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Title: La baraonda
Author: Rovetta, Gerolamo, 1854-1910
Language: Italian
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*** Start of this LibraryBlog Digital Book "La baraonda" ***


(This file was produced from images generously made
available by Biblioteca Nazionale Braidense - Milano)



LA BARAONDA.



                 OPERE di GEROLAMO ROVETTA:


                    ROMANZI E RACCONTI.


    _Mater Dolorosa_ (8ª. edizione). Milano, Chiesa e Guindani,
    _I Barbarò, o le lacrime del prossimo_. (3.ª ediz.). Treves.
    _Sott'acqua_ (3.ª edizione). Milano, Treves.
    _Tiranni Minimi_ (4.ª edizione). Milano, Treves.
    _Ninnoli_ (5.ª edizione). Milano, Chiesa e Guindani.
    _Il Processo Montegù_ (3.ª ediz.). Milano, Chiesa e Guindani.
    _Il Primo Amante_ (2.ª edizione). Milano, Treves.
    Baby (4.ª edizione). Milano, Chiesa e Guindani.
    _La Baraonda_. Milano, Treves.


                          TEATRO.

    _Un volo dal Nido_, commedia. Verona, Münster.
    _La moglie di Don Giovanni_, dramma. Verona, Münster.
    _Collera cieca_, commedia. Verona, Münster.
    _In sogno_, commedia in 4 atti. Verona, Münster.
    _Gli uomini pratici_, commedia in 3 atti. Milano, Treves.
    _Scellerata!_ commedia in un atto. Milano, Treves.
    _La Contessa Maria_, dramma in 4 atti. Milano, C. Barbini.
    _La Trilogia di Dorina_, comm. in 3 atti. Milano, Treves.
    _I Barbarò_, commedia. Milano, Chiesa e Guindani.
    _Marco Spada_, comm. in 4 atti. Milano, Chiesa e Guindani.
    _Alla città di Roma_, comm. Milano, Chiesa e Guindani.
    _La Cameriera Nova_, in dialetto venez. Chiesa e Guindani.
    _I Disonesti_, dramma in 3 atti. Milano, Chiesa e Guindani.



                      GEROLAMO ROVETTA



                        La Baraonda



                          ROMANZO



                           MILANO

                  FRATELLI TREVES, EDITORI
                           1894.



                    PROPRIETÀ LETTERARIA


                _Riservati tutti i diritti._



                   Tip. Fratelli Treves.



PARTE PRIMA


CANTASIRENA.



I.


Nora piombò nella saletta come un fulmine.

--Ho fame! Ho fame!--Poi gridò, chiamando e voltandosi verso l'uscio
della cucina:

--Gioconda! Presto! La colazione!

--La Gioconda,--rispose Evelina, senza alzare il capo nè la voce,--la
Gioconda l'ho mandata adesso alla posta. Torna subito.--E continuò a
scrivere, curva, tutta addosso alla tavola, colla faccia sulle
cartelle.

Nora, stizzita, si sbottonò d'un colpo, con una sola strappata, la
giacchettina blu dagli occhielli un po' logori, poi brontolando,
cominciò a camminare in su e in giù per la saletta.

Quanto più la Gioconda tardava a venire, tanto più Nora diventava
rabbiosa, e il suo viso così fresco e roseo, sotto il gran volume dei
capelli biondi, il bel visino spirante una leggiadrìa tutta infantile e
che risaltava piacevolmente per lo splendore magnifico della persona
alta e rigogliosa, si alterava, appariva contraffatto.

--Tu per altro, gioia! tu l'hai fatta colazione!

Anche la voce, non era più la solita, dalle calde modulazioni; era
divenuta disarmonica ed aspra.

L'altra intanto, calma, indifferente, continuava a scrivere,
rannicchiata, bassa, quasi col naso sulle cartelle.

Evelina lavorava così le intere giornate, occupando sempre il suo
solito cantuccio della tavola da pranzo dove nel gran disordine di
quella gente si ammonticchiava in un batter d'occhio coi libri, coi
giornali, colle lettere, tutta l'altra roba che entrava o aveva finito
di girare per la casa.

Sopra un fascio di bozze c'era ancora un piatto col bicchiere e col
tovagliolo di Evelina: tutto sotto l'attenta e immobile sorveglianza di
_Numa_, il gattone rosso. Ed era stata appunto la vista di quella roba,
del piatto col bicchiere e col tovagliolo, la vera cagione della
stizza, dell'ira crescente di Nora.

E la Gioconda non si faceva vedere!

--Tu fai il comodo tuo, senza darti pensiero di nessuno!... Quando sai
che io devo tornare a casa dopo essermi spolmonata con tre ore di
lezione, allora mandi fuori la Gioconda colle lettere!--e irritata
anche perchè le sue parole non facevano nessun effetto, le buttò i
guanti con violenza sul capo.

_Numa_ sparì d'un tratto. Evelina asciugò la cartella che si era
macchiata d'inchiostro, cercò una parola scartabellando un dizionario,
e ricominciò a scrivere come prima.

--La Gioconda deve essere qui subito!--disse poi, a mezza voce, come se
parlasse fra sè.

L'altra ricominciò a girare e a brontolare.

--Che vita! Che vita! Che vita! Ma presto, per fortuna....--e questo lo
mormorò più sottovoce--me ne andrò! me ne vado! subito! a qualunque
costo!--E camminava un po' dondolandosi, affondando le mani nella
giacchetta, con un'aria di rivolta e di sfida, stirandosi ritta colla
vita e colle spalle, quasi offrendosi col seno sporgente: pareva
volesse sfoggiare tutte le attrattive, tutte le seduzioni della sua
bellezza.

Sì, se ne sarebbe andata, e quel bel corpo doveva essere la sua
potenza, la sua fortuna. Se quello che aveva in cuore le sarebbe
riuscito, bene; diversamente avrebbe fatto la cantante, la mima....

E Pietro Laner?

Nora rispose a quel ricordo importuno con un'alzata di spalle.

Il suo giovane fidanzato, il giovane povero, umile, le appariva in
mezzo alla luce sfolgorante del nuovo sogno, ancora più misero, ancora
più meschino.--E brutto. Perchè era anche brutto; colla barbetta rada,
ispida, i capelli crespi e lunghi come la parruccaccia d'un negro, e
gli occhialoni grossi, colle suste dietro le orecchie, come i
tedeschi!--Non aveva più un soldo ed era anche brutto.--Bel guadagno a
sposarlo!

--Se gli aveva detto di sì, adesso gli direbbe di no!--E come prima,
all'immagine del giovane, adesso, al rimordere leggero della coscienza
rispose con un'alzata di spalle....--Duchessa!... Che sogno! Che
sogno!... Ma sarebbe arrivata fin là?... Ebbene, se "fin là" proprio
"fin là" non sarebbe arrivata, se non potesse giungere ad essere sua
moglie--duchessa!--avrebbe accettato anche di diventare la sua amante.
Essere una signora, "esser ricca", questo era il più importante--e
questo era sicuro:--ed ecco la sua febbre, la sua gioia di quei giorni.
Perchè in quei giorni Nora era contenta. Se si era arrabbiata, se si
arrabbiava tanto contro Evelina, era per una collera tutta fisica, per
il tormento acuto, irritante dello stomaco vuoto, che la rendeva
nervosa. Finchè non si sfogava a mangiare aveva bisogno di sfogarsi a
gridare, a strapazzare. Non c'era altri che Evelina e se la rifaceva
con lei: e poi quando fu persuasa che Evelina non le badava nemmeno, se
la prese colla credenza, aprendola e richiudendola con gran fracasso.

--Niente! Niente! Niente!

Si avvicinò alla tavola per cercare nei cassetti, ma Evelina si oppose:

--Sta ferma; non posso scrivere.

--Voglio mangiare!

--Mangia una fetta di panettone.

In quella casa, mancava qualche volta il pane; il panettone mai.

--No, gioia! Voglio anch'io una costoletta!--E le indicava un ossicino
sul piatto, dinanzi al quale _Numa_ era tornato a montare la guardia
sospirando.

In quel punto si udì camminare nell'anticamera.

--Gioconda! Presto! La colazione!

--Come? La signorina Nora?... E non è rimasta dalla signora
Schönfeld?--esclamò la Gioconda ridendo col riso grasso della donna ben
pasciuta.

--Ma guarda che originale! Resta fuori ogni altro giorno o a colazione
o a pranzo, sempre in aria con questa Schönfeld, e proprio oggi, signor
no! Viene a casa a far colazione!--La Gioconda parlava lentamente,
ascoltandosi e continuando a ridere per quello che diceva. Oh, in casa,
avevano fatto un "repulisti" generale! Lei non aveva più un soldo!
Prima di andare a far la spesa doveva aspettare il signor Direttore
"col rinforzo!"

--Oggi a credito non si compra; tutti brontolano e mi strapazzano.
Vogliono essere pagati. E si capisce. È appena morto il giornale; i
bottegai sono tutti diffidenti!...--E scoppiò a ridere più forte: il
fatto della signorina, che con tanto appetito doveva digiunare, era
molto comico!

Nora aveva quasi le lacrime agli occhi.

--Non dire sciocchezze, che non occorre aspettare lo zio Matteo! Tu sei
una milionaria!...

--Sicuro!--Il bel servone voleva negare sospirando, ma non riusciva a
nascondere tutta la propria compiacenza.--Avevo quaranta o cinquanta
lire e ho dovuto mandarle a mia sorella!

Questo non era vero. Aveva il gruzzolo, nascosto nella calzetta. Nei
giorni dell'abbondanza nessuno badava a spendere e spandere; soltanto
la serva metteva da parte.

--Ma lei, signorina? Delle sue lezioni?... Niente?--E la Gioconda
soffiò sul palmo della mano per rendere la domanda più eloquente.

--Ho dato tutto allo zio Matteo.

--E io pure,--ripetè Evelina, prima di essere interrogata.

Nora tornava a strillare, ma la Gioconda, vivamente, accennando verso
l'anticamera, le fece segno di tacere.

--Perchè? Chi c'è?--domandarono le due ragazze quasi insieme.

--Un.... _tirolese_.

_Tirolese_, era il soprannome che si dava in quella casa ai creditori
in generale.

Perchè?--Chi lo sa?--Nessuno forse, avrebbe saputo dirlo; ma tutti i
creditori venivano chiamati a quel modo: _tirolesi_.

--Chi è?--domandò Evelina più curiosa che inquieta.

--È il fattorino della Faré, quel gran negozio di guanti e di
cravatte!--esclamò la Gioconda coll'ammirazione che destava ancora,
dopo tanto tempo, nella contadinotta della bergamasca il gran lusso di
Milano.

--Non gli hai detto che lo zio è fuori?

--Sicuro, ma non importa. Ha ricevuto l'ordine di aspettarlo.

--Ma io ho fame! Ho fame!--continuava a ripetere Nora. Importava tanto
a lei dei _tirolesi_!

--Venga con me. Caffè latte e panettone è una colazione da papa!--E
sempre sorridente, movendosi indolente colla persona grassa e rotonda
dappertutto, passò in cucina seguita da Nora. Anche _Numa_, saltò giù
dalla tavola e le tenne dietro, silenziosamente, fregandosi contro le
sue sottane e rigirando alta la coda con tutto uno stiramento
sonnacchioso.

Intanto Matteo Cantasirena, lo zio, come lo chiamavano Nora ed Evelina,
_il signor direttore_, come lo chiamava la Gioconda, continuava a farsi
aspettare. La sua gazzetta--_Il Rinnovatore_--era morta il giorno
innanzi; ma non c'era da temere per Cantasirena: egli era più vivo che
mai. Morto un giornale, ne faceva un altro, ed era allora che spiegava
la maggiore attività, le più grandi risorse della sua fantasia e del
suo spirito, ed era allora, sui giornali degli altri, che egli scriveva
anche i suoi migliori articoli, per il bisogno stringente delle
cinquanta lire, per far sapere, per far vedere e per ricordar bene, che
Matteo Cantasirena era sempre quello di prima!

Egli poteva vantare tutti i titoli. Professore, avvocato, cavaliere ed
anche colonnello, perchè era stato qualche cosa di simile con
Garibaldi, nelle sussistenze. Lui e l'Italia si erano fatti a vicenda
ed erano cresciuti grandi insieme. Egli aveva tutto veduto, tutto
provato, tutto goduto, tutto sofferto; aveva fatto di tutto ed anche
del bene.--Oggi era pieno di danari, di gloria, di potenza; domani
danari, autorità, amici e riputazione, tutto aveva perduto, tutto:
tranne la salute!... Ma poi, con la salute sempre buona, ritornava da
capo; e destreggiandosi ed imponendosi, commovendo gli uni e
minacciando gli altri, ma non odiando mai nessuno, nemmeno chi gli
aveva tirato l'ultimo calcio, e poter così approfittare di tutti
quanti, a poco a poco ritornava a galla, sempre potente e sempre
gaudente.... in barba.... ai _tirolesi_!

La sua forza era la grande fede in sè stesso e nella minchioneria degli
altri. Generoso, prodigo, anche nella disdetta, nelle angustie più
terribili, ostentava una cert'aria olimpica di protezione; era il
grande architetto, almeno uno dei grandi architetti, se non
dell'universo, della patria.

La folla che lo vedeva sempre in piedi anche dopo le cadute più
rumorose, lo stimava un valore particolare; ed era indulgente e
benevola con Matteo Cantasirena, il quale, in fondo, non era mai
cattivo più del necessario, e gli manteneva la sua simpatia perchè in
tutto ciò che di bene o di male si raccontava o s'inventava sul conto
suo, c'era sempre la parte amena, la nota dell'uomo di spirito, che
faceva ridere.

E anche la sua figura era simpatica. Bell'uomo, alto, col cranio
pelato, lucentissimo, col bel pancione delle persone importanti e la
barba alla Mosè, si faceva subito notare in mezzo a tutti e prima di
tutti, in un teatro, ad un banchetto, in mezzo alla folla, e così anche
pei vantaggi della sua figura, finiva col rappresentare, dovunque si
trovasse, una parte sempre spiccata. E Cantasirena, che sapeva anche
questo, compiva l'opera della natura, con certi cappelloni a tuba dalle
larghe tese che si faceva fare apposta e collo sparato ampio della
camicia; i provinciali se lo indicavano l'un l'altro come una delle
rarità di Milano, e la sua grossezza caratteristica aumentava la sua
gloria.

Nora ed Evelina egli le chiamava, colla solita teatralità espansiva,
"le sue care figliuole." Ma questo non vuol dire che fossero sue figlie
davvero, come non erano nemmeno sue nipoti, sebbene esse lo chiamassero
zio.

Era un modo appunto per chiamarsi, per farsi intendere. Ma poi, nel
turbinìo rumoroso, assordante di quella casa e di quella vita così
varia, così agitata e accidentata, fra un giorno di lusso e di
abbondanza e un altro di ripieghi, fra l'andirivieni ai teatri, alle
feste, alle inaugurazioni e alle commemorazioni, e le giornate del
lavoro affrettato, disperato, affannoso, non c'era mai tempo di
fermarsi per ricordare, per riflettere; e così il modo di chiamarsi
diventava poi, in quella gran confusione, anche il modo di essere, e la
metafora delle espansioni suppliva alla mancanza dei rapporti di
famiglia, dei legami del sangue.

E tutto ciò, naturalmente, ancora di più per Cantasirena che per Nora e
per Evelina. La politica, il giornale, le banche, le ferrovie; e
correre in cerca di quattrini; e una cambiale da rinnovare, un'altra da
non pagare, e un'altra da scontare; e il ministero da sostenere e
l'impresario da difendere e il discorso di un onorevole, e tutto ciò
con un duello per aria, un protesto in casa, e i vizietti da
soddisfare: ecco la sua vita, giorno per giorno.

La casa, per Matteo Cantasirena, non era l'abitazione, ma uno dei suoi
recapiti. Vi era sempre di passaggio, dentro e fuori, col cappello in
testa, il bastone sotto il braccio, e la voce in aria: quando si
fermava di più era qualche volta di notte, e qualche volta anche di
giorno, colla Gioconda...

Faceva colazione al caffè, mandava alla cuoca delle sporte di roba per
il pranzo e poi non ci veniva nemmeno, senza avvertire, e nessuno lo
aspettava.

Ne' suoi bei momenti di gloria e di quattrini, aveva la casa piena di
gente: commilitoni, genii, patriotti, tenori, deputati.... e sopratutto
parenti: quando aveva quattrini gli capitavano parenti da tutte le
quattro parti. Cantasirena li accoglieva sempre a braccia aperte e
apriva loro anche la borsa. Si commoveva, pieno di contentezza nel
rivederli, anche quando non li aveva mai visti; poi, quando tornavano i
giorni della bancarotta e se ne andavano tutti com'erano venuti, Matteo
Cantasirena, per il primo, non se ne ricordava più.

Quelle due ragazze, Evelina e Nora, gli erano state portate in casa,
piccine, bambine ancora; poi nessuno si era più ricordato di venirle a
riprendere e così vi erano rimaste, erano cresciute ed erano diventate
"le sue care figliuole"; e per questo lo chiamavano zio, e tutti le
credevano due sorelle, mentre forse non erano nemmeno cugine.

Eppure, preso alle strette, avrebbe potuto giurare che non erano
proprio sue figlie?...--Aveva avuto moglie?

Una vera moglie, legittima, forse no. Ma fra tutte quelle donne di ogni
classe e di ogni razza colle quali era stato legato in quella sua lunga
vita, cominciata quando ancora era quasi fanciullo, avrebbe potuto
giurare che non ci fosse stata anche la madre di Nora e di Evelina?...
Dell'una o dell'altra, almeno, se non di tutte due?

Ma Cantasirena non ci pensava, e anche pensandoci, non se ne sarebbe
ricordato. Forse non avrebbe saputo dire, con sicurezza, nemmeno
dov'era nato. A Torino, quando aveva fondato la _Dogaressa_, pareva un
veneto; poi, entrato con Vittorio Emanuele a Venezia, per fondarvi il
_Bersagliere_, lo credevano un piemontese. Adesso, a Milano, si
riscaldava contro l'invasione dei giornalisti esotici: dunque avrebbe
dovuto essere milanese o almeno lombardo....

E anche il suo nome?... Anche quel nome: _Cantasirena_? Era il suo vero
nome?... O non era piuttosto l'antica firma, il pseudonimo del suo
primo articolo, della sua prima battaglia, de' suoi primi successi, e
che rimasto nella voga popolare, era poi rimasto anche a lui,
definitivamente?...

Chi lo sa!

La sua vera vita era stata la vita pubblica; il suo passato, il passato
storico della nuova Italia; e invece degli anni egli contava il numero
dei ministeri!

E adesso che aveva i cinquanta, e forse i sessanta, dopo tanto fare,
disfare, rifare, dopo aver guadagnato e aver speso milioni, Matteo
Cantasirena era ancora tal e quale, per tornar da capo: allo stesso
punto come quando aveva cominciato: pieno di salute e di speranze.

In quanto alla roba; quella sua "propriamente sua" avrebbe potuto
portarla con sè, tutta in un baule. E forse, anche il baule, avrebbe
dovuto farselo prestare dalla Gioconda.

Evelina e Nora, fatte ormai a quella vita, prese nell'ingranaggio di
quell'esistenza avventurosa e precipitosa, avevano finito col diventare
due ruote del baraccone.

Nora, che Matteo Cantasirena chiamava sempre "E-lè-oo-nò-ra"
compiacendosi nel far risonare tutte le vocali del bel nome armonioso,
era maestra di canto e di pianoforte. Aveva una voce bella, e sapeva
leggere discretamente; ma non c'erano abilità straordinarie. Eppure lo
zio era riuscito colle sue aderenze, colle sue influenze, a imporla, a
farla accettare come maestra al Conservatorio; e dopo quella nomina
ufficiale tutte le cantanti che passavano da Milano dovevano prendere
alcune lezioni di perfezionamento da Eleonora. Era come una tassa che
le colpiva, tutte indistintamente, e che variava a seconda dei quartali
o del loro peculio. E quelle povere prime donne, per piacere a
Cantasirena, per cattivarsene l'animo e per avere la sua protezione, si
scalmanavano tutte in grandi ammirazioni, e si prendevano tutte di un
grande amore per la cara Eleonora. La coprivano di carezze e di regali,
la portavano in giro, in carrozza, come in trionfo, erano continue
feste, continui inviti; e poi le lezioni, a costo di fare un debito, si
pagavano al _papà_, sempre prima di andare in scena.

Invece, alla buona Evelina, era affidata la compilazione del gran
dizionario _Dei patriotti viventi_. Dei morti, Cantasirena se ne
occupava soltanto quando si trattava della sottoscrizione per il
monumento. Il dizionario usciva a puntate, durante i periodi più
difficili, quando Cantasirena non aveva un giornale o il Ministero
negava i fondi: perchè Cantasirena aveva cominciato con Cavour ad
essere ministeriale, ed era sempre rimasto ministeriale, per quanto si
fossero cambiati i ministri. Per la sua coscienza di pubblicista la
_destra_ e la _sinistra_ non erano, non potevano essere altro che le
due mani del medesimo corpo: la patria.... Si intende, la patria
dell'ordine.

E quando c'era una nuova puntata del _Dizionario dei patriotti viventi_
da pubblicare, Cantasirena scriveva lettere, faceva visite, domandava
schiarimenti, informazioni, notizie, sapeva destramente rievocare il
passato, tanto per lusingare ambizioni, quanto per incutere timori; ma
il patriotta vivente, tanto perchè Cantasirena parlasse come per farlo
tacere, doveva sempre pagare. E se il Dizionario non poteva mancare ai
patriotti, non c'era pericolo che i patriotti mancassero al Dizionario!

Quando Matteo ebbe finito coi patriotti che avevano fatto l'Italia,
cominciò con quelli che l'avevano servita e la servivano, coi patriotti
che la illustravano, nelle arti, nelle scienze.... Adesso aveva
cominciato una nuova, infinita categoria: i patriotti "della
Beneficenza."

Matteo cercava i nomi nelle guide, negli indicatori ufficiali, e poi
Evelina era capace, all'occorrenza, di fare anche cinque o sei
patriotti al giorno.

È vero che anche Evelina aveva a sua volta chi l'aiutava: erano i
giovani infelici che dopo essere stati lusingati da Nora, venivano
piantati sul più bello. I disgraziati, pur di continuare a vederla, a
respirare un po' della sua aria, e nella speranza fors'anche
d'ingelosirla, si mettevano a far la corte ad Evelina, alla quale
toccavano così, di seconda mano, gli abiti smessi di Nora e i suoi
amanti abbandonati.

Essa viveva di riverbero, colla luce di quell'altra, ma intanto viveva.

Evelina era bruttarella davvero. Il corpicciuolo miserino, sformato:
pochi capelli chiari chiari e lisci, i denti radi e un po' guasti: e
tutto il viso d'una trasparenza giallognola, lustro di sudore, e col
barbaglio delle lenti grosse traballanti sul nasino troppo piccolo.
Eppure, così bruttina, aveva attrattive tutte sue. Più che farle danno,
il confronto della bellezza florida, esuberante di Nora le tornava
vantaggioso, inspirando per lei un senso di simpatia pietosa, gentile,
e con quella sua aria di malatina rassegnata, si rendeva interessante.
La sua voce di solito velata, nella lentezza dolce degli intimi
colloqui aveva seduzioni tenere, occulte, e quando si levava il
pince-nez, gli occhi bigi, un po' loschi e stanchi dietro le lenti, si
ravvivavano di un lampo di luce, e avevano bagliori e carezze
misteriose.

Anche per Evelina, come per Nora, l'unico pensiero era di andarsene da
quella casa e di "mettersi a posto".

Nell'abbandono in cui erano sempre state lasciate, le due ragazze si
erano abituate presto a pensare a sè, e a provvedere a sè, come i
monelli delle piazze.



II.


Nora non s'era neanche levata nè la giacchetta nè il cappello, una
specie di berretto di lontra alla cosacca. Dopo fatta colazione avrebbe
atteso un poco alla finestra per vedere se "i due" sarebbero passati di
là, come avevano fatto il dì innanzi per aspettarla e per accompagnarla
da lontano, fin dove andava a dar lezione....

--E se non si facevano vedere?... Sapevano che quel giorno essa doveva
andare dalla Schönfeld e forse ci sarebbero capitati, per farsi
presentare.

--E se non si facevano vedere nè in istrada, nè dalla Schönfeld?... Se
non si facevano veder più?

--Questo è impossibile!--rispose Nora a sè stessa, tuffando una gran
fetta di panettone in una piccola tazza di caffè e latte.

--Dirai al signor Laner--esclamò rivolgendosi alla Gioconda--che non
venga a mezzogiorno, se mi vuol trovare. Venga dopo le quattro. A
mezzogiorno ho una lezione.

--Dalla signora Schönfeld?--domandò la cuoca, succhiando gli acini
d'uva passa che andava scegliendo fra le briciole, sul piatto del
panettone.

Nora non rispose: non voleva rendere tanti conti.

Aveva fissato colla Schönfeld, la sua grande confidente del momento,
che in tutti quei giorni sarebbe andata da lei dalle dodici alle tre
per ripassare la _Carmen_. Ma questo non era altro che un pretesto, un
piano prestabilito.

In uno di quei giorni ci doveva essere anche la visita dei due delle
passeggiate, e allora, come per caso, sarebbe stata fatta la famosa
presentazione.

--Sì! Sì! spiegarsi! e venire al concreto.

Nora, appena ebbe calmata a furia di panettone e di datteri quella sua
fame di fanciulla sana e forte, ed ebbe bevuto in piedi, dal secchio di
rame della cucina, una lunga sorsata d'acqua fresca, tornò di nuovo in
saletta e andò a mettersi dietro la finestra, cantarellando.

--In questa casa,--brontolò poi, dopo un momento, perchè sentiva di non
aver mangiato abbastanza,--prima di tutti c'è madama Gioconda, poi
_Numa_, poi te,--e indicava Evelina,--e finalmente io, per gli
avanzi.... quando ne rimangono!

Evelina, che non si era mai offesa sin allora, si sentì punta per
quell'umiliante compagnia della serva e del gatto.

--Già,--rispose, sempre continuando a scrivere, ma con un'ironia più
acuta e penetrante per la sua lentezza placida.--Già; quando sarai nel
palazzo Laner, il primo posto sarà sempre il tuo!

--So anch'io, più di te, che cosa potrei aspettarmi anche con Pietro
Laner! Per questo.... C'è tempo! Lascio fare allo zio Matteo!--E Nora
tornò a ridere.--Ah! Ah! Ah! Lo zio!... Portentoso lo zio!... Intanto
ha scoperto il decoro, la riputazione delicata delle sue care
figliuole, per metter Pietro fuori della porta!

Evelina aveva cessato di scrivere; stava attentissima, e la sua ansia,
per quanto volesse dissimulare, era così viva, che non sarebbe certo
sfuggita a Nora, se questa appena le avesse badato. Ma Nora era troppo
intenta alla finestra.

--Lo zio Matteo,--seguitò Evelina per farla parlare,--non ha avuto
torto. Un giovane, in pensione nella stessa casa con due ragazze....
Non era conveniente.

L'altra si voltò per fissarla.

--Cos'è successo? Mi diventi diplomatica! Sai anche tu perchè lo zio
Matteo si era tirato in casa Pietro Laner! C'erano ventimila lire! E
sai anche tu, meglio di me, perchè adesso, lo zio, colla scusa del
decoro, lo ha mandato fuori dei piedi!

--In ogni modo, ti sposi o no, le ventimila lire sono sue e gli si
devono restituire!--borbottò Evelina con un accento strano, come di
cupidigia. Poi soggiunse, guardandola bene, attentamente, quantunque
Nora, sempre in piedi, alla finestra, le voltasse le spalle.--Ma e tu,
non vuoi bene al signor Laner?

--Questo non ti riguarda!

Gli occhi di Nora si erano fatti più vivi, sfavillanti di contentezza e
di trionfo, mentre cantarellava la Carmen con più espressione e si
accompagnava suonando il tamburino colle dita sui vetri.

    "L'amour est enfant de Bohème....
    Il n'a jamais connu de toi...."

Poi, a un tratto, cessò di cantare, corse allo specchio, si accomodò in
un attimo il berrettino, premendolo, allargandolo colle due mani sulla
massa confusa, attortigliata dei capelli; si aggiustò la cravatta di
seta lilla, che rendeva più delicata la freschezza rosea del suo
colorito, abbottonò la giacchetta, guardandosi, voltandosi e
rivoltandosi, stirandola bene sulla pienezza precoce dell'anca, poi, in
fretta, preso l'ombrellino e un rotolo di musica, si avviò per uscire.

--E il signor Laner?--le gridò dietro Evelina.

--L'ho detto alla Gioconda! Ritorni dopo le quattro!--E via di corsa
come un lampo.

Il _tirolese_ che aspettava in anticamera, non ebbe tempo di vederla,
di salutarla, che già gli era sparita dinanzi, e la sentiva scendere le
scale col fruscìo leggiero delle vesti e il battere risonante dei
piedini veloci.

Evelina, appena Nora se ne fu andata, posò la penna sul calamaio, si
alzò, si avvicinò alla finestra mettendosi il _pince-nez_ e rimase a
osservare, a spiare nella strada, studiando di tenersi ben nascosta
dietro le tendine.

In quel punto passava sotto la finestra, guardando in su, un signore
tutt'altro che giovane, alto, secco, ma dall'aspetto, dalla figura
molto aristocratica, dall'eleganza ricercata, coi baffi e i capelli di
quella tinta un po' falsa dei vecchi biondi.

Un omino piccoletto, segaligno, tutto contorto e sciatto nell'abito
nero, coi baffi tinti e coi capelli quasi bianchi, lunghi e crespi di
sotto alla tesa del vecchio cappello a tuba, gli camminava accanto,
saltellando nel tenergli dietro, saltellando nel gestire, nel parlare,
anche lui guardando in su, verso la finestra.

Evelina continuava a spiare: la sua curiosità si faceva più viva, e gli
occhi fissi, che diventavano acutissimi dietro il _pince-nez_,
luccicavano di meraviglia beffarda.

--Che cosa spera quella matta?--pensava fra sè.

A un tratto, il signore alto, quello dall'aria nobile, ebbe come una
scossa e toccò vivamente il braccio del compagno.

Nora usciva allora di casa, attraversando la strada, seria seria,
facendo uno studio per non voltarsi e per non far capire ai due che li
aveva veduti, e passando via, quasi sorvolando, andò a mettersi dinanzi
a loro, camminando agile, leggera, sullo stesso marciapiede.

Evelina, sicura ormai che nessuno si sarebbe più voltato a guardare in
su, aprì a mezzo la finestra, e cacciò fuori la testa, puntandosi sui
piedi per vederci quanto più poteva lontano.

Nora, coi due che le tenevano dietro, camminava sempre ritta, composta,
senza mai voltarsi, col passo ritmico e sicuro, col rotolo della musica
sotto il braccio, alzando un po' le vesti colle piccole mani
inguantate, mostrando i piedini, che parevano lunghi tanto erano
sottili, nella scarpettina elegante, scoprendo a quando a quando, fra
il rapido volteggiare delle sottane bianche, il morbido assottigliarsi
della gamba nella calzetta nera.

Dava nell'occhio e tutti si voltavano a guardarla.

Nora sentiva intorno a sè quel calore di ammirazione e di desideri: lo
sentiva e lo godeva nel cuore e nel sangue.

Camminava sempre diritta, sempre composta, senza mai voltarsi, ma il
suo passo si faceva più ardito e la sua bellezza più rigogliosa....

Evelina rimase alla finestra finchè potè seguirla coll'occhio; poi
richiuse i vetri, e quietamente tornò a sedersi al solito posto.

--Che cosa spera quella matta?...

Ricominciò a scrivere, ma continuando a pensare a Nora e ai due che le
tenevano dietro.

--Che cosa spera quella matta?...

A un tratto si riscosse, trasalì alzando il capo, e rimase assorta,
colla penna fra le dita lunghe, d'un leggero colorino d'ambra.

_Numa_, ch'era saltato di nuovo sulla tavola, accoccolatosi sopra un
librone sgangherato, faceva, leccandosi con grazia, la toeletta delle
zampe.

Evelina gli teneva gli occhi fissi addosso, ma non lo vedeva. Vedeva
invece il giovanotto lungo e magro, quello che portava gli occhiali
colle suste: Pietro Laner.

--Pietro Laner!... Scoperto il tradimento di Nora, che cosa avrebbe
fatto?... Che colpo!... Sarebbe diventato pazzo di dolore, di
collera.... Oh, ma non ci sono io?--pensava Evelina.--Col tempo,
piangendo con lui, disperandosi con lui, non sarebbe riuscita a
calmarlo, a confortarlo?...--E s'abbandonò riversa sulla poltrona,
chiudendo gli occhi, sorridendo....

Cominciava la sua estasi, il suo incanto: una casetta tranquilla,
ordinata; il pranzo e la colazione sempre a quell'ora; un marito buono,
economo; guadagnare abbastanza da poter vivere senza il tormento dei
debiti; far tutto lei e far tutto a suo modo; preparare per suo marito
piattini squisiti che avrebbero mangiato insieme: e i figliuoli, anzi
uno solo, una bambina....--Le bambine sono più affettuose, più
docili....

--E il tenente Calafà?

Si riscosse di nuovo, si rizzò, appoggiandosi coi gomiti sulla tavola,
premendo il capo fra le mani.

E il tenente Arturo Calafà? Il siciliano bruno, che era stato uno dei
primi amori di Nora, e che adesso era diventato il suo?

Quello "spencer" spelacchiato che portava Evelina, e che aveva avuto da
Nora, Nora se l'era fatto fare appunto per mostrare il suo amore e il
suo attaccamento al tenente Calafà e alla sua batteria. Ma poi il
Calafà era partito; lo spencer aveva perduto il pelo, era arrivato
Pietro Laner, e Nora, che a scrivere si seccava, aveva ceduto ad
Evelina la corrispondenza e lo spencer.

Però, anche Evelina non era molto soddisfatta del regalo. Pazienza per
lo spencer; ma dal tenente Calafà cosa c'era da sperare?

Essa gli aveva scritto una prima lettera assai patetica, a nome di
Nora, pregandolo, supplicandolo di "non pensarci più."--"Lo zio Matteo
ha scoperto tutto e ha imposto a Nora di troncare sul momento, ogni e
qualsiasi relazione."

Il Calafà, subito, aveva risposto furibondo, minacciando vendette,
tragedie. Ed Evelina, al solito, per calmarlo, un'altra letterina, poi
un'altra ancora, e così via via, tutte più tenere, più malinconiche, e
con maggior numero di parole sottolineate:

".... Rinnega la fede, lei, signor Arturo? Rinnega di credere, di
sperare?... Rinnega la vita?... Ma lei, almeno, può vivere del _suo_
dolore! La suprema, la beata gioia di amare e di _sentirsi_ amato, lei,
signor Arturo, l'ha provata, l'ha goduta, sia pure per un giorno, sia
pure per un'ora!...--Ma chi nella solitudine profonda del suo cuore
ignorato, non ha memorie, non ha ricordi; chi sa, chi _sente_ che non
potrà mai essere amato, mai, _mai_, perchè _sa_ di _non poter piacere_,
di non poter interessare, perchè _sente_ di non essere mai stato
nemmeno osservato, nemmeno _veduto_.... Oh, come vorrei, _come vorrei_,
come invidio lo spasimo della sua anima, l'atroce e grande ricchezza
sua, _sua_!"

"Lei, signor Arturo, ha sentito il suo cuore vivo, vibrante, palpitare
sotto una mano adorata! Ma.... e io? e io? _e io?!_--Ah, no! No! No!
Dimentichi tutto!--Che cosa ho scritto?--Sono pazza! Mi deve giurare
sul suo onore di gentiluomo, di distruggere, di abbruciare questa
lettera, subito, _subito_.--Pietà di me!... Ah, Dio, Dio, Dio, _quanto_
sono infelice!..."

E allora, anche il Calafà aveva cominciato--sempre per lettera--a
consolare dopo essere stato consolato; ed Evelina sognava, la notte, di
essere a far la spesa nella piazza di una guarnigione, con dietro
un'_ordinanza_ che le portava la sporta.

--Ma e poi?...

Il tenente Calafà, che non aveva avuto un soldo per la cauzione quando
si trattava di Nora, come avrebbe potuto trovarne adesso per lei?...

--E dunque?...

Si udì a un tratto il campanello dell'anticamera: la Gioconda passò per
andare ad aprire, poi ritornò subito, chiudendosi dietro l'uscio.

--Un altro come sopra!--Vuol aspettare anche lui il signor direttore,
_assolutissimamente_.

--Chi è?

--Un altro _tirolese_: questo è positivo!

Gioconda tirò fuori la mano dalla saccoccia, nella quale andava
frugando, e accomodati sul palmo due o tre chicchi di caffè tostato, se
li fece saltare in bocca d'un colpo solo.

--Quest'oggi dev'essere un'invasione!

Si udì un'altra suonata di campanello.

--Ecco!... L'ho detto!--esclamò ridendo fra lo scricchiolare dei denti,
e andò un'altra volta ad aprire.

--Sarà il signor Laner,--pensò Evelina.--Si lisciò in fretta colle due
mani i capelli, si accomodò bene il _foulard_ sulle spalle, e tornò a
scrivere, ma tenendosi su, ritta e piegando la testina verso la spalla
che aveva un po' più tonda dell'altra, riuscendo a nascondere con una
grazietta la sua imperfezione.

Era proprio Pietro Laner. Lo sentì che parlava con un altro
nell'anticamera.

--Lo aspetteremo al varco, il signor Direttore! È una canaglia! Questo
si chiama assassinare la gente!

--Si calmi, signor Brunetti!--diceva Pietro Laner.

--È una truffa! una vera truffa!

--Si calmi: il signor direttore aggiusterà ogni cosa.

--Oh! se non aggiusta lui.... lo aggiusto io!

Ci fu un momento di silenzio, poi si udì ancora Pietro Laner che
diceva, come per congedarsi:--Se permette, signor Brunetti, ho da
parlare colle signorine....--E quasi subito, entrava nella saletta.

--Chi è questo signor Brunetti?--domandò Evelina con voce assai
commossa a Pietro Laner.

--È il rappresentante della cartiera di Maslianico. Quello che forniva
la carta per il _Rinnovatore_.

Il giovanotto parlava colla voce rauca, imbronciato; gli occhi rossi e
lividi infossati nella faccia smunta.

Si avvicinò alla tavola, ancora col paltò indosso, sbottonato, il
bavero ritto sul collo, e accarezzando _Numa_ che si allungava,
distendendosi sotto lo striscio della mano leggera, soggiunse
balbettando per la collera, per l'imbarazzo di ciò che voleva dire:

--Ha ragione il signor Brunetti!... Si chiama proprio a....
assassinare.

--Anche lei?--esclamò Evelina, alzando gli occhi timorosi, che si
facevano più grandi, più lucenti, mentre cercavano e fissavano, come
per raccomandarsi, gli occhi del giovane.--Anche lei, signor Laner?

--Ho da pagare la pigione e il conto del mese alla padrona. Ho da
mangiare e non ho altro che dieci lire!

E mostrò un biglietto sudicio, ripiegato, che ricacciò subito nel
taschino del _gilet_.--Non posso più aspettare anche per Nora. Voglio
sposarla e andarmene!

--Andar via?... Via da Milano?--domandò Evelina, con un tremito negli
occhi, nella voce piena di lacrime.

--Voglio ritornare a Trento, a casa mia! a casa mia!--ripetè Laner
battendo il pugno forte sulla tavola.

_Numa_ sparì di colpo sotto il canapè, poi di nuovo saltò sopra una
seggiola, in un angolo lontano, e là, al sicuro, ricominciò a leccarsi
più forte e più in fretta.

--E di me? Cosa sarà di me?--mormorò la povera ragazza, e sospirando,
fatto un po' di posto sulla tavola, si preparò vicino, stendendolo
adagio, colle due mani, il fascio delle bozze.--Mi vorrebbe aiutare,
signor Pietro?

--Come?... Nora?... Non c'è?... È fuori anche stamattina?--esclamò il
Laner con un crescendo di stupore e di stizza ad ogni interrogazione.
Egli sapeva bene che Evelina non avrebbe osato di tenerlo presso di sè,
qualora Nora fosse stata in casa.

--È andata dalla Schönfeld.

--La Schönfeld! Ogni giorno la Schönfeld!--gridò l'altro sempre più
stizzito.

--Per amor di Dio!--supplicò Evelina, con un gesto verso
l'anticamera.--Non si faccia sentire. Nora sarà di ritorno per le
quattro: ritorni alle quattro.

Pietro Laner prese una seggiola, ma prima di sedersi la sbattè, con un
colpo forte, sul pavimento; poi, sempre con indosso il paltò, col
bavero alzato sul collo, cominciò a leggere le bozze, borbottando, a
correggerle con grossi segnacci, facendo scricchiolare la penna,
spruzzando la carta d'inchiostro. Per qualche tempo nè l'uno nè l'altra
non dissero una parola.

--Io credo,--cominciò poi Evelina, lentamente, interrompendosi, perchè
pareva più che mai intenta ed affrettata nello scrivere,--io credo che
Nora alle tre avrà finito colla Schönfeld.... ma poi vanno tutt'e due o
a fare un giro sui _bastioni_ in carrozza.... o a passeggiare ai
Giardini. Perchè non....--e qui l'interruzione fu più lunga: Evelina
scartabellò cercando una parola nel Dizionario.--Perchè non va ad
aspettarla? E poi.... quando la vede uscire colla Schönfeld.... finga
come di passare per caso.... Le saluta e ci va insieme.

--Già! sicuro! posso fare così!--esclamò il buon ragazzo,
rasserenandosi subito.

--Lei sa dove abita la Schönfeld?

--In piazza Cavour.

--Al ventisette,--rispose Evelina. E poi riprese, dopo un'altra
pausa.--Ma lei, non la conosce ancora la signora Schönfeld?

--Mi farò presentare da Nora!--e sorrise--dalla mia sposa!

Evelina alzò ancora gli occhi lucenti in viso al giovanotto, ma
fissandolo questa volta con una grande espressione di tenerezza e
d'inquietudine, come una mammina che tremi per il figliuolo troppo
buono e troppo illuso.

--Perchè mi guarda così?--domandò l'altro vivamente.

--Io, signor Laner?--No, niente. Sono io tanto.... tanto infelice! Io
che resterò qui sola, sempre sola.... Io che non ho nessuno....
nessuno!

Evelina sospirò e si asciugò le lacrime con una mano. Era commossa e
piangeva, piangeva davvero; ma pure pensava, sotto quelle lacrime,
pensava in fondo al cuor suo che Pietro Laner, aspettando Nora sulla
porta della Schönfeld, avrebbe forse potuto vedere o scoprire qualche
cosa di nuovo....

A ogni modo lei, come lei, non gli aveva detto niente!



III.


--Ohè, ce n'è un altro: il tappezziere che aspetta sul
portone!--avvertì la Gioconda cacciando dentro il capo nella saletta e
ridendo.--Metto fuori la bandiera?

Era questo un segnale convenuto: quando Cantasirena, ancora da lontano,
vedeva la bandiera alla finestra, faceva di colpo un _dietro-front_.

Ma Pietro Laner, al quale premeva come agli altri di non lasciar
scappare il Direttore, si oppose risolutamente.

--Ed io?...--esclamò con stizza tornando a tirar fuori e a mostrare fra
le dita il famoso biglietto da dieci lire.--Ed io?... Come fo colla
padrona di casa?

Piuttosto gli sarebbe andato incontro, per avvertirlo di girare di
bordo, e intanto lo avrebbe messo alle strette per il matrimonio, per
riavere le sue ventimila lire.... e per le due o trecento che gli
occorrevano al momento.

--Se vuole, le ha!--pensava il giovanotto.--Se vuole, può _far saltar
fuori_ le trecento e poi anche le ventimila!

Era credenza generale che Matteo Cantasirena, per quanto fosse
rovinato, avesse la bacchetta magica per far saltar fuori i quattrini.

--Se vuole le ha!--ripeteva Pietro Laner fra sè. Ma lo turbava l'idea
di trovarsi da solo a solo col Direttore. Costui avrebbe cominciato a
gridare, a strapazzare, oppure a piangere, ed egli sentiva che avrebbe
finito col lasciarsi abbindolare o col lasciarsi commuovere.

In casa, alla presenza di Evelina, della Gioconda sarebbe stato più
forte....

--_Se vuole, le ha!_--pensava pure il signor Brunetti, che aspettava in
anticamera, cominciando a sospettare di essere preso in giro.--Si
raccontavano certe farsette inventate da Matteo Cantasirena per
burlarsi dei creditori!

--Ah! Ah! ma con lui non c'era da scherzare! Non voleva perderci dieci
mila lire e far ridere la gente!--

Quasi a confermare i suoi dubbi, anche il fattorino della Faré si era
messo a brontolare: Aspetta, aspetta, accidenti! e mai non torna! Il
portinaio mi ha assicurato che era in casa!

L'altro lo guardò di traverso.

--In casa?

--Sissignore!

--In casa?... Per Dio!...--E con impeto, dopo aver bussato forte
all'uscio, si precipitò nella saletta:

--C'è o non c'è?

--Lo zio Matteo? Non è ancora tornato.

--Il portinaio, invece, assicura che c'è.

--No, non c'è!

--Eppure, lo ha ripetuto, adesso, anche al fattorino della Faré!

--Allora vuol dire che si sarà sbagliato,--rispondeva Evelina con
calma.

--Io mi sono sbagliato! Io sono stato un asino a fidarmi! Ad accettare
la firma del Direttore!--continuava il Brunetti gridando.--Se io non
facevo presto a pagare, avevo la cambiale protestata; ero compromesso,
rovinato!... Sono cattive azioni!... È una vergogna! Ma questa volta o
mi paga, o mi vendico!--e il pover'uomo, s'infuriava anche di più
perchè lo lasciavano dire senza troppo inquietarsi.

Infatti Evelina continuava a scrivere, Pietro Laner a correggere le
bozze, e la Gioconda lo stava a guardare col faccione tondo, beatamente
stupido.

--Mi vendicherò! Sì! Voglio vendicarmi! È una vergogna! È un'indegnità!
È un'infamia!--E la sua rabbia, la sua collera contro il Direttore era
arrivata a un punto tale che già gli dava dell'imbroglione, del ladro,
minacciandolo persino di farlo metter dentro, quando, a un tratto,
spalancatosi l'uscio dell'anticamera, ecco Matteo Cantasirena, proprio
lui, in persona, seguito dal fattorino della Faré, e da quell'altro--il
tappezziere--che gli faceva la posta sul portone.

--Ah, finalmente! Sono due ore che vi aspetto!--Gli occhi del signor
Brunetti erano ancora stravolti dall'ira, ma il tono della voce era già
cambiato.

Matteo Cantasirena, acceso in volto, il cappello all'indietro, l'ampio
soprabitone svolazzante, era tutto pieno di pacchi e pacchetti e
cartocci di roba; e nella stessa mano che teneva la canna dal pomo
d'argento, aveva un bel mazzo di fiori.

Egli rimase muto un istante, guardandosi attorno come smarrito, come
invocando un conforto, poi a un tratto esclamò con grande dolore e
insieme con grande espansione:

--Ah, Brunetti, Brunetti mio! Non sapete la disgrazia? Evelina,
Evelina! Sai chi è morto?

Tutti, meno Evelina, rimasero sorpresi, guardando il Direttore.

Chi era morto?

Il signor Brunetti, borbottò con un'alzata di spalle:--Altro che i
morti! Con voi, sono i vivi da compiangere!

Ma lì per lì, anche il signor Brunetti era rimasto interdetto e
aspettava ansioso la gran notizia.

--Adesso, all'ufficio del giornale, ho ricevuto il dispaccio da
Roma!... Dal Presidente della Camera!...

E Cantasirena dopo consegnato il bastone e i fiori alla Gioconda, colla
mano rimasta libera cercava il dispaccio nelle tasche, senza mai
riuscire a trovarlo.

--È una perdita incalcolabile! Uno dei grandi lutti della patria!... Lo
amavo come un fratello!... Lo veneravo come un secondo padre!

--Eh! avanti!--borbottò di nuovo il signor Brunetti. Ma intanto, per
via di quel dispaccio del Presidente della Camera, pensava che a Roma
il Direttore, era sempre potente.

--Fuori!

Cantasirena aspettò: voleva prima raccogliere tutto il suo dolore,
tutta la sua forza, poi:--È morto il capitano Fara-Bon,--tuonò col
vocione rotondo, sonoro, e lanciò quel _Bon_ proprio come una
cannonata!

Pietro Laner, il Brunetti, il tappezziere, il fattorino si guardarono
l'un l'altro sbalorditi.

Il capitano Fara-Bon?... Chi era il capitano Fara-Bon?

--Un magnanimo! Uno dei più gentili e forti patriotti d'Italia!
Nell'epoca memoranda dei processi, siamo scappati insieme. Nel 66 è
stato ferito in vece mia, per miracolo! D'ideali sinceramente
repubblicani, accettò con lealtà la monarchia, e sdegnando l'inerzia
passiva degli inoperosi, andò ad occupare un posto eminente al
Ministero dei Lavori Pubblici. Era uno dei più illustri discepoli del
massimo Paleocapa. Io conservo un suo progetto: La _Navigazione
Cisalpina_!--Brunetti! Caro Brunetti! Ecco una grande idea!... Morto!
Malattia di cuore!... Mah, il cuore, il cuore!... Non perdona ai
generosi!

Cantasirena non tuonava più, sospirava, gemeva, era commosso, aveva le
lacrime agli occhi, e mentre tesseva gli elogi dell'anima grande del
compianto Fara-Bon, si vuotava le tasche dei pacchi, dei pacchetti, dei
cartocci di roba, e a mano a mano li ammucchiava nel grembiule che la
Gioconda gli teneva spiegato davanti.

Era una formetta di cacio, una scatoletta di presciutto, un mezzo
pasticcio di Strasburgo, poi ancora dell'altra roba, avvolta nella
bella carta rosa e gialla, coi nastrini azzurri.... _Numa_,
riconoscente, passava, ripassava fra le gambe del Direttore,
strisciando, sfiorandole colla schiena e rizzando la coda.

Il capitano Fara-Bon era realmente esistito ed era morto in quei
giorni; ma Cantasirena non aveva ricevuto il dispaccio al _Rinnovatore_
e tanto meno gli era stato mandato dal Presidente della Camera. Quella
mattina egli non s'era fatto vedere all'ufficio; non voleva cadere in
mano ai nemici, ai "tirolesi". Taddeo, una specie di portiere e di
fattorino, che con una gamba di legno arrivava sempre in ritardo e che
egli perciò chiamava _Teddeum_, gli aveva portato le lettere, i
giornali al Circolo dei Superstiti; e appunto colà gli era capitata
sott'occhio la notizia nel dare un'occhiata al _Fracassa_.

--Povero Fara-Bon! Un bell'originale!

E si ricordò pure di un certo progetto del capitano, di una serie di
articoli che gli aveva mandato sulle _Vie acquee dell'Italia
Settentrionale_ e che non aveva mai potuto pubblicare per mancanza di
spazio.

La _Navigazione Cisalpina_! Perchè no?... Potrebbe essere una grande
idea per far denari! Trovare un bel nome da mettere alla testa del
Comitato.... e avanti!... Povero Fara-Bon!...

Ma poi non ci pensò più. Aveva tanti fastidi, tante seccature; la
macchina della tipografia sotto sequestro.... Quanta ingratitudine
nella _Costituzionale_!

Come fare?... Restar chiuso in casa?... Sì; non farsi vedere da nessuno
e far rispondere ai seccatori:--Il Direttore è partito per
Roma!--Intanto avrebbe mandato in giro _Teddeum_ con parecchie lettere
dai patriotti viventi, dagli amici politici.... qualcheduno avrebbe
risposto! E poi non ci doveva essere al "Manzoni" l'opera nuova di un
nobile veronese?

Si cacciò in un brum e andò a fare le sue provviste per la colazione e
per il pranzo. Chi sa? Avrebbe potuto cavarsela bene!--E il suo viaggio
a Roma?... Perchè non ci sarebbe andato davvero?... Sicuro! Domani!

A poco a poco aveva cominciato a rianimarsi, aveva già ripreso un po'
del suo buon umore, quando, fatalità, si accorse troppo tardi per poter
tornare indietro, che i tirolesi invece di aspettarlo al _Rinnovatore_
lo aspettavano a casa....

La carrozza si era fermata proprio dinanzi alla porta e il tappezziere
gli era corso incontro aiutandolo a smontare.

--Grazie, caro Vergani! Sono tutto sconvolto! Ah, che disgrazia!--Su di
corsa per le scale, e l'altro dietro. Ma di sopra non c'era
quell'ignorante maleducato del Brunetti?... Quel seccatore indiscreto
di Pietro Laner?...

--Ah, che disgrazia! Ah, povero Fara-Bon!

E dopo che la Gioconda, seguita da _Numa_, era tornata in cucina colle
provviste, quando tutti stavano per riaversi dal primo sbalordimento di
quella gran notizia, Matteo Cantasirena ebbe un impeto di collera
contro Pietro Laner:

--Vi trovo qui ancora, voi?... E vi ho proibito di venire dalle mie
figliuole quando non sono in casa!

Il giovanotto, in quel momento, e in presenza d'altre persone, non si
aspettava il rimprovero; rimase un po' sconcertato.

--Ma.... avevo da parlarle....

--Ragione di più per venire all'ufficio.

--Ma....

--Basta così! Ormai ci siete: per questa volta passi! Vi serva di
regola in avvenire!... E i fiori?... Gioconda!... Gioconda!... Voi,
Pietro, che avete la passione dei fiori, fatene un bel mazzo per la mia
Eleonora! Ahuf! Non ne posso più! È una giornata delle più tremende!...
Ah, povero Fara-Bon! È un chiodo fisso qui,--e rivolgendosi al Brunetti
si picchiava forte l'indice teso contro la fronte,--un chiodo qui! qui!
qui!

Poi, appena uscito il Laner in cerca dei fiori, andò a baciare Evelina,
correndo coll'occhio sulle cartelle.

--Il marchese Duranti? Niente Duranti! Sospeso! Teniamolo in sospeso!
Gli ho scritto e non mi ha risposto: l'ho incontrato e ha finto di non
vedermi! Ah, ah! Ma io gli domanderò alla prima occasione:--È diventato
orbo lei, o è diventato asino?...--Ah, Brunetti, quanta ingratitudine!
Tutta gente fatta da me, creata da me, che io ho messo all'onore del
mondo! Mi credono un uomo finito, morto, perchè ho avuto le mie buone
ragioni per far morire il _Rinnovatore_! Ma io sono ancora vivo! Ve ne
accorgerete, signori! Alle otto e trenta,--guardò l'orologio,--parto
per Roma.

--Parte?... Per Roma?...--esclamò il Brunetti.

--Se vi occorre qualche cosa, siamo a vostra disposizione!--rispose
Matteo, socchiudendo gli occhi e inchinandosi leggermente, con un
sorriso olimpico di protezione.

--Parte per Roma?... E la cambiale?

--Precedetemi nel mio studio. Faccio vedere qui al signor Vergani come
mi ha servito colla camera da letto, e sono subito da voi.

Ma nel voltarsi per chiamare il Vergani, che a quelle parole era
rimasto attonito, si trovò faccia a faccia col fattorino della Faré.

--Voi chi siete? Che volete? Cosa fate qui?

Il pover'uomo, intimidito, gli presentò il conto nella busta gialla.

--Trenta lire?... Ma questa signora Faré è sull'orlo del fallimento, se
ha bisogno di trenta lire! Ma io devo pagarne trentamila, centomila
delle lire, e ho diritto di non essere seccato, molestato per simili
pezzenterie! Gioconda! Ma Gioconda!--gridò più forte,--perchè mi lasci
venire fra i piedi tutta questa gentaglia? Passate al giornale! Andate
dal Bizzarelli! Andate dal mio amministratore! Via!

E il fattorino corse via davvero, senza farselo dire due volte.

Cantasirena, sbuffando, teneva una mano sul pancione ansante, come per
rimetterlo in calma, e coll'altra, preso un fazzoletto, si asciugava il
sudore.

--Seccatori insistenti! Morti di fame!--Poi avvicinandosi, ancora colla
voce rotta, oppressa, chiamò il tappezziere:--Sono con lei.... signor
Vergani....--ma quando fu sull'uscio si fermò d'un tratto per
raccomandare al Brunetti di non andarsene.--Sentirete! Una grande
idea!... Aspettatemi nello studio!

--Non vado via, no!--rispose l'altro di malumore, quasi con minaccia.

Ma oramai anche il Brunetti non era più quello di prima. Erano tutti
più quieti, più calmi. Il bel faccione aperto, geniale, simpatico, la
sicurezza di Cantasirena, la sua alterezza, le sue espansioni, le sue
minacce, le sue collere, avevano ottenuto il solito effetto.

Tutti credevano di trovarlo avvilito, disfatto, supplichevole, e invece
non si era mostrato dolente altro che per la morte del capitano
Fara-Bon; e un uomo che si dispera per un amico morto, non può essere
lui stesso _in extremis_!--Ma che! Matteo Cantasirena era sempre vivo,
sempre forte! Aveva troppo talento! Conosceva i segreti di troppa
gente!

E anche quei pacchi e pacchetti e cartocci di ghiottonerie,
contribuivano pure a tranquillare gli animi, sebbene ognuno fosse
sicuro che li aveva presi senza pagare. Tutta quella roba l'avrebbe
mangiata il Direttore, ma faceva bene e riconfortava anche i suoi
creditori.

E poi, il viaggio a Roma?...

Anche il tappezziere che gli aveva venduto il mobilio della camera da
letto e aspettava da un anno senza aver visto il becco d'un quattrino,
avrebbe aspettato, diamine! il suo ritorno da Roma. Anzi, si scusò per
il tarlo che qua e là cominciava a farsi vedere.

--Che vuole? Anche noi siamo i primi ad essere ingannati!--Gli promise
che gli avrebbe mandato subito uno de' suoi migliori operai e che in un
paio di giorni gli avrebbe rimesso tutto a nuovo.

E Matteo Cantasirena, sorridente, bonario, godeva a perdersi in
chiacchiere con quel brav'uomo e gli domandava il prezzo, l'ultimo
prezzo di un salottino "completo" che voleva regalare a Eleonora per la
sua festa.--Ma di colpo, si ricordò che aveva ancora da pagare il brum,
e allora lasciò andar via il tappezziere per correre in cerca della
Gioconda.

La Gioconda era in cucina; aveva già assaggiato e riposto il pasticcio,
e mangiava adagio una fetta di presciutto, colorita e sottile come una
foglia di rosa. Appoggiata col dorso alla finestra, si godeva nel
sentirsi scaldare a poco a poco dal sole tepido d'aprile e cogli occhi
imbambolati guardava Pietro Laner.

Com'era bravo nel preparare i mazzi di fiori! Ma il giovanotto pareva
insensibile all'ammirazione della serva: era serio e triste.

Oh, in quei fiori quante memorie delle sue Alpi, quanti ricordi della
sua vita semplice e tranquilla!... Oh le larghe felci strane e selvagge
e il capelvenere gentile! Quando era ragazzo, nella solennità del mese
di Maria, aiutato dalla zia Angela e dalla zia Rosa egli adornava,
copriva di felci e di capelvenere tutto il piccolo Santuario della
Crodarossa!... Oh i bei ciclamini.... Come ne erano fiorite le
stradicciuole ombrose e fresche di Selvapiana!...

--Gioconda!... Paga il brum!

La Gioconda lo guardò, rise, e gli rispose mangiando:

--Aspettavo anch'io il suo ritorno, signor padrone, per andare a far la
spesa.

Matteo si fermò di colpo e la guardò maravigliato.

--Possibile?...

L'altra, senza esser vista dal Laner, che intento ai fiori le voltava
le spalle, si soffiò adagio sul palmo della mano, come aveva fatto
prima colla signorina Nora.

--Voi, Pietro,--esclamò vivamente Cantasirena:--Datemi degli spiccioli,
della moneta! Non ho avuto tempo di passare dal mio amministratore.

Il povero giovane si sentì venire i sudori freddi. Lasciò il mazzo sul
tavolo e gli corse vicino, balbettando colle labbra pallide, tremanti e
colle lacrime nella gola:--Non ho più niente! Ho la padrona....
l'affitto, tutto da pagare, e non ho più niente! Non ho più che
questo!--E quasi a testimoniare le sue angustie, la sua miseria, si
levò dal taschino il biglietto sudicio, ripiegato:--Non ho più altro
che dieci lire!--Cantasirena glielo prese al volo, colle dita rapide
come la linguetta del rospo.

--Eh, credete che ce ne vogliano cento per pagare il brum?... Prendi,
Gioconda; gli dai due lire colla mancia.

E la Gioconda, intascate le dieci lire, se la svignò con insolita
prestezza.

--Voi,--disse Cantasirena a Pietro Laner,--aspettatemi pure. Vado un
momento dal Brunetti; poi vi darò due righe per il Bizzarelli--fece per
andarsene; l'altro l'afferrò per un braccio.

--Che Bizzarelli! Che amministratore! Ma vuol darla ad intendere anche
a me? Il povero Bizzarelli è un suo creditore come gli altri! Lei lo ha
rovinato come gli altri!

--Diventate matto?--esclamò Cantasirena. Così, all'improvviso, era
rimasto spaventato dal pallore, dagli occhi torvi, dalla collera di
Pietro Laner; ma riprese subito il sopravvento, e divincolandosi con
forza, riuscì a sciogliersi dalla stretta e a buttare Pietro Laner due
o tre passi lontano.

--Osate mancarmi di rispetto?... Badate a voi! Sarà la mia Eleonora,
lei stessa, che vi scaccerà da questa casa!... Malcreato!--e soffiando
e sbuffando, maestoso nel suo sdegno, nel suo disprezzo, Matteo
Cantasirena voltò le spalle al povero diavolo rimasto come annichilito,
spaventato, andò nello studio a raggiungere il Brunetti, e gli comparve
dinanzi sorridente e più espansivo che mai.

--Caro amico, da un grande dolore, una grande idea!--e siccome l'altro,
stizzito, voleva interromperlo, voleva dirgli prima il fatto suo,
gl'impose di tacere scotendo le due mani aperte, con una gravità
solenne e misteriosa.

--Ssst! Da un gran dolore una grande idea! Voi lo meritate; mi siete
sempre stato amico, ho sempre trovato in voi un gentiluomo, vi offro
una fortuna. Nessuno potrà mai disconoscere due grandi qualità a Matteo
Cantasirena: la memoria e il cuore. Così non avessi avuto cuore e
ideali troppo alti!--Avrei dei milioni, invece di avere dei....
nemici!--Ma basta! Avanti i giovani a disfare l'Italia che noi abbiamo
fatta, con tanti sacrifici, guadagnando, per conto mio, che cosa?... un
rimorso!--Il rimorso, se crepo domani, di lasciare le mie figliuole
senza un soldo! Ho lavorato abbastanza per gli altri e quando
l'ingratitudine del mio partito....

--Finiamola--interruppe il Brunetti seccato, irritato.--Lei mi ha fatto
una porcheria!

E rotto il freno per la stessa violenza della parola bassa, triviale
che gli era sfuggita, accendendosi in viso, ricordando a un tratto la
ragione della sua collera e perciò a mano a mano infuriandosi sempre di
più,--lei mi ha truffato,--gli gridò colla voce soffocata,
strozzata,--mi ha truffato!... Ladro!

Matteo Cantasirena alzò le braccia barcollando, come un uomo sul quale
è stata tirata una schioppettata, e trascinandosi andò a cadere di peso
sul seggiolone della scrivania soffiando, singhiozzando, gemendo, con
un sordo mugolìo del pancione ansimante.

--Anche voi!... Mi coprite di fango!... Anche voi!... L'amico!... La
mia fede ultima.... superstite!--Guai ai vinti! Guai!--Poi, a un tratto
si riscosse, si rianimò, come avesse preso una terribile risoluzione, e
cominciò a cercare, a frugare nei cassetti....--So!... So!... So che
cosa mi resta a fare!--Tutto è pronto!--e trovato un _revolver_ glielo
mostrò.--Vedete? È un dono, una memoria di Nino Bixio! Povero Nino! Se
avesse potuto immaginare che il suo Matteo, colui che lo ha sempre
difeso strenuamente....--E a questo punto non potè più contenersi, e
scoppiò in lacrime, in vere lacrime.

Il Brunetti gli si avvicinò; credeva, non credeva, ma anche senza
volerlo si sentiva commosso.

--Coll'ammazzarsi non si pagano i debiti,--brontolò col suo modo
burbero.

--Ma in eredità a quelle due disgraziate lascierò un nome intemerato!

--Sono spropositi; cogli spropositi non si paga nessuno!

--Siete voi che non mi lasciate nè il modo nè il tempo di pagare! Io
ero disposto a rendervi il cento per cento! Siete voi che mi avete
ammazzato, con una parola! Ladro! Il colonnello Cantasirena!... ladro!

E improvvisamente impugnò di nuovo il _revolver_: ma il Brunetti fu
pronto e glielo strappò di mano.

--È anche il suo modo di trattare che mi ha offeso, che mi ha fatto
andare in bestia. Tante preghiere, tante promesse, tanti giuramenti per
aver la firma, e dopo non farsi più vivo! Almeno avvertirmi che non
poteva pagare!

--Ho sempre sperato.... fino all'ultimo momento.

--E se mi protestavano la cambiale?

--Dopo il protesto ci sono ancora cinque giorni.

--Grazie! Ma il discredito è la rovina per chi è nel commercio! Io ho
bisogno di farmi una posizione! Ho una famiglia, dei figli....--e anche
al povero signor Brunetti venivano le lacrime agli occhi.

L'altro lo guardava attonito.

--Ma l'avete pagata sì o no?

--Sicuro, che l'ho pagata!

--E allora di che cosa vi lamentate, santissimo Iddio!--esclamò
Cantasirena con un'alzata di spalle.--Non correte più nessun pericolo!

--Ma l'ho dovuta pagare io e toccava a lei!--replicò il Brunetti
sbalordito dalla logica del Direttore.--Io ho dovuto correre come un
matto per trovare le diecimila lire e farmi strozzare.

--Tranne per il disturbo che vi siete preso, e del quale vi sono
gratissimo, per tutto il resto voi non dovete perdere nemmeno un
centesimo.--Io vi farò subito un nuovo effetto che voi potrete
scontare.

--Sicuro, se ci metterò la mia firma; come l'altro. E per essere da
capo con lo spavento di un protesto! No, no; lei mi rilascierà una
cambiale e la terrò io nel mio portafoglio: ma si ricordi, alla
scadenza non voglio chiacchiere!

--Come volete,--rispose Cantasirena, affermando anche col capo, con
gentile accondiscendenza.--Del resto, caro Brunetti, credete ai vecchi!
Il commercio, non è un giuoco d'azzardo: bisogna mantenersi calmi per
essere avveduti. Voi siete troppo diffidente, e vi lasciate troppo
impressionare. Ma pensate, benedett'uomo, quanti dolori, quante
disgrazie vere ci piombano addosso tutti i giorni, senza andarne a
pescare delle immaginarie e farci del cattivo sangue anche per quelle
che ci potrebbero capitare! È il vostro difetto; è un difetto che vi fa
danno, appunto per il credito del quale dite di aver bisogno. Vi vedono
spaventato? Anche gli altri si spaventano. È naturale!--Poi, cambiando
tono di voce e avanzandosi sul seggiolone gli domandò a
bruciapelo:--Volete guadagnare centomila lire?

--Io?

--Sì, voi. E mettere il vostro nome in evidenza? E concorrere ad
un'opera colossale, che formerà la ricchezza e sarà la gloria del
paese?

--Lei, tutti i giorni, ne inventa una nuova!--brontolò il Brunetti con un
atto di stizza; ma invece di andarsene, sedette sopra uno sgabello che era
accanto alla scrivania, vicino al Direttore. Questi, sdraiandosi,
allungandosi nel seggiolone e con un colpo forte battendo il palmo delle
mani grasse sui bracciuoli, ripetè ancora, socchiudendo gli occhi,
sorridendo con un fare da milionario, da Rothschild:--Cento-mila-lire!

--Tutti i giorni ne inventa una nuova!--tornò a ripetere il Brunetti a
mezza voce, allungando il collo: non voleva credere, ma voleva sentire.

Cantasirena si voltò, si rivoltò, rimanendo lungo sdraiato come fosse
in letto, e guardò il Brunetti senza parlare; poi cominciò a fare i
suoi sfoghi, le sue confidenze:

--Il giornale, omai, era ridotto un semplice notiziario, una serie di
dispacci. Non lo si faceva più col talento, ma coi denari: poteva avere
ancora una grande diffusione, ma aveva perduta ogni influenza.--In
politica?... Appassionarsi? Lottare? Combattere? Per chi?--Piccoli
galantuomini, poveri d'ingegno, piccoli marioli privi d'audacia. Non un
popolo di liberi, ma di liberti, sempre in cerca di un nuovo
padrone.--E la rappresentanza nazionale? Non più un Desmoulins, appena
qualche Mirabeau senza eloquenza!--E in arte? La macchinetta delle
fotografie istantanee, sostituita ai voli, alle creazioni del
genio!--Caro Brunetti, io mi ritiro dal giornalismo, dalla politica:
sono vecchio e non ho più tempo da perdere. Voglio migliorare la mia
condizione; lasciare uno stato alle mie figliuole, e il mio nome alla
gratitudine di un popolo.

Ci fu un momento di pausa, poi rizzandosi a un tratto più alto, più
largo, più maestoso:

--Volete stare con me? Da un grande dolore..., una grande idea. Il mio
povero Fara-Bon è morto: dobbiamo essere noi, i raccoglitori e gli
esecutori della sua grande eredità intellettuale?--E soggiunse
sottovoce, parlando con una lentezza grave, mettendogli una mano sul
braccio e stringendolo sempre più forte.

--Dobbiamo essere noi?.... _Noi due soli_, i padroni del campo?

Il Brunetti rimaneva muto; ma si vedeva la sua mano muoversi
nervosamente nella tasca dei pantaloni.

--Dunque?

--Dunque, che cosa?

--Sì o no?

--Intanto.... io non so nemmeno di che si tratta!--rispose il Brunetti
con un'alzata di spalle. Aveva paura di Matteo Cantasirena.... ma aveva
anche paura di perdere una buona occasione....--E prima di tutto,
intendiamoci bene,--esclamò con forza.--Io non anticipo un soldo!
assolutamente! Non anticipo un soldo!

Il Direttore sorrise crollando il capo, in atto di compatimento; poi,
restando sempre sulla poltrona, si avvicinò quanto gli fu possibile,
faccia a faccia al Brunetti, e cominciò con un grosso sospiro:

--È destino comune degli uomini di genio, Aristide, l'Alighieri,
Camoens, Fulton, Fara-Bon, che le loro grandi idealità, le loro grandi
scoperte, le loro grandi invenzioni, debbano imporsi e trionfare
soltanto dopo la loro morte!--E continuò a parlare, a parlare, a
parlare sempre faccia a faccia col Brunetti, fissandolo negli occhi,
magnetizzandolo, ipnotizzandolo collo sguardo vivo, acuto, sfavillante,
accarezzandolo, lusingandolo colla blandizie del sorriso amabile,
confidenziale, ammaliandolo quasi coll'incanto della voce morbida,
insinuante, tentatrice.

Cantasirena non aveva letta una sola parola, non aveva un dato
qualunque che potesse riferirsi al grandioso progetto "colossale!" del
compianto Fara-Bon; ma parlò, parlò, continuò a parlare con calore, con
persuasione, con convinzione, con entusiasmo delle _vie acquee_ e delle
nuove _correnti commerciali_; del Po messo in comunicazione col Lago
Maggiore e col Lago di Garda; del Porto di Venezia che sarebbe
diventato il primo del mondo, perchè sarebbe stato necessariamente il
grande punto di congiunzione e di partenza fra la navigazione interna e
la navigazione marittima, fra l'Oriente, il Quarnero, le Bocche di
Cattaro e le tre grandi vie delle Alpi: il Brennero, il Gottardo, e il
Cenisio.

--E.... i milioni?--balbettò il signor Brunetti stordito, sbalordito.

--Il concorso immancabile del Governo, delle Provincie, dei Comuni: poi
una grande società per azioni, della quale io sarò l'anima, la mente, e
voi il braccio.

--E il progetto è in mano sua?... Lo ha lei?

Matteo Cantasirena sorrise appena e battè le dita con lentezza solenne
sopra uno dei cassetti del tavolo:--Qui.

--Una cosa sola ci occorre per lanciare l'operazione: un uomo, un gran
nome; un nome che s'imponga!... Una bestia magari, ma un nome di moda
per metterlo alla testa del comitato.

--Sicuro.... un gran nome!--ripetè attonito il Brunetti.--Ma come
trovarlo?

--Ci sarà.... C'è!--rispose Cantasirena, socchiudendo gli occhi e
sdraiandosi nel seggiolone come Giove che si riposa sicuro, nella
propria onnipotenza.

--Chi?... Chi?

Non lo poteva dire: era il suo segreto. Domani avrebbe potuto parlare.
Oggi no: aveva data la sua parola. Solamente, senza tanti preamboli,
gli occorrevano altre cinquecento lire. Aveva piccoli impegni
fastidiosi, ai quali non poteva, non voleva mancare; voleva provvedere,
in certo modo, a' suoi redattori che per la morte del giornale
restavano in mezzo alla strada. Pietro Laner sopratutto, il Bardo
Trentino! era solo a Milano e non poteva tornare presso la sua famiglia
perchè l'Austria lo avrebbe arrestato e processato. E poi anche lui,
insomma, non voleva aver l'aria di un morto di fame.

Il Brunetti, sulle prime, si era messo a gridare, a protestare,
arrabbiandosi, infuriandosi di nuovo. Lo aveva detto, dichiarato, non
voleva più anticipare nemmeno un soldo! No! No! Assolutamente, no! E
poi.... non aveva vergogna a confessarlo: lo avesse anche voluto, non
avrebbe potuto! Era alla fine del mese, aveva troppi impegni ed era
diventato matto anche per trovare le altre diecimila lire.

No! No! Era impossibile, impossibilissimo!--Quel giorno, in cassa, non
aveva nemmeno cento lire!--Era proprio vero! Poteva giurarlo! Lo
giurava sulla testa delle sue creature!--Ma a poco a poco, l'altro
continuava a parlare, a pregare, a tentare, e il povero signor Brunetti
aveva finito col cedere, prima trecento, poi quattrocento, poi tutte le
cinquecento.

--In fine, cos'erano cinquecento lire, in confronto di tutte le altre
che gli doveva il Direttore? E poi, adesso, non si trattava del
giornale,--il pozzo di San Patrizio!...--Era una grande
speculazione!... Erano milioni che sarebbero stati messi in giro!
Ma.... c'era un altro ma. Cinquecento lire subito, sul momento, il
signor Brunetti non le aveva davvero. Però gliele avrebbe procurate
dall'oggi al domani: senza fallo.

--Senza fallo!--ripetè il Direttore, con una serietà grave,
minacciosa.--Si ricordi bene di non promettere e poi farmi aspettare
secondo il solito.

L'altro tornò ad assicurare, a protestare continuando a ripetere: Senza
fallo! Senza fallo; farò tutto il possibile. Senza fallo!

--Bravo. Siamo intesi!--e il Direttore, che pareva stanco e un po'
seccato, gli diede la mano per congedarlo, col solito fare di benevola
degnazione.

Era diventato lui adesso, Matteo Cantasirena, il creditore del signor
Brunetti!



IV.


Pietro Laner, riavutosi dal primo sbalordimento, se n'era andato
gridando, sbattendo gli usci e senza voler rispondere alla Gioconda e
nemmeno all'Evelina, che gli erano corse dietro fin sulle scale.

--Non avrebbe più rimesso i piedi nè lì, nè in ufficio.--Canaglia!
Canaglia!

Era furibondo per l'insulto, e più ancora per la minchionatura.

--Di volo, zaff!... e le dieci lire erano sparite!... E Nora?--E rifece
il verso del Direttore con stizza:--E-le-oo-nòò-ra?--La mia cara
figliuola!--Come l'altra, la gobbina!--Che figliuola! Che figliuole!
Chissà dove è andato a pescarle, per viverci alle spalle, per
sfruttarle, come ha sfruttato gli amici, l'Italia, il mondo
intero!--Quel pancione Dulcamara è la gran piovra di Vittor Hugo!--

Pure il nome di Nora, evocatore dell'immagine adorata, dissipava le ire
e gli suscitava in cuore, a poco a poco, mille inquietudini.

--Se Nora non era sua figlia, era tenuta come tale; era nelle mani di
quel cannibale, vero mangiatore d'uomini!--Ebbene, egli avrebbe parlato
a Nora, a tu per tu.--Subito!--Dov'era? Dove poteva trovarla? Evelina
gli aveva detto, dalla Schönfeld.--Sì, sì, dalla Schönfeld!

L'aspetterò in istrada, e _aut aut_: poche parole!

Ma pensando, ripensando le "poche parole" che dovevano fare impressione
sull'animo dell'innamorata, tornava ad infervorarsi, a camminare in
fretta, a gestire. La gente per la strada si voltava a guardarlo.

--Senti, Nora, Norina mia: quella canaglia, dopo avermi rubato tutto,
ha avuto il coraggio d'insultarmi: io ho pensato a te; per questo non
l'ho strozzato! Però in casa vostra, non ci metto più i piedi; mai
più.--Tu mi vuoi bene?--Sì?--e allora, oggi stesso, stassera, si prende
il volo. Ti porto a casa mia, dalle zie; fino al giorno del nostro
matrimonio. Domattina si arriva a Trento, poi una vettura e in poche
ore saremo a Crodarossa....

Ma.... i danari? La pigione? I danari per pagare la padrona di casa? I
danari per il viaggio?...

Si fermò di colpo, su due piedi. Oh, quella faccia della sua padrona di
casa!--Finchè non ho da pagarla, non mi fo più vedere!... E per
pagarla, dove li trovo?

Pietro Laner si cacciò le mani nelle tasche del paltò, e riprese a
camminare, ma assai più lentamente.

La padrona, vedendo che l'ospite trentino non si faceva vivo per il
conto, glielo aveva fatto trovare in camera, sotto il calamaio. Lui,
s'intende! aveva finto di non vederlo. Ma la sera lo trovò sul tavolino
accanto al letto, spiegato sotto il candeliere; e il secondo giorno
disteso, diritto, sulla padellina di cristallo, appoggiato alla
candela. E d'ora in ora, quella faccia della padrona, già così larga di
sorrisi e di cerimonie, non esprimeva più altro che un gran punto
interrogativo:--Mi paga?...

--Come fare? Tornare dal Direttore? Sottomettersi? Pregare, cercare
colle buone di ottenere un piccolo acconto?...

--Se Nora volesse?... Se volesse parlarne allo zio Matteo! Ma bisognava
vederla subito. Invece di aspettarla giù, dinanzi alla porta, sarebbe
salito a cercarla dalla signora Schönfeld: l'avrebbe fatta chiamar
fuori.--Ho da parlarti: di gran premura!

--Che male c'è? Non dev'essere mia moglie? Non è omai saputo da
tutti?... Da tutti no.... Le zie?

La zia Angelica e la zia Rosina non ne sapevano niente. Esse credevano
che il loro Pierino a Milano, non fosse intento altro che a guadagnar
denari e a diventare un grand'uomo!

Che direbbero, che farebbero la zia Angelica e la zia Rosa, quando
fosse capitato a Crodarossa senza le ventimila lire, senza un soldo....
e invece colla sposa?... Una signorina in cappellino e che non sapeva
far altro che suonare e cantare?... Dio! Dio!... Ma come non ci aveva
mai pensato? E Nora? Se anche Nora dicesse di no?

Al dubbio solo, all'idea di poter perdere Nora, gli si empirono gli
occhi di lacrime e il cuore di disperazione. Si sarebbe ammazzato!

E la padrona?... Dio! Dio! Dove aveva avuto la testa fino allora?

Era la prima volta dal suo arrivo a Milano, che Pietro Laner cominciava
a vederci chiaro d'intorno a sè, davanti a sè.

--Dio! Dio!... Come mai si era ridotto a quel punto? Non lo sapeva, non
se n'era accorto. Era stato uno stordimento, una vertigine di tutte le
ore, di tutte le vicende incalzanti che non gli lasciavano tempo di
pensare, di riflettere.

Come aveva fatto a innamorarsi di Nora? A impegnarsi senza scrivere
alle zie? Perchè, come, quando aveva cominciato a lasciarsi ingannare,
truffare, rovinare, da quel Mosè imbroglione?... Non aveva nemmeno
cento lire per pagar la padrona!... Non aveva nemmeno un soldo per far
colazione!... E la collera delle zie? E se Nora non voleva? E se Matteo
Cantasirena non lo pagava?... Ma era stato pazzo? Era stato ubriaco?
Dio! Dio! Dio!--Maria Vergine!--Ma che cosa aveva fatto di male perchè
gli capitassero addosso tutte le disgrazie, tutte le maledizioni?...

Che cosa aveva fatto?

La risposta la sentì sorgere nell'animo angosciato e farsi strada nella
mente sconvolta, come un lontano chiarore, un barlume di speranza. Era
una risposta sola a tante domande, una risposta che per le sue nuove
idee poteva sembrare ridicola, assurda, indegna della sua ragione,
indegna del suo ingegno, ma alla quale consentivano tutti i suoi
sentimenti e tutti i suoi ricordi intimi, profondi, nascosti e alla
quale la disperazione stessa di quel momento, dava uno slancio più vivo
di fede.

--Dal giorno in cui sono venuto a Milano, non sono più stato a Messa,
non sono più entrato in una chiesa!... Ecco perchè mi sono tirato
addosso l'ira di Dio!...

Gli sembrò, sperò, che entrando appena in una chiesa, sarebbe stato
come ribenedetto, che tutto sarebbe tornato ad andar bene come prima.

C'era appunto, a due passi, la chiesa di San Francesco. Sbirciò di qua,
di là, se per caso qualche suo conoscente, qualche suo collega
giornalista non lo vedesse; nessuno!

Entrò presto, ma rimase diritto in piedi, vicino alla porta, subito
intimidito da quei due o tre divoti che si erano voltati a guardarlo.

Poi, sempre diritto in piedi, rigirando il cappello fra le dita,
cominciò a raccogliersi e a pregare, ma senza muovere nemmeno le
labbra.

La chiesa era scura, quasi deserta; ma il biascicare sonnolento di quei
due o tre bacchettoni dalla faccia gialla, gli dava fastidio, gli
toglieva il fervore.

Quando aveva pregato intensamente, aveva sempre ottenuto qualche
cosa!... e cercò colla memoria tutte le "grazie" ottenute in sua vita,
per poter ravvivare la propria fede; e tornò a pregare. Le sue
preghiere, naturalmente, non erano _avemarie_, non erano _pater
noster_; diceva al suo Signore Iddio, datemi questo, datemi
quest'altro.

Ma perchè il sagrestano continuava a osservarlo.... a fissarlo?

Non riusciva a chiedere intensamente, fermamente ciò che desiderava.
Non era fede vera la sua; era una concessione a sè stesso, a un
pregiudizio.

Però, anche da ragazzo, quando non andava a messa la domenica, gli
capitava sempre, nella settimana, qualche disgrazia. E tornava a
pregare, ma per poterci credere, assicurava sè stesso, che il suo Dio
non era a confondersi col Dio falso dei preti, nè col Cristo di legno o
di cera delle donnicciuole. Era più grande e più in alto; era
l'equilibrio dell'Universo, era la forza occulta che cominciava là dove
finiva la scienza, e che però nemmeno la scienza poteva negare in modo
assoluto.... E poi, a questo Domineddio portentoso che reggeva
l'infinito, Pietro Laner non gli aveva da chiedere che le grazie più
discrete, più modeste: trovare i soldi per pagare il conto della
padrona, sposare la Nora, ottenere il perdono dalle zie. Il solo
miracolo, veramente grande che domandava, era di riavere le ventimila
lire prestate a Matteo Cantasirena.

Ma perchè quello zoticone del sagrestano si voltava sempre dalla sua
parte?... Lo conosceva forse?

Non poteva raccogliersi! Non poteva pregare con fervore!--Questo voleva
dire che non avrebbe ottenuto niente; che era proprio spacciato!--Dio!
Dio! Perdere Nora! Non aver più un soldo! Finire in un ospedale!...

In fondo alla chiesa luccicava un piccolo altare: una Madonna, in una
gran custodia di vetro, con un abito di raso giallo tempestato di
gemme. Tutti i ceri del piccolo altare erano accesi: le colonne, le
pareti, erano coperte di voti, di cuori d'argento, di grucce, di gambe
e di braccia di legno....

--Là devo andare a pregare se voglio ottenere qualche cosa,--pensò
Pietro Laner,--e se il sagrestano mi vede, questa sarà la penitenza per
meritare la grazia!

Si avvicinò piano piano alla Madonna dei miracoli: le ombre della
navata, l'oscurità dietro le colonne, erano piene di misteri,
d'inquietudini. Quella chiesa semivuota, si popolava a poco a poco, per
la forza della sua immaginazione, di tutta la folla dei rispetti umani.
Erano i suoi colleghi più beffardi, più scettici, più spregiudicati!...
Era Nora che lo aveva veduto entrare da lontano in San Francesco, e gli
aveva tenuto dietro! Era Matteo Cantasirena, che rideva così
rumorosamente da farsi sentire per tutta Milano!

Il timore, l'oppressione, diventavano orgasmo: pure bisognava
inginocchiarsi.... pregare, prosternato, dinanzi a quell'altare....
S'inginocchiò infatti.... ma provò un senso, un'impressione strana....
Sentiva dei passi dietro a sè che si avvicinavano.... poi una mano gli
batteva sulla spalla!... Si alzò di colpo.... non c'era nessuno.

Soltanto una vecchierella, collo scialletto paonazzo del "Luogo Pio",
borbottava il rosario fissando la Madonna cogli occhi malati....

Eppure il pensiero di essere visto da quella vecchia ad inginocchiarsi
una seconda volta fu più forte di lui in quel momento. Era il timore
dei pregiudizi del mondo che la vinceva su tutti gli altri timori, ed
egli uscì dalla chiesa, sbirciando di qua, di là, più pauroso ancora di
quando vi era entrato.

E così anche quel suo ultimo barlume di speranza, riposto in
Domineddio, nella Madonna, era svanito.



V


Pietro Laner era nato nel Trentino, a Crodarossa. Un paesuccio
raggruppato attorno al campanile nuovo; poche casette che spiccavano in
alto, scintillanti al sole, in mezzo alla montagna tutta verde fino
alla cresta bigia; poche casette bianche e quiete sotto i tetti neri,
colle piccole finestre, come occhietti ridenti, piene di fiori.

Pierino aveva appena cinque o sei anni, quando gli morirono, a pochi
mesi di distanza, prima la mamma, e poi il babbo. Allora fu raccolto in
casa degli zii: lo zio prete, don Giacomo, e le sue sorelle, la signora
Angelica, e la signora Rosina. E tutti, il buon prete che aveva sempre
voluto bene al suo povero fratello, e le due zitellone che erano sempre
state in pace colla povera cognata si affezionarono subito a Pierino e
lo tennero in conto di un figliuolo.... proprio mandato dal Signore.

Fissarono insieme e si divisero d'accordo i vari obblighi per allevarlo
e per educarlo. Don Giacomo gl'inspirava il santo timor di Dio, gli
spiegava la dottrinetta, gl'insegnava a leggere e scrivere e gli faceva
fare delle buone camminate, arrampicandosi su per i monti.

Le zie gl'insegnavano a star pulito, a risparmiare i _kreuzer_ che gli
altri gli regalavano, a fare la somma e la moltiplica, e quando era
necessario, la zia Angelica e la zia Rosina, sempre serie, sempre
composte, trovavano la forza unite insieme, anche per metterlo in
castigo.

Da suo padre, Pierino non aveva ereditato nemmeno un soldo. Il
pover'uomo possedeva un paio di campicelli ch'egli stesso coltivava,
tralasciando nei giorni della semina e del raccolto dal fare il
mestiere di sarto che gli dava da vivere. Ma prima, la lunga malattia
della moglie, poi altre disgrazie, i due campicelli che a vederli
dall'alto, in mezzo al verde dei prati, sembravano piccoli come i
tappeti da camera, rimasero alla sua morte, sepolti sotto i debiti che
don Giacomo per altro si affrettò a pagare.

Don Giacomo era ricco, s'intende per quei paesi, e non era diventato
ricco per merito suo, ma per la stretta economia, per le privazioni
stesse a cui si assoggettavano quotidianamente le sue sorelle che
adoravano _Domine_.... in avarizia! Esse risparmiavano su tutto, e ogni
giorno di più, perchè ogni giorno erano sempre più rattristate e
spaventate dallo spettacolo della miseria altrui.

"Quando in una casa manca il necessario, comincia a mancare anche il
timor di Dio!" E per questa massima che concordava colla sola,
coll'unica passione di quelle due esistenze, esse finivano col
diventare sempre più avare anche per salvarsi l'anima; e incrudelivano
sopra di sè, più ancora che sugli altri, per accumulare sul
patrimonietto comune, sul benefizio della Canonica e persino sul vino
della Santa Messa, e qualche volta sospirando e gemendo dinanzi al
giocondo appetito del buon pretone sano e forte.

Quando presero in casa Pierino, quando ebbero da pagare i debiti del
fratello, si trattava dell'onore della famiglia e non fiatarono, ma
risparmiarono le uova dell'insalata e andarono a dormire senza lume per
poter ricavare, col tempo, da una parte quello che era andato
dall'altra. Buone donne del resto, pie, laboriose, niente affatto
pettegole, e indulgenti; caritatevoli di consigli quando ne erano
richieste, e di orazioni anche non richieste. C'era chi stava male? chi
era minacciato da una disgrazia? Pregavano per quegli infelici mattina
e sera, e colle loro divozioni fioccavano indulgenze su tutti i poveri
morti del paese.

Don Giacomo soffriva per l'avarizia delle sorelle, ma timido, come
tutti i Laner, non aveva trovato mai tanto coraggio da opporsi, da far
valere, occorrendo, i propri diritti. Esse non alzavano mai la voce;
erano sempre rispettose per l'abito, per il ministero, per la santità
del fratello. Ma don Giacomo non osava contrariarle anche per non
addolorarle; e tranne qualche predica, in generale, sul brutto peccato
dell'avarizia, e sui doveri verso il nostro prossimo, non osava andar
più in là. Piuttosto si adattava a commettere in casa dei piccoli
furterelli; e nascosta la roba sotto la tonaca, la portava,
raccomandando di non dir niente, a' suoi vecchietti, a' suoi ammalati.
E gridava lui per il primo, contro i gatti, quando mancava la carne,
contro i topi quando invece era un pezzo di lardo; contro il nibbio o
la poana quando spariva un piccioncello o un pollastrino. Ma le due
sorelle, appena successa la sparizione, stavano sempre più in guardia,
con tanto d'occhi, e per un pezzo don Giacomo non si arrischiava....
non toccava più niente. E allora si sfogava dando tutto il suo tempo,
tutta la sua persona, tutto il conforto del suo gran cuore, a' suoi
poveretti. Andava lui a piedi per poter prestare agli altri, che ne
aveano più bisogno, il suo cavalluccio magro, sfiancato. Quando era
chiamato presso un ammalato, non lo abbandonava più; restava lì a
fargli da infermiere: e una volta fece anche da contadino. Un povero
diavolo si era rotta una gamba, scivolando giù da una roccia. Era
d'agosto, il tempo della mietitura, e a Crodarossa, in quei giorni, non
abbondano le braccia. Don Giacomo conforta il povero diavolo, poi si fa
dare il suo grembiule bianco, lungo fino ai piedi, il suo cappellaccio
di paglia, e passa così tutta una settimana, dalla mattina alla sera, e
facendosi aiutare anche da Pierino, falciando il fieno, segando il
grano, legando, ravviando, abbarcando i covoni.

E quel povero prete, così timido colle sorelle, così umile con tutti,
aveva finito col dare anche la vita per i suoi parrocchiani, dopo aver
compiuto atti inauditi di coraggio, di vero eroismo.

Una notte, improvvisamente, dopo un violento uragano, il fiume aveva
rotto e tutto il paese era rimasto allagato.

--L'acqua! L'acqua! L'acqua!--Erano urli di spavento, di morte. Don
Giacomo, sebbene ormai quasi vecchio, si cacciò dov'era maggiore il
pericolo e il bisogno, coi più giovani, coi più forti, coi più
temerari, consigliando, confortando, trasportando a braccia o sulle
spalle i vecchi e gl'infermi. Si buscò la febbre, scoppiò la polmonite
e morì in pochi giorni. E prima di morire divise il suo patrimonietto
in tre parti uguali, fra le sorelle, Pierino, e i poveri del paese. In
quell'istante supremo aveva trovato anche quell'altro coraggio che in
vita gli era sempre mancato; quello di affrontare l'avarizia muta della
signora Angelica e della signora Rosina, che inginocchiate a pie' del
letto singhiozzavano sulle avemarie del Rosario, mentre le campane
suonavano i rintocchi mesti dell'_Angelus_, mentre da tutta la casa, da
tutta la strada piena di gente, saliva al suo cuore, ultimo saluto di
pace e di speranza, il lamentìo sommesso dei _Pater_ e delle _Ave_.

--È un santo!--sospiravano la signora Angelica e la signora Rosa, con
un'istintiva scrollatina di testa.-Ha voluto morire da santo, come da
santo ha sempre vissuto!--E quando sospiravano, e quando scrollavano il
capo, le due vecchiette lo facevano tutte e due nello stesso tempo,
colla stessa espressione addolorata negli occhi gonfi di lacrime, nella
voce fievole, nella compunzione devota dei gesti.

La signora Angelica e la signora Rosa si rassomigliavano fin da
piccine, ma a poco a poco, a forza di vivere unite insieme, erano
arrivate al punto da essere scambiate l'una per l'altra: tanto più che
anche da vecchie, come da ragazze, continuavano a vestire perfettamente
allo stesso modo. Avevano la medesima sottana di lanetta scura, il
medesimo scialletto nero, e sul capo, uso cuffia, il fazzoletto pur
nero di maglia grossa, che annodato, stretto sotto il mento, lasciava
appena sbucare la loro faccetta tonda, col naso grosso, lungo, rosolato
dal sole.

Composte e silenziose, attraversavano la piazza; insieme si alzavano in
piedi ai punti prescritti della messa, insieme si sedevano dopo il
vangelo, si prosternavano insieme, fino a terra, al mistico irraggiare
dell'ostensorio; poi le due figurette nere, piccoline, secche secche e
diritte, si vedevano comparire sempre mute, sempre appaiate sull'alto
della viottola del Santuario di Crodarossa, la loro passeggiata
favorita. E in casa, appena una delle sorelle entrava in una stanza, o
andava nell'orto o nel pollaio, l'altra subito le teneva dietro
trotterellando. Dormivano nella stessa camera, si alzavano alla stessa
ora; alla stessa finestra prendevano l'aria e il raffreddore, e non
avevano avuto, non avevano altro, fra grandi e piccoli, fra tutte e
due, che un solo peccato da confessare: l'avarizia.

Morto Don Giacomo, si attaccarono più strettamente al nipotino.
Germinava in fondo al loro cuore e sotto tutte le orazioni, le
divozioni che facevano, una lontanissima speranza, intima, segreta, che
si erano confidato l'una all'altra cogli occhi.... Soltanto cogli
occhi.--Pierino! Per via di Pierino, avrebbero un giorno, chissà!
potuto riavere la Canonica e il Benefizio. Oh, la Canonica! Il bel
cortile!... il ricco pollaio; l'orto e il vigneto della Canonica!

Dopo la morte di don Giacomo avevano dovuto andarsene, abbandonare
tutto quanto. Che gran dolore! Che rivoluzione, che sconvolgimento, in
tutta la loro esistenza!... Nel cielo buio, dopo l'uragano, dopo il
terremoto, non era apparso, di lontano, che un solo, un piccolo raggio
di speranza: Pierino!--Il buon Pierino, innocente come l'acqua, un vero
San Luigi! Pierino avrebbe potuto farsi prete e forse diventare il
successore del successore, già vecchio, di don Giacomo, e allora,
chissà!, fosse almeno per morirvi, avrebbero potuto ritornare in quella
loro casa così comoda, così nota, così intimamente legata alla loro
vita, al loro essere.

La signora Angelica e la signora Rosina che in gioventù non erano mai
state innamorate, nè avevano mai provato, certamente, qualche cosa di
simile, si può dire che cominciarono allora a far all'amore, colla
Canonica, col vigneto, col pero alto e frondoso che dominava dal mezzo
tutti gli alberi dell'orto, e al quale, quando erano giovani, un giorno
che facevano le mattone, avevano dato anche un nome strano: il
_Gigantesso_!

Costrette ad abbandonare la casa, non avevano potuto abbandonare il
luogo. Avevano preso un quartierino accanto alla Canonica, perchè le
finestre davano appunto sull'orto. E lì, a una di quelle finestre, le
due vecchierelle rimanevano ore e ore, fisse, mute, guardandosi negli
occhi e scrollando il capo.

Quando il nuovo ortolano,--se avessero potuto odiare qualcheduno,
quello, proprio, lo avrebbero odiato,--vi faceva qualche cambiamento,
era per esse una rabbia, un affanno; se atterrava un albero, era un
dolore. E nei mesi di quel primo inverno,--l'inverno lungo e bigio
delle montagne, colla neve che continua a cader sulla neve,
tacitamente,--quando tutto l'orto era rimasto sepolto, e la vigna e
anche il pero maestoso non sembrò più altro che uno strano e immenso
colosso bianco, le due vecchierelle, dietro le finestre, tappate colla
cimasa, rimanevano tutto il giorno a guardare, a spiare, a sospirare.

--Gesù Maria Joseph!--gemeva la signora Angelica.

--Gesù Maria!--rispondeva la signora Rosina, congiungendo le palme.

--Che inverno! che _siberico_! Povera vigna! Povero _Gigantesso_!

--Jesus Maria Joseph!

--Jesus Maria!

Ma poi, quando a poco a poco la neve alta si abbassava, si dileguava, e
cadeva a fiocchi, a pezzi, dagli alberi scossi dal vento, dalle frondi
dondolanti, quel verde che ritornava a sbucare, ad apparire, a
distendersi, a scoprir cose note e care, consolava, riscaldava,
rinverdiva anche quella certa speranza, lontana lontana....

--Fra dodici.... fra quindici anni.... Pierino potrebbe esser
parroco....

--Fra dodici, fra quindici anni....

--Ma non bisogna mai far calcoli sulla morte di nessuno!

E la signora Angelica si faceva il segno della santa croce.

--Che Dio accordi a tutti una lunga vita!--rispondeva la signora
Rosina, segnandosi pure alla sua volta, lentamente.

Erano sincere in questo loro sentimento di carità; e ne furono premiate
perchè non dovettero aspettare per tanti anni un po' di consolazione.

Don Giuseppe, il nuovo parroco, non riusciva a farsi voler bene a
Crodarossa. Il povero don Giacomo vi era ancora troppo ricordato,
troppo esaltato e rimpianto. Quello era un sant'uomo!

Don Giuseppe non era cattivo; ma di tutt'altra pasta. Amava molto i
proprii comodi, la propria salute.... insomma, invece di essere un
mezzo santo come don Giacomo, era un mezzo filosofo della vita. Di più,
era intinto dello stesso peccato della signora Angelica e della signora
Rosina, sebbene non fino a quel punto; perchè se don Giuseppe era avaro
cogli altri, non lo era poi con sè stesso.

Per cattivarsi gli animi, per rendersi popolare, pensò allora di
stringere amicizia colle due vecchie sorelle, che per virtù del povero
don Giacomo godevano la stima e la venerazione di tutto il paese.

--Aveva sentito dire che Pierino aveva la vocazione? voleva farsi
prete?... Bravo! Bravo! Il nipote di don Giacomo! Oh, quando sarebbe
stato il momento avrebbe parlato lui alla _Curia_, per averlo per
coadiutore!... Poi, già, sarebbe stato di diritto suo successore....
Sicuramente! Bravo! Bravo!...

E dopo qualche visita del parroco alle vecchie, dopo il regalo d'un
cesto d'uva e d'un piatto di pere, la signora Angelica e la signora
Rosa per restituire le garbatezze, per ringraziare, ripresero la via
della Canonica e dell'orto; un altro giorno fecero una visitina anche
al pollaio.... Poi nell'orto, invitate da don Giuseppe, cominciarono ad
andarci spesso, per recitare il rosario, per leggere il _Manuale di
Filotea_ all'ombra antica e fidata del _Gigantesso_....

--Oh, anche don Giuseppe era un degno sacerdote! E anche l'ortolano era
un galantuomo! E come lavorava di lena!

Le due sorelle insegnarono al parroco e all'ortolano a conservare la
carne secca e l'uva intatta per tutto l'inverno.... a risparmiar sulla
semina.... a risparmiar sulle spese. In quel frattempo, si ammalò la
serva di don Giuseppe, e se ne andò al suo paese a rinfrancarsi, ma poi
non tornò più a Crodarossa, nè don Giuseppe si prese altre donne. La
signora Angelica e la signora Rosina omai facevano tutto loro alla
Canonica, come prima, quando c'era il povero don Giacomo, e alla casa
nuova, non ci andavano più altro che la sera, per dormire.

E intanto le lezioni a Pierino, sospese per la morte dello zio don
Giacomo, furono riprese da don Giuseppe, il quale, e non più le zie,
gl'insegnava poi anche l'aritmetica.

Pierino, cresciuto in quell'ambiente, fra chiesa, sacristia e canonica,
si figurava quando fosse un uomo di fare il prete per diventar vescovo,
come gli altri ragazzi della sua età pensano di andar soldati, per
diventar generali.

Ma nel cuore del giovinetto mancava il sentimento vero, profondo, della
fede. La grande maestà di Dio non gl'incuteva alcun timore; gl'incuteva
più timore don Giuseppe, forse perchè don Giuseppe aveva sempre la voce
in aria e quella del Signore non l'aveva mai sentita.

Era sempre in chiesa o in sacristia: era sempre in cotta a fare il
chierico durante tutte le funzioni; ma quando serviva messa,
all'Elevazione, scampanellava troppo forte e troppo a lungo; in
processione, dava colpi al turibolo da buttar all'aria cenere e brace.
Durante la predica portava in equilibrio cataste alte di seggiole che
sbatacchiava poi dinanzi ai divoti; pigliava quattrini e parlava forte,
affaccendato col sagrestano. E i tridui, collo sparo dei mortaretti, e
la Settimana Santa, col fracasso dei mattutini, e il mese di Maria coi
fiori e i canti al Santuario di Crodarossa, erano le sue feste, i suoi
divertimenti ai quali pensava e si preparava con gioia da un anno
all'altro.

Don Giuseppe, che aveva notato tutto ciò, cominciava ad essere inquieto
a proposito della vocazione di Pierino; ma amante della santa pace,
teneva i dubbi e le osservazioni per sè.

--È un buon ragazzo,--pensava,--ma forse è troppo vivo. Quando gli
parlo, sta attento, con rispetto, con sommissione.... ma non mi
ascolta. Se gli dò una sgridata, diventa pallido, tremante, ma poi
torna da capo. Forse ha preso troppa confidenza colla Chiesa, coi
Misteri, col Signore....

E per lavarsene le mani dichiarò alle signore Laner che era giunto il
momento di mandare il nipote in Seminario, a Trento.

Ma Pierino, entrato in Seminario, invece di trovarsi sulla via che
avrebbe dovuto condurlo direttamente in paradiso, si trovò più che mai
su quella dell'inferno.

Il rumore del mondo arrivava appena, coll'ultima onda risonante, fin
lassù a Crodarossa, e si perdeva dileguandosi nella foresta immensa,
tra le fenditure profonde delle rocce inabitate.

A Crodarossa la vita serena o buia la faceva il cielo così vicino,
appena diviso da un ultimo strato di verde, da un'ultima cresta di
pietra.

Lavorare per mangiare; mangiare e vivere per salvarsi l'anima: non si
faceva altro, non si pensava ad altro a Crodarossa.

Ma il mondo che non era arrivato fin lassù, fra la sconfinata libertà
delle vette alpine, era penetrato attraverso le grosse e tetre muraglie
del Seminario; e subito Pierino si era incontrato in tre cose, nuove
affatto per lui, e proibite per tutti in quel luogo. La
patria--Garibaldi--e le belle ragazze.

Un altro giovane seminarista triestino, un piccolo chiericuzzo dagli
occhi strambi, dalla faccia lentigginosa e che i parenti volevano far
prete per forza, si era legato di grande intrinsichezza col piccolo
montanarino--tutti italiani, per Dio!--e gli aveva confidato che voleva
scappare a Venezia e che voleva fare il bersagliere, altro che il
prete!

Pierino spalancava gli occhi maravigliando. E l'altro gli parlò della
patria, dell'Italia, e gli mostrò un ritratto di Garibaldi che teneva
nascosto sul petto, sotto la camiciola, insieme a quello della
Doralice, la rotonda bambinaia di sua cognata.

La patria!... Garibaldi!... e la Doralice! Tutto ciò aveva acceso, come
fiamma che divampi all'improvviso, la mente e il sangue del nonzoletto
di Crodarossa, che nascosto negli anditi bui della camerata, si metteva
a gridare, a bassa voce, con l'amico di Trieste, "Viva l'Italia!" senza
però far seguire, il "per Dio!" che aggiungeva quell'altro, come
protesta e come rinforzo. E il berrettino di Garibaldi, e il viso tondo
della Doralice, la barba bionda dell'eroe e gli occhi della ragazza gli
erano fissi nella mente giorno e notte e si confondevano in un
desiderio smanioso, indistinto; in un primo amore arcano, irrequieto
per la patria, per l'Italia che egli si raffigurava come una donna
giovane e bella, colla faccia della bambinaia. Il seminarista, il
chierichetto dagli occhi strambi e dalla faccia lentigginosa pareva si
godesse a stuzzicarlo, ad accenderlo sempre di più in quei pensieri, in
quei misteri, e gli ripeteva di nascosto anche i versi del Berchet:

    "Maledetta chi d'italo amplesso
    Il tedesco soldato beò!"

_Amplesso?... Beò?..._--Cosa volevano dire queste nuove parole?... E
"la vergin ne' gaudi cercata" e "la sposa dell'uomo stranier" era la
Doralice coi capelli disciolti, seminuda, stretta fra le braccia di un
soldataccio ispido e nero, coi baffi impeciati....

"Maledetta! Maledetta!..." _Amplesso?... beò?..._ Cosa volevano dire?

Anche questo lo spiegò il seminarista, cogli occhietti che luccicavano
fra le grinze della pelle e il ghignetto da scimmia sulle labbra
sottili e mobili. Pierino, mentre ascoltava, era diventato pallido,
rosso; poi era rimasto a bocca aperta, con un sorriso stupido. Non
aveva capito bene, non aveva capito tutto, ma non osò domandare di più.
Dopo, dopo, che continuo lavorìo della mente per indovinare!... Era il
mondo che lo aveva preso colle sue passioni, colle sue seduzioni, colle
sue cattiverie; era la donna che si rivelava a mano a mano,
incessantemente. E il giovinetto nell'accensione bramosa, domandava
alla discreta nudità delle statue e dei dipinti dell'altare le ultime
rivelazioni del mistero della forma, domandava, cercava di scoprire nei
versi del Berchet, come nelle storie bibliche di Rachele e di Giuditta,
nelle lodi e nelle invocazioni appassionate alla Vergine, come nelle
estasi delle Sante, la rivelazione ultima del mistero dell'amore.

No! No! Non voleva più farsi prete!... Non voleva più diventar vescovo:
voleva invece prender moglie, e presto, e liberar l'Italia. L'Italia
bionda e grassa, l'Italia bionda e bella, come la bambinaia del suo
amico triestino.



VI.


Il piccolo Laner, appena tornato per le vacanze a Crodarossa, e non
osando parlare, scrisse alle zie una lunga lettera pregandole,
scongiurandole "di non voler la sua morte." Cioè, di non costringerlo a
ritornare in Seminario. Non sentiva più la vocazione; sarebbe stato
infelice tutta la vita; piuttosto si sarebbe lasciato morir di fame!

Ma poi, appena ebbe scritta e affidata la lettera all'ortolano per la
consegna, ebbe paura di aver arrischiato troppo, di non aver riflesso
abbastanza; e però, aspettando gli effetti della lettera, più che per
il timore di dover finir prete, stava colla tremarella per il brutto
temporale che lo minacciava.

--Che strappazzata!... Che fulmini!... Quell'altro di Trieste era stato
imprudente, era diventato matto consigliandogli quella lettera!--E
Pierino avrebbe quasi voluto svignarsela "in Italia" non per paura
dell'Austria, ma di don Giuseppe. Finì invece col correre in camera
sua, e col buttarsi mezzo svestito sul letto, per fare impressione
nell'animo delle zie, lasciando credere che fosse ammalato.

Intanto la signora Angelica e la signora Rosina erano rimaste assai
maravigliate e molto inquiete, soltanto al vedere la lettera,--che
tenevano in mano, appena con due dita, e non osavano aprire.

--Cosa sia?

--Cosa sarà?

--Bisogna leggere....

--_Vedemo._

Dopo letto, erano rimaste senza fiato, come fulminate. Lentamente,
colla mano tremula, si levarono gli occhiali che tutte due si erano
inforcati sul naso per aiutarsi a leggere, una parola l'una, una parola
l'altra, e rimasero mute a guardarsi, a fissarsi lungamente....

--Gesù Maria Joseph!

--Gesù Maria!

--Che disgrazia!

--Che _ribalton_!

Istintivamente si fecero il segno della croce, poi a un tratto, colte
all'improvviso dal medesimo pensiero, corsero affannate, coi passettini
corti, leggeri, fin sull'uscio della camera di Pierino e rimasero in
ascolto.

Pierino, che le aveva sentite venire, cominciò a rivoltarsi sul letto,
a gemere flebilmente. Allora, più spaventate, fecero per aprir l'uscio,
e trovato chiuso, cominciarono a bussare, a battere disperatamente.

--Apri, Pierino!

--Apri!

Pierino corse appena a girar la chiave, e si buttò di nuovo sul letto
piangendo, smaniando, tirando calci all'aria.

La signora Angelica e la signora Rosa gli furono attorno per calmarlo,
per soccorrerlo.--Era la prova! La tentazione!... Era il diavolo!...--E
nella severità silenziosa della loro faccia addolorata, appariva
un'espressione insolita di inquietudine, di diffidenza, quasi temessero
scorgere, a un tratto, fra i capelli neri e crespi del nipotino, due
cornetti nascenti.

Gli fecero bere della camomilla, così bollente che gli bruciò il
gorgozzule; poi lo obbligarono ad alzarsi, a lavarsi la faccia, a
rimettersi la giacca, e lo condussero dinanzi a don Giuseppe: lo doveva
benedire subito coll'acqua santa, per mettere in fuga satanasso!

Don Giuseppe era già preparato a quella fine, o quasi. Tuttavia, per
scrupolo di coscienza, gridò, strepitò, e agguantando il povero
ragazzo, e tirandolo per la cuticagna lo cacciò al buio, sotto chiave,
nello stanzino dell'aceto.

--Speriamo un buon effetto,--disse poi calmandosi e voltandosi per
confortare la signora Angelica e la signora Rosina, rimaste pallide,
tremanti, a quella scena, gli occhi pieni di lacrime.--Speriamo che il
Signore, coll'aiuto della Beata Vergine Maria, gli ritorni la sua
grazia speciale. In ogni modo, teniamo sempre presente questa massima
di ogni buon cristiano, insegnata anche da san Bonaventura: quello che
fa lui è sempre ben fatto, e non casca foglia che Dio non voglia!

E tornò a raccomandare e a predicare il savio precetto, alcuni giorni
dopo, vedendo che la casa seguitava ad essere sossopra per
l'ostinazione di Pierino, il quale, fatto ormai il primo passo, e visto
che non lo avevano accoppato, teneva duro, ostinato come un vero
montanaro.

Alla Canonica non c'era più pace; e non c'erano più ore, nè per il
desinare, nè per la cena. La signora Angelica e la signora Rosa che, di
solito, preparavano il pranzettino particolare di don Giuseppe, con
tanta premurosa diligenza, pareva non sapessero far più niente di bene;
e a forza di soffrire e di piangere si erano ammalate tutt'e due.
Avevano la flussione e la faccia bendata colla pappa di lino.

Don Giuseppe, se prima aveva taciuto per il quieto vivere, adesso, per
la medesima ragione, spiattellò chiaro e tondo alle signore Laner tutti
i dubbi, tutte le inquietudini che aveva già da tanto tempo, prima
ancora che Pierino fosse stato mandato in Seminario. E concluse al
solito: "Tutto per il meglio!"

--Diciamolo francamente, con quella sincerità che è obbligo di ogni
buon cristiano: abbiamo preso un gambero a proposito della vocazione di
Pierino; ed io più grosso di tutti! Ma se noi su questa terra siamo
poveri ciechi,--_Non unicuique datum est habere sapientiam_,--il
Signore, di lassù, tutto vede e a tutto provvede. Lui medesimo, per i
suoi fini, che sarebbe un peccato di presunzione soltanto il voler
lontanamente indagare, fa una scelta ristrettissima di tutte quelle
persone che destina al suo servizio, e che siamo poi noi altri preti,
sempre indegnamente, s'intende. Orbene; quando ha fatto una scelta,
poniamo, sopra di quel dato individuo, Lui stesso,--nostro
Signore--cosa fa?... Manda subito lo Spirito Santo, e quello non c'è
pericolo, non sbaglia mai, a toccargli il cuore colla grazia divina,
che è quanto dire, colla vocazione. E sarebbe bella, sarebbe grossa,
volersi mettere davanti, al posto della medesima volontà di Dio, per
scegliere e destinare in vece sua, chi lo deve servire! Anche noi, per
esempio, i nostri uomini, i nostri contadini li vogliamo prendere
secondo le nostre idee, secondo il nostro gusto!... Sicuro che il
sacerdozio è lo stato di perfezione; ma per questo, appunto, non può
essere di tutti quanti; ed è nostro Signore, per il primo, a non
volere, per tutte quelle leggi superiori, umane e anche divine, del
consorzio, della famiglia, della discendenza.... _Mundus est et mundus
esse debet_. Pierino, si vede, è stato destinato, deve avviarsi per
questa strada, e del resto, anche per l'anima, sempre meglio essere un
buon marito, un buon padre cristiano, cattolico, come tutti i Laner,
piuttosto di fare il prete per forza che è quanto dire, essere un
cattivo prete!--

Le due vecchie si sforzavano di trattenere i singhiozzi: don Giuseppe
prese una mano alla signora Angelica, un'altra alla signora Rosina, e
stringendo, accarezzando quelle due mani secche secche fra le sue
manone grosse e calde, dalle dita pelose, volle istruirle, con gran
dolcezza, ma insieme con gran fermezza, anche a proposito di un altro,
di un ultimo caso di coscienza, a loro particolare.

--Da brave! Da brave! Coraggio e mettiamo in pace il nostro cuore. E
sopratutto, per qualunque tribolazione, non dobbiamo mai dimenticare
l'adempimento scrupoloso di tutti i nostri doveri. Il Signore Iddio lo
si serve in ogni modo, specialmente colle buone opere, e in ogni stato.
Ma bisogna però aver l'animo tranquillo, e sopportare tutte le
afflizioni che il cielo ci manda, con quella serenità dello spirito,
che ci permette appunto di attendere colla solita cura alla nostra
casa, ai nostri interessi, al nostro prossimo, e al disimpegno assiduo,
diligente, di tutte quelle varie incombenze per le quali siamo stati
allevati e destinati.... Destinati per volere di chi?... Sempre _di
quel di lassù_!--

Povera signora Angelica! Povera signora Rosina!... Dopo quella predica
si sforzarono ogni giorno più per mostrarsi tranquille, rassegnate; per
attendere come prima, con ogni cura, alla Canonica, al pollaio, al
desinaretto di don Giuseppe, ma era rimasta loro una grande amarezza in
fondo al cuore, un continuo rodimento.

Aveva ragione don Giuseppe: meglio un buon padre di famiglia che un
cattivo prete!... Pure, si erano tanto abituate all'idea di poter
rivedere un giorno don Giacomo, il loro povero fratello, in don
Pierino! C'era forse in fondo al cuore, anche quell'altra ragione del
benefizio; non della Canonica e dell'orto perchè, ormai, quel regno lo
avevano riacquistato: avevano combinato con don Giuseppe una specie di
affittanza ed erano tornate loro ad essere le padrone....

Perchè quell'amarezza dunque, perchè quel rodimento?... Perchè da tutto
il discorso di don Giuseppe, era sorta e rimasta fissa nel loro
pensiero un'immagine nuova, viva; alla quale il prete non aveva nemmeno
accennato: la moglie di Pierino.

Un'altra donna, un'estranea in quella casa, nella loro casa, sempre con
loro, in mezzo a loro, e come loro padrona di tutto! La moglie di
Pierino! Un'altra signora Laner! La nuova signora Laner!

Quella loro grande amarezza, quel loro continuo rodimento era un senso
strano di gelosia: gelosia di Pierino, dell'orto, della Canonica, della
roba; persino di don Giuseppe: insomma gelosia di tutto ciò che aveva
appartenuto, che apparteneva a loro due soltanto e che sarebbe stato
anche di quell'altra, della terza padrona che doveva capitare!

E tornavano la mattina, la sera, a fermarsi alla loro finestra....
vedevano quell'altra passeggiare nell'orto, raccogliere la frutta, le
pere del _Gigantesso_.... comandare, ordinare chissà quali cambiamenti!

Sospiravano, si guardavano, si capivano; ma adesso colle occhiate
lunghe e mute, invece di consolarsi si affliggevano di più.

--È tanto giovane Pierino....

--Forse, prima, avremo tempo di morire....

Ma l'idea di morire a tempo per non veder quell'altra capitare in casa,
se era balenata prima nel loro animo come un sollievo, aveva finito poi
col destare nel loro cuore nuove inquietudini e nuovi tormenti. Morire
prima di aver educata "quell'altra" all'economia, al risparmio!...
Morire prima di averle insegnato l'ordine della casa, l'andamento della
piccola amministrazione, il modo di mantenere il pollaio con poca
spesa, di conservare le frutta e l'uva intatta, per tutto l'inverno?

E le due vecchie, spaventate che la moglie di Pierino non avesse tutta
l'economia indispensabile a una famiglia per assicurare il necessario e
mantenere il timor di Dio, raddoppiavano di avarizia, risparmiavano
anche quella poca fettina di lesso in due, per poter rimediare fin
d'allora, per preparare un po' di largo, caso mai "quell'altra", venuto
il suo momento, non avesse giudizio abbastanza.

Finite le vacanze, Pierino doveva assolutamente ritornare a Trento, per
proseguire gli studi; non più in Seminario, s'intende, ma alle scuole
pubbliche. Le signore Laner avrebbero certo preferito che il nipote
rimanesse in paese per badare all'orto, ai campicelli e per fare un
mestiere qualunque, come suo padre. Ma don Giuseppe aprì loro gli occhi
anche su questo punto.

"Pierino era di un'indole troppo irrequieta e vivace; aveva del
talento, ed era stato allevato troppo bene, perchè omai potesse ancora
adattarsi a fare il sarto o il calzolaio, e a lavorare la campagna. A
Crodarossa avrebbe finito col diventare un fannullone, un vizioso.
Invece, facendolo studiare, si poteva forse cavarne qualche cosa!...
Avrebbe potuto avviarsi nella carriera dell'insegnamento, oppure
ottenere un posto, per esempio, nelle ferrovie, dove si va avanti, e
quando si è vecchi si gode la pensione. Pietro non era un milionario,
ma il capitaletto che gli aveva lasciato lo zio "quell'eccellente don
Giacomo (e sempre a questo punto anche il prete alzava gli occhi al
cielo e sospirava) gli poteva servire per i primi bisogni e, al caso,
per una cauzione in una Banca."

Le Banche?... La signora Angelica, e la signora Rosa, non sapevano
nemmeno che cosa fossero le Banche, le azioni, le carte, i valori
pubblici in genere. Non si fidavano altro che della _Cassa di
risparmio_; e i denari di Pierino erano messi appunto sopra un libretto
già intestato al suo nome. _Pochetti ma tocchetti_: era tutta la loro
esperienza e la loro furberia.

Intanto don Giuseppe, prima ancora che il ragazzo partisse per Trento,
aveva procurato di metterlo a dozzina presso certi suoi parenti ai
quali avrebbe pur dato l'incarico formale di sorvegliare il piccolo
Laner "buono come il pane, ma troppo vivo."

Così Pierino l'aveva spuntata; non sarebbe più tornato in Seminario!...
Ma pure, quando venne il momento di partire, si allontanò da Crodarossa
col cuore oppresso e assai più triste di quanto non lo fosse la prima
volta, allorchè era partito saltando, arrampicandosi sull'imperiale,
accanto al conduttore della diligenza.

I baci delle zie erano stati adesso più caldi, per le gran lacrime
versate; anche don Giuseppe aveva saputo trovare certi consigli, certe
parole buone che lo avevano intenerito. Pierino, ormai, aveva già
provato a rimanere un anno lontano, senza più vedere quelle sue
montagne verdi dalla cresta bigia, quel suo pezzo di cielo attraversato
lentamente dall'ala pesante dei corvi. Aveva cominciato a soffrire i
primi dolori, a combattere le sue piccole battaglie e per tutto ciò,
quel lungo anno che ricominciava, l'ignoto di quel lungo anno che
doveva ancora passare prima di ritrovarsi in faccia a quei monti, prima
di rivedere la casettina bianca e quieta, lo sgomentava, lo
immalinconiva fino alle lacrime.

Ma partito cogli occhi rossi e a capo basso, gli scolari delle Tecniche
lo videro arrivare col cappello sulle ventitrè e il sigaro in bocca: un
pezzo di Virginia che gli metteva il mal di stomaco. Pietro Laner aveva
vergogna di aver portato la sottana nera; coll'aria da bravo e col
sigaro, sperava tener nascosta a tutti la macchia dell'esser stato per
un anno in Seminario. Invece i suoi compagni lo vennero presto a
sapere, ne fecero un baccano indiavolato, e d'allora in poi, per
burlarlo o per attaccar briga, lo chiamavano sempre prete-spretato,
baciapile, _papalino_! Pietro montava in furia, correvano pugni, si
rodeva; ma poi, per lavarsi di quell'onta di essere stato fra i preti,
per riavere la stima de' suoi condiscepoli, si sforzava persino a tirar
giù certe bestemmie grosse come una casa, e che gli lasciavano poi, in
fondo al cuore, un senso misterioso di rimorso e di timore.

E anche Pietro, come i suoi compagni, non andava più alla messa la
festa, e gridava, ne diceva di tutti i colori contro i preti e contro i
bacchettoni; ma poi, quando fu vicina l'epoca degli esperimenti del
trimestre, ebbe paura, e tornò ad ascoltare la messa, in una vecchia
chiesetta, fuori di mano, dove era sicuro di non essere veduto dai
compagni.

L'esperimento andò a vele gonfie e le classificazioni furono tali,
specialmente per la Composizione e per la Storia, da provare a don
Giuseppe che non aveva preso un altro gambero, come quello della
vocazione, anche a proposito del talento.

Pierino montò in superbia per le lodi dei professori e per una certa
gloriola che si era procurata anche fra gli scolari con una sua ballata
in versi: _Napoleone a Sant'Elena_. Pensò di essere un genio e credette
di non aver più bisogno di nessuno, nemmeno di quella povera Madonnina
quasi ignorata nella viuzza remota; e ricominciava anche di tanto in
tanto a tirar giù qualche moccoletto, quando gli accadde uno di quegli
avvenimenti che lasciano nell'anima un'impressione così profonda che
non si cancella interamente per tutta la vita.

Nella stessa casa dove Pietro stava a dozzina, c'era una botteguccia
d'un libraio con cartoleria. Pietro, che aveva la passione delle penne,
della carta, aveva preso l'abitudine di entrare sempre nella
botteguccia, quando andava o tornava dalla scuola. Faceva le sue
spesucce, guardava le stampe, le fotografie, i libri illustrati, e un
giorno appunto gli capitò sottocchio un libro, un libro nuovo, che lo
colpì stranamente e che non osò nemmeno toccare per timore di essere
veduto dal libraio.

Sulla copertina chiusa (bisognava tagliarla per leggere il volume) era
disegnata, a colori, una donnina molto poco in camicia, colle calzette
azzurre e gli stivalini neri, seduta sulle ginocchia di un brutto
scimmiotto in _frak_ e cravatta bianca. Il libro era intitolato: _Le
notti di Giuliana_, e sotto, fra parentesi, era stampato in caratteri
grossi _libro segreto_.

Pierino continuava a guardare il libro, continuava a fissarlo con una
stupidità animalesca negli occhi immobili, col sangue che gli accendeva
le guance. Lo voleva quel libro: costava un fiorino, ma egli, soltanto
per poterlo leggere, avrebbe dato tutti i suoi quattrini. Ma come
domandarlo al libraio? Il vecchio cerbero colla papalina bisunta gli
avrebbe ficcati gli occhi addosso; quegli occhi spelati, così vivi e
acuti dietro le lenti! Eppure voleva averlo; voleva leggerlo. La sua
curiosità era così eccitata, il suo desiderio così cocente, da
diventare un orgasmo, una vera ossessione. Gli scolari delle Tecniche
ne sapevano e gliene avevano insegnate più assai dell'amico
seminarista; ma più egli ne imparava, più ne sapeva, e più cresceva la
sua curiosità.

Timido per indole, timidissimo per lo stesso desiderio che lo
accendeva, non osava domandare, non osava spiegarsi coi compagni.
Quelli si mettevano subito a ridere, a urlare, a chiamarlo don Piero o
san Luigi Gonzaga.--E aveva sentito parlare di cene, di certe orgie di
ricconi, di vecchi milionari....--Cos'erano? Cosa facevano?... Certo
doveva essere tutto raccontato, tutto descritto in quel "libro segreto"
_Le notti di Giuliana_.

Ci pensò tutto il giorno a scuola, a casa, con una smania che si faceva
sempre più bramosa, più fissa, che gli era montata al cervello, che lo
riscaldava, lo esaltava come i fumi del vino.

La mattina dopo capitò in bottega dal libraio più presto del solito:
voleva comperare una grammatica francese; quell'altra l'aveva smarrita,
o gli era stata rubata: insomma non la trovava più!

La grammatica francese costava appunto un fiorino come _Le notti di
Giuliana_. Con quella spesa non gli restavano più che altri tre fiorini
e mezzo, e gli dovevano bastare fino alle vacanze:--Poco male; le zie
lo avevano abituato all'economia!

Avuta la grammatica, indugiò come al solito nella bottega; e intanto
che fingeva di ammirare le fotografie di _Meran_ e di _Gries_ lasciò lì
la grammatica, sul banco ingombro di quaderni, di scatole, di volumi
nuovi e vecchi; la lasciò lì, come per caso, vicino alla catasta degli
altri libri. E continuò per un bel pezzo a guardare, a far passare le
fotografie di _Meran_ e di _Gries_.

Il libraio, intento a disporre le novità nella mostra, gli domandò d'un
tratto senza voltarsi:

--Non va a scuola, stamattina?

--Che ora è?

--Son le nove. Sonano adesso!

--Le nove?!--esclamò Pierino, come spaventato a quell'annunzio.--Allora
scappo!--e corse via in fretta e in furia, cacciandosi in tasca il
_Libro segreto_ invece della grammatica.

--In fine che male c'è?... Tanto l'uno che l'altro costano un fiorino;
dunque l'ho comperato!--Era suo, finalmente! E adesso che smania di
esser solo, di rompere la copertina chiusa, di vedere, di leggere!

Sentiva quel libro pesargli nella saccoccia; gli metteva addosso un
calore che gli saliva alla faccia; negli orecchi aveva uno scampanellìo
cupo, come se avesse preso il chinino.

Aspettò, quieto, che fosse cominciata la lezione, poi, appena gli parve
giunto il momento opportuno, alzò la mano, e avuto il cenno affermativo
del professore, se ne andò difilato a rinchiudersi nel solito buco
affocato, in fondo al corridoio, dove gli scolari passavano le ore a
imparare a fumare. Il sole di giugno batteva colà tutto il giorno e le
mosche entravano dai vetri rotti della finestrina a mezzaluna,
scendevano colle striscie di luce e i pulviscoli dorati dalle fessure
del piccolo tetto di legno sporgente, sbucavano di sotto, correvano
sulla faccia, punzecchiavano grosse, moleste, insistenti.

Pietro Laner stracciò colle dita tremanti la copertina e le pagine del
libro, e subito cercò, cercò avidamente, in ogni pagina.... Niente!
Tutta la grande attrattiva era nella copertina; il resto, una raccolta
di novellette insipide, tradotte dal francese.

Possibile?!... Pierino continuò a stracciare le pagine, a cercare, a
cercare rapidamente nell'una e nell'altra, indietro, avanti, senza
accorgersi intanto che il tempo passava.

A un tratto un pugno forte, poi un altro, scossero l'usciolo sconnesso
e mezzo sgangherato.

--Aprite, Laner!

Era la voce del bidello.

Il libro sparì di colpo, precipitò nel vuoto, con un rumor cupo, sempre
più basso.

--Aprite, Laner!--E il bidello tirò un altro pugno ancora più forte
contro l'uscio.

Pierino aprì, mostrandosi pallido, confuso, al bidello che lo afferrò
subito per un orecchio, come don Giuseppe lo agguantava per la
cuticagna.

--È un'ora che siete qui! Vi ho veduto entrare!

--Non è vero.... potrei giurare....--ma un'altra tirata di orecchie e
un forte scossone gl'impedì di farsi spergiuro.

Il bidello aveva sentito il tonfo del libro, e aveva immaginato press'a
poco di che cosa si trattava.

Il direttore ed uno de' professori, passavano in quel punto lungo il
corridoio: subito ci fu tra loro e il bidello un breve conciliabolo:
poi fecero, su due piedi, una specie di processo, con interrogatori e
minacce al povero Pierino, che rispondeva livido, tremante, senza
fiato.

--Cosa facevate?

--Fu.... fumavo....

--Cos'è che avete buttato via, quando han picchiato all'uscio?

--La.... la pipa.

E non vi fu verso di cavargli altro di bocca: a testa bassa, continuava
a rispondere--"Fu.... fumavo--"La.... la pipa."

Per punizione fu messo in gattabuia invece di lasciarlo andare a casa a
desinare. E Pierino, in quelle ore, soffrì quello che non aveva mai
sofferto in vita sua!

Il suo sgomento, il suo tormento, era che cercassero, che scoprissero
_Le notti di Giuliana_. Ma allora sarebbe passato per ladro col
libraio, coi professori, coi suoi compagni e coi parenti di don
Giuseppe... con tutti quanti! Il cambio colla grammatica l'avrebbero
creduta una storiella!

Ladro! Ladro! Ladro!--e immaginava quella parola "Ladro!" "Pierino
ladro!" quando fosse arrivata lassù a Crodarossa!... Che vergogna! Che
vergogna! Ma piuttosto la morte, mille volte la morte!

E in quello sgomento, in quel terrore Pierino cominciò a pregare il suo
povero babbo, il suo povero zio ch'erano in paradiso, che gli volevano
bene, e che sapevano che non era un ladro. Poi pregò la Madonna
miracolosa del Santuario di Crodarossa, che aveva fatto tanto male a
dimenticare, poi l'altra, quella di Trento, della piccola chiesetta
lontana, solitaria, e che aveva fatto molto male a trascurare, e pregò,
pregò ginocchioni, piangendo, balbettando, dandosi pugni contro il
petto che gli doleva per l'affanno e per la fame. Col fervore della
preghiera, colla sincerità del pentimento, faceva le promesse più
solenni. Oh, se i suoi poveri morti, se la Madonna, quella di
Crodarossa e quella di Trento, gli facevano quella grazia; se il libro
non era scoperto; se lui non veniva accusato di aver rubato, di essere
un ladro, oh, allora, prometteva di mutar vita, di non dire mai
più--mai più--la più piccola bestemmia, di andare in chiesa tutti i
giorni, di andare a messa tutte le domeniche, tutte le feste, e di
dirlo anche, di farsi vedere, senza stupidi riguardi, da tutti i suoi
compagni!...

La cosa finì con una gran lavata di capo del direttore, e dei parenti,
sul brutto vizio di fumare, e non se ne parlò più. Ma da quel giorno
Pierino pregava, pregava tutte le sere, tutte le mattine; pregava per
ottenere il miracolo che le zie gli mandassero un po' di soldi e per
ottenere la grazia di passar bene gli esami.

E ancora dopo molti anni da quel giorno della grazia ricevuta per il
Libro segreto, quando Pietro Laner mandò i suoi tre primi sonetti e il
suo primo articolo di critica intitolato Berchet e Mameli
"_All'illustre cavalier Matteo Cantasirena, direttore del_ Rinnovatore
_e dell'_Emporio Letterario", prima di portare il manoscritto alla
posta, se lo portò in chiesa, nascosto sotto il gilet. In quel momento
e con tutto il male che aveva detto dei Gesuiti e del Papa nel suo
primo articolo, Pietro Laner non poteva certo umiliarsi a credere nelle
"grazie" e nei "miracoli" di Domineddio; ma credeva, e ne aveva paura,
in quella stranissima combinazione, che quando non andava in chiesa non
gli riusciva niente di bene.

E per Pietro Laner sarebbe stata una disgrazia se quell'articolo, se
quei sonetti, non avessero fatto buona impressione al cavalier
Cantasirena. Guai per lui se non fossero stati accettati e pubblicati
nell'_Emporio Letterario_! La sua più grande, la sua più bella speranza
sarebbe andata svanita! Era da quei tre sonetti e da quell'articolo che
poteva dipendere tutto il suo avvenire, tutta la sua felicità e forse
tutta la sua gloria!

Pietro Laner aveva finito con onore anche L'Istituto Tecnico, aveva
passato i vent'anni, ma ancora non aveva scelta la sua carriera: era
incerto, non sapeva quale avrebbe potuto essere per lui la migliore.
Continuava a ripetere ogni momento che avrebbe fatto volentieri il
professore; che avrebbe fatto volentieri l'impiegato con un buon posto,
che avrebbe fatto volentieri anche il ragioniere, ma intanto continuava
volentieri a far niente!

E la signora Angelica e la signora Rosina, che non avevano nessuna
fretta di vederlo partire da Crodarossa, di vederlo toccare il suo
libretto della Cassa di Risparmio, si ostinavano ogni giorno più nel
loro mutismo, per non essere obbligate a far domande, a spingere il
nipote a prendere una risoluzione, come avrebbero dovuto fare, ma come
non avevano voglia di fare.

Soltanto don Giuseppe predicava in italiano e in latino che quello
stato di ozio, di dissipazione, non doveva durare _sine fine dicentes_.
Ma don Giuseppe e Pietro Laner erano venuti poi a rottura a proposito
della "triplice alleanza" e del "potere temporale". Don Giuseppe aveva
alzata la voce, e gli aveva imposto di tacere, mentre la signora
Angelica e la signora Rosina, sbalordite, sbigottite, correvano intorno
affannate a chiudere tutte le porte, tutte le finestre, perchè
l'ortolano, perchè la gente di fuori, non avesse a sentire e a
rimanerne scandalizzata.

La brutta scena era rimasta impressa nell'animo di Pierino: lo rodeva
il dispetto, la stizza di essersi lasciato intimidire e di non aver
avuto il coraggio di rispondere per le rime quando don Giuseppe aveva
alzata la voce.

--L'ora è sonata! Bisogna passare il Rubicone! Non voglio ammuffire fra
le sottane! Viva l'Italia! Viva la libertà! Abbasso i preti!--e per
mostrare anche a don Giuseppe che omai voleva impipparsene di tutti
quanti, gli passava vicino col suo bravo cappello col garofano rosso e
il mucchietto d'_edelweiss_ infilato di dietro, sulle ventitrè, e si
faceva sentire a fischiettare l'_Oi Carolì_, e il _Morettina tu mi
lasci_.



VII.


Fu appunto in quei giorni, quando Pierino era più che mai infervorato
nel desiderio della ribellione, che gli capitò a Crodarossa uno dei
primi numeri dell'_Emporio Letterario_: dono settimanale agli abbonati
del _Rinnovatore_, speditogli da Milano da un suo amico, già suo
compagno di scuola, che faceva il commesso dai Bocconi per passatempo,
e di professione il poeta e scrittore di commedie per il "Teatro
Milanese".

L'_Emporio Letterario_ aveva pubblicato appunto in quel numero una sua
poesia: "Il nostro fiumicel...." ispirata al _Guado_ dello Stecchetti.

Fu una rivelazione per Pietro Laner. Ecco la sua carriera: fare il
poeta, il letterato, il giornalista!

In due o tre anni poteva essere "arrivato", avere il ritratto
pubblicato nell'_Emporio Letterario_ e farlo capitare a
Crodarossa.--Poeta!... Giornalista!--Propugnare l'italianità di Trento
e di Trieste, e a Roma Giordano Bruno, per fare crepar di rabbia don
Giuseppe. E poi vivere a Milano, la prima città d'Italia, dove tutti i
letterati fanno furori e tutti i giornalisti quattrini! E poi avere la
propria indipendenza. Oggi lavorare dieci ore e domani andar a spasso
tutto il giorno. E la libertà? Poter gridare _Viva l'Italiaa!_ a
squarciagola, magari in piazza del Duomo!... E poi, finalmente, andare
al veglione.

Si mise subito all'opera. Pensò, ripensò; cambiò più volte il posto
dove mettere il tavolino:--sotto alla finestra, il troppo sole gli
confondeva le idee; dove c'era troppo scuro, non gli volevano venire.
Finalmente, cambiando ogni giorno la qualità delle penne e il colore
della carta, scrivendo poco, cancellando molto, condusse a termine tre
sonetti--_L'invito_--_L'incanto_--_L'inganno_--e l'articolo critico
sulle poesie del Berchet e del Mameli, e spedì il tutto sotto fascia
raccomandato, unitamente a una lettera autobiografica di otto pagine
nella quale si presentava, si raccomandava, si sfogava col Direttore
dell'_Emporio Letterario_.

Matteo Cantasirena aveva scritto nell'articolo programma che
l'_Emporio_ era fatto sopratutto pei giovani e doveva essere scritto
dai giovani.

E Pietro Laner gli dichiarava nella sua lettera:

Primo: "che era giovane.

Secondo: "che era Trentino.

Terzo: "che domandava il suo giudizio su quei tre sonetti e su
quell'articolo, che aveva buttati giù, per un esperimento, in poche
ore.

Quarto: "che il suo sogno era di venire a Milano e che sarebbe
orgoglioso e fiero se potesse entrare come collaboratore in uno dei
suoi giornali.

Quinto: "che pur di veder pubblicati i tre sonetti e l'articolo, li
mandava gratis; e che se prima di accettarlo come collaboratore fisso,
il signor Direttore voleva sottoporlo a un periodo di prova, era
disposto anche a venire a Milano a proprie spese. Sapeva benissimo che
tutte le carriere costano, nei primordi, fatiche e quattrini. Ma per la
fatica era giovane, e si sentiva forte; per il resto aveva un capitale
suo di ventimila lire; e poteva anche sacrificarne cinque o seicento,
pur di far carriera nel giornalismo."

E qui cominciava a raccontare, in lungo ed in largo, tutta la storia
della sua famiglia, della sua gioventù sacrificata, delle sue
aspirazioni, del suo amore per l'Italia, del suo odio per il papato,
del bene che gli volevano le zie, e dei dispiaceri avuti con don
Giuseppe.

La risposta si fece attendere; arrivò quando il Laner non l'aspettava
già più e in un momento in cui il giovanotto non ci pensava nemmeno. Ma
appena la vide, la indovinò, ancora fra le mani del postino, tutto il
sangue gli salì al cervello con un gorgoglìo tumultuante.

--Non c'era dubbio. Veniva da Milano. E c'era stampato in un angolo
della busta: _Emporio Letterario_!

Il bigliettino era brevissimo, ma ogni periodo fu come una scossa
elettrica per il buon Laner.


    "_Caro Pietro:_

"Amo i giovani, perchè non ho più fede altro che nei giovani.

"All'affarismo che monta, al realismo che dilaga, unico baluardo i
giovani che hanno il disinteresse dell'idea e il culto dell'ideale.

"Voi avete ingegno e avete cuore: i vostri versi e il vostro articolo
ne sono il documento. Bravissimo!

"Ho un grande progetto e una grande proposta.

"Venite subito a Milano. Scrivere non è prudente e non è utile. È la
parola, fecondatrice del pensiero, nel dibattito delle grandi idee.

"Come stanno le nostre Alpi?--L'eco italico risponde vindice alla
nordica bestemmia, col verso magnanimo e magnifico del mio povero
Prati?--Salutatemele. E al Caffaro e a Bezzecca, alle Sante Termopili
della terza Roma, l'evviva, l'excelsior del vecchio colonnello
garibaldino!

                             _Vostro per la vita_

                              MATTEO CANTASIRENA.

"P.S. Portatemi dei sigari di Virginia.--Sceltissimi.--Intendiamoci:
per commissione."


Pietro Laner, tre giorni dopo ricevuta la lettera di Matteo
Cantasirena, pigliava di botto una di quelle risoluzioni così
coraggiose, così ardite, alle quali non arrivano, certe volte, altro
che i timidi. Disse in casa che andava a Roveredo e scappò a Milano. E
da Roveredo scrisse alle zie che "ormai il dado era tratto: che aveva
passato il Rubicone. Era un pezzo che ci pensava, che aveva deciso, ma
non aveva mai voluto parlarne per non amareggiarle; e non aveva voluto
vederle, consolarle prima di partire per non perdere quella forza,
quella calma d'animo, della quale aveva tanto bisogno. Del resto, non
era che la prova di un paio di mesi. Dopo, sarebbe tornato in ogni modo
a Crodarossa. O per fermarsi per sempre, per seppellirsi lontano dal
mondo se la prova gli andava fallita; o per rivederle, per salutarle,
se gli era andata bene, e ricevere allora quella benedizione che adesso
pregava, supplicava, gli volessero mandare anche da lontano, col loro
perdono."

La signora Angelica e la signora Rosina capitarono dinanzi a don
Giuseppe esterrefatte; senza nemmeno aver la forza di piangere.
Piansero dopo, un po' tutti i giorni; quando don Giuseppe le ebbe un
po' confortate e rassicurate.--Tutto per il meglio: Ricordiamoci sempre
di questa massima salutare: tutto per il meglio!--Poi il prete
continuava, più lentamente, più a bassa voce, con mistero, quasi avesse
paura che l'aria portasse in giro le sue parole:--Quando Pierino avrà
imparato a proprie spese a mettere giudizio, ritornerà a Crodarossa più
quieto, più umile, e sarà meno pericoloso per sè e per gli altri. Con
certi discorsi, con certe imprudenze, non si scherza! Poteva farci
capitare addosso dei guai seri. Tutto per il meglio, e ringraziare Quel
di lassù!


Matteo Cantasirena, in quei giorni, era tutto occupato e tutto
infervorato nella gran lotta per le elezioni amministrative e non si
ricordava più di niente: nè di Pietro Laner, nè delle lettere, nè del
"grande progetto" che aveva da comunicargli.

Quando Pietro Laner gli capitò dinanzi col viso sparuto, annerito dal
carbone della _terza classe_, col lungo ciuffo della parruccaccia
arruffata, lo prese lì per lì, invece del giovane trentino, per uno dei
soliti "tirolesi".

--Passate dal Bizzarelli!--grugnì dispettosamente, continuando a
scrivere più in fretta.

--Sono Pietro Laner!--balbettò l'altro porgendo, per farsi conoscere e
per raccomandarsi, il grosso pacco dei Virginia, che gli era costato al
passaggio del confine, mille ansie e mille pene.

--Ho detto di passare dal Bizzarelli!--gridò ancora più inferocito
Cantasirena, alzando la grossa testa, dal barbone imponente.--Non ho
tempo da perdere. Ho le elezioni da fare. Prima gl'interessi di Milano
e dopo i miei privati. Ho sempre fatto così!

Al povero ragazzo tremavano le gambe.

--Mi ha scritto lei di venire subito a Milano. Sono Pietro Laner, di
Crodarossa.... e questi sono i sigari di Virginia, proprio scelti uno a
uno.

I sigari furono un lampo per Matteo Cantasirena: il lampo che rischiarò
le ventimila lire. Si allungò, si sdraiò sulla poltrona, e sorridendo,
accarezzandosi la barba, arricciolandone la punta colla mano bianca, un
po' tremula, continuò a guardare il giovanotto, fissando gli occhietti
piccoli, scrutatori.

--Pietro Laner!--replicò, facendo risonare il nome e l'accento.--Il
Bardo Trentino!--e continuando a sorridere, con un lampo di malizietta
benevola, cordiale, gli stese, gli offrì la mano, ma senza troppo
allungare il braccio che teneva appoggiato sul seggiolone.

--Ho letto i vostri articoli e i vostri versi.

--E così? Le sono piaciuti?... Mi dica proprio la verità! Senza far
complimenti!--esclamò il Laner che voleva mostrarsi indifferente, ma
che aveva le labbra pallide per la commozione.

L'altro non rispose; diventò serio, grave, abbassando le palpebre,
soffiando, stirandosi sulla poltrona. Poi riaprì gli occhi e tornò a
guardare il giovanotto con un cenno incoraggiante.

Pietro Laner arrossì di gioia: quell'altro aveva voluto scherzare: gli
articoli e i sonetti gli erano piaciuti davvero.

--Dirò a voi,--ripigliò poi Cantasirena con un lungo sospiro che si
riferiva ai dolci ricordi, alle care amicizie del tempo andato,--dirò a
voi quello che dicevo sempre al povero Praga, al Camerana, al
Betteloni, al Boito, quando venivano a pranzo a casa mia, con quel
testardo del Rovani, e mi obbligavano per forza, mi chiudevano in
camera per farmi sentire i loro versi. Voi non eravate ancora nato,
caro Laner!... Bei tempi!...--Ricordatevi, predicavo loro, a tutti quei
matti, che la poesia è la musica,--musica italiana, s'intende!--del
pensiero: verso e pensiero, pensiero e rima, tutto deve essere
armonioso, tutto deve esser limpido, come le "chiare, fresche e dolci
acque" di messer Francesco!--E predicherò a voi, nel momento presente:
Se volete aver salute, guardatevi dal "simbolismo".

--Io?--esclamò Pietro Laner, sprezzante, sdegnoso,--non so nemmeno che
cosa sia!--E fiero, reso ardimentoso da questo fatto per il quale si
sentiva più innanzi nella stima e più legato al Direttore, gli tornò a
presentare il pacco di sigari, cominciando a narrare la lunga iliade di
patimenti e di timori, sofferta per quel pacco, alla stazione di Ala.

Ma intanto che il giovanotto continuava a raccontare le sue storie, il
Direttore, distratto, pensava ad altre cose. Gli fece mettere i sigari
sul caminetto, senza nemmeno ringraziarlo; poi raccogliendo sulla
scrivania i fogli dell'articolo che aveva scritto, chiamò forte:
_Taddeum!_

Si udì il rumore sordo della gamba di legno sull'impiantito; il
tintinnare delle medaglie che penzolavano sul petto di Taddeo, insieme
alla pipa, e subito il vecchio soldato si presentò sull'uscio diritto,
in posizione, salutando colla mano al berretto da Garibaldino.

--Comandi, Colonnello?...

Le medaglie, la gamba di legno, il berretto, il colonnello fecero un
effetto magico, di maraviglia, di rispetto, di commozione sull'animo
del giovane trentino, ancora oppresso dalla soggezione di don Giuseppe
e ancora fresco dalle ansie del confine, per via dei sigari di
contrabbando. Gli parve a un tratto di sentir echeggiare nello studiolo
ammuffito le note calde e libere, proibite a Crodarossa, dell'inno di
Garibaldi: "I martiri nostri son tutti risorti!" e improvvisamente, con
un trasporto sincero di amore e di entusiasmo, gridò forte: Viva
l'Italia, per Dio!

--Evviva!--rispose il solo Taddeo, che tornò poi a domandare, sempre in
posizione:

--Comandi, Colonnello?

Matteo Cantasirena gli consegnò l'articolo da portare in stamperia, poi
quando Taddeo fu sull'uscio lo fermò con un cenno, e rivolgendosi al
Laner gli domandò se aveva già fatto colazione.

--No....

--Allora la farete con me. Va bene?

--Grazie,--rispose Pietro arrossendo dal piacere.

--Tornate a prendermi qui all'ufficio; a mezzogiorno. Oggi poi
pranzerete a casa mia. Voglio presentarvi alle mie figliuole, che hanno
letto i vostri versi.

--Grazie....--disse ancora Pierino, arrossendo questa volta per il
piacere, per i versi, e per le figliuole che li avevano letti.

--Dove siete alloggiato?

--In nessun posto, ancora. Appena arrivato, sono venuto qui
direttamente.

--Per oggi potete scendere al _Roma_ o all'_Europa_.

E dato ordine a Taddeo, sempre fermo sull'uscio, di prendere un brum e
di condurre il signor Laner all'_hôtel_, si rizzò di colpo, si buttò
addosso allo scrittoio e ricominciò a scrivere in fretta, in furia,
facendo scricchiolar forte la penna.

Pietro Laner voleva ringraziarlo, voleva stringergli la mano,
salutarlo, ma l'altro, intento a scrivere, non lo guardò nemmeno.

--Il signor Direttore è stato il suo colonnello?--domandò il Laner
ancora tutto pieno di ammirazione, a Taddeo, appena furono sulle scale.

--Nossignore,--rispose l'altro.--Il mio colonnello era il signor
Chiassi, che è morto a Bezzecca.

--E anche lei è stato ferito a Bezzecca?

--Sissignore.

--Allora gli avranno data la pensione?

--Quella della medaglia: novanta lire all'anno.

--Ma....--Pietro esitava,--per.... la gamba?

--Niente. Me l'hanno tagliata due anni dopo: quando mi si è riaperta la
ferita. Ho mandato le carte al Ministero, ma non sono mai arrivate!

Pietro Laner si sentì raffreddare tutti gli entusiasmi. Era in Italia o
era ancora.... di là?--Ma poi, il ricordo dell'invito a colazione e a
pranzo, avuto dal Direttore dell'_Emporio Letterario_, e il pensiero
delle figliuole, che avevano letti i suoi versi, tornarono subito a
farlo diventare di buon umore.

Il Direttore lo condusse a colazione al _Cova_, nel gran salone. Matteo
Cantasirena si avanzava pettoruto, maestoso, battendosi dei colpettini
leggeri sulla schiena, col bastone dal pomo d'argento. E Pierino
dietro, si sforzava per stargli alle falde del soprabitone, per far
vedere ch'era in compagnia del Direttore. Confuso, intimidito da quel
lusso, da quell'andirivieni, da quel mormorìo composto, garbato, così
nuovo e imponente per il contadinotto di Crodarossa, non sapeva più
camminare, non sapeva più muoversi, urtava nella gente, nei camerieri.
E quando vide il signor Direttore sedersi a un tavolino, dove tutti si
erano alzati per fargli posto, complimentandolo e festeggiandolo,
Pierino rimase in piedi, a bocca aperta, rigirando fra le mani il
cappello a cencio alla tirolese, sorridendo e facendo saluti a tutti
quei signori, che non lo guardavano nemmeno.

--Fatevi portare una sedia e sedetevi,--gli disse poi Cantasirena,
quando sembrò ricordarsi del suo invitato e di presentarlo.--Il signor
Pietro Laner; un giovane trentino, scrittore di gran talento.

Ma anche la presentazione, anche il gran talento, non fecero effetto.
Lì, tutta quella gente, era di gran talento. Un'occhiatina di traverso,
e poi il nuovo venuto rimase sepolto nell'oblìo.

Erano infervorati nelle elezioni. Si arrabbiavano, si invelenivano,
ridevano, gridavano gli uni contro gli altri, senza intendersi; tutto
per le elezioni. Soltanto quando parlava Matteo Cantasirena si
chetavano, tacevano: lo ascoltavano con interesse, con piacere,
sorridendo. Matteo Cantasirena parlava poco a colazione, perchè
mangiava molto; ma quel poco era prezioso. Erano notizie, informazioni
particolari, comunicate sommessamente, confidenzialmente. Erano
risposte pronte, salate; arguzie felici, dette sempre in tono grave,
colla faccia seria e che sollevavano un coro di risate e di
approvazioni. Oppure, finalmente, era un'aspra invettiva lanciata
contro la _Costituzionale_ e gli _inamovibili_ che rovinavano il
partito e il paese. Fra la comitiva, che rimaneva impressionata, c'era
allora un momento di silenzio profondo. Matteo Cantasirena sospirava:
come un oracolo socchiudeva gli occhi e poi tornava a mangiare.

Pietro Laner, un po' impacciato col suo "osso buco alla gramolata" che
rivoltava sul piatto senza lasciarsi tagliare, schizzando la salsa
sulla tovaglia, rideva anche lui, quando ridevano gli altri. Ma il suo
riso era una smorfia stentata, che invece di metterlo di buon umore gli
faceva sentire più grande e più profondo il suo isolamento, il suo
avvilimento; e lì, in quel bel caffè, in mezzo alla folla, sentì di
esser solo, sentì di non esser "più niente" e dinanzi a quell'"osso
buco alla gramolata" che non voleva lasciarsi tagliare, lo assalì
profonda, amara, la nostalgia delle sue montagne.

Pure, avrebbe voluto vincersi, avrebbe voluto parlare, dir qualche
cosa. E stava attento, ansioso, se gli veniva il destro di poter
entrare in qualche discorso. La colazione era alla fine, l'"osso buco"
era sparito, quando Pierino vide il Direttore cercare attentamente un
buon sigaro nella scatoletta del cameriere. Allora forzò la voce, che
gli era diventata fioca nella strozza, e ricordò i _Virginia_
sceltissimi, che gli aveva portati da Trento.

--Sicuro,--esclamò Cantasirena,--il bravo Laner mi ha portato dei
_Virginia_ austriaci che devono essere eccellenti.

Gli amici del Direttore si voltarono per guardare il bravo Laner dei
_Virginia_, che diventava interessante.

Oh, finalmente!--pensò Pierino, e col suo frasario mezzo veneto,
cominciò a raccontare tutte le angosce del dover nascondere il pacco
alla dogana.

--Ma dovevate pagare il dazio,--esclamò seccato il Direttore, che
sdraiato, sonnecchiando, guardava il fumo dell'_Avana_, che bruciava
lentamente alla candela.--Dovevate pagare il dazio; era più semplice!

Gli altri tutti del tavolino, tornarono a voltar le spalle al Laner.

--Già.... sicuramente....--rispose Pietro, e non aprì più bocca. Quella
colazione era durata due ore, ed era stata un supplizio di due ore. Ma
per fortuna, appena fuori del caffè, Cantasirena, che se n'era andato
col suo trentino prima di tutti, per via del giornale, fu subito
un'altra cosa. Diventò più affabile, più espansivo. Prese a braccetto
l'egregio Laner, e fermandosi ogni tratto per dar maggior peso al
discorso, cominciò a fargli delle confidenze, a dirgli cose che non
aveva mai voluto dire a nessuno al mondo.

--Capite, giovane amico, queste elezioni le ho tutte io sulle spalle; e
quando saremo in novembre, o in gennaio, ed avremo poi le elezioni
politiche.... Non ne parliamo! Il Governo è inabile; la
_Costituzionale_ è un museo di antichità mal conservate; il paese
comincia ad aprire gli occhi.... e io comincio a sentirmi stanco. L'ho
detto anche l'altro giorno, a Monza.

Pierino si sentiva consolare da quel braccio che stringeva il suo, da
quella voce affascinante, da quell'intimità affettuosa,
amichevole:--Ah!... tornava a non esser più solo, tornava ad essere
ancora qualche cosa!

A un tratto Matteo Cantasirena, che dopo aver parlato di Monza era
rimasto come preoccupato e compreso dalla solenne gravità del colloquio
avuto, si fermò su due piedi e fissando il Laner proprio in faccia,
tanto da farlo arrossire, gli disse a bruciapelo:--Volete dunque che
lavoriamo insieme?

--Magari!--Pietro cercò una parola più bella, più forte, più viva, ma
non ne trovò altre e dovette ripetere:--Magari!... Magari!...

--Allora prendete voi la direzione dell'_Emporio Letterario_. E poi,
chissà.... mi siete simpatico: un giorno sarò forse disposto a cedervi
anche la proprietà del giornale. Come stanno le zie? Vi siete lasciati
in pace?

A questa domanda inaspettata tutta l'animazione e la gioia di Pierino
svanirono d'un tratto; e a voce più sommessa, con qualche reticenza,
raccontò al Direttore in che modo era partito da Crodarossa e come
aveva lasciato le zie.

--Ho detto che andavo a Trento e da Trento ho scritto che venivo a
Milano. Riceveranno soltanto stasera la mia lettera. Ma ad ogni modo,
adesso sono qui e non mi muovo, per tutto l'oro del mondo.

Matteo Cantasirena dopo averlo ascoltato crollando il capo, gli parlò
da padre.

--Scrivete subito subito, anche da Milano, a quelle brave signore. E
ricordatevi: sopratutto bisogna essere sempre in pace e d'accordo colle
zie! Oh i vecchi--sospirò--sono la benedizione dei giovani! E seguitò a
parlare degli ideali, della poesia, della famiglia, degli affetti
domestici, i soli veri, i soli legittimi e duraturi.... Pierino intanto
abbassava il capo, perchè il Direttore non gli vedesse gli occhi pieni
di lacrime.

Ma allora, per scuotere la malinconia, Cantasirena cambiò tono di voce,
e tornò a parlar d'affari.

L'_Emporio Letterario_ aveva avuto un'espansione incredibile,
inaspettata. Gli aveva presa la mano, assorbiva troppo della sua
attività; e d'altra parte, c'era il giornale politico: la
responsabilità sua verso il partito--e indirettamente verso il
Governo--che esigeva e voleva tutte le sue cure.

--Io sono solo al _Rinnovatore_: devo rivedere tutto io; non posso
fidarmi di nessuno. Buona gente, bravi ragazzi; ma senza iniziativa,
senza colpo d'occhio--e aggiunse ridendo argutamente, in un modo che
poteva parere un complimento per l'egregio Laner--e senza
grammatica!... E poi non ho tempo da perdere: ho da pensare alla dote
delle mie figliuole. Vedrete la prima, Eleonora (e cantò quasi le
sillabe: E-le-oo-nò-ra!). Vedrete che splendore!...

Giunti sulla porta del giornale, il Direttore si fermò ancora a
parlare, a parlare; poi diede all'amico Pietro l'indirizzo di casa sua
avvertendolo che si metteva in tavola alle sette "preciso" e che per
quel giorno venisse pure senza l'abito nero, perchè le sue figliuole
erano state avvertite, e non si trattava che di un piccolo pranzo di
famiglia: come a Crodarossa, ma senza don Giuseppe!--Poi, nel
congedarsi sulla porta, coll'ultimo saluto della mano, gli ripetè
ancora, colla malizietta bonaria del critico verso un autore che gli è
simpatico:--E sopratutto.... guardiamoci dal _simbolismo_!

.... E dopo?... Dal suo arrivo a Milano? Dalla sua visita al
Direttore?... Da quel pranzettino così squisito e così intimamente
cordiale?... Con Eleonora che gli aveva cantato la _Carmen_ e con
Evelina che gli aveva recitato l'_invito_, L'_incanto_, L'_inganno_?...
Dopo, dopo come gli era successo di fare il capitombolo?


Pietro Laner, riandando confusamente, come in sogno, tutto il suo
passato, era arrivato al numero 27 di _piazza Cavour_, la casa della
Schönfeld. Egli, certo, non avrebbe saputo rispondere a tutte queste
domande. In quel momento non vedeva più che Nora, la sua Nori! Si era
placata anche la fame. Le zie in collera, la faccia padrona, il
Direttore che a furia di parole, di parole gli aveva fatte sparire le
ventimila lire per far risorgere l'Emporio colle grandi illustrazioni
del _Figaro_, per tirare innanzi il _Rinnovatore_ fino alle elezioni
politiche del novembre, nelle quali avrebbe preso un nuovo, uno
straordinario impulso da Roma, tutto svaniva, lontano lontano, come i
lampi d'un temporale che si dilegua.

Non vedeva più che Nora, la sua Nori; Nora che lo amava e che lo
avrebbe salvato.



VIII.


--La signora Schönfeld, dove sta?--domandò Pietro Laner alla portinaia
del numero 27.

--Scala grande, terzo piano, l'uscio a sinistra.

Il giovanotto salì lentamente, cacciando fuori il capo, per guardare
nel vano il giro ampio della ringhiera e ripetendo fra sè: terzo piano,
scala grande, l'uscio a sinistra. Quando fu su, l'uscio lo trovò
subito. C'era nel mezzo, in alto, un biglietto di visita:--Edita
Schönfeld--e sul nome una corona di contessa. Pietro Laner vide subito
anche il bottone lucente del campanello, ma non lo toccò. Prima si
spolverò le scarpe col fazzoletto, si abbottonò il paltò, si aggiustò
la cravatta, tirò fuori i guanti, si levò gli occhiali per ripulirli,
poi tornò a rimirare il bottone del campanello.... ma invece di
toccarlo, sospirò.

--Se l'andare lui dalla Schönfeld a cercar di Nora, non fosse stato
assolutamente "come si deve?" Se poi Nora si fosse arrabbiata?--E
rimaneva irresoluto dinanzi all'uscio, quando l'uscio, a un tratto, si
spalancò: era la cameriera, una bella ragazza, che aveva aperto ad un
garzone di caffettiere, il quale passò via portando sulle spalle un
gran cesto vuoto.

--Cerca della signora Schönfeld?--domandò la bella ragazza a Pietro
Laner.

--Vorrei sapere.... avrei da dire una parola, per parte di suo zio,
alla signorina Nora. È venuta oggi? è qui la signorina Nora?

--Sissignore; cioè credo: adesso andrò a vedere.--E la cameriera aprì
l'uscio del salotto, ch'era in faccia a quello dell'anticamera, e lo
richiuse in fretta, appena entrata.

Fu un attimo, ma in quell'attimo Pietro aveva veduto come in
un'apparizione, la Schönfeld e la Nora che sedevano sdraiate, quasi
abbracciate sul canapè. Aveva veduto il salotto pieno di fiori, i
tavolini pieni di dolci, di bottiglie: aveva veduto due signori che
scherzavano galantemente, e in quell'attimo aveva pur sentita anche la
voce di quello dei due più vicino a Nora, e che le offriva un
bicchierino di rosolio: una vocetta alta e tremula...:--Non mi dica di
no, signorina Eleonora!... Non mi dica di no!...--poi l'uscio si era
richiuso: tutto era sparito.

Ci fu subito nel salottino un gran silenzio, che durò qualche minuto.
Di là, certo, confabulavano a voce bassa. Poi tornò la cameriera, ma da
un'altra parte. La bella ragazza non aveva più la faccia sorridente:
era sossopra, aveva il broncio; dovevano averla strapazzata.

--Venga di qua,--disse sgarbatamente al giovanotto facendolo entrare in
una camera piena di vestiti, di sottane sulle seggiole, sul divano; e
in mezzo, sotto il baldacchino, un gran lettone di mogano, colla
coperta di lana azzurra, damascata.

--Viene subito!--e la cameriera, piantò il giovanotto e se ne andò
sbattendo le portine coi vetri a smeriglio.

--Per Dio!--mormorò Pietro Laner, sbuffando, battendo i piedi
furioso.--A noi due! Adesso a noi due, signorina Eleonora!

Nora non si fece aspettare: piombò in camera rossa, furente.

--Cosa c'è? Cosa vuoi? Cos'è successo?--domandò colla voce bassa, rotta
dalla collera.

Pietro Laner le afferrò un braccio e se la tirò vicino, addosso, per
fissarla bene in faccia.

--Chi sono quei due? Chi sono quei due? Chi sono quei due?

La gelosia, la collera, la passione, il dolore, rendevano terribile
quel povero diavolo, solitamente così innocuo, così timido.

La fanciulla, di primo colpo, ne rimase un po' impressionata; ma poi
riprese subito tutta la sua franchezza, tutta la sua audacia.

--Sono amici di Edita; e non seccarmi; e non venire in casa degli altri
a far scene, che non voglio rendermi ridicola! Non sei in montagna qui,
non sei in mezzo ai bifolchi, in mezzo a' tuoi villani!... Sei a
Milano, fra persone come si deve!--Poi, liberatosi il braccio ch'era
diventato bianco, violetto ai polsi, fra le mani del Laner, gli disse
di andar via subito: di andarla ad aspettare ai Giardini dinanzi al
Museo.

La collera dell'amata, indizio sicuro della sua innocenza,
quell'appuntamento ai Giardini che provava l'amore e l'arrendevolezza
di Nora, calmarono subito il giovane. E col tono sommesso di chi vuol
scusarsi, le raccontò che c'era stata una gran lite fra lui e il
Direttore e che si erano guastati per sempre.

--Ero venuto anche per questo; per dirti che in casa tua non ci metto
più i piedi.

--Lo zio è di primo impeto,--rispose la ragazza un'alzata di
spalle;--ma poi gli passa presto.

--Ma non passa a me, se non mi paga! Se non mi rende quello che mi
deve!... Non è per me che voglio la roba mia, quanto per te!... E poi
le zie non ti conoscono. Non possono sapere che tu sei.... tutt'altra
cosa.

Come faccio a dir loro "non ho più le ventimila lire e ho preso
moglie?" Preso moglie?... E chi hai preso?--La nipote di quella
canaglia che mi ha truffato!

Gli occhi di Nora si fecero torvi. In mezzo alla fronte rosea da
bambina, alla fronte tersa e lucente, si scavò una piccola ruga
sinistra, bianca, sottile come una cicatrice.

Pietro capì subito: si era lasciato trasportare e l'aveva offesa. La
ragazza, lei, poteva dire tutto il male possibile dello zio Matteo; ma
gli altri, Pietro Laner, no. Questi, come per scusarsi, raccontò
allora, ma più pacato, contenendosi, anche la scena di quella
mattina.--Di volo: zaff!--e le ultime dieci lire erano sparite. Non
aveva più niente; non aveva.... ancora fatto colazione.

--Va bene, va bene;--rispose Nora sempre seccata, sempre
imbronciata.--Aspettami ai Giardini, vicino al Museo. Omai bisogna
spiegarsi.--E borbottò ancora nell'andarsene stizzosamente:--Tant'è,
oggi o domani, bisogna spiegarsi!

--Spiegarsi?--pensava Pietro, girando attorno al gran fontanone
asciutto dinanzi al Museo, e voltandosi ogni tratto sperando di veder
la Nora entrare dai cancelli che apparivano tra i rami degli abeti, in
fondo al prato verdissimo.

--Avrà voluto dire: bisogna spiegarsi collo zio Matteo.--Ma Pietro non
era tranquillo. Si sentiva fiacco. Si sentiva addosso una irritabilità
dolorosa. Anche quel sole pallido, bigio, tristo era snervante.

--Ma chi erano quei due? Amici di Edita! Oh, quella Schönfeld!... come
l'avrebbe mandata al diavolo!

Tornò a voltarsi: essa non veniva ancora. I lunghi rami degli abeti e
delle magnolie e il prato verde formavano come un quadretto attorno ai
cancelli di ferro; ma il quadretto era vuoto: Nora non si vedeva.

Era stanco, sfinito, eppure avrebbe adoperata la poca forza che gli
rimaneva per strozzar qualcuno. Come erano uggiosi quei giardini! Tutto
vi era falso, artificiale; quella fontana senz'acqua, quei fiori troppo
rossi, quegli alberi e quei prati troppo verdi; persino quei bambini
infagottati, che parevano pupattole!--Si voltò ancora....

--Ah, finalmente!...

In mezzo al quadretto dai rami frondosi, in fondo al prato verdissimo,
c'era la bella figuretta blù, colla cravatta lilla e il berrettino di
lontra.--Era lei!--Tutto il giardino sembrò ravvivarsi.

Pietro andò ad aspettarla nel piccolo viale dopo il Museo, ma quando
Nora lo raggiunse, sempre diritta, col suo passo ritmico e sicuro,
Pietro non si ricordò di levarsi il cappello, sconvenienza che dava
tanto ai nervi a Nora.

I due giovani camminarono l'uno a fianco dell'altra, silenziosamente.
Il Laner voleva mostrarsi offeso, e Nora pensava come doveva
incominciare.

--Chi erano quei due?--domandò Pietro pel primo, colla voce cupa e
affondando il muso nel bavero alzato del paltò.

--Amici di Edita.

--Va bene; ma chi sono?

--Uno, il banchiere Kloss; l'altro.... il duca di Casalbara.

Al Laner, subito, montò il sangue alla testa. Il Casalbara, quel
decrepito damerino, gli era indifferente, ma il Kloss?... Il Kloss era
un vizioso, un dissoluto! Un vecchiaccio sudicio, osceno! Era una
vergogna, un'onta per una ragazza, soltanto l'averlo vicino. E smaniava
geloso, furibondo, perchè il Kloss, certamente doveva aver messo gli
occhi addosso a Nora. Perchè certo era per lei, per Nora, che andava
dalla Schönfeld!

Il Kloss! E non aveva avuto tempo, in quell'attimo, di riconoscerlo nel
salotto!... Meglio così. Se l'avesse visto con Nora.... Il Kloss vicino
a Nora!... Per Dio! Avrebbe commesso uno sproposito!

Nora, impassibile, camminava sempre diritta, affondando le mani nelle
tasche della giacchettina aperta, colla sua aria di sicurezza e di
sfida. Soltanto, con indifferente naturalezza, guardava di qua e di là,
per vedere se la gente, quei pochi che passeggiavano e quegli altri
seduti sulle panchine, notavano, osservavano le smanie di quel pazzo.

Pietro si sforzava di parlare a bassa voce: ma tutti dovevano
indovinare quel furore, dalla faccia stravolta, dal gestire concitato.

--Almeno.... faccia il piacere.... si ricordi.... siamo in mezzo alla
gente!--E Nora, con la voce armoniosa dal timbro infantile, non gli
disse altro. Il giovane la guardò, colpito da tanta freddezza, e le
disse con più calma, col tono risoluto di chi s'impone e ha diritto
d'imporsi:

--Ti proibisco, intendi bene, ti proibisco d'ora in poi, di mettere i
piedi in casa della Schönfeld. E se io vengo a sapere che il Kloss si è
trovato ancora con te o che ti ha ancora parlato,--anche una volta
sola,--quel giorno, ricordatelo bene, tu vai per la tua strada, ed io
per la mia.

--Pur troppo,--rispose la fanciulla con un sospiro ostentato,--pur
troppo!... È quello che bisogna fare.

La sua voce non ebbe un tremito, il suo volto rimase fresco e roseo.

--Come? Spiégati!... "Quello che bisogna fare?..." Perchè subito ti
arrabbi con me?...Sei in collera?--domandò il giovanotto andandole così
vicino, per vederla negli occhi, da sfiorarle, da toccarle il braccio
col suo braccio. E poi soggiunse con passione:--Parlo così per tuo
bene: perchè ti voglio bene e quel Kloss è capace di tutto!

Nora non rispose: continuò a camminare, sempre diritta, dimenandosi
elegantemente colla bella persona.

--Nora!... Nora!...--esclamò il povero ragazzo, con un'espressione
appassionata, disperata, in cui c'era tutta l'anima sua, tutta la vita
sua.

L'altra si fermò di colpo. Poi cominciò a parlare concitata,
agitatissima. Che quelli che passavano, o stavano seduti sulle
panchine, la guardassero pure: non le importava più niente. Le
importava di spiegarsi, di dir tutto, di finirla una buona volta!

--Guarda come son conciata!--e sollevando un po' la veste, mostrò la
scarpettina elegante, aggiustata con una pezzetta sul fianco.--Ho le
scarpe rotte: e queste sono le migliori. Guarda,--e gli mostrò gli
occhielli logori e la fodera rappezzata della giacchetta,--e non ne ho
un'altra. E nella mia camera manco di tutto; e anch'io stamattina non
ho fatto colazione: un po' di caffè col latte. E tutti i giorni il
tormento dei debiti; la paura di qualche scenata. E credi che io voglia
adattarmi a far sempre questa vita impossibile, da cani?... Ah no!
Piuttosto vado in America a cantar nei caffè!

--Certo,--esclamò il Laner, trionfante. Non gli aveva fatto impressione
la tirata dell'America: era una delle solite frasi, tanto per dire. Ma
era contento della collera di Nora, del suo sdegno che credeva tutto
rivolto ormai contro lo zio Matteo, e la vita "da cani" che lo zio
Matteo le faceva condurre.

--Certo! Hai ragione! Mille ragioni: bisogna finirla!

La ragazza capì subito lo sbaglio.

Come?... Crederesti che io voglia finire da una parte, per
ricominciarla dall'altra?... Piantare lo zio Matteo, aver dei
dispiaceri, sembrare un'ingrata, perchè? Per andare con un altro a fare
la stessa vita? Anzi peggio, perchè potrebbe capitare anche la miseria
dei bambini da allevare, da curare, da mantenere, per crepar d'inedia
tutti insieme!--No, caro mio, no!--Io sono una ragazza onesta e
preferisco dirtelo prima; finchè c'è tempo, per tutti e due. Io non mi
sento nata per i sacrifici, per gli eroismi, per stentare la vita tutti
i giorni; ma almeno, sono sincera, e ho il coraggio di dirlo prima,
francamente. Ti sembrerò cattiva, senza cuore, leggera, quello che
vuoi. Ma preferisco dirlo oggi, finchè tutti e due siamo liberi e
possiamo rimanere buoni amici, piuttosto che commettere, dopo, uno
sproposito, fare un colpo di testa, piantarci allora, un bel giorno,
quando fossi tua moglie, e non ci potessi più resistere.

--Dio! Dio! Dio! Ma era vero?--Pietro Laner la guardò.

Nora, accesa, rossa in viso, aveva le narici e le labbra frementi, il
petto ansante e in mezzo alla fronte la piccola ruga sinistra, bianca e
sottile come una cicatrice.

--Dio! Dio! Dio! Ma era vero? Era Nora, la Nori che parlava così? Tutto
era finito? E nel suo cuore, nella sua mente, quella parola "finito!
finito!" pareva ripetersi, diffondersi; pareva prorompere,
ripercuotersi nel vuoto:--Finito! Finito! Tutto era finito!... Dio!
Dio! Dio!--Non aveva più forza, non aveva più voce. Soltanto quella
parola, e l'idea tetra, accasciante, spaventosa.--Finito! Tutto era
finito!...--Una solitudine immensa, desolata. Più ancora del dolore,
della disperazione, era un senso cupo, profondo di sgomento. Morire!
Morire! Oh la consolazione di poter morire, di sprofondarsi lì, sotto
terra; di non vedere, non sentire, non soffrire più niente!

Il povero ragazzo, curvo, colla faccia dentro il bavero alzato del
paltò, tremava tutto convulsamente; quando voleva parlare le parole
rimanevano rotte dal batter dei denti. La guardò ancora, ancora....
colla vista oscurata dagli occhiali pieni di lacrime.

--Ma pure era lei.... Era Nora.... Nori, che camminava diritta, colla
persona alta, bella, che pareva come illuminata dallo splendore dei
capelli biondi. Era Nora, col passo ritmico e sicuro, risonante
nell'ombra quieta del viale, sotto i tigli, Nora, Nori che camminava
diritta, sempre diritta per la sua via, come il destino.

Pietro Laner, così misero, così infelice, si sentì vicino, accanto a
Nora, ancor più oscuro, più umile; e timidamente, ma con tutto il
fervore di quella grande angoscia, la pregò, la supplicò. Era la sua
divinità che pregava; era la sua Madonna sfolgorante; e le domandava la
grazia della vita.

--Ritorna buona!... Ritorna buona!... Ritorna la Nori, la mia Nori--e
aggiunse per smuovere la sua ragione, dopo aver tentato di toccarle il
cuore.--Lavorerò giorno e notte. E poi devo avere le ventimila lire.

--Ci vuol altro che le ventimila lire!--rispose Nora sorridendo
sdegnosa, con un'alzata di spalle.--Lavorare?... Tu poi, che non hai il
talento del mestiere, le risorse che può avere lo zio Matteo. Ci vuol
altro!

A questo punto fu tutta una sollevazione, una ribellione nell'animo di
Pietro. Egli sentì l'offesa ancora più forte del dolore.

--Ah no! Questo no! Non ho il talento di essere una canaglia come tuo
zio! Di essere un truffatore, un ladro, come tuo zio! E nemmeno di
essere "onesto" a modo tuo. Di quella onestà che tu vanti. Di quella
onestà che è una vergogna, una menzogna, un'infamia. Ah, l'ho capito il
tuo giuoco "onesto!" ho tutto indovinato.--Innamorato sì, lo sono
stato, ma imbecille no; imbecille mai!... Il tuo gioco e la tua onestà,
è visibile, è chiara, è sconcia! Ti eri messa d'accordo con tuo zio per
ingannarmi, e poi adesso mi pianti per i milioni del Kloss! Eccola la
verità! Ecco la tua onestà!... Per essere falsa, come tu sei stata
falsa con me, per trattar così bassamente dopo avermi tanto ingannato,
devi essere diventata, o stai per diventare, l'amante del Kloss! Sì!
L'amante del....

--Signor Laner!--intimò Nora con voce sommessa, ma così vibrata, da
fermarlo sull'attimo.--Signor Laner!--Era livida, contraffatta: lo
fissò cogli occhi torvi, saettanti la collera, il disprezzo, l'odio: lo
vide diventar pallido, esitare.... Lo fissò ancora, poi con un'alzata
di spalle, con un ultimo atto di disprezzo,--buon giorno!--borbottò
seccamente, beffardamente e se ne andò piantandolo solo.

Pietro rimase immobile, muto. Lungo il viale di tigli sentì dileguarsi
il fruscìo delle vesti, il rumor dei passi ritmici, sicuri. Si guardò
attorno come per cercarla.... Era solo. Non si mosse, non fece un
passo: rimase così, immobile e muto, senza una parola, senza una
lacrima.


Matteo Cantasirena declamava, lamentando le lunghe assenze di Nora.

--Oh, si figuri!--esclamava la Gioconda.--Comincia troppo presto a
predicare! Non sono ancora le due; fino alle cinque, verso l'ora di
pranzo, la signorina Nora non si lascia più vedere!

Ma il Cantasirena continuava lo stesso. Costretto a restare in casa
perchè gli era morto il _Rinnovatore_, e per paura dei "tirolesi", si
sfogava a predicare l'ordine, la morale e gli ideali. Colla veste da
camera color marrone, strascinando i lunghi cordoni rossi, passava dal
salotto alla cucina, e dalla cucina allo studio, sempre colla voce in
aria, declamando. Con Evelina, che continuava a scrivere il suo
Dizionario, si sfogava contro l'ingratitudine dei "patriotti viventi" e
ripeteva, forse per la ventesima volta: "Quell'asino del marchese
Duranti, in sospeso!... Ha sempre amoreggiato coll'Austria!...--Ma
procura di mettere un po' d'ordine su questa tavola. I piatti colle
bozze di stampa, il gatto colle mie note!" "_Ft!... Marche!_..." e Numa
spariva sotto il canapè, dopo aver ricevuto una staffilata forte, sulla
groppa, colla nappa e il cordone della veste da camera.

In cucina, il Direttore guardava nelle pentole, nelle casseruole; e con
un braccio attorno alla vita della Gioconda, e stringendo colla sua
affettuosità paterna il bel servone contro il petto, assaggiavano
insieme, sulla stessa forchetta, un pezzetto di stufato, o sorbivano il
consommé un po' per uno, nel mestolino. E negli intervalli egli
continuava a predicare contro "E-le-oo-nò-ra".

--Questo andare in giro tutto il santissimo giorno, senza che io sappia
dov'è, dove va, cosa fa, non è bello, non è decoroso, non è morale! La
gente fa presto a sparlare, e l'onore di una ragazza è subito
compromesso. Se quel tanghero del signor Laner non sa imporsi, non sa
mettere un po' d'ordine, ci penserò io. Vita nuova!

E diceva alla Gioconda che Eleonora non lo faceva presagir bene, perchè
mancava di idealità.--Senza ideale,--e intanto continuava a stringere
la serva,--l'arte diventa una fotografia, la famiglia, un albergo.

Poi, frugacchiando nello studio, gli tornava a ronzare nel cervello
quella certa idea che sarebbe stata davvero colossale.--La Navigazione
Cisalpina!--Perchè no?... Perchè no? Trovare un bel nome, che faccia
effetto, da mettere alla testa del Comitato. Trovare un argomento, una
ragione forte, incalzante per aver l'appoggio e anche i denari dal
governo....--una grande campagna elettorale per esempio, fatta nel nome
della "Navigazione Cisalpina" e con tutto l'esercito degli
interessati....

Ma il Comitato, il bel nome, il governo, la "Navigazione" gli facevano
risovvenire del più importante: delle cinquecento lire che gli doveva
mandare il Brunetti; e allora andava sull'uscio dello studio e si
metteva a gridare:

--Ma _Taddeum_! Quella tartaruga di _Taddeum_ è tornato sì o no?

Era la seconda volta che lo aveva mandato dal signor Brunetti. La
prima, con una lettera in cui gli diceva che gli mandasse, intanto,
anche solo quattrocento lire; poi un bigliettino:--Che si mettesse in
quattro, che si facesse in pezzi, ma almeno trecento, gli occorrevano
sul momento."

La Gioconda rispondeva che Taddeo non si era visto: il Direttore
pestava i piedi, sbatteva gli usci, e tornava a domandare di Eleonora e
tornava a predicare sulla condotta impossibile di quella ragazza senza
testa e senza cuore. E sempre ripeteva con forza: "senza cuore per
nessuno!"

Finì col sedersi vicino a Evelina, dopo aver cacciato _Numa_ fuori del
salotto, buttandogli dietro un vecchio ombrellino rotto.--_Ft!
Marche!_... Quella bestiaccia infingarda e golosa non la poteva
soffrire!

--Il marchese Duranti lo farò io!... E comincerò da suo padre, che ha
firmato il famoso manifesto a Francesco Giuseppe!--Poi, siccome aveva
volontà di sottoporre Evelina ad uno de' suoi soliti interrogatorii, di
quando non aveva altro da fare, prese via la penna dalle dita umide
della ragazza e abbassò il coperchio a molla del calamaio.

--Lascia un po' stare tutta quella gente! Una massa d'ingrati! Non val
la pena di metterli in luce. Piuttosto bisognerà dire alla signora
Eleonora, che invece di star fuori tutto il giorno, aiuti a mettere un
po' d'ordine in questo salotto: faccia qualche cosa anche lei, che
lavoriamo tutti!--Poi le domandò piano, rabbonito:

--Credi che Eleonora si trovi col Laner?

Evelina si tolse il _pince-nez_ per riposare gli occhi, e fissò lo zio
Matteo, sorridendo.

--Trovarsi col Laner?--Il Laner è in gran ribasso.

--Oh!... Questo mi fa piacere!--Cantasirena si tirò colla seggiola
ancor più dappresso ad Evelina.--Ce n'è un altro?

--Forse.

--Chi? Chi?...

La ragazza lanciò un'occhiata verso l'uscio della cucina: la Gioconda
poteva sentire.

Matteo si alzò maestosamente, e allacciandosi i cordoni della
vestaglia, col bel fiocco in mezzo al pancione, andò fin sull'uscio
della cucina.

--Gioconda! Non è tornato Taddeum?

--Nossignore.

--Quel Brunetti è un inconcludente. Un vero pasticcione. "Senza fallo!
Senza fallo!" e manca sempre ai propri impegni. Gente screditata! Non
trovano la miseria di cinquecento lire!

Finito di brontolare, chiuse l'uscio della cucina, chiuse pure quello
del salotto, e tornò a sedersi accanto all'Evelina, battendole colla
mano sulle ginocchia puntute e sottili come quelle di un ragazzetto.

--Chi è? Chi è?...

--Ce ne son due.

--Due?

--Ma non so qual è dei due quello che faccia davvero, o che sia il
preferito.

--E.... chi sono? Chi sono?

--Il duca di Casalbara e il banchiere Kloss.

I due nomi fecero una grande impressione: lo zio Matteo li ripetè quasi
macchinalmente, scandendo le sillabe.

--Il duca, il senatore Giovanni di Casalbara? Il banchiere, il
commendatore Francesco Kloss?...--Si alzò, accarezzò, prendendole fra
le sue mani, le guance in sudore di Evelina, e la baciò sui capelli
fini e radi, con tutto un mugolìo di tenerezza.

--Fanciulla mia cara! Raccontami tutto; tutto quanto, tutto quello che
sai!

Evelina non aveva molto da raccontare, perchè poco ne sapeva, e anche a
quel poco, era arrivata per induzione. La Nora era sospettosa, e stava
in guardia. Temeva forse che le volesse fare la spia con Pietro Laner!

Matteo Cantasirena la interruppe:--Dunque? Dunque? Cos'hai potuto
sapere?

Evelina raccontò che le erano venuti i primi sospetti, per il gran
cambiamento di Nora verso Pietro Laner: le era diventato uggioso,
antipatico....

--Ha ragione. Mi sono ingannato anch'io sul conto di quello spiantato!

--Sono stata attenta, e ho notato i due che passavano, ripassavano....
e quell'altra, che correva alla finestra e poi si vestiva in fretta,
scappava giù, in istrada.... e i due dietro, a braccetto.

--A braccetto?... Insieme?

--Insieme.

--Lettere?... Hai visto lettere?

--No.

--Ma si trovano? Si parlano?

--Credo.... dalla Schönfeld.

--Dalla Schönfeld?... Siamo a cavallo.

Certo, Matteo Cantasirena aveva subito pensato che quei due non avevano
messi gli occhi addosso alla "sua figliuola" con le più sante
intenzioni, ma non dubitava punto, ad onta delle precedenti invettive,
della testolina quadra, e dello spirito accorto di Nora. E intanto
c'era questo di guadagnato: il matrimonio con quel pezzente, taccagno,
del Laner andava in fumo.

Per guidare, e al caso far nascere gli eventi, c'era lui, lo zio
Matteo, che sarebbe stato ad occhi aperti. "Era una vera passione,
irresistibile?" E allora colle figliuole, col sangue di Matteo
Cantasirena non si scherza!--Era una semplice _flirtation_?--Il
Dizionario dei "Patriotti viventi" sarebbe stato messo a disposizione
del Casalbara e del Kloss... tedesco questi, ma non monta: patriotta
della finanza, della fratellanza fra i due popoli e poi, come
banchiere, patriotta.... internazionale!

--Ma che!--esclamò ad un tratto il Direttore, alzandosi e parlando
forte, benchè parlasse soltanto a sè stesso.--Ecco il nome, il bel nome
che può produrre un effetto magico!

In quel punto tornò Taddeo colla risposta del Brunetti. "Fino alle
cinque era impossibile, e anche alle cinque non era sicuro."

Il Direttore corse nello studio e scrisse in fretta un terzo
bigliettino.

"Finalmente, impegnando la vostra parola d'onore per il più scrupoloso
silenzio, posso mettervi a parte del segreto. Vi piacerebbe il nome del
senatore Giovanni di Casalbara? Oppure quello del commendatore, del
banchiere Francesco Kloss?--Non dite una parola. Pensate che la più
piccola imprudenza, può mandar tutto a monte. Vostro

                                "CANTASIRENA."

"P.S. Consegnate, sul momento, almeno duecento cinquanta lire. Non
dovevate promettere "senza fallo." In tal caso io avrei già provveduto
diversamente. Ora è troppo tardi. Col Casalbara e col Kloss devo
trovarmi oggi stesso alle quattro e mezzo. Salute."


--A gran carriera, dal signor Brunetti!--disse a Taddeo consegnandogli
la lettera:--prendi un brum: ti darò da pagarlo al ritorno.

"_Il duca Giovanni di Casalbara, senatore del regno!_" E già,
Cantasirena, vedeva quel nome, quei titoli in alto, sul grande
manifesto del Comitato; e già mentalmente, cominciava l'articolo: "Il
duca Giovanni di Casalbara, uno dei nomi più fulgidi e intemerati di
quel patriottico patriziato lombardo che alleato col popolo ha iniziato
le rivoluzioni, ha fatto l'Italia!" E al Governo e al Prefetto avrebbe
potuto far notare che la villa di Casalbara era a cavallo tra Primarole
e Castellanzo, i due collegi del Bonforti rompiscatole radicale, e del
Ghirlanda, rompiscatole socialista....

--E se invece era Francesco Kloss?... Bel nome anche quello del
Kloss!--Il commendatore Francesco Kloss.... "Una delle personalità più
spiccate, più reputate di quella onnipotente finanza tedesca, che
contribuì quanto la politica di Bismark alla solidità granitica
dell'Europa Centrale...."

Ma il Kloss gli accomodava molto meno del duca di Casalbara, anzi,
ripensandoci, non gli accomodava affatto.

Il Kloss era un tedesco: una zucca dura e una volpe fina. Era un uomo
capace di spendere centomila lire per cavarsi un capriccio.... che però
ne valesse almeno duecentomila. Invece, il duca di Casalbara, era di
tutt'altra pasta; era pasta assai più maneggevole. Vecchio, della
vecchia razza, avrebbe sposato anche la figlia del portinaio, quando si
fosse trattato di compiere un dovere.

Quel Kloss! Quel _filone_ di Kloss, gli veniva a rompere le tasche.
Cosa voleva fare? Cosa ci entrava lui? Maledetti i tedeschi!
L'invasione tedesca era più terribile adesso che prima del 59!

--Li abbiamo cacciati dalla porta con tanti sacrifici e ci sono entrati
dalla finestra, sempre per fare i loro interessi in casa
nostra!--Maledetti i tedeschi!

Intanto udì un fruscìo e il battere dei piedini nell'anticamera. Spiò
dall'uscio: era Nora.

Aspettò un momento, tornò ad allacciarsi i cordoni della veste, e poi
entrò nella saletta, tranquillamente.

Evelina era andata alla finestra per prendere un po' d'aria e per
vedere se "quell'altra" era tornata sola. Nora veniva allora
direttamente dai Giardini, dopo la scena con Pietro Laner: era ancora
sossopra, imbronciata, nervosa. Non voleva parlar con nessuno. Si
cacciò, rannicchiandosi, in un cantuccio del canapè.

Era il rimorso? Era un sentimento di compassione, di pietà?... Passato
il primo impeto dell'ira aveva sempre dinanzi agli occhi quella faccia
livida, contraffatta, straziata dal dolore. Che cosa avrebbe fatto?...
Piantato da lei? Senza più un soldo? Spogliato di tutto?... Oh, lo zio
Matteo aveva agito molto male con Pietro Laner!

--Sei stata dalla Schönfeld?--le domandò dopo un momento Cantasirena.

--Sì.--E la fanciulla seccata, imbronciata, non volendo più parlar con
nessuno, si ritirò, si rannicchiò ancora di più nel suo cantuccio.

--Hai visto Pietro Laner?

Nora rispose con un'alzata di spalle, e perchè capissero di lasciarla
in pace, prese dispettosamente un libro ch'era lì vicino e finse di
leggere.

--Hai visto Pietro Laner?--tornò a domandare lo zio Matteo.

--No....--Sì.

--No, sì,--esclamò Cantasirena ridendo.--Ce n'è per tutti i gusti!

Evelina se ne andò passo passo: voleva lasciar solo lo zio con
"quell'altra".

Mentre Evelina usciva, entrava Numa chetamente. Vedendo Cantasirena il
gatto si fermò, non si arrischiò di venire avanti. Rimase sotto la
seggiola attento, cogli occhi fissi che luccicavano.

--Io ti dirò una cosa sola,--disse Matteo Cantasirena, mettendo in
ordine lentamente le carte, i libri sparsi sulla tavola.--Nelle cose
serie della vita ricordati che hai uno zio, che diventa un padre.....
un padre amoroso. Quando hai bisogno di aiuto, di difesa, di consiglio,
eccomi qui, pronto, a braccia aperte. Tra i miei molti errori,--e
sospirò--ho avuto in abbondanza tutti quelli del cuore: è per questo
che non ho fatto fortuna; nel qual caso, sarei forse amato di più.
Ricordati: quando si ha una famiglia non si è mai soli nel mondo.
L'ideale della famiglia, dopo quello della patria, è il più alto, il
più puro. E quando non c'è ideale.... non c'è idealità. È inutile
dedicarsi all'arte, nemmeno all'arte gentile, appassionata del canto!

Matteo continuò a sospirare e a metter ordine nella roba del salotto.
_Numa_ si era arrischiato di venir fuori, dall'ombra. Accosciato,
diritto, in mezzo alla stanza, guardava il padrone e aspettava sempre
il momento di fare un salto, movendo, strisciando la coda per terra,
come una biscia.

A un tratto si fermò un brum, sotto la finestra.

--Taddeo! _Taddeum_ che ritorna!

Se quell'imbroglione del Brunetti gli aveva mancato ancora di parola,
era la volta che si disgustava davvero!...

Tutti erano un po' in ansia: Evelina tornò nel salotto; la Gioconda
corse ad aprire.

--E così? Ha risposto?--domandò il Direttore, aspettando Taddeo
sull'uscio.

--Sissignore!--Anche il vecchio soldato era allegro: pareva si
avanzasse ballando sulla gamba di legno, al suono delle medaglie.

--Qua, vediamo!--Il Direttore gli strappò la busta di mano. C'erano le
duecentocinquanta lire.

--Oh, alleluia!--esclamò la Gioconda avvicinandosi colle mani sui
fianchi, e aspettando la sua parte.

--Mi darai le venti lire per il dentista!--esclamò subito anche
Evelina. Essa, quando c'eran denari, ne domandava sempre, per il
dentista, il dottore, la farmacia Zambelletti.

--Uno alla volta! Uno alla volta! Mi raccomando! Il Direttore consegnò
subito cinquanta lire alla Gioconda.--Va bene? Va bene così?

La serva, senza rispondere, se ne andò via, contando i biglietti.

--Ecco le lire venti per il dentista.

--E tu?--domandò a Taddeo, vedendolo immobile, che lo guardava e
sorrideva.--Ah, per il brum!

--Per il brum.... e se potesse.... sono ancora in arretrato....

--Tutti, figliuolo mio, siamo in arretrato, cominciando dal Governo!
Per oggi ti darò venticinque lire, e paga la carrozza.

--Grazie, colonnello!--esclamò Taddeo, e presi i denari se ne andò in
fretta accompagnato dal tuc-tuc della gamba di legno, che batteva
sull'impiantito. Anche Evelina, avute le venti lire, era sparita.

Nel salotto erano rimasti soli Matteo Cantasirena e Nora. Questa si
alzò lentamente e gli andò vicino, sempre seria, sempre imbronciata.

--Anche tu?... Che cosa ti occorre?--le domandò lo zio sorridendo con
affabilità paterna.

_Numa_, fatto sicuro da quel ritorno di quiete, di pace, saltò sul
canapè e andò ad acchiocciolarsi nel cantuccio lasciato caldo da Nora.

--Tu non hai bisogno del dentista!... Per i guanti?... Per qualche
nastrino?

--No; per Pietro Laner,--rispose Nora seccamente.--Manda subito un po'
di quel danaro al signor Laner. Taddeo lo troverà ai Giardini o a casa
sua; se no, vada a cercarlo. Non ha da mangiare.

--Che?... Se stamattina mi ha date dieci lire?

--Non ha da mangiare. Erano le ultime.

--Le ultime? davvero?...--esclamò Matteo colpito sinceramente.--Quando
uno confessa di aver dieci lire, vuol dire che ne ha, almeno,
cinquanta! Quel Laner è sempre stato un uomo inverosimile, fantastico!

Tornò a chiamare Taddeo e gli diede cinquanta lire in una busta, per
Pietro Laner.

--Sarà ai Giardini o a casa sua. Prendi un brum e gira finchè lo hai
trovato.

--Va bene? Va bene così?...--tornò a domandare a Nora, quando furono
soli di nuovo. Poi contò i denari che gli eran rimasti.

--Appena cento lire!--Sospirò, soffiò.--Sempre così! Non so mai
misurare il cuore secondo le forze!



IX.


Il duca Giovanni di Casalbara e il commendator Francesco Kloss erano
intimi fra di loro, per via delle comuni intraprese donnesche. Si erano
conosciuti in casa di Madame Dupont, una vecchia parigina--forse--tutta
riccioletti che tingevano come il carbone, e molto servizievole. Ma
soltanto per le persone serie, ragguardevoli. Diceva ridendo, che molte
volte avrebbe potuto mettersi a fare anche lei il discorso della
Corona. "Signori Senatori: Signori Deputati...."

Il Casalbara e il Kloss si erano conosciuti lì; poi si erano
apprezzati, scoprendosi per i due amanti della stessa donnina che
costava un occhio al Casalbara e la rinnovazione di qualche
cambialetta, quando c'era anche la firma solvibile della sarta o della
modista, al banchiere Kloss. Da quel giorno, furono in lega. Sempre
insieme, indivisibili, simpatici l'uno all'altro per i loro vizi,
deridendosi reciprocamente per quel poco che ciascuno aveva di buono.

Il Kloss disprezzava il Casalbara per il fondo dolce, un po'
sentimentale del suo carattere e l'orgoglioso rispetto e la venerazione
quasi religiosa per il proprio nome. Il Casalbara compativa il Kloss
per le sue idee moderne, per la sua grande, maravigliosa attività, per
la sua febbre di lavoro, di guadagno. Erano tutti e due troppo diversi
per intendersi: diversi di nascita, di temperamento e di fortuna.

La fortuna del Kloss era stato suo padre, che aveva saputo fallire a
tempo e bene, mentre il suo socio si era impiccato fra i cortinaggi
della camera da letto. La fortuna del Casalbara era stato il fratello
Eriprando, morto a Josephstadt.

Il Casalbara era ancora giovanissimo, quando una notte, suo fratello fu
arrestato, condotto a Mantova e di là seppellito nella fortezza
austriaca.

I due fratelli erano orfani, e Giovanni rimaneva solo. Fu condotto a
Torino da una zia, la marchesa di Castelletto-Rugarole, e a Torino, fra
le signore della Corte e del bel mondo, fra emigrati, patriotti, uomini
politici e giornalisti, si cominciò quasi a dimenticare il martire che
languiva lontano, fra gli stenti e le sevizie del carcere, per
compiangere il bel giovinettino biondo e sottile che passeggiava sotto
i portici di Po, sempre vestito a lutto, sempre raccolto in una
mestizia grave.

E quando giunse la notizia che il duca Eriprando era morto laggiù di
patimenti e di crepacuore, si fece una grande dimostrazione sotto le
finestre di Giovanni, il quale dovette uscire a ringraziare la folla
plaudente. Da quel giorno, il solo, il vero martire fu lui, e dal
proprio martirio ebbe, in quel periodo di baldorie nazionali, tutte le
soddisfazioni, tutti i vantaggi, anche quello di un forte compenso per
i beni del fratello stati incamerati dall'Austria, e la concessione di
una lotteria che, affidata a mani esperte, gli fruttò un milioncino
netto, senza che lui nemmeno se ne fosse accorto.

Ma se gli altri avevano dimenticato il fratello per lui, Giovanni,
però, se ne ricordava sempre. Quella memoria era la sua religione, il
suo culto, la grandezza più fulgida della sua razza, che discendeva
dalle Crociate. Ed egli sentiva tutta l'alterezza di essere l'ultimo
rampollo di quella casa, e tutta la grave responsabilità che
gl'incombeva per essere il fratello di suo fratello. Soltanto la sua
mente ristretta, i suoi gusti, il suo genere di vita non gli
concedevano e non lo mettevano nemmeno in grado di poter compiere nulla
di straordinario, di elevato. Ed egli si accontentava di andare a poco
a poco in malora, pur di mantenere il lusso, il fasto della sua casa,
come l'aureola, il tabernacolo degno di quella tradizione antichissima
e di quella gloria recente. Il duca di Casalbara ravvolgeva la propria
persona di un riserbo dignitoso che non gli permetteva di portare in
pubblico i suoi vizietti: il martire superstite del martire di
Josephstadt, non poteva farsi vedere colle clienti di Madame Dupont: le
salutava in teatro con un sorrisetto e le mandava innanzi nel
gabinettino del _restaurant_, dove egli entrava poi, grave e serio, per
diventare subito, appena chiuso l'uscio, tenerissimo, tutto sorrisetti,
languori, moine.

Era perciò che le trattative di quei convegni venivano iniziate e
condotte a termine dal Kloss. Finchè c'era da mostrarsi, era sempre il
Kloss che andava avanti: quando c'era da pagare andava avanti il
Casalbara. Non che al Kloss spiacesse di spendere per taccagneria;
soltanto per il suo amor proprio di banchiere ci teneva a far sempre un
buon affare, anche quando si trattava di godere e di divertirsi.

Quell'omiciattolo dalle gambette storte, saltellante e sghignazzante,
che ficcava gli occhietti vivi addosso a tutte le donne,
arricciolandosi beffardamente i baffi duri colle dita pelose, nella
magrezza robusta de' suoi sessant'anni, era impetuoso e violento come
un frenetico. E mentre il Casalbara finiva coll'innamorarsi
sentimentalmente di tutte quelle ragazze e finiva col pagarle care per
la compiacenza di credersi corrisposto, l'altro s'imponeva minacciando,
le intimoriva, le maltrattava, riusciva a destare dei brividi di
ribrezzo dove non c'era più da vincere alcun pudore.... e non pagava.

La sua parola aveva valore, ma soltanto cogli uomini. In affari era
inappuntabile: colle donne diventava una canaglia senza scrupoli. Per
lui, le donne in generale, che non scontano, non hanno facoltà
giuridiche, non erano, al pari dei cavalli e dei cani, altro che
animali graziosi e docili allevati per il piacere dell'uomo.

Prometteva per arrivare a' suoi fini e poi, senza scrupoli,
sghignazzando, mancava di parola. Ingannava, commetteva bricconate, e
se ne gloriava, nel suo linguaggio mezzo meneghino e mezzo teutono. E
anche negli affari e alla sua banca, colle belle donnette, "coi pei
tonnett" ne faceva di tutti i colori.

Un giorno, un suo impiegato dei più vecchi, un vedovo, solo con una
figliuola, per una triste necessità, non sa più render conto d'una
certa somma. Il Kloss lo scaccia e lo denunzierà al procuratore del re.
La figlia sorprende il disgraziato col revolver in mano. In quella
pazzia del dolore, corre dal Kloss: lo supplica, lo scongiura, si butta
in ginocchio.... Il Kloss ha una sola parola, tronca, rauca; una
promessa che diventa una minaccia:

--Sì, subito, o il padre in galera!--E fu un impeto bestiale, un
assassinio, lì sul piccolo canapè dello studio, turandole la bocca,
soffocandola colla manaccia sudicia d'inchiostro, perchè l'usciere nel
corridoio non dovesse udire i gemiti, i singulti, la voce tremante,
spirante, che implorava pietà.

La sera, nella cameretta del terzo piano, la fanciulla pallida,
disfatta, seduta al povero desco, non toccava cibo, ma colle labbra
riarse e i tremiti della febbre, cercava ancora di confortare, di
consolare il babbo.

--Il signor.... Kloss aveva promesso....

In quel punto arriva un signore con due guardie. La denuncia era stata
fatta un'ora dopo la promessa del perdono.

Quando il poveruomo uscì dalla porta, fra le guardie, trovò sulle
pietre del marciapiede una massa di vesti e di carni in una pozza di
sangue: sua figlia si era buttata dalla finestra.



Era stato Francesco Kloss a scoprire la Nora.

Un giorno, sull'imbrunire, egli passava dalla via di Santa Margherita
coll'involtino dalla carta rosa, di prosciutto di San Daniele e di
mortadella, ch'era stato a prendersi apposta per il pranzetto, quando
addocchiò quello "_splentore di pionta_" che entrava nel negozio di
musica del Ricordi.

"Oilà! _Mi, stupito, alt_!"--e si fermò a guardare attraverso i
cristalli delle vetrine.

Nora, infatti, uscì poco dopo, col rotolo di musica sotto il braccio,
le mani nella tasca della giacchettina blù, lanciando un'occhiata
fredda ma scrutatrice sul Kloss, che--essa se n'era accorta--fingeva di
guardare nella mostra per aspettarla.

Nora non lo conosceva, ma quel brutto omino, col vestito nero
trasandato, infarinato di forfora, non dinotava certo di essere un gran
che: e Nora continuò col passo rapido e sicuro per la sua strada, senza
più badargli, nè pensare a lui.

Ma il Kloss era rimasto colpito, come gli accadeva di rado: col suo
involtino di prosciutto di San Daniele che ballonzolava, tenuto col
mignolo pel nastrino, continuò a seguirla passo passo.... fino a casa.

La sera stessa egli ne parlò a Madame Dupont in grande segretezza,
dandole il nome della via, il numero della porta e i connotati:

--"_Pussè crante che mì: i spal te matrona: un vitin te popola_,
capelli _pionti_ e un _ginger straortinarî! E.... cito col vecc._"

Il Kloss, che non nascondeva i suoi sessant'anni, dava del vecchio al
Casalbara che voleva nascondere i suoi sessantacinque.

--_A so temp ghe tirò mi tutt' coss!_

Due giorni dopo Madame Dupont gli mandava la risposta in un bigliettino
che lo fece starnutire tanto era impregnato di muschio.

"Carissimo Commendatore--(Madame Dupont teneva molto ai titoli)--Non
c'è niente da fare." E gli scriveva che c'era il fidanzato, che la
ragazza era di buona famiglia, figlia, nipote o parente, nientemeno,
del famoso cavalier Cantasirena, e che andava tutte le sere all'opera
al _Manzoni_ con una cantante ungherese, certa Edita Schönfeld, che si
faceva passare per contessa. E ripeteva, ancora, prima di finire:
"niente da fare, onesta a tutta prova."

--Per onesta, _poco mal_--borbottò il Kloss fra sè,--per _fitanzato,
poco mal_.... ma Cantasirena!... _Molto mal_!

Tedesco, finanziere, affarista, Francesco Kloss vedeva i giornalisti e
il giornalismo come il fumo negli occhi.

Ma Nora gli aveva fatto colpo.

--_La g'ha cuel bel farin te me n'inpipp!_...

Procurò di conoscere la Schönfeld per avere altre informazioni, e
queste furono assai meno scoraggianti. Nora non era sorvegliata: Matteo
Cantasirena non se ne curava: non era innamorata del suo fidanzato.
Essa era una ragazza positiva e ambiziosa: il suo sogno sarebbe stato
di spendere, di sfoggiare, di far la gran signora!

Francesco Kloss, arricciandosi i baffi, pensava che il sogno era bello,
ma costava caro.

--_El vecc! el vecc!_... Mio _pon_ amico Casalbara!--esclamò con un
ghignetto.--Il Casalbara, al solito, avrebbe filato il perfetto
amore.... avrebbe creduto di essere corrisposto.... e una volta che il
Casalbara fosse diventato il _cerente responsabile, pensassi_ mi _per
aferla in te le man!_"

Quella sera all'Eden, mentre il duca batteva graziosamente le punta
delle dita inguantate ad una canzonettista dell'_Orpheum_, il Kloss lo
fermò a mezzo del suo entusiasmo, e gli parlò della _splentita_ popola
che aveva visto uscire dal negozio Ricordi: ne parlò più tardi a cena,
ne parlò il giorno dopo, e quando lo vide un po' riscaldato, lo
condusse al _Manzoni_ e gli fece vedere la _bella popola_ nel palchetto
della Schönfeld.

--"Maravigliosa",--esclamò il Casalbara, dandosi un colpetto di mano ai
ricciolini biondi, alzandosi in piedi per farsi vedere, e fissando Nora
col canocchiale.

--_Una fera primizia da imperator!_

Nora, dopo aver guardato il Kloss (omai sapeva chi era), fermò lo
sguardo sul Casalbara, tutto ingommato, tutto attillato, tutto legato
nell'abito nero e nel _gilet_ bianco a cuore. L'occhio profondo di Nora
si fissò lungamente sul biondo senatore, ed ebbe una carezza così
calda, così penetrante che gli fece sentire un dolorino acuto sotto il
ginocchio, fasciato di lana.

--Maravigliosa,--ripetè il Casalbara con due o tre altri colpetti della
mano ai ricciolini gialli; poi odorò il mazzo di violette che aveva
all'occhiello, si grattò leggermente il ginocchio colla punta delle
dita e tornò a fissarla coll'occhialetto.

--Vi guarda,--gli disse Kloss.

--Saprà che sono il duca di Casalbara.--E cominciò a filare con Nora e
Nora con lui, mentre Francesco Kloss stava attento a tutti e due
ripulendosi le unghie nere collo stecchino da denti, che, dopo pranzo,
portava sempre con sè, per quell'uso, nel taschino del panciotto.

Finita l'opera, aspettarono la Schönfeld e Nora sotto l'atrio del
teatro.

Passandogli vicina, così alta, così bella, così bionda, Nora non guardò
il Casalbara, ma arrossì abbassando un po' il capo.

--_Una fera primizia da imperator!_--ripetè il Kloss, dandogli un altro
colpo nel gomito.

Il giorno dopo cominciarono a passare sotto le finestre, il Casalbara
ancora più roseo, più biondo, colle scarpettine dal tacco alto che
scricchiolavano.

Nora era alla finestra. La sera tornarono al _Manzoni_: Nora era in
teatro, e all'uscita arrossì ancora di più, ma questa volta, prima di
abbassare il capo, guardò il duca alla sfuggita.

Il Casalbara era rimasto palpitante, tremolante: il suo cuore tornava a
battere forte come i primi anni, a Torino, quando il martire
giovinetto, biondo ed esile, passeggiava melanconicamente sotto i
portici di Po.

Quella ragazza così fiorente e bianca e rosea nel candor verginale,
quella bellissima fanciulla bionda che lo guardava arrossendo,
timidamente, e che timidamente arrossendo, pareva innamorarsi, gli
recava tra mezzo i brividi occulti della passione, gli incanti più
dolci e più soavi.... come un vago risveglio, un rifiorir gentile, come
l'aura tepida, olezzante che annunzia il ritorno di una nuova
primavera.

Il Casalbara perdeva il giudizio e il riserbo. E quel primo giorno che
si trovò colla Nora in casa della Schönfeld, quando sopravvenne Pietro
Laner a guastare la festa, egli ebbe un impeto di furietta gelosa; la
gelosia astiosa, rabbiosa, tormentosa dei vecchi contro un amante
giovane.

--Se non fate presto--brontolò il Kloss, vedendolo imbronciato, coi
baffi irti, i ricciolini scomposti, e la pelle diventata grinzosa e
livida sotto la pomata,--se non fate presto, quel montanaro dalle
spalle _quatre_ ve la porta _fia_!

--È il mio martirio!... la mia tortura!--esclamò il Casalbara,
dolorando e colla voce stridula.--"Ma santo Iddio, come si fa quando
per disgrazia è una ragazza onesta!... È la prima volta che.... mi
capita!... Proprio quella lì!... Col mio nome.... nella mia
condizione.... non posso farla duchessa!...

--"Io le _mettessi_ in ordine una _palazzetta_ magnifica. Io le
_comperassi_ una _vittoria_. Io _avessi_ la più bella donna di tutta
Italia!"--E aggiunse con malizia che le giovanette inesperte
s'innamorano facilmente dell'eleganza, della dolcezza, dei _pei
parolett_, dei _pei regalitt_, degli uomini maturi, stagionati, ma
bisogna approfittarne finchè sono.... _in tell'error_.

--Ma.... il padre.... suo zio, quello che è?...

--_Poco mal:_ la _patrona_ è la _racazza_! Contenta lei, tutti
contenti. Io _parlassi_ con lei, _diretto_, domani, subito.

Il giorno dopo, ritornarono dalla Schönfeld, e, naturalmente, si
trovarono con Nora: essa portava le violette regalatele dal Casalbara
il giorno innanzi.

Il Kloss cominciò a ridere, a scherzare colla Schönfeld, un donnone
rumoroso e traballante, dal petto enorme. La Schönfeld era piena di
debiti, e contava un poco sul Kloss e molto sul Casalbara per poterli
pagare; contava moltissimo anche sulle raccomandazioni del cavalier
Cantasirena, per essere scritturata da un impresario dell'America.

Il Kloss continuò per un pezzo a perseguitare la Schönfeld, a correrle
dietro per le stanze, a volerla abbracciare; e intanto Nora e il
Casalbara, tutti e due vicini, tutti e due quieti dietro le tende della
finestra, continuavano a parlarsi....

--Lanciata la vostra _brafa dichiarazion_?--gli domandò il Kloss,
appena furono soli in via Manzoni.

--Capisco che ci tiene, capisco che è innamorata.... ma santo Iddio,
non posso dirle: vi amo, siate la mia amante, e non voglio nemmeno
dirle: vi amo, siate mia moglie.

--Oh questo no!--esclamò l'altro vivamente.--Non farete _de sti
racazzat_!--Questo non lo voleva nemmeno il Kloss. Amante del vecchio
Casalbara l'avrebbe tenuta nelle mani colle buone o colle cattive,
duchessa di Casalbara _afrebbe_ finito a far la _stupita_ con qualche
ufficialetto di _cafalleria_!

E gli fece capire che bisognava agire e parlare nello stesso tempo.
Dopo, quando fosse diventata la sua amante, non poteva più pretendere
di diventare sua moglie.

Agire e parlare nello stesso tempo!... Il Casalbara era un po'
perplesso e inquieto per molte ragioni. E anche per i rimorsi della
coscienza. Non dormiva più, faceva cattive digestioni: poi finì col
consolarsi pensando che anche Nora doveva ben immaginare che lui non
avrebbe potuto mai sposarla, nemmeno per sogno!... Eppure essa portava
sempre i suoi fiori.... e gli stringeva le mani in un certo modo.... lo
guardava, lo guardava....

Un giorno, con fermezza e con lealtà, in un momento che il Kloss non
poteva sentire, dichiarò alla signorina Nora che lui non avrebbe preso
mai moglie.... e Nora lo guardò sorridendo, arrossendo dal piacere, e
gli fece confermare quella promessa con un giuramento. La signorina
aveva dunque capito che non avrebbe potuto essere altro che l'amica....
più cara, del duca di Casalbara, e che questi, non prendendo moglie,
non le avrebbe mai dato una rivale.

Bisognava risolversi. La bellezza di Nora era montata anche a lui dal
cuore al cervello.

Il Kloss, quantunque testa dura, aveva l'immaginazione fervida per
certi intrighi. Fu lui a ideare e a preparare il colpo: la trappola per
Nora.

Il Casalbara aveva parlato alle signore di un suo _Pleyel_ famoso: per
farlo vedere, per farlo provare, il Casalbara le avrebbe invitate a
colazione col Kloss.... ma poi, all'ultimo momento avrebbe mandato un
contro invito, a tutti, tranne a Nora. Era stato fissato che le
signore, per dar meno nell'occhio, dovevano recarsi sole
all'appuntamento.... una alla volta.

Il Kloss capiva che il tranello era ingenuo, ma d'altra parte, era
persuaso che anche Nora aveva una voglia matta di lasciarsi prendere
nella rete; e il Casalbara.... il Casalbara, ormai, non capiva più
niente!

Il colpo riuscì com'era stato ideato.

--L'Edita? Non c'è l'Edita?...--domandò Nora appena entrata nel
quartierino particolare del Casalbara, e fermandosi di colpo sull'uscio
del salotto, tutta rossa per la corsa, per il timore che l'avessero
veduta, per la confusione di trovarsi lì. Pareva esitante, dubbiosa....
pareva volesse scappar via.

--La sua Edita verrà subito, a momenti!...--balbettò il Casalbara anche
lui un po' confusetto e colla vocetta tremula. Fece un po' di violenza
per tirar Nora fino in mezzo al salotto prendendola per la mano e
baciandogliela sul guanto nero, nuovo, inchinandosi colla più squisita
galanteria.

Nora, mentre aveva sotto gli occhi i ricciolini biondastri del
Casalbara attraversati dalla riga larga, rossiccia, che dal mezzo della
fronte scendeva giù giù, fino alla nuca lunga, pelata, si sentì urtare
da un odore troppo acuto di essenze e di pomate.

Ritirò la mano istintivamente....

--Ma il servitore?--domandò,--il servitore che era qui.... adesso?

Il Casalbara sorrise, guardandola. Il vecchio servitore, muto, rigido,
era sparito silenziosamente come un'ombra, dopo aver abbassata la
grossa portiera di _gobelin_, e chiuso l'uscio imbottito, foderato di
panno.

--Siamo soli.... stella--e il Casalbara sibilò la esse tanto era
riscaldato,--stella divina!... Mi lasci dire questa parola, non si può
trovarne un'altra per lei!... È la prima volta che il caso.... la
fortuna.... siamo un momentino soli.

--Ma, l'Edita.... perchè si fa aspettare?

--Verrà subito.... anche troppo presto,--e il Casalbara sospirò.--Ha
paura a restar sola.... un momentino.... con me?--E tornò a prenderle,
a stringerle la manina piccola; ma l'altra si liberò vivamente, si
schermì, corse via dal Casalbara, per guardarsi attorno, per veder
tutto, con una viva curiosità, un'ammirazione stupefatta e sorridente,
proprio da bambina.

--Dio, com'è bello qui!... Com'è tutto bello!--E saltellante, corse di
qua, di là, ad ammirare i fiori splendidi, magnifici di cui il
Casalbara, apposta per lei, aveva riempito il salotto. Ammirò i
gingilli, i bronzi, i quadri, persino i tappeti, i mobili, e sedutasi
in una grande poltrona, si godeva ridendo, a ballarci su.--Com'è
bello!... E come si sta bene!... Tutto bello!

--E tutto suo!... Me compreso!--E il Casalbara, vestito di un colorino
violetto, il viola che sta bene ai biondi, dalla giacca stretta ai
solini della camicia un po' scollata, pareva offrirsi anche lui, come
un bel fiore.

Nora sorrise a quell'offerta, ma in un modo che non voleva mica dir di
no. Poi si alzò di nuovo all'improvviso e guardò nell'altra camera dove
la luce era più raccolta, più discreta; dove le tende, le tappezzerie
erano chiare chiare, e dove sopra una consolle bianca dorata,
luccicavano nel buio un gran vassoio d'argento colmo di tartine e il
cristallo dei bicchieri.

--E di là?... Cosa c'è?...--domandò Nora che si avvicinava, in punta di
piedi, per guardare appunto nell'altra stanza.

Il Casalbara la fermò, prendendole questa volta tutte due le mani, e
facendo più forza.

--Prima.... prima ci leveremo i bei guantini.... il bel cappellino....

--Perchè?--domandò Nora vivamente.

--Perchè? Vuol far _dejeuner_ coi guantini e il cappellino?..."

--Ma l'Edita?... Non è ancora venuta?...

--Se non è venuta, verrà.--E il Casalbara le slacciò i bottoncini, le
accarezzò le braccia nel levarle i guanti, baciandole la mano ogni
volta, l'aiutò a togliersi il cappellino, e mentre tutti e due
scioglievano il nastro, il Casalbara colle dita grinzose sfiorò il
mento della fanciulla. D'un tratto apparì la massa dei capelli biondi,
scompigliata, luminosa.

--Dio che splendore!--mormorò il duca;--pare sia entrato il sole qui
dentro!--Ma in quel punto ebbe come un piccolo sobbalzo: la trafittura
del ginocchio reumatizzato era stata così acuta, che credette quasi di
cadere.

Il Casalbara diventò serio a un tratto, impensierito.... ammirò ancora
la gran massa viva dei capelli, ma l'iperbole era stentata.

--E l'Edita?... Perchè aspetta tanto a venire?... E il signor Kloss?...
anche il signor Kloss non si vede?

--Verrà.... Verranno subito.... il mio orologio corre.... un
pochino!--Poi, volendo dissimulare l'oppressione, la stizza per quel
dolore sempre più acuto che sentiva al ginocchio, fece un po' il
geloso.

--Le preme tanto.... del Kloss?

--Dio! Dio! Così brutto, così goffo, con quelle gambette storte e le
unghie nere!--esclamò Nora ridendo, saltellando, tornando tutta
allegra.

--Certo.... non può dirsi un Adone!--esclamò l'altro, soddisfatto,
pavoneggiandosi nella persona alta e ancora elegante.--Venga qui....
folletto, follettino!... Non può stare un po' fermo il follettino?...--E il
Casalbara che voleva star comodo, per il suo ginocchio, prese Nora per una
mano, poi la spinse un po' col braccio, leggermente, attorno alla vita, la
fece sedere sul canapè e anche lui le si sedette accanto, vicinissimo.--Si
direbbe proprio che ha paura.... a restar sola.... un momentino, con me....
che si secca....

--Oh.... seccarmi.... seccarmi no!--esclamò la fanciulla diventata
seria, diventata timida. E dopo aver guardato il Casalbara arrossendo,
abbassò il capo.

--Dunque.... paura di me?...--insistè il duca lusingato nella sua
fatuità, nella sua leggerezza. E quantunque fosse sempre costretto a
tenere la gamba distesa e quieta, strinse la bella fanciulla
all'improvviso e un po' troppo forte, col braccio che le teneva dietro
la vita.

Nora si alzò di colpo, liberandosi nervosamente e allontanandosi.

--Ma l'Edita?... Non viene?...--Adesso l'inquietudine appariva più
forte, più viva.--Se non viene l'Edita, vado via!

--Signorina Nora, crede alla mia parola?... Crede alla parola di un
gentiluomo?--domandò il Casalbara dignitosamente, ma senza alzarsi in
piedi per via della gamba.

--Oh sì!--rispose Nora guardandolo con un'espressione ingenuamente
incantevole, tanto era piena di fiducia e di ammirazione.--Sì! Sì! A
lei sì!...

Il duca tornò a farsela seder vicino.

--È il primo momento che mi trovo solo.... che posso esprimerle tutto
quel sentimento di.... di ammirazione.... di affezione che sento per
lei.... E lei.... mi dica almeno una parolina sola di.... di
incoraggiamento perchè anch'io....--e il Casalbara era sincero--non so
più se sono un povero pazzo o.... o l'uomo più fortunato di questa
terra!... Mi dica se la sua.... bontà per me posso attribuirla a un
sentimento non di.... amore.... ma di _be.... bee_....--e il Casalbara
sospirò quel _beenevolenza_ con una vocina così sottile e tremula che
pareva il belato di una pecora.

--Perchè non viene l'Edita?...

Nora, questa volta, nel ripetere la domanda era distratta, pareva come
presa da un orgasmo, da una perplessità inquieta, nervosa. Aveva un
fremito forte nella voce alterata, e guardò il duca arrossendo,
abbassando il capo più timida, fatta vergognosa, ma pure con
un'espressione di tenerezza, di abbandono che traspariva anche da
quell'angoscia, da quel turbamento da cui pareva presa.

--Dunque?--insistè il Casalbara, che osservava tutto e credeva di
capire.--Dunque?...--E le strinse ancora la vita, ma con più garbo.

La fanciulla tornò a guardarlo, ad abbassare il capo; ma questa volta
non si mosse, non scappò via.

--Dunque?... Sarò discreto.... discretissimo per oggi. Le assicuro, le
do la mia parola d'onore.... non vorrò sapere.... di più.... Non le
domanderò nient'altro.

Nora aveva la testina bassa, chinata sul piccolo ventaglietto
giapponese che apriva e richiudeva con un tremito nervoso delle dita.

--Proprio?--domandò essa colla voce appena intelligibile, fra il
respiro forte, anelante, senza osar di muoversi, senza osar di
guardarlo.--Proprio?

--Lo giuro!--tornò a ripetere il Casalbara con forza, con sincerità e
internamente con un senso di sollievo. Dalle prime trafitture dei
reumatismi aveva temuto, aveva capito che quel giorno avrebbe avuti
tutti i suoi sessantacinque anni.... non uno di meno.

--Mi dica questo soltanto, signorina Eleonora.... Mi dica se si è
accorta che io.... se si è accorta del sentimento vivissimo,
inestinguibile che io provo.... che ho provato per lei fino dal primo
giorno, dalla prima sera che l'ho veduta.... che mi è apparsa
sfolgorante, come una regina, al _Manzoni_. Se n'è accorta?... Se n'è
accorta?--Le si tirava così vicino che Nora ne sentiva la gravezza
dell'alito, mista a un odor di menta.

--Se n'è accorta?... Mi dica per oggi soltanto questo.... e per oggi
basta. Lo giuro, parola d'onore: e io non manco mai alla mia parola. Se
n'è accorta?

Nora abbassò il capo di più; strinse, aprì il ventaglio più
nervosamente, ne lacerò la carta colle unghiette e bisbigliò
un--Sì--appena appena, come un soffio spirante.

--Grazie!--rispose l'altro con un sospiro: e non osò nemmeno toccarla.
Fece capire alla fanciulla che aveva data la sua parola e che la sua
parola era sacra. Ma in quel punto, a un tratto gli parve di vedere la
faccia del Kloss, di udirne la sghignazzata alta, rumorosa. Doveva
abbracciarla almeno? Baciarla?... Ma e poi?... Quella testina
capricciosa si era montata--non domandava più nemmeno dell'Edita.... E
poi?... Se lo assolveva dalla parola data?...--E il Casalbara non
vedeva nemmeno quella maraviglia di capelli, di bellezza, di
giovinezza.... vedeva soltanto il grugno da satiro del Kloss e ne udiva
la sghignazzata beffarda.

Pure, bisognava fare qualche cosa. La ragazza era sempre lì vicina....
coi capelli gli sfiorava le spalle, il mento. Si decise, si alzò, e si
allontanò di colpo, dissimulando l'impaccio che gli dava il dolor del
ginocchio.

--Lei, è una bambina cara, cara, cara.... lei non capisce ancora
niente, niente.... ma quando capirà.... allora saprà misurare l'immenso
sacrificio che io le faccio in questo giorno, saprà valutare quanto
costa la parola di un gentiluomo, e mi compenserà colla sua stima e...
con un po' di bene.... Me lo promette?

Ma la fanciulla, invece di ammirarlo, sorrideva coi grandi occhi
lucenti, tentatori. Era in mezzo al canapè, sdraiata, colla testa
appoggiata alle due mani congiunte dietro, contro la spalliera, e i
piedini irrequieti che uscivano incrociati sotto il vestito blù. Si
vedeva anche un po' di calzetta nera, dove la gamba era più sottile.

Bisognava fare qualche cosa... o farle fare qualche cosa!

Il Casalbara aprì, cercò un dolce in una bomboniera di cristallo.

In quell'attimo, non vista da lui, il volto di Nora diventò serissimo
guardando l'orologio grande del caminetto; ma quando il Casalbara le si
avvicinò col piccolo dolce fra le dita, essa sorrideva come prima.

--Questo sarà il premio.... per un'altra grazia che mi deve concedere
la mia regina.

Nora sporse le labbra appena, senza muoversi di più. Il Casalbara le
mise in bocca il confettino delicatamente. Nora lo sorbì con delizia,
sempre guardando il duca, sempre sorridendo cogli occhi vivi e umidi.

L'altro le indicò il pianoforte:

--Per me solo, tutto per me solo: l'_Ideale_ del Tosti!

--Come vuole--rispose Nora sempre sorridente, e gli porse le due mani
perchè la tirasse su.

Il Casalbara gliele prese fino al braccio.--Uno.... due.... tre!--e
appena Nora, fu su, in piedi, la strinse con un braccio attorno alla
vita, e la condusse, mentre l'altra si faceva un po' trascinare, verso
il pianoforte.

--Tutto per me.... solo per me.

E quando la fanciulla seduta al pianoforte, cantando e accompagnandosi,
cominciò colla voce calda di contralto: "_Caro ideal.... torna a
sorridermi ancora...._" il Casalbara in estasi, gongolante, cominciò a
cantare anche lui, colla vocetta tremula da pecora:

--"_Ca-a-a-ro ideal.... Caa-a-ro ideal...._"--mentre col palmo della
mano si faceva un po' di massaggio al ginocchio reumatizzato.

Era bella, Nora! Che splendore di ragazza! La voce era penetrata
persino nelle ossa al Casalbara. Standole di dietro, mentre essa era
seduta sullo sgabello, e si chinava accompagnandosi, egli le vedeva il
collo morbido, fin giù, dove comincia la curva delle spalle. E la gran
massa dei capelli biondi, e la nuca candida col nimbo dorato dei
riccioletti nascenti, e il seno rigoglioso e forte che si alzava, col
vibrare della nota appassionata; e quell'odore di giovane, e
quell'odore acuto di bionda, tutto lo accendeva.... anche il ricordo,
l'immagine, la gelosia astiosa, tormentosa, contro quel mascalzone,
quel montanaro dalle spalle quadre che la voleva sposare per forza. La
vocetta del Casalbara, nel cantare il "_Ca-a-ro idea-al_" tremava
sempre di più, stonava maledettamente. Ci fu un punto in cui lo prese
come una vertigine improvvisa e non sentì più nemmeno i reumi.

--Sarà quel che sarà,--pensò, risoluto ormai al gran colpo. Ma tremava
tutto nell'orgasmo di quell'eccitamento improvviso, che gli era montato
alla testa come un bicchier di Sciampagna.--Sarà quel che sarà, e
chiuse il pianoforte.

--Perchè?--domandò Nora meravigliata, alzandosi.--Cosa succede?

--Andiamo.... di là. Non vuol mangiare una tartina, con un ditino di
Xerez?

--Ma l'Edita?... Il Kloss?... Dunque non vengono?--esclamò Nora,
guardandolo, fissandolo.

--Sì.... non so.... sono anch'io.... stupito.... L'avranno magari anche
fatto apposta....

Nora diventò triste, abbassò il capo. Ormai si era compromessa....
l'avevano compromessa.

--Venga di là.... un ditino di Xerez.... e c'è anche un piccolo
ricordo.... per lei.

Nora, muta, triste aveva abbassato il capo, presa da una grande
confusione, da un grande avvilimento. Il Casalbara, sempre tenendola
abbracciata alla vita la condusse nella stanza più raccolta, più
discreta. Era tutta chiusa dalle tende, e fra le tende, i cortinaggi,
le trine, a poco a poco, in fondo, dov'era quasi buio, appariva
l'alcova.

--Qui.... cerchi qui....--le disse il Casalbara avvicinandosi al
piccolo tavolino, dinanzi a un gran sofà basso, tutto circondato da
cuscini ammonticchiati.--Sieda qui con me e cerchi in questo cassetto;
poi prenderà una gocciola di Xerez, poi scapperà via!

Nora si lasciò condurre quasi macchinalmente. Il duca la fece sedere
con lui, e mentre allungava la gamba, che gli tornava a dolere, aprì il
cassettino e la forzò a mettere la mano dentro, sopra un astuccio di
velluto.

Nora lo lasciava fare e non parlava.

--Cos'è?... Vediamo cos'è?...

Dall'astuccio il Casalbara levò un filo di perle con un piccolo
fermaglio di brillanti.

--Oh le perle!... Le perle!... Dobbiamo provare se le perle stanno bene
alla mia regina?... alla mia _bee_--e tornò a belare, colla vocetta da
pecora, "mia _bee-ella_ regina!"

Le passò il vezzo attorno al collo, accarezzandole il mento colla mano.

Nora abbassò il capo: ma il duca nel chiudere il fermaglio,
coll'orgasmo delle dita tremanti, le chiuse insieme, le strappò qualche
capello. Nora fece una piccola mossa.--"Ahi!..."

--Oh! cara, cara, cara.... Ho fatto male alla regina mia cara, cara,
cara!--e la baciò lì, fra i riccioli della nuca, vicino al fermaglio di
brillanti.

--Cara, cara, cara....--e tornò a baciarla.

Nora, sempre a capo chino non si muoveva. Perchè non si moveva? Il
Casalbara tenendola stretta, abbracciandola più forte, le alzò il capo
per guardarla. Essa piangeva, piangeva silenziosamente, lacrime grosse,
goccioloni, che le eran caduti sulle mani, sul vestito.

--Oh, bimba mia! Povera bimba mia!--esclamò il Casalbara esaltato,
commosso.--Cosa c'è da piangere?... Perchè?... Ma perchè?--E con un
trasporto sincero di tenerezza, e col trasporto smanioso della
passione, la baciò sui capelli, sugli occhi, sulla bocca, mentre
continuava a domandarle:--Perchè? ma perchè, santo Iddio?... Perchè?

Nora, vivamente, gli allontanò la faccia colla mano, graffiandolo, e
scoppiò in singhiozzi.

--Perchè? Perchè? Perchè non volete essere la mia regina?

Allora Nora si sfogò, balbettando, singhiozzando, ora nascondendosi il
viso per la vergogna, ora torcendosi le mani per il dolore, per la
disperazione.

Aveva capito tutto; la colazione coll'Edita, col Kloss, era stata un
pretesto: una cosa combinata. Lui agiva così perchè non la stimava: sì,
non la stimava; e aveva ragione di non stimarla: sì, con lui era stata
troppo leggera, senza testa, aveva dimenticato tutto. Ma egli si era
mostrato così buono, così nobile, così rispettoso.... Doveva capire che
lei era una testa esaltata, malata; doveva compatirla, ma non trattarla
così! E presa da un impeto di furore, si tolse convulsamente il vezzo
di perle, strappandosi ancora qualche capello, e lo ricacciò nel
cassetto.

--Doveva capirmi e compatirmi; non insultarmi così! No! No! No! Così
no! Così no!

Il Casalbara, sempre più sbalordito, quasi quasi piangeva anche lui....

Nora parlò della sua famiglia. Oh! nella sua famiglia essa era odiata
da tutti; parlò della vita agitata, angosciata ch'era costretta a
condurre; dell'abbandono e insieme della tirannia che doveva
sopportare. Era stata lì lì per ricordare anche quel matrimonio che le
si voleva imporre, ma ne ricacciò il pensiero, e soffocò il rimorso
improvviso suscitatole dalla faccia pallida, straziata di Pietro Laner.
Aggiunse soltanto ch'era sempre stata infelice, e che aveva sperato in
un'amicizia, in un affetto sincero, leale. Aveva sperato, sognato, di
essere creduta sincera.... di essere creduta una ragazza onesta; sì,
onesta! anche se gli voleva bene, perchè infine lei era libera, padrona
del suo cuore e di sè stessa, e non doveva render conto di niente a
nessuno, a nessuno!... Aveva sognato, sperato di essere creduta quello
che era: una ragazza pronta anche a rovinarsi per una passione, ma
disinteressata!

Il Casalbara gemeva, sospirava, implorava pietà.

--Le domando perdono in ginocchio! Le domando perdono in
ginocchio!--continuava a ripetere, a balbettare; e una volta fuori di
sè, aveva anche fatto per inginocchiarsi davvero, ma poi, aveva
ritirato subito la gamba.--Non sono stato capito: non sono stato capace
di spiegarmi. Dicendovi se volevate essere la mia regina, volevo dire
che io sarei stato pronto per voi a qualunque sacrificio;
"_bee-ato_"--e il Casalbara tornava a belare--"_bee-ato_" felice di
qualunque sacrificio! La mia regina non ha che a impormi la sua
volontà; tutto, tutto per lei.... e io non le domando altro che di
lasciarsi adorare.... adorare in ginocchio....

Ma in questo punto il Casalbara tese l'orecchio, perchè gli sembrò udir
chiamare dall'altra stanza, e Nora si spaventò subito, prima ancora che
avesse potuto avere il tempo di accorgersene, di sentire, di capir
niente.

--Dio! Lo zio Matteo!

--Che! Che!--esclamò il Casalbara sorridendo, sicuro; e chiuso l'uscio
anche di quella camera e abbassata la portiera entrò nel salotto. Vide
in fondo, dall'altra parte, il servitore pallido, sconvolto....

--Che c'è?

--Il padre.... il padre di quella signorina!...

--Imbecille! Perchè non lo hai cacciato fuori?

--Ho fatto di tutto!... Strepita!... urla!... Fa il diavolo a quattro!
La gente può sentire....--Il vecchio si curvò, tese l'orecchio.--Sente,
signor duca?

Dal di fuori, in fondo all'anticamera, si sentivano colpi che
rimbombavano sull'uscio chiuso, e una voce che gridava:

--Domando del signor duca di Casalbara! Voglio vedere il signor duca di
Casalbara!

Il Casalbara prese in fretta il cappellino e i guanti di Nora e si
avvicinò all'uscio della camera da letto, dicendo piano alla ragazza:

--Prenda il cappellino, i guanti. Vada a nascondersi nell'alcova.
Dietro c'è un piccolo gabinetto di toelette, vi si chiuda dentro. Poi,
voltandosi al servitore gli accennò di far entrare quell'altro.

Mentre il servitore andava ad aprire, il duca si aggiustò i riccioli
sulla fronte, i baffi, la cravatta, tranquillamente.

Il direttore entrò, piombò nel salotto, gli occhi fuori della testa, il
cappello in una mano, il bastone col pomo d'argento nell'altra, il
pancione ansante e tuonò:

--Sono Matteo Cantasirena!

Rispose calmo il Casalbara:

--Mi dica in che cosa posso servirla. Non ho mai avuto il bene di
conoscerla.

--Suo fratello Eriprando, il martire di Josephstadt, quello avrebbe
riconosciuto Matteo Cantasirena!

--Questa è una ragione di più per dirmi in che cosa posso servirla.

Matteo Cantasirena indicò il domestico, poi, appena quello fu uscito,
andò quasi addosso al Casalbara, squadrandolo dalla testa ai piedi con
un'occhiata terribile:

--Lei conosce mia figlia?... Eleonora?

--Cioè, io ho avuto l'onore di conoscere dalla contessa Edita
Schönfeld, una signorina di questo nome: Ma.... non era sua figlia, mi
pare; era soltanto sua nipote.

--Signor duca! Sappia che le mie nipoti diventano mie figlie quando
hanno bisogno di un padre!...

--Io ho conosciuto appena la signorina Eleonora, e.... non capisco. Che
cosa vuol dire?

Matteo Cantasirena si rizzò ancora più terribile: anche il lungo
barbone si agitava, fremeva.

--A Matteo Cantasirena non si risponde in questo modo.

--In casa mia rispondo come più mi pare e piace: se non le accomoda è
padrone di andarsene.

--Andarmene? Io?...

Il Casalbara sentiva che tutto quello sdegno, quella collera non erano
sinceri. Perchè veniva lì a fargli quella scenata?... Per quale
interesse? Per che scopo? _Quanto_ voleva? In ogni modo Nora era libera
di sè, padrona di sè: nè lui, nè lei, non avevano da render conto a
nessuno delle loro azioni.

Per tutto ciò, quando Cantasirena tuonò per la seconda volta:
Andarmene?... Io?...--il Casalbara gli rispose con maggior alterezza:

--Sissignore; e sul momento.

--....Prima vendicherò il mio sangue! L'ammazzerò!--E Matteo levò in
alto i pugni formidabili e pareva volesse scagliarsi sul Casalbara
fermo, sdegnoso, quando a un tratto, improvvisamente, con un grido,
Nora si precipitò nel salotto: e si buttò fra le braccia dello zio
Matteo supplicandolo, piangendo, accusando sè stessa, difendendo il
Casalbara.

--Signorina....--balbettò il duca maravigliato, sorpreso.

Ormai Cantasirena non smaniava più. La vista di Nora lo aveva come
annichilito, fulminato. Col fazzoletto bianco si asciugò le lacrime, il
sudor della fronte, la vergogna, l'onta.

--Disgraziata!--balbettò, e non potè dir altro.

Anche il Casalbara era rimasto colpito stranamente. Non sapeva più cosa
dire, cosa pensare; era rimasto confuso, colla testa bassa. Matteo
Cantasirena che minacciava lo faceva ridere; Cantasirena che piangeva
lo rendeva perplesso.

--Signorina....--balbettò,--io....

--Ma disgraziata!--esclamò ancora Cantasirena fra le lacrime,--se hai
dimenticato l'onore di questo povero vecchio.... come hai potuto
dimenticare Pietro Laner? Quell'uomo ti ammazzerà.

Sulla fronte di Nora apparve la piccola ruga sottile e bianca. Perchè
parlavano allora di Pietro Laner? Pure riuscì a vincersi e rispose con
calma:

--Non lo amo.... non l'ho mai amato.

--Signorina Nora....--tornò a balbettare il Casalbara avvicinandosi....
Ma non sapeva.... e non avrebbe potuto dir altro. Tutto era andato a
finire in un modo così strano, così diverso da ogni previsione! Cosa
poteva dire? Cosa poteva promettere?...

Matteo Cantasirena vinse la commozione e prendendo Nora per un braccio
e scotendola forte:

--Il cappellino, i guanti,--le disse brutalmente. Poi, mentre Nora
calma, tranquilla, andava a prendere la sua roba, tornò a rivolgersi al
duca, ma questa volta con una freddezza dignitosa.

--Io le accordo tre giorni di tempo, per interrogare il suo cuore e la
sua coscienza. Pietro Laner, che appartiene ad una delle famiglie più
ragguardevoli del Trentino, uno dei più indefessi cooperatori del
movimento irredentista, al presente ignora tutto quanto è successo: se
si tratterà di salvare l'onore di... colei, ignorerà tutto, sempre. In
caso diverso, se una macchia dovrà offuscare il nome di una
Cantasirena, della fidanzata di Pietro Laner, allo spirare del terzo
giorno,--e Matteo guardò l'orologio,--sono le undici--allo scoccare
delle undici precise del terzo giorno, io e Pietro Laner le manderemo i
nostri rappresentanti. Ai miei ho già provveduto prima di venir qui.
Uno sarà il mio compagno d'armi, il generale Clemente Della Torre,
l'altro il deputato Argenti.

Nora, intanto, si era messo il cappellino, i guanti, ed era pronta per
uscire.

--Venite!--mormorò fremente di collera lo zio Matteo.--Datemi il
braccio!--e aggiunse a mezza voce:--Svergognata!

Il Casalbara fece un altro passo, come per avvicinarsi: poi si fermò.

--Signorina Eleonora, io...--e non disse più niente. Che poteva
offrire? Che poteva promettere?

Ma Nora prima di dare il braccio allo zio Matteo ebbe un istante di
perplessità, di timidezza, poi risoluta, stese la mano al Casalbara e
gliela strinse forte.

La fanciulla voleva dire in quel momento, con quella stretta di mano,
che era fiera di avergli sacrificato tutto, il suo onore, il suo
avvenire, la sua pace, forse la sua vita.

--Signorina Nora,--balbettò il Casalbara,--anch'io....--ma non aggiunse
altro. Passò innanzi e sollevò la portiera.... Poi, quando Nora e lo
zio Matteo furono usciti, la lasciò ricadere, e restò lì, confuso,
sbigottito....



X.

Il Casalbara andò subito in cerca del suo amico Kloss, alla banca Kloss
e C.º, per confidarsi e per consigliarsi con lui.

Francesco Kloss ascoltò il duca attentamente, attorcigliandosi i baffi.
Poi, d'un tratto, saltò su dalla seggiola, sghignazzando.

--_Staterata! Robb de Statera!_

La _Stadera_ era un vecchio teatro di Milano, dove si rappresentavano i
drammi più impressionanti, a gran colpi di scena.

--_Robb de Statera!_ Tutti d'accordo; e _la racazza, pussè anca mò!_

Francesco Kloss, subito, alle prime parole, aveva aperti gli occhi, e
Nora, diventata troppo pericolosa, aveva perdute tutte le attrattive.
Anche i _capelli pionti marafigliosi_, erano rimasti offuscati dal
barbone minaccioso di Matteo Cantasirena. No, no, no!... Alla larga!
Non era una _racazza_, era un trabocchetto! Quella scena di seduzione,
di collera e di lacrime, col sopraggiungere improvviso del padre
nobile, gli ridestava più forti i primi sospetti e i primi timori.
Quando non si fosse trattato altro che di denari, il Casalbara avrebbe
pagato e basta; ma la furbona tirava il gran colpo; voleva farsi
sposare, e quella volpe vecchia del Cantasirena teneva dalla sua! No!
No! No! In tutti i pasticci che ne potevano nascere, anche lui correva
il rischio di aver noie, seccature, di aver contro i giornali, di esser
portato in piazza!

--A quella _racazza_ non pensiamoci più: _ghe n'è pussée te cent mila a
Milan, ti pei tosanett!_

Ma il Casalbara, povero vecchio, era preso. Quelle parole del Kloss lo
ferivano nel cuore e nella vanità.

--Bene! Bene!--esclamò interrompendolo, infastidito.--Adesso non è il
momento di parlare della signorina Eleonora! La signorina Eleonora non
c'entra affatto nel consiglio che io sono venuto a domandarvi! Io sono
stato provocato dal padre. La mia quistione l'ho col padre.

--Che _patre_!--borbottò il Kloss con un'alzata di spalle.

--Collo zio!

--Che zio!

--Ebbene con.... quello che è! Con Matteo Cantasirena.

--_Sto scîor_,--osservò il Kloss col suo ghignetto,--è un _pirpone
colossal!_--e si fregò le mani allegramente. Secondo il Kloss, coi
birboni, in generale, era un _pellissimo trattar_, perchè colla
prudenza e coi _tenari_ si poteva accomodare ogni cosa.

L'altro si mostrava sempre più perplesso e meditabondo.

--Intanto.... in questi tre giorni, che cosa devo fare?

--Mi _stassi cito: mi stassi queto._

--E se mi manda a sfidare anche il.... quel Laner? Appartiene ad una
ragguardevole famiglia del Trentino!

--_Raccuardevole strazzon!_--rispose il Kloss con un'alzata di spalle.

Per lui, il Casalbara non aveva nessun obbligo perchè, scientemente,
non aveva offeso nessuno; ma messo al punto di doversi battere o di
dover sposare la signorina Cantasirena, piuttosto _pattersi tieci
folte!_

--Naturalmente!--Di ciò era convinto anche il duca.--Ma se Cantasirena
fa nascere uno scandalo?

--Con Matteo Cantasirena, _cuistion te tanee: me ne incaricassi mi.
Colla racazza, cuistion te tanee: mi incaricassi la signora Schönfeld._

Il Kloss non voleva più trovarsi con Nora. Aveva paura di essere
travolto da un momento di vertigine, e finire poscia in quelle medesime
reti, che lo zio e la nipote avevano teso, d'accordo, per _cuel vecc...
straortinarî!_

Il Casalbara era preso. Se ne andò scrollando il capo. Avrebbe pensato,
avrebbe meditato; si sarebbero trovati insieme più tardi per parlarne
ancora; ma intanto provava un senso di sollievo ad essere solo, a non
udire più la sghignazzata plebea, oscena, che offendeva l'immagine
purissima della fanciulla bionda; la fanciulla che arrossiva tremante,
cogli occhi pieni di lacrime, quando lui la baciava appena sui capelli,
e che si ribellava fiera e sdegnosa, offesa nella sua delicatezza e nel
suo amore, quando le regalava un vezzo di perle.

E forse.... non la vedrebbe più!... Le scenate del Cantasirena, le
violenze di quel montanaro odioso, sarebbero tante e tante che quella
povera creatura così sola finirebbe col cedere, col sacrificarsi.

E sospirava pensando a Nora e immaginando che anche Nora avrebbe forse
sospirato e pianto pensando a lui.

Quel tedesco era un barbaro, un brutale!... Non conosceva le donne; non
era mai stato amato!... Nora, era troppo semplice, troppo ingenua, e si
era mostrata troppo disinteressata, per non essere sincera.

Non vederla più! Non averla più lì, sola sola, nel suo salotto; così
vivace e così bella quando era allegra; così cara, ingenua e
appassionata quando abbassava il capo vergognosa, quando i suoi occhi
diventavano mesti, timorosi, pieni di lacrime.

Non vederla più! Chissà in che stato l'avrebbe ridotta quel tanghero
villano!... Le avrebbe fatto fare anche la serva....

La serva, alla sua regina!

Non aveva in mente altro che Nora: non poteva vincersi; non poteva
stordirsi. Vedeva il bel corpo palpitante, quando vibravano le note
calde del contralto; era tormentato da quell'odore di giovane, da
quell'odore di bionda. Perchè era stato così goffo?... Così
discreto?... Non era lì, sola con lui?... E così sola con lui non ci
sarebbe tornata più! Si sarebbe trovata sola, tutta sola, con quel
trentino che le stava dietro, che la voleva, che non avrebbe avuto
tanti rispetti, nè tanti riguardi.... nè....--una voce astiosa, in
fondo al cuore, soggiungeva.... nè tanti reumi!

--Portarsela via?... Andar a passare l'inverno a Nizza, a Mentone?...
Anche più lontano: in Ispagna, a Madera, dove nessuno lo avrebbe
conosciuto!... Essere adorato, accarezzato, da quella creatura
splendida!... Quanto rumore avrebbe sollevato Eleonora nel bel mondo, e
lui quanta invidia!

In fondo, anche il Kloss doveva crepare d'invidia. E il Casalbara
sorrideva trionfante nella propria fatuità; ma poi tornava serio: e se
dopo averla compromessa.... avesse dovuto finire a sposarla?... Avrebbe
potuto abbandonare Milano.... andarsi a nascondere a Casalbara.... o
nel suo palazzo a Bergamo.... accontentare il ragionier Vigliani....
fare un po' di economia.... e invece di essere solo con un servo,
avrebbe avuto un angelo che gli avrebbe prodigate carezze e cure....

--E il nome?... Il nome dei Casalbara?

Così, fra le irritanti cupidige della passione senile, fra la gelosia
dolorosa, gli stimoli della vanità, i timori, i pregiudizi
aristocratici, e un sentimento nobile di dignità, e un impulso sincero
del cuore, il povero duca passava ore agitatissime. Quella sera, per
non doversi trovare col Kloss, che, certo, avrebbe sparlato di Nora,
andò a far visite; e poi a letto presto. Si sentiva stanco, pieno di
acciacchi.

Dormì pochissimo, sempre tormentato da Nora, dai soliti pensieri, dalle
solite incertezze; e la mattina si alzò mezzo malato. Aveva
palpitazioni terribili. Oh! non poteva scherzare col suo mal di cuore!
Il medico gli aveva prescritto la tranquillità, il buon umore.... Anche
per la salute doveva prendere una risoluzione e subito.

--Partire con lei o partir solo, ma mettersi in calma: colla salute non
si scherza!

Mentre stava preparandosi la solita polverina digestiva e rinfrescante,
gli giunse una lettera di Nora.



"Mi preme parlarle. Andrò dall'Edita, oggi, prima di mezzogiorno,
appena potrò fuggire da questa gente. ELEONORA."



Il Casalbara versò la polverina nell'ostia bagnata, distesa sul palmo
della mano. Ne fece un batufoletto, l'ingoiò, bevette un sorso d'acqua,
e pensò con un sospiro di tenerezza e di compiacimento:--Povera
ragazza!... È proprio innamorata!

Guardandosi nello specchio, mentre finiva la sua toeletta ed era ancora
fresco di colori, di pomate, ed olezzante di profumi, egli capiva
benissimo che il duca di Casalbara poteva, doveva scaldar la testa di
una ragazzina poetica, un po' romantica, dal gusto molto fine e
delicato, più assai di un rozzo contadinaccio!... E intanto che
ammorbidiva col _cold cream_ la pelle floscia, grinzosa delle sue mani,
intanto che tagliava, limava, brillantava le unghie piatte e
giallognole, egli vedeva riflettersi in tutti gli specchi il viso e la
figura di Nora; di Nora bionda e buona come un angelo, viva e ridente
come un folletto, di Nora, che si era appena destata con lui, appena
alzata con lui....

--Che regina!... E che bel sole!... Che primavera!...

--Mah!...--Il Casalbara sospirava. Il nome, la patria, imponevano
penosi sacrifici. Non fosse stato il duca di Casalbara, oh, come
avrebbe mandato al diavolo tutti i pregiudizi.... e tutti i Kloss!...
Se la sarebbe sposata allegramente e sarebbero andati tutti e due, soli
a godersela, a vivere in pace, lontano.... in un bel paese, al caldo!

Intanto "quella stella" gli aveva scritto! L'avrebbe riveduta,
sarebbero stati ancora insieme, forse soli!... Ma a questo punto anche
la prudenza astuta del vecchio faceva capolino:--E il primo
passo--pensava--lo ha fatto lei! La prima mossa è partita da lei! Con
questa lettera, nasca quel che sa nascere, io mi salvo e sono a posto!
Lei mi scrive, io sono un gentiluomo e devo rispondere. Lei mi chiama,
io sono un gentiluomo e devo correre.

--Povera figliuola!... Se lui non fosse stato il Casalbara e Nora non
avesse avuto quella specie di padre o di zio, nessuno avrebbe avuto da
ridire anche se l'avesse sposata. Era una ragazza come tante altre!
Anzi meglio di tante altre, perchè Nora era una ragazza onestissima....
e questo tutti lo ammettevano; persino il Kloss!... Oh! ma il signor
Kloss, quel rospo, quel teutono, non era in buona fede!

--Vorrei vederlo al mio posto....--pensava il duca tutto ringalluzzito
e gongolante.--Se soltanto Eleonora gli avesse permesso di toccarle la
punta di un ditino! E i tre giorni?... Il duello con Matteo
Cantasirena?

Il Casalbara continuò a sorridere.

--Se dovrò battermi col vecchio, lo risparmierò. Al caso, mi lascierò
anche ferire.... leggermente.

Si sentiva bene. Era cessato il mal di cuore: era una bella giornata;
erano scomparsi anche i reumi, e mentre Andrea, il vecchio servitore,
ammesso ai segreti de' suoi amori e de' suoi cosmetici, gli cingeva
attorno alla vita la fascia a maglia, con gli ossicini di balena, il
Casalbara, tutto rapito coi pensieri dietro alla bella fanciulla,
canticchiava "_il caro ideal_."

    "Io ti seguii com'iride di pace
    Lungo le vie del Cielo...."

--Stringi, Andrea!

Andrea tirò forte, tutta la cinghia: il pero epatico sparì di colpo, ma
anche "l'_Ideale_" restò interrotto. Il Casalbara, diventato violetto,
soffocava.... Era stata l'impressione del primo momento; poi ricominciò
a respirare e ripigliò il canto, sebbene colla voce più tremula e più
sottile:

    "Torna, caro ideal, torna un istante
    A sorridermi ancora...."

Quando il Casalbara andò dalla Schönfeld, anche questa era appena
alzata: fu ricevuto nella camera da letto, dove la cantante stava
pettinandosi. E lì, subito, cameriera e padrona, cominciarono a
gridare, a strapazzarlo.

--Cos'ha fatto a quella povera signorina!--strillò la cameriera.

--_Vous êtes un mauvais sujet!_--esclamò a sua volta la Schönfeld mezzo
in collera, mezzo ridendo.

Era seduta dinanzi allo specchio, e nel voltarsi sullo sgabello, per
dargli la mano, mostrò dall'accappatoio lasciato aperto, il seno
enorme, e le spalle grosse, rigonfie.

--_Vous êtes un mauvais sujet!_

--Se non ho potuto invitarvi a colazione, v'inviterò a pranzo.--E il
Casalbara l'adocchiava galantemente, ma soltanto per farle piacere.

--Che colazione!...

--_Jamais! Jamais! Vous êtes un mauvais sujet!_

--Perchè santo Iddio? Perchè?--E il Casalbara continuava a fare
l'ingenuo, il modesto.

--Lei può vantarsi d'averla stregata, quella povera ragazza.

--_Vous l'avez ensorcelée!_

--Niente affatto, parola d'onore!

Ma la cameriera continuava a minacciarlo col pettine, e la padrona
colle occhiatacce.

--_Vous êtes un malin!_--esclamò in fine la Schönfeld, alzandosi di
colpo.--Andate ad aspettarmi nel salotto. Vi devo parlare.

--Perchè mandarmi via?--E il Casalbara continuava ad adocchiare il
contessone tremolante sotto l'accappatoio.--Perchè non posso star qui?

--_C'est joli ça!_ Perchè mi devo vestire.

--Allora non mi muovo!--E il duca sedette sopra una poltroncina bassa,
vicino allo specchio, mentre padrona e cameriera gridavano più forte,
prendendolo una da una parte, l'altra dall'altra, per tirarlo su, per
spingerlo fuori.

Il buon vecchio resisteva; non voleva.

--Lasciatemi qui!... Terrò aperto un occhio solo!

--Vergognoso!... Se lo sapesse la povera signorina Nora!--strillava la
cameriera.

--Non deve saper niente! Non le diremo niente!

--_Caaro da Dio!_--strillava anche la padrona,--credete che io mi
accontenterei di dividere? _Pas du tout, mon cher! Allons! Allons!_

E siccome l'altro, spinto fin sull'uscio, voleva ancora fermarsi, la
Schönfeld, coll'accappatoio tutto aperto, svolazzante, prese il piumino
della cipria e passandolo sul naso e sulla faccia del Casalbara, lo
fece scappare nel salotto. Ma lo raggiunse quasi subito; appena ebbe
infilata una vestaglia rossa, mentre stava ancora allacciandola e
abbottonandola:

--Bel mobile! come dite voialtri in Italia. _Une demoiselle_ di
buonissima famiglia! _Presque un enfant!_ Voi l'avete innamorata! _Vous
l'avez grisée!_--E la Schönfeld, tenendosi in piedi, col Casalbara,
vicino alla finestra, gli cominciò a parlare molto seriamente, molto
gravemente.

Non pareva più il solito donnone rumoroso e incoraggiante; pareva una
brava signora piena di cuore e di saggezza; addolorata per lo stato in
cui si trovava la sua cara amica Eleonora, addolorata, impressionata e
spaventata per la grande responsabilità che pesava sul duca di
Casalbara, e per tutto ciò che poteva andare a succedere.... di molto
brutto!

--_Pardon_.... responsabilità....--cominciò quell'altro; ma la
Schönfeld non lo lasciò continuare. Parlava soltanto lei, con gran
foga, con molti gesti, corrugando la fronte minacciosa come una
profetessa di sciagure.

Il suo caro amico, _monsieur le duc_, si era terribilmente compromesso!
_Même pour le monde, dans le grand monde, qu'est-ce qu'on en dirait?_
Sarebbero tutti furenti contro di lui!

--Ma.... _pardon!_--ripigliò il Casalbara, quando alla fine potè
parlare.--Perchè devono essere furenti contro di me? Non si tratta
altro che di un sentimento di.... simpatia.... reciproca e
innocentissima!

--_Caaro da Dio_, quell'innocente!--esclamò la Schönfeld scrollando il
capo con gran forza.--_Ne plaisantons pas, je vous en prie, mon cher._
I fatti, non li potete negare: e io vi parlo francamente, da buona
amica. Voi, nel caso vostro, avete una sola scusa: l'amore,
_l'aveuglement de la passion. La pauvre petite a perdu la tête et vous
aussi! Vous vous êtes grisés ensemble!_ anche voi non misurando, non
pensando alle conseguenze e perciò tacitamente predisposto a
sopportarne poi tutto il peso!

--Io?--esclamò il Casalbara, scosso, inquietissimo.

--_Certainement, mon cher!_ E se voi non aveste per vostra scusa
l'amore e la passione, allora voi sareste un _vilain, un gros
scélérat_. Bel merito farle perdere la testa.... e rovinarla!--_Presque
un enfant!_ Bella bravura! Alla vostra età! Colle vostre arti
sopraffine, colla vostra pratica di gran _viveur!_ Sfido io che ci
doveva cascare la _pauvre petite!_ Il duca di Casalbara! Una bella
persona; l'eleganza più raffinata; _toujours sur quatre épingles!_ E
poi un eroe; e anche questo serve a montar la testa a _une blonde
enfant pleine de poésie!_ Bella bravura! Bel vanto, ingannarla, sedurla
e poi piantarla, come dite voi altri _en Italie._

--Parola d'onore,--protestò il Casalbara vivamente.--Io non l'ho
sedotta, non l'ho ingannata.... e perciò non posso averla.... piantata.

--Piantata ancora.... no! E voglio sperare, non succederà mai; e più
per il vostro onore, che per l'onore della mia amica Eleonora. Ma per
il resto.... _caaro da Dio_, cosa volete di più? _Lorsque vous avez
contremandé votre invitation,_ io lo confesso, avevo creduto.... tutto
il contrario. È un uomo di testa, è un vero gentiluomo, pensavo fra me
e me; ha capito che l'amoretto va troppo per le lunghe e ha pensato di
troncarlo di colpo. Invece, grazie tante! _C'était toute une machine
pour attraper la pauvre petite. Caaro da Dio! Ne plaisantons pas!_ Per
qualunque altra persona tutto ciò potrebbe costituire anche una
bricconata in danno di madamigella Nora, ma per il duca di Casalbara
non può essere altro che _une bêtise...._ e chi rompe paga! _On n'est
plus Bajard lorsqu'on a des taches!_

--_Bêtise.... Bêtise!_ grazie del complimento!--borbottò il Casalbara
stizzito.--Io non ho mai commesso _bêtises_ e ho sempre pensato molto
prima di... agire!

La Schönfeld sospirò; levò gli occhi al cielo.--_Mon Dieu! Mon
Dieu!_--Poi gli prese una mano, l'affondò premendola sul petto
abbondantissimo ma cedevole, e cominciò a guardarlo, a fissarlo, finchè
gli occhi si inumidirono, si gonfiarono di lacrime.

La contessa era commossa.

Avrebbe dovuto capir subito che la sua amica Eleonora prendeva quella
corte troppo sul serio; avrebbe dovuto aprirle gli occhi e chiudere la
porta a _monsieur le duc,_ senza tanti complimenti. Ormai era troppo
tardi e la Schönfeld tornò a sospirare:--_Pauvre petite!_ era in uno
stato da far pietà!... E più la tormentavano, e più si esaltava e più
si ostinava in quella passione!

--Lei.... l'ha veduta?--domandò il Casalbara colla voce fievole.

--Ieri sera, tardi: piangeva, si disperava, voleva fuggire, correre a
casa vostra! Voleva che io venissi a cercarvi, a chiamarvi! Era in uno
stato da far pietà; ed era ancora più bella, ancora più _ravissante_.
Io ho potuto vederla di nascosto, perchè l'hanno a morte contro di me.
L'ho veduta in camera sua.... Nel suo lettino, _la pauvre petite! Oh,
je vous assure, mon ami, qu'elle était ravissante! Seulement de la
voir, avec cette toison de cheveux blonds tous decoiffés, et toute rose
par les sanglots et par la fièvre de son amour, je vous assure que tout
le monde aurait compris votre bêtise et la fureur de Peter Laner. Parce
qu'il l'aime, le malheureux garçon! Il l'aime avec toute l'ardeur d'un
jeune italien_.

--Il Laner?

--Oh, il signor Laner le perdonerebbe certamente, se la _pauvre petite_
avesse due dita di testa e il coraggio di abbandonarvi.

--Era lì?... Era in casa quel.... Laner?--domandò il Casalbara subito
insospettito e irritato.

--_Certainement; mais pas avec la petite._ Era col cavalier
Cantasirena. Eleonora non avea voluto vederlo, quantunque, anche per
ciò, il cavaliere le avesse fatto una scenata terribile.

--Ma infine, chi è questo cavalier Cantasirena?--strillò il Casalbara
colla vocetta aspra.--È suo padre? È suo zio? È il suo tutore? Cos'è?

--_Son oncle, je crois, par son père:_--e soggiunse pianino,
parlandogli all'orecchio:--_et je crois son père.... par sa mère!_ Che
sia poi il suo tutore, questo è sicurissimo.

--Che confusioni.... che pasticci!

--Oh, del resto è una famiglia distintissima. I Cantasirena sono
nobili.

--Nobili? Nobili triestini?--domandò il Casalbara, che pur sorridendo
ironicamente, prestava molta attenzione a queste notizie.

--Il cavalier Matteo è nato, credo, a Trieste, oppure a Venezia; ma
anticamente la sua famiglia doveva essere della Dalmazia o della
Rumenia.

--Già.... già....--osservò il Casalbara, interessandosi seriamente alla
nobiltà della signorina Eleonora.--Ci sono infatti i Cantacuzeno.... i
Cantasemir....

--_Et alors, très bien!..._ Anche i Cantasirena! Il cavalier Matteo ha
sempre avuta una grande importanza nel mondo politico. I suoi amici
sono tutti ministri, deputati, generali. Anche lui è stato colonnello
sotto il vostro Garibaldi. Capirete, anche per la sua condizione, sente
l'onore della famiglia in un modo straordinario. In questi giorni è
esaltato! Pare diventato matto! Strepita vuole ammazzarvi, e che se non
vi ammazzerà vi farà un processo.

--Oh, poi.... staremo a vedere!--esclamò il Casalbara, stizzito e
offeso per quella parola plebea.--Non c'è niente da far processo.

--_La pauvre petite est très jeune, vous savez;_ è minorenne.

--Che importa, se è minorenne? So quello che mi dico,--e anche il
Casalbara alzava la voce.--Non c'è niente da far processi!

--_Ne plaisantons pas, mon cher!_ Dovete sapere che Eleonora stessa
_effrayée_,--sono riuscita a stento a levarla mezzo morta _toute pleine
des meurtrissures_ dalle mani di _monsieur_ Cantasirena--Eleonora
stessa ha confessato tutto "tutto quanto!"

--Confessato?... Che cosa?

--Fino all'ultimo! Ed è inutile che vi mettiate a fare con me il
gentiluomo misterioso!... La mia cara amica Eleonora, mi ha confessato
tutto quanto! Voi...--La signora Schönfeld s'interruppe, si raddrizzò
tragica, solenne; poi ripigliò colla voce più bassa, ma col gesto,
coll'accento severo, inesorabile del giudice:--Voi avete abusato
dell'innocenza, della inesperienza, del cuore, della passione....--Poi,
d'un tratto, cambiando tono:--_Caaro da Dio_!--esclamò con tutto lo
scoppio della sua natura rumorosa:--_Vous êtes un monstre d'iniquité!_

--Ha confessato?... Lei?...--Il Casalbara era rimasto stupefatto.

--Sì.

--A chi?

--A suo padre, cioè a suo zio! E poi anche a me.

--Anche a voi?

--Sì! _Vous êtes un monstre d'iniquité!_--Ma per quanto sdegnata, per
quanto in collera, per quanto furente, dagli occhi, da tutta la faccia
della Schönfeld, sprizzava la malizia, la furberia, l'ammirazione. E il
Casalbara che negava, assicurava, protestava che non era vero, pure non
sapeva dire di no con abbastanza forza, con abbastanza energia:
intimamente si sentiva lusingato da quel _monstre d'iniquité!_

--Mi ha detto anche,--soggiunse la contessa ammiccando l'occhio, e come
a conferma del "tutto quanto"--di avervi scritto.... che vi sareste
trovati qui, da me.

--Sì.... è vero,--confermò il Casalbara.

La Schönfeld tornò a gemere, a sospirare. "_La pauvre petite_, mi ha
tanto pregato, tanto supplicato! Non ho avuto cuore di resistere: le
lacrime mi fanno male.... E poi.... già è inutile.... Eleonora può far
di me tutto ciò che vuole! _Je l'aime! Je suis éprise d'elle.... Quelle
beauté mon Dieu! Il faudrait l'avoir vue hier au soir dans son petit
lit, toute blanche, toute rose, toute blonde...._"

In quel punto la portina si aprì pian piano.... i due si voltarono.
Eleonora entrò nel salotto.... Ma appena veduto il Casalbara, per la
commozione, per la confusione stessa della gioia e della verecondia, si
buttò con tutto l'impeto fra le braccia della Schönfeld, nascondendo la
faccia, timida, pudibonda, contro la faccia dell'amica. Non voleva che
_lui_ vedesse come l'aveva fatta diventar rossa!...

Anche il Casalbara si trovò impacciato; e lì per lì, riuscì appena a
balbettare qualche parola, salutandola.

--_Mon cher amour! Mon petit bijou; tu te portes bien, n'est-ce
pas?_--E la Schönfeld, dopo averla baciata, ribaciata con gran
trasporto, la condusse ancor più vicino alla finestra, per vederla
bene.--_Oh, les beaux yeux qui ont pleuré tant de larmes!_--e tornò a
baciarla anche sugli occhi--_Mon ange adoré!..._

Era proprio stata l'apparizione di un angelo!... Com'era entrata? Aveva
suonato il campanello?... Sì?... Non avevano sentito niente!... Ma
erano tanto infervorati nei loro discorsi!... Poi, il contessone fu
magnifico nella sua franchezza, nella sua lealtà. "Perchè _ménager_
delle scuse, dei pretesti? Lo aveva promesso a Eleonora: voleva
lasciarli soli. Era cosa troppo naturale! Capiva anche lei, dopo tutto
quello che era successo avevano bisogno di parlarsi, di consigliarsi,
di intendersi. Ma con altrettanta franchezza dichiarò a _monsieur le
duc_ che da quel giorno, e finchè la sua posizione _vis_ _á vis_ della
signorina Eleonora, non fosse diventata chiara e regolare, la porta
della contessa Schönfeld sarebbe stata sempre chiusa per lui." Ciò
detto se ne andò, col passo maestoso e collo strascico della vestaglia
rossa che spazzava la polvere. Se ne andò.... ma solo nella stanza
attigua, dove la sentivano camminare, vestirsi, frugacchiare, parlare
ad alta voce colla cameriera.

Nora si tirò in fondo, proprio in un canto, dentro il vano della
finestra, e chiamò lì con un invito degli occhi e con un cenno del capo
anche il Casalbara: lo fissò colle pupille lucenti, e gli parlò, vicino
vicino, a voce sommessa, perchè la Schönfeld, caso mai ascoltasse
dietro l'uscio, non potesse sentir niente.

.... Finalmente!... Era lui!... lo rivedeva.... Era lì.... Gli poteva
parlare! Oh, quanto aveva sofferto!... Com'era stata cattiva quella
gente! Adesso voleva una sola promessa, un giuramento da lui.... Doveva
partire quel giorno stesso!... Andar via, molto lontano, senza dir
dove.... lo avrebbe detto soltanto a lei! Lo zio era fuori di sè!...
Voleva ammazzarlo!

Il Casalbara, guardandola, sorrise intenerito, ma sicuro di sè; e Nora,
in un impeto, coll'abbandono naturale in chi ama e ritrova l'amor suo,
dopo aver tanto temuto per lui, dopo aver tanto sofferto, gli gettò le
braccia attorno al collo, e così, tenendo la testina reclinata sul
petto del Casalbara, in un atteggiamento dolcissimo di riposo e di
pace, parlando e sorridendo mentre dagli occhi socchiusi scorrevano
tacite, scorrevano calde le lacrime; parlando, bisbigliando appena
colla voce bassa, sommessa, leggera come un lamento e come una carezza,
continuava a pregarlo, a supplicarlo di partire, subito subito, senza
dir dove, a nessuno, proprio a nessuno.... soltanto a lei.... a lei
sola, a lei sì.... a lei tutto!

Oh, finalmente respirava! Tornava a vivere!... Non gli dava più del
_lei_ nè del _voi_, gli dava del _tu_. Lo chiamava Giovanni, arrossendo
ancora nel vincere la propria timidezza. Ma voleva chiamarlo Giovanni,
semplicemente, perchè aveva diritto, come aveva diritto a quell'ora
d'incanto, di beatitudine. Oh! l'aveva guadagnata!... L'aveva
meritata!... E si stringeva più appassionatamente al collo di lui; si
abbandonava tutta sul suo petto, amorosa, desiderosa, e col piedino
inquieto, fremente, premeva il piede del Casalbara, che avendolo
rattrappito nella scarpetta attillatissima che gli faceva male, cercava
di sfuggire, di sottrarsi adagio, delicatamente a quella pressione.

--Rispondimi.... rispondimi.... Dimmi di sì!... Prometti, giura....
Andrai via?

--Stella.... Stella cara! Come potrei prometterti una.... viltà?

--E allora?...--esclamò la fanciulla alzando il capo, fissandolo
spaurita, ma sempre tenendosi colle braccia strette al suo collo.

--Vedremo, cara.... penseremo insieme!... Ma tu non tremare così....
non aver paura per me.... Rassicurati.... credimi.... non hai nulla a
temere.

Anche il Casalbara parlava assai sommessamente, colla voce rotta,
velata. Quella fanciulla così buona, che non vedeva altri che lui, che
non pensava che a lui, alla sua vita, alla sua sicurezza, lo commoveva
profondamente.

--Va via! Va via! Sono troppo inquieta! Sono troppo spaventata per
te!--e gli disse ancora:--Va via,--con un'espressione, una
supplicazione così tenera e dolce come lo sfiorare di un bacio. Poi
tornò ad appoggiare la testina, a riposarsi affranta dal dolore e
dall'amore sul petto del Casalbara.

Il duca la guardò, si chinò, la guardò più vicino.... e la baciò sulla
guancia accesa, bagnata di lacrime. La baciò lentamente,
leggerissimamente, trattenendo il respiro, come se baciasse una cosa
santa. E non c'era la passione, non c'era la sensualità in quel bacio,
ma tutta la gratitudine più viva che gli traboccava dall'anima: un
senso di rispetto, di adorazione umile, religiosa.

--Ti hanno spaventata, povera bambina mia?

La fanciulla rispose con un fremito, ma non si mosse. Rimase lì,
quieta, con gli occhi socchiusi come a godere l'estasi di
quell'istante.

--Ti hanno fatta soffrire.... bambina mia cara?

--Sono cattivi.... tanto tanto cattivi....

--Chi lo è stato di più?... quel.... Laner?

--No!--esclamò la fanciulla con un'altra voce, rizzandosi a un tratto e
allontanandosi.--Lo zio Matteo!

Il Casalbara si avvicinò lui, di nuovo. Nora, che era subito riuscita a
vincere quel sentimento strano, improvviso, istintivo di dispetto, di
rivolta, tornava a guardarlo buona, timida, amorosa.... Il Casalbara,
con un braccio cingendole la vita, la portò di nuovo nel cantuccio
della finestra, dietro le tende, accarezzandole delicatamente la
testina bionda, appoggiandola, premendola delicatamente sul proprio
petto.

--Cosa ti ha fatto lo zio Matteo?... Ti ha sgridata?

--Mi ha battuta.

--Batterti?... Ha osato batterti?--esclamò il Casalbara, tremante di
collera.--Ah! ma per Dio!... questo no! no! Non succederà mai più!...
Guai! Ci sono io!... Guai!

--Era come pazzo, voleva strozzarmi. A fatica mi hanno strappata dalle
sue mani; mi hanno portata via. Guarda!--E diventando rossa, di fuoco,
per la nuova prova d'amore, di tutto il suo amore che gli voleva
dare,--il sacrificio più grande e più caro della amante all'amato, il
sacrificio, l'oblio del proprio pudore,--sciolse di colpo il nodo della
cravatta lilla, slacciò nervosamente, precipitosamente i bottoni del
vestito, della camicetta, e sul collo, fin giù sulla spalla, gli mostrò
un livido e una piccola graffiatura.

--Povera.... povera bambina mia....--balbettò il Casalbara, e mentre
appassionatamente la baciava lì su quel livido, su quella graffiatura,
piangeva, piangeva commosso, intenerito.

--_Où diable as tu fourré l'eau de Cologne, ma bête?_--strillò a un
tratto, nell'altra stanza la contessa Schönfeld.

Nora trasalì, respinse il Casalbara, si abbottonò in fretta la
camicetta, il vestito, e rifece il nodo alla cravatta.

--È stata anche colpa mia....--mormorò abbassando il capo ancor più
timida, più titubante.--Perchè mi lasciassero in pace.... perchè non mi
tormentassero più coi loro progetti, colle loro idee di matrimonio....
per farla finita una buona volta e per essere assolutamente libera,
padrona di me, ho.... ho confessato.... ho esagerato....

Non potè finire: si nascose il viso colle mani: aveva troppa vergogna!

L'altro sorrise a quella bimba, scrollando il capo: adesso capiva il
"_tutto quanto_" della signora Schönfeld! Ed era un'altra prova del
come era amato, del come Eleonora aveva perduta la testa, si era
esaltata per lui! E anche il Casalbara, si esaltava a sua volta, era
fuori di sè.

--Non piangere più! Non piangere più! Nessuno avrà più il diritto di
tiranneggiarti, d'imporsi. Devono rispettarti tutti.... come una
regina: la mia regina!--E balbettando, esitando, tremando, le
domandò:--Al.... al caso.... sa.... saresti di.... disposta.... anche
a.... a.... ad abbandonare Milano? A venire con me? A Casalbara.... poi
qualche mese d'inverno a.... Bergamo?

--Con te?... Subito. Dove vuoi, quando vuoi. Subito!

--No! No! Subito no!--esclamò l'altro spaventato per quello che aveva
detto, per essere andato tanto innanzi senza accorgersene.--Bisognerà....
aspettare qualche mese e intanto.... non una parola a nessuno.... soltanto,
se sarà assolutamente necessario, a tuo zio, ma colla sua parola d'onore di
non dir verbo, di non fiatare con anima viva. Si saprà poi.... a suo tempo
quando tutto sarà.... sarà già stato combinato e celebrato.... fra di
noi.... a Casalbara....

Nora finse allora di comprendere che si trattava del matrimonio.

--Tua moglie?--rispose vivamente, ma risolutamente, diventando grave,
serissima.--Questo mai!

--Perchè?... Non vuoi?...--domandò il duca maravigliato.

--No, non voglio: tua moglie mai!

E Nora, fissa, risoluta, più che mai ostinata, non rispondeva altro che
"no, perchè di no, tua moglie no, assolutamente no" a tutte le domande,
a tutte le interrogazioni del Casalbara. Ma si capiva bene che non
voleva essere sua moglie perchè non voleva che lui gli facesse quel
sacrificio, che abbassasse il suo nome fino a lei, perchè non lo voleva
legare, sacrificare, perchè non gli voleva pesare nella vita. Voleva
essere amata, soltanto amata, senza mai un rimpianto, senza mai un
pentimento, senza mai costargli il più piccolo dolore, il più piccolo
rammarico.

E il Casalbara, sempre tutto sossopra, con la testa, col cuore, col
sangue in fiamme, il Casalbara che non capiva più niente, nè quello che
diceva, nè quello che faceva, nè quello che voleva, nè quello che
prometteva, implorava lui stesso perchè Eleonora non fosse così fiera,
così ingiusta, così ostinata, così crudele, perchè cedesse alle sue
brame, perchè lo rendesse felice, orgoglioso, accettando di essere sua
moglie.... lei che si era mostrata degna di diventare una regina, di
essere innalzata sopra un trono sfolgorante, lei che era una stella, la
sua stella del paradiso....

Tremava, ansimava, sudava, tossiva. Tutti e due, sempre nel cantuccio
della finestra, dietro le tende, tutti e due abbracciati, continuavano
sempre a parlare, tutti e due piano, sommessamente. Lei continuò a dire
di no, "no, soltanto no, tua moglie no." E il Casalbara a scongiurare,
a protestare che era lui immeritevole di un tanto tesoro, di un tanto
sacrificio; del sacrificio immenso che essa gli faceva della sua
giovinezza, del dono splendido della sua bellezza divina.... a lui
povero vecchio.... Era la prima volta che la commozione e la
gratitudine gli strappava quella confessione "a lui, povero vecchio"
che sarebbe stato degno appena appena di adorarla in ginocchio. Era
lei, la fanciulla grande, generosa, sublime che recava, su quei suoi
ultimi anni, tanta ricchezza, tanta benedizione di amore, un così vivo
raggio di felicità e di vita.

E mentre la fanciulla, abbracciata, baciata, supplicata, s'irrigidiva
nel suo "no, no" e scrollava il capo tristamente, melanconicamente,
come se da quella domanda, da quell'offerta di matrimonio fosse stata
strappata al suo sogno, a' suoi incanti, mentre il Casalbara continuava
a pregarla, a scongiurarla, ad implorarla, la contessa Schönfeld,
nell'altra stanza, faceva tremare i vetri coi passi pesanti e
strapazzava la cameriera:

--_Le diable m'emporte, caara da Dio_, ma tu faresti perdere la
pazienza anche a un santo! Dove hai ficcato lo spazzolino dei denti e
l'acqua del dottor Pierre?...



XI.


Matteo Cantasirena aspettava il ritorno di Nora, seduto nel seggiolone
del suo studio. In quel momento non fantasticava progetti, non ruminava
articoli: l'occhio fisso, l'orecchio attentissimo, aspettava ansioso di
udire i passettini rapidi, risonanti sulla scala. Ma d'un tratto, si
accorse dallo sbattere degli usci, dal gridare, che Nora era già
tornata a casa, senza che l'avesse sentita venire.

--Nora! Eleonora!--e si precipitò nella camera della ragazza.--E
così?... Dunque?...

--Adesso.... un momento!...--Chinata sulla catinella, Nora si lavava
diguazzando, spandendo l'acqua tutt'intorno. Si lavava la faccia, le
mani.... Forse i baci, le lacrime del Casalbara?

--Ah!... Che delizia!--e respirava forte, ridendo di piacere, mentre si
asciugava il collo e il viso morbido e fresco.

--Dunque?... E così?--ripetè Matteo. E diventava sempre più ansioso.

Nora, mentre infilava il corsè, guardò lo zio con un'occhiata
espressiva, accennando di sì. Poi si voltò verso lo specchio per
ravviarsi i capelli.

Matteo, rassicurato, riprese colla calma l'aria sua dignitosa. Guardò
nel corridoio se Evelina stesse a spiare, chiuse l'uscio, si sdraiò
nella poltrona più comoda, e colla mano indicò a Nora di sedersi sopra
un'altra piccola poltroncina accanto alla finestra.

--Sentiamo.

Nora gli disse in due parole della domanda formale di matrimonio e come
lei avesse finito per accettare.

--Ci sono per altro, due condizioni.

--Quali?

--Fin dopo il matrimonio, che si farà a Casalbara, il segreto
dev'essere assoluto, generale.

--Poi?

--Poi, quasi tutto l'anno rinchiusa a Casalbara, e i tre mesi d'inverno
passarli a Bergamo!

--In quanto al segreto,--ripigliò Cantasirena, dopo qualche istante di
meditazione,--noi potremo anche, mettiamo, non parlarne. Ma gli altri?
I giornali? Si tratta del più fausto avvenimento domestico di due
famiglie insigni nel patriottismo italiano! Io stesso, come potrei
tacere, per esempio, col ministro dell'interno, col presidente della
Camera.... e con Ernesto Rossi che ti ha tenuta a cresima? In quanto
poi al vivere a Casalbara e a Bergamo, ciò dipenderà.... da te!

Che cosa aveva Nora? A che pensava? Certo, non a quanto lo zio Matteo
le andava dicendo. Seduta presso la finestra, si sventolava adagio
adagio. Le gambe incrociate, strette nel vestito, diritte, distese,
certe volte avevano tremiti: le punte dei piedini si movevano
irrequiete. A che pensava?... Guardava, fissava l'ultima striscia
luminosa del cielo, che appariva appena sulle case alte.... A che
pensava? Era assorta, intenta, era diventata pallida: pallida e triste.
Erano i nervi, eccitati dalle commozioni di quei giorni? Era la
stanchezza, la fatica fisica, morale che aveva dovuto sostenere e che
si faceva sentire allora, in quel primo momento di riposo? Oppure,
adesso che era tutto finito, che aveva raggiunta la sua mira, che il
sogno si era avverato, adesso che l'ambizione era soddisfatta, sentiva
forse, per la prima volta, che non era soddisfatto il suo cuore? Era il
rimpianto occulto, profondo, per la grande rinunzia dell'amore?... Era
il rimorso?...

Matteo continuava ad osservarla.

--Sei un po' nervosa?... Sei nervosa; si capisce. Mah!... Sono i
momenti più solenni della vita.

Si alzò e la baciò sui capelli.

--Figliuola mia; bisogna battere il ferro finch'è caldo! Domani andremo
insieme a casa del tuo Giovanni, a fargli una bella improvvisata.
Voglio essere il primo a dimenticare.... Giovedì poi, lo inviteremo a
pranzo. E che pranzettino! Colla mia brava Gioconda faremo miracoli!
Intanto, subito, gli potresti scrivere due righe, per avvertirlo che io
già so tutto e che vi ho perdonato. Giovanni è un gentiluomo, e
manterrà la sua parola. Ma è amico del Kloss, e noi dobbiamo diffidare
del Kloss!... Oh! quei boemi! Nemici sempre dell'Italia.

La ragazza continuava a tacere e a guardar per aria: ma batteva i
piedini e si sventolava più forte. Soltanto quando lo zio Matteo si
avviò per andare a chiamare la "cara Evelina" e la "brava Gioconda" per
metterle a parte di quella gran notizia, Nora si alzò e gli andò
incontro, fermandolo sull'uscio, fissandolo.

--E Pietro Laner?

Cantasirena divenne rosso dalla collera.

--Non parliamo di quell'ingrato! Non avvelenare la mia prima ora di
felicità!

E siccome Nora non si mostrava scossa da quel furore, corse di là a
prendere una lettera.

--Leggi!...

Quella lettera non era scritta dal Laner, ma dal suo avvocato. Era
l'intimazione per il pagamento delle ventimila lire ed il resto, entro
otto giorni.

--Ben venga la guerra!--gridava Matteo Cantasirena.--Non ho mai
indietreggiato di fronte al nemico. Faremo causa!

--No, il signor Laner deve essere pagato.

Lo zio Matteo si lasciò cadere sulla poltrona gemendo.

--Come si fa? Milano è diventato irriconoscibile! Tutti spiantati,
diffidenti!

--Parlerò io.

--Col Laner?

--No, con.... quell'altro.

--Con Giovanni?

--Sì. Gli confesserò io stessa questo debito e dovrà pagarlo!--esclamò
Nora collo sprezzo sdegnoso, astioso di tutte le donne, nobili e
plebee, per il danaro di colui che le compera, sia marito, sia amante.

--Per amor di Dio! Non seccare Giovanni con queste miserie! Tutto a suo
tempo! E poi, ricordati: tu non gli devi mai parlare del Laner; mai!
L'amore dei vecchi, cioè.... dei mariti, è sospettosissimo,
gelosissimo!

--Tanto più se è geloso. Pagherà tanto più in fretta, trattandosi
appunto del signor Laner.

--Ma la mia, e anche la tua dignità?...

--Ha dato le ventimila lire per il giornale quando.... quando c'erano
in casa.... altri progetti.

Matteo Cantasirena guardò Nora maravigliato:

--Brava!... Bravissima. E poi è la verità! E ricordati: non si può
inventar niente che sia più vero della verità! Il Casalbara dovrà
apprezzare moltissimo questo tuo sentimento di delicatezza.
Benissimo!... Ma non è una confidenza che tu possa fare al tuo Giovanni
nè oggi, nè domani.... Bisogna ottenere da quel.... Laner la dilazione
di un mese. Fra un mesetto, anche il mio amico Fara-Bon, anche _La
Navigazione Cisalpina_, avranno fatto, mercè questo nostro matrimonio,
un passo gigantesco!... Allora anche per le ventimila lire, ci penso
io!... Stasera parlerò col Prefetto. È indecoroso, che ancora non si
sia pensato a un ricordo marmoreo per il Paleocapa milanese!

Ma a questo punto, s'interruppe, battendosi la fronte:

--Ecco un'idea!... Il duca Giovanni di Casalbara, senatore del Regno,
firmerà per il primo.... E a Pietro Laner, ci penso io!... Abbaia....
ma non morde. Se potessi averlo sottomano....

Cantasirena tornò a rannuvolarsi; tornò meditabondo: raccomandò a
Eleonora di scrivere subito "al suo Giovanni" e passò nello studio
lentamente, a capo chino, strascicando, al solito, i cordoni della
vestaglia.

Era un affar serio col Laner! Quel trentino era diventato un tirolese
senza creanza!...

E pensava come pigliarlo.--Scrivergli?... Che cosa?... Dove?...

Ma era una buona giornata, ed ebbe un nuovo lampo di genio:--Evelina!

E corse sull'uscio a chiamarla.

--In quali rapporti sei con Pietro Laner?

Evelina fissò lo zio attentamente.

--Non so.... Come prima.

--Non ti ha più scritto? Non ha più cercato di vederti?

--No.

--Bell'asino!--Ma subito Cantasirena tornò a calmarsi, e prese la mano
di Evelina, stringendola con effusione.--Tu devi aiutarmi; devi farmi
trovare col Laner! Gli scrivi di venire. Gli devi parlare, per cosa che
ti preme, anzi che gli deve premere assai. Venga alle dieci: fino a
mezzogiorno sei sola.

Evelina continuava a fissare lo zio Matteo attentamente, ma non
arrivava a capir bene.

Quell'altro sorrideva, ma non voleva spiegarsi di più, e cambiò
discorso.

--Saprai che il Casalbara si è deciso. Mi ha scritto, domandando la
mano di Eleonora, e giovedì l'avremo qui a pranzo.

--Il Casalbara? la sposa davvero?... È sicuro?...--ed Evelina si rizzò
più gobba, fissò lo zio Matteo cogli occhi più loschi, mentre una vampa
rossiccia, biliosa, le accendeva la faccia gialla.

La ragazza era invidiosa; bisognava calmarla.

--Povera Nora!...--sospirò lo zio Matteo.--La sposa.... ma.... a qual
prezzo!... Un marito vecchio, gelosissimo. Io poi, non mi stupirei, se
Nora, adesso che l'ha spuntata col Casalbara, cominciasse a sentire un
po' di bruciore per l'irredento menestrello.

--Capacissima!--ed Evelina diventò ancora più rossa.

Cantasirena notò il livore, l'invidia e una punta ancora più feroce di
gelosia.

--Bisognerebbe sapere,--soggiunse poi,--dove quel Laner è andato a
ficcarsi.

--È correttore di bozze alla _Gazzetta Lombarda_.

--Come lo hai saputo?

--Da Taddeo. Quando lo hai mandato a cercare ai Giardini, coi cinquanta
franchi, Taddeo lo ha trovato in uno stato da far compassione: non lo
ha voluto lasciare; aveva paura a lasciarlo solo! Più tardi hanno
incontrato Paolo Jona; allora il signor Laner è rimasto con lui e
Taddeo è tornato a casa.

Al nome di Paolo Jona, il direttore della _Durlindana_, giornale
umoristico illustrato, la faccia di Matteo Cantasirena si oscurò. Era
l'unico giornale che gli incutesse un serio timore fra quanti lo
attaccavano sempre, a sangue.

A Giulio Cesare faceva paura la gente cupa, taciturna: a Matteo
Cantasirena faceva paura la gente che sapeva ridere. Alla polemica,
all'attacco violento di un giornale serio, rispondeva, o se ne
infischiava: la caricatura, a volte profondamente atroce, che faceva
rider tutti per una settimana, gli rompeva le scatole.

--Paolo Jona,--borbottò.--Buffoni del giornalismo!... È stato Paolo
Jona a farlo entrare alla _Gazzetta Lombarda_?

--Sì; ma soltanto tre giorni fa.

--E questo come lo hai saputo?

--Da Taddeo.

--Ma con quel _Taddeum_ non fai altro che parlare di Pietro Laner?

Da gialla, da rossa, Evelina diventò verde per la rabbia, e non disse
più una parola. Dopo un momento, stirò lo scialletto sulla spalla
gobba, e uscì tranquillamente, come un'ombra, colla testina storta e
gli occhi più loschi.

Matteo Cantasirena passeggiava in su e in giù sbuffando, borbottando
contro la _Durlindana_, contro quello "sparafucile delle plebi" di
Paolo Jona....

Ma però--pensava--anche Paolo Jona dovrà andar adagio.... col duca
Giovanni di Casalbara: coi morti non si scherza.

Coi morti; perchè il Casalbara era un vivo che rappresentava un morto
glorioso; era il tabernacolo delle sante memorie.... E il Casalbara
sposava Eleonora!

Era vero? Il Casalbara diventava suo nipote! Che nipote? Diventava suo
figlio!... Era vero; proprio vero!

Era stato tutto così improvviso, così strano, così incredibile!
Cominciava soltanto allora a capire, a persuadersi, a sentire tutta la
gioia di quella gran fortuna. Si fregava le mani, rideva.

Che angelo, quella sua Eleonora cara!

Non più nemici! Non più inquietudini, e la "Cisalpina" a gonfie vele,
col nome del Casalbara sui grandi manifesti! Quel casato glorioso
avrebbe sollevato l'entusiasmo.... e le azioni! Non era vero che la
nota del patriottismo fosse spenta! L'Italia non era mai stata ingrata
co' suoi martiri, co' suoi fattori.... Era la gran madre comune, era la
patria!

E Matteo Cantasirena s'inteneriva, mormorando:

--Oh la patria! La patria! Una gran bella cosa la patria!...

Ma un nuovo pensiero lo turbò:

--Basta che il Kloss,--sempre l'Austria!--non ci si metta di mezzo!
Guai perder tempo!

Corse fuori, raccomandò a Nora, traverso all'uscio, perchè si era
chiusa in camera, di scrivere subito a Giovanni, e si precipitò in
cucina, abbracciando commosso la Gioconda, con effusione paterna,
mentre Numa, ancora spaurito per le burrasche di que' giorni, scappava
ad appiattarsi nella buca nera sotto i fornelli.

--Anche tu, finalmente, la mia brava Gioconda, avrai il giusto premio
del tuo disinteresse!--E dopo averle data quella gran notizia del
matrimonio di Nora, cominciò subito a concertare il pranzettino pel
giovedì.--Un pranzettino.... proprio coi fiocchi! Un poema! Un vero
poema.... paradisiaco!--e gli occhi del direttore s'incontravano in
quelli della cuoca, e sfavillavano insieme per la lussuria della gola.

Poi uscì di casa: andò a passeggiare per Milano. Voleva far vedere a
quei pezzenti della _Costituzionale_, che lui era sempre vivo! Vivo più
che mai!... Era gongolante, raggiante.... Avrebbe fondato subito un
altro giornale "Il _Fara-Bon_!"

E i _tirolesi_?... Ma che! Lo zio, più che lo zio, il suocero, più che
il suocero, il padre del duca di Casalbara, non aveva paura dei
_tirolesi_! Quando ne incontrava qualcuno, era lui il primo a fermarsi
sorridente.--Carissimo!--e profondeva le strette di mano.

L'altro, sebbene titubante, stava per battere la solita solfa, ma
Cantasirena gli chiudeva la bocca.

--Non amareggiate il mio primo istante di benessere, di
felicità!...--E, raccomandando il segreto, perchè prima, per un
doveroso riguardo, la gran notizia doveva essere partecipata a Roma,
annunziava il matrimonio della sua cara Eleonora.

--A Milano, siete il solo a saperlo. Ma è giusto che io faccia
un'eccezione per voi! Matteo Cantasirena non è un ingrato!

E ricevute le congratulazioni, e ricambiati i complimenti, egli
indugiava ancora, stava lì fermo, su due piedi, lisciandosi il bel
barbone striato d'argento, pompeggiandosi, continuando a parlare, a
parlare, a descrivere, socchiudendo gli occhi, maestoso, le ricchezze,
gli splendori della villa, ma che villa!... della reggia di Casalbara;
e a raccontare, a ricordare sospirando, soffiando, la ferocia della
repressione austriaca, e gli orrori di Josephstadt.

Anche quei _tirolesi_, in fondo, erano buonissima gente. La Gioconda li
calunniava!... Oh, assai migliori degli uomini del suo partito!...

Con la notizia ufficiale del matrimonio di Nora, tornò dal Brunetti a
farsi dare dell'altro denaro, e riuscì a cavare un'ultima goccia di
sangue al suo ex amministratore, il povero Bizzarelli. Poi, tornando a
passeggiare, entrò dal Ferrario a ordinare dei fiori per la sua
Eleonora; dal Testa a comandare una sporta di roba e di bottiglie. Si
sentiva appetito, ma era ancora troppo presto. Prese un brum, andò a
fare un girettino sui bastioni, ma in carrozza cambiò idea, e invece
che a casa, andò a pranzare al _Cova_ passando prima dalla pasticceria,
dove in un orecchio, annunziò la fausta novella anche alla signorina
Annetta, che stava al banco.

Più tardi, pausando, attraversò la Galleria per andare al Manzoni.

Voleva vedere il prefetto: _Fabio Cunctator_!

Bisognava muoversi per le elezioni del novembre! Le istruzioni del
Governo erano manifeste. Combattere a tutta oltranza nel collegio di
Primarole il Bonforti, nel collegio di Castellanzo il Ghirlanda!

--Questo prefetto.... un'incapacità assoluta! Crede che l'"abilità"
consista nel non far niente. È un funzionario gretto, un burocratico
senza slancio!

Quando Matteo entrò al Manzoni, il dirigente che lo vide passare,
voleva scansarlo; ma l'altro gli corse dietro. Si conoscevano da tanti
anni: in varie occasioni si era prestato cortesemente. Matteo
Cantasirena dimenticava qualche volta i nemici: gli amici mai. Sua
figlia era sposa.

--Ma.... silenzio con tutti. Mi date la vostra parola d'onore? Sposa il
duca di Casalbara.

E cercava nelle tasche la lettera della domanda ufficiale....

Il prefetto lo accolse freddamente, con un cenno del capo, senza dargli
la mano, che teneva fra i bottoni del soprabito, e continuò a star
attento al dramma: si rappresentava il _Nerone_.

Cantasirena si avanzò in punta di piedi, per non disturbarlo.... gli si
sedette accanto.... Il prefetto rimase impassibile. Solo dopo qualche
tempo, coll'accento marcato, meridionale, osservò che la ragazza che
faceva da Egloge era abbastanza bravina.

Cantasirena guardò anche lui col cannocchiale.

--Sì, bravina,--rispose,--specialmente le gambe.

L'altro non sorrise; continuò a stare attento.

Recitavano male.

--Ah, povero Nerone!--esclamò di nuovo Cantasirena;--assassinato dai
comici dopo esserlo stato dai pretoriani!... I pretoriani, sempre
infidi, allora come adesso!

Questa volta anche il prefetto sorrise e assentì col capo.

--Senza contare che adesso abbiamo i pretoriani.... rompiscatole, come
quel Bonforti! Quel Ghirlanda!

--Sicuramente!--e il prefetto sospirò.

Sospirò anche Matteo Cantasirena con tutto il fiato del suo pancione.
Poi si alzò, restò ritto in mezzo al palco, guardando il teatro,
guardando la scena, e finito l'atto sedette egli pure al parapetto.

--Non c'è che un mezzo,--disse poi sommessamente, e avvicinando il bel
faccione tentatore, mentre il prefetto rimaneva rigido al suo
posto--non c'è che un mezzo per vincere a Primarole e a Castellanzo.

--Per me.... io me ne lavo le mani; e l'ho scritto anche a Roma. Dov'è
impossibile vincere, la lotta è inutile e pericolosa. Primarole e
Castellanzo sono due rocche inespugnabili.

--Inespugnabili col fuoco.... Ma coll'acqua?--E Matteo sorrise,
socchiuse gli occhi, tornò a sorridere. Era un sorriso di adulazione,
di protezione, di finezza, d'ironia....

L'altro, che non capiva, stava sempre sulle sue, e sempre più in
sospetto.

D'un tratto, Matteo si alzò, tornò a sedersi accanto al prefetto,
nell'ombra, e gli disse cambiando tono, risolutamente:

--Commendatore: verrò a trovarla domani: dobbiamo discorrere a lungo.
Si tratta di un progetto colossale, che indipendentemente dalle
elezioni, da ogni idea politica, può essere di una straordinaria
importanza per l'avvenire economico del paese. Noi non abbiamo bisogno
del Governo. L'idea è grandiosa: pareva un'utopia al Paleocapa, e il
Fara-Bon ha saputo renderla attuabile. Il Comitato è pressochè
costituito. Metteremo alla testa il duca di Casalbara.

--Benissimo!--esclamò il prefetto, con un'affermazione che pareva anche
un saluto, per quel nome,--Casalbara.

Matteo soffiò più forte, e ripetè con maggiore solennità:

--Noi non vogliamo niente dal Governo; il solo appoggio morale; e in
ricambio--questo lo prometto io, Matteo Cantasirena, privatamente--il
Bonforti e il Ghirlanda saranno battuti. Il sottosuolo politico-elettorale
di que' due collegi rimarrà sconvolto dai nuovi interessi e dai nuovi
interessati alla _Navigazione Cisalpina_.

Il prefetto era tornato rigido, serio, impassibile.

--Il duca di Casalbara è con noi; e la villa di Casalbara è vicina a
Primarole, vicina a Castellanzo.

--Ma come potete assicurare che.... il Casalbara sia con voi?

--Sposa la mia figliuola, Eleonora!--esclamò Matteo Cantasirena,
sorridendo, senza dare nessuna importanza a quella notizia.--Non volevo
parteciparle questo matrimonio perchè ancora vogliamo tenerlo segreto;
ma, sono sicuro, mi userà la cortesia di non parlarne!...

.... Quando Matteo Cantasirena fu per andarsene, il prefetto lo
accompagnò fin sull'uscio del palchetto:

--Dunque, domani, vi aspetto alla prefettura, dopo le due?

--Farò di tutto per non mancare. Al caso, manderò un bigliettino;--e
Matteo soggiunse, sorridendo maliziosamente:--Vado a portare i vostri
saluti a Egloge!

Poi se ne andò, dondolando, sul palcoscenico per vedere Egloge da
vicino.

La notizia della risurrezione di Matteo Cantasirena, del matrimonio, si
era sparsa per tutto il teatro. Nerone gli corse incontro, con Egloge,
circondato dai romani.

--Sono cinque sere che recito al Manzoni e lei ancora non si è lasciato
vedere! Non è il modo di trattare cogli amici. No!... Mi lasci parlare
perchè io--basta.... io.... sarò un cane....--e Nerone rideva lui per
il primo della enormità che diceva--ma qui, qui--e si batteva sul
cuore--ce n'è! ce n'è!--E mi deve fare un favore grande: mi deve
sentire in questa scenettina che faccio adesso con Atte....

--Se proprio.... è per farvi piacere....

Matteo Cantasirena sbadigliò. Si avviò lentamente, più faticosamente
lungo il corridoio; entrò in un palchetto che l'amministratore stesso
della compagnia era corso innanzi a fargli aprire. Si ammirò nello
specchio; si fece portare un cannocchiale, cercò, guardò Egloge fra le
quinte.... si sdraiò al parapetto, sorrise a Nerone che appena entrato
in iscena lo aveva cercato coll'occhio.... poi chinò sul petto il
grosso testone e, taffete, si addormentò.



XII.


Pietro Laner era infelicissimo. Sconvolto, straziato dal dolore,
dall'amore, dalla collera, aveva impeti di passione e di gelosia
terribili;... eppure sperava, sperava sempre. Ed era quel barlume di
speranza che lo teneva ancora a Milano.... forse era soltanto
quell'ultima illusione del cuore che gl'impediva di diventar pazzo,
pazzo davvero, e di commettere un delitto contro sè stesso o contro
quella svergognata, infame, che si vendeva a un vecchio!

Ma la svergognata, l'infame era Nora; Nora che gli aveva promesso,
giurato tutto l'amore colla sua bella voce armoniosa, cogli occhi
appassionati e teneri:

"....Ti amo! ti amo! ti amerò eternamente!..."

Era credibile che Nora potesse tutto dimenticare? Dimenticare col
cuore, coll'anima.... dimenticare coi sensi?

No, non era credibile; era impossibile. Era uno stordimento
dell'orgoglio, della vanità, dell'ambizione, dei danari!... Era
quell'essere ignobile del direttore che l'aveva abbindolata, raggirata;
era un'illusa o una sedotta, ma pure era Nora, la sua Nora, e non
avrebbe potuto dimenticare....

"....Ti amo! ti amo! ti amerò eternamente!"

Ma Dio, Dio santo, non avesse cuore, era pur fatta di carne e di
sangue!... Doveva sentire la diversità del suo amore, dall'amore d'un
vecchio, la diversità de' suoi baci dai baci di un vecchio! Ma non
avrebbe mai, mai, un fremito di ribrezzo, un impeto di rivolta, un
pentimento, un rimorso?...

E Pietro Laner tornava a sperare. Aspettava una lettera di Nora, a
tutte le ore del giorno. A casa, spiava, tremava quando arrivava il
postino. Alla _Gazzetta Lombarda_ aspettava sempre il cupo _tuc-tuc_
della gamba di Taddeo, che arrivasse con un biglietto. A condurlo
dall'avvocato, a spingerlo a fare quell'intimazione delle ventimila
lire, era stato Paolo Jona. Il Laner aveva accettato il consiglio
perchè era l'unica via, anche indiretta, anche odiosa, per
riavvicinarsi a quella gente.... a Nora. Avrebbero dovuto rispondere, e
lui, finalmente, avrebbe saputo qualche cosa: questo soltanto gli
premeva.

Se Nora gli avesse scritto, gli avesse detto una parola, egli le
avrebbe subito perdonato. Perdonato?... L'avrebbe amata ancora di più!
Sarebbe stato più umile.

E soltanto per Nora, per farle migliore impressione, caso mai
rincontrasse, le aveva sacrificato anche quegli occhialacci colle
suste, che le erano tanto antipatici.... E faceva la posta alla
Gioconda.

Per ciò, quando gli giunse la lettera di Evelina, il povero ragazzo,
che non era ancora diventato matto pel dolore, quasi lo diventava per
la gioia. Certo, Evelina gli aveva scritto per incarico di Nora; di
Nora pentita, ma che non voleva essere la prima a cedere....

Le ventimila lire, il direttore, la citazione, non gli passarono
nemmeno per il capo!

Nora! Nora! Era stata Nora! Evelina era d'accordo con Nora!

Aveva ricevuto la lettera prima di sera, tornando a casa dalla
_Gazzetta Lombarda_: e doveva aspettare fino alle dieci della mattina
dopo!

"Quante ore!... Quante ore!... Come far passare tante ore?..."

In mezzo a quel primo impeto di gioia, sentì nell'animo rinato anche un
trasporto più vivo di fede; e insieme con tutte le nuove speranze,
ritornarono a galla i pregiudizi paurosi. Corse a ringraziare la
Madonna, "la sua" Madonnina buona di San Francesco!... Ma nell'uscir di
chiesa si turbò, per aver incontrato un frate: gli avrebbe portata la
jettatura!

Che notte eterna, affannata, angosciata!... Sempre dinanzi la Nora e il
Casalbara,--come una volta, nelle notti dell'adolescenza, sempre la
Doralice e il croato. Ma adesso, per di più, che strazio, che furore di
gelosia, che delirio!...

Voleva alzarsi tardi perchè giungessero più presto le dieci; ma poi,
appena l'alba, saltò giù dal letto, uscì: aveva bisogno di camminare.

Nora, sarebbe venuta lei ad aprire?... O egli l'avrebbe trovata lì,
nella saletta, con Evelina?... Sarebbe rimasta in camera sua ad
aspettarlo?...--Ma che importava dove, quando?...--C'era! Ci sarebbe
stata! L'avrebbe riveduta!...--E l'immagine di Nora riempiva tutta
quella contrada dalla quale non era più passato, altro che di notte;
tutta quella casa, che non aveva più riveduta, altro che di notte,
quando stava lì, per ore e ore, pauroso di essere scoperto, come un
ladro in agguato; stava lì per ore e ore, a girare, a guardare, a
spiare.... e ad almanaccare, a fantasticare, a sospettare le cose più
strane, più terribili.

Sperava di veder Nora alla finestra; o che le finestre fossero
socchiuse, come quando la ragazza era in collera e lo aspettava
nascosta dietro le persiane, per vederlo senza lasciarsi scorgere.
Invece la finestra era spalancata, il piccolo tappetino del letto
buttato sul davanzale....

La Gioconda faceva la camera?... Nora era uscita?

Il Laner si fermò di colpo: non aveva più una goccia di sangue.

--Oh, il signor Pietro!--esclamò la Gioconda, che spazzava
l'anticamera. Era quello il giorno del gran pranzo al duca di
Casalbara, e tutta la casa, per ordine del direttore, doveva essere in
ordine e lucente come uno specchio.

--Il signor Pietro!...--E la Gioconda continuava a fissarlo, col
faccione attonito.--Ma sa che lei è diventato brutto?... Brutto da far
spavento?

--C'è la signora Evelina?...--balbettò l'altro, che non riusciva a
vincersi.

--È di là!... In saletta! E non c'è che lei in casa. La signorina Nora
è fuori; il signor direttore è fuori!

E mentre il Laner, colle lacrime alla gola, si avviava per entrare
nella saletta, la Gioconda lo seguì con una lunga occhiata
canterellando: "Ah, l'amore, l'amore è un dardo!"--e ricominciò a
scopare.

--Oh, il signor Laner!--esclamò Evelina alzandosi allegra e sorridente,
per corrergli incontro e stringergli la mano. Ma poi, guardandolo,
anche Evelina rimase colpita.

--Come sta, signor Laner?

--Bene!--rispose Pietro arrossendo, perchè la ragazza si era levato il
_pince-nez_ per fissarlo faccia a faccia.--Bene!...--e abbassò il capo,
si chinò, accarezzando _Numa_ che gli era capitato, sfregandosi, fra le
gambe.

Evelina era vestita di nero, con un _foulard_ celestino sulle spalle;
il vestito e il colore che le stavano meglio. Tornò subito a sedersi e
a scartabellare il dizionario.

--Sto facendo il conte Bobboli.

--Il conte Bobboli beì?--domandò distrattamente Pietro Laner,
guardandosi attorno in quel salotto che gli pareva mutato, diverso. Era
già pentito; aveva rabbia di esserci tornato.

--Sì, il conte Bobboli e Pio Calca. Lo zio Matteo, credo, li vuol
cucinare per le prossime elezioni, per contrapporli al Bonforti a
Primarole e al Ghirlanda a Castellanzo!--soggiunse sorridendo Evelina,
col disprezzo che le veniva dal suo mestiere di fabbricar grandi uomini
a un tanto la riga.

Ma l'altro, ascoltava senza capir niente: Evelina ricominciò a
scrivere.

--Dunque?--domandò il Laner colla voce grossa, soffocata.--Dunque?... è
proprio vero?

--Sì,--rispose la ragazza più col capo che colla voce, lentamente. Poi
soggiunse:--Quella lì, non ha mai saputo cosa voglia dire amare....
essere amati!... Oh, non aver cuore.... è una gran fortuna!

Pietro Laner si buttò sopra una seggiola, nascose il capo fra le
braccia incrociate sulla tavola, e scoppiò in lacrime.

Evelina si alzò, gli andò vicino, per confortarlo, per consolarlo,
accarezzandogli i capelli colle dita leggere, col fiato caldo.

--No! No! signor Pietro!... Non pianga così!... Mi fa troppo male!...
Pensi.... lei non è mai stato apprezzato! Non è mai stato capito!... È
un grande dolore, sì, è vero; ma se invece fosse poi stato infelice
tutta la vita?... Lei è giovane; potrà ancora dimenticare, amare
ancora; essere tanto tanto amato, lei così buono, colla sua nobile
intelligenza; lei che merita tutto: amore, adorazione, tutto, tutto!
Signor Pietro, la supplico, non faccia così!... Mi guardi!... Abbia un
po' di compassione anche per me!

Evelina gli alzava il viso con le due mani, perchè la vedesse in
faccia, perchè vedesse anche le sue lacrime, poi ricominciava sempre
più vicina, sempre più a ridosso:

--E io allora, signor Pietro?... Io che non ho una speranza al mondo?
Io che non ho nessuno, che non avrò mai un'anima che mi voglia bene?
Nora mi odia, lo zio Matteo mi tiene qui soltanto perchè gli sono
utile.... Che cosa sarà di me?...--E la ragazza pure singhiozzava
mormorando:--Morire.... morire.... finirla.... morire!

Pietro si asciugò gli occhi, fece forza per vincersi, per non dar
troppa pena alla buona Evelina.

--No.... no. Lei troverà sempre chi le vorrà bene.... perchè lei ha
molto cuore!

Si guardarono, s'impietosirono l'uno per l'altra e sospirarono insieme.
Poi il Laner, con una matita, distrattamente, cominciò a disegnare
figure e geroglifici sur un vecchio libro.

Evelina, in piedi, accanto a lui, gli aveva preso l'altra mano e gliela
stringeva, con affetto, per confortarlo.

Dopo un istante si guardarono di nuovo: la stretta di mano fu assai più
forte, più lunga, e seguitarono a sospirare e a tacere.

Nel salotto non si udiva che il russare di _Numa_ sul canapé, e dalla
cucina il rumor sordo dei colpi della Gioconda che batteva le
costolette.

--Che cosa sarà di me?--tornò a gemere la fanciulla sospirando.--Cosa
farò?... Dove andrò?

--Perchè?--domandò l'altro, tornando a sentir più vivo il suo dolore e
soltanto tutto il suo dolore, dopo quel primo abbattimento, dopo quello
sfogo di lacrime.

Lì, sulla tavola da pranzo, dove andava sempre a finire tutta la roba,
c'era un ritratto di Nora: una _prova_, mandata dal fotografo.

--Perchè?--ripetè il giovane fissando il ritratto.

--Perchè.... io.... resterò sola,--rispose Evelina,--quando Nora si
mariterà.... Resterò sola.... e sarà presto.

--Allora, lei, perchè m'ha scritto? Perchè m'ha fatto venir
qui?--proruppe il Laner brutalmente.

Evelina lo fissò smarrita, poi balbettò, chinando il capo:

--Se ho fatto male, mi perdoni!... Che cosa le ho scritto? Non so: non
ricordo più. Avevo bisogno di aiuto, di conforto.... Credevo,
speravo.... che anche lei desiderasse il conforto di una parola
amica....

--Io?... Perchè?... Confortarmi?... Io?...--gridava Pietro,
accendendosi, fuori di sè.--Confortarmi?... Se tutti si congratulano
della mia fortuna! Sì! Per essermi salvato a tempo!... Anche Paolo Jona
me lo diceva: Sei stato fortunato: devi ringraziar Dio!... Oh, se lo
ringrazio Dio!... Ti ringrazio! ti ringrazio! ti ringrazio!--E il
giovane levava diritto verso il cielo il pugno chiuso. La voce rotta da
un tremito convulso, il viso contraffatto, sconvolto, livido, gli occhi
torvi, stralunati, ansava, smaniava, pestava i piedi, barcollava come
un ubriaco.

--Signor Laner! Signor Laner!--balbettava Evelina spaventata.

--Le fo paura? Ha paura?... Perchè mi ha fatto venir qui, lei?
Risponda!--E il giovane, fissandola, le si avvicinò, mentre l'altra
premeva già la mano sulla maniglia dell'uscio per essere più pronta ad
aprire e a scappare.--Perchè? Deve esserci il suo perchè, se mi ha
fatto venir qui! Io sono caduto nel laccio anche stavolta!... Sono
corso qui, come una bestia, senza capir niente, ma adesso voglio
saperlo! Voglio saperlo!--E perduto affatto il lume degli occhi afferrò
Evelina per il braccio, e la buttò in mezzo alla saletta,
minacciandola.--Perchè mi ha scritto di venire? Perchè mi ha fatto
venire?.... Voglio saperlo!

--Gioconda! Gioconda!--strillò Evelina tutta tremante.

Ma invece della Gioconda, si presentò di colpo Matteo Cantasirena.

--Voi qui? In casa mia? Che volete?

L'esaltazione del Laner era arrivata a un punto tale che più nulla
poteva frenarlo.

--Da lei, intanto, voglio essere pagato!... Cogli altri la
discorreremo!

--Egregiamente!--rispose il direttore, con solenne sicurezza.--Preme a
me, più che a voi di finirla; finiamola! Venite di là!

E si avviò maestoso, mentre l'altro lo seguiva a testa bassa, cogli
occhi stravolti.

Entrato nello studio, Cantasirena andò a sedersi alla scrivania, cercò
un foglio e lo distese sulla cartella, domandando al Laner che gli
stava dinanzi immobile, muto:

--Quanti ne abbiamo oggi del mese?

--Non so,--rispose l'altro colla voce alterata.

Il direttore cercò la data sopra un giornale, poi cominciò a scrivere,
e continuò a scrivere sereno, sorridente.

Pietro Laner era sempre in piedi, dinanzi alla scrivania. Dacchè era
entrato nello studio col direttore, gli era cominciato un ronzio nelle
orecchie, insieme a un rumor sordo, cupo, che diventava sempre più
forte. Colla mano si premeva la fronte, si premeva gli occhi: vedeva
guizzi, scintille di fuoco.

--A voi!--gli disse il direttore quando ebbe finito di scrivere,
piegando il foglio, mettendolo in una busta.--Dal momento che invece di
fare una quistione di cuore, voi non fate che una quistione misera
d'interesse, tutto resta definito in piena regola.

Matteo Cantasirena dichiarava in quella lettera di avere ricevuto da
Pietro Laner di Crodarossa lire ventimila, e si obbligava di
restituirle entro un mese, cogli interessi al sei per cento.

--A voi.

E il direttore gli porse il foglio; l'altro non si mosse.

--Se invece del sei per cento, volete il sette, siamo ai vostri ordini.

--Nora.... E Nora....--balbettò il Laner: gli tremavano le braccia;
tutta la persona era scossa da un sussulto violento; poi a un tratto
barcollò, annaspò colle mani, e stramazzò di colpo, per terra.

--Evelina! Gioconda!--gridò Cantasirena spaventato e
commosso.--Evelina! Gioconda!...

Le due donne si precipitarono nello studio.

--Dio! Dio!

--Cos'è successo?

--Il povero Pietro,--balbettò Matteo ansando, sudando, cercando di
sollevarlo e di tenerlo fermo.--Ha le convulsioni! Diventa matto!
Aiutami, Gioconda!... Evelina! Prendi dell'acqua! Dell'aceto! Una di
quelle bottiglie di cognac che ho mandato dal Cova per il pranzo!

Evelina corse a prendere la roba: Matteo e la Gioconda portarono Pietro
sul canapé.

--Tienlo forte, Gioconda!

Il Laner diede ancora due o tre scossoni violenti, un gran sobbalzo....
poi rimase fermo, disteso, irrigidito, il viso contraffatto da una
smorfia dolorosa, le labbra stirate, la schiuma alla bocca.

--Pietro! Pietro! Signor Pietro!

Evelina lo chiamava per nome, colla voce più tenera, più affettuosa, lo
spruzzava delicatamente, gli bagnava leggermente coll'aceto la fronte e
le nari.

Invece Matteo Cantasirena, rimesso dal primo spavento, cominciava a
brontolare.

--Anche questa mi capita, anche le convulsioni!... Anche il Laner che
mi diventa matto in casa.... Ma Gioconda!... Ma Evelina?... Come si fa?
E col Casalbara che viene a pranzo! E tutto ancora da preparare!

La Gioconda gli rispose stizzita:

--Bisogna fargli bere qualche cosa di spiritoso.

--Il cognac! Il cognac!--Cantasirena sturò la bottiglia del cognac.

--Pietro! Signor Pietro!--Evelina lo alzò un pochino, lo tenne su
diritto col capo, esortandolo carezzevole, mentre la Gioconda gli fece
ingoiare due o tre bicchierini di cognac, quasi di seguito: il Laner
dolorava, sbatteva i denti.

Matteo ricominciò a camminare in su e in giù, brontolando e se la prese
anche con _Numa_. Una volta che gli capitò tra i piedi, gli tirò un
calcio terribile: il gatto rotolò con un miagolio sordo e sparì.

--La finisca! Vergogna!--gridò la Gioconda, strapazzandolo.--Mandi
invece a prendere un brum, e faccia presto.

Il direttore uscì, chetamente, senza più fiatare.

Evelina sciolse al Laner il nodo della cravatta; la Gioconda gli
sbottonò la sottoveste.

--Appena si può farlo scendere, lo si pone in carrozza, e il signor
direttore col portinaio lo conducono a casa.

--Andrò io, invece del portinaio,--soggiunse Evelina.

Pietro aprì gli occhi, ma non capiva più niente, non sapeva più niente,
non aveva forza di camminare, di muoversi.

Una carrozza, dopo qualche momento, si fermò dinanzi alla porta.

--Ecco il brum!...--esclamò Matteo entrando nello studio.

--Vengo io pure con te, ad accompagnare il signor Laner,--gli disse
Evelina con voce grave, ma sicura.

Tutti e tre alzarono Pietro, lo tennero in piedi, lo trascinarono
adagio adagio.... Matteo Cantasirena e la Gioconda lo portarono fuori
sulla scala, lo portarono giù, quasi di peso, tenendolo sollevato per
le braccia. Evelina andava innanzi ad aprire gli usci: aprì anche lo
sportello del brum.... poi, infine, montò anch'essa in carrozza, e si
sedette in faccia a Pietro Laner, prendendogli le mani, accarezzandole,
stringendole forte, per fargli coraggio.



XIII.


Il Casalbara arrivò in punto all'ora del pranzo. Nora lo aspettava alla
finestra, e quando vide il magnifico equipaggio, arrossì di piacere e
di orgoglio. Sarebbero stati suoi quei cavalli, quella carrozza, quei
servi in livrea!... E corse lei ad aprire al duca: lei sola!

Appena il Casalbara fu entrato, stretto nel lungo soprabito, tutto
profumato, lucente e biondo, l'uscio fu richiuso pianino
pianino....--per non farsi sentire di là!--dicevano gli occhi
maliziosetti della fanciulla. La piccola anticamera era buia, e mentre
il Casalbara stringeva la mano a Nora, essa gli porse i capelli a
baciare, poi si alzò in punta di piedi e gli offrì la bocca.

--Stella!

--Cattivo!... così tardi!

Il duca sorrise di piacere e di orgoglio: ormai tutte le malinconie
erano scomparse. Si sentiva sicuro di sè; era fiero e incantato della
sua conquista. Con Francesco Kloss non si vedevano più. Il Casalbara
gli aveva dichiarato, con un tono altero che non ammetteva replica:

--Professo la maggiore stima, il maggior rispetto alla signorina
Eleonora. Vi proibisco di parlarne leggermente.

E il Kloss gli aveva voltato le spalle.

--_Afessi mai prefetuto un così pel.... minestron!_

.... Nella piccola anticamera buia avevano durato un pezzo le parolette
dolci e le moine.

--Basta! Adesso basta!--disse Nora a un tratto vivamente, sciogliendosi
dal Casalbara.

Poi subito si calmò, tornò sorridente.

--Lo zio Matteo ha sentito la carrozza: guai, farlo aspettare a pranzo!

E allegra, saltellante, prendendo il duca a braccetto, lo condusse nel
salottino.

--Eccolo! Eccolo, zio Matteo!

Il Cantasirena, sorrise paternamente, ma assai dignitosamente al "caro
Giovanni", e mentre gli stringeva la mano, baciò Nora sulla fronte con
una cert'aria che pareva dicesse: vi abbraccio idealmente tutti e due.
Poi sospirò.

--Questo bel fiore,--e con due dita sotto il mento di Nora, le alzò il
visino,--vi compenserà, caro Giovanni, se la mia casa è troppo modesta.

Il Casalbara ringraziò cortesemente, inchinandosi.

--Avrei voluto presentarvi anche l'altra mia cara figliuola, Evelina,
la buona Evelina. Ma è fuori di Milano, presso una sua amica ammalata.

Il duca rispose con un complimento; Nora, invece, si oscurò in viso.

Evelina era rimasta presso il Laner per assisterlo, per vegliarlo. Ma
il direttore aveva proibito a tutti di far parola con Nora di quanto
era successo, fino al giorno dopo. Conosceva e temeva l'umorino
bizzarro della ragazza. Avrebbe potuto seccare, far perder tempo,
mentre tutti erano occupatissimi per il gran pranzo. E lo zio Matteo
aveva detto a Nora che "quel trentino" dopo aver fatto un casa del
diavolo, se n'era andato colla sua brava ricevuta! In quanto a Evelina,
si sa, non voleva mostrarsi perchè crepava dall'invidia.

Nora aveva creduto tutto.... anche lei, per non guastar la festa. Pure
non poteva reprimere il sospetto; e certe volte, col sospetto, un
impeto di collera.

--Adesso, caro Giovanni, prima di metterci a tavola, berremo l'amaro
"Etneo". È un regalo del Florio, il buon Florio. Florio e Rubattino!...

Nora portò innanzi al Casalbara, un piccolo tavolinetto intarsiato,
colla bottiglia dell'amaro, coi bicchierini di cristallo, e cominciò a
versare. Cantasirena, intanto parlava, raccontava del suo caro amico
Florio che aveva conosciuto nel sessanta, e di Garibaldi che chiamava
soltanto "il Generale", e finalmente del vino di Marsala....

Nel salotto tutto era nuovo, o rimesso a nuovo, ma il salotto non era
poi altro che lo studio del direttore, col pianoforte al posto del
tavolo da scrivere: il pianoforte aperto, colla musica dell'_Ideale_
spiegata sul leggìo. C'era un profluvio di fiori maravigliosi; le
pareti erano coperte di stoffe antiche e di trofei d'armi; e dapertutto
ritratti; grande abbondanza di ritratti. Ritratti di personaggi
importanti, ritratti di bellezze femminili; queste, per lo più, erano
le scolare della ragazza. Il vecchio sofà rimaneva coperto da un
magnifico tappeto, ma ancora col cartellino del prezzo.... per una
dimenticanza del signor Vergani, che aveva prestato tutta quella roba.
E vicino al sofà, un'ampia sottocoppa piena, colma di biglietti di
visita; tutti, almeno quelli sparsi sulla superfice, degli uomini più
illustri: ministri, altezze, grandi scrittori.

--Un altro bicchierino?...--domandò Cantasirena.

--Eccellente, ma basta così!--E il Casalbara si asciugò i baffi
premendovi sopra il fazzoletto con garbo, per non portar via, colle
gocce del liquore, anche il color biondo, dorato.

Nora, che aveva voluto bere anch'essa due dita di amaro, scrollava il
capo, pestava i piedini, faceva le smorfiette più adorabili, tanto che
lo zio Matteo, incantato della grazia, della bellezza della sua "cara
Eleoonòra" le prese la testina bionda, la baciò, la premette dolcemente
sul petto, dallo sparato ampio, candidissimo.... e fissò il Casalbara
cogli occhi umidi. Poi, vincendo la paterna commozione:--Andiamo,
figliuoli miei,--disse prendendo Nora sotto braccio da una parte e il
Casalbara dall'altra,--andiamo.... a mangiare la pappa!

Anche nella saletta da pranzo, via i libroni, gli scartafacci dei
_Patriotti viventi_, spirava un'aria ammodo, con un odorino di tartuffi
delizioso; la tavola, piuttosto piccola, scintillava di cristalli e di
argenterie in mezzo alla luce raccolta.... Tutta roba quella, mandata
dal _Cova_; il garzone che l'aveva portata, aspettava in cucina, dando
intanto una mano a preparare i piatti.

Il Casalbara, appena a tavola, si sentì subito bene, subito a posto.
Nora era incantevole, coll'abitino rosa di _foulard_, un po' scollato;
Matteo Cantasirena era un bel mangiatore e un bel parlatore; il pranzo
eccellente, e la Gioconda, che serviva in tavola, metteva appetito
anche lei col faccione rotondo e le braccia sode.

Cantasirena parlava di Mazzini, di Cattaneo, di Tito Speri.... A ognuno
di quei nomi il Casalbara si tirava su impettito, e salutava con un
cenno del capo, coll'aria di essere quasi della famiglia; e anche Nora
diventava seria, attenta. Poi, Cantasirena, divagando, entrò a parlare
di politica; e allora il Casalbara cominciò a distrarsi e cominciò a
cercare col piede sotto la tavola.... Ma quando lo cercava lui, il
piedino di Nora gli sfuggiva di sotto e gli occhi della fanciulla
sorridevano birichini;... quando, invece, egli stava fermo, il caro
piedino veniva subito tentatore, istigatore, a premere il suo
lungamente e allora gli occhi dell'amata gli sorridevano languidi.

"Stella!... Stella!... Che stella!..."

--Voi, a Casalbara,--gli domandò d'un tratto il Cantasirena,--cosa ne
pensate del Bonforti e del Ghirlanda?

--Io?... Non ci penso affatto!

La risposta ottenne una risatina allegra della ragazza. Sorrise anche
il direttore, ma scrollando il capo melanconicamente.

--Vi piace questo _Chateau-Laros_, caro Giovanni? È del settanta. Epoca
memorabile!... Il settanta!... Anche allora la politica a _coeur
léger_, ricordatelo, è stata quella che ha perduto l'Impero! Mah!... E
qui, da noi?... Non vedo uscita!... Di questo passo, andiamo incontro
allegramente al nostro Sedan.... Alla bancarotta del senso morale! Che
cosa rappresentano il Bonforti e il Ghirlanda alla Camera?... Lo
scandalo: nient'altro. Lo scandalo eretto a sistema, lo scandalo che
getta il discredito sul governo, sul parlamento, sul paese, e che
scalza, pensateci, caro Giovanni, che scalza....--Cantasirena col petto
di una pernice _à la belle vue_, tenuto in alto, infilato sulla
forchetta, abbassò il capo, abbassò la voce--....che scalza le
istituzioni!--Ciò detto sospirò, soffiò, si pose in bocca
religiosamente il petto di pernice e lo mangiò, masticando adagio,
socchiudendo le palpebre, col godimento delicato, squisito di un
conoscitore coscienzioso.

Invece il duca, a quelle parole, si era sentito urtato, turbato nella
dolce tranquillità del suo benessere.

Era il giornalista, che saltava fuori a un tratto nello zio Matteo; e
il duca diventava inquieto; diffidente, temeva di esser seccato, tirato
in ballo in mezzo ai pettegolezzi della politica.

--Scusatemi, caro voi,--rispose con un tremito nella vocetta fessa, che
indicava la stizza,--io non mi occupo di quello che succede e a
Primarole, a Castellanzo!... La mia parte l'ho fatta quando la politica
era.... un sentimento!... A Casalbara non vedo nessuno, voglio vivere
in pace!

Ma a questo punto egli sentì il piedino di Nora che premeva il suo
forte forte.... Nora lo guardava amorosissima, e gli diceva cogli occhi
e col sorriso della bocca umida e rossa "Sì.... Sì.... Sì.... a
Casalbara vivremo in pace, noi due soli, sempre soli...."

Tutte le inquietudini svanirono alle promesse di quel sorriso
inebriante.

Sposava il suo angelo, la sua regina, non sposava lo zio barbone! E
cogli zigomi accesi dal _Chateau-Laros_, i baffi irti, che per il
troppo caldo perdevano l'arricciatura, e la testa in fiamme, il duca
accennava di sì alla sua volta: "Sì.... sì.... sì...." fissando Nora,
divorandola con un ardimento insolito negli occhietti lustri,
luccicanti fra le rughettine fonde.

"Stella!... Stella!... Che stella!..."

Sentì un tocco leggerissimo come una carezza, un soffio che gli
sfiorava il braccio: il Casalbara si voltò; era Gioconda, la Gioconda
dal faccione tondo e placido, che gli presentava il gelato all'arancio.

--Avete ragione, caro Giovanni,--riprese Matteo Cantasirena diventando
tenero egli pure, mentre seguiva con uno sguardo desideroso il gelato
all'arancio e la Gioconda.--Avete ragione!... Niso più non sacrifica ai
mani d'Eurialo.... "e tutte cose involve l'oblio nella sua notte"....
anche le sante memorie!... Che cos'è oggi la vita politica in
Italia?... Corruzione e affarismo!... Io per me sono stanco, sfiduciato
e riverisco tutti quanti! Eppure.... faccio dispetto a me stesso,--e
diede un colpo secco sul piatto, rompendo il gelato col cucchiaio.--Un
uomo non può chiamarsi impunemente Matteo Cantasirena, come non può
chiamarsi Casalbara, il....--stava per dire il _senatore_, ma gli
sembrò che l'alta carica stonasse in quel pranzo di fidanzati,--come
non può chiamarsi impunemente Giovanni di Casalbara! Anche abbandonando
la politica.... dovremo svolgere la nostra attività in un altro campo
più elevato. Ricominciare a combattere, a "cospirare" se occorre, per
un'idea grandiosa!... Un'opera colossale!... Degna dei più grandi nomi
di questo secolo, che ci ha dato un Lesseps.... un Sommeiller.... e
ultimamente un Fara-Bon!

"Ahi! Ahi!" Il duca era di nuovo inquieto, ma il piedino, il caro
piedino, tornò a premere il suo, e il duca si trovò sul piatto una
mandorla verde ch'era stata sbucciata e spellata dalle ditine rosee,
trasparenti della fanciulla.

"Stella! Stella! Che stella!"

La Gioconda aprì l'uscio senza far rumore:

--Il caffè è pronto nel salottino.

Nora si alzò per la prima, leggera, graziosa, e corse incontro al
Casalbara, che dopo essere stato tanto tempo seduto, faceva i primi
passi stentatamente, colle gambe larghe, aggranchite.

La ragazza rideva, prendendolo a braccetto e tirandoselo dietro.

--Faccia presto! andiamo! Faccia presto!

Furono i primi a entrare nel salotto: Nora, appena l'uscio si richiuse,
stampò un grosso bacio, in fretta, sulla guancia del Casalbara, poi
tutta rossa, scappò a mettere lo zucchero nelle tazzine del caffè.

Il duca, tremante, balbettante, le corse dietro: "Stella!... Stella!...
Regina!" ma sentendo i passoni gravi dello zio Matteo, si avvicinò
subito al pianoforte, esclamando, colla voce stonata per l'orgasmo, per
l'eccitazione: "Oh, l'_Ideale!_ Ca.... aro ideal!... Proviamo un
pochetto d'_ideale!_"

--Dopo il caffè, figliuoli miei! Dopo il caffè!

Bevendo il caffè e sorseggiando il cognac, Matteo diventò espansivo.
Rosso, lucente, sventolandosi la faccia, e il collo grosso, di toro,
col fazzoletto bianco, dimenticò la guerra atroce, le ingiustizie,
l'ingratitudine della gente del suo partito.

--Le sue figliuole!... La famiglia!... Quanto tesoro di affetti, di
conforto!... E quanta fortezza d'animo nelle più fiere batoste!...
Erano una razza gagliarda i Cantasirena!... Tutto per la patria! Da
secoli!... Da padre in figlio! Per ciò gli splendori, le ricchezze
erano state sacrificate, ma gli era rimasto inesauribile il patrimonio
del cuore!--E negli occhi di Cantasirena scintillavano le lacrime; il
suo intenerimento era sincero.--Le figliuole! Ecco la nuova e cara
ricchezza! Così.... soavi! Evelina, buonissima anche Evelina, ma il suo
amore, la sua debolezza, lo confessava.... eccola lì!.... Era
"Eleoonòra!"

Poi domandò al Casalbara come trovava il caffè.

--Buono, non è vero? Eccellente? Il caffè della Gioconda è famoso!--E
toccò alla Gioconda la sua parte di elogi.

--Fedele a tutta prova! Di una nettezza, di una pulizia straordinaria!
E.... artista. Ha la passione, il genio della sua arte. E anche lei,
piena, esuberante di cuore!

_Numa_ più grosso, più gonfio, più obeso, guardava assonnito il sofà,
ma non si arrischiava di fare il salto per via del tappeto nuovo.
Cantasirena lo acciuffò di colpo, pel collo, presentandolo al
Casalbara.

--E questo è _Numa!_ Il nostro _Numa!_... Guardatelo bene, caro
Giovanni: costui non è una bestia: è un pensatore!

_Numa_, insensibile ai complimenti, dopo essere stato un pezzo colle
zampe tese, tentava liberarsi dando scossoni, facendo giravolte.

--È un'intelligenza fenomenale!... È un cuore!... Se appena ho un
dispiacere, il povero _Numa_ capisce tutto, diventa subito malinconico,
non mangia più....

E Matteo, commosso, fece per accarezzarlo, ma il gatto, pronto, gli
graffiò una mano e riuscì a svignarsela.

Succiando il sangue, Cantasirena passò allora a fare gli elogi di
Taddeo.

--Un eroe.... superstite.... incosciente!

Mandò Eleonora a cercarlo in cucina, e quando Taddeo entrò nel salotto,
gli fece bere un bicchierino di cognac.

--Grazie, colonnello!

--E poi?...

--Viva l'Italia, colonnello!

--Bravo.

Anche il Casalbara, rimasto colpito dalle medaglie, dalla gamba di
legno, gli stese la mano.

Mentre se ne andava, mentre il "tuc-tuc" risonava allontanandosi nel
corridoio, Matteo prese il duca a braccetto, e gli disse piano, con una
lacrima che gli gocciolava perdendosi nel barbone. "Mi ha salvato la
vita, al Volturno!" E allora confidò pure, al caro Giovanni, qual'era
la più grande consolazione di tutta la sua vita: "Essere amato.... Sì!
Questo sì! Era adorato nella sua famiglia!"

Anche il Casalbara si sentiva leggermente intenerito, Un'intima
dolcezza, il benessere, il blando calore, lo invitavano alle
confidenze, alle espansioni, e già cominciava anche il duca a parlare
della sua famiglia, de' suoi ricordi.... quando, a un tratto, gli corse
l'occhio sopra una macchia di vino, caduta proprio in mezzo allo
sparato bianco dello zio Matteo. Quella macchia gli fermò le parole in
bocca e arrestò il corso di tutta la sua commozione.

--Vedete?--Cantasirena gli voleva mostrare adesso le rarità del
salottino.--Vedete? questa è una zagaglia sudanese; un dono del mio
amico, il compianto Romolo Gessi.... Questo è uno scudo abissino;
questa la mia carabina del '59!

Poi gli fece vedere i ritratti:

--La Patti!--e lesse la dedica:--"All'illustre amico Matteo
Cantasirena, Adelina Patti riconoscente."--E socchiuse gli occhi,
sorrise, sospirò, come dinanzi alla pernice _à la belle vue_. Pareva
che avesse mangiato un pezzettino anche della Patti.--Sarah Bernhardt:
"_A mon ami Cantasirena._"--Lo zio Matteo battè sulla spalla al "caro
Giovanni."--Un po' _faisandée_... ma....--E tornò a sorridere, a
socchiudere gli occhi, a soffiare.

--E questo è l'unico ritratto che si conservi di Rosolino Pilo.

Nora seguiva pure quella specie di _via crucis_, sorrideva ancora al
Casalbara, ma la sua vivacità era sparita. Si sentiva oppressa, le
fiamme alla faccia, alla testa. Avrebbe avuto bisogno di respirare, di
uscire all'aria, di camminare, di arrabbiarsi con qualcuno. D'un tratto
l'aveva presa il suo cattivo umore, con un orgasmo, un'irritazione, una
noia nervosa.

E lo zio Matteo continuava a girare, tenendosi il "caro Giovanni"
stretto sotto il braccio.

--Adesso ti farò vedere--passava dal _voi_ al _tu_ colla distrazione
affettuosa di un vecchio verso un giovanotto--adesso ti farò vedere il
ritratto di un.... magnanimo. Uno dei più gentili e forti patriotti
d'Italia, il capitano Fara-Bon!--e lo fermò dinanzi a una vecchia
fotografia stinta, sbiadita: un signore con una gran barba, e in testa
un berrettone di pelo.

--Chi è?--domandò il Casalbara.

--Il capitano Fara-Bon: il Paleocapa milanese, morto, pare una
fatalità, lo stesso giorno in cui è morto il _Rinnovatore_. Adesso si
stanno raccogliendo le sottoscrizioni per un ricordo marmoreo.--E
Matteo Cantasirena sospirò profondamente, dolorosamente.

--Si è segnalato, nel '49, alla difesa di Venezia; l'Austria lo ha
processato, condannato, poi graziato all'ultimo momento. Deve aver
conosciuto il nostro.... fratello.... Eriprando.

A questo nome seguì un lungo silenzio.

--Sediamoci!--disse poi Matteo Cantasirena, con un altro sospiro.--Il
progetto del compianto Fara-Bon, la _Navigazione Cisalpina_, sarà
annoverato fra le grandi audacie del secolo!

Il duca sedette sul canapè e Nora sedette essa pure vicino, dopo
avergli acceso uno sigaro di avana. Matteo si adagiò comodamente nella
poltrona di faccia, e cominciò a parlare del risorgimento economico
d'Italia, della sua indipendenza commerciale, dei nuovi, dei veri
patriotti.... i patriotti dell'abnegazione, che lontani dalla politica,
scevri di ogni vanità personale, preparavano la sua ricchezza, la sua
grandezza avvenire.

E parlò delle _vie acquee_, dell'Italia settentrionale, della difesa
del paese; parlò di Primarole e di Castellanzo, che dovevano essere il
centro dei primi studi, del primo movimento della grande impresa; di
Pio Calca e del conte Bobboli, che si dovevano portare nelle prossime
elezioni contro il Bonforti rettorico e il Ghirlanda paradossale.

Pio Calca, sostenuto dai preti, avrebbe speso per l'ambizione, nel suo
caso innocentissima, di essere deputato, un po' dei milioni della
mamma, e in quanto al conte Bobboli, a quel trafficatore d'ebano
scioano, una volta tirato in ballo, avrebbe dovuto sacrificare,
occorrendo, alla propria fama, e quindi al trionfo della grande idea,
anche gli ultimi _medjidié_ d'Ismail pascià!

Il duca di Casalbara, sdraiato sul canapè, con Nora accanto, stretta al
suo braccio, subiva quella voce lenta, insinuante, come un ronzìo
misterioso, senza avere la lena di rispondere, di muoversi....
Attraverso alla seta morbida, sentiva il calore, lo forme del corpo di
Nora; ne sentiva il profumo vago dei capelli, e ne sentiva l'odore...
quell'odore acuto di ragazza bionda. Sarebbe stato lì, senza muoversi,
tutta la vita. Soltanto la macchia di vino sulla camicia bianca dello
zio Matteo, lo offendeva colla sua volgarità: era una stonatura.... una
stonatura che insensibilmente, di minuto in minuto, rendeva stonato e
volgare tutto il salotto, collo scudo abissino e la zagaglia sudanese,
e l'eleganza ardita della signorina, e i modi e il languido
abbandono....

--Sua moglie?... Sua moglie?... Era fissato! Non c'era più verso di
tornare indietro!

E Nora?...

Nora, colle guance accese e l'occhio fisso, a che cosa pensava?

Essa guardava quell'uomo che le stava vicino, assonnito, col respiro
greve, l'occhio imbambolato.... il sigaro spento fra le labbra....

--.... E tutti i giorni, tutte le sere sarebbe stato così? Sempre con
quell'uomo?... di quell'uomo?

Provava un senso di ripugnanza, di ribrezzo.... eppure non poteva fare
a meno di guardarlo, era costretta a guardarlo!

Pietro Laner era quasi bello in suo confronto. Com'era diverso
nell'amore, nell'ardore!... E com'erano diversi i baci della sua bocca
fresca e sana!--E Nora aveva bisogno di stordirsi, di eccitarsi,
pensando al lusso, allo sfarzo, alla ricchezza, ai divertimenti.

--No! No! Mai così!... Subito, dopo pranzo, a teatro, poi alle feste,
ai balli!... Mai così!

Cantasirena continuava a parlare, a parlare, a parlare, contento di sè,
innamorato di tutti, soddisfatto di tutto. Egli non si era accorto
della piccola ruga che appariva sulla fronte nitida, fulgente di Nora,
e che diventava profonda, sinistra;... non si era accorto nemmeno della
macchia rossa di vino che aveva in mezzo allo sparato, sulla camicia
bianca; quella macchia rossa che il Casalbara, nel suo torpore
sonnolento, vedeva farsi sempre più grande, fastidiosa, opprimente, e
che, adesso, gli ricordava i giornali, i debiti, le gesta dello zio
Matteo, che gli faceva sentire, persino in quel benessere, nella quiete
raccolta del salotto, così vicino a Nora, così riscaldato, così
inebriato da Nora, la sghignazzata plebea, cinica, brutale del Kloss!



XIV.


Pietro Laner era stato colpito da congestione cerebrale, e per i primi
giorni, specialmente, il suo stato fu gravissimo. Evelina non
abbandonava quasi mai la camera del malato: silenziosa, premurosa,
infaticabile, era la maraviglia della padrona di casa e del dottor
Foresti, un medico giovanissimo, al quale non pareva vero di aver per
le mani un malato giornalista. E che giornalista!...

--Un altro mio figliuolo di elezione e di adozione!--Queste erano le
precise parole con le quali Matteo Cantasirena aveva raccomandato il
suo "redattore capo" alla padrona e al dottorino, trovato per caso alla
farmacia più vicina, dove avevano mandato in fretta e furia.

--Uno spirito eletto!... Una tempra adamantina!... Mi raccomando: non
manchi di nulla!--e soffiando, pausando, lisciandosi il barbone,
conchiuse maestosamente:--In ogni modo sto garante io!

Il dottore, visto il caso grave, avrebbe voluto si scrivesse subito
alla famiglia, ma Cantasirena si oppose, arrabbiandosi.

--Il cuore! il cuore!... Non c'è cuore in una simile proposta! La sua
famiglia?... Due zie.... superstiti!--e sospirò profondamente, come se
avesse visto morire tutti gli altri,--due vecchie signore, che vivono
in pace, ritirate nella loro villa di Crodarossa!... Spaventarle con
una simile cannonata!... E inutilmente, perchè lei m'insegna, caro
dottore, che i giovani superano sempre, o quasi, simili assalti.
Ghiaccio! Ghiaccio! Ghiaccio a profusione! Giorno e notte, sempre
ghiaccio!--E Cantasirena si dilungò nella diagnosi e nella cura, mentre
il dottor Foresti approvava col capo.

Il giorno dopo, Matteo capitò che non c'era il dottore; fece una gran
predica a Evelina per indurla a tornare a casa; fece un po' di corte
alla padrona, le consegnò il denaro che si era fatto dare alla
_Gazzetta Lombarda_ per il Laner, poi se ne andò, dicendo di tornare di
lì a mezz'ora, e non si lasciò più vedere. Mandava invece Taddeo, tutti
i giorni, a prender notizie; mandava dei pezzi di rosbiffe, del
panettone per sua nipote, e fiori e complimenti per l'amabile
padroncina.

Ormai aveva capito tutto. Sua nipote era innamorata e predicare agli
innamorati è come predicare ai sordi: lui non aveva tempo da perdere.
Il matrimonio di Eleonora, la _Navigazione Cisalpina_, le elezioni di
Primarole e di Castellanzo, il nuovo giornale Le _Risorse Italiche_ da
fondare--un giornale giovane, fatto dai giovani e per i giovani--non
gli lasciavano tregua. Era continuamente in faccende, era continuamente
sossopra: ora in visita dal prefetto, dal sindaco, ora a spasso col
Casalbara, ora alla caccia del Brunetti, che doveva essere il direttore
amministrativo della "Cisalpina" ed ora in lunghi conciliaboli con chi
ne sarebbe stato il tecnico, l'architetto Carlo Fontanella, un vanitoso
sfrenato, che era già passato, a quarant'anni. dai moderati ai
radicali, dai radicali ai socialisti, e che adesso, pur di farsi
innanzi ad ogni costo, tornava indietro, schierandosi fra i
_legalitari_.

Nondimeno, ogni volta che Taddeo, fedele alla consegna, portava al
colonnello le notizie del Laner che erano di giorno in giorno sempre
migliori, Cantasirena, dopo averci pensato, per raccapezzarsi, aveva
una grande esclamazione di contentezza.

--Oggi!... Senza fallo!... Vado a vederlo!... L'avevo detto, io, a
quella bestia di dottore!... Ghiaccio! Ghiaccio! Ghiaccio in
abbondanza, e lasciar operare la natura! E voglio farmi sentire anche
da quella testarda di mia nipote!... Eleonora ha ragione!... È una
sconvenienza inconcepibile!... Però ha torto di arrabbiarsi con me!...
Non posso mandarle i carabinieri! Oggi! Oggi!... Ricordarmelo,
Gioconda: passare dal Laner!

Ma per quanto Matteo si sfogasse a dar della bestia al dottor Foresti,
per quanto Nora fosse furente contro Evelina per quel suo cacciarsi
attorno al Laner, non era men vero che il dottore e la ragazza erano
stati la provvidenza, la salvezza del povero giovane.

Tutt'e due, il dottore da una parte del lettino, Evelina dall'altra,
rimanevano immobili, assorti, per ore e ore, vigilando il malato,
notando ogni suo movimento, studiandone il respiro.... Pure, la loro
ansietà così premurosa, gli occhi fissi, intenti in quella faccia
accesa, contraffatta, affondata nel cuscino, sotto la grossa vescica di
ghiaccio, esprimevano tutte le preoccupazioni, le inquietudini di chi
lotta per un interesse proprio, contro un caso gravissimo, non mai la
tenerezza di chi ama, nè il dolore di chi soffre vedendo soffrire.
L'una e l'altro, pallidi, cupi, pareva avessero impegnata una seria
partita attorno a quel letto, attorno a quell'ammalato, una grossa
partita, dalla quale poteva dipendere tutta la loro fortuna e il loro
avvenire.

La padrona si faceva vedere raramente: appena alzata, all'alba, per
dare il cambio all'Evelina, che aveva dormito sul canapè, e che usciva
soltanto allora per lavarsi, per respirare un po' d'aria alla finestra.

Il dottore, che non aveva molte visite, veniva subito la mattina,
veniva ancora di giorno, tornava la sera, e faceva sempre le stesse
interrogazioni all'Evelina, brevemente, colla voce grave, sommessa,
senza mai rispondere alle domande che la ragazza gli faceva a sua
volta, pur sommessamente, ma con grande ansietà.

--E così?... Lo trova meglio, signor dottore?... È sicuro adesso che
guarirà?

Il dottore, aiutato da Evelina, alzava il Laner a sedere sul letto, lo
visitava lungamente, minutamente, poi, sempre coll'aiuto della ragazza,
che nel frattempo aveva voltato e ribattuto il cuscino, lo riadagiava
lentamente, e lentamente gli riponeva sul capo la vescica del ghiaccio,
floscia e tremolante.

--E oggi?... lo ha trovato meglio?

Il dottore continuava a guardar l'ammalato, a fissarlo, a studiarlo,
sempre coll'occhio fermo, le ciglia aggrottate, la faccia immobile.

Pietro, dopo alcuni giorni di pericolo, poi di sosta, cominciava
davvero a migliorare. Aveva passato tutto quel tempo in un assopimento
affannoso, pesante, turbato dai sogni più strani, dalle visioni più
fantastiche, spaventose.... Quando si svegliò la prima volta, era
ancora quasi notte: si svegliò con un senso di affanno, di sgomento.
Dov'era.... Dov'era?... Dove lo avevano sepolto? Che disgrazia gli era
capitata?... Era caduto?... Era stato ferito?...--Credette ancora di
sognare.--Dio! Dio!... Un altro sogno angoscioso, spaventoso!...--Fece
uno sforzo per destarsi, e sentì il bruciore acuto dei vescicanti. Dio!
Dio!... Era desto! Ricominciava a vivere un'altra volta!... Ma
dov'era?... Dov'era?...--Si sforzò per muovere il capo, per vedere:
sentì uno spossamento profondo.

La cameretta, ancora colle finestre chiuse, era appena rischiarata da
un chiaror rossastro, basso, lontano.... era il lumino da notte per
terra, in un angolo. Da prima non riconobbe la sua camera. Tutto era in
disordine; avevano cambiato di posto il cumò, il sofà, il tavolo. Il
letto non era più vicino alla parete, ma in mezzo alla stanza....
dappertutto roba ammucchiata, vestiti, coperte.... Sul cumò, sul
tavolo, un'infinità di boccettine, vasetti, scatolette....--Dio! Dio!
Era all'ospedale?...--Spalancò le palpebre umide, pesanti. Vicino al
sofà si moveva una figura confusa, strana.... una donna.... Si
allacciava la sottana.... guardava l'orologio.... versava del liquido
in un cucchiaio....

Pietro, colle palpebre socchiuse, rimase immobile, ma attentissimo. La
donna, a piedi scalzi, lentamente, si avvicinò come un fantasma, nel
silenzio cupo, fra gli sprazzi e le ombre sinistre del lumicino
crepitante.... Si fermò accanto al letto.... si chinò, lo guardò....
cogli occhi loschi, lividi.... gli avvicinò il cucchiaio alla bocca....
Pietro, istintivamente aprì le labbra, ingoiò la bevanda. L'altra,
l'affannosa apparizione, rimase immobile a guardarlo, a fissarlo
acutamente, poi avvicinò la faccia ancora di più.... Una faccia smunta,
emaciata, sudicia per la veglia e pel sudore, colle ciocche dei capelli
corti, irti, abbaruffati sulla fronte....

Pietro, oppresso, impaurito, chiuse del tutto gli occhi, ma subito li
riaperse, attratto dal suo stesso sgomento.... e allora, sotto l'abito
di quella donna che si era aperto alquanto, vide il candore delicato di
un piccolo seno di fanciulla..., improvviso, strano contrasto colla
bruttezza della faccia orrenda, del corpiciattolo esile, gobbo.... Era
gobba!... Dio! Dio! Era Evelina!...

Pietro richiuse gli occhi con un nuovo senso di terrore, di scoramento,
e li riaprì soltanto quando sentì che l'altra si scostava, si
allontanava. Allora senza muoversi, senza voltare il capo affondato nei
guanciali, rimase immobile a guardarla....

Evelina! Ma lui, lui, dov'era? E che faceva lì Evelina? A poco a poco
riconobbe la camera;... era proprio la sua camera!... C'erano ancora
sul cassettone, in mezzo alle boccettine, ai vasetti, alle ampolle le
due melagrane che gli avevano mandate la zia Angelica e la zia Rosa,
coll'ultima cesta della biancheria.

Allora capì tutto, senza però ricordarsi bene. Capì di essere stato
ammalato, sentì per lo spossamento doloroso, per la gravezza del capo,
di esserlo ancora. Ma Evelina?... Perchè era lì?...

Tornò a guardarla: adesso gli voltava le spalle, aveva finito di
assettare, di accomodare il sofà; aveva tirato su, contro la parete, i
grandi cuscini su cui aveva dormito la notte, e preso il guanciale
bianco al quale il chiaror vagolante dava una tinta fosca, lugubre, lo
nascondeva dietro lo scialle che aveva servito da coperta. Poi Evelina
si voltò, sedette sul sofà, si chinò, tutta gobba, per mettersi le
scarpe.... e dal vestito aperto, dalla camicia scollata, cadente,
riapparì il bel seno piccolo, ma fermo, eretto. Anche quell'ombra
tormentosa, la gobba, la faccia, il seno, tutta la visione, riusciva
opprimente per il povero malato: lo angustiava, lo esaltava, lo
affannava.

Poco dopo entrò un'altra donna nella cameretta: vi fu un bisbigliare
sommesso.... Evelina uscì quietamente e l'altra adagio andò ad aprir la
finestra. Era la padrona: ma in mezzo alla luce bigia, all'umidore
scialbo che entrava nella stanza, come i mobili, le tende, le pareti,
la padrona, tutto tutto, appariva volgare, uggioso, triste!

Pietro si volse con un moto rapido, per scansar quella luce, e sentì le
fitte, l'indolimento per tutto il corpo, e fu così, con un acuto senso
di dolore, che egli capì che tornava a vivere, che cominciava a
guarire, che era salvo.

--Dio.... Dio.... giacchè era andato di là.... perchè non vi era
rimasto?

La padrona, ch'era uscita, ritornò con una piccola tazza fumante.
L'ammalato sentì un profumo delicato, e una delizia nuova, ristoratrice
lo involse tutto. Guardò la padrona, come per ringraziarla, poi fissò
la tazza cogli occhi bramosi.

--Come si sente, signor Laner?

--Grazie.... ho fame.

Il malato, lentamente, tirò fuori la mano scarna, di cera, l'alzò
tremante.... ma subito la lasciò cadere sulla rimboccatura delle
lenzuola.

--Buon segno, se ha fame! E si consoli che l'ha scampata bella e ha
fatto presto!--Poi la padrona avvicinandosi al tavolino per deporre la
tazza, soggiunse, sicura di fargli piacere:--Vado a chiamare la signora
Evelina.

--No! No!--rispose Pietro colla voce fioca.

--È sempre lei che le dà il brodo e le medicine. Se non la chiamassi
potrebbe aversene a male.

--No! No!--ripetè il Laner agitando il capo sul guanciale, e fece per
tirarsi su a sedere, ma lo assalì vivissimo il bruciore dei vescicanti
in tutto il corpo rotto, e mormorò ricadendo disteso:--Non posso....
Non posso....

--Vuol far troppo il bravo, lei!...--E la padrona mentre gli faceva
sorbire il brodo, tenendogli un po' la testa sollevata, e soffiando sul
cucchiaio pieno, si sfogò in grandi elogi pel dottor Foresti, per la
forza, il coraggio della signora Evelina e specialmente sul cavalier
Cantasirena, un cavaliere vero, pieno di talento, pieno di cuore, di
nobiltà e compitissimo sempre, colle signore!...

--Quanto tempo.... sarà?--domandò Pietro, riadagiando sul guanciale la
testa intronata, col viso più acceso, tutto in sudore.

--Quasi due settimane!--e la padrona gli contò come avesse avuto il
primo attacco e le varie fasi della malattia e ricominciò cogli elogi
alla signora Evelina, che non aveva mai abbandonato il suo letto,
sempre lì, giorno e notte!

--Non so nemmeno come abbia potuto resistere!... Ringrazi la
Provvidenza, signor Laner!... Le ha dato una sorella nella signora
Evelina: una vera sorella!

La parola "sorella" fece bene al Laner: mise come un po' d'ordine in
quella sua confusione, in quel suo turbamento di ogni idea, di ogni
ricordo: lo tranquillò, lo consolò.

--Sì!... Sì!... la signorina è buona!... tanto buona! Una sorella!...
una vera sorella! Non potrò mai ringraziarla abbastanza....--e si
commosse, s'intenerì profondamente: sentì attorno agli occhi e sulle
guance riarse, scorrere calde le lacrime.

E non si commosse soltanto per Evelina, ma pur anche vedendo la
padrona, che si moveva adagio per la stanza, in punta di piedi, facendo
qua e là un po' di pulizia. Oh, come aveva bisogno di riattaccarsi a
tutte quelle persone che lo circondavano, come aveva bisogno che quelle
cure, quell'affetto non gli mancassero mai!

--Signora....

--Comandi!--esclamò la padrona voltandosi di botto, collo strofinaccio
in una mano e nell'altra la lucernetta che stava spolverando.--Comandi?

--Anche lei è stata.... tanto buona con me!--e aggiunse subito col
timore che avesse a scemare quel premuroso interessamento della
padrona:--Scriverò alla _Gazzetta Lombarda_.... per avere del denaro.

--Ma neanche per idea!--esclamò la padrona quasi offendendosi.--Il
cavaliere Cantasirena ha già dato quanto basta: vedrà la nota. Lei non
pensi che a guarire; è questo che preme!

Pietro continuò a guardar la padrona: sentiva che quella donna doveva
aver molto cuore, anche per la delicatezza con la quale metteva in fila
i boccettini e le scatolette sul cumò e spolverava il tavolo.

Dalla finestra socchiusa entrava colla luce più chiara, più viva, il
rumore confuso delle carrozze, della gente, delle campane lontane.

--Che giorno è oggi, signora padrona?

--Oggi?... Venerdì.

--Venerdì?...--La tenera letizia del Laner scomparve d'un tratto; egli
ricadde in uno scoramento, in uno sgomento pauroso:

Venerdì! Ricominciava a vivere di venerdì!... E Nora?... Nora?... E le
ventimila lire?... E le zie?... Se le zie, senza lettere, inquiete,
spaventate, correvano a Milano, e lo trovavano ridotto a quel punto....
e senza più un soldo?

"Dio! Dio! Dio!" e Pietro alzò gli occhi all'immagine della Madonna,
che aveva accanto al letto, e le si raccomandò con tutta l'angoscia,
con tutto il fervore dell'anima.

--Signora....

--Comandi?

--Non sono venute lettere da casa mia?

--Tutto quanto è arrivato per lei, è stato consegnato alla signora
Evelina. Eccola!--esclamò la padrona con gioia.--Allegri, signorina!...
Il nostro ammalato non si accontenta più del brodo! Non è vero, signor
Laner?

Evelina entrò in camera, bene assettata, ben pettinata, il fazzolettino
azzurro sulle spalle e la testolina dolcemente inclinata da una parte.
Si avvicinò al letto premurosa, ma senza fare il minimo rumore, e
subito, delicatamente, accomodò i cuscini sotto la testa del malato,
rimboccò le lenzuola, stirò con garbo la coperta.

--Si sente benino? Lo so. Me lo aveva detto il dottore. Ha dormito
tranquillamente, come un bambino, tutta notte. Ma la prego, tanto
tanto, ancora non deve parlare; non deve stancarsi.

La voce, gli sguardi della fanciulla avevano una seduzione dolce,
soave, ma senza timidezza, senza turbamenti. Era proprio la tenerezza
sicura, onesta di una sorella.

--Grazie....--mormorò Pietro con voce rotta: e fece per darle la mano.
Evelina gliela prese, ma stringendola appena, la ripose con affettuosa
sollecitudine sotto le coperte, che gli assettò di nuovo, gli serrò
bene attorno al collo e sotto le spalle.

La padrona, nel frattempo, se n'era andata collo strofinaccio sotto il
braccio e portando con una mano la tazzetta vuota del brodo, coll'altra
il lumicino da notte ancora acceso.

Il Laner fissò Evelina con un'intensità che rivelava tutti i suoi
timori.

--E le zie?--domandò con un tremito.

--Hanno scritto quasi ogni giorno; anche ieri sera--rispose Evelina
cercando la lettera nella saccoccia del vestito.--Cioè.... chi ha
scritto è don Giuseppe. La signora Angelica e la signora Rosa
aggiungono sempre i loro saluti.

E appoggiandosi alla sponda del letto, sempre sorridendo, spiegò subito
le cose. Essa, consigliata anche dal dottor Foresti, aveva scritto a
Crodarossa alle signore Laner avvertendole che il signor Pietro era
indisposto, ma che il dottore assicurava che non c'era da prendersi
nessuna pena: il male, un male alla testa, una febbre reumatica, era
cosa seccante, che richiedeva cure e riguardi, ma affatto passeggera,
affatto senza pericoli. Aveva aggiunto che il signor Pietro era
assistito come fosse in famiglia, e che del resto lei stessa avrebbe
mandato tutti i giorni le notizie; e in prova di quella corrispondenza,
Evelina mostrò le lettere delle zie, colle raccomandazioni e i
ringraziamenti di don Giuseppe e sotto ad ogni lettera la calligrafia
grossa, stentata delle due vecchiette: "La zia Angelica ti manda i suoi
saluti e le sue benedizioni.--La zia Rosa invia pure benedizioni e
saluti...."

Dopo aver letto ad alta voce tutti quei bigliettini, la ragazza li
ripiegò con cura e li mise nel cassetto della piccola scrivania. Pietro
la guardava e piangeva silenziosamente.

--No! No!... Non deve commuoversi così!... Le fa male!...--e gli
asciugò gli occhi col suo fazzoletto.

--Non so cos'è.... I nervi.... è una convulsione....--balbettò il Laner
vergognoso della propria debolezza.

Aveva un'altra domanda che gli pesava sul cuore.... ma non osava, e
intanto ne faceva molte altre che si avvicinavano a quella.

--E.... il direttore?...

--So che sta bene. L'altro giorno mi ha scritto. Per le ventimila lire
è tutto a posto e lei ci può contare quando vuole. Sono alla cassa di
risparmio, sopra un libretto col suo nome.

--Dio! Dio! Fosse vero!...--balbettò il malato,--più per le zie, sa,
che per me!

Era proprio vero: Nora aveva confidato al Casalbara delle ventimila
lire prestate dal Laner, e il duca, dopo parecchi giorni, era riuscito
a procurarle, e d'accordo con Nora, erano state messe sopra un libretto
nominale, intestato al Laner. Ma di tutto ciò, Pietro non ne seppe
niente, mai, nemmeno da Evelina. Era il giornale le _Risorse Italiche_,
gli affari della _Navigazione_ che avevano rimesso in fondi lo zio
Matteo!

--E....

Il nome di Nora che gli riempiva tutta l'anima, tutto il sangue, gli
era corso alle labbra, ma lo ricacciò indietro arrossendo.

--E lei, non ha avuto dispiaceri per cagion mia?... Per essere rimasta
qui.... a curarmi.... a salvarmi?

--A me che importa?... Dicano, facciano quello che vogliono!... Io sono
padrona delle mie azioni; non devo renderne conto a nessuno. Il
mondo....--ed Evelina s'interruppe con un sospiro profondo,--oh, il
mondo non si occupa di me! Chi si occupa di me?... Sono troppo
brutta.--Ma a questo punto la tristezza, l'amarezza sembrò vinta dalla
bontà del cuore.--E c'è il suo bene anche ad essere brutta!--ripigliò
con un sorriso.--Almeno sono libera, e se sono stata qui, con lei,
nessuno ci ha trovato a ridire, nè la padrona, nè il dottore!...
Soltanto chi mi odia.... approfitta di tutte le occasioni, anche di
questa, per farmi del male.

Non c'era più bisogno di profferire il nome di Nora e però il poveretto
ebbe più coraggio di domandare di lei.

--E.... è già successo?--Anche la parola matrimonio non gli voleva
uscire dalla gola.

--No. Non ancora.

--E.... è sempre.... sicuro? È fissato?

--Sì, alla fine del mese.

Evelina vide l'occhio del Laner girare per la stanza. Capì che cercava
qualche indizio, una data, per sapere quanto mancasse ancora a quel
giorno.

--Fra tre settimane,--soggiunse pianino, con un filo di voce, ma con
un'intonazione ben chiara, penetrante.

Pietro rimase immobile, ma la sua faccia affondata nel guanciale
diventò più bianca, più contratta: gli occhi ebbero un tremolìo
lucente.... poi si voltò di colpo e scoppiò in singhiozzi.

--Ah! Signor Iddio! Signor Iddio!... Signor Pietro, si faccia
forte,--gemeva a sua volta Evelina, anch'essa colla voce rotta dal
pianto, e cercava di farlo voltare, come prima, di calmarlo, di tenerlo
quieto, ben coperto sotto le lenzuola.--Non faccia così!... Pensi che
ancora non è guarito!... Pensi alle zie che lo vogliono tanto bene! Lo
faccia un pochino anche por me!... Lei vuol tornare a star male!...
Peggio di prima!...

E siccome il Laner era sempre voltato colla faccia, e continuava a
singhiozzare, la ragazza si era chinata sul letto, e gli parlava vicino
vicino, nei capelli. Il malato ne sentiva l'alito caldo, e il piccolo
seno che si appoggiava, che premeva la sua spalla.

Dopo, durante tutto quel giorno, Evelina dimostrò una timidezza
pudibonda, una selvatichezza quasi sospettosa. Non si appoggiava, non
si chinava più sul letto, non assettava, non gli accomodava più le
coperto.... Quando il Laner la chiamava, essa trasaliva, e si
avvicinava appena di qualche passo, arrossendo, ma tenendosi sempre
discosta, silenziosa....

Pietro, che si era addormentato verso l'imbrunire, si svegliò molto
tardi. C'era il dottore, ritto in piedi, accanto al letto, c'era la
padrona che gli faceva lume, ma Evelina non c'era più. Era tornata a
casa sua. Ormai il malato non aveva più bisogno di un'assistenza
continua: la padrona, che dormiva lì vicino, sarebbe accorsa, qualora
avesse chiamato o l'avesse sentito inquieto.

Pietro dormì benissimo, placidamente tutta la notte. La mattina, appena
svegliato, cercò subito cogli occhi Evelina, ma non c'era, non era
ancora venuta.

Entrò invece la padrona ad aprir la finestra, a portargli il brodo col
pane affettato; ma la padrona lo infastidiva col suo continuo girare,
col suo continuo parlare. Eppoi non aveva il garbo di Evelina. Dopo
averlo aiutato a mettersi a sedere sul letto, lo piantava li, solo,
senza nemmeno accomodargli i guanciali, senza ricacciargli sotto, per
bene, le coltri.

--No, no. Non aveva garbo, nè cuore. Mostrava un po' di premura per
interesse, nient'altro!

Pietro continuò ad aspettare la ragazza tutto il giorno: la ragazza non
si lasciò vedere. Ma la sera, seppe poi da Taddeo, venuto, al solito,
per le notizie, che Evelina aveva avuto una gran lite col colonnello.

--E anche.... colla signora.... Eleonora?

--La signorina Nora era fuori. Sta fuori tutto il giorno colla contessa
Schönfeld, per le spese del matrimonio: vestiti, cappellini,
biancheria....

Il povero Laner, quella sera, stentò assai a pigliare sonno. Pensava,
sospirando, alla buona ragazza che soffriva tanto per lui, che aveva
tanti dispiaceri per lui. E il direttore? Che canaglia! E se anche le
ventimila lire fossero una delle solite promesse? E le zie?... E
Nora?... Nora?... E i vestiti, i cappellini.... la biancheria di
Nora?... E Nora e il Casalbara, e Nora del Casalbara, era tutto un
tormento, un orgasmo, un eccitamento affannoso.

E anche il giorno dopo.... tutto il giorno solo! La padrona, che veniva
a intromettersi, a chiacchierare finchè c'era il dottore; e poi solo,
sempre solo, senza poter leggere nemmeno i giornali, senza poter
scrivere nemmeno una parola alle zie, a nessuno. Voleva far dire a
Evelina da Taddeo, che non lo abbandonasse, che non lo dimenticasse, ma
anche Taddeo, tanto aspettato desiderato, non fu visto comparire.

--Ah, mio Dio!--sospirava il povero Laner quella sera, col dottor
Foresti, senza sapere quanto fosse profonda la filosofia della sua
noia,--ah, mio Dio!... pensare che la vita è così corta, e i giorni
sono tanto lunghi!

--Domani le permetterò di alzarsi da mezzogiorno fin verso le quattro.
Mangerà una buona zuppa la mattina, e sul tardi un'ala di pollo e le
permetterò pure di bere due dita di vino, del barbera vecchio, o meglio
ancora del bordò.

Infatti, il giorno dopo, quando venne il dottore, Pietro Laner era
presso la finestra, sdraiato in un vecchio seggiolone, imbacuccato in
uno scialle, colle gambe avvolte nelle coperte.

Il dottor Foresti lo trovò bene: notò che ogni giorno faceva passi da
gigante, e, dopo essersi congratulato, gli portò i saluti del cavalier
Cantasirena, incontrato allora sul Corso.

--Mi ha detto che oggi o stasera, verrà certo a vederla. Occorre che
lei faccia presto a guarire. Deve essere il suo _alter ego_, il suo
segretario particolare.

Il Laner volse al dottore lo sguardo incerto, smarrito:

--No, no; appena in gambe.... torno a Crodarossa!

--Ma come? In questo momento?

Pietro tornò a fissare il dottore: non capiva bene.

--Tutte le cantonate sono tappezzate di manifesti della _Navigazione
Cisalpina!_ Si tratta, pare, di un'impresa di molti milioni. Lei saprà
di che si tratta. Mi dica, mi spieghi; cos'è?

Pietro scosse la testa; non ne sapeva nulla, e tornò a borbottare:

--Appena è possibile, vado a Crodarossa!

E anche dopo, rimasto solo, continuava a scuotere la testa, a dir di
no, di no, fra sè e sè.

Andarsene, fuggire, fuggire da Milano, fuggire da Nora, fuggire da quel
desiderio che lo accendeva, fuggire da quella gelosia che lo divorava!

E sospirava Crodarossa. E il paesello gli appariva ancora più
tranquillo, più chiaro, più ridente colla chiesa bianca, circondata dal
piccolo cimitero, sulla collinetta alta, in mezzo al sole.

Là erano sepolti il suo povero babbo e il suo povero zio. Vedeva la
fossa del babbo colla croce arrugginita, la tomba dello zio colle
lettere dell'iscrizione ancora rilucenti. E ricordava le feste, i
tridui, le campane, i mortaretti, e gli pareva che appena fosse
tornato, appena si fosse rifugiato lassù, vi avrebbe ritrovato la pace
di un tempo; senza pensare che quella pace tanto rimpianta, allora era
lui che l'aveva dentro di sè, era lui, allora, che la portava nel
cuore.

Sì, sì!... Le zie! Vivere unito sempre alle sue buone vecchiette....
Confidar tutto a don Giuseppe!... Farsi perdonare.... farsi
assolvere.... e ricominciare una nuova vita, in pace con tutti, anche
con Dio! E in fondo al cuore si acquetava anche il pregiudizio pauroso
del venerdì. Avrebbe cominciato allora veramente a rivivere, a rivivere
la vita dello spirito, la vita della grazia, la vita nuova!

Oh, come sospirava quel giorno! E vedendo il suo letto candido si sentì
attratto anche da quel rifugio, da quella promessa di riposo, di oblìo.

Vi si trascinò solo; e la padrona, quando capitò col pollo e il bordò
del _Cova_ portato da Taddeo, lo trovò già in letto.

Il Laner mangiò, divorò tutto in furia, e quando ebbe bevuto le "due
dita" di vino eccellente sentendosi rianimare ne domandò ancora:

--È così piccolo il bicchiere.... un bicchierino da rosolio....

La padrona si lasciò commuovere: versò un altro dito di vino, poi se ne
andò, portando via la bottiglia.

Ma il cibo, il bordò, gli diedero un orgasmo affannoso, un caldo
insopportabile.... Si soffocava.... Che afa! voleva far temporale!

--Oh Nora! Che infame! Che infame! Darsi, vendersi a un vecchio!

Quell'ora vicina al crepuscolo era più fosca e buia por il cielo
annuvolato.

--Che caldo! Dio! Che noia! Sempre solo, senza poter leggere, senza
poter scrivere....

A un tratto, sentì un passo, un fruscìo nell'altra camera, poi la voce
di Evelina.

--Si può?

--Venga! Venga!--esclamò il Laner tutto consolato.--Finalmente,
signorina! Credevo mi avesse dimenticato, che non venisse più, nemmeno
per farsi ringraziare!

E Pietro, le pupille lucenti, le prese tutt'e due le mani e gliele
strinse con un'effusione tenerissima, appassionata.

--Perchè?... Perchè sparire così? L'ho tanto aspettata, l'ho tanto
desiderata in questi giorni!

--Lei non aveva più bisogno di me,--rispose la ragazza scrollando
mestamente la testina inclinata e ben pettinata. Aveva il viso meno
pallido, meno patito per il riposo di quei giorni.

--Ho sempre bisogno di lei; di lei così buona!

E il poeta dell'_Invito_, dell'_Incanto_, dell'_Inganno_, soggiunse con
tenerezza maggiore:--così _sororalmente buona!_

Evelina, sempre a capo basso, faceva rigirare il _pince-nez_,
torcendone il cordoncino colle dita nervose.

--Adesso sono sola, sempre sola,--disse poi arrossendo un poco,--e in
casa ho tanto da fare. Poi, ancora, il dizionario!

Ci fu un momento di silenzio. Pietro pensava dolorosamente a quel
"sola--sempre sola!" Voleva dire che Nora era sempre con quell'altro!

Evelina continuava a far girare e rigirare il _pince-nez_, torcendone
il cordoncino e a volte sogguardando il Laner con una timida carezza
negli occhi languidi.

--Perchè non verrebbe qui da me, col lavoro?--domandò poi il Laner.--Io
potrei aiutarla a correggere le bozze.

--Sì, sì; questo sì!--esclamò la ragazza vivamente, avvicinandosi al
letto.

Pietro la guardò, l'osservò bene: aveva indosso la vecchia giacchettina
blù di Nora!

Oh, quante memorie dolci, care, suscitava nel cuore dell'abbandonato,
quella povera giacchettina logora! Come stava bene a Nora, quando
camminava diritta col suo passo leggero, ardito, le mani affondate
nelle tasche e tutto il bel corpo si disegnava alto e florido! Quante,
quante volte aveva baciato Nora su quella giacchetta!... Per Nora era
un po' corta, stretta; per Evelina, pareva quasi un paltò!

Povera Evelina!...

Ma pur compassionandola per il contrasto dal quale rimaneva offuscata,
ricordò istintivamente che anche il povero corpicino non era così
misero come pareva.

--Allora, a domani, se appena mi sarà possibile!

Ed Evelina, forse mortificata o impermalita per quel lungo silenzio, si
preparava ad andarsene.

--Va via?... Così presto?--esclamò Pietro con uno smarrimento quasi
pauroso, fissando sempre la giacchettina blù, che gli appariva in mezzo
alla camera buia, come il fantasma di Nora.

--Si fa tardi,--osservò Evelina, con un sospiro, avvicinandosi alla
finestra.--Si fa tardi; e poi minaccia un temporale.

--La supplico tanto, signorina! Non mi lasci solo. Ha poco, sa, da
portar pazienza per me. Ha pochi giorni ancora da sopportarmi. Vado! Me
ne vado! Torno a casa mia! Appena posso muovermi, vado via subito,
subito, subito!

E nella voce, nell'accento, nell'angoscia del Laner vi era tutto il
rimpianto, tutto lo strazio del suo grande amore, del suo immenso
amore.

Evelina non rispose. Dov'era?... Non si vedeva più.

Era sparita?

Non si vedeva nell'oscurità che il chiaror cupo, rossastro della
finestra, e il bianco del letto.

--Dov'è signorina? Venga qui! Signora Evelina!--ripetè Pietro dopo un
istante, più vivamente.--Cosa fa? Ma dov'è? Venga qui!

Poi, alzandosi un po', vide che la ragazza si era buttata nel
seggiolone presso la finestra: aveva il capo basso, il viso nascosto
nelle mani.... piangeva.

--Piange!--esclamò il Laner, rizzandosi di colpo sul letto.--Piange?
Venga qui! Ma venga qui! Perchè piange?

L'altra non rispose, non si mosse, scoppiò a piangere più forte,
dirottamente.

--Venga qui! Voglio che venga qui!--gridava il Laner fuori di sè.

Evelina, sempre piangendo, singhiozzando, si alzò lentamente, si
avvicinò, attratta contro il voler suo dal fascino, dalla voce
imperiosa del giovane. Quando fu in mezzo alla stanza, un lampo la
rischiarò all'improvviso: aveva la faccia nascosta nelle mani, tutto il
corpo sussultava convulsamente, rotto dai singhiozzi.

--Venga qui!

E il Laner, sporgendosi dal letto, quasi a cadere, scivolando, riuscì
ad afferrarle un braccio, l'attirò a sè. Evelina non voleva; voleva
opporsi, liberarsi.

--No, no, signor Pietro!

Poi barcollò e gli cadde addosso.

--Perchè piange così? Perchè piange così?--continuava a domandarle il
Laner teneramente, affettuosamente, accarezzandole i capelli,
baciandole le mani, e baciando ancora, farneticando dietro a
"quell'altra", la giacchettina blù.

Evelina, a sua volta, non poteva più frenarsi. In un trasporto di
tenerezza, di singulti, di lacrime lo scongiurò di salvarla, prima di
partire, prima di abbandonarla per sempre; salvarla per carità! o lei
faceva uno sproposito, si buttava dalla finestra!

.... Parlasse, quella sera stessa, parlasse alla sua padrona così
buona, perchè la prendesse con sè. Nora la odiava, la detestava, le
aveva messo contro lo zio Matteo, l'aveva fatta strapazzare,
maltrattare. E quando Nora fosse maritata, non voleva, non poteva
restare in casa lei sola, in mezzo alla tresca vergognosa dello zio
colla Gioconda, con quella servaccia che tutti i giorni diventava più
sfacciata, più cattiva, più insolente!

--Lo prometto, lo prometto! Stasera stessa parlerò. La padrona la terrà
certo con sè. Ma non pianga così. Si calmi! Potrà combinare, fissare di
restar qui. La padrona sarà contentissima. Fra poco.... resta libera la
mia stanza....

--Sì! sì!--esclamò Evelina tremante, vibrante, trasfigurata, con
un'altra voce, con un'altra espressione.--Sì! sì!... Sempre! Quando
lei, Pietro, non ci sarà più, almeno vivere qui, morir qui, sempre,
sempre!

Ma poi, come tornando in sè, spaventata e vergognosa di ciò che aveva
detto, del segreto, del "segreto suo" che le stava per sfuggire, si
ritrasse allontanandosi. Il Laner, più pronto, le prese la giacchetta.
Evelina fece uno sforzo per divincolarsi, e la giacchetta, dagli
occhielli logori, si sbottonò d'un colpo: sotto, non aveva che la
camiciuola di mussola leggera, scollata. In quel buio, apparì il bianco
del collo, il bianco del seno. Pietro commosso, acceso, esaltato,
sporgendosi con un piede giù dal letto, cingendole con un braccio la
vita esile, strinse Evelina fortemente, appassionatamente.... La
faccia, la barba lunga, ispida, toccò, il collo, il seno ignudo....
Sussultando, arrossendo, Evelina gittò un grido, un riso folle di
piacere. Si buttò sul letto di colpo, serrandosi con uno spasimo
convulso addosso a Pietro. Lo avvinghiò col corpo magro, serpentino; lo
baciò come una pazza sugli occhi, sulla bocca, sul petto, soffocandolo
col fiato caldo, mormorando parole rotte dai singulti, dai tremiti:

--Prendimi, prendimi, prendimi!

Cercò, trovò la mano madida del convalescente, la strinse, l'accarezzò,
si accarezzò tutta con essa ridendo, rabbrividendo, tenendola amorosa,
premendola forte sul piccolo seno balzante, anelante....

--Prendimi, prendimi!... Sono sola! Sono libera di me! Sono padrona di
me! Voglio esser tua! Lo voglio io! Fammi morire.... morire tua....
Voglio.... voglio.... tua....

La finestra si spalancò per un colpo furioso di vento: nella contrada,
lontano, sbattevano, echeggiando le imposte: un lampo, un fragor lungo,
uno scoppio, un tuono terribile, e subito la pioggia cadde a dirotto,
scrosciante.



XV.


Ecco il grande manifesto che tappezzava le vie di Milano.

LA NAVIGAZIONE CISALPINA.

Cittadini!

_L'Italia che ha dato al mondo latino i superbi acquedotti, che ha
congiunto Roma al Tirreno, che ha scavato fra le pianure dell'estrema
Europa il_ Vallo di Trajano; _l'Italia che ha dato alla civiltà moderna
la diga di Malamocco, che ha prosciugati i suoi laghi, fecondate le sue
maremme; l'Italia dalle grande conquiste dell'intelligenza, del lavoro,
del raccoglimento e della pace; l'Italia nostra sta per conseguire una
nuova vittoria, per assurgere a nuove grandezze._

_A Parigi, alla Francia, giustamente orgogliose di un Ferdinando di
Lesseps, Milano, Venezia, l'Italia, contrappongono, parimenti
orgogliose, un nome, un uomo, non meno insigne e benemerito nella sua
modestia operosa:_ Il capitano Fara-Bon. _Un nome, un uomo sorto da
quel popolo che ha dato con Giuseppe Garibaldi il genio eroico
dell'azione, con Cavour e con Mazzini il genio "come la luce provvida"
del_ pensiero.

_Il secolo XIX riassumerà la sintesi della gloria di Suez e del Panama,
con una gloria italica:_


                _La Navigazione Cisalpina._

_È questo il Sodalizio fecondo e ardimentoso che intende affratellare
il Genio, la Scienza, il Capitale; affratellarli in un fascio di
energie e di risorse nuove, rinnovellate._

_La Navigazione Cisalpina ha per iscopo:_

a) _Mettere in comunicazione il_ Po _col_ Lago di Garda.

b) _Unire_ Torino _a_ Pavia _rendendo navigabile l'Eridano antico, tra
le due insigni città._

c) _Imprimere nuova vita al porto di_ Venezia, _punto di fusione, fra
la navigazione interna, la Cisalpina, e quella esterna, dei mari._


    Italiani!

_Al problema sociale che ogni giorno incombe più grave e più doloroso,
per il disagio economico derivante dallo scemare delle industrie, dal
languire dei commerci, alle innumeri e minacciose falangi dei
disoccupati invocanti_ lavoro e pane, _la_ Navigazione Cisalpina _offre
la soluzione pronta, efficace. Sarà la risposta illuminata, umanitaria,
delle classi dirigenti, a chi soffre non solo, ma altresì agli
agitatori, ai banditori delle teorie fallaci, delle esotiche idee,
perturbatrici di ogni ordine sociale._


    Italiani!

_Ieri ancora, alla Camera, uno dei più autorevoli patriotti denunciava
le necessità urgenti della scarsa Difesa Nazionale._

La Navigazione Cisalpina, _determinando le nostre_ _linee di difesa, di
operazione, d'arroccamento, dotando le nuove vie acquee di potenti
mezzi di trasporto indispensabili ai grandi movimenti strategici, sarà
fonte di economia in tempo di pace, di augurati trionfi in tempo di
guerra. Così_

                _La Navigazione Cisalpina._

_assicurerà profetica l'Augusta Parola che dai sette colli della Terza
Roma, proclamava intangibile l'Italia degli Italiani, l'Italia di Dante
e di Galileo._

        La _Navigazione Cisalpina_, Società Anonima Cooperativa
        a Capitale illimitato.

        _Per la sottoscrizione delle azioni_ (Lire 2000 cadauna,
        in una sola rata) rivolgersi tutti i giorni,
        tranne i festivi, alla sede del Comitato promotore,
        Via Manzoni, n. 90, piano nobile, nelle ore d'ufficio.

                  _Il Comitato promotore:_


        _Presidente,_ il marchese FERDINANDO FRATTA,
        Principe di ROCCA TOLOMEI.

        _Vicepresidente,_ il conte cav. ASCANIO BOBBOLI.

        _Direttore tecnico_

        Il cav. uff. ing. arch.
        CARLO FONTANELLA

                            _Direttore amministrativo_
                            Il cav. ENRICO BRUNETTI

                   _Segretario generale_
                   MATTEO CANTASIRENA.

                   _Membri del Comitato_

    Dott. cav. PIO CALCA, Possidente; avv. comm. PASQUALE TODDO-BERTÙ,
    Deputato; barone comm. VINCENZO LO FORTE DI SANTA TRINITA,
    Deputato; PIETRO LANER, Possidente-Pubblicista; AMBROGIO VERGANI,
    Industriale; CAMILLO BERETTA, Banchiere; marchese comm. GIAN
    FRANCO DURANTI, Possidente; SERAFINO CARLI, Possidente; FRANCESCO
    PALAZZOLI, Costruttore; NAPOLEONE SALVALAJ, Pubblicista; cav.
    MARCO SALÒ, Imprenditore; GIOVANNI BIZZARELLI, Ragioniere; BLASE E
    PAOLY (Losanna), Agenti di Pubblicità.


Questo grande _manifesto_, la prima emanazione del nuovo Comitato, per
poco non fu causa che mandasse a monte l'impresa.

Ma come?... Era forse il manifesto che avevano tanto discusso e
finalmente approvato tutti insieme, nella sala del ristorante
Canetta?... Tutti insieme, meno il Toddo-Bertù e il Santa Trinita, ai
quali Cantasirena aveva scritto, poi telegrafato a Roma per avere
l'adesione e la firma. Ma come? Erano stati burlati, mistificati,
ingannati! E ognuno dei soscrittori si sentiva compromesso, e
minacciava, voleva dare assolutamente le proprie dimissioni.

Il marchese Tolomei protestava indignato. Aveva finito coll'accettare
la presidenza del Comitato soltanto dopo aver avuto l'assicurazione
formale che il duca di Casalbara aveva a sua volta accettato di esserne
il presidente onorario!... Quel Cantasirena era dunque un uomo di
malafede, un mistificatore!

Il conte Bobboli, il Fontanella, il Brunetti, erano non meno furibondi
per il carattere anonimo e cooperativo che il segretario generale, di
motuproprio, aveva impresso alla società. E Pio Calca?... Pio Calca
avrebbe certo avuto dispiaceri per l'ultimo inciso, per quel Roma
_intangibile_. Figurarsi i suoi parenti, e sua madre....--_soa
mader!_--Quel Cantasirena era un matto! Un imbroglione!--E Pio Calca,
piccolino, biondino, con una vocetta stridente da musico in
convulsione, gesticolava scalmanato, spiritato, gridava coll'uno,
coll'altro per giustificarsi, per difendersi.

--È un'indelicatezza! Una sconvenienza! Doveva aver riguardo per _mia
mader_, che ha già preso cinque azioni, per me.... e anche, in certo
modo, per _i mee pajsan!_ Chi ha un gran patrimonio, come il nostro,
quasi tutto in terreni, Domeneddio deve tenerlo in piedi, al suo
posto.... anche per _i pajsan!_ E poi di noi due la più ricca è sempre
_mia mader_ e sarebbe una vera pazzia il mettersi in urto per
sciocchezze inconcludenti come il credere sì o no in Domeneddio, o il
voler restare a Roma più o meno!...

E anche Pio Calca, arrabbiatissimo, avrebbe voluto dare le dimissioni
da membro del Comitato. _Avrebbe voluto,_ perchè se aveva paura per
_soa mader,_ per la parentela, per _i pajsan_.... era inquieto anche
per via di Matteo Cantasirena, il quale con Pio Calca alzava subito la
voce e minacciava di portare la quistione sul terreno personale.

--Per me, tanto, mi batterei anche dieci volte! Ma non posso farlo per
le idee di _mia mader!_ Impossibile!... Sarebbe capacissima di lasciare
tutto il suo alla chiesa o all'ospitale!

In quanto al Cantasirena, egli se ne infischiava allegramente delle
proteste e delle minacce. Ormai li aveva nelle mani, presidenza e
membri del Comitato, prefetto e governo, e anche i piccoli pesciolini,
come il Vergani, il Beretta, il Palazzoli, il Bizzarelli che si erano
lasciati indurre a metter la firma, per correr dietro ai propri denari,
e adesso per paura di perderne degli altri, gli obbedivano ciecamente e
ciecamente votavano per lui.

Matteo Cantasirena nella costituzione del Comitato promotore aveva
avuto la mano abbastanza felice. Trovato irremovibile il Casalbara, che
alle sue continue insistenze perchè accettasse la presidenza onoraria,
aveva risposto, seccato, con uno di quei--no--che non ammettono
replica, era riuscito a trappolare il Tolomei, che se non era simpatico
e popolare come il Casalbara, era altrettanto influente e risonante di
titoli. Era, nientemeno, che il capo del partito radicale a Castellanzo
e a Primarole: una reliquia autentica dell'aristocrazia in malora, che
si era buttato rabbiosamente fra le braccia dei democratici, perchè la
gente del suo mondo gli avea voltato le spalle, omai ristucca di aprir
la borsa.

--Bisogna cominciare sul momento l'azione e l'attacco,--aveva detto al
prefetto Matteo Cantasirena.--Bisogna cominciare gli studi, i lavori
per la "Cisalpina" molto prima che la lotta elettorale abbia preso il
campo, e bisogna mirare dove l'avversario è più forte. Il marchese
Tolomei è il grande elettore del Bonforti e del Ghirlanda?... Ebbene,
per disorientare, sgominare l'inimico, è alla merlata rocca tolomea,
che bisogna tirare il primo colpo!

--Sicuramente!--aveva risposto il Prefetto,--il poter conquistare il
Tolomei farebbe buona impressione al Governo.

Il viso tondo, scialbo, dalle fedine rossicce, dell'alto funzionario
rimaneva sempre impassibile, impenetrabile. Soltanto quando profferiva
quella parola--Governo,--nell'occhio cerulo, improvvisamente
immalinconito, errava, spirava l'amarezza triste dei rassegnati.

--Capisce, commendatore? Sono già d'accordo col Fontanella: si compera
il palazzo Tolomei a Primarole.... una topaia, mezzo disabitata.
Pagandola bene, specialmente pagandola subito, facciamo entrare il
Tolomei nel Comitato, lo facciamo presidente, e il palazzo Tolomei,
restaurato alla bell'e meglio, diventa la sede della Direzione generale
degli studi per la _Navigazione Cisalpina_, dalla quale si stende una
gran rete d'interessi e di interessati, su tutta la zona dei due
collegi. Anche su di ciò siamo d'accordo io e il Fontanella. Gli studi
devono procedere febbrilmente, colla maggiore alacrità e senza
risparmio. Il risparmio, nel movimento delle grandi imprese, è sempre
stato la tomba del capitale! Un corpo di venti ingegneri!... Cinquanta
assistenti!... Tutta gente del luogo, il Tolomei alla presidenza.... e
abbiamo vinto!

--Sicuramente.--E il Prefetto, lì per lì, promise i fondi per un
giornaletto elettorale "_Le Risorse Italiche._"

Il Tolomei non aveva accettato che ad una condizione: che il Comitato
non avesse colore politico.... e per esser tranquillo e convinto di
ciò, bastava notare e far notare com'era composto. Il marchese Tolomei,
radicale, e Pio Calca, clerico-moderato: il Salvalaj, socialista, e
Marco Salò, protezionista; Pietro Laner, trentino, scrittore di prima
forza, poeta di prim'ordine, irredento sfegatato, e il marchese
Duranti, un ex devoto dell'Austria. E siccome appunto il Tolomei
brontolava per l'inclusione del Duranti, Matteo Cantasirena gli faceva
capire che aveva torto.

--Caro Tolomei: gli uomini sono mutati e anche il valore delle parole.
Austriacante non ha più lo stesso odioso significato. In mezzo alla
confusione dei partiti nuovi, della gente nuova, delle nuove scuole,
delle nuove teorie e delle nuove follie, austriacante, ha, direi,
alcunchè dell'austero, dell'antico, dell'aristocratico, del
finanziariamente solido....

--Ma.... il Casalbara? C'è o non c'è? Se c'è lui, ci sto anch'io, se
no, no!

--Giovanni?... Mio nipote?... Più che nipote, figlio direi quasi di
elezione e di affetto?... Eccolo qui.--E gli fece vedere la prima
minuta del manifesto, col duca di Casalbara presidente onorario.

Allora il Tolomei accettò la presidenza effettiva, e accettò anche una
forte anticipazione sul palazzo di Primarole.... e però quando il nome
del Casalbara non apparì sul manifesto, il Tolomei non potè più
ritirarsi.

Così il conte Bobboli: costui non pensava che a godersi in pace i suoi
milioni, e sopratutto a vivere all'ombra, quietamente, schivando ogni
rumore, dando sempre ragione a tutti quanti, per la tema di poter
essere tirato in ballo anche nella più piccola quistione.

Ma ecco, un bel giorno, legge sulle _Risorse Italiche_ la gran notizia
che gli elettori di Primarole, "gli elettori della libertà
nell'ordine", lo vogliono portare contro il Bonforti, "un rumoroso
atleta dello scandalo, un furibondo iconoclasta di ogni più pura
immagine del patriottismo nazionale."

Fu una mazzata sul capo. Il Bobboli traballò, gli sembrò che il terreno
gli mancasse a un tratto sotto i piedi, e scrisse subito al giornale
che non voleva saperne di deputazione, che era malandato in salute, che
partiva subito per Parigi! Ma in risposta gli capitò una lettera
misteriosa di Matteo Cantasirena colla quale lo pregava di passare in
giornata al "_Le Risorse Italiche_" per il decoro, l'interesse morale
del partito, riverberantesi sulle istituzioni.

Il conte Bobboli si precipitò all'ufficio del giornale, tutto rosso,
sconvolto, sossopra: sossopra anche il parrucchino di solito così
leccato e lucente.

Il direttore lo accolse con gran sussiego:

--Scusi, caro conte, il disturbo; ma è certo che il suo rifiuto
inaspettato, inesplicabile....

--È inesplicabile, inaspettata l'offerta!... Io non ho mai domandato
altro che di restar tranquillo.

--Tranquillo lei? L'uomo dalle grandi imprese, dai grandi affari, dalla
vita avventurosa, regale, anzi diremo, vice-regale?--E Matteo
Cantasirena sorrise, socchiuse gli occhi.--Non sarà; ma è pur certo che
il rifiuto sembrerà strano; avrà quasi l'apparenza di una ritirata,
susciterà commenti, indiscrezioni.--E Matteo Cantasirena tornò a
socchiudere gli occhi, ma soffiando e sospirando.--Io dovrò difenderla,
indirettamente, dovendo difendere l'uomo scelto dal nostro partito, il
gentiluomo beneviso in alto luogo; e, prima di impegnarmi in una lotta
fierissima, _usque ad finem_, mi necessita la piena conoscenza dei
fatti.--E qui, Cantasirena con un'aria da giudice istruttore gl'indicò
la seggiola di faccia, dall'altra parte della scrivania:

--S'accomodi.

Da rosso, il povero Bobboli era diventato pallidissimo.

--No.... no.... Non voglio lotte, non voglio polemiche! Io non accetto
la deputazione perchè la politica non è affar mio, perchè non so
nemmeno parlare....

--Il deputato che ci occorre oggi è il _rara avis_: è quello appunto
che sappia tacere.

--Ma che io.... non sia più padrone della mia libertà?

--Nessuno può vantarsi libero in un paese sinceramente libero. Guardate
l'America!

Vi fu un lungo silenzio.

--"_Calomniez_"--riprese poi Cantasirena,--"_il en restera toujours
quelque chose!_"--E avvicinando il faccione sfrontato e scrutatore alla
faccia allibita del candidato di Primarole, domandò colla voce cupa,
penetrante:--Lei conosce bene la leggenda egiziana, che corre per il
mondo?

--Chi può far ta.... tacere le canaglie?--balbettò l'altro senza fiato.

Matteo Cantasirena lo fissò, continuò a fissarlo. Con una mano si
accarezzava la barba lunga, fluente: coll'altra, tesa sulla scrivania,
suonava il tamburino colle dita, sempre più forte, con un'irritazione,
una minaccia crescente.... E intanto lo fissava, continuava a fissarlo.

Il povero Bobboli-beì in quell'occhio acuto, luccicante, in quel viso
severo, minaccioso, vide riapparire, ritornare a galla, tutto il suo
passato.... Il traffico dei neri..., il commercio delle bianche.... le
cambiali.... la rovina d'Ismail pascià. Allora, sentendosi perduto,
perdette la testa; ebbe paura dei morti, paura dei vivi, paura, più di
tutti, di Matteo Cantasirena, e per ciò gli si abbandonò nelle mani
senza nemmeno venire a patti.

Invece, per risolvere la madre di Pio Calca a permettere al figliuolo
di portarsi deputato e ad inscriversi fra i promotori della
"Cisalpina", furono messi in moto tutti i preti dei due collegi, con
monsignor Meneguzzi alla testa. L'architetto Fontanella avrebbe
comperato, per conto della Società, certi fondi della fabbriceria di
Castellanzo, che non rendevano un soldo, e provveduto al restauro,
colla fondazione di una messa, per i lavoranti e gli operai, di una
certa chiesa detta di San Vicenzino.... grave oggetto di scandalo per
tutti i devoti.

Figuriamoci! L'aveva presa in affitto un prete spretato, fattosi
pastore protestante, e vi teneva le sue adunanze, le sue conferenze per
la propaganda evangelica!

E così era cominciata la lotta elettorale e così cominciava a
diffondersi, a prender piede e a prender corpo la _Navigazione
Cisalpina_ e si raccoglieva attorno a Matteo Cantasirena tutta una
schiera, tutto un esercito, tutta una popolazione d'interessati.

Oltre al Tolomei, al Bobboli, a Pio Calca, oltre al marchese
Duranti--che dopo aver rinnegato Cantasirena quando ormai lo credeva
liquidato e morto, adesso, per riamicarselo, comperava le azioni della
"Cisalpina"--oltre al Brunetti, al Vergani, al Bizzarelli, si mettevano
in moto, si agitavano tutti i parenti e i dipendenti di costoro. E i
radicali che lavoravano per il Tolomei, e i clericali che lavoravano
per Pio Calca, e gli avversari del Bonforti, che volevano ad ogni costo
il conte Bobboli!... Poi i venti ingegneri, poi i cinquanta assistenti,
poi tutti gli altri che avevano da guadagnare, da lavorare, da sperare
nella "Cisalpina" e anch'essi, alla lor volta, colle loro famiglie, i
loro amici, le loro aderenze. E da una parte il prefetto e gli agenti
del Governo, e dall'altra i sindaci, i comitati, le associazioni....
Più aumentava la folla, più s'ingrossavano gl'interessi, le speranze
crescevano, si accendevano le passioni, gli odî, le guerre, le
cupidige. E in mezzo a quella turba, a quella folla, l'architetto
Fontanella, intrigante, strisciante, petulante; e sopra la folla, sopra
tutto, Matteo Cantasirena, sempre olimpico, maestoso, sereno, sempre
convinto nella giustizia della lotta elettorale, nella bontà
dell'impresa, nel genio di Fara-Bon, che ritornava a fare, che
continuava a fare ciò che aveva sempre fatto e disfatto: raccogliere
quattrini a palate per buttarli a cappellate!

Il direttore, abbandonato l'antico quartiere, aveva preso in affitto
tutto un villino in via Ricasoli. Nel pianterreno, aveva messo gli
uffici delle _Risorse Italiche_; al piano nobile il suo appartamento,
colla Gioconda innalzata al grado di governante, e Taddeo, press'a
poco, a quello di maggiordomo. Di sopra, lo studio dell'architetto
Fontanella, la cameretta di Pietro Laner, e il quartierino di Evelina,
che viveva tutta sola, affatto ritirata, con una servetta più gialla,
più brutta, più gobba di lei.

Evelina avea voluto così, e ormai era Evelina la coccola, il cuore, il
grande amore dello zio Matteo. Eleonora, quell'egoista superbiosa, non
si poteva più nemmeno nominare, o lo zio Matteo--non più zio per
lei!--strepitava, montava in furia. La cagione di un così gran
mutamento era stata la condotta di Nora, la quale s'era rifiutata di
seguire i consigli, le esortazioni dello zio, non avea voluto prestarsi
per indurre quel vecchio testardo di Giovanni, pieno zeppo di
pregiudizi di casta, di albagia, ad accettare, nientemeno, che la
presidenza onoraria della _Navigazione Cisalpina!_ E non solo questo,
ma pareva di più, che "quella bisbetica indomabile" cercasse di scavare
l'abisso fra lo zio, non più zio, e il suo biondo senatore! Così, un
duca di Casalbara, faceva in certo qual modo il paio con un Marco Salò
di Trieste, l'unico dei firmatari del comitato promotore che dopo
ricevuto il manifesto s'era incaponito a voler dare e mantenere le
proprie dimissioni!

E anche alle nozze celebrate a Casalbara in forma privatissima, Matteo
Cantasirena aveva avuto un contegno rigido e severo. Un solo momento di
commozione alla partenza, nell'abbracciare quel povero Giovanni! Ma per
lady Macbeth, niente! Era felicissimo di non rivederla più per un bel
pezzo! Andasse pure a Nizza, a Parigi, a Londra.... e a Bergamo! Tanto
meglio! Lui aveva fatto il suo dovere di padre, l'aveva messa a
posto.... e adesso basta! Quando i suoi affari gliene avessero lasciato
il tempo si sarebbe dedicato a quell'altra, alla buona, alla cara
Evelina!--Oh, Evelina!--Era Evelina la sua figliuola vera, l'unica, la
soave Cordelia dello zio Matteo! La bontà la rendeva piacente, la
rendeva perfino bella!...--Quel Laner! Un melenso, un ignorante!
Trascurava tanto tesoro di tenerezza, di poesia, di vera poesia,--altro
che i suoi versi!--Mah! I contadini, i villani, misurano tutto a palmo!
Ciò che ad essi fa colpo non è la qualità, è la quantità! Quell'altra,
era più grande, più grossa, e gli aveva fatto più colpo!

Lo zio Matteo, in conclusione, avrebbe voluto che il Laner sposasse
Evelina, non tanto per Evelina, quanto per le ventimila lire del
libretto della Cassa di Risparmio.

Come tutti i prodighi, egli aveva l'avarizia, la smania di quei denari
che non poteva toccare e buttar via colle sue mani. La somma sborsata
dal Casalbara per pagare il Laner, la considerava sua, per la ragione
che era suo il debito; e impiegata al tre per cento, per la gretteria
sospettosa della signora duchessa, era, per lo zio Matteo, un capitale
suo, sciupato!

--Quell'irredento chitarrista, è stato lui, colla sua cocciutaggine,
colla sua classica inabilità, che ha ammazzato l'_Emporio
Letterario!_... Tocca a lui a pagar le spese!... Tocca al direttore
"responsabile" dell'_Emporio_, non a quello del _Rinnovatore!_

Soltanto la speranza di far sposare Evelina al Laner, lo aveva calmato,
rabbonito. Le ventimila lire sarebbero state la dote della sua cara
Evelina, e per quella figliuola era sempre pronto a sacrificarsi.

E di nuovo si era tirato in casa Pietro Laner, creandolo suo
"segretario di gabinetto", mandandolo di qua, di là, facendolo lavorare
per il nuovo giornale, per il comitato, per le elezioni, strapazzandolo
come un cane per vendicarsi di Nora; quell'ingrata, che non gli
scriveva, che non faceva un passo, che non gli domandava perdono....

--Dopo che mi deve la sua fortuna, la sua _posizione_, una delle
"_prime posizioni_" di Milano!

Pietro Laner, quando lesse il suo nome sul manifesto della "Cisalpina"
si sentì stringere il cuore, prevedendo nuovi guai. Era il primo giorno
che usciva di casa per rinfrancarsi un po' sulle gambe. Si sentiva
indebolito, fiacco, era malinconico e triste; e leggendo quel
manifesto, vedendo il suo nome e col fantasma di Evelina sempre fisso
in mente, tornò a pensare con un brivido di terrore superstizioso che
aveva proprio ricominciato a vivere di venerdì!

Ah, come avrebbe voluto ritornare a Crodarossa!... Ma non osava più
parlarne: Evelina scoppiava subito in lacrime.

--Sola?... sola?... sola?... Lasciarmi sola nel mio stato d'angoscia,
orribile, tremendo?... No, no, Pietro, non lasciarmi sola! Se in un
impeto di smarrimento, di disperazione perdo la testa, Dio, Dio, per
te.... che rimorso!

E intanto, anche a Crodarossa, cominciavano a inquietarsi, a
spaventarsi.

Evelina non mandava più lettere; e Pietro, preso dall'inerzia,
dall'abbattimento, lasciava passare i giorni ripetendo sempre a sè
stesso: Scriverò domani, scriverò domani!

La signora Angelica e la signora Rosina stavano ancora nel lungo riposo
del dopo pranzo alla finestra della loro cameretta, ma non sospiravano
più guardando l'orto, guardando il "Gigantesso" e pensando a
quell'altra, alla nuova padrona. Si guardavano mute nei poveri occhi
pieni di lacrime e sospiravano, sospiravano pensando a Pierino.

Un giorno--era tornato l'ortolano dalla posta ancora senza lettere--non
si sentirono più la forza di resistere ed ebbero invece, tutt'e due,
nello stesso tempo, lo stesso pensiero:

--_Andemo a Milan?_

--_Andemo._

Trotterellando, corsero a confidare la loro risoluzione, il loro colpo
di testa a Don Giuseppe, che rimase attonito, a bocca aperta, un po'
perplesso e impensierito per quella partenza.

--Certo, certissimo, un'inspirazione del loro buon cuore, non può
essere che un'inspirazione di Quel di lassù. Intanto, in quanto a me,
per tirare innanzi in questi giorni.... Dio vede e Dio provvede!

E Don Giuseppe,--erano in cucina,--sospirò guardando malinconico i
fornelli.

Ma la signora Angelica e la signora Rosa si affrettarono a
tranquillarlo. Per una settimana avevano date tutte le istruzioni e
anche le provviste occorrenti alla Nunziatina, la figlia dell'ortolano.
Prima di partire avrebbero preparato il _golasch_ colle patate per due
giorni; per altri due giorni, pollo e patate a lesso; per i giorni di
magro il merluzzo, le uova, e insalata di patate. Avrebbero consegnato
alla Nunziatina il quantitativo occorrente di burro, di caffè; poi
sarebbero tornate, giusto in punto, per il giorno della lavandaia, e
Don Giuseppe non si sarebbe nemmeno accorto della loro assenza.

E così, piene di borse, di fagotti, con un'oca "bella grassa" e un
sacchetto di noci, le due vecchierelle, sempre collo scialletto nero e
col fazzoletto di maglia grossa annodato sotto il mento, capitarono a
Milano, tenendosi vicine vicine, per non perdersi in quel _diavolesso_,
in tutta quella gran _confusion!_

Ma, subito, si rincorarono alla vista di Pierino che le accolse
festoso, giubilante, e che esse--Dio sia lodato!--ritrovavano, dopo
tante angosce, perfettamente rimesso in salute; soltanto con un
colorito un po' più pallido, "_più civil!_" Poi tornarono a
confondersi, a smarrirsi alla vista del "signor commendatore _direttor_
Cantasirena" e alle sue espansioni rumorose, assordanti. Ma di nuovo si
rinfrancarono, si consolarono con Evelina, così modesta, insinuante,
economa, tutta di casa, e così piena di attenzioni e di premure.

La signora Angelica e la signora Rosa, piombate da Crodarossa a Milano,
spinte dal presentimento, dal dubbio di una disgrazia, vi ritrovavano
invece il loro Pierino rimesso in gamba, colle ventimila lire ancora
intatte, e "vicinissimo a farsi uno stato magnifico, sotto la
protezione del signor commendatore _direttor_." E trovarono pure il
buon tempo, l'allegria, quegli svaghi che in tutta la loro vita non
avevano mai avuto, non avevano mai sognato.

Pierino sentiva ormai che della sua grande felicità d'un tempo non
aveva più altro che quelle due vecchierelle, e si mostrava assai più
affettuoso e amoroso. Matteo Cantasirena faceva loro, col vocione
rimbombante, elogi e complimenti straordinari, ch'esse, magari, non
capivano bene, ma che cercavano poi di spiegarsi l'una all'altra quando
erano sole, e le teneva allegre, le rendeva arzille, coi pranzi
squisiti e coi vini prelibati. Evelina le portava in giro per tutte le
chiese, pregava con esse, con esse faceva tutte le sue divozioni,
baciava tutte le reliquie. Poi le conduceva a passeggiare sotto la
Galleria, o lungo il Corso a vedere i negozi. La signora Angelica e la
signora Rosina erano ancora intontite, spaurite, in mezzo al trepestìo
della folla. Si tenevano per la sottana, ma abituandosi a mano a mano,
cominciavano ad ammirare, ad estasiarsi. Il Duomo esse non lo vedevano
nemmeno: era troppo grande, troppo immenso pei loro piccoli occhi
esterrefatti, ma rimanevano immobili, attonite dinanzi ai Bocconi, si
dilettavano, si godevano, si maravigliavano dinanzi alle trottole, ai
topolini, ai pulcinella dei rivenditori ambulanti. E strabiliavano,
trasecolate, per i prezzi enormi, "esageratissimi" di tutta quella
roba, e poi sospiravano, si guardavano mute, titubanti per via d'un
panettone che il loro cuore voleva portare a Don Giuseppe, ma la cui
spesa era l'unico tormento, l'unico affanno di quei giorni felici.

Pietro continuava a trovarsi colle zie, sempre insieme alle zie. Pure,
a un tratto, sebbene le due vecchiette, sballottate in quello
stordimento, non se ne fossero accorte, egli era diventato taciturno,
cupo. Fissava spesso Evelina con una domanda ansiosa negli occhi, e la
ragazza gli rispondeva con un brivido, impallidendo.

Alcuni giorni, appunto, dopo l'arrivo delle zie da Crodarossa, si erano
ripetuti più gravi i primi sintomi; e una domenica, tornati insieme
dalla messa, mentre la signora Angelica e la signora Rosa
trotterellavano innanzi, passando per le prime nel salotto, Evelina,
fermato il Laner sull'uscio, gli aveva bisbigliato in fretta, tutta
tremante:

--Ho paura.... ho paura.

--Paura di che?--aveva risposto l'altro pur con un tremito.

--Se fosse vero! Ah, se fosse vero! Un veleno, subito, fulminante! La
morte!... La morte!

Ma la signora Angelica e la signora Rosa non sapevano leggere sotto la
maschera del sorriso forzato. Esse credevano a tutti, credevano a
tutto, sempre confuse, commosse per la grande, immeritata bontà di cui
si vedevano circondate. E furono esse medesime che indussero Pierino ad
accettare "subito subitissimo" le offerte di "quel grand'uomo, del
signor commendatore _direttor_." Cioè, tornare a star in casa con lui,
e assumere "per intanto" il posto, importantissimo, di suo primo
consiglier particolare!

E le signore Laner, così festeggiate, accarezzate, naturalmente, invece
di una settimana, si fermarono a Milano più di un mese. Sempre
spaurite, stupefatte, sempre senza parole, non sapevano resistere alle
preghiere di Pietro, agli abbracci di Evelina, alle intimazioni
amabilmente imperative di Matteo Cantasirena, il quale le vedeva
soltanto a pranzo, ma le incantava, le affascinava, le istupidiva per
tutto il giorno.

--_Bisogna partir_....

--_Dovemo proprio partir_....

E intanto i giorni passavano, ed erano sempre a Milano, e appena appena
osavano guardarsi, mute, sbigottite con lunghi sospiri, all'idea della
collera "giustissima" di Don Giuseppe, rimasto solo, abbandonato a
Crodarossa, colla Nunziatina, _bona de gnente_, oppure pensando alla
lavandaia, alla biancheria, alle mele cotogne "_de cernir_" e alla
canonica, tutta quanta in _rivoluzion!_

--_Bisogna partir_....

--_Dovemo proprio partir_....

E si decisero a partire, veramente, ma quando gli altri non pensavano
più a trattenerle.

Pietro aveva promesso, subito, di accompagnarle fino a Crodarossa; poi,
dopo, per via di quell'altra che faceva il muso, che si sentiva male,
soltanto fino a Verona. Ma all'ultimo, Evelina, sempre in sospetto,
sempre col timore che egli volesse scappare, gli tolse d'un colpo ogni
lena e ogni forza di muoversi:

--Dio, Dio!... È sicuro! Il dottor Foresti se n'è accorto.... Ha capito
tutto! È sicuro!

Pietro lasciò che la zia Angelica e la zia Rosina partissero sole. E
alla stazione, salutandole, dimenticava quasi di abbracciarle. Era
troppo sconvolto, troppo spaventato....

Che viaggio lungo, uggioso per le signore Laner, e come arrivarono
tristi e malinconiche alla canonica! Osarono appena presentare a Don
Giuseppe "coi saluti particolari del signor commendatore _direttor_" il
bel panettone che Evelina aveva finito col regalar loro, per levarle
dai triboli.

Don Giuseppe le aveva ricevute senza guardarle in faccia, con un muso
"tremendo". Egli parlava soltanto colla Nunziatina; dava i suoi ordini,
faceva tutte le sue raccomandazioni soltanto alla Nunziatina.

E la loro cameretta?--Cos'era successo?--Anche la cameretta non
sembrava più quella di prima. Era diventata squallida, oscura....

Oh, quel gran silenzio che le circondava, come pareva cupo, come pareva
vuoto!

--E l'Evelina?... Che angelo!

--Un vero angelo!

Così mormoravano, tra di loro, nello svestirsi per andare a letto, col
pensiero e col cuore sempre a Milano.

--E Pierino?... Poveretto, alla _stazion_, per lo sforzo del trattener
le lacrime, era tutto pallido, smorto....

--Smorto cadaverico, poveretto.

S'inginocchiarono, bisbigliarono le preghiere, intonandole più alto la
signora Angelica, rispondendo a voce più sommessa la signora Rosa.
....Poi, dopo, a tutte due, nel coricarsi, sfuggì il medesimo sospiro.

--E il signor commendatore _direttor_?... Che belle maniere.... e che
bella testa!

--Una vera testa da san Gerolamo!

--E che mani bianche, delicate....

--E la voce?

--_El parla cussì ben_ come uno che canta!

E le vecchierelle, rannicchiate sotto le coperte, sospirarono ancora,
sospirarono più volte, prima di addormentarsi.

Ma poi, passando i giorni coi giorni, sempre uguali, la gran città fu
dimenticata a poco a poco, perdendosi, confondendosi lontano, nella
memoria. E Don Giuseppe, l'economia, l'orto, la canonica avevano già
ripreso il primo posto nella loro vita e nei loro pensieri, quando,
d'un tratto, furono nuovamente sconvolte da un altro "_rebalton_", il
più terribile di tutti!

Era capitata una lettera del Laner, scritta collo stile di Evelina, ma
questo le zie non potevano capire, nella quale Pietro confessava il suo
"ardente amore" per la giovane alla quale esse avevano dimostrata tanta
bontà e tanto affetto, "per la nipote del signor direttore", e finiva
col chiedere il loro consenso al matrimonio, e la loro benedizione.

--_Jesus Maria Joseph!_

--_Jesus Maria!_

E al solito, corsero smarrite, trafelate in cerca di Don Giuseppe.

Il buon prete, che con sua grande soddisfazione aveva visto la canonica
riprendere, finalmente, la vita placida, tranquilla d'un tempo, non
aveva adesso altro che un timore: qualche trambusto, qualche nuovo
guaio e dalla parte di Milano. Però, sentito il caso, si affrettò,
tanto per fin di bene, quanto per il quieto vivere, a calmare e a
confortare le signore Laner.

--Tutto per il meglio, signora Angelica! Ma tutto per il meglio,
signora Rosa! È sempre Quel di lassù che vede e provvede, e dobbiamo
ringraziarlo come di un nuovo, segnalato favore. Pierino non è più solo
a Milano, esposto a tutti i pericoli dell'anima, e diremo anche del
corpo. Mi hanno ripetuto, tante volte, non è vero? che la ragazza, la
sposa prescelta, è savia, modestissima, di ottimi principî?

--Oh, per questo, una vera _perfezion!_ E anche economa.

--Economicissima.... Tutta di casa.

--E allora dunque?... Ma si potrebbe desiderare di più e di meglio, dal
momento che è l'ispirazione, è la volontà diretta e medesima di nostro
Signore? _Mundus est et mundus esse debet!_

--Ma.... Pierino, non ha ancora uno stato sicuro.

--Un _impianto_ stabile....

--Quel signor commendatore, così potente, padrone dispotico di tutta
Milano, penserà certo alla sua fortuna, al suo avvenire. Diamine!...
Sposa una sua nipote!

--Ma.... la salute.... È malatina, esilina....

--Bruttina, anche, per dir la verità.

--E questo forma il più grande elogio del loro nipote, che non si è
innamorato della bellezza del corpo, che è la dote del diavolo, ma
della bellezza dell'anima, che è il dono più prezioso di Quel di lassù,
essendo come una parte della sua stessa essenza divina! Da brave,
coraggio, e ringraziamo tutti insieme con umiltà, con gratitudine il
nostro Signore, l'Altissimo onnipotente, che tutto vede e provvede. Ed
io, che per l'appunto, come servo, e indegnissimo s'intende, lo
rappresento ai suoi fedeli, mando in questo momento al nostro Pierino,
a Milano, la sua santa e paterna benedizione.

Il prete, diritto in piedi, si levò la berretta, e dopo aver fatto
l'atto della benedizione, congiungendo le palme devotamente, intonò
compunto, a bassa voce, le litanie:

--_Kyrie eleison.... Christe eleison_....

E le due vecchiette, inginocchiate a' suoi piedi, vicine vicine, come
per dar più forza alla loro preghiera, come per unire in uno solo il
loro fervore e il grande affetto per il loro Pierino, balbettavano
colla voce fioca, tremante, rotta dalle lacrime:

--_Ora pro nobis_....

--_Ora pro nobis_....



PARTE SECONDA


LA BARAONDA.



I.


Due seccature, una leggera, l'altra assai grave e pericolosa, turbavano
il buon umore e il successo del direttore delle _Risorse italiche_,
segretario generale della _Cisalpina_. La seccatura piccola, un'inezia,
ma insistente, irritante come la punzecchiatura di una mosca, era Paolo
Jona colla sua _Durlindana_. Ormai la Navigazione e Matteo Cantasirena
facevano le spese di tutto il giornale umoristico. Appena affisso il
manifesto del Comitato, la _Durlindana_, subito, era uscita con una
grande caricatura a colori: _Mosè salvato dalle acque_. E Mosè, si
capisce, era Matteo Cantasirena, le _acque_ i debiti, le cambiali, i
protesti; l'_Arca_, la _Cisalpina_, le _vele_ il giornale le _Risorse
italiche_, gonfiate dal Prefetto, che soffiava fondi segreti.

--Ragazzacci viziosi e sgrammaticati!--Matteo Cantasirena diventava
furente, ma si arrabbiava fra sè, soltanto fra sè. Rispondere? Sfidare?
Dar querela?... Avrebbe fatto ridere di più alle proprie spalle. Però,
il vecchio giornalista fingeva, con sprezzante noncuranza, di non
vedere, di non leggere mai la _Durlindana_, tanto "quel giornalaccio"
era volgare, e senza spirito!

Non così, per altro, egli avrebbe potuto comportarsi alla seccatura più
grossa: la guerra che faceva alla _Cisalpina_ quel maledetto boemo
"trasudante col sudiciume, i milioni e le canagliate!"

--Col Kloss non si può scherzare!

E si trattava appunto di Francesco Kloss, e l'odio, la guerra che gli
faceva il Kloss, egli la metteva in conto di un altro regalo che gli
venisse da Nora.

Il Kloss, adescato e poi rimasto a bocca asciutta, non potendo
vendicarsi contro "madama Du Barry" si sfogava contro la _Cisalpina_.

--Beneficate!--brontolava lo zio Matteo.--Raccogliete le orfane dei
vostri amici, e avrete in ricambio l'ingratitudine, sempre
l'ingratitudine!

Era vero che Francesco Kloss, abbandonando il solito riserbo, s'era
buttato accanitamente contro la _Cisalpina_, e i giornali radicali,
avversari dell'impresa, più che per altro, per ragioni politiche e per
mire elettorali, si facevano forti de' suoi giudizi, della sua aperta
ostilità. Uno, fra gli altri, aveva appena pubblicata l'intervista di
un _reporter_ col commendatore Francesco Kloss a proposito delle
"_manovre nautico elettorali_ di Primarole". E l'intervista era
riuscita tanto più impressionante per il tono burlesco. Il Kloss non
faceva altro che ridere e sghignazzare, assicurando, che per conto suo
avrebbe sempre aspettato l'acqua della "Cisalpina.... per correre ad
annegarsi!" E il _reporter_ riferiva il motto preciso, nel suo dialetto
internazionale:

"_Mi aspettassi cuell'acqua, per cour diretto a neccar!_"

Ma nella guerra mossa dal tedesco alla nuova impresa non entrava
affatto la "_macchina a tispiasé_" come egli chiamava la duchessa di
Casalbara. Forse gli era rimasto per Nora un senso di dispetto, di
antipatia unito alla diffidenza, ma ci voleva ben altro per muovere il
Kloss, in pro o contro un'impresa, e per spingerlo a fare ciò da cui
era sempre rifuggito quasi con terrore: parlare coi _giornalista_,
trattare coi _giornalista_, concedere interviste ai _giornalista!_

Per indurlo ad un passo così avventato era occorso tutto il suo odio di
razza contro gli "_imbrojamestee_" degli affari, della speculazione. E
più ancora: tutto il suo proprio, il suo vero, il suo solo interesse!

Quella "carnevalata" della _Navigazione Cisalpina_ poteva di
contraccolpo, suscitare diffidenze, timori nel pubblico per le grandi
speculazioni della Borsa, per gli affari sul serio, insomma per gli
affari della banca Kloss e C.

--_Cunt i tannée del pubblich se scherza no!_--dichiarava il Kloss
senza più ridere nè sghignazzare, perchè istintivamente, per abitudine,
i denari del pubblico li considerava già suoi.

Le _Risorse italiche_ non raccolsero il fiero attacco di
quell'intervista. Soltanto il giorno dopo, recavano al posto d'onore
"in corpo nove" un avviso interessante, ch'era anche una stoccata.

"Il segretario generale della _Navigazione Cisalpina_, commendator
Matteo Cantasirena, terrà domenica 1.º giugno, nella fausta occasione
della Festa Nazionale una conferenza nel gran salone del "Palazzo dei
Lavori" a Primarole, sul tema: "La Navigazione Cisalpina.--Il passato,
il presente, l'avvenire."

"L'onorevole conferenziere spiegherà il concetto creatore del compianto
capitano Fara-Bon e illustrerà l'estrinsecazione pratica che di esso
sta per assumersi il suo degno discepolo e continuatore, l'ingegnere
cav. Carlo Fontanella, giovane ricco di censo, di mente, di cuore e di
studi. Il Fontanella risolverà uno dei problemi più utili alla
grandezza italiana, rispondendo colla vittoria dei risultati, alle
guerre coperte e insidiose degli atrabiliari e dei settari i quali
soffocano ogni sentimento di patria nei loro odî, nelle loro cupidige
ascose e tenebrose.

"L'illustre oratore, infaticabile segretario della _Cisalpina_, darà
conto altresì delle numerose e preziosissime adesioni che continuamente
pervengono al Comitato: ed inviterà gli intervenuti alla cerimonia di
chiusura del concorso, per la scelta del bozzetto di un monumento al
grande Ideatore."

Una noticina in corpo sette, soggiungeva poi:

"A proposito del concorso. Siamo in grado di prevedere che i suffragi
del pubblico, come già quelli della competentissima e solerte
commissione aggiudicatrice, si raccoglieranno indubbiamente sul
bozzetto dello scultore Gesualdo Arcangeli: "Fara-Bon dinanzi a
Malamocco." È questa un'opera d'arte nella quale l'alta e patriottica
idealità del concetto si rivela nella severità classica della forma,
scevra da ogni ibrida concessione alle volgarità del cosidetto verismo.
Nè poteva essere altrimenti. Gesualdo Arcangeli è cittadino dell'eroica
Brescia, è figlio di quel prode Agesilao, a noi più che compagno,
fratello nelle lotte e nelle congiure, morto sulle barricate, colpito
in fronte dal piombo di un caporale croato.... anzi _boemo_."

Ma dalla freddezza colla quale erano stati accolti e riportati dagli
altri giornali, anche dagli stessi giornali del partito, i "comunicati"
riguardanti la conferenza di Primarole, il monumento e le nuove
adesioni, Matteo Cantasirena, col suo fiuto finissimo, aveva subito
capito di essere un po' in ribasso dopo la famosa intervista.

Si trattava, per il pubblico, di metter mano alla borsa e facevano più
colpo il gergo barbaro e lo scetticismo del banchiere, che dava
l'allarme, di tutti i pistolotti e le evocazioni nazionali.... per
cavargli quattrini.

--Italia! Italia!--gemeva dolorosamente Cantasirena. Poi pensava al
modo di difendersi e concludeva:--Bisogna neutralizzare il Kloss!

Il direttore era solo nel suo studio, alle _Risorse italiche:_ uno
studio artistico e patriottico: il busto del Fara-Bon, dal solito
barbone e il berretto di pelo, e, in alto, in una gran cornice, una
lettera autografa di Garibaldi.

--Bisogna rendere l'Austria neutrale.... o meglio ancora, farsela
alleata!...

E pensava, continuava a pensare, accarezzandosi la barba,
arricciolandone la punta, nervosamente.

Aveva bisogno di denaro, di molto denaro. Aveva pagato i debiti
vecchi.... ma cominciavano già ad invecchiare anche i debiti nuovi....

--Il Brunetti, il Bizzarelli, il Palazzoli.... tutti spiantati!... Il
Fontanella.... un pusillanime! Gli operai, i giornalieri, si sa, sono
un branco di affamati! Ebbene, quando strepitano, quattro schioppettate
in aria e si cacciano in prigione! E quel chierichetto ambizioso di Pio
Calca? E quel trafficante di carne umana del Bobboli-beì? Vogliono
esaminare i conti!... I conti! I conti!... Se abbiamo fatto l'Italia è
perchè non abbiamo mai contato nè i nemici nè i denari! I conti!... Io
non accumulo! Io non nascondo i milioni!... Non ci credono? Vengano a
vedere!

E il direttore sbuffò stizzito, con un'alzata di spalle. Se ne
infischiava di quella gente! All'occorrenza il Fontanella, il Calca, il
Bobboli, tutti quanti, avrebbero dovuto tirar fuori degli altri
quattrini. Ma per la _Cisalpina_, per la riuscita della grande impresa,
occorreva il capitale fluttuante, enorme, inestinguibile del pubblico,
delle azioni.

--Maledetto boemo!... Bisogna agguantarlo per il collo!... Per lo meno
imporsi, spaventarlo!... Spaventarlo?... Sicuro, perchè no?

Matteo, era seduto dinanzi alla scrivania; si allungò, si distese sulla
poltrona.

--Spaventarlo?... Tedesco, affarista, donnaiuolo.... non dovrebbe
essere difficile!

Rimase a lungo immobile, coll'occhio fisso ad un punto del soffitto:
con una mano aveva afferrata tutta la barba, e si grattava il mento
coll'indice... Poi gli sembrò... ebbe un lampo. Allora si scosse, si
alzò come per seguire l'idea che gli era balenata...

--Gli spezzati d'argento.... Gli incettatori... Gli avoltoi della
Borsa... e delle borse! Benissimo!

Si avvicinò all'uscio e chiamò a mezza voce:--Signor Perego!

Un omino entrò quasi subito nello studio: piccolo, sudicio, sparuto,
colle scarpe rotte e l'abito nero tutto liso; una faccia tra l'affamato
e il delinquente. Egli si fermò dinanzi al direttore con un
atteggiamento ch'era un mezz'inchino, e portandosi con un moto abituale
della mano il grosso cordone del _pince-nez_ dietro l'orecchio.

Il Perego poteva vantarsi di rappresentare tutta intera la redazione
delle _Risorse italiche_. Il giornale "dei giovani e per i giovani"
aveva infatti sempre piene di giovani le sale della direzione e le
tasche del direttore. Ma a tutti quei giovani Matteo Cantasirena
raccomandava di portar quattrini e abbonati: quando portavano
articoli... questi finivano nel cestino.

Mariano Perego era straordinario nella sua qualità di giornalista
_utilité:_ aveva letto tutto, conosciuto tutti, ricordava tutto; era
uno sgobbone portentoso, instancabile, un assimilatore dello stile di
prima forza.

E per questa sua abilità, i colleghi lo chiamavano il
_falsificatore_..., ma non per questa soltanto. L'appellativo aveva un
senso recondito, ingiurioso e perfido: si riferiva alla prima colpa del
Perego, quella che lo aveva disonorato, rovinato.

A diciott'anni, egli faceva ancora l'ultimo corso di liceo; pazzo per
una donna, aveva falsificata la firma di un suo compagno di scuola,
sotto una cambiale di cento lire: prima ancora della scadenza, il
Perego si butta alle ginocchia dell'amico, gli confessa la colpa;
l'amico perdona, paga, ritira la cambiale. Ma dopo, dopo forse una
decina d'anni, mentre Mariano Perego, già molto innanzi nella carriera,
nella fama, si trova impegnato in una fierissima polemica che
appassiona tutta una città, che deve risolversi in un duello, in un
seguito di duelli, ecco saltar fuori una prima voce, vaga, che ricorda
quel fatto; poi, a mano a mano, la voce si fa più insistente, più
precisa.... I padrini della parte avversaria esigono un giurì, il fatto
delle cambiali è provato irrecusabilmente, e Mariano Perego, dichiarato
indegno di battersi, infamato, deve abbandonare la sua città, il
giornale fondato da lui, reso potente con tanti sforzi, con tanto
ingegno, lo stesso partito politico al quale aveva dedicato la vita e
pel quale sarebbe stato pronto a sacrificarla.... deve abbandonar
tutto; ritrarsi, sparire!

Tutti, contro di lui e con più furore quanto più egli era salito in
alto; tutti contro di lui, senza tregua, senza misericordia e gli amici
più dei nemici, tutti i protetti, i difesi, i beneficati.--Giù, giù la
nuova canaglia, giù, nel fango!

E Mariano Perego, il giornalista caduto, collo stesso fango di cui lo
avevano coperto, s'era dato a sfogare i livori, gli odî, l'amarezza; e
a quel fango aveva ricorso, anche per mangiare. Per mangiare soltanto,
e male, e poco, perchè la gente rispettata e piena di onore, si valeva
della sua miseria, della sua abiezione per sfruttare il suo talento, il
suo lavoro e occorrendo la sua disonestà.

Matteo Cantasirena, meno male!... Nei giorni di abbondanza lo pagava
senza contare e senza farsi pregare; quando era ridotto al verde non lo
pagava affatto, ma lo invitava a pranzo e lo trattava a bordò. Il
Perego, sfamato, ringalluzzito, lo serviva... e lo ammirava per fargli
piacere.

--Pronto?--domandò il direttore fermandosi diritto in mezzo alla
stanza.

--Prontissimo!--rispose il Perego: seduto alla scrivania si era
preparato dinanzi un monte di cartelle.

--Si spara contro il Kloss?

--Già,--rispose Cantasirena, tenendo sollevata, colle mani incrociate
sulle reni, la gran coda del soprabitone, e tornando a girar su e giù,
dimenandosi, pompeggiandosi maestosamente.--Già, quattro parole per
quello zingaro... banchiere! L'intervista è stata brillante; faremo
anche noi un articolo allegro.

--Un po'... di _Durlindana_,--sogghignò il Perego che si godeva di
tanto in tanto a ricordarla, appunto perchè quell'altro se ne rodeva.

--Scriva, senza interrompere!

Il Perego, si tirò il cordoncino del _pince-nez_ dietro l'orecchio, e
tutto umile, senza più fiatare, col muso basso, pronto colla penna
sulla carta, aspettò che l'altro incominciasse.

--Scriva il titolo: _Imperial Regio radicale:_ e sotto, tra parentesi:
_Spezzatino alla boema_.... E di seguito, senza mai fermarsi, Matteo
Cantasirena dettò l'articolo, parlando prima lentamente, pausando, col
gesto e l'enfasi di un predicatore, poi alzando la voce a mano a mano,
accalorandosi, pestando i piedi, lanciando invettive e minacce: ansava,
sudava, tremolava tutto... ma non si fermava mai.

Mariano Perego lo seguiva a stento, colla penna che volava,
scricchiolava sulla carta. Ad ogni periodo approvava col capo,
mormorando "bene.... molto bene.... benissimo...." Infine scoppiò in un
potente "_maraviglioso_" mentre, rizzandosi, arrovesciandosi sulla
poltrona si fregava le mani con una stropicciata lunga, fragorosa,
echeggiante.

E il Perego era sincero nel suo godimento! Oh, il bel pancione
formidabile e incrollabile, come lo vendicava di quella folla di
galantuomini così spietata e inflessibile contro di lui debole, contro
di lui solo e vinto!

--Leggiamo tutto: da capo a fondo.

Il Perego lesse l'articolo con arte, con enfasi, e Matteo Cantasirena,
brandito un lungo tagliacarte ne seguiva la lettura accennando ai
punti, alle pause, agli "a capo" come un direttore d'orchestra.

L'articolo cominciava umoristicamente, domandando all'illustrissimo
commendator Francesco Kloss, perchè aspettasse l'acqua della
_Cisalpina_ per annegarsi non solo, ma ben anche per.... lavarsi!
Tuttavia lo scherzo durava poco e Matteo Cantasirena con la foga del
suo stile rimbombante, lanciava contro il Kloss un'accusa esplicita,
gravissima: era lui "l'Imperial Regio radicale" il capitano segreto
della _banda nera_, il comandante in capo degli incettatori, il
generalissimo dei ribassisti!

".... Chi è l'implacabile, il feroce nemico della _Navigazione
Cisalpina?_ È il nemico più implacabile e più feroce di tutto il nostro
credito, di tutti i nostri valori, è il contrabbandiere, il grande, il
terribile incettatore del nostro oro, del nostro argento! È costui,
l'omicciattolo saltellante e sghignazzante, lo speculatore tenebroso,
che col suo gergo da barbaro e co' suoi giri e raggiri di avoltoio,
diffonde il panico fra i nostri istituti di credito, fra le nostre case
industriali, colla furia fatale di un'epidemia; è costui il grande, il
benemerito finanziere esaltato, incensato, intervistato dai nostri
avversari, dagli avversari della _Cisalpina_, dai denigratori del
Fontanella, dagli amici, dai moretti, dai mediatori elettorali del
Bonforti e del Ghirlanda!"

E rapido, ma efficace, svelate le gesta dei ribassisti, degli
aggiotatori, della _banda nera_, prometteva per il giorno dopo "di
precisare le accuse con altri nomi, con altri fatti, colle cifre e
colle date."

--Badiamo!...--arrischiò il Perego, cogli occhi e il viso ancora
sfavillanti, il Perego che pareva sprofondarsi dinanzi alla grandezza
del direttore.--Badiamo agli estremi della diffamazione.

--Ingiuria, ingiuria semplice, finchè prometto soltanto di precisare!

Ma tuttavia Cantasirena cominciò a mostrarsi impressionato
dell'avvertimento. Diventò serio, meditabondo, mormorando:--Sempre la
museruola alla verità!--Sospirò, soffiò.--E poi--soggiunse dopo un
momento,--e poi, caro Perego, io sono sempre stato generoso. Sopratutto
sono sempre stato un uomo di cuore: è un difetto; ma non è alla mia età
che si cambia natura! Seguiamo dunque la massima del Vangelo. Non
domandiamo la morte del peccatore, ma che si converta e viva.... Anche
lei, egregio amico, che cosa mi consiglierebbe di fare?

Il Perego, con due dita, delicatamente, tirò il cordoncino
sull'orecchio, mentre per capire, per indovinare qual'era il consiglio
che l'altro desiderava, lo guardava fisso, colle pupille immobili,
ingrandite dietro le lenti.

--L'articolo, non uscirà che domani....--sbadigliò distrattamente
Matteo Cantasirena.

--Ah?... Domani?...--interrogò nuovamente il Perego che cominciava a
capire.

--Lei non conosce... non ha mai avuto nessun rapporto con
quell'orso.... del nord?

--Non conosco il Kloss, ma conosco il suo procuratore, il signor
Galli,--esclamò il Perego, che ormai aveva capito tutto.

--Se il Kloss promettesse soltanto di studiare a fondo la _Cisalpina_
prima di combatterla... Per divertimento... io non ho mai fatto del
male a nessuno!...--E Cantasirena si sdraiò sopra una piccola poltrona
bassa, tornando a sbadigliare.

Il Perego, sicuro adesso del fatto suo, prese i fogli dell'articolo,
dopo averli numerati col lapis e si avviò per uscire.

--Che uomo è questo signor Galli?--domandò Cantasirena, stirandosi,
socchiudendo gli occhi.

L'altro sorrise; aveva il tic della definizione.

--È uno spostato del sentimento, è un romantico della riabilitazione,
un precursore della giustizia sociale.

Cantasirena aprì gli occhi. Voleva essere sicuro che il Perego si
sarebbe condotto con prudenza.

--Lei lo conosce bene, da molto tempo, questo signor Galli?

--Eravamo nella stessa casa in pensione. Il Galli ha sposato la
figliuola della nostra padrona che un altro dozzinante, un ufficiale di
fanteria.... si era presa.... goduta... e piantata lì... lei e la
camera.

--E dopo, non l'ha più visto?

--Tutte le domeniche al Trenk. Il signor Galli ci va colla sua signora,
una bellezzina linfatica dalla quale è adorato, quantunque il signor
Galli abbia il torto di essere vecchiotto e di chiamarsi Ambrogio. La
colazione al Trenk è la gran festa di famiglia.

--Ha figliuoli?

--Uno solo, quello dell'esercito.

--E un uomo così.... diremo.... umanitario, si è venduto al signor
Kloss?--esclamò Matteo Cantasirena, parlando e sbadigliando insieme.

--Venduto... no. È il procuratore della Banca Kloss e C., nient'altro.
Del resto la questione del pane quotidiano... s'impone specialmente ai
socialisti, caro direttore!...

Poco dopo Mariano Perego si presentava al signor Galli, alla banca
Kloss e C., coi capelli lisciati, incollati sulla fronte e la barba
appena fatta.

--Prima di dirle di che si tratta, le domando, in parola d'onore, il
segreto più assoluto.

E siccome il procuratore del Kloss era un pochetto sordo, il Perego
alzava la voce, tirandosi su, in punta di piedi, per avvicinarsi al suo
orecchio.

Il Galli era un vecchio alto, forte, poderoso. Aveva la faccia tonda,
completamente rasa. Una corona di capelli rossicci e crespi, gli
circondava la testa calva.

Egli pure si rizzò diritto, dopo essersi chinato per udire la domanda
del Perego, e lo guardò fisso, quasi severamente, coll'occhio pacato,
cerulo, austero, la cui vivezza pareva trasparire e diffondersi dietro
una nube di malinconia.

Il Perego schivò quello sguardo, tirandosi il cordoncino degli occhiali
dietro l'orecchio.

--Secondo il caso, posso promettere il segreto; sì e no,--riprese il
signor Galli colla sua voce grave, penetrante.--Secondo il caso: se si
tratta di me, di un affare mio, posso anche promettere; se si tratta
della banca o del signor Kloss, no.--E a quel "no" il signor Galli si
rizzò ancora di più, ancora più diritto.

Il Perego invece, sembrò rimpicciolirsi, cercando l'articolo nella
saccoccia.

--Si tratta del signor Kloss. Legga. Sa che anch'io sono un galantuomo e
che ho bisogno del pane che mangio. Davanti a lei mi sembra d'essere
dinanzi a mio padre. Prenda!--e gli porse le bozze dell'articolo.--Nella
mia condizione.... può sembrare una indelicatezza verso il
giornale,--continuò il Perego tossendo per schiarirsi la voce.--Ma... ho
tanti obblighi di gratitudine verso di lei! Mi sarebbe parso di mancare ad
un dovere sacro, non affrettandomi ad avvertirla finchè, forse.... si
potrebbe essere ancora in tempo. Lei mi ha fatto del bene; ripetutamente...
Questa volta vengo a domandarle, invece, un consiglio... un suo parere. Si
potrebbe far parlare al direttore da qualche persona influente... perchè
l'articolo dovrebbe andare domani. In ogni modo lei apprezzerà la mia
condotta perchè io la rispetto, la venero, perchè ho tutta la confidenza in
lei.... perchè lei non vorrà farmi del male.... non....--A questo punto
s'interruppe e tornò a cacciare il cordoncino degli occhiali dietro
l'orecchio.

Sotto la pupilla immobile, grave, severa del Galli, gli era mancata la
voce; sulla fronte gli spuntavano, rilucevano spesse e minute le
goccioline di sudore: quando l'altro, finalmente, gli levò gli occhi di
dosso per mettersi a leggere l'articolo, respirò, riprese fiato.

Il signor Galli, alla banca non era più il buon uomo del Trenk, uno dei
più caldi fautori, senza esservi inscritto, della Lega per la pace, il
buon signor Ambrogio, che aveva sempre un sigaro da offrire... e
all'occorrenza anche un biglietto da dieci lire da prestare; che
guardava la sua giovane mogliettina, tutta sfarzosa e fiera nel suo
lusso della domenica, cogli occhi rilucenti di tenerezza, di
ammirazione; che soffiava un'ora nella minestra del piccino per
raffreddarla, sempre paziente, affettuoso anche quando il marmocchio
strillava, s'impuntigliava, versava il vino sulla tovaglia.... No, non
era più il signor Galli! E il Perego lo guardava con diffidenza, quasi
con timore, scostandosi d'un passo.

Il procuratore lesse tutto l'articolo, rimanendo sempre impassibile,
poi rialzò il grosso testone fissando nuovamente il Perego, ma questa
volta con un'occhiata sprezzante, sdegnosa.

--Quanto vi ha ordinato di domandare il signor Cantasirena per
sopprimere questa roba?--E abbassò il capo porgendo l'orecchio. Ma
l'altro non si avvicinò.

--Io sono un galantuomo!... Certe cose ripugnano a me come a lei!... Io
ho agito a fin di bene!... Se il signor Cantasirena lo sapesse, sarei
scacciato dal giornale!... So anch'io che Matteo Cantasirena non è come
lei, come me, come noi!... È un prodigo incosciente! È un vanaglorioso!
Lei non lo conosce!... Adesso che è in auge, che è pieno di quattrini,
ci tiene di più a un suo articolo e al gusto di vendicarsi, che non a
tutti i milioni della banca Kloss!

Il Perego, agitato, gesticolava, diventava ora bianco, ora rosso, di
tutti i colori; gli occhi guizzavano obliqui dietro le lenti, la voce
gli usciva dalla gola stridula, stonata per lo sforzo di mantenerla
alta e di nasconderne il tremito.

--Se il signor Kloss crederà di prendere qualche provvedimento per
questo articolo, scriverà direttamente al signor Cantasirena. Lei può
andarsene.

--Creda, signor Ambrogio....--tentava di ribattere il Perego,
mettendosi una mano sul petto,--io sono un galantuomo....

--Lei può andarsene!--intimò il Galli per la seconda volta.

L'altro se ne andò infatti, e quando fu solo nel corridoio, scosse giù
con un'alzata di spalle il peso della vergogna, l'avvilimento.

--È la paura che ti fa così insolente!--mormorò, e si presentò a
Cantasirena ridendo, con una delle sue lunghe e fragorose stropicciate
di mano.

--Tutto è a posto, signor direttore!... Prima di sera, scommetto che il
commendator Kloss avrà comperato venti azioni della _Cisalpina!_

--Piuttosto gliele regalo!--esclamò Cantasirena con alterezza e con
sincerità.--Quell'affarista lurido, sarebbe capace di credere ad un
ricatto!

Prima di sera, com'era stato previsto, Taddeo, il buon _Taddeum_,
luccicante nella nuova livrea, una specie di uniforme di sottufficiale
garibaldino, presentò al colonnello una lettera urgentissima
"particolare" col timbro della banca Kloss e C. Ma, nè di quella
lettera, nè del seguito delle trattative, Mariano Perego non ebbe, e
non dimandò nessuna notizia.

L'accusa delle _Risorse italiche_ aveva colpito nel vivo?... Forse; ma
di sicuro, e fino a che punto, nessuno lo poteva sapere, nemmeno il
signor Galli: lo sapeva soltanto il commendator Kloss, il quale, come
Cantasirena, non aveva bisogno di consiglieri.

La lettera urgentissima "particolare" della banca Kloss fissava un
ritrovo per quella stessa sera in una sala riservata del "Circolo
Commerciale" fra il signor Galli e Matteo Cantasirena; e la mattina
seguente vi fu un secondo, un ultimo convegno nello studio d'un noto
agente di cambio, coll'intervento, sulla fine, del commendator Kloss in
persona.

Il Kloss, invece di riceverne, dettò condizioni, sempre col cappello in
testa, sempre ghignando, gesticolando, saltellando qua e là, più
arrogante, più impertinente e più villano del solito.

Si lasciarono tutti e tre soddisfatti l'uno dell'altro.

Il Kloss, ghignava, mordendosi i baffi tinti: "quel giornalista
_imbrojamestee_" era un furbo soltanto.... per i minchioni!

Il signor Galli, il buon ambrosiano, era stato conquistato dalla
simpatia, dalla facondia, dallo sviscerato amor del prossimo, di Matteo
Cantasirena.

--No, non era un ricattatore!--e sospirò mestamente e pur mestamente
sorrise al viso dolce e devoto della sua mogliettina, e alla testa
bionda e ricciutella del bimbo che aveva sempre davanti agli occhi, e
che, imponendosi al suo cuore, lo tenevano lì inchiodato al servizio
del signor Kloss!

Matteo Cantasirena era gongolante, e volle regalare a Evelina e a
Pietro Laner, tutto il mobilio e le tappezzerie del salotto di
ricevimento, per il loro quartierino di sposi:--Scegliete, ordinate
tutta la roba di vostro gusto dal Vergani; e poi il conto, lo mandi a
me.

La Gioconda, anzi ormai la signora Gioconda, scelse anche lei un
regalo: si era alla fine di maggio, ma volle ugualmente una pelliccia
d'orsetto che avrebbe messa via per l'inverno: il metter via, la
passione della serva, era rimasta pure la gran passione della
governante.

Matteo Cantasirena esultava ed era fiero, infatuato, convinto della
parte che aveva sostenuta.

--Ah! ah! Credevano che i suoi articoli si potessero
comprare?--Cessassero gli attacchi ingiusti, sleali alla _Navigazione
Cisalpina_.... e basta!

Lo zio Matteo ne parlava, in segreto, anche col Laner.

--A voi, caro Pietro, anzi a _te_, oramai posso dir tutto: tu ed
Evelina siete i miei soli figliuoli: ricordatevelo per il giorno che mi
chiuderete gli occhi: non vi dev'essere nessun altro.--A te, caro
Pietro, posso dir tutto: passar vicino ai milioni, come ci sono passato
io, oggi, e uscirne completamente _incolume_, è una grande
soddisfazione!--Gli occhi di Matteo Cantasirena luccicavano, pieni di
lacrime: si commoveva.

--_Vade Retro Satana!_...

E si confidava anche a _Numa_ accosciato vicino al fuoco e che lo
fissava sospettoso, arricciando il muso e dirizzando il pelo.

--Caro _Numa_ lo puoi dire alla nostra Gioconda!... Il padrone è stato
un eroe del sacrificio!... e morte ai _tirolesi!_

Quella vittoria, quell'intimo e sereno compiacimento gli recò, col buon
umore, le più felici ispirazioni per la grande conferenza di Primarole.

Di solito, la domenica dello Statuto piove sempre; quel giorno fece
eccezione.

--È il sole pronubo della _Cisalpina!_ Viva l'Italia!--esclamò il
direttore, alla stazione, rivolto a Taddeo, che gli teneva dietro,
traballando sulla gamba di legno, con tutte le decorazioni rilucenti e
tintinnanti.

--Viva l'Italia!

--Evviva! colonnello.

Era una mattina calda, azzurra, limpida. Matteo Cantasirena costretto a
vivere nell'afa ammorbante della città, subito, appena in treno, appena
fuori all'aperto, col venticello leggero che agitava, gonfiava,
sbatteva allegramente le tendine del carrozzone, rotte dalle strisce
vaganti e abbarbaglianti del sole, si sentì ristorato, sollevato, come
purificato da un senso di benessere, di liberazione.

--Ah!...--e respirò.

Erano con lui nello stesso scompartimento, i giovani collaboratori
delle _Risorse italiche:_ tutti mezzi parenti, amici, fautori di Pio
Calca. Belle faccette fresche, fiere, dai baffettini nascenti, solo un
po' martoriate e immalinconite dal solino enorme e rigido. C'era
Evelina, modesta, aggraziata, più che seduta rannicchiata, nel suo
posticino, con una positura d'indolenza languida, cascante, che
dissimulava la spalla più grossa. Essa teneva sempre una delle sue
manine inguantate sopra un ginocchio di Pietro Laner, come affermando,
pur nella tenerezza dell'abbandono affettuoso, la sua proprietà; ma gli
occhi, dietro le lenti, si fermavano or su questo or su quello dei
giovani scrittori delle _Risorse italiche_ e fermandosi scintillavano:
non per civetteria, bensì per calcolo. Due di quei giovani, dovevano
essere i suoi testimoni alle nozze; lo aveva fissato lei, di suo capo.
E uno doveva regalarle una valigia, con un completo _necessaire_ da
viaggio: l'altro un _servizio_ per il caffè in argento: anche tutto ciò
pensato e fissato da lei, in testa sua, senza dir niente a nessuno.

Pietro Laner, coll'aria istupidita e trasognata, timido con
Cantasirena, timido con Evelina, con tutti, fissava il numero del
_carrozzone_, il 2113: e quel tredici, in fondo, lo turbava, lo
inquietava per il viaggio....

Ubbie?... No! No!...

E il poeta scrollava il capo tristamente, e guardava Evelina.... e
pensava al suo matrimonio e pensava a "quell'altra" e si sentiva
solo.... infelicissimo e sospirava, sospirava con un tremito di
sgomento.

--No! No!... Non erano ubbie!... aveva incominciato a rivivere di
venerdì!

Primarole era ridente, colle case spesse e colorite, in mezzo alla
pianura immensa, inondata, raggiante di sole! Vi era nell'aria una
trasparenza cristallina. I vapori del fiume invisibile, si addensavano
all'orizzonte in una striscia lattea, luminosa, tenuissima sotto il
cielo azzurro, come un mare lontano.

La borgata era piena di gente e di chiasso; le bandiere alle finestre,
le viuzze adorne a festoni, un grande arco di alloro e di mortella,
all'imboccatura della piazza.

Matteo Cantasirena fece il suo ingresso trionfale, circondato da tutto
lo stato maggiore del Comitato, al suono della banda che strombettava
l'inno di Garibaldi e la marcia reale, e dando il braccio a Gesualdo
Arcangeli vestito all'italiana: un cappellone a larga tesa sulle
ventitrè, giacca di velluto e cravatta rossa.

--L'arte! L'arte! Ecco la terza Italia! L'arte di Canova, Gesualdo mio,
di Raffaello, non gli studi di osteologia e di veterinaria dei
decadenti!

Le bandiere, la musica, gli archi di trionfo, gli evviva, tutto merito
particolare di Mariano Perego il quale era da due giorni sul posto, ma
senza figurare, senza mettersi in mostra, senza farsi vedere....
nemmeno dal piccolo Calca, nemmeno dall'ingegnere Fontanella, anch'essi
in processione dietro Cantasirena, e assai irritati ed inquieti, perchè
temevano una rivolta nelle squadre degli operai e dei braccianti.
Questi infatti, occupati nei lavori di dissodamento e di sterro lungo
il tracciato dei canali, erano tutti in fermento trovandosi in
arretrato di paga, per colpa, appunto, di Matteo Cantasirena, che non
aveva mandato i denari per "le settimane!"

Tuttavia, lungo la strada, in mezzo alla gente, il Fontanella e il
Calca riuscirono a contenersi, a dissimulare.... Si fermarono cogli
altri, al caffè, a bere il vino bianco offerto da Gesualdo Arcangeli,
già un po' brillo a quell'ora, in mezzo alla schiera fracassona de'
suoi _puntatori_, de' suoi _formatori_, de' suoi _finitori_, coi grandi
cappelloni come "il maestro" e che seguivano "il maestro" dapertutto,
sempre in baldoria, mangiando e bevendo alle sue spalle.

Col vino bianco si fecero evviva e brindisi al "prode Agesilao, alla
_Cisalpina_" al genio di Fara Bon e il Fontanella rispose pure, con
grande entusiasmo, a tutti gli evviva e a tutti i brindisi. Ma poi,
appena giunti all'albergo del _Cannon d'oro_, appena gli fu possibile
di chiudersi soli, lui e Pio Calca, in una stanza, col segretario
generale, allora la scena cambiò di colpo.

Matteo, lì per lì, tentò, se non di scongiurare, di allontanare la
burrasca.

--È il mio primo giorno di riposo.... di festa.... Lasciatemi godere
un'ora, soltanto un'ora, della mia più che legittima compiacenza!...

--Siamo minacciati da uno sciopero!--esclamò con voce sorda il
Fontanella.

Cantasirena, attonito, si volse verso Pio Calca.

Rosso, di bragia, colle pupille fisse, sbarrate, il piccolo grand'uomo
non lo guardò nemmeno. Girava impettito, attorno alla stanza,
sventolandosi col fazzoletto, accomodandosi il solino molle di sudore.
Sentiva crescere la propria importanza, quanto maggiore era
l'abbattimento di quell'altro.

--Minacciano fischiate!... legnate!...--E un risolino, un certo tono di
superbietta, tradivano l'interna compiacenza.

--Piuttosto di venire a Primarole a mani vuote, dovevate rimandar la
festa!...--mormorò il Fontanella;--non vi ha detto niente il Brunetti?

--Il Brunetti? Il Bizzarelli? Non sono più che gemiti in sembianze
umane! Ma quel turco, bei?... Quel turco bei, perchè non si è fatto
vivo?... È il vice presidente della _Cisalpina!_... Primarole non è il
suo collegio?...

--È ammalato!--borbottò il Fontanella con un'alzata di spalle.

--Almeno lo dice--osservò il piccolo Calca maliziosamente.--Sarà una
cura preventiva per i _soo danee!_

--Io ho tentato, per quanto mi fu possibile, di scongiurare il
pericolo,--seguitò il povero ingegnere.--Ho dato qualche acconto ai
capi squadra....

--Avete dato degli acconti?--interruppe giubilando Matteo Cantasirena,
sempre pronto a riacquistare il buon umore.--Ma allora siamo salvi!...
Lasciate fare a me!... Son qua io!--E propose di andare subito, tutti
insieme, a parlare ai più turbolenti, ai più minacciosi, e di prendersi
in compagnia anche l'Arcangeli.

--L'Arcangeli no....--E il Fontanella fece notare che non era ben
visto.

--Si mormora in paese, per tutta la gonfiatura che ne avete fatto!

--Si mormora?... Di che?

--Ma.... le solite calunnie.... le solite chiacchiere. Dicono che i
denari della sottoscrizione furono.... sono.... dileguati, e che si
vorrebbe scegliere il bozzetto dell'Arcangeli, soltanto perchè
costui.... si accontenta della gloria.

Matteo Cantasirena, soffiò con un sorriso olimpico, di compatimento.

--Chi lo dice?

--Ma.... tutti!

--Tutti.... è una metafora che vuol dire nessuno!

In quel punto entrò Taddeo. Veniva ad avvertire il colonnello, che una
commissione di lavoratori voleva essere introdotta e sul momento.

Il Fontanella guardò Cantasirena impallidendo e bisbigliando:--Lo avevo
preveduto!

--Sono qua io! Niente paura!--E il direttore ordinò a Taddeo di
chiamare quella brava gente.

L'ingegnere e il segretario generale erano rimasti soli: Pio Calca si
era dileguato lungo i corridoi dell'albergo.

--Fino a lunedì penso io a farli aspettare. Lunedì, in un modo o
nell'altro, bisognerà provvedere. Il conte Bobboli, il Duranti, il
Berretta, il Palazzoli devono provvedere!

Il Fontanella scrollava il capo sfiduciato, avvilito.

--E quand'anche potessimo tirare innanzi un'altra settimana, due, tre,
dove andremo a finire?... Le nostre azioni non circolano! Nel pubblico
è entrata la sfiducia! Peggio ancora, si ride! È il Kloss che ci ha
rovinati!

--_Sursum corda_, caro ingegnere! Dal boemo non abbiamo più niente da
temere: preso!

Il Fontanella guardò stupito Cantasirena:

--Preso..... come il Casalbara!--borbottò con una alzata di spalle. Era
l'idea fissa dell'ingegnere. Senza il nome patriottico e popolare del
Casalbara, senza il Casalbara senatore, col Tolomei invece, alla testa,
il Tolomei antipatico, senza credito e senza influenze, la _Cisalpina_
era spacciata.

--Il Comitato attuale non è che provvisorio: per il consiglio
d'amministrazione definitivo, avremo il Kloss e avremo il Casalbara: ve
lo prometto.... perchè posso prometterlo!--dichiarò Matteo Cantasirena
con gravità, con sicurezza.--Però intendiamoci bene, e fatelo capire ai
"ragionieri" del Comitato: durante una guerra non si possono contare le
cartucce: nella nostra campagna non si devono contare i denari.

Si udirono le voci, il trepestio degli operai in commissione, e subito,
il Fontanella, frenandosi, vincendosi ancora, andò loro incontro e
presentò, con grandi espansioni, l'illustre conferenziere, il
benemerito segretario generale.

La povera gente che lavora è sempre di buona pasta e quando proprio non
muore di fame, si lascia calmare e persuadere facilmente a parole, a
promesse.

Figurarsi Matteo Cantasirena! Abbracciò gli operai e chiamò la bluse il
camice precursore della gran patria nuova, universale!

--In un fascio le energie del pensiero e la santa virilità del braccio!
Tutti siamo fratelli di lavoro.... stretti ad un patto! Tutti siamo
fratelli di fede, la fede in Cristo, l'anarchico degli Evangeli, e in
Garibaldi il redentore delle plebi! Tutti siamo lavoratori! Tutti
operai! Operai del pensiero e operai dell'azione! Operai della penna e
dell'aratro, sacro ai poeti e ai lari!--Taddeo porta da bere!--e
correva sull'uscio a gridare:--Quattro! sei!... dieci bottiglie,--poi
tornava in mezzo a tutta quella gente ansando, tornava daccapo cogli
abbracci, ma faceva forza per calmarsi e prometteva, mettendosi la mano
larga sul petto, e abbassando la voce con gravità profonda, solenne:

--Lunedì, a mezzo giorno, sarete pagati, fino all'ultimo soldo! E alla
mia parola dovete credere! Io non posso tradirvi! Io sono popolo come
voi! Sono nato col popolo, ho combattuto col popolo, ho sofferto e
lavoro per i diritti, per il trionfo del popolo!--Viva l'Italia!

E al grido di "viva l'Italia" si vuotarono le bottiglie allegramente, e
gridando sempre "viva l'Italia" anche la commissione degli operai e dei
braccianti si unì ai membri presenti del Comitato, e colla banda in
testa, si avviarono tutti insieme al gran "_Palazzo dei Lavori_" dove
aveva luogo la conferenza.

Matteo Cantasirena si godeva il suo quarto d'ora, il suo trionfo.
Capiva, sentiva, di piacere come bell'uomo alle signore di Primarole,
che gremivano le finestre imbandierate, alle belle ragazze e alle
contadinotte ferme sulle porte e lungo la strada, e dondolandosi,
lisciandosi la barba occhieggiava da tutte le parti. Si teneva Evelina
sotto braccio, sfoggiava la sua tenerezza paterna e presentava agli
"onorevoli e cari amici" il suo segretario particolare "lo sposo"
Pietro Laner.... il quale, povero diavolo, era tormentato da una
emicrania spaventosa.

Anche Taddeo, che veniva in fine, era notato per la gamba di legno, le
medaglie, il vestito mezzo da garibaldino, e destava molta simpatia.
Quegli operai, quei contadini, gli facevano, press'a poco, le stesse
domande che gli aveva fatte la prima volta Pietro Laner.

--Il Cantasirena era il suo colonnello? Dov'era stato ferito? Aveva la
pensione?

E Taddeo zoppicando e traballando, rispondeva con quella grande
semplicità che certe volte rende l'ignoranza sublime, ciò che in
sostanza, gli aveva risposto, proprio in quei giorni, il
Ministero:--Gli era stata amputata la gamba troppo tardi per aver
diritto alla pensione!--E concludeva: Del resto, fin che posso
lavorare, viva l'Italia!--Era lo stesso evviva di poco prima, gridato
dal direttore a pieni polmoni. Ma Taddeo lo bisbigliava quasi a mezza
voce, con un sorriso di malinconia e di amore: lo mormorava
intimamente, soltanto per sè. E la mestizia di quel sorriso diventava
più profonda, quando egli rispondeva che il suo colonnello era stato
Giovanni Chiassi, morto a Bezzecca....

Senonchè la precisione della verità, in quel momento, disturbava la
folla nel suo entusiasmo. Essa aveva dinanzi a sè, magnifico e
simpatico, Matteo Cantasirena, l'eroe di quel giorno, l'eroe della
_Cisalpina_: e l'eroe vero e grande, che aveva lasciato la vita sul
campo, e Taddeo, l'umile soldato che veramente aveva sparso il suo
sangue per la patria, non servivano che a dar colore e risalto alla
leggenda istrionica del colonnello vivo e sano.... il bel colonnello
delle sussistenze!...



II.


Un'altra folla ben diversa di quella della strada che si godeva
allegramente la festa, il sole e la musica, un'altra folla sospetta,
infida, la folla di tutti gli interessati prò e contro la _Cisalpina_,
rumoreggiava, brontolava nel vasto salone delle conferenze.

Era quella una bella sala del seicento, ma rovinata dal tempo e
dall'abbandono, cogli stucchi rotti a pezzi, e le fenditure larghe
nelle pareti e nel soffitto. Ci sarebbe stato pericolo, per tutta
quella folla stipata, se l'ingegnere Fontanella, non avesse fatto
puntellare il pavimento. Dalle finestre aperte, senza vetri, entrava il
sole vivo, dardeggiante e il frastuono della strada.

Matteo Cantasirena, seduto accanto al Presidente, girava l'occhio su
tutte quelle facce gravi, talune arcigne, gocciolanti di sudore,
cercando istintivamente nella moltitudine che si mostrava piuttosto
ostile, il volto amico sul quale fissarsi coll'occhio, mentre avrebbe
fatto il suo discorso. Come tutti gli oratori, anche Matteo Cantasirena
aveva sempre avuto bisogno, parlando in pubblico, della "persona
bersaglio" alla quale unicamente rivolgersi, come ad una incarnazione
della folla, per leggere su di essa l'effetto, la corresponsione,
prevedere la noia, l'obiezione, intuire il momento opportuno per il
fuoco d'artificio, o per far vibrare la corda patriottica.

La prima fila delle sedie era occupata dai giovani collaboratori delle
_Risorse Italiche_, venuti col direttore da Milano. Le testine ben
pettinate e lucenti, i visetti seri e impassibili non esprimevano altro che
la boria schifiltosa di non volersi confondere coi provinciali.... Vide il
Brunetti, il Bizzarelli.... Dio, quei visi lunghi come la fame!... Non
ricordavano altro che debiti, scadenze, querimonie!... Cantasirena soffiò
stizzito e continuò a girare collo sguardo. Il Vergani pareva mezzo
addormentato.... Il marchese Duranti, seduto di sbieco sdegnoso e
arcigno.... Pietro Laner--cretino, imbecille!--sospirava.... D'un tratto
Cantasirena s'incontrò negli occhiali luccicanti di Evelina, acquattata
all'ombra, in mezzo ad un gruppo di signore: le autorità femminili di
Primarole. Ma quegli occhiali si fissavano su di lui in un modo così
insistente e curioso che gli scappò da ridere e voltò via la testa in
fretta.

Finalmente trovò la faccia colorita, dalla lunga barba a due punte, di
Gesualdo Arcangeli, e su di esso il suo sguardo si fermò; si
scambiarono un sorriso, un cenno quasi impercettibile col battere delle
palpebre.

--Siamo al completo--sussurrò Cantasirena al presidente.--Cominciamo.

Il marchese Tolomei non era un oratore, quantunque, facendo l'uomo
politico, fosse sempre in mezzo ai comizi e alle adunanze. Si alzò un
po' pallido: le mani strette nei guanti neri, di rigore, tremavano
leggermente nel raccogliere i fogli bianchi, sparsi sulla tavola
grande, lunga, attorno alla bottiglia e al bicchier d'acqua.

Il conferenziere, che si era alzato con lui, gli sorrise amabilmente
per incoraggiarlo a parlare.... Il Tolomei alzò una mano, mosse le
labbra.... ma in quel punto, da una delle finestre spalancate entrarono
le grida, gli urli di una frotta di ragazzi scamiciati che tentavano
arrampicarsi sulle inferriate di uno dei grandi finestroni.

Gesualdo Arcangeli, ch'era seduto vicino, si volse, minacciando col
pugno; si alzò:--lo stormo dei ragazzi sparì strillando e fischiando e
il Tolomei cominciò:

--Signori....

Ma fu interrotto di nuovo. In fondo alla sala, succedeva un
tafferuglio, venivano alle mani. Erano alcuni operai del Fontanella che
volendo entrare ad ogni costo, urtavano, schiacciavano la gente. Tutti
si volsero, si alzarono in piedi per vedere. Il presidente, coll'occhio
incerto, smarrito, fisso alla porta, aspettò che la calma fosse
ristabilita, poi ripigliò colla voce che nell'aspettare gli si era
abbassata:

--Signori....

Questa volta il silenzio era generale, profondo.... ma il Tolomei
s'interruppe lo stesso, poi si sforzò balbettando, confondendosi,
impallidendo.

--Signori.... È toccato a me.... a me che veramente.... è toccato
l'alto onore, che è pure una grande compiacenza, di presentare a voi
che.... di presentarvi.... io.... l'insigne banditore di un'impresa la
quale.... Di presentarvi il commendatore Matteo Cantasirena.... il
quale.... vi dirà come la _Cisalpina_, come la _Navigazione Cisalpina_
intenda esplicare il programma.... il suo programma....

Aveva perduto insieme la voce e la parola. Fece per sedersi, ma tutti
intorno, gli bisbigliarono piano:--La lettera! La lettera!

Era la lettera del vice presidente, del conte Bobboli, colla quale
scusando la propria assenza perchè ammalato, inviava il suo saluto e la
sua adesione al conferenziere.

Il Tolomei si alzò di nuovo cercando in fretta la lettera sul tavolo,
la cercò nelle tasche, credette di averla dimenticata. La trovò, la
lesse, e dopo quella lettura, rinfrancato, disse forte, prima di
tornare a sedersi:--Ed ora dò la parola al nostro onorevole
conferenziere!

Matteo Cantasirena sorrise, s'inchinò, aspettò. Nessuno applaudì. Egli
si forbì la bocca, leggermente, col fazzoletto bianco, tornò a
sorridere.--Silenzio.--Allora incominciò:

"Cittadini, amici, cooperatori...."--e cercando, fissando coll'occhio
Gesualdo Arcangeli che già esprimeva la sua ammirazione prima ancora
che l'altro parlasse, continuò colla voce calda, forte, sicura:

"Nelle febbrili preoccupazioni di questo periodo che rimarrà nella
storia delle più audaci iniziative, io pensavo, titubante, peritoso,
che grave, troppo grave era il compito impostomi dal vostro benemerito
e solerte Comitato: di dover riassumere, cioè, dinanzi a voi, di
tracciarvi qui, nella sintesi della parola, le linee generali
dell'impresa, alla quale tutta l'Italia, tutta l'Europa, tutto il mondo
civile consentono, e appassionandosi e interessandosi, tendono fissi
l'occhio e la mente. Ma, ve lo confesso, senza temere l'appunto, senza
peccare di immodestia, ormai, ogni mio timore è svanito.

"Lo ha dissipato dall'animo mio il bel sole radiante che dissolve le
nebbie sovra i pascoli opimi, cari ad Orazio, che circondano la vostra
piccola, ma industre e gentile città; lo ha disperso la balsamica, la
vivida aura che accarezza le messi biondeggianti nella vostra alma
pianura, ed io mi sento ora fra voi, securo e sereno della mia parola e
della nostra causa, securo come le annose, fatidiche querce della
vostra immensa foresta, sereno come questo bel cielo italico, sul quale
mi sembra scorgere, smagliante come un'aurora, propizia come l'iride,
l'apoteosi dei nostri grandi, dei nostri martiri e giganteggiare
titanica la figura severa, pensosa del capitano Fara-Bon!"

Un'interruzione: e subito qua e là qualche applauso, grida di: Viva
Fara-Bon! Viva la Cisalpina!

Oh, Mariano Perego, in quei due giorni, a Primarole, aveva fatto
miracoli!

Sfogato nell'esordio l'impeto lirico, fatto sicuro, ormai padrone di
sè, ma rivolgendosi sempre verso Gesualdo Arcangeli che con degli....
sst.... formidabili imponeva il silenzio, Cantasirena, colla parola
lenta, scolpita, dalle vocali aperte e sonore, entrò nell'argomento,
diffondendosi nell'esposizione tecnica e finanziaria, parafrasando
"buttando in moneta spicciola" come diceva il resocontista delle
_Risorse Italiche_, il colossale, il grandioso progetto della
_Navigazione Cisalpina_.

Poi, a mano a mano tornò ad animarsi, a riscaldarsi:

"Le vie acquee, voi me lo insegnate.... rappresentano la massima
possibile economia in fatto di trasporto: or bene l'Italia che
nell'alterna vicenda dei ministeri, va tentando.... va cercando....
come Diogene cercava l'uomo e Talete la coscienza, le fonti meno
accessibili delle economie e della produzione, a questa che ha
sottomano, retaggio dei padri, retaggio di lavoro, di ricchezza e di
gloria, non ha ancora pensato!

"La rete.... la mirabile rete dei canali navigabili dell'Alta Italia, è
un tesoro nostro, che noi puerilmente, spensieratamente, scioccamente,
lasciamo negletto e infecondo. Abbiamo traforate le Alpi, gli
Appennini! Dovunque abbiamo tracciata, aperta la via al "bello e
orribile mostro" del poeta, abbiamo eretto, lanciato sul mare,
formidabili e invincibili le rocche d'acciaio, ma ai placidi e securi
canali scorrenti fra le ubertose pianure, agli umili, ma fidi e
provvidi amici, non abbiamo ancora rivolta la mente, il cuore.... non
abbiamo dedicato le scoperte e le vittorie, tutto il progresso
dell'idrografia e dell'idrostatica compiuto da Euclide ad Archimede,
dai vincitori del mare sulle dune olandesi, al genio allobrogo di un
Paleocapa!

"È tempo di riparare alla nostra indifferenza, alla noncuranza
spensierata e dannosa, al vergognoso abbandono! La navigazione interna,
esercitata coi metodi dei secoli passati, verrebbe irremissibilmente e
interamente soffocata, spenta dalle ferrovie! Ma no: essa è Lazzaro
dormiente nel sepolcro: lo spirito redentore della modernità la deve
vivificare."

La faccia di Gesualdo Arcangeli pareva distratta; l'occhio divagava;
Cantasirena riprese con impeto:

"_Post fata resurgo_! Il progetto che vi sta dinanzi ha in sè la forza
ingenita, irresistibile, suggestionante della semplicità!

--È vero!--bisbigliò lo scultore, rivolgendosi al suo drappello.

"Raffiguratevi cogli occhi della mente, la ricca e florida vallata del
Po, colla cerchia nevosa delle alpi insuperate, ad ovest, a nord, a
ponente. Ricordate i tre sbocchi.... le tre brecce che attraverso
quella cerchia di ghiaccio e di granito, congiungono il nostro suolo e
i nostri mari all'Europa, al mondo centrale: sono il Cenisio, il
Gottardo, il Brennero: or bene, tre grandi vie acquee naturali si
stendono a' pie' di quegli sbocchi: il Po, il lago Maggiore, il lago di
Garda. Rendere navigabile il nostro massimo fiume da Torino a Pavia,
congiungerlo col Gottardo a mezzo del Verbano, col Brennero a mezzo del
Benaco, ecco nella sintesi che qui mi è concessa dalla vostra
indulgenza, ecco l'idea embrionale della _Navigazione Cisalpina!_"

Gesualdo Arcangeli applaudì, solo, per qualche secondo, poi qualche
altro.... Cantasirena sorseggiò un po' d'acqua, si asciugò il sudore,
indi continuò:

"Meno agevole mi sarebbe il riassumere qui, o signori, i vantaggi
immediati, sicuri, della nostra iniziativa. Voi tutti già li vedete: il
minor prezzo e la maggior facilità dei mezzi di trasporto; l'incremento
maraviglioso di un'industria già esistente; il lavoro assicurato a
migliaia di braccia, la diffusione di prodotti speciali in regioni ove
ancora non sono apprezzati; una nuova, una forte corrente commerciale
tra le province settentrionali e le regioni transalpine; l'impulso
straordinario dato all'irrigazione e però all'agricoltura; la migliore
difesa strategica alle varie plaghe, riassumendo: economia, ricchezza,
potenza!

"Ma per compiere questa trasformazione della carta idrografica
dell'Alta Italia occorrono, voi mi direte, prodigi, secoli,
milioni!--No!--Quanti tecnici...."

A questo punto fu il piccolo Calca e i suoi amici, che imposero
altezzosamente il silenzio: pareva che i "tecnici" fossero loro.

"Quanti tecnici hanno esaminato, studiato, discusso in ogni sua parte,
dirò in ogni sua latèbra il grande nostro progetto, hanno dovuto
convincersi, si sono convinti, esser d'uopo, più che altro, di
utilizzare i canali esistenti, di riattivare le condizioni di
navigabilità per tratti più o meno brevi, ma non mai eccessivi, dei
nostri fiumi; per altri tratti, è vero, scavare nuovi canali, ma in
terreni piani e facili, _comprendere_, insomma, come poc'anzi avevo
l'onore di dirvi, o signori, _comprendere_ lo spirito, la filosofia e
la poesia ad un tempo di tutto quel mirabile lavoro iniziato e
interrotto di secolo in secolo e che al secolo nostro spetta, come un
dovere e come un orgoglio, di compiere.

"Questo è il nostro programma di lavoro e di fede, questa è la visione
che ha sorriso, fino agli ultimi istanti di sua vita, alla mente.... al
genio.... al cuore del nostro povero e grande Fara-Bon!"

Scoppiarono gli applausi; ma furono tosto soffocati dal rumore,
dall'accalorarsi delle discussioni varie, assordanti. Gesualdo
Arcangeli gesticolava come un ossesso; si capiva, doveva trovarsi in
mezzo ad un gruppo di dissidenti, di oppositori. Le parole che si
udivano qua e là, più forti, più ripetute, erano "quistioni
finanziarie, esposizione superficiale, quistione principalissima,
utopie, denari, milioni".

Matteo Cantasirena ansava, si asciugava il cranio e la faccia col
fazzoletto bianco, ma stava attentissimo a tutti quei discorsi, a tutte
quelle voci.

Gesualdo Arcangeli, come per attestare pubblicamente la sua adesione,
si precipitò verso il palco stringendo la mano al conferenziere
ripetutamente, ma pur costatando e riassumendo nella ingenuità del suo
entusiasmo, le diffidenze, le titubanze, la freddezza dell'uditorio.

--Cosa pretendono? Che la _Cisalpina_ avesse già reso milioni e che i
membri del Comitato andassero in giro a distribuirli fra il
pubblico?--Matteo Cantasirena sorrise, ma con una ruga amara all'angolo
della bocca. L'occhio errava inquieto. Quando vide avvicinarsi il
Fontanella si alzò di scatto, e gli andò incontro.

--Così?...

L'architetto gli sussurrò all'orecchio:

--Un gran colpo o tutto è perduto!--Allora Cantasirena fece cenno al
Tolomei di suonare forte il campanello, e di nuovo, dopo aver bevuto,
si forbì le labbra col fazzoletto, disponendosi a parlare:

Tutti si acquetarono, si voltarono, ripresero il loro posto.

"I vostri applausi,--cominciò più grave e più solenne,--la spontanea
corresponsione dei vostri animi, m'incoraggiano a mettervi a parte
dell'estrinsecazione che il progetto va prendendo nel campo
finanziario."

Nella folla il silenzio diventò profondo: tutti erano attentissimi:
questa volta, anche Pio Calca smise di sventolarsi, e i giovani
collaboratori allungarono il collo nel solino lucido. Il Bizzarelli e
il Brunetti si scambiarono una rapida occhiata; il Vergani sembrò
destarsi, si rizzò sulla seggiola. Soltanto gli occhiali di Evelina
erano sempre fissi sullo zio Matteo, in quel modo curioso che
nell'ombra pareva un luccichìo e una risatina....

"Signori!...--e l'oratore fece un moto istintivo come chi piglia a un
tratto una risoluzione, superando scrupoli e rischi.--"Signori!...
Posso annunziarvelo finalmente! Una delle personalità più spiccate, più
influenti del ceto bancario, della vecchia aristocrazia della banca
il.... il commendator Francesco Kloss ha intuito la sicurezza e la
grandiosità dell'impresa che gli inspirava prima qualche dubbio,
qualche diffidenza: diciamola pure la grande parola: qualche
avversione.... Ebbene, signori, la _Navigazione Cisalpina_....--mai
durante la conferenza la voce dell'oratore era stata così potente come
in questo punto--la _Navigazione Cisalpina_.... oggi giorno, non ha
alleato più convinto, apostolo più fervente del commendatore Francesco
Kloss!--Questo fatto, questo nome, vi dicano, signori, quale e quanta
accoglienza non potrà a meno di avere nel censo d'Italia e di fuori,
sulle piazze, sul mercato dei due mondi l'appello che il comitato
rivolge a voi pure per la costituzione del capitale sociale."

Vi fu un movimento in tutta la folla, e quel mormorìo che precede, che
precorre lo scoppio dell'entusiasmo: Matteo Cantasirena, maestoso,
imperioso, imponente lo frenò, alzando, stendendo le mani: aveva
dell'altro a dire:--Abbasso! Silenzio!...--e non si udì che il--sst--di
Gesualdo Arcangeli allungarsi stizzoso e sibilante, come un razzo, su
tutte le teste.

"E poichè un'impresa che deve assurgere l'Italia a tanta grandezza, non
può trarre i suoi auspici migliori che nelle memorie di coloro che
l'Italia hanno creata e redenta, io mi auguro che la gran voce di
questa prima assemblea popolare della _Navigazione Cisalpina_ acclami
l'alto patrocinio di un uomo che quelle memorie in sè stesso, nel suo
nome, incarna ed onora.

"Io v'invito a preconizzare con unanime acclamazione, quale presidente
del Consiglio d'Amministrazione della _Cisalpina_ il senatore Giovanni
di Casalbara, della grande famiglia dei martiri! Il vostro plebiscito
troverà la via del suo cuore, e la nostra impresa sarà benedetta dagli
Iddii della patria!"

Fu sul nome del Casalbara che si rovesciò tutto l'uragano
dell'entusiasmo al quale il nome del Kloss aveva dato l'aire; il
successo della conferenza fu così grande, così serio da permettere
ormai anche a Mariano Perego di cominciare a mostrarsi e d'intervenire,
la sera, al banchetto.

In pochi giorni le azioni della _Cisalpina_ cominciarono ad essere
cercate, specialmente a Primarole ed a Castellanzo, e molti piccoli
possidenti del luogo, accecati dal balenìo ammaliante della
speculazione, pur di diventare azionisti, davano anche i loro campi e i
loro tuguri in ipoteca.



III.


Nora "voleva" essere felice. Voleva essere felice ad onta del marito
vecchio, voleva esser felice sebbene Pietro Laner avesse sposato
Evelina. Voleva esser felice perchè intimamente sentiva di non esser
contenta, soddisfatta: e in fine, voleva esser felice per consolare sè
stessa con quell'inganno e far soffrire, colla propria felicità, tutti
i suoi nemici.

E--chi lo avrebbe detto?--la più tormentosa nemica della duchessa di
Casalbara--della sfolgorante duchessa che maravigliava perfino il mondo
cosmopolita di Mentone e di Nizza colla propria avvenenza, colla
propria eleganza,--quella cui essa pensava con maggiore accanimento,
era la piccola gobba, la misera cenciosa, era la moglie di Pietro
Laner!

Era quella perfida, strisciante come una biscia che aveva raggirato,
sedotto, chi sa con quali arti, con quali menzogne, con quali insidie
Pietro Laner!... E non per altro che per rubarlo a lei; per farle
rabbia, per trafiggerle il cuore con uno spillo.... come fanno cogli
uccellini i ragazzacci tristi e cattivi!...--Trafiggerle il cuore?...
Farle rabbia?... Rubarle quello zotico e ridicolo montanaro allampanato
di Pietro Laner?--Che doveva importarne alla Casalbara?... alla
duchessa?...

Eppure era così.

Quando Nora aveva saputo che il giovane trentino era gravemente
ammalato per lei, perchè lei lo aveva abbandonato, piantato per
sposarne un altro, Nora si era disperata, aveva pianto, aveva sofferto
dolori e rimorsi.... Ma quei dolori, quei rimorsi le erano cari come
una soddisfazione, come una seduzione nuova e strana: erano la
idealità, la gioventù, l'amore di cui adesso sentiva la mancanza, la
nostalgia nel torpore della beatitudine materiale creatale da quel
mercato di sè stessa. Nelle lunghe ore in cui doveva sopportare le
carezze caute e raffinate e sorridere alle tenere parolette vecchio
fidanzato, essa correva colla mente, col sangue, col calore di tutta la
sua giovinezza, ai baci folli e tempestosi, alle collere tremende, alle
furibonde gelosie del giovane amante....

Una sola di quelle furie, di quelle esplosioni avrebbe mandato a pezzi
il vecchio duca, lo sposo ingommato e verniciato, che doveva frenare
anche i palpiti del cuore, per consiglio del medico! E pur mostrandosi
sottomessa e docile e amorosa in quella sua intimità legale, che pareva
una tresca, sentiva ch'era per essa come una seconda vita l'agonia del
giovane poeta che aveva avuto i suoi baci e che moriva per non averli
più; era per essa una vita segreta, la vita dell'anima, del cuore, dei
sensi che la consolava, la innalzava, la ricreava. Il Laner moriva per
lei! Questa sarebbe stata la tragedia del suo matrimonio, questo il suo
romanzo di duchessa, il lutto della sua anima. Un lutto sentimentale,
ch'essa avrebbe portato con sè alle feste e ai teatri, come un vezzo di
perle nere, come un mazzo di semprevivi. E Nora che volontariamente,
per calcolo, aveva abbandonato il Laner, sentiva adesso il bisogno di
ingannarsi, di persuadersi che il destino, Dio, la sventura li aveva
disgiunti, che anch'essa era una vittima, che anch'essa aveva sempre
amato e avrebbe amato sempre, ancora, non quell'uomo che la sposava e
al quale non avrebbe immolato che il suo corpo freddo ed inerte, ma il
giovane poeta, l'amante che moriva per lei e al quale offriva tutti i
suoi trasporti, i suoi baci, tutta sè stessa....

Invece Pietro Laner era stupidamente guarito e sposava Evelina!

Il poeta, il "Bardo trentino" dello zio Matteo, sposava la gobba! Dopo
i suoi baci, dopo aver sognata la sua bellezza, si accontentava dei
baci della gobba!

Nora voleva vendicarsi: doveva vendicarsi, ma sopratutto voleva essere
felice e per questo aveva bisogno subito di un altro romanzo, di
un'altra poesia, di un'altra illusione: innamorarsi di suo marito.

Infatti, che cosa le mancava per essere felice e per essere ritenuta
felice? Si credeva ricchissima, aveva un gran nome, era padrona della
propria volontà, del proprio capriccio... Le mancava soltanto di amare
suo marito: questo dipendeva da lei... e lo amò.

Quante fanciulle non si erano innamorate di uomini non più giovani?...

In fine chi le aveva imposto di sposare "il suo Giovanni?" Nessuno. Lo
aveva scelto lei, lo aveva voluto lei. Inoltre l'ammanto della virtù le
doveva star bene: era un nuovo lusso, una seconda aristocrazia, una
gemma scintillante alla sua corona di duchessa "_Domus aurea!_" e
un'altra salvaguardia alla pace, alla felicità, e un altro abisso
scavato fra lei e "quella gente" colla quale sdegnava omai ogni
contatto.

E Nora riuscì a illudere sè stessa, a illudere gli altri, a dare
l'apparenza della realtà a que' suoi affetti, a quelle sue chimere.

Come era stata per il Casalbara la fidanzata docile, languida, amorosa,
fu per il marito la moglie innamorata, appassionata, simulando ardori e
slanci, ch'erano ispirati soltanto dalla rabbia della sua gelosia, dal
suo odio contro il Laner e contro Evelina, e che facevano perdere al
povero duca la poca salute e i pochi capelli.

Alla mattina, quando il Casalbara entrava all'ora di colazione nel
_restaurant_ dell'albergo, incespicando dietro la sposa bellissima,
sfolgorante di gioventù, di salute, di vezzi, pur mostrandosene fiero e
soddisfatto e vano, aveva nell'occhio attonito e spento una espressione
strana d'inquietudine. Si mostrava beato, ma pareva anche impressionato
della sua luna di miele. Era sempre attillato, leggiadretto e
ricciutello; ma aveva le mani più tremolanti, le guance più flosce e
violette, e sibilava "stella" colla voce fioca e affaticata mentre le
presentava il _menu_.

--Stella... a te.

Era Nora che ordinava sempre, colla sua bella voce rotonda e flessuosa:
si divertiva a leggere tutta la lista delle vivande, rideva nello
scegliere.

Ed era lieto anche il Casalbara: si godeva che il cameriere notasse le
occhiate espressive, quasi rivelatrici della sua giovane sposa, si
godeva quando Nora si faceva sentire, a mezza voce, a chiamarlo
"Nannucci mio". Soltanto avrebbe voluto poter mangiare più adagio ed
esser seduto più comodo.

Tutti ormai a Nizza e a Mentone credevano "all'amore" all'innamoramento
della "bella duchessa italiana" per suo marito. Il duca non era
elegantissimo, simpaticissimo, non era un eroe, un gran signore?...
L'essere, non vecchio, ma appartenere al bel tempo antico, era di moda:
lo aveva messo di moda la "bella duchessa italiana" insieme ai larghi
cappelloni di paglia nera colle margherite, insieme all'_Ideale_ del
Tosti e alla virtù.

Nora aveva raggiunto il suo scopo; tutti erano a' suoi piedi, tutti
l'esaltavano. Il suo regno le dava tante compiacenze, tante
soddisfazioni da farle dimenticare, da compensarla della gran rinunzia.

Quel suo regno assoluto, quella vita principesca, quella gente
squisita, eletta, le piacevano; le piacevano persino le ridicolaggini,
i pregiudizi, le severe esclusioni, che confacevano al suo orgoglio, a'
suoi gusti, al suo capriccio.

E sarebbe stato così anche a Milano. A Milano, perchè Bergamo era stato
messo da parte. Per quanto Nora fosse innamorata e adorasse suo marito,
faceva sempre a suo modo: lei "voleva", lei comandava in tutto e per
tutto. Voleva, comandava coi sorrisi, colle carezze, coi baci, ma il
povero innamorato avrebbe tremato soltanto all'idea, non già di
contrariare, ma di non poter subito indovinare i desideri della sua
"stella".

La duchessa Eleonora aveva già fissato, con parecchie signore di Milano
ch'erano con lei all'_Hôtel Duval_, i _suoi_ giorni, in cui sarebbe
restata in casa, dalle cinque alle sette, per le amiche, soltanto, e la
_sua_ sera, per ricevere il piccolo mondo, ristrettissimo, riservato,
eccelso.

Il duca lasciava fare ed approvava sempre col capo tremolante: in quel
suo dormiveglia si era convinto di aver sposata una Montmorency.... e
la nipote dello zio Matteo faceva presto a convincersi di esserlo.

Così Nora, che voleva essere felice, ritenuta felice, vi riusciva.

Una volta sola, l'eco, il fantasma del passato capitò come una raffica
improvvisa a intorbidare l'azzurro olimpico della sua nuova esistenza.

Il _Duval_ a Nizza, era un piccolissimo _hôtel_, vicino alla spiaggia:
il _sancta sanctorum_, il tabernacolo dei quattro quarti: al bisogno
era l'albergo che dava o aggiungeva aristocrazia a' suoi ospiti. E però
gli ospiti si conoscevano tutti, facevano vita in comune e, dal più al
meno, erano sempre gli stessi.

Pel duca di Casalbara aveva fissato il quartierino sul mare, lord
Paget, un cugino del defunto ambasciatore, che il Casalbara aveva
conosciuto a Roma.

Un giorno, durante il pomeriggio, dopo il _lunch_, gli ospiti del Duval
si erano riuniti nella sala "dei concerti" una galleria, a terreno, in
vista del mare, dal quale era solo divisa da folti rosai.

Erano nella sala, colla duchessa Eleonora, le sue nuove amiche di
Milano. V'erano lord e lady Paget, c'era la vecchia marchesa
Chevrillard di Parigi e la principessa Moncalvo di Palermo, poi qualche
vecchio diplomatico e qualche giovane _sportsman_; al pianoforte, la
contessina Percy di Westmorel, una miss che pareva un fiore di sambuco,
lunga, sottile sottile, colla folta capigliatura biondastra, cantava,
accompagnandosi da sola, l'_Ideale_ di Tosti.

Nora, durante il canto, guardava, fissava cogli occhi pieni di ricordi
e di sorrisi il duca Giovanni che le rispondeva pure sorridendo e
facendo l'occhiolino, ma che intanto pareva curvarsi, torcersi sotto
quei lunghi sguardi, e inavvertitamente, con una mano, si premeva le
reni.

Tutti parlavano pianino per un riguardo alla miss che cantava: quella
gente, sempre così vicina alle stelle, si moveva senza far rumore, come
avesse le ali; il bisbigliare sommesso pareva un soffio, uno stormir di
fronde: i sorrisi erano brevi e muti, frenati dal sussiego. La vocetta
stridula, stonata della miss, s'innalzava sola, libera nello spazio,
accompagnata dal lento dondolìo delle teste che s'inchinavano,
approvando, dal muover leggero dei ventagli, dal mormorare lontano
delle onde rincorrentisi lungo la spiaggia.

La miss, animandosi, cantava, stonava più forte, quando, a un tratto,
ecco, come una maschera matta in un veglione, una signora grossa,
gonfia, imbellettata precipitarsi prima fra le braccia del duca di
Casalbara, poi fra quelle della duchessa, gridando e gesticolando,
maravigliando e quasi spaventando tutta quella gente.

--Ah _bijou! Mon bijou! Tu es encore plus belle!_ Il matrimonio ti ha
fatto benone! _Ah, mon cher ami! Vous êtes toujours un gros scélérat_,
un _miserabile_ come dite voi altri _en Italie!_ Non farmi più saper
niente! Io l'ho saputo per miracolo dal mio _impresario_ di Milano!
Sono qui di passaggio: vado a Montecarlo: _Je veux courir la
chance_.--Volevo scriverti anche per farti dire _de ma part à ton père,
à ton oncle je ne sais pas.... ce qu'il est enfin, qu'il s'est comporté
avec moi comme un vieux filou_. Ha scritto che la _Schönfeld n'a pas le
physique du rôle_ per la _Cavalleria Rusticana! Caaro da Dio! Mon cher
ami Mascagni, au contraire_, mi ha abbracciata. Oh, ma anche tu canti
sempre? Mi presenterai alle tue amiche e faremo della musica, della
buona musica!

Il duca e la duchessa di Casalbara chiusero le porte dell'_Hôtel Duval_
alla signora Schönfeld, la quale se ne vendicò raccontando a tutta
Nizza che quella superba, _c'était presque une fille, qui avait
entortillé_ quel vecchio scimmiotto, _avec ses minauderies et ses sales
complaisances_!

Ma il mondo che circondava i Casalbara era troppo lontano dalla
Schönfeld per potersene interessare: le chiacchiere del contessone non
potevano far danno alla duchessa. Non era di "buon genere" sparlare di
lei: credettero tutti invece alla Casalbara, quando essa raccontò che
la contessa di Schönfeld apparteneva a una buonissima famiglia
ungherese, ma che i rovesci di fortuna le avevano dato un po' alla
testa, e ormai, pur troppo, non era più possibile riceverla.

Pure quella leggera nube, subito svanita, fu il primo, il sinistro
annunzio della burrasca.

La felicità che Nora aveva desiderata, sognata, raggiunta, fosse la
vera sì o no, ormai era la sola alla quale essa poteva aspirare.

L'unico fascino del Casalbara, quello che proprio l'aveva vinta e
conquistata non erano i milioni?...

E Nora li voleva godere allegramente, pazzamente, e forse inconsapevole
metteva un prezzo ad ogni sorriso, ad ogni offerta della propria
bellezza, ad ogni sforzo per frenare le rivolte improvvise del suo
pudore, le più ascose e invincibili riluttanze di tutto il suo essere.

Aveva la smania, la febbre dello spendere, pareva la tormentasse il
timore di non arrivare a tempo a spendere abbastanza. Collo spendere i
denari del marito pareva quasi sfogarsi, vendicarsi, punirlo. E il
farsi pagar cara era un compiacimento, un orgoglio di donna; una scusa
per perdonare il contratto a sè stessa.... Spendeva in tutti i modi:
erano _toilettes_ che ordinava a Milano, a Parigi: erano gioielli che
si faceva venire da Confalonieri, da Musy, da Mortimer.... Erano le
ordinazioni del nuovo, del magnifico appartamento nel grande palazzo di
Milano, nella sua grande villa di Casalbara, palazzo e villa, noti e
celebri anche fra gli ospiti dell'_Hôtel Duval_. Ordinava carrozze,
voleva comperare cavalli.... Poi, tutte le mattine, dopo il lungo
bagno, nel quale si tuffava avidamente, cupidamente, quasi ansiosa di
purificarsi dei baci della notte, usciva, correva attorno per le
splendide botteghe dell'_avenue de la Gare_ e della _place Massena_,
seguita dal suo "Nannucci" ogni giorno più beatamente rintontito, e si
sfogava a spendere, a spendere, a spendere, a comperar gioielli, trine,
stoffe, ninnoli, pur di sciupare, di sprecare, di buttar via danaro,
pur di sfogare nello spendere quella smania insoddisfatta, nervosa, che
sentiva nel sangue.... nel sangue giovane, forte, sano, che certe
volte, e ne era il castigo, si accendeva pur negli abbandoni, negli
ardori simulati, con impeti improvvisi e terribili. Spendere, spendere,
spendere! Era una furia, una manìa! Riempiva le casse, le stanze,
l'albergo di roba inutile, che dimenticava o regalava poi alle
cameriere: ma dopo quelle corse, quelle compere, dopo tutto quel matto
sciupìo, quando si sedeva a colazione, era allegra, ridente, si sentiva
bene e si sentiva appetito: si era sfogata, calmata.

E per tutto ciò, conseguenza logica e ineluttabile, il giorno in cui la
duchessa di Casalbara venne a scoprire la rovina finanziaria del
marito, la moglie compiacente e innamorata sparì in lei, di colpo. Nora
ebbe un impeto di collera furibonda, brutale, volgare; la collera della
cortigiana che dopo di essersi venduta, si trova fra le mani un
biglietto falso.

Quel vecchio esoso, schifoso, l'aveva ingannata, assassinata! Le aveva
rubata la sua giovinezza, la sua bellezza, la sua vita, il suo
amore....

.... Ma il povero Casalbara era vittima a sua volta del proprio
inganno, della propria spensieratezza.

Che le importava ciò?... L'essere imbecille non era una buona scusa.
L'essere imbecille non lo giustificava d'aver sedotta e rovinata una
povera ragazza!

E pensare che essa a quel vecchio aveva sacrificato Pietro Laner!
Pietro Laner che quasi era morto per lei!

Il duca aveva tenute nascoste alla moglie, fin che gli era stato
possibile, le gravi notizie che gli arrivavano da Milano. Per quanto
inebetito, per quanto la simulazione di Nora fosse sapiente,
inebriante, tuttavia, anche se egli non capiva, sentiva che era sempre
la "nuova" duchessa Eleonora che amava il vecchio duca di Casalbara; e
in ogni modo, fosse stato anche vero e sincero nella giovane donna quel
raro caso d'innamoramento, non poteva tuttavia aver avuto per origine
naturale ed onesta altro che la gratitudine, non poteva essere tenuto
vivo altro che dai continui doni, dal continuo sfarzo, dai continui
divertimenti.

E adesso? Quando le avesse dovuto proporre e imporre una vita oscura,
quasi borghese?

Il povero Casalbara sospirava angosciato, soffriva, sentiva egli pure
un senso di rimorso: aveva sacrificata, legata a lui vecchio, a lui
povero, quella esistenza giovane, fiorente.... La sua spensieratezza
doveva lasciar campo alla riflessione: quell'esame delle sue condizioni
patrimoniali che non aveva mai fatto, avrebbe dovuto farlo prima del
matrimonio per sapere che cosa egli offrisse a sua moglie, per non
ingannarla, ingannando sè stesso.

Ma Eleonora aveva detto di amarlo! L'incanto era stato irresistibile! E
ormai.... ormai era sua moglie, sua per sempre, e ormai egli aveva
bisogno di quella donna così bionda, così bella! Aveva bisogno di quel
tepore fragrante, di quelle braccia, fra le quali finiva per
addormentarsi, esausto e deliziato.

Del resto essa era buona e gli voleva bene e poi era troppo altera e
orgogliosa. Anche povera, relativamente sarebbe stata fiera di essere
la duchessa di Casalbara. Bisognava risolversi, parlare, confessarle
tutto.

La prima notizia, inaspettata e che rendeva improvvisamente, grave la
sua condizione finanziaria, era stata comunicata al Casalbara da una
lettera del Kloss. Il Kloss lo avvertiva confidenzialmente, che alle
relative scadenze, il duca avrebbe dovuto pagare tutte le sue cambiali,
per un importo complessivo di novantasette mila lire. La crisi del
mercato italiano lo obbligava a realizzare tutti gli effetti che aveva
in portafoglio. E per sua norma gli trascriveva le varie date delle
scadenze, tutte a breve distanza l'una dall'altra: la prima, di 15 mila
lire, appunto fra una ventina di giorni.

Francesco Kloss, prevedendo che _cuel vecc straortinari_ avrebbe finito
col rovinarsi interamente per i capricci e il lusso di sua moglie, non
voleva pagare le spese dell'altrui _balortaggine_.

Il Casalbara ora rimasto indignato da quella lettera. Non rispose
nemmeno al Kloss: pensò di scrivere invece al suo amministratore, il
ragionier Vigliani, per quanto anche questo passo gli riuscisse penoso.

Il denaro che il Casalbara aveva avuto a mano a mano dal Kloss nel
lungo periodo della loro vita in comune, gli era sfumato di tasca
stupidamente, senza che egli avesse pensato mai nella sua vanagloria,
che un giorno o l'altro, l'amico.... avesse a mostrare le unghie del
creditore, e pretendere il saldo di quella specie di conto corrente.

Anche la cifra enorme delle varie sovvenzioni e degli interessi
accumulati gli riesciva inaspettata, incomprensibile.

Come?... Novantasette mila lire?!... Aveva speso novantasette mila
lire?!...

In che modo?

Per il matrimonio, per Nora aveva ricorso alla sua amministrazione.

Quell'ottimo Vigliani, sempre così affaccendato, che inventariava tutto
il mondo e che aveva in mano i patrimoni di mezza Milano, sapeva de'
suoi pasticci colla banca Kloss?... Ad ogni modo come seccava al duca
di doverglielo confessare, lui, direttamente, dandogli l'incarico di
provvedere e di regolare quelle scadenze!

Ma pure, appena scritta e spedita la lettera, il Casalbara respirò: il
Vigliani avrebbe certo provveduto. E per due giorni non ci pensò più,
tornò a grogiolarsi beatamente nell'adorazione di sua moglie.... ma per
due giorni soltanto. La risposta sollecita, troppo sollecita, immediata
del ragioniere era ben diversa da quella che il duca s'immaginava, e lo
aveva sconvolto, messo sossopra.

Oh, quale doloroso e angoscioso risveglio da quel suo dolcissimo e
incantevole assopimento!

Il ragioniere parlava chiaro:

"Era già edotto del fido che il signor duca aveva trovato alla banca
Kloss, ma non se n'era occupato perchè "non era di sua spettanza il
fare osservazioni". La risoluzione di ritirarsi a Bergamo e a
Casalbara, già ventilata insieme, avrebbe riparato, come il signor duca
sapeva, ai dissesti ben noti nel patrimonio, causati dalle crisi
agrarie e da quel po' di eccedenze nelle spese, sempre da lui
sommessamente deplorato, nel presentare gli annuali bilanci.

"Anche poco tempo prima dell'avvenuto felicissimo matrimonio, aveva
dovuto improvvisamente e perentoriamente, soddisfare una richiesta di
_venti mila lire_. Per definire la "situazione" di fronte al credito
della banca Kloss ed anche per chiudere, in omaggio al decoro e alla
nobiltà della casa, una pendenza di quel genere, le economie, i
progetti già maturati non erano più bastanti: oltre al palazzo di
Milano, bisognava forse occuparsi della vendita, e rassegnarsi anche al
sacrificio, per quanto doloroso, di Casalbara.

"Era poi assolutamente indispensabile e urgentissimo che il signor
duca, per tutte le pratiche necessarie, tornasse subito a Milano."

Il Casalbara si tenne quella spina nel cuore per alcuni giorni;...
lottava contro sè stesso, mercanteggiava quasi colla propria coscienza
fra la necessità di partire, di tornar subito a Milano, e il desiderio,
la bramosìa di prolungare ancora di un altro giorno, di un'altr'ora
l'incanto, la voluttà di quella vita.

Il Vigliani mandò un telegramma al signor duca, quasi ingiungendo il
ritorno immediato.

.... Bisognava parlare: ma ancora non ebbe il coraggio di parlar per il
primo: fu Nora, essa stessa, che l'obbligò a spiegarsi.

Una sera, ritiratisi gli altri ospiti dell'_Hôtel Duval_, il Casalbara
si era recato, come al solito, ad aspettare la moglie sul terrazzo.
Sempre, un po' prima di andare a dormire, Eleonora fumava lì, su quel
terrazzo, la sua ultima sigaretta. Sdraiata mollemente, mollemente
assorta e silenziosa, si godeva l'aria, il fresco, la notte, le stelle,
seguendo col lento dondolìo della poltrona, il murmure quieto, lontano
del mare.

Quella sera, quando la vide apparire fra le ombre, fra la luce pallida
del terrazzo, ondulando, tutta bionda, tutta bianca e vaporosa nella
lunga vestaglia di crespo e di merletto, sentì corrersi un brivido per
le vene, e avrebbe voluto morire. Bisognava parlare!

Nora gli si avvicinò, sorridendo. Egli sentì il soffio, la vampa calda,
si sentì avvolto nel suo odore di bionda e di _lilas de Perse_.

--Stella....--balbettò.

--Ah!... Che delizia! Che delizia!--Nora, con un lungo respiro stirò,
alzò le braccia nude, rotonde, rosee, fuor della larga manica
trasparente.... respirò ancora.... poi le lasciò cadere attorno al
collo del marito riposandosi morbida, stanca sulle sue ginocchia.

--Hai sonno.... cara?

--Si sta bene, tanto bene qui.... così....--E accesa la sigaretta, lo
baciò, ridendo, colla bocca piena di fumo.

.... Dio, Dio! Bisognava parlare: il giorno dopo bisognava partire!

--Che hai, Nannucci?...--essa gli domandò a un tratto, dopo di aver
lanciato dal terrazzo la sigaretta spenta.

--Stella! Stella!--bisbigliò il duca commosso e sospirò:--Perchè non
posso darti la vita?...

Nora sentì tutto il dolore, tutto lo strazio represso in quelle parole
e ne rimase impressionata: si alzò in piedi rigida, appoggiandosi al
parapetto del terrazzo.

--Cosa c'è?--E lo guardò fissamente.

Ma il Casalbara non sapeva risolversi, non poteva parlare. Temeva il
suono stesso delle sue parole, della sua voce. Il silenzio di quella
quiete serena, muta, calma e chiara si era fatto più profondo.... Anche
il murmure lontano del mare era cessato.

Pareva al Casalbara, che non soltanto gli occhi fissi, attenti sul viso
pallido della moglie, ma che tutto d'intorno a lui, il cielo diffuso e
limpido e il mare fermo e muto, aspettassero le sue parole, la sua
confessione....

Dio! Dio! Come mai era stato così spensierato? Così leggero? Così
egoista?...

--Che c'è?... Che c'è di nuovo?--ripetè Nora con un leggero tremito
d'inquietudine e d'ira.

--Ho.... avrei da chiederti un sacrificio. Bisognerebbe partire....
presto.

--Per San Moritz? Non è già fissato?...

La buona stagione di Nizza, infatti, era finita da un pezzo, e i
Casalbara avevano combinato con lord e lady Paget di passare l'estate,
tutti insieme, in Engadina.

--Ecco il sacrificio,--balbettò il Casalbara.--Bisognerebbe abbandonare
la nostra prima idea.... e tornare a Milano.

--A Milano?... Tornare a Milano? Adesso che non c'è più nessuno?

Il duca tremò più forte: non ebbe il coraggio di dir tutto, subito, di
affrontare di colpo lo scoppio di quella collera.

--Per una decina di giorni, soltanto!... Forse anche meno. Il tempo
necessario per riparare ad una cattiveria, un'azionaccia del Kloss. Hai
proprio ragione, stella! Il Kloss è un furfante!... un fur....fante!--E
gli scappò uno sternuto grosso, fragoroso. Era il solito di tutte le
sere: era il segnale della ritirata. La brezzolina umida del terrazzo
finiva sempre per infreddarlo.

--Andiamo!--esclamò Nora dispettosamente. E senza aspettarlo, senza
prendergli o dargli il braccio, si avviò sola, risoluta, imperiosa,
verso la sua camera che splendeva illuminata, in mezzo al terrazzo.

Il Casalbara le tenne dietro curvo, premendosi la mano sulle reni
indolenzite, gemendo:

--Ahi! Ahi!... Non mi sento bene stasera...; non mi sento bene.

L'altra non gli badò nemmeno e mandò via subito la cameriera, senza
svestirsi.

--Di', su, sbrigati, che c'entra il Kloss?

Il duca cominciò a raccontare delle cambiali, del ragioniere Vigliani,
ma poi, per far più presto, le fece leggere le due lettere e l'ultimo
telegramma.

Nora, nel primo impeto, se la prese contro il Vigliani; doveva essere
un imbecille, un impostore.... o un imbroglione; e siccome il duca
voleva difenderlo, allora la tempesta si scatenò sul suo capo.

Un'altra donna, pur nelle medesime condizioni di Nora, avrebbe
sostenuto quel colpo con maggior calma, con maggior coraggio.... Non
avrebbe potuto capire così subito tutta la gravità di quelle notizie.
Ma per Nora invece, il caso era diverso: la rovina le si era affacciata
in un attimo, chiara, lampante, orrenda: per la figliuola dello zio
Matteo, quei debiti, quelle cambiali, quelle minacce, erano il suo
passato che ricominciava, il suo passato di angosce, di stenti, di
espedienti, di privazioni, di miseria--era quella vita maledetta che
avea voluto troncare ad ogni costo, a costo di buttarsi fra le braccia
di un vecchio.... e che invece doveva ancora ricominciare.... e insieme
a quel vecchio!

Nora tremava, piangeva, lo schianto del dolore confondendosi alla
collera, all'ira.

--Ma se il Vigliani è onesto,--balbettava,--allora sei tu che mi hai
ingannata; sei tu che hai ingannata una povera ragazza!

--Calmati! Non gridare! Non farti sentire!--pregava, supplicava
stordito, spaventato il Casalbara, che pur temendo di sua moglie non
avrebbe mai immaginato, quelle furie.--Calmati! Sei in preda
all'esaltazione! Siamo ben lontani dalla miseria, dalla rovina. Si
tratta di qualche piccola economia.... di qualche piccola privazione.

Nora strillò più forte e continuò:

--Vendere il palazzo di Milano! Vendere Casalbara!... Ridursi a vivere
a Bergamo! Subito!... Adesso!... Subito! Dio! Dio! Dio! La disgrazia,
la rovina e il ridicolo! Infelice e ridicola! Perchè tutti rideranno di
me! Tutti! Tutti! Tutti!

La fierezza del Casalbara si ridestò a queste parole e lentamente, ma
con gravità, con forza, le disse:

--Potrai essere infelice, questo sì: ma dipenderà da te, dal tuo cuore,
dipenderà da ciò.... in cui tu avevi riposta la tua felicità. Ma
ridicola no--ridicola mai! Anzi, sarai sempre più rispettata e
ammirata, se saprai mantenerti nobile e dignitosa nella nostra
disgrazia.

Nora non gli rispose; non lo vedeva, non lo ascoltava, non lo sentiva
nemmeno. Essa vedeva e sentiva le risa di Evelina, dello zio Matteo, la
sghignazzata del Kloss! Tutti, tutti, tutti ridevano di lei, e le
passavano tutti dinanzi in quel momento!

Aveva voluto essere una signora, aveva abbandonato il Laner per essere
una signora, e andava a finire esiliata a Bergamo, seppellita a
Bergamo!... Vendere il palazzo di Milano! Vendere Casalbara!

Il dolore, era ancora più forte della collera. A un tratto fu presa da
un parossismo, da una convulsione terribile. Pestò i piedi, si stracciò
le vesti, si strappò i capelli, si graffiò la faccia, rompendo,
buttando all'aria tutto ciò che le capitava fra le mani, poi si lasciò
cadere affranta, esausta attraverso il letto, gemendo ancora,
torcendosi ancora, mordendo, nei sussulti dello spasimo, le coltri e i
guanciali.

Quando parve quietarsi, quando rimase immobile, distesa, supina
attraverso il letto, il Casalbara, dopo averla guardata a lungo,
inquieto, incerto, le si avvicinò:

--Perdonami, Eleonora. Posso giurarlo sul mio onore: non ho voluto
illuderti, ingannarti; io stesso mi ero ingannato, mi ero illuso.
Perdonami, sono colpevole verso di te, per la mia spensieratezza! Io
non ho mai badato agli affari.... a' miei interessi. Mi credevo sempre
abbastanza ricco per non dovermi preoccupare dell'avvenire. È stato un
errore, una colpa. Ti domando perdono--perdonami.... adesso la sconto
amaramente. Ma se avessi potuto soltanto immaginare.... questo che oggi
mi succede.... sul mio onore.... ti giuro.... ti avrei detto tutto,
prima....

Il povero vecchio si avvicinò di più.... Gli gocciolavano le lacrime
dagli occhi gonfi.

Nora era sempre buttata distesa attraverso il letto.

--Ti avrei detto tutto.... a costo di dover rinunciare al mio
paradiso.... di perdere l'amore della mia stella,--bisbigliò umilmente,
quasi supplichevole, fissando il collo bianco e i capelli biondi.

Nora non piangeva più, non gemeva più: non rispose, non si mosse.

--La crisi è passata,--pensò il Casalbara, disposto a compatire, a
perdonare, a dimenticare tutto quanto era successo, nell'egoismo intimo
della sua passione, nel bisogno materiale di quella donna. E si
consolò. Eleonora aveva gridato, si era sfogata.... ma infine si era
calmata!... Era stata ingiusta; nell'impeto di quella collera era stata
brutale, atroce.... villana. Da quella bocca incantevole, divina, erano
uscite parole nuove, strane, parolacce volgari. Ma, ormai, si era
sfogata.... si era calmata.... era lì, quieta, buttata sul loro
letto.... Egli l'aveva ancora.... Che importava tutto il resto?... Essa
gli era rimasta!... L'aveva ancora!...

Prese lo scialletto di crespo, il fisciù di trine, la casacchina rosa
da letto tutta morbida e fragrante, che Nora nel suo furore aveva
buttato qua e là, li piegò, li ripiegò, lentamente, amorosamente, li
collocò sul canapé. Cercò le piccole babbucce orientali e glie le posò
vicino.... accese la fiamma a gas dinanzi al piccolo specchio dove Nora
usava fare la sua toeletta della notte, le preparò il largo pettine e
la spazzola d'avorio pei capelli. La guardò, la sogguardò furtivamente:
era sempre quieta.... Ormai la tempesta era passata.... Gli era
rimasta! L'aveva ancora!...

Passò dall'altro lato del letto, ne distese, ne rimboccò le coltri
dalla propria parte, si preparò l'acqua collo zucchero.... tornò in
mezzo alla camera, vicino al sofà, cominciò a levarsi l'abito, il
_gilet_.... e tornò a guardarla;... poi le si avvicinò piano, e
prendendola delicatamente colle due mani sotto le ascelle per aiutarla
a sollevarsi, le disse baciandole i capelli:

--Alzati.... cara.... ti farà male, star così sdraiata.... Vieni a
letto.

Nora si rizzò, si voltò di colpo: la sua faccia per essere stata
malamente compressa contro i cuscini, era attraversata da due solchi
sanguigni. Essa lo guardò sfrontatamente, con un sogghigno ironico,
beffardo, poi, a un tratto, senza dir parola, lo afferrò per un braccio
e lo spinse, lo cacciò barcollante, incespicante sui tappeti, nel
salottino attiguo alla stanza da letto; prese il suo abito, il suo
_gilet_, glieli buttò dietro; e sbattè le portine, girò la chiave,
sempre senza dire una parola, senza dir niente, muta.

--Eleonora!... Eleonora!...--balbettò il Casalbara, tendendo le mani
nell'oscurità....--Eleonora! Eleonora!

Dai vetri opachi delle portine, passava appena il chiarore confuso
dell'altra stanza.

--Eleonora!... Eleonora!--e rimase colla fronte appoggiata ai vetri
spiando ansioso, esasperato, tremante, l'ombra della moglie che
scorgeva muoversi attorno al letto.

--Eleonora!... Eleonora!--esclamava colla voce bassa, ma
vibrata.--Perchè così?... Perchè hai fatto così?... Sei troppo
cattiva!... Non ti credevo così!... Apri!... Apri!... Non facciamo
scandali! Non facciamo scene!--E s'infuriava perchè non otteneva alcuna
risposta, e scrollava forte le portine per riuscire ad aprirle.--Te lo
comando! Apri! Sono tuo marito! Rispondi almeno!

Lo stesso silenzio: Nora si moveva sempre vicino al letto.

--Rispondi, Eleonora!

Sentì soltanto il rumore così noto: il piccolo "crac" del busto che
Nora slacciava d'un sol colpo. Sentì il lento scivolare della veste da
camera sul tappeto, e il lungo fruscio delle batiste....

Allora tornò a balbettare, a gemere, a supplicare, a domandar perdono,
sempre colla fronte appoggiata ai vetri, guardando, guardando....

Intravvide Nora che alzava le braccia.... che scioglieva, stendeva la
lunga massa dei capelli e li avvolgeva nervosamente sul capo.

--Perdonami! Eleonora!... Perdonami! Andrò io solo a Milano....
Domani.... Tu resterai qui.... Andrai a San Moritz! Farai tutto ciò che
vorrai! Aprimi! Stella! Stella! Non venderò il palazzo! Te lo giuro!
Non venderò Casalbara! Perdonami! Perdonami! Gioia! Stella! Amore!
Perdonami! Apri! Ho freddo qui! Non posso restar qui!... Sto male!...
Mi ammalerò! Apri! Eleonora!

Sentì lo scricchiolìo del letto.... sentì il fruscio di Nora che si
stendeva, si rivoltava fra le coltri.

--Almeno una parola!... Una parola! Non ti domando più che una
parola.... sola....

Di colpo si spense il lume: il Casalbara non vide, non udì più nulla.

Allora, sempre colla fronte appoggiata ai vetri si mise a piangere,
silenziosamente. A poco a poco il freddo gli penetrò nelle ossa.... e
col freddo il timore di risvegliare Eleonora co' suoi singhiozzi.
Allora il povero vecchio, trattenendo le lacrime, camminando in punta
di piedi, a tentoni, andò a buttarsi e a piangere nella poltrona più
lontana.



IV.

Il Casalbara, appena arrivato a Milano, dovette mettersi a letto. La
scena colla moglie e il ritorno da Nizza fatto a precipizio, con un
tempaccio del diavolo, lo avevano ridotto in uno stato compassionevole.
Era orrendamente infreddato, alla testa, ai bronchi; aveva paura di
morire, aveva paura di sua moglie e aveva paura di perderla: soffriva,
soffriva e non capiva più niente.

Nora, durante tutto il lunghissimo viaggio, non gli aveva mai rivolto
la parola. Era rimasta sempre ferma al suo posto dall'altra parte del
cupé, impenetrabile e muta, colla piccola riga bianca in mezzo alla
fronte torva, aggrottata.

Il povero vecchio, tremante di febbre, osava appena guardarla,
furtivamente, cogli occhi rossi, gonfi, lacrimosi, e cercava di
impietosirla, mormorando:

--È finita!... È finita per me!

L'altra rimaneva immobile, fissa e rigida al suo posto. Soltanto dopo
Novara, mentre infuriava il temporale e la pioggia fitta sbatteva
contro i vetri, essa gli aveva detto brevemente e seccamente:

--Domani parlerò io col Vigliani.

--Sì.... cara.... tutto.... tutto ciò che vuoi!--si era affrettato a
rispondere il povero marito scosso e consolato dal suono di quella
voce, sebbene aspra e imperiosa.

Ma poi, vedendo che nemmeno la sommissione così pronta, così umile
riusciva a placare Eleonora, tornò a gemere, a tossire, a sospirare, a
mormorare tutto tremante e intirizzito:

--È finita!... È finita per me!

La duchessa, subito la mattina dopo, per far più presto, invece di
mandare a chiamare il ragionier Vigliani, si recò lei stessa,
direttamente al suo studio.

Non erano ancora le dieci e nondimeno il piccolo stanzino angusto e
polveroso che serviva di anticamera, era già pieno di gente che
aspettava: un monsignore, due avvocati che discutevano fra di loro, e
una grassa matrona, vestita di tutti i colori, coi baffetti neri e i
riccioloni a rubacuori incollati sulle tempie.

Nessuno si scosse all'entrare di Nora; erano abituati a ogni sorta di
clienti.

--Prego, faccia avvertire il ragionier Vigliani che c'è la duchessa di
Casalbara,--disse Nora, a mezza voce, in fretta, allo scrivano, che
faceva anche da portiere.

Questi, un bel giovanotto ben pettinato e colla camicia scollata, non
lasciò la signora duchessa ad aspettare in anticamera, ma la fece
passare, andandole innanzi, e spalancando gli usci, nel salotto privato
del ragioniere.

--Il signor Vigliani ha gente, ma verrà subito,--e dopo di aver pregato
la signora duchessa di avere la bontà di accomodarsi, se ne andò,
camminando in punta di piedi.

Nora, entrando nel salotto basso, tetro colle tappezzerie giallognole,
trasudanti l'umidore, aveva sentito venirsi in faccia una zaffata di
rinchiuso e di cavoli riscaldati: si guardò attorno: appeso in alto,
alla parete di mezzo, il ragionier Vigliani collo spillone di
brillanti, sorrideva dal suo grande ritratto ad olio, fra le oleografie
di due sultane.

Nora si seccava ad aspettare: ma non aspettò che pochi minuti.

Il Vigliani entrò quasi subito, come una bomba, strisciando e
ruzzolando, profondendosi in inchini, in complimenti, in esclamazioni
superlative.

Appena ripreso fiato, appena ebbe fatto sedere la signora duchessa, le
domandò del signor duca, tenendosi ritto dinanzi a lei colle mani
congiunte.

--È rimasto a letto. Si è un po' infreddato nel viaggio.

--Voglio sperare che sarà un'indisposizione leggerissima, affatto
passeggera....--E il ragioniere sgranava gli occhi in segno del più
vivo interessamento. Ma Nora tagliò corto colle chiacchiere.

--Capirà benissimo perchè sono corsa da lei in questo modo. Non potevo
aspettare, sono troppo inquieta, troppo spaventata. Voglio sapere
subito come stanno le cose, voglio sapere tutta la verità. Mio marito
mi ha fatto leggere la lettera del Kloss e la sua. E sono qui anche per
incarico di mio marito, che non può muoversi.

Il ragionier Vigliani, inquieto, cominciò a sospirare, alzando gli
occhi al cielo, stringendosi nelle spalle, allungando le braccia.

--Voglio saper tutto,--ripetè la duchessa.

L'altro, ancora un po' sossopra, balbettò:

--Allora mi farò coraggio... per ubbidirla,--e cogli occhi cercò il
posto dove sedersi.

Ma appena il Vigliani cominciò a parlare d'affari, diventò un
altr'uomo; mutò voce, espressione; non era più confuso, non si sentiva
più impacciato. Fece passare la duchessa sul canapè perchè stesse più
comoda, e sedette a sua volta, si sdraiò sulla poltrona accanto,
accavalciando le gambe l'una sull'altra. Parlò chiaro, esplicito, quasi
duramente.

--Bisogna vendere il palazzo di Milano, bisogna vendere la villa e i
fondi di Casalbara. Bisogna ridursi a vivere a Bergamo.... con una
quindicina di mille lire all'anno. E questo bisogna farlo subito.

--Subito?

--Tirando in lungo, perdendo una buona occasione non si salva più
nulla!

--Subito?... Subito?...--ripetè Nora, quasi con un gemito nella voce
tremante.

L'altro parlava sempre in fretta, guardando spesso l'orologio della
caminiera, dimenando la gamba che aveva a cavallo sull'altra, e
mostrando la calza bianca, grossa, sotto la scarpaccia inzaccherata.

--Lei, povera signora duchessa, lei sconta adesso quella... quella
diremo... ostinazione del signor duca di non avermi mai ascoltato,
quando raccomandavo col dovuto rispetto, di limitare le spese secondo
le rendite: Mah! siamo sempre andati avanti, in tutti questi anni, non
per colpa mia, ci tengo a dichiararlo, come ai beati tempi dei
Casalbara, signori e padroni di terra e castella, col diritto delle
decime e di batter moneta!

Nora, sempre dandogli ragione perchè non le conveniva di colpo
disgustarlo, cominciò a fare qualche domanda circa le rendite, gli
aggravi, il patrimonio.

Il Vigliani l'interruppe, alzandosi d'un tratto.

--Un momentino, scusi... permetta,--e uscì sempre strisciando, e
ruzzolando, per ricomparire quasi subito con un fascio di carte, che
spiegò dinanzi a Nora, dopo essersi inforcati gli occhiali sul naso.

--Ecco qui, signora duchessa. Veda lei stessa il riassunto dei bilanci
degli ultimi anni, che ho fatto estrarre appunto in questi giorni.

Nora, seguiva il dito grosso, villoso, dalle unghie sudice e
rosicchiate del ragioniere, che segnava le cifre; ma non riusciva ad
afferrare, a sapere tutto ciò che avrebbe voluto.

Il Vigliani, quando ebbe finito di mostrarle tutte quelle annotazioni e
di farle osservare tutte le passività che gravavano sul patrimonio,
concluse, mettendo le carte sul tavolo e posandovi sopra gli occhiali:

--Come ho scritto al signor duca, e come ho già detto alla signora
duchessa, non c'è altro da fare: vendere il palazzo di Milano e vendere
la villa di Casalbara, per la quale, anzi, proprio in questi giorni, mi
sarebbe capitata una buonissima occasione.

Nora, pallidissima, si sentiva oppressa dal tono perentorio del
ragioniere.

--Non si potrebbe aspettare... almeno... almeno qualche mese?--balbettò
colla voce soave, insinuante, piena di lacrime.--Se il Vigliani avesse
voluto, avrebbe potuto salvarla,--pensava. E avvicinandosi vivamente al
ragioniere, lo fissò coi bellissimi occhi, imploranti.

--Impossibile, signora duchessa. Abbiamo le cambiali del Kloss. La
prima, non ricordo bene la data, ma deve certo scadere fra pochissimi
giorni. Per tale scadenza occorre la somma; questa al momento non si
può trovare; ci penserò io.... come per le altre. Ma deve camminare di
pari passo l'alienazione degli stabili.

"Se il Vigliani avesse voluto, avrebbe potuto salvarla"--pensava Nora,
e continuava a guardarlo, a fissarlo, a supplicarlo cogli occhi, senza
parlare.

--Le domanderei soltanto di aspettare qualche mese...--balbettò
infine.--Lei così buono, che ha sempre avuto tanta affezione.... per
noi.... Pensi al mio amor proprio: Ho tanti nemici! Riderebbero di
me!... Invece, lasciando passare qualche mese, preparando la notizia a
poco a poco, farebbe minor impressione. Lei è tanto buono; ha sempre
avuto tanta affezione per mio marito; ne abbia un po' anche.... per me!

E la duchessa gli si avvicinò ancora di più, col bel viso acceso, molle
di lacrime.

Quel vecchio ragioniere dai baffi e dalle fedine tinte, quel vecchio
grasso, volgare e sudicio, gocciolante; un sudore untuoso, non le
destava nè ribrezzo, nè repulsione. Era l'uomo che poteva conservarle,
almeno per qualche tempo, il palazzo di Milano, la villa di Casalbara,
la sua grandezza, il suo sfarzo!...

Ma non aveva fortuna! Il Vigliani rimaneva affatto insensibile: meglio
ancora, non vedeva niente, non capiva niente. Il Vigliani era un uomo
d'affari, non aveva in mente altro che i debiti, le cambiali... e il
poco tempo che aveva da perdere.

Quando sospirò e guardò la duchessa con un certo intenerimento, fu
soltanto per dirle:

--Un buon cerusico dev'essere senza pietà. Se non ha mai voluto
ascoltarmi suo marito, mi ascolti lei, che ha tanta intelligenza. Parlo
per il bene di entrambi. Oggi, infine, non c'è da disperarsi. Se non il
lusso, le rimane ancora una certa agiatezza, che moltissimi le
invidierebbero. Domani, sarebbe certo una rovina estrema, irreparabile.

Ma la signora duchessa continuava a tacere, a gemere, a guardarlo, a
fissarlo... e non si moveva: allora egli lanciò un'ultima occhiata
all'orologio e si fece coraggio, alzandosi di colpo.

--Devo correre al tribunale, per un consiglio di famiglia.... Sono già
in ritardo.--E facendole mille scuse, domandandole mille perdoni,
accompagnando la signora duchessa fin sulla scala, tornò a profondersi
in inchini, in proteste, in complimenti.

Nora, quando uscì dalla casa del ragioniere, era furente.

--Vuol costringerci a vendere, perchè avrà il suo interesse: È per il
suo interesse che non vuol perdere le buone occasioni!

E Nora, lì per lì, pensò di consigliare e di imporre a suo marito di
affidarsi ad un altro amministratore.

Quando rientrò nel suo palazzo, il maestoso portiere dalla lunga barba
bianca, si era messo in gran livrea.

Nora sospirò. Anche quel magnifico portiere avrebbe perduto! Eppure era
stata una delle tante attrattive del duca di Casalbara, una delle
attrattive che l'avevano indotta a sposarlo!

Non era con quel palazzo dal grande giardino ch'essa aveva cominciato a
fare all'amore? Col palazzo dall'antico cancello di ferro, dallo stemma
dorato e la corona ducale e il magnifico portiere che pareva il re
della contrada?

Quante volte era passata di là!... Quante occhiate furtive dentro a
quel portone, sotto l'atrio a colonne o nel cortile immenso! E quanti
sorrisi di compiacenza, di orgoglio pensando: Sarò io la duchessa! Sarò
io la padrona!

Invece doveva venderlo! Non poteva goderlo, in pace, nemmeno per un
giorno! E perchè? Perchè suo marito si era rovinato col giuoco, colle
donne, col Kloss.

Che trionfo per il Laner... e per quel mostro di Evelina!...

Si fermò, ancora sospirando, sul ripiano del grande scalone di marmo,
dal morbido tappeto, colle pareti a specchi, a stucchi dorati, coi
fiori olezzanti nei vasi enormi!...

Tutto le pareva ancor più bello, più ricco, più grande! Che dolore! Che
dolore! E che desiderio, che brama di tutto conservare! Avrebbe dato
una parte del suo sangue, della sua vita! Come si vendicava quel Kloss,
per non aver essa mai voluto saperne delle sue licenze, delle sue
confidenze, de' suoi abbracci!... E dire che essa lo aveva sempre
creduto uno straccione in confronto del duca di Casalbara!...

Invece.... tutto il contrario....

Nora non sospirava più. Pensava, rifletteva, attraversando adagio
adagio tutte le sale del vasto appartamento.

Invece.... tutto il contrario....

Se il Kloss non fosse stato in collera, avrebbe continuato a rinnovar
le cambiali, non li avrebbe spinti a quel precipizio....

Si avvicinò a una finestra: guardò il giardino, il cortile, il
magnifico portiere che passeggiava sotto l'atrio, e tornò a sospirare.

D'un tratto corrugò la fronte, un rossor vivo, un fuoco le salì alla
faccia.

--Si...! Si!--bisbigliò,--tutto per tutto. Bisogna tentare col Kloss!

E corse subito nel suo gabinetto di toelette, passando dinanzi alla
camera del duca, ma senza nemmeno fermarsi per salutarlo.

Scrisse al Kloss, in fretta, su due piedi, col lapis, e appena gli ebbe
mandato la lettera alla banca, si sentì più tranquilla, più sicura.

Certo il Kloss, sarebbe corso da lei, subito!

Infatti il bigliettino era pressante:

"Ho gran bisogno di parlarle. Mio marito è a letto ammalato. Temo ne
avrà per molti giorni. E proprio in questo momento in cui sono oppressa
da mille imbrogli di affari e d'interessi, che non arrivo nemmeno a
capire!

"Del nostro ragioniere non ho certo a lodarmi.... e mi persuade fino a
un certo punto! Sono sola, non so che cosa fare, nè a chi rivolgermi.
Procuri di venir subito: sentirà, vedrà, mi potrà dare qualche
consiglio. Sto in casa apposta ad aspettarla."

Nora calcolò il tempo che poteva impiegare il servitore ad andare.... e
il Kloss a venire.... e intanto si cambiò di vestito perchè colla corsa
della mattina e col caldo si era tutta sciupata. Pensò, guardò, scelse
e indossò una sua veste da camera leggerissima, morbida, tutta di
crespo rosa e di merletti, e per aver più fresco, per riposarsi,
allentò un poco i capelli, tanto che scrollando il capo con forza si
sarebbero sciolti sulle spalle come un'onda d'oro.

Francesco Kloss era alla banca: vista appena la lettera, a buon conto,
fece dire al servitore che era fuori:--poi la lesse, la rilesse,
accendendosi in volto, cogli occhietti torvi, da satiro, che
luccicavano.... Intravvide il pericolo e fissò immediatamente il suo
piano, facendo un saltetto e una sghignazzata, per scuotersi, per
stordirsi.

--_Mi andassi supito a Carlsbad tomani mattina: ma per cuella matama mi
partissi stasera!_

Pure bisognava rispondere. _"Cuella matama"_ al presente, era la
duchessa di Casalbara, era la moglie di un suo amico, gli aveva
scritto, stava a casa apposta ad aspettarlo e bisognava rispondere.

Rilesse la lettera....--_sentirà, vedrà, mi potrà dare qualche
consiglio....--Penissimo_!--In questo posso servirla!

E fece chiamare il signor Galli.

Il Kloss non aveva mai detto niente al suo procuratore delle cambiali
del Casalbara. Erano piccoli affaretti del portafoglio particolare. E
come al suo procuratore non ne aveva parlato prima, tanto meno ne parlò
adesso!...

Il Kloss pregò soltanto il Galli di volersi recare il giorno dopo, in
vece sua, dalla duchessa di Casalbara: gli disse che la duchessa voleva
essere consigliata, aiutata nella sua amministrazione, perchè aveva il
marito ammalato ed era malcontenta del suo ragioniere, e concluse
galantemente:

--_Tranne tanee, tutt coss a sua tisposizion!_

Rimasto solo, tornò a fregarsi le mani.

--_Matama_ ha bisogno di un _racioniere? Penissimo! Le mandassi il
mio!_--E scrisse subito alla signora duchessa--per non farla restare in
casa inutilmente--una lettera molto gentile.

"Essendo quel giorno occupatissimo per un'importante seduta alla banca
e dovendo partire alle 5.50 per Carlsbad era spiacentissimo di non
poterla vedere. Ma la mattina dopo sarebbe venuto da lei il suo
procuratore generale, il signor Ambrogio Galli, coll'ordine espresso di
mettersi in tutto e per tutto a sua disposizione. Il signor Galli era
una persona molto seria, e di molto valore. La signora duchessa poteva
fidarsene interamente. Avrebbe avuto tutti gli schiarimenti e tutti i
consigli, e tutto l'aiuto che sarebbe stato del caso." Il Kloss la
pregava di salutare, a suo nome, il caro amico Giovanni, che sperava di
trovare al suo ritorno pienamente ristabilito, le riconfermava i sensi
della sua profonda stima e devota amicizia, dichiarandosi sempre pronto
"all'onore di servirla in tutto ciò che la signora duchessa potesse
desiderare" e finiva col baciarle ossequiosamente la mano.

Nora, leggendo quella lettera, impallidì, con un'espressione sinistra,
iraconda.

--Villano!...

Ma poi si calmò.

Le mandava il suo procuratore generale?... Con quali istruzioni?...
Certo coll'ordine, almeno, di rinnovare le cambiali.

"Avrebbe avuto tutti gli schiarimenti, tutti i consigli; tutti gli
aiuti che sarebbero stati del caso...." Almeno le cambiali sarebbero
state rinnovate!

E Nora si sentì consolata, scacciò tutte le ansie con una alzata di
spalle e per quel giorno non volle pensarci più.

Ma bisognava avvertire anche Giovanni, di quella visita del signor
Galli, procuratore del Kloss. Si recò direttamente nella camera del
marito, senza nemmeno pensare al modo di spiegare e di fargli accettare
quel fatto: era troppo sicura di sè!

Il duca spasimava: in seguito alla reumatica e alla infreddatura
intensa, contratta durante il viaggio, gli si era manifestata un'acuta
nevralgia: il _chiodo solare_, come gli aveva detto la cameriera.

La stanza era completamente buia. Nora, appena entrata, schiuse una
delle imposte.

Il Casalbara, sepolto sotto le coperte, volse il capo vivamente, con un
gemito.

--E così?--gli domandò Nora, restando sempre presso la finestra.--Vuoi
che faccia chiamare il medico?

--No.... no... grazie....--rispose l'altro colla voce fioca.

Nora gli si avvicinò.

Il Casalbara, steso sul letto, sotto le coperte pesanti, aveva la testa
affondata nei cuscini e ravvolta in un _foulard_. Non lo si vedeva
nemmeno.

--Cara....--bisbigliò quando Nora si fermò in piedi accanto al letto; e
i suoi poveri occhi gonfi, lacrimanti, pure nell'ombra, sotto le
coperte, sotto il _foulard_ ebbero un raggio di tenerezza....
un'espressione viva e dolente che domandava amore e pietà.

--Vuoi mangiare qualche cosa?--gli domandò Nora, mettendogli la mano
sulla fronte per sentire se scottasse.

--No.... no.... grazie,--risposo prostrato con un senso di commozione.

--Vuoi una tazza di tè?...

--Grazie, cara.... adesso soffro troppo.... Grazie.... più tardi.

Nora notò che al malato dava fastidio anche quella luce è andò a
chiudere di nuovo la finestra; la camera rimase ancora tutta buia.

--Sono stata dal ragioniere Vigliani,--disse poi colla voce sicura.--E
mi sono convinta che ha il suo tornaconto nell'obbligarci a vendere.

Dal letto rispose appena un gemito fievole.

Vi fu qualche minuto di silenzio; poi Nora ripigliò sempre impassibile:

--Più tardi, quando appunto ritornavo dal Vigliani, ho incontrato il
Kloss, sul Corso, e mi ha detto di salutarti.

Il letto scricchiolò. Il Casalbara, di colpo, si era alzato diritto a
sedere.

Nora, pur nel buio, ne vide l'immagine bianca.

--Parte stasera per Carlsbad,--continuò.

Il letto scricchiolò ancora; il Casalbara si era lasciato ricadere
disteso.

Nora gli andò vicino, gli tirò le coperte fin quasi sugli occhi, gli
accomodò il _foulard_, poi ripigliò:

--Gli ho detto che non mi fidavo molto del nostro ragioniere, che tu
eri malato, che avrei avuto bisogno di qualcuno per aiutarmi, per
vedere un po' come davvero stanno le cose. Il Kloss mi manderà domani
mattina il suo procuratore, un bravissimo uomo, il signor Galli.

Nora non poteva vedere le lacrime che cadevano silenziose dagli occhi
del duca.

Nella camera si soffocava: dopo un momento essa domandò:

--Vuoi che socchiuda l'uscio per lasciar passare un po' d'aria?

--No.

--Vuoi del ghiaccio?

--No.

--Ti alzerai più tardi?

--No.

--Per l'ora del pranzo?

Questa volta il malato non rispose nemmeno.

--Allora, buona notte!--esclamò Nora, dopo un momento. E se ne andò.

In fondo all'appartamento, dopo il suo spogliatoio, v'era un'altra
piccola stanza da letto: Nora la fece preparare per sè.

E intanto che ordinava, che faceva preparar la camera, Nora si godeva a
visitare il lungo guardaroba dagli armadi solidi, pesanti, colmi delle
telerie, delle fiandre antiche e preziosissime di casa Casalbara; si
godeva a visitare i forzieri dell'argenteria, le grandi scansie a vetri
delle porcellane e delle maioliche.

--Certo.... le cambiali sarebbero state rinnovate!...

Si godette a desinare sola soletta nel bel stanzone da pranzo, dalle
finestre che davano nel giardino, tutte verdi per lo sfondo degli
abeti.

Dio! Era il primo giorno che non aveva l'oppressione di quell'uomo,
delle solite moine, dei soliti discorsi!...

Dopo pranzo andò a fare una buona scarrozzata.

--In ogni modo, quando fosse stato il momento, si si sarebbe potuto
vendere soltanto Casalbara!

I bastioni erano deserti: tra le fila cupe degli ippocastani, le
nottole e i grossi farfalloni danzavano attorno ai globi della luce
elettrica.

Ritornando, scendendo da Via Manin, Nora rivide la piccola stradetta
dietro il Museo dove aveva avuto la gran scena col Laner.

--Povero Pietro!...--e sospirò; sospirò con un'espressione di
malinconia inconsapevole, ma tenera, soave....

--Povero Laner!

--Ah!... che piacere quell'aria fresca, frizzante! Era la prima volta
che girava sola in carrozza, senza "quel peso!" Che piacere!

D'un tratto, in via Santa Margherita, mentre Nora pensava ancora alla
stradetta dietro il Museo, e alle furie dell'innamorato, ecco... ecco
appunto Pietro Laner! Pietro Laner e l'Evelina!

Evelina andava innanzi urtata dalla folla, più gobba, più goffa che
mai! Pietro Laner le teneva dietro, a testa bassa....

Quando Nora passò loro accanto colla carrozza, finse di non vederli; ma
le attraversò il cuore un impeto di collera, un impeto strano di
gelosia e di rimpianto!

Adesso Nora lo sentiva, lo capiva: aveva avuto altre simpatie, oltre il
tenente Calafà, ma il suo primo amore, il suo vero amore, era stato il
Laner.

E se il Vigliani la spuntava e le faceva vender tutto? Se il Kloss non
avesse voluto rinnovare le cambiali?

--A casa!--ordinò al cocchiere.

Era stanca; aveva bisogno di riposare il corpo e la mente.

Appena arrivata fece le scale di corsa, slacciandosi i nastri del
cappellino per fare più presto a svestirsi: non vedeva l'ora di
buttarsi in letto, di dormire.

--Ah!... finalmente!

Sull'uscio dello spogliatoio si fermò perplessa, inquieta. Non doveva
passare da Giovanni? Era già arrabbiato.... Non lo avrebbe fatto
arrabbiare un po' troppo, piantandolo solo a quel modo, senza neppure
la buona notte? Ma cacciò via le inquietudini con un'alzata di spalle.

--Potrò sempre calmarlo domani!--e chiuse l'uscio a chiave.

--Ah! Un po' di riposo!... Un po' di libertà!

E continuava a ridere, svestendosi in fretta, buttando di qua, di là,
allegramente, i vestiti, le scarpette, le calze.... e ridendo saltò nel
letto e continuò a ridere, con fremiti di piacere, allungandosi,
rivoltandosi sotto le lenzuola leggere, freschissime.

--Ah! Che gioia! Che gioia!... Che felicità!... Dopo tanto tempo era
sola, era sola.... sola finalmente!



V.


Il giorno dopo, alle undici precise, il signor Ambrogio Galli si faceva
annunziare alla duchessa di Casalbara. Il procuratore della banca Kloss
aveva indossato il vestito nero e messo il cilindro nuovo, che portava
soltanto la domenica, quando accompagnava la moglie a messa, a San
Carlo, e a colazione al Trenk. Le mani gli penzolavano lungo i fianchi,
strette, legate nei guanti color sangue.

Molto volontieri avrebbe fatto a meno di quella visita! Per le sue idee
di rivendicazione e di giustizia sociale, non voleva confessare di
patire ancora certe debolezze, certe timidezze affatto borghesi. Si
sentiva intimidito.... molto impacciato, propriamente e solamente
perchè doveva presentarsi a una "duchessa".

Lei, come lei, la signora duchessa, glielo avevano detto, era la
figlia, la nipote, una parente qualunque di Matteo Cantasirena. Ma era
diventata duchessa di Casalbara.... E il signor Galli ripeteva quel
nome, come per abituarsi, allungando lo dita nei guanti color sangue:

--Duchessa di Casalbara!... Mah! Gli uomini,--pensava,--restano sempre
quello che sono; le donne, invece sono.... quello che diventano!

Aveva anche sentito che la signora duchessa era bellissima....

--Le avranno detto almeno che sono sordo? Saprà di parlar
forte?--borbottava fra sè, con una certa stizza.

Il signor Ambrogio era stato altre volte, per affari, in case
aristocratiche, ma era entrato soltanto nello studio dell'amministrazione,
aveva parlato soltanto con uomini.

--Auff! Che seccatura!--E attraversando l'anticamera dietro il
servitore che lo precedeva per annunziarlo, mandava a quel paese il
signor Kloss e si pentiva di non essersi almeno informato di certe
regole più elementari dell'etichetta.

Aveva lasciato il cappello in anticamera. Aveva fatto male? Doveva
tenersi i guanti? Come doveva chiamarla?... Signora duchessa?...
Altezza?... Che altezza! Non ce n'erano più di altezze! Tutti eguali,
tutti fratelli!... Ma tratteneva il respiro, attraversando quelle sale
grandi, silenziose, cupe.... Era intimidito dal rumore delle sue scarpe
grosse sui _parquets_.

Quando si trovò dinanzi alla duchessa, s'inchinò profondamente, senza
parlare, e quando essa gli offrì la mano, il signor Ambrogio, con un
tremito stese la sua diritta, come se sfiorasse la piletta dell'acqua
santa.

Nora lo guardò e gli parlò sorridendo, con grande affabilità, come se
lo conoscesse da un pezzo.

--Il signor Kloss è stato molto buono con me, procurandomi il piacere
di questa sua visita. Ma non vorrei avesse abusato della sua
gentilezza.

L'altro continuava a inchinarsi senza dire di no: cercando la parola e
non trovandola.

--In tal caso, le domando perdono per me e per il signor Kloss.

La voce di Nora era alta e chiara; ma il Galli non intese queste ultime
parole: non tanto perchè fosse sordo, quanto perchè era troppo confuso.

S'inchinò un'altra volta, poi balbettò:

--Sono a' suoi ordini, signora....--e non ebbe il fiato, il coraggio di
aggiungere: duchessa.

Nora sedette nella sua poltroncina presso la scrivania, in un angolo
del salottino, sotto la finestra, e fece sedere il signor Ambrogio in
un'altra poltrona dinanzi a lei.

--Mio marito le fa tante scuse. Non può alzarsi. È stato ripreso da un
accesso nevralgico: soffre assai e non può sopportare la luce.

Il signor Galli, seduto, fece un altro inchino, sporgendo il capo.
Questa volta Nora aveva parlato nervosamente, in fretta; egli non aveva
proprio capito nulla.

Nora aveva avuto quelle notizie dalla cameriera. Era stata fin
sull'uscio della camera del duca, ma non era entrata: erano bastate
quelle poche ore: sentiva per suo marito un senso quasi invincibile di
repulsione.

Intanto, essa aveva presa una sigaretta per sè e ne aveva offerta una
al signor Galli, che, ringraziando, disse una delle poche bugie della
sua vita:

--Grazie, non fumo.

In quel momento sarebbe stato troppo imbrogliato coi guanti, la
sigaretta, il cerino.

Nora, sempre sorridente e cacciando il fumo dalla bocca, movendo le
labbra come se volesse dar dei baci, continuava a parlare, ma l'altro
continuava a non capir bene.

Allora si sentì ridicolo, ritrovò la propria fierezza, e, per mettersi
al suo posto, per fissare nettamente che non era lì nè per fumar
sigarette nè per far complimenti alle duchesse, ma soltanto quale un
vecchio uomo d'affari, esclamò colla voce forte:

--Non so se il signor Kloss ha avvertito la signora duchessa che io
sono un po' sordo.

Nora lo guardò co' suoi grand'occhi dolcissimi, dai quali spirava la
più viva simpatia, mista alla maraviglia.

--No.... davvero! E non ce n'era di bisogno dal momento.... dal momento
che non me ne sono accorta!--E sorrise ancora: sorrise schiettamente,
con una grazia, un incanto quasi infantile.

Il signor Ambrogio era un uomo serio, semplice, buono; ma ci pativa
d'essere sordo, e non potè a meno di sentirsi lusingato da quelle
parole.

--È proprio una vera signora!--pensò tra sè.

Nora aveva tenuto fin allora sulle sue ginocchia un grosso fascio di
carte: l'estratto, il riassunto dei bilanci fatti dal Vigliani:
diventando seria, malinconica, sospirando, li porse al signor Galli.

--Veda lei, mi dica lei cosa si deve fare: il signor Vigliani mi ha
tanto spaventata,--e stendendogli con abbandono e con fiducia la manina
rosea, trasparente, mormorò:--Mio marito è ammalato.... io non capisco
niente....

Il signor Galli prese le carte, cominciò a sfogliarle, a esaminarle; ma
da quelle carte non poteva capirne un gran che e lo disse subito alla
signora duchessa.

Desiderava vedere tutti i bilanci per esteso; desiderava un
abboccamento col ragionier Vigliani. Lo conosceva, era un galantuomo.
Pregava soltanto la signora duchessa di avvertirlo con un biglietto,
che la mattina dopo si sarebbe trovato al suo studio. Così, su due
piedi, non poteva certo formarsi un giudizio, un criterio dello stato
reale del patrimonio. Occorreva un po' di tempo, un po' di quiete.
Bisognava esaminare le cause del dissesto.... e studiare i
provvedimenti da consigliarsi..

--Ecco, precisamente!--esclamò Nora trionfante.--È quello che dicevo
anch'io al Vigliani, e che il Vigliani _non vuol capire_.--E Nora marcò
molto le ultime parole.

--Il ragionier Vigliani si sarà già formata la sua idea e potrà dare il
suo parere in proposito,--rispose calmo il Galli, continuando a
sfogliare le carte.

Nora, lo fissava attentamente. Il procuratore non le aveva nemmeno
portato i saluti del Kloss, non aveva fatto nessunissimo accenno che
potesse riferirsi alle istruzioni ricevute.... Cominciava ad essere
inquieta. Il Galli badava soltanto alle sue carte.... e troppo poco a
lei. Non faceva nessun accenno, nessuna promessa....

--Che cosa lo aveva mandato a fare il Kloss?

La duchessa ebbe un lampo di collera, gittò la sigaretta, ma poi tornò
a calmarsi, a sorridere, e allungando le braccia, congiungendo le mani
sulle ginocchia, si chinò, si allungò, si avvicinò verso il signor
Ambrogio.

Questi sentì quella vampa calda, quel "_suo_" odor di bionda e di
_lilas de Perse_, e abbassando gli occhi, le vide attorno al collo, fra
i merletti della veste da camera che nel chinarsi le si apriva sul
petto, una piccola catenella d'oro che si moveva, si alzava, scendeva,
si sprofondava ad ogni respiro, ad ogni movimento.

Nora gli si appressò ancora, per parlargli proprio vicino all'orecchio.

Il signor Galli, che alla vista della catenella d'oro era fuggito via
cogli occhi e aveva arrossito, parendogli quasi di aver commesso una
colpa, accennò lentamente di no col grosso testone e la guardò, la
fissò in volto attentamente, per capir meglio.

--Il signor Kloss,--soggiunse Nora esitando.... arrossendo a sua
volta....--il signor Kloss.... non le ha parlato.... particolarmente di
mio marito?

L'altro continuò a scrollare il capo, e la guardò più attentamente.

--Sa, nevvero, di certi impegni urgenti.... per provvedere ai quali
siamo tornati apposta da Nizza?

--No.... niente, signora duchessa,---rispose il Galli, maravigliato.

Nora si alzò in piedi, scattando, e il Galli lentamente, sempre
guardandola maravigliato, si alzò in piedi egli pure.

--Le cambiali?--gli disse Nora chiaramente, ma all'orecchio, per paura
che di là la cameriera, il domestico potessero sentire.

--No.... No.... Quali cambiali? Cambiali di chi?--balbettò il Galli
stupito da quella domanda, da quella rivelazione, turbato dalla
vicinanza di Nora, e dalla piccola catenella d'oro che gli era tornata
sotto gli occhi.

--Proprio niente.... non mi ha detto niente.

Nora, colpita, atterrita, nell'ansia del momento e non volendo, non
potendo gridare, gli mise la bocca quasi sull'orecchio.

--Le cambiali? Le cambiali rilasciate da mio marito al signor Kloss?
Quasi cento mila lire?...

--Non so niente; non mi ha detto niente.

--Niente?... Ma allora.... anche il signor Kloss mi ha ingannata! È per
queste cambiali che il signor Vigliani mi costringe a vendere tutto....
persino la casa.... persino la nostra casa!

Il Galli abbassò il capo; gli passò nell'occhio mite e grave un'ombra
di tristezza e sospirò.

Il signor Kloss doveva averne fatta una delle sue!

--Dio! Dio!--mormorò Nora, e si lasciò cadere piangendo sulla poltrona,
nascondendo il viso, soffocando i singhiozzi.

Il signor Ambrogio si avvicinò di un passo, poi si fermò esitante.
Subito, vedendo piangere una donna, si sentì gli occhi riempiti di
lacrime: ma rimase muto. Cosa poteva dire? Certo il signor Kloss ne
aveva fatta una delle sue.

--Si vendica! Si vendica!--balbettò Nora.

Il Galli le si avvicinò di un altro passo. Il suo respiro si era fatto
più affannoso e dinanzi a quel dolore, a quelle lacrime, restava a
testa bassa, avvilito, quasi vergognoso. Era la vergogna del signor
Kloss che sentiva pesare sopra di sè!

Oh, lo conosceva bene il "principale" conosceva i suoi modi di
comportarsi negli affari.... e conosceva le sue arti quando voleva
liberarsi da qualche seccatura, o non correre il rischio di dover dire
di sì!

Nora si alzò per parlargli ancora, per parlargli più da vicino, per
farsi udire. Ma prima gli prese la mano, gliela strinse lentamente, la
tenne fra le sue.

Il signor Galli aveva ancora i guanti, ma sentì il bruciore di quella
bella e pallida mano, e un fremito intenso gli corse per tutto il
corpo.

Nora lo guardava.... lo guardava.... e la domanda errava ne' suoi
grand'occhi mesti, ansiosi. Si alzò sulla punta dei piedi. Egli teneva
sempre la testa bassa, ma un po' voltata, per non vederla, per non
vedere la piccola catenella d'oro. Sentì chiara la voce:

--Lei.... come procuratore, non può intanto aspettare per la prima
cambiale, e per le altre scrivere al signor Kloss?

Il Galli rispose di no; non poteva farlo.

--Scrivere è affatto inutile,--continuò colla sua voce grave,
lenta.--Io lo conosco. Se non mi ha dato nessun avviso in proposito,
vuol dire che non c'è niente da sperare.

Aveva detto.... sperare? Sì "sperare" ma senza accorgersene. E Nora
invece se ne accorse e notò che il procuratore era commosso ed era
sdegnato contro il signor Kloss.

Allora non pianse più. Lo guardò fisso, ripetendogli con un accento che
gli penetrava nel cuore e gli accendeva il sangue:

--Si vendica!... Si vendica!...

Il signor Galli, strappandosi i guanti convulsamente, invece di calmare
la signora, si sentì spinto a scusare sè stesso, la sua condizione di
procuratore del Kloss.

".... Era impiegato in quella banca.... perchè non era solo, perchè
aveva una famiglia da mantenere. Non si può sempre scegliere il proprio
pane. Egli era povero, doveva servire.... e ubbidire!..."

--Si vendica...!--esclamò Nora un'ultima volta, fissandolo.

Al Galli montò il sangue alla testa. Quella poveretta non aveva nessuno
che la consigliasse, che la difendesse dal Kloss: doveva difenderla
lui. Commetteva forse un'indelicatezza, ma salvava una donna!

Parlò:

--Lei non deve scrivere al signor Kloss.... e nemmeno io. Ma forse
potrebbe ottenere quanto desidera, facendo scrivere al signor Kloss, a
Carlsbad, da suo padre, dal commendator Cantasirena.

--Dallo zio Matteo?--esclamò Nora, chiamandolo così, nello stordimento
dell'angoscia, come non lo aveva più chiamato dacchè era duchessa.

--Sì, appunto.

--Il signor commendatore, suo zio, ha una grande influenza,... può
molto sul signor Kloss. Anche ultimamente lo ha costretto, quasi di
sorpresa, ad entrare nel Comitato della _Cisalpina_. Il signor
commendatore, suo zio, può esserle molto utile!

--Rivolgermi a quella gente?... Implorare l'aiuto di quella gente per
farmi rinnovare le cambiali?--esclamò Nora sdegnata, irritata anche
contro il signor Ambrogio.--Ah, no!... questo non lo farò mai!--E gli
occhi della giovane donna non erano più supplichevoli, il viso non era
più mesto, angosciato, la voce non era più tenera, tremante. Ma nel
Galli, era troppa la commozione, la confusione.... Anche quelle parole
del gergo commerciale "_farmi rinnovare le cambiali_" che rivelavano la
figliuola dello zio Matteo, avvezza ai _Tirolesi_, e che avrebbero
dovuto togliere gran parte dell'incanto e della poesia alle lacrime
della giovane signora, non fecero nessuna impressione, non furono
notate dal signor Ambrogio.

Egli capiva solo che il suo consiglio era spiaciuto, e se ne scusava:

--Nel proporle di rivolgersi al signor commendatore.... non credevo di
farle dispiacere. Certe volte bisogna saper vincere, dominare il
risentimento.... anche un giusto amor proprio, quando.... la necessità
è grave e non c'è altro scampo.

--Capirà, per far fronte alla prima scadenza non avrei che da vendere
qualche mio _bijou!_

Il tono, questa volta, era stato troppo iracondo: anche il signor Galli
si sentì ferito.

--Tutti così! Tutti eguali!--pensò.--Sempre superbi! Sono rovinati, e
ti buttano in faccia le loro ricchezze, il loro fasto!

E, improvvisamente, per la prima volta dacchè era entrato in quel
palazzo, per la prima volta dacchè si trovava dinanzi a Nora, si
ricordò della moglie, e gli apparve quel suo visino pallido, di
malatina delicata.

Poveretta! Come era gracile, esile.... com'era goffina e misera! Come
rimaneva offuscata, oscurata anche nel suo vestito della domenica, da
quella bellezza sfolgorante e orgogliosa persino nel dolore!

Il signor Ambrogio sentì come una stretta al cuore, un senso vivo,
prorompente di pietà; era sua moglie, la sola donna ch'egli aveva il
dovere di difendere, che doveva pensare a difendere!--E il signor Galli
ridiventò il procuratore serio, grave, austero della banca Kloss. Le
due donne, l'umile e la superba, gli stavano dinanzi; volle umiliare la
superba.

--Si regoli, signora duchessa: i gioielli, quando bisogna venderli
scemano assai di valore.

La duchessa, come non aveva voluto disgustare il Vigliani, non volle
guastarsi nemmeno con quest'altro; chinò il capo abbattuta, sospirò,
tornò a piangere.

Il Galli, a quell'atto, si calmò subito: sentì, capì di essersi
lasciato trasportare da un risentimento intimo, inesplicabile,
ingiusto, e di nuovo cercò di calmare la signora, di consolarla:

"Sarebbe andato quel giorno stesso dal Vigliani. Per parte sua non
avrebbe risparmiato tempo, cure, indagini, per esserle utile. Quanto
poteva fare, lo avrebbe fatto, con tutto il cuore!..."

E il pover'uomo, nell'uscire dal palazzo, sospirò come Nora aveva
sospirato il giorno innanzi, vedendo il magnifico portiere... La livrea
gallonata non gli destò nessun impeto di rivolta: pensò invece a quella
povera signora, abituata come una regina...., e adesso tanto
disgraziata....

E sospirò ancora, anche più tardi ripensando a lei, mentre lavorava
solo, alla banca.


Nora, appena uscito il procuratore del Kloss, era corsa nel gabinetto
di toelette, al forzierino in cui teneva i suoi gioielli.

--Sì! Sì! Avrebbe venduto qualche _bijou!_ Come mai non ci aveva
pensato prima?--E rianimata, contenta della sua nuova idea, prese tutti
gli astucci dei gioielli, e li distese aperti, sopra un piccolo
tavolinetto. Ma quando li ebbe dinanzi, tornò seria, addolorata. Non le
erano mai parsi tanto belli.

Dio! Dio! Che dolore!... Anche i suoi gioielli le erano cari, cari,
cari... come la sua casa, come tutto!

Che strazio doversene dividere!

Dio! Dio! Com'era infelice!

Che cosa doveva fare? Che cosa poteva fare?--E pensando, pensando e
sospirando alzò il capo, e si vide riflessa nel grande specchio che le
stava dinanzi e che teneva tutta una parete, fino a terra.

.... Tanti uomini che commettevano pazzie, che si rovinavano per
donnacce.... per femmine fruste da caffè _chantant_, per certi _fondi
di quinta!_...

Dov'erano questi uomini?

E tornando a fissare i gioielli scintillanti, si sentiva presa da una
rabbia cieca, da un gran dolore, da una gran voglia di piangere... e
pianse.

Era sfortunata... troppo sfortunata!

Per essa non era diventato matto altro che suo marito, e quando già era
rovinato!

Per gli altri era una donna.... indifferente.

Anche Pietro Laner non aveva finito consolandosi... e sposando Evelina?

--E il Kloss?... Non scappava a Carlsbad?!

Era sfortunata!... Era troppo sfortunata! Troppo! Troppo! Proprio
troppo!

In quel punto sentì la cameriera che veniva a cercarla. Chiuse gli
astucci e li cacciò nel forzierino.

--Riceve, signora duchessa?--le domandò la cameriera.

--Chi c'è?

--Il commendator Cantasirena.

--Lo zio Matteo!

Nora, in quel minuto, dimenticò l'astio, il rancore, la gelosia,
dimenticò Evelina, il Laner, non pensò più che alle sue perle, a' suoi
brillanti e corse di slancio incontro allo zio Matteo, come alla sua
unica speranza, alla sua unica salvezza!

Vi fu un abbraccio, una scena commovente: lo zio Matteo, lui, nel
rivederla soltanto, aveva dimenticato tutti i torti, tutta
l'ingratitudine della sua figliuola, della sua prediletta figliuola.

E glielo disse appena potè parlare.

--Bisogna perdonarti tutto per la tua bellezza!... Ti sei fatta ancora
più bella! Quel nostro Giovanni può vantarsi di essere il più fortunato
dei mortali.

Nora sospirò.

--È geloso forse?--domandò Matteo Cantasirena aggrottando le ciglia.

L'altra alzò le spalle.

--E allora, cosa c'è?--Ho saputo soltanto un momento fa, da quella
peste di Evelina, che eri tornata; iersera ti ha veduta in carrozza. Ho
lasciato che si sfogasse contro di te, e sono corso qui per
abbracciarti. Se il nostro Giovanni si comporta male, se sei infelice,
se hai bisogno di me, ricordati che il cuore di tuo zio è sempre
quello.... di tuo padre! Ma sai che è splendido questo tuo
appartamento?--E si guardava attorno ammirando le sale e i
mobili.--Splendido! regale!... Se hai dei dispiaceri parla con me.

Nora vergognandosi di dover confessare i dissesti e i debiti, cominciò
ad accusare il ragionier Vigliani di aver abusato della fiducia e della
spensieratezza di suo marito.

Matteo Cantasirena sentenziò gravemente:

--Tutti così i ragionieri, gli amministratori! L'aritmetica è la
scienza degli imbroglioni.--E andò alla finestra ad ammirare anche il
giardino:

--Stupendo!

Ma ad un tratto, si oscurò, e mormorò con gran dolore:

--Ah, povero _Numa!_

Nel giardino aveva visto passare un gatto.

--Il povero _Numa_, il mio fido e più sincero amico, è morto! Fu
trovato morto, misteriosamente, nel sottoscala. Io credo lo abbia
avvelenato Evelina coll'arsenico, per far dispetto alla Gioconda.
Sai?... Non si parlano più: siamo giunti a questo estremo!

Ma quando Nora gli disse che il ragionier Vigliani voleva quasi imporre
di vendere il palazzo di Milano e la villa di Casalbara, Matteo
Cantasirena dimenticò il povero _Numa_ e montò su tutte le furie: si
era già abituato a quel bel palazzo, a tutto quel lusso della sua
figliuola, come se fosse roba sua.

--Niente! Niente! Non venderemo niente!... Il tuo palazzo di Milano?...
dove il duca Eriprando cospirava nel 53 con Piolti De Bianchi? cogli
Alamanni? La villa dei Casalbara?... Ma sono monumenti.... monumenti
nazionali!...

Poi, rivoltosi a Nora le domandò:

--Dov'è questo Giovanni?

--È a letto.... indisposto.

--Indisposto?...--Lo zio Matteo guardò la nipote fissamente.

--S'è infreddato nel viaggio.

--Palpitazioni di cuore?

--Non credo.

--Allora, meno male. Abbiamo bisogno che il nostro Giovanni stia bene.
Mettiamo pure che vi restino sole quindicimila lire di rendita, secondo
dice quel Vigliani!... Ebbene, Giovanni potrà percepirne altre
venticinquemila.... annue.... e in tutto faranno quaranta: indennizzi e
rappresentanza per il Presidente del Consiglio d'amministrazione della
_Cisalpina_, e poi in seguito.... il mio è tuo--tutto tuo.--Colla
signora Laner, ho fatto punto, e basta! Abborro gli ingrati.... e amo
la bella gente!--Matteo Cantasirena sorrise e non accarezzò più il
mento alla "superba Eleonora" ma le baciò la mano colla galanteria del
gran secolo.

--Sarà una debolezza, ma sono artista anche nel cuore. Dammi un bacio,
bella duchessa cara, e se puoi ottenere dal nostro Giovanni che accetti
le mie proposte, siamo a cavallo. La _Cisalpina_ avrà il suo degno e
legittimo rappresentante.

Nora lo guardava coi grandi occhi azzurri, fissi, indagatori.

Non era un'altra delle grandi idee e delle solite delusioni dello zio
Cantasirena?... Pure, anche il signor Galli aveva parlato della
_Cisalpina_... dell'influenza, del potere dello zio Matteo anche sul
Kloss.

L'altro lesse negli occhi e nella mente di Nora tutte le esitanze, i
dubbi, i timori.

--Eleonora mia: fra noi due, d'accordo, teniamo il mondo nel nostro
pugno. Tu imponi a tuo marito di accettare la presidenza della
_Cisalpina_. Alla vicepresidenza avremo l'attuale presidente
provvisorio, il marchese Tolomei, o il conte Bobboli.... La compagnia è
ottima. Abbiamo con noi il fior fiore di tutte le aristocrazie, del
nome, del censo, dell'ingegno.... anche dell'arte. Lo scultore Gesualdo
Arcangeli, un talento di prim'ordine. Vedrai il bronzo che mi ha
regalato. Il povero _Numa!_ si muove.... miagola!... È un capolavoro! E
con noi, nel Consiglio di amministrazione, abbiamo un altro amico di
tuo marito: Francesco Kloss.

Nora trasalì: era proprio vero! Allora si confidò collo zio e gli parlò
delle cambiali.

Matteo Cantasirena diventò serio, poi sorrise, la consolò. Per la prima
scadenza delle quindicimila lire, momentaneamente, avrebbe provveduto
lui: per le altre scadenze c'era tempo. Avrebbe pensato col Fontanella
a qualche giro, a qualche operazione di mutuo.

--Ma.... oggi stesso.... vorrei portare in Consiglio l'adesione di tuo
marito. Sai che finora egli è sempre stato contrario.

--Non importa, adesso accetterà,--rispose Nora risolutamente.

--Sei sicura? Puoi garantire?

--Sì.--L'occhio di Nora si fece torvo: la piccola ruga della fronte era
più profonda.

--Sì.

.... Poco dopo, seguita dallo zio Matteo, essa entrava adagio nella
camera del Casalbara: la camera era ancora tutta buia, come il giorno
innanzi.

Nora si avvicinò, sola, al letto del malato: Matteo Cantasirena si
fermò, non visto, vicino all'uscio.

Il Casalbara, lungo disteso nel letto, soffriva assai: aveva sulla
fronte una pezzuola diaccia.

Nora si chinò per guardarlo; colla testa bionda sfiorava quasi la
faccia del marito.

--Come stai, Nannucci?

L'altro rispose con un tremito, quasi con un sibilo impercettibile:
quelle parole buone, affettuose, gli empirono la gola, gli occhi, il
cuore di lacrime:

--Bene.... _adesso_,--bisbigliò.

Dio! Dio!... Erano due giorni che soffriva, solo, abbandonato, in
quella camera buia!... Come aveva sentito prepotente, ardente, il
bisogno di sua moglie, di sua moglie buona, dolce, amorosa! Il bisogno
di vederla, di udire la sua voce, il bisogno di vederla a muoversi, a
scherzare, il bisogno di sentirla ridere, parlare. E dopo tanti sgarbi,
tanti rimproveri, tanti insulti, come aveva bisogno di una _sua_ parola
buona!....

Oh, era disposto ad ogni sommissione, purchè gli perdonasse! Avrebbe
accettato qualunque sacrificio!.... Vederla soltanto! Soltanto vederla!

.... Avrebbe sopportato tutto ormai, avrebbe commesso qualunque viltà,
purchè non lo lasciasse più solo!

--Ti senti un pochino meglio?

--Meglio.... _adesso_.--E sporse le labbra implorando: Essa gli sorrise
e lo baciò.

--Grazie.... grazie.... sono guarito _adesso_.

--Resta quieto, tranquillo,--gli disse Nora sempre pianino; poi gli
accomodò le coltri attorno al collo, la pezzuola diaccia in mezzo alla
fronte.

--Hai bisogno di star quieto, di riposare, di guarire.

--Perdonato? Perdonato?

--Sì: se sarai buono.

--Sono ancora Nannucci?

--Sì: se mi darai retta, sì. C'è stato il signor Galli.

--Fa ciò che vuoi, tutto ciò che vuoi! Ti lascio padrona di tutto. E
poi sono malato, soffro....--E si lasciò ricadere nel letto, affranto.

--Il signor Galli mi pare un brav'uomo. Si è messo interamente a nostra
disposizione. Oggi anderà dal ragionier Vigliani. Se non ci fossero....
quelle cambiali, tutto si potrebbe accomodare.

--Le cambiali!...--ripetè il malato con un lungo gemito.

In quel punto, il Casalbara vide un'ombra muoversi presso l'uscio,
avvicinarsi.

--Chi è?--gridò scattando, spaventato.

--È lo zio. Ha saputo che siamo tornati, e che tu stai poco bene:
desiderava salutarti. Vuoi?--E Nora voltandosi, chiamò vicino Matteo
colla mano.

Il vecchio si tirò su a sedere sul letto e guardò con diffidenza
Cantasirena che si avvicinava in punta di piedi, facendo scricchiolar
l'impiantito.

--Grazie!--gli disse appena il Casalbara colla voce secca, stizzosa: e
chiuse gli occhi mostrando di soffrire: così l'altro avrebbe capito e
se ne sarebbe andato.

--Stai sotto....--e la moglie l'obbligò a riadagiarsi disteso,
rimettendogli sulla fronte, dopo di averla immersa di nuovo nell'acqua
diacciata, la pezzuola che gli era caduta nell'alzarsi.

--Lo zio è buono, ci vuol bene: farà molto per noi.

Il malato rispose un altro grazie, ma questa volta con un tono umile,
di remissione.

--Datevi la mano,--impose la duchessa sorridendo.--Fate la pace.

Il Casalbara tirò fuori faticosamente, di sotto alle coltri, la mano
stecchita...

Lo zio Matteo gliela strinse con trasporto; e tornò a commuoversi anche
per quest'altra riconciliazione. Poi bisbigliò:

--Il nostro Giovanni pensi soltanto a guarire. Sono disturbi più
seccanti che gravi. Vi manderò il mio dottore. È giovane, ma è un
valore, universalmente riconosciuto. Il dottor Foresti. Il fratello di
sua madre, era segretario di Daniele Manin. Tu non pensare altro che a
guarire. Per tutto il resto--aggiunse parlandogli all'orecchio--per gli
affari e anche per le cambiali, io, e quest'angelo che ti adora--e
indicò la nipote--provvederemo: entreremo in porto vittoriosamente.

--Anche per le cambiali?--balbettò il vecchio, girando l'occhio
inquieto, incerto, ora su Nora, ora sul Cantasirena: e il respiro gli
diventava più affannoso e le palpitazioni del cuore più frequenti.

Matteo rimase in piedi da una parte del letto: Nora dall'altra, quasi
inginocchiata, tutta appoggiata, buttata sulla sponda, e gli bisbigliò,
coll'alito caldo:

--Anche tu dovrai essere ragionevole.... buono....

Il Casalbara ebbe un brivido, un fremito in tutto il corpo.

Nell'oscurità si disegnava quasi fantasticamente la figura alta di
Matteo Cantasirena; la testa calva e la lunga barba.... lo sparato
bianco sotto il soprabito nero: e dall'altro lato la massa bionda
odorosa dei cappelli di Nora, si confondeva dove l'ombra era più
profonda, si moveva appena, lievemente.

Matteo Cantasirena cominciò a parlare: anche parlando sommessamente, la
voce era morbida, insinuante, penetrante.

--Sua Eccellenza il ministro dei Lavori pubblici, ha promesso di fare
in settembre una Visita a Primarole. Io spero che la mia Eleonora e il
mio caro Giovanni saranno in quell'epoca a Casalbara per riceverlo.

--No.... no.... lasciatemi in pace,--bisbigliò il malato; ma voltandosi
col capo per fuggire da Cantasirena, incontrò lo sguardo tenero,
affascinante, il sorriso di Nora, e rimase beato, incantato a
guardarla.

L'altro lo confortò: i suoi imbarazzi momentanei erano comuni pur
troppo a tutte le più grandi, le più illustri famiglie italiane che non
avevano capito e non si erano uniformate allo spirito dei tempi,
all'evoluzione moderna. I feudi, le decime, i fidecomissi, tutta roba
portata via, _scamottata_ con un pretesto o con un altro. Oramai i
grandi nomi dovevano imporsi ai grandi affari. Fatta l'Italia bisognava
renderla ricca, potente: dopo le sante battaglie della redenzione,
della libertà, le lotte, le battaglie non meno gloriose per la
prosperità, per la grandezza, per l'indipendenza economica della
patria....

Il povero duca scrollava il capo; diceva di no sempre, ostinatamente...
ma a mano a mano più debolmente.

--No.... No.... No.... voglio vivere in pace.... voglio vivere in
pace.... no.... no....--Poi la sua voce si spense.... non disse più
nulla: lasciò che Matteo Cantasirena parlasse, continuasse a
parlare.... non lo vedeva.... non lo sentiva....

Vedeva soltanto Nora così giovane, così bionda che gli sorrideva,
vicino vicino, colla bocca umida e rossa, cogli occhi maliziosetti e
tentatori.... Sentiva soltanto la mano di Nora, quella mano piccola e
calda, penetrata furtivamente sotto le coltri.... la sentiva
avvicinarsi, cercare la sua.



VI.


Le _Risorse Italiche_ annunciando la visita di S. E. il Ministro dei
Lavori Pubblici a Primarole e a Castellanzo avevano proclamato ai
quattro venti che sarebbe stata la "festa del lavoro e della
concordia".

Invece pochissima concordia e molto malumore.

Erano arrivati a Primarole collo stesso treno di S. E. anche i due
deputati del luogo, l'onorevole Bonforti e l'onorevole Ghirlanda, e ciò
aveva suscitato le ire dei moderati e dei clericali della _Cisalpina_:
non tanto per il fatto in sè stesso, quanto per il contegno "servile"
tenuto verso i due "onorevoli del radicalume", dai maggiorenti del
Consiglio e dallo stesso ministro!

Il Tolomei soltanto gongolava e si capisce. Il fatto, in certo qual
modo, confondeva le tinte politiche della _Cisalpina_, veniva quasi a
confermare che egli non aveva commessa una diserzione, un affare, e lo
riabilitava agli occhi loschi della democrazia!... Ma quella banderuola
del Fontanella?... Quel portentoso Dulcamara del Cantasirena? Quel
Prefetto, e quell'Eccellenza "alla carlona" sempre a braccetto all'uno
o all'altro dei due onorevoli della Montagna, sempre con loro al
ricevimento alla stazione, al "vermut d'onore" offerto dal sindaco,
all'inaugurazione del "_Falanstero Eleonora?_"

E quel beì del conte Bobboli che per non farsi vedere, per non mettersi
in mostra neppure questa volta, era scappato a Parigi.... a farsi
rifare il parrucchino?...

E Taddeo?... Borbottavano persino contro il povero Taddeo nominato a
Primarole "sorvegliante generale", perchè durante la visita ai lavori
della "diga massima" aveva sempre seguito il Bonforti e il Ghirlanda
portando loro il soprabito, saltellando sul suo troncone, come una
gazzera!

Ma il povero Taddeo non aveva l'animo servile; aveva l'animo modesto.

Egli aveva ottenuto quel posto fisso e sicuro di due lire al giorno col
lume e l'alloggio, aveva raggiunto il suo sogno di vivere in campagna,
in mezzo alla brava gente, alla buona gente, e credeva di dovere quella
sua fortuna insperata e immeritata a tutti quanti, perchè tutti quanti
gli volevano bene, e a tutti quanti egli voleva dimostrare a furia di
attenzioni e di premure, la propria contentezza e la propria
gratitudine.

Pio Calca, sempre rosso scarlatto, era più stizzoso di tutti, anche per
le ansie della futura elezione. Diventò poi furibondo quando udì il
Ministro, dall'alto del primo "ponte di raccordo" encomiare il
Ghirlanda e il Bonforti e additarli agli operai, ai braccianti, come "i
loro strenui difensori, i loro veri e legittimi rappresentanti!"

--Quel "geometra" diventa matto!

E durante tutta la visita, su e giù lungo i canali, continuava a
sfogarsi coi giovani collaboratori delle _Risorse Italiche_, vestiti di
tutto punto coll'eleganza e l'etichetta prescritta da quella giornata
di _sport_ politico e industriale; e quando il gruppo dei cappelli a
cilindro, il Ministro, il Prefetto, il Sindaco, il Fontanella, Matteo
Cantasirena, il Brunetti, si soffermò dinanzi al Municipio, anche Pio
Calca fece un _alt_ col suo drappello, sempre però tenendosi in
disparte, a dignitosa e significativa distanza. Passava dall'ira al
disprezzo e con quel suo riso stridulo e stonato che pareva un
singulto, faceva dello spirito alle spalle di "Sua Eccellenza il
geometra" anche col marchese Duranti che lo ascoltava muto, ripulendosi
la lente col fazzoletto candido di batista, dimenando la testa grave,
pensierosa, dal gran ciuffo grigio, con un lieve e continuo dondolìo
nel quale era congiunto al profondo disgusto per i tempi nuovi, un tic
nervoso, sintomo foriero della paralisi.

Ma la vittima prediletta del giovane aspirante alla deputazione, quello
con cui egli si sfogava di più e più a lungo e più forte, era monsignor
Meneguzzi, il "reverendo delle contesse".

Monsignor Meneguzzi era un bel prete, pulito e roseo come una sposa,
elegante, vestito mezzo di seta, col grosso cordone d'oro da cappellano
della Croce Rossa, attorno al nicchio rotondo. Il Monsignore prendeva
sul serio le minacce di Pio Calca, ne rimaneva impressionato,
spaventato, e l'altro, contento dell'effetto, sgranava il bianco delle
pupille, diventava un ossesso.

--Questo è il gran giorno!... Duo schiaffi e li metto a posto!... Due
schiaffi e li metto a posto! Mi lasci andare!...--e pestava i piedi.

Il prete per frenarlo gli tirava il vestito:

--Bravo! Bravo! Da bravo!... E la mamma? E la mamma, poveretta?...
Giudizio per la mamma!...

--Quattro schiaffi e li metto a posto!... Prima di sera!

--Da bravo! Da bravo! Giudizio per la mamma! Farai a tempo debito le
tue giuste rimostranze. Ne parleremo al Casalbara, alla signora
duchessa, sempre così piena di buon senso e di criterio.

Al nome della duchessa, Pio Calca si placava, e prendendo Monsignore a
braccetto gli faceva le sue confidenze.

--Ecco.... trattandosi della duchessa Eleonora--e lo cantava anche lui
il bel nome, in voce di falsetto--rinuncerei volentieri.... anche alla
Camera.

Allora il Monsignore si spaventava per un altro verso:

--Vergogna! Vergogna!... La moglie altrui!... Se lo sapesse la
mamma!... E se lo sapesse il duca!...--e si affrettava a cambiar
discorso.--Le tue giuste rimostranze.... le faremo al duca Giovanni! È
il Presidente!... Ha una grande autorità nel Consiglio! È un
grand'uomo!

Certo se ci fosse stato il Casalbara, avrebbe saputo evitare, col suo
tatto da gran signore, molte cagioni di malcontento. Ma il duca, per
riguardo alla sua salute--deperiva di giorno in giorno--invece di
affaticarsi troppo, recandosi a Primarole, aspettava il Ministro a
Casalbara, dove vi sarebbe stato il grande banchetto in onore di Sua
Eccellenza e della _Cisalpina_.

Il duca aveva preso sul serio il suo posto di rappresentanza, di
comparsa. Poco interessandosi, pochissimo comprendendo degli affari
complicati e imbrogliati della _Cisalpina_, non mancava mai a una
seduta, sonnecchiando intorpidito, mentre gli altri discutevano o
gridavano; non mancava mai ad una visita ufficiale, ad un ricevimento,
ad una inaugurazione.--Era stato costretto ad accettarne la presidenza;
l'aveva accettata. Ad essa era unito un forte onorario: e un sentimento
di onestà, di dovere, di fierezza gli imponeva di "guadagnarsi il suo
pane".

.... Di guadagnarsi il suo pane--facendo da richiamo, da zimbello per
acchiappare i merli!... Facendo scrivere quel suo nome illustre,
glorioso, intemerato, quale "etichetta" sulle azioni della
_Cisalpina!_... Facendo il pagliaccio!... Facendo il buffone!

Il cuore del povero vecchio era gonfio di amarezza: i suoi stessi
pregiudizi di casta, di sangue, di orgoglio, rendevano più viva, più
acuta la ferita.

Che tramonto, che rovina per la sua casa, per il suo nome! Che offesa
alla memoria pura e sacra del fratello! Eppure.... eppure anche il
martirio, la lunga prigionia del fratello Eriprando lo aiutavano.... a
guadagnarsi il suo pane!

Ed era stata sua moglie a costringerlo.... ed era stato per Eleonora
che aveva accettato!

Sua moglie!... lo sentiva, finiva per ucciderlo a poco a poco,
rendendolo prima imbecille. Sua moglie!... Così giovane, così fiorente,
così forte!... Gli dava brividi di terrore.--Sprofondato nella sua
poltrona, certe volte, la fissava torvo, la guatava cogli occhi pieni
di rancori e di astio, eppure.... eppure non poteva vivere senza di
lei, e dopo i dispetti, le collere, le rivolte, aveva sommissioni
vergognose, e supplicava, implorava la sua "stella" piangendo come un
fanciullo!...

Era la duchessa, ormai, la padrona: essa sola si occupava degli affari,
si occupava della casa, e indirettamente, secondo le istruzioni dello
zio Matteo, si occupava anche della _Cisalpina_.

La prodiga spensieratezza, l'indolenza, la sua stessa debolezza,
inspiravano al Casalbara un sentimento di dignità e di nobiltà
malintesa, gli facevano commettere quest'ultima follia.

Sdegnoso, puntiglioso, ostinato nel "guadagnare il suo pane" lo era
altrettanto nel non voler toccare, nè vedere i denari "dello
stipendio". Li doveva riscuotere sua moglie.... come sua moglie
soltanto doveva ricevere il ragionier Vigliani e il signor Galli. E
sdegnoso, puntiglioso, ostinato, così facendo credeva anche di
vendicarsi!

La sua villa, la villa dei Casalbara, era simile alla maggior parte
delle antiche ville un po' monotone di Lombardia. Sul dinanzi il
terrazzo al quale si accedeva da un'ampia gradinata; tutto intorno un
giardino dalle piccole aiuole fiorite, a disegni rari e simmetrici; poi
un lungo viale di ippocastani, e, infine, attorno al torso mutilato di
un Ercole gigantesco; una selvetta umida, cupa, triste, di mortella e
di piante parassite.

Il duca aspettava sul terrazzo l'arrivo di Sua Eccellenza.

Era una giornata calda di settembre, e il sole dardeggiava; pure il
duca tremava, curvo sotto l'ombrellino. Indossava un largo paltò
chiaro, pesante, e aveva un grosso garofano all'occhiello.

Nora gli era dinanzi sulla gradinata, per scorgere di lontano l'arrivo
delle carrozze: sul terrazzo, più indietro del duca, più indietro dei
domestici che avevano portato un gran vassoio di granite e di acque in
ghiaccio, accanto alla porta, c'erano Evelina e Pietro Laner: Evelina
infagottata in un magnifico abito della duchessa; Pietro Laner sempre
più magro, a testa bassa, intimidito anche delle livree dei servitori.

--Son qui! Arrivano adesso!--gridò Nora giuliva, scorgendo fra il
polverio della strada tre landò scoperti, che si avvicinavano al
trotto. Essa godeva febbrilmente di quelle feste che finivano sempre in
un suo nuovo trionfo.

Il duca scese, e quando le passò dinanzi, rabbioso e astioso vedendola
così allegra e così bella, bisbigliò il solito ritornello:

--Andiamo a guadagnare il nostro pane con Sua Eccellenza!

Nora diventò rossa. I servitori potevano aver inteso, ed anche Evelina
e quel _prete_ antipatico di Pietro Laner! Rimase un po' sconcertata,
confusa, ma poi il suo ardire, il buon umore di quel giorno, ebbero il
sopravvento, e volle prendersi a sua volta la rivincita: sapeva quanto
suo marito tenesse alle forme, all'etichetta, ai ricevimenti ufficiali,
e lei di colpo, appena cominciate le presentazioni, corse giù dalla
gradinata, corse incontro al Ministro, che aveva già conosciuto a
Milano, e ridendo se lo portò via, dicendogli che doveva essere stanco
di ricevimenti, di discorsi, di presentazioni.... Se lo portò via,
sotto braccio, avvolgendolo col suo profumo, abbagliandolo co' suoi
capelli biondi, incantandolo col suo sorriso.

--Brava! Bravissima!...--le diceva il ministro.

Ma Nora non dimenticò, non volle dimenticare di essere la
presidentessa:

--Dunque.... Eccellenza?... Il Bonforti e il Ghirlanda sono presi
finalmente.... nell'orbita ministeriale?...

--Cioè, seguono la corrente.... delle acque della _Cisalpina_.

Intervenne gonfio Cantasirena, socchiudendo gli occhi:

--Alla Camera il Bonforti e il Ghirlanda sono ormai fra gli
inamovibili: combatterli è inutile; ciò che è inutile è pericoloso.
Conquistarli--e soffiò--_that is the question!_

Nora, facendosi seguire dal Ministro, piantò lo zio Matteo e continuò a
passeggiare nel giardino.

Cantasirena raggiunse lentamente il suo caro Giovanni, che stava
complimentando il Prefetto, il Sindaco di Primarole, i due segretari
particolari di Sua Eccellenza, e monsignor Meneguzzi e Pio Calca e il
marchese Duranti e il Fontanella.

Gli altri invitati dovevano arrivare più tardi col tram.

Matteo Cantasirena, a studiarlo bene, non pareva troppo soddisfatto e
sicuro di sè. Le sue dita avevano un tremito nervoso mentre si lisciava
la barba, mentre ne arricciolava la punta.

Tirato a parte il duca gli domandò piano:

--Il Kloss non è venuto?

--Pare di no.

--Non ha mandato il Galli? Non ha incaricato nessuno di rappresentarlo
al banchetto?

--Bisogna domandarlo a mia moglie--rispose acre il Casalbara, e gli
voltò le spalle, mettendosi a discorrere col marchese Duranti.

Matteo, istintivamente, guardò subito verso la sua cara figliuola: in
mezzo al giardino, sotto il sole, la figura bianca, bionda,
elegantissima, vaporosa, spiccava sfolgorando al fianco della piccola
Eccellenza, tozza e volgare nell'abito nero.

.... Non era il momento di domandarle del Kloss!...

--Maledetto boemo!--borbottò fra sè il direttore. Poi, vedendosi vicino
monsignor Meneguzzi e Pio Calca, si ricordò che bisognava placare il
loro risentimento, e i loro timori; se li prese tutti e due sotto il
braccio e cominciò a ridere per l'arrivo del Bonforti e del Ghirlanda a
Primarole.

Intanto la duchessa aveva colto due magnifiche viole del pensiero e le
infilava colla prestezza graziosa delle manine pallide e ingemmate,
all'occhiello di Sua Eccellenza.

--Oh, signora duchessa! Amabilissima!...

Il ministro, dopo tanti discorsi, tanta politica, tanto parlare e tanto
caldo, respirava a larghi polmoni quell'aria libera.... e la bellezza,
la fragrante giovinezza di Nora.

Sorridendo essa infilò di nuovo la manina sotto il braccio del
Ministro, per riaccompagnarlo verso la sua piccola corte: tutti,
vedendo avvicinarsi Sua Eccellenza e la duchessa Eleonora, si disposero
in fila per riceverli.

--Oh! che peccato!--sospirò il ministro.

Nora sorrise, fissandolo cogli occhi rilucenti:

--Torni presto a Casalbara,... ma non il ministro.... _lei_.

La povera Eccellenza, che in vita sua aveva molto lavorato e pochissimo
avvicinato le belle signore, capì.... non capì.--Che cosa doveva
capire?--Era appena un complimento? Era più di un complimento?... Il
forte parlamentare perdette la prontezza della parola.

--Amabilissima e.... Amabilissima!... Ma intanto.... perchè non vien
lei.... a Roma?...

Raggiunto il duca di Casalbara, il ministro, sempre dando il braccio
alla duchessa Eleonora, e colla sua piccola corte raggruppata intorno,
cominciò a lodare la prospettiva, il giardino, la bella vista, la
splendida giornata.

Poi, sempre colla duchessa, sempre parlando, ridendo piano colla
duchessa, mentre il seguito gli faceva coda, ammirando il barocco della
facciata, salì lentamente per visitare la villa. Sul terrazzo si fermò,
prese una granita, e intanto la duchessa gli presentò Evelina. Non
disse "la signora Laner"; disse soltanto coll'effusione un po' teatrale
dello zio Matteo "la mia buona, la mia cara Evelina!"

Pietro non lo presentò; anzi, quando tutti insieme se ne andarono dal
terrazzo, Nora gli passò dinanzi senza nemmeno guardarlo, più alta, più
diritta, più superba.

Essa guidò gli ospiti, obbedendo a un cenno fattole dallo zio Matteo,
in una sala terrena, dove c'era un magnifico ritratto di Eriprando di
Casalbara, grande al naturale.

Tutta la comitiva, ristorata dai rinfreschi, parlava, rideva,
discorreva animatamente, ma quando si fermò, facendo circolo dinanzi al
ritratto, il silenzio divenne generale, profondo, il raccoglimento
religioso.

--È un dono del Gran re!--tuonò la voce di Matteo Cantasirena, e
ricordò, commosso, alcuni episodi del martire illustre.... "magnanimo".

Evelina era rimasta fuori, sul terrazzo, vicino ai dolci e alle
granite.

Il _Dizionario dei patriotti viventi_ aveva sospeso le pubblicazioni:
il conte Bobboli beì--patriotta dell'espansione coloniale--era stato
l'ultimo dell'ultima puntata dell'ultima appendice. Dopo quel gran da
fare, quel gran lavorare affrettato, angosciato nelle strette durissime
del bisogno, Evelina riposava, si godeva la campagna, si godeva lo
belle giornate, si godeva il far niente; sopratutto il far niente.

Passava i giorni coi giorni, sdraiata sul terrazzo, sonnecchiando in
mezzo alla quiete del gran sole. Dopo il frastuono assordante di
Milano, dopo il via vai, il vociar confuso della folla, essa gustava
l'armonia vaga, recondita di quella pace, di quella solitudine, di quel
silenzio. Sorrideva al saltellar dei passeri sulla ghiaia del
giardino.... fissava intenta il volo di due farfallette bianche,
perdentesi nell'aria nitida, contro il cielo azzurro.

La signora Laner pareva quasi una vecchia, nel magnifico abito
regalatole da Nora, e che essa si era aggiustato e adattato da sè.

Il suo viso era più giallognolo, più patito, quantunque non fosse mai
stata ammalata. Anche la gravidanza che avea deciso il Laner e
affrettate le nozze, era stata.... un falso allarme. Dopo successo il
matrimonio, i sintomi non si erano più ripetuti. Evelina stessa dovette
confessare al dottor Foresti che si era "forse" sbagliata. Sembrava più
brutta e più gobba, perchè adesso non voleva più darsi la pena,
l'incomodo, di tenersi su, di comparire; ormai era maritata, era "a
posto".--A che scopo buttar via denari e seccarsi e stancarsi?

Era così piacevole e dolce il non far niente, più niente!... Alzarsi
tardi, passare le lunghe ore del giorno, le ore calde, sognando,
dormicchiando.... e sorbire granite e rosicchiare confetti.

Ne prese un altro, un _fondant_, e lo succiò lentamente, poi si tirò
vicino il piccolo vassoio di cristallo e scelse le pasticche di menta
peperita, i cioccolatini alla vaniglia, e se li chiuse nella borsetta
che portava sempre appesa al braccio.

Quella borsetta era un po' sdruscita.... e la signora Laner,
guardandola, sospirava e pensava a quella di Nora, colla cerniera e la
catenella d'oro.

Sul terrazzo venne a sedersi anche Pietro Laner: era stralunato.

Evelina lo guardò, continuando a scegliere i _gianduiotti_ nella carta
d'argento, le grosse mandorle colorate e gli domandò:

--Dove sono gli altri?

--Nella sala del biliardo. _Lei_....--Pietro Laner sdegnava di dare a
Nora il titolo di duchessa e arrossiva di chiamarla come una
volta--_lei_ gioca al biliardo con Sua Eccellenza e con monsignor
Meneguzzi.

Il Laner soffriva: Evelina se ne accorse, ma non se ne accorò. Si
sdraiò più comoda e facendo l'altalena colla poltrona a dondolo,
socchiuse le palpebre, fissando una striscia di sole, animata, avvivata
da una miriade di moscerini.

--Non prendi una granita?... Sono di fragola, eccellenti.

--No.

Evelina tornò a guardare il marito.

--_Quell'altra_, te ne ha fatto delle sue?

Pietro non rispose, ma si fece più cupo.

--Sai che non ti può vedere!... Perchè le vai sempre fra i piedi?

--Domani torno a Milano--borbottò il Laner.--Son venuto soltanto per la
visita del Ministro, non per.... gli altri. Domani ritorno a Milano.

--Non c'è bisogno di scappare e non c'è bisogno di correrle dietro.

Evelina disse tutto ciò pacatamente, continuando a dondolare,
spingendosi piano colla punta dei piedi; disse tutto ciò pacatamente,
senz'ira, senza dolore.

La signora Laner non era gelosa. Essa non aveva mai avuto troppe
pretensioni: non aveva aspirato ai grandi diritti dell'amore. Adesso
non pensava più che a viver tranquilla, a viver bene, e a premunirsi
per l'avvenire.

Non c'erano che le ventimila lire.... e le zie di Crodarossa.

Sopra lo zio Matteo svanivano le speranze. Prodigo con tutti gli altri,
era taccagno con Evelina, perchè istigato contro di lei dalla Gioconda:
era taccagno col Laner, perchè quel trentino gli era antipatico, perchè
aveva ancora il rodimento delle famose ventimila lire, le sue ventimila
lire.... cioè quelle del Casalbara.

Evelina, fatti i suoi calcoli, e non volendo intaccare il capitaletto,
aveva risolto, fra sè e sè, di ritirarsi a Crodarossa, e intanto, per
rendere la cosa più facile aveva già scritto alle zie, senza dir nulla
nemmeno a Pietro, domandando.... "se li volevano a Crodarossa per un
mesetto."

"Pietro sta poco bene: ha bisogno di respirare un po' d'aria buona, un
po' d'aria nativa. Lo ha consigliato il nostro dottore, il dottor
Foresti. Anch'io mi sento debolina e un po' malandata.... Oh, ma _per
me_.... non avrei mai, _mai_, avuto l'animo bastante d'incomodare le
mie zie, di essere di peso alle mie care zie!"

Figurarsi le due vecchierelle!... Che "_rebalton_" e che
"_rivoluzion!_" E figurarsi il "muso tremendo" di don Giuseppe!...

Ma questa volta la zia Angelica e la zia Rosina non si lasciarono
imporre.

La sposa di Pierino, la "nuova padrona" che già era stata la loro
angoscia, il loro tormento, quando era appena un'apprensione pel tempo
avvenire, quando non era altro che un fantasma lontano, adesso, viva e
non più sogno, ma realtà, adesso era un angelo, una "_vera perfezion_"
era amata anch'essa come Pierino, cara come Pierino.

Le due vecchiette vivevano, palpitavano soltanto per l'arrivo degli
sposi!... Non pensavano più che agli sposi, non pensavano più nemmeno
all'economia!... Minacciavano una carneficina nel pollaio, una "strage"
di mele cotogne e in quanto a don Giuseppe.... Don Giuseppe, in questa
circostanza si era messo dalla parte del torto _proprio da bon_.

--_Se trata del nostro sangue_....

--_Se trata delle nostre viscere_....

E la signora Angelica e la signora Rosa finivano in coro, alzando le
braccia al cielo:--_Jesus Maria!_

Piantarono don Giuseppe, piantarono la Canonica, solo affaccendate,
infervorate nel preparare l'alloggio.

--Dove li metteremo?

--In camera nostra, certo....

--Certissimo!

--_La xè la più bela_....

--_La xè la più grande_....

E contente, beate, senza un sospiro, avrebbero abbandonato anche quella
cameretta: la cameretta fida e cara, il nido.... proprio il loro nido,
colle finestre sull'orto e colla vista del "Gigantesso".

Tutto, tutto doveva essere di Pierino, era di Pierino, era della sposa
di Pierino, in quell'improvviso tumulto, in quella festa inaspettata e
grande del loro cuore!

Invece Evelina, poco prima dell'epoca fissata, cambiò di parere e
scrisse un'altra lettera a Crodarossa.

"Per il molto lavoro sopraggiunto al mio Pietro, il quale del resto
trova un gran giovamento dalla sua cura idropatica, dovremo rimandare
ad altra epoca il sogno.... il bel sogno di Crodarossa."

"È un destino così!... Non posso esser felice, _pienamente_ felice,
mai, _mai!_"

Evelina aveva il suo tornaconto per restare a Milano.

Nora, dopo fatta la pace collo zio Matteo, aveva voluto rivederla,
aveva voluto far la pace anche con Evelina, ed Evelina era corsa subito
"dalla duchessa".... e subito si era fermata "dalla duchessa" anche a
pranzo.

E da quel primo giorno in poi, Nora si era presa di un grande
attaccamento per la signora Laner: dalla mattina, quando Nora era
ancora a letto, poi quando si vestiva, poi a colazione, a pranzo, fino
alla sera in teatro, la voleva sempre con sè.

Evelina sottomessa, remissiva, zelante, sempre ai piedi "della
duchessa", sempre in ammirazione "della duchessa." Nora, invece,
secondo l'umore: o erano carezze o erano strapazzate, ma colle carezze
e colle strapazzate, fioccavano regali, sempre regali.

E la signora Laner, giudiziosamente, pure vagheggiando per l'avvenire
la sua prima idea di andare a stabilirsi a Crodarossa, intanto, per il
momento, si riempiva gli armadi, i cassettoni di roba.... e aveva
licenziata la serva e chiusa la cucina.

Sempre fuori, sempre colla duchessa, che cosa doveva farne?...

Pietro, mangiava un boccone al giornale o in una qualche bettolaccia
scovata da Mariano Perego. Sua moglie lo vedeva raramente anche prima
di legarsi con Nora: adesso quasi mai.

Nora.... non lo poteva soffrire.



VII.


--È arrivato il tram?--domandò Evelina, continuando a far l'altalena
colla poltrona a dondolo.

--Già; dev'essere arrivato.... coi suonatori!--rispose ironicamente
Pietro Laner.

Entrava in quel punto, dal grande cancello della villa, una frotta di
persone, tutte in abito nero, guidate da Gesualdo Arcangeli, con un
cappellone bigio, a cilindro, straordinario, una cravatta bianca
svolazzante e un nodoso bastone, che roteava, come il bastone di un
capo tamburo.

Erano gli altri convitati, quelli appunto che si aspettavano col tram.

C'era pure il dottor Foresti; veniva solo, l'ultimo. Il dottor Foresti
ormai era di casa: andava innanzi e indietro da Milano, per il duca,
due o tre volte alla settimana.

Evelina, appena lo vide, si alzò, gli andò incontro:

Si era ricordato di prenderle il bicarbonato e l'elisir di china?

Essa dava sempre al dottor Foresti qualche commissioncella per la
farmacia Zambelletti. Era così gentile e buono il dottor Foresti!

Evelina sospirava teneramente nel ringraziarlo.... e non lo rimborsava
delle spese.

Il Laner, che voleva scansare i nuovi arrivati, che voleva restar solo,
se ne andò dal terrazzo; ma capitò peggio.

Lungo il corridoio incontrò la signora duchessa che ritornava in
giardino, ridendo e scherzando con monsignor Meneguzzi e con Pio Calca.

Nora gli passò vicino. Il Laner, arrossendo, si fermò, s'inchinò.

La duchessa, a testa alta, gli lanciò un'occhiata ironica, sprezzante e
rispose a monsignor Meneguzzi che gli aveva domandato piano
all'orecchio chi fosse il Laner:

--È uno dei tanti mangiapani della _Cisalpina!_

Pietro udì quelle parole: geloso di quei due, offeso da Nora, ebbe un
impeto di collera.

--Signora, scusi!... Signora!--e la raggiunse per dirle.... per dirle
che?

Niente. Non seppe dir più una parola e rimase confuso, intimidito
quando si trovò dinanzi alla duchessa fiera, sdegnosa che lo fissava
cogli occhi scintillanti, provocanti, sotto l'ombra cupa del largo
cappello di paglia nera.

--Che vuole, signor Laner?

--Scusi.... duchessa,--balbettò--Volevo domandarle.... Parto domattina.
Ha qualche ordine per Milano?

--No! Nessun ordine!--E la Casalbara tirò diritto sotto braccio a Pio
Calca. Il Laner sentì, quand'essa fu lontana, uno scoppio di risa,
trillante, squillante:

--Ride di me!... Ride di me!--mormorò il povero diavolo, e rimase
avvilito, mortificato, irritato, ma contro la propria debolezza.

--Domani.... Domani.... ritorno a Milano!

Anche al banchetto, Pietro Laner ebbe uno degli ultimi posti: fra il
maestro comunale di Casalbara e un assessore di Primarole. Eppure....
eppure finì per essere contento di trovarsi così lontano, così in
disparte, quasi inosservato: poteva guardar Nora, continuare a
guardarla.

L'ira, la collera erano svanite; non gli restava più che il suo amore
pazzo, la sua gelosia furiosa.

Nora! Nora! Com'era bella! Era diventata ancor più bella: tutto e tutti
rimanevano offuscati, oscurati, rimpiccioliti dalla sua bellezza! Lo
stesso ministro non era più niente: Sua Eccellenza lo capiva, lo
sentiva, e appariva umile dinanzi alla Casalbara, e le sue parole, il
suo gesto, il chinar del capo, esprimevano l'ammirazione e la spontanea
sudditanza.

Nora!... Oh, Nora, com'era bella, così animata, irrequieta, ridente!
Pareva ancora più giovane e fresca, vicino a quel povero Ministro dal
viso stanco, itterico, estenuato! Pareva ancora più bionda in mezzo
alla luce allegra delle grandi lucerne, dei grandi lampadari,
scintillante, riverberantesi a sprazzi, a guizzi, a raggi irridescenti
sulle cristallerie, le argenterie della tavola.... E pareva ancora più
bianca, più abbagliante fra tutte quelle barbe e quelle facce, fra
tutti quegli abiti neri che la circondavano.

Nora era scollata, ampiamente scollata: il seno, le spalle ignude,
uscivano quasi roride, stillanti di gemme dalla spuma candida dei
merletti vaporosi.--Era pur bella, così bionda, così bianca; era
abbagliante.... e così audacemente scollata non appariva invereconda:
le perle, i brillanti, le vecchie gemme dei Casalbara, l'avvolgevano
come di un'aureola, di un ammanto che imponevano l'ammirazione e il
rispetto.

Pietro la guardava, continuava a guardarla....

Lei sola parlava, lei sola rideva; la sua voce chiara, armoniosa, il
suo riso leggero e garbato parevano avvivare e dirigere la compostezza
e il romorìo quieto che dominano al cominciare di un pranzo.

Pietro la guardava, continuava a guardarla....

A un tratto l'occhio di Nora, quantunque essa parlasse pianino con Sua
Eccellenza, girò più lontano attorno alla tavola e a un certo punto si
fermò con un sorriso, un saluto impercettibile, carezzevole.

Pietro, di volo, colse, seguì quell'occhiata e incontrò il bel viso da
sposa di monsignor Meneguzzi che faceva a sua volta l'occhiolino alla
duchessa, ma divotamente, compuntamente.

--Anche col prete!...--borbottò il Laner, e geloso, sospettoso, girò
coll'occhio attorno alla tavola....

Tutti la guardavano, la fissavano, tutti! E Nora, sempre intenta,
affabile, graziosa con Sua Eccellenza, aveva pure uno sguardo, un
sorriso, una parolina, anche per tutti gli altri.

--Come sa fingere!... Come è civetta! Civetta!--sospirava Pietro.--Ma
com'era bianca, bionda, bella e come tutti la ammiravano, la
divoravano!

Pio Calca, fissandola, trasudava, gocciolava; il Fontanella restava a
bocca aperta; il Brunetti strabiliato, stimava col Palazzoli il valor
delle perle e dei brillanti; Gesualdo Arcangeli trinciava l'aria col
pollice, come per segnare la perfezione delle linee, la magnificenza
del busto;... il marchese Duranti, colla lente ficcata nell'occhio, la
mirava cupido, rabbioso, e il dondolìo della testa si faceva più
forte....

Soltanto Evelina e il dottor Foresti non si occupavano punto di Nora;
parlavano fra di loro; fra di loro si capivano. Forse avevano sbagliato
a non unirsi; entrambi avrebbero fatto maggior fortuna.... Ma erano
ancora in tempo per stringersi in lega, nell'interesse comune....

Evelina intanto, scroccava al medico un piccolo consulto. Dopo pranzo
si sentiva un po' gonfia, un po' oppressa. Una volta il bicarbonato le
faceva tanto bene, adesso.... più niente! E fissando il dottore, con
una grande e misteriosa tenerezza negli occhi, bisbigliava:

--Di me.... non vogliono saperne.... nemmeno i rimedi!

--Proveremo con una presina di magnesia e di bismuto--le suggeriva il
dottore, con un'inflessione di voce insinuante.

Pietro Laner guardava Nora, continuava a guardarla....

E dire che era lui, lui che avrebbe dovuto sposarla! Era stato amato da
quella donna! Cento volte essa gli aveva ripetuto: Ti amo, ti amo, ti
amo!... E l'aveva baciata mille volte su quei capelli biondi, su quegli
occhi perfidi, infami!... L'aveva divorata, divorata di baci, quella
bocca ironica, sprezzante!

Ma era vero? Era possibile?... Non era un sogno?... La signora
Casalbara, la duchessa, era Nora?...--Era stata Nora!--Adesso no, no,
non lo era più, ma era stata Nora, la sua Nora, Nori!

Dio! Dio! Come si era trasformata, come aveva saputo trasformarsi, come
era diventata "duchessa!" Era nata, per essere così.... per diventare
così!

E il povero diavolo, il povero montanaro, il povero poeta di
Crodarossa, capiva che era stato matto nelle sue speranze, ridicolo
nelle sue pretese, ingiusto nelle sue collere!... La guardava, la
guardava sempre, ma l'occhio suo diventava più mite, più tenero;
svampava, svaniva la sua collera e sentiva come un sollievo, una
contentezza nel poterla difendere, nel poterla giustificare dal
profondo dell'animo, dal profondo del cuore, e concedere così al suo
orgoglio, alla sua dignità, di amarla ancora, di amarla sempre.

--Mia moglie?...

Era un sogno, una pazzia; e il pazzo, il povero pazzo era lui, lui
solo!

La guardava, la guardava, la guardava.... continuava a guardarla!...

Nora ammirava, con Sua Eccellenza, il trionfo di rose e d'orchidee nel
mezzo della tavola. Poi, sorridendo, rimproverò il ministro di non aver
più i suoi fiori all'occhiello.... i fiori ch'essa aveva colti per lui,
con lui, nel giardino.

Sua Eccellenza, che ormai aveva cominciato a prender fuoco, si
schermiva, si difendeva brillantemente.... La duchessa prese due rose
dal trionfo.... una l'offri al ministro, l'altra la tenne per sè, la
ripose in seno, chinandosi, guardandosi mentre l'occultava sotto ai
merletti, coll'agile sfiorar delle dita.

Guardava anche Sua Eccellenza, lì, dov'era nascosta la rosa e disse
piano alla duchessa qualche parola che la fece arrossire nel sorridere.

Pietro Laner, sussultando, lasciò cader la forchetta, voltò la testa,
ma s'incontrò negli occhi del Casalbara. Il duca lo guardava serio,
attento.... eppure da quegli occhi stanchi, gravi, spirava come un
senso di mestizia, di pietà.

In quel punto si udì un gran vociare, un tramestìo di sedie, poi il
formidabile: Sst!--Silenzio!--di Gesualdo Arcangeli.

Cominciavano i brindisi; si alzava Matteo Cantasirena.

--Vecchio rivoluzionario impenitente....--e il Cantasirena si rivolse
sorridendo verso Sua Eccellenza--metterò un po' di rivoluzione anche
nella.... prammatica e il primo brindisi anzichè all'ospite illustre che
ci ha onorati di una sua visita.... lo rivolgerò all'ospite--parimenti
illustre--che ci ha accolti con tanta spontanea cortesia.

Il duca ebbe un brivido.--Oh, com'era amaro il pane che doveva
guadagnarsi a quel modo!

--E non a te solo Giovanni mio,--tonò con nuovo impeto la voce di
Matteo.--A te e ad Eriprando di Casalbara è rivolto il caldo saluto del
mio cuore. La patria memore, riconoscente, scriverà sulla stessa
pagina, nel libro d'oro della sua gloria e dei grandi sacrifici, il
nome dell'eroe prigioniero di Josephstadt, e il nome dell'audace, del
coraggioso presidente della _Navigazione Cisalpina!_

Tutti sorsero in piedi, fra lo sbatacchiare delle sedie, applaudendo,
gridando evviva.

Il duca Giovanni, alzò il bicchiere colla mano tremante.... ringraziò
con un sorriso che gli errava amaro, straziato fra i baffi irti,
ringraziò inchinandosi col capo Sua Eccellenza, ringraziò a destra a
sinistra della tavola, poi si lasciò ricadere, come accasciato sulla
sedia.

--Fa troppo caldo qui.... si soffoca....--mormorò al suo vicino, per
scusare quell'abbattimento.

Il Casalbara lanciò un'occhiata torva alla moglie e un'altra occhiata
torva, con un lampo di ira e d'odio a Cantasirena....

--Sempre.... sempre mio fratello!... Buffoni!... Canaglie!...
Lasciassero in pace.... rispettassero almeno la memoria di mio
fratello!...

In quel calore, in quel frastuono, in quel vociare allegro, cordiale,
espansivo dell'ora dei brindisi, in quello splendor della mensa, aveva
fissa dinanzi agli occhi, come una apparizione, come una ammonizione
biblica, la figura austera, ascetica del martire, rinchiuso nella
segreta fredda e buia.

Il vicino lo toccò nel gomito: Sua Eccellenza si alzava in piedi,
rivolgendosi al duca, col bicchiere in mano.

Il Casalbara si scosse, si rizzò sulla sedia, rigido, attento.

Sua Eccellenza si raccolse un istante, poi cominciò:

--Oggi, a Primarole, l'animo nostro si è dischiuso alle più forti, alle
più audaci, alle più ineffabili gioie del lavoro: stasera un
graditissimo, eletto invito, ne raccoglie qui dove la mente di
Eriprando di Casalbara....--Il duca trasalì. Anche lui! Ancora quel
nome! Sempre suo fratello!--ma rispose con un saluto, al saluto del
ministro, che continuò--qui ne raccoglie dove la mente di Eriprando di
Casalbara intuì la redenzione d'Italia, e il suo cuore palpitò di
speranza e tutto l'essere suo nobilissimo, ritemprandosi,
idealizzandosi nell'austera poesia del sacrificio, parve prepararsi al
supremo olocausto della vita. Degno custode della grandezza antica,
degno custode e continuatore della gloria fraterna, Giovanni di
Casalbara onora il tempio delle memorie coi suffragi dell'intelligenza,
del sapere, dell'operosità.... e qui, degna ricompensa, lo allieta la
grazia, la bellezza della sua fida ed eletta compagna! A lei, alla
donna, ispiratrice eterna del genio e dell'amore, ispiratrice eterna
del sacrificio e delle energie, a lei, al fiore più smagliante, al più
fulgido astro dell'itala cortesia, permettetemi che io levi, salutando,
augurando, il mio limpido e colmo bicchiere: limpido come l'amor di
patria, colmo come il nostro cuore è colmo di gratitudine, è
traboccante.... spumeggiante di ammirazione!

--Viva! Viva! Alla duchessa!

--Alla salute della duchessa!--gridarono entusiasticamente tutti i
convitati, soffocando persino la voce di Gesualdo Arcangeli che urlava
come un indemoniato:

--Alla bionda regina di tutte le bellezze--per Dio!

E nella foga, nell'impeto, toccando il bicchiere con quello di Pio
Calca, gli rovesciò addosso tutto lo sciampagna.

Il Casalbara guardava qua e là smarrito, come trasognato: era stanco,
affranto dalla fatica, oppresso da quel calore, stordito da quel
frastuono. Il poco vino bevuto gli aveva fatto male: era un'impressione
cupa, profonda di abbattimento, di scoramento.... era un'ossessione
terribile.

Suo fratello!... Sempre suo fratello!... Suo fratello che usciva dalla
segreta cupa e buia, suo fratello che si precipitava in mezzo a quel
baccanale, in mezzo a quei trafficanti del suo nome, del suo martirio,
della sua patria!... Suo fratello che cercava lui solo, che vedeva lui
solo, che gli si fermava dinanzi, che lo schiaffeggiava!

.... Silenzio! Silenzio!... Sst!

E il silenzio si fece profondo: toccava a lui a parlare, toccava a lui
a rispondere.

Il duca girò attorno l'occhio smarrito. Tutte quelle facce rosse,
accese, lo fissavano mute, ansiose, aspettando: toccava a lui a
parlare, toccava a lui a rispondere.

Si rivolse al ministro....--Cosa doveva dire?... cosa doveva dire?...
Le parole gli sfuggivano, gli sfuggivan tutte, tutte, tutte!--Dio! Dio!
Dio!... E bisognava rispondere, bisognava parlare!

--Eccellenza.... Amici....--borbottò.

Dio, Dio, che vuoto nella sua testa e che silenzio in quella sala!...
Cercò la parola, la parola che gli mancava, che gli sfuggiva sempre....
la cercò in quei visi.... Sua moglie lo incitò a parlare con un moto
impercettibile di dispetto e di collera.... Cantasirena con un atto di
maraviglia,--glielo aveva detto, bastava ringraziare,--e suo fratello
là, in fondo, che gli gridava:--Parla, parla, parla, fantoccio,
buffone, guadagna il tuo pane!

--Eccellenza.... Amici.... Io vi ringrazio.... confuso da tanta
bontà.... Io vi ringrazio commosso.... da.... da....--sentì un ronzìo
nelle orecchie, tutte quelle facce gli giravano davanti.... gli si
annebbiò la vista....--Da tanta bontà....--balbettò ancora, poi si
lasciò cadere sulla seggiola e scoppiò in lacrime.

Rispose uno scroscio lungo di applausi, un'acclamazione prorompente,
interminabile.

Tutti erano commossi, entusiasmati, esaltati. Matteo Cantasirena,
soffiando, col pancione pieno, mugolando, versava lacrime e sciampagna:

--È il battesimo!... La purificazione!... Le tue lacrime, Giovanni mio,
sono la purificazione della patria!--e brandendo il bicchiere come
fosse una spada, una bandiera, alzandosi maestoso, solenne, imponente,
"Viva l'Italia!" tuonò.

Ci fu un secondo scrosciar d'applausi, e tutte le voci, tutte le grida
si confusero in un solo clamore tumultuoso, rimbombante, echeggiante
fuor della sala, nel silenzio della notte, nei viali deserti:--Viva
l'Italia!

Taddeo, che prendeva il fresco in giardino, si avvicinò alla finestra,
guardò nella sala e gridò lui pure commosso:--Viva l'Italia!--ma
nessuno l'udi.


Lo strepito, il baccano, durarono un bel pezzo. Quando il duca, per
consiglio del dottor Foresti, fu accompagnato nelle sue stanze, quando
Sua Eccellenza dovette andarsene in fretta e in furia col Prefetto, con
Matteo Cantasirena, coi due segretari, perchè il treno partiva, gli
altri commensali passarono dall'entusiasmo per Sua Eccellenza e per
l'Italia, a quello più allegro, per l'amabile, per la splendida, per la
divina padrona di casa!

Pietro Laner era il solo che mancava.--Dov'era andato?...

Tutti vollero toccare il bicchiere colla duchessa Eleonora, ed essa
aveva per tutti una grazia che pareva un invito, un sorriso che pareva
una promessa.

--Verrò un giorno a visitare il vostro studio io sola....
coll'Evelina!--diceva piano all'Arcangeli; e a Pio Calca domandava il
ritratto, stringendogli la mano furtivamente.

Con monsignor Meneguzzi faceva un po' la gelosa: era gelosa delle altre
signore che lo volevano tutto--tutto per loro!--E gli aveva preso
l'anello da Monsignore, colla grossa amatista, lo ammirava, se l'era
messo in dito, fingeva d'esserselo dimenticato e continuava a
tenerselo.

Ma Pietro Laner?... Dov'era andato?

Nora soffocava; e venivano ancora a versarle dello sciampagna; tutti
volevano toccare il suo bicchiere. Si sentiva in fiamme, irrequieta,
palpitante, vibrante....

Ma Pietro Laner, dov'era andato?... Era partito forse?... No, no!...

--Salgo un momento!...--disse a un tratto Eleonora rivolta a Pio Calca,
a monsignor Meneguzzi, a Gesualdo Arcangeli, al Fontanella, al
Palazzoli, a tutta quella folla d'uomini che le si stringeva d'attorno,
avida, bramosa, riscaldata dalle sue spalle nude, dalla sua bocca
ridente, dalle sue trecce bionde, quasi disfatte pel loro peso e che le
ricadevano sulle spalle con una mollezza tentatrice.--Salgo un
momento!... Vado a vedere mio marito!... Poi torno!... torno
presto!...--e sparì.

Vuotarono dell'altro sciampagna aspettandola.... ma la duchessa
tardava, tardava a comparire, a ritornare....

Cos'era successo?

Giravano qua e là, dentro e fuori, aspettandola ansiosi.... e giravano
soli, sperando d'incontrarla sola.

Gesualdo Arcangeli stringeva i pugni; voleva spiegarsi, voleva
sfogarsi.

--Vi amo, duchessa e.... vi amo!--per Dio!

Monsignor Meneguzzi, diventato serio, sgridava e s'imponeva a Pio Calca
per farlo tacere e per mandarlo a letto.

Pio Calca, brillo davvero, tutto rosso, tutto lustro, tutto molle,
voleva la duchessa, chiamava la duchessa, colla voce stridula, rotta,
straziata dalle risa convulse che finivano in pianto.

--Che ambizione!... Che deputazione!... Che doveri del partito!...
Lei!... Lei!... Ma dov'è andata quella... quella donna!...

--Vergogna! Vergogna!--bisbigliava il monsignore con forza, sul viso di
Pio Calca, per farlo tacere.--Vergogna!--La moglie altrui!... Dirò
tutto alla mamma!

--E anch'io dirò--_a mia mader_--dov'è l'anello.... il sacro anello....
del prelato!...--e cogli occhi inumiditi e lustri, coll'aria svenevole,
e ingarbugliando, strascicando le parole, continuava a ripetere, serio,
ostinato:

--E sia pure la moglie altrui!... Io voglio.... la moglie altrui!

Ma nel mentre tutti gli altri aspettavano la duchessa e la cercavano
nelle sale, o sul terrazzo, o in giardino, Evelina si era spinta più
lontano, non per cercarla, ma per accertarsi che c'era. E senza farsi
scorgere s'innoltrò lungo il viale cupo, finchè intravide di lontano
nel piccolo boschetto, l'abito bianco di Nora.... E anche Pietro era
là....

Allora, chetamente, essa ritornò in giardino, salì sul terrazzo e a
quanti le domandavano della duchessa Eleonora rispondeva d'averla
lasciata di sopra col dottor Foresti, presso il duca un po' indisposto.

E girando le sale, fece intanto le sue piccole provviste di sigarette
per sè, e anche di sigari per suo marito. Si riempì la borsetta di
dolci.... Poi vedendo sulla scrivania di Nora una boccettina di
_Lavender salts_ col turacciolo d'argento, la prese per sè: soffriva
tanto l'emicrania!...

Portò tutta quella roba in camera sua, poi ridiscese a insaccarne
dell'altra.

A Nora, il caldo, le grida, lo sciampagna avevano dato alla testa: le
era balenata l'idea, come un lampo, che Pietro doveva essere in
giardino ad aspettarla, e uscì di colpo.

Lo cercò.... lo vide infatti, lo raggiunse di corsa, e infilò il
braccio sotto il suo, tirandoselo dietro.

--Vieni! Vieni! Vieni!

L'altro non capiva niente; la seguiva, si lasciava condurre, attonito,
sbalordito.

--Vieni! Vieni! Vieni con me! Vieni con me!

E quando furono innanzi un buon tratto, nascosti, celati nel bosco,
essa si fermò, lo guardò.... lo guardò.... Improvvisamente si tolse la
rosa appassita nel calore, nell'odore del suo seno palpitante....
gliela schiacciò sulla bocca.... poi gli buttò le braccia al collo
stringendolo, baciandolo, nervosamente, furiosamente.

--I tuoi baci!... Ancora i tuoi baci!... Tutti i tuoi baci!... Fammi
rivivere! Rivivere!... Rivivere!

Pietro Laner era rimasto spaventato. Invece di rispondere a quei baci
cercava di calmarla, di quietarla.

--Signora duchessa!--Ma.... non si faccia sentire!... Non parli così
forte, per amor del cielo!

Essa si scostò di colpo, lo guardò seria, accigliata:

--Giurami che non partirai!

--Ma....

--Giurami che non partirai!... Devi restar qui: devi restar con me,
sempre con me!

--Ma....

--Giurami che non partirai: lo voglio!--E fu lei a scuotere il Laner
per le braccia. Le sue unghie gli penetravano nelle carni.--Hai capito
che lo voglio?--Giura.

--No.... Non partirò....--balbettò l'altro che pareva tramortito.

--Come sei buono! Oh, sei sempre stato buono! Sei buono sempre,
sempre.... tu sei buono sempre,--e Nora presa da un nuovo impeto di
tenerezza tornò ad abbracciarlo, a baciarlo, a farsi baciare.--Anche i
tuoi baci sono buoni,--i _tuoi_ baci _sì_, sono buoni! Ho la smania, la
febbre dei tuoi baci! Dammene tanti, tanti, tanti.... tutti.... Sono
golosa de' tuoi baci....

Ma Pietro, sempre più inquieto, la baciava soltanto per calmarla,
spingendo gli sguardi attraverso gli alberi, nel buio profondo di
quella notte dal cielo nero senza stelle.

--La bocca tua.... ancora la tua bocca....

Pietro sentiva che Nora perdeva le forze....--Era esaltata?
Impazziva?--Temeva che da un momento all'altro si buttasse per
terra.... gridasse.... Tremante, spaventato, continuava a cercare, a
tentare di quietarla, di calmarla....

--Ma duchessa?... Ma signora duchessa!...

--Nora! Nora! Hai capito?...--gli gridò Nora più forte, sulla faccia.

--Parli piano! Più sotto voce, per amor del cielo!

--Nora! Nora! Chiamami Nora, perchè.... perchè.... non voglio essere
che Nora, voglio tornare la.... la Nora.... la Nori!... Sì! Sì!--e
accesa in viso, cogli occhi stralunati, ridendo con un riso strano,
convulso, e puntandosi l'indice alla fronte, ripeteva colla voce
rauca:--Perchè io.... perchè io sono Nora! La tua Nori.... la Nori dei
tuoi baci, dei nostri baci.... Dammene ancora.... ancora....
ancora....--Poi scoppiò in un'altra risata strana, squillante.

--Per Dio!--esclamò il Laner, scotendola forte, battendo i piedi per
imporsi, per richiamarla in sè.--Cosa fai! Pensa a ciò che fai!... È
pieno di gente....

--Ti amo, Pietro!... Ti amo, Pietro!

--Dio! Dio!--gemeva il Laner fuori di sè, e per farla tacere le
chiudeva la bocca colla mano, ma Nora gliela baciava con tanti piccoli
baci furiosi, bramosi, rapidamente, continuamente.

D'un tratto, si fermò, si curvò, tese l'orecchio....

--Senti,--mormorò sotto voce.--Senti, senti, senti....--e tenendosi con
un braccio al collo del Laner, coll'altro proteso, indicò la villa.

--Qualcuno?!--domandò Pietro dando un balzo.

--Senti.... Senti....

Era il pianoforte, era Pio Calca, sorvegliato da monsignor Meneguzzi il
quale, a sua volta, teneva sempre nascosta la mano senza l'anello, era
Pio Calca che suonava il duetto del _Faust:_

    ".... Dammi ancor... dammi ancor... contemplar il tuo viso..."

Nora si abbandonò, si lasciò cadere sopra un tronco di colonna
rovesciata, presso l'Ercole immenso, biancheggiante nel buio come un
fantasma, e scoppiò in lacrime e continuò a piangere, a piangere....
commovendosi a quella musica lontana, triste e così soave, così piena
di mistero, di amore, di dolore.

--Siediti qui.... siediti vicino a me....

L'altro le sedette accanto. La vedeva più tranquilla, cominciava ad
essere più sicuro, senza paura.

--Perdonami, Pietro,--gli bisbigliò continuando ad accarezzarlo, a coprirlo
di baci e di lacrime, più calma, ma ancor più appassionata.--Perdonami,
Pietro, io sono stata cattiva con te. Ma ero cattiva perchè ero gelosa. Ti
odiavo.... perchè ti amavo. Non sono felice, sai. No, l'ho in me la mia
infelicità.... è un ardore.... un ribrezzo.... una noia.... una collera....
una febbre!... Sono malata! Mi sento malata!... tanto malata!... Amami
molto, Pietro!... Molto, molto, molto!--Fammi guarire.... guarire!--E
ritornava ad esaltarsi, ritornava a fremere, a perdere le forze, a
balbettare, battendo, ribattendo voluttuosamente, convulsamente la
erre--_guarrire.... guarrire.... guarrire...._--Dammi i tuoi baci, ancora i
tuoi baci, i nostri baci, tutti, tutti, tutti....

E Pietro che aveva trovato la sua Nora, Pietro che finalmente aveva la
sua Nora, la baciava sulla bocca, sui capelli, sugli occhi, sulle
spalle, come un pazzo. Anche Pietro, adesso, pregava, supplicava,
implorava, delirava, anche Pietro adesso voleva tutti i suoi baci,
tutti i baci, voleva vivere, rivivere, morire con lei!

E quei due, nella notte cupa, profonda, ai piedi dell'Ercole
biancheggiante come un fantasma,--non sapevano più altro, non sentivano
più altro che i baci, i loro baci e il loro amore.

Non sentivano nemmeno la banda di Primarole che dopo aver accompagnato
Sua Eccellenza alla stazione, era ritornata alla villa, per fare una
serenata al duca di Casalbara e intonava maestosamente sotto le suo
finestre:

    Fratelli d'Italia
    L'Italia s'è desta....



VIII.


La mattina dopo, Pietro Laner, cercando di rimanere nascosto il più
possibile perchè nessuno della villa lo potesse scorgere, passeggiava
lungo il viale degli ippocastani.

Nora gli aveva detto:

--Aspettami in fondo al giardino, vicino al piccolo cancello, verso le
dieci: usciremo insieme. Faremo una delle _nostre_ passeggiate.--Ti
ricordi?

Pietro aspettava Nora, ma era inquieto. Le dieci erano suonate da un
pezzo e Nora non compariva.

Quanto era accaduto la sera innanzi, adesso lo turbava, lo angustiava.

--Il ritorno all'amore, l'abbandono di Nora,--pensava in cuor suo,--non
è stato naturale. Certo era in preda ad uno stordimento, ad una
esaltazione strana....

Poi, crescendo la sua inquietudine, il suo orgasmo, perchè il tempo
passava, passava, e l'altra non compariva, ebbe un impeto di collera,
di sdegno, contro sè stesso; non voleva più fingere, cercare le parole
per nascondere, per attenuare ipocritamente la verità.

--Nora era ubriaca, ubriaca di grida, di chiasso, di caldo.... e di
sciampagna!--Ubriaca! Volle dirla tutta, volle ripeterla, chiara, la
brutta parola: era ubriaca!

Ma ciò non acquietava i suoi timori, non scemava i suoi rimorsi.

Travolta nel baccano, stordita da tanta gente, costretta a parlare con
tutti, a ricambiare tutti i saluti, gli evviva, i brindisi, d'un tratto
le era pigliato il capogiro, ed egli aveva approfittato, abusato, di
quel momento, dell'abbandono di Nora, della sua confessione!

Le dieci erano suonate da un pezzo e Nora non compariva....

--Era malata?

E se Nora, risvegliandosi.... ricordandosi.... scomparsa l'esaltazione,
la demenza, provasse orrore di ciò ch'era successo?

E non veniva!... Perchè non correva a rassicurarlo, a consolarlo?

Se fosse ammalata? Se fosse sdegnata? Se avesse vergogna di sè stessa,
se lo odiasse?

E Pietro non vedeva più il bel viso irradiato dall'amore, ma
contraffatto dall'ira. Non più la Nori, ma la Casalbara, la duchessa,
così in alto, in tutta la pompa, il fulgore di una bellezza maestosa,
regale..., tutta cosparsa, circonfusa di gemme.... Ed egli se ne era
impossessato, aveva abusato di lei come un miserabile, come un
ladro....

--Sì! era stato lui il demente!... Era stato lui l'ubriaco!

E Nora non veniva! Non si vedeva ancora! Oh, se lo avesse amato
davvero, se lo amasse, sarebbe corsa! Sarebbe lì!...

In quel punto, voltandosi quasi furtivamente, spaurito, verso la villa,
vide la bella figura bianca, sotto un ombrellino rosso che scendeva
lentamente dal terrazzo: Era lei!...

E appena Pietro la vide, ancora da lontano, svanirono, come per
incanto, tutte le inquietudini, tutti i timori, i dubbi pazzi,
fantastici! Vedendola appena, ancora da lontano, vedendola avvicinarsi
diritta, tutta bianca sotto l'ombrellino rosso, col passo ritmico e
sicuro, mollemente, elegantemente ondulando, svanivano le cupe immagini
e lo invadeva tutto, e gli saliva dal cuore al cervello, gli saliva
giubilante, festante, l'amore!

Lentamente, cercando sempre di nascondersi perchè nessuno della villa
lo potesse scorgere, le andò incontro.

Essa gli accennò graziosamente del capo, e gli sorrise: quando gli fu
dinanzi, ferma, sempre diritta, gli sorrise nello stendergli la piccola
mano, senza guanto, profumata e fresca come un fiore, come molti fiori:
e la manina non tremava, stringeva forte.... Nora non arrossiva:
continuava a sorridere fissandolo, fissandolo bene negli occhi,
arditamente.

Fu Pietro Laner, invece, che arrossì, sotto quello sguardo lucente,
fisso, evocatore.... e abbassò il capo.

Quando tornò a guardarla, essa lo fissava ancora: non gli disse niente:
gli mandò un bacio, stringendo e allungando le labbra.

Pietro lo sentì, con un brivido di piacere.

--Oh, Nori....--e disse tutto non dicendo altro che questo:--Oh, Nori.

--Ti ho fatto aspettare, non è vero?--gli domandò la duchessa colla
bella voce limpida e scolpita.--Ti ho fatto aspettare! Ma se tu sapessi
quell'uomo! Dio, com'è noioso! noioso! noioso! Sono passata un momento,
a vedere come stava. Sai che ieri sera si è sentito malissimo? Tutta
notte le palpitazioni di cuore! Quando poi è ammalato e ha paura,
diventa ancora più noioso.... e più insistente. Voleva alzarsi per
scendere con me in giardino! Figurati! Ho fatto due occhi al dottor
Foresti! Lo terrà in letto fino all'ora di pranzo!--Stamattina!
Pensa!... Aveva scelto bene la mattina per seccarmi!

E Nora sorrise ancora, ma adesso cogli occhi sfavillanti, colle nari
dilatate, colla bocca rossa e umida, sulla quale pareva fremere il
desiderio, dalla quale pareva prorompere la gioventù, la salute,
l'amore.

--Appena ho potuto--esclamò con un'alzata di spalle--ho piantato quel
noioso col dottor Foresti e con Evelina!

Pietro, a quel nome "Evelina" buttato lì così, distrattamente, si
turbò: quel ridere di Nora gli sembrò sguaiato.

Intanto erano giunti presso il cancello: ma lo trovarono chiuso.

Nora, subito, si arrabbiò e pestò i piedini con furia:

--È un gran stupido quel giardiniere! Stupido! Stupido!

Passò dal viale in mezzo al giardino, guardò verso la villa, se c'era
qualcuno--Nessuno!--Allora, circondando la bocca colle piccole mani
cave, trasparenti al sole e scintillanti di gemme, cominciò a gridare
forte:

--Oouh! Oouh!....

Il giardiniere sbucò da una siepe: vide la duchessa: capì, si battè col
pugno sul capo e cominciò a correre verso il cancello, cercandosi la
chiave nelle saccocce.

Nora tornò nel viale, e passando dinanzi alla selvetta e intravedendo
l'Ercole tra il folto dei rami, lo indicò a Pietro, stringendogli,
pungendogli il braccio con un pizzico acuto delle unghie:

--Di'?... Quel signore?... Parlerà?...

Ma subito corrugò le ciglia, diventò rossa di collera, cambiò faccia,
voltandosi a strapazzare il giardiniere che sopraggiungeva in quel
punto ansante, trafelato e apriva il cancello.

--Ve l'ho detto cento volte! Voglio sempre trovar aperto la mattina!
Pare impossibile! Tutti poltroni!

Il Laner supplicava Nora cogli occhi perchè si frenasse, perchè
smettesse di gridare: ma Nora non gli badava.

--Bere! Mangiare! E basta!--Non si pensa ad altro.

Pietro, uscito dal cancello, andò innanzi, solo, di qualche passo.

--Anche quell'uomo lì--disse Nora raggiuntolo--è un protetto del signor
Matteo!

Nora gli passò dinanzi e Pietro le tenne dietro: attraversarono i
campi, per raggiungere un'altra stradetta solitaria, ombrosa, chiusa
fra due rive strette di ontani.

Le erbe alte, la fioritura gialla, aurata, le macchie cupe, nereggianti
dei gelsi, l'azzurro carico del cielo, l'orizzonte vasto, piano,
uguale, infinito, e l'accension della luce in quella giornata limpida,
sotto il sole scottante, davano alla pianura lombarda, così monotona e
triste, i colori intensi, le tinte fantastiche, strane, evanescenti dei
paesaggi orientali.

Nora, invece di parlar d'amore, cominciò a parlare d'affari; ma
quietamente, senza più arrabbiarsi.

--Sai?... Io posso dire che non mi appartengo più: sono agli ordini del
signor Matteo e della _Cisalpina_.--E per il signor Matteo sono stata
costretta fino ad oggi a godermi quell'uomo, quel vecchio uggioso,
odioso, pesante... a fingere ancora....--Ma adesso non ne posso più e
basta! L'ho dichiarato anche al dottor Foresti.--Ci pensi anche lui:
basta!

Tacquero; Pietro, riconoscente, si voltò a guardarla. Ma Nora non gli
badava: non pensava a Pietro: era tutta intenta, assorta nel pensiero
dello zio Matteo, degli affari.

--Il signor Cantasirena ci ha trovato, ci ha anticipato dei danari: e
per questo si è imposto.--Sai che il Kloss, almeno pare, torna da capo
a far la guerra alla _Cisalpina_?

--No--non so niente.

Pietro Laner, non faceva mai altro nel "Consiglio" che votare come
voleva il direttore: il suo posto di "segretario particolare" si
riduceva a copiare delle lettere e a far il correttore di bozze alle
_Risorse Italiche_.... l'unico posto, oltre a quello di Mariano Perego,
che avrebbe dovuto essere retribuito.

--Sai,--continuava Nora con certe risatine caustiche e ciniche, in cui
si rivelava ancora la figliuola dello zio Matteo in guerra coi
_Tirolesi_ e la maestra di canto e di pianoforte, la maestra della
Schönfeld alla caccia di lezioni.... e di mariti.....--Sai, gli affari
della Cisalpina, adesso che hanno fatto venire un'Eccellenza, andranno
a rotta di collo!--Non si dice che i ministri del regno d'Italia sieno
tutti iettatori?... È vero?--Tu che ci credi in queste cose, devi
saperlo!--Ma ci vuol altro che un'Eccellenza "per sbaragliare il
boemo!"

Pietro seguiva Nora ascoltandola silenzioso, tagliando coi colpi del
suo bastoncino le erbe più alte, facendo scoccare dal gambo le
margherite e i garofani selvatici.

Oh, anche adesso aveva ritrovata, _sentiva_, la Nora d'un tempo.... ma
non la sua Nori buona.... la Nora scettica, aspra, cattiva!

Essa si animava soltanto quando parlava del Kloss! La sua voce allora
diventava più calda; essa mostrava quasi del timore e insieme
dell'ammirazione per il Kloss.

--Quello sì, è scaltro, furbo, abile! Sa frenarsi, fingere, piegarsi a
tempo quando potrebbe essere battuto.... e intanto premunirsi per
parare i colpi avvenire.... e prepararsi alla _revanche!_--Il Kloss!...
Il Kloss è un uomo di talento!... Un uomo forte!... È un vero
milionario!--Quello sì!--e Nora sospirò.

Che voleva dire quel sospiro, quel rimpianto?

Pietro si sentiva stringere il cuore, sentiva svanire la sua gioia.
Seguiva Nora, sempre silenzioso, a testa bassa, tagliando, spezzando
d'un colpo, col bastoncino, le erbe, i fiori e i ramoscelli più alti.

Quando ebbero raggiunto la piccola stradetta fra le due rive spesse di
ontani, Nora si fermò un momento per respirare, all'ombra: poi
ripresero il cammino.... l'uno a fianco dell'altro.

Anche Nora, adesso, taceva; era diventata pensierosa. Riandava il suo
passato! Come era stata ingannata! Come si era ingannata!... E come
aveva agito male con Pietro, col povero Pietro, in quel suo orgasmo, in
quel suo impeto, in quella sua smania di ricchezza, di grandezza, di
fasto!... Povero Pietro!--E Nora pensava a quell'altra passeggiata....
all'ultima passeggiata che avevano fatto insieme a Milano.... ai
giardini.... dietro il Museo.... e rivedeva il viso pallido, straziato
dall'angoscia.... sentiva quella voce rotta dall'amore, dal dolore e
dalle lacrime.

--Povero Pietro!

Si voltò, guardò in fondo alla piccola stradetta, guardò innanzi....
non c'era nessuno.

--Povero Pietro!--gli si appoggiò al braccio amorosamente, si alzò in
punta di piedi e lo baciò.

Pietro, sussultando, strinse Nora, tutta Nora, fra le braccia con un
impeto di passione.

Essa, spaurita, si staccò da lui, divincolandosi.

Si voltò ancora a guardare in fondo della stradetta.--Non c'era
nessuno! Allora tornò ad infilare la manina piccola, dalle unghiette
che punzecchiavano sempre, sotto il braccio di Pietro, e di nuovo si
appoggiò a lui con tutto l'abbandono.

--Hai scritto a Milano che resti qui?

--Non è possibile, cara: mi aspettano al giornale.

--Al giornale ne prenderanno un altro: fa un po' il piacere!--e
fermandosi, fissando il Laner duramente gli disse:

--Voglio così! Ricordati!

Poi si placò, tornò a camminare:

--Fa un po' il piacere! Ti ha sfruttato abbastanza quel signor
Cantasirena. Finisce col farti fare il correttore del suo giornale dopo
aver cominciato col rubarti....--sì, sì, è tempo di dir le cose come
sono....--col rubarti ventimila lire!

--No. Me le ha restituite.

--Lui?... Io!...--Nora si fermò, non aggiunse altro.

Ma Pietro capì, in quell'attimo, che le sue ventimila lire erano state
pagate dal Casalbara.... dal duca.... dal marito!

Nora, vedendo Pietro così accigliato, torvo, credeva non sapesse come
cavarsela, come scrivere al direttore che non tornava a Milano.

--Non far tanti complimenti, che non li merita. Telegrafa al giornale
che resti a Casalbara perchè ci resta tua moglie.

--Appunto,--rispose Pietro, sempre a testa bassa:--anche per....--e
fece uno sforzo per poter dire "mia moglie"... anche per mia moglie....
devo partire.

--Questo poi no!--E subito apparì e disparve, fu un attimo, la piccola
ruga in mezzo alla fronte. Ma Nora tornò subito a placarsi ed esclamò
con un'alzata di spalle:

--Tutte ragioni e parole inutili! Io non ti lascio partire; non voglio!
Al resto pensaci tu!--E cambiò discorso ridendo, cantando, deliziandosi
in quella dolce frescura, sotto l'ombra quieta e solitaria, fermandosi
qua e là per raccogliere i piccoli fiorellini fra l'erba umida,
rigogliosa della riva, inginocchiandosi sulla sponda, sorretta, tenuta
da Pietro, per bere nel cavo della mano, come da una conchiglia rosea,
l'acqua chiara, limpida, gorgogliante del rigagnolo. Poi, ad un tratto,
esclamò con un piccolo grido di gioia:

--Eccola! Eccola!--La madonnina!... Sapevo che c'era!

E corse via dal Laner: corse a sedersi sotto una piccola cappelletta,
diroccata, che al di là della riva, un po' innanzi nel prato, rimaneva
nascosta dalla siepe alta. Quella cappelletta era chiamata dai
contadini la Madonna del Sole.

--Non la vedevo più!... Credevo di essermi sbagliata!--e si chiamò il
Laner vicino, mentre gli faceva posto, restringendosi, allungandosi
nelle sottane rumorose e fragranti di mussolina bianca e di seta.

--Vieni qui!

Nora si era seduta sul piccolo inginocchiatoio di pietra voltando le
spalle all'altare.

--Vieni qui!--E stese le mani, prendendo le mani di Pietro,
intrecciando le dita, facendo forza per attirarlo a sè, dimenandosi
mollemente:

--Vieni qui!

Pietro, fissando l'immagine stinta, scrostata dell'altare, esitava....
Era rispetto?... Era timore?

--Vieni qui!... uomo superstizioso!...--E Nora sorrise, poi diventò più
tenera e i suoi occhi si fecero di una vivezza languida,
esclamando:--Uomo mio.... mio.... mio! Vieni qui! Essa lo attirò con
più forza: Pietro le cadde dinanzi in ginocchio.

"Ti amo..." balbettò, guardandola, ammirandola, adorandola.

--Mio! Mio! Mio!--e Nora lo baciò nei capelli. Poi gli alzò il capo:
voleva vederlo; gli parlò sulla bocca, sugli occhi, stringendolo,
accarezzandolo sempre.

--Sai, quando ho cominciato a volerti bene? L'ultimo giorno, quando
siamo andati in collera, dopo che mi hai fatto quella scena tremenda ai
_Giardini_. Dio! quante me n'hai dette! Come ho sentito che mi avresti
ammazzata!... E come ho sentito tutto il tuo amore! Non ti avevo mai
veduto piangere; tutta notte non ho veduto che le tue lacrime, la tua
faccia pallida, addolorata, furibonda! Tutta notte non ho veduto che
te, non ho pensato che a te!... E ti ho desiderato.... lì.... con me.
Era la prima volta; ho cominciato allora. Tu mi vuoi bene, oggi, come
quel giorno?... Io di più, molto di più, di più, di più, di più!... Ma
ho cominciato allora! Ed oggi sono tua, pensa, tutta tua,--tutto ciò
che vuoi!--E soltanto tua!...--Capisci cosa voglio dire?--Ho cominciato
quel giorno, quella notte, e poi sempre, sempre.... e durante tutto il
tempo, prima di maritarmi, che noia certe volte, e che dispetto! Che
rabbia! E quando ti sei ammalato?... Dio, come ti volevo bene! E dopo,
quando sei guarito ed hai sposato Evelina, come ti ho odiato! Ma lei,
sempre più di te! È stato allora, per avere la mia rivincita, per
vendicarmi, che ho finto, persino con me stessa, d'innamorarmi di mio
marito. Pensa!... Ero matta! Era un farmi venir voglia di te.... ancora
di più! Poi quando ti ho rivisto la prima sera, appena ritornata a
Milano, in via Santa Margherita, ho subito capito che non eri
felice.... e ne fui tanto, tanto contenta! Poi ho voluto avere
Evelina.... per tenerla lontana da te.... e per esser io vicina a
te.... ma tutto ciò senza pensarci, senza un calcolo prestabilito....
_per forza!_... come sapevo che _per forza_ doveva finir così.... E
mentre ti facevo tutti quegli sgarbi, ero sincera.... Era vero che ti
odiavo! Ti odiavo, ti odiavo, perchè capivo che.... _per forza_....
sarebbe finita così.... così. Dammi un bacio!

Quando ritornarono alla villa, fecero tutta la strada assai lentamente:
Nora sempre al braccio di Pietro, gaia, giuliva, saltellante....

Pietro, invece, agitato, inquieto.

E quando di nuovo, furono dinanzi al piccolo cancello, Nora,
staccandosi da Pietro per entrare, stringendo, allungando le labbra,
gli mandò ancora un ultimo bacio.

--_Mio_, ricordati!--mormorò. E passò innanzi.

--Entrerò dall'altra parte, perchè non ci vedano insieme,--le disse il
Laner.

--Che importa?... Devono abituarsi!--esclamò Nora, e appena dentro, si
appoggiò di nuovo al braccio del Laner, avanzandosi diritta, sicura,
mollemente ondulando in quell'ombra calda, odorosa del viale.

Pietro era inquietissimo.

--È un capriccio!--bisbigliava.

--Che importa?... Devono abituarsi!

--Lei! Evelina!...--esclamò Pietro ad un tratto, vedendo sua moglie
sbucare nel viale e correre in fretta verso di loro.--Evelina!--E di
colpo, si allontanò da Nora.

La duchessa continuò a camminare tranquillamente, sempre ondulando, e
facendo roteare l'ombrellino rosso, che teneva aperto, appoggiato sulla
spalla.

Evelina non badò punto a suo marito: si fermò, parlò in fretta con
Nora:

--È arrivato un dispaccio per te, d'urgenza. Tu non c'eri, e lo
portavano al duca: ma io non ho voluto. Ti ho aspettato apposta per
consegnartelo subito.

--Hai fatto benissimo.

E Nora, lentamente aprì il dispaccio, e lesse a mezza voce:

"_Attenzione posta: impedire Giovanni lettura giornale Italia,
assolutamente!--Matteo._"

Nora, non capiva: fissò Pietro Laner, interrogandolo cogli occhi
stupiti.

Ma Pietro ne capiva ancor meno; non era stato attento alla lettura del
dispaccio: aveva un solo pensiero, un solo spavento:

--Se mia moglie mi guarda in faccia, tutto è perduto!

Ma Evelina non gli badava.

--È chiarissimo!--esclamò.--Nell'_Italia_ ci sarà qualche articolo
contro la _Cisalpina_ che il duca non deve vedere.

--Certo!...--esclamò Nora a sua volta.--È così.

Allora la signora Laner si rivolse a suo marito:

--La posta arriva a momenti: corri a ritirare tutti i giornali: fa
presto.

Pietro Laner sparì come un lampo.

--Dio, vi ringrazio! Dio, vi ringrazio!--balbettava correndo.

Era affannato da una paura strana, sciocca, irragionevole, quasi
fantastica. Aveva paura delle imprudenze di Nora, di tutto ciò che
Evelina avrebbe fatto per vendicarsi, della collera terribile del duca.
Ma quando, coll'immaginazione, si trovò faccia a faccia dinanzi al
duca, allora si fermò, si calmò, scemarono le ansie e i rimorsi.

--Oh, infine!... Dente per dente, signor duca! Nora era la mia
fidanzata! Era la mia sposa! È stato lei a volermela portar via!... A
noi due se vuole: e quando vuole!

Pietro sorrise fieramente: con un colpo della mano si aggiustò il
cappello a cencio, poi non pensò più altro che a Nora e alla gioia
d'averla, ed entrò nell'ufficio della posta, zufolando.

Nell'_Italia_, come la signora Laner aveva preveduto, c'era appunto un
fierissimo articolo contro tutta la _Cisalpina_, i suoi amministratori,
i suoi fautori: contro il Ministro dei Lavori pubblici "che si era
recato a Primarole come Arrigo IV a Canossa, umile e _colla testa nel
sacco_, a placare, a propiziarsi i pontefici massimi dell'estrema
sinistra: contro gli onorevoli Bonforti e Ghirlanda, che messi
puerilmente in apprensione da certe inabili manovre elettorali,
venivano a patti e firmavano compromessi PERSINO con un signor Matteo
Cantasirena!" Ma l'attacco più fiero, più sanguinoso era diretto,
quantunque l'_Italia_ non lo nominasse, contro il duca di Casalbara:

"Una vecchia insegna ritinta: una delle più goffe cariatidi del
patriottismo d'occasione, di parata, di mestiere! Un martire
sfruttatore del martirio altrui! Un eroe da _restaurant_, da camere
ammobiliate, che a furia di alterigia e di prosopopea era riuscito a
conservare durante una lunga vita, tutta spesa fra i bagordi e le
ba....gorde, una popolarità presa a nolo durante le baldorie del
cinquantanove e del sessanta, e che adesso ancora gli riusciva di
sfruttare, al tanto per cento, nelle carnevalate della _Cisalpina_."

--È il Kloss!--mormorò Evelina, appena ebbe finito di leggere
l'articolo.

--È il Kloss! È il Kloss!--rispose Nora furente, rossa di collera.

Tutt'e due avevano scoperto il boemo nell'ispiratore dell'articolo,
dalla violenza brutale dell'attacco e più ancora da quella parola
_carnevalata_.

Ma l'_Italia_ non fu altro che un preludio, una prima squilla: ogni
giorno capitava un dispaccio: sopprimete il _Mattino_: sopprimete il
_Radicale_: sopprimete la _Gazzetta Lombarda_: sopprimete il
_Moderatore_: sopprimete la _Durlindana_.

Matteo Cantasirena aveva paura che il Casalbara, leggendo qualcuno di
quegli articoli, infuriandosi, perdesse la testa.... e mandasse le sue
dimissioni da presidente della _Cisalpina_, e perciò telegrafava,
continuava a telegrafare: gli avrebbe soppressa anche l'aria.

E tutto questo da fare, tutta questa nuova e penosa sorveglianza, era
affidata alla signora Laner.

Nora non voleva saperne: prima si era sdegnata contro quegli articoli,
poi aveva detestato ancor di più suo marito che andava perdendo persino
il prestigio, l'aureola del grand'uomo, che l'aveva ingannata anche in
questo, e se ne vendicava col Laner.

Oh, Pietro! Pietro! Com'era stata ingiusta, pazza, quando lo aveva
abbandonato!

Era sempre con Pietro, tutto il giorno: o fuori con lui a
passeggiare.... fino alla Madonna del Sole.... o anche più in là.

Evelina, perciò, doveva pensar lei, a sopprimere i giornali, a
rispondere alle lettere, ai telegrammi. Doveva pensar lei alla casa e
al duca; Nora le aveva affidate tutte le chiavi, e perchè le avesse
sempre pronte con sè, le aveva regalato anche la sua magnifica
borsetta, quella colla cerniera e la catenella d'oro.... e le aveva
regalato anche la cintura d'argento russo da tenerla appesa.... e anche
della tela, molta tela in pezza, la magnifica tela di casa Casalbara,
che Evelina aveva già fatto portare a Milano dal cavallante.

Ma anche Evelina non sapeva più come fare, cosa fare: il duca, per
quanto malandato di salute e di spirito, cominciava ad arrabbiarsi per
le continue assenze di Nora, a meravigliarsi di non ricevere più i suoi
giornali, e diventava sempre più diffidente, più sospettoso, più
inquieto.

Giunse finalmente in aiuto il dottore Foresti: era stato a Milano, avea
avuto un lungo colloquio con Matteo Cantasirena, e siccome si trattava
adesso di dover sopprimere al duca anche le visite, non lasciandogli
veder nessuno, non lasciandolo parlar con nessuno per un paio di
settimane, il dottore aveva pensato di approfittarne per intraprendere
una cura seria, un regime severo, di assoluta quiete, di assoluto
riposo che riteneva necessario perchè il signor duca potesse rimettersi
benino.

E non c'era tempo da perdere!

Subito, appena arrivato, il dottore Foresti, scambiate quattro parole
colla signora Laner, entrò con lei dal malato.

Invece di trovarlo in letto, lo trovarono in piedi.

--Oggi mi sento benino, caro dottore!...--e gli stese la mano
sorridendo.

Ma il dottore lo guardò in un modo così serio che gli troncò a mezzo
quel sorriso.

--Glielo dirò io.... come sta!--esclamò gravemente. Lo fece sedere,
distendere sulla poltrona, gli sbottonò la giacchetta da camera; gli
ascoltò il cuore a lungo, mentre lo faceva respirare; gli picchiò colle
nocche di qui.... di lì.... tornò ad ascoltarlo, a fargli emettere un
sospiro lungo.... lungo.... più lungo.

L'occhio del duca, in tutte quelle operazioni, era fisso sulla faccia
impassibile del dottore: e gli domandava ansioso, colla voce debole:

--E così, dottore?... Dunque?... Dunque?...

Il dottore continuava a non rispondere, ad ascoltare, a picchiare.
Evelina chiudeva le gelosie, abbassava i trasparenti della finestra.

--Dunque, dottore?... Sto peggio?

Finita quella visita, il duca si sentiva peggio realmente.... peggio
degli altri giorni; si sentiva freddo.

--Ho un po' di febbre, dottore?

Il dottore gli abbottonò la sottoveste: gli annodò la cravatta; Evelina
portò un cuscino morbido di piuma che gli accomodò dietro le spalle, e
una coperta nella quale gli avvolse le gambe.

--Dunque sto male?--balbettò il Casalbara atterrito, senza
fiato.--Risponda.... mi dica la verità.

--Come gli altri giorni. Ma bisogna star meglio, bisogna star bene,
completamente.

L'occhiata che il duca rivolse al dottore fu lunga, ansiosa,
angosciosa.

--Come sto?

Il dottore si sedette vicino al duca, mentre Evelina gli aggiustava un
altro guancialino sotto il capo, e gli metteva le mani, diventate
fredde, sotto la coperta.

--Caro signor duca, bisogna pensare seriamente alla sua salute. No,
no!--e gli sorrise affabilmente.--Non c'è da spaventarsi. Non c'è
niente di assolutamente grave: ma il male non bisogna lasciarlo
invecchiare: tanto più avuto riguardo allo stato cardiaco, alle
palpitazioni intermittenti. Tutto l'organismo è scosso, infiacchito. La
perturbazione è generale. Oggi, ripeto, siamo ben lontani da qualunque
pericolo, ma è tempo di cominciare seriamente a curarsi.... per guarire
davvero, e star bene davvero. Il più leggero strapazzo, un po' di
freddo, un colpo d'aria, un colpo di sole, qualunque fatica, qualunque
occupazione, scrivere, leggere, parlare, determinano subito l'accesso
nevralgico, i disordini gastrici, le palpitazioni. Anche il senso
acutissimo di fotofobia, del quale ella si è lagnato con me, parecchie
volte, è determinato da una leggera alterazione del globo oculare....
che non dev'essere trascurata.

E il dottor Foresti continuò ancora per un pezzo, poi si avvicinò
sorridendo al duca, gli prese la mano, e tenendola stretta fra le sue,
gli disse, incoraggiandolo con molta effusione, quasi con tenerezza:

--Da bravo: per un paio di settimane lei farà a mio modo: resterà
tranquillo in camera sua, alzandosi tardi, andando a dormir presto. Le
proibisco di occuparsi di affari, di ricevere visite inutili, di
stancarsi in nessun modo, e per il momento,--il dottor Foresti sorrise
con malizia,--per il momento ritorneremo scapoli.... schivando le
occasioni.... anzi diremo meglio le tentazioni!

Il dottore tornò a sorridere: sorrise anche Evelina: ma il duca
bisbigliò con tristezza:

--Sono sempre solo.... Non vede?... Ormai.... sono sempre solo!--E
sospirò.

Il dottor Foresti gli scrisse un paio di ricette, e gli proibì
assolutamente, severamente, di leggere e di scrivere.

--Ripiglieremo il chinino e il salicilato jodico.... e ogni
ventiquattro ore, finchè il senso di fotofobia non sia totalmente
scomparso, faremo qualche istillazione di un collirio di atropina. E se
assolutamente le occorresse di scrivere, potrà dettare alla signora
duchessa.... o alla nostra buona signora Laner.--Evelina chinava il
capo arrossendo soavemente a quelle parole "la nostra buona signora e
cara signora Laner"--che le potrà anche leggere qualche libro....
qualche giornale.... ma non molto, perchè la mente, lo spirito, come il
corpo, non devono essere turbati, affaticati.--E il dottor Foresti
concluse:--Per un paio di settimane faccia così, a mio modo: si metta
nelle mani mie e della signora Evelina, e per l'inverno, al quale
andiamo incontro, io le assicuro, senz'essere Mefistofele, ch'ella sarà
ritornato sano, robusto e..... giovane, come Faust!

Il Casalbara, inquieto, intimorito, si abbandonò come un fanciullo che
non sa vivere e come un vecchio che non sa morire, si abbandonò
interamente nelle mani del dottor Foresti, che adesso veniva a
Casalbara quasi ogni giorno, e della signora Laner che riceveva tutte
le lettere, tutti i giornali, che vedeva tutto, che sapeva tutto, che
si rendeva necessaria al duca Giovanni, com'era diventata necessaria a
Nora.... e che continuava a metter via e a mandar roba a Milano.

--Almeno lei,--diceva il Casalbara alla signora Laner,--almeno lei non
mi abbandoni!... Lei è buona!... A lei non fanno ribrezzo i poveri
vecchi.... i poveri ammalati!...

Ed Evelina come sapeva consolarlo, colla sua voce velata, lenta,
dolcissima!

--Tutti, sa, le vogliono bene!... _Tutti!_ E la duchessa Eleonora ha un
vero culto per lei, un culto di gratitudine, di devozione, di
ammirazione.... di amore. Ma in questi giorni, poveretta, deve
occuparsi di tutto.... e poi....--sorrideva anch'essa, ma con malizia
più graziosa ed affettuosa,--anche il dottor Foresti ha un po' di colpa
in questo abbandono....

Il duca scrollava il capo: sua moglie non veniva più nemmeno a
vederlo.... Più, nemmeno il bacio del buon giorno, della buona
notte....

La quiete, il riposo assoluto, la cura del dottor Foresti gli fecero
bene davvero, e se gli occhi gli bruciavano ancora, e non poteva
soffrire la luce, specialmente dopo le istillazioni del collirio di
atropina, la sua mente diventava più lucida.... e non vedendo quasi più
la moglie, tornava a sentire la nostalgia della sua bellezza, della sua
giovinezza, della sua voce, del suo profumo!...

--Vederla!... Almeno vederla!... Almeno fosse rimasta lì con lui,
qualche mezz'ora, per lasciarsi vedere.... soltanto vedere.

Ma Nora lo sfuggiva ogni giorno più: gli era diventato insopportabile,
odioso; persino odioso. Le ingiurie dell'_Italia_, essa le aveva
impresse nella mente, le bisbigliava fra sè, contro di lui.

--Era tutta una falsità quell'uomo: il suo eroismo, come la sua
ricchezza: era un vecchio spiantato e un vecchio ridicolo! Come l'aveva
ingannata!...

Pietro! Oh, Pietro! Pietro! Dio come lo amava!...

Perdevano la testa tutti e due: Nora non aveva più alcun ritegno.

--Suo marito? Che le importava di suo marito? Sapesse tutto: scoprisse
tutto, peggio per lui! Non l'aveva ingannata, tradita, rovinata? Suo
marito adesso era il solo colpevole anche in faccia ai diritti del suo
cuore. Non era stata lei ad abbandonare il Laner; era stato il
"vecchio" che l'aveva sedotta, che l'aveva portata via al suo Pietro!

La brava gente, i contadini, cominciavano a mormorare.... e a ridere.
La selvetta dell'Ercole, la Madonna del Sole, l'albergo della _Corona
bianca_, a Castellanzo, dove la duchessa e il Laner si recavano spesso
a colazione, eccitavano la fantasia di tutti i novellieri rustici e
sboccati del paese.

E Pietro?... Pietro amava.

Era imprudente, pazzo, colpevole: amava.

Il passato, come l'avvenire non esistevano per lui: viveva soltanto per
il presente. Nora, i suoi baci, il suo amore, la sua bellezza....

E dopo? Al dopo non pensava: amava troppo per poterci pensare!

E in quella sua felicità immensa e orgogliosa dell'amore e del
possesso, si sentiva buono, si sentiva forte, si sentiva generoso: era
lui che doveva perdonare a tutta quella gente.... e perdonava.

Ma sfuggiva Evelina. Perchè? Non per il rimorso,--anche lei aveva
troppo a farsi perdonare--ma perchè essa lo turbava, non si lasciava
capire.

Era buona, sincera, o falsa?

Perchè taceva? Perchè tollerava? Perchè non era più gelosa, invidiosa?
Perchè aveva tante premure per il duca? Perchè era tanto servile con
Nora? Perchè restava lì, perchè sopportava tutto, perchè si faceva
mantenere?...

Pietro, lui, alcune volte, aveva pure il coraggio di cercare, di
fissare l'occhio di sua moglie, ma quell'occhio gli sfuggiva!
Perchè?... Perchè sua moglie restava lì.... a farsi mantenere da
Eleonora?... E lui pure, perchè restava lì, a farsi mantenere dal
duca?...

Pietro aveva paura di Nora quando il suo viso si alterava e appariva
contraffatto.... aveva paura di quella piccola ruga fonda e cattiva.
Ecco il perchè.

Matteo Cantasirena continuava intanto a tempestare Evelina e il dottor
Foresti di lettere e di telegrammi; la preoccupazione più grave, più
angosciosa del Segretario Generale era sempre la stessa: era che il
Presidente scoprisse la "gazzarra indecente" che dilagava contro di
lui, contro la _Cisalpina_. Ove appena il duca, il senatore Giovanni di
Casalbara, avesse letto uno di quegli articoli, avesse intravisto in
qual "baratro di imbrogli e di immondezze" veniva trascinato il suo
nome, avrebbe certo trovato la forza di sconfessarli tutti, di
rinnegarli tutti, di dimettersi senz'altro e la ribellione del duca
avrebbe segnato il principio della fine.

Un giorno, finalmente, Matteo capitò egli stesso a Casalbara,
accigliato, imbronciato, ma parlò soltanto con Nora, chiuso in camera
con lei, in gran segreto.

--È venuto il giorno che non doveva venir mai se il mondo non fosse
tutto una genìa volgare.... plebea d'ingrati, di traditori! Quel
melenso del Vergani! Quell'asino del Bizzarelli!... Persino
quell'eterno spiantato rompiscatole del Brunetti!... Tutta gente creata
da me! messa al mondo da me! sfamata da me! Tutta gente che io stesso
ho voluto nel Comitato! E adesso mi si rivoltan contro! Egoisti!...
Pezzenti!... Traditori!

Nora fissava lo zio Matteo, attonita.

--Ma io?... Cosa c'entro io?...

--Quando scadevano le cambiali del Kloss, come le hai pagate?... Coi
denari miei, procurati da me. Io, io ti ho dato in varie riprese
centosettantamila lire! Venticinquemila stipendio di tuo marito: siamo
in regola--quarantamila seconda ipoteca sul palazzo di Milano e sui
fondi di Casalbara--siamo in regola. Il rimanente, centocinque mila
lire, bisogna che tu me le procuri fra una settimana, più presto che
puoi: per l'assemblea degli azionisti. È imminente!

--Io?... Come?--esclamò Nora colpita.

--Colla guerra che ci fa il Kloss, quel boemo nefando, non è più
possibile far ballar delle cifre dinanzi agli azionisti. Urge
provvedere, riparare, rifondere Bisogna tener in piedi la baracca
oppure è un precipizio generale.

--E io devo trovare centocinquemila lire? Ma dove? Ma come? Devo
trovarle in una settimana?

--Più presto, più presto che puoi!--replicò aspro Matteo.

Ma come fo? Come fo?... Come posso fare?--balbettava Nora tremante,
convulsa.--Come posso fare?...

Matteo Cantasirena si strinse nello spalle, soffiò: poi di colpo pestò
un piede per terra furiosamente.

--Per Dio!... Pensaci! Io ci ho pensato per la mia parte! Il Fontanella
ha pensato per la sua. E anche tu devi pagare i tuoi debiti! E presto!
Io devo ritornare sul momento a Primarole, smascherare, oppormi,
sbaragliare quegli ingrati, quelle canaglie, quei sicari della
_Cisalpina_, sicari prezzolati, raggirati, ipnotizzati dal Kloss, da
quel boemo.... purulento! Tu cerca, vendi, trova: è l'ora di metter
giudizio, di finirla colle.... _menestrellate_, e di pagare i debiti!

Nora afferrò lo zio Matteo per un braccio, fissandolo.

L'altro rispose un po' scosso da quello sguardo:

--Lo sapevi.... ti avevo detto che era stato il giro di uno dei
capitali fluttuanti.... della _Cisalpina_.

Nora continuò a stringergli il braccio e a fissarlo; poi gli bisbigliò
sul viso, sordamente, cogli occhi torti, la bocca torta, le ciglia
aggrottate:

--Per farmi fare a tuo modo mi hai assicurato che bastava pagare gli
interessi....

--Lo credevo.... lo speravo!

--Per indurmi a fare a tuo modo,--continuava l'altra diventando livida,
ancor più contraffatta, più minacciosa,--per trascinarmi nelle tue
mene, per poter sfruttare mio marito, il suo nome, il suo titolo, il
suo onore, perchè io ti servissi ciecamente, stupidamente, anima e
corpo, mi hai sempre ingannata! Hai mentito con me. Sei stato falso,
ipocrita, bugiardo, e credi ora di venir qui ad importi, a spaventarmi,
quasi ad aggredirmi in casa mia? Ti ho mai cercato io?... Sei stato tu
a venirmi fra i piedi, a offrirmi i tuoi servizi, i tuoi denari, le tue
fanfaronate!... Ad avvilirmi, a violentarmi nella mia anima, nel mio
cuore, nelle mie rivolte!--E Nora, spinto lontano lo zio Matteo,
camminò su e giù per la stanza furibonda, fremente di collera, poi a un
tratto sembrò calmarsi:--Ti devo centocinquemila lire? Sta bene: quando
le avrò, te le darò; cosa c'entro io colla _Cisalpina?_

Matteo levò le braccia al cielo.... barcollò.... poi si buttò sopra un
canapè dimenandosi, torcendosi, gemendo:

--La mia figliuola!... Anche la mia figliuola!... Il mio unico
affetto.... superstite!... La rovina è completa...; povero il mio
Fara-Bon.... hai fatto bene a morire.... Crolla la _Cisalpina!_ Crolla
la famiglia! Crolla la patria! Anche il fallimento.... l'ultimo
fallimento!... Il fallimento del cuore!...--E scoppiò in lacrime
continuando a dimenarsi, a rivoltarsi, mugolando sopra i cuscini del
canapè.

Nora non lo guardò nemmeno; gli rispose brutalmente:

--Se non potevi.... non dovevi darmelo quel denaro.

--Ma, spensierata figliuola, tu ti sei pure compromessa in questa....
operazione! E come mi sono compromesso io e quel buon Fontanella!... Tu
pure.... hai firmato.... ha firmato tuo marito....

Nora impallidì nuovamente, nuovamente aggrottò le ciglia e si avvicinò
allo zio Matteo, domandandogli con un fremito crescente nella voce:

--Che cosa mi hai fatto firmare? Che cosa mi hai fatto fare?... Che
cosa hai pensato, inventato.... per rovinarmi?

Cantasirena rimaneva accasciato, affranto:

--Non avvilirmi tu pure!... Non imperversare contro di me! Pensa al mio
passato, splendido, glorioso, alla mia vita di sacrifici, di lavoro....
a quello che ho fatto per tutti, anche per te, e risparmiami l'ultimo
colpo.... non abbeverare di fiele l'agonia delle mie più belle
speranze! Se ho errato.... eccolo il solo, il grande, l'eterno
colpevole!...--e si picchiò sul cuore. Poi soggiunse sommessamente,
quasi umilmente, continuando a modulare la voce fra i sospiri e i
gemiti:--Non ti ricordi, figliuola mia, quella nostra....
combinazione.... di Camposelice?

Nora si ricordava quel nome, si ricordava che lo zio Matteo aveva fatto
firmare delle carte a lei e a suo marito, ma non si ricordava altro.

--Che cosa mi hai fatto firmare?... Che cosa?

Cantasirena cercò di calmarla,

--Forse.... basterebbe poter avere le centocinquemila lire.... solo per
pochi giorni. Se la _Cisalpina_ riesce a vincere il panico, un panico
artificiale, se riesce a superare la crisi, allora, non dubitare,
Eleonora mia, con un nuovo spostamento di capitali, si potrà
riattivarne la.... circolazione! Ma in questi giorni terribili con quel
branco famelico di cani, aizzati dal Kloss, col Vergani, col
Bizzarelli, con quell'ingrato del Brunetti.... morto di fame in
sempiterno, siamo giunti.... al _redde rationem_....--E Matteo sospirò,
tornò a singhiozzare:--Siamo sotto la minaccia del fallimento, della
bancarotta, dei processi! Dei processi.... con tutte le loro odiose
conseguenze!

--Che cosa mi hai fatto fare? Che cos'è l'imbroglio di Camposelice?

Era questo che premeva a Nora di sapere, questo soltanto.

Matteo Cantasirena allora le spiegò diffusamente, con ogni particolare
quella _semplice_ e _transitoria_ operazione _di spostamento_.

Per l'urgente necessità di avere il Casalbara alla presidenza, per
rimediare ad altri pasticci sociali.... e personali, Matteo
Cantasirena, che credeva davvero la _Cisalpina_ una maravigliosa
fabbrica di milioni e immaginava quasi in buona fede di esserne il
proprietario, aveva indotto il Fontanella ad intestare "per il momento"
alla duchessa di Casalbara i vastissimi latifondi di Camposelice nel
Cremonese, e appena le terre figurarono quale proprietà dei Casalbara,
Cantasirena si procurò, su quei beni, a nome della duchessa, un
prestito d'oltre trecentomila lire e divise la somma con Nora e col
Fontanella, attendendo il momento di rimettere a suo posto il
capitale.... fluttuante coi primi lucri della _Cisalpina_. Ma adesso la
minacciata sospensione dei lavori, la probabile liquidazione della
Società, la presentazione dei bilanci indetta per l'assemblea, erano la
rivelazione di ogni cosa, la rovina, il disonore, lo scandalo.... il
processo.

--Sicuro, un processo,--concluse Matteo mestamente,--un processo con
tutta la sua volgare teatralità! Al giorno d'oggi, figliuola mia, in
che mai si può sperare? Smarrito ogni grande, ogni alto ideale, non c'è
più rispetto, non c'è più gratitudine per nessuno!

A questo punto ebbe un nuovo impeto di sdegno e balzando in piedi,
pestando i piedi esclamò:--No per Dio! Non valeva la pena di far
l'Italia, quando chi l'ha fatta deve fallire!

Nora non gli badava più: aveva capito questo: che si era compromessa,
che le centocinquemila lire occorrevano assolutamente, subito, o
anch'essa sarebbe stata travolta negli scandali, nei disastri della
_Cisalpina_, e questa volta rovinata interamente, irreparabilmente,
rumorosamente.

Bisognava trovare le centocinquemila lire: a questo pensava Nora, a
nient'altro.

--Come trovarle?... Dove trovarle?... E subito!... E subito!

Era presso alla finestra: Pietro nel giardino, si aggirava inquieto:
aveva visto il direttore imbronciato e temeva che avesse tutto
scoperto, temeva che il loro amore e le loro imprudenze fossero la
causa di quella collera, l'argomento di quel colloquio che non finiva
mai.

--Come trovarle?... Dove trovarle?

E la vista del Laner accresceva l'orgasmo, la smania di Nora, la sua
smania di correre subito a Milano, di trovarle subito, e tornare a
Casalbara ancora con Pietro.... più felice dopo quei due o tre giorni
di ansietà, di angosce, nei quali non lo voleva vicino, perchè le
sarebbe stato d'impaccio.... Oppure, appena trovate le centocinquemila
lire, telegrafare a Pietro, farlo venire a Milano, rimanere con lui,
loro due soli, tutta una settimana, giorno e notte!--Ma adesso, no, non
bisognava dirgli nulla!--E per non vederlo, per dimenticarlo, si
allontanò dalla finestra.--Dopo, dopo, di nuovo, tutta per lui: ma
adesso non bisognava pensarci: adesso bisognava trovare i danari.

--Come?... Come trovarli? Come farò?

E rimase a lungo immobile, diritta, sola in mezzo alla stanza.

Lo zio Matteo se n'era andato chetamente.

Rimase assorta, intenta, a pensare, a pensare.... colle ciglia
aggrottate, colla riga bianca in mezzo alla fronte, sempre più
profonda, sinistra.

--Come trovarli? Come farò?

A un tratto ebbe un lampo di gioia negli occhi, nel viso: era la
decisione.

--Sì! Il signor Galli!---mormorò.

E lei stessa corse a telegrafargli alla stazione:

"Arrivo stasera Milano. Venga subito.

"ELEONORA CASALBARA."



IX.


Il signor Ambrogio Galli, appena ricevuto il dispaccio della duchessa,
consultò in fretta l'orario.

Sarebbe arrivata alle dieci e mezzo!

E un quarto d'ora prima egli era già alla stazione ad aspettarla, messo
in tutto punto, col cappello a cilindro, l'abito nero, i guanti color
sangue.

--Povera signora! Così dolce, così affabile... e tanto disgraziata!...

Nora, nei varî colloqui che in quel frattempo aveva avuto per affari
col signor Galli, era riuscita ad inspirargli un senso vivo di simpatia
e di pietà. E però, il grave procuratore si mostrava sempre per lei
premurosissimo, pieno di rispetto, di riverenza, di devozione.

--Povera signora!... ancora così giovane... così dolce, affabile e
tanto disgraziata!--E il buon signor Ambrogio sospirava anche alla
stazione, mentre aspettava la signora duchessa; e pensava, con un certo
orgasmo, che se le avesse telegrafato soltanto il giorno dopo, egli
sarebbe stato a Torino per la Banca, non avrebbe avuto il dispaccio, e
la signora duchessa arrivando e non vedendolo e non ricevendo nessun
avviso.... chissà che cosa avrebbe pensato!

Il signor Galli, l'avventore domenicale del Trenk, il grave procuratore
della banca Kloss, subiva fortemente il fascino della "gran signora" il
fascino di quel lusso elegante, squisito, il fascino di quella
bellezza, che per un senso intimo, arcano di pudore, egli non aveva mai
osato di constatare seco stesso, limitandosi a dire:--Dolce, affabile,
buona..., ma non mai bella: dicendolo avrebbe arrossito.

Il fascino, l'incanto di Nora per il signor Galli, per il socialista
umanitario, non poteva essere, non era altro che pietà. Egli lo pensava
in buona fede e ne era in buona fede convinto. La signora duchessa non
era stranamente bella e stranamente bionda.--No!--Per lui, non era
altro che una vittima!

--Così buona... e tanto disgraziata!--

Era una vittima! Una povera vittima. Anche nel dissesto del duca di
Casalbara, la vittima, la sola vittima era la povera signora
duchessa... così dolce, così affabile... e tanto disgraziata! La povera
signora duchessa avrebbe dovuto imporsi privazioni, sacrifici, per i
vizi--il giuoco, le donne--per la spensierata e pazza prodigalità di
quel vecchio balordo, che l'aveva sedotta, ingannata.

--Io non sapevo niente... niente... niente...--aveva detto Nora,
vivamente arrossendo, al signor Ambrogio, il quale le aveva creduto,
arrossendo a sua volta, e compassionandola, col respiro oppresso,
affannoso.

E come essa era la vittima di suo marito, lo era pure di tutti gli
altri. Il signor Galli aveva dimenticato affatto "la figliuola dello
zio Matteo", la signorina Cantasirena. Per lui non c'era più che la
signora duchessa, la buona signora duchessa, raggirata da quel vecchio
imbroglione! E, Dio, Dio, che pietà, che orrore!... Era pure la
vittima.... la vittima designata, predestinata, del signor Kloss!

Questo, il Galli, lo pensava con un brivido: un brivido che gli correva
per tutto il corpo, che gli saliva, con un'onda di sangue, dal gran
cuore al grosso testone.

Il signor Kloss non voleva soltanto vendicarsi della signora duchessa:
il vecchio satiro le aveva ficcato gli occhi addosso: voleva
rovinarla.... per poi raggiungere il suo fine!

Quando il Kloss era ritornato da Carlsbad, aveva fatto varie domande al
signor Galli, relativamente agli affari del suo amico Casalbara; e
sdraiato sul sofà--dimenando le gambette arcuate, sghignazzando, rosso
in viso, con gli occhietti lustri--veniva allora dall'aver fatto
colazione,--parlò, lanciò qualche frizzo anche a proposito di _cuella
matama_.... di quella _pionta marafigliosa_ ma _pericolosa_. Poi
rivoltandosi sul sofà, arricciolandosi i baffetti duri colle dita
pelose, fece certe domande strane intorno alla signora duchessa che al
grave e serio procuratore parvero irriverenti, sfrontate.... oscene.

--È vero che si è ingrassata?... È una donna che può ingrassare senza
danno!--_Pussée ghe n'è, mei anca mò!... Che spall! E che fitin!_--E il
signor Kloss si stringeva colle due mani la vita.--_E che
gamb!_...--Poi, balzando dal canapè e saltellando e fregandosi le mani
come per scuotersi di dosso la lussuria, aveva esclamato
sogghignando:--_È una pellissima catta, ma prima de aferla in te le
man, mi voléssi per prutenza tajagh i ong!_

E l'onesto, il buono e semplice signor Ambrogio, era rimasto
stranamente impressionato da quei discorsi.

Correvano, fra gli impiegati della banca Kloss, aneddoti, racconti
misteriosi, inverosimili, perfino leggende fantastiche e terribili,
sulle arti, le manovre, il potere irresistibile, diabolico, del
banchiere milionario quando si trattava di raggiungere il suo fine, di
arrivare ad "_afere in te le man_" _le pussee pelle racazze, i pussee
pei tonnell de Milan!_

E i più pettegoli e chiacchieroni di quegli impiegati esageravano sul
conto del principale: quando il signor Kloss voleva una donna,
qualunque fosse, ci riusciva, a costo di commettere un delitto, o di
spendere un milione.

E il signor Galli aveva pur sentito a raccontare, sebbene alterata
nella sua tragica fine, la storia di quella povera ragazza che _subito
dopo_, pazza d'orrore, si era buttata dalla finestra.

Sano, forte, operoso, il signor Galli era sempre stato casto, com'era
sempre stato onesto. I vizi del signor Kloss e della gente come il
signor Kloss, erano per lui un mistero.... un mistero attorno al quale
indagava adesso per la prima volta, inorridendo, rabbrividendo.

--Che cosa aveva fatto a quella povera ragazza perchè, _subito dopo_,
pazza d'orrore si buttasse dalla finestra?...--E inorridendo,
rabbrividendo, correva col pensiero alla signora duchessa, la nuova
vittima designata, e questo pensiero era per lui un'oppressione, un
orgasmo, un'ossessione.... Vedeva gli occhi languidi e dolci della
giovane signora, atterriti e pieni di lacrime... udiva quella sua voce
così armoniosa e tenera nella preghiera e soave nel lamento.... la
udiva rotta, soffocata dalla sghignazzata triviale, dalla parola turpe,
oscena, prepotente del Kloss.

Il treno preso da Nora era un diretto e arrivava allora, in orario.

Il signor Galli, dietro il cancello, si alzò sulla punta dei piedi, per
scoprire la signora duchessa tra la folla dei viaggiatori. La folla
ingrossò in un attimo.... poi in un attimo diradò: il signor Ambrogio
tornò ad alzarsi sulla punta dei piedi, ad allungare il collo.

--Non c'è?... Non è arrivata?

Ad un tratto chinò gli occhi.

Non l'aveva altro che intravista: non aveva veduto che i capelli biondi
sotto un gran velo grigio, e il luccichio dei grossi brillanti alle
orecchie: nient'altro.

--Eccola!--aveva detto tra sè.

Nora si avanzò lentamente, diritta, sicura: appena vide il signor
Ambrogio gli sorrise, ma poi diventò triste.

Il signor Galli corse a toglierle di mano la piccola borsa.

--Sola? signora duchessa?

--Ho telegrafato a Teodoro,--era il portiere.---Sua moglie, la
Vittorina, mi farà da cameriera. E poi bisognerà bene che mi abitui
anche a farne senza.

Il signor Ambrogio aveva indovinato quello che Nora aveva detto, senza
aver inteso bene.

--Cos'era accaduto di nuovo?... Ah, povera signora! Nora entrò in un
brum, con un piccolo salto leggero, grazioso, mentre il fruscìo delle
vesti, delle sottane di seta, pareva uno stormir di fronde e un batter
d'ali: in fretta si restrinse nel posto, guardando il signor Galli,
aspettando che salisse. Ma il signor Galli, non pareva risolversi.

--Venga dunque.... faccia presto!

--Io potrei... andare a piedi.

--Ma che! Faccia presto.

Il signor Ambrogio salì battendo col cilindro nella carrozza, poi si
curvò, si abbassò, entrò, respirando con fatica, colle mani che gli
tremavano leggermente.

Il brum era già tutto pieno del profumo di Nora, del suo odore di
bionda e di _lilas de Perse_.

Il signor Ambrogio non le era mai stato tanto vicino... Si ritirava, si
restringeva intimidito, non gli riusciva di parlare.

Subito, appena passata la barriera, essa cominciò a raccontargli,
rapidamente, concitatamente, a voce alta per essere intesa dal signor
Galli che era sordo, in mezzo al frastuono della vettura, ciò che le
succedeva.

Matteo Cantasirena l'aveva ingannata, le aveva fatto firmare delle
carte ch'essa non sapeva nemmeno cosa volessero dire, e adesso doveva
pagare subito, sul momento, centocinquemila lire o era rovinata,
disonorata.

Suo marito non sapeva niente, e poi non poteva far niente e poi era
ammalato.--La rovina!... Ma pazienza ancora la rovina!... Era lo
scandalo!... Il disonore!...

--Quanto?--gli domandò il signor Galli che non aveva inteso bene la
cifra.

--Centocinquemila lire!--gli ripetè Nora, avvicinandosi, sfiorandogli
l'orecchio, nel trabalzo del brum, colle sue labbra, col soffio
dell'alito caldo.

--Centocinque.... mila!...--balbettò l'altro, colla voce grossa,
soffocata.

--La _Cisalpina_ è sul punto di fallire; non so in che modo, non ho
capito nemmeno come tutto ciò sia avvenuto, ma certo per la guerra
atroce che le ha fatto il Kloss!... E se non mi riesce di pagare
subito, se non trovo la somma occorrente, sarò travolta anch'io in quel
disastro, in quegli scandali!...--E avvicinandosi ancora, voltandosi,
per fissare proprio negli occhi del signor Galli que' suoi grandi occhi
atterriti e imploranti pietà, che luccicavano nel buio della carrozza
più dei suoi grossi brillanti, mormorò:

--È il Kloss! Ancora lui!... Si vendica! Si vendica!...--e scoppiò in
lacrime.

--Coraggio, signora....--balbettò il signor Galli, il cui respiro si
fece più affannoso, e il tremito delle mani più forte.--Si calmi, buona
signora....

Quando il brum si fermò dinanzi al gran portone del palazzo, il signor
Ambrogio, impacciato, non riusciva ad aprire lo sportello; corse il
portiere, e Nora si slanciò per la prima; l'altro le tenne dietro a
capo basso.

Nora si fermò nel piccolo salotto vicino allo spogliatoio: mandò via
subito la Vittorina, poi prese la mano del Galli, gliela strinse con un
atto di supplicazione intensa. Il Galli ebbe un brivido.

--No.... signora...--temette che in quell'ansia, volesse appressare la
sua mano alle labbra.

--Signor Galli! Signor Galli!... Non ho più che lei.... Non ho più che
lei!... La mia speranza!... Il mio conforto! Il mio amico! Tutto....
Tutto!--E tornò a piangere.

--Signora.... signora duchessa....--pregava a sua volta il poveruomo,
ansante, palpitante... e a lui pure, fra le gocce di sudore scorrevano
alcune lacrime sul grosso faccione smorto, sbigottito.

--Coraggio.... coraggio....--ma non sapeva dir altro, oppresso dal
dolore di Nora, istupidito da quella cifra enorme.

--Centocinquemila lire!... Centocinquemila lire!

L'altra ripeteva:

--La mia speranza.... la mia sola speranza.... tutto tutto....

--Domani,--balbettò il procuratore,--domani mattina dovrei andare a
Torino....

--No! No!--e Nora ebbe un grido, un impeto di terrore, afferrandogli
ancora le mani, appressandosi a lui vivamente, guardandolo, fissandolo
supplichevole, disperata.--No! No! No!

--Partirò domani sera!... Partirò domani sera!--si affrettò a
soggiungere il signor Galli....--Ma intanto, quali sarebbero le sue
idee?... Quali pratiche sarebbero da... da tentare?... Centocinquemila
lire!... Che cosa pensa di fare?

--Dica lei: tutto! tutto!

--Vorrei.... le darei.... l'anima!... Glielo giuro!... Ma io sono....
un pover'uomo! Un povero impiegato.

--Dica lei: tutto! tutto!--ripeteva Nora col più tenero abbandono, col
calore di una fede illimitata, assoluta nella voce soave,
nell'espressione infantile, nel bel viso addolorato e molle di pianto.

--Vuole.... che domattina presto faccia una corsa a Primarole?

--A far che?

--Per vedere il signor Cantasirena!... Sentire, parlare un po' con lui!

Nora si strinse nelle spalle, sospirò: e persuase il signor Galli che
sarebbe stato tempo perso. Al Cantasirena occorreva la somma subito,
sul momento. Che lei avesse ragione o torto, che lei fosse stata
ingannata, raggirata non voleva dir nulla: aveva firmato, ed ora era
compromessa: se voleva salvarsi, doveva pagare.

--Vendere.... non si potrà far altro.

--Sì! sì! Vendere!... Ma subito! Si troverà subito?

Nora, così dicendo, stava levandosi il cappellino: alcune ciocche
sottili, dei fili d'oro rimanevano attaccati: alzò le braccia,
sbrogliandoli.... mosse, snodò, rialzò la gran massa bionda scomposta,
arruffata nel viaggio.

Il signor Galli abbassò il capo vivamente. Nella penombra del
salotto--c'era una sola lucerna sotto una gran ventola rossa e
nera--era stato colpito da tutto quel color biondo e da un'ondata
calda, odorosa.

Nora, lentamente, cominciò a sbottonarsi l'ulster, poi si tolse dal
collo il fazzoletto bianco di _foulard_.--Il signor Galli non la
guardava.... ma si sentiva agitato, inquieto.

Essa gli tornò vicino: lo fissò, si alzò in punta di piedi per
parlargli all'orecchio:

--Come ci riesce quell'uomo!...

--Chi?

--Il Kloss!...

--Riesce.... a cosa?---balbettò il Galli colla voce alterata.

--Che cosa importa al Kloss della _Cisalpina_, del signor Cantasirena,
di mio marito!... È per me.

Al signor Galli uscì dalla gola un suono inarticolato: una parola
strozzata che parve un singulto. Lo aveva già pensato, lo pensava
anch'egli con una certezza tormentosa. Era per lei! Era per lei! Era
lei che egli voleva!

--Signora duchessa.... signora duchessa.... si guardi da quell'uomo,--e
soggiunse, giungendo le mani,--se ne guardi per carità! Per carità! Per
amor di Dio!

Nora indovinò; indovinò, lesse nell'occhio cerulo e buono l'ingenuo
terrore, l'orrore, le ansie più profonde, più nascoste, tutto il
turbamento di quell'anima, di quell'uomo.

--Sì! Sì!--bisbigliò torcendosi le mani nervosamente, con un atto che
esprimeva lo spasimo, lo strazio più atroce, il ribrezzo, e insieme una
desolata attitudine di vinta:--Sì! Sì! Il Kloss! Non lo fa soltanto per
vendicarsi degli altri!... Non lo fa contro gli altri! È per me! È per
me!

Il signor Galli trasalì: alzò i pugni chiusi con un atto terribile di
minaccia.

Nora ebbe un nuovo scoppio di lacrime: ma questa volta non erano più le
lacrime, non era il dolore della bambina. Era la disperazione della
donna.

--Oh, lei! lei!--esclamò, nascondendosi gli occhi, il viso colle mani,
con un senso di orrore.--Lei! lei! Lo avrà aiutato anche lei,
quell'uomo!...

--Io?!--urlò il signor Ambrogio, ansante, con uno schianto, e ancora
coi pugni chiusi, formidabili, e si rizzò più alto, più pallido, più
terribile.--Io?!...

Nora, spaventata, chinò il capo, si scostò istintivamente.

--Senza nessuna sua colpa! Senza saperlo!... Lo ha aiutato quell'uomo
quando mi ha dato il consiglio.... mi ha spinta.... a rivolgermi.... a
ricorrere a.... al Cantasirena. Perchè non mi ha consigliato ciò che
veramente avrei dovuto fare? Che mi avrebbe salvata? Salvata! Perchè
non mi ha consigliata, non mi ha costretta ad accettare le proposte del
signor Vigliani, i consigli del Vigliani? Se me lo avesse detto lei,
oh, da lei avrei tutto accettato! Tutto, tutto!--E sarei salva!

--Ha ragione! Ha ragione!... La signora duchessa ha ragione!... Sono
stato io.... io.... io! Ha ragione, ha ragione!...--e il pover'uomo,
tremante, sconvolto, si umiliava dinanzi a Nora, implorava il suo
perdono.--È vero! È vero!... È mia la colpa! Tutta mia!

Nora lo tranquillò. Lo consolò. Fu lei che gli domandò scusa,
cercandogli, stringendogli, accarezzandogli le mani.

Era una parola sfuggita in un momento di pazzia; il signor Galli aveva
fatto tutto a fin di bene.

--Basta che mi perdoni, e non mi lasci sola.... non mi abbandoni!...
Sola, che cosa potrei fare? Allora sì, dovrebbe avere un rimorso, un
gran rimorso.... se mi lasciasse sola!

--No!... No!... Mai!

Il signor Galli accasciato, affranto, si era seduto. Nora si era
appoggiata alla sua poltrona: essa aspettava, aspettava che parlasse,
che le rispondesse, che le dicesse che cosa doveva fare;.... aspettava.

Il signor Galli si asciugò gli occhi col palmo della mano, si raccolse,
si sforzò, finchè l'uomo serio, grave, riprese il sopravvento.

--Dall'oggi al domani, pensare a poter vendere il palazzo, la villa, è
impossibile. Bisogna cercare di ripigliare le pratiche già iniziate dal
signor Vigliani.... oppure intavolarne di nuove, ma ci vuol tempo.

La guardò, la fissò gravemente.... poi, con tristezza, fissò le
buccole.

--I miei brillanti!--esclamò Nora, alzando vivamente le due mani alle
orecchie come per difendere quelle gemme. Ma poi, subito, gli rispose
docile, rassegnata:--Tutto, tutto ciò che vuole!--E gli disse che aveva
portato apposta con sè da Casalbara tutti i suoi gioielli e che c'era
anche l'argenteria.

--Pur troppo, come le ho detto altre volte, il vendere gli oggetti
preziosi, è sempre un cattivo affare; ma, ora, in questo momento, non
abbiamo da scegliere: se il ricavo non sarà sufficiente, per quindici,
per ventimila lire potrà bastare forse anche la mia garanzia....

E il signor Ambrogio non parlò più che di affari. La mattina dopo
sarebbe andato da un suo amico, un orefice, il Gatti, un galantuomo, un
uomo segreto; si sarebbe consigliato con lui: intanto la signora
duchessa doveva farsi coraggio, tranquillarsi.... procurar di dormire.

--Verrà presto domattina?

--Subito, appena avrò parlato coll'orefice.

Nora lo accompagnò lei stessa fino all'anticamera, rischiarata soltanto
da una lucerna fioca, bassa.

Anche lì, diritta, in piedi, appoggiata all'uscio, prima di lasciarlo
aprire dal Galli, gli prese la mano, gliela strinse dolcemente,
dolcemente premendola sul suo petto tepido, sotto la camicetta di
battista. Ne' suoi occhi, fissando tacita il signor Galli, passò ancora
un lampo: era il pensiero, lo sgomento del Kloss: ma poi tornò a
sorridere con tutto l'abbandono, con tutta la fede, con tutta la
sicurezza.

--Ha una figliuola da salvare....

L'altro la fissò immalinconito, scrollando il capo.... Non aveva
inteso.

Nora girò attorno gli occhi inquieta, sospettosa: lì, nell'anticamera,
non poteva parlare tanto forte come nel salotto. Il signor Ambrogio
abbassò il capo, essa si alzò ancora in punta di piedi, e gli ripetè
nell'orecchio, proprio nell'orecchio, colle parole lunghe, chiare,
avvolte nel caldo profumo del suo alito:

--Ha una figliuola _sua_, da salvare.... Mi salverà?... Mi salverà?

Il Galli si scostò rabbrividendo; egli pure in quell'attimo aveva
intravveduto il Kloss, gli occhi del Kloss, il ghigno del Kloss.

E siccome Nora lo interrogava colle pupille ansiose, egli balbettò:

--A servir le canaglie.... le canaglie.... si può prestar la mano alle
più turpi canagliate.... alle più turpi canagliate.... Signora!...
Signora!... quanto mi sento colpevole verso di lei! Colpevole!...

Se ne andò. Fece la strada più solitaria e più lunga per tornar a casa.
La notte era nuvolosa, soffiava un ventaccio umido, freddo; ma il
signor Galli camminava a testa scoperta.... sempre col cappello in
mano.

--Che hai? Ti senti male?--gli domandò sua moglie quando lo vide
comparire pallido, stravolto.

Essa lo aspettava sempre alzata, nella prima cameretta, dopo la piccola
cucina; aspettava il marito lì, tutte le sere, lavorando vicino al
letto dove dormiva lei sola, col suo bambino.

--Ti senti male?--gli domandò ancora, a voce più alta, perchè l'altro
l'aveva guardata e aveva aperta la bocca senza rispondere: non aveva
capito.

E rimase muto, immobile, ritto in piedi, finchè la moglie adagio gli
ebbe accesa la candela.

Prese il lume, lo guardò aspettando che fosse bene acceso, poi
bisbigliò:

--A servir le canaglie si può prestar la mano alle più turpi
canagliate....--E rimase lì, ancora immobile, a guardare la fiamma
della candela che diventava più chiara, più viva.

La signora Galli amava suo marito di un affetto che era adorazione,
devozione; il suo rispetto era profondo, com'era profonda e nobile la
sua riconoscenza: quell'uomo che l'aveva sposata colpevole, che aveva
dato un nome al suo bambino, quell'uomo giusto, onesto, grande,
generoso, era per lei come un Dio impeccabile. E per questo senso di
rispetto, la signora Galli era timida con suo marito. Quella sera non
era punto tranquilla dopo la risposta avuta, ma non osò ripetere la
domanda. Soltanto, quando vide che egli stava per allontanarsi, gli
porse la fronte, per ricevere il solito bacio che le dava tutte le sere
colla buona notte.

Il signor Galli non avvertì quell'atto, non udì la voce affettuosa, il
saluto della moglie.... si avviò nella sua stanza, sempre assorto,
fissando la fiamma del lume.

Quando passò dinanzi al letto, il bimbo addormentato si agitò, si
voltò, stese le piccole braccia; anche nel sonno il bambino era
abituato a ricevere quel grosso bacio paterno pieno d'amore, ch'era una
protezione e una benedizione.

Il signor Galli entrò in camera sua.... ma non si ricordò del bambino.

Corse in fretta la mamma a baciarlo e ricoprirlo, poi ansiosa rimase in
ascolto vicino all'uscio: suo marito non si moveva, non si svestiva
ancora: essa non udì che un sospiro lungo, profondo.

Il signor Galli.... pensava alla duchessa. Pensava quanto era stato
imprudente, colpevole verso di lei.... pensava rabbrividendo che forse
era stato lui a darla nelle mani del Kloss!...

--Questo mai! Questo mai!... Non sarà mai!

Tutta notte fu un orgasmo, un'oppressione.

Non gli era più possibile immaginare la duchessa sola. E la vedeva
viva, scolpita.... come gli era apparsa alla stazione.... poi quando si
era levato il cappellino.... poi il _foulard_.... e poi diritta,
appoggiata all'uscio, disfatta dal dolore, dalle lacrime, dalla
stanchezza.... E vedeva il Kloss, nel suo studio, buttato sul suo sofà
che ghignava.

La mattina si alzò prestissimo; attraversò l'altra camera in punta di
piedi.... si fermò un istante, ascoltò il respiro di sua moglie, e
quello del bambino. Uscì senza svegliarli, e andò difilato al caffè
Carini, dove il signor Gatti si recava sempre la mattina presto, prima
di aprir bottega, a bere il caffè.

Era troppo presto; dovette aspettare più di un'ora: ma poi l'orefice
venne. Il Galli gli lasciò prendere il suo caffè, poi gli raccomandò il
segreto e gli disse di che cosa si trattava.

Conclusero che l'orefice sarebbe andato dalla duchessa di Casalbara
quella mattina stessa, prima di mezzogiorno.

Il signor Galli gli fece un biglietto di presentazione, tirò in lungo
un'oretta, poi si recò ad avvertire la duchessa. Era presto, forse; se
dormiva ancora sarebbe ritornato.

La Vittorina gli disse che la signora duchessa era ancora a letto, ma
che aveva dato ordine di farlo passare.

Il signor Ambrogio si sentì serrar la gola: seguì la Vittorina
inciampando nei tappeti. Quando fu nello spogliatoio e vide ancora
buttati sulle seggiole i vestiti, la camicetta che Nora indossava la
sera innanzi, si fermò risoluto.

--Tornerò,--disse alla Vittorina.

--Venga, venga, signor Galli!

Era la duchessa che lo chiamava.

Ma il signor Galli non si mosse.

La Vittorina teneva aperto l'uscio e sorrideva....

--Venga! Venga, signor Galli!

Egli entrò, ma rimase immobile, vicino all'uscio che la Vittorina
andandosene aveva richiuso. Non poteva fare un passo: quella cameretta
piccola, elegante, calda come una serra, era troppo piena di lei, del
suo tepore odorante, della sua bellezza, della sua giovinezza, dei suoi
capelli biondi. Egli non poteva muoversi; osava appena respirare....
l'aria stessa era così piena di lei.... era lei.... respirava lei in
quella camera.... Lei che egli sentiva, ma non vedeva.... Vedeva,
invece, le piccole babbucce vicino al letto, basso come un divano;...
sulla poltroncina accanto una camicia bianca, ancora ripiegata, lieve
come un soffio di trine, con un nastro rosa nel mezzo. E trasalì: la
faccia odiosa del Kloss, il ghigno del Kloss, il Kloss sudicio,
sfacciato, prepotente, gli apparve, saltellante, sghignazzante, come un
padrone, in quella cameretta tepida, odorosa.

--Venga!... Venga!...

Nora ritta, seduta sul letto, gli stendeva la mano.

Il signor Ambrogio non vide che una massa di capelli biondi, il
casacchino rosa.... e chinò gli occhi.... Vide la piccola mano tesa
verso di lui.... la toccò.... e subito si ritrasse.

--È forse un po' indisposta la signora.... duchessa?

--No.... ma sono stanca.... stanca.... tanto stanca....--

Si allungò, si distese nel letto con un sospiro, un fremito di delizia.
Poi di nuovo, d'un tratto si rizzò a sedere, mentre l'onda dei capelli
che le cadevano sulla fronte, sulle spalle, andava, veniva, si agitava
fantasticamente sull'origliere, sul guanciale bianco, sul casacchino
rosa....

A capo chino, cogli occhi bassi, fuggenti, il signor Ambrogio vedeva
sempre tutto quel biondo, come vedeva sempre il Kloss.

--E il suo amico?...

Il signor Galli scosse il testone intronato per indicare che non aveva
capito.

--Venga più vicino!--e lo chiamò anche colla mano, mentre con
quell'atto rapido, il braccio nudo appari nelle maniche ampie,
trasparenti.

Il signor Galli fece un altro passo.

--Venga più vicino,--gli ripetè Nora colla bella voce chiara, alta.
Poi, quando l'altro le fu accanto, essa, appoggiandosi colle due mani
sul letto, si rizzò sorridendo, e colla testa facendogli segno di
abbassarsi, gli disse all'orecchio:

--Di là, c'è la Vittorina: non posso gridare tanto forte: non voglio
farmi sentire!

Il signor Galli rispose che aveva capito; che aveva ragione.

--Ha parlato col suo amico? l'orefice?

--Sì, signora.... duchessa. Sarà qui prima del mezzogiorno.

--Va bene: allora per il mezzogiorno sarò alzata.

Il signor Galli sorrise: era contento che si alzasse.... mille
inquietudini strane, intime, mille agitazioni dei nervi, del sangue, si
acquetavano a quell'idea: erano svanite: essa si alzava!... Nessun
altro l'avrebbe veduta lì.... così bionda nella casacca rosa, lì nel
suo letto! Si alzava!... E la sua contentezza si faceva più viva e
rideva.

Allora le raccontò minutamente dove era andato a cercare l'orefice,
tutti i discorsi che avevano fatto, e la promessa avuta, del massimo
segreto.

--Non dubiti, signora duchessa. Ha da fare con un galantuomo.... come
me.

--Oh lei!... lei!...--gli disse Nora tornando a rizzarsi sulle due
mani....--Lei è più di un galantuomo,--e gli fece cenno di
abbassarsi.--Lei è il babbo!

Il signor Galli sentì le labbra che si chiudevano e si schiudevano così
dolcemente nel dire "babbo." ....--È il babbo buono che mi salva!

Poi, a un tratto, si voltò: prese dal piccolo panchettino, accanto al
letto, vari astucci e li distese sulla coperta ricamata: in quell'atto
le spalle scomparvero sotto la massa bionda.

--Guardi un po': basteranno?

Glieli mostrò tutti, sospirando: si provò un'ultima volta le sue perle,
scotendo fortemente il capo nell'annodarle, per allontanare i capelli.

--Basteranno?

In quel punto entrò la Vittorina con un dispaccio.

--Dio!... Dio! Dio!... Cosa sarà?

Nora, si allontanò i capelli dalla fronte per poter leggere: la
Vittorina, prima di uscire, schiuse un po' la finestra.

--Dio, Dio, cosa sarà?

Era un dispaccio di Matteo Cantasirena da Primarole. "Disordini
gravissimi. Urge assolutamente. Regolati."

--Dio! Dio! Basteranno?...--domandò Nora agitatissima, angosciata.... e
sempre ritta coi pugni affondati nelle coltri, fissò sul signor Galli
que' suoi occhi interrogatori e supplichevoli, nei quali luccicavano le
lacrime.

Il signor Galli tremò: ebbe paura di quelle lacrime in quel momento:
paura di sè stesso se l'avesse vista piangere in quel momento.

--Non pianga!--le disse con un tono di comando, risoluto, aspro.--Se
non basteranno.... provvederemo.... procurerò io.... come le ho detto
ieri sera.... purchè,--anch'io è un debito che dovrò fare--purchè ella
mi autorizzi a vendere, e a tutti quei provvedimenti che crederò
necessari.

--Tutto, tutto! Non sono la sua figliuola?... la figliuola sua?...

--Allora.... tornerò dopo che sarà venuto il Gatti: adesso vado, devo
andare. Mi lasci andare!

--Non va a Torino, nevvero?--E Nora, con un piccolo grido, si rizzò di
più sul letto, spaventata. Il Signor Galli rivide ancora gli occhi
supplichevoli, atterriti, luccicanti di lacrime, che non voleva più
vedere.... che non doveva più vedere.

--No.... non andrò a Torino altro che stasera.... dopo.... quando
avremo accomodato tutto, e lei sarà più tranquilla.

--Dove va? Dove va? Dove deve andare? Queste parole eran dette in un
tono così sommesso che il signor Galli non le poteva capire, ma le
indovinava dal moto delle labbra.

--Devo andare... alla banca.

Nora ebbe un lampo: tremò. Se il Galli parlava col Kloss, tutto era
perduto!... Ma non avrebbe parlato!...

--Alla banca!--esclamò, con un fremito, con un brivido di orrore, e
ancora chiamò il signor Galli vicino, più vicino....

Egli si chinò, diventando pallido.

Mentre Nora gli parlava all'orecchio, e gli parlava del Kloss "di
quell'uomo" e lo supplicava di non dir niente "a quell'uomo" per
carità! per carità! di non dirgli ch'essa era tornata da Casalbara, che
era a Milano, sola, le si era aperto il casacchino rosa, le si era
aperta la camicia bianca di battista, ed era riapparsa a un tratto la
piccola catenella d'oro che si moveva, si abbassava, si rialzava....

--Il Kloss certo, vorrebbe venire da me! Vorrebbe parlarmi!

--No!...--Il Galli trasalì. Quel--no--era stato un grido rauco, un urlo
represso, soffocato, di orrore, di terrore.

--Vorrebbe vedermi, ad ogni costo.

--No: non lo riceva! Mai! Mai!

Nora guardò il signor Galli.... Sorrise--aveva capito.

--Non devo riceverlo il Kloss?...--Era la bimba ingenua che
scherzava.... ma Dio! Dio! perchè scherzava con quel nome?

--No... non si fidi!

Essa si riadagiò, si distese nel letto, mollemente.

--Nè il Kloss, nè nessuno?

--Nessuno! Nessuno!

--Soltanto l'orefice?

--Sì, soltanto il Gatti. Non si dimentichi il nome! Gatti.... Giuseppe
Gatti. E poi deve presentarsi con un mio biglietto.

Nora sorrise ancora, e, come per tranquillarlo, per accontentarlo, per
consolarlo, gli disse forte, stringendogli la mano... scherzando nel
tenergli stretta la mano, dimenandogli il braccio:

--Ebbene... lo dica lei stesso alla Vittorina e a Teodoro di non
lasciar passare nessuno... soltanto il signor Gatti... un signore che
verrà con un suo biglietto.

--Sì!... Sì!...

--Glielo spieghi bene.... Soltanto un signore che verrà con un suo
biglietto, verso il mezzogiorno.

--Sì... Sì....

--E lei?... Quando?...

--Verso le due....

--Non può prima?... No?... No?

Il signor Galli entrò alla banca pallido, sconvolto.


--_Come? Niente partisse per Turin, stamattina?_

--Parto alle quattro,--gli rispose il procuratore, sgarbatamente,
voltandogli le spalle.

--_E la liquitazion cont l'Insubria?_

--Vado adesso.--E presa la busta grossa di pelle, vi mise dentro molte
carte e il libro dei chéques.

--_Cuanti tisortini a Primarol! Carnefalata finisce a legnat!_

--Come lo sa, lei?--gli domandò il signor Galli, voltandosi di colpo,
fissandolo.

--Un dispaccio dell'_Italia_. Chiamato rinforzo truppa--disordini
gravi, feriti.

Il signor Galli cercò subito il giornale, lesse il dispaccio
ansiosamente, febbrilmente.--Bisognava provvedere subito! subito!
subito!

Il Kloss, si fregò le mani, con un saltetto.

--_Grande carnefalata stà per finir_....--Poi si avvicinò al signor
Ambrogio e tirandogli un bottone dell'abito gli disse con una cert'aria
di mistero:

--_G'hoo i mè itei, i mè progett, i mè reson. Quand mi volessi una
cosa, mi arrivassi sempre al mio scopo. Occi o toman_ verrà certo a
Milano, _cuella matama_ in cerca _te tanée_. _Se la scrive a lei de
folerti parlar_, lei, signor Galli, _lavarsene i man: risponder
niente_--_non farsi fetere_. _Ma supito afertime mì.... e cito con
tutti!_ _G'hoo i mè itei, i me progett, i mè reson_.--E sghignazzando e
scherzando, concluse che alla _pellissima catta_, appunto in quei
giorni, aveva finito di tagliar le unghie.

Il signor Galli lo guardò stranamente e se ne andò senza salutarlo.

--E il danaro?--pensava, continuava a pensare lungo la strada, poi alla
banca, facendo delle somme che non gli riuscivano mai,--e il denaro
dev'essere soltanto di pochi, deve essere di costoro! E deve servire a
simili canagliate! Che canaglia!... Che sfacciato!... Che canaglia!...
Ma che cosa pensa di me?... Che cosa crede di me? Crede di avermi
comperato? Crede che io sia il suo mezzano?... Buffone! Io sono un
galantuomo e un uomo libero.... padrone di me, del fatto mio, della mia
volontà.... della mia firma! Appena torno da Torino, le mie dimissioni!
Un tozzo di pane, per me, lo troverò dapertutto.--E in quel momento,
non si ricordò della moglie nè del bambino. Pensava invece al signor
Gatti.

--È un galantuomo; ma si sa.... i gioielli, a venderli, perdono assai
del loro valore.... povera signora!--E sospirò profondamente.

Il signor Galli, che conosceva tante miserie umane, il cui animo
generoso, onesto, nobile, era rimasto contristato e atterrito da tante
miserie umane, sospirava allora per quella povera signora, così buona,
così affabile e tanto disgraziata, la quale doveva rinunciare ai suoi
brillanti, alle sue perle, alle perle che essa si annodava con tanto
amore e con tanta grazia, scotendo la testa, per allontanare i capelli
biondi....

E il Kloss la voleva! Il Kloss! Il Kloss! Il Kloss!

Che ingiustizia, che iniquità!--Il denaro in mano a pochi, in mano alle
canaglie!

Non sapeva più quello che si facesse. Era un'aberrazione che diventava
una demenza; un'aberrazione del sangue che gli accendeva la fantasia.
Doveva salvarla! Doveva salvare quella donna che lui stesso aveva
consigliata male, che lui stesso aveva messo nelle mani di quel
satiro!... Di quel satiro che rubava i danari per rubare le donne! Come
le leggi erano assurde, inique! Come la giustizia era falsa, come era
tempo di rifarlo il mondo, tutto il mondo!

Era contento il signor Kloss! Ghignava! Credeva già di essere riuscito!

Che infame!... Che ingiustizia! Tutto per il danaro! La gioventù di
quella donna, il suo cuore, il suo ribrezzo.... tutto per il danaro,
per un pugno di danaro....

Che ingiustizia! Che grande ingiustizia!

Crede di aver vinto! Di averla nelle mani!... Come l'altra! la
poveretta, che _dopo_, per la vergogna, per il ribrezzo, per l'orrore,
per lo schifo.... si è buttata dalla finestra!

E rivedeva Nora.... i capelli biondi.... la casacca rosa.... la piccola
catenella d'oro nascosta sotto la battista.... Sentiva quel profumo....
rivedeva quelle vesti sparse sulle sedie dello spogliatoio.

E l'avrebbe lasciata a quell'uomo, abbandonata a quell'uomo.... come
l'altra.... che si era buttata dalla finestra?

Ma che cosa aveva fatto.... che cosa aveva fatto quell'uomo, quel
mostro a quella povera ragazza per spingerla così alla disperazione....
a voler morire subito dopo?... A buttarsi dalla finestra?

Nora lo aspettava nel salottino della sera innanzi; appena lo vide
entrare gli corse incontro disperata.

--L'orefice, per un affare così, sul momento, non può dare più di
venticinque o trentamila lire!... E da Primarole m'hanno telegrafato
ancora; vogliono tutto per domani!

Il signor Galli barcollò, non disse una parola.

Nora si nascose il viso fra le palme con un atto di orrore, poi gli
domandò, pallida, risoluta:

--Il Kloss.... è qui?

--Sì.

--Gli dica di venir subito. Bisogna che gli parli. È l'amico di mio
marito, mi salverà.

--No, no! Lei non vedrà quell'uomo!...

--Vuole che io sia trascinata in mezzo agli scandali? In un processo?

--No.... Lei non lo vedrà, non gli parlerà.

--Devo farlo!... Devo farlo!... Non è più possibile lottare.... Non è
più possibile.

Il signor Galli la fissò, le labbra mute, contratte, il volto livido,
di un pallor tragico.

--Le ho detto.... signora.... Io posso....

Non parlò, non potè più parlare;... prese il libro dei _chéques_ dalla
busta e ne firmò due in fretta, poi li consegnò alla duchessa.

--Sono all'ordine del signor Cantasirena. Domani, quando vuole, può
mandare alla Banca Insubria a riscuotere la somma.

Nora prese i due _chéques_ con un tremito e li guardò cogli occhi
maravigliati, nei quali brillava un lampo di avidità.

--Come?...--domandò con voce secca, disarmonica.... non più con la voce
di prima, dalle calde modulazioni.--È certo?... Non mi faran poi....
nessuna difficoltà? Ha detto.... alla Banca Insubria, non è vero?

Il signor Galli ripeteva di sì, col capo. Ma l'agitazione, l'orgasmo,
la demenza del pover uomo si erano dissipate a un tratto, scorgendo il
lampo di quegli occhi astuti, notando il fremito ansioso di quella voce
fredda, roca, quasi aspra.

--L'ho consigliata male,--balbettò nel bisogno immediato, supremo di
trovare a sè stesso una scusa per ciò che aveva fatto.--Ero in dovere
di rimediare....

E quando Nora, comprendendo, volle essere di nuovo dolce, tenera,
allettatrice, non parve a lui che una commediante, falsa, tutta
falsa!...--Una commediante!

Il signor Galli se ne andò in fretta. Voleva esser solo, solo, solo!

E quando fu solo, a poco a poco la verità penetrò nella sua mente, nel
suo sangue, nella sua coscienza.

--Che cosa aveva fatto?...

Non pensò più che doveva recarsi a Torino, che doveva
partire....--Continuò a camminare, a camminare....

La sera di ottobre calava fredda.... livida, tetra.... Il signor Galli
continuava a camminare, a camminare nello squallore delle vie deserte,
lungo il Naviglio.... Il Naviglio nero, sotto la luce smorta, dei primi
lampioni...; a poco a poco egli era ritornato in sè.... La verità
incalzante era con lui, correva con lui, fuggiva con lui.... la verità
tremenda, eterna, che ingrandiva ad ogni passo, che non lo avrebbe
lasciato mai più:

--Ladro!... Ladro!... Sono un ladro!



X.


Francesco Kloss aveva prese le sue misure di precauzione, si era armato
fino ai denti e ormai non aveva più paura di Matteo Cantasirena. Se
questi avesse ricominciato a rompergli le scatole colle _Risorse
Italiche_ egli lo avrebbe fatto subito tacere, minacciando di rivelare
le _latrerie_, le _pirpanterie_ del Segretario generale della
_Cisalpina_.

--_Alla larca.... e cito!_

Del resto, il Kloss non era uomo da perder tempo nè spender quattrini
per vendicarsi; tirato in ballo nella conferenza, aveva fatto il morto;
costretto a entrare nella _Cisalpina_ ne aveva approfittato per fare il
suo interesse. Corrompendo il Vergani, il Bizzarelli, il Brunetti,
stanchi di farsi trappolare e rovinare da Matteo Cantasirena, era
riuscito ad aver tanto in mano contro di lui da intimidirlo, ed
occorrendo da poterglisi imporre. Ormai il suo piano era stabilito:
costringere la _Cisalpina_ a liquidare, e raccogliere quanto in essa,
nel concetto fondamentale, svisato, alterato e reso fanfaronescamente
ridicolo, poteva esserci ancora di serio e di utile.

Ecco quali erano le idee, i progetti, le ragioni di Francesco Kloss,
per mandare all'aria la _carnefalata_.

--_I mee itei, i mee procett, i mee rason_.... erano di ammazzare la
_Cisalpina_ e sfruttarne il cadavere.

Il Kloss stava appunto organizzando un formidabile consorzio fra alcuni
banchieri della Svizzera tedesca, già in stretti rapporti con lui; allo
scopo di iniziare, valendosi in parte degli studi e delle idee della
_Navigazione Cisalpina_, un nuovo sistema di trasporti nell'Alta
Italia, meno caro delle strade ferrate e in concorrenza coi tram a
vapore. Si trattava, cioè, di una fitta rete di piccole tramvie
elettriche lungo gli stradali provinciali e comunali, ed il progetto si
andava delineando, senza le ciarlatanerie del _crante parpone crante
pirpone_, ma chiaro, sicuro, un vero affare maneggiato, _manipolato_
dal Kloss e da gente del suo valore.

Provocare una diserzione, una defezione quasi generale nel campo della
_Cisalpina_ era stata cosa semplicissima. Il Vergani era stato adescato
coll'offerta del completo addobbo delle carrozze elettriche, il
Bizzarelli e il Brunetti conquisi dall'appalto degli stampati e
dall'affidamento della pubblicità su tutta la linea: il Tolomei, che
vedeva sfumare l'ultima rata di pagamento pel suo palazzo, non aveva
esitato di cedere al Kloss il credito e le armi, tanto più che il
Bonforti e il Ghirlanda, colpiti atrocemente dall'_Italia_, tartassati
spietatamente dalla _Durlindana_, avevano smentita ogni politica
alleanza con Cantasirena, ogni ingerenza nella _Cisalpina_.... e ciò
quasi nello stesso tempo in cui Pio Calca ritirava la sua candidatura a
Castellanzo. La rinunzia gli era stata imposta da _soa mader_, senza
nemmeno volergliene dir le ragioni. Le ragioni essa le aveva confidate
a monsignor Meneguzzi, monsignor Meneguzzi aveva approvato.... e basta.

E il Kloss, colle sue manovre, approfittava di tutto ciò per cospirare
e intrigare ai danni della _Cisalpina_, finchè, con un tiro abilissimo,
di rimbalzo, riuscì a colpirla nel cuore.

Moltissimi fra i poveri illusi che avevano impegnati, ipotecati i loro
poderi, la loro terra, per diventare azionisti della _Cisalpina_,
tentavano ad ogni costo di vendere quei titoli, quella carta, che li
aveva rovinati; e allora fu il Kloss che fece l'incetta delle azioni,
fu il Kloss che comperò quelle piccole proprietà--di sottomano
s'intende--e furono i suoi agenti segreti che da quel giorno negarono
recisamente alla _Cisalpina_ di scavare un braccio di terra, di
atterrare un pezzo di muro, di smuovere un mattone, neppure per tutto
l'oro del mondo.

Facoltà di espropriazione forzata per la _Cisalpina_ ancora non c'era:
tutto il famoso progetto tecnico del Fontanella era incagliato,
rovinava: e la maggioranza dei consiglieri, anche di quei consiglieri
che non erano guidati dal Kloss nè da altri interessi, nè da mire
particolari, stanchi, irritati, intimoriti, chiedevano, volevano,
imponevano la fine dei lavori, una liquidazione immediata e
possibilmente onorevole.

Matteo Cantasirena e il Fontanella, col solo rinforzo di Gesualdo
Arcangeli--che mentre aspettava e sperava ancora di poter fare il
monumento a Fara-Bon, faceva intanto (un soggetto meraviglioso per
Dio!) il busto alla duchessa,--resistevano, tentavano di opporsi
disperatamente, volevano che si continuasse ad ogni costo, perchè la
"crisi" era artificiosa, perchè era una viltà il cedere di fronte a
quei nemici, perchè v'era tutto l'interesse materiale a continuare,
perchè la vittoria sarebbe stata certa, il risultato splendido, perchè
il resistere era un dovere imposto dalla carità di patria, dal
sentimento dell'umanità.

Liquidazione o fallimento, per Matteo Cantasirena e per il Fontanella
erano tutt'uno: erano la rivelazione delle magagne e degli errori
commessi in comune e da soli, erano la rivelazione di tutti i brogli e
di tutti gli imbrogli da soli e in comune perpetrati, erano lo
scandalo, erano la condanna. E Matteo Cantasirena aveva talvolta la
visione netta e spaventosa della catastrofe incombente, ma a chi mai
far capo per scongiurarla?...


Mariano Perego, da sei o sette giorni a Primarole, "respirava odore di
polvere" e se non fosse stato l'irresistibile simpatia per
quell'"inconscio vendicatore della perfidia ipocrita e assassina e
della gretteria sociale" sarebbe rimasto a godersi, con una fregataccia
di mani, quel nuovo capitombolo di tanti "bei galantuomini, pieni di
onore!"

Il Perego colla faccia ancor più trista e sparuta per la barba da fare,
ancor più sudicio e straccione per quei sei o sette giorni di campagna,
scrollava il capo e mormorava tra sè:--La catastrofe, lo sfacelo è
imminente, inevitabile!--E si portava il cordoncino del _pince-nez_
dietro l'orecchio con un moto più nervoso del solito.

La defezione del Bizzarelli, del Brunetti, del Vergani, che
costituivano un tempo la vecchia guardia del direttore, era stata
impudente, sfacciata: prova certa che per lui, non c'erano più
speranze.

Il conte Bobboli beì, da Parigi, dove stava per sposare una ballerina
di quarant'anni, aveva mandate le proprie dimissioni, esplicite, da
vice presidente della _Cisalpina_ e da candidato al collegio di
Primarole: prova certa che Matteo Cantasirena non incuteva più nessun
timore....

Che cosa poteva fare Mariano Perego?... Nulla! Egli stesso lo capiva,
ne conveniva, con un'alzata di spalle. L'incarico che gli era stato
affidato dal direttore e dal Fontanella era troppo difficile e
pericoloso, superiore anche alla leggendaria abilità d'intrigo del
giornalista tollerato.

La _Cisalpina_ andava sfasciandosi, e il colpo di grazia, dopo i colpi
mortali del Kloss, le veniva dato da quella gente appunto, cui i sommi
reggitori, ingolfati nei loro propri interessi, nei loro pasticci, non
avevano mai pensato, o avevano pensato troppo poco e male.

Era la massa, cioè, degli operai, raccolti, arruolati, nei ceti più
turbolenti ed infidi d'ogni paese, veri soldati di ventura e di
sventura, rotti ai lavori più duri e più pericolosi, irritati dalle
lunghe attese della paga, dai ripetuti inganni, dalle eterne cabale,
dalla minacciata sospensione dei lavori; furibondi specialmente contro
Matteo Cantasirena che li aveva per tanto tempo ubriacati di promesse e
di declamazioni, contro il Fontanella, che mancava loro di parola,
contro tutto il Consiglio d'amministrazione, che li lasciava senza
lavoro.... Furibondi persino contro quel mite e buon Taddeo, che per
ironia, per ischerno, chiamavano:--il gamba di legno--il
Garibaldi--perchè nelle sue nuove funzioni di sorvegliante, portava lo
zelo, l'instancabile attività del galantuomo, colla rigida
inflessibilità del soldato, e perchè, "mangiando di quel pane", non
voleva unirsi a dir male nè del colonnello, nè del Fontanella, nè di
alcuno della _Cisalpina_.

Quando Matteo Cantasirena arrivò col primo treno, c'era ad aspettarlo
soltanto il Perego. Questi non lo salutò nemmeno, non gli disse una
parola e, cattivo segno, continuò a succiare il cordoncino unto degli
occhiali.

--Cosa c'è di nuovo?--domandò Cantasirena, colpito. Il non vedersi
accolto coll'espansione così necessaria alla sua indole, lo
sconcertava.--Cosa c'è?

Mariano Perego tirò diritto senza rispondergli, continuando a succiare
il cordoncino.

Matteo Cantasirena ansava.

--In questo momento in cui ho bisogno di tutto il mio coraggio, del
coraggio di tutti i miei amici, non bisogna avvilirmi. Bisogna darmi la
fede, la serenità.

--Altro che serenità!--rispose il Perego.--Son fulmini e saette!

Infilarono una stradicciuola umida e deserta, fra alte muraglie di orti
e di giardini: volevano recarsi al "Palazzo dei Lavori" senza
attraversare il paese.

--Altro che montare la dimostrazione perchè la _Cisalpina_ continui i
lavori! Sarà grazia di Dio se riusciremo a sventare la ribellione, la
rivoluzione.... e a salvar la pelle! Sì, la pelle!--E lo dico io, che
me ne intendo.--Il "quarto d'ora" è lo spirito del tempo: lei ha
abusato del "quarto d'ora".

Mariano Perego, impettito, trovata la definizione, trovò anche il
cordoncino da ricacciare dietro l'orecchio.

--Avremo la rivoluzione, una vera rivoluzione, una rivoluzione contro
di lei, contro il Fontanella.... e magari anche contro il Kloss.... la
rivoluzione di chi non ne ha, contro chi non gliene vuol dare, la
rivoluzione dell'appetito. E se gli operai non riusciranno a mangiare,
se non riusciranno ad avere il loro danaro, riusciranno a rompere la
testa a qualcuno.... e lei guardi, per suo conto, di non esporre la
sua.

--Siete sempre eccessivo!--borbottò il direttore che voleva
riacquistare la propria autorità.

--Eccessivo?... No. L'avverto di stare in guardia. Rompere "qualche
testa grossa", fare a pezzi gli _sciacalli_ della _Cisalpina_, gli
sfruttatori, i camorristi, i ladri della _Cisalpina_, ecco le loro
espressioni!... Non invento: riferisco. Basta mettere i piedi in
un'osteria.... e non si sente altro. Anche il Fontanella si comporta
male: è un ingegnere, ma, non ha che chiacchiere: avrebbe dovuto fare
l'avvocato. Non si va a far l'elegante, col sigaro d'avana in bocca,
fra la gente che non sa come dar pane ai figliuoli, da tre settimane! È
corsa voce della riunione di stamattina alla sede e forse....

Il Perego si fermò.

--Forse.... che cosa?...--domandò Cantasirena, prendendolo sotto
braccio.

--Forse è per oggi....

--Per oggi?--e lo fissò interrogandolo coll'occhio inquieto.

--Fermatevi! fermatevi a Primarole tutta la giornata e me ne saprete
dire la fine!

Erano giunti dinanzi al "Palazzo dei Lavori" e da una rapida occhiata,
Matteo Cantasirena capì che le apprensioni dell'"egregio Perego" non
erano nè infondate, nè esagerate.

Nella via, sulla porta, sotto l'atrio, crocchi di operai, colla pipa in
bocca, l'aria ironica di sfida, le facce nere arse dal sole, burbanzose
e minacciose: gruppi di braccianti più laceri, più estenuati; qua e là
qualche donna, qualche ragazza, dall'occhio sfrontato.

In disparte, un gruppo di operai, più seri, più alti, più nerboruti,
colle facce tonde, coi capelli e colle barbe biondastre: i tedeschi e
gli svizzeri, che confabulavano fra di loro, sommessamente, in un gergo
incomprensibile.

Cantasirena volle fare i soliti saluti colla mano, da buon camerata, ma
non gli rispose che qualche ghigno. Allora riprese la sua maestosa
imponenza: si fermò apposta sul portone a discorrere col Perego, che
pareva impicciolirsi, e si ficcava il cordoncino dietro l'orecchio
nervosamente, poi entrò nel palazzo.

Si sentivano grida di minaccia, di beffa, gli improperi più strani, nei
diversi dialetti:

--_Bagolon del luster!_

--_Vajana!_

--_Camorrista!_

--_Andâe là, pendin da forca!_

A un tratto un sibilo acuto lacerò l'aria, echeggiò sotto l'atrio, e
subito, irrompente, tutta una salva di sibili, di fischi.

--Il Fontanella!...--mormorava Matteo Cantasirena, salendo pallido su
per la scala.--Avete ragione, amico mio,--il Fontanella, li ha
disgustati, irritati, esasperati!

Sopra la cassapanca, unico mobile della vecchia anticamera aperta ai
quattro venti, senza vetri alle finestre, vide dei soprabiti, dei
cappelli. Erano le otto, e già nella sala della direzione v'era gente.

--Son venuti presto.... per congiurare, contro di me, prima della
seduta!--bisbigliò Cantasirena, e invece di entrar subito in sala, andò
in cerca di Taddeo, per informarsi degli intervenuti. _Taddeum_ non
c'era. Non c'era mai! Era proprio venuto a Primarole per godersi le
vacanze, la campagna, gli ozî beati! E Matteo non ritrovò più nemmeno
Mariano Perego: questi, invece di aspettarlo, era ridisceso, era
sguisciato fuori, aveva attraversato i crocchi senza farsi notare, era
scomparso. Gli pareva giunto il momento di valersi di una vecchia
amicizia di polizia, rinnovata in quei giorni a Primarole.... per caso.

Cantasirena rimase un momento sull'uscio prima di entrare: avvicinò
l'orecchio alla fessura, ma non si capiva niente di quello che
dicevano. Si rizzò, si abbottonò il soprabito, si lisciò il barbone, ed
entrò. Vide subito, seduti in crocchio che discorrevano fra di loro, il
Vergani, il Bizzarelli, il Brunetti.

I tre lo salutarono, ma egli li guardò e non rispose; vide il marchese
Tolomei, chino sopra un monte di registri, che andava sfogliando
febbrilmente, e Cantasirena questa volta fu il primo a salutare colla
mano, con ostentazione.

Poi andò diritto dal Fontanella; lo trasse in disparte, presso la
finestra, e gli parlò sottovoce.

--Andiamo male. Dei consiglieri, i nemici, i rompiscatole sono qui
tutti.

--È certo che verrà deliberata la sospensione dei lavori e la
convocazione dell'assemblea nei dieci giorni. Avete provvisto per le
centocinquemila lire?

--Ci sono.... Ma vorrei fare un dispaccio....--rispose Matteo.

E fu allora che scrisse il dispaccio per la duchessa, colla notizia dei
disordini a Primarole, e di nuovo chiese di Taddeo per mandarlo al
telegrafo.

--Taddeo è fuori; verrà a momenti; passa le notti al deposito degli
esplosivi: c'è tutto da temere, e occorre gente fidata, di coraggio.

--E l'Arcangeli?...--domandò Cantasirena al Fontanella.

--Non mancherà di certo. Il Laner piuttosto?...

--Doveva esser qui. Non è qui?

--No. Ma voi, di dove venite?

--Sono stato a tentare l'ultimo colpo col Bonforti e col Ghirlanda.

--E così?

--Pilato.... e Longino! L'uno se n'è lavato le mani; l'altro mi ha
abbeverato di fiele!--Sospirò, poi s'irritò, pestò i piedi, e si
rivolse arrogantemente al Tolomei:

--Siamo in numero!--Avanti chi tocca e incominciamo!

--La convocazione è per le nove,--rispose secco il Tolomei, e continuò
a scartabellare i registri e a prendere appunti.

Un gruppo di consiglieri della _Cisalpina_ comparve poco dopo,
fermandosi sull'uscio, discutendo animatamente. Ma il gruppo, d'un
tratto, fu sbaragliato, attraversato da Gesualdo Arcangeli; lo scultore
entrò nella sala, col cappello in testa, la cravatta rossa, burbanzoso,
minaccioso come se volesse fare a' pugni con tutto il mondo. Si avviò
difilato verso il Cantasirena e il Fontanella, gridando con enfasi,
stringendo loro le mani con gran forza:

--Pronti!... Pronto al comando!... E sempre amici!--in vita e in
morte--per Dio!

Peccato!... Gridava per quattro, ma non poteva votare che per uno!

--E il Laner?--domandò l'Arcangeli, guardandosi attorno, arricciandosi
i baffi, dimenandosi sui fianchi,--il nostro Pietro, Pietro il Grande,
non c'è?

--Se non è venuto a quest'ora.... avrà avuto paura!...-bisbigliò il
Fontanella.--Un altro voto di meno!

Matteo Cantasirena, sempre più agitato, nervoso, alzò la voce:

--Dirò, col mio compianto amico.... il Belisario di Sebenico: "Agli
alti monti la neve, alle anime generose la gelida sconoscenza!"--Fece
alcuni passi infuriato, poi tornò vicino al Fontanella e all'Arcangeli,
borbottando:--Anche quel falso trentino che mi diventa un....
_tirolese!_ Quel giullare!--E ritornò ad alzare la voce, lanciando
occhiatacce furibonde al gruppo del Vergani, del Bizzarelli, del
Brunetti.--Tutti così! Tutti ingrati, gli ex morti di fame!... Un
branco d'ingrati, tutta la gente messa al mondo da me!... Creata da
me!...

Il Brunetti si alzò di colpo, rivoltandosi:

--Oh, è ora di finirla!... La finisca di fare.... il Domeneddio!
Sissignore! Morti di fame, perchè la nostra parte.... l'ha mangiata
lei!

Il Bizzarelli, il Vergani, gli altri, lo tiravano per la giacchetta:
volevano farlo sedere, volevano farlo star zitto, ma non c'era verso.

--Lasciatemi parlare!--gridava il Brunetti più forte, più rosso, più in
furia.--Lasciatemi parlare! Sono mesi e mesi che ingoio, che soffoco, che
mi strozzo!--Sissignore!--Morti di fame, perchè abbiamo sempre avuto la
debolezza di credere alle sue chiacchiere, a' suoi giuramenti, alle sue
preghiere, alle sue lacrime! Morti di fame!--Sissignore!--Perchè non le
abbiamo mai fatto scontare tutte le sue.... porcherie!

Matteo Cantasirena, che a questa sfuriata era rimasto turbato,
interdetto, appena riprese fiato si rivolse al marchese Tolomei, ch'era
salito al banco della presidenza e scampanellava per imporre il
silenzio.

--Con questo tono.... con questa forma.... con questo linguaggio....
ogni discussione è impossibile: io rinuncio alla parola!

--Porcherie! Porcherie!--strillava il Brunetti,--e la colpa è sua se
non posso usare un termine più pulito!

--Finiamola!--esclamò Matteo Cantasirena, pallido, smorto. Ma poi,
subito, riprese il sopravvento, rivolgendosi ancora al Tolomei:--In
questo luogo è soltanto all'autorità del nostro egregio Presidente che
io posso.... che io devo rivolgermi.... per farmi rispettare!--e
sedette maestoso, sdegnoso, voltando le spalle "a quel malcreato".

--La prego, signor Brunetti,--gridò a sua volta il Tolomei,--faccia
silenzio!... Le sue ragioni..... i suoi risentimenti....--ma non gli
venne la frase e finì, pestando un piede sotto il tavolo, e
scampanellando furiosamente.--Avrà tempo di sfogarsi fuori di qui!

--Ssst! Silenzio!--sibilò, urlò l'Arcangeli.--Silenzio! Per Iddio!

Il Brunetti circondato, tirato giù dai suoi amici, fu costretto a
sedere e a tacere.

Il presidente, dopo un'ultima suonata di campanello, dichiarò aperta la
seduta. L'ordine del giorno recava per primo:

"_Discussione del bilancio consuntivo da presentarsi all'Assemblea dei
soci azionisti_."

--Domando la parola per una semplice dichiarazione,--esclamò Matteo
Cantasirena, alzandosi in piedi ancora pallidissimo e colla voce
alterata.

Egli non poteva restare sotto il peso di quella sfuriata del Brunetti,
nè voleva lasciare i suoi colleghi del consiglio; sotto un'impressione
per lui tanto sfavorevole. Bisognava distrarla, commuoverla, tutta
quella gente!...

--Prima d'incominciare una discussione che sarà eccezionalmente
appassionata e accalorata, trovandosi in giuoco non solo gli interessi
più vitali di una grande impresa, ma la vitalità stessa di una grande
idea, consentitemi, signori, colleghi.... amici.... consentite al
grande colpevole.... ed al grande espiatore, una breve dichiarazione.
Non voglio difendermi: voglio accusarmi. Vi dichiaro di accettare
preventivamente la piena responsabilità di tutti gli errori....--e
soggiunse sorridendo,--e degli errori di tutti!

Sorrise a questo punto anche il Fontanella, sorrise qualche altro;
l'Arcangeli applaudì: Matteo Cantasirena era a posto.

--Sì: devono ricadere sul mio capo tutti gli errori della _Cisalpina!_
Sì: ho grandemente errato e non aggiungo, perchè non voglio
giustificarmi, ho grandemente amato!--Signori, colleghi: la discussione
odierna dev'essere accanita, spietata come una requisitoria: dev'essere
esauriente come un giudizio.... inappellabile. Non vi domando nessuna
indulgenza, nessun riguardo, nessun rispetto per me, per i miei
precedenti, per il mio passato, per i sacrifici compiuti: il _noli me
tangere_ è indegno di un vecchio soldato.--Chi sta dinanzi a voi è un
colpevole? Condannatelo!--Soltanto ricordo questo: di tutto il
programma della _Cisalpina_, uscito più dal cuore entusiasta che dalla
ragione moderatrice, ricordo questo:--una promessa:--_lavoro e pane_
per i nostri operai. E se il vostro cuore è chiuso ad ogni mia
preghiera, dirò alla vostra ragione: Signori; è la prudenza che
v'impone di non dimenticare la sacra promessa: _lavoro e pane_. Non vi
domando altro, non vi domando niente, non voglio pietà per me: nè
pietà, nè indulgenza.... nè giustizia! Imponetemi qualunque sacrificio;
imponetemi di dimettermi, io vi risponderò con una parola che risuonò
generosa.... magnanima per tutto il mondo, nel giorno, non lontano, di
un'altra sconfitta--una sconfitta--ricordatelo--che fu più feconda e
più gloriosa di una vittoria: _Obbedisco!_

E Matteo Cantasirena si lasciò cadere sopra la sedia, colla voce rotta
da un singhiozzo.

Giù, nel piazzale, lungo le vie, cresceva intanto la folla e cresceva
il fermento.

Era corsa una parola d'ordine la sera innanzi, fra gli operai, per
raccogliersi tutti lì sotto le finestre della Direzione? Per suonar la
monfrina, finchè i Consiglieri--i _margniffoni_, le _vajane_,--come li
chiamavano, tenevan seduta?... Nessuno, nemmeno Mariano Perego avrebbe
potuto assicurarlo.

Dalla folla si levava di tanto in tanto, qua e là, un fischio,
un'urlata, una bestemmia diretta al finestrone della gran sala delle
sedute. Quando la parolaccia risuonava più esotica, più strana, più
lurida, in quella confusione di dialetti, scoppiavano applausi
frenetici. Poi c'era chi imponeva silenzio: volevano sentire che cosa
dicevano di sopra _le canaje_, _i lustrissimi_, ma non potevano sentir
niente; soltanto udirono la voce stentorea di Matteo, quando gridava:
Pane e lavoro!

--_Coppett!_--rispose uno della folla.

Poi un altro:

--_Va in malora!_

Un consigliere in ritardo, attraversò la piazza per recarsi alla
seduta: i sibili isolati diventarono una salva scrosciante di
fischi.... e con quella musica fu accompagnato e scappò dentro nel gran
portone del palazzo.

Ma a poco a poco cessarono le sghignazzate, i motteggi, le beffe; la
chiassata diventava una sollevazione.

Tutta quella gente, misera e lacera a un modo, e che serbava nondimeno
le caratteristiche delle varie regioni, nell'aspetto e nel linguaggio,
univa la voce in un sol rombo cupo, di livori e di ire.

Le donne e i ragazzi dei braccianti, dalle facce grinzose e sfinite, su
cui la fatica lasciava un'impronta di patimenti, quasi di sevizie,
stavan seduti per terra, lungo le muraglie, accosciati al sole,
incitavano e aizzavano gli altri colle celie pungenti, colle risate
amare.

Qua e là, qualche vecchio operaio, colla bluse stracciata, dalla quale
appariva il petto villoso, squamoso, ischeletrito, qualche vecchio
operaio, dal viso estenuato, solcato di rughe nere, profonde, cogli
occhi riarsi, collo sguardo truce, sinistro, girava muto, tra la folla,
come l'incarnazione, il simbolo di quell'odio represso, compresso,
accumulato, che stava per prorompere.

D'un tratto, in mezzo al piazzale, fu un sospingersi, un urtarsi.

--Che c'è?... Chi è?...

--Ah, finalmente! Uno che parla! C'è uno che prende la direzione! È il
Carotti! Bravo! È il torinese!

Un giovane operaio, colla giacca e il viso puliti, i baffetti neri
arricciolati, e l'occhio mobile, chiaro, fu portato quasi di peso,
sopra una panca d'osteria.

--Evviva Carotti!

"Operai," cominciò l'oratore, "compagni! Siete voi organizzati,
coscienti, avete un programma d'azione, come l'esercito dei proletari
del Belgio, della Germania?"

--_Va lavora!_

Non era giornata buona per i rétori, nemmeno per i rétori in bluse.

--Fuori la paga! Vogliamo i nostri danari, il nostro sangue, o fuoco
alla trappola!--gridò una voce.

--O la paga, o sulla forca le _vajane!_

--Sulla forca!--risposero cento voci.

--Sulla forca!--rispose tutta la folla.

Gli operai tedeschi, erano rimasti sempre in disparte, sempre in gruppo
fra di loro, in un canto della piazza, sotto il portico della casa
comunale.

All'improvviso, di colpo, uno di quei tedeschi, un gigante biondo e
roseo, colla faccia tonda, ancora infantile, si staccò dai compagni,
attraversò la piazza, spingendosi, facendosi largo tra la folla, colle
gomitate, afferrò l'oratore per il petto, lo tirò giù dalla panca e
scuotendolo forte, spingendolo, gli gridò sul viso, in cattivo
italiano:

--Su, con noi, su da quei signori.... In commissione.... Su.... a finir
l'affare!

--Bene! Bravo! Su! Su! Da quei ladri! Da quei _sgonfioni!_

Ma nel mentre i più rumorosi, i più sfegatati, fanno ressa attorno al
Carotti e all'operaio tedesco, e discutono gesticolando per formare la
commissione, dall'estremità del piazzale si odono urli, grida, strilli
di donne spaventate: è un tafferuglio di chi viene a contesa, è un
fuggi fuggi, un rimescolamento, un sommovimento di tutta quella massa
eccitata, vogliosa, smaniosa, impaziente di menar le mani.

A un tratto, in mezzo alla folla spiccano i pennacchi rossi dei
carabinieri: sono otto: otto bei giovanotti, cortesi, ma risoluti. Un
signore col soprabito impolverato e gli occhiali azzurri, si è fatto
avanti e parla forte, reciso: ordina ai carabinieri che sgombrino la
piazza: dietro a lui, due o tre figure tarchiate, dalla faccia
assonnacchiata, dall'aria intorpidita che si svegliano d'improvviso, si
fanno violenti, si cacciano nel più fitto della calca, respingono
ciecamente, confusamente, uomini, donne, quanti si paran loro dinanzi,
senza parlare, senza guardare in faccia a nessuno.

--I carabinieri! Le guardie!

--Quello è il delegato!

--È venuto da Castellanzo!

--C'è stata la spia!

--Sulla forca la spia!

--A noi! A noi!

E dalla folla che si agita, che ribolle, che rumoreggia, ma che rimane
compatta, che non indietreggia d'un passo, scoppia un'urlata, un'urlata
sola, lunga, echeggiante, rimbombante, tremenda:

--Morte ai ladri! Viva la rivoluzione sociale!

Il delegato è diventato un po' pallido; stringe le labbra, si fa largo
vivamente, fa un cenno quasi impercettibile e scopre la sciarpa. Uno
dei questurini in borghese, trae di tasca la tromba ravvolta in un
fazzoletto di colore, la svolge, l'appressa alle labbra.... echeggia
uno squillo, ma in quell'attimo un pugno formidabile,--chi è
stato?--non si sa! non s'è visto!--lo coglie sul capo, gli sforma il
pioppino, glielo caccia giù fin sugli occhi.... La tromba gli cade di
mano, egli cerca di difendersi. Allora è una pioggia improvvisa di
pugni, una rissa accanita, furiosa, rabbiosa in mezzo alla calca:
luccicano, sinistre, le canne brevi delle rivoltelle, si ode uno sparo:
i più lontani, in fondo al piazzale, scappano, fuggono urlando,
imprecando: invece lì nel mezzo si combatte corpo a corpo: è una lotta
selvaggia! Tutt'intorno le grida si levano assordanti:--Morte alla
spia! Chi ha chiamato la forza? Chi ha avvertito il delegato? Morte
alla spia!--_Canaja! Farfo! Giuda!_ sulla forca!.... sulla forca!...--E
nel mezzo la lotta continua disperata, corpo a corpo, come un vortice,
un gorgo rammulinante. Non si vogliono cedere gli arrestati. Si vuol
impedire alle guardie, ai carabinieri di ammanettarli, di trascinarli
in prigione. Si vuol strapparli, liberarli a viva forza.

--Fratelli! Vendichiamoci! Morte alla spia!--grida il Carotti preso,
agguantato in mezzo ai carabinieri.

Un altro sparo, e un operaio getta un urlo, si preme la mano sulla
fronte.... ne gocciola il sangue.... annaspa colle mani gemendo,
ridendo con un ghigno sinistro.

--Il _Francia!_ Il _Francia!_ Hanno ammazzato il _Francia!_--Un altro
urlo, un urlo di terrore, d'imprecazione, di morte, erompe dalla folla
che si precipita contro il "Palazzo dei lavori". I carabinieri, le
guardie, il delegato, hanno appena il tempo di occupare il portone, per
resistere alla furia del popolo. Un carabiniere è colpito nel capo da
una sassata.... impallidisce, barcolla.... ma si rimette in fila, fermo
al suo posto, colla faccia insanguinata, colla rivoltella in pugno,
puntata contro la folla. Il delegato si è fatto livido, ha perduto gli
occhiali. Agguanta un ragazzotto pel petto, lo squassa furioso, lo
scaglia addosso agli altri e grida con voce rauca:

--Indietro, o si fa fuoco!

I più vicini, i più esposti indietreggiano atterriti.

In quell'attimo ad uno degli sbocchi del piazzale ecco Taddeo: Taddeo,
ritto in piedi sopra un'alta carrettella, immobile, attonito, dinanzi a
quel tumulto. Aveva passata la notte di guardia alle polveri.... Vede i
carabinieri, le rivoltelle puntate:

--Siete tutti ubriachi!--grida.--Siete tutti pazzi!... Volete farvi
ammazzare!

--_Il Garibaldi! Il gamba di legno!_--gridano gli operai, indicandosi
l'un l'altro il sorvegliante.

--Viene da Castellanzo!

--È stato _il Garibaldi, il gamba di legno_ a chiamare il delegato, la
forza!

Una parola sola, una parola sinistra serpeggia, corre, divampa fra
quella moltitudine assetata di sangue, esaltata, esasperata contro i
padroni, contro i ladri.

--La spia! La spia! La spia! Vendichiamo il _Francia!_

È un istante, la furia di un istante: la folla si precipita, Taddeo è
afferrato da cento mani, rovesciato, atterrato: la gamba di legno
rimane ritta, alta fra il turbinio, il rimescolamento, precipitoso
delle teste, delle braccia, dei corpi.... poi scompare.

--Che succede laggiù?--domanda una delle guardie.

--Si picchiano tra di loro.

--Si ammazzassero tutti!--esclama il delegato.


Su nella gran sala del Consiglio, Matteo Cantasirena trionfava. Egli
solo non aveva paura, perchè si sentiva innocente: erano il Tolomei; il
Duranti, erano il Bizzarelli, il Brunetti, il Vergani, erano coloro che
volevano imporre la ingiusta, la iniqua, la sciagurata sospensione dei
lavori, i soli, i veri responsabili di quegli eccessi, di quei
disordini.

Erano essi, gli affamatori, i mancatori di parola, i traditori del
popolo!

--Sopra di voi, soltanto sopra di voi ricada la responsabilità di
questa triste giornata!

Nessuno gli rispondeva: tutti uniti in fondo della sala, tremavano di
veder la folla da un momento all'altro invader le scale, sfondare le
porte, precipitare su di loro.

--Bisogna cedere,--bisbigliò il Fontanella pallido, livido, più degli
altri.

--Cedere, per Dio!--ripetè Gesualdo Arcangeli, cogli occhi spiritati,
ma senza voce.

Matteo Cantasirena trionfava, si eccitava nel suo stesso trionfo. Oh,
lui non aveva paura del popolo, era sempre stato col popolo, aveva
sempre combattuto per i diritti del popolo!

Salì al banco della presidenza, maestoso, solenne.

--Signori! Io non mi nascondo, io non diserto nel momento del pericolo.
Dimentico le offese, le ingratitudini: vecchio soldato, rimango al mio
posto!

Giù nella piazza, si udì un nuovo colpo di rivoltella, nuove grida di
spavento, di minaccia, di morte.

--Cosa volete fare? Cosa si dove fare?--domandò a Cantasirena il
Tolomei stravolto.

--Parli, parli lei a quella marmaglia, presto!... Cerchi di
calmarla!--si raccomandò il Brunetti.

--Avete decretato la sospensione dei lavori: bisogna ritornare sulla
vostra deliberazione.

E Cantasirena corse al grande finestrone di mezzo, lo spalancò e gridò
alla folla colla sua voce tonante:

--Pane e lavoro, domandate? Lo avrete. Proseguiranno i lavori:
domattina avrete il saldo delle paghe! Io stesso, Matteo Cantasirena,
ve ne sto garante. A domani! Viva l'Italia!

--La fame! La fame! Viva la fame!--rispose la moltitudine indignata.

--Ascoltatemi! Bravi operai! Ascoltate la parola di un amico.... di un
fratello! Domani riceverete il saldo della paga! Anch'io sono un
lavoratore come voi! La parola di un lavoratore è.... intemerata! Date
la vostra fede a chi vi ha dato il cuore, la vita!... Rientrate nella
calma!... Rientrate nella pace delle vostre case! Domani riceverete il
saldo, e un'anticipazione sui lavori futuri. Chi ha combattuto, soldato
del popolo, chi ha dato il sangue per la libertà, non è bugiardo col
popolo!--Viva l'Italia!

--Viva la fame!...--ripetè l'urlo selvaggio, sarcastico, furibondo
della folla. Fu una grandinata di sassi. I vetri caddero infranti, e un
troncone, un mozziccone di legno piombò nella sala.

Cantasirena chiuse in fretta le griglie.

--Sono imbestialiti,--borbottò. Ma subito il suo occhio si fermò su
quel pezzo di bastone lanciato su dalla piazza.... Dal grosso manico
rotondo pendevano brandelli di panno.... pezzi di cinghia.... Lo
raccolse.... si sentì la mano bagnata.... guardò.... era intrisa di
sangue.... Trasalì, ebbe un tremito, gittò lontano il troncone, poi
rimase immobile, sbigottito.... inorridito.... Era il mozziccone....
era la gamba di legno di Taddeo!



XI.


--A Casalbara! A Casalbara! Domani tutti a Casalbara!

Questa era stata la parola d'ordine dei dimostranti di Primarole. E
l'indomani mattina albeggiava appena e già i carabinieri e le guardie
in borghese comparivano qua e là nel piazzale, dinanzi alla villa del
duca.

Piovigginava; tutta la borgata, dai tetti neri, uniformi, pareva più
bassa, in quello squallore dilagante dell'ottobre bigio, nebbioso.

La villa sola, con tutte le finestre chiuse, s'innalzava più tetra, fra
le macchie cupe degli abeti e le macchie giallognole degli ippocastani:
l'acqua cadeva dalle gronde, crepitava sul selciato con un mormorio
monotono, lugubre.

Qualche notizia dei fatti di Primarole era arrivata confusamente anche
alla villa. Pietro Laner ne era rimasto colpito, ne era agitatissimo.
Non aveva potuto dormire e si alzava allora col rimorso, il dolore di
non essere stato il giorno innanzi a Primarole, alla seduta del
Consiglio.... Ma non aveva potuto muoversi da Casalbara, tenuto lì,
sorvegliato da Evelina, la quale aveva ripreso, a un tratto, tutti i
suoi diritti.

Pietro Laner, inebriato, esaltato dall'amore di Nora, era ritornato
poeta; quando Matteo Cantasirena gli ebbe accennato ai pericoli della
_Cisalpina_, per le mene dei soliti nemici, e gli ebbe confidato che
Eleonora non era corsa a Milano per la prova di certe _toilettes_, come
gli aveva dato ad intendere, ma bensì a raccogliere armi e vettovaglie
per la grande battaglia, Pietro Laner, il poeta dell'_Invito_,
dell'_Incanto_, dell'_Inganno_, aveva avuto un impeto di entusiasmo e
di gioia. Egli si sarebbe redento salvando quel nome e quella casa!
Sarebbe corso a Primarole, avrebbe parlato e votato in favore della
_Cisalpina:_ avrebbe dato tutto sè stesso, la vita, e tutto quanto
possedeva. Sì! anche il suo capitaletto, ancora le ventimila lire che
gli bruciavano come un'onta!

Ruy Blas avrebbe salvato la regina.... ed il re!

Ma quest'impeto di poesia, d'amore e di sacrificio, non era punto
condiviso dalla signora Laner. Evelina, anzi, stimava giunto il momento
di aprir gli occhi, d'imporsi al marito, di ritornarsene a Crodarossa.
Avrebbe scritto alle zie che la visita rimandata nell'estate, essi la
facevano adesso, nell'autunno. Ci sarebbe stato un po' di fresco
lassù..., ma poco male.

--Va tutto in rovina!... Bisogna scappare, salvarsi, e salvar la mia
roba!...--mormorava la signora Laner fra sè.

Pietro, a Casalbara, aveva una camera accanto a quella di sua moglie.
Anche il giorno innanzi si era alzato prestissimo, per recarsi a
Primarole e concertarsi col Fontanella e coll'Arcangeli, prima della
seduta del Consiglio. Anche il giorno innanzi si era vestito piano,
ancora col lume.... e già stava per andarsene, quando l'uscio si aprì
lentamente e Pietro Laner si trovò dinanzi Evelina, in camicia, con un
sottanino legato ai fianchi; Evelina, col viso torvo, sudicio, lustro
di sudore e i pochi capelli irti, arruffati:

--Dove vai?--essa gli domandò.

--A Primarole.... Per la seduta del Consiglio....

--A Primarole non si va!...--esclamò la signora Laner avvicinandosi,
fissando Pietro cogli occhi biechi, guerci, che nella penombra
apparivano più incavati. A Primarole oggi non si va!

--Perchè?--ripetè Pietro, rimettendosi dallo sbigottimento che lo aveva
colto al primo istante.--Non hai sentito le raccomandazioni che mi ha
fatto tuo zio?

--Resterai qui!--esclamò più forte Evelina, imponendosi.

--Perchè?... Ma perchè?--replicò Pietro a sua volta ribellandosi.

--Perchè io non ti permetterò di rovinare tua moglie per la tua amante!

--Evelina!--gridò il Laner, alzando la voce e nell'impeto, furibondo,
alzando anche il pugno chiuso.

--Sì, la tua amante!--replicò Evelina, rimanendo ferma, imperterrita,
sotto quel pugno minaccioso.--Ah! Perchè tu eri accecato, come un
matto, e non avevi nessun riguardo, nessun rispetto, nessun freno,
credevi che io non avessi occhi per vedere? Ho sempre visto tutto, fin
dal primo giorno, fin dalla prima sera, dopo il pranzo del ministro,
quando "quell'altra" era ubriaca!...--ed Evelina ebbe un sogghigno di
sprezzo, di sfida,--Ho sempre visto tutto!

Pietro Laner aggrottò le ciglia.

--E allora perchè hai aspettato tanto?... Perchè aspetti adesso a
parlare?

--Perchè.... se ho sopportato tutto.... tutto il resto.... non voglio
che oggi tu rovini tua moglie per la tua amante. Questo no, questo non
lo voglio!

Pietro ebbe un impeto di collera, si ribellò. Quella donna, mezzo in
camicia, che gli appariva come un fantasma fra le ombre della camera e
la scarsa luce rosseggiante della candela, era una ladra. Sì! Essa gli
aveva rubato il cuore, la felicità, la libertà! E sempre, sempre così!
Sempre fra le ombre e la penombra, misteriosamente, perfidamente,
sempre così, come un fantasma!... E adesso voleva rubarle anche il suo
amore! Ah no! Era finita! Adesso si sentiva forte, perchè si sentiva
amato!...

Afferrandola per un braccio, le disse sotto voce, con ira:

--Spieghiamoci! È l'ora di spiegarsi!... Ma senza gridare, parlando
piano fra di noi! Nessuno deve sentirci: perchè nessuno deve sapere chi
sei!... E anche tu cerca d'indovinare.... tutto ciò che io non voglio
dire: che non voglio dire per vergogna di te e di me! Ti basti sapere
che io, adesso, ti conosco, che adesso leggo in fondo all'anima tua, in
fondo alla tua cattiveria, alla tua ipocrisia, alla tua avarizia, alla
tua avidità! Ti basti sapere che oggi io so valutare ogni atto della
tua vita, ogni tua parola, ogni tua perfidia. Ho capito, so, perchè hai
voluto sposarmi, come sei riuscita a sposarmi. Ho scoperto finalmente
la cagione vera, unica, sola, per la quale tu hai chiuso gli occhi,
fino ad oggi. Ho capito tutto! So tutto! Ed oggi sono io, io solo, che
ha il diritto di imporsi e di alzare la voce, e tu, questo lo sai! Sono
io, io solo, che avrebbe il diritto di vendicarsi, e anche questo tu lo
sai. Ma io non voglio scene, non voglio scandali. Vado a Primarole,
subito, perchè sono consigliere d'amministrazione, perchè devo andare,
perchè mi accomoda di andare. E tu ritorna nella tua camera! Ci siamo
spiegati per la prima volta: prega il tuo Dio che sia l'ultima. Va via!

La signora Laner non si mosse, rimase impassibile: continuò a
sogghignare colle labbra stirate, pallide, sottili, mostrando i denti
guasti: un sogghigno, un morso di vipera.

--Sono prudente anch'io,--bisbigliò,--e anch'io parlerò sottovoce. Da
quindici giorni, tutte le lettere che pervengono al duca passano per le
mie mani; ve ne sono parecchie di anonime: parlano delle vostre
passeggiate alla _Madonna del Sole_, delle vostre.... conversazioni
nella selvetta dell'Ercole.... delle vostre colazioni alla _Corona
Bianca!_ Le ho tutte, dalla prima all'ultima: tu vai a Primarole, butta
all'inferno anche quel poco nostro danaro per la tua amante, colla
scusa della _Cisalpina_, va, rovina tua moglie e io consegno quelle
lettere al duca. E bada, il duca non è tale da scherzare, trattandosi
del suo onore.

Così la signora Laner si era imposta a suo marito: e tanto più era
riuscita, in quanto il Casalbara cominciava a sospettare la verità.

Il duca sospettava del signor Laner, del dottor Foresti, di Nora:
sopratutto di Nora. Quella gente lo ingannava; lo tradiva, perchè?...

Qual era il loro scopo? Il loro interesse? Perchè si erano messi in
lega, tutti in lega, contro di lui?...

La quiete, il lungo riposo, il vivere separato dalla moglie, gli
avevano giovato, anche alla sua intelligenza. L'assopimento non era più
continuo: la sua mente si risvegliava tratto tratto colla visione
lucida della realtà, e allora, vigilante, sospettoso, osservava tutto,
spiava tutti, attentamente, acutamente, finchè l'inquietudine stessa,
l'angoscia di quei dubbî, di quei sospetti, l'ansia dolorosa dello
spirito affaticato nella continua tensione, lo prostravano, lo
accasciavano.... e allora, come prima, le idee, i pensieri, i desideri,
la mente tornavano a confondersi, ad annebbiarsi.... a svanire....

--Perchè si erano messi in lega, tutti in lega, contro di lui?...

Nè il dottor Foresti, nè la signora Laner non si erano accorti subito
che il duca cominciava a capire, cominciava a sospettare. Quel vecchio
bamboccio mezzo addormentato, istupidito e inebetito dalla moglie
giovane, non incuteva loro nè rispetto, nè compassione: fra loro due,
quando rimanevano soli col duca, ne ridevano sommessamente: erano
appena mezze parolette, mezze frasi buttate alla sfuggita.... ma che
non sfuggivano al duca, attentissimo, inquietissimo.

--Perchè si erano messi in lega, tutti in lega, contro di lui?...

Il Casalbara, ormai, aveva chiaro anche il sospetto: il collirio di
atropina che gli faceva bruciar gli occhi per un paio d'ore, il regime
rigoroso di vita che gli era imposto dal dottor Foresti, la continua
sorveglianza e la segregazione assoluta, celavano ben altro scopo, ben
altro fine!... No!... non era la sua salute che premeva a quella
gente.... a quella signora Laner così assidua, premurosa, così
melliflua.... e così beffarda.... a quel dottor Foresti, così
ossequioso, umile, servile.... e così falso.... No! Non era la sua
salute, no, no, no!

E non volle più saperne delle istillazioni, non volle più prendere
medicine.

Il dottor Foresti era inquieto. Non aveva ecceduto nell'ubbidire agli
ordini di Matteo Cantasirena?.... Nel prevenire i desideri della
duchessa?

--Attenti, signora Laner,--aveva detto il Foresti.--Il duca sospetta
qualche cosa.

Gli occhi di Evelina guizzarono dietro il barbaglio delle lenti grosse,
traballanti. Si avvicinava il giorno di scappare a Crodarossa!

Il Casalbara era già stato sul punto di smascherare il dottore, di
smascherare la signora Laner, di costringere sua moglie a
confessare;... ma la fatica stessa di dover fare e sostenere una scena
così dolorosa, il timore delle conseguenze di uno scandalo, e lo
sgomento di restare ancora più solo, ancora più abbandonato, di essere
ancora più odiato, lo avevano reso esitante, lo avevano trattenuto....
lo avevano indotto a calmarsi, a sperare.

E poi, se si ingannava?

No.... No.... Non si ingannava. Si erano messi in lega, tutti in lega,
contro di lui!

--Bisognava smascherarli tutti, smascherare sua moglie!...
Quell'infame!...

Ma la verità voleva scoprirla lui solo, da solo!

L'onore della casa, il nome sacro dei Casalbara, il nome di suo
fratello, dovevano rimanere puri, intemerati!

Sua moglie aveva un amante?...

No. Non era possibile. Era troppo fredda, non aveva cuore.

E poi era sempre lì.... a Casalbara.... e lì a Casalbara non c'era
nessuno.--Quel Laner?... Il primo amore.... forse la compassione.... la
pietà?...

No: questo dubbio era assurdo: era una pazzia. La moglie stessa del
Laner non era della lega, non era in lega contro di lui?

Perchè dunque lo tradivano?

Forse un raggiro della vecchia canaglia?... Di Matteo Cantasirena?

Quel dottor Foresti, quella signora Laner erano sue creature....--E
anche sua moglie, era una creatura del Cantasirena.... Ma adesso che
aveva tutto ottenuto.... tutto quello che voleva.... Eleonora, la
regina, la sua stella non si faceva più vedere.... nemmeno vedere!...
Eleonora così buona.... quando voleva esser buona.... Eleonora tanto
bella.... tanto bella!

.... E non pensava più che alla moglie, si addormentava nel pensiero
della moglie, dimenticava Matteo Cantasirena e la _Cisalpina_,
svanivano i timori, svanivano i sospetti.... e tornava a credere nel
dottor Foresti, e tornava a pregare, a supplicare, a scongiurare la
signora Laner di non abbandonarlo:

--Oh, lei.... lei è buona!... A lei non fanno ribrezzo i poveri vecchi,
i poveri ammalati!

.... Nora rimase tre giorni senza mostrarsi: il Casalbara ebbe un
impeto di collera, di sdegno: essa avrebbe dovuto avere qualche
riguardo, almeno per la gente. Mandò a farla chiamare: ma era appunto
il giorno in cui la duchessa si trovava a Milano, occupata col Galli
per le centocinquemila lire.

--A Milano?... Senza nemmeno avvisarmi?

--È andata a Milano per parlare col ragioniere Vigliani, e per provarsi
dei vestiti--si era affrettata a rispondere Evelina.--Ha detto che
tornava stasera, e se i vestiti non erano pronti, domattina. Voleva
salutarla, ma il signor duca dormiva....

--Non dormo sempre.... dormo meno di quanto si crede....--borbottò il
Casalbara.

Tuttavia il duca finse di non arrabbiarsi per quella partenza
improvvisa. Gli era balenata un'idea per scoprire la verità. La
lontananza di Eleonora lo rendeva più forte, più sicuro di sè. Anche il
dottor Foresti era a Milano: meglio: minor sorveglianza, nessun
pericolo di destare sospetti.

La sua grande idea per scoprire la verità era ingenuamente semplice. Di
notte, quando tutti sarebbero stati addormentati, egli, chiuso nella
camera di sua moglie, avrebbe cercato, rovistato, frugato in tutti i
suoi cassetti. Se aveva un amante, se lo tradiva, egli avrebbe trovato
una lettera, un indizio, e allora.... allora sarebbe partito anche lui
per Milano!

Nel cuore della notte, quando tutti dormivano, il Casalbara entrò
infatti adagio, in punta di piedi, furtivamente, nella camera della
moglie.

Aveva pensato, rimuginato a lungo quel suo piano, colla meticolosità
dei vecchi e dei malati: aveva portato con sè tutte le sue chiavi e il
suo grosso coltello di carrozza. Fece scattare subito tutte quelle
deboli e piccole serrature.... frugò, cercò, ma non trovò niente....
niente.... altro che la grazia, la bellezza, il profumo di sua moglie,
dovunque, in tutti quegli oggetti.... Niente, niente, niente!... Povera
Eleonora!... L'aveva calunniata.... Se avesse avuto un amante, egli
avrebbe trovato certo una lettera, un fiore, un ricordo, un indizio!
Invece, nulla!... E cacciava la faccia in quei cassetti aperti,
respirando quel profumo, deliziandosi....

--Eleonora! Eleonora!... Dio!... Dio!... Purchè ritornasse buona, come
le avrebbe data tutta la vita.... Tutta la vita.... per una notte
soltanto.... una notte di Nizza!...

Vedeva la moglie in quella stanza.... la sentiva. Respirava dappertutto
il suo odore di bionda e di _lilas de Perse_....

Si avvicinò al letto; al letto apparecchiato per la notte. Guardò,
baciò, respirò quelle trine, quei veli di batista e di _surah_....
baciò i guanciali.... baciò tutto il letto.... e lì sul letto di sua
moglie, cercando, aspirando il profumo di sua moglie, si assopì....
finì per addormentarsi....

Dormì così fino alla mattina, e fu destato di soprassalto da un clamore
assordante di voci, di grida, di urli, di fischi. Spaventato, scese dal
letto.

Dalle gelosie chiuse entrava un filo di luce....

Non era nella sua camera.... Dov'era?...

Allora si ricordò. Era nella camera di sua moglie. La camera di sua
moglie era in faccia al piazzale.

Ma perchè quegli urli, quei fischi, tutto quello schiamazzo?... A
tentoni si avvicinò alla finestra, l'aprì.... Tutta la piazza era piena
di gente tumultuante.... era piena di ombrelli.... pioveva a
dirotto.... c'erano guardie e carabinieri!...

A un tratto udì una voce forte, stentorea:

--"Morte al Casalbara! Morte ai ladri della _Cisalpina!_"

Tutto il sangue gli salì alla testa con un sussulto Spaventoso.

--Mentitore!--gridò. Ma il grido debole, rimase soffocato nella
strozza: nessuno aveva visto il duca alla finestra; nessuno aveva udito
il suo grido.

In quel punto, due, tre, dieci, venti contadini, una frotta di
contadini, scavalcato il muro di cinta, attraversarono di corsa il
giardino, sotto la pioggia fitta, diguazzando nell'acqua,
precipitandosi verso la casa.

Un carabiniere, alcuni questurini in borghese si staccarono dagli altri
che eran di guardia al cancello, e si avventarono loro incontro per
arrestarli.

--Dove andate?... In dietro! In dietro! In dietro!

--Dal duca! Dal duca! Vogliamo intenderci col duca! Vogliamo i nostri
denari!

I carabinieri, le guardie si oppongono; la colluttazione, corpo a
corpo, sotto il diluvio, si fa violenta, accanita. In quel punto, dalla
gradinata si precipita Pietro Laner, in aiuto dei carabinieri, delle
guardie, scongiurando quella gente a calmarsi, a scegliere una
commissione di due, di tre per parlare al signor duca.... Lui stesso li
avrebbe introdotti.

--Non abbiamo bisogno di voi!

--Non vogliamo saperne di voi!

--Va dalla duchessa!

--Chi siete voi? Ah! l'amante della duchessa!

--Va alla _Madonna del Sole!_ Alla selva dell'Ercole! Arrivederci alla
_Corona Bianca!_

--Va via! Va via! Mantenuto! Lascia fare!

--Noi, si lavora, noi! Mantenuto!

Pietro Laner indietreggia: una parola ancora più turpe, oscena, solleva
i fischi, gli urli di tutta quella gentaglia furibonda.

--Vada via lei!... Vada via!--gli bisbigliano le guardie, i
carabinieri,--o noi non si risponde più di niente.

Pietro Laner indietreggia ancora livido, allibito, fradicio.... sale la
gradinata.... nuovi improperi, urli, fischi, sassate.... Non ode più
nulla, gli si annebbiano gli occhi.... barcollando entra in casa, si
trova dinanzi allo spettro del duca e fugge.... fugge ancor più
spaventato, come impazzito.

Il duca di Casalbara solo, senza cappello in testa, si affaccia
sull'alto del terrazzo.

--Il duca! Il duca!--grida la folla e tutti lo circondano
tumultuosamente.

--Vogliamo i nostri denari!

--I ladri della _Cisalpina_ ci hanno rubato le nostre paghe!

--Il nostro sangue!

--Vogliamo giustizia!

--Sì!... Sì!... Sì!...--risponde il duca balbettando; cogli occhi
sbarrati, fissi nel vuoto.--Sì!... Sì!... Sì!... Giustizia fino
all'ultimo!... Giustizia per tutti!... Giustizia fino all'ultimo....
Lei!... Lei!...

L'occhio è sempre fisso nel vuoto, le labbra tremanti, livide, gonfie,
le vene delle tempie turgide, pulsanti.

--Giustizia!... Giustizia fino all'ultimo.... Lei!... Lei!... A Milano!

Il pretore, corso lì colle guardie, e il delegato colgono a volo quella
parola: Milano.

Pensano di allontanarlo, di allontanare il pericolo e così ottenere la
calma.

--Il signor duca parte subito per Milano! Per parlare col prefetto! Per
far arrestare i ladri.... Per rendervi giustizia!

--Sì!... Sì!... Giustizia!... Giustizia fino all'ultimo!

--Adesso! Subito!...

--C'è la corsa!

--Bisogna aspettar la corsa!...

--Giustizia!... Giustizia!... Giustizia per tutti!... Giustizia fino
all'ultimo!--e il duca borbotta ancora fra sè:--Ammazzarla....
Ammazzarla.... Lei!

La gente, sotto gli ombrelli, non si muove dal piazzale, ma non è più
minacciosa.

--Povero vecchio! Non sapeva niente! Era ingannato! Era tradito come
noi!... Il Casalbara! Il duca!... È sempre stato buono! I Casalbara
sono sempre stati la provvidenza del paese!

E quando il duca attraversò la folla per recarsi alla stazione, scoppiò
un urrà d'applausi:

--Viva il Casalbara!

--Viva il Presidente della _Cisalpina_!

E gridando: Viva il Presidente! Viva il Casalbara! e agitando,
squassando gli ombrelli lo accompagnano alla stazione.

Il duca, di tutta la scena, non ha impresso che quella parola: "ladro"
confusa col nome dei Casalbara, e la rivelazione dell'infamia di sua
moglie nelle urlate della folla, contro il Laner, contro "l'amante
della duchessa!"

Coloro che lo hanno accompagnato in vagone, un suo fattore ed un suo
vecchio fittabile, lo spingono al finestrino per ringraziare la folla,
che continua ad applaudire, a gridare evviva, ad agitare i fazzoletti e
gli ombrelli.

--Giustizia!... Giustizia fino all'ultimo! Giustizia per
tutti!--risponde il Casalbara e torna a sedere, a balbettare col
tremito delle labbra violacee: Giustizia.... Giustizia.... Milano....
Giustizia....--e poi più rauco, più sottovoce, sussultando:--Lei....
Ammazzarla.... Lei!

Giunto a Milano, alla stazione, si sente quasi mancare: beve, ingoia un
bicchierino o due di cognac... Non vuol essere più accompagnato da
nessuno, assolutamente.

--Sto bene!.... Mi sento bene!...

Gli altri lo lasciano andare in brum, ma poi gli tengono dietro, pure
in carrozza.

Quando il brum si ferma dinanzi al palazzo, il portiere accorre.... lo
aiuta a scendere.

--Lei?... Lei?...--borbottò il Casalbara.

--La signora duchessa?... È in casa, Eccellenza; è in casa.

--È col signor Cantasirena,--gli dice la Vittorina sopraggiungendo. E
lo aiuta a salir le scale.

Il duca, arrivato nell'anticamera, impone alla Vittorina di fermarsi.
Si avanza solo, barcollando. A brevi passi precipitosi, appoggiandosi
ai mobili, arriva al salottino di sua moglie.

Nora, vedendolo, getta un grido. Il duca si appoggia allo stipite
dell'uscio, la fissa.... la fissa in un modo terribile.... vuol
parlare.... imprecare.... alza la mano come per maledirla, per
colpirla, ma la parola gli resta soffocata, strozzata.... non gli esce
dalla bocca che un rantolo.... Si piega su sè stesso, fa per
abbrancarsi alla tenda della portiera e stramazza, rotolando sul
tappeto, ai piedi di Nora.

--Dio! Dio! Dio!...

--Giovanni!... Giovanni mio!...--balbetta pallido, allibito Matteo
Cantasirena. E lo solleva a stento, lo porta, trascinandolo, sul
canapè.

Nora, rimane immobile, muta.

Il Casalbara aveva gli occhi sempre aperti, fissi, sbarrati: dal naso,
dalla fronte gli gocciolava il sangue: il respiro rantoloso gli portava
un gorgoglio di schiuma bianca, sulla bocca storta, contratta.



XII.


I disordini di Primarole e di Casalbara! Anche a Milano non si parlava
d'altro.

Due morti! Parecchi feriti!... Il duca Giovanni, il presidente della
_Cisalpina_, il solo gentiluomo fra tanti imbroglioni, preso a sassate,
scampato a stento dalla marmaglia furibonda!

--Ecco le colpevoli catastrofi che preparano, che affrettano la
rivoluzione sociale!...

--E chi meno ne ha colpa, paga per tutti!

--Quel povero Tolomei? La _Cisalpina_ gli ha dato il tracollo! Il
Bizzarelli, il Vergani, il Palazzoli, il Brunetti?... Tutti
galantuomini, gente di lavoro, padri di famiglia, buttati sul
lastrico!... Anche il conte Bobboli, tirato dentro pei capelli,
intimidito, ricattato, come forse il Duranti! Anche il Beretta, persino
donna Alessandrina, la madre di Pio Calca!... Tutti senza un soldo!

--È un _crac_ terribile, che rovina mezza Milano.

Ma poi la gente seria cominciava a infastidirsi:--Peggio per loro! Per
l'ingordigia di far milioni in un anno, per l'ambizione, per la smania
del ciondolo di deputato, non dovevano fidarsi di una canaglia come il
Cantasirena, di un ambizioso imbroglione come il Fontanella!

E i giudizi a mano a mano mutavano, e cominciavano le insinuazioni e le
accuse.

--Quanto al Tolomei,--sussurravano i meglio informati,--è sempre stato
uno spiantato. Vive di questo: si guadagna la vita a furia di andare in
malora!

--Tutti gli altri? Il Bizzarelli, il Brunetti, il Vergani? Creature del
Cantasirena e del Fontanella! Fantocci, teste di legno; tutta gente che
casca in piedi!

--Quel beì del conte Bobboli? Ne ha sempre fatte di tutti i colori....
dal bianco d'avorio al nero d'ebano!

--Chi però ci lascia la pelle sono i pesciolini minuti; quei poveracci
di campagna, adescati, ingannati, sfruttati colle azioni e cogli
appalti! Questi sono da compiangere! Questi gridano vendetta!

--Ci vuole un esempio! Un esempio di "alta moralità".

--Ma il Fontanella, il Cantasirena, si cacciano in prigione sì o no?

--Bisogna purificare l'ambiente!

--E riguardi per nessuno!... Tutto il Consiglio d'amministrazione sotto
processo!... E anche il presidente! Anche il Casalbara!... Peggio per
lui se è un imbecille; non doveva ficcarsi negli affari!

--E poi, anche il Casalbara, non si pappava venticinquemila lire di
stipendio?

--Dicono cinquantamila, senza le rappresentanze e il resto!

--Sotto processo anche il Casalbara!

--È ora di finirla coi riguardi, coi privilegi! Ci vuole un esempio!

--Bisogna purificare l'ambiente!

--Ma il governo che fa?

--Il Governo manda i suoi ministri a Primarole!

--La colpa è del prefetto!... Un camaleonte!... Un pusillanime!... E
anche il Bonforti e il Ghirlanda, i radicaloni, i socialisti che
sostengono la _Cisalpina_ per paura di perdere il collegio!... È una
vergogna, uno scandalo!

Intanto un'altra voce cominciava a diffondersi, una voce che si voleva
soffocare, ma che a mano a mano correva più insistente, più
impressionante.

Il signor Galli, il procuratore della banca Kloss era scappato in
America! No, era scappato in Grecia! Era scappato con duecentomila
lire!

Il Kloss protestava che non era vero niente, il suo procuratore era a
_Turin_.

--_In tucc ciaccer_!

Ma non credevano più nemmeno al Kloss.--Il Galli era proprio scappato:
l'ammanco era di mezzo milione!--Aveva messo in pratica il socialismo
per proprio conto, quello lì!

--Ma se pareva un galantuomo? Aveva giuocato in Borsa?... No! _Cherchez
la femme_! Una donna? Il Galli? Un uomo tutta famiglia! Un uomo serio,
posato?

--Invece aveva una relazione segreta, con una delle signore più
eleganti dell'alta società alla quale pagava conti per molte migliaia
di lire!...--Ma no, non era una signora!... Era una ballerina! Erano
scappati insieme!...

--_In tucc ciaccer_!--continuava a ripetere il Kloss. Ma un giorno, in
un _braccio morto_ della Vettabia, nelle acque limacciose, sporche,
nere, inquinate dalle vicine tintorie, fu pescato un cadavere gonfio,
sfigurato. Era il procuratore della Banca Kloss; era il signor Galli.

--Altro che scappare con una ballerina! Si è buttato nel _Naviglio_, si
è annegato!

--Ma la ragione del suicidio?

--La _Cisalpina_!

--Era stato tirato dentro nella _Cisalpina_! Aveva conosciuto Matteo
Cantasirena dal duca di Casalbara! Si era lasciato suggestionare!

E quel suicidio del Galli, riverberava una luce ancor più sinistra
sulla _Cisalpina_, sui misteri della _Cisalpina_, sulle influenze
losche, tenebrose di quella vasta associazione di malfattori che si
chiamava la _Cisalpina_, e tutti protestavano che volevano la luce, la
luce, che bisognava rischiarare, purificare l'ambiente!

Anche i giornali gridavano alto, su tutti i toni:

--Si determinassero nettamente le responsabilità!

--Si facesse un'inchiesta severa, esauriente!

Ognuno però voleva che si cominciasse in casa del vicino....

Matteo Cantasirena, il Fontanella, tutto il Consiglio
d'amministrazione, non dovevano essere i capri espiatori di nessun
interesse privato, di nessuna camorra.

--Il pubblico ha diritto di sapere di che genere furono le
compromissioni del Bonforti e del Ghirlanda!--gridavano gli
uni.--L'inchiesta non deve arrestarsi alla soglia dei palazzi
prefettizi!--gridavano altri.

E altri ancora:

--E neppure deve arrestarsi dinanzi alla sagrestia e alla Curia! Fuori
tutti i pasticci della fabbricceria di Castellanzo col Fontanella! Alla
gogna anche i preti e i monsignori della _Cisalpina_!

Il fermento era straordinario: la moralità politica, la moralità
sociale volevano un esempio, imponevano la luce: la luce piena, intera,
senza privilegi, senza immunità, la luce su tutto, la luce su tutti!

E un raggio appunto di questa luce tanto desiderata, di questa luce
tanto invocata avrebbe potuto diffondersi.... per mezzo del Kloss, del
commendator Francesco Kloss, il quale, rovistando nella scrivania del
suo procuratore, aveva trovato il famoso dispaccio spedito al Galli
dalla duchessa:

"Arrivo stasera Milano. Venga subito.

"ELEONORA CASALBARA"

E mentre faceva questa scoperta, il Kloss veniva pure informato dalla
Banca Insubria dei due _chéques_ per centocinquemila lire, intestati a
Matteo Cantasirena, e firmati dal Galli.

--_La pionta pericolosa_!... Il trabocchetto!--esclamò il Kloss.

Infatti fra la data degli _chéques_, e la data del dispaccio, la
distanza era appena di ventiquattr'ore.... Ed erano quei giorni appunto
in cui il signor Galli doveva recarsi a Torino, i giorni della sua
scomparsa, del suicidio!

--_La pionta_!... Il trabocchetto!

Il Kloss abile e scaltro, che conosceva la abilità e la scaltrezza
della duchessa, aveva intuito facilmente il dramma accaduto fra lei e
il suo procuratore: _lacrime, setuzion...._ e poi, passata la cotta, il
rimorso, il suicidio!... _Robb de Statera_!... ma anche _de procurator
del re!_

E, facendo subito la sua brava denuncia, forse sarebbe riuscito a
salvare ancora, tutte o in parte, le sue centocinquemila lire.

_--Adacio!... Adacio!_

Il Kloss voleva pensarci e riflettere seriamente prima di muovere un
passo.

--Un _process_?... Un processo di quel genere, a Matteo Cantasirena,
alla duchessa di Casalbara?... Al Casalbara?... Un processo da mettere
sossopra tutto il mondo? E poi, come sarebbe andato a finire? Se
venivano in ballo.... i suoi primi affari.... a Praga?...

Un _process_, è sempre una disgrazia anche per chi lo fa.

--_Mi avessi per massima ceneral_--diceva il Kloss--_in casa, pussée
mei i later, della ciustizia!_

Ma anche il perderci centocinquemila lire non era nelle sue massime,
nelle sue idee, nemmeno nelle sue forze! Bisognava trovare il modo di
impattarsi.... ma _cito cito_, queto queto, senza far _bortel_!

Intimare a Matteo Cantasirena di restituire la somma?... Era un
pretendere l'inverosimile. Imporne la restituzione alla duchessa?... Al
_vecc_? Erano tutti spiantati.

Invece, questo era da fare: La _Cisalpina_ dichiarata in
liquidazione.... ed essere nominato lui, il liquidatore con pieni
poteri. C'era da riguadagnarle più volte le centocinquemila lire: prima
nella liquidazione stessa: poi nell'impresa dei tram elettrici.... Aver
nelle mani il segretario generale, voleva dire aver nelle mani anche il
Fontanella e gli altri....

--Ecco l'affare!... ed ecco _l'ultimatum! Liquitazione_ della
_Cisalpina: liquitatore mi_, coi pieni _poter_!

E per mia parte, cito, silenzio! E non si parla più _de process_!

I processi fanno paura a tutti e ai _galantom_--concludeva il Kloss
alludendo a sè stesso--_pussée anca mò!_

E per intendersi?

Doveva scrivere a Cantasirena di venire nel suo studio?... Mandare a
chiamare quel Mariano Perego?... Fissare un appuntamento?...

Tutto ciò gli seccava.... In quei giorni avrebbe dato nell'occhio; e
poi.... tirarsi fra i piedi i _giornalista_.... Niente!

Gli balenò un'idea: un fiotto di sangue gli montò alla testa, gli fece
luccicare gli occhietti e arrossir la pelle sotto i baffi tinti e duri.
Saltò di colpo dal canapè sul quale si era buttato.

_--Cuella matama! La matama! Lei stessa!_

Adesso non era più il caso di scappare, di fare il _casto Ciuseppe_:
adesso la _catta l'aveva in te le man_, colle unghie ben tagliate! Più
nessun pericolo per i tanee!

--Con quel famoso dispaccio, _semm nun che comanta_!

Andò dalla duchessa subito, sul momento.

--_La c'è_?--domandò al portiere senza tante cerimonie.

Il portiere gli rispose di sì, che la signora duchessa era in casa, ma
che, stante la malattia del signor duca, assolutamente non riceveva
nessuno.

--Va _supito_ ad _afertirla_ che _sont chi mi_!

Il portiere chiamò la Vittorina per far annunziare alla signora
duchessa, che c'era il commendator Kloss, il quale aveva premura di
parlarle.

Nora era in camera di suo marito. Essa non lo abbandonava più, non lo
lasciava mai, nè giorno, nè notte: nessuno doveva entrare in quella
camera, tranne il dottor Foresti.

Il Casalbara aveva riacquistata l'intelligenza, ma non la parola, non
la forza; però il dottor Foresti aveva detto alla duchessa che avrebbe
potuto riaversi da un momento all'altro.... Ed era quindi Nora stessa,
lei sola, che gli voleva fare da infermiera, adattando le sue manine
pallide, profumate ai servizi più umili, sempre attenta, premurosa,
affettuosa, sempre carezzevole, colla sua voce limpida e fresca.

Ma il Casalbara, nel letto, seduto, curvo, appoggiato a un monte di
cuscini, non pareva commuoversi a tanta devozione, a tante
amorevolezze. Egli fissava sulla moglie i grandi occhi sbarrati,
iniettati di sangue, con una espressione strana, intensa di collera, di
odio. Le vene turgide, pulsanti delle tempie, il viso rosso, gonfio, le
labbra violacee, tremanti, il respiro affannoso, corto, esprimevano lo
sforzo di una parola che egli voleva dire, ma che non gli riusciva
dire, che rimaneva soffocata, strozzata in un rantolo....

Quando la Vittorina, alla quale era stato proibito come agli altri, di
entrare nella camera del signor duca, chiamò fuori la duchessa per
dirle della visita del commendator Kloss, Nora trasalì vivamente.

Il Kloss veniva a parlarle del signor Galli!... Era quello che essa
presagiva, che paventava fin dal primo giorno del suicidio. Pure riuscì
a vincersi. Ordinò alla Vittorina di far entrare il commendator Kloss
nel salotto. Poi si avvicinò, si curvò per dire al marito:

--Vengo subito....--e uscì chiudendo bene l'uscio della camera,
chiudendo bene anche gli usci delle altre stanze che mettevano nel
salotto.

L'occhio del Casalbara seguì la moglie fisso, sbarrato.... le vene
delle tempie gli pulsavano più turgide, violette, e la parola
inarticolata, strozzata, il rantolo era più affannoso, più forte.

Nora si presentò al Kloss diritta, sicura, ringraziandolo con un mesto
sorriso, mentre si asciugava gli occhi, mentre si accomodava la massa
dei capelli che le cadevano da tutte le parti.

Finse di credere che il Kloss fosse lì per informarsi di suo marito e
gli stese la mano, con un'aria intima, in cui la cordialità,
l'effusione e il dolore, conservavano tutta l'alterezza, tutta la
dignità signorile.

--Grazie, di essere venuto. Giovanni la vedrà certo volentieri. Vuol
passare?--E accennò verso la camera del marito.

--Niente! Niente!--rispose il Kloss colla voce sgangherata e facendo un
saltetto nell'inchinarsi.--_Mi venissi_ forse importuno dalla signora
duchessa, per un semplice schiarimento.

Vedendola, dopo tanto tempo, vedendola ancora più bella, più fresca,
più rosea e così bionda nel disordine della toelette, nel morbido
languore delle lacrime, gli occhietti del Kloss scintillarono umidi,
torvi. Ma si scosse con un altro inchino, un altro saltetto, e si
sforzò per contenersi.... e per parlare bene l'italiano, volendo dare
maggiore gravità, maggior imponenza al discorso.

--Lei sa, _vera_, del Galli?... Del suicidio?

Nora si era preparata a quella parola, pure non potè vincere un
tremito, e fece un atto colla faccia impallidita per dir di no: ma le
mancò il fiato, non potè parlare.

--Sicuro: _cherchez la femme!... diseven intorno_.--E il Kloss fissò
Nora, torcendosi, mordendosi i baffi duri finchè la costrinse a
impallidire nuovamente, a chinare il capo, a tremare.

--_Diseven_, che aveva preso il volo con una ballerina. Invece niente
del tutto: si tratta d'un suicidio avvenuto.... _per compinazion_ il
giorno dopo il suo arrivo a Milano. Le fa impressione, _vera_?

--Infatti....--bisbigliò Nora, la quale perdeva la forza, il coraggio,
e vacillando si lasciava cadere sul canapè.

--_Anche a mi! Restassi_ di colpo.... _spalortito_!--e il Kloss, senza
far complimenti, sedette pure sul canapè, vicino a Nora, sdraiandosi,
dimenando le gambette arcuate; poi tornò più grave, per dar più forza,
più importanza al discorso, per spaventar la duchessa ancora di
più.--Io avessi _supito_ pensato a lei!

--A me?.... A me?... Perchè a me?...--balbettò Nora, sforzandosi, ma
diventando sempre più pallida, più tremante.

--Per poter _afere_.... qualche _dilucitazion_. Lei _savarà_ che io....
cercando _fra i cart_, fra le carte del Galli, ho trovato questo
dispaccio.... _soo de lee_...., della signora duchessa.

E il Kloss, che non portava guanti, ficcò le dita pelose nel taschino
del panciotto e ne tirò fuori il dispaccio di Nora, che spiegò e lesse
lentamente:

  "Arrivo stasera Milano. Venga subito.

                              "ELEONORA CASALBARA."

Il Kloss la guardò, la fissò, poi d'un tratto diventò risoluto,
violento, villano:

--Lei sa tutto del _suicidi_!

--Ma io non so niente! Non so niente! Le giuro che non so niente!... Io
gli ho telegrafato perchè gli volevo parlare dei miei soliti affari....

--Nossignora--e il Kloss alzò la voce--lei voleva dei _tanee_!

--Ma io non so niente!... Io non capisco niente!... Io volevo parlare
al signor Galli, è vero.... gli ho parlato.... degli affari di.... di
Giovanni.--E smarrita, tramortita, colla voce rotta, congiunse le mani
supplichevole; pareva volesse inginocchiarsi dinanzi al Kloss.

--No, signora!... Lei _foleva_ centocinquemila _lir_!

L'ardire, l'audacia, la sfrontatezza solite in Nora, questa volta, a
questo colpo, le mancarono d'un tratto: si sentì serrare il cuore, la
gola, si sentì agghiacciata dallo spavento, sussultò con un singhiozzo,
uno schianto convulso.... e abbassò il capo. I capelli le si snodarono;
una treccia grossa le scese sulle spalle.

Il Kloss ebbe un lampo negli occhi, un impeto, ma si contenne.

Gli affari innanzi tutto.

--Io _desiderassi_.... io _volessi_ assolutamente che lei facesse uno
sforzo per _ricortarsi_ bene _de tut coss_.... di tutto quanto.... Il
suo dispaccio coincide con un'altra circostanza.... molto
aggravante.... con due _chéques_ del complessivo importo, appunto, di
centocinquemila lire, firmati dal Galli, come mio procuratore, a favore
del signor Matteo Cantasirena. E io, mi _quartassi pen_, non devo
nientissimo a _quel scior_!... Come spiega lei la coincidenza del suo
dispaccio coi due _chéques_? E suo _patre_, suo zio, quel _scior_, o
chi per esso, all'_Insubria_ hanno riscosse le mie centocinquemila
lire....

Il Kloss balzò in piedi di colpo.

--Basta colle lacrime! Basta _tremar_--esclamò afferrandole un braccio,
scotendola.--_Se rispond_! Si risponde!

--No! No! No!--esclamò Nora spaventata, arretrandosi, protendendo le
braccia.--No! No! No!

Si vedeva arrestata; trascinata dinanzi al cadavere del signor
Galli.... vedeva la grossa testa gonfia, livida....

--Perdono! Pietà! Compassione!...--E singhiozzando, tremando, non ebbe
più coraggio di mentire, non ebbe più coraggio di negare; continuava a
implorare pietà, a implorare perdono.

Il Kloss, la guardava sempre con un barbaglio umido negli occhi torvi;
poi, incollerito, battè un piede per terra perchè l'altra smettesse di
piangere, lo ascoltasse; e da padrone, duramente, aspramente, impose le
sue condizioni, che furono ascoltate con terrore, con spavento.... che
furono tutte accettate, sommessamente, umilmente, con dei "sì" appena
intelligibili, bisbigliati con voce fievole, tra i brividi, i tremiti,
i singhiozzi soffocati.

Gli affari, innanzi tutto: La _liquitazion_ immediata della
_Cisalpina_: lui, Francesco Kloss, nominato _liquitator_, con pieni
poteri. Nora stessa doveva parlarne con suo _patre_, con suo zio, con
quel _scior_--avvertirlo di tutto, perchè il Kloss voleva averlo il
meno possibile tra i piedi.

E brevemente, sopra un foglietto di carta, scrisse ciò che lei stessa
doveva far sapere immediatamente a Cantasirena. Sarebbe tornato la sera
per la risposta.

--Ecco: _patta pacatt_, pari e patta, e cito. _Mi perdessi_, io ci
perdo centocinquemila lire, ma _cuel scior_ Cantasirena--concluse il
Kloss, diventando galante--se non va in _calera_, deve _rincraziarla_
lei!

E con un saltetto, si buttò sul canapè, tirandosi vicino a Nora,
sdraiandosi.

Nora si ritrasse ancora spaventata.... Ma poi, subito, fu lei che si
avvicinò, lo guardò come ringraziandolo.... lo guardò con un sorriso
che appariva ancora timido, spaurito fra le lacrime.... Tornò a
guardarlo tremando, chinando gli occhi, chinando il capo....
arrossendo.

Il Kloss dimenando le gambette, si sdraiò di più, più vicino. Poi, con
una sghignazzata, e per farle capir subito che con lui bisognava metter
da parte le arie di duchessa e le smorfie ingenue, le domandò:

--E _cussì_?... Abbiamo notizie della Schönfeld?... _Del noster bel_
contessone?

....Il Casalbara, seduto sul letto, curvo, appoggiato a un monte di
cuscini, teneva gli occhi sempre fissi, sbarrati sull'uscio dal quale
era uscita sua moglie.... gli occhi iniettati di sangue, pieni di odio.



XIII.


Quando Francesco Kloss, entrò alla sua Banca, tornò a rifare tutti i
calcoli attentamente, diligentemente. Centocinquemila lire erano bene
spese, al patto di _afere in te le man la liquitazione_ della
_Cisalpina_.

Un affar d'oro!

Tuttavia, gli affari davano al Kloss le ansie, le inquietudini
dell'artista che cerca la perfezione nell'opera propria.

Centocinquemila lire erano bene spese!... Ma poterle risparmiare
sarebbe stato _mei anca mò_!

E pensava.... pensava.... arricciandosi i baffi, sogghignando.

Obbligare Matteo Cantasirena a riconoscere questo suo debito.... per
tutti i casi?... Obbligarlo ad una restituzione, anche rateale, in un
tempo indeterminato?

Chissà!... Ma poi gli balenò un'altra buona idea, un'idea migliore.

--Sicuro: questo.... è più che giusto.

E scrisse egli stesso alla vedova del signor Galli, perchè venisse
subito alla Banca.

Fece dei conti rapidamente, sopra un fogliettino di carta volante: fra
stipendio e partecipazione agli utili, il signor Galli avrebbe avuto un
credito di cinque o seimila lire. Più, alla Banca era depositata una
polizza di assicurazione fatta dal Galli, intestata alla moglie per
ventimila lire. Venticinquemila lire dunque il Kloss le poteva
risparmiare.

Quando entrò la signora Galli, egli non si alzò, non la salutò, non la
guardò nemmeno. In poche parole le disse di che si trattava. Suo marito
si era suicidato dopo aver truffata la banca di centocinquemila lire.
Per salvare il buon nome del signor Galli egli era disposto a
dichiarare che aveva trovato tutto in perfetta regola, e anche a
spiegare e a giustificare il suicidio nel modo il più attendibile: ma
ben inteso, la signora Galli doveva concorrere.... a riparare al
danno.... rinunciando a qualunque credito del marito "per stipendi,
eccettera" e anche all'assicurazione.

La povera donna era entrata nel gabinetto del Kloss senza poter
parlare, colle lacrime che le gocciolavano dagli occhi; accennò di sì,
lentamente, e se ne andò, sempre piangendo, sempre senza poter
proferire una parola.

Il Kloss, mentre essa usciva, alzò il capo e le tenne dietro collo
sguardo.

--_Quel vecc era molto tenero coi pei tonnett_! Anche _cuella_ lì, era
riuscita a farsi _sposar cont un fioeu_ d'un _alter_!...

Dopo pranzo, subito, Francesco Kloss tornò dalla duchessa, per avere la
risposta, e ritirare l'obbligazione in piena regola di Matteo
Cantasirena.

Fece molto tardi dalla duchessa, e giunse tardissimo al _Cova_, a
prendere il caffè e latte, nel solito crocchio d'amici: tutta gente
dell'alta finanza, ricchi industriali, deputati. E portò in quel
crocchio due notizie: la notizia della liquidazione della _Cisalpina_,
e quella del povero Casalbara sempre più aggravato.

I _tispiasè_ della _Cisalpina_, le esagerazioni, le calunnie avevano
peggiorato precipitosamente il suo mal di cuore. E parlò della
duchessa, della assistenza che prestava al marito, dello sue cure, con
un entusiasmo, un calore affatto insolito.

--_È una tonna marafigliosa!... marafigliosa de coragg_!

Poi annunciò che il giorno dopo avrebbe pubblicata una dichiarazione
nell'_Italia_, una dichiarazione esplicita, che avrebbe tagliate le
gambe ad una infinità di dicerie.

--Anche i _tisortini di Primarol_? Tutte mene dei _socialista_! È ormai
tempo di finirla _coi ciacer_!

Gli altri del crocchio, gli amici, lo guardavano stupiti.

--Come?... se aveva sempre gridato contro quella carnovalata?

Il Kloss cominciava a contradirsi.

--L'_attuazion_ era sbagliata; ma l'idea fondamentale del _Fara-pon_
era eccellente. Perchè tante spese, perchè ricorrere alla
_navigazion_... quando si può servirsi benissimo dell'elettricità?...
La _Cisalpina_ aveva fatto _i robb tropp all'incrande_: i suoi
amministratori _mi li contannassi_ per spensieratezza, per
inesperienza, ma per _latreria_ questo poi no! Erano tutte
esagerazioni, calunnie, le quali non facevano altro che scuotere la
fiducia nei nostri affari.... nel nostro credito. Quel Matteo
Cantasirena è un _mecalomane_, questo si può dirlo impunemente. _L'è_
el padre eterno di _badalucch_! _Cuel_ Fontanella, _l'è_ un
progressista poeta.... che fa ai _pugn cont_ l'aritmetica: ma gli
architetti, _i ingegnee_ sono tutti eguali! Una disgrazia.... a chi la
capita! Un _Cuarantott_! Ma nel comitato c'era di _fior de personn_.
_Cuel_ Brunetti, il Vergani, il Bizzarelli?... _Cuel tetescon_ del
Duranti?... E del presidente, del Casalbara?... Parlemen no!... Il
povero vecchio ci lascia la pelle!... Un uomo _straortinari_!... Un
patriotta dei più _penemeriti_!

Gli altri s'interessavano: il Casalbara era sempre stato un gentiluomo
perfetto, una bravissima persona: certo anche in quella guerra contro
la _Cisalpina_ c'erano state grandi esagerazioni.

--Rivalità d'interessi! Però un uomo che può vantare il passato del
duca di Casalbara, deve imporre un certo rispetto, una certa
discrezione nei giudizi.

Il giorno dopo comparve nell'_Italia_ la lettera del Kloss, colla quale
"per debito di coscienza e di lealtà" egli dichiarava esplicitamente e
formalmente che tutte le dicerie messe in giro circa il suicidio del
suo egregio e compianto procuratore signor Ambrogio Galli erano affatto
destituite di qualsiasi fondamento. La probità dell'estinto era
superiore ad ogni sospetto. Il suicidio si doveva attribuire ad una
malattia di fegato che già affliggeva il signor Galli da molti anni,
con forti assalti di nevrosi ipocondriaca, malattia che il signor
Galli, pur troppo, aveva saputo essere ormai incurabile".

E in un'altra parte del giornale, v'era poi la notizia dello stato
gravissimo del duca Giovanni di Casalbara, senatore del regno, col
seguente commento: "I gravi fatti di Primarole e di Castellanzo hanno
certo influito sulla salute, già da tempo assai cagionevole,
dell'illustre patriotta. Rimane però la speranza, che l'assistenza
esemplare, le cure affettuose, assidue della duchessa di Casalbara,
ammirabile di coraggio, di devozione, di abnegazione, abbiano a
conservare un'esistenza tanto cara e preziosa alla patria."

La sera stessa, le _Risorse Italiche_ riportarono la dichiarazione del
Kloss.

E in prima pagina avevano due colonne coi particolari della malattia
del senatore Giovanni di Casalbara, "unito al nostro direttore da
affetti e da legami più che filiali". E già si ricordava la sua vita,
cominciando dall'arresto del fratello Eriprando, poi le sofferenze, il
martirio, l'esilio, i grandi sacrifici, poi l'operosità pel bene del
paese, poi come egli pure fosse stato con altri attratto dalla sublime
utopia del Fara-Bon, e come la sconfitta e gli attacchi avessero
colpito il suo cuore generoso, magnanimo. "Angelo caro e salutare del
conforto, veglia al letto dell'illustre infermo la giovane sposa, fra
le gentildonne italiane, esempio purissimo di amore, di virtù, di
sacrificio."

Tutti gli altri giornali, i giornali amici del Bonforti, i giornali
amici del Ghirlanda, i giornali ispirati dal Governo e i giornali
ispirati da Pio Calca e da monsignor Meneguzzi, tutti quanti, si
affrettarono a pubblicare la dichiarazione dell'onorevole commendator
Francesco Kloss, relativa all'avvenuto suicidio del suo procuratore,
l'integerrimo signor Galli, affetto da incurabile malattia di fegato, e
tutti pubblicarono pure, ogni giorno, il bollettino firmato dal dottor
Foresti, sulla malattia dell'illustre patriotta, Giovanni di Casalbara,
senatore del regno.

Le notizie del duca si facevano a mano a mano più gravi, e a mano mano
veniva maggiormente ammirata la nobilissima signora duchessa,
instancabile nelle cure, nell'affetto, nella devozione.

--_L'è una tonna motèl_!--esclamava il Kloss ogni giorno più incantato
ed entusiasmato.

Sebbene i brogli e i pasticci della _Cisalpina_ fossero imputabili
soltanto a Matteo Cantasirena e al Fontanella e questi due soltanto ne
avrebbero dovuto rispondere, non erano però essi soli i più atterriti
dall'idea di uno scandalo, di un processo. Dal più al meno lo temevano
tutti, anche le vittime; i danneggiati, gli sfruttati, come gli
sfruttatori.

Aveva ragione Francesco Kloss:

--Era ormai tempo di finirla colle chiacchiere, colle esagerazioni!

I due deputati di estrema sinistra che avevano fornicato col segretario
generale della _Cisalpina_ per assicurarsi il collegio, la triade del
Bizzarelli, del Vergani, del Brunetti sbrogliatasi di sotterfugio per
passare agli ordini e alle imprese del Kloss, quel conte Bobboli-beì
sempre in ansie per le sue campagne africane, il Tolomei che in molte
distrette di denaro aveva scritto e invocato egli pure, e il Duranti
sempre pauroso di veder rievocare insidiosamente la devozione di suo
padre, i servigi di suo padre a casa d'Austria.... chi mai avrebbe
desiderato che si rimestasse nelle acque limacciose della
_Navigazione_? Nessuno dei consiglieri e nessuno forse degli azionisti,
di quelli almeno che avrebbero potuto farsi valere, esigere davvero la
luce.

Monsignor Meneguzzi, per esempio, avrebbe dovuto, anche a nome della
moralità, a nome del partito cattolico, spiegare la sua energia, la sua
influenza. Ma ahimè! Anche il Monsignore delle contesse, aveva avuto il
torto di scrivere troppi bigliettini.... alla duchessa della
_Navigazione_! Attaccati, quei radicali sarebbero stati capaci di
tutto. Che cosa avrebbe detto l'Arcivescovo se fosse venuta alla luce
quella letterina.... in cui il prelato inviava alla bella signora una
preziosissima reliquia di santa Isabella, sorella del re di
Francia--anche i santi di Monsignor Meneguzzi erano tutti
aristocratici--pregandola di accettarla come sua memoria in cambio di
quell'anello, che per lui sarebbe stato un gaudio dello spirito il
poterle offrire, il poterle lasciare.... infilato nella manina candida
e pura come un pensiero di San Luigi, ma che era costretto a domandarle
di ritorno per i commenti di Pio Calca, un ragazzaccio pettegolo e
sciocco? Che cosa avrebbe detto l'Arcivescovo?

Era meglio invece adoperare anche l'influenza dell'Arcivescovo, perchè
quelle chiacchiere, quei pasticci, quegli scandali fossero messi in
tacere.

Era ormai tempo di finirla con tante esagerazioni, con tante
calunnie!... Ne andava di mezzo il credito del paese, la sincerità, la
moralità degli affari. Negli affari non si vive di brutture, di
denunce, di diffamazioni! Bisogna lavorare, e, quando si è sbagliato,
riparare. Quelli che si accanivano a sparlare della _Cisalpina_, erano
i soliti impotenti, astiosi, che volevano pescare nel torbido. Anche i
disordini di Primarole e di Castellanzo erano stati istigati,
fomentati.... dai socialisti tedeschi!

E le vittime? Le solite glorificazioni postume dei facinorosi, che
suscitano torbidi e rivoluzioni. Quel _Francia_ intanto,--si era saputo
poi,--era un anarchico in relazione cogli autori degli ultimi
attentati! E quel sorvegliante?... Quello che chiamavano il _Teddeum_?
Una specie di aguzzino, che violentava le donne e bastonava i ragazzi,
un lupo.... che le pecore avevano fatto benissimo a sbranare!

La vittima vera, la sola vittima, la vittima grande era il povero duca
di Casalbara! E crebbe a dismisura l'interessamento per lui, e attorno
all'illustre infermo fu uno scoppio, un clamore, un'esplosione di
patriottismo! E come il vero martire, il duca Eriprando era stato
dimenticato quando il duca Giovanni cominciava a vivere, così il
martire generoso e intemerato veniva dimenticato allora, confuso allora
col duca Giovanni, col senatore Giovanni di Casalbara che moriva: la
gente non ricordava più bene quale dei due fratelli fosse stato
prigione a Josephstadt: ma certo, se c'era stato il duca Eriprando,
c'era stato anche il duca Giovanni.

Matteo Cantasirena era un solo gemito: tutto un mugolio di gemiti. Il
dolore gli sprofondava gli occhi nel faccione abbattuto: sudava,
ansava. Ma poi:--_Sursum corda_!--esclamava.--In alto il core! E
coll'orgoglio di essere uscito _incolume_ (senza un soldo!) dagli
affari come dalla politica!--In alto il core!--Il mio concorso al
mausoleo di Giovanni di Casalbara, sarà tributo di operosità, di
lavoro! Percosso, ma non sfiduciato.... Ricominciamo! Nel lavoro il
conforto per la perdita del congiunto, del fratello, del figlio, del
compagno di congiura, di carcere, di lotta! Nel lavoro l'oblio delle
molteplici ingratitudini!... E poichè Evelina, quella tirolese, è
scomparsa nell'ora dei sacrifici, sarà in un cuore.... superstite, che
io cercherò la mia ora quotidiana di sosta, di tregua. Buona, squisita
Gioconda! Un essere inferiore.... per i pregiudizi sociali; non per
me!... E di nuovo, subito, al _Dizionario dei patriotti viventi_! Una
nuova serie.... magnanima.... I patriotti dell'impopolarità.... E di
nuovo alla mia grande idea.... una rivoluzione nel giornalismo.... un
giornale.... colossale.... Il _Giornale club_.... ogni abbonato....
azionista, comproprietario.... Grandi sale di ricevimento, di lettura,
di giuoco.... di scherma.... prestiti ai soci.... banca di sconto....

Il dottor Foresti, le ciglia aggrottate, la faccia marmorea, immobile,
scrollava il capo e sospirava, quando gli domandavano del suo illustre
ammalato: ormai non c'era più speranza; l'occhio del duca non era più
fisso, sbarrato sulla moglie;... il rantolo solo era più grave, più
affannoso. La duchessa Eleonora non lo abbandonava un momento: quando
usciva da quella camera buia e afosa, rimaneva lì nella prima stanza o
nel salotto vicino.

Era gelosa di tutti gli altri: la giovane sposa innamorata, di Nizza,
non si smentiva in quel momento: era attaccata a quelle ultime ore
della cara esistenza, con ansia cupida, golosa.

E nella poesia della giovane donna, così innamorata, sempre innamorata
del vecchio e grande patriotta, al punto di voler essere la sua sola
infermiera, al punto di voler raccogliere lei sola, tutti lei, gli
ultimi palpiti di quel gran cuore; veniva affatto dimenticata la
signorina Cantasirena, la maestrina di canto e di pianoforte, l'amica
della Schönfeld.... venivano dimenticate le avventure campestri di
Casalbara.

E anche lei forse, Eleonora, aveva tutto dimenticato: adesso godeva,
viveva solo di quel compianto, di quelle lodi, di quell'ammirazione.

Lord e lady Paget erano appunto venuti da Nizza per vederla: da Roma,
dal Senato, dalla Camera, dal Quirinale eran giunti telegrammi
chiedendo notizie del marito, con auguri e voti e conforti....

Monsignor Meneguzzi aveva indotto donna Alessandrina, l'austera madre
di Pio Calca, a farle visita, e dietro a lei tutto lo stuolo delle sue
contesse.

Donna Alessandrina, aveva trovato la duchessa Eleonora veramente
sublime di virtù e di coraggio, e l'additava come esempio alle
gentildonne cristiane: e la duchessa di Casalbara diventava sempre più
di moda a Milano per il suo dolore di moglie, come era stata di moda a
Nizza per il suo amore di sposa.

Della _Cisalpina_, nessuno più parlava: non era di "buon gusto", non
era patriottico il parlarne.

Francesco Kloss si recava sempre più tardi al Cova, la sera, a bere il
suo caffè e latte.--Anche il Kloss faceva un po' di assistenza al
Casalbara e un po' di compagnia alla duchessa.

_--La fera tonna motèl.... con tutt i perfezion!..._

E quando i suoi amici, gente d'affari, gli domandavano conto della
liquidazione della _Cisalpina_, dichiarava che procedeva penissimo.

C'erano delle irregolarità: ma come aveva sempre detto, erano più da
attribuirsi a _balortaccine_ che a _mala fed_. E soggiungeva che se
qualche pasticcio c'era, si doveva attribuirlo al segretario
particolare del Cantasirena:

--_Un tristo soccett_.... un certo Laner del _Tirol_, ma lui come i
_feri pirpanti_, prima ancora del temporal, aveva preso il volo.... con
_fentimila lir!_

E mentre parlava del Laner, la rabbia, il veleno, la bile gli
schizzavano dagli occhi astiosi, gelosi.



XIV.


La signora Angelica e la signora Rosa non erano più sole a Crodarossa.
Quando attraversavano la piazza, e in chiesa, all'ora della messa, e
quando scendevano dopo la solita passeggiata dall'alto della viottola
del Santuario, c'era sempre con loro un'altra donnetta, pure piccolina,
secca secca e nera, e inoltre un po' curva, un po' gobba. Era la terza
signora Laner, era la signora Evelina.

Ed Evelina, come la sola maritata, in segno di considerazione e di
rispetto era sempre tenuta in mezzo dalle altre due.

Il sogno di Evelina era raggiunto!

Essa aveva ormai la sua casetta tranquilla, ordinata, il pranzo e la
colazione sempre sicuri e sempre a quell'ora, senza le ansie del
lavoro, senza il tormento dei debiti.

Evelina era capitata improvvisamente a Crodarossa; non aveva avuto il
tempo di avvertire le zie. Era scappata da Casalbara in una
carrettella, col Laner che le teneva dietro, docile, muto, istupidito.

Erano arrivati di mattina, verso le undici, un'ora prima del desinare,
ma Evelina aveva frenata la commozione, la maraviglia, lo
sconvolgimento delle sue care zie, per non recare alcun trambusto.

--Ci fermeremo un po' di giorni, e vi conterò tutto più tardi!--E
subito le aiutò e aiutò la Nunziatina a preparare il pranzo.

Don Giuseppe, di ritorno dalla chiesa col suo solito appetito, non ebbe
tempo di turbarsi, vedendosi dinnanzi inaspettatamente "i milanesi"
perchè la minestra era in tavola.

--Ha preparato tutto, ha fatto tutto la nostra Evelina!

--Tutto quanto! Tutto quanto!--esclamavano la signora Angelica e la
signora Rosa, un po' inquiete, un po' intimorite, indicando a Don
Giuseppe, per far entrare subito Evelina nelle sue buone grazie, la
zuppiera odorosa, fumante.

Il prete, che da lontano avrebbe fatto tutto il possibile per impedire
e scongiurare quello scombussolamento, preso di colpo, e alla vista
improvvisa di quel suo ragazzo diventato un uomo, ebbe uno slancio del
cuore e lo abbracciò strettamente, con trasporto, con commozione.

La signora Angelica e la signora Rosa si guardarono mute, mentre
scioglievano il tovagliolo, e gli occhi delle due vecchiette si
gonfiarono di lacrime, certo le lacrime più dolci della loro vita.

Evelina baciò la mano a Don Giuseppe, devotamente, poi sedettero a
tavola, e si fecero il segno della croce. Evelina, che stava attenta a
tutto, si segnò subito, insieme agli altri.

--Faremo il possibile per non dar disturbo in questi pochi
giorni,--disse poi, dopo che ebbero mangiato in silenzio la minestra.

--Sicuro....--esclamò Don Giuseppe, il quale, calmata l'emozione del
primo momento, si sentiva impacciato da quella tavola più grande, da
quel numero maggiore di persone, dalla necessità di dover parlare con
Evelina che non aveva mai visto.--Sicuro, diremo.... diremo che la
stagione è poco propizia e quando comincerà la neve.... a Crodarossa
non vedremo più che gli orsi.

--Oh, allora saremo a Milano!--esclamò Evelina, guardando le zie con
un'occhiata affettuosa, carezzevole, guardando Don Giuseppe con una
timidezza quasi soave.--Soltanto, per adesso, Pietro è un po' stanco,
dopo tanto lavoro, dopo tante scosse.

Pietro, sempre a capo basso, pallido, ebbe un tremito.

Anche alle zie e a Don Giuseppe era trapelato qualche cosa delle
vicende della _Cisalpina_, ma nessuno fiatò per un riguardo alla nipote
del signor _commendatore direttor_ "che doveva aver fatto una quantità
di spropositi, poveretto!"

Don Giuseppe sospirò gravemente. Poi guardò Pierino.

--In fatti.... la cera.... per dir la verità, non è troppo bella!

--Ha bisogno soltanto di rimettersi con un po' di giorni di riposo. Del
resto, fortunatamente, la condizione affatto subalterna di mio marito,
lo salva da qualunque responsabilità morale e materiale.

--E allora ringraziamo di cuore Quel di lassù perchè.... diremo.... in
questo caso.... si tratta di una vera provvidenza!--E Don Giuseppe alzò
le mani e tirò il fiato.

La signora Angelica e la signora Rosina tornarono a guardarsi mute, a
tranquillarsi vicendevolmente e a comunicarsi la loro contentezza anche
sotto questo rapporto.

Don Giuseppe, quel giorno, aveva molto da fare per le istruzioni
religiose; ma quando arrivò la sera, la cena era pronta e Don Giuseppe
ebbe una sorpresa: un piatto di patate alla _béchamelle_.

--Eccellenti! squisitissime!--E guardò Evelina perchè la bella
improvvisata doveva venire da quella parte.

Infatti Evelina sorrideva, arrossiva, chinava il capo, e la signora
Angelica e la signora Rosa si scambiavano una rapida occhiata,
trionfando.

--Diremo: è una vera perfezione!--Don Giuseppe ne prese una seconda
volta.--Io ho mangiato le patate in cento mila modi, ma così buone,
mai!--E domandò se quella salsa, quel condimento, aveva un nome
speciale.

--Si chiamano patate alla _béchamelle_.

Don Giuseppe si fece ripetere il nome per impararlo bene, poi stimolato
dagli sguardi giubilanti della signora Angelica e della signora Rosina
che gli spingevano il piatto dinanzi, ne prese una terza porzione
esclamando:

--E allora ringraziamo Quel di lassù che ci ha dato anche diremo.... la
_béchamelle!_

Evelina spiegò com'era fatto quel condimento: un po' di farina bianca,
un po' di burro, un po' di latte, un po' di formaggio, un torlo d'ovo,
e il tutto ben sbattuto e fatto cuocere lentamente.--Io ho sempre avuto
una gran passione per far da cucina. Il pranzo a Pietro lo facevo
sempre io: intanto si è sicuri di due cose: di ciò che si mangia e
della pulizia.

--Benissimo,--approvò Don Giuseppe.

Allora Evelina, modesta, senza darsi alcuna importanza, e mentre Pietro
si era ritirato nell'angolo più buio della camera a fumare la pipa,
raccontò gli altri piatti che sapeva fare, e come si poteva risparmiare
su questo e risparmiare su quello e risparmiare su tutto.

--Benissimo!--esclamò Don Giuseppe approvando pienamente. Poi si voltò
verso la signora Angelica e la signora Rosa.

--E così, i nostri sposi, abbiamo pensato ad alloggiarli bene?

--Nella nostra camera: è la più grande. Ed è già tutto a posto.

--Tutto quanto!

--Come?... Così presto?...--esclamò Don Giuseppe, fingendosi
maravigliato per compiacere e fare un po' di complimenti anche alle
signore Laner.

--La nostra sposa è tanto svelta!

--Abbiamo lavorato tutti di lena! E anche la Nunziatina, che brava, che
buona ragazza!

--Buonissima!--soggiunsero le signore Laner, ed Evelina concluse che
voleva già bene alla Nunziatina e che le sembrava di essere sempre
stata a Crodarossa.

--E allora,--esclamò Don Giuseppe,--niente di meglio! Dove si sta bene,
si rimane!

Ormai Don Giuseppe si era abituato a quella stanza più viva, più
animata per il numero maggiore di persone. Ormai tutto era a posto:
ormai lo scombussolamento sarebbe avvenuto quando "i milanesi" fossero
tornati via!

E velina accennò brevemente, parlando a voce più bassa, per non essere
udita da Pietro, ai fatti di Primarole e di Casalbara, giustificando lo
zio Matteo, giustificando il signor duca Giovanni, sempre ammalato e
tanto vecchio, poveretto, e attribuendo il male di tutto quanto, alla
mancanza di fede, di religione, di moralità nei costumi, nelle
famiglie, all'abuso di libertà, alla gente cattiva, alle _sette_ degli
eretici. In quanto a lei non faceva altro che pregare il Signore e la
beata Vergine perchè tutto andasse a finir bene, e lo sperava. In ogni
modo, anche per certe sue viste di prudenza, aveva fatto la risoluzione
di ritirarsi, per un po' di giorni, a Crodarossa:--Perchè Pietro,--e
abbassava di più la voce, e indicava nel cantuccio buio, dove non si
vedeva altro che il luccicore, la bragia rossa della pipa,--perchè
Pietro, così di buon cuore, trovandosi in mezzo alla burrasca, avrebbe
finito, magari, a correre anche lui qualche pericolo.... per voler
salvare gli altri!...

--Bravo! Lei ha fatto benissimo!--esclamò Don Giuseppe approvando anche
col capo, mentre la signora Angelica e la signora Rosa guardavano
Evelina cogli occhi colmi di ammirazione e di gratitudine.

--Che angelo!

--Un vero angelo!

Il giorno dopo, finita la messa, vedendo la moglie del sagrestano colla
faccia bendata, perchè spasimava del mal di denti, Evelina la fece
venir a casa e la guarì con una goccia di laudano. Tutti in paese,
quando passava la sposa dei Laner, si fermavano per conoscerla, per
salutarla.... ed Evelina, subito, seppe farsi amare da tutti. Insegnò a
fare le patate alla _béchamelle_ alla moglie del giudice di pace, alla
moglie dell'ufficiale di posta e alla sorella del dottore: in pochi
giorni la signora Angelica e la signora Rosina furono completamente
oscurate dalla autorità della signora Laner. Non c'era più che la
signora Laner per tutta Crodarossa, non c'era più che la signora Laner
per la Nunziatina, per la lavandaia, per l'ortolano, per Don Giuseppe.

Ma le zie non ne erano gelose; anzi, si sottomettevano anch'esse alla
superiorità di Evelina, senza più far niente, senza più toccar niente,
se prima non avevano sentita Evelina: Evelina così brava, Evelina così
svelta, Evelina così economa!... Un gran portento di economia!

La seguivano ad ogni passo, trotterellando, facevano tutto sotto la sua
direzione e i suoi ordini, in casa, nella canonica, in cucina,
nell'orto. Evelina era piena di garbo, Evelina era piena di testa,
Evelina era piena _de cuor!_

Tutto questo, le due vecchiette lo pensavano, lo esprimevano col viso,
cogli occhi, coi gesti.... non colle parole perchè non parlavano più.

Non avendo più da dare i loro ordini, le loro disposizioni alla
Nunziatina, alla lavandaia, all'ortolano, non parlavano più.

Dicevano soltanto: _Jesus Maria! Jesus Maria Joseph!_ quando si
trattava di ammirare qualche nuovo portento di Evelina. E soltanto la
sera, mentre si spogliavano, nella loro nuova cameretta, un buco, una
topaia, sopra lo stanzone delle frutta, tutto pieno dell'odore delle
mele cotogne e delle cipolle e che aveva luce da un abbaino sul tetto,
si scambiavano le loro apprensioni, riguardo alla salute di Pierino.

--Povero _Pierin!_ Invece di rimettersi diventa pallido, diventa magro,
_scarmo_ tutti i giorni di più!

--Non mangia, non dorme, povero _Pierin!_

Ma poi si consolarono perchè Evelina continuava a ripetere che la causa
dell'abbattimento, del malessere di Pietro, era soltanto la stanchezza
per il troppo lavoro; un po' di anemia, di esaurimento nervoso, dopo
tante inquietudini, tante agitazioni....

Soltanto a Don Giuseppe, Evelina aveva detta tutta la verità, aveva
confidato tutto, aveva raccontato di quella cattiva donna che lo aveva
sedotto, ammaliato, colle arti del demonio, e come Pietro fosse ridotto
in uno stato così misero, appunto perchè era sempre sotto l'influenza
di quella passione funesta. E Don Giuseppe, degno in tutto della sua
santa missione di protettore, di salvatore, di consolatore delle anime,
Don Giuseppe doveva toccare il cuore di Pietro, ottenere il suo
pentimento, il suo ravvedimento.

--Certo, sicuramente, per quanto servo indegnissimo di nostro
Signore,--e il prete si levava la berretta,-è il mio dovere. Procurerò,
per quanto sarà nelle mie forze, e per quanto la testa di Pierino sia
sempre stata una testa sbagliata, esaltata, ribelle a qualunque savio
suggerimento, procurerò insomma, di fargli aprir gli occhi.... dinanzi
al precipizio!

Don Giuseppe sospirava; era un compito difficile!... Vi erano impegnate
la sua coscienza e la sua sacra missione, ma.... era un compito
scabrosissimo!... E intanto che domandava e aspettava l'ispirazione di
Quel di lassù "che tutto vede e provvede" lasciava passare il tempo
senza aver mai il coraggio e la lena di prender Pietro da parte e di
affrontare l'argomento così delicato.

Ma un giorno, dopo pranzo, mentre recitava il breviario, Pietro, come
un pazzo, si precipitò di colpo in camera sua, si precipitò a' suoi
piedi.

Pietro Laner anche così solo, così lontano, chiuso fra le sue montagne,
aveva sempre nelle orecchie gli urli della folla di Casalbara, aveva
sempre dinanzi agli occhi la faccia livida, contraffatta del duca, le
pupille fisse, terribili, le labbra gonfie, livide, tremanti di quel
vecchio che lo aveva maledetto ingiuriandolo:

--Vigliacco!

E Pietro Laner sentiva vivo, atroce, quel vigliacco, lo sentiva nel
sangue, nel cuore, nella sua coscienza, in ogni ricordo di Nora, in
ogni ricordo della sua vita, e lo sentiva sempre più atroce, più
rovente.

Era vero: era stato un vigliacco! Era un vigliacco!

Perchè non aveva avuto il coraggio di lanciarsi contro quella folla, di
farsi uccidere?

Vigliacco!... Vigliacco!...

Perchè era fuggito dinanzi a quel vecchio?... Perchè non aveva avuto
cuore di fissarlo in volto, e di sbattergli in faccia la verità?...

Perchè non gli aveva detto: Sei stato tu a sedurre la mia amante, la
mia sposa, a spezzare il mio cuore, a spezzare la mia vita?... Sei
stato tu il traditore, il seduttore.... il vigliacco!

Ma allora perchè era lì in casa sua, era lì con Evelina, con sua
moglie, a dormire, a mangiare? Era vero dunque! L'urlo della folla era
il grido segreto, invano soffocato, l'urlo della folla era il grido
della sua coscienza! Egli era dunque un mantenuto?... Un mantenuto!...
Perciò era fuggito dinanzi a quel vecchio!

Non c'era più redenzione, non c'era più riabilitazione, non c'era più
salute per lui.

Ma Dio, Dio, il Dio vero, il Dio giusto, il Dio onnipotente, perdonava!
Ma la Vergine mistica della sua fede, la madre dei peccatori e degli
afflitti, perdonava. E lì, a Crodarossa, c'era la _sua_, proprio la
_sua_ Madonna, la sua Madonnina buona, benedetta, santa, quella che
aveva ascoltata la sua prima preghiera.... quella che aveva ascoltato
il suo primo pentimento!... Ma per ottenere quel perdono, per ottenere
quella pace, egli doveva avere orrore delle sue colpe.... Nora non
doveva più esistere per lui.... Era la dannazione, l'inferno, era il
peccato!... E come poteva invocare, e ottenere il perdono e
riacquistare la pace quando sulle sue labbra che bisbigliavano le
parole del pentimento, fremeva ancora il desiderio dei baci, quando
aveva Nora nel cuore, la sentiva nel sangue, quando la chiamava, quando
l'invocava, quando la voleva sempre?

.... Poi, aveva saputo che il duca stava male, che il duca era
agonizzante, morente....

--Dio! Dio! Il duca moriva, moriva!--E un nuovo senso di terrore gli
faceva dimenticare tutto il resto, gli faceva dimenticare anche Nora!

Era lui che aveva spezzato il cuore al Casalbara, era lui che lo
uccideva. E nella superstizione paurosa, pensava che la sua pace in
terra e il perdono di Dio, non dipendevano più che dalla vita del
Casalbara. Quel vecchio era diventato il suo rimorso, la sua coscienza,
la sua salute, la sua speranza....

Guai! guai quando il Casalbara fosse morto! aveva paura del Casalbara
morto, aveva paura di quell'uomo diventato spirito, diventato spettro!

E siccome ogni giorno, ogni giorno, quel vecchio si avvicinava alla
morte, così ogni giorno cresceva il suo terrore, la sua disperazione,
la sua pazzia. Perchè Pietro era diventato pazzo, era pazzo: vedeva lo
spirito di quel vecchio lottare, dibattersi, per isciogliersi da ogni
legame.... vedeva quell'uomo diventato spirito, diventato spettro,
inseguirlo cogli occhi sbarrati, fissi, terribili....

.... La notizia della morte del Casalbara era giunta quel giorno da
Milano, con tutta la roba di Evelina, e Pietro Laner era corso a
buttarsi ai piedi di Don Giuseppe.

Il buon prete lo abbracciò, lo baciò. Lo fece sedere vicino a sè,
prendendogli le mani, stringendogliele, accarezzandole, cercando di
calmarlo, di consolarlo; poi quando vide diminuito il tremito, lo
sgomento del poveretto, cominciò ad ammonirlo, ma sempre dolcemente,
affettuosamente.

--_In primis venerare Deum_. Questo è il fondamento di tutto quanto: e
venerandolo, naturalmente, dobbiamo sempre ricordare, a sua gloria e a
nostro conforto, che la sua misericordia è infinita. Basta che la
promessa di emendarsi e l'orrore pei nostri falli siano sinceri.--E
ricordati che dobbiamo essere di parola, dobbiamo essere di parola
anche col nostro Signore, l'Altissimo!--e il prete si levò la
berretta--anzi, diremo con Lui, tanto più!

Don Giuseppe tornò a baciare Pietro sui capelli, e a sorridere
accarezzandolo.

--Ti dico questo, perchè molti i quali si guarderebbero bene dal mancar
di parola in un affare qualunque, con quel di lassù non hanno tanti
scrupoli e vengono meno allegramente e quasi, direi, quotidianamente,
al proprio impegno!

Oh, le umili, le semplici parole! Pietro le aveva sentite ripetere
tante volte! Erano le stesse: erano i primi ammonimenti, i primi
ammaestramenti: Pietro ascoltandole, ritornava Pierino. Quelle semplici
e umili parole sentite nella sua fanciullezza, gli ridavano la pace,
erano per lui come un'aura fresca, balsamica, purificatrice. Spariva il
poeta dell'_Invito_, dell'_Incanto_, dell'_Inganno _, il direttore
dell'_Emporio Letterario_, il collaboratore della _Gazzetta Lombarda_ e
delle _Risorse Italiche_, il fidanzato di Nora e l'amante della
duchessa di Casalbara.... Ritornava Pierino, Pierino credente, Pierino
innocente, "il Pierino" dei mortaretti, e dei mattutini, il Pierino del
mese di Maria al Santuario di Crodarossa!...

--È vero dunque?...--balbettò.--La misericordia di Dio è infinita?...
Anche per me.... per essere perdonato da Dio.... da tutti, basta un
vero.... un sincero.... un profondo pentimento?

--Il pentimento congiunto alle buone opere e all'adempimento scrupoloso
di tutti quanti i nostri doveri: doveri verso il nostro Signore
l'Altissimo, doveri verso il prossimo, doveri sacrosanti verso la
nostra famiglia. In famiglia, per esempio, e questo è il caso tuo,
dobbiamo comportarci in modo di non arrecare tribolazioni, ma di
riuscire invece di aiuto, di conforto. Per questo appunto, diremo,
anche nell'esame delle nostre colpe, e in tutti gli atti del nostro
pentimento, bisogna procurare di non far scontare agli altri della
famiglia i nostri trascorsi, i nostri traviamenti, insomma, i nostri
peccati. E questo, ripeto, sarebbe precisissimamente anche il tuo caso.
Le zie, due vere mamme per te, sono vecchie, ormai, poverette; sono,
diremo.... più di là che di qua! E tu hai l'obbligo di essere loro di
allegrezza in questi ultimi anni e non di afflizione. Tua moglie....

Pierino ebbe un tremito, ma Don Giuseppe non se ne avvide e continuò:

--Tua moglie verso la quale hai commesso.... diremo.... come si
dice.... insomma i peccati più grossi, bisogna compensarla,
coll'affetto, coi bei modi.... e anche con un po' di buon umore! I
musi, le stranezze, le sgarberie, le lune non hanno niente a che fare
col pentimento e col proposito di ravvedersi. Quasi, diremo,
lascierebbero il sospetto, che invece del rimorso delle nostre colpe,
sia quasi, viceversa, rimasto dentro di noi.... come un rimasuglio....
di quelle bruttezze!

E Don Giuseppe corrugò la fronte, arrossì di collera, di sdegno:

--Tutta roba del diavolo! Ricordati bene! che conduce alla perdizione
della salute dell'anima e della salute del corpo. Tutta roba del
diavolo, che conduce direttamente all'inferno nell'altra vita e poi
anche in questa medesimamente. Cos'ha lasciato scritto Sant'Agostino?
_Felicitas perfecta est usus virtutis!_

--Sì! sì! sì!--balbettò Pietro,--come rifugiandosi in quelle parole, in
quei conforti, in quelle esortazioni "di una volta" per il bisogno di
ritornare "come una volta" innocente e felice.--Sì! sì! sì!--E si
lasciò cadere in ginocchio ai piedi del prete.

Voleva confessarsi, come allora, quand'era fanciullo. Dopo la
confessione egli si sentiva allegro, contento, col cuore in pace, col
cuore in festa: scappava dal confessionale e correva a far le capriole
nel prato verde: correva ad arrampicarsi nel bosco, sugli abeti, come
uno scoiattolo.

Don Giuseppe lo sollevò, lo fece sedere.

--Questo è un buon impeto del cuore! Una santa ispirazione! Bravo!

Pietro rimaneva a testa bassa, curvo, rimpicciolito, umiliato nel suo
pentimento, dinanzi a quell'uomo che gli rappresentava il perdono.

--Bravo: ma per degnamente ricevere il sacramento della penitenza,
bisogna impetrare i lumi onde conoscere, la contrizione onde detestare,
l'umiltà onde confessare sinceramente i propri peccati, ed una volontà
risoluta di farne la debita penitenza. Devi raccoglierti, meditare,
fare l'esame della tua coscienza.

Il prete guardò Pierino con dolcezza, sorridendo:

--Ti aiuterò, se vuoi, a fare questo esame: e ti dirò io quale è stato
il tuo peccato, diremo, fondamentale; la vera origine di tutto quanto:
è stato la mancanza _di sincerità_. Perchè non basta il non dir bugie,
dobbiamo essere sinceri anche con noi stessi. Tu, vedi,--continuò Don
Giuseppe a mano a mano infervorandosi,--hai commesso il peccato
grandissimo di mancare di sincerità verso gli altri e verso te stesso,
quando sei scappato in quel modo da Crodarossa per andare a Milano....
diremo.... a divertirti! Tu non potevi confessare alla tua famiglia,
non potevi confessare a te stesso, che volevi andare a godere il mondo,
e farne di tutti i colori, perchè ti sentivi attratto dalle seduzioni
del peccato, dal vizio, da tutte, diremo, le attrattive e da tutti gli
ammenicoli della carne e del demonio! Niente affatto! E allora hai
mentito cogli altri, hai mentito con te stesso.... e sei andato a
inventare, che cosa?... a inventar la _patria!_

Il prete sospirò, poi sorrise con una certa ironia bonaria, ripetendo
quella parola:--_la patria!_--Si grattò in testa, con un dito, e gli
rimase la berretta un po' di traverso.

--La patria!... Per me, povero prete, la _patria_ è lassù: e tutto
questo mondo non è, diremo.... che la strada per poter arrivare lassù.
Ma la patria, anche per voi altri, non dovrebbe essere un paese dove
tutti vanno d'accordo, dove tutti si vogliono bene.... e specialmente,
dove nessuno muore di fame?... La patria, insomma, di Gesù Cristo,
nostro Signore, il quale precisamente essendo come Figliuolo di Dio la
vera luce di tutto quanto, ha scoperto anche la patria universale,
l'eguaglianza, il socialismo.... e ne ha parlato nel suo Vangelo,
duemila anni prima, giusto in punto, che ne facessero la scoperta.... i
moderni talentoni!... Quel santo uomo del tuo buon zio Don Giacomo, che
ha amato la patria veramente da buon cristiano, l'ha servita, per
esempio tutta la vita, Le ha dato tutto il suo.... ed è anche morto,
diremo, per la patria. E tu invece?... Tu per la patria sei scappato a
Milano a fare un mucchio di spropositi e di peccati! È vero o non è
vero?

Pietro Laner abbassò la testa e sospirò.

Vi fu un lungo silenzio, poi Don Giuseppe gli domandò sottovoce,
dolcemente:

--Dobbiamo cominciare?...

Pietro si appressò di più sulla seggiola, tanto quasi da posar la testa
sul petto del prete: Don Giuseppe lo benedì: si levò la berretta che
tenne fra le due mani congiunte sulle ginocchia, socchiuse gli occhi e
ascoltò.

Quella confessione fu generale, piena, intera. Pietro aveva la febbre,
le smania di accusarsi; sperava accusandosi, di riaffermarsi nella sua
fede, di ottenere il perdono, l'oblìo, la pace, la serenità....

.... Invece quando uscì dalla canonica, sebbene Don Giuseppe lo avesse
assolto e baciato in fronte, con un atto mistico di redenzione, il suo
spirito non era libero, non era tranquillo.... il suo cuore non era
contento....

Era rimasto come prima, infelice.... grandemente infelice!

Andò nella sua camera, vi si rinchiuse, solo. Era la cameretta delle
zie, e anche Pietro sedette alla finestra come le due vecchierelle,
guardando nell'orto, guardando il "Gigantesso"....

--Dio.... Dio.... come era infelice! Quanto si sentiva infelice!... Ma
sarebbe stato sempre, sempre infelice così?

A Crodarossa cominciava l'inverno.... era il primo giorno d'inverno,
l'inverno lungo e bigio della montagna.

Pietro Laner sentiva la neve nelle ossa.... nel cervello....

--Dio! Dio! Com'era infelice!... Com'era profondamente infelice!... Ma
sarebbe stato sempre, sempre infelice così?

Le prime falde di neve calavano, volavano qua e là, portate dal vento
come piume di cigno.... Poi si fecero più minute.... più spesse....

--Dio! Dio!... Ma sarebbe stato sempre, sempre infelice?...

A mano a mano era tutto un turbinìo confuso, violento, di falde di neve
sotto il cielo bigio.... A mano a mano sparivano l'orto, il
"Gigantesso" le montagne sotto quella neve, dietro tutta quella neve,
quella bufera di neve. Una fila di corvi attraversò pesantemente la
caligine bianca, incalzante, rammulinante, muta.... fu l'ultimo segno
di vita. Poi tutta neve.... tutta neve.... Era sparito il cielo.... era
sparita la terra. Anche il cupo rintocco di una campana era rimasto
soffocato, sepolto sotto la neve.

Pietro intirizzito, attonito, guardava, guardava.... cercava.... Non
vide più niente, non udì più niente! Soltanto la neve.... quel turbinìo
di neve, la neve melanconica, triste, silenziosa.... la neve squallida,
la neve penetrante col freddo della morte!...

Trasalì, con un brivido.

Non c'era più niente, più niente!

Non c'era più mondo, non c'era più Dio.... Non c'era più Nora!... Oh,
Nora! Nora! Nora!... Non c'era più!...



FINE.





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