo francese e mezzo italiano, era, anche letterariamente, il
prodotto di due nazioni e di due civiltà decadute. Aveva, nonostante
una speciale tendenza al pessimismo, la visione lucida del mondo
esteriore: gli mancava la facoltà di penetrare nel mondo delle anime;
dipingeva con efficacia i vizi e le brutture del suo tempo, ma le vere
cause gliene sfuggivano, ma non aveva nemmeno la più lontana
intuizione dei mezzi acconci a promuovere un rinnovamento morale.

Alberto Varedo svolgeva questi concetti con abbondanza d'argomenti.
Aveva principiato semplice e piano; e poi l'abitudine della cattedra
gli aveva fatto alzar la voce ed arrotondare le frasi tantochè il suo
discorso prendeva via via il carattere d'una lezione o d'una
conferenza. Bello o brutto che fosse, in quell'ora, in quel luogo, fra
l'acciottolìo dei piatti e il tintinnio dei bicchieri, e il cicaleccio
allegro delle tavole vicine, esso aveva il torto d'esser perfettamente
stonato.

E appunto dalle tavole vicine si porgeva all'autore un'attenzione
canzonatoria.

Diana udì dietro di sè una signora che diceva:--Par d'essere alla
predica.

A lei quel pranzo sembrava interminabile. La svogliatezza fisica era
il meno; ella soffriva d'una grande depressione morale, provava una
irritabilità nervosa contro tutto e tutti, avrebbe dato non so che per
esser sola e per lasciar colar le sue lacrime. Perchè non avevano
desinato anche oggi in piena libertà, a casa loro? Perchè le toccava
subir la compagnia di quei Duranti, di quei Nocera, assistere alle
smorfie dello zio Gustavo e dell'Adelaide? Ma s'ella discendeva in sè
stessa trovava al suo disgusto, al suo turbamento un'altra causa più
intima. La discussione di poco fa l'aveva profondamente umiliata. Se
c'era soggetto che dovesse interessarla era quello; s'ella aveva
attitudini speciali d'ingegno erano attitudini letterarie. Ebbene, da
prima del suo matrimonio, da quando s'era promessa sposa, da un anno e
mezzo insomma, ella non aveva aperto un volume di letteratura, non
s'era occupata che degli studi di Varedo, non aveva visto che le opere
che piacevano, che occorrevano a lui, non aveva sfogliato che i
giornali scientifici di cui era piena la casa. Onde oggi s'era accorta
d'ignorar perfino il titolo di parecchi fra i libri che i vari
commensali, tanto men colti di lei, levavano a cielo o vituperavano.
Così ell'aveva accondisceso a sacrificar le sue inclinazioni, a
sopprimer la sua personalità? E con qual frutto? Era felice?

Mentr'ella rivolgeva a sè medesima questa grave domanda sentì lo zio
Gustavo che diceva a suo marito:--Caro nipote, tu hai sollevato delle
questioni che non si risolvono su due piedi e sarebbe già lungo
determinare i punti ove andiamo d'accordo e ove no. Propongo il
rinvio, tanto più che c'è un magnifico chiaro di luna, e che sarà
meglio godercelo in santa pace.

La proposta incontrò l'approvazione generale.--Sì, sì, non guastiamoci
la digestione.

Fra le cose che avevano bisogno d'esser digerite c'era anche il
discorso, ammiratissimo, di Alberto Varedo.

Di lì a poco tutti s'erano alzati di tavola.

Diana, dopo di aver scambiato qualche parola con sua madre, si
affacciò al parapetto della terrazza, sul mare.

--Che notte d'incanto!--esclamò, posandole una mano sulla spalla,
l'Adelaide Nocera.

--Discutono ancora?--chiese Diana.

--No. I nostri signori uomini stanno regolando i conti.

--Non c'è aria nemmeno qui--riprese la Varedo.

--Figurati--replicò l'Adelaide--che le Duranti vorrebbero persuadere
la tua mamma a chiudersi nella sala per sentir quella parodia di
operetta.

--Per amor del cielo! E la mamma consente?

--Non credo. Finiranno con l'andarci loro, le Duranti, insieme con mio
marito ch'è appassionato di questi spettacoli. Noi resteremo sulla
terrazza o faremo quattro passi sulla spiaggia ove sarà anche più
fresco.

--Diana!--chiamò qualcuno.--Diana!

--Scusi--ella disse staccandosi dall'Adelaide. E si avvicinò a suo
marito di cui aveva riconosciuto la voce.

Alberto la trasse in disparte e le parlò concitato.--Perchè mi sforzi
a ripeterlo?... Non voglio che tu stringa dimestichezza con la
Nocera... Tuo zio non ha il diritto d'imporci le sue concubine.

--Bada!--supplicò Diana pallidissima e tutta tremante. Ella s'era
accorta che lo zio Gustavo era lì presso e sentiva ogni cosa.

--Ah!--fece Varedo, mutando colore.--Ormai...

I due uomini si trovarono faccia a faccia.

Varedo s'era ricomposto.--Mi duole che tu abbia inteso--egli disse
fissando in viso l'ingegnere Aldini--ma non ho nulla da ritirare.

Aldini lo guardò con piglio sarcastico.--Sapevo ch'eri un pedante,
vedo che sei anche un villano.

E si tolse di là bruscamente, senza dar tempo al suo avversario nè di
reagire, nè di rispondere.

La scena, svoltasi in un lampo, fu avvertita da due sole persone;
dalla signora Valeria i cui occhi non lasciavano mai la figliuola e
dall'Adelaide Nocera che aveva indovinato esser lei la causa di quella
disputa.

Stava ella ritta, immobile, con le mani dietro la schiena, col dorso
appoggiato al parapetto della terrazza, la piccola testa ed il busto
spiccanti in ombra sul nitido azzurro del cielo ove sorgeva alta la
luna. Aldini la raggiunse, e si allontanarono insieme.

Ma la signora Valeria piantò il crocchio degli amici e corse ov'erano
sua figlia e suo genero.--Che c'è?... Cos'è successo?

--C'è cara suocera mia--replicò, irritatissimo, Alberto--che suo
fratello ha bisogno di una lezione... E se non fossimo in un luogo
pubblico...

--No--supplicò Diana--no, Alberto.--E soggiunse lasciandosi cader su
una sedia:--Io lo prevedevo che la presenza dei Nocera avrebbe recato
dei guai...

--Ma, insomma, spiegatevi...

--Insomma--riprese il professore--io non amo che mia moglie abbia
contatti con certa gente... E mi meraviglio che una donna come lei...

Diana si portò il dito alla bocca.--Parlerete a casa... Zitto adesso,
ve ne scongiuro... Non siamo soli...

In fatti si avvicinavano la signora Susanna e la Olga, e dietro di
loro, fumando, il cavaliere Duranti e il cavalier Nocera.

--Che conciliaboli avete?--dimandò la signora Susanna.

--Nulla, nulla--rispose con fretta affannosa Diana Varedo.--Sono io
che non mi sentivo... che non mi sento bene... Anzi, Alberto, te ne
prego, fammi avere un bicchier d'acqua.

S'era un pretesto, non poteva esservene alcuno che avesse maggiore
apparenza di verità.

Diana aveva arrovesciata la testa sulla spalliera della sedia, era
bianca come un cencio lavato, un pallore freddo le imperlava la fronte
e le gote.

--Abbiate pazienza, tiratevi un momento indietro--disse la signora
Valeria agli altri.--Le levate l'aria.

Si curvò ansiosamente sulla figliuola e le chiese sottovoce:--Ti senti
poco bene, proprio?

--Sì... ma passerà...

--Sarà stata quella brutta scena?...

--No, non credo... La scena di poco fa m'ha recato un dolore
immenso... Ma ero già mal disposta... Credo invece che tu abbia
ragione...

E Diana bisbigliò qualche parola nell'orecchio di sua madre.

--Magari!--esclamò questa battendo palma a palma.--Magari!... Ti
ostinavi sempre a negare.

--Impressioni!... Adesso ho un'impressione contraria... Siamo un
impasto di contraddizioni... Forse m'inganno adesso...

--Speriamo di no... Ecco tuo marito che torna col bicchier d'acqua...
Diglielo anche a lui...

La signora Valeria si riaccostò agli amici.

--Dunque? Dunque?

--Effetto del caldo, del pranzo... in una donna che potrebb'essere in
una condizione anormale.

--Ma senza dubbio--disse con enfasi la signora Duranti.--Io n'ero
sicura malgrado le vostre negative.

--E anch'io--soggiunse la Olga.--Appena ho visto Diana, ho pensato
subito: quella è una donna incinta.

--Ma Olga...

--O che male c'è a chiamar le cose col loro nome?

Il consigliere Nocera, che non aveva sentito, chiese schiarimenti
al cavalier Duranti, e accolse la notizia con segni di
approvazione.--Egregiamente... S'era già tardato troppo, e quasi
toglievo la mia stima al nostro professore... Gli scienziati
qualche volta dimenticano l'essenziale. Così va bene. _Crescite et
multiplicamini..._ Si può congratularsi con gli sposi?

--No, consigliere, stia buono--pregò la signora Valeria.--Li lasci in
pace gli sposi... Sono ipotesi, semplici ipotesi.

Nocera fece una spallucciata; poi ripigliò guardandosi intorno:--A
proposito, dove diamine si sarà cacciata mia moglie?

--Era con l'ingegnere Aldini--rispose pronta l'Olga Duranti.--Mi pare
che siano usciti da quella parte...

E accennò con la mano a sinistra.

Se la maliziosa ragazza credeva d'aver svegliato con le sue parole la
gelosia del consigliere, ella s'ingannava a partito.

--Ah--disse placidamente Nocera--mi immagino che quelle due creature
romantiche saranno andate a passeggiare sulla spiaggia, al chiaro di
luna... Buon divertimento!... Hanno fatto il dente del giudizio tutt'e
due, e non c'è pericolo che si perdano per la strada.

--Oh, ecco Diana a braccio di Varedo--osservò la signora Duranti.--Va
meglio?

Diana si sforzava di sorridere e di stringer le mani che l'erano
tese.--Sì, va meglio, molto meglio... A ogni modo, è opportuno ch'io
vada a casa subito... Alberto m'accompagna... Tu, mamma, puoi
restare...

--No, no, io vengo con voi... Gli amici mi scusano...

--Ma nemmeno noi abbiamo nessuna ragione di rimanere--disse la Susanna
Duranti.

Il cavaliere marito si offerse di perlustrare la spiaggia in cerca
della signora Adelaide e dell'ingegnere. Così si sarebbe fatta tutta
una carovana.

--Oh--saltò su Nocera--prima che li trovi!... Li aspetterò io, nel
salone dei concerti... Di là è probabile che passino.

--Quello che non capisco--notò la Olga Duranti--è come non si siano
accorti del malessere di Diana... Erano appunto con lei.

--Che vipera!--pensò la Varedo. E disse forte:--Non se ne potevano
accorgere... m'è capitato dopo.

Il professore mostrò a sua moglie l'orologio dello Stabilimento--Se
vogliamo prendere il tram e partire col primo vapore abbiamo appena il
tempo necessario.

Il cavaliere Duranti interrogò la consorte.--E allora che cosa si
decide?

Alberto Varedo ebbe un gesto d'impazienza. La signora Valeria se ne
accorse e intervenne a proposito.--Si decide che partiamo noi tre,
Diana, Alberto ed io; gli altri non devono sacrificar la serata per
colpa nostra.

--Non era un sacrificio--replicò la signora Susanna--ma sarebbe fuor
di luogo l'insistere. Buon viaggio e buona notte. Domattina poi
soneremo il vostro campanello per aver notizie.

--Grazie... ma è inutile.

--O niente affatto... Una notizia l'avremo... una bella notizia...
autenticata nelle debite forme.

--Zitto, zitto...

L'Olga Duranti volle dar un bacio a Diana.--Mi rallegro, sai, mi
rallegro sinceramente... Sarà per Febbraio o Marzo?...

--Lascia stare i pronostici... Se fosse una bolla di sapone?... Addio,
addio...

--Quanto dispiacerà all'Adelaide di non averle salutate!--gridò Nocera
mentre Diana e la signora Valeria s'allontanavano. Indi borbottò:

--Quel professore Varedo ha una prosopopea intollerabile. Fa una
grazia a toccarsi il cappello.

--Finalmente vi siete liberati dagl'importuni--disse Alberto a sua
moglie e a sua suocera, allorchè furono soli.--Pare impossibile il
tempo che le donne impiegano a congedarsi...

Erano sul ponte che dallo Stabilimento mette al piazzale ove si
fermano i tram a cavalli. Uno di questi tram arrivava allora.

--Presto, presto!

Salirono trafelati in vettura.

La signora Valeria chinandosi su Diana rinnovò per la centesima volta
la solita domanda:--Come ti senti?

--Non c'è male--mormorò Diana. E fece segno che aveva bisogno di
riprendere fiato.

La Inverigo si voltò verso suo genero.--E adesso si può sapere che
parole son corse tra Gustavo e te?

Ma Diana toccò lievemente il braccio della madre.--Oh mamma, perchè
torni su questo argomento? Alberto e lo zio si riconcilieranno... Per
amor mio--ella soggiunse, fissando con occhi supplichevoli il marito.

--L'insolente è stato lui--disse Alberto.

--Tu l'avevi provocato...

Varedo troncò il discorso.--Non agitarti ora... Non hai forza per
discutere... Auff! Che viaggio interminabile!... A piedi, in carrozza,
in vapore... Neanche se si andasse alla Mecca.

Per fortuna il vaporino era pronto, e non c'era molta gente.

--Che delizia! Qui si respira meglio--disse Diana sedendo a prora.
Appoggiò il gomito alla sponda del bastimento e d'una mano si fece
puntello al capo mentre l'altra cercava, con un rinnovato bisogno di
carezze, la mano di Alberto. Il chiarore latteo del cielo, lo
scintillìo argenteo dell'acqua su cui batteva la luna, i bruni
contorni dell'isolette lontane, e i campanili e le cupole e le
piccole, tremule luci della città verso cui filava con moto uniforme
il battello silenzioso l'avvolgevano in un'atmosfera di sogni. Ed
ella, sforzandosi di dimenticare il penoso incidente di poco fa,
sforzandosi di bandir dal suo spirito ogni triste pensiero, si cullava
nella dolcezza del sogno. Appunto perchè, nelle ultime ore, ell'aveva
cominciato a dubitare della sua felicità coniugale, aveva sentito i
primi impeti di rivolta della sua personalità compressa e asservita,
appunto per questo ella si aggrappava al suo sogno che, divenendo
realtà, la avrebbe salvata da' suoi dubbi, dal suo orgoglio, da tutto.

Intanto la signora Valeria ed Alberto parlavano piano fra loro...



V.

Nel travaglio del parto.


Una lampada a petrolio sul cui globo era accomodata una ventola di
cartone proiettava un cerchio luminoso sulla tavola piena di carte e
di libri. In quel cerchio spiccava la testa, già accennante a un
principio di calvizie, del professore Varedo, e la sua mano si moveva
di quà e di là per prendere ora questo volume ora quello. Il rimanente
della stanza era nell'ombra. Di tratto in tratto il professore si
alzava dalla sedia, si accostava all'uscio, tendeva l'orecchio, poi
tornava al suo posto e si rimetteva al lavoro. Si capiva però ch'egli
non era tranquillo e non lavorava con la solita lena. Nella camera
nuziale, che il salotto da ricevimento e il salottino da pranzo
dividevano dallo studio, sua moglie era nel travaglio del parto. Aveva
cominciato a sentir le prime doglie alle cinque del pomeriggio, e
benchè non vi fosse la minima complicazione le cose procedevano con
lentezza.

--Ci vorranno altre quattro o cinqu'ore--aveva detto la levatrice ad
Alberto l'ultima volta ch'egli verso le undici, era venuto a veder sua
moglie. E, poichè a questa notizia egli s'era lasciato sfuggire un
gesto d'impazienza, Diana sforzandosi di sorridere, aveva sussurrato
dolcemente:--Se dipendesse da me!

E la signora Valeria, riaccompagnando il genero fino all'uscio dello
studio, aveva soggiunto:--È meglio che tu cerchi di dormire.... A suo
tempo ti chiameremo.

Il letto era stato improvvisato nella camera da studio, liberando un
divano dai libri che l'ingombravano e che adesso erano sparpagliati
sulle sedie o ammonticchiati negli angoli.

Ma Alberto Varedo non seguì il consiglio della suocera. Voleva finir
l'esame d'un pajo d'opere nuove che s'era fatto mandar dalla
biblioteca della Scuola, voleva terminar la correzione di certe stampe
speditegli dagli editori due giorni innanzi. Quest'ufficio di
corregger le stampe Diana l'aveva conservato anche durante la
gravidanza, e le prime cartelle delle bozze che Varedo esaminava erano
state riviste da lei la mattina stessa. Ora Alberto pensava che per un
bel pezzo neanche questo piccolo aiuto egli avrebbe potuto aver da sua
moglie. Meno male che c'era Bardelli.

Ed era appunto di Bardelli, del nostro amico Eugenio Bardelli, la
timida voce che, di dietro l'uscio chiuso, domandava:--È permesso?

--Avanti!--gridò il professore.

E soggiunse:--Non l'ho sentito nè sonare il campanello, nè camminare.
È entrato pel buco della serratura?

--Ho sonato adagio e ho camminato in punta di piedi... Passavo di qui
e desideravo saper qualche cosa, anche per conto della mamma.

--Grazie, non c'è ancora nulla di nuovo.

--Lo so... Ho parlato con la signora Valeria... La mamma rinnova le
sue offerte... Se c'è bisogno di lei, è sempre a disposizione... Ha
pratica di parti, la mia mamma.

--Grazie, grazie. Ma vede bene, non può occorrer nulla... C'è la
levatrice, c'è mia suocera, c'è la mia cameriera, c'è stato il
dottore... Tutto va in regola; non c'è che da lasciar tempo al tempo.

--Eh, capisco--riprese Bardelli girando fra le mani il cappello a
cencio.--A ogni modo anch'io se posso...

--Lei, caro Bardelli, può anche meno delle donne... Dica piuttosto, fa
freddo fuori?

--A bastanza... Un freddo asciutto però.

--E qui le pare che si stia bene!

--Qui si sta da papi.

--A me pare tutt'altro... I caloriferi sono spenti e ho dovuto
chiuderne le bocche... Prima di mattina si gelerà.

--In camera della signora Diana c'è la stufa?

--Sì, ed è accesa... Ma quella non riscalda me.

Eugenio Bardelli atteggiò il viso ad un'espressione di sincero
rammarico, come deplorando di non poter mutarsi lui in una stufa o in
un braciere per riscaldare il suo amato professore.

Non essendo facile il tradurre in parole un sentimento così generoso,
il giovine assistente (perchè fin dall'ottobre Bardelli aveva
conseguito il posto onorifico) balbettò:--Per domattina
all'Università, vado io...

--Sì, va lei, e fa ripetizione... Ma mi raccomando, Bardelli, non
abbia quell'aria d'uomo che domanda perdono di esistere. Il sapere è
una bella cosa, ma bisogna anche mostrar di sapere, sopra tutto quando
s'ha da fare coi giovani.... Se no, malgrado la sua dottrina finiranno
col prenderla di sotto gamba.

Era pur troppo quello che avveniva, ma Bardelli non osava confessarlo.

--L'arte di tener la disciplina, caro amico--continuò Varedo--non c'è
maestro che la insegni. Ci sono di quelli che la sanno già il primo
giorno che salgono in cattedra; ce ne sono altri che non la imparano
mai.

Bardelli chinava il capo in segno d'assenso, sbirciando nello stesso
tempo i frontispizi dei libri nuovi sparpagliati sulla tavola.

--Sono gli ultimi acquisti della Biblioteca della Scuola--spiegò il
professore.--Ci son anche due volumi di Spencer, ancora intonsi...
Vuol portarseli via?

Gli occhi dell'assistente brillarono di compiacenza.

--Così mi risparmia la briga di tagliar le carte. A me basterà
riaverli entro domani.

--E delle prove di stampa ce n'ha?--disse Bardelli.

--Queste finisco di correggerle io, tanto fa--disse Alberto.--Da
domani in poi, fin che mia moglie è impedita, ricorrerò a lei.

--Si figuri!--esclamò l'altro, contento come una Pasqua.--Sarà un
onore per me.--E soggiunse tentennando la testa:--Eh, la signora Diana
dovrà stare in riposo per un bel pezzetto.

--Chi sa?... I parti delle donne son faticosi, son dolorosi, non c'è
dubbio; però, nella peggiore ipotesi, è una fatica, è un dolore di
uno, di due giorni... Noi uomini di studio, siamo nel travaglio del
parto tutto l'anno, e le nostre creature fatte, rifatte, distrutte
persino con le nostre mani ci costano molti più spasimi di quelle che
non abbiamo costato noi alle nostre genitrici.

Il professore Varedo parlava come persona convinta di esser vittima
d'un'ingiustizia sociale. O che forse non meritava anch'egli una parte
dell'interesse, della sollecitudine ansiosa che in quel momento si
consacrava a sua moglie?

Non avvezzo a considerar la questione sotto questo aspetto originale,
Bardelli se la cavò con poche frasi sconnesse.

--Sicuro... Anche gli uomini di studio.... è positivo... sono in
gestazione continua.

Varedo lo licenziò.--Buona notte... Vada, vada, lei che può coricarsi
tranquillamente.... Prenda i due libri, e arrivederci...

Dopo aver dato un'altra capatina in camera di Diana, Alberto riprese
la correzione delle sue stampe. Finita che l'ebbe, principiò a
camminar su e giù per la stanza col capo chino, con le mani
intrecciate dietro la schiena, sotto la vestaglia. Camminava adagio
nel poco spazio lasciato dai libri e dai mobili, camminava riflettendo
ai casi propri e commiserandosi. Lo assaliva un amaro rimpianto dei
primi mesi del suo matrimonio, allorchè Diana era tutta sua, tenera,
espansiva sovente, devota, affezionata sempre, sempre pronta ad
accogliere le sue confidenze, ad assisterlo nei suoi studi. Così egli
lo comprendeva il matrimonio; quella poteva chiamarsi davvero l'unione
di due anime. O perchè non era durato così? Dal giorno che Diana s'era
sentita madre, tutto era mutato d'aspetto. Egli le parlava ed ella lo
ascoltava distratta, mal dissimulando la propria indifferenza pegli
argomenti ch'egli era riuscito a renderle cari e domestici. E cercava
sviare il discorso e tirarlo sul grande avvenimento che stava per
compiersi e a fronte del quale ogni altro pensiero le pareva vano. Che
s'egli, alla sua volta, non rispondeva a tuono alle domande di lei
circa alla cuna del bimbo, al corredo, alla diversa disposizione da
darsi al loro quartierino durante il periodo dell'allattamento, una
nuvola le si stendeva sulla fronte, una lacrimetta le spuntava negli
occhi, ed ella biascicava con voce dolente:--Ecco, non _gli_ vuoi
bene.--Santo Iddio, che bene doveva volergli se per lui _egli_ non
esisteva ancora? Ma guai se Varedo non avesse soffocato questo grido
dell'anima! E si difendeva dall'accusa di non volergli bene,
quantunque non potesse volergliene come lei che lo portava nel suo
grembo e lo nutriva del suo sangue... Erano dispute brevi che si
rinnovellavano spesso e turbavano l'antica armonia. Senza dire del
dissidio latente che c'era tra Alberto e Diana a proposito dello zio
Gustavo. La scenata del Lido non aveva avuto conseguenze; i due uomini
s'erano in apparenza riconciliati, ma non vi poteva esser buon sangue
fra loro. E Gustavo, che non voleva metter la nipote in una condizione
difficile verso il marito, non le scriveva più, ed evitava di venir a
Torino ove pure gli affari della sua Compagnia d'Assicurazioni
l'avrebbero chiamato di quando in quando. Diana sentiva amaramente la
mancanza di questa corrispondenza e di queste visite, e sebbene i suoi
principî rigidi le impedissero di giudicar in modo diverso da Alberto
le relazioni fra lo zio e Adelaide Nocera, non permetteva alcuna
allusione men che rispettosa a un parente che nel cuore di lei aveva
tenuto un posto vicinissimo a quello occupato dalla sua mamma.

Comunque sia, nelle meditazioni peripatetiche di quella notte, Alberto
Varedo dedicava appena un pensiero fuggitivo al mondano ingegnere. Non
era lui il nemico del suo benessere coniugale; il nemico vero (la
dichiarazione aveva almeno il merito della franchezza) era il
nascituro. Era inutile; questo marmocchio che gli avrebbero presentato
forse di lì a pochi istanti dicendogli:--È il tuo figliuolo--non
destava nell'animo del professore il minimo senso di tenerezza.
Avrebbe fatto, si intende il suo dovere verso di lui (quando non lo
faceva, egli, il proprio dovere?) avrebbe lavorato per non lasciargli
mancar nulla; l'avrebbe protetto, consigliato, difeso; ma come gli
sarebbe stato riconoscente se fosse rimasto _in mente Dei_!... E pure
non gli accadeva nulla che non fosse nell'ordine naturale delle cose,
e il suo collega professor Feroni, grande odiatore del bel sesso, a
cui egli non aveva saputo dissimulare la sua noia per la gravidanza
della moglie, aveva esclamato per spaventarlo:--Eh caro mio, le donne
son capaci di tutto, anche di darvi due gemelli... Chi non vuol
disgrazie segua il mio esempio e ne stia lontano.

Certo il dubbio che in fondo a questa mala soddisfazione per
l'imminente paternità ci fosse una buona dose d'egoismo veniva ogni
tanto a molestare il professore Alberto Varedo, a turbar l'alto
concetto ch'egli aveva della sua perfezione morale. Anche adesso una
voce importuna gli ripeteva di quando in quando:--tu che non soffri,
tu che puoi, se ti piace, stenderti sul tuo letto e dormire, tu ti
lagni e ti crucci, e tua moglie che patisce da nove mesi, tua moglie
che ora si dibatte negli spasimi, che potrebbe soccombere alla prova,
è raggiante di gioia nell'aspettativa della gracile creatura che
uscirà palpitante dalle sue viscere. E questa creatura ella per un
anno la nutrirà del suo latte, consacrerà ad essa i suoi giorni e le
sue notti, le insegnerà a balbettare le prime parole, a provare i
primi passi, ne scruterà ogni moto, ogni gesto, sentirà ripercotersi
in cuore l'eco d'ogni suo lamento, tremerà d'ogni ombra che ne
offuschi le pupille, che ne veli le gote;... tu frattanto accudirai
alle tue occupazioni ordinarie, correrai dietro come prima a' tuoi
sogni ambiziosi; non avrai del bambino che le carezze e i sorrisi... E
osi lagnarti?

Ma Varedo non durava fatica a soffocar queste timide rampogne della
sua coscienza. Chi discute con sè medesimo finisce sempre col trovar
gli argomenti che gli danno ragione. Egli non negava nè le sofferenze
presenti nè le passate di Diana; non negava il coraggio con cui ella
dissimulava i suoi dolori; nè l'abnegazione piena d'entusiasmo con cui
si disponeva ad adempire ai suoi uffici. Ma che per ciò? Se l'ideale
della donna è quello d'esser madre, se nel conseguimento di questo
ideale è la sua maggior voluttà, si capisce bene che per raggiungerlo
ella affronti risoluta e serena qualunque pericolo e si sobbarchi a
qualunque sacrifizio. Il dolore, il pericolo sono condizioni
indispensabili della sua gioia; il sacrifizio, o quello che ci par
tale, è anch'esso una gioia per lei. Non convien quindi magnificare
oltre misura i suoi meriti.

Alberto Varedo era arrivato a questo punto della sua ingegnosa
dissertazione quando lo ferì un grido acuto, straziante, come d'un
animale colpito a morte. E a quel grido ne succedette un secondo, ed
un terzo più straziante, più acuto... indi un gran silenzio... Il
professore sentì un brivido corrergli dalla punta dei piedi alla
radice dei capelli, sentì bagnarsi d'un sudor freddo le tempie e le
mani, guardò istintivamente l'orologio che segnava le tre del mattino,
e barcollando sulle gambe uscì dalla stanza.

Era entrato appena nel salotto attiguo che si incontrò con la suocera
la quale, a vederlo così pallido, diede un passo indietro. Ma
ricompostasi subito--Sei tu?--disse.--Venivo ad annunziarti che tutto
è finito.

--Finito?--balbettò Alberto.

--Già... finito in bene... e prima di quello che non si credesse... Ma
per questa volta bisogna aver pazienza. È una femmina...

Che fosse una femmina o un maschio non era cosa che importasse molto a
Varedo; ond'egli non fece un grande sforzo di magnanimità a dichiarare
che gli bastava di saper Diana fuori di pena.

--Vieni a darle un bacio--proseguì la signora Valeria. E lo precedette
dalla figliuola.

Nella camera nuziale una matrona baffuta, con un neo sul mento che
sembrava un cespuglio, immergeva in una vasca d'acqua tepida un
mostriciattolo paonazzo e strillante; la donna di servizio cacciava in
un angolo un mucchio di panni sanguinolenti. Bianca come il guanciale
su cui posava la testa, la puerpera si voltò languidamente verso il
marito, e gli sussurrò in un soffio:--Sto bene adesso... L'hai vista?

--Or ora gliela porto--disse la matrona baffuta, mentre Alberto,
docile agli eccitamenti della suocera, si chinava su Diana e accostava
la bocca alla bocca scolorita di lei.

La matrona, conosciuta in arte sotto il nome di Carlotta Rossetti,
levatrice approvata, infarinò rapidamente con la cipria il
corpicciuolo umido e viscoso della bambina, e la presentò in tutta la
sua seducente nudità al felice genitore.

--Baciala--suggerì la signora Valeria.--È una bellezza.

Reprimendo un gesto di maraviglia all'audace affermazione, Varedo
sfiorò con le labbra la guancia della sua primogenita.

--Una bellezza--sentenziò la levatrice approvando le parole della
signora Valeria. Ma soggiunse con arguzia:--La prossima volta faremo
un maschio.

Diana tirò fuori faticosamente una mano dalla coperta e accennò ad
Alberto d'avvicinarsi.

--Non sei andato a letto?--gli chiese.

--No...

--Povero Alberto!... Vacci ora... Tra poco spero anch'io di dormire.

--Sarai stanca.

--Tanto stanca.

--Hai sofferto molto?

--Molto... Ma è passato... E dopo si prova una gran pace.

--Tss, tss!--fece la signora Valeria, appressandosi alla
figliuola.--Non affaticarti a discorrere... E tu, Alberto, procura di
riposare il resto della notte.

--È quello che gli dicevo--bisbigliò Diana.

--Tutti, tutti dobbiamo pigliarci qualche ora di riposo... Anch'io
guardo con desiderio a quel letto lì...

E la signora Valeria accennò al letto di suo genero ch'ell'avrebbe
occupato per quella notte e per le seguenti.

Indi rispose:--Appena la signora Carlotta avrà finito i suoi affari
con la _principessina_...

--Ho finito, io... Ecco Madamigella

E prima di collocarla nella cuna tepida e civettuola che l'aspettava
la riofferse, avvolta in pannolini caldi, al bacio della nonna e dei
genitori.

--O perchè non posso tenerla qui accanto?--chiese Diana.

Sua madre si oppose.--No, assolutamente no.

--Perchè?... Dovrò alzarmi per vederla.

--Abbi pazienza... Per questa volta fa conto d'aver dieci anni di meno
e ubbidisci alla tua mamma... La cuna è attaccata al tuo letto... Non
hai che da voltare un momento la testa... Tutti questi lumi li
porteremo via... Non resterà che il lume da notte là sul cassettone...
proprio in fianco alla cuna... Guarda, la piccola s'è chetata
subito... O dov'è la signora Carlotta? Se ne sarebbe andata alla
_romana_?

La donna di servizio rispose:--No, si mette il cappello e torna.

In fatti, la signora Rossetti riapparve col cappello in testa e
imbacuccata nella pelliccia.

--Son qui a dar la buona notte a tutti... principiando dalla nostra
sposa...

S'accostò alla puerpera, la palpeggiò in tutto il corpo con la mano
esperta, e diede segni di viva soddisfazione.--Bene, benissimo... Sarò
qui domattina alle dieci.

--Domattina verrà anche il dottore.

--È naturale--osservò la levatrice.--Ma non avrà da ordinar nulla.

--E--domandò ansiosa Diana--la piccola non avrà bisogno di niente...
Non avrà fame?... Non avrà sete?

--Che fame?--protestò la signora Carlotta.--Che sete?... Fin dopo la
mia visita di domani non le diano neppur un gocciolo d'acqua.

--E per domani mi verrà il latte?

--Sì, non dubiti... E stia di buon animo... Se si agita, guai... Buona
notte...

--Buona notte.

La signora Valeria accompagnò la levatrice fino nell'anticamera.--Tutto
in regola, non è vero?

--Perfettamente.

--Sia ringraziato Iddio... E se ne va così sola?... ... Oh, lei qui
di nuovo?

Queste ultime parole erano indirizzate a Bardelli apparso come per
incanto.

--Sì... Passavo... Sento che la signora Diana s'è liberata... Mi
rallegro, anche in nome della mamma.

--Grazie, signor Bardelli... ci vedremo domattina... Adesso si va
tutti a letto...

--E il professore?

--È di là... Ma è meglio lasciarlo stare...

--Diamine! Se posso servire in qualche cosa?

--Niente, signor Bardelli, niente... O piuttosto, sì... forse potrebbe
far un tratto di strada insieme con la signora Rossetti.

--Ben volentieri...

Ma la levatrice, che aspettava il momento buono per congedarsi
definitivamente, dall'alto della sua statura di un metro e 82
centimetri squadrò il piccolo e sbarbato professorino e disse non
senza malizia:--Chè? Chè? Ho l'abitudine di andar sola a qualunque
ora... Con un giovinotto poi, comprometterei la mia riputazione...

--A ogni modo--ripigliò sorridendo la signora Valeria--il professor
Bardelli potrebbe chiamarle un fiacre.

--Immediatamente. Ce ne dev'essere in Piazza Vittorio Emanuele.

E Bardelli si precipitava; ma la signora Rossetti lo trattenne.--Non
si disturbi... fin che posso, preferisco trottar con le mie gambe che,
grazie a Dio, sono ancora buone.

Battè due colpi con la palma sulla rotella del ginocchio e
soggiunse:--A me nessuno osa dar molestia... E poi, creda a me,
_madama_ Inverigo, quando una donna ha un certo contegno...

Terminò d'infilarsi un paio di grossi guanti di lana, alzò il bavero
della pelliccia, e uscì con passo marziale.

Eugenio Bardelli, sgattaiolò per proprio conto.

  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .

Rientrando nella sua camera da studio, Alberto ebbe l'ingrata sorpresa
di trovarsi in un'atmosfera densa ed irrespirabile. La lampada a
petrolio s'era spenta; il fungo formatosi in cima allo stoppino
mandava un chiarore rossastro. Il professore dovette spalancare la
finestra, posar il lume sul davanzale, e lasciar aperto per qualche
minuto. Era una notte di marzo limpida e fredda; il termometro
all'esterno segnava otto gradi sotto zero; i tetti, bianchi di neve,
scintillavano ai raggi della luna. Non saliva dalla strada suono di
passi o di voci. Allorchè Varedo si decise a rinchiudere i vetri,
anche la stanza era una Siberia, ed egli, messosi a letto, non potè
dormire nè riscaldarsi per quanto si coprisse. Prima dell'otto era in
piedi, starnutando e tossendo. E queste furono per lui le prime
dolcezze della paternità.



VI.

Nuovi orizzonti.


L'avevano battezzata per Valeria, ma, poichè il nome pareva troppo
solenne, preferivano, fin che era piccola, di chiamarla _Bebè_. A sei
mesi ell'era piuttosto brutta che bella, piuttosto cattiva che buona,
e spiegava istinti voraci ch'esaurivano il petto materno e
costringevano a ricorrere all'aiuto del latte di capra, delle pappe e
degli zuccherini, di cui la bimba era ghiotta fuor di misura, tanto da
strillar di gioia quando glieli davano e da strillar di rabbia quando
non volevano ripeterglieli. Del resto, indipendentemente dagli
zuccherini, quegli strilli da pavone empivano spesso la casa, e il
professore, turandosi gli orecchi, urlava da una camera all'altra alla
moglie:--Per carità, falla tacere.--Ma Diana si maravigliava della
estrema suscettibilità del marito, e domandava ingenuamente:--O che
disturbo ti dà?... A ogni modo, chiuderò anche quest'uscio.

E, _pif paf_, si sentiva il rumor d'un'usciata, che aveva il
significato dispettoso d'una protesta. Tuttavia i due coniugi vivevano
in passabile accordo. Ella si sforzava di consacrare ad Alberto le ore
che l'eran lasciate libere dalla figliuola e gli ricopiava qualche
pagina di manoscritto, gli correggeva qualche bozza di stampa; egli
dal canto suo cercava coscienziosamente di far vibrar dentro di sè le
corde ribelli della paternità, e di tratto in tratto consentiva a
prender Bebè sulle ginocchia, e ad ammirarne le riposte bellezze. Ma
era una disdetta. La piccola non poteva star due minuti col suo babbo
senza rendersi colpevole di infrazioni più o meno gravi alle regole
della creanza; allora il professore, inorridito, restituiva il dolce
pondo a Diana che si metteva a ridere, e, ridendo, lo faceva
arrabbiare.--O, vorresti pigliar queste cose in tragico?--diceva lei.
E Varedo, di rimando:--Sarebbe ben meglio che tu la lasciassi con la
bambinaia.--Meno che posso gliela lascio--ribatteva Diana.--Le madri
devono badar esse ai loro figliuoli.

Quel famoso dovere ch'era stato per tanto tempo ed era ancora, come
direbbero i vagneriani, il _leit-motiv_ dei discorsi di Varedo, aveva
trovato in Diana un terreno propizio per fruttificare. E innestandosi
adesso sull'amore vivissimo ch'ella portava a Bebè dava a quell'amore
quasi la rigidezza d'una disciplina militare. Alla massima generica e
indiscutibile che le mamme devono occuparsi personalmente della loro
prole si aggiungevano altri precetti particolari che la giovine sposa
non avrebbe trasgrediti per tutto l'oro del mondo. Così per esempio
ell'aveva voluto continuar ad allattare benchè l'allattare la
estenuasse; così ella non cedeva a nessuno l'ufficio di fare ogni
mattina il bagno alla bimba; così ella s'imponeva la regola di uscir
pochissimo di giorno se non poteva portar seco Bebè, e di non uscir
mai la sera nemmeno se Bebè dormiva tranquillamente. Non doveva ella
invigilarla sempre? Non doveva esserle accanto se si svegliava?

Che se Alberto la rimproverava di esagerare, ell'aveva la risposta
pronta:--In fatto di dovere, _melius abundare quam deficere_; l'hai
detto tu, in un latino che capisco anch'io. Tu fai il tuo dover di
professore, di scienziato, io faccio quello di buona mamma.

Sarebbe stato facile di replicare che nella vita i doveri son molti e
che l'essenziale è di saperli conciliare, mentre a prenderne troppo in
epico uno solo si rischia di mancare agli altri; ma Alberto Varedo non
aveva neppur lui un concetto abbastanza limpido del rapporto esistente
fra i vari doveri per dare una risposta così semplice e naturale;
anch'egli era propenso a considerar come tali soltanto quelli che
convenivano a' suoi gusti e a' suoi fini, e la distinzione fatta da
Diana implicava in favor suo un certo grado di libertà che non gli
tornava sgradito.

Ond'egli si limitava a borbottar qualche parola e lasciava cadere il
discorso.

Fu appunto in quel tempo, fra il sesto e il settimo mese di Bebè,
quando l'apparizione del primo dente in bocca alla figliuola era
salutata da Diana come il primo apparir della terra dai compagni di
Cristoforo Colombo, fu appunto allora che il professore Alberto Varedo
veniva sollecitato all'adempimento d'un nuovo dovere, quello di servir
la patria nella politica.

Rimasto vacante per la morte d'un deputato un collegio della provincia
di Cuneo, gli elettori pensaron a lui e delegarono una Commissione di
notabili a offrirgli la candidatura nei termini più lusinghieri.
Sarebbe stato singolarissimo onore pel collegio l'essere rappresentato
da un uomo di tanto merito, un uomo che, così giovine, era già una
gloria dell'Università, uno spirito liberale, un parlatore facondo, un
luminare degli studi giuridici, ecc., ecc. La verità si era che il
collegio constava di tre frazioni in lotta fra loro, nessuna delle
quali era capace di far riuscire il candidato del suo cuore, nè
rassegnata a lasciar trionfare il candidato d'una delle frazioni
rivali. Bisognava quindi cercar uno che non fosse della provincia,
meglio ancora che non fosse della regione, e Alberto Varedo possedeva
questo prezioso requisito.

Già più d'una volta era balenata alla mente di Varedo la possibilità
di entrare presto o tardi nella vita pubblica. Più d'una volta, al
Caffè Romano, in quei crocchi di neo-professori ove si parlava d'arte,
di letteratura, di filosofia, di matematica _et de omnibus rebus_,
egli aveva difeso la politica contro gli attacchi furibondi di alcuni
colleghi.

--La politica guasta tutto ciò che tocca--urlavano quelli.--Sciupa
gl'ingegni e annebbia le coscienze.

--Il nostro Senato è un ospizio d'invalidi, la nostra Camera è un
immondezzaio--soggiungevano i più arrabbiati.

Ma egli, senza scomporsi, sosteneva che quanto più basso era caduto il
Parlamento italiano tanto più era necessario di rinnovarlo, di
purificarlo con elementi incontaminati.

--O che poni la tua candidatura?

--Che c'entro io?--replicava Varedo.--Si discorre in tesi generale.

E, tra serio e scherzoso, egli citava una sentenza di Cicerone da lui
già tradotta per uso di Diana:--_Neque enim est ulla res in qua
propius ad deorum numen virtus accedit quam civitates aut condere
novas, aut conservare jam conditas._

Ella, Diana, dubitosa sulle prime, trepidante al pensiero che se
Alberto fosse deputato sarebbe troncata la tranquilla intimità della
loro vita domestica, ella a poco a poco era andata mutando opinione.
Se la gioventù avesse effettivamente una missione da compiere? Se
portando alla Camera dei criteri rigidi, austeri, ella potesse
arrestare la corruttela che dilagava, cooperare alla rigenerazione
morale di quella terza Italia riuscita così inferiore all'aspettativa,
o ch'era lecito alle donne d'intralciare il cammino ai figliuoli, ai
mariti, ai fratelli? Non era anzi obbligo loro di aiutarli a svolgere
tutte le proprie attitudini?

Ma già da un bel pezzo nè Diana pensava a ciò, nè Alberto tirava in
campo l'argomento. Ella era così assorbita dalla sua maternità che
Varedo, uso a non ammettere che si potesse distrarsi mentre egli
parlava, aveva finito coll'intrattenerla molto più raramente de' suoi
disegni, delle sue aspirazioni.

Adesso però il silenzio era impossibile, e Varedo informò sua moglie
della proposta che gli era fatta. Non disse ch'era deciso in cuor suo
d'accettarla; finse per cortesia di attendere il parere di lei, le
rammentò le dispute romorose con gli amici al Caffè Romano, e la parte
ch'ella pure vi aveva preso, e l'ardore con cui ella lo aveva
appoggiato nella sua lotta contro l'egoismo scientifico.

A Diana quei giorni sembravano tanto remoti. La piccola cuna ove,
placida e rosea, Bebè dormiva i suoi sonni innocenti aveva scavato un
abisso fra il passato e il presente. Le dispute del caffè l'erano
quasi sfuggite dalla memoria; non capiva com'ella vi si fosse
immischiata, come avesse mostrato uno spirito così battagliero, come
avesse potuto prender sul serio cose e questioni che oggi le parevano
di piccolissimo conto.

Benchè nella sua perspicacia ell'avesse subito capito che Alberto era
ormai legato da una promessa e non la consultava che per salvar le
apparenze, ella non mostrò d'aversene a male, nè volle mettersi in
contraddizione con le sue opinioni d'un tempo. Ma i suoi motivi erano
affatto diversi. La missione della gioventù, la fede negli alti e
severi propositi con cui Alberto sarebbe entrato alla Camera,
l'orgoglio di essergli consigliera ed ispiratrice, tutto ciò insomma
che le aveva brillato dinanzi agli occhi come un sogno di gloria e di
poesia oggi la faceva sorridere come un'illusione infantile. Sentiva
la vanità della gloria, e, in quanto alla poesia, sentiva che per la
donna non ce n'è nessuna che valga il bacio e la carezza d'un suo
bambino....

Ell'accolse quindi le comunicazioni di Varedo senza entusiasmo e senza
ostilità, con una calma benevola in cui c'era un fondo d'indifferenza.

--E sei poi sicuro d'essere eletto?

--Spero... Non ci sono competitori seri... Dovrò andare nel collegio a
tenere un discorso.

--Quando?

--Mi avviseranno. Forse domenica prossima... Oh, un viaggio breve....
Sarò di ritorno la sera....

Ella sorrise.--Quando sarai deputato le tue assenze saranno più
lunghe.

--Sfido io... Ma ormai non ci sono distanze, e anche da Torino a Roma
si va così presto.... E poi, di tratto in tratto, verrai anche tu a
passar qualche settimana alla capitale.

--Io?... Ora Bebè è troppo piccola.

--Quando sarà svezzata.

--E l'Università?--chiese Diana.

--Ci sono tanti professori nel mio caso.

--Professori che non fanno lezione--soggiunse ella con una punta
d'ironia.

Ella rammentava le sfuriate di Alberto contro i colleghi negligenti.

--Chi dice questo?--egli replicò infastidito.--Intendo professori che
sono deputati.

--E fin che sono a Roma non possono essere a Torino.

--Con un po' di attività si concilia ogni cosa--ribattè Varedo.--La
Camera non è sempre aperta, non tutte le discussioni sono
interessanti... All'Università c'è l'assistente; io ho Bardelli ch'è
pieno di zelo;... a ogni modo, quando urge essere da una parte o
dall'altra, un dispaccio è presto spedito e ricevuto.

--Che gusti!--pensava Diana.--Esser metà dell'anno in ferrovia, non
aver un'ora di pace, aspettar sempre un telegramma che vi chiami di
qua e di là...

E involontariamente ella confrontava quell'agitazione perpetua e
febbrile con l'esistenza placida ch'era serbata a lei, sempre fra le
pareti domestiche, sempre accanto a Bebè, sempre intenta a scoprire il
miracolo di quella vita che sbocciava sotto i suoi occhi. Le future
assenze di Alberto non la turbavano; nel suo inconscio, tranquillo
egoismo ella considerava che, col marito lontano, non avrebbe avuto
rivali presso la figliuola, che sarebbe stato suo, non d'altri che
suo, quell'affetto onde, sin dai primi mesi, ell'era gelosa.

Quante volte, dopo la comunicazione di Varedo, mentre ferveva la lotta
elettorale ed egli era in giro pel suo collegio ad accaparrarsi i
voti, Diana, sola con Bebè e palleggiandola fra le braccia, le parlava
come s'ella potesse intenderla.

--Il babbo chiacchiera co' suoi bifolchi, bel matto! Ci trovo ben più
sugo io a chiacchierare con te!... Andrà a Roma il babbo... Ma noi che
siamo qui, ci faremo compagnia... non avremo bisogno di nessuno, non è
vero, caro tesoro?

Venne finalmente il giorno dell'elezione. Il professore assicurava
che, in fondo, non ci teneva affatto, che aveva accettata la
candidatura perchè gli sembrava doveroso accettarla, ma che, se non lo
nominavano, se ne sarebbe dato subito pace. Poteva dir senza
presunzione:--Tanto peggio per gli elettori;--perchè il nome su cui
gli avversari suoi s'erano concertati era un nome insignificante,
ridicolo e peggio. Anche prima d'esser uomo politico Alberto Varedo
aveva degli uomini politici l'equanimità e la temperanza... Dunque, a
sentir lui, non gl'importava riuscire, ciò che non toglie che la notte
precedente al gran giorno egli non chiudesse mai occhio, e che la
mattina fosse in piedi all'alba e spedisse Bardelli al telegrafo con
un fascio di dispacci intesi a smentire due o tre notizie inesatte
sparse sul conto suo da un foglio della provincia. Bardelli,
figuriamoci, era venuto a mettersi a disposizione del professore prima
che si spegnessero i lumi per le strade.

--Io me ne infischio, ma vedrà, caro Bardelli, vedrà che faccio
fiasco.

Quest'era il ritornello di Varedo, a cui l'assistente contrapponeva
una serie di affermazioni documentate che davano la sicurezza della
vittoria. Egli aveva fatto il computo dei voti; garantiva una
maggioranza schiacciante.

Il profeta di buon augurio fu trattenuto a colazione, poi mandato qua
e là nelle redazioni dei giornali amici per aver notizie. In vero
delle notizie dei giornali non c'era bisogno, perchè presto
cominciarono ad arrivare telegrammi diretti dalle varie parti del
collegio, prima sulla formazione dei seggi, più tardi sul concorso
degli elettori, finalmente sui risultati, sezione per sezione. Alle
cinque l'esito non era più dubbio, e Diana desiderò avvisarne sua
madre con un dispaccio che l'officioso Bardelli s'incaricò di portar
egli stesso al telegrafo.

--Dopo torni qui e resti a desinare con noi--dissero, all'unisono, i
Varedo.

La sera vi fu una processione di gente che veniva a congratularsi.
Erano in maggioranza giornalisti, studenti, professori. Uno di questi,
il dottor Sali della facoltà di lettere, portò anche la moglie, la
signora Erminia, ex bella donna, di cui si diceva all'Università
ch'era _alla sua terza_ _maniera_ perchè prima di sposarsi con Sali
era rimasta vedova due volte, di due professori, l'uno della facoltà
di scienze, l'altro della facoltà giuridica. Non le restava ormai da
assaggiare che la Scuola d'applicazione.

Ma la visita che fece più colpo fu quella del Rettore professor
Andriani, che aveva appartenuto alla Camera subalpina e che adesso
apparteneva al Senato, brav'uomo, eloquente ai suoi tempi, facondo
sempre; solo che, per una disgraziata conformazione dei denti, veri o
posticci, non poteva da alcuni anni dir quattro parole senza mettere
un fischio.

Sebbene côlta alla sprovvista, Diana non tardò a ricomporsi e ad
adempiere convenientemente ai suoi uffici di padrona di casa. Fece
accendere il gaz in tutte le stanze a eccezione della camera da letto
ove dormiva Bebè (figuriamoci! quella doveva esser chiusa ai profani)
accettò con garbo i rallegramenti, distribuì rinfreschi a' suoi
ospiti. Certe bottiglie di vecchio Barolo che dormivano polverose in
cantina furono stappate per l'occasione, e contribuirono a crescere il
buon umore. Si propinò alla salute del neo eletto, gli si augurò un
sottosegretariato fra sei mesi, un portafoglio fra un paio d'anni.

Egli, modesto, si schermiva.--Adulatori!... Ho proprio la stoffa del
Ministro, io! E se credete ch'io sia uomo da ambire il titolo
d'Eccellenza!... Lo dico a cuore aperto, non so nemmeno quanto tempo
resterò deputato...

--Eh via...

--Ma sì... Quando vedessi chiaro che non si cava un ragno dal buco,
darei le mie dimissioni.

Frattanto il Rettore Andriani, slanciando a destra e a sinistra i
soliti fischi come di locomotiva in partenza, s'era impegnato in un
discorso lungo sul periodo classico delle nostre lotte parlamentari, e
citava alcune sedute memorabili del 1860 e 61, e raccontava una serie
d'aneddoti del Conte di Cavour e di Urbano Rattazzi.

Ma Diana sgattaiolava di tratto in tratto in silenzio, andava in
camera da letto a dar un'occhiata alla bimba, si fermava in estasi a
contemplarla.

--Cara, cara... Questo è il mio Parlamento... Questo è il mio
Ministero... Oggi ti ho dovuta trascurare... Ma non sarà più così,
sai...

Una volta la bimba si svegliò, si mise a piangere, e Diana se la prese
sulle ginocchia e si slacciò il busto per offrirle il seno, orgogliosa
di quel suo ufficio di madre, ascoltando come una musica nuova e
soavissima il tenue rumore del latte che, succhiato con labbra avide,
scendeva a goccia a goccia nelle fauci della bambina. Anche era per
lei una voluttà dolorosa il sentir sulle carni delicate la punta dei
primi dentini nascenti, e le pareva che ogni sofferenza creasse fra
lei e quel suo angioletto un legame di più. Ella diceva fra sè:--Di là
i sogni dell'ambizione, della potenza, della gloria; di qua una povera
diavola che dà il latte alla sua creatura... Sono una povera diavola,
io, nonostante i grandi pronostici che si facevano sul mio conto...
Non sono che la moglie di un uomo illustre... e piuttosto che brillar
soltanto di luce riflessa è meglio rimanere all'oscuro.

A poco a poco il sonno dolce e benefico allargò e distese le sue ali
sull'esile corpicino di Bebè; gli occhi si chiusero, le labbra si
staccarono dal capezzolo, la testa ricadde alquanto all'indietro,
abbandonandosi sul braccio materno. Diana, asciugata con un bacio
lieve la bocca umida della bimba, la posò sulla cuna, le ravviò sul
petto le coperte e tornò in salotto ove i visitatori non attendevano
che lei per partire.

--Domando mille scuse, ma sono una balia, e le balie non possono far
complimenti.

--Ma s'intende, ma ci mancherebbe altro!

--Beata lei che ha già una bambina!--esclamò la signora Sali.--Io, con
tre mariti, non sono mai riuscita ad aver figliuoli... Che uomini mi
son toccati!

Varedo, al quale sembrava che quella sera, Diana non avrebbe
dovuto occuparsi che di lui e del suo trionfo, ebbe un moto
d'impazienza.--Quella piccina è viziata... Si avrebbe potuto
svezzarla da un pezzo.

Indi rivoltosi a Bardelli, soggiunse:--Non vada mica via, lei.
Usciremo insieme.

--Esci?--chiese Diana.

--Sì; devo andare al telegrafo e alla _Gazzetta Piemontese_.

In quella giunse un dispaccio. Era della signora Valeria e portava le
felicitazioni di lei e degli amici che raccolti in casa Inverigo
bevevano lo sciampagna alla salute del nuovo onorevole e della sua
compagna.

--Povera mamma!--sospirò Diana.--Il suo cuore è sempre con noi.

Rilesse il dispaccio in silenzio. Nessuna menzione dello zio Gustavo.
Egli non era fra quelli che si rallegravano della vittoria di Alberto.
Com'era tenace nei suoi rancori!

--Piovono le congratulazioni--notò Alberto a sua moglie (erano rimasti
loro due soli e Bardelli).--Non ci sei che tu che non m'hai ancora
detto nulla.

Già disposta alla commozione dal telegramma della madre, Diana, a
questo mite rimprovero in cui c'era un'intonazione affettuosa, sentì
salirsi le lacrime agli occhi, e tendendo tutt'e due le mani a suo
marito,--Io...--balbettò--io... ma io sono una parte di te.

I due sposi si scambiarono un bacio.



VII.

Due "maiden-speeches".


Un sabato sera (Varedo era già deputato da qualche mese) Diana
riceveva da Roma questo telegramma.

_Discorso esito trionfale. Congratulazioni deputati
ministri.--Dettagli per lettera. Manderò giornali._

                                ALBERTO.

Era la prima volta che Varedo parlava alla Camera. Da uomo accorto
egli non aveva voluto precipitar nulla; sapeva che i deputati non ci
guadagnano a mostrar soverchia impazienza; che devono prima farsi
conoscere e apprezzar negli uffici, e stringere amicizie personali, e
acquistar la certezza che, partecipando a una discussione pubblica,
saranno ascoltati. «Dall'esito di quello che gli Inglesi chiamano il
_maiden speech_--egli aveva scritto a sua moglie--«può dipender tutto
l'avvenire di un uomo politico».

Ecco dunque che il suo _maiden speech_ egli l'aveva fatto, riportando,
a quanto pareva, un vero successo oratorio.

Diana si voltò verso Bebè che, accomodata nella sua seggiolina davanti
alla tavola, era occupatissima a sovrappor l'uno all'altro alcuni cubi
di legno, e mugolava al suo solito: _umm_, _umm_.

--Ha fatto un bel discorso il babbo, e tu non sai dire che _umm_,
_umm_. Vergogna!

Bebè guardò la sua mamma con occhi incantati, poi fece il bocchino da
piangere.

--No, no, non ti sgrido mica--si affrettò a soggiunger la madre quasi
scusandosi.--Buona, buona!... Non ne hai colpa tu se non parli.

La bimba aveva più di un anno ed era svezzata da un mese; capiva
tutto, conosceva tutti, era, che s'intende, un portento, ma non
articolava ancora nessuna parola, e quest'era un gran cruccio per
Diana, che sfogava le sue inquietudini col medico di casa, il dottor
Giraldi, e di tratto in tratto, sommessamente, arrischiava l'idea di
consultare uno specialista.

Il dottor Giraldi rideva.--Consulti chi vuole, ma è un'idea
stravagante... Bebè non ha nessun difetto alla lingua; parlerà senza
dubbio, un poco dopo di qualche sua coetanea, un po' prima di qualche
altra... perchè ci sono bambini che tirano avanti fino a un anno e
mezzo e due anni;... ma parlerà, la sbalordirà, ne stia certa.

Le medesime cose, su per giù, le scriveva da Venezia la madre, e la
vecchia Bardelli, nelle sue visite settimanali, ripeteva sempre che il
suo Paolo (l'artista, quello de' suoi figliuoli ch'ella teneva in
maggior conto) era stato muto come un pesce fino a sedici mesi e due
giorni.

Così lo specialista era lasciato dormire, tanto più che Diana non
osava nemmeno accennarvi nelle sue lettere ad Alberto; ma non per
questo ell'era tranquilla, chè anzi la sua inquietudine cresceva d'ora
in ora. E quella sera, sotto l'impressione che Bebè fosse rimasta
mortificata dal rimprovero, a lei scendeva nell'anima una invincibile
tristezza che le inumidiva le ciglia e la rendeva quasi dimentica del
trionfo di suo marito.

--Caro, caro tesoro--ella esclamò prendendo in collo la bimba e
coprendola di baci--che tu parli o no, la tua mamma t'intenderà
sempre.

In quella stretta, Bebè ebbe un postumo desiderio del latte ond'era
privata da un mese, e le sue piccole dite scorrevano indiscrete sui
bottoni del vestito materno, mentre la bocca rosea mordeva la stoffa e
commentava l'atto espressivo col solito suono indistinto: _umm_,
_umm_.

Diana, severa, ammoniva.--Nossignora, non si può... Non c'è più
niente.

Forse Bebè lo sapeva e voleva ridere soltanto. Ora aveva afferrato un
bottone e lo tirava con violenza.

--Insomma se sei cattiva, vai di là.

In mezzo a questi contrasti giunse Eugenio Bardelli, l'assistente e il
factotum di Varedo che lo seguiva come la sua ombra quand'egli era a
Torino, e durante le sue assenze ne riceveva ed eseguiva zelantemente
gli ordini, e passava mattina e sera da Diana a offrirle i propri
servigi.

--Vengo dalla Redazione della _Gazzetta Piemontese_--egli disse.--Ho
visto un telegramma fresco fresco da Roma... Il professore ha
riportato un grande successo.

--Lo so, lo so--rispose Diana sorridendo.

E accennò al dispaccio ch'era aperto sulla tavola; indi
soggiunse:--Grazie lo stesso... Sempre gentile, Bardelli.

--O le pare!--ripigliò l'assistente dopo aver dato un'occhiata al
telegramma di Varedo.--Sì, dev'esser stato un trionfo... Ma non è da
maravigliarsene... Parla così bene il professore... Che dote
l'eloquenza!

Diana sospirò al pensiero che la sua figliuola non dava pel momento
alcun segno di possedere questa qualità preziosa.

Intanto l'arrivo di Bardelli aveva distratta Bebè da' suoi attacchi
insidiosi. Bardelli era un amico che d'ordinario s'occupava molto di
lei. O perchè non se ne occupava oggi?

--_Umm_, _umm_--ella fece per richiamare la sua attenzione.

--Buondì, Bebè--disse il giovine.

Diana tentennò la testa.--Ah, è cattiva... Or ora la consegno
all'Irene che la porti a letto.

L'Irene era la bambinaia.

Bebè protestò nel suo linguaggio contro la perversa
intenzione.--_Umm_, _umm_.--E guardava Bardelli quasi per invocare il
suo aiuto.

--Vuoi venire con me?--Chiese l'assistente. E le tese le braccia.

Ella fece altrettanto.

Diana si mise a ridere.--Bardelli, che vuol prendersi lei questo
impiccio?

--Sicuro, siamo buoni amici con Bebè... Non è vero, Bebè?

--Ebbene--ripigliò la signora Varedo con una risoluzione
improvvisa--gliela dò per un pajo di minuti; fin tanto che scrivo due
righe di telegramma per Alberto. Me le imposta lei quando esce,
Bardelli?

--Naturalmente.

--Ah, Bardelli, come ci avvezza male!

--Ma, signora Diana...--principiò il professorino. Dovette però
interrompere la frase, perchè Bebè gli tirava i capelli.

--No, Bebè, no...

Appena la bimba vide che il suo amico si occupava di lei le sue mani
si allentarono spontaneamente, ed ella parve tutta assorbita da un
grande sforzo intellettuale.

Bardelli ebbe un'inspirazione luminosa.--Bebè, chi è quella? Dì
_mamma_, _mamma_...

--_Umm_, _umm_.

Diana, con la penna sospesa tra le dita, guardava ansiosa.

--_Umm_, _umm_.

--Ecco, non le riesce--piagnucolò la madre.--Nessuno mi leva dalla
mente che ha un vizio organico.

--Nemmeno per sogno... Vedrà... Dì mamma, Bebè.

Questa volta il miracolo accadde.--_Umm_, _umm_... _amm_... _mamm_...
_mamma_.

Diana balzò dalla seggiola.--L'ha detto?... Ha detto mamma?

--Già, l'ha detto e lo tornerà a dire... Aspetti, non la confonda...
Bebè, chi è quella?

--Mam... mamma--ripetè la piccina.

Adesso poi Diana non seppe più frenare il suo entusiasmo e volle
stringersi al petto la figliuola che aveva compito il prodigio.

--Cara, cara, tesoro mio, viscere mie... lo dici ancora... mamma,
mamma.

Bebè, disturbata dall'impetuoso amplesso materno, non cedette
all'intimazione e tornò al suo solito _umm_, _umm_, a cui però ella
dava un accento di protesta.

--Cattiva! Con me gioca a dispetti!--esclamò la Varedo guardando
Bardelli con aria mortificata.--Gliela restituisco.

--Brava!... E intanto scriva il suo dispaccio.

--Ha ragione... Il dispaccio... Così annunzio ad Alberto che Bebè
comincia a parlare.

--E--soggiunse Bardelli--se non le dispiace, insieme alle sue
congratulazioni pel discorso mandi anche le mie.

Il discorso di Alberto! Quasi quasi Diana se n'era dimenticata; certo
esso le pareva cosa di ben tenue importanza di fronte all'altro
avvenimento che la empiva di giubilo.

Nondimeno si accinse a scrivere, e scrivendo leggeva:--«Deputato
Alberto Varedo, Albergo di Santa Chiara. Roma.--Mille felicitazioni
pel tuo trionfo, anche da Bardelli qui presente. Sappi che finalmente
stasera Bebè ha detto mamma--Diana».

--Va bene?

--Benissimo.

Bardelli si alzò tenendo la bimba in collo, prese il foglio, e lo
ripose in tasca.

--Badi--disse Diana,--Bebè le ha slacciato il nodo della cravatta.

--Oh, Bebè è un pessimo soggetto--rispose l'assistente celiando.--Ora
gliela riconsegno.... Va dalla mamma, Bebè, va dalla mamma.

E liberatosi dal prezioso fardello, il professorino si accomiatò dalla
Varedo.--Corro subito al telegrafo.

--Grazie Bardelli, grazie.... E scusi di tutto. Spero che Alberto sarà
contento della notizia che gli dò... E chi sa che quando riceve il mio
dispaccio non me ne mandi uno anche lui.

Ma il dispaccio non capitò. Capitò invece il dì appresso una lettera
lunghissima in cui Varedo si diffondeva con infinita compiacenza a
descrivere l'effetto prodotto dal suo discorso riportandone alcuni
motti arguti, alcune frasi ch'erano state più applaudite, e riferiva i
complimenti fattigli dal Presidente della Camera, dai Ministri e da
parecchi Deputati autorevoli. Infine egli invitava Diana a leggere i
vari giornali ch'egli le spediva sotto fascia, giornali amici e
avversari, constanti, gli uni con schietta soddisfazione, gli altri
con noia mal dissimulata, il bel successo del nuovo oratore.--«Leggi
specialmente la _Tribuna_--egli le scriveva--ove c'è il miglior sunto
del mio discorso.» Varedo finiva coll'annunziare a sua moglie che di
lì a due o tre giorni, dopo una votazione a cui egli non poteva
mancare, sarebbe tornato per qualche settimana a Torino. A Bebè era
appena consacrata una riga a piedi del foglio: _Un bacio a Bebè_.

--Non aveva ancora ricevuto il telegramma--disse Diana per scusar suo
marito.--La lettera di domani sarà ben differente.

E per debito di buona moglie intraprese la lettura dei fogli che
Alberto le aveva trasmessi, soffermandosi specialmente sulla _Tribuna_
la quale portava un più ampio resoconto parlamentare. Bello senza
dubbio il discorso, interrotto spesso da approvazioni e da applausi
segnati fra parentesi in corsivo; bello, ma non tale che riuscisse ad
appassionare, ad interessare Diana Varedo.--Sarà l'argomento--ella
pensava.--Tuttavia pensava altresì che un tempo, nei primi mesi del
loro matrimonio, nessun argomento trattato dal suo sposo le sarebbe
parso poco interessante; ch'ella si sforzava, e non senza frutto, di
rendersi famigliari gli studi di lui, che andava superba di fargli da
segretario. O perchè era mutata adesso? Lo amava meno, o la maternità
aveva limitato gli orizzonti del suo spirito, le aveva fatto parer
vana ogni curiosità e ogni ricerca intellettuale? Certo si è che
quand'ebbe finito di scorrere i giornali e potè tornar ad occuparsi di
Bebè, ella ebbe il movimento di gioia dello scolaro al rintocco del
campanello che annunzia la ricreazione. Tanto più che Bebè, in dodici
ore, aveva fatto progressi maravigliosi. Non solo diceva ormai _mamma_
a tutto pasto, ma mostrava le migliori disposizioni ad arricchire di
nuove parole il proprio vocabolario.

Comunque sia, nei pochi giorni che precedettero l'arrivo di Alberto,
Diana rifece parecchie volte il suo esame di coscienza, confessandosi
in gran parte colpevole dei mutati rapporti fra lei e suo marito.
Troppo lo trascurava, troppo lo metteva in seconda linea, dacchè un
nuovo sentimento imperioso, dispotico, esclusivo aveva preso possesso
del suo cuore. Eppure, se questo sentimento era potuto nascere in lei
e recarle tanta dolcezza ella ne andava debitrice al suo sposo, come a
lui andava debitrice, se non degli agi della sua vita, della stima,
del rispetto ond'era circondata. Non doveva ella dunque
mostrargliesene riconoscente? S'egli era assorbito da' suoi studi,
dalle sue occupazioni parlamentari, se nelle lotte politiche, insieme
a poche compiacenze d'amor proprio, raccoglieva una larga messe di
fastidi e di note che di tratto in tratto turbavano l'equanimità del
suo carattere, non era tanto più necessario che in casa sua egli
trovasse accoglienze festose e amorevoli? Invece, Diana se ne
ricordava con sincero rammarico, nelle brevi gite di Alberto a Torino,
ella, impermalita forse di non vederlo abbastanza espansivo con lei e
con Bebè, finiva col chiudersi in un silenzio dispettoso e con
l'evitare a bello studio gli argomenti che soli avrebbero avuto la
virtù di alimentare i loro colloqui. Indi era accaduto più volte che,
tranne all'arrivo, alla partenza, e all'ora di desinare, si fossero
appena visti, che, in tre o quattro giorni, non avessero scambiate che
poche parole.

Questa volta non sarebbe stato così. E, in primo luogo, ella non si
sarebbe limitata a semplici congratulazioni circa al famoso discorso;
ne avrebbe parlato ad Alberto con conoscenza di causa, perchè lo aveva
tanto letto e riletto nei sunti ch'egli gliene aveva spediti da poter
ripetergliene a memoria l'esordio e la chiusa quali erano riprodotti
nella _Tribuna_. Ma quest'era un'inezia di fronte al programma
ambizioso ch'ell'agitava in mente. Non più sfinita dall'allattamento e
dalle veglie, Diana voleva riconquistar presso suo marito il posto che
s'era lasciata portar via dagli altri, da Bardelli per esempio ch'era
divenuto un po' troppo l'uomo indispensabile della casa. Non lo faceva
per secondi fini, povero Bardelli, non lo faceva per darsi importanza;
era sinceramente affezionato al suo professore, a lei, a Bebè;
tuttavia con prudenza, con delicatezza, bisognava moderarne lo
zelo.... Ed era così buono, così giudizioso ed equanime da capir
subito la ragionevolezza di ciò che gli si domandava.

In fine, nel suo momentaneo ottimismo, Diana si teneva sicura d'aver
un'alleata in Bebè. Bebè era per lei la tiranna, era, per Alberto, la
rivale, la Bebè aveva, appunto negli ultimi giorni, imparato a dire
papà, e questa parolina doveva, come una chiave magica, aprirle il
cuore del babbo.... E allora quanti malintesi sarebbero tolti di
mezzo!



VIII.

Fiasco.


Con queste dolci speranze, con questi forti propositi, in una bella
mattina di maggio, Diana Varedo, insieme alla bambinaia e a Bebè,
s'avviava alla stazione centrale incontro al marito. _Incipit vita
nova_--le dicevano il cielo azzurro, l'aria tepida, il sole
limpidissimo, l'animazione insolita della gente che pareva bevere a
larghi sorsi la primavera. _Incipit vita nova_--le ripeteva il suo
cuore.

Bebè, pavoneggiandosi in un vestito bianco con due fiocchi color di
rosa sulle spalle, dava segni manifesti di voler scendere in terra, di
voler provare i suoi piccoli passi nelle viottole del giardino di
Piazza Carlo Felice ove altri bimbi correvano e saltellavano; ma la
madre l'ammoniva a esser buona, e riserbar tutte le sue prodezze a
quando avrebbe visto il suo papà.

--Come dirai?

--Pa... pà... Papà.

--Ah che amor di bimba!--esclamò Diana, non potendo trattenersi dal
darle un bacio.--E come sarà contento il babbo!

Ma sotto la tettoia della stazione accadde cosa che scemò alquanto la
soddisfazione della signora Varedo. Poichè Bebè, riconoscendo Bardelli
in un gruppo di signori che chiaccheravano presso alla porta
d'ingresso, si commosse tutta, agitò le braccia, emise alcuni suoni
inarticolati che volevano esser espressione di giubilo e finì col
pronunziar schietto e tondo:--Papà, papà.

Diana e l'Irene le diedero sulla voce.--Ma no che non è quello il
papà... Deve venire il papà.

E Diana rivolgendosi un po' seccata a Bardelli che si avanzava
officioso e sorridente e accennava a prender lui in collo la
bimba,--no--disse--la lasci stare... Vede, le dà troppa confidenza.

Ordinò all'Irene di metterla giù, di farla camminare sul marciapiede.

Ma Bebè, con l'ostinazione della sua età, seguitava a voler Bardelli e
a ripetere il motto incriminato:--Papà, papà.

Oh insomma--disse Diana strappando alla bambinaia la piccola riottosa
e redarguendola severamente--insomma, Bebè, se sei cattiva ti mando a
casa. Hai capito? E soggiunse:--Mi faccia il piacere, Bardelli, vada
da un'altra parte... Finch'è qui lei, Bebè non si cheta... È venuto
anche lei per aspettar Alberto naturalmente?

--Già--rispose il giovine senz'avvertire il fondo d'ironia che c'era
in quel _naturalmente_.

--Ebbene, ci ritroveremo più tardi... Vada, adesso vada...

--Vado, vado--disse il docile Bardelli. E si allontanò pensando forse
che le donne hanno l'umore molto variabile.

Intanto, toccandosi rispettosamente il berretto, si presentò il
cavaliere Luini, capo-stazione, che, come Diana aveva notato, la
salutava con tanta maggior deferenza quanto più in credito saliva
Varedo alla Camera.

--L'onorevole arriva col direttissimo delle 10.13?--egli disse,
guardando l'orologio.

--Appunto. C'è ritardo?

--Nossignora--rispose il cavaliere.--Ma non sono che le 10... Desidera
accomodarsi?

E additò lì presso una panca ove ci sarebbe stato posto per lei e per
la bambinaia.

--Grazie--replicò Diana.--Sto ritta volentieri.

Il capo stazione indirizzò un complimento a Bebè che s'era pacificata
e coi suoi ditini pizzicava le guancie all'Irene.

--Come s'è fatta grande!

--Avrà presto quattordici mesi.

--Credevo molto di più.

La bimba per mostrarsi grata del giudizio favorevole manifestato sul
suo conto dall'egregio funzionario, pronunziò la parola ormai imparata
anche troppo:--Papà, papà.

--Aspetta il suo papà--spiegò Diana commentando l'uscita improvvisa
della figliuola, non senza però trovar strana in cuor suo l'estrema
facilità di Bebè a veder padri da per tutto.

Chiamato dai doveri del suo ufficio, il cavalier Luini sorrise e si
accomiatò... Alcuni treni arrivavano, altri partivano: ci fu un
momento di confusione tra il correre affrettato dei passeggeri che
scendevano e salivano sulle vetture, il vocìo dei conduttori e dei
facchini, i fischi delle locomotive e gli squilli delle cornette. Poi
tornò una quiete relativa. In attesa del direttissimo venivano
silenziosamente a schierarsi sul marciapiede le carriuole pel
trasporto dei bagagli. Due signore che avevano l'argento vivo addosso
scendevano ogni tanto sul binario per guardare dalla parte da cui
doveva giungere il treno, un servitore in livrea stava immobile,
contegnoso come se fosse nell'anticamera del suo palazzo patrizio; nel
crocchio ov'era Bardelli si seguitava a discorrere animatamente.

Reputando ormai finita la sua quarantena, il professorino lasciò gli
amici per riaccostarsi a Diana.--È buona adesso?--egli domandò
accennando a Bebè.

--Sì, è buona... ma per carità, non la tocchi, non la guardi....

Per fortuna Bebè era assorta nella contemplazione d'un cagnetto
_pinch_ che una forastiera teneva sotto il braccio.

--E lei con chi era?--chiese la Varedo a Bardelli.

--Credevo li conoscesse... Quando il professore è a Torino vengon
tutti a cercarlo a casa... qual più qual meno...

Diana guardò con l'occhialino.--Aspetti, quello alto di statura mi
pare...

--Frascati, il cronista della _Piemontese_... quello col cappello a
cencio è il corrispondente della _Tribuna_; l'altro che ha gettato via
il sigaro...

Incapace di trattenere un moto d'impazienza, Diana interruppe:--Dica
la verità, e sono alla stazione per mio marito?

--Eh--notò scherzosamente Bardelli--gli uomini illustri...

Ma Diana scattò.--sa ch'è una bella sconvenienza?... Tanto farebbe
vivere in piazza... Mai un momento di pace, d'intimità... Sempre i
terzi incomodi...

Ella vide che Bardelli si turbava, arrossiva, e s'affrettò a
soggiungere:--Non dico per lei Bardelli; lei è come di famiglia...

Aveva capito ch'era una solenne ingiustizia il metterlo in mazzo con
gli altri, e si pentiva di essersi lasciata sfuggire qualche parola
che potesse offenderlo; si pentiva anche di quello che non aveva
detto, ma che aveva pensato sul conto di lui... No, anzi Bardelli
bisognava tenerselo caro e farsene un alleato contro quella massa
d'indiscreti, d'importuni...

La campana annunziante l'arrivo del treno tolse la possibilità
d'ulteriori spiegazioni.

--Ferma, Irene, ferma!--gridò Diana, richiamando vivamente la
bambinaia che s'era mossa come per andare incontro alla locomotiva.--E
tirati indietro.

Indi catechizzò un'ultima volta Bebè.--Adesso è qui il papà. A lui
devi dire: papà, papà.

Le idee di Bebè non erano chiare e sembrava che ella avesse di nuovo
tutta la propensione a dare il sacro nome di padre a Bardelli che le
stava vicino.

Sbuffando e romoreggiando, il convoglio, con una celerità appena
rallentata, imboccò la tettoia per poi arrestarsi con prestezza
mirabile sotto l'azione dei freni automatici. Un lungo gemito roco
usciva dalle ruote striscianti sul binario.

--Ecco il professore!--gridò Bardelli correndo ad aprir lo sportello
d'una vettura di prima classe. E chiamava:--Signora Diana, signora
Diana!

--Addio, Bardelli--disse Varedo consegnandogli una valigia.--Chiami un
facchino.

--Se non ha altro bagaglio non val la pena... C'è la signora con la
bimba.

--Le ho viste--rispose il deputato mentre accennava con la mano che
non si affrettassero.

Disceso che fu, abbracciò la moglie, baciò la figliuola, e--State
bene?--chiese a Diana.--Bebè sta bene?

--Non ti par florida?--domandò Diana. E soggiunse:--Che progressi ha
fatto!

--Lo so--rispose Varedo sorridendo.--Dice _mamma_, me lo hai
telegrafato.

--Oh dice anche di più--replicò Diana con aria di trionfo. Si rivolse
alla bimba con lo sguardo appassionato e supplichevole delle madri che
tremano di vedersi smentite dai loro piccoli tiranni.--Chi è
questo?... Chi è venuto adesso?

Pareva lo facesse apposta Bebè a far sfigurare la mamma. Aveva rivisto
il canino _pinch_, non aveva occhi che per lui.

--Lasciala in pace--ammonì Varedo.--Ha tempo di dir papà.

In quella egli s'accorse di Frascati e degli altri che gli facevano la
ruota attorno, e con un cenno li invitò ad avvicinarsi.

Diana fremeva.--Che seccatori!... Non me li presentare.

--Andate avanti con Bardelli--disse Varedo--e fermate un brougham a
quattro posti... Io mi sbrigo subito.

Ma Diana, l'Irene e Bebè erano in carrozza già da un paio di minuti
prima che l'onorevole si fosse levato di dosso quelle sanguisughe.
Bardelli con un piede sul predellino, ripeteva a Diana per quetarne la
crescente impazienza:--Or ora viene.

E venne in fatti, scusandosi.--Cara mia, i giornalisti bisogna
tenerseli amici... Salga anche lei, Bardelli, farà colazione con noi.

L'assistente, che aveva tuttora nelle orecchie le sfuriate di Diana
contro gl'indiscreti che turbavano l'intimità domestica, accattava
pretesti per schermirsi. E che aveva un impegno e che la colazione
l'aveva già fatta.

--Non ci son scuse--ribattè Varedo.--Se non ha fame, non mangerà, ma
in quanto agli impegni, abbia pazienza, non doveva prenderne. Doveva
immaginarsi che avrei avuto cento commissioni da darle.

--Salga, via--soggiunse Diana.--Se no, restiamo qui fino alla
consumazione dei secoli.

Bardelli ubbidì. Durante il tragitto, Bebè, seccata forse da tanti
ritardi, fu d'una perversità eccezionale. Non solo si rifiutò di dir
_mamma_ e _papà_, ma pianse e strillò disperatamente senza lasciarsi
nè intimorire nè commuovere dalle esortazioni materne.--La
bell'accoglienza che fai al tuo babbo!... Cattiva!... Non ti
vergogni?... Non hai un bricciolo di amor proprio?

Alberto si burlava di sua moglie.--Oh l'amor proprio a quell'età!...
Basterebbe che non rompesse i timpani.

--È sempre un angelo--diceva Diana mortificatissima.--Ha il giudizio
d'una bambina grande... E oggi dev'esser così... Ho proprio paura che
non stia bene.

Varedo si stringeva nelle spalle, e sforzando la voce per soverchiar
gli urli della figliuola chiedeva conto d'un'infinità di cose a
Bardelli. Quante lezioni aveva fatte per lui all'Università? A che
punto del corso era arrivato? Era stato in tipografia a sollecitar
quelle bozze? Aveva letto il suo ultimo articolo comparso nella
_Rivista giuridica_? E quella memoria inserita nell'_Archivio
storico_?...

Ah, non poteva rimproverarsi d'esser stato in ozio a Roma, nonostante
la politica... Intanto il primo volume dell'opera sul _Dovere_ l'aveva
finito lì, tra una seduta della Camera e l'altra, e adesso sperava di
dar mano al secondo...

Diana divorava le lacrime. Si sentiva messa in disparte, lei e la
bimba; l'impresa di riconquistar suo marito, di ricuperare il posto
ch'ell'aveva una volta presso di lui, quell'impresa che pur dianzi
l'era parsa di così agevol riuscita la sgomentava ad un tratto come
cosa irta di difficoltà insuperabili. Sempre più, sempre più le loro
vie divergevano e ogni tentativo di ravvicinarle era vano. Ecco, egli
nemmeno s'occupava di Bebè; un bacio, una carezza tanto per iscarico
di coscienza, e poi tutto era finito. È vero che oggi Bebè era
pestifera, ma egli doveva occuparsene per sgridarla, non far finta
ch'ella non ci fosse e parlar con Bardelli della sua Università e
delle sue Riviste. Ebbene; s'egli non si curava di Bebè, se non
domandava a lei, alla madre, i particolari delle sue prodezze, o
perchè doveva ella sdilinquirsi pel discorso ch'egli aveva tenuto alla
Camera? Glielo nominò, glielo lodò il suo discorso, gli fece le sue
congratulazioni (come avrebbe potuto esimersene?) ma quand'egli, preso
l'abbrivo, si diffuse con singolar compiacenza a descrivere il proprio
trionfo ella s'avvide che quel trionfo non destava che un'eco
debolissima nel suo cuore. E quanto più egli s'accalorava tanto più
ella si restringeva in sè stessa e diventava, suo malgrado, fredda,
pessimista ne' suoi giudizi. Certo egli era un uomo d'ingegno, ma era
anche un uomo di cuore? E quel dovere che gli tornava spesso sulle
labbra non era forse una lustra per mascherare le sue ambizioni?

Così Diana rientrò sconfidata nella casa che aveva lasciata un pajo
d'ore addietro piena di liete speranze, sedette senz'appetito alla
tavola che aveva voluto apparecchiar con le sue mani prima d'uscire e
ove aveva preparato un posticino per Bebè fra lei ed Alberto. Ma il
posticino rimase vuoto, perchè Bebè, lungi dal mostrarsi degna
dell'altissimo onore, seguitò a far capricci, e fu forza consegnarla
all'Irene che se la portasse via.

In luogo di Bebè c'era Bardelli a cui Alberto tra un boccone e l'altro
e sfogliando lettere e giornali seguitava a chieder notizie e a dar
commissioni.

L'assistente prendeva ogni tanto una nota sul taccuino.

--Povero Bardelli!--pensava Diana.--È una vittima.

E le venne un'idea, l'idea più luminosa che le fosse venuta in quella
giornata in cui tutto le andava a rovescio.

--Bardelli, che s'è sognato di dire che ha fatto colazione?... Non può
esser vero. Lei non fa mai colazione così presto.

E ordinò che aggiungessero una posata.

--Diamine!--esclamò il professore.--O chi poteva immaginarsi che
Bardelli fosse diventato un uomo così cerimonioso?... Mangi, mangi.

Allora Varedo si accorse che sua moglie toccava appena le vivande, e
le chiese:--Tu cos'hai?

--Niente, non ho fame.



IX.

Eugenio Bardelli si sente una pulce nell'orecchio.


Nelle brevi gite ch'egli faceva a Torino quando il Parlamento era
aperto, Varedo era sempre occupatissimo. Moltiplicava le sue lezioni
all'Università per riguadagnar l'ore perdute, spingeva innanzi con
alacrità i suoi lavori scientifici, dava una capatina nel suo
collegio, riceveva gli elettori che venivano in deputazione a
parlargli delle loro questioni locali, aveva continui abboccamenti col
Prefetto, col Sindaco e con altri pezzi grossi della politica e
dell'amministrazione. Per la famiglia non gli restavano che pochi
ritagli di tempo. Questa volta fu peggio del solito, e la vivacità di
Bebè contribuiva a far sì che l'onorevole, quando pur era in casa, si
chiudesse ermeticamente nel suo studio. Egli se ne scusava con
Diana--Cara mia, tu lo sai, senza la mia quiete io non posso nè
scrivere, nè leggere, nè pensare. Se vieni tu a tenermi compagnia mi
fai un piacere come me lo facevi in passato; ma lascia Bebè all'Irene
o mettila a dormire.

Per tentar di rivivere nel passato Diana si provava talora a venir
sola nello studio di suo marito. Sedeva in silenzio in un angolo
lavorando, o, a richiesta di lui, correggeva delle stampe, traduceva
qualche passo di libri inglesi e tedeschi. Ma era distratta. La sua
mente era altrove; ella trasaliva a ogni rumore del di fuori; e di
quando in quando si alzava e andava a dar un'occhiata a Bebè.

--Che cosa vuoi?--ella diceva ad Alberto.--Non mi fido dell'Irene.

--E se non te ne fidi, cambia bambinaia.

--Gli è che non mi fiderei di nessuna.

--Allora poi...

C'erano momenti in cui la bimba strillava per voler la sua mamma.

--Dio, come urla!--esclamava Varedo.

--Se vado io, tace subito.

--Va, va... già sei sulle spine.

No, non era assolutamente possibile di far rivivere il passato.
Adesso, nell'uscir dallo studio di Alberto per correre dalla sua
figliuola, Diana aveva l'ali ai piedi.

A Bebè il babbo dava una gran soggezione. Troppo spesso le
dicevano:--Zitto, il papà sta scrivendo--zitto, il papà ha
gente,--perchè, al cospetto di lui, ella non si ammutolisse. In vero,
nei pochi momenti ch'egli poteva dedicarle, ell'accettava rassegnata
le sue carezze, si lasciava portar sulle spalle e cullare sulle
ginocchia; ma di che gioia i suoi occhietti s'illuminavano quando egli
la deponeva per terra o la riconsegnava alla madre o alla bambinaia!

Varedo s'era proposto di rimanere a Torino tre settimane. Senonchè,
alla fine della seconda, gli capitarono da Roma delle lettere che lo
sollecitavano ad affrettare il suo ritorno. Il ministero era
vacillante, l'opposizione a cui Alberto apparteneva non disperava di
assestargli un colpo mortale anche prima delle vacanze, o almeno
d'indebolirlo in modo da rendergli difficile la vita a novembre. E,
nell'ipotesi d'una crisi, si faceva balenare agli occhi di Varedo,
ch'era tra i giovani più promettenti del Parlamento, la prospettiva
d'un posto di sotto-segretario di Stato. Ma, appunto per ciò,
conveniva ch'egli fosse sulla breccia.

Di questa possibilità d'un ufficio politico che l'obbligasse a una
dimora permanente alla capitale, il professore parlò a sua moglie,
come di cosa vaga e remota, soltanto il giorno prima di ripartire per
Roma, a tavola, in presenza di Bardelli, ch'era stato invitato a
desinare.

Dopo aver accennato alle condizioni precarie del Gabinetto e passato
in rivista quelli che, secondo lui, avevano maggior probabilità di
raccoglierne la successione, egli soggiunse:--L'uomo indicato per la
Presidenza del Consiglio, quello a cui credo del resto che si
rivolgerebbe subito la Corona, è San Giustino. Me ne appello a
Bardelli che ha letto il suo ultimo discorso...

--Eh sicuro--confermò l'assistente;--un discorso magistrale.

--Il suo e il mio--ripigliò Varedo--serbate sempre le debite
proporzioni, furono i due maggiori successi di questo scorcio di
sessione... Ah, era un pezzo che non si sentiva alla Camera un
discorso come quello di San Giustino, così organico, così ricco d'idee
e di soda eloquenza.

--Di dov'è San Giustino?--domandò Diana.

--È toscano... Ha la lingua, ha l'accento, beato lui!

--È giovine?

--Avrà quarantadue o quarantatre anni. E non è di quelli che abbiano
fretta. È dei pochi che non parlano quando non abbiano qualcosa da
dire.

--Ha famiglia?

--È vedovo... ha due figliuole in collegio... e un nipote, certo
Quinzani, figlio d'una sorella, un bravo giovine, dottore in legge,
che vuol percorrere la carriera dell'insegnamento. Ha già qualche
pubblicazione pregevole... Anzi, Bardelli, appena sarò a Roma farò
ch'egli le spedisca una copia di una sua memoria di diritto
internazionale... È molto ben fatta...

--Grazie.

--Con San Giustino--seguitò Varedo ch'era in vena di confidenze--ci
siamo legati d'amicizia in questi ultimi mesi... Egli dice sempre che
se andasse al potere si affretterebbe a offrirmi un segretariato.

--Capo di gabinetto forse?--chiese Bardelli.

--No, no, che diamine?... Sottosegretario di stato... ch'è il modo di
mettersi in vista per esser ministro a una prossima occasione... Te ne
stai lì incantata, Diana? Non ti sorride l'idea di esser
_sottosegretaria_ di Stato fra un anno, e _ministressa_ forse tra due?
Dov'è il bel fervore d'un tempo?... Ti ricordi delle serate al Caffè
Roma, di quando mi sostenevi valorosamente nella lotta contro i
colleghi arrabbiati i quali non ammettevano che un galantuomo, che uno
scienziato potesse aspirare alla vita politica?... Hai mutato parere?

Prima che sua moglie rispondesse, Alberto soggiunse celiando:--Sarebbe
un _chassez-croisez_, perchè han mutato parere anche loro, i colleghi
arrabbiati. Di due, Blevio e Sarioli, si sa benissimo che cercano un
collegio per mare e per terra e che non è colpa loro se non l'hanno
trovato, e gli altri non devono poi averla a morte con quei poveri
uomini parlamentari, se mi tempestano di lettere (Bardelli n'è buon
testimonio) per ottener favori e decorazioni.

--Ebbene--disse Diana,--ho paura proprio che tu abbia ragione, che sia
un _chassez-croisez_.

--Davvero?--fece Varedo con una risatina forzata.--Dunque ti dispiace
ch'io abbia in così poco tempo conquistato un posto onorevole alla
Camera?

--Oh--ella interruppe protestando,--non dare questo significato alle
mie parole... Come può dispiacermi?... Ma io penso che anche fuori
della Camera la tua riputazione non poteva che crescere... Meno
assorbito dalla politica, ti saresti consacrato con tanto più fervore
alla scienza...

--E ti pare ch'io l'abbia abbandonata la scienza?

--Neanche per sogno; ma il tempo che si dà ad una cosa non si può dar
all'altra.

--Eh, del tempo ce n'è d'avanzo... Basta volere. In quanto alla
scienza, io le faccio tanto di cappello, e la coltivo secondo le mie
forze... Ma la scienza deve esplicarsi nell'azione, e non è coi bei
libri che si manda avanti l'umanità.

Diana tentennò la testa.--Va poi avanti?

--Vede, Bardelli, quel che sono le donne--ribattè Alberto Varedo
rivolgendosi al suo assistente.--Scettiche e superstiziose... Credono,
se occorre, ai miracoli della Madonna di Lourdes, e diffidano del
progresso, diffidano dell'influenza che gli uomini d'ingegno e
d'energia esercitano sui propri simili.

--Avrò torto--disse Diana facendosi umile.--Forse in fondo alle mie
querimonie non c'è che il rammarico di veder quasi sciolta la nostra
famiglia.

--Quasi sciolta?--esclamò Varedo.--Che esagerazioni! Come se anche
lontano io non fossi con voi? Come se le mie assenze si prolunghino
mai oltre un certo limite?... Naturalmente, se un dì o l'altro
appartenessi al Governo, queste mie gite a Torino sarebbero molto
difficili; ma allora ci sarebbe un rimedio, verresti tu pure a Roma
con Bebè.

--Tu lasceresti l'insegnamento?

--In via provvisoria... come si fa sempre, il giorno in cui si
abbandona il potere si riprende la cattedra.

--Vedi se val la pena di spiantar casa!... Per quello che durano i
Ministeri in Italia!... Questo qui ha poco più di due anni e trovate
che ha già vissuto troppo.

--Sfido io... Quel povero Crugnoli ha perso la bussola... E ha certi
collaboratori... Oh, Bebè!

Bebè, la cui comparsa arrestava sulle labbra paterne il panegirico dei
collaboratori di Crugnoli, veniva in tavola, come d'ordinario, alle
frutta e l'Irene, dopo averla portata in giro acciocchè tutti la
baciassero, l'accomodò nel seggiolino accanto alla mamma.

Le manine della bimba si protesero subito con energia verso la
fruttiera.

--Or ora, or ora--disse Diana prendendo alcune ciliege e levandone il
nocciolo... Ecco... Apri la bocca, Bebè.

Ma Bebè non voleva essere imboccata, voleva mangiar da sè; ciò che
diede luogo a una breve contestazione tra madre e figliuola.

E poichè Bebè principiava a strillare, Varedo si turò gli orecchi con
le dita.

--Zitto, Bebè!--disse Diana.--Il papà non vuol sentir piangere le
bambine.

L'ammonizione ebbe un effetto salutare; Bebè trattenne le lacrime e
borbottò:--Papà citto.

A forza di sentirsi ordinare di star zitta in presenza del suo babbo
ell'aveva finito con l'affibbiare questa specie di nomignolo
all'autore de' suoi giorni.

Senza più curarsi di lei, il professore si voltò verso Bardelli per
domandargli se avesse finito la traduzione di certi passi d'una
recente opera tedesca.

--Fra tre o quattro giorni--rispose l'assistente--le spedisco ogni
cosa.

Varedo parve sconcertato dall'annunzio.

--Ah, Bardelli mio, questa volta ha dormito.

--È una cinquantina di pagine fitte, sa, professore--osservò l'altro,
scusandosi.--E io non supponevo che lei partisse così presto...

--Appunto, non lo supponevo neanch'io... È una disdetta, perchè io
speravo di legger quella traduzione in strada ferrata.

--Domani?... Com'è possibile?

--Eh, pazienza....

Desolato, Bardelli ripigliò:--Se fosse per domani sera potrei
forse....

--No, è inutile... Quando non l'ho per domattina...

Bardelli si grattava la nuca.--Per domattina?... A che ora parte la
corsa?

--Alle 8.55. Ma le ripeto che non importa.... Invece mi porti il libro
alla stazione.... Ci darò un'occhiata durante il viaggio... Non ho col
tedesco la famigliarità che ha lei, ma lo intendo benissimo.... E a
Roma, in caso di bisogno, incaricherò della versione Quinzani che ha
studiato a Lipsia.

Questo nome di Quinzani, ripetuto dopo un così breve intervallo, destò
nell'animo di Bardelli un sentimento istintivo di gelosia.

--Aspetti, aspetti, professore... Ancora non è detta l'ultima parola.

--Cioè?

--Non so, non m'impegno, ma, ripensandoci su, trovo che le 8,55 di
domattina sono lontane.

Diana, che stava facendo il caffè con la macchina, alzò gli occhi
verso Bardelli.

--O che vorrebbe patir la notte?

--Forse non sarà neanche necessario; basterà andar a letto un'ora più
tardi e alzarsi un'ora prima...

--Ma Alberto, tu non devi permettere--insistè Diana; e intanto con uno
spillone stuzzicava il lucignolo sotto la macchina. Bebè stendeva i
suoi cubi sulla tavola, meditando qualche grande opera architettonica.

Varedo si mise a ridere.--Non si tratta di permettere o non
permettere. Bardelli è fuori di minorità... Io non esigo nulla...
S'egli non può portarmi la traduzione, mi riporti il volume.... senza
cerimonie.

--Avrà la traduzione, professore--dichiarò Bardelli.--Ormai mi pare di
poter dargliene l'affidamento.

--Oh--disse Varedo accendendo un sigaro per sè e offrendone uno al suo
interlocutore,--quel libro io l'ho sfogliato e son persuaso che non
abbia nulla di nuovo. Ma quei tedeschi son così pedanti che un autore
il quale non tenesse conto delle loro ultime pubblicazioni avrebbe per
questo solo avversa tutta la critica. E in ogni modo io desidero che
la mia opera, almeno nell'esposizione delle varie dottrine, sia
completa ed esauriente.

L'onorevole si stropicciò le mani in aria d'uomo contento di sè.--Ella
lo sa benissimo, Bardelli, nel primo volume di cui ho consegnato
giorni fa l'ultime pagine all'editore, io prendo in esame coscienzioso
e sereno lo stato presente della questione. Ipotesi ottimista, ipotesi
pessimista, imperativo categorico di Kant, spiritualismo, naturalismo,
positivismo, evoluzionismo, tutti insomma i sistemi principali della
morale contemporanea sono riassunti e discussi. Il secondo volume sarà
consacrato interamente allo svolgimento della teorica del dovere che
io faccio derivare dalla trasformazione dell'egoismo gretto primitivo
in egoismo illuminato e dell'egoismo illuminato in altruismo. Così...

--No, non si regge--interruppe Bardelli facendo per alzarsi dalla
sedia.

Ma il professore, un po' piccato, lo trattenne pel braccio.

--Come non si regge?... E che cosa guarda?

È forza riconoscere che Bardelli, perduto assolutamente di vista
l'imperativo categorico, fermava la sua attenzione sopra una minuscola
torre di Babele che Bebè andava via via erigendo co' suoi cubi e che
minacciava rovina.

In fatti, _patatrac_, l'edifizio precipitò con fracasso sulla tavola e
Bebè, rossa in viso ed irritatissima, se la prese coi cubi e cominciò
a scagliarli di qua e di là per la stanza.

--O Diana--gridò Varedo--a che cosa badavi?

E con le palme aperte si riparava dai poco pericolosi proiettili.

--Badavo al caffè--rispose tranquillamente la signora, mentre, senza
scomporsi, imprigionava nelle sue le manine della bimba.

--Il caffè ce lo manderai nel mio studio--disse l'onorevole levandosi
da tavola.--Venga di là, Bardelli. Ripiglieremo in pace il nostro
discorso... Non sente che strilli?

Bebè che non s'era potuta sfogare col bombardamento si sfogava urlando
come un'ossessa. E nella sua disperazione invocava il soccorso del suo
amico Bardelli.--_Elli, Elli!_

--Se provassi io a quietarla,--insinuò questi, timidamente.

--È matto?--saltò su Varedo.--O che fa la bambinaia, lei?... Venga,
venga con me.

I due uomini si mossero, ma Diana li arrestò con un gesto.

--È inutile, Bebè cede il campo. La porto io dall'Irene e torno subito
a versare il caffè ch'è bell'e pronto.

Così dicendo, ella uscì con la piccola ribelle che si divincolava
invano e che tra minacciosa e implorante esauriva tutto il suo
vocabolario.--No... Mamma... _Elli_... Più... Papà _citto_.

Alberto Varedo si rimise a sedere, accavalciò le gambe e con
l'impassibilità olimpica di Farinata degli Uberti, non turbato
dall'interruzione di Guido Cavalcanti, riappiccò la conversazione
filosofica al punto in cui l'aveva lasciata.

--Io parto da questo concetto. La tendenza intima dell'essere si
manifesta sotto due aspetti apparentemente contrari, l'egoismo e la
simpatia. L'istinto personale della conservazione, estendendosi da un
individuo agli altri individui con cui egli è in rapporti, basta a...

--Se prima beveste il caffè?--propose Diana ch'era rientrata
tacitamente nel salotto da pranzo e aveva ripreso il suo posto.

Il professore fece un gesto d'impazienza.--Beviamo pure questo caffè,
ma dopo passeremo nella mia camera da studio.

--Ecco--balbettò Bardelli posando sulla tavola la chicchera offertagli
dalla padrona di casa--ecco.... se mi permettesse....

--Che cosa?

--Dovendo finire quella traduzione...

--Ah, quella del libro tedesco?... Ci tiene proprio a finirla lei?

--Sì, professore, le confesso che sarebbe per me un gran dispiacere
che altri vi mettesse le mani....

--Se le sta a cuore davvero, faccia come crede...

Bardelli vuotò in fretta la chicchera e si alzò.

--Grazie... Allora vado... La signora Diana mi scusa...

--Io?... S'immagini... Piuttosto non s'ammazzi per lavorare....
Alberto, hai un assoluto bisogno di quella traduzione per domattina?

--Ma no... Quello di cui ho bisogno è il libro... Ho già detto a
Bardelli che la traduzione posso farla fare a Roma da Quinzani.

Ancora Quinzani! Tre volte Alberto Varedo lo aveva nominato nel corso
di quella sera, e ogni volta Bardelli ne aveva risentito una
impressione oscuramente penosa.

--Alle 8.55 sarò alla stazione col manoscritto--egli disse prendendo
commiato.

Dopo ch'egli ebbe rinchiuso l'uscio dietro di sè, Diana si rivolse a
suo marito.

--Povero Bardelli! Lo appoggerai al primo concorso.

Varedo sorrise.--Oh i ragionamenti delle donne! Perchè ci è devoto,
perchè ci è affezionato.... del resto anche noi gli usiamo molte
attenzioni... deve aver i titoli per vincere un concorso
universitario...

--Ma li ha, i titoli.

--Può darsi.... Bada però che non è mica un'aquila.

Diana sbarrò tanto d'occhi.

--Se lo lodavi sempre?

--È un bravo giovine, è un giovine colto, studioso, ma non è
un'aquila... E poi prometteva di più di quello che non ha mantenuto.

Diana non soggiunse verbo:--Bardelli è un debole e un
sentimentale--ella pensava.--Sarà schiacciato dai forti.



X.

Nella bottega dell'orefice.


Era una domenica di luglio e stava per sonare il mezzogiorno. Uno dei
garzoni si avvicinò al padrone e chiese:--Si deve chiudere?

--Chiudete pure--rispose Girolamo Bardelli.

Una signora vestita a bruno, ch'era in compagnia d'un fanciullo fra i
sei e sett'anni e ritta dinanzi al banco chiacchierava confidenzialmente
con l'orefice, esclamò:--Diamine! È così tardi?... Vado, vado... Su,
Pinotto...

--Eh, non c'è fretta, signora Merlini--disse Bardelli.--Prima di tutto
a chiudere ci vogliono dieci minuti... Poi si può uscire per la
porticina di dietro: e in fine si può anche restare, perchè io resto.

Pronunziate queste parole, Girolamo Bardelli diventò rosso come un
papavero, perch'egli era timidissimo col bel sesso, e una proposizione
siffatta gli pareva il colmo dell'audacia, quantunque dovesse capire
che la presenza di Pinotto era una salvaguardia contro tutti i
pericoli.

La signora Merlini sorrise maliziosamente.--Eh, signor Bardelli, che
direbbe il mondo?... No, no, me ne vado... E siamo intesi...
Occorrendo, posso fare assegnamento su lei per la stima di quei pochi
oggetti...

--Ma per qualunque cosa, si figuri...

--Già se non potessi proprio fare a meno di venderli, verrei qui...
Lei non è uno speculatore, è un amico....

--Questo sì, ma speriamo che non abbia bisogno...

--Eh, una povera vedova con un figliuolo da educare, non si sa mai...
Una gran brutta condizione, caro signor Bardelli, quella d'una vedova
che sia ancora abbastanza giovine e che voglia restar ligia al proprio
dovere... Se non è un mostro--e la signora Merlini ebbe un gesto che
significava: «Io non sono tale;»--se non è un mostro, degli appoggi ne
trova in quantità; ma a qual prezzo?

Questa volta l'orefice arrossì per conto della signora Merlini e
balbettò:--Pur troppo gli uomini sono raramente disinteressati.

Ella lo interruppe.--Ce ne sono però; siamo giusti. Ce ne sono e ne
conosco anch'io... molto da vicino....

Così dicendo, la vedova porse al signor Girolamo una mano bianca e
grassottella ch'egli prese con delicatezza in una delle sue, mentre
con l'altra accarezzava i capelli di Pinotto.

La signora Merlini puntò sul banco tutti e due i gomiti e chinandosi
verso Bardelli sussurrò a bassa voce:--C'è una cosa ch'io non riuscirò
mai ad intendere.

--Ed è?

--Perchè gli uomini migliori non si facciano una famiglia.

La onesta curiosità della signora Merlini rimase inappagata, perchè
giusto in quel momento due persone irruppero nella bottega che i
garzoni non avevano ancora finito di chiudere. Era la signora Marianna
Bardelli in compagnia del figliuolo Eugenio.

--Scappo--disse la vedova ripigliando la posizione verticale. E
soggiunse in un soffio:--Stasera alle nove conduco Pinotto a prendere
una boccata d'aria al Valentino.

Indi, voltandosi verso i nuovi arrivati.--Buon giorno, signora
Bardelli, come sta? Buon giorno professore... Pinotto, da bravo,
levati il berretto. Questi ragazzi non imparano mai la creanza.

Scambiati i saluti, la signora Merlini uscì rapidamente, tenendo a
mano il figliuolo.

La signora Bardelli la seguì con uno sguardo sospettoso e
malevole.--Che civetta!

--Oh Dio--obbiettò l'orefice.--Non vedo...

--Civetta sopraffina--ribadì la madre.--E come si dipinge gli occhi!

--Non mi pare...

--Tu non te ne intendi, caro mio... E bazzica molto in questa bottega,
la signora.... Grandi affari, ha...

--Desidera ch'io le stimi degli oggetti d'oro...

--Uhm!... Son donne da starne lontani le mille miglia.... Basta, spero
bene che non cascherai nella rete...

--Oh mamma, che idee!--E mutando discorso, domandò:--Hai da
parlarmi?... Anche tu, Eugenio?

A un cenno affermativo degli interrogati, egli si rivolse ai
garzoni:--Andatevene pure e date i catenacci anche per di fuori... Io
uscirò dalla porticina di dietro, e chiuderò a chiave da tutte e due
le parti.

Quando non ci fu più nessun estraneo, Girolamo Bardelli precedette sua
madre e suo fratello nella retrobottega ove spirava un po' d'aria, li
fece sedere e disse:--Che cera scura avete! Ci son dei guai?

--Pur troppo--sospirò Eugenio.

La signora Marianna gli diede sulla voce--Oh, lui esagera sempre.
Certo ch'è una cosa sgradevole.

--Ma spiegatevi, in nome del cielo--insistè Girolamo.

Eugenio tirò fuori una lettera dalla tasca del soprabito, e la
consegnò a suo fratello.--Leggi: è del professore Varedo.

Con molte circonlocuzioni, Alberto Varedo scriveva da Roma a Bardelli
ch'era dispiacentissimo di non poter conservargli il posto di
assistente che egli occupava già da due anni. Questi posti destinati a
essere un utile tirocinio pei giovani aspiranti all'insegnamento non
erano mai dati a perpetuità allo stesso individuo; anzi molti
professori ad ogni nuovo anno scolastico prendevano un assistente
nuovo. Egli, Varedo, aveva resistito fino allora alle molte
sollecitazioni che gli venivano fatte, e se adesso aveva ceduto non
era certo per mancanza di stima e d'affezione verso Bardelli alla cui
opera efficace si onorava di render giustizia; era soltanto per non
incorrer nell'accusa di favoritismo. Sperava che questa deliberazione
non sarebbe stata presa in mala parte dal suo valido collaboratore col
quale egli si riprometteva di mantenere intatti i rapporti di amicizia
personale e di fratellanza scientifica.

--È una bella lettera, non si può negarlo, una lettera che si potrebbe
metter in cornice come qualunque diploma--osservò la signora Bardelli
facendosi fresco col ventaglio.

L'orefice ripiegò il foglio, lo rimise nella busta e lo restituì a
Eugenio, dicendo:--Sì, la lettera è gentile, ma...

--Ma la conclusione si è che ho perduto il posto--continuò
l'assistente.--Lo so benissimo che non son posti conferiti a
perpetuità, e nemmeno io potevo pretendere di esercitar questo ufficio
fino alla consumazione dei secoli. Aspettavo sempre che s'aprisse un
concorso a qualche cattedra della mia materia o di materia affine...
Quello che mi pesa di più è il modo.... Perchè il professore non m'ha
detto niente l'ultima volta che ci siam visti? Perchè, volendo mutare,
non ha scelto uno dei giovani usciti dalla nostra Università? Perchè
mi dà per successore un certo Quinzani che ha fatto i suoi studi parte
a Pisa, parte a Lipsia, e che qui non si conosce punto?...

--Nella lettera non c'è nessun nome--interruppe Girolamo.

--Quest'è il peggio... Il nome l'ho saputo all'Università a cui il
professore Varedo l'ha comunicato per le formalità d'uso.... Quinzani!
Una assoluta mediocrità che ha pubblicato una memoria insignificante
di diritto internazionale... Ma è nipote d'un uomo politico...

La signora Bardelli che aveva la pretesa di esser una donna pratica e
positiva rimise in carreggiata la discussione.

--Son chiacchiere vane... Sia uno o l'altro il successore, è lo
stesso. L'essenziale è d'intendersi sul _quid faciendum_. Eugenio
crede che ormai sia inutile qualunque passo per far recedere il
professore Varedo dalla deliberazione presa.

--Inutilissimo.

--Sarà. A ogni modo è necessario rispondere. E poichè il professore
mostra tanta amicizia, tanta deferenza, bisogna coglier la palla al
balzo e sollecitare il suo appoggio in un prossimo concorso... Non ho
ragione, Girolamo?

--Sì.... veramente--rispose il figliuolo maggiore....--Ma c'è questo
concorso?

--Pare che il Ministero si deciderà ad aprirne uno a Bologna--disse
Eugenio Bardelli.

--Non c'è dubbio--ripigliò la signora Marianna con l'usato
ottimismo--non c'è dubbio che il professore favorirà la tua nomina...
È una specie d'obbligo morale per lui... Io però farei qualche cosa di
più... Io senza perder tempo andrei a visitare la signora Diana, ch'è
in villeggiatura sul Lago Maggiore fra Stresa e Belgirate, e la
pregherei di patrocinar la mia causa... Quella è un angelo...

--Oh sì, sì--esclamò Eugenio con enfasi.--E m'ha anche invitato ad
andarla a trovare... Gli è che non vorrei cascare in un giorno che ci
fosse il professore.

--Perchè? Se ci fosse, meglio. Vi spieghereste a voce. Ma già ora è a
Roma... E poi ci s'informa.

Non ci volle molto a persuadere Eugenio Bardelli dell'opportunità di
questa visita. Più ancora che del posto perduto egli si crucciava
all'idea di non poter frequentare la casa Varedo con la solita
intimità, e gli pareva mill'anni di assicurare la signora Diana che i
suoi sentimenti per la famiglia erano inalterati, e che, assistente o
no, egli era sempre al servizio di lei, del professore e di Bebè.

Adesso la loquace signora Bardelli venne al nocciolo della questione.
Se Eugenio non aveva il posto, naturalmente egli non riscuoteva
neanche lo stipendio.

L'orefice capì a volo.--Quant'era?

--Una miseria. Cento lire al mese--replicò la madre.--Ma gli bastano
pel suo vestito, per i suoi libri, pe' suoi minuti piaceri... Un
giovinotto non può star senza un centesimo in tasca... Se davo retta a
lui, non te ne parlavo...

--No, proprio--disse Eugenio mortificato. Tu hai tutto il carico della
casa sulle spalle.

Girolamo sorrise con bontà.--Non pensare a questo, oggi.... Tu avrai
col tempo la tua brava cattedra e sarai indipendente. Frattanto per
quel che occorre, son qua io.

Mentre Eugenio, commosso, si profondeva in ringraziamenti e la madre
tributava i dovuti elogi alla bontà del suo primogenito sempre
disposto ad aiutare i fratelli, Girolamo faceva tra sè e sè alcune
giudiziose considerazioni.--Già io non ho inclinazione pel matrimonio,
ma se pur ne avessi, sfido io a prender moglie fin che questi
benedetti ragazzi non siano sistemati.... E la signora Merlini non
capisce la ragione per cui certi uomini vivono scapoli.... Gliela
spiegherò io la ragione, stasera, al Valentino.

--Girolamo!--riprese con qualche esitanza la signora Marianna.

Egli si scosse e credendo ch'ella volesse andarsene disse
pronto:--Eccomi qua. Vi faccio uscire per la porticina.... Io rimango
un paio d'orette sinchè ho finito un lavoro.

La signora Bardelli, impacciata contro il suo solito, accennò
negativamente col capo.

--No.... Abbi pazienza... Dovrei dirti ancora qualche cosa....

--Oh Dio!... Altre disgrazie?

E l'orefice interrogò con lo sguardo Eugenio che teneva gli occhi
fissi al suolo.

La madre intervenne pronta.--No, no, lui non c'entra.

--Paolo allora!... Ha da gettare dei nuovi quattrini nei suoi progetti
colossali?

--Oh Girolamo--saltò su la vecchia signora in tuon di rimprovero.--Tu
pure diffidi del genio di Paolo?... E sì che presto o tardi quello
farà strabiliare il mondo.

Girolamo mise un sospirone.--Aspetta cavallo che l'erba cresca.

--Oh--ella seguitò con amarezza,--lo sa il povero Paolo, lo sa, che i
primi a dubitare di lui sono i suoi fratelli... Meno male Eugenio che
non ha l'obbligo d'intendersene d'arte. Ma tu...

--Io, mamma--rispose Girolamo--non son che un povero manuale
innamorato degli antichi... L'arte moderna non la comprendo, ciò che
non vuol dire ch'io non apprezzi l'ingegno di Paolo e che non gli
auguri i maggiori trionfi.... Sentiamo, via, mamma, che cos'ha Paolo?
Non hanno accettato il suo bozzetto a Monaco?

--Oh sì--ribattè la signora Marianna agitando furiosamente il
ventaglio--vorrei vedere che non glielo avessero accettato... Il
bozzetto non lo ha spedito lui all'ultimo momento perchè non finiva di
piacergli... È coscienzioso, Paolo... Ma non si tratta di questo.

--Di che si tratta dunque?

--Ecco--principiò la vecchietta, e non c'era verso che trovasse la sua
parlantina--ecco.... tu conosci la Gegia, quella che ha servito di
modella a tuo fratello per la sua magnifica baccante?....

--Sì, la conosco di vista... Gira sempre sotto i portici.

--Girava.... Ora non più.

--Insomma--chiese Girolamo inquietissimo--che significa questo
preambolo?

--Se ti riscaldi... disse la madre.

--No, sono calmo... Ma vorrei sapere...

--Or ora... Ecco... da circa un mese la Gegia vive con Paolo...

--È per questo ch'egli dorme nello studio, con la scusa d'esser pronto
la mattina a lavorare?... E tu, mamma, eri a parte del segreto?

La signora Marianna si mise una mano al cuore.--Giuro che fino a oggi
ero all'oscuro di tutto.

--Tu almeno Eugenio, sarai stato nelle confidenze...

--Io?... Neanche per sogno...

--Ma, in conclusione, se ha taciuto prima perchè parla adesso? Che
c'entriamo noi con le sue sudicerie?... Gli artisti, pur troppo, in
tutti i tempi hanno avuto di queste debolezze, ma è inutile che
vengano a raccontarle in famiglia.... Pensi piuttosto a sbarazzarsene
della sua Gegia, che già non avrà mica lo scrupolo di averla
compromessa... O che si compromettono quelle donne?... Ah, spero di
aver indovinato... Paolo ha bisogno di qualche centinaio di lire per
liberarsi... Quanto, via...?... Glieli presterò io i denari... Me li
restituirà con comodo... e se potrà... dopo la prima commissione...

Sempre più confusa, la signora Bardelli si guardava attentamente le
unghie, tentennando la testa.

Girolamo perdette la pazienza.--Non è questo?... In nome di Dio, che
cosa è?

La signora Marianna si decise a spifferar la verità intera.--È... è...
che sembra vi siano delle conseguenze.

Vedendo che il figliuolo sgranava gli occhi, ella soggiunse
timidamente:--Sembra... non si è ancora sicuri... magari non fosse!...

--E se fosse?--gridò l'orefice.

--Se fosse--rispose la madre--pensa quel che faresti tu.

--Ha intenzione di sposarla? Di sposar la Gegia?

--Mettiti nei suoi panni...

--Ah no, mamma--proruppe Girolamo, e la sua faccia ingiallita fuori
dell'aria e del sole si colorava rapidamente e i suoi occhi smorti
mandavano lampi--no ch'io non posso mettermi nei panni di mio
fratello, perchè io non sarei stato tanto minchione da convivere con
una baldracca a rischio ch'ella mi affibbiasse un figliuolo non mio...

--Oh Girolamo! Ma se tu avessi invece l'intima persuasione d'esser il
padre?...

--Con la Gegia?... Figurati se l'avrei!... Se l'avessi?... Non so...
forse riconoscerei la creatura, povero innocente, ma non farei certo
la pazzia di sposare la madre... E in ogni caso, qualunque sproposito
io commettessi, vorrei subirne io tutta la responsabilità e tutta la
vergogna... Non proporrei alla mia mamma di accettar per nuora una
Gegia; non domanderei a un fratello che lavora e suda da mattina a
sera di far nuovi sacrifici per mantenere oltre a me anche la mia
rispettabile consorte e il bimbo di cui mi fosse piaciuto assumere la
paternità... Perchè--continuò Girolamo Bardelli animandosi sempre
più--tutti i salmi finiscono in gloria, e se si ricorre a me non è per
domandar consigli (o che sono in grado di darne io dei consigli alla
gente ch'empirà l'Italia di capolavori?); è per aver quattrini.

--Ma Girolamo!--esclamò la signora Marianna congiungendo le palme. Non
aveva mai visto il suo primogenito così acceso in volto, non aveva mai
inteso da lui una simile sfuriata.

Egli s'accorse di aver passato il segno, si pentì d'aver tradito il
malanimo dell'artista coscienzioso, disinteressato, modesto verso il
sognatore spavaldo che vuol conquistare d'un sol colpo la gloria, e
chinandosi sulla madre ne' cui occhi luccicavano due lacrimette, la
baciò in fronte e le disse:--Perdona, mamma, qualche volta si perde la
testa.

--Oh, sei stato ingiusto, molto ingiusto con Paolo--ella replicò poco
opportunamente.

Ma l'orefice aveva ormai ricuperato il dominio di sè.--Paolo--egli
soggiunse con calma--io l'ho aiutato, io seguiterò ad aiutarlo in
tutto quanto si riferisce alla sua arte. Se non ha ancora avuto
fortuna, pazienza. La fortuna e il merito non sono l'identica cosa...
E se il suo ideale è diverso dal mio, non gliene faccio mica una
colpa... Questo diglielo pure; glielo avrei detto io s'egli non avesse
preferito d'incaricar te delle sue ambasciate... Ma circa al resto,
circa ai suoi progetti di matrimonio... di quel matrimonio... non
parlatemene più, chè tornerei ad andare in escandescenze.

Insistente per sua natura, e mortificata di non poter recare una
migliore risposta al suo figliuolo prediletto, la signora Marianna era
lì lì per replicare; ma Eugenio s'interpose.

--Basta per oggi, mamma... Ormai Girolamo sa quello che doveva
sapere... Egli è così buono che possiamo fidarci interamente di lui...
Non c'è pericolo ch'egli abbandoni nessuno della sua famiglia...

Girolamo protestò contro questo certificato di bontà che pareva un
certificato di debolezza.

--Buono, buono... Non tre volte però...

E avrebbe forse ribadito le sue prime dichiarazioni se gli sguardi
supplichevoli del fratello non lo avessero indotto a smettere.

--Adesso, mamma, vi apro la porticina--ripigliò Girolamo.

--Anche di festa lavori?--sospirò la signora Marianna.

---È necessario--egli disse. E dandole il braccio l'accompagnò fin
sulla soglia.

Quand'ebbe richiusa la porta dietro a sua madre e a suo fratello
Eugenio, egli s'avviò pian piano al suo banco, accese una lampada ad
alcool, e tirò fuori da un cassetto una catenella d'oro di cui
s'accinse a saldare le maglie con la stessa minuziosa sollecitudine
con cui avrebbe cesellato una coppa o sfaccettato un diamante.

Nella bottega chiusa giungevano gli echi del giorno festivo,
giungevano i canti dell'allegre brigate che andavano a passare il
pomeriggio in campagna. Per Girolamo Bardelli non c'era vacanza; a lui
non era lecito di bever un mezzo litro con gli amici; non gli era
lecito di far la corte alle ragazze e meno che mai di avere una bella
moglietta al suo fianco.... No, no, egli non si sarebbe recato quella
sera al Valentino in cerca della signora Merlini; che le avrebbe
detto? Che il suo dovere era di tirar la carretta per gli altri e di
restar scapolo tutta la vita... come forse il dovere di suo fratello
Paolo era quello di sposar la modella...?... Sono pur comiche le cose
di questo mondo!



XI.

Effusioni epistolari.


I fiocchi bianchi scendevano lenti, assidui, silenziosi. Era come se
una trina interminabile si svolgesse dal cielo verso la terra. Regnava
intorno la gran quiete dei giorni di neve, in cui ogni tono si smorza,
ogni eco si spegne, e perfin la voce umana sembra frenare i suoi
scatti.

Nella camera da letto, seduta a un tavolino, Diana scriveva,
interrompendosi di quando in quando per dare un'occhiata a Bebè che
dormiva tranquilla nella sua cuna, con le manine ingiunte sul petto e
i giocattoli sparsi sulle coperte.

Diana scriveva a sua madre.

--Non turbarti, mamma, se la mia lettera è triste. È una giornata
fatta apposta per metter uggia addosso. Nevica incessantemente da
stamattina, e chi sa per quanto nevicherà ancora... e siamo in
principio dell'inverno... Voi altri forse avrete la pioggia, lo
scirocco, l'alta marea... forse avrete il sole... Il nostro inverno
veneziano è molto più mite e comincia molto più tardi. Ad ogni modo,
se fossi accanto a te, nel tuo salottino, povera e cara mamma, come il
tempo mi volerebbe! Te ne ricordi, mamma, di quegli anni in cui t'ero
sempre attaccata alle gonnelle? Ti ricordi la rabbia di Miss Jeanne
perchè volevo star con lei il meno possibile, ti ricordi le tue
rampogne amorevoli per indurmi a esser più espansiva con
l'istitutrice? Son passati quegli anni... tutto passa.... E anche se
fossi rimasta con te sarei ora una vecchia zitella, malcontenta,
brontolona, inacidita come la Olga Duranti... Eppure, non so, mi
sembra che se fossi rimasta con te sarebbe stato meglio; mi pare che
ci si farebbe buona compagnia e ch'io sarei ormai rassegnata a non
maritarmi, ad avvizzire tranquillamente sul ramo come un frutto non
côlto... Si sta tanto bene sul ramo!... È vero che non avrei Bebè!

«Così, per conciliar tutto, mi basterebbe che fossero ancora i bei
giorni di Belgirate quando noi due, quasi sempre sole con Bebè, ci
godevamo in pace il magnifico lago... Non son corsi che quattro mesi e
mi pare un secolo, un secolo che non ti vedo mamma; come mi pare
un'eternità, a pensarci, il tempo che dovrò stare senza vederti.

«Ecco, mamma, lo sento, ti dò un dolore tenendo questo linguaggio. Sei
tanto buona che tu preferiresti, non già ch'io ti dimenticassi (son
cose da dirsi queste?) ma che ti desiderassi meno, che le mie lettere
non fossero che variazioni sopra un identico tema. Sono felice, sono
felice!... Io avrei ben l'obbligo di esser tale perchè il mio
matrimonio l'ho fatto io con quell'ostinazione ch'è una delle mie
prerogative!

«Comunque sia, dinanzi alle disgrazie vere che ci sono nel mondo, ho
torto a lagnarmi, e probabilmente lo _spleen_ di oggi deriva dal cielo
grigio e dall'indisposizione di Bebè... Non te lo avevo detto ancora
che Bebè è indisposta, o, piuttosto, è stata indisposta? Ha avuto due
febbricciattole reumatiche di nessuna importanza, ma che mi avevano
messo in un orgasmo! Ora è senza febbre, ma la tengo a letto per
precauzione. Mentre scrivo, ella dorme tranquilla, e io, alzando gli
occhi dalla carta, vedo il suo visino affilato dalla breve malattia,
vedo le sue manine rosee che spiccano sulla coperta bianca... Caro,
caro angiolo! Se non avessi lei!... Com'è buona, com'è docile e
ubbidiente, come ha preso la medicina che le fu ordinata dal dottore,
una piccola dose di citrato e magnesia! Hai ragione tu, è una bimba
che non somiglia a nessun'altra.

«Alberto, per miracolo, è a Roma, e non sarà qui che verso Natale
quando la Camera andrà in vacanza. Ci scriviamo un giorno sì e un
giorno no; ma che lettere fredde! Io gli parlo di Bebè, egli appena mi
risponde e mi parla invece di politica; mi dà notizie del Ministero,
il suo incubo!... Non casca mai questo benedetto Ministero... o non
sanno farlo cascare. Due occasioni, secondo Alberto, due occasioni di
rovesciarlo si son perdute per irresolutezza, per accidia dei capi
dell'opposizione. Così Alberto se la prende anche coi suoi amici che
si mostrano impari alle circostanze.

«Io, qualche volta, tanto per farla finita, vorrei che succedesse
questa famosissima crisi e che vedessimo i successori alla prova. Per
farla finita, proprio per questo soltanto, non per fede ch'io abbia
negli uomini nuovi. Non l'ho più la fede. L'aveva nei primi mesi del
mio matrimonio, quando credevo che Alberto non vagheggiasse la
deputazione che per amore di patria, per sete di giustizia e di
verità. Oggi son convinta che quello a cui si mira è di sopraffarsi a
vicenda, e che le frasi ridondanti e sonore non servono che a
mascherare le ambizioni piccine. E come sono obliosi questi signori!
Varedo per esempio non rammenta più che i medesimi individui sono
stati a vicenda esaltati e vituperati da lui, a seconda che hanno o
lusingata o ferita la sua vanità. Ma guai a rilevare queste perpetue
contraddizioni! A provarmici un giorno mi sono attirata addosso una
risciacquata di capo! Con l'acredine di chi sa d'aver torto e non vuol
riconoscerlo, Alberto mi disse che le donne non capiscono nulla, che,
mancando esse di logica, tacciano d'incoerenza le più naturali
evoluzioni dello spirito, e, mancando di profondità, non sanno
intendere i motivi che possono determinare delle mutazioni di giudizi
su persone e su cose... Niente meno!

«Dunque acqua in bocca. Perchè in quanto a far la parte compiacente
dell'eco, ah questo no... Saremo creature inferiori, noi povere donne
(così affermano i nostri padroni) saremo frivole, leggere; ma la
nostra personalità l'abbiamo noi pure, abbiamo un criterio, una
coscienza nostra che non possiamo, che non dobbiamo lasciar soffocare.
Non ch'io non intenda quello che c'è di alto e fecondo nella fusione
di due cuori, di due anime, di due intelligenze... Era questo anzi il
mio sogno. Fondersi come si fondono il rame e lo stagno per formare un
metallo più nobile e più resistente, il bronzo: ecco l'ideale. Ove si
tratti invece di non esser che la lega bassa e spregiata che serve a
mantener la coesione delle particelle d'oro e d'argento e si perde in
esse, io mi ribello con tutte le mie forze.

«Già, lo riconosco lealmente, una vera e propria comunione spirituale
è tanto difficile. Talvolta nelle prime ebbrezze dell'amore noi
crediamo che il miracolo si sia operato. Quale ingenuità! Gli è che
l'amore agisce sopra di noi come un anestetico; addormenta le nostre
suscettività nei nostri rapporti con l'essere amato; quando ci si
sveglia, e ci si sveglia di certo, allora si notano i solchi e le
lividure che il passaggio d'un estraneo ha lasciato in noi. Per
toccare un'anima senza ferirla occorre maggiore abilità che non
occorra al chirurgo per penetrare in un corpo col bisturi senza
lederne gli organi vitali. Ci riusciranno forse i semplici di cuore;
non mai gli uomini illustri, siano uomini di studio o d'azione. Che
mai vedono costoro fuori di sè, fuori della meta che si son prefissi?

«Tu cascherai dalle nuvole! Non riconoscerai più la tua figliuola
educata al rispetto, alla disciplina, alla religione del dovere! Eh,
mamma, noi siamo un oggetto di costante maraviglia a noi stesse. La
vita mi sembra uno di quei calendari ove non si può leggere la pagina
di sotto se non si strappa la pagina che sta sopra; con questa gran
differenza che nei calendari si sa sempre che giorno succede al giorno
in cui siamo; nella vita non si sa mai che cosa ci serba il domani e
che cosa noi saremo domani.

«Oimè, una scampanellata!... Chi può essere, con questo tempo?

  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .

«Ho dovuto interrompere la lettera per la visita della signora
Marianna Bardelli venuta, povera vecchietta, in mezzo alla neve per
sentir notizie di Bebè. Quante me ne ha contate! È piena di fede, di
energia, di vivacità, ma ha le sue tribolazioni anche lei. Il suo
Eugenio, quello che hai visto a Belgirate, lavora per prepararsi al
famoso concorso di Bologna che il Governo si è finalmente deciso a
bandire, ma intanto non ha nessuna occupazione retribuita, perchè,
come sai, le mie sollecitazioni in favor suo presso Alberto non
approdarono a nulla. Il figliuolo scultore accumula nello studio le
statue che non vende e s'impunta a voler sposare una modella,
nonostante l'opposizione del fratello orefice, il quale, alla sua
volta, è aizzato da una vedova inframmettente che cercherebbe di
accalappiarlo per sè. E capisco che il possibile matrimonio del suo
primogenito con la vedova spaventa la signora Marianna assai più di
quello dello scultore con la modella.

Ma sono argomenti che non possono interessarti, perchè, dal mio
professorino in fuori, non conosci alcuno della famiglia Bardelli. Il
mio professorino buono, ingenuo, entusiasta, quello sì ha conquistato
anche te, e son sicura che saresti contenta di saperlo a posto. Io
temo invece che, appunto per la sua eccessiva bontà e credulità, egli
si vedrà soverchiato da altri che valgono meno di lui. Quando, dopo
ciò ch'è successo, lo vedo così fiducioso nell'appoggio di mio marito,
rabbrividisco al pensiero dei disinganni che gli si preparano. Peggio
poi quando lo sento vantarmi le belle qualità del suo successore
Quinzani, una volpe fina che lo sfrutta lisciandolo. In principio,
Bardelli guardava con sospetto questo nuovo venuto, non perchè gli
serbasse rancore dell'averlo snidato dall'Università, ma perchè
temeva, povero grullo, che colui cercasse di soppiantarlo anche presso
di me e della bimba. Ci voleva proprio Bardelli per supporre che un
giovinotto elegante qual è Quinzani, giunto qui con lettere di
raccomandazione per la _highlife_ torinese, perdesse il suo tempo con
noi altri due. Quinzani, compitissimo, fa alla moglie del suo
professore una visita al mese, manda ogni tanto a Bebè una scatola di
dolci di Baratti e Milano, e lascia a Bardelli il gradito ufficio di
mettersi a disposizione mia e di giocar con mia figlia. Allorchè
Alberto è a Torino, egli viene in casa più spesso, ma io non lo vedo o
lo vedo appena, e Bebè nemmeno si accorge della sua presenza.
Rassicurato su questo punto, Bardelli gli si è fatto amico, lo scusa,
lo giustifica, lo loda perfino. Non è un ingegno originale, questo no,
ma è uno che sa il conto suo, ed è un lavoratore indefesso, che ama
parlar di studi, provoca le obbiezioni, e, se le trova giuste, le
accetta con gratitudine.--Badi a me Bardelli--dico io--badi a me;
Quinzani si adornerà delle sue penne e finirà coll'arrivare in porto
prima di lei.--Ma quel buon uomo, già te lo immagini, protesta
energicamente contro le mie parole e sostiene che gli studiosi devono
aiutarsi a vicenda e che quando uno ci espone un dubbio o ci chiede un
consiglio non è lecito rispondere con un rifiuto.

«Oh mamma, che lettera ti scrivo! I foglietti si ammucchiano sul
tavolino proprio come i fiocchi di neve sul davanzale della mia
finestra. E non ho terminato e penso di dedicare a te anche una parte
della sera ch'è già cominciata... e non sono ancora le 4!

«La bimba è svegliata e guarda me, e guarda il lume, e mi chiama di
tratto in tratto:--Mamma! Mamma!... Non è insistente però, non è
noiosa; basta ch'io m'avvicini un momento, che l'accarezzi, ella si
cheta subito. E quando le dico:--Scrivo alla nonna. Che cosa mandi
alla nonna?--ella che capisce a volo, che capisce tutto,
risponde:--Baci.--E con che enfasi pronuncia quella parola _baci!_
Pare che ci metta due _ci_... Sta benino Bebè e se domani fosse una
giornata migliore l'alzerei. Ma c'è poco da sperare. Nevica sempre,
nevica più fitto di prima, e non mi stupirei che si dovesse starsene
tappate in casa per una settimana. Pazienza! Ce la conteremo con Bebè.

«Io poi mi son rimessa a leggere. E dacchè son discesa di grado e non
faccio più la _segretaria_, nè ho da ingolfarmi nei trattati di
sociologia mi sfogo coi libri di letteratura amena. Alberto non ne
compra, e mi rimprovera se ne compro io col mio _budget_ particolare,
ma io sono abbonata a una biblioteca circolante, e ho inoltre una
fornitrice generosissima nella signora Erminia Sali, nata Frigidi,
vedova Maranzi, vedova Silveri. Il suo presente marito, professore di
filologia comparata, non ha che opere noiose, ma i due mariti
precedenti avevano una passione matta per i romanzi, e fra l'uno e
l'altro ne raccolsero parecchie centinaia che la moglie ereditò. Io
attingo a piene mani in questa grazia di Dio, e così mi metto al
corrente e faccio intima conoscenza con quegli autori che le mamme
savie non permettono alle loro figliuole. Ho divorato quasi tutto
Zola, e Guy de Maupassant, e Bourget... Non aver paura, mamma, che le
letture mi corrompano. Credo di non esser nè sentimentale, nè
sensuale, e l'adulterio, in qualunque salsa lo condiscano, è una
vivanda ripugnante al mio stomaco. Aggiungi che appena alzo il naso
dai libri _immorali_, non vedo che manoscritti e riviste e volumi
stillanti austera virtù. Basterebbe il primo tomo, testè uscito,
dell'opera di Alberto: _Le basi del dovere_. Come vuoi che caschi, o
scappucci, una donna seduta sulle basi del dovere?

«Sai piuttosto una cosa? Non dirlo a nessuno, ma ho scovato uno de'
miei vecchi quaderni, ho scorso un bozzetto di dieci anni fa e,
modestia a parte, mi è sembrato che, forse, qualche qualità di
scrittrice l'avrei avuta. E oggi, con un po' più d'esperienza del
mondo, che gusto sarebbe per me il poter ritrar le macchiette che mi
passano innanzi e il dar forma letteraria alle commedie di cui sono
spettatrice! Ma ho lasciato irrugginire le mie attitudini artistiche,
se pure ne avevo, e temo che, se mi mettessi alla prova, mi preparerei
amare delusioni.

«E ora, mamma, imita il mio esempio. Scrivimi a lungo (non come ti ho
scritto io, chè sarebbe importi una troppa grave fatica) ma scrivimi
meno brevemente delle ultime volte, e narrami delle tue serate e
parlami, oltre che di te, di tutti gli amici. Parlami anche di quel
cattivo dello zio Gustavo che non mi manda mai una riga, che non vuol
vedermi, che ha fatto fare da un altro in vece sua un'ispezione per
conto della sua Compagnia d'Assicurazioni all'Agenzia di Torino. L'ho
saputo in modo positivo e ne son rimasta così male! Che lo zio non
voglia incontrarsi con Alberto, pazienza. Gli sarebbe stato facile
scegliere uno dei momenti (son tanti quei momenti!) in cui Alberto era
a Roma, e da me poteva ben venire. Così puntiglioso non lo credevo.
Ammesso pure che il puritanismo di mio marito sia esagerato, o che lo
zio pretende che gli si chieda perdono in ginocchio per non aver
approvato la sua tresca con l'Adelaide Nocera? Fin lì non ci arrivo
neanch'io, quantunque veda le cose in un modo assai diverso da quello
che le vedevo una volta, tutto ciò che posso fare è di conceder le
attenuanti all'Adelaide ed a lui. Sento adesso che l'Adelaide è in
procinto di rimaner vedova. Che, avverrà dopo? Lo zio la sposerà?

«Diglielo tu intanto allo zio che io gli voglio sempre bene, digli che
gli sono riconoscente della compagnia che ti fa. Come vorrei
ringraziarli tutti quelli che fanno compagnia alla mia mamma!...
Povera mamma! La tua figliuola è così lontana, e in Febbraio sarà più
lontana ancora, perchè Alberto sembra ormai deciso di condurci a Roma
per un paio di mesi. Questo non sarebbe che un esperimento; in
avvenire, s'egli abbrancasse il sottosegretariato o semplicemente
ottenesse il trasloco all'Università della capitale, converrebbe
addirittura mutar domicilio. È un'idea, te lo confesso, che mi
sgomenta. La distanza che ci separa sarebbe accresciuta di duecento
chilometri. E, inoltre, chi sa come mi troverei in quella baraonda?
Chi sa se il soggiorno sarebbe propizio alla bimba?

«Non crucciamoci prima del tempo. Consoliamoci invece col pensiero che
passeremo insieme anche l'estate prossima, o di nuovo sul lago, o a
Venezia.

«E qui, proprio, metto il punto fermo. Non è una lettera questa; è un
pacco postale, che affiderò di qui a qualche ora all'immancabile
Bardelli.... Bebè, Bebè, che cosa devo mandare alla nonna? Baci....
Ecco ha risposto baci e non credo di poter finir meglio che con questa
parola. Tanti baci anche da me, mammina, cara.

                                   La tua
                                    DIANA.



XII.

A Roma.


L'onorevole Varedo, lasciata la sua solita camera all'Albergo di Santa
Chiara, aveva fissato per un trimestre, per sè e la famiglia, un
quartierino ammobigliato in vicinanza di Piazza del Panteon. Ivi Diana
era venuta a raggiungerlo verso la metà di febbraio, portando seco
Bebè, l'Irene e un'altra donna di servizio, la Lisa, che faceva da
cameriera e da cuoca.

Nel piano di sotto abitavano i padroni di casa, certi Feana, oriundi
piemontesi, moglie e tre figliuoli, più una vedova sulla quarantina,
che il signor Giacinto Feana chiamava sempre _la cognata sofferente_.
Il signor Giacinto era un uomo di svariate attitudini; sonava l'oboe
in orchestra, scriveva epigrafi per le tombe e versi giocosi per le
scatole di fiammiferi, dava lezioni di francese applicato alla
profumeria a due garzoni di parrucchiere, e faceva a ore perse il
regio impiegato presso il Ministero d'agricoltura, industria e
commercio. Ma tutti i ritagli di tempo che gli restavano liberi egli
li consacrava alla cognata sofferente, al cui lutto profondo egli
partecipava con discrezione, portando un velo nero intorno al braccio;
ciò che gli permetteva di conciliare il dolore e la economia. La
_sofferente_, che dal defunto consorte aveva ereditato un buon
gruzzolo di quattrini, era stata una manna del cielo per i Feana i
quali, nonostante l'ingegno versatile del signor Giacinto, avevano
menato fino allora una vita piena di tribolazioni. Invece, rimasta
vedova quella povera signora, i parenti erano riusciti a persuaderla
che la solitudine non le conveniva e ch'ella non aveva da far nulla di
meglio che riunirsi alla sorella, al cognato e ai nipoti. Presa quindi
una casa grande, di cui si subaffittava ammobigliata una parte, si era
assegnata alla signora Daria (così si chiamava) la camera migliore coi
migliori mobili (è vero che se li era portati con sè) e non le si
lasciava mancar nulla di nulla. Buona tavola, buon servizio,
passeggiate igieniche a piedi o in carrozza, la sua brava partita la
sera, la sua conversazioncella con gente seria, matura, coniugata,
senza fisime pel capo. La _sofferente_ doveva essere difesa tanto
dalle correnti d'aria quanto dalle correnti matrimoniali.

Desiderosi d'ingraziarsi un uomo autorevole come Varedo, i Feana si
misero subito a disposizione di Diana, che per le occupazioni di
Alberto restava sola la maggior parte della giornata. Comandasse
liberamente, in qualunque cosa potesse occorrerle; scendesse da loro
di mattina, di sera, senza cerimonie, ogni volta che desiderava avere
qualche notizia o scambiar qualche parola. O se preferiva che
salissero essi da lei non aveva che da chiamarli; o l'una o l'altra
delle sorelle, o tutt'e due insieme sarebbero venute col loro lavoro.
Così, pure approfittando con parsimonia delle larghissime offerte,
Diana era entrata presto nelle confidenze de' suoi padroni di casa.
L'enciclopedico signor Giacinto le parlava delle sue cure di _pater
familias_, della responsabilità che si era assunta col tener presso di
sè la cognata, dei pensieri che gli dava l'educazione dei figliuoli, e
veniva pian piano a discorrere degli organici del Ministero ove
c'erano favoritismi indegni che l'onorevole conosceva sicuramente ma
ch'era vano sperar di togliere fin che non cambiassero gli uomini al
Governo. In quanto a lui, non era che un povero _travet_, e gli
conveniva usar prudenza. Non aveva che un unico modo di protestar
contro gli abusi; ed era quello di andar all'ufficio meno che fosse
possibile.

Anche la signora Amalia Feana s'apriva volentieri con la Varedo circa
alle inquietudini da lei provate per la sorella ch'era una testa
debole, e se non la guidavano, sarebbe stata capace di qualche
corbelleria. E sì che a quarantacinqu'anni (gliene cresceva quattro) e
dopo quello che aveva patito avrebbe avuto l'obbligo di ringraziare il
Signore che le permetteva di godersi in pace quel po' di ben di Dio
che l'era rimasto. Manco male che c'era chi stava in guardia.--E
poi--soggiungeva la signora Amalia nei momenti di maggiore
espansione--non abbiamo l'obbligo di cercare, mio marito ed io, che i
nostri figliuoli i quali son pieni d'attenzione per la zia, non siano
defraudati in favore d'un estraneo di ciò che può spettar loro in
futuro?

Diana se la cavava con monosillabi, senza scandalizzarsi troppo di
questa curiosa interpretazione del dovere... Non si scandalizzava più,
ormai.

Con la stessa mite ironia ella stava ad ascoltare gli sfoghi della
_sofferente_, se questa riusciva a coglierla sola. Volevano farla
passare per malata (in verità non ne aveva l'aspetto, bianca rosea e
grassa com'era) volevano tenerla sotto una campana... tutto per paura
ch'ella riprendesse marito. Ella non aveva nessun proposito deliberato
di passare a seconde nozze; ma, in fin dei conti, una donna a
trentasei anni (se ne calava cinque) non può mica imporre al suo cuore
di non batter più... E ad illustrare questa dichiarazione il cuore
della _sofferente_ emetteva un sospiro che gonfiandole il seno
voluminoso faceva scricchiolar le balene del busto. Un altro sospiro
le strappava il ricordo di una sua bambina mortale a trenta giorni e
che adesso sarebbe stata quasi una ragazza da marito... Ma! Se quella
benedetta fosse vissuta, ella, dopo la sua vedovanza, si sarebbe ben
guardata dall'accettare le offerte di suo cognato e di sua sorella.

Così ragionava la signora Daria, quando non c'erano testimonî; ma in
presenza dei Feana ella ripigliava la sua maschera d'impassibilità, il
suo sorriso languido di donna grassa ed apatica, a cui pesa ogni
fatica del corpo e dello spirito. Discorreva poco, stava lunghe ore in
ozio, sonnecchiando in una poltrona.

C'era al terzo piano, un'altra inquilina con la quale Diana Varedo non
tardò a far conoscenza. Era costei una pittrice inglese, da parecchi
anni stabilita in Italia, Miss Olivia Harrison, d'età incerta,
intrepidamente brutta come le inglesi sogliono essere quando non sono
bellissime, schietta di modi, originale di carattere e d'ingegno.
Amava il nostro paese come pochi di noi lo amano; parlava, forse, in
virtù del suo lungo soggiorno in Toscana, un italiano, se non fluido,
corretto e preciso, cercando talvolta la frase, trovandola sempre.

Miss Olivia concepì una schietta simpatia per la Varedo fin dalla
prima volta che la vide. Indovinò in lei una donna non volgare, e, ciò
che più la interessava, una personalità non ancora ben sicura di sè,
ma vagamente desiderosa di affermarsi e di svolgersi. Ella pure, Miss
Olivia, era stata una ribelle; nella sua passione per l'arte, nella
sua smania d'indipendenza, aveva abbandonato la famiglia e la patria,
e mentre avrebbe potuto goder tutti gli agi nella casa paterna
preferiva di viver meschinamente del suo lavoro peregrinando in paesi
stranieri. Perchè c'era questo di singolare; che malgrado il suo
ingegno, la sua coltura, il suo finissimo senso estetico, ella non era
che un'artista mediocre. E sapeva di esser tale, e vi si rassegnava
con dignità, e non attribuiva all'ingiustizie del mondo la sua scarsa
fortuna. Non però accettava la sentenza che vieta ai mediocri i campi
dell'arte.--Sciocchezze!--ella diceva.--Ognuno faccia lealmente ciò a
cui le sue inclinazioni lo portano. Se non riesce, non è colpa sua.
Riuscirebbe ancora peggio nel resto. Io sono una cattiva pittrice.
Pazienza. Sarei stata una pessima maestra di scuola, una pessima
sarta, una pessima contabile, una pessima impiegata ai telegrafi. Così
almeno respiro l'aria che si confà ai miei polmoni, m'inebrio delle
visioni che si confanno ai miei occhi. Se copio male una Madonna di
Raffaello o del Perugino, ho almeno il conforto d'aver tentato di
penetrare nell'anima di quei due sommi; se non posso rendere ne' miei
acquarelli la maestà della campagna romana ho la gioia religiosa e
profonda d'interrogare, ammirando, quegli orizzonti e quelle rovine.
Vivere con sincerità, ecco l'essenziale. Non lasciarsi traviare
dall'ambizione o dal tornaconto, adattarsi a essere oscuri,
incompresi, derisi, pur di seguir docilmente gl'impulsi dell'anima,
ecco il dovere d'ogni creatura che si rispetta.

Date queste idee, è facile immaginarsi come Miss Harrison
incoraggiasse la Varedo a coltivar le sue attitudini letterarie. Diana
gliene aveva parlato per celia, ma ella, l'Inglese, aveva preso subito
la cosa con la serietà della sua razza, e non si stancava di eccitarla
a tentare la prova, magari coprendo i suoi primi saggi col velo
dell'anonimo. Carlo Dickens aveva cominciato così: Maria Evans era
rimasta nascosta per un pezzo dietro il nome di battaglia di George
Eliot.

--Ha un bel dire, lei--rispondeva Diana ridendo.--Lei non ha marito,
non ha figliuoli.

Miss Harrison, alla quale non isfuggiva la gravità dell'obbiezione,
tentennava la testa. Era un arduo problema che, per conto suo,
ell'aveva risoluto negativamente. La famiglia tende a sminuire
l'individuo; ella, nella sua smania sfrenata d'indipendenza, aveva
fatto a meno della famiglia. Lo capiva bene che l'esempio non poteva
trovare molti imitatori e non disconosceva i pregi d'una istituzione
accettata da tutti i popoli civili. Ma per lei non era virtù quella di
sacrificare interamente sè stessi all'esigenze tiranniche di un ente
collettivo; era una rinunzia pusillanime degna di spiriti piccini.

Le due donne discutevano non intendendosi che a mezzo; tuttavia Diana
sentiva che, in fondo, ella era d'accordo con Miss Olivia in molti più
punti che non avrebbe voluto. Anche visitando Roma (vista una sola
volta nella confusione del viaggio di nozze) sia che Alberto, con uno
sforzo meritorio, consentisse ad accompagnarla in rapida corsa, sia
che le facesse da guida Miss Harrison o qualche conoscente
presentatole da suo marito, sia che fosse sola soletta col suo
Baedeker, ella notava una profonda diversità fra le impressioni e
l'emozioni provate adesso e quelle di pochi anni addietro. Allora
ell'accettava facilmente le opinioni fatte, oggi aveva una ripugnanza
invincibile ad accogliere i giudizi che udiva pronunziare intorno a sè
o leggeva stampati nei libri. Le accadeva di rimaner fredda dinanzi a
vantati capolavori e d'esser colpita invece da ciò che la sua Guida e
i suoi ciceroni non degnavano menzionare, e di fantasticarvi su a
lungo, indifferente a tutto il resto, e poco curandosi se altri
interpretavano a rovescio la sua aria distratta. Una notte non dormì
avendo sempre negli occhi un ritratto femminile d'una galleria privata
sotto cui era scritto: _Ignota d'ignoto_. C'era tanta dolcezza nel
viso di quella donna sconosciuta, morta da' secoli; c'era tanta
passione, tanta pietà, tanto amore nel suo sguardo. Pietà, amore per
chi? Forse per l'uomo, sconosciuto anch'egli, che la ritraeva?

Pur le Gallerie ed i Musei non esercitavano la maggiore attrattiva su
Diana. Già le pareva una pretensione assurda quella di gustare i
grandi maestri fermandosi pochi minuti dinanzi alle loro opere.
D'altra parte, se stava troppe ore lontana da Bebè (e naturalmente ai
Musei non poteva condurla) le si metteva addosso una tale inquietudine
da toglierle la serenità necessaria alla contemplazione artistica. Ciò
ch'ella preferiva era di girellare per la città in compagnia
dell'Irene che non le dava disturbo e della bimba che pareva
divertirsi un mondo in queste gite all'aperto. Di rado prendeva il
_fiacre_; andava spesso a piedi, talora in tram o in omnibus, sostando
di preferenza nelle vicinanze del Foro Romano o del Colosseo; o,
spingendosi oltre il Tevere, scendeva a San Pietro, saliva al
Gianicolo, si fermava a contemplare da San Pietro in Montorio il
panorama di Roma. Dinanzi al grande spettacolo il sangue le correva
più rapido nelle vene, s'agitavano nella sua mente i forti e virili
pensieri, seppellendo in un oblìo momentaneo le sue piccole cure, i
suoi piccoli crucci, il piccolo dramma della sua esistenza sciupata.

Quasi tutto il giorno ella viveva nella Roma del passato; gli echi
della Roma contemporanea giungevano al suo orecchio la sera. Alberto
arrivava a pranzo carico di gazzette, vibrante ancora dei dibattiti
appassionati della Camera, degli uffici, dei corridoi, a vicenda
sfiduciato e baldanzoso, secondo che le sorti del Ministero abborrito
parevano più sicure o più vacillanti. A Torino era taciturno; qui alla
capitale la vicinanza del campo di battaglia lo rendeva loquace.
Checchè pensasse di Diana, comunque giudicasse lo scarso interesse
ch'ella prendeva alle aspirazioni ambiziose di lui, egli, quasi avesse
bisogno a ogni costo d'un uditorio, continuava con sua moglie i
discorsi interrotti con gli amici e con gli avversari politici, le
parlava delle prossime discussioni, dei prossimi voti, trinciava
giudizi su uomini e cose. Non erano momenti lieti per l'Italia; il
disagio economico si faceva sentire in tutte le classi sociali e in
tutte le parti della penisola; la gravezza dei balzelli, la scarsità
dei raccolti, la rovina di molte industrie esacerbavano gli animi,
alimentavano le inquietudini per l'avvenire. Di là dal mare i nostri
possessi d'Affrica apparivano sempre come un formidabile enigma, e
benchè non vi fosse guerra aperta inghiottivano vite e danari. Ma
peggio della miseria interna, peggio dell'Affrica, era la corruzione
che dilagava, era la quotidiana rivelazione d'abusi, di scandali,
d'indulgenze colpevoli, onde si proiettava una luce sinistra sui nomi
cari alla patria, e nell'animo delle moltitudini periva ogni fede, e
la stessa risurrezione politica, già nostro vanto ed orgoglio, pareva
macchiarsi d'una postuma infamia. Varedo aveva parole roventi contro i
prevaricatori; a loro imputava il decadimento della nazione, a loro
l'imbaldanzire dei partiti estremi, che trovavano un aiuto nella
coscienza pubblica offesa dai vizi delle classi imperanti. Ah, colpire
bisognava, colpire inesorabilmente, mostrar che la giustizia e la
legge non erano simboli vani, ristabilire la moralità, risollevar
l'ideale... Ma che sperar dalle mummie che s'aggrappavano al potere?
Mai essi avrebbero avuto l'energia necessaria. E come averla, se
neppure la loro riputazione era illesa? Se d'alcuni si diceva che
spendessero oltre alle loro forze, che non si peritassero di ricorrere
a quei banchieri e a quegli affaristi ch'essi avrebbero avuto
l'obbligo d'invigilare? Gente nuova ci voleva, gente a cui le
debolezze proprie non imponessero di chiuder gli occhi alle debolezze
altrui...

Di tratto in tratto le filippiche eloquenti di suo marito riuscivano a
scuoter lo scetticismo di Diana. Se fosse vero? Se realmente gli
ardesse in cuore la sacra fiamma del bene? S'egli fosse realmente
destinato a grandi cose? Che scusa avrebbe avuto ella, sua moglie, di
condannarlo come ambizioso? Ma l'ambizione che si volge ad alti fini
non è vizio, è virtù, e solo gli spiriti gretti possono farla oggetto
dei loro sarcasmi. E non era forse anche lei, Diana, inconsapevolmente
ambiziosa? Non si lasciava montar la testa da Miss Olivia, non sentiva
risorgere i desideri lungamente repressi, non vagheggiava la gloriola
di scrittrice e di romanziera?

Questo ella diceva fra sè, e avrebbe voluto pronunciar di nuovo le
parole piene di calore e di fede, ond'ella, a Torino, incoraggiava
Alberto disputante con gli amici beffardi. Ma non c'era verso. Una
forza maggiore di lei le paralizzava la lingua, mozzava sul suo labbro
le frasi già incominciate. Troppi rancori personali, troppe bizze,
troppi puntigli facevano capolino nei discorsi di Alberto Varedo
perchè le disposizioni benevole di sua moglie potessero durare a
lungo. Peggio se, come gli accadeva talora, egli portava a pranzo o un
collega del Parlamento o un rappresentante del cosidetto quarto
potere. Erano, così almeno affermava Varedo, i migliori uomini del
partito; non mercanteggiavano il voto, non bazzicavano negl'Istituti
di credito, non s'impicciavano in losche speculazioni; eppure, che
povertà d'ideali, che intemperanza di linguaggio, che fiacchezza di
convincimenti! Quel San Giustino, il preconizzato Ministro, che
delusione era stata per Diana! Con che voluttà strana e feroce aveva
egli, uomo di governo, narrate dinanzi a lei, che conosceva appena, le
cronache del Quirinale, ripetuti i pettegolezzi che correvano sulla
vita intima di questo o quello fra i membri del Gabinetto, sollevando
tutti i veli, penetrando in tutte le alcove!

Ma nulla nauseava Diana quanto certi voltafaccia improvvisi, onde il
deputato, il giornalista ieri coperto d'obbrobrio era giudicato oggi
con singolare indulgenza, se si poteva sperare di tirarlo a sè, o di
strappargli una lode.

--Povero diavolo!--si diceva.--Val meglio della sua fama.

--È guastato dall'ambiente, ma il fondo è buono.

--E non è senza ingegno, nè senza cultura.

Che miserie, santo Dio, che miserie! E come Diana ne arrossiva per suo
marito, per gl'interlocutori di suo marito, per l'abbassamento morale
di cui questa mobilità d'opinioni era uno dei sintomi più eloquenti!

Comunque sia, ella non sempre si lasciava vincere dallo sconforto; non
tutto era a' suoi occhi privo di nobiltà e di grandezza in questa
terza Roma precocemente invecchiata. Forse ciò che vi era di nobile e
grande mostrava meglio l'intima virtù sua resistendo alla prova dei
tempi corrotti. Ben potevano essere impari all'ufficio la Reggia, il
Parlamento, la stampa; restava sempre il fatto maraviglioso di questa
Italia ridestata dopo un sonno di secoli, affermata nella sua capitale
di fronte all'eterno nemico della sua unità e della sua indipendenza.
Diana aveva assistito a un paio di sedute della Camera; nè alcuna voce
di potente oratore era salita fino a lei, ma ell'aveva visto nella
tribuna diplomatica gli ambasciatori stranieri seguire intenti la
discussione, e aveva pensato che mezzo secolo addietro l'Italia era
chiamata un'espressione geografica; in due occasioni ell'aveva
incontrato il Sovrano, ne' dalla persona di lui l'era parso emanasse
alcun fascino particolare; ma egli era il Re d'Italia, era il simbolo
intorno a cui si raccoglieva le sparse membra della nazione... Ah,
questa nazione che vibrava d'un unico palpito dall'Alpi al Mar Jonio,
perchè non si sarebbe risollevata, dalle umiliazioni presenti, perchè
non avrebbe adempiuto le promesse mirabili del suo riscatto? Intanto
qual degno studio per un pensatore, per un filosofo l'investigar le
ragioni onde lo sviluppo del risorto organismo s'era arrestato per
via, e i caratteri s'erano infiacchiti, e allo spirito di sacrifizio
era succeduta la caccia agli onori e alle sinecure, la smania dei
godimenti, la febbre dell'oro che non conosce scrupoli e freni? Quanti
germi morbosi ereditati dagli avi s'erano desti in noi col nuovo
calore di vita che aveva rimesso in movimento il sangue nelle nostre
vene? Quanti vizi avevamo acquisiti dagli altri? Quanti ce ne venivano
dall'oppressione straniera e domestica a lungo patita? Quanti dalla
libertà male usata?

Problemi che non ella, debole donna, avrebbe risolto; che già le
pareva prosuntuoso enunciare. Più accessibile alla sua mente, più
conforme alle inclinazioni del suo spirito era un altro modo di
considerar la questione. Prendere un uomo, un giovinotto di 18 a 19
anni nel 1859, vigoroso, intelligente, entusiasta, appassionato,
sensuale; condurlo, spettatore ed attore, attraverso tutte le vicende
italiane contemporanee, dalle battaglie dell'indipendenza alle dispute
del Parlamento; farlo salire, salire ai gradi supremi, esposto a ogni
specie di tentazioni; farci assistere alle sue lotte con gli avversari
e con sè stesso, alle sue vittorie e alle sue cadute; mostrarcelo ora
levato sugli altari ora travolto nel fango; portarlo sino ai confini
del secolo che muore, e dare per sfondo alla sua matura virilità, alla
sua imminente vecchiezza questa magnifica Roma, ove dal Campidoglio,
dal Vaticano, dal Quirinale parlano tre diverse epoche della storia,
s'affacciano tre diversi aspetti dell'umanità; che quadro, che romanzo
da invogliare un redivivo Manzoni!

--_Non nobis_--ella doveva soggiungere;--_non nobis_. Il protagonista
del suo romanzo ideale giganteggiava per modo che il suo occhio non
riusciva ad afferrarne i contorni; il gran quadro si spezzava in cento
quadretti di genere ove si movevano piccole figure subalterne
illuminate solo da una luce riflessa. Erano i tipi ch'ell'aveva
sottomano; erano i Bardelli, era Quinzani, era lo zio Gustavo, era
l'Adelaide Nocera, erano i Feana con la _cognata sofferente_, era Miss
Jane, la sua antica governante, e Miss Olivia, la pittrice inglese,
era Varedo, anche lui... e anche lui, oimè, una figura subalterna,
nonostante il suo ingegno, la sua dottrina e la sua interminabile
opera sul _dovere_.

Passavano e ripassavano tutte queste figurine sotto gli occhi di
Diana, si modificavano, si elaboravano nella sua fantasia, ed ella
sorrideva loro con tenerezza materna, e le vedeva col desiderio
acquistar forma e rilievo sotto la sua penna, e pregustava l'emozioni
d'autrice.

Finora però ella resisteva valorosamente alla tentazione. Anzi
negl'istanti in cui la fregola letteraria le si faceva sentir più
forte, ella come per antidoto, prendeva in collo Bebè ed
esclamava:--Io sono una sciocca. Devi esser tu, tu sola, il mio
romanzo, la mia letteratura, la mia gloria.



XIII.

Una festa che principia male....


Alberto Varedo, seduto al tavolino fra due riviste aperte, finiva di
scrivere una lettera:

«... e vi sarò grato se in forma puramente obbiettiva vorrete rilevare
la vacuità e superficialità di quella critica della _Revue des
sciences sociales_, raffrontandola, se così vi pare, all'articolo alto
e sereno comparso intorno al primo volume della mia opera nell'ultimo
numero della _Deutsche Rundschau_. Da un lato tutta la leggerezza e
presunzione francese; dall'altro la coscienziosità e la dottrina
tedesca. Bisogna pur convenire che oggi _Germania docet_.

«Del resto, la mia povera persona è il meno, e voi sapete ch'io non
vado in cerca di panegirici. M'irrita solo il veder disconosciuto dai
nostri vicini d'oltralpe il risveglio scientifico del nostro paese.

«Fraternamente, come sempre,

                                       Vostro
                                   ALBERTO VAREDO».

Il professore piegò il foglio e lo ripose in una busta già pronta,
indirizzata

      _All'illustre signor cav. Ugo Soardi-Morini_
    Direttore della _Rassegna giuridico-economica_
                                      MILANO

Indi chiuse con dispetto la _Revue_ che lo tartassava, chiuse con
amore la _Rundschau_ che lo portava alle stelle e si accostò alla
finestra.

Ma un suono di passi lo fece voltare.

Era Diana che teneva per mano la bimba.

--Ecco Bebè che viene a darti il buon giorno--disse Diana.

Varedo si chinò sulla piccina, e le stampò un bacio sulla guancia
morbida.--Buondì, Bebè.

Un'occhiata di sua moglie lo avverti ch'egli dimenticava qualcosa ed
egli soggiunse:--A proposito, mille auguri.

--Su, Bebè, non rispondi?--sollecitò Diana che s'era spolmonata fino
allora a insegnar la lezione alla sua figliuola.

--_Azie_, papà.

--Mostragli--continuò la madre--mostragli che cos'hai di bello.

Bebè, alzando le sue manine, additò le buccole che le pendevano dagli
orecchi e ch'erano appunto un regalo del babbo pel suo secondo
anniversario, ricorrente oggi 27 Marzo.

--E chi te le ha date quelle buccole?

--Papà.

--Dunque?

--_Azie_, papà.

--_Azie_, _azie_; non dirà mai _grazie_ questa bricconcella?... E...
senti, Bebè, quanti anni compi oggi?

Bebè aggrottò le ciglia, cercò la risposta negli occhi materni e
finalmente pronunziò schietto:--Due.

--Brava la mia piccina!--esclamò Diana palpeggiando Bebè in uno
slancio d'entusiasmo.--Chi sa che bravure faremo l'anno venturo!...
Oggi intanto la giornata è in onore di Bebè... Andremo stamattina a
spasso a piedi... Andremo più tardi in carrozza... col vestito nuovo
che ha mandato la nonna... E noi che cosa abbiamo mandato alla nonna?

--Baci.

--Non era troppo grande quel vestito?--chiese Varedo.

--Era un po' grande... L'ho fatto ridurre... Ora sta a pennello... Tu
non verrai fuori con noi?

--Io, cara mia--disse Alberto,--uscirò subito dopo la posta e non
tornerò che per pranzo... Ho seduta agli uffici, seduta alla Camera e
si finirà tardi perchè i deputati vorrebbero cominciar le vacanze
sabato sera... Anche il Ministero ha fretta di congedarci, tanto per
guadagnar qualche giorno... Ma ormai è bell'e liquidato, e al
riaprirsi della sessione gli daremo il benservito.

--È più d'un anno che gli cantate il _de profundis_--osservò Diana.

--Sì, ma questa volta son pronto a scommettere che non campa tre
mesi--ribattè Varedo fregandosi le mani con l'aria soddisfatta d'un
deputato italiano che fiuta una crisi.

--Vedremo--disse Diana.--A ogni modo, ti raccomando d'essere a casa
per le sette e mezzo.

--Procurerò... Se no, mettetevi a tavola senza di me.

--Non far questo torto alla regina della festa.

--Oh, la regina della festa, quando ha un pezzo di dolce, è
arcicontenta.

--Abbiamo altri commensali; i Feana e Miss Olivia.

--Dio, quei Feana, che noia!

--Son pieni di premure che bisogna ricambiare.

--Non avrai mica invitato i figliuoli, spero?

--Non ci sarebbe stato nemmen posto a tavola. Pranzano da una zia...
Quieta, Bebè, cosa fai?

Bebè, ch'era seduta sopra alcuni vecchi giornali sparsi sul pavimento,
s'era levata una scarpina e una calza e guardava con grande
ammirazione uno de' suoi piedini nudi. Anzi lo spettacolo pareva aver
per lei una tale attrattiva che quando sua madre volle calzarla di
nuovo ella protestò con tutte le sue forze.

--Per amor del cielo, mandala di là--disse Varedo che non aveva
pazienza pei capricci infantili.

--Ora la porto io... Saluta il papà, Bebè... Buondì, papà, buondì...
Via, Bebè, non esser cattiva il giorno della tua festa.

Ma Bebè non era punto compresa dalla solennità della giornata, e
anzichè salutare il suo babbo strillava disperatamente, agitando le
braccia e le gambe.

Entrò in buon punto la Lisa, la cameriera, con la posta della mattina;
un fascio di lettere e di giornali. Dietro di lei un fattorino con due
pacchi.

--Son per la signora--avvertì la Lisa.--E c'è anche qualche lettera
per lei... Oh, Bebè...

--È pessima--dovette confessar Diana, mortificatissima. E la consegnò
alla cameriera perchè la desse all'Irene.

--Via, via, presto--seguitava a dire il professore, mentre firmava la
ricevuta dei pacchi sul libro del postino.

La bimba ricalcitrante e divincolantesi slanciò dalla soglia lo strale
del Parto.--Papà _citto_.

Da qualche tempo s'era detto a Bebè ch'era ora di finirla con
quest'antifona del _papà citto_, ma ella con la precoce malizia
infantile infrangeva spesso il divieto, e a costo di provocar la
collera della mamma, pronunciava con più gusto la frase incriminata.

--Bebè!--intimò Diana in tono di rimprovero.

Ma la Lisa, da donna prudente, aveva già chiuso l'uscio dietro di sè e
allontanata la piccola ribelle.

Senza mostrar di curarsi delle bizze della figliuola, Varedo diede a
sua moglie un giornale e un paio di lettere, di cui sbirciò la
soprascritta.--Una è della tua mamma--egli disse.--E una di Bardelli.

--Saranno auguri per Bebè.

--Ed è certo di Bardelli anche questo scatolone di dolci che vien da
Torino.

--È di lui sicuramente... Mi pareva impossibile ch'egli dimenticasse
l'anniversario della bimba.

--L'altro pacco poi--riprese il professore,--arriva da Venezia.--Di
chi sarà mai?... Forse te lo spiegherà la tua mamma.

--No--rispose Diana che aveva già scorso rapidamente l'epistola della
signora Valeria e si accingeva a legger quella di Bardelli.--No, la
mamma non accenna all'invio di nessun pacco.

--Pazienza allora... Scioglieremo l'enigma più tardi--soggiunse
Varedo. E cominciò ad aprire la sua corrispondenza. La quale pare non
fosse quel giorno di grande importanza perch'egli aveva già rimesso
nella busta le sei o sette lettere ricevute prima che Diana avesse
finita quella dell'antico assistente di suo marito.

--Per bacco!--esclamò il professore.--Bardelli ti scrive un volume?

--Non un volume, ma quattro pagine fitte.

--Per far gli auguri a Bebè e annunziare l'invio d'una scatola di
dolci?

--L'annunzio dei dolci e gli auguri non occupano che una mezza
facciata. Il resto è per te.

--Per me?... che novità ci sono? È un gran buon diavolo quel Bardelli,
ma è anche un gran seccatore.

Diana passò il foglio a suo marito, e ripigliò:--Sembra che il
concorso di Bologna gli prepari una nuova delusione. Povero Bardelli!
Ha la fortuna contraria, ed è sempre vittima di qualche intrigante,
senza che i suoi amici si affannino troppo ad aiutarlo.--

Varedo fece una spallucciata.--O che pretende?

E di mano in mano che andava innanzi nella lettura, la sua impazienza
cresceva, e i suoi commenti diventavano più acri.--Bardelli è un
imbecille. Si lagna perch'io non son voluto entrare nella Commissione
di concorso, come se entrandoci avessi il mandato imperativo di votare
in suo favore.

--Non questo--interpose Diana.--Conoscendolo a fondo, avresti potuto
illuminare i tuoi colleghi.

--In qual modo?... Ma che idee vi fate di una Commissione di concorso
alle cattedre universitarie? Si giudica sui titoli che sono
presentati; chi ha titoli maggiori riesce.

--E se uno s'è procurato i titoli con un atto di malafede come il tuo
Quinzani?

--Che mio?--protestò Varedo.--Io non ho predilezioni nè pel _mio_
Quinzani, nè pel _tuo_ Bardelli, e se non volli entrare nella
Commissione si è appunto perchè vi son fra i candidati il mio antico e
il mio nuovo assistente.

--E dunque Quinzani rischia di trionfare per merito di una gherminella
indegna,--ribattè Diana.--Perchè hai visto come stanno le cose? Hai
visto che il titolo principale di quel caro signore è un lavoro di cui
Bardelli gli fornì in massima parte i dati e le idee? E ciò dopo aver
promesso che il lavoro sarebbe stato condotto a termine solo nell'anno
venturo, e non avrebbe servito pel concorso di Bologna.

--Ho visto tutto--rispose il professore,--ho visto anche che Bardelli
vorrebbe ch'io mettessi sull'avviso la Commissione. Ma non capisce la
sconvenienza della sua domanda?... Appena uno scolaretto di ginnasio
commetterebbe una goffaggine simile.

--Bardelli sarà goffo--obbiettò Diana--ma è senza dubbio leale e
sincero. E si può giurare che quello ch'egli dice è la verità.

--Tanto peggio per lui. S'è stato un minchione, se invece di lavorare
per sè ha lavorato pel suo competitore, impari ad esser più accorto
per l'avvenire, nè aggiunga allo scorno del probabile fiasco il
ridicolo di questi pettegolezzi e la confessione della sua
dabbenaggine.

--Sicchè--riprese Diana il cui senso della giustizia si ribellava alle
teorie di suo marito,--sicchè i giudici del concorso dovranno ignorare
il plagio inverecondo commesso da Quinzani?

--In primo luogo--disse il professore--non è il caso di plagio. Può
darsi che il Quinzani si sia valso d'idee suggeritegli e di notizie
raccolte da Bardelli, o che per questo? Se di quelle idee, di quelle
notizie Quinzani è riuscito a far un tutto organico, il merito è suo,
e l'accusa non regge. La paternità d'un'idea? Ma un'idea è di tutti e
di nessuno; un'idea è nell'aria; cento uomini possono coglierla a
volo; essa appartiene soltanto a quello fra i cento che sa fecondarla.
E poi Bardelli è padronissimo di rivolgersi alla Commissione; basta
che non si sogni nemmeno ch'io mi ingerisca in questa faccenda.

--Te ne lavi le mani?

--Sfido io. Non entro mai in ciò che non mi tocca.

--I fautori di Quinzani non avranno di questi scrupoli.

--Avrebbero torto a non averne. Ma Quinzani ha più tatto; non sarà
indiscreto co' suoi amici.

--È vero--notò Diana con amarezza.--Egli usa d'altre armi per vincere.

--Oh!--replicò, infastidito, Varedo.--Voi donne parlate per simpatie e
antipatie. Bardelli t'è simpatico, e ha sempre ragione. Quinzani t'è
antipatico, e ha sempre torto. Io sono più equanime. Vedo che hanno
entrambi i loro pregi e i loro difetti, e son ben contento di non aver
da pronunciarmi fra i due.

--Sì, sì,--soggiunse Diana--ma è triste assai che i furbi abbiano
costantemente il sopravvento sui galantuomini, e non è men triste che
non si possa mai far nulla per un uomo il quale si getterebbe nel
fuoco per noi.

Alberto Varedo allargò le braccia.--Bardelli è l'artefice delle sue
disgrazie. Gli manca il senso pratico della vita, e io non sono in
grado di darglielo... Ma con queste chiacchiere il tempo passa, e io
per le dieci sono aspettato.

Diana capì ch'era inutile trattenerlo, ch'era inutile prolungare il
colloquio. Ell'era forzata a riconoscere che in molte cose Alberto
aveva ragione, che Bardelli si rovinava da sè e che gli uffici ch'egli
sollecitava in suo favore non erano facili a compiersi; tuttavia ella
sentiva come la vantata equanimità di suo marito non fosse che una
maschera accomodata sul proprio egoismo. Egli sapeva ben transigere
con la sua rigidezza quando si trattava degli affari suoi, sapeva ben
trovar gli argomenti che servono ad allargar le maglie elastiche del
dovere. Quelli ch'egli ignorava, quelli che avrebbe sempre ignorati
erano gli slanci generosi che ci fanno intuire anche nei nostri
rapporti coi terzi una giustizia superiore alla giustizia
convenzionale del mondo, e c'inspirano i sacrifici, e c'incoraggiano a
sfidare, in nome d'un nobile scopo, le censure dei formalisti.

--Non vuoi vedere che cosa ci sia nel pacco misterioso?--ella chiese
ad Alberto, riprendendo dalle mani di lui la lettera di Bardelli.

--Vediamo pure, ma subito--diss'egli. E franse i suggelli e tagliò col
temperino i lacci che chiudevano il pacco.

Indi apparve, in mezzo al cotone, una bambola coi capelli biondi, col
viso bianco e roseo, con gli occhi ceruli moventisi in atto
sentimentale.

--E ha un meccanismo nella pancia--notò Varedo.--Aspetta.

Premette una molla, e la bambola rispose:--Mamma! Papà!

--Oh, come sarà contenta la bimba!--esclamò Diana. E cercava sempre un
indizio del donatore, quando, sotto il nastro di seta rosa che cingeva
la vita della pupattola, scoprì un cartoncino su cui era scritto in
una calligrafia a lei notissima: _Auguri a Bebè dallo zio Gustavo._

Le pupille di Diana si velarono di lacrime.--Povero zio!--ella
sospirò.--Si ricorda della sua nipotina.

Il professore senza far motto riadagiò la bambola sul suo letto di
cotone. Poi domandò ironicamente:--La sposa non la sposa la sua
vedova?

Egli alludeva all'Adelaide Nocera il cui marito era morto da un mese.

Diana si oscurò in viso.--Credo che la sposerà dopo passato l'anno di
lutto. E sposandola farà il suo dovere, come dite voi altri.

--O piuttosto espierà i suoi peccati--borbottò Alberto Varedo.--Addio,
addio. Arrivederci.

--Per le sett'e mezzo, mi raccomando.

--A meno di casi imprevisti ci sarò... E, a proposito, credo che
porterò anch'io un commensale.

--Chi?

--Il collega Zonnini.... che conosci.

--Ci starà a fatica, e s'annoierà coi Feana.

--Oh in quanto a starci, magro com'è, occupa poco posto; e pel
rimanente non ti confondere. I Feana, per una volta tanto, possono
esser tipi divertenti.

Appena sola, Diana riprese in mano la bambola dello zio Gustavo e
stette in forse se tenerla in serbo per un altr'anno. Era ancora così
piccina, Bebè.

Ma no, no; ella non aveva il diritto di far questo. Sarebbe stata
usare uno sgarbo allo zio.

Di nuovo i suoi occhi s'inumidirono. Ella provava una tenerezza grande
per quello zio, che senza sua colpa, s'era alienato da lei, provava un
desiderio acuto di riveder il suo viso aperto e gioviale, di sentir la
sua voce, di sedergli sulle ginocchia come quand'era fanciulla...
Sicuro che i suoi difetti egli li aveva, sicuro che non era da lodarsi
quella sua relazione con una donna maritata... Ma era buono e
leale.... così premuroso verso la sorella, così tenace ne' suoi
affetti... Ecco, adesso che l'Adelaide era rimasta vedova egli la
sposava. Fortunata Adelaide!... Anche oggi, come circa tre anni
addietro sulla terrazza del Lido, ma con assai minore acrimonia, Diana
pensava a queste donne che traversano la vita col sorriso sul labbro,
infedeli spesso agli amanti, fedeli sempre all'amore, a queste donne
che la morale austera condanna e che pure hanno in sè qualche cosa che
le fa compatire ed assolvere. E la vinceva una curiosità femminile
d'imparare, non certo per usarne, il loro segreto, di penetrare nelle
loro anime, di farsi un'idea esatta dei loro sentimenti, delle loro
gioie, dei loro dolori. Chi sa, un giorno, quando l'Adelaide fosse
diventata la signora Aldini e lo zio Gustavo si fosse riconciliato con
Varedo e con lei, chi sa? Fors'ella avrebbe potuto, a momento
opportuno, tirare in disparte la sua novella zia e dirle:--Spiegami un
po'....

Diana si strinse nelle spalle. Che idee bislacche le frullavano in
capo? E che stava ella ad annaspar nebbia nello studio di suo marito,
mentre all'altro angolo dell'appartamento Bebè (se ne udiva benissimo
la voce) si sgolava a chiamar _mamma, mamma_, e faceva disperare
l'Irene?

In fondo, Bebè non aveva torto. Perchè sua mamma la trascurava nel
giorno della sua festa?

Per calmarla, Diana andò da lei coi dolci e la bambola e parve un
momento che gli umori della bisbetica fanciulla si rasserenassero. Ma
fu un breve intervallo fra due tempeste. Nella persuasione fallace che
la puppattola dovesse amare le chicche, Bebè le fregò sul viso uno dei
cioccolattini che si trovavano nella scatola di Bardelli, e quando la
madre saggia, per evitare maggiori disgrazie, portò via scatola e
bambola, Bebè, offesa nei suoi diritti di proprietaria, si rotolò
rabbiosamente per terra. In seguito di che, la regina della festa fu
messa in castigo fin dopo colazione.



XIV.

.... e finisce peggio.


Nel pomeriggio, la bimba si mansuefece alquanto, e potè figurare con
onore davanti ai Feana, venuti a portare i loro auguri e a ringraziar
Diana dell'invito a pranzo. Venivano _in pompa magna_, marito, moglie
e cognata _sofferente_, e oltre agli auguri, portavano fiori in
quantità acquistati dallo stesso signor Giacinto in Piazza di Spagna.
Ma la dimostrazione più lusinghiera era quella di aver uniformato il
vestito all'esigenze della lieta solennità. Non solo il Feana aveva
levato dal soprabito il velo ch'era documento del suo mite cordoglio;
non solo la signora Amalia indossava un vestito con sbuffi rossi alle
maniche e tre falde di gale; ma persino _la sofferente_ rompeva il
rigore delle sue gramaglie vedovili con una _blouse_ di color cenere
chiaro che la faceva parere ancor più grassa del solito e dava maggior
risalto alle sue mobili rotondità.

La sorella e il cognato, vedendola ansare, manifestavano ciascuno a
modo suo, la loro amorosa sollecitudine.

--Ecco,--diceva, con un po' di rabbietta repressa, la signora
Amalia,--ecco, non mi hai voluto ascoltare. Ti predicavo d'andare
adagio per le scale.

Ma il signor Giacinto, tutto latte e miele, posava una mano sulla
spalla della diletta congiunta.--Sta tranquilla, cara, non parlare.

--Desidera un bicchier d'acqua?--offerse Diana.

La signora Daria protestò, prima con la mano, poi con la voce.--No,
grazie, signora Varedo, non ho bisogno di nulla.

E rivolgendosi ai Feana soggiunse:--Dio, che casi fate!

Accennò a Bebè di avvicinarsi, l'aiutò ad arrampicarsele sulle
ginocchia, la coperse di baci.

Bebè, cullata in quel mare di gelatina, provava una sensazione
gradevole, ricambiava le carezze, rideva, sprofondava le dita sottili
nelle guance piene, nel collo carnoso della _sofferente_.

Siamo amiche noi, siamo vecchie amiche, non è vero, Bebè?--diceva la
signora.--Come mi chiamo?

--_Signoa Aia_--rispose l'interrogata.

--Cara, cara, cara!

Il signor Giacinto e la signora Amalia discorrevano con Diana del più
e del meno; lui di politica, della Camera, del Ministero,
dell'impiego, del bisogno che il paese aveva d'uomini nuovi, come
sarebbe stato per esempio l'onorevole Varedo; lei della casa, dei
figliuoli, del movimento che c'era a Roma all'avvicinarsi della
Pasqua, della difficoltà di trovar buone persone di servizio,
eccetera, eccetera.

Diana fece girar lo scatolone dei dolci di Torino, e invitò la signora
Amalia a prenderne senza cerimonie per sè e pei figliuoli.

Di lì a un quarto d'ora il signor Giacinto si alzò. Non poteva
trattenersi, pur troppo, in causa della pedanteria dei superiori che
l'avevano già messo in mala vista di Sua Eccellenza, perchè qualche
giorno marinava l'ufficio... Grazie a Dio che Sua Eccellenza aveva i
minuti contati.

Intanto la signora Amalia s'era alzata in piedi pur essa, e la signora
Daria aveva deposto Bebè per terra e pareva accingersi a seguir
l'esempio de' suoi tutori.

--Loro poi non devono aver questa fretta--disse Diana alle due
sorelle.--Non vanno mica all'ufficio, loro...

--Eh, cara signora--replicò la Feana--tre figliuoli maschi son peggio
dell'ufficio.

E soggiunse che aveva il bucato da rattoppare.--Quei ragazzi sciupano
tutto. Proprio mi dispiace, ma devo scendere...

--Resti lei almeno, lei che non ha figliuoli,--insistè Diana verso la
signora Daria, i cui movimenti erano ancora nella fase preparatoria,
come di nave che sta per levar l'áncora.... Passi la giornata qui...
Usciremo più tardi in carrozza con Bebè.

Così fu deciso, dopo una serie di negoziazioni coi coniugi Feana...
Pur che la Daria si coprisse bene. Aveva tanta facilità d'infreddarsi.

--Ma non è vero.... Non mi raffreddo niente più degli altri....

--Se non avessimo giudizio noi!--interpose la signora Amalia in tuono
di protezione.--Basta, ti manderemo uno scialle.

--Degli scialli ne ho io in abbondanza--assicurò Diana.--Non abbia
paura, signora Amalia, usciremo coperte in modo da poter andare in
Siberia.

--E adesso fa un caldo da aprile avanzato--disse la vedova.

--Non è da fidarsene. Ci son tanti sbalzi di temperatura in questa
Roma--notò gravemente il signor Giacinto. Sbirciò l'orologio e
soggiunse con galanteria:--Diamine, diamine.... Da lei signora Varedo,
il tempo vola... Bisogna proprio ch'io dia una capatina in ufficio...
Vieni, Amalia?

--Arrivederci a ora di pranzo.

Libera dall'incubo dei parenti, la signora Daria s'abbandonò a uno dei
suoi soliti sfoghi. Non ne poteva più. Assolutamente non ne poteva
più... Quel voler farla passar per malata era una cosa che le urtava i
nervi fuor di misura.

E per mostrar ch'era sana, e che la sua corpulenza non le inceppava
troppo i movimenti, si mise a giuocar con Bebè. Se la palleggiava
sulle ginocchia, la prendeva sulle spalle, la rincorreva, si
accovacciava per terra con lei. E in verità, benchè soffiasse come un
mantice, e le balene del busto le facessero _crac_, _crac_ e un
rossore intenso le salisse alla faccia, ell'era assai più agile e
svelta che non si sarebbe creduto.

Bebè andava in estasi.--_Signoa Aia, signoa Aia!_

--Badi--ammoniva Diana ridendo.--Non dia troppo libertà a madamigella,
che se sapesse quanti capricci ha fatto questa mattina.

--Oh, lasci fare. In quell'età lì anche i capricci sono graziosi...
Io, io ho tre nipoti grandi e grossi che sono tre furie scatenate...
C'è il maggiore specialmente, tra i quattordici e i quindici anni, che
non so che cosa gli frulli... mi mette sempre le mani addosso.... da
per tutto.... e fossero di queste manine morbide e delicate!

Bebè si divertiva tanto che ci volle del bello e del buono a
persuaderla che si lasciasse portar in camera dall'Irene per farvi la
sua _toilette_ da passeggio. Non si chetò che quando le dissero che
s'era docile, ragionevole, la signora Daria sarebbe venuta anche lei
in carrozza; se no tornava a casa subito.

D'ordinario, Diana si serviva modestamente del primo fiacre capitato;
oggi ell'aveva preso un _landau_ di rimessa.

La carrozza fece un lungo giro. Traversò la Piazza del Panteon, la
Piazza della Minerva, tagliò il Corso Vittorio Emanuele, salì al
Campidoglio, scese al Foro romano, costeggiò il Colosseo. Un bel sole
primaverile splendeva sulle rovine, rievocava la vita in quel mondo
defunto. Fra le colonne infrante, sotto gli archi vetusti passavano i
grandi fantasimi; scintillavano le corazze, gli elmi, l'aste, gli
scudi; si agitavano i brandelli dei vessilli gloriosi provati
dall'ingiurie di tutti i climi; uomini, donne, fanciulli, patrizi e
plebei, fremendo nell'ansie dell'attesa, irrompevano nel Circo; i
campioni della prossima lotta esercitavano in giochi atletici le
membra poderose, mentre forse li assaliva un ricordo delle native
selve germaniche, e la pupilla si velava al pensiero dell'infanzia
lontana, della morte imminente.

Ahi, ma ben presto Diana s'accorse che per lei sola si movevano questi
fantasmi, che a lei sola parlavano queste voci. Bebè aveva posato la
sua testina sulla spalla dell'Irene e dormiva; e la signora Daria
guardava distratta di qua e di là, dondolando il capo sonnolento, e
scuotendosi solo quando si incontrava per la via qualche carrozza di
forestieri. Allora quelle foggie strane, quei tipi esotici, quelle
pronuncie gutturali, sibilanti le suggerivano sempre la stessa
osservazione profonda:--C'è di tutto in questa Roma. Una vera
Babele.--Ella poi confessava candidamente che sebbene ci vivesse da
oltre un anno non ci si era ancora potuta assuefare, e sospirava
Torino dov'era nata o Milano dov'era andata a stabilirsi con suo
marito. Una gran città Milano; molto meno cara di Roma, anche pel
prezzo dei viveri e degli alloggi... Non conosceva Venezia... assai
bella la dicevano.... ma una città in cui non c'eran carrozze e
cavalli non faceva per lei.

La Varedo diede un ordine al cocchiere che rimontò per San Pietro in
Vincoli, traversò Via Cavour e per Via dei Serpenti e Via della
Consulta si diresse alla Piazza del Quirinale ove un gruppo di curiosi
oziava dinanzi alla reggia. La fisonomia smorta della signora Daria si
animò tutta.

--Oh, se vedessimo i Sovrani!

--Niente di più probabile--disse il cocchiere voltandosi da
cassetto.--Spesso la Regina va a passeggio in quest'ora.

L'Irene sgranò gli occhi, e Bebè che s'era svegliata volle seder tra
la signora Daria e la mamma.

--Fermiamoci un minuto lì--disse Diana additando la balaustrata di
marmo di dove si vede così bene San Pietro.

Ma non occorse fermarsi troppo; chè proprio in quel punto si notò un
certo movimento nel vestibolo del Palazzo, una _vittoria_ con le
livree rosse sboccò dal portone, la sentinella presentò l'arma, i
cappelli si agitarono, la bionda regina chinò, risalutando, il capo
gentile, slanciò uno sguardo fuggitivo alla cupola della basilica
vaticana e scambiò una parola con l'unica dama che l'accompagnava. La
carrozza infilò la Via del Quirinale e disparve; solo per qualche
secondo si intese ancora lo scalpitìo dei cavalli rattenuti nella
ripida discesa.

Bebè, ritta sul sedile, gridò:--_La egina!_

--O che la conosce?--esclamò, maravigliata, la signora Daria.

--Conosce le livree rosse. Ogni volta che le vede dice:--_La regina._

--Che bella combinazione è stata!--soggiunse la _sofferente_.--Peccato
che non fosse che un lampo.

--Già sarebbe stata sempre la medesima cosa--rispose Diana,
sorridendo. E ordinò al cocchiere:--Andiamo al Pincio adesso.

--Per il Corso?

--No, è meglio andarci per Via Sistina. Si fa più presto.

--Lei è pratica delle strade di Roma assai più di me--osservò la
signora Daria.

La bella giornata primaverile aveva attirato al Pincio sull'ora del
tramonto una quantità di pedoni e d'equipaggi signorili e di vetture
da nolo; era un brusìo allegro di voci, era una festa di luce, una
fantasmagoria di colori, in quello sfoggio di vesti chiare, in quel
chiudersi e aprirsi degli ombrellini di seta spiccanti sul doppio
fondo del cielo azzurro e della verde spalliera degli aloe e dei
cactus; era un fremito di vita nel ronzìo degli insetti e nelle
fragranze dell'aria.

--_La egina!_--gridò nuovamente Bebè, battendo palma a palma.

--Dove? Dove?--E la signora Daria tese il collo come fanno i colombi
quando vanno in cerca d'esca.

Ma non era la regina. Era, a cassetto d'uno _stage_ a quattro cavalli,
una giovinetta bellissima, avvolta in un gran mantello scarlatto, una
forestiera, forse un inglese.

--Oh scioccherella!--disse Diana.--Ti basta veder del rosso per
credere che sia la regina.

Bebè però ripeteva ostinatamente:--_La egina! La egina!_

Diana la prese sulle ginocchia e le disse:--Guarda laggiù com'è bello!

Dal Piazzale del Pincio si dominava la città nuotante in un mare di
luce; la cupola di San Pietro spiccava grigia tra i vapori del
tramonto; il sole cinto da nuvole d'oro calava lento su Monte Mario.
Di nuovo Diana fece fermar la carrozza, di nuovo le grandi visioni e i
grandi pensieri si affollarono dinanzi ai suoi occhi e nella sua
mente. Nel suo entusiasmo comunicativo, ella insisteva perchè gli
altri ammirassero almeno la splendida veduta.

--Ma guarda. Bebè... Ma guardi, signora Daria... Anche tu, Irene...
Guarda com'è bello!

La signora Daria assentiva per deferenza, l'Irene per soggezione; ma
per loro era spettacolo assai più piacevole quello delle carrozze che
di corsa lasciavano il Pincio, quali scendendo verso Piazza del
Popolo, quali avviandosi per la Trinità dei Monti.

Bebè seguitava a cercar la regina e ogni momento, o sul serio, o per
celia, credeva d'averla trovata.--_La egina!_

Il sole disparve; le rosee nuvolette si scolorarono come bragie
spente, un brivido passò per l'aria, un tenue sussurro si levò dagli
alberi tentennanti il capo in cenno di saluto, quasi dicessero addio
al giorno che moriva.

--La mantellina di Bebè--gridò Diana scotendosi di soprassalto.--Anche
lei, signora Daria, si copra bene.

--Eh, son già avviluppata nello scialle come una mummia
d'Egitto--replicò la _sofferente_.

--Sono responsabile verso sua sorella e suo cognato--soggiunse Diana.

La signora Daria ebbe un sorriso enigmatico, a significare che non
eran quelli i maggiori pericoli che i suoi cari congiunti volevano
stornare da lei.

--A casa per la più corta--ordinò la Varedo.

Un po' perchè i cavalli erano stanchi, un po' perchè le strade erano
affollate, non si giunse a destinazione che cinque minuti prima delle
sette e mezzo. I Feana avevano anticipato, e la cameriera li aveva
fatti accomodare in salotto; Miss Olivia arrivò subito dopo, seguita a
brevissimo intervallo dal professore e dall'onorevole Zonnini.

--A tavola, a tavola!--disse Alberto a sua moglie.--Zonnini ed io
abbiamo fame.

L'onorevole protestò contro questo abuso del suo nome, e s'affrettò a
chieder dove fosse Bebè alla quale, come regina della festa, egli
desiderava presentare i suoi omaggi.

--Ah!--rispose Diana.--Bebè farà la sua comparsa soltanto all'ora del
dolce.

A tavola Zonnini fu invitato a sedere tra la padrona di casa e la
signora Daria. Varedo prese posto fra le due sorelle. Giacinto Feana,
ch'era alla sinistra di Diana e alla destra di Miss Olivia, allungava
il collo per sorvegliar sua cognata, mentre lo stesso ufficio di
vigilanza sospettosa esercitava dall'altra parte la signora Amalia.
Quell'ignoto signor Zonnini accanto alla rispettiva cognata e sorella
minacciava di turbar la digestione dei coniugi. Se fosse stato
maritato, pazienza, ma l'uomo era capacissimo d'esser scapolo. E la
Daria con tutto il suo grasso, aveva una facilità a prender fuoco!
Ecco che già faceva la ruota come un tacchino in fregola.

L'onorevole Zonnini era stato ammonito da Varedo.--Bada di lasciar
tranquilla una vedova che troverai a casa mia e ch'è custodita come un
tesoro prezioso dai suoi parenti.

--È giovine? È bella?

--Avrà quarant'anni, e peserà cento chili.

--Dio liberi!

Messo poi a fianco di quel macchinone ansante e sbuffante, Zonnini
aveva di nuovo rassicurato con uno sguardo l'amico Varedo. Ma ora, tra
per gli occhiacci che i Feana gli piantavano addosso, tra per certe
smorfie della signora Daria, egli cedeva alla tentazione di fare, così
per ridere, un po' di corte alla vedova. Era una corte discreta,
riguardosa, da persona educata che non voleva trascurare i propri
doveri verso la padrona di casa che gli sedeva a destra, nè tralasciar
d'interloquire nelle quistioni sollevate da Miss Harrison.

Miss Harrison era in quel giorno estremamente battagliera e
aggressiva. Certi bizzarri progetti edilizi annunziati dalle gazzette
avevano esasperato il suo malanimo contro i profanatori di Roma.

--Siete peggio dei Vandali--ella esclamava. Quelli almeno si
contentavano di distruggere. Voi distruggete... e rifabbricate.
Ov'erano cose belle d'una bellezza eterna, sacre all'arte e alla
storia, voi avete edificato le vostre moli grottesche e disarmoniche;
avete ucciso la poesia delle rovine e della solitudine per sostituirvi
il frastuono d'una vita artificiale e infeconda.

I due onorevoli protestavano contro questi giudizi. Non si facevano
paladini della nuova edilizia romana; tutt'altro; ma sostenevano il
diritto che ha ciascuna generazione di adattare l'ambiente ai propri
bisogni; l'Italia non aveva proclamato Roma a sua capitale unicamente
per custodirvi le rovine e per mantenervi inviolato il silenzio, ma
per riaprirla a tutte le correnti del pensiero moderno, ma per farne
una vera e rispettata metropoli del mondo civile.

La ruskiniana Miss Olivia si strinse nelle spalle.--È poi civile il
nostro mondo?

--Miss Harrison stasera ama i paradossi--disse sorridendo
Varedo.--Parla su per giù come il Papa.

--Il Papa!--gridò l'Inglese, punta sul vivo, e non riuscendo a
spogliarsi, benchè fosse di spiriti larghissimi, de' suoi rancori di
protestante.--Il Papa (spero che il mio linguaggio non offenda qui
nessuno) è la piaga sempre aperta d'Italia... oh non c'è pericolo
ch'io vada d'accordo col Papa... Ero una giovinetta alla caduta del
poter temporale, e ricordo la gioia che provai quando il telegrafo ne
portò la notizia. Non ne avrei avuta di più per una gran vittoria
delle nostre armi... Amavo, adoravo l'Italia, che non avevo ancor
vista, ma di cui conoscevo già un poco la lingua e di cui, fanciulla,
avevo seguito con ansietà le vicende dal 1859 in poi... Saperla ora
compiuta con Roma per capitale mi pareva l'avverarsi d'un magnifico
sogno... E quanti eravamo, in Inghilterra, uomini e donne, abbiamo
salutato l'avvenimento come uno de' più fausti della storia... Non
c'era miracolo che non ci aspettassimo da voi. E certo siete diventati
una nazione rispettabile; avete navi, soldati, strade di ferro,
vapori, telegrafi; ma dove sono le alte idealità che voi, Italiani,
avreste dovuto bandire, dove la rinnovazione morale che Roma avrebbe
dovuto iniziare nel mondo?

Questa benedetta rinnovazione morale era stata per tanto tempo il tema
favorito di Alberto Varedo che Diana non dubitava di sentir suo marito
far eco alle parole di Miss Olivia.

Ma Alberto aveva la gravità ed il riserbo dell'uomo ch'è presso ad
abbrancare il potere, nè voleva compromettersi con troppo esplicite
dichiarazioni, almeno fin che non avesse afferrato bene il concetto
della sua focosa interlocutrice.

Miss Olivia ripigliò:--Per esempio nella questione religiosa chi vi
capisce? Ora ostentate la maggiore indifferenza, fate quasi
professione d'ateismo; ora amoreggiate con la Chiesa; quando pure non
facciate tutt'e due le cose in una volta, come certi mangiapreti che
mettono i figliuoli in educazione dai Gesuiti o dalle Dame del Sacro
Cuore.

Ahi, l'Inglese aveva toccato un cattivo tasto, perchè appunto
l'onorevole San Giustino, il futuro Presidente del Consiglio, aveva
due ragazze alle Mantellate a Firenze, e perchè nel programma
dell'opposizione a cui appartenevano Varedo e Zonnini c'era una
politica conciliativa verso i cattolici. Il Gabinetto che si stava per
buttar giù aveva _radicaleggiato_ in materia ecclesiastica; era quindi
naturale che gli avversari, convinti o no, assumessero un
atteggiamento affatto contrario. Anzi Zonnini, dopo un discorsetto un
po' mistico pronunziato alla Camera, s'era guadagnato il nomignolo di
specialista pel sentimento religioso. E poichè egli stesso, antico
volterriano, aveva bisogno di rafforzarsi nelle sue nuove opinioni,
non gli dispiaceva di far di tratto in tratto qualche prova che lo
rinfrancasse nella sua parte.

--Argomenti delicati, cara Miss Harrison--egli disse posando la
forchetta,--argomenti delicati. Che si affoghi negl'interessi
materiali, in Italia e altrove, non ci sarà chi lo neghi.

Miss Olivia fece un segno d'assenso.

--Squisiti questi tordi--esclamò con un grido involontario dell'anima
Giacinto Feana, ch'era un mangiatore coscienzioso e non si lasciava
distrarre da questioni estranee alla tavola.

--Ma ne prenda ancora--insistè Varedo il quale, dal canto suo, avrebbe
desiderato troncare la discussione.

--Dunque in questo siamo d'accordo--continuò Zonnini rivolgendosi a
Miss Harrison.--E saremo d'accordo anche in un altro punto: che la
prevalenza degl'interessi materiali non può esser vinta, se non dalla
persuasione che la vita ben lungi dall'esser fine a sè stessa si
compie in luoghi o in modi che noi ignoriamo, ma con un senso di
giustizia atto a correggere le disuguaglianze del mondo. Tutto si
riduce lì, cara signora. _Ripæ ulterioris amor_, come dice il poeta.
Amore del di là.

--Naturalmente--replicò Miss Olivia troppo buona anglosassone da non
aver un fondo di fede.--Ma il cattolicismo, che s'impernia intorno
alla Chiesa di Roma comprime, atrofizza, non risveglia, questo
sentimento elevato.

--Piano, piano. È necessario distinguere--ribattè l'onorevole Zonnini;
ma Varedo fu pronto ad interloquire.

--Lo so, il nostro risorgimento nazionale avrebbe dovuto essere
integrato da una riforma religiosa. Il male si è che le riforme
religiose non si fanno che dai popoli credenti, e noi crediamo troppo
poco. Siamo simili a chi abbia sul focolare domestico un mucchio di
ceneri calde. Soffiandovi dentro sul posto si può forse sprigionarne
ancora qualche scintilla; portando le ceneri altrove si ha la
sicurezza di non trovar che della brace spenta.

--Sì, sì--disse Diana che fino allora aveva taciuto.--Ma per me
l'essenziale è la sincerità. Siete sinceri voi altri col vostro
sentimento religioso? O non ubbidite soltanto a ragioni d'opportunità
politica?

Varedo si accingeva a rispondere allorchè un incidente puerile pose
fine alla giostra oratoria. La signora Daria, la quale aveva
un'ammirazione schietta e profonda per le cose che non capiva ed era
rimasta a bocca aperta durante le varie fasi dell'interessante
conversazione, lasciò scivolare per terra il tovagliolo e fece l'atto
di chinarsi per raccoglierlo. Ma Zonnini prevenendola con un movimento
rapido era già sotto la tavola quand'ella stava piegando a fatica la
gran mole inerte, e ricomparve tosto alla superficie col lino
prezioso. Senonchè, in quel tramestìo, i capelli dell'onorevole
sfiorarono la guancia sinistra della vedova il cui volto si colorò
intensamente al fuggitivo contatto.

Non ci volle più di così perchè i Feana concepissero chi sa quali
atroci sospetti, che, al solito, presero la forma di amorosa ansietà
per la rispettiva sorella e cognata.

--Daria, o Daria--gridarono a una voce il signor Giacinto e la signora
Amalia,--cos'hai? Ti senti male?

--Ma non ho niente... Ma non era che un tovagliolo caduto per terra.

--Già, ma basta qualunque inezia a farti venir i tuoi vapori... Se tu
vedessi come sei rossa...

--Desiderano che si apra un momento la finestra?--suggerì la padrona
di casa.

--Oh, non occorre--rispose la signora Amalia.--Forse il meglio sarebbe
che mia sorella mutasse posto.

Il signor Giacinto, alzando gli occhi dal piatto, slanciò uno sguardo
severo a sua moglie che, per eccesso di zelo, comprometteva la causa
comune.

--Che mutar posto d'Egitto?--protestò _la sofferente_ con inusata
energia.---O che non è lo stesso?... Io sto benissimo dove sono.

E quasi per invocar protezione la florida signora si strinse di più al
suo vicino.

In quella entrò la cameriera col dolce.

--E Bebè?--chiese Diana.

Ma avendole la Lisa sussurrato piano qualche parola, ella scattò dalla
seggiola, e disse:--Scusino un momento... Torno subito... Ti prego,
Alberto, fa che tutti si servano.

E uscì rapidamente dalla stanza.

--O che cos'è accaduto?--domandò Varedo alla cameriera.

Questa rispose che la bimba aveva avuto un disturbo di stomaco.

--Avrà mangiato troppe di quelle chicche giunte da Torino--osservò il
professore stringendosi nelle spalle.

La Lisa accennò di no col capo. La scatola era stata messa sotto
chiave dalla signora fin dalla mattina.

--In carrozza era di buonissimo umore--assicurò _la sofferente_.

E colse l'occasione per dire dell'incontro con Sua Maestà in Piazza
del Quirinale, e del grido di Bebè: _La egina_!

--Ha il discernimento d'una persona grande--sentenziò la signora
Daria.

--O piuttosto che non abbia preso freddo?--insinuò Miss Olivia.

--Nemmen per sogno--ribattè la signora Daria che tra per la sua
corpulenza, tra pei vapori del vino, era incapace di concepire la
sensazione del freddo in sè e negli altri.--Eravamo così coperte.

La conversazione procedeva lenta, slegata, in attesa di Diana che non
tornava. Varedo frattanto faceva passare in giro il dolce, il
formaggio e le frutta.

Il pranzo era quasi finito quando Diana comparve turbata in viso,
recando l'annunzio che Bebè aveva la febbre. Le aveva messo il
termometro, ed era salito a 39 gradi e 6 linee. Bisognava chiamare il
medico quella sera stessa.--Andrai tu, Alberto?

--Sì, sì, andrò. Ma non esageriamo. Sarà una effimera, come
quest'inverno a Venezia.

--Non era un'effimera neanche quella--replicò Diana.--Tu non c'eri, tu
non sai... Sono state due febbrette reumatiche... assai più leggere
però, con una temperatura massima di 38 gradi.

--Benedetti termometri!... Saranno una bella invenzione...--borbottò
il professore.

--In quanto a me--disse la signora Amalia--li ho banditi da un
pezzo.--Già non vanno mai bene.

--Quest'è vero--soggiunse Zonnini.--Mi raccontava Gastaldi, il celebre
medico, che qualche anno fa, nella sua clinica, per parecchi giorni,
si notò una strana esacerbazione febbrile in tutti i malati. Bastò
cambiare i termometri perchè ogni cosa rientrasse nello stato normale.

Diana ascoltava appena. S'era rimessa a sedere al suo posto, ma non
aveva voluto prender più nulla, nemmeno il caffè. Il suo cuore era di
là, i suoi occhi si voltavano ogni tanto dalla parte dell'uscio.

E indi a poco ella si alzò, dicendo a bocca stretta:--Se desiderano
restare accomodati in salotto...

Miss Harrison le bisbigliò all'orecchio:--Se non le dispiace, vado
dalla piccina... Me ne intendo io di febbre...

Diana fece un segno d'assenso e le strinse la mano con
gratitudine.--Or ora vengo.

Molto opportunamente, i Feana pensarono di andarsene. Già, per le
9,1/2, il signor Giacinto aveva a casa uno de' suoi due scolari di
francese.

Uno, due, tre, anche la signora Daria fu in piedi; ma sia che non
trovasse subito il suo equilibrio, sia che il farsi reggere avesse
qualche attrattiva speciale per lei, ella si appoggiò con tutto quanto
il suo peso al braccio di Zonnini.

--Le gira il capo?--egli le domandò con premura.

--Oh... passerà...

E _la sofferente_ soggiunse con aria sentimentale:--Che brutto
contrattempo questo della bimba!... Era una serata così gradevole, in
così buona compagnia!... Sarei rimasta fino a domattina! Pazienza!...
Adesso conviene disporsi a far questa scala.

--Per la scala l'accompagno io, se non ha nulla in contrario.

--Si figuri!... Troppo gentile...

Ma il signor Giacinto, stimolato dalla moglie, fu pronto alla
riscossa.

--Prego, signor commendatore--(veramente Zonnini non era che cavaliere
dei Santi Maurizio e Lazzaro)--prego... non si disturbi... Tocca a
me...

--Le pare?...

--È il mio dovere--insisteva Feana, sempre col braccio in arco.--Noi
scendiamo naturalmente.

La nobile gara sarebbe durata a lungo senza il provvido intervento di
Alberto Varedo, infastidito delle sciocche galanterie di Zonnini.

--Se resti mi fai un favore--egli disse al collega.--Ho bisogno di te.

La bella contrastata trasse un profondo sospiro dal petto.--Buona
sera, signor Zonnini... E grazie della sua cortesia.

Si staccò dall'onorevole e concesse il dolce pondo della sua persona
al cognato.

Accomiatatisi gli ospiti a eccezione di Zonnini, Diana sollecitò
nuovamente suo marito:--Ti raccomando, non indugiar più oltre... Va e
torna col medico... Ma se vuoi prima vederla...

--Sì, sì. Eccomi.... Zonnini avrà la cortesia di aspettarmi qui...
Usciremo insieme.

Dopo cinque minuti, i due deputati scendevano le scale,
chiacchierando.

--Ha realmente la febbre--diceva Alberto Varedo.--Ma non mi par cosa
grave.... Bastava chiamare il medico domattina... A ogni modo servirà
a tranquillare mia moglie, che per solito è una donna calma, ma quando
si tratta della sua figliuola...

--Eh, le mamme son tutti eguali--notò Zonnini.--A proposito, avevi
bisogno di me?

--Era un pretesto--rispose Varedo con una spallucciata.--T'avevo tanto
raccomandato di lasciar in pace quella vedova!

--Ah, era per lei!--esclamò l'altro ridendo.--Io mi ci diverto un
mondo.

--Sì, e i Feana eran verdi della bile.

--Appunto... Quest'era il più comico.

--Sarai eternamente un fanciullo.



XV.

La fuga.


I Feana uscirono sul pianerottolo per scambiar gli ultimi saluti coi
Varedo che stavan per partire.

--Ma è una fuga--disse il signor Giacinto.

--Si figuri ch'è proprio una fuga--assentì l'onorevole.--Diana s'è
cacciata in capo l'idea che Bebè non possa rimettersi se non a Torino,
e tant'è, la riaccompagno a Torino.

Diana con gli occhi fissi sulla sua bambina che era in collo all'Irene
beveva avidamente le parole incoraggianti della signora Amalia e della
sorella.

--Non è vero che abbia l'aria così patita... Oh Dio, ha avuto tre o
quattro febbri piuttosto forti, ed è naturale che sia rimasta un po'
fiacca... Ma vedrà come rifiorisce presto.

--Cara... e sorride anche--diceva la _sofferente_.--Chi sono io?...
Non ti ricordi della signora _Aia_?

Certo che Bebè se ne ricordava, ma i suoi trasporti per la signora Aia
erano molto diminuiti. Non lei aveva visto al suo letto durante la
breve malattia, bensì Miss Olivia che con la mano le faceva le ombre
sul muro, che le raccontava tante belle storie, che le cullava i sonni
con una sua dolce canzone. Bebè ignorava quanto la signora Aia,
poveretta, si fosse crucciata di non poter venire ad assisterla,
impeditane dai parenti i quali temevano ch'ella si incontrasse col
pericoloso Zonnini.

Comunque sia, la bimba girava inquieta lo sguardo in cerca di Miss
Olivia e finì col balbettare il nome della sua nuova amica.

--La troveremo alla stazione Miss Olivia--disse la madre.--È là che ci
aspetta.

Gli addii s'intrecciavano.

--Buon viaggio.

--Grazie... Diano loro notizie.

--Non mancheremo... E anche lei, signora Varedo, c'informi della
salute di Bebè... Buondì, Bebè.... Ancora un bacio.

--Su Bebè, dà un bacio a quella signora....

--Buon viaggio... E torni, torni fra poco, signora Varedo.... Per noi
sarà sempre un onore il mettere a sua disposizione il quartiere...
Anche se avessimo altri inquilini, faremmo in modo da liberarcene.

--Arrivederci, arrivederci--continuavano i Feana.

--Arrivederci--rispondeva il professore.

Ma Diana non diceva che--Addio.

Ell'aveva paura di Roma; la teneva responsabile della malattia di
Bebè, la incolpava d'aver, col suo fascino, distolto lei da' suoi
uffici materni, d'aver reso meno assidue, men vigilanti le cure di
cui, sino allora, ell'aveva circondato la sua creaturina.

Il signor Giacinto scese le scale, ajutò i Varedo a montar in
carrozza. Avrebbe voluto accompagnarli alla stazione, ma aveva due
impegni prima d'andar in ufficio, e se tardava troppo, apriti cielo! I
superiori quando si trattava di lui, avevano sempre l'orario alla
mano. Bella libertà che si gode in Italia!

--Auff!--fece Diana, quando la carrozza si mosse. Le pareva mill'anni
d'essere in treno.

E chinatasi sulla bimba le rassettò la mantellina sulle spalle.

--Non avrà mica freddo?

L'Irene protestò energicamente.--O signora, come vuol che abbia
freddo? Ha il vestito pesante.

Povera Bebè! Ci nuotava dentro quel vestito, tant'era divenuta sottile
dopo pochi giorni di febbre.

Diana se l'era presa sulle ginocchia, ne lisciava i capelli, ne
cercava sotto l'inviluppo dei lini le gambine stecchite, la palpava da
ogni parte; e un'espressione di pena, d'angoscia si dipingeva sulla
sua fisonomia.

Bebè piagnucolava, tendeva le braccia alla bambinaia.

--Lasciala all'Irene--disse Alberto a sua moglie.--E tu non ti
crucciare così... Di qui a una settimana avrà ripigliato il suo solito
aspetto.

--Dio lo voglia!--sospirò Diana.

In Piazza di Trevi la carrozza s'incrociò con un _fiacre_ ove un
signore solo leggeva un giornale. Era San Giustino.

--Ferma, ferma!

I due legni s'avvicinarono; i due uomini politici si strinsero la
mano. San Giustino salutò cortesemente Diana.

--Ci abbandona?

--La bimba è stata poco bene e la riporto a Torino.

--Mia moglie--soggiunse Varedo--ha i vecchi pregiudizi contro l'aria
di Roma.

--Non creda...--principiò San Giustino.

Ma i due cocchieri fecero segno che non era possibile rimaner fermi in
quel piccolo spazio, e le vetture si rimisero in cammino, ciascuna
dalla sua parte.

San Giustino gridò:--Buon viaggio.

E rivolgendosi in particolare ad Alberto:--Voi almeno tornate
presto... Se non si batte il ferro fin ch'è caldo....

Mentre queste parole oscure si perdevano nel romore dell'acque
scroscianti, l'Irene tirava fuori misteriosamente un soldo dalla tasca
del vestito e lo slanciava lontano. Era uno scongiuro insegnatole da
una bambinaia con cui aveva fatto amicizia. Chi parte da Roma procuri
di passar davanti alla fontana di Trevi e di gettar, strada facendo,
un soldo nell'acqua. Se il soldo va diritto nella vasca, quello che
l'ha gettato a Roma ci torna; se no, no.

All'Irene lo scongiuro non riuscì. Forse perchè ell'aveva impacciati i
movimenti da Bebè, il soldo andò a battere sopra una colonnina della
balaustrata e rimbalzò sulla strada ove un monello si affrettò a
raccattarlo.

--Ah!--fece l'Irene turbandosi in viso.

--Cosa c'è?--chiese Diana che non aveva capito nulla.

Il professore scrollò le spalle.--Sciocchezze!... L'Irene prende gli
auspicî.

--Quali auspicî?... Parla chiaro.

Cedendo alle insistenze di sua moglie, Alberto dovette dar una
spiegazione sommaria di quel pregiudizio popolare.

--L'ha gettato l'Irene il soldo?--domandò Diana ansiosamente.--L'ha
gettato con le sue mani?

--Sfido io! Vuoi che sia stata Bebè?

Pentita d'aver messo così a nudo il proprio egoismo, Diana cercò di
consolare la bambinaia.

--Non devi pensarci altro. Sono fanfaluche a cui la gente che ha un
po' di sale in zucca non crede... Ci tornerai a Roma, ci tornerai con
noi e con Bebè.

L'Irene si sforzava di sorridere, ma era manifesto ch'ella non
riusciva a scacciare un triste presentimento.

E anche sul volto già malinconico di Diana si calava un'ombra più
scura. Aveva ragione suo marito, erano sciocchezze; e nondimeno!...
Quando si comincia ad almanaccarci su, è come un tarlo che lavora
dentro... È vero; il pronostico si riferiva all'Irene, ma l'Irene
aveva in collo Bebè... e Bebè era tanto pallida!... Per solito, in
carrozza si divertiva; oggi i suoi occhi smorti giravano qua e là
indifferenti come se nessuna immagine ci si fermasse; e i suoi
labbretti esangui si aprivano a fatica per qualche monosillabo.

Solo davanti alla stazione ella si rianimò.--_Ivia_--ella disse.

Miss Olivia era sul marciapiede, ad aspettare i Varedo. Teneva con la
destra la sua seggiola a libro, teneva con la sinistra la scatola dei
colori, ma consegnò le due cose a un fattorino perchè gliele
custodisse, e aperse le braccia a Bebè che si protendeva verso di lei.

--O Bebè, _darling_.

--Una _stoia_--implorò la piccina, memore delle fiabe che Miss Olivia,
con inesauribile fantasia, raccontava seduta al suo capezzale.

--Non si può adesso, cara. Un'altra volta.... Quando tornerai.

E Miss Olivia, palleggiava la bimba, leggera come una piuma.

Diana tentennò la testa.--Com'è magra, non è vero?

--Oh, ingrasserà.

--Almeno rifacesse un po' di colore.

--Lo rifà il colore. L'ha già rifatto... Non vede?

Fosse l'impressione fisica d'esser sollevata in aria, fosse il piacere
d'esser con Miss Olivia, certo si è che Bebè aveva la fisonomia assai
più animata di prima, e che un leggero incarnato s'era diffuso sulle
sue guancie.

Sotto la tettoia ell'accondiscese a far qualche passo, retta per mano
da Miss Olivia.

Diana guardava commossa quella zitellona lunga, angolosa, ribelle ai
legami domestici, che pur trovava in fondo al suo cuore, per distrar
Bebè, un tesoro di tenerezza.

--Che buona mamma sarebbe stata!--ella disse.

Ma l'Inglese che non rinunciava alle sue teorie si affrettò a
protestare.

--Non creda... Non avrei avuto pazienza.

--Ne ha tanta coi bambini degli altri.

--È forse per questo, cara signora Varedo, è perchè i bambini degli
altri non ci prendono che un ritaglio del nostro tempo, non assorbono
che una piccola parte del nostro pensiero... Vengono, passano,
lasciandoci alle nostre occupazioni, ai nostri sogni... I figliuoli
propri, invece...

--Ah, quelli ci vogliono tutte intere--esclamò Diana con accento
risoluto.

--Lo so, la famiglia non è che un egoismo raffinato e ampliato.

Miss Harrison non perdonava alla famiglia e alla maternità (a
quest'ultima sopra tutto) d'esser le nemiche capitali di quel vigoroso
affermarsi della personalità umana ch'era la pietra angolare della sua
filosofia, e forse le sue parole tradivano anche il rammarico di veder
sfuggirsi irrevocabilmente l'amica che per un istante ell'aveva
sperato di convertire alle proprie idee.

Intanto Varedo aveva ottenuto dal capostazione uno scompartimento
riservato e vi faceva metter la roba.

Quando tutto fu a posto, egli disse a sua moglie:--Se vuoi montare?

--Si parte?

--Manca qualche minuto, ma coi bambini è meglio non aspettar l'ultimo
momento.

Allora successe la scena tragica. Bebè respingeva l'Irene, non dava
retta alla sua mamma, voleva a ogni costo che Miss Olivia montasse in
vettura anche lei.

Miss Harrison, esitante, stava per chiamare il conduttore.--Potrei
scendere a Portonaccio...

Ma Varedo intervenne opportunamente.--No, Miss Olivia, sarebbe
peggio... La si lusingherebbe per nulla.

Diana consentì nell'opinione del marito.--Sì, temo anch'io che sarebbe
peggio.

L'inglese staccò dolcemente dal collo l'esili braccia che
l'avvincevano, baciò ancora una volta Bebè, e la consegnò, strillante
e dibattentesi invano, all'Irene.

Diana e Miss Olivia s'abbracciarono.

--Grazie, grazie--diceva Diana, durando fatica a frenare i
singhiozzi.--E addio.

--Non addio--replicò Miss Harrison.--Arrivederci.

--Ebbene, sì, arrivederci--ripetè Diana con improvvisa energia. La sua
avversione per Roma era ormai vinta da un altro pensiero; quello di
distrugger coi fatti lo sgomento superstizioso che il fallito
scongiuro dell'Irene le aveva messo in cuore.

--Così mi piace--soggiunse Miss Olivia.

--In vettura, signori, in vettura.

Alberto salì ultimo, dopo aver barattato due parole con un collega che
partiva per la via di Bologna e aver preso tutti i giornali del
mattino.

Indi a poco a poco il treno si mosse.

Affacciata allo sportello, Diana agitava il fazzoletto verso Miss
Olivia che salutava con la mano. In fondo al vagone Bebè seguitava a
chiamar disperatamente:--_Ivia_, _Ivia_!

Il treno, slanciato a tutto vapore, lasciava dietro di sè la città,
lasciava a sinistra il Tevere affrettantesi alla foce, volgeva
bruscamente al Nord, lungo la spiaggia tirrena. Ogni tanto la vista si
apriva sul mare, d'un turchino intenso, qua e là filettato di bianco,
silenzioso, quasi deserto. Nelle insenature della costa pochi
trabaccoli, poche barche peschereccie posavano accanto, parevano
dormire, lievemente cullate dall'onda; qualche vapore passava lontano,
segnando il cielo azzurro d'una striscia sottile di fumo.

--Guarda il mare, guarda le barche, guarda laggiù in fondo il
vapore--dicevano a Bebè, tenendola ritta dietro il finestrino chiuso.

Ora Bebè non chiamava più _Ivia_; aveva capito ch'era inutile, ma la
sua fisonomia s'era irrigidita in un'espressione triste, e di quando
in quando due grosse lacrime colavano sulle sue gote smunte. Quelle
lacrime mute su quel visino affilato di bimba facevano più pena a
vederle che non avesse fatto la disperazione di prima.

Diana si struggeva.--Piange come una persona grande per un grande
dolore. È uno strazio.

Alberto alzava gli occhi dai suoi giornali, dai suoi libri.

--Tu esageri sempre. Bebè è debole perch'è convalescente, e ha la
lacrima facile perch'è debole... Ma in quell'età non ci son grandi
dolori.

Una volta Varedo smise la sua lettura, e con insolita degnazione
consentì ad occuparsi della piccina. A lui però riusciva meno che a
Diana, meno che all'Irene e alla Lisa di spianarne la fronte, di
richiamar sul labbro di lei il gaio cicaleccio infantile. Non che
piangesse quando era sulle ginocchia paterne; la soggezione le
asciugava il ciglio; stava lì quieta, con le manine in croce, senza
parlare, senza rispondere.

Tuttavia, a vederlo intento sulla figliuola, Diana sentiva fondersi la
barriera di ghiaccio che a poco a poco s'era levata fra lei e suo
marito. Se avremo questo affetto, se avremo questa cura comune, ella
pensava, non saremo interamente divisi.

Ora egli aveva deposto Bebè sul sedile, e la bimba, stanca forse dal
lungo piangere, s'appisolava.

--Ecco, s'addormenta--disse la madre. E le stese uno scialletto sulle
gambe, mentre le accomodava un guancialino sotto la testa.

--Dorme già--osservò l'Irene.

Varedo tirò fuori dalla valigia un numero della _Nuova Antologia_, non
ancora tagliato, vi cercò una recensione del primo volume della sua
opera e non avendola trovata chiuse con aria sprezzante il
fascicolo:--Non c'è mai nulla in questa Rivista... Se vuoi darci
un'occhiata?

--No--rispose Diana,--a leggere in ferrovia mi viene il dolor di capo.

Dopo una breve pausa soggiunse:--Ho scritto a Giraldi pregandolo
d'esser domattina da noi prima di mezzogiorno.

--Per Bebè?

--Naturalmente.

--Non avrà nulla da ordinarle.

--Chi sa? A ogni modo, quanto più presto egli la vede tanto meglio
è... Mi fido di lui più che di tutti i medici romani.

--Eppure il dottor Lenni che ha curato la bimba ha un'eccellente
clientela.

--Sarà... Io non ero tranquilla.

--Sono idee preconcette... Del resto, non c'è che l'imbarazzo della
scelta, e quando ci stabiliremo a Roma potremo prenderne un altro.

--Ci stabiliremo a Roma?--ella disse in un tuono dubitativo che
rispondeva allo stato particolare della sua anima.

--Eh sì... Se entro al Governo...

--Abbiamo la casa a Torino ancora per due anni...

--È facile intendersi col proprietario.

--In due anni--notò Diana--il vostro Ministero, che non è nato, ha
tempo di morire.

Varedo sorrise.--Speriamo che abbia la vita più lunga... E poi non
mancherà il mezzo di aver la cattedra alla capitale... Non c'è
rimedio, chi aspira a rappresentare una parte non ultima sulla scena
politica, chi ha delle idee da far valere, una propaganda da
esercitare dev'esser sempre sulla breccia, a Roma, dove s'agitano i
grandi interessi della nazione...

--E dei deputati--si lasciò sfuggir di bocca Diana, quasi
involontariamente.

--Appunto--disse Alberto, trovando nell'insinuazione di sua moglie un
nuovo argomento in favore della sua tesi.--Non di tutti ma di molti
deputati... E questi ci stanno sempre a Roma, siane sicura. Ragione di
più perchè ci stiano anche gli altri, perchè all'azione malsana di
quelli oppongano la propria, e non abbandonino i governanti, quali pur
siano, in balìa dei cavalieri di industria.

--Purchè non avvenga--oppose Diana--che l'ambiente guasto corrompa i
migliori. A esser in mezzo a colleghi che trafficano il voto, a
giornalisti che vendono la loro opinione al maggior offerente, ad
avventurieri che arricchiscono giocando alla borsa, c'è più
probabilità di essere inzaccherati che di levare il fango agli altri.

--Con queste massime--ripigliò Varedo--ognuno resterebbe nella sua
nicchia senza curarsi di nulla e di nessuno... È la glorificazione
dell'egoismo.

Diana era di nuovo assorta nella bambina che s'era svegliata
piagnucolando.

Il professore tornò ad immergersi nella lettura, fin che a poco a
poco, rannicchiatosi in un angolo, s'addormentò per non destarsi che
alla stazione di Pisa, al rumore d'una disputa scoppiata sotto la
tettoia.

Era un collega, l'onorevole Vinciliati, che strepitava per avere un
intero compartimento di prima classe a sua disposizione.

--Oh, oh--disse Varedo affacciandosi allo sportello. Per miracolo
Vinciliati attacca lite col personale della ferrovia. È la sua
specialità.... Abbiamo già avuto alla Camera tre o quattro domande a
procedere contro di lui... che, naturalmente, si sono respinte.

--Bella giustizia!--borbottò Diana.

Ma Vinciliati che, urlando, correva lungo il treno, seguito dal capo
conduttore e da un facchino con due valigie, nel passar davanti alla
carrozza ove c'era Varedo, si quetò per incanto.

--Voi qui?... O che c'è un posto?

--Per esserci un posto, c'è--rispose Varedo.--Guardate voi... Siamo in
quattro, compresa la bimba... Se volete?...

--Se non disturbo alla signora?...--chiese Vinciliati, toccandosi il
cappello.

--S'accomodi--disse Diana a denti stretti.

Il deputato salì, e Varedo fece la presentazione.

--Mia moglie... L'onorevole Vinciliati.

--Domando perdono--riprese costui, poichè ebbe collocato alla meglio
le valigie nella reticella.

--È un servizio abbominevole su queste ferrovie... Un materiale
scarso, schifoso... un personale ineducato... Nessun riguardo... E sì
che per quello che la deputazione ci rende si dovrebbe aver almeno il
diritto di viaggiare coi propri agi.

--Se avevate l'intenzione di riposare o di lavorare sarà un affar
serio--osservò Varedo accennando a Bebè che continuava la sua nenia.

Vinciliati si strinse nelle spalle.

--S'ero solo, avrei fatto un sonnellino fino a Genova... Mi fermo
lì... Ma poichè trovo un collega, preferisco discorrere.

I due uomini non appartenevano allo stesso partito; ma pel momento
erano legati dall'odio comune contro il Ministero, ch'essi andavano a
gara nel qualificare con gli aggettivi più vituperevoli. Per un
deputato dell'opposizione il Ministero ch'è al potere è sempre il
peggiore che ci sia mai stato.

--Non saremo noi che raccoglieremo l'eredità--diceva
Vinciliati.--Sarete voi altri. E vi combatteremo. Ma almeno avremo da
fare con avversari rispettabili.

--E credete pure che su molti punti potremo intenderci--soggiunse
Varedo.

Vinciliati assentì.--L'essenziale è di disinfettar l'aria.

--Ah--pensava Diana silenziosa nel suo cantuccio.--Eccoli da capo con
le loro disinfezioni.

Ella non aveva fede nei ventilatori. Aveva capito che, in politica,
disinfettar l'aria significa soltanto cacciare dal Governo quelli che
ci sono e prenderne il posto.

L'inquietudine di Bebè cresceva col procedere della giornata. A volte,
ritta dietro il finestrino chiuso, mentre l'Irene la reggeva con un
braccio e con la mano libera tamburinava i vetri, ella pareva
distrarsi a guardar la campagna; ma si stancava subito e voleva andar
in collo alla mamma, star seduta, o distesa; o diceva che aveva fame,
e poi, disgustata, gettava via qualunque cosa le dessero, e ripigliava
quel suo piagnucolìo di bimba sofferente che metteva tanta angoscia in
cuore di Diana.

--Via, Bebè, sii buona... Sai che il papà va in collera. Lo vedi, il
papà sta discorrendo con quel signore.

Così, in tuono dolce, carezzevole, Diana ammoniva la bimba.

Ed ella, la piccina, quasi per trovar la forza di ubbidire,
balbettava:--_Papà citto_.--Ma la volontà non aveva presa sulla fibra
svigorita, ed ella tornava a piangere e a lamentarsi senza sapere il
perchè. Oh lacrime di bambini gracili, malati, in cui sembra ci sia
come un presentimento di morte!

A Genova Vinciliati discese e il resto del viaggio si compì in un
silenzio triste.

Era notte e Bebè s'era riassopita. Anche Alberto aveva rinchiuso gli
occhi, anche l'Irene lasciava ricader la testa sonnolenta sul petto.
Solo Diana vegliava, cercando invano di frenare la sua agitazione. Le
sue dita sottili si affondavano nervosamente nel velluto del sedile; i
suoi piccoli piedi battevano sul tappeto con ritmo affrettato; il suo
sguardo ora si posava su Bebè, ora interrogava l'orologio, o, di là
dai cristalli, scrutava le tenebre per indovinar da qualche segnale a
che punto della strada si fosse.

Quando un lungo fischio annunziò che si era in prossimità di Torino,
ella trasse un gran respiro di soddisfazione.--Finalmente.

Varedo si scosse, raccolse la roba, abbassò uno dei vetri, cacciò la
testa fuori dello sportello.

Il treno entrava, rumoreggiando, sotto la tettoia.

--Facchino! Facchino!... Oh, c'è Bardelli!...

--Gli avevi scritto?

--Tre giorni fa, senza precisargli nulla circa al nostro arrivo...
L'avevo informato dell'esito del concorso.

--Povero Bardelli!--esclamò Diana.--Vedersi posposto a Quinzani!

--A ogni modo, ha avuto l'eleggibilità... Zitto... Eccolo qui...

--Oh, buona sera!--diceva l'ex-assistente.--Hanno fatto buon
viaggio?... E come sta Bebè?... Dia la valigia, gli ombrelli...

--Chiami, chiami il facchino... E come ha saputo?...

--Ho visto la cameriera, ieri, che arrivava coi bauli.

Diana gli strinse con effusione la mano.--Sempre così gentile, sempre
così premuroso, lei...

--Oh, si figuri... E dunque?... Bebè?...

L'Irene discese ultima, con la bimba.

--Bebè! Bebè! Non mi conosci?... Non conosci Bardelli?... _Elli,
Elli?_

--Ah!--sospirò Diana.--È ancora tanto svogliata... No, è inutile;
adesso non dà retta e nessuno.

--Sarà il viaggio... A star più di dodici ore in ferrovia!... Domani
mi farà festa come una volta...

--Bravo!... Venga domani...

Bardelli dissimulava a fatica la sua triste impressione per l'aspetto
macilento di Bebè.

Diana si accorse e riprese:--Si ricorda come era fiorente quando siamo
partiti?

--Si rimetterà subito, non abbia paura.

--Lo spero. Guai se non lo sperassi.

Bardelli voleva chieder all'onorevole qualche particolare circa al
concorso di Bologna, ma non n'ebbe il coraggio, e s'accommiatò dopo
aver accompagnato i Varedo fino al _fiacre_.

--A domani--disse Diana.--Venga a colazione con noi.

Ormai il fedele Bardelli sembrava a Diana un presidio, una difesa; le
sembrava che l'averlo accanto dovess'esser di buon augurio per la
completa guarigione della sua piccina.



XVI.

Fra i crucci propri e gli altrui.


Anche il dottor Giraldi trovò Bebè molto pallida e dimagrita e gli
parve strano che poche febbri fossero bastate a portare un tale
deperimento. Pur non volle far tristi pronostici; lodò Diana di aver
affrettato la partenza da Roma, mostrò di confidare negli effetti del
cambiamento d'aria, in estate poi alcune settimane passate in montagna
o in riva al mare avrebbero compiuta la guarigione.

Diana non si dava pace.--Ah, perchè, perchè siamo andati a Roma?

--Via, non si crucci--diceva il dottore.--Roma è una città sanissima.

--Sì, ma se non ci si andava, Bebè non prendeva le febbri.

--Chi lo assicura?... Un'infezione si può prender da per tutto...
Basta una mala disposizione del momento... Vedrà che ci tornerà a
Roma, che ci si troverà bene con la bambina... quando suo marito sarà
ministro... o giù di lì.

Ormai nessuno più dubitava della rapida carriera politica di Alberto
Varedo.

Ma Diana si stringeva nelle spalle. Ben altro ella pensava. Quando,
come, Bebè aveva assorbito il veleno ch'ella non riusciva ancora a
eliminare dal sangue? Era stato quel giorno, al Pincio, allorchè,
sparito il sole, la temperatura s'era abbassata d'improvviso? O il
germe fatale era già penetrato prima nell'organismo, al Colosseo, al
Palatino, al Foro Romano, in una di quelle passeggiate artistiche ove
Diana aveva l'imprudenza di portar seco la bimba; in una di quelle
lunghe soste presso al cavalletto di Miss Olivia che deponeva i
pennelli per lanciare i suoi paradossi, mentre Bebè era lasciata
all'Irene?

Così alle angustie per lo stato della figliuola, si mesceva nell'animo
di Diana il rimorso della propria trascuratezza, si mesceva un po' di
malanimo verso Miss Harrison, pur tanto servizievole e buona, che le
aveva empito il capo delle sue fisime e aveva svegliato in lei rivolte
sopite e ambizioni latenti.

Non che Bebè peggiorasse; anzi, sulle prime, era parso che il ritorno
a Torino avesse giovato al suo umore. Andava volentieri la mattina al
Valentino, faceva oneste accoglienze a Bardelli, e poichè i baffi
cominciavano a spuntargli adesso, a ventisett'anni, ella, ammirata
della novità, si divertiva a tirarglieli. Ma non ricuperava
l'appetito, non rimetteva nè sangue, nè muscoli; era sempre
trasparente come un alabastro, esile come un giunco. Di tratto in
tratto, verso sera, il suo visino pallido s'imperlava di sudore, un
brivido passeggero le correva per le membra, seguito da una grande
stanchezza, da un sonno pesante che, anzichè ristorarla, la lasciava
più abbattuta di prima. Giraldi che veniva spesso a vederla in
quell'ora, diceva ch'era un resto di febbre malarica da vincersi col
tempo e colla pazienza senza abusar dei rimedi.

Varedo si trattenne a Torino, occupatissimo, per oltre quindici
giorni. L'Università, già sua cura assidua e sollecita, non gli dava
molestia, tanto più che duravano ancora le vacanze di Pasqua; ma aveva
da sbrigare una corrispondenza voluminosa, da assistere a un'infinità
di sedute, da ricevere, sia pur licenziandoli con buone parole, un
nugolo di seccatori, che, subodorando in lui il futuro sottosegretario
di Stato, provavano il bisogno di metterlo a parte delle loro idee e
di manifestargli i loro desideri.

Appena qualche ora di notte egli poteva consacrare a quel secondo
volume della sua opera sul _Dovere_, ch'era di ben maggiore difficoltà
e maggior importanza del primo. Imperocchè, appunto in questo secondo
volume, conveniva integrare con un lavoro di ricostruzione il lavoro
critico precedente, e i giudici arcigni aspettavano al varco l'autore,
presentendo, non forse a torto, che l'originalità non fosse in lui
pari all'erudizione.

E anch'egli aveva i suoi scoramenti, i suoi dubbi, anch'egli si
crucciava per questo libro, che gli editori chiedevano con insistenza
e che non gli usciva di getto. Certo erano i continui sopraccapi della
vita pubblica che gli offuscavano la limpidezza del pensiero
scientifico, ed egli principiava a domandare a sè stesso se le due
cose potessero andare di conserva, e se l'uomo politico non recasse
danno allo studioso. Ma egli sentiva ormai che, messo alle strette,
avrebbe accondisceso a rinunziar piuttosto alla scienza che alla
politica; anzi quando più sfiduciato egli lasciava cader la penna
sulle pagine del suo libro, si confortava dicendo ch'era nato per
l'azione, e che solo in questo campo avrebbe potuto applicar le sue
idee e svolgere ampiamente le sue facoltà. Le grandi ambizioni sono
come i grandi incendi; si alimentano di ciò che dovrebbe soffocarle.

Coricandosi verso l'alba, Varedo trovava spesso sua moglie svegliata,
con l'orecchio intento al respiro di Bebè.

--Dio mio! Come vai a letto tardi!--ella esclamava.--Troppo, troppo
lavori.

Poi parlava della bimba che la teneva sempre con l'animo sospeso. O
aveva chiesto da bere due volte, o s'era lamentata nel sonno, o aveva
una temperatura più alta della normale.

--Quel benedetto termometro!--borbottava Varedo.--Bisognerebbe
sequestrarlo e sequestrarti, per un paio di mesi, anche la bambina,
che guarirebbe più presto se non si fosse eternamente lì a
palpeggiarla, a guardarla, a contarle le pulsazioni.

Diana sbarrava gli occhi inorridita, ma non aveva il coraggio
d'iniziar discussioni con suo marito, a quell'ora, mentr'egli era così
stanco e aveva tanta necessità di riposo. Ed egli, spogliatosi in
fretta, si cacciava sotto le coperte, e vinto dalla fatica si
addormentava nel letto gelido, senza baci, senza carezze. La mattina,
per solito, ella era in piedi prima di lui, e fino all'ora di desinare
lo vedeva appena qualche minuto, di volo, perchè s'egli non era fuori
di casa (e la colazione la faceva sempre fuori) era chiuso nel suo
studio, a scrivere, o a dare udienza.

--Papà _citto_--diceva Bebè, portandosi il dito alla bocca, quando
passava accanto all'uscio dello studio. Diana non la sgridava più per
quel suo intercalare, non la sgridava più per nessuna ragione. Ogni
lacrima che colava sulle guance smunte della piccina era come una
goccia d'olio bollente che cadesse sul cuore della madre.

Intanto la Camera stava per riaprirsi, i telegrammi all'onorevole
fioccavano, e Varedo si preparava a rimettersi in viaggio.

Bench'egli stesse così poco con lei, ora Diana si sgomentava di questa
partenza. Non avrebbe egli potuto aspettar qualche giorno fin che
l'avesse vista più tranquilla sul conto di Bebè? Non aveva pietà della
sua solitudine?

Ma ella non voleva infastidirlo con le sue querimonie; se certe cose
egli non le capiva da sè, perchè umiliarsi a ripetergliele? Oh, ella
sapeva bene ciò che Alberto avrebbe risposto. Ch'era per lui un dovere
imprescindibile d'essere a Roma, che Bebè non aveva nulla di grave,
che, al bisogno, un telegramma si manda presto, che, durante la sua
assenza, dipendeva da lei il non esser sola pur che avesse
approfittato delle relazioni, già numerose, che aveva a Torino e che,
dal prefetto in giù, sarebbero state pronte a mettersi a sua
disposizione. E in ogni caso, non c'era sempre quel buon diavolo di
Bardelli, nato a posta per far servigi?

Povero Bardelli! Sicuro che c'era, pieno del solito zelo, della solita
abnegazione; pieno di fede nelle promesse di Varedo che non si
adempivano mai.

Al fiasco di Bologna s'era rassegnato; gli bastava aver l'eleggibilità
per valersene in un altro concorso che si sarebbe aperto presto a
Palermo, e nel quale l'onorevole l'aveva assicurato del suo appoggio.

--È lontano Palermo, pur troppo--egli sospirava--e sarà per me un gran
dispiacere lo staccarmi dalla mia famiglia, lo staccarmi da loro...
Ma, chi sa, potrò forse indurre la mamma a venir meco laggiù... e, in
quanto a loro... ah non ci voglio pensare.

All'idea che, in qualunque evento, gli sarebbe toccato separarsi dai
Varedo, Eugenio Bardelli sentiva spuntare le lacrime agli occhi... Non
veder più la signora Diana, non veder più Bebè!...

Diana lo confortava.--Ci vedremo, non abbia paura... Verrà a trovarci,
tanto se rimanessimo a Torino, quanto se fossimo a Roma. A Torino avrà
almeno i fratelli; a Roma ci potrà fare qualche capatina, non
foss'altro che per parlare coi signori del Ministero... So che tutti
hanno bisogno di farle di tratto in tratto quelle scale dei Ministeri.

Bardelli scoteva la testa sfiduciato.--Eh, non sarebbe la stessa cosa.

Inoltre, s'egli avesse ottenuto la cattedra e sua madre si fosse
decisa ad accompagnarlo, egli presentiva che non si sarebbe più mosso,
anche per non lasciar sola la buona vecchietta che non aspettava i
sessant'anni, e negli ultimi mesi era assai deperita...--Ma!... In
quell'età lì bisognerebbe non aver mai ragioni d'inquietudine.

E co' suoi monosillabi, con le sue frasi sibilline Bardelli lasciava
intendere che le faccende di casa sua non procedevano come una volta.

Ma non si spiegava chiaro, e Diana, sempre preoccupata della salute di
Bebè, non insisteva per aver maggiori particolari.

Li ebbe invece, senza chiederli, dalla Bardelli che il giorno dopo la
partenza dell'onorevole si sentì in dovere di farle una visitina e di
tenerle un'oretta di compagnia... se non recava disturbo, s'intende.

Messa sull'avviso dalle parole del figliuolo, Diana s'accorse subito
che la signora Marianna era realmente invecchiata, meno ritta della
persona, meno agile nei movimenti, più magra, più pallida. E anche la
penna del cappellino era scomparsa, e tutto il vestito era più
semplice, più consentaneo all'età; solo che la stoffa un po' logora e
i manichini sfilacciati tradivano un'insolita incuria o un incipiente
disagio.

Diana che la credeva addolorata per l'insuccesso del suo Eugenio a
Bologna non tardò ad avvedersi che questo era il minore de' suoi
crucci.

--Ha ottenuto l'eleggibilità--disse la signora Marianna--e riuscirà
un'altra volta... Non gli mancano i Santi protettori a lui--ella
soggiunse mostrando la sua fede robusta che resisteva alle successive
delusioni.--Sono gli altri due figliuoli che mi danno pensiero...

Ed ella raccontò come fra Girolamo e Paolo non ci fosse buon sangue da
un pezzo, e come ora, pur troppo, fossero in lotta aperta. Paolo, già
la signora Varedo lo sapeva, s'era sposato con quella modella, e
questo aveva fatto montar sulle furie il fratello primogenito che non
aveva nemmeno voluto conoscere la cognata... Oh Dio, non era stato un
bel matrimonio, quello di Paolo... ma quando ci son _delle
conseguenze_, che via di uscita c'è?... Il dovere è il dovere, e
Girolamo aveva torto a non persuadersene... Il peggio era che la
fortuna seguitava ad accanirsi contro il povero Paolo, un artista di
tanto valore!... Il pubblico non lo capiva, le commissioni non
venivano... e intanto... bisognava ben vivere con la moglie e un
bambino... bisognava pagar la pigione dello studio, e la creta e il
marmo per lavorare... Girolamo, così generoso con la sua mamma e con
Eugenio, quando si trattava di Paolo, diventava un basilisco,
protestava di non voler più spendere un soldo.

--E ha torto, ha torto marcio--continuava la signora Marianna che
prendeva l'imbeccata dal suo beniamino--perchè, come dice Paolo,
quello che c'è in bottega non è mica tutto di Girolamo, e la divisione
dell'eredità paterna non è mai stata fatta... Se Girolamo non vuol più
aver rapporti con suo fratello Paolo gli renda i conti e gli dia la
sua parte.... Oh sì, Girolamo, a toccargli questo tasto, va in
furia... Sicuro, li renderà i conti, mostrerà che Paolo ha avuto due o
tre volte tanto quello che gli compete... ma, per maggior garanzia,
esige che ci sia di mezzo il tribunale... Pensi, signora Varedo, andar
per le mani dei tribunali, esser su tutte le bocche... una famiglia
come la nostra!... Paolo, poveretto, m'aveva incaricato d'una proposta
conciliativa... Non si discorra del resto, ma almeno si venda d'amore
e d'accordo quel famoso calice che rappresenta una bella sommetta e
che non c'è sugo di tener sempre chiuso in una cassa forte... C'è un
Inglese che lo pagherebbe perfino seicento sterline... Via, è giusto
dar un calcio alla fortuna? Le cinquemila lire e più che toccherebbero
a Paolo sarebbero una manna del cielo per lui; gli permetterebbero
d'aspettar le ordinazioni senza domandar la carità a nessuno...
Ebbene, come crederebb'Ella che Girolamo abbia accolto una proposta
così ragionevole? Pareva che gli avessi offerto il disonore. M'ha
minacciato di regalar il calice al Museo, di disseccare il negozio e
di andarsi a stabilire in America... Paolo poi, che non è un
minchione, protesta di non voler cedere alla prepotenza, e dichiara
che farà metter il sequestro su quel calice che Girolamo non ha nessun
diritto di regalare... A questo punto siamo, madama Varedo..., alle
liti, ai sequestri, alla carta bollata... Tra fratelli!

In altri tempi le emozioni della signora Marianna si manifestavano coi
movimenti convulsivi del pennacchio, adesso il pennacchio essendo
scomparso, la buona donna si portò il fazzoletto agli occhi e lasciò
scorrer le sue lacrime.

--E anche Eugenio è in lite?--chiese Diana.

--No, no. Eugenio anzi si dispera di queste discordie... Ma in fondo
egli parteggia per Girolamo... e così non dice una parola per appianar
le cose... E sì ch'egli potrebbe far molto, perchè Girolamo ha un
debole per lui, e gli dà assai più retta che a me... Tutti, tutti sono
ingiusti con Paolo--singhiozzò la signora Marianna;--non capiscono che
i grandi artisti non vanno giudicati alla stregua comune... Devo
aiutarlo io di nascosto, il mio Paolo... Guai se Girolamo sapesse che
mi privo di tutto, che non mi faccio un vestito nuovo, per passare
qualche cosa ogni mese a quella famiglia lì....

E la Bardelli finì il suo sproloquio supplicando la signora Varedo di
esercitar la sua influenza perchè Eugenio, che l'ascoltava come un
oracolo, persuadesse Girolamo a non metter Paolo alla disperazione...
Di Paolo, ancora per tre o quattro giorni, rispondeva lei.

Diana cercò in tutti i modi di schermirsi dall'ingrato ufficio. E
ch'erano affari delicati nei quali l'ingerenza degli estranei faceva
più male che bene, e che lo stesso Eugenio, non parlandogliene ancora,
aveva mostrato di non voler portare in piazza questo dissidio
domestico, e ch'ella, Diana, angustiata com'era per la sua bambina,
non sarebbe stata un'abile negoziatrice. Ma la signora Marianna
insisteva tanto che l'altra si lasciò strappare una vaga promessa. Se
le veniva la palla al balzo, se i discorsi di Eugenio gliene porgevano
il destro, ell'avrebbe parlato.



XVII.

Una scaramuccia coniugale.


Uno scrupolo molto naturale aveva trattenuto Eugenio Bardelli da
metter la Varedo a parte dei dissapori che covavano nella sua
famiglia. Ma quand'egli seppe ch'ella n'era già stata informata da sua
madre, la ragione del suo silenzio cessò, ed egli ebbe anzi un motivo
di più per spesseggiare e prolungar le sue visite in casa Varedo. Ah,
quei dissensi domestici erano una gran pena per lui, ch'era nato per
viver nella pace e nella concordia. La sua mamma, poveretta, aveva una
predilezione per Paolo, e diceva che i fratelli non lo stimavano
secondo i suoi meriti, perchè ne avevano invidia. Eh, sicuro che
dell'ingegno Paolo ne aveva a bizzeffe, ma voglia o non voglia aveva
anche fatto un mucchio di corbellerie e quella del matrimonio non era
stata la minore. E si capiva, che Girolamo, il quale lavorava per gli
altri da mattina a sera, non fosse disposto a lasciarsi smunger di
più. Non era mica un Creso, Girolamo, e se non fosse stato così
economo per sè avrebbe durato una bella fatica a tener in piedi la
baracca. Di questo la mamma non si capacitava, ed ella che accusava
tutti quanti di esser ingiusti con Paolo non s'accorgeva poi che era
ingiusta con Girolamo, l'unico, pur troppo, de' suoi figliuoli che
avesse ormai una posizione assicurata. Bisognava conoscerlo a fondo
Girolamo per apprezzarlo. Non era espansivo, non aveva una gran
parlantina; ma che caratterone, e sotto la ruvida scorza che
delicatezza di sentimenti! Che prontezza ai sacrifizi! Due, tre volte,
anche recentemente, aveva rinunciato a sposarsi per non far dispiacere
a sua madre che s'era fitta in capo di volerlo scapolo... mentre poi
era stata così sollecita ad accettar per nuora la moglie di Paolo!...
Sul punto del calice forse Girolamo aveva torto;... quando non si è
ricchi, non si può concedersi il lusso di tener gli oggetti d'arte ad
ammuffire nella cassaforte, e dal momento che si presentava una buona
occasione di vendita sarebbe stato bene non lasciarsela scappare... E
la sua opinione in proposito Eugenio l'aveva detta; ma non si sentiva
d'insistere... perchè un diritto, un vero diritto egli non credeva
d'averlo, ed era convinto che la loro quota dell'eredità paterna tanto
lui quanto Paolo l'avevano avuta ad esuberanza, e che nell'ipotesi
d'una resa di conti Girolamo sarebbe apparso creditore e non
debitore....

Eugenio Bardelli non era conciso, e a Diana che aveva sempre in cuore
la bimba accadeva talvolta di distrarsi mentr'egli parlava. Allora
egli si profondeva in mille scuse: e ch'era indiscreto, e che la
signora Diana aveva anche troppa pazienza, e ch'egli non avrebbe
dovuto abusarne... Gli è che ell'era l'unica persona al mondo in cui
egli avesse una confidenza assoluta e il suo unico sollievo era quello
di sfogarsi con lei.

Indi i suoi occhi si empivano di lacrime, e Diana, quasi a scusarsi
dei segni di stanchezza di poco prima, lo animava a riprender il suo
discorso, lo confortava con parole amorevoli, sinceramente
commiserando questo giovine così ricco d'ingegno e di dottrina, e pur
destinato a non riuscir nella vita per eccesso di buona fede, per
mancanza di tatto, d'energia, di coraggio.

In fin dei conti, Diana Varedo ed Eugenio Bardelli erano due
disgraziati che si consolavano a vicenda. Perchè anch'ella, da quando
l'erano sopraggiunte le inquietudini per Bebè, anch'ella si sentiva
infelice. Lontana dalla madre, lontana quasi sempre da suo marito, e
più sgomenta che lieta di ciò che l'avvenire preparava ad Alberto,
aliena del pari dal mondo politico e dal mondo elegante, decisa ormai
a non cedere alle lusinghe tentatrici dell'arte, ella passava le ore a
fissar il volto pallido della sua piccina, a combattere i terrori che
l'assalivano di tratto in tratto con incredibil veemenza, lasciandola
affranta, spossata come dopo una malattia. Visite ne riceveva poche e
ne restituiva pochissime; alle sedute a cui la s'invitava quale
patronessa di qualche scuola e di qualche Istituto pio cercava di
restare il meno possibile; a passeggio non andava che con Bebè, e per
condur fuori Bebè occorreva il cielo sereno, la temperatura mite, e il
barometro sopra il variabile. Così ell'era quasi sempre sola, e le due
apparizioni regolari di Bardelli, alla mattina e alla sera, erano
divenute una consuetudine della sua giornata. E poi, agli occhi di
Diana, egli aveva il gran merito di esser desiderato da Bebè. Nelle
sue bizze infantili, in mezzo alle sue lacrimette, fattesi, ohimè,
tanto frequenti, la bimba lo chiamava, lo invocava:--_Elli! Elli!_ E
alla vista di lui ella si rasserenava, e gli tendeva l'esili braccia,
e voleva ch'egli la portasse sulle spalle in giro per la stanza. Aveva
dimenticato Bardelli per la signora Daria, la signora Daria per Miss
Olivia, e ora tornava agli antichi amori, e a Bardelli più che alla
stessa sua mamma serbava i rari sorrisi.

Ai primi di giugno l'onorevole fece una scappata a Torino. Veniva per
veder la famiglia, ma aveva i minuti contati; arrivato il giovedì,
doveva senza fallo ripartir la domenica per esser alla Camera fin
dagl'inizi della battaglia decisiva, finale, che il Ministero, vissuto
oltre all'aspettazione a forza d'espedienti e d'intrighi, era pur
costretto ad accettare sul bilancio d'assestamento. Già i vari gruppi
degli oppositori erano d'accordo, già le parti erano distribuite, già
si sapeva che col pretesto del bilancio si sarebbe attaccata tutta la
politica del Gabinetto, tutta la sua opera nefasta di tre anni... tre
lunghi anni di sgoverno e di corruzione... Questa, s'intende, era
l'antifona degli avversari. Dell'esito non si dubitava; secondo i
calcoli più scrupolosi, la mozione di sfiducia avrebbe ottenuto cento
voti di maggioranza. Dunque la caduta del Ministero era sicura, nè si
vedeva chi altri, da San Giustino in fuori, potesse raccoglierne
l'eredità.

Ora San Giustino Ministro voleva dire Alberto Varedo sottosegretario
di Stato. Questi poi, come a guadagnarsi le spalline, era inscritto
fra gli oratori nella prossima discussione, e ruminava un discorso
destinato a consolidar la sua fama d'oratore dotto e facondo.

Tornando a casa alla vigilia di sì gravi avvenimenti, Varedo avrebbe
avuto bisogno di trovar in sua moglie, se non la partecipazione
entusiasta dei primi tempi, almeno l'attenzione paziente e benevola
che per un pezzo ell'avea continuato a concedergli. Ma Diana non aveva
occhi nè orecchi per cosa alcuna che non si riferisse alla bimba, e
anzichè appassionarsi ai sogni di grandezza e di gloria che Alberto le
faceva balenare dinanzi, mal dissimulava la sua crescente antipatia
per la politica che toglie gli uomini alla famiglia, all'arte e agli
studi.

Per colmo di disgrazia, il sabato di quella settimana Bebè ebbe una
delle sue febbriciattole, e sebbene l'accesso non durasse che poche
ore i nervi già agitati di Diana n'ebbero una scossa violenta che fece
scoppiare la sua sorda irritazione.

--Spero bene che non ti sognerai di partire--ella disse ad Alberto.

--Cara mia, lo sai che devo partire.

--Devi?... Anche se tua figlia sta male?

--La bimba ha avuto una delle sue piccole febbri... pur troppo non si
rimette ancora com'io vorrei... ma non c'è nulla di nuovo.... nulla
che renda necessaria la mia presenza...

--Sarà sempre più necessaria qui che a Roma--ribattè Diana in tuono
provocante.

Varedo si sforzò di esser calmo.--Mi sono impegnato ad essere a Roma
lunedì mattina, e io non vengo meno a' miei impegni.

Diana scattò.--Me l'immaginavo... È il dovere... Quel famoso dovere
che voi altri uomini fate consistere in ciò che v'accomoda...

--Diana!--interruppe Alberto severamente.--Non t'ho mai sentita
parlare così.

--Tacevo--ella disse cedendo a quello spinto di rivolta ch'è forse nel
cuore di ogni donna;--tacevo, soffrivo in silenzio... Ma giunge il
momento che il vaso trabocca... Il dovere!... Prima di tutto convien
vedere qual sia, e allora, quando si è certi di non prenderlo in
iscambio per qualche cosa di molto diverso, allora sì ch'è lecito
invocarlo... Ne ho la religione anch'io, non dubitarne, e se m'è
accaduto di non esservi fedele, non ho avuto più pace.

Le parve di scorger l'ombra di un sospetto sulla fronte di suo marito,
e riprese ironica:--Oh non aver paura... Non è quello che credi... Non
ci son di questi pericoli nè per te nè per me... Noi viviamo fuori
della vita... Non siamo della pasta di mio zio Gustavo, noi; siamo
gente seria.... Ma le infrazioni al dovere sono di tante specie!... E
se ho potuto trascurare un giorno, un ora la mia figliuola per correr
dietro a qualche ubbìa, ah, te lo giuro, mi son procurata uno di quei
rimorsi che bastano ad avvelenar l'esistenza... Perchè questo è il
dovere; quando si ha una creatura innocente che non ci ha domandato di
nascere, il dovere è di metterla in cima dei propri pensieri; quando
si ha una famiglia che ci siamo fatta spontaneamente, usando del
nostro libero arbitrio, il dovere è di occuparcene, di non
sacrificarla alle nostre ambizioni, alle nostre vanità.

Varedo era esterrefatto. La ribellione di sua moglie lo coglieva di
sorpresa. Ch'ella non s'accalorasse pe' suoi successi parlamentari,
che non rallegrasse di vederlo vicino al potere; di questo Alberto
s'era accorto, e pazienza!... Ma che ella lo investisse fieramente
come un marito e un padre snaturato perch'egli non chiudeva il suo
orizzonte entro quattro pareti, perchè non consentiva a rimpicciolire
in tal guisa l'ufficio dell'uomo nel mondo, ecco ciò che lo faceva
cader dalle nuvole e gli paralizzava la lingua.

Ed egli si contentò di posar la mano sulla spalla di Diana e di
dirle:--Tu sragioni oggi... Sei più ammalata di Bebè.

--Magari!--ella replicò con esaltazione crescente.--Magari fossi
ammalata! Magari morissi! Che liberazione sarebbe per te se morissimo
tutt'e due insieme, la bimba ed io!... Hai commesso un grande sbaglio
sposandomi, povero Alberto!... E così si correggerebbe tutto...

Adesso, rapida, succedeva in lei la reazione, e la sua voce, e il suo
accento si raddolcivano, e i suoi occhi si gonfiavano di lacrime.

--Parlo senza rancore... Tu staresti meglio solo.... Ma son discorsi
vani... Non muoio io, no, pur troppo... E voglia Iddio ch'io non sia
invece destinata!...

Non finì la frase, rabbrividendo. Si nascose la faccia tra le palme, e
balbettò:--Oh Alberto, ho paura... Ho dei tristi presentimenti...
Faccio sogni orribili... Oh la nostra bimba... il nostro caro
angioletto...

E lasciando cader la testa sul petto, ruppe in singhiozzi.

Ad Alberto corse un freddo per l'ossa. Benchè egli vedesse Bebè così
lenta a riaversi dopo la sua malattia di Roma, non gli era mai venuta
l'idea di perderla, e benchè in mezzo a tante cure e preoccupazioni
egli non avesse avuto agio di coltivare il sentimento della paternità,
ora, per la prima volta forse, alle frasi sconnesse di Diana, egli
comprese per quali intime fibre i figliuoli siano legati alla nostra
esistenza.

--Oh Diana!--egli esclamò.--Non pensarle nemmeno queste cose. Bebè non
è in pericolo. Il dottore non lo ha mai detto.

Ella piangeva, piangeva senza rispondere.

Ma in seguito all'insistenza di suo marito, ella accennò negativamente
col capo.

--Dunque non l'ha detto? Proprio?

--No, no... I medici pesano le loro parole... sopra tutto con le
mamme.

--L'ha detto a qualchedun altro, che tu sappia?... A Bardelli forse?

--No... no... Non credo.

--Ebbene, perchè vuoi essere pessimista?... Su, su, coraggio.

Diana alzò le pupille al cielo con una muta preghiera. Indi guardò
Alberto come dubbiosa se dovesse chiedergli scusa pel suo linguaggio
intemperante di prima. Egli, magnanimo, le risparmiò l'umiliazione e
le tese la mano in atto d'uomo che perdona.

A lei sovvenne ch'egli nulla aveva concesso.--Parti?--gli domandò.

La fisonomia di lui si rifece scura.--Sfido io!

Le loro dita, che s'erano intrecciate, si sciolsero.

Giraldi visitò quella sera stessa la madre e la figliuola. A Bebè non
s'era rinnovata la febbre; ella stava come il solito.

Messo alle strette, il dottore dichiarò che nello stato presente della
bimba egli non trovava nulla d'allarmante, che spesso le infezioni
malariche sono ostinate e occorrono mesi e mesi e estirparle.
Confidava, in estate, nella montagna; intanto non sapeva suggerire che
una cura igienica non disgiunta da molti riguardi; perchè questo egli
non poteva dissimulare, che un organismo indebolito era sempre più
esposto alle insidie ed era meno resistente di un organismo robusto...
In quanto alla signora Diana, ella non aveva alcuna malattia; aveva
solo un'eccitazione nervosa che si sarebbe calmata da sè. Prescriveva
intanto piccole dosi di bromuro.

Varedo volle dar un nuovo saggio della sua equanimità.

--Sia giudice lei, Giraldi. Di fronte a ragioni gravi, imperiose che
mi chiamano, a Roma, ne vede di più imperiose, di più gravi che mi
vietino di partire?

Un sorriso doloroso sfiorò il labbro di Diana.

A un quesito posto così, Giraldi da quella persona accorta ch'egli
era, non poteva rispondere che in un modo. Quando, nelle famiglie de'
suoi clienti, lo si voleva arbitro in qualche questione, egli, se non
gli veniva fatto di cavarsela con una frase ambigua, si metteva dalla
parte del più forte, non per viltà, non per secondi fini, ma per amore
del quieto vivere, ma per abborrimento dalle discussioni lunghe.

--Ah no, professore--egli disse--non è il caso ch'ell'abbia da
trascurare i suoi doveri civici. _Salus publica suprema lex._ Siamo al
gran cimento, e guai se i capi non conducono le loro schiere al
fuoco... Perchè lei, onorevole Varedo, è ormai uno dei capi... È
inutile schermirsi, quest'è la verità... Una bella soddisfazione,
signora Diana, aver un marito a cui tutti tengono gli occhi addosso
come a un luminare del Parlamento... Sicuro che c'è il rovescio della
medaglia: le frequenti assenze, le molte occupazioni.... Ma come si
fa?... Non c'è rosa senza spine.

Di lì a poco Giraldi e Varedo uscirono insieme discorrendo di
politica.

A un certo punto, côlto da uno scrupolo, l'onorevole riprese:--Dunque,
dottore, per Bebè, mi rassicura?

Quantunque non ci fosse nessuno, Giraldi abbassò la voce.

--Senta, non vorrei esser frainteso... Oggi pericolo non ne vedo...
Non vedo niente che mi autorizzi a mettere il veto alla sua partenza
per Roma ov'ella non va per un capriccio, ma perchè deve andare...
Inoltre, se mettessi il veto oggi, converrebbe che lo mettessi domani,
e doman l'altro, e chi sa per quanto ancora... La bambina è gracile,
pur troppo, ha avuto una scossa forte, non si può aspettarsi che
rifiorisca in pochi giorni.... Siamo, direi così, in un periodo di
equilibrio instabile dal quale, spero, usciremo col tempo e con la
pazienza.

Varedo tentennò la testa.--Mi dispiace di lasciar Diana sola...
nell'agitazione in cui è... Se potesse esser qui mia suocera...

Il dottore esclamò:--Bravo! M'ha levato le parole di bocca. Perchè la
signora Inverigo non potrebbe venir a passare un mesetto con la
figliuola?

--Gli è che Diana preferirebbe d'aver la compagnia di sua madre in
montagna, nel luglio o nell'agosto....

--Per la signora Valeria non si tratterebbe che d'anticipare di
qualche settimana.

--Questo è appunto il difficile; ch'ella s'induca a una troppo lunga
assenza da casa sua... A ogni modo, ben pensandoci, potrei scriverle
io di mia iniziativa.

Confortato dall'approvazione di Giraldi, Alberto Varedo si appigliò a
questo partito che conciliava le sue sollecitudini domestiche col suo
desiderio di stare a Roma una ventina di giorni senza esser
disturbato.



XVIII.

Quando le disgrazie cominciano...!...


--Dio! che ciera da funerale!--disse Diana a Eugenio Bardelli venuto
come il solito a sentir se le occorreva qualche cosa e a prender
notizie della bimba.

Egli si sforzò di ricomporsi e sviando il discorso chiese:--Bebè?

--Così... Ha dormito discretamente... Ora è di là con l'Irene che la
veste per condurla fuori... Io stamattina non posso... La giornata è
buona?

--Deliziosa.

--Non c'è vento?

--Punto.

--E il sole non dà disturbo?

--No... È proprio una temperatura giusta.

Diana sospirò:--Purtroppo non ci sono mai tutele che bastino.

Bebè entrò a mano dell'Irene; vide il suo _Elli_ e gli tese le braccia
sottili. Egli la tirò a sè, la sollevò, se la pose sulle
ginocchia.--Hop, hop, cavallo!

La testolina della bimba dondolò alquanto come frutto maturo sopra un
ramo esile; poi, vinta dalla stanchezza, si abbandonò sulle spalle
dell'amico.

Diana si torceva le dita.--E non ride, e non si diverte più nemmeno
con lei, Bardelli!

Questi riconsegnò la piccina alla bambinaia, dicendo
malinconicamente:--Sono io che non so più farla divertire.

Di nuovo la Varedo fu colpita dall'espressione dolorosa della sua
fisonomia.

--Ma che cos'ha oggi?... Altri dispiaceri in famiglia?

Egli chinò il capo in silenzio.

Diana, fatta un segno all'Irene, riaccompagnò lei e Bebè fino
all'uscio, aggiunse alcune raccomandazioni e tornò con ansiosa
sollecitudine presso Bardelli che teneva gli occhi fissi a terra per
nasconder le sue lacrime.

--Parli, via--insistè Diana.--Che cos'ha?

Senza mutare atteggiamento, egli borbottò con voce sorda:--Ho torto...
Non è permesso portare in giro le proprie miserie... specialmente dove
ci sarebbe bisogno d'un po' d'allegria.

--Non dica questo--ribattè la Varedo.--Sa che io... sa che noi le
siamo amici, e gli amici si cercano appunto nei giorni tristi...
E--soggiunse--sono più atti ad intenderci quando hanno anch'essi le
loro afflizioni.

--Ella è buona, signora Diana!--esclamò Bardelli alzando il viso
commosso.--È una santa, meglio di quelle che si adorano sugli altari.

--Lasci le iperboli--ella interruppe con un languido sorriso,--e mi
racconti... Si tratta sempre di quella disgraziata questione
domestica?

Bardelli accennò di sì. E, guardandosi intorno, narrò che in casa sua
erano ai ferri corti. Paolo era riuscito a far mettere un sequestro
sul calice che suo fratello s'impuntava a regalare al Museo piuttosto
di venderlo, e Girolamo dal canto suo protestava che il giorno in cui
quell'oggetto di arte gli fosse stato portato via avrebbe appiccato il
fuoco al negozio... Non lo si riconosceva, Girolamo... Un uomo così
mite, così pacifico, che non aveva in vita sua torto un capello a
nessuno, adesso schizzava veleno da tutti i pori, non ascoltava
consigli di moderazione, rispondeva seccamente alla madre, rispondeva
male a lui verso il quale s'era pur mostrato sempre tanto affettuoso;
insomma una trasformazione completa, di quelle che non si credono
possibili da chi non ne sia testimonio... E come sarebbe andata a
finire?... Come sarebbe andata a finire?

--Ma l'altro--disse Diana--ma Paolo non intende ragione? Non capisce
che non gli conviene spinger le cose agli estremi? Perchè Girolamo,
l'orefice, ha qui a Torino molte aderenze, è stimato un perfetto
galantuomo, un figlio e un fratello esemplare, e sarà difficile
persuader la gente ch'egli sia dalla parte del torto.

--Paolo--ripigliò Bardelli--ha un gran cattivo inspiratore, il
bisogno... E se non bastasse, è sobillato dalla moglie, dagli amici
malfidi, da quel leguleio di pochi scrupoli che ha assunto la sua
causa... È un artista, Paolo, è un ragazzo impressionabile, non si può
domandargli il sangue freddo... Ah, cara signora Diana, che disgrazia!
E pensi, la mia mamma, alla sua età, assistere a questa catastrofe!

Eugenio Bardelli singhiozzava.

La Varedo si provò a rincorarlo.--Andiamo, non si perda d'animo. È il
solo che possa interporsi fra i litiganti... Si rimetta all'opera con
calore, con perseveranza, con fede in sè stesso...

Egli scrollava la testa.--Non ne ho più della fede in me stesso... Non
ho diritto di averne... Non c'è cosa che non mi vada a rovescio... Che
autorità ho io sui miei fratelli, io che vivo a carico d'uno di loro,
io che dopo tanti anni di studi non mi sono ancora fatto una posizione
indipendente?... E non ero mica pessimista per natura... può dirlo
lei... anzi m'illudevo troppo, m'illudevo sempre... Adesso basta...

--Perchè si accascia in questo modo?--soggiunse Diana.--Lei ha
ingegno, cultura, buon volere... dunque?...

Ma Bardelli seguitava a far segni negativi col capo.

--No, signora Diana... Vedrà che anche a Palermo sarà un fiasco...
Tutti ne sono convinti... Tutti, mio fratello Paolo per primo, mi
ricantano l'antifona che già io non concluderò mai nulla... Non c'è
che lei, signora Diana, che creda nel mio avvenire!... E io non mi
sento un po' rinfrancato che vicino a lei... Ma nemmen questo
durerà... Non ci verrò più da lei, non mi riceverà più.

Diana lo guardò stupita.--Vuol proprio crearseli i dispiaceri....
Perchè non dovrei riceverlo più?

D'improvviso egli le afferrò la mano, e gliela coperse di baci.

Ella si svincolò dolcemente ritraendosi alquanto, mentre Bardelli,
esaltandosi, diceva:--Com'è buona! Com'è misericordiosa!... Come
meriterebbe di esser felice!... Invece, per una delle solite
ingiustizie della fortuna, è piena di tribolazioni, è trascurata da
chi...

Diana, severa, gli troncò le parole in bocca.

--Non si occupi di me, Bardelli, non tenga questo linguaggio... Glielo
proibisco.

Mortificato, confuso, il giovine ammutolì per un momento; poi, come se
una forza irresistibile lo spingesse, riprese con l'impeto, con la
furia disordinata e scomposta di un timido che ha paura della propria
resipiscenza:--No, bisogna ch'ella mi lasci terminare... Sarà l'ultima
volta... Non ci tornerò più in questa casa... non avrò più neanche
questa consolazione... ma non posso tacere.... non posso... Mancherei
di sincerità se le tacessi questo sentimento che provo per lei...

Pallidissima, Diana s'era levata in piedi, e con la voce alterata e
col gesto intimava a Bardelli di smettere.

--Basta, Bardelli, basta... Non può immaginarsi che dolore mi dà... Se
avessi supposto, se avessi avuto il più lontano sospetto...

--Neppur io credevo--balbettò l'antico assistente di Varedo,--neppur
io... Avrei voluto esser sempre il suo servo docile, devoto, che non
osa alzare il pensiero fino alla sua signora... E a poco a poco, quasi
senza ch'io me ne accorgessi vedendola così pietosa con me, così buona
e paziente con tutti... vedendola soffrire, piangere in silenzio....
oh la ho sorpresa più d'una volta che piangeva... a poco a poco ho
capito che la mia affezione per lei era d'altra natura... ch'ella era
per me quell'ideale che ogni uomo ha nel cuore...

--Insomma, Bardelli--ripetè Diana non ancora rimessa dallo stupore
dell'inattesa rivelazione,--le ho ordinato di smettere...--E vada
via... perchè avrà anche capito che ormai...

Egli le risparmiò l'ufficio penoso di pronunciar la parola di sfratto,
e retrocedendo a piccoli passi con l'aria umile del cane percosso che
accetta la sua condanna,--Lo so--singhiozzava,--lo dicevo io stesso...
È finito... Addio, signora Varedo... E dia per me un bacio a Bebè... E
che il cielo faccia risanare, faccia rifiorire quel suo angioletto...

Appena l'uscio si fu richiuso dietro Bardelli, Diana, come esausta di
forze, si abbandonò sulla sedia e si coperse il viso colle mani. Le
pareva d'uscire da un sogno. Era possibile? Eugenio Bardelli, il
giovine goffo, impacciato, dall'aspetto d'adolescente, ch'ella, a
Torino, era usa a vedere ogni giorno e a trattare con la dimestichezza
d'uno di famiglia, il piccolo Bardelli le aveva fatto una
dichiarazione d'amore? A lei che non aveva da rimproverarsi la più
innocente civetteria con nessuno, a lei per cui la donna galante era
un fenomeno incomprensibile? Ed ecco che ora un'amicizia di oltre tre
anni era rotta per sempre e Bardelli non sarebbe entrato più in
casa!... Oh, egli aveva ben compreso che non poteva rientrarvi, e
Diana gli era riconoscente di essersi licenziato da sè... E pure, a
pensare ch'egli non sarebbe venuto nè quella sera, nè il dì appresso,
nè mai, ch'egli non avrebbe mai ripreso in collo Bebè a cui voleva
tanto bene, ella provava una pena, uno strazio!... E l'assaliva il
dubbio d'esser stata troppo rigida, troppo impassibile, e la crucciava
il rimorso di non aver saputo fermar sul labbro dell'imprudente
ragazzo le frasi irrevocabili... Se subito, assumendo verso di lui non
già l'aria d'una regina offesa ma quella d'una sorella maggiore, ella
lo avesse richiamato al senso della realtà, forse egli si sarebbe
ravveduto in tempo, forse...

Diana scattò dalla seggiola, si mise a passeggiar su e giù per la
stanza.

No, a nulla avrebbero approdato le sue ammonizioni; no, quand'anche
Bardelli non avesse detto tutto ciò che aveva nell'animo, la
condizione delle cose non sarebbe stata diversa, e l'incendio nascosto
non sarebbe stato meno pericoloso. La dichiarazione Bardelli
gliel'aveva fatta prima ancora di parlare, quand'egli, afferrandole
con impeto la mano, l'aveva coperta di baci. Diana li sentiva quei
baci, come una bruciatura acuta, sul dorso della sua mano bianca,
sentiva in tutta la persona, il calore dell'atmosfera di fuoco che
l'aveva investita. Ben è insidioso e maligno l'amore se, pur non
diviso, turba così. E in questo turbamento, troppo comprensibile in
lei che udiva per la prima volta il linguaggio della passione, Diana
trovava una scusa alla propria severità. Oggi, non mai, era il caso
d'invocar quel _dovere_, che, in bocca di suo marito, le suonava da un
pezzo come una parola vana, ma ch'ella non aveva cessato un istante di
considerar legge suprema della vita. Sì, ella _doveva_ condursi come
s'era condotta, _doveva_ stare in guardia contro ogni debolezza
improvvida, contro ogni indulgenza funesta.

Mentre per la disposizione, insita in noi, di esagerar l'importanza di
ciò che ci accade, Diana ingrandiva la sua facil vittoria, e il povero
Eugenio Bardelli prendeva a' suoi occhi le forme d'un seduttore
temibile, spuntava nel suo animo e si mesceva alle impressioni
dolorose, inavvertito forse, non confessato certo, un sentimento
diverso, quasi un risveglio di femminilità, quasi una compiacenza
segreta d'aver potuto inspirare un palpito, un desiderio, una simpatia
che non avesse i soli caratteri della rispettosa amicizia.

Ah, se Alberto sapesse! Ma Alberto _non_ avrebbe saputo. Ella non gli
avrebbe dato un comodo pretesto di non occuparsi più affatto di
quell'infelice Bardelli, il quale, adesso sopra tutto, aveva la
necessità imprescindibile di ottenere un impiego... Senza dubbio,
Alberto, tornando a Torino, si sarebbe maravigliato di non aver tra i
piedi il suo fido satellite, ma, come sogliono gli uomini pieni
d'affari, egli avrebbe accettato per buona moneta qualunque pretesto.

Intanto la posta di quella sera recava a Diana nuove emozioni e nuove
sorprese.

«--Mi son decisa a venir a passar teco qualche settimana--le scriveva
sua madre da Venezia--e spero che Gustavo mi accompagni. Mi par
mill'anni d'abbracciar te e la bambina le cui condizioni non buone di
salute mi affliggono».

E subito dopo la signora Valeria soggiungeva:--«Sono tutta sossopra
per la morte (dopo due giorni di malattia; una pneumonite acuta) d'una
mia carissima amica, l'Adelaide Nocera. Tu le facevi il viso
dell'arme, e io non pretendo che fosse una donna perfetta; ma era così
buona, così intelligente e vivace! E aveva il segreto della eterna
giovinezza. A quarantacinque anni ne mostrava poco più di trenta...
Anche adesso, composta nel suo letto, se tu la vedessi!... L'abbiamo
assistita, Gustavo ed io... Povero Gustavo che l'amava tanto, da tanto
tempo, che affrettava col desiderio il momento di darle il suo
nome!... Povero Gustavo!... In che stato è ridotto!... È per questo
che lo voglio portar via da Venezia... Andrà a Parigi, andrà a
Londra... Domani ci sono i funerali... Partiremo doman l'altro
mattina, telegrafandoti...

«Non badare alla sconnessione di questa lettera. Io domando ancora a
me stessa: È vero, o non è vero?... L'Adelaide, qualche ora prima di
morire, ha nominato anche te.--Credo--ella mi diceva--che Diana
avrebbe finito col volermi bene...».

Nelle condizioni d'animo in cui Diana si trovava, l'annunzio datole da
sua madre le fece una impressione immensa. Sì certo, ell'aveva sempre
resistito al fascino che l'Adelaide Nocera esercitava su quanti
l'avvicinavano, ell'aveva sempre giudicata con severità quella donna
briosa e leggiadra, che, vivente il marito, aveva una tresca palese e
alla quale la voce pubblica attribuiva, almeno in passato, altre
galanterie. Ma, tra perchè alcune sue idee andavano a mano a mano
modificandosi, tra perchè l'Adelaide, ormai vedova, sarebbe diventata
presto sua zia, Diana non aspettava che un'occasione per riannodare i
suoi rapporti con lei. Non le aveva parlato più dopo la sera di quella
scena breve e violenta, al Lido, tra lo zio Gustavo ed Alberto, (eran
quasi tre anni!) e le sembrava ancora vederla ritta, immobile, con le
mani dietro la schiena, col dorso appoggiato al parapetto della
terrazza, la piccola testa ed il busto spiccanti in ombra sul nitido
azzurro del cielo ove sorgeva alta la luna... Ah, nella memoria di
Diana riviveva, minuto per minuto, quella sera, in cui, provvida
diversione allo scandalo minacciato, il suo repentino malessere aveva
attratto la curiosità dei presenti, ed ella, per segni non dubbi,
s'accorgeva d'esser madre... Così un intimo, misterioso legame univa
il suo ultimo incontro con l'Adelaide alla nascita di Bebè... E oggi
l'Adelaide, l'immagine della forza e della salute, era morta, e Bebè
era tanto gracile, tanto pallida, tanto debole!

Diana scacciò da sè con un grido le terribili suggestioni di queste
coincidenze fortuite, corse dalla bimba, la prese sulle ginocchia, la
baciò e ribaciò, le disse che domani sarebbe venuta la nonna... Non se
la ricordava la nonna Valeria, che la faceva giocar l'estate scorsa a
Belgirate, sul lago... dove c'era il piccolo battello con la
banderuola azzurra, e c'era _Cinci_, il cane dell'ortolano....?

--_Bau_, _bau_--fece la piccina.

Sicuro, _bau_, _bau_... Ma adesso bisognava accoglier bene la nonna
che si moveva apposta per abbracciar la sua bimbetta, e chi sa che
belle cose le avrebbe portate da Venezia....

--Nonna--ripetè Bebè, senza entusiasmo, e piuttosto perch'era avvezza
a sentirla nominare che perchè ne conservasse, dopo un anno,
l'immagine chiara e distinta.

Diana invece pensava con infinita tenerezza, con riconoscenza infinita
alla sua mamma che cercava un conforto al proprio dolore venendo a
star qualche tempo con lei; ne magnificava in cuor suo la bontà
operosa, lo spirito equilibrato, il consiglio sicuro... Ah com'era
provvidenziale questo arrivo della mamma, in questo momento, come
avrebbe potuto giovare anche a Bebè!... E il povero zio Gustavo, chi
sa se si sarebbe trattenuto almeno un pajo di giorni a Torino?... A
ogni modo, col solo venirci, egli mostrava di volersi riconciliare
appieno con lei... Ah sì, sì; troppo era stato penoso, troppo a lungo
era durato il dissidio, troppo era triste che occorresse una sventura
per porvi termine.

Nella sua impazienza di far giungere a' suoi cari una parola
d'affetto, Diana buttò giù due righe di telegramma alla signora
Valeria:

_Profondamente commossa, vi aspetto a braccia aperte._

E firmava. Ma non le parve d'aver detto a bastanza, ed aggiunse: _I
vostri lutti sono i miei lutti. Dì allo zio Gustavo che soffro con
lui._

--Al telegrafo, subito, con questo dispaccio--ell'ordinò alla Luisa.

--Signora--obbiettò la cameriera che adempiva anche agli uffici di
cuoca;--com'è possibile?... Ho l'arrosto... Se andasse l'Irene?

--No, non mi piace che l'Irene esca sola di casa a quest'ora.

--Non è poi una Venere--rispose, alquanto piccata, la cameriera,--e
non credo che gli uomini debbano correr dietro più a lei che a
un'altra.

--Tss, tss!--fece Diana.--Tornate pure in cucina, e mandate qui
l'Irene.

La Luisa rimase un istante perplessa, divisa fra il pensiero
dell'arrosto e gli stimoli della nativa petulanza; indi l'arrosto
prevalse ed ella si ritirò in dignitoso silenzio.

--Scendi in portineria--disse la Varedo all'Irene--e prega in mio nome
il portinaio o sua moglie d'impostare immediatamente questo
telegramma.

La bambinaia tentennò la testa.--Ho paura che non ci sia nessuno di
disponibile... Gasparo è fuori senza dubbio, e la moglie ha i suoi
reumi e non è in grado di muoversi... Se vuole, vado io.

--Quando non ci sia altri, per forza...

--Ha furia?

--Un telegramma, s'intende... Perchè?

--Perchè, se non aveva una gran furia, sarebbe capitato il professor
Bardelli...

--Non viene oggi Bardelli--interruppe precipitosamente Diana,
imporporandosi in viso.--Vai tu allora... Va e torna... Ecco il
danaro...

--E ce la darà lei la pappa a Bebè?

--Ce la darò io... Va, va.

Seduta sopra un tappeto, con un simulacro di bambola (erano i miseri
avanzi della bambola che lo zio Gustavo le aveva spedita a Roma pel
suo dì natalizio) Bebè si era mantenuta tranquilla, assorta nella
grave occupazione di strappar gli ultimi quattro capelli all'infelice
pupattola. Ridotta ch'ebbe costei nello stato di assoluta calvizie, la
prese uno de' suoi accessi d'inquietudine accorata, e voleva l'Irene e
voleva Bardelli, e piangeva, piangeva di quel pianto irrefrenabile
ch'è proprio dei bambini gracili e malaticci.

--Oh, Signore, Signore, non vedrò più la mia Bebè d'una
volta?--esclamava Diana dopo aver tentato inutilmente con celie, con
fiabe, con baci e sorrisi e carezze di rasserenare quella piccola
fronte.

Nella notte insonne che seguì la tempestosa giornata Diana non riuscì
a staccar la mente dall'Adelaide Nocera.--«Domani ci sono i
funerali»--le aveva scritto sua madre, e Diana evocava con la fantasia
la chiesa affollata, le armonie solenni dell'organo, il fumo degli
incensi, la luce gialla dei ceri, la bara coperta di fiori... Ma ormai
la chiesa era deserta, e muto l'organo, e spenti i ceri, e dissipati
gli incensi... Ormai l'Adelaide era sepolta, forse, amara ironia,
accanto al marito ch'ella non aveva potuto soffrire, e le ghirlande
appassivano sul tumulo recente nella triste isola di San Michele.

Del resto, non era ella stata felice? Non aveva attraversato la vita
come in una striscia di sole, nel calore degli sguardi accesi ed
intenti, nella musica delle parole dolci ed appassionate? Non aveva
conservato oltre i limiti ordinari del tempo il bene supremo della
giovinezza? Non aveva avuto al suo capezzale fino all'ultimo l'uomo
nobile, integro che l'aveva tanto amata, che l'amava tanto?... Perchè
dunque commiserarla? Che poteva ella sperare di più vivendo altri
dieci, altri venti, o trent'anni?... Le gioie d'un esistenza
casalinga, d'un tramonto placido e sereno?... Ma s'ella non era nata
per gustar quelle gioie, per apprezzar la quiete di quel tramonto? Se
avesse ripreso le sue abitudini leggere, se a dispetto dell'età avesse
voluto essere ancora una donna galante, se avesse reso ridicola sè
stessa, ridicolo il nuovo marito?... Ah in tal caso meglio per lei,
meglio per lo zio Gustavo che fosse morta!

Vani discorsi! Intanto lo zio spargeva sulla tomba dell'Adelaide
Nocera assai più lacrime di quelle che non avrebbe sparse Alberto
sulla moglie e sulla figliuola se le avesse perdute entrambe in un
giorno. O che Alberto si curava di loro, laggiù alla capitale, in
mezzo agli intrighi parlamentari, in mezzo ai preparativi della grande
battaglia per rovesciare il Ministero abborrito?

Ricondotta insensibilmente a meditar sulle proprie miserie, Diana
tornava col pensiero alla dichiarazione di Bardelli, allo strappo
irreparabile che n'era seguito, al vuoto che la mancanza di
quell'amico fedele lasciava nella casa. E le spuntava una strana
domanda sul labbro:--Come si sarebbe regolata in una contingenza
simile l'Adelaide Nocera?



XIX.

Per un calice.


La mattina dopo, Diana, uscita di casa sola per far qualche spesa,
trovò a pochi passi dalla sua porta cinque o sei individui che, fermi
sul marciapiede, parevano discutere animatamente. Mentre essi si
ristringevano per farle posto ella colse una frase:--Peccato! Era un
fior di galantuomo.

Proseguendo nel suo cammino, s'imbattè in due popolane una delle quali
diceva all'altra:

--Non c'è più timor di Dio. Ecco perchè succedono ogni momento di
queste brutte cose.

In fine, nello sboccare in Piazza Castello, la Varedo udì queste
parole che un fiaccheraio, dall'alto del suo cassetto, slanciava a un
compagno:--S'è avvelenato col cianuro di potassio.

Dunque si trattava d'un suicidio accaduto da poco, e se tutti quanti
ne discorrevano doveva trattarsi del suicidio di persona ben nota. Chi
era mai?

In preda a una vaga inquietudine, Diana girò gli occhi intorno in
cerca d'un conoscente a cui chieder notizie. Non ne vide alcuno, non
osò interrogare gli estranei, e tirò innanzi voltando dalla parte dei
portici di Po.

Ma, inconsciamente, ella s'era avvicinata al luogo della catastrofe, e
notò subito un fermarsi e sciogliersi di capannelli sotto le arcate,
sulla soglia dei negozi, e un affrettarsi di curiosi verso un punto
ove molta gente era già agglomerata e ove sulla massa confusa di teste
spiccava un pennacchio di carabiniere.

--Povero Bardelli!--esclamò qualcheduno.

Diana credette che le mancasse il terreno sotto i piedi. Bardelli!
Avevano proprio detto Bardelli?

E forse non si sarebbe potuta reggere senza l'aiuto del professore
Sali, della facoltà di lettere, che passava in quel momento, avviato
all'Università.

--Signora Varedo--egli disse offrendole il braccio,--non stia in
questa baraonda....

La tirò fuori della folla e fattala entrare nel Caffè di Parigi ordinò
al tavoleggiante di portarle un bicchierino di cognac.

--Certe cose producono una penosa impressione a tutti--egli
soggiunse.--Figuriamoci poi a loro signore che sono più delicate.

Finalmente Diana potè articolar la domanda tanto naturale che non le
voleva uscir dal labbro.

--Ma scusi, professore... quale dei Bardelli è?

--Come? Non lo sa?--replicò il Sali con accento di meraviglia.--È
l'orefice... Il nome non lo ricordo...

--Ah!... È l'orefice?--ripetè Diana. E un po' di sangue tornò sulle
sue guance scolorite, e la sua fisonomia contratta andò a grado a
grado ricomponendosi.

Così è. Quando a un male temuto se ne sostituisce un altro che sia o
ci appaja minore, noi sulle prime non proviamo che un senso di
liberazione; lieti che una determinata cosa non sia avvenuta, ci
accorgeremo solo più tardi della gravità di quella che avviene in sua
vece.

Diana, pur dianzi, a udir pronunciato il nome di Bardelli, era corsa
immediatamente col pensiero ad Eugenio, e non dubitando che il suicida
fosse lui aveva creduto scoprire un'intima connessione fra questa
tragedia e la scena di ieri. Per colpa di lei dunque quell'uomo s'era
tolto la vita? Ed ella avrebbe sempre quel rimorso nel cuore, avrebbe
sempre quell'immagine negli occhi!

Ora l'incubo tremendo l'era levato di dosso... Non era Eugenio, era
Girolamo...

E il professor Sali riferiva a Diana ciò ch'egli aveva raccolto sul
triste avvenimento.

Girolamo Bardelli s'era recato quella mattina per tempissimo nella sua
bottega (appunto la bottega sotto i Portici, a guardia della quale
stavano adesso i carabinieri) e vi si era chiuso dentro col suo
garzone apprendista per finire un'opera di cesello che gli premeva.
Arrivati alle sette i lavoranti, egli s'era ritirato nella
retrobottega a scrivere una lettera a suo fratello Eugenio che poi
aveva consegnata al ragazzo con l'incarico di recapitarla. Verso le
otto, uno dei giovani gli aveva chiesto se dovesse aprir la bottega ed
egli aveva risposto che aprisse pure. Di lì a qualche minuto s'intese
un tonfo ed un rantolo. Gli accorsi al rumore non trovarono che un
cadavere. Una boccettina di cianuro di potassio era, vuota, sul
tavolino.

Con un gesto di ribrezzo, Diana accennò a volersi alzare.

--Tornerei a casa--ella balbettò.

--L'accompagno io, diamine--disse il professore.--Ma è meglio
aspettare ancora... è meglio che si rinfranchi di più... E poi...

Di fuori s'udiva il sordo mormorio ch'è proprio della folla la quale
speri d'esser finalmente ricompensata d'una lunga attesa.

--Lo portano via--sussurrò uno dei camerieri.

Lo portavano via in fatti, dopo le constatazioni di legge, sopra una
barella dell'ospedale; ma dal caffè non si vedeva nulla, non si vedeva
che la schiena dei curiosi assiepati sotto le arcate e guardanti verso
la strada.

Passato che fu il triste corteo, la gente si disperse alquanto delusa.

Un signore di complessione apoplettica brontolò, asciugandosi i
sudori, e con l'aria d'un cittadino leso ne' suoi diritti:--Non valeva
la pena di prendersi il sole in faccia per così poco.

Diana si levò in piedi.--È finito, sembra. Grazie di tutto,
professore... Posso benissimo andar sola.

--Nemmeno per sogno--protestò Sali.--Non la lascio che sul
pianerottolo del suo appartamento... Desidera che chiami un _fiacre_?

--No... È qui presso... Preferisco camminare. E poich'ella vuole a
ogni costo accompagnarmi....

--Questo s'intende... S'appoggi, s'appoggi.

--Che colpo per la vecchia Bardelli!--sospirò Diana quando fu
all'aperto.

--La conosce?

--Sì.

--E il fratello del defunto, quello ch'era assistente di suo marito,
viene sempre in casa sua?

Diana fece un segno affermativo col capo. Non poteva, non voleva dire
che avrebbe cessato di venirci.

--Ma!--soggiunse il Sali.--Attribuiscono questo suicidio a dispiaceri
coi fratelli...

--Non però con Eugenio--interruppe vivamente la Varedo.

--Appunto... Dev'esser con l'altro... lo scultore... un cervello
balzano... che ha fatto un certo matrimonio... Ah, le donne!... Che
parte hanno nella nostra vita... in bene e in male!... E chi sa che
anche nel suicidio di questo disgraziato non c'entri una donna?...
Dicono ch'egli avrebbe voluto sposare una vedova, e ch'era stato
costretto a rinunziarci in causa delle mignatte che gli succhiavano il
sangue... Non ha sentito?

--Sarà... Non ricordo...

--_Cherchez la femme_, _cherchez la femme_, hanno ben ragione i
Francesi.

Il professore Sali, da quel dotto uomo ch'egli era, s'avventurò in una
disgressione sull'influenza della donna attraverso i tempi. Diana lo
ascoltava appena, di null'altro desiderosa che di arrivare a casa, e,
poichè la strada era breve, ci arrivò prima che il suo interlocutore
avesse oltrepassato la guerra di Troia.

Ma nemmeno a casa ebbe pace. Quanto più ci pensava tanto più le pareva
grave, irreparabile la sventura che aveva colpito i Bardelli. Il
momentaneo sollievo da lei provato apprendendo che il suicida era
Girolamo e non Eugenio ora quasi svaniva dinanzi alla considerazione
che la morte del primo aveva, per la madre, conseguenze infinitamente
maggiori. E forse per lo stesso Eugenio, il cui destino era d'esser
soverchiato dai violenti e dai furbi, per lo stesso Eugenio sarebbe
stato meglio il morire che l'assistere allo sfacelo della famiglia...
Che se poi gli veniva lo scrupolo di non aver saputo con un po'
d'energia impedir la catastrofe, quale strazio doveva essere il
suo!... E a quelle anime buone, a quella madre, a quel figliuolo che
si sarebbero fatti a pezzi per lei, ella, Diana, in un'occasione
simile, non avrebbe mandato, non avrebbe portato una parola di
conforto? Portarla? Andar dunque dai Bardelli, incontrarsi con
Eugenio, dopo la scena di ieri? scrivere invece?... Scrivere una delle
solite lettere di condoglianza, accozzar le solite frasi contorte che
non dicono nulla, mentre si può dir tanto con una stretta di mano, con
una lacrima? E scrivere a chi? Alla signora Marianna? O che quei
poveri occhi logorati dal piangere sarebbero stati in grado di
decifrare una sillaba?... E se scriveva ad Eugenio come avrebb'ella
potuto fingere che niente fosse accaduto fra loro? O come avrebbe
potuto alludervi in una lettera non certo destinata a rimanere
segreta?

Nella dirittura della sua mente, Diana prese il partito migliore, e
nel pomeriggio, coricata Bebè che ogni giorno era messa a dormire un
paio di orette, si recò in persona dai Bardelli.

Una vicina che la riconobbe in portineria la precedette per le scale,
annunziò il suo arrivo, gettò lo scompiglio nelle donnicciuole che
attorniavano la signora Marianna, pose in fuga Eugenio ch'era
anch'egli presso la madre.

Questa volle alzarsi in piedi a ogni costo, raggiustò con un movimento
istintivo la cuffia che ricadeva per indietro lasciando a nudo il suo
cranio pelato, e sorretta da un'amica fece due passi verso la
visitatrice e le si abbandonò fra le braccia singhiozzando.

Era un'ombra, una larva; così bianca come se le sue vene avessero dato
tutto il loro sangue.

--Oh signora Varedo--ella gemeva,--che disgrazia, che disgrazia!... Ma
dov'è Eugenio?... Era qui or ora. Credevo che le fosse venuto
incontro...

E interrogava con gli occhi le femminette che s'eran tirate in
disparte.

Una di esse mostrò l'uscio a sinistra.--È andato di là.

--Ma che venga dunque--ripigliò la Bardelli con la sua voce
fioca.--Deve aver capito male... Quando saprà chi è... Chiamatelo,
chiamatelo.

--Forse avrà da fare--disse Diana Varedo.--Non lo disturbino.

La signora Marianna s'ostinava.--No, no, lui stesso non mi
perdonerebbe se non lo chiamassi... E poi è lui che ha la lettera...
la lettera terribile... Vedrà, signora Diana, vedrà...

S'era rimessa a sedere, teneva, parlando, nelle sue mani la mano della
Varedo, di tratto in tratto un tic nervoso le scomponeva la faccia...

--È stato per quel calice... Oh, se il mio povero marito avesse potuto
immaginare?... Ma Eugenio le dirà meglio... Ah, eccolo che viene...

Eugenio Bardelli apparve sulla soglia. C'era tanto dolore nel suo
volto, c'era tanta trepidazione e tanto sgomento che Diana cedette
senz'altro all'impulso del suo animo buono, e svincolatasi con
dolcezza dalla madre si avvicinò con la destra tesa al figliuolo.

--Coraggio, Bardelli!

Egli quasi non credeva a se stesso. Gli perdonava ella dunque? Era
disposta a dimenticare?

Egli rimase perplesso un istante; quindi prese la mano pietosa che gli
si offriva e la portò alle labbra. La mano baciata era quella di ieri;
era quella di ieri la bocca baciante; ma come diverso era il bacio!
Non più caldo e fremente di passione repressa, ma discreto, ma
rispettoso, ma timido... Diana sentì che tutto era finito.

--Coraggio!--ella ripetè.--Pensi alla sua mamma.

La vecchia Bardelli si voltò verso il figlio.--Dalle la lettera.

Eugenio esitava.--Perchè funestarla?

Ma l'altra insistette.--Oh la signora Diana è come una di famiglia...
La signora Diana ci perdona... Lo sa che veniva in mezzo alle
tristezze... Voglio che la veda quella lettera... lei che conosceva il
mio Girolamo, che lo apprezzava... non è vero?

--Molto, molto--assentì Diana.

--Era più giusta di noi con quella santa creatura... che non ha fatto
che del bene nella sua vita... e che anche morendo non ha una parola
d'astio per nessuno--seguitava la signora Marianna logorata dall'ahi
tardo rimorso di aver disconosciuto quel modello di figlio, di
fratello, di artista.

Appoggiata ai bracciuoli della sedia, ella si chinava verso Diana che
stava scorrendo la lettera consegnatale da Eugenio.

--Legga ad alta voce, signora Diana... se non le dispiace--supplicò la
Bardelli.--Io non posso... non posso vederci...

Bella invero e toccante, nella sua semplicità, era la lettera di
Girolamo.--«Fin che ho creduto d'esser utile--egli scriveva--ho
lavorato serenamente, ho serenamente vissuto con voi e per voi. Ora la
mia testa è confusa, ora dubito, vivendo, di far più male che bene.
Forse Paolo ha ragione, forse io ho usurpato diritti che non avevo, e
sarebbe stato meglio per tutti di far delle divisioni nette sin dal
principio. A ogni modo vi giuro, e tu, Eugenio, puoi assicurarne la
mamma e il fratello, che alla resa dei conti e alle divisioni mi sarei
prestato anche adesso se non ci fosse stato di mezzo quel calice che
per sè solo rappresenta due terzi del nostro piccolo patrimonio e di
cui per conseguenza bisognava privarsi. Non sapevo adattarmi all'idea
che quel prezioso oggetto d'arte, quel gioiello del nostro
Rinascimento, andasse in mano d'estranei, fuori d'Italia ove vanno
tante cose nostre... Regalarlo al Museo era una pazzia, lo capisco...
oltre che io non potevo regalare ciò che non apparteneva a me solo...
e non dò colpa a Paolo s'è ricorso alle vie legali per impedirmelo...
Ma a Paolo e a te, Eugenio mio, raccomando di tentare almeno che il
compratore, se pur non vuol essere il Governo o uno dei nostri Musei,
sia un Italiano. Ce ne sono ancora dei ricchi in Italia, i quali non
dovrebbero permettere questa continua spogliazione del loro paese.

«Non lascio un centesimo di debiti. Nella cassaforte troverete 450
lire in biglietti di banca, un libretto della Cassa di risparmio con
1148 lire, e una cartella di duecento lire di Rendita. I pochi crediti
sono registrati in un quaderno che c'è nella scrivania. Un altro
libro, chiuso nella scrivania anch'esso, contiene l'inventario fatto
in Gennaio. Le variazioni avvenute poi le desumerete dallo sfogliazzo
che vi mostrerà Giovanni, il mio lavorante anziano.

«Di lui potete fidarvi come di me stesso. E con lui non vi sarà
difficile intendervi per l'andamento della bottega. È buono, bravo,
onesto allo scrupolo, vi farà patti convenienti.

«E ora un abbraccio a tutti. A te cara mamma, che mi perdonerai
d'abbandonarti nella tua vecchiaia, a te, Eugenio mio, che diventi il
capo della casa e che spero avrai presto la cattedra di Università che
ti meriti; e anche a te, Paolo, a cui non serbo rancore, a cui auguro
gloria e fortuna.

«Addio, addio, e rammentate con affetto e con indulgenza,

                                Il vostro
                                 GIROLAMO».

Due volte Diana, profondamente commossa, aveva dovuto interrompere la
lettura di questa lettera; due volte le preghiere insistenti della
Bardelli l'avevano costretta a riprenderla.

Quando la sua voce malferma si fu spenta sulle ultime righe, la
signora Marianna ebbe un nuovo accesso di disperazione. E fra pianti e
singhiozzi incolpava sè del suicidio del figliuolo... Lei, lei era
stata la vera causa, non Paolo che aveva ceduto ai cattivi consigli,
ch'era esacerbato dalle ingiustizie del mondo e aveva la grande scusa
del bisogno... Lei, lei che era la madre, che avrebbe avuto l'obbligo
di ricordare i sacrifizi fatti da Girolamo per la famiglia, la sua
bontà da bambino in su, la sua delicatezza, la sua pazienza
infinita... Non una parola acerba mai, nemmeno se lo si rimproverava a
torto; non un'osservazione amara, neppure durante la dolorosa
questione nella quale ella gli si era messa risolutamente contro...
Solo ieri, dopo una breve disputa in cui ella non aveva saputo tenere
in freno quella sua maledetta lingua, egli, carezzandola, le aveva
detto con dolcezza:--No, mamma, tu non dovresti parlarmi in questo
modo.--Così si erano separati. Ella non lo aveva più visto... ella non
lo rivedrebbe più... neanche morto... perchè lo avevano trasportato
all'Ospedale e a lei non permettevano di andarci... C'era Paolo a
levar la maschera... per scolpir poi il busto... Ecco quello che le
sarebbe rimasto del suo Girolamo!...

Diana si strappò a fatica a quella scena straziante promettendo di
tornar presto.

Timido, peritoso, Eugenio Bardelli la seguì sul pianerottolo. Non
osava alzar gli occhi verso di lei, non osava formular la domanda che
meglio avrebbe espresso il suo pensiero:--Mi ha perdonato?

Chiese invece, e gli parve una grande audacia:--Come sta Bebè?

--Così... Non come vorrei--sospirò Diana. E soggiunse:--Quando sarà
più tranquillo, venga a vederla.

La fisonomia contraffatta del giovine professore si trasfigurò per un
istante; per un istante egli scordò le sue pene, la tragedia
domestica, le angustie dell'avvenire... Ella gli riapriva la sua
porta, ella consentiva a gettare un velo d'oblìo sul passato...

--Grazie, grazie...

E Bardelli avrebbe voluto accompagnar Diana almeno fin giù delle
scale, manifestarle la sua immensa gratitudine.

Ella lo fermò con un gesto.--No... La sua mamma l'aspetta.

Non gli lasciò tempo di replicare e si dileguò, rapidissima.

Ma, nel frastuono della strada, il vigore fittizio che l'aveva
sostenuta fino allora l'abbandonò ad un tratto per dar luogo ad un
senso di smarrimento e di prostrazione, ed ella si affrettò ad
accettare l'offerta d'un fiaccheraio che, agitando la frusta e
rallentando la corsa, le passò vicino con la sua vettura.

A casa, a casa! Già troppe ore n'era stata lontana in quel giorno,
troppe ore era stata lontana dalla sua bambina... E quante emozioni da
ieri in poi! E che soffio di tempesta aveva traversato la sua vita
uguale, opaca, monotona!

Era la Provvidenza che aveva inspirato alla sua mamma di accorrer da
lei in questo momento! Cara mamma! Care braccia amorose sempre pronte
ad aprirsi! Caro porto sicuro ove le procelle si quietano!

Diana guardò l'orologio. Erano quasi le 4, e la corsa sarebbe arrivata
poco dopo le 7.



XX.

Fra due doveri.


--Non è solo?--chiese Alberto Varedo al servo dell'onorevole San
Giustino che lo precedeva per annunziarlo.

Il San Giustino abitava in un piccolo quartiere al secondo piano in
corso Vittorio Emanuele.

--Nossignore--rispose il domestico.--C'è con lui l'onorevole Zonnini
con quel giornalista... Fraschetti, credo sia il direttore della _Rupe
Tarpea_.

--Ah, Fraschelli?

--Appunto.

--Che seccatura!--pensò Varedo che avrebbe preferito discorrere a tu
per tu col futuro ministro. Pur dissimulò la sua noia ed entrò nel
salotto ov'erano riuniti i tre amici politici. Il direttore della
_Rupe Tarpea_ era sempre l'amico politico degli uomini in auge.

--Che buon vento?--disse San Giustino.

S'erano lasciati da due sole ore, dopo un lungo colloquio in una delle
sale di Montecitorio.

--Non è un buon vento, pur troppo--replicò Varedo.

--Oh, oh!... Qualche cattiva notizia di casa vostra?... La bambina s'è
aggravata?

I conoscenti di Alberto sapevano che la sua figliuola era inferma.

--Mi arriva questo telegramma. Leggete.

E il professore consegnò a San Giustino un dispaccio di poche
parole:--_Condizioni peggiorate. Giraldi inquieto. Parti subito.
Diana._

--Però la vostra signora è apprensiva?--soggiunse San Giustino,
restituendo il foglio.

--In quanto a questo sì... Non per sè, ma per la bimba... Apprensiva
al massimo grado.

--E allora è probabile che esageri--osservò Zonnini.

E Fraschelli, tanto per dir qualche cosa, spifferò questa sentenza
peregrina:--Quando si tratta dei loro figliuoli le mamme esagerano
sempre.

Alberto Varedo tentennò il capo.

--Vorrei che fosse così anche questa volta... ma perchè mia moglie mi
avrebbe telegrafato proprio stasera sapendo che avrei da parlare
domani alla Camera?... Perchè, se non ci fosse un'urgenza?

--Le donne, caro amico--ripigliò San Giustino,--certi riguardi non li
capiscono... Io ho avuto la disgrazia di perder la mia ancora giovane
e la ricordo e la rimpiango... Credo tuttavia che con lei la mia
carriera politica sarebbe stata troncata a mezzo... Quello che mi ha
tempestato di lettere e di dispacci una volta che la nostra
primogenita ammalò di morbillo! Pareva che una catastrofe fosse
imminente... Io ebbi la debolezza di darle retta; abbandonai la
capitale, piantai in asso il Parlamento, gli uffici, due commissioni
che dovevo presiedere, corsi in Toscana nella nostra villa e trovai la
mia figliuola già in piedi... ciò che non toglie che la mia signora
consorte mi strapazzasse come un cane perchè non ero arrivato prima...
Ell'aveva una scusa, ell'era sola, in una campagna fuori di mano...
Vostra moglie invece è in una grande città, ha compagnia...

--Ha sua madre e suo zio... Ho pregato apposta mia suocera di andar a
Torino.

--Vedete bene!--soggiunse il vedovo rassegnato con un accento che
suonava amaro rimprovero all'egoismo di Diana Varedo.--Vedete bene!...
A ogni modo, non è possibile che partiate subito.

--Veramente quest'era la mia intenzione...

--Di partir subito? Stasera?... Se non c'è una corsa?

--Per la Maremmana è tardi, lo so... Quando è capitato il
telegramma... forse, con un buon cavallo, volando, sarei potuto
giungere in tempo alla stazione... Forse... non ne son neanche
sicuro... E poi come partirei senza che ci fossimo scambiati due
parole?... Adesso potrei prendere la via di Bologna.

--Parte alle 23,10--notò Zonnini.

--Siete matto?--esclamò San Giustino.--Una corsa eterna che sarebbe a
Torino domani alle sette pomeridiane... Via, non ci pensate nemmeno...
meno... Partirete domani sera... Anche se non ci sarà stato il voto...
pazienza... Avrete fatto il vostro discorso, svolto il vostro ordine
del giorno... Se no, chi lo svolge?... Voi, Zonnini, siete il secondo
firmato... Toccherebbe a voi...

L'idea di dare il gambetto al suo carissimo amico non era lungi dal
sorridere al buon Zonnini; però egli fece il modesto e il ritroso.

--Per carità, allontanate da me questo calice... Non si renderebbe un
servizio al partito... Io non ho l'eloquenza di Varedo... Certo che se
fosse assolutamente necessario, mi sacrificherei... Ma sarebbe una
tegola che mi casca sul capo.

Quanto più Varedo s'accorgeva che Zonnini sarebbe stato disposto a
_sacrificarsi_, tanto maggior riluttanza egli provava a spianargli il
cammino.

--Vedremo--egli sospirò.--Capisco che prima di domattina non mi
converrebbe di partire... Intanto spedirò un telegramma.

--Naturale... Usciremo insieme, se non vi dispiace--propose San
Giustino.

--Ma scusa--disse Zonnini a Varedo,--che tu parta stasera o domattina,
se non vieni domani alla Camera per me è lo stesso. Bisogna ch'io lo
sappia.

--Te lo farò sapere, diamine.

--Presto.

--Prestissimo. Magari con un telegramma.

--Me ne incaricherò io--dichiarò San Giustino.--Ma non partirà, non
partirà.

Ormai erano discesi tutti e quattro in istrada.

--Io volterei verso Ponte Sant'Angelo--disse Varedo.--Imposterò il mio
dispaccio alla succursale di Borgo Nuovo.

--Vengo anch'io volentieri da quella parte--soggiunse San
Giustino.--S'incontra meno gente.

Ma Zonnini e Fraschelli erano dispiacenti di dover prendere la
direzione opposta.

--C'è questo demone tentatore--spiegò Zonnini accennando al
giornalista--che vuol condurmi all'Alhambra, a veder _la rivale di
Venere_.

Fraschelli protestò.--Non gli date retta. Ne ha più voglia lui di
me... Ci va tutte le sere.

--Che esagerazioni! Ci fui due volte... Ma vi assicuro io ch'è un
bocconcino...

A commento delle sue parole, l'onorevole Zonnini portò la mano alla
bocca e si baciò le punte delle dita.

--Basta; tu Varedo, hai ben altro pel capo, e poi, si sa, sei un
puritano. Di San Giustino è in un momento in cui tutti gli occhi son
fissi sopra di lui e non deve prestar il fianco alle malignità... Se
no, insisterei perchè ci faceste compagnia... È un vero godimento
estetico...

--Addio, addio, capiscarichi.

--Buona sera, Varedo--gridò Zonnini, e Fraschelli gli fece eco,--ti
auguro di ricevere migliori notizie da Torino.

--Grazie, buona sera.

--Ecco il ristoratore del sentimento religioso--disse Varedo a San
Giustino appena furono soli.

--Bah, Zonnini è un furbo che sente di dove il vento spira.

--Se partissi domattina alle 8--ripigliò Alberto--sarei a casa prima
di mezzanotte.

--Ma no, ma no--insisteva San Giustino--non potete partire che domani
sera.

Era una bella notte estiva, un po' fresca come sogliono esser le notti
di Roma. I due camminavano frettolosi; solo quando furono sul Ponte
Sant'Angelo rallentarono alquanto il passo.

Gonfio per le pioggie recenti, il Tevere s'ingolfava con un rumore
cupo sotto le arcate; torreggiava di fronte, quasi in atto di
minaccia, la mole Adriana; a sinistra, slanciandosi altera fuor del
viluppo degli edifizi minori, s'ergeva la cupola di San Pietro; la
curva del Gianicolo si protendeva con netti contorni sul cielo
limpido, senza luna; qua e là, mobili o fissi, brillavano piccoli
punti luminosi.

--È pur suggestiva questa Roma--notò San Giustino.

Varedo fece un segno d'adesione, ma il suo pensiero era altrove.

--E dire che tutta quanta la colpa è di questo sciagurato Ministero il
quale non ha mai avuto un lampo d'ingegno, non ha avuto altro che una
qualità (se si può chiamarla tale), quella di saper menare il can per
l'aia.

--È vero--rispose San Giustino che non intendeva bene.--Ma, scusate,
la colpa di che?

--La colpa del bivio terribile in cui mi trovo--ripigliò Alberto con
impeto.--Non siamo qui da più di due settimane? Non si doveva
spicciarci subito?... Oh sì, il Ministero è riuscito a guadagnare
ancora otto o dieci giorni... Con che frutto poi? che la caduta è
forse meno sicura? Solo che invece d'esserne fuori, si è proprio oggi
al momento critico, e io sono in questa bella situazione: che, se
resto, manco ai miei obblighi verso la famiglia, se parto, manco a
quello verso me stesso, verso i principî, verso le idee che sostengo,
che desidero di far trionfare.

Era buio, e San Giustino, scettico amabile, poteva liberamente
sorridere. Più che della ingenua sfuriata contro il Ministero
temporeggiatore egli sorrideva di quell'allusione superba di Varedo
alle idee da far trionfare. O che si va al potere per questo?

--Partendo domani sera voi concilierete ogni cosa--egli disse.--Del
rimanente, a dispetto del Ministero, voi avreste fatto il vostro
discorso e la Camera avrebbe già dato il suo voto, se, al solito, non
si fossero avuti troppi oratori... Anche dalla nostra parte, Dio
buono, quanta eloquenza!... Quanti aspiranti a un portafoglio o a un
sottosegretariato!... Come contentarli tutti?... E gli scontenti non
tarderanno a diventare avversari.

--È ignobile.

--Non lo nego... E non nego che vi saranno eccezioni... Voi, per
esempio, non ne dubito... Però, siate sincero, o che non mi serbereste
rancore se dessi a Zonnini o a un altro il posto che ho promesso a
voi?...

Varedo si voltò bruscamente.--Scusate... Questo non c'entra... Qui c'è
una promessa.

--Lo so, e volevo scherzare.

San Giustino non aveva parlato a caso. Il miglior modo di trattenere
Varedo era quello di ricordargli che fra i suoi cari amici ce n'era
più d'uno pronto a levargli la polpetta di bocca.

All'Ufficio di Borgo Nuovo, Alberto Varedo spedì un lungo telegramma a
sua moglie. Diceva che il dispaccio di lei non gli era giunto in tempo
da permettergli di prender il diretto di quella sera, che i colleghi
lo scongiuravano di assistere alla importantissima seduta di domani
alla Camera e di svolgervi il suo ordine del giorno, che sarebbe
partito domani sera al più tardi. In ogni modo si sarebbe regolato
sulle ulteriori notizie che pregava di fargli aver subito e che
sperava migliori.

--Va bene così?--egli chiese a San Giustino mostrandogli la minuta.

--Benissimo. E fatevi animo. Il diavolo non sarà tanto brutto come
pare.

Poich'erano in via e non avevano voglia nè l'uno nè l'altro di
rincasare, si spinsero fino a San Pietro, discorrendo animatamente di
politica, facendo il computo dei voti pei quali il Ministero sarebbe
stato battuto, almanaccando sulla maggiore o minor probabilità di
risolver presto la crisi. Sicuro di ricever l'incarico dal Sovrano,
San Giustino aveva già il suo bravo Gabinetto in pectore, ma egli era
troppo pratico dell'ambiente parlamentare da non temer gli ostacoli,
le sorprese, le insidie dell'ultima ora.

La vasta piazza era quasi deserta; pochi _fiacres_ immobili erano
allineati a destra e a sinistra lungo il colonnato del Bernini; nel
gran silenzio s'udiva solo la voce liquida, monotona, delle due
fontane i cui zampilli ricadendo a terra spargevano intorno come un
pulviscolo acqueo.

--Si sta più freschi qui--disse San Giustino fermandosi tra l'obelisco
e una delle fontane.

Alberto Varedo levò gli occhi verso il Vaticano.

--Ecco la forza.

Di San Giustino lo guardò.--Siete un convertito?

--Non mi fraintendete... La forza d'inerzia, una delle più formidabili
che ci siano. Aver dietro di sè una tradizione di diciotto secoli; per
diciotto secoli aver bandito gli stessi dogmi, aver ripetuto, con
poche varianti, le stesse parole, aver detto audacemente alle
generazioni che si succedono:--Noi siamo la salute, noi siamo la luce,
ecco la potenza vittoriosa, inespugnabile della Chiesa.... Anche una
menzogna ribadita per diciotto secoli diventa, agli occhi di molti,
una verità... Noi, che militiamo nell'altro campo, siamo più leali e
sinceri negando l'esistenza d'una verità assoluta, immutabile,
sostenendo il principio dell'evoluzione; ma le nostre schiere si
sgretolano, ma non avremo mai intorno a noi un esercito compatto,
disciplinato come quello che ci sta di fronte.

--Credete dunque che la Chiesa finirà col vincere?

--Ah no. Non vincerà nessuno... Noi non costruiremo nulla di solido,
di durevole, ma non saremo vinti per questo. Nè noi, nè loro. Nessuna
tendenza dello spirito umano può esser vinta. Non quella che porta
verso la fede e s'appaga d'una certezza comunque ottenuta, non quella
che ricerca e che dubita e si gloria delle sue affannose inquietudini.
Sarà una lotta lunga quanto il mondo.

--Caro Varedo--interruppe San Giustino tra serio e scherzoso,--voi
parlate d'oro ma vi raccomando di non dir queste cose domani alla
Camera. Fareste arricciare il naso a più di qualcheduno... in tutti e
due i campi. E non dimenticate che il nostro dovrebb'essere un
Ministero conciliativo.

--La politica a base di puntigli e dispetti, le guerricciuole meschine
non piacciono neppure a me--replicò Alberto Varedo.--E poi non giova
esasperare i nemici che non si possono spegnere.

Chiacchierando così, ritornarono sui loro passi. Di San Giustino
accompagnò Varedo fino all'albergo di Santa Chiara.

--Procurate di riposar qualche ora--gli disse nel prender commiato--e
ricordatevi che per domani facciamo assegnamento sopra di voi... No,
non voglio fermarmi sull'ipotesi che siate costretto a partir
domattina... E, in qualunque caso, badate di non partire senza che ci
siamo rivisti... Non abbiate riguardi, potete passar da me alle sei,
alle cinque, quando vi piace... Se non vi vedo prima delle sette e
mezzo è buon segno, e ci troveremo più tardi a Montecitorio.

Alberto Varedo andò a letto ma non dormì. Per quanti sofismi egli
accumulasse, la sua coscienza non era tranquilla. Il suo posto non era
a Roma, non era in Parlamento, era a Torino presso sua moglie, presso
la sua piccola Bebè. Da oltre a due settimane egli l'aveva lasciata
pallida, malaticcia, simile a una pianta che intristisce miseramente,
e dopo d'allora non era stata mai bene, nè mai egli aveva ricevuto da
Diana o dalla signora Valeria una lettera che gli concedesse d'aprir
l'animo a liete speranze. E più d'una volta l'intonazione di quelle
lettere gli era parsa amara, più d'una volta egli vi aveva trovato
un'allusione alla sciagurata politica che lo teneva lontano; non lo si
richiamava però, si era rassegnati a vederlo rimanere a Roma sino al
termine della battaglia parlamentare... Che cosa era accaduto nella
giornata di ieri, da un momento all'altro? Che cosa aveva indotto
Diana a telegrafargli? Era stata un'ispirazione sua? O un suggerimento
del medico? Se Giraldo aveva consigliato il dispaccio, le condizioni
della bimba dovevano esser ben gravi!... E allora perchè non usare un
linguaggio più esplicito? Perchè non dire:--C'è pericolo imminente. La
tua presenza è indispensabile?

Ma, in fin dei conti (e di nuovo Varedo s'arrampicava sugli specchi
per giustificare la propria condotta) aveva egli forse risposto con un
rifiuto? No, aveva chiesto una breve proroga di ventiquattr'ore per
compiere il suo ufficio di cittadino, di deputato, di uomo al quale il
vigor dell'ingegno, la tenacità dei propositi, la serietà degli studi
assegnavano una parte cospicua nella vita del suo paese. Questo a casa
sua non volevano intenderlo; non volevano intendere che vi sono
obblighi pubblici sacri quanto i privati e che il venirvi meno è colpa
e viltà.

Nella notte insonne tornavano in mente a Varedo i passi principali del
suo discorso, frutto di lunghe meditazioni, destinato, se non lo
illudeva l'orgoglio, ad allargar gli angusti orizzonti della politica
italiana, a sollevarla dalle miserie parlamentari, ad additar forse
lui, Alberto Varedo, come un possibile rinnovatore della coscienza
nazionale. A nessuno, neanche a San Giustino, egli aveva comunicato
tutti i punti salienti di quella arringa; egli ne serbava le primizie
alla Camera di dove la sua voce, udita dai colleghi, raccolta dagli
stenografi, sarebbe volata lontano... E ora, alla vigilia del suo
trionfo, egli avrebbe disertato il campo? Avrebbe lasciato che Zonnini
parlasse in vece sua? Che impicciolisse le questioni con quel suo
spirito di stenterello?... Varedo si rifiutava a fregiar del nome di
emulo questo Zonnini leggero, superficiale, che aveva inforcato per
_snobismo_ il cavallo delle idealità religiose, e mentre pretendeva
ristorar la fede in Italia frequentava assiduo i _cafés chantants_ e
correva dietro a tutte le _cocottes_ di Roma... In verità, se non
sorgevano rivali più formidabili!... Però qualche volta anche i
mediocri, se le occasioni li favoriscono, fanno un buon tratto di via
e sarebbe stata per Zonnini una gran bella occasione quella di potere,
in una giornata memorabile, prendere alla Camera il posto di Alberto
Varedo...

Prima delle cinque Alberto era in piedi, meravigliato di non veder
giungere altre notizie da Torino, incerto sul significato da darsi a
questo silenzio. Aveva aperto la finestra, e ogni tanto si affacciava
al davanzale, guardando nella via di Santa Chiara ancora buia e
deserta.

E pensava: Veglieranno essi pure laggiù.... Veglieranno accanto a una
culla.... Diana, mia suocera, forse lo zio Gustavo che deve voler
molto bene a sua nipote, se, nonostante la sventura che l'ha colpito,
ha rinunziato al suo viaggio in Francia e in Inghilterra per restare
in mezzo alle malinconie della mia casa... Veglieranno tutti... chi sa
che non ci sia Giraldi con loro... mandato a chiamare in fretta...

L'aria frizzante della mattina gli metteva dei brividi addosso: l'ora
grigia lo disponeva ai tristi presentimenti. Varedo si ricordava
d'aver letto che sul far dell'alba è maggiore la depressione nervosa
degli organismi, maggiore quindi il numero delle morti... Se adesso,
appunto adesso, la sua Bebè?... Ma no, ma no, perchè accoglier queste
lugubri idee, perchè disperare?... Ecco il sole rischiarava già i
comignoli delle case, rigava di una striscia luminosa le cornici e gli
sporti; in alto il cielo si tingeva d'azzurro; il giorno s'annunziava
pieno di liete promesse agli uomini; perchè sarebbe stato apportatore
di sventura a lui solo?

Da Piazza della Minerva, da Piazza del Panteon veniva il rumore di
qualche carrozza; qualche pedone attraversava la via solitaria di
Santa Chiara. A ogni passo che Varedo sentiva avvicinarsi, il sangue
gli dava un tuffo.--Sarà il fattorino del telegrafo.

Le cinque e mezzo, le sei, le sei e mezzo... Nessuno.... Ormai la
città era svegliata; come acqua che uscendo da' suoi serbatoi si
riversa per mille rigagnoli, da per tutto si spargeva la vita.

L'onorevole finì di vestirsi.--Che faccio?--egli chiedeva a sè
stesso.--Se per le sette e mezzo non mi capita nessun telegramma parto
o rimango?...

E non sapeva decidersi, e si crucciava con quelli di Torino che lo
lasciavano in queste ambasce. Egoisti! Egoisti!

Zitto! Qualcheduno sale le scale, qualcheduno s'inoltra nel corridoio,
s'arresta all'uscio, picchia.

--Avanti!

Varedo, pallidissimo, strappò dalle mani del telegrafista il dispaccio
e lo aperse con dita tremanti. Quando alzò gli occhi dal foglio, vide
che il fattorino era immobile in mezzo alla stanza, aspettando.

--Ah,--disse il deputato.--Scusate.

Firmò rapidamente la ricevuta, la consegnò con pochi soldi di mancia,
e rilesse:

_Condizione stazionaria, sempre grave. Parti appena puoi._

                                VALERIA.

Ahimè, il dispaccio non recava nessuna parola confortatrice. E
tuttavia in quella frase _appena puoi_, Varedo credette scorgere un
tacito assenso alla sua dichiarazione che sarebbe partito la sera,
perchè prima non poteva. Se una vera urgenza ci fosse stata, sua
suocera (perch'era lei e non Diana che gli telegrafava) avrebbe usato
un diverso linguaggio. Inoltre la condizione, benchè _sempre grave_,
si dipingeva come _stazionaria_; dunque ci era una tregua, un respiro;
c'era ancora tempo da lottare, da resistere...

Dopo qualche altra piccola esitazione, il nostro onorevole decise di
rimaner tutta la giornata a Roma e di fare il suo discorso alla
Camera; poi senza indugi ulteriori, e quand'anche avesse avuto
migliori notizie, si sarebbe messo in viaggio per Torino col
direttissimo delle 20,50.

Formati ch'ebbe questi propositi nella mente, egli corse all'ufficio
centrale, telegrafò a San Giustino per dirgli che restava, telegrafò a
casa sua annunziando il suo arrivo per le 10,25 dell'indomani, e
pregando di fargli avere ancora un dispaccio a Roma prima di sera.

Così gli parve d'esser in pace con la sua coscienza, gli parve d'aver
acquistato il diritto d'astrarre per poche ore dalle sue angustie
domestiche e di consacrar tutte le forze dell'ingegno e dell'animo a
ciò che in quel dì memorabile si attendeva da lui.

Strada facendo, egli comperò i giornali del mattino. Tutti quanti,
favorevoli e avversi, accennavano all'aspettazione vivissima che c'era
nei circoli parlamentari pel suo discorso; solo la _Rupe Tarpea_
conteneva questa noticina:

«Abbiamo visto iersera il nostro amico, onorevole Varedo, molto
inquieto circa alla salute di una sua bimba, ammalata a Torino. Egli
ci diceva che, ove non avesse avuto nella notte notizie migliori,
sarebbe partito questa mattina rinunziando a parlare oggi alla Camera.
In questo caso, che vivissimamente auguriamo non abbia ad avverarsi,
il noto ordine del giorno sarà svolto dall'altro egregio amico nostro,
onorevole Zonnini».

--Ah--esclamò Alberto Varedo--è lui, non c'è dubbio, è Zonnini che ha
inspirato questo _entrefilet_. È lui che si prepara garbatamente il
terreno... Ma l'uva non è matura, carino.

I conoscenti che lo incontravano per via lo fermavano.

--Dunque non parti? Dunque hai ricevuto migliori notizie?

Ed egli era costretto a rispondere:--Pur troppo la condizione è sempre
gravissima... C'è una sosta, ecco... Partirò stasera a ogni modo...

--Ma lo fai il discorso?

--Sicuro; rimango appunto per questo... Mi pareva d'aver assunto un
impegno morale... Ah, beati quelli che stanno fuori della vita
pubblica!

Altri insistevano per aver biglietti.

--Onorevole, onorevole, se potesse favorirmi due bigliettini, uno per
me e uno per mia moglie?... La mia signora non va mai alla Camera, ma
quando ha saputo che deve parlare l'onorevole Varedo ha dichiarato
subito che non voleva perder l'occasione di sentir uno dei nostri
primi oratori.

--Sarà una grande delusione--notava, modestamente, Varedo.--Io sono
sempre un oratore di seconda o di terza categoria. Si figurino oggi!
Con questo tarlo che mi rode.

Quanto più presto potè, e dopo aver dato l'ordine che gli portassero a
Montecitorio i dispacci che arrivassero per lui, Alberto Varedo si
rifugiò nella biblioteca della Camera ad attendervi l'ora della
seduta.



XXI.

Un intermezzo glorioso.


Nonostante il caldo, l'aula di Montecitorio presentava quello che i
giornalisti dicono _un aspetto imponente_. C'erano bensì, durante la
lettura del processo verbale, parecchi vuoti nei vari settori, ma si
sapeva che i deputati erano sparsi nei corridoi, e avrebbero preso il
loro posto al momento opportuno. Gremite erano le tribune; così quella
della stampa e la diplomatica come quella riservata al pubblico; due
dame di Corte erano nella tribuna reale. E le signore, in eleganti
_toilettes_ estive, abbondavano. Mogli e figliuole di senatori e di
deputati, donne politiche e semplici curiose, forestiere di passaggio
per Roma, attratte dal desiderio di veder la Camera italiana e di
assistere a quell'interessante spettacolo che si chiama _la caduta di
un Ministero_.

Poichè sulla crisi non c'era dubbio, e il Gabinetto combatteva
puramente per l'onor delle armi.

Nei crocchi femminili, dall'alto, si additavano i morituri. Il
Presidente del Consiglio vecchio e floscio benchè gli scintillassero
ancora sotto le lenti gli occhietti furbi; il Ministro della guerra
troppo grasso; il Ministro della marina troppo magro; quello del
tesoro troppo mastodontico quasi avesse ingoiato il collega delle
finanze che infatti non era presente perchè indisposto; il
Guardasigilli troppo negletto nel vestire e come tale poco indicato a
regger un dicastero che s'intitola di _grazia_ e giustizia; solo i
titolari degli esteri, dei lavori pubblici, dell'agricoltura e
commercio, delle poste e telegrafi avevano l'aria _comme il faut_, e
avrebbero meritato di salvarsi dalla catastrofe.

Ma quando il Presidente disse: l'_onorevole Varedo ha la parola_, il
cinguettìo delle tribune cessò: solo si udì quel bisbiglio
caratteristico ch'è segno d'intensa aspettazione e precede i grandi
raccoglimenti. Nell'aula gli scanni ancor vuoti si empirono quasi
tutti, parecchi deputati scesero nell'emiciclo per esser più vicini
all'oratore.

Alberto Varedo cominciò con una discreta allusione alle sue angustie
domestiche che alla Camera non fece nè caldo nè freddo, ma gli
conciliò la simpatia di buona parte del pubblico.

Solo un supremo dovere lo induceva oggi a parlare, solo la convinzione
profonda che vi siano momenti nei quali chi ha accettato un ufficio
non possa, per sue private ragioni e per quanto il cuore gli sanguini,
in alcun modo sottrarvisi. Il più sacro degli affetti umani lo
chiamava altrove e certo egli avrebbe risposto all'appello; non prima
però d'aver sciolto l'obbligo ch'egli primo firmatario dell'ordine del
giorno, aveva assunto verso gli amici, verso il partito, verso sè
stesso.

Ed egli proseguì dicendo che quantunque l'ordine del giorno si
limitasse a esprimere sfiducia assoluta verso il Gabinetto, egli
credeva d'interpretare, oltre al proprio, anche il pensiero degli
amici suoi affermando ch'essi miravano a un fine molto più alto che
non fosse quello di dar l'ultimo colpo ad uomini personalmente
rispettabili ma politicamente già morti. E forse appunto perch'egli li
considerava morti consacrò dieci minuti a farne l'autopsia rilevando
tutte le malattie mentali da cui erano afflitti e provocando gli
applausi e l'ilarità dei vari gruppi dell'opposizione. Ma questi, egli
ripetè, non erano che esercizi da sala anatomica, e il paese voleva
ben altro che la critica degli errori passati.

Dopodichè, l'oratore si elevò a un esame sereno e obbiettivo della
situazione presente, ne additò i pericoli economici, politici,
sociali; le istituzioni insidiate, perfino il concetto dell'unità e
della libertà della patria affievolito nelle coscienze; ogni
disciplina dello spirito scossa; ogni più formidabile problema gettato
in pascolo alle moltitudini analfabete; ogni decoro prostituito
dinanzi ai due idoli della giornata, il danaro e la folla.

Era un conservatore che parlava, e le sue sferzate contro le
aberrazioni demagogiche suscitavano qualche mormorio sui banchi della
montagna, ma egli riebbe il favore dell'intera sinistra stigmatizzando
le cosidette classi dirigenti che nulla dirigono e di nulla si curano
tranne che di accumulare e di goder la ricchezza, e mendicano croci e
trafficano titoli nobiliari, e costituiscono a poco a poco una nuova
aristocrazia che della vecchia ha i vizi e non le virtù.

Indi Alberto Varedo proclamò la necessità d'una riforma morale che
nessun Governo può operare, ma che _un buon_ Governo può agevolare se
comincia a dar l'esempio della probità e dell'austerità, se non vizia
le elezioni, se non corrompe i suoi funzionari, se non cede ai
sollecitatori, se non promette ciò che non può mantenere, se non
induce negli animi il sospetto che la giustizia sia un nome vano, se
colpisce pronto gli abusi, se onora i degni e prostra gli abbietti, se
rinuncia a viver di sotterfugi e d'intrighi.

Uno scroscio d'applausi salutò le generose parole. Non applaudivano
solo i puri, i sinceri, gli ingenui: quelli ch'erano stati a vicenda
corruttori e corrotti, quelli che avevano sollecitato e ottenuto,
quelli che avevano promesso e fallito agl'impegni, quelli che avevano
mercanteggiato il voto, quelli che si erano inchinati alla viltà
trionfante, quelli che, potendo, avrebbero rinnovato domani gli errori
e le colpe di ieri, applaudivano con più calore degli altri.

Al sommo d'una delle scalette che scendono nell'emiciclo comparve un
usciere di servizio con un dispaccio in mano. E accennava a dirigersi
verso il banco di Alberto Varedo, ma ristette vedendo che il discorso
non era ancora finito, e, a un deputato che lo interrogava con lo
sguardo, disse a bassa voce:

--C'è un telegramma d'urgenza per l'onorevole Varedo.

--Or ora--rispose piano il deputato. E gli fece segno d'attendere.

Varedo concludeva intanto la sua arringa con una perorazione a cui la
brevità non toglieva efficacia.

--Sì, l'Italia domanda un Ministero che abbia un programma di Governo
e sappia attuarlo. Ma se questo non fosse consentito dalla malignità
dei tempi, sarebbe già un gran passo verso la rinnovazione morale che
tutti invochiamo l'aver su quei banchi un gruppo d'uomini
irrevocabilmente decisi a cader con la propria bandiera (_bravo,
benissimo_). Voi che delle bandiere ne avete agitato una mezza dozzina
(_ilarità fragorosa_), voi che per prolungare una tisica esistenza
avete innumerevoli volte mutato idee, amicizie, indirizzi (bene) voi
dovete rassegnarvi ad abbandonare ingloriosamente quel posto che
sarebbe stato meglio per la vostra fama e per noi non aveste mai
occupato.

Tranne i pochi rimasti fedeli al Ministero, tutti i deputati si
levarono ad acclamar l'oratore.

--La seduta è sospesa per dieci minuti--disse il Presidente. E
soggiunse per ossequio al regolamento:--Prego le tribune di far
silenzio.

Intanto i colleghi si affollavano con braccia aperte o con mani tese
intorno a Varedo, prodigando gli epiteti ammirativi.

--Splendido!

--Superbo!

--Stupendo!

--Tanto più terribile quanto più misurato.

--Come li hai bollati!

--Che chiusa!

--Tutto, tutto era bello.

Le congratulazioni di San Giustino e di Zonnini non erano le meno
calorose, quantunque il primo trovasse che il suo collaboratore aveva
avuto torto a far un discorso da Presidente del consiglio, e il
secondo, invidiosetto per sua natura, giudicasse in cuor suo
l'eloquenza di Varedo un po' vuota ed enfatica. Magnifiche frasi, chi
lo nega? Ma sotto il brillante involucro, che cosa c'è?

Comunque sia, e San Giustino e Zonnini si guardarono bene dal lasciar
trasparire i loro intimi sentimenti.

--Bravo!--disse il capo preconizzato del futuro Gabinetto.--Avete
avuto una delle vostre migliori giornate.

--Quando si parla così--seguitò Zonnini--non è permesso di cercar
sostituti... Sarai contento del tuo trionfo.

--Eh, miei cari--replicò Varedo--io vi ringrazio dal fondo dell'anima,
ma non posso pensare a quello che voi chiamate il mio trionfo... Sono
sulle spine... Dopo questa mattina non ho ricevuto altre notizie di
casa mia...

Di San Giustino principiò:--Nessuna nuova...

Ma dovette interrompersi alla vista dell'usciere che s'era fatto
coraggio e s'insinuava tra i deputati biascicando:--Con permesso, con
permesso... Un dispaccio per l'onorevole Varedo.

--Ah--disse questi scartando bruscamente i vicini e afferrando il
telegramma.

Un gran silenzio successe alle congratulazioni clamorose di prima.
Dalle tribune qualche signora sporgendosi con mezza la persona,
guardava curiosamente in giù.

Varedo lesse, impallidì, e con faccia stravolta si slanciò fuori
dell'aula seguito da San Giustino, da Zonnini e da altri intimi.

--Morta?--si arrischiò a chiedere San Giustino.

--No, ma è lo stesso... E prima di stasera non c'è una corsa... E
prima di domani alle 10.25 non posso essere a Torino... Fatemi la
grazia, consultate gli orari... Se ci fosse modo di anticipare... per
la via di Sarzana e Parma... che so io?... Ah perchè, perchè non mi
avete lasciato partire?

Zonnini ebbe un'impercettibile scrollatina di spalle.

Gl'indicatori ufficiali delle ferrovie, sfogliati in ogni senso, non
davano un responso favorevole. Ormai non c'era altra corsa da prendere
che quella delle 20.50.

I campanelli elettrici tintinnavano in tutte le sale di Montecitorio
chiamando a raccolta i deputati.

--Andate, andate--insisteva lo stesso Varedo.--La seduta ricomincia.
La Camera è impaziente, e forse si voterà oggi.

--Se c'è il voto, dobbiamo farti avvertire?

--No, il mio voto non conta... Il Ministro avrà contro di sè una
maggioranza enorme... E io passerò all'albergo per gli ulteriori
preparativi... Addio, addio... e grazie... Scusate, che ore sono?

--Quasi le cinque.

--È già tardi... Non ho tempo da perdere.

--Ci rivedremo a ogni modo alla stazione... Se si vota oggi ci sarà un
assalto ai treni.

--Mi raccomando--ripigliò Varedo.--che la stampa non dia notizie
inesatte... Pur troppo non ho illusioni, ma la catastrofe non è ancora
successa.

In fatti il telegramma, spiegato sul tavolino, diceva soltanto:

  _Le cose precipitano. Nessuna speranza. Non
  tardare di più._

                                VALERIA.

Continuava il disperato appello dei campanelli elettrici.

--Andate, andate.

Nell'uscir da Montecitorio dopo aver, dall'ufficio stesso del
Parlamento, spedito alcuni dispacci, Alberto Varedo non potè evitare
lo sciame infesto dei _reporters_, petulantemente ossequiosi e
curiosi.

--Onorevole, che successo!

--Onorevole, ci permetta di stringerle la mano.

--Onorevole, che fortuna sarebbe se alla Camera parlassero solo quelli
che parlano come lei!

--Onorevole, ed è vero ch'ella parte subito?

--Per la ragione già accennata dalla _Rupe Tarpea_?

--Dev'essere molto piccola la sua bimba.

--Ed è un pezzo ch'è ammalata?

--E che male ha?

Ah, dover rispondere a tutti questi indiscreti, dover almeno trovar
per tutti una parola garbata, non poter chiuder loro la bocca
quand'essi vogliono penetrare nel vostra santuario domestico, scrutare
i moti del vostro cuore, che supplizio, che umiliazione! E come
sbarazzarsene, Dio buono, se appartengono anch'essi alla razza

    _degl'imi che comandano ai potenti,_

e l'averli ostili significa spesso inimicarsi i giornali ch'essi
infiorano della loro prosa di studenti bocciati?



XXII.

Da Roma a Torino.


--La _Tribuna_ con la caduta del Ministero.

Questo grido caro al suo orecchio aveva accolto l'onorevole Varedo
nell'atto di montare in _fiacre_ per recarsi alla stazione, e lungo
tutta la via, in mezzo al brulichìo della folla, in mezzo al rumore
delle vetture e dei tram, da cento voci di ragazzi e d'adulti, egli
aveva sentito ripetere:

--La _Tribuna_ con la caduta del Ministero.

Anch'egli aveva comperato un numero del giornale e alla fioca luce del
crepuscolo vi aveva letto il resoconto della seduta, scorrendo
rapidamente il sunto abbastanza esatto del suo discorso, e
soffermandosi in particolar modo sugli incidenti successi poi:
l'impazienza febbrile della Camera; le poche, incisive, efficacissime
parole di San Giustino: le confuse dichiarazioni balbettate dal
Presidente del Consiglio, Crugnoli, le grida di _basta, basta, ai
voti_; la votazione nominale infine, che nonostante una cinquantina di
astensioni, aveva dato una maggioranza schiacciante contro il
Gabinetto, e l'esito della quale aveva provocato una salva d'applausi,
raddoppiati d'intensità quando Crugnoli annunziava ufficialmente la
crisi con le frasi di prammatica:--Il Ministero si riserva di prender
gli ordini di Sua Maestà.

Sotto la rubrica _Ultime notizie_, il giornale si scusava di non
poter, per l'ora tarda, diffondersi in ampi commenti, e si limitava a
constatare il successo trionfale dell'onorevole Varedo, il cui
discorso aveva superata l'aspettativa che pur era grandissima.--Le
sorti del Gabinetto erano già decise--soggiungeva la _Tribuna_,--ma è
certo che la poderosa requisitoria dell'onorevole deputato di... vinse
molte perplessità e rinforzò di parecchi voti l'opposizione.

Alcune righe più basso e proprio in fondo alla terza pagina, si
leggeva in caratteri cubitali:

«Secondo le informazioni che ci giungono al momento di andare in
macchina, i Ministri appena sciolta la seduta si sono recati al
Quirinale per rassegnare le loro dimissioni che non si dubita saranno
accettate da Sua Maestà. Tutto fa prevedere che la crisi sarà di breve
durata. Qualche amico intimo dell'onorevole Crugnoli afferma ch'egli
stesso indicherà al Sovrano l'onorevole di San Giustino come l'uomo
voluto dalle circostanze».

In Piazza di Termini l'onorevole Varedo ripiegò il foglio e lo ripose
in tasca. Omnibus d'albergo, tram, vetture di piazza e vetture private
convergevano da ogni parte verso la stazione che, ormai illuminata,
spiccava bianca sul fondo grigio del cielo crepuscolare. Nel Piazzale
dei Cinquecento numerosi capannelli discutevano intorno alla crisi;
qualche cittadino, che aveva comperato il giornale della sera ne
perlustrava le fitte colonne al chiarore d'una lampada elettrica; i
rivenditori seguitavano a urlare:--La _Tribuna_ con la caduta del
Ministero.

Quando Varedo scese di carrozza, più d'uno lo riconobbe e lo salutò.
Egli ricambiava macchinalmente i saluti, toccandosi la tesa del
cappello, ma non si fermò con nessuno ed entrò difilato in stazione.

Qui non potè sfuggire a una dozzina di colleghi che prendevano
anch'essi il suo treno, e gli toccò subire congratulazioni,
condoglianze, auguri, e rinunziare alla speranza di viaggiar solo. Ma
forse era meglio così. Meglio aver il capo intronato dalla politica
che fermarsi su quell'altro, orribile pensiero.

Sotto la tettoia lo raggiunse di San Giustino, e lo tirò in disparte.
Parlava piano, breve, concitato, nella sorda irritazione prodottagli
dai cent'occhi che gli erano piantati addosso.

--La crisi si risolverà presto. Anche il Presidente del Senato oltre a
quello della Camera suggerisce il mio nome. Credo che domani sarò
chiamato al Quirinale. In quarantott'ore presenterò la mia lista.
Terrò per me la Presidenza e gl'interni, e voi sarete il mio
sottosegretario di Stato.... Meritereste di più, meritereste un
portafoglio...

Questo, Varedo lo sapeva benissimo. Pure la coscienza della propria
forza gli permetteva d'attendere ed egli non aveva mai profferito una
parola che tradisse il suo intimo pensiero.

--Grazie--egli disse, interrompendo San Giustino;--ma in Italia si
diffida dei giovani e la mia età potrebb'essere una debolezza pel
Gabinetto.

San Giustino fece una spallucciata.

--Ciò importerebbe poco... Vi vedrebbero alla prova... Gli è piuttosto
che si son presi tanti impegni....

--Non vi confondete, caro amico. Il sottosegretariato agl'interni è
già un bellissimo posto.

--E contate d'esser presto di ritorno?--chiese San Giustino.

--Che impegni posso prendere con questa spada di Damocle che mi pende
sul capo? Vi telegraferò.

--Signori, in vettura.

Varedo salì in uno scompartimento ove c'erano già tre colleghi.

Gli sportelli si chiusero, ma prima del fischio della partenza arrivò
trafelato Zonnini il quale veniva a stringer la mano all'amico.

--Meno male che arrivo in tempo... Con quei benedetti tram non c'è
regola... E hai avuto altre notizie?

--Nessuna... Ne troverò a Pisa o alla Spezia...

--Speriamo bene.

Varedo tentennò la testa sfiduciato.

Dalla macchina all'ultimo vagone corse il grido: Pronti! Pronti!

Il treno si mosse.

--Ricordati di farmi spedir le bozze del discorso--gridò Varedo a
Zonnini cacciando il capo fuori del finestrino e salutando a destra e
a sinistra.

Nell'interno della vettura i tre colleghi almanaccavano sulla crisi e
sulla sua probabile soluzione.

--Ecco chi la sa lunga--disse uno di loro accennando a
Varedo.--Specialmente dopo la conferenza avuta or ora col _divo_.

--Io ne so quanto voi--rispose Alberto.

--Già, già, non vogliamo essere indiscreti.

L'onorevole Cataldo, ch'era il più anziano dei tre e aveva cinque
medaglie, cominciò a spifferar la sua lista. San Giustino, Presidenza
e interni, Rutigliano, esteri, Lentini, guerra, Bavardi, marina,
Pietrasanta, tesoro...

--Neanche per idea--interruppero gli altri. Erano d'accordo nel tener
per fermo che l'incarico sarebbe dato a San Giustino, ma circa alla
formazione del Ministero ognuno aveva la sua opinione.

--Se non fate parlare Varedo, è inutile--disse con la sua vocina di
musco l'onorevole Orsara ch'era seduto a uno degli angoli e succhiava
un pezzetto di cioccolata.

--Quando vi ripeto che non so niente...

Senza curarsi delle proteste, Cataldo seguitava la sua enumerazione.

Modica, finanze, Brusasco, grazia e giustizia, Sardi Gallese,
istruzione pubblica...

--Ma che? Non è adatto...

--Importa molto!--replicava Cataldo.--Un Ministero si fa come si può,
e nemmeno San Giustino farà miracoli. Del resto, caro Varedo, oggi noi
vi abbiamo aiutato a rovesciar Crugnoli che era ormai un Presidente
del Consiglio impossibile. Ma non ostante il vostro magnifico
discorso, non siamo così ingenui da credere che sorgerà un'era nuova.
Ne ho acquistata dell'esperienza in cinque legislature, e vi assicuro
io che _plus ça change plus c'est la même chose_. La Camera è quella
che è.

--La Camera si cambia--notò Varedo.

--La scioglierete, non c'è dubbio, e probabilmente di San Giustino
salendo al potere, avrà il suo bravo decreto in tasca.... Ma il paese
vi rimanderà su per giù gli stessi uomini...

Continuarono a discutere per un poco; poi l'onorevole Orsara fece una
proposta.

--Se cercassimo di dormire per qualche ora?

E si levò in piedi per abbassar la fiamma del gaz, ma, breve di
statura com'era, non ci arrivava.

--Son qua io--disse il suo vicino, l'onorevole Francioni, ch'era una
pertica.--Ma io mi guarderò bene dall'addormentami. Scendo a Grosseto.

--E noi scendiamo a Pisa--soggiunsero i due compagni.--Non c'è che
Varedo il quale faccia un viaggio lungo.

--Pur troppo. E che viaggio!

--Ma!--sospirarono i colleghi con quell'accento di simpatia discreta
che le persone educate hanno sempre a loro disposizione come la moneta
spicciola che si tiene nel taschino della sottoveste.

Il treno divorava lo spazio. Col berretto calato sulla fronte,
l'onorevole Orsara russava, Cataldo e Francioni sonnecchiavano a occhi
aperti.

Alberto Varedo era ben desto, e il suo sguardo fisso esprimeva
l'angoscia di chi non sa scacciare da sè una visione dolorosa. Quanto
più egli s'allontanava da Roma, e gli cresceva la solitudine intorno,
e si smorzava l'eco degli applausi che gli avevano, poche ore
addietro, dolcemente accarezzato l'orecchio, tanto più egli sentiva la
terribilità della tragedia domestica che lo aspettava. No, egli non
l'avrebbe trovata viva, la piccola Bebè, egli non avrebbe udito la sua
vocina esile, non avrebbe visto le sue manine bianche, sottili, quasi
trasparenti, scorrer volubili sui balocchi sparsi ai suoi piedi...

E anche un altro pensiero lo crucciava, lo sgomentava. In qual modo lo
avrebbe accolto sua moglie? Gli avrebbe perdonato il suo ritardo?
Avrebbe ascoltato pazientemente le sue ragioni? Perchè nessuno degli
ultimi dispacci era firmato da lei? Perchè non aveva ella almeno fatto
rispondere alle parole di conforto, d'affetto che egli le aveva
mandate sulle ali del telegrafo?

Dio, Dio, com'ella s'era, a grado a grado, appartata da lui! E pure
ella lo aveva sposato per amore, e pure c'era stato in principio un
pieno consenso delle loro anime, ed ella pareva appassionarsi pe' suoi
studi, per la sua gloria, pel suo avvenire! Che barriera s'era levata
fra loro.

E Varedo ricordava che la freddezza di Diana aveva cominciato sin da
quando ell'era rimasta incinta di Bebè. La maternità che suole
ravvicinar le donne al marito aveva prodotto su lei un effetto
contrario. Certo ella lo accusava di non aver prodigato sufficienti
tesori di tenerezza alla bimba, di non averle dedicato una parte
maggiore del suo tempo e delle sue cure. Ma non era un'accusa
ingiusta? Possono gli uomini dimenticar ciò che devono alla scienza,
alla patria, alla società? E Diana pretendeva questo, ella che era
intelligente e colta, ella che nel primo anno di matrimonio lo
stimolava alle grandi cose?

In vero una fatalità pesava sulla loro unione, un complesso di
circostanze cospirava a dividerli, a renderli pressocchè estranei
l'uno all'altra. Ma non mai come ora questa fatalità li aveva
perseguitati. L'aggravarsi repentino di Bebè proprio nei giorni in cui
motivi imperiosi lo tenevano assente sembrava l'opera d'un cattivo
genio che provasse la voluttà crudele di nuocere.

Il treno correva, correva nella notte profonda; tutta la vettura
oscillava, scricchiolava, tremava. Alla fioca luce che pioveva
dall'alto, Varedo vedeva i suoi compagni dormire, diversamente
atteggiati: Orsara, rannicchiato in un angolo, coi pugni serrati sotto
il mento; Cataldo con la cravatta sciolta, le braccia ciondoloni, la
testa dondolante, la bocca aperta; Francioni rigido come una sbarra,
con le lunghe gambe distese fin sotto il sedile dirimpetto. Nei
cristalli dei finestrini, chiusi, nonostante il caldo, per paura della
malaria, si riflettevano con linee indecise le immagini del di dentro:
la lampada, le pareti, i divani, le valigie nella reticella, le
persone dormienti... e, insieme col resto, una faccia pallida,
ansiosa.... Di tratto in tratto, con la rapidità di uno strale,
fischiando e rumoreggiando, guizzava, diretto in senso opposto, un
altro convoglio; di tratto in tratto, nel passare senz'arrestarsi
davanti a una stazione secondaria, veniva dall'esterno un chiarore
improvviso, sorgeva, spariva un fabbricato, una tettoia, una pompa,
una grù, una fila di vagoni immobili; poi le tenebre si addensavano
più fitte e più nere.

--Oh... oh... oh...--fece a un certo momento Francioni, agitando le
lunghe braccia a guisa di due assi di un telegrafo ottico.--Ho
dormito?... Ove saremo?... Che ore sono?

Si alzò che, quasi toccava con la testa il cielo della carrozza, e
guardò l'orologio.

--Per bacco! Siamo proprio vicini a Grosseto... Se non mi svegliavo da
me...

--Vi avrei svegliato io; non dubitate--disse Varedo.

--Oh grazie, Varedo... Credevo che dormiste anche voi... Questi qui
sono due ghiri.

In fatti Orsara e Cataldo non si mossero nemmeno quando a Grosseto
Francioni fece aprir lo sportello e discese salutando Alberto Varedo.

--Coraggio... Chi sa ancora... Suppongo che ci rivedremo presto a
Roma, perchè il nuovo Ministero... il vostro Ministero... dovrà
presentarsi alla Camera a far votare l'esercizio provvisorio... Addio,
addio...

E la magra figura donchisciottesca scomparve nell'ombra.

Il convoglio ripigliò la sua corsa sfrenata. Ormai esso non si sarebbe
fermato che a Pisa, e a Pisa Varedo avrebbe trovato indubbiamente un
telegramma da Torino. Oimè, che altro poteva dirgli quel telegramma se
non ch'egli sarebbe giunto troppo tardi per veder viva Bebè?

L'atmosfera era soffocante. Benchè si fosse ancora in piena Maremma,
l'onorevole abbassò i vetri del suo finestrino, mise fuori la testa,
guardò il cielo stellato, sentì, o credette sentire, la voce del mare,
sentì il mormorio dei cipressi carezzati dal vento; indi richiuse di
nuovo la finestra, e stette raccolto nel suo cantuccio cercando di
rievocare il suo trionfo di ieri, le congratulazioni, gli applausi,
rimuginando le parole dettegli quella sera stessa da San Giustino:
_Meritereste un portafoglio_.--Sì certo, presto egli se lo sarebbe
conquistato un portafoglio, e allora sarebbe divenuto arbitro del
Parlamento, iniziatore felice di radicali riforme che avrebbero mutato
faccia all'Italia!... Ah come impallidivano al paragone le gioie, i
dolori privati, com'erano vani i giudizi che poteva pronunziare sul
conto suo una donnicciuola inetta ormai ad abbracciare un orizzonte
più largo di quello delle pareti domestiche!

Ma ai voli superbi della fantasia succedevano le precipitose cadute.
Sarebb'egli stato pari alle circostanze ed alla fortuna? Possedeva
egli veramente le grandi qualità che le magnanime imprese richiedono:
il colpo d'occhio sicuro, il volere tenace, il dominio assoluto di sè,
la prontezza nel decidere e nell'eseguire, il coraggio di affrontare
le responsabilità ed i pericoli, lo sdegno della facile popolarità? E
se falliva alla prova? Se incappava nei lacci che gli avrebbero teso
gli avversari e gli amici malfidi, invidiosi della sua troppo rapida
esaltazione? Se di lì a qualche mese si fosse parlato di lui come
d'una delle tante meteore apparse sul nostro firmamento politico e
dileguate senza lasciar traccia? Vinto sui campi dell'azione, avrebbe
egli potuto trovar la calma, la serenità necessarie a chi coltiva gli
studi? Avrebbe potuto riprendere con buon successo la sua opera
interrotta? O le antipatie accumulate sul suo capo mentr'egli era al
Governo non avrebbero continuato a sfogarsi contro l'uomo di scienza?

Così, in quella insolita depressione di spirito, tutto il suo bel
sogno di gloria si scioglieva in fumo, e nella sua visione interiore
si riaffacciava la scena funebre: una bambina moribonda o morta, una
madre disperata. E quella bambina era Bebè, e quella madre era Diana!

Uno dopo l'altro, automaticamente, mentre il treno s'avvicinava a
Pisa, si svegliarono Orsara e Cataldo.

--Oh bella!--disse Orsara spalancando la bocca a un enorme
sbadiglio.--Siamo in tre soli?

--Naturale--soggiunse Cataldo....--Francioni è disceso a Grosseto.

--E non ce ne siamo accorti?

--Sfido io... Quando si dorme... Voi, Varedo, non dormite in ferrovia?

--Questa notte non dormirei in nessun posto...

--Ah, è vero.... Scusate...

Cataldo tirò giù dalla reticella le valigie sue e quelle del compagno,
infilò un leggero soprabito e aperse i finestrini.

--Auff, si respira...

Un lungo fischio echeggiò nell'aria.

Orsara, ancora sonnolento, si scosse tutto come un cane bagnato.--Ci
siamo.

Varedo scattò in piedi.

--Aspettate qualcheduno qui?--domandò Cataldo.

--Un dispaccio aspetto, o qui, o alla Spezia.

Ma a Pisa non c'era niente, e Alberto, ormai solo in vettura, dovette
rassegnarsi a un'altra ora e mezza d'attesa. Dalla stazione aveva
telegrafato egli stesso a Torino, lagnandosi delle ritardate notizie,
confermando il suo prossimo arrivo.

Spuntava l'alba; la tinta grigia della campagna si staccava dalla
tinta grigia del cielo; indi le cose andavano via via prendendo forma
e colore; un colore prima scialbo, poi più chiaro e più vivo. Tenui
vapori lambivano la superficie del mare che, or sì or no, appariva
all'occhio tra le piante e i caseggiati della costa tirrena.

Ed ecco Viareggio la cui spiaggia salubre avrebbe fra qualche ora
brulicato di vita, e Pietrasanta, e Serravezza, e Massa, e Sarzana,
biancheggianti di marmi che nel silenzio dei crepuscoli mattutini
davano ai luoghi l'aspetto di cimiteri.

E a guardia del suo golfo ecco Spezia, bella e gagliarda, che sorride
dalle sue verdi colline e minaccia dai suoi arsenali e dalle sue
rocche munite.

Prima che il treno si fermasse, Alberto Varedo, sporgendosi fuori con
mezza la persona, cercava di girar la maniglia dello sportello.

Un signore che già da un pezzo passeggiava sotto la tettoia si
precipitò verso di lui.

--Alberto! Alberto!

Più che la fisonomia, Varedo riconobbe la voce. Era l'ingegnere
Gustavo Aldini.

Non si vedevano da tre anni, e non s'erano lasciati amici. Ma le nuove
sventure scancellavano gli antichi rancori.

--Morta?--disse Alberto indovinando il significato di quell'incontro.

L'ingegnere l'abbracciò, salì con lui nello scompartimento.--Coraggio!

E facendo scivolare un biglietto da dieci lire nella mano del
conduttore che rinchiudeva lo sportello, accompagnò l'atto eloquente
con una raccomandazione sussurrata a bassa voce:--Procurate di
lasciarci soli.

--Morta?--ripetè Varedo.--Quando?

--Iersera... Dopo le sette e mezzo... Era tardi per telegrafarti a
Roma... Si poteva, lo so, telegrafar lungo la via... Ma per dar questa
notizia era meglio che venisse qualcheduno... E son corso alla
stazione appena in tempo di prendere il diretto delle 8.15... A Pisa
non era possibile d'arrivare.... A Spezia ero già da due ore...

Alberto chinò la fronte.

--Dev'esser stato un peggioramento improvviso--egli disse dopo una
breve pausa.--Quando son partito io da Torino, il medico mi aveva
assicurato che non c'erano pericoli.... Pregai la mamma d'affrettarsi,
unicamente perchè tenesse compagnia a Diana.

--A noi--soggiunse lo zio Gustavo--fece subito un'impressione
penosissima. Io non l'avevo vista, fuori che in fotografia, ma mia
sorella se la ricordava florida, vispa, sana, l'anno scorso a
Belgirate.

--Era un bocciolo di rosa--gemette Varedo.--Sino a pochi mesi fa...
sino al momento in cui s'ammalò a Roma. E pure io speravo sempre... A
quell'età... E nemmeno le ultime lettere di Diana, nemmeno le lettere
della mamma lasciavan preveder quel ch'è successo.

--Le donne s'illudevano... E poi le cose potevano tirare in lungo...
Per me la bimba era condannata, ma io non mi sarei certo maravigliato
se fosse vissuta ancora alcuni mesi.

--E Giraldi--seguitò il professore--come mai Giraldi non s'accorgeva
della crisi imminente?

--Ah, se i medici fossero onniscienti!... Del resto, se n'è accorto
l'altro giorno... E fu per suo consiglio che Diana ti mandò quel
dispaccio....

--Ero legato--esclamò Alberto Varedo volendo scusarsi.--Legato con le
mani e coi piedi... Non potevo partire.

--È stata una fatalità!--disse l'ingegnere Aldini con un'intonazione
che cresceva gravità alle parole.

--Chi lo nega?--replicò il deputato con veemenza.--Ma non potevo... Si
trattava della mia riputazione, del mio avvenire...

--Ieri ci fu un consulto con Mazzioli--riprese lo zio per evitare una
discussione intempestiva.

--Tardi, tardi...

--In qualunque momento sarebbe stato lo stesso... Mazzioli approvò
interamente la cura seguita dal collega.

Varedo si strinse nelle spalle.--È sempre così.

Poi chiese, esitante:--Soffriva molto?

--No--rispose l'ingegnere.--S'è spenta.

--Non conosceva più nessuno?

--Fino a iermattina la sua mamma... Più tardi nemmeno quella.

Alberto si passò il fazzoletto sugli occhi.

--E Diana--egli replicò.--in che stato è?

--Puoi figurarti.

E adesso quelle due donne son sole in casa... sole con la cameriera e
con l'Irene?

--No... C'è il portinaio, e c'è Eugenio Bardelli che ha voluto restare
a ogni costo!

Varedo tentennò il capo.--Povero Bardelli!... Anche lui ha avuto una
gran disgrazia in famiglia...

--Tutti ne hanno delle disgrazie--mormorò Aldini con voce sorda.

L'altro si risovvenne.--Tu pure. È vero.

Tacquero per qualche minuto. Un'ombra s'era levata fra loro; l'ombra
della donna leggiadra che Varedo aveva insultata e di cui Aldini
portava il lutto sul volto e nel cuore.

E poco più si dissero fino a Genova, mentre, ansando e sbuffando, il
convoglio passava di tunnel in tunnel. Seduti dirimpetto, immersi nei
loro pensieri, i due viaggiatori appena alzavano la testa quando
nell'intervallo di due gallerie il sole irrompeva nella vettura e si
svolgeva dinanzi a loro il panorama incantevole della riviera ligure:
il mare azzurro, scintillante; gli scogli neri, dalle forme
fantastiche, investiti, schiaffeggiati dall'onda; i borghi industri,
popolosi schierati lungo la spiaggia o inerpicati sui monti; le ville,
i giardini ove difese dai venti crescevano le palme e fiorivano i
cedri.

Entrando nella stazione di Porta Principe, Varedo tirò bruscamente le
tendine.

--Se si potesse non esser disturbati...

--Mi sono raccomandato al conduttore... Speriamo...

Non partiva molta gente e non occorse disturbarli. Passando davanti al
compartimento chiuso, qualcuno sussurrò:--Ci dev'essere un malato.

I rivenditori di giornali correvano lungo il treno offrendo i fogli
del mattino con la caduta del Ministero. Un ragazzo più loquace degli
altri gridava tutta una filastrocca:--_La Gazzetta del Popolo appena
arrivata con gli ultimi telegrammi da Roma. La seduta di ieri. Il gran
discorso dell'onorevole Varedo. Centoquindici voti di maggioranza
contro il Gabinetto. Notizie recentissime della crisi._

--Dunque--disse Aldini,--hai fatto un gran discorso ieri?

--Ho parlato, sì... Dovevo parlare.

--E abbiamo la crisi?

--Quella ci sarebbe stata in ogni caso.

--Il Re chiamerà San Giustino?

--Non c'è dubbio... È l'uomo della situazione.

--Tu avrai un sottosegretariato?

--Certo che se San Giustino è ministro, io avrò un ufficio nel
Governo--rispose Varedo.

--Dovrai stabilirti a Roma.

--Appunto... Sarà meglio anche per Diana... Tanto meglio quanto più
presto.

L'ingegnere non rispose.

Successe un lungo, lungo silenzio. Tutti e due, di mano in mano che si
appressavano alla meta, si sentivano invasi da una tristezza più cupa
e profonda.

Alla stazione d'Asti un giornalaio dalla voce stridula e fosca
ricantava l'antifona:--_La Gazzetta del Popolo con la caduta del
Ministero. Il discorso dell'onorevole Varedo._

--Dio, che noia!--borbottò Alberto.

Aldini si sforzò di sorridere.--Sono gl'inconvenienti della gloria.

In quell'ultima ora di viaggio, Varedo fu singolarmente nervoso. Ogni
momento si alzava in piedi, mutava posto. A un tratto, si piantò
davanti allo zio Gustavo e lo interrogò a bruciapelo.

--Credi che Diana avrà difficoltà a venir subito a Roma?

--Senti--disse lo zio uscendo dal suo riserbo,--s'io avessi a darti un
consiglio, ti suggerirei di non prender Diana di fronte, di non
opporti oggi a ciò ch'ella desidera.

--E che cosa desidera?--chiese il professore turbandosi in volto.

--Vuol andare a Venezia con la sua mamma.

--Vuol fuggire da me... Le sono diventato odioso... È inutile che tu
cerchi d'indorar la pillola... Odioso, è la parola... E quanto tempo
vuol rimanere a Venezia?... Un mese?... Due mesi?

--Fidati di noi, Alberto; noi eserciteremo tutta la nostra influenza
perchè vi resti il meno possibile... Ora è meglio non toccar questo
tasto.

--Ah, capisco--proruppe Varedo.--Diana vorrebbe una divisione
amichevole... Ma se presume di avere il mio assenso, s'inganna... Io
le proibirò di partire... Io le imporrò di seguirmi...

Aldini non ismarrì la sua calma.--Tu hai la legge per te... hai la
forza... Considera se ti giova d'usarne.

--Diana affronterebbe uno scandalo?

--Chi lo sa?... Tu la conosci... Quando ha preso un dirizzone...

--Ma insomma--ripigliò Alberto mettendo nel suo discorso quanto più
calore persuasivo poteva,--di che colpe m'accusa?... Come
giustificherebbe dinanzi all'opinione pubblica la sua rivolta?... Sono
un marito che la maltratta, che la tradisce, che la disonora?... Via,
modestia a parte, novantanove donne su cento invidierebbero la sua
sorte, sarebbero orgogliose di portare il mio nome... Se, tre
settimane or sono, non potei, cedendo alle sue preghiere, restare a
Torino, se non potei ieri esserle accanto in un momento supremo della
sua vita, o che le paion queste ragioni bastevoli per distruggere una
famiglia?... Avrebb'ella il coraggio di sostenere ch'io fossi assente
per motivi frivoli?... E la sventura che la colpì non colpisce me
pure?... Come mai?... Il dolore che ravvicina sovente due coniugi fra
cui le reciproche offese avevano scavato un abisso sarà causa di
separazione per noi che non abbiamo nulla di grave a rimproverarci?

Nella naturale rettitudine del suo spirito, Gustavo Aldini era
costretto a riconoscere che c'era molto di vero nelle argomentazioni
di Varedo. Ma, data l'indole di sua nipote, egli si spiegava altresì
la risoluzione manifestata da Diana al letto della bimba
agonizzante:--Mi porterete subito a Venezia con voi... L'uomo che per
non rinunziare a un trionfo oratorio dimentica i suoi doveri di marito
e di padre ha spezzato ogni legame domestico.

Comunque sia, non erano propizi a una discussione nè il luogo, nè il
tempo, e l'ingegnere si limitò a dire:--Diana oggi non può essere
equanime... Bisogna compatirla.



XXIII.

Dinanzi alla piccola morta.


Alla stazione (perchè si sapeva che Varedo sarebbe giunto con quella
corsa) c'erano due o tre colleghi d'Università, un assessore del
Municipio un segretario di Prefettura, incaricato di porger le
condoglianze e di offrire i servigi del signor commendatore Prefetto,
il quale, poveruomo, nell'interregno di due Ministeri, voleva
accattivarsi l'animo dei nuovi padroni senza provocar troppo
apertamente la collera dei vecchi, capacissimi di colpire, _in
articulo mortis_, un onesto funzionario, e ricorreva perciò al
peregrino espediente di essere indisposto.

È inutile avvertire che c'erano pure alcuni _reporters_ di giornali
cittadini, occupati a notar nel loro taccuino i nomi dei presenti e i
gesti e l'attitudine dell'onorevole.

I personaggi ufficiali e gli amici, con l'aria contrita voluta dalle
circostanze, accompagnarono Alberto Varedo fino alla carrozza, non
senza mescere all'espressioni del proprio cordoglio qualche discreta
allusione alla memorabile giornata di ieri.

--Il suo nome è su tutte le bocche--disse l'assessore municipale.

E il segretario di prefettura, che non era ancora cavaliere, arrischiò
una frase più elaborata:--Ella ha dato ieri un grande esempio di virtù
civica.

Distribuite le necessarie strette di mano, Varedo salì in _fiacre_ con
lo zio Gustavo e fino a casa non aprì bocca.

Nell'andito gli venne incontro singhiozzante, la suocera.

--Oh Alberto, Alberto, che disgrazia!

E soggiunse, accompagnandolo attraverso le stanze impregnate d'un
acuto profumo di ginepro:--Se tu fossi arrivato almeno iersera!

--Era impossibile--egli balbettò.--E poi sarebbe stato lo stesso...
Nemmeno iersera sarei arrivato in tempo...

--Per la bimba no... Ma per Diana...

--Diana?... Che cosa l'è successo?... dov'è?--chiese Varedo, turbato
da questa frase sibillina.

--Sempre di là... Sempre... Son tre giorni che non si spoglia...

La signora Valeria s'interruppe per voltarsi verso un ometto tutto
vestito di nero che s'era levato in sussulto da un divano ove sedeva
mezzo assopito.

--Vada, Bardelli, vada a riposarsi per qualche ora... Oh Alberto, che
Provvidenza è stato Bardelli per noi! Come ha dimenticato le sue pene
per venire a divider le nostre!

Varedo, che sulle prime non aveva riconosciuto il suo antico
assistente, gli tese la mano:--Grazie, Bardelli... E perdoni se non le
ho mandato una riga di condoglianza quando mi è giunta la notizia...

--Oh professore--biascicò Bardelli. Ma le lacrime gli fecero un nodo
alla gola e non potè dir altro.

La signora Valeria precedette suo genero nella camera mortuaria.

Curva sul letticciuolo della piccola estinta che ell'aveva, insieme
all'Irene, finito appena di lavare e di pettinare, Diana trasalì
leggermente e senza moversi di dov'era alzò lenta lenta il pallido
viso.

Non però fece un gesto, non disse una parola per respingere il marito
che le si avvicinava. Si sentì egli, prima di toccarla, respinto da
una forza misteriosa; sentì egli al cuore e ai polmoni la stretta
violenta di chi entra improvviso in una atmosfera di gelo. Le sue
braccia che stavano per aprirsi ricaddero inerti, le sue labbra
s'ammutolirono. E fermandosi alla sponda opposta del letto, egli si
chinò a deporre un bacio sulla fronte di Bebè.

Allora, dalla bocca di Diana, uscì un'esclamazione crudele:--Tardi!

--Oh Diana--egli disse, guardandola con aria di rimprovero.--Non esser
spietata.

Ella non rispose, ma sostenne lo sguardo che fra dolente e imperioso
si fissava su lei. Nell'atteggiamento del suo volto non era nè sfida
nè collera; era una tristezza accasciata che pareva significare: A che
prò tormentarci? Quello che si è spezzato fra noi non si accomoda più.

--Diana--egli replicò.--È vero che vuoi andar via con tua madre?

--È vero.

--E se invece io volessi... se ti pregassi di seguirmi a Roma?

--No, no.

--E perchè?... Ho il diritto di chiederlo... e di saperlo.

A questa specie d'intimazione un fuggitivo rossore accese le guance
sparute di Diana, un lampo passò ne' suoi occhi.

Pur si contenne, e additò in silenzio il corpicino di Bebè steso fra
loro.

--È giusto--assentì Varedo.--Non ora, non qui... Più tardi.

Stettero ancora qualche minuto uno di fronte all'altro, divisi dal
letticciuolo ove giaceva la creaturina innocente che, viva, li aveva
disgiunti, che, morta non valeva a riunirli.

La signora Valeria passò il braccio sotto quello di suo genero, e lo
ricondusse fuori dalla camera.

--Avrai bisogno di un caffè, di una tazza di brodo... Ho fatto
preparare nel tuo studio... C'è anche il letto pronto...

E continuò supplichevole:--Permettile di venire a Venezia... Oggi non
potrebbe nè restar qui sola, nè andare a Roma che risveglia in lei
così tristi memorie... Te la riporteremo noi... spero te la
riporteremo guarita.

--Ma io non intendo ch'ella disponga di sè come se io non ci
fossi--ribattè Varedo.--Non intendo che mi tratti come un malfattore.

--Devi perdonare all'eccitazione de' suoi nervi--disse la signora
Valeria.--Ah se aveste ieri sera confuse le vostre lacrime!... Non ne
avrai colpa... non ti giudico... Ma il Signore ha voluto aggravar
doppiamente la mano sopra di noi... Mi concedesse egli almeno di
riuscire a far sì che vi lasciaste in buona armonia!

Sulla scrivania dello studio Alberto trovò un mucchio di biglietti da
visita, di lettere, di fogli, di telegrammi arrivati per lui quella
mattina. E mentr'egli prendeva in fretta una cucchiaiata di brodo e
beveva un sorso di vino, altri biglietti, altre lettere, altri fogli,
altri telegrammi arrivavano via via senza posa. E capitavano pure
ambasciate e richieste di colloqui.--A che ora potrebbe l'onorevole
ricevere?

--Non rispettano neanche questo giorno!--esclamò, scandalizzata, la
signora Valeria.

--Lo vede, mamma, se noi uomini pubblici siamo padroni del nostro
tempo.

--Dà la consegna di non lasciar passare nessuno--insistè la suocera.

--Nessuno, è difficile... A ogni modo, non riceverò anima viva prima
delle tre... a eccezione di Bardelli... che mi aiuterà a sbrigar tante
cose... Non c'è di là, Bardelli?

--Non c'è, ma tornerà prestissimo, non dubitarne.

--Perchè pur troppo ci sono tristi necessità che non patiscono
indugio.

--Di quelle si occuperà Gustavo... Ha detto che può servirsi d'un paio
d'impiegati della sua Compagnia di Sicurtà.

--Grazie... In questo caso...

Varedo prese un foglietto di carta e tracciò in fretta due righe di
partecipazione.

--Basterà inserirle in tutti i giornali cittadini... le partecipazioni
private sono inutili... Ce vorrebbero troppe e si commetterebbero
infinite dimenticanze... Aggiungerete l'ora... È fissata?

--Le nove di domattina--rispose la signora Valeria. E non potè frenare
uno scoppio di pianto.

--Coraggio!--sospirò Alberto.

E nel riaccompagnarla fino alla soglia disse:--Fate tutto voi...
Disponete voi... decorosamente... Circa a Bardelli, siamo intesi...
Appena viene, mandatemelo.

--E non vuoi riposare?

--Mi butterò vestito sul letto per una mezz'ora.

Di lì a mezz'ora, l'onorevole era in piedi.

Camminando su e giù per la stanza, apriva i giornali, le lettere, i
dispacci, gettava nel cestino, o sulle sedie, o per terra le carte
inconcludenti; poi, seguitando a camminare, dettava un telegramma, un
biglietto a Eugenio Bardelli, che, seduto al tavolino con la penna in
mano, aspettava gli ordini. La vita lo aveva ripreso ne' suoi
ingranaggi, le superbe promesse dell'avvenire lo distraevano dalle
tristezze presenti. Era lui che, di tratto in tratto, diceva una
parola di conforto all'altro.

--Si faccia animo... Sia un uomo... Scriva, scriva. Non c'è quanto il
lavoro per stordirsi.

Docilmente, Bardelli s'asciugava le lacrime con la manica del vestito
e si rimetteva all'opera.

E Varedo pensava che mai avrebbe trovato un segretario così fedele,
così devoto, d'una devozione e d'una fedeltà che resistevano a tutte
le prove e a tutti i disinganni. Anche lo pungeva il rimorso di non
aver fatto per Eugenio Bardelli quello che avrebbe dovuto fare. Non
gli aveva conservato il posto d'assistente, non lo aveva appoggiato
nei suoi concorsi universitari, non aveva seguito con l'interesse che
tanti professori mostrano verso i loro antichi studenti lo svolgersi
della sua attività scientifica.

Fu dunque, almeno in parte, l'onesto desiderio di riparare ai propri
torti che gli suggerì la domanda:--Bardelli, accetterebbe ella un
impiego a Roma?

Colto di sorpresa, il giovine alzò gli occhi mezzo trasognato.

Varedo proseguì, a modo di spiegazione:--Andando al Governo... parlo
nell'ipotesi che la crisi si risolva secondo le previsioni generali...
andando al Governo, avrei la facoltà di chiamar presso di me qualche
persona di mia fiducia... Lei potrebbe essere, che so io, il mio
segretario particolare... Ciò non pregiudicherebbe le sue aspirazioni
all'insegnamento superiore... Ma quei benedetti concorsi son così rari
e ci son sempre tanti aspiranti... Neppur la cattedra di Palermo sarà
facile averla...

Bardelli lo sapeva già che a Palermo gli si preparava un nuovo fiasco
e che probabilmente quel fiasco non sarebbe stato l'ultimo; lo sapeva
che le sue condizioni economiche non eran tali da permettergli di
restar lungo tempo disoccupato; e nondimeno sentiva che l'offerta del
professore non era oggi accettabile... Ah, con che cuore l'avrebbe
accettata quattro o cinque mesi addietro! Seguitar a vivere
nell'intimità della famiglia Varedo, veder ogni giorno Diana, veder
ogni giorno Bebè, non era stato questo il suo sogno?... Ora la
famiglia era disciolta; Bebè era morta, Diana non avrebbe accompagnato
il marito a Roma... E se pur si fosse indotta più tardi a
raggiungerlo, avrebbe ella gradito la presenza assidua di un uomo che
aveva osato farle una dichiarazione d'amore? Ed egli stesso, Bardelli,
era sicuro appieno di sè, sicuro di non esser ripreso dalla sua
follia?

Mentr'egli studiava una risposta, Alberto lo levò momentaneamente
d'impaccio dicendogli:--Non importa che si decida subito... Rifletta
fino a domani... Già, per oggi, non c'è nulla di positivo.

E in fatti non c'era ancora la notizia che San Giustino fosse stato
invitato al Quirinale.

Alle tre cominciarono le visite. Venne il Rettore dell'Università,
vennero alcuni professori, e il Sindaco che non s'era potuto recare la
mattina alla stazione, e il Presidente del Consiglio provinciale, e i
direttori di due fogli cittadini, e altri ch'erano o desideravano di
esser creduti in dimestichezza con un uomo vicino ad afferrar il
potere.

Parlavano poco della disgrazia, e molto della crisi, molto del
discorso di Varedo che faceva le spese di tutti quanti i giornali. E
giù elogi, auguri, pronostici di grandezza e di gloria.

Ma Varedo rifiutava gli elogi, gli auguri, i pronostici. Il ricordo di
quel discorso sarebbe stato per lui un cruccio eterno. Già egli
nemmeno si rendeva conto del come gli fosse riuscito trovar frasi
appropriate, aggruppar gli argomenti in ordine logico avendo sempre il
pensiero rivolto a casa sua... Certo era che per cagione di quel
discorso egli aveva ritardato la sua partenza da Roma e giunto a
Torino non aveva abbracciato che un cadavere... Ah, se i successi
oratorî si pagano a sì caro prezzo!

Gli amici lo commiseravano, lo confortavano, e il collega Sali, della
facoltà di lettere, citava vari esempi di personaggi storici trovatisi
come Varedo nella necessità di sacrificare i loro interessi
particolari e le loro affezioni più sacre a qualche supremo dovere
pubblico.

Alberto tentennava la testa.--È la scusa di noi altri uomini... Non
c'è dubbio poi che in parecchi casi le esigenze della vita esteriore
ci distolgono dal ruminar troppo i nostri dolori privati. Le povere
donne non hanno questa valvola di sicurezza.

Indi tutti gareggiavano in sollecitudine nell'informarsi di Diana. Il
Sindaco, il Rettore, il professore Sali dissero che le loro consorti
sarebbero venute volentieri a visitarla, ma avevano inteso ch'ella non
riceveva.

L'onorevole la scusò.--Non è in grado di veder nessuno... È
affranta...

E soggiunse:--La mando per alcune settimane a Venezia con la sua
mamma... Qui rischierebbe di rimaner sola, perchè io non sono sicuro
di non esser chiamato a Roma...

Qualcheduno interruppe:--O piuttosto siete sicuro che vi chiameranno.

--L'avvenire è sulle ginocchia degli Dei--replicò Varedo con
circospezione.--Ma non importa. Io volevo dire che se mi trasferissi a
Roma non mi fiderei di condurvi tosto mia moglie, indebolita com'è,
fissa nell'idea che a Roma appunto la nostra figliuola abbia preso il
germe della malattia che l'uccise. Ci verrà più tardi, quando si sarà
ritemprata e rinfrancata.

Da savio politico che fa apparir quali concessioni spontanee le
necessità a cui gli tocca piegarsi, Alberto Varedo si premuniva così
contro le interpretazioni sfavorevoli che altri avrebbe potuto dare al
viaggio di Diana. Egli aveva meditato sulle parole dettegli dallo zio
Gustavo in strada ferrata. «Tu hai la legge per te. Hai la forza. Vedi
se ti conviene d'usarne».

Come esitar nella risposta? Come non capire che uno scandalo
famigliare, in quei giorni, con le ire e le invidie destate dalla
subitanea fortuna avrebbe avuto conseguenze incalcolabili? Una cosa
ormai sarebbe bastata a Varedo: che Diana smettesse verso di lui
quella sua aria di giustiziera, che riconoscendone l'autorità
spogliasse i suoi atti d'ogni carattere di ribellione.

Ma mentr'egli col suo linguaggio calmo e misurato lasciava nell'animo
degli ascoltatori l'impressione di un marito pieno di mansuetudine e
di riguardi verso la moglie, e con tutto il suo contegno infondeva nei
presenti il mite benessere ch'è proprio di chi, recatosi a fare una
visita di condoglianza, si trova al cospetto di persone bell'e
rassegnate, Diana implorava da sua madre e da suo zio la grazia di
risparmiarle un colloquio con Alberto.

--Date retta a me--ella diceva--consigliatelo di non insistere.
Correrebbero tra noi le parole irreparabili che tolgono perfino la
remota possibilità d'un ravvicinamento... E credete pure ch'io non
m'illudo... Anche nell'infinita miseria di questi momenti ho la mia
testa lucida... Non mi illudo... Il mondo mi chiamerà un'esaltata, una
visionaria, una pazza... Io dovrei gloriarmi d'esser la signora
Varedo... Che mi manca? Di che mi lagno?... O, piuttosto, quante
ragioni non ho di essere invidiata?... L'uomo di cui porto il nome non
è già illustre nella scienza e nella politica? Non passa di trionfo in
trionfo? Non sarà domani sottosegretario di Stato e forse tra qualche
mese Ministro?... E, ciò che più vale, non è onesto in mezzo a tanti
corrotti, semplice nella vita, austero nei costumi, alieno da quelle
galanterie che pur si considerano peccatucci veniali?... Sì tutto
questo è vero; ma il mondo non sa che mio marito mi ha a poco a poco
disseccato il cuore... Ero timida, schiva, ritrosa, ma ero anche
assetata di affetto... Egli non ha inteso il grido che dal fondo della
mia anima si levava verso di lui... Finchè ha potuto avermi docile
strumento nelle sue mani, pronta a sopprimer me stessa per
compiacerlo, gli fui, o gli parvi, cara... senza entusiasmo però,
senza espansione, senza tenerezza... Non ubbidivo io, servendolo, a
quella legge del dovere ch'egli predicava con fervore d'apostolo?...
Ma quando un nuovo dovere è sorto per me e per lui, un dovere che
poteva sprigionar la scintilla onde le nostre intime fibre avrebbero
finalmente vibrato all'unisono, allora egli mi ha gettato in un canto
come un abito frusto... Ha gettato in un canto me, e la mia, la _sua_,
bambina... Mai non le ha voluto bene, mai non s'è occupato di lei...
Sana, ella lo infastidiva con la sua vivacità; malata, coi suoi
lamenti... Non le ha sacrificato un giorno, un'ora, un minuto... Poche
settimane fa, io che prevedevo, l'ho scongiurato di non partire, di
non lasciarci sole.

--Appunto perchè non restaste sole ha scritto a me di anticipare la
mia venuta--notò, indulgente, la signora Valeria.

Diana ebbe un gesto d'impazienza.

--Oh la bella cosa di scaricarsi dei propri pesi sulle spalle degli
altri... specialmente per chi si atteggia a moralista!... E che conto
ha fatto delle mie lettere... delle notizie sempre più sconfortanti
che gli mandavamo da qui?... Già. il _dovere_ lo tratteneva a Roma...
quello de' suoi doveri che si conciliava con la sua ambizione... Te ne
ricordi, mamma? Te ne ricordi, zio Gustavo? Voi mi dicevate «Vedrai,
almeno una corsa a Torino la farà». Io che lo conosco, io vi
rispondevo: «No...» Neanche il mio telegramma è valso a scuoterlo... E
sì che quella era la tavola di salvezza che si getta al naufrago...
Perchè non l'ha afferrata? Perchè non ha udito il mio appello, il mio
ultimo appello?... Perchè ha lasciato morire la sua figliuola?...
Ebbene, è morto anch'egli... come lei.

Diana si pentì dell'eresia che l'era scappata di bocca, e voltandosi
verso l'uscio della camera dove la bambina giaceva, tra i fiori, sul
suo letticciuolo:--Che dico mai?--esclamò.--Tu non sei morta, il mio
caro tesoro... Tu vivi qui dentro...

Si portò la mano al cuore che si spezzava, e balbettò:--Egli, egli è
morto.

La signora Valeria le sussurrò piano, baciandola in viso:--Perdona...
Ah tu non sai quante cose le donne perdonino! Perdonano il tradimento,
perdonano l'infedeltà...

Ma Diana l'interruppe con un'energia ch'era veramente meravigliosa in
quel corpo sfatto dalle veglie, distrutto dall'angoscia:--Oh, il
perdono è facile alle donne che sono state amate, alle donne che
amano... Dove c'è l'amore, c'è posto per tutto... Io non l'ho trovato
mai nel mio matrimonio, l'amore... per quanto l'abbia cercato... Io
non ho sentito parlare che di dovere... E ho creduto che potesse
bastare!... Tu taci, zio Gustavo.... Ma allora tu leggevi nel
futuro... Tu sorridevi tristemente di quella nostra pretesa d'edificar
una famiglia sul solo dovere...

--Non curarti di quello che ho potuto pensare--rispose lo zio.--Io
penso adesso che convien sempre fare quanto dipende da noi perchè la
vita non sia peggiore di quella che è... La via che hai scelta non
conduce a nulla di buono...

--Sicchè tu pure, come la mamma, sei per il perdono, per la
riconciliazione?

L'ingegnere accennò affermativamente col capo.

--E io--replicò Diana--sono costretta a ripetere a te e alla mamma:
No... Una riconciliazione oggi sarebbe un'ipocrisia, e io ho mille
difetti, ma non sono ipocrita... Del resto che bisogno ha _egli_ di
me? Egli ha raggiunto la sua mèta; passata che sia (e passerà presto
per lui) l'emozione di questa sventura domestica, egli sarà un uomo
felice... Non ha bisogno del mio perdono, nè della mia compagnia...
Che ne farebb'egli a Roma d'una donna sempre in lacrime, sempre fissa
in un'idea dolorosa? Via, mamma, tu gli rendi un servizio portandomi
teco... Solo un puntiglio feroce potrebbe indurlo ad opporsi....

--Non si opporrà, ne sono convinta--disse la signora Valeria.--Ma non
ha tutti i torti se desidera che tu gli chieda licenza.

--Chiedetegliela voi in mio nome--rispose Diana.--Ancora una volta, ve
ne supplico a mani giunte, risparmiatemi la prova terribile di un
colloquio con mio marito... Ve ne supplico in nome stesso di quelle
speranze che voi coltivate nel segreto dell'anima vostra.... Ditegli
che non lo odio, che riconosco i suoi meriti, che gli auguro gloria e
fortuna... ma che oggi non posso... non posso...

I singhiozzi le impedirono di continuare; le forze le vennero meno;
levatasi in piedi, si sentì vacillar sulle gambe, ma prima che sua
madre o suo zio accorresse a sostenerla, ella ebbe il tempo di
precipitarsi nella camera vicina e di cadere ginocchioni presso il
letto di Bebè.

La signora Valeria la seguì e si chinò amorevolmente a lisciarle i
capelli.

--Calmati, Diana.... Non ci ostiniamo più... Faremo a modo tuo... Ma
tu pure sarai compiacente, non è vero?

Diana alzò, interrogando, il viso bianco come quello della piccola
morta che le aveva strappato il cuore.

--Ti coricherai per qualche ora.

--Oh.... perchè?... È inutile.

--Per essere in grado di partire domani--ripigliò la madre.--Tu non
vuoi restar qui dopo che...

--No, no--disse Diana con terrore.--Non un minuto...

--Vedi dunque...

La signora Valeria passò il braccio sotto l'ascella della figliuola e
l'aiutò a rimettersi in piedi.

Diana ribaciò sulla fronte e sugli occhi il cadaverino che già si
dissolveva e svaniva, e mormorò con un filo di voce:--Torno, sai,
Bebè.

Indi, con la testa appoggiata alle spalle materne, col fazzoletto alla
bocca per soffocare i suoi gemiti si lasciò condur via docilmente.



XXIV.

Un Ministero fatto e una famiglia disfatta.


Quante corone! Quante corone! Del Rettore e dei professori
dell'Università, dell'onorevole San Giustino (bellissima, ordinata
telegraficamente da Roma), di Eugenio Bardelli, degli studenti della
facoltà giuridica, dell'Associazione costituzionale monarchica, degli
elettori liberali del collegio rappresentato in Parlamento da Alberto
Varedo, della casa editrice che pubblicava l'opera sul _Dovere_, delle
Redazioni di due giornali politici e di un giornale scientifico, ecc.,
ecc.

E quanta gente dietro il piccolo feretro! Quante carrozze di privati e
di autorità, da quella del Sindaco a quella del Prefetto, il quale, la
sera prima, guarito improvvisamente dalla sua indisposizione nel
ricever alle sette la notizia ufficiale dell'incarico dato da Sua
Maestà a San Giustino, era voluto venir in persona alle otto a casa
Varedo a rinnovar le sue condoglianze! A farlo apposta la povera Bebè
non avrebbe potuto scegliere un momento più opportuno per morire ed
esser sepolta in mezzo a unanimi attestazioni di simpatia e di
compianto.

Chiuso nel suo soprabito nero abbottonato d'alto in basso, Alberto
seguiva a piedi il carro funebre, e la sua fisonomia, bench'egli si
sforzasse di frenarne i moti, assumeva atteggiamenti sempre diversi.
Era a volte una commozione sincera, a volte una concentrazione a cui
la triste realtà del presente sembrava estranea, a volte un cruccio
segreto contro qualcheduno e contro qualche cosa, un lampo fugace
d'orgoglio, o una mal repressa impazienza d'uscir da quell'atmosfera
di morte, di tornar nella lotta, nella vita che lo chiamava.

Nondimeno, sciolto il corteo, scambiate le parole d'uso e le strette
di mano automatiche, egli entrò con Gustavo Aldini, Eugenio Bardelli e
altri pochi nel recinto del cimitero, deciso a rimanervi sino alla
fine. Vide calar nella fossa la bara, ahi così lieve a quelli che la
portavano, udì il sordo rimbombo delle palate di terra gettate a
colmar l'orribile buca, e il fruscìo delle ghirlande ammucchiantisi
sul tumulo ove in brevi giorni le avrebbe arse il sole e sbattute la
pioggia... E gli parve che di sotto a quei fiori, di sotto a quelle
zolle venisse, fra timida e maliziosa, un'esile voce:--_Papà citto._

L'ingegnere gli toccò il braccio.--Andiamo.

Varedo si scosse con un movimento brusco, come di chi vuol liberarsi
da un incubo.--Eccomi.

Fuori dal cancello li aspettava un landau chiuso.

--Monti anche lei. C'è posto--disse Gustavo Aldini a Eugenio Bardelli
ch'era in uno stato da far pietà.

--Sì, monti, monti pure--ripetè Alberto.--E non si lasci abbattere in
quel modo.

Ormai egli aveva ripreso l'assoluta padronanza di sè, e le lacrime di
Bardelli lo infastidivano.

--Bisogna sapersi dominare--egli sentenziò in tuono cattedratico.--È
più penoso, ma è più virile.

Indi si volse allo zio Gustavo.

--È stata una dimostrazione molto lusinghiera, una dimostrazione di
cui serberò eterno ricordo... Scrivine tu a tua nipote.

S'interruppe per guardare il suo ex-assistente che seduto di fronte a
lui seguitava a passarsi sugli occhi il fazzoletto inzuppato come una
spugna, e stette in forse se continuare il discorso. Ma riflettendo
che Bardelli era persona fidata cedette alla tentazione di sfogar
l'animo suo.

--Le dirai che c'erano ottimi mariti e ottimi padri i quali non
avevano l'aria di giudicarmi un padre e un marito snaturato... Ah,
oggi Diana ha vinto il suo punto... È partita con sua madre senza
nemmeno prender commiato... Per evitare pubblicità non mi son voluto
valere de' miei diritti... ma ch'ella non faccia assegnamento sulla
mia debolezza... E sopra tutto che non s'atteggi a vittima... Non lo
tollererei; e se ci mettessimo in lotta aperta si vedrebbe...

--Non parlare con quell'asprezza--rispose l'ingegnere Aldini.--Dà
tempo al tempo... Fidati nell'opera conciliativa di mia sorella.

--Di mia suocera non ho che da lodarmi--convenne Varedo.--E anche di
te... che pur non avevi nessun dovere....

Aldini gli chiuse la bocca con un gesto.

--Voi avete un torto--egli disse....--intendo tu E Diana,... sicuro,
anche Diana.... Avete il torto di parlar troppo di diritti e di
doveri.

--E su che altra base vorresti piantare i rapporti sociali?

--Amare, compatire e perdonare--replicò l'ingegnere--sorridere qualche
volta delle debolezze umane, ecco tutta quanta la mia filosofia.... Ma
non discutiamo, per carità... Io non sono in grado di misurarmi
teco... E poi sono uno spirito pigro e credo poco all'efficacia della
discussione... Sono convinto che ogni uomo abbia le opinioni che
meglio si adattano al suo temperamento e al suo ingegno.

Eugenio Bardelli taceva. Ma durante questa piccola disputa fra i due
congiunti egli sentiva crescere l'ostilità latente contro il suo
antico idolo, contro Varedo, reo di non aver amato Bebè, di non aver
compreso Diana e di non tener adesso sul conto di lei un linguaggio
abbastanza rispettoso... Oh perchè, perchè non poteva egli proclamarsi
campione di quella donna santa, di quella donna perfetta?... Perchè
non poteva almeno infonder maggior calore nelle difese, secondo lui,
fiacche ed insufficienti che della nipote faceva l'ingegnere Aldini?

E Bardelli si risovveniva altresì ch'egli era in debito d'una risposta
al professore, e che quella risposta era attesa entro la giornata.
Mille ragioni lo costringevano a rifiutare l'offerta, ma non si
dissimulava le conseguenze che questo rifiuto avrebbe esercitato sul
suo avvenire, prevedeva le querimonie di sua madre, le beffe dei
conoscenti, le aumentate difficoltà di trovare un posto anche mediocre
dopo essersi lasciato sfuggir l'occasione d'averne uno di ottimo.

Tali erano i pensieri che lo angustiavano, quando, poco prima che la
carrozza si fermasse, il deputato lo chiamò a nome.

Egli si scosse e arrossì fino alla radice dei capelli.

--Abbia la compiacenza di salir con noi--disse Alberto.--Sarà arrivata
la posta e dovrò forse pregarla di qualche commissione. In ogni caso
le staccherò uno chèque da riscuoter subito alla Banca popolare.

E soggiunse, voltandosi verso l'ingegnere:--Mi passerai la nota del
danaro che hai sborsato per conto mio.

--Sì, sì, non c'è fretta....

--Anzi ce n'è molta, perchè probabilmente partiamo entr'oggi tutti e
due per destinazioni diverse.... Vai a Parigi?

--Ma! Sono incerto....

Il portinaio venne ad aprir lo sportello e consegnò a Varedo un fascio
di lettere e dispacci e giornali.

Su in casa la cameriera aveva apparecchiato la colazione in salotto da
pranzo.

Varedo invitò Bardelli a sedere a tavola.

Il giovine si schermiva.--Se mi dispensasse... Proprio non ho
appetito...

Già sulle scale s'era sentito di nuovo empir gli occhi di lacrime,
aveva provato la tentazione di andarsene.

--E crede che noi ne abbiamo dell'appetito?--replicò Alberto, seccato
che altri manifestasse un dolore più forte del suo.--Si prende un
boccone per tenersi ritti.

E tra due cucchiaiate di minestra egli cominciò lo spoglio della sua
corrispondenza. I semplici biglietti da visita li metteva da parte,
senza nemmeno guardarli. E metteva insieme con quelli le lettere e i
dispacci che portavano soltanto parole di condoglianza.

--A tutti questi signori converrà spedir le nostre carte di
ringraziamento. Se ne incaricherà lei, Bardelli, con comodo...

A Varedo bastarono pochi minuti per prender conoscenza di quella massa
di roba. Ciò che gli premeva di più non c'era. San Giustino gli aveva
bensì telegrafato la sera innanzi informandolo dell'incarico ufficiale
avuto dal Re, ma se l'era cavata con lo stretto necessario,
aggiungendo: _Il resto a domani_. Ora il nostro onorevole aveva
sperato di trovar una lettera o un lungo telegramma del capo del
futuro Gabinetto, e benchè il ritardo non avesse nulla di strano, gli
pesava d'esser rimasto deluso... Cercò quindi nervosamente,
dispettosamente le notizie della crisi nei giornali della mattina,
arrabbiandosi delle contraddizioni e delle assurdità che vi
riscontrava. Tutti avevano le loro informazioni da _ottima fonte_,
tutti ammannivano ai lettori una lista ministeriale diversamente
combinata; non tanto pei nomi che, su per giù, eran gli stessi quanto
per la distribuzione dei portafogli.

Al professore scappava la pazienza.

--Oh che balordi! Anche questi qui, come Cataldo, vogliono assegnare
l'istruzione a Sardi Gallese.... Si starebbe freschi.... E questi
altri che danno il tesoro a Modica!... L'agricoltura e commercio,
forse... O le poste....

Erano brevi monologhi che Varedo borbottava per conto suo. Gustavo
Aldini era fuori nell'andito, sollecitato dalla cameriera di
sbarazzarla di certi importuni che pretendevano la mancia per uffici
prestati durante i funerali; Bardelli seduto davanti al suo piatto
vuoto, girava gli occhi intorno a guisa d'uomo che non sa se dorma o
sia desto. Gli usci, tranne quello che dava nell'andito, erano
spalancati, ed egli spingeva lo sguardo or a destra ed ora a sinistra
nelle note stanze di dove non gli sarebbe più venuta incontro Bebè,
dove non avrebbe più visto Diana.--Addio, Bardelli--gli aveva detto
Diana quella mattina.--Grazie di quello che ha fatto per noi... E che
il Signore la ricompensi....--Pochi minuti dopo, mentre il corteo si
moveva, egli aveva creduto scorgere per un istante il bianco viso di
lei alla finestra, fra gl'interstizi di due cortine... E adesso
ell'era partita per non tornare, come non tornava Bebè.... La bambina
adorabile che lo aveva amato, la donna angelica che lo aveva assolto,
le due dolci creature che avevano brillato, luci benefiche, nel grigio
orizzonte della sua vita, s'erano dileguate per sempre. Ogni cosa qui
parlava di loro, ogni cosa ricordava la loro presenza, ogni rumore
evocava il suono dei loro passi, delle loro voci; ma esse non
c'erano... Una sola persona pareva indifferente a tanta miseria, ed
era il capo di quella famiglia distrutta... Ambizione e vanità, ecco i
moventi unici dell'uomo ch'egli, Bardelli, aveva ciecamente
ammirato... No, egli non poteva aver più nulla di comune con lui...
Poteva ubbidire oggi ai suoi cenni, poteva prestargli ancora per
qualche giorno l'opera sua (e forse lo attirava con un fascino triste
e invincibile la casa piena di memorie) ma invocarne, ma accettarne i
favori, non mai.

--E ora--disse Varedo avviandosi--venga di là con me.

--Alberto, Alberto!--chiamò l'ingegnere Aldini che rientrava nel
salotto da pranzo, seguito dalla bambinaia.--C'è l'Irene.

La ragazza s'avvicinò asciugandosi gli occhi col grembiule.

--Non ho altro da fare--ella balbettò.--Se il professore non ha
comandi...

--Ah--replicò Varedo--bisognerà regolare i vostri conti.

--No, no; li ha regolati.... con molta generosità.... la signora....
Volevo prender congedo, domandar scusa se ho mancato... e implorare
una grazia.

--Parlate.... liberamente.

--Se si contenta di lasciarmi.... come ricordo di quel caro
angioletto.... queste due scarpine.... le ultime ch'ell'ha portato...

E le tirò fuori di tasca, piccole tanto che le stavano nel pugno.

--Tenetele pure--disse Varedo commosso.

L'Irene gli baciò la mano, riconoscente.

--Grazie, signor professore... E così Iddio assista lei e la buona
signora.... e mandi loro altri bambini.

Nella sua semplicità popolana l'Irene non poteva ammettere che le
bizze fra marito e moglie dovessero durare eterne.

Senza rispondere all'augurio, Varedo le regalò un biglietto di
cinquanta lire e la congedò con parole amorevoli.

Ella uscì confusa e singhiozzante.

Con uno sforzo energico di volontà, il professore ringhiottì le
lacrime che gli salivano al ciglio, e accennò a Bardelli di seguirlo
nello studio, ove gli dettò due dispacci e gli consegnò lo _chèque_
per la Banca.

--Mi fa il piacere di spicciarsi, perchè il danaro mi occorre...
Quando poi sarà tornato, discorreremo con comodo di quell'affare di
ieri... I dispacci li imposti strada facendo.... Aspetti, aspetti, che
forse ci sarà qualcos'altro.

E mosse incontro alla cameriera che portava su un vassoio tre
telegrammi.

--Tutti e tre insieme sono arrivati?

--Sissignore... Le ricevute le ho firmate io.

Varedo li aperse a caso. Lesse nei primo: _Sincere condoglianze_. E
nel secondo: _Mi associo al vostro lutto_.

Diede una sbirciatina al nome dei mittenti, si strinse nelle spalle, e
con impazienza febbrile ruppe la busta del terzo dispaccio.

Ah, quest'era di San Giustino, e la fisonomia del nostro onorevole,
leggendolo, s'illuminava di soddisfazione e d'orgoglio.

Fatti due giri per la stanza, Alberto Varedo si fermò davanti a
Bardelli:--Scriva. _Deputato San Giustino--Roma.--Accetto. Parto in
giornata--Sarò a Roma domani--Varedo._ Questo lo spedirà primo, per
urgenza.... E ora che non ci sono più dubbi sul mio ingresso al
Ministero, ora che mi si offre non un semplice sottosegretariato, ma
un portafoglio, quello d'agricoltura, industria e commercio, le
rinnovo la domanda di ieri: Vuol venire alla capitale come mio
segretario particolare con lo stipendio, per ora, di tremila lire? Sì
o no?

Bardelli raccolse tutto il suo coraggio, e con voce abbastanza ferma
rispose:--Grazie, professore, ci ho riflettuto... Ma proprio non ho
attitudini per la politica.

--Un segretario particolare non ha bisogno di averne. Basta che sappia
eseguire.

--Sarà, ma sento di non esser nato per quell'ambiente.

--Vuol rifletterci ancora? Vuol consultare la sua famiglia e farmi
conoscer la sua decisione a Roma per sabato o domenica al più tardi?

Ormai Bardelli non pensava ad altro che a togliersi perfino la
possibilità della ritirata.

--Io la ringrazio di nuovo dal fondo del cuore, ma è inutile. Sarei un
pesce fuor d'acqua.

Alberto s'arricciò con le dita le punte dei baffi e disse in tuono
gelato:--Come crede.... A ogni modo, mi fa oggi quelle commissioni.

--Vado e torno col danaro--rispose Bardelli che non vedeva l'ora di
troncare il colloquio.

--Preghi l'ingegnere Aldini di passar da me--gli gridò dietro Varedo.

E prese a rileggere il telegramma di San Giustino il cui tenore lo
consolava del rifiuto dianzi subìto.

_Tutto va a gonfie vele. Avrei distribuito i portafogli così._ (E qui
seguiva la lista). _Manca il titolare per l'agricoltura e commercio
non essendoci potuti accordare con Modica per ragioni che esporrovvi a
voce. Anche in nome dei colleghi offrovi con calda preghiera
d'accettazione, anzichè il sottosegretariato interni, il portafoglio
disponibile. Se aderite, il Ministero è fatto, salvo approvazione di
Sua Maestà di cui non dubitasi. Telegrafate per urgenza e affrettate
vostra venuta Roma._

Gustavo Aldini si fermò sulla soglia.

--Avanti!--disse Varedo.

--Chiedevi di me?

--Sì, per due ragioni.... In primo luogo t'annunzio che m'è offerto e
ho accettato il portafoglio di agricoltura, industria e commercio.

--Ah, non si tratta più d'un sottosegretariato ma d'un ministero?

--Già la sera della mia partenza da Roma San Giustino aveva lasciato
balenare la possibilità dell'offerta.

Questo non era vero; era vero piuttosto che si ricorreva a Varedo
soltanto dopo rotte le trattative con Modica; ma ognuno dà ai fatti
che lo guardano l'interpretazione che meglio gli conviene.

--Dunque sei Eccellenza?--ripigliò Aldini inchinandosi.--Mi
congratulo, signor Ministro d'agricoltura, industria e commercio.

--Alcuni lo reputano un Ministero secondario--(Varedo dimenticava che
fra questi _alcuni_ c'era anche lui)--ma hanno torto... Del resto
l'importanza d'un Ministero deriva dal titolare... Cavour ha
cominciato di là...

Per correggere l'impressione della frase superba, Alberto
soggiunse:--_Si parva licet componere magnis._

E con apparente bonarietà rivolse allo zio una interrogazione
delicata:--Sii sincero, non hai fede in me?

--T'ho sempre creduto un uomo di molto ingegno e di molta
dottrina--rispose Gustavo.--Ma non so se, data l'indole de' tuoi
studi, il portafoglio dell'agricoltura e del commercio sia il più
adatto.... Hai la competenza tecnica?

--Oh!--ribattè Varedo.--Quella s'acquista.

E, tagliando corto, mutò argomento.

--L'altra cosa di cui volevo informarti è questa. Avrai certo inteso
più volte da tua nipote ch'io non rendo giustizia a Bardelli, che
scordo le sue grandi benemerenze verso di noi, che non lo appoggio,
che non lo aiuto.... Sì, sì, è una delle accuse che mi fa mia
moglie... Ebbene; io ho proposto ieri, e ho riproposto or ora a quel
giovinotto di venir meco a Roma in qualità di mio segretario
particolare con uno stipendio di tre mila lire l'anno... Puoi
immaginarti ch'è un impiego a cui non mancheranno gli aspiranti, e non
avrò che l'imbarazzo della scelta... Il signorino ha rifiutato in modo
assoluto, reciso.

--E che ragioni adduce?

--Dice che non è nato per la politica... Ma è un pretesto... La
ragione vera la ho capita io... e sono stato anche troppo tempo a
capirla, e fino a ieri m'illudevo che Bardelli mi fosse devoto,
affezionato come per lo addietro... La ragione vera, eccola. Nel
dissidio sorto fra me e Diana, Bardelli ha preso partito per mia
moglie. Ai suoi occhi come agli occhi di Diana io sono un reprobo, e
la sua coscienza gli vieta di accettare una posizione che lo
metterebbe in contatto diretto con me... Di ciò non mi curo; mi basta
che tu sia in grado di testimoniare che io ho fatto per quel signore
ciò che dipendeva da me.

--A Diana dispiacerà senza dubbio che Bardelli perda l'occasione
propizia... E s'egli ha agito così per motivi a cui tu alludi, ella
stessa potrebbe...

--Intercedere forse?--protestò fieramente Varedo.--Ci vorrebbe anche
questa!... No, no, è una faccenda liquidata... Il posto sarà coperto
domani da qualcheduno meno superbo e meno scontroso del professorino
Bardelli.

--Oh!--replicò l'ingegnere.--Figuriamoci! In Italia i sollecitatori
d'impieghi sono legione. Quello ch'è difficile trovare da per tutto è
un uomo che per uno scrupolo morale, sia pure ingiustificato,
sacrifica il proprio interesse.

--Tu lo approvi?

--Lo considero una rarità della specie... Posso anche disapprovarlo;
non posso a meno di stimarlo.

--Oh per questo--esclamò Varedo alquanto piccato del linguaggio di
Gustavo Aldini--accomodati pure... E se ti fa piacere lo stimerò anche
io, ma cesserò d'occuparmi di lui.

Poco dopo Alberto e Gustavo si separarono freddamente. Ogni minuto che
passava li divideva di più, dava maggior risalto alle differenze dei
loro caratteri, ravvivava la vecchia antipatia, i vecchi rancori...
Restando ancora insieme, avrebbero finito col trovarsi uno di fronte
all'altro in aperta ostilità, come circa tre anni addietro, in quella
calda sera di luglio, sulla terrazza del Lido.

Varedo prese il primo treno diretto per Roma. Aldini tornò all'albergo
ov'era disceso venendo a Torino, e ove s'era sempre tenuto una camera
benchè nelle ultime notti della malattia di Bebè egli dormisse in casa
di sua nipote.

--Mi prepari il conto--egli ordinò al direttore dell'albergo.--Parto
stasera.

--Per Modane alle 23.25?--chiese il direttore che credeva esser questa
la sua direzione.

--Glielo saprò dire più tardi.

E, cedendo al suo gran bisogno di quiete e di solitudine, Aldini salì
nella stanza, vi si chiuse a chiave, e s'accinse a fare le sue
valigie.

--È vero--egli pensava--è vero... Nel lasciar Venezia io avevo in
animo di proseguire per Parigi e per Londra, e invece sono rimasto qui
ad assistere a questa nuova tragedia, e ho messo in seconda linea gli
affanni miei, e ho quasi dimenticato il fine del mio viaggio... Avrei
ben diritto di ricordarmene oggi, di cercare uno svago a questa cura
assidua che mi rode... Uno svago?... Ma ce ne può essere?... Ma posso
io volere che ce ne sia... dopo tre settimane dacchè _ella_ è morta?
Tre settimane! E un mese fa ella era sana, florida e lieta, e guardava
piena di fede al futuro, e affrettava col desiderio il giorno in cui
avrebbe portato il mio nome!... "Sono troppo felice--ella mi diceva
una sera.--Ho paura..." E s'ammalava subito dopo... e l'ho vista
morire... e ho sentito la sua mano irrigidirsi nella mia... ho letto
ne' suoi belli occhi gonfi di lacrime tanto amore e tanta pietà...
Come era buona e gentile! Com'era superiore ai farisei che la
giudicavano!... Com'era pronta a consolare gli afflitti, a soccorrere
i deboli, a sollevare i caduti!... Ah non c'è altra gioia al mondo per
me... non c'è altri per amarmi...

Gustavo Aldini si pentì di questa sentenza assoluta, e mentalmente ne
chiese perdono alla Valeria che gli aveva sempre voluto bene, che ne
aveva voluto molto anche a _lei_, ed era impaziente di potere, in
faccia a tutti, chiamarla sorella.... Povera Valeria!... In mezzo a
quante tristezze le toccava vivere! Prima il colpo di fulmine
dell'Adelaide, poi la lenta agonia della nipotina, e ora la pena
immensa di veder Diana in disaccordo col marito!... Ed egli la
lasciava proprio in questo momento, quand'ella aveva forse più bisogno
del suo aiuto, del suo consiglio, della sua compagnia?... Ma che ci
andava egli a fare a Londra e a Parigi? Che sperava da questa pazza
corsa attraverso l'Europa?

Con una risoluzione subitanea egli suonò il campanello e disse al
cameriere:--Anzichè la linea di Modane prenderò quella di
Milano-Venezia.

Il cameriere s'inchinò:--Alle 19.55. L'omnibus parte dall'albergo alle
19.30.... Il signor ingegnere ha tempo di pranzare a _table d'hôte_.

--Sta bene. Discenderò. Mandate un facchino per le valigie.

E alle 19.55, allorchè il treno si mosse, Gustavo Aldini provò una
sensazione d'inusato benessere. Egli s'avvicinava ai luoghi ove aveva
goduto e sofferto, ove avrebbe potuto esser utile a qualcheduno e
parlar con qualcheduno del suo dolore... ove la tomba recente della
sua donna adorata aspettava nuove ghirlande a sostituir quelle che,
tre settimane addietro, egli vi aveva deposte.



                        INDICE


    Capo    I.--Una promessa di matrimonio                      Pag.  1
     »     II.--In casa degli sposi                               »  19
     »    III.--La famiglia Bardelli                              »  31
     »     IV.--Al Lido                                           »  45
     »      V.--Nel travaglio del parto                           »  79
     »     VI.--Nuovi orizzonti                                   »  97
     »    VII.--Due «maiden-speeches»                             » 115
     »   VIII.--Fiasco                                            » 129
     »     IX.--Eugenio Bardelli si sente una pulce nell'orecchio » 143
     »      X.--Nella bottega dell'orefice                        » 161
     »     XI.--Effusioni epistolari                              » 179
     »    XII.--A Roma                                            » 193
     »   XIII.--Una festa che principia male...                   » 211
     »    XIV.--.... e finisce peggio                             » 227
     »     XV.--La fuga                                           » 253
     »    XVI.--Fra i crucci propri e gli altrui                  » 275
     »   XVII.--Una scaramuccia coniugale                         » 289
     »  XVIII.--Quando le disgrazie cominciano!...                » 303
     »    XIX.--Per un calice                                     » 323
     »     XX.--Fra due doveri                                    » 339
     »    XXI.--Un intermezzo glorioso                            » 361
     »   XXII.--Da Roma a Torino                                  » 373
     »  XXIII.--Dinanzi alla piccola morta                        » 397
     »   XXIV.--Un ministero fatto e una famiglia disfatta        » 417





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