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Title: Gli avvenimenti di Sicila e le loro cause
Author: Colajanni, Napoleone
Language: Italian
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*** Start of this LibraryBlog Digital Book "Gli avvenimenti di Sicila e le loro cause" ***

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LORO CAUSE***


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D.r NAPOLEONE COLAJANNI

_Deputato al Parlamento_


GLI

AVVENIMENTI DI SICILIA

E

LE LORO CAUSE

CON PREFAZIONE DI MARIO RAPISARDI



PALERMO
REMO SANDRON--EDITORE
VIA VITT. EMAN., 324
1895

          Prezzo Lire 2.



Opere dello stesso autore


  La libertà e la questione sociale. (1879) (Esaurito).

  La repubblica e le guerre civili. (1882) (Esaurito)

  Le istituzioni municipali. (_1 vol. in 16º pag. 331_)        L. 3,00

  Il Socialismo. Appunti (_1 vol. in 16 di pag. 100_)
      (Esaurito).

  La delinquenza della Sicilia e le sue cause. (Esaurito).

  Un sociologo pessimista: Gumplowicz. (Esaurito).

  L'alcoolismo, sue conseguenze morali e sue cause.
      (_Un vol. di pag. 201 in-8º con tavole statistiche_)       »  3,00

  Oscillations thermometriques et delits contre les personnes.
      (_Opuscolo_)                                               »  1,00

  Di alcuni studi recenti sulla proprietà collettiva.
      (_Opuscolo_).                                              »  0,50

  Corruzione politica. (_Un vol. in-16º di pag. 96_).
      (Esaurito)

  Corruzione politica. Chiarimenti e risposte. 2ª edizione
      con   numerose aggiunte e lettere di Gabriele Rosa, A.
      Saffi e Giov. Bovio, (_Un vol. in-16 gr. di pagine 112_)   »  1,25

  Sociologia criminale. Appunti. (_2 volumi_)                  » 13,50

  Ire e spropositi di Cesare Lombroso. (_1 volume_)            »  1,00

  La politica coloniale. (_Un volume_)                         »  3,50

  La Difesa Nazionale e le economie militari. (_Un opuscolo_). »  0,80

  Banche e Parlamento. (_Un vol. Milano 1891_)                 »  2,00

  In Sicilia. (_Un volume, Roma 1891_)                         »  1,00



  GLI
  AVVENIMENTI DI SICILIA



  D.r NAPOLEONE COLAJANNI

  _Deputato al Parlamento_



  GLI

  AVVENIMENTI DI SICILIA

  E

  LE LORO CAUSE

  CON PREFAZIONE DI MARIO RAPISARDI



  PALERMO

  REMO SANDRON--EDITORE

  VIA VITT. EMAN., 324

  1894.


  _Proprietà letteraria dell'Editore_

  REMO SANDRON


AVVERTENZA

     Di questo libro fu fatta una 1.ª edizione per cura di Edoardo
     Perino. Accintosi l'A. a questa seconda trovò tanto da correggere e
     da aggiungere che ne raddoppiò la mole, e la modificò talmente che
     solo in pochissime pagine è uguale all'antecedente, sicchè può a
     ragione considerarsi libro affatto nuovo.

          L'Editore


TIPOGRAFIA DIRETTA DA SANTI ANDÒ--Via Celso N. 49



PREFAZIONE


  _Carissimo Colajanni_

          Catania, 10 Febbraio 94.

_I tumulti recenti della Sicilia hanno, per le origini e gli effetti
loro, una importanza sociale, che la facilità onde sono stati repressi
non parrebbe loro concedere. Tu che li hai osservati con occhio di
filosofo, moderati con accorgimento d'uomo politico e con cuore di
cittadino, fai bene di consegnarli alla storia con quella serenità di
giudizio, che alle coscienze intemerate non è difficile mantenere nei
momenti più tempestosi e fra le passioni più vive._

_Due principali verità risultano, a parer mio, dalla notizia sincera dei
fatti: la indipendenza dei moti siciliani da qualunque opera di partito,
e la prepotenza d'un governo che vuol parer forte e non è._

_Non che essere eccitate e preparate dai socialisti, a me pare che le
ribellioni, determinate unicamente dalle condizioni specialissime
dell'isola, dagli arbitrî feudali dei proprietarî, dalla spietata
ingordigia delle amministrazioni, dalla miseria ineffabile dei
lavoratori, abbiano fatto constatare e toccar con mano la nessuna
coesione del partito socialista, la discordia dei suoi capi, la varietà
bizzarra dei suoi gruppi, l'incertezza dei principî, dei metodi,
dell'azione. Il socialismo in Sicilia ha avuto più presa che altrove,
perchè ha trovato terreno più proprio: la propagazione meravigliosa dei
Fasci prova che esso non è artificiale e superficiale, ma ha radici
nelle viscere stesse della vita del proletario siciliano; è piuttosto
effetto che causa. Il popolo, per altro, quale ch'esso sia, poco suole
accogliere e fecondare delle teoriche d'un partito: afferra tutt'al più
un'idea rispondente al suo stato, un sentimento che consuona col suo; e
quando si sente alle strette, si getta nell'azione, senza chiedere
consiglio a nessuno. La miseria e la mala signoria furono e saranno mai
sempre i motivi principali delle rivolte._

_Questa condizione di cose rende ancor più colpevoli e mostruosi i modi
adottati dal governo per reprimere le ribellioni. Qualche agevolezza
conceduta lì per lì alle prime avvisaglie, avrebbe probabilmente sedato
il fermento dei contadini affamati. Ma sì! I cartelloni erano già stati
affissi alle cantonate; la baracca era aperta, i biglietti distribuiti;
la gran cassa rintronava già negli stomachi degli spettatori; e come si
faceva a sopprimere lo spettacolo._

_La signora Astrea, che dietro alle quinte avea fatto copia di sè a
tutta la borghesaglia legittima e legalitaria, venne allora su la
ribalta e recitò col peggior garbo del mondo la parte della verginella
oltraggiata: scaraventò i pesi in faccia ai presunti seduttori: agguantò
la bilancia per il giogo e la sbatacchiò su la testa dei primi poveri
diavoli che le vennero a tiro. La borghesaglia legittima e legalitaria
si dichiarò soddisfatta; si soffiò il naso impeperonito: e con le dita
intrecciate sul buzzo e tentennando la testa come i cuorcontenti di
gesso, esclamò in falsetto pecorino: Le istituzioni son salve; l'ordine
regna in Varsavia; ora possiamo tornare tranquillamente a barattare, a
banchettare e a russare._

_A proposito: e le riforme? Ah! sì: ci sono anche queste per aria; o per
dir meglio, c'è una commissione che le studia, e che ponza la felicità
del genere umano. Lasciamola ponzare; e che Dio la renda lubrica. Che
cosa saranno queste riforme il gazzettume ufficioso nol dice: esso
spreca tutto il suo fiato prezioso per informarci di balzelli nuovi, di
soppressioni di ufficî, di monopolî audaci, di ricchezze cavate dalle
borse e dalle vene di tutti. Le istituzioni, si sa, han da salvarsi; i
sagrificî non sono mai troppi. E poi, i balzelli hanno l'ale; e le
riforme la gotta. Aspettiamo dunque che l'erba cresca; e se l'asino
muore, peggio per lui. Ciò che saranno codeste riforme possiamo
immaginarlo: riforme borghesi; e non occorrerebbe dir altro: semi di
lino su la cancrena; concessioni ed elemosine tirate in faccia con la
balestra. E se non bastano, piombo: procedura solita e spicciativa._

_Ma il piombo credi che basterà? Io modestamente credo di no: salvo che
siasi trovato il modo di renderlo digeribile e nutritivo, come il pane
che manca._

_In conclusione, questi tumulti hanno rivelato condizioni tali, che non
possono e non devono assolutamente durare, per l'onore d'Italia e della
razza umana; hanno resa necessaria una fraterna intesa di tutti i
partiti democratici in un ideale, in una fede, in un'opera comune; hanno
ridotta la questione sociale all'aut aut degli scolastici.
L'idea-valanga s'è già staccata dal vertice, e seguirà fatalmente il suo
corso. O unirsi ad essa o rimanere stritolati nel fango. È la Storia che
passa._

          M. RAPISARDI



I.

PRIME ARMI DEL SOCIALISMO IN SICILIA.


Dopo le elezioni politiche generali del 1890, e più ancora dopo quelle
del 1892, la stampa che rispecchia le tendenze, i bisogni e i timori
delle classi dirigenti italiane, gittò un grido di allarme, additando
una macchia grigia sulla carta geografica d'Italia, che rappresentava la
zona dove maggiormente si era rivelato potente per numero di adepti e
per organizzazione il _socialismo_. La macchia era più scura nel
Modenese, nella provincia di Reggio Emilia e di Parma; ma si manteneva
abbastanza cupa in alcuni punti della provincia di Cremona, nel
Mantovano, nel Polesine ecc., mentre si era rischiarata nel più antico
centro di diffusione: nelle Romagne.

Giovani ardenti, colti, instancabili nella propaganda, sinceri nella
fede, come Berenini, Agnini e Prampolini erano venuti in Parlamento da
quelle zone ed era significante assai che il secondo fosse riuscito
contro il generale Gandolfi, che pure, a parare la sconfitta, nel suo
programma e nei suoi discorsi molte dichiarazioni in senso socialista
aveva fatte.

  [FATTI SIGNIFICANTI]

Allora pochi o nessuno avevano dato importanza a ciò che avveniva in
Sicilia, non ostante la doppia elezione dell'amico G. De Felice, non
ostante l'onore delle quattro candidature, che mi toccò nel 1890 e la
vittoria che ebbi allora e nel 1892. Non senza fondamento questi due
ultimi avvenimenti furono spiegati collo intervento di alcuni fattori,
che attenuarono sensibilmente la importanza del contributo che vi aveva
apportato il socialismo. Intanto nel silenzio, o almeno con un rumore
che non si faceva sentire al di là dello stretto di Messina, si
organizzavano _i Fasci dei lavoratori_, da principio con intenti non
nettamente determinati, sicchè si sarebbe potuto prenderli per
organizzazioni non molto dissimili dalle antiche società operaie; ma più
tardi, e particolarmente dopo il Congresso di Genova, con programma
schiettamente socialista, ed anzi esclusivamente marxista.

Credo di essere stato il primo, o uno dei primi, a notare la esistenza
dei Fasci fuori d'Italia, in un articolo pubblicato nella _Grande Revue_
di Parigi-Pietroburgo nello scorso inverno; e confesso che allora non
sospettavo che avessero dovuto fare parlare molto, e presto, di loro; e
fui dei primi, pur rallegrandomi, come socialista, dei progressi che
facevano le idee, a dare un grido di allarme per certi fenomeni poco
rassicuranti da me osservati.

Parlai al vento; e gli eventi seguirono il loro corso, come se nulla
avesse dovuto e potuto farsi per impedire che riuscissero dolorosissimi.
Così si arrivò ai massacri di Giardinello, di Pietraperzia, di Marineo,
di Gibellina, di Santa Caterina ecc., che, per una serie incredibile di
errori, di violenze di arbitrî, di infamie, si riannodano, a meno di un
anno di distanza, a quello di Caltavuturo!

  [IL MOVIMENTO PREOCCUPA]

E il movimento socialista siciliano, per virtù degli iniziatori, per
colpa degli avversarî e per favorevole coincidenza di diversi fattori,
assunse tali proporzioni da preoccupare, finalmente, i nostri governanti
di ogni partito; alcuni dei quali con stoltezza, che risente della
calunnia, piuttosto che confessare la imprevidenza propria, preferirono
attribuirlo all'oro della Francia ed alle mene dei clericali.

I governanti, imprevidenti e prepotenti pel passato, non si limitarono a
spargere la voce che l'oro francese alimentasse i malumori della
Sicilia, ma con abile e repentina preveggenza cominciarono ad
accreditare nel continente il sospetto che nell'isola si preparasse un
movimento _separatista_.

In tal guisa, pensarono che il sentimento pubblico avrebbe agevolata e
approvata qualunque repressione.

  [L'ORGANIZZAZIONE]

Quando il moto fu meglio conosciuto, i socialisti di Europa se ne
rallegrarono e fecero atto di solidarietà mandando il loro obolo; e la
_Volks Tribune_ di Vienna ha potuto così riassumerlo afferrandone
esattamente il carattere: «per le condizioni specifiche del luogo e per
le qualità personali degli agitatori, il movimento proletario di
Sicilia, ha qualche cosa in sè di vibrato, di solenne, di primitivo, di
spontaneo, che in tutta l'Italia se ne risente l'effetto. La stampa
borghese d'Italia ne ha risentito come per effetto l'azione, e per la
prima volta essa ha parlato sul serio del movimento socialistico.--La
gran massa di proletari organizzati e disciplinati nei _Fasci_ è di
salariati di campagna, di salariati delle miniere di zolfo, di
lavoratori dell'industria vinicola, di artigiani, di piccoli borghesi e
di studenti. La disciplina di tale organizzazione ha dato già prova di
sè in modo notevole e palese... Questa organizzazione siciliana è il
primo grande movimento di massa proletaria, che si veda in Italia, ed è
il primo _atto_ del socialismo Italiano.»[1]


NOTE:

[1] L'on. Comandini in una delle sue splendide ed oneste corrispondenze
al _Corriere della Sera_ di Milano ricorda che la colta gioventù
socialista di Sicilia si sente assai lusingata della iniziativa
dell'isola. (Nº del 16-17 Gennajo 1894). L'osservazione è esatta e
collima con quelle del giornale di Vienna. Avverto una volta per sempre
che ripetutamente mi riferirò ai giudizi dell'on. Comandini, non già
perchè egli sia stato il solo ad enunziarli; ma perchè venendo da lui,
che non milita tra radicali e socialisti, non può essere sospettato di
esagerazione e di partigianeria.

Notevolissime sono del pari le osservazioni del Borelli nel _Popolo
Romano_, che nella serie di corrispondenze dal titolo _La Sicilia
com'è_--ha saputo sintetizzare acutamente e onestamente le condizioni
economiche, politiche e morali dell'Isola.



II.

FORZE DEL SOCIALISMO


Sarebbe grave errore disconoscere la importanza del movimento socialista
siciliano, che s'imperniava nella organizzazione dei _Fasci dei
lavoratori_; giova, però, ridurlo alle sue giuste proporzioni.

Ciò è necessario in vista delle notizie numerose pubblicate dai giornali
italiani e stranieri, ora esagerate, ora addirittura false.

Una statistica esatta del numero dei _Fasci_, che corrisponda alla
realtà, è difficile, perchè molti ne sorgevano ogni giorno e non pochi
ne scomparivano senza che se ne avesse notizia. Chi dice che erano 300 e
chi li riduceva a 120; il Comitato centrale dei _Fasci_ al 1º novembre
li portava a 163, oltre 35 in formazione. Reputo, poi, esageratissima la
cifra dei soci, che da tutti si ripete ammontasse a 300,000 e più; la
esagerazione la desumo da ciò ch'è a mia personale conoscenza: molti
_Fasci_ erano puramente nominali, come quello di Caltanissetta; di
alcuni altri il numero dei soci era stato per lo meno quintuplicato.

Appena si aprivano le iscrizioni i soci accorrevano numerosi; ma poco
dopo le file si diradavano, sia perchè i soci non amavano pagare il
piccolo contributo mensile o settimanale, sia perchè si scoraggiavano
presto, non ottenendo miglioramenti immediati.

I _Fasci_ erano più numerosi e più disciplinati nelle Provincie di
Palermo, di Catania e di Trapani; molti ne sorsero nel novembre e
dicembre scorsi nella provincia di Siracusa mercè l'opera indefessa
dell'avvocato De Stefano Paternò, ma sulla loro consistenza non si potè
portare un giudizio perchè erano di data assai recente; meno numerosi
erano in quelle di Girgenti e di Caltanissetta; scarsissimi, infine, in
quella di Messina.

  [I FASCI DEI LAVORATORI--LE DONNE]

In generale si mostrarono meglio organizzati e più compatti, più
disciplinati e più ardenti i _Fasci_ dei centri agricoli, specialmente
nella provincia di Palermo, dov'era singolarissima la partecipazione
simpatica e ardita delle donne, che richiamò l'attenzione del Lombroso,
del Morselli, mia e di tutta la stampa italiana, che giustamente ha
consacrato al fatto parole di alta ammirazione non iscompagnata da un
certo senso di meraviglia, perchè le condizioni intellettuali e sociali,
il genere di vita e la educazione delle donne siciliane avrebbero dovuto
allontanarle dal moto attuale.[2] Invece inferiori si mostrarono i
_Fasci_ delle città, non ostante che fossero stati preparati dai
congressi, dai giornali e dalla propaganda socialista da molti anni.

  [IL FASCIO DI CATANIA E QUELLO DI PALERMO]

Superiore a tutti in modo assoluto, pel numero dei soci iscritti e
attivi, per la organizzazione e per la coscienza dei fini da
raggiungere, era il _Fascio_ di Catania, che formava uno strano
contrasto con quelli della provincia, che erano fiacchi e incoscienti.

A Catania, mercè l'instancabile propaganda dell'on. De Felice Giuffrida,
sorse quattro anni or sono il primo sodalizio. Ivi il terreno era
preparato dalla vita non inonorata, che vi ebbero parecchie società
operaie, che dal 1860 in poi avevano organizzato scuole, mutuo soccorso,
assistenza medica e anche prestiti sull'onore; ed alcune di esse, come
quella dei _Figli dell'Etna_, dei _Figli del lavoro_, della Pace ecc.,
sussistono ancora, sebbene facessero capo al _Fascio_ e con questo
procedessero ed agissero di conserva.

La visita dei mille soci del _Fascio_ di Catania alla esposizione di
Palermo determinò la organizzazione di analoga associazione nella città
delle iniziative, d'onde, aiutata dall'_Isola_ e dal _Giornale di
Sicilia_ e dall'attivissima azione di un generoso gruppo di giovani, il
movimento si propagò in tutta la Sicilia; sicchè, se a Catania spetta il
merito della iniziativa, il centro di diffusione divenne Palermo, per
quel maggiore ascendente esercitato sempre dall'antica capitale
sull'isola tutta.

È da notarsi che non pochi degli organizzatori dei _Fasci_ appartenevano
alla classe borghese; alcuni sono agiatissimi, come il Ballerini; pochi
ricchissimi vengono dall'alta aristocrazia, come il marchese di
Montemaggiore e il principe di Cutò.[3]

  [LA COSTITUZIONE DEI FASCI]

L'organizzazione era abbastanza semplice e logica. Dove i soci erano
numerosi, vennero divisi secondo le arti e i mestieri e ciascun gruppo
aveva la sua speciale bandiera; vi erano anche delle squadre coi
rispettivi capi per quartieri.[4]

Ogni _Fascio_ aveva il suo rosso gonfalone con qualche altro particolare
emblema; e quel benedetto rosso che scioccamente dà ai nervi delle
autorità politiche, ha dato luogo a pericolose colluttazioni, ad arresti
e processi. Ogni socio, nelle feste, portava una coccarda rossa, ed i
capi una fascia pure rossa: bisognava vedere con quanta fierezza la
indossavano i contadini e gli operai nelle solenni occasioni.

Non pochi _Fasci_ avevano la fanfara, composta quasi sempre di reduci
dall'esercito, che vi avevano portato il sentimento della disciplina,
unito ad entusiasmo e attività notevoli. La fanfara, talvolta discreta,
serviva a richiamare l'attenzione delle donne, destava l'invidia di
molti e pur troppo somministrò occasione a numerose contravvenzioni alla
legge reazionaria di _pubblica sicurezza_, le quali costrinsero i poveri
soci o a pagare o a scontare le non piccole multe col carcere. Ajutarono
moltissimo la propaganda le _passeggiate_ da un paese all'altro,
abilmente organizzate, che sviluppavano elevati sentimenti di
solidarietà e davano ai lavoratori coscienza della propria forza.

Nelle sedi dei _Fasci_ sulle pareti vi erano grandi striscie di carta
con motti significativi di Marx, di Lassalle, di Bovio, di Hugo, di L.
Blanc ecc. Non di rado vi si trovavano i ritratti di Marx, di Mazzini,
di Garibaldi, del Re e della Regina. Il Rossi della _Tribuna_, ed io
stesso, in alcuni luoghi non trovammo sul tavolo che un Cristo col suo
lumicino, che costituiva tutto l'ornamento del luogo; e confesso che
tanta semplicità impose a Rossi ed a me, e di più doveva imporre a
contadini ed operai, tra i quali è ancora vivo il sentimento religioso e
che si esaltano maggiormente quando si parla loro in nome del Nazzareno.

  [DEBOLEZZA ECONOMICA]

I socî pagavano un tenuissimo contributo mensile e settimanale, che
variava da luogo a luogo, ma che non oltrepassava una lira al mese. Le
casse, come si può immaginare, non erano provviste e non avrebbero
potuto far fronte alle spese ordinarie di amministrazione e molto meno a
quelle straordinarie incontrate nell'aspra lotta col governo e colle
classi dirigenti--se i più ricchi del partito non avessero fatto
sacrifizî considerevoli. Soccorsi, ma in tenue misura, vennero dai
socialisti del continente, della Germania, dell'Austria ed anche della
Rumenia. Le scarse somme venute dall'estero, passarono per le mani del
Prof. Labriola, che con vivo rammarico altra volta mi fece osservare che
tra gli oblatori brillavano per la loro assenza i socialisti francesi.
In qualche paese agricolo si fecero sufficienti provviste di frumento
per opera di Presidenti e di soci preveggenti; ciò che consentì loro la
resistenza, vittoriosa spesso, negli scioperi. Così a Corleone.

  [AVVERSIONE ALLE COOPERATIVE DEI FASCI]

Alcuni _Fasci_ praticavano il mutuo soccorso; altri avrebbero voluto
fondare casse di resistenza, ma i mezzi erano del tutto inadeguati ai
fini; si accennò qua e là, a _cooperative_ di consumo, che fecero
cattiva prova a Catania, dove cercarono sostituirvi dei prezzi di favore
con particolari venditori di oggetti di consumo; scioperi inconsulti
furono tentati ed una _cooperativa di produzione_ ebbe vita per poco
tempo in Palermo e finì miseramente. Erano pochissime le _cooperative di
lavoro_, in conformità della legge dell'11 Luglio 1889, che avrebbero
potuto dare eccellenti risultati. Ma non c'è da meravigliarsene perchè
erano malviste dalle amministrazioni locali, che preferiscono tuttavia
confidare i lavori agli appaltatori prediletti, dando luogo a sospetti,
non sempre infondati, d'illecite partecipazioni ai lucri per parte degli
amministratori.

A Catania, mercè il tenue versamento di centesimi 15 per settimana, si
praticava l'_assicurazione collettiva_, mercè la quale alle famiglie dei
socî che morivano venivano date L. 400. Sino allo scioglimento del
sodalizio la cassa fece fronte ai suoi impegni; ma avrebbe potuto
continuare per lo avvenire, se non avessero fatto meglio i calcoli e non
avessero tenuto conto esatto delle tavole di mortalità?

Non poche ed inconsulte furono le spese per le inaugurazioni dei
gonfaloni; e non poche volte ho assistito a banchetti relativamente
luculliani, che ho biasimato con tutte le mie forze.

Lo spagnolismo in Sicilia s'impone anche tra i lavoratori!

  [I FASCI E IL PARTITO ITALIANO]

Molti dei _Fasci_ erano ascritti al _Partito italiano dei Lavoratori_ e
s'inspiravano alla intolleranza e al fanatismo della chiesa di Milano;
alcuni, per così dire, erano indipendenti specialmente se erano sorti
per ragioni locali. Vera direzione centrale non c'era per quanto il
_Fascio_ di Palermo aspirasse a tale onore e facesse di tutto per
meritarlo. La _Lotta di Classe_ di Milano penetrava in qualche luogo e
vi esercitava la sua azione; in molti altri, il giornale prediletto era
_La Giustizia sociale_, che seguiva il metodo della prima, di Palermo;
_L'Unione_ di Catania, _Il Mare_ di Trapani erano giornali settimanali
diffusi nelle rispettive provincie e redatti con criterî più conformi
alle condizioni locali.

Per la propaganda, più che sui giornali--essendo grandissimo in Sicilia
il numero degli analfabeti--si contava sulle conferenze, sulle
amichevoli conversazioni, sulle feste da ballo alle quali partecipavano
le famiglie dei socî, e che riuscivano splendide--anche dal lato
economico--in Catania, e sul teatrino socialista di Palermo, istituzione
che se avesse trovato scrittori ed interpreti adatti avrebbe potuto dare
buoni frutti.[5]


NOTE:

[2] Il Sonnino fin dal 1876, nel suo libro sui _Contadini in Sicilia_,
che dovrò citare ripetutamente, aveva rilevato che le condizioni delle
donne non erano adatte a farle partecipare ai moti sociali.

[3] Il Marchese di Montemaggiore colla morte del padre divenuto principe
di Baucina pare abbia cambiato improvvisamente di opinione.

[4] Credo che erroneamente un autorevole giornale di Roma abbia scritto
che la organizzazione dei _Fasci_ sia stata modellata su quella dei
_Sindacati_ e delle _Camere del lavoro_ di Parigi; e l'errore venne
ripetuto dal Cavalieri nella _Nuova Antologia_.

[5] [SVILUPPO DEL SOCIALISMO IN SICILIA]

Il sig. Enea Cavalieri nella _Nuova Antologia_ del 1º gennajo 1894
riassume in parte esattamente la storia dell'idea socialista in Sicilia;
ma accorda forse soverchia importanza all'antica stampa e agli antichi
agitatori. Fu minima l'azione esercitata dal Bakounine da Napoli dopo il
1867, e assai circoscritta e poco duratura quella del suo e mio
carissimo amico Saverio Friscia, nel circondario di Sciacca; e minima
azione esercitarono i giornali _Lo Scarafaggio_ di Trapani e il _Povero_
di Palermo. Così dicasi pure pel _Riscatto_ e pel _Vespro_ di Messina e
per cento altri giornaletti settimanali pullulati in tutte le provincie
della Sicilia e che vissero stentatamente e per breve tempo. Vorrei
poter meritare l'onore, che mi attribuisce, affermando che il punto
culminante della propaganda socialista bisogna riconoscerlo nella
pubblicazione del mio libro sul _Socialismo_ e del giornale quotidiano
_L'Isola_ da me diretto. Del primo so qualche cosa, perchè ne fui
l'editore: poche copie se ne vendettero in Sicilia e credo nessuna ne
pervenne tra le file del popolo.

La seconda, per quanto ispirata alle idee repubblicane e socialiste
penetrava maggiormente tra la borghesia più onesta e più intelligente.
Invece credo che negli animi delle popolazioni ho fatto più breccia
colla campagna elettorale del 1890 combattuta in quattro collegi. Dei
giornali quello che ha maggiormente contribuito a creare la coscienza
socialista nella cerchia della provincia di Catania fu ed è l'_Unione_
del De Felice; vengono dopo la _Nuova Età_ di Palermo e di Marsala e
l'_Esule_ di Trapani.



III.

IL PROGRAMMA--I RISULTATI--LE ACCUSE.


Quale fosse il programma _ufficiale_ dei _Fasci dei lavoratori_ è facile
conoscerlo, poichè venne riassunto in un opuscolo di propaganda di
Garibaldi Bosco. (_I fasci dei lavoratori; il loro programma ed i loro
fini._ Palermo 1893.)--Questo programma è quello del partito socialista
dei lavoratori italiani; è il programma della scuola marxista. Non si
vuole _divisione delle terre_, ma socializzazione di tutti i mezzi di
produzione; si vuole e si combatte per l'abolizione del salariato, e
come mezzo si adotta la lotta di classe, cioè degli sfruttati contro gli
sfruttatori; della lotta di classe si servono per fare in modo che le
classi odierne possano sparire, distruggendo tutte le ineguaglianze
artificiali, artificialmente create.» (p. 11).

Questa parte per così dire radicale del programma non è detto
chiaramente ed esplicitamente che sarà realizzata in un avvenire non
prossimo, come riconosce lo stesso Bebel. Ma si argomenta che i capi
non dovevano ritenere di pronta attuazione la socializzazione dei mezzi
di produzione, da quello che dicevano su di essa in altra parte del
programma,--che consideravano come d'immediata attuazione e adatta alle
condizioni dell'ambiente--e cioè: cooperative di consumo, cooperative di
lavoro, conquista dei municipî, delle provincie ed anche del parlamento.

  [IL PROGRAMMA DEI FASCI]

Queste modeste aspirazioni, che sono propugnate da tanti che non sono
socialisti e pel cui conseguimento (se non vi facesse ostacolo la
intolleranza di alcuni capi), si potrebbe trarre profitto dall'impiego
di tante altre forze, rappresentano molto meno di quello che c'era nel
programma minimo del cosidetto partito _possibilista_ francese, ch'ebbe
ad interprete autorevole e stimato il Malon.

Non avevano messo nel programma neppure le _cooperative di produzione_,
perchè disgraziatamente nemmeno quelle di _consumo_ e di _lavoro_ hanno
potuto attecchire in Sicilia, dove indarno si cercherebbe una
associazione di semplice mutuo soccorso, che possa gareggiare con la più
meschina _Trade-Union_ inglese del vecchio stampo.

Se alcuni dei capi conoscevano le teorie di Marx--e alcuni le avevano
studiate con amore e le spiegavano con molta chiarezza, come il
Montalto, il Barbato, il De Luca, il Petrina, ecc.;--la immensa
maggioranza dei soci dei _Fasci_, per non dire la totalità, non riusciva
a formarsene la più lontana idea. Così avveniva che mentre i giornali ed
i capi del partito parlavano di _collettivismo_, tra i socî e
specialmente tra i contadini più arditi e più radicali si aspirava alla
divisione delle terre, alla quotizzazione. Per loro una buona _legge
agraria_ sarebbe l'ideale; molti altri si sarebbero contentati della
riforma dei patti colonici. La elevazione dei magri salarî per gli uni,
la mezzadria ad oneste condizioni--come c'è in Toscana e nell'alta
Lombardia, e di cui non mancano buoni e numerosi esempî nella stessa
Sicilia--per gli altri, sarebbero bastate a soddisfarli ed a quietarli
per un pezzo.

Il sig. Enea Cavalieri giustamente osservò che in fondo, «astraendo dal
loro infeudamento al socialismo, i _Fasci_, come nuclei operai, dovevano
qualificarsi Società di resistenza, _Trade-Unions_ insomma: principio di
resistenza, che ha alte giustificazioni.»

  [LE ASPIRAZIONI DEI CONTADINI]

Nessuno aveva, dunque, motivo di allarmarsi e di protestare se
praticamente, in sostanza, i contadini e gli operai di Sicilia si
organizzavano come in Inghilterra e facevano domande d'immediata
realizzazione che vennero trovate ragionevoli da illustri professori di
diritto, che le difesero in seno della Regia Commissione che discusse i
_Contratti agrarî_.

Per la parte più radicale, ma di remota realizzazione, poi è bene notare
che l'on. Marchese di San Giuliano, ex sottosegretario di Stato nel
Ministero Giolitti--e _pour cause_ mi limito tra i liberali e i
conservatori a citare il solo rappresentante di Catania--nel suo libro:
_Le condizioni presenti della Sicilia_ (p. 135) considera come
_superstiziosa_ la venerazione di cui viene circondata la proprietà
privata, che considera--al modo di Lassalle--quale una categoria storica
modificabile col tempo nella legislazione. A che dunque far la voce
grossa contro i socialisti, che dicono la stessa cosa?

In quanto allo spirito e ai moventi reali che spinsero alla
costituzione dello insieme dei _Fasci_, perchè i fatti posteriori mi
dettero ragione, credo opportuno ripetere ciò che scrissi altra volta.

  [LA DEGENERAZIONE DI PARECCHI FASCI]

«Anzitutto,--osservai in sul finire del luglio 1893--a spiegare certi
fenomeni non degni di ammirazione, è d'uopo rilevare che certi _Fasci_
sono sorti come arma di combattimento contro locali Società operaie
infeudate ad uomini ed a partiti diversi. L'ideale socialista in questi
casi non è servito che come marca di fabbrica, che doveva coprire la
merce di contrabando. Così alla prima occasione tali _Fasci_ si sono
visti rinnegare i principî, che dovrebbero inspirarli e in nome del
socialismo combattere anche i socialisti.»

«Più di frequente i soci, che accorsero numerosi, furono trascinati
nelle nuove associazioni dall'innegabile contagio psichico, che tanto
più attivamente agisce quanto meno colte sono le masse sulle quali
dispiega la sua azione; ma ognuno crede che in questi casi, scomparso il
fascino del momento ed anche la parvenza teatrale, rimangono poco utili,
se non addirittura dannosi, al sodalizio, dove portano un pericoloso
contingente di svogliatezza e di malumore.»

«Nel maggior numero, infine, degli operai, che si sono iscritti nei
_Fasci dei lavoratori_ della Sicilia e che del resto ne costituiscono
l'elemento migliore prevalse quel socialismo sentimentale, ch'è fatto di
forte malcontento--ben giustificato--dello stato presente, e di vaga
aspirazione verso un più lieto avvenire, tanto più seducente quanto più
inghirlandato colle magiche promesse contenute nelle parole _giustizia_
ed _eguaglianza_. Manca, però in questo maggior numero la coscienza
vera di ciò che si vuole, dei mezzi congrui per conseguirlo ed anche il
concetto adeguato della forza, che si ha nelle proprie mani--giudicata
talora grandissima e tal altra minima--e manca in generale questa
coscienza perchè manca la coltura intellettuale anche la più
elementare». (_Rivista popolare_ 1. agosto 1893). Tutto questo era
innegabile dinanzi allo spettacolo di _Fasci_ sorti e presieduti da
liberali ortodossi, come quello di Militello, o dei _contro-fasci_, come
quello di Monreale.

  [SOCIALISMO SENTIMENTALE]

Questo giudizio onesto di un socialista onesto, che credeva giovare alla
causa prediletta col culto della verità, senza orpelli e senza
illusioni, non piacque a coloro che in Italia hanno preso nelle mani il
monopolio del socialismo intransigente, come non piacque ciò che dissi
con altrettanta franchezza nella _Grande Revue_, e venni considerato
come un nemico dei _Fasci_ e designato al disprezzo come un
_socialistoide_. A mio conforto ed a mia giustificazione venne dopo una
corrispondenza da Reggio Emilia--all'epoca del congresso socialista--nel
_Peuple_ di Bruxelles, e che certamente è dovuta al Vandervelde--uno dei
capi più autorevoli del socialismo belga--nella quale è detto: «In
Sicilia il movimento socialista data da ieri. Si è sviluppato con una
rapidità che fa pensare alla formazione delle leghe operaie belghe, dopo
gli avvenimenti di marzo 1866. Sinora i contadini siciliani erano
rimasti completamente al di fuori di tutte le preoccupazioni socialiste.
Bruscamente in meno di un anno, tutto questo proletariato si è
organizzato; ma _il va sans dire_ che questi nuovi aderenti non sono
arrivati alla _piena ed intera coscienza dell'ideale socialista_. La
maggior parte accettano il nuovo vangelo, _come quei pagani che si
facevano battezzare, ma che continuavano a portare delle ghirlande di
fiori sugli altari di Freja_. In qualche società i membri sono obbligati
di assistere, da una parte alle riunioni socialiste, dall'altra alle
feste annuali della Madonna. Ci si cita un gruppo--_Il circolo della
regina Margherita_--che accetta ad una volta il principio della _lotta
di classe_ e il patronato del re d'Italia.

Questo giudizio era forse più aspro del mio; ma non era meno vero; e più
severo sarebbe stato se fosse venuto all'indomani di certi luttuosi
fatti determinati da domande giuste offuscate da altre assai reazionarie
(_Giardinelli_ ecc.).

  [NUOVA COSCIENZA NEI LAVORATORI]

È bene osservare però, che se per i lavoratori della Sicilia il
programma marxista era incomprensibile, un passo notevole nel senso
socialista in Sicilia si fece in questi ultimi tempi colla modificazione
profonda nella coscienza degli stessi lavoratori, nel considerare la
loro posizione di fronte alle altre classi e nel reclamare il loro
diritto. Pel passato le classi dirigenti avvalendosi dei mezzi più
poderosi di dominio--morale, religione, politica--adoperati nel modo
descritto dal Loria, erano riuscite a mantenere in una specie di servitù
di fatto i lavoratori che si credevano nel dovere di soffrire ed
ubbidire. In altri tempi, costrettivi dalle sofferenze fisiche, poterono
ribellarsi, ma essi raramente invocavano e facevano valere i propri
diritti e credevano che il poco che potevano chiedere e sperare lo
dovevano attendere dalla carità e dalla generosità altrui. Ora invece
sanno e dicono che quel poco che chiedono è loro _dovuto_ ed hanno
_diritto_ di esigerlo.

A Partanna nei tumulti si grida: _Vogliamo lavoro e non elemosine!_ A
Piana dei Greci, quando Plebano, Farina e Comandini visitaronla i
contadini, benchè affamati e nella più squallida miseria, respingevano
l'elemosina credendosi avviliti, degradati accettandola.

Questi fatti provano la formazione della coscienza socialista nelle
masse siciliane, e non è poco. Questa coscienza non si potrà più
distruggerla e darà i suoi frutti.

Coloro che stavano alla direzione del movimento opportunamente avevano
pensato ad eliminare molte stridenti contraddizioni; avevano messo in
mora parecchi _Fasci_, che vi si abbandonavano ed alcuni anche ne
avevano eliminato dal seno del partito; (Lercara, Delia, ecc. ecc.); ma
i fatti rimangono sempre come un indizio dello spirito che c'è nelle
masse e della loro maturità maggiore o minore per accogliere i dettati
del rigido socialismo marxista.

  [I FASCI E I CONTRATTI AGRARII]

Intanto è bene avvertire che nel programma minimo i _Fasci_ avevano già
ottenuto notevoli risultati. In taluni punti i salarî si erano elevati
alquanto; altrove erano stati accettati dai proprietarii,--per timore di
peggio o per ridestato senso di umanità--i patti colonici votati dal
Congresso di Corleone. Il Cavalieri alludendo a questi successi sul
terreno economico, nota che le modificazioni nei _contratti agrarî_,
indarno raccomandate da tanti anni da Villari, da Rubieri, da Sonnino
ecc., le ottennero i _Fasci_ colla _violenza_ e colla _minaccia_ e
perciò in fondo loda l'opera del Congresso di Corleone[6].

Credo che egli sia stato inesattamente informato sui mezzi adoperati dai
_Fasci_ di contadini per ottenere più eque condizioni dai proprietarî
delle terre, a meno che egli non consideri come una violenza lo
sciopero; ma se pur egli fosse nel vero, si potrebbero biasimare coloro
che da secoli sono stati vilipesi ed abbandonati e che colle buone non
erano mai riusciti a migliorare la propria tristissima condizione?

  [GLI OPERAI NELLE ELEZIONI AMMINISTRATIVE]

La vittoria, infine, aveva coronato non poche lotte elettorali
amministrative. A Piana dei Greci, a Corleone, a Prizzi, a Partinico, ad
Alcamo, a San Giuseppe Jato, a Sancipirrello, ecc. ecc. contadini ed
operai, candidati dei _Fasci_, erano andati a far parte dei Consigli
Comunali.

Si avrebbe torto, però, ritenendo che questi ed altri successi
elettorali fossero dovuti esclusivamente alle forze socialiste: gli
operai da un pezzo senza vero programma di partito prevalsero in molti
comuni: alcuni li ebbero in mano completamente--Caltagirone, Agira,
Biancavilla, ecc.--Altrove, ad esempio a Catania, a Messina gli eletti
socialisti e con grande numero di voti, sono l'espressione di molte
cause concomitanti e specialmente del malcontento suscitato dalle
precedenti amministrazioni; negli eletti giovani onesti, intelligenti e
coraggiosi si è visto un freno ed un controllo utile. In qualche punto i
clericali e quella congerie di partiti locali senza programma alcuno
hanno adescato i lavoratori, hanno messo all'asta il loro appoggio,
accordando posti nei Consigli comunali a chi dava loro un maggior numero
di voti e accordandoli spesso a coloro che meno li meritavano!

  [I FASCI NELLE ZONE AGRICOLE]

I successi reali i cui risultati economici sono stati visibili ed
immediati, si sono visti con particolarità nelle zone agricole; si
spiega perciò come e perchè i contadini fossero i più ardenti nella
lotta e si può prevedere che i loro _Fasci_ si riorganizzeranno presto e
meglio degli altri non appena sarà passata la bufera attuale e
prevarranno se saranno accortamente diretti; direzione accorta che c'era
a Piana dei Greci per merito del D.r Barbato ed a Corleone per opera di
Bernardino Verro. È facile prevedere ciò che avverrà in queste zone dal
risultato delle elezioni amministrative in Piana dei Greci, dove pochi
giorni prima della iniqua sentenza del 30 maggio, il D.r Barbato e i
suoi compagni del _Fascio_, non ostante lo stato di assedio e le
cancellazioni arbitrarie ed odiose dalle liste elettorali fatte dal
Regio Commissario straordinario,--vennero eletti consiglieri comunali
alla quasi unanimità.


NOTE:

[6] Questo piccolo episodio siciliano illustra sempre più ciò che L.
Bissolati brillantemente sostenne contro l'on. Prof. Luigi Luzzatti
sulla assoluta mancanza di spontaneità nelle _concessioni_ fatte dalla
borghesia al proletariato (V. L. Bissolati: _La lotta di classe e le
alte idealità della borghesia_. Milano 1893). L'avvocato cremonese
dimostra che tutte le leggi sociali favorevoli ai lavoratori in
Inghilterra sono in correlazione colla conquistata influenza politica
degli ultimi. Giustissimo! Sostenni sempre tale tesi, che formò il
caposaldo delle mie teorie politico-sociali: la esposi nella conferenza
al Teatro S. Cecilia in Palermo (1890) e al Consolato Operaio in Milano
(1891). Allora dai valvassori del socialismo fui deriso e canzonato....
E ora?



IV.

LE CAUSE--IL MALCONTENTO IN ALTO.


Alla descrizione del movimento socialista siciliano nelle sue fasi e
nelle sue condizioni attuali parmi opportuno far seguire un breve studio
sulle cause, che lo hanno fatto assorgere ad una importanza, che non ha
riscontro sul continente italiano; studio utile perchè somministra le
migliori e più esatte indicazioni sulla condotta da seguire per
regolarlo.

Il Prof. Lombroso, ch'è rimasto colpito dal rapido sviluppo del
socialismo in Sicilia, per ispiegarlo attribuì un'azione preponderante
al miscuglio delle razze e al clima. Senza intrattenermi di questo
secondo fattore, la cui esagerata influenza ho dimostrato insussistente
nella _Sociologia Criminale_ (Vol. 2º), osservo sulla prima che a torto
adesso lo si invoca.

I contatti tra razze diverse certamente producono fermenti insoliti
e acceleramento della vita sociale: Carlo Cattaneo, precedendo il
Gumplowicz e parecchi altri etnologi e sociologi contemporanei,
giustamente lo affermò. Non è il caso di ricorrere a questa spiegazione
oggi in Sicilia dove le razze sono fuse da oltre dieci secoli e dove la
miscela non sarebbe nè maggiore, nè più recente che in Lombardia o nel
Napolitano.

Alcune alte autorità, che non hanno coltura sufficiente per comprendere
che una propaganda che non trovasse l'_ubi consistam_ nelle opportune
condizioni sociali, rimarrebbe sterile e forse neppure sarebbe tentata,
attribuiscono tutto all'azione degli agitatori, dei demagoghi, come essi
li chiamano per designarli al disprezzo pubblico; e agli agitatori
assegnano moventi non confessabili. Dicono che questi ultimi sono mossi
dall'ambizione di divenire consiglieri comunali e provinciali o anche
deputati; osano affermare che si volle fare il giuoco di Crispi e
rendere necessario il suo ritorno al potere; che si aspira alla
separazione col protettorato inglese, sotto il quale Malta fiorisce; che
la Francia soffia nel fuoco e vuole trarre partito di un movimento
insurrezionale da lei favorito; che tutto il movimento non è che una
manifestazione brigantesca e che la organizzazione non è socialistica,
ma modellata e inspirata dalla _mafia_.

  [SCIOCCHE CALUNNIE]

La maggior parte di queste affermazioni rappresentano calunnie tanto
odiose, quanto ridicole. Per quella piccola parte di vero che c'è dirò
che bisogna non conoscere il cuore umano per meravigliarsi che
l'ambizione si annidi nel cuore di qualche giovane intraprendente: essa
anzi è un grande stimolo a mutare ed a progredire; e senza ambizione si
può dire che non vi sono nell'attuale organizzazione sociale se non
gl'inetti e i disgustati dalla vita pubblica. Tutto sta nel modo come si
esplica e si cerca di soddisfare; e in quanto a questo, io che conosco
quasi tutti i giovani, che stavano alla testa dei _Fasci dei lavoratori_
posso assicurare con serena coscienza, ch'essi sono davvero eccellenti
nella grandissima maggioranza.[7]

  [LA JEUNESSE DORÉE SICILIANA]

E non a torto l'on. Comandini ha descritto, in una delle sue
corrispondenze, la _jeunesse dorée_ del socialismo siciliano,
simpaticamente, come dedita allo studio e alla propaganda. Il caso non è
nuovo e non deve affatto sorprendere. Chi non ricorda il lavorio di
demolizione di tutte le vecchie credenze che venne fatto in Francia nel
secolo scorso da buona parte della _jeunesse dorée_? E chi non sa che al
nihilismo i martiri e gli eroi più belli vennero dalla borghesia e dalla
aristocrazia?

In quanto alla ingerenza e all'influenza della _mafia_ e del
_brigantaggio_, l'accusa è iniquamente bugiarda. Qualche ammonito, e
davvero pochi, faceva parte dei _Fasci_; ed a me che una volta deplorai
il fatto si rispose: «dunque non si dovranno mai riabilitare? E perchè
si meravigliano di qualche ammonito ch'è nei _Fasci_ se hanno mandato
Tanlongo in Senato e tanti ladri del pubblico denaro stanno in
Parlamento? E perchè desta tanto scandalo un disgraziato che violò la
legge per miseria per ignoranza e viene da noi paternamente accolto,
mentre si trova regolarissimo che il Barone Tizio sia sindaco, sebbene
abbia passato qualche anno in carcere sotto gravissima accusa; e il
Conte Filano tenga ai suoi ordini, come _bravi_, i peggiori _mafiosi_
dell'isola? Cristo, del resto, impone il perdono!»

Questo linguaggio semplice, onesto, elevato fu tenuto anche a Piana dei
Greci a Rossi della _Tribuna_.

Mi piace aggiungere che a me consta, che alcuni ammoniti da che erano
stati ricevuti nei _Fasci_ avevano tenuto una condotta irreprensibile. E
il fenomeno non è nuovo, per quanto possa sembrare strano a coloro che
non conoscono il cuore umano. Ci fu in Sicilia nel 1893 un leggero
aumento nella delinquenza; ma fu anche maggiore in gran parte del
continente senza che vi fossero _Fasci_, ma per le cause sociali
generali.

  [LE ACCUSE STOLTE E I FATTI]

Se s'ingannano da pessimisti le autorità politiche e le classi
dirigenti, o vogliono ingannare, non si appone neppure al vero il Bosco
nella parte in cui si abbandona ad un ingenuo ottimismo e adduce come
fattori concomitanti del progresso del socialismo in Sicilia lo sviluppo
intellettuale e morale delle masse. Questo sviluppo è tale meschina cosa
che davvero non avrebbe potuto dare i risultati che gli vengono
attribuiti. L'analfabetismo e la delinquenza--negli omicidî
Caltanissetta e Girgenti hanno il primato assoluto--nell'isola sono
altissimi, e la lasciano a grandissima distanza dal Piemonte, dalla
Lombardia, dal Veneto, dalla Toscana, dove il socialismo è assai meno
rigoglioso in questo momento.[8]

Ispira simpatia il caso citato dal Rossi della _Tribuna_ di quei socî
del _Fascio_, poveri anch'essi, che si quotizzarono per ricomprare il
mulo al compagno che l'aveva perduto, come si farebbe nella _Zadruga_
degli Slavi meridionali. Ma il caso isolato non autorizza affatto il
Bosco a scrivere: «Moralmente il nostro contadino è di molto migliorato.
Egli a poco a poco va spogliandosi della laida veste dell'egoismo e
sente vivo l'amore pel prossimo; egli che non comprendeva nemmeno
l'amore per la famiglia, ama oggi il fratello di dolore e lo aiuta in
tutto quello che può. E di azioni veramente altruistiche, che indicano
un grande progresso morale, potremmo citarne a _centinaia_(!!)»

Questa è poesia bella e buona; la realtà è diversa e si avvicina molto a
quel materialismo economico da cui un discepolo di Marx non avrebbe
dovuto discostarsi.

  [I FATTI E LE ESASPERAZIONI]

La realtà è questa: in Sicilia c'è un grande malcontento pel malessere
economico aggravato dalle condizioni politiche; malcontento che spinge
alla protesta e alla reazione, coadiuvato dall'influenza ereditaria e
dalle tradizioni locali. Il malcontento ha cause economiche generali e
ne ha particolari che lo hanno reso più rapidamente sensibile: il
malcontento è in alto e nelle classi dirigenti, che a forza di
mormorare e di protestare hanno incitato il popolo ad imitarle; e col
malcontento in alto sono venuti meno i freni morali e materiali, che
avrebbero potuto rattenere e moderare il malcontento irrompente in
basso.

  [IL MALCONTENTO NELLE CLASSI DIRIGENTI]

Tra le classi dirigenti il malumore serpeggia e si accresce con
prodigiosa rapidità per tutte le cause generali, che agiscono in tutta
Italia e che trovano l'addentellato e nella politica interna e nella
politica estera e in tutte le esplicazioni della vita pubblica. Di
questo stato dell'animo delle classi dirigenti dettero un saggio i
_grandi proprietarî_ di Sicilia--senatori, deputati, duchi, principi,
marchesi, baroni, cavalieri ed anche avvocati nullatenenti--che riuniti
nella sala Ragona in Palermo, in numero di duecento, applaudirono
freneticamente un rapporto del Comitato promotore, che nella _parte
generale_--dovuta al senator Guarneri--dice in principio così: «I
deplorabili moti,--promossi da quali agitatori e da quali intenti
l'Italia oggi non ignora--che sono scoppiati, _non sarebbero avvenuti_,
o almeno non avrebbero tanto attecchito se in tutta l'isola non regnasse
il più profondo malcontento ed universale malessere, _nato da lunghi
anni di trista amministrazione_.» (p. 3) Dopo questa constatazione che
valore possono avere le sciocche invettive contro i _sobillatori_?

I proprietarî si lamentano acremente per la gravezza delle imposte
erariali, provinciali e comunali, e in parte si lamentano a torto i
grandi proprietarî, che se molto pagano non possono e non devono negare
che dal 1860 in poi hanno visto aumentare vistosamente i loro redditi.
Il prof. Salvioli afferma che nel circondario di Mistretta i fitti
raddoppiarono: in provincia di Catania aumentarono di circa un terzo ed
in qualche zona del doppio, fino al 1881. Così in quella di Siracusa e
di Caltanissetta. In provincia di Trapani l'aumento variò dal 30 al
100%. (_Gabellotti e contadini in Sicilia_ ecc. nella _Riforma Sociale_
del Nitti 10-25 marzo 1894). Le ricerche di altri agronomi e le mie
confermano questo aumento straordinario nei fitti: e in questo come in
tanti altri casi continua la rassomiglianza tra la Sicilia e
l'Irlanda.[9] Inoltre il prodotto delle imposte di ogni genere in
maggior parte venne speso a vantaggio degli stessi proprietarî. Molte
strade comunali e provinciali, che hanno rovinato i corpi locali sono
state costruite a loro esclusivo beneficio: e su di alcune si narrano
intrighi e imposizioni scandalose per farle votare ed eseguire. Le
imposte e le spese così riuscirono spesso ad aumentare la ricchezza dei
proprietarî.

  [CENSIMENTO DELL'ASSE ECCLESIASTICO]

In Sicilia, eziandio, a produrre una speciale perturbazione economica ha
contribuito un fattore, che avrebbe dovuto essere benefico e che sotto
certi punti di vista tale realmente è riuscito. Alludo al censimento dei
beni demaniali e dell'asse ecclesiastico.

  [GARIBALDI E IL GOVERNO ITALIANO]

Qui da dieci secoli le corporazioni religiose, le confraternite ecc.
avevano ricevuto doni dai fedeli ed accumulato ricchezze enormi. Nel
1860 si può ritenere che esse possedevano oltre 190,000 ettari della
migliore terra malamente coltivata sì, ma il cui prodotto veniva
consumato localmente. Il generale Garibaldi vide il pericolo che
derivava dalla esistenza di tale vasta manomorta ed il vantaggio che si
poteva ricavarne distribuendola in piccoli lotti ai lavoratori; ma il
suo ottimo pensiero fu svisato completamente poco dopo.

Il governo italiano, che successe alla Dittatura, ad un elevato fine
economico-sociale ne sostituì uno puramente fiscale: e col censimento,
che seguì alla soppressione delle corporazioni religiose, si costituì
una risorsa finanziaria compiendo una vera spogliazione a danno dei
Comuni, cui accordò in teoria un quarto della rendita dei beni delle
suddette corporazioni--assottigliata da imposte e prelevazioni di ogni
sorta--ma in fatto la negò con ogni sorta di tergiversazioni e di
litigi.[10]

  [SI MANCA IL FINE]

Coll'incameramento e col censimento eseguito con criterî fiscali, dal
punto di vista sociale il progresso fu poco, perchè alle corporazioni
nelle proprietà della terra si sostituì a poco a poco il grande
proprietario, checchè ne abbia pensato il Prof. Corleo, ch'era un poco
interessato a difendere il modo come s'era praticato il censimento; il
competente Prof. Basile, anzi, arriva a dire, «che si sono vendute tutte
le terre appartenenti una volta alle _manimorte_ e sono state acquistate
da proprietarî oziosi, da far comparire _manivive_ i monasteri di una
volta.» (_La quistione dei contadini in Italia._ Messina 1894).

  [L'ASSENTEISMO]

Dal punto di vista economico l'isola subì tutte le conseguenze
dell'_assenteismo_; poichè il prodotto della terra e del lavoro--in gran
parte sotto forma di _canone_--emigrò tutti gli anni al di là dello
stretto per essere consumato a Roma e nell'alta Italia, dove per ragioni
geografiche, politiche e militari lo Stato spende una somma maggiore di
quella che vi esige.

L'_assenteismo_--quest'altro male caratteristico dell'Irlanda--generato
dal governo in Sicilia, si complica per dato e fatto di alcuni privati,
che vi hanno grandi possessioni--Duca d'Aumale, duca di Ferrandina, duca
di Monteleone, Principe di Trabia, Principe di S. Elia, Principe di
Belmonte, ecc.--e che vivono, i più, nel continente italiano, in Francia
o in Ispagna. I danni enormi economico-sociali dell'_assenteismo_
vennero riconosciuti da tempo dal Sonnino, dal Baer (nel suo eccellente
studio sul _Latifondo in Sicilia_ nella _Nuova Antologia_ del 15 aprile
1883) e di recente dal Cavalieri, da Monsignor Carini, dal De Rosa,
ex-prefetto di Caltanissetta, dal senatore Faraldo, ex prefetto in
Sicilia (_Alcuni riflessi sui casi succeduti in Sicilia_) ecc. ecc.

Questa causa di depressione economica, che agiva lentamente, da recente
fu resa più energica colle facilitazioni allettatrici, che accordò lo
Stato per lo affrancamento dei censi sui beni dell'asse ecclesiastico;
i cui possessori assunsero impegni superiori alle loro forze,
s'indebitarono--e contribuirono ad accrescere le immobilizzazioni
bancarie--e mandarono al centro, non il reddito annuo ma l'importo delle
terre censite e sottrassero alla vita economica del paese un ingente
capitale.

In questo modo si crede, ed a me pare che la credenza sia giustificata,
che l'isola abbia dato all'Italia più di quanto ha ricevuto; ed ha
sicuramente ricevuto meno di quanto le si doveva sotto forma di strade,
che sarebbe stata la più utile delle restituzioni sotto tutti gli
aspetti. Lo Stato, altresì, a cagione della sua organizzazione
centralizzatrice sino all'assurdo, agisce sulla periferia come una pompa
aspirante, che restituisce solo in minima parte ciò che ne assorbe.

  [LE CONDIZIONI DI PUBBLICA SICUREZZA]

Oltre questi fatti d'indole economica, vi è un'altra causa di
malcontento, che si è resa intensa da recente per i proprietarî in
generale ed è rappresentata dal peggioramento nelle condizioni della
pubblica sicurezza. Sintanto che in Sicilia si ammazzava più che
altrove, essi non si preoccupavano molto del fenomeno morale: questa
forma di delinquenza di ordinario non li colpiva. Quando aumentarono i
reati contro la proprietà e sopratutto l'_abigeato_, o furto di animali
bovini e da trasporto, i sequestri di persona, i ricatti ecc. allora
essi furono toccati direttamente, furono presi da paura, si rinchiusero
nelle loro case, videro andare in malora i loro interessi, furono
privati dei godimenti della vita campestre e venne meno la funzione
dello Stato da loro più apprezzata: quella che compie lo
stato-gendarme. Si può comprendere come e quanto protestassero!

  [IL LATIFONDO FACILITA ALCUNI REATI]

È bene si dica che i furti in Sicilia se sono alquanto maggiori alla
media del regno e dell'alta Italia, sono però molto al disotto che in
Sardegna, nel Lazio, in Basilicata e negli Abruzzi[11]. Ma in Sicilia le
forme speciali del reato contro la proprietà sopraccennate,--cioè:
_abigeato_, sequestro di persona, ricatto, ecc.--se aumentano destano un
grande allarme. E le gesta della banda Maurina, la taglia pagata dalla
Baronessa vedova Sisto, i sequestri Coniglio, Terresena e del
disgraziato cav. Billotti, che fu ucciso e bruciato in una grotta,
destarono e mantengono lo spavento in tutti; spavento accresciuto talora
dalle notizie false che spargono i contadini e gl'impiegati, che hanno
interesse a tenere lontani dalle campagne i padroni. E il malandrinaggio
e le altre cennate forme di reato contro la proprietà in Sicilia sono
facili e frequenti per la esistenza del latifondo (che costringe alla
cattiva distribuzione della popolazione, riunita in grossi centri,
lontanissimi gli uni dagli altri, e circondati da campagne deserte e
brulle) e per la mancanza di strade, per l'analfabetismo, e per le
prepotenze feudali, che in qualche punto perdurarono più che altrove e
generarono largo risentimento. I malandrini assurgono gradatamente alla
trista altezza di briganti, e sanno tenere impunemente la campagna colla
buona tattica: rispettano i piccoli, sanno procacciarsi il rispetto o
la solidarietà dei contadini, dei bovari, dei pastori, degli zolfatari,
o con terribili esempî incutono loro timore, quando in loro non trovano
le ragioni--che mancano di rado--di odio contro i padroni.

  [LE CRISI]

Queste cause che generano e mantengono la particolare delinquenza della
Sicilia in modo permanente, negli ultimi tempi sono state rese più
intense dalla crisi agricola e dalla crisi zolfifera. Della prima si è
scritto abbastanza ed è conosciuta: il rinvilimento del prezzo dei
cereali e dei vini e degli altri prodotti dell'isola--rinvilimento
cagionato dalla rottura delle buone relazioni commerciali colla Francia
e dalla depressione del mercato interno, impoverito dall'alta quota
delle imposte pagate e da altre cause--ha arrecato gravi perdite ai
proprietarî e per ripercussione ai lavoratori. La crisi ha talvolta
forme e cause strettamente locali: così a Monreale, a Partinico e in
altri punti della provincia di Palermo, dove sono avvenute dimostrazioni
e torbidi, sebbene la proprietà sia ben divisa, in questi ultimi anni la
miseria è grande, tanto più intollerabile in quanto che è del tutto
insolita, poichè eccezionalmente generata dal ribasso fortissimo nel
prezzo degli agrumi che rappresentano il prodotto esclusivo di quella
ferace contrada[12].

  [LE CRISI E IL MALCONTENTO]

Della crisi zolfifera dirò brevemente più oltre; qui mi basta
conchiudere osservando che le due crisi, l'agricola e la mineraria,
hanno direttamente aumentato il malcontento della classe dirigente per
le ragioni economiche; e l'hanno indirettamente accresciuto in quanto
che contribuirono in forte misura a peggiorare le condizioni della
pubblica sicurezza.[13]


NOTE:

[7] G. Alongi, intelligentissimo funzionario di pubblica sicurezza, in
uno studio sui _Fasci dei Lavoratori_ estratto del _Manuale_ del Comm.
Astengo, ha raccolto talune odiose calunnie sopra alcuni Presidenti dei
_Fasci_, che tolgono valore al suo studio nel resto abbastanza buono.

[8] In Sicilia, secondo i dati statistici recenti comunicatimi
gentilmente dal D.r A. Bosco (della Direzione della statistica del
regno), nel 1891 c'erano tra gli sposi e le spose 71% di analfabeti e
63% tra i coscritti, in Piemonte invece vi sono analfabeti nella
proporzione del 12 e del 16%. In quanto a reati per 100,000 abitanti in
Sicilia si ebbero nel 1891 denunzie 28 per omicidio, 359 per lesioni
violente e 392 per furti; in Piemonte per le rispettive categorie si
ebbero queste cifre; 4, 103, 223. Quanti insegnamenti in questo
confronto!

[9] Chi vuole formarsi un'idea adeguata della somiglianza tra le due
isole, in quanto a condizioni economico-sociali legga il libro
dell'individualista Fournier: _La question agraire en Irlande_ e
l'opuscolo del socialista Kautsky: _Irland. kultur-historische Skizze_,
Leipzig 1880.

Il parallelo riesce utilissimo per le indicazioni che i casi d'Irlanda
somministrano per la soluzione del problema siciliano.

[10] Nel rapporto dei _grandi proprietarî_ di Sicilia a pagine 4 e 5 si
legge:

«La Sicilia è entrata nella grande famiglia italiana con un debito
pubblico di appena ottantacinque milioni in capitale, e con un lieve
bilancio di sole lire 21.792,585. E a dippiù dessa vi ha arrecato il suo
tesoro, accumulato da lunghi secoli, dei beni ecclesiastici e demaniali.
Però dessa vi è entrata al tempo stesso povera di opere pubbliche, cioè
di mezzi di viabilità di ogni genere, di lavori portuali, e di bonifiche
di qualunque natura.

«La censuazione dei beni ecclesiastici, e la vendita di quelli demaniali
ha avuto luogo, non a _scopo sociale_, non a sollievo delle classi
agricole, ma a fine di _lucro_, e di finanza, e quest'Isola ha dovuto
ricomprare le sue terre chiesastiche e demaniali, e allibertare le sue
altre proprietà immobiliari, erogandovi la colossale somma di quasi 700
milioni, che sono stati sottratti alla bonifica delle altre sue terre.

«Ed il quarto dei beni ecclesiastici, attribuito dalla legge del 7
luglio 1866 ai comuni dell'Isola, è stato davvero derisorio, giacchè
(incredibile a dirsi, ma pure vero) il _valore_ di questi beni a
riguardo dei detti comuni, è stato calcolato in base alle vilissime
dichiarazioni del clero di Sicilia, per il soddisfo della tassa di
manomorta del 4%. E da questo _nominale_ valore sono stati dedotti il
30% attribuito allo Stato giusta la legge del 15 agosto 1867, e dippiù
il 4%, di tassa di manomorta, ed un altro 5% per ispese di
amministrazione. Però tutte queste deduzioni sono stato ragionate sul
_valore effettivo_ dei cennati beni; e sottratte in oltre le pensioni
dovute ai membri degli Enti soppressi. Sicchè nulla, o quasi nulla, han
percepito sin oggi dopo più che un quarto di secolo, i Comuni del
cennato quarto di beni. Anzi il Demanio ha richiesta la restituzione
delle poche somme, per tale causa, pagate a qualche Comune.

«Or dietro tanti sacrifici che quest'Isola ha, per virtù di
patriottismo, accettati, dessa avea bene il diritto di vedersi
equiparata alle altre regioni d'Italia nelle condizioni di viabilità, o
di miglioramento di ogni genere.»

Mi associo di tutto cuore alla osservazione del Comitato promotore, che
vorrei vedere tenuta nel dovuto conto da coloro che credono nella
_generosità_ del governo italiano verso la Sicilia. Però devo notare che
la valutazione dei beni dell'asse ecclesiastico fatta dalla relazione
dei grandi proprietarî--secondo i dati fornitimi gentilmente dal Comm.
Simeone, direttore generale del Demanio--è troppo esagerata.

[11] La media del regno pel 1891 per 100,000 abitanti è di 348 furti, in
Sardegna di 846, nel Lazio di 667, in Basilicata di 638, negli Abruzzi
di 518, in Sicilia di 398.

[12] Degli effetti del fiscalismo e dell'usura, che producono il grave
malcontento dei piccoli e medî proprietarî se ne avrà una idea da questi
desolanti dati statistici. Nella provincia sola di Caltanissetta dal
1883 al 1893 si fecero le seguenti espropriazioni: Caltanissetta 3151,
Piazza Armerina 2033, Riesi 1648, Butera 1388, Santa Caterina Villarmosa
731, Mazzarino 604, _Castrogiovanni_ 463, Montedoro 500, Valguarnera
432, Resuttano 449, Sommatino 399, Delia 392, Serradifalco 322, Aidone
252, San Cataldo 228, Villalba 228, Niscemi 158, Barrafranca 140, Sutera
136, Vallelunga 116, Acquaviva 46, Pietraperzia 28, Villarosa 29,
Marianopoli 10, Campofranco 6. La lista non è completa eppure le
espropriazioni del decennio arrivano a 16662! (Dalla _Rivista popolare_
del 31 Dicembre 1893). Nel solo comune di Chiaramonte Gulfi (paese di
circa 10000 abitanti nella provincia di Siracusa) nel mese di Dicembre
1893 per conto dell'esattore andarono all'asta 129 piccolissime e medie
proprietà. Ho sottolineato la città di Castrogiovanni perchè nonostante
il suo vastissimo territorio e i suoi 22000 abitanti, ha avuto, un
numero relativamente esiguo di espropriazioni, perchè c'è un certo
benessere. _Fu mantenuta sempre la calma e l'ordine._

[13] L'on. Marchese di San Giuliano da _vero uomo di Governo_, nel senso
comunemente attribuito a questa frase in Italia, e che sente la
responsabilità della politica disastrosa da lui appoggiata dal 1882 al
giorno d'oggi, ha tentato scagionare il governo dalle accuse rivoltegli,
sostenendo che della depressione economica della Sicilia la colpa del
governo è poca o almeno non è quanta glie ne viene attribuita. (_Le
condizioni presenti della Sicilia_). La difesa non merita di essere
discussa. Alle sue affermazioni, veramente audaci, rispondono i fasti
della politica finanziaria, militare e doganale--strettamente connesse
alla dinastica politica estera--che trovarono estimatori assai più equi
anche tra i più eminenti uomini di governo; tra i quali cito soli i
senatori Jacini e Finali, perchè credo, che bastino a controbilanciare
l'autorità dell'ex-sottosegretario di Stato per l'agricoltura e
commercio.



V.

IL MALCONTENTO TRA I LAVORATORI DELLE MINIERE.


Dei piccoli proprietarî non occorre tener parola. La loro condizione,
che peggiora dappertutto, non è diversa in Sicilia di quella che è
altrove; essi che hanno minore resistenza da opporre alle cause di
depressione economica, sentono che muoiono, che gradatamente vengono
gettati tra le file del proletariato. Perciò giustamente cominciano ad
essere accessibili alla propaganda socialista, che tra loro riuscirebbe
più efficace se il concetto della _lotta di classe_--facilmente
frainteso--non li spaventasse, perchè temono che in un momento decisivo
i proletarî, non saprebbero fare distinzioni sottili tra grandi e
piccoli proprietarî e li voterebbero tutti alla morte[14].

  [AZIONE MODERATRICE DEI SOCIALISTI]

Nè occorre intrattenersi del proletariato urbano, poco dissimile per le
condizioni economiche da quello del resto d'Italia; inferiore al
medesimo nella istruzione, nella coltura, nella compartecipazione alla
vita pubblica. I _Fasci dei lavoratori_ delle città,--eccettuato quello
di Catania--perciò offrono una minore solidità ed attività di quelli
delle campagne, e poco fanno parlare di loro. Così Palermo rimane
tranquilla, mentre alle sue porte, a Partinico, a Monreale, a
Girardinello è forte l'agitazione; si arresta, si ferisce, si ammazza.
Con che non s'intende disconoscere che in questa attitudine non abbia
seriamente contribuito la influenza moderatrice che i capi del partito
socialista esercitano sulle masse, consci come sono dei danni che
verrebbero da un movimento inconsulto: azione altamente moderatrice e
non mai abbastanza lodata--sebbene dal Governo del tutto
disconosciuta--esercitata pure dal dott. Barbato a Piana dei Greci e dal
Verro nelle contrade di Corleone: paesi che senza di questa azione
moderatrice avrebbero potuto dare un forte e pericoloso contingente agli
ultimi sanguinosi tumulti.

Tristissima è la sorte delle cinquantamila famiglie, che vivono
direttamente del lavoro nelle miniere di zolfo. I _reporters_ che hanno
visitato l'isola in generale si sono dati alle commoventi descrizioni
dei così detti _carusi_, cioè dei giovani dagli 8 ai 20 anni, che sulle
loro spalle traggono fuori dalle viscere della terra il minerale da cui
si estrae lo zolfo; e lo trasportano attorno ai _calcheroni_, nei quali
viene fuso e ridotto in pani; descrizioni, che fanno rassomigliare una
zolfara ad una bolgia dantesca coi suoi disgraziati abitatori e che di
poco si scostano dal vero.

  [I CARUSI]

I _carusi_ hanno formato oggetto di vive discussioni a varie riprese in
Italia.

La stampa del continente se ne occupò con interessamento dopo la
pubblicazione del libro di Sonnino sui _Contadini in Sicilia_, il quale
ne trattò nell'appendice. Quando si cominciò a parlare di legislazione
sociale tornarono di moda; e finalmente nel settembre scorso ci fu di
nuovo una esplosione di sdegno per le sofferenze di questi lavoratori
delle miniere dopo la descrizione fattane dal Rossi della _Tribuna_.

Se sono molte le inesattezze scritte e divulgate sulla durezza del
lavoro dei minatori di zolfo, sono assai minori quelle sui _carusi_.

Tra tutte le descrizioni sul lavoro aspro, durissimo, cui sono
condannati i _carusi_, rimane, a mio giudizio, più esatta, per quanto
elegante e sentimentale, quella datane da Gustavo Chiesi nella _Sicilia
Illustrata_. Non mi arrischio di rifarla o di ripeterla perchè a me
manca quella vivacità dello stile ch'è necessaria per farne un bozzetto,
che per quanto impressionante rimane sempre verista. Mi limito, perciò,
ad occuparmi di quella parte delle loro condizioni, che si presta ad
essere trattata con l'aridità che mi è abituale.

  [LA DURATA DEL LAVORO]

Comincio dalla durata del lavoro. Raramente la giornata di lavoro dei
_carusi_ sorpassa le otto ore, come raramente rimane al disotto, mentre
quasi mai il _picconiere_ lavora per otto ore, e la sua settimana di
lavoro è di quaranta ore.[15]

Quindi sotto questo punto di vista la legge delle otto ore nelle miniere
della Sicilia non avrebbe sensibile applicazione e non darebbe gli
sperati utili risultati.

I _carusi_, come i _picconieri_, lavorano a cottimo e ricevono una parte
maggiore o minore dell'importo della _cassa_ di zolfo, secondo la
maggiore o minore distanza dal cantiere della lavorazione al piano
d'impostamento presso il _calcherone_, e secondo pure la lunghezza e
ripidità della scala. Da queste due condizioni, infatti, dipende il
numero dei _viaggi_, che può fare il _caruso_ e la quantità di minerale,
che può essere trasportata fuori in una giornata.

  [IL SALARIO E L'USURA]

Il salario varia in questo momento dai 40 centesimi alla lira al giorno
secondo l'età; ma si avverta, che oggi non che al salario dello
_sweating system_ sono ridotti al doloroso sciopero forzato.

L'usura pesa sui _carusi_, come pesa sui _picconieri_, e non è esatto
che questi ultimi riversino sui primi la parte che a loro spetta; almeno
questo è un caso del tutto eccezionale e che si verifica quando il
picconiere è agiato, ha un piccolo capitaluccio e fa lui stesso le
anticipazioni in generi al _caruso_. Ma in questo caso, per essere
giusti, si deve riconoscere che il picconiere non esercita l'usura in
proporzioni superiori a quelle, cui si dovrebbe sottostare ricorrendo
alla _bottega_ del padrone-coltivatore.

Si sono esagerate di molto le crudeltà del _picconiere_ contro il
_caruso_, che si è voluto dipingere come se fosse assolutamente lo
schiavo del primo e su cui avrebbe una specie di diritto di vita e di
morte. I rapporti tra _picconieri_ e _carusi_ sono improntati
generalmente a quel carattere di durezza, che prevale nelle classi
inferiori, specialmente della Sicilia.

Il contadino si crede nel diritto di bastonare la propria moglie e i
propri figli; e lo stesso diritto crede di avere il _picconiere_ verso
il _caruso_. Non sono rari i casi, poi, in cui il primo mostra una
eccezionale dolcezza verso il secondo; e lo liscia, lo carezza, gli
regala qualche sigaro e lo porta a bere un bicchiere di vino nei giorni
festivi e di domenica. E ciò fa più per convenienza, che per bontà di
animo; lo fa per quell'_anticipo_ che gli ha dato e che è stato
erroneamente interpretato e dal Sonnino e dal Rossi e da molti altri,
che ne hanno scritto.

  [RAPPORTI TRA CARUSO E PICCONIERE]

Quando un _caruso_ s'impegna a lavorare con un _picconiere_ riceve da
questo una somma, che varia dalle 50 alle 150 lire, secondo l'età e la
ricerca che c'è di _carusi_. Questa somma si chiama _anticipo morto_,
che non sempre si sconta gradatamente col lavoro quotidiano, ma si
restituisce quando il _caruso_ vuole andare a lavorare con un altro
picconiere o vuole cambiare mestiere.

Le famiglie di contadini e anche di operai dei centri urbani hanno una
grande risorsa nello _anticipo_, che intascano per uno o due figli, che
mandano a lavorare nelle miniere; ma si sbaglia grossolanamente quando
si crede che questo _anticipo_, che spesso nè il _caruso_, nè la sua
famiglia sono in condizione di restituire, costituisca un legame
economico rassomigliante alla servitù. Il vero è che il _caruso_, se è
nullatenente e poco onesto, o se tale è la sua famiglia, un bel giorno
lascia con un palmo di naso il _picconiere_, e va a lavorare con un
altro _picconiere_, intascando un altro _anticipo_: operazione, che
ripete talvolta con parecchi che lascia sul lastrico. Al _picconiere_
non resta che esperimentare l'azione civile, senza utile alcuno; ma
qualche volta, esasperato dalla perdita, che per lui è un vero disastro,
lo cerca, lo insegue, e se lo trova, lo bastona terribilmente. Non poche
volte sorse fiera contesa con brave coltellate tra l'antico _picconiere_
derubato e il nuovo con cui è andato a lavorare il _caruso_ senza
restituire al primo l'anticipo; poichè le consuetudini e le leggi
dell'_omertà_ esigono che un _picconiere_, assoldando un _caruso_,
s'incarichi esso stesso di saldare il creditore precedente, cui si
sostituisce in tutto e per tutto. Chi vien meno a tali consuetudini e
leggi della _mafia_, si espone alle vendette del danneggiato; e in
realtà è meritevole di punizione perchè se esso non ruba, tiene il
sacco.

Ma i _picconieri_ intelligenti, se trovano _carusi_ buoni e laboriosi,
li trattano bene e li carezzano, e io conosco lavoratori che da anni
stanno in relazioni intime e affettuose, come ne conoscono tutti coloro
che hanno coltivato miniere di zolfo.

  [SENZA CASE E SENZA SCUOLE]

_Picconieri_ e _carusi_, e tutti i lavoratori delle miniere come quelli
della terra in generale in Sicilia soffrono molto per le abitazioni, che
sono anguste e luride o mancano del tutto.

A questo la legge deve e può provvedere; come dovrebbe provvedere alla
istruzione di tanti ragazzi. Proposi nella penultima discussione del
bilancio della pubblica istruzione, l'impianto di scuole elementari
nelle miniere di zolfo e ricordai che la Spagna ci ha preceduti. Ma
l'on. Martini mi rispose che l'idea era buona... però mancavano i
quattrini per attuarla,--quattrini che poi si trovarono per il famoso
ispettorato!

E qui mi piace, a titolo d'onore, far menzione della scuola elementare
serale che il signor Trewhella a sue spese ha impiantato nella grande
miniera di Grottacalda. L'esempio potrebbe essere imitato da altri
coltivatori di grandi miniere e servirebbe di aspro rimprovero allo
Stato.

Infine mi tocca a far menzione di una grave quistione: quella della
degenerazione nel lavoro duro e precoce dei _carusi_.

  [LA DEGENERAZIONE DEI CARUSI]

Altra volta scrissi che dai resoconti del generale Torre non si poteva
assodare se il lavoro delle miniere deformasse i _carusi_. Non se ne può
giudicare dalle esenzioni in blocco dal servizio militare per difetto
di statura, perchè la statura è uno dei dati antropometrici più
strettamente connesso alla razza. Varî circondarî del continente offrono
un contingente di riformati uguale o superiore a quello dei circondarî
minerarî della Sicilia, senza che abbiano miniere. _A priori_, però, si
può ammettere che il lavoro delle miniere noccia molto alla salute e
allo sviluppo fisico dei _carusi_; e ciò con indagini dirette ha cercato
dimostrare l'egregio dottor Giordano da Lercara. Questi, su 539 _carusi_
ne trovò 170 difettosi. Il Mosso nel suo libro sulla _Fatica_ dice che
dal 1881 al 1884 nella provincia di Caltanissetta, sopra 3672 lavoranti
delle zolfare che si presentarono allo esame di leva, soltanto 253
furono dichiarati abili, cioè appena il 6,87%! L'errore e l'esagerazione
in questi dati sono evidenti; e di ciò convinto volli fare ulteriori
ricerche comparative tra contadini e zolfatari. Le intrapresi su queste
due sole classi di lavoratori, perchè non si può ammettere che le
conseguenze del lavoro duro e precoce nell'una classe vengano compensate
dalla migliore nutrizione e dalla più igienica abitazione.

  [COMPARAZIONI STATISTICHE]

La comparazione era necessaria, poichè, presi in blocco, i risultati
della leva non dimostrano affatto che nelle zone zolfifere vi sia una
particolare degenerazione prodotta dallo speciale lavoro delle miniere,
come si può rilevare da questo quadro dei riformati dalla leva del 1870
in alcune provincie d'Italia:

                 _Per difetto_       _Per tutti gli altri difetti_
                 _di statura_      _Compreso il difetto di statura._

  Sondrio              12,67 %                36,62 %
  Foggia                9,45                  18,75
  Potenza              12,06                  19,27
  Catanzaro            13,07                  22,35
  Reggio-Calabria      12,45                  22,26
  Caltanissetta        14,55                  21,24
  Girgenti             10,24                  18,08
  Cagliari             14,92                  25,74
  Sassari              13,48                  24,36

Si può dire che Girgenti e Caltanissetta danno la immensa maggioranza
dei coscritti-_carusi_: pure la degenerazione è minore che in altre
provincie nelle quali non vi sono miniere.

Questo risultato indusse anche me in errore pel passato; ma mi sono
corretto dinanzi alla eloquenza di queste altre cifre relative al
circondario di Piazza Armerina, che si presta benissimo allo studio
appartenendo la grande maggioranza dei suoi lavoratori alla classe dei
contadini e degli zolfatari.

Infatti la classe dei contadini dette riformati nella leva

                                        del 1872:    e del 1873:
  riformati per difetto di statura il     14.45 %       14.41 %
  e per altre imperfezioni fisiche         6,88          6,79

mentre nelle stesse leve e per gli stessi motivi nella classe dei
zolfatari si ebbero rispettivamente nel 1872: 32, 72 e 7,72% e nel 1873:
38, 28 e 6,25% di riformati. Sicchè per gli altri difetti fisici la
proporzione dei riformati è quasi uguale tra contadini e zolfatari; tra
gli ultimi è invece più che doppia per difetto di statura. Qui è
evidente l'azione esercitata dal trasporto sulle spalle di un peso che
varia dai 30 agli 80 chilogrammi, sempre superiore alle forze del
_caruso_, che a quel lavoro viene sottoposto in tenera età, sin dagli
anni 8 e talvolta--ma ora assai più raramente--sin dai 6 anni. Questo
stato di cose se perdurasse ridurrebbe le due Provincie di Caltanissetta
e di Girgenti ad un vero semenzaio di nani e di gobbi. Ho richiamato
l'attenzione del ministro e agricoltura e commercio su di ciò e ne ho
avuto formale promessa, che nella discussione del nuovo disegno di legge
sul _lavoro dei fanciulli_ accetterà qualche emendamento sul lavoro dei
_carusi_ nelle zolfare di Sicilia.

  [LE MACCHINE NON SONO UN VANTAGGIO]

Sarebbe un rimedio efficace la generalizzazione degli apparecchi
meccanici per la estrazione dello zolfo? In molte miniere questa
applicazione delle macchine è assolutamente impossibile e lo riconosce
la stessa illustre Jessie White Mario, che pur tanto s'interessa alla
sorte dei miseri fanciulli delle zolfare (_Le miniere di zolfo in
Sicilia._ Roma 1894); dove è avvenuta spesso sono peggiorati i salari
dei lavoratori. Ciò che prova sempre più come coll'attuale
organizzazione capitalistica i progressi della scienza, che
diminuirebbero le sofferenze fisiche dei lavoratori non si possono
applicare per ragioni economiche. Si sa: la macchina è la nemica del
lavoratore, dato il regime economico attuale,--perchè dovunque avviene
l'impianto meccanico aumenta la produzione e diminuisce il salario,
conseguenza fatale della sostituzione dell'uomo di ferro all'uomo di
carne.

  [LE LEGGI E LA FAME]

L'applicazione rigorosa della legge sul lavoro dei fanciulli può e deve
riuscire utile dal punto di vista igienico ed antropologico; ma è
giocoforza riconoscere che le limitazioni imposte dalla legge incontrano
opposizioni gravi nelle stesse famiglie dei lavoratori. E a parere mio,
lo Stato fa bene intervenendo per impedire che degeneri e si abbrutisca
la razza umana: ma intervenendo ha il dovere di assicurare se non altro
un _minimum_ di alimentazione a quei _carusi_, ai quali impedisce di
guadagnarsi il pane col proprio lavoro; deve assicurarlo a loro almeno,
se non alle famiglie, altrimenti per quanto le sue intenzioni siano
filantropiche, umane, esse verranno giudicate sempre crudeli.

Ma oltre le sofferenze fisiche dei _carusi_ c'è da considerare la
condizione economica dei _picconieri_ divenuta oramai intollerabile.
Essi nella maggior parte delle contrade zolfifere vivono col vero
_salario della fame_, relativamente a quello goduto una volta; poichè
pel duro lavoro, ordinariamente a cottimo, di sei ad otto ore per cinque
giorni della settimana, essi ricevono ora un salario che oscilla,
secondo i luoghi, da L. 1 a L. 2 mentre pel passato guadagnavano da L. 3
a L. 6 al giorno.

Questo salario deve considerarsi insufficiente non solo nel senso
assoluto: ma perchè è il corrispettivo d'un mestiere, che espone
continuamente a pericolo di vita per lo sviluppo di gas irrespirabili,
per incendî, per franamenti, ecc. Se il lavoro dei _picconieri_ delle
miniere di zolfo è pericoloso, non è, però, tanto duro per quanto lo si
dice, e non è poi affatto lungo, come dissi.

Non è affatto esagerato, invece, quanto si è scritto--ed io da molti
anni prima nella stampa e poi nella Camera ho denunziato il
male--sull'usura enorme, dal 25 al 100 per cento, che assottiglia il
salario nominale dei lavoratori delle miniere di zolfo; usura esercitata
col _truck-system_, colla somministrazione dei generi nelle così dette
_botteghe_ delle miniere; alle quali botteghe sono costretti a ricorrere
perchè la paga in danaro viene ritardata di molto.

  [LE CONDIZIONI DELL'INDUSTRIA]

Disgraziatamente, date le attuali condizioni dell'industria zolfifera,
quelli che possono sperare meno sono i lavoratori delle miniere di
zolfo. La loro agitazione potrebbe riuscire proficua soltanto nel caso
in cui essi ottenessero che scomparisse il coltivatore della miniera e
rimanessero di fronte al proprietario, che oggi prende dal 20 al 30% del
_prodotto_ lordo senza nemmeno darsi la pena di pagare la imposta
fondiaria, che per condizione espressa nell'atto di fitto rimane a
carico dei coltivatori! Quest'ultimi dal ribasso continuo dei prezzi
dello zolfo, che si deplora da circa quindici anni, con piccole
oscillazioni al rialzo, sono ridotti in condizioni tristissime. Molti
sono falliti e coloro che resistono considerano lo sciopero come un
alleviamento, perchè li dispensa dall'obbligo di dare lavoro. E se lo
sciopero dei zolfatari potesse prolungarsi per alcuni mesi, come durò in
Inghilterra quello dei minatori, sarebbe per qualche tempo efficacissimo
rimedio, perchè colla diminuzione della produzione sicuramente
rialzerebbero i prezzi dello zolfo, non essendo da temere la concorrenza
estera. Uno sciopero siffatto intanto è impossibile, poichè la massa dei
zolfatari si trova nella miseria, non è organizzata, non ha fondi e non
può resistere neppure per una settimana.

  [IL MALCONTENTO DEI ZOLFATARI]

Dato questo stato di cose si comprende che i _Fasci_ hanno dovuto
attecchire nelle zone zolfifere: provincie di Girgenti e di
Caltanissetta in massima parte ed in una assai minore in quelle di
Catania e di Palermo, ma non sono i meglio organizzati e i più compatti.
Però anche dove _Fasci_ non sono esistiti il malcontento serpeggia
minaccioso ed esplode per ogni minimo pretesto in forma selvaggia,
anarchica, come avvenne a Valguarnera. E questa esplosione in un luogo
dove l'azione dei cosidetti sobillatori non può invocarsi a spiegarla,
dovrebbe rendere meglio avvisati coloro cui sfugge la genesi esatta dei
fenomeni sociali.

A Grotte, a Racalmuto, a Favara, a Riesi ecc.--paesi zolfiferi per
eccellenza,--dov'erano _Fasci_ discretamente organizzati non si ebbe a
deplorare il menomo disordine; ma la crisi che attraversa la industria
zolfifera sta mettendo a durissima prova la pazienza dei coraggiosissimi
lavoratori delle miniere. Guai se essi, spintivi dalla disperazione,
vorranno imitare i contadini! Meglio disciplinati, più compatti, più
arditi, più coscienti dei propri diritti e della propria forza che non
siano le classi rurali, essi potrebbero rinnovare gli orrori delle
_guerre servili_... E la ragione starebbe dalla loro parte, poichè
governo e classi dirigenti di fronte alle loro miserie mostrano tanta
cinica indifferenza da giustificare qualunque eccesso! Perchè si
comprenda tutta la gravità dal pericolo, che denunzio, farò un breve
schizzo del carattere morale e intellettuale degli operai addetti alla
coltivazione delle miniere.

_Picconieri_, _carusi_, _calcheronai_, ecc. sono quasi tutti analfabeti;
la _mafia_ recluta tra loro i più coraggiosi campioni e sin dalla più
tenera età essi ostentano la più scrupolosa osservanza delle leggi, che
costituiscono il codice dell'_omertà_. Data la loro vita e la loro
condizione intellettuale si spiega l'altissimo contingente che i
zolfatai danno ai reati di sangue od a quelli contro il buon costume.

  [LORO DIFETTI E LORO PREGI]

La responsabilità maggiore di questi loro difetti ricade sull'ambiente,
sul governo e sulle classi dirigenti, che mai pensarono ad elevarli, ad
educarli; ma quegli operai hanno pregi reali e non pochi, che preferisco
riferire colle parole di un chiarissimo scienziato, l'ing. R. Travaglia,
che li conosce appieno e che non è affatto sentimentale o socialista.

  [CHI NE DICE MALE NON LI CONOSCE]

«Dedito ad una vita di sacrificio e di fatica,--scrive l'antico
Direttore della scuola mineraria di Caltanissetta--isolato per intere
settimane dal mondo, separato per più giorni dalla sua famiglia,
l'operajo delle miniere in Sicilia vuole ad ogni costo i suoi giorni di
riposo e le sue feste; talora in queste è troppo spendereccio e cerca di
compensare le durezze della vita di operajo, nella settimana, con un
certo benessere e coi piaceri, che più ama nei giorni ch'è al paese....
Noncurante dei pericoli, ai quali è continuamente esposta la sua vita,
conta poco questa per sè e per gli altri, anche quando è fuori della
miniera, e malauguratamente spesso si lascia trascinare dagli impeti
dell'animo a sacrificarla. Ma è per sua natura generoso, mai vile;
affronta a viso alto dieci avversarî, non soverchia col numero i deboli.
Trattato bene si affeziona a chi lo rispetta, a chi lo stima, ed è
capace di ogni atto di coraggio; trattato con sprezzo e con durezza, si
ribella e si vendica. Riconosce la superiorità di chi vale più di lui, e
pur coi suoi difetti, che l'istruzione mitiga, è un operaio di cui si
può fare quello che si vuole, sapendolo trattare. Chi ne dice male, non
lo conosce.» (_I giacimenti di zolfo in Sicilia._ Padova 1889).

Ed io che li conosco da vicino, e che in mezzo a loro e in continuo
contatto con loro ho vissuto per oltre dieci anni, mi associo pienamente
al giudizio che dà il Travaglia sulle buone qualità dei lavoratori delle
miniere di zolfo della Sicilia.


NOTE:

[14] Si avrà una idea delle condizioni dei piccoli proprietarî da questo
dato. In Chiaramonte Gulfi, cittadina di 10 mila abitanti nella
provincia di Siracusa pel giorno 26 Dicembre 1893 era fissata la vendita
d'immobili di _centoventinove_ individui, che non avevano potuto pagare
le imposte. La quota d'imposta non pagata raramente sorpassava le L. 20;
moltissime non arrivavano a L. 10 e sette erano al disotto di L. 5.

[15] In questi ultimi tempi _picconieri_ e _carusi_ hanno cominciato a
lavorare di più per rimediare al diminuito prezzo dello zolfo: così il
rinvilio crescente e veramente spaventevole nel prezzo del minerale
anzichè ridurne la produzione in certe miniere l'ha aumentata poichè
_picconieri_ e _carusi_, che--prima della crisi--vivevano umanamente
estraendo due _casse_ di minerale zolfifero, ora per ricevere un
salario, del resto sempre molto inferiore all'antico, sono costretti ad
estirparne almeno tre. Con ciò la produzione aumenta e i prezzi
continuano a ribassare per opera fatale degli stessi lavoratori, che
sono le prime vittime di questo tristissimo circolo vizioso! L'industria
zolfifera in Sicilia presenta alcuni paradossi economici, che raccomando
all'attenzione degli economisti liberali, che con incredibile cecità si
ostinano ad aspettare il rimedio alla crisi dal funzionamento delle
cosidette _Leggi naturali_. Dell'industria zolfifera mi sono occupato
lungamente in due articoli pubblicati nel 4º e nel 7º-8º numero della
_Riforma sociale_ del Nitti. Ne pubblicherò un terzo ed ultimo e dopo li
raccoglierò in un opuscolo a parte.



VI.

LE CLASSI RURALI


La crisi zolfifera, che produce miserie e sofferenze inaudite, travaglia
le due provincie di Caltanissetta e di Girgenti ed alcune zone di quelle
di Catania e di Palermo, la crisi agraria invece colpisce tutta l'isola,
e siccome non c'è un solo dei suoi prodotti--dal vino ai sommacchi, dai
cereali alle mandorle all'olio, ai pistacchi ecc.--che non abbia subito
da qualche anno un forte ribasso, si può dire ch'essa non risparmia un
sol palmo di terreno, nè un solo individuo che lo calpesti. In una
regione dedita con grandissima prevalenza, se non esclusivamente
all'agricoltura e alla pastorizia si può immaginare agevolmente quali
tristi conseguenze arrechi una tale crisi.

Però tra i lavoratori addetti all'agricoltura non è uguale dappertutto
il malessere, perchè normalmente diverse sono le loro condizioni.

  [VARIETÀ DELLE CONDIZIONI AGRICOLE]

Infatti sono svariatissime le condizioni dei lavoratori della terra in
Sicilia: variano da provincia a provincia; da circondario a circondario,
da comune a comune. Errano, quindi, coloro che generalizzano con
leggerezza dai casi singoli; ed errerebbe chiunque credesse che quel
campione di pane inviatomi da Campofelice (provincia di Palermo), e di
cui si occupò la _Tribuna_, sia mangiato dappertutto. Miserie, e grandi,
non mancano tra i contadini, ma in generale essi mangiano del buon pane
di frumento, che potrebbe essere invidiato dai lavoratori della Calabria
e di alcune contrade del Veneto e della Lombardia.

La varietà delle condizioni non sfuggì al Sonnino, che la descrisse nel
suo libro, ancora eccellente, sui _Contadini della Sicilia_ e venne
constatata pure dall'on. Damiani nel volume della _Inchiesta agraria_
consacrato all'isola.

C'è una zona litorale, che da Marsala per Palermo, Termini, Milazzo,
Messina scende a Catania e da Catania gira attorno all'Etna, e poi forma
alcune oasi nell'interno dell'isola e delle provincie di Caltanissetta,
di Girgenti e di Siracusa, in cui prevale l'agricoltura intensiva, la
piccola proprietà, la mezzadria; nel resto domina la grande proprietà,
la coltura estensiva a cereali e la pastorizia.

Nella prima zona, che disgraziatamente è la meno estesa, quale che sia
la forma di contratto agrario in uso, le classi rurali stanno molto
meglio, o meno peggio che nella seconda; ma per apprezzare al giusto
questa varietà di condizioni bisogna dire partitamente dei lavoratori
che vivono nelle diverse zone e sotto le diverse forme di coltura e di
contratto.

  [LE MEZZADRIE]

La coltura a mezzadria è diffusa principalmente nella provincia di
Messina e siccome si dividono anche i prodotti degli uliveti e dei
vigneti, i lavoratori vi godono di una certa agiatezza. In questa zona
contemporaneamente al minore sviluppo dei _Fasci_ si osserva minore
analfabetismo e minore delinquenza. La coesistenza di questi fenomeni
sociali non somministra indizî preziosi sulla genesi loro e sui
possibili ed efficaci rimedî per alleviare certi mali?

Ha ragione il Salvioli, quando osserva che la mezzadria non presenta la
soluzione definitiva del problema sociale (_Rivista popolare_, 1º
Dicembre 1893). Ma non deve negarsi che essa sia un temperamento
opportuno per migliorare la sorte dei lavoratori della terra; e lo prova
ciò che si osserva nella provincia di Messina, a Castrogiovanni e
altrove in Sicilia, oltre l'esperimento benefico che se n'è fatto in
Toscana e in altri punti del continente.

Del resto bisogna distinguere tra mezzadria e mezzadria. Talvolta questa
è parziale, non si estende alla coltura delle vigne e degli uliveti; e
si comprende che il contadino in questo caso ha minori risorse,
quantunque sia per lui un grande vantaggio avere contigua alla terra da
lui coltivata a cereali ed a mezzadria, delle vigne, che coltiva a
_fattura_ cioè a _forfait_ e dove per lo meno trova, lavoro quando non
ne ha per conto proprio nella coltivazione dei cereali.

  [PRELEVAMENTI INIQUI]

La mezzadria limitata alla coltivazione di cereali ch'è la più comune
nell'isola, anche dove non è resa iniqua da numerosi e angarici
prelevamenti, può riuscire irrisoria e dare solo un magrissimo compenso
alle fatiche di un anno del contadino, se la terra produce poco perchè
esaurita o di cattiva qualità.

Dissi che la mezzadria è iniqua dove esistono prelevamenti a vantaggio
del proprietario o dei suoi rappresentanti. Vero è che i prodotti si
dividono a metà tra proprietario e coltivatore; ma la divisione si
pratica dopo che dalla massa si è prelevata la semente; e poi la così
detta _strazzatura_, il tumolo per la _lampada_, il tumolo pel
_campiere_ e talora anche il tumolo per la _madonna_, per _San Francesco
di Paola_ o per qualche altro patrono del luogo.

Questi prelevamenti non sono dappertutto uguali per la quantità e per il
numero; ma dove c'è la mezzadria è quasi dapertutto esistente l'usura
sulla semente e sui soccorsi anticipati dal proprietario durante l'anno.
In qualche punto il proprietario dà il frumento per la semente e pei
soccorsi col tumolo da 13 litri e se lo fa restituire con uno da 17; in
altri punti dà la semente bagnata colla soluzione di solfato di rame
(per evitare certe malattie del grano) e se la fa restituire asciutta;
sulla semente e sul soccorso, infine, i più onesti prendono per lo meno
un interesse del 20% a ragione d'anno![16]

Si può immaginare quello che resta al povero mezzadro all'epoca del
raccolto, specialmente dove padroni inumani non lasciano più a loro il
così detto _solame_--cioè--il po' di grano commisto a paglia e a terra
che nella trebbiatura rimane sull'aia--e negano loro la facoltà di
spigolare! E di questa mezzadria, infine, scrive l'Alongi: «Che cosa sia
questo contratto si sa oramai fino alla nausea; il nome di mezzadria, se
non è una crudele ironia, è certo una insigne menzogna, un nome legale
per far passare di contrabbando le più flagranti violazioni delle leggi
morali e giuridiche (loc. cit. p. 9)».

La mezzadria talvolta si riduce a _terzeria_, forma di contratto
agrario, nella quale il proprietario prende due terzi del prodotto ed il
contadino uno. Ma in questo caso il proprietario dà la terra preparata a
maggese coi suoi bovi, e sulla quale non ha esatto nulla per un anno.

  [IL CONTRATTO A TERRATICO]

La mezzadria in tutte le sue forme, prevale dove c'è la piccola ed anche
la media proprietà; ed allora può anche alternarsi o coesistere col
contratto a terratico, il quale varia pure da contrada a contrada e che
nei paesi da me conosciuti non corrisponde a quello descritto
dall'egregio Prof. Salvioli nel citato articolo della _Rivista
popolare_. Il _terratico_, da me conosciuto e che so prevalere in molti
luoghi, è un puro e semplice fitto pagato in prodotti, anzichè in danaro
contante. Secondo la qualità delle terre il coltivatore dà al
proprietario o al gabellotto da tre a sei ettolitri di frumento all'anno
per ogni ettaro di terra. Il _terratico_ è forma di contratto preferito
da molti contadini perchè assicura loro una certa indipendenza, pagata
però molto cara negli anni di cattivo raccolto.

  [L'INQUILINAGGIO]

Meritano una particolare menzione i lavoratori della terra che
stabiliscono coi proprietari l'_inquilinaggio_ per le vigne, forma
particolare di colonia parziaria, che dura dai 15 ai 29 anni. Il
contadino in questo caso pianta la vite e la coltiva e ne divide il
prodotto, in varia misura, col proprietario della terra. Trascorso il
termine del contratto la vigna rimane intera proprietà del secondo. I
contadini, che prendevano la terra ad inquilinaggio ebbero un periodo di
prosperità, ch'è stata distrutta dalla filossera nella provincia di
Siracusa e minaccia di distruggerla in quella di Catania. Nella zona
Etnea della seconda, molti contadini si può dire che vedono distrutte le
loro speranze prima di avere avuto un qualsiasi prodotto dal lavoro e
dal capitaluccio impiegato. Per loro è una vera rovina.

I lavoratori della terra che vivono sotto il regime della mezzadria e
del terratico, e nelle contrade a piccola e media proprietà, si possono
considerare come fortunati rispetto a quelli che lavorano a giornata, e
nelle regioni disgraziate del latifondo di cui dirò in appresso.

Orbene, quella frazione--che rappresenterebbe in Sicilia una specie di
aristocrazia delle classi rurali,--secondo i calcoli stabiliti da un
agronomo competentissimo, il Prof. Caruso (_Industria dei cereali in
Sicilia_), nel 1870, tempo in cui non c'era traccia nell'isola di alcuna
agitazione socialista e vi si godeva di una relativa prosperità--non
poteva passarsela allegra se si tiene conto del lavoro proprio e degli
interessi dovuti al piccolo capitale impiegato nella mezzadria, nel
terratico ecc. Il bilancio del mezzadro, del terratichiere
ecc.--calcolando che il grano sia stato venduto a L. 51 per salma[17],
con una produzione di 11 volte la semente--si chiudeva con un _deficit_.

Questi calcoli rifatti, dopo oltre venti anni, da Rao per Canicattì, dal
Dr. Barbato per Piana di Greci, da Verro per Corleone, concordano
perfettamente con quelli del Caruso; e la circostanza, con senso di
opportunità, la rileva oggi il Cavalieri, ch'è un avversario del
socialismo.

Comunque, mezzadri, piccoli fittajuoli, che prendono a _terratico_ o in
altre forme di fitto un pezzo di terra dai tre ai quindici ettari, e che
sinora vivevano in condizione relativamente buona, si risentono del
contraccolpo della crisi generale e sono i più risoluti a non soccombere
senza fare sentire la loro voce ed all'occorrenza senza ricorrere alla
doppietta o al vecchio fucile della guardia nazionale, che conservano
gelosamente.

Quando visitai l'ameno villaggio di Milocca, rimasi colpito dalla
pulitezza e dall'aspetto lieto delle case a due piani--rarissime tra i
nostri contadini--e dai numerosi muli, che cavalcavano i contadini
venutimi incontro.

Seppi che bestie e case appartenevano a loro: _dunque,_ chiesi, _voi
altri non state tanto male al paragone degli altri lavoratori del resto
della Sicilia!_

  [LA MISERIA]

_È vero,_ mi risposero; _ma pur troppo ciò che ora possediamo non è
nostro che in apparenza. La casa è gravata d'ipoteca e i debitucci
diversi non possono essere soddisfatti neppure colla vendita del mulo!_

M'informai ed ebbi a constatare che quei gagliardi lavoratori non
mentivano.

  [IL RICORDO DEL TEMPO FELICE]

Essi al ricordo del benessere antico non si sapevano acconciare alla
miseria presente e invocavano provvedimenti e modificazioni dei vigenti
contratti agrari. Questa circostanza mi confermò sempre più in una idea,
che ho sostenuto altrove e cioè: che la miseria vera prostra e non
prepara le necessarie reazioni, mentre il passaggio rapido dal benessere
alla miseria è il più efficace elemento in prò delle insurrezioni.
Questa osservazione si può applicare ai casi di Partinico, di Monreale e
di altri paesi della provincia di Trapani.


NOTE:

[16] Il Sonnino dice che in diversi luoghi, e specialmente nel
Siracusano, i gabellotti e i proprietari mettono spesso come condizione
espressa nei patti di metateria e di terratico che il contadino non
debba rivolgersi ad altri che a loro per ottenere soccorsi (_I contadini
in Sicilia_, p. 179). Ad onore del vero si deve dire che questa
preveggenza usuraia è quasi scomparsa. L'angheria dei prelevamenti viene
constatata con singolare unanimità da tutti gli scrittori dell'isola e
del continente ed anche da stranieri; dal Sonnino al Baer, al Cavalieri,
al Caruso, al Basile, al Combes de Lestrade, ecc. ecc.

[17] La _salma_ di frumento nella provincia di Caltanissetta corrisponde
in peso da 260 sino a 270 chilogrammi, secondo la qualità.



VII.

I PARIA DELLA TERRA.


Quando dalla classe dei mezzadri e dei contadini-proprietarî--rarissimi
in Sicilia--si passa all'esame delle condizioni degli altri lavoratori,
in questa terra tanto decantata per la sua fertilità e per ogni sorta di
ricchezze, si riscontrano i veri paria.

I proletarî dediti ai lavori agricoli ed alla pastorizia non sono
dappertutto ugualmente infelici, e si suddividono ancora. Ci sono quelli
che lavorano ad anno o a mese; e ci sono quelli che vengono adibiti alla
giornata.

  [I PASTORI]

Tra i primi è veramente dura la sorte di coloro che custodiscono gli
armenti e le greggi. I _bovari_, come si chiamano quelli addetti alla
custodia dei bovi, raramente dormono al coperto. D'inverno, ricoperti da
pelli di montone che danno loro sembianze di uomini primitivi, stanno
esposti alle pioggie e alle tempeste; d'estate, durante le lunghe ed
afose giornate, sono fortunati quando trovano un albero, od una
disuguaglianza di terreno, che procuri loro un poco di ombra per
sonnecchiare o per mangiare un tozzo di pane asciutto ed un poco di
ricotta. Fanno uso più di frequente di latte e qualche volta, se muore
un animale, si cibano di carne.

Si può dire che non conoscono la pasta, mentre spessissimo mangiano erbe
cotte e senza condimento di olio.

Uomini di ogni età fanno da _bovari_ e se l'armento è poco numeroso più
spesso sono sotto i venti anni.

I _pecorari_, coloro che custodiscono le pecore, su per giù si trovano
nelle identiche condizioni dei primi; hanno il vantaggio di dormire al
coperto; quasi sempre alla sera mangiano le lasagne e la ricotta e
bevono latte; ma ricevono un minore salario.

Il pane che mangiano _bovari_ e _pecorari_ è il più nero, il meno cotto
e il più cattivo, che si mangi in Sicilia; è sempre fatto, però, con
farina di frumento.

Tutti questi uomini addetti alla pastorizia vanno alle rispettive case
una volta il mese ed anche ogni tre mesi, certamente con grave
detrimento dei rapporti di famiglia e della morale.

Gli stipendî, oltre l'alimentazione nella misura suaccennata, variano da
lire 75 a lire 200 all'anno. _Pecorari_ e _bovari_, però, in mezzo agli
animali del padrone hanno diritto di mantenerne gratuitamente qualcuno
per loro conto. Ciò che aumenta il salario annuo in media di una
trentina di lire.

Si comprende che con questi salarî irrisorî una famiglia nè onestamente,
nè tollerabilmente può andare innanzi; ma di sovente gl'_incerti_
vengono in aiuto. E pur troppo gl'_incerti_ lucri vengono guadagnati
dalle mogli e dalle figlie e dagli uomini sopratutto coll'_abigeato_ e
col manutengolismo.

I pastori sono quasi sempre amici o complici dei ladri di animali e dei
briganti. C'è da sorprendersene?

  [I GIORNALIERI]

Oltre i pastori lavorano ad anno o a mese i cosidetti _garzoni_ e dietro
a questi ultimi viene la grande massa dei giornalieri, la cui esistenza
è assai più precaria e che sono degni di commiserazione profonda.

Secondo le colture e le stagioni essi guadagnano da centesimi quaranta a
una lira al giorno; e i contadini che ricevono una lira sono i
fortunati, e per qualche mese soltanto: durante la semina e durante il
raccolto. In generale sono più elevati di questi i salarî indicati da
Enrico La Loggia nel suo diligente studio sui _Moti di Sicilia_
(_Giornale degli Economisti_, marzo 1894) e dal Prof. Salvioli; ma la
differenza deriva dall'avere essi calcolato in denaro la parte che
ricevono in generi. Comunque, entrambi convengono che fatto il bilancio
della entrata di un contadino se ne deduce che il suo tenore di vita
(_standard of life_) non può essere che bassissimo e che alla miseria
più squallida è condannata la sua famiglia se sopraggiunge qualche caso
di malattia o uno sciopero forzato per piogge continuate o per altre
ragioni, poichè il risparmio di qualsiasi somma è impossibile durante
l'anno.

In generale i salarî sono più elevati dove la coltura è intensiva. Per
la mietitura i salarî si elevavano pel passato a L. 2,50 oltre una buona
e copiosa alimentazione ed un litro e mezzo di vino al giorno. Ma da
due anni in qua i salarî ribassano terribilmente e c'è una triste
concorrenza nel lavoro che i mietitori di una contrada vanno a fare a
quelli di un'altra; concorrenza, che ha determinato non poche sanguinose
risse e delle _caccie_, che nulla hanno da invidiare alla _caccia_ che
si fa all'italiano in Francia, in America, in Australia e dovunque esso
va a fare concorrenza al lavoratore indigeno.

  [I SALARII]

La concorrenza, il ribasso nei prezzi dei cereali, la elevatezza dei
fitti delle terre hanno ridotto al _minimum_ il salario anche dei
mietitori, che in altri tempi si poteva considerare come abbastanza
alto.

Essi oramai lavorano per lunghe sedici ore, sotto la sferza cocente del
sole, quasi africano, della Sicilia per un franco ed anche per 75
centesimi al giorno! Quando ritornano alle lontane loro case, dopo venti
o trenta giorni di assenza, si reputano fortunati se portano un gruzzolo
di lire 20!

Il salario è insufficiente, è un vero salario della fame come lo
chiamerebbero in Inghilterra; ma il guaio maggiore è questo: il
contadino non è sicuro di averlo per tutto l'anno. È fortuna, se in
media esso lavora per 200 giorni all'anno; la lira, quindi, o i sessanta
centesimi al giorno devono essere ridotti alla metà circa, considerati
come mezzi di sostentamento della disgraziata famiglia del contadino
giornaliero, le cui donne guadagnano pochi altri centesimi al giorno,
filando, cucendo, lavando, vendendo le uova che fa la loro gallina, la
quale ha tutte le loro cure.

  [LA RISORSA DI FAMIGLIA]

Per talune di queste donne è una grande risorsa l'allevamento di un
porchetto, che viene alimentato coi brodetti, colle buccie, e colle
frutta guaste ricevute in elemosina dai vicini agiati. E bisogna vedere
con quale tenerezza--che suscita l'indegnazione e lo scherno di chi non
sa valutare la ragione del fatto--la buona moglie del contadino guarda a
quell'animale immondo, che dorme sotto il suo misero lettuccio, e che
sinanco gratta colle proprie mani e quasi accarezza a preferenza dei
figli!

Egli è che il giorno in cui quel fido compagno della contadina viene
ammazzato, nella sua casa c'è gran festa: se ne mangia la testa, se ne
mangia il fegato, se ne mangiano i piedi bolliti e il sangue coagulato e
se ne regala anche ai vicini; e ciò non capita che una volta all'anno.
Di più colla vendita del resto la buona donna vede ricompensate le cure
e le fatiche sue di un anno ricevendo dal macellaio, le trenta, le
quaranta lire, che costituiscono la grande risorsa della famiglia, e
colle quali provvede quasi sempre ai vestiti.

Ma la scienza, la civiltà, l'igiene cominciano già a privare molte di
queste povere famiglie di contadini della risorsa, per loro grande,
dello allevamento del maiale! Gli agenti del municipio danno la caccia a
questi compagni di Sant'Antonio, che altra volta passeggiavano
liberamente per tanti paeselli della Sicilia. L'igiene e la decenza vi
guadagnano di sicuro; ma nel bilancio del disgraziato contadino spunta
il _deficit_. Così la civiltà gli si affaccia come una sventura e le
guardie municipali, che adempiono al proprio dovere, gli divengono
invise e gli riescono addirittura odiose se sono costrette a
multarlo.[18]

Nelle zone zolfifere, il proletariato agricolo aveva una grande risorsa
nei figli: un paio, gli procuravano circa due lire al giorno lavorando
da _carusi_ nella miniera, oltre lo anticipo da 50 a 150 lire, che
ricevevano per una volta sola come si sa. Ora questa risorsa viene meno
per la depressione dell'industria zolfifera.

  [SEMPRE LA MISERIA]

La misera condizione dei lavoratori della terra non è una constatazione
da sentimentalisti; ma venne riconosciuta da persone insospettabili di
esagerazione pel partito in cui militano, per le cariche che occupano,
per la loro condizione sociale e per l'antagonismo in cui taluni si
trovano coi capi del movimento socialista. Tale misera condizione non
venne attenuata in alcun modo al Rossi della _Tribuna_ dal Cav. Masi,
consigliere provinciale di Piana dei Greci, dal Baronello Bartoccelli e
dal Cav. V. Falcone, sindaco di Canicattì--entrambi ricchissimi
proprietarî--e da altri ricchi proprietarî a Casteltermini e altrove. È
importante il giudizio del Masi e del Falcone perchè entrambi sono al
potere e non sono mossi da una qualsiasi ambizione da soddisfare. La
condizione dei lavoratori della terra venne riconosciuta tristissima,
qual'è, da quanti visitarono la Sicilia negli ultimi tempi e fu
efficacemente descritta dagli onorevoli Comandini, Farina, Plebano e dal
Borelli del _Popolo Romano_, che pur militano in partiti politici
diversi e non sono mossi nè da passioni, nè da interessi locali. L'on.
Plebano, in ispecie, rimase impressionatissimo dalla miseria di Piana di
Greci e per miracolo non incoraggiò i fieri contadini alla rivolta. Non
pochi ufficiali dell'esercito al Rossi, della _Tribuna_, a me stesso e
ad altri dichiararono, che si sentivano assai a disagio trovandosi
distaccati in certi paesi per prestare manoforte ai prepotenti iniqui
contro i poveri oppressi! Tanta ineffabile miseria dei lavoratori della
terra, infine, in occasione degli ultimi moti, oltre che dai cennati
uomini politici e pubblicisti, che poi, per qualche ragione potrebbero
anche essere giudicati sospetti, venne riconfermata da scrittori, che
vivono al di fuori della politica e dalle tendenze diverse; tra i quali
mi piace ricordare il più volte citato Cavalieri e Monsignor Isidoro
Carini, l'illustre Bibliotecario del Vaticano che tanto ama la sua isola
natìa e ch'è legato da particolare amicizia coll'on. Crispi. E adesso
qualche parola sulle abitudini e sul carattere morale dei contadini.

  [I CONTADINI DI SICILIA]

Ai contadini della Sicilia si può applicare benissimo ciò che scienziati
e romanzieri hanno scritto di quelli degli altri paesi. L'abate Roux
dice: «il campagnuolo è troppo fanciullo per non essere mentitore; vive
ancora sotto la legge del timore e la legge di amore è per lui lettera
morta; non ama le cose e le persone che per l'uso, che può farne.»
(_Pensèes._ Parigi 1885). Il Prof. Lacassagne paragonando la criminalità
delle città e delle campagne aggiunge: «il contadino è egoista,
diffidente, vendicativo, perchè egli ha poche relazioni sociali; le sue
occupazioni monotone e ripetute gli creano un certo stato di
automatismo; d'onde il suo spirito lento e stretto.» E le passioni, i
difetti, i pregi del contadino descritto da Zola nella _Terre_ si
potrebbero attribuire a quello di Sicilia.

  [LA MAFIA]

  [I BRAVI]

Ciò che caratterizza maggiormente il lavoratore della terra nell'isola è
la sobrietà. «Il Siciliano--dice il generale Corsi--è molto sobrio nel
mangiare e nel bere; lo sono allo estremo i contadini che si nutrono di
vegetali e bevono acqua» (_Sicilia_, pag. 266). Infatti, di raro assai
mangiano carne; il pane e le verdure cotte sono i loro cibi ordinarî,
non frequentano caffè o bettole, non bevono vino se non quando lo
ricevono lavorando come parte del salario (almeno dove prevale il
latifondo); vestono dimessi e con abiti dal taglio speciale, molto vario
da contrada a contrada, caratteristico; amano moltissimo le feste
religiose, nelle quali le scene di superstizione e di fanatismo dipinte
nel _Voto_ del Michetti si alternano con veri baccanali. Il contadino,
casalingo, ospitale, geloso della sua donna, che spesso gli prepara i
tessuti, che servono per i suoi vestiti (specialmente la tela di lino o
di cotone e il tessuto di lana nera, chiamato _abbracia_--albagio--un
poco più grossolano di quello che si fabbrica in Sardegna) si rassegna
facilmente alle sofferenze materiali e la miseria sola, come bene
osserva il La Loggia, non avrebbe potuto farlo muovere! L'analfabetismo
domina nelle campagne della Sicilia, i cui abitatori--meno quelli della
Conca d'oro--non commettono in generale frequenti reati di sangue e sono
dediti invece ai furti campestri ed all'_abigeato_. La _mafia_ trova
numerosi e pericolosi affiliati nelle campagne dei dintorni di Palermo;
ben rari altrove. Quelli, però, tra i contadini, che si elevano al
grado di _campiere_ o di _soprastante_ e che hanno l'ufficio di
garantire gl'interessi del grande proprietario nel latifondo divengono
di ordinario la quintessenza dei _mafiosi_ pel loro coraggio, per la
rigorosa osservanza del codice dell'_omertà_, per l'assenza completa di
scrupoli nel prestar mano a briganti e malandrini, nel farla da
manutengoli, nel tirare una schiopettata ad un nemico, ad un
disgraziato, che ne ha offesa la suscettibilità morbosa. Insomma
_campieri_ e _soprastanti_ spesso sono una edizione riveduta e
peggiorata degli antichi _bravi_. Non fecero mai parte dei _Fasci_ anzi
rimasero sempre ai servizî dei loro più accaniti nemici, i quali
scandalizzati, denunziavano i _Fasci_, come covi di malfattori perchè
avevano accettato come socio qualche ammonito, più vittima dell'ambiente
sociale, che vero delinquente come la massima parte dei più pregiati tra
i loro fidi![19].


NOTE:

[18] La importanza dello allevamento del majale nelle misere famiglie
dei contadini non isfugge al Sonnino. (_I contadini in Sicilia_, p.
187).

[19] «Il Signore ha i suoi _campieri_, ma non può tenerne una grossa
squadra, e molte volte, perchè siano uomini di stocco, da servirlo come
vuol lui, è costretto a chiudere un occhio, e magari anche tutti e due
nello sceglierli, e prenderli della stessa pasta di cui si fanno i
briganti». Così scrive il generale Corsi. (_Sicilia_ p. 303).

Mi piace qui rilevare che il Generale Corsi ha segnalato come
meritevolissime di attenzione tre opere recenti sulla Sicilia: quelle di
Schneegans, di Bazine e di Gustavo Chiesi riconoscendo che la migliore è
_La Sicilia Illustrata_ dell'ultimo. Godo moltissimo di questo giudizio
perchè mi conferma in quello dato da me due anni or sono nell'Isola e
che temevo fosse troppo benevolo per la grande amicizia, che mi lega
allo scrittore milanese. Nel Chiesi lo stato morale, intellettuale e
sociale dei Siciliani è meglio descritto che in qualunque altro autore.
Lo Schneegans ci dà la Sicilia di 50 anni fa.



VIII.

IL LATIFONDO


La condizione economica dei lavoratori della terra in Sicilia, come
dappertutto, è intimamente connessa colla divisione della proprietà
rurale e col genere di coltura. Nota la prima, s'intuisce--e del resto
vi si accennò--che debba prevalere la grande proprietà e la coltura
estensiva; e questa coltura persistente è, poi, la conseguenza della
grande proprietà, del latifondo, esistente un po' per ogni dove in
Italia, assolutamente prevalente e caratteristico nell'isola. Merita
menzione speciale, ma breve perchè l'argomento è già stato trattato da
tutti gli scrittori, che si sono occupati delle cose siciliane dal punto
di vista economico e sociale.

  [LA PROPRIETÀ POCO DIVISA]

L'on. Sonnino sulle orme di altri osservatori locali e sulla base di
dati statistici--incompleti ed inesatti--sin dal 1876 riconobbe che la
proprietà è pochissimo divisa, specialmente nella parte interna e
meridionale dell'Isola dove «manca una vera classe di proprietarî
piccoli o medi e si salta invece d'un tratto, dal grande proprietario
che possiede migliaia di ettari, al piccolo censuario di poche are di
terra. La censuazione dell'asse ecclesiastico ha modificato pochissimo
queste condizioni della proprietà giacchè la immensa maggioranza di
quelle terre è passata tale e quale nelle mani dei grossi proprietari.»
(_I contadini ecc._, pagine 174 e 175).

Il Prof. Basile molti anni or sono constatò che dal 1852 al 1871 il
numero dei proprietarî era disceso da 608,601 a 549,957; c'era dunque
diminuzione, nonostante il censimento dei beni dell'asse ecclesiastico,
da cui si sperava un aumento notevole; e lo stesso Basile riconfermò il
fatto doloroso nel 1894.

Il sacerdote Genovese la osservazione generica volle dettagliare per un
sito da lui esattamente conosciuto. Egli scrive: «Il comune di Contessa
Entellina, in provincia di Palermo, ha un agro di circa 9000 salme di
terra (la salma di Contessa corrisponde ad ettari 2,67). Ebbene, quante
ne possiede la generalità dei suoi _tremila_ abitanti? Appena 300 salme:
precisamente il 3 % di tutto il vasto territorio! E le altre 8700 salme?
Non è d'uopo dirlo: eccetto una minimissima porzione spettante a pochi
altri piccoli proprietarî, sono tutte possedute da non più che _venti_
benestanti, tra principi, conti, baroni e cavalieri!» (_La quistione
agraria in Sicilia_, Milano 1894).

Il caso di Entella è quello di cento altri comuni; e in qualcuno--ad
esempio Terranova, Siculiana, ecc., ecc.--la concentrazione della
proprietà in poche mani è maggiore.

Si avverta altresì che la qualifica di _proprietario_ in Sicilia come
in Sardegna spesse volte non è che una ironia. Si tratta di proprietà
polverizzate o si limita alla proprietà di un lurido tugurio, che serve
di abitazione e che non ajuta a vivere. I più di questi proprietarii,
osservò l'on. Damiani nel volume dell'_Inchiesta agraria_ dedicato alla
Sicilia, sono da considerarsi piuttosto come proletarî.

  [LE CONSEGUENZE DEL LATIFONDO]

Sono invero una realtà indiscutibile tutte le tristi conseguenze della
esistenza della grande proprietà, del latifondo; conseguenze varie e
complesse politiche, economiche, morali, e intellettuali.

«Il latifondo, osserva il Baer, mantiene e conserva una deplorabile
dissonanza fra le istituzioni politiche ed amministrative e fra la
legislazione civile, che la Sicilia ha comuni al resto d'Italia e le
condizioni reali di quella società e della proprietà territoriale. Ed è
risaputo che quando siavi tale dissonanza gli effetti delle istituzioni
e delle leggi sono alcuna volta nulli, il più soventi perniciosi.» (_Il
latifondo in Sicilia_ nella _Nuova Antologia_, 15 aprile 1883). E la
dissonanza nasce dalla mancanza di un numero sufficiente di piccoli e
medii proprietarî.

La esistenza della grande proprietà presuppone la correlativa
preponderanza numerica di proletariato agricolo: il quale è più infelice
dove l'ex feudo, il latifondo è coltivato dal fittabile; peggio ancora
se quest'ultimo lo suddivide ad altri gabellotti minori. Allora il
salariato è in condizioni peggiori dello schiavo: ed esso mangia quel
pane, di cui dalla provincia di Palermo mi si mandarono due campioni,
che suscitarono la indignazione di quanti lo videro nella Camera dei
deputati e fuori. La sua non è più vita, che oggi possa considerarsi
come umana. Non deve sorprendere se insorge e cerca ripetere le
_Jacqueries_; ma deve soltanto far meraviglia che tanto tempo abbia
aspettato per ribellarsi!

  [IL FITTO]

Il latifondo favorisce il sistema del fitto e genera il _gabellotto_ la
cui funzione è tanto esiziale quanto lo è in Irlanda il _middleman_, che
sta tra il _landlord_ e il contadino coltivatore. Intanto dalla
scomparsa del gabelloto, acutamente osserva il Salvioli, se il grande
proprietario dovesse dare direttamente le terre in fitto ai contadini
poco giovamento questi ne trarrebbero per l'aspra concorrenza, che tra
loro si farebbero per ottenere gli spezzoni di migliore qualità e più
vicini all'abitato.

Se il sistema del fitto riesce di grave nocumento ai lavoratori e
produsse pel passato l'agiatezza ed anche la ricchezza dei _gabellotti_,
che finirono col costituire la parte più forte della borghesia isolana,
adesso rovina questa classe di sfruttatori.

Checchè ne dicano e ne pensino alcuni, nella divisione dei prodotti oggi
non sono più i fittabili coloro che se la passano più allegramente,
poichè in generale il fitto delle terre in Sicilia dal 1860 aumentò del
40 % mentre diminuì sensibilmente il prezzo del frumento, ch'è il
prodotto principale. I fittabili, dunque, stanno male.[20]

Non possono che stare peggio i sub-fittabili, ma coloro che conducono
vita veramente inumana sono i contadini o mezzadri, che ricevono la
terra di terza mano.

  [LA COLTURA]

Il _gabellotto_ alla sua volta suddivide il latifondo, ch'è spesso un ex
feudo, ad altri; e i sub-gabellotti finalmente danno la terra a
mezzadria o la fanno coltivare in economia dai cosidetti
_jurnatara_,--lavoratori alla giornata. Ora la terra, generalmente, non
può produrre tanto da mantenere, oltre il fisco che attualmente la fa da
leone, il proprietario, il gabellotto, il sub-gabellotto e il contadino;
produce ancora meno in Sicilia dove nel latifondo vige la coltura
primitiva, estensiva: dove l'aratura è superficiale e la concimazione o
manca o è deficientissima per la qualità e per la quantità: dove
d'irrigazione non è a discorrere e gli avvicendamenti vi sono
irrazionali e il suolo viene sfruttato colla vera agricoltura ladra,
come la chiamò il Liebig: dove mancano stalle, case coloniche e financo
l'acqua potabile. Molti dunque si devono risentire della deficienza
della produzione, rilevata testè dal Combes de Lestrade nel _Journal des
Economistes_, che deve essere ripartita tra tanti consumatori--taluni
dei quali prendono più di quanto dovrebbero nello stesso presente regime
economico; e più di tutti se ne risentono i contadini ai quali non
rimangono, che le briciole.

La coltura si mantiene estensiva e la terra produce poco, perchè il
grande proprietario non è stimolato dal bisogno a fare miglioramenti e
trasformazioni e per un lungo periodo ha visto anche aumentare
fortemente le sue rendite per la concorrenza tra _gabellotti_, che ha
elevato i fitti; nè i miglioramenti di qualsiasi genere potevano e
possono farli i _gabellotti_, che coltivano il latifondo per un
brevissimo tempo--la durata dei fitti è al massimo di nove anni, ma più
di frequente di quattro o di sei; e molto meno i contadini che vi
lavorano a giornata o l'hanno a mezzadria o a terratico solamente per
uno o due anni.[21]

  [LA TERRA È DESERTA]

Il latifondo che per mancanza di caseggiati tiene lontani i contadini
dalla terra e mantiene questa deserta e priva del tutto di alberi,
costringe i primi a vivere in grandi centri producendo queste altre non
meno esiziali risultanze: 1. il contadino perde molto tempo nel recarsi
ogni giorno dalle città nella campagna e quando vi pernotta, nei pagliai
o all'aperto, di estate, vi prende le febbri intermittenti, 2. la
solitudine delle campagne e la grande distanza tra i centri abitati
favorisce il furto campestre, l'_abigeato_, il malandrinaggio e il
brigantaggio; 3. la coabitazione di contadini e di elementi industriali
e commerciali nelle città fa gravare sui primi dei pesi che non
dovrebbero sentire--specialmente il dazio di consumo--e mantiene le
città o i grossi centri abitati in condizioni igieniche deplorevoli.

L'organizzazione sociale, che fa capo al latifondo dal Baer viene
riassunta, infine, così: «un'aristocrazia lontana dalle terre, che
possiede e che non conosce, una classe media costituita da pochi
esercenti le professioni liberali e da potenti fittajuoli in grande e da
coloro, che vivono speculando sulla miseria altrui, ed un numeroso
stuolo di poveri coloni e braccianti, è questa l'organizzazione sociale
delle regioni dove prevale il latifondo; e non è dessa quella in cui le
istituzioni politiche e amministrative della società odierna possano
funzionare a pubblico vantaggio, in cui possa trovarsi cooperazione
assidua, indipendente, giusta ed efficace agli ufficî del governo
nell'amministrazione dei comuni, delle provincie, delle opere pie e fino
della giustizia.»

  [PERCHÈ SUSSISTE IL LATIFONDO?]

Se il latifondo è in Sicilia ora com'è stato sempre e in ogni luogo
pernicioso sorge spontanea la domanda: perchè esso dura da secoli e non
scompare mentre è condannato dalla scienza, dal sentimento di giustizia,
dall'umanità?

Fu notato che il latifondo dura in Sicilia da moltissimi secoli e
preesisteva alla nascita del feudalismo sotto i Normanni. Il barone
Benevantano lo fa rimontare ai tempi di Verre nel territorio di Lentini;
e il Genovese sull'autorità di Diego Orlando, di Ludovico Bianchini, di
Birri, di Palmieri, di Monsignor Lancia di Brolo, di Amari lo riporta
non solo ai Romani, ma anche ai Cartaginesi.

Dal fatto di questa lunga durata se n'è voluto argomentare, che il
latifondo in Sicilia è qualche cosa di fatale, che si connette alle
condizioni fisiche e climatologiche dell'isola. Se ciò fosse vero le
disgraziate popolazioni agricole della Sicilia sarebbero condannate
eternamente al dolore. Ma vero non è, e lo ha dimostrato il Baer con
poche acute osservazioni di fatto.

  [I MIRACOLI DELL'AGRICOLTURA]

«Quando si dice che le terre dei latifondi non sono atte ad altra
produzione che a quella dei cereali e che al loro spossamento per le
replicate colture non possa altrimenti rimediarsi che col lasciarle a
pascolo naturale per più anni, si dimenticano tutti i prodigi della
coltura intensiva mediante gli avvicendamenti e gl'ingrassi. Le terre
sabbiose e pantanose della Prussia orientale sotto un cielo inclemente,
sono senza dubbio più sterili di ogni peggior angolo della Sicilia,
eppure se ne cava grande profitto. L'agricoltura fiamminga, una delle
più perfette del mondo si esercita su terre, che sono il peggior suolo
dell'Europa. Il clima ed il terreno presso le città e borgate nelle
provincie siciliane ove sono i latifondi non sono per certo diversi da
quelli delle terre circostanti, ed intanto le terre prossime alle città
sono coltivate con altri sistemi e con eccellenti risultati. Di più in
alcuni latifondi, che appartenevano alle corporazioni religiose col
censimento si spezzarono e si trasformarono in meglio come attorno a
Mazzara e in gran parte della provincia di Trapani: l'osservazione è del
Prof. Corleo. Viceversa secondo le diligenti ricerche dell'Amari
ventidue grosse città ch'esistevano a' tempi dei Mussulmani nelle
provincie di Girgenti, di Trapani e di Palermo sono sparite così che di
moltissimi nomi di castelli e ville ricordati negli scrittori di
quell'epoca non si ha più traccia; e l'antico territorio di Giato, ora
diviso in tre comuni con circa 18 mila abitanti conteneva ai tempi di
Guglielmo il Buono una popolazione di 60 mila abitanti con 40 e più
villaggi.»

Ecco come negli stessi siti, nonostante la permanenza delle cause
fisiche, compare e scompare il deserto rattristante del latifondo
coll'alternarsi delle cause sociali.

  [LE CAUSE SOCIALI E IL LATIFONDO]

Gli esempî relativi alla Sicilia sono tassativi e sufficienti a provare
il predominio delle cause sociali sulle cause fisiche e climatologiche;
ma se occorresse, molti altri di altrove se ne potrebbero trovare, ed
altrettanto convincenti, nei libri del compianto De Laveleye e nella
grande opera del Reclus sulla geografia.

Se questa fosse una trattazione storica mi dilungherei nello esporre
quali furono le cause sociali, che in Sicilia determinarono la creazione
e il mantenimento del latifondo; chi vuol conoscerle ricorra al Palmieri
e allo stesso Baer bastando al mio assunto l'avere dimostrato
l'inesistenza delle cause fisiche, che furono invocate anche da recente
da interessati difensori del latifondo. E questa dimostrazione impone al
governo l'obbligo di studiare i mezzi per rompere il giogo del latifondo
e per avviarlo a benefica trasformazione, e deve infondere altresì nei
lavoratori l'energia e la costanza di chiederla colla coscienza che può
venire dalla conosciuta possibilità di conseguire il fine che si
propongono.


NOTE:

[20] Credo che sia caduto in errore il prof. Salvioli, quando sulla
scorta del Caruso ha affermato che dalle L. 450 di prodotto di una salma
di terra si devono dedurre L. 288 come spese. Il calcolo è sbagliato per
questo: il raccolto del frumento non si ha in ogni anno ma in ogni tre
anni o almeno in un anno sì e in un altro no. Perciò delle L. 162 di
residuo netto si devono almeno dedurre L. 76,50 somma equivalente al
fitto dell'anno in cui la terra si prepara a maggese.

[21] I grandi proprietarî siciliani, che non conoscono i loro latifondi
e ne godono le rendite ben lontani dal luogo di produzione sono nemici
giurati di fare qualunque spesa. So di un ricco _gabellotto_ di
Castrogiovanni, il sig. Gaetano Restivo, che propose ad un signore di
Palermo, di cui aveva preso le terre in gabella, che avrebbe anticipato
lui L. 5000 per costruire uno stallone e se ne sarebbe rimborsato
nell'ultimo anno di fitto. Ebbe un reciso rifiuto. Così si potrebbe dire
di molti altri.



IX.

RAPIDA DEPRESSIONE ECONOMICA.


Fatta la descrizione delle condizioni economiche della Sicilia si
presenta spontanea una domanda: sono esse peggiori, uguali o migliori di
quelle del resto d'Italia?

  [ALTROVE E IN SICILIA]

Chi ha studiato le altre regioni della penisola o la Sardegna ha il
dovere di riconoscere, che nel beato italo regno in molti punti si sta
peggio che in Sicilia--per quanto ciò possa sembrare impossibile.

Taccio della disgraziatissima Sardegna, dove soltanto i privilegiati
azionisti delle sue ferrovie se la godono allegramente, e ch'è stata
ricompensata della lunga fedeltà a Casa Savoia con una dimenticanza
veramente fenomenale. In molte altre provincie del mezzogiorno
continentale perdurano quelle condizioni tristissime, che da Giuseppe
Ferrari furono riconosciute come le cause efficienti del brigantaggio.
_Le lettere meridionali_ del senatore Villari, gli scritti del Pani
Rossi, di Renato Fucini, della Jessie White Mario, ecc.--che sono
illustrazioni monografiche della miseria delle classi lavoratrici di
Napoli e di altre contrade del napoletano--datano da molti anni, ma
sono ancora di attualità. La _Inchiesta agraria_ per queste regioni in
generale è stata parzialissima in favore dei proprietarî e delle classi
dirigenti, poichè è innegabile che le sofferenze dei lavoratori, la loro
abbiezione intellettuale, pari soltanto alla miseria economica--e le due
danno come necessario risultato l'altissima delinquenza--in Calabria e
in Basilicata sono grandissime.[22] I rapporti sociali non sono
dissimili a quelli descritti per altri tempi da Nicola Santamaria nel
suo pregiato studio sui _Feudi nelle provincie meridionali_.

Risalendo verso le Alpi s'incontra l'agro Romano, che non rimane
indietro alla Sicilia in quanto a malessere dei suoi abitatori; ma verso
l'estremo lembo d'Italia c'è ancora qualche angolo di terra dove gli
uomini stanno peggio che nell'isola che attualmente richiama su di sè
l'attenzione dell'Europa. Il volume dell'_Inchiesta agraria_ consacrato
dal compianto Morpurgo ai _Contadini del Veneto_ attesta che nel mio
giudizio non c'è alcuna esagerazione. Del Mantovano e di qualche altra
zona della bassa Lombardia si potrebbe dire altrettanto.

Perchè, dunque, soltanto in Sicilia c'è stata la esplosione del
malessere; vi sono stati i tumulti, gl'incendî, le distruzioni, che
preludono alle rivoluzioni e che tanta analogia presentano con quelli
descritti dal Tocqueville e dal Taine in Francia sotto l'_Ancien
Regime_?

  [CAUSE DELLE RISULTANZE DIVERSE]

Le cause di questa diversità di risultanze sono parecchie e meritano
tutte di essere ricordate. Rimanendo per ora sul terreno economico si
deve osservare che in Sicilia dopo il 1860 ci fu un rapido sviluppo di
ricchezza; tale da indurre il Prof. Maffeo Pantaleoni in un suo pregiato
studio pubblicato nel _Giornale degli Economisti_ a giudicare, che
l'unificazione d'Italia, aveva contribuito in Sicilia più che altrove a
determinare un notevole incremento della ricchezza.

Venne la depressione; venne altrettanto intensa e rapida, anzi fulminea,
e venne ad un tempo per colpa di governanti e di eventi, che si
sottraggono all'azione della volontà umana.

Ecco alcuni dati eloquenti di questa depressione. La produzione del
grano da Ettolitri 7,744,981 nel 1891 discese a 4,363,696 nel 1892, a
4,365,300 nel 1893, e il prezzo contemporaneamente è disceso a L. 19,48
per ettolitro nel 1891, a L. 18,91 nel 1893.

La produzione dell'orzo è discesa da ettolitri 1,511,699 nel 1891 a
1,169,061 nel 1893 mentre il prezzo è rimasto stazionario.

La filossera, in breve tempo, ha distrutto numerosi vigneti occupanti
un'estensione complessiva di ettari 53,977; perciò la produzione del
vino da ettolitri 6,855,555 nel 1891 è discesa a 4,111,331 nel 1893; la
discesa dei prezzi dal 1887 in poi--ultimo anno in cui fu aperto il
mercato francese--è semplicemente spaventevole: dalle 40 e 50 lire
l'ettolitro si arrivò alle 10 ed alle 20 del 1890 al 1893, e solo in
questo primo semestre del 1894, si accenna a risalire alquanto.
Notevole la diminuizione nella produzione degli agrumi e spaventevole il
ribasso dei prezzi. In quanto all'agricoltura l'on. Di San Giuliano
osservò che, complessivamente, il 1892 è l'anno della massima
depressione, perchè si ebbe una produzione di L. 206,071,012 in meno del
1891 e di L. 137,888,808 meno della media quinquennale.

  [DATI SCONSOLANTI]

Più sconsolanti sono i dati per l'industria zolfifera: poichè il prezzo
di quel minerale da L. 112,57 per tonnellata nel 1891 discese a L. 65
nel 1893 e a L. 55 circa nel primo semestre del 1894.

Questi dati vengono illustrati e completati dalla sensibile diminuzione
dei depositi presso i diversi Istituti di credito, cominciata nel 1891 e
non ancora arrestatasi.

La situazione economica si fece tale negli ultimi anni che il visconte
Combes De Lestrade esaminandola dal punto di vista dei proprietarî--ed è
proprietario anche lui in Sicilia, quantunque francese, e vive al di là
delle Alpi--ne argomenta che oggi sia peggio che nel 1860. «In
quell'epoca, egli osserva, le sue rendite e le sue spese, un po' più un
po' meno, si equilibravano. Se la tradizionale parsimonia siciliana
riusciva a mettere da parte qualche cosa, il risparmio non alterava gran
fatto l'equilibrio poc'anzi accennato. Istantaneamente i pesi aumentano
e ognuno sa con quale rapidità. Il confronto tra il bilancio dell'antico
regno delle due Sicilie e quello del regno d'Italia basta per
dimostrarlo. Per converso i prezzi delle cose che egli deve comprare
sono accresciuti e quelli di cui deve farne la vendita sono diminuiti. I
perturbamenti economici che il governo non ha mai saputo evitare
uccidono la coltivazione del cotone e del tabacco; e così i risparmi,
dato che ve ne fossero, spariscono ben presto. Di capitale mobile non è
il caso di parlare, imperciocchè all'epoca in cui furono messi in
vendita i beni del clero tutti si affrettarono di accrescere la
proprietà impiegandovi ciascuno la rispettiva disponibilità. Frattanto
perdura l'aumento delle tasse e il ribasso dei prodotti...»

E qui è bene aggiungere, che nel determinare tale stato di cose la
responsabilità del governo è grande per la politica doganale seguita:
politica tutta a beneficio dell'industrie e degli industriali dell'alta
Italia e a danno dell'agricoltura del mezzogiorno e delle isole. Ciò
dissi rudemente nel 1891 alla Camera dei Deputati e le mie parole furono
accolte da vivi rumori e da proteste dei deputati del settentrione; ma
le mie parole furono poco dopo luminosamente giustificate dalla
confessione onesta e leale dell'on. Ellena fatta prima in un articolo
della _Nuova Antologia_ e dopo nella stessa Camera in occasione della
discussione dei trattati di Commercio coll'Austria-Ungheria e colla
Germania.

  [IL DISAGIO E I SALARII]

Il peggioramento nelle condizioni economiche dei proprietarî
naturalmente si ripercosse nei salarî dei lavoratori, ai quali con ogni
studio si cercò di far sentire maggiormente la gravità della crisi;
sicchè tali salarî, anche nominali, sono ritornati quali erano nel 1860,
come osservò il Salvioli.

Il disagio, adunque, fu generale, intenso e rapido. Esso, se nel
paragone con altri tempi può dirsi che non fu assoluto, certamente fu
immenso relativamente ai bisogni cresciuti, alle nuove abitudini
contratte, e agli obblighi imposti dalle leggi dello Stato ai comuni e
agli individui--prescrizioni igieniche, istruzione obbligatoria, ecc.
ecc.

  [I CONGEDATI E LO STANDARD OF LIFE]

Su questo riguardo mi pare che non sia stato abbastanza avvertito il
perturbamento apportato nelle abitudini e nelle famiglie dei contadini
dal ritorno dei congedati. Si è detto che la leva è stato un cemento
unificatore quantunque io creda pochissimo alla efficacia di tale mezzo
ed alla utilità del preteso risultato; pur concedendo che quest'ultimo
si sia ottenuto, si è dimenticato che si è fatto sorgere nelle classi
lavoratrici il desiderio ardente di soddisfare certi bisogni per lo
passato sconosciuti e di adottare uno _standard of life_ superiore e
inadeguato allo sviluppo economico ed intellettuale. Ciò ha agito ed
agisce come un vero lievito che fa fermentare delle masse, inerti
precedentemente, che non si scuoterebbero sotto la influenza di altri
moventi e di elevate idealità. Intanto rimane assodato, per chiunque
abbia studiato da vicino i _Fasci_, che i reduci dall'esercito, mentre
in Sicilia hanno scosso la rigida disciplina patriarcale delle famiglie,
hanno portato invece la disciplina in molte delle associazioni dei
lavoratori sorte da recente.

Il risultato, certamente, è inatteso e spiacevole pei sostenitori
dell'esercito permanente. La parte democratica e socialista non può che
rallegrarsene.


NOTE:

[22] Della Basilicata me ne parlò più volte con parole di fuoco e con
intendimenti onestissimi l'amico carissimo Giustino Fortunato. I suoi
giudizi sono insospettabili per la lealtà somma e per la condizione
sociale di chi li ha emessi.



X.

ORGANIZZAZIONE SOCIALE E RAPPORTI TRA LE VARIE CLASSI.


Questo malessere e questo rapido e profondo perturbamento economico--i
quali da soli sarebbero stati capaci di determinare sommosse e rivolte
ancora più gravi di quelle che si ebbero a deplorare in
Sicilia--spiegavano la loro influenza in un ambiente anormale e
anacronistico in cui i conflitti potevano sorgere per altre cause
occasionali.

Sin dal 1885, nella _Delinquenza della Sicilia e le sue cause_,
riassunsi i concordi pareri emessi da pensatori di ogni parte politica
sulla organizzazione sociale di fatto esistente in Sicilia. Il
feudalismo, abolito spontaneamente dai rappresentanti dell'aristocrazia
nel 1812, in realtà rimase in pieno vigore nei rapporti politico-sociali
tra le varie classi. Si può anche, senza temerità, asserire che
quell'abdicazione di diritti, che forse fu il prodotto di un nobile
sentimento, giovò soltanto a coloro che avevano creduto di fare un atto
di abnegazione.

Invero colla organizzazione feudale di diritto, la proprietà
feudale--dice il Baer--aveva tutto il carattere di un ente morale; il
diritto di proprietà era impersonale e il proprietario _pro tempore_ era
un usufruttuario, un amministratore.

  [I PROPRIETARII E L'ABOLIZIONE DEL FEUDALESIMO]

Di più: su quella proprietà feudale c'erano degli oneri a benefizio
delle collettività. L'abolizione legale del feudalismo tolse gli oneri e
lasciò ai proprietarî i soli vantaggi: la storia dei varî
proscioglimenti dei diritti promiscui e le liti relative--alcune delle
quali durano ancora--non potrebbero che raffermare tale modo di vedere.

Questo perdurare di un regime feudale, di fatto persistente sino al
1860, si spiegò colla mancanza del soffio della rivoluzione francese,
che non arrivò in Sicilia aggiogata al dominio borbonico dalle armi
inglesi, anche quando le armate della repubblica, dell'impero e di Murat
erano pervenute sino allo stretto di Messina nel continente. Più
esattamente dovrebbe dirsi che a spiegare il fenomeno bisogna rimontare
ancora più in alto: la maggiore durata del dominio feudale nei rapporti
sociali informati alle istituzioni feudali non fu esclusiva della
Sicilia, ma più o meno si constatò anche nel continente meridionale,
dove la reazione contro lo spirito della rivoluzione francese fu cosa
davvero spontanea e popolare. I fasti delle orde del Cardinale Ruffo e
la resistenza vigorosa delle Calabrie sono noti. Il vero è che il soffio
della rivoluzione in Italia fu vivificatore dove il terreno era
preparato; e lo era in tutto il settentrione e nel centro e non nel
mezzogiorno e in Sicilia ch'erano rimasti sotto il giogo monarchico e
feudale, mentre il resto della penisola aveva avuto la splendida
efflorescenza repubblicana del medio-evo.

Dopo il 1860 la situazione non venne mutata gran fatto e se ne hanno
testimonianze numerose di osservatori spassionati e autorevoli, tra le
quali credo bastevole ricordare quella dell'on. Sonnino, e pel merito
intrinseco del libro in cui venne registrata e per l'autorità che viene
allo scrittore dal posto che occupa attualmente.

  [I RAPPORTI TRA CONTADINO E PROPRIETARIO]

L'attuale ministro del Tesoro riferendosi ai rapporti tra contadini e
proprietarî (che si possono intendere anche esistenti tra industriali ed
operai, tra coltivatori, _picconieri_ e _carusi_ delle miniere, tra
_galantuomini_--come chiamansi generalmente i membri dell'aristocrazia e
della borghesia--e artigiani e lavoratori di ogni sorta) così scriveva
nel 1876:

«Nelle relazioni tra il contadino e il proprietario molto è rimasto
ancora dei costumi feudali; e non è da sorprendersene ove si pensi che
il feudalismo in Sicilia fioriva ancora in tutta la sua pienezza al
principio di questo secolo, e che la sua abolizione legale nel 1812,
completata colle due leggi del 2 e 3 agosto 1818, non fu nè provocata,
nè accompagnata, nè seguita da alcuna rivoluzione, da alcun movimento
generale che mutasse d'un tratto le condizioni di fatto della società
siciliana. Quella che era stata fino allora potenza legale, rimase come
potenza o prepotenza di fatto, e il contadino, dichiarato cittadino
dalla legge, rimase servo ed oppresso. Il latifondista restò sempre
barone e non soltanto di nome: e nel sentimento generale la posizione
del proprietario di fronte al contadino, restò quella di feudatario di
fronte a vassallo. (_I contadini_ ecc., p. 175).

  [LA BORGHESIA TERRIERA]

Dal 1812 in poi, e sopratutto dal 1860, prese maggiore sviluppo la
borghesia, che reclutò i suoi membri più potenti nella classe dei
gabellotti; ma in Sicilia generalmente questa borghesia non rappresentò
un elemento antagonistico dell'aristocrazia, e invece--priva delle alte
idealità e delle benemerenze di quell'altra borghesia che illustrò le
rivoluzioni medioevali nel settentrione e nel centro d'Italia, e la
grande rivoluzione del 1789--essa pose ogni studio nell'imparentarsi
coll'aristocrazia, nel rendersi degna della sua stima e della sua
considerazione: in fondo la borghesia terriera siciliana si rivelò una
specie di sorella minore dell'aristocrazia, e l'una e l'altra
gareggiarono nell'opprimere le classi inferiori.

Quali furono e quali sono intellettualmente e moralmente i
rappresentanti dell'aristocrazia e della borghesia, che costituiscono in
complesso le _classi dirigenti_ della Sicilia? È presto detto e bisogna
dirlo colle parole di chi non può essere sospettato di livore o di odio
partigiano contro di esse: perciò ricorro all'autorità dell'on. Marchese
Di Sangiuliano--che delle _classi dirigenti_ siciliane può dirsi
attualmente uno dei più autorevoli rampolli.--Egli si riferisce a quelle
di oggidì, che sono certamente migliori, sotto l'aspetto intellettuale,
almeno, di quelle di una volta[23].

  [LE CLASSI DIRIGENTI]

Secondo l'on. deputato di Catania, adunque, le _classi dirigenti_ «non
si sa se vogliano la guerra risolutiva o la politica di raccoglimento
colle economie e col disarmo, se aspirino ad ordini politici reputati a
torto più liberi, o ad un più vigoroso intervento d'un alto potere, se
invochino una politica doganale più protezionista o più liberista, se
desiderino un'azione più inframmettente ed attiva dello Stato o una
maggiore autonomia locale e scioltezza d'iniziativa individuale; si sa
solo che dello stato odierno delle cose i più non sono contenti, che
molti credono o dicono che i beneficî dell'unità italiana,
dell'indipendenza e della libertà costino troppo gravi ed insopportabili
sagrifizî, che nel cuore di molti il sentimento nazionale, è
sensibilmente raffreddato, che la fiamma della patriottica abnegazione è
affievolita e il culto dei più nobili ideali politici e civili cede il
posto alla cura esclusiva del proprio interesse materiale... E,
sopratutto di fronte all'agitazione dei _Fasci_, privi di fiducia nella
libertà, nella politica conciliativa, nei provvedimenti sociali ed
economici, non veggono altra ancora di salute che nel rigore della
repressione, nel potere arbitrario del governo o de' suoi funzionari,
nella limitazione, non solo temporanea, ma duratura, delle garanzie che
tutelano la libertà personale dei cittadini, e quella non meno preziosa
e benefica, della stampa periodica.... Queste classi infine diconsi
_dirigenti_ sovente come.... _lucus a non lucendo_!»

Queste parole in bocca di un altro potrebbero sembrare calunniose; ma
non in quella di colui, che scriveva le _Condizioni presenti della
Sicilia_. Al qual libro, dopo alcuni mesi della sua pubblicazione, non
si deve fare che una modificazione, poichè dopo la riunione dei _grandi
proprietarî_ nella Sala Ragona di Palermo si sa bene che cosa vogliono
le _classi dirigenti_: la difesa della grande proprietà e la reazione.

  [I SIGNORI]

La severità dell'on. Di San Giuliano, che vive nella politica ed è un
avversario, in pratica, dei socialisti, non viene uguagliata che da
quella di un altro conservatore, che vive appartato dalle lotte della
politica e dedito all'insegnamento e agli studî agronomici: alludo al
Prof. Basile di Messina. Egli nel libro: _I catasti d'Italia_ (Messina
1880) mostrò il più grande disprezzo per «i _signori_ che sono ricchi
perchè esigono affitti dal territorio di mezza provincia; che stimano
una villania pensare a coltivare le terre: che non intendono impazzare a
far conteggi con zotici castaldi; che neppure conoscono la forma e la
estensione dei loro latifondi affidati ai capricci dei procuratori; che
sciupano tutte le loro entrate negli alberghi di Parigi, di Londra,
della Svizzera, ai giuochi di azzardo di Wiesbaden.»

Siccome quest'ultimo giudizio particolarmente potrebbe applicarsi alla
classe aristocratica, il quadro può completarsi collo schizzo assai
sintetico che il Sonnino fece della borghesia «non numerosa, e in
Sicilia, come da per tutto, _avida di guadagno e imitatrice della classe
aristocratica soltanto nelle sue stolte vanità e nella sua smania di
prepotenza_!»

  [LORO SENTIMENTI VERSO LE CLASSI INFERIORI]

Come trattino le classi inferiori queste _classi dirigenti_ si può
immaginarlo: «L'operaio e il contadino--dice l'Alongi--sono secondo il
_gabellotto_ e poteva dire secondo il borghese e l'aristocratico, una
_specie di animale inferiore_ spesso trattato peggio del suo cavallo da
coscia. Egli non può capire, per esempio, perchè i funzionarî di oggi
debbano occuparsi delle violenze gravi, che un _galantuomo_ fa ad un
servo.... Tanto meno poi riesce a comprendere che anche un miserabile ha
diritto a giustizia, a godere del porto d'armi, e ad altri privilegi, un
tempo riservati solo ai _galantuomini_. Quel che più li urta è poi la
insistenza con cui giudici e funzionarî vogliono sapere da loro certe
cose intorno ai reati di fresco successi, quasicchè un galantuomo debba
essere citato a dir quel che sa come qualunque altro;--e ve n'è poi di
semi-ingenui, che strabiliano nel vedere che un governo debba andar
cercando prove e far formalità e spese per mandare un miserabile in
galera--Ma che! fatelo _sparire_ senza tanti complimenti!»

Tali i sentimenti che un egregio funzionario di Pubblica Sicurezza,
siciliano, che ha occupato ed occupa posti di fiducia, ha attribuito
alle _classi dirigenti_ verso le classi inferiori! E pur troppo egli non
ha esagerato le tinte; il quadro anzi verrà completato aggiungendo che
le _dirigenti_ sono anche dotate di alterigia, di albagia, eredità
spagnuola, che spesso le fa cadere nel ridicolo, perchè scompagnata da
una qualsiasi delle condizioni che possono incutere rispetto. E lo
spagnolismo grottesco, in generale arriva al punto che un _galantuomo_
crederebbe di degradarsi andando a bere un bicchiere di vino in una
osteria--perchè è frequentata dalle classi inferiori--o anche solo
stringendo la mano ad un lavoratore!

Quanta cura le _classi dirigenti_ della Sicilia si siano presa delle
misere condizioni dei lavoratori, in questi momenti in cui dappertutto
altrove o per filantropia per calcolo si fanno inchieste e si votano
leggi a loro favore, ci vuol poco a comprenderlo una volta che si
conoscono le belle doti del loro intelletto e del loro cuore....

  [EGOISMO E CECITÀ DELLE CLASSI DIRIGENTI]

Il Taine dipingeva la non curanza degli aristocratici francesi per i
contadini nel secolo scorso con questi pochi tratti: «Non facendo niente
per la terra, come sarebbero capaci di fare qualche cosa per gli uomini?
D'altronde sanno essi cos'è la fame? Quale fra di loro ha esperienza
delle cose campestri? E come potrebbero rappresentarsi la miseria del
povero? Per poter far questo essi sono troppo lontani da lui, troppo
estranei alla sua vita. Il ritratto che essi si fanno di lui è
immaginario; mai è stato più falsamente rappresentato il contadino.»
(_L'Ancien régime_ p. 65).

Altrettanto e peggio si deve affermare del modo di giudicare delle
_classi dirigenti_ siciliane rispetto ai bisogni dei lavoratori e a'
rimedi contro le ingiustizie alle quali soggiacciono.

La _Inchiesta agraria_ ne fa fede: essa somministra il documento
autentico del loro egoismo e della loro cecità. Tra i Comuni e i privati
interrogati, pochissimi si preoccuparono della triste condizione dei
lavoratori e la maggior parte invocarono invece provvedimenti favorevoli
ai proprietarî, inutili e superflui al proletariato agricolo. E la prova
di egoismo hanno ripetuto ora nella riunione ricordata dei _grandi
proprietarî_ della Sala Ragona nella quale non seppero occuparsi che dei
propri esclusivi interessi: all'indomani dei tumulti e degli incendi del
Dicembre 1893 e del Gennaio 1894!


NOTE:

[23] Il Senatore Zini chiamò la Baronia siciliana _superba ed ignava,
non ultima cagione del pervertimento morale_ onde volentieri si getta il
carico sul mal governo dei Borboni. (_Dei Criterî e dei modi di governo
nel regno d'Italia._ Bologna 1876).



XI.

I PARTITI IN LOTTA E LE AMMINISTRAZIONI DEI CORPI LOCALI


Le _classi dirigenti_ in Sicilia non sono ancora feudali soltanto pel
disprezzo che ostentano verso gl'inferiori, e per le ingiustizie che
fanno loro subire; ma esse si conservano tuttavia medioevali pure nelle
loro divisioni in partiti, pel modo come intendono e praticano le lotte,
e come amministrano comuni e provincie che cadono sotto le loro unghie.

Anche su questo doloroso argomento nulla si può dire di nuovo; ma ciò
che è stato detto e scritto molti anni or sono è stretto dovere
riprodurre, perchè meglio che ogni altro dato giova a spiegare la genesi
degli ultimi fatti luttuosi.

Il Bonfadini nel 1876 constatò «la sopravvivenza, in molti paesi, di
quelle lotte e di quegli odî di famiglia che funestarono la società del
medio-evo; chè non è giusto, come taluni fanno per preconcetti politici
o contro la evidenza storica, l'asserire che le guerre civili furono un
malanno peculiare dei nostri comuni medio-evali...»

  [I PARTITI E IL PREPOTERE PRIVATO]

Ed è altrettanto esplicito il Generale Corsi che osserva «essere
tradizionale, _ab antico_, vivissimo in questo corpo sociale così
composto, o per dir meglio, così mal composto, il parteggiare... E può
darsi benissimo, che i partiti siano della stessa fede politica gli uni
e gli altri o indifferenti del pari. Nel fondo però di quelle gare vi
son talvolta antichi rancori di famiglia e allora tanto più facilmente
le elezioni amministrative e politiche diventano un _caso di Sciacca_.»
Così a pag. 280, mentre a pag. 332, dopo avere descritto l'intervento
dei _Fasci_ in queste gare, giustamente afferma che in molti paesi si
fece un vero _imbroglio_ tra Municipio, partiti e _Fasci_.

Chi non sa adesso che questi _odî_ e queste _lotte_ tra le famiglie più
potenti di un comune hanno sopratutto contribuito alla organizzazione di
Fasci che non avevano neppur l'ombra dell'idealità socialista, ma che
dovevano servire agli interessi e alle passioni di un capo parte, e che
aizzarono i contadini ed eccitarono ai tumulti?

In qual modo, poi, e con che mezzi questi partiti a base di odî e di
lotte tra famiglie, esercitano il potere e l'influenza è anche noto.

L'on. Franchetti scrisse: «nella capitale dell'Isola e nei suoi contorni
domina maggiore _prepotenza privata_, per effetto del maggiore concorso
colà di membri delle clientele dominanti (_Le condizioni politiche e
amministrative della Sicilia nel 1876_); clientele, soggiunse il
Turiello, usate a riconoscere più spesso dov'è più folta la popolazione,
nel _prepotere_ privato, un diritto che non è poi impedito da alcuna
autorità sociale più forte della loro volontà. (_Governo e governati._
Vol. 1. p. 79.)»

  [LE OLIGARCHIE]

E l'Alongi rincalzò:

«Ne' piccoli e medî comuni, ci sono gruppi di preti, professionisti,
operai, dati a questo e a quel signore. E i partiti non sono formati che
da questi nuclei aderenti a un paio di signorotti sempre nemici per
antichi odî, o per spirito di supremazia, o per libidine di potere e di
prepotere su tutti, e specialmente sul bilancio comunale.

«Le oligarchie organizzate, sono, è vero, meno violenti e feroci di
quelle da cui direttamente promanano (le feudali) ma sin dove possono
giungere, ne hanno l'audacia e le pretese.

«E per sostenersi ricorrono a tutti i mezzi.

«Della legge e della legalità hanno un concetto esclusivamente
unilaterale; le riconoscono e vi ricorrono solo in quanto sanzionano il
loro potere; per tutto il resto, o non esistono, o si possono violare
impunemente.»

I maggiorenti, divisi ed organizzati in partiti che non hanno ragione
politica, ma bensì di astî e rancori personali, sono pienamente
d'accordo;--presso a poco come Carlo V. e Francesco I. che volevano
entrambi la stessa cosa: il ducato di Milano--onde alternandosi al
potere, si imitano, si ripetono e nei procedimenti, e nei criteri
amministrativi e nelle vendette sui vinti avversarî, e nell'imporre
sempre le spese ad essi ed ai lavoratori in generale.

  [SOPRAFFAZIONE DI CLASSE]

Le amministrazioni comunali e provinciali d'Italia e particolarmente
della Sicilia somministrano le prove più evidenti della sopraffazione di
una classe a danno di un'altra, dei favoritismi, delle camorre, delle
opere irrisoriamente dette pubbliche, ma che servono a benefizio di
pochi, delle imposte fatte pagare di preferenza ai contribuenti
appartenenti al partito vinto, delle imposte che gravano maggiormente
sui consumi necessarî e sulle classi meno agiate e il cui prodotto serve
per il teatro, per i ginnasî, per le passeggiate, per i giardini
pubblici, per tutto ciò che diverte o giova ai ricchi o ai meno
disagiati.

Di queste spese e di queste imposte mi sono lungamente occupato in un
libro pubblicato nel 1882[24] alla vigilia delle elezioni politiche
generali; e pur troppo le critiche aspre enunziate allora a carico delle
amministrazioni municipali si dovrebbero oggi inasprire di più; e pur
troppo le riforme invocate allora sono tuttavia un desiderio!

Allora deplorai che Palermo e Messina discutessero invano per
provvedersi dell'elemento più indispensabile alla vita, l'acqua;
deplorai che si spendessero milioni e milioni per un Teatro Massimo, che
difficilmente,--se si riuscirà a compirlo--si potrà riempire di
spettatori; deplorai, che si spendesse poco e male per la istruzione
popolare; deplorai che si spendesse poco e male per tutti gli istituti
pii, che servono pei poveri e per gli inabili al lavoro; deplorai che si
rubasse nello spendere e che si qualificassero come opere pubbliche
quelle che sono di semplice interesse privato; deplorai infine che il
dazio di consumo, il focatico e la tassa sugli animali costituissero la
principale risorsa economica dei Comuni; e deplorai che la tutela
esercitata dal governo riuscisse impotente ad impedire il male ed
efficace, invece, per aggravarlo, pur di servire al capriccio, al comodo
dei beniamini, dei protetti, dei grandi elettori, dei deputati.

Dopo pochi anni si levò la voce dell'Alongi che la vita locale conosce
anche perchè è stato più volte Regio Commissario straordinario presso
diversi municipî:

«Si profondono favori,--egli dice--impieghi, esenzioni di tasse e
protezioni d'ogni portata agli aderenti e si fa l'opposto con gli
avversarî, contro ai quali: persecuzione continua, evidente, spesso
sfacciata e feroce, fino al delitto, fino all'omicidio. E si pretende
che i funzionarî del governo seguano questo indirizzo.

«Tranne poche e lodevoli eccezioni, nei comuni dominano la incompetenza
e la prepotenza più goffe e sfrenate che per contraccolpo vi producono
la paura, la sofferenza, i rancori sordi delle masse.

«L'ufficio di Sindaco, nei piccoli comuni, è sfuggito dai buoni perchè
arduo e pericoloso; è ricercato avidamente dai tristi cui offre risorse
illecite ma sfuggenti al Codice Penale, e voluttà di comando e di
prepotenze che fanno rivivere Don Rodrigo senza il blasone.

«A che si riducano, con questo sistema i servizi amministrativi è facile
immaginarlo...»

  [LA PREPOTENZA LEGALIZZATA]

Nei municipî la prepotenza di classe dai vampiri borghesi o
aristocratici è stata esercitata in modo classico, ripetendo
incoscientemente--perchè i più non conoscono la storia di Inghilterra,
nè hanno letto Carlo Marx--i procedimenti prevalsi alcuni secoli or sono
al di là della Manica diretti a usurpare la cosa pubblica, che in
Sicilia particolarmente era la cosa del proletariato agricolo. Qui
infatti, i _galantuomini_ con costanza sorprendente, da _gabellotti_, da
limitrofi, da amministratori hanno usurpato i demanî comunali, la
proprietà collettiva degli abitanti poveri del Comune.

  [LE USURPAZIONI DEI DEMANII]

E le usurpazioni sfacciate e impunite--ciò che stabilisce la
responsabilità e la complicità del governo nel reato--hanno, ad esempio,
una illustrazione in tribunale col ricorso dei comunisti di Alcari li
Fusi, fraudolentemente spogliati dei proprî beni, ed ebbero un epilogo
tragico a Caltavuturo dove furono assassinati dei poveri contadini
perchè--ingenui!--vollero esercitare un diritto, zappando--niente altro
che zappando!--la terra che a loro appartiene.

Oh! Italiani, che vi siete santamente indignati per l'assoluzione di
Angoulême, quando v'indignerete per il massacro di Caltavuturo, che
costituisce l'episodio più scellerato della vita politica italiana, ch'è
rimasto impunito e pel quale non un solo accusato venne trasportato
sullo sgabello della Corte di Assise? In Francia almeno ci fu un
processo, ci furono degli accusati, ci fu un Pubblico Ministero severo e
imparziale che fece di tutto per farli condannare, ci furono dei
gendarmi che deposero il vero: ma in Italia?

Però le usurpazioni dei demanî comunali, e la vendita e i censimenti
fraudolenti delle terre patrimoniali nè possono essere consumati
dappertutto,--perchè in Sicilia non tutti i Comuni posseggono demani
comunali e beni patrimoniali--nè possono ripetersi ogni giorno perchè la
materia che fornisce occasione al reato, a danno del popolo, si
esaurisce. Ci sono, però, altri modi di nuocere al popolo,
quotidianamente, perennemente, e che riescono perciò causa più frequente
di odî e di risentimenti: questi modi vengono rappresentati dalle
imposte e dalle spese.

  [COME SI SPENDE IL DENARO PUBBLICO]

Si deve premettere, per essere imparziali, che oggi come oggi i municipi
di Sicilia sono agli sgoccioli in quanto a _spese facoltative_, ridotte
in molti luoghi a qualche migliaio di lire per la musica o per la
Chiesa, e che le imposte servono per le _spese obbligatorie_. Molte
delle spese della prima categoria, però, vennero fatte in altri tempi
per mezzo di debiti, che ora pesano sui municipî, e fatte talora per
mettersi, almeno nella parte esteriore e che rappresenta la vernice, a
livello delle città più colte del continente. Lo spagnolismo impera nei
comuni come sugli individui e li ha spinti ad un più elevato tenore di
vita sproporzionato alle risorse.

E perchè riguardano il prepotere--veramente feudale in quanto alla
natura delle spese--ricorderò questi casi:

Nella provincia di Caltanissetta si costruì a spese della provincia una
strada a totale benefizio di un barone che dominava nel Consiglio
provinciale.

In Agira, a spese del Comune, si costruì altra strada del costo di oltre
200,000 lire che giovava principalmente ad un ricco signore--nel resto
onesto cittadino--che spadroneggiava nel Municipio.[25].

Così altrove. In quanto alla _onestà_ nello spendere e nel costruire me
ne rimetto al severo giudizio della _relazione_ Bonfadini sulle strade
provinciali di Caltanissetta e di Girgenti. Del resto ci vorrebbe un
volume per notare e descrivere tutte queste spese pazze e disoneste, che
gli amministratori locali possono tentare di giustificare soltanto
coll'esclamare: _abbiamo imitato lo Stato_.

Purtroppo!

Ciò che il Sonnino e il Franchetti e il Bonfadini--cito di proposito
persone non sospettate di radicalismo o di socialismo--osservarono sulle
amministrazioni comunali, dovettero constatarlo anche nelle
amministrazioni delle opere pie.[26]

  [LE IMPOSTE MEZZO DI SFRUTTAMENTO]

Nel giudizio sulle imposte, come mezzo di iniquo sfruttamento di classe,
lascio la parola all'on. Sonnino, di me assai più autorevole:

  [L'ARBITRIO NELL'IMPORRE]

«Quanto al modo in cui la classe dei _galantuomini_ si vale delle
amministrazioni comunali a suo profitto, ed a danno della classe dei
contadini, basterebbe esaminare Comune per Comune i ruoli delle imposte
per averne qualche idea. Così noi troveremo generalmente imposta in modo
gravissimo la tassa sulle bestie da tiro e da soma, ossia principalmente
sui muli e sui cavalli, che sono la proprietà maggiore dei contadini; e
invece raramente e in proporzioni minime la tassa vera sul bestiame,
ossia sulle vacche e sui bovi, perchè questi sono posseduti dai
proprietarî. Il contadino paga in moltissimi luoghi fino a 8 lire per
mulo, o 5 lire per un asino, e il proprietario e il gabellotto non
pagano nulla, o relativamente pochissimo, per centinaia di vacche o di
bovi.»

Il Cavalieri, che fu compagno di viaggio di Sonnino e di Franchetti nel
1875, si è occupato adesso della quistione siciliana; epperò ha dovuto
confermare quanto avevano scritto i primi molti anni or sono e
aggiungere fatti nuovi e opportune considerazioni, che meritano di
essere riportati.

«Le tasse sugli animali da tiro, da sella e da soma e quelle pel
bestiame danno luogo a sfruttamenti del contadino: e in generale si
aggrava la prima, la quale colpisce gli animali, che gli rendono un
servizio e si attenua la seconda, che colpisce il bestiame come
capitale.[27]

«È più che verosimile, che sindaci e consiglieri nel compilare i ruoli
delle varie tasse favoriscono i loro amici e gravano la mano sugli
avversarî e sui poveri.»

«Osservazioni simili si devono fare per la tassa fuocatico....»

«Ma a far più completa la dimostrazione dello stato delle cose, ecco un
altro documento meno conosciuto, ma altrettanto grave. Il Fascio di
Campobello di Licata ricorse di recente al Consiglio provinciale di
Girgenti perchè quel Consiglio comunale, per creare un corpo di 21
guardie campestri, istituì una tassa sui proprietarî sulla base di lire
8 per ogni salma di terra, ma _colla clausola che sarebbero tassati solo
i proprietari, che possedono sino a sei salme_.

«S'intende che nessuno dei consiglieri comunali è in questa
categoria....

«Il ricorso avrà certo buon esito, ma la cosa è tanto enorme che si
stenta a comprendere come ci sia stato il bisogno di produrlo: però non
da chi, già nel 1876, in Santa Margherita--nella stessa provincia di
Girgenti--ebbe a constatare che da anni si riscuoteva colla tolleranza
degli ufficiali del governo una seconda imposta a benefizio del Comune:
l'imposta governativa si riscuoteva col contatore meccanico e quella
comunale si riscuoteva col sistema borbonico e cioè con altrettante
bollette che un apposito ufficio rilasciava a chi voleva macinare, senza
delle quali il mugnaio non avrebbe potuto prestarsi sotto pena di una
contravvenzione!» (_I fasci dei lavoratori_, p. 29 a 32).

  [IL DAZIO DI CONSUMO]

  [SI OLTREPASSANO I LIMITI LEGALI]

In quanto al Dazio di consumo quasi tutti i Comuni chiusi, almeno i
principali (compresi quelli amministrati dai democratici) hanno
sorpassato i limiti legali del sovrimporre. E perchè su questo vitale
argomento le sentimentalità non prendano il sopravvento,--o meglio non
si abbia il sospetto che lo prendano,--giova riprodurre alcune cifre
comparative per i bilanci del 1889, sulla proporzione della sovrimposta
fondiaria e del dazio di consumo comunale in poche regioni d'Italia, che
hanno presso a poco la stessa popolazione della Sicilia.

             POPOLAZIONE    DAZIO     QUOTA    SOVRIMPOSTA   QUOTA
                           CONSUMO     PER      FONDIARIA     PER
                          COMUNALE   ABITANTE               ABITANTE
  Piemonte    3,234,490  12,008,218    3,71    13,043,802    4,03
  Lombardia   3,906,959  12,771,218    3,27    20,902,919    5,35
  Veneto      2,985,164   7,209,917    2,42    16,264,792    5,45
  Sicilia     3,285,474  22,218,045   6,76    5,350,478   1,63

Io non commenterò queste cifre eloquenti e mi limiterò a riprodurre
un'altra breve comparazione fatta dal professore Maffeo Pantaleoni, e
lascerò che i commenti li faccia una pregiata rivista che combatte il
socialismo con tutte le sue forze.

Le cifre comparative sono queste:

                 QUOTA PER ABITANTE DELLA
     _Ricchezza_   _Dazio di consumo_  _Sovrimposta fon._

  Sicilia    1,471        6,76               1,63
  Piemonte   2,746        3,71               4,03
  Lombardia  2,400        3,27               5,35
  Veneto     1,935        2,42               5,45

Ed ecco i commenti:

  [PARAGONI ELOQUENTI]

«Va notato che i dati della ricchezza per abitante per regione si
riferiscono ad un quinquennio (1884-1889) di eccezionale prosperità,
sopratutto in Sicilia.--La crisi sopravvenuta dopo, ha certamente
arrestato e retrocesso lo sviluppo della sua ricchezza proporzionalmente
più che sulle regioni del nord, per effetto della politica economica più
specialmente lesiva del Mezzogiorno.--Ma pure restando per larghezza di
concessione ai dati del Pantaleoni, il dazio consumo in Sicilia è quasi
il doppio che in Piemonte, mentre la ricchezza ne è la metà, ed esercita
nell'isola una pressione tributaria almeno _quattro volte_ maggiore.
Invece la sovrimposta sta ad un limite poco inferiore a quello che
potrebbe ancora raggiungere in vista della ricchezza rispettiva; mentre
le altre imposte (valore locativo, tassa famiglia, bestiame, vetture e
domestici) sono già in _cifra assoluta_ per abitante più gravose pel
contribuente siciliano. Questi dati permettono due considerazioni: 1º
che il sistema delle imposte comunali in Sicilia esercita una pressione
maggiore che nel continente; 2º che la ripartizione del carico
tributario locale è fatta tutta a danno dei contribuenti che pagano
imposte indirette» cioè, dei lavoratori! (_L'insurrezione Siciliana_,
nel _Giornale degli Economisti_, Febbrajo 1894).

Su questo proposito, infine, c'è la testimonianza più decisiva, e più
autorevole, più recente: quella del Generale Corsi, che giudica
«veramente gravissime le imposte nella massima parte dei Comuni,
specialmente sui generi di prima necessità, sulle farine sopratutto, e
_ripartite in modo così ingiusto, così empio, che pesavano molto più sul
povero che sul ricco_. E molti comuni sprecavano denaro in ispese di
nessuna o problematica utilità pubblica, a vantaggio dei signori, a
beneficio dei bene affetti e fautori della fazione predominante... (p.
369).»

La gravità di questi dati e delle accuse che essi autorizzano a muovere
contro le _classi dirigenti_, le quali spadroneggiano nei municipî,
preoccupò i _grandi proprietarî_ della sala Ragona; i quali cercarono di
difendersi, osservando che «il fenomeno doloroso dell'altissima quota di
dazio di consumo comunale che si paga in Sicilia è determinato dal fatto
che la classe rurale siciliana risiede nelle città e borgate soggiacenti
al dazio di consumo, mentre nelle altre regioni d'Italia vive
disseminata nelle campagne.»

  [LA SPEREQUAZIONE TRA LE IMPOSTE]

La giustificazione in parte è accettabile; e si può dire eziandio, che
la legge stessa sui tributi locali favorisce la proprietà fondiaria
cogli ostacoli, che mette alla facoltà di sovraimporre; ma rimane
sempre,--a spiegare il largo e giusto risentimento dei proletarî,--il
fatto stesso della esistente sperequazione tra imposte dirette e
indirette, a danno loro, (e che essi ignari di leggi e di demografia non
riescono a giustificare), non che la circostanza che colle stesse leggi
e cogli stessi ostacoli a sovrimporre sulla imposta fondiaria in
Piemonte, in Lombardia e nel Veneto i proprietarî riescono a pagare tre
e quattro volte di più che in Sicilia. È innegabilmente maggiore
l'equità tributaria nell'Alta Italia, che in Sicilia e in molte altre
contrade del mezzogiorno, e specialmente nella Campania.

Questa iniquità nella distribuzione e nella qualità dei tributi ebbe a
deplorarsi vivamente sotto _l'Ancien régime_ in Francia, dove produsse
gli stessi effetti che in Sicilia. In un vecchio opuscolo intitolato:
_Abrégé de l'histoire des taxes en France_ pubblicato nel 1694 sotto il
regno di Luigi XIV si parla e dei _favori accordati agli amici_ nella
applicazione della _taglia_, e delle ingiustizie che si commettevano a
danno dell'ingegno e del lavoro ed a benefizio della proprietà e del
capitale. Nella _Decima regale_ del grande Vauban vengono illustrati gli
stessi favori e le stesse ingiustizie che tanto contribuirono più tardi
a fare sollevare un popolo, che era stato ritenuto _taillable et
corveable à la merci_ dei signori!

  [CHE OSSERVATORI PROFONDI!]

I disgraziati difensori del governo e i disonesti giudici dei moti
siciliani del 1893 e 1894 hanno osservato: «o perchè le minoranze e i
lavoratori non si agitavano, non esercitavano i loro diritti, non
reagivano nelle vie legali contro le prepotenze e le iniquità delle
amministrazioni locali?»

Non lo potevano: la frode, la corruzione, la violenza nella compilazione
delle liste, nelle votazioni, in tutto, assicuravano il trionfo di chi
sapeva asservirsi al governo o al deputato, i quali ogni loro opera
spendevano a proteggere i vincitori, che spesso erano la minoranza
reale. Il voto e la _legalità_ da trent'anni si chiariscono impotenti a
ottenere qualcosa, a correggere.


NOTE:

[24] N. Colajanni: _Le istituzioni municipali._ Un vol. di 334 pag. L.
3--presso REMO SANDRON--Palermo.

[25] Valguarnera, dove avvennero incendî e rapine, si rovinò colla
costruzione di una strada intercomunale con Raddusa, che costò L.
250,000. Essa paga al solo governo L. 36,000 per abbonamento al dazio
consumo e non conta che diecimila abitanti.

[26] Il Sonnino a p. 188 del suo libro, in una nota, parla di una
fondazione pia del principe di Castelnuovo pessimamente amministrata. In
parte i fatti da lui esposti sono veri; ma è stato tratto in errore sui
rimedî adoperati dal governo per riparare ai mali. «Ci volle un vero
colpo di mano per portar via dalle casse del Comune,» egli dice, «sei
anni addietro, i valori che rimanevano, per cominciare finalmente ad
impiegarli al fine voluto dal testatore.» Il fatto è questo: il Prefetto
di Caltanissetta, Polidori, nel 1869 fece _il colpo di mano_, ma fu una
vera spogliazione a danno del Comune di Santa Caterina Villarmosa--ch'è
il comune dove fu fondato il luogo pio--che indarno sinora ha reclamato.
L'on. Sonnino ora ch'è ministro farebbe bene ad informarsi meglio ed a
provvedere efficacemente.

[27] Su questa tassa pervennero direttamente a me alcune enormi notizie
dalla provincia di Siracusa, che non riproduco dettagliatamente perchè
non ebbi modo e tempo di verificarne l'esattezza.



XII.

L'ODIO DI CLASSE


La prepotenza feudale, la iniquità sistematica in ogni momento ed in
ogni lato della vita e della amministrazione comunale, che si esplicano
sotto l'egida delle autorità governative--prefetti, delegati,
carabinieri--spiegano più che sufficientemente come l'odio delle classi
lavoratrici contro i _galantuomini_ debba essere profondo e generale, e
tanto più pericolosa la sua esplosione violenta inquanto che lungamente
represso e non attenuato da alcuno sfogo nelle vie legali, a loro non
consentito dalle stesse leggi, che del diritto elettorale hanno fatto un
privilegio di alcune classi.

  [VECCHIE E DOLOROSE CONSTATAZIONI]

Tutto il passato remoto e tutto il presente non ha fatto che generare e
alimentare quest'odio dei lavoratori,--specialmente delle campagne,
contro le _classi dirigenti_,--che un giorno o l'altro doveva esplodere.

Si dirà: «all'indomani delle sommosse e delle rivolte la invocazione
della preesistenza dell'_odio di classe_ è un comodo espediente per
ispiegare, se non per giustificare, i moti inconsulti o criminosi.»

Epperò giova dimostrare, che quanti si occuparono delle condizioni della
Sicilia constatarono _in ogni tempo_--nei momenti di tranquillità, come
in quelli di agitazione e di perturbamento--il doloroso fenomeno.

Uno scrittore più volte citato, l'Alongi, parecchi anni or sono scriveva
che per i motivi precedentemente esposti «il contadino diffida e vede
nei funzionari tanti alleati dei _galantuomini_, che lo tengono in una
grossolana e ferrea servitù economica, e ignorante, incretinito dalla
miseria, dal lavoro improbo, sfugge i contatti, vede ovunque ingiustizie
ed oppressioni, e nei provvedimenti più utili tante trappole per
immiserirlo di più. Nasce quindi tra i contadini un istinto di riunirsi
tra loro contro i nemici comuni (_galantuomini_ e governo; d'onde il
proverbio: _galantomu e malu passu dinni beni e stanni arrassu_), di
fare una lega spontanea, inconscia contro di essi, opponendo una inerzia
assoluta a tutti i movimenti del nemico personificato nel funzionario e
quando la pazienza scappa, farsela da sè, poichè pel povero non c'è
giustizia (dice un altro proverbio: _la furca è pri li puvureddi_)».

Quest'_odio di classe_ venne constatato da Sonnino, da Franchetti, da
Bonfadini, da Damiani in varie epoche; ma si vogliono pareri di persone
ancora più autorevoli e insospettabili? Eccoli.

  [LA PAROLA AI MAGISTRATI]

L'_odio contro i ricchi_, accanto alla esistenza del _latifondo_, viene
esplicitamente denunziato dal Procuratore Generale Caruso, nella sua
relazione innanzi alla Corte di Appello di Palermo sul movimento della
criminalità pel 1880, come la cagione principale dei caratteristici
reati dei contadini.

Cinque anni dopo un altro Procuratore generale, il De Meo, in una
analoga occasione nella stessa Palermo osservava: «i poveri agricoltori
e coloni, mezzadri o fittaiuoli non vedono e spesso non conoscono i
padroni dei fondi che coltivano e ne risentono il peso e l'oppressione
per quelli agenti intermedî che fattori o campieri si domandano; dai
quali non pure sono tribolati con vessazioni, usure e prepotenze di ogni
sorta, ma spinti a _disamare_ i proprietarî; onde tra loro si _mantiene
un abisso_ e si forma un _cumulo di animosità, di rancori, di odî
inveterati, che diventano temperamento e abito dell'animo..._»

Io credo che ce ne sia abbastanza per una dimostrazione obbiettiva,
spassionata di un vero odio di classe in Sicilia preesistente agli
ultimi moti; odio di classe generato dalle cause che sono state esposte
e che ha costituito un pericolo permanente per l'ordine sociale.

  [UNA DESCRIZIONE DI G. VERGA]

Quest'odio di classe che, per quanto giustificato, in me produsse sempre
un senso di sgomento per le sue possibili esplosioni, ispirò ad uno
scrittore conservatore uno dei bozzetti suoi più indovinati e
caratteristici, che ritraggono la vita e le passioni del popolo in
Sicilia. G. Verga infatti tra le sue _Novelle rusticane_ ne ha una
intitolata _Libertà_, che tutta intera dovrebbe essere riprodotta a
dimostrazione completa del come senza i _Fasci_ e senza il socialismo,
nell'isola potessero verificarsi fatti identici nella natura e più gravi
negli episodî di quelli del 1893 e 1894, ma basterà ai lettori l'esordio
eloquente.

«Sciorinarono dal campanile un fazzoletto a tre colori, suonarono le
campane a stormo e cominciarono a gridare in piazza: «_Viva la
libertà!_»

«Come il mare in tempesta, la folla spumeggiava e ondeggiava davanti al
casino dei _galantuomini_, davanti al Municipio, sugli scalini della
chiesa: un mare di berrette bianche; le scuri e le falci che
luccicavano. Poi irruppe in una stradicciola.»

«A te prima, barone! che hai fatto nerbare la gente dai tuoi
campieri!--Innanzi a tutti gli altri una strega, coi vecchi capelli irti
sul capo, armata soltanto delle unghie.--A te, prete del diavolo! che ci
hai succhiato l'anima!--A te, ricco epulone, che non puoi scappare
nemmeno, tanto sei grasso del sangue del povero!--A te, sbirro! che hai
fatto la giustizia solo per chi non aveva niente!--A te, guardaboschi!
che hai venduto la tua carne e la carne del prossimo per due tarì al
giorno!»

«E il sangue che fumava ed ubbriacava. Le falci, le mani, i cenci, i
sassi, tutto rosso di sangue!--Ai _galantuomini_. Ai _cappelli_!
Ammazza! ammazza! Addosso ai _cappelli_!»[28]

L'arte non poteva meglio riassumere gli odî generati da secolari
ingiustizie esplodenti quando al grido di _Viva la libertà!_ gli
oppressi credevano che fosse arrivata l'ora della vendetta e della
riparazione.


NOTE:

[28] Il Verga pubblicò questa novella nella _Domenica letteraria_ del
Martini, nel Marzo 1882. Fu riprodotta nelle _Novelle rusticane_ edite
dal Casanova di Torino nel 1883.



XIII.

NULLA È MUTATO!


Più volte s'è già accennato al carattere di permanenza delle descritte
condizioni della Sicilia. Ma nell'animo di molti potrà esser rimasto
qualche avanzo di ottimismo, il quale avrà potuto indurlo a credere che
i più dolorosi tra i mali da cui è afflitta l'isola nostra siano eredità
del passato--per quanto prossimo--e che qualche miglioramento riparatore
si sia ottenuto per opera del governo, o dei maggiorenti meglio avvisati
de' pericoli a' quali viene esposto l'organismo sociale dal perdurare di
condizioni di fatto divenute assolutamente anacronistiche, oggi, in
mezzo all'Europa che, più o meno, s'è venuta trasformando.

Ebbene! ogni illusione deve essere bandita, e bisogna confessare con
vergogna, che i mutamenti in meglio, in rapporto alle classi lavoratrici
sono tale povera cosa, che si possono considerare come non avvenuti. Ma
con ciò non s'intende negare che negli strati superiori siano avvenute
sensibili modificazioni.

  [L'OPERA DEL GOVERNO BORBONICO]

Il Baer con equanimità assegna la parte di responsabilità ch'è dovuta al
governo borbonico nel mantenimento di un regime feudale che sarebbe
stato suo interesse far scomparire per vederlo sostituito da un forte
ceto medio, perchè in fondo le opposizioni più pericolose e più
continuate gli vennero dall'aristocrazia che voleva conservare o
riprendere interi tutti i suoi privilegi economici e politici. Ma esso
pur avendo mostrato la intenzione di abbattere le istituzioni feudali--e
glielo suggeriva la propria convenienza--volle seguire metodi proprî,
che riuscirono impotenti, essendo frenati e paralizzati tutti i buoni
tentativi dal soverchio timore dello innalzamento della parte popolare.

«Perciò la dinastia borbonica si chiarì impotente a fare il bene, debole
nel pigliare ogni provvedimento d'interesse generale, solo violenta e
perfino crudele ogni qualvolta temeva pel suo potere.» (_Baer_).

Degli intendimenti lodevoli e dei tentativi del governo borbonico per
mutare e migliorare rimangono numerosi documenti ufficiali a farne fede.
Colla legge dell'11 ottobre 1817, coi decreti del 2 Agosto 1818, del 20
maggio 1820 col reale rescritto del 18 ottobre 1821, con altri decreti
del 30 luglio 1823, del 10 febbraio 1824, coi regolamenti del 24 ottobre
e del 22 dicembre 1825, 3 gennajo 1836 e 20 ottobre 1834, 12 novembre
1838, si ordinarono inchieste e s'imposero scioglimenti di diritti
promiscui, si cercò di dipanare l'arruffata matassa delle
_soggiogazioni_, si tentò di porre riparo alle dilapidazioni e alle
usurpazioni perpetrate a danno delle opere pie, si tentò d'infrenare
l'usura; ma tutto riuscì sempre vano, perchè baroni, magistrati e
funzionari di ogni genere, stretti in mostruosa lega, resero ognora
lettera morta leggi, regolamenti e decreti opportuni e benefici, ed il
governo non seppe contrapporre la propria forza attiva alla resistenza
dell'inerzia.

  [LA PERMANENZA DEL FEUDALESIMO]

Del male intanto si aveva conoscenza esatta; chè in un decreto del 12
ottobre 1838, all'indomani del viaggio di Ferdinando II in Sicilia, si
legge: «le vaste contrade nude, deserte, mal coltivate, che s'incontrano
in Sicilia, non ostante la loro feracità naturale ed il favore del
clima, non potranno essere migliorate finchè durerà l'esistenza di più
padroni sullo stesso fondo. Volendo accelerare la esecuzione delle
leggi, che da _epoche remote hanno proscritta_ la indicata condizione
della proprietà, perniciosa a tutti ecc. ecc.» In un altro decreto dello
stesso anno 1838 è detto che «il languire dell'agricoltura e della
pastorizia, e la miseria d'intere popolazioni, debbono attribuirsi in
gran parte _alla esistenza degli abusi feudali, delle promiscuità e
delle liti degli ex-baroni coi Comuni_, ecc.»

Dopo, nei momenti della peggiore reazione, nel 1849 e nel 1852, il
principe di Satriano emanò decreti contro l'usura, e per favorire lo
spezzamento dei latifondi; sempre inutilmente.

Se il governo borbonico fu impotente al bene, come si disse, potè colle
persecuzioni politiche, coi favoritismi, colle protezioni far scomparire
del tutto dagli animi la confidenza nella giustizia e far sorgere la
_mafia_, i _campieri_ e i _compagni d'armi_, che avevano in appalto la
sicurezza pubblica delle campagne, e che, in generale, erano
pregiudicati e briganti in ritiro, che conservavano i migliori rapporti
coi briganti in attività.

  [L'ANNESSIONE]

Lo sbarco di Marsala e la successiva liberazione dell'isola dal giogo
borbonico avrebbero dovuto iniziare un'êra nuova. Alcuni sapienti
decreti di Garibaldi lo fecero sperare; e i propositi manifestati da lui
sul censimento dei beni ecclesiastici, se attuati, da soli sarebbero
forse bastati a produrre un vero rinnovamento economico-sociale: ma si
sa che ai criterî sociali nella distribuzione di quei beni furono
sostituiti i criterî esclusivamente fiscali ed un'opera che avrebbe
potuto riuscire altamente civile non fu feconda che di mali e di amare
delusioni frammiste a qualche poco di utile. Lo stesso dicasi
dell'editto del 19 settembre 1861 emanato dal Luogotenente del Re in
Sicilia, generale Pettinengo _relativo alle obbligazioni dette di
semenza e soccorsi e di mercanti a massari per agevolare la semina e la
cultura della terra_, inteso ad infrenare l'inveterata e perniciosa
usura: rimase lettera morta.

  [METODI E CRITERII DI GOVERNO]

E i metodi e i criterî di governo seguiti in Sicilia dopo l'annessione,
e l'atteggiamento di molti uomini e giornali del continente, che li
inasprirono produssero malintesi, risentimenti, rancori regionali
che--accresciuti dalla malefica e affrettata unificazione
centralizzatrice--generarono profondo malcontento in tutti e delusioni
sconfortanti.

Contro la verità storica, contro il buon senso, contro le esplicite e
reiterate dichiarazioni di Garibaldi e dei suoi più intimi, fu offeso
l'amor proprio degli isolani col proclamarli _conquistati_ dai Mille e
col dichiararli _barbari_ per bocca del generale Govone: insulto a
distanza di molti anni stoltamente ripetuto dal generale Corvetto. E da
_barbari_ furono trattati, e si tentò d'_incivilirli_ cogli stessi
metodi _umani_ adoperati... da Livraghi in Africa.

Aspromonte e Fantina certamente non furono avvenimenti che poterono
crescere stima al governo in Sicilia; ma gli animi nelle classi
lavoratrici sopratutto si esasperarono colla introduzione della leva
militare, «carico nuovissimo--scrive il generale Corsi--odioso oltre
ogni dire» e colle misure odiosissime per arrestare i renitenti. Il
militarismo allora col martirio del sordo-muto Cappello, coi fatti
crudeli di Petralia ad opera del tenente Dupuy mostrò di che cosa poteva
esser capace.[29] Tutte le libertà, scrissi altra volta, furono violate
replicatamente; ond'era generale il chiedersi: il nuovo governo non vale
l'antico?

  [IL PROGRAMMA DI FILIPPO CORDOVA]

A questo periodo precisamente si riferisce, e da tali avvenimenti e
giudizî insani fu provocato, il celebre discorso pronunziato da Filippo
Cordova nella Camera dei Deputati il 9 dicembre 1893. L'illustre
statista siciliano allora non solo ricacciò in gola ai calunniatori
dell'isola le loro sciocche insolenze, ma a coloro che ne facevano
malgoverno indicò tutto un programma da seguire, i mali da rimuovere e
il bene da promuovere.

Egli tra le approvazioni insolite della _sinistra_ disse: «Io credo che
un governo, allorquando riceve un paese non dalla conquista, ma dalle
mani della rivoluzione debba domandare a sè stesso _per quali bisogni
questa rivoluzione si è fatta_, che cosa voleva il popolo che si è
sollevato e pensare in tutti i modi a soddisfare questi bisogni. Questo
era il solo modo di ristabilire l'ordine, il solo modo di contentare
completamente le popolazioni.»

  [RIVELAZIONI EDIFICANTI]

«.... L'azione di un governo può essere promotrice della prosperità
futura dei popoli e riparatrice degli abusi che si sono introdotti per
il passato;.... e considero azione riparatrice quella che consiste nel
rimuovere i tristi effetti delle passate legislazioni, dei monopoli, dei
privilegi, nel distruggere gli abusi, che ancora possono esistervi.» E
l'opera del governo doveva esplicarsi, secondo l'on. Cordova colla
riforma del regime delle acque, colla pubblica istruzione, colle
bonifiche, colla abolizione delle decime[30], colle nuove comunicazioni,
colla sistemazione dei demanî comunali, colla trasformazione delle opere
pie[31]....

«Questo programma era modestissimo, non ledeva i diritti giuritarii di
privati, eppure non seppe accennare ad adottarlo il governo, il quale
invece, secondo lo stesso on. Cordova, crede di potere reggersi colla
violenza, cingendo di cordoni militari le città, _privandole dell'acqua,
vietando l'uso libero dei diritti dei cittadini, assicurando sempre
l'impunità ai carabinieri che commettevano reati: impunità che produceva
reazioni_.» Queste le testuali parole del Cordova ex ministro e
_moderato_ di quattro cotte...

  [IL PIEMONTISMO]

A questo stato di cose non poteva apportare rimedio il cosidetto
_Piemontismo_ in forza del quale fra l'altro si mandarono in Sicilia gli
scarti della burocrazia, e vi si mandarono in punizione. Ne nacquero
antipatie, liti, duelli, scene disgustose, che contribuirono a generare
la sanguinosa insurrezione di Palermo nel 1866 che chiuse un primo
periodo della dolorosa storia del governo Italiano in Sicilia.

E che c'era da aspettarsi qualche avvenimento doloroso come quello del
1866 lo fece comprendere chiaramente in una celebre discussione
parlamentare un altro uomo eminente, che aveva studiato e conosciuto la
Sicilia da magistrato. Alludo all'on. Tajani che nella seduta della
Camera dei deputati degli 11 giugno 1875 constatava che dal 1860 al 1866
il governo fu ora fiacco, ora violento; che corresse la fiacchezza colla
violenza, per ritornare sempre alla violenza; che si offese la Sicilia
adoperandovi i _modi peggiori_ e negandole sempre la _giustizia_; e che
ciò che le fu dato, se si guarda a ciò che le fu negato assume le
proporzioni dell'_ironia_.»[32]

  [LA PREFETTURA MEDICI]

Dal 1866 in poi qualche miglioramento ci fu; ma non grande. E grande non
poteva essere se si pensa che ai mali esistenti la sapienza governativa,
pensò di provvedere, per esempio, colla prefettura militare del Generale
Medici, quando alla _mafia_ privata si aggiunse la _mafia_ più potente
ai servizî del Prefetto-generale.

E questo nefastissimo periodo dev'essere illustrato perchè lo si è
dimenticato con troppa facilità: e dev'essere ricordato perchè facendo
conoscere quali tristi conseguenze lasciò il militarismo nel 1866 e
negli anni successivi, farà intravedere quali li lascerà nel 1894.

Si osservi anzitutto «che dopo la rivolta del 1866 vi fu un diluvio di
disposizioni cozzanti fra loro.... e che vennero i _tribunali militari_,
i quali fecero _sterminato numero di processi_ e quando la posizione era
compromessa, e che la giustizia dei tribunali civili doveva riuscire
difficilissima, se non impossibile, si annullarono ad un tratto i
tribunali militari, ed i tribunali civili rimasero imbarazzati e così ne
rimase esautorata la giustizia militare e la giustizia civile.»
(_Taiani_)[33].

Ciò che rese celebre e caratteristico questo periodo furono la
organizzazione della polizia, la sua opera e i criterî adottati dal
generale Medici e dal suo _alter ego_ il questore Albanese per il
ristabilimento dell'ordine e della giustizia.

  [LA MAFIA E LA POLIZIA]

«Il processo contro Ciotti Sebastiano, graduato delle guardie di
Pubblica sicurezza, applicato al gabinetto del Questore e presso il
quale si sequestrarono molti oggetti rubati; le gesta di un delegato di
pubblica sicurezza che in un mandamento impianta la mafia, si unisce e
si lega in relazioni amichevoli con noti ladri _e li manda a rubare per
suo conto_ e che si ripete in un altro mandamento _guadagnandosi la
promozione_; le prodezze della guardia nazionale suburbana di Monreale
composta tutta di mafiosi, colla complicità o col permesso dei quali si
commettevano tutti i misfatti del mandamento, tanto da autorizzare un
Magistrato a dire: _qui si ruba, si uccide, si grassa in nome del reale
governo_:[34] l'alternativa posta da un questore di Palermo ad un
notissimo facinoroso di entrare nel corpo delle guardie di pubblica
sicurezza o di partire pel domicilio coatto--alternativa alla quale il
mafioso cercò sottrarsi tentando di pugnalare il questore; il processo
contro il questore Albanese e compagni, accusati di omicidii, di
falsità, di corruzione, di truffa, di soppressione dolosa di documenti;
le pressioni indecenti esercitate dal generale Medici e dal governo di
Roma, per ottenere l'assoluzione di questi alti delinquenti, e che
determinarono le dimissioni dal Procuratore generale Taiani e
raggiunsero il deplorevole intento, dicono di più che molti volumi,
sulla stima e sul rispetto e sulla fiducia che potevano ispirare i
rappresentanti del governo, che i mali antichi economici lasciava
intatti aggravando quelli politici e morali.»

Siffatta polizia e siffatte autorità governative impotenti a reprimere
il malandrinaggio e la _mafia_, della propria inettitudine e malvagità
si rifacevano inventando di sana pianta processi politici, che
sembrerebbero calunnie e diffamazioni ventilate dai _sobillatori_--non
ancora inventati--se non fossero stati denunziati dal magistrato che li
sgonfiò e liquidò, in pubblica seduta della Camera dei Deputati!

Ahimè! Il 1894 non vide più un magistrato che ricordasse i Lelli, i
Borgnini, i Tajani....

  [LA SICILIA NEL 1875]

Con siffatti uomini e con siffatti metodi e criterî di governo si arrivò
in Sicilia al 1875 nelle condizioni descritte da questo brano sintetico
e chiaro: Noi abbiamo colà: le leggi ordinarie derise, le istituzioni
un'ironia, la corruzione dappertutto, il favore la regola, la giustizia
l'eccezione, il delitto intronizzato nel luogo della pubblica tutela, i
rei fatti giudici, i giudici fatti rei ed una corte _di mali
interessati_ fatti arbitri della libertà, dell'onore, della vita dei
cittadini. Dio immortale!

«Che cosa è mai questo se non il caos? Che cosa è mai questo se non il
peggiore dei mali: la _anarchia di governo_, innanzi alla quale cento
briganti di più, e cento crimini di più sono un nonnulla e si
scolorano?» (_Tajani._ Discorso alla Camera dei deputati del 12 giugno
1875).

Queste condizioni furono il prodotto di quindici anni di malgoverno
della _destra; e la destra_, quantunque ancora non fossero inventati _i
sobillatori e i Fasci_, vedendosi impotente a rimediare collo Statuto
che aveva violato, e colle leggi ordinarie che non aveva mai applicate e
rispettate, domandò provvedimenti e leggi eccezionali.

Siamo giusti, però; la _destra_ li domandò a chi aveva le apparenze del
diritto a concederle: al Parlamento. Inchiniamoci riverenti innanzi a
questo partito che sta per cadere, che conserva ancora del pudore e che
mantiene un _minimum_ di rispettabilità! Indarno li cercheremo nella
_sinistra_, che sta per arrivare....

  [IL GRAN PARTITO DELLA RIPARAZIONE!]

La _sinistra_! Cos'era il _gran partito_ della riparazione? «una
confederazione di condottieri stretti al patto di rovesciare comunque la
_destra_ e toglierle di mano il reggimento, salvo poi d'intendersi (od
anche di non intendersi) non tanto per concordare il da farsi--che
questo pareva a tutti ovvio a comporre, facile a praticare; perocchè, ei
dicevano, bisognasse fare tutto il contrario di quello che aveva operato
la _destra_!--ma per ripartirsi gli uffici e.... via... anche un poco i
benefici» (_Zini_ p. 24).

E per fare il contrario di ciò che la _destra_ aveva fatto, la
_sinistra_ inaugurò in Sicilia il proprio regime applicando le leggi e i
provvedimenti _eccezionali_ che aveva negato sdegnosamente alla prima
in Parlamento. Li applica nel 1876 l'on. Nicotera--suoi strumenti il
Prefetto Malusardi e l'ispettore Lucchese, destinato dalla sorte a
brillare nell'isola--e se ne vanta alla Camera (tornata del 29 novembre
1876). Eppure all'inizio dell'opera del _gran partito_ siamo ancora ben
lontani dalla _perfezione_ nell'applicazione di provvedimenti
eccezionali raggiunta da chi crede di essere la quintessenza della
democrazia parlamentare: l'on. Crispi!

  [LA RIVOLUZIONE PARLAMENTARE DEL '76]

Fu grande, perciò in Sicilia, la delusione provata coll'arrivo al potere
della _sinistra_, dalla quale si sperava un radicale mutamento
d'indirizzo e la riparazione di tante ingiustizie e dalla quale nulla si
ottenne. Sotto un certo aspetto, anzi, ci fu un peggioramento, poichè i
deputati dell'isola che in maggioranza erano di _sinistra_, colla
cosidetta rivoluzione parlamentare del 18 Marzo 1876 ebbero le grazie e
i favori del potere a benefizio delle clientele e delle consorterie
locali che dichiaravano di aderire al proprio _partito_. Il governo così
servì a ribadire nei Comuni, nelle Provincie, nelle opere pie la
oppressione antica a beneficio dei grandi elettori e delle classi
dirigenti; a danno dei vinti e delle classi lavoratrici.

Di che riporta molti esempî lo Zini, uno dei pochi prefetti che insieme
al Rasponi, al Gerra e a pochi altri, vennero in Sicilia con rette
intenzioni e fa onore al Nicotera l'avervelo mandato, quanto gli fa
torto l'averlo costretto a dimettersi per non avere voluto seguire una
condotta biecamente partigiana.

I deputati, d'allora in poi più che pel passato, tutto sacrificarono al
criterio elettorale, e i ministri al criterio parlamentare; gli uni per
avere la maggioranza nel collegio chiesero ciò che spesso era disonesto
o dannoso, e gli altri per conservarsela nella Camera concessero. Così
furono approvati mutui disastrosi, concessioni e favori scandalosi,
strade private costruite col denaro pubblico, approvati i bilanci
irragionevoli e rinviati e mutilati quelli che contenevansi entro gli
stretti limiti del necessario, sciolti i Consigli dei Comuni meglio
amministrati anche quando le ispezioni, ordinate partigianamente e
seviziosamente eseguite, tali li dimostravano; e mantenuti in piedi
quelli violatori di tutte le leggi, odiati dai comunisti. Concesse le
licenze per porto d'armi--specialmente nei momenti di elezioni:
informino le campagne di Palermo--ai facinorosi, cui potevano servire
solo a malfare e negate ai cittadini onesti che ne avevano bisogno a
difesa personale, ma che avevano la disgrazia di militare in un partito
opposto.

Così infine prefetti, delegati e pur troppo anche i magistrati furono
messi a disposizione dei deputati ministeriali e questi nei rispettivi
collegi divennero tanti proconsoli in cinquantesimo!

  [IL MINISTERO GIOLITTI]

Questi mali preesistevano al ministero del Giolitti: questi li acuì in
modo superlativo raggiungendo, però, un risultato insperato e
insperabile per altri titoli: una fedeltà a tutta prova dei
rappresentanti dell'isola, che coprivano e legittimavamo ogni loro voto
di fiducia in nome della sacrosanta ricostituzione dei partiti e della
risurrezione della _sinistra_, fatta da uomini che erano stati i
promotori e i campioni del _trasformismo_!

  [UN'APOLOGIA SMACCATA]

L'insieme di questi fatti, proprî della destra e della _sinistra_ sotto
la dinastia Sabauda--e le considerazioni che suggeriscono--non mi
permettono di consentire col Baer, che all'opera deleteria del regime
borbonico contrappose quella «di una dinastia leale e conscia dei proprî
doveri, sotto la quale la Sicilia ha veduto raffermate ed estese le
franchigie politiche, che tanto le erano a cuore; il che ha dato al
governo una forza ed una autorità morale che invano potevano sperare i
Borboni. E con questa autorità lo Stato ha potuto senza contrasti
crearsi nuove risorse finanziarie, stabilendo le tasse di registro, il
monopolio dei tabacchi, cosa che non avrebbe mai osato il governo
precedente. E si è fino estesa alla Sicilia la leva pel servizio
militare.» Ora in tutta questa apologia smaccata, che si estende, con
evidente contraddizione dell'egregio scrittore, al censimento dei beni
della manomorta ecclesiastica, non c'è di vero che questo: il governo
italiano colla forza brutale e non coll'autorità morale, ha saputo
imporre alla Sicilia la leva, i balzelli nuovi e la distruzione di
alcune industrie. E precisamente per questo in basso, ed oramai anche in
alto, si fanno paragoni tra il governo borbonico e il governo italiano,
i quali non riescono sempre lusinghieri pel secondo.

Se il governo italiano mancò alla sua funzione rigeneratrice nella parte
vera politica e nella economica, non si mostrò d'altra parte migliore
nella amministrativa e nei suoi rapporti coi Comuni, colle Provincie,
colle opere pie.

  [LA LEGGE COMUNALE E PROVINCIALE DEL 1865]

Se si pon mente ai maggiori poteri che la legge comunale e provinciale
del 1865 accordava ai Prefetti nello esercizio della tutela si
riconoscerà che la responsabilità del governo fu immensa nella cattiva
amministrazione dei corpi locali, nello sperpero del pubblico denaro,
nello sfacciato favoritismo verso gli _amici_ ed a danno degli
_avversarî_ del partito dominante, negli imbrogli elettorali multiformi,
nella iniqua ripartizione delle imposte, nella oppressione dei vinti e
dei lavoratori. E questa grande responsabilità del governo, specialmente
sotto l'aspetto tributario, a proposito di ciò che avvenne nei comuni di
Santa Margherita, di Campobello di Licata, venne esplicitamente assodata
dal Cavalieri, ch'è uomo di governo, da Sonnino e Franchetti, da
Bonfadini per altri casi e per altri luoghi a centinaia. Si deve
aggiungere, anzi, che per la tolleranza o connivenza del governo, i
gravi inconvenienti e la cattiva amministrazione, come ne' comuni e
nelle provincie, si ripeterono nelle Congregazioni di Carità e in altre
opere pie, coi posti gratuiti nei convitti, cogli impieghi dati ai
favoriti o addirittura creati per essi, e financo col pagamento
camorristico delle donne che allevano i trovatelli e che sono qualche
volta le drude degli amici degli amministratori locali.

In quanto ai tributi, ad onore del vero, si dica che talvolta il governo
ebbe il pensiero di fare rispettare la legge, ma solo quando la
osservanza della medesima era odiosamente farisaica. Così più volte
furono minacciati alcuni municipî (Caltagirone, Castrogiovanni, ecc.)
della risoluzione del contratto di appalto col governo pel dazio di
consumo, perchè non tutte le voci tassabili erano tassate e sopratutto
perchè non si esigeva il dazio _sulla farina e sul pane_! Ed a questi
municipî, per tale grave colpa, non si consentì di eccedere sul limite
legale della sovrimposta fondiaria.

  [GLI INGENUI...]

Quando gl'ingenui domandano: ma le autorità governative non vedevano,
non riferivano, non provvedevano? si può rispondere: Sì! esse ci stavano
e ci stanno per vedere, per riferire e per provvedere, ma non nel senso
della giustizia e dell'interesse del popolo, sebbene nell'interesse del
deputato, del candidato, del grande elettore, della persona influente; e
in nome di tale interesse si nominano e si destituiscono i sindaci, si
sciolgono i Consigli comunali, si manipolano le liste, si mutilano, si
respingono o si approvano i bilanci, si traslocano i delegati di P. S.,
i Prefetti e i magistrati.[35]

È superfluo aggiungere che quella tale incompleta riforma della legge
comunale e provinciale fatta votare dall'on. Crispi non riuscì a mutare
in meglio le cose; e non lo poteva. Spesso anzi le peggiorò per
l'aggravante della scemata responsabilità delle autorità governative,
mentre continuò l'esercizio della loro perniciosa influenza; poichè in
realtà nella _Giunta Amministrativa_--che dovrebbe essere la suprema
moderatrice delle amministrazioni locali--il Prefetto prepondera sempre,
e prepondera poi in particolar modo cospirando e intrigando per fare
eleggere a membri delle medesime uomini quasi sempre inetti, e sempre
servili, partigiani.

  [LA RIFORMA DEL 1889 ALLA LEGGE COMUNALE]

Perciò dal 1889 in poi continuarono le vecchie iniquità nella natura e
nella distribuzione delle imposte, continuarono le spese pazze e le
cortigianerie degradanti, crebbero le imposte e i debiti, che si
risolvono in imposte rimandate coll'aggiunta degli interessi e delle
provvigioni ai mediatori; e il governo continuò a non vedere nelle
amministrazioni dei corpi locali che agenzie elettorali organizzate, e
sempre pronte ai suoi cenni!

Una magra soddisfazione alle vittime di un tale stato di cose rimane: il
sapere che ne fu fatta la constatazione da inchieste private ed
ufficiali in termini su per giù identici da anni ed anni. La fece
Ferdinando II nel 1838, la ripeterono nel 1875 da privati gli on.
Sonnino, Franchetti e Cavalieri e in forma ufficiale la _Giunta
Parlamentare_ di cui fu relatore l'on. Bonfadini; fu riprodotta
dall'onor. Damiani nel volume dell'_Inchiesta agraria_; fu riassunta da
me nel 1885 nello scritto sulla _Delinquenza della Sicilia e le sue
cause_; e tante _Inchieste_ e tanti rapporti sono stati fatti che in
dicembre scorso, nel periodo più acuto delle turbolenze il compianto on.
Cuccia in nome di un comitato composto dei più fidi amici dell'on.
Crispi malinconicamente conchiudeva: «Più inchieste sono state fatte,
cento relazioni dai corpi più conservatori sono state mandate, mille
rapporti sono stati scritti da tutti i funzionarî che si sono succeduti
in Sicilia. E tutti, _unanimi_, hanno presentito i fatti d'oggi e quelli
di domani, e tutti hanno fatto proposte, hanno reclamato provvedimenti,
che sono restati lettera morta, come se il governo fosse l'ente più
_misoneico_ della società....»

  [CRIMINOSA NONCURANZA DEL GOVERNO ITALIANO]

Di tante inchieste, di tante relazioni, di tanti rapporti rimangono
giudizî e descrizioni di una esattezza meravigliosa, che sembrano
scritti all'indomani dei tumulti per giustificare i tumultuanti; giudizî
e descrizioni che costituiscono ad un tempo le pietre miliari della
constatazione delle miserie del proletariato siciliano e la condanna più
severa della criminosa noncuranza degli uomini di governo di ieri e di
oggi. Di tali giudizî e di tali descrizioni bisogna riprodurne alcuni,
che datano da momenti diversi e vengono da persone avverse ad ogni idea
di socialismo, le quali hanno la missione ufficiale d'interpreti della
pubblica opinione e di tutelatori dell'ordine pubblico.

L'on. Sonnino venti anni or sono scriveva:

  [OGGI COME VENTI ANNI OR SONO!]

«Quel che trovammo nel 1860, dura tuttora. La Sicilia lasciata a sè
troverebbe il rimedio: stanno a dimostrarlo molti fatti particolari e
ce ne assicurano l'intelligenza e l'energia della sua popolazione, e
l'immensa ricchezza delle sue risorse. Una trasformazione sociale
accadrebbe necessariamente, sia col prudente concorso della classe
agiata, sia per effetto di una violenta rivoluzione. Ma noi, italiani
delle altre provincie, impediamo che tutto ciò avvenga, abbiamo
legalizzato l'oppressione esistente; ed assicuriamo l'impunità
all'oppressore.»

«Nelle società moderne ogni tirannia della legalità è contenuta dal
timore di una reazione all'infuori delle vie legali. Orbene, in Sicilia,
colle nostre istituzioni, modellate spesso sopra un formalismo liberale
anzichè informate ad un vero spirito di libertà, noi abbiamo fornito un
mezzo alla classe opprimente per meglio rivestire di forme legali
l'oppressione di fatto che già prima esisteva, coll'accaparrarsi tutti i
poteri mediante l'uso e l'abuso della forza, che tutta era ed è in mano
sua; ed ora le prestiamo mano forte per assicurarla che, a qualunque
eccesso spinga la sua oppressione, noi non permetteremo alcuna specie di
reazione illegale, mentre di reazione legale non ve ne può essere,
poichè la legalità l'ha in mano la classe che domina.»

Queste parole dell'attuale ministro del tesoro gli devono essere
continuamente ricordate, perchè riassumono in modo mirabile l'azione
sociale esercitata dal governo italiano in Sicilia; azione veramente
perniciosa! Tenterà egli di cancellarla ora che è al potere?

Ciò che fu scritto nel 1875 da chi ora è ministro del Regno d'Italia è
perfettamente adatto a dare una idea delle condizioni odierne dell'isola
coll'aggravamento delle varie crisi--enologica, agrumaria, mineraria
ecc.

E per chi sa leggere e comprendere troverà la conferma del serio
giudizio nella inchiesta fatta da Adolfo Rossi per conto del giornale
_La Tribuna_[36].

  [I NOSTRI LAVORATORI]

Proprio alla vigilia dei tumulti nel novembre scorso, da Palermo in un
rapporto ufficiale si scriveva al governo di Roma che aveva occhi per
non vedere e orecchie per non sentire: «Qui i nostri frugali lavoratori
soffrono la fame, non hanno desiderî disordinati, non bramano la fortuna
altrui, non sentono l'odio di classe[37], ma vogliono lavoro e pane,
solamente per vivere; chè d'altro ad essi non cale.»

«Chi voglia far credere che questi operai abbiano degli ideali politici
non dice la verità e s'inganna. Ma questi ideali potranno entrare nella
loro mente, avvivati dagli effetti morbosi del digiuno; ed allora, guai
se fuori l'ordine vedranno gli ultimi segni della loro speranza, _chè in
quel caso neppure le repressioni sanguinose varranno ad arrestare la
china del loro incosciente furore_».

«Il Governo che vuole sempre il suo dai dazi di consumo, non ha avuto
mai cura di temperare le esigenze dei Comuni, i quali imitando altri
esempî di spreco, anche per sollecitudini non necessarie, nè proprie, i
loro mezzi domandano al consumo delle più umili ed universali derrate e
tanto ne traggono, da renderle o difficili o impossibili a quelli che
unicamente se ne sostentano con una frugalità, che fa ammirazione e
paura.»

«In alcuni Comuni di questa circoscrizione, dal pane che la rivoluzione
aveva redento dalla grave ed odiata tassa del macinato, si traggono
quasi dieci centesimi il chilogramma, e questa tassa, che dà milioni,
neppur provvede ai bisogni della popolare igiene, ma si distrae in
godimenti voluttuarî ai quali le classi lavoratrici non prendono parte.»

  [UN RAPPORTO UFFICIALE]

È questo forse un brano dell'auto-difesa dell'on. De Felice? No: è il
brano di un rapporto, che, richiesto da Roma, mandò il Presidente della
Camera di Commercio di Palermo, on. Amato-Pojero, senatore del Regno,
milionario e _grande proprietario_ di Sicilia!

  [QUEL CHE SCRIVE UN FUNZIONARIO DI P.S.]

Se questo si scriveva alla vigilia dei tumulti, quando essi scoppiarono
e n'erano meglio note le cause, altri aggiungeva:

«Tolte le grandi città, ove la moralità e la capacità degli
amministratori sono men basse, e dove il maggiore sviluppo psichico
della popolazione e la stampa sono freni alle oligarchie locali e
favoriscono la permeabilità degli strati sociali, il 90% dei Comuni è
amministrato con criteri e forme tali, _che fanno desiderare il tipo
dell'antico governo paterno_, perchè allora si aveva almeno il diritto
d'inchiodar sulla gogna i tirannelli locali, il conforto e la speranza
di un avvenire migliore e, di tanto in tanto, l'intervento violento, ma
pur sempre riparatore, del governo centrale»..... I tirannelli locali
ora «sentono e sanno che i funzionari del governo non hanno nè
convenienza nè interesse a secondarli, ed allora con la logica spiccia e
primitiva di cui si servono, concludono: Chi non è con noi, è contro di
noi; e attaccano con sotterfugi, ricorsi, cospirazioni e anonimi tutti i
funzionari governativi, dalla guardia di pubblica sicurezza al Prefetto.
Della legge e della legalità hanno un concetto esclusivamente
unilaterale; le riconoscono e vi fanno ricorso solo in quanto sanzionano
il loro potere; per tutto il resto o non esistono o le si possono
violare impunemente. Per sostenersi e per combattere gli avversarî si
profondono favori, impieghi, esenzioni da tasse e protezioni d'ogni
specie e d'ogni portata agli aderenti, e si fa l'opposto con gli
avversari. Si transige con facinorosi e con violenti, ai quali è serbato
sempre un impiego sul bilancio comunale, protezione illimitata fino al
Tribunale; e però appena un partito sale al palazzo comunale fa _tabula
rasa_ di tutti gli stipendiati e li sostituisce coi propri fidi. Per gli
avversari invece s'imprende una persecuzione continua, evidente, spesso
sfacciata e feroce, fino al delitto, fino all'omicidio. E si pretende
che i funzionari del governo seguano questo indirizzo. Per gli amici il
permesso d'armi, il proscioglimento dall'ammonizione, l'impunità nel
delitto: pei nemici il rifiuto costante di tutto quanto è devoluto alla
Autorità amministrativa, la denunzia per l'ammonizione e perfino
l'accusa dei reati che invece sono stati commessi dagli aderenti degli
stessi denunzianti. Il delegato, il pretore, il sottoprefetto non
seguono questo indirizzo? Ed allora spuntano le testimonianze ad _usum
delphini_ a discolpa del reo amico, a carico per l'avversario innocente;
pullulano ricorsi anonimi che dipingono il funzionario coi più foschi
colori: secondo il bisogno e l'opportunità egli è stupido o maligno,
ignorante o corrotto, prepotente o partigiano, venale o servile, e chi
più ne ha, più ne metta...»

«Nei comuni certo è che vi dominano l'incompetenza più goffa e la
prepotenza più sfacciata, che per contraccolpo vi producono la paura, la
sofferenza, i rancori sordi delle masse, il disgusto e l'astensione dei
buoni: fatto quest'ultimo che rende più sicura e sfrenata la prepotenza
delle cricche imperanti.»

Si crederà forse che questa filippica faccia parte di una concitata
concione di Garibaldi Bosco? Niente affatto: fu scritta dall'Alongi,
capo di gabinetto del famigerato questore Lucchese, per combattere i
_Fasci_ nel _Manuale della Pubblica sicurezza_ del chiarissimo
consigliere di Stato Commendatore Astengo.

  [CHE COSA SI CONSTATA ANCHE DOPO I TUMULTI]

Certo era facile ingannarsi o esagerare; era facile manifestare simpatia
pei sofferenti prima e durante i tumulti; ma dopo? Ebbene, dopo, si
constata:

1) Che le condizioni dell'oggi _non sono_ la conseguenza di fenomeni del
tutto recenti; ma hanno la loro origine in un complesso di fatti e di
tradizioni e di avvenimenti che rimontano ad epoche non vicine.

2) Che sono ormai la bellezza di diciotto anni che un'inchiesta
parlamentare constatò inutilmente lo stato vero dei contadini in
Sicilia.

3) Che il contadino siciliano, è _perseverante, sobrio, laborioso_, ma
nello stesso tempo lo si è tenuto in un stato di _semibarbarie_.

4) Che il contadino siciliano anche dopo conquistata la libertà e la
redenzione, _rimase nella condizione di servo ed oppresso_ e la
posizione sua verso il padrone è quella di _vassallo a feudatario_.

5) Che _gli enormi latifondi, l'accentramento di vastissimi terreni in
mano di pochi e le oligarchie comunali che non sempre s'inspirano a
giustizia, e sovra tutto i contratti agricoli aggravano questo stato di
cose_.

6) Che è opera altamente meritoria cercare in tutti i modi di mettere le
classi agricole in condizione _di resistere alle prepotenze dei
padroni_.

  [FIATO SPRECATO]

Queste si crederebbero opinioni calunniose dell'anarchico Gulì e invece
sono le convinzioni del Comm. Sighele, Procuratore Generale presso la
Corte di Appello di Palermo, manifestate nella inaugurazione dell'anno
giuridico 1894.

Un'ultima testimonianza: Il 4 gennaio 1894 contemporaneamente alla
proclamazione dello stato di assedio, e quasi a severa condanna
dell'insana misura, vi fu chi disse in Palermo sotto gli occhi del
Generale Morra di Lavriano e della Montà: «In questo nostro paese
eminentemente agricolo, la classe dei contadini in particolare, difetta
dei mezzi più necessarî alla vita; è la classe più bistrattata, la meno
compassionata, la più misera, la più ignorante e la più degna quindi di
speciale considerazione da parte degli uomini di cuore!»

  [UNA VERITÀ DOLOROSA]

Oh no! Non è Nicola Barbato, l'uomo dalla logica spietata, che così
parla; ma è il procuratore Generale presso la Corte di Cassazione di
Palermo, Giuseppe Malato Fardella, che col primo non ha di comune che la
sua qualità di Siciliano, e che dà ragione dello insorgere dei
contadini, e somministra l'ultima prova di questa dolorosa verità: in
Sicilia dal 1812 in poi nulla è mutato _in quanto alle condizioni
economico-sociali della classe dei lavoratori_!

E allora?....


NOTE:

[29] Alcuni, non hanno bene compreso l'accenno fatto nella 1ª edizione
al sordo-muto Cappello e al tenente Dupuy. Sono due dolorosi episodi
della introduzione della leva in Sicilia, la quale suscitava la più viva
antipatia. Le autorità governative vedevano inganni e finzioni in tutti
e dappertutto; perciò quando in Palermo si presentò all'esame di leva un
certo Cappello non si prestò fede al suo reale sordo-mutismo e lo si
voleva costringere a parlare applicandogli i bottoni di fuoco sulle
carni. Il suo corpo fu reso una vasta piaga e quando finalmente fu
mandato via venne fotografato ignudo ad iniziativa di parecchi--tra i
quali era l'avv. Morvillo--che vollero stigmatizzare i metodi
_civilizzatori_ del governo italiano.

Per arrestare i numerosi renitenti della leva il governo organizzò delle
colonne volanti che percorrevano le campagne. Le gesta militaresche di
quell'epoca susciterebbero anche ora, a tanta distanza, la indignazione
dei più calmi; e molte ne compì la colonna comandata da un rinnegato,
dall'ungherese colonnello Eberhardt, che venne la prima volta in Sicilia
con Garibaldi e che fu tra i suoi fucilatori ad Aspromonte. Un tenente
Dupuy, Savojardo, comandando una colonna nel territorio delle Petralie
si presentò di notte coi suoi uomini in una casina i cui abitatori
temendo dei briganti non vollero aprire. Allora il prode militare la
circondò di fascine, vi appiccò fuoco e fece morire soffocati i
disgraziati, che legittimamente resistettero ai suoi ordini. Con modi
uguali i Francesi _civilizzarono_ quelli della Kabilia!

[30] A proposito delle _decime_ suscitando l'ilarità della Camera
l'oratore osservò: «Nella provincia di Girgenti, a cui si attribuiscono
tanti reati, le terre sono in gran parte soggette ancora alle decime e
in virtù di queste decime vi sono dei canonici, dei semplici canonici i
quali percepiscono dei redditi da 10 a 12 mila lire; e sapete voi da che
questi ecclesiastici fanno scaturire i loro titoli di possesso?

«Da un passo di Cicerone il quale dice nelle Verrine: _Omnis ager
siculus decumanus est!_ Perchè adunque per l'addietro queste terre
pagavano le decime a Roma, i canonici si credono eredi dei Cesari e si
costituiscono proprietari di quelle prestazioni.» Or bene chi lo
crederebbe? La quistione delle decime, che è grave anche in altri punti
della Sicilia, nell'anno 1894 non è ancora risoluta e invano si sforza
l'on. Gallo per farla risolvere equamente!»

[31] L'on. Cordova ricordò che in un Comune delle provincie meridionali
la locale Congregazione di Carità impiegò le rendite di cinque opere pie
destinate a messe, processioni ecc. nella fondazione di ospedali, ecc.
In Sicilia non ostante la vantata legge Crispi sulle opere pie
moltissimi comuni hanno molte messe e molte processioni e mancano di
ospedali, e di ricoveri, di asili, ecc. In tale disgraziata condizione
si trova Castrogiovanni, ad esempio. Ivi Municipio e Congregazione di
carità sono di accordo per la fondazione di un ospedale invertendo le
rendite di alcune opere pie, che servono a pochi individui; ma indarno
lottano da alcuni anni, perchè la pedante e farisaica burocrazia la dà
vinta agli interessi di pochi contro gli interessi di tutti e contro
l'umanità. La burocrazia ha stabilito questo circolo vizioso
_edificante_: non si può elevare ad ente morale l'ospedale perchè non
ha rendite; non si possono assegnare all'ospedale le rendite delle opere
pie perchè non è elevato ad ente morale!

Ciò mentre governa Crispi.....

[32] Nelle discussioni sulla Sicilia del 1863 e del 1875 i suoi deputati
di _sinistra_ parlarono come parlò tutta la _estrema sinistra_ nel 1894.
Ma la verità sulle condizioni dell'isola sino al 1866 risulta alla
evidenza, quando il giudizio di un ex ministro di destra, il Cordova,
collima perfettamente con quello di un ex ministro di _sinistra_, il
Taiani.

[33] Ho consultato su questo periodo le discussioni parlamentari, la
requisitoria del procuratore generale presso la Corte di Palermo
(Taiani) contro il questore Albanese e Compagni (10 ottobre 1871) nonchè
diversi opuscoli, compresi alcuni in difesa dell'Albanese.

[34] Lo Biundo comandante di questa eccellente guardia nazionale disse
un giorno al pretore Barraco:

_Pretore, quando sentite che si tira qualche schioppettata non dovete
allarmarvi, chè ciò avviene pel pubblico servizio!...._

[35] In quanto a scioglimenti di Consigli voglio citare, fra tante
centinaia a mia disposizione, un casetto tipico: il municipio di Riesi
venuto in mano dei _radicali_ colle elezioni generali del 1889 fu sempre
inviso ai Prefetti di Caltanissetta (uno dei quali mi confessò che il
municipio gli era inviso solo perchè in mano di _radicali_) che
mandarono ispettori, che nulla mai trovarono d'irregolare. Il ministro
Giolitti finalmente sciolse arbitrariamente il consiglio. Si vuol sapere
chi vi mandò come Regio Commissario? Un ricco signore della stessa
città, ch'era uno dei capi del partito avverso ai _radicali_!

In quanto al pretesto dello scioglimento fu presto trovato: s'imbastì
contro il sindaco un processo per un reato comune. Il sindaco ad evitare
lo scioglimento si dimise; ma non giovò. Raggiunto l'intento il processo
sfumò per _inesistenza di reato_.

In quanto ai capricciosi mutamenti delle autorità governative per
compiacenza verso i deputati o per interessi elettorali del governo
ricorderò la provincia di Caltanissetta dove c'è stata una vera ridda di
Prefetti: dal 1886 in poi ce ne sono stati una decina tra titolari e
reggenti. Molti vi sono mandati in _esperimento_, come se quella
provincia si potesse prestare a farla da _corpus vile_.

Non riferisco le osservazioni del Comandini nel _Corriere della Sera_ e
del _Giornale di Sicilia_ che erano riportate nella 1ª edizione, perchè
gl'inconvenienti deplorati oramai sono ammessi da tutti: anche da coloro
che ne sono gli autori!

[36] Nella prima edizione riprodussi varî brani delle corrispondenze del
Rossi, che nonostante le inesattezze e le esagerazioni, rimangono tra le
più belle e le più veritiere. Non le riproduco in questa 2ª Ed. perchè i
lettori, che volessero conoscere i _Fasci_ in azione, devono leggerle
tutte nel volume pubblicato or ora del Max Kantorowix: _L'agitazione in
Sicilia_ di A. Rossi. Milano 1894. Presso Remo Sandron L. 1,50.

[37] È evidente che qui _lo scrittore s'inganna_.



XIV.

FACILI PRESAGI


Ciò che doveva avvenire in Sicilia un giorno o l'altro era facile
prevederlo a chi ne conosceva le condizioni, a chi viveva in mezzo al
proletariato, a chi specialmente non giudicava dagli orpelli e dagli
artifici delle grandi città, ma dalla vita che si vive nei piccoli
centri, nelle campagne, nelle miniere. Chi poteva prevedere aveva il
dovere di avvertire; e molti, come si è visto, tra gli studiosi di cose
sociali, tra gli uomini politici e tra i magistrati, ottemperarono a
tale dovere.

  [GLI AVVERTIMENTI DI DUE GENERALI]

Sin dal 1863 il Cordova nel citato discorso a proposito della
trascuranza criminosa del governo nelle quistioni demaniali, narrò
questo episodio che vale a spiegare Caltavuturo: «Due onorevoli persone
venute in Torino per sollecitare uno di questi affari, non avendo
trovato quelle facilità con cui (bisogna rendere questa giustizia
all'amministrazione napoletana) erano accolti in questo genere i reclami
delle popolazioni, queste due onorevoli persone scoraggiate,
presentatesi a me mi dissero: e adunque, signore, bisogna aspettare
l'_altra_? L'altra, diss'io, che cosa è?» Risposero: «_L'altra
rivoluzione!_»

E Cordova che non conosceva _Fasci e sobillatori_, nel 1863 soggiunse:
«Signori, quando le popolazioni non si trovano soddisfatte di un ordine
di cose, resta sempre un germe di movimenti, che possono produrre gravi
pericoli!»

Uno storico eminente ed uomo politico a un tempo, il generale Marselli,
risguardando l'insieme delle condizioni del continente meridionale e
dell'isola, formulò il presagio in questi termini precisi: «se la
sordida noncuranza di certi proprietari lascerà in pari tempo aumentarsi
_l'odio già condensato e feroce_ dei contadini, _trattati come bestie_,
non è improbabile che un furioso uragano si scateni dalla bassa Italia
sul resto della penisola e che l'insurrezione delle classi inferiori,
_schiave dell'avarizia e della prepotenza baronale_, ritrovi un più
astuto Masaniello od uno Spartaco più fortunato.»

Qui l'avvertimento per quanto tassativo è generico. Per la Sicilia in
ispecie, e in vista dei possibili eventi che poscia si verificarono, si
affermò ripetutamente--senza che _chi_ doveva abbia smentito--che
l'illustre generale Corsi, comandante il 12º corpo di armata, abbia
mandato un preciso e allarmante rapporto al governo nello scorso anno
sulle condizioni dell'isola denunziando gli imminenti pericoli[38].

  [LA RELAZIONE DI F. CRISPI]

Certo è che l'on. Crispi, nella relazione al Re, la quale precede il
decreto sullo stato di assedio, volge la grave accusa al suo
predecessore on. Giolitti, di avere saputo dalle competenti autorità dei
gravi avvenimenti che si preparavano in Sicilia e di non aver
provveduto. Dell'accusa l'ex Presidente del Consiglio non si giustificò
mai e lasciò passare tutta la lunga discussione parlamentare sulle cose
di Sicilia in un mutismo inesplicabile.

Chi scrive, come siciliano, come pubblicista e come deputato, aveva più
che altri il dovere di avvertire che dolorosi avvenimenti si preparavano
nel suo paese natio; ed a tale dovere non venne meno.[39]

Nel 1892 nell'_Isola_ (N. 144) avvertii genericamente la gravità delle
condizioni dei municipii e le possibili dolorose conseguenze, come si
può rilevare da questo brano: «I governanti e i politicanti italiani
preoccupati sinora quasi esclusivamente delle Finanze dello Stato hanno
troppo trascurato la misera condizione economica delle amministrazioni
comunali e provinciali; dimentichi che il dissesto dei comuni e delle
provincie e il carico tributario imposto dai corpi locali gravita
maggiormente sui contribuenti, _perchè più direttamente e palpabilmente
sentito; perchè rappresenta la goccia che fa traboccare il liquido dal
vaso_!

«Che sia così, se altro non ci fosse, lo proverebbe il fatto,
che le _maggiori odiosità le raccolgono i municipî_, che meno
dovrebbero raccoglierne, poichè le spese e le tasse, che fan capo ad
essi, alla fine, mirano alla soddisfazione dei bisogni locali più
urgenti e sono sorgente di benefizî incalcolabili. Gl'incendi dei
registri, delle case comunali pur troppo sono frequenti in Italia; e i
casi dolorosissimi--per citare i più noti--di Calatabiano e di San Luri
sono il prodotto del malcontento profondo e generale contro i municipî.»

  [IL PERICOLO DI RIBELLIONI IN SICILIA]

Fui più preciso, quasi matematico, il giorno 30 Gennaio 1893 nello
svolgimento della interpellanza sull'eccidio di Caltavuturo. Allora un
doloroso presagio di ciò che fatalmente si maturava mi fece esclamare:
«Io non so se la Sicilia potrà ripresentare il fenomeno di una _guerra
servile_; so però che _l'odio dei contadini_ contro i cosidetti
_galantuomini_ è vivissimo; dovunque esiste il latifondo quest'odio è
profondo. In Sicilia il _pericolo delle ribellioni agrarie è permanente_
e, se non provvederemo, dovremo assistere a qualche risveglio veramente
doloroso!» (_Atti parlamentari._ Tornata del 30 Gennajo 1893 p. 992).

Non basta. In giugno dello stesso anno mi pervennero notizie
allarmantissime e quando tutti coloro, che dovevano conoscere la
situazione tacevano, io--spintovi anche da due cari amici
socialisti--scrissi una lettera al direttore della _Tribuna_, ch'era un
vero grido di allarme e che venne reso più significante dai commenti
dell'on. A. Luzzatto. In quella lettera, tra le altre, scrissi queste
parole che gli ultimi fatti hanno sinistramente illustrato:

  [UN ALTRO GRIDO DI ALLARME]

«In Sicilia i segni precursori di qualche esplosione di carattere
sociale non sono rari. Vi sono scioperi di contadini e di zolfatari; vi
sono sommosse, vi sono lamenti generali e proteste contro uno stato di
cose, che si giudica intollerabile; vi sono reati caratteristici e
simili a quelli agrarî d'Irlanda; vi è, infine, un sordo rumore, che si
leva, da per tutto rinforzato dalla voce irata o lamentevole dei
fanciulli e delle donne, che fa mestamente pensare quanti hanno orecchie
per sentirlo e cuore per comprenderlo. E in verità alle cause, per così
dire naturali e molteplici del disagio--che tanto più si avverte in
quanto che segue ad un periodo a rapido svolgimento di prosperità--si
aggiunge la soma insopportabile dei balzelli governativi, provinciali e
comunali.»

È bene notare, che i due socialisti, che mi consigliarono a dire una
parola di calma ai lavoratori e a dare un avvertimento al governo,
messosi sulla via della più dissennata provocazione, furono l'avvocato
Gaetano Rao di Canicattì--arrestato appena venne proclamato lo stato di
assedio come promotore di disordini, rilasciato dopo alcuni mesi di
prigionia, poscia ricercato di nuovo ed ora latitante--e Garibaldi
Bosco. E non è inutile aggiungere che l'onor. De Felice quando conobbe
il contenuto di quella lettera, voleva firmarla, associandosi a me.

Ebbene: dopo tanti avvertimenti precisi sulle cause di probabili
dolorosi avvenimenti, e sulla possibilità di vederli svolgere a breve
scadenza, che cosa fece il governo? Nulla.

Quali opportuni e savi provvedimenti preventivi escogitò?

  [IL GOVERNO PROVVEDE...]

Questo solo: l'invio della flotta dinanzi a Palermo, che mai aveva dato
segni di volere tumultuare. L'on. Giolitti poi non fu superato, che
dall'on. Crispi, il quale come provvedimento curativo non seppe proporre
ed attuare che lo Stato di assedio.

La significazione e la gravità degli avvertimenti non furono tenute in
conto a tempo debito, onde accadde quello che è a tutti noto e di cui
dovrò continuare ad occuparmi.

Questi stessi avvenimenti di Sicilia costituiscono pel resto d'Italia un
ammonimento grande, e su di essi così scrive un onesto ed avveduto
senatore del regno:

«Il grido venuto sul continente da qualche luogo della Sicilia, se grido
del popolo che insorge contro le ingiustizie, io l'amo, come scrive il
Burcke, perchè segnale d'incendio, che ci salva dalle fiamme, ed io
voglio per l'immensa maggioranza, ravvisarlo tale; ed in questo caso
sarà da dire della Sicilia, che dopo di essere stato un primo fattore
della _unità della Patria_ ne abbia col grido di allarme forse
scongiurato lo sfasciamento.»[40]

Andrà dispersa al vento anche questa savia parola ammonitrice?....


NOTE:

[38] Nel libro _Sicilia_ scrisse:

«Ma i Prefetti, e più specialmente quelli di Palermo, Girgenti, Catania,
continuavano a chiamare l'attenzione del Governo su quel minaccioso e
sempre crescente sconvolgimento delle plebi campagnuole; _e lo stesso è
da credere che facesse dal canto suo il Comandante generale militare
dell'Isola_.»

[39] Non per vanità, ma in risposta a chi in difesa dell'on. Giolitti
stoltamente mi accusò di non avere parlato in tempo; e per la parte
modesta presa da me negli ultimi avvenimenti; e per giustificare la
severità dei miei giudizî contro il governo, ho creduto mio diritto e
mio dovere d'insistere su ciò che ho detto intorno alle cose di Sicilia.

[40] C. Faraldo, senatore, già prefetto: _Alcuni riflessi_ ecc., Torino
1894 p. 17.



XV.

PROVOCAZIONE E PREPARAZIONE AI TUMULTI


La storia ed una lunga serie di avvenimenti avevano creato in Sicilia la
situazione scabrosa, che mi sono sforzato di descrivere senza passione e
senza partito preso, affidandomi sempre all'autorità altrui non
sospetta, nei punti dove facilmente avrei potuto vedere e giudicare male
per ragioni di parte. Il rapido peggioramento economico, il malcontento
generale per cause complesse e il moto dei _Fasci_,--che da queste cause
aveva ricevuto impulso e che alla sua volta lo dava alle masse--fecero
arrivare le cose al momento critico, in cui gli uomini avrebbero dovuto
mostrarsi pari alle circostanze.

Caltavuturo avrebbe dovuto agire come un vero segnale di allarme di un
osservatorio sociale, più utilmente e tanto sicuramente quanto un
osservatorio che avverta una città dell'imminente pericolo della
inondazione. Il succedersi delle agitazioni e delle dimostrazioni, che
dopo Caltavuturo, divenivano più frequenti, più unanimi e più imponenti,
con un prodigioso _crescendo_, avrebbe dovuto scuotere gl'inerti,
risvegliare i dormienti: era il tempo di agire e pel governo e per le
classi dirigenti.

  [LE VIE DA SEGUIRE]

Due vie, due metodi, si presentavano all'uno e alle altre; ed al governo
maggiormente correva l'obbligo di scegliere la via da battere, il metodo
da seguire nella soluzione del poderoso problema, perchè sua era la
responsabilità immediata e diretta di ciò che si andava maturando.

Il governo poteva mostrarsi energico, e ricorrere alla prevenzione nel
senso strettamente poliziesco e che confina o si confonde sempre colla
reazione; poteva, invece, mostrarsi forte nel fare rispettare le leggi,
ma rispettando esso stesso tutte le pubbliche libertà; affidandosi in
pari tempo all'alta prevenzione sociale; mostrando almeno! la decisa
intenzione di affidarvisi. Questa specie di dilemma, sebbene nella forma
non così strettamente antinomico, lo pose pure il generale Corsi, che al
governo lasciava la scelta tra queste due soluzioni: «o decretare senza
indugio lo scioglimento dei _Fasci_, come società pericolose per
l'ordine pubblico; oppure, se ciò non pareva legale o conveniente, per
motivi d'alta o bassa politica, infrenarli, segnar bene l'orbita al loro
moto, i limiti entro cui potevano dibattersi, procurare, se possibile,
di mettervi le mani dentro, farsene istrumento ed arme, cattivarsi la
plebe, prendendo a sostenerne la causa. Un campo immenso tra quei due
estremi.» (_Sicilia_ p. 335).

La scelta tra i due metodi non poteva esser dubbia per quanti vogliono
che dalla storia si traggano ammaestramenti; e dalla storia si sa, che
un secolo di reazione e di violenza non ha risolto il problema
irlandese; ma colla forza però, come lo ha mostrato l'on. Crispi, si
può ottenere il ristabilimento dell'ordine materiale lasciando immutato
il problema stesso, allontanandone la soluzione, e perciò stesso
aggravandolo.

  [IL MINISTERO GIOLITTI]

Or bene, pare impossibile, ma è pur vero che il ministero dell'on.
Giolitti--col quale nacque o si accentuò il moto dei _Fasci_ e si fece
strada il sentimento di riscossa delle classi agricole--«o non seppe o
non volle veder chiaro nel buio, insomma non vide o non curò; e il
Parlamento, nonostante che la Sicilia vi fosse rappresentata alla
stregua delle altre parti d'Italia, il Parlamento credette bene di
occuparsi d'altro.» (_Corsi_)

L'inazione era pericolosa e dannosa; ma il governo dell'on. Giolitti
seppe scegliere un metodo peggiore della inazione; e senza saper essere
energicamente reazionario, senza mostrarsi socialmente provvido, seppe
soltanto assicurare all'opera sua tutti i danni che venivano dalla
reazione, ma con una fiacchezza che incoraggiava tutti ad osare e con
tanto poco rispetto delle leggi e delle pubbliche libertà, con tanta
fiducia in una polizia inetta, arrogante e guidata da criteri borbonici,
che riuscì a provocare, ad eccitare, a stimolare le masse, a cementare
così organismi fiacchi, che abbandonati a loro stessi, si sarebbero
squagliati, disciolti, colla stessa rapidità colla quale erano venuti
su.

  [CIÒ CHE INSEGNA LA STORIA DEI SODALIZII]

Chiarisco questo giudizio. La storia dei sodalizî operai di tutti i
paesi insegna che ad essi sono necessarie la solidarietà tra i soci e la
perseveranza nel perseguire i fini propostisi, illuminate entrambe se
non interamente derivate, da una certa coltura. Mancando l'una
prevalgono le utilità individuali immediate, promosse spesso da coloro
che sono interessati a farle penetrare come un cuneo nella compagine
delle minacciose associazioni; mancando l'altra ai primi passi dati con
entusiasmo segue lo scoraggiamento e la sfiducia per la mancanza di
sensibili risultati immediati. Perciò alla iscrizione a migliaia dei
soci e alle prime numerosissime riunioni succede il fenomeno non bello
dei morosi, che si rifiutano a pagare le quote di contributo, lasciando
grandi quadri sulla carta senza un reale corrispondente numero di soci
attivi.

In Sicilia nelle masse mancavano lo spirito di solidarietà--scarso in
tutta Italia per ragioni storiche, bene svolte in parecchie
pubblicazioni dall'ex-deputato Cagnola--la perseveranza e la coltura,
anche rudimentale che l'una e l'altra sostiene e svolge.[41]

Dato questo ambiente tra i lavoratori era prevedibile a breve scadenza
la morte per anemia dei _Fasci_; e i prodromi in quelli delle città
erano evidenti ed incalzanti. Invece mantenevansi sani e vigorosi
quelli delle campagne, non solo per virtù dei promotori (e specialmente
di Barbato e di Verro), ma perchè i loro primi sforzi quasi dappertutto
erano stati coronati dal successo: agli scioperi e ad una specie di
_boicotaggio_ verso i proprietarî delle terre erano seguiti
miglioramenti nei salarî e nei contratti agrari.

L'opera dell'on. Giolitti contribuì sopratutto a mantenere uniti i
_Fasci_, perchè li sovraeccitò, e il sovraeccitamento, aiutato anche da
un certo sentimento regionale, che rendeva antipatico chi ha tutti i
difetti del forte Piemonte, senza possederne i pregi numerosi, fece le
veci della solidarietà e della perseveranza; ma era evidente che se
questo eccitamento anormale, la cui azione rassomigliava a
quell'improvviso vigore e senso di benessere che viene da una iniezione
di etere o di caffeina, fosse venuto a cessare, quelli sarebbero morti
di marasmo e se fosse continuato e si fosse inasprito sarebbe stata
possibile una violenta levata di scudi.

  [RIVOLTA O DISSOLUZIONE]

Conscio di questi due pericoli, a Messina prima, in una visita al
_Fascio_--dove ebbi consenzienti Petrina e Noè--e poscia a Marsala in un
pubblico discorso col plauso consenziente dei convenuti e di molti che
sono stati poscia condannati iniquamente come promotori di disordini
(tra i quali il Montalto) avvertii i pericoli, che minacciavano il moto
dei _Fasci_, il quale paragonai ad un pendolo che, oscillando corresse
pericolo di infrangersi, ad un estremo, in uno scoglio su cui stesse
scritto: _rivolta_ e all'altro, in un altro su cui stesse scritto:
_dissoluzione_, e caldamente raccomandai a coloro che guidavano il
moto di sapere scongiurare tali due opposti pericoli. E nel senso su
esposto dissi che l'on. Giolitti erasi reso benemerito colla sua azione
delle nascenti associazioni dei lavoratori; la qual cosa a un suo
paladino--l'on. Nasi--parve un paradosso o una contraddizione mia,
perchè già avevo accusato il Giolitti quale loro persecutore e
provocatore.

  [CALTAVUTURO]

Dopo Caltavuturo sarebbe stato sapienza vera di governo provvedere ai
bisogni delle classi agricole siciliane; dopo il mese di giugno e più
ancora dopo il mese di settembre, quando nell'aria si sentiva qualche
cosa di minaccioso, la più elementare prudenza imponeva con urgenza
l'adozione di opportuni provvedimenti. Che cosa fece l'on. Giolitti? Si
abbandonò con vece alterna ad una mussulmana inazione e alla
provocazione; e nell'una e nell'altra si sentiva sempre «che per natura,
per abitudine e per necessità derivanti dal parlamentarismo, il governo
propendeva per l'una più che per l'altra delle due potenze in lotta, per
quella cioè che ha maggior peso in Parlamento ch'è quella dei
_galantuomini_.» (_Corsi._)

La stessa propensione, anzi più accentuata, ha sinora mostrato l'on.
Crispi.

La provocazione, denunziata ripetutamente, ha bisogno di essere
dimostrata: l'accusa è grave e la dimostrazione è facile.

Non rifarò la cronaca dettagliata della provocazione come si trova nella
prima edizione di questo libro: riassumerò i suoi fasti di un anno e mi
fermerò su pochi fatti che ebbero particolare importanza e suscitarono
maggiore rumore eccitando gli animi degli uni, destando la paura, la
diffidenza e l'ardente desiderio della rivincita in altri.

Diamo una data certa allo inizio della provocazione, sebbene si potrebbe
risalire più in alto: cominciamo il triste periodo dalla strage di
Caltavuturo.

A Caltavuturo, piccolo paese agricolo della provincia di Palermo, la
miseria era ed è grande. Vi sono nel paese beni patrimoniali del Comune
ed un demanio comunale, che gli amministratori danno in affitto.

Il popolo pensava e diceva che in questi affitti avvengono disoneste
partigianerie; pensava e diceva che gli amministratori della cosa
pubblica e i maggiorenti usurpavano impunemente le terre del popolo;
onde non men grande della miseria era il malumore contro
l'amministrazione comunale e i maggiorenti.

Ci furono inchieste e processi e se le accuse risultarono esagerate, non
furono però dimostrate infondate. Ne convenne l'on. Giolitti rispondendo
il 30 gennaio alla mia interpellanza.

  [IL DELITTO DEI POPOLANI!]

Il popolo esasperato decise di rendersi da sè quella giustizia invano
chiesta e da tempo attesa, e il 20 Gennaio va nelle terre demaniali,
come a festa, per prenderne possesso e zapparle. E zappano la terra,
senza sapere se potranno seminarla e molto meno se potranno raccogliere
il prodotto dopo averla bagnata coi propri sudori, e tornano sereni e
contenti al paese colla intenzione di andare a zappare altra tenuta del
Comune all'estremo opposto; ma giunti nella piazza vicino al Municipio
trovano la via sbarrata da soldati, carabinieri e guardie campestri: in
tutto una ventina di uomini di fronte ad oltre mille contadini armati di
zappe. Non intimazioni, non squilli di tromba, nulla che possa dar
parvenza di legalità alla condotta della forza pubblica, la quale,
chiamata a fare le vendette degli usurpatori, minacciati dal popolo che
voleva rivendicare i propri diritti,--i diritti della collettività--fece
una scarica micidiale lasciando sul terreno contadini morti e feriti,
mentre non _un solo_ tra gl'iniqui aggressori venne ferito o contuso;
ed erano 20 gli aggressori contro 1000 aggrediti! Ciò stia a prova delle
intenzioni dei poveri contadini...

L'on. Giolitti, Ministro dell'interno e Presidente del Consiglio, da me
e da altri interpellato, riconobbe la gravità del fatto del 20 Gennaio;
promise che i colpevoli sarebbero stati puniti, disse che un processo
era stato iniziato, che giustizia sarebbe stata fatta!

  [IL GOVERNO COMPLICE DEGLI USURPATORI]

Giammai ministro dinanzi ad un Parlamento pronunziò tante menzogne e con
tanto cinismo. Se ne giudichi: Non fu sottoposto a processo, nè
destituito chi ordinò il fuoco senza alcun bisogno; chi l'ordinò senza
farlo precedere dagli squilli di tromba; non fu iniziato processo contro
chi vilmente tirò un colpo di revolver al contadino Moscarella, che, già
ferito! erasi rannicchiato dietro una porta; non si processarono gli
usurpatori del demanio comunale. No! Si arrestarono e si processarono,
invece, alcuni disgraziati lavoratori della terra, che ebbero la fortuna
di sfuggire al massacro. E meno male che furono assolti.

A Caltavuturo non c'era _Fascio_, ma una semplice cooperativa di consumo
invisa ai galantuomini perchè utile ai contadini: nè c'era mai stata
l'ombra della propaganda socialista. Sorse il _Fascio_ all'indomani
della strage come reazione contro il governo e contro i suoi complici
locali.

L'anno 1893 cominciò colla strage di Caltavuturo--auspicii
tristissimi!--e la eco di tanta iniquità si ripercosse in tutte le valli
della Sicilia, destando il risentimento e il desiderio della vendetta
tra gli oppressi contadini. Il sangue versato forse feconderà la terra
meglio che non l'abbia fecondato sinora il sudore dei suoi lavoratori!

Pareva che non potesse darsi maggiore provocazione di questa da parte
del governo italiano contro le popolazioni dell'isola; e tuttavia
Caltavuturo non fu che il principio di una serie di provocazioni, ora
piccole, ora grandi; ora sanguinose, ora incruente; le quali
continuarono con un crescendo spaventevole.

A Caltavuturo dopo breve tempo segue Serradifalco, dove la causa dei
fatti dolorosi è diversa, ma riesce ugualmente a mettere in evidenza il
disprezzo delle leggi nel governo e nelle classi dirigenti. I
popolani--come sempre--ci vanno di mezzo.

  [SERRADIFALCO]

In _Marzo_--giorno 6--ha luogo la votazione di ballottaggio a
Serradifalco, preceduta da brogli, da pressioni, da vergogne inaudite da
parte dei funzionarii del governo, che volevano imporre, e riuscirono ad
imporre, un candidato prediletto all'on. Giolitti, il Riolo. Il popolo
protesta contro le sfacciate adulterazioni della volontà elettorale e
chiede che venga rispettata la legge. Grande reato in verità! I
rappresentanti della legge puniscono questi curiosi delinquenti
ferendoli o uccidendoli. E gli uccisori rimangono in libertà, ad
assicurare una elezione che disonora la Giunta che la convalidò, mentre
i popolani vengono arrestati e processati in numero di ventitrè. Meno
male che il Tribunale di Caltanissetta dopo tre mesi fece una parziale
giustizia rimandandone assolti una ventina. Lo stesso Tribunale, con
altre sentenze, che ricordo a suo onore, bollò per quello che erano
alcuni delegati di Pubblica Sicurezza per abusi relativi alla stessa
elezione commessi in altre sezioni del collegio. Serradifalco rimase ad
ammonire in Sicilia gl'ingenui i quali credono ancora che nelle elezioni
possa passare liberamente e onestamente la volontà del paese.

  [CATENANUOVA]

A Catenanuova la miseria è più spaventevole che altrove nella provincia
di Catania: gli abitanti sono quasi tutti proletarî agricoli, che si
dibattono tra le strette del latifondo privato (del principe di
Satriano) e del latifondo pubblico (l'ex feudo Buzzone di proprietà del
demanio). La fame sinistra si fa sentire ed i poveri contadini si
riuniscono in _Fascio_ colla fiducia di ottenere qualche cosa colle vie
legali. Rispettosi della proprietà privata nulla chiedono al Principe di
Satriano; qualchecosa, cui credono di avere diritto, domandano al
governo e per mezzo dell'on. De Felice e mio, esprimono l'onesto
desiderio di vedere censito a piccoli lotti l'ex feudo Buzzone. De
Felice ed io ci rivolgiamo ripetutamente all'on. Rosano e al ministro di
agricoltura e commercio, che promettono di _studiare_ la proposta.
Trasmettiamo la poco incoraggiante risposta, ma che non cancella le
speranze, e nell'attesa i lavoratori credono lecito di commemorare G.
Garibaldi. La forza se ne immischia e spara e ferisce, arresta e
maltratta i popolani.

  [ALCAMO--CASALE FLORESTA]

Ad Alcamo in agosto la popolazione protesta con una pacifica
dimostrazione contro i dazî comunali. C'era un _Fascio_, ma diretto da
persona intelligente--il farmacista Fazio. Il _Fascio_ prevede che su di
esso, malvisto com'era dalle autorità, si sarebbe riversata la
responsabilità di quanto poteva avvenire; protesta anticipatamente con
una pubblica dichiarazione, che alla dimostrazione non avrebbe
partecipato. E non vi partecipa; ma non per questo l'esito è meno
tragico, perchè interviene la forza, spara ed ammazza.

Ad Alcamo, come a Catenanuova, come a Serradifalco, come a Caltavuturo
chi spara ferisce ed uccide non viene punito. Quale maggiore
provocazione? Potevasi più efficacemente agire per togliere ogni fiducia
nel governo e nei suoi rappresentanti?

A Casale Floresta (prov. di Messina) non c'è _Fascio_; ma le condizioni
generali sono orribili; non c'è medico, non farmacista, non levatrice,
non mezzi di viabilità. Pure da quattro anni si paga il focatico perchè
si sopperisca a tanti bisogni e non si riesce che a costruire una strada
interna nel quartiere dei _galantuomini_ e a pagare L. 500 all'anno ad
un medico di un vicino paese, che dovrebbe visitare il paese due volte
la settimana, e che adempie al suo dovere assai più raramente. Il 22
ottobre, a causa di nuove tasse comunali, i contadini si ribellano
chiedendo la revisione dei conti passati e lo sgravio di una nuova
tassa. Disarmano alcuni dei carabinieri sopraggiunti e li costringono a
rinchiudersi nella caserma perchè il loro furore non ha limiti dopo il
ferimento--forse accidentale--di un popolano. Nominano sul campo un
nuovo sindaco. L'indomani arrivano soldati e si fanno oltre trenta
arresti, seguiti da relativo processo e da lunga detenzione dei poveri
contadini.

  [MILOCCA]

Milocca e Racalmuto nella cronaca della provocazione occupano un posto
assai importante per l'indole dei fatti che vi si svolsero, in parte
alla mia presenza, e pel suggello che ebbero dalla magistratura:
suggello che elimina il sospetto di partigiana ed interessata
esagerazione. A Milocca, a Sutera, ad Acquaviva, a Campofranco, zona
esclusivamente agricola della provincia di Caltanissetta, i contadini si
erano riuniti in _Fasci_. Le autorità e i maggiorenti fecero di tutto
per farli sciogliere: più volte ne violarono il domicilio, ne
minacciarono i membri, ne arrestarono i capi coi pretesti più futili; li
processarono e nei processi furon assolti o per inesistenza di reato o
per mancanza di prove.

I contadini tennero duro, specialmente a Milocca dove colla loro unione
costrinsero quasi tutti i proprietarî a concedere più equi contratti
agrarî. I proprietarî toccati nell'interesse se la legarono al dito e si
proposero di riprendere con mezzi scellerati ciò ch'erano stati
costretti a concedere colle vie legali--coll'applicazione più schietta
della famosa libertà del contratto.

Un brutto giorno dell'ottobre si va a denunziare al brigadiere dei
carabinieri un curioso reato: un mucchio di concime, il cui valore non
arrivava alle L. 20, di proprietà di un certo Cipolla, era stato sparso
nelle sue stesse terre. Si premetta che il Cipolla era stato tra i pochi
proprietarî di terre a Milocca--viveva altrove--che non era venuto a
patti coi contadini del _Fascio_; chi poteva, dunque, commettere quel
grave reato per vendicarsi del proprietario renitente?

Il _Fascio_! In forza di questa strana logica le autorità procedono
all'arresto del Cannella, Presidente e di tutto il Consiglio direttivo
del sodalizio e li sottomettono a processo per associazione a
delinquere... E si parla misteriosamente di liste di proscrizione
rinvenute presso i socî del _Fascio_, di pugnali, di formule terribili
di giuramento, di preparate spartizioni di terre....

  [UN'INSURREZIONE FEMMINILE]

Le donne di quell'ameno villaggio, le quali non sono meno gagliarde
degli uomini, indignate di quella che a loro sembrava infame prepotenza,
insorgono in numero di 500, assaltano la caserma dei carabinieri, ne
sfondano le porte e liberano i cinque arrestati della vigilia. Non un
solo uomo si unì alle donne; e di fronte a questo esercito infuriato, ma
inerme, i carabinieri non ebbero cuore di far fuoco e perciò non si
deplorarono morti o feriti. Delle intenzioni delle donne, che non si
seppero rassegnare a vedere arrestati ingiustamente i mariti e i figli
se ne ha la prova in questa circostanza: ebbre di gioia per la
liberazione dei prigionieri, s'impadronirono delle armi dei carabinieri,
non per adoperarle, ma per condurle in trionfo; e in trionfo condussero
sulle loro braccia, baciandolo in volto, un carabiniere che si era
mostrato più umano e pietoso verso di loro.

Quando il De Rosa, degno strumento di qualsiasi governo ferocemente
reazionario, seppe in Caltanissetta della terribile rivolta femminile,
mandò sul luogo truppa, carabinieri, delegati e giudici. Si sparge in un
baleno la notizia della imminente repressione: gli uomini a cavallo e
armati di fucili prendono il largo decisi a vendere cara la loro
libertà. Le autorità arrestano a casaccio sette uomini e trentadue
donne, che traducono ammanettate--alcune gestanti, altre coi loro bimbi
lattanti sulle braccia!--nelle carceri di Mussomeli.

  [OPERA PACIFICATRICE]

Il Cannella, Presidente del _Fascio_, intelligente ed energico quanto
mai, vide tutta la desolazione dello abbandono delle case e tutto il
pericolo di tanti uomini armati e risoluti, che avevano preso la
campagna e conscio com'era della loro innocenza li consigliò a ridursi
nel villaggio. Non fu ascoltato, perchè gli altri contadini volevano la
promessa di qualcuno il quale avesse potuto difenderli all'occorrenza,
che non sarebbero stati arrestati rientrando pacificamente nelle
rispettive abitazioni. Pensarono che quella persona potevo essere io
onde il Cannella accompagnato da altri tre venne in Castrogiovanni ad
invitarmi perchè andassi a Milocca. Accettai e insieme al sig. E.
Fontanazza, al signor Castiglione e al sig. Garofalo, Presidenti dei
_Fasci_ di Castrogiovanni, di Grotte e di Siculiana, riuscii ad indurre
i contadini, che a schiere si presentarono a me lungo la via da Grotte
al villaggio, a rientrare nelle loro case e persuasi anche i liberati
del giorno innanzi a costituirsi alle carceri. L'opera mia e dei miei
amici e del Presidente del _Fascio_ di Milocca fu da veri uomini di
ordine, che mostravano fede nella magistratura; e ad onor del vero devo
confessare, che in questa occasione essa meritò la fiducia.

  [BRUTALITÀ CAPRICCIOSA DI DUE CARABINIERI]

Eravamo al 1º Novembre, giorno dei _Morti_, che si rispetta dai
contadini e dagli zolfatari coll'astensione dal lavoro e ripartimmo nel
meriggio da Milocca per Grotte per riprendere il treno, che doveva
restituirci alle nostre case. I contadini di Milocca in massa, con
l'avv. Vella presidente del _Fascio_ di Racalmuto, ci accompagnano sino
a mezza strada; dove per fare più presto ed arrivare in tempo a non
mancare il treno si mutò itinerario ed invece che a Grotte
c'indirizzammo a Racalmuto. Qualcuno per iscorciatoie scabrose, ci
precorse ed avvisò la cittadinanza del nostro imminente arrivo; una
imponente dimostrazione fu improvvisata che ci venne incontro preceduta
del rosso gonfalone e dalla fanfara del _Fascio_, e, percorso
tranquillamente il paese per lungo e per largo, ci accompagnò alla
stazione. Non un grido sovversivo fu emesso, non il menomo disordine fu
deplorato, come poscia unanimemente deposero innanzi al Tribunale di
Girgenti gl'impiegati ferroviarî e parecchi altri cittadini nè
_radicali_ nè socialisti; eppure nel momento in cui arriva il treno e ci
scambiavamo affettuose strette di mano, senza intimazione, senza avvisi,
senza il benchè menomo pretesto, un carabiniere ed un maresciallo si
scagliano all'improvviso sul portabandiera e gli strappano il gonfalone.
Il popolo sbalordito e indeciso per un istante, reagisce, riprende lo
stendardo ch'è fatto in mille pezzi, mentre i carabinieri impugnano le
rivoltelle e sono trattenuti dal tirare da molte braccia di nerboruti
lavoratori.

Il maresciallo mira su di me replicatamente e mi costringe a gettarmi
nella mischia per legittima difesa e per contribuire a disarmare quei
due forsennati. Riusciamo nell'intento e si restituiscono le rivoltelle
al carabiniere e al maresciallo entro la stanza del capo stazione dopo
avere ottenuto promessa formale che non le avrebbero più adoperate;
raccomando calorosamente ai lavoratori di sciogliersi e di evitare ogni
possibile pretesto a nuovi abusi della forza, e ripartiamo.

Perchè si comprenda quanta sia stata la capricciosa brutalità dei due
carabinieri che mostrarono un coraggio grandissimo, malamente speso,
devo aggiungere che il gonfalone rosso non solo era stato portato
liberamente per le strade in quella occasione e in cento altre in tutta
la provincia, ma che poche ore dopo un'altra dimostrazione ci venne
incontro a Canicattì, preceduta dal gonfalone rosso del _Fascio_ alla
presenza dei carabinieri e del delegato di pubblica sicurezza, senza che
le autorità avessero fatto la benchè menoma osservazione.

  [OTTANTA VITTIME D'UNA PROVOCAZIONE]

Ciò che avvenne in Racalmuto la notte successiva--proprio durante la
notte!--per opera del delegato--che si era vilmente ecclissato durante
il tafferuglio--e dei carabinieri, ricorda i fasti peggiori della
polizia austriaca e borbonica. Ma non è mio intendimento narrarli quali
elementi comprovanti la provocazione; questa in tutta la sua brutalità
risulta dal seguente dato: per un mucchio di concime non rubato, ma
sparso nelle terre del padrone si arrestano cinque cittadini sotto
l'accusa di _associazione a delinquere_; questo arresto determina la
sollevazione delle donne di Milocca seguita dall'arresto di altri 39
individui, tra i quali 32 donne, coi loro bambini; e quest'altro fatto
alla sua volta genera il tafferuglio di Racalmuto che dette luogo ad
un'altra quarantina di arresti. Si vuol sapere ciò che c'era di vero nel
reato primitivo, che costò la prigione da quattro ad otto mesi ad
_ottanta_ cittadini del regno? Il tribunale di Caltanissetta--che va
lodato per parecchie oneste sentenze emesse anche durante lo stato di
assedio, tra le quali quella cui mi riferisco qui--mandò assolti i
_malfattori_ perchè il Pubblico ministero all'udienza e in seguito alle
risultanze del processo orale ritirò l'accusa per _inesistenza di
reato_. E lo stesso brigadiere dei carabinieri confessò che lo
spargimento del concime fu denunziato dai proprietarî, senza che fosse
avvenuto, nello intendimento di nuocere ai capi del _Fascio_ e di
sbarazzarsene facendoli arrestare! Non si ha ragione, dunque, di
esclamare che questa prodezza degli agenti del Prefetto De Rosa
costituisce la più enorme e imprudente provocazione?

Io che a Milocca mi ero informato della verità con una rapida inchiesta,
interrogando il delegato del sindaco di Sutera--cui è aggregato
Milocca--il brigadiere dei carabinieri e il luogotenente che comandava
il distaccamento di fanteria, indignato scrissi e telegrafai in quella
occasione alla _Tribuna_, che l'on. Giolitti in Sicilia faceva più male
della banda maurina.

  [QUARANTOTTO VITTIME D'UNA CALUNNIOSA DENUNZIA]

A Gibellina pigliando pretesto da una pacifica dimostrazione, il
delegato entrò violentemente nella società agricola, e ne scacciò i
soci, arrestandone alcuni; furono strappate violentemente le bandiere e
furono sparati diversi colpi in aria dai carabinieri. L'intromissione di
alcuni influenti cittadini del luogo e dell'avv. Scaminaci di Santa
Margherita evitò scene di sangue, che, date le provocazioni e le
violenze della forza pubblica, sembravano imminenti; il delegato ebbe
salva la vita per uno stratagemma dello Scaminaci, il quale--sempre in
punizione dell'opera pacificatrice--dopo qualche giorno, allo arrivo
della forza, venne arrestato, ammanettato, tradotto nelle carceri di
Trapani, processato e condannato. Si noti: oltre lo Scaminaci, ben
_quarantotto_ persone furono arrestate e processate dietro una
calunniosa denunzia del funzionante da Sindaco; ma vennero tutte
assolte dal Tribunale e la condotta del denunziatore venne severamente
stigmatizzata dal Regio Procuratore. A Gibellina non c'era _Fascio dei
Lavoratori_: ma si costituì subito come reazione contro la condotta
dell'autorità di pubblica sicurezza e vi s'inscrissero tutti gli uomini
validi. Ivi erano vivissime le gare amministrative. I fatti di novembre
lasciarono una profonda agitazione ch'ebbe più tardi un sanguinoso
epilogo.

  [LO STATUTO MUTATO IN TRANELLO]

Le provocazioni e i fatti analoghi furono a centinaia ed ebbero sempre
risultati identici. Dal gennaio 1893 al gennajo 1894 le dimostrazioni
pacifiche, gli scioperi legali si seguono e si ripetono in ogni angolo
dell'isola e si alternano e provocano violenze e abusi della polizia; e
non di rado queste violenze e questi abusi precedono e provocano le
dimostrazioni, che in molti punti si ripetono e si alternano con quelle
provocate dall'esorbitare dei dazî comunali. L'esercizio dei diritti
consentiti dallo Statuto parve tramutato in un tranello teso alla buona
fede dei cittadini che finiva sempre colla violazione di tutte le leggi
da parte delle autorità. Gli arbitrî e le violenze sono di ogni genere e
vengono perpetrati nei momenti acuti e in quelli di calma col proposito
deliberato di scompaginare e dissolvere quelle forze popolari che per la
prima volta si erano seriamente organizzate in Sicilia, col fine di
conseguire il proprio miglioramento economico.

  [LE VIOLENZE DELLA POLIZIA]

E la polizia strappa le bandiere, abbatte porte e finestre per violare
il domicilio dei _Fasci_ e dei singoli soci, li arresta, li processa, li
ammonisce, li manda a domicilio coatto. Questa stessa polizia--forte
delle sue pessime tradizioni, della impunità ed anche degli
incoraggiamenti dei poteri superiori--sin dal primo accenno al moto
sociale dei _Fasci_ mostrò aperta la intenzione di avversarlo in tutti i
modi. Esplicazione generale di questa intenzione furono innumerevoli ed
arbitrarie perquisizioni domiciliari, inviti altrettanto arbitrarî a
cittadini egregi di portarsi in questura o negli uffici della pubblica
sicurezza per sentire consigli non richiesti e intemerate villane;
contravvenzioni continuate, legali forse, perchè la reazionaria legge di
pubblica sicurezza somministra il pretesto per renderle sempre angariche
ed odiose; ritiri capricciosi di licenze di minuta vendita; partigiane
denegazioni del permesso di portare armi, anche a chi per proprio
ufficio non può farne a meno; richieste insistenti e tentativi per avere
gli elenchi dei soci dei _Fasci_, per intraprendere il minuto lavorio di
disgregamento mercè le lusinghe, le promesse, le minacce, tra le quali
quella efficacissima e terribile dell'ammonizione.[42]

  [I RISULTATI]

I risultati di questi procedimenti sono dappertutto uguali e di doppio
ordine: da un lato la gagliarda fibra isolana, reagisce, come sempre, e
rende simpatici i _Fasci_ anche a coloro che primitivamente li
avversavano, li fa moltiplicare e consolidare; dall'altro le notizie di
tante prodezze poliziesche si sparge dappertutto e distrugge l'ultimo
avanzo di fiducia che si aveva nelle autorità, infondendo in tutti la
convinzione che era vano sperare giustizia da coloro ch'erano preposti a
renderla[43].

E quando la magistratura rendeva i suoi verdetti questi non servivano
che a rinforzare l'abborrimento contro il governo, le cui male arti
erano state bollate dalle autorità competenti. Furono infatti numerose
le assoluzioni in particolare presso i tribunali penali di
Caltanissetta, di Girgenti, di Trapani, di Palermo ecc., nei tanti
processi capricciosamente promossi dalla polizia (Milocca, Acquaviva,
Gibellina, Siculiana, Piana dei Greci ecc. ecc.), tanto che il Generale
Corsi malinconicamente osserva:

«Col Codice penale alla mano (?), le autorità politiche facevano
arrestare gl'istigatori allo sciopero o i colpevoli delle violenze che
avvenivano; ma in base allo stesso Codice ed a criterî, come dicono, o
ragioni di giustizia od altre, che non istarò ad esaminare, i Tribunali
ne mandavano la maggior parte colla piena assoluzione o colla
dichiarazione del _non farsi luogo a procedere_. E questi se ne
tornavano al loro paese a ridere in faccia a chi si era preso l'incomodo
di arrestarli.» (Sicilia, p. 334).

Chiunque conosce un po' da vicino la nostra magistratura sa che se una
colpa grave le si può rimproverare è la soverchia deferenza, se non
voglia chiamarsi abbietto servilismo, verso le autorità politiche; se
essa assolveva, adunque, è segno certo che il diritto era palesamente
dal lato dei cittadini e che non era possibile salvare i rappresentanti
del governo dal biasimo, che su loro ricadeva da quelle sentenze
assolutorie.

  [DUREZZA DELLE CLASSI DIRIGENTI]

L'opera nefasta del governo centrale e dei suoi rappresentanti locali
venne compiuta ed aggravata dalle _classi dirigenti_. «I
possidenti--dice il generale Corsi--stettero duri al loro interesse e lo
vollero intatto nella loro pienezza, come lo intendono loro, cioè col
maggiore possibile profitto per essi, conservando ciò che è, respingendo
le novazioni... I possidenti e gli affittatori avevano visto avvicinarsi
la procella, ne avevano presentito gli effetti. In quelle situazioni in
cui si trovavano per consuetudine antica di fronte ai lavoratori, più
che sorpresi o stupiti, n'erano stati impauriti o irritati...» Un
accordo avrebbe potuto e dovuto tentarsi; «ma le difficoltà da una parte
e dall'altra avevano troppo profonde radici: lo stacco era troppo grande
e durava da tempi immemorabili; e da un lato vi era odio, dall'altro
paura. I signori dunque credettero del loro interesse e della loro
dignità di non dipartirsi dallo antico costume, divenuto connaturale in
loro: stettero fermi o si ritrassero o fecero appena un piccolo passo
avanti secondo i luoghi, secondo gli umori, e, direttamente o per mezzo
dei loro accoliti, accesero la stampa, assediarono i Prefetti, gridando
minacciato gravissimamente l'ordine pubblico, peggiorate enormemente le
condizioni della pubblica sicurezza, dando per flagrante tutto il male
possibile, e chiedendo, come l'affamato il pane, carabinieri e soldati.
A conto fatto, non sarebbe bastato tutto l'esercito italiano--nel
periodo della forza minima--per rassicurarli tutti. Molti municipî erano
a capo di questa che dobbiamo dire _reazione_, quelli, s'intende, nei
quali prevalevano i proprietarî.» (_Sicilia_, p. 328, 331, 332).

  [L'INTROMISSIONE DEGLI UFFICIALI]

In qualche punto questi accordi desiderati e invocati sono tentati e
specialmente per opera dei comandanti dei distaccamenti di truppa; e se
si vuol sapere con quanta sincerità ed onestà erano condotte le
trattative si può apprenderlo dallo stesso generale Corsi, a cui un
Comandante fa una lunga narrazione di tali accordi tentati e condotti a
buon punto in un paese e conchiude così: «La situazione lasciava quindi
sperare la tranquillità la più assoluta ed il ristabilimento della calma
negli animi di tutti, quando ieri sera... alle 11 giunge al Vice
ispettore un espresso da... coll'ingiunzione di procedere all'arresto di
cinque fra i capi del Fascio, compreso il Presidente.» (p. 340).

  [LA POLIZIA MUTA LE TRATTATIVE IN INGANNO]

Non continuo nella riproduzione delle relazioni di quel Comandante ch'è
un osservatore diligente, nè commento il fatto, perchè esso è di una
eloquenza irresistibile; avverto solo che i fatti consimili sono
innumerevoli; le trattative quasi sempre non hanno che uno scopo:
scongiurare una dimostrazione in attesa di rinforzi e arrivati questi si
procede all'arresto di coloro ai quali si strinse la mano con effusione
e si promisero concessioni eque, ragionevoli.

Questo non è tutto. È grande la colpa delle classi dirigenti per la loro
fanatica resistenza alle riforme e alle concessioni, per l'ostinata
persistenza nell'antica usura, pel disprezzo verso i lavoratori e verso
le idee nuove, per lo stolto proponimento di farsi arma in certi luoghi
degli uni e delle altre--che presero a favoreggiare inopinatamente e
_more Rabagas_--onde sfogarsi contro i nemici ch'erano al potere; e per
tutto questo non esito a dire che la responsabilità loro non è minore di
quella del governo.

Esse, in generale--che non mancarono le nobili e lodevoli
eccezioni--furono fortunate dell'indirizzo preso dal governo; ed
angariarono, denunziarono, derisero i _Fasci_ e i loro socî. In qualche
punto si organizzò un vero _boicotaggio_ alla rovescia; non si dette
lavoro o lo si retribuì di meno, ai soci de' _Fasci_. Fecero di peggio:
misero in circolazione, specialmente nella provincia di Girgenti, delle
petizioni al Sensales ed al Presidente della Camera,--redatte in
termini calunniosi, infami contro i sodalizî e le classi
popolari,--colle quali s'invocavano leggi eccezionali, repressione
energica e pronta per ispegnere quello che essi chiamavano il moto
sovversivo!

  [I LAVORATORI DISPERANO DELLA GIUSTIZIA]

Si può immaginare piuttosto che descrivere la irritazione e il
risentimento che si destò negli animi dei lavoratori per l'attitudine
del governo e delle classi dirigenti. I lavoratori intuirono che essi
erano le vittime designate di una imminente repressione, stata
annunziata e minacciata tutti i giorni e in tutti i luoghi e che doveva
essere iniziata col generale scioglimento dei _Fasci_, onde l'odio di
classe ch'era vivo ingigantì; e ad ingigantirlo contribuivano le notizie
trasmesse oralmente o per mezzo dei giornali da paese a paese, talora
false, tal'altra esagerate, inesatte sempre; ed ingigantì sopratutto pel
fatto non mai abbastanza deplorato che giammai si vide un prepotente ed
un violatore della legge punito; sicchè negli animi dei popolani si
ribadì incrollabilmente la credenza, che non si poteva e non si doveva
sperare giustizia dal governo.

E in questo stato di animi, che costituiva una vera anarchia politica e
morale, si pervenne al mese di dicembre, quando tutto ciò che si era
seminato dette i suoi frutti; quando la passione prese il sopravvento;
quando la paura del peggio, la speranza di miglioramenti, la sicurezza
di ottenerli mostrando i denti fecero confondere tutti i criteri, fecero
adoperare i mezzi leciti e quelli illegali. Ma tutto questo avveniva con
tanta incoscienza, con tanto insensibile passaggio dal giusto
all'ingiusto, con tanto fatale concatenamento di episodî, di
provocazioni e di reazioni, che poca colpa vera si può dare alla
parte popolare anche là dove trascese, a Partinico, a Monreale, a
Castelvetrano, a Mazzara del Vallo, a Valguarnera, ecc. ecc.

  [VALGUARNERA]

E mi fermo alle scene di Valguarnera, perchè furono caratteristiche. Ivi
non c'era _Fascio_; chi si era adoperato a farlo sorgere aveva dovuto
rinunziarvi per mancanza assoluta di elementi adatti, per il _lealismo_
monarchico ed anche conservatore di cui facevano mostra a gara i partiti
amministrativi in aspro antagonismo tra loro.

Il malessere economico, però, per la crisi zolfifera ed agraria vi era
profondo e generale; il fermento nel popolo e la indignazione contro le
autorità raggiunsero le proporzioni più alte per la inettitudine, per la
imprudenza e per la prepotenza mostrata dal locale delegato di Pubblica
sicurezza il giorno 4 dicembre nella miniera di Grottacalda, in
occasione della festa di Santa Barbara organizzata dalla
amministrazione--composta da persone temperatissime--e alla quale
avevano preso parte parecchie migliaia di pacifici lavoratori di Piazza
Armerina, di Castrogiovanni e di Valguarnera.

  [LA SOMMOSSA]

In questo stato di animi e con tali autorità il giorno 25 un zolfataro,
un certo Di Dio--sopranominato _Cottonaro_--assai malvisto, comincia ad
arringare il popolo esponendo propositi sovversivi, come li
qualificarono gli avversari. Il delegato, che non aveva ai suoi ordini
se non due carabinieri volle arrestare l'improvvisato tribuno in mezzo
ad una folla di alcune migliaia di persone. Non solo: quando la folla ne
chiede la liberazione, un carabiniere spara un colpo di rivoltella.
Allora si scatena il furore dei dimostranti...

  [DENUNZIE E FUGHE]

Il delegato ed il sindaco scappano e si nascondono; i carabinieri si
chiudono nella caserma e i tumultanti rimangono padroni del campo:
interrompono le comunicazioni telegrafiche, liberano i detenuti,
devastano e incendiano la casa del sindaco, la pretura, gli uffizî
pubblici, saccheggiano diverse case e negozî. I danni prodotti
sorpassano il milione di lire--ma credo che la cifra sia stata molto
esagerata. Nei tumulti di Valguarnera si ebbero a deplorare parecchie
rapine che--sia detto ad onore del popolo--non si ripeterono in nessun
altro luogo. Spesso anzi ci fu fanatismo nel mostrarsi onesti; e nella
stessa Valguarnera, quasi a compenso, si ricorda che i tumultanti posero
in cimento la propria vita per salvare alcuni fanciulli in una casa cui
avevano appiccato l'incendio. Le rapine si spiegano col fatto che
passato il primo momento non restarono a spadroneggiare se non una
trentina di malviventi, che non miravano ad altro se non a rubare. Non
ci furono morti; e ci fu un solo ferito per un colpo tirato da un
carabiniere. All'indomani, all'arrivo della forza e del Prefetto si
fecero circa 300 arresti, tra cui molte donne; la massima parte dei
liberati dal carcere andarono a costituirsi. Non si riuscì, però, a
riprendere il Cottonaro, promotore primo dei disordini; solo dopo
parecchi mesi esso si presentò spontaneamente e si afferma da un altro
canto, che molti che furono maggiormente responsabili delle rapine e
degli incendî si assicurarono la impunità facendola da delatori e
mettendosi ai servigî delle autorità politiche e amministrative,
denunziando cittadini onestissimi, facendoli arrestare o costringendoli
a fuggire. E i latitanti, infatti, furono a centinaia.

Valguarnera rappresenta il prodotto di una serie di cause molteplici, di
una lenta preparazione, e della scintilla data dalla provocazione
poliziesca.[44]


NOTE:

[41] Avvertii sempre e raccomandai con tutte le mie forze e in tutte le
occasioni la istruzione agli operai. Questi miei sforzi ha riconosciuto
il generale Corsi (_Sicilia_ p. 298) e gliene sono grato come del
migliore elogio che poteva farmi.

[42] Conosco aneddoti piccanti su questa richiesta dello elenco dei soci
dei _Fasci_. Eccone uno: il sotto prefetto di X... voleva ad ogni costo
quello di un paese del suo circondario. Il presidente del Fascio lo negò
al delegato di P. S. e questi per non fare cattiva figura presso il
superiore ne creò uno di sana pianta comprendendovi molti avversari del
_Fascio_! In quanto ad esattezza d'informazioni su persone sospette il
colmo del ridicolo e dell'infamia nello stesso tempo si ha avuto dopo
l'attentato del Lega contro l'on. Crispi. Il ministero ha chiesto alle
autorità locali la biografia e la fotografia degli anarchici e dei
socialisti _pericolosi_; e nello elenco di questi individui _pericolosi_
la maggioranza è rappresentata da persone non solo onestissime, ma che
non sono nè anarchiche, nè socialiste, nè repubblicane, ma semplicemente
invise per ragioni personali ai sindaci, ai delegati di pubblica
sicurezza ed ai prefetti. Gli elenchi della provincia di Caltanisetta,
compilati dal famigerato Prefetto De Rosa sono un capolavoro d'infamia.

[43] A proposito della resistenza energica opposta sempre alle
prepotenze governative mi sembrano opportune queste parole pronunziate
da Cordova nel 1863: «I Siciliani sono avvezzi da lungo tempo a
considerare il Governo come tenuto a rispettare la legge, ed anche
quando essi per avventura non la rispettano, pretendono che il governo
la rispetti. È un'abitudine acquistata dalle loro antiche istituzioni e
consacrata dal patto del 1812, in cui un articolo esplicito diceva:
_Ogni cittadino ha il diritto di far resistenza all'autorità pubblica,
se questa non opera in conseguenza della legge_.» Questo ricordo vale se
non altro a dimostrare come certe costituzioni consacrassero in Italia
sul cominciare del secolo principi assai più liberali di quelli
contenuti nello Statuto del _magnanimo_ Carlo Alberto.»

[44] I luoghi nei quali durante il 1893 avvennero provocazioni,
dimostrazioni e abusi di ogni sorta sono numerosi. Dai giornali sono
riuscito a comporre questo elenco ch'è incompleto:

Palermo, Serradifalco, Campobello di Licata, Prizzi, S. Giuseppe Jato,
Piana di Greci, Floridia, Borgetto, Scicli, Ravanusa, Mazzara del Vallo,
Catenanuova, Partinico, Bisacquino, Corleone, Sancipirrello, Chiusa
Sclafani, Sommatino, Villafranca, Termini Imerese, Canicattì, Terranova
di Sicilia, Santa Croce Camerina, Naro, Grotte, San Cataldo,
Campofiorito, Mezzomonreale, Campofranco, Pioppo, Palazzo Adriano,
Lentini, Milocca, Belmonte-Mezzagno, Parco, Acquaviva Platani, Sutera,
Lercara, Siracusa, Casteltermini, Villafrati, Siculiana, Casale
Floresta, Montelepre, Cattolica Eraclea, Villarosa, Aragona,
Caltabellotta, Paceco, Contessa Entellina, Montemaggiore Belsito,
Alcamo, Valledolmo, S. Ninfa, Castronovo, Bambina, Ciminna, Mezzojuso,
Cerda, Cefalù, Rosolini, Castelvetrano, Racalmuto, Santa Caterina
Villarmosa, Balestrate, Trappeto, Caltanissetta, Spaccaforno, Modica,
Francofonte, Piazza Armerina, Gibellina, Lucca Sicula, Butera, Bivona,
Burgio, Roccadifalco, Pietragliata, Rocca, Petralia Soprana, Comitini,
Terrasini, Misilmeri, Ragusa, Partanna, Salemi, Salaparuta, Trapani,
Camporeale, ecc., ecc.



XVI.

LA REPRESSIONE


La serie interminabile delle provocazioni e delle dimostrazioni,
illuminata qua e là dal sinistro bagliore degli incendî, ebbe i suoi
episodî sanguinosi che meritano una speciale trattazione. Questi episodî
rappresentano l'epilogo di una situazione tesa e scabrosa e l'inizio di
una repressione, che, a dire il vero, fu quasi sempre incosciente e non
preparata direttamente, ma che scattò improvvisa e spontanea, quale
risultanza però delle istruzioni generali date, della imprevidenza nello
eseguirle, dello eccitamento degli animi di tutti, della paura di essere
sopraffatti negli uni, della coscienza del proprio diritto negli altri.

Sangue, e in che misura! era stato versato a Caltavuturo in principio
del 1893; sangue si continuò a versare a Serradifalco, a Catenanuova, ad
Alcamo; ma dopo alcuni mesi di sosta nello svolgersi della triste
cronaca, nessuno si attendeva che si dovesse ricominciarla e continuarla
più luttuosa che pel passato!

  [LA CRONACA TRISTE CONTINUA]

Ricomincia a Giardinello. Giardinello è un piccolo paese di 800
abitanti. Sul conto dell'amministrazione comunale e del sindaco Caruso
le più contraddittorie notizie corsero. Io sento il dovere di dire che
persona degna di fede a me assicurò che il Caruso amministrasse
paternamente; ed egli stesso in una lettera al Direttore della _Tribuna_
si scagionò con apparenza di verità di molte accuse lanciate contro di
lui.

D'altra parte persona non sospetta di tenerezze per la causa dei
lavoratori rivelò allo stesso corrispondente della _Tribuna_ che il
municipio di Giardinello era una vera e propria _Marcita_,--termine
lombardo adoperato dall'interlocutore--un feudo del Sindaco. Il
_Fascio_, presieduto dal sig. Piazza, aveva chiesto da tempo delle
riduzioni di tasse: sul focatico, sulle vetture, sui dazî di consumo; il
sindaco aveva promesso di provvedere almeno in parte, ma invece nei
nuovi ruoli vi fu maggior rigore e minore equità che nei primi.

La stessa lettera del Sindaco, del resto, suggerisce al temperatissimo
Cavalieri osservazioni che suonano biasimo aperto pei criterî
amministrativi che si seguono in Sicilia e che vengono addotti a difesa
propria dal Sindaco di Giardinello (I _Fasci_ ecc., pagine 30 e 31).
Quali che siano le ragioni dell'una parte e dell'altra, la catastrofe,
che ne seguì e che commosse l'Italia rimane ingiustificabile ed è
tuttora inesplicata.

  [I TUMULTI DI GIARDINELLO]

Il giorno 10 dicembre, domenica, all'uscire dalla messa, nella piazza
della chiesa si formò una dimostrazione al grido: _Abbasso le tasse e il
Municipio_, quindi alcuni socî del Fascio andarono dal sindaco per
cercare di comporre la faccenda e lo trovarono dinanzi la porta di casa
sua; alla richiesta dei dimostranti egli rispose che non _ci avevo
colpa, che se ne lavava le mani_, _che la colpa era tutta dei
consiglieri_ e che _potevano fare il diavolo a quattro, lui non si
sarebbe disturbato per questo_.

E dopo avere così consigliato la calma ed evitato un grave pericolo, il
sindaco montò le scale che conducevano nel suo studio, e vi rimase
lungamente. I dimostranti seguitavano a gridare sotto i balconi del
sindaco, il quale a calmare gli _spiriti bollenti_ applicò loro una cura
idroterapica buttando molta acqua e fresca su tutte quelle teste
riscaldate.

L'effetto della cura fu immediato: la folla non si ribella al brutale
trattamento e corre invece--trascinata certo da qualche mestatore--al
palazzo municipale, dove, eccitata certo da chi aveva interesse che
documenti compromettenti fossero distrutti, comincia la devastazione,
l'incendio; e tutti gli armadi, le sedie, i registri sono posti l'uno su
l'altro e le fiamme avide, distruggono ogni cosa.

Dopo, i tumultuanti continuarono a percorrere le vie del paese seguendo
una donna che portava in alto il ritratto del Re e della Regina.

Appena cominciati i primi disordini, un carabiniere partì per Montelepre
a chiamare dei rinforzi ed è falso che contro costui siano stati tirati
quattro colpi di fucile andati a vuoto.

Conosciutasi la notizia a Montelepre partivano 5 o 6 carabinieri e 22
bersaglieri comandati dal sottotenente Cimino, alla volta di Giardinello
e quivi giunti si disposero a traverso la strada principale tra la casa
del sindaco e il Municipio.

  [L'ECCIDIO]

La folla impavida, forte forse del talismano che portava, andò incontro
ai soldati sempre con lo stesso grido: _abbasso le tasse_,...... Il
sottotenente tenta invano di calmare i dimostranti i quali per
l'avanzarsi di quelli che stavan dietro minacciavano di rompere il
cordone della truppa.--Fu allora che il sottotenente esclamò:
«Allontanatevi o sarò costretto a dare ordine di caricare le armi». I
più vicini tornarono indietro, il presidente del Fascio alla contadina
che portava il ritratto del re disse: _Suruzza, jamuninni vasinnò nni
sparanu_ (sorella, andiamo se no ci sparano). E quando tutto volgeva pel
bene, una fucilata sinistramente risuonò. Fu questo il segno
dell'eccidio, sparano i soldati, sparano i carabinieri e le grida
disperate e i lamenti dei feriti, il pianto di tutti resero lo
spettacolo selvaggio e commovente. Anche i poveri soldati spaventati
corsero come forsennati per la campagna.

Allora, seminata la via di feriti, la folla uccide il messo comunale
che, sogghignando, mostrava il suo compiacimento per tanti caduti.

Chi ordinò il fuoco? donde partì la prima fucilata? Le voci più
disparate corsero in proposito, ma il mistero non fu svelato. Il
generale Corsi che solo di questa strage fa cenno--forse perchè il suo
animo mite rifugge dalle scene di orrore--narra seccamente: «Fu caso, fu
disgrazia. Una massa di gente di un _pacifico_ paesello, rumoreggiante,
inebbriata della sua audacia medesima, si serra addosso ad un piccolo
drappello di soldati, spinta da tergo da chi non vede il pericolo;
nessuno comanda il fuoco; ma il fuoco scoppia perchè i soldati stanno
per essere travolti. La stampa ne fa gran rumore in Sicilia, in tutta
Italia; si scrive che la truppa ha tirato freddamente sopra un popolo
festante; non si vuole vedervi altro che una strage d'innocenti. Il
governo n'è spaventato.» (_Sicilia_, p. 322)[45].

I morti furono 11, dei 12 feriti portati all'ospedale di Palermo 9
furono dichiarati in pericolo di vita. 5 solamente furono colpiti con
palle a mitraglia e gli altri da palle non tirate da militari, vi furono
pure uomini feriti da _quadretti e migliarini_.

A Giardinello, precisamente come a Caltavuturo, le autorità non seppero
trovare un colpevole tra coloro che spararono. Ne trovarono bensì a
decine tra i poveri contadini che avevano partecipato alla dimostrazione
e che si ebbero in pena dal Tribunale militare anni ed anni di
reclusione!

  [LERCARA]

Dopo Giardinello, Lercara. Anche qui c'è miseria grande derivante in
gran parte dalla crisi zolfifera, anche qui ci sono odî inveterati e
feroci tra alcune famiglie che si disputano con tutti i mezzi
l'amministrazione comunale, qualcuna delle quali si afferma che abbia
soffiato nel fuoco. E il fuoco divampò il 20 Dicembre in una
dimostrazione coi ritratti del Re e della Regina al grido di: _Abbasso
le tasse! Abbasso il Sindaco!_ Si viene a colluttazione colla forza e
rimangono feriti o contusi alcuni uomini della forza, tra i quali il
delegato di pubblica sicurezza ed un tenente delle truppe. Durante la
notte e all'indomani arrivano altre truppe.--Il sotto prefetto di
Termini-Imerese--che arringa il popolo da un balcone durante una nuova
dimostrazione seguita da incendi dei posti daziari, da devastazioni e da
saccheggi--è male accolto e costretto a scappare. Avviene un'altra
colluttazione nella quale vengono uccisi undici cittadini e feriti molti
altri! Contro i soldati la folla non adoperò che sassi e bastoni.

  [PIETRAPERZIA]

A Pietraperzia il 1º gennajo 1894 si ripetono gli stessi fatti di
Giardinello e di Lercara; le cause sono le stesse: la miseria e il
malumore contro il municipio, per le tasse e specialmente pel fuocatico.
I partiti locali che si combattono da anni con accanimento si
accordarono soltanto nell'accusare i poveri contadini dei quali si osò
negare la miseria!

In queste denegazioni fu audacissimo il sindaco Nicoletti, che innanzi
al Tribunale militare affermò inesistenti le tasse odiose nel suo paese,
e l'amministrazione esemplare, e provvida per i bisogni di tutti.
«Sì!--gli rispose con amara ironia un difensore, il capitano
Schioppo--tasse non ve ne sono, perchè il fuocatico e il dazio sulla
farina non pesano sul popolo; e l'amministrazione comunale è tale
modello, che a Pietraperzia si può credere, che si sia avverato il
famoso motto di Enrico IV!»

Ivi, come dappertutto, i lavoratori si riuniscono e cominciano a
gridare: _Viva il Re! abbasso il Sindaco! abbasso le tasse!_

Si dice che il Delegato di P. S. e il maresciallo dei carabinieri
abbiano invitato la folla a sciogliersi e che siano state fatte le
regolari intimazioni, ma che la folla invece di sciogliersi abbia tirato
delle fucilate contro i soldati, i quali per legittima difesa risposero
facendo fuoco.

Da tutte le mie informazioni, però, mi risultano infondate o alterate
tali asserzioni; se i contadini avessero fatto fuoco, tra i soldati ci
sarebbe stato qualche morto.

  [GLI ECCESSI DOPO LA STRAGE]

Invece otto contadini rimasero uccisi e quindici gravemente feriti.
Compiuta la strage, i soldati si rinchiusero nella Chiesa di Santa Maria
e il popolo esasperato si dette agli incendi e alla devastazione del
Casino dei Galantuomini, del municipio e di altri uffizî pubblici.
Questi eccessi della folla, è bene rilevarlo, seguirono e non
precedettero la strage.

Il Consiglio, nella massima parte inviso, si dimise. Non mancarono i
soliti numerosi arresti. Si afferma che a Pietraperzia il _Fascio_, di
recente formazione e composto di analfabeti, abbia preso parte attiva ai
tumulti; ma la verità non si può sapere facilmente perchè non si potè
sinora sentire che una sola campana, quella dei più ricchi proprietari.
Non ha sonato ancora quella dei lavoratori. Il terrore regnò per
parecchio tempo a Pietraperzia e non fu possibile avere esatte notizie.

Settantatre disgraziati furono trascinati al Tribunale militare di
Caltanissetta e di essi soli 20 furono assolti; gli altri furono
condannati a pene che variano dai 3 ai 21 anni di reclusione. La
sentenza fece dolorosissima impressione e fu notato che un colonnello
dell'esercito dava pietosamente parole di conforto alle desolate
famiglie dei condannati.

  [GIBELLINA]

Il giorno 2 gennaio è la volta dell'eccidio di Gibellina. Ha qualche
cosa di specialmente lugubre; e di esso si avvalsero gli uomini del
governo per denigrare il popolo, che in un momento di furore cieco
uccise il pretore Casapinta. Ma perchè? quando?

Narriamo. Gibellina conta circa 10,000 abitanti ed è dedita
esclusivamente all'agricoltura. Si afferma da molti che vera miseria non
vi sia e che vi siano numerosi i piccoli proprietarî--di quella
categoria però, che l'on. Damiani paragonò ai proletarî perchè la
proprietà di una catapecchia o di un campicello non basta a sfamare.
Certo è che la emigrazione vi si accrebbe notevolmente negli ultimi
anni; e questo è indizio sicuro di malessere economico. È certo del pari
che le tasse comunali, specialmente quella sugli animali e il focatico,
vi erano pesanti ed invise e che era grande il risentimento contro le
autorità politiche--rappresentate dal delegato di P. S.--per i fatti del
4 novembre narrati avanti. Vi sono i soliti partiti locali, i cui
caporioni si odiano reciprocamente; quello al potere, protetto dalla
Prefettura di Trapani, qualificato addirittura tirannico, si dice abbia
considerato la cassa comunale come lo sfamatoio della propria famiglia e
dei propri adepti. Gli oppositori, ricchissimi, si vuole che abbiano
soffiato nel fuoco; regalarono una bandiera al _Fascio_--essi che in
fondo sono conservatori--e si rimproverò loro--stranissimo
rimprovero!--che dessero agli operai un salario più elevato degli altri.

Questo l'ambiente dove si svolsero i fatti del 2 gennaio.

Da parecchi giorni si buccinava che si doveva fare una dimostrazione
contro il municipio: corsero trattative di conciliazione tra i partiti;
si cercò dare soddisfazione alla opinione pubblica dal sindaco,
accettando alcune delle proposte messe avanti dal _Fascio_, il cui
presidente sig. Palermo si cooperò sempre per mantenere la calma e
l'ordine; a quasi tutte le trattative presero parte attiva il capitano
Macchi del 37º fanteria, e il pretore Casapinta e la loro fu azione
lodevole. Ma ciò che chiedevasi con maggiore insistenza erano le
dimissioni del sindaco e del consiglio; cosa che non potevasi ottenere,
come disse il capitano, perchè il sindaco di dimissioni non voleva
assolutamente saperne!

  [L'ECCIDIO]

Nel giorno dell'eccidio il municipio era occupato militarmente e il
capitano trovavasi nella sala del Consiglio, mentre la folla
appressavasi gridando come sempre: _Abbasso il Sindaco! abbasso le
tasse! abbasso il consiglio comunale!_ Erano circa tre mila persone con
alla testa la bandiera del _Fascio_, che fu issata al balcone della casa
municipale dov'erano riuniti il Capitano Macchi, il sindaco e molti
altri che discutevano sui provvedimenti da prendere.

Ad un tratto comincia il fuoco contro la popolazione inerme: quattordici
caddero morti immediatamente. Non vi furono squilli di tromba e i
soldati spararono sulla folla a bruciapelo. Il numero dei feriti fu
grandissimo e non potè esser mai esattamente constatato perchè tutti si
nascosero, sapendosi che anche i feriti gravi venivano arrestati e
condotti a Trapani: ad un certo Tramonte fu amputato il braccio nelle
prigioni di Trapani e gli si negò di poter rimanere a casa guardato a
vista.

Compiuta la strage i soldati--per ordine del Capitano Macchi, che
rapidamente discese dalla casa comunale appena sentì le fucilate--si
ritirarono, e Gibellina rimase in balía del popolo giustamente
esasperato. Fu allora che venne ucciso a sassate ed a bastonate il
povero pretore Casapinta, ch'era stimato da tutti e che si era cooperato
ad impedire la catastrofe; ma ciò avvenne per isbaglio, gli addebitarono
il comando del fuoco, essendo stato scambiato pel delegato di Pubblica
Sicurezza, Vincenzo Trani, che alle antiche aveva aggiunto nuove ragioni
di odio contro di sè.

Costui fu generosamente ricoverato da un farmacista, e si salvò,
fuggendo travestito, dall'ira di quel popolo il quale contro di lui
sarebbe forse stato implacabile.

Per alcuni giorni Gibellina rimase assolutamente senza forza e senza
autorità; eppure non vennero molestati coloro, che erano considerati
come i veri promotori dell'eccidio!

  [LA RESPONSABILITÀ]

A Gibellina si sa almeno su chi fare ricadere la colpa immediata della
catastrofe. Il capitano Macchi allontanò da sè la responsabilità
dell'accaduto; e non gliene spetta, poichè è voce generale da nessuno
sinora smentita, che il fuoco venne ordinato del delegato di P. S.
affacciatosi dal balcone del Municipio. Il luogotenente che in piazza
trovavasi alla testa dei 35 soldati credendo che l'ordine fosse partito
del capitano comandò il fuoco. Per colmo di odiosità le guardie
campestri, ligie al sindaco, nascoste in un campanile vicino--ciò che
farebbe supporre una certa premeditazione--tirarono ripetutamente sulla
folla.

Quando le autorità governative ripresero possesso del disgraziato paese
dove regnava lo squallore, si fecero arresti in massa e si vuole che la
maggior parte degli arresti avvenissero nelle file dell'opposizione e su
di una lista compilata dal partito che stava al potere.

Dopo tali disgraziati avvenimenti, l'odio e la diffidenza dei contadini
contro _li cappedda_ si sono accresciuti in modo terribile; tanto che
essi sfuggirono come un leproso un inviato da un comitato di Palermo,
che v'era andato a fare un'inchiesta per poter distribuire dei soccorsi
alle vittime.

  [BELMONTE-MEZZAGNO--MARINEO]

I tumulti di Belmonte-Mezzagno vanno ricordati perchè con un colpo di
rivoltella vi venne ferito un soldato, che poco dopo morì, lo Sculli. A
questa povera vittima furono fatte solenni onoranze; ma furono
consacrati all'infamia i contadini uccisi dai soldati.

Peggio ancora avvenne all'indomani del funesto principio del 1894, a
Marineo.

Anche lì avvengono le solite dimostrazioni con leggere colluttazioni con
la forza, in una delle quali c'è un solo ferito di baionetta; ma il
giorno 3 si ripetono le dimostrazioni e poi che la folla rifiuta di
sciogliersi, dopo le intimazioni di legge ed una scarica in aria, la
truppa fa fuoco e vengono uccise otto persone sul colpo e dieci muoiono
poco dopo per le ferite ricevute. Il numero dei feriti non si può
precisare, perchè i più si nascosero: ma dev'essere stato considerevole
se proporzionato al numero dei morti.

Il giorno 4 viene proclamato in Sicilia lo stato di assedio: il generale
Morra di Lavriano e della Montà assume formalmente i poteri di Regio
Commissario straordinario del Re, ch'esercitava di fatto sin dal suo
arrivo in Sicilia. Nel manifesto con cui il Regio Commissario
straordinario annunziò l'avvenimento, in ultimo era detto che ai
contravventori sarebbero stati applicati gli articoli dal 246 al 251 del
Codice penale militare. Perchè si possa giudicare della opportunità
dell'applicazione è bene si sappia che tali articoli considerano i casi
in cui... il territorio del regno è invaso da _truppe nemiche_!

  [L'ULTIMO MASSACRO]

All'indomani della proclamazione dello stato di assedio si chiude la
serie dei massacri con quello di Santa Caterina Villarmosa.

Ivi, tra i due partiti municipali da gran tempo non c'era buon sangue;
la miseria tra i contadini,--il paese è essenzialmente agricolo--era
grande; un Fascio vi si era costituito, nel quale per dissidi tra coloro
che lo dirigevano, al momento della catastrofe nessuno esercitava una
influenza, perchè erano dimissionari da parecchi giorni il segretario e
il vice-presidente, ed era assente da tempo il presidente; il _Fascio_
rappresentava un vero corpo senza capo. E la catastrofe avvenne
terribile e inattesa, come m'assicurarono il sindaco e il capo del
partito contrario.

  [SANTA CATERINA VILLARMOSA]

Il giorno cinque è certo che ancora non era stata annunziata ai
cittadini di Santa Caterina Villarmosa la proclamazione dello stato di
assedio; nè c'è da meravigliarsene perchè poche ore si può dire ch'erano
trascorse dalla comunicazione. Fu lo stesso Comando dei Carabinieri, che
dichiarò che _nessuno_ aveva visto il manifesto; ciò risultò anche dal
processo svoltosi innanzi al Tribunale militare di Caltanissetta. Se
fosse stata annunziata e spiegata bene ai poveri contadini la misura,
probabilmente essi avrebbero tenuto diverso contegno. Ma quantunque essi
tutto ignorassero non si creda che abbiano trasceso, come in tanti altri
punti. Tutt'altro. Il giorno 5, infatti, non si trattò che di questo:
una folla enorme percorreva il paese--con una bandiera sormontata dai
ritratti del Re, della Regina e da un crocefisso,--gridando: _viva il
Re! abbasso le tasse!_ Non ci furono incendi, non ci furono devastazioni
nè in uffici pubblici, nè in case e magazzini privati; non si assaltò il
municipio e molto meno si potevano assaltare i casotti del dazio--come
annunziarono telegrammi uffiziali con impudente menzogna--i quali non
esistevano! Le autorità che avevano avuto sentore della dimostrazione
avevano chiesto ed ottenuto rinforzi da Caltanissetta, otto soldati ed
un tenente dei carabinieri, che uniti ai quattro carabinieri ch'erano di
stazione formarono un totale di _tredici_ uomini!

Il tenente dei carabinieri, Colleoni, pensò che l'autorità doveva
rimanere alla forza e fece mostra di tutte le sue attitudini strategiche
impostando i suoi dodici uomini nella strada che fronteggiava la grande
piazza Garibaldi, d'onde dovevano passare i pacifici dimostranti. Quando
questi pervennero nella piazza e vi si pigiarono in modo da non potersi
muovere, il tenente dei carabinieri intimò alla folla di sciogliersi e
fece suonare i tre squilli. Fra il secondo e il terzo, un maestro di
scuola, il Capra, esortò il popolo a sciogliersi; ma il popolo credendo
di non violare alcuna legge protestando contro i balzelli, e incorato
con particolarità da alcune donne ardite, non si mosse se non dopo che
il terreno fu seminato di morti e di feriti in seguito alle _ripetute_
scariche ordinate dal tenente dei carabinieri. Quando la piazza venne
sgombrata, per molte ore rimasero abbandonati al suolo gli _undici_
morti e i più gravemente feriti--donne, uomini, vecchi e bambini--in
mezzo alle pozze di sangue!

  [MENZOGNE SPUDORATE]

E adesso poche altre osservazioni. Come i telegrammi ufficiali mentirono
nel dare i particolari della dimostrazione cui attribuirono atti non
commessi, così evidentemente mentirono nel dare alcune notizie che
volevano lasciar comprendere esservi stata da parte del popolo prima
l'aggressione e poi la resistenza, fosse anche una larva. Si parlò
di un colpo di rivoltella tirata contro il maresciallo dei carabinieri,
ma il colpo _fortunatamente_ non partì; e se partì, quantunque a
_bruciapelo_,... non ferì; si parlò di una coltellata contro un soldato,
ma _fortunatamente_ la lama non arrivò alle carni; si parlò di sassi
scagliati contro la truppa, ma _fortunatamente_ non un soldato venne
colpito!...

Troppa fortuna davvero!

E poi, la rivoltella non fu trovata; i carabinieri sequestrarono solo
un'accetta... senza padrone.

Cose queste, che furono anche constatate dai corrispondenti della
_Tribuna_ e del _Resto del Carlino_, andati sul luogo.

La narrazione fatta dal tenente Colleoni innanzi al Tribunale militare
esclude tutte le calunniose notizie _ufficiali_ divulgate sul contegno
dei poveri contadini di Santa Caterina. Egli, a domanda del Presidente
Colonnello Orsini rispose: «avere ordinato il fuoco perchè aveva
acquistato il concetto preciso dell'aggressione che voleva fare la folla
dalle parole di un certo Manzoni e dalle armi _intraviste_ sotto i
vestiti dei dimostranti...»

Non mettiamo in dubbio la vista lincea di quell'ufficiale, ma è giusto
riferire le parole di fuoco del Manzoni; questi disse al Colleoni: _fate
ritirare la truppa e la folla colle buone si disperderà_.

Lo stesso Colleoni confessò che prima che la truppa facesse fuoco non ci
furono _nè pietrate, nè colluttazioni_... Se qualche sasso fosse volato
dopo le ripetute scariche, quando il suolo era seminato di morti e di
feriti, chi oserebbe maravigliarsene e condannare?

Ancora: nel processo, come capo temibile della sommossa venne designato
il contadino La Placa, cui si rivolse la particolare accusa di avere
strappato la baionetta al Maresciallo dei Carabinieri in una
colluttazione corpo a corpo. Ebbene il terribile ribelle ricevette due
ferite alle _spalle_ in quella colluttazione; sicchè riferendosi alla
topografia di tali ferite e al momento in cui il maresciallo asseriva
avergliele inferte, il La Placa ingenuamente osservava: _Le braccia
l'uomo le ha davanti o di dietro?_

  [LA LOGICA DE' CONTADINI]

La folla aveva tante intenzioni ostili--ed era composta da migliaia di
persone!--che dette tempo al suddetto maresciallo di ricaricare la
rivoltella per freddare il contadino che a bruciapelo gli aveva tirato
un colpo di pistola... Oh! con quanto rigore di logica semplice e
irresistibile a chi parlava di fucilate tirate dal popolo, un contadino
dalla gabbia esclamò: _signor Presidente, i nostri fucili ammazzano!_ E
non uno dei _tredici_ soldati fu ammazzato...

  [LA FEROCIA DEL POPOLO]

E della ferocia e delle cattive intenzioni del popolo si ebbe altra
prova luminosa. Il maresciallo quando non ebbe più cartucce, credette
bene di ricoverarsi in una casa che vide aperta; ivi una trentina di
contadini eransi ricoverati per isfuggire al massacro. Lo ebbero in mano
inerme, trenta contro uno, e non gli torsero un capello e l'accolsero!

A Benedetto Salemi, che all'indomani della strage lo interrogò su questo
particolare, il maresciallo rispose: _Erano tanto impauriti!_

«Fosse stato anche vero, osservò il Salemi, che una trentina di uomini
pravi, feroci (come venivano designati) avessero avuto paura di uno
disarmato..., ma era quella la risposta di un soldato italiano? dire
vili a degli onesti, che virilmente gli avevano regalato la vita!»

Il Salemi, nel _Siciliano_, de' 9 e 10 gennaio 1894, fece un'esatta e
commovente descrizione dei casi di Santa Caterina. Dalla quale, mi piace
di riportare il luogo seguente, dove egli narra la sua visita al
cimitero.

  [AL CIMITERO]

«Si va al cimitero per una via che sale leggermente ad un colle.

«Nel piccolo campo dei morti, a sinistra, stavano schierate le casse che
serrano i poveri uccisi. Ce n'era una, grande: una vecchia barella tinta
di grigio con due larghe fasce di nero che s'incrociavano.

«Il custode, levato una grossa pietra da su il coperchio, lo sollevò.

«Nella vecchia barella avevano messo due cadaveri: uno su l'altro: uno
con la faccia sotto i piedi dell'altro! Sopra, stava un ragazzo; era
morto dopo una lunga agonia e aveva gli occhi a pena socchiusi, e sul
viso profilato ancora un'espressione di angoscia. L'altro era un uomo,
con un po' di barba sotto il mento. Aveva i grandi occhi neri sbarrati:
era morto nel vigor della vita, fulminato, e quegli occhi vitrei che dal
corpo supino guardavano il cielo, pareva invocassero, ancora morti, il
Cielo: pareva che quello sguardo, con una serenità lunga di eroe,
dicesse: «O Signore, Signore! vedete....»

«Dopo altre casse, fatte di tavole bianche, ce n'era una, piccola,
foderata di roba celeste; povera roba ma immacolata.

«Io volli vedere l'innocente piccola vittima che forse non aveva nemmeno
gridato! e pregai il custode di schiodare la cassa.

«La bambina era grande per i suoi nove anni. Giaceva, con la testina un
po' volta da un lato e le braccia distese lungo i fianchi. Non aveva
ancora la rigidità della morte e la sua faccia era rossa, e sulla bocca,
coperta di bava, colava dal naso una schiuma sanguigna che gorgogliava
ancora, a intervalli che pareva avessero la regolarità del respiro.

«--Ma è viva!--esclamai.

«Il custode sorrise.

«--Viva?...--e ripose il coperchio.

«Oh era morta davvero, povera bimba ricciuta! Era morta davvero, misera
madre derelitta, ora! povera madre straziata che nella disperazione
della sua pena ebbe pure la forza di rivestire il cadavere della sua
creatura; di chiudere gli occhi alla sua bimba morta; di foderare di
roba celeste la cassa nella quale dovevano chiudere, per sempre, la
figlia sua uccisa; nella quale dovevano portarle via, per sempre, la
figlia sua perduta!»

All'indomani della strage, come dappertutto, la forza arrivò numerosa,
si procedette a centinaia di arresti, altre centinaia di contadini
presero il largo e la simpatica cittadina rimase squallida e
terrorizzata.

Ed ora riassumiamo. Durante il 1893 e i primi giorni del 1894, nei
tumulti e nelle dimostrazioni di Sicilia cadde--ucciso dal popolo--un
solo soldato: lo Sculli.

Caddero--uccisi dai soldati:

  tredici popolani a Caltavuturo,
  due a Serradifalco,
  uno ad Alcamo,
  undici a Giardinello,
  undici a Lercara,
  otto a Pietraperzia,
  quattordici a Gibellina,
  diciotto a Marineo,
  quattordici a Santa Caterina Villarmosa;

in tutto furono uccisi novantadue liberi cittadini per un solo soldato.

  [EPILOGO TRISTE]

Questo lugubre riassunto dev'essere completato da altri tristi
episodî. Il governo italiano che non seppe prevenire, che non si dette
il menomo pensiero di una situazione tragica, dispiegò tutta la sua
sapienza nel ricompensare i disgraziati--voglio essere benevolo nel
qualificarli--protagonisti della repressione. Premiò il delegato di
Pubblica Sicurezza che fece uccidere in Serradifalco due operai che
invocavano il rispetto della legge elettorale; premiò il delegato di P.
S. di Racalmuto per la _prudenza_ mostrata nel nascondersi il 1.
novembre; premiò il delegato di P. S. di Gibellina! per la splendida
attitudine ai travestimenti rivelata nei sottrarsi ai pericoli creati
per colpa sua; premiò il tenente Colleoni--e lo lasciò per sei lunghi
mesi sul luogo delle sue gesta eroiche--per la vista lincea mercè la
quale _intravide_ le armi sotto i vestiti dei contadini di Santa
Caterina Villarmosa!

Di fronte a tali e tante ricompense come non esser compresi di
ammirazione per Matteo Imbriani, che in un momento di santa indignazione
si sente disonorato dalle medaglie guadagnatesi in battaglia contro gli
austriaci, e in piena Camera dichiara di volerle buttare in faccia al
governo italiano?

Egli dovette certo, in quel momento, ricordarsi che Roma negò il trionfo
a Pompeo, vincitore di Spartaco, perchè i ribelli non erano nemici
stranieri.

  [QUEL CHE USCÌ DI BOCCA AL GENERALE MORRA]

E tutto quello non basta; il giorno 8 Febbraio il generale Morra di
Lavriano riunì le truppe di Palermo in Piazza Ucciardone e rivolse loro
un discorso in cui: rammenta da prima con grande compiacimento alcuni
degli ultimi tumulti, specialmente Valguarnera, Belmonte e Santa
Caterina, rilevando che _da per tutto la folla assalì le truppe e sparò
su di esse, (!?)_ esalta i soldati premiati per gli ultimi avvenimenti e
ricorda con onore il _valore (!?)_ dimostrato dai soldati a Santa
Caterina; fa l'apoteosi del povero soldato Sculli ucciso a Marineo e
glorifica l'opera dei subalterni _mirabilmente guidati dai capi dovunque
contro di loro si addensava la rivolta_!

  [GLI CHASSEPOTS E I FUCILI VITALI]

Il generale Morra di Lavriano terminò la sua _eloquente, patriottica e
veritiera_ concione facendo un parallelo tra le vittorie ottenute in
Sicilia dai soldati italiani e quella, allora recentissima, ottenuta in
Africa ad Agordat, non senza esprimere il rammarico che essi dovevano
provare combattendo contro uomini che parlano la stessa loro lingua... E
dopo il solito volo lirico all'_unità_ ed a _Casa Savoia_, al suono
della marcia reale, le truppe sfilarono dinanzi al generale ed ai
premiati, che erano il Tenente Serra del 27º Fanteria, il caporale
Puttini dello stesso reggimento e il carabiniere Profita.

Non mi permetterò alcun commento sulla opportunità politica del
parallelo tra le vittorie ottenute in Africa e... in Sicilia; nè sulla
convenienza di premiare i _valorosi_ che uccidono inermi italiani.


NOTE:

[45] L'on. Saporito nella tornata del 27 Febbraio 1894 disse alla Camera
dei Deputati che il generale Corsi in una sua circolare raccomandava
alle truppe di non usare mai armi, _contro nessuno e in nessuna
occasione_. Se questa circolare è vera farebbe fede dell'animo mite
dell'antico comandante del XII Corpo di armata e dimostrerebbe che gli
eccidî non furono premeditati.



XVII.

LE RESPONSABILITÀ


_a)_

IL CLERO

Esposti gli avvenimenti siciliani dell'anno 1893 e del principio del
1894 si devono esporre le responsabilità degli attori: del clero--cui si
volle attribuire un'azione, che non ha esercitato e che è stata diversa
da quella, che gli venne attribuita--del popolo, e del governo
principalmente.

Comincio dal clero.

Sin da quando l'attenzione pubblica sul continente si fermò sulle cose
di Sicilia, prima ancora che si arrivasse al periodo acuto dei mesi di
dicembre 1893 e gennaio 1894, da una certa stampa con soverchia
insistenza s'insinuò che il clero soffiava nel fuoco. L'insinuazione era
abile, perchè mirava a discreditare il movimento ed a renderlo inviso
alla maggioranza liberale del popolo italiano, che beve grosso e si
lascia facilmente ingannare da un patriottismo quarantottesco, ogni
volta che gli si parla del _nemico_ che si annida nel Vaticano. Giovava
ricorrervi, perchè era riuscita pei moti del 1866 ed era servita come
comoda arma alla polizia, poco dopo, nell'imbastire i grotteschi
processi politici ricordati dall'on. Tajani nel famoso discorso
pronunziato nella Camera dei deputati nella tornata dell'11 giugno 1875;
ma era iniqua, calunniosa, poichè era del tutto falso che il clero si
fosse immischiato nei moti di Sicilia; e quando su di essi disse la sua
parola, fu tale, che ad esso fa torto sicuramente, però lo rivela ligio
alla _causa dell'ordine_--dell'ordine, dico, quale lo intendono il
governo e le classi dirigenti.

  [UN'ACCUSA DESTITUITA DI FONDAMENTO]

L'accusa contro il clero di Sicilia è siffattamente destituita di
fondamento, che non varrebbe la pena di occuparsene se non l'avesse
fatta sua una donna illustre,--la vedova di Alberto Mario--che ama
sinceramente l'Italia e l'isola nostra in ispecie e se non vi avesse
accennato lo stesso Presidente del Consiglio, che ripetendo un favorito
ritornello--sempre apportatore di applausi in Parlamento e fuori--il 28
febbraio, dopo aver fatto l'apologia della borghesia, le rimproverò solo
di avere abbandonato le _plebi_ alle sette ed ai _preti_.

Meglio avvisato, perchè non dominato da alcun preconcetto, il sig.
Adolfo Rossi nelle sue corrispondenze alla _Tribuna_, nel mese di
ottobre 1893 aveva notato che il clericalismo non ci aveva che vedere
nel movimento dei _Fasci_ e che anzi in molti di questi c'era una
spiccata tendenza anticlericale.

Padre Lorenzo,--il frate eremita che la fa da cappellano nella Chiesa
della Madonna del Balzo di Bisacquino,--soprannominato _il Socialista_,
costituisce una rara eccezione e del linguaggio da lui tenuto al
valoroso _reporter_ del giornale di Roma si argomenta già da qual parte
stiano i _superiori_.--«Eh! se non fosse per i superiori, diceva fra'
Lorenzo, io andrei a predicare il socialismo così, con la mia tonaca».
Egli rispetto al movimento sociale avrebbe fatto ciò che Ugo Bassi e
Pantaleo fecero pel moto politico.

  [IL CLERO MERITÒ LE DIFFIDENZE DEI LAVORATORI]

Dopo, altri giornalisti venati in Sicilia riconobbero la insussistenza
dell'accusa e più esplicitamente ancora l'on. Comandini, nella Camera
dei Deputati, osservò che «parlando in Sicilia con prelati degnissimi e
colti, con sacerdoti professori, con sacerdoti di culto greco e con
sacerdoti di culto latino, io ho domandato quale poteva essere stata la
parte presa dal clero nelle agitazioni siciliane, e mi sono sentito
rispondere che il clero aveva trovato nella classe dei lavoratori le più
profonde diffidenze, perchè questi erano convinti che essi stessero
dalla parte dei proprietarî e dei borghesi.» (Tornata del 2 marzo 1894).
E queste dichiarazioni collimano perfettamente colla deposizione del
Cabiati,--maggiore dei Bersaglieri--nel processo De Felice (Udienza del
21 marzo).

Il clero meritò le diffidenze dei lavoratori!

  [IL CLERO E I CASI DI SICILIA]

Vennero i processi dinanzi ai _Tribunali di guerra_ e dileguaronsi i più
lontani sospetti. Prete D'Urso fu arrestato per quarantottesco capriccio
del senatore Sensales; e dell'arresto ho motivo di pensare che non fu
contento lo stesso on. Crispi. Fu assolto da ogni accusa. Non pertanto
lo stesso on. Presidente del Consiglio, cui giovava nella discussione
sui casi di Sicilia evocare lo spettro del clericalismo per aggravare la
mano sugli arrestati e impressionare meglio la Camera in proprio favore
e farsi considerare come il difensore dell'idea italica, asserì che i
capi del movimento socialista (alludeva al De Felice) si erano messi in
relazione coi clericali del continente. Ma neppure sul continente dove
nel Benzi si era andato a scovare un complice, si potè colpire un
clericale o un prete e in tanta libidine di arresti e di processi non si
arrestò e non si processò quell'avv. D'Agata, da Catania, che--secondo
la polizia--era servito da pericoloso intermediario tra il De Felice e i
clericali del continente! Nei processi, adunque, non si trovò e non
rimase traccia dell'azione dei preti e del clericalismo nei moti di
Sicilia. Quando la polizia accenna a sospetti su qualche prete, come sul
Di Lorenzo di Gibellina, in essi vede uomini senza il menomo colore
politico ed impegolati sino alle ciglia nelle ire e nelle contese dei
partiti locali. E se qualche prete viene innanzi i tribunali militari,
come l'Evola di Balestrate nel processo De Felice, depone contro i
_Fasci_.

Con questa ultima e decisiva constatazione si potrebbe por termine ad
ogni discorso sull'azione e sulla responsabilità del clero. Il clero,
però, manifestò apertamente il proprio pensiero sui casi di Sicilia e
giova in questa occasione e in questo punto, esaminarlo per una doppia
ragione. Una è particolare: per vedere ciò che esso dice sulle
condizioni dei lavoratori dell'isola e sulle cause che l'indussero a
tumultuare; l'altra è generale: per conoscere quali sono le sue vedute
sul socialismo e se esso segue l'indirizzo, che altri sacerdoti
cattolici e protestanti hanno preso in altri paesi di Europa e di
America.

Tra le manifestazioni pubbliche del basso clero siciliano non ho
conoscenza, che di una sola, dell'opuscolo di un modesto prete di
Contessa Entellina, già citato, il Genovese (_La quistione agraria in
Sicilia_). Nel suo breve scritto c'è equità e c'è conoscenza esatta
delle condizioni economiche delle varie classi dell'isola; ma non c'è
pretensione alcuna, non assurge a considerazioni di ordine generale, nè
si lascia trascinare ad inveire contro i vinti.

  [L'ATTITUDINE DELL'EPISCOPATO SICILIANO]

Lodo sinceramente, e constato che il sacerdote Genovese è una eccezione.
Ben diversa è l'attitudine dell'episcopato siciliano e di quei prelati,
che delle cose di Sicilia si sono occupati, non escluso Monsignor
Isidoro Carini, l'illustre bibliotecario della Vaticana, il cui scritto
per altro (_La quistione sociale in Sicilia._ Roma 1894) è pregevole per
tanti motivi ed è inspirato da sincero amore per l'isola natía.

Anzitutto cosa dicono i Vescovi nelle pastorali rivolte ai loro fedeli
sulle condizioni dei lavoratori e sulle cause che determinarono gli
ultimi tumulti? Cosa ne pensa Monsignor Carini, il cui giudizio ha tanta
importanza perchè è quello di un siciliano di cuore e di mente e che
occupa un posto così elevato nelle regioni del Vaticano?

  [UNA PASTORALE DEL VESCOVO DI CALTANISETTA]

Comincio da Monsignor Guttadauro, vescovo di Caltanisetta, che parlò il
primo e per la prima volta in ottobre 1893. Si può dire che meglio degli
altri e conformemente ai suoi eccellenti precedenti parafrasò la celebre
enciclica di Leone XIII, _De conditione opificum_, applicandola agli
avvenimenti dell'isola. Nella sua prima pastorale constata che le
«ragioni del malumore esistono e non si possono dissimulare. Il ricco
per lo più abusa della necessità del povero, che viene costretto a
vivere di fatica, di stento, di disinganno... Consiglia i reverendi
parroci, naturali protettori dei poveri, a reclamare presso i
proprietari ed i _gabelloti_, che si ristabilisca la giustizia e
l'equità nei contratti, che si cessi dall'usura manifesta o palliata...
che si ristabilisca l'equa proporzione tra il lavoro del contadino ed il
capitale apprestato dai _gabelloti_, sicchè il raccolto risulti diviso
giustamente...; che si mettano di accordo proprietarî e gabelloti e con
equa transazione contentino le non ingiuste pretese dei lavoratori per
impedire il desolante spettacolo della continua emigrazione dei poveri
contadini, che vanno a cercar pane nelle lontane Americhe, ove raro è
che trovino quel che desiderano... I reverendi parroci e predicatori
ricordino in ogni occasione ai padroni e capitalisti l'insegnamento
della Chiesa, che grida altamente, per bocca del sommo Pontefice, esser
loro dovere: _non tenere gli operai in conto di schiavi; rispettare in
essi la dignità dell'umana persona, del carattere cristiano; non imporre
lavori sproporzionati alle forze o mal confacenti con l'età o col
sesso_. Principalissimo poi tra i loro doveri è dare a ciascuno la
giusta mercede, determinarla secondo giustizia, e _non trafficare sul
bisogno dei poveri infelici_.»

  [CIÒ CHE DICONO ALTRI VESCOVI]

Monsignor Blandini, vescovo di Noto, e Monsignor Gerbino, vescovo di
Caltagirone, su per giù fanno le stesse confessioni sulla miseria dei
lavoratori, sulla ingordigia e sull'usura dei ricchi, dei proprietarî,
dei gabellotti. Del secondo è notevole questa frase: «Fra la ricchezza e
la povertà dipendente da tutto e da tutti _quale libertà vi può essere_?
Non è forse accettare o morir di fame?»

I rapporti tra proprietario e proletario sulla base della _libertà_
della economia ortodossa non potrebbero essere meglio espressi; nè i
socialisti diversamente li formulano.

Monsignor Carini più esplicito riconosce che la Sicilia oggi è il paese
che presenta maggiori riscontri coll'Irlanda; che nella divisione dei
prodotti gabellotti e proprietarî fanno la parte del leone; che la
miseria è grande; che la crisi non è transitoria e che infine ai miseri
si è tolto il cielo e non si è data loro la terra, sicchè non c'è da
maravigliarsi se la miseria leva il suo immenso vessillo nero e se ciò
che dianzi era la sofferenza oggi diventa la disperazione.

Se nella diagnosi episcopale c'è unità e giustezza di vedute, non manca
la concordia, almeno tra alcuni, nel predicare la rassegnazione, perchè
alla fin fine i poveri ci sono stati e ci saranno sempre: _semper
pauperibus habetis vobiscum_, esclama monsignor Gerbino con San Matteo.

E monsignor Blandini non sa capacitarsi perchè le miserie che ci sono
state sempre, solo ora debbano riuscire a pericolosi ed imbarazzanti
esplosioni. Qui monsignore, sebbene persona assai colta, solo per
comodità di polemica--perchè la sua pastorale non è che polemica, anche
nel titolo: _Il socialismo_--ha potuto dimenticare la storia che
gl'insegna il contrario e che gli dice altresì, che la protesta odierna
assume forme diverse per la coscienza dei diritti e della forza, che
viene dalla istruzione e pel maggiore desiderio di eguaglianza
economica, che venne acuita dalla uguaglianza politica ed un poco anche
dalla religiosa. Che male c'è che gli uomini siano uguali in terra se
dovranno esserlo in cielo, dove anzi i primi saranno gli ultimi e
viceversa?

I vescovi siciliani, che consigliano la rassegnazione, si capisce che
nella cura dei mali si debbano in prevalenza affidare al misticismo e
debbano vedere la salvezza nel trionfo della religione e per essa nella
restaurazione del potere temporale del papa. Monsignore Blandini--sia
detto a suo onore--non manca però di avvertire, che certi sistemi
curativi sono troppo pericolosi:

«Chi si affida nel ferro di ferro perirà, egli osserva saviamente; e
l'esagerato militarismo dell'odierna Europa, quando meno vi si pensi e
si tema, potrà accelerare la conflagrazione all'estero, la guerra civile
all'interno. _Che vale rimettere in moto la ghigliottina e mozzare
qualche testa?_»

  [UN'ILLUSIONE DELL'ARCIVESCOVO DI MESSINA]

Monsignor Guarino, arcivescovo di Messina, non ha pubblicato alcuna
pastorale, perchè la ritenne inefficace ma secondo un rapporto spedito
al Vaticano ne ha diramate una ai preti suoi dipendenti, nella quale
raccomanda rimedî pratici e la _via di fatto_ per mezzo del mutuo
soccorso organizzato delle congregazioni religiose della sua
arcidiocesi. (R. De Cesare: _Il vaticano e le presenti condizioni
d'Italia. Nuova Antologia._ 1º Marzo 1894). Lo lascio nella dolce
illusione di credere che sia stato il mutuo soccorso organizzato da lui
a mantenere la calma nelle sua arci-diocesi--e non le diverse e note
condizioni economiche della provincia di Messina--e constato la lodevole
tendenza non mistica, ma terrena, nella cura dei mali.

  [IL PROGRAMMA DI MONSIGNOR CARINI]

Monsignor Carini rende il necessario omaggio alle tendenze reazionarie
riproducendo un brano del discorso tenuto dal Sommo Pontefice nella
Basilica vaticana il 28 gennaio 1894 e il cui succo sta nel consiglio di
_rifare il cammino a ritroso_; però in lui lo spirito moderno e il
sentimento di umanità prendono il sopravvento nei particolari e
suggerisce rimedî terrestri quali potrebbero esser dati da un accorto
politico: non affidarsi alla libertà--_libertà funesta e che spesso è
solo la libertà nel più forte di opprimere il più debole_--nel regolare
i rapporti tra contadini, proprietarî e gabellotti; abolire il
_Truck-system_, frenare l'usura, anzi estirparla dalle radici,
risuscitare i monti frumentari; distribuire il credito con
discernimento; combattere la funesta piaga dell'_assenteismo_; indurre i
proprietarî a migliore coltura delle terre; dare istruzione più pratica
e che non produca spostati; estendere all'agricoltura la giuria dei
_probi-viri_; intraprendere una certa quantità di opere pubbliche per
conto dello Stato per dare lavoro immediatamente agli operai
disoccupati; temperare le asprezze dei tributi; correggere le
amministrazioni comunali; regolare il lavoro e i salarî delle miniere,
ecc., ecc. Questo è tutto un programma, che potrebbe sottoscrivere
qualunque socialista di Stato. Si dirà, dunque, che l'episcopato
siciliano segue, sebbene timidamente, quel socialismo cattolico, che ha
tanti illustri ed eminenti cultori fuori d'Italia?

Così forse potrebbe essere se il clero italiano in generale e quello
siciliano in ispecie non fosse di una deficienza deplorevole in fatto di
studî economici; deficienza tale, che fa considerare lo sciopero da
monsignor Gerbino come un _monopolio_ ingiusto del lavoro contro il
capitale--dopo aver parlato della _libertà_ come sappiamo--che fa
inculcare ai miseri il risparmio. È tale la deficienza in simili
discipline, e la mancanza di conoscenza del movimento contemporaneo, che
lo stesso Monsignor Carini, mente tanto superiore a quella degli altri
suoi colleghi, se da un lato afferma che le società di resistenza
inglesi o americane non hanno mai preso alcun colore politico o
socialista--e l'affermazione è dimostrata inesatta dalla storia dei
_Cavalieri del lavoro_ in America e del _nuovo unionismo_ in
Inghilterra--dall'altro vorrebbe attuare tutta la serie delle riforme
suenunciate _pur non attentando menomamente all'antica rigidità del
diritto quiritario_.

  [GLI ERRORI DELL'EPISCOPATO]

Se questi soli fossero gli errori dell'episcopato, sarebbero
attribuibili esclusivamente al grado della loro coltura economica e non
lo intaccherebbero dal lato morale. Esso, però, contraddicendo alle sue
premesse mise la sua influenza--danneggiando se stesso più che giovando
agli altri--a disposizione delle classi dirigenti e del governo,
ripetendo in Sicilia l'attitudine serbata dal Papato in Irlanda, in
Polonia, dovunque i doveri della religione cristiana gl'imponevano di
dichiararsi pel popolo, pei deboli, pegli oppressi, contro i forti,
contro gli oppressori, contro il governo. E perciò i vescovi di Sicilia
scagliano unanimemente fulmini e invettive, talora volgari, contro il
socialismo e i socialisti, contro i _Fasci_ e i loro soci; attribuendo
loro anche le colpe non commesse; ed è doloroso che ciò abbiano fatto
quando gli accusati, anzi i calunniati, non avevano la possibilità della
difesa, perchè a migliaia essi erano stati mandati in prigione e a
domicilio coatto, e alla stampa era stato messo un ferreo bavaglio,
mentre gli accusatori erano protetti dal regime eccezionale dello Stato
di assedio.

Questo contegno, sebbene temperatamente, assunse anche Monsignor
Guttadauro--e me ne duole per l'uomo veramente rispettabile--che nella
seconda pastorale del 7 febbraio parla di plebi fatalmente illuse da
istigatori malvagi, di ree dottrine ecc., ed assume proporzioni di
sconveniente diatriba, che potrebbe essere sottoscritta da Yves Guyot,
nel Vescovo di Noto. Monsignor Blandini, confonde nientemeno socialismo
e massoneria, e chiamando la seconda _esercito di Satana, malvagia e ria
setta, la quale ha scelto a suo grande architetto il diavolo, a
gerofante il giudeo_ scende giù giù sino a voler rinchiudere
_caritatevolmente_--l'aggettivo è suo--nel manicomio i socialisti; a
definire _stoltizia_ l'aspirazione a democratici ordinamenti e ad una
più equa ripartizione dei beni della terra, in un momento in cui si
corre il pericolo di vedere divenire _homo homini lupus_ e ad
indignarsi--poco cristianamente--contro l'abnegazione e l'altruismo dei
nihilisti russi e dei comunisti francesi _perchè non appartengono mica
alla classe dei diseredati_. E dire che la temperanza del giudizio e del
linguaggio era più che in altri da attendersi in monsignor Blandini che
stoicamente aveva esclamato: _è da sciocco lamentare la tristizia dei
tempi, quando, al dire di Sant'Agostino_, TEMPORA NOS SUMUS!

  [L'ARCIVESCOVO DI PALERMO]

L'arcivescovo di Palermo, monsignor Celesia non volle esser da meno dei
suoi inferiori e sferzò anche lui i _mestatori anarchici o
socialisti_--che per lui sono tutta una cosa!--e se la prese anche colla
soppressa _Giustizia sociale_.

Di che il generale Morra di Lavriano e della Montà gli si mostrò
riconoscente, e appena pubblicata la pastorale si recò al palazzo
arcivescovile a ringraziarne l'autore mentre l'on. Crispi probabilmente
incoraggiava qualche onoranza a Giordano Bruno.

  [I VESCOVI SICILIANI E I PRELATI STRANIERI]

È strano che i vescovi siciliani--interpreti e seguaci di quelli del
continente--abbiano tenuto un linguaggio ed una attitudine cotanto
diversa da quella tenuta da illustri cattolici e da eminenti prelati
stranieri--da monsignor Ketteler al canonico Maufang, dall'abate Hitzig
al prete Mac Glynn, dal De Curtius e Lamoignon, a tutti gli scrittori,
laici o ecclesiastici, dell'_Association catholique_.[46]

Di questa diversità è bene addurre alcune testimonianze scegliendole tra
le più recenti. Così il Mac Glynn curato cattolico di New-York e seguace
di Henry George, nel 1887 all'invito del suo vescovo di moderare la
propaganda rivoluzionaria rispose: «ho sempre insegnato e insegnerò
sempre nei miei discorsi e nei miei scritti, sino a quando vivrò, che la
terra è di diritto la _proprietà comune_ del popolo e che _il diritto di
proprietà individuale_ sul _suolo_ è opposto alla giustizia naturale
quantunque sanzionato da leggi civili e religiose. Vorrei subito, se lo
potessi, far modificare le leggi del mondo intero in modo da confiscare
la proprietà individuale senza alcuna indennità per i sedicenti
proprietarî.»

Il cardinale Manning morì esclamando: «l'attuale società è selvaggia ed
anti-cristiana e soltanto un socialismo cristiano può redimerla e
salvarla.»

  [LA FEDE NELL'AVVENIRE DEMOCRATICO]

Monsignor John S. Vaughan, arcivescovo di Westminster, perciò successore
del Cardinale Manning, in un articolo (_The social difficulty_)
pubblicato nella Dublin Review (Febbrajo 1894) non esita a dichiararsi
socialista convinto; monsignor Keane, Vescovo di Richmond riconosce che
«avviene un rivolgimento radicale sia nel metodo dei governi degli
uomini, sia nelle relazioni della vita. Queste mutazioni possono
riassumersi in una parola: è _l'era della democrazia_, della sovranità
dei poteri popolari, della preponderanza del quarto stato. Non è qui il
luogo d'esaminare la ragione filosofica di questa rivoluzione; ci basta
di stabilire e di accertare un fatto, che non si può mettere in
discussione e di esprimere la convinzione, che _questo fatto non è opera
del caso, nè del demonio_, MA SI COMPIE PER DISEGNO DELLA DIVINA
PROVVIDENZA.»

E monsignor Carini, da cui riporto le citate parole del Keane, esprime
la stessa fede nello avvenire democratico di Europa e del mondo.

Oh! dite, Monsignor Blandini: manderete _caritatevolmente_ al manicomio
tanti altri vostri superiori o fratelli in Cristo, che vedono un'opera
della divina provvidenza in ciò che voi considerate come l'opera di
Satana?

  [SOCIALISMO E CRISTIANESIMO]

Nè si dica che sono in errore i socialisti cattolici; perchè la dottrina
socialista--senza che con ciò s'intenda darle nuovo vigore--è conforme
alla dottrina di Cristo (che minacciava il terribile: _Vae divitibus!_),
a tutti gl'insegnamenti dei primi e più eminenti padri della Chiesa. Il
socialismo integra il cristianesimo, per un certo verso, in quanto che
cerca dargli la sanzione terrestre. Possono, adunque, i prelati che lo
combattono rendere dei servizî al governo e alle classi dirigenti, non
parlare nel nome del loro Dio!

E di questa rinnegata loro missione come italiani possiamo essere
contenti, perchè se il clero cattolico di fronte al socialismo assumesse
un contegno diverso, data la situazione politica e le pretese di
restaurazione del potere temporale, esso costituirebbe un pericolo per
la patria nostra!


NOTE:

[46] Chi avesse vaghezza di conoscere il movimento del socialismo
cattolico ricorra al bel libro che vi ha consacrato F. S. Nitti.



XVIII.

LE RESPONSABILITÀ


_b)_

I FASCI

Coloro che hanno seguito le discussioni della stampa e della Camera dei
Deputati, da un anno in qua, conoscono che prima l'on. Giolitti e poscia
l'on. Crispi, pur non essendo d'accordo tra loro su certi punti, hanno
fatto di tutto per riversare ogni responsabilità degli avvenimenti di
Sicilia sui _Fasci_, sul socialismo, sui _sobillatori_. L'esame dei
fatti dà a questa accusa una smentita altrettanto recisa quanto alla
precedente, relativa all'azione del clero.

  [IL CRITERIO SPERIMENTALE]

Questo giudizio è strettamente sperimentale e la enunciazione sua è _a
posteriori_. Non a caso accenno al criterio sperimentale col giudizio _a
posteriori_; ciò è indispensabile nel momento in cui tutti s'impancano a
positivisti, pur facendo strazio del positivismo nelle applicazioni, o
creandone uno di sana pianta per comodità dei governanti e delle classi
dirigenti.

Si sa che Claudio Bernard dette il più chiaro concetto dello
sperimentalismo nelle scienze fisico-chimiche e nelle biologiche--per
quanto tra queste ultime le induzioni siano assai meno rigorose ed
esatte che tra le prime, perchè le condizioni dello sperimento sono
assai più complesse e ne intervengono parecchie, che possono passare
inosservate, quantunque alterino i risultati.

Nelle scienze politiche e sociali il criterio sperimentale si può
applicare più difficilmente, o meglio quello che si applica è d'indole
diversa, ma conserva sempre un grandissimo valore. Poichè, se sugli
uomini e sulle umane società non si possono fare quelli esperimenti _in
corpore_ e in _anima vili_, che si fanno nelle scienze fisiche, chimiche
e biologiche, riproducendo artificialmente ed a beneplacito dello
sperimentatore le condizioni volute, per vedere se sono seguite sempre
da certi dati risultati,--sicchè tra le une e le altre si stabilisca con
certezza il rapporto come tra _causa ed effetto_--pure, colla
osservazione ripetuta di certe condizioni che si presentano
spontaneamente nel corso della vita delle nazioni e degli aggregati
umani e che producono o meglio sono seguiti quasi sempre da certi dati
avvenimenti si può dire che anche nelle scienze politiche e sociali si
applicano i criterî sperimentali. Nelle medesime, senza riprodurre qui
tutte le distinzioni metodiche dello Stuart Mill--riprodotte e
illustrate tra noi dal Gabaglio a preferenza di tanti altri--si può
affermare che la storia e la statistica suppliscono i reagenti chimici,
le pile elettriche, gli scalpelli anatomici, le iniezioni, le
asportazioni di organi, ecc.

La convergenza dei risultati positivi e negativi nella osservazione dei
fatti sociali vale, perciò, a fare ammettere sperimentalmente il
rapporto come tra causa ed effetto tra certe condizioni--e sul proposito
è noto che le induzioni hanno tanto maggior valore, quanto più numerose
sono le condizioni identiche o rassomiglianti--e certi avvenimenti
consecutivi.

Questo criterio sperimentale applicato ai casi di Sicilia esclude
l'azione dei _Fasci_, della propaganda socialista, dei sobillatori o la
riduce alle sue vere proporzioni.

  [UN PRIMO RISULTATO DELL'OSSERVAZIONE]

Il primo risultato che si ha dalla osservazione dei fatti è
significativo: nella provincia di Messina ed in alcune parti della
provincia di Catania dove predomina una mezzadria meno adulterata e
forme di contratti agrarî relativamente eque, dove i rapporti tra le
varie classi sociali sono improntati ad una certa umanità, dove il
benessere economico dei lavoratori della terra è maggiore, nei centri
agricoli o non sorgono i _Fasci_, o vi si mantengono in minuscole
proporzioni: e quando vi sorgono e vi attecchiscono nè trasmodano, nè
ricorrono a manifestazioni che possano dare occasione alle osservazioni
dei loro avversarî e pretesti di accuse e calunnie alle autorità zelanti
e alle permalose classi dirigenti. Questa osservazione recente va a
completare--e nel contempo ne riceve maggior luce--l'altra fatta da me
stesso circa dieci anni or sono sui rapporti tra la delinquenza e le
condizioni sociali. Allora scrissi che nella provincia di Messina la
maggiore divisione della proprietà, la maggiore quantità di terreni
coltivati intensivamente ad agrumeti, a vigneti, ad uliveti con
maggiore partecipazione dei lavoratori ai prodotti della terra
assicurava alle medesime condizioni morali migliori che nel resto
dell'isola. (_La delinquenza della Sicilia_ ecc., p. 53 a 57).

Parimenti dove i _Fasci_ sono bene organizzati e consolidati nella loro
compagine da una vita più lunga; dove c'è una certa coltura e vi
prevalgono e vi sono ascoltati gli elementi schiettamente
socialisti--Catania, Palermo, Messina, Marsala, Trapani, Corleone, Piana
dei Greci ecc., la calma non manca, l'ordine non viene turbato, la
disciplina viene rispettata, la parola dei capi viene religiosamente
ascoltata.

  [L'ORDINE E L'ELEMENTO SOCIALISTA]

Si può costatare positivamente l'azione moderatrice dei _Fasci_ e dei
socialisti in più luoghi; ad essi si deve se si riesce a mantenere
l'ordine a Salemi, a Salaparuta, a Castrogiovanni, a Villarosa, a Riesi,
in tutta la provincia di Catania, per molto tempo o durante tutto il
periodo dell'agitazione e dei tumulti, anche nell'assenza delle truppe,
colla impotenza, colla inettitudine e non ostante le provocazioni delle
autorità politiche e delle classi dirigenti.

A Marsala il Presidente del _Fascio_ sig. Ruggieri è coadiuvato nella
bisogna dal prof. Pipitone; il presidente del _Fascio_ di Pioppo si
coopera col pretore e col comandante il distaccamento delle truppe a
ristabilire l'ordine in Monreale. A S. Ninfa avviene di meglio: in
seguito a precedenti tumulti, che minacciavano di rinnovarsi, molti soci
del _Fascio_ si mettono a guardia del municipio e impediscono che i
tumultuanti vi penetrino. E se più di frequenti la parola dei
Presidenti e dei socî più autorevoli del _Fascio_ e di altri socialisti
non venne ascoltata, ciò si deve all'invincibile malcontento per la
miseria e per le ingiustizie subite da lunghi anni dai lavoratori, che
avevano esaurito la loro pazienza e li avevano resi increduli ad ogni
promessa di prossime riparazioni. Perciò rimasero del tutto inefficaci
gli scongiuri del povero Presidente del _Fascio_ di Gibellina, contro ai
disordini; della quale sua opera tutti fanno fede.

  [UNA RICONOSCENZA SUI GENERIS]

Rimarrà poi a perenne memoria di questo triste periodo la riconoscenza
_sui generis_ riserbata dalle autorità politiche grandi e piccole verso
coloro, che si cooperarono anche con favorevoli risultati, a mantenere
l'ordine e la calma. Di questa riconoscenza ebbero prova luminosa il
prof. Curatolo da Trapani, il Vivona da Castelvetrano, il D.r Crescimone
da Niscemi, il Salerno-Vinciguerra e l'Aldisio-Sammitto da Terranova,
l'avv. G. Rao da Canicattì, e parecchi altri che dopo essere stati
ringraziati calorosamente, e talora per lettera da Prefetti e da
Sotto-prefetti, da Delegati di P. S. e da Carabinieri per la efficace
opera prestata nel periodo che si può chiamare della _forza minima_,--in
cui le autorità avevano addirittura perduta la testa, perchè non avevano
abbastanza soldati per farsi rispettare--non appena la Sicilia fu invasa
da fanteria, cavalleria, quanta ne occorrerebbe per iniziare una guerra
contro un potente nemico, esse si sentirono forti e la forza vollero
fare palese con atti di solenne ingratitudine facendo arrestare quelli
che avevano prima encomiati. Per molti l'arresto fu talmente iniquo e
ingiustificabile, che dopo qualche mese non fu più mantenuto; per
pochi--il Curatolo e il Vivona--fu seguito da processo e da condanna a
diecine di anni di reclusione. Del Vivona, farmacista in Castelvetrano e
nemico irreconciliabile dei Saporito, i quali nel processo si
vendicarono senza un ritegno, è da ricordare che egli venne precisamente
accusato per un discorso tenuto ai tumultuanti, onde evitare maggiori
eccessi, a preghiera caldissima e quasi per imposizione delle autorità
politiche e militari del luogo.

  [DOPO I RINGRAZIAMENTI....]

Il Rao venne arrestato in Canicattì al ritorno da Castrogiovanni dove
era venuto insieme al Sindaco Avv. Falcone per prendere accordi e
consigli da me sulla condotta da seguire per iscongiurare i tumulti
temuti e di cui c'erano i prodromi.... In questi casi non si sa se
maggiormente si debba flagellare la vigliaccheria o la ingratitudine di
coloro che ringraziarono prima e poco dopo ordinarono gli arresti.[47]

Questi dati positivi sulla vera indole dell'azione spiegata dai _Fasci_
e dai più noti socialisti vengono completati da altri dati e da altre
considerazioni.

Un significantissimo elemento sulla minima partecipazione dei _Fasci_ ai
tumulti si rinviene in un documento ufficiale di singolare importanza.

Il Procuratore del Re di Palermo nel domandare alla Camera dei Deputati
l'autorizzazione a procedere contro l'on. De Felice aveva tutto
l'interesse a magnificare l'intervento nei tumulti dei _Fasci_ e del
loro _Comitato Centrale_, senza di che non ci sarebbe stato motivo a
procedere contro l'on. De Felice e contro il _Comitato_; or bene, in
tale domanda, per impressionare i deputati e indurli ad accordare la
chiesta autorizzazione non si può fare menzione dello intervento chiaro
e diretto d'altri Fasci che quelli di Terrasini, di Giardinello e di
Belmonte, tre microscopici comunelli.

  [I FASCI NEI TUMULTI]

Di quali altri _Fasci_, in tutti i processi, si riscontra la traccia nei
tumulti? degli altri di Pietraperzia, di Lercara, di Santa Caterina
Villarmosa, tutti senza capi, sciolti o in via di dissoluzione.

Allo scopo evidente di meglio colpire le vittime designate, in
Parlamento e nel processo si ingigantì la forza dei _Fasci_ pel loro
numero e pel numero di socî, che li componevano. Ma è da discutere forse
sul serio la possibilità di un moto ordinato da 160 sodalizî,--che hanno
un organo centrale e dispongono di oltre trecentomila socî--e che si
rivela in modo così tumultuario, veramente anarchico e con
manifestazioni tali che escludono l'intesa e la premeditazione, la
direzione, che avrebbe potuto e dovuto dare un organismo poderoso,
vittoriosamente, allorquando tutte le forze di resistenza mancavano,
quando le città erano sguernite di truppa e la poca che c'era figurava
come le comparse teatrali, ora quà ora là, e stanche, abbattute,
demoralizzate? Se l'intesa, la premeditazione, la direzione dei _Fasci_
ci fossero state, come spiegare la constatata azione moderatrice dei
_Fasci_ meglio organizzati e dei capi più stimati e più intelligenti?
Ma che non ci sia stata si rileva alla evidenza dalle stesse relazioni
della polizia, che rappresentano tutti o almeno i principali documenti
dell'accusa. È il questore Lucchese, _il deus ex machina_ dei processi,
che narra la discussione,--durata otto ore!--tra i membri del _Comitato
Centrale_, sei dei quali insistevano perchè si facesse un manifesto per
raccomandare la calma, ed uno solo, il De Felice, propendeva per
l'azione rivoluzionaria. E il Procuratore del Re nella citata domanda di
autorizzazione a procedere per aggravare la responsabilità del De
Felice, si vale della narrazione del questore Lucchese. Dalla quale
dunque, emerge all'evidenza, che sino al momento dell'arresto dei membri
del _Comitato_ e dello inizio della reazione si deve escludere nei
tumulti di Sicilia la responsabilità collettiva dei _Fasci dei
lavoratori_, per un moto voluto e coordinato.

  [ASSOLUTA MANCANZA D'INTESA]

Da tutti i processi e da tutti i documenti risulta, infine, che nei
movimenti mancarono le armi, mancò il denaro, mancò l'accordo, mancò
l'impronta di un capo, di una qualsiasi direzione...

Tutte queste osservazioni vengono meglio illuminate e corroborate dallo
studio delle cause dirette e immediate, e del sorgere dei _Fasci_, e
delle tumultuose dimostrazioni dei contadini; lo studio è stato fatto
nei suoi particolari dagli avversarî dei _Fasci_, da coloro anche
ch'erano preposti ufficialmente a reprimerne le manifestazioni più o
meno legali.

  [LA FAME LEGALE]

È l'on. Marchese Di San Giuliano che scrive: «Coloro, che sostengono
non essere il disagio economico la causa precipua dei disordini in
Sicilia, osservano che finora i più gravi sono accaduti nelle provincie
di Trapani e di Palermo, che non sono tra le più povere e le più
colpite dalla crisi; ammetto che per questo o quel comune, possano aver
prevalso altre cause locali, ma per la provincia di Palermo è bene
notare che essa ha dato nel 1892 un contigente di 5929 persone
all'emigrazione permanente e di 1585 all'emigrazione temporanea,
mentre che non l'aveva dato che di 870 all'una e di 138 all'altra nel
1885, il che autorizza a conchiudere che anche in quella provincia sia
avvenuto un notevole peggioramento economico. In Provincia di Trapani
l'emigrazione permanente, nel 1892, fu di sole 337 persone, ma di
queste 105 appartengono al Comune di Gibellina, dove i disordini sono
stati tra i più gravi: ed è stato ucciso il pretore.»[48] A questo mi
permetto aggiungere che anche Caltavuturo dette un grande contigente
all'emigrazione, che la condizione economica della provincia di
Palermo e di Trapani poteva considerarsi buona prima della crisi
vinicola ed agrumaria; e che la emigrazione--come diceva R. Cobden, a
proposito di quella Irlandese: «quando deriva dalla necessità di
fuggire la _fame legale_--cioè quella che deriva dalle leggi e dalla
organizzazione sociale e non dalla naturale sterilità del suolo--non è
emigrazione, ma deportazione.»

E in modo ancora più conclusivo in favore dello assunto propostomi, lo
stesso Di San Giuliano aggiunge: «_i Fasci non sono causa, ma effetto
della grave situazione della Sicilia!_»

  [NON CE N'È FORSE ABBASTANZA?...]

Sarebbe errore, però, il ritenere che solo il dissesto economico abbia
prodotto la esplosione del 1893 e del principio del 1894; moltissimo,
forse di più come spinta diretta e immediata, vi contribuirono la
esasperazione per la iniquità delle amministrazioni comunali e le gare
vivacissime tra i partiti locali. Esaminando l'insieme di queste cause
il Cavalieri esclama: «Non ce n'è forse abbastanza per spiegarsi il
movimento dei _Fasci_?»

Che i _Fasci_ non avessero torto nelle loro domande e che i metodi
adoperati non fossero biasimevoli, almeno in un primo tempo, risulta da
testimonianze irrefragabili.

In quanto ai metodi vi sono le sentenze dei tribunali di Caltanissetta,
di Girgenti, di Trapani, di Palermo per varî processi istruiti sui fatti
di Acquaviva, di Casteltermini, di Milocca, di Siculiana, di Gibellina,
di Piana dei Greci ecc. ecc., le quali assolvendo quasi tutti gli
accusati o ritenendoli colpevoli di lievi contravvenzioni danno la prova
della leggerezza e del malanimo delle autorità politiche, che
denunziavano i pretesi reati. E quanto non contribuirono queste
persecuzioni a fare uscire i lavoratori dalle vie della legalità?

In quanto alla sostanza delle loro domande, che provocarono le
agitazioni e i tumulti si hanno testimonianze non meno autorevoli, che
le dimostrano giuste e ragionevoli.

Per la parte economica il Cavalieri giudica che anche senza appartenere
alla scuola comunista o Marxista, come questo o quello dei _Fasci_, si
può pensare che il lavoro, nella distribuzione dei prodotti, non abbia
la parte che gli spetta.

L'on. Sonnino aveva giustificato tali domande preventivamente colla
pubblicazione del libro del 1876 e più tardi, alla vigilia di divenire
ministro, colla presentazione del suo disegno di legge sulla mezzadria,
dà ragione del Congresso di Corleone, che tanto illegale gli parve da
volerne tenere conto e da mettersi in relazione diretta col suo autore
principale, Bernardino Verro. E divenuto ministro le sue viscere
continuarono a commuoversi e nella esposizione finanziaria, trovò modo
di stigmatizzare la iniquità dei dazî di consumo in Sicilia e la
necessità e il dovere di provvedere.

  [DISAGIO E ANGHERIE]

  [I RECLAMI]

Le amministrazioni comunali, infine, vennero condannate--e perciò
giustificati i _Fasci_ e le agitazioni--dalle circolari dell'on. Crispi
e del generale Morra di Lavriano ai Prefetti della Sicilia nelle quali
s'inculcava d'invitare i sindaci a mettere ogni cura nella compilazione
dei ruoli delle tasse municipali, nel ripartirle più equamente e senza
violare le leggi, nell'evitare il fiscalismo e le angherie nella
esazione, nel sorvegliare la compilazione dei bilanci, ecc., ecc. E i
prefetti e le Giunte amministrative, ch'erano stati sordi e ciechi per
tanti anni provvidero spesso--per rimangiarsi i provvedimenti
dopo--esagerarono anche chiedendo l'abolizione totale dei dazî di
consumo, imponendola contro legge, con lesione dei diritti dei terzi e
mettendo le amministrazioni nella impossibilità di provvedere alle spese
obbligatorie più indispensabili. E moltissimi municipî sordi e ciechi
anche essi, non meno e per non minor tempo dei prefetti e delle Giunte
amministrative, si destarono e accolsero i reclami delle popolazioni
stremate ed angariate ed abolirono tasse inique e accennarono di volere
rientrare nell'orbita della legalità, se non della giustizia.[49]

Questi, esclusivamente questi e non altri furono i fattori d'indole
economica, politica e sociale, che determinarono i moti di Sicilia e che
furono favoriti da altre particolari circostanze, alle quali si accennò
vagamente altrove, ma che giova esporre ordinatamente in questo punto.

  [LA TRADIZIONE RIVOLUZIONARIA]

Anzitutto, in Sicilia e sopratutto in quei luoghi che costituiscono,
secondo l'on. Crispi di oggi, la corona di spine della città di Palermo,
vi sono tradizioni rivoluzionarie nel popolo, che gli danno una energia
ed una fiducia nelle proprie forze, che mancano altrove. Queste
tradizioni hanno creato uno speciale punto di onore--anormale quanto può
esser quello che induce due _gentiluomini_ a battersi in duello per una
inezia--e tale da indurre i contadini di un luogo a ritenersi menomati
nella stima pubblica quando non avessero ripetuto ciò che gli altri
avevano fatto. Li ho sentiti io rispondere ai consigli di calma: _che
cosa si dirà di noi se non facciamo nulla quando gli altri si muovono_?
Qui c'è anche uno speciale spirito di solidarietà di cui bisogna tener
conto. Lo straordinario accentramento della popolazione e la coesistenza
negli stessi abitati degli elementi rurali e degli elementi urbani,
inoltre, fa sì che i malumori più rapidamente si diffondano e che
l'azione di contatto, che tali diversi elementi esercitano gli uni sugli
altri, agisca come lo strofinio su quei corpi dai quali si sprigiona la
scintilla elettrica. Nè m'indugio ad applicare gl'insegnamenti della
psicologia popolare per ricordare quanto più poderosa sia l'azione di
certi fattori sulle folle numerose anzichè sui gruppi sparsi e poco
considerevoli; nè quanto sia facile l'intesa tra gente che soffre degli
stessi mali, che si sente forte e che difficilmente può essere
rattenuta e sorvegliata dalle autorità governative.

  [LA DISTRIBUZIONE DELLA POPOLAZIONE]

L'influenza esercitata in ogni tempo sui moti di Sicilia dalla speciale
distribuzione della popolazione (caratterizzata dalla mancanza dei
piccoli e numerosi centri rurali, mentre i suoi abitanti in grandissima
maggioranza sono dediti all'agricoltura) mi pare che per lo passato non
sia stata abbastanza avvertita.

I tumulti scoppiano nei grossi centri rurali anzichè nelle città; nelle
file dei contadini piuttosto che in quelle degli operai e dei zolfatari,
che sebbene analfabeti hanno intelligenza più svegliata--lo constata la
Jessie White Mario--pei contatti frequenti colle classi colte; tra gli
elementi più incolti di preferenza che non tra coloro che posseggono una
istruzione qualsiasi, fosse anche appena rudimentale e limitata al più
elementare alfabetismo. L'ignoranza delle leggi, dei pericoli, delle
conseguenze di certi atti, l'ignoranza completa in tutto e per tutto fu
il vero, il grande fattore dei casi di Sicilia; di tale e tanta
ignoranza se ne ha la prova lampante nella ingenua e unanime confessione
dei feriti e degli arrestati, che affermavano sentirsi al sicuro contro
l'azione delle truppe solo perchè le loro dimostrazioni avvenivano al
grido: _Viva il Re!_ e procedevano sotto l'egida dei ritratti del Re e
della Regina, ai quali non poche volte veniva riunito un Crocefisso.

Ma chi è veramente responsabile di tanta ignoranza, la quale non può non
destare una profonda commiserazione? Il governo italiano e le classi
dirigenti, che in trentatre anni di così detto regime di libertà nulla
fecero per eliminarla, per attenuarla; proprio nulla! E dire che gli
elementi che nei primi tempi malamente rappresentarono il governo in
Sicilia, dopo averne sprezzantemente constatata la _barbarie_, fecero
intendere di volere assumere la missione d'incivilirla!

Se dall'analisi fatta risulta che nei tumulti mancò l'azione collettiva
dei _Fasci_ e si ridusse a poca cosa quella dei singoli _Fasci_--i meno
ordinati, i rurali e i più recenti--ci vuol poco a dimostrare che non è
maggiore la responsabilità dei cosidetti sobillatori e della propaganda
socialista sia pel sorgere degli stessi _Fasci_, sia per le esplosioni
dell'ira popolare.

I _Fasci_, dice il generale Corsi, in moltissimi punti non erano che le
antiche _Società operaie_, che cambiavano nome. Col cambiamento del nome
mutava forse per miracolo il contenuto antico?

  [LE GARE MUNICIPALI E I FASCI]

«E qui cade acconcio--continua lo stesso generale--il rammentare come le
gare più acerbe e costanti in questi paesi siano le municipali, poichè
quasi non v'è Comune che non sia scisso in due o più partiti non solo
avversi, ma apertamente e accanitamente nemici tra loro, i quali si
contendono per ogni modo il primato, ed _anche il beneficio_,
nell'amministrazione municipale. Ora, con questa presente agitazione è
avvenuto che questo o quel partito di Comune ha trovato molto opportuno
di giovarsi dello appoggio potente del _Fascio_ locale, il quale a sua
volta s'è gettato spontaneo, e dopo lieve spinta, nella gara municipale,
e così s'è fatto in più luoghi un imbroglio di _Fascio_ e municipio e
partito, e taluni possidenti, non dei maggiori bensì (e i Di Lorenzo di
Gibellina?), si sono messi alla testa del _Fascio_, o vi sono scivolati
dentro. Infatti i maggiorenti di quelle Società non fanno mistero della
loro intenzione di _valersene nelle lotte municipali_, dicendo, forse
persuasissimi, che lo fanno e lo faranno pel meglio del paese e quindi
dei lavoratori. Intanto anche per questo verso, il _Fascio_ diventa
arena di ambizioni ed interessi locali, di _galantuomini_ forse più che
di _picciuotti_....»

Dov'è, dunque, il socialismo come causa efficiente, diretta e immediata
dei moti di Sicilia, secondo il Comandante del XII Corpo di armata, che
del socialismo non è punto tenero? E minore ancora la sua responsabilità
risulterà uscendo dalle affermazioni vaghe e generiche e mettendo i
punti sugli _i_ come suol dirsi, cioè indicando i nomi dei capi-partito
dei paesi dove avvennero agitazioni e tumulti: ciò che oggi può farsi
senza commettere alcuna indiscrezione e senza nuocere a chicchessia
perchè i fatti sono noti e sono stati discussi innanzi ai Tribunali
militari di guerra.

  [IL SOCIALISMO NON C'ENTRA]

Ora i fatti dimostrano che il socialismo non ci aveva che vedere nei
diversi _Fasci_ di Monreale, e che quello ostentato dal sindaco Cav.
Balsano in un suo discorso, era socialismo di occasione suggeritogli dal
timore di perdere ogni popolarità e di vedersi sopravvanzato dagli
avversari. Il socialismo entrava come i cavoli a merenda a Santa
Caterina Villarmosa, e lo dichiarò il farmacista Bruno ad un capitano
dei carabinieri prima del 5 gennaio e lo ripetè il sindaco Fiandaca, suo
avversario, innanzi al tribunale militare di Caltanisetta.

E non era affatto socialista, ma un monarchico convinto ed amico intimo
dell'on. Damiani, il Vivona, avversario antico e irreconciliabile dei
Saporito a Castelvetrano; ed è assolutamente irresponsabile il
socialismo del fiero antagonismo tra i Di Loronzo e i Gerardi in
Gibellina, tra i Lafranca-Gallo e i Lafranca-Massena in Partinico, tra i
Nicolosi e i Sartorio in Lercara, tra gli Sparti e gli Scozzari in
Misilmeri, tra i Bruno e i Gallina in Santa Caterina Villarmosa...

  [LA MINA ERA CARICA]

In risposta a chi potrebbe accusarmi di mala fede perchè dalle pagine
del generale Corsi e di altri avversarî del socialismo cito soltanto
quelle che mi fanno comodo, riconoscerò che il primo assegna una parte
di responsabilità ai _sobillatori_ colla propaganda socialista; e questa
parte viene determinata con precisione in questo periodo: «il paese era
nel 1892 preparato allo scoppio come una mina carica, che aspetta la
miccia. Ora questa fu apprestata da un pugno di socialisti, giovani,
arditi, abili, agitatori di vaglia sin dal primo momento.»

E sia! Ma con ciò non rimane sempre minima, storicamente e moralmente
incalcolabile la loro responsabilità? Certo; e la certezza risulta
indiscutibile dalla larghissima sperimentazione sociale, la quale
ammaestra, che dovunque esistono le condizioni generatrici di un
fenomeno, il fenomeno presto o tardi si presenta illudendo solo gli
ignoranti o i malevoli sulla parte che rappresenta _l'ultima causa
occasionale_, la scintilla. Così, in Sicilia, nel continente italiano,
in Irlanda sempre e dovunque esistano le condizioni analoghe a quelle
che generarono le ultime manifestazioni dell'isola, le manifestazioni
non mancheranno _con, senza, o contro i Fasci; con, senza o contro_ il
socialismo.

Non c'erano i _Fasci_ e non era neppur nota la parola _socialismo_,
eppure nel 1848 in Burgio si ebbero tumulti analoghi a quelli del 1893.

  [SPERIMENTALISMO SOCIALE]

Non c'erano i _Fasci_ e non era neppur nota la parola _socialismo_,
eppure nel 1860 in mezzo all'entusiasmo e agli slanci generosi della
riscossa nazionale avvennero le cruente sollevazioni di Pace, di
Collesano, di Bronte, di Nissoria sempre al grido: _morte ai
galantuomini! abbasso li cappedda!_ E senza _Fasci_ e senza socialismo
avvennero i disordini di Canicattini nel 1865, le preparazioni dei
contadini a Villalba ed a Valledolmo, la rivolta di Grammichele nel
1876, nella quale si dette l'assalto al _Casino dei galantuomini_, che
furono presi a fucilate e più tardi la ribellione di Calatabiano al
grido di: _abbasso il municipio! abbasso le tasse! Viva il Re!_
sanguinosamente repressa della _sinistra_ riparatrice. E senza _Fasci_ e
senza la menoma conoscenza di socialismo tumultuano i lavoratori di
Favara nel 1890, e insorgono i contadini e i zolfatari di Floresta, di
Valguarnera...

L'esistenza delle condizioni opportune per esplosioni violente non era
sfuggita a nessuno, e Sidney Sonnino, prima che sorgessero i _Fasci_ e
senza che sospettasse la influenza della propaganda socialista, ne aveva
previsto la ripetizione. E Abele Damiani, non aveva mancato di
avvertire: «Non dimentichiamo che in tempo di rivoluzione furono
specialmente i contadini, i quali assalirono i possidenti nelle persone
e ne danneggiarono le possidenze: il 1848 e il 1860 segnano due epoche
terribili di manifestazioni popolari; in alcuni comuni dell'isola si
ebbero a deplorare _fatti di sangue, vendette, incendî di archivi
pubblici_ da parte di una moltitudine oppressa, ubbriaca, nell'intento
di vendicare _l'onta della miseria patita a causa dell'odiata classe dei
proprietarî_.»

Ah! perchè l'on. rappresentante per Marsala non ha ricordato questa
pagina da lui scritta all'amico suo intimissimo ed antico, Francesco
Crispi, quando con violenza e con leggerezza indegna di un uomo di Stato
egli volle accusare e calunniare i socialisti, sobillatori?

Oltrepassiamo lo stretto. Le provincie del continente napoletano
presentano il terreno adatto per questa indagine di sperimentalismo
sociale; nè riferendomi a tali regioni intendo ricordare i contemporanei
moti di Ruvo, di Corato, ecc. che si può supporre essere stati
determinati da contagio psichico il quale pure non è efficace se non
dove esistono le favorevoli opportune condizioni. Mi riporterò invece
alle diverse fasi del brigantaggio ed alle altre esplosioni dell'odio di
classe, che hanno preceduto le siciliane e che riconoscono cause
perfettamente identiche.

  [DAL '48 AL '93]

Furono i _Fasci_ e la propaganda socialista, che li determinarono? Ma il
socialismo non era ancora nato e nel secolo scorso--si può apprenderlo
dalle opere insigni di Winspeare e di Nicola Santamaria sul
_feudalismo_--nel campo stesso dove si svolse il brigantaggio si ebbero
scene e manifestazioni perfettamente analoghe a quelle ricordate per la
Sicilia dal 1848 al 1893.

  [LE PAROLE DEI MODERATI]

Credo di avere già citato sulle cause e sul significato del brigantaggio
dal 1860 in poi i discorsi di Giuseppe Ferrari, i quali, mutati i nomi,
si crederebbero pronunziati pei moti di Sicilia, devo aggiungere che
tutte le discussioni parlamentari del 1863 e 1864 e particolarmente la
relazione e un discorso del Massari e un altro del Castagnola riescono
alla stessa conclusione: «il brigantaggio è la protesta selvaggia e
brutale della miseria contro antiche e secolari ingiustizie.» Sono
parole del moderatissimo Massari e pronunziate quando della sincerità di
certe oneste dichiarazioni dei _moderati_ non si poteva dubitare, perchè
essi erano al potere e non avevano bisogno di ostentare sensi umanitarî
o democratici per fare la critica degli avversarî.

Pasquale Villari nelle sue splendide _Lettere Meridionali_, riassunse
coll'usata sua acutezza tali discussioni, che deve rileggere chiunque
voglia ora giudicare rettamente su i casi di Sicilia e apprendere pure
di quanto gli uomini di ordine e di governo di allora fossero superiori
a quelli di oggi.

Posteriormente c'è stato un altro scrittore, che è ritornato sullo
stesso argomento ed ha raggruppato i fatti e le considerazioni in guisa
tale che meravigliosamente si adattano agli ultimi avvenimenti della
perla del Mediterraneo.

Vale la pena di arricchire questa collezione di documenti con i seguenti
brani del Turiello: «Il feudalismo lasciò più viva che altrove
nell'Italia meridionale la differenza _fra la plebe_.... Il bilanciarsi
più o meno velato dell'autorità regia, tra la plebe e la borghesia,
rimane la chiave dei rivolgimenti napoletani di tutto il periodo corso
dal 1806 al 1861, quando il brigante Crocco a Menfi, seguito da
migliaia di villani per l'ultima volta tentò la restaurazione
borbonica!......

  [LA LOTTA TRA LE CLASSI]

«Alle rumorose sollevazioni sociali in veste politica, che seguirono dal
1806 in poi, sotto nome di brigantaggio, bisognerebbe aggiungere, per
intendere la condizione reale della _opposizione dei due ceti_ in molte
delle nostre campagne, la ricerca e l'enumerazione minuta _d'infiniti
casi di sollevazioni locali di contadini, a fin di dividersi terre
controverse, in ogni periodo in cui parve meno vigorosa in queste
provincie l'autorità dello Stato_.»

«Il grosso brigantaggio tra il 1864 e il 1866 venne meno. _Ma le cagioni
della lotta feroce non iscemarono di poi_, se non qua e colà dove
scemarono con i popoli gli odî delle campagne per la cresciuta
emigrazione.... E, installato un nuovo ordine di cose, il voluto regime
di libertà, il feudalismo di _nome_ fu abolito nelle provincie
meridionali, ma non di fatto. Le condizioni dei lavoratori pessime e
vivissima _la lotta aperta_ o _l'antagonismo latente tra le classi_.

«Nè mancarono _manifestazioni delittuose collettive_ negli ultimi tempi,
quando non esisteva più il vero brigantaggio.--_Incendî numerosi ed
estesi, uccisioni di bovi_ avvennero nel 1877 negli Abruzzi e nel
Salernitano, in odio _a ricchi proprietari_ spesso usurpatori di terreni
comunali... Altrove, come in un comune di Basilicata, i contadini si
sono confederati in setta di mutuo soccorso per false testimonianze,
sempre benevole al proprio ceto in caso di liti coi possidenti, per
offese private o per quistioni demaniali....»

E perchè ciò? Perdio, come dice il Franchetti, gli abbienti delle
Calabrie e della Basilicata _sono oppressori disonesti senza averne
coscienza_...

  [UN PARALLELO CON L'IRLANDA]

C'è di meglio ancora; c'è un isola che più volte si è paragonata alla
Sicilia: l'Irlanda. Nell'isola verde la lotta dura da un secolo; le
dimostrazioni, i tumulti, le intimidazioni da un secolo vi si alternano
colle repressioni violente e colle leggi eccezionali: lo stato di
assedio vi fu proclamato _cinquanta volte_ in novantanni circa e sempre
inutilmente!

Perchè ciò? Riassumo un lato delle condizioni dell'Irlanda colle parole
di un conservatore: del Fournier. I contadini vi sono miserabilissimi,
irregolarmente impiegati e male pagati dai fittaiuoli..., le loro
abitazioni consistono in un sol vano, che serve al tempo stesso per
preparare gli alimenti e per dormire--come in Sicilia. Molti dividono
l'abitazione colle bestie da soma, col porco, col pollame--come in
Sicilia. Tali abitazioni sono appena chiuse; qualche volta non hanno
vetri alle finestre; un foro nel tetto lascia passare il fumo--come in
Sicilia. Sono malvestiti e male forniti in quanto a letto e ad utensili
domestici--come in Sicilia. Le relazioni dei fittaiuoli coi contadini
sono molto tese e i primi si mostrano più arroganti dei membri
dell'aristocrazia--come in Sicilia: sempre!

Il Fournier continua: «Il contadino irlandese sa ch'egli è il più male
alloggiato, il più mal vestito, il più mal nutrito dell'Europa
occidentale ed insorge contro questa situazione.... Su questo popolo
eccitato dalla miseria e dalle privazioni, dal timore e dalla collera
gli _agitatori_ hanno buon giuoco....»--come in Sicilia.

  [LE PROTESTE]

E come in Sicilia i tumulti si succedono con vertiginosa rapidità e vi
si formano associazioni ora legali ora segrete e criminose, che spesso
si sostituiscono al governo e dal governo sono più temute e più
rispettate. Sorgono perciò i _fanciulli bianchi, il ribbonismo, i
molly-maguyr, i feniani_, la _Land league_. Alcune di queste
associazioni, specialmente quella dei _molly-maguyr_, per gli statuti,
pei principi, per la esplicazione criminosa della loro azione si
rassomigliano maravigliosamente alla _mafia_.

Vediamo che cosa fa la più legale e la più celebre di quelle
associazioni: La _Land-league_ col suo Re senza corona, Parnell.

Siamo nell'autunno del 1880. Tutte le domeniche in sette o otto punti
dell'Irlanda, le popolazioni si affollano attorno ad un palco
improvvisato; ogni villaggio arriva preceduto da un corpo di musica e da
bandiere, sulle quali stanno gli emblemi dell'Isola Verde. Chi in questo
non riconosce le passeggiate dei Fasci coi gonfaloni e colle fanfare da
un paese all'altro?

A chi quella folla attorno un palco non richiama alla memoria i discorsi
che hanno suscitato tanta ira e tanta indignazione nei conservatori e
nei progressisti d'Italia?

Sin qui la rassomiglianza; ma ad un certo punto la _Land-league_ si
spinge ad atti collettivi e continuati, cui non giunsero i _Fasci_.

  [LA RESISTENZA DELLA LAND-LEAGUE]

Infatti la _Land-league_, che ha la sua gerarchia, i suoi comitati, il
suo bilancio, la sua cassa rifornita continuamente dalle generose
contribuzioni degli Irlandesi degli Stati Uniti, organizza la
resistenza multiforme contro il governo e contro i grandi
proprietari--i _land-lords_.

I _land-lords_ non possono più esercitare i diritti che l'_atto_ del
1870 loro lasciava; essi non esigono più i fitti, sia perchè gli
affittaiuoli non possono pagarli, sia perchè non lo vogliono sembrando
loro esorbitante. Se i proprietari tentano procedere ad un sequestro o
di fare eseguire un decreto di espulsione la popolazione si ribella ed
occorre il concorso della fanteria e della cavalleria per proteggere le
esecuzioni.

Quando la espulsione è stata effettuata e la terra rilasciata, la
_land-league_ impedisce ad altri contadini di prenderla e tanto
l'amministratore, che ha provocato l'espulsione quanto gli affittaiuoli
che contravvengono alla proibizione della _land-league_ vengono
_boicottati_, cioè trattati come gli scomunicati dei secoli scorsi,
messi all'ostracismo: persino i bottegai negano loro di vendere le
mercanzie e gli operai il lavoro.

Talvolta la vendetta popolare non si arresta a questo, ma perfino la
notte vengono visitati da persone armate e mascherate; vengono
minacciati con lettere anonime o a viva voce e così lo spavento si
spande dappertutto perchè le minacce vengono seguite dai fatti:
dall'incendio e dall'assassinio. In tempi ordinarî la giustizia colpisce
i rei; ma è impossibile procedere contro una intera popolazione. Perciò
in Irlanda o per amore o per timore i contadini diventano complici dei
reati agrari; non si trovano testimoni a carico degli accusati e su 155
reati constatati non si poterono colpire che 32 persone. Così la
giustizia criminale viene paralizzata in una alla civile per opera della
_land-league_.

Un ultima osservazione per coloro che ignorano la storia dell'Irlanda:
il socialismo in massima fu estraneo alla nascita di tutte le
associazioni irlandesi, nelle quali predominò invece il sentimento di
razza e l'antagonismo religioso: i cattolici irlandesi di origine
celtica non si seppero mai rassegnare al giogo dei protestanti inglesi
di razza anglosassone.

  [LE STESSE CAUSE DANNO GLI STESSI EFFETTI]

Il parallelo tra l'Irlanda e la Sicilia potrebbe essere continuato e
riuscirebbe oltremodo istruttivo nella parte politica; ma ciò mi pare
che basti per dimostrare che senza il menomo intervento del socialismo
le stesse cause hanno prodotto gli stessi effetti che in Sicilia. In
Irlanda e in Sicilia riescono gli _agitatori_ perchè il terreno è adatto
e fatalmente devono sorgere con qualunque nome e sotto qualunque
bandiera.

A coloro che per ignoranza o per malafede non sanno scorgere nei
tumultuosi fenomeni sociali che la mano di sobillatori ripeterò le
parole dell'arguto Gian Luigi Courier: _les vrais sèditieux sont ceux
qui en trouvent partout_.

  [GLI ECCITAMENTI NELLE RIVOLUZIONI]

Questo mio modo di vedere è il prodotto della sincera convinzione che
mi sono andato formando colla osservazione dei fatti; nè la enuncio
ora per comodità di difesa di amici politici e di avvenimenti ad essi
voluti intimamente connettere, ma la manifestai, ampiamente e in
termini identici, dieci anni or sono quando ero ben lungi dal prevedere
le dolorose contingenze odierne. Allora riportai un caratteristico brano
del Montchretien--uno scrittore francese del secolo XVII--e
nell'occuparmi dei rapporti tra rivoluzione ed evoluzione conchiusi con
queste parole, che tornano più che mai opportune adesso: «Gli scoppi, i
cataclismi non avvengono per gli eccitamenti di coloro, che la
rivoluzione predicano come una teoria, come unico mezzo di salute. Essi
da soli, colla decisa _intenzione_ di provocarla, non approderebbero
all'intento, quando anche fossero assai più numerosi di quel che sono,
se altre condizioni determinanti non esistessero. Non si designino
quindi alla pubblica esecrazione e non si rendano responsabili di
avvenimenti, che si svolgono indipendentemente dalla loro volontà!»[50]


NOTE:

[47] Mi consta con sicurezza che iniziato il periodo della reazione le
autorità militari dell'isola volevano ad ogni costo farmi arrestare.
Devo la libertà a qualche eminente magistrato; ed io che ho sentito e
sentirò il dovere di biasimare la magistratura in più occasioni, sento
per questo l'obbligo di manifestare pubblica e sincera riconoscenza.

[48] _Le condizioni_ ecc., p. 80. Erra di gran lunga il Di San Giuliano
quando afferma che le condizioni della provincia di Catania sono le più
tristi, poichè assai peggiori sono quelle del resto della Sicilia.

[49] Abolirono tasse locali, le ridussero, soppressero alcune spese
facoltative nei primi di Gennaio 1894 i municipî di Marsala, Trapani,
Canicattì, Gibellina, Misilmeri, Termini-Imerese, Cefalù-Diana,
Castrofilippo, Gratteri, Ravanusa, Casteltermini, Montevago, Aragona,
Menfi, Cinisi, Bisacquino, Vita, S. Biagio-Platani, Piazza-Armerina,
Carini, Santa Ninfa, Castellammare, Ribera, Sambuca-Zabut, Aidone,
Modica, Chiaromonte-Gulfi, Francofonte, Francavilla, S. Giovanni-Gemini,
Calatafimi, Villarosa, Licata, Caltanissetta, Resuttano, Alimena,
Collesano. Villafrati, Lercara, Malvagna, Ciminna, Baucina, S.
Mauro-Castelverde, Valledolmo. La lista è tutt'altro che completa e
sarebbe assai istruttivo che lo fosse e fossero note le concessioni
fatte in seguito ai tumulti.

Avverto che in generale la stampa di tutta Italia non si è ingannata
sulle cause che generarono i tumulti siciliani. A Roma il _Fanfulla_,
_l'Opinione_, _il Diritto_ le esposero sommariamente ed esattamente.
Vanno poi specialmente ricordati per onestà e precisione d'informazioni:
_Il Secolo_ e il _Corriere della sera_ di Milano, _Il Resto del Carlino_
di Bologna, _La Tribuna_, il _Messaggero_ e _Il Popolo Romano_ di Roma.
A questi giornali, ai loro direttori e corrispondenti va data una
sincera parola di lode.

Il La Loggia ha fatto una diligente statistica delle cause che
determinarono le principali dimostrazioni e i tumulti da gennajo 1893 a
gennajo 1894, che mi pare importante riprodurre dal _Giornale degli
Economisti_ (marzo 1894): divisione demanii comunali 1, cause politiche
2, tasse locali 48, patti agrarî 7, patti minerarî 1, prepotenze
amministrative 2, prepotenze di autorità politiche 4, mancanza di lavoro
1, contratto di lavoro 1.

[50] N. Colajanni: _Il socialismo_. Catania 1884--p. 350 a 352 e 393.



XIX.

LE RESPONSABILITÀ


_c)_

IL GOVERNO

Al generale Corsi, che paragonò la Sicilia a una mina già preparata da
secoli alla quale i _Fasci_ e gli agitatori socialisti diedero fuoco, si
può rispondere, che più veramente la parte di miccia la fece proprio il
governo.

Infatti, la responsabilità del governo è immensa; antica e recente;
diretta e indiretta; positiva e negativa. Su quella, antichissima, che
si deve considerare come vera opera di preparazione, non ritornerò,
risguardando essa la formazione dell'insieme di quelle condizioni
sociali descritte avanti; nè ripeterò ciò che venne esposto
relativamente alla provocazione, la quale rappresenta una fase più
recente.

  [I RAPPRESENTANTI DEL GOVERNO]

Il governo è responsabile per la sua azione diretta e che fa capo a
Roma, e ancora di più per quella dei suoi rappresentanti locali, ora
disonesti ora inetti--partigiani sempre--contro ai quali gli uomini
più eletti dell'isola protestarono in ogni tempo invocandoli migliori.
Di quanto fecero i prefetti e la polizia risponde il governo centrale,
non solo per le ragioni che derivano dallo stesso regime parlamentare,
ma ancora di più per la impunità che quello ha voluto sempre concedere
ai suoi subalterni, e per l'incoraggiamento dato al malfare coi
premi e le promozioni in ragione diretta della audacia mostrata nella
violazione delle leggi e di quei principi fondamentali, che--anche se
non regolati esplicitamente da leggi speciali, come vorrebbe lo Statuto,
e come sarebbe il caso quanto al diritto di associazione e di
riunione--dovrebbero pure far parte del diritto pubblico di un paese,
che creda di vivere sotto il libero regime rappresentativo.

  [L'IMPUNITÀ DELLE CLASSI DIRIGENTI]

La responsabilità di questa ultima fase di esplosione che ricade sul
governo per l'inettitudine e per l'imprudenza dei suoi agenti potrei io
dimostrare con molti esempi. Mi limito solo ad accennare a quel tal
delegato di Racalmuto, il quale medita stupidamente ed eseguisce una
aggressione illegale contro una folla di un migliaio di cittadini,
avendo _due soli_ carabinieri e ch'è premiato, di poi, per essersi
ecclissato nel momento critico del pericolo; e al delegato di
Valguarnera che ordina ad altri due carabinieri di far fuoco contro un
assembramento di parecchie migliaia di persone già eccitate; e faccio
anche menzione di quel Prefetto di Trapani, che perdette del tutto la
bussola appena ebbe notizia dei primi tumulti, rimanendo in balia degli
eventi come fece il suo collega di Napoli nell'agosto del 1893: e di
tanti altri funzionarî di polizia--specialmente della provincia di
Caltanissetta--che si sono chiariti di una inettitudine superlativa
nella ricerca di delinquenti e nella repressione del delitto, ma
audacissimi nel denunziare come _pericolosi_ i più onesti e pacifici
cittadini, e che pur sono stati premiati più volte nonostante il
contrario avviso della magistratura.

Infine, il governo è responsabile quale organo delle classi dirigenti
per quello che fece e per quello che lasciò sempre fare ad esse
impunemente; responsabilità grande, che viene riassunta dal generale
Corsi con questo tratto breve ed efficace: «i più moderati dei
sommovitori _non potevano fare a meno di pensare_: il governo e i
gaudenti _promettono e dormono_; bisogna scuoterli, costringerli col
coltello alla gola.» (p. 371). E davvero, come non scorgere tutta la
efficienza che doveva venire dalla radicata e ben fondata convinzione
che nulla c'era da sperare colle buone e colle vie legali dal governo e
dalle classi dirigenti?[51]

  [L'ALTO SENNO DELL'ON. GIOLITTI]

Quando si perviene alla vigilia della esplosione ed entra in iscena
maggiormente l'on. Giolitti, corre il debito di dichiarare, che la
situazione in Sicilia era assai cattiva; ma egli, che doveva risuscitare
la bandiera sfatata della _sinistra_ con tutte le sue colpe e con tutti
i suoi errori, ebbe il merito speciale di renderla addirittura pessima
con tutto quel periodo di provocazione.

Egli peggiorò tutti i cattivi metodi di governo mettendo a disposizione
dei deputati--divenuti tanti proconsoli in cinquantesimo--prefetti,
delegati, ed anche magistrati! ed ottenendo, però, un risultato
insperato e insperabile per altri titoli: una fedeltà, cioè, a tutta
prova nei rappresentanti dell'isola, che coprirono e legittimarono ogni
loro voto di fiducia in nome della sacrosanta ricostituzione dei partiti
e della risurrezione della _sinistra_... fatta da uomini che erano stati
i promotori e i campioni del _trasformismo_.

Avvenuta poi la tragedia di Caltavuturo, la cecità e la persistenza del
governo negli antichi metodi, e la mancanza completa di opportuni
provvedimenti divennero assolutamente criminose.

Ciò che c'era da temere, ciò che poteva verificarsi si era veduto coi
fatti: Caltavuturo non fu che un primo sintomo di uno stato generale.

Era urgente provvedere allora e riparare; mostrarne almeno l'intenzione.
Finalmente, gli avvisi, gli allarmi, le grida di gioia degli uni e di
paura degli altri rompono l'alto sonno dell'on. Giolitti; ed ecco il
governo cominciò ad accorgersi che in Sicilia c'era del fuoco
serpeggiante che minacciava di propagarsi--assurgendo alle proporzioni
di un grande incendio--e si avvide che questa ipotesi del fuoco sotto
la neve non era un'immagine poetica, cui si prestava l'Etna maestosa e
fumante, ma una realtà. Ma pure allora il Presidente del Consiglio non
si svegliò del tutto: sbadigliò, e sbadigliò da vero ministro di polizia
dei passati regimi, non sapendo vedere al di là della superficie e
credendo che con semplici brutali repressioni la si potesse fare finita.

  [UNA INSANA CONFUSIONE]

In Sicilia c'era una quistione di malandrinaggio di cui s'era occupato
ripetutamente il Parlamento e la stampa; c'era la quistione sociale di
cui i _Fasci_ erano una fioritura parziale; e l'una e l'altra
preoccupavano i grandi proprietarî e le classi dirigenti. L'on. Giolitti
credette dare un colpo da maestro confondendole e giudicando che i
_Fasci_ non fossero che una speciale manifestazione del malandrinaggio e
nella sua alta sapienza commise di studiare la quistione sociale al
direttore generale della Pubblica Sicurezza. Così facendo--confondendo
il moto sociale colla manifestazione criminosa--credette d'infangare il
primo per discreditarlo, senza però d'altra parte nutrire la speranza di
fare scomparire la seconda, che dalla insana confusione non poteva che
ricevere incremento.

E per giudicare insana tale misura mi appello all'on. Di San Giuliano,
che pur avendo fatto parte del gabinetto dell'on. Giolitti onestamente
riconobbe: «che il peggioramento delle condizioni della pubblica
sicurezza non è un effetto della propaganda, cui si devono i _Fasci_, ma
tanto il successo di questa propaganda e i disordini che ne conseguono,
quanto l'aumento dei furti e delle grassazioni sono effetti simultanei
del disagio economico.» (op. cit. p. 14).

Il generale Corsi alla sua volta fece questa speciale e preziosa
osservazione: «del moto dei _Fasci_ rimasero quasi affatto immuni i
circondarî di Cefalù e Mistretta, _quelli appunto ch'erano in maggior
sospetto di malandrinaggio_.» (p. 366).

  [LA MISSIONE DEL SENATORE SENSALES]

Il senatore Sensales, pei suoi precedenti e pel posto che occupava, era
certo il meno adatto di tutti a conoscere i mali e a suggerire
confacenti rimedî.

Del resto, il direttore generale della Pubblica Sicurezza non mostrò
alcuna intenzione di studiare e conoscere; percorse rapidamente l'isola
da Palermo a Messina, sentì i prefetti, si fece ossequiare alle stazioni
ferroviarie _per un minuto_ dai delegati suoi dipendenti, non chiamò
notabili, non chiamò e non volle sentire gli oppressi. A Corleone
soltanto--forte della coscienza del proprio retto operato--il Presidente
del _Fascio_, B. Verro, si presentò da sè al Sensales per sottoporgli le
doglianze e le ragioni, veri _cahiers_, dei lavoratori della propria
regione. Onde il Direttore della pubblica sicurezza nulla vide, nulla
apprese, che non avesse potuto sapere dai rapporti dei suoi dipendenti.

Quale fu, dunque, la sua missione; quale la sua opera?

Eccola: in una delle brevi soste del suo rapido e trionfale viaggio, a
Girgenti--siamo già in ottobre, proprio alla vigilia dello scoppio--egli
scopre «che alla fin fine miseria ce n'è stata sempre e ce n'è
dappertutto; che i _Fasci_ non raggiungerebbero lo scopo
politico-sociale cui miravano e sarebbero stati sciolti con mezzi che
non poteva rivelare.»

Non rivelò i mezzi arcani, ma li lasciò intravvedere ai suoi intimi o
almeno parlò loro un linguaggio così equivoco da farlo interpretare in
questo modo:

Persecuzione agli elementi migliori dei _Fasci_ in modo che questi si
sciogliessero spontaneamente, risparmiando al governo l'odiosa
illegalità di scioglierli esso stesso. E la parola d'ordine data, pare
che sia stata altrettanto semplice: _arrestare in qualunque occasione e
per qualunque pretesto_!

E se non fu data in questa forma brutale la istruzione draconiana, i
subordinati così ebbero ad intenderla e così la eseguirono.

  [N'È DERIVATO...]

Vi furono funzionari onesti e vergognosi dell'opera che compivano, i
quali da me rimproverati aspramente, mi confessarono con sincerità che
essi eseguivano gli ordini dei superiori _arrestando ad ogni minima
occasione, processando con ogni pretesto_! E ciò l'indomani del viaggio
dell'on. Sensales. Il quale viaggio viene annunziato dal generale Corsi
così: «l'infelice governo centrale mandò _un alto funzionario_
(siciliano) a vedere come stessero le cose. _N'è derivato...._» (p.
336).

I reticenti puntini sono del generale Corsi, che interrompe bruscamente
i propri commenti e che lascia comprendere chiaramente che a proposito
della missione del senatore Sensales e dei suoi risultati molte cose
brutte sa e vorrebbe dire, ma non può.

Perchè si giudichi dell'effetto morale che poteva fare il contegno
equivoco e misterioso del senatore Sensales bisogna esporre questi
tratti del carattere dei siciliani quali li riferisce lo stesso
generale Corsi: «Il siciliano ha bisogno di espansione, di franchezza,
di verità.--Andategli a viso aperto colla verità, ed egli, foss'essa
anche una condanna, vi si sottomette. Fategli comprendere
l'inesorabilità di certe cose, e a lui basta questa sincerità.--Insomma
coi Siciliani non bisogna adoperare sotterfugi, scappavie o che so
io;--no, bisogna dir tutto e mantenere sia in bene che in male..... Se
potete accordate; se non potete non andate per le lunghe, ma dite chiara
e tonda la ragione.» (pag. 273).

La sapienza di governo dell'on. Giolitti non si limitò all'invio del
senatore Sensales, che serbò il contegno meno adatto ad inspirare
fiducia agli isolani; andò oltre, e continuando nell'applicazione del
criterio che tutto dovesse ridursi a reprimere brutalmente il
malandrinaggio creò le _zone_ e _sotto-zone_ militari.

  [IL REGNO DELLA SCIABOLA]

L'impressione di quest'altro provvedimento fu penosa; ci fu la delusione
in coloro che giustamente attendevano misure economiche e riparazioni
politiche e amministrative; ci fu la paura in quanti ricordavano i fasti
militari di altri tempi--paura, che si accrebbe quando corse la voce che
sarebbe stato mandato il generale Baldissera a domare ed incivilire
l'isola--certo, _more Livraghi_--ci fu in tutti lo accasciamento per la
ribadita convinzione che il governo era e voleva continuare a mantenersi
su di una falsa strada. Che la impressione fatta da tale provvedimento
sia stata realmente penosa sulla generalità si rileva dalla cura del
generale Corsi nel volerla dileguare e nel trovarla ingiustificata.
Egli narra, all'uopo, episodî e giudizi, che mirano a provare che il
_regno della sciabola_ non è così terribile e temibile come si crede e
che molte volte fece savia opera di pace: ed io che del militarismo sono
avversario irreconciliabile sento il dovere di dichiarare che in molte
occasioni ho trovato le autorità militari di gran lunga superiori, per
tatto e per cuore, alle autorità civili; ma ciò non ostante, a torto o
ragione, l'impressione non fu buona per quella misura del governo, che
senza distrurre il malandrinaggio, accrebbe le diffidenze, le antipatie,
i malumori.

  [L'ATTITUDINE DEL GOVERNO]

La insipienza e la malevolenza del governo non risultava soltanto dai
provvedimenti succennati, che avrebbero potuto essere spiegati in senso
favorevole se accompagnati da buoni propositi, ma dalla sua attitudine
di fronte all'azione dei _Fasci_, durante tutto il 1893: e di fronte ai
municipi, dall'ottobre al dicembre dello stesso anno: poichè se verso i
primi si chiariva schiettamente reazionario, la debolezza unita
all'arbitrio verso i secondi non poteva servire che d'incoraggiamento al
tumulto, alla violazione della legge dal basso contemporaneamente alle
violazioni dall'alto.

Invero l'indole dei reati attribuiti dalle autorità ai così detti
sobillatori e ai _Fasci_, e i pretesti che dettero occasione allo sfogo
della loro libidine di arbitrî durante il periodo della provocazione,
furono tali che giustificano l'avere considerato la loro azione come
essenzialmente provocatrice ed iniquamente partigiana.

Si esagerarono a bella posta alcuni fatti, e della esagerazione dà la
prova il Generale Corsi, che scrive: «in sostanza l'_Inferno_ a cui s'è
ridotta la Sicilia è un inferno assai tollerabile, a vederlo da presso,
_senza paura e senz'odio, senza il maledetto spirito di parte_. Nè tutto
il male che si poteva e si voleva fare dagli scioperanti fu fatto;
gl'incendî delle pagliaie e dei fienili non furono molti, non moltissimi
gli abigeati, i guasti ai colti non frequenti nè grandi; gli armenti non
furono abbandonati alla campagna dai pastori, come si diceva che sarebbe
avvenuto; dei campieri non fu fatta strage; i lavoratori chiamati da
altre parti da alcuni proprietari non furono costretti a cessare il
lavoro...» (_Sicilia_, p. 337 e 338).

  [LO SCIOPERO PRETESTO DI ARBITRII]

Il pretesto più ordinario agli arresti e agli arbitrî innumerevoli
perpetrati sotto il ministero Giolitti,--o contro i _Fasci_
collettivamente o contro i singoli membri--venne somministrato dallo
sciopero e dai suoi naturali inconvenienti. Questi inconvenienti, che
ogni giorno si constatano ancora e in maggior misura in Inghilterra, in
Francia, in Germania, negli Stati Uniti, dove agiscono masse di operai
colti, educati alla vita pubblica e che hanno da lungo tempo adoperato
questo mezzo--riconosciuto legittimo da conservatori e da economisti
liberisti--per migliorare la propria condizione economica col rialzo dei
salari, dovevano esser guardati con benevolenza dalle autorità perchè si
sperimentavano nell'agitazione legale intrapresa per la prima volta dai
lavoratori della Sicilia, incalzati dal bisogno assoluto ed urgente di
migliorare la propria condizione.

  [QUEL CHE SI FECE IN INGHILTERRA]

Quando si pensa ai tumulti, che caratterizzarono il periodo del
_luddismo_ in Inghilterra--durante il quale si devastarono e
incendiarono fabbriche e macchine in considerevole quantità--mentre
infieriva la reazione dell'_ultra-torismo_ sotto la influenza della
_Santa Alleanza_, che facevasi sentire anche al di là della Manica;
quando si riflette alla violenza delle dimostrazioni del _cartismo_
nella stessa Inghilterra e agli eccessi, alla intolleranza, alle
persecuzioni, al _boicottaggio_ delle _Trade Unions_ contro i lavoratori
che non ne facevano parte e non le seguivano nelle lotte contro i
padroni e contro il capitalismo; quando si pensa ai cosidetti _delitti
di Sheffield_ e agli altri, che vennero in luce col processo di
Manchester; quando si pensa alla violenza ed ai mezzi brutali, adoperati
dagli unionisti contro gli operai non associati, che dai primi vengono
chiamati sprezzantemente _blacklegs_ e _scabes_ e di cui si ebbero
numerosi esempi, dopo il 1889, negli scioperi di Londra, di Liverpool,
di Cardiff, di Southampton, di Manchester ecc., quando si pensa infine
che gli operai inglesi delle _Unioni_--in un loro congresso a Liverpool
nel 1890--hanno sinanco chiesto che venisse loro riconosciuto come un
_diritto_ il cosidetto _Picketing_, cioè l'organizzazione di pattuglie
destinate a prevenire ed arrestare gli operai, che si portano al lavoro
in tempo di sciopero! e si paragona tutto ciò alle poche violenze
commesse dai poveri lavoratori della Sicilia si può comprendere la
differenza enorme tra il governo inglese e il governo italiano a tutto
danno e disonore del secondo, la cui condotta non può e non deve
considerarsi conforme ad un libero regime.

  [NEGLI STATI UNITI]

Se il paragone tra l'attitudine del governo inglese di fronte a violenze
delle _Trade Unions_--cento volte superiori a quelle dei _Fasci_--e
quella del governo italiano riesce disonorevole pel secondo, lo stesso
paragone non può nemmeno porsi con quello degli Stati Uniti dove
rimasero celebri le violenze di Pittsburg--che sono contemporanee perchè
ci sia bisogno di ricordarle--e gli eccessi e i pericoli della marcia
dei disoccupati di Coxey sopra Washington, i diversi scioperi dei
_Cavalieri del lavoro_ e l'ultimo veramente gigantesco dei ferrovieri di
Chicago, dell'Illinois e di gran parte della California. Nè si dica, che
anche il governo della grande repubblica americana ha dovuto ricorrere
alla repressione, perchè le cagioni e i limiti della medesima non hanno
affatto che vedere con ciò che avvenne in Sicilia. Al Coxey--che mette
in pericolo lo Stato e marcia con migliaja di uomini, che assaltano i
negozî e i treni ferroviarî e all'occorrenza incendiano e
distruggono--quando arriva a Washington, non viene contestato il diritto
di dimostrare nei modi cennati, e questi modi non gli vengono addebitati
come reati, ma viene processato per una contravvenzione ridicola e
condannato a... _quindici giorni_ di carcere. Bernardino Verro per fatti
di importanza infinitamente minori e nei quali non ci fu la sua
partecipazione nè diretta, nè immediata perchè si svolsero in Lercara,
nella sua assenza, venne condannato a _sedici anni_ di reclusione.
Debbs, l'organizzatore dell'ultimo sciopero ferroviario--che ha prodotto
danni per molti milioni e le cui schiere si sono abbandonate a violenze
inaudite venne processato ed arrestato, ma immediatamente rilasciato in
libertà sotto cauzione, ai sensi di legge. Ai disgraziati contadini di
Milocca, accusati d'avere sparso un mucchio di concime--un atto che
nemmeno costituisce reato e che fu dichiarato inesistente--si nega la
libertà provvisoria e sono costretti a godersi molti mesi di carcere
preventivo. E così potrebbe dirsi di cento altri casi.

A chi volesse sostenere che i lavoratori di Sicilia i quali si posero in
isciopero, commisero violenze, si può contrapporre la testimonianza del
generale Corsi, che in tutto il suo libro si mostra avversario dello
sciopero--non avendone un concetto giuridico esatto--ma che pure le
constatate _violenze contro la libertà del lavoro_ (p. 312) da leale
soldato è costretto a ridurre alle loro giuste proporzioni, ed afferma,
come s'è visto, che «_i lavoratori chiamati da altre parti da alcuni
proprietarî non furono costretti a cessare il lavoro._» (p. 338).

  [QUEL CHE FECE IL GOVERNO ITALIANO]

Il contegno, adunque, del governo rispetto all'azione principale dei
_Fasci_ fu ingiusto e partigiano; esso non rispettò neppure quella
famosa libertà nel contratto di lavoro, che in sè stessa, quando è
rispettata, non giova che pochissimo ai lavoratori, e prese a sostenere
le ragioni di una classe per ribadire la più odiosa oppressione
economica contro un'altra ch'era debole sotto tutti gli aspetti.

Il ministero Giolitti, che si era chiarito sistematicamente partigiano e
ingiusto, privo di ogni sano concetto della sua missione nel periodo
degli scioperi agrarî, si rivela di una fenomenale debolezza e trascende
ad altre violazioni della legge o le permette e le incoraggia nella fase
successiva dei tumulti, che chiameremo comunali.

Quando si accentua il moto di protesta contro le amministrazioni e le
gravi tasse locali, il governo non sa scegliere la via retta. Poteva
essere energico e previdente nel senso di ordinare subito un esame per
vedere ciò che ci fosse di vero nelle lamentanze e nelle accuse dei
lavoratori e prendere la santa iniziativa delle riparazioni; poteva pure
con altrettanta energia--se non pari equità--imporre il rispetto della
lettera della legge: e la farisaica interpretazione della legge dava
ragione a tutte le amministrazioni locali, costituite ai sensi di legge
e che legali nella loro azione si dovevano presumere se le autorità
tutrici, dalle giunte amministrative ai prefetti, le avevano lasciate in
pace ed erano perciò con loro solidali.

  [QUEL CHE AVREBBE DOVUTO FARE]

Non l'uno, nè l'altro atteggiamento seppe assumere l'on. Giolitti, ma
invece si limitò a cedere ed a concedere--con manifeste violazioni della
legge e con sovvertimento di ogni concetto amministrativo--ogni qual
volta il popolo minacciò, fece dimostrazioni e volle cose giuste non di
raro frammischiate a pretese assurde, quali poteva suggerirle la
ignoranza nelle moltitudini e la passione di parte in molti capoccia di
partiti.

Pochi esempî basteranno a dare una idea di quella che fu l'azione del
governo sotto questo aspetto e quali furono le conseguenze politiche e
amministrative.

Per vedere in quali imbarazzi le autorità governative cercarono di porre
i municipi, ricordo questo caso tipico. Il Municipio di Canicattì ha
piccolo territorio e la sua risorsa principale per far fronte alle
_spese obbligatorie_ l'ha nel dazio di consumo. Il Bertagnolli, prefetto
di Girgenti, volendo evitare tumulti telegrafò al sindaco avv. Falcone
perchè riunisse il Consiglio e abolisse il dazio sulla farina. Il
Sindaco giustamente preoccupato dalla impossibilità in cui si sarebbe
trovato di far fronte alle spese e delle conseguenze della lite che
l'appaltatore avrebbe intentato al Comune, nè volendo assumersi
l'odiosità dei tumulti, dignitosamente telegrafò al Prefetto: «Il
governo, causa unica del disagio economico e del malcontento della
popolazione in Sicilia, riversa la responsabilità sulle amministrazioni
comunali. Protesto e rassegno le mie dimissioni.»

  [PRESSIONI IN VISTA DEI TUMULTI]

Quelle pressioni si fecero in vista della possibilità di tumulti; ma non
fu diversa la condotta quando i tumulti erano avvenuti.

Così in ottobre la mite e tranquilla Siracusa prende l'iniziativa di
questo movimento anti-amministrativo ed anti-fiscale con un manifesto
operaio contro le tasse e specialmente per la soppressione delle tasse
di rivendita. Il Prefetto e la Giunta comunale promettono di ridurle,
dichiarando che non possono sopprimerle perchè altrimenti non verrebbe
approvata dalla Giunta amministrativa, la sovrimposta fondiaria. Avviene
una dimostrazione: si chiudono i negozi, si assalta il Municipio, si
distruggono arredi e mobili, si tenta d'incendiare gli archivi. Sedato
il tumulto il Consiglio approva i provvedimenti promessi dalla Giunta.
La vittoria rimane ai tumultuanti.

  [IL FATTO PIÙ CONTAGIOSO]

Ma i fatti ch'ebbero maggiori conseguenze e che furono
straordinariamente contagiosi avvennero a Partinico. Ivi non una, ma
molte furono le dimostrazioni contro le tasse e contro il municipio con
violenza crescente. Si conceda pure che l'amministrazione fosse cattiva,
gravosi i dazî di consumo e angarici i modi di esazione dei quali
maggiormente si lamentano i caprai per la tassa di rivendita sul latte;
certo è, però, che l'amministrazione non poteva riformarsi ad un tratto,
nè i dazî potevansi abolire in tutto o in parte con modi illegali e
durante l'anno finanziario. Giunta comunale e Consiglio, impauriti, la
danno vinta ai tumultuanti e si affrettano a soddisfare le loro domande
senza preoccuparsi menomamente del bilancio e della legalità; dell'una
cosa e dell'altra invece si prese pensiero la Giunta provinciale
amministrativa di Palermo e annulla le illegali determinazioni. Allora
interviene un _consigliere_ di Prefettura che va ad assumere i
lillipuziani pieni poteri in Partinico e si schiera contro la legge e
contro la Giunta provinciale amministrativa ed in favore dei dimostranti
e della violenza, condendo i suoi atti con tribunizie orazioni.

La notizia si sparge rapida come il fulmine in tutta la provincia di
Palermo e nelle limitrofe e il fermento diviene generale; tutti pensano
che basti chiedere e fare una dimostrazione per ottenere giustizia--o
quella che tale si ritiene--e lo si fa credere ai lavoratori sofferenti
da tempo e che vedevano finalmente spuntare l'ora delle rivendicazioni.
Se Prefetti, Consiglieri e segretarî davano apertamente ragione ai
tumultuanti, c'è da meravigliarsi se nelle masse prese salde radici la
convinzione che il governo non vedeva male il movimento contro le
amministrazioni comunali? c'è bisogno di ricorrere alla astuzia, alle
mali arti dei sobillatori se il popolo credette che il grido di _Viva il
Re!_ lo salvava dall'ira del governo e che i ritratti del Re e della
Regina agivano quali talismani, contro le truppe? c'è da sorprendersi
se i partiti, che da tempo chiedevano invano inchieste e scioglimento di
consigli, si sentirono incoraggiati, autorizzati anzi, a ricorrere a
mezzi spicciativi, che conducevano rapido e difilato allo scopo agognato
con tanto ardore... di dare il gambetto agli avversarî?

Francamente, ci vuole molta ingenuità--o molta malignità--per
meravigliarsi o fingere sorpresa che i primi tumulti siano stati
terribilmente contagiosi. Sarebbe stato davvero sorprendente se fosse
avvenuto altrimenti. Il governo dell'on. Giolitti, dunque sia che
provochi e reprima, sia che ceda e conceda non fa che preparare,
promuovere, incoraggiare le manifestazioni sediziose; e per una fatalità
quest'azione del governo doveva venire ribadita dall'opera della
magistratura tutte le volte in cui essa rendeva giustizia, e non bassi
servizî al governo.

Epperò tutti gli abusi e le prepotenze da un lato, tutte le proteste e
le violenze dall'altro, tutti i conflitti si risolvevano in
incoraggiamenti al tumulto, dei quali la responsabilità ricade sul
governo, in tutti i modi.

  [DOPO IL 23 NOVEMBRE '93]

Se la condotta dell'on. Giolitti fu ora fiacca ora violenta, sempre
impreveggente e inopportuna durante la sua vita normale, si può
immaginare quello che divenne all'indomani del 23 novembre, quando pel
colpo assestatogli dal _Comitato dei sette_ fu costretto più che alle
dimissioni, alla fuga. Benchè dimesso, però, il ministero dell'on. di
Dronero dovette rimanere al potere durante la lunga crisi terminata
colla formazione del gabinetto presieduto dall'on. Crispi.

  [ANARCHIA DI GOVERNO]

In questo intervallo, la fase dei tumulti divenne acutissima ed era il
momento in cui maggiore si sentiva il bisogno di un governo che avesse
coscienza della gravità della situazione e forza e intelligenza adeguata
alla medesima per riparare. Entrambi questi precipui fattori di un buon
governo erano stati deficienti nell'on. Giolitti quando era sorretto dal
concorso di una grande maggioranza parlamentare, ciecamente devota; non
poteva sperarsi che prendessero incremento quando egli fu condannato, e
abbandonato nella posizione delicatissima in cui anche uno statista di
mente superiore si sarebbe trovato imbarazzato per il timore di
pregiudicare la condotta che avrebbe potuto prendere il successore e di
precipitare gli eventi. Aumentarono quindi le incertezze, le
contraddizioni, la debolezza; per un mese circa, si può affermare che ci
fu assenza di vero governo direttivo, ed anarchia completa tra i
funzionarî civili e militari: prefetti, delegati, comandanti di zone e
di sotto-zone agirono senza indirizzo e senza unità lasciandosi guidare
dagli avvenimenti e prendendo consiglio dal proprio cervello,
inspirazione dal proprio cuore; e l'anarchia, manco a dirlo, fu tutta a
benefizio degli elementi che credevano di avere qualche cosa da
rivendicare o di tutti i caduti nelle lotte amministrative che volevano
la rivincita.

Di questa anarchia fu data una spiegazione malevola da coloro i quali
affermarono che l'on. Giolitti la favorì coscientemente per lasciare al
successore una tristissima eredità; come a mio giudizio malignarono--e
la malignità accortamente fe' capolino nella discussione
parlamentare--quanti pensarono e dissero che l'on. Crispi avesse
soffiato nel fuoco per rendersi necessario al potere. Nei precedenti,
nel temperamento dei due ministri vanno ricercate le cause naturali
della loro condotta.

  [L'ON. CRISPI]

Finalmente dopo l'intermezzo comico del ministero Zanardelli, annunziato
e disfatto nello stesso momento, l'on. Crispi succede all'on. Giolitti.

Chi avvicinò l'on. Crispi sul finire di dicembre 1893--ed a me toccò
questo non ricercato onore--rimase impressionato della conoscenza
precisa che egli aveva degli uomini e delle cose di Sicilia, delle cause
vere che avevano preparato da gran tempo gli avvenimenti dolorosi
dell'anno che moriva. Le intenzioni che mostrava, per riparare ai gravi
mali, per rimuoverne le cause erano ispirate a patriottismo dell'antica
lega--e non della nuova di cui vergognosamente si abusa a Montecitorio,
rendendo ridicola o invisa la parola _patriottismo_.--In lui sembrava
rivivere l'antico promotore e organizzatore della spedizione dei Mille
della cui risurrezione s'era avuto un barlume nel discorso di Palermo.

L'on. Presidente del Consiglio non si nascondeva le grandi difficoltà
della situazione; era giustamente convinto che in quanto a provvedimenti
d'indole economica e sociale l'imbarazzo era grande, ma riconosceva che
bisognavano misure radicali e non rifuggiva dall'accennare a censimenti
obbligatori dei latifondi e ad altri rimedî che dalle anime timide e
grette avrebbero potuto essere considerati rivoluzionarî e sovvertitori
degli ordinamenti economici e politici vigenti. Superfluo aggiungere che
per realizzare un vasto piano di riforma sociale era indispensabile il
concorso del Parlamento ed un certo tempo per prepararlo, discuterlo e
farlo accettare; che sarebbe stato necessario appellarsene al paese, se
la Camera attuale, com'era temibile, non avesse voluto seguirlo.

Nessuno poteva disconvenire su tali apprezzamenti della situazione; e
quanti sentirono i suoi propositi non potevano che approvarlo e lodarlo,
non esitando anche di fargli comprendere, che il compimento di tale
opera avrebbe potuto chiudere splendidamente la sua vita politica, ed
acquistargli benemerenze maggiori di quelle che gli vennero dallo sbarco
di Marsala.

  [SUA CONOSCENZA DELLA SITUAZIONE]

Ma la grave situazione del momento imponeva provvedimenti immediati
che dovevano essere presi piuttosto oggi, che domani. Ed egli non
poteva prenderne da solo e immediatamente che sul terreno
politico-amministrativo; e annunziò che li avrebbe presi. Egli
avvertiva, che spesso ad impedire che si ricorresse all'uso delle armi
bastava spiegare le forze in proporzioni imponenti, perciò sentiva il
bisogno d'inviare immediatamente molte truppe in Sicilia, non per fare a
quelle popolazioni la cura del piombo, ma per incutere timore e far
convinti i riottosi che il governo avrebbe saputo e potuto reprimere
energicamente e prontamente. Per quanto il contatto tra soldati e
cittadini eccitati sia riuscito sempre pericoloso, pure è duopo
convenire che lo spiegamento di grandi forze di fronte alle popolazioni
in fermento riesce meno dannoso dello invio di piccoli distaccamenti,
che--per paura di vedersi sopraffatti dal numero stragrande dei
cittadini anche inermi--si sentono trascinati, quasi da legittima
difesa, a far fuoco. E fu questo proprio il caso a Caltavuturo, a
Giardinello, a Pietraperzia, a Gibellina, a Santa-Caterina Villarmosa,
dove chi comandava i soldati credette di salvare la propria vita colle
scariche micidiali contro le inermi popolazioni.

Le date dolorose di Pietraperzia, di Gibellina, di Santa-Caterina ecc.
avvertono che disgraziatamente sotto l'on. Crispi si continuò nella
pericolosa condotta di mandare piccolissimi distaccamenti ad imporsi ad
interi comuni tumultuanti e che se ne ebbero gli stessi disastrosi
risultati ottenuti sotto l'onorevole Giolitti; mentre per altro verso
ciò che successe a Castelvetrano, a Mazzara del Vallo, a Monreale, ecc.,
dimostra, che, quando si volle e si seppe, si poterono evitare gli
eccidî.

  [INTENZIONI]

L'on. Crispi, che conosceva la inettitudine o la malvagità di molti
prefetti, di molti questori, di molti magistrati--ed in questa
conoscenza e nella valutazione delle persone si mostrava di una
meravigliosa chiaroveggenza--sentiva il bisogno di un vero _repulisti_,
di un mutamento rapido, fulmineo. A chi gli osservò, che si cominciava
male mandando un militare a reggere la prefettura di Palermo--ed aveva
buon giuoco ricordando a lui, che li conosceva appieno, i fasti della
prefettura militare del Generale Medici, che riuscì ad elevare a metodo
di governo i procedimenti della _mafia_--egli rispondeva che Winspeare
ed altri pochissimi buoni prefetti, che ha l'Italia, si erano rifiutati
di andare a Palermo; che Morra di Lavriano si era mostrato mite e
conciliante, poco soldatesco a Napoli nelle dimostrazioni di Agosto; che
a correggere la impressione sinistra che poteva fare l'annunzio della
reggenza della prefettura di Palermo affidata ad un generale, intendeva
immediatamente farla seguire dalla nomina di un distinto magistrato a
questore di quella città.[52]

  [PROPOSITI]

L'on. Crispi, infine, che conosceva il mal governo fatto della cosa
pubblica da moltissime amministrazioni comunali e la giustezza dei
risentimenti del popolo annunziava che molte ne avrebbe sciolte, che
avrebbe fatto riesaminare i bilanci e i ruoli delle più odiose imposte,
che avrebbe fatto raddrizzare i torti e preparato la ricostituzione
delle amministrazioni locali, prendendo come mezzo la massima libertà e
come fine la giustizia, sbandendone tutte quelle preoccupazioni
politiche e partigiane che sogliono ordinariamente presiedere alle
elezioni amministrative sotto la ispirazione preponderante e trionfante
dei Regi Commissarî straordinarî.

Tutto questo qui si ricorda non per trovare attenuanti a coloro i quali
ingenuamente poterono credere che l'on. Crispi risolutamente pensasse a
risolvere il ponderoso problema della Sicilia coi principi di equità e
di libertà; ma solamente per mostrare che egli aveva conoscenza piena ed
intera dei termini del problema e per poterne stabilire la
responsabilità completa nel caso che i fatti che esamineremo non
corrispondano ai principî che si avrebbe dovuto far prevalere. In questo
caso egli non può dire: _ignoravo la situazione reale, non conoscevo gli
uomini e le cose!_

  [I FATTI!]

E disgraziatamente l'on. Crispi subito dopo aver manifestato tanti
propositi belli cominciò ad agire come avrebbe potuto fare chiunque
avesse ignorato le vere condizioni della Sicilia. L'on. Giolitti non
aveva saputo escogitare in prò dell'isola che la istituzione delle zone
e sotto zone militari; l'on Crispi, mutando subitamente pensiero, con lo
Stato di assedio annunziato e proclamato il 4 Gennaio, pose la Sicilia
sotto il comando assoluto e incontrollabile del generale Morra, conte di
Lavriano e della Montà.

A giustificare il proprio operato il Presidente del Consiglio dei
ministri addusse la circostanza, che i torbidi della fine di dicembre
continuarono e si estesero. Ma perchè la giustificazione avesse valore
bisognerebbe dimostrare che qualche cosa si era fatto per impedire che
continuassero...

La continuazione dei tumulti si doveva prevedere, poichè nessuna delle
cause che li avevano determinati era stata rimossa; non era stato preso
alcun provvedimento che avesse potuto modificare la situazione,
incutendo timore, suscitando speranze, ispirando fiducia.

Rimanevano dunque intatte le cause antiche ed intatta rimaneva la
contagiosa sovraeccitazione dei mesi di novembre e di dicembre:
sovraeccitazione che non poteva scomparire ad un tratto, al semplice
annunzio dell'arrivo al potere dell'on. Crispi, non seguito neppure da
uno di quei proclami ad effetto, che avrebbero potuto impressionare il
cervello dei meridionali.

Un atto c'era, che avrebbe potuto esercitare una immediata azione
sedatrice: una amnistia pronta e intera, ch'era attesa e invocata da
tutti come caparra di una nuova êra riparatrice, che andava ad
iniziarsi. Della convenienza del provvedimento rispondente al desiderio
generale mi feci interprete alla Camera dei deputati alla presentazione
del nuovo ministero; ma non potei ottenere niuna dichiarazione
seriamente incoraggiante. E dare l'amnistia più che savia misura di
governo era opera doverosa per chi era convinto che in fondo le
popolazioni avevano ragione, e che potevano soltanto biasimarsi i mezzi
adoperati per farla prevalere.

Non si potevano attendere gli sperati risultati dal ritiro della
squadra, che stava a minaccia di Palermo. L'atto avrebbe solo potuto
lusingare la città delle barricate, che non si era mai mossa e che non
aveva menomamente accennato a dimostrazioni e tumulti, e che perciò
rimase del tutto indifferente all'arrivo e alla partenza delle navi di
guerra, dalla cui presenza poteva sperare qualche vantaggio economico,
non temere offese.

  [L'OPERA DI PACIFICAZIONE DELL'ON. CRISPI!]

A che cosa si ridusse l'opera di pacificazione dell'on. Crispi?

A un telegramma al sindaco di Lucca Sicula; ma fu tale misera cosa, che
suscitò l'ilarità in alcuni, l'amara delusione o l'indignazione in
altri.

In un sol caso si poteva pensare e supporre che l'annunzio dell'on.
Crispi al potere _da solo_ avrebbe potuto riuscire miracolosamente a
produrre la pacificazione degli animi: in quello in cui il Presidente
del Consiglio avesse davvero avuto parte diretta nell'eccitamento. E
l'ipotesi calunniosa venne scartata.

Il corso degli avvenimenti, quindi, doveva continuare; e continuò,
rimanendo immutata la enorme responsabilità del governo che in tutti i
tempi e in tutti i modi li aveva preparati, determinati ed accelerati.

Disgraziatamente se mostrossi cieco, impreviggente chi dirigeva le sorti
d'Italia in Roma, non si mostrarono più avvedute le classi dirigenti in
Sicilia. Esse, che tanto avevano contribuito a creare la situazione
anormale nel momento della crisi acuta, in generale--chè non mancarono
le nobili e lodevoli eccezioni--furono liete dell'indirizzo preso dal
governo; e derisero, denunziarono, angariarono i _Fasci_ e i loro socî.

  [GRANDE COLPA DELLE CLASSI DIRIGENTI]

Grande è la colpa delle classi dirigenti per la loro fanatica resistenza
alle riforme e alle concessioni, e dove esse contribuirono ad eccitare
gli animi per i loro fini partigiani, si mostrarono di una fenomenale
ignoranza sulle condizioni psicologiche delle folle, prodotte da quelle
economiche ed intellettuali. Esse accesero l'incendio, ma non credevano
che tanta materia vi fosse da farlo divampare terribilmente; si videro
sorpassate nelle intenzioni e si spaventarono della lava che minacciava
travolgere tutto e tutti. Ond'è che in più luoghi, nell'ora del
pericolo, tornarono elementi di _ordine_, si riconciliarono coi nemici
della vigilia e si misero a disposizione del governo e abbandonarono gli
alleati popolari, quando non li poterono più condurre a loro libito.
Così a Lercara, ad esempio, i popolani che insistevano nelle
dimostrazioni credendosi spalleggiati da una casa potente--che avrebbe
saputo impedire l'uso della forza contro di loro--imprecarono ai vili,
che li avevano traditi.

  [OGNI LORO SPERANZA È NEL GOVERNO]

Nell'ora suprema l'ignoranza e l'egoismo delle classi dirigenti non
furono uguagliati che dalla loro paura; ed esse non seppero neppur
tentare di opporre una diga morale e materiale alla marea sormontante.
Ogni speranza di salvezza riposero nel governo, da cui--come in più
luoghi dimostra il generale Corsi--tutto attendevano e con questa
assenza di ogni loro iniziativa si rivelarono indegne di un libero
regime. Sicchè è forza convenire che la responsabilità enorme del
governo negli avvenimenti di Sicilia non è pareggiata che da quella
delle classi dirigenti.


NOTE:

[51] Gli effetti di questa dolorosa situazione potrei metterli in
evidenza con una serie di documenti strani. Finiti i tumulti, nella
presente reazione, il governo--se non altro per illudere--ha mostrato la
intenzione di riparare alle più stridenti ingiustizie in certi comuni, i
quali richiamarono l'attenzione sua colle violenze, e prosegue a non
curarsi di quelli altri comuni che gli si sono rivolti nei modi più
pacifici e più legali, colle istanze ed anche colle petizioni al
Presidente del Senato e della Camera dei deputati. Da molti punti--ad
esempio, da Petralia Soprana--mi si è scritto _deplorando_ di esser
rimasti calmi, quando gli altri si agitavano. Com'é eloquente ed
istruttivo questo rammarico... di non avere violato la legge!

[52] Non credo di andare errato affermando ch'era pronto il decreto, col
quale veniva nominato a questore di Palermo il Regio Procuratore di
Trapani. La nomina venne contromandata per volere del Generale Morra di
Lavriano, che ad ogni costo volle conservato il Lucchese.



XX.

LA REAZIONE


Col gennaio del 1894 comincia la diretta e più grave responsabilità
dell'on. Crispi, però che egli organizzò ed intese con tutte le sue
forze ad esplicare la reazione. E invero i primi atti di essa, decisi e
violenti, rispondono al carattere dell'inspiratore, il quale non mai
seppe rifuggire dalle esagerazioni, nel male e nel bene, pur di riescire
in quello ch'è il suo intento immediato.

Onde, come non titubò a esagerare, nel 1860, l'importanza delle notizie
che venivano dalla Sicilia, per indurre più presto alla spedizione di
Marsala il generale Garibaldi, così, ora--invecchiato di trentaquattro
anni il suo difetto mentale--non ha esitato un istante ad esagerare,
fino a potere considerarsi falsate, le condizioni della stessa Sicilia,
quasi per poter fare a ritroso--spinto dall'accecamento abituale della
sua sincera megalomania--la spedizione di Marsala.

Si comincia col reale decreto del 3 gennajo 1894, contro firmato dal
Consiglio dei ministri col quale si proclama lo Stato d'assedio in
tutte le provincie della Sicilia; vi si nomina Regio Commissario
straordinario con pieni poteri il tenente generale Morra di Lavriano e
della Montà, comandante il XII Corpo di armata.

  [I PRIMI ARRESTI]

Il regio Commissario si pone subito all'opera e nello stesso giorno fa
arrestare i membri del Comitato Centrale dei _Fasci_: on. G. De Felice
Giuffrida, Avv. G. Montalto, avv. Francesco De Luca, e Nicola Petrina.

Un membro del Comitato, l'avv. L. Leone, sfugge alle ricerche della
polizia e ripara a Malta; Bosco, Barbato e Verro, vengono arrestati dopo
qualche tempo, mentre cercavano riparare all'estero; ma quasi a compenso
di queste prede mancate venne arrestato l'avv. F. Maniscalco, che del
Comitato non faceva parte e ch'era semplicemente direttore della
_Giustizia sociale_.

Per poter calcolare l'opportunità e la giustizia di questi primi arresti
si deve notare che alla vigilia il _Comitato Centrale dei Fasci_ si era
riunito in Palermo e dopo una discussione lunghissima ed animata, con
maggioranza di _sei_ contro _uno_, aveva deciso di non promuovere la
insurrezione, ma di lanciare un manifesto ai lavoratori.

  [UN MANIFESTO CRIMINOSO]

Il quale potrà essere tutto, meno che criminoso e non potrà mai servire
a mascherare le intenzioni di chi lo tolse a pretesto per fare arrestare
coloro che lo redassero e lo sottoscrissero.

Il manifesto è il seguente:

          _Lavoratori della Sicilia!_

     «La nostra isola rosseggia del sangue dei compagni che sfruttati,
     immiseriti, hanno manifestato il loro malcontento contro un
     sistema dal quale indarno avete sperato giustizia, benessere e
     libertà.

     L'agitazione presente è il portato doloroso, necessario, di un
     ordine di cose inesorabilmente condannato, e mette la borghesia
     nella necessità o di seguire le esigenze dei tempi o di
     abbandonarsi a repressioni brutali.

     In questo momento solenne, mettiamo alla prova le declamazioni
     umanitarie della borghesia, e in nome vostro chiediamo al governo:

     1º Abolizione del dazio sulle farine;

     2º Inchiesta sulle pubbliche amministrazioni della Sicilia, fatta
     col concorso dei Fasci;

     3º Sanzione legale dei patti colonici deliberati nel congresso
     socialista;

     4º Sanzione legale delle deliberazioni del congresso minerario di
     Grotte e costituzione di sindacati per la produzione dello zolfo;

     5º Costituzioni di collettività agricole e industriali, mediante i
     beni incolti dei privati e i beni comunali dello Stato e dell'asse
     ecclesiastico non ancora venduti, nonchè espropriazione forzata dei
     latifondi, accordando temporaneamente agli espropriati una rendita
     annua che non superi il 3% del valore dei terreni;

     6º Concessione di tutti i lavori, delle pubbliche amministrazioni e
     di quelle dipendenti o sussidiate dallo Stato, ai Fasci dei
     lavoratori senza obbligo di cauzione;

     7º Leggi sociali, che basandosi su di un minimo di salario ed un
     massimo di ore di lavoro, valgano a migliorare economicamente e
     moralmente le condizioni dei lavoratori;

     8º Per provvedere alle spese necessarie per mettere in esecuzione i
     suddetti progetti; per acquistare strumenti da lavoro tanto per le
     collettività agricole quanto per quelle industriali: per anticipare
     alimenti ai soci e porre le collettività in grado di funzionare
     utilmente, stanziare nel bilancio dello Stato la somma di venti
     milioni di lire.

          _Lavoratori!_

     Seguitate intanto a organizzarvi, ma ritornate alla calma perchè
     coi moti isolati e convulsionari non si raggiungono benefizi
     duraturi.

     Dalle decisioni del governo trarremo norma per la condotta che
     dovremo tenere.»

Vi sarà forse agio a ritornare sul valore di questo manifesto; per ora
basta osservare che ogni singolo articolo di questo programma
d'immediata attuazione ch'è contenuto nel manifesto è stato sostenuto da
ministri ed ex-ministri del regno d'Italia e da uomini temperatissimi,
nessuno dei quali venne mai incriminato. Nello insieme il programma
invocava il miglioramento della condizione economica dei lavoratori; ma
non avrebbe potuto scandalizzarsene l'on. Crispi, che nel suo discorso
di Palermo del 1886 aveva detto queste parole.

  [LE PAROLE DI CRISPI]

«... Il Secolo XVIII ci diede l'emancipazione della borghesia; il secolo
XIX ci darà l'emancipazione delle plebi... La borghesia non ha più nulla
da chiedere e nulla da ottenere. Nell'ordine politico e amministrativo
essa non ha rivali pel governo della nazione; nell'ordine economico ha
un impero assoluto, perchè sua è la ricchezza del paese... Colla terra e
col denaro tiene incontrastato il dominio economico che le assicura
quello politico.

«Alle plebi manca tutto... Bisogna, infine, che gli operai siano redenti
dalla schiavitù dell'ignoranza e dalla schiavitù del capitale.»

C'era forse una minaccia nelle ultime parole del manifesto del Comitato?
Ma era sempre formulata in termini più blandi e meno rivoluzionarî di
quelli adoperati dallo stesso on. Crispi in un telegramma del 1892 alle
società popolari di Siracusa.

La gravità e la incriminabilità del manifesto risultavano dalle
condizioni del momento in cui era stato lanciato e dalle persone cui era
diretto? Ma per fare effetto--e l'effetto che si desiderava era la
calma--sopra popolazioni in fermento, tale linguaggio era il solo adatto
perchè dava affidamento ad esse che la loro causa non sarebbe stata
abbandonata e che le loro giuste rivendicazioni sarebbero state
propugnate con energia.

Ad ogni modo il linguaggio di giovani ardenti e non trattenuti da alcun
legame ufficiale era sincero, corrispondeva alla verità e fa uno strano
contrasto con quello dell'on. Crispi, che nella relazione pel decreto
sullo stato di assedio dice: i tumulti essere stati provocati da gente
_dedita ad ogni sorta di delitti_; saccheggi, incendî, assassinî, rapine
essere stati commessi _in quasi tutti i comuni dell'isola_.

  [UNA ESAGERAZIONE PARADOSSALE]

Tutto ciò, quando non lo si voglia dire... assolutamente falso, bisogna
qualificarlo esagerato in modo superlativo. Ed è evidente che
l'esagerazione paradossale, aveva l'ufficio di mascherare la reazione.

Di fronte alla reazione, che si avanzava a grandi passi, sicura di
vincere, perchè sorretta dai grossi battaglioni, dai cannoni, dalla
cavalleria, dalle navi, dalla polizia, dalle insidie, dalle calunnie,
dallo spionaggio, dal concorso di buona parte delle così dette classi
dirigenti; sicura di vincere perchè doveva combattere contro elementi
inermi, disorganizzati, senza programma vero di rivoluzione, senza mezzi
di resistenza, senza sicurezza di vedere secondati i proprî conati dalle
provincie del continente le quali lasciavansi tranquillamente sguernire
di truppe, inviate in Sicilia a reprimere severamente e rapidamente moti
ch'erano incomposti ed a-politici, ma che pure potevano trasformarsi da
sommossa in rivoluzione, divenne scabrosissima la situazione di quanti
parteggiavano per la causa popolare ed erano dichiaratamente
repubblicani e socialisti. A loro s'imponeva il prendere una vigorosa
decisione ed assumerne piena ed intera la responsabilità.

  [LA CONDOTTA DEI SOCIALISTI]

La presero e la manifestarono nel modo migliore ch'era loro consentito,
colla maggiore rapidità possibile per iscongiurare nuovi _salassi_ al
popolo, che tornavano graditissimi in alto; per impedire che venisse del
tutto distrutta una organizzazione che poteva essere feconda di bene;
per evitare che la reazione trovasse nella continuazione dei tumulti
nuovi pretesti per _farla finita_ colla parte popolare. Perciò nella
sera del giorno 5 dopo l'arresto dell'intero Comitato centrale dei
_Fasci_ e di altri egregi cittadini, dopo la proclamazione dello Stato
di assedio, dopo l'arrivo continuo e incontrastato dal continente di
nuovi reggimenti, repubblicani e socialisti, che non erano nelle
prigioni, si riunirono e decisero dopo seria ma rapida discussione, di
rivolgere un appello ai lavoratori dell'isola, diramarlo per mezzo del
telegrafo nelle Provincie e farlo pubblicare dai giornali di
Palermo.[53] Per fare tutto ciò vi era un ostacolo: il generale Morra di
Lavriano. Egli in forza dei poteri eccezionali che gli erano stati
accordati poteva trattenere i telegrammi e sequestrare o sopprimere i
giornali; e siccome ad ogni costo si voleva raggiungere lo scopo nel più
breve tempo possibile si pensò di mandare ad avvertire il Regio
Commissario straordinario di quanto s'intendeva di fare. A me ch'ero
stato chiamato a Palermo telegraficamente nello stesso giorno fu
affidato tale incarico, che nel modo che potei migliore disimpegnai
nella stessa sera del giorno 5 verso ventitrè ore.

Trovai nel Generale Morra di Lavriano persona squisitissima nella forma,
ma irremovibile nella sostanza di negare il permesso alla trasmissione
telegrafica dell'appello a firma di molti repubblicani e socialisti. Ma
siccome si sarebbe messo sfacciatamente dal lato del torto impedendo che
ai lavoratori si trasmettesse una parola che poteva essere ascoltata e
che consigliava la calma e la cessazione dei tumulti, così ricorse
all'espediente di consentire l'appello purchè esso portasse la mia sola
firma.

  [UNA CIRCOLARE AI LAVORATORI DI SICILIA]

Esposi agli amici, che attendevano ansiosi l'esito del colloquio, tutti
gl'inconvenienti della soluzione proposta e dichiarai la mia grande
avversione ad assumere la responsabilità di un atto, che per gli uni
doveva crearmi un titolo di onore, che non mi spettava, e per gli altri
un grave demerito non meritato del pari. Ma gli amici m'imposero di
sobbarcarmi a tutto ed alla fine acconsentii a firmare l'appello, purchè
nei giornali di Palermo contemporaneamente alla sua pubblicazione
venisse detto perchè e come era stato da me solo sottoscritto. Ciò fu
fatto in Palermo: e ciò venne inoltre telegrafato dai rispettivi
corrispondenti ai principali giornali del continente (_Secolo_,
_Tribuna_, _Resto del Carlino_, _Roma_, _Messaggero_, _Corriere della
sera_, ecc. ecc.)[54].

  [UN MANIFESTO NEL CONTINENTE]

Poco dopo che in nome dei repubblicani e socialisti di Sicilia venne
diramato il telegramma-circolare, che raccomandava la calma, un
manifesto che riusciva alla identica conclusione venne pubblicato nel
continente a firma del gruppo parlamentare del Partito italiano dei
lavoratori. Non ci fu intesa tra l'uno e l'altro ed è notevole perciò la
concordanza degli intendimenti manifestati, come indizio sicuro che essi
rispondevano alle esigenze del momento.

  [INSINUAZIONE VOLGARE]

Quale sia stata l'influenza delle parole e dei consigli del partito
repubblicano e socialista non è il momento di esaminare; nè potrei
essere adatto a farlo. Mi sarà consentito, però, di notare che in Italia
fece una eccellente impressione e che l'opera di tale partito venne
giudicata come una vittoria morale sul Regio Commissario straordinario
ed una condanna della inerzia di altri uomini politici, specialmente
siciliani, che avrebbero dovuto farsi vivi in momenti di pericolo. Tale
impressione fu tanto viva, che a smorzarla qualche pietoso giornale
governativo annunziò seccamente ed _ingenuamente_ che il telegramma era
stato formulato di accordo tra me... e il generale Morra di Lavriano. La
insinuazione volgare da nessuno potrà meglio essere stigmatizzata quanto
dallo stesso Regio Commissario straordinario.

Se il partito repubblicano-socialista fece il dover suo consigliando la
calma nella speranza d'infrenare la reazione togliendole ogni pretesto
ad infierire, non fu, però, fortunato perchè la reazione non si arrestò;
sopratutto--stando ad alcune voci accreditate,--per opera di alcuni noti
uomini politici, che circuivano a Palermo il generale Morra di Lavriano
ed a Roma l'on. Crispi[55].

A me che avvertii il Presidente del Consiglio, che i suoi funzionari lo
disonoravano facendosi strumento di iniqua reazione rispose, assoluto ed
altezzoso come sempre, _che sotto il suo governo non sarebbe possibile
la reazione_.

I fatti si dettero la briga di smentirlo brutalmente, come si potrà
rilevare dalla loro rapida rassegna.

Il primo sintomo delle tendenze reazionarie si ebbe colla proclamazione
dello Stato d'assedio nelle città tutte che avevano mantenuto un ordine
esemplare e in quattro provincie che si erano tenute perfettamente
calme. Si volle loro arrecare un grave turbamento economico e si vollero
sottrarre alle garanzie costituzionali soltanto per avere mano libera
negli arresti e nelle violenze. Proclamando lo stato d'assedio in
provincie tranquille, osserva un illustre giurista, si falsa il concetto
fondamentale dei poteri eccezionali, i quali traggono la loro
legittimità soltanto dalla necessità di reprimere la rivolta, non di
prevenirla, perocchè alla prevenzione bastano da soli gli ordini
normali. (Brusa: _Della giustizia penale eccezionale_. Torino 1894. p.
13).

  [LA REAZIONE IN SICILIA E IL TERRORE BIANCO]

A chi rassomigliò la reazione inauguratasi in Sicilia col 1894, al
_terrore bianco_ che infierì nel mezzogiorno della Francia all'indomani
della restaurazione borbonica, si credette poter rispondere
trionfalmente, che di _terrore_ non poteva parlarsi dove mancarono le
fucilazioni.

La risposta costituisce la migliore dimostrazione della perdita del
senso politico e morale in certe sfere che non sanno valutare la
differenza delle cause che avevano generato le due reazioni del 1815 e
del 1894. Si ebbero già abbastanza massacri ingiustificabili di
contadini inermi e le fucilazioni dove e quando manca ogni accenno di
resistenza, ogni e qualsiasi pretesto non avrebbero potuto rappresentare
che il capriccio di una tirannide assolutamente inconcepibile in questa
fine di secolo nel centro dell'Europa civile. Se mancarono, però, le
fucilazioni, abbondarono tutti gli altri atti e violazioni di leggi e
dello Statuto fondamentale, che possono contraddistinguere la peggiore
delle reazioni.

  [IL SISTEMA DEGLI ARRESTI IN MASSA]

La rubrica degli arresti, delle deportazioni arbitrarie è tra le più
eloquenti a confermare tale asserto.

Iniziata con l'arresto dell'on. De Felice Giuffrida, che implica
violazione dello articolo 45 dello Statuto, e commentata coll'impedito
sbarco in Palermo agli on. Prampolini e Agnini si è poscia continuata
in proporzioni inaudite.

Se l'arresto dell'on. De Felice, di Bosco, di Montalto, ecc., ha
richiamato l'attenzione pubblica perchè riguardava individui conosciuti
in Sicilia e fuori, vi sono stati gli arresti in massa di contadini e di
lavoratori ignoti, le cui conseguenze economiche e morali non sono
calcolabili e che rappresentano perciò un atto di scelleratezza
raffinata. Talvolta si circondò da un reggimento o da un battaglione un
povero paese e si procedette ad arresti di più centinaia d'individui!
Con quali criterî, dietro quali indicazioni? È questo un mistero per lo
più; e quando i moventi sono noti, sono talmente laidi che destano
ribrezzo. In tale forma poco prima e poco dopo che si proclamasse lo
stato di assedio si procedette agli arresti in massa a Valguarnera, a
Gibellina, a Lercara, a Mazzara, a Castelvetrano, a Pietraperzia, a
Santa Caterina e spesso si arrestarono i disgraziati feriti e per la
rabbia di non poter arrestare i morti, tal'altra si condussero in
prigione i loro congiunti; e si può altamente disapprovare come inumano
e sopratutto impolitico questo sistema degli arresti in massa, nei paesi
nei quali avvennero gravi disordini, ma almeno lo si spiega, quando
della libertà dei cittadini dispongono i militari che delle libertà non
hanno un adeguato concetto.

  [UNA VERA MANIA]

Non può trovare parola di scusa il sistema quando si applica in paesi
che si mantennero sempre calmi e che ebbero dimostrazioni
ultrapacifiche. Di questi arresti ne avvennero prima dello Stato di
assedio; ma dopo assunsero proporzioni da fare supporre che coloro che
li ordinavano erano invasi da una vera mania. Io non ho una statistica
delle persone che furono private della libertà dal 1º di Gennaio in poi;
ma spigolando nella collezione del _Giornale di Sicilia_ solamente dal
15 al 31 Gennaio, si arrestarono i cittadini a decine e a centinaia per
ogni luogo: a Racalmuto, Favara, Menfi, Raffadali, Terranova, Mazzara,
Niscemi, Camporeale, Caltanisetta, Salemi, Palermo, Cattolica,
Calatafimi, Castelvetrano, Castrogiovanni, Palma-Montechiaro, Marsala,
Mazzarino, Castellammare, Santa Ninfa, Mussomeli, Bronte, Ciminna,
Baucina, Marianopoli, Riesi, Lentini, Montallegro, Castelbuono,
Sommatino, Villarosa, Centuripe, Aidone, Pedara, Sciacca, Bisacquino,
Francofonte, Campofelice, Paternò, Belmonte-Mezzagno, Monterosso-Almo,
Gangi, Poggioreale, Prizzi, Contessa Entellina, San Mauro, Noto, Ragusa,
Modica, Trapani, Adernò, Riposto, Leonforte, Assoro, Agira, Catania,
Militello, Vizzini, Scordia, Gratteri, Mascalucia, Gerace-Siculo,
Giuliana, Acireale, Acicatena, Viagrande, Licodia-Eubea, Regalbuto,
Messina, Misilmeri, Sperlinga, Nicosia, Randazzo, ecc., ecc.

Questi enumerati, sono oltre settanta paesi dove si procedette ad
arresti in quindici giorni; sono quelli dove il _Giornale di Sicilia_ ha
corrispondenti, che lo hanno avvisato di ciò che avveniva; tenendo
conto, quindi, degli altri dei quali nessuno si curò di scriverne al
giornale e di quelli nei quali gli arresti si verificarono prima o dopo
il periodo compreso tra il 15 e il 31 Gennaio; si può essere sicuri che
non vi è stato piccolo o grande comune di Sicilia che non abbia dato il
proprio contingente, piccolo grande, alle prigioni dello Stato. E i
carcerati devono essere stati a migliaia e forse si è dovuto pensare
che c'era un modo di risolvere la questione sociale in Sicilia: quello
di mantenere gli affamati a spese dello Stato nelle prigioni.

  [A DOMICILIO COATTO]

Per molti l'arresto è stato seguito dall'invio a domicilio coatto! Oltre
_mille_, infatti si crede che siano i cittadini inviati nelle isole
senza alcun processo.

Il _Giornale di Sicilia_ è temperatissimo e i suoi corrispondenti sono
reclutati in grandissima maggioranza tra le file delle persone
tranquille e che non hanno fisime in testa da poterle far qualificare
come sovversive; pure quasi tutti scrivono al giornale (che è
devotissimo all'on. Crispi), nel dare conto degli arresti di ricchi e di
poveri, di proletarî e di proprietarî, di studenti, e di operai, di
consiglieri, maestri e segretari comunali, di donne, di vecchi ed anche
di fanciulli, scrivono, ripeto: che il paese è sorpreso e indignato
degli arresti e che gli arrestati spesso lasciano le famiglie nella più
squallida miseria e che la loro partenza, essendo ammanettati e di
ordinario tra due file di soldati, ha dato luogo a scene drammatiche e
strazianti. Il terrore ha soggiogato tutti, e tutti temendo di essere
ghermiti dagli agenti del Regio Commissario straordinario si danno alla
fuga e rimangono abbandonate le case o abitate da povere ed isolate
donne; e rimangono deserte le campagne ed abbandonati i lavori agricoli!

  [UNA MENZOGNA SPUDORATA]

Quando gli arresti non si possono giustificare e spiegare col pretesto
della cospirazione e del relativo processo si afferma dalle competenti
autorità che sono stati colpiti i malviventi, i pregiudicati, gli
ammoniti. Menzogna spudorata! E che sia menzogna lo prova lo arresto di
alcuni la cui notoria rettitudine pubblica e privata è al disopra di
ogni sospetto, la cui reputazione non può essere mai insozzata dalla
bava dei poliziotti, dei delatori, dei miserabili che hanno colto la
favorevole occasione per fare le loro private vendette. Tale è il caso
di Mario Aldisio Sammitto, ricco, coltissimo e mite pensatore, di
Salerno-Vinciguerra da Terranuova, di Amato-Cotogno, e del D.r Salvati,
di Cortese Pinnavaja da Caltanissetta, di Ballerini, Colnago e Crimaudo
da Palermo, dei Di Lorenzo, milionarî, da Gibellina, del D.r Crescimone
da Niscemi, di Agesilao Porrello da Villarosa, di Lo Sardo, studente, da
Naso, di Bruno da Milazzo, dell'avv. Rao da Canicattì e di cento altri
di cui adesso non mi viene alla memoria il nome. Alcuni sono stati tra i
più energici e più fortunati nel mantenere l'ordine nel periodo dei
tumulti: tra questi merita specialissima menzione l'avv. Gaetano Rao.
Altri sono stati rimessi in libertà: Amato, Salvati, Crescimone,
Porrello; ma vi sono stati quelli, che come volgari malfattori sono
stati deportati all'isola di Favignana, di Tremiti, ecc. Tale sorte
durissima toccò allo studente Lo Sardo di Naso, al Pinnavaja di
Caltanisetta. Nessuno ha osato formulare un accusa contro il primo:
l'università di Messina--studenti e professori--ha levato sdegnata la
voce; e in quanto al Pinnavaja, che conosco personalmente da molti anni
assicuro e garantisco sul mio onore e sulla mia coscienza, che mentisce
e calunnia chiunque osa dipingerlo come malvivente o pregiudicato e
sinanco come politicamente pericoloso, poichè egli ha l'animo mite di
una fanciulla![56]

Mentre scrivo--luglio 1894--sette mesi sono trascorsi dal giorno della
proclamazione dello Stato di assedio, l'ordine non è stato menomamente
turbato e le prigioni d'Italia rigurgitano ancora di prigionieri
siciliani, e a Favignana, Pantelleria, Lampedusa, Ponza, Ustica, Lipari,
Tremiti, Porto Ercole, ecc., si contano a centinaia i cittadini
condannati a domicilio coatto senza alcun processo e spessissimo senza
che mai per lo passato abbiano avuto da fare colla giustizia e colla
polizia.

  [LO STRAZIO DELLA LIBERTÀ]

  [CONTRO IL DIRITTO DI RIUNIONE]

Lo strazio fatto della libertà individuale--il più prezioso dei
diritti--è stato completato da quello della libertà di riunione e di
associazione. Quando la reazione stende le unghie adunche per violare il
diritto di riunione e di associazione lo spettacolo, ora si fa
grottesco, ora volge al serio ed al doloroso. _I Fasci dei Lavoratori_
in generale non aspettarono le ingiunzioni del generale Morra di
Lavriano per isciogliersi; quando fiutarono per l'aria ciò che si
apparecchiava contro di loro, spontaneamente si sciolsero e divisero la
modesta mobiglia tra i socî o la regalarono ad istituti pii; fecero in
pezzi i gonfaloni e li conservarono come un caro ricordo e colla
speranza di poterli riunire in un non lontano e meno triste avvenire;
bruciarono gli elenchi dei socî e divisero ai poveri lo scarso peculio,
dove c'era. Ma i rappresentanti delle autorità non sapevano darsi pace
di queste auto-dissoluzioni, volevano darsi il gusto di perquisire, di
frugare, di sequestrare; nell'auto-dissoluzione scorgevano un tranello
ed una futura e immediata ricostituzione: e frugavano nelle stanze vuote
che furono sede dei _Fasci_, e quando nulla potevano ghermire,
acchiappavano chi per un meschino stipendio--senza la menoma pretensione
politica--aveva fatto da custode. In un punto si sequestra con grande
ardore la tabella di legno sulla quale era scritto: _Fascio dei
Lavoratori_, mentre l'economo ex-Presidente la faceva staccare per
condurla a casa e far cuocere la minestra; in un altro, un bravo e buon
delegato di Pubblica Sicurezza prega che gli si faccia trovare nei
locali un oggetto purchessia, che appartenne al _Fascio_, per far
contento il suo prefetto e promette in contraccambio di mostrarsi
moderatissimo negli arresti..... Nè il furore si sfoga soltanto contro i
_Fasci_, ma si sciolgono pure le innocue società di mutuo soccorso, che
non sono se non onesti ritrovi serali pei lavoratori non dediti
all'ubriachezza; e si colpiscono le associazioni sfegatatamente
monarchiche, denominate: _Regina Margherita, Principe di Napoli,
Francesco Crispi..._ Si dirà, che dichiarata la guerra al diritto di
riunione e di associazione la guerra si fa con lealtà e trattando tutti
alla stessa stregua? Nossignori, poichè vengono rispettati e tenuti
aperti i _clubs_, i cosidetti _Casini dei civili_, costituiti e
frequentati dall'aristocrazia e dalla borghesia. I maligni hanno
interpretato l'eccezione come un odioso stratagemma per aizzare
viemaggiormente l'odio tra le diverse classi sociali, per rendere sempre
più invisi _li cappedda_ ai popolani; e questo stratagemma sarebbe più
efficace degli articoli di certi giornali settimanali che il Pubblico
Ministero sequestra con tanta rabbiosa premura.[57]

Quando si arriva al sequestro dei telegrammi da e pel continente, e dei
giornali di tutti i colori l'arbitrio suscita, a seconda dei
temperamenti, il riso o la indignazione.

  [CONTRO LA STAMPA]

Il generale Morra di Lavriano non permise mai che venissero divulgati in
Sicilia i più innocenti commenti e le notizie più esatte che circolavano
liberamente da Susa a Reggio Calabria; nè che per telegrammi si
conoscesse nel continente la verità sulle condizioni dell'isola. Vero è
che egli dovette sentire gran rammarico perchè si sentì impotente a
sopprimere le corrispondenze epistolari; però di tale impotenza si
vendica sequestrando i giornali invisi. E sequestra di preferenza il
_Secolo_, il _Messaggero_, il _Don Chisciotte_, il _Roma_, il _Corriere
della Sera_, financo l'ufficiosa _Tribuna_, e sequestra...
l'_Illustrazione Italiana_ per certe figure sospette di contadini, che
il corrispondente Ximenes aveva riprodotte. L'Austria fu sorpassata,
poichè a Trieste sua eccellenza Rinaldini, nei peggiori tempi della
guerra all'irredentismo, non dette la caccia ai giornali italiani come
sua eccellenza Morra di Lavriano la dette in Palermo. E dico in Palermo,
poichè se i giornali arrivavano per la via dello stretto nel resto
dell'isola potevano circolare liberamente.

  [IL SEQUESTRO DEI TELEGRAMMI]

Pochi esempî per dare un'idea di questa libidine di sequestri di
telegrammi. Sequestra il telegramma da Palermo alla _Tribuna_ e al
_Secolo_, che riproduce un brano del discorso inaugurale dell'anno
giuridico del Procuratore generale Sighele; sequestra il sunto
telegrafico, trasmesso da Roma al _Giornale di Sicilia_ di un articolo
della _Riforma_, di cui è proprietario l'on. Palamenghi-Crispi;
sequestra parte di un telegramma da Girgenti al _Secolo_ in cui era
detto che era stata ascoltata attentamente una mia deposizione innanzi
al Tribunale penale; sequestra un telegramma da Catanzaro al _Giornale
di Sicilia_, in cui si dava conto di una seduta tempestosa del Consiglio
Comunale e nella quale si era protestato contro un telegramma del
sindaco, apologetico pel questore Lucchese e di smentita ad una
testimonianza dell'on. Altobelli innanzi al Tribunale di Guerra in
Palermo; sequestra il telegramma con cui il corrispondente romano del
_Giornale di Sicilia_ riferiva lo svolgimento della interrogazione alla
Camera dei Deputati sul precedente sequestro; sequestra un telegramma da
Palermo alla _Tribuna_, in cui si accennava alla deficienza... di
ospedali; e quando è stanco di sequestrare telegrammi e giornali S. E.
il Generale Morra di Lavriano fa sequestrare in Messina i
pericolosissimi garofani rossi...

Questa mania di sequestri fu forse il prodotto dell'eccitamento morboso,
e della paura dei primi momenti quando da per tutto si vedevano
cospiratori e bande armate? Oibò: il sequestro del telegramma per la
deficienza degli ospedali di Palermo è della metà di luglio.
Sicuramente a tanto non sarebbe arrivato Maniscalco, ch'era ai servizî
di un governo assoluto ed agiva conformemente; ma quello era una persona
seria.[58]

  [LA CENSURA PREVENTIVA]

Pari intelligenza e pari liberalismo ed equanimità si mise nello
esercizio della censura preventiva, poichè è bene sapere che per un
certo tempo le bozze di stampa dei giornali erano esaminate e non
potevano pubblicarsi senza il permesso dei superiori. Si vede che il
generale Morra di Lavriano volle far godere ai Siciliani lo spettacolo
della risurezione frammentaria del regime pontificio, per far loro
meglio apprezzare i benefizî del regime costituzionale italiano sotto il
quale semplicemente si sequestra. E per siffatta censura preventiva i
giornali spesso si ponevano in vendita con delle intere colonne in un
bianco candidissimo, che rappresentavano gli articoli pei quali non era
stato accordato il sabaudo: _imprimatur!_

Dopo la censura, si ha la soppressione pura e semplice.

  [LA SOPPRESSIONE DEL "SICILIANO"]

Fu soppressa l'_Unione_ di Catania: soppressi il _Riscatto_, il
_Vespro_, i _Pagliacci_ di Messina; e soppresso in Palermo fu l'_Amico
del popolo_, giornale monarchico che si pubblicava da trentatrè anni, e
soppresso fu il _Siciliano_. Quest'ultima soppressione merita qualche
parola di più del semplice annunzio del fatto. Il _Siciliano_, giornale
repubblicano socialista, durante lo stato di assedio sbalordì per la sua
temperanza; esso, senza rinunziare ai propri ideali, tenne un linguaggio
che anche ai tempi di Maniscalco, di borbonica memoria, sarebbe stato
trovato correttissimo. Ma al generale Morra di Lavriano erano le idee
propugnate con sincerità che non piacevano, quale che ne fosse la
forma: non per nulla egli rispecchiava le tendenze reazionarie di coloro
che lo circondavano! Perciò _côute que côute_ ne giurò la morte. E
siccome voleva evitare lo scandalo di una soppressione, per nessuna
ragione giustificabile, cominciò coll'arrestare il redattore-capo, avv.
Crimaudo, e il collaboratore assiduo, barone Colnago; al direttore,
principe di Cutò, si era dato lo sfratto da Palermo sin dai primi
giorni dello Stato di assedio. S'ingannò il generale sui risultati dei
suoi soldateschi procedimenti e il _Siciliano_, ad opera di giovani
valorosi e coraggiosi--Benedetto Salemi[59] Enrico La Loggia, Aurelio
Drago--continuò a pubblicarsi. Corse voce di un indegnissimo ricatto:
cioè, si sarebbero posti in libertà Colnago e Crimaudo purchè il
_Siciliano_ avesse cessato le sue pubblicazioni.

Questa voce fu poi smentita da un avvocato--che si diceva essere stato
intermediario nelle trattative--con una lettera sibillina, ma certo è
che delle proposte di quel genere ci furono, sebbene io mi rifiuti a
credere che siano partite dal Regio Commissario straordinario ed è
probabilissimo invece che ne sia autore qualche basso arnese di
questura. Certo è che quella proposta venne sdegnosamente respinta dai
redattori, sicuri d'interpretare la volontà dei compagni imprigionati.

Onde, visto che erano inefficaci gli arresti, visto che non approdava la
censura, visto che si respingevano sdegnosamente le proposte
disonorevoli, fu decisa ed eseguita la soppressione del _Siciliano_. Ci
fu un pretesto per la soppressione? Questa avvenne dopo la pubblicazione
del Nº del 9 Febbraio per un capo-cronaca intitolato: _Onore ai
fucilatori!_ nel quale senza alcun commento si riferiscono alcuni brani
dell'allocuzione del generale Morra di Lavriano di cui già si fece
parola.

  [IL "GIORNALE DI SICILIA" IN PERICOLO]

E di soppressione fu minacciato lo stesso _Giornale di Sicilia_ per
avere _composto_ soltanto la deliberazione della giunta comunale di
Castelbuono. Il Regio Commissario seppe che il giornale dovea pubblicare
tale deliberazione e poco prima che fosse posto in vendita mandò un
semplice _aut aut_: se la deliberazione sarà pubblicata il giornale
verrà soppresso.

Com'è naturale la pubblicazione non avvenne; ma gl'italiani devono
conoscere questo caratteristico documento, che riporto integralmente:

  [UN DOCUMENTO PREZIOSO]

«La Giunta Comunale di Castelbuono, presieduta dal sindaco funzionante
P. Barreca, vivamente impressionata protesta contro gli atti abusivi
commessi dalla squadra volante di pubblica sicurezza capitanata dal
delegato Breda, la quale nei giorni 8 e 9 percorrendo la strada che da
questa città conduce ai due comuni finitimi di San Mauro e Geraci, a
due km. dal paese, commetteva delle ferocie degne di altri tempi,
bastonando senza ragione e senza riguardo di età tutte le persone che
incontrava, riducendo non pochi onesti cittadini nell'impossibilità di
lavorare. Ciò per la sciocca pretesa di aver notizie della banda
maurina.

«Tal fatto ha non solo commosso, ma sdegnato gravemente il paese che
vede della povera gente malconcia a tal punto, da giacersi in un letto
di dolore e nella dura necessità di non poter provvedere ai bisogni
della famiglia.

«Gli offesi da un tanto briaco furore han fatto appello a questa Giunta
per una riparazione e la rappresentanza sottoscritta, a tutela dei
diritti dei propri amministrati che in quella barbarie vede tutti quanti
crudelmente violati, sente alto il suo dovere d'informare
l'illustrissimo comandante la zona militare qui di stanza, maggiore cav.
Merli, per gli opportuni provvedimenti.

«E qui a giusta lode del sullodato cav. Merli, la Giunta adempie
parimente l'obbligo di elogiare la condotta irreprensibile e
cavalleresca della 3ª compagnia del 38º fanteria comandata del bravo
capitano Abatino, degli ufficiali tutti e dei carabinieri e suoi
ufficiali e di questo delegato signor Gherghi, che, pur mai venendo meno
al loro compito, seppero acquistarsi l'affetto dell'intero paese.

«Gl'individui più maltrattati sono: Failla Giuseppe fu Onofrio di anni
37 muratore, Fiasconaro Rosario fu Antonio d'anni 62, Lipira Antonino fu
Leonardo d'anni 53; Gennaro Vincenzo fu Pietro d'anni 52, Ricotta Santi
fu Pietro di anni 50, tutti pastori.»

Seguono le firme degli assessori e del funzionante sindaco.

  [LE PRODEZZE DELLA POLIZIA]

Non aveva ragione da vendere il Regio Commissario straordinario nel
volere impedire che il pubblico avesse conoscenza delle prodezze dei
suoi agenti? E con queste misure--tanto abbiette, quanto i nani degli
uomini che governano l'Italia--si crede di arrestare la marcia di
un'idea![60].

L'ultima soppressione, però non definitiva perchè fu revocata in seguito
ad interrogazione presentata alla Camera dei Deputati dall'on. Picardi e
da me, avvenne alla fine del mese di Maggio e colpì, il giornale
_Imparziale_ di Messina. È notevole pei criterii, che la determinarono:
fu la espressione del più schietto risentimento personale, perchè fu
motivata dalla riproduzione di un articolo ironico del _Mattino_ di
Napoli contro il generale Morra, che da sè stesso si considerò,
modestamente, sacro e inviolabile.

  [IL DISARMO]

Sul disarmo c'è poco a dire. Esso sarebbe una misura capricciosa e
ridicola se non costituisse un indizio delle paure della reazione
trionfante. Nessuna ragione lo consigliava, una volta che in tutti i
tumulti di Sicilia _i massacrati giammai fecero uso di armi da taglio o
da fuoco_; la qual cosa era tanto conosciuta, che il Tribunale di Guerra
di Palermo stabilì che si potessero fare le rivoluzioni.... senza armi!
ma la reazione ha pensato che ciò che non avvenne ieri potrà avvenire
domani: dunque, essa disse, bisogna disarmare tutti!

Con qual risultato? I malviventi non hanno consegnato alcun'arma; molta
gente per bene non le ha consegnate neppure perchè così ha inteso
protestare contro l'arbitrio inaudito; delle armi si sono privati
soltanto i più timidi e scrupolosi osservatori della legge, colla
speranza di averle restituite a breve scadenza. Ciò che, ad onore del
vero, in parte e secondo i capricci delle autorità locali, è avvenuto.
Allo Stato è rimasta una splendida collezione di vecchi ed arrugginiti
fucili della guardia nazionale: ma gli rimane sulla coscienza una
conseguenza più grave e più dolorosa: oltre un migliaio di
contravvenzioni, che dai tribunali militari furono punite
complessivamente colla bellezza di 800 anni di prigione in parte
scontati, quando sopraggiunse--in luglio--l'amnistia riparatrice.

La insana misura, che non ebbe l'approvazione dei reazionarî, chè in
molti punti non sfuggirono ai soprusi, alle vessazioni di una polizia
tanto inetta quanto prepotente--a Caltanissetta si perquisì il domicilio
di un Consigliere di Prefettura ed a Piazza Armerina quello del
_pericolosissimo_ on. Lavaccara, provocando la più schietta ilarità di
mezza Italia!--ebbe un'altra triste conseguenza, prevista in Parlamento
nella discussione di febbraio e verificatasi esattamente: l'incremento
inaudito del malandrinaggio.

A rendere meno incompleto il quadro dei fasti della reazione trionfante
dovrei ora occuparmi della istituzione dei Tribunali militari; ma questo
grande argomento merita una trattazione a parte; qui trova posto invece
una parola sul contegno conservato dalle _classi dirigenti_ in questo
sinistro periodo di ecclissamento di ogni concetto di giustizia e di
legalità.

  [LE CLASSI DIRIGENTI E LA REAZIONE]

  [STATU QUO ANTE TUMULTUS]

La reazione del governo non fu uguagliata che dalla reazione di una gran
parte delle _classi dirigenti_. Queste, che per alcuni mesi si erano
ecclissate e rannicchiate in modo da rendersi invisibili, o avevano
fatto buon viso a cattivo giuoco, modificando i patti agrari, elevando i
salarî, trattando da uomini i lavoratori, non appena il governo si
mostrò _forte_ e ristabilì l'ordine, smisero ogni ipocrisia; e gli
uomini sciacalli--vili nel pericolo ma sanguinarî quando possono esserlo
senza timore--sono sbucati dai loro nascondigli preparandosi alla
riscossa. Ridono delle miserie dei lavoratori, si compiacciono delle
fucilazioni e del sangue sparso, inneggiano agli arresti e ai processi.
Le promesse fatte durante i tumulti non vengono mantenute, e le
concessioni vengono ritirate. _I grandi proprietarî_ riuniti nella sala
Ragona di Palermo per cura del loro Comitato promotore, fanno voti
perchè l'insegnamento ufficiale dato nelle scuole sia a _base morale_, e
c'è chi nella stessa riunione propone che si abolisca l'istruzione
obbligatoria tra gli applausi dell'assemblea! Ecco ciò che le _classi
dirigenti_ sanno escogitare e proporre per venire in aiuto degli
affamati. Esse si chiariscono degne del loro passato, di quel passato,
che fece giudicare al senatore Zini «la Baronia siciliana _ignava e
superba_ e non ultima cagione del pervertimento morale, onde volentieri
si rigetta tutto il carico sul mal governo dei Borboni»; esse si
mostrano degne del governo attuale e questo degno di loro; formando un
circolo vizioso nel cui perimetro le oligarchie, alte e basse, trovano
modo di rafforzarsi e di sostenersi a vicenda, a tutto detrimento della
libertà e del benessere popolare. Allegri italiani: la Sicilia ritorna
allo _statu quo ante tumultus_!


NOTE:

[53] Alla riunione intervenne persona che rappresentava Bosco, Verro e
Barbato, latitanti.

[54] Il telegramma-circolare è del seguente tenore: «In nome di tutti i
compagni di fede vi scongiuro di mantenere calma assoluta ed evitare
qualunque occasione, che possa produrre inutile spargimento di sangue,
doloroso sempre e dannoso adesso principalmente per la causa dei
lavoratori--occorre che la vostra attitudine pacifica, serena, dimostri
superflua ogni misura repressiva. Cessati i disordini, resterà l'impegno
al governo di riparare a quella parte dei vostri mali, che ha ora
riconosciuto.--È necessario attenderlo all'opera promessa, augurando che
possa vincere la resistenza delle camarille locali, cointeressate al
mantenimento delle attuali ingiustizie, e sappia riconoscere i vostri
diritti sinora conculcati. Le condizioni attuali impongono questa
condotta. Chi consiglia altrimenti è pazzo o traditore.»

[55] L'on. Comandini in una lettera pubblicata nel _Corriere della sera_
in risposta ad altra dell'on. Saporito-Ricca, disse che lo stesso on.
Crispi gli confessò le pressioni, che gli si facevano in favore della
reazione.

[56] Pel Pinnavaja e pel Giannone da Caltanisetta intercedettero la
società dei militari in congedo e il colonnello Pittaluga del 27º
Reggimento fanteria. L'on. Conte Testasecca si rese garante del
Pinnavaja: ma il De Rosa, Prefetto di Caltanissetta tenne duro nel
volerlo mantenuto a domicilio coatto. Il De Rosa cadde in numerose
contraddizioni per giustificare il proprio operato.

[57] Passati i primi furori della reazione molte società operaie di
mutuo soccorso si lasciarono ricostituire e si permise la riapertura
delle loro sedi. Ciò per la verità.

[58] La guerra fatta ai telegrammi ordinari divenne proibizione assoluta
pei telegrammi in cifre e con linguaggio convenzionale, che molti
negozianti adoperano a risparmio di spese coll'estero. Solo in Giugno il
Generale Morra si accorse, che poteva lasciar passare in linguaggio
convenzionale la richiesta o l'offerta di un carico di aranci senza
pericoli per la patria!

[59] Colgo qui l'occasione per testimoniare a questo egregio e mio caro
amico, tutta la mia riconoscenza per la sua cooperazione attiva e
intelligente prestatami nella pubblicazione di questa seconda edizione.

[60] Sento il dovere di segnalare l'attitudine dignitosa e indipendente
del _Giornale di Sicilia_ di fronte all'invadere della marea
reazionaria. Invece seguì ed incoraggiò la più bieca reazione _Il
Corriere dell'Isola_, dopo che ne lasciò la direzione l'Avv. Sangiorgi
che non avea disdegnato in altri tempi di collaborare nell'_Isola_.

Ma la storia della protesta della Giunta di Castelbuono dev'essere
completata: furono chiamati uno ad uno i consiglieri comunali e
_invitati_ a riunirsi di nuovo per dire che la precedente protesta era
una cosa... da burla. Così fecero perchè non si sentirono l'animo di
farsi arrestare e mandare a domicilio coatto....



XXI.

I TRIBUNALI MILITARI[61]


Il fatto più esorbitante dello Stato di assedio proclamato in Sicilia è
nella constituzione dei _Tribunali di Guerra_ ai quali non solo furono
sottoposti i civili, ma, con una violazione aperta del diritto lo furono
anche per quei reati commessi avanti la stessa proclamazione dello Stato
d'assedio. Onde si può dire che quei tribunali servirono come
efficacissimo strumento di reazione.

  [I PRECEDENTI]

Giova rilevare anzitutto col Brusa che, a uno a uno, i precedenti in
fatto di Stato di assedio, nè autorizzavano nè consentivano, in maniera
qualsiasi, la manomissione delle leggi, e degli articoli espliciti
dello Statuto, per la quale solamente fu possibile la istituzione dei
Tribunali militari.

Nello Stato d'assedio proclamato a Genova nel 1849, a Sassari nel 1852,
in Sicilia e nel Napoletano nel 1862, in Sicilia nel 1866, non si
rinviene cosa alcuna che possa considerarsi come un precedente di quello
che si fece nel 1894 in Sicilia e nella Lunigiana.

Le condizioni politiche di Genova, nel 1849, erano talmente gravi ed
eccezionali che non si può in nessun modo paragonarle a queste di
Sicilia del 1894, eppure all'articolo 9 della regia ordinanza che le
impose lo Stato d'assedio era detto: «_Continueranno i giudici, i
tribunali e i magistrati ad esercitare la loro giurisdizione a seconda
delle leggi vigenti_, salvo nei reati contro la sicurezza dello Stato ed
in quelli per il porto e la ritenzione d'armi, i quali _potranno_ essere
giudicati da un Consiglio di guerra, che applicherà le pene portate dal
codice penale militare e, nei casi da esso non previsti, quelle
stabilite dalle leggi penali comuni.»

Questa prima constatazione vale _a priori_ a dare una idea della
esorbitanza del Regio Commissario straordinario che istituì i _Tribunali
di guerra_ e della illegittimità dei medesimi. La illegittimità e la
incompetenza loro risulta altresì evidente per una serie di ragioni e di
osservazioni, che sono costretto a riassumere, non potendo estesamente
esporle in un lavoro, che non ha indole giuridica.

I _Tribunali militari_ non potevano conoscere dei reati commessi dai
civili, perchè gli articoli 70 e 71 dello Statuto _octroyè_ da Carlo
Alberto, esplicitamente stabiliscono: «Non si può derogare alla
organizzazione giudiziaria se non in forza di una legge. Niuno può
essere distolto dai suoi giudici naturali. _Non potranno perciò essere
creati tribunali o commissioni straordinarie._»

  [LE FACOLTÀ DEL POTERE ESECUTIVO]

Il potere esecutivo, dunque, col regio Decreto del 3 Gennaio col quale
affidava i _pieni poteri_ al generale Morra di Lavriano non poteva a lui
delegare quelle facoltà, che non aveva. Quando il bisogno esista di
modificare lo Statuto o di derogare temporaneamente ad alcuna delle sue
disposizioni, questa facoltà non competerà certamente al potere
esecutivo, il quale nessuna legge può fare o sospendere (art. 6 dello
Statuto) e molto meno può toccare alla legge fondamentale dello Stato
(_Impallomeni_).

Che il potere esecutivo non abbia tale facoltà--ed è evidente che non
possa averla in un regime costituzionale--risulta dagli stessi
precedenti della nostra storia; infatti esso quando ha sentito bisogno
di poteri dittatoriali od eccezionali per ragioni di difesa esterna e di
_difesa interna_ ha chiesto quella facoltà ai parlamenti e l'ha ottenuta
con la legge del 2 Agosto 1848, con quella del 25 aprile 1859, con
quella del 17 Maggio 1866 per le guerre coll'Austria; con la legge
chiamata Pica del 15 Agosto 1863 per la repressione del brigantaggio;
con la legge 3 Luglio 1875, non messa in esecuzione, per le condizioni
della pubblica sicurezza in Sicilia. Onde da questi dati si vede che se
i _Tribunali di guerra_ furono stabiliti a Genova nel 1849 ed a Palermo
nel 1866, essi furono legali, poichè il potere esecutivo si trovava già
investito dei _pieni poteri_ in forza delle cennate leggi speciali del
1848 e del 1866.

  [VIOLAZIONE DELLO STATUTO]

Nè si obbietti, che quei Tribunali possono diventare legali di fronte a
casi straordinarî e impreveduti, perocchè il Codice e la procedura
penale hanno preveduto l'avvenimento di fatti che in modo straordinario
compromettano l'ordine pubblico e li ha preveduti lo Statuto, il quale
vietando alle autorità di ricorrere in questi casi a provvedimenti
straordinarî, ha provveduto alla propria incolumità. Si può infatti
immaginare, che alcuno pensi a creare Tribunali o Commissioni
straordinarie--vietate dall'art. 71 dello Statuto--in tempi normali?
(Impallomeni).

La storia dell'art. 6 dello stesso Statuto Albertino, corrobora poi
pienamente tale corretta interpretazione. Questo articolo, che vieta al
Re di sospendere l'osservanza delle leggi o dispensarne, fu copiato
dall'art. 13 della Carta francese del 1830, e questo fu alla sua volta
desunto dall'art. 14 della precedente Carta del 1814 ch'era così
formulato: «Le roi fait les reglements et les ordonnances nècessaires
pour l'execution des lois et la suretè de l'Etat.»

I partigiani dell'assolutismo spinsero Carlo X, con una falsa
interpretazione di queste ultime parole, a pubblicare le ordinanze del
25 luglio 1830, che sospesero la libertà della stampa, modificarono la
legge elettorale e sciolsero la Camera dei Deputati e provocarono pure
la rivoluzione. Col trionfo della rivoluzione rivedendosi la Carta del
1814 nel 1830 furono soppresse le vaghe parole: _Sureté de l'Etat_ e
aggiunte le altre: _sans pouvoir jamais ni suspendre les lois
elles-mêmes, ni dispenser de leur execution_, per impedire che
rinascesse mai la pretesa di paralizzare con decreti le leggi dello
Stato. (_Pierantoni_).

I pareri dei più eminenti giuristi--e basta ricordare tra questi il
Mittermeyer--e degli scrittori politici, anche tra quelli non molto
liberali, sono concordi in questa corretta interpretazione sui
_Tribunali militari_ e sulla sottrazione dei cittadini ai loro giudici
naturali, ma nel caso presente si hanno due giudizi alla cui autorità
tutti si devono inchinare.

  [LA CORTE DEI CONTI]

Uno dei supremi corpi dello Stato, infatti, la _Corte dei Conti_, da
principio si rifiutò di registrare il decreto di proclamazione dello
Stato di assedio in Sicilia; poi a sezioni unite lo registrò _con
riserva_ con questo scultorio motivato: «Considerato che il
provvedimento eccezionale, _com'è definito dallo stesso governo_,
determinato da ragione politica, _esce dai confini della legge scritta,
dalla quale non trae norma_.»

Si poteva, forse, più esplicitamente di così, dichiarare che il decreto
del 3 gennajo, con tutte le sue conseguenze--tra le quali la
costituzione dei _Tribunali di guerra_--è stato illegale?

  [L'ART. 337 BIS DEL CODICE PENALE MILITARE]

Ma il governo stesso, implicitamente, ha fatto la stessa preziosa
confessione; imperocchè esso, dando pienamente ragione agli scrittori
_Arangio Ruiz_, _A. Majorana_, _Vidari_, _Contuzzi_, _Brusa_,
_Impallomeni_, _Pierantoni_ ecc., che in questa occasione dolorosa
sostennero non potersi applicare le disposizioni del Codice penale
militare che si riferiscono allo _Stato d'assedio guerresco_, allo
_stato di assedio politico_ o _fittizio_, sì è accorto della lacuna che
esiste nelle nostre leggi--che lacuna non è, ma voluto silenzio a
garenzia dei diritti dei cittadini consacrati dallo Statuto--e dopo
compilato il nuovo codice penale militare mentre era sotto esame della
Commissione del Senato, vi ha aggiunto l'articolo 337 _bis_, che dice:
_Lo stato di guerra può essere anche dichiarato in caso d'insurrezione o
d'imminente pericolo della pace pubblica_. Ora se il potere esecutivo
aveva già il diritto di equiparare lo _stato di assedio guerresco_ a
quello _politico_, qual bisogno aveva esso di presentare l'articolo
aggiuntivo?

A proposito del quale articolo 337 _bis_, il relatore sul nuovo Codice
penale militare, Senatore Costa, osservò:

«Il dubbio che un comandante possa dichiarare lo stato di guerra non
deve rimanere nel testo: se mai questa facoltà si volesse ottenere, è
necessario escluderla. È facoltà _sconfinata_, che non è giustificata da
alcun principio, che non è imposta da alcuna necessità. È _sconfinata_ e
_pericolosa_, perchè pone alla mercè di un comandante d'armi il potere
di costituire un regime eccezionale e l'esercizio di un potere
eminentemente politico, che al solo governo, sotto il peso della sua
responsabilità politica, deve essere riconosciuto.»

Ammesso, dunque, che il nuovo Codice penale militare col suo articolo
aggiuntivo, dichiarato _sconfinante e pericoloso_ da un conservatore,
partigiano del governo, e suo dipendente anche--perchè il senatore Costa
è un alto funzionario dello Stato--venga approvato dal Parlamento e
sanzionato dal Re, è certo ch'esso ancora non è legge e finchè ciò non
sarà bisognava e bisogna rispettare il diritto vigente. (_Brusa_) Resta
perciò provato che il Regio decreto col quale si proclamò lo Stato di
assedio in Sicilia e gli atti consecutivi del Regio Commissario
straordinario coi quali s'instituirono i _Tribunali di guerra_
assoggettando ad essi i civili, violano lo Statuto fondamentale del
regno e le sue leggi. Nè valgono a dimostrare il contrario le miserevoli
argomentazioni degli epigoni dell'on. Crispi, i quali contorcono la
storia e la logica con la speranza di giustificarlo dalla grande accusa
di avere violato la Costituzione.

  [LA COSTITUZIONE NON ESISTE PIÙ]

Ora uno dei più eminenti scrittori di diritto costituzionale, il
monarchico e dinastico prof. Casanova, nota: «un governo costituzionale
cessa di esistere tostochè più non esiste la Costituzione: essa non
esiste tosto che fu violata. Il governo che la viola lacera il proprio
titolo a governare: da questo istante può ben sussistere in virtù della
forza, non già in virtù della Costituzione.»

La più mite e legale illazione di questo canone rettissimo di diritto
costituzionale la trassero gli on. Prampolini, Badaloni, Ferri, Agnini e
Berenini i quali--più rispettosi delle leggi che coloro i quali se ne
dicono i custodi--proposero alla Camera dei Deputati di porre in istato
di accusa il ministero presieduto dall'on. Crispi, che aveva violato la
Costituzione. E in istato di accusa fu messo in Francia nel 1830 il
ministero Polignac per avere violato colle ordinanze di luglio la Carta
del 1814.

Ma là la rivoluzione era trionfante e in Italia la vittoria era,
incontrastata, del potere esecutivo; la Camera dei deputati, quindi,
ghignò sul viso ai socialisti che invocarono il rispetto delle leggi e
dello Statuto, e s'inchinò reverente dinanzi alla forza trionfante!

Se i _Tribunali di guerra_ erano illegali nella loro origine, la loro
istituzione, guardata da un elevato punto di vista, doveva considerarsi
come impolitica, nè da essi poteva emanare equanimità di giudicati.

  [I MILITARI GIUDICI E PARTE]

Invero i militari, di fronte ai cittadini che hanno vinto e domato nelle
dissensioni civili, non possono essere imparziali, poichè per quanto
essi siano leali, per quanto la compagine dell'esercito sia nazionale, è
umano che nelle lotte si destino risentimenti e che nel cuore di coloro
che si sentirono offesi e rimasero vincitori alberghi il desiderio della
vendetta per quanto attenuato e represso da un alto senso del dovere. Di
più i militari rappresentano il potere esecutivo contro il quale si
levano i ribelli; essi, quindi, sono giudici e parte direttamente
interessata nello stesso tempo.

  [IL CASO DEL MARESCIALLO NEY]

Quest'ordine di considerazioni non è teorico ma ebbe altrove la sua
esplicazione pratica e ne venne riconosciuta la giustezza. Ben a ragione
il senatore A. Pierantoni ha ricordato che la quistione non è nuova
nella storia delle guerre civili e che il caso del maresciallo Ney
avrebbe dovuto servire di esempio e di ammaestramento.

«Quando Napoleone dall'isola d'Elba sbarcò nel golfo di Iuan ai 5 marzo
1815, per riprendere l'impero della Francia, il maresciallo Ney fu
scelto dal re Luigi XVIII per tagliare la via della capitale
all'_insensato_ perturbatore della pubblica quiete.»

Ney, _impotente a trattenere le onde del mare_, tornò alla causa di
Napoleone.

«Dopo la battaglia di Waterloo e la seconda abdicazione di Napoleone,
Luigi XVIII volle _deferire ai consigli di guerra i colpevoli di aver
tradito il re prima del 23 marzo, e di avere attaccata la Francia e il
suo governo a mano armata_. Con ordinanza del 24 luglio mandò Ney,
Cambronne ed altri ai giudici militari. Il maresciallo fu difeso da
Berryer, padre, che sostenne l'incompetenza del Consiglio di guerra.
Queste furono le ragioni sostenute: il giudizio su preteso crimine di
Stato non essere domandato ad un Consiglio di guerra. Il sovrano, capo
dell'esercito, si osservò, non poteva _pronunziare in causa propria_,
per giudizio dei suoi ufficiali. L'articolo 33 della Costituzione
affidava alla Camera dei Pari la procedura per i crimini di alto
tradimento. Gli articoli 62 e 63 vietavano di sottrarre un prevenuto ai
suoi giudici naturali. Il re per un altro articolo del Patto
costituzionale stretto con la nazione aveva renunziata la potestà di
creare tribunali straordinari. Il Consiglio di guerra si dichiarò
incompetente con la maggioranza di cinque voti contro due. Il
maresciallo fu giudicato e condannato dalla Camera dei Pari.»

  [VAE VICTIS]

Ma questi timori si sono mostrati vani e infondati nel caso disgraziato,
che esaminiamo? Questo sarebbe stato certamente l'ardente desiderio di
ogni italiano; ma pur troppo i fatti corrisposero alle sinistre
previsioni e il Brusa, temperatissimo uomo e alieno dalle lotte
politiche, è stato costretto di fronte alle sentenze dei _Tribunali di
guerra_ ad esclamare: _À la guerre comme à la guerre!_ e: «odio o
vendetta entrano soltanto in iscena quando al _Te Deum laudamus_ si
mesce il _Vae victis_.»

L'_ordine_ venne ristabilito in Sicilia e i vincitori poterono
ringraziare Iddio; l'odio e la vendetta hanno fatto il resto a danno dei
vinti!

Dopo la quistione della legalità e della presunta ingiustizia dei
giudizi dei _Tribunali di guerra_, quella della retroattività della loro
competenza è la più importante. E su questo terreno non solo furono
violate le leggi e i principî più inconcussi del diritto, ma si riuscì
anche alle più manifeste contraddizioni nelle dichiarazioni e negli atti
dei Regi Commissarî straordinarî in Sicilia e in Lunigiana.

In ordine a queste contraddizioni sta che il generale Morra di Lavriano
negli editti dell'8 e del 20 gennaio 1894--coi quali veniva istituita la
giurisdizione straordinaria dei _Tribunali di guerra_ in Sicilia--disse:
«_saranno_ deferiti al giudizio del _Tribunale di guerra_ ecc. ecc.»;
dunque previde reati che nel futuro dovevano essere deferiti al
Tribunale di guerra, non reati dei quali il Tribunale avesse l'obbligo
di prender cognizione al momento della promulgazione dell'editto.
(_Impallomeni_). Più esplicito era stato il generale Heusch in
Lunigiana. In seguito al decreto del 17 gennaio, che istituiva la
giustizia marziale vi fu la circolare del 20 che ad essa attribuiva la
competenza pei reati commessi dopo la proclamazione dello Stato di
assedio. Ma il Tribunale penale di Massa e Carrara dichiara la propria
incompetenza nella causa Molinari e il 25 lo stesso generale Heusch con
altra circolare annulla quella del 20 e proclama la _retroattività_! Il
Generale Morra di Lavriano, più furbo, non constatò la propria
contraddizione, ma non vi sfuggì.

  [CONTRADDIZIONI STRIDENTI]

Che cosa pensare di queste contraddizioni stridenti? «Legge e stabilità
o identità di pensiero legislativo sono termini, che si richiamano a
vicenda indissolubilmente. Volere e disvolere a un tempo, cioè a
distanza di soli _cinque_ giorni, sarà consentito, e richiesto forse,
nell'ordine _interno_ degli ufficî amministrativi, e le circolari
_interne_ così talora fanno. Ma la maggiore offesa, che possa recarsi ad
un _legislatore_--e lo erano i due Regi Commissarî straordinarî di
Sicilia e di Lunigiana--sarebbe proprio quella di ritenerlo capace di
fare egli pure altrettanto, e segnatamente di prevalersi di semplici
_circolari_, cioè di atti inefficaci, per determinare, se già non
fossero determinati, o per alterare poi, rapporti giuridici,
precisamente affine di determinarli o di alterarli.»

«Sarebbe poi _assurdo_ e _barbaro_, perchè niente vi ha di più
contradittorio in sè e contrario alle norme di giustizia, che
l'apprestare agli abitanti le garenzie maggiori dalle sorprese terribili
di una repressione straordinaria ed eccezionale durante il tempo più
calamitoso della guerra vera, per riservarne di minori ed insufficienti
durante quello di un semplice così detto stato d'assedio politico
fittizio: vale a dire quando appunto la coesistenza dei rapporti
generali del tempo di pace, tuttora rimasti, rende sopratutto necessario
avvertire bene che si applicheranno, e in quale misura, anche norme
eccezionali proprie solo dello stato di guerra.» Così il prof. Brusa.

  [LA RETROATTIVITÀ]

A parte questa contraddizione tra gli atti e le dichiarazioni dei Regî
Commissarî straordinarî, resta pur sempre che la _retroattività_ è
violatrice delle nostre leggi e dei principî del nostro diritto.
L'articolo 2º delle disposizioni generali premesse al Codice civile
consacra il canone supremo della irretroattività delle leggi; ed in
proposito giova ricordare che nella discussione della Commissione
generale per la revisione dei Codici nel 1865 si fece cancellare un
inciso che c'era nel progetto presentato dal Ministero in cui si
accennava al caso in cui la si potesse ammettere quando la _legge così
espressamente disponga_.

Il senatore De Foresta ritenne indecoroso per l'Italia che una sua legge
potesse ammettere la retroattività; e l'on. Bonacci aggiunse che
«sarebbe sconveniente e quasi scandaloso il ricordare tale eccezione nel
nuovo Codice italiano, perchè si potrebbero così ridestare le
tristissime memorie dei caduti governi della penisola, che _violavano
tante volte per mire politiche_ il sacrosanto principio della non
retroattività delle leggi.»

Adesso, i governi caduti, on. Bonacci, sono stati riabilitati dal
governo italiano che il principio ha impunemente violato precisamente
per _mire politiche_, a malgrado che per pudore, trent'anni or sono, i
nostri giureconsulti non abbiano voluto ammettere nemmeno la possibilità
che ciò si potesse fare anche in forza di una legge!

  [QUEL CHE DICONO GLI EPIGONI]

Non si danno per vinti i tristi difensori dell'arbitrio sfrenato e della
prepotenza militaresca, e facendosi forti anche del parere del
Carrara,--che pur si sa quanto avversasse la ingerenza del potere
politico nelle cose della giustizia--e di altri eminenti giureconsulti,
non esitano a dire che il principio della non retroattività delle leggi
non è applicabile alla procedura e alla competenza «a quelle leggi cioè,
che stabiliscono le forme dei giudizî e la ripartizione della
giurisdizione tra i varî magistrati in quanto questa ripartizione ha
tratto colle forme del giudizio.» (_Muratori e Giannini_). Ma la
giustificazione cade quando si riflette, che questa limitata
retroattività nella procedura e nella competenza si può invocare ed è
stata invocata quando ad una giurisdizione ordinaria si è sostituita
un'altra giurisdizione ordinaria e non quando se ne sostituisce una
straordinaria ed eccezionale, poichè precisamente in questo caso
intervengono le ragioni accennate, che a guarentigia vietano l'impero
retroattivo della legge, per la necessità che la nuova legge sia posta
al disopra di ogni sospetto di _mire politiche retrospettive_.

E la retroattività anche in questi casi è da respingersi, perchè oltre
che gli accusati si trovano dinanzi a giudici non legittimi e contro di
loro prevenuti ed animati del sentimento della vendetta, essi pel fatto
di vedersi sottoposti ad una giurisdizione straordinaria vengono già
privati di importanti garanzie di cui avrebbero goduto colla
giurisdizione ordinaria. «Difatti, mentre coloro, che sono accusati in
Corte d'assise sono stati prima giudicati in Sezione d'accusa, ed hanno
quindi potuto presso la medesima difendersi, gli accusati in Tribunale
di Guerra non hanno potuto fruire di questo vantaggio. In secondo luogo
il loro diritto di difesa presso i Tribunali di Guerra è stato in fatto
limitato, benchè per falsa applicazione di legge, perciò che non è
stato loro riconosciuto il diritto di scegliersi un difensore civile. E
un terzo motivo di disfavore verrebbe da ciò che il diritto di ricorrere
in Cassazione sarebbe limitato ai vizî d'incompetenza e di eccesso di
potere.» (_Impallomeni_).

  [ASSASSINIO PER PROCURA]

Laonde saviamente il citato prof. Casanova a proposito della non
_retroattività delle leggi_ in materia di competenza sancita dallo
Statuto aggiunge che «anche il concorso di _tutti i poteri dello Stato_
non potrebbe sottrarre un cittadino ai giudici che le leggi esistenti
gli accordano, e tramandarlo innanzi ad un tribunale straordinario,
_creato dopo che avvenne il fatto per cui si vuole procedere_... La
violazione delle forme prescritte, ordinata dai mandatarî del popolo non
è più legittima del _linciaggio_. _È un assassinio per procura._»

Per tali motivi molti codici penali stranieri--il bavarese e l'austriaco
tra gli altri--esplicitamente escludono la retroattività nel caso di
costituzione di un Tribunale straordinario, in conformità del parere di
eminenti giureconsulti (Kleinschrod, Zachariae, Berner, Odilon Barrot,
Glaser ecc.) e di sentenze dei Tribunali e della Cassazione di Francia.

Nulla di più vergognoso alla nuova Italia di ciò che, violando, hanno
voluto operare i suoi governanti in questa occasione.

Il prof. Brusa con profonda amarezza rileva che l'Austria, nelle sue
repressioni dei moti nazionali del Lombardo-Veneto--moti che dovevano
essere _liberali_--non applicò mai il giudizio statario ai fatti
anteriori alla sua proclamazione. L'Austria maestra di libertà e di
rispetto delle leggi all'Italia di G. Mazzini e di G. Garibaldi: ecco
una cosa, che parrebbe assolutamente impossibile se non fosse vera!

  [L'ITALIA AL DISOTTO DELL'AUSTRIA]

Oh che fremiti di vergogna voi avreste, poveri grandi martiri, che deste
il sangue e consacraste la vita alla patria Italiana per vederla, o
appena sperarla, libera dallo straniero! quali mai impeti d'ira i
vostri, se poteste sapere quanto la terza Italia, che dicono libera, è
al di sotto dell'abborrito impero Austriaco per tutto quello che
risguarda le disposizioni e le forme del giudizio statario!

Per tutti gli infiniti vostri sacrifici voi vi sentireste traditi.

Non ultima delle enormità dei processi che si perpetrarono dinanzi ai
_Tribunali di guerra_ fu la negata difesa civile agli imputati. I
_Tribunali di guerra_ con interpretazione grettamente farisaica del
Codice penale militare respinsero in tutti i casi la istanza degli
imputati per la libera scelta di un difensore tra gli avvocati
esercenti: poggiando le loro decisioni sull'articolo 544 di detto Codice
che consente all'imputato di _potere_ scegliere il difensore fra gli
uffiziali presenti, che non abbiano un grado maggiore a quello di
capitano.

Si lasci da parte il fatto che viene diminuita sostanzialmente la difesa
che i nostri Codici vogliono affidata a _persona capace_--e i militari,
per quanto valorosi in guerra e competenti nella loro arte, non potranno
mai dirsi _persone capaci_ nelle quistioni di diritto e nello esercizio
della avvocatura--ma colla interpretazione data col citato articolo si è
violato lo spirito e la lettera della legge.

Il legislatore ha disposto e statuito in vista della guerra, e si
comprende che mentre l'esercito è in campagna non è possibile
rispettare tutte le forme procedurali e che molte volte, perciò, tutto è
rimesso alle circostanze del momento; per questo motivo non nel solo
articolo 544 si adoperano frasi, che indicano la intenzione che si
faccia il possibile (l'imputato _potrà_ scegliere il suo difensore fra
gli uffiziali presenti ecc.), ma anche nell'art. 545 vien detto che gli
uffiziali istruttori, l'avvocato fiscale ed il segretario _potranno_
scegliersi fra i militari, secondo le circostanze. La chiarissima
intenzione del legislatore, infine, emerge, dall'art. 551 dello stesso
Codice penale militare, che stabilisce: «Innanzi i tribunali militari,
_in tempo di guerra_, si osserveranno, _per quanto sarà possibile_, le
regole di procedura stabilite pel tempo di pace...» E in tempo di pace
gl'imputati innanzi i Tribunali militari hanno il diritto di scegliersi
il difensore tra gli avvocati esercenti.

Si vorrà forse dire che le _circostanze_ erano tali che non resero
possibile il rispetto delle procedure stabilite in tempo di pace?

  [NEGATA LIBERTÀ DI DIFESA]

Infatti,... i più valorosi avvocati della Sicilia e d'Italia si erano
offerti a costituire il collegio della difesa. È facile che anche
appunto per questo si volle essere esclusivamente brutali nello
arbitrio, menomando il diritto di difesa agli imputati politici. Onde,
bene e a proposito il Consiglio dell'ordine degli avvocati di Palermo,
protestò energicamente--a proposta dell'avv. Vittorio Palmeri--contro
l'iniqua decisione del Tribunale di guerra.

  [I PARAGONI]

Ed anche su questo riguardo ricorrono alla mente i paragoni che
suggeriscono assai malinconiche riflessioni. Gli eroici difensori di
Casa Ajani nel 1867 in Roma--governando il Papa sotto la protezione
dell'esercito imperiale francese--ebbero concessi gli avvocati civili
per la difesa; e pure la tirannide borbonica rispettò in Napoli e
Sicilia questo sacrosanto diritto della difesa al 1821, al 1831, al
1850, al 1858, al 1860, nel processo di Nicolò Garzilli, in quello
contro Poerio, Settembrini ecc., nell'altro delle _tredici vittime_,
sempre! L'accusa di aver negata la difesa civile agl'imputati di reato
politico, mossa da Gladstone nelle famose lettere in cui chiamò
_negazione di Dio_ il governo Borbonico, parve a quest'ultimo tanto
disonorante, osserva l'Impallomeni, che esso fece pubblicare una memoria
dove in risposta al grande statista inglese si mostrava che l'accusa non
era fondata e si concludeva: «Con fatti così bugiardi no, non poteasi
mai preoccupare la pubblica opinione, e meno _spargere la credenza che
pessimamente nelle due Sicilie si amministri la giustizia_.»

Ma dunque? Eh! dunque,--ciò che non fece il vituperato governo borbonico
venne consumato dal governo _liberatore_ e _restauratore_, che ebbe,
però, rispetto della legge pei briganti del napoletano; ai quali si ebbe
premura di accordare la difesa civile, negata ora, ai socialisti di
Sicilia e della Lunigiana...

Sulle mostruose conseguenze pratiche di questa violazione del diritto di
difesa non occorre insistere, basta accennare soltanto che spesse volte
i Presidenti dei Tribunali di guerra imposero _silenzio_ o _comandarono_
di non insistere agli ufficiali difensori; i quali in omaggio alla
disciplina militare dovettero sottomettersi ed ubbidire!

  [I MILITARI DIFENSORI]

I militari adibiti nei vari processi mostrarono attitudini oratorie,
ebbero un contegno superiore ad ogni elogio, mostrarono intelligenza non
comune ed altrettanto coraggio. Essi difesero gli accusati a loro
affidati con tutto l'affetto possibile; e tra tutti maggiormente si
distinse un capitano di artiglieria simpatico e calvo--Francesco
Piccoli. A tutti va una parola di lode e di gratitudine, viva e sincera.

Il fatto, considerato poi dal punto vista degli interessi di casta e del
governo, fu grave errore politico, poichè non riuscì ad altro, che a
fare penetrare il socialismo nelle fila della più balda ed intelligente
ufficialità dell'esercito.

Mentre si manomettevano Statuto e codici, pur di sottrarre gl'imputati
di reati politici ai loro giudici naturali ed ottenere la loro sicura e
draconiana condanna non si osservavano altre regole essenziali di
procedura nei processi e si riusciva ad un vero caos sotto un altro
riguardo, sebbene non a danno degli accusati.

Perocchè in tutti i processi politici svoltosi innanzi i Tribunali di
guerra della Sicilia «la giurisdizione loro non fu provocata
dell'autorità competente; 1º perchè per gli articoli 552-556 del Codice
penale militare per l'Esercito _l'ordine di procedere_ doveva emanare--e
non emanò--dall'autorità militare superiore presso cui esiste il
Tribunale; 2º perchè per l'articolo 544 l'atto di accusa doveva essere
formulato dall'avvocato fiscale militare e si fece invece consistere
nella ordinanza delle Camere di Consiglio, con cui queste dichiaravano
la incompetenza del magistrato ordinario, cioè la propria.»

  [PROCESSO E NON PROCEDIMENTO]

«Vi fu dunque un _processo_ ma non un _procedimento penale_ non essendo
stata l'azione penale promossa dall'autorità militare competente; vi fu
un'_accusa_, ma non un _atto di accusa_ essendovi state in suo luogo
l'ordinanza delle Camere di Consiglio. Chi dunque provocò la
giurisdizione dei Tribunali militari di guerra? Nessuno, perchè
l'autorità incompetente non ha che l'ufficio di dichiarare la propria
incompetenza!»

«Come si riparò a tutte queste irregolarità mostruose; come si rispose
alla loro denunzia? allegando la circolare del 16 Febbrajo 1894 emessa
dal Generale Morra di Lavriano con cui ordinavasi che l'istruttoria
doveva farsi dall'autorità ordinaria, l'autorità militare dovesse
intervenire solamente per giudicare.» (_Impallomeni_).[62]

Ed ecco fornita la prova che nell'anno di grazia 1894 quando è
presidente del Consiglio Francesco Crispi, la circolare di un soldato
può derogare alla legge e mutare le forme dei procedimenti!

Si è visto sinora che con la creazione dei _Tribunali di guerra_ in
Sicilia, si violarono i Codici e lo Statuto, specialmente per la
giurisdizione loro assegnata sui non militari implicati nei moti
sociali del 1893 e del 1891; per la retroattività accordata; per la
negata difesa di persone capaci, cioè di avvocati esercenti; e per le
altre irregolarità dianzi ricordate. Quali che siano stati i vizî
capitali della istituzione dei _Tribunali di guerra_ e nella istruzione
dei processi, si sarebbe forse riusciti a farli dimenticare quando le
sentenze fossero state tali, da potere essere ritenute conformi alle
risultanze dei processi--comunque istruiti--e perciò eque.

  [L'OPERA DEI TRIBUNALI DI GUERRA]

Disgraziatamente vedendo all'opera questi _Tribunali_ e questi giudici
eccezionali--che giudicarono nella causa propria--si è costretti a
riconoscere che la loro funzione fu altrettanto deplorevole quanto la
loro origine e che gli atti corrisposero al sospetto che si ebbe sin da
principio sulla parzialità dei giudici.

Il giudizio è severo, ma rigidamente esatto quale emerge dallo esame
della condizione e moralità degli accusatori e dei testimoni e della
natura ed origine delle pretese prove di accusa e della enormità delle
sentenze e dei criteri ai quali furono ispirate e della riconosciuta
innocenza di alcuni condannati.

_Accusatori, testimoni ed accusati._--Da una circolare del Generale
Morra di Lavriano da accenni e telegrammi dell'on. Crispi, da lettere e
telegrammi dei Prefetti e sotto-prefetti nei momenti del pericolo e
quando in Sicilia non c'erano ancora truppe a sufficienza, oltre che da
quanto sin'ora è stato esposto sulle _cause_ dei moti di Sicilia, emerge
luminosamente, che in questi ebbero parte grandissima le ire e gli odî
dei partiti locali, gli antagonismi e le lotte amministrative: la
partigiana, dissennata e iniqua amministrazione dei municipî, infeudati
da anni a consorterie locali, che ne usarono ed abusarono in tutti i
modi sotto l'egida di Prefetti e deputati: le prepotenze delle
combriccole locali, che, come scrisse l'on. Pantano, appestano l'aria
delle città dell'isola nella stessa guisa che la malaria appesta le sue
campagne; il desiderio ardente nei vinti di liberarsi dal giogo ed anche
di vendicarsi sugli avversari.

Data questa genesi dei moti che dettero luogo ai reati che si dovevano
punire, nella istruzione dei processi, se volevansi evitare iniquità,
sfogo di passioni ignobili e vendette atroci dovevasi diffidare delle
testimonianze di coloro ch'erano direttamente in causa e che nemmeno
osavano nascondere o attenuare la loro posizione di nemici personali,
anzicchè di avversarî politici degli accusati. Questa diffidenza
costituiva una indicazione precisa e per la polizia giudiziaria--che
raccoglieva gl'indizî e le prove contro gli accusati e procedeva agli
arresti dei presunti rei--e per la magistratura che doveva convalidare
gli arresti e istruire i processi.

  [SI SOVVERTE OGNI CRITERIO D'ISTRUTTORIA]

Invece si procedette al rovescio e sovvertendo tutti i criterî
istruttorî, che prevalgono nei processi ordinari, si confidò
esclusivamente nei partiti locali al potere e nei loro dipendenti
diretti. Lo appartenere, anzi, ad un partito avverso a quello dominante
costituiva già una presunzione di colpa: e questo criterio mostruoso
venne nettamente formulato dal generale Morra di Lavriano in un discorso
col compianto on. Cuccia e ridotto al seguente sillogisma: «poichè
l'oggetto dei tumulti e delle sedizioni sono stati i municipî, non
possono colpirsi gli uomini delle maggioranze imperanti, perchè queste
non avrebbero aggredito sè stesse: epperò devono cercarsi gli autori dei
fatti deplorati fra quelli delle minoranze».

  [UN PENSIERO PEREGRINO DEL COMMISSARIO]

Se così pensava il Regio Commissario straordinario, conformemente
agivano le autorità subordinate. Perciò in un paese della provincia di
Trapani si volevano arrestare i 250 firmatarî di una petizione inoltrata
nell'estate del 1893 contro la locale amministrazione municipale; in un
altro della provincia di Girgenti si arrestano molti socî del _Fascio_
perchè essi erano notoriamente avversarî dell'amministrazione comunale;
a Gibellina si arrestano e si processano i Di Lorenzo perchè nella
dimostrazione contro il Sindaco erano stati acclamati; a Valguarnera si
volevano processare i principali o più temuti avversarî del sindaco e
molti se ne arrestano e processano non ostante la rara e vigorosa ed
onesta resistenza del pretore e del delegato; nel processo di Misilmeri
si vedono figurare 25 accusati tutti del partito della minoranza; e nel
partito della minoranza oppositrice si vanno a cercare gli accusati dei
processi di Belmonte Mezzagno, di Partinico, di Castelvetrano, ecc. ecc.
Si fa di più: in molti piccoli paesi il sindaco funziona da delegato di
pubblica sicurezza ed è lui a dare le indicazioni e ad ordinare gli
arresti per le dimostrazioni avvenute contro l'amministrazione da lui
stesso presieduta! Scandali simili io credo che mai in alcun paese del
mondo si siano verificati; essi sono stati tali da far desiderare il
ritorno ai tempi barbari della giustizia privata.

  [I MISERABILI POSSONO VENDICARSI]

Ogni miserabile, perciò, che volle sfogare i suoi personali rancori si
comprende che ebbe un mezzo facilissimo per raggiungere l'intento:
asservire sè al partito dominante ed indicare la vittima come uno dei
dimostranti di un dato paese in un dato giorno. Così a Marineo una
onesta donna, certa Lombardo, viene denunziata da una guardia daziaria
che aveva tentato disonorarla mentre il marito era in campagna; e dietro
la sola testimonianza di un siffatto arnese che voleva vendicarsi del
rifiuto, la sventurata viene condannata a 13 anni di prigione dal
Tribunale di Guerra di Palermo!

I sindaci per vendicarsi dei ribelli non hanno alcun ritegno nel
contraddirsi sfacciatamente; e innanzi al Tribunale di Guerra di
Caltanissetta pei fatti di Pietraperzia,--non ostante l'opposizione
della difesa--si leggono i certificati di moralità rilasciati dal
sindaco--parte direttamente e indirettamente lesa--non conformi alle sue
deposizioni, sugli stessi individui.

Innanzi al Tribunale di guerra di Palermo alcuni dei detenuti accusati
dalle autorità locali come autori dei tumulti, perchè avversarî
dell'amministrazione municipale, provano a luce meridiana l'_alibi_; e
riesce anche a liberarsi dall'accusa l'avv. Girolamo Sparti, dimostrando
ch'egli era una vittima innocentissima degli avversarî antichi, che
avevano in mano il municipio.

E altri altrove fecero di peggio.

Dissi che spesso gli accusatori non nascosero affatto il proprio livore,
nè l'odio contro gli accusati; non lo diminuì per esempio di una linea
il Cav. Saporito, sindaco di Castelvetrano contro il Cav. Vivona, antico
e notissimo suo avversario, il Saporito non depose, ma pronunziò contro
il prigioniero una requisitoria colla quale tal volta riuscì ad
indispettire anche il Presidente del Tribunale di guerra...

  [ESSER MESSO IN LISTA...!]

Molte autorità politiche e giudiziarie non ignoravano le condizioni di
animo di coloro che si fecero accusatori dei proprî concittadini, ma
anche quando sentivano pietà e forse erano tormentati dal rimorso, esse
credettero di continuare nell'opera nefanda ubbriacati dai vapori della
reazione di cui era saturo l'ambiente, timorosi della propria sorte se
avessero osato venir meno alle istruzioni superiori, nella
preoccupazione della carriera... Sicchè quando gli arrestati di
Misilmeri con accento di verità, che non ammetteva replica, giuravano ai
carabinieri di essere innocenti si sentivano rispondere: «Che volete? lo
sappiamo che siete innocenti; ma pigliatevela colle vostre autorità
locali amministrative, che vi hanno messo in lista.»

Essere messo in lista! Equivaleva nei più tristi momenti della reazione
ad essere arrestati, processati, condannati o mandati fra mafiosi e
camorristi a domicilio coatto. Per simili motivi lo storico che farà,
documentandolo, il processo ai processi innanzi i Tribunali di guerra di
Sicilia nell'anno 1894, verrà a questa prima e dolorosa conclusione: in
essi c'è la prova del completo asservimento delle autorità politiche e
giudiziarie ai partiti dominanti in ogni singolo paese dell'isola!

  [I TESTIMONI DEGNI DEGLI ACCUSATORI]

Agli accusatori sfacciatamente partigiani, odiosamente animati dal
sentimento della vendetta dovevano corrispondere e corrisposero i
testimoni, non racimolati--come si direbbe per disprezzo--nei trivî, ma
comprati con oro sonante o reclutati tra le guardie di città e tra le
guardie daziarie, cioè tra coloro contro i quali erano state fatte le
più clamorose dimostrazioni e che tutto potevano essere, meno che
sereni. Epperò nel processo pei fatti di Valguarnera parecchi testimoni
smentiti dalle persone più autorevoli e convinti di mendacio o di
reticenza furono incriminati per falsa testimonianza; e nel processo pei
tumulti di Partinico il perno dell'accusa fu la deposizione delle _sole_
guardie daziarie, parecchie delle quali pregiudicate e altra volta
condannate per reati comuni.

Non basta: questi degni testimoni di accusa talora non conoscono neppur
di vista gli accusati e per non fare qualche magra figura se li fanno
indicare nelle gabbie, come risultò nel processo pei fatti di
Pietraperzia e fu fatto rilevare dal bravo tenente Catalano a richiesta
del quale il Presidente del Tribunale di guerra, colonnello Orsini, fu
costretto ad ammonire i preveggenti testimoni. Ma non ammonì, nello
stesso processo, il capo delle guardie municipali, che non sa
riconoscere tra i detenuti in gabbia tutte le persone che assicurava di
_aver visto_ partecipare al tumulto! e condannò poi sulla base delle
deposizioni di siffatti testimoni.

  [GLI INDIZÎ DIVENTANO PROVE]

_Origine e valore delle prove._--Questi testimoni esemplari, che
avrebbero potuto degnamente figurare ai tempi beati della Santa
Inquisizione, hanno poi talvolta degli scrupoli; non affermano con
risolutezza di aver visto coi propri occhi, di aver sentito colle
proprie orecchie; non si atteggiano a San Tommasi. No! Si accusa, ad
esempio, lo Sparti di Misilmeri, ma tutti si riferiscono ai: _si dice,
si vuole_... E la storia del modo di raccogliere le prove diviene
_edificante_ nel processo di Lercara, nel quale insidiosamente si
coinvolge il povero Bernardino Verro--che di già per lo stesso reato
doveva rispondere nel processo De Felice e C.--Verro è accusato di aver
provocato disordini che egli aveva cercato scongiurare; ed è accusato
come sobillatore da un delegato Lenti; il _quale_ si era convinto della
reità dell'accusato per certe parole dettegli da un tal Corsaletti; il
_quale_ aveva acquistato la stessa convinzione da certe parole della
propria moglie; la _quale_ le aveva apprese dalla moglie del
Commendatore Sartorio; la _quale_ le aveva sentite dal proprio marito;
_il quale_, infine, era il sindaco del paese preso di mira dai
dimostranti...

Tutto questo, ch'è risultato dal processo, non è l'intreccio di una
_pochade_. Pur troppo si tratta di un dramma reale, in cui il
protagonista sulla base di tali prove viene condannato per sobillazione
a _sedici anni_ di galera!

Non fermiamoci a commentare; continuiamo la dolorosa e vergognosa
rassegna.

  [COME SI CONDANNA]

_Innocenti riconosciuti e... condannati._--Pur sorpassando su tutti gli
scrupoli, pur violando ogni principio di diritto e tutte le forme di
procedura, pure affidandosi a siffatte prove, che venivano da testimoni
che già conosciamo, spesse volte non si sarebbe potuto condannare; e si
condannò.

E si condannò Giuseppe Sparagno a tre anni di reclusione per avere
_favoreggiato_ la fuga di Bosco, Verro e Barbato; prima che costoro
venissero giudicati, contro l'art. 225 del Codice penale che
vuole--perchè sussista il reato di favoreggiamento--che il favorito
abbia commesso un delitto e riportata condanna e che il favoreggiatore
abbia scienza del delitto commesso.

E si condannò lo Spatiglia accusato e processato per _grida sediziose_;
ma all'udienza risulta che lo Spatiglia è _sordo-muto_, e allora le
brave guardie, che lo avevano denunziato non si perdono di animo e
cambiano l'accusa in partecipazione alle dimostrazioni in Misilmeri.

Le _grida sediziose_ sono comode per fare condannare; e fanno condannare
il povero Ciulla, per avere gridato in una via deserta di Monreale:
_Comprate i calendarî_ e il _Siciliano_! Egli era uno dei rivenditori
del _Siciliano_; ma per sua disgrazia era inviso ad una certa guardia di
pubblica sicurezza, che sentì il terribile grido e fece la denunzia. Si
spera che venga accordata la medaglia al denunziatore.

E fu condannata la irresponsabile Rosalia Perrone per occultazione di
armi: un vecchio e arruginito fucile, che appartenne al caro figlio
morto da molti anni e che essa conservava come un prezioso ricordo. Il
Presidente del Tribunale, perchè si tratta di una imbecille, seduta
stante domanda la grazia sovrana: ma condanna. Oh! ma si può condannare
quando si ha la convinzione che gli accusati sono innocenti? Ebbene: si
può... dai tribunali di guerra. E se si possa ce lo dice l'avvocato
fiscale militare nella requisitoria pei fatti di Monreale. Gli imputati
erano 68 e il pubblico accusatore non esitò a fare questa confessione:
«Ammetto che fra gli accusati ve ne sia qualcuno innocente; ma non si
può provare, perchè la _maggior parte_--non tutte!--delle deposizioni
dei testimoni a difesa furono _meschine_, _vuote_ o _reticenti_.» Questo
eccellente funzionario, il sig. Mattei, stabilisce per principio che
non l'accusa deve provare la reità dell'imputato, bensì l'imputato deve
dimostrare, con prove sufficientissime, la sua non partecipazione ai
disordini...

E si condanna l'accusato della cui innocenza si è convinti, per colpa di
alcune testimonianze vuote o meschine...

Queste deposizioni potevano essere migliori e più esatte? Non potevano.
Talora i testimonî che si presentavano all'udienza non erano quelli
indicati dall'accusato; e quando un ignorante contadino di Monreale
protesta contro l'equivoco col suo dialetto siculo, il Tribunale che
comprende come se parlasse in sanscrito, sorride e condanna alla turca.
In appresso si dirà più esattamente: condanna all'italiana!

  [FINALMENTE SI FA UN'ECONOMIA]

E guai ad un testimonio sbagliato, che fa una deposizione _vuota_ o
_meschina_: la sua non può essere corretta o completata da quella di un
altro. Agli imputati per _economia_ di tempo e di denaro è stato
concesso un solo testimonio a discarico. Nè gl'imputati hanno dalla loro
il Presidente, che pensa lui--il bravo uomo!--a correggere e completare.
Ciò fa soltanto quando si tratta dei testimonî dell'accusa; così nel
processo pei fatti di Santa Caterina, essendosi il Colleoni, tenente dei
carabinieri--quello che ordinò il massacro del cinque gennaio, per cui
ricevette una medaglia--patentemente contraddetto, il Colonnello Orsini,
da buon superiore, interviene e dà lui le soddisfacenti spiegazioni alle
contraddizioni dell'inferiore, rilevate dalla difesa. Nè questa può
protestare, se no viene chiamata all'ordine in nome della disciplina
militare!

Nè gli sbagli si commettono solo sul conto dei testimonî; si arrestano e
si processano per isbaglio gli uni per gli altri. Quell'ottimo tenente
Colleoni, che farà carriera--oh! se la farà,--ch'era arrivato a Santa
Caterina la vigilia della strage e che non ebbe il tempo durante la
notte di fare delle conoscenze, affermò in Tribunale che un certo
Nicoletti aveva preso parte alla dimostrazione. Il maresciallo dei
carabinieri, che viveva in Santa Caterina da molto tempo e che conosceva
tutti invece disse, che c'era errore: il reo essere un fratello del
Nicoletti; ch'era presente all'udienza e che se la svignò quando sentì,
seduta stante, il Presidente del Tribunale ordinarne l'arresto. E in
questo caso si osservi che il Presidente del Tribunale col suo scatto
mostrò tutta la indignazione dell'animo suo; ma l'avere ordinato la
sostituzione di un fratello all'altro nella gabbia degli accusati,
seduta stante, dà la misura esatta di ciò che potevano essere e furono
la procedura e la giustizia dei militari!...

  [INEZIE...]

Inezie. Perchè gl'integerrimi giudici dei Tribunali di guerra dovevano
preoccuparsi della condanna di un innocente di più o di meno? Uccidete
tutti, _Dio sceglierà i suoi!_ rispondeva l'ordinatore della strage di
San Bartolomeo a chi gli osservava che non potevansi sicuramente
distinguere gli Ugonotti dai Cattolici. Poterono imitarlo con coscienza
tranquilla i giudici militari: essi infine non davano sentenze di morte:
appena appena mandavano in galera per dieci o per venti anni!

Questa storia dei processi innanzi i Tribunali di guerra meriterebbe
essa sola un volume tali e tanti sono gli episodî drammatici, e le
iniquità. A me s'impone di terminarla e la chiudo con l'accenno a due
altri notevoli processi.

  [IL PROCESSO LOMBARDINO]

Uno dei primi condannati fu Mariano Lombardino; e il suo caso, giusto
perchè dei primi, fece molto rumore e molta impressione in Italia.

Lombardino era soldato, e al 2 gennaio trovavasi in licenza nella sua
natia Gibellina. Un solo soldato del 10º fanteria, certo Corsi, disse di
averlo conosciuto tra i tumultuanti, che tentarono di disarmarlo. Il
Corsi evidentemente era in buona fede; ma potè ingannarsi in un momento
di eccitamento eccezionale e fra migliaia di persone, che lo
circondavano e lo investivano, fra tante fisonomie tutte a lui
sconosciute. Era facilissimo l'errore, perchè Lombardino rassomigliava
molto ad un certo Panzarella--proprio uno degli uccisi!--e la
rassomiglianza era tale che una volta gli procurò un arresto per espiare
una colpa commessa dal Panzarella.

Lombardino si protesta innocente con voce e con gesti, che commovono gli
astanti e il suo difensore l'egregio e buon capitano Piccoli, fece
sforzi eroici per salvarlo. Lombardino aveva citato parecchi testimoni a
sua difesa per provare l'_alibi_; ma una donna viene condotta in camera
di sicurezza e minacciata di processo per falsa testimonianza, perchè
aveva deposto a favore dell'imputato. Tre altri testimoni, che possono
provare l'_alibi_ sono assenti e il Tribunale respinge il rinvio
richiesto con calore dalla difesa; e lo respinge quando su Lombardino
pesava l'accusa di _alto tradimento_,--sulla fede di un solo
testimonio--che viene punita colla fucilazione!

Il Tribunale, però, se è inesorabile non manca di umanità e trova modo
di escludere l'_alto tradimento_ e condanna a 20 anni di reclusione.
Lombardino, che aveva pianto e protestato durante l'udienza, quando
sentì pronunziare la condanna a ciglio asciutto esclamò: _per quanto è
vero Iddio sono innocente!_ e chinò il capo e non profferì più una
parola. Il capitano Piccoli si dette dei pugni sulla testa.

Perchè fu così inesorabile e ingiusto il Tribunale? Ecco qua: era uno
dei primi processi; non bisognava discreditare le istruttorie; si doveva
dare un esempio; si trattava di un soldato... Eppoi, eppoi... Lombardino
era stato dal rapporto dei carabinieri di Gibellina designato come
_individuo sospetto_... perchè nulla tenente. Oh milioni di proletarî
d'Italia: voi siete _sospetti perchè nulla tenenti_, onde la galera è
per voi!

  [IL PROCESSO CURATOLO]

L'ultimo tra i processi minori, di cui giova intrattenersi è quello del
Prof. Vincenzo Curatolo da Trapani. Il Curatolo, intimo del compianto
deputato Friscia, fu tra i primi ad iniziare nel 1870 la propaganda
socialista in Sicilia sia coi giornali, sia coi tentativi di
associazione; l'averla continuata con ardore all'indomani della Comune
lo rese oltremodo inviso alla borghesia di Trapani; egli però non si
lasciò mai imporre dall'odio dei potenti, nè scoraggiare dalla
pochezza dei risultati e rimase sulla breccia sino a tanto che negli
ultimi tempi, insieme al Montalto, riuscì ad organizzare un vero
partito socialista nella sua città natia. In Consiglio Provinciale
rappresentava la vicina Paceco, dove aveva interessi e amici
numerosissimi.

Nel periodo dei tumulti, fu dei più attivi nel frenarli e nell'arrestare
le conseguenze del contagio psichico e nei giorni 1 e 2 gennaio il
Prefetto Palomba, preso da tale spavento che lo fece piangere innanzi a
diverse persone, lo richiese di consiglio e di aiuto, e della sua opera
pacificatrice si disse lieto e grato. Questa circostanza risulta dal
rapporto di chi lo denunziò e dalla sentenza.

  [LA BRAVATA DI UN ISPETTORE DI P. S.]

Il 3 gennaio l'Ispettore di Pubblica sicurezza Rinaldi lo invita a
recarsi nel di lui ufficio; ma Curatolo rispose sdegnoso di non aver
nulla da fare con l'Ispettore. L'indomani l'Ispettore si vendica del
rifiuto arrestandolo, chiudendone la farmacia e trattenendone la chiave
per dodici giorni. E l'Ispettore arrestandolo non nasconde che ciò fa
pel rifiuto e di averlo punito siffattamente ancora si vanta!

La Camera di Consiglio non ebbe il coraggio di legittimare l'arresto una
prima volta; si limitò invece a secondare la proposta del Pubblico
ministero di rinviare la legittimazione dell'arresto ad un altro mese
aspettando che si potessero rinvenire gli elementi di colpabilità sino
allora mancanti. Trascorso il mese, sulla base degli stessi elementi
negativi, la Camera di Consiglio del Tribunale Penale lo rinviava al
Tribunale di guerra di Trapani.

Il giorno 12 Marzo doveva trattarsi la causa; ma fu rinviata,
sicuramente per pressioni dell'autorità politica, perchè l'avvocato
fiscale Cav. Anastasi aveva detto che egli non trovava alcun elemento
che sorreggesse l'accusa ed il Presidente del Tribunale di guerra
Colonnello Bussolino--quello stesso che staffilò a sangue la
magistratura ordinaria--aveva detto pubblicamente essere sicura
l'assoluzione dell'imputato.

  [SETTE ANNI DI RECLUSIONE]

Innanzi al Tribunale di guerra la causa si trattò il giorno 20 marzo con
un personale tutto diverso, a cui, affermavasi da tutti, era stata
imposta la sentenza; e Vincenzo Curatolo, infatti, non ostante le
risultanze del processo, nell'assenza di alcun documento che lo
accusasse e sulla base della sola testimonianza di un confidente di
questura che disse averlo visto in Paceco--il grande delitto!--il giorno
3 Gennaio, venne condannato a sette anni di reclusione!

La enormità e la iniquità di questo processo e di questa sentenza
risultano a luce meridiana dai considerandi della sentenza stessa e dal
rapporto dell'Ispettore di P. S. Rinaldi, che dopo averlo arrestato per
una bizza personale, lo denunziò al magistrato--e volle egli stesso
rilevare che denunziava _lui_ solo--come responsabile dei reati previsti
dall'art. 120 e 252 del Codice penale.

Il rapporto del 7 Gennaio al Giudice Istruttore del Tribunale Penale fa
colpa al Curatolo di essersi _sdegnosamente rifiutato d'intervenire_
nell'ufficio dell'Ispettore: e di avere inneggiato al socialismo mentre,
arrestato, veniva condotto in caserma; di aver _sempre di nascosto_
diretto il movimento; di essere uno dei capi agitatori. Il rapporto non
nega che il Curatolo avesse consigliato pubblicamente la calma: ma
soggiunse «_il suo breve discorso fatto con molta arte, nel mentre non
meritava interruzioni da parte dell'autorità di P. S._, dall'altra
eccitava vieppiù gli operai verso le classi più abbienti».

  [LE ACCUSE DELLA POLIZIA]

Venne forse l'ordine di arresto da Palermo dove nelle perquisizioni ai
membri del Comitato Centrale dei _Fasci_ si erano per avventura trovati
documenti compromettenti pel Curatolo? Niente affatto. È l'Ispettore
Rinaldi che ci dà il testo di questo eloquente telegramma del Questore
di Palermo: «Prego disporre accurata perquisizione nel domicilio del
nominato Vincenzo Curatolo farmacista, costà in via Cortina, noto
socialista E DISPORNE ARRESTO SECONDO RISULTANZE PERQUISIZIONE.» Dunque
a Palermo non c'erano motivi di veruna sorta--non ne trovò il sig.
questore Lucchese!--per il suo arresto.

Ma le risultanze della perquisizione, alle quali il questore Lucchese
subordinava l'arresto, furono tali da far mantenere l'arresto già
avvenuto? Meno che mai!

Narra il suddetto ispettore: «Furono sequestrate _più_ (?) carte di
NESSUNA IMPORTANZA». Fra le _più_ carte di _nessuna importanza_ ce
n'erano di quelle importanti? Manco per sogno; ma il signor Rinaldi
spiega la mancanza di documenti compromettenti _supponendo_ che
gl'interessati li abbiano messi in salvo; e questa _supposizione_,--che
farebbe onore a Torquemada--lo autorizza a questa splendida illazione:
«_Tale sottrazione di documenti_ ad esuberanza prova, che negli stessi
dovevano contenersi le disposizioni per _una generale insurrezione_,
nonchè _gli ordini impartiti_ ai varî _Fasci_ per incominciare il
movimento».

Del resto si poteva procedere senza cerimonie all'arresto perchè, dice
l'Ispettore, «si _assicurava_ che essendo il Curatolo consigliere
Provinciale di Paceco, ed _anima_ di quel _Fascio_, gli abitanti di
quel paese _aspettavano_ da lui il segnale per scendere armati in città
ed incominciare il saccheggio. Tale gravissimo fatto risultava non solo
dalle riferenze d'ufficio, ma _benanche da discorsi di cittadini onesti
e stimati nel pubblico_.»

  [UNA PROVA... SCHIACCIANTE!]

Orbene non un solo di questi cittadini onesti e stimati andò a
testimoniare contro il Curatolo... invece sindaco, deputati provinciali,
assessori, consiglieri provinciali e comunali, molti altri eminenti
cittadini quasi tutti avversari politici affermarono esplicitamente la
legalità della sua condotta e l'opera sua eminentemente pacificatrice
nei momenti del pericolo. Non monta: «la PROVA PIÙ SCHIACCIANTE contro
il Curatolo», conchiude l'Ispettore Rinaldi, l'abbiamo nel fatto che «in
Trapani avemmo due sere di disordini; arrestato il Curatolo, senza
bisogno di altri mezzi, _la calma rientrò in Città_.»

Questo perfezionato allievo di Lojola diceva il vero, ma dimenticava una
sola cosa: Curatolo venne arrestato dopo la proclamazione dello stato di
assedio, quando dappertutto _la calma rientrò_ senza arrestare le _anime
dei Fasci_ e solo perchè gl'ingenui contadini si convinsero, con
quell'atto, che il governo riprovava le agitazioni e non le vedeva di
buon occhio, come era generale credenza in seguito alla condotta tenuta
dal Consigliere della Prefettura di Palermo mandato a Partinico.

In qualunque altro paese civile e libero il rapporto-denunzia
dell'Ispettore Rinaldi sarebbe stato bastevole per lo meno a farlo
destituire; in Italia valse ad indurre il Tribunale di guerra di
Trapani, presieduto da un Barbieri, a far condannare il Curatolo.

  [LA SENTENZA]

La sentenza non è che la parafrasi pura e semplice del rapporto; i suoi
considerandi non sono, che supposizioni e insinuazioni. In quanto a
_fatti_ concreti così si esprime: «Che mente direttiva della
organizzazione dei _Fasci_ e di siffatti propositi»--precedentemente la
sentenza aveva accennato ai _fatti luttuosi_ accaduti in altre parti
dell'isola e che non si erano verificati in Trapani per la _pronta ed
energica_ REPRESSIONE (?) delle autorità--«fosse il giudicabile Curatolo
Vincenzo e fosse esso che dirigeva ogni movimento che si verificava e in
questa città e nel vicino comune di Paceco, i cui moti DOVEVANO AVVENIRE
contemporaneamente e confondersi in una sola azione È PROVATO DALLA
CORRISPONDENZA, CHE GLI FU SEQUESTRATA, che lo compromette nel più
assoluto modo, dalla _sua posizione_ nel Fascio dei lavoratori di
Trapani, da esso si può dire formato e _moralmente_ presieduto, dalle
sue relazioni coi capi dei rivoltosi in _tutte_ le parti dell'Isola,
dalle _sue corse_ a Paceco fatte in momento opportuno, mal celate e poi
negate, e finalmente dal grido di _Viva il socialismo_, emesso quando lo
trassero in arresto, che fatto in quelle condizioni e con
quell'_espressione_, non poteva non essere un grido sedizioso rivolto al
pubblico, grido che rileva il di lui animo bramoso di disordini
popolari...»

  [IL REATO DI V. CURATOLO]

Constava al Tribunale di guerra che Vincenzo Curatolo nei momenti dal
pericolo, e quando un _animo bramoso di tumulti_ avrebbe potuto
facilmente provocarli, aveva rivolto al popolo parole di pace e
consigli di calma, ma non ne tiene conto perchè, seguendo l'Ispettore
Rinaldi, «delle disapprovazioni che l'accusato avrebbe fatte pei _detti
avvenimenti_, non è il caso di occuparsene, nulla deducendo in di lui
favore, ma solo addimostrando una non _comune e provetta attitudine_ in
lui di _eccitatore occulto ma efficace_, COME OFFRONO LA STESSA PROVA LE
ESORTAZIONI ALLA CALMA COL RISPETTO DELLA LEGGE FATTE PALESAMENTE.»

Per tali FATTI COSÌ STABILITI il Tribunale di guerra visti gli articoli
120 e 252 del Codice penale condanna il Curatolo a _sette anni_ di
reclusione e alle spese!

Si è visto che la sentenza trova le _prove_ dell'accusa sopratutto nella
_corrispondenza sequestrata_ al Curatolo, cioè tra le _più carte_
giudicate di _poca importanza_ dall'ispettore Rinaldi. Il quale così le
giudicò per difetto d'intelligenza, poichè fu trovata una terribile
lettera di Francesco Cassisa... la quale non potè valere, però a fare
condannare questi dal Tribunale di Guerra di Palermo,--il quale pur
distribuì generosamente migliaia di anni di condanne facendo una vera
strage d'innocenti!

Da questo processo,--superato soltanto in mostruosità dalla
sentenza--rimane provato all'ultima evidenza che dai Tribunali di guerra
si ritenne reato l'avere avuto relazioni con persone incriminate--e con
tale criterio si potrebbe mandare in galera mezza Italia, compreso il
Parlamento; reato la visita al vicino paese, che si rappresenta in
Consiglio Provinciale: reato il presiedere... moralmente un _Fascio_, e
di esserne stato l'_anima_;[63] reato il gridare: _Viva il socialismo!_
con _espressione_, reato l'avere disapprovato pubblicamente e l'avere
impedito nella misura delle proprie forze i fatti, che si ritengono
criminosi.

  [PERSECUZIONI CONTRO IL PENSIERO]

Il processo alle intenzioni in base alle più scellerate supposizioni, la
persecuzione contro il pensiero, e la condanna dell'esercizio del
diritto di associazione e di riunione negli stretti termini della
legalità--perchè i _Fasci dei lavoratori_ furono sodalizî legali, che
per tre lunghi anni si riunirono ed agirono in pubblico senza che mai le
autorità politiche e giudiziarie vi avessero trovato da ridire--da
nessun altro processo risultano lampanti quanto da quello istruito
contro il Curatolo, perchè a confessione e del denunziatore e dei
giudici, che condannarono, mancano in esso tutti gli elementi di un
processo qualsiasi, che non siano il processo alle intenzioni, la
persecuzione contro il pensiero, la condanna dei diritti sanciti dello
Statuto. Ed è perciò che ho ritenuto doveroso occuparmene con
particolarità per segnalare al giudizio severo ed imparziale del
pubblico il governo che dispose e permise agli agenti suoi, che
eseguirono e condannarono.

  [IN NOME DELL'ITALIA LIBERA E UNA]

L'animo di qualunque italiano, che sognò e lavorò per la rigenerazione
di una patria libera, e la cui libertà doveva venire a farne la
grandezza e la ragion di essere nel consorzio delle nazioni civili non
può che rimanere profondamente sconfortato ed indignato dell'opera dei
Tribunali militari in Sicilia ch'è la negazione assoluta di
cinquant'anni di lotte, di sacrifizî, di eroismi contro la tirannide;
quest'opera deleteria induce a melanconiche riflessioni. Oh! valeva la
pena di abbattere il governo, che fu detto _negazione di Dio_ e di far
cadere tante vittime preziose sui campi di battaglia e sulle forche per
arrivare a vedere funzionare come hanno funzionato i Tribunali militari
in Sicilia e in Lunigiana nell'anno 1894 e in nome dell'Italia _libera
ed una_? Non si direbbe che le libertà promesse dallo Statuto siano
tranelli tesi alla buona fede degli italiani? Quanto più onesto e leale
il governo borbonico, che senza ipocrisie proibiva di occuparsi di
politica, e sotto il quale almeno erano sicuri di vedere rispettata la
propria libertà coloro che ottemperavano scrupolosamente ai suoi ordini!

Lo sconforto sarebbe minore se dell'opera nefasta dianzi tratteggiata
fossero responsabili soltanto i Tribunali di guerra. Si sa! i militari
non comprendono il diritto, non conoscono leggi e statuti, non discutono
ma ubbidiscono, come impone la disciplina, non conoscono altra ragione
che quella che viene dalla forza. Ma il guaio maggiore è questo: nelle
aberrazioni giuridiche, politiche e morali dei Tribunali di guerra c'è
la solidarietà e la complicità necessaria dei magistrati ordinarî, che
dovrebbero tutelare i diritti dei cittadini e fare rispettare le leggi e
lo Statuto in alto e in basso. E questa solidarietà e questa complicità,
per quanto possa riuscire doloroso il confronto, bisogna metterle in
evidenza.

  [LA MAGISTRATURA]

Da parecchio tempo la magistratura italiana avea perduto nella coscienza
pubblica quella stima e quella rispettabilità, che sono indispensabili
al suo ufficio supremo in uno stato libero e bene ordinato e per cagioni
molteplici, che sono state esposte e studiate da illustri magistrati, da
giuristi e da scrittori politici di ogni parte. Ciò che maggiormente si
rimproverava e si rimprovera tuttavia alla magistratura italiana si è il
suo asservimento al potere, le cui conseguenze sono incalcolabili tutte
le volte in cui essa dovrebbe colpire gli agenti del governo; giudicare
nei conflitti tra il Fisco e i privati cittadini; istruire processi
d'indole politica ed emettere le relative sentenze. Di tale
asservimento, che riesce sempre di grave danno ai cittadini e di
pericolo continuo alle pubbliche libertà, somministrai esempî in
_Corruzione politica_ e il fatto stigmatizzai severamente in _Banche e
Parlamento_ unendo la mia voce modesta a quella di tanti altri assai più
di me autorevoli. E la iattura è tanto grave e antica, che parvero
eroi--e furono esaltati ed eletti deputati in odio al governo--il
Procuratore Generale Nelli e il Procuratore del Re Borgnini, che seppero
resistere alle pressioni dall'alto nel famoso processo Lobbia--e
preferirono dimettersi sdegnosamente anzichè sottomettersi--altri tempi
e che sembrano leggendarî!--come di recente bastò che un alto magistrato
integro, l'Eula, arrivasse al ministero, dopo avere pubblicamente
affermato che la magistratura deve giudicare e non _rendere servigi_,
perchè la nazione aprisse il cuore alla speranza di vedere realizzata
la più necessaria delle restaurazioni: quella dell'indipendenza della
magistratura.[64]

Ma Eula, cadente per anni e per malattia, al ministero di grazia e
giustizia passò come una meteora luminosa, che non riscalda e non
vivifica, e gli ultimi episodî del processo della Banca Romana, le
solenni e gravi dichiarazioni dell'attuale ministro Calenda dei Tavani
in risposta ad interrogazioni degli on. Cavallotti, Imbriani e mie
nonchè rialzare il prestigio della magistratura lo hanno ormai come
distrutto!

  [SERVIGI E NON SENTENZE]

Come e perchè il governo riesca ad imporsi ai giudici e ad ottenerne
_servigi_ e non _sentenze_ sarebbe lungo l'esporre; basta in questo
libro, in cui l'interessante quistione è toccata incidentalmente,
ricordare che nell'ultima discussione sul bilancio del ministero di
grazia e giustizia per l'anno 1894-95 l'on. Gianturco, che gode meritata
fama per dottrina, per integrità di carattere e per avere occupato il
posto di sottosegretario di Stato sotto l'Eula, segnalò al ministro
l'arbitrio pericolosissimo che si esercita nelle promozioni, mercè le
quali gli abili governanti profittando delle debolezze del cuore umano e
dei bisogni di magistrati mal pagati, sanno piegarli alle loro voglie
renderli docili e servizievoli quando occorre.

Nè il ministro osò negare la esistenza e la gravità del pericolo.

  [IL PREMIO AI MAGISTRATI ONESTI!]

I magistrati onesti e indipendenti non solo si vedono sopravvanzati
nella carriera da quelli servili, ma vengono puniti coi traslochi da una
sede più importante ad una di minore importanza ferendone la dignità e
gl'interessi economici ad un tempo. E di questo mezzo illecito di cui si
serve il governo per punire i magistrati ricordai in _Banche e
Parlamento_ alcuni casi, che si riferivano alla Sicilia (p. 337) ed
altro con grave rammarico devo riferirne qui, che riguarda pure l'isola
e i processi d'indole politica di cui mi sto occupando. Quel Procuratore
del Re di Trapani, di cui si disse che era stato scelto dall'on. Crispi
come successore del Lucchese al posto di fiducia di Questore di Palermo,
venne invece anzichè promosso e premiato pei suoi meriti, traslocato
d'improvviso in un Tribunale di poca entità della provincia di Messina,
non ricordo bene se a Patti o a Castroreale. Perchè? La voce più
accreditata sulla causa della punizione è la seguente: egli in una causa
in cui stavano di fronte un maresciallo dei carabinieri ed un privato
cittadino aveva reso giustizia al cittadino, e ciò facendo non solo
aveva mancato di rendere un _servizio_ al governo, ma aveva anche
indispettito un deputato siciliano dei più reazionarî, che proteggeva il
maresciallo e che negli ultimi tempi esercitava un insolito ascendente
nelle sfere ministeriali...

In _Banche e Parlamento_, quasi presago dei futuri avvenimenti, avevo
detto che in Sicilia più che altrove era notorio il servilismo della
magistratura verso il governo. Tale servilismo nell'isola aveva le sue
non nobili ma continuate tradizioni--interrotte per un momento dal
conflitto Tajani-Medici--delle quali il senatore Zini riporta parecchi
dati, tra cui impudente una lettera del Procuratore Generale Morena, che
parla come della cosa più semplice e corretta di questo mondo «_di
detenuti, che non sono a disposizione dell'autorità giudiziaria_ e sul
conto dei quali egli confessa di non _potere_ prendere alcun
provvedimento perchè _non può mettere la falce nella messe altrui_ (?!)
e consiglia _impertanto di rivolgersi al Prefetto o a S. E. il Ministro
dell'interno_.» (_Dei criterî e dei modi di governo della sinistra._
Bologna, 1880 p. 45).

Gli ultimi avvenimenti e i consecutivi processi della Sicilia hanno
distrutto, se pur ne avanzava, l'ultimo residuo della buona fama della
magistratura in quanto a senso di giustizia e ad indipendenza. Ed è da
avvertire in proposito che le numerose assoluzioni dei membri dei
_Fasci_, nel periodo precedente alla proclamazione dello Stato di
assedio, che potrebbero invocarsi come una prova in contrario, perderono
di efficacia perchè controbilanciate da altrettante condanne in casi
perfettamente identici: sicchè le prime non servirono, che a rendere più
evidente la ingiustizia delle seconde, la mancanza di un unico ed esatto
criterio giuridico e il servilismo dei più.[65]

  [LA MAGISTRATURA DOPPIAMENTE COLPEVOLE]

La magistratura ordinaria è doppiamente colpevole; perchè da un lato si
è spogliata indebitamente e volontariamente--dico: _volontariamente_,
stando alle apparenze--dei propri diritti dichiarando la propria
incompetenza nei casi, che vennero deferiti ai Tribunali militari e
dall'altro si è prestata con inaudito sfoggio di servilismo ad istruire
i processi sui quali poi hanno in ultimo giudicato gli stessi Tribunali
militari.

Data la legittimità dei Tribunali militari, sulla quale non spettava
alla magistratura ordinaria di minor grado di giudicare, certo è che
essa doveva, a salvaguardia del proprio decoro e della propria autorità,
non consentire all'ingiustificabile principio della retroattività così
largamente applicato; e dove e quando la giurisdizione eccezionale
militare avesse accampato pretese e diritti che non le spettavano, alla
magistratura ordinaria incombeva assoluto l'obbligo di resistere e di
mostrarsi vigile custode delle leggi e dei diritti dei cittadini e di
sollevare quei conflitti, che in ultimo avrebbero dovuto essere decisi
dalla Suprema Corte di Cassazione di Roma.

  [UN MILITARE INSEGNA LA PROCEDURA]

La magistratura ordinaria invece venne meno al proprio dovere e senza
che in modo alcuno possa scusarsi. Non resistette all'invadenza di chi
in nome dei _pieni poteri_ accordatigli credette potere impunemente
calpestare statuto e leggi; non sollevò alcun conflitto; essa stessa
invocò il principio della retroattività; essa stessa lo applicò,
dichiarando, _non richiesta_, la propria incompetenza e deferì al
giudizio dei Tribunali militari gli accusati il cui reato era stato
consumato molto tempo prima della proclamazione dello stato di assedio
quale fu il caso dell'ex-Presidente del _Fascio_ di Palazzo Adriano
che, per uno dei tanti pretesti accampati nel periodo della provocazione
in agosto 1893, venne processato e il giudizio venne rinviato a
richiesta dell'accusato, il quale poi inopinatamente con senso di
stupore generale, venne deferito al Tribunale Militare di Palermo.
Questa febbre di servilismo arrivò al punto di rendere dimentica la
magistratura ordinaria della più elementare osservanza delle procedure e
delle competenze in vigore anche sotto il regime eccezionale della
sciabola: e così si vide il Tribunale penale di Trapani deferire al
Tribunale militare la conoscenza di alcuni reati non contemplati negli
editti del generale Morra e ricevere la più umiliante delle lezioni
dallo stesso Tribunale militare di Trapani, che dichiara la propria
incompetenza e rinvia al Tribunale penale il processo. Un militare, il
colonnello Bussolino, non poteva mostrarsi più severo verso il
magistrato ordinario insegnandogli le regole della procedura; e il
rossore dello schiaffo assestato ci vorrà del tempo perchè scompaia.

Grave è inoltre la colpa della magistratura ordinaria relativamente
all'istruzione dei processi. Dato pure e non concesso che fosse stata
legale la istituzione dei Tribunali militari e che si fosse potuto
applicare l'anti-giuridico e mostruoso principio della _retroattività_,
ne derivava che la magistratura ordinaria non avrebbe dovuto menomamente
impicciarsi dei reati e dei processi nei quali veniva riconosciuta la
competenza della giurisdizione eccezionale militare; così facendo si
sarebbe potuta accusare la magistratura di vigliaccheria e non altro.
Essa invece ha tolto l'incomodo ai Tribunali militari--violando il
Codice penale militare--d'istruire i processi e glieli ha presentati
belli e completi rendendosi non solo complice di tutte le enormità di
detti processi, ma principale responsabile di tutte le flagranti
irregolarità, che vennero esposte in questo stesso capitolo sulla
condizione sospetta dei denunziatori e dei testimoni e sul valore delle
prove raccolte.

Onde su di essa ricade la maggior parte della colpa delle sentenze
inique dei Tribunali di guerra, perchè questi giudicarono quasi sempre
sulle orme delle requisitorie dell'avvocato fiscale e alla sua volta
l'avvocato fiscale non fece che copiare le requisitorie del Procuratore
del Re colle quali si mandavano gli accusati innanzi ai primi. I
militari, in fatto di diritto e di applicazione delle pene, dovevano e
potevano mostrarsi, essi che non li hanno mai studiati, più meticolosi e
meno severi dei magistrati? Non era possibile sperarlo.

  [SERVILISMO DELLA MAGISTRATURA SICILIANA]

Ond'è che l'on. Lucchini, penalista illustre e Consigliere di Stato,
commentando la sentenza Molinari e Gattini, non potè a meno, di fronte
alle declinatorie, all'abdicazione della magistratura ordinaria, di
constatare che si è messa in evidenza la sua ignoranza e il suo
servilismo e si è resa complice dello _strazio della libertà e della
giustizia_ (Appendice alla monografia di Brusa: _Della giustizia penale
eccezionale_ p. 53). E più aspro certamente sarebbe stato il giudizio
dell'antico professore dell'Ateneo bolognese, se avesse dovuto
enunziarlo a proposito della condotta della magistratura siciliana.[66]
La quale è stata tale che al mitissimo insegnante della università di
Torino ha strappato questa sentenza: «_Le condanne, se grazia sovrana
non interverrà_, rimarranno quali _testimoni e accusatori di una
giustizia, la quale parrà una_ FORSENNATA _e che si mostrerà a tutti_
VELATA PER LE PATITE OFFESE: _di_ UNA GIUSTIZIA RESA SERVA DELLA POLIZIA
PREVENTIVA.» (Brusa p. 35).

  [LA SUPREMA CASSAZIONE]

Ed ora allo esame della condotta della più alta magistratura italiana:
la Suprema Corte di Cassazione.

All'indomani della sentenza della Cassazione nel ricorso del Procuratore
Generale del Re Comm. Bartoli--contro il giudicato della Sezione di
accusa, col quale nel processo della Banca Romana si mandarono assolti
Pietro Tanlongo e Michele Lazzaroni--in Italia ci fu una generale
esultanza e l'animo di tutti si aprì alla speranza. Il supremo
magistrato aveva reso giustizia; e pur rispettando la sentenza della
Sezione di Accusa in nome della legge scritta, di cui esso dev'essere
sempre ed esclusivamente l'indefesso tutelatore, aveva trovato modo con
parole elevate in nome dello interesse morale di stigmatizzarla. Si
sperava che il responso della Corte di Cassazione dovesse e potesse
servire di rampogna ad alcuni magistrati inferiori e d'incoraggiamento
ad altri.

  [È SCESA IN BASSO]

In Sicilia e in Lunigiana sappiamo già che il nobile esempio non giovò
ai magistrati inferiori; oggi sappiamo del pari che la stessa Cassazione
non continuò a battere la via sulla quale si era messa nello scorso
anno, e non ci resta che lo sconforto di dovere constatare che il
supremo magistrato italiano è disceso al livello dei magistrati
inferiori, anzi forse tanto più in basso quanto più alto dovrebbe essere
il suo ufficio.

Il Prof. Impallomeni chiudeva il suo ricorso in Cassazione dell'on. De
Felice Giuffrida e Compagni con questa perorazione, che giova riprodurre
integralmente: «Eccellenze, nel disgregamento morale e fra le passioni
che travagliano le società odierne, le coscienze non si possono far
serene che in un centro solo di equilibrio e di sicurezza:
nell'amministrazione della giustizia, affidata alla rettitudine di
magistrati indipendenti.»

«I rancori, le ire di partito passano, le onde agitate delle azioni e
delle reazioni sociali si ricompongono in calma, ma le offese alla
giustizia restano ferite irrimediabili alla compagine sociale. Un grande
ufficio di riparazione è a voi affidato; ufficio ad un tempo di
riconciliazione e di pacificazione degli animi: che voi compirete quando
risolleverete la bandiera del diritto, abbassata nella causa presente,
in cui una condanna non giunse al suo segno, se non passando sopra lo
Statuto prima, e poi sopra il Codice penale.»

In verità dopo la sentenza della Cassazione sul ricorso Molinari e
Gattini, che dette luogo alle critiche severissime del Brusa e del
Lucchini,--per non citare quelle unanimi della stampa politica
quotidiana,--un linguaggio siffatto--che del resto può considerarsi come
la parafrasi felice dei _considerandi_ della stessa Cassazione nella
sentenza sul ricorso Bartoli nella causa Tanlongo e Lazzaroni--potrebbe
giudicarsi o la manifestazione di una ingenuità superlativa o una delle
tanti e volgari tirate retoriche di avvocato esercente, che non crede
affatto in ciò che scrive. Esclusa questa ultima interpretazione nel
caso dello egregio prof. Impallomeni rimane la prima; e si può anche
dire che nell'animo suo albergasse la speranza della resipiscenza.
Ascoltò la Cassazione questo linguaggio degnissimo che racchiudeva un
savio consiglio, utile più alla conservazione dell'autorità del supremo
magistrato anzichè alla causa dei condannati dal Tribunale militare di
Palermo?

  [LA GIUSTIZIA SERVA DELLA POLITICA]

Oramai la risposta della Cassazione è nota ed è noto che essa non
s'inspirò allo Statuto, alla legge, alla giustizia; ma lasciò passare
trionfalmente l'interesse della politica dell'ora che volge e respinse
il ricorso De Felice, come tanti altri ne aveva respinti. La sua opera
nella quistione vitale della competenza e della revisione delle sentenze
dei Tribunali militari deve essere esaminata e giudicata al lume dei
fatti e del diritto; ed essa risulta uguale, se non peggiore, a quella
del resto della magistratura, per incoerenza, per servilismo, per
ingiustizia.

Il primo errore e la prima colpa della Cassazione furono commessi nello
statuire sulla legalità dei Tribunali militari. Essa non ebbe gli
scrupoli della Corte dei Conti--e questa differenza dev'essere la sua
maggiore umiliazione.

Essa li trovò legittimi, legali, anche quando evidentemente esorbitavano
proclamando la propria competenza pei reati commessi prima della
proclamazione dello Stato di assedio!

  [INCOERENZA DELLA CASSAZIONE]

La Cassazione, però, non si mantenne logica e coerente; perocchè se nei
casi di Sicilia l'applicazione del diritto bellico si è fatta
correttamente come in guerra guerreggiata anche alle persone estranee
all'esercito, non c'era ragione del suo intervento, perchè una persona
non può essere giuridicamente _duplice_ nei rapporti con gli stessi
reati a lei imputati; non è e non può essere prima pareggiata al
militare per la giurisdizione di merito e poi restituita al novero degli
estranei alla milizia per la decisione formale sulla incompetenza del
giudice di merito.

La Cassazione doveva astenersi dal conoscere delle sentenze pronunziate
da Tribunali estranei alla sua giurisdizione, non provocata neppure da
conflitti insorti fra essi e i Tribunali comuni. Perciò la Cassazione
intervenne senza regola, intervenne quando accomodava: e le sue
decisioni, quando parzialmente riformarono le sentenze dei Tribunali
militari non possono essere considerate che come _grazie parziali_ fatte
da chi non le poteva e non le doveva fare». (_Brusa e Lucchini_, p. 28,
29 e 55).

Alla Cassazione incombeva, però, un obbligo superiore: quello di
annullare puramente e semplicemente le sentenze dei Tribunali militari
distruggendone la usurpata giurisdizione e stabilendone la illegalità.
La Cassazione doveva e poteva fare rispettare lo Statuto e le leggi
anche senza avere la precisa attribuzione delle Supreme Corte federali
degli Stati Uniti; poichè non ha sostanziale fondamento ciò che disse
l'on. Sacchi nella Camera dei Deputati, che la Cassazione Italiana,
cioè, non abbia la missione di contenere le leggi nei limiti della
costituzione oltre quella di contenere i provvedimenti esecutivi: nei
limiti della legge; e non ha fondamento «giacchè una legge che non sia
nei limiti della Costituzione non è legge; e tutti i magistrati dal
Conciliatore alla Corte di Cassazione hanno insita al loro ufficio la
facoltà di sindacare la costituzionalità degli atti della pubblica
autorità, perciò stesso che il loro mandato è quello di fare applicare
le _leggi_, e i provvedimenti emanati in conformità alle leggi.»
(_Impallomeni_, p. 47).

  [TUTTO È LASCIATO ALL'ARBITRIO]

Poteva, doveva farlo la Cassazione--e non lo fece--per non lasciare
tutto all'arbitrio del potere esecutivo, gli averi, la libertà e la vita
dei cittadini.

«Chi non vede che col sistema della Cassazione--rispettando ed
accettando cioè la legalità dei Tribunali militari--si condannano
potenzialmente a perpetua impotenza le norme di competenza, stabilite
dal Codice di procedura penale? Ogni volta, che vi saranno delle bande
armate, dei moti insurrezionali, basterà che il potere esecutivo dica
essere necessario sospendere la competenza ordinaria perchè si creda
essere nel diritto di farlo; per modo che i Tribunali e le Corti di
Assise potranno essere competenti a conoscere di simili reati
sempre..... meno quando avverranno. Vi saranno sempre le autorità
giudiziarie del regno pronte a dire, come ha detto la Corte di
Cassazione: noi ce ne laviamo le mani, è affare che non ci riguarda,
decidano in altro luogo se le leggi bastano; quando lassù crederanno che
non bastano, noi non abbiamo che a sottometterci ai decreti che verranno
imposti. Ma allora, domandiamo noi, a che serve la legge? a che serve la
divisione dei poteri? qual'è la differenza, che passa tra un regime
assoluto e un regime costituzionale?» (_Impallomeni_, p. 39).

  [LA CONVENIENZA POLITICA INVECE DEL DIRITTO]

Di più: quando la Cassazione intervenne e dichiarò la propria
competenza--e non poteva essere competente e non doveva intervenire se i
Tribunali di guerra fossero stati legali e costituzionali--lo fece in
modo scorretto e sconveniente e misconoscendo la missione commessale
dalla legge. Questa, infatti, è tassativa nello stabilire che essa debba
esaminare le quistioni di _diritto_ e non le quistioni di _fatto_; essa
ci sta per separarle e nella separazione sta la sua ragione di essere.
Or bene la Cassazione precisamente in questa occasione, in cui poteva
affermarsi nella sua più grande maestà come uno dei poteri pubblici
dello Stato, venne meno al proprio compito esaminando la questione di
_fatto_, la opportunità dei provvedimenti presi, e non se tali
provvedimenti per quanto opportuni, per quanto anche necessarî, siano
stati conformi allo Statuto e alle leggi, sicchè il supremo magistrato
desumendo la _legittimità_ di siffatti provvedimenti dalla ipotetica
loro _necessità_ e _convenienza politica_, svisò la propria funzione, si
sostituì al Parlamento, rese un servizio al governo, che incoraggiato
dal precedente, segnalando come _necessario_ qualunque illecito ed
incostituzionale provvedimento, sa che verrà giustificato ed approvato
dal corpo che avrebbe dovuto precisamente richiamarlo alla osservanza
della Costituzione e delle leggi (_Brusa_, p. 10, 11 e 34; _Lucchini_,
p. 57; _Impallomeni_, p. 40).

  [IN ITALIA E ALTROVE]

Epperò, tutto ben considerato, se ne deve conchiudere con amarezza, che
il popolo non può riporre più la sua fiducia nel supremo magistrato, che
dovrebbe avere il compito di difenderne i diritti e fare rispettare la
Costituzione e le leggi del potere esecutivo, come fece la Cassazione
francese anche in momenti non propizî alla libertà e alle franchigie
costituzionali (_Impallomeni_, p. 32 e 33). E la conclusione dolorosa è
assai umiliante per l'Italia, la cui inferiorità di fronte alle altre
nazioni, in fatto di rispetto ai diritti dei cittadini da parte del
potere esecutivo, e nella pratica del regime costituzionale, rimane
ognora più assodata e confermata; e questa inferiorità viene sopratutto
assodata e confermata per opera della Suprema Corte di Cassazione che è
venuta meno al suo compito ed ha rinnegato la propria ragione di essere.

  [L'AFFERMAZIONE DI UN MINISTRO]

Intanto nel _periodo fortunoso dei fatti eccezionalmente disonesti e
scandalosi_, come la Suprema Corte di Cassazione designò quello della
scoperta degli scandali della Banca Romana, si trovò un Ministro, il
senatore Santamaria, che, nauseato dal contegno della magistratura, la
qualificò un _punto interrogativo_ e non avendo il coraggio di
interrogare la sfinge provvide se non altro a sè stesso, e sdegnoso si
ritrasse. E allora--fu già ricordato--una eco onesta e coraggiosa di
questo sdegno si ebbe nel responso della Cassazione. Pare che con
quell'atto si sia esaurita la vigoria del supremo magistrato, che
quando si trovò nella situazione di dovere solennemente affermare la
propria indipendenza di fronte al governo piegò e si sottomise e la sua
voce si trovò all'unisono con quella del Ministro, che in Parlamento,
dimentico di rappresentare la giustizia, non seppe che difendere e
giustificare le pretese e gli atti della reazione.

E da questo stesso ministero nell'ora triste e pericolosa di decadenza e
di reazione che attraversiamo, in risposta ad una interrogazione
dell'onorevole Imbriani, l'Italia apprese che se il _ministero avesse
manifestato un desiderio alla magistratura, questa avrebbe trovato nella
procedura i mezzi per soddisfarlo_! (Seduta della Camera dei deputati
del 7 aprile 1894).

La dipendenza della magistratura in quell'infausto giorno venne
ufficialmente affermata; la nomina della famosa _Commissione dei tre_
all'indomani della sentenza nel processo Tanlongo e Lazzaroni, è servita
a riconfermarla. La nomina di tale commissione se è stata una indecorosa
canzonatura dal punto di vista della restaurazione della moralità, è
riuscita, però, ad esautorare la magistratura. Quale può essere il suo
prestigio nel giudicare gli altri se essa stessa è sotto giudizio? Il
giudizio sull'opera dei Tribunali militari e della magistratura
ordinaria, non può essere pertanto completo senza la conoscenza di
alcune cifre e di alcuni confronti.

  [CIFRE E CONFRONTI]

I Tribunali militari di Palermo e di Trapani e quelli di Caltanissetta
sino al 30 maggio--non ho i dati di quello di Messina--distribuirono
3203 anni di detenzione e di reclusione a 630 individui, oltre le pene
per le contravvenzioni al disarmo. In tutto si può approssimativamente
calcolare che i Tribunali militari di Sicilia distribuirono circa 5000
anni di prigione a contadini che protestarono contro la fame e contro
l'oppressione, e a giovani non rei di altro che di onesta propaganda
socialista. Ebbero _sette anni_ di reclusione coloro che furono
considerati _anime dei Fasci_; ebbe _sedici_ anni di reclusione
Bernardino Verro per un discorso _sovversivo_; ebbero venti anni di
reclusione donne ingenue, che credettero lecito gridare _Viva il Re!_ e
_abbasso il Sindaco!_

Da un'altra parte sta questo: un Tenente Blanc dal Tribunale penale di
Padova ritenuto responsabile di omicidio colposo e di abuso di autorità
fu condannato a _sei_ mesi e venti giorni di carcere militare ed a
cinquecento lire di multa; e si _spera_ che la Corte di Appello di
Venezia, che si mostrò altra volta tenerissima degli ufficiali di
Cavalleria riduca la pena....

I signori Tanlongo e Lazzaroni accusati di un grappolo di reati e della
scomparsa di _ventitre milioni_ dalla cassa della Banca Romana vennero
assolti dal Giurì di Roma. Era giusto che Tanlongo e Lazzaroni uscissero
a libertà quando entravano in prigione De Felice e Petrina che la loro
popolarità acquistarono smascherando i ladri.

  [L'UFFICIO DELLE LEGGI PENALI]

Queste condanne e queste assoluzioni si spiegano e si completano, e
darebbero occasione, se questo fosse un libro sistematico, a svolgere
ampiamente e confortare la opinione di coloro i quali asserivano che i
Tribunali e la cosidetta giustizia funzionano attualmente nello
interesse esclusivo della borghesia per assicurare il trionfo di
quelli, che Pietro Ellero--un Consigliere della Corte di Cassazione di
Roma--chiama i _vermi della cleptocrazia_. Queste condanne e queste
assoluzioni ribadiscono la tesi del Vaccaro, che crede: «ufficio delle
leggi penali non essere stato sin qui quello di difendere la società,
cioè tutte le classi, che la compongono; ma particolarmente gl'interessi
di coloro in favore dei quali è costituito il potere politico, cioè dei
proprietarî.»[67]


NOTE:

[61] La quistione delle istituzioni dei _Tribunali militari_ in
conseguenza della proclamazione dello Stato d'assedio oltre che nelle
discussioni parlamentari fu esaminata dal punto di vista politico e
specialmente giuridico in modo esauriente da Brusa: _Della giustizia
penale eccezionale_. Torino 1894; Impallomeni: _Cenni sul ricorso in
Cassazione dell'on. De Felice Giuffrida e C._ Palermo 1894; A.
Pierantoni: _La costituzione e la legge marziale, La legge e non
l'arbitrio_, Roma 1894. Una fiacca difesa dello Stato di assedio ed i
Tribunali militari tentarono A. Muratori e Torquato Giannini: _Lo Stato
d'assedio e i Tribunali militari_. Firenze 1894. Quando citerò tali
autori mi riferirò alle sovraccennate pubblicazioni.

[62] In molti punti di questo capitolo e del seguente ho copiato
integralmente o riassunto alcune pagine delle monografie dei professori
Brusa e Impallomeni. Della loro esposizione e dei loro giudizî di
preferenza mi son valso per la grande autorità loro nelle discipline
penali e perchè nulla hanno di comune coi socialisti e coi repubblicani.
Alle loro parole talora ho apportato queste modificazioni: il primo si
riferisce al processo Molinari e il secondo al processo De Felice e C.
Io le ho applicate ai processi tutti che si sono svolti in Sicilia
innanzi ai Tribunali di guerra per la identità delle situazioni tra i
primi e gli ultimi.

[63] Come _anima_ di un Fascio, in mancanza di altro motivo venne
condannato l'egregio giovane Eugenio Bruno da S. Caterina. Ma il
Tribunale militare di Caltanissetta lo condannò a sei mesi.

[64] Tra i casi veramente tipici e recenti dell'asservimento della
magistratura si deve registrare quello confessato dal Prefetto
Municchi--ex magistrato--nella causa Nasi-Cavallotti. La ingenuità colla
quale il Municchi, che passa per una cima, confessò di essersi prestato
da magistrato alle voglie dell'on. Morana, ex-sottosegretario
agl'interni, è prova, che il fatto è normale e notorio per quanto
brutto.

[65] Ricordo con vivo compiacimento il Tribunale penale di
Caltanissetta, che durante il 1893 ed anche dopo proclamato lo Stato di
assedio, in parecchie occasioni, seppe con maggiore costanza dimostrare
la propria indipendenza.

[66] Come attenuante per la magistratura siciliana qualcuno mi ha
esposto questo tipico argomento: i processi che si svolsero innanzi i
Tribunali militari furono istruiti... come sappiamo, perchè la
magistratura credeva che una amnistia sarebbe venuta in tempo a
troncarli. Quando essa si accorse che si voleva andare sino in fondo non
potè più rifare sul serio ciò che era stato imbastito quasi per
burla..... Ed avvenne quello che avvenne e di cui si avrà più completa
conoscenza nel seguente capitolo.

[67] _Genesi e funzioni delle leggi penali. Roma 1889._ Questa tesi
viene sostenuta con parole analoghe da Pellegrino Rossi, Pietro Ellero,
Mausley, Letourneau, De Greef e da altri illustri scienziati; dal
diritto penale venne applicata al diritto civile da Menger, Salvioli,
Bechaux, Loria, De Championniere ecc., che ritengono tutti gli aforismi
giuridici essere stati esclusivamente redatti a vantaggio dei ricchi e
dei più forti e a disprezzo della giustizia e dell'equità.

Nel testo l'ho presentata colle parole del Vaccaro, perchè la scienza in
questo quarto d'ora è sospetta, e perchè il Vaccaro non è solo un
cultore della scienza, ma è anche il Segretario del Ministro della
Presidenza e perciò non può considerarsi come un pericoloso
sobillatore... L'egregio Prof. Alimena metterebbe meno impegno a
combattere il Vaccaro se dovesse scrivere l'ottimo suo libro sui _Limiti
modificatori dell'imputabilità_ dopo le condanne di Sicilia e di Padova
e le assoluzioni di Roma.



XXII.

IL PROCESSO MOSTRUOSO


Di questo processo si potrebbe dire per eccellenza quello che il Carrara
affermava dei processi politici: «la giustizia non vi ebbe parte.»

Quella politica che già fin dai singoli processi per i tumulti del
dicembre '93 e gennaio '94 s'era mostrata conturbatrice del giudizio;
quella politica che aveva esercitato tutta la sua bassa influenza nel
processo contro il Curatolo--del quale si parlò avanti--venne, nel
processo De Felice e compagni, a spiegare intera la sua mostruosa
gravezza; così che, questo, tutto riassume e comprende le brutture e le
violazioni degli antecedenti processi svoltisi avanti ai Tribunali di
guerra.

  [COME FU ORDITO]

Per una fatalità, l'istruzione di esso fu iniziata e compiuta in un
antico palazzo medievale--fosco di molte truci memorie--che porta ancora
nella piccola torre merlata il vecchio orologio a campana che sonò tante
ore di agonie tremende.

È il palazzo dei Manfredi Chiaramonte, ove per due secoli infami i
Tribunali del S. Uffizio compirono la tenebrosa opera loro! e dove
oggi--da magistrati che pur videro infrangersi contro a una civiltà
nuova l'ultimo avanzo della temporalità della Chiesa--potè essere
ordito, malvagiamente, un processo su delazioni segrete,... di quel
segreto che fu anima dell'Inquisizione.

Consapevole com'ero di tutti gli elementi che potevano comporre quel
processo, e dei mezzi adoperati a raccoglierli, e del criterio seguito
nel coordinarli; delle intenzioni, insomma, che guidavano coloro che lo
avevano imbastito e imposto, scrissi nella prima edizione di questo
libro--tre mesi avanti che cominciasse il dibattimento--le seguenti
parole:

«La grandiosità artificiale del processo contro De Felice, Bosco e C. è
una vera montatura teatrale, che mira a giustificare le misure prese e
l'allarme destato; ma se il processo verrà a termine, se si svolgerà
innanzi ai giudici naturali e non verrà soppresso da una comoda e
pietosa amnistia che gioverà a coloro che lo hanno imbastito e non agli
accusati, si vedrà che esso sarebbe una colossale bolla di sapone, se
non fosse una grande infamia nella quale si tenta coinvolgere quanti
ebbero innocenti relazioni con De Felice, Bosco e compagni, quanti
ebbero parte nella organizzazione dei _Fasci_ colla ferma intenzione di
mantenersi nei più stretti limiti della legge. Il processo, se sarà
conosciuto nei suoi dettagli, riabiliterà la fama dei giudici dei
peggiori tempi della tirannide. E allora si vedrà quale opera nefanda di
servilismo e di complicità hanno fatto certi giornali, che con singolare
compiacenza hanno riferito, fingendo di averle dalle solite fonti
ineccepibili e autorevoli--ch'erano poi quelle delle questure--le
notizie sull'alto tradimento, sull'oro francese, sui depositi delle
armi, sui cannoncini (che servono a sparare le così dette _botte_!), sul
cifrario e sulle misteriose corrispondenze col medesimo spiegate, sulla
constatata relazione tra i fatti di Massa e Carrara e quelli di Sicilia
e di questi coi capi dei _Fasci_...»

  [I FATTI SUPERARONO LE PREVISIONI]

Previsione triste, la quale pure venne superata dai fatti! così che
veramente, questo processo, e per la sua durata; e per gli incidenti; e
per il numero e la qualità dei testimoni di accusa e di difesa; e per le
risultanze sorte dalla grande libertà di parola e di apprezzamenti a
tutti accordata; e per l'enorme contraddizione tra quelle risultanze e
la sentenza--non impreveduta, certo--ma che avrebbe dovuto essere
imprevedibile, questo processo, dico, che trasse tutta la sua esistenza
dalle accuse della polizia fondate su delazioni di confidenti segreti,
non può essere chiamato altrimenti che mostruoso.

Dai 7 d'aprile, ai 30 di maggio: due mesi di discussioni e di lotte tra
gli accusati, la difesa, il Presidente, i testimoni, l'Avvocato Fiscale,
provarono l'istruzione del processo tutta una farsa indegna, la quale
però finì in tragedia per la condanna che mandò in galera dei giovani
valorosi che lasciarono nella squallida miseria le loro famiglie.

Il processo mostruoso si svolse nell'ex convento di S. Francesco di
Assisi--nel 1848 sede di quel parlamento Siciliano che doveva adattare
ai tempi la costituzione del '12--e nella stessa Sala dove fu dichiarata
decaduta la dinastia dei Borboni!

  [APPARATI INVEROSIMILI]

L'evocazione di questi ricordi di glorie infelici--conquistate con tanto
sangue in nome della libertà,--faceva sentire più forte la melanconia di
quel grande inverosimile apparato di forza, che dalla via del Parlamento
non era interrotto fino nell'aula del Tribunale. C'erano poi soldati,
carabinieri, questurini, delegati, scaglionati da per tutto nelle
vicinanze del Palazzo e si sentiva subito, anche da chi l'ignorava, che
in esso si perpetrava qualcosa d'inusitato e di contrario alla libertà,
di inviso al popolo e che premeva molto al governo che si compisse a
malgrado di tutto e contro tutti.

Innumerevoli guardie di P. S. venivano appostate lungo la strada che,
dalla Vicaria alla via del Parlamento, percorrevano le carrozze
cellulari, scortate da drappelli di carabinieri.

Ammanettati ben bene, gli accusati, erano condotti nella grande gabbia
che ha racchiuso briganti famosi e delinquenti d'ogni sorta.

Nell'aula non era già dato a chicchessia di penetrare. Gli agenti di
polizia squadravano d'alto in basso, e negavano o accordavano l'ingresso
secondo il loro talento, onde accadeva poi che una quantità di guardie
travestite venivano comandate a far la comparsa di pubblico nell'aula
grande, chè altrimenti sarebbe rimasta presso che deserta.

Entravano liberamente Signori e Signore dell'aristocrazia e dell'alta
borghesia, che avevano biglietti per posti distinti. Venivano volentieri
a godere dello spettacolo di quel processo!

Pure qualche volta accadde a una dama di commoversi; altre però fecero
mostra di una durezza fenomenale.

Una contessa, che ama le bertucce, un giorno scendendo per l'ampie
scale, ebbe tanta gentilezza d'animo da dire, ridendo, che quegli uomini
dentro la gabbia le erano sembrati degli scimmioni.

E la cosa fu tanto orribile che un onorevole principe, il quale le stava
a lato, disse a quella dama delle parole così severe che somigliavano a
un rimprovero.

Non ugualmente, da quei posti riservati poterono assistere sempre i
congiunti degli imputati, perchè le spie assicuravano giudici e
poliziotti che essi scambiavano segni misteriosi e pericolosi coi
giovani baldi rinchiusi nella gabbia;--e non erano altro che dei saluti
furtivi ed affettuosi!

Forse, furono ritenute anche pericolose le lagrime che qualche volta,
sgorgavano dai bruni occhi di Maria De Felice, proprio malgrado, quando
il padre levavasi fiero e sorridente a protestare contro una calunnia, o
a schiacciare cogli articolati stringenti un basso testimonio di accusa.

Gli imputati--da prima malvisti e odiati anche--destarono poi nel
pubblico interesse e simpatia vivissima: fu un crescendo, mano mano che
al dibattimento venivano sfatate le accuse vili che i loro nemici
avevano fatto circolare sapientemente.

  [IL LAVORIO DI DENIGRAZIONE]

Perocchè il governo e le classi dirigenti, con uno sfacciato lavorio di
denigrazione, erano riusciti a rendere odiosi i socialisti del processo
mostruoso; nei giornali, alle Camere, nei crocchi, le calunnie più
inverosimili si erano spacciate contro di loro. Gl'imputati non erano
soltanto responsabili degli eccidî, degli incendî, delle devastazioni di
Sicilia, ma erano anche i traditori della patria, che volevano disfare
l'opera secolare a cui consacrarono braccia, mente e cuore tanti martiri
e tanti eroi; erano i traditori della patria, che avevano trescato
coll'eterno nemico d'Italia, il clericalismo e ch'erano stati comprati
dall'oro straniero. E in essi, più che gli utopisti imprudenti, che
sognavano la redenzione economica dei lavoratori, lo ripeto, non si
vedevano che i traditori della patria.

  [LE INFAMIE ACQUISTARONO CREDITO]

Tale l'ambiente morale creato non solo in Palermo, ma in tutta Italia.
Era stato creato colle menzogne e colle calunnie più scellerate; ma
queste venivano proclamate con tanta sicurezza e con tanta insistenza da
coloro che si presumeva dovessero conoscere la verità--dall'infimo
giornaletto di provincia sussidiato dal Prefetto, al grande giornale
della capitale, la cui ufficiosità non era discutibile; dal delegato di
pubblica sicurezza al primo ministro del regno--che la pubblica opinione
venne traviata e le infamie, per un momento, acquistarono credito presso
gli uomini indipendenti e di mente eletta, sinanco tra gli amici
politici dei prigionieri.[68]

Ma è tempo di fare, per così dire, la cronaca e la descrizione del
_processo mostruoso_ e comincio dalla lista degli accusati, dei giudici,
dei difensori, dei testimoni e degli accusatori.

Degli accusati non faccio la biografia; sono giovani tutti, meno il
Bensi, e non ebbero campo di fare qualche cosa notevole pel proprio
paese o per la libertà; quasi tutti furono giornalisti intelligenti
oratori e propagandisti instancabili e fortunati dell'ideale socialista.
Emerge Giuseppe De Felice e per la sua vita avventurosa, e perchè è
Deputato al Parlamento, e perchè è _onorato_ dall'odio personale di
Francesco Crispi, e perchè in fine, a torto o a ragione, viene ritenuto
il Capo dei _Fasci_ e della cospirazione: da lui, perciò, prende nome il
processo mostruoso.

Gli accusati nell'atto di accusa e nella requisitoria del Pubblico
ministero sommariamente vengono qualificati come appresso--e la
qualifica è bene conservare a documento della fenomenale leggerezza e
della malignità di chi istruì il processo e di chi fece da pubblico
accusatore.

  [GLI ACCUSATI]

     CIPRIANI è notoriamente conosciuto quale un internazionalista
     _anarchico_ ed un _ardente rivoluzionario_.

     GULÌ EMMANUELE è un _anarchico_ siciliano così ritenuto nelle
     denuncie, così definito dai coimputati nei loro interrogatorii.

     PETRINA un _rivoluzionario_ di _tempra adamantina_, così negli
     elogi che in diverse lettere gli fa Cipriani.

     MONTALTO il _più serio del partito_ tra quelli del Comitato,
     secondo egli stesso si qualifica in una lettera del 23 maggio 1893
     diretta al farmacista Curatolo di Trapani.

     Il CIRALLI è un _fanatico gregario_, mentre il CASSISA è un
     _arrabbiato contro l'attuale ordine di cose_ tanto da scrivere in
     una lettera del 19 marzo 1892 diretta a Montalto, essere una
     vergogna che il municipio di Trapani preparasse un'accoglienza al
     Duca degli Abruzzi che chiama farabutto savoiardo, che non ha altro
     pregio che appartenere a casa Savoia.

     Il PICO è un _entusiasta travolto nella corrente_ dal De Felice,
     perchè elevato a segreto ambasciatore: come prova una sua lettera
     ed egli lo ammette nel suo interrogatorio.

     Il VERRO è _un rivoluzionario opportunista_ ed il BARBATO un
     _rivoluzionario convinto_ che non disdegnerebbe di cogliere la
     prima favorevole occasione.

     Il BENSI GAETANO, bolognese è _un opportunista_ che per la
     rivoluzione fa causa comune con chicchessia. Difatti egli in una
     lettera dell'8 dicembre 1893 diretta a De Felice scrive che: nel
     fascio già costituito entrano anarchici, collettivisti, socialisti.

     E più sotto: Oggi a Ravenna vi sarà una riunione regionale,
     «speriamo che i bravi anarchici vi si trovino.»

     BOSCO sa mantenere tutte le _apparenze_ per dirsi _socialista
     evoluzionista_, non si tradisce scrivendo, ma parlando ed agendo è
     un vero campione degno di DE FELICE ch'è un _rivoluzionario deciso_
     secondo egli stesso si analizza nei suoi interrogatorî, e non ne fa
     un mistero.

     Sono imputati di cospirazione per commettere fatti diretti a far
     sorgere in armi gli abitanti del Regno contro i poteri dello Stato,
     di eccitamento alla guerra civile ed alla devastazione in qualsiasi
     punto del Regno con la consecuzione in parte dell'intento: fatti
     avvenuti nei mesi di novembre e dicembre 1893 e gennaio 1894 in
     Sicilia, articoli 136, 120, 252.

Tra gli accusati c'è un assente. A. Cipriani, che come usa presso i
Tribunali di guerra non venne condannato in contumacia.

Il Tribunale era così composto.

  [IL TRIBUNALE]

_Presidente_: colonnello del genio cav. Giussani--_Giudici_: tenente
colonnello del 57 cav. _Bianchi_--tenente colonnello del 3. bersaglieri
cav. _Borgna_--capitano d'artiglieria _De Boyen_--capitano di fanteria
_cav. Minneci_--capitano di fanteria _Cortella_--capitano d'artiglieria
_Pontiglione_.

Da prima funzionò da pubblico ministero l'avvocato fiscale Soddu-Millo,
poi--ammalatosi--venne sostituito definitivamente dal sostituto Viesti.

Sull'opera del Tribunale non ritornerò; esporrò qui la impressione che
ne ebbe il pubblico in generale.

  [IMPUTATI E GIUDICI]

Il Presidente, colonnello Giussani, concesse grande libertà di parola
non solo ai testimoni a difesa, ma anche agli accusati tanto da sembrare
interessato a vederne risultare luminosamente l'innocenza.

Quale fosse il pensiero degli accusati sulla loro posizione di fronte al
tribunale militare lo lascerò dire al Dr. Barbato che nella sua
splendida orazione in cui non fece la sua auto-difesa ma espose le
fatali ragioni storiche del socialismo, così disse:

«Quanto a noi, abbiamo semplicemente due doveri in questo processo,
secondo me. Riaffermare la nostra fede, e lo abbiamo fatto. Fornire i
documenti della nostra moralità extra legale, e lo abbiamo fatto. I miei
compagni hanno creduto di avere anche un terzo dovere, quello di
difendersi giuridicamente. Io affermo che questo diritto noi non
l'abbiamo; non perchè si dubiti della lealtà vostra, non per le ragioni
giuridiche che si sono messe avanti ne' parlamenti, ma perchè voi non
siete i nostri giudici naturali.»

«E giudici naturali non esistono, per noi: il codice non ci riguarda. Io
sono lieto di trovarmi dinnanzi a voi, perchè ci avete dato agio di
mostrarvi chi siamo, mentre i così detti giudici naturali questo agio
non ce l'avrebbero dato.»

«Sicchè quando vi dico che nel mio animo c'è riconoscenza per voi,
riconoscenza sincera, dovete credermi. Voi con molta probabilità, anzi
con certezza, manderete a casa, non certo me, ma quelli tra i miei
compagni che sono i meno odiati, mentre sono sicuro che i giudici
naturali avrebbero sacrificato tutti insieme a me, in omaggio a quella
libertà che ha dato feudi, ville, palazzi ai vecchi lupi, manette e
piombo ai figli della plebe cenciosa che ha liberato l'Italia dallo
straniero e che libererà l'Italia dalla schiavitù del capitale. Ma io
dubito che voi appunto non vogliate dare il vostro contributo alla
civiltà in cui viviamo. Quando si vive in un dato periodo di civiltà,
ogni uomo leale che la ritiene buona sente il dovere di darle, il suo
contributo: quella di oggi è ancora quella che innalzava i roghi e i
patiboli.»

  [NON SI TRATTA DI CODICI]

«Non si tratta di codici. Nè voi, nè io c'intendiamo di codici. Si
tratta della convinzione che nei vostri animi può esserci rispetto a
questi elementi distruttivi del presente.»[69]

E il Dr. Barbato non s'ingannò: i meno odiati, Ciralli e Cassisa,
vennero assolti; gli altri tutti condannati, non perchè dimostrati
autori dei reati a loro imputati, ma perchè rappresentanti di un idea,
che il Tribunale aveva la consegna di combattere. Parve a tutti, che
esso, abbia condannato, per _disciplina_.

I difensori furono:

  [I DIFENSORI]

Truglio, tenente del 38º fanteria, per De Felice--Caldarera, tenente
del 22º artiglieria, per Ciralli--Calcagno, tenente del 22º artiglieria,
per Cassisa--Lelli, tenente del 57º fanteria, per Bosco--Palizzolo,
tenente del 22º artiglieria, per Petrina--Orioles, capitano del 57º
fanteria, per Verro--Piccoli, capitano del 22º artiglieria, per
Barbato--Trulla, tenente del 38º fanteria, per Benzi--Ponti, tenente del
57º, per Montalto--Palizzolo, tenente del 22º artiglieria, per
Pico--Trulla, tenente del 38º, per Gulì.

Non c'è parola di elogio che basti per coloro che ebbero il compito
della difesa, ingrato, perchè si sapeva inutile ogni sforzo. In questo e
negli altri processi i militari della difesa mostrarono intelligenza,
coraggio, indipendenza, eloquenza; essi sollevarono numerosi incidenti e
somministrarono elementi preziosi per il ricorso in Cassazione;
scattarono spesso contro le calunnie e le menzogne dei testimoni
dell'accusa, che non di raro s'imbrogliarono, si contraddissero, si
ritrattarono. Essi infine meritarono il saluto seguente, che in nome di
tutti i suoi compagni rivolse loro Giuseppe De Felice: «mando un caldo
saluto di affetto e riconoscenza ai nostri egregi, cari, simpatici
difensori. Essi che accettarono titubanti le nostre difese perchè ci
credettero per un momento colpevoli, li avete sentiti, hanno col
maggiore entusiasmo sostenuta la nostra difesa perchè ci sanno
innocenti. Essi dubitarono della nostra fede, noi non dubitammo mai
della loro lealtà, vennero sconosciuti al carcere, uscirono fratelli
nostri. E noi li ringraziamo come fratelli; l'opera loro non può
essere che quella di fratelli. E ci confortò l'idea che, arrivati a noi
in mezzo al dubbio, sono usciti pieni di entusiasmo e di affetto per
questi giovani che hanno lasciato le dolcezze della vita per farsi
chiudere in carcere, animati da un desiderio infinito d'amore.
Grazie, grazie dal profondo del cuore, qualunque sia l'esito del
dibattimento!... Nè noi siamo qui per domandare pietà per noi o
per le nostre famiglie, ma per manifestare al paese che giovani leali
lottano lealmente, senza transigere mai colla lealtà del cuore. Vi
ringraziamo!...»

Gli ufficiali preposti alla difesa dei predestinati alla condanna, nel
senso più elevato della parola fecero il loro dovere!

  [DEUS EX MACHINA]

Supero la ripugnanza, che destano certe persone e presento ai lettori il
Comm. Lucchese, il _deus ex machina_ del processo mostruoso, l'artefice
e lo strumento principale delle vendette del governo e della borghesia e
che gli odî dell'una e le paure dell'altra condensò nei suoi rapporti e
nelle sue deposizioni.

Il passato del comm. Lucchese non è bello. All'epoca del processo
Notarbartolo quel passato venne rievocato dalla _Tribuna Giudiziaria_,
autorevole rivista di Napoli--la quale... non venne incriminata. Poscia
fu esposto succintamente dall'On. Altobelli nella sua testimonianza
innanzi al Tribunale di Guerra, in questo processo--udienza del 16
maggio--a domanda del tenente Truglio: e infine da me, in Parlamento,
costrettovi dalle denegazioni dell'onor. Crispi....

  [I RAPPORTI DELLA POLIZIA]

Ora quale parte abbia potuto rappresentare il Lucchese nel processo De
Felice si può argomentarlo da questi due rapporti a sua firma:


R. QUESTURA DI PALERMO

          5 gennaio 94

     Il Comitato Centrale agiva d'accordo col Comitato internazionale
     socialista-anarchico residente all'estero.

     I presidenti dei Fasci sono scelti fra gli ammoniti ed i
     facinorosi.

     Fu istituito un comitato d'azione per preparare meglio la
     rivoluzione.

     Sul principio il Comitato si tenne separato dagli anarchici: e si
     unì poi a loro nel novembre del 93.

     Fu _progettata la rivoluzione in Palermo_, che fu poi sventata
     dall'opportuno arrivo della forza. Si verificò invece il movimento
     preveduto nei Comuni dell'Isola.

     Lo scopo del sodalizio era di eccitare nel popolo l'odio contro le
     istituzioni e le classi abbienti.

     Si fa rilevare l'acquisto d'armi e munizioni fatto dai contadini a
     Palermo su vasta scala, e molte riparazioni alle vecchie armi.

     La flagranza del delitto di cospirazione è continua e provata dalle
     continue riunioni del Comitato, e specialmente da quella del 3
     gennaio u. s.

     I fatti successi poi nei comuni costituiscono il reato di
     associazione a delinquere.


R. QUESTURA DI PALERMO

          Verbale 9 gennaio 1894

     Lo scopo del partito socialista si desume:

     1. Dal punto storico dello sviluppo dei fasci:

     2. Dallo spoglio dei giornali cittadini e specialmente dai fogli
     del partito, come: la _Giustizia Sociale_ e il _Siciliano_;

     3. Dai documenti sequestrati, costituendo essi un corredo di prove
     chiare, complete ed inoppugnabili.

     Perchè l'organizzazione potesse concertarsi e rinsaldarsi, oltre
     allo _Statuto unico_ per i fasci, occorrevano:

     1. Un centro direttivo nella Capitale dell'isola, celebre per le
     patriottiche iniziative:

     2. Mezzi economici sufficienti alla propaganda colla stampa, coi
     viaggi, con attiva corrispondenza, sussidi e feste;

     3. Un numero di persone capaci di correre qua e là, affrontare i
     rigori della legge e di sostituire nei grandi centri l'azione che
     nei piccoli centri è affidata e devoluta ai pregiudicati ed ai
     facinorosi.

     I Fasci erano composti _per 2/3 di povera gente e per 1/3 di
     delinquenti_.

     Se il manifesto del 3 non è dichiarazione di guerra, ha però
     l'aspetto di un ultimatum da potenza a potenza.

     Gli appelli alla calma erano platonici ed apparenti.

     Il socialismo che per altri è una fede ed una scuola; per essi (i
     membri del Comitato) è uno strumento ed un mestiere.

          _Questore Lucchese_--Palermo


  [LA DEPOSIZIONE DEL LUCCHESE]

Il Lucchese completò l'opera sua nella udienza del 20 Aprile, quando
innanzi al Tribunale, disse che in Palermo si vedevano gironzare molte
facce nuove venute per fare le squadre e la rivoluzione tra gli ultimi
di dicembre e i primi di gennaio; che si erano fatti straordinarî
acquisti di armi.

Messo alle strette s'imbroglia e si contraddice; si rifiuta per non
violare i segreti di Ufficio, a scoprire la fonte delle sue notizie; ma
oltre ai comuni confidenti di polizia, insinua che ebbe tutto comunicato
da un membro del Comitato Centrale, completando la campagna da lui
condotta contro uno dei tre membri del Comitato non arrestati
immediatamente e che lasciava comprendere di non volere arrestare.

  [UN'ENORMITÀ GIURIDICA]

La testimonianza orale di questo Comm. Lucchese fu tale, che la difesa
domandò la sua incriminazione per applicazione dell'art. 214 del Codice
penale. Quando il Tribunale si ritirò per decidere, furono molte le
discussioni e i commenti; l'incriminato andò al banco della Stampa per
giustificarsi; fu tale, però, l'accoglienza che se ne allontanò subito.
Nessuno s'illuse sulla decisione che avrebbe presa il Tribunale; ma
nessuno poteva aspettarsi una _ordinanza_ come quella che lesse il
Presidente, poichè essa consacrava una enormità giuridica e morale colle
seguenti parole finali: «_Il Tribunale dichiara veridica la deposizione
del teste, la quale non può essere infirmata dalla cartolina scritta dal
Pico e respinge l'istanza della difesa_». Tali parole furono accolte
nell'aula da un mormorio prolungato, che in quel momento, a chi vi
assisteva, potè sembrare un fremito di ribrezzo del popolo.

Per intendere tale impressione, ed anticipando la narrazione si deve
aggiungere che di _questa cartolina di Pico_ sarebbe vero autore morale
lo stesso Lucchese: se non la dettò, la lesse, la conobbe, l'approvò!

I testimoni. La loro sfilata è immensa; tra quelli di accusa ho notato,
senza avere avuto la pazienza di rilevare la condizione di tutti:
_sette_ prefetti, _un_ ex prefetto, _un_ consigliere delegato di
Prefettura, _tre_ questori, _sei_ ispettori di pubblica sicurezza; e poi
Delegati, ufficiali dell'esercito di ogni arma e di ogni grado, sindaci
e proprietari, avversarî notissimi dei _Fasci_; e poi questurini e
carabinieri; e poi pochissimi lavoratori, che o depongono su circostanze
inconcludenti o smentiscono ciò che risultava avevano affermato nel
processo scritto...

Quanta fosse la indipendenza di questi funzionarî-testimoni si può
detergerlo dal caso occorso al Comm. Bondi, ex-prefetto di Catania e
Messina: egli fu messo a disposizione del ministero per punirlo, si
dice, di avere deposto in parte favorevolmente agli accusati.

Tra i testimoni a difesa stanno deputati di ogni colore--da Pierino
Lucca a Prampolini, da Imbriani a Tasca Lanza, da Cavallotti a
Paternostro, da Florena ad Altobelli,--consiglieri provinciali e
comunali, proprietarî, avvocati, medici, ingegneri, farmacisti,
commercianti--insomma il fior fiore delle intelligenze e del carattere
di ogni angolo della Sicilia e di altre regioni d'Italia.

Da un questore Lucchese e da quella razza di testimoni d'accusa non
furono raccolte che testimonianze e prove nelle quali c'era tutto meno
che la verità e la serietà; dell'una e dell'altra non traspare neppur
l'ombra della preoccupazione. E la magistratura tutte le gratuite e
calunniose asserzioni, tutti gli elementi innocenti accettò come prove
irrefragabili della colpevolezza degli imputati; le accettò senza alcun
beneficio d'inventario.

  [GLI ELEMENTI ... PIÙ SERII DEL PROCESSO]

Gli elementi più serî, a prima vista, sono le lettere di Cipriani a De
Felice e a Petrina; molte rimontano al 1890, al 1888; ma di tutte l'uno
e l'altro fecero un minuzioso esame, che distrusse le induzioni
dell'accusa, come si vedrà, non rimanendo di assodato che questo solo:
Cipriani desiderava la rivoluzione.

Si parlò di un _terribile_ appello dello stesso Cipriani ai Siciliani;
ma era tanto criminoso e pericoloso che la _Giustizia Sociale_ lo aveva
a suo tempo pubblicato senza essere sequestrata e processata.

Si fece una colpa a De Felice di un discorso pronunziato... in ottobre,
a Casteltermini; ma vi fu denunzia e processo a suo tempo e la Camera di
Consiglio del Tribunale penale di Girgenti non trovò luogo a procedere.
Il pubblico ministero appellossi... dopo proclamato lo stato di assedio
e iniziato il _processo mostruoso_.

A dimostrare l'accordo per la rivoluzione tra De Felice e i clericali si
invoca una lettera di presentazione dell'Avvocato D'Agata di Catania
all'avvocato Menzione di Napoli; ma non si procede contro chi l'ha
scritta, non si procede contro colui cui è diretta e se ne fa una colpa
al deputato socialista, che... non la presentò.

  [I PREFETTI TESTIMONII]

De Rosa, ex prefetto di Caltanissetta, trova l'indizio grave della
colpabilità di De Felice nella visita da lui fatta ai prigionieri di
Valguarnera nelle carceri di Caltanisetta e non si trattava che di
un'inchiesta legittimissima, fatta alla presenza del Direttore delle
Carceri, e la cui relazione fu pubblicata dal _Siciliano_, per conto del
quale venne fatta.

Lo stesso De Rosa, parlò di un _patto di morte_ sottoscritto--da
contadini, che non sanno leggere e scrivere!--tra i membri dei _Fasci_
della provincia, che reggeva, e tacque prudentemente dello schiaffo
assestatogli dalla magistratura nel processo di Milocca in cui figurava
lo stesso tremendo patto.

Bondi, ex prefetto di Catania, desume le intenzioni rivoluzionarie di De
Felice da un suo discorso al Teatro Nazionale di Catania, che le
autorità politiche non interruppero, le giudiziarie non incriminarono e
la stampa borghese locale non trovò biasimevole.

Lo stesso Bondi attribuì ad un discorso di De Felice i tumulti di
Catenanuova e i resoconti parlamentari in quel giorno provarono che il
De Felice era a Roma.

Novari, tenente dei carabinieri, dice violentissimo un discorso dallo
stesso De Felice nella stessa Catenanuova dove si portò molti mesi dopo
ch'era stato pronunziato, e contraddice e smentisce il maresciallo dei
carabinieri, che lo aveva ascoltato e non vi aveva trovato da ridire; e
il superiore dichiara inesatto e incompleto il rapporto del suo
subordinato per giustificare la propria asserzione. Si fa colpa al De
Felice di avere partecipato al Congresso socialista di Zurigo ed egli
documenta che si trovava in Italia.

Si dichiarano rivoluzionarî nel significato volgare De Felice, Bosco,
Petrina sulla base di elementi di questo genere: perchè in una lettera
di un Barbagallo il primo vien detto _tenace sostenitore dei più sacri
diritti popolari_; perchè in un'altra lettera da Lugo lo si dice _caldo
oratore del partito rejetto, caldo sostenitore dei diritti finora
conculcati, illustre condannato della borghesia_; perchè Bosco scrive a
Petrina _senza il giornale_ (_L'Isola_, da me diretta) il _movimento
operajo è ammazzato_... E da tali elementi si argomenta che la
propaganda socialista ha false apparenze!

  [UN DIALOGO ... ISTRUTTIVO]

Non basta, non basta! Ecco un dialogo istruttivo all'udienza del 28
Aprile:

_Difensore Piccoli_: Da che cosa arguisce il teste, che il _Fascio_ di
Piana dei Greci fosse così terribilmente provocatore?

_Zumma, Delegato di P. S._: Dalla compattezza dei soci, i _quali si
fecero crescere tutti i baffi in seguito ad ordine del Barbato, il quale
disse che sarebbero stati espulsi dal Fascio quelli che non avrebbero
portato i baffi_...

Il resoconto nota, che quando venne denunziato questo terribile indizio
dei _baffi_ il pubblico scoppiò in ilarità. Si rideva; ma con siffatti
elementi si tolsero la libertà e i diritti civili a tanta generosa ed
intelligente gioventù.

Ed ora viene il meglio. Un Marzullo, ispettore di P. S. in Palermo
afferma che gl'imputati accordavano _largizioni, sussidî, assegni_ a
coloro, che lavoravano per la causa comune. Un Delegato, il Gallegra,
riferisce che si è fatta una propaganda contro la monarchia e che i
collettivisti avevano predicato la divisione della proprietà.[70] Un
terzo ispettore, il Castellini, riconosce che il vero scopo del
_Comitato dei Fasci_ non fu mai il miglioramento morale e materiale dei
lavoratori, ma il _solo proprio tornaconto_; che promettevano ai gonzi
la divisione dei beni e che intanto _fanaticando_ le masse ignoranti e
spillando denari se la godevano da signori... De Felice, Bosco, Barbato
e Verro, nulla tenenti, spendevano e spandevano come _grandi signori in
pranzi e bagordi senza sapersi ove trovavano il denaro_....

  [BRAVI FUNZIONARII]

Tutto ciò si legge testualmente nei rapporti di questi _bravi_
funzionari, che devono applicare le leggi antianarchiche; e tutto ciò
porta la stigmata della viltà, perchè venne scritto il 26 e 27 gennaio,
quando lo stato di assedio era in vigore, quando gl'imputati erano in
carcere; e venne scritto per uso e consumo della magistratura
inquirente, che voleva del buono in mano per mandare in galera i
socialisti. Ci fu un eroe, però, che non aspettò lo stato di assedio per
denunziare i pericolosi sobillatori e le più pericolose cospirazioni: è
il delegato di Bisacquino. Ecco il rapporto dell'ottimo signor Morandi,
mandato in ottobre al suo superiore, il sottoprefetto di Corleone, in
tutta la peregrinità del suo stile:

  [IL TRATTATO DI BISACQUINO]

     «Notizie sulla cospirazione del Comitato centrale esistente in
     Palermo, inspirata dai componenti di esso, da notizie partecipate
     da un gregario fin dall'ottobre 1893.

     «1. La congiura che ha la sua manifestazione a mezzo dei Fasci dei
     lavoratori socialisti ha per obiettivo una azione politica,
     protetta e promossa dalla Francia e dalla Russia, che hanno di mira
     lo smembramento della Sicilia dal resto d'Italia;

     «2. La Sicilia sarebbe invasa dalla Russia e tenuta da essa come
     base d'operazione sopra Costantinopoli;

     «3. Si promette alla Sicilia un governo libero, indipendente, senza
     oneri, con l'obbligo però di tenere, nei punti in cui vorrebbe la
     Russia, delle guarnigioni militari;

     «4. Non più tardi del maggio 1894 la Francia simulerà un passaggio
     delle Alpi per invadere il Piemonte, nel mentre che la Sicilia farà
     l'insurrezione socialista, protetta al di fuori dalla Francia, la
     cui flotta terrebbe a bada quella italiana e quella inglese, ecc.;

     «5. Per aver vivo lo spirito di ribellione in Sicilia si forzeranno
     i soci dei fasci allo sciopero, permodochè esasperati dalla
     miseria, l'impeto della rivolta sia indomabile;

     «6. I Fasci di Sicilia attendono due navi di fucili a retro-carica,
     munizioni e bombe cariche di dinamite;

     «7. Si tenterà ancora la rivoluzione dei fasci e di altri sodalizi
     sovversivi delle altre regioni d'Italia, e quando il governo
     cercherà di riparare per la Sicilia, la Francia tenterebbe una
     spedizione per invadere Roma;

     «8. Tutto avrà luogo con rapidità fulminea, che in ciò le potenze
     nemiche posano la maggior fiducia per completamente riuscire.

     «9. Si fa assegnamento sulla non intera compattezza dell'esercito
     italiano, tanto più che la bassa forza ritiensi voglia partecipare
     nelle aspirazioni comuni ed unisone alla redenzione del proletario
     (!);

     «10. Il Consiglio generale di tale congiura è composto di varii
     deputati siciliani, fra i quali Colajanni, De Felice Giuffrida ed
     un Granduca (?);

     «11. Per ora si è concertato un moto rivoluzionario da verificarsi,
     o nell'atto in cui venissero sciolti i fasci, o nel prossimo
     inverno, perchè i socii del fascio potessero avere agio di
     approfittare coi saccheggi, e così poter campare fino all'epoca in
     cui insorgesse con la Sicilia il resto dell'Italia. Tale rivolta
     che precorrerebbe la generale, si limiterebbe alla sola provincia
     di Palermo, essendo questa ben preparata con armi in parti
     nostrane, in parte a retro-carica e a Wetterly, e già i soci del
     fascio attendono in segreto alla formazione delle cartucce;

     «12. Si è stabilito che la corrispondenza dei cospiratori di tutti
     i fasci, venga affidata ad appositi pedoni espressamente scelti fra
     i più scaltri e fidi gregari, escluso il mezzo postale ed il
     telegrafo, con eccezione di quest'ultimo nei casi impellenti, ma
     con la preintelligenza fra i corrispondenti di specificare
     l'opposto di quello che si dovrebbe manifestare.

  [CERTEZZA ... METAFISICA]

Questo rapporto è un brano di romanzo di Ponson du Terrail? è una farsa?
è una realtà terribile e dolorosa? La ritenne cosa comica il
sottoprefetto di Corleone, che non volle mandarla all'on. Giolitti come
desiderava l'autore; e cosa lontanissima dalla serietà la ritenne
l'avvocato fiscale Viesti in una interruzione fatta durante la mia
deposizione. _Altri_ invece, vi prestò piena fede; e il suo autore
quando il 21 aprile fu richiesto in Tribunale se era sicuro che ciò che
aveva scritto corrispondesse al vero, rispose: _ne ho la certezza
metafisica_! E a domanda analoga aggiunge imperterrito: il _trattato
rivoluzionario fu sottoscritto in ottobre 1893_.

Ebbene: Prefetti, Sotto-prefetti, Questori, Ispettori, Delegati,
Carabinieri--che tanto gravi accuse lanciarono--d'onde e come ne
acquistarono la _certezza_ più meno _metafisica_?

  [LA SORGENTE DELLE NOTIZIE]

La grande sorgente delle notizie è la vaga ed indeterminata _voce
pubblica_; le esatte e _metafisiche_ informazioni vengono da misteriosi
quanto comodi _confidenti_. Qualche volta si tentò determinare meglio
chi fosse la _voce pubblica_; e il tentativo non poteva riuscire più
infelice pei suoi portavoce.

Viene un ricco proprietario di Palermo, il Barone Valdaura, chiamato
dall'accusa e dichiara di saper nulla di nulla, meravigliandosi di
vedersi citato. Un delegato Zummo riassume la _voce pubblica_ di Piana
dei Greci nel D. Carnesi, ma questi quantunque nemico personale di
Barbato, interrogato, risponde che nulla disse mai _direttamente_ al
Delegato, che avrà saputo qualche cosa dai discorsi che correvano.

La _voce pubblica_ afferma che Petrina in un dato giorno si trovava in
Palermo a cospirare col Comitato dei _Fasci_, ma il signor Restivo viene
a deporre, che proprio in quel giorno il Petrina stava nel suo ufficio
di _Procuratore del Re_ in Messina, per cose che interessavano la
giustizia, e si può non credere ora alla ubiquità di Sant'Antonio? Nè
sono le sole autorità governative a trincerarsi dietro la inviolabilità
del segreto di ufficio; l'espediente per fare accettare come oro di
coppella le proprie invenzioni è comodissimo e vi ricorrono anche i
privati. Migliore, sindaco di Belmonte Mezzagno, ne dice tante e così
grosse a carico degli imputati, negandosi a fare i nomi dei _confidenti_
dai quali le aveva apprese, che il Tribunale si vede costretto per
salvare la decenza, ad incriminarlo. Un Vernaci di Parco assicura in
nome della _voce pubblica_ che il _Fascio_ locale aspettava
comunicazioni per discendere armato a Palermo; ma incalzato dalla difesa
a dare migliori prove dell'asserto conclude: _Ma..... non so..... l'ho
inteso a dire..... Però non mi risulta affatto....._

  [BEL MODO DI MANDARE IN GALERA I GALANTUOMINI]

«Bel modo di mandare in galera i galantuomini!» esclama dalla gabbia il
povero Nicola Petrina fremendo al pensiero che nella terza Italia si
fosse tornati ai tempi della onnipotenza delle delazioni segrete.

Se la _voce pubblica_ e i _confidenti_--risulta dal dibattimento--non
sono che la espressione genuina della menzogna viene invece dimostrato a
luce meridiana la provocazione poliziesca, la corruzione e la falsità di
molti e gravi testimoni dell'accusa.

Premetto che tali arti nefande dei peggiori tempi del dispotismo non
furono messe in opera soltanto nel processo De Felice. Un delegato di
Pubblica sicurezza si traveste da detenuto per carpire rivelazioni a
Molinari in carcere.

Un Macciscali, nel processo pei tumulti di Salemi, fu corrotto con
promesse di denaro e d'impunità per fare false testimonianze. Parecchi
testimoni risultarono mendaci e reticenti nel processo pei fatti di
Valguarnera e furono corrotti per fare condannare i cittadini egregi,
che militavano nella opposizione municipale.

Ma tutto ciò che negli altri processi fu incidente, nel _processo
mostruoso_ divenne sistema. E il punto di partenza del medesimo è
tipico: il Questore Lucchese chiama Bosco nel suo gabinetto e gli dice:
_ma non sentite dolore di tanti eccidî? Se ne sentite affrettate la
convocazione del Comitato Centrale dei_ FASCI, _riunitevi, portate una
parola di calma!_

Bosco, l'ingenuo! si commove e affretta la riunione, quantunque un
telegramma del corrispondente del _Siciliano_ da Roma, avvisasse dei
pericoli; e il Comitato mandò quella sola parola di calma che poteva
mandare.

  [UNA RIUNIONE DESIDERATA DAL QUESTORE]

Ebbene nella riunione affrettata, _voluta_ e _consigliata_ dal questore
di Palermo, si trova uno degli indizî più forti delle intenzioni
criminose degli imputati! Nè si dica che il crimine fu trovato nelle
parole del manifesto.

No! Lo esclude la magistratura, che mandò assolti Leone e De Luca, che
lo avevano sottoscritto.

  [LE CREAZIONI DELLA POLIZIA]

Passo sopra alle dinamite, col _bollo anarchico_ e di provenienza
_costituzionale_, che la questura scovò a Catania[71] e vengo alla
_creazione_ di lettere e di telegrammi che dovevano, nella intenzione
degli autori, nuocere agli imputati. A carico di De Luca, e dopo la sua
liberazione, si _creano_ lettere di indubitabile altissima origine
portanti la intestazione: _Comitato rivoluzionario_ e firmate _tout
bonnement_: «Francesco De Luca». Ma il tranello è così volgare ed
evidente che il De Luca dopo essere stato arrestato per la seconda
volta, col lusso di un Maggiore dei Carabinieri mandato a posta da
Palermo a Girgenti, viene subito rimesso in libertà.

La lettera di presentazione al direttore del _Vero Guelfo_ di Napoli non
fu ritenuta sufficiente a provare l'alleanza dei socialisti coi
clericali; allora si crea una lettera dei clericali.... di Venezia, che
la dirigono a De Felice in... carcere e nella quale il tema discusso è
la rivoluzione; e di rivoluzione e di _sbarchi_ parla un telegramma
anonimo da Palermo inviato all'on. Cavallotti e che l'occhio vigile del
Generale Morra di Lavriano lascia allegramente passare mentre sequestra
il discorso del Procuratore generale e i telegrammi commerciali con
linguaggio convenzionale.

Di testimoni mendaci, reticenti, interessati a mentire a danno degli
imputati si sa qualche cosa; di più se ne saprà del caso della
Baronessa di Valguarnera, che a dire il falso se non fu indotta dalle
promesse del delegato Munizio, vi fu certo dalla speranza di salvare
dalla prigione il marito fratello al Cottonaro. Il Polizzi, della stessa
Valguarnera, narra una circostanza a carico di De Felice in quattro modi
diversi e _non sa dire mai la verità, neppure per isbaglio!_ come disse
il Presidente del Tribunale di Guerra.

  [PICO E LAGANÀ]

E vengo alla storia edificante di Pico e di Laganà.

Pico è un disgraziato studente di Francofonte. Lo arrestano, lo
intimidiscono, lo seducono promettendogli la libertà immediata se si fa
accusatore dei suoi amici. Pico, come suggestionato, cede e la sua
deposizione diviene il perno dell'accusa. È Pico che scrive a suo
padre, _mentre era trattenuto in questura_: «Ho conferito col signor
Questore; _è una persona oltremodo cortese e gentile. Egli mi ha
promesso che domani verso le 10 probabilmente sarò fuori e in libertà.
Intanto ha fatto sì che io sia trattato bene_, ecc., ecc.»

Le _promesse_ sono invenzioni di Pico, anche colla buona intenzione di
tranquillare la famiglia? No; esse portano il bollo morale della
questura: Lucchese confessò innanzi al Tribunale, che lesse la cartolina
prima di spedirla. E Pico, contro i regolamenti, in prigione viene
chiamato col falso nome di Araldi. Ma Pico si ravvede, si pente
dell'infamia commessa resta in prigione e si guadagna una condanna, che
può valere a riabilitarlo.

Giorgio Laganà, è un povero sarto di Napoli, pochi giorni prima della
proclamazione dello stato di assedio va a Palermo a nome degli amici del
Continente per mettersi di accordo coi siciliani per la rivoluzione. Non
c'erano accordi di sorta alcuna da prendere e tornato a Napoli, dopo
l'arresto di De Felice e Compagni, viene ghermito della polizia, che lo
induce a nuove delazioni contro il Comitato centrale dei _Fasci_. E
Laganà accetta; e Laganà piangendo fa la storia della propria delazione
innanzi al Tribunale di Napoli il 12 marzo 1894: «i delegati, che lo
arrestarono, egli narra, mentre aveva _fame e freddo_ lo rifocillarono,
lo sedussero promisero e dettero soccorsi alle sue figliuole, che
avevano più _fame_ di lui!» E basta con queste menzogne, con queste
insinuazioni, con questo fango...

La sorgente delle accuse contro gl'imputati del processo mostruoso era
impura; ma i rivoli che furono raccolti nell'atto di accusa della
Camera di Consiglio del Tribunale penale di Palermo prima e poscia nella
requisitoria dell'avvocato Fiscale presso il Tribunale militare--che ne
fu la copia, giacchè l'avvocato Fiscale dichiarò che non avrebbe tenuto
conto delle risultanze del dibattimento orale bastandogli il processo
scritto.--vennero maggiormente intorbidati e inquinati da uno spirito
più che farisaico, loiolesco.

  [TUTTO, PURCHÈ CONTRO GLI IMPUTATI]

L'on. De Felice, forse per sentimento cavalleresco o per abilità,
attribuì all'atto di accusa e alla requisitoria, che ne fu la parafrasi,
dei meriti che non ha; può essere un laberinto all'interno, come egli la
qualificò, ma non è certo un magnifico edificio all'esterno. L'una e
l'altra, e con esse la sentenza furono vuote, fiacche, sconnesse. La
logica adoperata avrà potuto essere efficace per convincere i militari,
che nè la logica nè il diritto hanno studiato; avrebbe fatto sorridere
qualunque giurista, qualunque pensatore uso a ragionare sui dati di
fatto e ad indurre dai medesimi. Con sì strana logica si generalizza da
un singolo caso, si esagerano i fatti reali, degli stessi fatti reali si
sconvolge l'ordine di successione, si stacca una frase da un discorso e
da una lettera alterandone, mutandone il significato, si induce da una
ipotesi, si asserisce gratuitamente, si mutila, si contorce, si adultera
ogni pensiero e s'interpreta capricciosamente ogni fatto purchè si possa
rivolgere contro gl'imputati.

Per esempio, il solo Cassisa scrive a Montalto chiamando il duca degli
Abbruzzi un _farabutto savojardo_? E nell'ordinanza si afferma che _non
ci fu mai_ inaugurazione di _Fasci_ senza un discorso violento contro i
farabutti di Casa Savoia. Nella sola Valguarnera vi furono rapine? Le
rapine, per aggravare le tinte, si dicono avvenute dovunque ci furono
tumulti.

A Gibellina si uccide il pretore, a Pietraperzia si devasta? Si
dimentica di ricordare che l'uccisione e la devastazione _seguono_ al
massacro dei contadini e che rappresentano, perciò, la esplosione di una
indignazione se non giusta, certo spiegabile.

Si trova uno scritto di De Felice in cui si parla di regicidio? Si tace
di tutto il resto dello scritto, ch'erano gli appunti per un discorso
sulla rivoluzione francese, e si afferma che il deputato di Catania
professa ed approva il regicidio. E questa abile ma disonesta tattica si
eleva a sistema, presentando, tra le migliaia di lettere sequestrate
agli imputati, solo quelle, che potevano loro riuscire nocive e
sopprimendo le altre che avrebbero potuto costituire la loro difesa.

Ancora. I socialisti si riuniscono a banchetto all'Acquasanta, e la
polizia illegittimamente vuole intervenirvi provocando.

Petrina, ironicamente, parla da commendatore alla Tanlongo in senso
monarchico; e la polizia induce che se mutossi discorso è segno che il
soggetto della discussione precedente era criminoso. Cipriani risponde a
De Felice questo e quest'altro? e il pubblico accusatore induce che De
Felice _avrà dovuto_ scrivergli in questo o quell'altro senso.

  [ASSERZIONI E DEDUZIONI GRATUITE]

Le gratuite asserzioni poi abbondano. Si afferma, senza un solo minimo
elemento di dimostrazione, che nel Comitato interprovinciale dei Fasci
c'era un misterioso sotto-comitato di azione, più misterioso del
Consiglio dei Dieci. Il popolo grida: _Viva il Re! Abbasso le tasse!_ e
il pubblico accusatore asserisce che quei gridi erano una lustra, e che
in fondo si voleva e si preparava una rivoluzione politica generale. E
così di seguito.

  [UNA CIRCOSTANZA CAPITALE]

L'ordinanza, la requisitoria, la sentenza talora si contraddicono, e
che, nell'insieme, l'orditura dell'accusa sia stata sfasciata, distrutta
vittoriosamente dal dibattimento pubblico, risulta all'evidenza da
questa circostanza capitale: l'avvocato fiscale sentì il bisogno di
dichiarare che non intendeva avvalersi delle risultanze del dibattimento
e che gli bastavano quelle del processo scritto. È enorme, ma...
naturale! Il processo scritto gli _bastava_, perchè il processo orale
aveva annientato il primo; ma al processo orale, abbandonati i metodi da
Sant'Uffizio, si accorda oggi la preminenza per unanime consenso dei
giuristi, non escluso Francesco Crispi, e col processo orale, l'on. De
Felice con logica stringentissima fece l'auto-demolizione dell'accusa.

La demolizione già apparve evidente assai prima che il dibattimento
fosse terminato; e quindi l'avvocato fiscale Soddu-Millo, forse convinto
di non potere sostenere l'accusa e non essendogli lasciata la libertà di
ritirarla--così è lecito supporre--a mezzo processo, aiutato da un lieve
incomodo, si dette per ammalato e si fece sostenere dal Cireneo...
Viesti. Onde il De Felice, con ammirabile ironia, «manda un saluto al
Cav. Soddu-Millo, _che ebbe la rara fortuna di ammalarsi in tempo_!...»

La inconsistenza e la irragionevolezza della ordinanza, della
requisitoria e della sentenza risultano meglio collo esame critico delle
principali accuse, cui furono fatti segno i _Fasci_ e il Comitato
Centrale.

  [L'AVV. FISCALE E LE CALUNNIE DELLA POLIZIA]

L'avvocato fiscale facendo sue le calunnie della polizia volle
disonorare la massa dei _Fasci_ mettendo in luce la preponderanza
numerica, che vi avevano i delinquenti. Non accettò la proporzione del
Commendatore Lucchese, che poteva essere denunziata soltanto da un
ignorante qual'è il questore di Palermo; ma fece della statistica
giudiziaria e portò i delinquenti dei sodalizî odiati a 1645.

Il De Felice abilmente accettò la cifra, la mise in rapporto con l'altra
ammessa dall'accusa del numero dei socî dei _Fasci_, e facendo le
proporzioni coi _deplorati_ della Camera dei Deputati, indusse che tra i
lavoratori la moralità era quindici volte maggiore, che tra i deputati.
E il confronto sarebbe riuscito più concludente in favore dei _Fasci_ se
posto tra questi e i commendatori e cavalieri del regno d'Italia; con
questa differenza che i delinquenti operai per piccoli reati vanno in
galera; i commendatori delinquenti vanno fino in Senato.

L'esame delle statistiche giudiziarie, del resto, che ho intrapreso per
alcune località della Sicilia, quando seppi delle stolte asserzioni del
Prefetto De Rosa, mi convinsero che durante il 1893 nelle provincie dove
erano numerosi i _Fasci_, o non vi fu aumento della criminalità o non
superò quello del resto d'Italia, dovuto alle generali cause sociali.

A Corleone, poi, secondo l'avv. Riolo, la costituzione del _Fascio_ fece
diminuire la delinquenza; e così avvenne in altri luoghi.

Da questa accusa generica e che riguardava la collettività passiamo a
quella speciale, che si fece pesare sui membri del Comitato Centrale:
l'accusa di _alto tradimento_ fondata sull'oro straniero--leggi,
_francese_--e sulla cessione di una parte del territorio a ipotetici
futuri nemici del regno.

  [L'ORO STRANIERO]

Si rise della cessione di un porto della Sicilia alla Russia, stipulata
nel trattato di... Bisacquino; e della cessione della Sicilia...
all'Inghilterra; ma l'Italia tutta si indignò contro il Deputato di
Catania e i suoi complici, che si erano lasciati corrompere dall'_oro
straniero_. Questa calunnia fa capolino in numerosi rapporti della
polizia e nelle testimonianze dei più alti accusatori.

Il Prefetto De Rosa, accettando per Vangelo le sciocchezze dei
carabinieri di Acquaviva, fa dire a Bosco che denari non ne mancavano,
perchè ne venivano dalla Francia, dalla Germania, ecc. Si afferma che
Bosco e De Felice lasciarono somme a Balestrate e a Monreale; che una
amica di Barbato, aveva accennato a soccorsi francesi; che fossero stati
pagati i viaggi di Cottonaro da Valguarnera... Al questore Lucchese
risulta che i fondi vengono dall'estero, specialmente dal partito
socialista germanico; all'ispettore Marzullo consta che i membri del
Comitato erano sovvenuti _largamente_ da mano ignota. Di grosse somme
venute dall'estero parla l'ispettore Gallegra; e supera tutti
l'ispettore Castellini, che precisa che il denaro col quale Bosco,
Barbato e C.i se la scialavano in _pranzi e bagordi_ veniva dalle 32000
lire che De Felice portò dal suo convegno col Cipriani a Marsiglia.

  [GLI ACCUSATI SONO NELLA MISERIA]

Che cosa rimase di tali turpissime accuse? Nulla: documenti e
testimonianze irrefragabili distrussero la indegna calunnia. Comincio
dai piccoli. Consta a me che Cottonaro da Valguarnera era tanto fornito
di mezzi, che viaggiava a piedi e mangiava per carità altrui.

Il lusso di Bosco fece ridere tutta Palermo. Lo stesso Bosco in data 11
novembre 1893 scrive a Montalto in Trapani: «Di _mezzi_ noi ne abbiamo
_meno di te_; perchè, eccettuato Baucina che paga _solamente_ le
passività del giornale, tutti gli altri sono socialisti da burla. Il
solo Tasca diede 500 lire per la cassa centrale e 100 per gli arrestati.
La cassa centrale serve per le spese di posta e di telegrammi, non
indifferenti dati i momenti che attraversiamo.»

Egli vendette alcuni vestiti per potere scappare!

Quanti ne avesse il Montalto si rileva da sue lettere da Palermo a
Curatolo. Il 27 maggio 1893 gli scrive:

«Andrò al Congresso di Reggio Emilia _ricorrendo per denaro agli amici_,
naturalmente a titolo di prestito.»

E in data del 25 gli aveva scritto: «... le cambiali fatte per sostenere
il giornale _Il Mare_ scadono e _non so come far fronte_....»

Ci saranno almeno le 32000 lire date da Cipriani a De Felice. Sì!
Cipriani ne aveva tanti quattrini da dare agli altri, che ne chiede a
Bensi, il quale gli manda lire 60, sequestrate dalla polizia; ne aveva
tanti che domanda _cento_ lire a De Felice.... per venire in Sicilia!

Della calunnia non rimane traccia alcuna; rimane invece assodata questa
dolorosa verità: gli accusati sono nella miseria e nella più squallida
miseria rimasero le loro famiglie. La calunnia era tanto ignobile, che
quando Bosco, accompagnato da un suo amico va a protestare presso il
Questore Lucchese contro la voce dell'_oro straniero_, specialmente
_francese_, che gli agenti spargevano e che la stampa raccoglieva, il
questore ipocrita lo rassicura. L'accusa infine, era tanto falsa, che
l'Avvocato fiscale nella sua requisitoria la ritirò, per non coprire di
ridicolo sè stesso. Ma la calunnia aveva circolato liberamente per sei
lunghi mesi ed aveva fatto la sua opera!

  [LA COSPIRAZIONE]

Se l'accusa battè in ritirata su questo punto, insistette maggiormente
nella imputazione di cospirazione politica per alcuni e di eccitamento
alla guerra civile per tutti; precisamente i reati pei quali furono
condannati i socialisti del processo mostruoso.

Furono condannati sì; ma contro ogni norma di diritto e contro tutte le
risultanze di fatto.[72]

Anzitutto perchè ci sia la cospirazione, secondo il Codice penale,
occorre il concerto stabilito e conchiuso, l'unicità dello scopo, la
risoluzione di agire al fine di far sorgere in armi gli abitanti contro
i poteri dello Stato e i mezzi idonei per raggiungere lo scopo. Tutto
ciò, naturalmente, viene ammesso dall'ordinanza, dalla requisitoria
della sentenza.

Esistevano, risultarono del processo questi estremi, che costituiscono
la cospirazione? No!

L'esame dei documenti, che l'accusa ritenne decisamente compromettenti,
esclude il _concerto stabilito e conchiuso_; e questi documenti vengono
rappresentati dalle lettere di Cipriani e di De Felice e dal famoso
cifrario.

Cipriani scrive a De Felice: «Se mai _farai o tenterai_ qualche cosa,
spero penserai a me.» Avrebbe potuto scrivere ciò se fosse stato a parte
di una cospirazione e se cospirazione vi fosse stata?

Cipriani continua: «_Dimmi qualche cosa._» Dunque egli non sa nulla!
Cipriani gli annunzia «che sta _sulle spine e che ha bisogno più di
frenare se stesso_, anzichè di frenare gli altri.» Non è evidente che De
Felice lo aveva pregato di _frenare_ gli altri?

C'è di più. Cipriani domanda a De Felice: «_Perchè non scrivi?_ Eppure
se _i giornali non mentiscono_ vi sarebbe di che.» Non prova questo che
il più temuto fautore della cospirazione apprende le notizie dai
giornali piuttosto che dal complice?

La premura, la diligenza di un altro complice, viene luminosamente
dimostrata da questo altro brano di una lettera dello stesso Cipriani a
De Felice:

«Scrissi a Bosco e non si è _neanche degnato di rispondermi_. Poverino!»
E questa lettera porta la data del 1º gennaio, cioè della vigilia della
rivoluzione!

  [ACCORDO SINGOLARISSIMO]

Quando si pensa alla importanza assegnata dal processo al Cipriani non
si può fare a meno di sorridere pensando all'accordo singolarissimo, che
esisteva tra questi non meno singolari cospiratori! Quanto poi i tumulti
di Sicilia fossero la conseguenza della coordinata direzione dei
cospiratori con non minore evidenza emerge da ciò che il De Felice
scrive a una sua amica:

«_Giungono notizie di gravi disordini dalla provincia._» Dunque quei
disordini erano per lui cosa nuova; e lo erano ancora il 1º gennaio,
quando gliene scrive, provando che non erano stati da lui preparati.

Questo il contenuto dei più terribili documenti dell'accusa: si pensi
cosa erano gli altri!

  [IL CIFRARIO DI DE FELICE]

Uno ce n'è, però, che mostra le ree intenzioni di De Felice: il
cifrario. Sia: De Felice lo compilò per servirsene a fini criminosi. Ma
oltre _l'intenzione_, che non è punibile se rimane esclusivamente tale
senza un principio di esecuzione, c'è un dato che può giovare
all'accusa? Se ne servì mai il suo autore? Mai. Ne fu trovata copia
corrispondente presso altri complici? Nessuna. Fu adoperato pei casi di
Sicilia? Neppure: De Felice lo lascia a Roma, dove viene sequestrato,
dopo ch'era stato arrestato a Palermo.

Se il concerto sfuma, non possono restare _i mezzi idonei_ per
raggiungere i fini della cospirazione.

Quali sono _i mezzi idonei e determinati_? Le armi e il denaro.

Che siano indispensabili _i mezzi idonei e determinati_ risulta dai
precedenti giudiziari. Il giurì di Bologna nel 1874 assolse Costa e
gl'internazionalisti pei moti d'Imola e di Persiceto, perchè fu
riconosciuta la inidoneità dei mezzi. Il giurì è di manica larga? Ma il
suo responso venne corroborato dalla sentenza della Corte di appello di
Trani (18 marzo 1875) relativa ai moti del Barese. Dunque secondo il
Codice e secondo la giurisprudenza perchè il reato di cospirazione ci
sia occorrono i mezzi idonei: armi e denaro.

  [LE ARMI!]

In quanto alle armi, nel nostro caso, le hanno cercate dapertutto e non
le hanno mai e in nessun luogo trovate. Il questore Lucchese in un
rapporto del 16 dicembre scrive:

«_Il mio studio è rivolto a scovrire dove trovasi un deposito di armi e
di materie esplodenti._» Ebbene egli _studia_ ancora e non ha ancora
trovato il deposito.

Sappiamo che non è stata più fortunata la polizia nella ricerca del
denaro: ha cercato l'_oro francese_, e non ha trovato che la miseria
grande onesta dei cospiratori.

E in quanto a questi mezzi idonei e determinati--alle armi e al
denaro--la situazione viene brillantemente riassunta da una lettera di
Cipriani nella quale egli dice: «_Siamo senza un fucile, senza un
centesimo!_»

Qualche cosa, però, trovarono gli agenti della polizia, i magistrati,
l'avvocato fiscale, i giudici del tribunale militare: un delegato trova
certi pericolosi bastoni bianchi, un altro le _coccarde_ dei socî dei
_Fasci_; quello di Monreale trova l'_acqua calda_; l'eroe di Bisacquino
scopre un _vetterly_; il comodo e misterioso signor Peter promette armi
a De Felice.... già in carcere; l'avvocato fiscale vede i mezzi _nella
organizzazione dei lavoratori_.

Contro i battaglioni serrati e contro i cannoni dovevano riuscire
efficacissimi tali _mezzi idonei e determinati_; Turpin per distruggere
gli eserciti non potrebbe inventarne di più terribili.

  [TRIBUNALE SAPIENTE]

Non se ne accontentò che in parte il sapiente Tribunale di guerra--che
in fatto di efficacia dei mezzi distruttivi se ne doveva intendere--e
sentenziò: «è vana la ricerca delle armi, inutile il provare la mancanza
di depositi di armi, vana la ricerca della maggiore o minore vendita di
esse, _perchè le risoluzioni si fanno anche senza armi, come s'è visto
nei tumulti nei quali combatterono con bastoni e con sassi_.»

Combatterono!

Il Tribunale non poteva mostrarsi più _sapiente_ nelle storiche e
politiche discipline confondendo i _tumulti_ con le _rivoluzioni_;
inchiniamoci riverenti innanzi a lui e procediamo oltre.

E procediamo oltre concedendo ciò che in verun modo è dimostrato:
concediamo che ci sia stata la cospirazione con tutti i suoi estremi:
concerto, unità d'intenti, mezzi idonei e determinati per conseguirli.
Anche in questo caso nè il processo era giustificabile, nè la condanna
era conforme a giustizia secondo i Codici.

Un'alinea dell'art. 134 del Codice Penale stabilisce: «_va esente da
pene chi receda dalla cospirazione politica prima che si cominci
l'esecuzione del delitto e prima che sia iniziato il procedimento._»

  [IL RECESSO DALLA COSPIRAZIONE]

Ora dato che cospirazione ci fosse stata, l'esecuzione non era
cominciata per confessione stessa del magistrato ordinario che istruì, e
del Tribunale militare che giudicò, poichè non venne imputato agli
accasati alcuno degli attentati politici previsti dagli articoli 104,
117, 118, 120 e 128 del Codice penale e vi fu il _recesso_ prima che
fosse iniziato il procedimento, col manifesto del 3 gennaio.

L'ordinanza della Camera di Consiglio che sentiva di non potere
rinviare i socialisti innanzi il Tribunale militare non considera il
manifesto come un _recesso_, ma lo chiama un'_abile ritirata_ e ne
adultera il significato considerandolo come un _recesso dall'attentato,
giammai dalla cospirazione_, tanto più che gli accusati _sono rimasti
più affratellati che prima_.

E che cosa significa recesso _dall'attentato_ se di _attentato_ non
furono mai accusati gl'imputati? E perchè non smettere ogni ipocrisia
dichiarando con franchezza che lo _affratellamento_ equivale a
_cospirazione_? Tali loiolesche distinzioni non possono che disonorare
sempre più una magistratura, che ha perduto ogni prestigio e che è
venuta meno alla sua funzione, non sapendo che _rendere servigi_ al
governo. Il compianto Eula oramai, si affretterebbe sdegnato ad uscirne.

E non si può che disprezzare di più questa magistratura che il _recesso
dalla cospirazione_ tramuta capricciosamente in recesso _dall'attentato_
e che il contorcimento illegittimo aggrava colla menzogna, perchè
insinua con volgare indeterminatezza di frasi e di pensiero che il
manifesto, l'_abile ritirata_, sia stata suggerita dalle energiche
misure del governo, dallo Stato di assedio e dall'arrivo delle forze
militari.

No, o illustri Iaghi della magistratura: la vostra rimane una menzogna.

Il manifesto precedette la proclamazione dello Stato di assedio e lo
sappiamo dalle spie del governo, che ci dissero dell'animata discussione
tra De Felice, che voleva favorire il movimento e gli altri membri del
Comitato, che volevano e riuscirono a fare accettare al primo il
consiglio della calma; il manifesto non potè essere imposto dal timore
dell'arrivo delle forze militari, perchè queste non furono in Sicilia
che verso la metà di gennaio, quando già gli accusati erano in prigione
da parecchi giorni, sotto processo e predestinati alla condanna.

Rimanga dunque a voi tutta l'onta dell'opera vostra o magistrati degni
di una istituzione che muore!

Non contenta del contorcimento tormentoso del significato dei fatti, per
farli entrare nelle maglie del Codice penale; non contenta del mendacio
per togliere ad essi il valore, che non osano negare; la magistratura di
Palermo completò l'opera sua colla manifesta contraddizione nelle
accuse. Temendo che la preda potesse sfuggirle pel capo della
_cospirazione_, le imputa anche lo _eccitamento della guerra civile_.

L'accusa contemporaneamente portata su di alcune delle vittime designate
non la esamino dal lato giuridico, poichè qui è evidente che se c'era
_cospirazione politica_ non ci potea essere _eccitamento alla guerra
civile_: un reato esclude l'altro; ma passando sopra alla contraddizione
in cui incorsero e istruttoria, e requisitoria e sentenza che tra i due
reati contraddicentesi videro un nesso come tra causa ed effetto,
bisogna dimostrare che di _eccitamento alla guerra civile_, da per sè
solo, non erano colpevoli gli accusati.

  [LA PAROLA RIVOLUZIONE]

Anzitutto, si rilevi che si volle trovare un _substratum_ per l'accusa
nelle ripetute dichiarazioni in favore della _rivoluzione_ senza
considerare che, dinanzi alla filosofia della storia ed alla politica,
questa parola ha un significato ben diverso da quello connesso all'atto
materiale, che si compie per rovesciare un governo. Si dicono convinti
rivoluzionarî tutti i socialisti marxisti, che rifuggono dai tumulti e
dalle violenze; e tali si dicono impunemente nei discorsi, nei giornali,
nei libri. Perchè non processare tutti coloro che rivoluzionarî in tale
senso si proclamano? E in tale senso il più grande reo in Italia fu
Giuseppe Ferrari, che scrisse sinanco la _Filosofia della rivoluzione_ e
che invece di essere tradotto sullo sgabello degli accusati, venne
innalzato agli onori del Senato, non ancora prostituito.

  [BISOGNA AVER FEDE NEL PARLAMENTARISMO]

Nel De Felice non solo si volle colpire il _rivoluzionario_, ma anche
colui, che non ha fede nel _parlamentarismo_.

Ciò fecero, perchè i giudici non frequentarono mai Montecitorio; se lo
avessero frequentato o non avrebbero imputato a colpa del rappresentante
di Catania questa sua mancanza di fede nel parlamentarismo, o avrebbero
fatto una retata di deputati di lui più scettici e avrebbero dovuto
sopratutto fare il processo alla memoria di Agostino Depretis.

Ma De Felice non è semplicemente questo sereno osservatore del corso
degli avvenimenti, che inneggia alla rivoluzione come complemento
necessario, fatale, di una serie di trasformazioni economiche, politiche
e morali; no, egli ha predicato la rivoluzione materiale e immediata: lo
ha fatto a Pedara. Egli a Pedara ripetè i versi popolari:

    A rivederci maschere pagate.
    A rivederci illustri mangiapani,
    _A rivederci sulle barricate!_

Oh! perchè dunque non si processa l'autore di questi versi incendiarî e
si lascia Olindo Guerini ai suoi studî prediletti? perchè non si
processa Giosuè Carducci che versi più pericolosi scrisse prima che
ponesse piede a Palazzo Madama? Perchè non si allontana
dall'insegnamento inteso a formare le madri italiane, Ada Negri, che ha
eccitato alla ribellione contro il mondo borghese, _mondo d'oche e di
serpenti, mondo vigliacco_? perchè non si mandarono e non si mandano in
galera le migliaia d'italiani, che ripeterono e ripetono le fatidiche
parole di Beppe Giusti sull'invocato _Dies irae_?

  [CASO STRANO...]

Ma vedi caso strano: dovunque vanno i pericolosi eccitatori, dovunque
esercitano indiscutibile e forte influenza, ivi si conserva la calma e
non viene turbato l'ordine. Dunque eccitarono alla calma! Gli
eccitatori, i sobillatori hanno pronunziato centinaia di discorsi; ma
non si trova da incriminare che quello di Casteltermini, per cui la
Camera di Consiglio del Tribunale penale di Girgenti non trovò luogo a
procedere, e l'altro di Pedara... pei versi dello Stecchetti. E chiunque
ha parlato alle masse, improvvisando, forse anche Rugero Bonghi--non si
dica poi se parla Francesco Crispi--raramente evita gli scatti
improvvisi, le frasi roventi, gli appelli all'azione energica salutare,
necessaria. E l'applauso caloroso, sincero, spontaneo che accoglie le
parole vibrate dell'oratore lo eccitano, lo trascinano irresistibilmente
verso maggiore accentuazione di frasi. Solo i magistrati italiani
ignorano questi elementi notissimi di psicologia popolare e questi
fenomeni di contagio psichico, che talora trascinano i più miti.

Si svolgono numerosi i processi innanzi i Tribunali militari e fra tanti
sobillatori non se ne trovano che due soli socialisti, aderenti o
dirigenti il moto dei _Fasci_: l'avv. Sparti a Misilmeri, che fu
assolto; B. Verro per Lercara, che venne condannato colle prove che
furono esposte nel precedente capitolo.

La connessione diretta tra lo eccitamento dei sobillatori e i moti di
Sicilia si volle maggiormente riconoscere nell'azione di De Felice, e
con una smemorataggine sorprendente si dimenticò che il colpevole nel
periodo più agitato e dei più frequenti tumulti, dal 20 Novembre al 28
Dicembre, non si mosse da Roma.

  [I MANIFESTI]

E c'è di più. Il manifesto del Comitato centrale col quale si consiglia
la calma non è atto isolato o semplicemente palese e destinato ad
ingannare le vigili autorità politiche; no, dal processo risulta che
altri manifesti precedettero il primo e nello stesso senso e che le
lettere private sono inspirate agli stessi sensi.

L. Macchi, vice presidente del _Fascio_ di Catania, ritenuto il più
fedele interprete di De Felice, in data del 31 Dicembre, prima della
riunione del Comitato, aveva diramato questa lettera caratteristica:

          FASCIO DEI LAVORATORI Catania, 31 dicembre 1893.

          CATANIA

          _Egregio Compagno,_

     L'inaugurazione del _Magazzino Cooperativo della Scuola
     Industriale_ è stata rimandata alla seconda domenica di gennaio.

     Il presidente mi scrive da Palermo che egli deve fermarsi sino a
     tutto il giorno 3 in quella città, in seguito ai deplorevoli e
     dolorosi fatti accaduti in diversi Comuni della Sicilia.

     Dopo la riunione del Comitato, egli sarà qui e stabiliremo tutto di
     accordo con lui.

     Colgo quest'occasione, intanto, per pregarvi, anche a suo nome,
     avendomene egli dato speciale incarico, di consigliare a tutti la
     calma più assoluta.

     Come vedete, sono moti dovuti alla fame ed all'influenza dei
     partiti locali, non agl'ideali, e il Fascio dei lavoratori di
     Catania non può che sconsigliare moti incomposti.

          _Compagni,_

     Siate calmi! È questo il momento di dimostrare all'Italia che noi
     siamo tutt'altro che sobillatori.

          Il Vice Presidente
          _Luigi Macchi_.

E in una lettera di Cipriani a De Felice si legge: «fa, _come consigli_
nella tua lettera, di evitare scatti inopportuni, le generali
impazienze, le manifestazioni intempestive.»

Come i magistrati, l'avvocato fiscale e il Tribunale militare che
ripetutamente _supposero_ ciò che _aveva dovuto_ scrivere De Felice a
Cipriani, non si accorsero--qui, che la cosa era evidente--che De Felice
aveva _sconsigliato_ quegli avvenimenti di cui si volle renderlo
responsabile?

  [IL MANIFESTO DEL 3 GENNAIO]

Da tutto ciò emerge che il manifesto del 3 gennaio nè era un atto
isolato, nè una manifestazione pubblica intesa a mascherare
macchinazioni segrete: il consiglio alla calma rispondeva a tutto il
metodo adottato ed era stato manifestato in pubblico e nelle lettere
intime più efficaci, perchè non si vede in esse alcun _arriere
pensèe_.[73]

  [NON SI RAGGIUNSE L'INTENTO]

Per quanto sinceri e ripetuti, questi consigli alla calma e non
all'eccitamento, certo è che essi non raggiunsero l'intento e che furono
accompagnati o seguiti dai noti tumulti. Ma si potrà renderne
responsabili coloro che li biasimarono? Ciò è semplicemente enorme; e si
troverà più enorme il fatto quando si penserà alla minima responsabilità
diretta dei _Fasci_, dimostrata in un precedente capitolo, che fa
supporre dovere essere nulla o incalcolabile quella del _Comitato
centrale_, che poca o nessuna azione esercitava in molti punti e su quei
_Fasci_ nati da recente, male organizzati, acefali o in via di
dissoluzione, che parteciparono ai tumulti.

Fosse pure stata energica ed indiscussa la influenza esercitata dal
_Comitato centrale_ sui _Fasci_ e sulle masse non si può menomamente
renderlo responsabile di ciò che avvenne, perchè è noto che quando
esistono certe condizioni di animo e certe altre cause efficienti le
parole più autorevoli non vengono, non possono venire ascoltate. Chi,
come opportunamente ricordò De Felice, più adorato di Garibaldi dai
suoi volontarî? Eppure egli impone alle sue schiere--e chi scrive
ebbe la fortuna di trovarsi vicino a lui sulla spianata di Aspromonte
e rammenta il tono imperioso e solenne della sua voce--di _non far
fuoco_ nel caso che venissero attaccati dalle truppe del Generale
Pallavicini, e non viene ubbidito. Non poteva esserlo; perchè era umano
che chi aveva il fucile in mano lo adoperasse contro l'aggressore:
l'istinto supremo della propria conservazione lo esigeva o spiegava la
disubbidienza verso l'idolo dei volontari che avevano preso per divisa:
_o Roma o morte_.

Uguale fatalità s'imponeva in Sicilia: i consigli alla calma non furono
ascoltati, perchè date le condizioni delle masse, non potevano esserlo.
C'erano altri e più poderosi agenti di _sobillazione_, che non
permettevano fosse ascoltata la voce dei socialisti coscienti; il grido
degli affamati, degli oppressi, dei malcontenti la copriva.

  [I VERI SOBILLATORI]

Quali fossero le cause vere della sobillazione era noto ai magistrati,
all'avvocato fiscale, al Tribunale, al Re, oltre che ai suoi ministri
responsabili.

Il Re, nel ricevere la commissione parlamentare a Capo d'anno, aveva
manifestato il suo dolore per le sofferenze del popolo siciliano
_sobrio, nobile, generoso_ derivanti dalla crisi agraria.... Il
colonnello Pittaluga, un valoroso dei _Mille_, aveva saputo discernere
tra responsabilità politica e responsabilità giuridica dell'on. De
Felice, e aveva saputo additare le cause complesse--precipua quella
economica--«che avevano acuito la sensibilità nervosa del popolo,
rendendolo pronto all'incendio, come il filo elettrico è pronto a
ricevere la scintilla». Gli odî e le ire dei partiti locali erano
comparsi sulla scena in modo ineccepibile nei singoli processi e per
numerose testimonianze nel _processo mostruoso_. La sentenza che chiude
mostruosamente il processo De Felice e C.i riconosce «che le popolazioni
erano incolte, impoverite: i lavoratori rozzi, ignoranti, abbrutiti
dalla miseria.....»; questa stessa sentenza, infine, constata «che le
masse spinte alla guerra civile _non avevano senso politico_, agognavano
il benessere, _tanto vero_ che portavano i ritratti dei sovrani ed erano
tenute allo scuro del fine ultimo dei cospiratori e _non si ebbe un
solo grido, che accennasse ad abbattere i poteri dello stato_».

Dopo queste testimonianze, confessioni e constatazioni, con quale
logica, con quale lealtà, con quale senso di giustizia si fece risalire
la responsabilità dei moti _apolitici_, ad una organizzazione e ad un
Comitato essenzialmente politico, la cui azione non fu dimostrata in
verun dei singoli fatti dolorosi, che funestarono la Sicilia?

  [LOGICA OTTENTOTTA]

Eppure si condannano gli accusati! E il Tribunale di guerra condanna
tagliando colla spada tutte le più gravi quistioni giuridiche,
respingendo tutte le pregiudiziali sollevate, quantunque convinto che
solo _alcune_ di esse non avevano fondamento. Dunque lo avevano le
altre? E il Tribunale di guerra condanna colla logica ottentotta che si
può riconoscere in questo brano della sentenza: De Felice e C.i volevano
avvalersi del disagio economico, delle cattive amministrazioni locali,
dell'istintivo odio dei lavoratori contro i proprietari; e la loro
intenzione si argomenta dalla costituzione dei _Fasci_!

E difatti, che bisogno avevasi di costituire i _Fasci_ «quando avrebbero
potuto servirsi, pel vantaggio dei lavoratori, delle società operaie
esistenti?» Sono parole testuali della sentenza! E il Tribunale di
guerra condanna avvolgendosi in una serie inestricabile di
contraddizioni giuridiche e di violazioni della legge e sostituendo alle
prove le supposizioni e le gratuite asserzioni; affermando _pienamente
constatate tutte le accuse_, ritenendo che i capi dei fasci erano
facinorosi disposti a tutto, creando di sana pianta un _Comitato
esecutivo dei Fasci_ quale emanazione diretta dal Comitato centrale,
stabilendo che _programma_ dei _Fasci_ era la rivolta e la guerra
civile, e che c'era l'ordine _diretto_ del Comitato centrale di far
sollevare in maggio le masse preparate e pronte!

  [L'ORDINE DI CONDANNARE]

Questa sentenza è al disotto di ogni discussione e disonorerebbe
qualunque magistrato, anche dei peggiori tempi della servitù: il
Tribunale militare potè emetterla, perchè la disciplina nell'esercito
sostituisce tutto: prove, ragionamenti, giustizia; e il Tribunale
dovette ricevere l'ordine di condannare. Dovette essere ben grande
l'amarezza di G. De Felice nel sentirsi condannare da un Tribunale
militare _italiano_, quando era stato assolto il suo antenato, che
portava il suo stesso nome, dal Tribunale statario _borbonico_ sedente
in Siracusa nel 1837 e sotto il regime dello Stato di assedio! Ma allora
in Sicilia comandava Del Carretto: oggi in Italia governa Francesco
Crispi.....[74]

  [LA VERA COLPEVOLE]

Questa sentenza che chiude il processo mostruoso è tale che la Suprema
Corte di Cassazione non sapendo, non volendo o non potendo riformarla ed
annullarla l'addita all'amnistia. La quale non potrebbe e non dovrebbe
farsi attendere, non già nell'interesse dei condannati, ma in quello dei
giudici, delle istituzioni e della società borghese. È la borghesia la
vera colpevole di questo processo ed a suo beneficio l'amnistia dovrebbe
venire.

E infatti questo Tribunale militare, secondo la profonda osservazione
di Barbato _doveva lealmente_ condannare per dare il suo contributo a
ciò che crede sacro e immortale, e che pur si sfascia e muore.

È questo organismo in isfacelo, che per istinto di conservazione attacca
e condanna l'idea avversaria in tutti i suoi gradi di esplicazione, in
tutte le forme sotto le quali si manifesta, particolari e generali,
teoriche e pratiche. Si vuol colpire l'idea nemica, infatti, e nella
esplicazione generica dello affratellamento dei sodalizî dei lavoratori
e nel patto di Corleone; si vuol colpire l'idea giudicando criminoso il
programma dei _Fasci_ e l'arma dello sciopero, che esso ingenuamente
credette legittima; e che tutto ciò si abbia voluto colpire lo dice la
sentenza, la quale si scandalizza che nei discorsi degli accusati «si
spiegavano le teorie del socialismo e si propugnava l'emancipazione
morale e materiale dei lavoratori».

  [NON IL CRIMINE MA IL PENSIERO]

Di questa confessione bisogna lodare i giudici, che si ricordarono di
essere militari e vollero chiarirsi leali facendo conoscere almeno le
loro intenzioni ed avvisando gl'italiani contristati che nel _processo
mostruoso_ non si ricercarono e si condannarono i fatti costituenti il
crimine, ma il pensiero, le idee, le tendenze nuove in nome e in difesa
del presente, che passa e lotta contro il futuro, che irresistibilmente
diviene.

La tristezza dell'animo in chi si fa a riandare le vicende e l'esito del
processo mostruoso non viene temperata che dalle letture delle
dichiarazioni e delle autodifese degli accusati, che seppero elevarsi
nelle sfere serene della filosofia della storia: che ammoniscono i
giudici sulla fatalità degli avvenimenti; che infusero in tutti la
coscienza di un avvenire migliore per equa distribuzione di ricchezze;
che seppero rendere simpatica la propria causa anche a coloro, che da
principio più fieramente l'avversavano. Ed è meraviglioso, a questo
proposito, che seppe farsi ascoltare con benevolenza il Gulì, che fece
la difesa dell'ideale anarchico nel momento in cui l'anarchia era più
odiosa ed odiata.

  [L'IMPRESSIONE DELLA SENTENZA]

Le conseguenze immediate della sentenza avrebbero dovuto fare ravvedere
qualunque governo meno cieco e meno votato alla reazione che non sia il
_libero_ governo costituzionale d'Italia. In Palermo dove l'ambiente era
dapprima più avverso agli accusati la impressione fu profonda e
generale.

Tutte le forze militari disponibili furono spiegate per mantenere in
freno la popolazione fremente; fu vietato l'accesso al pubblico nella
sala del Tribunale, e i condannati sotto scorta numerosa furono fatti
uscire da una porta ignorata, dalla quale uscirono pure i giudici per
sottrarsi ad inevitabili e gravi manifestazioni di biasimo. Questi
giudici, che furtivamente si allontanano dal Tribunale, non si direbbe
che si sentono rei? Il colonnello Giussani divenuto inviso, fu
ripetutamente fischiato, e lo si allontanò per un po' da Palermo.

La polizia impose che si tenessero aperti i negozî che si sapeva si
sarebbero chiusi in segno di protesta; ma l'Università venne chiusa;
alle grandi prigioni avvennero dimostrazioni notturne, e canto di inni
ch'erano un saluto ai prigioneri che ascoltavano; in teatro si va coi
garofani rossi all'occhiello e si fa dal pubblico una di quelle mute
proteste, che solo Palermo sa fare, uscendo in massa ad un dato
segnale.

  [AURELIO DRAGO]

E il pensiero e il sentimento della gioventù si riassume nel simpatico
episodio del baldo e intelligente Aurelio Drago, che fu condannato dal
Tribunale di guerra a sei mesi di carcere, perchè il giorno della
sentenza, si fece innanzi alla truppa mentre passavano i condannati, ed
impose all'ufficiale: _Scopritevi! oggi è giorno di lutto per la
libertà!_

In Italia non fu minore la impressione; e fu vivissima se si tiene conto
dell'infrollimento, dello accasciamento degli italiani. Non si trovarono
giornali, compresi gli ufficiosi, che poterono lodare o giustificare
giudici e sentenza; e tutti manifestarono lo stupore, il rammarico la
indignazione. Innumerevoli e vivaci furono le proteste e agitazioni; i
condannati venne deciso, che verrebbero portati dapertutto nelle
elezioni comunali e provinciali: De Felice e Petrina vennero già eletti
in Messina con una splendidissima votazione, sotto il regime dello stato
di assedio! e Bosco e gli altri, benchè non fossero nelle liste,
ottennero moltissimi voti.

Riuscirà il governo ad arrestare queste proteste coi minacciati processi
per apologia di reato contro coloro che propugneranno le candidature dei
condannati? Se pur riuscisse la enormità e novità del procedimento
rivelerebbe l'anormalità e il pericolo della situazione!

Il processo ai socialisti, che si è trasformato in processo al governo
ed alle classi dirigenti e che ha servito alla più vigorosa e larga
propaganda del socialismo avrà pure conseguenze che sorpasseranno
quelle del primo momento.

Previdi nella prima edizione che immediatamente si sarebbe avuto aumento
di malandrinaggio e di odio fra le classi sociali sottolineate da
qualche schiopettata per vendetta, aumento di miseria fra i lavoratori e
di dissesto nelle finanze comunali; e sinora le tristi previsioni si
sono avverate.

In quanto al resto, alla quistione politica generale i più avveduti
sanno e sentono che il socialismo non muore; che esso risorse più forte
e più vigoroso in Francia all'indomani del trionfo di una reazione;
risorse sempre dopo che se n'erano cantati i funerali. E risorgerà in
Sicilia dove la corrente scientifica, dei professori e dei giovani delle
Università, che agiscono per altruismo, si fonderà coll'elemento di
azione, coi contadini e cogli operai che agiscono per soddisfare
impellenti bisogni e che hanno già acquistato coscienza, sebbene vaga,
dei diritti e della forza propria.

  [IN NOME DEL RE]

E tristi conseguenze si avranno inoltre dagli ultimi avvenimenti: nel
popolo si sarà fatto strada la convinzione che i metodi del regime
borbonico continuano, e si sarà perduta la fiducia nei mezzi legali,
mentre il socialismo dinastico avrà fatto il suo tempo e non troverà che
sorrisi di scherno. Oh! non si vedranno più nelle sale delle
associazioni i ritratti del Re e della Regina accanto alla immagine di
Cristo! E i contadini non reclameranno più _pane e giustizia_ al grido:
_Viva il Re!_ dopo la esperienza che in nome del Re non si dette loro
che piombo, manette e domicilio coatto.

  [PROBABILITÀ DI UNA JACQUERIE]

Il popolo in Sicilia per un periodo non breve ha avuto la forza e il
potere nelle mani; ha devastato qualche volta i beni di coloro che crede
a torto o sono realmente suoi nemici, ma ne ha rispettato le persone e
non si è vendicato sulla loro vita. Sarà altrettanto mite altravolta?
Sarebbe desiderabilissimo che lo fosse e sarebbe anche vantaggioso pel
popolo stesso; ma qua e là, nelle grotte che servono di abitazioni, nei
sotteranei delle miniere, nei _tukul_ sparsi per la campagna si sentono
sommessi e compressi accenti d'ira, che fanno paura. Chi conosce la
situazione confessa che è probabile lo scoppio di una vera _Jacquerie_ e
presente che i lavoratori in un dato momento prenderanno alla lettera il
ritornello del poeta catanese _e falceran le teste a lor signori_!


NOTE:

[68] Ricordo tra i tanti innumerevoli casi a mia conoscenza questo
episodio mio personale. La sera del 5 gennaio 1894 appena arrivato in
Palermo, uno dei miei più cari amici, costernato mi avvicinò e mi disse:
Pur troppo è vero che Peppino (De Felice) è venduto alla Francia! Ier
l'altro, nel momento in cui fu arrestato gli si trovarono addosso somme
vistosissime ed una corrispondenza denunziatrice con uomini politici
francesi!--Impossibile! risposi secco e risoluto.--E l'amico mio di
rimando:--L'ho saputo da un ufficiale dei carabinieri, che procedette
all'arresto e alla perquisizione!--E ci volle la smentita recisa degli
avvocati Marchesano e Crimaudo, che all'uno e all'altra avevano
assistito, per convincerlo che l'ufficiale dei carabinieri aveva
mentito.

[69] Devo alla cortesia dell'egregio stenografo, sigr. Francesco
Militello Quagliana, gran parte dei resoconti delle udienze; nonchè alla
redazione del _Giornale di Sicilia_ molto materiale che mi è servito per
questo e per altri capitoli; e a tutti porgo i più vivi ringraziamenti.

[70] Notevole esempio di quanto i nostri funzionarî di polizia siano
_profondi_ nelle discipline economiche!

[71] In fatto di dinamite ricordo il comicissimo sequestro di alcune
cartucce, ch'erano avanzate nei lavori di una galleria e il di cui
proprietario ritenendo pericoloso tenerle in casa le depositò in una
campagna e denunziò il luogo del deposito alle autorità con una lettera
anonima. Le brave autorità scrissero a Girgenti, d'onde venne, credo un
Procuratore del Re per sequestrare il corpo del reato con grande
solennità. Il fatto avvenne a Campobello di Licata.

[72] Nello esame di queste due accuse mi avvalgo, spesso letteralmente,
della splendida auto-difesa del De Felice e della memoria
dell'Impallomeni, lucida e strettamente giuridica.

[73] Verso la fine di Dicembre Garibaldi Bosco mi scrisse una
vibratissima lettera, che esibii al Tribunale di guerra, nella quale
sdegnosamente protestava contro le _calunnie borghesi_, che attribuivano
al Comitato centrale i tumulti.

[74] Le enormità giuridiche di questa sentenza voglio sottoporle al
lettore colla sintesi severa e serena che ne ha fatto lo scienziato e
non l'uomo di parte: «La cospirazione, fondata sulla manifestazione di
semplici aspirazioni politiche in una corrispondenza fra assenti,
rilevante la mancanza di qualunque accordo preso; la _complicità in
eccitamento alla guerra civile_ fondata sulla formazione dei _Fasci_ dei
lavoratori, pubblicamente costituiti, esistenti in virtù del diritto
statutario, e non incriminati, come anche sulla propaganda socialista
fatta nei limiti delle leggi, e sulla semplice _possibilità di
prevedere_ i disordini lamentati nell'isola, creandosi così una
_complicità colposa_; dichiarati quelli complici in eccitamento alla
guerra civile per avere a tali disordini, nella inesistenza di autori
dello eccitamento, creandosi così una _complicità senza una reità
principale_; affermata la cospirazione e la complicità in eccitamento
alla guerra civile, come due delitti commessi per la realizzazione di un
comune disegno ostile alla sicurezza dello Stato, identificando così
l'eccitamento alla guerra civile con lo eccitamento all'insurrezione, e
_trasformando in un delitto politico un delitto contro l'ordine
pubblico_: ecco per sommi capi, gli elementi coi quali fu intessuta una
sentenza, che condanna a spegnersi nelle galere la vigorosa giovinezza
di chi vivamente e attivamente desiderò un'avvenire migliore alla classe
dei sofferenti, ma che perciò non volle, nè la sentenza potè dire di
aver _voluto_, i tristi lutti, avveratisi per opera di turbe suscitate
dalla fame, dalle oppressioni locali, e dalla diffidenza in un Governo
sordo per trentaquattro anni alle voci dei mali sollevantisi da mille
parti. E questo, ritenuto da un tribunale di guerra, in tempo di pace
istituito senza mandato legislativo, di derogare alla organizzazione
giudiziaria del Regno e di creare Tribunali straordinarî; da un
tribunale, che la propria giurisdizione elevò sulla ordinanza di un
magistrato dichiaratosi incompetente, in una causa colla quale agli
imputati, oppressi dal peso di fiere accuse, non fu concesso l'ausilio
della difesa civile, facendosi al Codice penale per l'esercito del
libero e civile Regno d'Italia l'ingiuria di supporre che avesse negato
quel diritto di difesa, che i rescritti di Re Borbone dichiaravano di
accordare in omaggio alla civiltà dei tempi.»

Così l'Impallomeni. (pag. 4).



XXIII.

L'OPERA CIVILE DEL GENERALE MORRA


Di ciò che si è fatto in Sicilia--dal giorno della proclamazione dello
Stato di assedio in poi--risponde politicamente il ministero; ma la
responsabilità diretta, materiale e morale, spetta al generale Morra di
Lavriano e della Montà.

Se i poteri del Regio Commissario straordinario fossero durati
poco tempo--pel solo tempo necessario ad assicurare l'opera del
ristabilimento materiale dell'ordine--è assai probabile, che sul
di lui conto non ci sarebbe stato molto da ridire e si sarebbero
soltanto ricordate le sue benemerenze, siano pure immeritate ed
immaginarie; ma la durata eccessiva e la estensione stessa dei poteri
che gli erano stati accordati, fecero sperare, autorizzarono anzi, ad
aspettare da lui, oltre la repressione, un'opera eminentemente civile
d'iniziamento, se non altro, di restaurazione morale, di giustizia
politico-amministrativa, di miglioramento economico della condizione dei
lavoratori.

  [BIASIMO E DISONORE]

A quest'opera il generale Morra venne meno completamente, e la sua
azione invece fu talmente diversa da quella che avrebbe potuto e dovuto
essere, ch'egli ne raccolse larga messe di biasimo e di disonore.

Il giudizio severo non solo viene giustificato dallo esame dei fatti
imputabili al Commissario, ma sopratutto dal sistema prezioso dei
paragoni, dal confronto con ciò che persona di grado uguale al suo ha
dichiarato che avrebbe fatto se fosse rimasto al suo posto; dal
confronto di ciò che altri ha fatto realmente in analoghe condizioni
dolorose.

Ciò che si avrebbe dovuto e potuto fare in Sicilia venne detto dal
generale Corsi, che col comando del XII Corpo di armata trasmise i
poteri militari al generale Morra.

Certamente non sarò io che troverò tutto da lodare e crederò che possa
in tutto soddisfare ciò che espone il generale Corsi, in quanto a
riforme economiche, amministrative, politiche e morali da attuarsi
immediatamente in Sicilia, (p. 356 e 357): nè dimenticherò che egli,
conservatore, non vede con simpatia tutto ciò che sa di libertà, e non
nasconderò che egli ha idee erronee sullo sciopero e sui rapporti
economici che possono correre tra lavoratori e proprietari e sui modi di
trasformarli e di migliorarli.

  [IL PROGRAMMA DEL GENERALE CORSI]

Bisogna, però, riconoscere che non ostante i suoi errori e i suoi
pregiudizî il generale Corsi era animato da uno squisito senso di
umanità e di equità. Se ne giudichi da questo brano del suo libro, che
sembra precisamente il programma di azione immediata di un generale
italiano, munito di poteri straordinarî e mandato in una regione per
ristabilirvi l'ordine materiale e morale ad un tempo: «La suprema
autorità militare nell'isola--egli scrive--tutto ben ponderato, aveva
compreso sin dal primo momento che l'opera sua doveva essere sopratutto
e in sommo grado _civile_, cioè di pacificazione e concordia tra le
classi sociali, che gli agitatori (?) traevano a nimicizia. Quei tanti
ufficiali, che si spandeano pei paesi dovevano essere altamente pacieri,
apostoli di fratellanza tra genti divise, che si guardavano in cagnesco,
esigenti gli uni, ripugnanti gli altri; dovevano mantenersi
rigorosamente neutrali, benigni con tutti, di modo che non sembrasse
che le truppe fossero adoperate a sostegno degli interessi dei
possidenti e contro le giuste rivendicazioni dei proletarî.

«Dovevano insomma far la parte, che avrebbero dovuto fare i buoni
cittadini se avessero saputo, o potuto, o voluto farla.» (_Sicilia_ p.
366 e 367).

Questi nobili intendimenti del generale Corsi erano conosciuti _in alto_
e avrebbero dovuto indicarlo come Regio Commissario straordinario, se in
Sicilia davvero si avesse voluto fare opera civile di pacificazione e di
giustizia! Si dirà che al Corsi non vennero affidati i pieni poteri,
precisamente perchè il suo onesto pensiero era conosciuto?

  [IL PROGRAMMA DEL GENERALE MORRA]

Non voglio divagare nel campo delle ipotesi, che potrebbero riuscire di
disdoro a chicchessia: ma che tale ipotesi abbia qualche fondamento si
può argomentarlo dalla denunzia--fatta dall'on. Saporito-Ricca--della
citata circolare dell'antico Comandante del XII Corpo di armata, nella
quale si prescriveva di non adoperare le armi contro nessuno in nessuna
occasione. Certo è poi, che il generale Morra adottò e svolse un
programma del tutto opposto a quello del suo predecessore: programma di
odio, come per rinfocolare quello grande già esistente: programma
d'iniquità, parteggiando per i proprietarî e per le classi dirigenti
contro i lavoratori.

  [UN GIUDIZIO DELLA "TRIBUNA"]

Esagero, calunnio? Si ascolti non la mia, ma la voce del giornale
ufficioso più autorevole che ci sia in Italia e che nella sua amarezza
lascia comprendere che se _in alto_ si è soddisfatti dell'opera
soldatesca del generale Morra, nelle sfere ministeriali, invece si è
assai malcontenti della sua opera _civile_. «Il paese--dice la
_Tribuna_--attendeva da lui un principio di pacificazione. Era in
condizioni di ottenerla. Tutte le vie gli erano aperte: autorità
altissima, eccezionale, senza opposizioni burocratiche, senza difficoltà
e opposizioni locali, perchè i Consigli comunali erano o sciolti o in
sua potestà: con un popolo in parte fatto docile dai suoi soldati, in
parte dal lato dei proprietari, ancora sotto la paura delle recenti
ribellioni, il generale Morra poteva mettersi in mezzo, arbitro e
paciere, e svolgere tutto un programma di trattative e di accordi.

«Hanno detto che il male maggiore della Sicilia era la tirannia dei
subbaffitti, contro la quale ferocemente i contadini si ribellavano: ed
egli poteva e doveva andare man mano sui luoghi e istituire Commissioni
di probiviri e veder di comporre, di accomodare, di migliorare i
contratti agrari.

«Egli doveva e poteva percorrere l'Isola città per città, paese per
paese, studiare le ragioni particolari di avversione, di opposizione, le
cagioni dalle quali le ribellioni, gli incendi, le uccisioni erano
scaturite, e udire, e prendere consigli e rimediarvi e provvedere.

«Era questa opera nobile e santa.»

       *       *       *       *       *

«L'ha compiuta; ha tentato neppure di compierla il generale-dittatore?

«Imponiamoci, guardando alle cose siciliane, una doverosa serenità;
facciamo un bilancio spassionato delle condizioni dell'isola.

«L'ordine è ristabilito in Sicilia; era difficile ottenerlo senza che la
libertà dovesse coprirsi d'un velo.

       *       *       *       *       *

«Ma la questione siciliana non era soltanto contenuta in questa semplice
enunciazione: ristabilire l'ordine materialmente.

«Conveniva e conviene rimuovere le cause dei tumulti siciliani, le quali
ormai sono note; conveniva e conviene migliorare le condizioni dei
lavoratori siciliani.

       *       *       *       *       *

«Ma questo è avvenuto, che come il generale Morra si è manifestato
impari alla missione che gli era stata affidata, così questa legge dei
latifondi siciliani è rimasta indiscussa per la chiusura della Camera.

«E la questione della tranquillità pubblica in Sicilia è rimasta risolta
solamente a mezzo.

«L'ordine regna in Sicilia, ma un po' come a Varsavia. Le popolazioni
sono quiete, ma attendono ancora che siano mantenute le promesse del
Governo intorno al miglioramento delle condizioni dei contadini.» (n.
194, 15 luglio 1894).

  [MORRA NON VOLLE FARE]

Ho voluto riprodurre quasi integralmente questo giudizio, che venendo da
un giornale tanto temperato e quasi assiduamente laudatore del governo
di Francesco Crispi, (assai lodato nello stesso articolo) non può essere
menomamente sospettato di partigiana avversione contro il generale Morra
e riesce perciò assolutamente caratteristico. E il generale Morra va
tanto più severamente biasimato per quello che non ha fatto, in quanto
che i poteri veramente straordinarî che gli vennero accordati e dei
quali usò ed abusò, sconfinarono sino ad assumere facoltà
legislative--come venne rilevato, con parole severe di biasimo, dal
Prof. Brusa (_Della giustizia_ ecc. p. 14).

Egli _molto_ poteva, e _se nulla_ fece, segno è che non volle o non
seppe fare. E in quanto al saper fare, si avverta che consigli opportuni
e suggerimenti adatti alle circostanze del momento, richiesti o
spontanei, non gli mancarono: dunque non volle!

L'opera _civile_ del generale Morra dissi che risulta veramente
deplorevole non solo dal confronto col programma del generale Corsi e
dalle deluse speranze su ciò che si poteva attenderne; ma anche e
sopratutto dal paragone con ciò che ha fatto il generale Heusch in
Lunigiana in condizioni analoghe e con poteri uguali.

  [UN PARAGONE DI CAVALLOTTI]

Questo paragone venne fatto, con quello squisito senso artistico che gli
è proprio, dall'on. Cavallotti: il quale nella tornata del 25 maggio
della Camera dei Deputati, in mezzo alla più viva attenzione dei suoi
colleghi al seguente richiamo del _Presidente_:--«Onorevole Cavallotti,
le ripeto di moderare le sue parole. Ella fa requisitorie che non hanno
ragione d'essere, e stabilisce coincidenze che proprio non hanno
fondamento.»--

Rispose:

«Io non faccio requisitorie, racconto fatti, e non ne parlerei se essi
non fossero come il commento di tutta l'opera del generale Morra, troppo
diversa da quella del suo collega della Lunigiana. A me, di cui non può
essere sospetta la parola; a me, che ritengo illegittimi, perchè non
conferiti da nessuna legge i poteri di entrambi i commissarî
straordinarî, a me è debito di giustizia, d'altronde già resa dal
sentimento pubblico, il riconoscere tra i due la differenza che passa
tra chi non si è reso nessun conto del suo mandato e chi, soldato di
cuore, investito di dolorosa consegna ha saputo dal male cavare un bene,
e profittarne per fare opera di cuore. Invece di farsi compatire coi
decreti allegri sulla proroga delle cambiali, invece di appartarsi dal
paese e dalla vita delle classi popolari, invece di passare tutti i
santi giorni nei salotti dell'aristocrazia a far la vita galante e il
cicisbeo alle signore».... Qui il Presidente interrompe con un nuovo
richiamo.

--«Eh, onorevole Presidente--continua il Cavallotti--ci vuol altro che
richiami! Io vengo da Palermo, dove le son cose notorie, e dove ho
raccolto informazioni d'ogni parte, nelle classi più diverse della
città. Invece di segregarsi dal popolo, invece di mettersi a parte da
tutto il resto della vita cittadina, il generale Heusch capì che là dove
ei recavasi erano cause di malessere che non si curano con anni di
galera, capì che il suo posto era fra il popolo, fra operai e padroni,
fra minatori e proprietari di cave; entrò nelle case e nei tugurî,
visitò, studiando, ogni angolo della provincia, portò da una classe
all'altra parole di conciliazione e di pace. Ecco perchè egli lascia
circondato di simpatie e di rispetto la terra a cui il suo giungere non
fu lieto.

«Il generale Morra s'illude molto se crede di avere salvato, coll'opera
sua la Sicilia.

«A me basta notare che quando a certe opere si vogliono chiamare soldati
si debbono chiamare almeno soldati che abbiano fatta veramente la loro
carriera nell'esercito, vissuto la vera vita militare, assorbitene le
rare e maschie virtù. E per opera come quella che in Sicilia
richiedevasi, ci voleva un uomo che avesse mente e cuore per intenderla.
Ecco perchè, concludo, dei due commissari, uno lascia ricordi benedetti
da cuori italiani, sull'altro rimane la responsabilità dei mali che non
seppe curare, degli odii e dei rancori profondi che egli lascia dietro
di sè.»

  [MORRA CONTRO SE STESSO]

E pur troppo non è questo il solo confronto che fa torto al Generale
Morra: l'Italia nova dovrà ricordare con vergogna che un Satriano,
domata la rivoluzione nel 1849, promulgò poco dopo editti contro l'usura
e per il censimento dei demanî comunali e dei beni degli enti morali.
Ciò che fece un proconsole borbonico non volle fare l'inviato
dall'organizzatore principale della spedizione dei Mille. E ciò che
avrebbe dovuto e potuto fare--con feroce ironia contro sè stesso--lo
dice il generale Morra nella sua circolare del 12 Agosto ai Prefetti
della Sicilia, nello annunziare la cessazione dello Stato d'assedio.

Gl'Italiani e la storia sono e saranno inesorabili verso il generale
Morra, non solo per quello che non ha fatto, ma ancora e di più per
quello che fece, poco, sì, ma cattivo assai.

Date le cause dei tumulti di Sicilia, s'intende che chi voleva fare opra
degna di lode e duratura doveva porre ogni suo studio nella loro
eliminazione e nella riparazione.

Si sa che in Sicilia sono pessimi i rapporti tra capitale e lavoro, tra
proprietarî e proletarî, e che ai lavoratori poca parte si concede di
quello che a loro spetterebbe. I lavoratori a migliorare la loro misera
condizione stimolati più dal bisogno impellente che dal giusto
apprezzamento dei vantaggi che possono venire dalla _cooperazione_, in
qualche luogo si erano riuniti in _cooperative di consumo_, sottraendosi
ai gravosi ed esosi balzelli sui consumi nell'applicazione dei quali le
classi dirigenti posero tutta la loro buona volontà per mostrarsi
inique. Orbene, chi lo crederebbe? Il generale Morra non solo dispiega
il suo furore reazionario contro gli odiati _Fasci dei lavoratori_ e
contro i sodalizî, che facevano della politica democratica, ma se la
prende anche con quelle _cooperative di consumo_, che egli avrebbe
dovuto promuovere con ogni sforzo, se non in nome di un alto senso
politico, almeno sotto l'impulso di un cuore un po' umano.

  [USURPAZIONI INDECENTI]

Nell'odio suo contro i _Fasci_ arrivò a permettere ed a lasciare
impunite le usurpazioni indecenti e lo sperpero di ciò che apparteneva
ai poveri lavoratori. Così a Mazzara del Vallo gli agenti della
questura--dopo un mese dallo scioglimento volontario del _Fascio_--vanno
a perquisire le case dei socî, che in seguito ad indicazione del
Consiglio direttivo, erano in possesso dei mobili del disciolto
sodalizio e li sequestrano indebitamente e, più disonestamente, prima
li adibiscono ad uso della polizia, del municipio e dei soldati, e
poscia li vendono all'asta e si arbitrano distribuirne l'irrisoria somma
ricavatane, non ai loro legittimi proprietarî, i socî del Fascio, ma ai
poveri del paese.

I poveri contadini di Caltavuturo non sanno ancora come fu impiegata la
meschina somma ricavata dalla vendita all'asta dei mobili del _Fascio_
fatta da un delegato di Pubblica Sicurezza.

  [PERSECUZIONI CONTRO LE COOPERATIVE DI CONSUMO]

Da quest'odio ingiustificabile contro tutto ciò che ha relazione coi
_Fasci_ e che si traduce talora, come a Mazzara, in danno economico dei
lavoratori, ne derivò anche la persecuzione contro le _cooperative di
Consumo_.

Una ce n'era a Campobello di Licata, e che si era costituita con grande
stento, riunendo i magrissimi risparmi dei poveri lavoratori, e che
riusciva invisa oltremodo ai maggiorenti del paese--e si dice anche, per
loschi motivi personali. Appena proclamato lo stato di assedio venne
disciolta e si sequestrarono.... il pane, il vino, l'olio, la pasta.
L'inaudita violenza sarebbe stata completa se, come qualcuno voleva,
quei generi fossero stati lasciati a muffire ed a guastarsi in un
qualsiasi locale; e si deve all'intervento di un bravo capitano di
fanteria se questi nuovi e strani sostituti della dinamite furono
consegnati ad un giovane egregio, il Catanzaro, che li ha venduti e ne
ha depositato l'equivalente in una cassa di risparmio.

I fatti di Campobello ebbero una coda dolorosa: il pretore, Annibale
Mattioli, mosso a pietà dalla condizione dei lavoratori e dai soprusi
che subivano, rivelò il suo pensiero nel casino dei cosiddetti
_civili_. Non lo avesse fatto: fu telegraficamente traslocato come
sobillatore.

Pregai il generale Morra perchè volesse consentire la ricostituzione
della _cooperativa_, che riusciva utilissima ai lavoratori; denunziai il
provvedimento impolitico ed inumano alla Camera; ma ebbi in risposta, e
dal primo e da chi si eresse a suo difensore in Parlamento, l'on.
Filì-Astolfone, che non si poteva perchè la _Cooperativa di consumo_ di
Campobello era una dipendenza del _Fascio_ locale.

  [PER GLI OPPRESSORI, CONTRO GLI OPPRESSI]

Questo motivo, per quanto balordo, non era però che un mendace pretesto;
infatti anche dove la _Cooperativa_ preesisteva al _Fascio_ e non era
connessa al medesimo la sua sorte non fu diversa. A Caltavuturo la
_Cooperativa_ sorse nel 1890 ed era consolidata e prospera nel 1893
quando, in seguito all'eccidio del gennaio vi si costituì il _Fascio_.
La _cooperativa_ riusciva assai giovevole ai miseri contadini ed era
perciò antipatica ai _galantuomini_; perciò il generale Morra si
affrettò a discioglierla per dare soddisfazione, come sempre, agli
oppressori contro gli oppressi.

I contadini ripetutamente si rivolsero a me per ottenere una giusta
riparazione, ed io alla mia volta ne scongiurai amici e congiunti
dell'on. Crispi--reputando oramai inutile rivolgermi al Regio
Commissario--ed un provvedimento, ad onore del vero, non tardò. Ma qual
provvedimento! venne promossa la liquidazione giudiziaria della
innocente ed odiata _cooperativa_ di Caltavuturo...

Ancora. La miseria è grande in Chiaramonte Gulfi--che ho dovuto
ricordare per il numero considerevole delle vendite d'immobili all'asta
pubblica nello interesse e ad istanza del fisco--i lavoratori credono
poterla diminuire costituendosi in _Cooperativa di consumo_
conformandosi alle più rigide prescrizioni delle leggi vigenti.

Lo statuto viene redatto, e ad evitare ogni sorta d'inciampi si
rivolgono al sottoprefetto di Modica chiedendo il permesso per la
riunione dei socî. Con sorpresa mista ad indignazione i lavoratori
appresero dal Sindaco che il sottoprefetto in data 18 luglio gli aveva
scritto non poter consentire alla domanda «perchè vigendo tuttora
l'editto del R. Commissario straordinario per la Sicilia, che sospende
il diritto di riunione e di associazione, non potevasi autorizzare la
riunione dei socî della _cooperativa_...»

  [PROPONIMENTO SISTEMATICO]

Non è dunque evidente nel generale Morra il sistematico proponimento di
avversare tutto ciò, che può mirare, negli stretti limiti della legge,
al miglioramento economico dei lavoratori? Probabilmente, se egli lo
potesse, metterebbe agli arresti di rigore il generale Heusch, che in
Lunigiana da Regio Commissario si è fatto promotore di una _Cassa di
soccorso e pensioni degli operai invalidi_--uno scandalo!--che gli ha
procurato gli elogi calorosi del più antico e instancabile sostenitore
della _cooperazione_; ma il generale Heusch, come scrisse l'on. Prof. L.
Luzzatti, «ha asserita la responsabilità morale e sociale della
ricchezza e della coltura e la legge di solidarietà, che le collega nel
bene come nel male alla miseria e all'ignoranza;... ha seminato l'amore
e raccolto la previdenza; ha raccolto fiore che raramente spunta dallo
Stato d'assedio, persino la riconoscenza, poichè il lavoro non è
ingrato quando il capitale non è implacabile» mentre il generale Morra
ha seminato l'odio ed ha ribadito l'oppressione...

  [GLI EDITTI FAMOSI]

In Sicilia, si sa, non si soffre soltanto in basso: soffre anche il
commercio, come soffre la piccola e media proprietà. Il generale Morra,
previdente e provvidente, si commosse pel primo e gli assestò un colpo
per stramazzarlo a terra, ferendolo nella parte più vulnerabile--il
credito--coi suoi famosi editti sulle cambiali, riusciti un capolavoro
d'ignoranza giuridica e di sovvertimento, deplorevoli pel contenuto, e
stranamente sibillini nella forma, tanto da esigere a pochi giorni di
distanza il commento straordinario dello stesso straordinario loro
autore. Il Commercio serio ed onesto, sdegnato, protestò pel non
richiesto editto; solo qualche giuocatore di _baccarat_, che discende da
magnanimi lombi, invece avrà potuto attestare al Regio Commissario la
propria riconoscenza. Il Commercio onesto e serio avrebbe potuto
giovarsi dalla rimozione di alcune stupide pastoie postegli collo Stato
di assedio e il generale Morra non fu sordo alle sue preghiere: dopo sei
mesi si accorse che l'Italia non correva alcun pericolo consentendo ai
negozianti la trasmissione dei telegrammi in linguaggio convenzionale.
Sia lode a lui!

C'era un campo in Sicilia in cui si avrebbe potuto mietere allori in
gran copia da chi si fosse proposto di fare opera di sincera
riparazione: quello delle amministrazioni comunali. La circolare che nei
primi giorni della sua dittatura emanò il Regio Commissario fece sperare
che egli si sarebbe messo sulla buona strada, poichè nella medesima si
davano norme e criterî retti per la revisione dei bilanci e dei tributi
comunali, affinchè gli uni e gli altri commisurati ai mezzi disponibili
rispondessero all'interesse generale delle popolazioni. E ciò che si
avrebbe potuto e dovuto fare ha ripetuto nella citata circolare del 12
agosto.

  [LA PIÙ DEPLOREVOLE DELLE IPOCRISIE]

La circolare giustificò i moti siciliani e li spiegò, senza bisogno di
ricorrere ai sobillatori e alle cospirazioni alla Gaborieau; e fece di
più: insegnò che le intenzioni buone, senza i fatti corrispondenti,
costituiscono la più deplorevole delle ipocrisie. E i fatti non potevano
essere più inconsultamente scellerati.

Ecco la ragione del severo giudizio:

Dalla circolare del generale Morra di Lavriano, da accenni e telegrammi
dell'on. Crispi, dai telegrammi dei Prefetti e sotto prefetti nei
momenti del pericolo e quando in Sicilia non c'erano ancora truppe a
sufficienza, emerge che il Presidente del Consiglio e il Regio
Commissario Straordinario, che il governo insomma, in alto e in basso,
riconosceva ciò che deputati e pubblicisti avevano denunziato, e cioè:
che la causa determinante dei moti di Sicilia doveva riconoscersi nella
partigiana, dissennata e iniqua amministrazione dei municipî, infeudati
da anni a consorterie locali che ne usavano ed abusavano in tutti i modi
sotto l'egida dei Prefetti, ed anche di deputati, ai quali in
contraccambio delle protezioni accordate rendevano con zelo servizî
polizieschi ed elettorali.

Un governo perfettamente conscio di tale stato di cose, che avrebbe
dovuto fare immediatamente, fulmineamente? Tener conto della indicazione
causale, provvedendo al sintomo più minaccioso e più doloroso: dare
addosso alle camorre locali, alle mafie amministrative, disoneste e
prepotenti!

  [UNA COSA ... INVEROSIMILE]

Ebbene, il governo italiano ha fatto cosa che sembrerà in appresso
inverosimile, impossibile e che è rigorosamente vera: ha messo la sua
fiducia in quelle consorterie, che avrebbe dovuto punire; dove non c'è
delegato di pubblica sicurezza ne ha lasciato la funzione ai sindaci
malvisti e che si sanno odiati; e sindaci ed assessori hanno consigliato
e fatto eseguire gli arresti dai carabinieri e dalle truppe ai loro
ordini; essi, proprio essi! hanno imbastito processi mostruosi di cui
per un pezzo si dovrà vergognare l'Italia; e per loro suggerimento sono
stati deportati giovani d'illibata condotta, rei soltanto di avere
militato nelle fila della opposizione amministrativa e di avere svelato
le turpitudini commesse dai feudatari municipali. Così, coloro che
avrebbero dovuto essere puniti, coloro che si videro minacciati dall'ira
popolare--ex lege, in mancanza dell'azione punitrice legale--sono stati
messi in condizione di fare le proprie e spietate vendette sugli
avversarî accusatori.

E il generale Morra non si contentò di lasciare al loro posto quegli
amministratori, che avrebbe dovuto punire quale causa vera e diretta dei
tumulti, ma si rese loro complice, e somministrò loro gli strumenti per
consolidarsi al potere, fare le proprie vendette e continuare nella
dilapidazione e nella oppressione dei lavoratori, e dei vinti avversarî.

Qualche Consiglio comunale fu sciolto in sulle prime; e questa parve
soddisfazione accordata a coloro che avevano protestato in tutti i modi
e che avevano reclamato l'opera risanatrice di un regio commissario. Ma
la resipiscenza verso il male non tardò, e dove i regî commissarî
mostrarono onesti propositi di riparare ai mali furono rimossi o
costretti a dare le dimissioni, perchè avevano osato disturbare le
antiche disoneste e prepotenti camerille amministrative.[75]

  [STRAGE DI ELETTORI]

Era noto del pari, che le disoneste camerille locali si mantenevano al
potere mercè la falsificazione delle liste elettorali, nelle quali
indebitamente erano iscritti gli amici fedeli, i complici, i dipendenti
e ne erano cancellati quanti erano in odore di avversarî. Il generale
Morra volle che tale stato di cose non fosse menomamente modificato.
Curò, anzi, che s'impedisse qualche levata di scudi da parte degli
elettori stanchi delle pessime amministrazioni; e dai suoi Commissarî
straordinarî fece fare più che una decimazione, una vera strage di
elettori di parte popolare, e chiamati sobillatori.

La strage fu parziale da principio, e limitata alle località nelle quali
era avvenuto lo scioglimento del Consiglio Comunale e dove si sapeva che
i sobillatori avevano grande seguito.

  [UN PROFESSORE DICHIARATO ANALFABETA]

Così a Piana dei Greci fu mandato quel regio Commissario, che si rese
celebre a Misilmeri e di cui si occupò l'on. Comandini nel _Corriere
della Sera_, il quale cancellò 527 elettori dalla lista, radiando come
analfabeta, a quanto si dice, anche un Professore di lettere in un Regio
Ginnasio di Palermo!

Poscia la misura divenne generale coll'invio dei Commissarî speciali per
la revisione delle liste elettorali; commissarî che spiegarono a
preferenza la loro azione dove democratici e socialisti preponderavano.
In tal guisa a Catania, patria e collegio dell'on. De Felice, si
cancellano _cinquemila_ elettori sopra _novemila_ iscritti: cifra
quest'ultima niente affatto esagerata per una città di oltre centomila
abitanti; mentre nelle cittadelle dei conservatori--Aci Reale, Bronte,
Castelvetrano, ecc., ecc.--gli elettori oltrepassavano ogni misura;
arrivavano anche ai 25 e al 30 per cento della popolazione, quanti non
avrebbero potuto essere col suffragio universale; mentre a Catania
vennero cancellati dalle liste elettorali professori di Università,
medici, ingegneri, avvocati, proprietarî... E la censura sapientissima
non tollerò che la mostruosa _epurazione_, come veniva chiamata, fosse
denunziata e discussa in pubblico.[76]

Con questi savi provvedimenti il generale Morra avrà pensato di riparare
alle malversazioni, alle corruzioni elettorali, alle ingiuste
ripartizioni dei tributi, a tutti i mali delle amministrazioni locali
denunziati e non contraddetti nè in Parlamento nè fuori.

  [UN INDIRIZZO PROTESTA...]

Certo è che egli ne ha annunziati e disciplinati non pochi; e tanto ha
disciplinati alcuni municipî, che alcuni si sono fatti spontanei
iniziatori della sottoscrizione di un indirizzo--che suona protesta
contro le irriverenti parole pronunziate dal Cavallotti nella Camera dei
deputati--proclamante la benemerenza del generale Morra di Lavriano e
della Montà per la sua opera civile di rigenerazione nella desolata
Sicilia!

Quest'opera civile poteva rimanere incompleta se non si pensava alla
base: alla coltura cioè, e alla educazione. In Sicilia il numero degli
analfabeti era ed è grandissimo, quale in nessun'altra nazione civile di
Europa; ebbene, si rimedia assecondando le aspirazioni dei grandi
proprietarî della sala Ragona, che acclamarono alla proposta di
sopprimere la istruzione obbligatoria; incoraggiando quel bravo
consigliere di Prefettura, che in Mazzarino proclamò che il dogma della
nuova Italia da ora in poi dovrebbe essere quello della _ignoranza
obbligatoria_ ed in conformità chiudendo tutte le scuole, ch'erano state
scandalosamente aperte dai _Fasci_, tanto deleterie pei lavoratori
quanto le _cooperative di consumo_.

Il libero insegnamento scientifico è uno scandalo e il generale Morra
chiama nel suo ufficio due professori della Università di
Palermo--Schiattarella e Salvioli--e fa loro intendere e si fa
promettere che nelle lezioni non ci doveva entrare la sobillazione, se
no... Si sa che un poco di domicilio coatto fortifica lo spirito e
prepara nobilmente ad impartire una scienza sana _ad usum delphini_, a
base di catechismo e di cristianesimo annacquato e corretto, di completo
gradimento di Monsignor Celesia e degli altri vescovi, che generosamente
si scagliarono contro i socialisti relegati, processati, imprigionati!

  [EQUANIMITÀ E DELICATEZZA DEL MORRA]

La mente eletta e l'animo nobile del generale Morra non si rivelarono
soltanto nelle cennate circostanze e nei modi summenzionati; altre
occasioni egli ebbe di mettere in evidenza la equanimità, la delicatezza
dei sentimenti, il tatto squisito. Il premuroso sindaco di Catanzaro
manda--_spontaneamente_ s'intende--un telegramma al colonnello Giussani
Presidente del Tribunale militare, in difesa del Questore Lucchese e in
danno di De Felice e C.?

E il generale Morra lo lascia pervenire al suo indirizzo. Da Catanzaro
mandano poco dopo un telegramma al _Giornale di Sicilia_, che dà notizia
delle proteste del Consiglio Comunale contro l'operato del sindaco, e
che gioverebbe agli stessi accusati? E il generale Morra si affretta a
sequestrarlo. Ciò per la equanimità.

Quanto al tatto squisito, il generale Morra distribuisce lodi e dà
banchetti in quali occasioni e per quali motivi? Lasciamolo dire a
Felice Cavallotti.

  [LA PAROLA DI CAVALLOTTI]

Il generale Morra «è l'autore di quel saluto di congedo agli ufficiali
in partenza, che dopo avere nell'isola, tra dolorosi frangenti, mostrato
pur cuore di soldati italiani, mentre partivano pensosi ed afflitti
delle cose vedute, si udirono in un discorso gonfio di rettorica vanesia
decretare allori da essi nè bramati nè sognati nè chiesti, i tristi
allori della guerra civile, come tornassero da Filippi o da Farsaglia.

Di più: «il giorno che nell'aula di un tribunale si domandano 23 anni di
galera, per delitto di lesa patria, contro un deputato italiano, fino a
ieri circondato dall'aura popolare, rappresentante di una illustre
città, onorato della fiducia di due collegi dell'isola sua... il giorno
che tanti anni di galera si domandano contro un deputato e contro altri
cittadini italiani, alle cui virtù morali e civili lo stesso
rappresentante, non dirò della legge, che non lo è, ma dell'accusa, ha
dovuto rendere omaggio, è sempre un giorno doloroso per chiunque abbia
cuore italiano, per chiunque abbia senso di gentilezza italiana.

«Ebbene, è deplorevole che questo sentimento elementare non sia stato
capito dal signor generale Morra di Lavriano, il quale ha creduto
delicato, opportuno, gentile, scegliere proprio il giorno, in cui si
pronunziava quella enorme requisitoria... (_Interruzioni_) per indire,
proprio in quel giorno, in via eccezionale un solenne festoso banchetto
ai notabili e all'alta società di Palermo. (_Rumori_). Io mi domando a
quale altro generale che non fosse il generale Morra di Lavriano sarebbe
venuta in mente un'idea così peregrina, coprendo un ufficio che per la
sua stessa anomalia di fronte alla legge esigeva per lo meno un tatto
squisito, e in un momento nel quale la pacificazione degli animi è il
bisogno supremo dell'isola.

«Io nato in Milano, sotto il _felice_ governo di Casa d'Asburgo, ben so
che i generali austriaci sceglievano i giorni delle condanne di patrioti
per indire feste e banchetti, a provocazione e sfida del sentimento
cittadino. E se mal non ricordo, devo aver letto in un bellissimo libro
del deputato Bufardeci, qui a me vicino, libro scaldato da quella fiamma
giovanile che pare oggi essersi riconcentrata nell'animo dei vecchi, che
il maresciallo Del Carretto sceglieva il giorno della esecuzione di
Mario Adorno e del suo figlio giovanetto in Siracusa per celebrare
l'eccidio con una festa da ballo. Ma è deplorevole che, dopo 34 anni che
l'Italia fu redenta, reminiscenze e confronti simili si ridestino da
generali italiani!»

  [MORRA CONTRO MARIA DE FELICE]

E chi infine oserebbe mettere in dubbio la delicatezza dei sentimenti
del Generale Morra di Lavriano e della Montà, che all'indomani della
sentenza che manda l'on. De Felice per _diciotto_ anni nella reclusione,
espelle da Palermo la gentile Maria, colpevole di non sapere nascondere
il cordoglio ineffabile per la condanna del padre e di destare la
simpatica commiserazione in una cittadinanza cavalleresca e pietosa?

Un ultimo accenno all'opera _civile_ del generale Morra.

  [UNA MANOVRA DEI REAZIONARII]

Perchè essa fosse riuscita proficua, opportuna, apprezzata sarebbe stato
necessario che egli avesse percorso la Sicilia, per conoscerne _de visu_
i mali, che egli avesse avvicinato i sofferenti e gli oppressi ed avesse
ascoltato dalla loro viva voce i reclami e le proteste, che si fosse
frammischiato col popolo e col popolo avesse vissuto. Il Generale Heusch
gli dette l'esempio in Lunigiana di ciò che avrebbe dovuto fare; ed
anche qualche suo subordinato, il simpatico colonnello Pittaluga, gli
additò la via da battere. Ma tali esempî non erano degni di lui; egli
invece di visitare i tugurî, di informarsi delle sofferenze del popolo,
di studiarne le cause, preferì passare da una casa principesca
all'altra, da questa a quell'altra villa per gradire banchetti lauti,
per assistere a sfarzose _soirèes_, che riuscivano un insulto alla
miseria grande delle moltitudini: insomma tutto fece meno che muoversi
da Palermo e adempire il proprio dovere.

Principi, marchesi e baroni si tennero onorati delle visite dell'ospite
eminente e vollero mostrarsi riconoscenti: cospirarono--è la parola
adatta--per fargli concedere la cittadinanza onoraria di Palermo; ma la
città di Palermo, giammai vile e servile, sventò la indecorosa manovra,
e colla sua attitudine impose il rispetto che si doveva ad un paese che
tale onorificenza solo a Garibaldi ha voluto concedere.

Solo per un momento il Morra vuol rendersi popolare e va al Foro italico
per assistere... alla benedizione delle capre!

Finalmente esce da Palermo, dove si godette i suoi veri ozî di Capua, e
va a fare la sua visita di congedo alla Sicilia. Va e passa in rassegna
le truppe per informarsi, forse, se le cartucce sono sufficienti e se i
fucili sono pronti per ripetere la cura del piombo al popolo. Vero è che
egli raccoglie ciò che merita: accoglienze strettamente e glacialmente
ufficiali dai suoi dipendenti, talvolta urli e fischi dagli imperterriti
Gavroche isolani, che non sanno valutare e temere abbastanza i benefizî
e i pericoli dello Stato di assedio: ma in compenso lo conforta il
brindisi laudatorio dell'on. Marchese di San Giuliano...

Il generale Morra lasciando l'Isola, nella sua circolare ai prefetti,
osò scrivere questo periodo sbalorditoio, ch'è meritevole di essere
tramandato ai posteri, come l'indice più esatto della sua incoscienza:
«Durante questo periodo eccezionale _sprezzando fatiche e disagi_ mi
sono dedicato con vero affetto alla non facile impresa della
pacificazione degli animi per varie cause eccitati, e allo studio arduo
dei principali bisogni delle popolazioni siciliane....»

  [IL RESPONSABILE DELL'OPERA DI MORRA]

E l'ironia amara per quest'opera _incivile_ del Regio Commissario
straordinario in Sicilia potrebbe continuare, se non fosse tempo di
ricordare che di quest'opera sua c'è chi è direttamente e politicamente
responsabile di fronte al paese: l'on. Crispi.

Si mentirebbe e si calunnierebbe il Presidente del Consiglio dei
ministri se si dicesse che egli sia rimasto contento e soddisfatto del
modo come il generale Morra ha adempiuto alla delicatissima e grave
missione affidatagli. Si assicura che egli si sia accorto in tempo della
cattiva scelta fatta e che non abbia nascosto il suo malumore. Un
sintomo del suo malumore si volle scorgere nella insolita fiacchezza
colla quale difese egli nella Camera dei deputati il regio Commissario
dagli attacchi dell'on. Cavallotti.[77]

  [PIÙ VEROSIMILMENTE...]

Ma se l'on. Crispi si accorse in tempo che il Generale Morra non
rispondeva alle esigenze imperiose della difficile situazione, perchè
non lo rimosse dall'ufficio? Forse temette di attentare alla reputazione
della propria infallibilità? Più verosimilmente ubbidì ad ordini che
vennero dall'alto protettore del Morra. Nell'uno e nell'altro caso sul
capo del governo che scelse un uomo inadatto al compito e lo mantenne,
quando si manifestò tale apertamente, ricade la responsabilità intera
dell'errore commesso. In un modo solo potrebbe farselo perdonare:
disfacendo l'opera del generale Morra e cominciando dalla pacificazione
degli animi, che non potrà iniziarsi efficacemente se non coll'amnistia:
amnistia, suggerita dalla suprema Corte di Cassazione, e moralmente
necessaria ai giudici anzichè ai condannati.


NOTE:

[75] In Palermo fece rumore il caso di Parco. L'amministrazione fu
sciolta perchè furono dimostrate fondate le accuse portate contro di
essa dal _Fascio_. Vi fu mandato come regio Commissario il sig.
Benedetto Carrozza, che conoscendo i fatti cercò riparare al dissesto
economico e ai disordini amministrativi; ma i rei seppero ingraziarsi il
generale Morra, e il regio Commissario di Parco si dimise, per
provvedere al proprio decoro e forse anche alla propria libertà: venne
indicato come sobillatore!

[76] Il caso di Catania fu portato alla Camera dei Deputati. Conservo
relativamente ad essa un articolo che voleva pubblicarsi in un giornale
locale--e di cui fu vietata la pubblicazione,--come il documento più
prezioso dello sconfinato e brutale arbitrio della censura preventiva.
Ogni cartella dell'articolo, in cui non c'è una sola parola
incriminabile e men che rispettosa verso le autorità, porta il _veto_
del Capo di Gabinetto della Prefettura sig. De Francisci.

[77] Il _Corriere dell'Isola_ di Palermo, organo dei conservatori e che
rispecchiava le tendenze dell'_entourage_ aristocratico del generale
Morra, scrisse in quella occasione un fierissimo articolo contro l'on.
Crispi. Ad onore del vero si deve aggiungere che il numero in cui fu
pubblicato venne sequestrato per ordine dello stesso generale, che
certamente si sarà ricordato del: _surtout pas trop de zèle_!



XXIV

LA DISCUSSIONE PARLAMENTARE


Se questo libro non dovesse essere che la esposizione cronologica degli
avvenimenti, più volte avrei dovuto accennare alla discussione
parlamentare; ma poichè ho invece preferito raggruppare i fatti
logicamente e metterli in connessione colle loro cause, facendoli
seguire dai commenti che mi sono parsi opportuni, ho raccolto in unico
capitolo tutto ciò che riguarda la discussione degli avvenimenti a
Montecitorio; perchè in quelle discussioni c'è appunto il riassunto
degli avvenimenti, della esposizione delle loro cause, e delle
considerazioni fatte sugli uni e sulle altre, della responsabilità del
governo, della utilità e convenienza della sua azione.

I giudizî emessi in Parlamento dànno la più esplicita sanzione a quanto
sinora è stato esposto e servono di opportuna conclusione alla
precedente narrazione ed ai relativi commenti.

  [UN CONSENSO AMMIREVOLE]

Quali le cause intime e reali dei moti di Sicilia? Su questo argomento
ci fu un consenso ammirevole di parere tra gli oratori delle varie
parti della Camera, che non potè essere menomato dal dissenso di
pochissimi deputati, e che verrà lumeggiato in ultimo.

Prima tra le cause venne indicato il forte e rapido disagio economico.
Si comprende che su di esso abbia insistito un socialista come il
Badaloni, che opportunamente ricorda che le stesse cause economiche, le
quali--secondo Massari, Castagnola e Villari--produssero il
brigantaggio, cagionarono i moti di Sicilia. Egli con sintesi mirabile
espose le risultanze della _Inchiesta agraria_--il cui volume sulla
Sicilia porta, come si sa, la firma dell'on. Damiani--e secondo la quale
nell'isola le classi lavoratrici hanno un _impronta comune di miseria,
di abbattimento e di patimento_; dove invano si cerca un ceto agricolo,
ma si trovano _servi sfruttati sempre, riconosciuti mai_, che per vivere
sono costretti _a rubare_ ed a vendere l'_onore delle loro figlie e
delle loro mogli..._

Si comprende del pari che io--che da vero sobillatore, molti anni or
sono avevo riprodotto questi giudizî del Damiani, dalle forti tinte,--mi
sia trovato perfettamente di accordo coll'amico carissimo Badaloni; ma
importa di più il conoscere che il forte disagio economico venne ammesso
da molti altri, che militano in partiti avversissimi al socialista:
dall'on. Comandini--che fece due discorsi forti per logica e per
ricchezza di fatti--all'on. Farina; dall'on. Franchetti all'on. La
Vaccara; dall'on. Filì Astolfone all'on. Di San Giuliano. Quest'ultimo
anzi dette in sulla voce all'on. Nasi--i cui singolarissimi giudizî
troveranno un posto speciale--ed insistette nel dimostrare i danni del
latifondo, il rapido passaggio dal benessere al disagio economico vivo
e sentito da tutte le classi e non dai soli lavoratori.

  [ANCHE L'ON. CRISPI!]

Non è meno notevole il consenso sulla pessima amministrazione dei corpi
locali e sulla iniqua ripartizione dei tributi: ammette questi gravi
inconvenienti ed efficaci fattori di malcontento lo stesso on. Crispi!

Ricordai, che li aveva messi in evidenza l'onorevole Damiani in una
intervista col corrispondente del _Lokalanzeiger_ e li riconobbero gli
onor. Farina, Pinchia e Filì-Astolfone. Ne fece un quadretto verista
ammirevole l'on. Di Sant'Onofrio, che ricordò essere stato prodotto
dalle iniquità e dalle prepotenze dei partiti locali il motto popolare,
che ritiene: _la legge essere fatta solamente per lo sciocco_. Ma fu
l'on. Di San Giuliano, che anche su questo riguardo col rammarico di
dissentire dal solito Nasi, somministrò dati importanti sulla prevalenza
delle relazioni e clientele personali, sull'accanimento delle lotte tra
i partiti locali, sulla gravezza delle imposte, sulla dissennatezza
delle spese, sulla falsità delle liste elettorali... E chi più ne ha,
più ne metta!

I danni enormi del disagio economico e della iniquità e scorrettezza
delle amministrazioni locali fu dimostrato che venivano aggravati dalla
imperizia e dalla partigianeria dei funzionarî di ogni grado, che il
governo ha mandati in Sicilia dal 1860 in poi in punizione o in
esperimento.

Il male fu più volte denunziato e deplorato; ma i varî ministeri lo
negarono sempre; il male era reale tanto che venne stigmatizzato in
questa occasione da un uomo di facile contentatura, qual'è l'onorevole
La Vaccara, seguito dagli on. Di San Giuliano, Farina e Nicolosi.

Questi, di animo mite e alieno dalla critica contro l'ente governo, fece
una vera e giusta carica a fondo contro i prefetti, la cui partigianeria
politica generava un forte disagio morale, che aggravava il disagio
economico. A notarsi: avendo io accennato ad un funzionario abile e
intelligente, l'on. Damiani mi fece questa caratteristica interruzione:
«_Pare impossibile, ma è vero!_»

  [L'ON. COMANDINI]

Chi mise il dito sulla piaga sui funzionari governativi accennando al
passato prossimo... ed al presente fu l'on. Comandini. Egli nel suo
discorso del 27 febbraio 1894 disse:

     «Non facciamoci illusioni: la condizione delle provincie siciliane,
     per ciò che si riferisce agli atti ed alla responsabilità delle
     autorità governative, non poteva essere peggiore... In Sicilia io
     ho trovato che negli uomini veramente di ordine era ed è radicata
     la convinzione che in alcuni comuni, per _fini elettorali_, non
     sdegnarono alcuni funzionarî del governo di farsi essi autori di
     circolari e di proclami, che venivano distribuiti ed affissi in
     pubblico sotto l'intestazione: _Fascio dei lavoratori_.»
     (_Commenti_).

Coi pieni poteri del generale Morra di Lavriano ci fu un miglioramento?
Ecco il giudizio, da nessuno contraddetto, dello stesso on. Comandini:

     «Io ho trovato che la fiducia nei funzionari amministrativi era
     scossa, e quando ho indagato se sua Eccellenza il regio Commissario
     straordinario si fosse insediato a Palermo con uno speciale
     gabinetto politico, sapete voi quale Gabinetto politico ho trovato?
     Ho trovato un Gabinetto composto di un militare e di due civili,
     perfettissimi gentiluomini, giovani di grande e buona volontà,
     d'ingegno pronto e di eccellente volontà nel lavoro, ma sorpresi
     essi stessi dal carico, ch'era stato addossato alle loro spalle, e
     non timorosi di dire che essi si sentivano contenti di essere
     stati chiamati a tali funzioni, _perchè imparavano una quantità di
     cose nuove, che prima essi ignoravano_...»

La Sicilia era, dunque, pel Gabinetto del generale Morra di Lavriano
_corpus et anima villa_... Ed ora si meravigli chi può della _sapienza_
degli atti e degli editti del Commissario.

Date queste premesse e assodate queste cause predisponenti si può
indovinare quale e quanta responsabilità si possa attribuire ai
socialisti, ai sobillatori, ai _Fasci dei lavoratori_.

Sono essi, che hanno calunniato la borghesia e che hanno generato
l'_odio di classe_?

Badaloni prende il volume dell'_Inchiesta Agraria_ del Damiani e mostra
che l'odio di classe è antico e produsse le manifestazioni del 1848 e
del 1860 di quella popolazione, che lo stesso on. Crispi chiamò _sobria,
schiava della fame e del lavoro_. Socci, Ferrari, Prampolini ed io,
ribadimmo l'assunto del Badaloni; lo confermò Franchetti, che disse
l'antagonismo tra le varie classi sociali antico e fatale. Ma le classi
dirigenti e la grossa borghesia sono meritevoli di odio? Basta
rammentare le parole di Crispi, riportate avanti, ch'egli pronunziò a
Palermo nel 1886, in una riunione di operai...

  [QUEL CHE DICE IL MARCHESE DI SAN GIULIANO]

  [L'AMENITÀ DELL'ON. CASTORINA]

Come la borghesia usò in Sicilia di quella sua onnipotenza? Ecco qua:
«Il grande proprietario è troppo sovente _fruges consumere natus_, un
parassita, un ozioso... ma non è (?) uno sfruttatore. I borghesi rurali
in generale trattano male i contadini; amministrano i comuni con criterî
d'interessi di classe; sono azzeccagarbugli, usurai... Le classi
dirigenti non sono all'altezza dei loro doveri...» È forse questo il
giudizio appassionato di un socialista? No! venne formulato da un loro
avversario, da un loro persecutore: dall'on. Marchese di San Giuliano il
giorno 27 febbrajo 1894! E dopo le sue parole, lasciamo che il suo amico
on. Castorina si diverta, e diverta gli altri, nel difendere la
borghesia, e nell'affermare che borghesi e lavoratori in Sicilia
fraternizzano, come nel più idillico dei mondi possibili!

Se i socialisti, i sobillatori, i _Fasci_ non generarono l'odio di
classe, che trovarono bello e preparato da anni e forse da secoli, non
può dirsi neppure ch'essi furono gli agenti diretti, determinanti degli
ultimi moti. Che non lo furono fu sostenuto da Badaloni, da Altobelli,
da Comandini, da me. L'ottimo Farina si stupì, si meravigliò altamente
degli on. Nasi e Saporito, che ai _Fasci_ e ai sobillatori li
attribuirono; ma il loro era naturalmente il parere dell'on. Crispi, che
fu pure combattuto da uno dei suoi più fedeli amici politici, dall'on.
Di Sant'Onofrio. Più equanimi vollero mostrarsi gli on. Filì-Astolfone e
Di San Giuliano che dei moti trovarono la ragione parte nelle cause
precedentemente esposte e parte nell'azione dei _Fasci_. Il secondo,
anzi, si espresse in termini, che meritano di essere integralmente
riprodotti.

    «Per quanto concerne le cause--disse il rappresentante per
    Catania--voi avrete visto, e dalla discussione fatta qui e da quello
    che si è detto fuori di quest'aula, che vi sono due tendenze. Gli
    uni credono che causa unica sia il disagio economico, e specialmente
    la miseria dei contadini; altri credono che causa unica sia la
    propaganda dei sovvertitori.»

    «L'onorevole Nasi nel suo discorso di ieri si accostava a
    quest'ultima opinione. Ora io francamente credo che abbiano
    contribuito l'una e l'altra causa. Senza il disagio economico e
    senza il malcontento che ne consegue, la propaganda dei sovvertitori
    non avrebbe potuto avere gli effetti che ha avuto, e _forse non si
    sarebbe fatta_. Senza poi la propaganda dei sovvertitori il
    malcontento non si sarebbe manifestato ora, o si _sarebbe
    manifestato in altro modo, forse non meno pericoloso_, ma più
    legale.»

  [DEI "FORSE" ELOQUENTI]

Non è evidente da questi _forse_ dell'on. Di San Giuliano, che i moti si
sarebbero avuti anche senza i _Fasci_, e in una forma _non meno
pericolosa_?

Una manifestazione se è più _pericolosa_, dal punto di vista politico,
non giova che sia più _legale_; ad ogni modo l'on. Paternostro, che
dell'on. Crispi è amico politico e non è affatto socialista, riconobbe e
ricordò colla sua lealtà, che il movimento dei _Fasci_ era legalissimo e
doveva essere rispettato.

Si dirà che i _Fasci_, i sobillatori, i socialisti hanno almeno la
responsabilità indiretta dei tumulti siciliani, in quanto furono
determinati o accelerati dalla loro propaganda? E allora a quanti hanno
predicato e raccomandato la emancipazione o il miglioramento dei
lavoratori deve assegnarsi buona parte delle responsabilità; e primo fra
tutti all'on. Crispi, che proprio in Sicilia espose... in pubblici
discorsi idee poco diverse per il fine cui miravano, di quelle
propugnate dai socialisti. E gli on. Altobelli e Badaloni con eloquenza
e con senso vero di opportunità all'on. Crispi ricordarono questi brani
significanti dei suoi discorsi di deputato e di candidato:

     «Bisogna una volta uscire da cotesto _egoismo borghese_, che ha già
     sconvolto altre nazioni, o, quel che più monta, ha soffocato nel
     sangue i reclami del popolo, _volta a volta blandito e tradito_.

     «La questione sociale, se non venga risolta come _dovere_, verrà
     imposta come necessità.»

     «_Alle plebi manca tutto_, il loro rinascimento comincia da oggi...

     «Bisogna che i lavoratori siano redenti dalla schiavitù della
     ignoranza, e _dalla schiavitù del capitale_...

     «Bisogna che siano messi nella condizione di avere il denaro
     necessario, affinchè, volendolo, _possano diventare padroni di un
     opificio, e che, associati, possano anche essi costituire
     opifici_...

     «Allora potrete trovare la soluzione del problema, _che il capitale
     ed il lavoro stiano allo stesso livello, siano nelle stesse
     condizioni di eguaglianza, e che l'uno non possa comandare
     sull'altro_, ma si riequilibrino, si rafforzino a vicenda...

     «Noi avremo allora la vera concordia degli animi, avremo costituita
     quella _unità morale, senza la quale non è possibile che duri
     l'unità politica del popolo italiano_.

     «Imperocchè fino a quando le _classi sociali_ dureranno distinte
     per gl'interessi rivali, _e qualche volta l'una tiranna
     dell'altra_, saremo in continuo pericolo di disordini e conflitto.»

  [CRISPI]

Ora io, dico, i socialisti e i sobillatori quando mai enunziarono
propositi diversi e più radicali di quelli enunziati dall'on. Crispi in
Palermo nel 1886? In quanto al metodo per farli trionfare non può
dimenticarsi che lo stesso on. Crispi pochi anni dopo, proprio alla
vigilia del movimento dei _Fasci_, telegrafava di _rivoluzione_ come un
qualunque avventato sobillatore...

  [L'ON. FARINA]

Chi conosceva tutto quanto precede avrebbe dovuto concludere che nei
moti di Sicilia non c'era stato accordo, non vi era stato intesa, non
c'era l'intervento della cospirazione; ed alla Camera tale dimostrazione
venne fatta da Altobelli e da me; e v'insistettero due oratori, che pel
partito politico in cui militano non possono menomamente essere
sospettati di tenerezza pei socialisti: l'uno l'on. Emilio Farina con
quella espressione di sincerità ch'è l'impronta dei suoi discorsi,
perciò tanto bene accetti a Montecitorio, disse:

     «Non vi furono attacchi contro le caserme, non movimenti
     simultanei, non danari spesi per suscitarli o sostenerli, ed è
     perciò che questi movimenti potevano apparire, come disse qualcuno
     dei colleghi, sfoghi d'ire locali, e non meritare tutti i rigori
     che sono stati adottati per reprimerli. Le stesse stragi furono
     motivate, non già da assalti preconcetti contro le truppe; furono
     le truppe in piccolo numero, che per svincolarsi da folle clamorose
     che mano mano andavano esaltandosi, fecero uso delle armi, con quel
     penoso resultato che ognuno sa. La strage stessa commessa sul
     pretore, non fu un'azione, ma una reazione dopo una strage di
     popolo.»

L'altro, l'on. Comandini, con l'immancabile e scettica sua ironia, mise
in ridicolo la cospirazione, e a provare che era un romanzo aggiunse:

     «Io non voglio far perder troppo tempo prezioso alla Camera, ma
     voglio evocare un curioso ricordo che ho comune con qualche nostro
     collega.»

     «Nel 1874 si volle scuoprire una pretesa cospirazione repubblicana
     per la quale furono denunciati, arrestati e processati invano
     ventotto uomini, parecchi dei quali hanno già seduto ed alcuni
     seggono ancora in questo Parlamento.»

     «Fra i documenti sequestrati, fu ritenuto uno dei più
     impressionanti di quella cospirazione una specie di discorso
     sedizioso che si voleva fosse stato preparato per una riunione di
     ribelli, e che fu trovato nella tasca di uno degli arrestati.»

     «Per due mesi l'istruttoria si torturò con quello spietato
     discorso, che poi si verificò non altro essere che un semplice
     esercizio di traduzione dal latino in italiano di un'orazione di
     Catilina tratta dalla _Congiura di Catilina_ di Sallustio
     (_Ilarità_).»

     «Ella, onorevole Crispi, venne qui a dirci: «Ecco qua le lettere da
     Trapani, ecco qua il manifesto: «Operai, figli dei Vespri, ancora
     dormite?»

     «Ma che Vespri, onorevole Crispi! Michele Amari, nel 1842, diceva
     che «i Vespri non si combinano; essi sono irresistibilmente
     ispirati, irrompono nell'ora fatale e soppiantano il potere»
     (_Commenti_). «E queste stesse parole di Michele Amari hanno
     ripetuto a voi il nostro compianto collega Cuccia, il professore
     Salvioli, il professore Schiattarella, Antonio Morvillo, tutti i
     vostri amici di Palermo.»

  [PER LA VIOLAZIONE DELLO STATUTO]

Se la cospirazione era un romanzo, invece erano una triste realtà la
violazione dello Statuto, gli eccessi del governo nella repressione, la
reazione.

E a Montecitorio furono in molti a constatarle anche tra gli amici del
ministero e dell'on. Crispi, sebbene non mancassero contraddittori, che
trovarono tutto ben fatto.

Nel primo senso parlarono gli on. Imbriani, Bonajuto, Altobelli, Bovio,
Sacchi, Comandini, Cimbali, Marcora, Pinchia, Paternostro ed io.
Approvarono quasi incondizionatamente gli on. Lazzaro, La Vaccara,
Damiani e Castorina; e pur approvando la condotta del governo ebbero da
deplorare non poche cose gli on. Spirito e Di San Giuliano.

Bovio sostenne che le idee, le utopie non si possono colpire, ma
soltanto i mezzi adoperati per realizzarle. Imbriani--certamente facendo
violenza a sè stesso--disse che in Austria testè per proclamare lo stato
di assedio in Boemia si domandò l'autorizzazione del Parlamento ed
enunciò gli articoli dello Statuto, che furono violati in Italia: il
26º, inviolabilità della libertà individuale; il 27º, inviolabilità del
domicilio; il 28º, libertà della stampa; il 32º, diritto di riunione e
di associazione; il 45º immunità parlamentare; il 70º proibizione di
derogare all'organizzazione giudiziaria; il 71º divieto di sottrarre i
cittadini ai giudici naturali e di creare tribunali e commissioni
straordinarie... E nessuno seriamente osò negare che tanti articoli--i
più importanti--siano stati manomessi; si constatò, invece, con
giustezza dall'on. Sacchi, che l'azione reazionaria del governo potè
passare con indifferenza, perchè in sostanza la reazione era nella
Camera e nel paese!

L'on. Cimbali bene a proposito rilevò, che il disarmo fu fatto a
benefizio dei malfattori. Sacchi dimostrò la enormità commessa dando
effetto retroattivo alle ordinanze dei regî commissarî di Sicilia e di
Lunigiana. E che i civili non si potessero sottoporre ai Tribunali
militari l'on. Paternostro, lo provò colle parole dello stesso on.
Crispi, che nel 1862 in un mirabile discorso sostenne ciò che quasi
tutti gli oratori della Camera sostenevano su tale argomento, ed
opportunamente ammonì che le armi della reazione _non hanno mai salvato
le dinastie_...

  [LO STUDIO COMPARATIVO DELL'ON. ALTOBELLI]

L'on. Altobelli fu felicissimo nello studio comparativo tra la legge
francese sullo Stato d'assedio e la legge italiana che esclude di poter
fare ciò che fece il governo; contro le leggere asserzioni dell'on.
Crispi che nel Codice penale militare del 1869 trovava la legittimazione
del suo operato, provò che essa invece c'era soltanto nell'art. 137 del
codice penale militare sardo del 1840 che diceva:

«Le stesse regole _in tempo di pace_ potranno anche di nostro speciale
ordine, qualora le circostanze lo esigano, essere poste temporaneamente
in vigore in alcuna parte dei nostri stati»; e flagellò a sangue il
contegno bassamente opportunista e servile della magistratura,
riportando la motivazione della ordinanza della Camera di Consiglio che
mandò il Molinari innanzi ai Tribunali militari «_perchè non sarebbe
stato opportuno che i primi arrestati si sottraessero alla giurisdizione
speciale!_»

  [IL CONFORTO DELL'ON. LA VACCARA]

Si può passar sopra adesso all'affermazione troppo semplicista ed
ottimista dell'on. Castorina che nello Stato di assedio vide un
eccellente rimedio; ed all'altra dell'on. La Vaccara che nello Stato di
assedio _trovò un conforto_.

I _bravo!_ che partirono dall'_estrema sinistra_ a questa inattesa
uscita dell'on. rappresentante per Piazza Armerina, sottolinearono la
esplosione d'ironia della Camera. Ad onore del vero devo aggiungere che
il _conforto_ di cui parlò l'onorevole La Vaccara rispondeva alla
realtà; egli ebbe il torto, però, nell'asserire che l'_applauso_ per lo
Stato di assedio fu _unanime_; poichè il _conforto_ non lo provarono che
solo i conservatori e le classi dirigenti. Del resto questa loro
tenerezza per lo stato di assedio è di antica data: Filippo Cordova nel
1863 riferiva che qualche siciliano gli aveva detto: _assicuratevi che
nel cuore di ogni proprietario siciliano vi è l'immagine di Rattazzi,
non per altro che per lo stato di assedio!_

E vengo in ultimo all'on. Di San Giuliano, il quale trovò opportuno lo
Stato di assedio, ma non potè negare gli arbitrî e le ingiustizie
commesse. Ed egli conchiuse con un pensiero, che racchiude tutta la
filosofia degli ultimi avvenimenti, dà la misura della utilità della
reazione e della repressione e ammonisce sulla via da battere.

«Dopo l'istruzione data e la propaganda fatta,--disse il rappresentante
per Catania,--_l'antica rassegnazione dei contadini e degli operai non
tornerà più!_»

E collo stesso on. Di San Giuliano, che fu seguito dagli on. Comandini
e Ferrari--contro il parere degli on. Saporito, Fortis e Damiani--mi
trovo pienamente di accordo nel ritenere che ai mali della Sicilia si
deve porre riparo con leggi speciali, ricorrendo ai veri criterî
sperimentali. Non bisogna affidarsi alla uniformità delle leggi per
tutta la nazione, perchè la uniformità rappresenta un vero letto di
Procuste.

Da questo fedele riassunto della discussione parlamentare si detegge che
di tutte le cause dei moti della Sicilia, frammentariamente, venne
riconosciuta l'azione persistente, dagli uomini più temperati, dagli
amici delle istituzioni, dai più devoti al ministero dell'on. Crispi;
riconoscimento, che indirettamente eliminò la responsabilità dei _Fasci
dei lavoratori_ e della propaganda socialista.

La nota discordante non mancò, però, e venne portata alla Camera dagli
on. Saporito-Ricca e Nasi.

  [L'ON. SAPORITO]

L'on. Saporito, sorpreso del profondo perturbamento dell'ordine
pubblico, maggiore che nelle precedenti rivoluzioni--e sorpreso perchè
mai forse aveva posto attenzione all'indole dei moti puramente
sociali--negò la spontaneità del movimento, lo attribuì interamente ai
_Fasci_ ed ai sobillatori e proclamò essere fandonie, ed ingiurie
ingiuste e gratuite le asserzioni dei precedenti oratori. Si dichiarò
soddisfatto dell'opera del governo, e nello Stato di assedio vide il
rimedio supremo a tutti i malanni!

La stessa tesi precedentemente era stata svolta dall'on. Nasi, con lusso
di particolari e con aneddoti ameni e piccanti, con una forma spigliata
e talora elegante; sicchè il suo discorso dal punto di vista oratorio si
può considerare come il gran successo della discussione.

  [LA SICILIA SECONDO L'ON. NASI]

Secondo l'on. Nasi in Sicilia non c'era fame, vi erano minori che
altrove le sofferenze economiche, il salario non era inferiore di
altrove, il lavoro delle miniere di zolfo non era più duro che altrove,
le amministrazioni comunali non andavano più male che altrove, il dazio
sulla farina non aveva influenza prevalente ed uguale sul prezzo del
pane; il governo non aveva le responsabilità che gli erano state
addossate, nemmeno quella dei cattivi funzionarî mandati nell'isola, i
quali avevano fatto sempre il proprio dovere; non c'era, infine, una
quistione siciliana poggiata su cause politiche, economiche,
amministrative.

I nuovi piagnoni avevano tutto esagerato, e tutto il movimento si doveva
esclusivamente alla azione dei sobillatori, la cui propaganda socialista
non era che una mistificazione, e che i _Fasci dei lavoratori_, non
raccoglievano che ambiziosi e malcontenti.

Date queste premesse chiunque si sarebbe atteso, che l'oratore avrebbe
conchiuso con un inno al governo e colla raccomandazione di lasciar
correre tutto per la sua china, come pel passato. Nossignori! L'on. Nasi
si dichiarò contrario al governo, non solo, ma stigmatizzando le
infeconde lotte parlamentari profetizzò che il ritardo nel presentare
opportuni rimedî porterà a conflitti terribili e pose termine al
brillante discorso come tutti gli altri oratori socialisti e radicali,
promettendo che in un possibile conflitto egli, con tutti gli uomini di
cuore, si sarebbe schierato dalla parte del popolo.

  [NON C'È CHE LA "DOTTRINA" DI A. FORTIS]

La conclusione sorprese, e tutti--compresi i suoi intimi--si domandarono
la ragione del discorso. Si avrebbe potuto cercarla nel livore contro
qualche collega suo e contro alcuni organizzatori dei _Fasci_ suoi
nemici politici e personali; ma escludendo pure questi moventi non belli
si può ammettere che l'onorevole Nasi fu spinto a parlare dal desiderio
di lanciare qualche freccia all'indirizzo dell'on. Crispi, e dall'altro
non meno ardente di difendere l'antico ed amato ministero dell'on.
Giolitti, e sopratutto fu mosso dalla patriottica e generosa
preoccupazione di annunziare alla Camera che ai mali d'Italia--e forse
dell'umanità--non c'era che un rimedio, uno solo: la dottrina di
Alessandro Fortis!

All'annunzio di tanta scoperta tutti richiesero quale fosse la _dottrina
di Alessandro Fortis_, la modestia del quale venne offesa specialmente
perchè egli non ricordò di averne formulata mai alcuna sua propria, e
che se per sua _dottrina_ volevano prendersi gli accenni simpatici al
socialismo di stato, fatti in momenti di espansione a Bologna o altrove,
non potevasi e non dovevasi sospettare che tali accenni costituissero la
sua dottrina, poichè egli si era affrettato a ripudiarli coi discorsi
alla Camera e specialmente coi voti dati, coi fatti.

  [L'AUTOFAGISMO DELL'ON. NASI]

Comunque, le congratulazioni all'on. Nasi furono grandi nella Camera e
in certa stampa pel successo del suo discorso, e fu notevole poi la lode
rivoltagli dall'on. Comandini, che rapito dal discorso ammirò oltre ogni
dire il coraggio dell'oratore. Oh! se ce ne volle del coraggio a dire
tutto quello, che disse...... Ma le congratulazioni pel _coraggio_
all'on. Nasi resero più amare le critiche, non degli avversarî politici,
ma degli amici; perciò da uomo che non voleva procurarsi la nomea di
peccatore ostinato, nella seduta del 2 marzo, a meno di otto giorni di
distanza, rimangiò le precedenti denegazioni, facendo precedere l'atto
di autofagismo da questa dichiarazione, che lascia perfettamente
intendere che io non ho di una linea esagerata o alterata la impressione
che ricevette la Camera dal suo discorso:

     «È troppo facile e vecchio argomento di polemica quello di
     attribuire ai propri avversari opinioni, che non hanno manifestato
     od assurdità, di cui non sarebbero capaci.»

     «Io non ho negato nulla, non ho detto che in Sicilia non ci sia la
     miseria: non ho detto che non ci siano gli abusi municipali; non ho
     detto che in Sicilia non vi sia una questione dei tributi locali, o
     di contratti agrari. Gli onorevoli Comandini, Farina, San Giuliano
     e Sant'Onofrio, potevano quindi dispensarsi dal manifestare un
     dissenso, che è fondato sopra un semplice malinteso.»

     «Il malinteso deriva da ciò, che essi hanno esaminato la questione
     in modo analitico: ed in molti loro giudizi io consento.»

     «Io ho posto a base del mio ragionamento un concetto logico
     generale, che è il seguente: _se c'è una questione siciliana, è
     necessario che essa abbia cause speciali del luogo. Ho distinto
     perciò le cause efficienti dalle condizionali_.»

Egli fece molte sottili distinzioni in seguito; ma come si potè vedere
continuò a denegare che una _quistione siciliana_ ci fosse. Ma sia lode
alla sua rettitudine: egli non persistette neppure in questa
denegazione, che dovette pesargli sulla coscienza per ben lunghi quattro
mesi, e perciò il 5 luglio interroga solennemente il ministro
dell'interno per sapere se, come e quando intendeva provvedere ai
_bisogni della Sicilia_, ritenendo che fosse necessaria una parola del
governo prima che la Camera si separasse....

Mi sono dilungato sui discorsi dell'on. Nasi perchè egli fu il solo
autorevole a smentire tutti gli oratori che lo avevano preceduto e lo
seguirono, e che non trovandosi di accordo neppure col governo, si creò
una situazione nuova, specialissima.

  [CRISPI E LE COSE FALSE]

Chi infine merita di soffermare l'attenzione è l'on. Crispi, non solo
pel posto che occupava, ma sopratutto per l'autorità, che gli veniva dai
suoi patriottici precedenti, per la simpatia, che ispirava la sua
tragica situazione;--e dico tragica, perchè a nessuno passa per la mente
di negare il suo affetto per la Sicilia, onde gli dovette sanguinare il
cuore nel dovere prendere, come capo del governo, delle dolorose misure.
Ed ispirava ancora simpatia per la singolare energia addimostrata in
momenti gravissimi, in una età nella quale in Italia gli uomini politici
se non materialmente, certo psichicamente sono finiti. E degli sforzi
enormi fisici e morali si risentirono in questa occasione i suoi atti e
sopratutto i suoi discorsi, nei quali si accentuarono non i pregi, ma
gli abituali difetti. La leggerezza e l'assolutismo delle affermazioni
furono veramente eccezionali, e per quanto mi riesca increscioso devo
metterli in evidenza, perchè precisamente a forza di affermazioni recise
e di altrettanto risolute denegazioni--che, dato l'uomo e la sua alta
posizione, pochissimi osarono sospettare poggiate sul falso--la Camera
si formò un concetto assolutamente erroneo sulla situazione e sulle
rispettive responsabilità e votò conformemente all'errore.

Per parte mia sin dal primo iniziarsi della discussione, il 21 febbraio,
con quanta più forza potei, all'annunzio di certe cospirazioni e di
certi pericoli, gridai: _È falso! È falso! È falso!_ E l'on. Crispi
allora solennemente affermò che c'erano _documenti, che avrebbero
schiacciate le mie affermazioni_!

I primi atti, le prime parole e i primi scritti dell'on. Crispi--che M.
Imbriani nella discussione delle leggi antianarchiche paragonò al
convenzionale Fouchet--dimostrarono che egli si era posto su di una
china pericolosa, che doveva percorrere intera, procurandogli le più
amare ed incontrastabili smentite, più che dagli avversarî, dalle
risultanze dei processi e dai fatti indiscutibili.

  [CRISPI E LA SUA VIOLENZA]

La violenza del linguaggio e la esagerazione iperbolica cominciarono a
far capolino nella relazione dell'on. Crispi, che precede il decreto di
proclamazione dello Stato di assedio, nella quale è detto: i moti furono
provocati da _gente dedita ad ogni sorta di delitti; saccheggi, incendî,
rapine si commisero in_ QUASI TUTTI _i comuni dell'isola_. Poi,
considera Molinari e Lombardino come esseri inferiori a Ninco-Nanco ed a
Cipriano La Gala. E supera qualunque aspettativa quando ad un delicato
appello d'Imbriani al suo cuore di padre in favore di Maria De Felice,
risponde: _quella è la figlia di un malfattore_! La Camera riverente,
per non dire servile, verso il presidente del Consiglio rimase
profondamente addolorata di questa risposta... inqualificabile, e
consentì, a proposta di Cavallotti, ch'essa venisse cancellata dal
resoconto ufficiale: la massima censura che può infliggersi ad un
oratore e che venne inflitta all'on. Crispi; il quale voleva esser
punito più severamente dall'on. Agnini, che si oppose alla proposta
Cavallotti, chiedendo che rimanesse constatata nel processo verbale, ad
edificazione dei posteri, la frase che disonorava soltanto chi l'aveva
pronunziata.

  [CRISPI E LE SUE TEORIE]

A questa violenza--che non è energia--e scorrettezza di linguaggio
dell'on. Crispi, fece degno riscontro la enunciazione di certe teorie
illiberali e di certe proposizioni, che dovettero sorprendere e
addolorare gli uomini di scienza e di cuore. Dopo avere
affermato--contro le leggi--che c'è il diritto al ricorso per le
sentenze dei _Tribunali militari_ in tempo di guerra, immemore del
biasimo che colpì l'on. Nicotera per avere indicato l'articolo del
Codice penale che i magistrati avrebbero potuto applicare pei fatti del
1º maggio 1891, augurò, _egli, Presidente del Consiglio_, che la Suprema
Corte di Cassazione respingesse i ricorsi, esercitando con ciò la più
aperta pressione sull'animo dei magistrati, che docilmente respinsero.
Nel Re riconobbe il diritto illimitato di proclamare lo Stato di assedio
in forza dell'art. 5º dello Statuto, che gli conferisce il diritto di
dichiarare la guerra....!

Pose le colonne d'Ercole alla evoluzione politica, annunziando che al di
fuori delle attuali istituzioni non c'è che l'anarchia o il dispotismo.
E arrestò la evoluzione economica e chiuse autorevolmente ogni dibattito
scientifico affermando che abolito il feudo e soppressi i fidecommessi
la proprietà è legittima.--legittimità da lui stesso poi violata colla
proposta di legge sui latifondi di Sicilia--Che il socialismo moderno ha
elevato a scienza il diritto della spoliazione e che il concetto dello
stesso socialismo si avvicina al delitto. Vero è che parlando in tal
modo egli alludeva al socialismo della _piazza_, ma nessuno potè sapere
come distinguerlo da quello di Marx e dall'altro più temperato da lui
stesso preconizzato nel discorso di Palermo del 1886.

  [CRISPI E LA SUA SICURTÀ]

  [SMENTITE INCONTRASTABILI ALL'ON. CRISPI]

Dalla esposizione delle teorie passando alla esposizione dei fatti non
si guadagna in esattezza e in verità. L'on. Crispi garentì che in
Sicilia non c'era miseria; che i moti furono determinati dai _Fasci_;
che l'esposizione di Palermo del 1892 fu una peste, perchè gli operai
del continente in tale occasione importarono nell'isola la propaganda
socialista; che la borghesia con tanti meriti, non aveva che una colpa
sola: l'avere abbandonato le plebi alle sette ed ai preti; che i _Fasci_
avevano promesso la divisione delle terre nel 1894; che i capi del
movimento si erano posti in relazione coi clericali del continente e
collo _straniero_; ch'erano state annunziate una guerra nel 1894, la
invasione del Piemonte, la vittoria di flotte nemiche nel Mediterraneo,
la autonomia siciliana sotto la protezione della Russia, cui si sarebbe
ceduto un porto: che la insurrezione era pronta e lo stato di assedio fu
posto in tempo; che _duemila armati_ percorrevano la Lunigiana e 280
mila socî dei _Fasci_ potevano accoppare i 14 mila uomini di truppa, che
c'erano in Sicilia; che De Felice fu arrestato in flagranza ec. ec. Con
pari esattezza e con altrettanta recisione interruppe me, che parlavo
del processo mostruoso pei fatti di Valguarnera, garentendo che nessuno
in Italia tentava le _bricconate_ da me denunziate, e che i processati
lo erano perchè ritenuti colpevoli, mentre poi il processo innanzi il
Tribunale militare di Caltanissetta giustificò alla lettera le mie
osservazioni. Contraddice formalmente Imbriani e me sulla autenticità
dei fatti di Castelbuono e nega fede alla Giunta comunale, che li aveva
stigmatizzati nella nota sua protesta; ma il Tribunale di Termini
Imerese lo smentisce inesorabilmente, condannando l'autore di quei
fatti, il delegato Breda, a tredici mesi di reclusione. Assicura l'on.
Imbriani, che arbitrî e ingiustizie non se ne commettono e che se i
prefetti e le Commissioni speciali avevano mandato a domicilio coatto i
_pregiudicati ritenuti tali dalla legge di pubblica sicurezza_, ciò era
stato fatto con _ordinanze regolari_ e dopo essere stati esaminati i
fatti della loro vita e la loro condotta; e invece risulta da centinaia
e centinaia di casi, che cittadini onestissimi, mai per lo passato
processati, in nessun modo _pregiudicati_, senza processo, senza
interrogatorio, senza formalità di sorta alcuna vennero arrestati,
ammanettati e condotti nelle isole destinate al domicilio coatto, per
isfogo di vendette personali di sindaci e per semplice furore di
persecuzione e per paura dei delegati, della questura, dei Prefetti,
senza che mai alcuna commissione fosse stata interrogata![78] Assicurò
infine che non occorrevano leggi sociali e speciali per la Sicilia e
dopo pochi mesi si smentisce da sè presentando lo specialissimo disegno
di legge sui latifondi.

  [I DOCUMENTI SCHIACCIANTI DELL'ON. CRISPI]

E veniamo finalmente ai _documenti_, a quei _documenti_, che l'on.
Crispi annunziò che sarebbero riusciti _schiaccianti_ per gli accusati e
per coloro che, come me, difesero questi alla Camera. Sono due: _il
trattato di Bisacquino_ e l'appello rivoluzionario agli _Operai figli
del Vespro_.

Non ho bisogno di ripubblicare il _trattato di Bisacquino_, di
umoristica memoria, di cui mi occupai nel capitolo sul _processo
mostruoso_. In quel _trattato_ erano contenute le notizie per le più
terribili accuse contro i _Fasci_ e contro i socialisti, me compreso.
Quale il valore di esso risultò dal processo: l'avvocato Fiscale lo
ripudiò formalmente e si sentiva umiliato, come di un tentativo di
volgere in ridicolo il processo, ogni volta che accusati e difensori vi
accennarono. Ma quando l'on. Crispi prestò fede al _trattato di
Bisacquino_, si dirà che non gli erano note le risultanze del processo.
Ebbene, fu proprio durante il processo che l'avv. fiscale Soddu-Millo
annunziò all'on. De Felice, che nell'ottobre 1893 il sotto-prefetto di
Corleone non ritenne degno di essere mandato alle autorità superiori il
documento, che si deve alla fervida immaginazione di qualche spia e più
probabilmente di qualche burlone, che lo dette come oro di coppella al
delegato di Bisacquino. Il grottesco, l'inverosimile di quella
fantasticheria, come la chiamò l'avv. fiscale, che apparvero evidenti ad
un umile sotto-prefetto, non trasparirono menomamente innanzi agli occhi
del Presidente del Consiglio.....?

  [IL FIRMATISSIMO DELL'ON. CRISPI]

Il secondo documento, ch'è passato alla storia sotto il nomignolo di
_firmatissimo_, ha una origine più scellerata e più comica ad un tempo e
servì a fini iniqui, e l'avervi prestato fede, e ancora di più l'aver
mentito dichiarandolo _firmatissimo_ costituisce una delle grandi
vergogne per l'on. Crispi.

A dimostrare quale importanza egli vi annettesse riproduco integralmente
il brano del discorso da lui pronunziato alla Camera dei Deputati, il
giorno 28 febbraio; di quel discorso in cui si valse--precipuamente a
falsare l'opinione della Camera e del paese a danno dei _Fasci_, e di De
Felice e degli altri compagni--dei due cennati documenti. Dopo avere
esposto il contenuto del _trattato di Bisacquino_, che fu accolto,
secondo il resoconto ufficiale degli atti parlamentari, da _commenti
vivissimi_, l'on. Crispi aggiunse:

     «A dare un concetto dei proclami che si spargevano nei Comuni, ve
     ne leggerò uno solo che vale per tutti. (!)

     «Operai! Figli del Vespro: Ancora dormite? Corriamo al carcere a
     liberare i fratelli! Morte al Re, agli impiegati. Abbasso le tasse.
     Fuoco al municipio e al casino dei civili. Evviva il fascio dei
     lavoratori! Quando le campane della Matrice e del Salvatore
     suoneranno, assieme corriamo armati al castello, che tutto è pronto
     per la libertà.»

     «Attenti al segnale!» (_Impressione._)

     Prampolini. È firmato?

     Crispi, _presidente del Consiglio_. È firmatissimo! (_Ilarità_).

     C'è anche il nome del Comune. Tutto risulterà dal processo.»

Or bene: è falso che quell'appello sia stato sparso nei comuni
dell'isola; è falso che sia stato pubblicato e letto da qualcuno, meno
che dal suo autore, da un delegato di P. S. e dai magistrati che se ne
occuparono; è falso che fosse nonchè _firmatissimo_, neppure...
_firmato_. Di vero non c'è che il nome del Comune in cui venne
manipolato. Ma eccone la storia, che rappresenta un breve intermezzo
comico-erotico, in questo dramma siciliano dai tragici episodî, che in
un paese di uomini liberi avrebbe abbattuto il ministro.

  [LA STORIA DI UN "DOCUMENTO"]

In Petralia Soprana--provincia di Palermo--c'era un disgraziato vice
cancelliere di pretura perdutamente innamorato della moglie di un agiato
pastaio del luogo, certo Alessi. La donna, tanto bella quanto onesta,
aveva replicatamente respinto le profferte del vice-cancelliere; il
quale nel suo furore erotico arrivò a minacciarla di ridurla in
condizioni da doverglisi dare a discrezione. E l'immondo satiro ricorse
ad un diabolico mezzo: scrisse il manifesto agli _operai figli del
Vespro_--il manifesto _firmatissimo_,--e lo mandò per posta allo
indirizzo del marito della sua amata, l'Alessi; poi con una lettera
anonima denunzia lo stesso Alessi alle autorità del luogo come uno dei
promotori più pericolosi dei disordini, e in prova della realtà del
fatto denunziato avvisa che proprio in quel giorno allo Alessi doveva
arrivare per la posta un manifesto rivoluzionario. In questa guisa il
vice-cancelliere sperò fare arrestare l'incomodo marito e avere nelle
sue braccia la moglie.

Si era nel periodo più acuto dei tumulti, e le autorità di Petralia
Soprana credettero di salvare la patria, corsero alla posta,
sequestrarono la lettera indirizzata all'Alessi, e in base al manifesto
rivoluzionario sequestrato procedettero al suo arresto. A questo punto
la moglie dell'Alessi intravvede le trame inique e denunzia tutto alle
stesse autorità, che onestamente e rapidamente ripararono al mal fatto
arrestando il vice-cancelliere; il quale confessò tutto, cercando di
scusarsi con la follia amorosa.

Pochi mesi dopo il vice cancelliere di Petralia Soprana venne condannato
dal Tribunale di Termini Imerese come autore del manifesto
_firmatissimo_ a tre anni di reclusione....

  [COME SI STRAPPARONO I VOTI ALLA CAMERA!]

E qui mi fermo senza commentare ulteriormente questi indecorosi
documenti, in base ai quali si strapparono voti iniqui alla Camera dei
deputati; mi fermo, perchè dovrei adoperare roventi parole contro l'on.
Crispi, del quale non si può abbastanza deplorare la... leggerezza.

Lo stesso on. Crispi, il 9 Marzo, discutendosi la domanda di
autorizzazione a procedere contro l'onorevole De Felice, dopo che da me
era stata fatta la storia del _firmatissimo_, osò continuare a prestarvi
fede ed uscì in queste dichiarazioni testuali:

     ... «Si oppugnò _a torto_ un documento del quale vi diedi lettura:
     e _che, del resto, non è il solo, perchè ne ho qui molti altri più
     importanti di quello, che per prudenza e per sentimento di
     giustizia non volli leggere_. Se li avessi letti, sarei stato fatto
     segno all'accusa di voler pesare, con la mia parola, sopra atti
     dell'autorità giudiziaria, la cui indipendenza voglio resti
     impregiudicata.

     ..... «In altra occasione, quando i processi saranno terminati,
     dirò tutto, e _meraviglierò_ anche la Camera con la storia degli
     avvenimenti siciliani. Allora gli interruttori potranno sfogarsi a
     lor guisa, _imperocchè non ci sarà più pericolo per gl'imputati_.»

  [LA MAGNANIMITÀ DELL'ON. CRISPI]

La tenerezza dell'on. Crispi per gl'imputati in quella occasione fu
appresa come un prodigio incredibile; che dire poi del suo delicatissimo
riserbo di non voler leggere _i molti altri documenti più importanti_,
dopo che ne aveva letti due, che riteneva i più gravi, e che erano
falsi? Che dire di un riserbo che... dura tutt'ora, quando i processi
sono finiti e la pubblicazione dei documenti, che dovranno
_meravigliare_ la Camera, potrebbe essere fatta senza pericolo per
gl'imputati, che per dodici, per sedici, per diciotto anni sono al
sicuro... nelle sinistre celle dei varî penitenziari d'Italia? Ed è da
sperarsi, che l'on. Crispi li verrà a leggere alla Camera, non essendo
stati letti nei processi, a difesa del proprio decoro e della propria
serietà, onde il paese apprenda che per davvero l'on. Crispi fu generoso
verso gl'imputati, non avendo voluto dare al magistrato documenti che
avrebbero potuto aggravare le pene alle quali furono condannati e che
forse li avrebbero potuto far condannare a morte da un Tribunale
militare che punisce con un Codice in cui la pena di morte è
conservata...

Pervenuta al termine la discussione sui casi di Sicilia, e venuti in
luce i fatti, le accuse e i documenti che le suffragavano, tutti si
attendevano che il governo fosse venuto a chiedere un _bill
d'indennità_--che in Inghilterra e dovunque c'è regime costituzionale,
si ritenne sempre indispensabile dopo la sospensione delle guarentigie
costituzionali, anche quando la medesima sia stata ordinata con legge
del Parlamento--_bill d'indennità_, che, secondo il Majorana, ha un
doppio carattere: _giuridico_, al fine di togliere qualunque azione
possa spettare ai cittadini per tutte le violazioni di leggi comuni e
statuti normali in cui il governo sia incorso; _politico_, per fare
sanzionare l'opera di questo dal sovrano sindacato parlamentare.

Molti, anche avversarî del Ministero presieduto dall'on. Crispi, tenendo
conto delle eccezionalità dei casi e della bontà delle intenzioni, erano
disposti a concedere detto _bill d'indennità_.

L'on. Ambrosoli in nome della _destra_ pure lo accordava, chiedendo,
però, che una legge, a somiglianza della francese, regolasse lo Stato di
assedio; accordavalo l'on. Martini in nome del centro sinistro, negando
un voto politico e chiarendo erronei i precedenti invocati dall'on.
Crispi, e voleva darlo l'Arcoleo, pur ritenendo--egli professore di
diritto costituzionale--che fosse quasi incompatibile lo Stato di
assedio con la ordinaria funzione del Parlamento.

E il meno che poteva fare il Presidente del Consiglio, a propria
giustificazione, si era di convocare il Parlamento, dopo la violazione
dello Statuto o di tutte le leggi durante lo Stato d'assedio, per
chiedere il _bill d'indennità_.

  [L'ON. CRISPI RESPINGE UN "BILL D'INDENNITÀ"]

Questo avrebbe dovuto e potuto bastare a qualunque Ministro ed a
qualunque Ministero, ma l'onorevole Crispi, disse l'on. Imbriani,
respinse per alterigia abituale il _bill d'indennità_ e chiese un voto
politico esplicito, che ne approvasse la condotta e stabilisse che tutto
era proceduto conforme a legge. Ciò sembrava enorme e contrario a tutti
i precedenti parlamentari, anche italiani, e si ricordava come in altri
tempi si giudicò temerario l'on. Nicotera, che _bill d'indennità_
chiedesse per ciò che aveva fatto nella stessa Sicilia; ed aveva fatto
assai di meno e di meno peggio dell'on. Crispi (_Zini_ op. cit. p. 47 e
48). Altri tempi!

Ora, la Camera dette ragione al Presidente del Consiglio, eliminò il
_bill d'indennità_, e con 342 voti favorevoli contro 45 contrarî e 22
astensioni approvò quest'ordine del giorno presentato dell'on. Damiani e
accettato del governo:

     «La Camera, approvando l'azione del Governo, diretta alla tutela
     della pace pubblica, confida ch'esso saprà definitivamente
     assicurarla con opportuni provvedimenti legislativi, e passa
     all'ordine del giorno.»

La enorme maggioranza, che approvò la condotta del governo non lasciava
luogo a sperare--nella sua resipiscenza nella grave quistione che le
venne innanzi il giorno 8 Marzo--per la autorizzazione a procedere
contro l'on. De Felice e per la convalidazione del suo arresto.

  [LA CAMERA]

Qui erano in giuoco le prerogative della Camera, delle quali, dal 1848
in poi, essa si era mostrata sempre gelosa. Ma a nulla valsero le
osservazioni di Cavallotti, di Barzilai, di Imbriani, di Sacchi, di
Altobelli, di Merlani, mie e dello stesso Palberti, ch'era relatore
delle Commissione nominata dagli ufficî della Camera dei Deputati per
esaminare la domanda di autorizzazione a procedere presentata dal Regio
Procuratore presso il Tribunale di Palermo.

  [NULLA VALLE PER ESSA]

Non valse che io dimostrassi che le accuse si fondavano sopra documenti
ridicoli come il _trattato di Bisacquino_, o infami come il
_firmatissimo_; che lo stesso Procuratore del Re, costatando la lunga
lotta in seno del _Comitato dei Fasci_ alla vigilia della proclamazione
dello Stato d'assedio, escludeva implicitamente l'azione dello stesso
Comitato e dell'on. De Felice nei moti di Sicilia; che lo stesso
pubblico accusatore non avesse potuto dimostrare un sol caso di azione
diretta del rappresentante per Catania nei tumulti; che aveva torto
l'on. Palberti ad ammettere la esistenza di depositi di armi vecchie e
nuove sulla semplice assicurazione del questore Lucchese. Non valse che
l'on. Sacchi collo esame della corrispondenza tra l'on. De Felice e il
Cipriani--il cavallo di battaglia del processo e dell'accusa di alto
tradimento--avesse luminosamente provata la inesistenza dei _mezzi_
idonei per provocare la rivoluzione. Non valse che l'on. Barzilai avesse
esposto i casi numerosi (Luzzi, Carbonelli, Costa, Francica, Bonajuto,
Dotto ec.) nei quali la Camera, contro il parere dell'on. Palberti e
della maggioranza della Commissione di cui era relatore, era entrata nel
_merito_ della domanda di autorizzazione a procedere. Non valse che lo
stesso on. Sacchi avesse ricordato il parere del più grande e autorevole
commentatore delle leggi inglesi, il Blackstone, sulla prerogativa
parlamentare, che la Camera inglese non volle mai definita da leggi
speciali affinchè, di caso in caso essa ne facesse quell'uso che nel suo
sovrano apprezzamento le sembrasse conveniente; a nulla valsero tanti
sforzi: la Camera accordò l'autorizzazione a procedere perchè il governo
la voleva.

La lotta della quistione dell'autorizzazione a procedere passò in
terreno ancora più favorevole ai difensori dell'on. De Felice quando si
discusse della convalidazione dell'arresto. Rammentò opportunamente
l'on. Imbriani, che nel 1848, quando fu eletto deputato Didaco
Pellegrini, nella Camera, appena se ne pronunziò il nome, alcuni
deputati si alzarono per domandare se fosse già stato messo in libertà,
trovandosi in carcere il Pellegrini sotto accusa di Stato. Il Ministro
Pinelli riconobbe il diritto della Camera ed immediatamente ordinò la
escarcerazione. Tali nobili e liberali tradizioni del Parlamento
subalpino non esercitarono influenza sulla Camera del 1894.

  [ESSA TUTTO CONCEDE AL GOVERNO]

Se altra volta si era ordinata la liberazione di chi era stato eletto
mentre era in prigione, ora si violava evidentemente l'art. 45 dello
Statuto arrestando il De Felice, mentre era deputato. Vero è che lo
stesso articolo sottrae dalla prerogativa il caso della flagranza; ma
questa derogazione, osservò l'on. Barzilai, ha la sua ragione potente:
nel caso della flagranza l'evidenza della prova distrugge ogni sospetto
di un arbitrio, di una ingerenza indebita a danno del deputato. Ora, a
danno dell'on. De Felice, erano evidenti non la flagranza--che nessuno
seppe dimostrare e che l'on. Palberti tanto condiscendente verso il
governo ridusse alla _quasi_ flagranza e alle _considerazioni di
convenienza politica_,--ma l'arbitrio e la ingerenza indebita del
governo per odiosi e partigiani motivi politici; per quei motivi, che
appunto hanno fatto consacrare nello Statuto la prerogativa parlamentare
dell'art. 45!

Se c'era un caso, adunque, in cui la escarcerazione avrebbe dovuto
ordinarsi ai sensi di quell'articolo era proprio questo dell'on. De
Felice. E indarno l'on. Cavallotti su questa questione della prerogativa
parlamentare provò che la giurisprudenza costante della Camera e il voto
di due commissioni solenni--quella del 1855 e l'altra del 1870--di cui
facevano parte il senatore Cadorna, Valerio, Mancini, Biancheri, davano
completa ragione all'on. De Felice e mostravano che i nemici dello
Statuto, dei plebisciti e delle leggi, gli adulteratori della storia
erano al banco dei ministri; indarno! La Camera che nel 1869, tenera
delle proprie prerogative, non volle ammettere la flagranza a danno
dell'on. Majorana Cucuzzella accusato di assassinio e accettò la divisa
della sua Commissione: _in dubiis pro libertate_; nel 1894 la riconobbe
in odio all'on. De Felice accusato di reato politico.

  [SENZA CORAGGIO]

Concessa l'autorizzazione a procedere; riconosciuta la flagranza, e
convalidato perciò l'arresto dell'on. De Felice, si sperava infine che
la Camera non si volesse coprire di vergogna riconoscendo la
_retroattività_ dei Tribunali di guerra, sanzionando la più iniqua ed
erronea violazione delle leggi e dello Statuto. Era lecito sperare, che
la Camera a questo punto si sarebbe arrestata sulla china vergognosa
delle concessioni, e del proprio esautoramento; perchè il relatore
onorevole Palberti in nome della Commissione--in maggioranza composta di
amici del governo--aveva affermata manifestamente la propria ripugnanza
ad arrivare sino a quel punto. Ma l'on. Palberti affermava il principio,
la teoria, esprimeva il desiderio; però non osava formulare recisamente
la proposta per ottenere che l'on. De Felice venisse sottratto alla
illecita giurisdizione dei Tribunali militari, e si limitò a sperare
nella equanimità del governo e sperò eziandio, che su questa quistione
il governo si sarebbe astenuto, disinteressandosene, come aveva fatto
sempre pel passato in tutte le quistioni, che toccano i diritti e le
garenzie del Parlamento. Ma egli stesso dovette riconoscere che le sue
speranze furono una illusione e dovette sentirsi dire dall'on.
Cavallotti non essere giusto, non essere bello dimostrare che una cosa è
iniqua e non avere il coraggio di proclamarlo.

  [SCRUPOLI LOIOLESCHI]

D'onde la incertezza e la condotta fiacca dell'onorevole Palberti e
della Commissione? Dal timore e dallo scrupolo d'invadere il campo
della magistratura, di preoccuparne le decisioni e di sollevare anche un
conflitto tra la Camera dei Deputati e la Corte di Cassazione; poichè in
quei giorni si attendeva la decisione della Suprema Corte sui ricorsi
contro la competenza dei Tribunali militari, e si trovava sconveniente
da un lato indicare alla medesima la via da battere; e dall'altro non si
sapeva trovare una uscita corretta nel caso che il giudicato della
Cassazione riuscisse contrario al voto della Camera dei deputati.

Quanto poco valore dovessero avere quegli scrupoli lo dimostrò lo stesso
on. Palberti, che cortesemente rimproverò al guardasigilli la pressione
esercitata sull'alta magistratura, annunziando lui la risoluzione che
esso avrebbe dato al difficile quesito che le era stato sottoposto. Così
era lecito al governo venir meno ai riguardi dovuti alla suprema
magistratura per farle commettere una enorme iniquità; ma la Camera,
doveva usare tutti i riguardi verso la prima e rinunziare ai propri
diritti e alle proprie prerogative in danno di una causa giusta!

Che la decisione della Camera non potesse nè invadere il campo della
magistratura, nè lederne i diritti, nè menomarne la indipendenza, nè
sollevare conflitti colla medesima ce lo apprese la sentenza della
stessa Corte di Cassazione nel ricorso De Felice e C., nella quale si
riconobbe che essa non si permetteva di entrare in apprezzamenti di
indole politica, sull'alta ragione di Stato che aveva potuto consigliare
lo Stato d'assedio con tutte le sue conseguenze, e che lasciava di
giudicarne alla competente autorità politica, cioè al Parlamento, che
se n'era rimesso alla Cassazione! Da Caifas a Pilato...

E così la Camera dette l'ultimo passo sulla via dell'approvazione degli
arbitri sterminati, e accettando i comodi ed onesti scrupoli dell'on.
Palberti, lasciò che governo e Cassazione vedessero loro in quanto alle
competenze dei _Tribunali militari_; e l'una e l'altra provvidero... nel
modo conosciuto.

  [UNA FARSA INDEGNA]

Tutto questo era fatto per rattristare profondamente l'animo di coloro
che amano la libertà e che vorrebbero vedere l'Italia procedere per le
vie della rettitudine in politica e nel delicatissimo campo della
amministrazione della giustizia; ma la Camera e il governo nello stesso
giorno in cui si passava sopra a tutte le illegalità e le enormezze
commesse in Sicilia, recitava una farsa che destava una nausea
invincibile: nel giorno 9 marzo infatti, dopo avere emesso
l'autorizzazione a procedere contro l'on. De Felice, averne convalidato
l'arresto e consentito che venisse sottratto ai giudici naturali e
sottoposto ai Tribunali militari, con una ipocrisia veramente fenomenale
respinse due altre domande di autorizzazione a procedere contro lo
stesso on. De Felice per due discorsi-reati pronunziati a Pedara e a
Casteltermini, e che formavano parte integrale dell'accusa che lo
condusse innanzi al Tribunale di Palermo e da questo alla reclusione per
diciotto anni...

Due cose in questa farsa indegna furono notevoli: la generosità dell'on.
Crispi che dichiarò disinteressarsi di queste due altre domande di
autorizzazione a procedere e la premura delicatissima dell'on.
Canegallo, che volle si sapesse dalla Camera e dal paese che esso in
seno alla Commissione, contro la maggioranza, aveva votato in favore
della concessione. All'uno e all'altro la corona civica non dovrebbe
mancare.

Verso la Camera dei deputati fui severo nel libro _Banche e Parlamento_,
esaminandone la condotta e la responsabilità nelle quistioni degli
scandali della Banca Romana e in quella della legge sul riordinamento
degli istituti di emissione; non potrei essere altrettanto severo in
questa occasione dei casi di Sicilia, quantunque non siano stati meno
ingiusti e meno esiziali alla vita pubblica italiana i voti dati secondo
le richieste e la volontà del governo.

  [PERICOLI DI CIÒ CHE SI CREDETTE RIMEDIO]

Non mancarono i deputati servili, quei deputati che furono in altri
tempi fieramente flagellati dall'onorevole Crispi, che votarono
favorevolmente al governo per l'abituale servilismo che li distingue per
motivi non nominabili; ma giustizia vuole che io dica che molti altri,
pur addolorati dello strazio fatto dello statuto e delle pubbliche
libertà, approvarono l'opera del governo sotto l'incubo di
preoccupazioni di ordine politico elevatissimo. In molti infatti era
sincera la convinzione che gli eccessi commessi dal governo dell'on.
Crispi, fossero una dolorosa necessità non solo per ristabilire l'ordine
pubblico, ma anche per conservare l'integrità della patria! Essi che
avevano un'idea iperbolica della entità dei pericoli corsi dell'Italia,
guardarono al successo rapido e immediato del governo e ne rimasero
ammirati senza guardare ai mezzi adoperati per ottenerlo. Invece, i
mezzi sinora adoperati creano pericoli veri, e servono soltanto alla
reazione bieca, che tanto più impunemente e sicuramente se ne giova in
quanto che all'ombra del vecchio patriottismo e della qualità di
siciliano dell'on. Crispi molte forze vive che avrebbero potuto opporre
una diga o sono state neutralizzate anch'esse dalla paura
dell'immaginario pericolo corso, o rimasero inerti perchè non sanno
ribellarsi a chi considerarono per tanti anni come capo ed amico e che
oggi riprovano in fondo dell'animo loro senza avere il coraggio di
rendere palese il proprio pensiero.

Conosciuto il movente del successo parlamentare ed anche
extra-parlamentare dell'on. Crispi, mi rimane l'ultimo compito
increscioso: esaminare se esso rispondeva al vero e completare l'esame
obbiettivo coi confronti storici invocati dall'on. Crispi a
giustificazione della sua azione e ridotti alle loro giuste proporzioni,
cioè a nulla, dagli on. Cavallotti, Altobelli, Comandini ecc.

  [LE GIUSTIFICAZIONI DEL GUARDASIGILLI]

Che il pericolo in Sicilia per la integrità della patria fosse grande,
più volte l'on. Crispi lo dichiarò, e fece comprendere che dell'ordine
stabilito gli si doveva tanta se non maggiore riconoscenza quanto della
spedizione liberatrice dei Mille. Il fatto, dall'on. Guardasigilli si
tentò di giustificare con quella teoria di diritto pubblico, che ritiene
legittimi lo Stato di assedio e le misure eccezionali a difesa della
esistenza dello stato, come legittima ogni violenza si riconosce negli
individui a difesa della propria esistenza. (Seduta della Camera dei
Deputati del 28 Febbraio 1894).

  [BLUNTSCHLI E HOLTZENDORFF]

Gli epigoni completarono l'accenno del Ministro Calenda dei Tavani
facendosi forti dell'autorità di Bluntschli, che nei seguenti termini ha
formulato tale teoria: «In tempo di guerra o di _sedizione_ la
istituzione del Consiglio di guerra, può essere una pubblica necessità
per la salute dello Stato. Quando si tratta di salvare lo stato e la
salvezza non è possibile senza violare i diritti dei privati od anche di
tutta una classe della popolazione, allora il governo non può e non deve
per risparmiare quella, far perire questo, ma deve anzi far tutto ciò
ch'è necessario alla conservazione colla salvezza dello stato. Su di ciò
si fonda il cosidetto potere eccezionale, il diritto di _necessità del
governo_, che corrisponde al diritto di _necessità del popolo_.»

Nell'applicazione, questa teoria s'infrange di fronte alla quistione
della misura e della opportunità di invocarla; poichè chi governa è
sempre tentato di ricorrervi ad ogni difficoltà che incontra e che tanto
più facilmente vi ricorrono gli uomini impari alla situazione. Il primo
venuto, diceva Cavour, può governare collo stato di assedio!

Cavour in Italia non fa più scuola, è quasi considerato come un
anarchico; i Tedeschi invece, sono di moda--s'intende, non quelli della
democrazia sociale--e ad un Tedesco, perciò, ad un professore e
Consigliere aulico me ne appellerò per mostrare le enormità di tale
teoria e i pericoli, che si annidano in seno della medesima. A
Bluntschli contropporrò Holtzendorff. Il quale osserva: che non c'è
illegalità, non c'è attentato contro il diritto, che non si possa
_dorare_ sotto il pretesto dell'interesse dello stato. «Questa teoria
del bene pubblico, colla sua pericolosa massima: _salus publica suprema
lex est_, non offre alcuna base per la politica pratica... In nome di
tale teoria ci fu un governo--non tedesco--che proibì l'uso dei
fiammiferi, perchè facevano aumentare gl'incendî e in alcune parti
della Germania non si permise ai contadini la danza più di tre volte in
un anno per impedire la demoralizzazione!»

Lo stesso compianto professore dell'Università di Monaco, elevandosi in
una sfera ancora più generale e più nobile, raccomandò quasi
quell'azione cosidetta sovversiva presa oggi di mira da coloro che
operano e legiferano in nome della salute della patria, scrivendo: «nei
codici penali si perpetua il pensiero, che i sentimenti dei cittadini
devono essere regolati e ordinati da parte dello stato e che
_l'eccitamento all'odio e al disprezzo stesso delle cose e delle
istituzioni odiose e spregevoli_ merita tutti i rigori della legge.

«Alcuni Stati, che si dicono cristiani e tedeschi, obbliarono, sotto
pretesto del bene pubblico, che l'apostolo condanna in nome della morale
il fatto di non sapere odiare ciò ch'è male.» (_Principes de la
politique_ p. 116, 117 e 119).

Non si direbbe che queste parole dello scienziato tedesco siano state
scritte a difesa di coloro, che furono accusati di _eccitamento
all'odio_ di ciò ch'era odioso e spregevole, del male, cioè: della
oppressione dei lavoratori siciliani?

  [ROYER-COLLARD]

Ma questa teoria non riesce semplicemente pericolosa ai cittadini, i cui
diritti sono esposti all'arbitrio del governo; ma spesso riesce
pericolosa al governo stesso, che la invoca; poichè il Royer-Collard--un
altro pericoloso anarchico!--tanti anni fa ricordava, che le leggi
eccezionali sono come i prestiti ad usura: presto o tardi chi se ne
serve si rovina completamente. Già lo stesso Bluntschli parlò di un
_diritto di necessità del popolo_, che sta di fronte e limita il
_diritto di necessità del governo_ e che corrisponde al _diritto sopra
costituzionale_ dell'Hallam. Quando il governo ricorse alle violenze
delle leggi di eccezioni, come si fece sotto Carlo X colle ordinanze di
luglio, e sotto Luigi Filippo colla proibizione dei banchetti
parlamentari, il popolo rispose colle barricate e vinse. I casi della
Francia si sono ripetuti e si potranno ripetere altrove...

  [CRISPI E LA "SALUS PATRIAE"]

Ciò premesso sul conto della teoria e dei suoi possibili risultati,
brevemente si dica della opportunità della invocazione della _salus
patriae_, poichè se essa fu opportuna realmente tutto il resto cade e
l'opera dell'on. Crispi--quali che abbiano potuto essere gli eccessi, le
violenze e gli arbitri contro i cittadini e quanto abbia potuto essere
la manomissione delle leggi e delle pubbliche libertà, rimane
giustificata e rimane come un suo titolo di gloria; e s'intende che lo
esame non va fatto dal punto di vista di coloro che vorrebbero mutato
l'ordinamento politico-sociale attuale dello stato, ma dal punto di
vista strettamente legale della conservazione delle vigenti istituzioni.

Esisteva realmente il pericolo della integrità della patria? Lo affermò
il _trattato di Bisacquino_, e coloro che si valsero di quel documento
oggi se ne vergognano e lo ripudiano.

  [UN ESERCITO... DI NUMERI]

Esisteva il pericolo per le istituzioni? È strano che lo si abbia
trovato in dimostrazioni e tumulti avvenuti al grido di: _Viva il Re!_
quando si portarono in giro i ritratti dei Sovrani; quando affermavasi
che il governo guardava con simpatia ai dimostranti, stanco com'era di
vederli opprimere dalle consorterie locali e dall'egoismo dei grandi
proprietari; quando si sperava che il figlio del Re e lo stesso on.
Crispi sarebbero venuti a capitanarli--Questa la voce, che correva a
Palma Montechiaro. E furono precisamente le sentenze dei _Tribunali
militari_, che constatarono l'assenza di ogni carattere politico nei
moti, che essi furono destinati a punire. C'erano forze incoscienti ma
organizzate, che a momento opportuno avrebbero potuto essere adoperate
dai malintenzionati ai loro fini sovversivi, volgendo a loro benefizio,
la ingenuità stessa dei tumultuanti? I famosi 300,000 soci dei _Fasci_
erano un esercito sulla carta; esercito immaginario non solo, ma inerme
assolutamente, privo di qualunque mezzo per l'attacco o per la
resistenza.[79] E furon gli stessi _Tribunali militari_, osserva l'on.
Prof. Lucchini, a ridurre a proporzioni ridicole il _pericolo_, che li
fece sorgere! E che il pericolo fosse insussistente risulta, infine, da
un dato di capitale importanza; l'on. Comandini ripetè nella Camera dei
deputati ciò che aveva pubblicato nel _Corriere della sera_, senza che
nessuno lo smentisse e cioè: che lo stesso generale Morra il 3 gennajo
1894 neppur lui avesse ritenuto opportuna, necessaria la proclamazione
dello Stato di assedio e che _aveva ceduto alle insistenze del potere
centrale_; il quale, era assediato e ipnotizzato in Roma, dai campioni
della reazione.

La insussistenza del pericolo, la inopportunità della invocazione della
_salus patriae_ e dei conseguenti provvedimenti eccezionali e la
mancanza di misura nell'uso dei medesimi, risultano meglio e con
maggiore evidenza dal confronto tra i casi recenti di Sicilia e gli
altri nei quali il regno Sardo prima e il regno d'Italia dopo, per
motivi politici e sociali, si trovarono in condizioni di invocare tale
massima.

  [QUEL CHE SI FECE A GENOVA NEL '49]

Nel 1849, lo Stato di assedio viene proclamato a Genova. Le cause che lo
determinarono erano assai più gravi di quelle di Sicilia. Da un lato
c'era la guerra collo straniero, coll'Austria; dall'altro c'era una
grande città, che fatta la rivoluzione si era proclamata repubblica e si
era distaccata dal Piemonte. Genova aveva già un governo nemico a quello
che sedeva a Torino; aveva forze organizzate, che opposero resistenza, e
la città si dovette bombardare e prendere di assalto. La proclamazione
dello Stato di assedio era legale, perchè il Parlamento il 29 luglio
1848 aveva dato i pieni poteri al governo con una legge, nella quale
però si diceva: _salve le guarentigie costituzionali_. C'era nulla di
simile in Sicilia nel 1894? Eppure il generale Lamarmora, i cui poteri
erano assai più legittimi di quelli del generale Morra, nel suo proclama
accennò alla _possibilità_ dei Tribunali militari; ma non li istituì, e
allora forse potevasi parlare di un nemico col quale si era in guerra!

  [A SASSARI NEL '52]

Nel 1852, Sassari insorge e vi si proclama lo Stato di assedio; due
eserciti stanno di fronte: la guardia nazionale da un lato e il regio
esercito stanziale dall'altro. Eppure non furono soppressi i magistrati
ordinarî, non furono istituiti i tribunali militari! Di più: il ministro
dell'interno Pernati fece alla Camera dei deputati queste
dichiarazioni--opportunamente ricordate dall'on. Altobelli--che suonano
aspra rampogna all'on. Crispi. Il ministro sostenne di non avere avuto
bisogno di farsi autorizzare dal Parlamento per proclamare lo Stato di
assedio perchè non aveva violato lo statuto e soggiunse:

     «Ma diverso sarebbe il caso della sospensione dell'articolo 71
     dello Statuto, che garentisce la libertà individuale in guisa che
     nessuno può esser sottratto ai suoi giudici naturali. _Se dunque
     una dichiarazione di stato d'assedio assorbisse il potere
     giudiziario, e lo concentrasse in altra autorità, egli è certo_ CHE
     SI TOCCHEREBBE ALLO STATUTO. _In tal caso il Governo dovrebbe
     chiedere_ PREVENTIVAMENTE _l'assenso del Parlamento_, od almeno,
     qualora _l'urgenza_ lo costringesse ad agire senza indugio,
     _dovrebbe riferire, in seguito, il suo operato al Parlamento per la
     convalidazione, e per avere un_ BILL _d'indennità_.»

  [IN SICILIA E NAPOLI NEL '62]

Nel 1862, lo Stato di assedio viene proclamato in Sicilia e nel
Napoletano. Perchè? Un esercito meridionale era risorto al di fuori
dell'autorità del governo e contro gli ordini espressi del Capo dello
Stato. Quell'esercito era capitanato da Garibaldi e provocava diserzioni
numerose nelle fila dell'esercito; il potente vicino impero francese
esigeva che si arrestasse la marcia su Roma. Qualche imprudente ha detto
che ogni paragone tra Garibaldi e De Felice--tra l'esercito dei
volontari che volevano la liberazione di Roma e i tumultuanti che
volevano la liberazione dalle tirannidi locali e il miglioramento
economico--era impossibile. Sia. Eppure l'ente governo, sempre disposto
ad abusare del _salus patriae_, trattò alla stessa stregua i nemici del
1862 e quelli del 1894; chiamò tutti disfacitori dell'Italia e ribelli.
E quelli la cui missione viene ora dichiarata più nobile furono puniti
più severamente e più iniquamente: la ferita di Aspromonte e i fucilati
di Fantina ne fanno fede. Ad ogni modo la misura del pericolo nel
1862--e lo stesso si potrebbe dire pel 1867, quando l'esercito dei
volontari con Garibaldi si rimise in marcia verso Roma e venne arrestato
a Mentana--non era identica a quella del 1894, e l'uguaglianza del
provvedimento, perciò, rimane ingiustificabile. Ed uguale rimane la
protesta in Parlamento; sulla quale Cavallotti osservò:

     «Pigliate i resoconti di quella memoranda discussione su
     l'interpellanza Boncompagni: al banco del Governo, al posto di
     Rattazzi, mettete Crispi; poi qui all'estrema, al posto del
     Nicotera d'allora, mettete Bovio; al posto di Mordini, mettete
     Colajanni; al posto del perpetuo e violento interruttore di allora,
     ch'era l'onorevole Crispi, mettete Imbriani, (_Ilarità_) e voi
     avrete la discussione di quei giorni, completamente,
     fotograficamente riprodotta.»

  [NELLE PROVINCIE MERIDIONALI]

Nel 1863-64, provvedimenti eccezionali vengono presi per le provincie
meridionali.

     «Allora sì, fu un momento per l'Italia ben più grave, ben più scuro
     di adesso. Era il momento in cui il brigantaggio infuriava per
     tutto il Mezzogiorno: non i quaranta o cinquanta o cento matti
     della Lunigiana, ma bande organizzate di briganti scorazzavano
     tutto il Mezzodì, assalivano e uccidevano i nostri soldati,
     entravano da conquistatori nelle terre e nei paesi. Era la guerra
     civile nel vero, terribile senso della parola, che aveva qui in
     Roma il suo quartiere generale; da qui il re di Napoli dirigeva le
     mosse, nominava i capitani; da qui la reazione mandava i denari. Ci
     poteva essere un caso più grave, nel quale il governo fosse tentato
     per la _salus reipublicae_ di procedere per mezzi spicci, rigorosi,
     terribili? Ebbene, il Governo venne innanzi al Parlamento, e, come
     l'urgenza cresceva, si stralciarono, per far presto, dal progetto
     di legge per la repressione del brigantaggio pochi articoli che il
     Parlamento discusse e votò, e che formarono la legge Pica.»

     «Che cos'era questa terribile legge? Il suo primo articolo diceva
     questo solo: «Fino al 31 dicembre nelle Provincie infestate dal
     brigantaggio e che tali saranno dichiarate con Decreto Reale, i
     componenti comitiva o banda armata di almeno tre persone che vada
     scorrendo le pubbliche strade o le campagne, per commettere crimini
     o delitti, saranno giudicati dai tribunali militari di cui nel
     libro II, parte II, del Codice penale militare».

     «Era il meno che si potesse chiedere in un caso di vera guerra
     civile, ed era chiesto per legge. Ebbene, l'onorevole Crispi lo
     trovava enorme!» (_Cavallotti_)

Le condizioni nel 1862-63, adunque, erano più gravi che nel 1894; eppure
i provvedimenti eccezionali, furono assai meno rigorosi di quelli del
1894: ai briganti si consentì la difesa civile negata ai socialisti, e
quei provvedimenti infine furono consentiti preventivamente dal
Parlamento.

  [A PALERMO NEL '66]

Nel 1866, lo Stato d'assedio viene proclamato in Palermo. Allora la
guerra coll'Austria era appena cessata e la pace non era stata ancora
segnata: quella città delle grandi iniziative e delle barricate, che
nel 1894 si mantenne completamente tranquilla, era in piena
insurrezione, in potere dei ribelli armati, che avevano costretto a
rinchiudersi nel Palazzo reale la legittima autorità; oppose fiera e
sanguinosa resistenza alle truppe e alla flotta mandate per ristabilire
l'ordine e fu necessario bombardarla per domarla. Lo Stato d'assedio
potevasi legittimamente proclamarlo, perchè il governo aveva avuto
concessi poteri straordinarî dalla legge, di cui fu relatore eloquente
lo stesso onorevole Crispi, che trovò allora occasione di dichiarare
solennemente:

     «io sempre amerò la libertà e mi opporrò ai pieni poteri. Credo che
     la libertà meglio di qualunque intelligente dittatura sia la sola
     feconda pel trionfo dell'unità nazionale.»

Eppure l'on. Presidente del Consiglio di allora, il Ricasoli, si
affrettò a togliere lo Stato di assedio (lui, che non lo aveva imposto!)
prima che si riaprissero le Camere.

Accanto a questi casi nei quali furono presi provvedimenti eccezionali e
in condizioni e per ragioni tali e in tale misura che riescono a far
condannare severamente chi li prese e quali li prese nel 1894, alcuni
altri ve ne sono, nei quali sebbene con più ragione si sarebbe potuto
invocare la giaculatoria del _salus patriae_, pure non si ricorse a
provvedimenti eccezionali.

A Genova nel 1857 si tenta una insurrezione, s'invade il forte Diamante,
si uccide un sergente, bande armate percorrono i dintorni delle città;
ma non si proclama lo Stato di assedio. Nel 1869 una vasta cospirazione
repubblicana si scopre nelle file dell'esercito, ch'è veramente minato e
non si ricorre a misure eccezionali. Nel 1870 ben dodici provincie sono
in disordine, vi sono insurrezioni nelle caserme--a Pavia ed a
Piacenza--si dovette arrestare Giuseppe Mazzini allo sbarco in Sicilia;
ma non si proclama lo Stato di assedio. La condotta dei _conservatori_
allora fu tale che l'on. Comandini potè buttare in faccia ai _liberali_
di oggi le parole pronunziate da Marco Minghetti nel 1875 nel difendere
la legge straordinaria proposta appunto per la Sicilia: «la mia
dottrina, la mia coscienza, la tradizione del mio partito mi consigliano
di rifuggire dal ricorrere a mezzi eccezionali; _tutto si deve sempre
domandare ed ottenere dal Parlamento_.»

  [LA REAZIONE NEL '94]

  [LA "SALUS PATRIAE" È UN PRETESTO]

Argomento a più melanconiche riflessioni è il fatto che la reazione non
si è limitata alla Sicilia; nè è seguita ai folli e criminosi atti di
Caserio e di Lega. Gli avvenimenti in Italia in ordine al tempo e allo
spazio dicono che i moti di Sicilia e i crimini anarchici servirono di
comodissimo pretesto per colorire il programma della reazione, ciò che
prova luminosamente che la _salus patriae_ fu invocata in malafede.

Guardate. Lega non aveva sparato il suo innocuo colpo e il guardasigilli
aveva già da un pezzo diramate le sue circolari inculcanti una maggiore
severità contro la stampa; e la epurazione delle liste elettorali era
bene avviata;[80] e le liste di proscrizione erano composte e i
consigli dei giornali fedeli al governo si ripetevano con insistenza per
porre argine a quella propaganda socialista, che oggi si dichiara
sovversiva e ieri serviva di bandiera nelle lotte elettorali ai ministri
caduti ed a quelli risorti ed ai loro accoliti i quali blateravano con
idillica ignoranza ed impudenza di un socialismo monarchico, che portava
tanto di bollo dell'autorità superiore. I tumulti erano stati in
Sicilia, ma le persecuzioni contro ogni libera manifestazione e gli
scioglimenti dei sodalizî invisi e i sequestri e le minacce, infierivano
in ogni parte d'Italia.

  [LO STATO D'ASSEDIO VIEN TOLTO DI NOME]

Lo Stato d'assedio legalmente viene tolto in Sicilia ma le norme e i
criteri di governo non libero continuarono ad essere in vigore
impunemente e sfacciatamente: a Palermo la questura chiama in ufficio
Colnago ed altri giovani eletti e li ammonisce a _moderare_ la loro
propaganda; la censura telegrafica continua; la soppressione dei
giornali assume forma più odiosa, perchè più ipocrita; quella del
sequestro sistematico, capriccioso, non motivato da alcun pretesto
plausibile, come si pratica contro l'_Unione_ di Catania; le armi non
vengono restituite ai loro proprietarî: si mantengono a domicilio coatto
coloro che vi furono mandati arbitrariamente.

  [LE LEGGI ANTIANARCHICHE]

Quando il pretesto alla reazione è eccellente--e lo danno gli
anarchici--la reazione abbandona ogni riserbo e arriva al suo parossismo
colle leggi antianarchiche pensatamente indeterminate--delle quali un
alto magistrato, l'Auriti, aveva dichiarato non esservi bisogno per
combattere i nemici della società. In Parlamento si promise con
solennità eccezionale, che non si sarebbero applicate contro i
socialisti, ma appena votate sono già state sperimentate colla
proibizione dei congressi, coi sequestri dei giornali, collo
scioglimento delle associazioni a danno dei socialisti, dei
repubblicani, dei democratici più tiepidi, ma sinceri, sospettati
soltanto di non essere abbastanza soddisfatti della delizie che il
regime ci procura nell'ora presente. E non solo le leggi antianarchiche
si applicano contro coloro che si era dichiarato solennemente non ne
sarebbero stati le vittime, ma la magistratura educata alla scuola di un
qualsiasi Morra di Lavriano dà a dette leggi, in materia di stampa, un
effetto retroattivo, sollevando proteste, forse le ultime, in certe
sfere non sospettabili di tenerezze per tutte le gradazioni del mondo
cosidetto sovversivo.[81]

  [LA REAZIONE HA TROVATO IL SUO UOMO]

E la reazione trionfante ha trovato il suo uomo, l'on. Crispi: deciso,
caparbio, senza scrupoli, facile alle promesse, alle lusinghe o alle
minacce se più opportune soccorrono, ed anche simpatico ed affascinante
per certe sue doti eminenti e perciò più pericoloso. E tale uomo
rinunzia agli ultimi legami colla tradizione democratica e coi suoi
precedenti democratici e per quello stesso opportunismo che prima lo
indusse ad inneggiare alla Dea Ragione ed a Giordano, a Napoli lo spinge
a riconciliarsi col Papa e col Dio di Torquemada e di Lojola, e al
clericalismo attonito, novello Costantino, bestemmiando di Mazzini, dà
l'insegna: _con Dio, col Re per la patria!_ e grida: _in hoc signo
vinces_.

Ed ora si troveranno più amici e laudatori di Francesco Crispi, che
oseranno negare ch'egli s'è gettato completamente ed entusiasticamente
nelle braccia della reazione?...

Di quest'uomo testè Giovanni Bovio ha detto: «non ha partito e la Camera
gli va incontro; si professa democratico e il Senato gli si piega
ossequioso; non sollecitò il potere e gli scese incondizionato
dall'alto; auspicò il monumento a Bruno e il Vaticano gli volge l'occhio
salutevole. Il paese e la stampa che fanno? L'uno sotto la sua mano si
addormenta; l'altra, in gran parte, lo seconda.»

  [IL PAESE E LA RAPPRESENTANZA]

Questa sintesi mirabile di contrasti risponde alla verità? Risponde; ma
questo solo deve osservarsi, che l'uomo supera tutte le difficoltà, non
perchè egli sia grande, ma soltanto perchè il paese e la sua
rappresentanza sono piccoli. Il paese si addormentò e la stampa secondò
altri uomini che di Crispi erano minori e che rispondevano ai nomi di
Depretis e di Giolitti e che adoperarono mezzi ora uguali ora dissimili
da quelli adoperati dall'attuale Presidente del Consiglio. Queste
diversità negli uomini e nei mezzi e questa simiglianza nei risultati
prova, che la ragione del successo sta al di fuori di essi.

Ciò si osserva non per acre voluttà di diminuire un uomo; ma per
quell'imperativo categorico, che impone l'omaggio alla verità: alla
verità, che deve giovare non preparando illusioni nuove e dolorose col
fare sperare salute dalla caduta di un uomo; che deve giovare non
permettendo un errore nella diagnosi del male, e nella scelta dei
rimedî.

Il male è nel paese e si rispecchia nella sua rappresentanza legale. Lo
constatai un anno fa in _Banche e Parlamento_ di fronte alla onnipotenza
dell'on. Giolitti; lo constato qui, di fronte alla onnipotenza dell'on.
Crispi; constatai l'aberrazione morale dilagante colla tregenda
bancaria; constato l'aberrazione giuridica, politica e sociale
incarnatasi nella reazione.

Lo scienziato, che vive al di fuori delle passioni politiche, il Brusa,
pensoso dello spettacolo che danno le presenti vicende politiche,
scrisse che i governanti d'Italia hanno pareggiato i Borboni, il prete e
l'Austria; anche sorpassato. (_op. cit._ pag. 28 e 31). Un altro
scienziato, il Lucchini, soggiunse che le violazioni dello Statuto pei
casi di Sicilia e di Lunigiana in _altri tempi_ avrebbero sollevato
popolo e parlamento.

Così è, nessuno si solleva per le condizioni che riassunsi altra volta e
che ora ripeto perchè non potrei mutare di una linea: «le istituzioni si
liquidano, la corruzione dilaga, la miseria cresce, tutti soffrono e
sono malcontenti; e ancora il popolo non sa come, quando, perchè
insorgere e che cosa sostituire a ciò che sente ed intuisce di dover
demolire!» (_Banche e Parlamento_ p. 384).

  [SARÀ SEMPRE COSÌ?]

Sarà sempre così? Non lo credo, e la speranza in un futuro migliore
tanto più mi si fa viva nell'anima quanto più audace si fa la reazione,
quanto più essa infierisce contro il moto sociale che non si arresta
mai.

  [LA RISCOSSA NON PUÒ MANCARE]

Certo si passeranno momenti non lieti, ma la reazione capitanata da un
Bismark fu doma la prima volta in Germania; rialza la testa altra volta,
ma ricadrà più precipitosamente; la reazione armata del sentimento
religioso, dell'odio di razza, dell'egoismo economico e maneggiata
alternamente dai partiti storici dell'Inghilterra è stata costretta a
capitolare in Irlanda.

In Italia la riscossa potrà essere più lenta e più tarda perchè la
reversione atavica del servilismo ajuta efficacemente la reazione; ma la
riscossa non può mancare.


NOTE:

[78] Il Generale Morra, più sincero dell'on. Crispi, non esitò a
indicare i criterî seguiti nello invio a domicilio coatto. Egli infatti
nella circolare di commiato ai prefetti mette da parte ogni riserbo e
dice: «Quello che più di tutto interessa si è che la mala pianta dei
sobillatori, dei sovvertitori dell'ordine pubblico e delle istituzioni,
che ci reggono, non abbia a ripullulare ed estendersi. Gran parte e i
più pericolosi in questo genere sono stati allontanati, sia perchè
condannati, _sia perchè a domicilio coatto_...»

[79] Il generale Corsi aveva già accennato alle esagerazioni sulle forze
dei _Fasci_ e sui pericoli temuti. A tempo opportuno--oggi potrebbe
procurare molestie a molti--narrerò un episodio tipico, che darà la
certezza della assoluta inesistenza della cospirazione della
organizzazione delle forze dei _Fasci_ e della attribuita preveggente
azione dei capi. A coloro, che non hanno seguito con attenzione i fatti
da me esposti o li hanno dimenticati, ricorderò, che questi miei giudizi
sulle forze dei _Fasci_, sulle loro mire politiche, sugli intendimenti
separatisti e antinazionali ec. ec. non li accampo _oggi_ per comodità
di difesa dei miei amici; ma li precisai con crudezza di verismo, che
dispiacque a molti, che credevano utile alla propaganda ogni
esagerazione, e nella _Grande Revue_ del gennajo 1893 e nella _Rivista
popolare_ di Roma e nel _Secolo_ di Milano e nel _Giornale di Sicilia_
di Palermo nello stesso anno e molti mesi prima, che si arrivasse ai
tumulti--da me preveduti e preannunziati--che provocarono lo stato di
assedio e la repressione.

[80] Ciò che avviene in fatto di liste colla nuova legge elettorale
fatta votare dall'on. Crispi nelle sedute mattutine della Camera, fra la
disattenzione e la nausea di tutti, è inaudito. All'on. Crispi che si
vantava democraticamente di aver fatto votare l'art. 100 nella legge
elettorale del 1882 oggi può assicurarsi la benevolenza dei suoi nuovi
amici, i reazionarî, ricordando l'ultima legge del 1894, che il diritto
elettorale quasi annulla. Non calunnio, non esagero; ecco come _La
Tribuna_ commenta alcune corrispondenze pervenutegli:

«Pubblichiamo su questa quistione delle liste elettorali la lettera di
Capua per debito d'imparzialità e quella di Albano Labiale che prima ci
è pervenuta per ordine cronologico. Ma se volessimo potremmo aggiungere
qui sotto a diecine lettere e corrispondenze le quali ripetono
press'appoco ciò che ci scrive il corrispondente di Albano Laziale e
dimostrano che l'anarchia nella compilazione delle liste dovrà, anzi
imperversare allegramente.

Molte commissioni elettorali si sono ostinate a seguire questo sistema
di cancellare cioè tutti gli elettori, già inscritti, i quali non
forniscono la documentazione del loro diritto elettorale.

Abbiamo già avvertito, quanto alle liste vecchie, che esse sono
permanenti: che nella revisione straordinaria che si sta compiendo,
coloro che sono già inscritti hanno per loro più che una presunzione di
diritto: che se anche si vuole documentare il diritto elettorale,
elettore per elettore, l'obbligo di ricercare, verificare, accertare i
documenti spetta intero alle commissioni comunali: che queste non
possono alla leggera disturbare i cittadini, quando esse hanno tutti i
mezzi di verifica e di mutamento: infine che soltanto quando ogni prova
e documento manchi, e se v'è reclamo o contestazione, allora solo le
Commissioni debbono richiedere all'elettore di provare.

Le Commissioni dunque che si conducono come quella di Albano Laziale e
come quella di Capua e come le altre, dalle quali ogni giorno ci si
scrive, sono fuori della legge.

Noi non insistiamo di più, perchè non vogliamo ripeterci: chiediamo
soltanto di nuovo e insistentemente una circolare esplicativa del
ministero dell'interno che metta a posto le cose.

Altrimenti potrà avvenir questo fra l'altro: che gli arruffoni, e ve ne
sono massime nei piccoli comuni, si metteranno in mezzo a procurare
iscrizioni, a far reclami, a chiedere cancellazioni, a far man bassa
sulle liste elettorali, a prepararsi il terreno per l'avvenire, mentre i
galantuomini, seccati o indifferenti, lasceranno fare e si lasceranno
cancellare magari.

E le liste elettorali non saranno purgate, ma mutilate, se non corrotte.

Fra i moltissimi che ci hanno scritto protestando contro i metodi
inquisitorii delle Commissioni comunali, parecchi concludono
dicendo:--_Noi non produrremo i documenti che ci si chiedono e subiremo
piuttosto con indifferenza l'onta di non più appartenere alla classe
degli elettori._»

Ed oramai ne siamo a questo: ci sono paesi, come Lovere in Lombardia,
che sono rimasti senza elettori, perchè i cittadini nauseati non hanno
voluto far valere i proprî diritti contro lo sconfinato arbitrio e la
crassa ignoranza delle Commissioni!

[81] Come indizio eloquentissimo della situazione noto quanto segue:

Non appena i magistrati vollero dare effetto retroattivo alle leggi
antianarchiche a Roma, ad Ancona, a Siena nei processi contro _Il futuro
sociale_, _Il Lucifero_ e la _Martinella_--giornali esclusivamente
socialisti e repubblicani e antianarchici per eccellenza--le proteste
fioccarono sulle colonne della _Tribuna_ e il giornale le fece sue. Ora
viene la proibizione del Congresso socialista d'Imola e la stessa
_Tribuna_ (n. 242 anno 1894) approva il Prefetto di Bologna. Il fatto,
data la attitudine del giornale verso il governo, è importante perchè
prova la malafede più impudente delle sfere ministeriali. Quando il
governo per bocca di Crispi nella Camera prometteva ai deputati
socialisti, che a loro non potevansi applicare le leggi antianarchiche,
conosceva certamente il loro programma, che s'impernia nella _lotta di
classe_, che tante polemiche ha suscitato e tanti malumori ha destato
nello stesso campo socialista. La sua slealtà, adunque, è innegabile ed
è enorme oggi, che si attacca a quel programma per farlo oggetto di
persecuzione. Figuriamoci ciò che avverrà quando si sarà trovata l'isola
adatta per mandarvi i coatti! E allora tu, o buon amico Lucchini, vedrai
quanto avrai guadagnato a fare accettare una dicitura invece di un'altra
appellandotene a Fanfani e a Tommaseo! I magistrati, i prefetti e i
questori d'Italia che si occupano di sinonimia! e che nelle distinzioni
di Tommaseo dovrebbero trovare la guida per agire correttamente e
interpretare onestamente le leggi antianarchiche....! Questi preludî
possono servire di opportuno commento alla _liberale_ circolare dell'on.
Crispi sulla applicazione di dette leggi.



CONCLUSIONE


In tutti i capitoli di questo libro traspare un pessimismo, che non è
ordinariamente nel mio carattere e nelle mie convinzioni, ma che
fatalmente s'impone a chi esamina gli avvenimenti recenti, sia nella
parte che riguarda il governo, sia in quella che concerne le classi
dirigenti.

Ma non c'è un raggio di luce, che possa rischiarare le tenebre che
circondano la sconsolante prospettiva dell'avvenire?

Non si può e non si deve _a priori_ negare la possibilità nelle cose
siciliane di un esito diverso da quello enunziato e temuto; si può anzi
ammetterla, purchè governo e classi dirigenti agiscano di conserva e
rapidamente per iscongiurare i pericoli che risorgeranno spontanei dalla
situazione, presto o tardi, senza o con l'opera dei sobillatori, col
concorso indiretto dei _Fasci_ come nel 1893, o senza che fossero
conosciute le teorie socialiste, e senza che _Fasci_ esistessero come
nel 1860 e in altre epoche.

  [L'ATTITUDINE DELLE CLASSI DIRIGENTI]

Storia e scienza politica si accordano nel riconoscere che non c'è che
un mezzo per evitare le rivoluzioni violente: le riforme date a tempo. E
riforme ne sono state proposte di ogni sorta per la Sicilia: riforme
economiche, politiche amministrative e sociali; riforme, che in parte
riuscirebbero utilissime al resto d'Italia.[82] Ma perchè riuscirebbero
utilissime al resto d'Italia c'è da temere che non ne saranno votate in
tempo per la Sicilia dal Parlamento; e per lo stesso motivo i deputati
siciliani più interessati al mantenimento dello _Statu quo_ e che
rispecchiano fedelmente le aspirazioni e gl'interessi delle classi
dirigenti, levano alta la voce contro ogni legge speciale per la
Sicilia, che scioccamente designano come _legge eccezionale_--di _leggi
eccezionali_ essi non invocano e non approvano che lo Stato d'assedio
con tutti i suoi amminicoli, dalla censura preventiva ai Tribunali
militari!--poichè essi sono giustamente convinti che allontanerebbero
per più lungo tempo l'amaro calice delle riforme economico-sociali,
quando tutti i deputati d'Italia fossero costretti ad avvicinarvi le
labbra.

  [CIÒ CHE SI DOVREBBE FARE E CIÒ CHE SI È FATTO]

Di ciò che si dovrebbe e potrebbe fare, di ciò che si è fatto già o si è
mostrato l'intenzione di praticare, bisogna fare rapidissima menzione.

Nell'_ordine amministrativo_ si reclamano pronti provvedimenti che
spengano ed impediscano il risorgere dell'attuale prepotenza delle
consorterie locali, che opprimono i deboli e gli avversarî; non rendono
fruttuosa l'opposizione nelle vie legali; e coll'intrigo, colla
corruzione o colla protezione dei deputati, del governo centrale e dei
suoi rappresentanti scambiano le parti e riducono alla condizione legale
di minoranze, quelle che realmente sono maggioranze. E prontamente si
farebbe opera di pacificazione, (più sincera e più duratura di quella
più che consigliata, imposta dai Prefetti e dagli ufficiali
dell'esercito tra i partiti opposti all'indomani dei disordini e delle
repressioni), collo scioglimento di molti Consigli comunali e colle
elezioni senza ingerenza indebita di chicchessia.

Ciò che si è fatto non ispira fiducia, poichè dalla narrazione
precedente, e specialmente dai capitoli sui _Tribunali militari_ e
sull'_Opera civile del generale Morra_ si apprese che furono abbandonate
le primitive buone intenzioni in ordine alla ricostituzione delle
amministrazioni comunali sulle basi della giustizia, della legalità e
della preponderanza delle maggioranze reali; lasciando perdurare, anzi
consolidando il prepotere di quelle consorterie--in fondo
apolitiche--che si mostrano più ligie al governo ed ai suoi
rappresentanti locali.

In un ordine più generale bisognerebbe provvedere affinchè venisse
assicurata la onesta compilazione delle liste elettorali: come
sarebbe savio provvedimento determinare la misura delle spese
obbligatorie--eliminandone alcune; impedire la partigianeria nella
distribuzione delle imposte; riformare il sistema dei _tributi locali_,
modificare la tassa di minuta vendita, alla quale nei comuni aperti
sfuggono gli agiati colle compere all'ingrosso, abolire il dazio sulle
farine, la tassa sulle bestie da trasporto e da lavoro, mantenendo
quella sui bovini, abolire le quote minime del _focatico_ e stabilire un
maggior numero di categorie che rendano possibile la più equa
graduazione dell'imposta stessa, che in sè è delle più democratiche,
ordinare che non si possano sorpassare certi limiti nei dazî di consumo
se non quando siano raggiunti gli estremi limiti nelle imposte dirette,
invertendo il sistema vigente; distruggere, infine, come dice l'anonimo
del _Giornale degli economisti_, «il vizio fondamentale del sistema
finanziario locale che si riassume nel fare pagare prevalentemente le
imposte ai meno abbienti e nel farle usufruire per servizi pubblici
prevalentemente ai maggiori abbienti.» (_Febbrajo 1894_)[83].

Nel precedente capitolo si disse a che cosa è servita sinora e serve la
nuova legge elettorale: è sicuro, che si avrà un enorme peggioramento
nella compilazione delle liste elettorali, nelle quali finiranno col
trovar posto solamente coloro, che preventivamente avranno ipotecato il
loro voto.

  [IL REFERENDUM]

L'organismo amministrativo si dovrebbe completare col
_referendum_--accessibilissimo alle intelligenze meno sviluppate, perchè
si esercita sopra quistioni chiare e concrete--parziale o totale;--e
colla elezione diretta del sindaco e degli assessori--sistema dei
_selectmens_,--tenendo conto sempre delle diversità di cultura, di
educazione e di tradizioni, che rendono dannosa qualunque legge
unitaria che debba aver vigore in Lombardia e in Sicilia, in Piemonte e
in Basilicata[84].

  [PUNTE LEGGI UNITARIE]

E di questa varietà di ordinamenti (perfettamente consona a quella
_politica sperimentale_, di cui ci ha dato tanti esempi convincenti il
Donnat, nel libro che porta detto titolo, e a quella analoga politica
quantitativa descritta da uno dei più sapienti positivisti che
seguirono il Littrè--il Wirouboff) non c'è da allarmarsi come di uno
sbocconcellamento della patria italiana, se lo stesso on. Crispi,
il più fanatico unitario d'Italia, sin dal 1878 riconobbe «che le
isole hanno diritto a norme speciali di governo, ad una speciale
amministrazione» come ricordò di recente l'on. Comandini (_Corriere
della sera_ n. 50, 1894).[85]

È corsa con insistenza la voce, che l'on. Crispi voglia realmente venire
ad un ordinamento speciale per la Sicilia; ma tutto quanto sinora si è
fatto non autorizza a sperare che la riforma sia inspirata a sensi
democratici; se a qualche cosa che somigliasse alla _regione_ egli
verrà, di sicuro tutto si ridurrà ad una diminuizione nel numero delle
provincie e delle intendenze e ad un concentramento di poteri nel
Prefetto di Palermo; avremmo al più un decentramento _more_ imperiale,
di cui la parte popolare non avrebbe da rallegrarsi.

  [NEL CAMPO ECONOMICO-SOCIALE]

Più difficili, ma di maggiore importanza rispetto ai lavoratori delle
campagne e delle miniere, sono le riforme di ordine _economico-sociale_.

Alcune si può essere sicuri che verranno adottate tra breve--e fu già
presentato qualche disegno di legge per tutta Italia, ma che ha
particolare importanza per la Sicilia, dal passato ministero--; così
quella sul _truck-sistem_ nelle miniere di zolfo, che bisognerebbe
completare con una legge contro l'usura, che rovina i contadini; quella
sull'obbligo dei frequenti pagamenti agli operai e sulla
insequestrabilità degli stipendi; sulla così detta _cassa piccola_ da
doversi imporre in tutte le miniere di zolfo; sui _probi-viri_
nell'agricoltura; sulle _cooperative di consumo e di lavoro_, alle quali
si dovrebbero concedere diritti reali e mezzi adatti per farli
riconoscere dalle amministrazioni locali e dal governo, ecc. ecc.

Maggiori ostacoli si incontrerebbero per diffondere e regolare equamente
il _credito_, sottraendolo agli usurai e alle influenze politiche, e per
organizzare efficacemente il _credito fondiario ed agrario_, dopo che fu
votata e sanzionata la infausta legge bancaria del 10 agosto 1893; ma è
materia di cui c'è da occuparsi, perchè molte altre riforme economiche
sono intimamente connesse alle facilitazioni che possono venire dal
_credito_ equamente distribuito e ad interessi miti, che possano essere
sopportati dall'agricoltura.

  [I RAPPORTI TRA CONTADINI E PROPRIETARII]

Le difficoltà divengono veramente gravi, quando si arriva alle proposte
per migliorare i rapporti tra contadini e proprietari mercè la riforma
in via legislativa dei _contratti agrari_ e promovendo lo spezzamento
del latifondo. Qui non c'è solamente l'aspro conflitto tra due scuole
economiche diverse, che battagliano nel campo teorico; ma c'è il
conflitto tra gl'interessi contrarî colla prevalenza di quelli dei
proprietari e del capitalismo, che soli sinora comandano nei comuni,
nelle Provincie, nei Comizî agrarî, nelle camere di Commercio, nel
Parlamento.

Qualche provvedimento che riesca indirettamente a tale miglioramento nei
contratti agrarî non è difficile che prevalga, perchè contemporaneamente
se ne avvantaggerebbero le classi dirigenti, che nell'attuale conflitto
tengono, come suol dirsi, il coltello per il manico: tale sarebbe ad
esempio la proposta _sesta_ del _Comitato promotore_ dei grandi
proprietarî di Sicilia:--esenzione per legge dalle tasse di focatico,
sul bestiame, bestie da tiro e da soma e ricchezza mobile per quei
contadini che prendano stabile dimora nelle campagne--mentre mi sembra
più difficile che possa passare la proposta _settima_ colla quale si
dimanda la riduzione del 50 % della imposta fondiaria sui latifondi nei
quali verrebbero costruite case coloniche e adottati quei metodi di
coltura razionale che sarebbero, caso per caso, stabiliti da apposite
commissioni tecniche, nominate dal ministro di Agricoltura e Commercio.

E nello interesse dei grandi proprietari,--ma che indirettamente
potrebbe giovare ai contadini, perchè indurrebbe più facilmente i primi
alle enfiteusi--i senatori siciliani, con alla testa il principe di
Camporeale, fecero votare dal Senato la istituzione di una Banca che si
occupasse del riscatto dei censi a richiesta del proprietario, a
somiglianza di ciò che già si pratica altrove.

Cessata la cieca venerazione per la proprietà privata col suo quiritario
_jus utendi abutendique_, per il legislatore in Sicilia non riuscirebbe
difficile il compito di creare una numerosa falange di piccoli
proprietarî e poco più disagevole riuscirebbe l'altro della riforma dei
contratti agrari.

  [ESEMPII DI LEGISLAZIONI STRANIERE]

Gli esempi che ci somministra la legislazione straniera sono
incoraggianti, come osserva il Cavalieri: Le _Homestead Laws_ negli
Stati Uniti, le leggi per l'Irlanda del 1881, altre leggi per la stessa
Irlanda, per la Scozia e per l'Inghilterra--_Small holdings Act_,
_Allotments Act_, ecc., ecc.--le colonizzazioni interne, le
modificazioni alle leggi sull'enfiteusi in Germania, la quotizzazione
dei terreni sabbiosi resistenti alla filossera in Ungheria e le più
recenti proposte di leggi dell'Austria sulla cooperazione agraria e
sulla redenzione dei debiti ipotecarî cogli opportuni temperamenti
suggeriti dalle condizioni e dalle tradizioni locali, potrebbero
riuscire di grande efficacia in Sicilia per migliorare la condizione dei
contadini e i rapporti tra proprietari e lavoratori.

Da tempo, e prima che gli ultimi avvenimenti richiamassero sull'isola
l'attenzione generale, proposte inspirate ai criteri informanti la
legislazione straniera succennata, nel 1883--più di un decennio
fa!--erano state avanzate dal Baer: il quale, sebbene schietto
conservatore, arrivava sino alla espropriazione dei latifondi privati
per distribuirli a piccoli lotti ai contadini.

  [VARRANNO A QUALCHE COSA?]

Gli esempî stranieri e i consigli non sospetti condurranno a risultati
pratici?

Non mi abbandono ad un alcun preconcetto pessimista nella previsione dei
medesimi, ed espongo puramente e semplicemente i dati di fatto, che
possano aiutare il lettore a formarsi da sè stesso un esatto concetto.

In quanto alla riforma dei _contratti agrarî_ c'è poco da sperare dal
Parlamento. Figuriamoci che si considerò come troppo ardito, quasi
rivoluzionario, il progetto sulla _mezzadria_ dell'on. Sonnino! E la
sorte che correrebbe qualunque altro disegno meno anodino si può
indovinarla dalle discussioni e dalle risoluzioni della Commissione
nominata dal ministro di Agricoltura e Commercio e da quello di Grazia e
Giustizia per istudiare precisamente la riforma di detti _contratti
agrarî_.

La maggior parte dei deputati e dei senatori, che ne facevano parte--tra
i quali l'on. Fortis, che a tempo perso si proclama _socialista di
Stato_--si mostrarono decisamente avversi ad accettare quella corrente
nuova (che fa capo a Menger in Austria, che in Italia è rappresentata
degnamente da Gianturco, Nitti, Salvioli, Cogliolo, ecc.) la quale mira
ad innestare il contenuto socialista nel Codice Civile, modificando il
concetto quiritario della proprietà e facendo posto adeguato alle
ragioni del lavoro.

  [PAROLE E FATTI]

L'opposizione alle chieste modifiche dei contratti agrarî da parte degli
elementi conservatori di detta Commissione, sebbene truccati alcuni da
democratici in aperto conflitto coll'elemento universitario (Nitti,
Cogliolo, Salvioli) quantunque disinteressata nella apparenza, perchè
mossa da elementi non siciliani, pure tale non era: essi avvedutamente
han dovuto pensare che ciò che adesso si concederebbe alla Sicilia,
sotto la pressione della rivolta, più tardi si dovrebbe accordare al
resto d'Italia dove sussistono condizioni analoghe. L'esempio di ciò che
è avvenuto nella Gran Brettagna li ammaestrava: le concessioni e le
riforme agrarie della Irlanda non tardarono a varcare il canale di San
Giorgio, per essere proposte a vantaggio dei lavoratori d'Inghilterra e
di Scozia.

In quanto allo spezzamento del latifondo, e alla creazione dei piccoli
proprietari, memore più che degli esempi stranieri dei consigli dei
conservatori illuminati e preveggenti, (Baer, Cavalieri, Monsignor
Carini ecc., ecc.) in seno della Commissione eletta dai deputati
siciliani per istudiare le opportune proposte per la loro regione, osai
proporre il censimento obbligatorio dei latifondi di una certa
estensione; ma rimasi solo: gli on. Di Rudinì, Di San Giuliano, Sciacca
della Scala, Reale e Filì-Astolfone si dichiararono avversi alla
proposta mia. L'on. Damiani l'accolse con simpatia; ma funzionando da
presidente non credette pronunziarsi in proposito[86].

  [IL DISEGNO DI LEGGE SU' LATIFONDI]

Il 1º Luglio 1894 l'on. Crispi presentò alla Camera dei Deputati il
disegno di legge intorno alla _enfiteusi dei beni degli enti morali e ai
miglioramenti dei latifondi dei privati nelle provincie Siciliane_, e il
cuore dei partigiani delle sane riforme si riaprì alla speranza e le
previsioni dei pessimisti e degli increduli parve che ricevessero una
solenne smentita.

Con quel disegno di legge non solo s'imponeva la enfiteusi dei beni
degli enti morali, ma si costringevano ai miglioramenti agrarî colla
mezzadria i latifondisti che non ottemperando a tali disposizioni
dovevano vedere sottoposti all'enfiteusi obbligatoria i loro fondi.

Non occorre scendere a dettagliata disamina delle proposte del
Presidente del Consiglio dei ministri, perchè esse colla chiusura della
Sessione parlamentare, legislativamente sono già morte e sepolte,
sebbene suscettibili di resurrezione; basta qui e adesso giudicarne il
principio, che lo informa.

  [IN SOSTANZA È CONSERVATORE]

Negli uffici il disegno di legge agraria venne combattuto fieramente
alla quasi unanimità dai deputati siciliani,--e si vede da ciò ch'erano
fedelmente rappresentati in quella Commissione privata di cui mi occupai
precedentemente--e venne combattuto perchè ritenuto violento e
rivoluzionario[87]. I socialisti invece--e in nome loro autorevolmente
ha scritto il professore Salvioli nella _Riforma Sociale_ (N. del 10
agosto 1884)--non lo trovarono di loro gradimento, «perchè in sostanza è
conservatore, tendendo a diffondere quella proprietà fondiaria
coltivatrice, pegli stessi lavoratori del suolo, la quale secondo la
relazione che la procede _è per lo Stato e per le civili istituzioni una
più sicura garenzia di ordine e di stabilità_.»

Io non esito a dichiarare che il principio del disegno di legge agraria
Crispi era equo ed opportuno, era rispondente alle condizioni del
momento, e sebbene combattuto ad un tempo dai socialisti e dai
latifondisti--senza distinzione di colore politico--sarebbe riuscito
bene accetto e giovevole ai contadini ed ai proletari. Nè ciò dicendo
credo derogare alle teorie socialiste, che da anni sostengo, come in
altro luogo e in altra occasione cercherò di dimostrare[88].

Se della legge agraria cennata accetto il principio informatore, non
approvo però i particolari, molto meno posso dichiararmi soddisfatto dei
mezzi proposti per creare la piccola proprietà rurale e promovere i
miglioramenti agrarî.

  [INTORNO ALLA PROPRIETÀ COLLETTIVA]

Inoltre non sono favorevole alla quotizzazione dei demanî comunali, e
credo che sarebbe più utile e conveniente costituirli in proprietà
collettiva o almeno farli servire ad esperimenti di cooperazione
agraria.

Il nome e la cosa in fatto di proprietà collettiva oggi non dovrebbero
più spaventare, dopo che un progetto di legge che mira a conseguire tale
risultato venne presentato da deputati conservatori e timidamente
liberali per i dominî dell'ex stato pontificio; progetto al quale
promise il suo appoggio il ministro Boselli.[89] E queste proprietà
collettive potrebbero e dovrebbero allargarsi, costituendo un vero
campo di sperimentazione economico-sociale coll'adottare le misure
proposte poco tempo fa dall'egregio avv. P. Di Fratta, segretario al
Ministero di Grazia e Giustizia--nell'opuscolo sulla _Socializzazione
della terra_.

  [IL PROGETTO CRISPI È SENZA SPERANZA]

La cennata discussione della Regia Commissione sui contratti agrari e
l'accoglienza fatta negli Uffici al disegno di legge Crispi lasciano
poche illusioni sulla sorte dello stesso progetto qualora venisse
ripresentato nella futura sessione: per farlo accettare dal Parlamento
occorrerebbe una forte, direi quasi, minacciosa pressione della pubblica
opinione e un ministero energico che sapesse rendersene interprete. E in
tanto abuso di _decreti reali_, chi potrebbe protestare se ancora una
violazione delle buone norme costituzionali si avesse a fin di bene per
attuare qualche importante riforma economico-sociale? A cosa
fatta--l'esperimento è stato ripetuto,--la Camera non ardirebbe negare
la sua approvazione: tanta energia nessuno gliela suppone e potrebbe
attingerla soltanto nel più sfrenato egoismo.

  [E POI SI SAPREBBE CONSERVARE?]

Ma dato che si arrivi comunque allo spezzamento del latifondo e alla
costituzione di numerosi piccoli proprietarî rurali, cura somma dello
statista dovrebbe essere quella di saper conservare; poichè si sa che i
piccoli proprietarî sorti dal censimento dei beni dell'asse
ecclesiastico e dalla quotizzazione di alcuni demanî comunali sono
nella massima parte scomparsi: i loro campicelli furono inghiottiti
dall'antico latifondo limitrofo o servirono a costituire qualcuno nuovo.

Nelle legislazioni straniere c'è la preoccupazione di conseguire tale
supremo intento ed oltre le _Homestead laws_ degli Stati Uniti è noto
«che lo Schäffle, che voleva davvero le piccole proprietà, non si è
peritato di suggerire la proibizione di accendere ipoteche per la
legittima ogni volta che dovevano colpire un già modesto fondo; in
Prussia e in Austria si è giunti a costituire degli Höferolle, che
rappresentano una specie di catasto speciale della piccola proprietà ai
fini della sua conservazione; e nel Mecklemburgo si è provveduto non
solo alla irredimibilità dei beni enfiteutici, ma anche alla loro
trasmissione indivisibile». (_Cavalieri_, p. 60).

  [CIFRE ELOQUENTI]

Questo bisogno di provvedimenti urgenti ed efficaci per la conservazione
della piccola e media proprietà è più impellente per le provincie del
mezzogiorno, e specialmente per la _Sicilia_ e per la _Sardegna_ come
risulta con straziante eloquenza dalle cifre.

Su 100,000 abitanti nelle vendite giudiziarie nell'anno 1885 l'Italia
settentrionale è rappresentata con 7,16, l'Italia centrale con 16,43, il
Napoletano con 49,34, la Sicilia con 61,57, la Sardegna con 742,89.

Nel 1886, nel 1887, nel 1888, troviamo gli stessi rapporti e nel 1889
c'incontriamo con questi dati: l'Italia Settentrionale 8,21, l'Italia
centrale 17,46, il Napoletano 77, la _Sicilia_ 170,77, la _Sardegna_
1380,41!

E non siamo ancora negli anni ultimi, nei quali la crisi economica è
terribilmente aumentata......

Ancora delle cifre! Per ogni cento vendite di mobili e di frutti
pendenti, in quelle di valore non superiore a _trenta lire_ l'Italia
settentrionale è rappresentata da 7,69% l'Italia centrale da 6,57 il
Napoletano da 33,53, la Sicilia da 26,41, la Sardegna da 29,28: in
quelle non superiori a _cinquanta lire_, l'Italia settentrionale è
rappresentata da 8,12% la Centrale da 8,60, il Napoletano da 12,76, la
_Sicilia_ da 17 e la _Sardegna_ da 26,69. Nelle vendite per
espropriazione forzata in quelle non superiori a 500 lire l'Italia
settentrionale da 5,80, la centrale 7,27, il Napoletano 7,19, la
_Sicilia_ 9,45, la _Sardegna_ 14,62; in quelle superiori a tale somma e
non oltre mille lire l'Italia settentrionale dà 8,31 l'Italia centrale
7,80, il Napoletano 11,23, la _Sicilia_ 16,60, la _Sardegna_ 16,04.

Non avevo dunque ragione nell'affermare che da tali cifre risulta colla
massima evidenza l'impellente dovere di provvedere alla difesa della
piccola e media proprietà in Sicilia e in Sardegna; ed esse stesse non
provano ancora una volta luminosamente che le condizioni economiche
dell'isola sono generalmente più tristi di quelle del resto d'Italia,
eccettuata la povera Sardegna?[90]

  [IL FISCO E GLI SFORZI LEGISLATIVI]

  [PERFETTAMENTE INUTILE]

Quando poi si considera che l'avidità del fisco italiano è la grande e
generale causa della espropriazione e della graduale scomparsa della
piccola e media proprietà si deve riconoscere che gli sforzi legislativi
per creare l'una e l'altra sono un perditempo, anzi una crudele ironia
e che è perfettamente inutile pensare a fare colla mano destra ciò che
la sinistra deve affrettarsi a distrurre. E chiunque ha fior di senno e
non si lascia mistificare dalle apparenze e dalle parole, dopo avere
esaminato i provvedimenti ch'erano contenuti nella legge agraria
dell'onorevole Crispi, meschinamente inspirati al concetto
dell'_Homestead_, per ovviare al riassorbimento nel latifondo della
piccola proprietà, dovrà coscienziosamente riconoscere che essi non
corrispondono affatto allo scopo. Meglio si riuscirebbe con una politica
generale casalinga ed economica.

  [PER L'INDUSTRIA ZOLFIFERA]

Accanto alla questione agraria in Sicilia ce n'è una mineraria ancora
più acuta. Nulla per essa, proprio nulla, ha fatto mai il governo
italiano, che in questo di tanto si mostra inferiore al governo
borbonico. E quanto ci sarebbe da fare risulta dai due progetti
d'iniziativa parlamentare presentati l'uno dall'on. Ippolito De Luca e
l'altro da me, nonchè dalle proposte della Sotto commissione dei
Deputati Siciliani (Di Rudinì, Di San Giuliano, Colajanni). È da
notarsi, per aggravare la enorme responsabilità del governo nella
quistione mineraria, che la Sicilia non chiede alcun sacrifizio
pecuniario al resto dell'Italia, a tutti i contribuenti; essa non chiede
se non ciò che le spetta di pieno diritto; essa chiede che venga
consacrato all'industria zolfifera ciò che questa dà allo Stato e che
lo Stato indebitamente prende, cioè il prodotto del dazio di
esportazione sugli zolfi. Dico che lo Stato lo prende indebitamente
perchè dopo l'abolizione del dazio di esportazione sulla seta, _chiesto
ed ottenuto dai lombardi_, quello sugli zolfi è il solo dazio di
esportazione che resta in Italia e che pesa esclusivamente sulla Sicilia
anzi su tre provincie soltanto dell'Isola. La parità di trattamento
s'imponeva tanto, che l'abolizione di detto dazio chiesta dall'on.
Pantano e da me nella Camera dei Deputati nel 1891, venne promessa dal
ministro delle Finanze on. Luzzatti e la promessa fu riconfermata
dall'on. Di Rudinì nel discorso di Milano. Le promesse!

Ora l'industria non chiede l'abolizione di quel dazio di uscita; ma
domanda, ed ha diritto di ottenere, che se ne impieghi il prodotto a
proprio vantaggio, lasciando anche un largo margine di profitto
all'erario dello Stato ed altro maggiore creandogliene col
risollevamento economico di una numerosissima classe di lavoratori, di
speculatori, o di proprietari. Sarà ascoltata?....

Una circolare riservata dell'on. Boselli altra volta lasciava sperare
che ad un lato della questione mineraria--quello della proprietà del
sotto suolo e del sistema degli affitti angarici ed a breve durata--si
cominciava a pensare nelle sfere ministeriali. Ma l'on. Boselli è
passato alle finanze e il suo successore, on. Barazzuoli, propugnatore
dell'anacronistico liberismo economico non dà alcun affidamento, che
qualche cosa di bene si voglia fare. Egli anzi ha cominciato dal
ritirare il disegno di legge sui consorzî obbligatorî, sulla brucia
ecc. presentato prima dall'on. Lacava, e mantenuto dal Boselli e che
pur riuscirebbe tanto utile all'industria!

E mentre il governo si mostra così incurante o così ligio a vieti
principî economici--a meno che non si tratti di violarli nello interesse
delle finanze--l'ingiustificabile rinvilimento nel prezzo degli zolfi
continua vertiginosamente, gli scioperi forzati si succedono con
allarmante frequenza, la miseria dei zolfatarî ha raggiunto proporzioni
spaventevoli e non ostante lo Stato di assedio avvengono terribili
attentati e delitti minerari che fanno ricordare i delitti agrari
dell'Irlanda e della stessa Sicilia[91].

Le misure economiche-sociali dianzi cennate risolverebbero in parte la
quistione Siciliana; ma la soluzione dovrebbe essere completata da
provvedimenti di altra indole.

  [L'ANALFABETISMO]

L'analfabetismo è una delle piaghe dell'isola, che va amorevolmente
studiata e curata.

I vantaggi generali che si avrebbero da una buona istruzione impartita
alle classi lavoratrici sono evidenti. Vero è che l'istruzione è un
prezioso coefficiente per la propaganda socialista, anche quando riesca
a creare un grande numero di spostati, come ha dimostrato il Bebel; ma
non si dovrebbe ignorare che anche colla più crassa ignoranza non si
sono evitate le ribellioni e i tentativi di rivendicazioni sociali;
_dalle guerre servili alle Jacqueries_; dai moti di Ben Tillet in
Inghilterra e dell'anabattismo in Germania e in Isvizzera, ai tumulti
dei contadini del Napoletano nel secolo scorso e della Sicilia dal 1860
al 1894. Si rileva che l'analfabetismo non è rimedio efficace per
impedire le esplosioni determinate dalle sofferenze dei lavoratori.
Dalla storia invece si apprende che dovunque gli operai e i contadini
hanno acquistato una certa coltura, ivi la lotta si è fatta pacifica,
evolutiva, con manifesto vantaggio delle classi dirigenti.

Vero è che l'istruzione obbligatoria com'è attualmente organizzata, non
dà risultati corrispondenti alla spesa che costa ai comuni; ma questo
non autorizza a prendere occasione dall'insuccesso delle leggi attuali
per domandarne l'abolizione o indicarla come _spesa facoltativa_ ai
comuni, come con mia sorpresa ha proposto un egregio scrittore.

Meglio sarebbe invocarne la riforma e comprenderla tra gli obblighi
dello Stato assai più utilmente e più equamente che non si faccia col
lasciargli l'insegnamento secondario ed universitario, ch'è un bisogno
meno universale della istruzione elementare.

  [SI DICHIARA LA GUERRA ALL'ISTRUZIONE]

Ma purtroppo le classi dirigenti o il governo non apprezzano in Sicilia
i vantaggi della istruzione, non ne vedono che i pericoli. Ivi appena si
affacciò sull'orizzonte la _reazione_ trionfante fu dichiarata guerra a
morte all'istruzione. L'odio che alcuni _lords_ in Inghilterra
manifestarono contro la istruzione e di cui parla Marx, si è
ripresentato nell'isola, dove dapertutto quasi venne invocata la
chiusura delle scuole serali istituite saviamente dai _Fasci_. Nella
_Sala Ragona_ non solo si protestò contro l'insegnamento universitario,
che ha tendenze socialiste; non solo s'invocò che nelle scuole
s'imponesse il catechismo ma quando un oratore parlò degli aggravi che
l'istruzione obbligatoria impone ai Comuni si gridò con entusiasmo!
_abolitela! abolitela!_ E quel ch'è peggio i rappresentanti del governo
si mostrano dello stesso avviso dei reazionarî _grandi proprietarii_
della Sala Ragona.

  [NECESSITÀ DELLA RICOSTITUZIONE DEI "FASCI"]

Tali riforme e tali provvedimenti dovrebbero essere coronati da un
ultimo d'indole politica, che pur troppo incontra la più viva
opposizione e nel governo e nelle classi dirigenti che spadroneggiano in
parlamento e fuori: la ricostituzione dei _Fasci dei lavoratori_.

Se si tenesse conto delle savie considerazioni svolte dall'on. Di San
Giuliano nel suo libro sulla opportunità di conservare i Fasci (p. 23 e
120) si converrebbe anche adesso da conservatori intelligenti che alla
causa dell'ordine vero gioverebbe la ricostituzione di quei sodalizî,
che rappresenterebbero tante valvole di sicurezza, tanti organi per la
esplicazione legale dei bisogni e delle tendenze delle classi
lavoratrici. Il Brentano ritenne che le _Trade Unions_--delle cui
vicende si fece menzione--in Inghilterra furono un vero elemento di
ordine e di conservazione sociale, e l'Howel ha dimostrato (_Le passé et
l'avenir des Trade Unions_) che le grandi associazioni inglesi cessarono
di essere causa di perturbamento dopo che vennero lasciate libere di
svolgersi ed intraprendere le loro lotte contro il capitalismo pel
miglioramento del salario dei loro socî.

  [IL MERITO DEI "FASCI"]

Le dichiarazioni dell'on. Sonnino--ministro e non più semplice
_touriste_--sulla iniquità del dazio di consumo e sulla ripartizione dei
tributi locali avevano a sufficienza giustificata l'azione, anche
tumultuaria, dei _Fasci dei lavoratori_; chi poi l'ha addirittura
glorificata è stato l'on. Crispi colla presentazione del suo disegno di
legge agraria. Se lo ha presentato, è segno che lo ritiene giusto e
necessario, e se così è tutto il merito della sua iniziativa dev'essere
restituito esclusivamente ai _Fasci_, che la propugnarono, che
minacciosamente la chiesero e senza la cui azione non sarebbe venuta
come non era venuta per _trentaquattro!_ anni. Se quel disegno verrà
ripresentato e trionferà, potrà il governo iniquamente continuare a
mantenere in galera i capi e gli organizzatori dei _Fasci dei
lavoratori_, ma esso stesso avrà loro innalzato un altare nel cuore dei
contadini che alla loro agitazione e ai loro sacrifizî dovranno la terra
tanto desiderata e invano per tanti secoli.

E qui è opportuno ribattere qualche sofisma che le reminiscenze
liberiste fanno spuntare anche in bocca di chi dal liberismo si mostra
lontano, a dimostrare ancora che ciò che è avvenuto testè in Sicilia non
è che un caso di una regola generale.

  [UNA STRANA AFFERMAZIONE]

Il Cavalieri, che ripetutamente ha invocato il savio intervento dello
Stato, a certo punto si ricorda di essere conservatore in politica e
torna liberista in economia per dare ingiustamente addosso ai _Fasci_.
Egli dopo avere osservato, che da Giorgio III in poi senza bisogno dei
socialisti la legislazione inglese promosse molte radicali riforme
agrarie esclama: «non c'è bisogno di stringersi in una setta (?), di
ordire costanti macchinazioni (?), di ricorrere alla violenza per fare
trionfare nuovi canoni di distribuzione della ricchezza, che se son
giusti, faranno certo la loro strada da sè.» (p. 64)

Non avrei rilevata questa strana affermazione--che suona aperta
contraddizione in bocca del Cavalieri--se essa non venisse ripetuta--in
buona o in mala fede--da molti uomini politici, che vanno per la
maggiore e dai loro giornali.

No! non è vero che i nuovi canoni di distribuzione della ricchezza, se
giusti, _faranno la loro strada da sè_, nè importa se la parola
_socialisti_ e socialismo ai tempi di Giorgio III non esistevano: altri
ne rappresentarono l'azione equivalente e le riforme furono la
conseguenza delle agitazioni popolari e di una maggiore partecipazione
dei lavoratori alla vita politica, come risulta dalla citata polemica
tra il Prof. Luzzatti e l'avv. Bissolati, nonchè dal libro del Thorold
Rogers sulla _interpretazione economica della storia d'Inghilterra_.

E le grandi riforme agrarie dell'Irlanda, che tra non guari saranno
completate dall'_Home rule_, non si devono esclusivamente ad un secolo
di lotte ed anche di violenze? Che cosa avrebbe ottenuto l'Isola senza
gli agitatori, senza i Feniani, senza la _Land League_ e forse anche
senza il tremendo delitto di Phoenix Park?

Nulla! La giustizia non avrebbe trovato la strada da sè; e se la
violenza gliel'aprì spesso, la responsabilità dei suoi possibili danni
ricade intera sui governanti e sulle classi dirigenti, che vogliono
tenerla sbarrata ad ogni costo e in tutti i modi.

Da tanti anni, per non dire secoli, si conoscono i mali della Sicilia;
ma quali i rimedi efficaci sinceramente apportati? Nessuno! Ebbene i
contadini di Piana, di Corleone e di cento altri siti unendosi _in
setta_, ricorrendo alla violenza se si vuole, migliorarono salari e
patti agrari, mentre l'inchiesta sulla Sicilia del 1875, l'inchiesta
agraria, i libri di Caruso, di Sonnino, di Franchetti, di Basile, di
Villari, ecc., gli articoli di Baer e di tanti altri non cavarono, da sè
pur troppo! un ragno da un buco.

  [COSA AVVENNE SOPPRESSI I "FASCI"]

E che cosa è avvenuto non appena soppressi i _Fasci_ e impedita la loro
e proficua agitazione? I miglioramenti ottenuti scompaiono e si torna
all'antico colla antica miseria eccessiva dei lavoratori. E ciò che
previdi sin dallo scorso gennaio in alcuni articoli e nella prima
edizione di questo libro oggi viene riconfermato dall'agitazione che
rinacque in Corleone, e altrove, appena tolto lo Stato d'assedio, e ch'è
tanto giusta che provoca scoppi di sdegno anche nella più autorevole
stampa ufficiosa, che se la prende colla improntitudine, colla slealtà e
colla ingordigia dei grandi proprietari e che invece si dovrebbe
scagliare contro il governo e contro il suo proconsole cicisbeo, che ai
grandi proprietari hanno prestato mano forte e della cui iniquità si
sono fatti strumento.

E questa solidarietà di fatto tra governo, proconsole e grandi
proprietari è tanto più mostruosa in quanto che tra gli ultimi non si è
levata sin ora una voce coscienziosa, autorevole, efficace contro la
propria classe e in favore dei contadini, mentre in Irlanda non
mancarono _landlords_, che dettero l'esempio della equità e del
disinteresse, come risulta dalla relazione della Commissione presieduta
dal duca di Richmond e che preparò la legge agraria del 1881 di cui fu
segretario un grande proprietario irlandese, il colonnello King-Harman,
che si mostrò tra i più energici e convinti nel propugnare la causa dei
lavoratori della terra.

Il vicino passato e gli avvenimenti contemporanei adunque, se c'è
sincerità nell'on. Crispi nel promettere il miglioramento dei contadini,
dovrebbero indurlo a consentire la ricostituzione dei _Fasci_, che prima
delle sue leggi varrebbero ad infrenare il mal volere dei grandi
proprietari.

  [SINISTRI INDIZII]

Ma per quanto ciò non sarebbe altro che il rispetto puro e semplice dei
diritti riconosciuti dallo Statuto, nulla fa sperare che verranno
rispettate queste leggi nostre, in sè stesse tanto inferiori in
liberalismo alle straniere--come osservò l'Impallomeni--e c'è tutto da
temere che si perdurerà nella reazione ignominiosa e pericolosa. Certe
abbominevoli liste di proscrizione a me note, le leggi antianarchiche,
la loro interpretazione--di cui si ebbe già un saggio nell'applicazione
_retroattiva_ pei reati di stampa--le decimazioni tra gli elettori
popolari, i numerosi arresti arbitrarî, l'avviso dato dalla questura di
Palermo al barone Colnago e ad altri socialisti di astenersi da
qualunque agitazione e propaganda, la proibizione dei congressi
socialisti di Carpi, di Bozzolo e d'Imola e cento altri sinistri indizî
confermano un tale timore.

Ben so che c'è una circolare dell'on. Crispi, che invita le autorità ad
interpretare nel senso più largo e meno illiberale le così dette leggi
anti-anarchiche; ma ammesso pure che egli l'abbia dettata colle migliori
intenzioni del mondo, se conosce uomini e cose del suo paese deve
immaginare che le sue raccomandazioni, data la qualità delle nostre
autorità di pubblica sicurezza, rimarranno lettera morta.

Nè questo è giudizio avventato suggerito dalla partigianeria politica:
venne formulato in termini più severi da un amico del governo, da un
alto funzionario dello Stato, da un conservatore infine, qual'è il
Senatore Costa nella relazione sulle stesse leggi.

Ed ora prendiamo quanto di ottimismo ci rimane in fondo dell'animo e
concediamo che governo e Parlamento concordemente si mettano all'opera
per dare alla Sicilia una legislazione riformatrice economico sociale,
quale le occorre--e quale, del resto, su per giù occorre al resto
d'Italia.--Di fronte ad una siffatta manifestazione di buona intenzione
potremo dire che si sono superate le più gravi difficoltà e che si è
risoluto il problema? Sarebbe strana illusione il pensarlo.

  [I BILANCI DELLO STATO E DEI COMUNI]

Le riforme tributarie, intese ad alleviare la sorte dei contribuenti--e
che sono le più urgenti--e quelle economico-sociali sopraccennate,
presuppongono bilanci dello Stato e dei Comuni in condizioni tali da
potere sopportare le prime; capitali a disposizione dello Stato e dei
Comuni e dei privati per eseguire le seconde.

È quasi impossibile, dato l'attuale sistema tributario, pensare alla
soppressione dei dazi di consumo, che maggiormente pesano sui lavoratori
di fronte alla condizione dei bilanci dei Comuni (che nei medesimi
spesso trovano la maggiore risorsa) e del bilancio dello Stato che
attinge nella stessa sorgente di entrate.

  [I PROVVEDIMENTI FINANZIARII DELL'ON. SONNINO]

Crescono la difficoltà dopo la votazione dei provvedimenti finanziarî
dell'on. Sonnino, che hanno peggiorato le condizioni finanziarie dei
Comuni, di già dissestate dalla continua diminuizione del prodotto del
dazio di consumo a causa delle peggiorate condizioni economiche del
paese; e i provvedimenti dell'on. Sonnino riescono esiziali ai Comuni
anche per l'insufficiente abbuono ch'essi ricevono dal governo per
l'abolizione del dazio governativo sulle farine, per l'avocazione allo
Stato dei decimi sulla ricchezza mobile e per avere imposto ai comuni
alcune spese, che per lo passato venivano sopportate dallo Stato[92].

Ho sottocchio un prospetto redatto dal Comitato permanente dal Congresso
dei sindaci nel quale si notano i danni recati dai nuovi provvedimenti a
centocinquanta comuni del regno; ma lasciando da parte ciò che riguarda
il continente, correggendo e completando i dati del Comitato dei sindaci
si avrà un'idea del danno che subiranno i Municipî dell'isola da queste
sole cifre: Palermo perderà circa 600 mila lire, 200 mila Catania, 200
mila Messina, 50 mila Caltanissetta.... E il danno è tanto sicuro e
grave che il presidente del Consiglio promise di occuparsene. La
promessa sarà sincera, ma di dubbia realizzazione; certo è invece il
danno che arreca questo ministero restauratore che continua nell'antica
e cattiva politica che mira a peggiorare le condizioni dei municipî
sottraendo ad essi i cespiti di entrata e addossando loro spese che
prima erano dello Stato.

Andiamo avanti.

  [DOVE SI TROVERÀ IL DENARO]

Per la istruzione, per la sicurezza pubblica, per le strade di campagna,
per le case coloniche, per le acque potabili, per gli attrezzi agricoli,
per le sementi, per gli animali da lavoro, per le scorte ecc. ecc.
occorre denaro, denaro, denaro. Chi lo appronterà? I Comuni, lo Stato,
gl'Istituti di credito, i grandi proprietari? Nessuno credo che
attualmente sia in condizione di soddisfare tale primario e prepotente
bisogno; meno che tutti lo Stato, il cui bilancio è in _deficit_
minaccioso; lo Stato, cui l'on. di San Giuliano formalmente attribuisce
tale obbligo; lo Stato, che non si stanca di chiedere sacrifizi ai
contribuenti per riempire la botte delle Danaidi, che si chiama bilancio
del ministero della guerra; lo Stato che il denaro ha saputo trovare per
profonderlo sulle aride sabbie dell'Africa maledetta, lo Stato a cui non
mancò il denaro per la pronta repressione dei moti di Sicilia e che
forse meno ne avrebbe speso se avesse pensato alla savia e benefica
prevenzione sociale!

E quale risultato potrebbe avere qualunque buona legge
economico-sociale, di fronte ai mezzi finanziari che mancano per
eseguirla, ci lascia indovinare il disegno di legge agraria dell'on.
Crispi.

I mezzi assegnati per la sua esecuzione erano deficienti e facevano
presentire che la legge agraria, come le precedenti leggi sanitaria e di
pubblica sicurezza, nella parte buona e sociale che esse contenevano,
sarebbe rimasta una platonica affermazione con niuna o ridicola
efficienza reale.

Ma per quanto deficienti i mezzi per l'attuazione della legge agraria
dove essa li attingeva? Alla cassa di soccorso per le opere pubbliche in
Sicilia, alle opere pie, al quarto dei beni dell'asse ecclesiastico
assegnato ai comuni dell'isola.... cioè a tutti quegli enti, che sono
stati dissestati dal governo e che avrebbero bisogno di essere
rafforzati e che rispondono a bisogni presenti e impellenti, come la
cassa di soccorso per le opere pubbliche!

  [NON BISOGNA ILLUDERSI]

Nelle condizioni del bilancio dello Stato e nelle generali condizioni
economiche del resto d'Italia sta la maggiore difficoltà a provvedere
efficacemente ai mali della Sicilia. Non bisogna illudersi: se nella
maggiore isola del regno si soffre, non si sta molto meglio nelle altre
e nel continente; e si può tanto meno riparare alla crisi locale in
quanto che realmente la crisi è generale. E nel grido partito dalla
Sicilia, che si ripercosse, sebbene debolmente, in Calabria e nelle
Puglie, potrebbe ravvisarsi un salutare avvertimento: il segnale dello
incendio, scoppiato in un punto ieri, ma che domani potrà divampare in
tutto il regno!

Questa considerazione sulla vastità del pericolo affacciatosi da
principio al di là dello stretto, dovrebbe altresì far apprezzare più
esattamente la natura dei movimenti siciliani, nei quali si errerebbe di
gran lunga se non si vedesse che la risultanza delle condizioni locali.
Queste sono innegabili, ed hanno accelerato la esplosione e le hanno
dato una impronta speciale, ma non si dimentichi ciò che i _grandi
proprietari_ della Sala Ragona avvertirono sul malessere generale; ma
non si dimentichi che se in Sicilia da principio la lotta ha assunto
carattere municipale, ciò si deve in gran parte alle condizioni
intellettuali del popolo che la abita: i contadini e gli operai dei
piccoli centri essendo quasi tutti analfabeti, non leggendo giornali e
non sapendo scorgere le cause lontane e indirette delle loro sofferenze,
tutte quante le attribuiscono alle amministrazioni locali e contro di
esse hanno accumulati i loro risentimenti e contro di esse sfogano la
loro ira. Le ingiustizie, talvolta enormi, del sindaco, degli assessori,
dei consiglieri, rappresentano le ultime goccie che fanno traboccare il
liquido del vaso.

Le vittime di tante ingiustizie si ribellano contro le autorità
amministrative, perchè non sanno risalire più in alto per ricercare e
trovare gli oppressori.

La forza delle cose adesso, o una maggiore coltura in appresso, li
spingerà alla ricerca.

  [IL MALESSERE È GENERALE]

E la ricerca farà loro apprendere che i municipî ricorrono a tasse
odiose, angariche, perchè il governo centrale non ne lascia altre a loro
disposizione per i bisogni della vita locale, e per soddisfare le
numerose esigenze che lo Stato ha loro imposto in nome della civiltà;
che il governo centrale assorbe tutte le risorse economiche della
nazione, perchè spende e spande pazzamente, e talvolta disonestamente;
che della denegata giustizia, degli abusi perpetrati, delle violenze
subite è responsabile interamente il governo centrale, che ha lasciato
impuniti i colpevoli, conoscendoli tali e che dei colpevoli spesse volte
si è fatto complice.

  [SI DEVE PENSARE AL RESTO DELL'ITALIA]

Si prendano pure e subito tutti quei provvedimenti che si credono
indispensabili e particolari per la Sicilia; ma non si dimentichi che
bisogna anche pensare al resto d'Italia, che soffre assai e che presto o
tardi avrà anche esso le sue manifestazioni sanguinose.

Si deve mutare l'indirizzo della politica generale; si deve sopratutto
pensare alla questione economica. I casi di Sicilia devono servire di
monito severo: essi devono far riflettere che oggi la semplice proposta
di nuove imposte è una grave provocazione.

Che sia grave il generale malessere economico che genera alla sua volta
quello politico e morale, si rileva da indizi numerosi, molti dei quali
sono stati raccolti e sobriamente commentati dall'illustre Comm. Bodio
nella sua monografia presentata all'Accademia dei Lincei. (_Di alcuni
misuratori del movimento economico in Italia._ 2. Ed. 1891)[93] Infatti
da alcuni anni diminuiscono i consumi e aumenta la emigrazione,
aumentano o rimangono stazionarie le alte cifre dei reati e rimangano
parallele quelle dell'analfabetismo, si chiudono le officine, si
moltiplicano i fallimenti, si consumano i risparmi, o rimangono
inoperosi nelle casse pubbliche, paurosi di avventurarsi in qualsiasi
intrapresa di cui si vede quasi sicuro l'insuccesso, diminuisce a
miliardi la ricchezza nazionale, e mentre si pensa ad aumentare
pazzamente le imposte, lo stesso ministro del tesoro è costretto a
confessare che quelle esistenti renderanno nel corrente anno finanziario
circa 30 milioni meno del previsto. Si potrebbero avere più evidenti i
segni dello esaurimento della economia pubblica?

  [CAUSE DI ESAURIMENTO ECONOMICO]

Se si vogliono rintracciare le cause di questo esaurimento l'impresa
riesce agevole: si sono spesi molti miliardi in armamenti senza riuscire
a dare all'Italia un esercito ed una flotta corrispondente ai sacrifizî
fatti, come dichiarò l'on. Crispi in uno dei suoi scatti di sincerità;
si sono sperperati tanti altri miliardi, in soverchi lavori pubblici ed
autorizzando i più gravi sospetti di corruzione, per non dire di furti
ingenti, come risulta dai discorsi e dalla relazione sui lavori pubblici
pel bilancio 1894-95 dell'onorevole Brunicardi, da una relazione
dell'on. Carmine, da una interrogazione dell'on. De Bernardis e dagli
stessi discorsi dell'on. Saracco ministro dei lavori pubblici; si può
infine garentire in generale che il tenore di vita dello Stato, delle
Province, dei Comuni, dei privati adottato e sviluppato dal 1860 in qua
non è stato e non è menomamente proporzionato allo incremento della
ricchezza; d'onde un disquilibrio nel bilancio della nazione e dello
stato tra le entrate e le spese; e gli sforzi persistenti, direi quasi
feroci del secondo per provvedere a sè premendo con tutta la sua forza
sulla seconda ed assorbendone rapacemente tutte le risorse sino alla
usurpazione del necessario.

  [CHE COSA DICONO I CONFRONTI STATISTICI]

I confronti statistici tra le nostre condizioni economiche e quelle
degli altri Stati ci dicono perchè da noi il risentimento e il malumore
sono più vivi che altrove e più vicino, anzi imminente, sembri uno
scoppio, e i confronti statistici tra i bilanci europei ci somministrano
del pari la ragione per cui risentimento e malumore in Italia a
preferenza si acuiscono contro il governo, anzichè indurre come in altri
paesi alla rassegnazione, considerando le sofferenze come circostanze
fatali di cui non si potrebbe facilmente assegnare la responsabilità a
chicchessia[94].

  [CONSEGUENZE INESORABILI]

Le conseguenze di siffatte premesse sono chiare, inesorabili: bisogna
mutare l'indirizzo nella cosa pubblica non solo rispetto alla Sicilia,
ma relativamente all'Italia tutta, bisogna mutare la politica doganale,
la politica tributaria, la politica africana, la politica militare, e la
politica estera, che su tutte le altre preme e sopratutto si percote
sulla politica interna. La necessità di mutare s'impone, perchè come
dice l'on. E. Giampetro: «oramai il dilemma sembra messo nettamente: o
un governo avrà il coraggio di trasformare radicalmente tutto ciò che
sinora si è fatto, o il paese farà da sè una completa demolizione di
tutto ciò che in politica esiste.» (_L'Italia al bivio_, Roma _1894_)

  [ANALOGIE CO' CASI DI FRANCIA]

I segni precursori di questa demolizione che principia non mancano e
presentano una grande analogia con quelli che nel secolo scorso
precedettero lo scoppio tremendo della rivoluzione francese.

Si legga l'_Ancièn règime_ di Tocqueville e di Taine e si vedrà che in
Francia prima del 1789 come in Napoli, nelle Puglie, in Sicilia nel 1893
e nel 1894 si sente che c'è un popolo in rivoluzione latente, che
aspetta l'occasione per irrompere; che questo popolo manca ancora di
organizzazione e di capi, non avendo più fiducia in quelli che hanno
l'autorità legale. Anche allora si gridava: «Pane, non tasse non
cannoni!» ch'è il grido del bisogno, dice Taine, e il bisogno esasperato
irrompe e va avanti come un animale inferocito. E i magazzini
scassinati, i convogli di cereali arrestati, i mercati saccheggiati.--E
si grida: _abbasso l'ufficio del dazio!_ E le barriere sono infrante,
gl'impiegati vinti e scacciati.... E si danno al fuoco i registri delle
imposte, i libri dei conti, gli archivi dei comuni... e si fa tutto al
grido di _Viva il Re!_»[95]

La scena descritta dal Taine per Bignolles e per altri siti non sembra
la fotografia di ciò che è avvenuto a Valguarnera, a Partinico, a
Monreale, a Castelvetrano, a Ruvo, a Corato? Eppure i contadini di
Sicilia e di Puglia non sanno e non conoscono cosa sia la rivoluzione
francese, i cui preludi imitano e ripetono.

Non basta ancora; l'analogia continua più grande che mai sulle cause che
accelerano la catastrofe in Francia e che potranno accelerarla adesso in
Italia. Si disse dei gravissimi imbarazzi in cui si dibatte il nostro
paese e Gomel ha messo stupendamente in evidenza le cause finanziarie
della rivoluzione Francese.

Qualche piccola inversione nell'ordine degli avvenimenti vi potrebbe
essere; quando Joly de Fleury si decise all'aumento delle imposte i
Parlamenti di Francia protestarono e invocarono la riunione degli Stati
Generali. Noi non abbiamo assemblee che per la storia si rassomiglino
ai Parlamenti francesi, ma abbiamo una Camera dei Deputati, che dovrebbe
equivalere agli Stati Generali, che sotto l'incubo dello scioglimento ha
approvato le imposte proposte dall'on. Sonnino, e che potrà essere
disciolta se non farà quell'_ultimo sforzo_ che si chiama _ultimo_ per
ischerzo, ma ch'è sempre seguito dalla domanda di un _altro_.

  [SI ASCOLTEREBBE IN ITALIA UN TURGOT?]

Chi può garentire che in Italia non si cominci da uno scioglimento
mentre in Francia si cominciò da una convocazione? E qualche altra
differenza ci sarebbe ancora nei protagonisti del prologo. L'Italia da
alcuni anni ha visti i Maurepas, i Vergennes, i Calonne, i Brienne, i
Joly de Fleury ed anche i D'Ormesson; l'Italia potrà anche trovare il
suo Necker; ma in tanta decadenza indarno cerca un Turgot! Dov'è il
ministro che dica coraggiosamente al Re ch'è impossibile ogni ulteriore
accrescimento delle imposte; che prestiti non se ne possono fare più;
che la salvezza è nelle economie e nelle riforme?

E tutto ciò disse Turgot al buon Luigi XVI; ma non fu ascoltato!

Lo sarebbe adesso in Italia?

Nessuno può dirlo; ma tutti devono riconoscere che gli avvenimenti
incalzano e che la scintilla partita dalla Sicilia, che nell'arte, nella
coltura, nella organizzazione sociale, in tutto, si trova--come direbbe
Giuseppe Ferrari--in ritardo di fronte alle fasi di sviluppo percorse
dalla Francia e da altre regioni dell'alta Italia, che sentirono l'alito
della rivoluzione francese; quella scintilla, ove non si provveda in
tempo, potrà, varcando lo stretto, far divampare l'incendio nel resto
d'Italia.

  [UN VOTO ARDENTE]

Comunque, se insipienza di uomini di governo o fatalità di cose vorranno
che gli avvenimenti non abbiano quel corso pacifico ed evolutivo, che
dev'essere vagheggiato da quanti conoscono i danni e gli orrori delle
cruente rivoluzioni, io faccio voti ardenti pel bene del mio paese che
il grido: «_morti a li cappedda_» non possa acquistare quella triste
celebrità che al di là delle Alpi acquistò il grido: «_les aristocrates
à la lanterne!_»


FINE


NOTE:

[82] Una lunga serie di riforme di ogni specie enumerò l'onorevole
Marchese di San Giuliano e quasi tutte sono accettabili da chi pur
essendo socialista convinto, non crede di potere arrivar in un _fiat_
alla trasformazione totale dell'attuale ordinamento politico ed
economico. Vedremo più innanzi se le proposte furono fatte sul serio.

[83] Qualche cosa è giusto si dica è stata fatta colla legge del 23
luglio 1894.

[84] Delle riforme amministrative più opportune e più urgenti mi occupai
dal 1882 nel libro: _Le istituzioni municipali_--presso REMO SANDRON,
Palermo L. 3.

[85] L'anonimo citato del _Giornale degli economisti_, ch'è piuttosto
conservatore anzichè radicale non solo afferma vigorosamente la
necessità di ordinamenti diversi nelle diverse regioni d'Italia, ma
arriva a formulare la proposta della libertà doganale da sperimentarsi
limitatamente alla Sicilia, e alla Sardegna, perchè crede che la forma
insulare di quelle due regioni si presti alla prova. E ciò tanto più in
quanto che la Sicilia e la Sardegna sono state tra le più danneggiate
regioni del regno colle tariffe doganali generali del 1887--contro le
quali mi onoro aver fatto il mio primo discorso alla Camera dei
deputati, nel Gennaio 1891.

[86] Ho fatto i nomi dei membri della Commissione perchè si vegga come e
quanto in Italia, tra i deputati, fatti e parole concordino. Invero per
quanto lo avessi temuto e preveduto rimasi oltremodo addolorato dal
contegno dell'onorevole Di San Giuliano, che dimenticando tutte le belle
cose scritte nel citato libro sulle _Condizioni della Sicilia_, si
schierò della parte dei latifondisti, che volevano la conservazione
dello _Statu quo_ e che confidavano ancora nella libera iniziativa dei
medesimi latifondisti!

[87] Tra i pochi che si mostrarono favorevoli al principio del disegno
di legge dell'on. Crispi sento il dovere di ricordare l'on. Nasi.

[88] La somiglianza tra le idee sostenute da me in seno alle Commissioni
dei Deputati Siciliani col principio cardinale della legge Crispi fece
credere ad alcuni, che io fossi stato l'autore principale di
quest'ultima, come venne telegrafato a qualche giornale di Sicilia. Ciò
che non è affatto vero.

[89] Il progetto _sull'ordinamento dei dominî collettivi nelle provincie
dell'ex-Stato pontificio_ venne presentato nella seduta del 20 febbraio
1893 e porta le firme degli on. Tittoni, Zucconi, Garibaldi, Pugliese,
Fani, Zappi, Colajanni Napoleone, Suardi Gianforte, Gamba, Comandini,
Rava, Tasca Lanza, Torlonia e Sacchetti. Fu svolto e preso in
considerazione nella seduta del 7 febbraio 1894. L'on Tittoni fu eletto
relatore della Commissione ed ha presentato testè alla Camera dei
deputati una pregevolissima _Relazione_ sul disegno di legge, inteso a
disciplinare l'esercizio dei dominii collettivi nelle provincie ex
pontificie e nell'Emilia. Se nel lungo dibattito ch'ebbe luogo alla
Camera, nel 1888, circa l'abolizione delle servitù prediali in quelle
provincie, Governo e Commissione avessero accettato l'emendamento
all'art. 9 proposto e vivamente sostenuto dall'on. Pantano--con cui
nella maggioranza dei casi si conferiva agli utenti la preferenza dello
svincolo, e si chiedeva per lo meno venisse loro riconosciuto, come si
riconosceva in senso inverso ai proprietarii, il diritto di pagare un
canone e godersi il fondo in natura tutte volte che l'interesse e i
diritti degli utenti fossero in prevalenza su quelli dei proprietarii--;
noi avremmo avuto oggi in quelle provincie una congerie di dominii
collettivi ben più vasta e ricca di quella, già per sè importante,
illustrata dall'on. Tittoni. Anche l'on. Andrea Costa appoggiò
quell'emendamento e prese parte a tutta la discussione, come vi presero
parte, con decisa simpatia pei diritti degli utenti e per l'utilità dei
dominii collettivi, parecchi altri egregi oratori politicamente più che
temperati.

La commissione dei deputati siciliani si chiarì favorevole agli
sperimenti di proprietà collettiva e di cooperazione nei demanî
comunali.

[90] Tolgo queste cifre dall'opera citata dell'Alimena (_I limiti e i
modificatori dell'imputabilità_ p. 321 e 322); il quale, a rincalzare
sempre più l'influenza del fattore economico sulla delinquenza, ha messo
pure in rapporto le liti coi delitti. Procedono parallelamente le une e
gli altri in Sicilia e in Sardegna: perciò il chiarissimo scrittore
cosentino al Ferri, che aveva affermato non esservi notevoli differenze
tra le singole regioni d'Italia chiede: «dinanzi a questi fatti,
potrebbe ripetere che le condizioni sociali dell'Italia settentrionale
non differiscono molto da quelle dell'Italia meridionale?»

Si hanno poi i dati numerici del malessere maggiore in Sicilia di fronte
alle altre regioni d'Italia in queste altre cifre:

  Quota per abitante di

            Ricchezza   Dazio di consumo   Sovrimposta sui terreni

  Sicilia    L. 1,471       L. 6,76               L. 1,63
  Piemonte      2,746          3,71                  4,03
  Lombardia     2,400          3,27                  5,35
  Veneto        1,935          2,42                  5,45

«E anche va notato che i dati della ricchezza per abitante e per regione
si riferiscono ad un quinquennio (1884-1889) di eccezionale prosperità
sopratutto in Sicilia. La crisi sopravvenuta dopo, ha certamente
arrestato e retrocesso lo sviluppo della sua ricchezza proporzionalmente
più che sulle regioni del Nord, per effetto della politica economica,
più specialmente lesiva del mezzogiorno. Ma pure restando per larghezza
di concessione, ai dati del Pantaleoni, il dazio consumo, che in Sicilia
è quasi il doppio che in Piemonte, mentre la ricchezza ne è la metà,
esercita nell'isola una pressione tributaria almeno _quattro volte_
maggiore. Invece la sovrimposta sta ad un limite di poco inferiore a
quello, che potrebbe ancora raggiungere in vista della ricchezza
rispettiva; mentre le altre imposte (valor locativo, tassa famiglia
bestiame, vetture e domestici) sono già in _cifra assoluta_ per abitante
più gravose pel contribuente siciliano. Questi dati permettono due
considerazioni: 1º che il sistema delle imposte comunali in Sicilia
esercita una pressione maggiore che nel continente; 2º che la
ripartizione del carico tributario locale è fatta tutta a danno dei
contribuenti, che pagano imposte indirette». (_L'Insurrezione siciliana
nel Giornale degli Economisti._ Febbraio 1894).

[91] In Giugno dopo i fatti dolosi del Dicembre '93 e Gennaio
'94--quando i zolfatari di Grotte fecero una dimostrazione furono
suonati due squilli di tromba ed intimato lo scioglimento
dell'assembramento; ma quei disgraziati rimasero immobili gridando:
«_Sì, ammazzateci! vogliamo morire, giacchè i nostri figli provano la
fame!_» Si evitò una catastrofe per la prudenza del delegato. Sulla
crisi zolfifera ho pubblicato due lunghi articoli nella _Riforma
Sociale_ del Nitti. In un terzo ed ultimo mi occuperò dei possibili
rimedi.

[92] Pare impossibile, ma pure è vero, che alcuni grossi comuni
dell'isola hanno cominciato a violare le prescrizioni relative alla
misura del dazio sulle farine; e la legge non è votata che da pochi
mesi!

[93] Questi dati vennero completati e aggravati nei discorsi pronunziati
sul bilancio della guerra e sui provvedimenti finanziari dagli on.
Carmine, Colombo e da me alla Camera dei deputati in maggio e giugno
1894.

[94] Il bilancio della Francia, dice il Vivante, è il prodotto dei fasti
e delle avventure dell'impero, delle catastrofi del 1870, dello sperpero
demagogico della repubblica, di costose recenti imprese coloniali, delle
imperiose esigenze di una triplice difesa--i Vosgi, le Alpi ed il
Mediterraneo--e malgrado questo sciagurato concorso di fattori
disastrosi, esso è intrinsecamente migliore del nostro.

Il bilancio della Francia è il doppio del nostro: ma la ricchezza
pubblica della prima essendo quattro volte maggiore della nostra si
comprende che la pressione tributaria in Italia sia assai più grave che
nella vicina repubblica.

La cifra complessiva delle spese intangibili e militari nel nostro
bilancio rappresenta una percentuale superiore a quella che si riscontra
nel bilancio di tutti gli altri Stati; supera del 6 e 1/2 % quella del
bilancio francese. Lo stesso può dirsi facendo il paragone tra il
bilancio nostro, il nostro reddito patrimoniale e il nostro reddito
nazionale. Il bilancio nostro in rapporto al reddito patrimoniale supera
23 % quello francese e del 7 1/2 % pel reddito nazionale. Di più: «in
tutti gli altri Stati di Europa, ad eccezione della Spagna (e
dell'Austria in minime proporzioni) hanno la totalità del loro debito
pubblico all'interno. Il Tesoro riversa dunque nel paese tutto il
prodotto delle imposte; da noi ciò non è il caso. I 200 milioni circa
che rimettiamo all'estero è denaro definitivamente perduto e sottratto
dal reddito nazionale con doppio danno economico e monetario. Inoltre,
in Austria, in Francia, in Inghilterra e più ancora in Germania lo
sviluppo dei bilanci militari fu connesso ad uno sviluppo corrispondente
delle industrie relative, che non solo forniscono allo Stato tutto ciò
che gli abbisogna, ma esportano l'eccedenza dei loro prodotti
all'estero. L'Italia non basta a sè stessa!» (Felice Vivante. _Il nostro
bilancio._ Roma 1894.)

[95] Filippo Cordova--nel più volte citato discorso--sin dal 1863 trovò
delle analogie tra i casi di Sicilia e i casi di Francia.



INDICE


          Prefazione                                              Pag. 3
      I.--Prime armi del socialismo in Sicilia                     »   7
     II.--Forze del socialismo                                     »  11
    III.--Il programma--I risultati--Le accuse                     »  19
     IV.--Le cause--Il malcontento in alto                         »  28
      V.--Il malcontento tra i lavoratori delle miniere            »  42
     VI.--Le classi rurali                                         »  57
    VII.--I paria della terra                                      »  65
   VIII.--Il latifondo                                             »  74
     IX.--Rapida depressione economica                             »  83
      X.--Organizzazione sociale e rapporti tra le varie classi    »  89
     XI.--I partiti in lotta e le amministrazioni dei corpi locali »  97
    XII.--L'odio di classe                                         » 111
   XIII.--Nulla è mutato!                                          » 115
    XIV.--Facili presagi                                           » 141
     XV.--Provocazione e preparazione ai tumulti                   » 147
    XVI.--La repressione                                           » 174
   XVII.--Le responsabilità. a) Il Clero                           » 194
  XVIII.--Le responsabilità. b) I fasci                            » 208
    XIX.--Le responsabilità. c) Il governo                         » 234
     XX.--La reazione                                              » 260
    XXI.--I tribunali militari                                     » 286
   XXII.--Il processo mostruoso                                    » 342
  XXIII.--L'opera civile del generale Morra                        » 395
   XXIV.--La discussione parlamentare                              » 419
          Conclusione                                              » 471



  CATALOGO
  DI
  SCIENZE SOCIALI E POLITICHE
  DELLA

  Libreria Editrice REMO SANDRON
  PALERMO


Opere di Scienze Politiche e Sociali


ALBERTIN L. _La questione delle otto ore di lavoro._
    Un vol. in-8, pag. 116, Torino 1894                          L. 2 50

ALONGI G. _La camorra._ Studio di sociologia criminale.
    Un vol. in-8, pag. 237, Torino 1890                             4 50

ASPRES (DES) G. _Un peuple exproprié._ (Études sociales).
    Un volume in-18 jesus, Parigi 1892                              4 --

AVOGADRO A. _Per la pace fra capitale e lavoro._ (Esperimenti e
    risultati). In-16, p. 264, Como 1893                            2 50

BACKHAUS. _Allen die Erde!_ Kritisch-geschichtliche Darlegungen
    zur sozialen Bewegung. Un volume in carta tela in-16,
    Lipsia 1894                                                     4 50

BASTIAT F. _Sofismi economici_, voltati in italiano da F. Perez.
    Un vol. in-16, pag. 256, Firenze 1871                           1 70

---- _Sofismi economici_, versione italiana di Enrico Zezon.
    Un vol. in-16, pag. 200, Napoli 1848                            1 25

BAUDRILLART H. _La libertè du travail, l'association et la
    démocratie._ Un vol. in-18                                      4 --

BEBEL A. _La Donna ed il Socialismo. La Donna nel passato, nel
    presente e nell'avvenire._ Un vol. in-16 gr., pag. 476, Milano  3 50

BELLAMY E. _Nell'anno 2000-Looking Backward._ Racconto americano.
    Versione di. G. Oberosler, con un _Post-scriptum_ ed un
    _Dizionario economico-sociale_. Un vol. in-16, Milano 1892      1 --

BÉRNARD TH. N. _Le socialisme d'hier et celui d'aujourd'hui._
    Un vol. in-18                                                   3 --

BENOIST. CH. _La Politique._ Un vol. in-8, rileg. in tela inglese   4 50

BERARDI D. _Le funzioni del governo nell'Economia sociale._
    Un vol. Firenze                                                 5 --

BISSOLATI L. _La lotta di classe e le "alte idealità" della
    borghesia._ (Polemica col Prof. Luzzatti)                      -- 25

BLEIBTREU. _Massenmord_ (Eine Zukunftsschlacht). Un vol. in-32,
    con copertina illustrata, Lipsia 1894                           1 50

BLOCK MAURICE. _Le quintessence du socialisme de la chaire._
    Brochure in-8                                                   1 15

BÖHMERT V. _La partecipazione al profitto._ Ricerche sui salari e
    profitti con prefazione del Deputato Luigi Luzzatti.
    Un volume in-8, pag. 470                                        7 --

BORIN-FOURNET. _La societé moderne et la Question sociale._
    Un vol. in-8, Parigi 1894                                       4 --

CASARETTO P. P. _Influenze reciproche tra Movimento operaio.
    Produzione e ricchezza._ Un volume in-8, Torino 1893            4 --

CENCELLI BERTI A. _La proprietà collettiva in Italia. Le origini.
    Gli avanzi. L'avvenire._ Un volume in-8, Roma                   1 50

CHIALVO A. _Il libretto colonico o il connubio fra capitale e
    lavoro nella colonia toscana._ 2ª ediz., in-8, Torino           1 50

CICCOTTI E. _Socialismo di Stato e socialismo democratico._        -- 20

CIMBALI G. _Il diritto del più forte._ Saggio di scienza sociale
    e giuridica. Torino                                             4 --

COLAJANNI D.r NAPOL. (Deputato al Parlamento). _Gli avvenimenti di
    Sicilia e le loro cause._ Eleg. volume in-18, di circa pag. 500,
    Palermo 1894                                                    2 --

---- _Istituzioni municipali._ Cenni ed osservazioni.
    1 vol., di pag. 340, Piazza Armerina                            3 --

_Conferenza di Berlino._ (Atti della) Regolamentazione
    internazionale del lavoro, tradotti ed annotati da Michele
    Ricciardi con prefazione di Francesco S. Nitti. Un vol.,
    in-16, pag. 500. Napoli 1890                                    2 50

CONTENTO ALDO. _La teoria del Salario nel concetto dei principali
    economisti._ Un volume in-16. pag. 374. Milano 1894             3 --

COURCELLE SENEUIL N. _La liberté et le socialisme._ Un vol. in-8    9 --

COURTOIS ALPH. FILS. _L'anarchisme thèorique et le collèctivisme
    pratique._ Un vol. in-32                                        2 25

CRICONIA D. G. _Lo Stato, la Chiesa e la Scienza, relativamente
    alla Questione sociale_                                         2 --

_Critica Sociale (La)._ Rivista quindicinale del socialismo
    scientifico, diretta da Filippo Turati.--Abbonamento annuo
    per l'Italia L. 8 -- Semestre L. 4 -- Trimestre 2 --

CUSUMANO V. _Saggi di Economia politica._ Un volume in-16,
    pagine 150                                                      2 --

---- _Le scuole economiche della Germania in rapporto alla
    Questione sociale._ Un vol., in-8, Napoli                       5 50

D'ABZAC. _La quèstion sociale._ Un proget de rèforme. Un vol. in-8  3 50

DAMETH M. H. _Les bases naturelles de l'économie sociale._
    Un vol. in-18                                                   3 --

---- _Le mouvement socialiste et l'economie politique._ Resumè du
    cours public fait a Lion sous les auspices de la Chambre de
    Commerce et de la Societé d'Economie politique. Un vol. in-16   1 15

---- _La quèstion sociale._ Un vol. in-18                           1 40

DANESI A. G. _Socialismo e migliore avvenire dell'operaio._
    Opuscolo in-16º, pag. 19, Mistretta 1894                        1 --

DAUBY. _Des grèves ouvrieres._ Un vol. in-18                        3 50

DE AMICIS EDM. _Lavoratori alle urne!_ Un opusc. in-16º            -- 20

---- _Sulla Questione sociale._ Conferenza. Una brochure, in-8     -- 50

DE LUCA F. _I "Fasci" e la questione siciliana_                    -- 20

DENAYROUZE G. _Le socialisme de la Science_, essai d'économie
    positive. Un vol. in-8                                          3 --

DEPASSE H. _Transformations sociales._ Un volume in-12, Parigi 1894 4 --

DESJARDINS A. _La liberté politique dans l'Ètat moderne._
    Un vol., in-8, Parigi 1894                                      8 75

---- _Il dovere presente._ Un vol. in-8, Roma 1894                  1 --

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_Dynamite et Dynamiteurs._ Descriptions des engins anarchistes. Un
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---- _La questione sociale._ Un volume in-8, pag. 440, Bologna 1889 9 --

---- _La tirannide borghese._ Un vol. in-8, pag. 672               10 --

---- _La riforma civile._ Un vol. in-8 gr. Torino                   7 --

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FOURIER C. _Opere scelte._ Prima traduzione italiana di G. Pozzi.
    Un vol. in-16, pag. 265, Roma 1894                              1 --

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    Un vol. in-8 gr. Bologna                                        5 --

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---- _Monitorio d'occasione per il 1. Maggio 1893_                  0 50

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---- _La condizione dei lavoratori_ (a proposito dell'Enciclica
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---- _Le gouvernement, ce qu'il a été et ce qu'il doit être et
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    Quinta edizione riveduta e notevolmente ampliata. Un vol.
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    in-16, pag. 180, Messina 1894                                   2 50

GRANATA L. _Il giudizio dei probiviri, osservazioni e studi sulla
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GRAZIANI A. _Le idee economiche degli scrittori Emiliani e
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---- _Di alcune questioni relative alla dottrina del salario_       2 --

GUARNIERI L. _Radicali e socialisti dell'avvenire in Italia._
    Un opusc. in-8, pag. 56                                         0 30

GUCCIA GIUSEPPE. _Confutazione del Socialismo di Marx Nordau
    nell'interesse delle Classi lavoratrici._ Un volume in-8,
    pag. 112, Palermo 1894                                          1 25

_Guerra (La) e lo Stato sociale._ 2 ediz. In-32., pag. 180,
    Roma 1894                                                      -- 50

GUMPLOWICZ _La lutte des races._ Recherches sociologiques.
    Tradution de M. Charles Baye. Un vol. in-8 cartonato,
    Parigi 1894                                                    10 50

GUYOT IVES. _La Tirannide socialista._ Traduz., pref., e note di
    F. Ciotti. Un elegante volume in-18. pagine 320. Palermo 1894.  1 50

GUYOT Y. _I principî dell'89 e il Socialismo._ Traduzione con
    note e appunti di Biagio La Manna. Un vol. in-18, di 350
    pagine, Palermo 1894                                            1 50

---- _La Science économique._ Un vol. di 474 pagine con 56 figure
    grafiche, legato in piena tela inglese.                         6 50

---- _Ètudes sur les doctrines sociales du Christianisme_: avec
    une preface et un appendice. Un vol. in-12, pagine 405, Parigi  4 --

HERTZKA. _Un voyage à Terre-libre._ Coup d'oeil sur la societé
    de l'avenir, avec une introduction de T. De Wyzewa. Un vol.
    in-18 jesus, Parigi 1894                                        4 --

HOWELL G. _Le passé et l'avenir des Trade-Unions._ (Trade-Unionism
    new and old) traduct. et pref. par Le Cour Grandmaison.
    Un volume rilegato in tela inglese. Parigi 1894                10 --

HUBBARD G. _Saint Simon, sa vie et ses travaux_, suivis des
    fragments des plus célèbres écrits de Saint Simon.
    Un vol. in-18                                                   3 50

JEWONS W. S. _La moneta ed il meccanismo dello scambio._
    Un vol. in-8, pag. 349                                          6 --

JONA G. _La rappresentanza politica._ Un volume in-8 gr.,
    pag. 340, Modena 1893                                           6 50

KAUTZKY C. _Socialismo e malthusianismo_                            4 --

KENNAN G. _Rivelazioni sulla Siberia._ Traduz. dall'inglese di S.
    Fortini-Santarelli. Due volumi, in-16. Città di Castello        5 --

KULISCIOFF DOTT. ANNA. _Il monopolio dell'uomo._ (Studio sulla
    questione femminile), 2ª ediz                                  -- 50

_La borghesia fuori della legge._ (Discorsi dei deputati
    socialisti alla Camera, 23 febbraio, 1 e 2 marzo 1894)         -- 20

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---- _L'evoluzione della proprietà dalla barbarie alla civiltà._
    (In corso di stampa)

---- _Il Capitale--Estratti_--(Vedi Marx C.)

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LAZARE B. _L'antisemitisme, son istorie, et ses causes._ Un vol.
    in-18 jésus. Parigi 1894                                        4 --

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    Un vol. in-8                                                    9 --

LETOURNEAU CH. _La Sociologie d'après l'Ethnographie._ Un vol.
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LOMBROSO C. _L'antisemitismo e le scienze moderne._ Un vol. in-16,
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---- _Gli anarchici._ Un vol. in-8, Torino 1894                     1 50

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MARESCOTTI ANG. _Il Socialismo_, temperamento, forza, assiomi e
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    Un vol. in-16, Bologna                                          2 --

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MARIANO. _L'individuo e lo Stato nel rapporto economico e sociale_  3 50

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MARTUSCELLI E. _Le società di mutuo soccorso e cooperative._
    Un vol., Firenze                                                4 --

MARX C. _Il Capitale_, Estratti di Paolo Lafargue, con introduzione
    critica di Vilfredo Pareto, ed una _Contro-Introduzione_ di
    Paolo Lafargue. 2.ª ediz. Splendido vol. in-24. pag. LXXXV-240,
    Palermo 1895                                                    2 --

MARX C. _Capitale e salario_                                       -- 25

---- _Discorso sul libero scambio_ con proemio di F. Engels        -- 20

---- e ENGELS F. _Manifesto del partito comunista_                 -- 25

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---- _Lo sciopero nell'economia e nelle leggi_
    (Bibl. del Cittadino)                                           0 50

MASSARANI T. _Come la pensava il D.r Lorenzi._ Confidenze postume
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    Torino 1894                                                     4 50

MICHAELIS. _Ein Blik in die Zukunft. Eine Antwort auf: Ein
    Ruckblick von Bellamy._ Un volume in-16, (Collez. Reclam)      -- 40

MINGHETTI M. _Della economia pubblica e delle sue attinenze colla
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MOLINARI (DE) G. _Les bourses du travail._ Un volume in-8.
    Parigi 1894                                                     4 50

MONTANARI A. _Elementi di economia politica_, 4ª edizione
    nuovamente riveduta ad uso delle scuole. Un vol. in-8. pag. 548,
    Padova                                                          5 --

MONTRY (DE) ALBERT. _Quéstions sociales._ Conferences. Un vol. in-8 3 --

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NITTI F. S. _L'ora presente._ Un volume in-16. pag. 76, Torino 1893 1 --

---- _La popolazione ed il sistema sociale._ Un volume in-8, pag.
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---- _Studi sul Socialismo contemporaneo. Il socialismo cattolico_,
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NORDAU MAX. _Le menzogne convenzionali della nostra civiltà._
    Un vol. in-16 gr., pag. 434, Milano 1885                        5 --

NOVICOW. _Les gaspillages des sociétés moderne et la question
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    1894,                                                           1 75

OBERTI E. _Riforme tributarie. Imposta progressiva. Riduzione di
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OLLIVIER E. _Solutions politiques et sociales._ Un volume in-18,
    Parigi 1894,                                                    4 --

PETRONE J. _La terra nella odierna economia capitalistica._ Studi di
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PETRUCCI G. _La questione sociale in Sicilia: diagnosi e cura._
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PISACANE C. _Saggio sulla rivoluzione, con prefazione di Napoleone
Colajanni_. Un vol. in-16, di pag. VIII-271, Bologna 1894,          2 --

_Polacco V._ _La questione del divorzio e gli Israeliti in Italia._
    Un vol., in-16, Verona 1894,                                    1 --

POMPERY (DE) V. _Le dernier mot du Socialisme rationnel._ Un volume
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PONZONI. _Imposte e questione sociale._ Un fascicolo in-8, Milano,  1 --

PROVENZANO PALAZZO N. _Le presenti condizioni sociali in Sicilia._
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QUETELET D. _Du système social et des lois qui le regissent._
    Un vol. in-8,                                                   7 --

RABBENO A. _Il contratto di mezzadria._ Un vol. in-16, pag. 206,
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RAE O. _Il socialismo contemporaneo, trad._ di A. Bertolini, con
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    XCVI-495, Firenze 1889,                                         5 --

_Reforme (La) religieuse et sociale et l'esprit nouveau par un
    Catholique._ Un vol., pag. 376, Paris 1891,                     3 50

REICH E. _Die bürgerliche Kunst und die besitzlosen Volksklassen._
    Un volume in-16, Lipsia 1894,                                   3 --

_Resoconto del primo Congresso delle Camere del Lavoro: Parma
    1893_,                                                         -- 30

REYBAUD L. _Etudes sur les réformateurs ou socialistes modernes._
    7e Édition revue, corrigée staugmentée d'une Etude sur Anguste
    Comte et d'une autre Etude sur les Mormons. Due vol. in-18      8 --

RICCA SALERNO G. _Sulla teoria del Capitale._ Un volume in-16,
    pag. 150, Milano                                                2 50

---- _L'imposta e le forme tributarie di alcuni stati Europei._ Una
    brochure in-8, pag. 27, Palermo                                 1 --

RICHTER E. _Dopo la vittoria del socialismo._ 7ª edizione. Un vol.
    in-16, pag. 212, Milano 1894                                    1 --

_Riforma Sociale (La)._ Rassegna di scienze sociali e politiche.
    DIRETTORI: F. S. Nitti e Luigi Roux. Esce ogni 15 giorni in
    fascicoli di 80 pagine in-8, cad. fasc. 1 25 Abbonam. per
    l'Italia, anno L. 20--Semestre L. 10.

_Rinnovamento politico-amministrativo (Il)._ DIRETTORE: Dr. Edoardo
    Pantano. Esce una volta al mese in fascicoli di pag. 96, in-8,
    cadun fascic.                                                   1 25

ROMANO-CATANIA G. _Sul comunismo._ Notizie storiche. Un opuscolo
    in-8, pag. 80, Palermo 1892                                     1 50

ROSSI A. _L'agitazione in Sicilia. A proposito delle ultime
    condanne._ Un vol. in-16, pag. 130, Milano 1895.                1 --

ROUSSEAU J. J. _Contrat social ou Principes de droit politique._
    Un vol. in-16, pag. 512, Parigi                                 3 50

SALVIOLI PROF. G. _Il passato e l'avvenire della lotta di classe in
    Inghilterra_                                                   -- 20

SANGIULIANO (DI) A. _Le condizioni presenti della Sicilia. Studi e
    proposte._ Un vol. di pag. 226 in-16, Milano 1894               2 --

SCHAEFFLE A. F. _La Quintessenza del Socialismo._ Prima traduzione
    italiana autorizzata del prof. Avvocato Angelo Roncali. Un
    volumetto in-16, pagine 104, Genova 1892                        1 --

SCHIATTARELLA R. _Il plebiscito sociale._ Un opusc. in-8, Palermo
    1893                                                            0 60

---- _La riforma sociale._ Un opusc. in-8, Palermo 1893.            0 60

SCHMIDT K. _Brot! Ein Büchlein für alle die Brot essen._ Un vol. in
    carta tela in-16, Lipsia 1893                                   1 50

SCHROEDER A. _Das Recht in der geschlechtlichen Ordnung._ Un volume
    in-8, Berlino 1893                                             18 --

SICILIANI P. _Socialismo, Darwinismo e Sociologia moderna._
    Terza ediz. interamente rifusa e accresciuta dalle Questioni
    contemporanee. Un vol. in-8, Bologna                            5 --

SIOTTO PINTOR M. _La riforma sociale in Italia, tentativo di
    critica e di ricostruzione._ Un vol. in-8 pag. 150              8 --

SMITH L. _Les coalitions et les grèves_ d'après l'histoire et
    l'économie politique avec une appendice de lors des diverses
    pays. Un vol. in-8                                              7 --

SPENCER H. _Dalla libertà alla schiavitù_ (a proposito di
    socialismo). Traduzione di S. Vianello. Brochure in-8,
    Torino 1893                                                    -- 80

---- _Problemès de Morale et de Sociologie_, tradotto da Henry
    de Parigny. Un vol. in-8, carton., Parigi 1894                 10 --

---- _Beneficenza negativa e positiva_, traduzione di Sofia
    Fortini-Santarelli con Revisione del prof. Felice Di Tocco.
    Un vol. in-16, pag. 254, Città di Castello 1894                 2 50

---- _Introduzione allo studio della sociologia_, con prefazione
    di A. Sergi. Un vol. in-8, pag. 570, Milano                     7 --

---- _L'individuo e lo Stato._ Traduz. di S. Fortini-Santarelli con
    prefazione di Giacomo Barzellotti. Un volume in-16, di pag.
    CVII-164, Città di Castello 1886                                2 50

---- _La Giustizia_, traduzione di S. Fortini-Santarelli con uno
    studio sul sistema etico-giuridico di H. Spencer del Prof.
    Icilio Vanni. Un vol. in-16, pag. LII-432, Città di Castello
    1893                                                            5 --

STARKENBURG H. _La degenerazione sessuale dei nostri tempi._
    Trad. di L. F. P. con prefazione di A. G. Bianchi.
    (_In corso di stampa_).

STRAFFORELLO G. _La quistione sociale_ ovvero _Capitale e lavoro_.
    Un vol. in-16, pag. 246, Torino 1872                            2 --

SEDRE M. A. _Histoire du Communisme ou rèfutations des Utopies
    socialistes._ 5e Edition. Un vol. in- 18                        4 --

TAMMEO G. _La prostituzione nella storia, nella legislazione nella
    società._ Mali e rimedi. Un volume in-8, pag. 212, Torino 1893  4 --

TARDE G. _La logique sociale._ Un vol. in-8, Parigi 1895            8 50

TARROUX F. _Lettres sur le socialisme._ Un vol. in-18, Paris 1894   4 --

TOUNISSOUX M. _Quèstion sociale et bourgeoisie._ Un vol. in-18      2 30

VALLI E. _L'Imperatore socialista._ Opuscolo in-8, p. 65, Torino
    1894,                                                          -- 70

VANDERVELDE E. _La decadenza del capitalismo._                     -- 20

VANNI I. _Linee critiche di un programma di sociologia._ Un vol.,
    in-8 gr., pag. 200, Perugia 1888,                               4 --

_La funzione pratica della Filosofia del Diritto_, considerata in
    sè ed in rapporto al Socialismo Contemporaneo. Un volume in-8
    grande, Bologna 1894,                                           2 --

WEILL. G. _Un précurseur du socialisme._ SAINT SIMON _et son
    oeuvre._ Un volume in-16,                                       4 --

WESTERMARCK E. _Storia del matrimonio umano_, con introduzione di
    Sir Alfredo B. Wallace e prefazione del Prof. G. F. Gabba,
    traduzione dall'Inglese di Giulio De Rossi. Un vol. in-8,
    pag. 507. Pistoia,                                              5 --

WINTERER (L'ABBÈ) deputè au Parlement allemand. _Le socialisme
    contemporain._ 2e edit. Un volume in-12, Parigi 1894,           4 --

ZABLET. _Le crime socialiste._ Un vol. in-16, Parigi 1894,          4 --

ZUBIANI A. _Il privilegio della salute._ Pavia 1894,               -- 25



  CARLO MARX

  IL CAPITALE

  ESTRATTI

  DI PAOLO LAFARGUE

  CON INTRODUZIONE CRITICA

  DI

  VILFREDO PARETO

  E REPLICA DI

  PAOLO LAFARGUE

  _Un elegante vol. di pag. LXXX-240_--L. 2.

       *       *       *       *       *

  YVES GUYOT

  Già Ministro dei LL PP. della Repubblica Francese

  LA TIRANNIDE SOCIALISTA

  TRADUZIONE, PREFAZIONE E NOTE

  DI

  F. CIOTTI

  _Un volume in-18 di pag. 320_--L 1.50

       *       *       *       *       *

  I PRINCIPII DELL'89 ED IL SOCIALISMO

  TRADUZIONE CON APPUNTI E NOTE

  DI

  BIAGIO LA MANNA

  _Un volume in-18 di pag. 350_--L. 1.50



NOTA DEL TRASCRITTORE


L'ortografia originale è stata mantenuta.

L'uso dell'apostrofo dopo "un" e i suoi composti è stato regolarizzato
secondo le convenzioni moderne.

Sono state effettuate le seguenti correzioni:

  e l'errrore venne ripetuto dal Cavalieri nella _Nuova Antologia_.
  e l'errore venne ripetuto dal Cavalieri nella _Nuova Antologia_.

  affamati e nella più squallida mireria, respingevano
  affamati e nella più squallida miseria, respingevano

  Carlo Cattaneo, prcedendo il Gumplowicz e parecchi
  Carlo Cattaneo, precedendo il Gumplowicz e parecchi

  non deve affatto sorpendere. Chi non ricorda il lavorio
  non deve affatto sorprendere. Chi non ricorda il lavorio

  e su cui avrebbe una specie di dritto di vita e di
  e su cui avrebbe una specie di diritto di vita e di

  e che è stato erroneamente inpretato e dal Sonnino
  e che è stato erroneamente interpretato e dal Sonnino

  vuole andare a lavorare con un altro piconiere
  vuole andare a lavorare con un altro picconiere

  antropometrici più strettamentente connesso alla
  antropometrici più strettamente connesso alla

  migliore nutrizione e della più igienica abitazione.
  migliore nutrizione e dalla più igienica abitazione.

  e sotte le diverse forme di coltura e di contratto.
  e sotto le diverse forme di coltura e di contratto.

  ettare di terra. Il _terratico_ è forma di contratto preferito
  ettaro di terra. Il _terratico_ è forma di contratto preferito

  acconciare alle miseria presente e invocavano
  acconciare alla miseria presente e invocavano

  del 1852 al 1871 il numero dei proprietarî era disceso
  dal 1852 al 1871 il numero dei proprietarî era disceso

  Non deve sorpendere se insorge e cerca ripetere
  Non deve sorprendere se insorge e cerca ripetere

  unificatore quatunque io creda pochissimo alla efficacia
  unificatore quantunque io creda pochissimo alla efficacia

  si riferisce a quelle di oggidi, che sono certamente
  si riferisce a quelle di oggidì, che sono certamente

  Regio Commissasio straordinario presso diversi municipî:
  Regio Commissario straordinario presso diversi municipî:

  specialmente sui generi di prima necesssità, sulle
  specialmente sui generi di prima necessità, sulle

  Qest'odio di classe che, per quanto giustificato,
  Quest'odio di classe che, per quanto giustificato,

  perchè lo si è dimenticato con troppa falicità: e
  perchè lo si è dimenticato con troppa facilità: e

  che invece sono stati commessi dagli eradenti degli
  che invece sono stati commessi dagli aderenti degli

  soffrenza, i rancori sordi delle masse, il disgusto
  sofferenza, i rancori sordi delle masse, il disgusto

  il fatto, che le _maggiori odiosità le racccolgono
  il fatto, che le _maggiori odiosità le raccolgono

  una specie di _boicotaggio_ verso i prorietarî delle
  una specie di _boicotaggio_ verso i proprietarî delle

  corrresse pericolo di infrangersi, ad un estremo, in
  corresse pericolo di infrangersi, ad un estremo, in

  tentarsi; «ma le difficoltà da una parte e dell'altra
  tentarsi; «ma le difficoltà da una parte e dall'altra

  dignità di non dipartisi dallo antico costume, divenuto
  dignità di non dipartirsi dallo antico costume, divenuto

  provocazioni e e di reazioni, che poca colpa vera si può
  provocazioni e di reazioni, che poca colpa vera si può

  molti altri! Contro i soldali la folla non adoperò
  molti altri! Contro i soldati la folla non adoperò

  avvessero fatto fuoco, tra i soldati ci sarebbe stato
  avessero fatto fuoco, tra i soldati ci sarebbe stato

  ma il colpo _fortunatamente_ non partì; e se parti,
  ma il colpo _fortunatamente_ non partì; e se partì,

  società è vaselggia ed anti-cristiana e soltanto un
  società è selvaggia ed anti-cristiana e soltanto un

  Monsignor Iohn S. Vaughan, arcivescovo di Westminster,
  Monsignor John S. Vaughan, arcivescovo di Westminster,

  Dublin Rewiew (Febbrajo 1894) non esita a dichiararsi
  Dublin Review (Febbrajo 1894) non esita a dichiararsi

  dalla organizazione sociale e non dalla naturale
  dalla organizzazione sociale e non dalla naturale

  Ma chi è veramentente responsabile di tanta ignoranza,
  Ma chi è veramente responsabile di tanta ignoranza,

  violenti non era sfuggita a nessuno, e Sidney
  violente non era sfuggita a nessuno, e Sidney

  questa inadagine di sperimentalismo sociale; nè riferendomi
  questa indagine di sperimentalismo sociale; nè riferendomi

  alle diverse fasi del brigantagio ed alle altre
  alle diverse fasi del brigantaggio ed alle altre

  napoletani di tutte il periodo corso dal 1806 al
  napoletani di tutto il periodo corso dal 1806 al

  «Il grosso brigantagio tra il 1864 e il 1866 venne
  «Il grosso brigantaggio tra il 1864 e il 1866 venne

  colle repressioni violenti e colle leggi eccezionali:
  colle repressioni violente e colle leggi eccezionali:

  si spande dappertutto perchè le minaccce vengono
  si spande dappertutto perchè le minacce vengono

  adesso: «Gli scoppi, i catalismi non avvengono
  adesso: «Gli scoppi, i cataclismi non avvengono

  Il senatore Sensales, pei suoi prececenti e pel
  Il senatore Sensales, pei suoi precedenti e pel

  mezione l'avv. Gaetano Rao. Altri sono stati rimessi
  menzione l'avv. Gaetano Rao. Altri sono stati rimessi

  soppresso fu il _Siciliano_. Qnest'ultima soppressione
  soppresso fu il _Siciliano_. Quest'ultima soppressione

  poteri dittatoriali od eccezionali per ragioni didifesa
  poteri dittatoriali od eccezionali per ragioni di difesa

  escluderla. E facoltà _sconfinata_, che non è giustificata
  escluderla. È facoltà _sconfinata_, che non è giustificata

  del Tribunale di guerra, colonello Orsini, fu costretto
  del Tribunale di guerra, colonnello Orsini, fu costretto

  Friscia, fu tra i primi ad iniziare nel 1870 la propanganda
  Friscia, fu tra i primi ad iniziare nel 1870 la propaganda

  Rinaldi che ci da il testo di questo eloquente
  Rinaldi che ci dà il testo di questo eloquente

  carte di _nessuna importanza_ cen'erano di quelle
  carte di _nessuna importanza_ ce n'erano di quelle

  Prefetto Municchi--ex magistrato--nella causa Nasi-Cavallottti.
  Prefetto Municchi--ex magistrato--nella causa Nasi-Cavallotti.

  degli on. Cavallottti, Imbriani e mie nonchè rialzare
  degli on. Cavallotti, Imbriani e mie nonchè rialzare

  essa stessa lo applicò, dichiararando, _non
  essa stessa lo applicò, dichiarando, _non

  Cassasione: noi ce ne laviamo le mani, è affare
  Cassazione: noi ce ne laviamo le mani, è affare

  a documento delle fenomenale leggerezza e
  a documento della fenomenale leggerezza e

  «mandò un caldo saluto di affetto e riconoscenza
  «mando un caldo saluto di affetto e riconoscenza

  più se ne saprà del caso della Barone di Valguarnera,
  più se ne saprà del caso della Baronessa di Valguarnera,

  militari, che nè la logica nè il diritto hanno stustudiato;
  militari, che nè la logica nè il diritto hanno studiato;

  materiale e immediata: lo ha fattto a Pedara.
  materiale e immediata: lo ha fatto a Pedara.

  esigeva o spiegava la disubbienza verso l'idolo dei
  esigeva o spiegava la disubbidienza verso l'idolo dei

  della masse, non potevano esserlo. C'erano
  delle masse, non potevano esserlo. C'erano

  odio dei lavoratori contre i proprietari; e la loro
  odio dei lavoratori contro i proprietari; e la loro

  elevò sulla ordinanza di un magistrato dichiararatosi
  elevò sulla ordinanza di un magistrato dichiaratosi

  fu vietato l'accesso al pubblico nella sala del Trinale,
  fu vietato l'accesso al pubblico nella sala del Tribunale,

  parte più vunerabile--il credito--coi suoi famosi
  parte più vulnerabile--il credito--coi suoi famosi

  si mantevano al potere mercè la falsificazione
  si mantenevano al potere mercè la falsificazione

  nell'isola, tra dolorosi fragenti, mostrato pur cuore
  nell'isola, tra dolorosi frangenti, mostrato pur cuore

  amnistia, suggerita della suprema Corte di Cassazione,
  amnistia, suggerita dalla suprema Corte di Cassazione,

  che causa unica sia la progaganda dei sovvertitori.»
  che causa unica sia la propaganda dei sovvertitori.»

  che il _conforto_ di cui parlò l'ononorevole La Vaccara
  che il _conforto_ di cui parlò l'onorevole La Vaccara

  negare gli arbitri e le ingiustizie commesse. Ed egli
  negare gli arbitrî e le ingiustizie commesse. Ed egli

  state addossate, nemmeno quella dei cattivi funziozionarî
  state addossate, nemmeno quella dei cattivi funzionarî

  politici se non materialmente, certo psichiamente
  politici se non materialmente, certo psichicamente

  nei comuni dell'isola; è falso che sia stata pubblicato
  nei comuni dell'isola; è falso che sia stato pubblicato

  favorevoli contro 45 contrarî e 22 astenzioni approvò
  favorevoli contro 45 contrarî e 22 astensioni approvò

  stessa stregua i nemici del 1862 e e quelli del 1894;
  stessa stregua i nemici del 1862 e quelli del 1894;

  rivoluzioni violenti: le riforme date a tempo. E riforme
  rivoluzioni violente: le riforme date a tempo. E riforme

  governo, ad una speciale ammistrazione» come ricordò
  governo, ad una speciale amministrazione» come ricordò

  perchè esse colla chiusura delle Sessione parlamentare,
  perchè esse colla chiusura della Sessione parlamentare,

  quella, già per se importante, illustrata dall'on. Tittoni. Anche
  quella, già per sè importante, illustrata dall'on. Tittoni. Anche

  La commissione dei deputati siciliani si chiari favorevole
  La commissione dei deputati siciliani si chiarì favorevole

  invece si apprende che dovuque gli operai e i contadini
  invece si apprende che dovunque gli operai e i contadini

  passè et l'avenir des Trade Unions_) che le grandi associazioni
  passé et l'avenir des Trade Unions_) che le grandi associazioni

  _Land League_ e forse anche senza il tremendo delittto
  _Land League_ e forse anche senza il tremendo delitto

  di Phoenix Parck?
  di Phoenix Park?

  già dissestate dalla continua diminuizione del prodotto
  già dissestate dalla continua diminuzione del prodotto

  Questi dati vennero completati e aggravati nei dicorsi
  Questi dati vennero completati e aggravati nei discorsi

  i Calonne, i Brienne, i Ioly de Fleury ed
  i Calonne, i Brienne, i Joly de Fleury ed

Sono state mantenute le seguenti grafie alternative:

  agrari/agrarî
  arbitri/arbitrî
  avversari/avversarî
  balia/balía
  benefici/beneficî
  benefizi/benefizî
  commissari/commissarî
  criteri/criterî
  dazi/dazî
  demani/demanî
  episodi/episodî
  esempi/esempî
  finanziari/finanziarî
  funzionari/funzionarî
  giudizi/giudizî
  incendi/incendî
  indizi/indizî
  istruttori/istruttorî
  medi/medî
  monopoli/monopolî
  municipi/municipî
  natia/natía/natìa
  negozi/negozî
  obbligatori/obbligatorî
  ordinari/ordinarî
  preludi/preludî
  principi/principî
  pro/prò
  proletari/proletarî
  propri/proprî
  proprietari/proprietarî
  qua/quà
  Regi/Regî
  rimedi/rimedî
  sacrifizi/sacrifizî
  sagrificî/sagrifizî
  salari/salarî
  segretari/segretarî
  servigi/servigî
  servizi/servizî
  soci/socî
  sodalizi/sodalizî
  stipendi/stipendî
  straordinari/straordinarî
  studi/studî
  sussidi/sussidî
  testimoni/testimonî
  uffici/ufficî
  vari/varî
  ventitre/ventitrè
  volontari/volontarî
  zolfatari/zolfatarî





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