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Title: La messa di nozze; Un sogno; La bella morte
Author: De Roberto, Federico, 1861-1927
Language: Italian
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BELLA MORTE***


F. DE ROBERTO


LA MESSA DI NOZZE

UN SOGNO--LA BELLA MORTE



Milano
Fratelli Treves, Editori

=Secondo migliaio.=

PROPRIETÀ LETTERARIA.

_I diritti di riproduzione e di traduzione sono riservati per tutti i
paesi, compresi la Svezia, la Norvegia e l'Olanda._

Tip. Fratelli Treves, 1917.



LA MESSA DI NOZZE.



I.

L'arrivo del "Senegal".


Alle tre, quando la campana annunziò la fine della lezione, il
professore Domenico Perez non lasciò liberi, come avrebbe dovuto, i suoi
discepoli. Spiegava da due ore un atto dell'«Edipo Re» e non voleva
interromperlo. Dominando con la voce ferma e severa i moti d'impazienza
della classe, andò avanti per un'altra diecina di minuti, sino alla
fine; poi pronunziò la frase sacramentale:

--Basterà per oggi.

Appena uscito nel corridoio, in compagnia degli alunni più diligenti che
gli rivolgevano ancora domande intorno alle cose udite, si vide
accostare da Baldassarre, il bidello.

--Signor professore, c'è un signore che lo aspetta.

--Chi è?

--Non ha detto il nome.... Dice che è venuto da Firenze apposta per lei.

--Da Firenze?... Dov'è?

--L'ho fatto accomodare nella sala di convegno.... Vi è rimasto un pezzo
a dormire, sul divano!... Prima di sonare la campana sono andato ad
avvertirlo; allora è sceso giù nel cortile!... Ha un'aria.... una
cert'aria....

Perez sorrise vedendo la smorfia con la quale Baldassarre intendeva
esprimere l'aria dello sconosciuto, e s'affacciò dal ballatoio. Non
distinguendo nessuno in mezzo alla folla degli scolari sciamanti giù per
la corte, discese le scale; sull'ultimo ripiano, scorgendo il visitatore
che pareva appostato per attenderlo al varco,--una figura alta e smilza,
un paio di gambe lunghe chiuse in calzoni strettissimi, una faccia magra
tagliata da due baffi chiari uncinati--esclamò:

--Bertini!... Ma come? Sei tu, Lodovico?

--Sono io.

--Senza avvertirmi?... Senza scrivermi una parola?...--soggiunse,
buttandogli le braccia al collo e baciandolo con grande effusione sulle
due guance.--Non importa; grazie egualmente!... Che piacere!... Sai che
non ci vediamo da Valsorrisa?... Quant'è? Due anni!... Quando sei
arrivato?

--Da un'ora.

--E sei venuto per me? Che bravo! Andiamo via! Sono libero. Sono tutto
per te. Quanto ti tratterrai?

--Riparto stasera.

--Come?--protestò l'altro, fermandosi, tra stupito e crucciato, sul
punto di varcare il portone del Liceo.--Ma niente affatto!... Dopo due
anni che aspetto questa tua visita, vieni per mezza giornata? Che dico?
Per qualche ora appena!

--Non posso fermarmi di più.

--Hai da fare? Che hai da fare? Non ammetto pretesti! Ti sequestro.
Almeno sino a domani.

--Ti prego di non insistere. Non posso.

Perez gli fermò addosso lo sguardo. Nel primo momento, nella sorpresa
del riconoscimento, non aveva fatto attenzione all'aspetto dell'amico
suo; ora, udendo quella risposta proferita brevemente, in tono che non
ammetteva replica, e rammentando le parole di Baldassarre sullo strano
atteggiamento del visitatore, scorgeva realmente qualche cosa
d'insolito in lui. Magrissimo era sempre stato, ma d'una magrezza sana,
ossea e nervosa; ora il suo viso lungo ed affilato pareva emaciato come
dopo una malattia; le tempie, dove i capelli cominciavano a incanutire,
eran solcate da vene inturgidite; gli occhi si volgevano intorno
esitanti, inquieti, quasi sospettosi; anche il passo era malfermo.

--Sia come vuoi,--concesse Perez, tenendo temporaneamente per sè quelle
osservazioni, ma proponendosi di cogliere o di far nascere più tardi
l'occasione di manifestarle.--Vieni a casa mia?

--Per fare?

--Niente! Sono libero, ti ripeto; posso dedicarti tutto il pomeriggio.
Dicevo così, nel caso che volessi riposarti. Sei all'albergo?

--No, ho lasciato la valigia alla stazione.

--Dovresti essere stanco; ho sentito che ti sei addormentato,
aspettandomi.

--Ora sono riposato.

--Va bene; allora verrai da noi a pranzo stasera: è inteso. La mamma
sarà felice di vederti. Per il momento vogliamo andare al caffè?

--Grazie; io non prendo nulla.

--Allora....--fece Perez, un poco imbarazzato, cercando che cosa potesse
piacere all'amico;--allora.... montiamo in carrozza e giriamo un poco in
città o in campagna?

Solo quell'offerta riuscì gradita all'invitato.

--Andiamo al mare?--propose.

--Dove tu vuoi!... Vetturino!...--chiamò, fermando con un gesto del
braccio una carrozza che passava loro dinanzi in quel momento.--Monta
su, caro, ti prego.... Vetturino, alla Gettata!...--Poi, accomodatosi
nel suo cantuccio, battendo con la mano sul ginocchio dell'amico,
esclamò giocondamente:--E così?

--E così?--ripetè l'altro, come un'eco. Cavata di tasca la borsa del
tabacco e cominciando ad arrotolare una sigaretta, soggiunse:--Che
fai?... Sei contento?... Lavori?

--Lavoro, sì. E tu?

--A che lavori?--insistè l'interrogato, come se non avesse udito la
domanda.--Vuoi?--concluse, offrendogli da fumare.

--Grazie! Ti dirò che sono in un periodo di grande fecondità.

Mentre la carrozza attraversava i quartieri popolari, arrestandosi
tratto tratto per l'ingombro dei tram, delle automobili, dei legni, dei
carri, dei veicoli d'ogni sorta, Perez cominciò a parlare delle sue
occupazioni letterarie. Scrittore di commedie prima che insegnante di
lettere greche, egli adempiva con tutta coscienza l'ufficio scolastico;
ma più che la cattedra lo attirava il palcoscenico, dove aveva raccolto
e raccoglieva ancora i premî più ambiti. Quanti ammiravano in lui
l'artista geniale, l'arguto dipintore dei costumi contemporanei, non
riuscivano a spiegarsi come egli potesse essere anche un dotto cultore
delle classiche discipline; in realtà, il giovane aveva sofferto d'un
intimo disagio vivendo con la mente, per ragioni di studio, in tempi
tanto remoti e disformi da quello nel quale era nato, del quale
osservava, intendeva ed amava i caratteri, nella vita reale; ma il
disagio era finito, e le due occupazioni si erano conciliate, perchè
l'amore della modernità gli aveva impedito di isterilirsi nel fanatismo
del passato e gli aveva fatto ricercare ed intendere nelle antiche
letterature solo ciò che vi resta di veramente vivo, di eternamente
giovane e fresco. Proprio in quei giorni, dopo una vivace polemica
sostenuta con un Tedesco erudito e pedante, egli aveva concepito l'idea
d'un saggio intorno alle «Forme letterarie fossili», e nell'esporre
all'amico gli argomenti coi quali si accingeva a sostenere la propria
tesi, si animava ed accalorava: piccolo, vivacissimo, tutto fuoco,
roteava gli occhi e mulinava con le braccia come sostenendo un assalto
contro avversarî invisibili, bucava l'aria con l'indice disteso come per
trapassare da parte a parte gli autori incriminati.

--Nel mondo della creazione artistica, come nella natura vivente, le
specie appariscono, vivono più o meno a lungo e poi dànno luogo ad altre
più o meno diverse. Il poema e la tragedia hanno fatto il loro tempo
come gl'ittiosauri e i teromorfi; sono finiti con gli elmi e gli scudi,
coi manti e le corone: roba da museo. Al giorno d'oggi che i re, quelli
che restano, portano il cappello a cencio e le scarpe con le gomme, e i
militari si vestono di grigio per non lasciarsi scorgere da lontano, e
gli eroi si trovano, quando si trovano, nel corpo dei pompieri o tra i
casellanti delle strade ferrate, non vi sono altre forme possibili che
il romanzo o la novella e il dramma o la commedia. Il naturalista
ricostruisce con senso religioso i formidabili giganti della fauna
antica, ma non nutre la folle idea di richiamarli in vita. Io
m'inginocchio dinanzi a Sofocle, ma rido di chi presume mettere al mondo
nuovi «Edipi». Le commedie nostre saranno benissimo semplici
coccodrilli, e se vuoi umilissime lucertole a petto dei colossi
antidiluviani; ma la colpa non è nostra se quegli stampi sono andati
distrutti.

--E le tue commedie nuove?

--Tre, mio caro; non meno di tre: _omne trinum_.... E tre casi di
adulterio, uno dopo l'altro! I critici e i commissarî dei concorsi
governativi mi lapideranno, ma il pubblico verrà a sentire. Non dico ad
applaudire. Può darsi benissimo che mi fischi di santa ragione; ma la
colpa sarà stata mia, non dell'argomento. Non ne conosco altri che
appassionino tanto le platee, perchè nessun altro offre una così intima
associazione del comico col drammatico, e se vuoi col tragico, ma nel
senso moderno della parola. La nostra civiltà ha preteso disciplinare
l'indisciplinabile, quel sentimento che il mito antico, più accorto,
aveva simboleggiato in un fanciullo, bendato per giunta, cioè due volte
cieco, doppiamente irresponsabile. Il matrimonio, l'unione eterna e
indissolubile, è il più bel tentativo di correggere la realtà, di
realizzare l'ideale; ma la natura, che noi disconosciamo, si prende
giuoco di noi, scombussola i nostri piani, sconvolge la nostra vita.
Dico la _nostra_, e non la _loro_, della gente coniugata: perchè,
sentimentalmente, la situazione è la stessa, sia nelle giuste nozze, sia
negli amori liberi. Quante volte hai giurato ad una donna, con tutta la
sincerità del cuore, con tutto il convincimento della volontà, che l'ami
unicamente, che l'amerai sempre? E quante volte, con quanto dolore, ti
sei accorto dell'inganno?

Bertini, rivoltatosi bruscamente, buttò via la sigaretta non ancora
finita di fumare; poi, raddrizzatosi sul sedile incrociò le braccia e
chinò il capo. Perez, senza aspettare risposta alle domande espresse non
tanto per curiosità di sapere quanto per bisogno di affermare, riprese:

--La poesia ha inventato l'anima sorella, l'anima gemella, che andiamo
cercando, che presto o tardi incontriamo e che allora ci prende tutti
per sè; ma la natura, quando crediamo di esserci assortiti con la
creatura predestinata, ce ne sospinge dinanzi, un bel giorno, a nostra
insaputa, un'altra che ci piace di più, che ci par fatta per noi meglio
dell'altra, che distrugge il prestigio dell'altra, che vogliamo e
dobbiamo ottenere, a qualunque costo, a costo di morirne, salvo a
ricrederci ancora una volta, quando ci troviamo esposti ad una terza
seduzione ancora più forte, o semplicemente diversa. Sai che lo ha detto
anche Napoleone: il matrimonio non è istituzione fondata su leggi di
natura, e Balzac lo ha scritto in fronte alla sua «Fisiologia». La
natura non vuole amori unici ed eterni; esige anzi, per il conseguimento
dei suoi fini, il più gran numero di amori. Noi siamo come i germi che
essa sparpaglia a milioni di milioni per l'aria, sulla terra, nelle
acque, per moltiplicare le probabilità che s'incontrino e si fecondino e
si schiudano in nuove forme di vita. Uomini e donne, tutti quanti siamo,
nonostante i nostri codici scritti e la nostra morale intima, che altro
facciamo, io ti domando, se non cercarci per sedurci, se non sfoggiare
ed accrescere le nostre doti per suscitare il più gran numero di
desiderî dai quali deriveranno il più gran numero di accostamenti?
Perchè mai tu scolpisci le tue statue, ed io scrivo le mie commedie, e
il nostro Natali dipinge i suoi quadri, e Luigi Albani compone le sue
musiche, se non per abbagliare queste signore con l'aureola della
gloria? E queste signore perchè mai passano metà della loro vita dalla
sarta e dinanzi allo specchio, se non per fulminarci col fulgore della
loro bellezza? In tutti i loro rapporti, in quelli che sembrano più
innocenti, uomini e donne non fanno altro che scherzare col fuoco: la
fedeltà dei mariti, delle mogli e degli amanti è un miracolo altrettanto
grande quanto la preservazione di una santabarbara fra il grandinare
delle granate.

--L'albergo di Francia è in questa via?

L'oratore si sentì così bruscamente interrotto nel bel mezzo
dell'argomentazione da quella domanda, che per un momento rimase senza
parola.

--L'albergo di Francia?... Qui siamo sul corso Vittorio Emanuele;
l'albergo di Francia è nella via Cavour.

--Passiamo di là, se non ti dispiace.

--Vetturino, per via Cavour.... Ma sai che sei un bel tipo?--esclamò
poi, fra crucciato e sorridente.--Mi fai sgolare senza darmi retta, e
non mi narri nulla di te, delle cose tue! Perchè hai trasferito lo
studio a Firenze?

--Per finire il monumento a Mazzini: te lo scrissi.

--Un tempo non potevi lavorare fuori della pace di Promonte.... Come sta
tua sorella? Il dottore tuo cognato? I tuoi nipotini?

--Stanno bene, grazie.

--Che desiderio di tornare lassù! Bisogna che scriva alla signora Laura.
Il tuo monumento, dalle figure che ne ho viste sui fogli illustrati, è
una bellezza. So che vi hai lavorato molto; forse troppo? Sei un poco
affaticato?

--Un poco.

--Si vede. Te lo volevo dire. Non sei stato sofferente?

--Un poco.

--Perchè non ti riposi? Perchè non ti fermi con noi? Ti prometto di
farti divagare. Hai qui tanti ammiratori! E non poche ammiratrici, sai?
Ecco l'albergo di Francia. Ferma, vetturino....

--No! no!--protestò vivacemente Bertini, trattenendo col braccio il
braccio dell'amico, ed ordinando poi al cocchiere, con voce breve:--Via!

E mentre la carrozza trascorreva dinanzi alla facciata dell'albergo, vi
fermò lo sguardo, rivoltandosi a guardarvi anche dopo che l'edificio fu
oltrepassato.

Perez era rimasto in silenzio, non comprendendo.

--Se ti decidessi a restare--riprese poi, tanto per dire--non ti
consiglierei quest'albergo, nè gli altri del centro. Sono i più
frequentati dalla gente danarosa, ma c'è troppo frastuono intorno.
Dovresti andare all'«Hôtel Monsalvato», sul Colle d'Elsa, a quattrocento
metri sul livello della baraonda cittadina; è un incanto.

--Forse andrò in Val d'Aosta, dai Mauri.

--Ah, i Mauri! Che brava gente! Vi andrò probabilmente anche io,
quest'ottobre. Sai che Aurelia è sposa?

Allora il discorso si volse sul tema degli amici comuni. Quantunque
neanche ora Bertini fosse molto loquace, Perez non volle sforzarlo con
osservazioni che potevano riuscire indiscrete. Serbava inappagata la
curiosità di sapere che cosa lo occupasse, perchè mai avesse voluto
esaminare la facciata e passare a rassegna le finestre dell'albergo di
Francia. E continuò a discorrere per due, evocando i ricordi d'altri
tempi; quando, giunta la carrozza sulla Gettata, in faccia al mare,
Lodovico lo interruppe ancora una volta:

--Vogliamo passare dal semaforo, se non ti dispiace?

--Non mi dispiace niente affatto. Ma prima di tutto, scusa, che vuoi
farvi, al semaforo? Aspetti telegrammi col telegrafo senza fili?

Un ambiguo sorriso, un sorriso veramente strano, increspò le labbra di
Lodovico.

--Forse!

--E poi, perchè non l'hai detto prima? Il semaforo non è al mare, è
sulla collina di San Rocco.

--Andiamo sulla collina.

--A San Rocco!

La carrozza prese un'altra direzione, e la conversazione dei due amici,
o piuttosto il monologo di Perez, anch'esso. Ora lo scrittore dimostrava
allo statuario, con un senso di compiacimento, l'enorme sviluppo preso
dalla città industre, i quartieri sorti come per incanto sul lido
orientale, verso la cinta delle vecchie fortificazioni.

--Guarda quante ville e quanti fumaioli!... Vedi quelle caserme? Sono le
case degli operai: il primo tentativo di risolvere seriamente questa
parte del gran problema sociale.... Un borgo marinaro sulla riva, un
rione industriale dalla parte opposta: in mezzo la città vecchia che si
va rinnovando! Vedi quella selva di antenne? È il porto....

--Sapranno al semaforo--domandò a un tratto Bertini--a che ora arriverà
il «Senegal»?

--Ma come?--esclamò Perez, con aria di stupore.--Volevi salire fin lassù
solo per questo? Ma gli arrivi dei piroscafi sono annunziati alle
Messaggerie! C'è di meglio: basta passare dalla Vedetta!... Vetturino,
torna indietro. Alla Vedetta marittima.

Ancora una volta la carrozza cambiò rotta. Perez restò un pezzo in
silenzio aspettando che il suo compagno dicesse qualche cosa; poi,
vedendolo assorto, con lo sguardo vagante per il panorama della città,
domandò a bruciapelo:

--Aspetti un amico, con questo «Senegal»?

Lo stesso sorriso, sottile e falso, spuntò sulle labbra dello scultore.

--Sì!

--Chi, se è lecito?

L'interrogato non rispose subito. Mosse il capo con un breve atto
d'imbarazzo, lo volse a guardare dietro di sè, esitante e sospettoso;
poi, afferrata la mano di Perez, proferì:

--Lo saprai fra poco.... Non mi chieder nulla, per ora....

Il bidello non s'era ingannato: c'era qualcosa di molto strano
nell'aspetto di Bertini, un pensiero molesto che corrugava la sua fronte
e fermava il suo sguardo, una inquietudine che rendeva nervosi i suoi
minimi gesti. Perez rispettò la preghiera; non interrogò, non disse più
nulla, mentre la carrozza rotolava sordamente sull'inghiaiato della
riviera Margherita, domandando solo a sè stesso da che parte del mondo
veniva quel piroscafo, quale persona restituiva in Italia che stesse
tanto a cuore a Lodovico. Una donna, probabilmente? La vita intima dello
scultore era stata sempre molto mossa: egli aveva nutrito passioni
gagliarde e tempestose. Non era più giovane, certo; doveva ormai aver
varcato la quarantina. L'aveva varcata senza meno: due anni addietro, a
Valsorrisa, non ne aveva annunziato l'arrivo imminente? Ma per una
natura appassionata come la sua, non era ancora l'età della rinunzia;
era anzi la più pericolosa. Proprio a Valsorrisa, nelle poche settimane
che vi avevano trascorse insieme, non si era infiammato per la bella
signora Lariani? Poco dopo, nell'autunno, era andato improvvisamente a
porre il suo studio a Firenze, per finire--aveva detto--il monumento a
Mazzini: verità, o non piuttosto semplice pretesto? Cominciata infatti a
Promonte e destinata a Palermo, perchè mai quell'opera doveva esser
compiuta proprio in Toscana? Qualche grossa novità era sopravvenuta
nella vita dell'artista: nonostante il suo silenzio, Perez ne aveva pur
avuto qualche sentore, aveva udito parlare di una signora, una
straniera, per la quale l'amico suo doveva aver fatto una nuova
passione. Forse costei aveva dovuto lasciarlo, era andata lontano, ed
ora tornava a lui? Ma nel suo aspetto, nelle sue parole, non c'era la
gioia, se pur trepida e ansiosa, di chi aspetta una persona cara; c'era
l'inquietudine, l'ambascia, una specie di paura....

--D'ordinario, i postali dall'Africa arrivano nel pomeriggio?

L'improvvisa domanda distolse Perez dalle sue riflessioni.

--Non lo so,--rispose, comprendendo confusamente che dall'Africa
Lodovico non poteva aspettare un'amante.--Ma ti caverai la curiosità fra
due minuti. Stiamo per arrivare.

La carrozza si era messa al passo, per la rampa di Bevagna. Lo scultore
non levava gli occhi dall'immensa distesa delle acque, liquido smeraldo
sotto le balze della costa, d'un azzurro carico come inchiostro più
oltre, fino all'estremo orizzonte.

--Ecco la Vedetta.

Scesero entrambi dinanzi al gabbiotto di legno dipinto di verde, con
pretese da chiosco orientale. Dall'uscio socchiuso si scorgeva un
cannocchiale girevole sopra un treppiedi piantato nel centro del
bussolotto. Una tabellina di lavagna, sull'entrata, portava scritto col
gesso: «Il piroscafo _Senegal_ arriverà oggi alle ore 17».

Bertini, consultato l'orologio, osservò, come parlando tra sè:

--Dovrebbe essere in vista.

L'uomo di guardia rispose:

--Sissignore. Già si scorge a occhio nudo. Guardi in direzione della
punta di Platania.

Lo scultore si accostò alla ringhiera che correva lungo l'orlo della
balza e vi si afferrò con tutt'e due le mani sprofondando lo sguardo
nella direzione indicata. Perez guardò anch'egli verso quel punto, ma
non distinse nulla. Ad occidente era tutto uno sfolgorio d'oro, nel
cielo dove il sole rutilava, nel mare dove l'immensa scaglia del suo
riflesso si stemperava tremolando.

--Lodovico!--gridò a un tratto Perez, riportando lo sguardo verso il
compagno e vedendolo talmente piegato sulla ringhiera, che un altro poco
e sarebbe precipitato nell'abisso.--Lodovico, bada!... Non facciamo
scherzi!...

L'altro si ritrasse, guardando gli scogli della riva sottoposta, bruni e
brulli a fiore delle acque smeraldine.

--Quanto sarà alto?...--disse.--Trenta metri?... Quaranta?... Temi che
non sarebbe igienico tuffarsi in mare da qui?...

Senza rilevare la lugubre facezia, Perez rispose con un'altra domanda:

--Dove vuoi andare, ora?

--Vorrei andare al porto, ma non in carrozza. Congeda il vetturino.

--Come ti piace.... Ecco fatto,--soggiunse, dopo aver pagato la
corsa.--Andiamo?

Mentre la carrozza se ne tornava in città dalla parte alta, essi
discesero la china. Bertini si voltava tratto tratto, guardando il mare
della Platania, dove una nubecola di fumo rivelava ormai la corsa del
«Senegal». Perez restò ancora un poco senza dir nulla; a un tratto,
prendendo il braccio dell'amico, con voce di dolce rimprovero, esclamò,
piano:

--Allora, senti, io non crederò più che tu sia venuto per i miei begli
occhi!...--E ancora più piano, con tono di affettuosa confidenza:--Chi
aspetti?... Che hai?...

Bertini si fermò, si tolse il cappello passandosi la destra sulla
fronte, se lo ripose in capo con un gesto brusco, poi disse:

--No, Domenico; non sono venuto per te.... Sono venuto da te perchè non
posso sentirmi solo, in quest'ora d'angoscia; perchè ho bisogno di
udire una voce fraterna, di appoggiarmi ad un braccio sicuro....

--Eccomi qua!...--esclamò Perez, chinandosi verso di lui, offrendogli il
braccio, che egli prese un momento e poi lasciò.--Che posso fare per
alleviare la tua pena? Non dirmene nulla, se ti costa....

--Mi costa tacere!... Ho bisogno di gridare!... Perdonami se non ti ho
dato retta.... Ma ti ho udito bene, sai! Certe tue proposizioni mi hanno
fatto fremere, tanto parevano dette per me: tutto quanto hai enunziato,
a proposito dei tuoi lavori, intorno all'amore, al matrimonio,
all'adulterio....

Pronunziò questi nomi con voce vibrante, stridente, quasi acre, come se
gli scottassero le labbra; poi, dopo una pausa, più tranquillamente, ma
anche più dolorosamente:

--No, che non c'è differenza, quando si ama, fra le unioni che il mondo
giudica libere, e quelle che sanziona con le sue leggi! Quando pare che
nessuna legge ci governi, il cuore impone le sue, e sono le più
ferree.... Guarda,--soggiunse sopra un altro tono, esitando, fermandosi,
rivoltandosi verso l'amico:--Guarda.... come farò a spiegarti la
situazione in cui mi trovo?... C'è una donna che m'appartiene, perchè si
è data a me, perchè mi sono dato a lei, perchè ci amiamo, perchè tale è
la sua e la mia volontà: va bene?... Ora questa donna, mia da tre anni
oramai, il cui possesso io mi sono assicurato con la fedeltà più cieca e
l'adorazione più devota, che mi è rimasta anche lei fedele strenuamente,
sinceramente; questa donna, oggi, stasera, fra qualche ora mi tradirà.
Fra poco, prima di notte, quando sarà giunto il «Senegal», questa donna
cadrà fra le braccia di un altro, all'albergo di Francia: capisci? Io
sono qui per vedere arrivare questo «Senegal», per passare sotto le
finestre di questo albergo dove l'infamia sarà consumata. Nè io, nè tu,
nè alcuno può nulla per impedirlo: nulla, capisci? Io posso fare una
cosa sola, quella che tu m'hai consigliata: restarmene qui, fino a
domani. Questo sì, posso farlo. Posso scendere, anzi, all'albergo di
Francia, precisamente; cercare anzi di avere una camera attigua alla
loro, passare la notte lì, dietro l'uscio che ci dividerà. Eccolo, quel
che posso fare, se tu persisti a trattenermi!

Perez non disse verbo, turbato dall'espressione quasi iraconda con la
quale Lodovico aveva proferito le ultime parole. La conferma,
improvvisamente ottenuta, delle sue supposizioni intorno alla natura
tutta sentimentale delle inquietudini dell'amico non gli procurava il
più piccolo compiacimento per la propria perspicacia, tanto il caso si
rivelava grave. Molte domande gli salivano alle labbra: «Perchè ti
tradisce?... Non t'ama più?... Vi siete lasciati?... Chi arriva col
«Senegal»?...» ma l'altro non gli diede il tempo di formularle.
Facendoglisi accosto con un nuovo moto di confidenza, riprendendo a
parlare con voce ancora grossa, ma più pacata, riprese:

--Capisci ora perchè me ne vado? Capisci che stanotte non posso restar
qui, che ho bisogno di sentirmi portar via, non importa dove, col treno
più rapido che mi trascini il più lontano possibile?--E ad un moto di
Perez, che si era rivoltato per interromperlo:--Che cosa vorresti dirmi?
Che debbo rassegnarmi, se non c'è da far nulla? Eh, lo vedi: mi
rassegno!... Hai temuto che volessi buttarmi in mare?... Non aver
paura!... Non sarei venuto a cercarti, se avessi voluto spiccare il
salto!... Non ho armi addosso: prova un po'; non sono venuto per
ammazzare nessuno.... Niente ammazzamenti, se anche quella donna fosse
mia moglie.... Noi non siamo di quelli che ammazzano, nè le mogli nè le
amanti, è vero?... Perchè si ammazzano anche le amanti, è vero? non le
sole mogli!... Ah, come hai ben detto che non c'è nessuna differenza,
per il sentimento, fra l'unione libera e il matrimonio! Se questa donna
fosse mia moglie, io non potrei infrangere il vincolo coniugale in un
paese come il nostro che non ammette il divorzio; potrei infrangerlo
altrove; ma divorziato o separato, forse che soffrirei più di quanto
soffro adesso, per aver perduta la creatura che fu mia, che volevo
mia?... Se fosse mia moglie, vedi, e sapessi che oggi, qui, in
quest'albergo, ella avesse un convegno con un altro uomo.... se fosse
mia moglie, ecco, non potendo assassinare nè lei nè lui, non dovendo
ammazzarmi, non volendo chiamare un commissario e due guardie che
frenerebbero le risa accertando la mia disgrazia, qual altra cosa potrei
fare, se non quella che faccio: spiare l'arrivo dell'uomo che viene a
portarmela via, aggirarmi per i luoghi del loro incontro, immaginare,
antivedere, non veder altro con gli occhi della mente fuorchè i loro
abbracciamenti, e quando l'infamia starà per compiersi fuggire, fuggire,
fuggire?...

--No, scusa!--proruppe finalmente Perez, non appena la voce di Bertini
perdette qualche cosa della sua veemenza;--scusa, non crederò mai che,
marito o amante, un uomo nella tua condizione non possa far altro! Come
hai scoperto che sta per tradirti?

--Non l'ho scoperto! Me l'ha detto lei stessa!

--E tu non hai parlato, non hai pregato, non hai ingiunto, non sei
riuscito a trattenerla? E chi è costui che viene dagli antipodi a
portartela via? Un tuo predecessore, naturalmente? Un primo amante a cui
ora ritorna? No?... Ma non l'avrà mica sedotta per lettera o per mezzo
degli annunzî economici di qualche giornale! La conosce? Come la
conosce?

Lodovico si voltò a guardarlo, con espressione di stupore e
d'impazienza, quasi non potendo spiegarsi come mai l'amico non
comprendesse.

--È suo marito.

Perez ammutolì. Avrebbe voluto domandare: «Perchè non l'hai detto
prima? Perchè non l'hai detto subito? Come potevo sospettarlo, se
parlavi della possibilità che fosse tua moglie?...» Gli pareva che il
narratore fosse stato reticente, che avesse posto una specie di studio
nel mantenere, nel prolungare l'equivoco. Ma non si sentiva di
rimproverarlo, vedendolo tanto eccitato, in preda ad un così angoscioso
tormento.

--Ah, suo marito!...--ripetè soltanto, sommessamente, meccanicamente,
dopo che entrambi ebbero mossi lunghi passi senza dire una sillaba.--E
tu non lo conosci?--soggiunse dopo un altro silenzio.

--Non lo conosco, non credetti neppure che esistesse, quando la
incontrai. Era un marito così lontano, invisibile, introvabile! Viveva
nell'Africa australe, in uno Stato nuovo, mezzo barbaro, quasi
selvaggio, lo Stato libero della Stanlesia, dove era andato ad ordinare
l'esercito, lasciando quello inglese, a cui prima apparteneva. Mi parve
sul principio che un marito di questa fatta fosse un personaggio da
_pochade_, inventato per coonestare una situazione illegale, per
attribuire un padre putativo a creature innocenti....

--Vi sono figli?

--Ve ne sono due, ma il più grandicello era ed è in collegio a Calcutta;
io ne conobbi uno solo, il piccolino che ella aveva seco.

--A Valsorrisa?--domandò rapidamente Perez, ripensando alla Lariani, che
Lodovico aveva corteggiata lassù.

--A Valsorrisa: te ne rammenti?

--E come! La signora Rosanna Lariani?

--Lei....--confermò il dolente, così piano che Perez comprese piuttosto
dal moto del capo che dal suono della parola.

--È dunque lei la straniera di cui mi avevano parlato!... Sarà
certamente più conosciuta col nome del marito?...

--Harrington, sì.

--Ma, in verità, allora non mi parve....

--Tu andasti via troppo presto,--riprese il narratore, senza lasciargli
esprimere il suo pensiero;--partisti pochi giorni dopo il suo arrivo,
non sapesti quel che seppi di lei, da lei stessa. Nessuno la conosceva.
Mi narrò la storia complicata del suo matrimonio con questo capitano
inglese, diventato di botto colonnello nella Stanlesia, dove ella aveva
seguito il padre, ingegnere italiano emigrato anche lui per cercare
lavoro nelle miniere di laggiù, ai primi tempi della costituzione di
quello Stato.... Nessuno la conosceva a Valsorrisa; nessuno poteva
confermare o smentire quella narrazione, il romanzesco episodio del loro
incontro sotto la tenda, mentre il padre di lei agonizzava, assassinato
da un minatore cinese; il cavalleresco aiuto offertole dal colonnello in
quella terribile circostanza, la salvezza che il matrimonio propostole
ed accettato era stata per lei, orfana e sola in mezzo ad un mondo
ignoto ed ostile. Dovevo credere che ella avesse lasciato questo marito
laggiù a causa del clima? Che costui si contentasse di vederla durante i
pochi mesi di permesso che quel Governo gli accordava ogni quattro
anni?... Chi ha conosciute donne italiane che hanno sposato ufficiali
inglesi al servizio della Stanlesia, e che se ne rimangono in Europa,
andando e venendo dall'Inghilterra in Italia e dall'Italia in
Inghilterra, vagabondando per le stazioni climatiche, senz'altra
compagnia tranne quella di un bambino?... Ma sì, ma sì: vi fu un momento
in cui credetti di aver da fare con un'avventuriera! Non mi costa dirti
la nuda e cruda verità, dopo averla detta tale e quale a lei stessa!...
Ella mi diede la prova del mio inganno, ed il rimorso degl'ingiuriosi
sospetti cominciò a stringermi a lei. Prima era stato desiderio,
appetito, ammirazione professionale per la sua bellezza statuaria. Poi
fu stupore e fascino per la singolarità della sua persona morale. Hai
mai sognato di trovare una donna a cui poter dire tutto, capace di
comprendere tutto, di scusare le tue debolezze, di perdonare i tuoi
difetti, di ammettere la fatalità delle tue colpe, di amarti nonostante
le tue infamie? Una donna che si mostri a te come tu ti mostri a lei,
senza veli, fino all'ultimo fondo del cervello e del cuore? Dev'esser
proprio vero che la parola ci fu data per nascondere i nostri pensieri,
tante sono le menzogne piccole e grandi che andiamo spacciando, anche
quando crediamo di essere più sinceri, per apparire più belli, più
leali, più generosi, più amabili. Sì, lo hai detto: noi lavoriamo
continuamente all'opera di seduzione; ma non soltanto con gli sforzi
dell'ingegno e gli artifizî della toletta; ma anche, e più, con la
mascherata del sentimento. Ed hai mai pensato che forse solo gli amanti
criminali, le coppie delle prostitute e degli assassini si conoscono
quali sono realmente? Noi, nella nostra società timorata e pudibonda,
c'incontriamo, ci uniamo, restiamo più o meno a lungo congiunti, e ci
lasciamo conoscendoci meno di prima. Nessuno riesce a leggere
nell'altro, perchè ciascuno si studia di nascondersi. Quando il grave
abito della menzogna ci opprime, quando vorremmo buttarlo via, la paura
di scoprirci dinanzi a chi resta protetto, di disarmarci dinanzi a chi
resta agguerrito, ci fa sopportare la maschera della finzione, la cappa
dell'ipocrisia. Ora, con questa donna, dopo quarant'anni di bugie dette
alle altre ed a me stesso, io ho potuto essere finalmente sincero. Più
che con lei, con me stesso. Ora, questa volta, la prima volta, ho visto
un'anima nuda. E non credere che te ne voglia tessere l'elogio, da
innamorato, da cieco. Ho visto le sue bruttezze, sai, e non sono poche.
Ma forse ella non ne è responsabile; forse la vita dura, un'esperienza
precoce, infinitamente rara alla sua età e nel suo sesso, l'ha fatta
così. Non è una scuola di idealità lo spettacolo della lotta per
l'esistenza, tra la schiuma della emigrazione europea in Africa, nelle
miniere della Stanlesia, con la febbre dell'oro, la follia delle
ricchezze, la cecità della fortuna, lo scatenamento di tutti gl'istinti
peggiori. Forse ella sarebbe stata un'altra, se non avesse perduto
bambina la mamma sua, se il padre non l'avesse condotta seco laggiù, se
non fosse vissuta in mezzo ad una natura primitiva e ad una umanità
imbestialita, se non avesse dovuto difendersi armata mano contro la
concupiscenza di qualcuno, che non potendo comprarla con un pugno di
diamanti, tentava di sottoporla per forza di muscoli.... E poi,
quand'anche ella portasse dalla nascita i suoi difetti, potrei io esser
severo con lei dopo averle rivelato la feccia del mio pensiero e del mio
sentimento? Io e tu e tutti quanti siamo, non abbiamo i nostri torti ed
i nostri vizî? Una bellezza rara e divina riscatta i suoi: la
schiettezza, la sincerità, la semplicità con le quali si è svelata....

La passione vibrava, tremava, fremeva nella voce di Lodovico, lo traeva
fuori del filo del ragionamento: nè Perez diceva nulla per rimetterlo in
carreggiata, vinto dal calore di quella parola, preso dall'interesse di
quella confessione.

--Ma che volevo dirti?--esclamò lo stesso confidente, arrestandosi, come
non ritrovandosi più, come sovvenendosi di qualche cosa
dimenticata.--Ah, questo: che anche quando l'evidenza mi costrinse ad
ammettere l'esistenza del marito, io non lo conobbi, non vidi com'era
fatto, lo seppi assente, lontano, in un'altra parte del mondo, dove ella
non sarebbe mai più andata, di dove egli forse sarebbe tornato, ma non
si sapeva quando, tardi certamente, non prima di tre anni, forse quando
l'amor mio per lei sarebbe finito--poichè io le dichiaravo che sarebbe
finito! ed ella lo sapeva! come sapeva e dichiarava che sarebbe finito
il suo per me! Quando ti dico che abbiamo rinunziato alle finzioni, che
abbiamo guardato in faccia la realtà, la più triste, la più dolorosa, la
più malvagia! Ma vedi: la verità è salutare. Noi andiamo continuamente
giurando che ogni nostro amore è eterno, perchè questo giuramento ci è
richiesto, perchè noi stessi crediamo di far bella figura dichiarandoci
capaci di amare eternamente. Ma ogni volta che giuri, nello stesso
preciso momento che le parole solenni ti escono dalle labbra, sentendo
dentro di te che giuri il falso, che prometti l'impossibile, un senso di
fastidio, un impeto di ribellione non comincia a menomare l'amor tuo?
Con lei, con questa donna, ammettendo entrambi l'amara verità,
riconoscendo che l'amor nostro, che ogni amore è mortale, io mi sono
sentito invece come dinanzi a una creatura cara i cui giorni sono
contati, per la quale daremmo tutto il nostro sangue, alla quale ci
afferriamo con l'ardore della disperazione. Ora, vedi, in questa
trepidazione dell'anima, in questo terrore di poterla perdere, di
doverla perdere, ecco, un bel giorno una lettera dall'Africa annunzia
che suo marito s'imbarca, che fra un mese sarà di ritorno con l'altro
figlio. Oggi, vedi, egli arriva; ed ella è venuta naturalmente ad
incontrarlo, perchè questo è il suo piacere, di lui; perchè questo è il
dovere di lei, e perchè io non ho il diritto di impedirlo. Io non posso
impedir nulla, perchè una volta, quando si parlò, ipoteticamente, della
possibilità che ella fosse libera, le dissi che non l'avrei sposata, ed
ella mi fu grata della mia schiettezza. No, ella non può sottrarsi per
me a quest'uomo che le ha dato il suo nome, i suoi figli, che le dà
l'agiatezza della vita, la sicurezza del domani; ma quando riconosco
questa necessità, quando penso che ella doveva pure un giorno o l'altro
essermi portata via, allora immagino anche che cosa accadrà di lei, oggi
stesso, dal momento che sarà ricongiunta a quell'uomo; e allora, no, non
voglio che un altro me la prenda! Che m'importa se è suo marito? Perchè
è suo marito non deve farmi nulla che me la porti via?

--Vi sono molti....--fece per dire Perez; ma l'infervorato gli troncò la
frase sulle labbra, riprendendo con nuovo impeto:

--Lo so, lo so, vi sono molti, vi sono tanti che non ne soffrirebbero,
che si compiacerebbero anzi pensando: «In fin dei conti, questa donna io
stesso l'ho portata via al suo possessore legittimo». Bravo! Lo so! Ma
perchè potessi acquetarmi a questo pensiero, come ci acqueta
ordinariamente, bisognava averla conosciuta nelle circostanze ordinarie,
insieme con l'uomo a cui appartiene. Quando tu t'innamori della donna
d'un altro, cominci col vedere costui al suo fianco, lo hai già visto
prima d'innamorarti, lo hai udito chiamarla per nome, dirle parole
dolci, trattarla come cosa propria: tu non puoi dunque dolerti di questa
condizione preesistente, conosciuta ed inevitabile. Puoi soffrire, più
tardi, quando quella creatura è tua, perchè non è tutta tua; ma ti
rassegni, naturalmente; non ti costa troppo rinunziare al possesso
esclusivo, ad un bene impossibile, che immagini soltanto, che non hai
provato. E allora il pensiero egoista, il sentimento volgare, il
compiacimento del ladro che ride del derubato, ti è di conforto; allora
tu pensi che se un altro, esercitando il suo diritto di proprietà,
t'impedisce d'avere tutta per te la creatura amata, tu lo punisci, ti
vendichi, ingannandolo, portandogli via una parte del suo bene. Ma io,
pensa, io non le ho visto mai nessuno d'intorno, non ho neppur creduto
sulle prime che fosse d'un altro, e quando l'ho dovuto ammettere, ho
saputo che costui era lontano, enormemente, in un paese quasi favoloso,
_ubi sunt leones_. Io non posso persuadermi d'averla portata via a
nessuno, se l'ho trovata sola, abbandonata a sè stessa, padrona delle
sue mosse, se non ho dovuto nascondermi da nessuno, se ho dovuto
trionfare della sua resistenza soltanto. Che ella appartenesse ad un
altro, non è stato mai per me un fatto presente, visibile, tangibile: è
stata una cosa perduta nel passato e nel futuro, nel tempo lontano del
suo matrimonio, quando non la conoscevo ancora, in quello di là da
venire della loro riunione. La sola cosa presente, visibile, tangibile,
è stato il mio possesso. Io ho avuto questa donna per me, ti dico;
tutta, per me solo, due anni; io sono andato a stabilirmi a Firenze per
averla accanto, per lavorare a riprodurre la sua forma divina.
Attraversavo una crisi terribile, col cuore vuoto ed il cervello
esausto; non sapevo fare più nulla, mi sentivo vecchio ed inutile, avevo
un cimitero dentro di me e la morte dinanzi. Non credevo mai più di
finire il monumento a Mazzini; covavo da anni un germe d'idea per la
statua dell'«Azione» senza potergli dare il grado di calore necessario
perchè si schiudesse, senza trovare il modello che incarnasse il tipo
immaginato. Ella è stata la mia ispirazione, mi ha ridato la fiducia,
l'energia, tutta una nuova giovinezza. L'«Azione», è lei; la «Diana»
dell'esposizione di Venezia è lei, la «Valchiria» di Monaco è lei, la
«Forza» e la «Volontà» del monumento a Bismarck per il concorso
internazionale di Amburgo sono lei; tutti questi corpi di donna robusti
ed agili, tutte queste membra possenti e delicate, tutte le purezze di
queste fronti, tutti gli slanci di questi atteggiamenti sono suoi, di
lei. La natura e la vita l'hanno fatta così, nel corpo e nell'anima,
forte e soave, superba e gentile; così come l'ho vista, io l'ho
riprodotta ed eternata nel marmo e nel bronzo. Queste sono cose visibili
e tangibili, che non ammettono dubbie interpretazioni. Questo è il
fondamento dei miei diritti su lei e dei suoi su me stesso. Suo marito?
Che importa se colui che sta per arrivare è suo marito? Marito, amante,
è un altro a cui io non posso disputarla, a cui ella va ad offrirsi.
Marito, amante: che cosa significano queste parole? Che valore hanno
queste convenzioni? Il marito sono io, sono stato io, quando ho colmato
la sua solitudine, quando ho condiviso la sua vita, quando ho palpitato
e gioito e sofferto e creato per lei; l'amante, il rivale, il ladro, è
lui che viene a rubarmela!...

--Ma lei?--domandò finalmente Perez, che non aveva più tentato di
interromperlo, rispettoso della sua ambascia;--ma lei, con che cuore gli
va incontro? Se t'ama ancora, se va a lui per semplice dovere, di che ti
lagni?

--Ah, sì: di che mi lagno! Se mi ama ancora, dovrebbe bastarmi, non
dovrei chieder altro! Perchè indagare quale specie di dovere, quale
gradazione di sentimento, quale sfumatura di affetto la lega a lui? È
una curiosità indiscreta, va bene? Ma se capisco, se vedo, se sento che
egli non esercita un semplice diritto legale, riprendendola; che vanta
diritti anche sul cuore di lei?... Quando tu ami le donne d'altri, lo
sai che cosa ti induce a sopportare di non averle tutte per te? Oltre
all'impossibilità d'evitare il possesso promiscuo, ti piega e ti placa
la fiducia che esse ti ispirano, assicurandoti d'amare te soltanto, di
provare antipatia, ripugnanza, disprezzo e ribrezzo per l'altro. Molte
volte tu hai per l'appunto trionfato perchè hai trovato donne la cui
anima è stata offesa, il cui corpo è stato profanato, la cui vita è
stata spezzata da mariti brutali, indegni, malvagi. Che sentimento di
gelosia puoi tu concepire per opera di costoro, ai quali le creature
dolorose si sottopongono perchè non possono fare altrimenti, perchè una
stolta legge sancisce l'iniqua necessità? Agguagliate a semplici cose, a
proprietà materiali, private dell'esercizio della volontà e della
libertà, esse sono sopraffatte nello stato d'inerzia, d'incoscienza, di
sorda e cupa e disperata ribellione: tu non puoi provare gelosia, ma
ira, sdegno e pietà. Lo so: qualche altra volta ti hanno mentito,
giurandoti di amare te soltanto, di restar fredde e insensibili fra le
braccia dell'altro; ma non ti sei accorto della menzogna, l'hai creduta
perchè ti giovava crederla, e te ne sei compiaciuto e inorgoglito. Io
sono dinanzi a una creatura a cui ho chiesto, da cui ho ottenuto sempre
e soltanto la verità. Non solamente ella non mi ha detto che detesta suo
marito, ma mi ha confessato di amarlo. Di amarlo, ti dico, e non sarai
tu quello che ti stupirai perchè ci ama entrambi. Tu sai le
complicazioni reali del cuore, così diverse dalla schematica semplicità
che gli attribuisce la convenzione, la presunzione, l'ipocrisia. Lo ama,
d'un amore senza dubbio diverso dal mio: ma che importa? Che
consolazione me ne può venire? Io ho dovuto udire l'elogio di suo
marito, per l'affetto profondo che le porta, per le prove che gliene ha
date e gliene dà, per la condiscendenza con cui, nonostante il suo
orgoglio britannico, ha lasciato che uno dei figli, il più piccolo, sia
da lei educato in Italia, all'italiana; per la fedeltà che le serba,
laggiù, nella Stanlesia, non ostante la facilità di avere quante donne
gli piacerebbero.... Allora, sì, ho pensato che la menzogna ha del
buono, che la verità è talvolta insopportabile. Ma ella non è donna da
mentire nè da disdirsi. La sua volontà è forte, tenace, ostinata. Come
dice ciò che pensa, così fa ciò che vuole. Le ho chiesto almeno una
cosa, una sola: di non venire fin qui ad incontrarlo, di aspettarlo a
casa, a Firenze. Non potendo impedire che egli ve la raggiungesse, mi
sarei rassegnato per forza; all'idea che ella stessa si movesse per
andare ad offrirglisi mi ribellavo. Ella ha detto di no, che non può,
che ha promesso, che ha fatto così tutte le altre volte, prima di me;
che io pretendo troppo, ciò che non può darmi, l'assurdo: ed eccomi qui
per assistere al loro incontro, in queste condizioni, con queste
certezze: capisci ora, capisci?....

Egli gridò le ultime parole; a un tratto, guardandosi intorno, come
uscendo da un sogno, domandò ansiosamente:

--Dove siamo? Che ora è?

Anche Perez volse intorno lo sguardo. Entrambi avevano smarrito la
nozione del luogo e del tempo; lo sfondo del paesaggio, giù per il
vallone della Marcia, più oltre fino alla riviera delle Palme, era
sfilato loro dinanzi senza che lo riconoscessero; ora si ritrovavano nel
rione di Mezzo, dove la folla, il movimento della città ricominciavano a
circondarli.

--Sono le quattro e un quarto,--disse Perez.

--Le quattro e un quarto!... Via, al porto!... Sarà troppo tardi!...

Perez lo seguì senza dir nulla. Fu sul punto di proporgli di cercare
un'altra carrozza, ma poi pensò che avrebbero fatto più presto a piedi,
prima di andare alla stazione più vicina. Lodovico, con l'ansia che lo
sospingeva, col suo lungo passo, lo sopravvanzava; tratto tratto si
rivoltava bensì, ma per domandargli, senza fermarsi: «Dove siamo?...
Quanto manca ancora?... A destra o a sinistra?...» E Perez gli dava le
indicazioni richieste, affrettandosi anch'egli, quantunque la ragione
gli suggerisse di opporsi al disegno dell'appassionato, di trascinarlo
altrove per impedirgli di assistere a quell'incontro. Ma la certezza che
ogni tentativo sarebbe riuscito vano, che Lodovico sarebbe andato solo
se egli avesse rifiutato di accompagnarlo, gli chiudeva la bocca. Un
senso di curiosità, anche, il bisogno istintivo di sapere qualche altra
cosa, di conoscere altre circostanze dell'avventura, di indagare le
intenzioni dell'amico, lo tratteneva. Quali accordi avevano presi gli
amanti? Quel marito che veniva dalla Stanlesia in Europa a così rari
intervalli, quanto sarebbe rimasto presso la moglie? Presto o tardi non
sarebbe ripartito?...

--Torna per sempre?--non potè trattenersi dal domandare, quando il
dubbio gli si affacciò.

Parve che la domanda traesse troppo violentemente il cogitabondo dai
suoi pensieri e gli riuscisse incomprensibile; perchè, volgendosi di
scatto, rispose:

--Chi?--Poi, senza aspettare la spiegazione, riprendendo la via,
soggiunse:--Non so. Andrà a Londra.

--Solo, o con lei?

--Non so. A destra?

--A destra. Allora, quando la rivedrai?

--Quando le piacerà. Mi ha imposto di non lasciarmi vedere finchè sarà
con lui.

--Ha ragione!

--Di allontanarmi da Firenze, di andarmene a Promonte, dai miei, finchè
non mi richiamerà lei stessa.

--È prudenza. E tu cominci a disubbidirle troppo presto, seguendola fin
qui!

--No!--replicò con forza.--Questo l'ho ottenuto! Questo l'ho messo come
patto!

--Perchè?

--Perchè così! Non si arriva mai?

--Ci siamo.

Oltrepassata la riviera, erano giunti dinanzi al porto, infatti; ma
Perez sostò, esitante.

--Bisogna sapere a quale calata dirigerci.

Guardandosi intorno vide un gruppo di scaricatori di carbone, con le
labbra rosseggianti e gli occhi lucenti sulle facce da negri.

--Dove si attracca il «Senegal»?

--Al ponte della Boa.

--Grazie!

Ripresero la via, e il ponte apparve, oltre la strada ferrata, sbarrato
da una cancellata, ingombro in fondo dalla folla che aspettava l'arrivo
del piroscafo. Perez vide che il cancello era chiuso, che un gruppo di
tre o quattro persone parlamentavano col doganiere posto a guardia
dell'entrata. Lodovico doveva aver veduto anch'egli, perchè affrettò
ancora il passo, procedendo verso il cancello che si schiudeva in quel
punto.

--Dove va? Non si può!...--disse la guardia, arrestandolo con un gesto
della mano, dopo aver lasciato passare gli altri.

--Perchè? Quei signori sono pure entrati!...

--Ha il permesso? Occorre il permesso della Capitaneria.

--Dov'è questa Capitaneria?

Ma un fischio lungo e rauco lo fece rivolgere: la prora del piroscafo
spuntava dietro la fila dei legni all'àncora, tutto il corpo della nave
si veniva avanzando, a piccolo moto.

--Non siamo più a tempo.... Lasciateci passare.... Che vi fa?

--Non si può.

--Ma lasciateci passare, vi dico!...

Il tono della voce, l'espressione del viso impaurirono Perez. Fece per
intervenire, ma già Lodovico, visto un graduato sopraggiungere, gli si
accostava dicendo, con altro tono, di preghiera, quasi di supplicazione:

--Senta, brigadiere.... Non abbiamo avuto il tempo di fornirci di
permesso.... Aspettiamo persone care.... Ci consenta di entrare....

Il graduato rivolse alla guardia un cenno d'assenso: i due amici
penetrarono nel recinto. Per un lungo tratto esso era sgombro; la folla
si stringeva in fondo, contro la seconda cancellata. Vi era gente d'ogni
grado ed età, signori, popolani, contadini, marinai, donne, vecchi,
bambini, facchini coi carretti pronti per lo sbarco dei bagagli,
emigranti seduti sulle casse e sui sacchi delle povere masserizie, dame
riparate dal sole sotto le cupolette dei variopinti ombrellini. Perez
vide Lodovico fermarsi a un tratto, trasalendo.

--Che hai?

--Eccola. Taci.

Seguendo lo sguardo dell'amico egli scorse una signora vestita tutta di
bianco, col cappello rosso e l'ombrellino dello stesso colore. Quasi
avvertita da un senso magnetico, ella si volse verso i due sopravvenuti,
ma non un muscolo del suo viso si contrasse, non il più piccolo moto la
tradì. Perez riconobbe subito la figura ammirata a Valsorrisa, due anni
addietro: meravigliosamente bella nel corpo e nel viso, alta e flessuosa
come Diana, come la Valchiria, con un prezioso volume di bionde chiome
lucenti sulla nuca e sulla fronte, dove, come in tutto il viso, il
riflesso dell'ala del cappello e dell'ombrellino diffondeva un chiaror
caldo di fiamma. Dopo avere rivolto ai due amici lo sguardo inespressivo
e quasi cieco con cui si guardano gli sconosciuti, ella si voltò verso
una donna che le stava da presso tenendo per mano un bambino: la
governante ed il figlio. Chinatasi a dire qualche cosa al fanciullo, si
raddrizzò, tornò a rivoltarsi verso il piroscafo. La massa enorme del
«Senegal» si avanzava ancora più lentamente, di fianco; si udivano i
fischi del comando, si vedeva a prora il gruppo dei marinai pronti alla
manovra dell'àncora, dominati dall'ufficiale che faceva cenni verso la
plancia. La barca del pilota, con la stessa bandiera azzurra e stellata
che sventolava all'albero maestro della nave, la precedeva guidandola;
a un nuovo fischio, a un ordine: «Mòlla!» l'àncora si staccò dal fianco
possente, scivolò col fragore delle ferree catene, precipitò in mare
sollevando una nappa di spuma. Tutt'intorno, dalle murate dei piroscafi
attraccati, marinai e passeggeri seguivano curiosamente la manovra; la
folla era densa a bordo d'un grosso transatlantico tedesco, il
«Braunschweig», che aveva issato la bandiera di partenza, e le cui gru
stridevano tirando a bordo balle e bauli, e per le cui scale era un
continuo andirivieni. Più fitto ancora era il formicolio a bordo del
«Senegal», e dalla riva alla nave, come dalla nave alla riva, gli avidi
sguardi degli arrivanti e degli aspettanti si cercavano, si
incrociavano, e già qualche fazzoletto sventolava, ai primi
riconoscimenti. Con la macchina ormai ferma, per la sola forza
acquisita, il «Senegal» si avanzò ancora un poco, girò su sè stesso
mentre la barca del pilota portava a terra, alle prese d'ormeggio, le
gomene che i marinai vi annodavano; poi gli argani stridettero
tesandole, e la nave si dispose lungo la calata. La folla si rimescolò,
ciascuno percorse la banchina in su e in giù, cercando di avvicinarsi il
più possibile alle persone care, chiamandole per nome, e saluti e
notizie brevi cominciarono a scambiarsi. Nei movimenti confusi di quella
massa di persone lo sguardo di Lodovico seguiva intento ed ardente la
cupoletta dell'ombrellino rosso, ed anche Perez non la perdeva d'occhio,
cercando di scoprire in mezzo ai passeggeri affacciati dal ponte della
prima classe chi fosse l'aspettato da quella donna. A un tratto
l'ombrellino si abbassò e rialzò due o tre volte, come una bandiera, in
segno di saluto, e dal piroscafo, dall'angolo della scala, un uomo
rispose con un gesto del braccio, ed un giovinetto che gli stava a
fianco agitò festosamente il fazzoletto. Perez sentì afferrarsi la mano
come dentro una morsa e udì la voce rauca dell'amico esclamare:

--Eccolo.... È lui!

Liberato dalla stretta, egli considerò attentamente quell'uomo. Era alto
e robusto, con un petto largo su cui la folta barba castana appena
brizzolata si diffondeva a ventaglio; aveva un nobile portamento; tutta
la persona rigidamente composta nel costume da viaggio, con la tunica a
cintola, i calzoni corti, le gambe strette dalle lunghe uose, rivelava
l'abito del comando, la professione marziale. Fermo contro la murata,
non si sporgeva, portava soltanto la mano all'orecchio per cogliere le
parole che la moglie ed il figlioletto gli rivolgevano dalla riva, e
rispondeva con qualche monosillabo, od a brevi cenni del capo e della
mano, mentre l'adolescente che era seco, un collegiale di forse dieci
anni, gridava saluti e domande al fratellino ed alla madre. Costei,
addossata ad una presa d'ormeggio, riparata contro il sole
dall'ombrellino appoggiato alla spalla, non si rivoltava, pareva non
sospettasse neppure la presenza dei due amici, dell'amante, e Perez era
talmente compreso dall'ambascia di quest'ultimo, che temeva di doverla
vedere da un momento all'altro prorompere. Con le mascelle contratte,
coi pugni chiusi, Lodovico guardava così fiso il nuovo arrivato, che
costui avrebbe finito con l'accorgersene; ed ecco: già pareva a Perez
che se ne fosse accorto, che volgesse su loro uno sguardo inquieto e
sospettoso.

--Moviamoci.... Vieni da questa parte....--propose all'amico,
trascinandolo qualche passo più lontano, guardando qua e là sul ponte
del piroscafo, per darsi un contegno, per fingere di cercare qualcuno
tra i passeggeri, impaziente di uscire da quella situazione pericolosa;
ma a bordo, compiute le operazioni di ormeggio, abbassati i pontili, i
viaggiatori che tentavano di scendere erano trattenuti dai marinai di
guardia alle scale, per lasciar libero il passo ai facchini. I bagagli
avevano la precedenza su gli uomini, e fremiti d'impazienza e sospiri
d'ansia passavano tra i circostanti, mentre sfilavano i bauli di tutte
le fogge e grandezze, le casse, le valigie, le scatole, i cesti, le
cappelliere. Le creature umane anelanti di riabbracciarsi dopo
separazioni lunghe e crudeli erano ancora costrette a guardarsi da
lontano, a farsi cenno con la mano, a soffocare l'impeto degli affetti;
nè tutte le anime erano in festa; si vedevano molti con gli occhi
arrossati al pensiero di dover partecipare o ricevere le nuove delle
sciagure sopravvenute, dei disinganni patiti nel tempo della solitudine.
Un gruppo di donne, anziane, giovani e adolescenti, tutte egualmente
vestite di lutto greve, piangevano silenziosamente, evitando di
guardarsi, senza guardar neppure verso la nave: certo, essa non recava
loro la persona diletta, perduta lontano, di là dai mari, ma fredde e
inerti reliquie. A bordo i viaggiatori, affratellati dalla convivenza,
si salutavano commossi sul punto di disperdersi per il vasto mondo senza
probabilità di mai più rivedersi, e l'enorme casa galleggiante
continuava a vuotarsi delle sue masserizie, pareva destinata a
spopolarsi, come un luogo infausto, colpito dalla sciagura. Un baule
stretto e lungo come un feretro era tratto fuori da due uomini che lo
reggevano dai due capi, e Perez sentiva il contagio di quella tristezza
diffusa tutt'intorno, del dramma che martoriava il cuore dell'amico suo,
che doveva certamente turbare quello della donna; quando a un tratto i
suoni fragorosi e giocondi d'una fanfara squillarono: la musica del
«Braunschweig», nel punto che l'enorme nave stava per salpare, intonava
una marcia militare, quasi a stordire le altre anime più afflitte degli
espatrianti che trascinava verso l'ignoto, forse verso la morte,
strappandoli ai congiunti lacrimosi sulla riva materna.

--Quando finiranno?--esclamò lo scrittore, irritato da quei suoni,
smanioso ormai di andar via; ma Lodovico non rispose. Non rompeva il
silenzio dal momento che aveva riconosciuto il marito, e i suoi sguardi
non lasciavano la figura di quell'uomo, sempre immobile accanto al
figlio, se non per rivolgersi verso il punto dove la fiamma
dell'ombrellino rivelava la presenza della donna accanto all'altra
creaturina. Ma egli non si esponeva più come prima, si ritraeva anzi,
studiava di nascondersi dietro gli altri spettatori; e non già per la
prudenza consigliata da Perez, bensì per un improvviso impaccio, per un
senso di timidezza e quasi d'umiliazione sorto dapprima confusamente
nell'anima sua, poi cresciuto e divenuto insopportabile. Tutti i diritti
poc'anzi vantati nel narrare la sua storia, tutte le ragioni addotte per
dimostrare all'amico ed a sè stesso che quella donna gli apparteneva, si
rivelavano ora arbitrarî e sofistici, si disperdevano dinanzi ad una
verità lampante e crudele: egli era un estraneo, un intruso, tra quei
coniugi che si ritrovavano, tra quei figli e quei genitori che
ricostituivano l'unità della famiglia. Tanto tempo e tanto spazio li
avevano divisi, ed ecco: si tendevano le braccia; un istante ancora, ed
avrebbero tornato a formare un vivente complesso dal quale egli era
escluso. Che stava a far lì? Quella donna non era sua, se ora egli non
poteva avanzarsi verso di lei e portarsela via; quell'uomo non era un
ladro che gliela involava, se veniva a prendersela alla luce del sole,
dinanzi alla folla; il ladro era lui stesso, che doveva trarsi in
disparte e farsi piccolo per non lasciarsi scorgere. Egli era un
intruso, una spia, un frodolento. Nella mortificazione e
nell'avvilimento che occupavano il suo cuore, la stessa memoria del
possesso esercitato fino al giorno innanzi si ritraeva in un passato
lontano, si annebbiava e attenuava come quella d'una finzione. Il
passato, remoto o prossimo, era passato; solo l'ora presente esisteva, e
in quell'ora il suo possesso era distrutto.

--Andiamo via!...--suggerì Perez, smanioso.--Fermiamoci alla dogana,
fammi il piacere!

--No!--gli rispose con voce dura, che non ammetteva insistenze.

Voleva restare, doveva vedere. Una forza superiore a quella della
ragione, una specie di fascino lo inchiodava lì, dietro la siepe degli
aspettanti, sollevato sulla punta dei piedi, coi muscoli del collo
irrigiditi, tutti i nervi tesi. Più forte del dolore, più forte
dell'umiliazione era l'avidità di vedere, la necessità di non perdere un
solo particolare di quella scena. Un ferro aguzzo e tagliente gli
ricercava le carni, recideva le vive fibre del legame che aveva fatto di
lui e di quella donna un corpo solo, un essere solo; ma sul punto di
sentirsi mutilato non voleva perdere la coscienza di sè, resisteva alle
esortazioni dell'amico come avrebbe respinto un torpente sopra un letto
operatorio, per assistere allo scempio.

E già, finito lo sbarco dei bagagli, le guardie lasciavano i loro posti,
i primi viaggiatori si affollavano verso le scale non più vietate. Egli
vide il marito avanzarsi, ma senza fretta, dando una mano al giovinetto,
dividendosi con l'altra la barba sul petto. L'ombrellino rosso si mosse
anch'esso, ed egli stesso fece un passo; ma allora, col coraggio della
paura, Perez esclamò a voce bassa e concitata:

--Lodovico, ti prego!... Non commettere imprudenze!... Resta lì: siamo
già troppo vicini. La governante e il bambino possono riconoscerti.

Obbedì, si fermò, vide a poco a poco diminuire la distanza che separava
i due gruppi: la donna col figlio e la familiare avanzarsi in prima
linea, sull'orlo della banchina, il padre e l'altro figlio scendere i
gradini della scala di bordo e porre il piede a terra. Oltre il gruppo
delle donne piangenti, dietro un carro carico di bauli, avvenne
finalmente l'incontro. Egli trattenne il respiro, e lo stesso moto del
suo cuore parve arrestarsi un istante; ma il sangue gli rifluì
rapidamente per tutte le arterie e il petto gli si gonfiò al soffio
dell'aria, in un improvviso senso di sollievo, quasi di gioia, di timida
e incredula gioia, vedendo che quell'uomo non si stringeva con impeto
alla donna sua ritrovata dopo tanto corso di tempo, non l'abbracciava
con tutta la forza delle sue braccia nerborute, non restava a guardarla
negli occhi per riconoscerne e possederne l'anima; ma le dava due baci
sulle due guance, due baci calmi, appena fraterni, quasi distratti, e
subito dopo si volgeva, prima ancora di abbracciare il figliuoletto, a
cercare i bagagli. Per un momento, a quella vista che aveva temuta
atroce e insostenibile, tutta l'oppressura, tutta la mortificazione
dell'anima si disperse, tutta la coscienza della sua forza e del suo
diritto tornò ad assicurarlo. Quella donna era sua per quel che gli
costava di fremiti, di spasimi, di estasi, di pianti; gliel'aveva
guadagnata, gliel'aveva meritata il fuoco divampato nel suo cuore, la
fiamma dell'estro accesa nel suo pensiero e nella sua fantasia. Ella gli
si era accordata perchè si era sentita necessaria a lui, perchè quegli
ardori, quelle febbri si erano comunicati a lei, rivelandole tutto un
mondo, tutta una vita dei quali non aveva sospettato l'esistenza accanto
a quell'uomo freddo e misurato. Un moto d'orgoglio, un senso di trionfo
lo animò; ma fu un lampo. Già ella si stringeva all'altro figlio, già i
figli si stringevano ai genitori formando un cerchio dal quale la stessa
domestica si teneva lontana. Era lì, sotto i suoi occhi, la famiglia
riunita, il nucleo umano primordiale, il cardine d'ogni consorzio; e
nessuno, e tanto meno lui, poteva penetrare in quella intimità fondata
sulla perpetuazione della carne e del sangue.... Allora, mentre Perez
non faceva e non diceva più nulla per porre termine a quello
spettacolo, egli stesso, afferrato bruscamente un braccio dell'amico e
stringendolo forte, esclamò con voce arrochita:

--Via!... Andiamo via!...

Si allontanarono, infatti, facendosi strada tra la folla, schivando i
carri, passando accanto a quello dove il marito riconosceva la sua roba,
mentre dava ai facchini l'indirizzo dell'albergo di Francia. Quando
furono nello spazio libero affrettarono il passo; ma usciti fuori della
cancellata e giunti presso la dogana, Lodovico si fermò voltandosi a
guardare indietro.

--Che fai lì?--domandò Perez, irritato;--non ne hai abbastanza?

--No: taci; aspetta.

I coniugi, distaccatisi dalla folla, preceduti dal facchino coi bauli,
seguiti dalla governante coi figli, si avanzavano: il marito non si
appendeva al braccio della moglie, non le dava il braccio; le andava
accanto, parlando senza gesti; ella era invece tutta animata, diceva
qualcosa con espressione vivace. Vedendoli avvicinarsi, Perez sentì
rinascere, con la paura, un senso di ribellione contro l'audace che
sfidava il pericolo d'essere riconosciuto e quasi si compiaceva
dell'ambascia propria e di quella che infliggeva; e quando la coppia fu
giunta al loro fianco, tremò vedendo il marito fermare lo sguardo su
Lodovico, quasi leggendogli in faccia il suo secreto, mentre la compagna
passava senza neppure guardarli, come non accorgendosi di loro. Per
buona sorte il figlio più piccolo, intento a narrare qualche cosa al
fratello, non levò gli occhi, distrasse anche l'attenzione della
governante rivolgendole una domanda; e solo dopo che la comitiva si fu
allontanata avviandosi alla dogana, il trepidante trasse liberamente il
respiro.

--Io domando se questa è una cosa ragionevole!... Che gusto tormentarsi
così!... Vogliamo ora andar via una buona volta, in nome di Dio?

--No. Aspetta.

Volle ancora indugiarsi, ostinato, inflessibile, sordo; aspettò sinchè
la famiglia non riuscì dalla dogana e non ebbe preso posto nell'omnibus
dell'albergo, sinchè il pesante carrozzone non si scosse, non si mosse
verso la città, non fu scomparso dietro una fila di carri di merci
allungati sul binario. Allora soltanto Perez potè finalmente
trascinarlo presso una carrozza e spingerlo a prendervi posto.

--Vieni a casa mia.

--Alla stazione! Alla stazione!...

--Ma sì.... Non ti trattengo!... Te ne andrai appena ti sarai
rimesso.... Per ora vieni con me.... Sei troppo agitato.... Aspetta di
calmarti.... Vieni un istante!--soggiunse, accostando le mani in atto di
preghiera.

--Alla stazione! Alla stazione!...



II.

Il convegno.


--Castelmaggiore!... A Castelmaggiore!...

Il treno, entrato rapido e strepitoso sotto la tettoia, rallentò
improvvisamente la corsa, stridendo per tutte le ferree giunture; la
voce del conduttore risonò annunziando il nome della città, e Lodovico
Bertini sorse in piedi, nello scompartimento deserto, e si accostò allo
sportello. Un facchino, un vecchio a cui la candida barba scendeva fin
sul petto del camiciotto di lavoro, lo aperse togliendo di mano al
viaggiatore la valigia e la borsa.

--Dove va il signore? All'albergo?

--No; mi fermo qui, al Caffè. Riparto col direttissimo delle 9 e 15;
verrete a riprendere il bagaglio qualche minuto prima dell'arrivo del
treno.

--Stia tranquillo: alle 9 e 10 sarò da lei.

I viaggiatori in partenza si affollavano dinanzi alle carrozze; gli
arrivati facevano ressa all'entrata del ristorante, intorno al bancone
con le vivande e le bevande; il carro coi sacchi della posta cigolava
sulle tre ruote, spinto a mano da un fattorino che avvertiva di far
largo; il capostazione esaminava un foglio alla luce di una delle grandi
lampade ad arco. Entrato nella sala, Bertini udì le voci del personale
di servizio richiamare al loro posto i partenti, lo sbattere degli
sportelli, il fischio della locomotiva; quando sedette dinanzi al
tavolino di marmo vide il convoglio sfilare col suo carico di vite, con
le sue luci fioche dietro i vetri appannati e le tendine abbassate.

Un cameriere gli si presentò, domandando:

--Comanda?

--Tè e latte, con qualche biscotto.

Quantunque non avesse desinato prima di mettersi per via, sentiva di non
poter prendere cibo. Aveva la gola stretta e la testa in fiamme. Dalle
grandi arcate aperte sotto la tettoia veniva una brezza frizzante che
gli faceva passare qualche brivido per il corpo senza rinfrescargli la
fronte. Quando il vassoio con le cogome, il piattello, la chicchera e la
salvietta gli fu posto dinanzi, egli non toccò nessuna di quelle cose:
trasse dalla tasca interna dell'abito il portafogli e ne cavò la
lettera ricevuta due sere innanzi, per espresso. Appena due sere
innanzi, dopo un mese e mezzo di silenzio, cinquanta giorni dopo
l'arrivo del «Senegal», egli aveva rivisto i caratteri di Rosanna!

Sette settimane erano trascorse senza che ella avesse trovato modo di
fargli pervenire una parola, lasciandolo solo col suo dolore, vagante di
luogo in luogo, senza casa, senza pace, senza tregua. Fuggito la stessa
sera dell'arrivo del piroscafo, non si era sentito capace di ridursi,
secondo le prescrizioni di lei, a Promonte, sul lago, presso i parenti.
Come portare nella casa paterna l'ambascia che lo struggeva? Come
spiegare alla sorella, al cognato, la tempesta scatenatasi nel suo
cuore? In quei luoghi dove pure aveva tanto vissuto, dove aveva dato
forma alle sue concezioni più vaste, ora sentiva che gli sarebbe mancato
il respiro. Che avrebbe fatto, non potendo più lavorare? Che avrebbe
detto, non potendo parlare se non di lei?... Alla verde conca del lago
meraviglioso, sulle vette dominatrici della terra, adunatrici di nembi,
nelle valli inargentate dalle acque spumose, sotto i boschi solenni,
egli aveva sognato di tornare; ma con lei, per molto o per poco, pur di
farla partecipe di quelle bellezze, pur di associarla ai ricordi della
sua prima vita. Ma ella si era negata, adducendo di non poter entrare
nella sua casa, di non voler presentarsi ai suoi parenti, a sua sorella,
che doveva conoscere o sospettare i loro rapporti, e che l'avrebbe
severamente giudicata; e, come sempre, nulla era valso a farla
ricredere. Troppo, a quell'ora, gli sarebbe stato grave chiudersi lassù,
mentre non solo il suo sogno si disperdeva, ma anch'ella era come
perduta per lui; e col bisogno di stordirsi, di evitare quanto potesse
rammentargli la sua condizione sciagurata, di fuggire da sè stesso, era
andato dove nessuno lo conosceva, dove nessuno gli avrebbe chiesto che
cosa lo martoriasse: in Isvizzera, errando per monti e per valli,
saltando dai treni sui piroscafi e dai piroscafi sui treni, riparando
dalle città rumorose negli alpestri villaggi, tornando dalle alte
solitudini alla baraonda dei grandi alberghi e dei «Kursaal», cercando
ovunque invano di dimenticare i pensieri molesti e di dissipare le
immagini odiose. Disperando di riuscirvi, non sapendo che fare della
sua vita, era ridisceso in Italia per ridursi finalmente, secondo il
volere di lei, al paese natale, presso i congiunti, sostenuto dalla
superstiziosa lusinga che lì, dove ella gli aveva raccomandato di
recarsi e promesso di scrivergli, la sua lettera sarebbe arrivata più
presto. Ma, sul punto di eseguire i suoi comandamenti, la tentazione di
rivederla, non fosse che da lontano, di sfuggita, un istante, passando
secretamente da Firenze, si era impadronita del suo spirito e lo aveva
soggiogato.

Andato a nascondersi nello studio ancora tutto odorante di lei, tutto
pieno dei ricordi di lei, dei fiori secchi, delle trine, dei ventagli,
dei ritratti, delle crete dove egli aveva riprodotto la stupenda sua
forma, si era tenuto lontano dai ritrovi degli amici e dei conoscenti,
aveva poi cominciato ad aggirarsi cautamente intorno ai luoghi dove
avrebbe potuto incontrarla: invano. Una notte s'era spinto fin sotto la
sua casa, ma il domani all'alba era fuggito ancora una volta, per aver
visto e immaginato con gli occhi della mente, dietro quelle finestre
chiuse, dietro quei muri ciechi, un altro al suo posto, accanto a lei,
carezzare la sua fronte, baciare le sue labbra, vivere la sua vita.
Allora, allora soltanto si era rifugiato a Promonte, per rintanarsi nel
suo covo come una bestia ferita. Aveva il cuore lacerato e sanguinante.
Invano la ragione gli rappresentava che questo era lo scotto inevitabile
del bene fruito; invano l'egoismo gli consigliava di aspettare
tranquillamente il giorno in cui ella lo avrebbe richiamato. Non era più
sicuro di riacquistare la felicità di prima. Quand'anche null'altro
dovesse sopravvenire a distruggerla, il ricordo delle pene sofferte
l'avrebbe intorbidata. Al pensiero che la creatura amata era stata di un
altro, un moto di repugnanza, di repugnanza fisica, lo arretrava. Ma non
solamente sentiva che ella era stata contaminata nel corpo, vedeva che
anche l'anima sua gli sfuggiva. Per aver lasciato passare tanto tempo
senza rammentarglisi, bisognava che un rivolgimento fosse avvenuto nel
suo cuore, nella sua vita. Come negare, contro l'evidenza, la forza
degli affetti, dei doveri e degli interessi che lo avevano prodotto?
L'uomo che le aveva dato il proprio nome, che dedicava alla casa fondata
con lei tutte le sue energie, che le assicurava un'esistenza facile e
larga, godeva di privilegi indistruttibili; ne godeva il figlio tornato
a lei, forse più che l'altro vissuto sempre al suo fianco. Di questa
creaturina, del posto che aveva occupato nel cuore della madre, egli era
stato geloso. Ora la gelosia impotente lo rodeva, lo umiliava al
pensiero che la madre era tutta dei figli, la moglie tutta del marito.
Parlandole o scrivendole, egli avrebbe potuto farsi valere, rammentarle
le parole dettegli e le prove dategli, contrastarla a tutti coloro che
la riprendevano, vincerla ancora una volta; da lontano, costretto al
silenzio, doveva incrociare le braccia, abbandonare indifesa la causa
dalla quale dipendeva la sua vita. O forse insistere, contraddirla,
contrariarla, sarebbe stato inutile, come era stato inutile tutto quanto
le aveva detto perchè non andasse incontro al marito, perchè si
contentasse di aspettarlo a casa sua. Che cosa era dunque il bene che
gli voleva, se non la faceva capace di arrendersi a un suo desiderio,
sia pure smodato?... Poi pensava che anch'egli l'aveva ferita, una
volta, molto più profondamente, dicendole che, libera, non l'avrebbe
sposata; e allora riconosceva che entrambi si erano mantenuti fedeli al
proponimento di esser sinceri, di uniformarsi alla realtà esteriore ed
intima, alla verità necessaria ed amabile. Ma ora, no; ora non più; ora
non riconosceva altra verità fuorchè il suo dolore, altra realtà fuorchè
il bisogno di lenirlo; ora non chiedeva, non aspettava, non cercava
altro che una menzogna, ma pietosa e salutare. E non ne trovava, e non
ne sperava. Ella non gli avrebbe mai scritto, come non gli aveva mai
detto: «Amo te solo, odio mio marito». Una simile certezza lo avrebbe
forse pacificato, gli avrebbe dato forza per sopportare le separazioni,
le contrarietà, la partecipazione di un altro al possesso di quel corpo
la cui anima sarebbe stata tutta sua. Egli doveva invece contentarsi di
una parte di quella vita, della minor parte. L'avrebbe forse totalmente
perduta, se il marito non fosse andato più via. Non era questo il
pericolo? Che fare per evitarlo, come riprendersi il suo bene, senza che
nessuno, mai più, glielo potesse contendere?...

Talvolta egli avea tentato di reagire contro la passione, di resisterle,
di contenerla. Altri amori giudicati necessarî alla sua vita non erano
finiti senza che egli ne fosse morto? Prima non si era appagato di ciò
che le donne altrui avevano potuto o voluto accordargli? All'idea di
prenderne una per sè non si era sempre ribellato? Due o tre volte,
bensì, nella prima giovinezza, la tentazione era stata fortissima,
avvalorata dai consigli dei parenti, dalle esortazioni della madre; ma
non si era sempre vinto, e sua madre non era morta col dolore di
lasciarlo solo? La libertà non gli era sembrata un bene tanto grande da
potersi pagare con qualche cosa di più penoso ancora che non la
solitudine? Nel matrimonio non aveva visto una convenzione micidiale
all'amore, e dell'amore non aveva sempre avuto bisogno per le sue
ispirazioni d'artista?... Ma il ragionamento, il ricordo della
tenacissima opinione di tutta la sua vita restavano inefficaci contro il
dolore. Nel suo dolore egli riconosceva ora che il legame indissolubile,
sempre evitato come il più grave dei danni, non era un ostacolo alla
felicità, se altri ora se ne giovava per distruggere la felicità sua.
Quella convenzione giudicata funesta all'amore era il patto che
garentiva il possesso. La sua condizione di amante costretto a
nascondersi, a fuggire, a cedere il posto usurpato, a vedere un altro
occuparlo da padrone legittimo, era sciagurata e intollerabile.

I giorni e le settimane erano passati lenti, eterni, numerati ad uno ad
uno, misurati ad ora ad ora, senza che egli sapesse che cosa accadeva
della creatura diletta, che cosa potesse fare egli stesso per averne
notizie: se tornare a Firenze, se scrivere a qualche amico, se scriverle
direttamente, a rischio di tradirla. La paura che il caso l'avesse
tradita, che suo marito avesse scoperto il loro secreto, trovando una
lettera, udendo qualche parola sfuggita al bambino od ai servi,
arrestava il moto del suo cuore; ma quantunque il sospetto non fosse da
escludere, qualche altra cosa, una voce interiore, un oscuro
presentimento gli diceva che no, che nulla era stato scoperto, che ella
era al sicuro, che il suo silenzio dipendeva unicamente dalla sua
volontà. Infinitamente più che l'impossibilità di far nulla per avere
qualche notizia, per uscire da quell'ansia, lo umiliava, lo mortificava
e lo avviliva l'idea che la volontà di lei fosse determinata da ragioni
che egli non poteva combattere. Il bisogno di signoreggiare quella
vita, di occuparla tutta di sè, di uniformare alla propria volontà
quella volontà forte e tenace, alimentava il fuoco della sua passione.
Nessun'altra donna lo aveva avvinto con le blandizie, con le lusinghe,
con le illusioni, quanto costei con la resistenza e l'ostilità. Tutto
quanto aveva fatto, nei primi tempi, per vincerla, era stato invano:
ella gli si era accordata, inaspettatamente, quando aveva voluto, quando
egli ne aveva perduto la speranza. Nonostante la dedizione, dopo il
possesso, con tutte le prove d'amore ottenute, egli aveva più volte
sentito di non essere penetrato fino agli ultimi recessi dell'anima sua.
Ora che un altro gliela contendeva, ora che egli non poteva vivere senza
trionfare di costui, senza saperla sua interamente, perdutamente, come
una cosa inerte, come la cera duttile, come la creta malleabile, ora
ella si dava tutta a quell'altro, restava lontana, chiusa,
inaccessibile. La tentazione di fuggirla, piuttosto che contentarsi del
poco che gli avrebbe concesso, si era insinuata allora nel suo pensiero,
lo aveva investito e dominato. Non era giustizia, no, che egli
spasimasse così, mentre nella nuova vita che ella ora viveva non
trovava modo d'infondergli fede, di dargli speranza e coraggio....
Improvvisamente, la sua lettera era giunta, quella lettera sulla quale
si era precipitato avidamente, che aveva letta e riletta tanto da
poterla ripetere senza dimenticarne una sillaba, e che, nondimeno, ora,
nel silenzio della stazione deserta, tornava a rileggere ancora una
volta.

La lettera diceva:

«Partirò posdomani, sola, col direttissimo delle 7 e 25 per arrivare a
Milano il giorno dopo, alle 7 e 50. Torna domani a Firenze, prenota due
cabine dello «Sleeping» facendoti dare due biglietti separati, e mandami
il mio. Riparti con l'accelerato delle 6 e 33, scendi alla stazione di
Castelmaggiore e aspetta alle 9 e 15 il passaggio del mio treno, dove
salirai a raggiungermi. Alla stazione di Milano mi lascerai: mio marito
ritorna da Londra».

Tutto era stato puntualmente eseguito. Lasciato immediatamente Promonte,
egli era corso a Firenze, all'ufficio della Compagnia dei «Wagons-Lits».
Il commesso aveva voluto rilasciare un solo biglietto per le due cabine,
non comprendendo come persone che dovevano viaggiare insieme avessero
bisogno di biglietti separati; ma poi glieli aveva pur dati, ed egli
aveva spedito a Rosanna, in lettera raccomandata, quello che doveva
servire per lei. Era partito con l'accelerato delle 6 e 33, aspettava
ora il passaggio del direttissimo; ma, rileggendo quella lettera, come
quando l'aveva letta la prima volta, tutte queste istruzioni, tutte le
circostanze nelle quali le aveva effettuate, sparivano dalla sua
memoria: i suoi occhi e il suo pensiero si fermavano sulle parole
dell'ultimo rigo: «Mio marito ritorna da Londra». Per tornarne, doveva
esservi andato; se ella gli moveva ora incontro, non ve lo aveva
accompagnato; era dunque rimasta sola per qualche tempo, poco o molto,
non poteva dir quanto, una settimana per lo meno: e di quel tempo di
libertà non aveva saputo o voluto profittare per richiamarlo, per
rivederlo, dovunque, comunque! Lo richiamava ora, sul punto di andare
ancora una volta incontro a quell'uomo, per rivederlo un giorno più
presto!...

A un fischio di locomotiva, breve, acuto, lontano, egli si riscosse, si
guardò intorno. La stazione era ancora deserta; il padrone del Caffè
sonnecchiava dentro un bussolotto illuminato dalla fiamma gialla d'una
lampada a gas; il cameriere, dinanzi al banco delle vivande, parlottava
con un manovratore. Egli ripiegò la lettera e la richiuse nel
portafogli. Si versò un poco di latte e di tè, ne assaggiò un sorso, e
ripose la chicchera. L'orologio, sul quadro dell'orario, segnava le otto
e un quarto. A quell'ora ella doveva essere già partita, il treno che la
portava già correva verso di lui. Un senso di gioia, trepida ma grande,
lo invase a quella certezza; egli sentì il suo rancore dissiparsi.
All'idea che fra un'ora sarebbe giunta, che l'avrebbe avuta tutta una
notte per sè, che avrebbe potuto finalmente sfogare la piena dei
sentimenti accumulati nel suo cuore, l'immobilità gli riuscì
intollerabile. Chiamato il cameriere e pagatolo, si alzò, uscì fuori
della sala, sotto la pensilina. I binarî liberi si dilungavano,
convergendo nella lontananza, perdendosi verso le masse scure delle
cabine e dei depositi, verso le linee rigide formate dalle colonne delle
carrozze e dei carri immobili sotto il fioco lume della luna non ancora
al primo quarto. Gli ufficî erano quasi tutti chiusi; solo quelli del
capostazione, del telegrafo e dei biglietti proiettavano sul marciapiedi
la luce delle loro lampade incappucciate di verde. Due o tre commessi
stavano curvi sulle scrivanie, dinanzi a grossi registri ed a fogli di
carta stampata; non si udiva altro rumore fuorchè il ticchettare degli
apparecchi telegrafici. Chiuse le sale d'aspetto, tranne quella della
terza classe, sopra i cui nudi banchi il facchino dalla barba candida ed
un suo compagno erano distesi a dormire.

Per ingannare il tempo egli si mise a percorrere la fronte della
stazione, da un capo all'altro; poi riattraversò la sala del Caffè ed
uscì sul piazzale. Non una carrozza, non un passante, non un rumore.
Sulla facciata esteriore dell'edifizio erano aperti l'ufficio del Dazio,
dove due impiegati chiacchieravano fumando nelle pipe, e il passaggio
d'entrata, col gabbiotto della giornalaia: una vecchietta sonnecchiante
in mezzo alla mostra dei fogli illustrati, aperti nelle pagine più
vistose, fra le grosse intestazioni dei quotidiani e le copertine dei
libercoli pornografici. Le pozzanghere formate dall'acquazzone del
pomeriggio rendevano malagevole l'avventurarsi oltre il marciapiedi;
rinunziando ad entrare in città, egli cominciò a misurarlo tra i due
cancelli che lo chiudevano, come aveva fatto dell'altro. Il tempo
scorreva con una lentezza disperante. Passando e ripassando dinanzi al
Dazio, i suoi occhi erano attratti dall'orologio i cui indici parevano
immobili; per vederli un poco spostati verso l'ora attesa con la febbre
nei polsi, egli prometteva a sè stesso di non guardarli troppo spesso;
ma poi, quando li fissava dopo aver voltato le spalle più volte, trovava
che era trascorso qualche minuto appena. Fermandosi, chiudendo gli
occhi, tentava raffigurarsi la donna amata come doveva essere atteggiata
in quel momento: raccolta in un angolo della carrozza sussultante nella
corsa vertiginosa, sotto la luce della lampada elettrica, col viso
ravvolto in un velo, col capo appoggiato alla mano guantata, con gli
occhi allo sportello, immobile nella persona, ma con l'anima tesa verso
di lui; e allora la tenerezza e il rancore, l'amore e la gelosia, il
bisogno di stringersela al cuore e l'impeto di respingerla si
avvicendavano tanto tumultuosamente da confondersi in un unico fremito,
in uno spasimo solo.

Le nove meno un quarto. Ancora quaranta minuti. La stazione restava
deserta: si udiva soltanto qualche fischio rauco, soffocato, di macchine
manovranti lontano; qualche passo risonava, ma di persone che uscivano
avviandosi alla città. Nessun viaggiatore sarebbe venuto a prendere quel
treno della notte? Nessun parente od amico sarebbe sopraggiunto ad
aspettare qualcuno?... Alle nove, mancando mezz'ora all'arrivo del
treno, egli entrò per vedere se l'ufficio dei biglietti fosse aperto.
Era ancora chiuso; il facchino dormiva ancora sulla panca della sala
d'aspetto. La vendita sarebbe forse cominciata solo venti minuti prima
dell'arrivo del treno?

L'attesa di quegli altri dieci minuti fu eterna. Pareva che il tempo si
fosse arrestato, che non potesse più scorrere, che la stazione fosse
abbandonata, che la vicina città fosse morta. L'arrivo di due o tre
persone, silenziose, senza bagaglio, gli parve un avvenimento, un
ritorno alla vita. Ma nessuno sportello si schiudeva ancora, nulla
preannunziava la partenza, neanche ora che mancavano venti minuti
soltanto, che ne mancavano diciannove. Che cosa avveniva? Quand'anche
il treno fosse in ritardo, la vendita dei biglietti non doveva
cominciare all'ora regolare? Forse gli orologi esterni anticipavano su
quello del capostazione? Per quale incantesimo nessuno appariva? Non era
egli in preda ad un incubo? Aveva realmente ricevuto una lettera di lei?
Era una cosa reale, quel convegno in treno? Non era una stravaganza, una
immaginazione, una irragionevole speranza?... Diciotto minuti
soltanto--e gli sportelli restavano ancora sbarrati.... Allora, per
uscire da quell'incubo, per udire una voce, per sapere qualcosa,
s'avvicinò alla giornalaia.

--Il direttissimo non arriva alle nove e un quarto?

--Alle nove e un quarto, sissignore.

--Ma allora perchè non aprono la biglietteria?

La vecchia inforcò gli occhiali, guardò un suo grosso orologio di
acciaio, e disse:

--Ecco: apriranno a momenti.

Ma passò ancora un altro minuto, ne passarono due, senza che gli
sportelli si schiudessero. E a un tratto due uomini uscirono
dall'interno della stazione, uno dei quali diceva all'altro:

--Non si parte fino a domani.

Egli credè d'aver frainteso. Poi il sangue gli rifluì tutto al cuore e
la vista gli si offuscò. Con passo dapprima malfermo, poi precipitato,
rientrò sotto la tettoia nel punto che alcuni manovali attraversavano i
binarî e gruppi di commessi si formavano dinanzi agli ufficî, scambiando
notizie e domande e commenti.

--Al bivio del Saliceto.... La linea è ingombra.... Si appronta il
carro-attrezzi.... Una falsa manovra dello scambio.... Il treno merci è
rovesciato.... E il direttissimo?

Una fiamma gli salì al viso, il suolo gli mancò sotto i piedi. Corse
all'ufficio del capostazione, non lo riconobbe perchè tutti gli usci
erano aperti, ormai, e tutte le stanze illuminate; domandò a un uomo
seduto dinanzi ad una scrivania:

--Scusi, signore: mi vuol dire che cosa è accaduto?

--Non so precisamente; la linea è ingombra.

Riuscì, trovò finalmente il capo sulla soglia del suo ufficio, intento a
rimproverare uno dei suoi dipendenti.

--Non ho bisogno delle vostre osservazioni!... Andate al vostro posto
senza tante chiacchiere.... Desidera?--domandò poi, con voce appena meno
brusca, al viaggiatore che portava la mano al cappello.

--Vuol favorire di dirmi che cosa è accaduto? Io aspetto il direttissimo
delle nove e un quarto....

--La linea è stata ostruita da un treno merci che manovrava al bivio del
Saliceto.

--Ma il direttissimo?

--Il direttissimo sarà avvertito e fermato a tempo e luogo....

Poi, voltategli le spalle ed avvicinatosi al telefono, gridò nel
portavoce:

--Signor ingegnere?... Sì, la seconda squadra sarà pronta a momenti....
Com'è?... La gru sta in consegna al Movimento.... Prenda le binde da
otto tonnellate.... Va bene!... Sissignore: alla cabina numero 8....
Come?... Ha deragliato?... Perdio!... Vengo subito!...

Lasciato l'apparecchio, lanciò un ordine al sottocapo:

--Trattenga l'842 a Santa Rufina, telegrafi che per linea ingombra non
lo posso ricevere. Mi mandi subito la seconda squadra.

E s'allontanò rapidamente, scavalcando le linee dei binarî, facendo
cenno con tutt'e due le mani di seguirlo agli uomini schierati sul
marciapiedi centrale.

Stordito, smarrito, Bertini volse intorno lo sguardo.

Che cosa era avvenuto? Nessuno glielo avrebbe spiegato? Un brivido gli
passò per la schiena al pensiero del pericolo che minacciava la creatura
diletta, al disastro che forse era già avvenuto. Non era forviato il
convoglio che la trasportava? O il treno che facevano fermare a Santa
Rufina era il suo?

--Per favore!... Sentite!...--disse ad un guardasala, fermandolo mentre
gli passava dinanzi.--Qual è il numero del direttissimo che si aspettava
per le nove e un quarto?

--28.35, signore.

--Siete sicuro che non sia l'842?

--Sicurissimo! L'842 è un misto che dovrebbe arrivare alle 9 e 42, ma
che sarà fermato a Santa Rufina.

--E il direttissimo?

--Era già transitato da Santa Rufina quando è sopravvenuto l'accidente
al treno merci.

--Ma allora come e dove sarà avvertito del pericolo?

--È stata formata la correntale.

--Come sarebbe a dire?

--Ogni guardiano va al casello vicino trasmettendo al compagno la
notizia dell'accidente e l'ordine di disporre i segnali di fermata.

--E quanto occorrerà per liberare la linea?

--Signor mio, chi può dirlo?... Due ore potevano bastare; ma forse non
ne basteranno quattro.... Il capotecnico e il capodeposito avevano
subito avvertito il Servizio trazione; il signor ingegnere con la prima
squadra era subito accorso sopra una macchina, il carro-attrezzi era già
pronto; ma quando hanno fatto per attaccarlo alla macchina ha
deragliato. Se lo vuol vedere, vada laggiù in fondo, presso il
castelletto idraulico, dove c'è quel chiaro.... Lavorano a soccorrere il
carro di soccorso!...

E sorrise discretamente, gettando intorno una cauta occhiata, per paura
che l'avessero udito.

Bertini corse nella direzione indicata. La fatalità si complicava, una
volontà ostile e maligna pareva volesse accumulare gli ostacoli,
moltiplicare i pericoli. Alla luce fumosa delle torce a vento si vedeva
il carro degli attrezzi pencolare fuori delle rotaie: la piattaforma
dalla quale doveva essere spinto nella buona direzione non era stata
assicurata, non aveva le rotaie combinanti con quelle del binario, e
poco era mancato che la massa pesante non si fosse rovesciata.

--Via le leve!--gridava il capostazione agli uomini intenti alla
manovra.--Tofano e Giacomelli, montate su a scaricare le binde....
Quelle da quattro basteranno.... Animo, via!...

Gli uomini si arrampicarono sul carro carico d'ogni sorta d'ordegni e di
congegni: argani, morse, chiavi, martelli, mazze, una fucina, ruote di
cordami, spessori di legno, torce a vento, fiaccole a petrolio.
Sollevata una binda da quattro tonnellate, la passarono oltre il
parapetto, porgendola ai compagni.

--A noi, svelti!--ordinò ancora il capo.--Disponetela fra la testata e
il traversone.... Più su, più su: all'angolo, ho detto.... Ma qui,
perdio, sotto lo spigolo, o parlo turco?... Così!... Forza di braccia!

Le braccia nerborute girarono il manubrio della macchina, dapprima
agevolmente, poi, quando essa affrontò il peso del carro, con una
tensione violenta, con uno sforzo penoso. Sotto la spinta possente il
carro si scosse un poco, si sollevò di qualche centimetro; a un tratto
traballò scricchiolando.

--Ferma!

Tolta una fiaccola di mano a un operaio, il capo si cacciò sotto le
prime ruote, ne esaminò la posizione; poi percorse tutto il fianco fino
a quelle posteriori.

--Un'altra binda qui, al centro del traversone....--Ma udendo
improvvisamente un lontano tintinnare di campanello, si volse a
chiamare:--Marziani!... Il capotecnico?...

--Eccomi, signor capo.

--Diriga lei l'operazione. Io vado a ricevere l'accelerato.

Un treno sopravveniva infatti dall'altra parte della linea, dove nessun
ostacolo si era frapposto; e Bertini domandava tra sè per quale fatalità
l'accidente aveva dovuto prodursi dalla parte di Firenze, nel preciso
momento in cui, dopo tanta pena, egli aspettava Rosanna. E in un
improvviso ritorno dell'ansia sopita dinanzi allo spettacolo dello
sforzo sostenuto dai lavoratori, si volse ad uno degli astanti:

--Il direttissimo è stato fermato?

--Certamente, a quest'ora.... Se no, sarebbe andato a sfondare il treno
merci deragliato.

--Come si saprebbe?--domandò ancora, trepidante.

--Eh! Le male nuove le porta il vento.

--A che distanza da qui è il bivio del Saliceto?

--A quattro chilometri e mezzo.

--E Santa Rufina?

--A dodici chilometri.

Restava da sapere in qual punto della via interposta fosse fermato il
convoglio. Certo, in aperta campagna, lontano dalle stazioni, senza
precise notizie dell'accaduto, del pericolo corso, della durata della
sosta. Come far sapere qualche cosa a Rosanna? Come rassicurarla? Egli
si struggeva di non poter far nulla, invidiava gli operai sudanti a
mettere in piano il carro, si torceva le mani per non poterle adoperare
com'essi, per non potersi cacciare sotto le ruote a rimetterle a posto,
con la febbre di veder rimossi gli ostacoli, quel primo ostacolo.

Le notizie dell'accidente passavano ora di bocca in bocca, con più
precisi particolari: il deviatore della cabina numero quattro, per un
falso segnale del manovratore, aveva aperto lo scambio al treno merci
mentre la colonna era in moto; l'ago si era spostato fra un'asse e
l'altra del primo carro, dando la diramazione sopra il binario per il
quale doveva transitare il direttissimo, ostruendo la linea di corsa:
l'ingegnere dell'ufficio di trazione, con una squadra di operai raccolta
alla prima notizia, era sul posto, ma non poteva far nulla senza gli
attrezzi. E dalla stazione, cessato lo squillare del campanello, veniva
il rombo del treno accelerato arrivante a tutto vapore, fischiando e
stridendo, condannato poi anch'esso a restarsene inerte, ad aspettare la
liberazione del binario e l'arrivo del direttissimo. La macchina si
staccava e si allontanava; i viaggiatori, avvertiti dell'accaduto, si
sparpagliavano in folla sotto la tettoia, entravano nel Caffè, si
spingevano verso la piattaforma attratti dal chiarore delle torce, e
Bertini vide fra gli altri una coppia di giovani sposi in costume da
viaggio, il marito appoggiato al braccio della moglie, stretto a lei,
sfiorante con la falda del berretto basco il velo che ella teneva
sollevato sulla fronte e che lasciava scoperto un visetto rotondo,
grazioso, infantile.

--Largo!... Indietro!... Favoriscano di sgombrare!

Il capo, sopravvenuto, faceva scostare i curiosi con aspra voce di
comando; Bertini dovette obbedire in preda ad un nuovo cruccio, quasi
ricacciato più lontano da Rosanna, quasi impedito di affrettare con la
tensione della volontà e l'impeto del desiderio la liberazione del
carro. Sotto la tettoia crocchi di viaggiatori si scambiavano le
notizie, commentandole aspramente; alcuni stranieri volgevano intorno
sguardi incerti e sospettosi; visi inquieti di donne si vedevano spiare
dai finestrini del treno immobile; il Caffè era invaso, tutti i tavolini
occupati da gente rumorosa e contrariata; solo i due giovani sposi,
l'uomo sempre al braccio della donna, si sorridevano, fermi dinanzi al
banco, scegliendo nei quadri mobili delle cartoline illustrate quelle
con le vedute di Castelmaggiore: liberato il braccio della moglie, il
marito le offriva una penna col serbatoio, ed ella riempiva i
cartoncini uno dopo l'altro, curva sopra un angolo del banco,
passandoli poi al compagno che vi aggiungeva la propria firma.

Un moto d'irritazione cacciò Bertini lontano dallo spettacolo di quella
felicità. Riavvicinandosi alla piattaforma, vide le luci muoversi e una
colonna di candido vapore sprigionarsi dal fumaiuolo della macchina,
mentre un fischio breve ed acuto lacerava l'aria: il carro, finalmente
liberato, era trainato verso il luogo del bisogno. Allora, come
trascinato anch'egli da quella forza bruta, come attratto da un potere
occulto, s'avviò lungo i binarî deserti diramantisi a ventaglio gli uni
dagli altri. Non sapeva fin dove sarebbe andato, ma si sentiva sospinto
nella direzione del convoglio immobile in mezzo alla campagna deserta.

Secondo che avanzava, oltre gli edifizî e le cabine e i castelli
idraulici, il ventaglio si restringeva, le stecche d'acciaio rientravano
una nell'altra, riducendosi al doppio binario di corsa. Fitte siepi lo
fiancheggiavano, una bassa e intricata vegetazione di robinie, dalla
quale emergevano i fusti frondosi degli eucalitti; tratto tratto un
cancelletto vi si apriva, oltre il quale si vedeva la campagna bagnata
dal lume della luna vicina al tramonto: un chiarore scialbo ed umido
avvolgente i filari dei gelsi e dei salici, qua e là riverberato da
pozze d'acqua. Non una bava di vento, non una voce nel silenzio grave
dell'alta notte; solo l'arpeggio eolio dei fili telegrafici, in
prossimità dei pali risonanti come casse di strumenti armonici. Le
rotaie d'acciaio si distendevano rigide e diritte, sempre più lontano;
parevano rincorrersi a perdita di vista, verso l'infinito, verso
l'inarrivabile. Bertini procedeva per la solitudine, con gli occhi, gli
orecchi, tutti i sensi aperti ed intenti a cogliere segni di vita,
credendo di udire l'eco dei fischi della locomotiva di soccorso, di
scorgere il chiarore delle fiaccole rischiaranti il lavoro dei manovali;
ma nulla si scorgeva ancora, nulla si udiva.

La vista della stazione e dei fabbricati che l'attorniavano era
anch'essa perduta nella lontananza: solo una punta di vivo fuoco
rosseggiava in cima a un disco. Fremente, febbricitante, egli andava,
andava, col proposito, col bisogno di raggiungere il bivio del Saliceto,
di sapere qualche cosa di preciso; ma più s'inoltrava, più
l'inquietudine, l'ansia, la paura gli facevano tremare il cuore.
Quantunque la via ferrata fosse una guida infallibile, gli pareva di non
poter più trovare quel bivio, d'essersi avviato sopra un altro binario,
d'aver lasciato la buona strada. Perduta la nozione del tempo, credeva
d'aver percorso chilometri e chilometri, d'essersi dilungato
enormemente, d'aver marciato da ore: l'orologio, che aveva dimenticato
di rimontare, non andava più. La linea non doveva esser libera, ormai?
Il convoglio non stava per sopravvenire, precipitoso, inarrestabile,
portandosi via la creatura amata, lasciandolo solo in mezzo alla
campagna muta ed oscura? La prudenza consigliava di tornare indietro, di
raggiungere la stazione, di aspettare lì, tranquillamente, come gli
altri viaggiatori, come i due sposi in viaggio di nozze; ma allora,
rivedendo con la mente quella coppia felice, egli sentiva più acuta, più
tormentosa, più intollerabile tutta la propria pena. Spasimava da due
mesi, dal giorno in cui era giunto l'avviso dell'arrivo del marito, ma
non mai come ora. Se per un istante, al pensiero dell'imminente incontro
con la diletta, aveva potuto illudersi sperando nel ritorno dei giorni
felici, ora, nelle tenebre addensate col tramonto della falce lunare,
nel sonno silenzioso della terra, nella solitudine inanimata di quegli
ignoti luoghi, l'inganno riusciva evidente. Che vita era questa che lo
sbalestrava fuori della sua casa, fuori del suo paese, che lo faceva
errare a quell'ora per la campagna, aspettando un treno arrestato da un
improvviso pericolo? Superato quello, quali altri, quanti altri
sarebbero sorti? Rosanna andava a raggiungere ancora una volta il
marito: dove, come, quando, per quanto tempo l'avrebbe rivista?
Quell'uomo sarebbe ripartito, forse, ma per ritornare; il tempo della
sua lontananza se ne sarebbe volato via, come se n'era volato
tant'altro. La serena fiducia, la certezza del possesso assoluto, della
comunione perfetta non era possibile senza l'unione che egli aveva
dichiarato di non voler contrarre neppure ipoteticamente, e che sempre,
prima di quell'amore, aveva giudicata odiosa e repugnante. Allora tutta
la sua vita sentimentale, dai primi albori, dagli ingenui amori
dell'adolescenza alle fiamme della giovinezza, gli passò per la memoria:
quante prove fallaci, quante illusioni perdute, ritrovate, riperdute
ancora, fino a quest'ultima! Stanco, vecchio, morto, il suo cuore aveva
palpitato ancora una volta grazie alla creatura miracolosa; egli aveva
gioito, sofferto, vissuto per lei; comprendeva che dopo di lei non
avrebbe potuto più ricominciare, e che, quand'anche, mai più avrebbe
trovato un'anima simile a quella; sentiva che tutti questi motivi lo
spingevano ad afferrarsi a lei, disperatamente; ed a quell'ora, con
quell'ansia nel cuore, ecco, finalmente riconosceva che il legame
solenne, sancito, benedetto, era il solo che potesse umanamente
garantire il possesso; e nulla gli pareva più desiderabile e degno che
prendersi Rosanna, unirsi a lei per la vita e per la morte, dare al
mondo lo spettacolo della loro felicità come lo davano quegli sposi in
viaggio di nozze, sorridenti della contrarietà sopravvenuta, noncuranti
di giungere un poco più presto o un poco più tardi, certi di portare con
sè tutto il proprio bene. Perchè non era ella libera? Che cosa occorreva
perchè si liberasse?... Allora, come al bagliore di lampi interiori, i
recessi più tenebrosi del suo pensiero si illuminavano, quelli dove
appariscono le possibilità più chimeriche, dove sorgono le tentazioni
inconfessabili....

Un chiarore lontano, incerto, sorto dal fondo della linea, fermò ad un
tratto la sua attenzione. Un uomo con una lanterna in mano si veniva
avanzando; la lanterna, pendente dal braccio disteso lungo il fianco,
lasciava in ombra il viso del sopravveniente, bagnandogli i piedi di
luce.

--Venite dal bivio di Saliceto?--domandò Bertini quando colui, un
cantoniere, gli giunse dinanzi e alzò la lanterna per guardarlo in
faccia.

--Nossignore, vengo dal casello 374.

--Dove è stato fermato il direttissimo?

--Al passaggio a livello del Fossone.

--Quanto manca perchè la linea si sgombri?

--La linea è sgombra; vado a....

--È sgombra?...

Egli non udì altro, voltò le spalle al guardiano, corse verso la
stazione, con la folle paura di non giungervi a tempo. Sull'angusto
passaggio dove s'era avanzato agevolmente a brevi passi, riusciva
malagevole correre; più volte fu sul punto di perdere l'equilibrio, più
volte distese le braccia per ripararsi dall'imminente caduta. Con le
orecchie fischianti, gli pareva di udire il lontano rombo del treno in
moto, si rivoltava un istante a guardare indietro, poi riprendeva la
corsa, rassicurato per poco. Al pensiero che la notizia non era ancora
giunta alla stazione, moderò l'andatura; riprese a correre col timore
che le disposizioni per ricevere il convoglio fossero state trasmesse
per telegrafo o per telefono. Una voce, sul punto che passava dinanzi a
un casello, gridò:

--Ferma!... Chi è?...

Non rispose, non si fermò, spronato dalla vista del riverbero diffuso
lontanamente dai lumi della stazione. Quando vi giunse, trafelato,
ansante, il campanello annunziante che il disco era aperto cominciava a
squillare; i viaggiatori rimasti a terra riprendevano i loro posti
sull'accelerato, si udivano voci di richiamo, gli sportelli sbattere con
colpi secchi:

--In vettura!... In vettura!...

Non c'erano più facchini; egli si rivolse al cameriere del Caffè perchè
gli portasse le valigie. E finalmente i fanali del treno, i grossi occhi
roventi apparvero nella distanza, s'ingrossarono sulla metallica fronte
della locomotiva spinta a tutta forza, vomitante dense volute di nero
fumo squarciate dal candido vapore del fischio lungo, insistente,
interminabile. Figure di uomini e di donne in piedi si profilarono nei
vani luminosi delle finestre, nessuno nella carrozza coi letti, tutta
chiusa, come deserta. Un dubbio attraversò il pensiero di Bertini: se
Rosanna non c'era? Se non era partita, per un contrattempo, per un caso
imprevedibile?

--Il signore ha la cabina 7 e 8?--gli domandò il conduttore aiutandolo a
montare sul terrazzino.

--Sì. Da che parte?

--Favorisca....

--Avete saputo dell'accidente?

--E come!... Siamo rimasti più di tre ore fermi in aperta campagna!...
Ecco la sua cabina. Desidera che le prepari il letto?

Gli rispose di sì dopo un istante di esitazione, pensando che il breve
indugio lo avrebbe liberato per sempre da quell'uomo. Cercò di sporgersi
da un finestrino per vedere l'ora all'orologio della stazione e regolare
il suo: tutti i vetri erano rialzati e fermati.

--L'ora, per piacere?

--È la una meno un quarto.

Già la macchina, dopo la rapida sosta, lanciava un nuovo fischio: la
carrozza si scosse, cominciò la corsa. E non appena il conduttore lo
lasciò solo, egli aprì l'uscio del gabinetto di toletta. Vedendo
apparire una figura maschile, trasalì indietreggiando per istinto; poi
riconobbe sè stesso nel giuoco degli specchi. Portò la mano ancora
tremante alla maniglia dell'altro uscio, lo aperse. Vide gli occhi di
Rosanna cercare i suoi. Era seduta sul lettuccio, col velo rialzato
sulla fronte, le mani nude congiunte in grembo. Le cadde in ginocchio
dinanzi, le prese le mani, se le strinse al petto. Soffocato dal
tempestoso pulsare delle arterie, non potè nel primo istante articolare
una parola; poi balbettò:

--Sei tu?... Sei tu?...

--Che è stato? Siamo in ritardo?

--Come?... Non sai?... Quattro ore, quattro ore che aspetto, tremando,
fremendo al pensiero del tuo pericolo.... Non ti sei accorta di
nulla?... Dormivi?...

--Ho dormito, sì: ero tanto stanca. Ma tra veglia e sonno m'accorgevo
che il treno era immobile, udivo rumore di passi, voci di
sconosciuti.... Che è stato?

--La linea ingombra, ostruita da un treno merci.... Ma che importa?
Tanto meglio, se non hai saputo.... Sei tu? Sei tu? Sei tu?... Lasciati
guardare.... Lo sai da quanto tempo non ti vedo?... Che luce fioca
mandano queste lampade!... Lo sai da quanto tempo ti aspetto? Lo sai che
ti credevo perduta? Lo sai che non ti vo' perdere?

Anch'ella alzò lo sguardo luminoso al grappolo delle lampadine
elettriche.

La cabina, con la levigatezza del suo mogano, con la lucentezza dei suoi
ottoni, aveva l'aspetto di un mobile, di un grande armadio rotolante.
Quantunque nel fracasso della corsa vertiginosa nessuno potesse udire
dal prossimo scompartimento, egli abbassò ancora la voce, le domandò
quasi all'orecchio:

--Sei tu? E sei mia? Sei mia, di'?...

Rivoltatasi verso di lui, passandogli una mano sulla fronte, ella
rispose:

--Non vedi che cosa faccio per te?

Allora tutta la sua passione soffocata, umiliata, disconosciuta,
traboccò. Scotendo la testa, con voce amara, egli protestò:

--Che fai? Sei rimasta sola, non so quanto, mentre quell'uomo era a
Londra, e mi chiami ora soltanto, ora che vai ad incontrarlo un'altra
volta!

Ella non rispose.

--Mentre una sola cosa confortava il mio dolore, l'idea che non fossi
libera, che ti torturassi come me per non potermi vedere, per non
potermi dir nulla, tu eri padrona di te stessa, e non mi chiamavi, non
mi scrivevi!... E ora ti stupisci dei miei dubbî!... Non sai dunque, non
capisci, non intuisci quel che ho sofferto, quel che soffro, dal giorno
che ti lasciai dinanzi al «Senegal», da quando ti vidi al fianco di
quell'uomo, ricongiunta a lui, baciata da lui?

All'evocazione del ricordo, la gioia di averla ritrovata, di sentirsela
vicina, cadde repentinamente; il dolore, la gelosia, il corruccio, tutte
le immagini esasperanti e tutti i pensieri maligni tornarono a
invaderlo.

--Che hai fatto? Dove sei stato?--domandò ella, dolcemente, prendendogli
una mano, come per placarlo.

--Non lo so, che cosa ho fatto; non lo so ridire, come ho vissuto. Sono
stato a Promonte, ma prima a Firenze, per tentar di vederti....
Rimproverami, anche!--esclamò con più forza, vedendola accigliarsi.--I
torti sono miei, anche! Io dovevo starmene tranquillo, dovevo sentirmi
sicuro e felice, dopo averti vista laggiù, sulla banchina, tutta
occupata di quell'uomo e dei vostri figli, senza un saluto, un cenno,
uno sguardo per me; dopo essermi nascosto da voi, da te, come una spia,
come un ladro! Non so, non so; senza l'amico che mi stava accanto, non
so come, non so dove avrei trovato la forza di padroneggiarmi.

--Era Perez?

Non le rispose a voce, assentì con un breve moto del capo, incalzando:

--Mi passasti accanto, dinanzi al cancello, e non mi guardasti neppure;
non t'accorgesti neppure allora di me che fremevo e spasimavo, tutta
infervorata non so da che, non so perchè!

--Ti vidi.

--Che gli dicevi?

--Non mi rammento.

--Non ti rammenti! Ma mi rammento io, io che ti vidi sparire in quel
carrozzone d'albergo, io che mi sentii a un tratto divenuto estraneo a
te, solo, abbandonato, perduto, senza saper che fare della mia vita,
con la folle tentazione di seguirti ancora, di raggiungerti per
afferrarti e portarti via, sotto i suoi occhi, sotto gli occhi dei tuoi
figli, dinanzi a tutti; poi col bisogno di fuggire, di non restare più
un solo istante in quei luoghi, quella sera, quella notte, la notte
della contaminazione....

Con voce grave, guardandolo negli occhi, ella disse:

--Fosti tu che volesti seguirmi. Non ti pregai di rinunziare a
quest'idea? Che vi hai guadagnato?

Egli rispose duramente:

--Avrei sofferto peggio se non vi avessi visti. E mi pento di non aver
preso una stanza in quell'albergo! Avrei meglio misurato tutta la tua
capacità di fingere!

E lasciò la sua mano, la respinse, si ritrasse.

--Perchè?

Ella era calma, serena, sicura di sè stessa; il tono della sua voce nel
muovere la domanda rivelava una curiosità che non teneva molto ad essere
appagata.

Egli la guardò un tratto senza dir nulla.

Il convoglio precipitava la sua corsa, si sprofondava nelle tenebre,
rombando e strepitando, come quello che lo aveva portato via la notte
della contaminazione. Egli non fuggiva questa volta, come allora; si
vedeva anzi al fianco la donna che aveva allora lasciata ad un altro; ma
il ricordo dell'incubo risorse nella sua memoria. Si rivide con la
fronte ardente al gelido vetro, con gli occhi sbarrati nelle tenebre
fuggenti, o fisi all'orologio, per calcolare il momento nel quale la
coppia sarebbe rimasta sola: «Alle dieci.... o forse alle undici.... fra
un'ora.... fra mezz'ora.... Ora!...» Una pesantezza plumbea lo aveva
abbattuto sul sedile, moti di nausea gli erano saliti dalle viscere alla
gola nei tempestosi scotimenti di quella corsa pazza, traendolo dallo
stuporoso assopimento. Poche altre notti erano tanto durate nella sua
vita; nessuna luce egli aveva tanto spiata come quella del nuovo giorno,
con la quale ella sarebbe finalmente uscita dalle braccia di quell'uomo;
ma nè il nuovo giorno, nè i tanti altri che erano seguiti, nè tutti
quelli che seguirebbero potevano dissipare interamente l'incubo e
ridargli la fede perduta. Ecco: Rosanna era lì, accanto a lui, sola con
lui nella carrozza lanciata attraverso lo spazio, ma egli sentiva di
non averla per sè.

Ella diceva, tranquillamente:

--Che cosa pretendevi? Volevi che non mi occupassi di mio marito per
badare a te? Volevi che mi sottraessi al suo abbraccio, ai suoi baci,
che non li ricambiassi? Per qual motivo? Con quale pretesto?

Egli stese le braccia, alzò il viso, proruppe con voce tremante di
tenerezza amara, di timido rimprovero, di passione umiliata:

--Perchè sei mia, perchè sei l'amor mio, la donna mia....

--Non è vero.

--Non è vero?

Ella fece per replicare con altrettanta vivacità; poi parve farsi forza,
stringendosi una mano nell'altra. Dopo una pausa, tranquillamente,
lentamente, spiegò:

--Lo sai, qual'è la verità, e non dovrei aver bisogno di ripeterla, ora.
Per il mondo, per la legge, per i miei figli, io sono di mio marito. La
fatalità mi ti sospinse dinanzi un giorno, quando ero sola, quando
cercavo un amico. Cercavo un amico, ed ho preso un amante.... Ma no, non
credere che io vada mendicando attenuanti. Ti avrei preso anche se non
fossi stata sola. Mi turbasti troppo, mi piacesti troppo: anche questa è
verità. Forse altre avrebbero resistito alla tentazione; io provai, ma
non vi riuscii. Pago la mia debolezza, sai! O credi d'essere il solo a
soffrire, con la tua gelosia? Io soffro della falsità in cui vivo, delle
menzogne che dico, degli inganni che ordisco. Tu ti senti ingannato, ed
hai ragione, sì; perchè se ti amassi come nei romanzi o sul teatro,
avvelenerei mio marito, piuttosto che sottopormi alle sue carezze! Ti
senti ingannato, ne soffri, e nel tuo dolore non pensi all'altro inganno
che io infliggo, al tradimento che commetto, infinitamente più grave.

--No, perchè egli non sa. Chi non sa non soffre.

--Hai ragione, perchè io non conto. Che importa se soffro io?

Vi era tanto rimprovero nella calma apparente della sua risposta, che
Lodovico chinò la fronte, con l'atteggiamento di chi sente il proprio
torto senza potere o volere confessarlo. Dopo un breve silenzio le
riprese la mano, appoggiò la fronte sulla sua spalla, mormorando:

--Mi perdoni, Rosanna?

--Di che?--fece ella, scotendo il capo, con un sorriso ironico e
indulgente insieme.

--Di che? Di volermi bene?

--Lo capisci, lo sai, lo senti che se dico queste cose, se soffro questi
tormenti, è perchè ti voglio bene?--A voce più bassa, ma più fervida,
più appassionata, soggiunse:--Te ne voglio più che non credessi, sai!
Non te ne ho voluto mai tanto. Ora, ora soltanto conosco e misuro quanto
te ne voglio.

Appressatosi a lei, spinto addosso a lei dagli sbattimenti del treno
serpeggiante precipitosamente per vie curve, si sentì tutto aderire al
suo fianco soave. La cinse con le braccia, le ricercò con la bocca la
bocca.

Ella si ritrasse, sciolse il nodo delle mani intrecciatesi alla sua
vita:

--No, lasciami.

La sua voce era sommessa e dolce, ma ferma e risoluta. Egli obbedì,
tacitamente.

--Tu misuri ora soltanto--riprese ella--il bene che mi vuoi, io misuro
ora soltanto la colpa che ho commessa. Quando mi vincesti, quando mi
diedi a te, la prima volta, non provai nulla del rimorso che avrebbe
dovuto invadermi. Ti rammenti che te lo dissi, ti rammenti, di'?

--Sì.

--Guardai dentro di me, dissi a me stessa: «Ho tradito la fede giurata,
sono adultera, _adultera_». Ma queste parole non ebbero nulla del loro
senso. E non già perchè mi fossi assuefatta all'idea della caduta. Mi
conosci. Te lo direi. Mi ero anzi creduta padrona di me stessa, mi
pareva moralmente e materialmente impossibile tradire mio marito. Perchè
lo avrei tradito? Perchè era lontano? Per appagare un appetito,
allora?... Ma quando ti conobbi, quando ti amai, mi parve altrettanto
impossibile resistere a questo amore. Tu dubitasti dell'esistenza di mio
marito perchè era assente; io me ne dimenticai. Come tu non
t'inquietasti al pensiero che un giorno sarebbe tornato, così non vi
pensai neanch'io. Noi abbiamo sempre coraggio per affrontare i pericoli
lontani. Ora egli è qui. Io sono caduta nelle sue braccia uscendo dalle
tue....

Egli domandò furiosamente:

--Di', che ti ha fatto?

Ma senza lasciarle il tempo di rispondere una sillaba, ingiunse con mal
contenuta violenza, chiudendole la bocca:

--No! Taci!

Ella rise d'un riso sottile ed ambiguo. Voleva dire che non avrebbe
parlato, anche senza il divieto? O che egli stesso, fra poco, avrebbe
ripetuta la domanda? O che parlare e tacere era tutt'uno?

--Ora, vedi,--riprese pacatamente,--io so che cosa è il tradimento. Lo
so ora, che v'inganno entrambi.

--No!--scattò egli ancora.--Tu non lo inganni, lui!

--No?

--O non lo inganni più, perchè sei tornata a lui e ti sottrai a me, e
sei pentita d'esserti data a me; perchè lo ami, o ricominci ad amarlo,
mentre non mi ami più, se pure mi amasti mai!

Dapprima ella scosse il capo, poi fece un gesto d'assenso, poi ripetè:

--Non ti amo; non t'ho mai amato. Naturalmente.

--Mi ami? Mi ami ancora? D'amore, ami me solo?

--No.

--Ci ami entrambi? Come puoi amare due uomini a una volta? Ami in lui
il tuo protettore, il padre dei tuoi figli? Di quali sofistiche
distinzioni sei capace? Parla, rispondi! Che cosa ti sentiresti di fare
per provarmi l'amore che dici di portarmi?

--Che cosa vorresti che facessi?

--Lascialo, seguimi, dammi tutta la tua vita!

L'espressione del sentimento pervenuto al parossismo, della necessità
intuita negli interminabili giorni vissuti insopportabilmente lontano da
lei, riconosciuta un'ora innanzi, al sorgere del mortale pericolo sulla
via ignota, in mezzo alle tenebre, gli era salita alle labbra impetuosa,
irrefrenabile, irrevocabile. Stretto alle braccia di lei, con gli occhi
perduti negli occhi di lei, aspettava ora la parola che avrebbe segnato
il suo destino. Con l'animo sospeso, sentì che il treno rallentava, in
prossimità di una stazione: attenuandosi il frastuono, arrestandosi la
corsa, gli parve che anche quel formidabile ed incosciente congegno
partecipasse all'ansiosa sua aspettazione.

Ella indugiava a rispondere. Lo guardava fiso, negli occhi, nell'anima.
Mentre le voci dei conduttori annunziavano un nome incomprensibile,
disse finalmente, pianissimo, passandosi una mano sulla fronte:

--Vuoi che lo lasci?... Lo vuoi proprio?... Sarebbe molto più facile che
tu non creda.

Sulle prime egli non comprese. Poi, come un lampo, un dubbio gli
attraversò la mente, il dubbio antico, dei primi giorni: ella non doveva
essere unita legalmente a quell'uomo. Tutti i sospetti concepiti due
anni innanzi, nell'incontrarla sola, in un albergo di montagna, lo
invasero, confusamente; rivide in lei l'avventuriera sospettata, riprovò
il moto di diffidenza che lo aveva fatto indietreggiare.

--Come sarebbe a dire?--proferì, dopo una lunga pausa, mentre il suono
soffocato della cornetta e il fischio della locomotiva annunziavano la
ripresa della corsa.

--Dico che la nostra unione non è indissolubile.

--Non siete maritati?

L'ambiguo sorriso tornò ad incresparle l'angolo della bocca.

--Siamo maritati.

--Allora?

Ella si prese la sinistra nella destra, considerando il cerchietto d'oro
dell'anello nuziale lucente nella penombra. Lo fece girare un poco nel
dito eburneo, poi lo trasse, lo guardò contro la luce.

--Allora, possiamo divorziare. Quando ti domandai se, libera, mi avresti
sposata, ti spiegai che la mia domanda non t'impegnava a nulla, perchè
la legge della Stanlesia non ammette il divorzio. Ti nascosi la
verità.... quella volta sola!... Nella Stanlesia il divorzio è ammesso;
come negli Stati più liberali dell'America del Nord, si può pronunziare
per dodici motivi diversi.... Questo anello si può spezzare, io posso
tornar libera, sposare chi voglio....

E lo guardò.

Considerando anch'egli il cerchietto d'oro, sentì lo sguardo di lei
pesargli addosso. Comprendeva di dover dire, con impeto: «Sì, è ciò che
sognavo, è ciò che volevo, è ciò che voglio; la soluzione insperata, la
felicità assicurata. Perchè non me lo hai detto prima? Perchè non mi hai
risparmiato tante pene?...» Ma una specie di afasia gli impediva di
proferir verbo. Sentiva di doverle strappare quell'anello, di dover fare
il gesto di buttarlo via; ma una specie di paralisi gli saliva dalla
mano al braccio, come un gelo. Il suo lungo dolore degli ultimi mesi,
il suo spasimo di un'ora addietro per la campagna oscura e taciturna, la
sua decisione d'un istante prima, cadevano, si disperdevano, nel
crescere e nell'aggravarsi di un senso di diffidenza ostile. Un dubbio
gli balenava nella mente: non aveva ella taciuto finora per calcolo, per
esasperarlo, per portarlo al grado della follia...? Lo aveva, ingelosito
per ridurlo docile, inerte, pronto ai suoi voleri. Voleva esser sposata.
Non gli aveva chiesto una prima volta, come per misurare l'amor suo, se,
libera, l'avrebbe sposata? Questo era, evidentemente, il suo scopo! Ed
egli che un momento prima si sarebbe legate le mani e i piedi pur di
averla tutta e per sempre sua, ora, a un tratto, poichè la proposta
veniva da lei, ma non francamente pronunziata, insinuata piuttosto, come
una semplice possibilità; ora che ella gli poneva dinanzi, quasi per
adescarlo, il cerchietto d'oro lucente, il simbolo della catena, ora
egli si ribellava, sentendosi preso come in un tranello. Di no, di no,
doveva rispondere di no, spiegando tutto il suo pensiero, poichè si era
proposto di dir sempre la verità, poichè l'aveva detta e l'aveva
pretesa da lei; ma quando alzò gli occhi, quando si vide guardato negli
occhi, gli mancò il coraggio di significare una verità della quale
comprendeva la bruttezza.

--Egli consentirebbe?--domandò, per indugiare ancora un poco prima di
dire la menzogna.

--Se saprà che ho un amante, domanderà egli stesso il divorzio.

--Perchè non m'hai detto prima che avevamo questa via d'uscita?

Con la fronte e le sopracciglia un poco corrugate nello sforzo di
fissare gli occhi negli occhi di lui, ella rispose domandando a sua
volta:

--Perchè te lo avrei detto, mentre egli era lontano e tu tranquillo?

--Hai ragione!

--Perchè te lo avrei detto, quando mi dichiaravi che la libertà ti era
troppo cara?

--Hai ragione! Ed io sono stato punito di quella risposta! Ma benedico
le mie sofferenze perchè mi hanno preparato quest'ora di gioia. Tu
spezzerai questo anello, ne porterai un altro, il mio, fino alla morte.

Senza lasciarlo con gli occhi, stringendosi ancora più a lui, ella
insistè:

--Vuoi?... Proprio, vuoi?

--Ne dubiti?

--Non lo dici per condiscendenza? Ti senti di legarti per sempre? Sei
sincero come le altre volte? Non mi nascondi nulla, in fondo all'anima?

Dopo un istante di lotta interiore, egli confessò:

--Sì, ti ho nascosto qualche cosa.... Non sono stato sincero. Mi è
parso.... ho creduto.... non so.... Ti giuro che mi sarebbe sembrato un
sogno, se m'avessero detto che potevi ancora liberarti da quell'uomo....
Ma ora.... quando l'hai annunziato tu stessa.... Non so.... il nostro
cuore è così complicato....

--È vero. Hai temuto ch'io ti sforzassi?

--No, non questo precisamente. Perchè mi sforzeresti? Tu hai tutto da
perdere lasciando tuo marito.... Egli ti ama ragionevolmente, ti lascia
sola per anni, ha cieca fiducia in te. Della mia gelosia, delle mie
esigenze, sai già qualche cosa.... Egli lavora per te, ti assicura una
vita molto più larga che io non potrei.... Ma sì, lasciami dire: bisogna
metter nel conto anche questo, se bisogna dir tutto.... Se mi proponi di
sciogliere il tuo matrimonio per unirti a me, null'altro può guidarti
fuorchè l'amore che mi porti. Ti chiedevo una prova dell'amor tuo: me la
dài. Grazie, Rosanna!

Una gran tenerezza gli faceva tremare un poco la voce. Tutti quegli
argomenti egli non li aveva cercati, non li aveva accattati come
pretesti: erano vere ragioni emerse spontaneamente dal fondo del suo
pensiero, come espressioni di verità lampanti. I cattivi sospetti erano
stolti. Dopo averlo riconosciuto, dopo aver confessato il moto di
diffidenza, si sentiva migliore, degno del suo perdono.

--Rosanna, tu m'hai compreso e perdonato. È vero che mi credi senza che
io aggiunga altre parole?

--Sì, ti credo,--proferì ella, gravemente.

Egli si abbandonò. Passata una mano alla sua vita, stringendosi al suo
fianco, aderendo a lei, guancia contro guancia, mormorò:

--Rosanna, è detto. Da due mesi, dal giorno che mi annunziasti il suo
ritorno, questo è il primo momento che traggo liberamente il respiro. Se
mi avessi annunziato prima la possibilità di questa soluzione.... No:
non ti rimprovero! Forse avrei tentato di resistere, come ho resistito
ora.... Ma non te ne dolere: è una prova; vuol dire che il bisogno di
averti tutta per me è tanto forte da trionfare delle mie inveterate
consuetudini di vita e di pensiero. Io non volli mai legarmi ad una
donna, neanche a te: lo sai, te lo dissi. Ma in questi due mesi di
spasimi insopportabili, una rivoluzione è avvenuta nella mia vita; a
poco a poco, ogni giorno, ogni ora che passavo lontano da te, sentivo
sorgere, ingigantire ed urlare la necessità di farti mia, di farmi tuo,
per sempre. Stanotte, qualche ora addietro, quando ti ho aspettata
struggendomi di desiderio doloroso, quando ho udito che un pericolo
terribile era sorto sulla tua via, compresi che questa vita non è più
possibile. Rosanna, la legge sociale e morale vuole che ogni uomo abbia
una sua propria donna: io l'ho trasgredita, ma perchè non avevo ancora
trovato chi prendermi. È venuta la mia ora, l'ora della crisi, della
rinnovazione. Grazie a Dio non è troppo tardi, ma non è neanche presto,
e non ho più tempo da perdere. Affretta il giorno della tua liberazione,
e di qui ad allora ti giuro che non farò più nulla che ti dispiaccia. Se
vuoi che non ti veda più, che non ti scriva più, che sparisca, non mi
costerà nulla obbedirti, sorretto dalla divina speranza, dalla certezza
beata. Andrò ad aspettarti in capo al mondo, o a Promonte. Ci sposeremo
lassù, vedrai finalmente il mio paese, entrerai da padrona nella mia
casa; ci sposeremo nella chiesa dove si sposò la mamma mia....

Sentì che ella scoteva la testa. Si volse a guardarla. Ella diceva di
no, con una mossa del capo, tacitamente.

--Non a Promonte? In un altro sito?... Dove tu vorrai!

--No.

--Come?... Non vuoi?... Non mi credi?...

--Ti credo, te l'ho già detto. Ma perchè questo matrimonio si sciolga,
perchè io torni libera di contrarne un altro con te, c'è ancora una
difficoltà.

--Quale?

Ella sorse in piedi. Lungo le strette curve sulle quali il treno volava,
la carrozza era scossa, urtata, sbattuta così violentemente, che
riusciva molto difficile mantenersi ritti. Afferrata con la sinistra
all'orlo della cuccetta superiore, ella distese la destra a cercare
qualche cosa in mezzo alle borse ed alle scatole che vi erano
sparpagliate.

--Che ti occorre?--domandò egli, sorgendo a sua volta.

--La borsetta a mano.

--Quella di cuoio?

--No, quella di maglia.

--Eccola.

Frugatovi dentro, tra il fazzolettino di pizzo, i guanti, le fialette,
il portamonete, ne trasse una lettera, gliela porse senza dir nulla e si
lasciò ricadere sul lettuccio.

Egli rimase in piedi, addossato alla parete, per leggere sotto la
lampada. La lettera portava un francobollo inglese, con la stampiglia
dell'ufficio di Londra; sulla busta, il nome e l'indirizzo di Rosanna,
scritti con caratteri grandi, larghi, forti: la scrittura del marito,
che egli riconobbe per averla vista sopra un'altra lettera odiosa:
quella annunziante il suo ritorno. Il testo, in inglese, diceva:

«Cara Rosanna, mia cara moglie, ti avverto che ripartirò per l'Italia
lunedì prossimo e che arriverò a Milano martedì, col treno delle 7 e 55
del mattino. Come mi promettesti, ti aspetto laggiù per tornare insieme
con te a casa nostra, dove passeremo gli ultimi giorni prima della
cerimonia. Io sono pronto, e non dubito che anche tu abbia tutto
preparato. Ho molto piacere che tu abbia scelto un paesetto del lago
dove nessun indiscreto ci disturberà; approvo pienamente che i ragazzi
siano affidati alla famiglia di tua cugina. Cara moglie mia, a ben
presto e per sempre».

Dopo aver letto, egli rilesse ancora, per comprendere, ascrivendo alla
sua imperfetta conoscenza della lingua l'oscurità di quelle espressioni.

--Che cosa vuol dire?--le domandò poi, abbassando il foglio, senza
tornarle a fianco.

--Non hai capito?

--Io no.... Tranne....

--Tranne?

--Che tu non m'abbia ingannato, assicurandomi che siete legalmente
uniti.

--Non ti ho ingannato. Ma ti ho spiegato che ci maritammo con una legge
che consente il divorzio, che lo pronunzia molto facilmente, per molti
motivi, compreso il consenso reciproco.

--Allora?

--Allora, quella cerimonia i cui effetti si possono annullare con un
semplice atto di volontà, quel matrimonio contratto fuori del mondo
civile, dinanzi ad un giudice di pace mezzo selvaggio, non ci sembrò la
cosa solenne che dovrebbe essere, che è per tutti gli altri. Allora,
siccome mio marito è cattolico, e più che cattolico, credente, fu
stabilito che avremmo celebrato un giorno il rito religioso in Europa,
per santificare la nostra unione, per renderla veramente indissolubile.

--E non ci avete pensato ancora?

--Non ancora.

--E lo celebrerete ora?

--Sì.

--Egli è venuto apposta?

--No. Io stessa gli ho chiesto di effettuare il nostro antico
proponimento.

--Tu? Quando? Ora?--pronunziò egli con impeto.

--Ora.

La guardò, poi si guardò intorno, come non sapendo dove fosse, come
cercando qualche cosa intorno a sè. Nella corsa sempre più turbinosa,
pareva che da un momento all'altro le lucide e fragili pareti della
cabina dovessero sfasciarsi, che il pesante carrozzone dovesse forviare
e frantumarsi. Ora, sotto una lunga successione di interminabili
gallerie, il fracasso era talmente assordante come se intere montagne
franassero.

--Tu?...--ripetè l'esterrefatto, pianissimo, quasi in un soffio,
chinandosi verso di lei, afferrandola agli omeri, figgendole gli occhi
nell'anima, trapassandola con lo sguardo infiammato.

--Sì, io.

--Tu, ora? Dopo aver visto la mia pena al solo pensiero del ritorno di
quell'uomo? Quando c'era una via d'uscita da quest'inferno, tu stessa
l'hai chiusa? Mi dirai almeno perchè?

E le strinse così forte le mani, che ella disse, con un ritorno
dell'ambiguo sorriso:

--Mi fai male, sai!

--Ti spezzo!--scattò egli, esasperato dal suo sorriso, improvvisamente e
confusamente sovvenendosi dei suoi lunghi dinieghi, delle sue
resistenze, delle sue ostilità, con l'impeto folle di trarne vendetta,
d'infrangere le morbide forme di quell'anima dura ed avversa.--Se tu
persisti in questo proposito, se non dichiari a quell'uomo che hai
mutato idea, ti spezzo, ti uccido piuttosto.

Ella rise più sottilmente ancora, dicendo:

--Via, non esagerare.... Noi non ci amiamo fino al delitto.

Improvvisamente egli la lasciò, le voltò le spalle, mosse un passo,
afferrò la maniglia dell'uscio per ripassare nella propria cabina. La
voce di lei lo trattenne: la voce non più fredda e incisiva, ma tenera e
dolce come nei momenti migliori.

--Sei capace di riconoscere la verità?

--Che cosa vuoi dirmi?--proruppe egli ancora.--Che recito? Che recitiamo
entrambi? Che recitano tutti? Che l'amor nostro, che tutto l'amore è una
finzione, che tutta la vita è un inganno? Grazie. Lo so.

Ella gli stese le due mani, prese le sue, se lo trasse a fianco.

--Stammi a sentire.... Vienimi qui vicino, così.... Stammi a sentire
senza interrompermi.... La vita è quella che è. Così com'è, una logica
rigorosa la governa.... Un giorno tu mi dicesti che non mi avresti
sposata, e fosti sincero. Zitto, lasciami parlare: non voglio essere
interrotta, ti dico!... Fosti sincero, fosti nella logica della
situazione d'allora. Io ero sola; nessuno ti dava ombra; perchè avresti
menomata la tua libertà?... Sai perchè ti feci quella domanda? Per
vedere se avresti mentito. Mentii io stessa, ti nascosi la possibilità
di sciogliere il mio matrimonio, per proporti il caso astratto, per
leggere nel fondo del tuo pensiero. Una promessa bugiarda mi avrebbe
fatto dubitare di tutte le altre tue parole. Fosti sincero, e mi
piacesti, e te ne fui grata. Ora dici che mi sposeresti, ora ti duoli
perchè voglio escluderne la possibilità, e sei sincero ancora. Con la
tua gelosia contro l'uomo che viene a riprendermi, non trovi, non puoi
trovare altra uscita fuorchè nel rompere questo legame e nell'accettare
di unirti con me. Anche questa è logica, anche ora dici quel che senti,
quel che devi sentire: io non dubito delle tue parole. Ma se ciò che ora
ti seduce si avverasse, se io fossi tua moglie, sai quale sarebbe la
logica della situazione nuova? Quando mio marito non fosse più mio
marito, quando non avesse più nessun diritto su me, quando non si
frapponesse più fra noi, tu non saresti più geloso di lui, ma
probabilmente di altri; e allora ti pentiresti di avere rinunziato alla
possibilità di lasciarmi se io ti tradissi, o più semplicemente il
giorno in cui l'amor nostro fosse finito; perchè lo sai, è vero? che
l'amore, come ogni altra cosa, finisce? Un uomo giunto all'età tua senza
avere provato il bisogno di prender moglie, può ridursi a portar via
quella d'un altro, ma per pentirsene poi, per accusare di sciocchezza sè
stesso e di calcolo quell'altra....

--Che dici?--tentò di interrompere egli, in un impeto di protesta.

--Non io; lo hai già sospettato tu stesso, or ora....

--Non m'hai compreso! Non m'hai perdonato!

--Ma sì, ma sì: ho compreso benissimo. Nulla di più naturale ed
umano....

--Ma non sai che un'altra donna, nella tua condizione....

--Lo so: altre donne, nella mia condizione, darebbero qualche anno di
vita per la possibilità di unirsi indissolubilmente all'amante. Lo so:
vi sono mogli che per raggiungere questo scopo fanno l'impossibile,
affrontano lunghi processi, adducono le più tristi e penose menzogne,
rinnegano la patria.... E stammi a sentire: finchè non ti avevo
incontrato, io mi rallegravo del mio privilegio. Non ammettevo di dover
tradire mio marito; ma pensavo pure talvolta, leggendo un romanzo,
udendo una musica, ricordando i sogni della prima gioventù, che un
giorno avrei potuto essere esposta ad una tentazione irresistibile....
Quel giorno avrei potuto mettere d'accordo il mio cuore e la mia
coscienza, con la facilità di ottenere il divorzio dalla legge africana.
E se alla nostra unione manca ancora la consacrazione religiosa, dopo
tanti anni, ciò non è stato già per la lontananza di mio marito, per i
troppo brevi suoi ritorni; ma perchè io stessa ho indugiato pensando che
fosse stolto rinunziare alla via d'uscita, nel caso che avessi amato un
altro uomo.

--E vi rinunzi ora che mi ami?--disse egli, interrompendola
violentemente, torcendole una mano.

Ella rispose, guardandolo in faccia:

--Sì, perchè ti amo.

Per un momento egli rimase attonito, senza fiato, come sospeso in un
dubbio oscuro. Ella gli prese la testa fra le mani, gli accostò la bocca
alla bocca.

--Perchè t'amo, capisci? mio malgrado, contro ragione, non so come, non
so quanto; e perchè questo è il solo modo d'amarti ancora e d'essere
amata da te. Tu m'amerai finchè sarò d'un altro: che m'importa del tuo
tormento? Finchè sarai geloso, mi amerai, da morirne; il giorno che
fossi tua moglie l'amor tuo finirebbe nella sicurezza, nella sazietà. Io
sono orgogliosa anche, sai, e non voglio doverti nulla. Anche se fossi
povero e mi dessi il solo tuo nome, ti resterei obbligata, e non voglio!
Voglio obbligarti io, invece; voglio che tu stesso debba a me qualche
cosa, poco o molto, non importa, non foss'altro ciò che l'amor mio è
stato finora nella tua vita d'uomo e d'artista.

Allora egli tremò, abbagliato dalla nuova bellezza diffusa nel viso di
Rosanna, dalla luce sfolgorante nel suo sguardo, oppresso e come
impaurito dall'ebbrezza prodotta dalle parole di lei, dal ritrovare in
lei finalmente, dopo i lunghi dubbî e gli sconforti e le disperazioni,
la donna amante che gli si era concessa dopo una lunga resistenza, ma
senza falsi pudori, senza ipocrisie, senza calcoli, per impeto di
simpatia, per forza di desiderio, per slancio di passione; allora, col
cuore stretto dalla vergogna per i sospetti concepiti un momento prima,
con l'anima chiusa dal dolore nel veder dileguarsi per volere di lei
l'insperata possibilità, egli pianse. Non una parola gli uscì dalla gola
stretta nello spasmo, dalle labbra bagnate dalle grosse lacrime che gli
rigavano il volto.

--Non voglio che tu pianga!--disse ella, accigliandosi,
ritraendosi.--Non mi piace il pianto d'un uomo. E poi, di che ti lagni?
Hai dimenticato ciò che mi dicesti una volta?

Egli la guardò senza rispondere, senza comprendere. Tante cose le aveva
dette! A quale alludeva?

--Non ti rammenti che prevedendo la fine dell'amor nostro, io previdi
anche che dopo di te avrei preso necessariamente un altro amante, e poi
un terzo, e poi un quarto, e che mi sarei a poco a poco ridotta come le
donne che hanno perduto ogni diritto al rispetto?

Il ricordo atroce irruppe nella sua mente. Infatti!... Senza una parola
nè un accento di rimprovero, accertando semplicemente una verità patente
ed una legge ineluttabile, ella aveva affermato l'impossibilità di
fermarsi nella via degli errori; gli aveva riferito il giudizio letto in
un libro: «Si trovano donne che non hanno avuto mai amanti, non se ne
trovano che ne abbiano avuto uno solo». Atroce, atroce la pena allora
sofferta. Ella non gli aveva rimproverato di averla sospinta per la
lubrica china, ma egli stesso ne aveva provato un rimorso acutissimo.
Una gelosia inaudita, la gelosia contro gli ignoti, ignoti ancora a lei
stessa, in braccio ai quali ella sarebbe caduta, lo aveva morso. Per
evitare l'estremo avvilimento di quella creatura, per evitare a sè
stesso il rimorso intollerabile, per salvare le anime loro, egli le
aveva proposto di lasciarsi, piuttosto, in piena passione, di amarsi da
lontano, dolorosamente ma puramente, di non amarsi piuttosto in nessun
modo, se a questo patto ella si sarebbe sentita sicura da nuove cadute.

--Non ti rammenti che mi offristi di rinunziare a me, per salvarmi?...
Te ne rammenti, è vero?... E allora, non ti lagnare! Lasciami stringere
a mio marito: è il mezzo di garentirmi contro nuovi pericoli e di vivere
solo, eternamente, nella mia memoria.

Egli chinò il capo, chiudendosi la bocca col fazzoletto, per reprimere
il nuovo impeto di pianto.

--Non piangere!--ingiunse ella ancora.

--Tu che comprendi tante cose,--le rispose, amaramente, con voce
rotta,--non comprendi il mio dolore?... Non comprendi che io darei la
vita per averti conosciuta prima, quando nessun'ombra aveva sfiorato
questa tua anima, quando nulla avrebbe potuto impedirti di accettare il
mio nome?

Ella tacque un poco, a capo chino, con lo sguardo fiso; poi disse,
piano:

--Sì, prima.... forse....

--Ed anche ora!--insistè egli, stendendo le braccia, cercando di
stringerla a sè, di vincerla con la forza dei muscoli e l'impeto delle
parole.--Ed anche ora, Rosanna; se tu vuoi, se credi all'amor mio, se
sei capace di leggermi nel cuore, di vedervi la fiamma che lo investe e
lo brucia. Se non vuoi che il rimorso avveleni tutta la mia vita, dimmi
di sì, dimmi di sì; altrimenti dovrò credere che tu intenda punirmi,
giustamente, perchè quando mi proponesti la prima volta l'ipotesi della
nostra unione, ricusai di accoglierla. Sii generosa, non mi serbare
rancore....

--Non te ne serbo.

--Allora non t'impegnare, Rosanna! Sei ancora in tempo! Non ti chiedo
altro che d'aspettare ancora un poco, per rassicurarti, per provarti che
non posso mutare, qualunque cosa avvenga; che abbandonarmi a te,
riposare in te, darti quanto mi resta di sentimento, di ingegno e di
vita, è l'unico mio desiderio, l'ultimo mio bisogno....

Ella scosse il capo, senza rialzarlo.

--No. Mai.

Egli si premè tra le mani la fronte scottante; poi, levatosi, si
appressò al finestrino, col petto oppresso, il respiro mozzato dall'aria
ormai greve della cabina, avido di ristorarsi al soffio della notte.
Restò invaso dallo stupore alzando la tenda: albeggiava, il cielo
impallidiva sulla terra ancora avvolta nell'ombra, le masse vegetali si
profilavano dense e nere sul lividore dell'orizzonte. Oltre la linea
della siepe fuggente e stormente al soffio impetuoso prodotto dalla
corsa del treno, i campi rigati dai solchi delle piantagioni, pezzati
dalle culture, divisi dai fossi; i casolari vigilati dagli alberi d'alto
fusto, nel mezzo dei chiusi, dormivano ancora, parevano abbandonati,
deserti, senza forme viventi, senza chiarori alle finestre, senza fumi
ai comignoli: solo nelle profondità dello spazio ricominciava la vita
col dramma eterno della notte e del giorno, con la tacita pugna della
luce e delle tenebre personificata nei miti antichissimi, perpetuantesi
nel tempo interminabile. Il convoglio fuggiva verso la notte in fuga,
come nella folle intenzione di raggiungerla, e gli occhi del dolente
tentavano di rifugiarvisi, gonfî di nuove lacrime dinanzi all'agonia di
quella notte d'amore e di dolore.

--È giorno?

La voce di lei, la mano di lei appoggiatasi alla sua spalla lo fecero
trasalire.

--Di già!

Poi, scorgendo gli occhi lacrimanti:

--Ancora?--soggiunse, crucciata.

Egli disse, in tono di amara preghiera, scrollando il capo:

--Che ti fa?... Lasciami piangere!

Il suo pianto era queto e dolce, senza singhiozzi. Piangendo le passò un
braccio attorno al collo, posò la fronte sulla sua spalla. Sempre
tentando d'infrenare l'impeto della commozione, disse:

--Capisco.... capisco.... Forse hai ragione.... forse l'amore finirebbe
se ti avessi tutta per me.... Tristo cuore, il nostro.... Tristo amore,
che ha bisogno di sentirsi insidiato, di lottare per vivere....

--Tutta la vita è lotta.

--È vero. È vero.

Di momento in momento la luce si diffondeva vittoriosa; il cielo
dell'orizzonte già splendeva come un'immensa lastra d'argento tagliata
da un fuso di nubi che s'indorava dalla parte del sole imminente. Egli
volse lo sguardo da quello spettacolo agli occhi della donna. Anche in
lei, anche nell'anima sua, un contrasto di luci e d'ombre, fulgori di
bellezze e oscurità profonde. Come giudicarla, se anch'egli aveva il
sentimento della propria miseria, se temeva di spingere lo sguardo nelle
oscure profondità della propria coscienza?...

--Che ore saranno?...--domandò la sua voce.

Egli trasse l'orologio.

--Sono le sei e dieci.

--Milano è vicina!... Rientra nella tua cabina. Ho bisogno di restar
sola.

--Vado. Mi richiamerai?

--Sì.

Le sfiorò la fronte con un bacio lieve, e la lasciò. Ancora il giuoco
degli specchi, nel passaggio, lo fece sussultare; poi, aperto il
finestrino della sua cabina, si abbandonò sul lettuccio. Con gli occhi
alla luce trionfante, abbacinato, cullato dal moto del treno dopo la
notte insonne, sentì il suo pensiero annebbiarsi. Era partito la sera
precedente? Non era passato un tempo lunghissimo, dal momento che aveva
ricevuto la lettera di Rosanna? Quante cose, nel giro di poche ore!
L'attesa alla stazione, il pericolo sulla linea ingombra, la corsa lungo
il binario.... Ma quanti maggiori mutamenti nelle disposizioni del suo
cuore, quanti più gravi avvenimenti nella sua intima vita! Dalla gioia
al pensiero di rivederla dopo tanta separazione, al proposito di
rimproverarla acremente per il lungo abbandono; dalla paura di perderla
spaventosamente in uno scontro di treni, all'ebbrezza di stringersela
viva sul vivo cuore; dalla rivelazione della possibilità del divorzio,
alla inesorabile deliberazione del ribadimento della catena.... Di un
altro! Di un altro! Era d'un altro, restava d'un altro, sarebbe sempre
stata d'un altro. Il treno la trasportava con la velocità del vento
incontro a quell'uomo, traversava senza fermarsi le stazioni minori,
sostava un istante nelle più importanti, riprendeva la sua corsa fatale
verso la mèta. Ora non più ostacoli lungo la via ferrata, libera fino
all'estremo orizzonte sui pingui campi ridestati dal sole. Così fossero
sorti altri ostacoli! Se almeno quel convoglio si fosse infranto contro
un altro, se si fosse precipitato in un abisso, se si fosse bruciato tra
le fiamme d'un incendio inestinguibile! Null'altro avrebbe potuto
impedire che Rosanna raggiungesse suo marito, che rendesse più stretto
il nodo coniugale. Meglio la morte, meglio morire schiacciato, arso,
annientato con lei, dopo avere intravvisto la possibilità di farla
sua!... Ecco, roteanti nella corsa del treno, le case del suburbio
milanese; ecco il conduttore apparire sull'uscio: «Siamo a Londra,
signore». A Londra? Come mai tanto lontano? Ma via, giù dal letto per
entrare nella cabina di lei, a darle l'ultimo bacio. Vuota, la cabina;
ella stava fuori, nel corridoio, in piedi dinanzi ad una finestra, fra
gli altri viaggiatori pronti a discendere; e non uno sguardo per lui,
quasi fosse divenuto un estraneo, quasi non lo avesse mai conosciuto.
Non si conoscevano più, come sotto il «Senegal»: ella era d'un altro.
Ecco: quell'altro aspettava sotto la tettoia, faceva cenni di saluto
alla donna sua; ma allora ella si rivoltava, rientrava un istante nella
cabina e traendolo a sè lo baciava sulla bocca....

Il bacio lo destò. Il sogno non era stato tutto ingannatore; ella era
china su lui, sorridente, odorante, fresca dopo il lavacro mattutino.

--Lévati, dormiglione: siamo a Milano. Distese le braccia per stringerla
a sè, ma ad un tratto udì picchiare. Rialzatasi rapidamente, ella sparì
dietro l'uscio del gabinetto.

--Avanti, chi è?

Il conduttore entrò annunziando:

--Siamo arrivati, signore.

--Grazie. Va bene. Pensate alle mie valigie.

Si alzò, si ricompose, uscì nel corridoio. Ella vi era già, gli sorrise,
gli stese la mano, come riconoscendolo in quel punto.

--Avete dormito bene, Bertini?...--A voce più bassa soggiunse:--Ti
permetto di accompagnarmi.

Egli dubitò di avere udito male. Non gli aveva scritto che alla
stazione di Milano doveva lasciarla, che dovevano fingere di non
conoscersi? Ma poichè ella si rivoltava, quasi a richiamarlo, ad
attirarlo presso di sè, la raggiunse e l'aiutò a discendere.

Un altro treno sopraggiungeva in quel momento, empiva la tettoia di
frastuono e di fumo.

--Chiasso?--domandò ella al facchino,

--Chiasso, sissignora.

Ella cercò tra la folla dei viaggiatori attraversanti i binarî,
avviantisi alle scale d'uscita.

--Eccolo!...--disse, riconoscendo l'alta figura del marito, intento
anch'egli a guardarsi intorno; poi ingiunse:--Seguimi.

Lodovico la seguì macchinalmente. Prima che potesse riflettere, che
potesse considerare quale fosse la nuova volontà di lei, la vide
scambiare un bacio col consorte e poi rivolgersi verso di lui:

--Francesco, ho il piacere di presentarti il signor Bertini.... un
grande scultore italiano.... un mio buon amico, col quale ho fatto
insieme il viaggio....



III.

Sul lago.


Acque grigie, cielo grigio, veli di nebbie erranti sulle coste dei
monti, solitudine e silenzio sulle rive fuggenti dinanzi al battello
vibrante e pulsante. Ai rintocchi della campana del timoniere, Perez,
ritto a poppa con gli sguardi verso le lontananze vaporose del bacino di
Morganella, si rivolse, vide il pontile sporgente dalla sponda sinistra,
lesse col cannocchiale il nome scritto sull'arco dell'approdo:
«Promonte-Fraida», e andò a cercare la sua valigia, deposta sotto
coperta per timore che venisse a piovere. Il «Ticino» era mezzo vuoto,
in quella uggiosa mattinata d'autunno; nessun forestiero tra gli scarsi
viaggiatori della prima classe; popolata solo la seconda, di paesani:
fattori di campagna con sacchi e fagotti, operai con gli strumenti del
mestiere, qualche contadina col capo avvolto nel fazzoletto vistoso, due
preti che si preparavano a scendere mentre il moto delle ruote si
arrestava, per riprendere subito dopo in senso inverso. Sul pontile non
c'erano nè viaggiatori nè curiosi: solo due marinai della «Lacustre»
pronti ad afferrare le gomene lanciate dai loro compagni di bordo.

Sbarcato con la sua valigia in mano, Perez si guardò intorno, un poco
imbarazzato: Lodovico gli aveva scritto che lo avrebbe rilevato
all'approdo, e non si vedeva nessuno.

--Non c'è una carrozza? Un omnibus d'albergo?--domandò a uno dei
marinai.

--Nossignore. A questa stagione c'è aperto il solo «Grand-Hôtel», alla
Fraida; ma l'omnibus scende soltanto alla stazione della ferrovia, a
Gozzana.

--Si troverà almeno qualcuno che mi porti la valigia e mi insegni la
via?

--Dove va?

--Dal signor Bertini, il cognato del dottor Salfi....

--Ah, bene!--rispose quell'uomo, con espressione di rispetto, udendo
pronunziare i due nomi.--Aspetti un momento che il battello sia
ripartito: proveremo all'osteria del Morello; e se mai, sono qua io.

Ma quando il «Ticino», liberato dalle gomene, fischiò sul punto di
riprendere la corsa, Perez udì il fischio prolungarsi in un tintinnìo di
sonagliere. Rivoltatosi, vide un calessino avanzarsi a tutta carriera,
arrestarsi di botto dinanzi al pontile: Lodovico lo guidava.

--Manca di funicolari, questa tua Promonte!--gli disse allegramente,
caricando la valigia sullo svelto veicolo.--Quando si sta fra le nubi,
si fa trovare almeno un ippogrifo!

--Scusami,--rispose l'altro.--Ho calcolato male il tempo. Ti prego di
scusarmi.

--Non ti scuso niente affatto: ti ringrazio. Almeno una volta in vita
mia avrò potuto pronunziare una parola regale: «Poco mancò non mi
toccasse aspettare!...»

Rise della propria facezia; poi, osservando il cavallino fremente per la
corsa vertiginosa e carezzandolo sulla groppa in sudore, esclamò:

--Ma guarda questa povera bestiola, come me l'hanno conciata!... Ma che
maniera di guidare!... Denunzieremo il signor padrone alla Società
zoofila del capoluogo!

Quando ebbe preso posto accanto all'ospite, quando il legnetto s'avviò
per la salita, gli mancò il cuore di scherzare. Se non avesse visto
l'amico suo da tre anni invece che da tre soli mesi, l'opera del tempo
avrebbe spiegato la trasformazione operatasi in lui; il solo dolore
dell'anima non poteva averla prodotta. I capelli delle tempie erano
quasi tutti incanutiti; sul viso scarnito e soffuso d'un lividore
malsano le occhiaie si erano gonfiate d'umore, come negl'infermi di
nefrite; i solchi delle rughe erano più profondi, le vene temporali più
turgide e serpiginose. Bisognava domandargli: «Soffri? Perchè non ti
curi?...» ma le parole gli morivano sulle labbra, per paura di toccare
la piaga secreta di quell'anima in pena.

Egli stesso ruppe il silenzio per domandargli:

--Sei partito iersera?

--Iersera.

--Hai fatto colazione?

--Sì, male, a bordo.

--Prenderai qualche cosa arrivando.

--No, grazie; aspetterò il pranzo, oramai.

Il cavallino scodinzolava, dondolava la testa, annitriva, quasi
scacciandosi di dosso la stanchezza per vincere l'erta della via
tagliata sul vivo e nudo fianco della montagna.

--Che vista!...--esclamò Perez, volgendo lo sguardo al lago, che
dall'altezza gradatamente crescente si slargava, svelando tutte le
sinuosità delle sue coste, tutte le macchie dei paeselli adagiati sulle
rive o inerpicati su per le frastagliate pendici.--Una lastra
d'acciaio,--riprese lo spettatore ammirato ed estatico,--in fondo a una
conca di lavagna: guarda che stupenda intonazione!... È questo il punto
da cui prendesti il bozzetto che mi mandasti dopo la prima
rappresentazione del «Fascino»?... Ma nel tuo quadretto c'è il sole, c'è
l'azzurro, c'è il verde....

Tacque, per la rinnovata paura di toccare un tasto falso. Dopo un'altra
lunga pausa domandò:

--A casa tua stanno tutti bene?

--Bene, grazie.

Come affrontare l'argomento scottante? Come riprendere la conversazione
interrotta da tre mesi, all'arrivo del «Senegal», dopo quanto aveva
saputo?... Accompagnato l'amico alla stazione, quella sera, con vane
parole di esortazione alla calma, con la viva raccomandazione di non
lasciarlo almeno senza notizie, non aveva più ricevuto da lui se non
qualche cartolina illustrata da diverse città e stazioni climatiche
svizzere. Gli aveva scritto egli stesso; ma la sua lettera, diretta alla
posta di Lucerna, non doveva, essergli pervenuta, perchè era rimasta
senza risposta. Aveva chiesto di lui a sua sorella, a Promonte, ed ella
gli aveva fatto sapere che era tornato lassù, con lei, ma in condizioni
di salute e di spirito che la impensierivano. Si era proposto di
chiedere qualche giorno di licenza per andarlo a trovare, quando una
strana lettera gli aveva preannunziato l'imminente scioglimento del
dramma. Sulla busta, con l'intestazione del «Grand-Hôtel» di Fraida--una
frazione di Promonte, dall'altra parte del lago--la scrittura
dell'indirizzo gli era riuscita ignota. Cercata, prima di leggere, la
sottoscrizione, il nome di Rosanna Lariani lo aveva stupito. Che mai
poteva volere da lui?... Ella gli si rammentava, evocando rapidamente i
ricordi di Valsorrisa; poi gli chiedeva senz'altro un favore.
Al suo matrimonio, contratto civilmente nella Stanlesia, era
mancata--narrava--la benedizione religiosa; un po' tardi, ma in tempo,
aveva deciso, d'accordo col marito, di accostarsi all'altare; per
evitare l'indiscreta curiosità dei conoscenti, sarebbero andati a
sposarsi in un paesetto fuori mano, a Promonte sul Lago, la terra natale
del comune amico Bertini; e poichè questi aveva accettato di essere suo
testimonio, ella chiedeva a lui stesso se voleva servire da testimonio
al marito; in caso affermativo, lo pregava di trovarsi lassù per la
mattina del 27 ottobre, alle 7; la cerimonia si sarebbe celebrata,
beninteso, con estrema semplicità, senza la minima concessione alle
consuetudini mondane, senza nessun altro spettatore fuorchè i due amici
testimonî, ai quali era data viva preghiera di astenersi da ogni
formalità, di non darsi altro disturbo fuorchè quello di assistere al
compimento del rito.... Naturalmente egli aveva risposto accettando,
annunziando anche a Lodovico che sarebbe arrivato con la seconda corsa
del 26. Nulla gli aveva chiesto di spiegargli, come se avesse compreso
ogni cosa; e in verità, quantunque ignorasse quanto era sopravvenuto,
aveva intuito la gravità della crisi. Per ribadire l'anello che la
legava al marito, bisognava che quella donna volesse sottrarsi
all'amante; ma perchè mai, allora, proprio l'amante doveva assistere a
quelle nozze? Un secreto accordo era intervenuto fra loro? Ma allora che
cosa crucciava, quale pena rodeva l'amico suo?

--Volendo ripartire domani,--gli domandò, per dire qualche cosa, per
interrompere il silenzio penoso,--quale corsa mi conviene prendere?

--Quella del pomeriggio. La mattina il battello in discesa passa alle 5;
bisognerebbe levarsi alle 3 per giungere in tempo.

--No, non ho furia; preferisco aspettare.

Tacque ancora; poi ridomandò:

--E tu, ti tratterrai un pezzo quassù?... Tornerai a Firenze?... Che
cosa ti proponi di fare?

L'interrogato si voltò a guardarlo con espressione di meraviglia.

--Mi tratterrò?... Dove andrò?... Che cosa farò?...

Pareva in preda a un grande stupore, come se le domande fossero troppo
bizzarre e stravaganti.

--E tu, lo sai che cosa farai?... Lo sa nessuno, quel che farà?...
Conosci qualcuno che faccia ciò che vuole?... Ah, sì!...

Un carro in discesa era apparso da una svoltata e s'avanzava
incrociandosi col calessino. L'uomo che lo guidava, un contadino di
dubbia età, con le labbra sottili interamente sbarbate, gli occhietti
lucenti, il collo avvolto in un fazzoletto, salutò profondamente,
cavandosi il berretto.

--Riverisco, signoria!

--Ciao, Pin!...--gli gridò lo scultore, improvvisamente animato, con un
sorriso ed un gesto vivace.--Tien duro, Pin!... Non mollare!...
Vendiamolo caro, quel seme....

--Stia pur sicuro!...--gridò a sua volta il passante, con un riso
sonoro.--A Pinella Scórcola non la fanno mica!...

--Bravo Pinella!...

Ma gettata quella voce d'approvazione all'uomo già lontano, lo sguardo
del dolente si spense.

--Quel bruto, sì, fa ciò che vuole; sa quanto deve vendere il suo
raccolto, come può frodare il compratore.--Dando un colpo di frusta al
cavallo che trasalì e quasi s'impennò all'inusato maltrattamento,
soggiunse:--Tu lo sai ciò che vuoi: arrivare presto alla stalla,
mangiare il tuo sacco di biada.... Ma io, ma noi....

--È vero!--mormorò Perez, chinando il capo, pensando alla stranezza del
caso che lo faceva salire su quell'alpe per assistere alle rinnovate
nozze d'un uomo che non conosceva e della donna per cui l'amico suo
spasimava.

Ma Lodovico, con voce rauca, strozzata da un colpo di tosse, ribattè:

--È vero, che cosa?... C'è qualche cosa di vero?... C'è qualche cosa di
reale?... Io ti domando se questa scena che ci sta dinanzi esiste, se
noi che parliamo esistiamo, se l'universo e la vita hanno nulla di
consistente.... Divago? Hai paura che mi giri?

--Vedo che soffri.

--Ora? In questo momento? No. Ora non soffro.

Perez tentò di prendergli la mano guantata che stringeva le redini,
esclamando:

--Lodovico, lasciami dire....

Ma egli continuò, come se non avesse udito l'interruzione:

--Ora mi par di sognare.... Ti giuro che il solo sentimento ancora vivo
in me è lo stupore.... Non mi riconosco, non riconosco niente intorno a
me.... Tutto ha un senso nuovo, insolito, impenetrabile.... La memoria
m'inganna.... Ho tardato a ordinare che attaccassero perchè non pensavo
più che tu dovessi arrivare a quest'ora.... quantunque il motivo del tuo
viaggio.... quello, no, non mi fosse uscito di mente!...

Rise d'un riso così doloroso, che Perez ripetè con nuova effusione il
gesto, gli strinse con più forza la mano ed espresse finalmente tutta la
sua inquieta curiosità domandando, a frasi rotte, per accenni:

--Ma perchè?... Che cosa significa?... Siete d'accordo?... Con quale
intenzione?

Abbandonate le redini per rispondere alla stretta della mano amica,
Lodovico mormorò, battendo le ciglia sugli occhi stanchi:

--Perchè!... Perchè questa è la logica, dice, della nostra
situazione.... Perchè il nodo che la stringe a suo marito è troppo
saldo, perchè quell'uomo soffrirebbe troppo nel perderla, perchè i figli
non possono essere abbandonati....

--Va bene; ma quale necessità di compiere la nuova cerimonia?...

--Non potendo disfare questo nodo, bisogna, dice, rinsaldarlo. Si sono
sentiti, dice, poco maritati dalla legge africana, che consente il
divorzio con estrema facilità; vogliono, vuole, una conferma
irrevocabile.

--E tu, proprio tu, devi servirle da testimonio?

--Io. E la cerimonia deve celebrarsi proprio qui, nella chiesa del mio
paese; e tu, il mio migliore amico, il mio confidente, anche tu devi
esser presente.

--Lo so, ma non capisco. Perchè?

--Perchè! Forse perchè io non possa dubitare che il suo proponimento è
stato attuato; perchè neanche in sogno io creda più alla possibilità che
torni libera.

--Ma dunque.... volevi che divorziasse?

Il dolente strinse anche più forte la mano fraterna.

--Non posso vivere senza di lei.

--Volevi sposarla?...--insistè Perez, stupito.

--Ti pare incredibile? Non te ne sai dare ragione?... Ma capisci ora la
parte che questa donna ha presa nella mia vita?... Sì, ho voluto unirla
a me, per sempre.... E la perdo, invece, per volontà sua, unicamente. E
non posso maledirla.... Tu che studii il cuore umano, studia questo
caso: ella mi sfugge perchè mi ama. Questa è, dice, la più gran prova
d'amore che m'abbia data. Ascolta, tu che passi come me la vita a
cercare immagini di bellezza: io le dissi un giorno, ai primi tempi
dell'amor nostro, che bisognava fare una cosa bella di questo nostro
amore, che bisognava salvarlo dalla corruzione, dalle volgarità....
Quando mi è parso che la dissoluzione del suo matrimonio e la nostra
unione fossero ciò che di meglio potessimo fare per la bellezza
dell'esempio che avremmo dato al mondo, ella ha sdegnosamente sorriso,
mi ha dimostrato che ci saremmo odiati il domani delle nostre nozze;
mentre, dal momento che ci saremo uniformati alla necessità, che avremo
sacrificato il nostro piacere al dovere, che avrò assistito alla
benedizione del suo anello nuziale, la nostra fiamma purificata arderà
più alta, la stessa memoria dell'amor nostro sarà benedetta....

La sua voce si spense in un brivido. Lasciata la mano del compagno,
riafferrò le redini, le trasse forte a sè, fece arrestare la bestia e
balzò a terra.

--Lodovico! Che fai?

--Nulla: mi muovo.

Perez scese anche lui, gli si pose a fianco, incapace di proferir
parola. Sentiva l'inutilità di qualunque commento, l'intimo accordo dei
loro giudizî nel riconoscere che quella soluzione era veramente la più
degna, la sola degna. Soltanto, mentre egli la considerava teoricamente,
da spettatore disinteressato, il cuore dell'amico suo sanguinava. Come
confortarlo? Che dirgli?

Il cavallo, nonostante la minor gravezza della soma e la minore pendenza
della strada già presso al termine, non aveva modificato l'andatura. Ora
il lago era scomparso dietro le spalle dei viandanti; in una insenatura
della montagna si scorgeva il paesetto con le sue casette bianche sparse
come un gregge intorno ad una massa alta e scura: la chiesa. Fra poche
ore, lassù, si sarebbe compiuto il rito. Come avrebbe Lodovico sostenuto
la commozione ineffabile, se il solo pensiero di ciò che si preparava lo
turbava così? E che cosa sarebbe poi avvenuto dei due amanti?
L'intenzione di attingere nella benedizione nuziale nuova forza per
resistere alla tentazione e tornare al suo ufficio di moglie e di madre,
chiudendo nel cuore la fiamma del sentimento vietato, deponeva senza
dubbio in favore di quella donna; ma i migliori proponimenti sarebbero
poi valsi contro l'abito contratto, contro la forza dei ricordi? Che
ostacolo avrebbe ella potuto trovare nel compimento della cerimonia
religiosa al proseguimento dei loro secreti rapporti? Vedendo l'angoscia
dell'amico, Perez pensava di confortarlo con questo argomento: «Non ti
disperare: costei che ti dà una prova d'amore rifiutando di unirsi a te,
ma per restar tua con la memoria, col cuore, tornerà a te, nell'altro
modo, quando vorrai....» ma uno scrupolo lo tratteneva, un senso come di
pudore all'idea di negare una cosa bella, la saldezza dei buoni
propositi di lei, la possibilità che entrambi perseverassero nel
sacrifizio.

--Partiranno subito?--domandò tuttavia, per dedurne quando e dove
avrebbero potuto rivedersi.

--Subito.... Scenderanno a Gozzana per prendere il treno delle undici e
cinque.

--Tornano a Firenze?

--Per prendere i figli. Ripartono per l'Inghilterra.

--Suo marito non torna in Africa?

Lodovico rispose di no con una mossa del capo.

--No? Non vi torna più?

Con uno sforzo su sè stesso, l'interrogato proferì:

--No.... Si è dimesso.... Si stabiliscono a Londra....

A quell'annunzio, improvvisamente, Perez ebbe la piena coscienza del
proprio torto. Il sacrifizio era totale, per volontà di lei,
evidentemente; ella aveva sentito che non bastava unirsi spiritualmente
al marito, ma che doveva restare al suo fianco, materialmente, vigilata
dal suo affetto, lontana dalla tentazione. Nulla restava da dire per
consolare l'afflitto; nulla, fuorchè lodare la bellezza di quell'anima;
ma ogni parola di lode non avrebbe aperto una nuova ferita nell'anima
dell'amante?

Procedettero ancora un pezzo in silenzio; poi, alla Croce del Calvario,
scoprendosi il panorama della Valsilvana, simile ad uno squarcio enorme
nel fianco della terra, con le vene denudate del Borchio e della
Marsaglia, Perez sostò un momento, volgendo lo sguardo per il paesaggio.

--E questo «Grand-Hôtel» di Fraida?--domandò all'amico.--Io non me ne
rammento.

--Dall'altra parte della montagna, oltre il bosco dei larici.

--La conosco, Fraida; dico che questo albergo due anni addietro non
c'era.

--È nuovo, dell'altro anno.

Superato l'ultimo tratto dell'erta, il cavallo s'arrestò al principio
d'un viale piano e diritto. Pareva che l'intelligente animale volesse
significare: «È ora di risalire». Lodovico, infatti, riprese il proprio
posto, seguito dall'amico. Appena sentì le redini in mano al padrone, la
bestia ripartì al piccolo trotto, con la testa alta, scodinzolando. In
pochi minuti percorse il viale, sino in fondo alla piazza.

La chiesa la dominava, da una specie di alta terrazza alla quale si
saliva per una larga gradinata: una chiesa severa come un castello,
munita di due campanili che parevano torri, coi muri disadorni anneriti
dall'età, umidi e rivestiti di musco alla base. Un poco più in alto
della chiesa, di fianco, tra una folta macchia di alberi, un vasto e
basso casamento, con una specie di rustico, portico, formato da colonne
di mattoni: la vecchia casa dei Bertini. Il cavallo s'avviò lentamente
per la ripidissima viottola che portava lassù. Sotto il portico i
parenti dell'ospite aspettavano: la sorella, il cognato, i nipoti.

--Benvenuto!... Bentornato fra noi!...--esclamò il dottore, con un
sorriso cordiale sulla faccia barbuta, stendendo le braccia nerborute a
prendere la valigia, a stringere le due mani dell'ospite.--Da quanto
tempo ci aveva promesso questa desideratissima visita!...

--Si vede--soggiunse la sorella, scrollando il capo precocemente bianco
di chiome, ma roseo e fresco di carnagione--che il nostro paese non gli
piace, e forse neanche la nostra casa!

Perez protestò vivacemente:

--Signora Laura, non mi mortifichi, adesso!... Sarei di difficile
contentatura se non giudicassi il paese semplicemente meraviglioso; e
quanto alla loro casa, è proprio sicura che sia tutta loro, dopo che io
vi sono venuto?

--Questo è anche vero! Ma se non esercitate la vostra parte di
proprietà, c'è il caso d'incappare nella prescrizione!

--Eccomi qui ad interromperla!... Come cresce questa
gioventù!...--esclamò poi, rivolgendosi ai due adolescenti, posando la
mano sulle loro spalle, e fermandosi estatico dinanzi alla piccola
Rita.--Ma guardate un poco come ci siamo fatte grandi e belle, zitte
zitte, senza dirne nulla allo zio del cuore!... Non te ne rammenti più,
dello zio del cuore?... Abbiamo perduto un poco di memoria, intanto che
ci siamo fatte signorine?...

La bimba avvampò. Bruna con gli occhi azzurri, il viso magro e allungato
dei Bertini, la personcina slanciata, l'espressione dolce e patetica,
pareva una figura spiccata da un quadro.

--Se lo zio del cuore vuol vedere la stanza che gli abbiamo
preparata....

--Sicuro che voglio vederla! E bada bene che se non è bella come quella
dell'altra volta, mi prenderò la tua!

Era ancora la stessa, all'angolo di mezzogiorno e di levante, con le due
finestre aperte sulle vedute della valle e del lago: un grosso mazzo di
violette, in un vaso di cristallo sulla scrivania, la profumava. Egli vi
si trattenne il tempo di disfare la valigia, di mettere in ordine le sue
cose e cambiarsi; subito dopo uscì nel salotto in cerca di Lodovico.

--Mio fratello è andato un momento fuori,--gli disse la signora
Laura.--Se avete bisogno di qualche cosa....

--Grazie! Di nulla!... Non sarà nello studio?...

--Oh, nello studio!...--esclamò l'interrogata, con espressione di
profondo rammarico.--Non vi ha posto piede da che è qui; non ne ha
neppure cercato la chiave!

--Non se ne dolga. Lo lasci riposare.

--È quel che ho detto per iscusarlo, a chi si lagna della sua inerzia.
Vi ha parlato almeno del monumento sull'Antalba?

--No.

--Vedete?... Il suo nome fu concordemente suggerito da tutti, quando
sorse l'idea d'innalzare una grande immagine sacra su quella vetta. Si
sono raccolte più di trentamila lire: somma ragguardevole, se pensate
che il nostro paese non è ricco, e che, naturalmente, questo denaro
dovrà servire alle sole spese vive. Per la scelta del tema si sono
interamente affidati alla sua fantasia d'artista; monsignor Garbarini,
il nostro vescovo, gli ha fatto sapere che se i fondi disponibili non
basteranno allo svolgimento di un'idea grandiosa, supplirà del suo. Ma
dopo molte promesse, dopo le calde sollecitazioni rivoltegli da Don
Pietro Castelli, il nostro vecchio e buon curato orgoglioso di lui più
che un padre del figlio, egli non parla neppure di mettersi al lavoro.
Aveva detto che doveva risalire su quel monte, per ispirarsi: dacchè è
qui, è uscito oggi la prima volta, per venirvi incontro.

--Ha lavorato tanto, a Firenze....

--Non è il lavoro quello che lo abbatte così; io so di quali sforzi è
capace quando ha sereno lo spirito.... Sentite, Perez, giacchè siamo su
questo doloroso argomento.... Noi abbiamo aspettato con tanta impazienza
questa vostra visita perchè speriamo molto in voi.... Non vedete com'è
ridotto il mio povero Lodovico?

--Mi pare un poco sofferente, infatti. Che ha?

--Lo sappiamo, forse?... Mio marito non è riuscito ad osservarlo, non
gli ha potuto strappare una sola parola. Dichiara che sta benissimo! E
non digerisce, passa le notti insonni....

--Neurastenia, dispepsia nervosa, probabilmente.

--Poterlo credere!... Noi facciamo assegnamento su voi, Perez, che gli
siete tanto amico, che avete la sua confidenza.... Con noi è chiuso,
irritabile a un grado che non posso dirvi.... Interrogatelo, diteci che
ha, che cosa possiamo fare per lui; fate voi stesso qualche cosa per
guarirlo, per divagarlo....

--Proverò, signora Laura; ma bisognerebbe aver tempo, e disgraziatamente
i giorni della mia licenza sono contati.

--Già, dimenticavo che siete venuto per la cerimonia di domani, non per
noi.... Siete molto più amico di quei signori che nostro!

L'espressione di fiduciosa preghiera, di cordiale abbandono che aveva
animato il suo viso e la sua voce diede luogo, mentre ella proferiva
queste ultime parole, a un senso di riserva, quasi di diffidenza.

--Amico no, davvero!...--protestò Perez.

--No?

--Conobbi la signora a Valsorrisa, due anni addietro, quando passammo la
stagione lassù con Lodovico.

--Giovane? Bella?--domandò l'altra, a denti stretti.

--Ma come? Non la conosce?

--Io no.

--Non sono qui col marito, alla Fraida?

--Sì, ho sentito che vi sono tornati da qualche giorno, dopo esservi
stati un mese fa, per la richiesta delle pubblicazioni; ma io non li ho
visti, nè allora nè ora....

Perez tacque un poco; poi, come spiegando la cosa a sè stesso, riprese:

--Senza dubbio, nella loro condizione particolarissima, hanno bisogno di
solitudine, di raccoglimento....

--Senza dubbio!--ripetè la signora Laura.--Nessun indiscreto--soggiunse,
sottolineando la parola con l'intonazione della voce e un gesto della
mano--li disturberà.

--Però, con loro.... coi parenti di Lodovico....

--Ma già: è quel che si potrebbe pensare, se gli sono tanto amici da
scegliere proprio il suo paese per compiervi questa....--Non pronunziò
la parola; dopo una breve reticenza riprese:--Non mancavano certamente
siti fuori mano, in Toscana.... se stanno a Firenze....

--Vi sta la signora. Il marito è rimasto finora in Africa, nella
Stanlesia.... Suo fratello non le ha narrato?

--Lodovico non è stato mai molto loquace; ora, poi....

Parve che ella volesse aggiungere qualche cosa, ma si rivoltò a un
tratto udendo rumore di passi: lo scultore apparve sull'uscio.

--Laura,--disse alla sorella,--non mi riesce di trovar la chiave dello
studio. Dove l'avranno cacciata?

--L'ho serbata io. Ti serve?

--Bisognerebbe aprirlo per mettervi un po' d'ordine.

--Subito. Faccio da me, o vieni anche tu?

--No, io resto con Perez.

I due amici uscirono sulla terrazza. Il velo della nebbia si era
sollevato un poco; un sole pallido, senza raggi, pendeva sulla cima
Antalba.

--Ho sentito del monumento sacro che vogliono innalzare lassù,--disse
Perez.--Ti disponi a lavorare?

--Io?... Se mi dài un'idea, se mi spieghi che cosa debbo fare!...

Si appoggiò a una delle colonne, strappò alcune foglie gialle dalla vite
che vi si attorcigliava, e soggiunse, pianissimo, come parlando tra sè:

--Domattina verrà qui.

--Ho sentito che tua sorella non la conosce ancora.

--No. Non ha voluto conoscere nessuno dei miei, non ha voluto entrare in
questa casa, prima della funzione sacra....

Perez chinò il capo in atto d'approvazione, senza pronunziare le parole
di lode che gli venivano alle labbra.

--A proposito!...--esclamò poi,--vorrei dirti una cosa.... La signora
Lariani mi scrisse di astenermi dalle solite formalità; ma fiori vorrei
pure mandarne.... anche come annunzio che sono arrivato.

Lodovico rispose, con lo stesso tono raccolto:

--Fiori, sì. Li mando anch'io....

--Ne avete sempre tanti, in giardino? Tuo cognato li coltiva con la
stessa passione?

--Sempre....

La piccola Rita attraversava in quel momento la terrazza correndo. Visti
i due amici, si fermò di botto.

--Rita,--le domandò lo zio,--dov'è tuo padre?

--L'hanno mandato a chiamare da Cecco della Gervasa.... Dice che sta
molto male.

--E tu dove vai?

--In giardino, a coglier fiori per la cappella del Redentore.

--Lasciane, dei belli.... Ne ho bisogno.

--Eh!...--rispose la bimba, facendo col braccino un gesto largo.--Prima
che li colga tutti!... Ma se vuoi scegliere, perchè non vieni con me?

--Mi pare che la mia nipotina del cuore abbia proprio ragione,--approvò
Perez.--Andiamo anche noi.

Si avviarono. Dietro l'edificio principale, oltre la corte interna,
dirimpetto ai corpi rustici, il vecchio granaio che lo scultore aveva
trasformato e adattato a studio già mostrava il grande uscio e le
finestre spalancate. La signora Laura, vedendo passare la piccola
brigata, venne innanzi sulla soglia.

--Dove andate?

--In giardino,--rispose Rita.

--Laura,--soggiunse lo scultore,--io e Perez abbiamo bisogno di fiori,
per stasera.

--Ma....--fece ella, esitante, e quasi con un moto di
contrarietà.--Domani, veramente, bisognerebbe ornare la cappella, alla
Guardiola.

Un lampo passò nello sguardo di Lodovico. Egli rispose, con voce dura:

--Se bisogna ornare la cappella, cercheremo altrove....

--Ma no, ma no.... fa' pure.... ce ne sarà per tutti....--soggiunse
tosto la signora Laura, riguardosa a un tratto, e come pentita delle
prime parole; mentre suo fratello, voltatosi verso la bambina, le
ingiungeva brevemente:

--Rita, andiamo!

La bimba, quasi comprendendo il secreto dissenso dei parenti, si voltò a
guardare la madre coi grandi occhi inquieti, poi si mosse dietro allo
zio.

Allora, con voce concitata e dolente, la signora Laura trattenne un
istante l'amico.

--Vedete, Perez?... Ha preso fuoco.... Che gli ho detto?

--Sst!... Stia zitta!... Venga, venga con noi....--E procedendo a brevi
passi, in modo da far crescere la distanza dai due che li precedevano,
l'ospite riprese:--Scusi, mia buona amica, ma neanche a me sembra che la
nostra richiesta le abbia fatto molto piacere....

Vivacemente, schiettamente, ella confessò:

--È vero, sì.... e ve ne chiedo scusa!... Ma che volete!... Se dovessi
dirvi che vediamo con molta simpatia questa donna, non sarei punto
sincera.

--Mi permette di dirle che ha torto?

--Perchè è venuta qui? Perchè si nasconde da noi? Che cosa significa
questo tardivo matrimonio religioso? Che cosa vuole da mio fratello?...
No, Perez: bisogna che vi dica tutto, una buona volta.... Io sento che
il male di Lodovico viene da lei.

Egli rispose, con voce grave:

--Il male, ma forse anche il bene.

--Come sarebbe a dire?

Erano sulla soglia del giardino, dove lo scultore e la sua nipotina
cominciavano ad aggirarsi, chinati sulle aiuole, sui vasi, sulle piccole
tettoie che riparavano le piante più delicate dalle intemperie.

--Signora Laura, a una donna d'alti sentimenti come lei si può, si deve
anzi dir tutto, affinchè giudichi serenamente.... La signora Lariani è
stata una grande passione di Lodovico; non è mancato per lui se, invece
di rendere indissolubile il nodo coniugale, ella non lo ha sciolto,
chiedendo ed ottenendo il divorzio in Africa per sposare suo fratello.
Lei stessa si è opposta a questo disegno; lei stessa, stringendosi al
padre dei proprî figli, rende impossibile la pazzia che Lodovico avrebbe
commessa a cuor leggero. Non ha voluto lei stessa conoscere nessuno di
loro, finchè la benedizione nuziale non avrà cancellato il ricordo del
legame colpevole e riscattato l'errore.

--Ah!...--fece la signora Laura, fermandosi e guardando l'ospite con un
senso d'immenso stupore.

--Domani, dopo la cerimonia, prima di partire per l'Inghilterra, dove
vanno a stabilirsi, verrà qui. Veda lei, nella sua bontà, nella sua
giustizia, se merita di essere accolta ostilmente....



IV.

Il rito.


Il domani, all'alba, mentre ancora tutta la casa era immersa nel sonno,
Perez fu destato dalla cameriera che venne a portargli il caffè. Si
levò, si vestì rapidamente, e andò a picchiare all'uscio di Lodovico. Lo
trovò seduto alla scrivania, con la testa fra le mani: vedendo il letto
non ancora disfatto e le molte carte strappate nel cestino, comprese che
aveva passata la notte a scrivere ed a stracciare i suoi scritti.

--Se la cerimonia è per le sette,--gli disse, senza dare a divedere
d'essersi accorto di nulla,--non abbiamo molto tempo da perdere.

--Sono pronto.

Uscirono insieme nella corte, montarono sul calessino già attaccato,
guidato questa volta dal fattore, che prese la via della Fraida. Non
scambiarono una parola durante il breve percorso, sotto il bosco dei
larici. La nebbia si era riaddensata, nella notte, ma un vento fresco
che cominciava a levarsi la discacciava ora lungo le coste dei monti, la
faceva svaporare dalla valle come da una immensa caldaia. Una carrozza a
quattro posti stava ferma dinanzi al cancello del «Grand-Hôtel»; gli
sposi aspettavano nel salottino del pian terreno rialzato. In un
semplicissimo abito da viaggio, di color grigio, senza trine, senza
nastri, con una sola spilla al colletto, formata da tre serpentelli
annodati in un triplice simbolo di eternità, la signora Lariani, in
piedi accanto alla finestra, leggeva un libro che posò sul davanzale per
volgersi ai sopravvenuti.

--Grazie dei fiori!--disse, mostrando i mazzi disposti in due
grandi vasi sul pianoforte.--Grazie a voi, Perez, d'avere
accettato....--Rivolta al marito, presentò:--Domenico Perez, Francesco;
il dotto e l'artista di cui ti ho tanto parlato, che ci fa il piacere di
esser tuo testimonio.

Il colonnello Harrington gli strinse la mano, dicendo in un italiano
alquanto dentale:

--Le sono molto grato dell'onore che mi fate.

--Lieto e fortunato io stesso....

--Sono le sette precise,--riprese ella, dopo aver guardato l'orologio, e
rivolgendosi allo scultore, a cui il colonnello si era avvicinato,
salutandolo con molta cordialità.--Non si potrebbe essere più puntuali!
Il tempo di prendere una tazza di tè: volete?

--Grazie, no....--si scusò egli, inchinandosi.

--Allora voi, Perez?

--Volentieri, signora.

--Poco latte o molto?

--Moltissimo.

--Quante altre volte siete venuto quassù?--gli domandò ancora,
servendolo.

--Tre o quattro; ma non mi sono bastate. Bisognerebbe viverci tutta la
vita.

--Tutta è forse troppo; ma pochi luoghi, veramente, ho visto di una
bellezza così perfetta. È vero, Francesco?

--Sicuramente,--confermò l'interrogato, cominciando ad infilarsi i
guanti.--Vi sono paesaggi di più maestà, ma nessuno così.... così
«graceful».

--Ben detto,--approvò Perez.--La grazia è propriamente la qualità di
queste linee.

--«Do you speak english»?

--«Yes, Sir».

--«I am very glad»....

Mentre essi parlavano in inglese, ella s'avvicinò a Bertini, che
sfogliava il libretto da lei lasciato sul davanzale della finestra. Era
un opuscolo di poche diecine di pagine, legato di tela verde con fregi
d'oro; sul frontespizio miniato si leggeva: «Il Matrimonio cristiano,
con l'aggiunta della Messa per gli sposi». Ogni pagina, inquadrata di
rosso, era divisa in due colonne: una per il testo, l'altra per la
traduzione della «Benedictio anuli» e della «Missa pro sponso et
sponsa».

--Io non sono dotta come voi,--spiegò ella, con un sorriso di scusa.--Ho
bisogno di aiuto per comprendere le formole del rituale.

Egli rispose, senza alzare lo sguardo, continuando a sfogliare
macchinalmente le pagine:

--È un latino molto facile.

--Sì, quello della messa comune lo conosco anch'io; ma vi sono parti
nuove, in quella che andiamo ad ascoltare.... A questo proposito....

S'interruppe, sollevò le mani, si trasse dal dito l'anello nuziale, e
glielo porse.

Egli depose il libro, senza stendere la mano. Il suo sguardo pareva
cieco; il viso era livido e inespressivo come una maschera.

--Prendete, custoditelo; tocca a voi consegnarlo al sacerdote.

La mano che egli sollevò lentamente tremava; quando ella vi ebbe deposto
il cerchietto d'oro, si abbassò come gravata d'un peso insostenibile.

--«Stanlesia has been founded twenty years ago»,--spiegava il colonnello
a Perez;--«it is a free State of english speaking people»....

--Se non vi dispiace,--diss'ella, volgendosi dalla loro
parte,--continuerete la vostra conversazione in carrozza; ora è tempo
d'andare....

Raccolse da una poltrona i guanti e il mantello, che Perez corse a
reggerle; poi, preso il libretto della messa nuziale, disse a Bertini
che chiudeva con un gesto automatico l'anello nel portamonete:

--Datemi il braccio.

Si avviarono così, a fianco l'uno dell'altra. Ella era, come sempre,
perfettamente padrona di sè, sciolta nelle mosse, serena nel viso. Il
braccio di lui tremava tanto, il suo passo era così malfermo, che ella
sostò un momento, nel giardino.

--La mattinata è fresca. Vi levate mai così presto?

--Talvolta....

Tremava anche la sua voce, pareva che egli non potesse più dominarsi.

Ella si volse a guardare dietro di sè. Perez, rimasto solo mentre il
colonnello dava ordini al portinaio ed al cameriere, si avanzava a
raggiungerli.

--Quanto tempo è, Perez,--gli domandò,--che assisteste in duello il
vostro amico?

--Molti anni, signora; troppi anni!...--Sottolineando con l'espressione
della voce e dello sguardo l'esortazione al coraggio che era
nell'allusione di lei, soggiunse:--Ti rammenti, Lodovico?

Sopraggiunto il marito, salirono in carrozza: ella prima, additando a
Bertini il posto accanto al suo; Perez e il colonnello poi, sedendo sui
posti dirimpetto.

Il vento, ringagliardito, aveva squarciato il velo della nebbia; candidi
lembi ne rimanevano ancora attaccati alle asperità delle montagne,
simili a brandelli d'una gran veste lacerata; fiocchi di vapori
s'insinuavano fra i solchi della terra in modo da porne in evidenza
tutta la plastica.

--La cima Antalba è quella?--domandò ella, rivolta a Bertini, e
additando la vetta più alta della Gobba del Cammello.

--Sì.

--Lassù dovrebbe sorgere il vostro monumento?

Egli rispose con una impercettibile scossa delle spalle. Riprendendo
l'animato discorso in inglese col marito, Perez non lasciava con gli
occhi l'amico, e il ricordo evocato dalla signora Lariani si precisava
ora nella sua memoria. Nella prima gioventù, forse più di venti anni
addietro, in seguito a una discussione artistica invelenitasi e
degenerata in diverbio, egli aveva assistito Lodovico sul terreno, a
Roma. In una simile mattinata autunnale, lungo la via Appia, si era
trovato seduto come ora dinanzi al compagno in procinto di battersi; ma
il pericolo a cui il giovane andava allora incontro lo aveva reso
loquace, ilare, quasi felice, mentre l'uomo maturo pareva ora smarrito
all'appressarsi dell'ultimo atto della sua ultima passione.

Salita e girata dalla parte del monte, la carrozza venne ad arrestarsi
dinanzi alla porticina destra della chiesa: la sola aperta, delle tre.
Le poche persone che stavano giù nella piazza volsero appena il capo:
certamente la curiosità di assistere ad una cerimonia nuziale le avrebbe
spinte a raggiungere la comitiva; ma nessuno sospettò che a quell'ora,
senza apparato, si stesse per celebrare un matrimonio: evidentemente i
forestieri accompagnati dal signor Bertini andavano visitando le cose
notevoli di Promonte. Dall'interno, il tendone di pelle imbottita che
difendeva l'entrata della porticina si sollevò: il vecchio custode
apparve, inchinandosi a tutti, salutando con rispettosa cordialità lo
scultore.

--Signor Lodovico, suo servo.

Ella domandò entrando:

--Non vi è qui un'opera del signor Bertini?

--Eccola!--rispose il vecchio, additando l'acquasantaio.

Un grande angelo, con le ali raccolte, lo sguardo al cielo, le braccia
protese ed arcuate, reggeva con ambe le mani un'anfora antica. Le forme
disegnate sotto il peplo leggero erano quelle d'un adolescente, senza
sesso, o piuttosto ambiguamente partecipe dei caratteri dei due sessi:
un divino ermafrodito, agile e forte come un efebo, coi fianchi e il
seno soavi d'una giovinetta canefora, il viso d'una bellezza ideale e
propriamente oltreumana.

--Pare un Donatello,--disse il colonnello, rompendo il silenzio.

--Infatti!--rispose Perez, molto stupito d'udire un così sagace giudizio
artistico in bocca ad un uomo d'arme piovuto dall'estrema Africa
orrenda.

Il vecchio, con voce tremante di orgoglio e di tenerezza insieme,
soggiunse:

--Il signor Lodovico aveva appena vent'anni quando la lavorò per la sua
chiesa.... Questa è la chiesa del signor Bertini.... Qui son sepolti i
suoi nonni, qui si sposarono i suoi genitori, qui fu tenuto a
battesimo.... Me ne rammento come fosse ieri, e se ne rammenta Don
Pietro.... Lì, dinanzi al fonte.... la sua sorellina e gli altri bambini
che reggevano i ceri.... ed era buono anche nelle fasce, il nostro
signor Lodovico....

Lo scultore pareva non udisse, considerando il marmo; ma non pareva
neanche che vi riconoscesse l'opera propria, tanto il suo sguardo era
attonito.

--Ora si aspetta la statua che lavorerà per la cima Antalba.... L'ha
promessa a Monsignore!... Chi sa che bellezza....

Perez tagliò corto, osservando:

--Non facciamo aspettare il signor curato.

Per la navata di destra, nella cui penombra splendevano le luci delle
lampade votive, la comitiva si avviò alla sacristia. Don Pietro, già
vestito del camice e della pianeta, finiva di cingere la stola ed il
manipolo: vecchissimo, con una tenue aureola di capelli bianchi intorno
alla fronte ed alla nuca che parevano scolpite nell'avorio antico, egli
manteneva ancora diritta l'alta persona, e solo le sue mani tremavano un
poco. Le distese ai sopravvenuti, chinando la bella testa in atto di
saluto, e disse:

--Se gli sposi vogliono udire la lettura del «Contrahant», non resterà
poi che apporre la loro firma, con quella dei testimonî, dopo la
cerimonia.

Assentendo tutti, prese dalle mani del chierico il foglio e lesse la
formula di consentimento dell'autorità ecclesiastica. Poi chiese:

--L'anello?

Ella si volse a Bertini: ma poichè pareva che questi non comprendesse,
spiegò:

--Bertini, volete dare l'anello al Reverendo?

Allora soltanto egli trasse il cerchietto d'oro e lo consegnò al
sacerdote.

Tutti tornarono in chiesa. Non vi erano se non due donne, due contadine,
inginocchiate sotto il pergamo. Gli ori dell'altare rifulgevano alla
luce dei ceri che il sacrista veniva accendendo. Due inginocchiatoi
stavano disposti sopra un breve tappeto, poco discosti dal primo
gradino, per gli sposi; più indietro, due sedie per i testimonî.

Il celebrante salì sull'altare, lentamente, sostando ad ogni gradino.
Fece l'atto di genuflettersi, distese le braccia, chinò la fronte e
baciò la tovaglia. Poi, ridisceso, si appressò agli sposi. Nel silenzio
augusto domandò con voce solenne:

--Voi, Francesco Patrizio Harrington, volete prendere per vostra
legittima moglie, secondo il rito di Santa Romana Chiesa, Rosanna
Lariani?

Rigidamente composto, come dinanzi ad un capo, come sulla fronte del suo
reggimento, l'interrogato si sciolse dall'atteggiamento marziale,
s'inchinò e disse con voce vibrante di commozione contenuta:

--Sì.

--E voi, Rosanna Lariani, volete prendere per vostro legittimo marito,
secondo il rito di Santa Romana Chiesa, Francesco Patrizio Harrington?

Ella che reggeva con le due mani intrecciate il libretto, a testa china,
prosciolse le braccia, rialzò la fronte e rispose fermamente:

--Sì.

Un senso d'indefinibile inquietudine guadagnò l'animo di Perez. Senza
volgere il capo egli guardò con la coda dell'occhio alla sua destra.
Lodovico, ritto dietro la seggiola, ne aveva strettamente afferrata la
spalliera con una mano; l'altra, con la quale reggeva il cappello, era
scossa da un tremito violento. Col viso cadaverico, le mascelle
contratte, lo sguardo fiso e ardente, era evidente che faceva uno sforzo
straordinario per non tradirsi.

Ma già, alzate le braccia paterne, distese le venerabili mani
tremolanti, socchiusi i miti occhi, il sacerdote pronunziava con voce
ispirata le parole irrevocabili:

--«Ego coniungo vos in matrimonium, in nomine Patris, et Filii, et
Spiritus Sancti».

L'inquietudine, la commozione, il turbamento di Perez, al pensiero della
tempesta che imperversava in quel punto nel cuore dell'amico, divennero
insostenibili; col bisogno di reagire, di scuotersi, di fare qualche
cosa, depose il cappello sulla seggiola e cominciò a cavarsi i guanti.

Ora, risalito sull'altare, il sacerdote iniziava la cerimonia della
Benedizione, proferiva le formule alle quali l'accolito dava le dovute
risposte.

--«Adiutorum nostrum in nomine Domini».

--«Qui fecit coelum et terram».

--«Domine, exaudi orationem meam».

--«Et clamor meus ad te veniat»....

Quale secreta virtù possedevano le parole antiche, le formule che per
secoli e secoli erano state ripetute dalle anime pie, che per secoli e
secoli avrebbero echeggiato sotto le vôlte sacre al raccoglimento ed
alla penitenza, sopra le culle e sopra le bare? Appartenevano ad una
lingua non più parlata dagli uomini, ma eternamente viva, come la più
propria espressione della preghiera. E il significato ne era così
chiaro, si traduceva così facilmente anche agli ignari:

--«Benedici, Signore, questo anello che noi nel tuo nome benediciamo,
affinchè colei che lo porterà, tenendo integra fede al suo sposo,
rimanga in pace e nella volontà tua, ed in carità scambievole sempre
viva. Per Cristo Signore nostro, Figlio tuo, che teco vive e regna nei
secoli dei secoli».

--«Così sia».

Il cerchietto d'oro era stato deposto in un vassoio d'argento. Curvata
l'alta persona a prendere l'aspersorio che l'accolito gli porgeva, il
sacerdote tracciò con mano non più tremante un segno di croce sul
simbolo; poi lo consegnò allo sposo, che lo passò all'anulare sinistro
della donna sua.

--«In nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo».

--«Così sia».

--«Conferma, Signore, ciò che noi operammo».

--«Dal tempio santo tuo che è in Gerusalemme».

--«Kyrie Eleison»....

Allora accadde una cosa terribile. Come un brivido sonoro, come
l'anelito e il gemito d'un'anima ferita e penante echeggiò sotto le
vôlte della vecchia chiesa; poi la voce potente dell'organo si affermò,
si modulò, si svolse nelle note lunghe e gravi d'un canto solenne. Perez
si sentì opprimere il petto e mozzare il fiato e velare lo sguardo da
una commozione veemente, che un repentino moto di collera soffocò e poi
disperse. Chi aveva ordinata quella musica? Alla cerimonia da celebrare
con estrema semplicità, chi aveva aggiunto l'irresistibile prestigio di
quel canto d'implorazione, di fede e di speranza? Non bastava il
tormento inflitto allo spettatore di quelle nozze; bisognava anche, per
colmo di raffinatezza, esasperarlo con la sottile e profonda malìa dei
suoni e dei ritmi?... E col cuore tremante di carità impotente, sapendo
di non poter far altro che appagare il secreto senso di curiosità sempre
vigile nel suo spirito indagatore, egli si volse a guardare l'amico.

Lodovico Bertini era rimasto nello stesso atteggiamento, con la destra
alla spalliera, con l'altro braccio pendente lungo il fianco; ma non
tremava più, non si stringeva con la forza di prima al sostegno. Pareva
che tutte le sue membra rilassate si fossero rapprese in quella
positura; soltanto la fronte si era abbassata, e dalle palpebre gonfie
le lacrime sgorgavano, solcavano le guancie emaciate, stillavano a
terra.

I coniugi gli voltavano le spalle; l'officiante, sull'altare, era
intento alla celebrazione del rito: nessuno poteva scorgere il suo
pianto. Se anche lo avessero scorto, egli non sarebbe riuscito a
frenarlo. Non piangeva da tanto tempo, dalla notte passata in viaggio,
sul treno, con lei. Non aveva più pianto, alla stazione di Milano,
vedendola andar via con quell'uomo a cui aveva dovuto stringere la mano
e rivolgere parole senza nesso nè significato. Non aveva pianto neanche
dopo averli riveduti entrambi, alla Fraida, invitato da lei, quando vi
erano venuti per le pubblicazioni; dopo averla udita annunziare che,
insieme con Perez, egli, egli stesso, sarebbe stato testimonio alle
nozze, e che, compiuta la cerimonia e ripresi i figli a Firenze,
sarebbero andati a stabilirsi in Inghilterra. Tutte queste cose lo
avevano troppo stordito, come colpi di mazza sulla nuca. Le poche
parole scambiate da solo a sola con lei, in un momento di libertà, gli
avevano dimostrato che nulla gli restava da fare se non obbedirla, fino
all'ultimo, covando il suo corruccio, nutrendosi del suo dolore. Durante
l'ultima notte aveva vegliato, tentando di significarlo, per lei;
cercando parole che non sarebbero più uscite dalla memoria di lei, che
le avrebbero eternamente attestato la forza della sua passione, che
l'avrebbero implacabilmente accompagnata, come la voce del rimorso, come
il rantolo dell'agonia; ma aveva lacerato tutte le sue scritture, non
trovando neppur una espressione capace di rendere tutto il suo pensiero,
giudicando vana la ricerca, artificioso lo studio, riconoscendo
l'inutilità d'ogni tentativo di influire in qualunque modo su
quell'anima risoluta ed inflessibile. Era rimasto inchiodato sulla
poltrona, innanzi alla scrivania, con le membra di piombo, con gli occhi
aridi e bruciati. Aveva trasalito all'arrivo dell'amico, rabbrividito al
freddo dell'alba autunnale, tremato entrando nell'albergo, ritrovandosi
dinanzi a lei ed all'uomo che gliela portava via senza speranza più di
ritorno. Quando ella si era tolto dal dito l'anello nuziale,
affidandoglielo, per poco non lo aveva lasciato cadere, ma non già in un
impeto di ribellione, bensì dalla violenza dello stordimento. Egli, egli
stesso, che aveva voluto spezzare quell'anello e dargliene uno suo, per
la vita e per la morte, egli stesso doveva ora custodirlo affinchè un
altro lo ripassasse, benedetto, al suo dito, per la vita e per la
morte?... Nulla aveva più avuto senso, durante il ritorno a Promonte, in
carrozza, in chiesa, dinanzi all'opera giovanile, alla statua scolpita
da qualcuno di cui si era rammentato confusamente, come di una
conoscenza perduta, come di un morto. Delle parole del custode non aveva
compreso altro che l'evocazione dei suoi morti, rivedendo le salme
deposte su quel livido marmo, in un tempo lontano, o forse ieri. Nello
spirito ottenebrato, nell'anima smarrita, i preparativi della cerimonia,
le figure e i gesti e le voci avevano assunto un carattere irreale, come
nei sogni. Sì, ella aveva risposto di sì, inevitabilmente, come negli
incubi, quando nulla si può fare per impedire che le fatalità si
compiano, quando non si può accorrere, quando non si può gridare. E
l'anello nuziale che era stato in suo potere era tornato al dito di
lei, per mano d'un altro! A un tratto, udendo gli accordi dell'organo,
riconoscendo la voce delle vecchie canne armoniose come gole umane, la
voce che aveva impetrato requie eterna ai suoi morti, che cantava requie
alla sua speranza, il suo pianto troppo a lungo contenuto traboccò.

La voce diceva: «La speranza è morta, la gioia è finita, la stessa tua
vita finisce: esala gli ultimi sospiri qui dove traesti i primi vagiti;
aspetta di raggiungere colei che lungamente invano sognò di vederti un
giorno dinanzi a questo altare, accanto alla tua sposa, di udirti
pronunziare la sillaba del consenso, la sillaba che ella stessa disse
all'uomo col quale ti generò; paga ora i tuoi errori, sconta la tua
gioia effimera e peccaminosa; nascondi lo strazio dell'anima tua
all'uomo che offendesti e che riprende i suoi diritti; piangi tutte le
tue lacrime perchè il tuo sogno è svanito senza ritorno mai più, china
la fronte superba dinanzi alla divina maestà d'una legge che
disconoscesti e calpestasti, ai giorni del folle orgoglio, della
baldanza cieca....»

Poi il canto solenne e potente del _Kyrie_ si abbassò di tono, si spezzò
nelle frasi d'un mottetto accompagnante la recitazione del _Pater_:

--«Padre nostro che stai nei cieli, santificato il nome tuo, venga a noi
il tuo regno, sia la tua volontà»....

Una volontà fatale si compiva, infatti. Contesa da due affetti, quella
donna tornava necessariamente al primo. Egli non assisteva semplicemente
alla consacrazione di quelle nozze, ma vi contribuiva per una necessità
evidente. Ogni atto ed ogni gesto, dinanzi a quell'altare, avevano un
significato recondito che egli ora discopriva; rendendo l'anello, egli
rendeva al possessore legittimo la donna già stata sua. Colui che
l'aveva impalmata e poi perduta, la riotteneva ora da lui. Non era
soltanto necessario, ma giusto. Nella vita di quella donna egli era
stato un episodio, un'illusione, un errore: errore anch'esso fatale, ma
emendabile....

--«Dànne il nostro pane.... non indurne in tentazione»....

La preghiera aveva anch'essa un senso profondo: chiedendo di non esser
tentate, le creature umane confessavano tutta la debolezza loro. Ella
era caduta, come tante altre; ma per rialzarsi, come poche altre. Ed il
_Pater noster_ di quella Benedizione nuziale non si chiudeva come
l'ordinario: la voce dell'accolito si sposava a quella del prete,
implorando ancora:

--«Liberane dal male».

--«Salva i tuoi servi».

--«In te, mio Dio, speranti».

--«Manda loro. Signore, un santo aiuto».

--«E da Sionne custodiscili».

--«Sii ad essi, Signore, torre di fortezza».

--«Contro la faccia del nemico».

--«Signore, esaudisci la mia prece».

--«E salga a te la voce mia».

--«Il Signore sia con voi».

--«E con lo Spirito tuo».

Il canto tacque, e le labbra del dolente cessarono di tremare e gli
occhi di piangere. Tutta la sua attenzione era diretta a comprendere le
formule sacre, a non perderne una sillaba sola. Rivolto ancora ai
coniugi, il sacerdote ora supplicava:

--«Volgiti in grazia, Signore, sopra questi tuoi servi, ed agli istituti
tuoi, coi quali ordinasti la propagazione dell'umano genere,
benignamente assisti, affinchè coloro che dall'autorità tua sono
congiunti, col tuo ausilio ti servano».

Era giusto che sull'amore fecondo di quegli sposi, di quei genitori, si
stendesse la benedizione divina. L'amor suo era stato invece condannato
alla sterilità; tutti i suoi amori fuori legge erano stati senza frutto,
spasimi vani, adulterazioni dell'ufficio di natura. I suoi occhi
inariditi si fermarono sul corpo della donna genuflessa ora dinanzi
all'altare, con lo sguardo sulle pagine del libro sacro. Nella positura
abbattuta, dietro l'ampio giro della veste cadente, le sue forme
parevano scomparse; nè la memoria gliele rappresentava ormai più. Aveva
egli premuto quel corpo con le mani tremanti di desiderio, con le labbra
ardenti di febbre? A quell'ora lo stesso ricordo del possesso un tempo
esercitato era svanito; come non vedeva il corpo di lei, egli non
sentiva più il proprio, assiderato, congelato nella rigidità del dolore.

--«Per Cristo Signor nostro. Figlio tuo, che teco vive e regna nei
secoli dei secoli».

--«Così sia».

Finita la Benedizione, cominciava ora la Messa.

--«In nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Mi accosterò
all'altare di Dio».

--«A Dio che è letizia della giovinezza mia».

La voce dell'organo accompagnò la recitazione del Salmo; un supplice
ardore, uno slancio di tutta l'anima sulle ali della speranza; poi
queruli gridi soffocati di dolore e di rimorso, la prostrazione,
l'abbattimento; e poi ancora il richiamo potente della fede sicura,
squilli di gloria trionfale. «Giudicami, Signore, e scerni la causa mia
da quella della gente non santa.... Poichè tu sei, Dio, mia fortezza,
come mai m'allontani da te?... Canterò al suono della cetra le vostre
lodi, mio Dio; perchè sei triste, anima mia, e perchè mi conturbi?
Confida nel Signore, poichè lo loderò ancora come mia salute e mio
Dio.... Mi confesso a Dio onnipotente.... Abbia misericordia di voi
l'onnipotente Iddio, e perdonàti i vostri peccati vi conduca alla vita
eterna.... Dimostrane, Signore, la tua misericordia e concedine la
grazia tua salutare»....

Baciato l'altare, il sacerdote recitò una preghiera sommessa; poi, con
voce ispirata, disse agli sposi il passo di Tobia:

--«Il Dio d'Israello vi unisca ed egli stesso sia con voi. Fa', o
Signore, che da oggi questi due più che prima ti benedicano. Beati
coloro che temono il Signore e procedono per le sue vie. Sia gloria al
Padre, al Figlio ed allo Spirito Santo».

--«Kyrie eleison».

--«Kyrie eleison».

--«Christe eleison».

--«Christe eleison».

Una gran voce, un coro di voci clamanti percosse l'aria, fece tremare i
vetri delle alte finestre. Al più rapido ritmo il penitente sentì
slargarsi il petto oppresso, riaffrettarsi il debole polso, un'onda di
sangue salirgli al viso ed alla fronte.

--«Esaudiscine, onnipotente e misericordioso Iddio, affinchè ciò che per
nostro ufficio è amministrato, dalla tua benedizione sia meglio
adempiuto. Per Cristo Signore nostro, Figlio tuo, che teco vive e regna
nei secoli dei secoli».

La muta voce dell'anima vinta assentì: «Così sia». La ribellione era
vana, la rassegnazione inevitabile. Egli non ne era più avvilito, come
una volta. Nelle frasi dell'Epistola agli Efesii, che il sacerdote ora
leggeva, lo spirito stanco riconosceva verità necessarie, attuali ed
eterne. «Siano le donne soggette ai loro sposi come a Dio, poichè l'uomo
è capo della donna....» ed era bastato che quell'uomo si fosse
presentato perchè tosto riprendesse la donna sua.... «Uomini, amate le
vostre spose....» e colui amava la consorte d'un amore sincero, sicuro,
costante, senza convulsioni, senza follie. «Chi ama la sua sposa ama sè
stesso.... Perciò l'uomo abbandonerà il padre suo e la madre sua, e si
stringerà alla sua sposa, e saranno due in una carne....». L'immagine di
quelle due carni aderenti, la visione di quei due corpi accoppiati, la
gelosia fisica delle voluttà procurate a quella donna da un altro, ora
non lo torturavano più, egli non presumeva più che ella ne fosse stata
contaminata.

Il salmo del Graduale e del Tratto risonarono in mezzo a una melodia
dolce e lene, ad un fremito d'ale che finì in un clangore di trombe e di
tube.

--«La tua sposa sia come una vite abbondante tra le mura della tua
casa. Siano i tuoi figli come novelle piante d'olivo nel cerchio della
tua mensa. Alleluja! Alleluja! Mandi a voi il Signore aiuto dal suo
santuario, e da Sionne vi custodisca. Alleluja! Ecco così sarà benedetto
l'uomo che teme il Signore. Ti benedica il Signore da Sionne, e vedrai i
beni di Gerusalemme per tutti i giorni della vita tua, e vedrai i figli
dei figli tuoi. Pace sopra Israello»....

Le formole sacre si ripetevano, ritornavano più e più volte,
integralmente, o appena modificate, quasi perchè s'incidessero
profondamente sulle fronti, nei cuori, come un indelebile stampo di
fuoco. La Sequentia dell'Evangelo di San Matteo diceva: «In quel tempo
si accostarono a Gesù i Farisei tentatori e dissero: È lecito all'uomo
abbandonare la donna sua per qualsivoglia cagione? Il quale rispose
loro: Non leggeste che chi creò l'uomo in principio li fece maschio e
femmina? E disse: Perciò l'uomo abbandonerà il padre e la madre e si
stringerà alla sua sposa, e saranno due in una carne. Talmente che non
sono due, ma una carne. Ciò dunque che Iddio congiunse, l'uomo non
divida».

Era stato il sogno d'un'ora, poter disgiungere quegli sposi, distruggere
quella famiglia per crearsene una sulle rovine. Ella aveva avuto ragione
di opporsi, di frapporre l'ostacolo insuperabile. Era troppo tardi,
oramai, e bisognava passare sopra troppi dolori per giungere ad una
gioia dubbiosa e insidiata. Lasciare quella donna al suo destino, andare
incontro al proprio, null'altro era possibile. Le vie che essi seguivano
si erano incrociate, per poi divergere sempre più, nella vastità del
mondo e della vita. Era l'ultim'ora dell'incontro; che cosa sarebbe
accaduto di lui, da quell'ora in avanti?

--«In te sperai, Signore; dissi a me stesso: tu sei il mio Dio, nelle
tue mani stanno i giorni miei».

Allora, dalle più intime fibre, dalle viscere più profonde, il fremito
precorritore dell'ispirazione si propagò per tutto l'essere suo. Mentre
il celebrante prendeva dalla patena e sollevava l'ostia, l'opera alla
quale egli aveva pensato invano, le immagini da collocare sulla cima
Antalba, gli balenarono dinanzi agli occhi della mente; un asceta con la
fronte al cielo, una penitente coi ginocchi sulla terra, prossimi e pur
separati, concordi ed uniti solo nell'adorazione dell'ignota potenza
che governa l'universo. Mentre il sacerdote deponeva l'ostia sul
corporale e mesceva il vino e l'acqua nel calice, e l'offeriva, e si
chinava davanti all'altare, mentre l'organo distendeva sulla trama
dell'Offertorio un tenue ricamo di sospiri melodiosi, le immagini si
precisarono: egli vide in sè stesso l'uomo lontano ormai dalle vie del
mondo, inaccessibile alle cupidità dei sensi, consunto da un interno
ardore; vide in lei la creatura ancora bisognosa di soccorso, ancora
genuflessa per implorare aiuto nelle prove della vita.

--«Con spirito d'umiltà ed animo contrito, accogline, Signore, e sia
tale il nostro sacrifizio oggi nel tuo cospetto, che piaccia a te, Dio
Signore».

Il senso recondito della volontà di lei, nel costringerlo a prender
parte a quella cerimonia, si manifestava ora chiaramente: rinunziando
entrambi alla gioia contesa, mortificando entrambi la loro passione,
entrambi dovevano farne olocausto ai piedi dell'altare, entrambi
dovevano attinger forza e trovar pace nel pensiero di Dio.

--«Laverò le mie mani fra gl'innocenti e circonderò il tuo altare, o
Signore, per udire la voce delle tue lodi e narrare le universe tue
meraviglie».

Ella aveva fatto assegnamento sulla santità del luogo, sulla solennità
del rito, per compiere l'opera di persuasione; sulle parole, gli
accenti, i gesti del celebrante; sulle melodie e le armonie dell'organo,
sulle luci velate filtranti dalle finestre istoriate, sulle faci ardenti
dinanzi alle immagini sante.

--«O Signore, amai lo splendore della tua casa e il luogo ove abita la
gloria tua. Non fare che si perda con gli empî, Dio, l'anima mia»....

E come un'onda venuta di lontano, sospinta ed incalzata da soffî
gagliardi, ingrossata nella corsa rapida e fragorosa; come la piena d'un
torrente improvvisamente gonfio dei mille rivoli d'una lunga pioggia
dirotta, la memoria della fede nutrita nella remota adolescenza, delle
preghiere recitate con cuore sincero, delle paure e delle speranze per
la salute dell'anima invasero lo spirito suo. Le parole della Secreta,
mormorate dal celebrante a capo chino, non si udirono; ma nelle
supplicazioni del Canone, nel pietoso Memento dei vivi e dei morti, nel
mistero della Consacrazione e dell'Elevazione, tutto ciò che di più
dolente e di più grandioso, di più mortificato e di più trionfale era
nell'immortale poesia dei Salmi, toccò una viva fibra del suo cuore,
tradusse un pensiero della sua mente. Tutta la sua vita trascorsa, le
sue gioie e i suoi dolori, le sue lusinghe e i suoi disinganni, le sue
aspettazioni e i suoi rimpianti, gli parvero un punto: nell'estremo
tratto di via che ancora gli restava da percorrere vide e sentì che due
cose sole poteva e doveva fare: meditare il formidabile enimma del
destino umano, significarlo con l'arte sua. Ed era ancora merito di lei:
all'inizio dell'amor loro, come nel punto del distacco, ella lo
ispirava, gli additava il suo ufficio, gli suggeriva visioni di bellezza
e di nobiltà.

--«Preghiamo. Da salutari precetti ammoniti, ed alla divina istituzione
uniformati, osiamo dire: Padre nostro che stai nei cieli»....

Ogni parola della reiterata preghiera gli passò nell'anima come un
elettuario che irrita al primo contatto la nuda carne della piaga, per
diffondere subito dopo un senso di refrigerio. Ma il sacerdote, prima
di soggiungere il _Libera_, rivolto nuovamente agli sposi dal lato
dell'Evangelo, implorò con nuovo slancio:

--«Sii propizio, Signore, alle preci nostre; ed a questi tuoi istituti,
coi quali ordinasti la propagazione del genere umano, presta la tua
benigna assistenza, affinchè quanto da te è congiunto col tuo aiuto sia
serbato. O Dio che per virtù della tua potenza dal nulla il tutto
creasti; che, ordinati i principî dell'universo, e fatto l'uomo a tua
immagine, fondasti l'inseparabile aiuto della donna, in modo che
originando il corpo femmineo dalla stessa carne virile, c'insegnasti mai
non esser lecito disgiungere ciò che da un sol corpo ti piacque formare;
Dio che con tanto eccellente mistero l'amplesso coniugale consacrasti,
che nell'alleanza nuziale predesignasti il sacramento di Cristo e della
Chiesa; Dio, per cui la donna si unisce all'uomo, e questa società, fin
dal principio ordinata, si munì della sola benedizione non cancellata nè
per la pena del peccato originale nè per la sentenza del diluvio: volgi
lo sguardo sopra questa tua serva che dovendosi unire in coniugale
consorzio chiede d'esser munita della tua protezione».

Era la benedizione delle vergini spose proferita altra volta da quelle
stesse labbra per le nozze della sorella sua. La sorella era stata
ostile a quella creatura, aveva visto in lei la colpevole, la
seduttrice, colei che lo aveva indotto in tentazione e trascinato al
peccato: non sapeva che il tentatore era stato lui stesso; nella calma
imperturbata della sua virtù ignorava e non ammetteva le tempeste che
sconvolgono le vite umane.

--«Sia in essa il giogo dell'amore e della pace; fedele e casta si sposi
in Gesù Cristo e viva imitatrice delle donne sante. Sia amabile allo
sposo suo come Rachele, saggia come Rebecca, longeva e fedele come Sara.
Nulla di lei, degli atti di lei, usurpi l'autore della prevaricazione.
Sia ferma nella fede e nei comandamenti, stretta ad un solo talamo,
fugga i contatti illeciti, munisca la sua debolezza con la forza della
disciplina; sia rispettabile per verecondia, venerabile per pudore,
erudita nelle dottrine celesti, feconda nella prole, laudabile ed
innocente, e giunga al riposo dei beati ed al regno celeste, e vedano
entrambi i figli dei figli loro sino alla terza ed alla quarta
generazione, e pervengano alla desiderata vecchiezza»....

Era come un lavacro, come una redenzione. L'errore antico doveva esserle
rimesso in nome di Colui che difese l'adultera. Si era confessata,
infatti, ed era stata assolta, poichè il celebrante, dopo avere recitato
il _Libera_, dopo avere portato il calice alle labbra per bere un sorso
del vino mistico, si accingeva a comunicarla.

Chiuso il libro, levata la fronte dalla mano con la quale l'aveva
sorretta, ella protendeva ora il capo per ricevere l'ostia che il prete,
discesi i gradini dell'altare, e paternamente chinato verso di lei, le
offriva mentre l'organo cantava il suo più alato canto.

--«Ecco sia così benedetto ogni uomo che teme il Signore, e tu vedrai i
figli dei figli tuoi: pace sopra Israello».

Qualche cosa di quella benedizione, di quella pace piamente invocata,
scese su lui; poichè, nel proferire la formula, il sacerdote lo guardò.
Egli si sentì leggere nell'anima dallo sguardo limpido e dolce, si sentì
compreso e compatito e perdonato dal vecchio prete che lo aveva asperso,
bambino, dell'acqua lustrale.

--«Ti preghiamo, onnipotente Iddio, di accompagnare con benigno favore
le istituzioni della tua provvidenza, sicchè coloro che unisci in
legittima società conservi in lunga pace. Per Cristo Signor nostro,
Figlio tuo, che teco vive e regna nei secoli dei secoli».

--«Così sia».

--«Benediciamo il Signore».

Anche la Messa era finita. Restava ancora l'ultima formula. Ancora una
volta dirigendo la parola agli sposi, il prete invocò:

--«Il Dio di Abramo, il Dio d'Isacco e il Dio di Giacobbe sia con voi,
affinchè vediate i figli dei figli vostri sino alla terza ed alla quarta
generazione, e poscia abbiate vita eterna senza fine, con l'aiuto del
Signor nostro Gesù Cristo, che insieme col Padre e con lo Spirito Santo
vive e regna, unico Dio, per tutti i secoli dei secoli».

--«Così sia».

Con parola libera, non più costretta nelle formule liturgiche, il
celebrante riprese:

--Sposi cristiani, l'esempio che avete dato accostandovi all'altare,
santificando la vostra unione, non resterà infecondo. Così possiate
serbare intatto il tesoro della fede e amarvi scambievolmente e vivere
nel timore di Dio.

Preso ancora l'aspersorio, li benedisse: «Piaccia a te, Santa
Trinità....», poi lesse le parole del Vangelo di San Giovanni: «In
principio era il Verbo....».

--Lodovico....

Il suono del suo nome, mormorato da Perez, lo scosse. Voltatosi, vide
che la chiesa non era più tutta deserta come prima: alcune donne venute
a compiere le consuete devozioni, qualche curioso attratto dal suono
dell'organo, erano sparsi qua e là, dinanzi alle cappelle, intorno
all'altare maggiore. Ma già tutta la cerimonia era finita: il sacerdote,
raccolto il calice, inchinatosi dinanzi all'altare, s'avviava alla
sacristia. Perez mosse un passo verso la sposa, stendendole la mano:

--Tutti i miei rallegramenti!

Ella rispose, ricambiando la stretta:

--Grazie, Perez.

Mentre questi rinnovava il gesto col marito, ella offerse la mano al suo
testimonio:

--Bertini, grazie.

La sua voce era grave, l'espressione del suo viso serena, la stretta di
mano franca e forte come quella d'un amico, d'un buon camerata. Anche il
marito strinse cordialmente la mano ai due amici; poi, a un invito del
custode, tutti ripassarono nella sacristia.

--Poichè abbiamo dato lettura dell'atto nuziale,--disse Don Pietro,--non
resta se non che questi signori lo firmino.

Piegò il foglio in due, per il lungo, e scrisse sul fianco, sillabando
le parole che veniva tracciando lentamente:

--I sotto-scritti sposi hanno pre-stato il loro mutuo con-senso dinanzi
a me cu-rato, ed ai sotto-scritti testi-monî....

Il marito firmò primo, poi la moglie, poi Perez, da ultimo Bertini.

--Ed ora non occorre altro,--disse Don Pietro, spargendo di sabbia rossa
la fresca scrittura.--Il Signore vi abbia nella sua santa custodia.
Mille anni felici!

Ella gli baciò la mano, il colonnello gliela strinse, prendendo poi a
parte il sacrista ed il custode per distribuire del denaro. Mentre Perez
intratteneva la sposa dopo essersi inchinato al sacerdote, questi fermò
lo scultore che gli aveva anch'egli baciato la mano.

--Lodovico, figliuolo mio, quando ci darai l'opera promessa?... Guarda
che il tempo passa, e che gl'iniziatori sono impazienti di vedere
attuato il loro disegno.

--Non so, Padre.... Mi dia ancora qualche tempo.

--Possibile che tu non abbia fatto nulla, sinora?... Neanche un
abbozzo?... Un lavoratore instancabile come te!

--Bisogna che m'intenda con lei.... Forse ho trovato qualche cosa....
Quando potrò vederla?

--Quando vorrai. Lo sai che per te qualunque ora è buona.

--Grazie, Padre.... Allora, arrivederla presto.

--Arrivederci presto, figliuolo mio.



V.

L'addio.


Sulla spianata, dinanzi alla chiesa, il cocchiere che aspettava il
ritorno degli sposi, fumando, spense il sigaro e lo intascò, vedendo
uscire la comitiva, la moglie a braccio del marito, i due testimonî ai
due lati della coppia; e cavatosi il cappello, già apriva lo sportello
della carrozza perchè tutti vi rimontassero, quando la signora gli
disse:

--No, non ancora: aspettate.... Sentite, Bertini,--soggiunse rivolta
allo scultore,--mio marito ed io saremmo lieti di salutare un momento i
vostri parenti....

--Saranno essi lietissimi....

Per il sentiero serpeggiante sul dorso della montagna, chiuso tra bassi
muricciuoli dai quali sporgevano le siepi di vitalba, si avviarono tutti
alla casa. Il cielo si era ancora più schiarito, le ultime volute dei
vapori si diffondevano come chiome disciolte e ondeggianti al vento,
canute nella bassa conca del lago, bionde nel sole delle altitudini.

--Vi fermate a lungo?--domandò ella a Perez, col quale procedeva ora
avanti.

--Non tanto quanto vorrei. Debbo purtroppo tornare alla scuola.

--Tenete compagnia al vostro amico,--soggiunse; poi, dopo una breve
pausa, con voce più bassa ma con più calore d'accento:--Ne ha bisogno.

In fondo al sentiero, tra le sbarre di un cancelletto di legno, si vide
una testolina affacciarsi, poi ad un tratto sparire con un breve grido
di sorpresa.

--La vostra nipotina?--domandò ella, voltandosi verso Bertini.

--E la mia, del cuore!--rispose Perez.

Ora il cancello si schiudeva, e la bimba, precedendo il babbo, la mamma
ed i fratelli, si avanzava con le manine incrociate sul seno per reggere
un enorme fascio di fiori e di fronde, una messe tanto copiosa che la
vestiva tutta e quasi le nascondeva il visino. Giunta dinanzi alla sposa
si fermò, la guardò con gli occhi color di cielo, e disse:

--Signora, la mamma ed io....

Ma già ella si chinava su lei, quasi in ginocchio, tendendole le
braccia, attirandola a sè:

--Cara, cara, bimba mia cara....

Fu una cosa difficile raccogliere quei fiori, ricomporli, staccare i
gambi delle rose impigliati nelle pieghe della vesticciuola della
donatrice. La signora Laura vi diede mano, dicendo in tono d'amabile
rimprovero:

--Ma bisognava ripulirli e legarli.... Non si offrono i fiori a questo
modo....

--Lasci, lasci!... Sono anzi più belli!

Scambiarono così le prime parole prima della presentazione: poi, quando
lo scultore ebbe pronunziato: «Mia sorella....» la signora Laura stese
la mano alla visitatrice, dicendo con un sorriso di grande gentilezza e
di profonda bontà:

--Sia la benvenuta fra noi. Mi permetta di esprimerle i nostri augurî
più sinceri....

--La ringrazio, signora. Creda che sono fra i più graditi.

Compita la presentazione, scambiati gli inchini e le strette di mano, i
padroni di casa lasciarono il passo agli ospiti.

--Rita!...--chiamò la straniera, volgendosi alla bambina.--Ti chiami
Rita, lo so!... Dammi la tua manina.

La fanciulletta parve tutta orgogliosa di tornare a casa stringendo la
destra della sposa, che reggeva con l'altra mano i fiori offerti da lei.
Traversata la terrazza, dato uno sguardo al panorama, tutti entrarono
nel salotto.

--Bertini, io interpreto il desiderio di mio marito ed esprimo il mio
direttamente, chiedendovi di farci vedere il vostro studio.

--Sì, signora!--rispose pronta la minuscola donnina.--Lo zio non vi
lavora più dacchè è a Firenze, ma vi sono dentro tante belle cose....
C'è anche la mia statua, di quando ero piccina....

--Ah, sì?--rispose ella sorridendo.--Rappresenterà un angioletto!...
Andiamo a vederla.

Lo studio, vastissimo, tutto illuminato da un largo lucernario, ingombro
nel mezzo da una forte impalcatura, pieno di gessi, di cere, di crete,
con le pareti nascoste da pezzi di scultura antica, da modelli
anatomici, da quadri, da bozzetti, da stampe, da stoffe, da armi, aveva
un solo angolo ospitale, dietro un paravento: un largo divano basso,
qualche sgabello, un tavolino a due palchetti sovraccarico di albi e di
libri d'arte. Ma gli ospiti non vi si fermarono; guidati dalle due
donne, girarono per lo stanzone, esaminando le opere che vi erano
disseminate.

--Questo è il bozzetto dell'acquasantaio?... Questo è il gesso del
«Fiore della memoria»?... Il busto del «Leopardi»....

L'amica dell'artista riconosceva ad una ad una tutte le sue opere e le
additava al marito, che le considerava da vicino per esaminarne la
fattura, e poi se ne discostava per coglierne l'effetto totale.

--E questa statua di quando eri piccina?

--Eccola, signora: venga con me.

In un angolo, sopra un tripode, la statuina di bronzo, alta poco più di
un palmo, rappresentava la piccoletta, ritta in piedi, con la testolina
piegata, le braccina protese, le manine dischiuse, nell'atto di offrirsi
ad una persona diletta.

--Che mossa!... Che vita!...--esclamò Perez.--Se non par che si
muova!...

--È la vita fermata nel metallo,--confermò il colonnello.

Ella disse soltanto:

--È molto bella.

--Mi permettete di offrirvela?

--E come, Bertini!... Sono permessi che si accordano molto
volentieri.... Ma non vorrei privare i vostri cari....

--No, signora,--soggiunse la sorella,--noi abbiamo la nostra copia, in
sala da pranzo.

Il dottore colse l'occasione per proporre:

--Se vogliono gradire una tazza di cioccolata....

--Grazie, dottore; ma abbiamo i minuti contati, e vorremmo ancora vedere
tutte queste altre cose belle.

--Prendono il battello delle 10 e 15?

--No, scendiamo a Gozzana, prendiamo il treno delle 11.

--Ma si potrebbe anche fare un'altra cosa,--soggiunse la signora
Laura:--far servire qui stesso la cioccolata....

Mentre ella andava a dare gli ordini, la visita continuò. Gli ospiti
passarono dinanzi a tutto ciò che restava degli antichi lavori dello
scultore, copie od abbozzi. Non vi era frammento che l'amica non
riconoscesse.

--Questo è uno studio per la «Giovanna d'Arco»?... La prima idea
dell'«Amerigo Vespucci».... Aveste ragione di modificare quelle figure
di selvaggi: rammentavano troppo i mori del monumento mediceo di
Livorno.

Si aggirò per ogni angolo, vide ogni cosa, rimosse tutti i cavalletti
girevoli, lesse tutte le firme dei bozzetti pittorici, tutti i titoli
dei libri sul tavolino. Vedendo sopra una mensoletta un calice da fiori,
vuoto, disse alla piccola Rita:

--Ma come? Tu lasci senza fiori lo studio dello zio, e ne dài tanti agli
estranei?

E mentre la piccina balbettava qualche confusa parola di scusa, ella
stessa scelse tre rose dal fascio, una bianca, una gialla ed una rossa,
e le dispose nel calice.

--Ricordati che sono senz'acqua, pensa a dar loro nuova vita.

Quando il servizio fu pronto sul tavolino sbarazzato dai libri, la
conversazione, divenuta generale, sfiorò molti argomenti: la
floricoltura del dottore, il movimento dei forestieri sul lago, le
bellezze della natura e dell'arte italiana.

--Ora,--ella disse, levandosi, dando il segno dell'addio,--non bisogna
dormire sugli allori, Bertini!

--Glielo dica lei, signora!--soggiunse la sorella.--Forse le sue
raccomandazioni riesciranno più efficaci delle nostre.

--Di questo gruppo sacro, sulla cima Antalba, guardate che vogliamo
avere presto notizia! Non è possibile che quassù, dinanzi a questo
sublime spettacolo, non troviate motivi d'ispirazione.

Erano di nuovo usciti sulla terrazza; dopo una breve sosta, ridiscesero
tutti, ospiti e padroni di casa, verso la chiesa. Tutte le nebbie erano
ormai disciolte, nel trionfo del sole; solo un ultimo fiocco ne restava,
sull'Antalba, piegato dal vento in modo da simulare il fumo d'un
vulcano. Pareva veramente che, per un'improvvisa eruzione, dalle viscere
del monte esalasse un ardente fiato.

--Meraviglioso! Divino!...--mormorò ella ancora, girando lo sguardo per
la conca lacustre, quasi a raccogliere e imprimersi nella mente tutti i
particolari di quella visione, come aveva fatto di ogni angolo
e di ogni opera dello studio. Poi, rivolta alla padrona di
casa:--Signora....--disse, stendendole la mano.

Si tennero un momento per mano, guardandosi; poi, con moto concorde, si
accostarono, si baciarono sulle due guance. Chinatasi sulla piccina, la
straniera le prese la testolina fra le mani, la baciò sulla fronte.

--Rammenta tu allo zio che vogliamo vedere altre statue. Digli che ti
scolpisca lassù!...

Strinse la mano a lui da ultimo, dopo aver preso congedo da tutti gli
altri.

--Fate contenti i vostri cari e i vostri amici!... Avete un dovere, se
non dinanzi ad essi, dinanzi all'Arte che aspetta grandi cose da voi.

Egli non potè rispondere; chinò soltanto il capo, per nascondere
l'ultima contrazione del viso.

Quando fu in carrozza, dopo che la frusta schioccò e i cavalli si
mossero, ella salutò ancora, con la mano, col capo; lanciò ancora
un'ultima esortazione:

--Siamo intesi, Bertini!... Al lavoro!... Buon lavoro!...



UN SOGNO.



La prima rappresentazione del «Paradiso terrestre» al Goldoni è rimasta
famosa per la tempesta che scatenò in teatro e per le polemiche che
accese nella stampa. Dopo lo spettacolo, ad un tavolino del Caffè
Francese, intorno a donna Maria di Varga, furono espressi vivacemente e
rumorosamente i più disparati giudizî, magnificando alcuni la commedia
di Guglielmo Baglioni, altri condannandola, approvandone gli uomini la
tesi, scandalizzandosene le signore. Solo Ferdinando Anselmi taceva,
volgendosi ad ascoltare gl'interlocutori e le interlocutrici senza far
cenno di consenso nè di dissenso; ma poichè egli era il giudice più
autorevole, donna Maria gli si rivolse, chiedendogli perentoriamente la
sua opinione.

--Se permettete--diss'egli--io vi abbandonerò l'opera d'arte. Dal
momento che un autore propone, dibatte e a modo suo risolve una tesi,
bisogna considerarlo come un professore, un predicatore, un
propagandista, la cui orazione potrà essere, rettoricamente, più o meno
smagliante, ma le cui idee, e non già le immagini, importano. Ora
Baglioni ha questo merito indiscutibile: di averci posto dinanzi un
certo aspetto del problema dell'amore, al quale, pur essendo, o forse
appunto per essere di semplicissima ed ovvia osservazione, non si
attribuisce ordinariamente la dovuta importanza. Il titolo, che la
signora Graziani e il mio amico Mauri particolarmente disapprovano, mi
pare invece, scusate, molto graziosamente scelto. Voi sapete come nei
miti biblici che sembrano più favolosi i credenti cerchino e trovino il
preannunzio delle moderne affermazioni scientifiche: così i sei giorni
della creazione sarebbero le epoche geologiche, e la formazione della
donna dalla costola di Adamo significherebbe la separazione dei sessi
dal primigenio ermafrodito. Ma vi è un punto dove la favola discorda
dalla realtà scientificamente accertata e volgarmente osservata: quando
narra che Adamo peccò a istigazione d'Eva. Non si trova, invece, nessuna
forma di vita sessuata nella quale la femmina compia l'ufficio
d'istigatrice: tutte le specie, al contrario, si estinguerebbero se i
maschi dovessero aspettare di essere invitati a nozze. Non che invitare,
la femmina ha essa bisogno d'essere pregata, corteggiata, sollecitata ed
all'occorrenza sopraffatta. L'invenzione del serpente è un omaggio
tributato alla realtà; se non che, questo rettile insinuante, il quale
non parla e non può parlare per proprio conto, appartenendo ad una
specie diversa e disforme, è un personaggio simbolico del quale non si
può trovare il preciso equivalente nella commedia umana. Baglioni, in
quel Gorli a cui sono toccati i fischi più sonori, ha voluto
rappresentare il seduttore disinteressato, per conto altrui, per amore
dell'arte: invenzione che poteva farsi accettare se si fosse incarnata
in una persona viva. Non neghiamo che il tipo esista; diciamo che
Baglioni non lo ha veduto nella vita reale, e per conseguenza non gli ha
soffiato nei polmoni quella dell'arte. I serpenti a due zampe, col fiore
all'occhiello e il monocolo all'occhiaia, non spingono Eva ad offrire la
mela ad Adamo, ma le dimostrano la convenienza di mangiarla insieme con
loro. È vero bensì che qualcuno, invece di gustare il frutto proibito,
riesce precisamente a farlo offrire ad un altro; ma questo effetto non
è mai premeditato; è anzi involontario e sgradito. E se tale fosse stato
il caso rappresentato da Baglioni, i suoi amici non avrebbero dovuto
durare tanta fatica per difenderlo contro i fischi e le risa degli
avversarî. Un moto interiore della sua coscienza od un avvenimento
estraneo alla sua volontà poteva benissimo impedire al Gorli di ottenere
per sè il premio dell'opera serpentina. Chi di voi rammenta la baronessa
di Sclàfani? Il serpente della povera donna Emilia fu un amico di casa,
il quale, dopo averla tolta alla quiete, dopo averle messo addosso la
febbre della curiosità, del desiderio, del pericolo, si ritrasse, preso
a un tratto dallo scrupolo di offendere il marito, di cui era
intimissimo....

--Come? Come?--interruppe donna Maria.--Narrate!

--È una storia piuttosto lunga, mia cara amica, e del resto sta scritta
in un libro; se volete, domani ve lo porterò. Il fatto è questo: che in
tutta la serie degli esseri viventi l'istinto dell'amore, attivo e
prepotente nei maschi, è nelle femmine non solamente passivo, ma
accompagnato da un istinto tutto contrario, di resistenza, di disamore,
che rende perfettamente ragione degli aggettivi qualificativi appioppati
a voi donne dal secondo Dumas, quando vi definì creature illogiche,
subalterne e malefiche....

Vivaci esclamazioni di protesta provocarono queste parole nelle astanti,
specialmente da parte di donna Maria e della signora Graziani, mentre
qualcuno degli uomini, prima diffidenti e quasi ostili, le approvavano.
Anselmi si strinse nelle spalle, con un muto sorriso, finchè il coro
discorde non tacque; allora, con un gesto della mano che invocava
silenzio, riprese pacatamente:

--Non nego, non nego che il novantanove per cento delle soddisfazioni
nostre, di noi uomini, in amore, dipendano precisamente dalla vittoria
riportata sulla vostra passività, sulla vostra apatia, sulla vostra
riluttanza, e che se vi trovassimo tutte disposte a seguirci ad un
semplice cenno, come quella signorina laggiù--e in così dire additò una
vistosa e solitaria cliente seduta a un deserto tavolino dell'elegante
Caffè--la mancanza di difficoltà nell'impresa ne scemerebbe l'attrattiva
e ne farebbe anche passare la voglia; ma i danni della lotta, anche
quando vinciamo, chi li enumera, chi li valuta, chi li somma? Il gatto
torna tutto insanguinato dell'amplesso della deliziosa gattina: vi
rammentate quello della «Gioia di vivere» di Emilio Zola? Voi non ci
graffiate la pelle.... sebbene!... talvolta!... ma lacerate il nostro
cuore, mortificate il nostro orgoglio, avvilite la nostra dignità,
spremete lacrime amare dai nostri occhi. Abbiamo riso del personaggio di
Baglioni, che si ritrae al momento buono per lasciare il posto
all'amico; ma non ridono nelle scuderie, al tempo della monta, quando,
per evitare che le riluttanti giumente sconcino con un calcio il
prezioso purosangue, le fanno prima abboccare con un qualunque ronzino;
il quale, se le belle si mostrano disposte a dargli ascolto, è poi
tratto da parte e costretto a cedere il posto al nobile e valente
stallone....

Un altro coro di scandalizzate proteste coprì la voce dell'oratore; la
signora Graziani, con una deliziosa smorfietta tra di disgusto e
d'ilarità, lo sfidò:

--Ma insomma, che cosa volete? Si può sapere che mai dovrebbero fare,
secondo voi, queste povere donne? Se voi stesso riconoscete che la
grande arrendevolezza di quelle signorine vi nausea?

--Precisamente! Nè solo quando è venale, ma anche se disinteressata la
pronta dedizione dispiace ed inquieta, come sintomo di anormalità. Una
certa resistenza è naturale, necessaria, conveniente; un certo sforzo
per vincerla non riesce tutto penoso, perchè sforzo vuol dire esercizio
di forza, e la coscienza della forza giova, piace ed esalta. Dirò di
più: anche quando la resistenza è invincibile, anche quando l'amante
respinto è ridotto alla disperazione, alla pazzia, al suicidio, egli non
ha da prendersela se non col destino, o con sè stesso, per essersi
innamorato d'una creatura insensibile, d'una bellezza inutile, direbbe
Maupassant; ma l'assurdità delle resistenze volute, studiate, prolungate
oltre il ragionevole, complicate con gli adescamenti, con le gelosie,
con le rivalità, coi falsi pudori, coi mendicati doveri, con tutti i
peggiori artifizî della civetteria, quelle sono le più penose e
pericolose. Disgraziatamente sono anche le più frequenti. Dico anzi che
sono la regola. Ordinariamente, dopo la vittoria, si dimentica quanto
il suo conseguimento è costato di supplicazioni, d'implorazioni, di
umiliazioni, di amarezze, di torture, di commozioni penose e logoranti,
di assurde e ridicole esagerazioni spacciate per ubbriacare e scuotere
l'oggetto del nostro desiderio, di tempo e di fiato e di pianto
sprecati; ma chi può vantarsi di non esser passato per queste pene e di
non aver fatto questo sciupìo? Chi ha trovato una donna, dico una donna
e non una mercenaria nè un'ammalata, chi ha trovato una creatura bella
d'aspetto e degna nell'anima, capace di arrendersi semplicemente,
naturalmente, sottraendosi al tributo di falsità che l'istinto e le
tradizioni del suo sesso le impongono, e sottraendo per conseguenza
anche noi al tributo di menzogne e di lacrime; una creatura capace di
comprendere senza tante storie la sincerità dell'ardore suscitato, col
minimo di storie occorrente per infiammarsi o per riscaldarsi a sua
volta?

--Io.

Intenti a seguire le argomentazioni del facondo oratore, gli astanti si
volsero, un poco stupiti, al suono della nuova voce. Aveva risposto
Alberto Mauri.

--Tu? I miei complimenti! Dove l'hai trovata?

--In sogno.

--Volevo ben dire! In sogno, anch'io.

--Ma nessun sogno può paragonarsi al mio.

--Proprio?... Ma proprio?... Narratelo allora! Sentiamo!...--dissero le
signore.

--Anselmi--osservò Mauri rivolto a donna Maria--non ha voluto riferirvi
la storia della baronessa di Sclàfani come troppo lunga per quest'ora: è
il tocco e un quarto, e neppure il mio sogno è breve!

--Il tocco e un quarto!...--esclamarono più voci femminili.--«A casa, a
casa....»--intonarono poi, sull'aria della «Cavalleria rusticana».

La comitiva si sciolse; alcuni montarono in legno, altri si congedarono
dirigendosi verso il centro della città; donna Maria, la signora
Graziani, suo fratello, Anselmi e Mauri si avviarono lentamente verso i
quartieri alti.

--Se lo narraste ora, il vostro sogno?--propose la signora di
Varga.--Susanna è nottambula come me, e non si dorrà di rincasare
mezz'ora più tardi: è vero?

--Mauri!--rispose l'interrogata volgendosi al giovane.--Ve ne
preghiamo!...

E per le vie deserte, a tratti avvolte nella penombra, a tratti
fortemente rischiarate dalle lampade ancora veglianti nella notte alta,
Mauri, in mezzo alle due dame che gli altri cavalieri circondavano dagli
altri lati, narrò.


--.... È alquanto difficile significare le impressioni del sogno: voi
sapete che si distinguono da quelle della veglia per qualche cosa,
appunto, di ambiguo, di indefinibile, di evanescente. Talvolta, è vero,
sono d'una vivacità straordinaria, da superare le più gagliarde e
profonde della vita reale; ma, subito dopo, al dischiudersi degli occhi,
il ricordo se ne attenua e sbiadisce e sfuma. Sogni deliziosi o
terribili, tutti ne abbiamo fatti e ne facciamo; ma di quanti serbiamo
memoria?...

«Io ero nel più bel paese del mondo, una spiaggia tutta frondosa e
fiorita, dinanzi a un mare azzurro aleggiato da tepide brezze,
veleggiato da candide ali. Un tempio marmoreo sorgeva dinanzi al mare,
ed era dedicato alla Fortuna. Giorno e notte la gente vi traeva da ogni
parte, per tentarla, e coloro che la mutevole Dea favoriva ne uscivano
carichi d'oro, e quelli che osteggiava si precipitavano, ridotti alla
miseria e alla disperazione, da altissime rupi sopra irte scogliere. Il
tintinnio dell'oro scandeva le musiche echeggianti sotto le vôlte del
tempio; creature di favolosa bellezza vi si aggiravano, affascinanti
come sirene. La donna dalla cui vista rimasi abbagliato non era la più
desiderata: altre si traevano dietro codazzi di spasimanti; ed io
sentivo il bisogno di render conto a me stesso della mia scelta,
pensando a quel che ci accade quando siamo dinanzi alla mostra d'un
gioielliere. Anche se non abbiamo da comprar nulla, se fantastichiamo
che qualcuno, un amico straricco e generoso, o lo stesso mercante, ci
offra di portar via un oggetto di nostro gusto, noi non preferiamo il
più vistoso, ma il più squisito. Come dire la squisitezza, la
leggiadria, la grazia, l'incanto, il fascino di quella creatura? Mai ne
avevo vista un'altra altrettanto espressiva. Il fervore della sua intima
vita non si rivelava solamente dagli occhi profondi, mutevoli, languidi
e sfavillanti, limpidi e tenebrosi, ma da ogni tratto del viso, da ogni
atteggiamento della persona. La chioma bionda e ricciuta era tutta
ardore, tutta capricci; le guance avvampavano come per baci che
invisibili labbra vi stampassero o si sbiancavano come per parole
mortali che ella sola udisse; nei fremiti delle sue proprie labbra,
delle mobili nari, delle mani nervose, passavano baci, sorrisi, carezze,
repulse, disdegni, meraviglie, desideri, cupidigie, tutti i moti
d'un'anima sincera, tutti gli atteggiamenti d'una vita intensa. Era
straniera, principessa, ricca a milioni; ma non sfoggiava la sua
ricchezza: in mezzo a gente che ostentava il lusso più ricercato, era
semplice, disadorna, quasi dimessa; ma nella sua semplicità nessuna
riusciva altrettanto elegante, d'una eleganza così discreta, istintiva,
connaturata, la più rara, la più invidiata, quella che non si acquista.

«Suo marito, gigantesco, soldatesco, poteva esserle padre. Tentava
costui assiduamente la fortuna alle tavole del giuoco, con singolare
freddezza, con perfetta padronanza di sè stesso; mentre, intorno a lui,
non vedevo se non facce pallide o accese, occhi spalancati, avide
bocche, mani frementi. Ella non giocava: leggeva, ricamava, passeggiava
nei giardini incantati, lungo il placido mare; ed io non sapevo in che
modo accostarla per dirle il prodigioso effetto che la sua vista aveva
prodotto in me. Mi pareva che tutte le donne prima conosciute nulla
m'avessero rivelato del sesso loro, che ella soltanto lo incarnasse, ne
possedesse tutti gli attributi, ne potesse rivelare tutto il mistero. E
mentre così pensavo, sentivo anche l'impossibilità di giungere a lei,
come ad una vetta altissima, inaccessibile. Ci sta ella dinanzi, sul
cielo azzurro, tra le nubi, e par quasi che la tocchiamo con la mano, e
che uno slancio ce la farà guadagnare; ma se il desiderio ha le ali, le
gambe sono di piombo e c'impediscono di muovere un passo. Tale era
l'angoscioso sentimento della mia impotenza, mentre volevo compiere
eroismi che avrebbero fermato l'attenzione di lei. Improvvisamente le
parlai. Che stranezza! aver pensato di gettarmi in mare per trarre un
naufrago alla riva, di raggiungere a corsa sfrenata un cavallo impazzato
per afferrarlo e domarlo, di meritarmi con qualche impresa similmente
ardua e nobile un suo sorriso, ed ottenerlo poi col più semplice e
comune dei gesti!...

«Ella che non avevo mai vista nelle sale del giuoco, vi si appressò una
volta mentre anch'io mi accingevo ad entrarci. I giocatori che vi
s'ingolfavano, impazienti di raggiungere i loro posti, avidi di
guadagno, ignoravano o dimenticavano i più elementari doveri di
cortesia: si affollavano, si sospingevano, si urtavano, come impazzati:
io le cedetti il passo e trattenni coloro che mi stavano dietro,
reggendo la bussola. Mi guardò, come stupita dell'atto; sorrise con
indicibile grazia, e mormorò nella sua lingua:

«--Molto gentile!

«Tanto tempo addietro, a scuola, io avevo studiato quel nordico idioma,
ma per mancanza di esercizio lo avevo quasi del tutto disimparato: ad un
tratto l'espressione adatta alla circostanza mi salì alle labbra:

«--Doveroso semplicemente!...

«La rividi a pranzo, alla tavola rotonda.... Come mai nel mio stesso
albergo? Non me ne ero accorto prima, o vi si era traslocata quel
giorno?... Stava seduta ad una tavola non molto discosta dalla mia, ed
io che l'avevo trattata con tanto rispetto dinanzi all'entrata delle
sale, con altrettanta indiscrezione fermai allora su lei l'avido
sguardo. Non parve che se ne accorgesse. Dopo pranzo, quando il marito
l'ebbe lasciata, mi ritrovai accanto a lei nel vestibolo, presso al
guardaroba: le chiesi il permesso d'aiutarla a mettersi il mantello, le
porsi la borsa ed i guanti.

«--Grazie!...--disse ella.--Siete italiano?

«--Come lo sapete?

«--Non è difficile indovinarlo, al viso, ai modi, all'accento.

«Mai avevo udito voce così musicale, una voce di contralto, grave e
dolce, come d'oro. Le sue ultime parole furono dette in francese. Si era
accorta di qualche mio errore nel parlare la sua lingua? Voleva rendermi
più agevole la conversazione?

«--Venite nelle sale di giuoco?--le domandai, adoperando il francese a
mia volta.

«--Non giuoco.

«--Che importa! Vedere gli altri è uno spettacolo.

«--Penoso.

«--Non sempre.

«--E voi, giocate?

«--Talvolta.

«--Che cercate nel giuoco?

«--Il giuoco!

«--Buona fortuna!

«Mi porse la mano soave con moto lento, pieno di grazia; si allontanò
con passo lieve; la vidi sparire, svanire, quasi svaporare tra le ombre
del giardino.

«Alla tavola verde, fin dal primo colpo, le monete cominciarono ad
accumularsi dinanzi a me. Vinsi, vinsi, non so quanto, non so come, con
le puntate più rischiose, contro tutte le probabilità. Non le calcolavo,
buttavo la posta sopra un numero qualunque, giocando veramente per
giuoco, come per conto d'un altro, come se le monete fossero gettoni.
Invece di badare ai colpi della fortuna, consideravo coloro che la
sfidavano, studiavo le loro espressioni e i loro atteggiamenti: i visi
pallidi, smarriti, con gli occhi fuori dell'orbita, degli uomini in
disdetta; quelli animosi, ridenti, coi muscoli del viso corsi da lievi
tremiti, di coloro che vincevano; le donne più avide, più intente, con
moti e scatti nervosi alle perdite; lente e come assorte nei calcoli, ma
tuttavia inconsapevoli durante le vincite.... Accumulandosi l'oro e i
biglietti di banca dinanzi a me, qualche cosa come ventimila franchi, mi
parve di udire la voce di lei che ammonisse: «Ora basta!...»; ma non
l'ascoltai, continuai a puntare, con eguale, con maggiore disinvoltura,
come ebbro. E cominciai a perdere. La fortuna si era stancata. Non mi
arrestai: volli sfidarla. A poco a poco tutta la vincita sfumò, perdetti
anche il denaro che avevo portato meco. Quando non ebbi dinanzi altro
che due monete d'oro, lasciai il posto, uscii nel giardino. Ella era
ancora lì; le andai incontro, col cappello in mano.

«--Avete vinto o perduto?

«Trassi di tasca le due monete e gliele mostrai.

«--È tutta la vostra vincita?

«--È quanto mi rimane, dopo aver vinto ventimila franchi.

«Ella tacque un poco, poi domandò:

«--Che conto fate del denaro?

«Per tutta risposta, con un moto istintivo, con uno scatto improvviso,
lanciai le due monete lontano, tanto lontano che non si udì il rumore
della caduta.

«Il gesto non la stupì. La notte era divina, senza vento, tutta
costellazioni rutilanti come serti di gemme; Venere, perla miracolosa
pendente sulla linea dell'orizzonte, rigava il mare del suo riflesso,
quasi liquefacendosi. Sentii gonfiarmi il petto da un desiderio di
morte.

«--Così getterei la vita per voi,--mormorai,--per vedervi apparire
stanotte lassù, in camera mia....

«Non parve offesa nè semplicemente stupita dalle mie parole, come se
avessi espresso un sentimento naturale e doveroso, una verità elementare
ed ovvia. Se avesse risposto una sillaba, se avesse fatto un cenno,
avrei scavalcato la terrazza precipitandomi in mare. Come mi era
sembrato di non aver bene conosciuto nessuna donna prima di lei, così mi
sembrò in quel momento di non aver mai veramente vissuto: tutta la vita
mi parve destituita di valore e di significato senza l'amor suo.

«Il marito sopravvenne: ella mi presentò. Neanch'io mi stupii che ella
conoscesse il mio nome. Certamente doveva averlo trovato sulla tabella
dei viaggiatori dopo aver saputo il numero della mia camera. Ma io non
avevo pensato di fare altrettanto con lei, non sapevo come si
chiamasse.... Su, in camera, durante la notte insonne, restai a lungo
immobile sopra una poltrona, mi buttai vestito sul letto, tornai a
levarmi più volte, sempre con lo sguardo all'uscio, come se da un
momento all'altro dovesse schiudersi, come se un'ombra bianca, lieve e
silenziosa, dovesse apparirvi. Non apparve, ma la vanità
dell'aspettazione non mi deluse, come non mi aveva stancato la sua
lunghezza. Tanto avevo disperato, prima di parlarle, tanto mi era
sembrata lontana, formidabile, inaccessibile, altrettanto mi sentivo ora
animato da luminose speranze.

«Il domani la incontrai nella sala di lettura. Le dissi, come la cosa
più semplice del mondo, come la sola cosa che dovessi naturalmente
dirle:

«--Perchè non siete venuta?

«Mi guardò senza meraviglia; sorrise appena; rispose con un'altra
domanda, socchiudendo gli occhi:

«--Perchè mi avete aspettata?

«Allora parlai. Tutto ciò che avevo sentito per virtù sua, il senso di
vanità trovato in tutte le cose e l'ebbrezza di vivere accanto a lei, la
moltiplicazione di tutte le mie potenze vitali e la dispersione d'ogni
mia volontà, la certezza che mi avesse compreso e il bisogno di
annientarmi per provarle la mia sincerità: tutti i contrasti della
sfiducia e della fede, delle esaltazioni e degli abbattimenti, tutto le
dissi con una eloquenza della quale io stesso ero meravigliato. Mai
avevo parlato con tanta facilità, con tanto impeto, con tanto fuoco,
nella mia propria lingua; non una parola mi mancava nella straniera,
come se qualcuno, un suggeritore invisibile, me le venisse dettando, da
un libro.

«--Come volete ch'io creda a questo amore?--domandò ella quando tacqui.

«--Che cosa ve lo impedisce?

«--Mi conoscete da qualche giorno, mi avete parlato due volte appena!

«--Una sarebbe bastata.

«--Non sapete chi sono, donde vengo, dove vado, come penso, quanto
valgo. In queste condizioni non è possibile amare: si può desiderare
soltanto.

«--Forse che l'amore è una cosa diversa da questo desiderio veemente,
cocente, struggente, supplice, disperato, mortale, vitale? Non so chi
siete? So che siete la bellezza, la meraviglia, la grazia, la
seduzione, l'incanto. Che cosa vorreste che sapessi di più? Il resto che
m'importa? Il resto che importa? Non si avvilisce l'amore riducendolo al
desiderio, poichè quando il desiderio cessa, resta l'indifferenza o il
disgusto.

«Mi parve di aver formulato una di quelle sentenze la cui verità è
lampante, inconfutabile, assiomatica; mi stupii meco medesimo di essere
così concettoso e persuasivo.

«Ella disse:

«--Tutti i giuochi vi sono familiari, compreso quello delle parole.

«Il richiamo al giuoco mi suggerì un'idea:

«--Volete che ci affidiamo al caso?

«--Come sarebbe a dire?

«Non potei spiegarmi, sopravvenendo gente di sua conoscenza. La invitai
per il pomeriggio in una «Tea-room», una sala dove gl'Inglesi prendevano
il tè, dinanzi a minuscole tavole, senza far rumore, quasi compiendo un
rito.

«--Il caso governa tutta la nostra vita, sempre, anche quando ci
crediamo maggiormente padroni di noi stessi. Esso ci ha sospinti alla
stessa ora, da luoghi tanto discosti, in quest'angolo del vasto mondo;
esso determinerà i nostri futuri rapporti. Pensate ai vostri antichi
timori: non dipesero da un concorso di circostanze fortuite? Al convegno
dove foste vinta, lo scoppio d'un temporale, l'incontro di un importuno,
il malessere d'un parente, l'arrivo d'una notizia, il più piccolo
contrattempo vi avrebbe fatto mancare. Se l'uomo che vi sedusse avesse
parlato un giorno prima o un giorno dopo, un'ora prima o un'ora dopo, se
non avesse toccato un certo tasto, se non avesse preso un certo
atteggiamento, se non avesse proferito una certa frase, se non avesse
taciuto una certa parola, non vi avrebbe soggiogata. La vostra passione
o la vostra saggezza, la vostra sconfitta o la vostra vittoria, tutto il
destino della nostra intima vita, tutta la successione dei nostri casi
esteriori, sono stati e sono continuamente determinati da avvenimenti
minimi, infimi, imprevisti, imprevedibili, indipendenti da noi, prodotti
dal giuoco di forze cieche ed inconsapevoli. Oggi, a quest'ora, nè io nè
voi possiamo dire che cosa accadrà di noi: tanto è probabile che ci
perderemo di vista fra qualche giorno o qualche settimana, senza
conoscerci più addentro, dimenticandoci, quanto che ciascuno di noi
debba vivere indelebilmente nella memoria e nel cuore dell'altro. Invece
di aspettare che il caso compia l'opera sua più o meno lentamente e
c'imponga a nostra insaputa la sua risoluzione, vogliamo interrogarlo
subito ed uniformarci consapevolmente alla sua risposta?

«--In che modo?

«Trassi di tasca il taccuino, ne strappai due foglietti, scrissi
sull'uno: «Partite», sull'altro: «Restate».

«--Ecco: vedete queste due parole su questi due pezzi di carta?

«--Le vedo. E poi?

«--Io arrotolo i cartellini in modo che non si possano distinguere l'uno
dall'altro, li getto nel mio cappello, così.... Voi ne prenderete uno:
se sarà quello dove si legge «Partite», partirò domani col primo treno,
sparirò, non vi rivedrò mai più; se sarà l'altro....

«Ella mi guardò un istante con occhi ingranditi dalla curiosità e dallo
stupore; poi scoppiò in una risata, una risata schietta, sonora,
squillante, che ci attirò gli sguardi severi degli astanti
scandalizzati.

«--Sapete che siete un originale? Nessuno mi crederà, quando narrerò che
mi fu fatta una simile proposta!

«--Mai proposta fu più ragionevole. Della stravaganza ha l'apparenza
soltanto.

«--Io dovrei esser vostra per aver posto la mano sopra un pezzo di carta
piuttosto che sopra un altro? Voi sareste contento di prendere una donna
così, come si vince un oggetto alla lotteria?

«--Non come un oggetto!... Siate sincera! Dentro di voi c'è un contrasto
di opposti impulsi, di istinti antagonistici: molte voci vi dicono di
resistere, ma qualcuna, sia pure una sola, parla pure in favor mio. Se
vi fossi odioso, o soltanto indifferente, non sareste, a quest'ora, in
questo luogo, con me. Voi mi respingete e mi attirate ad un tempo,
volete ascoltarmi e non volete abbandonarvi: non sapete precisamente
qual è la vostra volontà. Da questa incertezza il caso vi farà uscire a
poco a poco: sarà lui quello che vi agguerrirà contro la tentazione o
che se ne renderà complice. Io vi propongo di affrettarne il responso.
Se dirà ch'io resti, non dovete far altro se non ascoltare la voce che
vi parla per me, che vi dice la forza della vampa suscitata in me,
l'intensità della gioia che mi dareste, a cui voi stessa
partecipereste....

«--E se sortisse il cartellino con la parola «Partite»? Partireste come
promettete, senza far nulla per tentare di rivedermi?

«--Ve lo giuro su quanto ho di più sacro.

«--E volete ch'io creda al desiderio che v'arde? Che cosa è dunque
questo vostro incendio, se siete capace di spegnerlo con un atto di
volontà?

«--Ma non di volontà! Non mi fraintendete! La mia volontà non è
irresoluta come la vostra. La mia volontà, il mio piacere, il mio
bisogno sarebbe di prendervi fra le braccia, di stringervi al petto, di
portarvi via come una cosa preziosa, un tesoro trafugato, un bene
essenziale; ma se, dopo aver tentato tutte le vie del vostro cuore, dopo
avere aspettato tutte le occasioni propizie, non riuscissi a
commuovervi, dovrei pure necessariamente uniformarmi all'avverso
destino. Se sortisse la parola che mi ingiungesse d'andarmene, mi
rassegnerei al decreto della sorte, come se le vostre stesse labbra lo
avessero proferito.

«Allora fece un gesto col capo che mi parve di consentimento. Le porsi
l'urna improvvisata perchè prendesse uno dei cartellini. Distese infatti
la mano, ma per respingere il mio braccio.

«--No!

«--Perchè non volete?

«--Avete risposto a tutte le mie obbiezioni, ma ve n'è ancora una che
non potete distruggere.

«--Quale?

«--Trovatela!

«La cercai, infatti, ma infruttuosamente. La mia attenzione era incapace
di soffermarsi sul quesito, di antivederne tutte le soluzioni possibili.
Mi rammentavo di certi tormentosi problemi algebrici studiati a scuola,
pensavo al binomio di Newton, sentivo di dover adattare alla circostanza
il calcolo delle combinazioni. Tentavo di ragionare:--Il caso,
interrogato, potrà rispondere «sì» o «no», mentre ella stessa, in cuor
suo, potrà propendere per il «sì» o il «no». Allora possono determinarsi
queste combinazioni: ella può dir di «sì» e il caso dire anch'esso di
«sì».... o di «no» e il caso di «no».... o di «no».... o di «sì».... o
di «no»....--e la mia mente si confondeva in questo giuoco di alterne
risposte.

«Quando ebbe goduto un poco del mio imbarazzo ella si alzò, dicendomi:

«--Accompagnatemi a casa: ho molte lettere da scrivere.

«--Non vi rivedrò fino a domani?

«--È molto difficile. Domattina parte mio marito.

«--Allora verrete a pranzo con me?

«--Volentieri, se potessi. Ma nel pomeriggio partirò io stessa.

«--Non è una difficoltà.

«--Ma all'ora del vostro pranzo non sarò più qui!

«--Non importa! Non vi chiedo di rinunziare alla partenza. Mi basta che
accettiate l'invito.

«--Se non si tratta d'altro che di accettare!

«--Grazie! Penserò poi io a farvi mantenere l'impegno.

«--Sono molto curiosa di sapere come farete! A che ora, il vostro
pranzo?

«--All'ora vostra consueta, naturalmente.

«--Io pranzo alle otto.

«--Resta stabilito per le otto.

«--Benissimo. Sapete che prenderò il lampo delle sei e quindici?

«--Farò tesoro dell'informazione. Alle otto sarete a tavola con me.

«Avevo parlato senza sapere che cosa dicessi, per il bisogno di
parlarle, per trattenerla meco, per ottenere da lei qualche cosa, non
foss'altro a parole; quando compresi ciò che avevo detto, quando
domandai a me stesso come avrei fatto per vincere, una luce m'illuminò.
Nelle profondità della coscienza un piano si era disegnato, a mia
insaputa, e mi si presentava ora con tutti i particolari. Il treno-lampo
delle sei e quindici doveva essere quello di Parigi. Il domani sera,
alle cinque e mezzo, salii in camera mia a cambiarmi, m'annodai la
cravatta nera al collo, indossai lo «smoking»; alle sei e dieci arrivai
alla stazione, senza valigie. Quando ella mi vide entrare nella sala
d'aspetto diede in una matta risata.

«--Grazie d'esser venuto a salutarmi! Vi manca un bel mazzo di fiori da
offrirmi!...

«--Non avete di che ringraziare. Compio semplicemente il mio dovere. Chi
invita deve aspettare i proprî ospiti. I fiori, ch'io sappia, si fanno
trovare sulla mensa.

«--Ah! Ah!...

«Tintinnio di campanelli, sbattere d'usci, fischi prolungati: il treno
entrò sbuffando sotto la tettoia. Ella si alzò, io presi la sua borsa,
le feci strada tra la calca, l'accompagnai fino alla carrozza coi letti,
l'aiutai a salire sul terrazzino, porsi il suo minuscolo bagaglio al
conduttore.

«--Avete tutto?--le domandai.

«--Tutto, grazie!

«Mentre ella dava a verificare i suoi biglietti, mi volsi intorno.
L'uomo che cercavo, in livrea, con un foglio nella sinistra e una matita
nella destra, annotava le ordinazioni dei viaggiatori: gli feci cenno
d'avvicinarsi, gli dissi rapidamente:

«--Un pranzo riservato, per due, da servirsi dopo Cannes. Avete fiori?

«--Pochi, signore, e non belli.

«--Telegrafate a Nizza per procurarvene. Eccovi del denaro.

«--Benissimo!

«Adempiuta la formalità della verifica, ella si rivoltava in quel punto
per dirmi, col più grazioso dei suoi sorrisi e stendendomi la mano:

«--Ancora una volta grazie!... Buona permanenza!...

«Una tromba squillò, la macchina fischiò. Io che ero rimasto dinanzi al
terrazzino, col cappello in mano, mi ricopersi, mi afferrai alla
colonnina, e montando risolutamente sulla carrozza, corressi:

«--Dite buon viaggio, piuttosto.... Ma l'augurio è soverchio, perchè in
vostra compagnia queste ore voleranno deliziosamente.

«La risata alta, argentina, cordiale, riecheggiò mentre il treno si
metteva in moto.

«--Ridete, ridete pure. Ora siete in mio potere!

«--Come sarebbe a dire?

«--Ospite in casa mia!

«--Sul treno?

«--Avete accettato, sì o no, di pranzare con me?

«--Ho accettato!

«Non so come passò quella prima ora, non rammento che cosa dicemmo. Vi
sono molte altre lacune nel ricordo del mio sogno. Voi sarete anzi
stupite ch'io vi riferisca tutti questi discorsi; ma, naturalmente, non
garantisco che tali fossero le nostre precise parole; nè, del resto,
importa che sieno testuali, se ce n'è il senso.... Rammento benissimo
che da quanto ella diceva non traspariva il minimo cruccio; mi pareva
anzi piacevolmente stupita e incuriosita dall'avventura. Alla stazione
di Nizza m'affacciai al terrazzino: vennero i fiori, rose e garofani
meravigliosi; gliene offersi una parte:

«--Permettete? Poichè ne avete espresso il desiderio! Quelli della mensa
saranno più tardi al loro posto.

«L'uomo in livrea passava sulla fronte del convoglio gridando:

«--Wagon restaurant!... Wagon restaurant!...

«--Ma è già l'ora di andare a tavola!--osservò la mia ospite.

«--Per gli altri. Voi non avete detto che pranzate alle otto? Alle otto
sarete servita.

«--Siete perfetto!

«La parola che definiva lo stato dell'animo mio, la tensione dei miei
nervi, l'esasperazione della mia volontà, mi salì alle labbra:

«--Sono pazzo....

«--Allora, diciamo che siete un pazzo perfetto!

«Ci chiamarono nella carrozza da pranzo quando avevo stabilito: allo
scoccare delle otto. Quel treno era d'una puntualità cronometrica; tutte
le circostanze sulle quali avevo fatto assegnamento si avveravano, con
una precisione, con una facilità che mi stupivano, come dovute
all'intervento di una forza misteriosamente propizia; il sordo timore
d'un contrattempo, la secreta inquietudine per qualche improvvisa
difficoltà o pericolo, si disperdevano. La nostra tavola era tutta
fiorita; alle altre non c'era più nessuno. Il cameriere ci serviva come
un automa, impassibile alle risate della mia compagna. Ella mangiava e
rideva. Tra uno scoppio di risa e l'altro, esclamava:

«--Che stravaganza!... Conoscervi da tre giorni, avere accettato un
invito a pranzo per la certezza di evitarlo, e trovarmi ora qui, con
voi, mentre il treno ci porta via correndo a ragione di ottanta
chilometri l'ora!...

«--Avevo ragione di dirvi che avrei vinto?

«--Avete vinto!

«Volevo sorridere di trionfo, ma sospirai di rammarico:

«--E che mi vale?

«--Non siete contento?

«--Io?...--mi corressi;--io sono felice!...

«La sua bellezza sfolgorava. Alla luce delle lampadine incappucciate di
rosso, tra le rose, la carnagione del suo viso, delle sue braccia nude
velate da una bionda pruina, aveva riflessi di raso vivo. I suoi occhi
sfavillavano, accesi dal piacere, dall'ilarità, dalla curiosità. Quella
animazione era bene opera mia, ed io dicevo tra me che bisognava essere
di molto difficile contentatura per non gustare il singolare incanto, il
delizioso turbamento di quell'ora fugace su quel convoglio in fuga.
Prima di conoscerla, che cosa non avrei dato per poterla avere con me,
da sola a solo, nell'intimità d'una specie di viaggio di nozze? Il
cameriere che ci serviva, i viaggiatori che ci avevano visti scendere e
risalire da una carrozza all'altra, non dovevano crederci sposi in piena
luna di miele? Io non dovevo avere eccitato un senso d'invidia pungente
tra gli uomini che ammiravano quella stupenda creatura?...
Cinquantacinque franchi e cinquanta centesimi di pranzo, settanta
franchi di fiori, venti franchi di mancia: l'illusione di esser parte
della sua vita, la realtà di occuparne un'ora, mi venivano ancora a buon
mercato.

«Traendo con le labbra di fragola lievi boccate di fumo dalla sigaretta
che le avevo offerta, ella discuteva meco, per l'appunto, quanto valga
l'amore d'una donna, che cosa metta conto di fare per ottenerlo.

«--Nulla!...--affermava sdegnosamente.--Se fossi uomo non farei nulla.

«--Dovreste distinguere, almeno, fra donna e donna.

«--Sono tutte uguali! Non valgono più di questo....--e col mignolo
scosse la cenere della sigaretta nel calice del vino spumante.

«--Se anch'io dicessi così?

«--Non sareste galante, ma vi stimerei sincero.

«--Ecco, per esempio,--esclamai con finta serietà,--valeva proprio la
pena che lasciassi l'albergo, il mio buon letto, per farmi sballottare
fino a Marsiglia e tornarmene poi solo, nel cuore della notte, per
niente?

«Ella mi guardò con uno strano sorriso, il sorriso della sfinge dopo
aver proposto l'enimma. Voleva dire che essendo io causa del mio male,
non avevo da prendermela con altri fuorchè con me stesso? Oppure che la
mèta del mio viaggio poteva anche essere più lontana ch'io non
credessi?...

«Il treno rallentò: era il momento di tornare ai nostri posti. La
riaccompagnai sulla carrozza coi letti, schiusi l'uscio della sua
cabina, lasciai che ella passasse, m'indugiai un istante per considerare
il lettuccio già pronto ad accogliere la bella persona. Ella mi stese la
mano dicendomi:

«--Vi ho conosciuto abbastanza per giudicarvi uomo di spirito. Mi resta
da sapere se siete gentiluomo.

«--Sentite,--risposi,--se la mia assicurazione non basta a lasciarvi
dormire tranquilla, non posso far altro che buttarmi a capo fitto giù
nella via....

«E feci il gesto di aprire il finestrino. Ella mi fermò col braccio.

«--Ho visto che siete testardo. Sareste capace di fare ciò che dite. Se
v'impegnate ad accettare una proposta, sono sicura che manterrete la
parola.

«--Qualunque cosa mi chiediate.

«--Sapete perchè vado a Parigi?

«--No. Probabilmente....

«--Probabilmente?...

«--Per raggiungere un amante.

«--Ora siete maligno. Vado a raggiungere mia sorella, che torna da
Bruxelles.

«--Debbo credervi?

«--Ve lo posso provare.

«--Bisognerebbe che vi seguissi sino alla fine del vostro viaggio.

«--Dipende da voi.

«--Non chiedo di meglio.

«--Se mi promettete di ripartire subito, prendendo il treno del sud in
coincidenza con quello che avrà trasportato mia sorella, io vi
permetterò di accompagnarmi fino a Parigi.

«--Ve lo prometto. A che ora arriva vostra sorella?

«--Non lo so. Troverò al telegrafo sue notizie. Può darsi che venga col
treno delle due e quindici: in tal caso lasceremo in deposito i miei
bagagli, entreremo in città, mi inviterete a colazione e mi
riaccompagnerete poi alla stazione. Ma se arrivasse alle dieci e trenta
dovreste ripartire immediatamente, non avremmo altro tempo che di
prendere una tazza di latte al «buffet». Vi conviene?

«--È detto che resterò con voi fino all'arrivo di vostra sorella?

«--È detto.

«--Allora, buona notte!

«--Buona notte.

«La lasciai, andai a buttarmi sul mio giaciglio, con una nuova febbre
addosso, la febbre dell'aspettazione. Il treno precipitoso mi sembrava
troppo lento. A Parigi! A Parigi! Non vi ero stato ancora, avevo sempre
rimandato a miglior tempo quel viaggio tanto desiderato, quasi
prevedendo di doverlo compiere in circostanze romanzesche, di dover
giungere nella metropoli in compagnia d'una straordinaria creatura. A
pochi passi da me, dietro alcune pareti di assi, quali pensieri volgeva
ella nella mente? Che cosa provava per me? A quali prove mi avrebbe
sottoposto? Forse non lo sapeva ella stessa; molto probabilmente
riposava, tranquilla, serena, mentre io contavo le ore di quella notte
eterna. Come avevo già provato la sensazione fisica dell'inarrivabile,
provavo ora quella dell'interminabile: mai più si sarebbe fatto giorno,
mai più saremmo giunti.... Un sobbalzare più brusco sugli scambii più
frequenti, un fischiare più lungo e rauco, ed eccoci a Parigi. Corsi
incontro alla mia compagna; prima d'ogni altra cosa vidi che aveva
appuntato al seno i fiori della sera innanzi. All'ufficio telegrafico,
quando lesse il foglietto azzurro, un nuovo sorriso, enimmatico come
quello rivoltomi sulla soglia della cabina, le sfiorò le labbra.

«--Leggete.

«Lessi. La sorella diceva che le era stato impossibile partire, che
sarebbe arrivata il domani alle dieci e trenta. Un lampo di gioia
dovette accendermi lo sguardo.

«--Mi avete promesso di restare con me fino all'arrivo di vostra
sorella?

«--Ve l'ho promesso.

«--Non mi potete più mandar via fino a domani! A che albergo scendete?

«--Io scendo al «Grand Hôtel», ma siccome vi andrà domani anche mia
sorella, non è possibile farmi vedere oggi lì con voi.

«--Dove volete dirigervi allora?--le domandai, per non confessarle che
venivo a Parigi la prima volta.

«--Non so....--rispose, cercando.--Mi conoscono anche al «Bristol»....
Ho sentito parlar bene del «Louvre»....

«--Al «Louvre»!--ordinai al facchino che portava il suo piccolo
bagaglio. Le chiesi anche la ricevuta dei bauli, li feci ritirare come
se fossero miei, e salimmo sopra un omnibus della Compagnia ferroviaria,
tutto pieno di gente diretta, come per una tacita intesa, allo stesso
albergo: alcuni viaggiatori, sopravvenendo tardi, restarono a terra. Noi
vi stemmo pigiati, a disagio, e io domandavo a me stesso il perchè di
tanta ressa, che cosa mai veniva a fare tutta quella folla. Le vie e le
piazze della metropoli mi passarono dinanzi come dietro la lente d'un
cosmorama, come dipinti sopra uno scenario, tanta era la mia
inquietudine di non trovare alloggio, di dover cercare un altro albergo,
di doverle confessare che non conoscevo la città. Giunti che fummo,
domandai al portinaio:

«--Avete posto?

«Bisognava dire:--Dateci due camere--per evitare che ci considerassero
come sposi. L'equivoco era tanto naturale, che ci guidarono ad una
camera nuziale.

«--Ne abbiamo bisogno di due,--dissi al cameriere.

«--Mi rincresce,--rispose quell'uomo,--ma non abbiamo altro che questo
salottino....--ed in così dire schiuse uno degli usci laterali,
mostrandomi una piccola stanza sprovveduta ed incapace d'un letto,
addobbata soltanto d'un divano, di qualche poltrona, d'una scrivania e
d'una specchiera.

«--Va bene,--dissi, soggiungendo poi, sottovoce, rivolto alla mia
compagna:--La camera è vostra, io dormirò su quel divano.

«Ella che durante le trattative era rimasta a guardare tutt'intorno,
indifferente, si tolse il cappello quando fummo soli, si tolse i guanti,
si acconciò dinanzi allo specchio dell'armadio i capelli. Io trassi
dalla sua borsetta il mazzo delle chiavi, dischiusi i suoi bauli e la
sua cappelliera, e cominciai a trarne fuori la roba.

«--Vi ringrazio!--esclamò con effusione.--Fare e disfare i bauli è per
me lo scotto insopportabile del piacere di viaggiare.

«--Sono qui per risparmiarvi ogni pena.

«Dalle vesti, dalle gonne, dai corpetti esalava un profumo acuto,
carnale, inebbriante. La biancheria intima era d'una ricchezza
straordinaria, le camicie da notte particolarmente, morbide, seriche,
spumose, orlate di trine finissime, infiocchettate d'azzurro e di roseo.
Da un involto trassi le pantofole, tutte acciaccate dalla pressione:
ridiedi loro la forma perduta perchè fossero pronte ad accogliere i
piedi, dei quali ottenni così la misura e quasi sentii il contatto....
Quando ella ebbe tutto ciò che le occorreva, mi disse:

«--Ecco: basta così! Ancora grazie!

«--Di niente! Ora avrete bisogno di cambiarvi, di riposare. Vi lascio;
tornerò verso mezzogiorno, per la colazione: volete?

«--A mezzogiorno, benissimo. Arrivederci.

«--Arrivederci!

«Pensavo che un altro sarebbe stato meno riguardoso, non avrebbe
insistito per le due camere, non si sarebbe tratto da parte con tanta
discrezione; ma sentivo anche di non averne nessun merito, giudicandola
semplicemente doverosa, ragionevole e prudente. Tentare di abusare di
lei sarebbe stato un errore, oltre che una volgarità: io potevo
offenderla ed alienarmela. Dovevo stender le mani per significare che
desideravo cogliere il dolce frutto? Ma il mio desiderio non aveva più
bisogno di altre espressioni, a quell'ora.... Ed io non volevo strappare
il frutto, volevo che cadesse da sè. Con l'idea che quello fosse un
viaggio di nozze, provavo l'imbarazzo presentito nell'immaginare di
trovarmi con una sposa, avvertivo il pericolo di urtarla con qualche
espressione od atteggiamento intempestivamente confidenziale....
Bisognava aspettare. Da un momento all'altro, naturalmente, per un
incidente imprevedibile, per una parola, per quell'opera del caso di cui
le avevo dimostrato l'importanza, i nostri rapporti si sarebbero mutati
nel senso dei mio desiderio.

«Uscii nelle vie. Un sentimento di stupore mi occupava: ero a Parigi,
dove avevo tanto sognato di andare, un giorno; e vi ero per un giorno,
in sogno--poichè avevo, a tratti, la coscienza di sognare. Allo stupore
s'aggiungeva l'imbarazzo, non sapendo da che parte rivolgermi, a qual
mèta avviarmi. Ma superiore alla somma dell'imbarazzo e dello stupore
era un altro sentimento, esagerato, di sogno: la vergogna di andare
attorno, a quell'ora mattutina, con lo «smoking» serotino. Mi pareva che
tutti i passanti mi guardassero curiosamente, che gli stessi gendarmi mi
tenessero d'occhio, insospettiti. Come avrei fatto se mi avessero
fermato e chiesto le mie carte? Ah, ecco: mi sarei fatto condurre
all'ambasciata, dove qualcuno, un segretario, un addetto, avrebbe
saputo dire chi ero. Passando dinanzi ad un negozio di abiti fatti, vi
entrai per comprare un soprabito. Comprai anche una camicia, che
indossai, col pretesto di vedere se mi stava bene, perchè quella portata
in viaggio era tutta sgualcita; mi annodai al collo un'altra cravatta,
di colore, acquistata anch'essa lì per lì. Quando tornai all'albergo con
questo nuovo aspetto, ella mi disse in tono di amabile rimprovero:

«--Ah! mi avete dunque ingannata?

«--Come mai?

«--Fingendo di partire improvvisamente, senza bagaglio! Avevate invece
spedito le vostre valigie, se ora vi siete cambiato!

«--Ma niente affatto! Queste sono mentite spoglie: osservate!...--ed
apersi il soprabito perchè vedesse l'abito nero.

«Rise ancora, mentre le spiegavo come avevo fatto e le chiedevo il
permesso di tenere il soprabito in sala da pranzo per non espormi alla
curiosità dei commensali con quel ridicolo «smoking» a colazione. Ella
era riposata, fresca, smagliante, più vaga, più deliziosa che mai. La
colazione fu squisita; dopo uscimmo in carrozza; l'accompagnai in un
giro di compere. Che impressione! Io non so se un giorno prenderò
moglie; con grande probabilità continuerò ad astenermene; ma se mi
accadrà di sposare una creatura diletta, se me la porterò via per il
mondo, non credo che potrò provare un senso di gioia così pieno, di così
intima felicità come quello che mi occupò. Mi pareva che quella donna
fosse mia realmente, che io entrassi con lei in una nuova esistenza. Con
che gioia le fiorii di nuove rose fresche il seno! Il tempo era
delizioso, il cielo divino, la metropoli tutta fervida di vita. Ne
cercavo i luoghi celebri, i monumenti insigni, descritti nei libri,
illustrati negli albi; ma non li riconoscevo, o li ritrovavo diversi da
quelli che immaginavo: taluni più vasti e solenni, altri al contrario
più semplici ed angusti. Quando ella non ebbe da far altro, andammo al
museo del Louvre. Che senso di meraviglia durante quella sfilata
attraverso le sale meravigliose, specchiate dai pavimenti come da acque
di lago, in mezzo alla profusione dei capolavori! Ella se ne rivelava
giudice fine e sagace: le tele e le statue dinanzi alle quali si
soffermava spiccavano realmente per qualche singolare qualità
d'invenzione o di fattura, ed in quella creatura vibrante e fremente
l'ammirazione si rivelava con la commozione della voce, con l'umidore
degli occhi, con l'imminenza del pianto. Fino a quel momento io avevo
apprezzato in lei la bellezza della forma ed il brio dello spirito; fra
i miracoli dell'arte, riconoscevo l'acutezza della sua intelligenza, la
serietà della sua cultura, la delicatezza dell'anima sua: cose prima
intuite, ma ora misurate. E come mi lodavo di essermi frenato, di non
averla offesa con qualche brutalità!... Usciti dal museo le offersi il
tè. Andammo a prenderlo all'«Hôtel Riche»: mi indicò ella stessa quel
sito, oppure mi rammentai che qualcuno me ne aveva parlato.... dove?...
quando?... Chi sa!... Venticinque franchi di tè: i prezzi mi sono
rimasti nella memoria non solamente per l'altezza straordinaria, ma
anche per una sottile inquietudine di restare a corto di quattrini.
Partendo per poche ore, non avevo pensato di dover rifornire il
portafogli: quelle cinque o seicento lire che conteneva mi erano
sembrate più che sufficienti; ma non sarebbero finite presto, spendendo
a quel modo? Che importa! Avrei telegrafato, avrei lasciato in pegno le
perle del mio sparato. E poi, la squisitezza del godimento era tanta,
che nessun'ansia, nessuna paura l'avrebbe mai pagata abbastanza.

«Tornammo a casa al tramonto, mentre sul cielo d'oro si accendevano
innumerevoli lune d'argento. Ella montò su in camera, dovendo vestirsi
per il pranzo e per il teatro: passando dinanzi ad un ufficio di
locazione avevamo prese due poltrone per l'«Opéra». La lasciai salir
sola. Se avessi obbedito all'istinto, l'avrei seguita come la sua
propria ombra; ma non volevo che le mie assiduità le pesassero, che mi
giudicasse importuno ed esigente. Dopo avere sfogliato i giornali nella
sala di lettura, salii anch'io, entrai nel salottino, mi disciolsi
dinanzi allo specchio la cravatta di colore e riannodai la nera: mi
ritrovai subito in tenuta da sera.

«--Siete pronta?--le domandai, dietro l'uscio, dopo avervi discretamente
picchiato.

«--Eccomi!

«Era abbagliante di bellezza e d'eleganza, da far gridare, da far
morire. Entrò al mio braccio nella sala splendente di luci: tutti gli
sguardi si fermarono su noi, su lei. Come s'intitolava, di chi era il
melodramma che davano all'«Opéra»? Non rammento altro se non che aveva
per argomento una leggenda del nord. Certo io non udii mai una musica
così divina. Tutti i sentimenti ai quali ero in preda dal momento che
avevo conosciuto la mia compagna fino a quell'ora, la mia meraviglia, il
mio desiderio, la mia febbre, la mia esaltazione, erano significati da
quei suoni, da quei canti, come se io stesso li avessi espressi dal
fondo dell'esser mio, come se fossero esalati dalle mie labbra nei
languori dell'estasi, negli ardori della brama. Ella udiva e taceva con
me; durante gli intermezzi proferì giudizî, intorno al valore espressivo
della musica, ai rapporti fra questa e la poesia, che non si colgono
spesso su labbra femminili. Accanto a quella straordinaria creatura, tra
la folla festosa della sala fastosa, dinanzi ai vivi quadri che
fantastici eroi e bellezze miracolose di ninfe e di amazzoni componevano
e scomponevano sulla vasta scena, in mezzo all'oceano di onde sonore
dilaganti dall'orchestra potente, un vapore di ebbrezza mi salì al
cervello: all'ultima scena, una scena di amore sovrumano e di eroica
morte, la tentazione prepotente di stendere la mano, di prendere quella
della mia compagna, la mano nervosamente afferrata al bracciuolo della
poltrona, di stringerla forte per significare in qualche modo la mia
commozione, mi fece sollevare il braccio; ma poi mi contenni. Finito lo
spettacolo le proposi di entrare in un Caffè; quando ne uscimmo ella
volle tornare a casa a piedi. Pareva che il mio pensiero fosse il suo:
prolungare le ore di quella notte. Era ella spinta dallo stesso mio
sentimento? Io aspettavo l'avvenimento risolvente, l'incidente decisivo.
Un'immagine mi occupava: quella della nave nella cui stiva le mercanzie
si accatastano: le botti, le casse, le balle, i cesti; più carico essa
riceve, più si immerge, finchè il livello del mare raggiunge il limite
estremo segnato da una riga bianca sui fianchi poderosi; ma poichè quel
segno è grosso parecchi centimetri, e molte e molte altre tonnellate
farebbero abbassare lo scafo di qualche frazione di millimetro appena,
così è ancor possibile imbarcare tanta altra roba, e ancora infatti se
ne imbarca; non parliamo dei passeggeri col loro bagaglio, perchè essi
sono troppo poca cosa a paragone della capacità del battello, e quanti
ne arrivano tanti vi salgono; ma ecco che il livello preciso della
massima immersione possibile, il livello segnato dalla linea ideale,
infinitamente più sottile di un filo di capello, dalla linea matematica,
senza spessore apprezzabile dai sensi umani, sta per esser toccato; ed
ecco che per conseguenza bisogna andar cauti, perchè ora ogni aggiunta
al carico potrebbe determinare il tracollo.... Era un paragone simile a
quello del bicchier d'acqua che una semplice goccia fa traboccare; ma
non so perchè io mi apprendessi a questo della nave; forse per
un'associazione d'immagini, trovandomi in viaggio? Da trenta ore io
condividevo la vita di quella donna; avevo percorso con lei tanta
strada, avevo trascorso un'intera giornata in sua compagnia, insieme
avevamo fatto e visto e detto tante cose; la nostra intimità si era
venuta sempre più stringendo ad ogni episodio di quell'avventura. L'ora
critica era imminente, ormai, come per la nave sotto carico: quando essa
sta per toccare l'ultimo limite del galleggiamento, si può ancora
imbarcarvi qualche balla, e poi ancora qualche botte, e poi ancora,
qualche barile; ma, a furia di aggiungere altri pesi, anche piccoli,
arriva pure un momento in cui questa cosa paradossale è possibile: che
un pacco, meno ancora, un plico, meno ancora, una striscia di garza, la
manderà a fondo. La mia compagna m'aveva consentito tante cose, da un
giorno e mezzo, restando perfettamente padrona di sè; io m'ero astenuto
da ogni atto, da ogni discorso che potessero sembrare minimamente
aggressivi: una parola, un gesto, uno sguardo me l'avrebbe fatta cadere
nelle braccia.... Io prolungavo l'aspettazione per cogliere l'istante
propizio: voleva ella forse ritardarlo?

«Ad una cert'ora fu impossibile restare nel Caffè: già i camerieri
raccoglievano le seggiole, le disponevano sui tavolini, spargevano
segatura di legno sul pavimento, spegnevano una parte delle lampade
elettriche. Quando arrivammo all'albergo il portone, naturalmente, era
chiuso. Il portiere di notte ci aperse, il cameriere di guardia ci
accompagnò fin sull'uscio del salottino, girando la chiavetta della
luce. Dischiusi io l'uscio della camera da letto, dicendo alla mia
compagna:

«--Vivessi mill'anni, non dimenticherò mai le impressioni che vi debbo.

«--Partirete domani col treno che arriverà da Calais?

«--Il treno arriverà alle dieci e trenta per ripartire alle undici e
cinque. Se volete, v'accompagnerò alla stazione; quando andrete incontro
a vostra sorella vi lascerò: potrete assicurarvi coi vostri occhi che
salirò su quel convoglio.

«--Senza discenderne dall'altra parte?

«--Mi sono comportato in modo da farvi sospettare della mia sincerità?

«--Avete ragione!...

«--Ora siete stanca? Volete andare a dormire?

«--Che ore sono?

«--Le due meno un quarto.

«--È più che tempo!

«--Buona notte!--le augurai, stendendole la mano.

«--Mi rincresce veramente--rispose, ricambiando la mia stretta--che ne
dobbiate passare un'altra a disagio.

«--Starò più comodamente su questo divano che non sul treno. Soltanto,
se permettete....

«--Dite pure!

«--Vorrei prendere un guanciale dal letto.

«--Ma ve ne prego!

«Entrai in camera, presi il guanciale, tornai ad augurarle:

«--Buona notte!

«--Buona notte!

«E chiusi l'uscio dietro di me. Avrei potuto indugiarmi ancora per
dirle: «Non è incredibile questa nostra situazione? Non sarò oggetto di
beffe, quando narrerò fino a che segno ho mantenuto la mia parola?...»
Ma questi, e simiglianti discorsi, sarebbero stati pretesti evidenti e
grossolani: tanto sarebbe valso trasgredire più sostanzialmente la
promessa fatta. L'incidente che doveva risolvere quella nostra
situazione non si era ancora prodotto, la parola non era stata detta, lo
sguardo non era stato scambiato. Il caricamento della nave era cessato
alla linea matematica della massima immersione possibile. La porta
chiusa dietro di me era come il boccaporto inchiavardato. Non ostante,
io restavo nella medesima fiduciosa aspettazione. Non accade tante volte
di prendere a bordo qualche collo sopra coperta?...

«Disponendomi a passare la notte su quel divano, vi accomodai il
guanciale e andai ad accostare gli scuri della finestra. Dinanzi
all'uscio che mi divideva da lei porsi l'orecchio, udii cigolare i
gangheri dell'armadio, aprire qualche cassetto, rimuovere le porcellane
sul lavabo, versare dell'acqua nella catinella. Senza ragionarvi sopra,
per un moto istintivo, attaccai l'occhio al buco della serratura: non
vidi altro che un'ombra trascorrere sulla parete: il tappeto attutiva il
rumore del passo. Tornato al divano mi tolsi l'eterno «smoking», e ad un
tratto pensai d'aver fatto male, la mattina, non comperando, oltre
quella da giorno, anche una camicia da notte. Come era possibile
riposare con quel colletto, quel petto e quei polsini tanto
abbondantemente insaldati che parevano di legno? E allora, con gli occhi
della mente e del desiderio, rividi le camicie da notte della mia
compagna, quelle camicie nivee, fragranti, carezzose, lievi come di
garza.... Tornai ad accostarmi all'uscio: non si udiva più nulla.
Picchiai con le nocche delle dita, discretamente.

«--Chi è?

«--Sono io.... vorrei pregarvi....

«--Che dite? Non capisco....

«Un poco più forte, ma non troppo, per paura che qualche vicino udisse,
ripresi:

«--Siete a letto?

«--Non si sente!... Aspettate.

«Dopo qualche momento udii risonare la voce più da presso, quasi dietro
l'uscio.

«--Che cosa volete?

«--Sentite, vorrei darvi una preghiera.

«--Dite su!

«--Non posso dormire con questa camicia insaldata come una corazza.

«--E che posso farci?

«--Vorreste prestarmi una delle vostre?

«Mi rispose una delle sue risate più sonore, più provocanti, più
scandalose, da destare i vicini immersi nel sonno. Concitatamente, ma
studiando di frenarmi, insistetti:

«--Che c'è da ridere?... Volete destare tutto l'albergo?... Mi avete
compianto perchè mi tocca passare la notte sopra un divano!... Potete
contribuire ad alleviare il mio tormento.... Se ci avessi pensato, mi
sarei provvisto stamani dal camiciaio, quando comprai quella da
giorno.... temete che ve la sciupi, la vostra camicia?

«--Non temo, no!... Ah!... Ah!... Ma non pensate?... Come non
pensate?...

«--Che cosa?

«--Quanto sarete buffo!

«--Che ve ne importa, se non mi vedrete?

«--Ah! Ah! Ah!

«--Sono contento di tenervi di buon umore, ma ridete un poco più
piano!... Me la date, sì o no?

«--Ma proprio?... Dite proprio sul serio?

«--State pur certa che non sono d'umore da scherzare.

«--Se la volete proprio.... Un momento: aspettate....

«La voce tacque. Tesi l'orecchio: silenzio profondo. Poi un gemito di
molle: ella era tornata a letto. Poi la voce risonò ancora una volta,
lontana, percorsa ancora da fremiti d'allegria:

«--Venite a prenderla....


Il narratore, che aveva fatto qualche pausa qua e là, nei punti salienti
del racconto, per eccitare la curiosità delle uditrici, per accrescere
l'effetto delle cose dette, fu a questo punto costretto a tacere dalle
esclamazioni delle signore:

--Basta così!... Abbiamo capito!... Vi facciamo grazia del resto!...

--Ma lasciatelo dire!...--intervenne Ferdinando Anselmi.--Egli deve
certo soggiungere una cosa essenziale: che nessuna donna di carne e
d'ossa gli ha mai fatto provar nulla di minimamente paragonabile a ciò
che provò con quella del sogno: è vero?

--È vero.

--Accade sempre così. Disgraziatamente, anche tu dovesti destarti sul
più bello, e te ne rimase come un senso di vuoto, come un bisogno di
stender la mano per trattenere il fantasma fuggente, come un'angoscia
nostalgica ed inconsolabile.

--Qui t'inganni,--rispose Alberto Mauri.--Io mi destai di molto buon
animo, il domani, nella camera dell'«Hôtel Riche», a Parigi.

--Come?... Che vuol dire?... Ma dunque?... Ma allora?...

--Così. Vi ho detto che fu un sogno, perchè del sogno ebbe la stranezza,
la difformità, l'incredibilità; perchè se vi dicessi che fu realtà, non
potrei darvene la prova, nessuna prova, neanche il più piccolo indizio.
Di quella donna io non seppi e non so il nome. Il domani della notte
nuziale l'accompagnai alla stazione e la lasciai andare incontro alla
sorella: da quel momento non l'ho mai più riveduta. Mi chiese di non
scriverle, di contentarmi che neanche ella mi scrivesse, di non guastare
con parole inutili il ricordo del nostro unico giorno d'amore. Dietro di
noi, neanche la più tenue traccia. All'«Hôtel du Louvre», a Parigi, ci
chiesero naturalmente i nostri nomi, ma neppur io potrei ritrovarli su
quel registro, perchè furono nomi fantastici, inventati da lei, da lei
stessa trascritti, e perchè non conosco la sua scrittura. Non solamente
agli altri, ma neanche a me stesso io posso più dimostrare che non
sognai. Il luogo reale dove la conobbi, dove non sono più tornato, è
nella mia memoria trasfigurato: se vi ho parlato di una riva incantata e
d'un tempio della Fortuna, è perchè Montecarlo e il Casino, da
quell'unica volta che li vidi, hanno perduto i loro contorni reali nei
miei ricordi, si sono annebbiati e confusi. Di lei non so più nuova, se
vive o se è morta, dov'è, che cosa fa; e se volessi rintracciarla, non
saprei da che parte rivolgermi; e se lo sapessi, non ne farei nulla. Col
suo fulgore tollerabile, con la sua accessibile e umana divinità, ella
mi diede nella vita reale l'impressione del sogno: bene è che resti
confusa con le figure del sogno, con le immagini della fantasia, con le
incerte creature nate dal desiderio folle e distrutte dal rapace
obblio.



LA BELLA MORTE.



I.


Quando il capitano di vascello Ruggero Carleoni, comandante della
«Siracusa», ebbe finito di decifrare nella sala del Consiglio della nave
il lungo dispaccio del ministro della Marina, chiuse il foglio in uno
dei cassetti della scrivania, strappò e stracciò la pagina del taccuino
dove aveva trascritto alcuni dei passi più importanti degli ordini
telegrafici, e disse a Catenuti, il sott'ufficiale-segretario:

--Chiami subito il comandante in seconda.

A bordo, finite le esercitazioni militari e marinaresche di orario,
parte dell'equipaggio lavorava a rimettere in assetto il formidabile
strumento di guerra, parte si godeva il riposo che precede l'ora del
pasto. Il caporale-portalettere aveva già fatto la prima distribuzione;
alcuni marinai, nel ponte di batteria, curvi sulle tavole dei ranci,
rispondevano ai loro cari. Barbarini, il secondo, chiacchierava col
capitano medico, a poppa, fumando, quando fu avvertito di scendere giù
presso il comandante, che lo aspettava d'urgenza.

--Comandante Barbarini,--gli disse Carleoni, rispondendo con un breve
cenno del capo e della mano al suo saluto,--siamo al totale di munizioni
e di carbone?

--Sì, signor comandante.

--E di viveri?

--Mancheranno una quindicina di giorni alla dotazione normale.

--Si rifornisca nel più breve tempo possibile. Mandi una forte
comandata, per affrettare il trasporto e l'imbarco.--Dopo avere alzato
gli occhi all'orologio, riprese:--Dia ordine al direttore di macchina
che accenda subito i fuochi e sia pronto a partire non più tardi delle
cinque. Vi è molta gente a terra?

--Una ventina d'uomini, in permesso ordinario.

--Nessun ufficiale?

--Due guardiamarina e un sottotenente di vascello....

--Chi è?

--Suo figlio.

Carleoni tacque un poco. L'espressione già grave del maschio viso
incorniciato dai capelli grigi e dalla barba candida, sulla quale
spiccavano i folti baffi ancora del colore dell'oro, divenne severa.

--Scende troppo spesso a terra, quel ragazzo.

--M'aveva chiesto il permesso fino da ieri; non credetti di negarglielo.

--Lei sa che non deve accordargli nessuna preferenza, che è mio vivo
desiderio di vederlo trattato come tutti i suoi compagni.

--Non gli ho accordato preferenze, comandante! Mi disse che aveva un
impegno; era franco di servizio....

Dopo un'altra pausa Carleoni riprese, rapidamente, quasi per guadagnare
il tempo perduto nella parentesi:

--Richiami tutta la gente a bordo. Senta il capitano medico se quei due
infermi gravi sono da sbarcare. Avverta le mense che si provvedano di
viveri freschi per una settimana, ed anche più....--Parve cercare nella
memoria altre cose; poi, movendo un passo verso il secondo, con
voce più riposata, con tono di confidenza amichevole:--Del
resto,--soggiunse,--non ho bisogno di spiegarle altro. Lei sa quel che
deve fare. Appena la macchina sarà pronta si partirà.... Andiamo al
Marocco. Pare che la feccia della popolazione tangerina, in uno scoppio
di fanatismo religioso, abbia fatto strage di Europei. Il Consolato
italiano sarebbe invaso e saccheggiato.... Ci toccherà probabilmente di
menar le mani....--Si stropicciò le sue, che erano belle e bianche, poi
disse:--Mi mandi l'ufficiale di rotta e il commissario.

Alla nuova chiamata, agli ordini impartiti in macchina, alla formazione
della comandata per l'imbarco dei viveri, un senso di curiosità cominciò
a diffondersi tra l'equipaggio, e crebbe, fino all'inquietudine, quando
l'ufficiale di guardia, sulla plancia, dopo avere ordinato al personale
di timoneria d'invergare la bandiera di partenza e al capo cannoniere di
caricare un pezzo in salva, ordinò:

--A riva il segnale!... Fuoco!...

La bandiera azzurra col dado bianco salì lentamente in cima all'albero;
la cannonata rimbombò, ripetuta dall'eco per la cerchia delle colline.

Da una manica a vento emerse la testa affumicata di un fochista, il
quale domandò a un gruppo di marinai confabulanti:

--Neh, ched'è?

--Zitto voi!--ingiunse l'ufficiale.--E voialtri, ai vostri posti!

Ma l'agitazione, repressa in quel punto, si diffuse altrove.

--Che è successo?... Una torpediniera nemica?... Compie gli anni il
Re.... Un incendio a terra!... Ma che: si parte!... No, è una finta
manovra!... È scoppiata la rivoluzione....

Le notizie più stravaganti s'incrociavano, dette sul serio e da burla,
credute ingenuamente o accolte con sorrisi d'incredulità. Le risa dei
tenenti di vascello scoppiarono sonore quando uno di essi, De Ricci,
avendo domandato di che si trattasse al piantone, un Tarantino famoso
per la sua stupidaggine, si udì rispondere:--È partorito un principe!

Giù, frattanto, nella sala del Consiglio, accorsi alla chiamata, il
commissario Barresi, e Mietti, l'ufficiale di rotta, aspettavano gli
ordini del capo. In piedi, presso la scrivania, col cifrario in mano e
molte carte dinanzi, Carleoni dettava telegrammi al segretario.

--Eccomi a loro,--esclamò, quando ebbe finito.--Occorre provvedersi di
fondi, Barresi, e specialmente di oro. Quanto ne abbiamo in cassa?

--Poche migliaia di lire, comandante: sei o sette. Se vuol sapere con
precisione....

--Prepari subito una richiesta di centomila lire d'oro, e si rechi
immediatamente alla Banca d'Italia per ritirarle.... Partiamo alle
cinque,--riprese, volgendosi all'ufficiale;--partiamo per le coste
marocchine.... Mi porti le carte e i portolani per stabilire le rotte.

Su, in coperta, gli ordini s'incrociavano, gruppi di marinai correvano
da un capo all'altro, in mezzo al frastuono dei congegni messi in
azione. I cannonieri rizzavano le artiglierie, altri uomini le forge, i
banchi, tutto ciò che non era fissato alla nave; gli argani cigolavano,
a prora, recuperando la catena dell'áncora fino a lasciarla a picco
lungo; i fumaioli già eruttavano fumo misto a faville, e il fumo si
disegnava nero e denso sulle volute delle nuvole emergenti dal mare di
libeccio come foschi vapori di un vasto incendio lontano.

--Il barometro è basso,--fece osservare Barbarini al primo medico;--non
avremo una comoda traversata. Dice il comandante se credi di sbarcare i
due ammalati?

--Uno soltanto, il timoniere. L'altro va meglio.

Mentre l'infermo, pallido, esangue, era portato su, nella barella, i
primi gruppi degli sbarcati ritornavano a bordo; poco dopo giunsero
insieme i due guardiamarina. Una barca da nolo portò un altro fattorino
del telegrafo con un espresso: un piego del ministero degli Esteri.
Barbarini, dopo averlo mandato al comandante, vedendo che il suo
figliuolo tardava a tornare, e concependone qualche inquietudine, fece
chiamare il sottotenente di vascello Marco Roccaforte.

--Lei è molto amico di Luigi Carleoni: sa dove si potrebbe trovare, a
quest'ora?

--Non so, comandante.... Forse....--Parve che il giovane volesse dire
qualche cosa; poi, come non potendo o non volendo spiegarsi,
ripetè:--Non so davvero.... Potrei domandarne all'attendente.

--Sì, vada; e lo spedisca a terra, se occorre.



II.


Roccaforte sapeva.

Aveva dapprima intuíto il secreto dell'amico suo, convivendo tutti i
giorni e tutte le ore con lui; poi ne aveva ricevuto le confidenze. Più
volte, con la reputazione di essere esperto nelle cose del cuore, i suoi
amici e camerati gli si erano aperti come ad un confessore; nessuno lo
aveva mai tanto turbato quanto Luigi. Effetto, senza dubbio, del gran
bene che gli voleva; ma anche un indifferente sarebbe rimasto
impressionato dallo spettacolo di quella passione. Innamorato come un
fanciullo e come un pazzo, non una volta Luigi gli aveva parlato
dell'amor suo senza piangere. Aveva pianto di gioia e di dolore, di
tenerezza e di rabbia, di speranza e di disperazione, secondo che il
contegno della donna amata, i suoi atteggiamenti e le sue parole erano
stati dolci o severi, freddi o incoraggianti. Luccicanti di lacrime e
ardenti di febbre, gli occhi del giovane avevano impetrato dal compagno,
dal fratello d'armi, consiglio nei dubbî, conforto negli accasciamenti,
partecipazione alle esultanze. Gelosie cieche, collere bieche lo avevano
róso, vedendo circondata, ammirata, desiderata da altri la prediletta,
credendola infinta, giudicandola capace di prendersi giuoco di lui; poi,
ad un biglietto cortese, ad un invito, ad un sorriso, il paradiso; poi
ancora, all'idea di dover presto o tardi partire, di non poter vivere
sempre nel cerchio dell'ombra sua, l'inferno.

Vani i tentativi di moderare quella gran fiamma, inascoltati i consigli,
inefficaci i conforti. «Vincerai! Amore a nullo amato amar perdona!...»
gli aveva detto, nel vederlo disperato, smarrito, perduto; ma sorrisi
amari avevano accolto le assicurazioni. «Fingi d'allontanarti!
Ingelosiscila!...» gli aveva suggerito; ma si era sentito rispondere:
«Non posso!» E sempre un dubbio ansioso, e sempre un'avida domanda: «Mi
ama? Mi ama?... È amore? È capriccio?...»

Come rispondergli? Roccaforte non conosceva quella donna se non dalle
stesse confessioni dello spasimante. Sapeva, per averla vista a bordo,
durante una festa, che era molto desiderabile: alta, di forme ben
modellate, bella nel viso, non della semplice e spesso fredda bellezza
che è data dalla perfezione delle linee, ma di quella che consiste nella
loro capricciosa vaghezza, nella profondità della loro espressione. Gli
era noto ancora che viveva divisa dal marito, che non aveva figli, che
possedeva uno spirito molto vivace; ma come giudicarne l'anima? Certo,
il suo contegno, la continua vicenda degli allettamenti e delle repulse,
poteva giustificare le querele dell'adoratore. Nonostante il fervore
dell'adorazione, Luigi l'aveva giudicata tante volte illogica,
irragionevole, falsa! Se gli voleva bene davvero, non avrebbe dovuto
farlo felice? E se non gliene voleva, non doveva togliergli ogni
speranza? Questo diceva la logica, questo voleva la ragione. Sulla
ragione e sulla logica, tuttavia, che assegnamento si poteva fare nelle
cose del cuore, da parte d'una donna segnatamente? Ma quella vicenda
durava da troppo tempo, si prolungava oltre i termini della resistenza
che ogni donna, anche libera, anche amante, oppone alle sollecitazioni
d'amore. E la sfiducia dell'innamorato, la disperazione di non poter
vincere mai poichè non aveva vinto ancora, pareva talvolta tanto
fondata, che nessun argomento di speranza restava da opporgli. Era
egualmente fondato il sospetto che ella fosse perfida? Che, avendo
appagato altre brame, godesse nell'accenderne ancora, freddamente, per
soddisfazione di vanità, per compiacimento nel veder soffrire?

Sinceramente, Roccaforte non sapeva che cosa pensare, che cosa augurare
all'amico. Forse una grande felicità lo aspettava, ma forse un
disinganno atroce. Intanto non era dubbio che per quella donna egli
tardava a riprendere il posto del dovere. A quell'ora egli era da lei, o
con lei, o in qualunque modo occupato di lei. Bisognava trovarlo,
avvertirlo, ingiungergli di accorrere, poichè con tutta probabilità non
doveva essersi accorto dei segnali del richiamo.

Come durante altre lunghe soste in altri porti, anche questa volta i due
amici avevano affittato insieme un piccolo alloggio in città, il «punto
d'appoggio», due camerette dove tenevano gli abiti borghesi, dove
ricevevano qualche amico: di lì egli doveva esser passato, lì bisognava
cercarlo prima che altrove. All'annunzio della partenza, Roccaforte vi
aveva spedito Lisi, il proprio attendente, per far ritirare tutte le
cose di loro proprietà e consegnare la chiave al portinaio; ora girava
per il ponte di coperta e per quello di batteria in traccia
dell'attendente del compagno, ansioso di eseguire l'incarico affidatogli
dal comandante in seconda. E appena ebbe scorto il marinaio, sull'uscio
del quadrato, lo chiamò, gli fece cenno d'appressarsi.

--Tringale!... Scendi subito a terra! Vai a casa, vai a cercare il tuo
padrone!

--Sissignore. Ma se non c'è?

--Se non c'è cercalo altrove. Domandane a Lisi, che è andato da un pezzo
laggiù. E non far lo stupido, adesso: tu sai dove trovarlo. Dove ti
manda coi libri, coi fiori?

--Sissignore, dalla signora contessa.

--Corri a dirgli che si parte fra un'ora. Digli che torni subito,
riconducilo con te: hai capito?

Mentre la barca col marinaio s'allontanava a forza di remi, tornava
quella col commissario recante i fondi. Erano le due. Roccaforte aveva
esagerato, annunziando che mancava un'ora sola alla partenza; forse non
si sarebbe salpato neanche alle cinque; ma il ritardo del compagno lo
turbava troppo. Da parecchi giorni, da circa una settimana, Luigi lo
impensieriva, non già perchè gli avesse rivelato di attraversare una
nuova crisi, di trovarsi ridotto a qualche pericolosa estremità, anzi
per non avergli confidato più nulla di nulla. Il preannunzio di una
catastrofe non lo avrebbe tanto inquietato quanto quell'insolito
silenzio. Perchè l'amico tacesse dopo averlo voluto partecipe di tutta
la sua intima vita, qualche cosa di molto grave doveva essere avvenuto o
prepararsi. Non taceva soltanto: lo evitava anche, tutto chiuso in sè
stesso. Quella nuova condotta, data anche la delicatezza della
situazione, era tale che gl'impediva, di prenderlo per la mano e
domandargli: «Che cosa avviene?...» Che cosa avveniva, realmente? Egli
si perdeva in supposizioni, intuendo un dramma, fremendo all'idea di una
tragedia. Quel ragazzo non era capace di ricorrere ai più disperati
propositi per sottrarsi a un disinganno, per dare una prova dell'amor
suo?... No, via! Esagerazioni! Aveva taciuto non avendo nulla da dire,
per non ridire sempre le stesse cose, vergognoso di non aver vinto nè
l'amata nè sè stesso. Tardava, ora, a rientrare, per un motivo
semplicissimo, forse volgare: perchè non sapeva della partenza, perchè
comprava i corpetti dei quali aveva detto che cominciavano a
mancargli.... Da un momento all'altro sarebbe sopraggiunto: ecco, non
era nella lancia a vapore che tornava alla «Siracusa» fischiando e
rimorchiando la bettolina coi sacchi e le botti delle provviste?...
Roccaforte corse a prendere il cannocchiale: nella lancia stavano
soltanto gli uomini della comandata col guardiamarina che li guidava e
il tenente medico che aveva verificato la buona qualità dei viveri.

Pochi minuti dopo sopraggiunse l'altra imbarcazione con Lisi, il suo
attendente, che riportava a bordo bauli e cassette e pacchi di libri e
di giornali.

--Hai visto il tenente Carleoni?

--Nossignore.

--Non era passato da casa? Non ne domandasti al portinaio?

--Nossignore. Me l'avrebbe detto, se ci fosse stato.

Allora il cuore gli si strinse. Che ne era dell'amico suo, perchè, dopo
quattro ore dai segnali, con tanta gente scesa a diffondere la notizia
della partenza, nessuno lo avesse visto nè egli facesse saper nulla di
sè? A terra tutti dovevano ormai sapere che la «Siracusa» stava per
salpare; se egli non accorreva, bisognava credere che non volesse--o non
potesse. Che fare? Se neanche l'attendente lo avesse trovato? Andare a
cercarlo personalmente, mentre era ancora in tempo?...

--Signor comandante,--disse risolutamente al secondo, che sorvegliava
alle gru l'imbarco delle provviste,--il ritardo di Carleoni m'inquieta.
Permette che vada a cercarlo io stesso?

--Ha mandato l'attendente?

--Sissignore, ma ho paura che non lo trovi.

Sul viso di Barbarini si lesse una penosa esitazione. Ma prima che ne
uscisse, il capo macchinista gli si avvicinò.

--La macchina è pronta. Posso provarla?

--Perbacco! Ha fatto miracoli!--rispose il secondo, guardando l'orologio
e sorridendo d'un riso un poco stentato.--Non ha fatto mai così
presto!... Ma il comandante ha ordinato oramai che si parta alle cinque.
Provi il timone, per ora!...

E rivolto a Roccaforte, dopo aver congedato con un saluto il capo
macchinista:

--No, vede: è troppo tardi. Correremmo rischio di perdere anche lei.
Speriamo che torni con l'attendente.

Un sott'ufficiale gli si presentò:

--Il signor comandante ha bisogno di parlarle.

Carleoni era ancora alla scrivania, dove aveva studiato le rotte e
decifrato l'espresso.

--È il ministro degli Esteri che trasmette istruzioni per gli accordi da
prendere con i rappresentanti delle altre nazioni. Mi faccia il piacere
di mandare subito al telegrafo questa risposta e questo dispaccio per la
mia famiglia. Tutto è in ordine?

--Sono arrivati i viveri. Il commissario è già tornato.

--La gente è rientrata?

--Tutti i marinai sono a bordo; i due guardiamarina anch'essi....

--Mio figlio?

--Ho mandato a chiamarlo.

Il comandante alzò gli occhi all'orologio, senza dir nulla. Dopo un
silenzio che al secondo parve molto lungo, proferì:

--Mi avverta, se verrà.... Desidero riceverlo io stesso.

--Vuol passare un guaio!--esclamava tra sè Barbarini, risalendo in
coperta.--Bene gli sta!... Questi ragazzi!...

Però, se avesse potuto prevedere un simile abuso, mai più gli avrebbe
permesso di scendere. Dall'altra parte, neanche quella partenza a rotta
di collo era prevedibile!... Ed egli girava per la tolda, intanto che si
alzavano le imbarcazioni, fingendo di ispezionare e di verificare,
distribuendo ordini, rimproveri e lodi a destra e a manca, ma per
guadagnar tempo, in verità, con l'occhio allo specchio d'acqua fra la
nave e la città, aspettando di veder sopraggiungere da un momento
all'altro il mancante. Roccaforte guardava anch'egli, dietro il
cannocchiale che non aveva più lasciato, e ancora una volta tornò a
sperare, scoprendo un'imbarcazione che tornava; poi le braccia gli
caddero. L'attendente era solo.

--Non l'hai trovato? Dove sei stato?

--Sono stato all'alloggio; era tutto chiuso, Lisi ha lasciato la
chiave....

--Va bene, questo lo so. E poi, dove sei andato?

--Sono stato dalla signora contessa. Era uscita.... Mi dissero d'aver
visto il signor tenente in carrozza; ho preso una carrozza anch'io....
Ho chiesto di lui al Campari, al Circolo; ho girato per i
Giardini....--Sottovoce, con aria di mistero, soggiunse:--Il signor
tenente aveva affittato un'altra casa, fuori la Barriera alle Colline,
una settimana addietro.... Sono stato anche lì, ho bussato quattro o
cinque volte, chiamando....

--Non c'era?

--C'era!

--E non l'hai condotto con te?

--M'ha mandato via! M'ha risposto: «Va bene! Ho sentito!...» Gli ho
detto che lo aspettavo giù, con la carrozza; m'ha risposto: «Vattene,
torna a bordo, sono buono di venire da me!...» Nonostante, ho aspettato
un pezzo.... Poi ho avuto paura che si facesse troppo tardi.... Ho
lasciato la carrozza al cancello, ne ho presa un'altra....

Ed aperse le braccia.

Barbarini, dall'alto della plancia, vide il gesto. Guardò ancora una
volta l'orologio: erano le quattro e quaranta. Volse ancora uno sguardo
verso terra. Un'imbarcazione filava verso la nave. Ma era l'ultima
rimasta, e riportava il graduato che era andato al telegrafo. Allora il
secondo si cacciò con un gesto brusco le mani in tasca e ordinò
all'ufficiale di guardia:

--Faccia alzare le scale e rientrare le aste di posta. Faccia battere
l'assemblea, prevenendo il commissario.

I comandi risonarono, la tromba squillò. L'equipaggio si raccolse e si
schierò tutto in coperta; la voce: «Presente!» si propagò per le file,
ripetuta su tutti i toni, con tutti gli accenti, ad ogni nome
pronunziato dal commissario, mentre il chiamato gli passava davanti.

In quel punto dalle latebre della nave risonò al portavoce la nuova
domanda del capo macchinista:

--Posso provare la macchina?

Barbarini esitava ancora, quando vide il comandante apparire sulla
plancia.

--La macchina è pronta?

--Sissignore. Il direttore domanda se può provarla.

--Immediatamente.

Il secondo trasmise l'ordine.

--Ho sentito che si è fatto l'appello,--riprese il capo.--Ci sono tutti?

--Tutti, tranne....

E come Barbarini esitava, imbarazzato, volgendo uno sguardo disperato
alla riva, il capo disse, forte, senza guardarlo:

--Il sottotenente di vascello Carleoni non è rientrato?

Non disse: «Mio figlio». E Barbarini rispose, quasi duramente:

--No, comandante.

Domanda e risposta furono scambiate in mezzo a un silenzio profondo; i
circostanti restavano immobili, inquieti, intimiditi. A un tratto la
sirena squarciò l'aria col suo formidabile strido, un fiato enorme parve
esalasse dalle viscere della nave, tutta la sua compagine vibrò, le
acque rimosse sfrusciarono al primo giro delle eliche, ribollendo e
spandendosi in cerchi di spuma. Lentamente la «Siracusa» si avanzò verso
l'àncora. Il rombo della macchina cessò un momento per riprendere subito
dopo; ma ora la corazzata indietreggiava, al moto inverso dei
propulsori.

Dalle profondità della macchina venne l'annunzio:

--Tutto bene. Siamo pronti.

--Fra dieci minuti la gente al posto di manovra,--ordinò brevemente il
capo.

E la notizia si diffuse per tutto l'equipaggio. Il figlio del
comandante assente, sul punto d'esser dichiarato disertore! Pochi, i
maligni, si compiacevano del caso; la più gran parte dei marinai se ne
dolevano, per il rispetto e l'amore che i due Carleoni, comandante e
ufficiale, si meritavano.

Cinque minuti prima delle cinque, dopo aver fatto avvertire gli
ufficiali che prendessero i loro posti. Barbarini ordinò a quello di
guardia:

--Chiami i fischi al centro.

Il primo nostromo diede il segnale, tutti gli altri nocchieri accorsero,
e i fischi ordinanti il posto di manovra si levarono, come una scappata
di razzi sonori, come i sibili e i gorgheggi d'un'uccelliera. In mezzo a
quel concerto la voce dell'uomo di vedetta piovve dall'alto dell'albero:

--Un battello borghese dirige verso il bordo.

Roccaforte lo aveva già avvistato. E finalmente il suo incubo si
dissipava, egli traeva ora liberamente il respiro riconoscendo Luigi
Carleoni nell'alta figura ritta a poppa della barca che due vogatori
facevano volare sulle acque, remando furiosamente, sollevandosi e
rovesciandosi sulla panchetta ad ogni colpo di remo. Si vedeva il
giovane curvato verso gli uomini, incitarli con energici gesti del
braccio, abbassarsi ad afferrare il timone, in prossimità della
«Siracusa», per manovrare in modo che il battello restasse coperto dalla
poppa della nave; ma allora Roccaforte, coi cenni, gli significò che non
sperasse di rientrare inosservato, e perchè non s'arrampicasse da una
delle scalette di combattimento, gli gettò una biscaglina.

Quando il giovane apparve dalla murata e la scavalcò, era rosso in viso,
confuso ed ansante. Teneva nella sinistra un mazzolino di violette.
Dovevano stargli molto a cuore se neanche la ginnastica necessaria per
montar su lo aveva deciso a sbarazzarsene. Due file di marinai, con gli
ufficiali alla testa, gli si aprivano dinanzi; in fondo stava il
comandante, suo padre.

--Venga avanti,--disse questi, con le mani in tasca e guardandolo fiso.

Nascosti i fiori in una delle tasche del cappottino, Luigi Carleoni si
avanzò; giunto a qualche passo dal padre si fermò sull'«attenti»,
portando la destra alla visiera.

--Ha sentito il segnale della partenza?

--Sissignore,--rispose con voce che voleva esser franca e tentando di
sostenere il freddo sguardo del capo.

--A che ora l'ha sentito?

--Alle undici e un quarto.

--È stato anche avvertito a voce, mi pare?

--Sissignore.

--A che ora?

--Alle tre.

--Le faccio osservare che sono le cinque passate. Si costituisca agli
arresti in attesa di provvedimenti.

E si voltò dall'altra parte.

Gli astanti non fiatavano, come se la punizione fosse piombata su tutti
loro. Il giovane rinnovò il saluto alle spalle del padre e corse a
prora, al suo posto di manovra.

Tutti i gabbieri erano sul castello, un timoniere stava accanto all'asta
della bandieruola, pronto ad ammainarla. L'argano e i verricelli già
stridevano e sbuffavano; la tensione della catena dell'áncora, nello
sforzo di svellere il ferreo dente dal fondo delle acque, era violento;
pareva a tratti, ad uno scatto, che qualche ingranaggio si fosse
spezzato; poi lo stridore, il cigolio, i soffî riprendevano, più forti,
e la nave s'avanzava di qualche passo.

--L'áncora è a picco!--gridò il secondo, dal castello, rivolto al
comandante.

--Viri a lasciare!--rispose la voce del capo.

Altri ordini, brevi, concitati, per recuperare catena; dopo un nuovo
sforzo risonò finalmente l'annunzio:

--L'áncora ha lasciato.

Il timoniere, pronto a levar volta alla ságola della bandieruola,
guardava il sottotenente di vascello Carleoni, aspettandone, quasi
sollecitandone l'ordine; ma il giovane pareva assorto nell'esaminare,
oltre la battagliola, l'áncora fangosa pendente lungo il fianco della
nave, i cerchi concentrici che gli spruzzi del fango disegnavano cadendo
sulle acque morte.

--Carleoni!--chiamò forte e brusco il secondo.--Guardi un po' se il
tirante è libero e ben guarnito.

Il giovane, riscuotendosi, incontrò finalmente lo sguardo del timoniere:
ad un cenno la bandieruola fu ammainata.

E ancora una volta, all'ordine di: «Avanti, adagissimo» trasmesso in
macchina dal comandante, parve che la nave traesse un profondo sospiro,
e un fremito passò per le sue commessure, e un sordo fragore di acque
sbattute annunziò che le eliche giravano. La «Siracusa» cominciò ad
avanzarsi, mettendo la prora, per via di accostate, fra l'estremità
della diga ed il Faro. Giunta l'áncora all'occhio, il nuovo comando volò
elettricamente dalla plancia alla macchina:--Avanti, adagio!

Già in franchia, la nave procedeva ora verso la lanterna della Vegliaia,
lasciandosi sulla sinistra la spianata dei Cavalleggeri: al primo urto
del mare libero cominciò a rollare.

--Faccia rotta per 250 alla normale,--ingiunse il comandante
all'ufficiale di guardia. Fissato poi lo sguardo all'orizzonte,
soggiunse:--Il tempo non mi piace. Mi avvisi, se peggiorasse; mi
partecipi subito qualunque novità. Buona guardia!

Sul castello, traversata l'áncora, il secondo disse anch'egli a Luigi
Carleoni:

--Avremo mare, stanotte. Badi di far rizzare le áncore come si deve.

--Non dubiti!

E ad un tratto, come preso da una gran fretta ora che il secondo si
allontanava dal castello e che il comandante non stava più sulla
plancia, il giovane, già assorto e come assonnato, ordinò al primo
nocchiere:

--Nostromo, facciamo presto a passare le rizze in catena!

Il lavoro degli uomini non gli parve sollecito abbastanza.

--Su, svelti,--li spronò;--non v'incantate!

Nè l'operazione era ancor finita, che egli gridò verso la plancia, dove
Barbarini parlava con l'ufficiale di guardia:

--Le áncore sono rizzate!

--Faccia rompere le righe!

Il giovane corse alla scala. In quel punto il fischio di «Pronti!»
echeggiò all'altra estremità della nave; subito dopo si udì la voce
dell'ufficiale di guardia ordinare:

--Ammaina bandiera!

Tutta la gente si scoprì, voltando il capo verso la bandiera nazionale
che discendeva, distesa e flagellata dal vento, lungo l'asta. Luigi
Carleoni, subitamente fermatosi sul boccaporto, restò col berretto in
mano più che tutti gli altri, guardando verso la poppa, verso la terra
svanente nell'ombra del rapido crepuscolo.



III.


Le precauzioni non erano soverchie. Al largo il mare prendeva di fianco
la «Siracusa»; il vento andava sempre più rinfrescando. Sospinti dalla
libecciata i nuvoloni si rincorrevano, sovrapponevano i loro enormi
profili, addensavano prima dell'ora le tenebre.

Prevedendo che si dovesse fra poco ballare, Roccaforte, direttore di
mensa, andò a chiedere consiglio al secondo sull'opportunità di
anticipare il pranzo. Barbarini approvò, e il giovane disse al maestro
di casa:

--Fra un quarto d'ora farete battere la mensa.

Scese giù in quadrato per cambiarsi, e quando fu pronto picchiò
all'uscio della cabina di Luigi.

--Avanti!

L'amico era intento a disfare il mazzolino delle violette ed a riporre i
fiori sciolti dentro una busta grande e forte, una busta da fotografi,
per ritratti.

--Non vieni a tavola?

--È ora?

I suoni della tromba: «Mensa ufficiali!» risposero per Roccaforte.

--Eccomi!

Cacciò la busta coi fiori sotto il guanciale, e si rivoltò. Ogni traccia
dell'imbarazzo e della confusione, cui era stato in preda arrivando a
bordo, era sparita. Il suo spirito non pareva più assente come poco
innanzi. Sul bellissimo viso fresco e roseo, sulle labbra ornate dei
baffetti biondi, negli occhi azzurri sotto il grande arco dei
sopraccigli, un sorriso beato, un'espressione d'estatica gioia.

--Marco! Marco! Marco!

Sentendosi afferrato per un braccio così forte da provarne dolore,
Roccaforte esclamò:

--Ohè! Che ti piglia?

--Marco, la vita è bella! Sono felice!

Tante volte aveva pronunziato simili parole subito dopo contraddette,
che il suo compagno non ne fece caso. Si stupì un poco, ma
gradevolmente, nel vedere che la partenza, quella separazione fino a
pochi giorni innanzi temuta più che la morte, non contristava per nulla
l'innamorato.

--Va bene! I miei complimenti! Ma potevi tornare mezz'ora prima, che
diamine!

--Non potevo! Non sai!

Dopo aver lasciato il braccio dell'amico, glieli afferrò tutti e due,
con più forza, e mentre i muscoli s'irrigidivano e lo sguardo
sfavillava, la voce balbettava:

--Se sapessi! Questa partenza, il mio terrore, senza questa partenza
improvvisa spasimerei ancora.... Tutto era stato invano, fino all'ultima
ora, fino all'ultimo istante.... M'avrebbero dichiarato disertore? Che
importava!... M'importava, sì, per il mio povero babbo; ma mi sarei
ucciso. Tanto, non potevo durare più a lungo in quello spasimo.... Non
me ne importa di morire, neanche ora, sai!... Venga la morte, ora!... Ma
per un'altra ragione: perchè la vita m'ha dato tutto ciò che poteva
darmi; perchè nulla, mai, nessun altro giorno simile a questo sorgerà
mai più per me....

Un fiume di parole roventi, mal connesse; fremiti nelle mani abbarbicate
alle braccia dell'amico, lampi negli occhi gonfî di lacrime.

Roccaforte, con voce d'indulgenza quasi paterna, disse:

--Fanciullo, va'!

In fondo al suo cuore, ma proprio in fondo in fondo, sottile, sordo,
indistinto, un senso d'invidia sorgeva, allo spettacolo di quella
felicità. Nonostante la fraterna amicizia che lo legava a Luigi, si
sentiva un poco umiliato, quasi offeso da quel trionfo. Aveva sempre
desiderato all'amico tutte le fortune, sinceramente; riconosceva che
l'anima ardente in quel corpo apollineo le meritava; che l'amor suo
veemente ed ingenuo doveva essere ripagato, se c'era giustizia; ma
sentiva che lo sfoggio della sua gioia era quasi insolente.

--Che abissi, in quel cuore!...--continuava l'estatico.--Ed io ne
dubitai!... Perchè non sapevo misurarne la profondità! Perchè non potevo
comprenderne le complicazioni.... Sono qui per lei!... Se non avesse
voluto, se non m'avesse sospinto!... Non mi credeva, finchè m'ebbe
vicino; non credette alla partenza finchè non udì che mi chiamavano....
Dopo avermi sempre respinto mentre le stavo dappresso, ha voluto legarmi
a sè per la vita nel punto che la vita ci ha separati.

C'era un ritmo nelle sue parole, una specie di canto nella sua voce.
Roccaforte sorrideva tra sè d'un sorriso un poco amaro, ripensando alle
ore trascorse nell'ansia, con la paura d'una catastrofe. Ora gli pareva
che la sua paura fosse stata fuori d'ogni proposito, sciocca
addirittura. Si sentiva un poco ridicolo per aver trepidato, mentre
sarebbe stato tanto facile prevedere le ragioni dell'indugio! E il morso
della secreta invidia diveniva più acuto; e come Luigi, inesauribile,
riprendeva:

--La mia logica e la tua sono bambine presuntuose e ignoranti di fronte
al suo sentimento. Volevo che cedesse, se mi amava; che mi respingesse,
se non le importava di me. Sai che cosa m'ha risposto, quando le ho
proposto il dilemma?

--Andiamo a pranzo, per ora!--lo interruppe quasi bruscamente.--Mi
narrerai dopo.

E s'avviò per il corridoio verso la sala della mensa. La nave rollava e
beccheggiava fortemente; nella foschia, appena rotta per una breve
cerchia dalle luci di bordo, si vedevano le acque avvallarsi e
sollevarsi in pieghe larghe che trascorrevano da prora a poppa
gonfiandosi e coronandosi di creste di spuma.

--Avremo da stare allegri, doppiato il capo Corso!--esclamò ancora
Roccaforte.

Non udendo il passo dell'amico dietro di sè, si fermò, rivoltandosi.
Luigi, addossato alla paratia, guardava anch'egli il mare di poppa,
fiso, come abbacinato.

--Vieni, o vuoi restar lì?

Dapprima il giovane non rispose, quasi non avesse udito, quasi porgendo
l'orecchio a qualche suono lontano; poi disse:

--Il suo dolce paese di Toscana è laggiù, oltre quell'abisso.... Quando
la rivedrò?...

Senza risposta, sapendo d'aver fatto a sè stesso la domanda, riprese:

--Senti, Marco.... Sai che penso?... Quando vedi un mare come questo,
non pensi alla morte che ci sovrasta?

--Che ti salta, adesso?

--Questa potrebbe essere l'ultima nostra notte.... Ed io....

Si frugò con la destra nel petto, sotto la camicia, e trasse qualche
cosa che, a distanza, nell'oscurità, Roccaforte non distinse. Vedutolo
chinare il capo per baciare l'oggetto raccolto nel cavo delle due mani,
gli si appressò, sentendo sciogliersi il rancore di poco innanzi in un
moto di simpatia. Il giovane teneva ancora le labbra religiosamente
accostate ad una crocettina d'oro pendente da una sottilissima
catenella.

--Se questa dovesse essere l'ultima nostra notte, ho la croce che si è
tolta dal seno per me.... Senza questo viatico non avrei trovato la
forza di lasciarla.... Ma vorrei ancora....--A voce più bassa, dopo una
pausa, compì il suo pensiero:--Vorrei portarmi la sua immagine e i suoi
fiori con me....

--A tavola, matto!

Il pranzo fu servito rapidamente. I più avevano poca voglia di mangiare,
col capo aggravato dal forte tangheggiare. Di momento in momento,
crescendo la furia del vento, il mare cresceva; si udivano ora le ondate
battere con colpi secchi, come d'ariete, contro i fianchi della nave.
Roccaforte, assaggiando appena i cibi, vedeva che l'amico suo faceva
loro grande onore.

--M'accorgo con piacere che le commozioni non ti tolgono l'appetito....
Su, da bravo: un'altra fetta d'arrosto.

Il giovane sorrise con tutti i trentadue bianchissimi denti. Porgendo
l'orecchio alla conversazione impegnatasi a capo della tavola fra il
comandante in seconda e gli ufficiali a lui più prossimi, intorno alla
missione della «Siracusa», domandò:

--Si va al Marocco?... Si sbarcherà?

--Pare. Non lo sapevi?

--No. Uno scritturale della Capitaneria, al porto, m'accennò.... Non
compresi, con l'ansia di arrivare in tempo. Siamo fortunati, Marco! Uno
sbarco, le cannonate sul serio, l'occasione di cogliere una fronda
d'alloro!... Pensa quanti navigano da tanti anni, stupidamente, senza
che un raggio di gloria....

--Ci credi alla gloria, tu?

--Sì, ci credo!... Credo a tante cose, ora; credo a tutte le cose belle,
buone, nobili, grandi....

Erano un poco isolati dai compagni, all'estremità della tavola, di là
dai posti vuoti degli ufficiali di servizio. Lembi di frasi, nello
scroscio del mare, nell'acciottolio delle stoviglie, nel tintinnio dei
metalli e dei cristalli, venivano dall'altro capo della mensa: «Una
lezione a quei barbari.... Questo tempo ci farà ritardare.... Francesi
ed Inglesi saranno già sul posto....»

--Pensa, Marco,--riprese il giovane,--che noi andiamo a far rispettare
la nostra bella bandiera, le ragioni della civiltà, i diritti
dell'umanità....

--Taratatà!--interruppe Roccaforte, con un sorriso tinto d'ironia. Per
un ritorno d'amarezza, per un bisogno di contraddizione, esclamò:--Alla
grazia della civiltà imposta con le cannonate!

--Ma se ci aggrediscono, dobbiamo difenderci!--protestò Luigi,
fervidamente.--La guerra non è finita, nel mondo, con tutto l'amore che
lo governa! La vita non è semplice, il cielo non è sempre d'un colore.
Vi sono albe radiose e tramonti insanguinati. Un marinaio dovrebbe
sapere che le calme si alternano con le tempeste!

--Ma allora non parlare di civiltà, per l'amor di Dio! Parla dei diritti
del più forte, e saremo d'accordo.

--I più forti sono anche i più degni.... o i meno indegni, se
preferisci! Pensa alla somma d'ingegno, di studio, d'amore che
rappresenta questa nostra bella «Siracusa», la metallica selva delle
macchine, dei motori, delle artiglierie! Questa nostra forza che pare
bruta ha un'anima, è l'espressione della nostra forza intellettuale e
morale.... Se è giunto il momento di adoperarla, adoperiamola, senza
iattanza, ma con la coscienza di compiere un dovere.... Se agli occhi
della somma Giustizia siamo in errore, il nostro errore ci sarà rimesso,
perchè andiamo a pagarlo con la vita.

Ancora una volta le parole dell'inebbriato significavano un pensiero di
morte.

--Speriamo,--osservò Roccaforte,--che non abbiano proprio bisogno della
nostra, pelle, laggiù. Il marocchino abbonda sul mercato!...

Al bisticcio, Luigi diede in un argentino scroscio di risa. Come
dall'esaltazione sentimentale era passato all'entusiasmo eroico, ora
passava ad una ilarità schietta, ingenua, quasi infantile. Tutta l'anima
sua si rivelava, si abbandonava, nell'incantamento.

--Ma sai che cosa penso?--riprese Roccaforte.--Che tutti questi bei
discorsi dovrebbe udirli tuo padre, per rabbonirsi. Aveva una faccia,
quando t'ha interrogato e punito!...

--Povero babbo mio! Mi vuol bene, sai! Quanto bene mi vuole! Si crede
però in dovere d'esser più severo con me che non con gli altri; ed ha
ragione, e gliene sono grato. Ma come fargli comprendere?...

--Bada che qualche cosa deve pur sospettare!

--Già, e perciò è tanto più burbero. Probabilmente crederà che io corra
alla perdizione. Non sa, non può sapere, nessuno saprà mai, io non
riuscirò mai a significare....

Tacque a un tratto, vedendo un graduato entrare col berretto in mano ed
avanzarsi verso il comandante in seconda.

--Avanti, Maroni!--disse Barbarini volgendosi verso il nuovo venuto, e
piegando poi il capo a udire qualche cosa che costui, giuntogli vicino,
gli diceva all'orecchio.

--Va bene. Va bene.

Posato il tovagliuolo, si alzò, e fece col capo e con la mano un cenno a
Carleoni.

Il giovane sorse in piedi e gli si accostò.

--Comandi!

--Favorisca di venire con me.

Anche gli altri si alzarono, tutti andarono a vedere che cosa avveniva.



IV.


Era difficile mantenersi in equilibrio, sulla coperta: il ponte mancava
sotto i piedi, e la raffica urlante fra le soprastrutture faceva impeto
contro le persone. I due ufficiali, curvi per resistere alla furia del
vento, spruzzati dalla spuma che volava per il ponte, si diressero a
prora. Giunti in prossimità della plancia, Barbarini disse al
subordinato:

--Vada sul castello. Pare che le rizze abbiano ceduto. Se ne assicuri e
provveda.

E salì sul palco del comando.

Luigi Carleoni, corso al castello, vi trovò una dozzina di gabbieri già
raccolti dal primo nostromo e intenti a rivestirsi dei cappotti
impermeabili. Col crescere del mare le áncore avevano cominciato a
soffrire, infatti: il comandante, avvertito dall'ufficiale di guardia,
aveva lasciato la sua mensa solitaria, e dalla plancia, mandato a
chiamare il secondo, aveva impartito le prime disposizioni.

--Passiamo le rizze in cavo al ceppo ed alle marre!--ordinò il giovane,
dopo aver indossato anch'egli un impermeabile.--Qua un paranchetto:
incocciatelo a quel golfare....

Gli uomini eseguivano gli ordini quando sopravvenne il secondo.

--Ma in che modo furono fissate queste rizze?--osservò con voce
irritata.--Mi pare che oggi lei abbia la testa altrove, Carleoni! Eccoci
ora costretti a lavorare con questa razza di tempo!

Il rimproverato non rispose, dando mano a snodare le cime.

Di lassù la gravità della procella riusciva più manifesta. La libecciata
investiva furiosamente la «Siracusa»: agli assalti degli enormi marosi
la sua prora non tagliava più le acque, si abbassava e rialzava, come
impennata; poi, ritirandosi il mare e scavandosi dinanzi alla nave,
questa pareva scivolare per la liquida china; ma l'orlo della voragine
si rialzava, si rigonfiava, si rovesciava sul castello con un crepitio
di cristalli infranti, scorrendo sulla coperta, lanciando gli estremi
spruzzi fino sulla plancia. Fermo nel centro del castello, con gli occhi
al mare ed agli uomini, Barbarini gridava a Carleoni, al sorgere
minaccioso d'ogni nuova cresta spumeggiante:

--Attenzione!... Faccia attenzione per la gente!...

--Agguantatevi!--gridava a sua volta il giovane, e l'operazione restava
un momento sospesa, i corpi dei marinai si curvavano, sparivano,
incappellati dall'ondata, per rialzarsi poco dopo. Allora il lavoro era
ripreso con nuova lena. Snodate come lunghe e nere serpi, le rizze in
cavo erano passate e ripassate attorno alle áncore, tesate a ferro ed
assicurate alle bitte.

--Da bravi, ragazzi!--esclamava Carleoni, incorando i suoi uomini,
lavorando con essi.--Fazio, agguántati bene, e passa questa cima sotto
la marra....

Egli stesso si sporse fuori bordo per ricevere il cavo che il gabbiere
gli tendeva da sotto l'áncora. Con lo zelo di uno che ha qualche cosa da
farsi perdonare, diede anche mano a tesare i paranchi, esponendosi più
del bisogno, quasi sfidando il pericolo.

Ma di momento in momento il lavoro riusciva più difficile; la furia del
mare era spaventosa, sul gran lividore delle acque correvano, come
bagliori fosforici, le spume squassate e dissolte in nembi di
pulviscolo; la prora s'affondava più basso, le masse d'acqua franavano
da più alto. Ora anche dalla plancia venivano i gridi d'avvertimento
lanciati col portavoce dall'ufficiale di guardia:

--Attenti a prora!... Attenti a prora!...

La voce del capo echeggiò a un tratto, concitata:

--Cerchi di sollecitare, Barbarini!... Non mi piace di veder lì quella
gente!... Faccia sgombrare presto il castello!...

E Barbarini, accostandosi agli uomini, ripetè:

--Su, Carleoni.... Carleoni, dov'è?...

Nel gruppo degli uomini uniformemente incappottati, coi cappucci
abbassati, non si riconosceva nessuno.

--Eccomi, comandante....

--Ha sentito?... Si sbrighi!...

--Ancora un momento, e avremo finito.... Animo, figliuoli.... Lavoriamo
di lena!...--Sottovoce, ai più vicini, con aria gioconda,
soggiunse:--Anche sulla plancia c'è cattivo tempo, stanotte!...
Sbrighiamoci, e vi manderò una bottiglia!...

Ma subito dopo, dal portavoce, un grido:

--Statevi in guardia!... Agguantatevi forte, per Dio!

Un colpo di mare formidabile, un'enorme muraglia d'acqua s'innalzò dal
tagliamare, rovinò sul castello con l'impeto e lo scroscio d'una
valanga. La prora parve inabissata, la nave tagliata a metà. E nel
fragore della tempesta il lugubre grido della vedetta piombò dall'alto
dell'albero:

--Un uomo in mare!

Risollevandosi la prora si videro sul castello gruppi di marinai
carponi, afferrati alle bitte, alle áncore, ai candelieri della
battagliola; si udì la voce del comandante in seconda ordinare:

--Tutti via dal castello!... Alla lancia di salvataggio!...

Il rombo della macchina era cessato, come se la nave fosse stata ferita
al cuore; dopo un istante riprese, più cupo, più sordo, coperto
dall'ululo della sirena. Le eliche battevano le acque in senso inverso
per vincere l'abbrivo, per arrestare la corsa, per tornare nel punto del
sinistro. Fasci di luce, dai riflettori improvvisamente accesi, ruppero
la notte rischiarando l'orrore. Sul ponte luccicante nere ombre
correvano, le vedette predesignate salivano a riva, ufficiali e marinai
lanciavano oltre il bordo i salvagente. Da poppa era stato gettato anche
quello luminoso, e al contatto dell'acqua un anello di fuoco si era
acceso e fumigava sulle onde. Senza ordini, al grido tremendo, la
guardia di servizio prendeva i posti assegnati, tutti compivano il loro
ufficio, addestrati alla lugubre manovra dall'esercizio quotidiano.

Sulla plancia il comandante aveva detto all'ufficiale di guardia:

--Assumo il comando. Chiami la guardia franca.

E giù, nel ponte di batteria, al grido: «Tutti in coperta!» i dormienti
si destavano, saltavano dalle brande, si vestivano alla meglio,
correvano alle scale.

--Arma la lancia di salvataggio!

Già gli uomini dell'armamento, rivestite le cinture di sughero, si erano
raccolti intorno al secondo, e un'altra schiera di animosi gli si
offeriva:

--Vogliamo andare!... A noi, comandante!...

--Tocca a noi!... Tocca a noi!...

Barbarini fece cessare la gara, esclamando:

--Vadano i destinati!

Poi chiamò:

--Roccaforte!... Dov'è il sottotenente di vascello Roccaforte?...

Il giovane, cui toccava il pericoloso ufficio di comandare la lancia,
era corso a prora appena udito il grido della vedetta, cercando Luigi
Carleoni; non trovandolo, si era arrampicato sul castello, vi si
manteneva quasi carponi, avvolto fra le spume, per spiare oltre il
bordo, con la febbre dell'ansia sul viso. Energici richiami, grida di
ammonimento lo scossero:

--Roccaforte!... Signor tenente!... Via di lì!... Chi è quell'uomo
lassù?...

Allora discese, corse alla lancia, vi saltò dentro con la cintura non
ancora affibbiata, immediatamente seguito da tutti i suoi uomini agili e
muti. La leggera imbarcazione restò col suo carico umano sospesa
sull'abisso urlante e vorace. Ormai ferma, la nave danzava una più folle
danza; il pericolo che il debole guscio fosse sbattuto ed infranto
contro il fianco d'acciaio era evidente. Barbarini restava esitante, con
lo sguardo fiso e la fronte corrugata.

--La lancia è pronta,--gridò poi, verso il ponte del comando.--Posso
ammainarla?

--Ammaina!

Il secondo fece rapidamente interporre i parabordi e ripetè l'ordine. Le
pulegge dei paranchi stridettero, la lancia scese lentamente ed
egualmente dai due capi. Ma non era giunta a metà della discesa, che ad
una rollata più forte imbarcò un torrente d'acqua e die' di cozzo contro
la nave con un urto sordo.

--Agguanta a filare! La gente sotto i banchi, e non si muova!

I paranchi non filarono più.

--La lancia è piena d'acqua! Temo abbia avaria!

--La riporti subito a riva!

Ma la voce di Roccaforte gridò dal pensile schifo, con accento di
preghiera:

--Comandante Barbarini!... Facciamo un altro tentativo!...

--No! No!... Non possiamo arrischiare altre vite!...

--Se arriviamo a scendere in mare, rispondo io di tutto!...

Barbarini esitò un istante prima di disdire l'ordine, mentre gli uomini
aspettavano con le cime in mano; a un tratto, a un'altra rollata,
piegandosi la nave sulla dritta, la lancia vi sbattè violentemente con
uno schianto, mentre voci paurose gridavano:

--A riva!... Portateci a riva!...

--Alza!--gridò Barbarini, incitando gli uomini con energici gesti.--La
lancia a riva!

Tutte le braccia, dalla murata, fecero forza sulle cime, fino a portare
i bozzelli dei paranchi a baciare. Gli uomini erano immollati, con gli
abiti aderenti alle membra; la frisata dell'imbarcazione era sfasciata.

--La lancia è a riva, avariata!--partecipò Barbarini al capo.

--L'armamento c'è tutto?

--Tutto.

Roccaforte, prima di saltare a bordo, con voce tremante dalla commozione
e dal ribrezzo del freddo, perchè era anche lui grondante, esclamò anche
una volta a mani giunte:

--Comandante Barbarini! Ancora una prova!...

--Impossibile! Inutile! A quest'ora il disgraziato è stato travolto!

Allora soltanto, mentre gli uomini dell'armamento scendevano sulla
nave, accorati, umiliati, mentre ciascuno riprendeva il suo posto di
manovra, corse nel silenzio tragico l'ansiosa domanda mormorata di bocca
in bocca:

--Chi è?... Ma chi è?...

Al primo annunzio, nello slancio concorde di tutto l'equipaggio, nel
bisogno di volgere tutte le forze all'opera di salvezza, nessuno si era
indugiato a chiedere il nome, il grado, l'ufficio del naufrago. Ora
tutti volevano sapere, ma nessuno era appagato. Solo Roccaforte, coi
pugni chiusi, le mascelle contratte, incontrando lo sguardo febbrile del
secondo, disse, senza essere interrogato a parole:

--Sì, comandante: è Carleoni....

Barbarini si prese la fronte tra le mani:

--Come dirlo al padre?

Ma già la voce del capo lo chiamava sulla plancia:

--Comandante Barbarini!

Ed egli accorse, e sulle prime non ebbe bisogno di parlare.

--Vede in quali condizioni ci troviamo?--diceva Carleoni, con voce
grave.--Siamo nell'impossibilità di far nulla. E quand'anche, crede lei
che il disgraziato si sorregga ancora?

--No, comandante.

--Possiamo arrischiare altre vite, senza speranza? Si sente di ritentare
la prova?

--È impossibile.

--Non si può far nulla per quell'infelice. Chi è?

All'improvvisa domanda, Barbarini, avvezzo ai pericoli, rotto alle
durezze della disciplina, si sentì stringere la gola.

--Non ho potuto assicurarmene.

Vi fu una pausa; poi il comandante riprese:

--Chi era di servizio alle áncore?

--Suo figlio,

--Egli deve sapere chi abbiamo perduto. Dov'è?

--Non so....

--Lei non era sul castello! Non lo ha visto?

--No.

Il padre tacque ancora un momento; di repente, stringendo con tutte e
due le mani la battagliola, tendendo il capo ed il corpo, sporgendosi
tutto nel vuoto, gridò:

--Gigio!... Gigio!...

Nessuno rispose. Non una voce, sulla nave inerte, in preda alla tempesta
e popolata di ombre; solo lo scroscio del mare ed il clamore del vento.
Ancora una volta il padre gridò:

--Gigio!...

Poi, lasciata la battagliola, afferrandosi alle spalle del secondo,
figgendogli gli occhi negli occhi:

--Lei sa?--esclamò sordamente.

--Ma no, comandante! Le giuro che non so nulla!... Suo figlio sarà sceso
giù.... Vado a cercarlo io stesso....

E sentendosi libero dalla stretta scese rapidamente le scale. Appena
voltatosi sul ponte, urtò in qualcuno. Era Versigli, il sottotenente di
vascello di guardia in coperta.

--Ha fatto fare l'appello?

--Sissignore. Il nostromo dice che manca il sottotenente Carleoni....

--Silenzio!

Ma un urlo rispose dall'alto. Il padre aveva udito. Barbarini risalì
sulla plancia. Vide il padre con le braccia in croce sotto il cielo
nero. Lo vide calcarsi il berretto con tutt'e due le mani ed afferrare e
dare una stratta alla catena della sirena da cui uscì un ruggito
terribile. Lo vide ancora manovrare la manovella del telegrafo, gridando
nel portavoce:

--Avanti, a piccolo moto!

Poi lo udì gettar l'ordine al timoniere:

--A dritta!

Comprese la manovra. Tutti la compresero, a bordo. Tutti cercarono di
guadagnare un posto eminente, gruppi di gente salirono lungo gli alberi
e sulle coffe, si arrampicarono sul ponte delle barche, si agguantarono
alle gru. Tutti gli occhi sbarrati interrogavano il mare, sul quale i
fasci luminosi proiettati dai fari elettrici trascorrevano rapidamente
come ventagli di luce, lasciando dietro di sè una notte più nera, mentre
la nave girava lentamente, ansando e barcollando, mugghiando ed ululando
come un mostro ferito. Sulla plancia, Barbarini, l'ufficiale di rotta,
l'ufficiale di guardia, spiavano anch'essi se nei gorghi verdi, se fra
le creste bianche sorgesse un corpo, apparisse un viso. Nulla. Non si
scorgeva nulla sulle reti di spuma distendentisi e dissolventisi
incessantemente: solo la bocca di fiamma del salvagente luminoso ardeva
ancora, sballottata dalle onde. Stanchi, inquieti, gli occhi degli
ufficiali si volgevano tratto tratto al comandante. Le sue mani erano
così strettamente afferrate alla battagliola come se la volessero
torcere. Le braccia, il capo, tutto il corpo immobile, irrigidito, quasi
inchiodato ed avvitato al palco, non aveva moto, non si scoteva, nel
terribile altalenare della nave. Tutta la vita di quell'uomo era negli
occhi, aridi, ardenti, spalancati sulle voragini.

--La barra a dritta!... A dritta!... Tutta a dritta!...

La «Siracusa» girò una volta, due volte, tre volte intorno al punto dove
si era arrestata. Poi nessuno contò più i giri. A un tratto gli
ufficiali che attorniavano il capo videro che le sue mani lasciavano la
battagliola, che le sue braccia ricadevano lungo il corpo, che tutta la
persona vacillava.

--Comandante!

Lo sorressero prima che stramazzasse. Lo afferrarono per le ascelle, lo
sollevarono, lo trasportarono quasi di peso fra le schiere degli uomini
taciti e reverenti. Inerte, con la testa rovesciata, gli occhi
stravolti, non aveva coscienza. Sul boccaporto si riebbe, si raddrizzò,
disse:

--Grazie.... Non ho bisogno.... Barbarini, prenda lei il comando.

Il secondo lo accompagnò fino al suo alloggio, lo adagiò sopra un
divano, lo affidò a Catenuti e agli attendenti.

--Grazie!... Non ho bisogno....

L'ufficiale di guardia, rimasto al suo posto, aveva fatto fermare la
macchina. Barbarini, risalito sulla plancia, ordinò:

--Avanti, adagio!... Timone a sinistra!

Quantunque la furia del mare non si calmasse, e la speranza fosse vana
del tutto e irragionevole ormai, il secondo volle ancora indugiarsi in
quelle acque, fece riprendere il giro in senso inverso. E la nave girò
ancora, urlando, coi suoi mille occhi aperti, fisi, scrutanti. Più
volte, sentendo che il tempo passava, Barbarini fu sul punto di
abbandonare la ricerca, di gettare un ordine al timoniere: ma sempre la
pietà del padre lo tratteneva. A un tratto, da poppa, una voce rauca ma
forte e distinta, la voce del capo, gridò fra gli urli degli elementi:

--Rimetta in rotta!... A tutta forza!... Era la fine, ma bisognava pur
finire, troncare la speranza insensata; e toccava al capo ordinare di
affrettarsi, per compiere il dovere, per guadagnare le ore perdute.
Prima di trasmettere l'ordine, Barbarini, sporgendosi dalla battagliola,
chiamò con tutta la sua voce:

--Equipaggio!

Tutti si volsero, tutti accorsero dagli angoli più lontani, tutti
stettero a udire che cosa dicesse il comandante in seconda, dall'alto
della plancia, col berretto in mano. La voce alta e solenne risonò fra
gli schianti del mare e i sibili del vento:

--Equipaggio, scopritevi! Prima di abbandonare queste acque rivolgete un
pensiero al compagno che abbiamo perduto.

Tutte le fronti si scopersero e si chinarono, molti ginocchi si
piegarono. Si videro mani fare il segno della croce, si udirono i più
semplici e rozzi uomini balbettare preghiere e soffocare singhiozzi.

Roccaforte non vedeva più il mare, con gli occhi ciechi dal pianto. Il
mare, la nave, gli uomini scomparvero; sorse dinanzi agli occhi
dell'anima sua la figura del fratello d'armi, bello, forte, sapiente,
innamorato. Tremava ancora l'eco della sua voce e del suo riso,
risonavano ancora le sue parole significanti la fede, l'entusiasmo, la
carità di patria, la devozione filiale, la gaiezza infantile, l'estasi
della passione. E il pensiero della morte, su tutto; il presentimento
della morte, quasi la volontà di morire, dopo l'ebbrezza!... Al ricordo,
Roccaforte sentì disseccarsi la fonte delle lacrime. No, non bisognava
piangerlo. Era morto da marinaio, al posto del dovere, sotto gli occhi
del padre, rapito dalla tempesta, nell'ora culminante della gioventù,
ardendo d'amore, sognando la gloria, in pieno incanto, prima del
risveglio: rara sorte, morte invidiabile. Lo aveva invidiato,
sordamente, poche ore innanzi, per la sua fortuna; ma quali disinganni,
quali dolori, quali orrori non gli avrebbe serbato la vita? Di questo
bisognava invidiarlo: che fosse scomparso nella gran purezza del mare,
portandosi via una visione di bellezza ed un senso di felicità!

Dalle viscere della nave venne ancora una volta il sordo rombo della
macchina. Repentinamente Roccaforte si scosse, si portò una mano agli
occhi, corse alla scala, scese nel quadrato, entrò nella cabina del
compagno perduto, si fermò dinanzi alla cuccetta bianca. Il guanciale
era ancora spostato, un poco sollevato dal tesoro che il giovane vi
aveva nascosto. «E portarmi con me i suoi fiori e la sua immagine!...»
Prima di stendere la mano egli esitò un istante, pensando che solo il
padre aveva forse diritto di frugare tra quelle reliquie. Ma tosto gli
sovvennero le altre parole: «Mio padre non sa, non può sapere; come
fargli comprendere?...» E allora trasse risolutamente la busta.

I fiori, un poco gualciti, olezzavano sopra il ritratto, acutamente. Gli
occhi dell'immagine erano vivi, sfolgoravano sotto la fronte pura
incoronata di fiamme. Le linee delle due bande in cui si spartiva la
chioma meravigliosa guizzavano come fiamme ripiegate sulle tempie da un
soffio misterioso, parevano i segni visibili di un intimo fuoco. Tutto
il viso era meraviglioso di bellezza, di espressione profonda, di vita
intensa ed ardente.

Ad un fischio, Roccaforte si riscosse, nascose i fiori ed il ritratto
sotto la tunica e risalì rapidamente. Passando dinanzi all'alloggio del
padre sostò, ripreso da uno scrupolo.

--Il comandante?--disse al piantone, che stava nell'anticamera, ritto
contro l'uscio della sala del Consiglio, con le braccia incrociate sul
petto.

Il marinaio scosse il capo ed alzò una mano, facendo i segni della
negazione e del silenzio. Sottovoce, da farsi appena udire, rispose:

--È chiuso a chiave.... Non riceve nessuno.... Ha mandato via il
medico....

Roccaforte continuò la sua via, salì sulla coperta, si diresse a poppa,
si fermò contro il coronamento. La schiuma delle acque ribollenti fra le
pale delle eliche si mescolava alla schiuma dei marosi. Il fragore delle
acque rimosse dai propulsori cessava a tratti, quando la poppa si
sollevava nel movimento di beccheggio e le eliche annaspavano nel vuoto;
pareva allora che il polso della nave non battesse più, che il suo
respiro fosse mozzato; poi riprendeva, affannoso, come un rantolo.
Roccaforte trasse le reliquie e le lanciò nel mare. In quel punto i
riflettori si spensero; la notte si chiuse sulla nave fuggente.

FINE.



  INDICE.


  =La messa di nozze:=

    I. L'arrivo del _Senegal_      Pag.   3
   II. Il convegno                       62
  III. Sul lago                         136
   IV. Il rito                          165
    V. L'addio                          202

  =Un sogno=                            211

  =La bella morte=                      271



           OPERE DI FEDERICO DE ROBERTO
                (Edizioni Treves).

  _Le donne, i cavalier'..._ Edizione di lusso, in-8,
  illustrata da 100 incisioni                         L. 7 50

  _Una pagina della storia dell'amore_                   1 --

  _L'illusione_, romanzo. Nuova edizione                 1 --

  _La sorte_, novelle. 3.º migliaio                      1 --

  _La messa di nozze_, romanzo. 2.º migliaio             3 50

  _L'albero della scienza_, novelle. Nuova edizione      3 --

  _Leopardi_                                             3 --

                _In preparazione_:

  _Processi verbali_ }
                     } Nuove edizioni.
  _Documenti umani_  }



      *      *      *      *      *      *



NOTA DEL TRASCRITTORE

  Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute. L'elenco
  delle opere è stato spostato alla fine del libro.
  Sono stati corretti i seguenti refusi:

     75--verso le masse scure delle [della] cabine e dei depositi,

    130--all'agonia di quella notte d'amore e [e e] di dolore.

    247--non basta a lasciarvi [lasciavi] dormire tranquilla,

  Grafie alternative mantenute:

    àncora / áncora
    Grand-Hôtel / Grand Hôtel
    intuito / intuíto
    tintinnio / tintinnìo





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