Home
  By Author [ A  B  C  D  E  F  G  H  I  J  K  L  M  N  O  P  Q  R  S  T  U  V  W  X  Y  Z |  Other Symbols ]
  By Title [ A  B  C  D  E  F  G  H  I  J  K  L  M  N  O  P  Q  R  S  T  U  V  W  X  Y  Z |  Other Symbols ]
  By Language
all Classics books content using ISYS

Download this book: [ ASCII | HTML | PDF ]

Look for this book on Amazon


We have new books nearly every day.
If you would like a news letter once a week or once a month
fill out this form and we will give you a summary of the books for that week or month by email.

Title: Ricordi di Londra
Author: De Amicis, Edmondo, 1846-1908, Simonin, Louis, 1830-1886
Language: Italian
As this book started as an ASCII text book there are no pictures available.


*** Start of this LibraryBlog Digital Book "Ricordi di Londra" ***


(This file was produced from images generously made
available by Biblioteca Nazionale Braidense - Milano)



[Illustrazione]

    BIBLIOTECA DI VIAGGI

          RICORDI
             DI
           LONDRA

             DI
     EDMONDO DE AMICIS

      CON 21 INCISIONI

      SECONDA EDIZIONE

           MILANO
  FRATELLI TREVES, EDITORI
            1874



BIBLIOTECA DI VIAGGI

XXII.

RICORDI DI LONDRA



  RICORDI DI LONDRA

  DI

  EDMONDO DE AMICIS

  SEGUITI DA

  UNA VISITA AI QUARTIERI POVERI DI LONDRA

  di L. SIMONIN.

  SECONDA EDIZIONE

[Illustrazione]

  MILANO
  FRATELLI TREVES, EDITORI
  1874.


PROPRIETÀ LETTERARIA.

Tip. Fratelli Treves.



_Questi Ricordi di Edmondo De Amicis furono pubblicati, nella_ Nuova
=Illustrazione Universale=, _che incominciò quest'anno a Milano le sue
pubblicazioni. Piacquero tanto per l'esattezza e freschezza delle
descrizioni, per le impressioni rese con quel calore e colore che
l'autore della =Vita Militare= dà a tutti i suoi scritti, che da ogni
parte ci veniva la domanda di farne un volume a parte. Questo desiderio
era pure il nostro; ma ci fu da vincere la modestia dell'autore, il
quale finì col cedere alle nostre istanze al patto espresso che si
avvertisse il lettore come coteste pagine fossero destinate a giornale e
scritte per giornale, e non vogliono perciò essere giudicate come libro.
Ecco dato l'avviso: ma siamo certi che al lettore parrà che anche questa
volta al De Amicis è venuto fatto senza volerlo un bellissimo libro. Non
è dal numero delle pagine che si apprezza il valor letterario._

_Per amor di contrasti ci è piaciuto accoppiare ai Ricordi del De Amicis
quelli del Simonin. Lo scrittore italiano visitava per la prima volta la
metropoli inglese: fu sbalordito da tutto ciò che ivi è grandioso,
maestoso, ammirabile. Si sentì quasi rimpicciolito, e lo dice._

_Ecco il rovescio della medaglia. Il viaggiatore francese è andato a
vedere il brutto, la miseria, lo squallore. Accompagnato dalla polizia,
ha visitato i quartieri poveri e li descrive in modo da mettere i
brividi spesso, da impietosire sempre. È un terribile schizzo di
costumi, preso sul vivo._

_Così le due descrizioni si completano; e si direbbe che abbiamo le due
faccie, non di una metropoli, ma dell'intera umanità._


  GLI EDITORI.



I.


Pioveva, il mare era agitato, il bastimento ballava come una barchetta;
a una mezz'ora appena da Dieppe provai, per la prima volta in vita mia,
i sintomi del mal di mare. C'erano a bordo molte signore, la maggior
parte inglesi, che sgranocchiavano allegramente cacio e prosciutto,
senza neppur mostrare d'accorgersi di quel tremendo ballottìo che
sconvolgeva le viscere a me e ad altri, qualcuno dei quali s'era già
lasciato sfuggire dalla bocca più che dei lamenti. Ebbene, è proprio
vero che il mal di mare rende l'uomo superiore a tutte le vanità umane.
Se una mezz'ora prima m'avessero detto:--Guarda; qui c'è tanto denaro da
stare a Londra un mese invece di quindici giorni, come ci starai tu; e
poi da fare un giro in Scozia, e poi una scappata in Irlanda; questo
denaro è tuo, se tu pigli davanti a questo signore un atteggiamento che
ti renda ridicolo;--confesso la mia vanità, l'avrei rifiutato. Una
mezz'ora dopo, invece, stavo con un infinito disprezzo di me medesimo,
sopra due sacchi sucidi, un piede a oriente ed uno a occidente, il
cappello cilindrico schiacciato sur un orecchio, un calzone tirato su
che metteva in bella mostra un palmo di mutanda incatramata, e la testa
dondolante con un abbandono così svenevole, che avrei potuto servir di
modello per una brutta statua del _Languore_. Ah _è un gran male
malsano_ il mal di mare, bisogna dir col Fucini. Per maggior tormento
avevo accanto un francese buffone, partito con me da Parigi, che mi dava
la baia, ripetendo ad ogni mio gemito:--_Mais vous n'êtes pas malade,
mon cher monsieur: vous languissez d'amour pour cette charmante
demoiselle que voilà_,--e indicava una signora che io non avevo la forza
di guardare; e la gente intorno rideva. Donne! Amore! Se la più bella
creatura di questa terra m'avesse detto in quel momento come la duchessa
Giosiana al saltimbanco Gymplaine:--T'amo, t'accetto, vieni,--non mi
sarei voltato per veder com'era fatta. Quello stesso pensiero:--Questa
sera vedrò Londra,--che la mattina mi eccitava tanto, allora mi dava un
senso di noia insopportabile.--E dire che son venuto qui,--pensavo in
quel vaneggiamento,--per mia elezione, per divertirmi! Ah insensato! E
pensare che dovrò per forza ripassare il mare! Ah è impossibile, non me
la sento più, ci lascerei la vita.... Resterò in Inghilterra....
cercherò un mezzo di vivere a Londra... farò il commesso di bottega....
il maestro d'italiano... purchè io non vegga più mare! Morire, quando
giunga la mia ora, sta bene; ma mai più questo supplizio!

Poche ore dopo desinavo nella stazione della strada ferrata di Brighton,
e avevo rinunziato al proposito di morire in Inghilterra.

Quando partii per Londra, cominciava a farsi notte, mi rincantucciai nel
vagone e mi misi ad assaporare quel grande pensiero che di là a poche
ore sarei stato a Londra.--Londra!--Mi ripetevo questo nome, me lo
facevo sonare nella mente con compiacenza, come si fa sonare sul tavolo
una moneta d'oro.--Londra!--Provavo non so che gusto a dire a me stesso,
come se non l'avessi saputo prima, che era una città spropositata, un
mare magno, una babilonia, un caos, una cosa favolosa.--È la più grande
città della terra! pensavo,--e in questo v'è qualcosa di assoluto, che
in nessun'altra città si ritrova, perchè, se ve n'ha delle altre più
belle, di quale si può dire:--È la più bella?--È un piacere nuovo quello
di veder qualche cosa che, in un certo senso, occupi incontrastabilmente
il supremo grado nel mondo; qualche cosa di là da cui non si può
spingere il pensiero senza entrar nel regno dei sogni; qualche cosa
dinanzi a cui potete dire:--Nessun uomo ha visto mai nulla di più
grande!--E poi mi rallegravo pensando che andavo a Londra solo, senza
conoscerci nessuno, senza lettere di raccomandazione, come ci si deve
andare per potersi sentir smarriti in quell'oceano, per provarci quel
sentimento quasi di paura, che infondono i grandi spazi ignoti, per
essere schiacciati, per ricevere, in una parola, l'impressione schietta
ed intera che quella città immensa deve produrre nell'animo d'uno
straniero. E quanto a questo, avevo anco il vantaggio di non sapere una
saetta d'inglese, di esser corto a quattrini, di non avere che una
valigetta che spirava miseria, e infine tutto quello che ci vuole per
sentirsi piccino e meschino in una grande città sconosciuta. Pensando a
tutto questo, mi davo una fregatina alle mani e dicevo:--Londra, son
pronto!

Era notte fitta quando entrai nella città. V'entrai senza accorgermene,
e mi meravigliai quando mi fu fatto cenno di scendere. Scendo, mi trovo
sotto l'immensa tettoia della stazione di Londonbridge, in mezzo a un
visibilio di carrozze e di lumi. Salgo nella carrozza più vicina e porgo
al carrozziere un pezzetto di carta con su scritto il nome e la strada
dell'albergo che m'avevan consigliato a Parigi. Il carrozziere legge, fa
segno che ha capito e non si muove. Gli accenno che salga a cassetta e
parta; ed egli duro. Mi metto a inveirgli contro in francese; non
capisce una maledetta, e appoggiandosi pacatamente allo sportello
comincia a filarmi una lunga chiaccherata in inglese.--Ora sto
fresco!--dico io,--o come fare?--Incrocio le braccia e lo guardo;
egli incrocia le braccia e mi guarda; e stiamo così guardandoci
qualche momento. Infine perdo la pazienza, salto giù, gli urlo
all'orecchio:--Mulo!--e me ne vado da me. Capii dopo che non m'aveva
voluto condurre all'albergo perchè era troppo lontano. Me ne vado da me!
ma come? ma dove? Confesso che in quel momento mi sentii scoraggiato.
Quella immensità della stazione di cui non trovavo l'uscita, il non
sapere dove sarei andato a battere del capo, quel primo incontro
sfortunato che mi pareva un cattivo augurio, il peso della valigia che
m'impediva il passo, l'umidità che mi sentivo addosso, la notte, la
confusione, mi diedero un sentimento improvviso di tristezza e di
sgomento. Dopo aver errato un po' a casaccio, infilai una porta e mi
trovai fuori. Mi parve d'essere caduto nel caos. Uno strepito di
carrozze che non vedevo, un fischiar di treni di strada ferrata che non
capivo dove passassero, una confusione di lumi sopra e sotto, da tutte
le parti e a tutte le altezze, una nebbia che non mi lasciava
raccapezzare nè forme nè distanze, e un va e vieni di gente che pareva
che fuggissero: tale fu il primo spettacolo che mi si offerse.
Ciondolando, zoppicando, percorsi un tratto di strada, come uno stupido,
colla testa non so dove; poi, non potendo più reggere la valigia, la
posi in terra e mi fermai. Fortuna volle che, alzando gli occhi, vedessi
un fanale colorito con su scritto: _On parle français_.--Era un albergo,
tirai un gran respiro, ripresi il mio fardello ed entrai timidamente
coll'aria del _villan quando s'inurba_. Una signora di cattivo umore,
ch'era la padrona, udite le mie prime parole, chiamò il cameriere al
quale domandai se c'era una camera. Il cameriere, facendo ad ogni parola
francese una contrazione che pareva uno sforzo di vomito, e guardandomi
da capo a piedi con quell'aria tra di protezione e di diffidenza che è
propria della sua schiatta, mi rispose che la camera c'era; ma....
Ma--soggiunse--la facciamo pagare cinque _shilling_,--e mi guardò
un'altra volta da capo a piedi con aria sospettosa. Veramente il mio
vestiario era tale da scusare quella diffidenza. Nondimeno mi sentii
invaso d'uno sdegno da milionario, gettai sulla tavola una lira
sterlina, e facendo un gesto che in quel punto mi parve degno d'un verso
di Dante, dissi:--Pagatevi e andiamo!--M'accompagnarono nella camera. Mi
buttai subito in letto; ma per molto tempo non riuscii a chiuder occhio,
tale era il rumore che mi giungeva all'orecchio. Era un rumore sordo e
monotono come se flottasse il mare ai piedi della casa; e in mezzo a
questo brontolìo uno scoppiar di clamori acuti che pareva giungessero da
grandissime lontananze, e mi facevano pensare a mille cose strane, come
se fossero suoni di parole sfuggite alla immensa città che
s'addormentava, lamenti dei suoi sobborghi sterminati, imprecazioni di
quella formidabile City affranta dalla fatica, accenti di accusa e di
giustificazione, come si odono nel gran muggito del mare in tempesta. A
poco a poco i rumori più alti cessarono, non udii più che il brontolìo
monotono; poi, di tratto in tratto, riudii i rumori di prima,--una città
come Londra stenta a prendere sonno;--poi cessarono daccapo; finalmente
m'addormentai e feci i più stravaganti sogni del mondo.

    [Illustrazione: Facciata del palazzo di Westminster, veduta dalla
    riva del Tamigi.]

La mattina, assai prima del levar del sole, uscii, e mi diressi verso il
Tamigi. Ero a pochi passi dal ponte-di-Londra, nel cuore della City.
Si vedeva pochissima gente, regnava un gran silenzio, il cielo era
grigio, faceva freddo, una nebbia leggera velava tutte le cose senza
nasconderle. Andai verso il ponte a passi rapidi, sapendo che di là si
godeva il più gran colpo d'occhio di Londra.

Arrivato in mezzo al ponte, guardai intorno, provai un istantaneo senso
di freddo dal capo alle piante e rimasi immobile.

Subito dopo mi balenò dinanzi l'immagine di Parigi vista dal Ponte
Nuovo, e mi parve straordinariamente piccina.

Poi mi appoggiai alle spallette e dissi coll'accento di chi vuol mettere
un po' d'ordine nella sua testa:--Vediamo.

Sotto, il Tamigi larghissimo; da un lato bastimenti a perdita d'occhio,
dall'altro una successione di ponti giganteschi; lungo le due rive,
vicino al ponte, case robuste e nere, come vecchie fortezze, affollate
disordinatamente, e pendenti a filo sull'acqua. Un po' più oltre, grandi
moli di edifizi d'aspetto sinistro, smisurate tettoie a vôlta di
stazioni di strada ferrata, lunghe linee diritte come d'enormi bastioni;
e di là da questi, una confusione di contorni spezzati e di forme vaghe
via via digradanti in leggere sfumature cineree, fino a non presentar
più che un grandioso disordine di profili nebbiosi di comignoli, di
camini, di torri, di cupole, di campanili; e più oltre ancora,
prospettive misteriose quasi di altre città lontane, che s'indovinano,
più che non si vedano, da una linea dentellata leggerissima che si
disegna sull'orizzonte grigio. Su tutti gli edifizi vicini, poi, sui
ponti, sulle rive, un color cupo d'officina, un'aria di città logora, un
aspetto di forza e di fatica, un non so che di viscoso e di lugubre,
come d'una città desolata da un incendio;--uno spettacolo immenso e
triste.

Che strani giochi ci fa il cervello! Dinanzi a questi spettacoli che ci
dovrebbero, almeno per la prima volta, assorbire tutti interi, noi
scappiamo col pensiero, tutt'a un tratto, mille miglia lontano, dietro
alla più futile minuzia, che non ha nessunissima relazione con quello
che vediamo, e a cui sdegneremmo di pensare nella nostra vita ordinaria.
Io vedevo Londra per la prima volta, e pensavo a un volume dalle opere
del Voltaire che avevo imprestato e non riavuto prima di partire da
Torino.

Poi scordai il libro, e mi vennero a galla nella testa, come sempre
succede in una città sconosciuta, mille immagini disparate di persone e
di cose che per l'addietro solevo rappresentarmi in quella città, come
sopra un fondo di quadro: certi negozianti panciuti dei romanzi del
Dickens, la regina Elisabetta, una famiglia inglese vista un giorno
davanti alle porte del Ghiberti a Firenze, un gesto che fece una volta
mio padre dicendo:--Quanto darei per veder Londra!--e il ritratto
dell'attore Garrik che avevo visto in un giornale illustrato.

Poi daccapo una distrazione inesplicabile, come quella di accorgermi che
avevo la barba lunga e di dimandarmi dove avrei fatto colazione.

Poi un senso vivissimo di stupore di trovarmi là, come se ci fossi
piovuto dal cielo; e dopo un minuto, tutt'a un tratto, una glaciale
indifferenza, come se ci fossi sempre stato; e poi daccapo la meraviglia
fresca del primo momento. Proprio vero, come dice Sant'Agostino, che
quasi non mette conto di viaggiare, tanto è più meraviglioso quello che
segue nella nostra testa, di tutto quello che si può vedere di fuori!

Passai il ponte, giunsi sulla piazzetta che si apre sulla riva sinistra,
mi affacciai ad una delle strade che conducono verso la cattedrale di
San Paolo:--erano deserte; voltai a destra, e mi trovai dopo due o tre
giravolte nel mercato dei pesci, in una strada stretta, umida, nera,
piena di carri e di gente da poterci appena passare; andai oltre, in
mezzo a un così acuto odore di aringa, che in capo a pochi minuti avrei
potuto far colezione fregandomi il pane sui panni; giunsi alla Torre
famosa, la Bastiglia di Londra; le girai intorno, guardando con sospetto
le sue mura sinistre: ed entrai frettolosamente nella città dei _docks_,
col proposito di farvi un largo giro per non averci più da tornare.
Strade lunghe, tortuose, fiancheggiate da muri altissimi di color fosco,
senza porte e senza finestre, come mura di prigioni; gruppi di centinaia
di operai immobili alle cantonate; altri gruppi che sparivano in
silenzio nei vicoli oscuri: per una mezz'ora non vidi altro. Andavo
innanzi per quelle strade monotone, come per i meandri d'una fortezza
antica, annoiato e melanconico, senza sapere dove sarei riuscito. A un
certo punto, dopo un lungo girare, mi accorsi che tornavo indietro; e
dovetti far nuovi e lunghi giri per mettermi sulla buona strada. M'ero
lasciato addietro il _dock_ di Santa Caterina, mi pareva d'esser vicino
all'estremità del _dock_ di Londra, e m'ero proposto di andare fino al
_dock_ delle Indie. Avevo infilato una strada di cui non vedovo la fine,
chiusa a destra dalle mura dei _docks_, a sinistra da piccole case in
mezzo alle quali si allungavano altre strade strette e lunghissime,
fiancheggiate da torri di officine, da muri di magazzini, da mucchi di
casaccie affumicate; e via via che andavo innanzi, non che mi paresse
d'allontanarmi da Londra, mi pareva d'avvicinarmi al centro. Ma pieno di
fiducia nelle mie gambe, e incoraggito dall'esperienza di Parigi dove,
con grande meraviglia dei miei amici, avevo sempre fatto di meno della
carrozza, continuavo a camminare senza paura. Giunse però un momento che
mi parve non sarebbe stato inutile sapere dov'ero. Passando accanto a un
gruppo d'operai, ne udii uno che parlava francese; mi fermai e gli
domandai se quello lì accanto era il _dock_ delle Indie.

Per tutta risposta mi ripetè la domanda.--Quello lì il _dock_ delle
Indie?--e mi guardò coll'aria di dirmi ch'ero matto.

--Ma è o non è?

--Ma caro signor mio,--mi rispose ridendo,--si vede che lei non ha
un'idea di cos'è la città di Londra. Questo è il _London-dock_.

--Ancora il _London-dock_! Ma se è mezz'ora che son passato dinanzi alla
porta!

--E con questo? Non sa lei che il solo scompartimento dei tabacchi del
_London-dock_ è lungo un miglio inglese?

--Ma allora quanto c'è per arrivare al _dock_ delle Indie?

--Ci vuole andare in battello o per strada ferrata?

--Ci voglio andare a piedi.

Mi guardò i piedi.

--Io non so....--rispose--ma m'immagino che siano quattro o cinque
miglia.

--E che c'è per queste quattro o cinque miglia?

--Ci son case, _docks_, magazzeni, officine, opifici.

--Senza interruzione?

--Senza interruzione.

--E dal _dock_ delle Indie dove si va?

--Dal dock delle Indie si va all'_Outer dock_.

--E quanto c'è di strada per arrivare all'_Outer dock_?

--Ci sono presso a poco altre cinque miglia.

--Sempre in mezzo alle case e agli opifici?

--Sempre fra case e opifici.

--Dall'_Outer dock_ dove si va?

--Dall'_Outer dock_ si va fino in faccia a _Greenwich_.

--E c'è?

--Due o tre miglia.

--Sempre nell'abitato?

--Sempre nell'abitato.

--E da Greenwich dove si va?

--Da Greenwich si va all'_East India Import dock_.

--Ed è distante da Greenwich?

--Circa otto miglia.

--Sempre fra case e opifici?

--Sempre fra case e opifici.

--E poi?

--E poi si continua.

--E dove finisce?

--Chi lo sa!

Questa volta mi guardai i piedi anch'io. Presi commiato dall'operaio, e
mogio mogio ritornai sui miei passi, dicendo tra me: Oh povero illuso! E
tu colle tue gambe credevi di venir a Londra a far delle bravate!

Riattraversai il mercato dei pesci, ripassai davanti il ponte di Londra
e m'avviai verso il centro della città.

Quando arrivai in Fleet-street, il grande movimento era già cominciato.

Allora vidi Londra.



II.


Sui due marciapiedi della strada la gente era fitta come all'uscita d'un
teatro, e non si vedevan crocchi, nè brigatelle, nè alcuno che gridasse
e gesticolasse; andavan tutti in fretta e in silenzio, ciascuno
approfittando d'ogni piccolo spiraglio che si facesse nella calca, per
cacciarsi innanzi a chi lo precedeva; e urtandosi gli uni e gli altri,
senza voltarsi. Nel mezzo della strada passava una fila lunghissima di
grandi omnibus variopinti come carri da carnevale, con una specie di
gradinata di sedili sul davanti, che si allarga di sotto in su, e porta
così in aria la gente in forma di ventaglio, i più bassi quasi a terra,
i più alti che arrivan col capo al primo piano delle case, e sporgono
fuori come se fossero sospesi. Fra l'uno e l'altro omnibus, e dalle due
parti, una confusione indescrivibile di carri, di carrozze, di _cabs_,
di barrocci, di calessi, di carrette, di carrozzoni coperti d'annunzi,
di trabicoli d'ogni forma, a tre, a cinque, fino a otto di fronte, i
cavalli degli uni col muso contro la parte posteriore degli altri, i
mozzi delle ruote che si toccano; e un continuo scansarsi a furia di
serpeggiamenti, e un formarsi e disfarsi a stento di gruppi intricati di
decine di veicoli da far temere ad ogni momento che scricchiolino e si
spezzino tutti insieme come una sola gran macchina scomposta da un urto
violento. Tra carro e carro, lungo i marciapiedi, facchini carichi,
ragazzi con carrettine a mano, lunghe file di uomini con cartelloni
d'annunzi appesi al collo, affaccendati a salvarsi la vita. A ogni
cantonata, quel torrente immenso d'uomini e di cose trabocca in larghi
canali, riceve affluenti, si spande e ristagna in piazze e cortili,
filtra nei vicoli e nei chiassuoli in torti rigagnoli che si perdono fra
le case. Mentre vado innanzi così, trascinato dalla corrente, sento un
fischio acuto sopra il mio capo; alzo gli occhi e vedo passare un treno
di strada ferrata sovra un alto ponte che accavalcia la strada. Quel
treno è appena passato, odo un altro fischio da un'altra parte; e vedo
trasvolare un altro treno sopra i comignoli delle case laterali. Nello
stesso momento, dalla parte opposta, esce un nuvolo di fumo da una larga
apertura della terra: è un terzo treno della strada ferrata sotterranea,
che passando un istante all'aperto, fischia un saluto alla luce. Arrivo
all'imboccatura di una larga strada: vedo in lontananza il Tamigi, i
ponti; su quei ponti altri treni che si seguono e s'incontrano; sotto
gli archi, battelli a vapore che passano inchinando i tubi come grandi
alberi curvati dal vento, lunghe file di barconi, rimorchiati da
piroscafi; sciami di zattere e di barchette; e lungo le spallette dei
ponti processioni di gente che spariscono sulla riva opposta. Andando
innanzi, altre strade di cui non si vede la fine, fiancheggiate da
edifizii enormi, corse da altri torrenti di gente. E da per tutto un
fracasso di ponti di ferro tremanti sotto il peso di lunghissimi treni,
fischi, sbuffi di fumi, soffi affannosi sopra il mio capo, sotto i miei
piedi, vicino e lontano, per terra, per aria e per acqua; una gara, una
furia di cose che partono e di cose che arrivano, una continuità di
fughe, d'incontri, e d'inseguimenti accompagnati da uno strepito di
schiocchi, di cigolii, di scalpitii, di rimbombi; lo sparpagliamento di
una grande battaglia e l'ordine d'una smisurata officina; e poi
l'oscurità del cielo, la tetraggine degli edifizi, il silenzio della
folla, la gravità dei volti, che dà allo spettacolo non so che aspetto
misterioso e doloroso, come se quell'immenso moto fosse una necessità
fatale e quell'immenso lavoro una dannazione. Stanco e sbalordito, mi
cacciai in una birreria, e tirando un gran respiro:--Ma che mondo è
questo?--mi dimandai;--ma come si può vivere in questa maniera?

    [Illustrazione: Somerset-Haus (Palazzo Somerset).]

    [Illustrazione: Osservatorio di Greenwich.]

Poco dopo, mi rimisi in cammino e arrivai sulla piazza di Trafalgar,
ch'è nel centro del quartiere più frequentato dai forestieri. Mi piacque
l'altissima colonna che sostien ritta nella nebbia la statua del bravo
Nelson, e ammirai i quattro enormi leoni che le fanno corona; ma lo
_square_, forse perchè lo paragonai alla piazza della Concordia di
Parigi, mi riuscì al disotto di quello che m'aspettavo. Là è il punto
d'incontro di tutti gli omnibus di Londra occidentale, e ognuno può
immaginare che trambusto. Basti dire che mi venne da ridere pensando a
ciò che nel corso a Roma, in via Toledo a Napoli e in certe strade di
Genova, noi chiamiamo un _gran movimento_, e che appetto a quello non è
che il tranquillo via vai di un villaggio in un giorno di festa. Infilai
la gran strada di _Whitehall_ o andai a riuscire sulla piazza del
palazzo del Parlamento, e di qui mi diressi sul ponte di Westminster.

Il colpo d'occhio che si gode di là è il più bello di Londra, e rivende
tutte le vedute dei ponti della Senna. Da una parte si vede il grande e
delicato palazzo gotico del Parlamento, incoronato d'innumerevoli
torricine, e decorato di mille statue di regine e di re, di là dal quale
s'alzano le torri della gloriosa Abbazia di Westminster, il Panteon
dell'Inghilterra; sull'altra sponda, gli otto graziosi edifizi
dell'Ospedale di San Giacomo, dipinti di vivi colori; a monte del fiume,
un orizzonte aperto ed allegro. In quel punto par di essere in un'altra
Londra; v'è non so quale maestà serena di città meridionale. Il Tamigi,
percorso da pochi piroscafi e da poche barche, passa in silenzio dinanzi
al monumento che rappresenta la gloria e la potenza dell'Inghilterra,
come un esercito infinito che sfili dinanzi al suo principe; e da
quell'ampiezza chiara e queta si vede in fondo, lontano, come traverso a
un velo, gli edifizi neri e confusi, i ponti che formicolano di gente, e
il fumo denso della vecchia Londra che s'agita e lavora.

Osservai per la prima volta, stando su quel ponte, che a Londra quando
c'è un po' di mota per le strade, moltissimi, anche signori, si
rimboccano i calzoni come i contadini; e che altri moltissimi portano
dei vistosi mazzetti di fiori all'occhiello. E confesso che non potevo
trattenermi dal ridere vedendo, come vidi spesso, un viso
straordinariamente grave, il mazzetto, e la rimboccatura, sur una sola
persona.

Ritornato sulla sinistra del Tamigi, girai per le strade principali,
colla mia brava pianta in mano senza aver bisogno di chieder nulla a
nessuno.

L'aspetto generale delle strade di Londra non si può propriamente dire
quale sia. Nessuna città presenta una così disordinata varietà di forme,
una così capricciosa mescolanza di bello, di brutto, di magnifico, di
povero, di triste, di strano, di grande, di uggioso. Vi pare come una
città, nel suo complesso, nuova per voi, ma composta di tante altre
città già vedute, alle quali abbian dato una tinta comune, per
nasconderne l'origine diversa. Le architetture di tutti i paesi e di
tutti i tempi vi sono raccolte, sovrapposte, intrecciate. In una stessa
strada, si alternano l'araba, la bizantina, la gotica e la greco-romana,
e i varii ordini inglesi; uno stesso edifizio ha finestre ad arco acuto
e peristilio greco, colonnette moresche e cariatidi del rinascimento,
tetto d'un pagode indiano e mura di un tempio egizio. Ad ogni cantonata,
si vede qualcosa che trasporta la immaginazione a mille miglia lontano
dal luogo dove uno si trova. In un punto è una reminiscenza confusa di
Venezia, altrove è un'aria vaga di Roma, qui balena alla mente Siviglia,
là vien pensato a Colonia, un po' più oltre sembra d'essere in una
strada di Parigi. Tutte quelle forme che si son viste altrove, così
annerite come si ritrovan là dal fumo e dalla nebbia, paiono divenute
più austere, paiono come intristite del trovarsi lontano dal loro paese
nativo, uggite da quell'atmosfera densa, da quello strepito, dallo
spettacolo di quella vita faticosa. Di più quella profusione eccessiva
di colonne, di frontoni, di torricine, di ricaschi, di rilievi,
d'ornamenti, di forme monumentali, riesce ostentata e stanca. Tutta
quell'arte ha l'aria d'una cosa importata, e che stia là a disagio. È un
ricolmo, uno spreco di ricchezza e di lusso, uno sforzo di parere. Si
vede la città opulenta che s'è comprata la bellezza a peso d'oro; si
sente un po' la mercantessa rifatta e rinfronzolita.

A queste strade fiancheggiate da palazzi principeschi, fanno contrasto
altre strade lunghissime fiancheggiate da innumerevoli case tutte d'un
colore, tutte d'un'altezza, tutte d'una forma, col tetto nascosto dietro
i muri, in modo che paiono scoperchiate, senza terrazzini, senza
persiane, nude come muraglie di bastioni; in alcune strade, nere come la
gola del camino, colle porte e le finestre contornate di righinette
bianche, che dan loro l'aspetto di enormi catafalchi; in altre parti,
d'un rosso cupo, d'un giallastro viscoso, da parer case fatte di fango e
di filiggine; e si va innanzi fra questi colori e queste mura per miglia
e miglia, senza incontrar un sol edifizio che rompa quella uniformità
malinconica, una sola casa che rammenti la città ricca e magnifica.

Ma per contro la ricchezza e la magnificenza dei quartieri signorili
sbalordiscono. A ogni passo vi trovate dinanzi a un palazzo immenso,
straricco di bassorilievi e di ornati, e pensate che sia un palazzo
reale; è invece una stazione della strada ferrata, un albergo, una casa
di commercio. Strade intere sono fiancheggiate dalle due parti da questi
splendidi colossi, ciascuno dei quali, visto dall'estremità opposta di
quello accanto, sembra già molto lontano, e mostra vagamente la sua nera
mole a traverso la nebbia come una enorme rupe tagliata a picco. Il
grandioso che in altre città è sparpagliato e bisogna cercarlo, là vi
circonda; e quello che in altre città vi par tale, portato là
coll'immaginazione, si perde nell'immenso. Attraversate dei quartieri
monumentali, passate da una città di palazzi, silenziosa come se fosse
disabitata, in una città di officine, nella quale udite mille rumori,
senza vedere nessuno; e da questa in un vasto sobborgo dove formicola un
popolo immenso, e non si ode quasi strepito; e uscendo da questo
sobborgo, rientrate in una città di palazzi. Non errate per una città,
viaggiate per un paese.

Chi può dire le mille impressioni sfuggevoli che si provano girando soli
per una città come Londra? La meraviglia si fa sentire come a scatti; ma
tra scatto e scatto, per lo più, non si prova che noia e stanchezza.
Dieci volte all'ora uno si domanda:--Ma forse che mi diverto io? E non è
altro che questo il piacere che si prova viaggiando?--A volte vi assale
un timore improvviso di cader malati nel mezzo della strada, d'esser
toccati chi sa da chi, portati chi sa dove. In certi punti, si trovano
analogie misteriose di luoghi, di circostanze, di persone, da parervi
d'esser stato un'altra volta in quel punto stesso, a quell'ora medesima,
con quella stessa luce di sole, e quel medesimo odore dell'aria, in un
tempo remoto. A momenti, vi piglia un'allegria senza cagione, un amore
subitaneo del paese dove siete, che vi fa guardar tutti quei che passano
con un occhio benevolo, come se fossero tutti amici. In altri momenti
un'occhiata sospettosa, una risposta sgarbata d'uno sconosciuto, vi
cangia l'animo, vi fa veder tutto nero, vi rende il paese odioso. Il
suono lamentevole di un organetto, in certe strade cupe e popolose, vi
fa pensare confusamente agl'infiniti misteri di miserie e di delitti che
si nascondono in quegli immensi formicai umani; e vi fa desiderare
ardentemente di esser fuori di là, all'aria aperta, in una villa
solitaria che avrete visto di sfuggita dieci anni prima dal finestrino
d'una diligenza.

A una cert'ora, trovandomi vicino a una stazione, volli fare una corsa
per la strada ferrata sotterranea. Scendo due o tre scale, e mi trovo
tutt'a un tratto sbalzato dal giorno alla notte: lumi, gente, strepito,
treni che giungono e che spariscono nel buio. Giunge il mio, si ferma,
gente si precipita giù, gente salta nei vagoni; mentre domando dove sono
le seconde classi, il treno è partito.--Ma che maniera è questa?--dico a
un'impiegato.--Non si confonda,--mi risponde,--eccone un altro. Là i
treni non si succedono, s'inseguono. L'altro treno giunge, salgo, e via
come una saetta. Allora comincia uno spettacolo nuovo. Si corre fra le
fondamenta della città, nell'ignoto. Prima ci si sprofonda nel buio
fitto, poi si vede per un momento la luce fioca del giorno, poi daccapo
nell'oscurità, rotta qua e là da bagliori strani; poi in mezzo ai mille
lumi d'una stazione che appare e scompare in un punto; treni che passano
e non si vedono; una fermata improvvisa, le mille faccie d'una folla che
aspetta, illuminate come dal riflesso d'un incendio; e poi via daccapo
in mezzo a un rumore assordante di sportelli sbattuti, di campanelli, di
soffi di macchine; altre oscurità, altri treni, altri barlumi di giorno,
altre stazioni illuminate, altre folle che passano, che giungono, che si
allontanano, fin che s'arriva all'ultima stazione; mi precipito, il
treno dispare, sono spinto in una porta, son mezzo portato su per una
scala, mi ritrovo alla luce del giorno... Ma dove? Che città è questa?
come uscirò di qui? Adagino; andiamo un po' in una birreria a studiare
la pianta.

    [Illustrazione: Stazione di una ferrovia sotterranea.]

Dopo un profondo studio, riuscii a trovar la via d'andare al _British
Museum_, di tutti i musei di Londra quello che mi stimolava di più la
curiosità. Attraversai in fretta le immense sale della scultura, le sale
egiziane, le sale assire, e mi arrestai nella sala dei manoscritti, a
considerare il contratto di pigione di Shakspeare e il contratto di
vendita del Paradiso perduto, e gli altri innumerevoli autografi dei più
grandi artisti e dei più gran monarchi del mondo. Ma di tutti questi
autografi, due soli mi colpirono profondamente, e non ne potei staccar
gli occhi per un pezzo. Son due piccoli fogli, sull'uno dei quali è
scritta una somma, e sull'altro tracciati alcuni circoletti, parte
disposti in linea retta nel mezzo, parte ammucchiati in un angolo; e
così la somma come i circoli paiono fatti in fretta, da una mano un po'
agitata. Questi due fogli di carta sono sicuramente, fra i moltissimi
del museo, quelli sui quali fu scritto e disegnato in un momento più
solenne. Chi avesse potuto veder nell'anima di quei due uomini,
nell'atto che segnavano quei numeri e quei circoli, la tempesta che ci
fremeva! I numeri rappresentano le forze dell'esercito inglese, e furono
scritti poco prima delle battaglia di Waterloo; i circoli rappresentano
le navi della flotta inglese e della francese, e furono fatti poco prima
della battaglia di Abukir; la somma è del Wellington, lo schizzo è del
Nelson. Manoscritti del Galileo, del Newton, di Michelangelo, del
Franklin, del Washington, del Molière, di Carlo V, di Pietro il Grande,
del Durer, del Lutero, del Tasso, del Rousseau, del Cromwel, ce n'è da
dare e da serbare. Ma ecco un'altra strana cosa: mentre ora non so che
darei per avere sotto gli occhi una sola di quelle carte, allora che
avevo solo da chinarmi per vederle, non provavo nemmeno un'ombra di
curiosità; e quel ch'è più strano, prevedevo, ero sicuro che poi mi
sarei pentito di non averle guardate. E mi rimproveravo, e domandavo a
me medesimo:--Ma perchè non sei curioso?--e mi rispondevo:--Non lo
so;--e sentivo una maledetta smania di andar via, e correvo per quelle
sale con una barbarica indifferenza per tutti quei tesori in mezzo ai
quali ci sarebbe di che passare un mese in una continua successione di
piaceri.

--_Mi paghi no!_

Uscendo dal museo, intesi brontolare queste parole da uno sconosciuto
che stava per entrare. Oh dolcissima lingua! dissi tra me; e mi fermai a
guardare lo sconosciuto. Era uno che pareva un operaio, e discorreva con
una donna che aveva l'aria d'esser sua moglie. Accortosi che m'ero
voltato, si voltò egli pure, e sorprendendomi a sorridere, vedete un po'
la combinazione! invece di capire ch'ero un suo compatriotta perduto nel
gran mare di Londra, che il suo _paghi no_ m'aveva rallegrato il cuore,
e che se avessi osato, l'avrei invitato a desinare con un matto
piacere, non gli frulla pel capo che io abbia fatto l'occhietto a sua
moglie? e non risponde al mio sguardo soave, facendomi due occhi di
basilisco? e vedendo che io continuo a guardare, non fa un passo avanti
coll'aria di venirmi a dare un cappiotto? Ingrato lombardo!--mormorai
mestamente ripigliando la mia strada;--tu mi hai dato una stoccata nel
cuore. Ma va, per amore della Madre comune, ti perdono!

Prima di sera, volli ancora fare una corsa in strada ferrata aerea, e
pigliai un biglietto d'andata e ritorno per un punto qualunque della
città. È un piacere tutto diverso, ma non meno vivo di quello della gita
sottoterra. Si corre in mezzo ai tetti, nella regione del fumo e delle
rondini, a traverso una foresta sconfinata di rocche di camino, di tubi,
di banderuole, di abbaini, di comignoli; si vedono mille piccoli recessi
sconosciuti di quella informe, capricciosa, solitaria architettura, che
pullula come la vegetazione selvaggia d'un immenso terreno pensile
sull'ultimo piano della grande città; si scoprono mille piccoli misteri
di finestrine, di covi umani, di gabbie di case che paiono sospese fra
il cielo e la terra, e nelle quali pure si annidano delle famiglie
numerose, coi loro giardinetti aerei: si vede giù in fondo nelle strade
la folla nera, alla quale si passa sopra come a un torrente, udendone
appena lo strepito; e tutto intorno si spazia coll'occhio fino a una
grande lontananza, scorgendo a volta a volta il Tamigi, gli alberi dei
bastimenti del porto, il verde dei parchi immensi, le torri delle
officine dei sobborghi, e ogni cosa fuorchè i confini del meraviglioso
panorama.

Ma rimaneva ancora da fare un po' di strada in omnibus; m'arrampicai sul
tetto del primo che vidi, mi lasciai condurre fino al termine della
corsa e poi tornai al punto di dov'era partito. Strada facendo, ebbi
più volte occasione di meravigliarmi della famigliarissima disinvoltura
colla quale uno qualunque dei miei vicini, per passare da una parte
all'altra dei sedili, si serviva della mia spalla come punto d'appoggio,
facendomi per un momento sentire il peso di tutta la sua persona, e
dandomi poi nell'atto di levare la mano una scossa vigorosa, come un
ginnastico che butta via l'asta dopo aver saltato la corda. Il primo che
mi rese questo servizio, siccome mi colse all'improvviso, mi fece
rimanere mezzo stroncato. Come di ragione, mi voltai, almeno per avere
il compenso d'un sorriso che volesse dire:--Scusi.--Che! M'aveva voltate
le spalle senza darsi l'incomodo di guardare quant'ero lungo. Visto che
s'usava così, presi le mie precauzioni, e ogni volta che vidi un vicino
stender la mano, gli porsi la spalla, dicendo:--Si serva--; e così
tenendo duro fin che si fosse servito, restai un po' meno sconquassato.
Ma fui poi compensato, su quello stesso omnibus, dal piacere che provai
persuadendomi che si può benissimo fare una piacevole conversazione
senza capirsi. Un giovanotto accanto a me, che pareva molto allegro, mi
rivolse la parola in inglese. Io risposi in francese:--non capisco. Egli
non capì che non capivo, e tirò innanzi ridendo. Feci cenno col capo di
no, di no, che non s'incomodasse, che era fiato perduto. Il caso volle
forse che quel no cadesse a proposito a una domanda che m'aveva fatta, e
continuò più infervorato che mai. Allora, poichè parlava con tanto
piacere, finsi di capire, facendo dei mezzi sorrisi e dei cenni
indeterminati, che non potessero discordare recisamente da nessuna cosa
che mi dicesse. Poi, cominciando ad annoiarmi di far quella parte,
pensai che s'egli mi parlava una lingua che io non capivo, io potevo
bene parlargli una lingua che non capisse lui; e mi misi a discorrere in
italiano. Era buio pesto; nondimeno rise, mi battè la mano sul
ginocchio, stette a sentire con un'aria di curiosità come se gli avessi
canterellato un'arietta; o poi da capo a parlare inglese, e così si
continuò per un pezzo, con reciproca soddisfazione, fin che l'omnibus si
fermò, scendemmo, mi diede un Orario d'una _Società di navigazione a
vapore_, della quale m'immagino che fosse un agente; e ci separammo,
stringendoci la mano come due persone che si fosser trovate
completamente d'accordo su tutte le quistioni del giorno.

La sera non ebbi il coraggio di sfidare lo _spleen_, e lo fuggii
riparando per tempo all'albergo. Oh se avessi avuto là qualcuno da
pagare perchè mi stesse a sentire, gli avrei dato volentieri una mezza
lira sterlina, tale era il bisogno che provavo di sfogarmi a chiacchere,
dopo aver visto tante cose senza poterne dir una! Non sapendo che far
altro, mi misi a preparare i paragoni e le immagini di cui mi sarei
servito, a casa, per dare un'idea della grandezza di Londra; e poichè da
molti giorni non facevo che sfogliettar Guide e domandare ragguagli a
quanti incontravo, così non mi mancava la materia.

Sappi dunque,--dicevo a una seggiola incaricata di rappresentare un
amico intimo,--che Londra è lunga sedici miglia e ne riquadra
trentacinque; che i borghi che via via le si aggregano, contano la
popolazione di Firenze, come Greenwich, o la popolazione di Roma, come
Chelsea, o la popolazione di Marsiglia, come Hackney; che solo coi
servitori che sono a Londra si fa un esercito più numeroso che
l'esercito italiano in tempo di pace; che colle fiammelle a gaz che
illuminano le sue dieci mila strade si rischiara una strada lunga la
quarta parte della circonferenza della terra; che contando che ci
vogliono dieci litri di birra per ubbriacare un tedesco, colla birra che
si beve in un anno a Londra c'è da ubbriacare due volte tutto
l'esercito germanico sul piede di guerra; che mettendo l'una dietro
l'altra tutte le bestie da macello che si mangiano in un anno a Londra,
si fa una fila continua che attraversa tutta l'Europa dallo stretto di
Gibilterra fino all'estremità settentrionale della Russia; che colle
ostriche che s'inghiottiscono in un anno a Londra, si copre tutto il
campo di Marte di Parigi, col ponte di Jena e la piazza del Trocadero; e
che sul Ponte-di-Londra passano giorno per giorno venti mila carrozze.

La mattina seguente andai a vedere il Palazzo di Cristallo.

    [Illustrazione: Il Monumento.]



III.


Il breve tragitto dalla stazione di Vittoria al palazzo di Cristallo
offre la varietà d'un lungo viaggio. Si passa prima in mezzo ad altri
treni rapidissimi sur un largo ponte, che è come una piazza sospesa sul
Tamigi, sulla quale le rotaie s'incrociano tanto fitte da presentare una
superficie quasi continua di ferro. Si passa accanto al grande parco di
Battersea. Poi è un seguito di stazioni, di gallerie, di opifici
circondati da centinaia di case d'operai, che formano come dei villaggi
dentro la città: tutte le case d'una sola forma e d'un solo colore,
ciascuna col suo piccolo orto, e sciami di bambini da ogni parte. Poi
altri parchi, ossature di edifici enormi, abbozzi di piccole città che
saranno finite e popolate fra mesi, magazzini, giardini, castelli,
cimiteri, e fin dove arriva la vista, grandi mucchi di materiali da
costruzione che predicono altre città di là da venire. Sotto i _tunnel_,
sulle travi delle tettoie, fin sui comignoli, fin sugli alberi, fin
sulle prode della via, una prodigiosa diffusione di annunzi
ciarlataneschi, che fanno a soverchiarsi l'un l'altro come grida di
venditori in un mercato, e danno al luogo l'aspetto fantastico d'un
bazar che copra una intera provincia.

    [Illustrazione: Chiesa e Piazza di San Paolo.]

Finalmente si vede sulla cima d'un colle la mole enorme del palazzo di
cristallo, che mostra a tutta la contea di Kent la maestà delicata delle
sue vôlte trasparenti.

Dentro, è una sola immensa sala, un piccolo mondo. A primo aspetto non
si raccapezza nulla. Da un cortile si riesce in un caffè, da un caffè in
un bazar, da un bazar in un giardino, da un giardino in un museo. In
mezzo ai cipressi, agli allori, agli aloè, alle palme, a tutte le piante
pompose della zona torrida, allungano il collo le giraffe e levan la
testa le statue di Michelangelo. Fra le sfingi d'un cortile egiziano, si
vede lontano una casa greca col gruppo di Laocoonte e la Venere di Milo.
Dalla casa greca s'entra in una casa romana, di qui si sprofonda lo
sguardo nelle stanzine misteriose dell'Alhambra, e dall'Alhambra si vede
dentro il cortile d'una casetta di Pompei. S'esce, si passa in mezzo a
gruppi di leoni e di tigri che s'addentano, fra due file di aquile e di
pappagalli, e si riesce in un cortile bizantino, dal quale, per una
sfilata di porte, si vede un cortile d'una casa del medio evo, la sala
d'un palazzo del Rinascimento, la cappella d'una chiesa gotica. Si va
oltre fra i monumenti sepolcrali, le fontane, le porte istoriate, e
tutti i capolavori della scultura moderna, e si giunge in mezzo a una
folla di gente alla porta d'un teatro dove si rappresenta il
_Trovatore_. Un po' più oltre, da un lato si vede un'orchestra capace di
tre mila artisti, sotto una mezza cupola, larga due volte quella della
cattedrale di San Paolo; e dal lato opposto un palco scenico dove un
professore dà lezione di matematica. Si passa davanti a teatri di
commedia, a camere oscure, a circhi, si entra in un labirinto di grandi
bazar in forma di templi e di chioschi, nei quali sono esposti i più
splendidi prodotti dell'industria di tutti i paesi, dal Cairo a
Birmingham e da Parigi a Pekino. Si trascorre per corridoi di
biblioteche, in mezzo a lunghe file di pianoforti, di carrozze, di
mobili, di vasi di fiori, e si va a smarrirsi fra gli alberi e le
caverne d'un bosco popolato di stivaggi d'Africa e d'Oceania, sparsi
alla caccia delle fiere, o raccolti a famiglie intorno ai focolari, o
appostati dietro i sassi nell'atto di pigliarci di mira colle freccie.
Si va su per una scala: ci si allungano davanti gallerie a perdita
d'occhio, dove si possono far delle miglia in mezzo ai quadri ad olio,
agli acquerelli, alle fotografie, ai busti d'uomini celebri. E sopra
queste, altre gallerie a mille giri, dalle quali, guardando fuori, si
abbraccia con un colpo d'occhio la bella campagna della contea di Kent,
e guardando giù, tutto quel fantastico giro di sale, di giardini, di
cortili, di teatri, di trattorie; la gente che sale, scende, e s'affolla
ai teatri, e sparisce e riappare in mezzo alle piante e alle statue; e
su quella prodigiosa varietà di forme, di colori e di spettacoli, su
quel compendio di mondo sul quale s'incurva un cielo di cristallo, la
luce del sole che irrompe e saetta da tutte le parti, gettando iridi,
lampi e sprazzi di scintille d'argento lungo le pareti e le vôlte
azzurrine.

       *       *       *       *       *

Tornando a Londra mi seguì un caso che mi fece rimpiangere amaramente di
non sapere l'inglese. Nel vagone c'era un signore che fumava la pipa: io
accesi l'ultimo sigaro virginia d'una reliquia di mazzo che avevo
portato da Parigi. L'avevo appena acceso, quando entrò una signora. Io
faccio un atto come per domandarle se il fumo le dà noia; essa mi
risponde qualche parola in inglese, che dall'espressione del suo viso mi
pare che significhi:--Sì, mi dà noia.--Raccolgo tutta la mia forza di
sacrificio e butto via il sigaro dal finestrino. Non era ancora cascato
in terra che l'uomo della pipa mi afferra il braccio e mi fa capire in
francese che la signora aveva risposto che _anzi_ il fumo le piaceva. Io
guardai il finestrino, la mia mano vuota, la signora che rideva, e
_venni men così com'io morisse_.

Arrivato a Londra, andai all'abbazia di Westminster, la _Santa Croce_
dell'Inghilterra.

Entrando in quella chiesa, se si fosse soli, si chinerebbe la fronte sul
lastrico.

Un Panteon di quella natura è un immenso argomento di marmo in favore
dell'immortalità dell'anima.

Appena entrati, si alzano gli occhi agli altissimi archi acuti delle
vôlte, poi si girano sul popolo di statue che ne circonda. Là gli uomini
grandi sono accalcati, si pigiano, si nascondono. Fatti i primi passi,
s'incontra Pitt, Palmerston, Robert Peel: avanguardia degna della
legione. In un canto, Pasquale Paoli. I simulacri delle glorie supreme
sono frammisti a quei delle glorie minori, e invece di oscurarle, le
irradiano. È un Panteon divinamente democratico. I grandi principi
dormono accanto ai grandi poeti. Vicino a Shakespeare v'è un pedagogo:
Andrea Bell. Vicino a Newton, un portabandiere. Fra due ammiragli
vittoriosi, Garrick, l'attore, che si presenta fra le cortine del palco
scenico col sorriso sulle labbra. Fra una folla di ciambellani, di abati
e di ministri, fra i quali si passa indifferenti, s'incontrano le
immagini care e gloriose che fanno battere il cuore, come amici
ritrovati in un paese sconosciuto: Gray, Milton, Goldsmith, Thomson,
Thackeray, Addison, e l'ultimo, amato e compianto come i più grandi,
Carlo Dickens. In mezzo ai capitani famosi che insanguinarono il mare e
la terra, splende la gloria intatta e serena dei grandi benefattori: gli
apostoli dell'abolizione della schiavitù; Hanway, il filantropo;
Wintringham, il medico; James Watt, l'inventore della macchina a
vapore. Accanto alla grandezza sfolgorante del genio, la grandezza
austera delle anime integre, dei caratteri indomabili, delle lunghe vite
spese in lavori pazienti e in sacrifizi ignorati. Ma che diversi
pensieri in quelle cappelle rivestite di meravigliosi ricami di pietra,
dove si cammina fra i sepolcri dei principi, fra i ricordi della potenza
e delle sventure di sette schiatte di re! Se tutto il sangue che fece
spicciare il pugnale o la scure dalle vene della gente sepolta fra la
tomba di Enrico VII e quella di Edoardo il Confessore, si spandesse
tutto a un tratto nel santuario, non rimarrebbe un palmo di marmo senza
macchia. Maria Stuarda, Lord Stafford, il marito di Anna, duchessa di
Somerset, decapitati; Tommaso Tyrme, assassinato; Aymer di Valenza,
conte di Pembroc, assassinato; Tommaso di Woodstock, duca di Salisbury,
assassinato; Riccardo II, assassinato; Edoardo V e il fratello duca di
York, gli sventurati figli di Edoardo, assassinati; il duca di
Buckingam, assassinato: Spencer Perceval, cancelliere del tesoro,
assassinato; Nicola Bagenall, soffocato nella culla dalla nutrice. Dopo
fatto il giro delle cappelle, colsi un momento che il custode guardava
da un'altra parte, per sedermi sul vecchio trono dei re di Scozia; e poi
battei la mano sulla pietra dove il patriarca Giacobbe posò la testa
quand'ebbe la visione divina.

       *       *       *       *       *

Chi non ha visto piovere a Londra, non ha visto Londra; ed io ebbi
questo piacere la mattina che andai a vedere il _tunnel_ sotto il
Tamigi. Capii allora come con quel tempo, si possa esser presi dalla
tentazione di tirarsi una pistolettata. Le case sgocciolano, come se
sudassero; l'acqua non par che scenda soltanto dal cielo, ma che trapeli
dai muri e dalla terra; i colori cupi delle case diventan più cupi, e
pigliano un'apparenza oleosa; le imboccature dei vicoli sembrano
imboccature di grotte; tutto par sucido, logoro, muffoso, sinistro;
l'occhio non sa dove rivolgersi, che non incontri qualcosa di
sgradevole; si senton dei brividi che fan l'effetto dell'assalto
improvviso d'un malanno; si prova un senso molesto di stanchezza,
un'uggia d'ogni cosa, una voglia inesprimibile di sparire come un lampo
da questo mondo noioso.

       *       *       *       *       *

Mentre pensavo queste cose, sparii davvero dal mondo, scendendo per una
scala a chiocciola illuminata, che si sprofonda nella terra, sulla riva
destra del Tamigi, di fronte alla Torre di Londra. Discesi, discesi, fra
due pareti fosche, fin che mi trovai dinanzi all'apertura rotonda del
gigantesco tubo di ferro, che ondeggia come un gran budello nel ventre
enorme del fiume. L'interno di questo tubo si presenta come un corridoio
sotterraneo, del quale non si vede la fine. È rischiarato da una fila di
lumi a perdita d'occhio che mandano una luce velata, come lampade
sepolcrali; vi è un'aria nebbiosa; vi si va per lunghi tratti senza
incontrar nessuno; le pareti sgocciolano come i muri d'un acquedotto;
l'intavolato si move sotto i piedi come il palco d'un bastimento; il
passo e le voci della gente che viene incontro, mandano un suono
cavernoso, e si sentono prima che la gente si veda; le persone, da
lontano, paiono grandi ombre; v'è in fine non so che di misterioso che
senza far paura mette in cuore una vaga inquietudine. Quando poi si è
giunti nel mezzo, e non si vede più fondo nè di qua nè di là, e regna un
silenzio di catacomba, e non si sa quanta strada rimanga da fare, e si
pensa che s'è giù nell'acqua, nella profondità oscura del fiume dove
spirano i suicidi, e che sul nostro capo passano i bastimenti, e che se
s'aprisse una crepa nella parete, non si avrebbe più il tempo di
raccomandar l'anima a Dio, in quel momento, oh come par bello il sole!

Credo che avevo fatto poco meno d'un miglio quando arrivai all'opposta
imboccatura sulla sinistra del Tamigi; salii per una scala gemella di
quell'altra, e riuscii davanti alla torre di Londra.

       *       *       *       *       *

Questi monumenti esecrabili della crudeltà e della sventura umana mi
ispirarono sempre una ripulsione più forte della curiosità; ma
ricordando i nomi di coloro che morirono fra quelle mura, mi sentii
forzato ad entrare. Appena passato il primo recinto, le memorie
terribili si affollano. Il castello, costrutto in forma di pentagono, è
sormontato da otto torri, ognuna delle quali rammenta un prigioniero
famoso e una morte miseranda. In una furono assassinati i figli di
Edoardo IV, in un'altra assassinato Enrico VI, in una terza annegato
dentro una botte il duca di Clarence, fratello di Edoardo VI. Nella
torre delle campane fu chiusa la regina Elisabetta; in quella di
Beauchamp passò gli ultimi giorni della sua vita Anna Bolena; in quella
dei Mattoni, Giovanna Grey. Fatti pochi passi, si giunge nella piazzetta
dei supplizi segreti, dove, fra le molte altre vittime, Giovanna Grey fu
decapitata. Poco distante è la piccola chiesa dove sono sepolti Anna
Bolena, Roberto Devereux, Caterina Howard, e altri che furono avvelenati
o pugnalati o strozzati nelle segrete. Il castello, nudo e lugubre di
fuori, è anche più triste dentro. Le scale, strette e schiacciate dalle
vôlte, conducono in grandi sale squallide, in lunghi corridoi
semi-oscuri, in celle sinistre, in quei sepolcri di gente viva dove si
stracciarono i capelli e batterono il capo nelle pareti tanti infelici
impazziti dalla disperazione. La mente si distrae per poco da quei
pensieri in mezzo alle splendide armature dei re e dei principi,
raccolte nelle sale a terreno; e poi vi ricade, al veder l'orrenda
segreta dove Walter Raleigh, il favorito di Elisabetta, languì dodici
anni; la scure e il ceppo ancora macchiato di sangue, dove fu troncata
la testa a centinaia di prigionieri della Torre; gli strumenti ancora
intatti, coi quali si straziavano le carni e si stritolavan le ossa,
senza dare la morte. Grida che sfuggono ad una creatura umana soltanto
insieme alla vita, gemiti che fanno inorridire, atteggiamenti, parole
supplichevoli che lacerano il cuore, e resistenze sovrumane di gente che
non vuol morire, si sentono e si vedono col pensiero, vivissimamente,
girando pei recessi di quell'edifizio maledetto.

In una sala appartata, sotto una grande custodia di vetro, difesa da una
rete di ferro, si vede un mucchio di scettri, di diademi e di
braccialetti che abbarbagliano come un raggio di luce elettrica: sono i
diamanti della Corona d'Inghilterra, che presentano tutti insieme il
valore di settantacinque milioni di lire.

       *       *       *       *       *

All'uscire della Torre di Londra, vidi per la prima volta in una
birreria un ubbriaco di _gin_. Mi fece orrore. Non credevo che
l'ubbriachezza potesse trasfigurare un uomo in quella maniera. I nostri
ubbriachi di vino, o smodatamente allegri o cascanti di sonno, sto per
dire che sono gradevoli a vedere in confronto di quegli uomini colla
faccia stravolta e convulsa, coperta di un pallore mortale, con
un'espressione di malato e di pazzo, e gli occhi spalancati e fissi come
occhi di cadaveri. E si vedono quei disgraziati, così ridotti, bere
ancora a gorgate quel liquore tremendo, stramazzare come gente
fulminata, picchiare sconciamente il capo nei muri e nei tavoli, e
insanguinarsi il viso; e i presenti assistere alla scena ridendo.

    [Illustrazione: La Torre di Londra.]

Ma una vista che per le strade e nei parchi di Londra mi compensava del
brutto spettacolo degli ubbriachi, era la vista dei bambini, quei cari
bambini inglesi che godono meritamente la fama di essere i più gentili e
i più freschi del mondo. Dal color d'oro della lira sterlina fino al
biondo cinereo della seta più chiara e della fresca barba d'una
pannocchia di gran turco, si vedon capelli di tutte le sfumature di
biondo, cascanti in larghe onde lucide che mettono la tentazione di
darci una forbicciata passando. Guancine poi di tutte le gradazioni del
color di rosa, dalle foglie pallide che vestono il fiore alle piccine
voluttuose che fanno all'amore col pistillo; boccuccie purpuree da far
meravigliare che gli uccelli non se le becchino; pupille celesti e
candori da metter vergogna ai putti che svolazzano intorno alle
Concezioni del Murillo. Se non ho portato via una bracciata di questi
bimbi, è proprio perchè non li sapevo dove mettere. Ma non ebbi la forza
di resistere a un'altra tentazione. Un giorno, nel Green-Park, ne
agguantai uno che mi passò a tiro, gli schioccai tanti baci da levargli
il fiato, e rendendolo alla bambinaia che era accorsa per salvarlo, feci
un atto supplichevole come per dire:--Mi scusi, ne avevo bisogno.

       *       *       *       *       *

I bimbi mi fanno ricordare della celebre esposizione di figure della
signora Tussaud. Non mi pentii d'esserci stato; ma n'ebbi un'impressione
quasi più penosa che gradita. Appena entrato, mi trovai dinanzi al
cadavere di Napoleone III, steso sul letto in grande uniforme, di
maresciallo, così mirabilmente imitato, che provai repugnanza ad
avvicinarmi. Mentre lo guardavo, vidi colla coda dell'occhio un signore
accanto a me che faceva un atto di dolore; mi voltai, lo guardai fisso,
e detti indietro con raccapriccio: era il Pietri--di cera--vestito di
nero, ritto in mezzo alla gente come uno spettro. Nella gran sala
principesca dove son centinaia di re, di regine, di generali, corti
intere d'Inghilterra e di Spagna, cogli splendidi costumi dei tempi,
respirai più libero. Girando intorno al trono d'un re d'Aragona,
m'imbattei nel ciuffetto del Thiers; poi scivolai fra l'imperatore
Guglielmo e il principe Federico Carlo, e passai dinanzi a Giulio Favre
e a Bismarck che discorrevano con molto calore in un angolo appartato.
Nella sala dove son raccolti i più famosi malfattori dell'Inghilterra
passai di volo. Quelle faccie di cretini feroci, quegli atteggiamenti
circospetti, quei panni macchiati di sangue, in quella mezza oscurità
che non lascia quasi avvertire la finzione, mi fecero orrore. Se
qualcuno in quel momento avesse gettato un grido dietro una cortina,
avrei creduto che uno di quegli assassini gli avesse piantato un
coltello nel cuore.

Andai un giorno a vedere quella famosa Banca d'Inghilterra che ha la
bagatella di novecento impiegati, ai quali dà la povertà di sei milioni
di stipendio, e possiede nelle sue casse la bellezza di quattrocento
milioni in oro e in argento, e conserva sotto una campanella di vetro un
biglietto che vale la giuggiola di venticinque milioni. Entrai nella
grande sala dove si fanno i pagamenti. Cento impiegati, affacciati a
cento finestrini, distribuiscono con una rapidità da prestigiatori
argento ed oro a rotoli, a manate, a palettate, e i creditori empiono in
furia tasche e sacchetti e scappano come ladri gettando intorno delle
occhiate di diffidenza. Bisogna vedere i lampi, i barlumi di sorriso, le
contrazioni leggerissime delle sopracciglia e delle labbra, e i mille
moti espressivissimi ma inesprimibili dei volti della gente, alla vista
di quell'oro. E bisogna vedere quell'oro come sguiscia, scappa,
sfolgora, e manda dei tintinni che sembran risa di allegrezza, e fa ogni
sorta di civetterie, che sembra animato e maligno. Anch'io, dinanzi a
quello spettacolo, provai per la prima volta un turbamento colpevole, e
feci una faccia che un che m'avesse veduto in quel punto, avrebbe
gridato:--Arrestatelo!--Quel sentimento, a diciott'anni, non l'avrei
provato! A quell'età non si dà pensiero di non esser ricchi. La
gioventù, come disse un grande poeta, è un _aspettare misterioso_, e fra
le mille cose che si aspettano nell'avvenire indeterminato e lontano, vi
è anche quella di diventar ricchi. Si spera ancora vagamente nelle
eredità di parenti ignoti e nei fasci dei biglietti di Banca trovati sul
tavolino da notte, una sera dopo il teatro, mandati non si sa da chi. Ma
ogni anno che passa, cancella una parola di queste promesse fantastiche
del nostro buon Genio, e allora la vista dell'oro fa pensare, e desta
dei desiderii malinconici: non per amor dell'ozio, ma di quella cara
indipendenza che il lavoro obbligato ci toglie, ma per poter lavorare
dieci anni intorno a un libro, per tenerci in casa quattro maestri di
lingue, per fare un viaggio in Africa, per poter offrire insieme
all'amore un diadema di rubini e un palazzo di granito.

Andai lo stesso giorno a vedere quella rinomata birreria di Barklay, che
paga allo Stato un'imposta di quattro milioni e mezzo di lire, e consuma
anno per anno trecento mila ettolitri d'orzo. Dopo aver girato un pezzo
per le strade d'un quartiere di Southwark in cerca della porta,
domandai, e mi fu fatto capire, con mia gran meraviglia, che mi trovavo
già nella birreria, e che fin allora non avevo fatto che passeggiare fra
le sue mura.--Ma chiamatela città di Barklay!--dissi poi al custode che
m'accompagnava. Il flemmatico inglese sorrise, e si diffuse per
gratitudine in minute spiegazioni, facendomi girare per gl'interminabili
labirinti di quegli edifizi, intorno a laghi di spuma, in mezzo a botti
titaniche, e a fragorose cascate di birra; e quando infine domandai un
po' di tregua per le mie gambe, mi condusse a riposare sur un alto
terrazzo, di dove accennando col braccio teso, come fa un generale
l'accampamento, quell'ampio giro di case, di magazzini, di scuderie, di
granai e di cortili, che formano la birreria Barklay:--Ecco,--disse
alteramente--la più grande birreria della terra!

       *       *       *       *       *

Quella medesima sera, ripassai dinanzi alla Banca d'Inghilterra, vidi la
borsa, mi trattenni un po' in quel crocicchio di strade dove ferve il
gran commercio di Londra: e poi, tutto compreso di quello spettacolo,
tornai a casa agitato da una smania non mai provata di buttarmi agli
affari e di ammassare ricchezze.--Ma che scrivere!--dicevo tra
me.--Azione vuol essere! Cos'è questo passar la vita a spacciar parole?
È una vita rettorica. Bisogna lavorar sul sodo. Grazie al cielo sono
ancora in tempo. Ci son ben altri che si son dati al commercio più tardi
di me, e sono ancora riusciti a farsi una fortuna. Tornato che sarò in
Italia, mi darò moto, cercherò, farò qualche cosa. I miei amici
rideranno? E ridano! Riderò io pure quando mi farò fabbricare una villa
a Fiesole... Vediamo un po' che _ramo_ potrei tentare. Bisogna
cominciare dal poco. Vini, liquori.... non direi; cotone....--In quel
punto mi parve di vedere un ditino bianco appuntato verso di me, e
d'udire una voce canzonatoria domandarmi:--Tu?--Allora risi e rinunziai
al commercio.

    [Illustrazione: St. James-Palast (Palazzo di S. Giacomo).]



IV.


Per veder bene i musei di Londra bisogna esser ricchi: poter cioè
piantare comodamente le tende nella gran città per un anno. Se no, le
visite ai musei non riescono altro che marcie forzate. Mi pare ancora di
correre per le sale interminabili di quell'emporio universale che è il
museo di South Kensington, sperando sempre, all'entrare in una nuova
sala, che quella sia l'ultima, e lasciando sempre cader la braccia al
vederne un'altra sfilata appena arrivato alla porta. È un gran che se mi
ricordo dei famosi cartoni di Raffaello, e d'un meraviglioso _Amleto_
del Lawrence che mi arrestò in un corridoio per propormi l'enimma
tremendo. Non presenta però questo inconveniente il piccolo museo di
pittura della piazza di Trafalgar, ed ho ancora vivi dinanzi agli occhi
quegl'immortali sposi di Hogarth, che furon pagati a lui due mila lire e
rivenduti per una somma venti volte maggiore cinquant'anni dopo; le
fantastiche battaglie di luce di Turner; i quadri di Raffaello cercati
per venticinque anni; e quelli dei quattro pittori prediletti
dall'Inghilterra: Correggio, Poussin, Murillo, Claudio il Lorenese. Ma
non feci che marcie forzate nel museo delle Indie, nel museo di Soane,
nel museo marittimo, nel collegio dei chirurghi, dove si vede lo
scheletro di Carolina Cracami, la famosa nana siciliana, che si poteva
seppellire sotto un cappello cilindrico; e di Byrne, il gigante
irlandese che passeggiando per le strade accendeva la pipa alla gente
del primo piano.

Ma l'impressione che mi rimarrà più di tutte, è quella che mi fece la
Camera dei Comuni. C'entrai senza saperlo,--era vuota;--guardai e
riguardai e non mi passò nemmeno per la mente che fosse la Camera. Una
sala, all'apparenza, piccina, decorata con una magnificenza piena di
grazia aristocratica, che arieggia un coro di cattedrale da canonici
eleganti, e che si presterebbe a meraviglia per un congresso di
contessine coi capelli biondi e le vesti bianche. Quando seppi ch'era la
Camera dei Comuni,--quella Camera dove suona la semplice e tranquilla
eloquenza dei primi oratori del mondo, che echeggia poi, spizzicata in
sentenze presuntuose e in citazioni pedantesche nei parlamenti
latini,--feci un atto rispettoso, domandai il permesso di toccare lo
scettro (_the Mace_) colla punta delle dita, colla speranza che mi
trasfondesse la non latina virtù delle discussioni pacate.

    [Illustrazione: Il castello di Windsor.]

Dalle visite faticose ai Musei e ai Palazzi, m'andavo a riposare nei
parchi,--in quelle grandi oasi del _popoloso deserto_ di Londra, dove
l'anima si rallegra al vedere che il mondo non è tutto case e strade
ferrate; dove centinaia di bellissime donne su bellissimi cavalli
trascorrendo per viali di cui non si vede la fine, e migliaia di bimbi
sparpagliati alla corsa per prati immensi e intorno a grandi laghi
solcati da barchette innumerevoli, vi fanno pensare con piacere che la
vita non è tutta traffico e fatica; dove il verde rigoglioso, l'ilarità
dei volti e la melodia della musica italiana, vi ravvivano con un
sentimento di tenero desiderio l'immagine della patria cara che
rivedrete fra poco. O Hyde Park, Regent's Park, parco del Vittoria,
parco di Battersea, parco di Greenwich, parco di Southwark, parco di San
Giacomo, parco d'Olanda,--benefici consolatori delle mie malinconie,--io
vi ringrazio e vi saluto! E ripenso con gratitudine anche alla collina
del castello di Windsor, ai boschetti di Eton, ai passeggi di Richmond e
ai giardini di Kew e a tutti gli ameni dintorni di Londra, dove mi
salvai dalla noia micidiale delle domeniche. Ah! chi non ha visto Londra
la domenica, non sa che cos'è la noia. Le porte chiuse, le finestre
sbarrate, le strade deserte, le piazze silenziose; intieri quartieri
abbandonati, dove si potrebbe morir di fame senz'essere nè soccorsi nè
visti; uno squallore di città disabitata; un tedio infinito su tutte le
cose; si direbbe che le statue sonnecchiano e che le case s'annoiano, e
vi si apre la bocca in così larghi e lunghi e violenti sbadigli, che
subito vi vien fatto di tastarvi la faccia per vedere se c'è nulla di
dislogato.

Londra mi pareva di giorno in giorno più grande. Per quanto camminassi
con qualunque direzione, non riuscivo mai, non solo a vederne la fine,
ma nemmeno una radura di case che l'annunziasse. Da certe parti,
passandoci una seconda volta, scoprivo dei tratti di città grandi come
Firenze, che la prima volta m'erano sfuggiti. Ogni giorno, anche solo
nei quartieri della Westend che frequentavo, vedevo quasi per incanto
aprirmisi dinanzi qualche strada immensa che non avevo neanche visto
sulla carta. Mi mettevo in viaggio la mattina, ripassavo pei luoghi
percorsi il giorno innanzi, senza riconoscerli; arrivavo in un parco
dove mi fermavo a ripigliar fiato e coraggio; e poi daccapo nel
labirinto infinito delle strade, ora a piedi, ora in diligenza, ora in
_cab_, facendo un'esclamazione di stupore allo svolto d'ogni cantonata,
come quando si arriva sulla cima d'un monte e si scopre tutt'a un
tratto un nuovo paese. Ho ancora in capo mille immagini confuse di
crocicchi pieni di popolo, di grandi spazii solitari e di lontananze
nebbiose,--non so di che parte di Londra nè che giorno vedute,--che
spesso mi si confondono con visioni di quelle città immaginarie che ci
appariscon nei sogni.

La grandezza e la ricchezza di Londra mi facevano ogni momento una
impressione diversa. Alle volte sentivo il mio amor proprio d'italiano,
schiacciato; ricordavo con dispetto le meschine vanterie a cui ci
lasciamo andare in casa nostra, paragonandoci soltanto con noi medesimi;
mi proponevo, quando fossi in Italia, di rintuzzarlo con sarcasmo; avrei
voluto esser nato inglese, per aver diritto di guardare dall'alto in
basso i latini. Altre volte invece, lo spettacolo della superiorità di
quel paese mi faceva sentire pel mio un affetto più vivo, misto di pietà
gentile. Forse che un figliuolo, pensavo, deve amar meno sua madre
perchè è povera e malata? Spesso poi, neppure quella grandezza mi pareva
invidiabile. Vanità, dicevo; vanità. A che tende, come domanda il
pastore del Leopardi, tutto questo gran moto, questo immenso agitarsi
d'uomini e di cose? Sono più contenti di noi costoro? Hanno la
ricchezza! Ebbene, noi non abbiamo la nebbia, e un povero diavolo al
sole gode forse più la vita che un ricco al buio. E forse che non ci
sono anche qui miserie e dolori infiniti?--E anche questa povera Italia
qualche volta mi dava delle soddisfazioni d'amor proprio. Quando qualche
cortese compagno di diligenza, sentendo ch'ero italiano, mi volgeva uno
sguardo tra benevolo e curioso, come per cercare sul mio viso qualcosa
che rispondesse a quella vaga immagine di cose belle e di vita lieta che
desta in ogni straniero il nome d'Italia, sentivo un piacere vivo, e
vedevo nel cristallo del finestrino di rimpetto, che i miei occhi
brillavano e le mie guancie erano diventate color di rosa.

Ma che lezione di modestia è questo viaggiare! Come par ristretto a chi
viaggia il giro delle cognizioni e delle idee, in cui vive abitualmente,
e che pure, a casa sua, fra i suoi amici, e i suoi libri, gli pare già
così vasto! Veder che una metà almeno di quello che forma «il tesoro
d'istruzione» che abbiamo raccolto in tanti anni di studio e
d'osservazione, non ha quasi punto valore nel paese straniero dove ci
troviamo! Toccar con mano che a casa nostra, mentre credevamo di leggere
il libro del mondo, non ne leggevamo veramente che una pagina, che mille
cose che ci parevano grandi, importanti, e tali da riempire di sè mezzo
il mondo, non sono che robetta di casa, che non conta il bellissimo
nulla un passo fuori dell'uscio! A ogni passo che si fa in un paese
straniero, ci si apre sotto gli occhi come una crepa, per la quale
vediamo giù gli abissi della nostra ignoranza, e ci giunge d'in fondo
una risata di compassione. Ma v'hanno dei momenti, per contro, nei quali
il movimento delle idee ci si fa così rapido, e vediamo, indoviniamo,
comprendiamo in un lampo tante cose che ci erano ignote od oscure prima
d'allora, che se quella febbrile attività della mente potesse durare
continua, si sarebbe uomini straordinarii. Che grandi disegni si fanno
allora, che sfumano alla prima svoltata di strada!

       *       *       *       *       *

Quello che mi meravigliò di più a Londra, dopo la grandezza e la
ricchezza, è l'ordine. Quella città enorme è assestata come un villaggio
olandese. Le funzioni della sua immensa vita si compiono a rigor di
orologio. Uno straniero che appena capisca il francese, si cava da solo
d'ogni impaccio e senza perdere un minuto di tempo. I muri e le
diligenze, coperte d'infinite iscrizioni, lo guidano costantemente, e a
ogni passo; qualcuno gli mette in mano un foglio stampato che gli dà
un consiglio o una notizia utile. In qualunque parte di Londra uno si
smarrisca, non ha che da andare nel senso del primo treno che vede
passare sui tetti; il treno lo conduce a una stazione; i muri della
stazione gl'insegnano la strada per tornar a casa. Un giorno salii sur
una diligenza senza saper dove andasse; fui condotto parecchie miglia
fuor di Londra; discesi a una trattoria di campagna, rimasi solo.
Nessuno di quei ch'eran là capiva una parola di francese, non potei
nemmeno sapere dov'ero, nè quando la diligenza sarebbe ripassata. Mi
prese un po' d'inquietudine. Girai per un villaggio, tutto casette
lustre e giardinetti leccati, dove non incontrai che qualche ragazzo
aristocratico a cavallo, e non vidi che qualche bionda testa di _miss_
dietro i vetri delle finestre: e v'era un silenzio di camposanto. Che
fare? Dove andare? A un tratto sentii un soffio che mi andò al cuore
come una voce d'un amico; corsi da quella parte e in quindici minuti fui
a Londra.

    [Illustrazione: Il nuovo ponte di Londra.]

La sera, a Londra, per uno straniero è molto trista. Ebbi degli _spleen_
feroci. Abituato al fantastico splendore dei _boulevards_ di Parigi, e a
quel gran movimento festivo, le strade di Londra mi parevan buie e
melanconiche. Rimpiangevo i caffè affollati, le botteghe sfarzose, e
persino i quadri dissolventi del _boulevard_ Montmartre; dimenticando
l'indignazione che mi destava lo spettacolo della prostituzione
sfrontata, trionfante e sfolgorante, che pullula in ogni parte. Ma che
mistero son questi scoraggiamenti, queste tristezze profonde che ci
assalgono la sera in una città che non si conosce! e tanto profonde che
alle volte s'ha una faccia che mette compassione alla gente che passa!
Ma perchè?--uno si domanda; stai bene, non ti mancano i denari, hai
buone notizie di casa, sei libero, domani mattina ti divertirai, fra
dieci giorni ti ritroverai nel tuo paese; ma dunque perchè quel cipiglio
da suicida?--Chi lo sa! Anch'io, come il lebbroso del De Maistre,
quando vedevo passare una coppia coniugale, con ragazzi, balia e
bambino, tutti contenti e ridenti, sentivo un'invidia amara e torcevo il
viso da un'altra parte.

       *       *       *       *       *

Si può a Londra, per via di raccomandazioni, ottenere il permesso di
accompagnare la ronda notturna della polizia in quei luridi quartieri,
dove formicola la popolaglia dei mattatori e dei pezzenti; e penetrare
nei covi dove quei miserabili con pochi centesimi, passan la notte.
Girai per quei quartieri soltanto di giorno, in mezzo alle case dove
vanno a istupidirsi i bevitori d'oppio, dove si fanno i balli osceni a
un soldo l'entrata, dove il dilettante di _box_ va a veder vibrare i
pugni formidabili che schiacciano gli occhi e spezzano i denti; dove si
rinvengono le donne col cranio spaccato dai mariti ubbriachi; dove la
meretrice consunta riceve gli amplessi del ladro macchiato di sangue;
dove la prostituzione comincia colla fanciullezza e continua colla
vecchiaia; dove la ferocia, la lascivia, la miseria si dan la posta
nelle tenebre, come mostri schifosi, e s'accoppiano, per mandar vittime
al Tamigi, agli ospedali ed al patibolo; dove fermenta, infine, il
putridume della grande città, e dove Carlo Dickens andava a bere la
birra col suo servitore.

       *       *       *       *       *

La più bella mattinata che passai a Londra fu l'ultima, chiusa dalla più
cara colezione cosmopolita che abbia fatta finora. Ero salito sulla
torre di Wren,--quella torre famosa che ricorda un incendio di
quattrocentosessanta strade e quattordici mila case;--dalla cima della
quale si abbraccia con un colpo d'occhio il grande movimento del ponte
di Londra e di tutte le strade che vi fan capo sulla sinistra del
Tamigi. Trovai lassù cinque giovanotti simpatici, che chiacchieravano
allegramente, strapazzando la lingua francese (uno eccettuato) con una
disinvoltura da garzoni di barbiere; attaccai discorso; e dopo qualche
parola, seppi con mio grande piacere che uno era di Colonia, uno di
Manchester, uno di Harlem, uno di Guadalajara e il quinto di Lione; così
che, me compreso, il gruppo rappresentava sei stati: Germania,
Inghilterra, Francia, Italia, Spagna ed Olanda,--tre popoli latini e tre
popoli nordici,--quattro monarchie sane e due repubbliche malate.
Ridemmo del curioso incontro, poichè il tedesco e l'olandese eran
capitati là anch'essi per caso qualche minuto prima; e gli altri tre
s'eran combinati nella stessa maniera il giorno innanzi; e dandoci una
cert'aria grave di commissione internazionale per un _arbitrato_
qualunque, andammo insieme a far colezione. Eccettuato lo spagnuolo, e
un po' l'italiano, gli altri erano spugne da birra; la tavola fu presto
coperta di bicchieri vuoti; e la conversazione si fece animatissima. I
vapori della birra avevano assopito gli odii e i dispetti politici, e
destato invece in tutti e sei un sentimento d'amore universale, che
prorompeva in brindisi clamorosi alla prosperità e alla gloria di tutte
le nazioni rappresentate, _quoique indignement_, come diceva il lionese,
in quell'allegro convegno, che avrebbe dovuto _servir d'exemple aux
gouvernements_. Prima che giungesse l'ottava bottiglia, l'Alsazia era
restituita, ogni ombra di timore di guerra per la quistion di Roma,
dissipata, tutti i Carlisti sparsi sulla frontiera francese,
ammanettati, il Lussemburgo assicurato per sempre dalle pretensioni
della Germania. Poi cominciarono a ballar sulla tavola Guttemberg,
Coster, Michelangelo, Mendoza, Newton, il principe d'Orange, Victor
Hugo, e su di loro una pioggia di quegli aggettivi da _dessèrt_
rinforzati da una gorgata: divino, immenso, sublime, sovrumano. Poi, via
via che cresceva la dimestichezza, ciascuno a parlare dei fatti
suoi:--io sono negoziante--io giornalista--io pittore--io ho... qualche
cosa,--e l'uno domandare all'altro l'età, e dirsi reciprocamente:--Lei è
un bel tipo tedesco--e--Lei è un bel tipo italiano--e assassinare l'uno
la lingua dell'altro, e di tratto in tratto una voce che gridava:--Ma
qui non si beve!--E poi, i grandi progetti e gli appuntamenti convenuti
per l'anno venturo a Parigi, ad Amsterdam e a Costantinopoli, tal
strada, tal giorno, tal ora; e--badi che io ci sarò:--Lei mi
scriva--vada franco--e poi un ultimo cozzo di bicchieri straboccanti, al
grido di:--Viva la civiltà!

    [Illustrazione: Gravesend.]

A mezzogiorno salivo, vicino alla Torre di Londra, sur un bastimento a
vapore che partiva per Anversa.

La favolosa grandezza di Londra non si vede intera che scendendo e
rimontando il Tamigi; il London-Bridge e la City scompariscono al
paragone del porto; tutta la città di Londra rimpicciolisce.

Quando il bastimento partì splendeva il sole e l'aria era limpida. Si
entrò in mezzo a due file di grandi bastimenti, si oltrepassò in pochi
minuti quel _dock_ di Santa Caterina, che abbraccia lo spazio occupato
una volta da dodici mila abitanti, e serve di porto ai bastimenti che
vengono dalla Germania, dai Paesi Bassi, dalla Francia e dalla Scozia;
si lasciarono addietro quei _London-Docks_ che contengono nei loro
bacini trecento bastimenti di alto bordo e nei loro magazzini duecento
mila tonnellate di mercanzia, e danno lavoro a tre mila operai di tutti
i paesi del mondo; e si andò innanzi rapidamente, rasentando i
bastimenti, i piroscafi di rimorchio, i barconi, le navi d'ogni forma
che vanno e vengono per il largo fiume. Per un po' di tempo, lo
spettacolo non è straordinario. Mucchi enormi e file sterminate di
sacchi, di botti, di casse, di balle che ingombran le rive, le dighe, i
ponti, le imboccature delle strade; lunghissimi muri di cinta, infinite
case nere, e per tutto fumo di officine, moto di macchine, e
affaccendarsi d'operai e di marinai; il movimento, più fitto e più
svariato, che si vede in tutti i grandi porti. Senonchè, quando si è
giunti al grande svolto del Tamigi, si comincia a osservare che prima
d'allora non s'era mai percorso un così lungo spazio in mezzo ai
bastimenti, e appena svoltati, vedendo ancora nella nuova dirittura
alberi e vele a perdita d'occhio, si prova una viva maraviglia. Ma è ben
altra cosa quando ci s'accorge che di là da questi alberi e da queste
vele, oltre i muri altissimi che si stendono lungo le due rive, vi sono
altre foreste di bastimenti, fitte, profonde, confuse; a sinistra i
grandi bacini dei _docks_ delle Indie occidentali, che coprono la
superficie di cento ettari; a destra i cinque grandi _docks_
«Commerciali» e i _docks_ di Surrey, che si estendono per parecchie
miglia dentro terra. Non si naviga più fra due file di navi, ma fra due
file di porti; e lo sguardo non può abbracciare tutto lo spettacolo.
Oltrepassati i _docks commerciali_, si va innanzi per qualche miglio in
mezzo a _docks_ minori; ma sempre tra foreste di bastimenti, muri neri
di magazzeni grandi come città, e monti di mercanzie. Si passa dinanzi
al glorioso ospedale di Greenwich, e si svolta intorno all'isola dei
Cani. Son già due ore di navigazione, i bastimenti diradano, e benchè i
magazzeni, gli opifici, le case si succedano senza interruzione sulle
due rive, il porto pare che sia per finire. Si tira un respiro, si aveva
bisogno di un po' di riposo, si era stanchi di meravigliarsi. Così si va
innanzi per un'altr'ora, pensando già a Londra come a una città lontana,
e al movimento e allo strepito del porto come uno spettacolo del giorno
innanzi. Quand'ecco, a una svoltata del fiume, nuove file lunghissime di
bastimenti, nuove foreste lontane di alberi e d'antenne, nuovi _docks_
immensi, un altro porto, un altro spettacolo grandioso. Qui
l'ammirazione si cangia in stupore, e sembra di sognare. Si direbbe che
si sta per entrare in un'altra Londra. Si passa accanto ai _docks_ delle
Indie orientali, si rasentano gli arsenali di Woolwich, si trascorre
lungo i _docks_ Vittoria, che si stendono per tre miglia lungo la riva
sinistra, e via sempre in mezzo a muri senza fine, navi senza numero,
merci, macchine, fumo, fischi, partenze, arrivi, bandiere di tutti i
popoli della terra, faccie di tutti i colori, parole di lingue ignote,
che vi giungono all'orecchio dai legni vicini, vestimenta strane, grida
selvaggie che fan balenare alla fantasia mari e lidi remoti. E son tre
ore che quello spettacolo dura! Per quanto il senso dell'ammirazione sia
stanco, bisogna ricominciare ad ammirare. La mente si esalta, non si
prova più quel sentimento quasi di umiliazione che si provava da
principio, paragonando quel paese al proprio; non si paragona più; ci si
sente diventare cosmopolita; l'orgoglio nazionale muore in un sentimento
d'orgoglio umano; non si vede più il porto di Londra, ma il porto di
tutti i paesi, il centro del commercio della terra, il luogo di convegno
dei popoli d'ogni razza e d'ogni zona; e mentre gli occhi guardan lì, il
pensiero attraversa i continenti e si rappresenta le immense curve
descritte sul globo da quella miriade di navi che s'incontrano e si
salutano; le fatiche e i pericoli infiniti, il via vai perpetuo per le
terre e pei mari, il lavoro eterno dell'umanità instancabile, e par di
comprendere per la prima volta le leggi della vita del mondo. E intanto
il bastimento vola, il Tamigi s'allarga, le foreste di navi non
appariscono più che come vasti cannetti sull'orizzonte leggermente
dorato dal sole che cade; ma ai _docks_ succedono ancora i _docks_, i
bacini ai bacini, i magazzeni ai magazzeni, gli arsenali agli arsenali;
Londra, la grande Londra è sempre là; Londra, dopo quattr'ore di
navigazione, ci segue ancora; a destra, a sinistra, davanti, fin dove
arriva lo sguardo, si vede ancora con un misto quasi di dubbio e di
spavento la città mostruosa che lavora e s'avanza.

    [Illustrazione: Palazzo Lambeth.]



  UN'ESCURSIONE

  NEI

  QUARTIERI POVERI DI LONDRA

  DI

  L. SIMONIN



I.

     Come mi trovassi a Londra.

     Progetto di un'escursione nei quartieri poveri.--_Seven Dials_.
     L'ispettore di polizia, signor Price.--Una sfilata di pezzenti.


Era il mese di luglio 1862. Io mi trovava a Londra col mio amico M. D.
B., pittore ed un suo allievo. Ritornavamo dalle miniere di Cornovaglia
e dai distretti industriali tanto curiosi del paese di Galles.

Londra era allora popolata da dieci volte più di forestieri che non ne
contenga d'ordinario; era tutta intenta alla grande Esposizione, che per
la seconda volta in undici anni riuniva nelle sue mura i popoli ed i
prodotti dell'universo.

Io aveva già visitato a più riprese la gran navata e le traverse, le
gallerie e gli annessi del palazzo di Kensington, ammirate le mostre
dell'industria dell'uno e dell'altro emisfero, riunite colà in sì poco
tempo come sotto il colpo d'una bacchetta magica. In sulle prime i miei
amici mi avevano seguito; ma poi, stanchi più presto di me di questo
spettacolo sempre uguale, non avevano tardato a domandare a Londra altre
distrazioni; ma la città-regina, _the queen-city_, per chiamarla come
gli Inglesi, ha ben presto mostrato al forastiero tutto quanto può
offrire; essa è ben lontana dal procurargli tutti i divertimenti, tutte
le gioie di Parigi. E allora che cosa si deve fare?... Correre verso
luoghi più divertenti come fanno la maggior parte dei toristi. Tuttavia
noi non partimmo così sotto un accesso di _spleen_, e decisi ad
osservare ancora tutto ciò che attorno a noi poteva attirare la nostra
curiosità, ci risolvemmo a fare un'escursione nei quartieri poveri di
Londra.

I cupi recessi di White Chapel, di Waping e Christ Church, sono più
sconosciuti, non diremo già soltanto ai Francesi, ma anche ai
_Londoners_ stessi, che l'arem di Costantinopoli. In questi tristi
recessi brulicano, ammucchiati alla rinfusa, tutti quei poveri
disgraziati senza fuoco e senza tetto, che il vizio e la miseria vi
hanno condotto. Là, frammischiati alla folla di quei disgraziati, si
trovano quei ladruncoli, quei _pick-pockets_ famosi, che la fanno in
barba alla polizia inglese, la più scaltra dell'universo. Ivi languisce
nell'ozio una gioventù squallida, ragazze e ragazzi senza genitori,
figli della fogna, invecchiati prima del tempo per l'avvilimento morale,
l'abbandono e la fame.

La posizione di questi quartieri classici della miseria, ai quali
bisogna aggiungere quello di San Giorgio East, li isola, per così dire,
in piena Londra. Essi trovansi all'estremità orientale della gran
metropoli, terminati da un lato, al sud, dal Tamigi, o, se vuolsi, dalla
Torre di Londra, il porto e i docks, e dall'altro lato, all'ovest, dalla
Città (la _City_), questo centro tortuoso degli affari.

Londra è la città dei contrasti. Molto a proposito si è detto che nella
capitale dei tre regni v'hanno soltanto ricchi e poveri. Accanto alla
City, verso i punti dove affluiscono tutti i tesori del mondo, nelle
vicinanze della Dogana, della Banca, della Zecca, dei Docks sono i
quartieri più miserabili dell'immensa città.

All'est ed al nord, i confini di questi quartieri sono indecisi: essi
terminano dove termina la miseria. Al nord, la miseria si prolunga, e
si può dire che Bethnal Green continua tristamente White Chapel.

    [Illustrazione: Piccoli vagabondi dormienti.]

Noi avevamo dunque materia per un'esplorazione completa, anzi per una
specie d'inchiesta, se era necessario; ma volemmo prima scandagliare il
terreno come soldati in campagna.

Tutti ci dicevano non essere prudente lo slanciarsi così all'improvvista
in questi quartieri lontani, sì poco visitati dalla gente onesta:
l'avventurarsi con leggerezza, foss'anche di pieno giorno, in labirinti
senza uscita, conosciuti dai soli frequentatori, e dai quali non saremmo
usciti che completamente svaligiati. Ci arrendemmo a queste ragioni, e
giudicammo conveniente, prima di cacciarci in White Chapel, studiare un
altro quartiere che fosse come la miniatura di quello. Un mattino
andammo dunque alla gran scoperta soli, fidenti nella nostra buona
stella, nel quartiere di Seven Dials, che fa una specie di macchia in
mezzo a Londra, come una grossa macchia d'inchiostro sopra un foglio di
carta bianca. Se Seven Dials non è infatti incastrato in mezzo a
quartieri aristocratici, esso è ciò nulla meno a dieci passi da Regent
Street e da Piccadilly, due dei centri del mondo elegante, della
_fashion_, come si dice al di là della Manica.

Seven Dials è propriamente il nome che si dà ad una piccola piazza di
forma quasi circolare, e sulla quale vengono a sboccare sette vie
convergenti (_seven dials_); il che le valse il suo nome. Entrate in una
di queste vie, e vedrete che il ritratto piccante di Seven Dials,
tracciato nei suoi _Abbozzi_ da uno dei più grandi romanzieri e dei più
fini osservatori del Regno Unito, Carlo Dickens (che scrivea allora
sotto il pseudonimo di Boz), è veramente disegnato al vero.

Che fango lurido in quelle vie immonde, che monti di sozzure!... che
miserabili botteghe, dove ammassi di robe vecchie, raccolte chi sa dove,
chi sa come, sono in mostra per una vendita immaginaria. Cenci schifosi
di mille colori, ferravecchi corrosi dalla ruggine, ossa mezzo
putrefatte, abiti e calzature antidiluviane. Un odore nauseante esala da
quei luridi bugigattoli; poi vengono taverne infette donde escono come
delle esalazioni di _gin_ e di _brandy_ che vi soffocano, e dove per una
porta socchiusa si vede sui muri e sulle tavole una crosta di sudiciume
nerastra e lucente, ivi deposta a poco a poco dagli avventori. Questa
vernice di nuovo genere si è attaccata ai muri ed alle tavole formando
con essi un solo tutto. Accanto alle taverne sono osteriacce all'aria
aperta, dove fritti senza nome, pezzi di carne sguerniti aspettano gli
avventori soliti; e poi qua e là dei vicoli lunghi e stretti, scuri e
come pieni d'una specie di mistero; delle scale che cominciano spesso
sulla via, i cui gradini, che non videro mai la scopa, sono mezzo
sdrusciti, sgangherati, spesso incompleti, veri trabocchetti per chi non
conosce questi luoghi pericolosi. Dalle finestre spenzolano cenci d'ogni
sorta, oppure della biancheria lavata che si asciuga distesa sopra una
corda. La lisciva produce sopra questi luridi cenci il singolare effetto
di farli sembrare ancora più sordidi: tanto perdettero il loro primitivo
colore!

Dove sono dunque gli abitanti di questo quartiere di pezzenti, di questa
nuova Corte dei Miracoli? Gli abitanti dormono. All'infuori di alcuni
bottegai in piedi sul davanti delle loro botteghe, e di alcuni rari
passeggieri che ci squadrano dal capo ai piedi, vedendo bene che non
siamo del quartiere, il luogo è deserto e silenzioso; il che è tanto più
sorprendente, giacchè lì vicino è il mercato di Covent-Garden, uno dei
più animati di Londra. Alcune case sembrano barricate, anche alcune
botteghe restano chiuse. Io esterno altamente la mia sorpresa a D. B.
che prende uno sbozzo, e d'improvviso sento una voce che mi risponde in
buon francese:

«Ah! signore, bisogna venire dalle dieci della sera alle tre del mattino
ed allora vedrete quanta gente!... Qui si lavora la notte e si dorme il
giorno.»

Mi volto a quest'apostrofe e vedo una vecchia, che, avendomi sentito e
compreso, nulla avea trovato di meglio, che prender parte famigliarmente
alla conversazione. Il suo accento, la facilità colla quale si esprime,
dinotano una francese. Come è mai venuta a perdersi, ed alla sua età, in
queste topaie infette?... Stava per domandarle tutto ciò, per assediarla
d'altre domande, quando d'un tratto mi scappa e scompare allo svolto
d'un vicolo, dove cerco invano di trovarla. Forse la vecchia non aveva
la coscienza tranquilla, ed al cospetto di compatrioti tanto curiosi
credette più prudente svignarsela. Ad ogni buon conto noi eravamo
avvertiti; era di notte che bisognava visitare questi covili del ladro e
della miseria. Bisognava andare là come si va ad un concerto od al
teatro, e noi progettammo subito una grande escursione per la sera del
giorno appresso.

White Chapel era il punto più curioso, il più pittoresco da esplorare,
benchè Seven Dials, già veduto, Saint-Gilles, dove formicolano più di
cinquanta mila Irlandesi, e Bethnal Green, il quartiere dei tessitori,
non siano da disprezzarsi. Risolvemmo dunque per White Chapel e suoi
dintorni, e lo stesso giorno ci recammo alla stazione di polizia di
questo quartiere, posta in Lemen Street, per domandare all'ispettore
signor Price il permesso di visitare le rarità del suo distretto. Il
signor Price, rigido come un Inglese, ci domandò anzitutto i nostri nomi
e cognomi e qualità, e quando seppe lo scopo del nostro pellegrinaggio:

«Venite a trovarmi domani alle dieci della sera coi vostri compagni, ci
disse egli graziosamente, io vi mostrerò tutto, vi farò veder tutto. Non
potevate imbattervi meglio, poichè voi siete presso l'ispettore di
polizia e delle stanze ammobigliate di basso grado, _ispector of police
and common lodging houses_.»

E siccome gli domandavamo _se un vestito decente era di rigore_:

«Non abbiate paura, soggiunse egli, restate vestiti come al solito; e
portate pure l'orologio e la borsa. In mia compagnia e coi miei uomini,
nessuno vi metterà le mani addosso, e non vi mancherà nulla. Ed in
luoghi dove sareste svaligiati anche di pieno giorno, nessuno ardirà
toccarvi neppure un capello. Venite; io vi mostrerò minutamente i covili
dei ladri e delle donne perdute, le loro taverne, i loro teatri; i loro
luoghi di sollazzo, le prigioni dove si ammucchiano gli individui
raccolti la notte sulla pubblica via, i siti dove alloggiano soventi
alla rinfusa marinai, operai, barcaiuoli e mariuoli; finalmente gli
antri abbandonati dove i vagabondi, i mendicanti, intirizziti dal
freddo, morti di fame, trovano un riposo di alcune ore, e qualche volta
l'ultimo loro asilo.»

Questo quadro dell'ispettore Price ci faceva presagire una escursione
delle più interessanti, e noi promettemmo di essere esatti al convegno.
Eravamo in White Chapel, e dopo aver fatto una corsa così lunga, non
volemmo ritornare a casa senza aver dato un'occhiata alle botteghe
pochissimo attraenti della _via dei Beccai_, ed alla _fiera degli
stracci_, che si tiene in Hounds Ditch. Gli abitanti di questi bei
luoghi, per poco che siano amatori del pittoresco, hanno diritto
d'inorgoglirsi di questi due generi d'esposizione. I prodotti in mostra
non valevano certamente quelli della grande Esposizione; ma, in un altro
genere, non mancavano di originalità. Del resto in questa circostanza,
noi fummo favoriti oltre misura dalla sorte, e potemmo vedere di pieno
giorno, sotto tutti i suoi aspetti, ciò che fu dato vedere a pochissimi
toristi: la popolazione tanto strana di questi quartieri. Si facevano i
funerali di una miserabile ragazza, uccisa con sette pugnalate in un
accesso di gelosia da un marinaio che si era poscia suicidato. Questa
funebre cerimonia avea messo in moto tutto il pubblico del luogo, e le
vie di White Chapel, di Leman e tutte le adiacenti ed affluenti
rigurgitavano di gente. Non si può dire quel che vedemmo passare di
cappelli neri sfondati, di abiti unti e bisunti, di scarpe scucite e
rotte; quante donne giovani e vecchie dai cappellini di nessun colore,
dagli scialli pieni di buchi e di macchie luride, quanti ragazzi in
sordidi cenci!... Non una calza, non una camicia; capelli che non videro
mai il pettine, barbe incolte, dove la polvere si cacciò a suo
bell'agio, dove le pagliuzze ed i fili di cotone aveano fatto una specie
di nido; d'ogni lato la pelle si mostrava attraverso le squarciature dei
vestiti, una pelle nera, terrea, coi pori otturati. La sporcizia ha i
suoi vantaggi: questa pelle impermeabile, impedendo la traspirazione, le
perdite del corpo diventano quasi nulle, e così si economizza sul pane
quotidiano, che non è sempre là pronto alla stessa ora. Chi potrebbe
dire tutto ciò che vedemmo in questo giorno memorabile, che avrà fatto
epoca per White Chapel, ciò che vedemmo, dico, sfilare di miseria, di
degradazione, in quella folla tanto svariata, che recavasi, curiosa ed
inquieta, al funerale di una ragazza di mala vita, immolata dal suo
amante?... Chi potrebbe dipingere una processione di volti sparuti,
pallidi, ebeti, selvaggi?... Giammai Omero, facendo l'enumerazione dei
suoi guerrieri greci, non diede una lista che possa eguagliare questa in
lunghezza, giammai la matita di Callot non dipinse pezzenti così veri,
così poco vestiti come i nostri.



II.

     Il _Principe di Danimarca_; gli invitati pagano al
     caffè-danzante.--Pensione di marinai.--Dormitorio di operai.--La
     taverna dei ladri.--Un pick-pocket espansivo.--Locande
     ignobili.--Un prestigiatore che cangia l'argento in rame.--Quadri
     notturni.--Tre poverette.--Una prigione bene abitata.--Colpo
     d'occhio sul Tamigi.--Haymarket a mezza luce.--Londra miserabile ed
     i suoi visitatori.--Rimedi contro il pauperismo.


Il giorno appresso, all'ora fissata, noi eravamo alla stazione di
polizia di Leman Street, dove l'ispettore Price ci aspettava. Egli avea
con sè due agenti vestiti alla borghese ed un terzo coll'assisa
ufficiale: cappello di tela cerata, abito nero a bottoni d'argento,
calzoni neri, e sotto la manica dell'abito la bacchetta sacramentale, lo
_staff_, che caratterizza il _policemen_. Ognuno di questi signori era
inoltre munito di una di quelle lanterne cieche che si nascondono sotto
i vestiti: arnese prezioso senza del quale il constabile non cammina mai
la notte a Londra.

Avendoci un amico accompagnato, noi eravamo otto persone contando il
signor Price ed i suoi tre agenti. Eranvi dunque due occhi che
vegliavano sopra ognuno di noi: potevamo essere tranquilli. Sfilammo
silenziosamente due a due lungo il marciapiede. Ben presto, lasciando la
via Leman, che è larga e ben tracciata,--considerazione da farsi,
perchè nei più poveri quartieri di Londra si trovano alle volte grandi
arterie che farebbero invidia a quartieri meno miserabili,--ci cacciammo
in un dedalo di vie strette e tortuose. Queste vie, quasi deserte di
giorno, erano ora molto animate.

Tutte le botteghe illuminate; le taverne piene fin sulla porta, dove
spesso gli avventori stavano ad aspettare per poter entrare. Ad ogni
passo incontriamo gruppi di operai, di marinai mezzo ubbriachi, cantando
o questionando. Agli svolti delle vie, bionde e pallide ragazze, la cui
bellezza eguaglia qualche volta la gioventù, poverissimamente vestite,
nudi i piedi e le gambe, la capigliatura in disordine, il petto appena
coperto, avvicinavano i passanti con voce rauca. In tutto ciò era però
un certo ordine, una certa calma; si comprendeva che l'ora degli
ignobili saturnali non era ancora suonata, e che non si era ancora che
sul principiare.

Il signor Price, per farci pazientare, ci conduce in _Grace's alley_, al
_Principe di Danimarca_, vasto stabilimento montato come un teatro.
All'ingresso riconobbero la polizia e ci lasciarono passare senza
biglietti. Il _Principe di Danimarca_ è un caffè-cantante e danzante
frequentatissimo; vi si mostrano anche cani e scimmie sapienti, e dei
saltimbanchi vi fanno giuochi sul trapezio e sulla corda tesa. Tutto ciò
ci divertì per un istante. Il pubblico del luogo prendeva grande
interesse alla rappresentazione, e nulla notammo che ci sembrasse
straordinario nei vestiti e nelle faccie degli spettatori. Decisivamente
il signor Price voleva progredire a gradi. Non tardammo infatti ad
entrare in diversi caffè-cantanti, dove alcuni marinai stranieri,
mescolati a donne di bordello, componevano tutto il pubblico degli
esecutori e degli spettatori.

    [Illustrazione: Il ballo (_gigue_) al caffè-danzante.]

In uno di questi caffè un ballerino dei più agili volle darci un
saggio della _gigue_ britannica. Era una meraviglia vedere questo
ragazzaccio dimenarsi sulla scena fino a perdere il fiato. Attorno a lui
si faceva circolo: dei camerata, delle ragazze vestite da ballerine,
delle donne più avanzate d'età, tutta quella gente infine non perdeva
uno dei suoi scambietti. Noi dovemmo aspettare la fine: allora venne la
sequela degli applausi, delle congratulazioni; ci fu quindi offerta
della birra, del punch, e tanto graziosamente, che dovemmo accettare.
«Col lupo bisogna urlare,» disse l'altro. Noi trincammo dunque con
queste donne, che per un momento erano venute a sedersi accanto a noi,
senza che i loro compagni se ne fossero menomamente adontati, e noi non
ne volemmo sembrare offesi davvantaggio. Nel ritirarci pagammo anzi le
bibite che ci erano state offerte; il che dal lato delle nostre nuove
conoscenze ci valse l'alto onore di essere accompagnati fino nella via e
regalati dell'epiteto di _gentlemen_. Tuttavia non potevamo essere molto
soddisfatti di tutte queste dimostrazioni di gentilezza, avuto riguardo
alle persone che ce le facevano; ma bisognava fare di necessità virtù,
cosa che il signor Price avea veduto ben altre volte. Del resto egli non
volle nulla nasconderci e ci fece vedere le più ributtanti case di
questi ignobili quartieri. Fummo sorpresi di trovarvi una calma ed una
polizia generalmente sconosciute in questi bassi luoghi. Trovammo anzi
che le miserabili creature che abitano questi tristi recessi sembrano
avere il sentimento dell'onta della loro posizione; esse si presentano
ai loro visitatori inaspettati col rossore sulla fronte, la testa bassa,
e rispondono con imbarazzo alle nostre domande.

La polizia, che vegliava sempre paternamente su noi, ci condusse quindi
negli _alberghi_ del quartiere. Cominciamo anzitutto dal visitare in
_Well close Square_, una pensione e casa mobiliata pei marinai. Non ho
bisogno di dirvi che i signori pensionanti erano in questo momento
tutti fuori di casa a festeggiare Bacco, malgrado l'ora tarda che
invitava al sonno. Il padrone della casa, John Seymour, non fu però meno
orgoglioso di mostrarci le sue camere da _cicerone_ bene istrutto.
«Guardate come tutto è perfettamente disposto, ci diceva egli, come
seppi trar partito dello spazio. In mare la mia gente non dorme che
nelle amache; qui essi hanno delle vere cabine.» E ci mostrava delle
specie di grandi cassettoni che aveano perduto il davanti dei loro
cassetti: erano i letti dei marinai. «Guardate, guardate, continuava
egli scoprendone parecchi per vantare la sua mercanzia, ognuno ha il suo
pagliericcio, i suoi lenzuoli, la sua coperta. Uno di questi letti costa
tre pence (trenta centesimi) per notte, ed ogni avventore ha un numero.»
E difatti mastro John avea ragione: per il prezzo che pagavano i
dormitori, la sua casa era veramente tenuta bene[1].

    [1] Era ben tenuta, ma la notte vi costava ben più cara che alla
    _Casa delle penne di gallina_ di Pekino, di cui parla il padre Huc
    nel suo _Impero Chinese_. Là gli operai non pagano, secondo il
    celebre e spiritoso missionario, che mezzo centesimo per notte e
    sono coricati al caldo e sulla piuma. «Una sala grandiosa è coperta
    in tutta l'estensione del suo pavimento di un alto strato di piuma
    di gallina. I mendicanti ed i vagabondi che non hanno casa, vanno a
    passare la notte in questo immenso dormitorio. Uomini, donne,
    fanciulli, giovani e vecchi, tutti vi sono ammessi. V'ha del
    comunismo in tutta la forza ed il rigore della parola. Ognuno si fa
    il suo nido e si accomoda alla sua maniera in questo oceano di piume
    e dorme come può. Quando vien giorno bisogna battersela, ed un
    incaricato dell'impresa riceve alla porta il sapecco fissato dalla
    tariffa. Per fare omaggio, senza dubbio, al principio d'eguaglianza,
    non si ammetta il sistema dei mezzi posti, ed i ragazzi sono
    obbligati a pagare come i grandi.

    «Nei primi tempi della fondazione di quest'opera eminentemente
    filantropica e morale, l'amministrazione della casa delle penne di
    gallina forniva una piccola coperta a ciascheduno dei suoi ospiti,
    ma non si tardò molto a modificare questo punto del regolamento.
    Avendo i comunisti dello stabilimento contratta l'abitudine di
    portar via le coperte per venderle o farne un vestito supplementario
    durante i freddi rigorosi dell'inverno, gli azionisti s'accorsero
    che correvano rapidamente ad una rovina completa ed inevitabile.
    Sopprimere intieramente la coperta sarebbe stato troppo crudele e
    poco decente; bisognava dunque cercare un mezzo capace di conciliare
    gli interessi dello stabilimento col buon trattamento dei dormienti.
    Ecco in qual modo si pervenne alla soluzione di questo problema
    sociale. Si fece fare una immensa coperta di feltro, di una
    dimensione talmente prodigiosa, che potesse coprire tutt'intero il
    dormitorio. Durante il giorno essa è sospesa al soffitto come un
    baldacchino gigantesco. Quando tutti sono coricati e bene accomodati
    nella piuma, la si fa discendere col mezzo di diverse carrucole. È
    bene notare che si ebbe cura di praticare in questa coperta una
    infinità di buchi, dai quali i dormienti possono metter fuori la
    testa per non asfissiarsi. Appena giorno si alza la coperta
    falansteriana; ma prima si ha la precauzione di dare un segnale a
    colpi di tam-tam per isvegliare quelli che dormono profondamente, ed
    invitarli a ritirare la loro testa, onde non essere presi pel collo
    ed alzati in aria colla coperta. Si vede allora quella immensa
    nidiata di mendicanti brulicare e sprofondarsi in mezzo ai fiotti di
    quella piuma immonda, mettersi indosso in un attimo i loro
    miserabili cenci, e spargersi quinci in numerose bande nei quartieri
    dalla città per cercarvi in un modo più o meno lecito i mezzi di
    sussistenza.» (Huc, _L'Impero Chinese_, 1862.)

Giacchè avea cominciato a farci visitare degli appartamenti, il signor
Price, volendo seguire nella nostra esplorazione quella regolarità che
gli Inglesi cercano in tutto, ci condusse ad _East London Chambers_.
Questo vasto stabilimento, che racchiude soltanto camere da operai,
occupa cinque case di Wentworth Street. La sua disposizione è veramente
notevole; nelle sale da pranzo sono posti separati come nelle trattorie
della buona società, dove ognuno può prendere la sua refezione senza
essere veduto dal suo vicino. È noto che gli Inglesi in certi luoghi
pubblici amano d'essere separati gli uni dagli altri, come i cavalli
nelle scuderie. L'Anglo-Sassone mette in pratica volentieri
l'isolamento; egli è amico dell'io al disopra di ogni cosa. Contro i
muri delle camere corrono delle file di letti numerizzati; ad ogni piano
esiste un gabinetto da _toilette_. A pian terreno una cucina è a
disposizione di quelli che vogliono farsi da mangiare da sè. Nella sala
comune vi è un vasto camino sempre acceso. Qua e là sono appesi ai muri
dei cartelli, che raccomandano la decenza negli atti e nelle parole, ed
ordinano ai pugillatori di andare altrove a praticare il pugillato.
William Poole, il proprietario di questo stabilimento modello, ce lo
mostrò con certo orgoglio. Resta a sapere se il contegno dei suoi ospiti
corrisponda all'ordine che regna nella casa: il che è poco probabile,
poichè nessuno dei locatari era ancora tornato a casa all'ora avanzata
in cui noi visitammo lo stabilimento.

Mezzanotte era suonata da lunga pezza; le taverne e le vie si riempivano
sempre più d'una folla pochissimo rassicurante. Alcuni mariuoli ci
urtavano passando, ci osservavano freddamente colla coda dell'occhio,
come per sapere di quale profitto noi potevamo essere per loro; ma ben
presto, riconoscendo la polizia, affettavano maniere più disinteressate;
alcuni arrivavano fino a salutare pulitamente il signor Price,
chiamandolo pel suo nome.

In una taverna dove entrammo, taverna tutta piena di ladri, _all
thievez_, mi disse l'ispettore: taverna rumorosa, animata dai gruppi
caratteristici; il signor Price fu di nuovo riconosciuto, salutato,
festeggiato. Un ladro gli si presentò; lo vedo ancora: era un uomo
piccolo, magro, schifoso, i capelli sparsi, la barba incolta, gli occhi
senza ciglio, rossi, incerti, iniettati d'alcool; la faccia solcata di
rughe, il naso schiacciato, senza dubbio, come quello di Michelangelo,
da un pugno di un pugillatore; la pelle non aveva che il colore di una
cartapecora sporca.

«Ah! mio caro signor Price, eccovi qui adunque; disse all'ispettore;
come state, _how do you feel?_»

E gli prendeva la mano fra le sue e la baciava.

«Questo buon signor Price, il nostro ispettore, _our dear inspector!_»
gridava egli mostrandolo ai suoi camerata, ed era quasi tentato di
chiamarlo il padre dei ladri, la provvidenza dei _pick-pockets_.

Il signor Price lo lasciava fare, calmo, impassibile, sempre dignitoso
come conviene ad un Inglese, specialmente ad un ispettore di polizia; ma
sembrava dire fra sè: «fanne qualche altra, mio caro, e vedrai se mi
scappi. Ch'io ti colga colla mano nella tasca altrui, ed apprenderai se
la polizia si lascia lusingare dalle tue carezze ipocrite.»

Gli altri ladri, quantunque meno espansivi, circondavano tuttavia il
signor Price; e sembravano aver per lui una specie di deferenza, di
rispetto filiale; alcuni alquanto alterati dal bere giungevano fino ad
offrirgli un bicchiere di _wisky_. E fra tutta quella gente non c'era
forse un solo uomo che non avesse già avuto di che fare col signor Price
o coi suoi agenti; tutti erano conosciuti come ladri matricolati, ma
bisognava prenderli di nuovo in flagrante, ed intanto si lasciavano bere
e lavorare colla loro industria, salvo ad arrestarli quando che fosse.

Lasciando la taverna prediletta dei _pick-pockets_, al cui paragone non
regge la bettola del _Coniglio Bianco_, famosa non ha guari nella via
delle Fave[2], che i _Misteri di Parigi_ resero tanto celebre, ci
recammo a _Flower and Dean Street_, cioè nella via del Fiore e del
Cigno. Questi nomi gentili contrastano singolarmente col luogo che
stiamo per visitare. Era una locanda schifosa, riservata specialmente ai
vagabondi, ai mendicanti, alle donne dell'infima classe, ai ladri
infine: _lodging for tramps, beggars, prostitutes and thieves_, mi
susurrò all'orecchio il signor Price, sollevando con discrezione il
battente della porta. Un vecchio portinaio venne barcollando ad aprirci:
esso vegliava a quell'ora avanzata della notte; chè questi quartieri
fanno della notte giorno, e certamente non si fa pagare la multa che a
quelli che entrano troppo presto. Pochi dormienti erano a letto nelle
camere; nè si svegliarono al nostro avvicinarsi. Al rumore ansante delle
loro respirazioni, al russare sonoro di uno di essi, ai movimenti
bruschi e convulsivi che interrompevano il sonno d'un terzo, si capiva
che ciascuno covava un'orgia recente. Da ogni lato era un riposo turbato
da sogni, agitato dai fumi del _gin_, del _brandy_, dell'_ale_, o del
_porter_, liquori ardenti tanto cari ai gorgozzuli britannici. La tenuta
dello stabilimento era in relazione cogli ospiti che lo frequentavano:
la scala era un vero trabocchetto: le muraglie schifosamente sucide, e
di più un odore malsano, _sui generis_, esalava da per tutto dalle
camere e dai corridoi: odore di abiti vecchi, sucidi, di vecchie scarpe,
di cenci putridi, di tutto quanto si vorrà immaginare di più nauseante.
Noi non potemmo resistere lunga pezza e domandammo di abbandonare quel
luogo. Uscendo, demmo un'occhiata al refettorio, dove ammucchiati
sulle panche e coricati per terra, a gruppi come i pidocchiosi di
Murillo, dormivano poveri ragazzi appena coperti.

    [2] In fatto di quartieri poveri non può esister confronto tra
    Londra e Parigi. Gli oscuri recessi della _City_, oggidì
    fortunatamente scomparsi, le più luride viuzze dei quartieri
    Mouffetard, San Vittore, San Marcello, non sono tanto stomachevoli,
    e non nascondono tante miserie e tanti vizii, quanto i quartieri di
    Londra di cui parliamo. Bisogna scorgere una ragione di questo fatto
    nella differenza di carattere dei due popoli, nella diversità dei
    loro costumi, delle loro leggi; e poi Parigi è molto meno popolato
    di Londra, e non è come questa il porto metropolitano del mondo
    intiero.

    [Illustrazione: Un dormitorio di _common lodging house_.]

Questi piccoli vagabondi, i cui parenti a quell'ora erano certamente
_andati pei fatti loro_, entravano così nella vita per la miseria,
l'abbandono e l'ignoranza. Fanciulli predestinati al vizio ed alle
prigioni, degni figli dei loro padri!... E come meravigliarsi, dopo aver
veduto ciò, che il pauperismo estenda sempre più i suoi guasti a Londra,
e che, malgrado tanti istituti di carità, il vagabondaggio, la
mendicità, il furto, la depravazione, l'assassinio abbiano sempre sì
numerosi proseliti nella moderna Babilonia?

Se la via del Fiore e del Cigno presenta delle locande sì poco decenti,
che dirò poi di quelle di _Lower Keate Street_ frequentate dai più
abili, dai più pericolosi ladri, _thieves of the most expert class_,
come li qualifica l'ispettore Price che li conosce e bene? In questo
luogo abitano quei _pick-pockets_ dalla riputazione europea, che mettono
a contribuzione Londra e la Gran Brettagna, preparando i loro colpi
molto prima di eseguirli, al pari di veri giocatori di scacchi,
malandrini costituiti in società coi loro capi e i loro statuti, che
alle volte lasciano momentaneamente le città del Regno Unito, e vanno ad
inquietare Parigi o Vienna coi loro furti audaci.

Gettiamo un velo sopra queste tane di malviventi, che la polizia
autorizza e tollera soltanto per potervi tendere più facilmente le sue
reti, e conduciamo d'un tratto il lettore a _Montague Street_, dove
troviamo una serie di locande in apparenza più decenti e più oneste.
Sono gli alberghi dove vanno ad alloggiare i prestigiatori, i
ciarlatani, i saltimbanchi, gli zingari, i suonatori ambulanti, tutta
questa gente di contrabbando che frequenta le fiere e le corse. Noi vi
passammo un bel quarto d'ora, ed uno dei frequentatori del luogo, che si
scaldava tranquillamente nella sala comune, invece di dormire nel suo
letto, quantunque fossero le tre del mattino, volle darci un saggio
della sua abilità. Egli eseguì in nostra presenza alcuni giuochi di
carte, di bussolotti ed altro, che non erano senza un certo merito. Il
più curioso di questi giuochi consisteva nel legare fortemente in un
capo d'un fazzoletto uno scellino (1 fr. 25 cent.) che si faceva dare da
uno di noi, e poi sciogliere il nodo mostrandoci in luogo della nostra
moneta d'argento un grosso penny di rame di dieci centesimi, che ci
presentava con quella gentilezza squisita particolare ai prestigiatori.
Noi accettammo di buon grado questo tramutamento di metalli che fu
riprodotto a più riprese a detrimento della nostra borsa, all'opposto
del metodo degli alchimisti, che cercavano almeno di cambiare il rame in
argento e il piombo in oro, i metalli _ignobili_ nei metalli _nobili_,
come si diceva ai tempi felici degli alchimisti. Cionullameno noi ce ne
andammo soddisfatti del prestigiatore, ed il prestigiatore ancora più
soddisfatto di noi.

E così frammischiando il comico al serio, noi andavamo per questi strani
quartieri sotto l'occhio vigile della polizia, che non ci perdeva di
vista. Con quali cure paterne ci guidavano quei buoni constabili!... con
quanta intelligenza ci dirigevano attraverso viuzze impure, cortili
oscuri, androni che sembravano senza uscita!... Si capiva che la nostra
vita era loro affidata. Ed infatti senza la loro continua sorveglianza,
non solamente saremmo stati svaligiati perfino della camicia (domando
perdono agli Inglesi di pronunciare questa parola, che qui è di
circostanza), ma fors'anche maltrattati, se avessimo voluto difenderci.
Le faccie che incontravamo si erano come rabbuiate. Abbeverati d'alcool,
i pezzenti di cui percorrevamo le dimore, tornarono a casa a tastoni.
Alcuni si coricavano lunghi distesi a' piedi d'un muro, per non più
rialzarsi fino al mattino; altri si lasciavano andare sopra un mucchio
d'immondizie, dove scomparivano per metà; altri ancora affondavano nel
fango o sdrucciolavano nel ruscello della via, la cui acqua fresca,
bagnando loro la faccia e le membra, li svegliava un momento; aprivano
allora gli occhi incerti ed interpellavano i passanti in una lingua
inintelligibile. Non tutti i passeggianti erano briachi: più d'uno di
questi notturni _lavoranti_, dal temperamento di ferro, resisteva agli
effetti d'una libazione più che prolungata. Gli uni sfilavano in
drappelli rumorosi cantando delle canzoni oscene con quella voce così
poco musicale ch'è propria della maggior parte degli Inglesi. Gli altri
nascosti nei vani delle porte, parlavano a voce bassa, e sembravano
progettare qualche brutto affare. All'avvicinarsi della polizia essi
tacevano improvvisamente e fingevano di passeggiare.

Fra gli urti di tutta questa gente lurida arrivammo alla più sporca
delle viuzze fino allora percorse. Per una porta spalancata penetrammo
in una topaia, le cui tavole sconnesse lasciavano passare liberamente
l'aria. Non una lampada per illuminare la scala, sicchè ci prendemmo per
un lembo dei nostri abiti e seguimmo il primo _policemen_, che
rischiarato dalla sua lanterna apriva la marcia. Al primo piano in un
bugigattolo ignobile colla porta socchiusa, due uomini erano coricati
nello stesso letto, due faccie di banditi che ci gettavano delle
occhiate feroci, borbottando e bestemmiando d'essere risvegliati
dai _french dogs_, e mandando a tutti i diavoli la nostra impertinente
curiosità. Montiamo al piano superiore, dove continua a regnare la più
completa oscurità. Al rumore che noi facciamo, risponde un grugnito
prolungato di due dormienti dalla faccia pochissimo rassicurante. Al
secondo piano però l'uscio della stanza è chiuso, ed i _policemen_
battono, gridano, declinano i loro nomi e qualità per farsi aprire; ma i
locatori spaventati, temendo una sorpresa, rifiutansi di aprire. Noi
restammo un momento sospesi gli uni sopra gli altri, vero grappolo
umano, alla sbarra della scala. Io chiudeva la marcia e non ci vedeva
lume; mi sembrava sempre di sentire uno dei due dormienti del
pianerottolo sul quale mi trovavo, venirmi dietro e darmi una terribile
tartassata per avere turbato sì mal a proposito il sonno dei
galantuomini. Alla fine la porta della camera al secondo piano si apre,
e di fronte all'assedio in piena regola della polizia, le persone che
abitano questa camera acconsentono a darci accesso. I constabili tirano
fuori tutti in una volta le loro lanterne, e le rivolgono verso il letto
per rischiararlo meglio. Noi, eccitati da non so quale curiosità
inquieta, facciamo tutti insieme irruzione in questa povera soffitta.
Quale miseria, Dio buono!... è mai possibile che vi siano creature
abbandonate a tal punto!... Mancano i vetri alle finestre, dalle quali
pende in guisa di tenda un sucido sciallo di tartano, che certamente
coprì già molte spalle e fu appeso a molte finestre, sciallo di giorno e
tenda di notte. Sul letto una cattiva coperta, un povero pagliericcio e
tre ragazze che un momento prima dormivano abbracciate fra loro; tre
ragazze sui sedici anni, pallide, e già affralite dalla miseria e dalla
fame!... Come deve essere spaventoso l'inverno per queste infelici, e
quando viene la stagione dei ghiacci come possono esse resistere al
freddo della notte ed a tutte le intemperie? Povere ragazze, che forse
ebbero sempre fame dacchè sono al mondo! Io osservava le loro giovani
teste bionde che avevano conservato ancora un'aria d'innocenza, ed
innanzi a tanta miseria mi rammentai involontariamente quei bei versi
del poeta: Oh! non insultare mai una donna che cade! Chi sa sotto qual
peso la povera anima soccombe? Chi sa quanti giorni la sua fame ha
combattuto?»

    [Illustrazione: Il prestigiatore di Montague Street.]

Il signor Price volle proprio interrogare in nostra presenza quelle
piccole mendicanti. Esse mostrarono le loro teste, che aveano sempre
tentato di nascondere, non sotto le lenzuola, che non erano abbastanza
lunghe, ma fra le loro mani. E poi mettendosi a sedere sul letto,
incrociarono pudicamente le due braccia sul petto, e finalmente
fissarono sopra di noi uno sguardo di estrema dolcezza. Vi si leggeva
come una specie di sorpresa ingenua, e quei tre giovani volti riuscivano
a tutti noi veramente simpatici.

«Come vi chiamate, signorine? domandò loro l'ispettore, con gentilezza
riservata che gli Inglesi hanno per la donna in ogni circostanza.

--Io, Mary, le mie amiche Belzy e Jenny, rispose una di esse più
rassicurata delle sue compagne.

--Quanti anni avete?

--Sedici e diciassette.

--Avete ancora i vostri genitori?

--Non li abbiamo mai conosciuti.

--Perchè non lavorate?

--Avevamo del lavoro il mese scorso, ma ci fu tolto poi, a causa della
stagione morta, e ne cercammo invano altrove.

--Dove lavoravate?

--In una bottega di cucitrici.

--Ed ora cosa fate?»

A questo punto, un silenzio che ci fece male. Le poverette domandavano
l'elemosina, cercavan fra le immondizie delle vie qualche cosa da
rivendere, e soventi da mangiare, e la notte pel modico prezzo d'un
_penny_ venivano tutte tre in questo solaio immondo a riposare un
momento sopra un orrendo canile, quasi alla mercè dei malandrini, dei
ladri, dei vagabondi della peggiore specie. Ci ritirammo col cuore
straziato, lasciando alcune monete a quelle infelici ragazze che ci
ringraziavano piangendo.

    [Illustrazione: Le poverette abbandonate in _Flower and
    Dean-Street_.]

Queste catapecchie diroccate, dove i mendicanti vanno ad alloggiare
in tal modo la notte, non sono sotto la sorveglianza della polizia, _not
under our supervision_, mi diceva l'ispettore Price, ed il rispetto per
la libertà individuale è tale in Inghilterra, che la polizia non vi
penetra d'ordinario che con discrezione. In queste spaventose soffitte
succedono molte cose degne di compassione e di pietà, e si racconta che
in una di queste luride soffitte, dove i mendicanti e le ragazze
abbandonate vanno a passare la notte, un povero diavolo morto di fame
sopra un mucchio di cenci, dove s'era addormentato per terra, fu mezzo
divorato dai sorci e dai cani. Il confronto è adunque in favore delle
case che noi avevamo prima visitato. In queste infatti regna, come si
vide, un certo ordine; la polizia, autorizzandole, se ne riserva
l'ispezione, e le regole dell'igiene vi sono osservate, almeno fino ad
un certo punto. La ventilazione vi è praticata, vi si accende del fuoco;
nei dormitoi non può coricarsi che un certo numero di persone, i letti
sono numerizzati, separati, ed i sessi distinti. Ma i solai, le soffitte
riservate ai vagabondi, ai derelitti, ai disperati, _destitute and
desolate persons_ (così li indica la polizia inglese), come stringono il
cuore a vederli, e come noi uscimmo col cuore straziato dalla soffitta
dove Mary e le sue compagne passavano la notte!....

Erano le tre del mattino quando noi lasciammo questo luogo. Alla
stazione di polizia dove ci condusse quindi il signor Price era la
prigione dove si rinchiudono gli ubbriachi ed i lottatori raccolti sulla
pubblica via. Ci furono aperte alcune di queste prigioni. Nell'una erano
ammucchiati uomini che digerivano tranquillamente il loro vino, o che
fasciavansi le recenti ferite. Alcuni tentarono reclamare contro la loro
detenzione, vedendo l'ispettore Price, cui riconobbero attraverso i fumi
bacchici, ma prudentemente fu chiusa la porta sul naso ai reclamanti. In
un'altra prigione erano chiuse le donne, meno pacifiche degli uomini, e
che si abbandonavano ad un cicaleccio sfrenato: è vero che aveano per
iscusa le recenti libazioni. In un terzo recesso lo spettacolo era
orribile: una donna, rinchiusa sola, perchè in preda ad un vero accesso
di _delirium tremens_, coi capelli sciolti e sparsi sulle spalle,
l'occhio torvo, la faccia insanguinata per le graffiature fatte colle
proprie unghie nei momenti di furore, presentava la immagine di
un'arpia. Quando intese che era arrivato il signor Price:

«Io voglio uscire, signor ispettore, gridava essa; io voglio andarmene,
voglio tornare a casa mia; mio marito ed i miei figli mi aspettano!»

Il cuore di donna e di madre risvegliavasi nell'ubbriacona.

«Apritemi, voglio ritornare a casa!....»

E poi, passando dal furore alla mansuetudine:

«E via, mio caro signor Price, mio buon amico, _my good friend_, diceva,
mettetemi in libertà; vi prometto d'essere buona.»

E vedendo che egli non l'ascoltava.

«Non è vero! sclamava, io non sono ubbriaca, è una viltà degli agenti;
domani andrò a lagnarmi coi giudici.»

E dava della testa nei muri della sua prigione; scuoteva la porta sui
cardini, e parole inintelligibili uscivano dalla sua bocca; rotolavasi
per terra, colla schiuma alla bocca e continuava a gridare. Ora si
rivolgeva perfino a noi, ed ora chiamava in suo soccorso esseri
immaginarii. Due volte attraverso il finestrino della porta tentai di
fissare gli sguardi sopra di essa, e due volte indietreggiai quasi
spaventato al cospetto di quella pazza furiosa, che voleva gettarsi
sopra di me malgrado la porta che le sbarrava il passo. Un constabile
aprì un momento la prigione, ed allora la povera pazza ritornò calma, e
domandava colla più dolce inflessione di voce di essere rimessa in
libertà. «Sì, in libertà domattina,» le diceva l'agente con dolcezza, e
questa megera si taceva.

Gli spettacoli diversi dei quali eravamo successivamente stati testimoni
nella notte sì stranamente impiegata, ci aveano singolarmente
impressionati e come sbalorditi. Suonavano le quattro ed il giorno
spuntava sopra Londra, dove, ad una latitudine di 52 gradi, il sole
tramonta in estate quasi tanto tardi o sorge quasi tanto presto quanto a
Pietroburgo. Avevamo bisogno d'aria, di luce. Ringraziando il
compiacente ispettore ed i suoi agenti, ci affrettammo ad uscire da quei
quartieri fangosi, dove avevamo passato sei lunghe ore. London Bridge,
il ponte di Londra, non era lontano; e noi andammo a chiedere a questo
ponte del Tamigi un po' di frescura, di benessere.

    [Illustrazione: Una donna ubbriaca in prigione.]

I camini delle fabbriche che trovansi tra i ponti di Londra di
Southwarck e di Blackfriars, sulla riva destra del fiume, cominciavano
già a mandare in aria nugoli di fumo. Le fabbriche di macchine, le
birrerie, le concie di questo quartiere industriale riprendevano il loro
lavoro quotidiano, mentre sulla riva sinistra, al disotto della vecchia
torre che domina questo punto della City, i bastimenti ancorati
sembravano uscire dal sonno della notte. Alcune barche cominciavano a
muoversi, e qua e là si sentiva già il rumore del martello sull'incudine
ed il fischio stridente del vapore. Una nebbia leggera, che alzavasi
dalla superficie del fiume, le cui pigre acque arrivano sì lentamente al
mare, montava sull'una e l'altra sponda, e ravviluppava una parte della
città, senza nasconderci però l'imponente facciata del palazzo di
Westminster, che bagna i suoi piedi nel Tamigi, e la cupola ardita di
San Paolo, chiesa metropolitana della vecchia Londra. Nessun pittore,
nessun viaggiatore, passando sul ponte dove noi eravamo, avrà
certamente tralasciato di fissare un momento i suoi sguardi sopra
questa vista unica, che avrebbe fatto invidia al _Canalazzo_, poichè non
ha l'eguale che a Venezia; e l'incantevole quadro che aprivasi sempre
meglio ai nostri sguardi sotto gli splendori ognor più vivi dell'aurora,
questo giovava a ristorare il nostro spirito dalle tristi emozioni della
notte! Ma occorreva un'ombra a questo quadro, del quale avremmo voluto
coprire il piano anteriore. Sopra una delle panchette di pietra di
London Bridge due soldati l'uno accanto all'altro, e vicino una ragazza
col cappellino slegato ed i capelli sciolti, dormivano profondamente, ad
onta della frescura mattutina. Questa vista ci ricondusse alla memoria
la corsa che avevamo appena fatta; e, malgrado il cambiamento di
quartiere, simili spettacoli doveano succedersi altrove fino a casa
nostra. Nello Strand, l'orgia notturna si prolungava malgrado l'aurora,
e quando rientrammo in casa, le sale di Haymarket, ancora aperte, ancora
illuminate, contenevano i loro eterni bevitori, coi gomiti appoggiati
alle tavole di marmo. Una parte delle donne che percorrono questo brutto
quartiere alle quattro del mattino erano pure restate nei caffè. Sulla
via, nascosti nel vano delle porte, dormivano giovani mariuoli
accoccolati gli uni sugli altri; in mezzo alla strada, quattro
_policemen_ portavano via gravemente sopra una barella una donna
ubbriaca fradicia.

Tali sono gli spettacoli desolanti che la notte dispiega agli occhi dei
curiosi nei quartieri poveri di Londra. Io non ho caricate le tinte del
quadro, e non ho scritto che ciò che vidi. Altri prima di me, testimoni
delle stesse miserie, ne parlarono più eloquentemente. Chi non lesse
quanto disse sopra questo soggetto Leone Faucher, una delle glorie
dell'economia politica francese?... Chi non conosce gli articoli tanto
toccanti di Alfonso Esquiros, che impiega sì nobilmente i lunghi ozii
dell'esilio a studiare l'Inghilterra e la vita Inglese?... Bisogna
leggere, bisogna citare in queste colonne e l'uno e l'altro di questi
due maestri, poichè i loro racconti commoventi e tanto veri varranno a
confermare il mio.

«La strada ferrata di Blackwall, dice Leone Faucher, nei suoi _Studii
sopra l'Inghilterra_, traversa White Chapel in tutta la sua lunghezza.
Dall'alto delle arcate sulle quali corre la strada ferrata, la vista si
spinge comodamente nei segreti di questa miseria. Si veggono donne
sparute che sporgonsi mezzo nude dalle finestre, fanciulli pallidi che
si avvoltolano nel fango dei cortili coi porci, inseparabili compagni
delle famiglie irlandesi, cenci appesi al disopra delle vie come per
intercettare la luce ed il calore; qua e là negli spazii liberi mucchi
di rottami e di immondizie; da ogni lato degli stagni fetidi, che
attestano la mancanza di ogni regola per lo scolo delle acque. Ecco lo
spettacolo che presenta White Chapel a volo d'uccello. Che sarebbe poi
se si potesse con una magia, che questa volta non avrebbe nulla di
diabolico, levare i tetti dalle case e contare i gemiti e le
imprecazioni che s'innalzano al cielo!»

Ed altrove, parlando degli immondi quartieri di Spitalfield e di Bethnal
Green, dove formicolano più di 150.000 tessitori, la maggior parte
irlandesi, «le case di questo distretto, ci dice il celebre economista,
sono in uno stato di sfacelo tale, che a stento potrebbe farsene
un'idea. Sono spesso fabbricate con tavole mal connesse, il che dà loro
ben presto l'aspetto delle più immonde stalle. Quando queste catapecchie
sono chiuse in causa del pericolo che vi sarebbe ad abitarle, poichè i
locatari le abbandonano prima che siano abbattute, si trova sempre
qualche famiglia irlandese che non potendo pagare il prezzo d'affitto,
va a cercarvi un ricovero a guisa di animali immondi. In un quartiere
dove le vie quando piove formano degli stagni, la febbre non tarda ad
esalare da queste macerie appestate.»

    [Illustrazione: Un terzetto di dormienti.]

«Trasportate in questi quartieri, dice più lungi il signor Leone
Faucher, una colonia di Olandesi che lava e pulisce da mane a sera,
tanto amante dell'ordine e della pulitezza quanto questi strani abitanti
lo sono del disordine ignobile che sembra essere il loro elemento, e
non avrete ancora fatto nulla. Questi quartieri si potrebbero paragonare
ad una di quelle città del medio evo, che i governi circondavano di mura
per proteggerle contro il nemico esterno, ma che per incuria, nella loro
ingenua ignoranza, abbandonavano all'azione mortifera delle epidemie. Le
ultime case della città nascondono a guisa di bastioni le vie di White
Chapel, dove non si penetra che attraverso gallerie tortuose praticate
sotto le vôlte o tra i muri umidi dei cortili: è una città intiera
riservata esclusivamente ai pedoni. Dopo che la febbre ebbe decimato la
popolazione, si decise la costruzione di smaltitoi nelle vie principali,
e quali vie! ma il trasporto delle immondizie non si fa ancora che una
volta la settimana; per sette giorni le si ammucchiano sulla pubblica
via, che di tal modo si copre d'uno strato permanente di letame.»

    [Illustrazione: Quattro policemen in funzione.]

Da queste poche righe, prese a caso negli _Studii sopra l'Inghilterra_,
si rileva che il quadro da noi fatto dell'aspetto dei quartieri poveri
non è punto esagerato. Leone Faucher è certamente un testimonio degno di
fede, economista prima di essere letterato, ed uno di quelli che non
scrivono pel piacere di commuovere il lettore per mezzo di situazioni
drammatiche, oppure con frasi sonore e periodi rimbombanti.

Passiamo ora ad un altro osservatore non meno esatto, non meno
coscienzioso, e che col suo pennello sempre vero ci dipingerà gli
abitanti di queste topaie orribili, di questi strani e tenebrosi
recessi.

Chiunque visitò attentamente i quartieri popolosi e caratteristici della
città di Londra, dice Esquiros nell'_Inghilterra e la vita inglese_,
dovette incontrare queste parole scritte a mano o stampate sopra un
cartello: «Buoni letti,--acqua calda in abbondanza,--gas tutta la
notte.» La casa che porta questo cartello non si distingue punto, a dir
vero, dalle altre case vicine, se non per un carattere proprio di
tristezza e di sporcizia. Qualche volta però la si riconosce ad un altro
distintivo: le finestre, molto basse, hanno più carta che vetri. È un
principio ammesso fra la gente di questi stabilimenti, che le finestre
sono fatte non per lasciar passare la luce, ma per intercettare il
freddo.

«..... Accompagnato da un policemen, sono entrato in parecchi di questi
stabilimenti ed a diverse ore del giorno o della notte. La più orrenda
casa ch'io abbia visitata è in _Fox-Court Gray's inn-Lane_; essa non è
abitata che da prostitute e da ladri. La prima volta che io feci appello
alla compiacenza del _policemen_ che era di servizio in questo
quartiere, ci fu interdetto di passare la soglia di questo alloggio,
perchè i _pensionanti_ non erano alzati: erano le undici del mattino e
regnava una folta nebbia. La mia guida mi disse che se quest'ultima
circostanza fosse stata conosciuta dai dormienti, li avrebbe certamente
attirati nella via, giacchè era una bella occasione per darsi alla loro
industria.

«.... Questi alloggi di _viaggiatori_ (è una parola decente) presentano
un carattere lontano da ogni ordine e nettezza. Ve n'ha taluni dove
regna il rumore e la confusione, e una sporcizia impossibile a
descriversi; dove muri lividi e cadenti nascondono assai male certe
faccie più livide ancora delle muraglie; dove si soffoca l'estate e si
gela l'inverno. Un _viaggiatore_ racconta aver dormito, alcuni anni
sono, non lungi da _Drury Lane_, in una camera, il cui soffitto era di
ardesie, che corrose dai colpi di vento lasciavano vedere il cielo e
contare le stelle.

«Il personale che frequenta questi stabilimenti è molto vario, ma si
recluta specialmente fra le industrie ambulanti. Gli uomini si
riuniscono in tali stabilimenti in virtù di quella legge chimica: «I
simili si cercano.» Coloro i cui costumi e le cui occupazioni sulla
pubblica via durante il giorno presentano dei tratti d'analogia, vivono
insieme sotto lo stesso tetto la notte.

«L'interno di queste case, eccettuati certi casi e certi quartieri, non
presenta le scene di tumulto, alle quali dovrebbe dar luogo, secondo
ogni apparenza, una riunione d'individui così chiassosa nelle vie e nei
trivii. Il carattere dominante fra i membri di questa consorteria
errante è invece il silenzio. Gli uni fumano, gli altri sonnecchiano,
altri ancora preparano la loro cena. Tutti si affollano innanzi al
camino: poichè ciò che cercano maggiormente questi uomini, esposti tutto
il giorno alle intemperie, è il caldo. L'espressione taciturna dei volti
mi colpì; ma fui ben sorpreso al trovare nella maggior parte dei
_lodging houses_ che visitai, almeno un giornale.

«La maggior parte dei moralisti inglesi considerano, e con ragione, il
gran numero dei _low lodging houses_ come scuole di vizio e antri di
immoralità. Ed alcuni di loro credettero perfino vedere nell'esistenza
di queste case un ostacolo invincibile allo sviluppo ed al miglioramento
delle classi povere. L'agglomerazione di individui in camere prive
d'aria, la confusione dei sessi almeno nelle cucine, i cattivi esempi e
i cattivi insegnamenti, esercitano certissimamente un'influenza
perniciosa sulla salute e sul morale del viaggiatore.

«In questi recessi di coabitazione notturna, si trovano alla rinfusa
delle ragazze di quindici anni e dei fanciulli divisi dalle loro
famiglie. Sopprimere queste case sarebbe una misura incompatibile colle
nozioni degli Inglesi sul diritto di proprietà e sulla libertà
individuale; non bisogna neppure pensarci. Tutto ciò che si potrebbe
fare sarebbe di contrapporvi dei ricoveri notturni, dove il povero
trovasse dei vantaggi notevoli. La carità britannica è già entrata in
questa via; ma vi sono degli ostacoli da vincere, ed uno di questi
ostacoli è la catena delle abitudini.»

Volete ora vedere come la penna realista di Teofilo Gautier, sempre così
giusto osservatore, dipinge i pezzenti britannici? «Il popolo di Londra,
ci dice l'illustre scrittore, si veste dal rigattiere, e di degradazione
in degradazione il vestito del _gentlemen_ finisce sulle spalle dello
spazzafogne, ed i cappellini di raso della duchessa sulla testa d'una
ignobile serva. Perfino in Saint-Gilles, in questo triste quartiere
degli Irlandesi che in povertà sorpassa tutto ciò che si può immaginare
di orribile e di sporco, si vedono dei cappelli e dei vestiti neri
portati per lo più senza camicia, e abbottonati sulla pelle che si vede
attraverso gli squarci.

«Saint-Gilles è a due passi da Oxford Street, da Piccadilly, dice ancora
Teofilo Gautier, e questo contrasto si presenta senza alcuna gradazione.
Voi passate senza transizione dalla più smagliante opulenza alla più
squallida miseria. Le carrozze non penetrano in queste viuzze sfondate,
piene di pozzanghere dove formicolano dei fanciulli mezzo nudi, ed ove
grandi ragazze dai capelli arruffati, coi piedi nudi, nude le gambe, un
lurido cencio sulle spalle, vi guardano con occhio torvo e feroce.
Quante sofferenze! quanta fame si legge su quelle facce magre, livide,
terree e raggrinzate dal freddo! Ci sono dei poveri diavoli che ebbero
sempre fame dal giorno in cui furono slattati.... A forza di privazioni,
il sangue di questi infelici s'intristisce, e da rosso diventa giallo,
come lo attestano i rapporti dei medici.»

Una cosa che rattrista quando si studia la miseria a Londra, si è che
questa miseria è un po' da per tutto. Noi l'abbiamo ora visitata nei
suoi quartieri classici, quelli che attirano sempre di preferenza
l'attenzione del moralista, dell'economista, del viaggiatore; ma essa
esiste anche altrove, ed ecco che il West-End, uno dei quartieri più
aristocratici e più eleganti, posto all'estremità occidentale di Londra
nuova, va a presentarci esso pure dei tristi e cupi recessi. «Nel
superbo quartiere di Kensington, non lungi dagli splendidi giardini
della regina, ci dice uno scrittore inglese, si trovano delle vie
intiere formate da orrendi bugigattoli scavati in un terreno tutto
pregno d'immondizie. Una parte della popolazione miserabile di
Kensington abita queste buche infette; un'altra parte si è rifugiata
sopra carri di zingari mezzo sprofondati nel fango; altri non ha per
dimora che alcune vecchie casse di carrozze pubbliche smontate, per le
quali pagano un affitto di sei pence (sessanta centesimi di franco) alla
settimana.

«Ma i più disgraziati, dice citando queste righe il signor Reclus nella
sua _Guida di Londra_, sono quelli che non hanno neppure una cassa di
carrozza, e che durante le notti di nebbia e di neve non hanno altro
vantaggio che di passeggiare nelle vie o nei larghi viali che circondano
certi parchi. Quantunque a Londra non manchino delle locande dove si
dorme a due pence per notte, tuttavia vi sono alle volte migliaia di
persone che non hanno neppure questo poco danaro per procurarsi un sì
abbietto asilo. Sotto le arcate della piazza di Covent-Garden
passeggiano, tutte le notti, poveri affamati aspettando con ansietà lo
spuntare del giorno. Nei periodi di miseria, sì frequenti per mancanza
di lavoro in diversi rami d'industria, dalle quattro alle cinque di
sera, si vedono dei miserabili prendere posto sui banchi di Pall-Mall e
del Bird-Cage-Walk, attorno a Saint-James's Park; qualche volta la gente
si affolla e si urta per avere un posto; giacchè è meglio essere almeno
seduti sopra una panchetta di legno che coricarsi per terra ai piedi di
un albero. La notte, il _policemen_ che deve far eseguire la sua
consegna, sveglia i dormienti per avvertirli essere proibito di dormire
sulle panchette dei passeggi. «Noi non dormiamo, passeggiamo,»
rispondono quei liberi cittadini inglesi, ed il _policemen_ continua la
sua strada. Nelle notti dal sabbato alla domenica, i dormienti sono più
rari sulle panchette di Saint-James's Park e sotto le arcate di
Covent-Garden: i miserabili in tali notti passeggiano attorno ai
_gin-palaces_, nella speranza di trovare in terra delle monete di rame o
d'argento perdute dagli ubbriachi.»

A tutti gli autori, dai quali ho preso sì numerosi estratti,
bisognerebbe aggiungere Mayhew, tanto popolare nella Gran Brettagna, e
la cui opera interessante e notevolissima: _London labour and London
poor_, Londra operaia e Londra povera, denuncia senza riguardo agli
abitanti della ricca metropoli tutte le vergogne delle loro piaghe
sociali.

Ma quali palliativi si potrebbero applicare a tanta miseria? Il
pauperismo è desso un vizio irrimediabile, una piaga che le società
moderne devono accettare senza speranza di esserne mai liberate? Le
grandi città sono forse invariabilmente condannate ai tristi spettacoli
di cui Londra ci presentò or ora un saggio? Ecco ciò ch'io domandava a
me stesso ritornando dalla mia escursione notturna in White Chapel, e mi
sembra che, per poco si preoccupi del movimento sociale e della vita
morale dei popoli della nostra epoca, ciascheduno dei nostri lettori
deve farsi la stessa domanda. Qual è dunque il più sicuro mezzo di
arrivare alla rigenerazione delle classi povere? Io ne vedo uno soltanto
che sia incontrastabile: l'istruzione, l'educazione! Gli Inglesi fecero
molto in questo senso, ma meno ancora della Svizzera e della Germania.
Nella Svizzera ci sono perfino dei cantoni dove non esistono poveri. Le
istituzioni pie, come le sale d'asilo, i _work houses_, i ricoveri di
mendicità, le società di beneficenza, non possono che apportare un
rimedio al male; ma non lo arrestano alla sua sorgente; e poi non
giovano ai poveri vergognosi, che arrossiscono di mettere in mostra la
loro miseria, d'implorare apertamente il soccorso altrui. Le società di
temperanza non correggono mai che la minima parte dei beoni; le società
bibliche, i sermoni a cielo aperto, che sono tanto in uso a Londra[3],
non restituiscono punto il sentimento religioso all'uomo degradato che
ne ha perduto l'istinto. Certe ordinanze municipali non fanno che
aumentare il male. Che giova esigere il riposo della domenica, se dopo
l'ora degli uffici le bettole, le taverne, chiuse per un momento, si
riaprono, e se il robinetto che versa birra non si chiude un momento in
tutto il giorno? I bevitori si accalcano alla porta ed aspettano di
potere entrare, occupazione che ne vale bene un'altra, ed i vostri
regolamenti di polizia non tendono che a provocare nella via dei
tumulti.

    [3] I sermoni all'aria aperta sono uno degli spettacoli che
    sorprendono maggiormente il forestiero di fresco arrivato a Londra.
    Tutte la sere, e soventi durante il giorno alla domenica, sui
    passeggi, sulle piazze più frequentate, nelle vicinanze degli
    _squares_, certi uomini dal volto austero, vestiti di nero, in
    cravatta bianca, il capo scoperto, una Bibbia sotto il braccio, si
    mettono a leggere ed a predicare. In sulle prime li ascolta un
    passaggiero, poi due, infine la folla si accalca, le carrozze si
    fermano, uomini e donne, soldati e _civilians_, grandi e piccoli
    circondano gravemente il predicatore. Con una voce lenta, sorda,
    misurata, al pari di molti ministri protestanti quando predicano o
    spiegano la Bibbia, uno di questi predicatori recita
    imperturbabilmente la sua arringa; non una parola, non un grido
    beffardo sfugge all'uditorio. Questa calma che non si smentisce mai,
    è uno dei tratti caratteristici della nazione inglese. A Parigi se
    la polizia permettesse al primo venuto di predicare all'aria aperta,
    non resisterebbe questi due minuti contro i lazzi, i motteggi, e
    fors'anche contro i proiettili, non foss'altro, dei biricchini.

    [Illustrazione: La predica all'aria aperta a Londra.]

Per combattere utilmente il pauperismo e tutto il corteo di vizii
ch'e' trae seco, bisogna ad ogni costo spargere l'educazione; è questo
il modo migliore ed il più certo di rialzare il livello morale ed
intellettuale delle masse, e di infondere loro l'abitudine del
risparmio, la sola che possa condurle al benessere. Sotto questo
rapporto un curioso tentativo fu fatto a Londra nell'organamento dei
piccoli lustrascarpe e spazzacamini. Alcune persone caritatevoli
formarono un reggimento di poveri ragazzi abbandonati, senza genitori,
diedero loro un'educazione ed uno stato, invece di lasciarli vagabondare
nelle vie, abbandonati al loro solo capriccio. Ci sono molti motivi per
isperare che essi saranno un giorno buoni cittadini; intanto essi
lavorano, imparano, risparmiano un piccolo peculio, e sono altrettante
vittime strappate ad una miseria certa, e forse al vizio più abbietto.
L'educazione! l'educazione! e coll'educazione il lavoro, ed il
pauperismo scomparirà, e non si dirà più esservi come al presente in
Londra centoventi mila individui senza tetto, ladri, truffatori,
pick-pockets, vagabondi o mendicanti; e che ogni anno nei tre regni si
contano fino al di là di dieci mila fanciulli al disotto di dieci anni
condannati per crimini o delitti! Qual bosco di banditi diventerebbe il
Regno Unito, e quale incessante minaccia sarebbero per la società
europea queste classi abbiette, se non esistessero le colonie, questo
immenso scolatoio della Gran Brettagna! Soltanto l'emigrazione irlandese
per gli Stati Uniti, l'Australia e le Indie trasporta ogni anno al di là
dei mari cento mila poveri; ma le colonie non posson bastare, giacchè
non tutti, anche fra la gente disperata, acconsentono ad espatriare al
di là dei mari. E d'altro lato noi vedemmo la poca efficacia degli altri
palliativi adoperati contro il pauperismo. Le casse d'assistenza, di
risparmio, di soccorso, non rimedierebbero esse stesse che
incompletissimamente al male. Bisogna tagliarlo alla radice; bisogna
impartire l'educazione al povero fino dalla sua più tenera infanzia. Si
elevino nella gran città delle scuole, scuole gratuite, scuole della
domenica, scuole dei poveri (_ragged schools_), le si chiamino come si
vuole; e mentre si insegna gratuitamente ai fanciulli, si aprano anche
delle scuole serali gratuite per gli adulti, uomini e donne, e non si
tarderà a provare i benefici effetti dell'istruzione così liberamente,
così largamente sparsa nel popolo! Un gran passo fu fatto, senza dubbio,
ma resta a farne uno più grande, e non saranno certo gli Inglesi, che
non si fermano mai, una volta che si son messi sopra una buona strada;
non saranno essi che esiteranno di andare fino alla meta.

Bisogna aggiungere che un altro buon mezzo per moralizzare le classi
miserabili è pur quello di procurar loro dei divertimenti innocenti e
morali allo stesso prezzo di quelli forniti dai perniciosi stabilimenti
che essi frequentano. Mayhew insiste sopra questo punto. Si moralizzi
dunque il popolo istruendolo e divertendolo, ma lo si moralizzi;
altrimenti questa schifosa piaga sociale che si chiama pauperismo, e che
estende sempre più i suoi guasti negli Stati moderni, non scomparirà
giammai. L'Inghilterra, più di alcun'altra nazione, forse appunto perchè
è una delle più potenti, va soggetta a questo male. Dia essa l'esempio
di tentare di estirparlo, combatta questo mostro; perseguiti fino nei
loro ultimi recessi la miseria, l'ignoranza, il vizio; e tutti quei
mali, che sono per essa una vera onta nazionale, svaniranno per sempre.


  FINE.



PREZZO DEL PRESENTE VOLUME
=Lire 1:50.=



BIBLIOTECA DI VIAGGI


  =Il nuovo Robinson Crusoè=, ovvero =I naufraghi delle Isole
  Auckland=, pel signor EDOARDO RAYNAL. Con 28 incisioni e una
  carta geografica. _Terza_ edizione italiana                     L. 2--

  =I prigionieri di Teodoro= e =la Campagna d'Abissinia=,
  relazione del dott. BLANC, uno dei prigionieri. Con 18
  incisioni e la carta geografica dell'Abissinia. _Seconda_
  edizione italiana                                               » 1:50

  =La prima spedizione Italiana nell'Interno del Giappone
  e nei centri sericoli=, racconto di PIETRO SAVIO di Alessandria,
  membro della spedizione. Con 44 incisioni ed una carta.
  _Seconda_ edizione.                                             »  2--

  =Viaggio nei regni di Siam, di Cambodge, di Laos ed in altre
  parti centrali dell'Indo-China=, del naturalista ENRICO MOUHOT.
  Con 75 incisioni e due carte geografiche                        »  4--

  =Viaggio nel mar Rosso e tra i Bogos=, di ARTURO ISSEL,
  professore di geologia e mineralogia nella regia Università di
  Genova. Illustrato da due carte geografiche e 13 incisioni      » 3:50

  =Viaggio di un falso Dervish nell'Asia centrale=, di ARMINIO
  VAMBERY. Con 21 incisioni e 1 carta geografica                  » 2:50

  =L'Africa Australe=, primo viaggio di DAVIDE LIVINGSTONE,
  1840-1856. Col ritratto di Livingstone, la carta dell'Africa
  Australe e 14 incisioni.                                        » 1:50

  =Lo Zambese e i suoi affluenti=, secondo viaggio di DAVIDE E
  CARLO LIVINGSTONE, 1858-1864. Con 31 incisioni e 3 carte
  geografiche sull'Africa Orientale. _Seconda_ edizione           » 2:50

  =Come io trovai Livingstone.= Viaggi, avventure e scoperte
  nell'Africa Centrale, di ENRICO STANLEY. Col ritratto di
  Stanley, 57 incisioni, 5 carte geografiche e una pianta         »  5--

  =Pompei e i Pompeiani=, di MARCO MONNIER. Illustrato da 24
  incisioni e la pianta di Pompei                                 »  2--

  =La Sicilia=, due viaggi di F. BOURQUELOT ed E. RECLUS, con
  prefazione e note di _E. Navarro della Miraglia_. Illustrato
  da 43 incisioni, 2 carte geografiche e le piante dell'Etna
  e di Vulcano                                                    » 2:50

  =La Settimana santa a Roma ed a Gerusalemme=, note di viaggio
  e impressioni. Un volume con 33 incisioni, il ritratto di Pio
  IX e la pianta del Santo Sepolcro di Gerusalemme                »  2--

  =I Musei del Vaticano=, di F. WEY. Con 51 incisioni.            »  3--

  =Viaggi in Persia=, di A. DE GOBINEAU, F. DE FILIPPI, E.
  DUHOUSSET e N. DE KHANIKOFF. Col ritratto dello Scià, 28
  incisioni e la carta geografica della Persia                    »  2--

  =Dall'Italia a Vienna=. Con 38 incisioni e la pianta di Vienna. »  2--

  =Asia Minore e Turchia=, del conte A. DE MOUSTIER, F. JERUSALEMY
  ed A. PROUET. Con 42 incisioni e la carta dell'Asia Minore      »  2--

  =Selva Nera e Selva Ercinia=, di STROOBANT, MICHIELS E CARNOT.
  Con 47 incisioni e 1 carta geografica                           »  3--

  =Viaggi in Danimarca e nell'interno dell'Islanda=, di M. G.
  DARGAUD e N. NOGARET. Con 73 incisioni e 2 carte                »  3--

  =Viaggio nel Messico=, di E. VIGNEAUX. Con 44 inc. e 4 carte
  geogr.                                                          »  2--

  =La Perla delle Antille=, di A. GALLENGA. Con 10 incisioni e la
  carta dell'isola di Cuba                                        »  2--

  =Ricordi di Londra=, di EDMONDO DE AMICIS. Con 21 incisioni     » 1:50

  =La Terra di Desolazione=, di ISACCO J. HAYES. Con 27 incisioni
  e la carta della costa occidentale della Groenlandia            »  2--

  =Il Naufragio della Hansa.= Con 39 incis. 7 piante e carte
  geogr.                                                          »  2--

       *       *       *       *       *

_D'imminente pubblicazione_:

  =I Tasmaniani=, di E. H. GIGLIOLI. Con 12 incisioni e una carta »  2--

       *       *       *       *       *

Dirigere commissioni e vaglia agli Editori FRATELLI TREVES, Milano, Via
Solferino, 11.



NOTA DEL TRASCRITTORE:


Sono stati corretti i seguenti refusi (le correzioni sono tra
parentesi):

  ogni mio gemito:--_Mai[Mais] vous n'êtes pas malade, mon cher
  di quella formidadile[formidabile] City affranta dalla fatica,
  e a cui sdegneremmo di pensare nalla[nella] nostra vita ordinaria.
  dove, con grande meraviglia dei mie[miei] amici, avevo sempre
  --Sempre fra case e opifici?[.]
  come Greenvich[Greenwich], o la popolazione di Roma, come Chelsea,
  mangiano in in[omesso] un anno a Londra
  d'uomini celebri. E sopra queste, altre gallerie a mile[mille] giri,
  cononici[canonici] eleganti, e che si presterebbe a meraviglia per un
  dinanzi al glorioso ospedale di Greenvich[Greenwich], e si svolta
  vi ringrazio[rigrazio] e vi saluto! E ripenso con gratitudine
  tristamente White Capel[Chapel].
  Giacche[Giacchè] avea cominciato a farci visitare degli appartamenti,
  in apparenza più decenti e più oneste. Sono gli albergi[alberghi] dove
  Saint-Jame's[Saint-James's] Park; qualche volta la gente si affolla e





*** End of this LibraryBlog Digital Book "Ricordi di Londra" ***

Copyright 2023 LibraryBlog. All rights reserved.



Home