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Title: Africa Orrenda
Author: Rapisardi, Mario, 1844-1912
Language: Italian
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                            AFRICA ORRENDA



                            AFRICA ORRENDA

                                VERSI

                                 DI

                           MARIO RAPISARDI



               [Illustrazione: Onestà e Lavoro. N. G.]



                               CATANIA

                      NICCOLÒ GIANNOTTA, EDITORE
           _Via Lincoln, 271-273-275 e Via Manzoni, 77._

                                1896.



                       PROPRIETÀ LETTERARIA



     CATANIA--Tip. Lorenzo Rizzo, piazza Spirito Santo, 19-20-21-22.



PER L'ECCIDIO DI DÒGALI


[Illustrazione]


  Giù dai ghermiti scanni,
    Razza maligna, inetta,
    Che fra venali inganni
    Pompeggiandoti abjetta,
    Raccogli infami frutti
    Dal disonor di tutti!

  Ah! non bastò di questa
    Patria incestare il seno?
    La veneranda testa
    Premer di giogo osceno?
    Offrir nudo il materno
    Fianco al barbaro scherno?

  Ond'ella, a regnar nata,
    Con tremulo ginocchio
    Segue, putta spregiata,
    Il tenebroso cocchio,
    Su cui breve fortuna
    Due manigoldi aduna.

  Misera, e invan tu speri
    Con civettar codardo
    Da regj masnadieri
    Impetrar tozzo o sguardo:
    Ahi! con viltà e misfatti
    Onta e miseria accatti,

  E stragi. Oh desolati
    Campi! Oh cori d'eroi
    Nell'alta ombra gittati
    Non da voi, non da voi,
    Avide di rapine
    Ferrigne orde abissine,

  Anzi da te, nefando
    Vecchio, che sol per cieca
    Libidin di comando
    L'italo onor con bieca
    Mente fidando ai ladri.
    Le fiche a Italia squadri.

  Qual dall'immane insulto
    Pregio o vendetta? Arcigna
    Guata Albione; occulto
    L'ire fomenta e ghigna
    Il dèmone sinistro,
    Che la Sprea move e l'Istro.

  Dal vigilato covo
    L'orgoglio ibrido freme,
    E al cor d'Italia novo
    Tesoro e sangue spreme:
    D'orbe fidanze gravi
    Salpan ferrate navi.

  Brillan su la guernita
    Tolda gl'itali figli,
    Cui tarda espor la vita
    Ai perfidi perigli,
    Che coi predoni a gara
    La terra e il ciel prepara.

  Volate, o generosi
    Figli, all'infausto lido;
    Turbate i sanguinosi
    Ozj allo stuolo infido,
    Che su la strage inulta
    Ebbro di sangue esulta.

  Vincete. Oh scarsa, incerta
    Vittoria! Ecco, dal grembo
    Della sabbia deserta
    Strano improvviso nembo
    Sorge, e in ferina guerra
    Il vessil nostro atterra.

  Voi là nel baluardo
    Ultimo accolti, invano
    Con ansioso sguardo
    Tentate il mar lontano,
    Se a voi pochi e mal vivi
    Patrio soccorso arrivi.

  Ma per l'immensa arsura
    Delle voraci arene
    Solo la Febbre, oscura
    Liberatrice, viene;
    E in voi dall'ignea bocca
    Funesti aliti scocca.

  Ahi, nè certezza o speme
    D'onore o d'util nostro
    Lenirà l'ore estreme
    Del sagrificio vostro,
    Non le cure affannose
    Delle imprecanti spose.

  Ben presso al limitare
    Della fredda quíete,
    Sorger fra cielo e mare
    Un'alta Ombra vedrete,
    Squallida il seno, indoma
    Ancor che oppressa, Roma:

  E non per questo, o amati
    Petti, pietosa grida,
    Reggendo a infaticati
    Studj con alma fida,
    Il braccio armaste e il core
    Di ferro e di valore!

  Ardea nelle capaci
    Menti un'altera idea:
    Piombar serrati, audaci
    Su la grifagna rea,
    Che l'ultima latina
    Terra aduggiando inquina.

  Oh per le Giulie vette
    Pugne! Oh piani fumanti
    Delle nostre vendette!
    Oh entusiasmi santi
    Di dar la vita a patto
    Del fraterno riscatto!

  Popol, cui spada e mente
    Da servitù redime,
    Non peregrina gente
    Mercanteggiando opprime;
    Ma libertà, per cui
    Vive, fa vita altrui.

  Cada chi primo in petto
    L'obliqua smania accolse,
    Onde al natio ricetto
    I vostri animi tolse,
    E li scagliò in lontane
    Piagge a conquiste vane!

  Lui non amor di fama,
    Non furor d'alte imprese,
    Ma insidiosa brama
    Di rei traffichi accese;
    Nè l'empia sete or langue
    Per mareggiar di sangue.

  Ma se ancor nei gentili
    Petti la patria spira,
    Se da computi vili
    Non è sedotta l'ira,
    Che in un'ora d'ebbrezza
    Catene e scettri spezza;

  Se non per gioco ho cinta
    La mia terza corona,
    Se la mia gloria estinta
    Non è tutta, nè suona
    Obbrobrio il nome mio;
    Se Roma ancor son io,

  Troppo alle tue volpine
    Arti, o fatal, durai;
    Sopra le mie rovine
    Assai ghignasti, assai
    Fu il danno e la vergogna:
    Carnefice, alla gogna!

_(Genn. '87)._


[Illustrazione]



ESPIAZIONE


[Illustrazione]


I.

  Chi è, disser, costui, che solitario, altero
    Sul nostro capo il verso empio saetta,
  E su la gloriosa luce del nostro impero
        L'ombra sua getta?

  Chi è costui, che i tetri sogni sferrando a volo,
    Come falchi addestrati in noi li avventa;
  E di amor, di giustizia all'affamato stuolo
        Parlar si attenta?

  Torbido evocatore di pazze ombre, l'abisso
    O non vede o non cura a cui cammina:
  Con l'occhio, acre di febbre, all'orizzonte fisso,
        Ecco, ei ruina!

  E noi frattanto in aurea rete impigliamo il biondo
    Amore e l'affoghiamo entro al bicchiere;
  Noi ci tiriamo dietro inguinzagliato il mondo
        Come un levriere.

  Che importa, se al nostro uscio Lazzaro derelitto
    Frignando invidj a' nostri cani il pranzo?
  Avrà, quand'ei non sia ad alcun Fascio ascritto,
        Pur qualche avanzo.

  Che ci fa, se a quest'ora al suon della mitraglia
    Nel ribelle Tigrè riddi la morte?
  Terran le nostre schiere, in qual che sia battaglia,
        Fronte alla sorte!

  Pugnate, eroici petti, cadete; ad una voce
    Noi gridiam «Viva!» e alziam colmo il bicchiere;
  Le vostre salme avranno la medaglia e la croce
        Di cavaliere.

  L'onor della bandiera val bene una tal guerra;
    Chiedon vendetta i nostri morti; e poi
  L'ufficio glorioso d'incivilir la terra
        L'abbiamo noi!

  Gli Abissini, si sa, son predoni, selvaggi,
    E con loro bisogna esser maneschi;
  Trucidar donne, vecchi, fanciulli; arder villaggi...
        Viva Radetzki!

  In ogni caso, giova a noi, spiriti fini,
    Mandar la calda giovinaglia a spasso:
  La guerra a chi la plètora ha d'odj cittadini
        È un buon salasso.

  Urla, profeta nero, i tuoi strambotti audaci
    All'egre ciurme ch'aízzando vai:
  Noi delibiamo intanto con labbra arse da' baci
        Reno e Tokai!


[Illustrazione]


II.

  Non ei però si arresta. La pensierosa faccia
    Torce da lor, qual da bruttura, altrove,
  Mormorando con voce ch'è fede, e par minaccia:
        Eppur si muove!

  Diritto, nella tragica sera che preme il mondo,
    Strali e sogni vibrando all'età rea,
  Passa incontaminato tra 'l bulicame immondo,
        Non uomo, Idea.

  Volano a lui dintorno dagli spazj stellati
    Corruscanti fantasmi, ignee chimere,
  Fronti di lauro cinte, petti di palma ornati,
        Falangi austere.

  Ah! non hai tu, regina, cui Dante un trono eresse
    Sovra i popoli tutti, a Dio vicino,
  Tu, nel cui core eterno di tutto il mondo lesse
        Vico il destino;

  Tu, santa, cui Mazzini invocava in ginocchio
    Nel freddo esilio; tu ch'a' più begli anni
  Schiacciavi, del Nizzardo sotto al fulmineo cocchio,
        Sette tiranni;

  Non hai tu, donna, or ora a turpi sgherri in braccio
    Inebbriati di poter maligno,
  A chi diceati: «Pensa!» gittato in volto il ghiaccio
        Del tuo sogghigno?

  Non hai tu, che d'oltraggio le pure anime cibi,
    Negato il pane al Giusto, il culto al Vero,
  Per onorar l'Inganno, per ingrassar gli Scribi
        Del vitupero?

  Difeso col tuo nome, del tuo pallio coverto
    Chi fa dell'are tue bisca e bordello?
  Chi, più che penna o spada, è a maneggiare esperto
        Il grimaldello?

  Profuso oro a' bertoni d'Astrea fatta baldracca?
    Procacciato a Bonturo onor divino?
  Scolpito in marmi e in bronzi (oh Giusti!) la guarnacca
        Di Truffaldino?

  Non hai tu, barcheggiando su le calde fiumane
    Del pianto, druda delle altrui vendette,
  Scagliato ai derelitti, che ti chiedeano pane,
        Piombo e manette?

  Non hai, madre, sofferto ch'a' tuoi sacri captivi
    Fosse un raggio di sole anco vietato?
  Non hai tu su la fossa dei tuoi martiri vivi
        Cancaneggiato?

  Ed ecco, or nell'ecclissi del tuo giudizio, alata
    Furia al tuo capo la Giustizia romba;
  E l'Espiazione, vermiglia aquila irata,
        Sopra a te piomba!

  Oh fragor d'improvvisi sdegni e d'immani lutti,
    Dal ciel, dal mar, dalle cruente arene!
  Oh suon misterioso di palpitanti flutti:
        Ecco, ella viene!

  Sostano a' campi avari, alle officine, intorno,
    L'opere in minacciosa alta quíete;
  L'austero Etna nevoso, che si arrubina al giorno,
        Viene, ripete.

  Dalle reggie pollute, dai trafficati altari
    Sorgono al casto cielo ululi immensi;
  Mandano le severe Alpi a' bollenti mari
        Fraterni assensi.

  O monti, asceti assorti nello splendor del Nume,
    O flutto uman cui la speranza investe,
  O dei cieli e dei cuori interminabil lume,
        Voi mentireste?

_(Genn. '96)._


[Illustrazione]



DOPO LA SCONFITTA


[Illustrazione]


I.

  Finchè briaca alla caterva sozza,
      Che nell'obbrobrio e nel dolor l'atterra,
  Porge Italia le groppe, ella che mozza
      Agli apostoli il grido e i polsi inferra;

  Finchè il turpe delirio in lei non langue
      Di rei conquisti e di vendette oscene,
      E tributo alle nostre esauste vene
  Osa chiedere ancor d'oro e di sangue;

  Finchè la Frode, ire affilando e spade,
      Di mercate lusinghe il vulgo impregna,
  E all'Abissin, cui la capanna invade,
      L'infamia nostra e il nostro eccidio insegna;

  Finchè, tra un baccanal d'anime guerce,
      La Sconfitta e la Resa in Campidoglio;
      L'Onore in ceppi, il Vituperio in soglio,
  Ludibrio il Dritto, la Giustizia merce;

  Lungi da questo sciagurato suolo,
      Lungi dall'età rea sorga il poeta:
  Liriche strofe, liberate il volo
      A ciel più puro, a regíon più lieta.

  A che turbar dei bellicosi ladri
      L'animo pio con misurati pianti?
      O cari petti giovanili infranti,
  È troppo che su voi piangan le madri!


[Illustrazione]


II.

  Ove andrem noi? Sangue e miseria intorno
      E fango. Oh ferrea notte
      D'Europa! Oh immani lotte
  Di truffatori! E ancor lontano è il giorno.

  Gitta la vaticana Idra la squama
      Fra' mal guardati avelli,
      E gl'incauti ribelli
  Affascinando, il nostro esizio trama.

  La jena di Stambùl, di terror folle,
      Nel sanguinoso mare
      Galleggia, ove affogare
  Invan l'inglese mercator la volle.

  Ecco, il deforme orso del Volga accampa
      Sul provocato lido,
      E con geloso strido
  Porge alla rea l'insanguinata zampa.

  Ma la francesca Libertà bastarda,
      Che, le adipose cuoja
      Date in custodia al boja,
  Tutto vende ghignando e tutto infarda,

  Indarno al Papa ed allo Czar gl'immondi
      Quarti lambisce abjetta:
      Giù nell'ampia belletta,
  Ond'ora ingrassa, è forza pur che affondi.

  Squassa il Leone castiglian la giuba,
      E ruggendo si scaglia
      Ove in armi travaglia
  La invan contesa Libertà di Cuba.

  All'auree vene del Trasvallo intanto
      Calano in tetri giri
      Gli europei vampiri,
  Che di civile sapíenza han vanto.

  O Civiltà, se messe altra non dài
      Che di sì tristi allori;
      Se agli aspettanti cori
  Fuor che stragi e miseria offrir non sai;

  O che le armene piagge, o che la vetta
      Dell'Amba orrida innostri,
      Co' tuoi bugiardi mostri,
  Perfida Civiltà, sii maledetta!


[Illustrazione]


III.

      Oh agreste pace, candido
  Regno dei buoni! Come fiamma viva
      Agitata dal turbine,
  Su l'età sfatta il gran Giudizio arriva.

      E tu prima il benefico
  Passo n'udrai, tu dal giaciglio fondo
      Sorgerai prima, o triplice
  Roma, cuore d'Italia, amor del mondo.

      Ecco, ove un tempo il bufalo
  Torvo sguazzava, e tra paduli morti
      Serpean le Febbri, il florido
  Lavoro avviva di Feronia gli orti.

      Quanto vigor di giovani
  Cori, asserviti all'Ignoranza e al Fasto,
      La burbanzosa Ignavia
  Gittava all'Ozio e alla Lussuria in pasto;

      Quanto tesor di valide
  Braccia, in miserie apriche, in odj bui,
      Tingea con folli audacie
  D'innocuo sangue il vituperio altrui;

      Quanti all'altar cadeano
  D'un bronzeo nume in sanguinose gare,
      O di miseria indocili
  Fuggían maledicendo il patrio mare,

      Oggi a' nuraghi inospiti.
  All'ardue Sile, alle insalubri chiane
      Un salutar diffondono
  Fiume di redentrici opere umane;

      Che, propagate in fervidi
  Commerci, ignari di gelosi insulti,
      Fan che redento a' secoli
  L'immenso core della Terra esulti.

      Stendi l'oblio su l'umile
  Mia fossa, o generosa itala prole;
      Ma sul tuo capo indomito
  L'alta speranza mia splenda col sole!

_(Marzo '96)._


[Illustrazione]



Prezzo di questo opuscolo Cent. 70


OPERE DELLO STESSO AUTORE

vendibili

NELLA LIBRERIA EDITRICE DI NICCOLÒ GIANNOTTA


  =Palingenesi=, Canti X, seconda edizione - Milano, G. Brigola,
  editore, 1878                                                  L. 3 --

  =Ricordanze=, Versi, terza edizione - Torino, K. Loescher,
  editore, 1881                                                   » 4 --

  =Catullo e Lesbia=, Studii - Firenze, Successori Le Monnier,
  1875                                                            » 4 --

  =Lucifero=, Poema, quarta edizione illustrata. - Roma, E.
  Perino, editore, 1887                                           » 4 --

  =La Natura=, (lib. VI) di =T. Lucrezio Caro=, trad., seconda
  edizione, con prefazione di G. Trezza. - Torino, E.
  Loescher, editore, 1882                                         » 5 --

  =Giobbe=, trilogia, seconda edizione - Catania, F. Tropea,
  editore, 1884                                                   » 5 --

  =Versi scelti= - Milano, E. Lombardi, editore, 1888             » 4 --

  =Elegie= - Livorno, F. Vigo, editore, 1889                      » 2 --

  =Le poesie di Catullo=, integralmente tradotte - Napoli,
  L. Pierro, editore, 1889                                        » 2 --

  =Il Prometeo liberato= di P. B. Shelley, trad. - Palermo,
  G. Pedone Lauriel, editore, 1892                                » 2 --

  =Giustizia=, edizione di lusso, con ritratto dell'autore.
  - Catania, N. Giannotta, editore, 1882                          » 2 --

  =Giustizia=, terza edizione popolare, riveduta dall'autore.
  - Catania, N. Giannotta, editore, 1892                          » 0 50

  =Empedocle= ed altri versi. - Catania, N. Giannotta, editore,
  1892                                                            » 2 --

  =Atlantide=, Poema - Catania, N. Giannotta, edit., 1894         » 4 --

  =Leone=, Dialogo in versi - Catania, N. Giannotta, ed., 1894    » 1 --

  =Le Poesie religiose=, nuova edizione accresciuta - Catania,
  N. Giannotta, editore, 1895                                     » 1 50

  =XX Settembre=, Ode - Catania, N. Giannotta, edit., 1895        » 0 50

  =Per la venuta de' Gesuiti=, Versi - Catania, N. Giannotta,     » 0 30
  1895

  =Opere=, definitivamente ordinate e corrette dall'autore.

    Vol. I - _La Palingenesi_ - _La Francesca da Rimini_ - _Le
             Ricordanze_ - Catania, N. Giannotta, ed., 1894       » 4 --

     »  II - _Il Lucifero e le Epistole_ - Catania, N. Giannotta,
             editore, 1895                                        » 4 --

     » III - _Il Lucrezio, l'Ode al Re e la Giustizia_            » 4 --

                       =In corso di stampa=

  =Opere=, Volume IV - _Il Giobbe e le Poesie religiose._





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