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Title: Mater dolorosa
Author: Rovetta, Gerolamo, 1854-1910
Language: Italian
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                      GEROLAMO ROVETTA

                       Mater dolorosa



                          ROMANZO



                   Quarantesima Edizione



                           MILANO

              Casa Editrice BALDINI & CASTOLDI

              Galleria Vittorio Emanuele N. 17

                            1919



                    PROPRIETÀ LETTERARIA


                 MILANO--UNIONE TIPOGRAFICA



I.


Mentre il conte e la contessa Della Valle partivano per Parigi, o
almeno così si doveva credere a Borghignano, una delle città più
importanti del Veneto, il duca e la duchessa d'Eleda avevano sciolte
le vele alla volta di Palermo.

A trentacinque anni, la duchessa Maria d'Eleda quantunque apparisse,
in quei giorni, un po' indisposta, era ancora una donna bellissima.
Bionda e bianca, aveva le flessuosità eleganti di una fanciulla,
mentre tutto l'insieme le dava quell'aria che si dice _aristocratica_.
Nulla riusciva a meravigliarla, ben poco a commuoverla e anche il
tempo sembrava fosse passato dinanzi a lei senza che ella si fosse
degnata di accorgersene. In quella freddezza statuaria però c'era
qualcosa, da cui Lavater avrebbe tratto conclusioni molto diverse
dalle solite che sopra di lei formavano gli osservatori superficiali.

La duchessa d'Eleda lasciò l'unica figlia, cui forse, chissà,
abbandonava per sempre, senza versare una lacrima. Lasciò Giorgio, il
genero prescelto, con una stretta di mano: cioè stese la mano e, come
era solita, l'abbandonò fredda, inerte, in quell'altra che stringeva
la sua, e salì col marito, che si espandeva in ogni sorta di tenerezze
rumorose, sulla coperta di _Newton_, il postale da Genova a Palermo.

Quando il canotto che riconduceva sua figlia e Giorgio, tutto ciò che
ella aveva amato e amava allora nel mondo, si dileguò dietro le navi
ancorate nel porto, rimase fissa collo sguardo nel punto dove aveva
vista la barca per l'ultima volta, dov'essa era sparita. E
l'espressione angosciosa del suo volto, il tremito delle sue mani, le
labbra arse e scolorite, tradivano a poco a poco il dolore smisurato,
profondo che la poveretta con tanta forza era pur riuscita a
nascondere.

Il duca salutava col fazzoletto; sospirava, piangeva; a chi non lo
conosceva a fondo, anche il duca avrebbe fatto pietà.

In questo mezzo le ruote avevano ripreso la loro rapidità regolare, e
il _Newton_ salutava Nervi, Recco, Camogli, tutta la fiorita riviera;
a poco a poco il sole, perduta la forza de' suoi raggi, spariva
dall'orizzonte, e la duchessa d'Eleda era sempre là, fissa, immobile.
Essa guardava ancora lontano lontano, con gli occhi della mente e del
cuore; ed era così assorta nell'immagine cara del suo pensiero, da non
accorgersi della brezza che si faceva più frizzante e dell'acqua
sollevata dalle ruote, che ricadeva su di lei in minutissima pioggia.

Povera Maria! Il suo occhio ancora non poteva dare una lacrima, ma
quali lacrime dovevano sgorgare dal suo cuore!...

Il duca, appena uscito dal porto, si era legato al collo, per riparare
la gola, il fazzoletto col quale ormai non poteva più salutare i suoi
figliuoli. Poi s'infilò un soprabito di mezza stagione... Dopo qualche
tempo mandò il servo per un berretto di castoro che doveva ripararlo
meglio del cappello di feltro...; lo richiamò più tardi per avere il
suo _plaid_, che si gettò sulle spalle, e finalmente, sospirando,
accese una sigaretta. Ma la commozione della giornata, le lacrime
sparse, il freddo della sera e l'odore del cibo, che dalla sottoposta
cucina saliva sulla tolda, gli fecero sentire, oltre il vuoto doloroso
dell'anima, il vuoto molesto dello stomaco.

--Maria, fa freddo. È meglio che ci ritiriamo,--disse il duca alla
moglie.

--Scendiamo pure.

--Che cosa vuoi mangiare?...

--Non ho fame...

--Vuoi forse che pranzi solo?... Non posso più avere mia figlia, nè
mio genero... Ho sofferto e soffro abbastanza per colpa tua!

In quel punto il capitano, che passava per caso, esclamò rivolgendosi
a Maria:--Badi, duchessa, farebbe bene a coprirsi...

--Lo dicevo adesso adesso!... Prendi il mio _plaid_, cara...--e il
duca lo offrì subito e con molta insistenza a Maria.--Vuol favorire
con noi, capitano?--Il capitano accettò l'invito, e scesero tutti
insieme nella sala da pranzo.

Il duca era un gentiluomo compito. Dalla parola melata, dal sorriso
facile e complimentoso, discorreva di tutto con una verbosità
assordante e frettolosa. Parlò, col capitano, di nautica, di
commercio, di politica, della pesca del tonno, dell'America e
dell'emigrazione.

L'affabilità del duca aveva una dote particolare: teneva le persone
sempre allo stesso posto, come il primo giorno che le avea conosciute.
Le strette di mano erano frequenti, le scappellate profonde, ma la
cordialità era solo apparente. Per altro chi non lo frequentava, chi
non poteva conoscerlo bene, lo diceva un uomo tutto cuore, alla mano,
senza superbia... Simpatia invece non ne avevano troppa per la
duchessa, che parlava pochissimo, che stava troppo sulle sue, e la
chiamavano la _Madonna di neve_. E così appunto aveva pensato di lei,
quella sera, anche il capitano della _Newton_.

Maria non vedeva l'ora di trovarsi sola, e tentava ogni via perchè
terminasse la conversazione, mentre il duca faceva del suo meglio per
tirare innanzi. Egli lo sapeva pur troppo: se fosse andato a letto
prima del solito, non avrebbe più dormito. Solamente quando le dieci e
mezzo suonarono all'orologio della sala, egli disse alla moglie:--Vuoi
ritirarti, cara?... Sei stanca, avrai bisogno di riposarti.

Il capitano si alzò e accompagnò la duchessa sulla porta della cabina,
dov'era aspettata dalla cameriera. Maria la licenziò quasi subito, si
chiuse a chiave... e finalmente, dopo tante ore di martirio, era sola.
Allora quasi fosse soffocata dalle vesti, se le strappò dal petto, e
prorompendo in un pianto secco... in un singulto, in uno schianto
senza lacrime, cadde prostrata in ginocchio mormorando:--Dio! Dio mio!
fatemi morire!... fatemi morire!...--E così rimase tutta la notte
gemendo e singhiozzando rannicchiata, colla febbre, in un cantuccio
della cabina.



II.


Nobile, ricco, tutt'altro che imbecille, coll'aureola dell'uomo
pubblico. Prospero Anatolio aveva avuto tutti i requisiti per essere
fortunato in galanteria; invece colle donne egli non era stato mai un
Cristoforo Colombo... solo qualche volta un Amerigo Vespucci. E ciò
non per altro che per un difetto di pronuncia; difetto che non gli era
abituale, ma che gli si faceva pur troppo sensibilissimo quando si
trovava vicino a una donna che gli piaceva.

Il povero duca, che fra gli amici parlava spedito, che nel Consiglio
Comunale godeva fama di eloquente, quando si metteva a far la corte
alle signore si confondeva, ciangottava fra i _checchechè_ e i
_chicchichì_, e invece di un sorriso di aggradimento, otteneva una
risatina di buon umore.

E a proposito della balbuzie intempestiva del duca d'Eleda, nel gran
caffè di Borghignano si raccontava certo fatterello piuttosto
piccante.

Un giorno, alla Camera, il duca d'Eleda doveva fare un lungo discorso
sul nuovo trattato di commercio tra l'Italia e il Belgio.

Il nome del relatore, nuovo alle battaglie parlamentari, la importanza
della tornata, avevano popolata l'aula e le tribune. Il duca
incomincia a discorrere. La sua parola chiara, facile, senza affettati
ghirigori, correva spedita e ascoltata, quando nella tribuna, fra le
signore, comparisce madamigella Blasch, che aveva da poco tempo
sostituita la Clarence-Lory nella _troupe_ del _Maynadier_.

Fra questa giovane virtuosa... di canto e il neo-deputato esisteva da
poco tempo un'intimità molto sospettata. Era una tentazione...
superlativa, madamigella Blasch, e vestiva, in quel giorno, un abito
di velluto turchino-mare molto attillato. Il volto aveva freschissimo,
le labbra tumide, l'occhio stanco. Il duca la vede... Che cosa mai gli
ricorda quella donna? Non si sa; ma da un momento all'altro
l'agitazione s'impossessa di lui, la paura del pericolo lo confonde,
perde la parola, il pensiero divaga, egli impallidisce... è perduto!
Allora _cocotoni, cu-cuoi, co-commercio_, e i prodotti d'esportazione
e d'importazione passano fra le risa e i commenti degli onorevoli.

Intanto Prospero Anatolio passava la trentina, e sua madre venendo a
morire gli balbettò un nome e una preghiera. La preghiera di finirla
con la sua vita da scapolo, il nome della signorina Maria di Santo
Fiore.

Era il luglio del sessantuno. La Camera, chiusa dopo la morte del
conte di Cavour, non occupava gli ozi del duca; l'infedeltà scoperta
di un'amica gli aveva messo nell'animo quello sconforto che qualche
volta persuade l'uomo anche a prender moglie e, ad ogni costo poi, non
avrebbe voluta estinta la lunga discendenza dei d'Eleda. Tutto ciò
calcolato, strinse la mano alla morente, giurando che il nome gli
resterebbe impresso nel cuore, e la preghiera sarebbe stata esaudita.

Il duca viveva molto a Torino, allora capitale del regno, e nelle sue
corse a Borghignano era un miracolo se interveniva ad una serata di
sua madre. Quelle riunioni informate al più austero cerimoniale lo
seccavano cordialmente.

Ancora, dunque, egli non conosceva affatto la signorina Maria. Ma
sapeva bene che la geologia del Santo Fiore si perdeva nella notte dei
secoli, e che la giovinetta, ultimo rampollo dell'albero vetusto,
aveva ereditato dalla madre inglese l'indole, il sangue, la bionda e
pallida bellezza... e centomila lire di rendita.

Presto egli fece la domanda, e la risposta, favorevole, fu data ancora
più presto. I parenti della fanciulla, orfana da vario tempo, diedero
una festa di famiglia, dove la _high-life_ di Borghignano fece pompa
di tutto il suo splendore e dove Prospero Anatolio incontrò Maria per
la prima volta.

Maria, bella a trentacinque anni, allora che ne aveva sedici era una
meraviglia. Nude le spalle, nude le braccia, nudo il seno, fra le rose
del suo abito bianco, tutta quella nudità, alla quale era costretta
per la prima volta, le tingeva coll'amabile rossore della verecondia
le carni alabastrine. Il cuore le batteva forte forte, e la commozione
delle gioie promesse e fantastiche, le angosce dell'ignoto, i segreti
turbamenti dell'innocenza, la rendeano più bella e più attraente.

Prospero Anatolio fu sedotto, affascinato, e:--Vi a-a-aspetta nella
mia casa il po-posto venerato di mia madre--balbettò alla fanciulla.

Maria levò sopra di lui il suo sguardo dolce, sereno: e la goffaggine,
la confusione del duca, non dissiparono la favorevole prevenzione che
ella già sentiva per l'uomo colto e reputato che le stava dinanzi.
Invece gli fu grata di quella goffaggine, di quella confusione, che la
povera illusa credeva fosse il turbamento dell'amore.



III.


Ma non era il turbamento dell'amore. Era il turbamento dei sensi.

A Maria il duca Prospero Anatolio non domandò che due cose: il piacere
e un figlio maschio.

Egli non pensò mai a farsene un'amica, la cara compagna e
l'inspiratrice del suo lavoro, la consigliera, il conforto nelle ore
della sconfitta e dello scoraggiamento.

Nè alla donna, a sua moglie, a questo essere, ch'egli a torto o a
ragione giudicava inferiore all'uomo, si degnò mai di stender la mano
per inalzarlo; invece si compiacque, autocrate capriccioso, di
dominarlo dall'alto della propria superiorità. Carezze, baci, moine,
specialmente in principio; ma i tesori della mente e dell'anima di sua
moglie nè prima nè dopo conobbe o curò, forse distratto, forse
incapace d'intenderli; confidenza insomma gliene concedeva pochina,
stima del pari, autorità punta.

In questo mezzo, i fatti d'Aspromonte avevano suscitata più viva, più
accanita che mai, la lotta per la _questione romana_. L'avvenire,
secondo il duca d'Eleda, si preparava torbido assai. Con la corrente
delle riforme, la Chiesa combattuta, il suo potere discusso,
minacciato, scemava per necessaria conseguenza anche l'autorità morale
della religione. Egli allora sentiva il popolo, che per lui era sempre
la plebe, i contadini, dei quali inconsultamente si voleva far tanti
dottori, intonare il _ça-ira_ della repubblica. Questa benedetta paura
della repubblica gli faceva perder la testa: abbandonò sua moglie, che
incinta non poteva seguirlo, e corse a Torino, per opporsi
all'irrompere delle idee nuove. È inutile il dire che tutti i suoi
sforzi riuscirono vani. Però l'audacia, l'energia ch'egli seppe
dimostrare in questa occasione lo misero, come si dice, sul
candelliere, ed egli divenne il _leader_ dell'estrema destra.

In una terra di ciechi, un miope fa certo fortuna; ed il partito
clericale, forte, disciplinato, minaccioso fuori della Camera,
nell'aula parlamentare era impotente, nè avrebbe trovato nel proprio
seno chi per l'influenza del nome e delle ricchezze potesse
rappresentarlo meglio di lui. Il duca dunque fu riconosciuto e
accettato come capo della fazione, e così, o bene o male, se non una
celebrità, divenne una notorietà della Camera. Il Governo lo aveva in
considerazione, gli avversari in molte occasioni ne cercavano
l'alleanza, i giornali, amici o nemici si occupavano di lui
assiduamente, per combatterlo o per difenderlo: in una parola, mentre
prima la sua vita parlamentare si perdeva intera nella monotonia di un
voto dipendente, ora gli presentava tutte le commozioni della
battaglia, con un piccolo esercito da guidare: e attorno al suo nome
cresceva quel rumore tanto lusinghiero per le piccole ambizioni, quel
rumore che precede la fama.

Durante la prima settimana della sua assenza, Prospero Anatolio fece
due corse a Borghignano, ed una ne fece nella seconda; poi gli giunse
il telegramma che lo avvertiva del parto imminente. Appena lo ebbe
ricevuto lasciò senza indugio Torino; ma, prima che egli fosse giunto
a Borghignano, la duchessa si era già felicemente sgravata.

Maria aspettava suo marito, come ogni donna in quel momento supremo
aspetta il padre della propria creatura. Prospero Anatolio invece
entrò in camera con un fare ben poco espansivo e con un'aria
soddisfatta ancor meno. Sua moglie gli aveva dato una bambina, mentre
sapeva pure ch'egli voleva un maschio ad ogni costo! Due giorni dopo,
egli dovè ripartire; e poichè i giornali portarono ai sette cieli
l'abnegazione colla quale il duca d'Eleda sapeva anteporre alle gioie
ineffabili della famiglia i doveri dell'uomo pubblico, così egli
rimase molto tempo senza farsi vedere a Borghignano.

Maria volle allattar lei la creatura, e nell'affetto e nelle cure di
madre non si accorse nemmeno della solitudine che la circondava.

Intanto la vita dell'uomo politico alla quale Prospero si era ormai
dato interamente, lo teneva, in quei primi anni, quasi sempre lontano
dalla famiglia. Solamente nelle vacanze parlamentari egli viveva con
sua moglie e colla piccola Lalla; ma poi, finchè restava aperta la
Camera, non domandava e non si prendeva congedi; e così ogni giorno
crescevano gli insidiatori al talamo trascurato. Ce ne furono di tutte
le età e di tutti i metodi: i vecchi coll'astuzia scaltrita, i giovani
colla passione, gli uni colla lusinga del mistero, gli altri collo
stimolo della vendetta tentarono il cuore di Maria, ma contro la rocca
assediata si spuntarono ingloriosamente tutte le arti nemiche.

La virtù di Maria, come tutte le virtù delle donne che resistono,
aveva alleati fortissimi. I suoi erano la fierezza di carattere, la
nobiltà dei sentimenti e una sagacità molto fine: e fu allora che, con
la ripugnanza dell'ermellino, per non aver inzaccherate dal fango
neppur le balzane della veste, si ritirò dal mondo, si rinchiuse nella
sicura tranquillità della sua casa e, con un pretesto o coll'altro,
mise alla porta tutta la _buona società_ di Borghignano.

Si fece una sola eccezione per il conte Giorgio Della Valle, che,
quantunque giovanissimo ancora, nutriva da molto tempo per la duchessa
Maria un'affezione quasi fraterna. Di ciò, s'intende da sè, la mattina
all'ora di colazione, e la sera dopo il teatro, nel gran caffè di
Borghignano, si faceva ogni sorta di commenti. Ma anche la maldicenza
non faceva a Maria nè caldo nè freddo: aveva quella sua bimba che
veniva su vispa come un demonietto; aveva un marito che, elevandosi
dalle mediocrità inconcludenti, sapeva tener alto l'onore della casa;
aveva un amico onesto, sincero, affezionato, al quale poteva confidare
e gioie e timori, con cui discorrere del suo bel sogno di madre... Che
cosa poteva desiderare di più?



IV.


Questo prezioso amico si allontanava per altro troppe volte e per
troppo tempo dal palazzo d'Eleda.

Giorgio Della Valle non aveva ancora vent'anni quando si arruolò fra i
_Cacciatori delle Alpi_. Fu più tardi uno dei _Mille_. Ferito a
Bezzecca nel sessantasei, poco tempo dopo, rinfrancato, si batteva a
Mentana.

Molto giovane ancora, e molto poeta, il suo ideale era l'Italia, e la
vagheggiava libera e col berretto frigio.

Giorgio Della Valle era un _sognatore_; ma bisogna ricordare che a
vent'anni il Manzoni, il Giusti, il Settembrini avevano avuto
quell'istesso ideale, avevano fatto quell'istesso sogno; invece la
gioventù scettica e quattrinaia che dorme... e non sogna, senza essere
più svegliata per questo, gridava al conte repubblicano la croce
addosso, gli arrabbiati chiamandolo un mestatore ambizioso, e i
tolleranti un matto pericoloso. Pazienza ancora se si fosse trovato al
verde; dei conti che facciano il democratico tanto per isbarcare il
lunario, se ne possono trovare a dozzine, ma democratico, ricco e
conte?... per l'aristocrazia gretta e provincialesca di Borghignano
era proprio roba da chiodi.

Ma intanto ch'egli perdeva il sangue a Bezzecca e il credito d'uomo
serio a Mentana, anche la stella del duca d'Eleda cominciava ad
offuscarsi. Prospero, per dire il vero, non era mai stato un uomo di
serio valore. Ebbe solo un qualche momento di notorietà, poi ricadde
nel buio. Quando seguì la convenzione del sessantaquattro, che
trasportava la capitale a Firenze, la _maggioranza_ n'ebbe una scossa,
le _minoranze_ cambiarono di posto, e i malcontenti di tutti i colori
formarono una nuova fazione, che si chiamò allora la _permanente_, con
alla testa il conte di S. Martino. Per questa evoluzione anche il
duca, naturalmente, perdette il suo grado, e da capitano che era, o si
credeva di essere stato, ritornò alla Camera fantaccino.

Inoltre i clericali _puri_ non potevano essere più tollerati, e nelle
elezioni generali del sessantasette anche Prospero, se volle essere
rieletto, dovette fare parecchie concessioni al cambiato umore degli
elettori. Le discussioni intorno alla libertà della Chiesa e alla
liquidazione dell'_asse ecclesiastico_ lo avevano trovato avversario,
ma timido e taciturno: egli voleva salvare l'anima, e non voleva
perdere il collegio; e quando si riaccesero le controversie sulla
_questione romana_, il deputato di Borghignano non esprimeva il
proprio parere altro che nel secreto dell'urna. Ma così, altalenando,
finì come doveva finire, cioè coll'essere «a Dio spiacente ed a'
nemici sui»; e fu abbandonato da tutti. La sua autorità, la sua
influenza furono sminuite, e non vedendosi più ascoltato non apriva
più bocca se non per rispondere all'appello nominale. Egli non sapeva
più che cosa fare, che cosa tentare, dove andare, a qual santo
votarsi, per fare ancora un po' di chiasso, per ritornare, in un modo
o nell'altro, un uomo importante.

Fu allora che cominciò a pensare a sua moglie. Con sua moglie vicina,
egli avrebbe avuto una casa dove avrebbe dato pranzi, feste, balli,
alleati efficacissimi delle mediocrità danarose. Pensò alla bellezza,
all'intelligenza, alla fama intatta, alle attrattive della _novità_
che avrebbero circondata a Firenze la duchessa d'Eleda, e sperò, col
suo aiuto, di poter ancora far parlare di sè. Prospero Anatolio non
poteva avere l'ambizione dell'uomo d'ingegno: era vanità, più che
ambizione, la sua. Egli non aspirava ad incidere il proprio nome nelle
pagine della storia, ma gongolava leggendolo stampato per le gazzette;
e fra tutte, quella che leggeva sempre con maggior interesse, era la
_Gazzetta di Borghignano_, perchè pur guardandola con aria di
superiorità sprezzante, Borghignano non la perdeva mai d'occhio. Egli
voleva essere un uomo grande; ma si sarebbe contentato (meno male!)
che lo tenessero grande, almeno là, a Borghignano.

Fatto il disegno, Prospero Anatolio volle metterlo subito in
esecuzione, e perciò il conte Giorgio Della Valle, visitando una sera
la sua buona amica, la trovò triste e preoccupata.

--Che cosa avete, signora Maria?... avete un po' di _spleen_ o state
poco bene?

--No... tutt'altro.--E così dicendo, la duchessa, distratta,
continuava a tagliar le pagine di un volume del Charpentier con una
stecca di avorio.

--Eppure dovete averci qualche seccatura. Lalla non è stata buona?

--Eh! che volete, ebbe i suoi capricci con miss Dill anche stasera: ma
poi si è addormentata tranquillamente.

--E allora?--insistè il giovanotto, sicuro di non ingannarsi.

--Allora, proprio lo volete sapere?... A voi; leggete.--E così
dicendo, Maria porse una lettera a Giorgio, sulla quale brillava in
tutto il suo splendore uno stemma gentilizio.

--Prospero ha forse ragione... ma io sono così poco amante di
novità!... Al pensiero di dover lasciare la mia casa, la mia quiete,
le mie occupazioni, per andare a mettermi in mostra, è un pensiero che
mi secca... che mi dà noia.

Giorgio intanto leggeva la lettera a mezza voce.

    «_Ma chère et ma reine_,

«Da vario tempo studio intorno a un progetto pel quale imploro la tua
approvazione sovrana. Il vivere lontano dalla famiglia, esiliato dalle
pareti domestiche, comincia a riuscirmi di un peso insoffribile. Sento
farsi più intenso ogni giorno il desiderio delle vostre carezze, ho
bisogno di distrarmi col cicaleccio della mia bambina e di rallegrare
lo spirito affranto nel tuo bel volto pallido e sereno. Aggiungi a
tutto questo, che io incomincio a invecchiare e, cosa peggiore, ad
accorgermene. Nelle mani dei camerieri di locanda mi trovo mal
servito, mal trattato, e il mio appartamento non è abbastanza comodo,
quantunque sia dei migliori. Per soprappiù non istò affatto bene; e lo
attribuisco alla cucina dei _restaurants_, alla quale non ho mai
potuto abituarmi. Ho già trovato e fissato il quartiere e ho già dato
tutti gli ordini opportuni.

«Per cagione di nostra figlia e della deputazione che, pur troppo, mi
tiene sempre legato alla catena, tu pure fosti costretta a condurre
una vita tutt'altro che allegra. Ma adesso, essendo più libero,
cercherò compensartene: qui a Firenze troverai una società omogenea,
si pronostica un carnevale brillante, senza contare poi tutte le feste
che si daranno più tardi, in occasione del matrimonio del principe
Umberto.

«Dimmi quanto tempo ti occorrerà per fare i preparativi della
partenza, con tutto tuo agio, senza darti alcun pensiero di me, che
sarò sempre il più innamorato dei mariti e il più devoto dei
servitori.

«Salutami lo zio Eriprando, ricordami a miss Dill e a Giorgio, e
baciami sulle guance di Lalla.

    _11 Gennaio 1868._

                                    «Il tuo
                                «PROSPERO ANATOLIO».

«PS.--Tutto ben calcolato, sarà a prenderti lunedì, 20 gennaio, e
ripartiremo il 25. Il cuoco potrebbe venire a Firenze col cocchiere il
18. Intanto Giuseppe e Pietro, che restano a Borghignano, avranno cura
dei cavalli, e l'uno o l'altro farà anche la cucina. Regolati per
tutte le disposizioni occorrenti. _Sans adieu_».

A questo punto Giorgio, restituita la lettera, si mise a ridere tutto
allegro.

--Come! Ridete?--disse Maria, mortificata.

--Perdonatemi, duchessa; ma se sapeste che buona notizia ho ricevuto
da questa lettera!

--Voi?

--Sì, io. Aspettate, e poi mi direte se non ho ragione di essere
contento.--Così dicendo, Giorgio, tolta una lettera dal suo
portafoglio, cominciò a leggere di nuovo e ad alta voce:

    «_Carissimo nipote_,

«Parto fra otto giorni e vado a Parigi. Devo conferire con Nigra per
incarico avuto dal nostro Governo, e poi ripartire per il Belgio e la
Prussia.

«Resterò assente un mese o forse due.

«Mia moglie è sempre indisposta, non posso adunque prenderla meco e
non vorrei lasciarla qui affatto sola.

Tu sei il mio unico parente, non hai nulla da fare (per la repubblica
c'è tempo) e, aspettandola, potresti lasciare il _fascio_, le _loggie_
e i fremiti di Borghignano, per adempiere ai tuoi doveri di nipote.

«La zia ha i capelli misto-marengo, non temo perciò le tue seduzioni;
è irlandese, e l'influenza delle tue idee progressiste potrà anzi
farle del bene.

«A proposito della repubblica: il presidente lo prendete bell'e fatto,
o lo ordinate apposta? In ogni modo non dimenticarti di raccomandargli
la mia testa: potrà sempre riconoscerla dalla coda.

«Attendo una risposta a volta di corriere.

«Fa quello che vuoi. Ti lascio libero della tua volontà: ma, se
rifiuti, bada che ti diseredo.

«Ascolta dunque le mie preghiere, unitamente a quelle dei tuoi
creditori, e prendi subito il _diretto_ per Firenze. Tua zia ti
prepara una benedizione del Santo Padre.

«Ti stringo la _sinistra_ e mi dichiaro colla destra

                    «L'affezionato zio
                «PIER LUIGI DA CASTIGLIONE».

--Ma dunque? Voi pure venite a Firenze?--esclamò Maria; e ne' suoi
grandi occhi, invece delle lacrime, brillava adesso la gioia.

--Certamente!... Volete che mi lasci diseredare? Ho già risolto e
parto fra otto giorni.

--Oh bravo!... Nel caso contrario, sapete, mi sarei unita io pure a
vostro zio...

--E ai miei creditori.

Maria rise del motto, e fra le due buone creature cominciò quella
corrente di allegro umore, schietto e sereno, che di tanto in tanto fa
così bene all'anima e alla salute. Giorgio mise in canzonatura
Prospero Anatolio, il quale sottoponeva il suo _progetto_ alla volontà
sovrana della consorte e finiva poi col fissare la giornata e l'ora
della partenza. E Maria rispose citando il conte Pier Luigi, che
lasciava il nipote libero della propria volontà, minacciando per altro
di diseredarlo se non avesse fatto a modo suo. In conclusione,
entrambi convennero che tanto Prospero quanto Pier Luigi avevano i
loro difetti, le loro pecche; ma erano pure le due eccellenti persone!
Maria andava persuadendosi che suo marito non era dalla parte del
torto e che, chiamandola presso di sè, le dava veramente una prova
d'affetto. Conveniva che, a Borghignano, divertimenti nè distrazioni
non ce n'erano affatto, mentre a Firenze avrebbe potuto uscire un po'
da quella vita monotona e sollevare lo spirito, specialmente
frequentando i teatri; ed anche per l'educazione di Lalla il nuovo
disegno di Prospero Anatolio veniva assai opportunamente. Vedendo
persone nuove e vivendoci in mezzo, il demonietto avrebbe perduto un
po' di quella sua selvatichezza indomabile, e con suo padre vicino
avrebbe fatto meno capricci.

Giorgio approvava tutte le considerazioni di Maria, si lasciava
burlare a proposito delle sue aspirazioni _platonicamente_
repubblicane, e così, fra una chiacchiera e uno scherzo, quella sera,
invece di andarsene alle undici, come era solito, lasciò il palazzo
d'Eleda quando la mezzanotte era già suonata.

Un'ora dopo, Maria si addormentava beata, tranquilla, sorridendo alla
nuova felicità che l'aspettava a Firenze, senza aver notato il
cambiamento del suo umore, senza averne avvertito il perchè, senza
domandarsi come mai prima le aveva data tanta pena la lettera di suo
marito ed ora invece le procurava tanto piacere.

Il conte Della Valle, un'ora dopo, era ancora al _club_, e quando la
mattina scrisse allo zio accettando di andare a Firenze, non ricordava
nemmeno che a Firenze ci sarebbe andata pure la duchessa d'Eleda.



V.


Maria comparì la prima volta in mezzo al bel mondo fiorentino, nel
gran ballo della principessa Balbi della Bicocca. Già essa vi era
stata annunziata, e la precedeva quel vociare inquieto, quei mille
pettegolezzi coi quali si fabbricano le biografie improvvisate di
tutti coloro che attirano la curiosità della gente. Gli uomini ne
parlavano con entusiasmo, le donne con una certa diffidenza; esse
temevano una rivale.

La bellezza della duchessa d'Eleda aveva raggiunto allora quasi la
perfezione, e quel poco che le mancava per esser perfetta, ne
accresceva la grazia. Era una bellezza che parlava ai sensi e al
cuore; grande, bionda, pallida, l'eterno femminino di Goethe aveva in
lei la sua espressione più viva, e la formosità giovanile, i suoi
fascini più attraenti. Il poeta Aleardi, allora di moda, la paragonava
a una Madonna pensata dal Beato Angelico, e dipinta da Rubens.

Quando non c'è un amante di mezzo che faccia da diafragma, i raggi
lucenti della moglie cadono diritto a illuminare il marito: e Prospero
Anatolio, come aveva già preveduto, ebbe in suo pro tutta la
benevolenza che sapeva cattivarsi la moglie. Cominciavano a
dimenticarlo, e la moglie lo ricollocò sul candelliere.

La celebrità, come le donne e la fortuna, si abbandona a chi sa
coglierla in buon punto; e una volta raggiunta nessuno o ben pochi
ripensano agli espedienti adoperati all'intento. Prospero Anatolio
poi, dominato da una gran vanità, non era uomo da fermarsi ad
analizzare il _successo_. Quando lo applaudivano alla Camera, egli
dimenticava che il discorso era stato riveduto da un suo collega,
costretto, per la _disciplina di parte_, a tenersi nell'ombra; quando
faceva ridere gli amici con un frizzo, dimenticava il _Figaro_ o il
_Fanfulla_, dove lo aveva letto. Adesso si sentiva accarezzato,
cercato, adulato, e non pensava a sua moglie, alla forza prima di
tutto quell'incenso; quella forza ch'egli per altro, a suo tempo, non
avea trascurato di adoperare.

Gli uomini di tutti i partiti, deputati, ministri, senatori,
banchieri, artisti alla moda, diplomatici a spasso, generali e
ufficialetti, tutto il sesso forte, insomma, si affaccendava attorno
al duca e gli faceva corona: e nemmeno il sesso debole gli era avaro
di sorrisi.

Maria non aveva amanti; per combatterla e vincerla bisognava dunque
sedurre il marito.

E infatti fra le altre, e più delle altre, la baronessa Renata de
Haute-Cour, che da vari mesi faceva delirare invano il povero
Anatolio, aveva cominciato, dopo la venuta di Maria a Firenze, a
mostrarsi con lui di una amabilità molto arrendevole.

La de Haute-Cour era la moglie del ministro di Francia: una donnina
che sembrava uscita da un capitolo di Feuillet, piena di grazia e di
nervi; che rideva, parlava, gestiva continuamente, e che formava con
Maria il più vivo contrasto. La duchessa d'Eleda aveva la maestà, i
modi, il sentire di una gran dama; Renata, invece, la storditaggine
briosa di uno sbarazzino.

Forse appunto per un tale contrasto, o forse per il rumore, lo
scandalo, l'invidia, i desideri, che la de Haute-Cour avea sollevati
intorno a sè, Prospero Anatolio da due mesi ne era perdutamente
invaghito, e balbettava con lei, balbettava in modo straordinario.
Renata non si può dire che rifiutasse il suo omaggio, questo no; ma le
piaceva di farlo giocolare, come il micino che corre, salta, scatta,
si contorce, fugge e ritorna affaticandoci per ghermire il gomitolo e,
quando è lì lì per afferrarlo, uno strappo improvviso glielo porta
lontano.

Ma invece al ballo della Principessa della Bicocca, Prospero Anatolio
raggiunse il colmo della felicità. Renata era tutta per lui solo:
aveva aperto al duca una partita a due colonne sul libricciuolo dei
balli, e licenziava con poche parole gli importuni che tratto tratto
venivano ad interrompere i loro discorsi.

Gongolante, orgoglioso, egli non avvertiva però che i rivali da lui
messi in fuga correvano ad ingrossare le file già formidabili degli
adoratori di sua moglie.

Durante le quadriglie, la coppia del duca e della baronessa Renata era
la più disattenta di tutte, e fece nascere confusioni disastrose nella
_grande chaîne_ e nei comandi _à gauche_ e _à droite_. Fra un ballo e
l'altro era sempre il duca il cavaliere di lei, l'angelo custode del
suo ventaglio, il segretario dispotico del suo _carnet_. Il duca la
faceva bere, il duca la faceva passeggiare, il duca provvedeva agli
strappi del suo vestito, conducendola dove le cameriere riparavano ai
guasti avvenuti nel calore delle danze.

--Il vostro è un capriccio,--gli diceva Renata appoggiandosi
mollemente al braccio di Prospero.

--No! No! Per tutto ciò che ho di più sacro al mondo, vi giuro che vi
amo, che non ragiono più.

--Ma... domani?

--Domani, come ieri, come oggi, co-come sempre!

--_For ever?_

--_For ever._

--E vostra moglie?

--Mia moglie... Vi amo.

--Guardatela. È bella assai, vostra moglie...

Fatto il giro dell'appartamento, erano entrati insieme nel _buffet_, e
Renata, dietro a una portiera, gli indicava la duchessa, in mezzo alla
sala da ballo.

Era appena finito un valzer: Maria, ancora ansante, colle guance
leggermente colorite, era ammirata, circondata dal fior fiore della
gioventù e dell'eleganza.

--Com'è bella!... No! Non dovete guardarla!

E Renata si strinse più forte al braccio del duca, piena di fascino e
di grazia, fingendosi quasi paurosa, quasi mortificata da quel
confronto.

--Voglio voi... Amo voi...--le balbettò all'orecchio il duca d'Eleda.

--Vi piaccio dunque... mi amate di più?--esclamò Renata correggendosi
a tempo, e con una mano sapiente giuocando colla commenda che brillava
sullo sparato tutto a pieghe e a ricami della camicia di Prospero.

--Lo vedete, Renata, non so-ono qui?!...

Renata si guardò intorno con un rapido giro degli occhi. Nel _buffet_
non c'era nessuno. Nascosta dietro alla portiera, non poteva certo
esser veduta: si alzò ritta sulla punta dei piedi, e con una sua mossa
da monello stordito sfiorò colle labbra il volto di Anatolio, che
diventò pallidissimo.



VI.


Tra Giorgio Della Valle e il duca d'Eleda non c'era molta amicizia.

Giorgio, parlando di Prospero, alzava le spalle chiamandolo
_clericale_; e Prospero chiamava l'altro un repubblicano e faceva
altrettanto. Erano rimasti molto tempo salutandosi appena, fatto
abbastanza notevole in una città di provincia, fra i rappresentanti di
due case cospicue del patriziato; e solo quando successe il matrimonio
del duca, cominciarono ad avvicinarsi un po' più. Il conte Eriprando,
lo zio della sposa, era stato tutore di Giorgio, e Giorgio era tenuto
dai Santo Fiore come un figliuolo. A poco a poco, la consuetudine di
vedersi ogni giorno, se non fece nascere fra di loro una straordinaria
simpatia, finì col renderli amici apparentemente.

Giorgio rispettava le opinioni politiche e religiose del suo
avversario; anzi, per la disparità grandissima che esisteva fra quelle
opinioni e le sue, diffidava del proprio giudizio, temendolo alterato
dalle prevenzioni, e si ostinava, per paura di eccedere, a voler tener
il duca d'Eleda per da più assai che non valesse in realtà. Prospero
poi, da parte sua, gli accordava un olimpico compatimento,
giudicandolo sempre un ragazzo esaltato, ma innocuo; un po' matto, ma
in fondo un ottimo cuore; e sperava, davvero, che maturandosi cogli
anni e coll'esperienza avrebbe messo il cervello a partito. Nè lo
vedeva di mal occhio in casa; anzi faceva pompa di una tale amicizia;
perchè questa amicizia rappresentava la tolleranza del duca verso i
suoi avversari politici. Di questa tattica fine egli raccoglieva già i
frutti, e durante le ultime elezioni se n'era discorso favorevolmente
al gran caffè di Borghignano e su pei giornali;

Adesso per altro, a Firenze, Prospero Anatolio trovò nel conte Della
Valle un cambiamento troppo evidente... Giorgio alle volte era con lui
così freddo, che si avvicinava a scortese... nè Giorgio aveva tutti i
torti.

L'amicizia, la stima ch'egli professava a Maria erano sincere e
vivissime, e perciò non poteva perdonare al duca d'Eleda di posporre
tutte le virtù e i pregi inestimabili di sua moglie ad una _cocotte_,
con tutti i quarti, ma sempre _cocotte_.

Anche a Maria non passò inosservata la freddezza del conte verso
Prospero; e questa novità, ch'ella non riusciva a spiegarsi, la
infastidiva, la addolorava, la teneva continuamente sopra pensiero,
tanto che una volta, non potendo più oltre frenarsi, domandò e volle
saperne il motivo. Giorgio, preso così all'improvviso, non ebbe tempo
di potersi schermire con arte, e la duchessa gli serrò i panni addosso
sì fattamente che, pur di uscirne, egli ne attribuì la cagione alle
aspirazioni politiche del deputato di Borghignano, troppo contrarie
alle sue.

Ma la scusa non poteva soddisfare, perchè quelle aspirazioni erano pur
sempre le stesse, mentre invece la freddezza era nuova. Giorgio
allora, vedendo di non potersi giustificare, promise di correggersi, e
benchè questa promessa non fosse poi mantenuta, Maria non entrò più in
tale argomento. Sentiva che Giorgio le nascondeva un segreto, ch'egli
non aveva per lei la confidenza di un tempo, e se ne offese.

Intanto anche Prospero Anatolio che, con un grosso rimorso sulla
coscienza, avea paura di tutto, non mancò alla sua volta, di far cadere
il discorso, trovandosi colla moglie, sullo strano contegno del suo
amico, per prevenire il pericolo di qualche inopportuna confidenza e
prepararsi, per tutti i casi, il terreno alla propria difesa. Egli pure,
come avea fatto Giorgio, non trovando da dire meglio, ne dava la colpa
alla politica.--_Nemici politici e amici personali_, è una bella frase
d'effetto, come--Libera Chiesa in libero Stato--del conte di
Cavour,--concludeva il duce d'Eleda.--Tutta roba da leggersi sulle
gazzette; tutta rettorica! Ma, in pratica, oh! in pratica è un ben altro
affare! Oggi un'allusione, domani un equivoco, la corda si fa tesa e si
rompe, quando tu meno lo crederesti. Anch'io--continuava--anch'io, se
devo dire la verità, ho sempre tollerato Giorgio per un riguardo verso i
tuoi, per riguardo a te stessa.

Maria ascoltava e taceva; ma in fondo al cuore sentiva che Prospero,
come il conte Giorgio, non era affatto sincero. Impaziente, inquieta,
avrebbe voluto ad ogni costo scoprire il mistero, indovinare il perchè
della freddezza e degli sgarbi dell'uno, dell'imbarazzo dell'altro.

Povera Maria! pur troppo era vicino il giorno che doveva sciogliere
l'enigma e distruggere per sempre la serenità della vita sua!

Nel lunedì ultimo di carnevale si preparava a Corte una festa che
chiudeva per quell'inverno i ricevimenti privati. Era grande
l'aspettativa e grandissimo nei pochi eletti il desiderio
d'intervenirvi. La duchessa d'Eleda, naturalmente, era una delle
signore invitate e più delle altre desiderata. L'uomo propone, per
altro, e Dio dispone; e il mal di capo che aveva tormentata Maria per
tutto quel giorno si accrebbe nel dopo pranzo, accompagnato da brividi
molesti che facevano temere la febbre. Giorgio si trovava presente e
consigliò a Prospero di mandare pel medico. Il servo va e torna, e
riferisce che il medico era uscito di Firenze il mattino e
ritornerebbe col diretto delle undici; appena giunto lo manderebbero.

--E se ne chiamassimo un altro?

Maria preferì piuttosto aspettare.

Prospero, suonate le dieci, cominciava ad essere sulle spine, e
brontolava fra i denti che il male non bisogna troppo ascoltarlo; poi
da un momento all'altro, quasi temendo gli potesse mancare il coraggio
se aspettava a risolversi, si fermò sui due piedi, guardò l'orologio e
borbottò accigliato che egli doveva recarsi al ballo subito, dovendo
conferire col presidente del suo ufficio.

Maria, che aveva notato con inquietudine il crescente malumore di suo
marito, non lo trattenne, e così il duca si sentì libero e padrone di
andarsene a suo piacimento. Allora, colla tenerezza, tornò ad essere
gentile e affettuoso verso Maria; le fece raccomandazioni e carezze,
le baciò i capelli e le mani; ma poi, la prudenza gli mancò sul più
bello. Era già sull'uscio quando, rivolgendosi a Giorgio, disgustato
di quella commedia, gli domandò se si fermava ancora molto tempo.

--Mi fermo ancora un pochino, se la duchessa non è troppo stanca.

--No, no; poi a momenti verrà il medico--rispose Maria.

--Benissimo, cara, fa, fa, come vuoi, e allora tu, Giorgio, dovresti
usarmi una cortesia: aspettare che venga il medico e sapermi dire,
quando ci vedremo più tardi, che cosa ha detto.

Giorgio alzò il capo e lo guardò senza rispondere. Prospero Anatolio
capì di essere andato troppo oltre, ma conoscendo la lealtà del conte
Della Valle, pensò d'affrontarlo, e gli ripetè la raccomandazione,
guardando intanto Maria come per dirle:--È un tiro solito, ma lo
sopporto per amor tuo.

--Io non vengo al ballo stasera--rispose Giorgio seccato--ma in ogni
modo ti farò avere le notizie, se proprio le desideri.

Il d'Eleda lo ringraziò, sorrise di nuovo stringendo la mano a sua
moglie e usci senza presentire l'uragano che stava per addensarsi sul
suo capo.

Il fare asciutto, sgarbato del conte Della Valle aveva indispettito
Maria a un punto tale, che rimasta sola con lui, lo trattò con
insolita freddezza. Giorgio se ne accorse subito, ma non sapendo come
giustificarsi, senza accusar Prospero, non parlò più affatto: tanto
che la duchessa, seccata, gli disse di sentirsi molto stanca e che
perciò pensava di attendere il dottore coricata.

--Se credete, per altro, che io mi fermi ancora per attendere le
notizie, come mi ha detto Prospero...

--Grazie: non importa--rispose Maria.--Quando verrà il dottore, lo
pregherò di scrivere un biglietto, e glielo manderò io stessa.--Era un
tono che non ammetteva repliche, e Giorgio se ne andò indispettito
contro il d'Eleda, per la sua cattiva condotta, prima di tutto, ed
anche perchè era la cagione della collera di Maria. Scese lentamente
le scale, e, nell'uscire, incontrò appunto il medico che entrava
allora. Pensò, per un momento, di risalire insieme; ma poi,
riflettendoci, accese una sigaretta e rimase ad aspettarlo
passeggiando sotto l'atrio. Poco dopo il dottore scendeva. Maria non
aveva che una febbriciattola; un po' di raffreddore; in breve sarebbe
stato tutto sparito. Giorgio si strinse nelle spalle e se ne andò al
_club_.

Maria durò fatica prima di poter prender sonno; quel contegno strano e
ingiustificabile la impensieriva e addolorava ad un tempo. Anche in
suo marito, è vero, aveva notato alcunchè d'insolito; ma non vi fece
molto caso, assorta com'era in altri pensieri. Cominciò dall'accusare
Giorgio, nel suo cuore, di non essere più il medesimo di Borghignano;
di avere segreti e misteri con lei, che lo amava colla tenerezza
confidente di una sorella. Poi, dopo di aver cercato e ricercato seco
stessa di scoprire la verità, s'interrogò alla sua volta, domandando a
se stessa s'ella pure non aveva dato motivo a quello spiacevole
cambiamento; e quantunque si trovasse affatto innocente, finì come
finisce sempre chi vuol bene a qualcuno, coll'assolvere questo
qualcuno e coll'accusare sè di durezza.

--Chi sa!--pensava Maria, che nel difendere l'amico provava un vivo
piacere--chi sa!... Giorgio avrà forse qualche noia, qualche dolore,
ed invece di confortarlo fo peggio. È impossibile ch'egli sia mutato
in questo modo senza una ragione seria, molto seria, ed io ho avuto
torto di non pensarci. Se ha risposto sì malamente a Prospero, forse
avrà avuto ragione di farlo; forse avrà qualche dispiacere che lo
turba, ed io aggiungo alle sue pene anche la mia freddezza...

Ma la duchessa s'ingannava. Giorgio Della Valle, che quella notte era
molto fortunato al giuoco, non si ricordava più di lei, ed era
allegrissimo.--E se fosse in collera con me e non tornasse?--continuava
Maria a pensare,--alla fin fine, se fosse in collera, quasi non avrebbe
torto. Sa di non avermi fatto nulla, e, come a me non va più il contegno
verso di noi, a lui non parrà scusabile il mio... Come spiegare il nostro
malinteso?... Che fare?...--E s'affannava per cercare il modo di
rivederlo presto, e scusarsi, senza aver l'aria di corrergli dietro. Si
ricordò in quel punto che il giorno innanzi non aveva voluto donare a
Giorgio una fotografia, che piaceva molto, della sua Lalla, perchè,
essendo una prima copia, desiderava serbarla per Prospero. Ma adesso,
riflettendoci, capiva non essere uomo suo marito da badare alla prima
copia piuttosto che alle altre; l'affetto paterno del duca, il quale, del
resto, idolatrava la bimba, non capiva certe finezze: domani adunque si
manderà a Giorgio la fotografia domandata. In tal modo, naturalmente,
egli sarebbe venuto subito per ringraziarnela, e così spiegandosi
reciprocamente, avrebbero finito col far la pace.

Con questo pensiero si addormentò tranquillamente, e si svegliò la
mattina dopo con questo pensiero medesimo. Ancorchè il suo raffreddore
non fosse sparito interamente, si alzò presto, e sua prima cura fu di
farsi portare il ritratto da mandare a Giorgio.

--E se vi facessi scrivere a Lalla, colle zampine di mosca, il suo
nome sotto?... Certo gli riuscirebbe più gradita l'improvvisata!...

Apparecchiato l'occorrente, Maria fece chiamare la bambina; ma come il
solito quel folletto si era liberato dalla vigilanza di miss Dill, col
pretesto di andare dalla mamma, ed invece era fuggito di corsa nel
quartierino. del duca, il quale era pieno di tolleranza per i capricci
della figliuola. Infatti Lalla vi metteva tutto sossopra e torturava
la flemmatica pazienza di Ioh, un piccolo inglese, il vero tipo del
_groom_.

Lalla era fin d'allora (contava sei o sette anni) l'incarnazione di
uno di quei tanti demonietti creati e messi al mondo per la dannazione
del genere umano. Amava suo padre fin all'idolatria, perchè in lui
aveva sempre il condiscendente d'ogni capriccio, perchè, tollerante,
compiacevasi d'ogni sua impertinenza, opponendosi a Maria, quando, più
severa, trovava da sgridare e magari da correggere castigando. Egli
stesso, senza pensare nè all'educazione, nè alla riuscita di sua
figlia, la quale con quei principî non prometteva nulla di buono, si
divertiva a giuocare con lei. Le insegnava mariuolerie, si lasciava
sfuggire parole un po' ardite, ridendo come un matto quando la piccina
le ripeteva. Egli la faceva correre, la faceva saltare, le insegnava
la scherma e l'equitazione; e però il quartierino del duca era l'Eden
di tutte le delizie di Lalla. Quando poteva scappare da sua madre e da
miss Dill era beata; correva là dentro; quei quadri dai colori vivaci,
quelle armi, tutto quel disordine era il suo proprio elemento. Ella
rifaceva il soldato, la cantante, l'arcivescovo e la duchessa madre
nei giorni di ricevimento. Poi si fermava lungamente a divorare collo
sguardo le donne nude, scolpite o dipinte; e benchè il duca le avesse
insegnato, per tutelare la sua innocenza, che quelle non erano donne,
ma anime sante, Lalla faceva già confronti fra quelle _anime_ e sè.
Gli astucci, le cassettine, i cassettini, l'armadio, lo scrittoio di
Prospero Anatolio non avevano segreti per la sua curiosità infantile,
nè riparo alle sue piraterie quotidiane. Prospero quando cercava
qualche cosa che non gli riusciva di trovare, andava su tutte le furie
brontolando con Maria e con miss Dill perchè non sapevano educare la
bimba.

Anche quella mattina, dopo che la duchessa l'ebbe fatta chiamare, miss
Dill dovette cercarla nello studio del duca.

--Cattiva!--le gridò Maria quando la fanciullina entrò in
camera.--Cattiva! Hai disobbedito a tua madre, e hai detto delle bugie
a miss Dill!

Lalla non rispose; ma con un salto fu sulle ginocchia di sua madre, e
l'abbracciò stretta stretta. Miss Dill uscì.

--A voi--disse Maria affettando una severità che era uno scherzo--da
brava! scrivete qui, sotto questo ritratto.

--Lasciamelo vedere, mamma.

--Lo hai già veduto ieri: è il tuo ritratto.

--Lasciamelo vedere, mammina bella.

--A te, guarda, sei contenta?

Lalla fece una smorfia e poi:--Sono stata più ferma di Mimì, non è
vero, mamma?--Mimì era una piccola amica... una piccola rivale.

--Sì, sei stata più ferma di Mimì, la quale per altro è più ubbidiente
di te, e non dice bugie. Scrivi da brava.

--E a chi regali il mio ritratto? al babbo?

--No, al tuo amico Giorgio.

--Al mio amico Giorgio? Ma non avevi detto di regalarlo al babbo?

--Scrivi, presto!

--Ne darai un altro al babbo?

--Sì, gliene darò un altro.

--Quale?

--Oh Dio! Un altro, come questo! Non farmi arrabbiare, andiamo.--E
Maria, tenendo sempre Lalla sulle ginocchia, accostò a sè con una mano
un piccolo scrittoio di mogano.

--Che cosa devo scrivere?...

--Scrivi...--e Maria, dettando, seguiva cogli occhi la manina di
Lalla--scrivi:--_Al buon amico_...

--A-mico...

--Giorgio.

--Gior-gi-o.--Basta?

--No! devi scrivere ancora....

--Che cosa, mammetta?

--La tua piccola Lalla.

--Tua piccola Lal-la.

--Brava! Così!--E Maria fece per toglierle di mano la penna.

--No! Aspetta.--La bimba, la quale, prima non voleva cominciare, ora
non voleva più smettere, e sotto gli occhi meravigliati di sua madre
scrisse, dopo la firma: _for ever_.

--_For ever?!_--esclamò Maria, stupita. Lalla guardò la mamma, e col
suo intuito precoce, ebbe paura di ciò che aveva fatto.

--Chi ti ha insegnato a scrivere _for ever_?

Lalla, rossa rossa, balbettò, si confuse, e poichè Maria insisteva per
sapere la verità, scoppiò in lacrime, e cominciò a strillare. Allora
la mamma, fissandola severamente, la minacciò, se non diceva tutto, di
regalare _Dèsir_, il suo cavallino favorito, a Mimì. Era una minaccia
che otteneva sempre un grande effetto.

--Non lo farò più, mamma!... Non lo farò più!...

--Va benissimo, ma prima mi devi dire tutto...

--Ho trovato per terra il portafoglio del babbo...

--Ebbene?...

--Non sapevo di far male... l'ho trovato per terra...

--Ebbene?...

Lalla mentiva; lo aveva tolto invece dal cassettino dello scrittoio,
che trovò aperto un giorno, mentre suo padre, nella camera vicina, si
mutava d'abito.

--E dunque? Animo, animo! bisogna dir tutto.

--E sotto il ritratto di una signora ho veduto scritto così.

--Dici una bugia.

--No, no! mammetta!--replicò Lalla, contentissima,--Hai anche tu quel
ritratto--e così dicendo, scivolò dalle ginocchia di sua madre, corse
nel salotto, prese un album, lo portò a Maria, l'aprì, fece passare i
ritratti in fretta; poi fermandosi d'un tratto esclamò:

--Eccola! È questa qui!--e col ditino indicò il ritratto della
Haute-Cour.

Maria impallidì, e i suoi occhi si empirono di lacrime.

--Perchè piangi, adesso, mamma?... Non lo farò più. te lo prometto.

Maria si strinse forte alla sua creaturina, e un singhiozzo, che le
veniva dritto dal cuore, aprì lo sfogo ad un pianto dirotto. Lalla,
che non capiva nulla, ritornò a piangere anche lei; baciava la bocca,
le guance, gli occhi della povera sconsolata, e colla vocina infantile
continuava a domandarle:--Perchè piangi, mamma?



VII.


Rinvenuta un poco dallo sgomento di quella scoperta, la poveretta ebbe
qualche conforto dal dubbio.

Dubitò delle parole di sua figlia, dubitò della colpa di suo marito.
Quelle parole--_for ever_--non avrebbero potuto, alle volte, essere
inspirate da una simpatia vaga?... E se proprio sotto c'era un
affetto, non poteva essere un affetto meritevole di perdono, scusabile
forse?... Ma in questo modo, per quanto Maria lo desiderasse, non
riuscì lungamente a ingannarsi. Messa in sull'avviso, non ebbe che ad
osservare, attentamente osservare, per accertarsi della verità.

Maria non era innamorata di Prospero; ma quella scoperta non doveva
perciò riuscire meno dolorosa. Il suo affetto di madre, la sua dignità
di donna e di moglie, avevano ricevuto un grave oltraggio. Non era
innamorata di Prospero, ma gli voleva bene; lo stimava, e aveva
bisogno di stimarlo, perchè era il padre della sua creatura, e perchè
l'onore di quest'uomo era pure il suo onore. Non era innamorata di
Prospero; ma Prospero era suo marito... Ricordava che ieri, ieri
ancora, egli l'aveva avuta fra le sue braccia... e pensando adesso che
non vi era stata desiderata dall'amore, ma dai sensi, vedeva l'occhio
di lui fissarla curioso, disamorato: lo vedeva cercar confronti,
invocare altre orme, e il suo pudore, il suo orgoglio ne soffrivano
amaramente.

Che cosa fare?...

Il primo pensiero fu quello di fuggire da suo marito, perchè le faceva
orrore.

Fuggire?... E Lalla? Lalla la sua figliuola? Lalla piccina ancora?
Avrebbe potuto dividerla dal padre? Avrebbe potuto dividerla dalla
mamma sua? Avrebbe potuto lei abbandonarla? No; Maria era madre; madre
sempre e prima d'ogni altra cosa, e con questo affetto si sentiva
rialzar pura, quasi redenta dall'oltraggio patito.

Ma... che fare?... Vederlo ancora?... Continuare a star con lui?

La sua mente si perdeva, l'animo suo ondeggiava in mille dubbi. Ella
da sè sola non riusciva a connettere le idee, e non sapeva nemmeno a
chi ricorrere per consiglio. Nessuno avrebbe potuto o voluto aiutarla;
e poi di nessuno ella stessa si sarebbe fidata.

--Di nessuno?... No, Giorgio mi consiglierà: di lui posso
fidarmi.--Con questo pensiero Maria ritrovò un po' di calma; il suo
volto turbato si ricompose ed ebbe un sorriso di speranza e di
sollievo.

--Giorgio?... sì, Giorgio! Ecco spiegato adesso il suo contegno, la
sua freddezza con Prospero,--andava pensando fra sè.--Egli certo
sapeva ogni cosa; e il suo carattere franco e onesto soffriva nel
vedermi offesa così vilmente. Ed io... che invece dubitavo di Giorgio
e della sua amicizia! Ah! Ma ora gli dirò tutto, mi confiderò con lui
interamente, e farò... farò tutto quello che egli mi consiglierà di
fare.

Dopo una tale risoluzione, Maria scrisse sul momento al conte Della
Valle, senza riflettere al passo gravissimo che stava per fare, il
seguente biglietto:

«Venite subito da me: ho scoperto tutto e ho tanto tanto bisogno di
consigliarmi con voi.--_Maria._»

Piegata, suggellata la lettera, fatto l'indirizzo, suonò: poco dopo
entrò la cameriera.

--Chi c'è in anticamera?--le chiese Maria, ancora colla voce malferma.

--Giacomo e Lorenzo.

--Mandami Lorenzo.

La cameriera uscì e ritornò quasi subito introducendo un servitorello
dai quattordici ai sedici anni.

Era costui un figliuolo della nutrice di Lalla, che aveva ottenuto di
entrare al servizio della duchessa, e le era fedele come un cagnolino.

--Sapete, Lorenzo, dove sta di casa il conte Della Valle?

Il ragazzo strinse gli occhi e chinò la testa, pensando, poi, dopo un
momento, rispose:

--Sì, signora duchessa. Ora me ne ricordo. Sta in via dei Fiesolani,
in quel palazzone vecchio, di faccia alla chiesa di San Filippo.

--Va bene. Gli porterete questa lettera. Se non è in casa, aspettate
che ritorni; ma non dovete consegnarla che nelle sue mani.

Rimasta sola nuovamente. Maria raccolse le carte, le buste, le penne
sparse sullo scrittoio, e le richiuse in una piccola scatoletta
intarsiata.

Ma, in questo punto, un pensiero che le giunse improvviso le fece
prima corrugare la fronte; poi le sue guance, quasi sempre
pallidissime, diventarono rosse, di bragia, e corse ella stessa in
cerca di Giacomo, fin nell'anticamera.

--Lorenzo è già andato?...--domandò al servo affannata.

--Sì, signora duchessa.

--Correte presto! fermatelo! Ch'egli ritorni qui sul momento!

Non aveva terminato di parlare, che già il servitore, fatta a salti la
scala, usciva di casa, e dopo pochi minuti, che a Maria, la quale
stava ansiosa ad aspettare dietro i vetri della finestra, sembrarono
eterni, ritornava indietro con Lorenzo, il quale teneva ancora tra le
mani la lettera per il conte Della Valle. Maria, vedendola, respirò
liberamente.

--Devo aspettare?--domandò Lorenzo, quando ebbe ebbe restituita la
lettera alla duchessa.

--No, non occorre, andate pure.

Era assai forte il turbamento ch'ella provava allora, con quel
bigliettino fra le mani; perchè era esso appunto la causa di tanta
agitazione.

Sapeva di averlo scritto in un momento di febbre, senza pesarne le
parole; e però Lorenzo non era ancor uscito dal palazzo, ch'ella già
cominciando a riflettere, sentì subito il timore di aver commessa
un'imprudenza. Quanto più ci pensava, tanto meno sapeva rendersi
ragione di tutta quella fretta di scrivere al conte Della Valle di
quel partito preso così sui due piedi.--Guai, guai, se Giacomo non
fosse arrivato in tempo a fermar la lettera!...--A mano a mano la sua
inquietudine diventava sgomento, e la imprudenza commessa diventava
sempre più grande nella sua mente...--Guai, guai, se Giacomo non fosse
arrivato in tempo!...--Pure, anche quando finalmente la lettera le fu
restituita intatta, Maria non riebbe la calma.

Era angustiata dal timore e oppressa da una soggezione strana:
guardava la lettera, che teneva sempre chiusa in mano, voleva aprirla
e non sapeva risolversi, non osava. Finalmente, si fe' coraggio,
stracciò la busta:

--_Venite subito da me: ho scoperto tutto e ho tanto tanto bisogno di
consigliarmi con voi._--Ma s'egli non sapesse nulla, pensava, ho io il
diritto di metterlo a parte di un segreto che è il segreto di mio
marito?--_Ho bisogno di consigliarmi con voi!_--Consigliarmi con
lui?... No. Io sola devo difendere il mio onore, e poi, non ho forse
lo zio a cui rivolgermi, lo zio che mi fu padre e che ho
dimenticato!... Il dolore dunque rende ingrati; perchè sono stata
ingrata col mio unico parente, e mi sono rivolta per aiuto, per
consiglio, a chi?... ad un estraneo!... Un estraneo?... Eppure...
scrivendo a Giorgio, ho provato un grande conforto. Ho sentito nel mio
cuore che potrei ancora perdonare, che potrei ancora essere felice...
Felice?.... per lui dunque?!... Ah! mio Dio! mio Dio! sarebbe
possibile?!...

Maria, atterrita, interrogò il suo cuore, e il cuore, duramente, tanto
era inesorabile quella risposta, tanto era angosciosa per la poveretta
che ormai non poteva più dubitarne, il cuore duramente rispose che
ella amava.

--Sono perduta! è più forte di me! sono perduta!--esclamò piangendo
disperata; e allora sentì che nessuno al mondo, nemmeno le carezze di
Lalla, avrebbero potuto farle dimenticare quel nuovo affetto che,
scorto appena nella improvvisa vicenda dei suoi dolori, già cresciuto
gigante, la padroneggiava.

--Ed io, io che non voleva perdonare...

In questo punto, ricordando la colpa di suo marito, le sembrò quasi
che una mano vigorosa le stringesse il cuore, così da soffocarne ogni
palpito. Quella colpa le sembrò odiosa, e la sua virtù, il suo
orgoglio, la sua fierezza si ribellarono contro la sua propria
passione.

Fu una lotta accanita, crudele; ma ne uscì vittoriosa. Piangendo
sempre, perchè quel sacrificio era enorme, era uno di quei sacrifici
che uccidono: non consolata ma sicura; colla fede, che tante volte è
l'unica difesa della donna, pregò Dio, invocò sua madre per sè, per la
propria creatura....

Mentre Maria pregava e piangeva, senza ch'ella se ne accorgesse, si
aprì lentamente l'uscio della sua camera, e Lalla, che da due ore non
riusciva a spiegarsi quel mistero d'ordini e di contro ordini, cacciò
fuori adagio adagio il suo scarno visetto, con gli occhi vivi, pieni
di furberia e di malizia, fra le tende della portiera, trattenendo il
respiro, tentando di capire, fra i singhiozzi della mamma, che cosa
fosse accaduto di nuovo.

Ma quella poveretta non pregava con le labbra, pregava col cuore: e
così fu delusa, allora e sempre, la curiosità della piccola
imprudente.



VIII.


Quantunque Maria rimanesse vincente dopo quella lotta, comprese
tuttavia che il nemico, se si era ritirato, era per altro troppo
forte, e non si poteva fare a fidanza con lui. Una risoluzione
occorreva prenderla, e la risoluzione fu presa: quella di allontanarsi
da Giorgio.

Riordinò le idee, ponderò bene i suoi disegni, e quando il duca
d'Eleda ritornò dalla Camera, fu avvertito che la duchessa lo
aspettava e che voleva parlargli.

A tale annuncio. Prospero Anatolio si fermò sui due piedi. La novità
della cosa, sua moglie che lo faceva chiamare nelle sue stanze e la
coscienza che gli rimordeva, non predicevano nulla di buono. Sentì
invece che lo aspettava un quarto d'ora assai difficile. Dubitò della
lealtà di Giorgio, delle maligne confidenze di una troppo tenera
amica, della stessa perspicacia di sua moglie, e a buon conto preparò
la sua difesa.

--Maria minaccerà una tragedia--pensava egli fra sè e sè.--Avrò una
scena di lacrime, di gelosie... e, se devo dire la verità, me lo
merito proprio. Sono adorato da una moglie che tutti m'invidiano; ed
io invece... Già, sicuro, sono molto colpevole. Del resto, Maria non
sa fin dove son arrivato; è troppo ingenua per sospettarlo, e così
posso ancora difendermi, accusando la solita maldicenza... Povera
donna tanto innamorata!--e Prospero Anatolio, mentre, preceduto da
Lorenzo, entrava nella stanza della duchessa, si compiaceva ad
ammirare la sua figura di Don Giovanni attempatuccio, riflessa dagli
specchi delle portiere.

--Mi hai fatto chiamare?--chiese a Maria appena furono soli; e per
anticipare le tenerezze, si chinò (ella era seduta) e un bacio le
sfiorò i capelli.

Maria si alzò vivamente.

--Che c'è di nuovo?--esclamò il duca stizzito.

--Devo parlarti di cose serie.

--Serie proprio?

--Molto serie.

--Allora sentiamo.

--Io conto di partir subito per Santo Fiore. Vi resterò molto tempo.
Almeno fino a che Lalla abbia compiuta la sua educazione.

--Scherzi?

--No: ti prego di dare gli ordini necessari.

--Ci siamo, sa tutto!--pensò Prospero Anatolio; e poi riprese subito,
fingendo una gran maraviglia:

--Come? Vuoi andare a Santo Fiore?... ma io non posso lasciar la
Camera!

--So bene. Partirò sola, con Lalla e con miss Dill.

--Mi vuoi separare da te, dalla figliuola?...

--È necessario...

--Non credo... ascoltami, cara--e Prospero Anatolio prese e strinse
con tenerezza la mano di Maria,--ti supplico, interroga il tuo cuore,
e dimmi se...

--No, no!--interruppe la duchessa--il cuore... non c'entra.
Raccomandiamoci invece allo spirito di tutti e due, per non essere
costretti a spiegazioni che è meglio lasciare sottintese.

--No, sei in errore, Maria; il tuo cuore e il tuo amor proprio avranno
da guadagnare da una mia confessione intera e sincera.

--Non ti comprendo.

--Non vuoi comprendermi, piuttosto. Mi hanno accusato, mi hanno
calunniato, lo capisco benissimo: mi hanno accusato, e tu mi condanni
subito, alla cieca, senza volermi ascoltare, senza concedermi nessuna
difesa!

--Non ci furono nè accuse, ne calunnie... Io non ti condanno, e non so
davvero che cosa tu mi debba confessare.

Prospero Anatolio capì di essere andato troppo oltre; ma il ritirarsi
era ormai impossibile.

--Perchè dunque vuoi partire così subito e così
  improvvisamente?

--Ciò riguarda me sola.

--No, riguarda me pure. È un puntiglio, un capriccio, e voglio sapere
il perchè!

Maria alzò il capo e guardò fissamente il marito. La bonacciona timida
e paurosa di Borghignano era sparita; col viso pallido, con un sorriso
freddo, un po' anche sarcastico, pareva un'altra donna. Il duca sentì
un così gran cambiamento, senza poterlo spiegare; lo subì, senza
volerlo riconoscere.

--Dunque? Aspetto una risposta;--e Prospero Anatolio si sforzò per
rimanere impassibile.

--Amo Giorgio Della Valle--rispose lentamente Maria, senza tremiti
nella voce, senza muover ciglio, senza arrossire. Dinanzi alla colpa,
infame e ipocrita, del duca, ella si sentiva forte, si sentiva fiera
del suo amore così alto, così puro.--Amo Giorgio Della Valle; e non
voglio che questo affetto, il quale ha saputo vincere il mio cuore,
vinca un giorno anche la mia coscienza, e voglio fuggire.

Prospero Anatolio impallidì, ma si contenne; poi, cessato il primo
sbalordimento, si persuase non esser altro che una finzione colla
quale Maria voleva ottenere la propria rivincita e vendicarsi.
Tuttavia, era una commedia che gli spiaceva molto.

--Volendo risparmiarti l'incomodo di cambiar domicilio--rispose a
Maria dopo un momento,--ci sarebbe un altro modo per difenderti, e...
per salvarti, come dici.

--Quale?

--Mettere alla porta il Conte Della Valle.

--Faresti capire a Giorgio ciò che è e dev'essere sempre un mistero
per lui e per tutti.

--Chi sa? Più fortunato degli altri, nostro cugino avrebbe potuto
indovinare l'arcano.

--No, non credo almeno--rispose con calma. Maria, senza voler notare
l'insinuazione contenuta nelle parole del marito.

Questi, arrabbiatissimo, cominciò a gridare per difendersi; ma, poichè
non sapeva bene che cosa dire, se n'andò brontolando e sbattendo
l'uscio con gran dispetto.

Ritornato nel suo studio, e dopo essersi sfogato un poco, egli si mise
a passeggiare su e giù, pensando al modo di levarsi d'impaccio col
minor danno. Temeva poi anche,--le chiacchiere già, correvano sul
fatto suo--che la partenza di Maria facesse troppo rumore e ne
seguisse uno scandalo.

--Bisogna impedire questa partenza: bisogna impedirla assolutamente.

Ma come fare?

Il duca aveva fatto il giro dello studio, in lungo e in largo un
centinaio di volte, senza aver trovato un buon ripiego. Di tanto in
tanto, a ogni nuovo pensiero che gli si affacciava alla mente, si
fermava su due piedi, fissando il soffitto, e meditando; poi scrollava
il capo e ricominciava a passeggiare, sempre più annuvolandosi. Così
passò un'ora, un'ora e mezzo, due, quando a un tratto il suo volto si
rischiarò:

--Ah! ah!--borbottò fra sè, sorridendo:--mia moglie vuol confondermi?
Per lo meno le insegnerò che sono sempre un uomo di spirito!...--Vano
e leggero, il duca d'Eleda teneva di più a parere un uomo di spirito,
che non ad essere un uomo onesto.

In fretta, senza chiamare il servo, indossò il soprabito e uscì di
casa.

--Via de' Fiesolani! palazzo Castiglione!--gridò al cocchiere montando
nella prima carrozza vuota che incontrò per la strada.



IX.


Il d'Eleda pensava di adoperare Giorgio Della Valle come intermediario
ufficioso presso Maria. Giorgio sapeva già ogni cosa; dunque,
confidandosi con lui, fosse amico o nemico, non arrischiava molto. Di
più Maria per vendicarsi aveva finto con lui di essere innamorata ed
egli con quella mossa da scaltro diplomatico rompeva la trama
dell'innocente commediola.

--Ma... e se Maria non avesse mentito?--Era questa un'ipotesi sulla
quale egli non avrebbe voluto fermarsi nemmeno: un'ipotesi stupida,
assurda... che per altro intorbidiva, di tanto in tanto, tutto il
sereno del suo ragionare.

--Che! che!... non è possibile; Maria non avrebbe confessato, se fosse
proprio stato vero!...--Ad ogni modo, pensò che egli avrebbe capito la
verità dal contegno di Giorgio, ed anche per questo lato il passo che
stava per fare era molto abile. Intimamente sicuro, tuttavia un certo
dubbio istintivo lo inquietava sempre; e quando poi si trovò alla
presenza di Giorgio, cominciò a temere di poter scoprire un qualche
indizio compromettente.

Oh, allora guai! la sua vendetta sarebbe stata terribile!

Al primo incontro, tanto il duca quanto il Della Valle si sentivano un
po' impacciati: Giorgio non riusciva a capire che cosa ci fosse sotto
a quella visita, e Prospero Anatolio, come succede sempre a chi si
trova impegnato in una risoluzione stata presa senza punto riflettere,
dubitava di essersi spinto troppo oltre e, potendolo fare, sarebbe
tornato indietro volentieri.

--Sono qui--disse infine al conte Della Valle--sono qui a trovarti,
perchè ho... ho gran bisogno di te.

--Di me?--E Giorgio, notando l'aria stravolta, gli domandò se, per
caso, era corsa una sfida.

--Appunto--rispose il duca, sorridendo--ho un duello!... Accetti di
essere il mio primo?

--Volentieri, ma il tuo avversario chi è?...

--È mia moglie.--Così dicendo il duca fissò di traverso i suoi
occhietti grigiastri nel volto del giovanotto.

--La duchessa Maria?

--Pur troppo.--E Prospero Anatolio, vedendo che l'altro era soltanto
maravigliato, cominciò a respirare più liberamente.

--Allora accetto--rispose Giorgio, il quale aveva capito adesso che
cosa doveva esserci di nuovo.--Accetto; ma confessandoti che mi
riuscirebbe più facile una requisitoria contro di te, che una difesa.

--Ti ringrazio della franchezza.

--Che posso fare?

--Maria mi accusa, e non vuoi saperne di ascoltare giustificazioni.

--Ma come ha scoperto?

--Chi sa? non s'è voluta spiegare.

--Che cosa ti ha detto?

--Ha cominciato e ha finito, dichiarandomi soltanto che oggi o domani
al più tardi vuol ritirarsi a Santo Fiore.

--Bisognerebbe cercare di persuaderla che si è ingannata o che è stata
ingannata. La cosa per altro mi sembra difficile.

--Per ciò appunto sono qui a seccarti. Tu dovresti dire a Maria che io
non sono... che lei non è... quantunque alcune apparenze abbiano forse
potuto far supporre che fra me e quella signora... insomma, mi
capisci?...

--Già, già; ho capito.

--E poi...

--E poi? Che cosa?

--Tu dovresti farle notare che il suo disegno è sconveniente sotto
ogni rispetto. Per un dubbio soltanto, ella non ha diritto di
allontanarmi dalla mia famiglia.

--È vero. La duchessa non può sapere fin dove arriva la tua... cioè la
sua...--Giorgio adesso si trovava impacciato, anche lui, a spiegarsi
chiaro.

--In secondo luogo--ripigliò il duca--con un tale procedere ella
darebbe aiuto ai pettegolezzi e ne potrebbe venire uno scandalo.

--Tenterò di convincerla, e davvero sarebbe il minor male per tutti;
ma non avresti qualche altra persona più influente di me?

--No; perchè lo zio, il conte di Santo Fiore, capirai, non mi conviene
di metterlo a parte... di adoperarlo in codesto affare.--

--Certo non sarebbe opportuno; tenterò io.

Il conte Della Valle era buono: Prospero Anatolio aveva bisogno di
lui, e ciò bastava perchè questi ottenesse l'indulgenza del
giovanotto.

--Quando credi che io vada dalla duchessa?

--Anche subito, non c'è tempo da perdere.

Si concluse che il d'Eleda si sarebbe fermato là ad aspettar le
novelle.

Come quell'altro aveva fatto prima, adesso anche Giorgio, durante la
_corsa_, studiava tranquillamente il suo piano, non immaginandosi
certo di quante commozioni doveva essere feconda, per la povera donna
che gli voleva bene, quella visita così inaspettata.

Appena Lorenzo annunziò il conte Della Valle a Maria, ella si fe'
pallida in volto e tutto il sangue le corse al cuore. Pensò di non
riceverlo, ma poi riflettendo che in tal caso egli sarebbe tornato,
disse a Lorenzo di farlo entrare.

Uscito il servo, sedette per meglio nascondere il tremito convulso da
cui era presa; le bastò un minuto per padroneggiarsi, per ricomporsi,
e quando Giorgio fu innanzi a lei, la sua voce era tranquilla, la sua
mano era ferma. Il giovanotto trovò Maria mutata,--diversa dal
solito--la trovò più sostenuta, e, quando egli disse la causa di
quella sua visita, fu costretto a notare in lei un vivo malcontento.

--Se io vi parlo di ciò, lo faccio perchè ne fui pregato da Prospero e
perchè sentirei di essere per lo meno sconoscente se mi tenessi
estraneo a quanto succede nella vostra famiglia.--Giorgio, a mano a
mano, sempre più accalorandosi, fece la sua brava difesa, tentando
tutti gli argomenti. Parlava col cuore ed era eloquente, perchè in lui
la sicurezza di fare un'opera buona suppliva il difetto di
convinzione. Maria non parea persuasa, e neanche commossa; ma dentro
di lei c'era un cozzo di affetti, una battaglia angosciosa,
indescrivibile. Giorgio le inondava il cuore di una gioia suprema,
rivelandosi come lo aveva sognato, onesto, nobile, generoso; ma, nel
confronto ch'era costretta a dedurne fra lui e suo marito, confronto
che terminava coll'essere troppo favorevole al cugino, la coscienza,
giudice severissimo, le faceva scontare quella gioia, rimproverandola,
quasi fosse una colpa.

Perchè mai lo aveva fatto Iddio così buono, così diverso da tutti gli
altri?... Se invece di difendere con tanto calore suo marito, egli lo
avesse accusato tentando di volgere in suo pro la collera della moglie
tradita: se invece di confortarla al bene, avesse tentato di sedurla
al male, allora... oh, allora, infranto l'ideale, il suo cuore avrebbe
riavuta la pace.

Senza menomare i meriti del conte Giorgio, non era Domeneddio che lo
faceva sublime; era la donna innamorata, che lo pensava tale in cuor
suo. Maria non rifletteva nè punto nè poco, che tutto quel nobile
disinteresse nasceva anche dall'indifferenza medesima di Giorgio per
lei.

Intanto, mentre la duchessa d'Eleda imparava a sue proprie spese
quanto la passione fosse potente, sarebbe stata più proclive di certo
all'indulgenza verso il marito s'egli non l'avesse offesa di nuovo
andando a scegliere appunto il conte per suo intercessore. Essa gli
aveva pur confessato di amarlo e di volerlo fuggire; perchè dunque lo
adoperava in quel modo?... Era una derisione o una sfida?

--Scusate, conte--disse interrompendolo a un tratto--scusate, ma non
c'intendiamo, mi sembra. Voi, come mio marito poco fa, alludete a cose
estranee del tutto, che non influirono punto sulla risoluzione che ho
dovuto prendere.

--Nulla di meno...

--Vi prego, dite a Prospero che vi faccia conoscere, s'egli crede di
poterlo fare, la cagione, la _vera cagione_ per cui gli ho detto che
volevo ritirarmi a Santo Fiore; altrimenti, credetelo, nemmeno noi due
non potremo intenderci.

--Riporterò al duca le vostre parole; ma vi assicuro, credevo di
godere più influenza presso il vostro cuore.--E un po' indispettito e
mortificato, Giorgio era lì per uscire, quando sulla porta, voltatosi
per salutarla, vide gli occhi di Maria pieni di lacrime. Prestamente
le ritornò vicino e prendendole tutte e due le mani, con leggera
violenza, gliele strinse, baciandole:

--Vi supplico... siate buona... non vi ostinate nel mentire con me;
non mi volete forse più bene?...--Lei?... Non volergli più bene?...
Poveretta, se lo avesse potuto, si sarebbe attaccata stretta al suo
collo, coprendo di baci quegli occhi che sapevano guardarla con tanta
soavità.

--Voi, sempre buona--insisteva Giorgio Della Valle--vorreste essere
oggi implacabile?

--Vi ho già detto, conte, ciò che dovete ripetere a mio marito.

La duchessa d'Eleda si era fatta di ghiaccio: la commozione, le
lacrime erano cessate ad un tratto; ma non mai, come allora, aveva
capita la necessità di fuggire.

--Chi spiega le donne?--pensava Giorgio Della Valle, ritornandosene a
casa.--Ieri pareva una sorella per me, ed oggi non mi può soffrire. Se
veramente fosse stata un'amica, non avrebbe fatti tanti misteri, nè
avrebbe mantenuto tutto quel sussiego. Per dire la verità, ella pareva
molto offesa, ma poco addolorata. Ci sarebbe dubbio che avesse anche
lei più orgoglio che cuore?

--Dunque... fiasco?...--domandò Prospero Anatolio, quando lo vide
entrare con una faccia che non lasciava sperare nulla di buono.
Prospero, adesso, sapeva fingere con Giorgio abbastanza bene; ma era
rimasto là ad aspettarlo con mille sospetti e mille inquietudini nel
cuore. Egli vedeva a mano a mano farsi sempre più grave la propria
imprudenza e il rischio sempre maggiore. Cominciava a dubitare della
lealtà dell'amico, della fedeltà di sua moglie, e si sentiva meno
sicuro: ci fu un momento nel quale aveva pensato d'interrompere quel
colloquio troppo pericoloso e forse lo avrebbe anche fatto se Giorgio
avesse tardato ancor a ritornare.

--Fiasco... irreparabile.

--Come ti ha ricevuto?

--Mi ha ricevuto trattandomi in un certo modo, con una sostenutezza
quasi diffidente, che accresceva la scabrosità dell'argomento.

--Almeno le hai potuto parlare?

--Cioè, ho cominciato; ma lei non mi ha lasciato finire, concludendo
in poche parole, che non potevamo intenderci se tu prima non mi dicevi
il _vero motivo_ per cui essa vuol partire, e vuol partire subito; e
che del resto... non ha nulla da perdonarti!

--Ah! Ah! Va bene; va bene.--E suo malgrado, Prospero Anatolio arrossì
fino al bianco degli occhi.

--Dimmi la verità, c'è sotto forse qualche altra cosa che non mi hai
raccontato?

--Che!... scuse, pretesti, e niente altro!--Ti ringrazio, intanto, dal
profondo del cuore--continuò il duca--per la seccatura che ti sei
presa; Sei buon testimonio che io volevo usare la persuasione,
l'amorevolezza; ma, vedendo, che con ciò non si riesce, cambierò
metodo. A conti fatti, il padrone sono io.

--Non dimenticare peraltro che tu, con tua moglie... sarai sempre
dalla parte del torto.

--Chi lo dice?

--Tutti.

--Chi mi ha veduto?

--Nessuno.

--Dunque, calunnie.

Ma nonostante tutte le proteste, le minacce, la collera di Prospero
Anatolio, la duchessa Maria, rimasta inflessibile, partì il giorno
dopo per Santo Fiore, sola con Lalla e con miss Dill; ed egli, benchè
contro genio, questa volta dovette pur riprendere la vita di scapolo.

--No, quella donna non mi ha mai amato, come non ama quell'altro, come
non amerà mai nessuno, nemmeno un Santo che volesse dannarsi per lei!
Non ha sangue nelle vene, non ha che orgoglio--pensava il duca d'Eleda
la prima notte che si trovò solo nell'ampio letto matrimoniale, mentre
non era capace di pigliar sonno. Inquieto, perduto in quell'imbroglio
di trine e coperte, fu preso da un senso di malinconia; in quel
silenzio uggioso la cabaletta di un Ernani ubriaco gli riusciva
gradita dapprima, come voce amica che lo confortasse nel suo
isolamento, e poi finiva, indispettito, col diventare invidioso di
quella volgare e spensierata allegrezza. Allora, rannicchiandosi, si
tirava le coltri fin sopra la faccia e là, solo solo sentiva di aver
freddo. Ma, così raggomitolato nel talamo deserto, mentre il suo corpo
a poco a poco si riscaldava, si riscaldava anche la sua fantasia e
volgeva a più miti pensieri verso la moglie; egli stesso era pur
costretto a riconoscerlo: in quella donna si era rivelato un carattere
singolare.--Quanto orgoglio, quanta dignità, quanta fermezza!--Come
tutti lo avrebbero invidiato se una tal donna lo avesse potuto
amare... una donna così rara e così piacente!... In quegli ultimi
giorni, Il dolore, che ella voleva nascondere, l'aveva fatta ancor più
pallida e ancora più bella. I suoi occhi profondi erano circondati da
una tinta azzurra, cupa, che tradiva veglie angosciose e lacrime
invano celate... Rosse le labbra, i bei capelli in disordine e... e il
povero marito che la vedeva, in tutto quello scompiglio della vaga
persona, disegnarsi viva nel suo pensiero, sentiva i nervi che
martellavano, tormentato da tentazioni affannose.

E dire che quella donna era stata sua, là, in quel medesimo letto,
accanto a lui; ma allora insensibile a tanta bellezza, sedotto da
allettamenti volgari, egli aveva trascurata tutta quella dovizia di
voluttà, di passione, ed oggi, oggi che ne capiva il valore, oggi
l'aveva perduta per sempre. Per sempre?!... A questa idea credette di
soffocare. Gittò con ansia le coperte dal letto e, puntellandosi coi
gomiti, si alzò quasi a sedere: guardò intorno, balbettò senza volerlo
il nome di lei, e poi con un movimento repentino del capo, fissò
trasognato il letto vicino. Ma lì, dove altra volta egli vedeva le
coltri fremer di vita, disegnandosi in leggiadre curve, ora quelle,
disanimate, tese con una regolarità desolante, annunciavano il vuoto.
La nicchia non aveva più la sua statua.

Gli pareva ancora di vederla: com'era cara in quel disordine, del
quale egli pure aveva la sua parte di colpa! Egli che si svegliava
sempre colla prima luce del mattino, si godeva a spiare la vaga
dormente... I capelli biondi, disciolti coprivano quasi tutto il
guanciale, disegnandosi in capricciosi errori attorno al collo e sulle
spalle seminude. La bocca umida, le guance fatte rosee da una mite
traspirazione... Ricordava ancora quel seno turgido e candidissimo che
si rialzava ad ogni respiro. Vinto dalla seduzione di quelle memorie,
Prospero Anatolio chiuse gli occhi e, piegandosi dove lo trascinava
l'immaginazione sua riscaldata, fece l'atto col quale gli piaceva
meglio di risvegliare la giovine sposa: Egli con un soffio
leggerissimo usava smuovere prima i capelli dalla fronte di lei, poi i
riccioli ribelli che le si torcevano sulla nuca moltiplicandosi:
accarezzava col fiato quella bocca socchiusa, fresca, ridente, quel
seno pulsante di giovinezza; e, in preda sempre alla irritante
visione, egli la vide ancora una volta scuotersi con un fremito,
aprire gli occhi, guardarlo trasognata; la vide arrossire, sorridere,
gettare un grido di bambina, e poi, vergognosa, stringerlo colle
bellissime braccia, nascondergli la testa sul petto, coprendogli il
volto con una grossa onda di capelli. Ma tutto ciò gli appariva come
in un sogno. Maria era sparita... sparita per sempre.

In preda a tanta follia di desideri, Anatolio si rivoltò smaniando nel
letto e finì, senza volerlo, col buttarsi là, rannicchiandosi, dove
avrebbe voluto la donna; la donna non c'era più, ma le coltri, le
lenzuola, tutta insomma quella parte del letto esalava ancora il
profumo della sua carne... un profumo caldo, acuto, inebbriante, che
lo aveva involto, con fascini occulti, in quella frenesia convulsa e
voluttuosa. Ansando, febbricitante, strinse allora, contro il petto
villoso, il guanciale di sua moglie; lo baciò, lo morse e:--Mio
Dio--balbettò--co... come so... sono infelice!



X.


Quel giorno, nel quale Maria volle partire, Firenze era gaia più del
solito: godeva una bella giornata di primavera, quantunque si fosse
ancora in febbraio. Ma quando la locomotiva uscì avvolta di fumo
dall'alta tettoia, ove l'incessante frastuono di un mondo riboccante
di vita dava l'ultimo addio ai viaggiatori; quando quel mostro di
ferro, novello Mefistofele, gittate in alto il suo sibilo, e salutate

    « . . . . le convalli
    Popolate di case e d'oliveti»


salì sbuffando e poi scese dall'alto declivio dell'Appennino, allora,
si passò con brusca rapidità dal giovane Oriente--tepido e
profumato--al freddo e ai ghiacci della vecchia Siberia.

Quanto freddo e quanta neve!...

Quel lenzuolo uniforme e bianchissimo tormentava l'occhio e
intirizziva lo spirito. Correndo in quel pelago morto e ghiacciato si
soffriva l'ansia del naufrago. Non un cespuglio verde, non un filo
d'erba che vi rompesse l'uniformità monotona e desolante. Di lontano
le case perdute nei campi, serrate dalla miseria e dal freddo, colle
muraglie, per il riflesso della neve fatte ancor più tetre, parevano
senz'anima viva. Gli alberi aridi, brulli, senza una foglia,
screpolati, quasi scheletri immani imprecanti in quel vasto deserto.
Non vi era cielo lontano, nè profilo di montagne, nè allegria di
borgate dai vecchi castelli o dai nuovi campanili. Una nebbia umida e
fitta chiudeva l'orizzonte, la locomotiva sembrava correre
precipitando nel vuoto.

Lalla, poverina, sopportava i disagi con sufficiente coraggio. Dopo
aver pianto disperatamente abbandonando il suo babbo, alla prima
stazione aveva cominciata a ridere, alla seconda a mangiare e alla
terza, stanca, si era addormentata.

Chi brontolava, chi sarebbe ritornata indietro, magari a piedi, chi
non sapeva giustificare il capriccio della duchessa, era miss Dill.

Miss Dill, avvolta nella pelliccia, cogli occhiali verdi per ripararsi
dal riflesso della neve, secca, gialla, grigia, rincantucciata,
sepolta sotto i _plaids_, succhiava _mandarini_ e inghiottiva bile.
Finì anche miss Dill, come Lalla, addormentandosi: e quando, più
tardi, all'ora solita del pranzo, la risvegliò lo stomaco vuoto,
allora sognava appunto d'essere lei la padrona, Maria l'istitutrice, e
di sfogarsi strapazzandola senza pietà.

La bella fuggitiva, invece, non dormì un minuto del lunghissimo
viaggio. Immobile, con la testa piegata e con l'occhio fisso alla
finestrella del carrozzone, sembrava assorta. Ma l'oggetto ch'ella
guardava con tanto amore doveva essere raccolto nella sua mente,
perchè da troppo tempo più non curava di levar via col fazzoletto
l'umidità densa che appannava i cristalli.

Un'immagine, cara al suo cuore, la seguiva sempre in quella sua fuga:
ella correva via a precipizio e traballava per l'urto e le scosse
rapide del convoglio, pure non riusciva a fuggire del tutto. Ma
quantunque vinta, era calma e sorridente: la battaglia era finita.
Dopo lunghi giorni, dopo notti d'insonnia e di lacrime, trovava
finalmente un'ora di pace.

Piegata la fronte, rassegnata, non aveva fatto ciò che il dovere le
aveva imposto? La passione, che serpeggiava irritante nelle sue vene,
era riuscita a soffocarla; l'uomo ch'ella amava tanto da sacrificare
tutto per lui, l'aveva veduta fredda e indifferente; fuggiva il
pericolo, e nulla nascondeva al marito... non era una santa, infine,
era una povera donna: che cosa avrebbe potuto fare di più?... Doveva
forse squarciarsi il petto colle stesse sue mani, per istrapparne via
il cuore? No, Dio ha imposto alla creatura di vivere, oramai la vita
per lei era il suo amore. Come, perchè ostinarsi in una lotta ineguale
della volontà contro il pensiero? Quell'affetto non le consigliò mai
una colpa, non le lasciò il retaggio d'un solo rimorso. Maria usciva
intatta dall'incendio come l'amianto, non soffriva l'umiliazione,
l'abbattimento di quelli che sono caduti, ma nella sua coscienza
grandeggiava l'orgoglio supremo della vittoria; dunque? Dunque perchè
combattere ancora, combattere sempre, dilaniarsi, per quello che era
impossibile, quando, sola oramai, lontana dal pericolo, sicura di sè,
poteva abbandonarsi, riposare serena, nelle care fantasie della mente?
Ah! quell'ora di pace troppo a caro prezzo l'aveva guadagnata, e vi si
abbandonò in ispirito e corpo. Allora chiuse gli occhi, incrociò le
mani sulle ginocchia e, quasi un mistico velo l'avesse separata dal
mondo, si raccolse tutta in sè stessa.

I sensi erano vinti e, ritornati all'assalto, sarebbero stati vinti
ancora e sempre. L'uomo che si era impadronito di lei, adesso non
faceva che prestar le sembianze alla cara immagine del suo sogno;
l'amore non era sangue e carne, era pensiero: poetica, virtuosa, casta
Maria lo avea _idealizzato_.

Sarà triste molto la vita, senza ricambio di affetti, sempre lontana,
sempre là, sola; ma vi troverà ancora gioie profonde, vere, insperate.
Dimenticare non avrebbe potuto, nè voluto allora, nè mai; però quel
nuovo battesimo l'ebbe rassegnata e volonterosa.

Così solamente l'amore non era colpa, era virtù; non era debolezza, ma
forza sublime, divinità segreta purissima: non più tormento e
pericolo, ma consolazione e conforto.



XI.


Santo Fiore è un villaggio del _basso Padovano_: una contrada lunga e
larga, dalla quale si diramano dieci o dodici viuzze più o meno
deserte.

Colline non se ne vedono affatto, e le montagne si perdono lontane,
sull'orizzonte.

Santo Fiore era il feudo dei conti di questo nome, e oggi ancora in
barba allo statuto del regno, l'autorità dell'antica dinastia in quel
villaggio ha salde le radici. Invece di reggere il piccolo popolo col
cappellone dei carabinieri, i conti di Santo Fiore adoperavano due
altri spedienti: il pane e il lavoro.

Quando il conte Giovanni, padre di Maria, venne a morire, suo fratello
Eriprando lasciò Borghignano e fece la sua abituale dimora nel
maniero, come egli lo chiamava ridendo, della pupilla, continuandovi
da gran signore la filantropia che da secoli facea benedetta la nobile
famiglia. Ma troppo presto per quei terrazzani Maria si fe' sposa, il
conte ritornò per sempre in città, e allora Santo Fiore rimase sotto
la giurisdizione di un segretario, il quale, naturalmente, non poteva
largheggiare in opere buone, come avevano usato i padroni.

Da tutto ciò si capisce con quanta contentezza vi fu accolta Maria al
suo ritorno. Fu accolta con una vera festa di popolo: una di quelle
feste spontanee, sincere, espansive, dove non sono i questurini
travestiti che dànno l'intonazione agli evviva, dove il telegrafo non
raddoppia le chiamate al balcone e dove, finalmente, l'ispettore di
pubblica sicurezza non trema che il consigliere delegato venga a
sapere, dai rimproveri del prefetto, che al signor ministro parve
quell'entusiasmo inferiore al prescritto.

Maria era stata ricevuta alla stazione dal parroco, dal sindaco, che
era suo fittaiolo, dai ricchi e dai poveri del paese; e mentre saliva
sul carrozzone del nonno, tutti volevano salutarla, facevano
meraviglie e moine a Lalla che sapeva darsi una certa arietta, e
cercavano di stringere la mano a miss Dill, che non avevano mai
veduta, e che rispondeva con smorfie, trovando, nel suo sentire
d'inglese, quel baccano di pessimo gusto.

Il cocchiere dall'antica livrea non era l'impettito auriga superbo,
arcigno, pretenzioso, che anticipa dalla cassetta le borie di chi sta
in carrozza; ma invece era un vecchietto gaio, lindo, arzillo, il
quale aveva servito alle nozze del conte Giovanni e veduta nascere
Maria. Anche lui, rimasto sempre a Santo Fiore, contento come una
pasqua dell'avvenimento insperato, faceva andare i cavalli con un
trotto limitato, ammiccando alla buona i conoscenti, che vedeva alle
finestre, come per dir loro:--È qui, è venuta, è tornata finalmente,
la padroncina!...--Maria aveva avuto un bel crescere, maritarsi e far
figliuoli; il buon uomo la chiamava ancora, come l'aveva chiamata
sempre,--la padroncina.--E ciò per la consuetudine di tanti anni, ma
più forse, per un delicato riguardo che quel cuore onesto conservava
alla defunta contessa, la madre di Maria, che nella rozza devozione
del servo, anche morta rimaneva sempre la buona padrona che governava
dall'alto su quella casa.

Luigia e Lorenzo venivano dietro in un'altra vettura, tutti e due
storpiando un toscano _sui generis_ col castaldo, che li guardava
sbalordito e in soggezione.

Sui muri erano stati affissi in carte rosse, verdi, gialle, come gli
avvisi dei teatri, sonetti e madrigali, composti dal figlio del
segretario comunale, un ragazzotto _pieno di genio_, che aveva
studiato nel ginnasio della vicina città; e alla sera poi la musica
dei dilettanti suonò sotto il portico della villa il _Miserere_ del
_Trovatore_, un coro del _Nabucco_ e la _Stella confidente_.

Ma poi, dopo quel baccano d'un giorno, non ci furono altri
divertimenti a Santo Fiore; nè gli abitanti del piccolo villaggio
potevano offrire a Maria un elemento ai colloqui piacevoli e alle
possibili famigliarità. Il sindaco, il medico, il pretore, lo speziale
erano tutte brave persone, le loro donne svelte e chiacchierone, ma
non possedevano certo le qualità volute dall'indole fine e dai gusti
aristocratici della duchessa d'Eleda.

La muta del filugello, la caccia, la veste o il ganzo di una comare,
le _novene_ e le recite dei _Due Sergenti_ prestavano l'argomento a
tutti i loro pettegolezzi, dal primo all'ultimo giorno dell'anno.

Però la distanza che separava il villaggio dal _Palazzo dei Signori_,
era enorme, quantunque la duchessa facesse del suo meglio per
accorciarla. Solo don Gregorio, il vecchio parroco, il maestro d'una
volta e il confessore di Maria, era tal uomo che alla bontà dell'animo
accoppiando una coltura non comune, riusciva l'amico diletto, la
compagnia cara e cercata dalla giovane solitaria.

Ma don Gregorio era molto innanzi cogli anni; i mille acciacchi della
vecchiaia lo tenevano prigioniero rassegnato tra i quattro muri della
sua cameretta, ed era miracolo se qualche volta, quando la giornata
era tepida, poteva trascinarsi fino al _Palazzo_. Per questo appunto
la curia gli aveva concesso un coadiutore in don Vincenzo, pretucolo
grasso, bracato e piaggiatore, il quale menava la vita facendo della
mensa un altare, e dell'altare una mensa. Costui divenne lo spavento
di Maria, con quel tabacco e con quel sudiciume!... Invece miss Dill,
quantunque da buona inglese la _propriety_ l'avesse sempre in bocca,
sentiva per lui una grande predilezione. Ma il prete aveva il merito
di darle sempre ragione; poi la inchinava, quanto gli permetteva la
pinguedine, con ogni sorta di salamelecchi: e non appena vedeva
entrare in chiesa quella figura bizantina, le mandava subito lo
scaccino con una sedia imbottita ed uno sgabello per posarvi su i
piedi; due piedi al doppio del naturale.

Anche Lalla lo vedeva di buon occhio, chè don Vincenzo era un
ammiratore entusiasta della sua devozione, dei suoi talenti, della sua
grazia; per altro lo derideva anche sovente, e si divertiva dal
giardiniere e dal castaldo, contraffacendone la voce nasale, il collo
torto, le cupide occhiate agli intingoli e lo scoppiettar della lingua
contro il dotto palato.

Un altro che frequentava il _Palazzo_ era Sandrino Frascolini, il
figlio del segretario comunale, il piccolo Dante di Santo Fiore, e
predestinato già, col tempo, a recitar lui la parte di uno dei _Due
Sergenti_; ma anche con Sandrino, dopo le solite parole, se Maria
avesse voluto continuare a discorrere, avrebbe dovuto rifarsi da capo.

I forestieri poi che arrivavano non avevano a litigar per il posto: il
conte Eriprando, ammalato di gotta, non si poteva muovere; amiche,
Maria non ne aveva, amici ce n'era stato uno soltanto, e non c'era
più. Dunque era sola, sempre sola.

In quanto a miss Dill... la rigida signora, invece di uno svago era un
incubo. Nata da ricca famiglia di commercianti, alcuni rovesci
finanziari l'avevano ridotta a dover cercarsi un posto per vivere; a
dover servire: ma orgogliosa e bigotta, alla sventura non si era
piegata con rassegnazione. Esigente, dura con gli inferiori, era
cavillosa nel difendere le proprie prerogative e piena di sospetti, di
diffidenze verso i padroni. Confondeva la dignità colla superbia, e
segretamente invidiava la signora fino a volerle male. Riceveva da lei
un regalo?... la duchessa non riusciva mai a darglielo in modo da non
aggravare il peso della sua condizione. Un giorno, forse sopra
pensiero, Maria non trattava l'istitutrice con tutti i riguardi? Miss
Dill allora preparava uno scoppio, e lo preannunciava con musi lunghi
che duravano per settimane di seguito, e un dolor di capo tanto
fastidioso e tanto incomodo per tutta la casa, da spaventare colla
sola minaccia. Se Maria in quei giorni avesse aperto il pianoforte,
bisognava non aver cuore per tormentarla così; se Lalla faceva i
gradini della scala a due a due, era come sua madre anche lei, senza
cuore. Maria, per distrarla, le ordinava di uscire in carrozza? Voleva
ucciderla. Non la faceva uscire? Le negava di prendere una boccata
d'aria. La passera mattugiola pigolava sulle finestre? Lorenzo,
Ambrogio, dovevano correre con lo schioppo a spaventarla; ma se il
colpo partiva, miss Dill cadeva in convulsioni.

La duchessa, certe volte, si trovava a due dita di perdere la
pazienza; ma poi, stimando che quella ferrea natura e inflessibile
fosse necessaria coll'indole vivace della figliuola, ne sopportava i
difetti e le bizzarrie.

Lalla, malgrado le cure assidue della mamma, cresceva con un certo
temperamentino da mettere un po' in apprensione. Maria era costretta a
conservare sempre con lei una severità inalterabile, che impediva la
tenerezza e la confidenza, mentre fra la signorina e la miss covava
una guerra sorda, nascosta, ma altrettanto accanita. Uno dei maggiori
difetti di Lalla era la simulazione; quella testolina capricciosa non
era mai capace di dire la verità. Nei suoi trasporti infantili c'era
sempre finzione od esagerazione. Esagerava il fervore delle pratiche
religiose, la paura del castigo, le carezze che faceva alla mamma
perchè le perdonasse i capriccetti e le scappatelle. E però, tutto ciò
sommato, faceva sì che Maria fosse condannata alla più penosa
solitudine: la solitudine nella famiglia.

A distrarla, o a consolarla, non contribuivano certo le visite,
frequenti da principio, poi fatte più rare, di Prospero. In quelle
occasioni tutti i preti del vicinato erano a pranzo al _Palazzo_. Miss
Dill allora faceva la garbata con don Vincenzo, e Lalla, che
ricominciava a sentir la smania di attirarsi l'attenzione del
pubblico, aveva sempre pronto qualche digiuno, qualche _fioretto_ alla
Madonna, che la faceva ammirare, e quasi santificare in anticipazione,
da tutti quei reverendi con la bocca unta.

Fosse per le forti attrattive del frutto proibito, o fosse anche
perchè avesse finalmente aperto gli occhi su quel che era Haute-Cour,
il fatto sta che il prurito della coniugale riconciliazione durava
acuto, insopportabile, fra carne e pelle, al duca d'Eleda. Ma sua
moglie, che lo accoglieva sempre colla più schietta cordialità, gli
teneva chiusa tuttavia, e inesorabilmente, la sua cameretta; una
camerettina elegante, profumata come il nido della capinera, dove, tra
le spesse cortine, spuntava fuori un lettino breve, piccolo, tutto a
pizzi e a ricami, un lettino candidissimo, da educanda; e il duca
d'Eleda, che per quella cameretta avrebbe rinunziato con tutta l'anima
a ben più vasti dominii, arrivato a Santo Fiore gaio e cerimonioso,
ripartiva poi con un palmo di muso, borbottando il solito
ritornello:--La maledetta non ha sangue; è una donna di
ghi-ghi-ghiaccio!...

Allora, per vendicarsi o per distrarsi, ritornava più accalorato
presso la Haute-Cour, lusingandosi che sua moglie notasse come a lui,
spento il focolare domestico, riuscisse facile di riscaldarsi
ugualmente.

Un'altra visita che Maria sopportava con rassegnazione era quella del
marchese di Vharè. Costui, d'un marchesato un po' dubbio, aveva i suoi
possedimenti nelle vicinanze di Santo Fiore, e a Borghignano teneva
casa: dissipatore vizioso, l'inverno, anzi quasi tutto l'anno, egli
viveva a Monte Carlo, e solamente quando la _roulette_ gli faceva le
corna, rimpatriava per cercare un'ipoteca o per vendere, affettando un
disprezzo olimpico per la _provincia_ e i suoi abitanti.

Non toccava ancora i trent'anni, eppure contava già molti debiti e
parecchie di quelle avventure che in provincia appunto si chiamano
scandali, e alla capitale _des bonnes fortunes_. Quantunque per altro
egli fosse il _babau_ dei mariti e dei padri, i buoni e pacifici
borghesi provavano un senso di meraviglia e sgranavano gli occhi
dinanzi al bel marchese apocrifo, elegante, freddo, epigrammatico, che
in una notte, sulla _rossa_ o sulla _nera_, sapeva perdere, senza
tirare un accidente, qualche decina di mille lire, fossero magari dei
creditori. Si sarebbero ben guardati dallo scontargli una cambiale: ma
si compiacevano di essere con lui in buoni legami d'amicizia, e i
pochi fortunati cui era concesso dalla sorte di dargli del tu, quasi
se ne gloriavano, e incontrandolo per istrada lo salutavano con un
_ciao_, gridato da un marciapiede all'altro, _ciao_, che suscitava
invidie.

Contuttociò la gente per bene, che non mancava nemmeno a Borghignano,
lo stimava secondo il merito; e primo tra quelli il conte Della Valle;
tanto che ormai tra di loro un po' di ruggine c'era, e davvero fu un
contrattempo che Giorgio lo incontrasse a Santo Fiore.

Ormai otto o nove mesi erano scorsi dall'improvvisa partenza di Maria,
e Giorgio non l'aveva più riveduta e anche le notizie gli mancavano
affatto; egli le aveva scritto, ma senza averne risposta. Sua zia, la
Castiglione, aveva sempre l'incarico di salutarlo e di ringraziarlo
_da parte_ della duchessa d'Eleda.

Questo silenzio gli pareva troppo nuovo per non recare anche un po' di
meraviglia oltre al dispiacere. Maria alla fine era stata per lui come
una sorella e gli era cara come una sorella.--Che cosa mai le ho
fatto--pensava Giorgio--per essere trattato in tal modo? Sarò stato
forse troppo vivace nel difendere Prospero; ma doveva capire che
parlavo sempre a fine di bene. Basta, andrò a Santo Fiore, e Maria
dovrà spiegarsi.--E allora, dovendo egli recarsi a Venezia, per un
congresso del _Comitato operaio_, pensò di fermarsi a Santo Fiore.

Maria era nel salotto col marchese di Vharè, quando, prima ancora che
Giorgio le fosse annunziato, udì la sua voce: balzò in piedi, corse
quasi fino all'uscio; ma intanto che Lorenzo, precedendo il conte, ne
diceva forte il nome con quella intonazione particolare di voce colla
quale i servi affezionati annunziano una visita che sanno gradita o
inaspettata per i loro padroni, ella ritrovò la forza di ricomporsi.
Si mostrò gentile col nuovo arrivato; ma lo fu molto più del solito
col marchese di Vharè, che non aveva notata la commozione della sua
ospite, costringendolo a fermarsi pel pranzo; cosa che spiacque a
Giorgio moltissimo.

Egli se ne stava ancora mezzo imbronciato, quando il rumore di due o
tre usci sbatacchiati con violenza, gli fece indovinare la venuta di
Lalla. Lalla, infatti, entrò poco dopo nel salotto, correndo, saltando
com'era avvezza; ma appena vide il marchese di Vharè si fermò come
interdetta, arrossì vergognandosi, ed ai rimproveri della mamma per
quel precipizio, balbettò qualche scusa, mentre gli occhi lucidissimi
e il mento tremante mostravano che le lacrime erano lì lì per
spuntare. Il Vharè, per difenderla e per confortarla, la prese,
chiudendola fra le ginocchia, e le chiese un bacio. Lalla abbassò
allora la testolina forte sul petto, e fece un po' di resistenza prima
di cedere al marchese, che con due dita le rialzava lo scaltro
visetto, per baciarla sulla bocca; ma, nonostante la resistenza fatta,
quando le labbra del giovane toccarono le labbra della bambina, la
piccola bocca non restò ferma sotto quel bacio, e lo ricambiò con un
sussulto di tutto il corpicino. La crisalide era in via di
trasformarsi in farfalla, e le alette, sebbene allora piccolissime,
fremevano impazienti di sciogliere il volo.

--Guarda, Lalla--disse Maria dolente per il Della Valle che non si
vedeva notato dalla bambina;--guarda chi è venuto a trovarci, il tuo
buon amico Giorgio. Da brava, sii gentile, dagli un bacino...

Lalla rispose appena con un'alzata di spalle.

--Non mi riconosci più?--le domandò Giorgio un po' seccato.

--Lalla, su via, obbedisci!--replicò Maria vivamente. Lalla abbassò la
testina un'altra volta, allungò il musino, ma non si mosse.

--Quando vi dovete mostrare così ineducata--esclamò Maria in collera
più di quanto avrebbe voluto esserlo--ritornate subito subito da miss
Dill.--Lalla corrugò le ciglia con un atto comicamente feroce, e
opponendosi con mal garbo a Giorgio, che voleva trattenerla, corse via
dal salotto.

--Perchè tormentarla, povera piccina?--disse il Vharè alla duchessa.

--Piccina, non è poi tanto piccina. Va per gli otto anni, presto.

Il marchese sorrise.... il perfido marchese che avea lasciate forti
impressioni nel cervellino di Lalla.

In una delle sue gite a Santo Fiore, Prospero Anatolio aveva parlato
lungamente colla duchessa, a proposito del Vharè. Lalla che da un'ora
era occupata nel ritagliare le _belle signore del figurino_, era là
interamente dimenticata dal babbo e dalla mamma, nascosta dietro a un
tavolino coperto di fiori e di libri ammonticchiati, e, a poco a poco,
la sua attenzione si sviò dalle _belle signore_ e fu invece tutta
assorta nei discorsi del duca Prospero Anatolio, dopo aver parlato dei
debiti del marchese, raccontava le sue avventure amorose, e tra le
altre, il tentato suicidio di un'attrice celebre, la Mirette Croix,
gelosa della baronessa Poloniski, sua rivale fortunata.

Il racconto piacque tanto alla piccina, che essa da quel giorno scelse
il marchese di Vharè per suo sposo, e fu il principe _Incantevole_ di
tutti i suoi castelli fabbricati in aria. Però, quando egli era in
villa dalla duchessa, e passeggiava in giardino, Lalla prima lo spiava
nascosta: poi, tutto ad un tratto, gli appariva dinanzi rossa e
balbettante. Quel giorno, durante il pranzo, se Maria e Giorgio le
avessero badato, avrebbero veduto il suo visino pallido, cogli occhi
grandi, fissi, incantati nel bel parlatore. Ma invece quel giorno
Maria avea ben altro nel cuore, e Giorgio era troppo irritato per
poter badare a simili bambinate.

Giorgio non poteva lagnarsi di nulla: ma ciò non impediva ch'egli
fosse malcontento di tutto, e che si trovasse a disagio. Accolto con
festa, capiva tuttavia di essere diventato straniero in quella
famiglia, e quando egli disse di voler partire la mattina dopo, non fu
adoperata alcuna insistenza per trattenerlo di più. Anche l'intimità
che vedeva concedere ad un uomo per lui disprezzabile, senza
reputazione e senza carattere, com'era il marchese di Vharè, lo
irritava, mentre cominciava a essere infastidito dalle durezze e dalle
impertinenze di Lalla, che non gli avea perdonato d'esser egli la
cagione, sebbene involontaria, del castigo ricevuto.

Dopo il pranzo, la serata fu tutta a beneficio del Vharè, che sorretto
da un eccellente Bordeaux-Lafitte era riuscito a dimenticare le
prossime scadenze e a fare dello spirito: mentre Giorgio annoiato,
arrabbiato, aveva perdute tutte le buone intenzioni di spiegarsi con
Maria e di riprendere l'intimità di una volta, così che quando,
partito il marchese, egli si trovò solo colla duchessa, non iscambiò
con lei altro che i soliti complimenti.

--Dunque volete proprio partire domattina?

--Sì, signora duchessa, col treno delle otto.

--Col treno delle otto? Così presto? Non potreste aspettare dopo
colazione?

--Ne sono spiacentissimo... è assolutamente impossibile!

Di faccia all'impossibilità non si fecero altri tentativi, e Maria
salutò la sera stessa il suo ospite.

--Per Dio, ho fatta una bella gita quest'oggi!--esclamò Giorgio, dando
libero sfogo al dispetto, per tanto tempo trattenuto, dopo di essersi
rinchiuso, solo, nella sua camera.--Metteva proprio il conto che
sacrificassi una giornata di Venezia, per ottenere di questi bei
risultati--e, così dicendo, buttò lontano una scarpa che si era
levata.--Mah! Le donne?... chi capisce le donne, è bravo davvero! E
Lalla?... com'è viziata quella sciocchina!--A questo punto la seconda
scarpa raggiunse la prima.--Infine, se Prospero non ha ragione, non ha
neanche torto; Maria è senza cuore. In tutto il giorno trattò me, che
conosce da vent'anni, come fossi il primo venuto; mentre era tutta
smorfie e garbatezze per quel barattiere, per quel marchese da burla,
impertinente e sfacciato... Sacripante! ho rotto l'orologio!--Giorgio,
dopo essersi spogliato dell'abito, s'era messo a caricare il suo
_remontoir;_ ma, accompagnando ogni giro con un movimento nervoso
delle dita, terminò a questo punto d'ira crescente, col rompere la
molla.

--Sapristi!... Prima che capiti un'altra volta a Santo Fiore, deve
passare molto tempo!--borbottò,--No, no, lascio libero il campo al bel
marchese!... Ma... ora che ci penso, non ci sarebbe pericolo ch'egli
fosse più innanzi con la duchessa di quanto si crederebbe?...
L'occasione fa l'uomo ladro; la solitudine, la donna facile!... Che!
che! nemmen per idea!... Maria non è altro che un pezzo di
ghiaccio!--e così concludendo, il giovinotto, ormai svestito, si
cacciò in letto, spense il lume, e ben presto si addormentò.

In tutta quella notte chi, passando dal _Palazzo_ dei Santo Fiore,
avesse alzato un po' il capo, avrebbe veduto una finestra illuminata.
Come mai? Non c'erano nè poeti nè ammalati là dentro, e faceva un
tempo così tranquillo, con una brezzolina fresca d'ottobre, da
conciliare il sonno anche alle stelle del firmamento.

Chi vegliava, dunque, in quella stanza, e perchè vegliava?...

Quella era la cameretta di Maria... Povera Maria!

La mattina dopo, prima delle otto, il conte Della Valle era già sceso
nel cortile del palazzo e, pronto per partire, accendendo il sigaro
dinanzi alla carrozza che doveva condurlo alla stazione:

--La signora duchessa dorme ancora, certamente?--domandò al servitore
che gli teneva aperto lo sportello.

--No, signor conte. La signora duchessa è uscita a cavallo.

--Sola?--domandò meravigliato.

--Sola, con Lorenzo.

--Esce di frequente la mattina?

--Quasi sempre, ma molto più tardi.

--Uhm!... poteva almeno fermarsi per salutarmi,--pensò Giorgio tra sè;
e montò in carrozza, accomiatandosi più annoiato che dolente da Santo
Fiore.

Appena chiuso nel suo _coupé_, dove per fortuna si trovò solo, accese
una spagnoletta, e, quando il convoglio partì, abbassò i cristalli,
aspirò con voluttà l'aria fresca balsamica del mattino, ammirando le
praterie verdissime, che passando dinanzi ai suoi occhi parevano
descrivere dei semicerchi.

--Oh, bella! guarda la duchessa!--esclamò a un tratto levandosi e
sventolando il fazzoletto fuori dal carrozzone.

--To', to', to', il Vharè è con lei?... solo?... A quest'ora? ma dove
diamine hanno lasciato Lorenzo?--e il giovane rimase meravigliato di
quell'incidente persuadendosi a dispetto del suo ottimismo che
l'intimità di Maria col marchese era, per lo meno, eccessiva.

Infatti, sopra un poggio, dietro un filare di platani. Maria e il
Vharè, a cavallo, aspettavano il paesaggio del treno. Pareva che là a
cavallo tutti e due, tutti e due soli, in quell'ora mattutina si
fossero dati una posta; ma invece il loro incontro non era che l'opera
innocente del caso.

Quel poggio che si chiamava appunto il _Poggio dei platani_, era
adiacente ad una delle fattorie del marchese, dove questi si era
recato assai di buon'ora con due periti per fare una stima.

--Ohè! la corsa!--esclamò un di loro, quando udì il rumore sordo,
monotono che la precede.

--Sicuro; è l'omnibus di Venezia.--Così dicendo il Vharè puntò lo
sguardo per vederlo passare; ma vide invece Maria, che a briglia
sciolta saliva l'erta e penetrava, nascondendosi al di là del _Poggio
dei platani_.

--La duchessa? Aspettate un momento, vado e torno,--e l'incorreggibile
vagheggino, ch'era pure a cavallo, in due galoppate l'aveva raggiunta.

Maria non avrebbe potuto lasciar partire a quel modo il conte Della
Valle senza prima concedere a sè stessa di rivederlo ancora, un'ultima
volta.--Lo aspetterò là, al _Poggio dei platani_,--aveva detto tra sè,
e con questo patto trovò un po' di sollievo. Ma adesso, a mano a mano
che quel punto nero s'ingrandiva avvicinandosi, un timore, ch'era
un'angoscia, le strinse il cuore; e quando quel punto nero diventato
un mostro gigantesco, velocemente attraversava la via, il suo timore
si mutava in una preghiera appassionata, fervente.--Fate, mio Dio,
fate ch'io possa rivederlo, rivederlo ancora per un'ultima volta;--e
Iddio, commosso a tanta virtù e a tanto amore, esaudì la poveretta.

--Eccolo! è lui! addio, addio, Giorgio, addio!

--Duchessa, i miei complimenti! La sua apparizione mi fa pensare a
Diana, e al bel tempo antico!

--Ah!... lei, marchese!... mi ha fatto paura!

Il Vharè lo credette e spiegò colla paura il tremito, il rossore, il
seno palpitante di Maria. Lorenzo, i due periti, i contadini,
rimanevano intanto nascosti dietro una siepe, nella prateria
sottoposta: ecco in qual modo la duchessa d'Eleda e il marchese di
Vharè apparvero a Giorgio soli, riuniti come a un ritrovo.

Il fatto però, nemmeno per caso, non si ripetè più, nè poteva
ripetersi: il Vharè, terminati gli affari, ripartì subito per Monte
Carlo, e per molto tempo non ritornò a Santo Fiore. Il conte Della
Valle, invece, non si rivide mai più. E questo avvenne per due perchè:
perchè glien'era passata la voglia col primo viaggio, e perchè poco
dopo, a cagione delle lotte elettorali, si ruppe fra lui e il d'Eleda
la buona amicizia.

Fu Prospero Anatolio che ne scrisse alla moglie, contentissimo in cuor
suo che un tale incidente la allontanasse da Giorgio. Il marito era
sempre sicuro, ma così si sentiva ancor più tranquillo.

Per altro, anche separato da tanti e insormontabili ostacoli, il cuore
di Maria era sempre vicino al giovane amato. Il suo era l'affetto di
amante e di madre, un affetto che doveva proteggerla nella vita come
la preghiera di un angelo.

Tutte le sere Maria aveva un'ora di felicità quando, chiusa nella sua
cameretta, leggeva e rileggeva tutti i giornali che parlavano del
conte Della Valle, che ne lodavano l'ingegno e il carattere, e se di
tutto ciò insuperbiva il sentimento della donna, vedendolo così
assorto nel lavoro e nell'affetto del paese, sperava senza confessarlo
a sè stessa, sperava la povera gelosa, che non un'altra donna, ma la
patria, la patria sola, avrebbe riempito tutto il suo cuore... e
allora, dopo tanti dolori e tanto ritegno, finalmente dava l'aire ai
pensieri, che, liberi, volavano al suo ideale dorato.

Il conte Della Valle, d'animo forte e coraggioso, ripudiato l'egoismo
istintivo, gretto, pauroso della sua casta, si affermava da uomo,
com'era stato da giovane, sinceramente liberale.

Non voleva sapere di pregiudizi, di privilegi e di _clericaglia_ più o
meno _moderata_, e aveva scritto nel cuore _Roma o morte!_... sante
parole, ch'egli ricordava più tardi come un conforto, quando faceva
molta poesia anche a proposito dell'_Italia irredenta_.

Insomma Giorgio Della Valle era un _rosso_; nome col quale si
distinguevano allora tutti coloro che più tardi vennero detti
_radicali_; e Maria, sebbene cresciuta in un ambiente tutt'altro che
rivoluzionario (anzi la bella duchessa era stata fin allora un po'
_codina_...), a poco a poco, in quelle sere, diventava una _rossa_
anche lei...



XII.


Sédan s'era già resa; a Porta Pia era stata aperta la breccia; era
caduto l'impero Napoleonico; era finito il potere temporale... e in
tutta questo gran rumore di avvenimenti il duca d'Eleda aveva perduto
la testa e l'equilibrio. Soffriva di vertigini e chiudeva gli occhi,
come li chiude il fanciullo impaurito dal bagliore di un lampo, quasi
aspettando, da un momento all'altro, il fulmine che doveva scoppiare.
Così, a occhi chiusi, il deputato di Borghignano in ogni città vedea
la _Comune_ e, dietro le spalle, sentiva gli ultimi crociati discesi
per la restaurazione del trono papale. Ma, come appunto quel fanciullo
di prima, trovatosi illeso dopo lo scoppio, riapre gli occhi, si
guarda intorno e respira confortato, così anche Prospero Anatolio,
veduta passar la _Comune_ senza trascinar l'Italia con sè e Vittorio
Emanuele salire il Campidoglio senza che la cristianità valicasse le
Alpi, pur sempre maledicendo, in pubblico, al _partito d'azione_, si
persuase, in cuor suo, come i clericali potessero vivere ancora e
meglio in Italia, che in un altro paese, e non solo vivere, ma chi sa,
governare... un dì o l'altro.

Passato dunque il periodo più minaccioso, nel suo animo tornarono a
galla le personali aspirazioni e ritornò alla Camera col proposito di
nuove audacie. Protestò contro i _fatti compiuti;_ ma poi, quando
l'arcivescovo di Borghignano volle ch'egli desse un salutare esempio
col rassegnare il mandato, il duca d'Eleda, benchè duca, fece orecchie
da mercante, ripetendo il ritornello!.--Bisogna restare sulla breccia,
bisogna sacrificarsi alla causa.--Rimase, e fu l'Orlando delle
_guarentigie_. Per un momento, allora, egli ritornò in auge, e
un'altra volta ebbe le sue giornate, se non di gloria, almeno di
notorietà e nelle elezioni generali la candidatura del vecchio
deputato di Borghignano, sostenuta dai _neri_ del vescovado e
dell'aristocrazia, trionfò di tutti gli altri colori.

Il 27 novembre 1871 il re d'Italia inaugurava in Roma il Parlamento, e
a Roma Prospero Anatolio, che aveva giurato con restrizioni mentali,
trovò buon terreno per i suoi cavoli.

Tra quei principotti rimasti fedeli al Vaticano, egli recitava la
parte del _Cittadino di Gand_ alla rovescia, acquistandosi una qualche
importanza coll'autorità dei milioni, dell'influenza politica e dei
titoli. Nè gli amori con Renata, venuta a Roma anche lei colla
capitale, amori, che la vanità reciproca aveva resi pubblici in Roma,
come già erano a Firenze, valsero, in quell'ambiente di corruzione
pretina, a farlo scapitare nell'opinione dei più.

Prospero Anatolio non si vide in tutto l'inverno a Santo Fiore, e per
parecchio tempo, contento della nuova vita, non fece alla moglie che
rarissime improvvisate e sempre di sfuggita. La bellezza di Maria
turbava ancora, in qualche notte di veglia, il sistema nervoso del
duca; ma appunto, siccome le sue preghiere non riuscivano a
commuoverla ed il suo male, dopo tali incontri, soffriva di
recrudescenza, così, anche per rispetto all'igiene, diradò le visite.

Si faceva invece sempre più frequente e più tenera la corrispondenza
con Lalla, la quale prodigava al babbo un'affezione morbosa,
accompagnata da un grande sfoggio di espansioni. Era nell'indole della
signorina di supplire colle apparenze esteriori a ciò che in fondo le
mancava: un sentimento sincero; e però, quanto la mamma era fredda e
ritenuta, altrettanto alla figliuola piaceva dimostrare calore e
gaiezza: il contrapporsi era il suo gusto maggiore, e tanto più se
poteva contrapporsi a sua madre.

E forse non le importava neppure di fare più così che così;
l'essenziale era che tutto il paese sapesse ciò che faceva.

Il suo pubblico non poteva essere molto ammodo, ma la piccola donnina
esordiente nella commedia della vita, faceva ogni sforzo per
istrapparne gli applausi. Non era in età da suscitare intorno a sè
rumore d'ammirazione o di scandalo; non avrebbe potuto dominare la
moda, nè farsi eroina d'un dramma o d'un romanzo sentimentale;
peraltro i suoi trionfi se li cercava e se li guadagnava. Una volta
ebbe la soddisfazione di essere citata dal pergamo ad esempio delle
giovinette per l'affetto figliale, per le sue penitenze e per i suoi
digiuni, con un brano di ghiotta e ben digerita eloquenza che guadagnò
a don Vincenzo i rimproveri della duchessa, una lavata di capo da don
Gregorio, e le smorfie affettuose dell'istitutrice.

Lalla, come non somigliava punto alla duchessa nel viso, così ne
differiva nell'animo. Ella era il carattere stesso del duca: lo stesso
egoismo, e la stessa leggerezza.

Come Prospero davanti a sua moglie, così anche Lalla provava una certa
soggezione davanti a sua madre. L'occhio limpido di Maria penetrava,
scrutatore molesto e importuno, nella mente e nel cuore della
giovinetta; e costei, che si sapeva sicura contro tutti gli altri,
sotto quello sguardo si sentiva dominata e, con un certo dispetto,
capiva che a sua madre non avrebbe mai potuto darla ad intendere.

Il marchese di Vharè, il _Principe Incantevole_ dei suoi primi sogni,
essa lo aveva messo da parte. Nel paese c'era un altro bel giovanotto,
non nobile e meno ricco (era figliuolo del segretario comunale); ma
poeta e filodrammatico; il genio di Santo Fiore.

A Sandro Frascolini la gente gli contava le amanti a dozzine. Tutte le
più leggiadre ragazze erano sue innamorate; perfino la bellissima
Ottavia, la bellezza regina, si comprometteva per lui, cosa che faceva
intisichire la moglie del sindaco: e Lalla ebbe per Sandrino un
capriccetto.

Lalla, nei suoi quattordici anni, non era bella, ma aveva quel
tutt'insieme che è più pericoloso di molto, perchè è più raro della
bellezza.

La piccola duchessina aveva i capelli maravigliosi che a giorni,
stranezza, tendevano quasi al biondo, a giorni pareano castagni; e la
stessa mobilità negli occhi, che passavano dal cinereo al verde cupo;
languidi, appassionati, ingenui, modesti, ora saettavano lampi, ora
non esprimevano altro che la più timida verecondia.

Snella, magra, di una magrezza flessuosamente voluttuosa, pareva, per
l'eleganza del corpo, meno piccola di quanto era realmente. Solo le
braccia aveva grassocce e belle con due fossette ai gomiti. Di quelle
sue braccia, di quelle fossette, Lalla pareva innamorata, stava ore e
ore a sedere sul letto, in camiciuola; piegandole, stendendole,
ripiegandole, per ammirarne i contorni e l'azzurro pallido delle vene;
poi si cacciava sotto le coltri baciandole con trasporto e con
passione; come baciava la bianca _Musette_, la sua cagnuola cara, che
spesse volte si udiva guaire fra le strette nervose della padroncina.

Dunque Lalla, pur non essendo bella, poteva piacere assai, e il
giovane Frascolini co' suoi vent'anni e con la conoscenza della vita
che s'era procurato, mercè una lunga serie di associazioni alle
_Letture amene_, ne rimase presto ammaliato.

I due giovani, nei primi incontri, non avevano sentito il sussulto
arcano, il turbamento foriero delle grandi passioni. Niente affatto.
Sandrino entrava in palazzo quasi ogni sera, per lo più con don
Vincenzo, e si fermava nel _tinello_ colle cameriere che lavoravano in
bianco, col Castaldo, e col vecchio Ambrogio. La sala dove stavano le
padrone era vicina al _tinello_, tanto che sovente ivi giungevano le
voci dell'allegra brigata e allora molte volte, quando si udiva anche
la voce di Sandrino, Lalla e Maria, colla famigliarità solita di chi
sempre vive in campagna, andavano di là per pregare il giovane di
qualche commissione od anche soltanto per scambiar due parole. Miss
Dill, invece, non si faceva vedere in tinello se non c'era don
Vincenzo, e uscivano insieme a passeggiare sotto il porticato, o lungo
i viali. Il Frascolini, se ci teneva non poco alla sua professione di
spasimante, in tutta il resto era un giovane di criterio. Egli non
avrebbe neppure sognato che la duchessina potesse diventare sua
conquista, o lui viceversa: tranquillo, economo, regolato, tutta
l'ambizione la aveva riposta nei _Due Sergenti_, tutto lo scopo della
sua vita era quello di poter diventare segretario comunale, quando suo
padre fosse stato messo a riposo, come suo padre lo era stato dopo suo
nonno. In quanto alle sue avventure amorose, la cronaca lo faceva più
scapestrato che non fosse in realtà: cominciava solo adesso a filare
il perfetto amore colla bellissima Ottavia, lusingato da lei; da lei
spronato a fare il salto del Rubicone: cioè ad invadere le Provincie
appartenenti al proprietario legittimo. Ma il ragazzo tentennava,
misurava il fosso e le gambe, e ancora non si era risoluto al gran
passo. Santo Fiore in quei giorni era stato colpito da una sventura;
il fuoco aveva distrutto alcune casupole di contadini, lasciando nella
più squallida miseria molte famiglie. Le pubbliche calamità sono la
fortuna dei filodrammatici, e a Santo Fiore si potevano contare le
disgrazie succedute in un certo periodo di anni, dal numero delle
repliche dei _Due Sergenti_. Quell'incendio capitava propizio. Aveva
fatto chiasso, la stagione era buona, c'era da aspettarsi una
_piena_... Si sa che i dilettanti, come usavano gli antichi Romani,
misurano l'importanza dei loro spettacoli dal numero delle vittime.

Lalla ancora non sapeva che cosa fossero nè i commedianti nè il
teatro, ma la sua curiosità era stata desta dai facili entusiasmi
della Pierina e della Nena, le due figliuole del vecchio Ambrogio, una
delle quali, la Nena, aveva ottenuto di entrare al servizio
particolare della signorina.

Già due o tre volte Lalla aveva pregato inutilmente la mamma che le
permettesse di assistere ad una recita, e quel no ripetuto aveva
cambiata la sua curiosità in un desiderio acutissimo; poi Maria le
permise di prender parte alla serata a beneficio dei poveri
incendiati; e la sera della rappresentazione, mentre stava
preparandosi per andare al piccolo teatrino, le scappò detto colla
Nena:--Come sono curiosa stasera di vedere che cosa sa fare il
Frascolini!

--Eh! caspita! ci metterà tutto l'impegno, con una duchessa in
platea!... Basta poi che la bella Ottavia gli lasci il tempo di
vederla.

--Come?...

--Non sa che Alessandro spasima per la sposona dello speziale?

--Per quella pretensiosa?

--Sicuro; e ha piantato su due piedi la signora Veronica, che dalla
rabbia voleva finire come i topi.

--La poetessa?--domandò Lalla, sorridendo.

--Sì, signorina. Con tutta la sua scienza, era così oca da lusingarsi
che Alessandro fosse cotto per lei; con quel muso! Il ragazzo si
mostrava compito, si sa bene; la Veronica è moglie del sindaco, come
sarebbe a dire del suo principale...

--E dunque?

--E dunque quando ha capito che la preferita era la bella Ottavia, una
domenica dopo la messa cantata,--pare che durante la funzione avesse
scoperto un certo telegrafo fra i due,--si serrò in camera, chiuse le
finestre e, detto fatto, ingoiò uno scatolone intiero di
fiammiferi!...

--Oh! graziosa!

--Per fortuna il signor Domenico, non so bene per quali faccende, doveva
andare in camera sua; sale, la trova chiusa; bussa, nessuno risponde.
Aveva veduto entrare sua moglie poco prima; torna a bussare più forte: lo
stesso silenzio.--Che si senta male?--dice fra sè quel buon uomo e chiama
la signora Veronica per nome, grida, urla, ma tutto indarno. Allora,
spaventato, dà un colpo di spalla e, _patatrac_, fa saltar l'uscio dai
gangheri: mamma mia! il signor Domenico si sente bruciare il naso, la
gola, da un odore acre, che toglie il respiro; in camera era buio pesto,
ma sul letto vede una luce azzurra, bigia, fumante, tremolare, muoversi,
dilatarsi.--Che sia il diavolo?!...--Spalanca con un pugno le finestre
e... indovini un po', duchessina? La fiamma usciva dalla bocca della
Veronica tutta impastata di fosforo. Quel mammalucco...

--Bada, Nena, è il tuo sindaco!

--Scusi del termine; per me dico pane al pane!... Quel mammalucco del
signor Domenico si fa portare un secchio di latte, e di sopra e... e
di sotto lo fa entrare nel corpo alla moglie!

--Ma Sandrino, quando ha saputo la tragedia, che cosa ha fatto?

--Che vuole?... Ha dovuto subirle tutt'e due; l'una per amore, l'altra
per forza. È pieno di cuore, quel povero ragazzo, e bisogna dire che
egli è anche un gran bel figliuolo; ha una carnagione bianca, morbida,
come un pan di burro!... Senta, padroncina, non faccio per dire, ma
prima di trovarne un altro, bisogna girare tutta l'Italia, e mezza
Lombardia!

Ma la padroncina s'era fatta seria e non riuscirono a farla sorridere
nemmeno gli spropositi della Nena. Il suo cervellino vagava, vagava
molto lontano, e per la prima volta considerava Sandrino sotto il
nuovo aspetto di conquistatore. Quella cronachetta di avvelenamenti e
di gelosie prestava le ali cartilaginose ai nuovi pensieri della
giovinetta, e a poco a poco l'oscuro figliuolo del segretario comunale
si trasformava in un piccolo eroe da romanzo.

Quando Lalla entrò nel teatrino dei filodrammatici, il suo occhio
cercò subito la Veronica e la bella Ottavia, e invece di seguire il
dramma che si svolgeva sul palcoscenico, per tutta la sera fu assorta
nell'altra commedia, appena abbozzata, ma che già la fantasia compiva
dei tre noti interlocutori: Alessandro, Veronica, Ottavia. E Lalla era
in buon punto per assistere anche a quella commediola. I direttori
dello spettacolo l'avevano fatta sedere sopra il seggiolone del
sindaco, portato là in mezzo al teatro, apposta per lei. Da un lato
aveva la sedia vuota, dall'altro miss Dill, che di tanto in tanto,
piegava la testa verso la porta, dove, mezzo dentro e mezzo fuori,
c'era don Vincenzo, più unto e più rosso del solito, colla papalina
sulle ventiquattro, che faceva il _moscardino_ col brigadiere dei
carabinieri, fumando un sigaro in barba ai decretali. Ma durante le
situazioni commoventi del dramma, che assorbivano la attenzione del
pubblico, penetrava egli, adagio adagio, in mezzo alla folla, e,
giunto alle prime sedie, toccava nel gomito miss Dill, offrendole di
nascosto la scatola aperta. Miss Dill lo guardava con gli occhi
bramosi, e allungava due dita, gialle, che dopo aver deviato sulla
mano del prete, si sprofondavano nella tabacchiera.

Ma la signorina, non aveva tempo di osservare quelle tenerezze,
intenta com'era alle innamorate di Frascolini, sedute l'una di faccia
all'altra, ai due lati opposti della platea.

La Veronica vestiva di nero; e portava nei capelli il suo mazzolino,
ormai caratteristico: quel mazzolino dai sentimentali--non ti scordar
di me--ch'essa chiamava: _Ferghit menichts._

Nell'insieme, la sora Veronica somigliava moltissimo al San Luigi
dell'Oratorio, composto di una testa di legno grossa e lunga, color
_singhiozzo_, e di due assicelle in croce, coperte da una tonaca nera.
Inseparabile, come il mazzolino, teneva fra le mani, nelle sere di
rappresentazione, il libretto dei _Due Sergenti_, e, sensibilissima,
nei momenti che il dramma volgeva al tenero, una goccia gialla le
tremolava sotto la punta del naso... Era una lacrima che la Veronica
raccoglieva nel libro con una rapido scrollar della testa.

Molte volte, per altro, quella _furtiva lacrima_ era avvertita dalla
bella Ottavia, che ne rideva malignamente, ricercandone la cagione in
una fistola. Del resto l'Ottavia, un bel biondone davvero, sentiva più
disprezzo che odio per la rivale. Fiera della sua pinguedine soda e
sana, credeva fermamente che dell'amore se ne comperasse così a un
tanto al peso. Guardava dall'alto al basso la sindachessa, con certe
occhiate tra la sfida e la compassione, e, guardandola, allargava con
le dita gli orli del busto, sempre troppo stretto per contenere le
dovizie del seno, che coll'altalena della respirazione faceva soffrire
il mal di mare alla fotografia del signor Niso, che luccicava, legata
in oro, sulle carni fresche e rosee della sposona.

Scarso presidio per quelle alture insidiate!

Il Frascolini, anche dalla scena non la perdeva di vista; e quando la
tela era calata, si scorgeva dai buchi del sipario il suo occhio fisso
guardare, guardare, sebbene qualche volta, per forza si facesse vedere
a lanciare un'occhiata assassina anche sull'altra infelice, che
allora, allungava il collo voltandosi verso l'Ottavia con una faccia
che voleva dire:--Ha guardato me, crepa di rabbia.--Quella
_corrispondenza d'amorosi_ sensi veniva poi interrotta, durante la
recita, perchè Alessandro temeva di perdere, come si suol dire, la
_battuta_.

Assolto dal peccato di origine non c'era proprio malaccio nel giovane
attore; a quel tanto che mancava d'arte suppliva coll'esercizio e
colla persona maschia e bella.

Tutte le contadinotte se lo contendevano, ammirandolo; e intanto
celiavano sopra la Veronica e invidiavano la bella Ottavia... e Lalla
vedeva quest'ultima insuperbire del suo trionfo.

Ma dove Frascolini proprio _furoreggiava_, era nel finale dell'ultimo
atto, dopo la famosa traversata. Compariva sulla scena coi capelli
arruffati, il petto e le braccia nude, pallido in volto; e allora col
fascino della voce bellissima e della parte da eroe faceva impressione
anche su Lalla.

--E così, s'è divertita?--domandava la Nena alla padroncina, mentre
l'aiutava a spogliarsi.

--Abbastanza.

--Ha sentito com'è bravo Alessandro?!... Ha veduto com'è bello?!... E
la sindachessa col libretto della lavandaia? Smorfiosa! Ma l'Ottavia
non deve aver paura di lei, nè di nessuno: è la più bella del paese.
Ha notato come lo guardava?... Pareva lo volesse mangiare coi baci!--E
la Nena continuò sul medesimo argomento fino a che Lalla, volendo
troncare il discorso, s'inginocchiò per dire le sue preghiere.

--Buona notte, duchessina.

Lalla rispose con un cenno del capo, e la cameriera, mentre usciva,
vide la piccola devota ripetere tre o quattro volte, rapidamente, il
segno della croce, baciare e ribaciare la medaglina della Madonna che
teneva al collo. Le orazioni durarono molto tempo; i baci fervorosi
furono ripetuti, si segnò ancora prima di coricarsi; ma con tutto ciò
la signorina passò una notte agitatissima.

La sua mente era presa dal giovane filodrammatico e il sonno tardava a
venire. Pensava, con dispetto, alla superba sicurezza dell'Ottavia e
alle parole della Nena che l'avevano offesa, quantunque alludessero
alla signora Veronica.

--Come?--_non deve aver paura di lei, nè di nessuno?_...--Eppure...
eppure, se volessi, potrebbe diventar gelosa di me, la più bella del
paese; e che dispetto, quella goffa, dovrebbe allora sentirne in cuor
suo!... Ma, e se il Frascolini fosse proprio innamorato?... Che cosa
si diranno mai quando si troveranno soli, lui e l'Ottavia? Diranno di
volersi bene?...--Come si fa a volersi bene?...--e la mente della
giovinetta si affaticava dietro un ignoto pieno di seduzioni nuove e
arcane, un ignoto che il sangue cominciava allora a rivelarle.

Pareva lo volesse _mangiare coi baci!_... Un bacio?...--e Lalla
baciava e ribaciava le sue piccole mani, le braccia rotonde, per
capire cos'erano mai, come potevano essere quei _baci che mangiano_.
Si addormentò alla fine, ma dormì male. Vedeva muoversi una figura di
uomo, avvicinarsi e allontanarsi da lei, senza mai sparire. Quell'uomo
ora pareva Sandrino, ora il marchese di Vharè, poi di nuovo Sandrino
come l'aveva veduto nell'ultima scena del dramma: col petto nudo,
colle braccia nude, coi capelli arruffati; e si faceva sovente così
vicino, che la fanciulla ne sentiva il tepore.



XIII.


--Bada, Nando, la civetta dà il segno!--diceva, qualche giorno dopo la
famosa recita di beneficenza, il Frascolini, _juniore_, chiuso nel
casotto della ragnaia, a un giovane contadinello che gli faceva le
veci d'uccellatore.

--Bada! Sta attento!... Tira gli zimbelli! Maledetti tordi; che
cos'hanno, l'accidente, stamattina, che non voglion zirlare!--E così
dicendo, chinato, guardando in tralice dal finestrino, si cacciò in
bocca un fischietto, soffiandovi dentro con tanta forza, da diventar
rosso, enfiato. La frasconaia s'era messa in movimento: tutti gli
zimbelli svolazzavano con voli brevi, continui, e i richiami, chiusi
nelle gabbie, tratti in inganno dal fischietto, rispondevano
confusamente coi loro canti vari e stonati.

--Eccoli!... Son tordi!

Tutt'e due, dentro al casotto, alzati a mezzo, non respiravano
nemmeno; attenti, fissi, collo sguardo al pertugio, spiavano il
momento buono: i tordi saltellando, zirlando, a mano a mano si erano
fatti più vicini all'agguato, e Sandro stava già pronto, per dar la
tirata, con una mano sulla corda dello spauracchio, quando da un
momento all'altro, la civetta dà un inaspettato allarme col chinar del
capo, i fringuelli cominciano a spionciare e i tordi fuggono
spaventati.

--Bestiaccia d'una civetta! Ora vo e le tiro il collo!

--Ci sarà certo qualcuno, che viene verso il _roccolo_--obbiettò
Nando, alzandosi ritto per guardare.

--Animale! se lo pigliasse il cimurro!--e rapidamente cacciatosi in
testa il cappello, Sandrino uscì dal casotto sbatacchiando l'uscio con
dispetto, pronto a dire il fatto suo al malcapitato. Ma chi mai
avrebbe potuto pensarlo?... Egli si trovò faccia a faccia con Lalla e
con miss Dill.

--Duchessina, signora miss, è un miracolo, un onore, si accomodino...
prego... restino servite.--Il giovinetto, confuso, sorpreso da quella
visita che gli capitava per la prima volta, continuava a balbettar
complimenti, fermo, impalato sull'uscio, mentre _Musette_, ch'era pure
della comitiva, coi denti gli scoteva i calzoni, dimenando la coda ed
abbaiando festevolmente.

--Miss Dill, in tanti anni, non aveva mai veduto uccellare, e ci siam
presa la libertà di venire; abbiamo fatto male?

--Ma che dice mai?... è un onore, un onore grandissimo. Peccato che
non sia mattina di buon passo... Entri entrino... Nando, marmotta!
pulisci la panca. Compatiranno; si sa bene, se lo avessi saputo
prima... ma qui siamo alla militare, _sans façon_, come si dice!...

Miss Dill fece il suo ingresso nel casotto, come sarebbe entrata in
una cattedrale; dura, impettita, cogli occhiali sul naso, che arricciò
di molto per la puzza di pollina.

Lalla, invece, indugiò all'aperto con Sandrino, facendosi dire il nome
dei vari uccelletti e chiedendo un'infinità di _perchè_ a proposito
degli allettaioli, delle reti e degli zimbelli.

Lalla, quel giorno, era proprio carina, carina assai. Indossava un
vestitino bianco, succinto, di squisita eleganza. Il collo era
nascosto dalla sciarpa di pizzo, il mento quasi sprofondato nel
fiocco; in testa un cappello strano, ma di buon gusto... Una specie di
panierino capovolto, stretto alle tempie, circondato, quasi coperto da
un _foulard_ scarlatto; così che il _musetto_ vispo, furbo,
freschissimo, si scorgeva appena. Bene però le si vedevano gli occhi
vispi e pungenti di sotto la lunga tesa del cappello. La candida
rotondità del braccio appariva, essendo brevi le maniche del vestito,
fra i ricami di un mezzo guanto di reticella che, quasi toccava il
gomito colle manopole; e il braccio bellissimo si movea di continuo
dinanzi agli sguardi di Sandro, avendo la fanciulla qualche nuovo
oggetto sempre da indicargli coll'ombrellino.

Così avviluppata, quella creatura vaga, flessuosa, sottile, era tutta
una seduzione, perchè era tutta un mistero: dai capelli che le
scendevano sulla fronte come una frangettina di ricciolini, e dei
quali si sentiva penetrante, soavissimo il profumo, fino al piccolo
piede che compariva e spariva leggiadramente, chiuso serrato nelle
ghette di lino.

--Sa?... Temevo quasi di riuscirle importuna.

--Come?... lei?...--esclamò il giovane, con stupore.

--Alle volte, non si sa mai, avrebbe potuto averci visite, o
aspettarne qualcuna.

--Visite, quassù, al _roccolo?!_...

--Via... non faccia tante meraviglie; la Nena, sa, mi ha detto tutto.

Alessandro stava apparecchiando uno di quei _non capisco_, i quali, se
esprimono il contrario di quello che dicono, servono, nulla di meno,
per rispondere qualche cosa, quando opportunamente capitò fuori la
miss.

--Poveri uccellini--interruppe Lalla, che l'aveva veduta colla coda
dell'occhio--poveri uccellini, come devono soffrire legati a quel
modo!--Dal brusco cambiamento della sua interlocutrice Alessandro capì
benissimo che non doveva continuare il primo discorso e le fece subito
una dissertazione tecnica sulla _braca_.

--Le dobbiamo ancora le nostre congratulazioni per la sera di
beneficiata; ma non è colpa nostra... lei non si lascia più vedere.

--Bene, bravo; bisogna correggere però il vostro _costume_ dell'ultimo
atto. Manca di _proprietà_; lo ha detto anche don Vincenzo.

--È indicato così nella commedia.

--Cattivo, cattivo; mi ha fatto piangere tutta sera--continuò Lalla,
che non aveva versato nemmeno una lacrima.

--Oh! duchessina, si sa bene, da noi, poveri dilettanti, si fa... come
si può...

--Non le è mai venuto in mente di far l'artista?

--A me no--rispose Sandrino--quantunque l'organista mi abbia
assicurato che avrei una bella voce da tenore.

--Oh, oh, per il teatro ci vuol altro--concluse miss Dill, la quale,
per dire gentilezze, parea fatta apposta.

--_Giorgio il Mulatto_ di Alessandro Dumas?... è bello?--domandò la
signorina entrando nel casotto con Sandro e leggendo il titolo di un
libro della _biblioteca circolante_, rimasto aperto, sopra un
palchettino.

--Bello o brutto, non fa per lei!--esclamò la miss, strappando il
libro di mano alla fanciulla.

Lalla, senza scomporsi, osservò, frugò in ogni cantera, in ogni
ripostiglio del casotto, domandando conto di ogni particolare, come
già avea fatto prima nella frasconaia; ma una cosa la colpì
singolarmente e, senza essere veduta dalla miss, colla punta, colla
sola punta delle dita, toccando il braccio di Sandrino lo fece voltare
dalla parte della finestra; di sopra c'erano scritti pochi versi.

--Madama Veronica?--chiese con un garbo pieno di finezza.

Alessandro sorrise, arrossì e non rispose: lentamente, a mezza voce,
la fanciulla lesse allora questa melanconica strofetta:

    «Ovunque il guardo io giro
    Amico mio, ti vedo;
    E l'ultimo respiro,
    Lo dici e te lo credo,
    Non può rapirti a me».

--Che cosa succede? Che cos'è questo frastuono?--domandò a un tratto
miss Dill, levando il naso dal libro.

--Fringuelli, fringuelli di passo!--rispose Nando allegramente.
Infatti tutti i fringuelli della ragnaia si erano messi a spionciare
con tanta forza da rompere la testa.

--Questa volta, qualche cosa si prende!

--Oh! bravo, signor Alessandro, bravo!--Lalla, ritornata bambina,
batteva le mani dall'allegrezza.

--Finalmente! temevo non si prendesse altro che emicrania, con questa
puzza!--e, per vederci meglio la miss forbiva il _pince-nez_ col
fazzoletto. Tutti tacevano, raccolti attorno al finestrino. Lalla
aveva preso sotto il braccio _Musette_ perchè stesse ferma, gli
zimbelli ritornarono in ballo:--Zitti, ecco ci sono--e Sandro facendo
guizzare, per lo spavento, miss Dill, che non sapeva di che si
trattasse, tirò con forza lo spauracchio.

--Presi!--gridò Nando correndo fuori del casotto, con _Musette_ fra le
gambe.

--Aspettate! aspettate! Vengo anch'io! Voglio vedere, povere
bestiole!--e la zitellona corse fuori tenendosi alzato l'abito con
tutte due le mani.

Intanto anche Alessandro era lì per uscire.

--Senta--gli disse Lalla all'uscio, fermandolo--può prestarmi questo
libro?--e indicava il romanza di Dumas.

--Volentieri, s'immagini, quando vuole, duchessina.

--Ma non ne dirà nulla nè a miss Dill, nè alla mamma?

--No, no...

--Viene a casa nostra stasera?

--Verrò certo...

--Venga, e il libro lo dia alla Nena: ma di nascosto che nessuno lo
veda.--Il Frascolini, in quel mistero, in quel primo segreto della
giovinetta, non capì nulla, nulla affatto... forse perchè non ebbe
tempo per riflettere. Improvvisamente la voce della miss e lo
squittire di _Musette_ attrassero la sua attenzione.

--Mostro! scellerato! canaglia! Oh, è orribile!--sbraitava l'inglese.
Sandro e Lalla raggiunsero la vecchia in quattro salti e la trovarono
più verde del solito, gli occhiali per aria, il classico cappellone di
sghembo. Miss Dill coll'ombrello picchiava giù botte di santa ragione
sulle spalle del povero Nando, il quale, stretto fra la istitutrice e
la rete, se le pigliava tutte come trasognato, mentre _Musette_ gli
mordeva i calzoni.

--Che cosa avvenne?--domandò Lalla, non potendo trattenersi dal
sorridere.

--Il mostro ha schiacciato, sotto i miei occhi, la testa di quelle
povere bestiole!... Ma io ti ammazzerò, brigante!--e la sensibile miss
ricominciò le ombrellate. Ridendo, senza più poter trattenersi, i due
giovani volevano persuaderla che l'uccellatore non aveva fatto nè più
nè meno del dover suo, quando, a un tratto, videro Lorenzo
attraversare i campi, correndo, a salti, rovesciando i segnali,
calpestando i mozziconi del granoturco e venire dritto nella direzione
della ragnaia.

--È Lorenzo quello laggiù?

--Sì, mi pare; corre in cerca di noi...

--Presto, duchessina, presto! Ritorni a casa; è arrivato il padrone!

--Il babbo, il babbo! è arrivato il babbo!--e Lalla, dopo avere
abbracciato miss Dill per la contentezza, ed essersi abbandonata a
un'allegrezza assai espansiva, si avviò ratto per ritornarsene a casa,
avendo peraltro trovato il momento di dire piano a Sandrino:--Si
ricordi la promessa.

Maria conosceva benissimo quella passeggiata, perchè era sempre
minutamente informata di tutto ciò che faceva la sua figliuola, e la
circondava di una vigilanza attiva e prudente, senza lasciarla mai in
balìa di sè stessa, non essendo miss Dill, per Lalla, altro che una
esecutrice scrupolosa degli ordini che riceveva dalla madre. Anche per
la gita al roccolo di Frascolini, la permissione l'avevan dovuta
chiedere a lei, e lei l'aveva accordata, non vedendoci ragioni per
doverla rifiutare. Il Frascolini vecchio era stato un famigliare del
conte defunto; il Frascolini giovine era cresciuto, per dir così,
nella corte e nel _tinello_ del _Palazzo_: come supporre dunque che,
da un momento all'altro, fra Lalla e lui potessero nascere altre
relazioni fuori del profondo rispetto dall'una parte e della
affabilità cortese dall'altra?



XIV.


Le visite di Prospero Anatolio a Maria si erano fatte a mano a mano
più frequenti.

Egli si trovava in un momento di sconforto e di tristezza: di
sconforto, perchè come uomo politico aveva fatto un capitombolo; di
tristezza, perchè la Haute-Cour era ritornata a Parigi, dove suo
marito aveva avuto un impiego importante al _Ministero degli affari
esteri_.

L'Onorevole di Borghignano era stato preso dalla fisima di voler creare
un nuovo partito politico che dovea intitolarsi _Cattolico di Sua Maestà_
o _Conservatore_, o qualche cosa di simile. In una parola era uno di quei
tanti pasticci dei quali ciascuno mangia una fetta brontolando dopo che
si è disgustato la bocca e lo stomaco. I _moderati_ se ne servirono per i
loro connubi durante le lotte elettorali: poi lo sconfessarono perchè era
un partito anticostituzionale; e i clericali, adoperatolo come mezzo di
passaggio nelle pubbliche amministrazioni, non ne vollero poi più sapere,
perchè i _Cattolici di S. M._, riconoscevano il regno dei _buzzurri_.
Credendo di aver innalzato un edificio, Prospero Anatolio non aveva
eretto altro che un impalcato che viene demolito appena compiuta la
fabbrica.

E in quanto alla separazione del duca d'Eleda e della baronessa
Renata... fu una grave, una dolorosa separazione, specialmente per il
duca. Oltre la perdita della donna, Prospero Anatolio aveva tutte le
consuetudini da rompere e da rifare; si trovava sbilanciato, gettato
fuori dell'orbita, privo del centro di rotazione, dove la sua vanità
poteva sfoggiare tutti i suoi apparati, dove egli passava ed era fatto
passare per un grand'uomo, e dove le sue idee, le sue aspirazioni, i
suoi gusti trovavano sempre una corrispondenza simpatica. Adesso, e a
quell'età, come avrebbe potuto sostituire la Haute-Cour?... Non c'era
più che sua moglie: e a tal uopo egli andava e tornava assiduo,
persistente, a Santo Fiore, alleandosi quel buon don Gregorio, il
quale, pover'uomo, circondato, abbindolato con ogni arte, era rimasto
preso dalla diplomazia e dalla politica del duca d'Eleda, che per la
prima volta, fra le tante, era riuscito ad ottenere un buon successo.

Nulla di meno la posizione rimaneva sempre la stessa; e anche
quest'ultima visita era terminata col malumore di Prospero.

Quella sera, dopo la partenza del babbo, Lalla era nel salotto
rincantucciata nella poltrona, spettinata, cogli occhi e il naso
rossi, tutta avvolta nello scialle, perchè sentiva, o almeno dicea di
sentire, quei brividi di freddo che corrono fra carne e pelle, dopo un
pianto dirotto. Ma, mentre tutte le altre volte in simili casi usava
di ritirarsi per tempo, quella sera invece ai fermò dopo il pranzo, e
quando udì la nota voce di Sandro diede una scappatina in _tinello_,
dicendo alla mamma che lo volea pregare di serbarle vivo il primo
cardellino maschio che gli capitasse in ragnaia. Il cardellino,
naturalmente era un pretesto; ma da ciò non è lecito supporre che
l'amicizia fra i due giovani fosse in così breve tempo diventata più
intima. Sandro era ancora le mille miglia lontano dall'immaginare la
fortuna, o la disgrazia, che lo aspettava. Se non che da quel giorno i
discorsi della signorina lo impacciavano; erano sempre pieni di
frizzi, di allusioni ai suoi amori, allusioni e frizzi che lo facevano
poi andare in bestia contro quella chiacchierona della Nena. Quando
Lalla lo pregava di alcune commissioncelle, compere di lana, o di
lapis, o di carta per il disegno, nelle gite che egli frequentemente
faceva in città, o quando si tramava qualche clandestino passaggio
della _biblioteca circolante_--basta--soggiungeva Lalla--basta che la
signora Ottavia non se n'abbia a male;--oppure:--mi raccomando, non lo
sappia la signora Ottavia, se no mi leva gli occhi!

Il giovinotto restava muto, e arrossiva; ma pur si sentiva lusingato
della buona opinione che Lalla aveva di lui. Quella parte di seduttore
fortunato non gli spiaceva punto. Ma le cose, intanto, non
progredivano; l'amicizia era stazionaria, ci voleva una qualche
occasione: e poichè l'occasione non manca mai di venire, quando c'è
chi la vuole, così capitò anche al Frascolini, la sera stessa che si
maritò la Pierina, la sorella della Nena, l'altra figliuola di
Ambrogio.

La duchessa d'Eleda, che aveva fatto tenere a battesimo la Nena, fece
anche cresimar la Pierina. Ambrogio, a Santo Fiore, s'era guadagnata
una condizione intermedia fra il pensionato e il servitore. Era
l'unica persona, quel vecchio, che a Maria ricordasse sua madre, la
povera contessa, la quale, paurosa dei cavalli com'era, non si fidava
che di lui solo, e quando usciva in carrozza, non voleva saperne
d'altro cocchiere.

Ambrogio, entrato fanciullo in palazzo, s'era ammogliato là dentro; là
dentro aveva veduto crescere le sue figliuole; là dentro moriva
rispettata, soccorsa, la sua compagna, e anche lui non ne sarebbe
uscito che per andare a raggiungerla in camposanto. Maria, che per
tutto ciò gli voleva bene, non solo aggiunse del proprio alla piccola
doterella della Pierina, ma le regalò un buon corredo, e volle che la
sera degli sponsali si facesse il rinfresco in una stanza del
palazzo--uno stanzone grandissimo, a terreno, che metteva in
giardino--e finalmente con una finezza di sentire che fece piangere il
buon uomo di commozione e d'orgoglio, volle che sua figlia e miss Dill
assistessero alla piccola festa.

Dagli sposi e da Ambrogio erano stati invitati al rinfresco il sindaco
con la sua signora, don Vincenzo, padre e figlio Frascolini, il medico
condotto, il farmacista e la Ottavia. Tutti costoro, in certo modo,
rappresentavano le autorità, la parte eletta della riunione,
quantunque anche il cuoco, la Luigia e Lorenzo, avessero molte
pretese.

L'ampio locale era abbellito con frasche di semprevivi, con tappeti e
con tende, vecchie e stinte, che di sera facevano ancor buona figura,
ed era illuminato da lucerne di diverse epoche e di diverso sistema,
candelabri scompagnati alti e bassi e, all'intorno, attaccati al muro
con cordicelle, a due a due, tutti i fanali delle carrozze, lustri e
belli che parevano di argento. Il rinfresco doveva consistere in una
focaccia, paste, caffè, liquori, vino rosso, Asti spumante e castagne
a lesso e arrosto; ma il cuoco, d'accordo colla Luigia, aveva
preparato una sorpresa; il suo regalo di nozze agli sposi; un enorme
tacchino farcito e un croccante, rappresentante la torre di
Sebastopoli, che teneva chiuso fra le mura il solito canarino. Don
Vincenzo, richiesto, aveva ceduta per la festa e fatta trasportare a
proprie spese la spinetta del Coro, e l'organista, che era anche
maestro di scuola, veterinario, amico del sindaco, di Ambrogio, del
signor Niso e nemico dichiarato del medico, suonava, con maggiore
agilità in chiave di violino che in chiave di basso, il valzer, la
polca, la mazurca, tutto a tempo di marcia, per non generar
confusioni.

La Pierina era vestita di bianco, come una sposa di lusso. Quel
vestito era un regalo della padrona, uno de' suoi rifiuti, che la
buona ragazza avea messo da parte per tirarlo fuori appunto il dì
delle nozze, e pareva nuovo, così attillato a quel suo corpo fiorente,
dal quale traboccavano felicità, amore e salute.

Quella però che più di tutte spiccava per la eleganza e lo sfarzo era
la maestosa moglie del farmacista, con un bell'abito nuovo fiammante,
lana e seta, color _sangue di drago_, scollato, da far vedere certe
cose di cui Giunone sarebbe rimasta invidiosa. Il sesso maschile le
era sempre vicino, d'intorno, di dietro, davanti, con un orgasmo, un
calore, che veniva tutto da lei. Don Vincenzo; il quale con miss Dill
sembrava prediligere un altro genere di bellezza, pure le discorreva
serrato alle sottane, col naso rosso, le labbra tremanti e, se
abbassava gli occhi sovente, non è che guardasse per terra. Tutto
questo entusiasmo, mentre indispettiva e faceva allungare il muso a
Sandrino, sollecitava invece l'amor proprio del signor Niso, più
rifinito, più sfrittellato, più malandato del solito, il quale, in un
cantuccio della tavola, pelava un piatto di castagne lessate, colle
unghie orlate di nero, che ricordavano tutti gli empiastri della
farmacia. Ed egli le pelava, quelle bollenti castagne, le pelava con
ogni cura, poi le infilava colla punta del coltello e le offriva in
giro alle signore. Di tanto in tanto l'Ottavia, quella sera tutta
moine e carezze con lui, per ricompensarlo della spesa dell'abito, gli
passava da canto, allargava la bocca, e il signor Niso v'introduceva
una tigliata, scoccandole dopo qualche buffetto sull'abito per far
cascare le briciole di focaccia o di zucchero, che vi s'erano fermate
sopra; e, quand'ella si allontanava le teneva dietro cogli occhi,
sospeso, col coltello nell'una mano e la castagna da pelare
nell'altra, e pareva, dall'espressione del viso, che egli rifacesse
mentalmente la somma di tutto quanto gli era costato quell'abito, di
fattura, guarnizioni, fodere e stoffa.

Ma non era l'egregio farmacista, era piuttosto la signora Veronica
quella che più si doveva compiangere. Quasi non bastasse per la sua
piena sventura la stoffa lana e seta, color _sangue di drago_, c'era
di più il Frascolini, geloso e attento all'Ottavia, e che non aveva
ballato o discorso con lei neppure una volta; trascuranza proprio
imperdonabile, stata notata con dispiacere anche dal signor Domenico
che ne fece le proprie lagnanze con Frascolini padre, nella sua
triplice qualità di marito, di amico e di sindaco.

Anche il canarino, il canarino prigioniero nella torre del croccante,
giocò alla signora Veronica un tiro birbone. Appena demolita
Sebastopoli, l'uccelletto, fra le risa e le grida dell'allegra
comitiva, uscì vivo di sotto i minuzzoli e andò a svolazzare attorno
al soffitto. Allora gli uomini, che volevano lasciar la mano alle
signore, rimasero fermi, mentre la parte gentile della brigata, in
sciame, correva di qua e di là, perseguitando l'innocente volatile,
spaventandolo coi fazzoletti, o colle bucce delle castagne, quando si
fermava sui quadri, o sulla cordicella dei fanali, o sullo stipite
delle porte. Solamente la sposa, che approfittava della confusione
generale per lasciarsi prendere qualche piccolo acconto dal marito, e
la bella Ottavia, che temeva sciupare la veste in quelle strette, si
tenevano discoste, attente allo spettacolo. Il povero canarino aveva
già corsa tutta la stanza, in giro, un centinaio di volte; ma dàlli e
dàlli, chi la dura la vince; colpito in mezzo al corpo da una
castagna, precipitò dritto in un angolo, rasentando il muro, sfinito,
con le ali aperte, distese. La Veronica, ansante anche lei, e colla
gocciola al naso, gli si avvicina piano piano, in punta di piedi, fa
cenno alle compagne di scostarsi, e gli è addosso col fazzoletto, ma
il canarino trova il verso di fuggire ancora, e volando di traverso,
passa così vicino all'Ottavia, che lo prende di colpo, con tutte due
le mani.

Il baccano fu indiavolato, lo schiamazzo assordante, e le più
sfacciate allusioni non rispettavano nemmeno la veste di don Vincenzo;
mentre la Veronica diventava verde dalla rabbia, Sandro diventava
pallido per il dispetto, e saliva un pudibondo rossore sulla fronte
onorata del signor Niso.

Lalla e miss Dill si recarono dagli sposi dopo che Maria era andata a
dormire, e ciò per non lasciarla sola tutta la sera, e per non mettere
in soggezione gli ospiti, finchè mangiavano il tacchino e il
croccante. Infatti, quando si presentò la duchessina coll'istitutrice.
la brigatella si mostrò un poco intimidita e vergognosa: nessuna
sapeva più come muoversi, nè quali discorsi incominciare e i più
arditi tentavano appena una scempiaggine a mezza voce, coll'aria di
voler dire:--Guardatemi, che io non soffro di soggezione!--Soltanto la
Nena e la sposa, l'una per dimestichezza, l'altra fatta ardita dalla
felicità che le schizzava dagli occhi, furono attorno, con ogni festa,
alle due signore, mentre Ambrogio guardava fra le lacrime la figliuola
della sua padroncina, la guardava con le mani giunte, come la Madonna,
povero vecchio, senza essere buono d'infilare una parola sola di tutta
la grande poesia d'affetti che gli prorompeva dal cuore. Il sindaco,
che altre volte si era trovato con Lalla, fattosi animo, ruppe il
ghiaccio, e presa per mano la Veronica, con un discorsetto di
circostanza la presentò alla duchessina; cosa che il signor Niso non
ebbe mai il coraggio di tentare, quantunque vi fosse spinto
dall'Ottavia con certi pizzicotti nelle braccia da lasciarvi il
livido.

Lalla fu amabilissima colla Veronica, forse per mortificare
quell'altra, e si congratulò con lei per i bellissimi versi che la
sindachessa aveva dati alle stampe in onor della sposa; versi che
incominciavano così:--Bella, immortal, benefica--fiamma ai tormenti
avvezza... Questa fa l'unica soddisfazione ch'ebbe la Veronica in
tutta la sera; ma fu per altro una grande soddisfazione!

Intanto, a poco a poco, l'affabilità e la scioltezza della signorina
avevano rimesso il buon umore nella festicciuola. L'organista, che aveva
approfittato dell'interruzione per rifarsi col vin rosso e coll'Asti
spumante, ricominciò, sulla spinetta, una mazurca _strisciata_. Lalla e
la miss, ci s'intende, non presero parte al ballonzolo, e anche don
Vincenzo, che si era dato al serio, stava seduto vicino a miss Dill e le
faceva una corte silenziosa, interprete e complice la tabacchiera. Ma
tuttavia, se il reverendo poteva rinunciare alle occhiatacce
sull'Ottavia, non sapeva dividersi da quel vinello rosso, limpido,
abboccato, con una punta di sale, e, colla scusa di offrirne alla miss,
se ne teneva sempre accanto un vassoio coi bicchieri colmi. Le coppie che
avevano cominciato a muoversi composte, serie ed attente, volendo
mostrare alle signore la loro singolare perizia, terminarono presto,
eccitate dal calore del vino e dall'ardore dei sensi, a ballare per il
piacere di ballare e di stringersi, a suono di musica. Composta, grave,
arcigna, la signora Veronica, col suo vecchio vestito di seta nera,
ballava col signor Francesco, il cuoco della duchessa, tenendosi
impettita e impalata dinanzi al ballerino, col mazzetto di _Verghiss_ che
le batteva il tempo sul capo, serrata nell'abito fino al mento, perchè
non potendo, pur troppo, essere impudica, _come quella sporca
dell'Ottavia_, si sfogava sfoggiando il suo permaloso pudore di donna
magra. Il signor Francesco le insegnava il modo di montare la crema e di
farla spumante; ma la donna istruita aveva ben altro da osservare; teneva
fissa la coda dell'occhio, augurandosi fosse avvelenata sopra Sandrino e
quell'altra che, così stretti, riscaldati dall'alito e dall'ardore
reciproco, avevano rifatta la pace e si scambiavano torrenti di voluttà
cogli occhi, colle mani, colle ginocchia, dimentichi affatto del mondo e
del signor Niso, il quale, per incarico avuto da Ambrogio, preparava lo
zucchero nei bicchierini del _punch_ con parsimonia e giusta misura.
Sandrino e l'Ottavia formavano la coppia più scandalosa; peraltro dopo
quella degli sposi, che ballavano sempre insieme, che perdevano il tempo
spessissimo, e allora, vergognandosene, fuggivano a nascondersi, non si
sa dove, per riapparire poco dopo, l'uno dietro all'altra, lui pallido,
lei rossa rossa, spettinata e coll'abitino bianco sgualcito,
rincantucciandosi quieti vicino al dottore, intento nel raccontare a
Lorenzo le sue gesta del _quarantotto_.

Lalla per forza aveva dovuto accettare da Ambrogio due dita di vino
santo, vecchio di dieci anni e, non essendoci abituata, le ronzava
nella testa e nelle orecchie, mentre si sentiva bruciare la faccia e
la gola dall'afa, dal caldo che faceva là dentro. Tutte quelle persone
le passavano dinanzi confusamente; ma le libere carezze degli sposi,
la voluttà acre di Sandra e dell'Ottavia, dovevano per forza colpire
anche i sensi della fanciulla.

E la Nena le sussurrava all'orecchio e la faceva osservare i due
gruppi.--Ma che cos'ha, padroncina, sta poco bene?...

--No... un po' di caldo!...

--Ha ragione, qui dentro si soffoca; faremo aprire. Babbo...--e la
Nena corse da Ambrogio, il quale, quando seppe che la padroncina aveva
caldo, non domandò il permesso a nessuno e spalancò tutte le porte.
L'aria pura che invase la stanza fu accolta con un grido di gioia, e
le coppie dei ballerini uscirono fuori sparpagliandosi sotto il
portico, e lungo i viali, in giardino. Era una sera punto fredda;
c'era del resto tanto amore e tanto vino in quella gente, da sentir
caldo anche sotto la neve. Soli, nello stanzone, rimasero la Veronica
e il cuoco. La fiera sindachessa non lo lasciava più scappare,
sperando di renderne geloso il Frascolini, che passeggiava a braccio
dell'Ottavia, superba di lui e del _fru fru_ cadenzato del suo
strascico _sangue di drago_. Ma il signor Niso aveva finito lo
zucchero, le castagne eran tutte pelate, e, tanto per non stare in
ozio, imbacuccato, venne fin sulla porta ad ammirare la moglie.

--Quel seccatore mi tiene d'occhio--disse l'Ottavia all'amico;--abbi
pazienza, vo e torno. E con la maestà che le era particolare, si
avvicinò scodinzolando al marito, pregandolo con una carezza di
annodarle dietro la vita lo scialle con cui si era coperta. Sandrino
intanto, non sapendo che fare, andò in cerca della duchessina, che del
resto aveva già profondamente riverita al suo primo apparire. Essa,
miracolo, non aveva miss Dill alle costole. L'inglese cominciava a
soffrire d'emicrania, a star chiusa, e, per riaversi, passeggiava con
don Vincenzo in giardino...

Lalla, senza udire le parole, aveva indovinata la manovra
dell'Ottavia, e perciò si sentì pungere vedendo che il giovinotto la
faceva servire da comodino.

--Bravo, signor Alessandro!... nemmeno un giro di polca!

--Se mi fossi appena immaginato ch'ella si potesse degnare...

--Via, via, non dica bugie; per me non c'è tempo!

--Scherza, lei, scherza... ha sempre voglia di scherzare...

--Ma, intanto, nemmeno un giro di polca; e questo è un fatto vero.

--Le ripeto e le giuro, signora duchessina, se io avessi supposto,
solamente supposto la sua degnazione, sarei stato tanto felice che...

--No, no; era felice abbastanza, per non voler esserlo di più.

Quelle due dita di vin santo non erano ancora svanite dalla testolina
di Lalla, e le davano ardire, quantunque, per sua natura, non ne
avesse bisogno.

--Ma non sa, signorina Lalla, che per ballare un giro di polca con lei
farei voto, come Tristano di Rocca Bruna--era questi un eroe
sentimentale le cui imprese, ridotte in cinque atti, erano destinate a
succedere, un giorno o l'altro, nel teatro di Santo Fiore, alle
lacrimevoli vicende dei _Due Sergenti_--farei voto di non ballare mai
più, mai più, per tutta la vita?

Lalla, a questa scappata, rispose ridendo con un riso lungo, fresco,
sonante.--Vorrei quasi provare per vederla in un bell'impiccio.

--Ebbene, provi dunque: io le giuro di mantener la promessa.--E il
giovane con la testa in fiamme per aver bevuto un po' troppo anche
lui, per il caldo, per il lungo contatto coll'Ottavia, ma più che
altro per l'influenza arcana esercitata dallo sguardo vivo,
appassionato, ammaliante della fanciulla, e da quella sua personcina
carica di elettricità, sentiva, con quel giuramento, di essere quasi
sincero.

--Ma... e la signora Ottavia?

--La signora Ottavia?... che c'entra?

--No? non c'entra la signora Ottavia? davvero davvero?... Vediamo,
dunque, ecco la destra, bel cavaliere, il giro di polca è concesso; ma
non qui... no, no; laggiù sotto la rotonda, in giardino!--e la
fanciulla si avviò di corsa, e Alessandro dietro, lungo i viali dei
carpini, interrotto nel mezzo da un pergolato di glicine, eretto sopra
la statua di una _Cerere_ di marmo bianco.

Lalla, correndo sempre, era già alla rotonda, quando si fermò di
botto, indicando al compagno d'inoltrarsi adagio e di non pestar sulla
ghiaia: Sandrino, trattenendo il respiro, la raggiunse in punta di
piedi. La notte era chiara e serena; la luna pallida senza nubi e
senza nebbia.

--Guardi, guardi là, dietro il rosaio... la Pierina!--Alessandro
guardò: dietro una siepe di rose selvatiche vide una figura bianca e,
più su, il disegno tozzo di un cappello da uomo. Gl'indiscreti, pian
pianino, si avvicinarono tanto da udire distintamente il mormorare
sommesso delle dolci parolette e dei baci. Lalla ascoltò qualche
minuto, poi, stizzita di non poter udire di più, raccolse un pugno di
ghiaia e la gittò nel roseto, spaventando i due colombi, che, dopo un
grido acuto della Pierina, presero il volo, attraverso le aiuole,
nella direzione del palazzo.

--Cattiva--disse Alessandro sorridendo--cattiva, cattiva!

Lalla non rispose: seria, pensierosa, sedendosi stanca presso la
_Cerere_, posò la fronte sul piedestallo, per sentire il freddo del
marmo. Anche il giovanotto aveva perduta la voce e ritto, di contro a
lei, colla testa bassa un braccio appoggiato alla statua, ammirava il
contorno serpentino della fanciulla fantasticamente illuminato dalla
luna, in mezzo a tutto quel mistero di ombre e di tenebra.

--Come deve essere bello il volersi bene!--diss'egli alla fine,
concludendo un discorso, pensato in due lungamente.

--Lei dovrebbe saperlo--soggiunse Lalla alzando il capo e stringendosi
attorno la mantellina con un brivido di freddo.

--Lo indovino, lo sento; ma creda, signora duchessina, non l'ho mai
provato.--Sandro capiva allora, la prima volta, che la sua passione
per la bella Ottavia era desiderio, era voluttà, tuttociò insieme
confuso, ma che non era l'amore; capiva, la prima volta, che l'amore
non doveva, non poteva essere nè il rimorso, nè la febbre dei sensi;
ma una dolcezza ineffabile, pura, tranquilla, un sentimento nobile,
elevato, più forte e più sano.

--Se lo sentisse a parlare così, mi dica, che cosa le pare che ne
penserebbe la... la più bella del paese?...

--Forse... penserebbe come me. E il nostro giro di polca?--domandò il
giovane volendo cambiar discorso.

--Eh sì, ma qui ci manca l'orchestra. È vero che i poeti con questo
bel cielo, trapunto di stelle, sentirebbero l'armonia del creato; ma,
sventuratamente, non può servire per musica da ballo!

--Eppure... la sua promessa?

--Come si fa? non avevo pensato che qui non si sentisse la musica: e
poi, sa, ho imparato da lei a non essere di parola; da un mese, non mi
manda più un libro.

--Ma... io... io non...

--_Non ho tempo di pensare a lei_.--Questo mi vuol dire?

--No, no, mi creda. Se lei sapesse che cosa provo in questo
momento...--e il giovane s'interruppe. Lalla lo fissò coi suoi occhi
lucenti, pieni di interrogazioni; ma il giovane non rispose.

--Se domani le mando la Nena, si dimenticherà ancora di prepararmi i
libri?

--No.

--Davvero? mo lo promette? Non si dimenticherà di... Non si
dimenticherà?

Che cosa voleva dire la signorina? Che cosa gli raccomandava di non
dimenticare?

--Le giuro... non potrei... Mi ricorderò: lo prometto!--rispose
Alessandro con vivacità, e tutti e due perdettero di nuovo la parola;
ma questa volta si guardavano tutti e due negli occhi.

--Già--disse Lalla dopo un momento--come vuole che la signora Ottavia
possa essere gelosa di me?... Il giovane tacque, e guardandola sempre,
trasse un profondo sospiro.

--E... lei, vuol proprio bene, lei, a quella signora?

--Non so.

--Non sa? Bel caso!--esclamò Lalla ridendo con uno di quei rapidi
passaggi che mostrano la volubilità del carattere.--Bel caso! a Santo
Fiore, saranno in due soli a non saperlo: lei e... e un altro.

--Orbene, sì; non voglio più oltre mentire: ma pur confessandole che
un giorno, ieri, ancora questa sera, ho potuto credere di voler bene
all'Ottavia, le giuro per altro che amarla, amarla proprio coll'anima,
non l'ho amata mai. Io non so, non posso spiegarmi; ma capisco, sento
benissimo che una fanciulla soltanto può ispirare tanta sublime
poesia!... Una fanciulla casta, ingenua che, amando, non commette una
colpa, e non la fa commettere; una fanciulla che si può adorare e
stimare, superbo, orgoglioso di lei, apertamente, sotto la faccia del
sole, perchè l'amore ha bisogno della luce come la vita!...

--Una fanciulla che fosse bella, buona... la Pierina, poniamo?

--Oh, no!--esclamò il filodrammatico, colto così, all'impensata.--La
Pierina no; è bella, ma non mi farebbe battere il cuore.

--La Rinaldini?... ah quella le piace. Non la ricorda la cugina del
marchese Rho?

--No, no; nemmeno...

--Allora sa che cosa le devo dire?--Io me ne lavo le mani; è troppo
difficile da contentare. La Pierina, no, la Rinaldini nemmeno; come la
vorrebbe dunque?...

--Come la vorrei?...--e il povero Sandrino, al quale il freddo della
sera aveva fatto un po' di bene, s'interruppe quasi atterrito di ciò
che stava per dire.

--Dunque?! Coraggio!... ci sarebbe forse il pericolo che non sapesse
nemmeno lei come la vorrebbe?

--Oh! lo so; ma è su, su, tanto in alto, che io non dovrei, non
potrei... non posso nemmeno guardarla!...

--Peccato; in questo caso, non mi saprà dire se è bella o brutta.

--No, no, non devo... non devo dir nulla! Senta, è meglio ritornare;
fa freddo qui, e le potrebbe far male.

--Teme che la signora Ottavia cerchi di lei?

--No, non ho paura della signora Ottavia, ma ho paura della mia testa;
della mia testa che brucia; e poi, se vuol saperlo, ho paura di lei...

--Di me?... arrivare fino alla paura, è proprio un po' troppo!

--Vorrebbe dirmi, almeno, perchè lei si diverte tanto a prendersi
gioco di un povero diavolo?... Da mezz'ora sento, e provo ciò che non
ho mai sentito, nè provato in mia vita. Divento pazzo o che cosa
divento? Non so... solamente so, che lei è tanto bella... e che mi fa
perder la testa!...

_Bella!_... era la prima volta che un giovane diceva a Lalla questa
parola, e perchè sapeva di averla guadagnata, provò insieme con la
soddisfazione della vanità, anche tutta la gioia di una vittoria.
Sandro la vide sorridere avvolgersi nella sua mantellina, come per
nascondersi agli occhi dell'ardito compagno, abbassar la testa,
arrossire... egli credeva di modestia; ma la fanciulla arrossiva di
piacere.

Povero Frascolini, povero illuso! Egli vedeva svolgersi uno dei
capitoli più romantici della _biblioteca circolante_: quella fanciulla
che arrossiva alle sue parole, sola con lui, al chiaror della luna,
bionda, duchessa, egli la fece scendere, a poco a poco, fino a sè,
confidente, sincera, innamorata; e troppo ingenuo, troppo inesperto,
troppo esaltato, senza poter riflettere, Sandrino si abbandonò tutto a
quella gran finzione.

--No, no;--esclamò Lalla interrompendo l'estasi del buon
figliuolo--non sono bella, anzi... bruttina... sì, piuttosto bruttina;
ma per questo appunto, ella non deve burlarsi di me!

--Ah, se non fosse lei!...

--Certo, se fossi un'altra... potrei essere anche bella!...

--No, se lei non fosse una signora, oppure se anch'io fossi nato
nobile, ricco, allora...

Sandro s'interruppe e Lalla non gli rispose; ella chinò il capo di
nuovo, arrossendo con un brivido, un sussulto, che pareva un sospiro
di tutta la persona. Il giovane le si avvicinò, sempre di più, e,
mentre gli si piegavano le ginocchia al contatto delle vesti di Lalla,
sentiva diffondersi intorno un profumo fresco, soave, finissimo, che
usciva dai capelli, da tutto il corpo di lei; un profumo inebbriante,
nuovo per il giovanotto ignaro, lontano dai gusti, dalle abitudini del
viver signorile; e i suoi nervi, eccitati, provocavano un odioso
confronto fra quella fragranza aristocratica e l'afrore di sudaticcio
della pingue moglie dello speziale. La fanciulla stava chinata con la
fronte appoggiata a una mano, mezzo velandosi gli occhi tra vergognosa
e raccolta; egli accostò la bocca al collo di lei candidissimo che
spiccava in quella penombra, ma non ebbe coraggio di baciar quello...
le sfiorò appena i capelli, e timidamente posò le labbra sulle
unghiette rosee della mano, senza notare, l'inesperto, che fra quelle
dita lunghe e affusolate, lo spiava un occhio freddo, attentissimo.

Lalla si alzò ratta, con un piccolo grido.

--Madonna Santa!--esclamò Sandrino ritornando in sè.--Madonna Santa!
che cosa ho fatto!... Perdoni, signora duchessina, perdoni il mio
ardire, la mia sfrontatezza... perdoni; non ho detto che la testa mi
gira?... che sto male?

Lalla non rispose più una parola, si serrò intorno la mantellina e
lentamente si avviò verso il palazzo, seguita dal giovinetto così
mortificato, paurosa, come avesse commesso una grave colpa. Egli non
aveva coraggio nemmeno di aggiungere scuse alle scuse, e si sentiva
agghiacciare pensando a tutto ciò che gli poteva accadere.--Che gli
era mai saltato in testa? Offendere così la signorina che si fidava di
lui, che si degnava di concedergli la propria confidenza, che si
degnava di scherzare, di trattarlo, non come un inferiore, ma come un
amico? In che modo gli era sembrato, come mai aveva creduto, aveva
potuto supporre un sentimento che fra loro due sarebbe stato
impossibile?... Eppure egli l'aveva veduta sorridere, arrossire,
tremare... No, no; egli era ubriaco e chissà che cosa aveva veduto. La
signora duchessina irritata, offesa da quel suo procedere, avrebbe
riferito tutto alla duchessa Maria, ed egli finirebbe coll'essere
scacciato dal _Palazzo_, e coll'essere disprezzato da tutti!--Con
simili pensieri giunto sotto il portico, credeva morire dalla
vergogna; e quando la Nena e la sposa, veduta la padroncina, le
vennero incontro correndo, si sentì cascare il fiato. Ma Lalla
disinvolta, chiamò le due ragazze per nome, colla sua voce chiara e
rotonda, poi si fermò un istante e, voltandosi appena, mormorò piano a
Sandrino:--Si ricordi, mi ha promesso di non ballar più colla signora
Ottavia.

Sandro si fermò sbalordito; volle parlare, ma gli si chiuse la gola.

Intanto Lalla scherzava tranquillamente colla sposa e colla Nena,
chiedendo conto della miss sparita dalla festa, e che tutti credevano
in compagnia della signorina. Subito l'Ambrogio, il medico, il cuoco,
e i due Frascolini andarono in cerca dell'istitutrice. A Sandrino non
era parso vero di sottrarsi in tal modo alle domande e ai rimproveri
dell'Ottavia ed alle occhiatacce scrutatrici della signora Veronica
che, avendo notata l'inquietudine della rivale per l'assenza del
giovanotto, provava in sè stessa un vivo piacere; piacere che poi
crebbe, e di molto, quando li vide brontolare e bisticciarsi.

Miss Dill non si lasciava trovare. Tutti giravano in giardino
chiamandola qua e là... Nessuno rispondeva. Eppure Ambrogio e il
signor Domenico erano passati sul piedi dell'istitutrice e del
Reverendo; ma le nere colombelle, invece di lasciarsi prendere, si
erano nascoste nella serra, donde usciva poco dopo la sola miss,
guardandosi prima ben bene attorno e poi avviandosi lentamente verso
il Palazzo, mentre don Vincenzo aspettava sull'usciolo il ritorno
d'Ambrogio e del signor Domenico.

--Ohi! Ecco don Vincenzo!... Non avete sentito a chiamare la _signora
miss?_

--No.

--È un'ora che si cerca; dove sarà andata a ficcarsi?...

--L'ho veduta poco fa... mi ha chiesto, anzi, della signorina.

--E la signorina cerca la miss!...

--Oh, guarda guarda, combinazione!...

Tutti e tre ritornarono insieme verso casa, dove trovarono appunto
l'istitutrice che scusava la sua assenza dicendo di aver preso un po'
di fresco sotto il pergolato, perchè soffriva di nervi.

La brigata prestò fede al racconto; non così Lalla, che fissò
l'istitutrice e sorrise.

Salutati affabilmente gli ospiti, la signorina e la miss si
ritirarono, e la Nena con loro.

Lalla sentiva gli occhi di Sandrino che cercavano i suoi, pure gli
passò dinanzi senza guardarlo. Le tre donne fecero la scala in
silenzio; ma poi, prima di separarsi, sull'uscio delle loro camere, la
signorina vedendo la miss che brontolava, minacciando l'emicrania per
l'indomani, le domandò fissandola bene in faccia, con un certo tono
impertinentino:

--Scusi, miss, non crede lei di aver presa l'emicrania stando troppo
al fresco sotto il pergolato?

--Probabile... probabilissimo. Buona notte.

--Ma... un momentino, miss... mi lasci vedere... oh curiosa! Che
cos'ha sulle guance?

--Io?...

Lalla prese, il fazzoletto e lo passò qua e là sulla faccia scialba
dell'istitutrice.

--Sarà polvere...

--Sicuro, polvere di tabacco!

La miss diventò verde, perchè non poteva diventar rossa.--Oh! Sarà...
certo... m'hanno detto che fa tanto bene per la nevralgia.

--Ma è inutile metterne sulle guance... e nemmeno sugli occhi... e sul
collo!

Lalla aveva indovinato, da quei segni, i passaggi del naso di don
Vincenzo, e una tale scoperta le fece molto piacere: quella donna, la
inflessibile guardiana, ella ormai la teneva in sua balìa.

--Mi pare impossibile...

--Oh, anche a me pare impossibile, miss, ma è proprio vero!

L'istitutrice si sentì perduta: la bocca aperta, il candeliere in una
mano, il libro delle preghiere nell'altra, immobile sotto il _plaid_
grigio che teneva sulle spalle, fissava la signorina e non poteva più
muovere un passo, non sapeva più dire una parola.

--Buona notte, buona notte, miss, e, per conto mio, non abbia timore
di nulla. Dorma, dorma sonni tranquilli...--E la signorina sorrise
un'altra volta salutando colla mano l'istitutrice attonita, e
raggiunse la Nena...

Sandro mantenne il giuramento. Lasciò gli amici, e approfittando della
lite successa, non accompagnò a casa l'Ottavia: la Veronica giubilava
e, non avendo di meglio, si sfogava abbracciando il signor Domenico.

Sandro andò camminando a casaccio per la campagna, solo solo, fin
quasi all'alba, e poi, rincasato stanco, si buttò sul letto senza
poter dormire, nè riposare, e continuò a sognare le cose più strane.
Sognava di farsi un nome, e guadagnarsi la gloria e le ricchezze colle
sue attitudini artistiche. Le manine lunghe e nervose della signorina,
gli avevano fatto vibrare, possenti, le corde dell'amore e
dell'ambizione. Quella vittoria ch'egli credeva sua, mentre il vinto
invece era lui, fe' dar di volta al cervello del povero
figliuolo.--Come aveva ottenuta la donna, superando tutti gli
ostacoli, non sarebbe riuscito anche a crearsi uno stato che lo
rendesse degno di lei? Degno di lei, s'intende, agli occhi della sua
famiglia, agli occhi del mondo...; per il cuore della fanciulla, egli
lo era sempre stato. Lalla, la _sua_ Lalla aveva arrossito d'amore e
si era mostrata gelosa!...--E ciò bastava perchè Sandro vedesse la
bionda duchessina rifiutare i più ricchi pretendenti per aspettar lui,
e per la consolazione di diventare la moglie del celebre
Frascolini!... Così sognando, sognando sempre, egli perdeva di vista
la realtà delle cose e, svanita la spensierata allegrezza dei suoi
vent'anni, cominciava a essere malcontento di sè e degli altri, e a
trovarsi a mano a mano sempre più infelice. Il giovinotto, che fino
allora era rimasto pago dell'affabilità dei Conti di Santo Fiore, i
quali si degnavano di tenerlo ospite nelle loro anticamere, adesso
imprecava contro il _pregiudizio ignorante_ e le _ingiustizie
aristocratiche_, che pretendevano, con cento braccia, di opporsi al
suo ingresso nella camera da letto della duchessina Lalla d'Eleda.
D'altra parte sdegnava il nome onorato di suo padre, disprezzandone la
condizione umile e plebea: le modeste aspirazioni e le gioie fino
allora godute, perdevano ogni attrattiva per il giovinotto povero e
oscuro, che voleva essere ricco e illustre, e che in quello squilibrio
fra il volere e il potere, si trovava, si sentiva _spostato_. Uno
_spostato!_... Il figlio e nipote dei segretari comunali di Santo
Fiore, i quali occupando quel posto avevano sperato di tenerlo in
serbo anche per lui, dove, come sarebbe andato a finire?...

E Lalla?... Lalla si svegliò che il sole era già alto, e fu suo primo
pensiero quello di accertarsi di non aver detto o fatto nulla che
potesse comprometterla. Poi pensò all'Ottavia, alla Veronica, e
sorrise, l'orgogliosetta, della propria vittoria. Pensò, e molto,
anche a Sandro, alla maschia bellezza, al volto colorito, alle labbra
che bruciavano, alla voce tremante del giovane; ricordò che la Nena,
quel giorno, sarebbe andata da lui per avere i libri promessi, e
indovinò arrossendo dal piacere, che nei libri ella avrebbe trovata
una lettera...

--Ma io non ti risponderò, signorino bello!--esclamò scherzando
con _Musette_, la quale, veduta muoversi la padroncina, era
saltata sul letto, vispa, festante, dimenando la coda, e
abbaiando dall'allegrezza.--No, no!--e Lalla parlava colla
cagnetta come se questa fosse appunto Sandrino.--No, no; non
voglio rispondere alla tua lettera, è inutile che ti arrabbi, è
inutile che tu mi morda le mani; in questo caso tu prenderai un
buon scappellotto, così...--e la fanciulla faceva seguire
l'atto alle parole--ma una risposta scritta, non l'avrai no, no
e no... Col tuo bel musino, tu saresti capace di mostrare le
mie lettere agli amici... Ah! vedi? Hai detto di sì!--esclamò
Lalla ridendo di uno starnuto della cagnolina, che veniva a
proposito come un'affermazione.

--Saresti capace di farmi piangere un giorno, quando non potrò più
volerti bene, perchè dovrò sposare un signore, più bello di te!...
Indietro, subito; che non voglio baci! Vergognatevi! Mi credete forse
miss Dill?... Indietro!... Va via!... e la fanciulla con le braccia
tese, si teneva lontano _Musette_ che allungava il collo per arrivare
a lambirle la faccia.--Ohè! birichino! Volete rompermi la
camicia?...--Va via!--da bravo!... Non dovete veder nulla...
cattivo... brutto... Ah! cattivo, cattivo!--La piccola _Musette_, con
un salto improvviso, le era arrivata dietro le spalle, poichè Lalla
stava a sedere sul letto, e leccavale il collo, la faccia, le
orecchie, facendola gridare dal solletico e dal piacere, finchè la
fanciulla, presa la cagnolina, si rannicchiò con essa sotto le coltri,
mordendola alla sua volta, e soffocandola quasi, tanto la stringeva
forte contro il petto.



XV.


Don Gregorio era un sant'uomo. Anch'egli, come Maria, non era di
questo mondo, e pieno di criterio e di dottrina, pure si presentava
inerme contro la furberia e la doppiezza che sapevano sorprendere la
sua ingenuità. Egli conosceva il cuore umano, conosceva anche le
passioni, ma per quel tanto che il cuore e le passioni dell'uomo
avevano bisogno di aiuto e di conforto; del resto i buoni e i cattivi
erano i felici e gli infelici; ma la malvagità stessa non era per lui
altro che una sventura. Ma se tutto il male non viene per nuocere,
così non tutto il bene riesce a giovare; e don Gregorio, preso nelle
reti del duca d'Eleda, ne divenne in breve uno strumento docile e
cieco.

Prospero Anatolio si era messo a fare in quel tempo frequentissime
gite a Santo Fiore, e invece di farsi condurre colla carrozza
direttamente al _Palazzo_, smontava prima alla canonica, in cerca di
don Gregorio, e tutt'e due passavano ore e ore in secreti colloqui. Il
piano del duca era altrettanto semplice, quanto pratico: confessione
intera dei propri torti rispetto alla moglie, e delle proprie colpe
rispetto a Dio, scusandosene in parte e accusando a sua volta la
severità eccessiva della duchessa Maria, che lo aveva abbandonato,
lasciandolo solo, senza affetti e senza conforti. Se Maria fosse stata
per lui una moglie amorosa, oh allora come egli si sarebbe sentito
forte contro le tentazioni! Ma invece, veduto appena il marito vicino
al pericolo, essa non volle sentir difese, non volle sentir
preghiere... anzi pareva avesse paura ch'egli fosse innocente!...
Certo certo, lì sotto covava un segreto, un segreto del cuore, ancora
vivo e forte dopo tanti anni, il quale aveva cominciato dal
consigliare a Maria di fuggire, e che poi l'aveva seguita nel suo
ritiro, innalzandosi sempre tra di loro come una porta di bronzo. Ma
se un simile stato di cose egli aveva potuto sopportare a stento come
marito, non poteva più farlo ormai come padre. Egli voleva redimere i
propri trascorsi con una vita nuova; e se fino allora si era lasciato
sacrificare, adesso avrebbe impedito ad ogni costo che fosse
sacrificata anche Lalla, la sua Lalla adorata, che l'egoismo di Maria
seppelliva a Santo Fiore, mentre invece doveva entrare nel mondo a
fianco della madre per esservi felice, e per trovarvi quel
collocamento ch'egli le augurava colle benedizioni del Cielo.

E a proposito del segreto del cuore, il duca Prospero diceva proprio
la verità... senza saperlo. Certe cose delicate, quando si credono sul
serio, non si raccontano mai. Invece, per il cieco marito, quell'amore
di Giorgio era sempre la commediolina della moglie ch'egli si
compiaceva di risolvere a proprio vantaggio. E anche adesso ne faceva
suo pro con don Gregorio per circuirlo, per abbindolarlo, per farselo
alleato, e raggiungere il suo fine: la riconciliazione di Maria, la
quale riconciliazione si era fatta, in seguito agli ultimi
avvenimenti, e secondo le sue viste, più che mai necessaria.

Dopo l'avvento della _Sinistra_ al potere, e specialmente dopo la
morte di Vittorio Emanuele, l'onorevole della _curia_ di Borghignano,
spaventato dal famoso _ponte_, gridava ai quattro venti di non volerne
mai più saper di politica; profetava torbido, minaccioso il futuro, e
consigliava a tutti di rinchiudersi in casa, finchè di fuori fosse
calmata la tempesta. In gran parte, quella paura egli la sentiva
davvero; e se prima gliel'aveva inspirata il _novantatrè_, adesso
anche il _nichilismo_ e l'_internazionale_ ci mettevano lo zampino. Ma
non era poi altrettanto sincero quando strombettava di non volerne più
sapere di deputazione. Non era stato lui che aveva piantato in asso
gli elettori; al contrario gli elettori avevano lasciato lui sul
lastrico, mandando a Roma, in sua vece, il conte Della Valle, il quale
non salì la _Montagna_, come qualcuno aveva temuto, ma rimase al
_centro sinistro_. Fermata opportuna, che tranquillò un poco le teste
quadre del gran caffè di Borghignano, occupate, in quello scorcio di
elezioni, a fare e a disfare l'Italia, la monarchia e la repubblica
due volte al giorno, regolarmente: la mattina all'ora di colazione, e
la sera dopo il teatro.

In quegli ozi forzati dopo l'amara sconfitta, Prospero Anatolio pensò
che colla scusa di dedicarsi alla figlia, avrebbe potuto riavere la
moglie, che vedeva farsi più bella e più fiorente, quanto più egli
diventava vecchio e floscio... e poi c'era un'altra circostanza che lo
infervorava in quel disegno. Il duca, da qualche mese facente funzione
di sindaco a Borghignano, voleva esser nominato sindaco effettivo per
poter arrivare più presto alla Camera vitalizia, e sperava molto
nell'aiuto dei pranzi e delle feste, già esperimentato con buonissimo
esito a Firenze.

Tutte queste circostanze, tutto questo miscuglio di passioni, di
vanità, d'interessi non solo non erano indovinati, ma non avrebbero
potuto essere nemmeno supposti dall'ingenuità di don Gregorio, che nel
duca d'Eleda vedeva solo un padre e un marito amantissimo della moglie
e della figliuola, e solo desideroso di riparare i propri torti. Per
tutto ciò il buon prete si faceva in quattro pensando al modo di
consolarlo e di aiutarlo; ed era già parecchio tempo che colla
perseveranza più ostinata, martirizzava la duchessa per indurla a
riconciliarsi col marito. Oltre all'autorità che don Gregorio godeva
sull'animo di Maria, egli sapeva toccarle tutte le più riposte corde
del cuore, presentandole da un lato l'avvenire della figlia,
dall'altro lo stata anormale del signor duca, e la poveretta,
sentendosi meno sicura dopo tante lotte, domandava angosciata a sè
stessa se aveva proprio diritto di ostinarsi nel non voler perdonare,
e temeva e tremava che l'affetto serbato vivo nell'anima non la
rendesse colpevole come moglie e come madre.

Questo tasto, delicato assai, don Gregorio non si era ancora
arrischiato a toccarlo. Esitava, un poco per naturale riguardo, un po'
perchè voleva servirsene come un argomento formidabile, per dar
l'ultimo colpo quando Maria fosse vicina ad arrendersi. Per tentarlo
davvero ci volle la spinta del duca, il quale minacciava una scenata,
uno scandalo se non si faceva a suo modo:--Bisogna battere il ferro
quando è caldo!--pensava Prospero Anatolio.

In fatti, capitato uno di quei giorni a Santo Fiore, il duca aveva
passata tutta la mattina alla canonica, senza che Maria, uscita in
carrozza a passeggiare, sospettasse il suo arrivo. Era una bella
giornata di giugno, venuta fuori dopo un'acqueruggiola fitta, che
pareva avesse dato una mano di calore a tutto il verde della campagna,
al turchino del cielo, alle case, al villaggio, al campanile e ai
monti lontani, che si disegnavano nettamente sull'orizzonte, senza
penombra, e senza sfumature. Si respirava un'aria fresca e leggera,
piena di atomi profumati che la pioggia aveva sbattuto dalle erbe e
dagli alberi. Anche don Gregorio sentì il bisogno di rivivere
all'aperto, e partito appena il signor duca, si avviò, passo passo,
fino al piccolo cimitero del borgo. Ivi fatta una breve sosta,
nell'uscire incontrò Maria che passava in carrozza; e la carrozza ad
un cenno della duchessa si fermò subito.

--Vuol salire con me, don Gregorio? Lo accompagno a casa.

--Grazie, figliuola; ma vorrei fare due passi; ne ho bisogno.

--Allora scendo, e cammineremo un po' insieme.

Maria smontò infatti, e tutt'e due tennero dietro alla carrozza che
andava lentamente verso il paese. Don Gregorio non disse nulla a Maria
dell'arrivo e dei lunghi discorsi fatti quel giorno stesso col duca
Prospero; ma coll'eloquenza della convinzione e del cuore ritornò
bravamente all'assalto.

Le fece capire che per l'avvenire e per la felicità di Lalla, era
ormai necessario di prendere una risoluzione. La fanciulla s'era fatta
una giovinetta, e non poteva più vivere in campagna. Bisognava
ritornare a Borghignano: e allora Maria come avrebbe potuto rimanere
in collera con suo marito? Per tutti e due doveva essere uno stato di
cose insoffribile e da non potersi sostenere. Lalla stessa, notando la
vita così irregolare dei genitori, ne avrebbe forse cercato anche la
cagione angustiando il suo cuore di figlia colla scoperta di una
verità molto dolorosa... e anche pericolosa assai per la serenità
della sua coscienza e de' suoi affetti. In ogni modo, il signor duca
era pentito, pentitissimo... e domandava perdono de' suoi falli.--Ma
poi, in fine, se il signor duca si era allontanato qualche volta dal
buon sentiero, non sentiva ella pure nel suo cuore di donna, di
moglie, di aver contribuito a quel traviamento, colla propria durezza,
colla propria inflessibilità?... Come pretendere che facciano gli
altri il proprio dovere, quando noi ci rifiutiamo di adempiere il
nostro?... E Lalla, che adorava il signor duca, non avrebbe trovata un
giorno troppo eccessiva e crudele quella severità della mamma?...
Finalmente poi Maria non aveva diritto di separare il babbo dalla
figliuola, come non poteva più oltre rifiutarsi di dimenticare
un'offesa, una grave offesa, ma dolorosamente espiata.--Bisogna
perdonare--concluse don Gregorio--per essere alla nostra volta
perdonati; e il Signore, che aveva insegnato ciò col suo esempio,
aveva cara sopra tutte la virtù del perdono; era quella che
maggiormente avvicinava ai beati spiriti del Paradiso la creatura
della terra.

--Io gli perdono, io gli ho perdonato,--balbettò Maria, un po'
mortificata dalle gravi parole del vecchio sacerdote.

--Non basta... bisogna amarlo... egli è tuo marito; hai giurato a Dio
che lo avresti amato per tutta la vita.

--Amarlo... amarlo, non posso, non posso!

--Perchè non puoi?... Sarebbe adunque così grande il tuo orgoglio da
tener chiuso il cuore per sempre ad ogni dolce sentimento, oppure...
oppure dimmi, figliuola, nel tuo cuore nasconderesti un segreto, un
segreto che non mi hai confidato?

E don Gregorio si fermò per fissar Maria attentamente, e la vide
rossa, confusa, chinare il capo sul petto.

--Dunque è proprio vero? Tu ami?... Ami un altro uomo?... So, so, so
tutto ciò che mi vuoi dire: tu non ti credi colpevole perchè sei
fuggita prima di cadere: ma nella fuga hai portato un'immagine nel tuo
cuore; un'immagine che avresti dovuto scacciare, dimenticare, e invece
è quest'immagine che oggi ancora si pone fra te e il tuo dovere.

Ah! era davvero una colpa quell'amor suo misero e caro?... e lo
scrupolo, il dubbio della povera tormentata adesso si mutava in
rimorso.

--Oh! no, no, don Gregorio! Io non sapevo di amare, fu un sogno, e
quando mi sono svegliata non ero più padrona del mio cuore, non potevo
altro che fuggire, e son fuggita via subito. _Lui_ non sa nulla... mi
ha veduta fredda, mutata, dubita che io non gli voglia più bene, non
si ricorda più di me. Qui, così sola, lontana da tutti, non credevo di
far male se pensavo a lui, qualche volta. Quel pensiero mi faceva
tanto bene, mi rifaceva buona, mi confortava! Non era un turbamento,
ma una consolazione che mi dava quiete e forza... che mi aiutava a
vivere.

--Sei madre e parli in questo modo? In tua figlia non avevi la
consolazione, la quiete, la forza? Sei madre, e tua figlia non ti
bastava per vivere? Piangi?... Sì... sì, piangi, Maria, perchè hai
grandemente offeso la Provvidenza.

Maria si era sentito stringere il cuore per l'inesorabile verità di
quella risposta; e mentre grossi lacrimoni le colavano giù dagli
occhi, balbettava timidamente, come per iscusarsi:--Non l'ho più
riveduto... Non gli ho più scritto... non sa più niente di me...

--E per questo--esclamò don Gregorio, colla voce mal ferma--e per
questo sola ti credi onesta; ma onesta, sei agli occhi degli uomini,
non agli occhi di Dio. Come donna, se non hai fatto male, lo hai
amato, e come sposa, dalle tue promesse inviolabili, sacre di fedeltà
e di amore, hai sottratto la parte più bella, l'anima e il cuore.

Povera Maria! Ella continuava a piangere; ma le sue non erano le
lacrime sole del rimorso; c'erano pur quelle ineffabili del sacrificio
che stava per compiere: della sua cara libertà e del suo casto
rifugio. E poi c'era un altro pensiero, un pensiero più forte di lei,
che si faceva strada in quel turbamento dello spirito, per angosciarla
e insieme per consolarla, spaventandola e facendola quasi contenta di
essere costretta a cedere alle insistenze di don Gregorio... il
pensiero di _rivederlo_.

Tutto ciò si agitava nel cuore di Maria colla lotta di mille
sentimenti opposti e confusi, che si urtavano insieme, che la
straziavano, e guardando a ritroso nei lunghi anni trascorsi
rimpiangeva il passato, che era solo la calma di un gran dolore, ma
che le appariva in quel punto come una felicità cara e perduta.

Intanto don Gregorio, vedendola scossa, s'infervorava sempre più
rivolgendosi al suo cuore, alla sua ragione, alternando le preghiere
al comando, le promesse del premio alle minacce del castigo, finchè la
povera donna, spaventata e vinta, promise formalmente che si sarebbe
rassegnata a compiere ciò che doveva essere il suo dovere. Don
Gregorio sentì allora nel proprio cuore il peso del grande sacrificio
che stava per imporre, e commosso a sua volta le strinse la mano,
mormorando con un'espressione d'affetto indicibile:--Coraggio,
figliuola mia, coraggio!--Poi tutt'e due continuarono silenziosi il
loro cammino verso Santo Fiore, mentre le povere contadine,
abbrustolite dal sole e sfinite dalla fame, che incontravano la ricca
duchessa, borbottavano contro la Provvidenza... che concedeva il
Paradiso ai _signori_ in questa vita e nell'altra.

Quando don Gregorio e Maria giunsero a vista del Palazzo, scorsero
subito il duca d'Eleda: questi, veduta arrivare la carrozza vuota,
aspettava ansioso presso il cancello.

--Mio Dio!...--balbettò Maria con un brivido. Non le lasciavano
nemmeno il tempo per respirare, per riflettere, per soffrire un po'
sola, in pace...

--Coraggio, coraggio--ripetè ancora don Gregorio, ma più a bassa voce.

Il duca Prospero li ebbe subito raggiunti, e salutata affettuosamente
Maria, che rispose con un cenno del capo, entrarono insieme nel
giardino.

--Abbracciate vostra moglie--disse don Gregorio al duca, che lo
interrogava cogli occhi--essa vi ha perdonato.

Prospero Anatolio uscì in una esclamazione inarticolata di sorpresa e
di gioia, e strinse forte la moglie contro il petto, baciandole la
bocca e le guance.

Maria, dopo tanti anni, sentiva con disgusto l'alito caldo di un uomo
bruciarle la faccia; le sembrò di esserne contaminata, di essere
divenuta indegna dell'ideale purissimo, che ad onta della sua volontà
e del suo sincero pentimento era ancora, era sempre vivo nel suo
cuore, come le gemme del mare che l'onda in tempesta non frange, ma
rende più vivide e scintillanti. Al duca tremavano le labbra,
balbettava, e il volto pallido, scialbo, avrebbe mostrato ad occhi più
esperti che non fossero quelli di don Gregorio, come non venisse
solamente dal cuore tutta quella grande commozione. Ma don Gregorio,
invece, ammirava Maria intenerito, e si sentiva contento come di
un'opera buona e bella, della quale egli si sapeva artefice.

Di solito, Prospero, accompagnava il prete quando questi ritornava
alla canonica; invece quel giorno non si mosse. Egli aveva bisogno di
godersi tutta la dolce felicità della famiglia: voleva star colla
moglie: sentiva di non poterla più abbandonare, e infatti, aspettò
l'ora del pranzo passeggiando in giardino con lei, tenendola stretta
al suo braccio, chiamandola con tutti gli sdolcinati nomignoli
imparati già dalla de Haute-Cour. Ma a poco a poco egli si faceva più
taciturno, fissava Maria divorandola cogli occhi; e da pallido
diventava rosso in viso, con due chiazze accese che gl'infiammavano le
guance agli zigomi. Pareva distratto, preoccupato, inebetito; di tanto
in tanto si guardava intorno, inciampava; poi, con malizia
premeditata, facendo alla moglie certi visacci che volevano essere
sorrisi, la spinse, serrandola fianco a fianco, sotto un capanno fitto
di convolvoli; e là dentro, abbracciandola e stringendola
all'improvviso, di nuovo la baciò sulle labbra, sulle guance, sul
collo.

--No, no, no...--supplicava la poveretta, tentando inutilmente di
svincolarsi dalla stretta e di difendersi da quella bocca sgarbata.

--Sei... mia... a... adesso... mi hai pe...e...--e non riuscendo a
finir la parola, e Maria piegando vivamente la faccia per ischivare il
fiato che l'ammorbava. Prospero Anatolio le stampò un altro bacio,
sopra l'orecchio, che la fece rabbrividire.

--Babbo!... Babbo!...--si udì gridare in quel punto da Lalla, che si
avvicinava al capanno correndo.

--Lalla!--esclamò Maria; e adesso, al disgusto e alla collera
aggiungendosi il timore di poter essere sorpresa dalla propria
figliuola, respinse il duca, facendolo rinculare d'un passo.

Lalla ritornava allora da un pellegrinaggio alla Madonna di Valsanta,
quattro ore di strada a piedi, impiegate nel recitar rosari e litanie.
La duchessina, creata _priora_ della _Scuola Cristiana_ di Santo
Fiore, aveva ordinato, col mezzo di don Vincenzo, quel devoto
pellegrinaggio.

Vi avevano preso parte tutte le maestre, tutte le alunne della
_Scuola_, capitanate dalla signora Sindachessa, e soltanto la bella
Ottavia non vi era intervenuta. Ma Lalla, da qualche tempo, si
prendeva un po' troppo il divertimento di farla arrabbiare, non
parlandole mai, non salutandola nemmeno, mentre invece era piena di
gentilezze per la signora Veronica; e perciò, non volendo ammalarsi di
fegato, nè contribuire alla gioia della rivale, la bella bionda si
sfogava con un'alzata di spalle, e schivava le occasioni di trovarsi
insieme.

Digiuni, novene e tridui, alla cui spesa avrebbe supplito Lalla colla
sua cassetta privata, avevano preceduto il pellegrinaggio. Lalla, miss
Dill, don Vincenzo intonavano le orazioni, ripetute dal coro, che
cangiava ciliege e parole. Nè in quella processione mancavano le belle
ragazzotte, ragion per cui agli svolti delle viuzze, o vicino ai
tabernacoli, c'erano appostati gli zerbinotti, che seguivano da lungi
la brigatella, sfidando le occhiatacce irose della signora Veronica,
che si voltava indietro borbottando inviperita, coll'autorità del
sindaco suo consorte, che ella sentiva di rappresentare.

Anche la duchessina era severissima, in fatto di morale e, per un
nonnulla, faceva cancellare le giovani dal registro della _Scuola
Cristiana;_ ma, per debito di giustizia bisogna anche aggiungere che
sapeva dare il buon esempio. In fatti il giovane Frascolini avrebbe
perduto subito tutta la protezione della fanciulla soltanto che si
fosse lasciato vedere durante il pellegrinaggio. Lalla si era
confessata, doveva comunicarsi a Valsanta, era pentita dei propri
peccati, e coll'atto di contrizione faceva solenne promessa di non
commetterne più... fino alla sera, alla sera di quel giorno medesimo
in cui doveva trovarsi con Sandrino. E forse, appunto per questo dolce
ritrovo, la signorina avrebbe rinunciato di gran cuore anche
all'arrivo improvviso del babbo, ch'ella per altro spiegava a tutti
quanti come un primo miracolo concessole dalla Madonna, che le
mostrava in tal modo di aver molto gradito il pellegrinaggio a
Valsanta.

E anche quel giorno essa abbracciò _il suo caro papparino_ con grande
effusione di tenerezza; e durante il pranzo fu amabilissima, e
sostenne da sola, si può dire, tutta la conversazione. In fatti Maria
si mostrava pensosa e triste e la miss s'era imbronciata col signor
duca, perchè questi aveva dimenticato di complimentarla secondo il
solito. Infelice miss Dill! Non sapeva che sorba l'aspettava alle
frutta!... La notizia che due giorni dopo sarebbero partiti tutti per
Borghignano!... Lalla, a quell'annunzio, non si ricordò del
Frascolini, ma fuori di sè per la gioia di diventare cittadina,
saltando e battendo le mani dall'allegrezza, volle buttarsi subito al
collo del babbo. Maria ebbe ancora un sospiro profondo, sommesso,
mentre miss Dill colla bocca aperta, impeciata di marenga al zabaione,
lo sguardo esterrefatto, che facea ridere nella sua terribilità,
diventava verde, gialla, livida, con un sobbalzo così forte di tutta
la sua anatomia che pareva scricchiolasse.



XVI.


Dall'allegrezza dimostrata e sentita veramente da Lalla, non si deve
credere che il capriccetto per Sandrino fosse svanito: tutt'altro;
Lalla continuava anzi a scherzare con lui, ma tenendosi sempre a fior
d'acqua, mentre il giovanotto c'era dentro fin sopra la testa. Per la
signorina quella simpatia lì, era parte della sua vita di villa. Si
godeva a tenerselo ben legato perchè Sandrino, libero, non ritornasse
dall'Ottavia. Finchè c'era lei a Santo Fiore, sarebbe stato uno smacco
troppo forte per il suo amor proprio, ma una volta partita gliene
sarebbe importato ben poco di tutta la razza dei Frascolini!...
Tant'è, capiva che così non la poteva durare, che non c'era da cavarne
nessun costrutto, che una volta o l'altra bisognava pure finirla con
quell'intrighetto sentimentale. Lalla voleva vivere, voleva suscitare
passioni, voleva primeggiare nel bel mondo, e però s'era consolata
all'annunzio della partenza, che mentre l'avrebbe portata in mezzo
alla gente, le dava il bandolo per sciogliere quella matassa ormai,
fra Sandro e lei, anche troppo imbrogliata.

Ben diversamente certo sentiva e fantasticava il sognatore romantico
che aveva creduto, con tutta l'ingenuità de' suoi vent'anni, ai
rossori, agli sguardi, ai teneri sorrisi della divina fanciulla; ma se
Sandro era matto, peggio per lui. Sarebbe ritornato savio un giorno o
l'altro, e intanto la _divina_ che ci poteva fare? Era stata anche
troppo buona da lasciarsi amare!...

Sandro era matto davvero; matto da legare. Egli non viveva che per la
sua Lalla, non dormiva più, non mangiava più, non parlava più con
nessuno. Camminava per la campagna i giorni interi, fabbricandosi
castelli in aria per l'avvenire, e mandando intanto a gambe levate il
suo stato presente. Si sentiva ammalato di spirito e infiacchito.
Tremava del domani, ch'egli, a occhio nudo, spogliandolo degli
smaglianti colori che gli prestava la sua fantasia, sentiva prepararsi
ben triste; e allora, pauroso, si ingolfava tutto nell'oggi, e anche
lì non c'era altro che una serie di dolori e di desideri, di smanie
acute e insoddisfatte. Non lavorava più; fuggiva i compagni, le
scampagnate festevoli e chiassose, delle quali un tempo era stato il
capo più ameno. Divenuto superbo, lunatico, sospettoso, si era creato
una infinità di inimicizie e di antipatie.

La vera cagione, per altro, del suo mutamento non l'aveva indovinata
anima viva; neppure la Nena, che portava e riportava i libri da Sandro
alla padroncina, senza mai sospettare che insieme coi libri ci fosse
una corrispondenza secreta. La Sindachessa attribuiva quelle lune alla
nausea del troppo _mangiar di grasso;_ la Ottavia si dava a credere
ch'egli la aveva lasciata perchè, come figlio del segretario comunale,
non voleva inimicarsi colla moglie del sindaco; e l'organista, maestro
di scuola, veterinario (e anche strozzino per meglio campar la vita)
spiegava tutto col brutto viziaccio del giuoco, che, come una
cancrena, divorava il giovane segretamente, tanto che più d'una volta
aveva dovuto ricorrere a lui per aver quattrini.

Tali supposizioni, anche quest'ultima dell'organista, andavano ben
lungi dal vero. Sandrino non toccava mai una carta, il bigliardo non
sapeva nemmeno che cosa fosse, e se faceva debiti era un soprappiù da
segnare sul conto delle sue fortune amorose. Lalla, certo, non lo
faceva spendere direttamente per sè; ma, si sa bene, fantasie tutte le
fanciulle ne hanno, e per gli amanti è un piacere il soddisfarle; poi
ci sono le improvvisate; poi insomma bisogna cercare di fare buona
figura, e quindi addio economie dei figliuoli, e insieme addio
pazienza dei babbi. E babbo Frascolini, anche lui, la perdè la
pazienza, e cantò chiaro sul muso al bambinone, che pecunia da buttar
via non ne aveva altra, dandogli in pari tempo una buona lavata di
capo per il suo ozio, la sua vitaccia, il suo vestire da bell'imbusto,
tutto leccato, profumato, unguentato.--«Il figlio di un segretario di
campagna!--vergognati!»

Infatti il giovine adesso era diventato irriconoscibile: tutte le
bizzarrie della fanciulla erano sacro verbo per lui. A Lalla un giorno
gli uomini piacevano vestiti di velluto, e un altro invece con certe
giacche, con certi _tout-de-même_ blu, bigi, verdi, ora a quadretti,
ora a righette; e la si accorgeva poi sempre, delicatissima com'era,
s'egli adoperava saponi od essenze che non fossero di Pinaud, di
Violet o di Atkinson; cianciafruscole che costavano un occhio.

E la signorina aveva minor colpa che non paresse alla prima. Abituata,
come si dice, a nuotare nell'abbondanza, il _danaro_ non lo conosceva
altro che di nome. Era una sporcizia ch'ella appena toccava colla
punta delle dita per farne elemosine, e che credeva colasse giù,
naturalmente, dalle mani sempre piene de' suoi agenti e de' suoi
grassi e numerosi fittaiuoli. Lalla aveva tutto ciò che voleva senza
cavar mai un soldo dal borsellino e, per ciò, come avrebbe potuto
fermarsi per riflettere se anche a Sandro, sì o no, capitava la roba
con la stessa facilità?... Era povero, la famiglia sua non viveva di
rendita, ma per trovarsi senza quattrini bisogna essere affatto un
pitocco. Un giovinetto che non ha mille lire lo si compiange e può
sembrare anche artistico, sotto un certo punto di vista; ma il giorno
ch'egli non ne ha cento in tasca, e fa all'amore, diventa addirittura
ridicolo. Per tutte queste considerazioni, Sandro sarebbe morto prima
di confessare alla signorina la propria ignobile ristrettezza.

Un'altra spesa superiore alle sue rendite, e alla quale Lalla lo
assoggettava senza darsi alcun pensiero, era quella dei libri. Ormai
la _biblioteca circolante_, coi romanzi del Féval e del Ponson du
Terrail, non appagava il gusto fine della giovinetta, che si
appassionava col de Musset, col Feuillet, col Daudet, ed era poi
curiosissima di leggere lo Zola. Perciò, due, tre volte al mese,
preparava lunghe noticine di romanzi, che Sandro doveva comperare a
quattro lire il volume, e ch'essa poi gli restituiva sempre appuntino,
ed anzi, qualche volta, quando il romanzo era noioso, coi fogli non
ancora tagliati. E Sandro, come avrebbe potuto rifiutarle quelle
garbatezze? Era tutto ciò che la duchessina, circondata dalla
ricchezza e dal lusso, non poteva ottenere se non per via del suo
innamorato. E, oltre a ciò, i libri, erano pure l'unico espediente che
si prestasse alla loro corrispondenza. Il giovanotto ci nascondeva
dentro bigliettini pieni di foco, e la fanciulla, che non si era mai
lasciata sfuggire una riga di scritto, segnando col lapis alcune
parole dei romanzi, con un certo alfabeto combinato d'accordo fra loro
due, gli indicava le ore, il luogo dove vedersi e trovarsi, gli
mandava ordini e contrordini.

Quando capitavano a Sandro quelle piccole note ed egli si trovava
senza il becco d'un quattrino, la disperazione del povero giovane
arrivava al colmo; tanto più che la signorina se desiderava una cosa
la voleva subito subitissimo, e gli allungava il musetto per ogni
ritardo. Un giorno, non potendo più trovar soldi in casa, si ricordò
d'un signorotto lì nei dintorni, un suo camerata di scuola; questi, un
buon diavolaccio, gli prestò la firma e lo diresse dall'organista.
Così Sandro potè contrarre il primo debito. Novellino a siffatte cose,
egli non chiuse occhio la notte, tale e quale come la prima notte in
cui si era aperto con Lalla, perchè le innamorate e i creditori
producono spesse volte i medesimi effetti. Dopo qualche tempo si
abituò un poco anche ai debiti, ma, povero figliuolo, si era abituato
a star male. Che doveva fare? Anche lui preferiva l'aver debiti al non
aver quattrini, e ricordava con raccapriccio la vendita del suo
orgoglio, consumata prima ch'egli avesse scoperta la California della
cambiale.

La signorina Lalla gli aveva dato appunto la noticina di tre romanzi
del Feuillet: _Monsieur de Camors_, _Sibilla_, e un altro citato dal
buon Filippi nella _Perseveranza_. Fatta la somma, e colla spesa del
viaggio per giunta, occorreva una trentina di lire, ed erano già due
giorni, due giorni brutti e neri, ch'egli mulinava spedienti e si
grattava il capo inutilmente, quando, premendosi la mano sul petto,
come per cacciarne fuori l'affanno, sentì da quella parte certi
battiti leggeri che, pure non essendo quelli del cuore, annunciavano
che lì c'era la vita: erano i battiti dell'orologio.

--Ah, sì, sì, le trenta lire sono trovate!... Torniamo dunque a volare
nell'azzurro!...

Sarebbe partito l'indomani mattina, subito, in omnibus, quantunque da
poco in qua egli sdegnasse di servirsi di quel democratico mezzo di
trasporto, adoperato dalla gente di villa che viaggiava per economia.
Ma necessità non ha legge, e la corsa della strada ferrata non
l'avrebbe potuta pagare che a orologio venduto. Durante il viaggio,
per altro, la sua gioia ricominciò a intorbidarsi. Sentiva crescere le
inquietudini e i dubbi per quella vendita; in città non sapeva a chi
avrebbe potuto rivolgersi, e sentiva una gran pena e arrossiva
figurandosi d'entrare in una bottega, a domandare:--Quanto mi date di
questo?... Se lo avesse saputo la signorina? Si sarebbe sotterrato
dalla vergogna!--Per ciò appunto, non aveva voluto vendere l'orologio
in paese; in città, almeno, nessuno sapeva chi egli fosse.

--Trenta lire!... Ma... daranno poi trenta lire?... Quando si deve
vendere la roba, non si prende più niente!....

In fondo al cuore, sentiva anche un'angoscia grande, profonda per
doversi dividere da quel suo vecchio compagno... L'orologio era una
memoria della sua mamma; essa lo portava sempre con sè; il giorno
della sua morte lo aveva accanto al letto!... Sandro, sospirando, lo
levò dal taschino e lo guardò lungamente. Non gli era mai sembrato
tanto bello! Gli pareva di vederci dentro qualche cosa della sua
povera mamma ammalata, e sentì stringersi il cuore davvero. Diamine!
quella goccia ch'era caduta sul vetro era proprio una lacrima; e
quando volle asciugarla col dito, la goccia si allargò e lo appannò
tutto quanto... No; non doveva vendere l'orologio della mamma. Il
venderlo gli avrebbe portato sfortuna. Ma, a Lalla?... Lalla che lo
aspettava col _Monsieur de Camors_, _Sibilla_, e quell'altro
romanzo?...--Non doveva venderlo!...--Si fa presto a dirlo; ma ormai
era troppo tardi. Il viaggio bisognava pagarlo, bisognava mangiare un
boccone, e in tasca non c'era un soldo!... Si ricordò di essere stato
altre volte da un orologiaio, in _Piazza dei Mercanti_, per qualche
incarico avuto dal signor Domenico: egli sapeva ora dove far capo; e
con questo pensiero tutte le incertezze svanirono. Un giorno, chissà,
quando sarebbe diventato ricco, perchè la prospettiva della ricchezza
e della celebrità gli stava sempre fissa dinanzi agli occhi, egli
avrebbe potuto ricuperarlo; anzi, lo avrebbe ricuperato ad ogni costo.

Appena dentro dalle porte il giovanotto discese in fretta
dall'omnibus. Non voleva farsi vedere allo stallatico in compagnia dei
villani. Una volta ci si fermava e faceva gazzarra con loro; ma
adesso, con una duchessina nel cuore, era diventato aristocratico.

Si avviò subito verso la _Piazza dei Mercanti_; a mano a mano, per
altro, che si avvicinava alla meta, camminava sempre più adagio,
fermandosi ritto davanti alle vetrine delle botteghe, senza sapere
nemmeno lui che cosa guardasse. Quella strada gli era apparsa, le
altre volte, il doppio più lunga, e come si trovò dinanzi alla bottega
dell'orologiaio, non ebbe il coraggio di entrarvi. Tirò innanzi, poi
ripassò: bisognava pure risolversi, sicuro, ma voleva prima vedere se
in bottega c'era il padrone; con quello gli pareva di averci più
confidenza: ritornò indietro di nuovo: le tendine erano calate sul
cristallo. Occorreva uno sforzo eroico di volontà.

--Ancora un giro intorno la piazza, e poi se non entro diritto in
bottega, vuol dire che sono un vigliacco! Alla fine non vado nè a
rubare, nè a domandar l'elemosina; vado a vendere la roba mia, e il
mercante, se la compera, la compera perchè ci ha il suo tornaconto.

Questa volta entrò veramente.

L'orologiaio, quello stesso appunto col quale Sandrino aveva discorso
altre volte, sedeva davanti al tavolo con le sue brave pinzette in
mano. Era un tedesco biondo, grassotto, colla faccia rasa; vestiva una
zimarra larga, colle maniche rimboccate. Si levò da sedere, tutto d'un
pezzo, posando sul banco da lavoro, sotto una campanella di vetro, il
castello di un orologio che stava aggiustando, si tolse dall'occhio la
lente, dopo aver alzata con due dita la ventola a visiera fin sulla
fronte, e disse:

--_Pon ciorno_--accompagnando il saluto con un cenno del capo.

--Lei forse non si ricorda più di me?--cominciò Sandro, assai
rinfrancato, dal trovare il suo omo solo, in bottega.--Sta bene?

Il tedesco squadrò il giovine con due occhiacci bigi, e un po' loschi
per l'uso della lente.

--_Penissimo, crazie_.

--Sono Frascolini di Santo Fiore. Si ricorda?

--No, signore, non _ricorto. Necozio crante; fiene, fa molta cente. A'
suoi comanti_.

--Io sono stato da lei l'anno passato...

--Oh! anno passato! Come posso _ricortare_ anno passato...?--e il
tedesco alzava una mano movendola in modo che pareva cacciasse le
mosche dall'orecchio.

--Ci sono venuto per conto del signor Domenico; del nostro sindaco...

--_Penissimo, penissimo_. A' suoi _comanti_.

--Vorrei, se le fosse di comodo, vorrei...--e Sandro, che aveva già in
mano il suo bravo orologio, stava appunto per fare l'offerta, quando
di colpo, sbattendo con violenza l'uscio a cristalli, entra in bottega
una bella signora, e assai elegante. A Sandrino mancò nuovamente il
coraggio; avrebbe aspettato, e sarebbe anche andato via volentieri, ma
il tedesco non badava nemmeno alla signora, e continuava a guardare il
giovane con una tal quale serietà, che voleva dire:--alle corte,
sbrighiamoci.

--Vorrei, vorrei... _cambiare_ il mio orologio. Ma non ho premura,
posso anche ritornare più tardi, faccia il comodo della signora.

--Oh! la signora è mia moglie.

A questa risposta il filodrammatico si sentì cascare le braccia. Non
poteva certo tornare indietro, e adesso, dopo quella maledetta
parola--_cambiare_--che gli era scappata, non sapeva più come tirare
innanzi.

Intanto la bella signora, passava d'accosto al marito, dall'altra
parte del banco, e spogliatasi del cappellino e dei guanti, distendeva
sopra il tappeto di panno verde, _remontoirs_, _cilindri_ e
_cronometri_ di oro e d'argento, levandoli fuori da una cassetta
suddivisa in tante piccole scatole, l'una dentro l'altra. La signora
parlava l'italiano speditamente; era gentile e chiacchierina assai.
Mostrava al giovane gli orologi accompagnandoli con certi sguardi che
dicevano tutto; maneggiando la merce delicatamente colle dita bianche,
un po' impacciate dai grossi anelli ingemmati, e facendo saltare le
casse e le calotte colle unghiette rosa, lucenti e forti come
l'acciaio. Il tedesco non fiatava, lasciava fare alla moglie, e
flemmaticamente, con una pezzuola di lino, ripuliva il metallo degli
orologi che si appannava a toccarlo.

Sandro, dinanzi a tanto tesoro, restava intontito, colla bocca aperta,
e l'orologio da vendere in tasca. Non sapeva risolversi, e capiva di
essere in una condizione molto ridicola. Ad ogni momento credeva di
sentire dietro le spalle il riso schernitore della duchessina, mentre
tutti gli orologi a pendolo, appesi all'intorno, coll'oscillar dei
dondoli, che variavano dalle note acute, argentine, a quelle più gravi
e profonde, gli mettevano il capogiro, e pareva lo deridessero,
ripetendo il nome di Lalla in ogni tono, coi loro _tic tac_, lenti,
misurati e monotoni.

Non c'era più scampo; la sua parte era proprio quella dell'Arlecchino
finto principe! Faceva un viaggio per guadagnare trenta lire
coll'orologio della sua povera mamma, e l'orologiaia, invece, gli
offriva certi _patek_ a precisione che ne valevano seicento!... Già,
vedendolo così elegante, lo avevano preso per un riccone!... E intanto
restava lì, impalato, senza dir nulla. Andar via?... Si fa presto; ma
come andar via, se non sapeva trovare una scusa?... Poteva dire che
gli orologi erano troppo cari. Eh, ma la signora ne aveva anche di
minor prezzo. Provare con un'offerta impossibile?... E se poi era
accettata?...

Finalmente, prese tutto il suo coraggio a due mani, e--questo
mio--domandò, levando l'orologio dal taschino--quanto me lo
valuterebbe?--Il tedesco staccandoglielo dalla catenella di similoro,
si ficcò la lente in un occhio, lo aprì, e dopo averlo esaminato ben
bene di dentro e di fuori, borbottò qualche parola colla moglie.

--Sa--rispose la signora a Sandrino, sporgendo i labbruzzi--è
un'anticaglia. Ha difettoso lo _scappamento_; ci sarebbe bisogno di
molte riparazioni e--aggiunse poi sorridendo--le converrebbe meglio di
tenerlo in serbo per la prima cresima.--Sandro, che si era sentito
agghiacciare, sorrise un poco anche lui, per darsi tono.

Nel frattempo, erano entrati in bottega due nuovi avventori. Ma non
avevano fretta, aspettavano che il forestiere avesse conchiuso il suo
affare, esaminando le mostre e occhieggiando la bella signora.

--Anche se non mi conviene, poco importa. Non so che farmene di
ferravecchi, e per le cresime, a far buona figura, sa bene, oggimai,
ci vuol roba nuova.

Marito e moglie si consultarono, guardandosi negli occhi, senza
parlare.--Tutt'al più--disse lei--posso valutarlo trenta... trentadue
lire; e faccio un affare assai magro.--Trentadue lire! E Sandrino che
avea ripetuta mentalmente la somma, ebbe un sussulto di gioia: i libri
della signorina non iscappavano più. Allora si fece animo. Già non
poteva tirarla in lungo fino a sera: i quattrini c'erano e ne
cresceva: tornava conto finirla.

--Facciamo così--concluse con la voce che un po' gli tremava:--intanto
si tenga il mio: voglio liberarmene; coll'_ordinario_ venturo poi,
passerò con mio padre e allora, sentendo anche il suo parere, mi
risolverò per l'uno o per l'altro di questi due.--E l'ingenuo ragazzo
indicava un paio di _remontoirs_, dei più cari.

--Oh!--questa volta fu il tedesco a parlare--altra cosa _fendere_,
altra cosa prender per cambio!--E marito e moglie, voltate le spalle a
Sandro, presero a servire gli altri avventori, lasciandolo con un
palmo di naso a contemplare il suo scaldaletto dimenticato sul tavolo,
aperto e, per soprappiù, calunniato nello _scappamento_.

--Per finirla--conchiuse Sandrino, il quale, vedendo che non lo
sbrigavano mai, cominciava a perdere colla pazienza anche un po' la
soggezione--quanto mi dà, dunque, adesso?

--_Fenti_ lire, e _foglio_ essere _rincraziato_.

--Bene, lo tenga.

Venti lire? Volevano strozzarlo; quest'era un rubare a man salva; ma
al giovinotto, ancora digiuno, anche la fame gli diceva una parolina,
poi non aveva più lena di andare avanti colla via crucis in un'altra
bottega e in un'altra e in un'altra, col rischio magari, di non
poterlo vendere neppure.--In tal caso, come se la sarebbe cavata? E a
Santo Fiore, come ci sarebbe tornato?--L'orologiaio intanto, aveva
borbottato di nuovo colla moglie, la quale, aperto un cassettino,
buttò sul tavola due biglietti sudici da dieci lire.

Sandro li afferrò con orgasmo; poi, senza cavarsi il cappello, infilò
diritto la porta; ma sentì richiamarsi.

--Quel giovane!... e la firma?

Sandro aprì tanto d'occhi, maravigliato; ma non c'era verso, dovette
proprio scrivere nome e indirizzo sopra un apposito scartafaccio,
mentre sentiva la bella signora spiegare agli altri, i quali
comperavano un orologio davvero, come la faccenda del far apporre la
firma fosse una prescrizione imposta dalla questura, per il caso che
comperassero, senza saperlo, roba rubata. Sandrino sentì un gruppo
alla gola, e scappò via per non piangere:

--Rubato!... l'orologio della mia povera mamma!... Rubato!

La sera stessa, senza lasciar scorgere quanto gli erano costati cari,
e dimenticando anzi, per quel momento, tutte le ambascie sofferte,
egli consegnò a Lalla i romanzi: mancava solo il _Monsieur de Camors_,
che non c'era potuto entrare nelle venti lire.

--Oh, che peccato!--esclamò la signorina sinceramente.--Di questi non
so che farne!... Li ho trovati dalla mamma, cercando in mezzo ai suoi
libri. Era solo il _Monsieur de Camors_ che desideravo!... Che
peccato!--E distratta e mortificata, si pose a tagliuzzare le carte
sbadatamente, con una stecca d'argento a cesello, che avrebbe potuto
pagare, essa sola, tutti i debiti del Frascolini.



XVII.


L'arrivo del signor duca e il pellegrinaggio alla Madonna di Valsanta
avevano messo Sandro di cattivo umore. Egli aveva aspettata la
signorina nel tinello, senza poterla vedere, e dal modo col quale
invece vide miss Dill uscir dalla sala da pranzo, e correre in un
canto a confabulare con don Vincenzo, indovinò subito, con una stretta
al cuore, che doveva essere accaduto qualche cosa di nuovo e di grave.

Le angoscie dell'incertezza, l'ansietà mortale dell'attendere invano,
i mille sospetti, le mille paure della sua ombrosità di amante povero
e geloso, lo avevano fatto montare in bizza con tutti, e più di tutti
con Lalla, contro la quale sovente, sentiva sorgere, dentro di sè, un
impeto di ribellione, che per altro si acquetava subito, appena la
signorina gli fissava addosso gli occhi penetranti, con quel suo fare
tra la superbietta e la canzonatura.

Egli pensava, arrovellandosi, che la _divina_ fanciulla avrebbe potuto
mostrarsi almeno un istante, per rassicurarlo, non fosse altro con uno
sguardo, e... e invece nulla... Non si era mossa; lo aveva dimenticato
solo, come un cane, fra il cuoco, Lorenzo e le serve che
sonnecchiavano.

--Ma è tempo di finirla, sacrablù, colle albagìe aristocratiche!... È
la mia amante, alla fine, è roba mia!... Oh, se mi stuzzica gliela
voglio cantar chiara!...--Ma quando la Nena, più tardi, gli restituì
_L'affaire Clemenceau_ «da parte della padroncina», Sandro si calmò
subito e, dimenticando ogni amarezza, corse a rinchiudersi nella sua
cameretta, affannandosi a mettere insieme le parole segnate nel libro.

Cara quella sua Lalla!... era sempre buona con lui; era un angelo
vero, del Paradiso!...

Ma poi, a mano a mano che andava copiando le parole sopra un foglietto
di carta, egli si fece pallido e tremante:

--Dio, Dio, Dio santo!

--_Ti aspetto questa sera tardi_,--diceva Lalla,--ho _un gran dolore
da confidarti; non fo altro che piangere; sta ben attento che non ti
veda nessuno_.

Mille timori, mille sospetti, balenarono a un tratto nella mente di
Sandrino; poi gli rimase un timore, un sospetto solo, ma terribile: il
duca era venuto a portare una proposta di matrimonio per Lalla.

Allora fu preso da una febbre ardente che gli avvelenava il sangue,
che gli dava fuoco al cervello. Era una folla, una ridda d'immagini
strane e terribili; e in quella lotta, e nell'abbattimento profondo
che la seguiva, i sensi vincevano e offendevano ogni poesia del suo
cuore.

La fanciulla bianca e delicata, la figuretta misteriosa, la signorina
bionda, che egli adorava colla tenerezza mistica di un'alta idealità:
Lalla, la sua Lalla, alla quale aveva osato baciare trepidante la
manina morbida e le vesti odorose, come le foglie di un fiore, era in
piena balìa di un altro uomo... di uno sconosciuto!... Era chiusa sola
con lui, tutta sua, nella complice sicurezza della camera nuziale. Nè
quel delirio geloso gli concedeva tregua: Lalla, sempre Lalla; ora la
vedeva in lacrime, disperata, ora timorosa; ora la vedeva appassionata
e anelante e stanca ricambiare i baci fervidi con un bacio lungo,
morente...

--Per Dio!...--sentiva che piuttosto l'avrebbe uccisa, l'avrebbe
strozzata colle sue stesse mani!...

--Perchè non sarebbero fuggiti insieme?... Che!... La signorina non
avrebbe mai acconsentito. Era troppo timida... teneva troppo ai
riguardi del mondo; era troppo _aristocratica!_--E poi, fossero anche
fuggiti, dove andare?--come vivere?--Sarebbero stati ripresi subito...
Lalla maritata anche più in fretta... e lui messo a marcire in un
fondo di carcere.--Non c'era giustizia per la povera gente!...--.Chi
era lui, Frascolini? Un plebeo, un pitocco, un villano!--Con lui si
poteva far questo e peggio.

E qui, con un'invidia assaettata, egli imprecava contro l'ingiustizia
infame del mondo, mentre, alla sua volta, si sentiva capace di
commettere un delitto contro quel _gran signore_, che veniva a
rubargli l'amante.--Sì, ci voleva la rivoluzione, la repubblica; ci
voleva la _Comune!_ Bisognava abbruciarle vive, impiccarle alla
lanterna quelle carogne di nobili!--E quando era stanco d'imprecare e
di soffrire provava uno scoramento strano; un gran vuoto doloroso e
desolante gli si stendeva dinanzi; ad una ad una vedeva le ore
affacciarsi lente e tristi, senza più quella sola, nella quale, e per
la quale, sentiva la vita, a cui tutte le altre erano legate, come
alla gemma preziosa una collana di perle: l'ora dei fidati colloqui. I
disegni per l'avvenire, i bei sogni di ricchezza e di gloria cadevano
in rovina....--Che cosa mai avrebbe egli potuto fare? Non era meglio
tirarsi una pistolettata e morire, piuttosto di vivere dannato, con
quello spasimo nel cuore?...

L'amore non lo aveva reso contento: gli aveva dato la guerra in casa e
l'odio fuori; era un affanno, un'angoscia continua. Si vedeva
distrutto, si sentiva ammalato di corpo e di spirito; ma tutti i
dolori svanivano al fruscìo gentile della veste di Lalla, e quando
essa gli era dinanzi buona, sorridente, casta come una santa, ed egli
la vedeva arrossire sotto i suoi sguardi, erano dolcezze infinite, era
l'estasi dell'anima tutta che gli avrebbe fatto benedire la vita anche
se fosse stata per lui mille volte più dolorosa.

L'illusione di crearsi un nome, uno stato e, un giorno o l'altro,
poter sposarla lui la signorina, era svanita da un pezzo. Lalla stessa
non aveva mai coltivata una simile idea e, se Sandrino osava
interrogarla in proposito, essa rispondeva seccamente al suo
innamorato, che non avrebbe mai preso marito. E soltanto in questo
_mai_ il giovane Frascolini avea riposta tutta la fede e... e
sperava.--Che cosa sperava? Forse non sapeva nemmeno lui; ma intanto
quel barlume di speranza lo consolava, lo inebriava, trasportandolo di
sogno in sogno, colla sua Lalla fra le braccia.

--Come mai avrebbe potuto farsi un nome? Da che parte incominciare? Si
sa bene, trovata la strada, si corre facilmente, ma, trovarla...
questo è il difficile! Sandrino, a sentir l'organista, aveva un tesoro
in gola, e, a giudizio della signora Veronica, aveva pure molto
talento drammatico; grazie tante! Ma, fosse diventato anche un Kean o
un Tiberini, tant'è, il duca d'Eleda non gli avrebbe mai concessa sua
figlia.

La letteratura?--È una camorra,--pensava Sandrino--è il monopolio di
quattro o cinque giornali ignoranti e venduti che levano alle stelle
il primo capitato che va avanti a forza di raccomandazioni... e di
quattrini.

Da qualche tempo, il piccolo Dante di Santo Fiore, l'aveva a morte coi
letterati e coi giornalisti. Una volta, agitato dai palpiti d'autore
novizio, egli aveva spedito sotto-fascia, _raccomandata_, una sua
novelletta ad un giornale letterario. Il giornale, tre mesi dopo, la
rimandò pubblicata, unitamente alla polizza d'abbonamento, da pagarsi
anticipato, per un anno. Quel suo nome _A. Frascolini_, stampato due
volte in gotico, nel sommario e in fondo all'articolo, lo fece sognare
ad occhi aperti. Egli la vedeva moltiplicarsi su tutti gli altri
giornali, riempiere le vetrine dei librai; lo vedeva tradotto in tutte
le lingue, e la mattina pensava sul serio di scrivere un'opera da
sostituire ai Promessi Sposi, che ormai--avevano fatto il loro
tempo.--La duchessina gli assicurò che aveva pianto nel leggere quel
melanconico racconto: non era vero, ma Sandro lo credette e fu
contento lo stesso. Ciò gli fu di sprone a lavorar con lena, e di lì a
pochi mesi la Nena faceva andare e venire un grasso manoscritto, dalla
povera casuccia del romanziere al palazzo d'Eleda. Lalla non ebbe
fiato di leggerlo tutto, ma lo giudicò bellissimo, e Sandrino rimase
colla convinzione di aver scritto un capolavoro.

Ma poi... non glielo volle stampar nessuno; nemmeno il giornaletto
letterario, al quale era abbonato, e che lo aveva trovato splendido,
ma troppo lungo.

Allora, il Frascolini, cominciò a credere che per essere edito e
illustre bisognava diventar prima ricco, in questo mondaccio birbone,
e si raccomandò a un suo cugino, appaltatore, dimorante a Venezia e
che già una volta lo aveva chiamato presso di sè. In verità, gli
affari di questo cugino erano loschi. Egli riteneva che il Frascolini
padre avesse il gruzzolo messo da parte, e perciò voleva farsi mandare
il figliuolo nella lusinga di mettere le unghie nel sacchetto del
babbo. A Don Chisciotte le osterie parevano castelli; così per
Sandrino, che vedeva da per tutto milioni, era una bella speranza
anche quella... Gli appaltatori diventano ricchi in pochi anni...
ricchi assai... Oh! ma lui non si sarebbe dato agli affari per sempre;
voleva goderseli i soldi e fare intisichire di rabbia gli invidiosi e
i rivali. Che soddisfazione quel giorno in cui egli potesse
ricomperare al duca d'Eleda tutte le sue possessioni state confiscate
dalla Repubblica... tale e quale come aveva visto in teatro, in una
commedia di Scribe.

Ma adesso? Se Lalla prendeva marito?... era la vita sua infelice e
cara ad un tempo, che si spezzava. Le ricchezze di Venezia, la gloria,
la repubblica, i beni ricomperati... tutto inutilmente!...

La signorina, per altro, aveva detto _mai_...--Non mi mariterò
_mai_...--Sì, lo aveva detto, ma poteva fidarsene? Essa, certe volte,
si mostrava pochissimo espansiva!... Lalla era la sua innamorata... ma
come sapeva essere, a suo tempo, anche la padroncina!

Si teneva in un gran riserbo, e non si era mai lasciata toccare
nemmeno la punta di un dito... cioè no, era anzi la mano, soltanto la
manina morbida, che si lasciava baciare. Lalla aveva evitato
studiosamente ogni occasione di compromettersi. Di giorno si vedevano
spesso in giardino, e si parlavano; ma senza mistero, in presenza
d'altra gente. La sera, tornavano a vedersi in tinello; ma la
signorina non vi si fermava lungamente; andava e veniva, sempre colla
scusa di avere un qualche ordine da dare. In chiesa poi nessuna
occhiatina; nè s'incontravano a passeggio. Una volta sola, egli aveva
osato di avvicinarla mentre usciva con l'istitutrice, e di
accompagnarla un bel pezzo di strada, ma s'ebbe dopo dalla giovinetta
un rabbuffo tale, che non gli venne più voglia di ripetere la
garbatezza.

Soli, affatto soli, era assai di rado che si potessero trovare. Il
colloquio, allora, succedeva di notte, tardissimo, quando tutti gli
altri erano andati a letto, Lalla scendeva dalla sua camera al buio,
apriva la finestra di un piccolo salotto a terreno, e restava lì a
discorrere con Sandro, che l'aspettava nascosto fra gli alberi del
giardino.

La finestra, dietro il palazzo, dava in una viuzza nascosta da un
vivaio di sempreverdi: aveva una inferriata a mandorla, che permetteva
appena una stretta di mano, e quando Lalla si appoggiava sui regoli,
Sandro, più bianco d'un panno lavato, le baciava in estasi i bei
ditini, senza più sapere in che mondo si fosse! Quelle ore erano la
vita, la felicità, la beatitudine del povero ragazzo, ed egli
sciupava, divorava tutto il suo tempo nell'aspettarle, mentre la
giudiziosa prudenza della giovinetta gliele faceva sospirare assai.

E anche quando giunse la sera che doveva essere l'ultima dei loro
colloqui, anche allora Sandrino, dopo una giornataccia di angoscie,
ebbe un primo istante di sollievo, insieme a un barlume di speranza.

--L'avrebbe riveduta; le avrebbe parlato; la avrebbe supplicata...--Oh
era sicuro di commuoverla colle sue lacrime, d'intenerirla e di
vincere ancora!

Nascosto tra il fitto del vivaio, egli era ad aspettare molto prima
del tempo. Il giovanotto aveva levato due o tre volte un astuccio di
tasca, lo aveva aperto, e guardava tra soddisfatto e dubbioso, un
anello d'oro con una bella turchina incastonata fra le rose d'Olanda.
Era un regaluccio comperato per Lalla, colle sovvenzioni
dell'organista; ma Sandrino l'aveva preso con sè molte volte, senza
mai aver avuto il coraggio di offrirlo alla signorina.

Quando Lalla, pian piano, aperse le imposte della finestra, poco mancò
non risvegliasse la casa, con un grido di paura. Sandro era appoggiato
colla fronte all'inferriata, e apparve così pallido, così disfatto, da
sembrare una larva.

--... Dunque?...

Egli non potè dir altro. Lalla, invece, tranquillamente, gli manifestò
la volontà del babbo e la partenza fissata per l'indomani. Sandrino
ascoltò tutto fissandola sempre cogli occhi imbambolati, e quando la
fanciulla ebbe finito di parlare, scoppiò, senza dir parola, in un
pianto dirotto.

Lalla non si mostrò mai tanto assennata come in quella sera, e riuscì
a confortare l'innamorato con buone ragioni.--Già non si poteva durare
così; a una separazione bisognava venirci ad ogni modo; doveva pensare
a farsi uno stato--e qui ricordò anche a Sandro, e molto
opportunamente, il cugino di Venezia.

Sandro più sentiva la signorina parlare con tanta abbondanza di
argomentazioni, e più vedeva il diavolo farsi meno brutto di quanto
gli era sembrato dapprima. Ormai aveva giù dallo stomaco il dubbio
tremendo che ci fossero disegni di matrimonio, e solo avrebbe
desiderato che Lalla aspettasse ancora qualche giorno a partire; cioè,
invece di andarsene subito, l'indomani, col duca, il quale precedeva
Maria di un par di giorni, avesse aspettato a partire colla duchessa.
Ma la signorina si scusò bene:--al babbo non si poteva far contro; lui
quando voleva voleva, non c'era verso!...

Sandrino, quell'ultima sera, fu più ardito del solito; ma a prezzo di
uno sgomento che lo invadea tutto quanto. Per avvicinarsi di più alla
fanciulla che, ritta su di uno sgabello, col volto quasi appoggiato ai
bastoni dell'inferriata, si distaccava con tutta la figura bianca dal
fondo oscuro, come una Madonna nell'aureola stinta d'un vecchio
quadro, egli, che a quella sua Madonna credeva, si era rizzato in
punta di piedi: era passato colle braccia fra i regoli; con una mano
stringeva quella di Lalla, e coll'altra cercava di toccare, temerità
che gli mettea le vertigini, cercava toccarle i capelli. Con un giro
di parole piuttosto confuse, volle il giuramento che ella non avrebbe
mai sposato nessuno; e quando la fanciulla rispose il solito _mai_,
senza giurare, Sandro, fuori di sè, le domandò un bacio.--No---la
signorina rispose--no;--e invece, con una lentezza irritante,
fissandolo sempre negli occhi, gli prese una mano, e poi, piegatavi
sopra la testina pallida, l'accarezzò colla guancia vellutata. Era
giunto il momento per il regaluccio.

--Ho... avrei un'altra preghiera da fare...

Lalla alzò gli occhi dolcemente, e continuò a sfiorare colle guance la
mano del giovanotto.

--Vorrei... avrei... un piccolo... ricordo.

Sandro s'era fatta rosso, balbettava, e ritirata la mano che aveva
libera, di mezzo ai regoli, tolse di tasca l'anellino e volle porlo in
dito alla fanciulla.

--Oh, carino!... carino!...--esclamò Lalla molto contenta del
regaluccio, e gli andò così vicina, nel ringraziarlo, ch'egli potè
toccarle colla bocca un ricciolo di capelli.

Si faceva già tardi, e conveniva separarsi. I due giovani, da molto
tempo non parlavano... Sandro non la accarezzava più, ma brancicava le
mani e le braccia della fanciulla colle sue mani convulse, attraverso
i regoli dell'inferriata, che rugginosi e scabri, spesso gli
graffiavano i polsi. Anche Lalla cominciava a sentire nel suo sangue
il sangue di Sandro. Un'onda calda li avvolgeva entrambi; avrebbero
creduto di avere la testa nel fuoco, tanto bruciava... La fanciulla
spinse fuori dai vani quanto più potè il viso e le labbra, e per la
prima volta, sulla bocca, prese un bacio lungo, bramoso, che le
penetrò, diffondendosi via via, per tutte le membra... Sandro pieno di
beatitudine voluttuosa, pur colle braccia imprigionate, la teneva
serrata fortemente contro il petto; le sbarre di ferro ammaccavano le
loro carni, ma essi non sentivano più nulla. Stettero un pezzo così,
stretti, abbracciati, avvinghiati insieme... poi la fanciulla stanca,
indolenzita, gli uscì di sotto le braccia, e scivolò ginocchioni per
terra, col capo piegato sul davanzale della finestra.

All'indomani, poco prima della partenza della signorina, c'era nel
cortile una brigatella che l'aspettava per augurarle il buon viaggio.
La carrozza che doveva condurla alla stazione, con Prospero e con la
miss, era già pronta; gli altri, cioè la Nena, Lorenzo e il signor
Francesco, erano partiti fin dal mattino. Era venuto per salutare la
signorina anche il signor Domenico, che soffriva una grande soggezione
del duca Prospero; poi c'era il medico, al quale miss Dill, allungando
gli occhi su don Vincenzo che tabaccava a due mani per nascondere
l'emozione, chiedeva ancora un ultimo consulto. C'era, in fine, il
buon Ambrogio cogli occhi rossi, il Frascolini padre, e il figliuolo
Sandro colle mani approfondate nelle tasche e il cappello sulla nuca,
pallido, istupidito. Accanto a lui la Luigia (questa doveva partire
più tardi colla duchessa) teneva sotto il braccio _Musette_ che,
povera bestiola, aveva fiutata la partenza della padroncina e,
scuotendosi, dimenandosi, sforzandosi invano per liberarsi dalle
strette della cameriera e correre da Lalla, emetteva certi guaiti, che
straziavano il cuore e le orecchie.

Prospero, cui non piacevano i cani, aveva desiderato che la figliuola
lasciasse _Musette_ in campagna, promettendole in premio un bel
cavallino da sella. Lalla, insistendo un po', avrebbe potuto ottenere
l'uno e l'altra; invece, fu ragionevole, e si piegò subito ai voleri
del babbo. Ma tutta mattina non seppe far altro che baciucchiare la
cagnetta, protestando che _Musette_ aveva capito ogni cosa; che
_Musette_ piangeva; che _Musette_ non voleva più mangiare e che
sarebbe morta dal dolore!... E si lamentava assai per quel distacco,
godendo d'attirarsi la compassione altrui, per il capriccio del babbo
tiranno.

Intanto la signorina era già salita in carrozza, e miss Dill insieme
con lei: non si aspettava altro che il duca. Don Vincenzo,
approfittando del ritardo, si avvicinò alla carrozza dalla parte
dell'istitutrice. Miss Dill non poteva parlare; aveva il gozzo
stretto, gli occhi gonfi e il naso pieno... quando ad un tratto, vinta
dall'emozione, fe' un cenno a don Vincenzo, e allora, per la prima
volta alla luce del sole, in faccia alla gente, le sue dita gialle si
sprofondarono adagio adagio nella complice tabacchiera.

Il buon Ambrogio era dolente e insieme anche un po' mortificato: la
duchessina partiva senza neppure salutarlo. Egli si teneva in
disparte, sotto il portico, fra Sandro e la Luigia, fissando,
ammirando la signorina, che non stava mai ferma nella carrozza. Lalla
si voltava di qua, di là, domandando se tutto era pronto, se nulla era
stato dimenticato; ridendo, scherzando, salutando ora l'uno, ora
l'altro, colla sua vocina fresca, argentina. Il vecchio Ambrogio
sperava sempre che avesse a voltar gli occhi anche dalla sua parte; ma
Lalla non lo guardava perchè vicino a lui c'era Sandro. Si era
congedata affabilmente con tutti; ma a Sandrino non aveva rivolto una
parola, proprio come se il giovanotto non ci fosse stato nemmeno. Nel
frattempo anche il duca Prospero, seguito da Maria, la quale voleva
riabbracciare la figliuola, si avviava verso la carrozza, dispensando
sorrisi, e strette di mano.

--Devo andare, eccellenza?--domandò il cocchiere, quando lo vide
adagiato al suo posto.

--Sì; andiamo pure.

--No, no; aspettate... scusa, babbo!--esclamò Lalla, balzando a terra
improvvisamente.

--Bada!... Che fai?--le gridò dietro Maria, mentre la fanciulla
correva presso la Luigia. L'inaspettato ritorno della signorina fece
battere il cuore, nello stesso tempo, a Sandro e ad Ambrogio. Sandro
ebbe quasi paura che Lalla, non potendo più trattenersi, corresse a
gettarsi fra le sue braccia; il buon Ambrogio, invece, sperava che la
signorina si fosse ricordata anche di lui, e lo volesse salutare. Ma
Lalla non badò nè all'uno nè all'altro; prese _Musette_ fra le
braccia, le scoccò in fretta sulla bianca testolina, un bacio forte,
sonante, poi con un salto risalì lesta in carrozza, pestò sui piedi
alla miss e senz'altro partì, fregandosi gli occhi col fazzoletto.

Due giorni dopo, anche Maria dovette partire per Borghignano. Ma sul
punto di abbandonare quei luoghi si sentì troppo commossa, e volle far
andare a vuoto la gentile attenzione degli abitanti di Santo Fiore,
che le avevano preparato una dimostrazione di affetto. Anche il dolore
ha la sua verecondia, e Maria sentiva nell'anima la delicata timidità
dell'allodoletta ferita, che si trascina, per morir tutta sola, nel
luogo più riposto e appartato.

Partì verso sera, senza averlo detto ad alcuno: lo sapevano solamente
don Gregorio, Ambrogio e la Luigia. Uscì a piedi con don Gregorio, il
quale volle accompagnarla alla stazione: presero una stradicciuola
nascosta, fiancheggiata da due rivi, che scorrevano silenziosi sotto
le fronde profumate delle acacie.

Tutti e due camminavano passo passo, senza parlare, e il loro sorriso
era triste, come tristi dovevano essere i loro pensieri. Il buon
vecchio si appoggiava al braccio di Maria; per altro la sua figura
cadente, rovinata dagli anni, il suo volto solcato da rughe profonde,
le lunghe ciocche di candidissimi capelli che lo contornavano, insomma
tutto l'insieme di quell'aspetto venerando, non formava vicino alla
delicata bellezza di Maria un contrasto sgradevole. Fra quella testa
bianca e quella vaga testina bionda, c'era una mesta corrispondenza di
espressione e di sentimento.

Maria era addolorata e sgomenta. In mezzo all'affanno dell'abbandono,
nell'ignoto di una vita nuova, incerta, col rammarico della bella
libertà, della quiete perduta, doveva pur confessare a sè stessa che
una gioia colpevole, la certezza di rivedere Giorgio, serpeggiava
ancora, e più forte e più indomabile, nel suo cuore. In quelle lotte,
in quei rimorsi, anche sotto i baci di suo marito, l'ideale adorato
era sempre vivo, vivo più che mai; e faceva arrossire di vergogna la
poveretta, cui pareva di essere contaminata, di non essere più degna
della immagine cara e gentile. Allora non ebbe coraggio, non volle,
disarmata, sfidare il pericolo a cui moveva incontro, e con un filo di
voce confidò l'affanno di quella sua gioia segreta a don Gregorio.
Solo per un delicato riserbo tacque il nome del conte Della Valle. Don
Gregorio l'ascoltò attentamente, guardandola con un sorriso buono e
pio, e stringendole la mano con un'affettuosità paterna:--Fatti
coraggio--le disse.--Tu sai da molto tempo che la vita è lotta e
dolore. Combatti sempre colla tua fede nell'anima, col tuo retto
sentire per guida, e trionferai... Tu sei forte e buona!...

--Oh, don Gregorio, no, non sono forte! Sono una povera donna
affranta, allo stremo di forze; aiutatemi voi, voi che siete un santo!

--Noi, non sono un santo, figliuola. Io, vedi, sono stato sempre
lontano dal pericolo; ho vissuto tranquillo e dimenticato, senza
seduzioni, e senza battaglie. Il Signore non ha mai voluto provarmi,
forse perchè nella sua sapienza infinita conosceva la mia debolezza. A
essere buono, a essere onesto non ho dunque alcun merito; ma tu, tu
hai combattuto e hai vinto: combatterai ancora, e quantunque nella
lotta possa uscire col cuore sanguinante, non indietreggerai d'un sol
passo, non ti farai colpevole di una sola debolezza, perchè, lo sento,
tu sei fatta come Dio fa gli angeli!

--Ma se un giorno... se un giorno mi sentissi troppo debole, io,
povera donna, sola, abbandonata a me stessa?...

--Allora ritornerai nel tuo sicuro rifugio, e se non mi troverai più
vivo, ti aspetterò là,--e così dicendo don Gregorio indicava a Maria
l'angusto cimitero di Santo Fiore, che si scorgeva poco lungi, colla
chiesetta illuminata, tra il bianchiccio delle sepolture recenti.--Ti
aspetterò là; e tu, sulla mia croce, ricorderai che questo povero
vecchio ti amò, come amò la sua fede; penserai a tua madre, e
ritroverai la calma e il coraggio.

--No, no; voi non dovete morire...

--Io sono vecchio; ho fatto molto cammino... e ormai sono stanco,
figliuola...

In quel punto, dal vicino sagrato, frammisto al mormorio delle fronde
e al vario e acuto frastuono d'una miriade di grilli cantaiuoli,
giunse fino al loro orecchio una pia cantilena; un inno grave,
melanconico, dolcissimo. Erano le litanie della Vergine, il vecchio
canone, che nella sua monotona cadenza ha tanti fascini di mistica
melodia, tanta dovizia di memorie intime e care. Erano le voci
bianche, argentine delle povere giovanette del villaggio, così colme
di fede, d'innocenza e d'amore, alle quali rispondevano in coro tutti
i devoti, raccolti nella solitaria chiesetta.

--Sentite...--disse Maria a don Gregorio, fermandosi d'un tratto.--È
la Vergine, la Vergine che mi parla in quelle preghiere, la Vergine
che mi conforta; oh! beneditemi, beneditemi, padre mio!--E la
sconsolata, palpitante, commossa, si curvò baciando, coprendo di
lacrime, la scarna mano del vecchio.

Don Gregorio alzò gli occhi al cielo e pregò in silenzio; intanto
dalla chiesetta, più chiaro, più lento, usciva l'inno dei credenti:

    _Sancta Maria
    Sancta Dei Genitrix
    Sancta Virgo Virginum
      Ora pro nobis._

--Pregate ancora, pregate sempre per me!...

--La preghiera più bella, la preghiera più accetta è il tuo dolore.
Piangi, figliuola mia, le lacrime sono la preghiera del cuore.

--Promettetemi adesso che, se io fossi presso a morire, voi verrete a
consolarmi, a benedirmi, anche laggiù...

--Verrò... figliuola, verrò...

--E... se non riuscissi a dimenticare... se quell'immagine fosse
sempre più forte della mia volontà?...

--Combatti, combatti sempre...

--Allora?...

--Allora la tua passione farà di te una martire, e non sarà una colpa,
ma un esempio.

--Oh, grazie, grazie! Sento che Iddio non mi abbandona, sento che sarò
forte sino alla fine.

Maria si rialzò più sicura e più consolata. Attorno a lei, perdendosi
come un ultimo e caro saluto, vagava, fremendo nell'aere, l'onda
armoniosa dell'inno sacro. Involontariamente don Gregorio unì la sua
voce fioca, tremula a quella squillante, vibrata delle giovanette, che
adesso si sentivano sempre più lontano cantare con l'invariata
cadenza:

    _Regina Confessorum
    Regina Virginum
    Regina Sanctorum omnium_

mentre Maria rispondeva col coro, invocando la Vergine santa della
nostra fede: _Ora pro nobis_.



XVIII.


La famiglia d'Eleda non si fermò a Borghignano che pochissimi giorni.
Maria non si fece quasi vedere da nessuno e ripartì col marito, Lalla
e miss Dill, alla volta di Pegli, dove avevano stabilito, tutti
d'accordo, di far la cura dei bagni.

Pegli era allora di moda. Vi si vedeva raccolto il fior fiore
dell'eleganza, e fra gli altri c'era anche il conte Pier Luigi da
Castiglione, il quale aveva abbandonata la diplomazia perchè oramai,
mortagli la moglie, non trovava più alcun bisogno di star lontano da
casa sua. Quantunque vecchio, Pier Luigi era un sottaniere
incorreggibile: grande, grasso, floscio, colla faccia rasa
bucherellata dal vaiolo, la pelle viscida, il capo pelato, coperto
solo dai pochi capelli della nuca variopinti, lunghissimi, tirati sul
cranio e incollati l'un presso all'altro con una maestria singolare.
La bocca sdentata; il naso enorme, paonazzo, carnoso, sembrava una
spugna filettata di vene azzurrognole. Era un coso, insomma, assai
ributtante; ma aveva molti quattrini, preferiva nelle donne la forma
alla sostanza, e quando riusciva a snidare qualche nuova selvaggina
(era la sua frase) le si fregava d'attorno con un'insistenza così
paziente e così petulante, da farsela cadere nelle mani nove volte su
dieci. Bisognava vederlo il vecchio e grosso sornione a strisciar fra
le quinte o a salterellare nei salotti di dubbia fama! Le mime, le
ballerine, le cantanti da operetta, lo chiamavano--lo zio,--ed egli
gongolava tutto a fare il coccolo, il bambinone, in mezzo a quello
sciame di cicale. E anche dopo soddisfatto il capriccio non le
lasciava andare; ma continuava a tenersele sotto mano, a visitarle
nelle ore perdute, a regalarle di chicche e di fiori. Prendeva parte
ai loro affari, dava consigli a proposito dei protettori, e le
informava paternamente della cifra che questi potevano spendere, le
rappattumava coi loro amanti, pettegolava colle cameriere, le teneva
tutte sotto le sue ali, come s'egli fosse la chioccia del bordello.

Quando gli andò in paradiso la moglie, Pier Luigi tirò un sospirone;
non doveva più correre fino a Parigi, a Vienna o a Berlino per
divertirsi; tutto il mondo è paese, e il conte da Castiglione aveva
capito che anche in Italia c'era da godersela abbastanza bene. Ma la
fortuna, quella maledetta fortuna, proprio sul più bello del gioco,
gli fece un tiro birbone: gli fe' cadere addosso, nientemeno, una
pupilla dai diciannove ai vent'anni, una nipote della sua povera
moglie, la quale, in tal maniera, lo teneva legato alla catena anche
dal mondo di là. La signorina Giulia di Rocca Vianarda era un bel
pezzo di ragazza; pareva lavorata nel burro; bianca, rosea,
tondeggiante, con certi capelli neri da zingara e due occhi grandi che
bruciavano. Ma aveva la disgrazia di appartenere a una gran famiglia,
e di essere senza un soldo di dote, ragion per cui Pier Luigi poteva
ben correre con lei tutti gli stabilimenti di acque e di bagni da
Santa Maria a Viareggio; un marito, un marito purchessia, non c'era
verso di poterlo trovare.

Il povero tutore sbuffava; si tingeva a più radi intervalli, e
cominciava per davvero a piangere sua moglie, che almeno lo lasciava
libero all'estero e che, se fosse stata ancora quaggiù, se l'avrebbe
digerita lei, la nipote!

--È stato un accidente, è stato:--un tiro di mia moglie, un
tiro!--esclamava in tono di lamento il povero Pier Luigi, che aveva
l'abitudine di ripetere le parole; e, non trovando altri partiti
possibili, vagheggiava l'idea di far sposare la pupilla a suo nipote
Giorgio Della Valle. Per cominciare dunque a mettere la paglia vicino
al fuoco, egli aveva scritto a Giorgio che lo aspettava a Pegli, ma
senza comunicargli il proprio disegno... per non spaventarlo.

Intanto era un conforto per il conte da Castiglione quando riusciva a
collocare la Giulia in qualche famiglia di conoscenti. Di solito,
appena arrivava in un albergo, sua prima cura era quella di studiare
la tabella dei forestieri. Se c'era una qualche signora che gli poteva
andar bene, anche se non la conosceva affatto, trovava sempre la via,
immaginando conoscenze reciproche, fabbricando giri e rigiri di
parentele, di diventare amico e, alle volte, di scoprirsi suo mezzo
parente. Ma a Pegli non era riuscito di trovar nulla. C'erano molte
signore sue amiche; ma erano lì per divertirsi, per essere libere, per
farsi corteggiare, e di fare la parte di madre nobile non ne volevano
sapere; ed egli si dava già per un uomo perduto, quando un bel giorno,
colla gioia di una gratissima sorpresa, lesse sulla lista dei nuovi
arrivati all'albergo, anche il nome del duca d'Eleda _con famiglia_.

Fece i gradini a due alla volta e capitò ansando in camera della
pupilla cogli occhi che gli brillavano sotto le ciglia spelate, e coi
capelli ingommati che gli si sollevavano tutti uniti sul capo, come un
guscio d'ostrica.

--È arrivata la duchessa d'Eleda, è arrivata!

--La duchessa d'Eleda?... Non la conosco...--rispose Giulia, che non
potè a meno di sorridere vedendo la faccia ridicola del rispettabile
tutore.

--Come non la conosci?... Devi conoscerla. È la figlia del fratello
del tutore di mio nipote, è la figlia, perciò siamo quasi, potrei
dire, mezzo parenti. Vieni presto, da brava; andiamo subito a
salutarla. La duchessa era amica intima della tua povera zia, io sono
amicissimo del duca, faremo vita insieme, faremo.

--Domani o dopo arriva anche Giorgio...

--Tanto meglio!

E così, mentre Maria con Lalla e con Prospero stava per scendere nella
sala da pranzo, venne annunziata la visita di Pier Luigi e della
Giulia. Furono subito ricevuti e con molta cordialità.

Le fanciulle si scambiarono una rapida occhiata, e bastò perchè si
valutassero a vicenda! Lalla trovò Giulia troppo grassa, Giulia trovò
Lalla troppo magra, e così rimasero contente tutte e due. Dopo il
solito scambio di gentilezze scesero sul terrazzino, in riva al mare,
aspettando insieme che suonasse la campana della _table d'hôte;_ poi a
pranzo, parlarono di Firenze, di Roma, di Borghignano, domandandosi
conto reciprocamente degli amici comuni. Maria, per altro, sebbene
quelle chiacchiere fossero assai banali, sentiva dentro di sè una viva
inquietudine. Chi l'avesse attentamente osservata, avrebbe notato in
lei un leggero tremito che alle volte la faceva trasalire. Parlava
distratta; ma invece era confusa: perchè?... Perchè prevedeva che il
discorso, a lungo andare, sarebbe caduto su Giorgio Della Valle.

--È molto tempo, duchessa, che non ha notizie di mio nipote?

Prospero Anatolio, che non si aspettava la domanda, si fece serio,
senza volerlo, mentre Maria rispondeva un--no--quasi impercettibile.

--Oh, col Della Valle, io e mia moglie--rispose pronto il
d'Eleda--abbiamo molti conti da aggiustare.

--La politica lo guasta--concluse Pier Luigi con tono convinto--e
bisogna dargli moglie, bisogna. Il giudizio è come lo spirito: colle
donne chi ne ha lo perde, e chi non ne ha lo acquista... chi non ne
ha!...

A quella notizia dell'arrivo di Giorgio, Maria impallidì; anche
Prospero, quantunque l'accogliesse con un grazioso sorriso, ne avrebbe
fatto senza volentieri. Tuttavia il pranzo finì lietamente come era
incominciato, e alle frutta, Pier Luigi, vedendo che le fanciulle,
perfettamente dimesticate, chiacchieravano insieme, ridendo e
scherzando, esclamò rivolgendosi alla duchessa Maria:--Era proprio
quello che mi ci voleva!... La Giulia, poveretta, trovandosi sola a
Pegli si annoiava mortalmente. Spero però che la nostra duchessa sarà
tanto buona da voler dividere con me le cure paterne, per le quali son
proprio disadatto, e da permettere che qualche volta affidi a lei e a
miss Dill la mia cara pupilla!...

La miss rispose con una smorfia. Ne aveva già una delle ragazze da
sorvegliare, e le bastava; la duchessa graziosamente accettò e, tanto
per cominciare, il conte da Castiglione le lasciò in custodia la
Giulia, subito, quella sera medesima, mentre lui aveva da fare una
scappatina a Genova.

A Pegli si poteva proprio dire che la gente vi si annoiava a furia di
divertirsi. Di giorno, le passeggiate nella villa Pallavicini, e le
gite in mare; la sera conversazione, concerti, feste da ballo... e,
anche a Pegli, Maria ebbe subito il primo posto, senza cercarlo e
senza volerlo, mentre invece rimpiangeva la quiete e la pace di Santo
Fiore.

Il mondo, che d'altronde non può mutare, era sempre il medesimo:
frivolo, corrotto, tristo. Maria vedeva gli uomini più seri e più
stimati, cercare l'amicizia di suo marito, per poterla meglio
corteggiare e insidiare. Non uno le aveva dato prova di sentimenti
nobili e leali.

Non uno?... sì! uno c'era stato; ma per farla penare maggiormente.

Maria e Giorgio, la prima volta che si erano incontrati a Pegli, si
erano salutati con quell'aria diplomatica colla quale le persone per
bene si credono in obbligo di soffocare ogni cordiale espansione.--Oh!
Buon giorno, conte; anche lei a Pegli?--Di passaggio, duchessa...--Tal
e quale come se si fossero veduti il dì innanzi; invece dall'ultima
visita del conte Della Valle a Santo Fiore erano trascorsi vari anni.
Però l'emozione di Maria era stata così viva, che interamente non potè
sfuggire nemmeno a Giorgio. Il rossore delle guance, l'occhio
scintillante, il tremito, il bruciore della mano, tutto ciò fu notato
da Giorgio che trovò la duchessa più bella, più buona e più
affettuosa. Maria trovò Giorgio sempre lo stesso e perciò continuò ad
amarlo... sempre di più.

Pier Luigi, appena Giorgio gli capitò fra le mani, cominciò subito,
colla sua arte di vecchio diplomatico, a tastare il terreno. Gli
domandò se ancora non aveva pensato di mettere la testa a partito,--di
abbandonare la _sinistra_ e di offrire la _destra_ ad una donnina che
lo facesse marito felice e padre fecondo...--Gli ricordò che i
trentacinque anni erano suonati, che i Della Valle, se non ci pensava
lui presto presto stavano per estinguersi, e che ad una certa età, la
moglie fa anche bene alla salute.

Giorgio gli rispose francamente che ci aveva già pensato, che stava
pensandoci ancora; ma però egli voleva sposare una ragazza della quale
fosse innamorato, una ragazza che sapesse fargli perdere la testa.

--E in quanto alla Giulia--soggiunse ridendo--sai che cosa ne dovresti
fare?

--Che cosa?

--Tua moglie.

--Mia moglie?

--Sicuro... tanto per liberartene.

--To', non ci avevo pensato... non ci avevo... In un caso disperato...
la sposerò io!

Se a Pegli si divertivano molto, non era vero, per altro, che si
divertissero tutti.

Le ragazze, per esempio, vi erano molto trascurate; e si annoiavano.
Qualche senatore gottoso che si faceva recitare gl'Inni Sacri,
o--l'Addio ai monti--del Manzoni: qualche vecchio professore della
scuola romantica, qualche _pivellino_ che si raspava la pelle per
farsi crescere i baffi, e finalmente qualche ufficiale superiore colla
pancia e cogli occhiali, erano i soli adoratori, e i ballerini delle
ragazze. Del resto, tutto quello che c'era di brillante e di elegante
apparteneva alle signore. Il coro... dell'innocenza aveva un bel da
fare, tentava tutti gli espedienti e tutte le attrattive: il candore,
la modestia, la lingua inglese, il pianoforte, ma non c'era verso;
scambiate appena quattro parole di convenienza, quelle povere ragazze
erano piantate in asso, attorno al tavolo del _thè_.

Lalla pareva ne soffrisse meno delle altre; ma non era vero. Era
brava, invece, e riusciva a non lasciare scorgere la propria
rabbietta. Sentiva anche un po' d'invidiuccia contro sua madre, tanto
cercata e tanto festeggiata, e si vedeva troppo lontana dai trionfi
che si era ripromessi; ma tuttavia, non disperava. Aveva capito che
per ottenerli non le mancava più che un marito: il punto di contatto,
appoggiata al quale la donna solleva il mondo.

Un marito?... Lalla portava un gran nome, era l'erede di una grande
fortuna; quantunque non fosse bella, era assai piacente. Oh, un marito
non si sarebbe fatto aspettare!... Anzi, non avrebbe avuto che da
scegliere!... E Lalla si guardava attorno cogli occhi belli che
vedevano, che scoprivano tutto, anche quando li teneva abbassati e
raccolti, con quell'aria modesta che la faceva somigliante ad una
Vergine del Murillo.

Le cose erano a questo punto, quando una sera nella quale a Pegli si
ballava per beneficenza, le ragazze annoiate e ristucche si riunirono
in congiura.

--È ora di finirla e di vendicarsi!--esclamò la Giulia con gran
calore.

--Come fare?

--Sì, brava; se si potesse vendicarsi!

--In che modo?

--Facendoci sposare!

Tutte le ragazze applaudirono ridendo, e correndo dietro a Giulia
uscirono sul terrazzo.

--Va bene, ma come si fa?

--Bisogna scegliere prima il fortunato mortale a cui destiniamo
l'impareggiabile possesso del nostro cuore; poi quando lo avremo
scelto, farlo restare sul colpo... innamorato morto. Ci state?

--Sì! Sì! Sì!--gridarono in coro tutte le ragazze.

--Allora seguitemi e guai ai vinti!--Giulia correndo in giro sul
terrazzo, si fermò ad una finestra della sala da ballo e, indicando
alle compagne le coppie che passavano ballando, cominciò con voce
nasale, imitando il modo di parlare del suo tutore:--Signorine! Vedete
quell'animale, vedete, bianco di sotto, nero di sopra nero, piuttosto
brutto, piuttosto?... Ebbene, quell'animale si chiama uomo. È
irragionevole, e basterà a dimostrarlo la sua indifferenza a nostro
riguardo. Tutti gli uomini sono uguali dinanzi a Dio; non è così,
peraltro, dinanzi alla donna, la quale, secondo i gusti li preferisce
biondi, neri o _marrons_...

--_Glacés!_

--Silenzio, Lalla!

--Non interrompere!

--È bipede sempre--continuò la Giulia--quantunque alle volte,
quantunque... basta, pare impossibile, pare. Ha il dono della favella,
ma pure conserva ancora una grande difficoltà nel pronunciare il
monosillabo sì matrimoniale.

Ci fu uno scoppio d'applausi; ma la Giulia ristabilì prontamente il
silenzio, e continuò:

--Quell'animale, signorine, noi dobbiamo sceglierlo per nostro
legittimo consorte. È una sventura; ma siccome le sventure non vengono
mai sole, così, vi avverto può succedere il caso che quello scelto da
noi non ne voglia sapere... non ne voglia!

--E allora, come si fa?--domandò una piccola biondina col naso
schiacciato e rivolto all'insù, che prendeva viva parte al giochetto.

--Allora, o si va in convento, o si medita un suicidio, oppure,
meglio, si ricomincia da capo, scegliendone un altro.

--Brava Giulia!

--Brava!

--Alla scelta!... Alla scelta!

--Va bene, ma a chi tocca scegliere per la prima?

--Io direi di andare per ordine di anzianità--propose la figlia di un
colonnello della Territoriale.

--Benissimo!

--Allora tocca alla Giulia...

--Veramente non saprei... se tocca proprio a me.

--Quanti anni hai tu, Isa?

--Diciotto.

--E tu?

--Diciassette.

--Diciotto.

--Diciannove.

--E tu Lalla?

--Io?... sedici; ma vi avverto che se una di voi si sceglie il marito
che piace a me, io non lo cedo a nessuno.

--Senti come prende fuoco la santarella!

--Animo, animo, senza tanti discorsi; tocca alla Giulia.

--Ebbene, non perchè sia la più vecchia; ma accetto il posto d'onore,
come un tributo della vostra sommissione.

--Bene, approvato!--esclamò Lalla;--e ora a noi: tu Giulia hai il
numero uno, tu Clara il numero due, la Isa il tre, l'Adele il quattro.

--E io?...--E noi?...--interruppero le altre, non comprese nella
lista.

--Abbiate pazienza voi--rispose Lalla,--come ne ho io. Giustizia vuole
che sia servito prima chi è più tempo che aspetta.

In questo punto gli accordi di un valzer di Rovere echeggiarono nella
sala da ballo; le fanciulle si strinsero tutte serrate alla finestra e
proprio di contro a loro videro le coppie aggruppate che una alla
volta si avanzavano ballando, finchè la sala, che prima pareva quasi
vuota, si popolava, si affollava di figure, di colori, di fiori, di
trine, di gemme, mentre la musica della piccola orchestra rimaneva
soffocata dal tramestìo delle voci varie, confuse e dallo strisciare e
il battere dei piedi sul pavimento, misto col _fru-fru_ cadenzato dei
lunghi strascichi delle vesti.

--Attento il numero uno!--gridò Lalla alla Giulia. La prima coppia che
si avanzava era composta di una signora attempatotta, enormemente
grassa ed ansante, che si teneva attaccato un piccolo tenentino ai
cavalleria, biondo, roseo, paffuto e ricciutello, il quale, davanti a
quel donnone, pareva proprio che ci fosse a balia.

--Chi prende il tenentino Pippoli?... Numero uno a rispondere!

--Rifiutato.

--Numero due.

--Rifiutato.

--Numero tre.

--Idem.

--Numero quattro?

--Come sopra!

--Allora lo prenderò io,---disse timidamente la biondina, quella del
naso all'insù.

--Signore anziane, accordate Pippoli alla postulante?--domandò Lalla
alle altre ragazze.

--Accordato! Accordato!--risposero in coro.

--Ed ora, attente.

Adesso veniva una ballerina che si teneva ciondoloni in braccio ad un
bel signore alto, biondo, colla chioma studiatamente inanellata, la
scriminatura larga, diritta, giusta, la gardenia all'occhiello della
giubba e il _pince-nez_ dorato. Ballava, tal e quale, come se facesse
la cosa più seria del mondo, respirando a tempo di musica e non
curandosi affatto della compagna, tutto compreso in una gran
prosopopea.

--Attenta, Giulia,--esclamò Lalla vedendolo,--questo... è magnifico!

--Oh! bello! Oh! bello! Oh! bello!--esclamarono tutte insieme, con
finta ammirazione.

--Numero, uno, è per te.

--Stupendo, ma non lo merito: lo cedo al numero due.

--Troppo tardi, la scelta è già fatta.

--Anch'io,--riprese la Giulia,--mi sono impegnata.

--Allora al numero tre,--disse Lalla.

--Non posso. Il mio cuore è già preso; o _lui_ o il convento.

--Ma veramente, lo statuto si oppone ai voti segreti.

--No, no!... La scelta è libera!--esclamarono di nuovo le ragazze.--Ci
siamo tutte maritate ormai!... Di nubile non c'è più che Lalla!

--Oh! io non ho premura e non mi sgomento; mi voglio prendere... chi
sarà il vostro preferito!

--Bene! Brava! Bravissima! Accettato!--e le allegre giovanette
incominciarono a battere le mani gridando: si divertivano a far rumore
e ci tenevano a farsi notare.

E qualcheduno infatti già cominciava a prestar attenzione a quello
stormo di belle ragazze: anche il conte Della Valle, ch'era ritto in
piedi, pensoso ed immobile in fondo alla sala, alzò il capo, ma non si
mosse; si mosse invece e uscì sul terrazzo un avvocatuccio un po'
attempatello, rotondo come un barilotto di _vermutte_, colla sua brava
medaglia di deputato appesa alla catenella.

--Oh! Oh! Dove si nascondono, dove si nascondono le signorine
belle?--cominciò l'onorevole--qui si ride e...

--E là si muor!--rispose subito una del coro canticchiando e
nascondendosi dietro le compagne, che ridevano e scherzavano.

--Vediamo un po', vediamo un po',--continuava l'onorevole,--che cosa
vuol dire questa diserzione in massa dalla sala da ballo?... C'è chi
lamenta, e a ragione, la scomparsa dei nostri fiori più belli.

--Oh, caro! par vivo!--borbottò Lalla, a mezza voce, tanto da esser
intesa solo dalle compagne, mentre assumeva in faccia al deputato un'aria
contegnosa. E le altre, senza dargli retta, cominciarono a corrergli
d'intorno, domandandosi e rispondendosi sempre ridendo:--Numero uno, è
per te!--Grazie, non ne prendo!--Numero due!--Non ne voglio!--Numero
tre!--Rifiutato!--Numero quattro!--Respinto!--e scappando, chi di qua,
chi di là, lasciarono solo, con un palmo di naso e con un sorriso ancora
da finire sulle labbra il pover'uomo, che se ne tornò via mogio mogio.
Sparito il deputato, tutte le fanciulle, come uno sciame d'uccelletti,
ritornarono, correndo, attorno alla finestra.

--Dunque, dal momento che la nostra scelta è fissata,
ir-re-vo-ca-bil-men-te,--disse la Giulia,--confidiamoci a vicenda,
giurando prima di dire la verità e null'altro che la verità, lo sposo
scelto dal nostro cuore, per cercare di metterci d'accordo, nel caso
di elezioni contrastate, e schivare i danni della concorrenza... e
schivare!

Ma, pare impossibile, una proposta tanto opportuna fu accolta
freddamente e, messa ai voti, venne respinta.

La Giulia replicò, ma non ebbe miglior fortuna, e invece fu approvato
all'unanimità un emendamento di Lalla, che proponeva di scegliersi
un'amica comune, alla quale ognuna avrebbe confidato il proprio
segreto. In tal modo, nel caso contemplato dalla Giulia, di un solo
marito scelto da due o più pretendenti, l'amica ne informerebbe le
parti interessate invitandole ad un accordo amichevole.

--Sta bene, ma chi sarà la depositaria dei nostri segreti?

--Lalla; è la più giovane, è la più buona; e poi, ancora non ha scelto
nessuno.

Il nome di Lalla fu accolto con favore, e la piccola duchessina fu
tirata di qua è di là dalle fanciulle che se la contendevano e che
pian pianino, una dopo l'altra, dentro l'orecchio, sotto voce,
nascondendosi la bocca dietro la mano, le confidavano il nome del
proprio sposo, meno la biondina dal naso all'insù, che dichiarava
apertamente di restar fedele al tenentino Pippoli. Lalla, indifferente
dopo ascoltata la prima confessione, alla quale sorrise, alla terza
fece un atto di meraviglia, alla quarta non seppe più contenersi e
dopo l'ultima divenne pensosa.

Tutte le compagne la guardavano stupefatte senza capire, mentre Lalla
le fissava seria e muta.

--E dunque?--chiese la Giulia.

--Ma parla!

--Che hai?

--Vuoi rispondere, sì o no?

--Parlerò, e sarà sempre troppo presto.

--Insomma, vuoi spiegarti?

Lalla, lentamente, pronunciò un nome. Le fanciulle si guardarono tra
loro, s'intesero, senza dir motto, e dopo di essersi tenute il broncio
per un momento, proruppero in una grande risata.

Nelle confidenze delle sue amiche, Lalla non aveva udito che un solo
nome; tutte insieme, e senza saperlo, avevano scelto lo stesso sposo:
il conte Giorgio Della Valle.

--Non c'è altro da fare in questo frangente, che raccomandarsi alla
sorte,--esclamò Giulia. Era sempre lei quella delle proposte.--Mettiamo
tutti i nostri nomi in un'urna, come nel _Ballo in maschera_, e il primo
estratto diventerà la contessa Della Valle.

--No,--obbiettò Lalla, senza ridere.--. Sacrificatevi tutte a un modo
e cedetelo a me.

--A te? No, no!

--Nemmeno, per sogno!

--Sentite; io non l'ho scelto, per cui non sono una rivale, e non
avrete la mortificazione di prendervi un marito destinato dalla sorte.

--Te?... Che cosa vuoi che ne faccia di te? Sei nata ieri!

--È un difetto a cui sarà rimediato domani.

--Bella pretesa!--disse Giulia, pavoneggiandosi coll'alta persona, che
primeggiava.--Sei tanto piccola che per darti un bacio dovrebbe
tirarti su colla carrucola!--E la duchessina divenne allora lo
zimbello di tutte le ragazze che la tormentarono con un accanimento
feroce, per quanto fosse da burla. Ella però le lasciò dire sorridendo
e sopportando le cattiverie delle amiche senza punto arrabbiarsi; ma
anche dopo finito il giuoco, rimase sopra pensiero: l'incidente le
aveva fatto un'impressione vivissima.

Essa cominciò a guardare con grande attenzione quell'uomo singolarissimo
che aveva ferito la fantasia di tutte le sue compagne: lo trovò piacente,
lo vide cercato da tutti e accarezzato, mentre attorno al suo nome
crescevano il rispetto e l'ammirazione. Egli era ricco, i Della Valle per
condizione sociale valevano bene i d'Eleda...

--Come la Giulia rimarrebbe attonita--pensava Lalla--come si
arrabbierebbe, se io riuscissi a farmi sposare davvero! L'impresa non
era facile; ma la duchessina si sentiva istigata a tentarla... e la
tentò.

Subito, appena entrata nell'ambiente suo naturale, Lalla aveva
cominciato a non sentir più altro che disgusto per il primo amoretto
di Santo Fiore. Sandro scapitava troppo in confronto degli eleganti
giovinotti che la circondavano, e la fanciulla, dimenticando di essere
stata lei a volerlo a' suoi piedi, faceva ormai pesare sull'amante il
pentimento che, nell'interno suo, già sentiva spuntare per la propria
debolezza. Ricordava come altrettante offese, offese che l'avrebbero
avvilita mortalmente agli occhi _della società_, le carezze, le
promesse, le parole d'amore del povero contadinello che, in tal modo,
era diventato per lei una memoria uggiosa e persino odiosa.

Prima di partire, la duchessina si era fatta promettere da Sandro che
questi manderebbe una sua lettera, ogni settimana, alla Nena; la Nena,
che non sapeva leggere lo scritto, si sarebbe rivolta alla padroncina,
la quale, in tal modo, avrebbe avuto notizie del giovinotto e avrebbe
potuto leggere fra le righe ciò che riguardava lei solamente. E allo
stesso modo senza compromettersi, cioè sempre col mezzo e col nome
della Nena, essa gli avrebbe anche risposto. E gli rispose infatti,
una volta nei primissimi giorni, ma volle che la Nena firmasse la
lettera:

--Tant'e tanto, il tuo nome lo sai tirar giù!

La Nena, senza un sospetto al mondo, si prestava di buon animo alla
gherminella, e cominciava anzi a sperare che il filodrammatico avesse
del tenero per lei: cosa che le dava una grande smania, e le metteva
il diavolo addosso, perchè quel giovanotto le era sempre piaciuto, e
piaciuto assai.

L'ultima lettera del Frascolini era capitata col timbro di Venezia.
Sandro s'era messo con suo cugino; ma per il commercio, scriveva, non
si sentiva inclinato.--Aveva troppa poesia nella mente e nel cuore;
no, non poteva stentar la vita chiuso tutto il santo giorno in uno
stambugio oscuro, senz'aria e senza luce. Oh! come il mondo era
diverso da quello ch'egli si foggiava passeggiando sulle verdi
praterie di Santo Fiore! Quanti ostacoli da rimuovere; quante
angoscie, fino allora ignorate! A quel modo si sarebbe intisichito sul
libro mastro prima di raggiungere il suo scopo, prima di dar corpo al
suo sogno. No, no; voleva respirare all'aperto, voleva farsi un nome;
era un poeta, non era un mercante; era nato per l'arte e non per
l'aritmetica! No, no; avrebbe lottato a corpo a corpo con la fortuna,
a costo di morir sulla breccia, ma con la sua donna nel cuore, e il
sole in faccia!

A queste parole, la Nena, povera innocente, pianse dalla commozione;
ma Lalla invece, con molta calma e con molta ragionevolezza, rispose a
Sandro (s'intende a nome della Nena), che ...egli doveva pensare
soltanto al proprio avvenire; che pur troppo il mondo, come diceva
benissimo lui nella sua lettera, era molto diverso da quello
vagheggiato a Santo Fiore, e ch'egli non doveva correre in cerca di
una chimerica felicità, mentre avrebbe potuto ottenere, a Santo Fiore
stesso e senza abbandonare la propria famiglia, uno stato sicuro e
decoroso.

--Non capisco bene che cosa, infine, gli raccomando?--s'arrischiò di
domandare la Nena alla padroncina prima di firmare la lettera.

--Gli raccomandi di metter giudizio, e gli dimostri il tuo sincero
attaccamento.

--Ma se il signor Alessandro se n'avesse a male?

--Tu non capisci nulla; sei scema e testarda! Va, va, mettici sotto il
tuo nome ben chiaro, e porta la lettera alla posta.

Com'è facile supporre, la Nera ricevette a volta di corriere un'altra
lettera del Frascolini, nella quale egli dichiarava recisamente che,--per
quanto se lo aspettasse quel colpo, tuttavia non lo aspettava così
subito, e avrebbe sempre creduto che almeno dovessero avere per lui un
po' di carità; che del resto non dovevano sperare di poter liberarsi così
facilmente di un uomo che avevano reso pazzo d'amore, che avevano deriso
e tradito. Sì--concludeva Sandrino,--sarebbe stato molto meglio per me se
mi avessero lasciato tranquillo a casa mia, senza darmi le vertigini
dell'amore e dell'ambizione; giacchè hanno voluto trascinarmi sulla loro
strada, giuro per tutti i santi che sulla loro strada mi troveranno
_sempre_,--e si ricordino bene quello che sto per dire: se ho amato, se
amo, se amerò eternamente, non sono disposto per questo a rinunciare ai
miei _diritti_, e tanto meno a lasciarmi sacrificare, vittima inerte e
rassegnata, da un capriccio assassino.

Chissà come sarebbe rimasta la povera Nena se la signorina le avesse
letta tutta intera la lettera, ma Lalla, invece, prima la scorse con
una rapida occhiata, e ne spiegò poi il contenuto rifacendolo a suo
modo. Lalla, adesso, voleva farla finita: disse alla Nena che era
tempo di troncare quell'amicizia; se il Frascolini le avesse scritto
nuovamente, doveva consegnare subito a lei, le lettere ancora chiuse e
non rispondergli più. Aveva capito, continuava la duchessina, che il
Frascolini era un poco di buono, senza religione, senza carattere, e
che avrebbe finito certo, se la Nena continuava in quella
corrispondenza, col farla capitar male.

Sandrino scrisse tre altre lettere piene d'ira, di dolore, di minacce,
ma a Lalla non fecero nè caldo nè freddo.

--Ho fatto bene--pensava--a non fidarmi di quel matto, a non
lasciargli nulla tra le mani che mi potesse compromettere. Alla fine
poi, perchè tante smanie? Gli ho forse mai lasciato sperare che sarei
diventata madama Frascolini?--No! No! No!--E dunque?--Quali diritti
può vantare?...--Sono stata troppo buona con lui; ecco il mio torto!
Se io lo avessi trattato d'alto in basso come gli altri suoi pari,
adesso non mi scriverebbe insolenze, il _villano!_

E il conte Della Valle?... Il conte Della Valle da qualche tempo si
sentiva intorno quel certo malumore, quel certo malessere che precede
una malattia, o è il presentimento di una disgrazia. E la sua
malattia, la sua disgrazia... era l'amore.

La prima volta ch'egli rivide Lalla, non ne era rimasto molto colpito.
Notò ch'essa era piuttosto piccolina, che aveva la figuretta fine,
elegante, e gli occhi bellissimi. Nient'altro. Ma, dopo qualche
giorno, egli si era messo a guardarla più sovente e con piacere. Quel
suo fare modesto, senza essere troppo timido, quell'aria composta e
nello stesso tempo cortese e vivace, fin anche l'ascetismo, il
clericalismo aristocratico dell'esile duchessina formavano un
tutt'insieme che gli riusciva molto interessante. Più di tutto erano
gli occhi... quegli occhi maravigliosi che gli avevano fatta
impressione!... No, non era bella, ma quegli occhi la rendevano
irresistibile!... Essa, la fanciulla modesta, li teneva quasi sempre
abbassati, ma si sentivano, si vedevano quasi anche di sotto alle
palpebre, e quando li rialzava lentamente, parevano ingrandirsi,
diventavano lucenti, perdevano la loro soave timidità per esprimere un
sentimento più caro e dolcissimo. E fu in tal modo che Giorgio si
accorse di essere guardato e... a sua volta cominciò a cercare, a
chiedere con uno sguardo insistente, desideroso, lo sguardo
tenerissimo della fanciulla.

--Come ti piace la duchessina d'Eleda?--aveva chiesto una sera Giorgio
Della Valle a Pier Luigi, cominciando, senza accorgersene, a parlare
troppo spesso di Lalla.--Non è vero ch'essa è molto carina?

--Ecco, ti dirò,--rispose il conte da Castiglione, col fare di un uomo
convinto della propria competenza in materia,--ti dirò: la trovo
carina da guardare, la trovo; ma per tutto il resto preferisco sempre
sua madre. Non ha niente di appetitoso! quaresima, caro mio, piena
quaresima!... È vero per altro che sono tipetti... nervosi, dotati di
straordinaria... elettricità: ma appartengono a un genere che noi
vecchi non possiamo molto apprezzare. Ci si vede per altro la buona
razza; le _attaccature_ le ha fine, delicate e ha due braccia
maravigliose. Peccato che, di solito, questo è il male, le gambe non
corrispondano alle braccia, non corrispondano. Potrebbe darsi che
quella lì fosse un'eccezione; ma ne dubito, è troppo piccolina!

Le gambe di Lalla erano una seria preoccupazione per Pier Luigi. Egli
voleva sapere se le gambe della fanciulla erano belle come le braccia;
e voleva saperlo senza secondi fini; era una cognizione di più che
desiderava acquistare e niente altro. Ma Lalla, intanto, non poteva
fare una scala senza che Pier Luigi non ci fosse sotto col naso in su.
Ella se n'era accorta, e faceva le scale a precipizio, tenendosi
serrata contro il muro. Per altro si godeva nel destare, nell'aizzare
quella curiosità, e più di una volta quando c'era Pier Luigi presente,
si lasciava sfuggire colle compagne che il giorno dopo avrebbe presa
una lezione di nuoto, tanto per godersi il vecchio che stava tutto il
giorno a farle la posta. Ma al nuoto Lalla non ci andava mai; i suoi
scrupoli religiosi vi si opponevano, e anche la gran paura che aveva
dell'acqua salsa.

La risposta dello zio impertinente aveva urtato i nervi al conte Della
Valle. Egli aveva mutato subito il discorso, arrossendo anche un poco.
Quelle parole erano troppo ciniche e ributtanti!

Giorgio era ritornato con Lalla il buon amico, il _camerata_ di un
tempo. Era adesso tutto intento nel metterle in bell'ordine un
copiosissimo album di francobolli, e per averne i più rari, aveva
scritto apposta a un suo amico del Ministero degli Esteri. Ballava con
lei tutta sera, le impegnava persino il _cotillon_, godendosi a
scherzare, a ridere, a prenderla in giro, affibbiandole sempre i
ballerini più vecchi, più grassi e più ridicoli per suoi adoratori.
Egli sentiva di ringiovanire e di riposare. Ma a poco a poco i loro
discorsi si facevano più seri e più lunghi. Giorgio era arrivato a
parlare con lei anche di politica, appassionandosi per indurla alle
proprie idee, pur ammirando la sua coltura, il suo spirito, il suo
ingegno; e dopo di aver cominciato col darle l'attacco, terminava
sempre col difendersi. Aspettava desideroso che Lalla scendesse in
sala o in giardino, e, se lei tardava a comparire, lui affettava di
tardar di più ad accostarsele. Quando non si potevano parlare, si
capivano guardandosi, e guardandosi appena si scambiavano
osservazioni, preghiere e rimproveri. S'erano dato l'aire ridendo e
scherzando... ma poi adesso non ridevano più; si erano fatti seri.
Lui, alle volte, impacciato; lei arrossiva vedendolo e abbassava gli
occhi; ma anche senza guardarsi si sentivano... Erano sempre poco
lontani l'uno dall'altra; nelle passeggiate, alla villa o lungo il
mare, Giorgio offriva sempre il braccio a Lalla, e Lalla lo aspettava,
camminando innanzi sola... senza accettare il braccio degli altri.
Dopo qualche giorno ancora non si parlavano più... lui più non si
fermava a farle contemplare il mare ampio e il serto verdeggiante
delle colline; lei più non lo faceva arrabbiare pel suo colore
politico; ma, quando la fanciulla alzava gli occhi lentamente e li
teneva fissi negli occhi di Giorgio, nell'azzurro profondo di quelle
lunghe occhiate egli dimenticava tutto il passato in un'estasi nuova,
sognando gioie serene, purissime.



XIX.


In quell'estate il caldo durava insistente, e per ciò. quantunque si
fosse ormai verso la fine d'agosto, ben pochi erano i forestieri che
si disponevano ad abbandonare le bagnature.

Maria, o la Madonna di Neve, come la chiamavano anche a Pegli,
continuava ad essere la gemma più cara e più pregiata. Tranquilla,
sicura, un po' fredda all'apparenza, solamente il pallore del volto e
gli occhi profondi avrebbero forse potuto scoprire l'interno travaglio
dell'anima sua. In quanto a Prospero Anatolio, egli non le badava
nemmeno, e se ancora sentiva della rabbietta gelosa contro il Della
Valle, questa non era ispirata che dalla fama e dalla popolarità che
godeva l'autorevole deputato di Borghignano. Quando discorreva con
Giorgio, il duca recitava la parte dell'uomo stanco, sfiduciato, che
aveva dato volontario addio alla vita pubblica; ma invece ci pativa di
non contar più nulla davvero; di essere in politica un uomo finito.
Un'altra cosa non sapea perdonare al conte Della Valle: di non averlo
proposto ai suoi amici del Ministero per l'ultima infornata di
senatori. Se fosse stato un avversario leale, avrebbe dovuto, secondo
lui, riconoscere che nel Senato il duca d'Eleda sarebbe stato al suo
posto. Però _quod differtur non aufertur_. Prospero Anatolio ci
sperava ancora. In certi suoi apprezzamenti e giudizi sulla politica
del gabinetto pareva che volesse lasciar credere al Della Valle
d'essersi tagliata la coda. Se lo teneva vicino, e anche lui, col
sistema di Pier Luigi, quasi quasi ci trovava la mezza parentela.

Maria non capiva suo marito; quella condotta non sapeva spiegarsela;
ma poi, finì col non pensarci quasi più: una nuova e fiera angosciosa
battaglia si accendeva nel profondo del suo cuore.

Giorgio da qualche giorno teneva con lei un contegno affatto nuovo.
Era pieno di premure, e non la lasciava mai sola, un minuto. Quando
Maria passeggiava a braccio con lui sentiva il cuore di Giorgio che
batteva più forte, mentre le parlava vicino vicino, fissandola con
tenerezza, affettuosissimamente, come non aveva mai osato. Quello poi
che le dispiaceva di più era la corte sfacciata che anch'egli faceva a
Prospero e faceva a Lalla; tanto che, se Lalla non fosse stata ancora
una bambina in confronto di Giorgio, Maria avrebbe dovuto troncarla
subito; insomma, anche il suo ideale si offuscava, e la poveretta,
disingannata, sentiva ch'esso pure stava per ispiegare le insidie...
per tentare di sedurla.

--Anche _lui_ come gli altri!...--Ma Giorgio, l'uomo leale e onesto,
non poteva lasciarsi vincere dallo stimolo di un capriccio, di un
affetto volgare; egli conosceva Maria troppo a fondo per poter
credere, per poter sperare il più tenue ricambio; dunque... dunque
Giorgio doveva trovarsi dominato da una forza irresistibile, che non
gli permetteva più nè di ragionare, nè di vincersi; che lo rendeva
misero, infelice, e forse, invece di condannarlo, avrebbe dovuto
compiangerlo!... Egli non aveva ancor detto una parola che potesse
offenderla, ma le sue premure si facevano sempre più insistenti e
palesi; e Maria volle fuggire di nuovo. Bisognava partire subito; si
fece coraggio, e domandò a suo marito quando sarebbero ritornati a
Borghignano.

--Quando vuoi, cara: domani è venerdì... partiremo dopo
domani.--Conosciuta appena la risoluzione della famiglia d'Eleda, la
colonia dei bagnanti, per consolarsi del distacco, volle dare un gran
ballo, che sarebbe stato l'ultimo della stagione.

Ma non si consolarono tutti a quel modo; anzi ci fu, precisamente, chi
non si consolò affatto. Il povero Della Valle era rimasto sbalordito,
quasi sgomento, ad una tal nuova. Guardava Maria con occhiate lunghe e
dolenti, e più di una volta stava per aprir bocca, per confidarle chi
sa che cosa, ma poi non aveva coraggio di cominciare. Maria, la quale
credeva di capire che cosa Giorgio voleva dirle, anche Maria faceva di
tutto per non lasciarlo parlare. E l'ultimo giorno di Pegli rimase
chiusa in camera per non vederlo, per non incontrarlo; ma, il dopo
pranzo, dovette pur scendere, e non avendo alcuna buona ragione da
addurre, dovette assistere al ballo che veniva dato appunto in suo
onore. Per altro si sforzò a ballare quasi tutta la sera, e si tenne
sempre intorno un gran circolo, per non avere a trovarsi sola con
Giorgio, che le girava continuamente vicino, e faceva un braccio di
muso a tutta quella gente. In fine, passeggiando dopo una quadriglia,
che Maria non gli avea potuto negare, egli, tremando un po' nella
voce, le domandò un'ora, per l'indomani, nella quale potesse
riceverlo, solo, avendo gran bisogno di parlarle e di parlarle a
lungo. Maria diventò pallida, lo fissò seriamente, quasi serenamente;
poi, senza rispondergli, si staccò dal suo braccio e sparì dal ballo,
lasciando il conte Della Valle molto meravigliato, e anche un po'
mortificato.

--Anche lui, come gli altri!--continuò Maria a ripetere, a dolersi; e
non lottando più oltre per vincere il proprio amore, più sincera con
sè stessa, solo rimpiangeva il caro ideale svanito, perduto, e non
capiva che se lo rimpiangeva era solo perchè lo amava sempre, sempre
di più, e perchè in tutto quel tempo passato insieme, il suo ideale si
era fatto più forte, più vivo, era passato dall'anima al cuore.

Il giorno dopo essa non uscì dal suo quartierino, nemmeno per scendere
a pranzo; ma il Della Valle non si perdette d'animo; e trovato il
momento nel quale Lalla era andata in chiesa con miss Dill, e Prospero
stava meditando sullo _Spettatore_, si fe' coraggio e salì solo solo
in cerca della duchessa.

L'uscio del salotto era socchiuso, e dalla fessura egli potè scorgere
Maria appoggiata alla finestra, che gli voltava le spalle, e allora,
ricordandosi che quella donna per tanti anni era stata come una
sorella per lui, entrò risoluto, chiamandola per nome.

Maria guardava il mare, ma era pur sempre fissa ne' suoi tormentosi
pensieri, quando udì la voce di Giorgio, gittò un grido, e si voltò
come spaventata.

--Che volete?...--Come siete qui?... Perchè?... Come siete entrato?...

--Non mi sono fatto annunziare perchè temevo, in tal caso, che non mi
avreste ricevuto--rispose il Della Valle, non senza amarezza.

--Scusate, ma...

--Noi due, non ci conosciamo da ieri, Maria, ma da molti anni. Fummo
sempre come fratello e sorella. Perchè oggi non dobbiamo più essere...
nemmeno due buoni amici?

--Ma...

--Vi cerco, e voi mi fuggite sempre?... Vi domando un colloquio, e voi
me lo rifiutate?

Maria, tanto si sentiva commossa, si lasciò cadere sopra una poltrona
ch'era vicino alla finestra. La tenda, dapprima sollevata dalle sue
mani, calò giù, distesa, e il salottino rimase al buio.

--Sono molti anni. Maria,--continuò il Della Valle,--sono molti anni
che voi vi siete mutata con me; molto mutata. Che cosa vi ho fatto?
Nulla, posso dirlo, nulla! Fanciulli tutti e due, abbiamo avuto comuni
le prime gioie e i primi affetti: ricordate che io chiamavo mamma, la
vostra mamma?... Vi ho voluto bene sempre come una sorella, e se oggi
comincio a sentire per voi un altro affetto, forse più forte, ma
ugualmente sacro, per l'anima mia ve lo giuro, non c'è nulla ch'io vi
debba nascondere, nulla di cui mi abbia a vergognare, nulla che possa
meritarmi la vostra freddezza, e tanto meno poi la vostra collera.

La passione traboccava dalle parole di Giorgio, e la povera donna,
combattuta da tanti e così opposti sentimenti, sorpresa in un momento
di abbandono, vinta quasi da una persecuzione così spietata, eppur
così cara, credette d'intravedere nell'uomo che le parlava un
linguaggio così eloquente per il suo cuore, tutta la storia dei suoi
propri dolori, delle stesse sue gioie; non ebbe il coraggio di
condannarlo e nemmeno la forza di farlo tacere. Sentiva troppo che la
colpa non avrebbe potuto nascondersi in quell'animo onesto, che la
menzogna non avrebbe potuto macchiare quella fronte aperta e leale;
non lo condannò ma lo compianse, come compiangeva sè stessa; alzò gli
occhi negli occhi di lui e stordita, affranta, senza parlare, colla
gola serrata, stese una mano al Della Valle, che la prese tremante, e
inginocchiandosi a un tratto innanzi a lei, la coprì di baci.

--No... no... andate via... andate via.

--Mi perdonate?--balbettò l'altro con un fil di voce--mi perdonate?...
e, come foste mia sorella, vorreste essere anche... un poco... mia
madre?...

Maria sentì un brivido, una stretta al cuore che la fece balzar di
scatto, per ricadere come morta, livida, sulla poltrona.

Buon per lei ch'era scuro là dentro e che Giorgio, bene, non la poteva
vedere.

--Lalla?...--balbettò con uno sforzo che pareva un singulto.

--Lalla... sì... l'amo, l'amo, l'amo!... come un pazzo!

--Voi?!...

--Ve ne scongiuro, Maria, non vogliate essere gelosa dell'affetto di
vostra figlia per me. Se Lalla mi vorrà un po' di bene, questo affetto
non sarà tolto, credetelo, alla sua immensa tenerezza per voi; invece
di uno solo avrete due figli... che vi adoreranno...

--Ma io, io non posso...

--Voi potete tutto, e perciò è a voi che io mi rivolgo. Ritornate
buona con me e... e se un giorno vi ho offesa, se un giorno ho potuto
spiacervi difendendo troppo vivamente chi aveva dei gravi torti verso
di voi, perdonatemi, se non altro, in conto delle mie buone
intenzioni; perdonatemi, e ritornate mia sorella oggi, per essere mia
madre domani, perchè oggi è a mia sorella ch'io mi rivolgo pregandola
di chiedere formalmente per me, al duca e alla duchessa d'Eleda, la
mano della loro figliuola. Amo Lalla come non ho amato mai, come non
sapevo, come non sospettavo neppure che si potesse amare; e nel
ricambio di questo affetto è riposta ora, e per sempre, tutta la
felicità, tutto lo scopo della mia vita, e la mia vita istessa.

Detto ciò, il Della Valle, baciata ancora una volta quella mano
fredda, ghiacciata, ch'egli teneva stretta fra le sue, si ritirò
inchinandosi profondamente, e lasciò sola Maria, volendo rispettare
quel momento tanto solenne e grave per il cuore di una madre.

Maria, rimasta sola, strinse la fronte come per riordinare le idee, e
il cuore, quasi per ispremerne l'affanno. Oh! l'ideale ritornava
bello, alto, puro; ma ritornava tale mentre le chiedeva la mano di sua
figlia.

Povera donna!... Povera donna!--Che cosa avrebbe fatto?--Suo primo
pensiero fu quello di rispondere al Della Valle con un rifiuto; ma
quale ragione, quale pretesto avrebbe potuto adoperare?

Ogni madre sarebbe stata lieta ed orgogliosa di concedere in isposa la
propria figlia al conte Della Valle... e lei no? Perchè?... perchè
essa lo amava? perchè il Della Valle era il suo amore segreto? Ma ciò
essa non poteva, non doveva dirlo ad alcuno! E così, colpevole come
donna, colpevole come moglie, si sarebbe fatta colpevole anche come
madre, sacrificando a quel suo amore, l'avvenire e la felicità della
propria figlia?--Combatti, combatti sempre--le aveva detto don
Gregorio, e allora la tua passione non sarà una colpa ma un esempio.

Combattere? ma chi gliene avrebbe data la forza? Fuggirlo, non vederlo
mai più, soffocare l'amor suo, soffocando anche il proprio cuore,
uccidendosi a poco a poco, questo avrebbe potuto fare; ma dare in
isposa la propria figliuola all'uomo ch'ella stessa amava, che adorava
in segreto, oh era troppo pretendere da lei, e davanti a quel
sacrificio enorme, mostruoso, il suo cuore, la sua mente, il suo
sangue, tutta lei si ribellava e aveva diritto di ribellarsi; ma come
fare?... come fare?

E così, povera donna, il rimorso, l'amore, mille dubbi angosciosi
l'agitavano, la torturavano con assalti nuovi e spietati! Oh! s'ella
avesse potuto morire in quel giorno!... Ma a poco a poco, dopo qualche
ora di strazio, ritornò la pace al suo spirito. Riflettendoci bene,
pensò che Prospero non avrebbe acconsentito a quelle nozze; no, no,
certamente. Egli non avrebbe mai concessa la mano di Lalla al suo
fiero avversario, al suo competitore, al suo vincitore; e Maria,
affidandosi a quel soccorso insperato, volle subito uscire da ogni
incertezza, fece chiamare il marito, e superando a stento la propria
commozione, gli espose la inaspettata domanda del conte Della Valle.

--E tu, cara, tu che cosa gli hai risposto?...

--Io?... nulla; ma credevo, temevo che... che tu...

--Credevi... temevi... per il sì, o per il no?...--e il duca Prospero
disse queste semplici parole sorridendo bonariamente; ma le accompagnò
con un accento singolarissimo e con una finezza così ironica che
volevano alludere segnatamente al di lei amore per Giorgio, ch'ella
tanti anni prima gli aveva confessato.

--Certamente--soggiunse Maria che non tremava più, fatta sicura da un
impeto subitaneo di rivolta;--certamente, questo matrimonio sarebbe
convenientissimo per ogni verso: ma dubito assai che vi possa essere
qualche serio ostacolo per la disparità delle vostre idee e delle
vostre opinioni, e, francamente, per la reciproca antipatia che ho
sempre notata fra voi due.

--L'antipatia, cara, è una sensazione, più che un sentimento, e si
modifica a seconda dei casi. Il Della Valle, per esempio, che mi era
antipaticissimo come uomo politico, sotto il nuovo aspetto di genero
non lo vedrei punto di mal occhio. Se le nostre idee sono agli
antipodi, che cosa importa? Tutte le convinzioni vanno rispettate
quando sono sincere. Bisogna essere tolleranti a questo mondo, e
mostrandosi tale si guadagna un tanto anche nella pubblica
estimazione. E poi... e poi i tempi si fanno difficili; la marea
cresce, cresce ad ogni ora, spaventosamente; e se la Monarchia, a
forza di democratizzarsi, andrà a gambe levate, quel giorno, credilo,
cara, l'aver in casa un po' di repubblica, sarà una gran fortuna.
Sicuro che se tu non dividi queste mie vedute, se tu per ragioni
particolari, ch'io rispetterò sempre, non vuoi consentire con me...

--Io sono d'accordo, pienamente.

--E allora, meglio così; e facciamo buon viso a questo... genero,
inviatoci dalla Provvidenza.

E intanto pensava tra sè:--È pienamente d'accordo, dunque non lo ama,
e non lo ha amato mai!

Ma la sicurezza, la tranquillità di Maria, provenivano da una nuova
speranza che le era balenata: fra Lalla e Giorgio c'era troppo
differenza d'indole, di gusti di temperamento e di età; Lalla non
avrebbe potuto innamorarsi d'un uomo serio, d'un filosofo come il
Della Valle, e che aveva quasi vent'anni più di lei: e se sua figlia
avesse sentito di non poter esser felice con lui, allora Maria avrebbe
avuto non il diritto solamente, ma anche il dovere di salvare la
propria creatura.

--Tutto sta bene--disse Maria in forma di conclusione al marito,--ma
si deve interrogare Lalla in proposito. Capirai, in questo caso, la
sua volontà deve essere legge per noi.

--Sicuro, sicuro; la sua volontà prima di tutto: quantunque ella non
dovrebbe avere una volontà diversa dalla nostra. Sicuro, bisognerà
interrogarla. Tu per altro, se la trovi titubante, cerca, s'intende
per il suo bene, di persuaderla. Deve essere contenta lei, prima di
tutto, questo sì; ma noi abbiamo il dovere di pensare alla sua vera
felicità. Io la mando qui subito; se accetta è una grande consolazione
per me, se... se volesse rifiutare, ribatti, insisti, ma sempre colle
buone, e se non ci riuscirai... mi ci proverò un pochino anch'io.

Prospero Anatolio uscì gongolante dalla camera della moglie, corse giù
dalle scale, con un'agilità da giovanotto, e andò in cerca della
figliuola.

Quel matrimonio gli accomodava moltissimo. Gli ritornava la popolarità
a Borghignano, gli apriva le porte del Senato, temperando le tinte del
suo colore politico, gli assicurava la quiete, la tranquillità negli
sconvolgimenti dell'avvenire, e finalmente acquietava, completamente e
per sempre, il suo cuore e la sua vanità di marito.

Lalla non gli era stata mai tanto cara, e quando la ebbe raggiunta,
l'abbracciò più volte, coprendola di carezze e di moine.

--Hai pregato il Signore? Lo hai pregato proprio col cuore?

--Sì, babbo; per te e per la mamma.

--Ebbene, la tua mamma ti aspetta; ha da parlarti di cose molto serie,
molto importanti. Va, corri da lei, e ricordati che una buona
figliuola non deve avere altra volontà tranne quella dei suoi
genitori, che le vogliono bene, e che si sacrificherebbero anche, pur
di vederla felice... ad ogni costo.

Lalla, alle prime parole, aveva capito tutto; ma finse, si intende, di
non capire nulla, e corse dalla mamma.

Come Maria l'aspettava, può immaginarlo soltanto chi ha molto amato e
molto sofferto; la risposta di Lalla voleva dire la sua felicità,
voleva dire la sua vita...

Maria le parlò tremando, impallidendo, con le labbra secche, con gli
occhi arsi, ma senza una lacrima.

Invece Lalla l'ascoltò sino alla fine, poi si gettò fra le sue braccia
piangendo e abbassando la vaga testolina, con una verecondia piena di
grazia infantile.

Maria era perduta.

Intanto Prospero Anatolio che aveva speso bene il suo tempo origliando
alla porta, per regolarsi secondo gli eventi, entrò sorridente, beato.
Lalla sorrise anche al babbo fra le lacrimucce, e, come si era prima
gettata nelle braccia della mamma, così adesso corse a nascondersi in
quelle del _suo caro papparino_, con gli stessi attucci pieni di
verecondia e di gioia.



XX.


L'itinerario già stabilito dal duca non fu perciò punto modificato, e
i d'Eleda partirono il giorno dopo per Borghignano. Non parve neppur
conveniente che Giorgio li seguisse subito subito; egli avrebbe dunque
aspettato un'altra settimana prima di raggiungerli.

Quei pochi giorni di tregua erano più che necessari a Maria. Trovare
la calma, la pace, ella non poteva sperarlo, ma almeno, così, un po'
di tempo lo avrebbe avuto per raccogliersi in sè stessa, e rinvenire
da quel colpo terribile, come chi, preso da capogiro, sente il bisogno
di fermarsi, di chiudere gli occhi e di riposare.

Nel lunghissimo viaggio, la nobile famiglia non fece molti discorsi.
Maria... si capisce; Lalla pensava al rumore che leverebbe la nuova di
quelle nozze, e al dispetto della Giulia; Prospero Anatolio meditava
il suo primo discorso in Senato, mentre l'agitata miss Dill,
coll'emicrania, si rodeva per non poter sapere che cosa avrebbero
fatto di lei dopo il matrimonio della sua scolarina. L'avrebbero
tenuta in casa ugualmente alle condizioni di prima? la lascerebbero in
libertà, con un assegno vitalizio? oppure la pianterebbero in mezzo
alla strada? Perchè, con quegli egoisti, c'era tutto da aspettarsi!...
Intanto sperava di trovare a Borghignano una lettera di don Vincenzo,
al quale aveva già scritto, per consigliarsi, appena scoppiata la
bomba.

Al loro arrivo trovarono la casa piena di parenti e di amici, e
cominciarono le congratulazioni.

Un telegramma di Prospero Anatolio spedito da Pegli al conte
Eriprando, aveva già divulgata la lieta novella, e dalla Curia
Vescovile al gran _Caffè di Borghignano_, tutti la ripetevano l'uno
all'altro, come l'avvenimento più importante della giornata.

Ogni parola, ogni complimento di quella gente vuota e pettegola era
una stretta dolorosa per il cuore di Maria. Tutti erano infuriati a
lodare la coppia bene assortita e ad enumerare con gli entusiasmi di
occasione le gran belle doti del promesso sposo.

--Se dura la _Sinistra_ al potere, in una prossima _ricomposizione_ lo
vediamo ministro, o per lo meno segretario generale--profetava
solennemente uno dei suoi grandi elettori.

--Non è più un giovinetto, ma è sempre il gran bell'uomo--esclamavano
le signore.

--Oh, quella santerella non è stata certa di cattivo gusto!

--Fortunata lei!

--E fortunato lui!--saltò su a dire un'altra amica che si teneva
stretta al braccio della duchessa.--Se il Della Valle avrà una sposina
simpatica, lasciatemelo dire, avrà pure anche la gran bella
mammina!...

--Fra un annetto--terminò ridendo con amabile malizia, il medico di
casa--avremo una nonna che potrà dare dei punti all'invidia ed alla
gelosia di molte nipoti.

--Oh, sì; sì certo!--E così, continuamente, accanitamente, senza
tregua, senza remissione, Maria era perseguitata, torturata,
angosciata. Alla lunga non ci potè più resistere, e Prospero Anatolio,
vedendola pallida con gli occhi incavati e le labbra arse dalla
febbre, le domandava ogni poco se si sentiva male; ma poi cambiava
subito discorso, contentato dalla prima risposta negativa, e
soddisfatto in tal modo di non essere costretto a impensierirsene.

Quanto più grande era il coraggio di Maria, quanto più grande era lo
sforzo col quale riusciva a dissimulare con tutti, anche con sua
figlia, anzi più di tutti con lei, lo spasimo interno che la
struggeva, tanto più forte era la scossa che il suo fisico ne doveva
risentire. Anche l'arrivo improvviso di Giorgio, che anticipò di
ventiquattr'ore il ritorno, fu cagione per la poveretta di angoscie
nuove e inaspettate. Erano tutti raccolti nel salotto: Lalla al
pianoforte, provava un _notturno_ delicatissimo di Chopin quando, d'un
tratto, la soneria del portone fece trasalire la poveretta... e un
momento dopo, entrava, appena annunziato, il conte Della Valle.

Egli sembrava un po' titubante per quella leggera infrazione al
prescritto; e--mi perdonate?--domandò inchinandosi e salutando, mentre
sentiva dentro di sè che Lalla era lì, presente. Eppure non aveva
avuto il coraggio di voltarsi, di guardarla! La fanciulla arrossì...
senza muoversi, miss Dill rimase dura, impettita, e il solo Prospero
Anatolio festeggiò il nuovo arrivato saltandogli al collo, e
abbracciandolo con enfatica tenerezza.

Poco dopo il Della Valle (che era riuscito per miracolo a schivare una
discussione sul _macinato_), seduto accanto alla sua Lalla, tanto per
avere un pretesto di restarle vicino, le voltava le pagine della
musica. Ma quelle pagine, adesso, avevano una strana difficoltà nel
piegarsi; le interruzioni si succedevano più lunghe e più frequenti,
finchè la musica tacque, o per dir meglio cambiò di tono, e si mutò in
un chiacchierìo sommesso intimo, affettuosissimo, non meno armonioso e
molto più soave per quei due che si volevano bene. Venne il thè... e
Lalla dovette alzarsi a servirlo lei. Giorgio voleva aiutarla, ma le
offriva il cucchiaino quando occorrevano le mollette, e le mollette
invece del cucchiaino.

Lalla, dopo servito anche il babbo, portò il thè al fidanzato--era un
pensiero amabile, col quale voleva dire che per lei, egli era già
della famiglia--e Maria notò che nel prendere la tazza, Giorgio
strinse delicatamente la punta dei bei ditini affusolati della
fanciulla, così che la tazza rimase sospesa fra quelle due mani; notò
uno sguardo, lungo, tenerissimo, ricambiato; e quando Lalla dovette
pure allontanarsi, Maria vide lui fatto più pallido per la cara
voluttà di quel muto colloquio.

Dopo il thè non c'erano più altre scuse per Giorgio; bisognava andar
via. Però egli fece e rifece i saluti lentamente, senza mai risolversi
a infilar l'uscio; cercando tutti i pretesti per riattaccar discorso
con l'uno o con l'altro, pur di fermarsi un po' ancora. Fu lui; questa
volta a tirar in ballo il _macinato_, e per mezz'ora lì, ritto in
piedi, attento, senza interrompere, ascoltò il discorso politico di
Prospero Anatolio, con una pazienza di cui Lalla gli mostrava cogli
occhi quanto gliene fosse riconoscente. Nemmeno Prospero fu ingrato, e
lo invitò a pranzo per l'indomani; ma i due fidanzati avevano una
quantità di disegni e Giorgio aveva già trovato un pretesto per
_dover_ venire a casa d'Eleda anche nella mattinata. Adesso, per
altro, bisognava andar via: anche Prospero era esaurito. Volle provare
con miss Dill, e le buttò un motto sopra l'Irlanda, ma l'istitutrice,
che fingeva aver più sonno del vero per fargli dispetto, lo guardò
dietro il _pince-nez_, co' suoi occhi pelati, in modo tale da
disingannarlo, caso mai egli avesse potuto sperare di trovarsi
un'alleata. Bisognava andarsene; bisognava andar via.

Il salottino era attiguo ad una specie di _galleria_ lunghissima, che
da una grande invetriata metteva capo allo scalone. D'estate, aperto
l'uscio, si respirava dalla galleria un'arietta fresca,
deliziosissima. Giorgio se ne andava lentamente... Lo si vedeva
ancora, nel buio, e si sentivano i suoi passi battere scricchiolando
sul pavimento, quando Lalla, accortasi ch'egli si era dimenticata non
so che noticina per certe sue commissioncelle, gli corse dietro
chiamandolo e rimproverandolo scherzosamente. L'altro si fermò sul
pianerottolo dello scalone, poi tornò indietro. Allora Prospero
Anatolio, che dal salotto li vedeva bene, fe' cenno a Maria che si
avvicinasse anche lei per guardarli. I fidanzati si credevano soli; si
erano presa la mano, si parlavano vicinissimi, finchè Giorgio
lentamente baciò i capelli della fanciulla. Prospero ridendo tossì e
Giorgio scomparve.

--E pensare--esclamò il duca rivolto alla moglie,--e pensare che tu,
un giorno, avevi voluto farmi geloso di lui!... Di nostro figlio!...

Lalla poteva chiamarsi felice. Non aveva più nulla a desiderare, era
amata da chi voleva essere amata; la sua vanità era soddisfatta, come
lo era il suo cuore, che credeva allora di amare e di amare sul serio.
Ma, un bel giorno, mentre meno lei se lo aspettava, l'azzurro sereno
di quella dolcissima pace fu intorbidito da un caso impreveduto.

La notizia delle nozze illustri era ormai giunta fino a Venezia, e
capitata proprio all'orecchio di Frascolini quando il famoso cugino
aveva appena alzato il tacco in cerca d'altri lidi, lasciando ai
creditori la cassa vuota e la bottega chiusa. Sandro non voleva dar
quella nuova alla sua Lalla, altrettanto divina quanto crudele; e
ormai apertamente in rotta col babbo, non sapeva più a qual santo
votarsi per far fortuna. Colla sua voce avrebbe potuto tentare il
teatro, e quell'idea lo seduceva assai, ma una volta _tenore_
bisognava rassegnarsi a perdere Lalla per sempre, e il nostro
giovanotto era più che mai innamorato, quantunque si sforzasse per
credere di non esserlo più. Anzi, senza saperlo, difendeva Lalla in
cuor suo; e quando egli riusciva a trovare una buona scusa per la
signorina si sentiva meno infelice. Col pensiero era sempre là:
imprecava contro Lalla, giurava di vendicarsi, di odiarla come odiava
tutto il mondo; ma, mentre era vero, pur troppo, che lui cominciava ad
odiare e il mondo e i galantuomini, amava Lalla sempre di più, e con
frenesìa sempre maggiore. Soltanto quando sentì la notizia del
matrimonio, soltanto allora, diventò cattivo davvero. Tutte le
passioni gli si scatenarono nell'anima. L'odio, la gelosia, l'amore,
quanto egli aveva sperato e sofferto, poi l'abbandono, quel disprezzo
noncurante e spietato, l'acre voluttà goduta, e sempre irritata dai
vivi ricordi, tutto ciò lo avrebbero trascinato, spinto a qualunque
eccesso.

Partì subito da Venezia, e senza un pensiero pel grave scandalo che ne
poteva nascere, non appena smontò a Borghignano, si avviò difilato al
palazzo d'Eleda.

La Nena fu la prima che lo vide. Stirava su nella guardaroba; e la sua
emozione fu così forte da scottarsi le dita col ferro caldo.

--Maria Vergine!--esclamò, il signor Alessandro!--e non seppe dir
altro. Ma l'emozione, il turbamento della povera ragazza non furono
nemmeno avvertiti dal giovinetto che, a sbalordirla ancor di più, le
domandò senza preamboli;--La signorina, dov'è?

--La duchessina?... è giù, in sala, colla signora duchessa e il signor
conte Della Valle. Non si può vederla per ora.

A queste parole Sandro urlò una bestemmia, battendo il pugno sulla
tavola: il colpo rimase attutito dallo stiratoio di lana; ma i ferri
sobbalzarono così fortemente come il cuore della Nena. Il Frascolini
le si avvicinò, le prese un braccio stringendoglielo in modo da
lasciarle il livido, e--andate subito da lei,--le intimò fissandola di
traverso--andate subito da lei, non importa fosse anche col Padre
Eterno, e ditele che io... io, Alessandro, quello di Santo Fiore, sono
qui che l'aspetto, perchè voglio dirle quattro parole e che, per Dio,
non mi muovo di qui se prima non gliele ho dette.

La Nena uscì sbigottita. Non sapeva più se era desta o se sognava, se
Frascolini era sano o ammattito; ma qualche cosa di vago, di
indistinto, le stringeva il cuore e le facea intravedere d'essersi
illusa quando avea creduto che quel ragazzo pensasse a lei, e le
volesse bene davvero. Per altro aveva ancora la testa a segno, e
invece di scendere dalla signorina, come voleva Sandro, corse
affannata a riferir la cosa a miss Dill, la quale era appunto in
camera sua, almanaccando senza far nulla col solito _crochet_ fra le
mani.

Appena inteso di che si trattava, la miss si tolse le lenti e sgranò
gli occhi per veder in faccia la Nena.

--Venga, venga subito con me.

L'istitutrice si alzò senza fiatare. Altro che pensione, altro che
rendita vitalizia!... Se si scopriva quell'amoretto, era spacciata! E
corse da Sandrino per calmarlo.

--Non ascolto nulla, sono irremovibile. Voglia vederla, voglio vederla
sul momento; ha capito?...

--Non si può, subito, non si può. Siate ragionevole, via, non le fate
del male.

--Ci ha pensato lei, prima, se ne faceva a me, del male?

--Siate ragionevole, siate umano: se non volete per noi, siatelo
almeno per la signorina!--La miss, a questo punto, aveva presa una
mano del giovinotto e la stringeva fortemente, mentre gli occhi le si
facevano loschi per la tenerezza.

--Oh, in quanto a lei, signora, mi commove poco anche lei. Ricordo,
sa, ricordo bene tutte le sue cattiverie!... Io le inghiottivo per
amor di quell'altra!... Ma la cuccagna è finita!--Stia ferma!--Non mi
commove, le dico, non sono don Vincenzo!... Chiami subito la
signorina.

Il nome di don Vincenzo, buttato lì quasi a casaccio, fece molto effetto
sulla povera miss. Non fiatò più, abbandonò la mano del giovanotto e
rinunciò ad ogni altro tentativo di seduzione.--Conducetelo nella mia
camera,--ordinò alla Nena,--e aspettateci là.

--Ditele che ho fretta--insisteva il Frascolini--che non ho tempo da
perdere, che se non viene lei da me, anderò io da lei, perchè è finita
la cuccagna dei signori!... la legge è uguale per tutti!

.... Giù, nel salotto, non c'era sintomo alcuno, foriero dell'uragano
che si addensava minaccioso nel piano superiore; e quando miss Dill
entrò non vi si udivano che le voci sommesse dei due fidanzati seduti,
quasi nascosti, nel vano di una finestra. Discutevano scherzosamente
sulle gradazioni dei colori vivaci delle varie lane che Lalla
adoperava per un suo lavoro che stava allora tessendo, mentre Maria,
nell'angolo di una finestra, rincantucciata nella sua poltrona con uno
scialle buttato sulle spalle, perchè si sentiva intorno un po' di
febbretta, leggicchiava la _Revue des Deux Mondes_.

Là dentro spirava la calma e la pace: il sole vi penetrava appena,
timidamente, dagli spessi cortinaggi, e i sensi erano ricreati da
un'auretta molle, soavemente profumata, dai fiori freschi e
delicatissimi, disposti con dovizioso disordine un po' dappertutto.

Giorgio, appena entrata miss Dill, si alzò per stringerle la mano,
domandandole conto della sua salute.

--Come al solito, molto _poco bene_.--L'istitutrice approfittò di quel
momento nel quale il Della Valle si era allontanato da Lalla, e
chinandosi sul piccolo telaio della fanciulla, e fingendo di esaminare
il ricamo, le disse sottovoce:--È arrivato il Frascolini.

--Dov'è?--chiese Lalla fattasi un po' pallida, ma senza scomporsi.

--È su, in camera mia; c'è la Nena di guardia.

--Vengo subito.

La miss prese un uncinetto dal cestino della signorina, e ritornò in
fretta dal filodrammatico per tenerlo d'occhio.

Lalla fece ancora qualche punto del suo ricamo, poi si alzò adagino e
si mosse per uscire.

--Dove vai?--le domandò Maria vivamente.

--Vado di là, a prendere un po' di lana azzurra.

--È inutile adesso; andrai più tardi.

--Oh! bella,--esclamò Lalla sorridendo,--si direbbe quasi che ti
secca, che hai paura, che non vuoi restar sola con Giorgio! Vado e
torno.--Ed uscì.

Fece le scale adagio adagio; esitando ad ogni passo con un grande
stringimento al cuore, non tanto per il timore, quanto per la
ripugnanza, l'avversione ch'ella sentiva adesso di Sandro, perchè la
incomodava, perchè l'angustiava proprio sul più bello della sua
tranquilla felicità. Però, a mano a mano ch'ella si avvicinava a
quell'incontro così scabroso, lo stringimento del cuore diventava
sgomento e allora l'avversione, la ripugnanza si mutavano in odio. Nel
corridoio incontrò ancora miss Dill e ve la lasciò di guardia. La
Nena, appena ritornata l'istitutrice, era corsa via.

--E così... che cosa volete?...--disse la duchessina ad Alessandro,
appena entrata in camera, aprendo lei il foco, subito, con alterezza
stizzosa.

--Che cosa voglio?--esclamò l'altro: e vedendola così fresca e
piacente nel vestitino succinto di mussolina bianca, sentì una scossa,
come un fiotto di sangue caldo al cervello.--Che cosa voglio? Te,
voglio, che lo hai giurato, che sei mia!

--Sua?... Da quando in qua, signor Frascolini?... Sandro si sentì
pungere sul vivo e:--Meno arie, signora duchessina--le rispose un po'
sogghignando.--Ho buona memoria io, e sono qui apposta per provarlo a
lei e a tutti.

Gli occhi, di solito così affettuosi, così soavemente timidi della
fanciulla, ebbero a questo punto come un bagliore sinistro:
diventarono foschi e torti, sotto le ciglia aggrottate; ma fu un
lampo, e tutta l'espressione del suo volto si rifece dolcissima quando
ella domandò al giovinotto:

--Mi vuol perdere dunque?... E perchè?... Che cosa le ho fatto di
male?

--Che cosa mi ha fatto!--esclamò Sandro incrociando le braccia e
parlando con voce bassa e tremante.--Che cosa mi ha fatto? mi ha
ingannato, deriso, respinto, mi ha tradito. Si è fatta giuoco di me e
del mio amore; mi ha messo in urto colla mia famiglia, in collera coi
miei amici, mi ha fatto prendere in odio da tutti. Ero felice e mi ha
avvelenata la vita; ero stimato e non sono più che un miserabile... e
mi domanda freddamente, sorridendo, _che cosa mi ha fatto di
male?!_... Ma, in nome di Dio, tanto male mi ha fatto, tanto male, che
avrei ragione di strozzarla colle mie mani!...

E le lacrime gli rigavano calde calde le guance; le lacrime che gli
uscivano proprio dal cuore, e per una parola, una parola sola di
quella creatura esile, bionda, vaghissima che gli stava, ritta
dinanzi, il povero innamorato avrebbe data la vita senza esitazione e
senza rimpianto.

--Tanto male le ho fatto?... Io che non so di aver avuto nessun altro
torto tranne quello forse di essere stata troppo debole... troppa
buona con lei?...

--No, la sua non era bontà, era capriccio, era cattiveria! Lei ha
voluto scherzare con me dimenticandosi che anch'io, quantunque povero,
avevo un cuore che sarebbe stato spezzato; un cuore... plebeo, ma che
perciò non avrebbe sofferto meno profondamente, e meno dolorosamente!

--Lei, signor Alessandro, si è un po' illuso, ecco, ma io non ne ho
colpa!

A queste parole il Frascolini perdette il lume degli occhi, non sentì
più ritegno e gettò in faccia alla signorina tutte le contumelie le
più atroci che gli corsero alle labbra. Era così forte, così furibonda
quella collera, che Lalla impallidì tremando, non per lo sdegno, nè
per la collera, ma più che altro per la paura.

--Maledetta, maledetta!... Ha il coraggio di venirmi a dire che sono
stato io a illudermi!...--Io mi sono illuso!--Fosti tu a sedurmi, ad
attirarmi, a circondarmi, a prendermi a poco a poco nelle tue reti,
con ogni astuzia, con ogni lusinga, con ogni inganno! Tu sei venuta a
cercarmi, tu mi hai voluto, tu, più corrotta nella tua fredda e
sapiente verginità delle donnaccie da trivio, mi facesti sentire tutti
gli spasimi, mi facesti godere tutti i piaceri della voluttà, e adesso
hai il coraggio di contare a me, (a me di venirlo a contare!) che mi
sono illuso!... Ma dimmi, non ricordi più quando ti strisciavi addosso
a me, come un serpente?... Non ti ricordi più in qual modo mi hai
baciato l'ultima sera a Santo Fiore?!... Hai proprio dimenticato
tutto?!... Ma guarda, guarda, lo vedi questo anello?--e così dicendo
le indicava un anello che Lalla aveva in dito,--ebbene, sono stato io
che te l'ha dato, e allora, nel prenderlo, mi avevi promesso
piangendo,--sì, piangevi falsa, bugiarda, piangevi!--mi avevi giurato
che non saresti stata d'altri, che saresti stata mia, mia solamente.

Sandro aveva ragione. L'anello che Lalla teneva in dito era il suo, la
turchina colle rose d'Olanda; lei però non ci pensava ormai più da che
parte le era venuto; lo portava sempre perchè le piaceva, perchè era
molto carino.

--Maledetta, maledetta!--continuava a urlare il Frascolini fra i
singhiozzi; e Lalla, sempre più spaventata, scongiurava quel matto a
non gridare, a non far nascere uno scandalo.

--Voglio gridare! Sì!... Voglio fare uno scandalo! Sei un'infame!

--Non gridi tanto, la prego, la supplico! parli più piano per amor del
cielo!

--Voglio farmi sentire; voglio vendicarmi, voglio farmi sentire da
tutti, e poi... e poi quell'altro lo ammazzerò! Il Medio Evo è finito!
Un cane di nobile non vale adesso più d'un altro cristiano!

--Pietà di me!... lei mi fa morire! pietà... un po' di pietà!...

--No, no e no! È stata una perfidia troppo grande. Mentre laggiù, a
Venezia, chiuso in uno stambugio senz'aria e senza luce, mi logoravo
la vita, tu, soddisfatto il tuo capriccio, mi schernivi, e facendo la
civetta, la sguaiata coi nobilucci leccati e profumati, preparavi il
tuo bel matrimonio!... Maledetta!--E il Frascolini gridava sempre più
forte, voleva uscire, voleva scendere da _quell'altro_,
schiaffeggiarlo, vendicarsi. Lalla era tanto spaventata dal pericolo
serio che correva, da non rilevare nemmeno tutti quegli insulti. Si
era lasciata andare in un dirotto pianto, e, buttatasi ginocchioni fra
Sandro e l'uscita, lo supplicava di chetarsi, di perdonarle,
stringendogli le ginocchia, baciandogli e coprendogli di lacrime le
mani rozze e callose. Ma lui non sentiva pietà, non voleva saperne di
misericordia.--Bisognava finirla con tutte le sue commedie, con tutte
le sue falsità; non avrebbe più potuto ingannare nessuno!... Tutti
dovevano sapere che cos'era di buono!... Tutti!

--Alessandro, Alessandro mio, un po' di compassione, non le domando
altro che un po' di compassione!

--No... Nessuna compassione! Voglio scendere, voglio vedere il tuo
amante, voglio dirgli chi sei!

--Dio, Dio, ma se non... se non l'amo, se non posso amarlo, te lo
giuro!

--Menti. Sei bugiarda.

--No. È mio padre che vuole, non io, è mio padre! Quanto non avevano
potuto ottenere nè il pianto, nè le smanie della fanciulla,
l'ottennero invece queste semplici parole. Sandro si calmò subito,
come per incanto; e abbassando la voce, prendendole un braccio, e
stringendolo fortemente:--E allora, tu, perchè lo sposi?--le domandò
fissandola cogli occhi foschi.

Lalla respirò: capiva che aveva vinto finalmente, e che ormai aveva
poco da temere.

--Lo sposo perchè mio padre lo vuole; lo sposo dopo aver sofferto in
questi due mesi quanto di più orribile si può soffrire al mondo. Oh,
Alessandro, lei non può capire... non conosce mio padre, lei!... Non
mangiavo più, non uscivo più, non facevo altro che piangere; mio padre
rimaneva inflessibile, minacciandomi che se non mi piegavo alla sua
volontà mi avrebbe condotta nel Belgio e rinchiusa, per sempre, in un
monastero. Allora, istupidita dal dolore e dalle privazioni, ho ceduto
e--Alessandro non saprà mai quello che si agita nel mio cuore--ho
detto a me stessa,--ma almeno... qualche volta potrò ancora vederlo.

--Se mi hanno detto che lo ami, che tu facevi l'amore anche a Pegli
col conte Della Valle?

--La gente lo avrà creduto; ma, se sia vero o no quanto le ho detto,
ne domandi conto alla Nena e alla miss!

Sandrino anche in quelle parole sentiva correre la bugia, ma era una
bugia così cara per lui, che egli non ebbe più coraggio di opporsi e
di smascherarla. Invece, stanco, abbattuto, vi si abbandonò anima e
cuore, come a un conforto, come alla sua ultima speranza.

Successe un lungo silenzio fra i due giovani. Sandro fissava la
signorina ostinatamente, cogli occhi torvi, pallido, e col respiro
greve, affannoso.

Lalla, ritta in piedi, giuocherellando colla catenella dell'orologio
fra le dita tremanti, di tanto in tanto alzava la testolina, lo
guardava dolcemente con un leggero tremito delle labbra, con
un'espressione indefinibile, piena di affetto e d'indulgenti
rimproveri, e poi, subito, la riabbassava intimidita.

Sandro, vinto, tremando a sua volta, le si avvicinò.

--Dunque... me lo giuri?... Dopo potrò... potrò ancora vederti?

Ci fu un altro sguardo della fanciulla, tenero, lungo, timidissimo,
che terminò con un--sì--quasi impercettibile, che era tutto una
carezza.

--Ebbene... ricordati, ricordati che se m'inganni anche questa volta,
guai!... guai!...--Ma l'intonazione di questi due--guai--pronunciati
dal giovanotto non era la stessa, perchè la seconda volta Sandro,
presa Lalla d'improvviso fra le braccia, finì quel secondo--guai!--con
un bacio ch'egli le stampò sulla bocca e nel quale c'era dentro
l'amore, la collera, la gelosia, l'anima e le passioni tutte del
povero innamorato. Lalla purchè egli se ne andasse in pace, purchè non
la compromettesse col suo furore insensato, non si oppose che
debolissimamente; e allora si sentì addosso una furia di baci che
parevano morsi, sul collo, sui capelli, sugli occhi, sulle guance,
sulle vesti, dappertutto. Sandro, inebriato e irritato, non più
pallido, ma acceso in volto, con strette febbrili brancicò pazzamente
quel corpicciuolo tanto bramato, finchè, intimidito, vinto da uno
sguardo, da un muto rimprovero della fanciulla, ch'era una
eloquentissima supplica di rispettarla, fatta ancor più efficace dal
suo rassegnato abbandono, la strinse un'ultima volta al petto, così
forte da farle male, una ultima volta le soffocò la bocca colla sua,
lungamente, rabbiosamente, e poi superata la tentazione da cui era
dominato, gettò lungi da sè quella creatura fatale, uscì ratto dalla
camera e fatte le scale d'un salto corse via dal palazzo d'Eleda e,
ben presto, anche da Borghignano.

Appena uscito Sandro, Lalla si rialzò, libera finalmente, e lo seguì
con gli occhi scintillanti, pallida, tremante di sdegno e di odio,
perchè adesso la paura era cessata. Si asciugò dispettosamente, col
palmo della mano, la bocca ancora umida dei baci di lui, che le
facevano schifo, e colla gola strozzata, colla voce sorda, ma con un
desiderio cocente di vederlo cader fulminato, gli gridò
dietro:--Villano, villano!...--Poi, siccome non c'era tempo da
perdere, senza spiegarsi punto colla miss che la guardava stralunata,
corse nella sua cameretta, si bagnò, si lavò gli occhi per bene con
dell'acqua freschissima per levarne il rossore, si aggiustò l'abitino
sgualcito, sciupato, si ravviò i capelli, rifece il fiocco della
cravatta, ringraziò in fretta il buon Dio per il pericolo sfuggito, e
presa la lana merinos, ch'era stata il pretesto della sua scappata,
discese e rientrò quietamente nel salotto. Sulla porta incontrò il
Della Valle che ne usciva allora, in cerca di lei.

--Un po' di pazienza, signor conte!--gli disse Lalla, sorridendo con
molta grazia.--Un po' di pazienza!...

--Via non mi sgridi... Un'altra volta l'aspetterò senza fiatare. Così
sarà contenta, _lei_?--e Giorgio segnò appunto quel _lei_, che era
stato uno scherzo della fanciulla.

--Come, non c'è la mamma?

--È uscita quasi subito... Si direbbe che ha paura a star sola con me!

--Che fortuna--pensava intanto Lalla in cuor suo--che alla mamma non
sia venuto in mente di correre a cercarmi!

Erano soli nel salotto, cosa che accadeva loro di rado. Lalla aveva
preso un fiore dalla cesta di mezzo al tavolo e in punta di piedi si
sforzava per aggiustarlo nell'occhiello dell'abito di Giorgio,
arrabbiandosi con attucci piacevoli, perchè non ci riusciva. Giorgio,
innamorato più che mai, aveva circondato con un braccio il bel vitino
della fanciulla e parlandole fra i capelli, le domandò la grazia di un
bacio.

Lalla non rispose, ma rialzò quel suo visetto così fine dove si
scorgeva adesso un amabile sorriso far capolino di sotto ad una comica
serietà, e facendosi un po' indietro colla persona, alzò le manine e
gliele porse tutte due unite sulle labbra, con un garbo che voleva
dire:--Ti fo grazia delle mie mani, baciale pure, ma ricordati bene
che chi comanda sono io!--Il Della Valle, uno dopo l'altro baciò
allora quei dieci ditini bianchi, dalle unghie rosee di madreperla, ma
poi, vedendola ancora sopra pensiero:--Scommetto--le disse--che
indovino a cosa tu pensi in questo momento.

--Davvero?--e Lalla sorrise di quella ingenua pretesa.

--Tu pensi a tutto il gran bene che io ti voglio.

--Oh, no!... niente affatto!

--Tu menti... e menti senza arrossire!

Lalla glielo lasciò credere volentieri: ma non mentiva.--Che
fortuna--pensava ancora la duchessina fra sè--che alla mamma non sia
venuto in mente di correre a cercarmi!



XXI.


L'ultimo mese, prima del matrimonio, lo passarono tutti uniti a Santo
Fiore, dove si era fissato di celebrare le nozze, per isfuggire ai
pettegolezzi ed alle noie di Borghignano.

Il Della Valle aveva preso in affitto, per quell'autunno, il villino
del marchese di Vharè, i cui affari andavano sempre di male in peggio,
e che adesso da Monte Carlo era passato a Roma per far la corte ad una
celebre contralto dell'Apollo.

In quanto a Lalla, poveretta, appena arrivata in campagna fece un gran
piangere: a Santo Fiore la aspettavano due tombe recenti: quella del
vecchio Ambrogio e quella di _Musette_.

--Già, essa lo aveva preveduto--diceva fra le lacrime,--che _Musette_
sarebbe morta di crepacuore e che bisognava essere ben crudeli per
volerla separare dalla sua padroncina!... Povera _Musette_! tanto
buona, tanto cara, tanto intelligente e...--non ci fu verso, anche
Giorgio dovette mostrarsi malinconico in memoria della cagnetta.

Ma nemmeno Ambrogio fu dimenticato dalla signorina, anzi ordinò a don
Vincenzo un ufficio di gran lusso per suffragare l'anima del vecchio
servo; ma poi capitarono a Santo Fiore la Giulia e Pier Luigi, e Lalla
ebbe in tal modo uno svago benefico.

Anche Maria aveva sperato di ottenere dai nuovi ospiti un po' di
sollievo: era tanto, era profondamente infelice! aveva sempre gli
sposi da sorvegliare; Maria doveva essere sempre fra quei due che si
volevano bene e che non nascondevano il loro amore, nè la loro
felicità; doveva essere testimonio ai loro colloqui, alle loro tenere
carezze.

L'uomo di cui essa era innamorata, lo vedeva farsi sempre più bello e
più nobile sotto l'influenza di un amore, che rendeva lei sciagurata e
Giorgio beato. Maria non cercava e non voleva miss Dill. Quando c'è
una madre, spetta a lei sola quella delicata sorveglianza: era il suo
dovere.

Don Gregorio, vedendola intristire, lui che da tanto tempo leggeva
sicuro nel segreto di quel povero cuore, tentava di confortarla; ma
anche le parole del santo vecchio riescivano inefficaci. Egli
conosceva il male, ma non conosceva chi ne fosse la cagione; e molte
volte, senza saperlo, invece di alleviarlo, lo incrudeliva. Anche miss
Dill le era sempre d'attorno piena di svenevoli tenerezze, di
complimenti, di riguardi; ma incapace di un sentimento vero, con tutte
quelle smancerie false, esagerate, la importunava senza giovarle.

Oh! la miss aveva fatto un cambiamento assai notevole! La scaltra si
era cattivato il favore di Lalla e di Giorgio per ottenere che, morto
Ambrogio, lasciassero lei a Santo Fiore, governante di palazzo, e così
godersi un avvenire tranquillo e sicuro; una grassa _reggenza_, per la
quale avrebbe regnato in perfetta e dolce armonia colla santa Chiesa.

E oltre tener d'occhio i due giovani innamorati, Maria aveva ben altri
incarichi e incombenze che le straziavano l'anima, mentre aveva pure
la forza di mostrarsi sempre tranquilla e impassibile. Doveva pensare
lei al corredo di Lalla, dalla veste candida di raso seminata di fiori
d'arancio, fino alle comode vestaglie della giovine mammina, fino alle
camicie così civettuole e provocanti della notturna toeletta; camicie
finissime, dalle trine e dai ricami trasparenti, con ricchi nastri o
rosa o azzurri, sotto le quali Maria vedeva la sua figliuola bella,
palpitante, abbandonarsi all'uomo che lei stessa le invidiava con una
gelosia tremenda, sentendo nella propria carne che uno solo di quei
baci sarebbe bastato a farla morire di piacere e di amore.

Dovea pensare a tutto, anche al _nido_ dei due colombi, come lo
chiamava scherzosamente Pier Luigi. Doveva pensare agli arredi della
loro camera... alle spesse cortine dell'alcova... ai guanciali colle
guarnizioni di pizzo, alle coltri di seta antica, damascata, agli
stemmi, ai monogrammi delle lenzuola...

Prospero Anatolio non si dava di ciò alcun pensiero, lasciava ogni
cura alla moglie scusandosi col dire che ella era una benedetta donna,
che si sarebbe arrabbiata se lui avesse voluto aiutarla. In verità, il
duca Prospero si seccava assai tutte le volte che doveva incomodarsi
per gli altri; e siccome si divertiva pochino anche a fare il terzo
fra i due fidanzati, così, sulle prime, passava quasi tutto il giorno
a Borghignano dove, piangendo a calde lacrime la morte di Vittorio
Emanuele alla Costituzionale e quella di Pio IX al Vescovado, era
riuscito a farsi nominare dai _liberali moderati_ presidente della
loro _Associazione_ e, finalmente, coll'aiuto della Prefettura e degli
amici del Della Valle, anche sindaco effettivo.

Ma poi, ad onta del pieno trionfo, venuta la contessina di Rocca
Vianarda a Santo Fiore, il duca Prospero cominciò a mostrare molta
predilezione per la campagna.

Le fresche, le rosee esuberanze della Giulia gli facevano girar la
testa, e tanto più che, in quanto alla moglie, adesso che l'aveva
riavuta, gli era tornata indifferente. Sua moglie... non era una
donna, era una statua di ghiaccio!... Ma la _co-contessina_!... Egli
le stava sempre vicino, e con una scusa o coll'altra, le metteva
sempre le mani addosso. Si godeva a sentirla parlare, si divertiva al
suo continuo movimento, e la faccia tonda e scialba del vecchio
diventava accesa, quando lei si buttava a ridere di qualche motto un
po' libero di Pier Luigi, con quel suo riso schietto di fanciulla
sana, che mostrava i bei dentini minuti e bianchi.

Fra quei due vecchi, la Giulia non pativa di soggezione e, per averne
ancor meno, li chiamava appunto i suoi papà. Scherzava, saltava,
faceva il chiasso con loro; si lasciava toccare, si lasciava
stringere, appoggiandosi al loro braccio, buttandosi loro addosso, con
tutto l'abbandono, nel bisogno di espandersi, di sfogare l'esuberanza
della propria vitalità.

Si godevano d'accordo, tutti e tre sempre insieme. Anche Pier Luigi,
che adesso, col matrimonio di Lalla, sapeva bene dove avrebbe potuto
mettere a posto la pupilla, si sentiva più sollevato, ed era sempre di
buon umore. Però avevano risolutamente rifiutato di sorvegliare il
tenero gru-gru degli sposini. Che! C'era la duchessa colla sua aria
grave e severa, creata apposta per far la parte di carabiniere. Essi
non ne volevano sapere.--Non ci trovavano gusto, non ci trovavano--e
meno di tutti la Giulia, che forse ci soffriva anche per un po'
d'invidia. Invece passavano gran parte del giorno e tutta la sera,
chiacchierando fra loro in sala, sul terrazzo, o di fuori, nei lunghi
viali del parco, i due vecchi bambinescamente gelosi l'uno dell'altro,
per le preferenze che la Giulia, scherzando, accordava ora all'uno,
ora all'altro, facendo insieme la partita al domino, voltandole le
pagine della musica, mentre andavano in estasi, quando suonava;
insegnandole, con molta malizia di concetto e di esecuzione, a
giuocare al bigliardo, oppure conducendola sull'altalena in giardino,
che le avevano fatto costrurre appositamente.

La Giulia vi montava su, in piedi, tenendosi ben stretta colle mani
alle corde, mentre Pier Luigi e Prospero Anatolio, l'uno da una parte
e l'altro dall'altra, spingendola tratto tratto, la facevano
ondeggiare. Lei, colle ginocchia, si serrava addosso le sottane, ma
non ci riusciva del tutto; e quei di sotto la potevano adocchiare due
dita più su del collo del piede, mentre si chinavano aspettando il
momento buono per dare la rispinta.

I due vecchi daddoloni crepavano dalla fatica, ma tenevano duro. Il
conte da Castiglione, stringato, imbottito in un abito grigio da
giovinotto, traballante, con una lunga e larga ciocca di capelli
ingommati, che ad ogni scossa gli si rizzava sulla nuca, scoprendogli
una fetta pelata di cranio; e Prospero Anatolio col respiro affannoso,
gli occhietti bigi, luccicanti, il faccione raso, madido, vestito
coll'inseparabile abito nero, lungo e largo. E in mezzo a loro, come
un'eco lontana dei vent'anni rimpianti, quella creatura bella e
rigogliosa passava e ripassava con vicenda misurata dal cigolio degli
anelli che tenevano le corde sospese dentro la spranga di ferro;
passava e ripassava ritta, balda, sicura, i capelli che le fremevano
sulla fronte e le svolazzavano liberi, dietro le spalle; passava e
ripassava respirando dalle nari dilatate, con la bocca semiaperta e le
pupille socchiuse, quell'aria fresca e profumata della campagna che le
accarezzava la faccia, che le sibilava nelle orecchie, ch'ella sentiva
in tutto il molle abbandono del suo corpo, come un'ondata di voluttà
lenta e tranquilla.

Lalla, civettina sempre, era seccata un po' anche da quella corte, che
dai due vecchi veniva prodigata alla Giulia, e quantunque ne ridesse
col suo innamorato, pure lo lasciava qualche volta solo con la mamma
per turbare un pochino il trionfo dell'amica. Ricordava bene il
desiderio curioso di Pier Luigi e gli faceva credere di essere quasi
tentata di salire sull'altalena; e allora prendeva le due corde colle
mani, stuzzicando il frollo ganimede col bagliore delle braccia nude,
che uscivano dalle maniche larghe dell'abito, ma poi lo piantava sul
più bello e invece di salire in piedi sull'altalena vi s'inginocchiava
appena, fermandosi subito dopo la prima spinta. Le sue, per altro,
erano apparizioni brevi e assai rare. In quell'ora, di solito, Lalla
andava a fare una gita in carrozza colla mamma, con Giorgio e colla
miss, E fu in una di queste scarrozzate che Maria fu a un punto di
tradirsi, e proprio per un altro capriccio di Lalla. Il cocchiere, che
sceglieva lui le passeggiate a suo talento, quel giorno era andato a
finire verso il _Poggio dei Platani_.

Maria, a poco a poco, era rimasta sedotta e vinta dai cari ricordi che
quei luoghi le suscitavano intorno; a poco a poco, si era obliata in
essi interamente e fantasticando correva col pensiero assai lontano,
in un altro mondo, nel mondo del suo cuore e delle sue memorie
tormentose a un tempo e dilette. Pensando a quel mattino, di tanti
anni addietro, quando lì, dal _Poggio dei Platani_, aveva veduto
Giorgio passare per l'ultima volta, e confondendo le angoscie di quel
tempo con quelle che presentemente soffriva, le pareva, allora, di
essere stata felice.

La felicità, spesse volte, non è altro che un ricordo di sventure più
lievi.

Giorgio era allora libero... aveva la patria sola nel cuore... non vi
serrava dentro Lalla, sua figlia!... Ed ella, ella stessa, in una
solitudine cara, tranquilla, rispettata, coll'intima compiacenza della
ottenuta vittoria, poteva abbandonarsi all'affetto di un ideale che la
consolava e che le concedeva pure qualche ora di riposo e di conforto.
Quella mattina... quando aveva veduto Giorgio passare così
rapidamente, quando anche il più lontano frastuono del convoglio era
cessato, quando credette che non lo avrebbe riveduto mai più, nella
solitudine così vasta, così profonda che l'avvolse, aveva sofferto
assai, aveva pianto lungamente, affannosamente; ma come erano diverse
le lacrime che le sgorgavano allora dal cuore da quelle che oggi le si
serravano strozzate nella gola!... Quelle almeno le poteva ricordare
senza rimorso, e queste invece...

--A voi, duchessa Maria, non rammenta nulla il _Poggio dei
Platani?_--scappò da un momento all'altro a domandare il conte Della
Valle coll'aria distratta... tanto per dire qualche cosa. La testa
l'aveva proprio nei piedi, coi quali accarezzava e stringeva lo
scarpino di Lalla, complice l'angusta oscurità della pedana.--Vi ho
veduta qui l'ultima volta a cavallo, mentre io passavo per andare a
Venezia... lo rammentate? Era di buon mattino e con voi mi pare ci
fosse anche...

--No, non lo rammento;--e Maria, che s'era sentita la faccia diventar
prima pallida, poi accesa, rispose confusa, con una stretta al cuore
senza poter riuscire a padroneggiarsi, rispose quel--no--seccamente,
aspramente.

Allora fu la scarpettina di Lalla che toccò il piede di Giorgio. Il
conte alzò gli occhi: la fanciulla lo fissava con un'espressione
ch'era tutta un punto interrogativo.

Ma nè l'uno nè l'altra, per quante domande si facessero a quel modo,
non potevano intendersi; anzi Giorgio sapeva benissimo che tutt'altra
doveva essere la sua interpretazione da quella data dalla fanciulla
al--no--così strano e inesplicabile di Maria. Egli dubitava di essere
stato imprudente ricordando quell'episodio alla duchessa, perchè...
perchè in quella tal mattina l'aveva sorpresa fuori di casa, a
cavallo, in un'ora sospetta, sola sola col marchese di Vharè. E
un'altra volta, malgrado suo, un sospetto assurdo, mostruoso, ma
avvalorato da inesplicabili circostanze, il sospetto che fra il
marchese e Maria ci fosse stato qualche legame assai più intimo di
un'amicizia superficiale, lo turbò a un tratto, e vivamente.

Sì, era un sospetto mostruoso, assurdo, egli lo credeva, voleva
crederlo: ma, e allora, perchè quel pallore?... Perchè quella
confusione?...

Lalla, naturalmente, spiegava in un modo ben diverso il contegno della
mamma: già le pareva di aver notato che la mamma non fosse entusiasta
come il babbo a proposito del conte Della Valle. Ma sotto quella
freddezza ci doveva essere qualche cosa di oscuro e ingarbugliato che
la fanciulla, da sola, non riusciva a sciogliere. Intanto, come
spiegare l'intimità che c'era sempre stata fra Giorgio e sua madre,
fra i Della Valle e i Santo Fiore, con tutti gli anni trascorsi, non
solo senza vedere il conte in casa d'Eleda ma senza ch'ella mai,
nemmeno di volo, ne sentisse parlare, ne udisse a pronunciare il nome?

Perchè?... Per qual ragione? Chi poteva saperlo?...

--Certo qualche mistero; c'era un mistero. Certo la mamma aveva
qualche cosa nel cuore che voleva nascondere...--E Lalla, spinta dalla
curiosità, volle mettere Maria sul punto di scoprirsi... di tradirsi
forse!

La carrozza correva via rapidamente, lungo una stradetta deserta e
silenziosa, quella stradetta che passava poco lontana dal sagrato, e
che Maria aveva fatta a piedi con don Gregorio, la sera stessa della
sua partenza da Santo Fiore.

Tacevano tutti nella carrozza. Non si udiva che il trotto regolare e
serrato dei cavalli e, di tanto in tanto, il colpo secco, sonante d'un
ferro che batteva contro un ciottolo e lo spionciare acuto, improvviso
del fringuello messo in fuga.

Lalla, seduta, vagamente raccolta colla breve personcina in un
cantuccio del landò, alzava gli occhi timidamente appassionati, negli
occhi di Giorgio; e in uno di quei taciti ricambi di tenerezza, quasi
volendo concludere un pensiero nel quale allor allora s'erano intesi
tutti e due:--Fra qualche giorno--disse al suo fidanzato--sarò...
saremo... sarò sua moglie, e lei,--qui abbassò timidamente gli occhi
lunghi e vellutati, ma voltandoli in modo da poter osservare anche
Maria--e lei, ancora, non ha dato un bacio alla nostra mamma!

--Ben volentieri!--esclamò subito il Della Valle che, desiderando
rimediare alla scappata di poco prima, si era alzato mezzo dal sedile,
colle braccia protese verso la duchessa.

Maria si rizzò con un grido, ma notando lo stupore di tutti, si calmò
subito e mormorò, rivolgendosi a Lalla:--Sai pure che le scene
drammatiche non mi garbano.--Poi stese la mano a Giorgio e gliela
strinse sorridendo.

Nessuno fiatò; ma desiderarono tutti che quella passeggiata finisse
presto.

--Certo, certo, il mio Giorgio non è molto simpatico alla
mamma--pensava Lalla in cuor suo.--Ma... perchè?...

E lo stesso _perchè_ il Della Valle, mortificato, chiedeva inutilmente
a sè medesimo:

--Che sia stato il Vharè a ispirare nell'animo della duchessa tanta
avversione e tanta diffidenza contro di me?...

Il conte Eriprando, che ormai non si poteva più muovere a cagione
della gotta che lo tormentava, non fu presente a Santo Fiore per la
cerimonia nuziale. Il parentado vi fu rappresentato invece da una
marchesa genovese, cugina di Prospero Anatolio; una vecchia quasi
cieca e sorda, che non faceva altro che sorridere scioccamente.
Tuttavia, quantunque il matrimonio si celebrasse in famiglia, Prospero
Anatolio non volle perdere l'occasione di stringere qualche influente
legame; i testimoni furono scelti fra i pezzi grossi delle due Camere,
e dovevano arrivare in pompa magna, il giorno stesso della firma e
della benedizione.

La duchessina, intanto, avea fatto precedere il giorno solenne da una
novena rigorosissima, con digiuni ed esercizi spirituali; il tutto
ordinato e disposto da don Vincenzo, che sfoggiò per l'occasione un
camice nuovo con ricami e pizzi di gran valore: un regalo della
piissima miss.

Pareva quasi che Lalla non fosse alla vigilia di maritarsi, ma che
all'indomani dovesse pronunziare un voto monastico: vestiva sempre di
nero, nascondendosi la faccia con un velo fittissimo, restando molte
ore in chiesa, o ginocchioni a pregare, o seduta a leggere
l'uffiziolo, non mangiando altro che legumi; senza frutta, senza
dolci. Giorgio quasi non le poteva più dire nemmeno una parola, e gli
era proibito anche di stringerle la mano, senza contare ch'egli pure,
volere o non volere, dovette confessarsi di tutti i suoi peccati e
comunicarsi... cosa che egli fece una mattina, quasi di nascosto, in
camera di don Gregorio.

In sulle prime, Giorgio aveva tentato di opporsi a quelle prepotenze;
ma Lalla si mostrò inflessibile, e così a mano a mano, un giorno per
non disgustarla, un altro perchè era un po' malatina, egli terminò con
fare sempre tutto quanto desiderava e voleva la capricciosa.

La cerimonia della comunione di Lalla fu solenne: anzi più solenne che
commovente. La chiesa era affollata come un teatro; e fra le autorità
si vedeva in prima linea il signor Domenico, il quale teneva d'occhio
attentamente il duca d'Eleda quando si sedeva, si alzava, o
s'inginocchiava, per fare subito altrettanto.

C'erano tutte le fanciulle della _Dottrina Cristiana_, presiedute
dalla Veronica che aveva scritto, per l'occasione, un'ode, in
_poesia_, nella quale encomiando le pie _virtudi_ della _nobile
donzella_ e le _larghezze sue_ al _tempio_, ai _mendichi_ e ai _grami_
le augurava che fossero:

    Pegni d'immenso gaudio
      Che dura eterno ognor.

La signora Veronica non era punto mutata: secca, striminzita
nell'abitino nero, stinto, di seta _gros_, aveva sempre il fegato
avvelenato dalla gelosia contro l'Ottavia, che adesso le contendeva
vittoriosamente l'effetto erotico dei _vergissmeinnicht_ sul vice
pretore.

La duchessina rimase genuflessa sulla viva pietra dell'altare tutto il
tempo che durò la funzione, e quando don Vincenzo le avvicinò la sacra
particola alle labbra; era tanto commossa che pareva venisse meno da
un momento all'altro.

Rientrata in casa, ritrovò don Gregorio che l'aspettava; era lui che
all'indomani doveva celebrare le nozze. Lalla, vedendolo, gli si gettò
subito fra le braccia, poi volle per forza inginocchiarsi di nuovo,
per essere benedetta anche da don Gregorio.

--Sì, sì; che il Signore sia con te, figliuola mia,--mormorò il buon
vecchio, accarezzandole i capelli colla mano tremante;--sempre con te,
e ti conceda perennemente quella felicità che oggi ti trabocca dal
cuore. Ma non dimenticare che noi tutti, su questa terra, abbiamo una
missione da compiere, e che ci attende un--al di là--inesorabile. Sii
sposa affettuosa e sommessa; e se un giorno il Signore volesse porre
alla prova la tua costanza, il tuo coraggio, la tua cristiana
rassegnazione, devi ricorrere fiduciosa a tua madre; essa non avrà che
a cercare nella sua vita per confortarti e per edificarti coll'esempio
di virtù sante e modeste.

La voce di don Gregorio, a questo punto, fu rotta da un singhiozzo.
Piangevano tutti: Maria stringeva Lalla fra le braccia, convulsamente,
coprendola di baci e di lacrime, e offrendo a Dio quello strazio del
proprio cuore, purchè Iddio la ricambiasse con altrettanta felicità
per la sua figliuola.

L'emozione di Lalla era grande, indescrivibile, e già si temeva che ne
potesse soffrire anche la sua salute, quando fortunatamente, per
distrarla in buon punto, arrivò un facchino della stazione, con una
cassa sulle spalle.

Era l'abito da sposa della duchessina, che arrivava fresco fresco da
Parigi.

La Giulia che lo aspettava da due giorni, appena vide il facchino
colla cassa sulle spalle, battè le mani con un grido di contentezza e
corse subito in cerca di Lalla.

Lalla, che pure ci aveva il cuore sospeso, prima ancora che Giulia
glielo dicesse, indovinò che si trattava dell'abito e se ne andò di
corsa dietro alla cugina senza più badare, senza salutare nemmeno don
Gregorio. Poi colla Giulia, miss Dill, la Luigia, la Nena e colla
marchesa di Genova, che si trovava avvolta, presa, spinta da quella
folata di ragazze, senza capire un ette di ciò ch'era avvenuto, Lalla
seguì Lorenzo, che adesso portava lui la cassetta sulle spalle. Tutte
insieme facevano grandi profezie sul _taglio_ e sulle guarnizioni e
discutevano animatamente a proposito del giorno in cui il vestito
doveva essere stato spedito da Parigi.

--Sì, doveva essere il giorno, precisamente, in cui era arrivata la
Giulia a Santo Fiore.--No, no, non poteva essere.--Era possibile.--Non
era possibile.--In conclusione, andavano tutte d'accordo nel
riconoscere che _madame Fanny_ era un portento, una donna sublime.--E
l'ampio scalone, perchè Lorenzo doveva portare la cassa nella camera
di Lalla, risonò allora tutto pieno, assordato da quel chiaccherìo, da
quella grande contentezza così giovanile e chiassosa.

Lalla fece mettere la cassa in piena luce, sotto la finestra; poi
inginocchiandosi per terra accanto a Lorenzo, si provò per aiutarlo,
graffiandosi le manine delicate. Lorenzo piano piano, con molto garbo,
ma con una lentezza che urtava i nervi, prima colla tenaglia levò i
chiodi più grossi, poi; adagio, ne sollevò il coperchio: quand'ebbe
finito. Lorenzo fu addirittura buttato da una parte, e allora Lalla,
la Nena, la Giulia e la Luigia, delicatamente, levando uno dopo
l'altro i larghi fogli di carta bianca che erano stesi sull'abito, lo
scoprirono nel suo intatto splendore. Lalla era diventata rossa, cogli
occhi sfavillanti: la Luigia preso l'abito per la fodera della vita lo
teneva sollevato, disteso, mentre colle dita dell'altra mano, dando
alla veste certe scossettine vibrate, precise, ne faceva meglio
risaltare la freschezza e l'eleganza. Giulia era in ammirazione, la
Nena rimaneva estatica, miss Dill, inforcati gli occhiali sul naso,
approvava gravemente, ma con convinzione, e la vecchia marchesa, che
stava in disparte e che proprio bene non lo poteva vedere, esclamava
tratto tratto:--_O l'è na vea maavegia; o l'è na vea magnificenza!_

--Quando ci sposeremo, Nena, farò arrivare da Parigi, anche per voi,
un bel vestito come questo!--scappò a dire, strizzando l'occhio, quel
burlone di Lorenzo. Ma non era il momento di perdersi a ridere: c'era
troppo da fare. Lorenzo fu mandato via, e Lalla provò subito il
vestito. Si spogliò in fretta, e intanto, finchè la Luigia le teneva
sollevata la sottana perchè Lalla l'infilasse passandovi sotto col
capo, risero tutte allegramente, vedendo quella sposina che, mezzo
svestita, in gonnella corta, pareva ancora più piccolina:--pareva una
Giovanna d'Arco in miniatura!...

L'abito le andava a perfezione, ma... ma davanti, sul petto, le faceva
una piega di traverso, che non avrebbe dovuto esserci: una piega della
quale _madame Fanny_ non aveva forse tutta la colpa.--Giulia sorrise
maliziosamente, e si accarezzò colle mani il seno rotondo e palpitante
sotto la giacchettina di maglia scura.

--Bisognerebbe tirarlo un po' su; stringerlo di spalle--disse la Nena
alla Luigia, fissandola per farle capire dov'era il difetto, ma senza
spiegarsi di più, per non mortificare la padroncina.

--Avete un bel dire voi; ma io non mi arrischio...

--Non conviene--esclamò Giulia.--È cosa tanto di poco!--Allora, dopo
lunga e seria discussione, si concluse di non toccarlo.

Lalla non disse mai una parola, aveva capito dov'era il difetto e
pensava che, vestendosi all'indomani, avrebbe rimediato da sè.

In casa d'Eleda si pranzò, quel giorno, più presto del solito: prima
dell'_Ave Maria_ bisognava essere in chiesa per la _Novena_. Nemmeno
Pier Luigi ci voleva mancare. Se gli piacevano le belle donnette, non
era una ragione per essere eretico. E poi egli assisteva sempre con
vero piacere alla conversione del _sinistro_ nipote--il quale si
avvicinava a grandi passi verso il _centro_, si avvicinava, e da
_rosso scarlatto_ s'era fatto d'un bel _viola canonico_, inondato
com'era continuamente dallo sguardo azzurro della sua Lalla... dallo
sguardo!

Ritornarono a casa tristi e muti. Nessuno aveva il buon umore delle
altre volte: era quello un momento troppo serio e solenne.

Giorgio aveva poi un'altra ragione di essere melanconico: la grande
felicità che abbatte e che sgomenta quasi come un gran dolore. Egli
sentiva tutto ciò, e la sua tristezza era ben naturale; e Lalla che lo
sapeva, a tratti faceva pure la mesta, quantunque forse, per il suo
spirito di contraddizione, quella sera avesse addosso l'argento vivo
ed una voglia matta di correre e di saltare. Durava una gran fatica a
star ferma, e fra uno sguardo tenero e una paroletta dolce al
fidanzato, usciva sotto il portico a ridere colla Giulia, o passava in
tinello a dare ordini alla Nena. Ma prima di uscire dal salotto
abbracciava la mamma sospirando, oppur stampava un bacione sonante
sulle guancie del babbo, come per dire all'uno e all'altro:--A voi due
vorrò sempre un gran bene.

Nel tinello s'incontrò una volta con Frascolini padre, che era venuto
al _Palazzo_ apposta _per fare il suo dovere_. Il pover'uomo pareva
invecchiato di dieci anni: curvo, sfinito con una tossaccia di cattivo
augurio. Era stata quella testa matta del suo figliuolo a ridurlo a
quel modo; ma lui testardo, non lo voleva confessare, e così soffriva
peggio, struggendosi dentro, senz'avere uno sfogo. A Lalla
quell'incontro non fece nessuna impressione: solamente le ricordò
Sandrino, e sentì un impeto di sdegno. Pure seppe frenarsi e gli
domandò conto della sua salute, della vendemmia, dell'Amministrazione
comunale, e anche di quel cattivo mobile che lo faceva disperare... e
tutto ciò senza mai un tremito nella voce, sempre tranquilla, sempre
disinvolta.

Alla Nena, invece, ch'era lì presente, batteva il cuore tanto forte
che pareva le volesse saltar fuori dal corsetto.

--No, di quel...--signore là--non ho nessuna notizia, nè mi curo di
averne--borbottò il vecchio; ma l'impeto d'ira finì con due lacrime
che gli gocciolarono dagli occhi.

Lalla non pensò nemmeno, nè il vecchio avrebbe sospettato, che la
causa prima di quella sventura, di quella rovina potesse essere lei,
e:--Bene, bene--gli disse--speriamo che ogni cosa si accomodi per il
meglio e che ritorniate ad essere tutti felici. Il Signore avrà voluto
provarvi, ma vi consolerà presto. Sperate nella sua bontà!--E lasciò
che il povero vecchio, commosso da tanta degnazione, le baciasse la
mano singhiozzando.

Quando la duchessina rientrò in sala, Prospero Anatolio e il Della
Valle davano le disposizioni per l'indomani. Il Della Valle sarebbe
andato lui solo alla stazione, incontro ai testimoni: erano quattro
commendatori, due della Camera alta, due della Camera bassa, e avevano
appena telegrafato che sarebbero giunti col primo treno.

I saluti furono quella sera più espansivi ed eloquenti del solito. La
melanconica tristezza che aveva durato fino allora si dissipò e
l'effusione trattenuta proruppe in uno scambio di promesse, di
proteste, di strette di mano e di abbracci cordialissimi. Giorgio,
prima di andarsene a casa, offrì il braccio, insistentemente, alla
duchessa Maria, e volle accompagnarla fino sull'uscio della sua
camera; non c'era un pretesto plausibile per rifiutare; Maria accettò
il braccio e si avviò col Della Valle su per le scale.

Quando furono nel salottino che precedeva la stanza da letto, Giorgio
si fermò e non lasciò che Maria entrasse subito colla Luigia, ma
facendole dolce violenza la trattenne per una mano.

--Prima di salutarvi stasera, permettetemi un'altra parola; permettete
che io vi domandi perdono ancora una volta, se negli anni addietro,
senza saperlo, vi ho procurato qualche dispiacere. Siate buona. Maria,
lasciatemi la certezza che voi non serbate nessun rancore contro di
me; lasciatemi la certezza che accettandomi come vostro figlio, voi
non vi rassegnate all'altrui volontà, ma lo fate spontaneamente col
pieno consenso del vostro cuore.

--Sì, sì... con tutto il cuore.--Maria ebbe ancora la forza di
frenarsi.--Con tutto il cuore... Non dubitate dei miei sentimenti.
Invecchiando... mi sono mutata e... mutata in peggio. Sono diventata
anche... un po' meno... meno espansiva; ma vi sarò riconoscente con
tutta l'anima se voi, come ne ho fede, riuscirete a rendere felice la
mia figliuola!...

--La vostra riconoscenza?... E se la sola riconoscenza... non mi
bastasse?...

--No?--Maria si fece più seria... per dominarsi, per vincere il
tremito da cui si sentiva presa.

--No, Maria, no. La _riconoscenza_ non mi basta; desidero, voglio un
pochino di bene. Ve ne supplico, ve ne scongiuro... se sapeste come ne
ho bisogno!... Il vostro affetto mi pare che debba conservarmi intatto
l'amore della mia Lalla, che debba essere la salvaguardia della mia
felicità!... Dunque?... vogliatemi un po' di bene, se non altro per
Lalla, per la vostra figliuola che amo, che adoro, Dio mio, quanto
voi, _mamma_, non sapete ideare!

Maria si teneva appoggiata all'uscio socchiuso; per questo il sussulto
che la fece trasalire, non fu notato da Giorgio.

--Dunque?...--continuava il conte che le baciava e ribaciava la mano,
che prima stringeva fra le sue.--Dunque?... un po' di bene, me lo
vorrete, mamma?

--Sì, fate felice mia figlia: a domani!--e scomparve.

Il Della Valle, neanche questa volta, non ebbe ragione di
entusiasmarsi nè per la cordialità, nè per il calore della sua futura
suocera... anzi, tutt'altro! E perciò finì col pensare che Maria
avesse proprio qualche stranezza e che ci fossero parecchie
contradizioni nella sua superba e fredda alterezza; ma poi, sentendosi
addosso troppa beatitudine per volersela guastare, diè un'alzata di
spalle e dimenticò presto la mamma, pensando solamente alla figliuola.

Maria, quando entrò in camera, era quasi soffocata dalla commozione.
Si buttò nel letto, e rannicchiandosi, tremando per la febbre, col
petto che si sentiva lacerato da una tossetta secca e profonda, ebbe
l'abnegazione sublime, sovrumana, di ringraziar Dio per averle data la
forza di poter continuare quella vita, e lo scongiurò di sostenerla
ancora per il momento supremo che si avvicinava. Allora, fatta più
serena da quella stessa preghiera, sentì un rimorso della freddezza
che avea dimostrata al conte Della Valle; pensò che quel suo contegno
avrebbe forse potuto turbare la felicità di lui e di sua figlia e
promise a sè stessa come già aveva fatto in quegli ultimi giorni, di
essere con Giorgio e con tutti, più cordiale e affettuosa. E mentre
pregava e prometteva a Dio e a sè stessa di sacrificarsi sempre
volonterosa e ignorata, le lacrime le colavano dagli occhi spesse e
vive col tepore del sangue che sgorga da una ferita.

Stava così da molto tempo, sempre piangendo, colla mente sempre
rivolta alle vicende dolorose di quell'amor suo infelice, quando,
all'improvviso, fu scossa e spaventata da un gridare, da uno strillare
acuto che veniva dalla camera della Giulia. Tese più attentamente
l'orecchio, trattenendo il respiro per sentir meglio: non c'era di che
inquietarsi; colle grida si udivano scoppi di risa; erano Lalla e
Giulia che facevano il chiasso.

Lalla, quando svestita stava già per saltare in letto, provò, in
sull'attimo, una paura tale, da non potersi ridire: c'era lì un coso
nero, brutto...--Oh, che razza di scherzi!

Le avevano nascosto sotto le coperte il beduino che serviva da ferma
uscio! Lalla indovinò subito da chi le veniva quel tiro, e toltosi il
beduino in braccio e gettandosi addosso uno scialle, pian piano si
avviò per compiere le sue vendette contro la Giulia, ma la Giulia, a
sua volta, veniva appunto lì volendo assistere alla burla, e perciò
tutt'e due s'incontrarono nel corridoio. L'una volle scappare, l'altra
le corse dietro, Giulia saltò subito in letto nascondendosi sotto le
coperte; e Lalla infine gliele strappò via e la costrinse a baciare, a
ribaciare e a tenersi addosso, stretto stretto, quel brutto coso di
carta pesta.

Quella sera tutt'e due le ragazze, erano un argento vivo. Si baciavano
per mordersi, si tiravano dietro i guanciali, le vesti, tutto quanto
capitava loro fra le mani; poi ad un tratto spensero i lumi, ebbero
paura, chiamarono in aiuto la Nena e la Luigia, e non si calmarono
finchè non furono tanto stanche di ridere, di gridare, di correre, da
non poterne più!...

L'indomani Maria si alzò prestissimo; non aveva potuto chiuder occhio
in tutta la notte. Era indebolita, aveva la febbre, tossiva,
tossiva... Dio, Dio, come si sentiva male!

Si doveva celebrare il matrimonio religioso prima, poi il civile. Il
religioso alle dodici del mattino, l'altro alle tre, per lasciar tempo
alla sposa di mutare d'abito. Dopo, alle cinque, c'era il pranzo, al
quale erano invitati anche don Gregorio, don Vincenzo, il sindaco... e
finalmente gli sposi sarebbero partiti per il loro viaggio di nozze.

Lalla era ritornata seria, malinconica; per altro faceva tutti i suoi
piccoli preparativi senza confondersi, senza distrarsi. Invece il
conte Della Valle dimenticava tutti gli ordini che aveva da dare...

Maria era sfinita... non aveva più lacrime; ma Prospero ne sgocciolava
anche per lei mentre, dopo aver spalmato di burro il pan fresco, lo
inzuppava, gemendo e sospirando, in una tazza di caffè e panna.

La cerimonia religiosa non avrebbe potuto riuscire più commovente. La
chiesa era stipata; il pubblico rumoreggiava curioso e pettegolo; ma
quando don Gregorio unì indissolubilmente nel santo nome di Dio, in un
nodo sacro, eterno, le due creature e le due anime, egli seppe
trovare, benedicendole, parole così soavi da intenerire non solo gli
sposi, Prospero Anatolio e i quattro commendatori, ma da suscitare in
tutta quella gente una commozione viva e sincera.

In Municipio, invece, non si fece altro che ridere; si rise per i
guanti bianchi di filo di Scozia e la sciarpa nuova che sfoggiava il
signor Domenico, si rise della goffa ed impacciata importanza ch'egli
si dava, e si rise più assai, quantunque tutti si sforzassero per
contenersi, quando il signor Domenico, firmato l'atto, diede principio
con voce altrettanto solenne quanto nasale, ad un discorsone proprio
coi fiocchi. Era questo l'unico frutto ottenuto dalla sua unione colla
dotta signora Veronica; ma, pur troppo, il sindaco di Santo Fiore,
dopo quel giorno-, non potè più dire:--Chi ben comincia è alla metà
dell'opera!--Il signor Domenico aveva cominciato benino il suo
discorso, ma dopo i primi periodi incespicò, si confuse, mangiò le
parole, e ne saltò mezzo, spaventato dagli occhietti bigi del duca
Prospero, che lo fissavano con aria meravigliata.

Quando rientrarono in casa, la sposa si mostrò subito più disinvolta;
era già in abito da viaggio: un abito grigio, attillato alla persona,
che lasciava scorgere i fremiti della sua magrezza di sensitiva. I bei
capelli, sciolti dalla noiosa corona di fiori di arancio, avevano
ripreso il loro artistico disordine. Le guance, soffuse d'un leggero
incarnato, le davano l'aspetto quasi di una bambina, e così era
piacevolissimo il contrasto tra il suo visetto infantile e gli
occhioni profondi e vellutati. Giorgio Della Valle la seguiva passo
passo e pareva rapito in estasi. Egli non poteva credere che quella
donnina tanto cara, tanto gentile, tanto aggraziata fosse proprio sua
moglie. La guardava muto, estatico, senza saper dire una parola; la
guardava lungamente, teneramente, supplicandola. Lalla invece, era
affabile e affettuosamente chiacchierina con suo marito e con tutti
quanti.

E Giorgio, sempre dietro, non la perdeva d'occhio un momento. Non
viveva altro che col cuore, e il cuore è sempre l'eterno fanciullo!...
Pieno di una beatitudine inquieta, guardava sua moglie a muoversi, a
parlare, a ridere...--Sua!...--Era sua!

Una volta, mentre la seguiva, era stato trattenuto da uno dei quattro
commendatori che gli annunciava la prossima nomina di Prospero a
senatore; allora chiamò Maria per liberarsi dell'importuno e--Mamma!
Mamma!--le disse--come mi sento felice.

In quanto a Prospero, per il momento non pensava a malinconie;
gongolava tronfio fra il Senato del Regno e la Camera dei deputati.

Il pranzo fu cordialissimo. Pier Luigi, seduto accanto alla nuova
nipotina, la stuzzicava con certe allusioni sul viaggio di nozze,
molto arrischiate. Lalla arrossiva e abbassava il capo modestamente,
ma poi lasciava intendere allo zio, con un volgere malizioso degli
occhi sfavillanti, ch'ella capiva tutto benissimo e che ne rideva.

Pier Luigi cominciava fino d'allora, non si potea dire che perdesse il
tempo, a corteggiare la contessa Della Valle, ch'egli trovava
_piccante_ e seducentissima; e Lalla, pur senza perdere tempo, si
godeva a lasciarsi fare la corte e ad ottenere l'ammirazione e le
attenzioni del conte Pier Luigi, nel quale vedeva l'uomo esperto, che
in fatto di donne s'era creata la riputazione d'intelligente. Per
tutto ciò ci teneva a piacergli, e scherzava e gli si dimostrava
amabilissima, e ridendo si aggiustava le trecce che aveva annodate
sulla nuca facendo con quell'atto, risaltare meglio la bellezza delle
sue braccia. Tuttavia il marito non era trascurato. Egli era anzi il
punto fisso dove Lalla terminava sempre col girare degli occhi; e
sotto quello sguardo languido e soave, Giorgio sentiva una scossa per
ogni fibra e spasimava di stringersi fra le braccia... sua moglie!...
di baciarla, di sciuparla, di morderla, di tuffare le mani in quei
capelli biondi e profumati.

Don Gregorio, fattosi più grave, e come impensierito, continuava ad
osservare attentamente Maria, la quale aveva lui alla sua destra, e il
signor Domenico alla sinistra, i due che le avevano maritata la
figliuola. Ma il signor Domenico avrebbe ceduto il privilegio assai
volentieri. Lo avrebbe ceduto magari ad uno qualunque dei quattro
commendatori!... Il modesto sindaco di Santo Fiore si sarebbe trovato
assai meglio, nascosto in un cantuccio, godendosi a tutto suo agio
quelle vivande così prelibate che il signor Francesco gli era andato
descrivendo da tanti giorni, degnandosi anche d'indicargli quelle in
cui avrebbe dovuto di preferenza mettere i denti. Così, invece, la
soggezione gli lasciava appena il tempo di assaporare com'erano buone;
gli si fermavano i bocconi nella strozza e restava istupidito quando,
dimenticandosi per un momento, lasciava sul piatto la forchetta o il
coltello e quei camerieri infuriati gli portavan via tutto! Invidiava
il coraggio di don Vincenzo che, con le labbra unte, il naso rosso e
la bocca sempre piena, strippava, macinando a due palmenti, tutta
quella grazia di Dio, così che la povera miss Dill, vedendosi
trascurata, se ne offendeva e metteva il broncio. Solo alle frutta,
quando don Vincenzo, dopo d'essersi lasciato scappare il primo rutto,
la fissò con una tenerezza da ciuschero, facendole scorrere la
tabacchiera di sotto alla salvietta, miss Dill, rabbonita, gli sorrise
clemente, sentendosi tutta rinvenire, come un gambo d'insalata dopo
un'acquazzone d'estate.

--E Prospero Anatolio?...--Prospero non mangiava, ma, invece, divorava
la Giulia: egli l'aveva accosto, vicinissima tanto da sentirne il
calore, con quelle sue carni bianche e rosse, sparse di un pelolino
simile alla pesca duracina.

Verso la fine del pranzo tutti s'erano animati: parlavano sempre a due
a due, ma le voci si facevan più vive, il ridere più frequente e più
forte, l'intimità più espansiva. Fu uno dei quattro commendatori, un
pezzo grosso dei _Lavori Pubblici_ che, dopo di aver guardato
l'orologio, avvertì gli sposi di affrettare i preparativi, se non
volevano perdere la corsa. Eccetto don Gregorio e Maria, che non ne
ebbe il coraggio, vollero tutti accompagnare gli sposi alla stazione:
il caffè lo avrebbero preso al ritorno, con più comodo.

Coi saluti, cominciarono le lacrime. Piangevano tutti, e alla
tenerezza di circostanza s'era aggiunta quell'altra, assai più
spontanea, provocata dagli effetti di una buona digestione, perchè
l'uomo, come il coccodrillo, si commuove più facilmente a stomaco
pieno.

Il conte Della Valle soltanto e Maria avevano gli occhi asciutti;
Giorgio tradiva l'interno sentimento che lo agitava col pallore del
volto e il tremito delle labbra; Maria... povera Maria!... Ma per
fortuna nessuno badava a lei in quel momento, tranne don Gregorio, che
per ciò era diventato a mano a mano sempre più inquieto.

Lalla singhiozzava, non sapeva staccarsi dal babbo e dalla mamma e si
sfogava colle carezze e con gli abbracci. Prospero aveva ricominciato
a sospirare e a soffiarsi il naso. La Giulia pure piangeva, e miss
Dill pareva impietrita dal dolore.

Poi la commozione dei padroni si diffuse anche fra i servitori, e
l'addio della Luisa e della Nena fu affettuosissimo.

Ormai tutti erano pronti e si doveva partire. Lalla volle ancora
abbracciare la mamma: poi la Giulia, poi don Gregorio. Quindi affidò
la sacchettina dei gioielli alla Nena e le raccomandò di non
abbandonarla un momento; in fine, appena seduta nella carrozza e
mentre i cavalli si muovevano salutò la mamma un'ultima
volta:--Scrivi! scrivi presto! subito!

Giorgio doveva montare nel landò, che veniva dopo, con Pier Luigi, la
marchesa di Genova ed un commendatore. Gli altri già erano a posto,
quand'egli, prima di salire alla sua volta, si avvicinò a Maria, come
aveva fatto Lalla e l'abbracciò teneramente. Maria non ricambiò e non
respinse l'abbraccio; rimase muta, immobile come l'immagine del
dolore. Ma quando il cancello del giardino, richiudendosi dietro
all'ultima carrozza, diede il suo addio agli sposi col sonante
ripercuotersi delle spranghe di ferro, allora, senza nemmeno un
gemito, cadde a terra svenuta.

Quando rinvenne, si trovò adagiata, distesa sul canapè del salotto:
don Gregorio era solo con lei. Il buon vecchio, che ormai aveva tutto
compreso, avea saputo con un pretesto allontanare anche la Luigia,
temendo che Maria, nello stato in cui si trovava, potesse perdersi con
qualche parola imprudente.--Coraggio, coraggio!--le disse subito,
appena vide i suoi occhi guardare attorno spalancati, con un'aria di
sorpresa e di sgomento.--Coraggio, il Signore ti ha fatto trionfare
anche dell'ultima prova.

--No, no, don Gregorio; non ho potuto trionfare--e la povera donna,
ritornando alla dura, alla spietata realtà della vita, non potè più
oltre contenersi, e a quelle parole che le rivelavano scoperto il suo
segreto, sentì sprigionarsi, prorompere dall'anima, dal cuore, da
tutta sè stessa la piena del proprio dolore, come ad un urto che ne
apra le chiavi, l'acqua della corrente irrompe furiosa ad allagare la
campagna.

--No... non posso, non posso resistere... e Dio... Dio non c'è! No...
e se ci fosse... sarebbe peggio... sarebbe un Dio crudele! Qual
capriccio feroce il suo di concedermi la forza di affrontare l'ora del
sacrificio... e togliermela poi all'ultimo istante?... E farmi adesso
rimpiangere il sacrificio stesso, e farmi cattiva, disumana; e così,
dopo di avermi resa infelice a questo mondo, dannarmi anche
nell'altro?

Le lacrime le colavano copiose dagli occhi, mentre coll'urto dei
singhiozzi scoteva la bella testa addolorata, convulsamente
balbettando fra una parola e un singulto:--No... no... Dio... non
esiste... Dio non esiste...

Don Gregorio, intanto, piangeva con lei e pregava: pregava Iddio
fervidamente per la poveretta; pregava Iddio perchè ridonasse la calma
al suo cuore e perchè perdonasse, nella sua bontà infinita,
quell'infinito dolore. Solo quando l'impeto dei singhiozzi cominciò un
poco a rallentarsi, egli disse dolcemente, prendendole una mano:

--Il Dio che senti nel tuo cuore, esiste, ed è un Dio di perdono e di
pace. Egli, nella sua sapienza divina, riserva, alle creature elette,
forti come tu sei, la missione di aiutare coll'esempio i deboli e i
vacillanti nelle battaglie della vita. Ringrazia, Maria, ringrazia il
Signore con tutta la sincera espansione dell'anima, e non imprecare
alla sua bontà previdente. Dell'uomo che poteva essere per te uno
strumento di perdizione, ne ha fatto il figliuolo del tuo cuore; ti ha
riserbata la contentezza, la gioia di vegliare al suo bene, e alla sua
felicità; lo ha riunito, lo ha confuso nel più grande affetto e nel
più santo dovere della tua vita: nell'affetto, nel dovere di madre.
Lalla è giovanissima ancora; la sua indole non è come la tua: essa ha
bisogno di una madre che la sorvegli, che la sorregga; ha bisogno di
te perchè tu infonda nel suo cuore quello spirito di carità e di fede
che vivifica il tuo. Così serenamente e santamente avrai compendiata
tutta l'esistenza nel preparare, nell'assicurare e nel difendere la
felicità... di chi ha la tua tenerezza ed il tuo affetto. Vedi,
figliuola mia, quanto il Signore è stato buono con te? Lo spirito del
male voleva tentarti, ma Iddio lo vinse colla rettitudine della tua
coscienza, ti salvò dal peccato, dalla colpa sollevandoti sopra le ali
della fede, fece di te il buon angelo custode dell'uomo che tu ami.

Queste parole di don Gregorio scesero benefiche nell'anima di Maria.
Ella intravvide come un raggio di sole penetrare e diffondersi nelle
tenebre della propria esistenza, mentre un'aura di pace aleggiava
intorno a lei, consolandola con una commozione dolce e profonda.

--Fra qualche tempo--continuò il buon vecchio--quando il fervore del
sangue si sarà intiepidito, quando il cuore rallenterà l'impeto dei
suoi palpiti, quando ritornerà il sereno della tua mente coll'alba
riposata di una prima ciocca di capelli bianchi, allora, invece dello
squallido rimorso che avrebbe turbata la tua vecchiaia solitaria,
invece del disprezzo e dell'odio, ti vedrai circondata dall'amore e
sarai benedetta come il santo orgoglio della tua casa. Allora,
rivolgendo uno sguardo tranquillo in mezzo alla ridente felicità de'
tuoi cari, potrai dire di aver creato tu stessa quel Paradiso, col tuo
eroismo e col tuo sacrificio; e accarezzando delle vaghe testoline
bionde, che ti saluteranno col sorriso degli angeli, non dirai più,
come stasera, che Iddio non esiste; ma lo sentirai vivo e possente in
un inno di gratitudine che proromperà dal tuo cuore.

--Grazie, grazie, don Gregorio!... Voi mi avete salvata!...--e Maria,
cogli occhi ancora bruciati dalle lacrime, baciò con trasporto la mano
del vecchio che stringeva la sua.

Don Gregorio aveva vinto; aveva saputo far rinascere la speranza e
tornare la calma nel cuore di Maria. Il dolore l'avrebbe uccisa a ogni
modo, essa lo sentiva e lo bramava; ma adesso non vedeva più la sua
tomba solitaria e deserta; le appariva invece sparsa di fiori e di
ghirlande, come l'oasi prediletta della gratitudine e dell'amore.
Quella missione di angelo tutelare infiammava, col misticismo che la
involgeva, la sua immaginazione casta e poetica. Simile alla suora di
carità che non abbandona il letto dell'infermo anche quando sente il
contagio penetrarle nel sangue, Maria sarebbe rimasta coraggiosa, al
fianco di Lalla, per riscaldarla colla sua propria fiamma, per riunire
e confondere in uno solo, come il profumo di due fiori, l'amore di sua
figlia e l'amor suo, facendolo alitare sulla cara esistenza di Giorgio
colla perenne profusione di una corrente viva e benefica.

Quando il duca e gli amici ritornarono dalla stazione, don Gregorio se
n'era già andato e Maria si fece scusare; nè la loro mancanza fu molto
lamentata. Avevano tutti una voglia matta di ridere e di scherzare
mentre bevevano il caffè colla _chartreuse_, in circolo, attorno al
caminetto, riscaldandosi con una bella fiammata allegra e
scoppiettante.

Ma più assai del caminetto era la contessina di Rocca Vianarda che
riscaldava la brigatella. Ciascuno faceva con lei il galante e lo
spiritoso, eccitato dal riso libero e sano della bella fanciulla,
dagli arditi atteggiamenti, dalle forme ricche e tondeggianti. Chi per
altro cominciava a perderci la misura era Prospero Anatolio, il quale
pareva già confortarsi del distacco di Lalla. Egli aveva sempre
qualche cosa da dire alla Giulia a bassa voce, nell'orecchio. La
prendeva a braccetto e, colla scusa ch'essa era l'unica figlia che gli
era rimasta, voleva abbracciarla; e una volta incontrandola tra due
porte, all'oscuro, la strinse con tanta forza che la fanciulla, un po'
seccata, gli disse respingendolo vivamente:

--Calma, calma, caro duca; stringete troppo per un padre e
specialmente per un--santo padre!--Prospero Anatolio arrossì, confuso,
e non ebbe più il coraggio di guardarla in faccia per tutta la sera,
ma abbassando gli occhi, le rispondeva impacciato, quando la Giulia
gli rivolgeva qualche scherzo o qualche piacevolezza, rincrescendole
di averlo troppo mortificato.

Intanto miss Dill e don Vincenzo si erano dileguati, e con loro anche
la vecchia marchesa.

Quando, suonata la mezzanotte, la riunione si sciolse e ognuno si
ritirò nella propria camera, Prospero Anatolio non si coricò subito,
ma si sdraiò vestito sulla poltrona, accanto al letto. Pensò alla
Giulia, al suo fiero rimprovero, a quella nota di sarcasmo così
pungente, alla figura ridicola ch'egli ci aveva fatto... e l'immagine
della bella fanciulla gli era sempre viva dinanzi agli occhi. Sentiva
ancora il calore del suo corpo; vedeva il riso della bocca umida,
giovane coi suoi dentini che apparivano sfacciati fra le labbra rosse.

Quanto era bella!... Ah!... se lui fosse stato ancora un giovinotto, o
un uomo piacente!

E col pensiero penetrava nella camera di lei, desiderandola, e non
l'abbandonava durante la notturna toeletta... Per distrarsi volle
pensare a sua figlia, ma anche lì mille immagini ribelli lo
tormentavano...

--Signore Iddio benedetto, che cosa ho addosso questa sera!

Era stato lo _champagne_! ne aveva bevuto troppo!... Stette così
qualche tempo ancora, poi si alzò risoluto e uscì di camera.

Neppure Maria si era spogliata: era rimasta immobile per molto tempo,
sdraiata nella sua poltrona, poi si era inginocchiata per pregare; e
adesso, dopo aver pregato, tornava a piangere, a singhiozzare, quando
udì bussare all'uscio, con un toccheggiare esitante:

--Scusami, cara, vorrei parlarti--disse al di fuori Prospero Anatolio,
con voce malferma.

Maria asciugò in fretta gli occhi e aprì.

Prospero Anatolio entrò nella camera sorridendo: ma negli occhiettini
bigi ebbe un lampo di malumore, vedendo la moglie ancora vestita.
Maria non se ne accorse perchè il marito non la fissava in faccia, ma
la guardava di traverso, mentre si buttava, come se fosse stanco
morto, a sedere sopra un piccolo divano.

--Che cosa vuoi?

Prospero non rispose, ma si tirò accanto a Maria sul canapè, e con
mano tremante cominciò a carezzarla ravviandole i capelli dalla
fronte.

--È... partita.--balbettò alla fine, vedendo che sua moglie lo fissava
negli occhi muta, impassibile.--È proprio andata via per sempre...
Adesso, _co-come_ vedi, ne sento tutto l'_affa-fanno_, non so darmene
pace, mi turba un vuoto _do-o-lorosissimo_!

--Lo hai voluto tu,--rispose Maria seccamente.

Prospero Anatolio tacque a lungo, poi sempre senza osare di guardarla
in viso, sussurrò qualche parola inarticolata, ch'ella per altro
comprese bene. Si alzò di colpo, pallida, tremante: Prospero ne ebbe
quasi paura; balbettò, volle scusarsi, e uscì dalla camera scomposto e
barcollando come un ubbriaco.

Maria, superato il ribrezzo e lo sdegno, si era sentita agghiacciare.
Le pareva che il Cielo, dopo averle così crudelmente spezzato il
cuore, volesse anche schernire, svillaneggiare il suo immenso dolore,
con quella domanda oscena che le veniva buttata in faccia! Si
rannicchiò sul letto senza spogliarsi, e stette così fino al mattino.
Quando si alzò, un colpo di tosse le addolorò il petto e la gola
arsiccia, mentre sentiva correre sulle labbra alcunchè di denso, di
tiepido, d'un sapore dolciastro; si asciugò la bocca e poi guardò il
fazzoletto... era macchiato di sangue.

Allora Maria ritornò a piangere, ritornò a credere e a pregare: Iddio
la consolava colla più cara delle sue promesse; e la morte sorrise
alla povera donna come la sua ultima speranza, come il perdono e la
pace.



XXII.


Nemmeno nei primi mesi della luna di miele la contessina Lalla
perdette il suo tempo: no, no; anzi, quando Giorgio si abbandonava
accanto a lei inebriato e inebetito, colle pupille stanche, ella
apriva i suoi grandi occhioni, e attentamente studiava il marito per
imparare il modo di guidarlo e di dominarlo. E già poteva chiamarsi
contenta: c'era riuscita proprio bene. Quell'uomo, in apparenza tanto
forte, non isfuggiva alle sue manine bianche e delicate. Con un
sorriso o con una lacrima, con una preghiera o con un po' di malumore,
coll'arte di saper concedere a tempo, e a tempo di saper negare, Lalla
lo teneva legato alla propria volontà, con fili invisibili, ma tenaci.

Una volta, fu la prima ed anche l'ultima, egli tentò ribellarsi al
giogo adorato, negandole risolutamente di accompagnarla alla messa.
Lalla pregò, supplicò, pianse, tutto inutilmente. Vi andò sola, ma
colle ciglia aggrottate, e ritornata a casa si serrò a chiave in
camera sua. Giorgio ebbe un bel fare: quell'uscio gli rimaneva chiuso
in faccia ostinatamente. Venne la sera, la notte, ma sua moglie,
quantunque avesse paura a dormir sola, fu inesorabile, e l'indomani
soltanto, quando il marito tornò pentito di chiesa, essa gli riaperse
l'uscio e le braccia.

Dopo d'allora Giorgio cominciò a transigere con lei; e, si sa bene, le
transazioni sono come le ciliege: la prima si tira dietro le altre.

Perchè doveva egli turbare la fede di sua moglie?... Appunto, se egli
non credeva alla messa, poteva benissimo accompagnarla, come l'avrebbe
accompagnata in qualunque altro luogo. Così, perchè non avrebbe
mangiato di magro il venerdì ed il sabato?... O che?... il pesce non
gli era sempre piaciuto?... Già, una donna _libera pensatrice_ non
l'avrebbe sposata, e nemmeno una dottoressa repubblicana; dunque
doveva bene lasciarla fare e pensare a suo modo; e Giorgio intanto non
si accorgeva che invece cominciava lui a fare e a pensare come voleva
la moglie.

Del resto era una pietà piuttosto strana, quella di Lalla; essa
credeva ciecamente in un Dio di manica larga, che perdona sempre, e si
accomoda facilmente, e col guadagnare l'empio consorte alla fede non
aveva dubbio di accaparrarsi l'_indulgenza_ per il passato... e per
l'avvenire. E il Della Valle di tutto questo non capiva nulla; e
mentre sarebbe corso ad una nuova Mentana, se un'altra volta ci fosse
stato da sciogliere col fucile la _questione religiosa_, chinava la
fronte e le ginocchia dinanzi all'elegante clericalismo della bionda
duchessina che lo aveva innamorato. Il conte Della Valle, che per il
trionfo dei suoi _principî_ avrebbe speso la vita, li sacrificava
adesso ad uno ad uno, sotto l'arcana influenza delle carezze di Lalla.

Questa sua influenza per altro, essa non la esercitava soltanto in pro
della Chiesa e delle istituzioni. La carità comincia da noi, dice il
proverbio, e così faceva Lalla. Per esempio, volendo assicurarsi da
ogni possibile birbonata che il Frascolini le volesse giocare, Lalla,
a prevenire il pericolo, aveva raccontata e fatta credere a suo marito
una storiella tutta d'invenzione, nella quale dipingeva Sandro come un
matto, un farabutto che, perduta la testa, si era innamorato di lei,
che s'era messo a guardarla sfacciatamente, a perseguitarla,
seguendola ad ogni passo, finchè un giorno le scrisse anche una
lettera. E siccome lei gliela fece restituire dal vecchio Ambrogio,
senza neppure averla letta, s'intende, e con un solenne rabbuffo per
giunta, lui la minacciò che, un dì o l'altro, quell'azione gliela
avrebbe fatta scontare e... e il povero Ambrogio nella sua qualità di
morto, naturalmente era obbligato a tacere!

A Roma, dove da tempo avevano stabilito di passare l'inverno, la
contessa Della Valle spiccò non poco per la sua grazietta attraente,
pei grandi occhi vellutati, per lo spirito fine, per la bella
personcina sottile e flessuosa, per il sorriso a volte timido e
modesto, a volte birichino, e per il tutt'insieme nobile e signorile.
Anche a Roma continuarono a chiamarla la _duchessina_, ed era
attorniata da uno sciame di adoratori che la corteggiavano con molta
insistenza. Giorgio, da principio, era gelosissimo; ma Lalla, in poco
tempo, seppe ridurlo alla ragione. Quando ritornavano da qualche
festa, e liberati dalla presenza della cameriera, rimanevano soli,
Lalla, mezzo spogliata, si sedeva sulle ginocchia del marito, che
fumando l'ultima sigaretta sdraiato in una poltrona, si godeva a
contemplarla. E lì fra carezze e baci e mille moine da gattina, essa
circondandogli il collo colle braccia nude, che gli faceva ammirare e
baciare, fissando sempre lei il numero dei baci, confidava al marito
tutte le dichiarazioni ricevute durante la serata. Allora con quella
monelleria tanto garbata e briosa, Lalla faceva la caricatura di tutti
i suoi eleganti innamorati, mettendo in burletta il languore dell'uno
e il fuoco dell'altro, imitandone il gesto, l'espressione, l'accento.
Giorgio era contento e beato, perchè così acquistava la convinzione
che quella cara e innocente bambina gli avrebbe contato sempre tutto,
in ogni occasione e, in tal modo, senza una sorveglianza importuna,
avrebbe potuto prevenire i pericoli; e Lalla era pure soddisfatta
vedendo che il giuoco le riusciva bene.

Per ciò, e in breve tempo, ella si trovò affatto libera di andare,
venire, stare e ricevere chi meglio le accomodava.

Una volta sola il Della Valle mise innanzi un bel no; ma fece fiasco.
Il fatto successe nell'occasione che fu presentato alla duchessina il
marchese di Vharè.

--Ti prego, Lalla, di non invitarlo in casa nostra... mi è antipatico;
e poi... compromette tutte le donne!...

--Come fare?... è tanto amico della mamma!

Giorgio arrossì, Lalla se ne accorse, e il dialogo fu interrotto; ma
poi, qualche giorno dopo, il Della Valle vide entrare il Vharè da sua
moglie. Lalla lo assicurò di non averlo invitato; era vero, ma aveva
fatto intendere al marchese ch'ella stava in casa tutti i mercoledì
dalle due alle cinque, di giorno, e che il sabato riceveva alle dieci
di sera.

Il Vharè, per Lalla, non era mai stato indifferente: perchè? chi
sa!... Forse fra quelle due nature dal sangue guasto, esisteva una
corrente simpatica: certo è poi che la fama di scapestrato, di Don
Giovanni adorato dalle donne e temuto dagli uomini, fama ch'egli non
s'era scroccata, costringeva Lalla ad ammirarlo. Anche gli scandali
eleganti, sollevati dai suoi amori colla _diva_ Soleil, riconfermata
per quel carnevale da un impresario di Roma, eccitavano continuamente
la sua attenzione e la sua curiosità.

Giacomo di Vharè aveva passato i quarant'anni, ma restava tuttavia un
uomo piacente. Alto della persona; pallido, coi baffi biondi e i
capelli brizzolati, che appena sulle tempie cominciavano a farsi radi.
Aveva una coltura varia, facile, alla portata di tutti, e perciò da
tutti ammirata, ch'egli aveva saputo acquistarsi coi suoi viaggi e con
una memoria straordinaria. Riteneva subito, e per lungo tempo, tutto
ciò che gli capitava di leggere nei giornali e nelle riviste. Parlava
bene, parlava molto, e aveva uno spirito pronto, paradossale.
Conosceva poi la gente più in voga di tutto il mondo, da Sarah
Bernhardt al padre Curci, e la conosceva davvero, perchè di
esagerazioni era schivo, massime quando parlava di sè. Non citava mai
i suoi duelli, non alludeva mai alle sue fortune amorose, non
nascondeva i suoi debiti e ci teneva molto al marchesato, quantunque
non fosse di buona lega. Scettico ma freddamente cortese, aveva
quell'aria indefinibile di padrone del mondo e di grand'uomo andato a
male, che si fa ammirare dagli sciocchi... e gli sciocchi sono in
maggioranza.

Con tutto ciò, è naturale, in quel vivaio di adoratori, Giacomo di
Vharè fu il primo e il solo che arrivò a farsi notare dalla
duchessina. Lalla scherzava sempre, era con tutti amabile e
civettuola; ma, sicura del fatto suo, non ci pensava più che tanto a
quelle farfalle che si bruciavano le ali attorno alla sua fiamma, o se
ne occupava appena per contarle. Col marchese, invece, la cosa era ben
diversa; con lui diventava seria, non era più motteggiatrice,
chiacchierina, ma lo ascoltava attenta coi grandi occhi fissi. Il
marchese di Vharè, a poco a poco, si abituava a quella bambina,
cominciava a trovarsi bene con lei, ad accorgersi ch'ella avea molta
intelligenza e molto spirito, e la stuzzicava a proposito del suo
sentimentalismo di fanciulla bionda, e del suo clericalismo di
duchessina legittimista, godendosi a sentirla ragionare così composta,
così aggraziata, con la voce dolce, d'argento che accarezzava
l'orecchio come una musica. A farle la corte non si provava nemmeno:
gli pareva impossibile di poter riuscire--interessante--lui, non più
giovane, a quel fiorellino pallido e delicato, che sbocciava allor
allora, fragrante di soavità.

Una sera, per un momento, ne aveva avuto quasi il capriccio, la
tentazione: poi non ci pensò più; era una cosa assurda, ridicola.

... Quella sera aveva avuto luogo, al teatro, la beneficiata della
_diva_ Soleil e uno splendido mazzo di orchidee e di violette russe,
che spiccava fra i moltissimi stati offerti alla festeggiata
cantatrice, aveva suscitato nel palchetti i commenti ed i pettegolezzi
delle signore. Certo, certo, era stato il Vharè! Era il dono del
Vharè! Era l'omaggio del Vharè!

Dopo teatro, c'era riunione dalla principessa di Kleigenburg e tra gli
invitati si notavano anche Lalla e il marchese. Quest'ultimo, dopo
aver girato attorno fra le signore, facendo complimenti, o lanciando
qualche epigramma, si sedette vicino alla duchessina, coll'abbandono
di chi, dopo essersi molto seccato, si procura un istante di sollievo.
Lalla non gli aveva mai fatto parola a proposito della _diva_, nemmeno
per dirgli che la Soleil cantava bene; ma quella sera essa voleva
parlare e intanto lo fissava sorridendo... e fissava pur sorridendo
l'occhiello del suo frak, dov'erano infilate alcune violette.

--Bellissime...

--Mi spiace, duchessina, ma non posso, non oso offrirgliele.

--Teme un dolce rimprovero?

Giacomo guardò Lalla stupito:--Oh, no; tutt'altro!

--Allora, le sono molte care quelle violette?

--Nemmeno, contessa; ma che vuole? le parrà strano, eppure anche noi
vecchi _roués_ abbiamo il nostro pudore e... Lei non mi può capire,
contessa, nulla di meno questo fiore così sciupato... ecco... mi
parrebbe di mancarle di rispetto se gliel'offrissi.--Le reticenze
marcate e studiate con molta arte stabilivano un'antitesi, fra il
contralto e la duchessina, molto lusinghiero per quest'ultima.

Quando Giacomo tacque, si guardarono tutti e due lungamente, senza
parlare; poi Lalla, colle labbra un po' tremanti e il seno che dalla
scollatura dell'abito si vedeva ansare più forte, fissandolo sempre,
stese la mano aperta verso di lui, con un'espressione dolcissima di
preghiera e d'affetto. Giacomo si tolse le violette dall'occhiello e
più per abitudine che per deliberato proposito, strinse leggermente le
dita di Lalla: e Lalla presi i fiori li chiuse, con molta cura, nel
suo ventaglio di pizzo.

--È una dichiarazione od è uno scherzo?--pensava il marchese fra
sè.--Mah! chi può capire le donne?... Perchè mai vorrebbe ch'io le
facessi la corte?... Amarmi?... lei? Sentire simpatia per me, che devo
esserle stato dipinto da suo marito col pennello di Bosch, il pittore
dei mostri?... Eh! questa intanto potrebbe essere anche una buona
ragione... Poi è una donnina di talento e chissà, trovandomi meno
stupido degli altri... No, no; è impossibile; divento vecchio, e per
lusingarmi basta anche un'amabilità, affatto innocente... o ingenua!
Con quell'aria così composta? Con quegli occhi così modesti?...
Eppure, alle volte, sa guardare in un certo modo... No, no; è
inverosimile, è assurdo!--Invece, quantunque inverosimile, la cosa era
proprio vera. Lalla ci godeva assai, e ci teneva a far girar la testa
al marchese di Vharè, più che ad ogni altro.

Ma perciò non bisogna credere che il Vharè dovesse il buon successo
soltanto alle memorie infantili della piccola duchessina; vi concorse
anche un'altra circostanza, molto singolare e molto efficace. Al Della
Valle era stata offerta in vendita la casa di campagna del marchese
Giacomo e, prima di recarsi a Roma, Giorgio e Lalla, passando da Santo
Fiore per salutare i d'Eleda. erano andati insieme a visitarla.

Giorgio aveva abitato un mese in quel villino senza scoprirvi nulla di
singolare; Lalla invece, subito, appena dentro, fatti appena i primi
passi, in tutta quell'intimità ricca ed elegante, in tutti quei mille
gingilli, vide come apparire, animarsi, muovere il dissipatore
simpatico e capriccioso, il seduttore amabile, dal gusto finissimo, e
dalle abitudini signorili; e in un tappeto con due cifre graziose, che
non erano nè una V nè una G. quasi nascoste dagli arabeschi, e in un
vasetto di fiori appassiti, e in un pennaiuolo ricamato, e in un
coltroncino trapunto, essa indovinò, al primo sguardo, le manine di
una donna, o di più donne, che volevano, o che avevano voluto molto
bene al padrone di casa. Con quel suo istinto di bimba curiosa e
indiscreta, Lalla guardava, toccava tutto, e di tutto voleva sapere,
indovinare il _perchè_. Essa correva di qua e di là, dallo studio al
salottino, dal salottino alla camera da letto, cercando, frugando,
rovistando, trovando sempre qualche cosa di nuovo, e d'interessante.
Pareva in casa sua là dentro, essa pareva lo spirito, l'anima, il
folletto di tutto quel piccolo regno dell'amore e della femminilità.

Quando da uno specchio era riflessa la leggiadra personcina di Lalla,
così vagamente bizzarra, coll'ampia pelliccia scura, che la freddolosa
si serrava addosso stretta stretta, col berrettone di lontra che non
le nascondeva punto le ciocche scompigliate dei bei capelli, quello
specchio pareva mutarsi per incanto in un bel quadro di genere messo
lì, a suo posto, dal buon gusto di un artista sapiente. Lalla correva
di qua e di là; ma d'un tratto, nella camera, accanto al letto, si
fermò, prima attonita, poi pensierosa. Fra le cortine rialzate, vicino
al capezzale, aveva scoperto un quadrettino piccolissimo, qualche
mistero di certo, perchè, di sotto al vetro, era calata una tendina di
seta verde, con un disegno stinto nel mezzo.

Come ci riesce bene il diavolo quando ci vuol mettere la coda!...

Giorgio, in quel momento, era alla finestra, occupatissimo col notaio
incaricato della vendita, che gli indicava i vari confini dei fondi
adiacenti alla villa.

Lalla staccò il quadretto, lo guardò da tutte le parti, con una smania
un po' nervosa, finchè, nascosta tra i fregi della cornice, in un
angolo, scoperse una piccola molla; la spinse forte, colle dita; la
tendina si alzò di scatto, e Lalla vide una miniatura, il ritratto di
una donna bellissima, nuda fin oltre la metà del seno, e circondata da
un arruffio di capelli biondi (era bionda anche lei!...) che riempiva
tutto lo spazio rimanente del piccolo quadrettino.

Quella signora così... bionda era una gran dama dell'alta aristocrazia
romana, celebre non soltanto per la sua bellezza, ma più ancora per la
sublime e rara virtù. Invece... invece era l'amante del Vharè.

Intanto Giorgio che trovava conveniente l'acquisto di tutti quei beni,
stava fissando col notaio i termini del contratto.

--Nella vendita è compreso il mobilio?... E anche gli oggetti
d'arte?--domandò la duchessina.

--Il signor marchese--rispose il notaio--si riservò soltanto alcune
memorie di famiglia, che intende conservare.

--Ho capito--pensò Lalla sorridendo. La bella miniatura sarebbe stata
conservata... tra quelle memorie!.

Ma tutto ciò, ad insaputa stessa del Vharè, gli aveva aperta la via
per entrare diritto nel cuore di Lalla; e dopo successa la scena del
fiore, quando Giacomo per la prima volta arrischiò, a mezza voce, una
mezza dichiarazione, egli vide gli occhi di Lalla, solitamente così
modesti, fissarlo, interrogarlo quasi supplichevoli, vide le sue
guance tingersi di un leggiero incarnato e il respiro farsi
anelante... come quando, senza parlare, essa gli aveva chiesto, cogli
sguardi desiderosi il gradito omaggio delle violette.

Giorgio era seccato, pareva sospettoso. Appena Lalla si metteva a
discorrere col Vharè, egli diventava serio, stava attento, e subito, e
non sempre con abbastanza disinvoltura, correva a mettersi in mezzo
fra di loro. Lalla scorgendo quelle ansietà, quelle mosse, sorrideva
impercettibilmente, più cogli occhi che colle labbra; capiva bene che
suo marito, sicuro di tutti, di--quello lì--non lo era punto; capiva
che--lì--egli presentiva il pericolo e con una logica tutta
particolare, Lalla ne deduceva, per conseguenza, che il Vharè doveva
valere molto di più degli altri; e nei colloqui notturni, quando essa
rivelava al marito tutte le dichiarazioni ricevute nella serata,
quelle del Vharè passavano sempre sotto silenzio. Anzi una volta che
Giorgio le domandò con alquanta circospezione, per non turbare la sua
innocenza, se il Vharè non aveva mai tentato di farle--un po' di
corte--essa gli rispose tranquillamente, candidamente.

--No; mai.--Senti, Nino mio, ti assicuro, a te il Vharè è antipatico e
ne avrai le tue buone ragioni, ma io l'ho trovato sempre cortese,
rispettosissimo: dalle sue labbra non è ancora uscita una parola che
possa parere una dichiarazione: dice sempre che potrebbe essere mio
padre e, via, non ha torto, sai, perchè sembra più vecchio di te!...
Insomma sta tranquillo, gelosone, nemmeno un briciolino di corte;
nemmeno un briciolino così!...--alzando il braccio nudo, fuori dal
candido accappatoio, mentre coll'altro si teneva stretta al collo del
marito, gli mostrava, stringendo il pollice contro l'indice, l'ultima
estremità di un'unghietta brillantata.--I tuoi cari amici, invece, i
tuoi colleghi (sinistra, destra, ed anche la montagna!) a sentirli
loro, si fonderebbero tutti in un partito solo, contro di te!--E Lalla
rideva col suo riso schietto, squillante, baciandogli la bocca, gli
occhi, i capelli che ella si godeva ad arruffare colle manine nervose.
Giorgio era felice, imbambolato dall'amore e dalla voluttà. Egli, del
resto, aveva troppa fiducia in sua moglie per temere il Vharè come
seduttore, ma gli spiaceva un'apparente intimità con uno scapestrato
di quella specie. Che poi il Vharè non avesse in animo di fare la
corte a Lalla, egli ne era sicuro! anche per quell'altra sospetto che
covava dentro di sè da tanti anni e che per quanto fosse un sospetto
assurdo, ridicolo, pure non aveva mai potuto scacciare dalla sua
mente. Per tutto ciò, il Della Valle inquieto ed incerto sul da farsi,
non giudicava nè prudente, nè conveniente, il mettere alla porta il
Vharè, vedeva con molto piacere, come un grande sollievo, avvicinarsi
il giorno della loro partenza da Roma: così, senza pettegolezzi, senza
dover imporsi, senza far scene, riusciva a liberarsi definitivamente
da quell'importuno. Ma invece... invece, la bimba cara, aveva già
fissato in quelle ultime sere, trovandosi sola soletta col bel
marchese di Vharè, il giorno e l'ora in cui questi, salvando le
apparenze, l'avrebbe raggiunta a Borghignano.

Tuttavia, per quanto Lalla fosse stata molto civettuola, non era andata
più in là di un amoretto platonico, sentimentale; e le ragioni di questo
fatto, assai importante, bisogna ricercarle in due farse ben diverse; una
proveniente da Lalla, l'altra dal Vharè. Giacomo sentiva per la bella
donnina una tenerezza soave, melanconica, che gli parlava al cuore, più
che ai sensi, e di cui fin allora non aveva mai provata l'eguale; una
timidità delicata e affettuosa. Se qualche volta si faceva troppo ardito,
gli occhi di Lalla si facevano grandi grandi e lo fissavano timorosi ed
egli allora, sorridendo, la chiamava--bambina--e rimaneva pago della
simpatia idealmente affettuosa di quella creatura cara ed innocente.

In quanto a Lalla, il suo--no--era affatto istintivo.

La sua indole, il suo gusto delicato, la rendevano repugnante a tutto
ciò che faceva perdere all'amore i poetici e interessanti colori della
sentimentalità; tanto più, poi, che suo marito le voleva molto bene e
glielo dimostrava molto, e perciò essa aveva il sangue calmo, e i
nervi tranquilli. In quanto alla coscienza... Oh, era una coscienza
che faceva sentir la sua voce sempre a proposito... per ammonire che
il peccato cominciava appunto là, dove Lalla trovava per lo meno
incomodo di dover arrivare.

Perchè una donna, come la duchessina, giunga a pronunciare l'ultima
parola dell'amore, l'amante solo, per quanto avveduto e audace, non
basta quasi mai; fa d'uopo il concorso di molte circostanze di tempo,
di luogo e... e anche di temperatura. Circostanze varie, impensate,
indefinibili; che la sorprendano nel cuore, nei sensi, nel capriccio,
quando meno lo sospetta ella medesima, e le tolgano volontà e lena di
combattere. Tutto ciò può accadere in otto giorni, può farsi aspettare
mesi e mesi e, alle volte, può anche non capitar mai.

Dopo, finito l'incanto, o quel _momento d'oblio_ appare come un punto
nero, e allora resta isolato nella vita della donna che riesce con
disinvolta facilità a dimenticarlo, oppure ebbe una scintilla, un
lampo di elettricità luminosa, e allora essa ne popola il cielo del
suo amore, colla profusione delle stelle che risplendono, nella
cupezza serena di una notte bruna, dopo la tempesta.

Lalla ci teneva molto che il Vharè le facesse la corte; ma era stata
presa dalla vanità, non dal cuore. Egli, più che altro, aveva per la
duchessina le capricciose attrattive del frutto proibito; e
l'antipatia ombrosa e paurosa manifestata contro di lui dal marito, ne
accresceva il fascino. Ma Lalla, in presenza di Giacomo, era sempre
padrona di sè, quantunque egli esercitasse su di lei una certa
influenza; quantunque fosse l'unico che, sovente, la facesse
impallidire e arrossire, inspirandole una soggezione strana, un
orgasmo, una titubanza indefinibile, quasi paurosa. Ma erano fenomeni
di poco conto, che la storditaggine stessa di Lalla bastava a
dissipare.

La duchessina si sentiva contenta; le bastava di aver domato il suo
Mefistofele. Più forte e più abile delle altre donne che col Vharè
avevano tutto perduto, anche l'onore, per vederlo poi, stanco e
disonorato, Lalla, con una sola parola, con una lusinga vaga,
indeterminata, lontanissima, riusciva, conservando il proprio
equilibrio, a tenerlo legato dietro al carro del suo trionfo.

Lalla non amava, ma voleva essere amata; non sentiva il bisogno di
_libare al calice dell'amore_; ma il bel calice si godeva a tenerlo in
mostra, fra le artistiche minuterie del suo salottino. Accresceva per
lei il piacere dei balli, dei teatri, delle riunioni il sapere che là,
come le altre, aveva il suo moderno cavalier servente, che l'aspettava
ansioso, geloso, inquieto, innamorato. Tutti i misteri, le ipocrisie
eleganti, l'impreveduto, il romantico ed anche il drammatico
dell'amore e degli amori, la divertivano assai. Ma fino ad un certo
punto; soprattutto non voleva commettere un passo falso e voleva
conservare la propria libertà: non voleva perdere la propria
riputazione e non voleva darsi un padrone.

Subito appena si furono spiegati, fu la prima Lalla a trattare Giacomo
col _tu_, francamente senza esitare, giubilante di poter dire a sè
stessa che quell'uomo, il quale faceva tanto discorrere di sè, quel
_babau_ della morale, era ai suoi piedi, era suo, era--il suo amante.
Ma quando egli le domandò il primo bacio,--no, sai, non te lo dò, un
bacio--gli rispose rannicchiandosi in modo, nel cantuccio del canapè,
da sembrare ancor più piccina, e ancor più bambina;--no, perchè coi
baci, si sa come si comincia... ma non si sa poi... come si
finisce;--ed abbandonò invece la manina morbida, nella mano di
Giacomo, che gliela stritolò convulsamente, pallido, imbronciato,
meravigliando in cuor suo, che--la bambina--avesse tanta esperienza.
Tuttavia l'esperienza non mancava nemmeno al Vharè: egli aspettava
paziente e rispettoso, senza esser punto disperato.

Uno solo, fra tutti i suoi adoratori timidi e sottomessi, ebbe la
sfacciataggine di mancare a Lalla di rispetto; e fu il conte Pier
Luigi. Sicuro; Lalla aveva voluto fare la civettina anche col vecchio
zio: così... non per altro che per riderne colla Giulia!... Era un
giochetto che le riusciva tanto bene!...

Un giorno, sul tardi, nel salottino s'era fatto un po' buio, le altre
visite s'erano dileguate, e lo zio e la nipote aspettavano l'ora del
pranzo. Lalla languida languida, colla testina chinata, tagliava
lentamente con una stecca d'avorio, le pagine di un romanzo nuovo,
mentre scherzava col suo piedino tra il falbalà della veste. Pier
Luigi, colla faccia invasata, le era seduto accosto e le ripeteva che
era una donnina _irritante_. Lalla si ostinava a volerne sapere il
perchè, fingendo di non capire ciò che invece capiva benissimo. Pier
Luigi allora le disse, con la voce grossa, che si era fatta bella, e
lei, di rimando, a rispondergli che mentiva, che sapeva di essere
brutta e che lui parlava così, perchè c'era buio! Pier Luigi minacciò
di alzare la tendina, e lei ad opporsi amabilmente e a non volere che
lo facesse...--Allora non gli sarebbe piaciuta più!...--Il vecchio non
fiatò, non rispose, ma, d'improvviso, le stampò un bacio sul collo.
Lalla si alzò di colpo, fremente d'ira e di ribrezzo; ma lo zio, che
la teneva stretta con un braccio, le strisciò un altro bacio sulla
bocca. Lalla pallida, senza un grido, si sciolse violentemente da
quella stretta, spingendo il vecchio lungi da sè, e balbettando:--Vi
trovo ributtante, sapete; ributtante, ributtante!...

Lalla, prudente, per evitare dispiaceri, non riferì quella scenaccia
al marito; ma Pier Luigi, punto sul vivo, non le perdonò mai più.

... E l'angelo custode, nel frattempo, che cosa faceva? Maria scriveva
di continuo alla figliuola lettere lunghissime, colme d'affetto, di
premurose sollecitudini, di consigli, e di ammaestramenti. Ma Lalla
trovava quelle lettere noiosette e melanconiche, perciò le scorreva in
fretta, saltando le mezze pagine e spesse volte guardando appena alle
ultime righe, tanto per accertarsi che il babbo e la mamma stavano
bene.

Maria aveva fissato di recarsi a Roma col duca Prospero, e questi,
infatti, vi raggiunse la figlia e il genero, verso la metà di maggio,
tre giorni dopo che gli fu comunicata, ufficialmente, la sua nomina a
senatore del Regno; ma alla duchessa d'Eleda, all'ultimo, era venuto
meno il coraggio, ed era rimasta sola a Borghignano. a provvedersi di
forze, per il momento, ormai prossimo, del ritorno di Giorgio e di
Lalla.

Già la poveretta aveva sperimentato a proprie spese come il volere e
il coraggio abbiano un limite; e ciò nell'occasione che gli sposi
fecero a Santo Fiore la loro gitarella, quasi all'improvviso. Per un
giorno Maria potè reggere, mantenersi tranquilla, e mostrare una
contentezza che non sentiva nel cuore, ma poi, malata, colla febbre,
dovette rimanersene a letto.

Da qualche tempo la salute della duchessa peggiorava a vista d'occhio;
ma Prospero Anatolio non vi badava gran fatto. Egli si lamentava,
invece, trovando che sua moglie era eccessivamente lunatica, piena di
egoismo e vuota di cuore: lei non faceva nulla per alleviare al marito
il doloroso distacco della figliuola. Ma l'infelicità di Prospero
Anatolio non era altro che rettorica; egli aveva un solo dispiacere:
quello di non possedere l'ubiquità di Sant'Antonio, e perciò di non
poter, essere, nello stessa tempo, nel palazzo municipale di
Borghignano, dove imperava autocrate assoluto, e nel Senato del Regno,
in cui, alla prima seduta, domandò subito la parola. Peccato che il
caldo cominciasse a liquefare gli onorevoli e fossero imminenti le
vacanze delle Camere.

In casa Della Valle si cominciava intanto a fare le valigie, e con
gran consolazione della Nena, la quale, a Roma, forse perchè non era
nè un deputato, nè un senatore, non ci si poteva vedere. Pativa di
nostalgia, in mezzo a quell'andirivieni di facce nuove, e non capiva
la maraviglia dei signori che si fermavano colla bocca aperta,
ammirando certe case rovinate, certe statue senza naso, certi fusti di
colonna col capitello rotto. La Nena non avrebbe dato il corso di
Borghignano per tutta Roma. A Borghignano, almeno, le strade erano
pulite e piane, mentre a Roma bisognava arrampicarsi su su, come in
montagna, e si ritornava a casa colla testa intronata. E poi la Nena
ci soffriva di amor proprio a non essere conosciuta da nessuno. A
Borghignano sapevano tutti chi era; le facevano di cappello, e i
merciai, i giovani di negozio, erano pieni di garbatezza e di premure;
ma a Roma?... A Roma pareva che le facessero un piacere a venderle la
roba, e la servivano in fretta e in furia, senza nemmeno lasciarle il
tempo di barattare quattro parole.

A consolarla un poco, le capitò, altrettanto caro quanto inaspettato,
il _Corriere d'Euterpe_ con una _corrispondenza_ da Palazzolo
sull'Oglio, segnata col lapis rosso. Il cuore le disse subito ch'era
stato Sandro Frascolini a mandarle quel giornale; allora si chiuse
sola nella sua camera e, compitando lesse la seguente corrispondenza:

«Palazzolo (sull'Oglio).

«Ieri sera, nella Favorita, melodramma del celebre maestro cav.
Donizetti Gaetano, abbiamo assistito al debutto del giovane primo
tenore assoluto, signor Alessandro Frascolini. Dire non lice,
all'umile penna del vostro corrispondente, gli applausi ch'egli
riscosse caldi e ben meritati, egregiamente assecondato eziandio dalla
valente prima donna assoluta, signora Mochetti Giuseppina.
Soddisfacendo le brame addimostrate dall'affollato uditorio, il
sullodato debuttante bissò la sua bella romanza dell'ultimo atto
«_Spirto gentil_» fra il generale e crescente entusiasmo. Il signor
Alessandro Frascolini ha bella voce, nobile l'aspetto, è ben aitante
della persona, ed affrontando con disinvolta spigliatezza le difficili
tavole del palco-scenico, impronta, con vero slancio di provetto
artista, il carattere del personaggio rappresentato.

«Avanti, signor Frascolini! Avanti sempre! Gli applausi
dell'intelligente pubblico di Palazzolo sull'Oglio vi devono essere di
sprone a perseverare nelle parti di tenore assoluto, nelle quali
_Euterpe_ vi riserva splendido, per l'avvenire, l'aurato serto di
Elicona.

«Il Ficcanaso»

La Nena, quella notte, dormì colla prosa di _Ficcanaso_ sotto il
capezzale: era incerta, titubante se dirne qualche cosa alla signora
contessa: poi, si persuase, che ormai Frascolini non aveva mandato il
giornale altro che per lei, la Nena, solamente per lei: si consolò
tutta, allora, e pregò la Madonna perchè le facesse la grazia di
potersi incontrare a Borghignano, almeno una volta con Sandrino,
reduce dai trionfi di Palazzolo sull'Oglio.



XXIII.


Lalla e il Vharè s'erano data l'intesa di ricongiungersi a Borghignano
nella prima domenica di giugno. In quella sera, per solennizzare la
festa solita dello Statuto era stato disposto un gran concerto di
beneficenza al teatro dell'opera. Lalla vi sarebbe intervenuta,
Giacomo pure, e così si sarebbero incontrati naturalmente, senza che
Giacomo dovesse correre il rischio di aspettare due o tre giorni per
non destar sospetti, con una visita troppo sollecita in casa Della
Valle.

Era la prima volta che accadeva al Vharè di fare un viaggio per
celebrare la festa dello Statuto e per assistere ad un concerto di
beneficenza. Egli, per altro, quantunque fosse il primo a riderne in
cuor suo, godeva assai tutte quelle sensazioni intime e misteriose:
gli pareva di ritornare giovine e di ricominciar allora la vita con
una nuova provvista di poesia. La _diva_, infatti, che si era accorta
del suo raffreddamento, aveva accettata una scrittura per l'estero, e
Giacomo ne sentì più sollievo che dispiacere; le cose lunghe diventano
serpi, e quell'amore filarmonico durava da tre anni, il che vuol dire
nove stagioni d'opera all'incirca, e col repertorio limitato del
contratto, egli ormai aveva fatto un'indigestione di _Preziosille_ e
di _Azucene!_... Poi la nuova passioncella di Giacomo era piena di
tirannie gelose e prepotenti. L'amore schietto, sincero, che gli si
donava con prodigalità spensierata, lo aveva sempre lasciato libero,
padrone di sè; invece quella voluttà, avara, paurosa, piena di
reticenze e di restrizioni, lo preoccupava e lo dominava
continuamente. Giacomo di Vharè non aveva un'idea esatta dell'onore e
nemmeno della virtù; perciò confondeva la civetteria degli
atteggiamenti ingenui e fanciulleschi cogli scrupoli del dovere e
della verecondia.

In buona fede, egli pensava fra sè e sè che gli avveniva allora, per
la prima volta, di amare una donna e di poterla stimare: e quell'uomo
cinico, beffardo, corrotto, che al mondo aveva una sola religione
sincera, un solo affetto che non fosse una colpa, la memoria di sua
madre, per la prima volta, accanto a quella memoria santa e adorata,
collocava un'altra immagine di donna: la figuretta gentile della cara
_bambina_.

La presenza del marchese di Vharè al gran concerto di Borghignano non fu
l'avvenimento meno importante di quella memorabile serata. I commenti
furono innumerevoli, variate e fantastiche le interpretazioni. Gli uni
assicuravano che il marchese, rovinato completamente, era venuto a
Borghignano per la liquidazione definitiva del suo patrimonio; gli altri
giuravano invece ch'egli aveva vinto a Monte Carlo somme favolose, e che
appunto tornava in patria, sempre amante delle novità, per pagare i
propri debiti. Chi lo faceva ammogliato segretamente colla diva Soleil, e
chi lo fidanzava ad un'americana arcimilionaria, la quale voleva metter
su casa a Borghignano, per darvi grandi pranzi e grandi feste nel
carnevale.

Tutti, però, gli furono d'attorno, con dimostrazioni di simpatia e di
rispetto; e fra le strette di mano e le larghe scappellate, i--buoni
provinciali--lo squadravano da capo a piedi, con una maraviglia
curiosa e pettegola. Il maggiore dei fratelli Tangoloni de Lastafarda,
che ci teneva molto a darsi l'aria del _viveur_ consumato nelle orgie
e nelle bische, mentre, invece, tutta la sua dissipazione si riduceva
nella perdita di qualche partita al _bigliardo_ od al _tresette_, lo
prese sotto il braccio e lo accompagnò nel palchetto dei _nobili_,
affettando con lui una dimestichezza da compagnone, e l'_erre_
aristocratica. Lì dentro, non gli lasciarono prender fiato, ma in due
o tre, toltogli di mano il cappello, a viva forza lo trascinarono nel
camerino, dove, tutti insieme, gli offrirono thè, vino, dolci e
sigari. Fortunatamente, a sollevarlo da quello zelo soverchio, capitò
in buon punto il presidente del teatro, un vecchietto lindo, lindo,
tinto e profumato come una saponetta, che volle condurlo sul momento a
visitare i ristauri del palcoscenico, e la nuova _rampa_ del gaz,
fatta costrurre apposta sul disegno di quella della _Scala_ di Milano.

Quel buon vecchietto vagheggiava un'idea ch'era ad un tempo il sogno
della sua vita e l'orgoglio della sua carica: ottenere, per una
stagione d'opera, la diva Soleil al teatro di Borghignano. Per questo
motivo faceva la corte al Vharè, e sentiva per lui un misto di invidia
e d'ammirazione.

Quando ritornò nel camerino dei _nobili_, il Vharè cominciò a lodare
le innovazioni del palcoscenico, la ricchezza dell'illuminazione, la
bellezza e il buon gusto delle signore di Borghignano, e notò che i
cori erano meno stonati dei cori dell'Apollo.--Insomma, voi altri qui
a Borghignano--concluse--sapete far le cose per bene. Si direbbe di
essere in una piccola capitale!...--Allora ricominciò l'assalto col
vino, coi sigari e col thè. Giacomo ebbe anche l'amabilità di trovare
il thè delicato e il vino squisito. Il direttore-economo del
palchetto, sensibilissimo agli elogi, si fece avanti, per raccontargli
che il vino lo aveva comperato all'ingrosso, tenendolo in serbo per le
varie occasioni; che lo aveva pagata un _franco_ e cinquanta al litro,
mentre Tangoloni de Lastafarda, quando era economo lui, prendeva del
_Bordeaux_ nazionale, a due lire la bottiglia, che invece di cavare la
sete, bruciava la gola. I giovani bontemponi a questa scappata
sghignazzarono; il marchese (lo chiamavano tutti marchese, anche i più
accaniti nel contrastare a Giacomo l'autenticità del titolo) sorrise
appena, vedendo che lo scherzo non era stato bene accolto dal
Tangoloni; poi, continuando a parlare colla sua verbosità facile ed
elegante di teatri, di politica, di Monte Carlo, si avviò nel
palchetto, seguito sempre dalla brigatella, e colla scusa di voler
sentire l'_Ave Maria_ di Gounod, che l'orchestra aveva appena
incominciata, si mise a _filare_ con Lalla. Il Tangoloni e gli altri,
approfittarono del momento per esaminarlo di sottecchi, studiandone il
taglio dell'abito e il nodo della cravatta. Il Vharè portava i capelli
corti, all'_inglese_; e il giorno dopo il parrucchiere dei _lions_ di
Borghignano aveva da tagliare una decina di zazzere!...

Giacomo si sentiva di buon umore, ed era contento di Borghignano ed
anche di quei giovanotti. Pareva che la duchessina, dal suo palchetto,
diffondesse una luce che gli tingeva tutto color di rosa. Egli l'aveva
veduta subito, appena entrato in teatro; ma, per un senso quasi di
timidità, in lui affatto nuovo, aspettò qualche momento prima di
fissarla col cannocchiale.

Lalla, seduta in faccia a Prospero Anatolio, voltava le spalle
all'orchestra: tutta bianca, avvolta nei veli e nelle trine, spiccava
dal palchetto, come sul fondo scuro d'un quadro. Senza adornamenti al
collo e alle orecchie, senza un nastro, senza un fiore, senza neppure
una gemma nel caratteristico disordine dei capelli biondi, volgeva
attorno quei suoi occhi cangianti, come il colore del mare, con una
tranquillità soave. Eppure quantunque il giro del suo sguardo avesse
una meta prefissa, non si fermava punto al palchetto del Vharè, ma
passava via lentamente, per ritornare un'altra volta, rifatto un altro
giro, coll'orbita determinata di una stella. Quando vide Giacomo
apparire nella _barcaccia_ dei nobili, con quell'aria elegante che lo
faceva somigliare ad un principe che viaggiava incognito, Lalla non
arrossì, non si turbò affatto, non si lasciò sfuggire dagli occhi uno
di quei lampi fugaci che tradiscono l'amore, ma adagio adagio,
cominciò a giocherellare col ventaglio chiuso, segnale convenuto per
avvertirlo di non andarla a salutare in palco quella sera: poi lo aprì
e lo richiuse tre volte, indicandogli con quest'altro avviso che
l'indomani lo aspettava a casa; tutto ciò, ella fece, senza mutare
d'una linea il suo atteggiamento raccolto, composto, sempre colla
testina bassa, con alcun che di verginale e d'immensamente dolce
nell'aspetto. Ella sembrava un essere etereo, vaghissimo, che non
respirasse dalla bocca socchiusa l'aria calda, pesante della sala, ma
solo quella musica divina dell'_Ave Maria_ che le alitava intorno
mesta come un lamento, appassionata come una preghiera.

Il Vharè, che dopo il primo cenno del ventaglio si era fatto un po'
pensieroso, al secondo si tranquillò di nuovo. Certo Lalla, potendolo
ricevere in casa il giorno dopo, preferiva quella visita ai saluti
diplomatici in teatro; e siccome egli capiva bene, che non avrebbe
potuto visitarla la sera in palco e l'indomani subito in casa, senza
commettere un'imprudenza, così l'approvò contento, col cuore in gioia.

Vicino al palchetto della contessa Della Valle c'era quello della
duchessa d'Eleda, La mamma, lo dicevano tutti, si conservava bene, ed
era ancora bella, più bella della figliuola, la quale, in compenso,
era generalmente più simpatica. Maria, pallidissima, era di
un'eleganza severa, matronale:--se pure destava l'ammirazione,
fermava, agghiacciandolo, qualunque desiderio.

--La d'Eleda è sempre uno splendore!--esclamò ad un tratto il Vharè.

--Sfido io,--rispose un socio della _barcaccia_, che ci teneva a fare
il freddurista--si conserva nel ghiaccio!

--Io però preferisco la Della Valle,--interruppe un terzo;--non è una
bellezza come sua madre, ma è assai più _piccante_.

--Voi, caro Vharè, dovete averla conosciuta a Roma?

--Sì, andavo da lei, il sabato sera.

--Aveva parecchi adoratori, dicono?

--Abbastanza, perchè non si potesse sospettare di nessuno.

--Guardate la duchessa, com'è pallida,--osservò il più giovane dei
Lastafarda.--Ho paura che sia vero ciò che mi ha raccontato mio
fratello.

--E che cosa ti ha raccontato?...

--Che ha un principio di mal sottile.

--Se lo ha davvero, è tanto sottile che non si vede,--sghignazzò il
freddurista dopo di averla fissata anche lui col cannocchiale.

Il Vharè guardò nuovamente Maria; ma non era più tanto pallida: vicino
a lei discorreva, seduto, il conte Giorgio Della Valle. Giacomo,
vedendolo appena, non pensò ad altro, si alzò, e salutati e
ringraziati gli amici della _barcaccia_, andò diffilato verso il palco
della d'Eleda.

Da uomo pratico, non voleva che gli scappasse l'occasione
d'incontrarsi con Giorgio in un terreno neutro e così di rompere il
ghiaccio, per il suo ritorno inaspettato.

La duchessa accolse il Vharè colla cortesia un po' fredda che le era
abituale; Giorgio, invece, gli dimostrò una sostenutezza molto
significante; ma, tuttavia, il Vharè non si perdette d'animo; cominciò
a discorrere di Gounod, di Borghignano, della _crisi_ ministeriale,
rivolgendosi ora a Prospero Anatolio, ora alla duchessa, senza mai
parlare direttamente con Giorgio, per non essere costretto a notare la
sua freddezza.

Solamente quando Giorgio si alzò per congedarsi, egli lo pregò di
presentare i suoi omaggi alla contessa Della Valle.

Giorgio gli rispose con un grazie, con un leggero inchino, e uscì.

Intanto, Prospero Anatolio che alle prime parole del Vharè sulla
_crisi_ ministeriale si era sprofondato, sospirando, ne' più gravi
pensieri, non ebbe agio di notare il contegno di suo genero, e
Maria... povera Maria!... era così commossa, da non capire quello che
le dicevano gli altri, e quasi, da non sapere nemmeno ciò che agli
altri rispondeva lei stessa. Il cuore le batteva forte, con violenza
dolorosa; brividi ghiacciati le correvano per le ossa, mentre una
fiamma calda le bruciava la faccia. La sala del teatro, che pareva un
vasto selciato di teste, e la curva dei palchetti luccicanti come
punti bianchi, gialli, verdi, le giravano d'attorno con vertigine
affannosa.

Il malumore del conte Della Valle, quantunque dagli altri due
inavvertito, a Giacomo, in sulle prime, riempì l'animo di dubbi e
d'inquietudini; ma poi pensò, che se fossero successe novità, Lalla
non gli avrebbe certo fatto segno di andare da lei l'indomani, e per
questo si acquetò interamente. Terminato lo spettacolo, senza
aspettare l'uscita della duchessina dal teatro, si avviò verso casa:
un quartierino mobiliato ch'egli teneva a pigione, e che durante le
sue lunghe assenze affidava alla custodia d'un vecchio servitore di
sua madre.

L'indomani, alle due, il marchese di Vharè domandava al portiere dei
Della Valle, se la contessa era in casa, e se poteva riceverlo.

--È in casa di certo, ma non so se riceve.

--Andate a vedere.

Il portiere uscì nella corte e suonò un campanello, che fece spuntare
la testa d'un servitore alla vetrata della galleria del primo piano.

--La padrona riceve?--gli gridò il portiere.

--Non so. Bisogna domandarlo ad Andrea.

Il portiere andò in cerca di Andrea, il quale ne chiese alla cameriera
e finalmente, dopo un quarto d'ora, il Vharè fu accompagnato e
introdotto dalla contessa.

--Se ogni volta che io vengo da lei--pensava Giacomo nel salire le
scale--si mette sossopra tutta la casa, sarà più prudente che venga
lei da me!...

Passò per un lungo quartiere, dove le sale dai mobili e dagli arazzi
antichi si succedevano le une alle altre, larghe, alte, silenziose. I
vetri delle finestre e le gelosie ermeticamente chiuse, le tendine
calate, impedivano all'occhio del visitatore di notare i capolavori
d'arte colà dentro raccolti.

A Giacomo pareva di attraversare un androne buio, interminabile,
spirante un'auretta fresca e profumata. D'un tratto il servo si fermò,
e sollevando con la mano la tenda di una portiera, inchinandosi fe'
cenno al Vharè di accomodarsi in un salottino dove c'era ancora più
buio che nelle altre sale. Giacomo entrò, ma poi si fermò su due
piedi, aspettando che gli occhi si abituassero nell'oscurità. Allora
un'onda odorosa lo avvolse, e mentre udiva ancora il passo del
servitore battere chiaro e secco, a mano a mano che si allontanava,
sul pavimento intarsiato delle sale, sentì dappresso il fruscìo di una
veste e proprio di contro a sè distinse la bianca personcina di Lalla
che, allungate le braccia, gli allacciava il collo, fissandolo
amorosamente, il capo arrovesciato, mentre i capelli le cadevano sul
volto, sulle spalle, e coprivano le mani di Giacomo, che la tenevano
sollevata.

Così, avvinti l'uno all'altra, Lalla camminando all'indietro, Giacomo
accompagnandola un po' curvo, strascicando co' piedi, per ischivare le
vesti, si avvicinarono ad un piccolo canapè e vi caddero insieme, a
sedere.

--Finalmente sei qui!...--disse Lalla con un filo di voce insinuante,
chinando, abbandonando il capo sul petto di Giacomo, che senza dir
nulla, respirava appena, colla bocca immersa nei capelli biondi
odorosi.

Tacquero lungamente: lei tranquilla, felice, fremendo dal corpicciuolo
esile, flessuoso, scosse di voluttà, compendiate in un lungo sospiro;
Giacomo pallido, commosso, fatto timido e rispettoso da un abbandono
così ingenuo e così sicuro.

Fu Lalla a parlare per la prima: Giacomo le rispondeva soltanto con
monosillabi, quasi inintelligibili. Quello della cara bambina era un
discorrere sommesso e appassionato; era un'anima che traboccava tutta
in un'altra anima.

Intanto, la vista abituandosi là dentro a poco a poco, vi si
diradavano le tenebre. Già si distinguevano benissimo alcune
pianticelle di gardenie, poste sopra due sgabelli dorati, di fianco
all'uscio, che lentamente chinavano la testina bianca, per udire che
cosa mai si dicevano quei due, così a bassa voce. Si scorgevano i
tulipani, di cui era fitto un panierino, collocato fra le tende nel
vano della finestra, allungare il collo; i garofani sbocciare dalla
curiosità; le azalèe, raccolte in una coppa di bronzo sopra una
colonnetta, in uno degli angoli del salotto, aprire, per ascoltar
meglio, i loro petali vermigli, mentre da una coppa intarsiata, che
pendeva giù dal soffitto, una campanula indiscreta si abbassava
allungandosi, più delle altre, per intendere quel linguaggio
nuovissimo, che, nel silenzio profondo della stanzetta, mormorava
misteriosamente come le note di un'armonia lontana. Ma tutti quei
fiori freschi e fragranti, testimoni e complici ad un tempo di quelle
ebrezze, non riuscivano a capir nulla. Soltanto un giglio il quale
aveva perduto un simbolico candore dell'innocenza, per farsi rosso
come il mantello del diavolo, pettegolo, sfacciato, ghignando e
mostrando dalla bocca enorme spalancata la sua linguetta viperina,
contava ad un mazzo di petunie che que' due, seduti là, così vicini,
facevano all'amore.

--Come ti voglio bene, Nino mio!--diceva Lalla.--Ho pensato sempre a
te, sai, continuamente, in tutti questi giorni. Quando ti allontani da
me, mi sembra che tu ti porti via la mia anima, qui dentro, in questo
taschino, sul cuore;--e Lalla scherzava colle dita in un taschino del
_gilet_ di Giacomo.--Allora me ne vado tutta sola nella mia camera, e
sto per ore ed ore sdraiata in una poltrona, fingendo di dormire per
non essere seccata. Ma non dormo affatto, sai, no; chiudo gli occhi
per vederti. Se tu sapessi come ti vedo bene, col tuo bel viso serio e
pallido; come ti vedo bene certe volte, col tuo sorriso cattivo, ma
che a poco a poco diventa dolce, melanconico, diventa carino carino...
così, come adesso!... Mi piaci tanto così, e mi sento tanto felice,
perchè mi sembra di essere io quella che ti fa diventare più
buono.--Che cosa sono io, per te?... Dimmelo. Giacomo la guardava
sorridendo, e taceva sempre.

--Ditelo subito, subito!--E Lalla aggrottava le ciglia in tono
imperativo, con una grazietta incantevole.

--Sei il mio angelo.

--Non hai detto--angelo--alle altre?... mai?... _mai_, Nino mio?

--No... ma...

--Che cosa _ma?_

--Volevo dire che... lo saresti un po' più, se tu lo fossi un po'
meno. Mi spiego?

--Sta zittino... subito!... non si dicono queste brutte cose!--Le
pareti hanno le orecchie e gli occhi, qui dentro: badaci.

--Ascolta, cara! l'appartamento è così lungo... mezz'ora prima si
sentirebbe camminare sui _parquets_, se capitasse qualcuno.

--Se capitassero visite!... Ma la Giulia? il papà, che è in casa
nostra tutto il giorno? la mamma? (se lo sapesse, sai, colla sua
severa morale, Dio Dio che spavento!...) e Giorgio?... Possono entrare
improvvisamente da una porticina segreta, che ti farò vedere nella
stanza qui appresso. E... ci sta bene, pare, quella porticina, se no,
lei non avrebbe giudizio!

--A proposito di... di tuo marito: ieri sera ci siamo incontrati, nel
palco della duchessa, e l'ho trovato molto sostenuto con me. Che
cos'ha?

--Non gli sei simpatico, te l'ho detto, e, siamo giusti, non ha tutti
i torti. Non gli sei simpatico, no, no, no! Ti tollera per un riguardo
alla mamma, dice lui, ma, in fondo, credo che gli manchi il coraggio
d'impormi di metterti alla porta. Oggi è andato in campagna, tornerà
stasera e, spero, non saprà che sei venuto, così potrai ritornare più
presto. Volevano che ci andassi anch'io in campagna; ma mi sentivo
poco bene--per andare in campagna, s'intende!--Non ho detto bugie
però, sai, la testa mi doleva davvero,--Quando iersera a teatro t'ho
fatto segno col ventaglio di venir qui, sei stato contento?... Sì?...
davvero davvero?... Fosti ben poco gentile, sai: dovevi almeno
mandarmi un bacio, per ringraziarmi! Come sarebbero rimasti sorpresi,
di', se ti avessero veduto colla tua serietà diplomatica a mandarmi un
bacio dal palchetto!...--E Lalla, a questa idea, che le pareva molto
ridicola, rise di cuore, coll'allegria schietta di una bambina senza
pensieri e senza rimorsi.

--Ma se... se non... se quell'altro non c'è?... Allora?...--Giacomo,
distratto, non ascoltava bene ciò che Lalla gli diceva.

--C'è la Giulia, t'ho detto, e poi, da un momento all'altro, aspetto
la mamma; anzi c'è da stupirsi che non sia ancora venuta. A proposito,
dimmi la verità, ma _la verità vera_, non t'è mai saltato in mente di
far la corte alla mamma?

--No, mai.

--Giura!

--Giuro.

--Che bel _fiascone_ avresti fatto!--E Lalla, battendo il palmo della
manina sulla bocca aperta si pose a dirgli la baia.

--Lo credo; ma non ho mai pensato di tentare.

--Perchè?...

--Perchè... non so, è una bella donna, pure...

--Oh! certo, più bella di me, non è vero?

--Tu mi piaci molto di più!

--Perchè ti piaccio di più?

--Perchè mi fai sentire nel cuore, nel sangue, ciò che non provo
affatto vicino ad una donna bellissima, anche più bella di te.

--Che cosa ti faccio, sentire, Nino?

--Sei terribile!... non credi, Lalla?

--Cattivo!...

--E la Giulia, dunque, anche qui come a Roma? Sempre fra i piedi.

--Sempre.

--Quando è arrivata?

--L'altro giorno.

--Che seccatura! Ci fosse almeno un cane che la sposasse!

--Adesso si tenta esplorando la provincia; ed io devo godermela a
tutto pasto.

--Perchè ti accomoda!

--Sei carino!... Sono io, vero, che comanda? Oh, se potessi fare a
modo mio, almeno un giorno!...--E Lalla sospirò con la rassegnazione
della vittima.

--Tu, per altro, avresti potuto liberartene con qualche scusa.

--Non sei contento di me?

--Niente affatto.--Così dicendo, Giacomo si alzò imbronciato,
lasciando Lalla sola sul canapè e andò a guardare alla finestra.

--Vedi, come sei?--mormorò Lalla, con una vocina piena di
lagrime.--Vedi come sei? Io mi ero fatta una festa pensando di stare
un'ora con te--io e te, soli, finalmente!--dopo tanti giorni che non
ci vedevamo; ho preparato quest'ora, tutta nostra, con mille noie, con
mille artifizi, che tu bene sai quanto mi costino, col mio
carattere... Ero così contenta, così allegra, e tu adesso... guasti
tutto! Ma, per altro, mi vendicherò, non dubitare! Avevo una bella
cosa da dirti, e invece, non te la dirò, ecco, perchè sei proprio
cattivo, cattivo, cattivo!

Giacomo non potè resistere,--con Lalla non sapeva lottare--e allora,
pensando che per una volta nella vita si può essere anche ragazzi, a
prezzo di tante e così nuove seduzioni, ritornò a sedersi vicino a
lei.

--Sentiamo.

--No.

--Che _cos'ha_ da dirmi?

--Nulla.--Adesso era Lalla che faceva il muso; un musino incantevole.

--Parla, andiamo; sarò buono, sono buono; a costo di essere.... un
imbecille!

--No... No!... Vada... Vada all'estero, raggiunga _la diva_; quella
non ha scrupoli, e non lo rende ridicolo!

--Perdonami!.... Ti domando; perdono!... Che hai da dirmi?...--Lalla
tenne ancora il musino, per un momento, ma poi fissò Giacomo, sorrise,
gli si avvicinò di nuovo e passando un braccio sotto quello di lui,
colla testina bassa, gli disse pianino pianino, giocando con una mano
colla catenella dell'orologio del Vharè:

--Mi confesso, non è vero?...

--Sì... sì...

--Ebbene... quando ti ho lasciato a Roma ho pensato fra me: adesso
bisogna fare un esperimento... Sai bene?... il rimorso...

--E che hai pensato?

--Ho pensato: se in questi giorni sento di poter vivere
sopportabilmente, senza di lui, se riesco qualche volta a
dimenticarlo, a non averlo sempre così vivo dinanzi agli occhi,
allora... allora quando egli arriva a Borghignano, non mi lascio più
vedere.

--Brava; benissimo!

--Mi confesso, dunque devo dire tutta la verità.--Allora pregherò
Giorgio di condurmi via l'estate senza dir dove; Giacomo pure mi
dimenticherà, ed io potrò ritornare buona, potrò ascoltare i consigli
della mamma e potrò vivere senza rimorsi. Pur troppo invece...

--Invece?...

--Invece ho capito che...

--Che cosa?

--Ho capito di volerti più bene... di quanto credevo! Giacomo la serrò
stretta sul cuore: Lalla si allungò, quasi strisciando, e gli baciò la
bocca.

Erano i primi baci ch'ella gli dava; ma adesso non aveva paura di lui,
sapeva di dominarlo bene e ci si arrischiava. Di più, Lalla, sentiva
ancora sulla propria bocca il contatto delle labbra viscide di Pier
Luigi e le pareva, così, di cancellare quell'impressione disgustosa.
In quei giorni si era anche facilmente persuasa che il bacio non era
poi questo gran peccato, se uno zio non si peritava di darne alla
moglie di suo nipote.

Cominciarono gli addii: Giacomo sarebbe ritornato tre giorni dopo, se
_quell'altro_ non ne avesse saputo nulla: già lei, onde prevenire le
domande, si era abituata a contargli sempre chi c'era stato a farle
visita; e perciò, anche se ne dimenticava qualcuno, non era questo--un
mentire!

Prima che il Vharè se ne andasse, prima di mandarlo via ebbe un altro
trasporto di tenerezza e di abbandono:

--Vedi, Nino,--gli diceva,--se tu lascerai che io ti ami sempre così,
senza voler urtare contro certe mie idee, allora ti vorrò ancora più
bene, e te ne sarò riconoscente con tutta l'anima!... Di', Nino, non
siamo più tranquilli, più contenti, più felici?... Il poter pensare
l'uno all'altro senza arrossire, è pure una gran consolazione, sai? E
poi, per me, vedi, c'è un'altra cosa che mi consola, che è una grande
parte del mio amore, quella di non essere costretta a rinnegarlo
dinanzi a Dio! Se tu sapessi la gioia che io provo quando prego per te
e se... se invece... capisci?... allora non potrei più pregare e certo
qualche grande sventura ci colpirebbe, forse... sarebbe tutto
scoperto... e non potrei vederti mai più!... E tu?... Tu non preghi,
non è vero?...

Giacomo sorrise, ma si sentiva un po' commosso.

--Tu non pregheresti nemmeno per me?... Tu non credi?... Cattivo! Come
sarei beata, orgogliosa, se un giorno potessi riuscire a farti
credere!

Il marchese di Vharè uscì da quella casa ringiovanito. Gli pareva che
gli fosse tornata la gioventù del cuore, e si sentiva la coscienza
soddisfatta per aver risparmiata quella donna.--Aveva tanto candore e
gli era tanto cara!... Certo che... un giorno o l'altro... non voleva
essere ridicolo; ma perchè si sarebbe affrettato a distruggere tutto
l'incanto di quell'abbandono lento del cuore e dei sensi che, a poco a
poco, avrebbero vinta la ragione... e il timore?... Alla fine poi non
poteva lamentarsi; progressi ne avevano fatti!...

Era proprio vero che la duchessina a Borghignano amava molto di più, o
amava meglio, il Vharè, di quanto non lo amasse a Roma. Ma se a Roma
il marchese di Vharè non rappresentava che un episodio della vita
elegante di Lalla, a Borghignano, invece, ne formava l'argomento
principale. In quella sua vita quieta tranquilla, senza distrazioni,
Lalla ricordava Giacomo più spesso, lo vedeva in quel mondo meschino,
_lillipuziano_, apparire ancora più diverso e più attraente degli
altri. Per tutto ciò, ella gli voleva anche più bene o, per lo meno,
credeva di volergliene di più. E poi, a Borghignano, la duchessina si
annoiava, e quando una donna sbadiglia, il diavolo, dice un proverbio
spagnuolo, le entra per la bocca e le va diritto sino al cuore.

Lalla era di gusto fine, delicato; aveva il temperamento e i nervi
aristocratici; per ciò, la corruzione profonda, ma raffinata, del
marchese di Vharè, si rivestiva agli occhi suoi di nuove attrattive al
confronto delle marachelle democratiche e trivialucce dei
giovani--provinciali--di Borghignano, le quali consistevano
nell'andare a cena colle coriste e le ballerine sudice e sbilenche,
nell'ubriacarsi rumorosamente col vino da fiasco o colla birra, nel
rovinarsi, a poco a poco, ai tavolini delle trattorie e colle carte
nostrane, senza il lusso e l'effetto drammatico di una bella
catastrofe rumorosa.

A Borghignano il fior fiore dell'aristocrazia mascolina era
rappresentato dai fratelli Tangoloni de Lastafarda, che godevano molto
credito ed erano molto invidiati perchè si vestivano a Milano, perchè
avevano amici a Milano, perchè partivano per... o arrivavano da
Milano, ogni altro giorno. Erano sempre insieme, questi due. vestivano
collo stesso _taglio_ e colle stesse stoffe dello stesso colore,
all'inglese, ed erano cretini, tutti e due, alla Nazionale. Il più
giovane certo, aspettando il suo turno, faceva intanto da _moretto_ al
maggiore. Il maggiore dei Tangoloni diceva una qualche spiritosaggine?
Il minore correva a ripeterla nei salotti e nei palchetti. Il maggiore
faceva la corte ad una signora?... Il minore, in segretezza,
spifferava la gran notizia a tutta Borghignano, e spesse volte, per
l'onore della famiglia, aggiungeva di suo. Tangoloni seniore parlava
col prefetto? Allora Tangoloni _iuniore_ andava raccontando al club e
al caffè:--mio fratello discorrendo col prefetto lo ha consigliato
a...--oppure:--il prefetto, trovandosi con mio fratello, gli ha
confidato che...--e così via, di seguito. Del resto i Lastafarda erano
ricchi, di buona nobiltà, e a Borghignano _dittatoreggiavano_ senza
accordare punto costituzioni; e il novellino, che stava lì lì,
titubante e desioso per ispiccare il primo volo nel bel mondo, doveva
sottostare al noviziato, entrare nel seguito dei Lastafarda ed
aspettare che uno dei due fratelli lo prendesse a braccetto
trattandolo col--tu:--fatto, codesto, col quale a Borghignano, dalla
mattina alla sera, si passava dalla plebe all'aristocrazia, dalla
gente ordinaria alla _compagnia dei nobili_.

Un altro astro di primo ordine era rappresentato dal marchese di
Toscolano, nobile come Bajardo, spiantato come San Quintino; costui
non aveva che una passione, ma sfrenata, quella dei cavalli. Passione
divisa, del resto, da tutta l'aristocrazia genuina o assimilata di
Borghignano, che sapeva a memoria la vita ed i miracoli di tutte le
rozze sfiancate che passavano sotto i _brum_. Il marchese di Toscolano
aveva un cavallo solo, in scuderia, e gli aveva messo nome
_Adamastor_, mentre sarebbe stato meglio battezzarlo Bortolo o
Pasquale, per la sua andatura lenta e monotona, che gli dava l'aria
pacifica e rassegnata d'un vecchio impiegatuccio a milletrecento, che
trotterella, curvo e striminzito, da casa all'ufficio.

Il Toscolano non faceva nient'altro, in tutto il giorno, che visitare
le varie scuderie degli amici, e così, qualche volta, dalla corte
passava al _piano nobile_ a salutare le signore, sempre con gli sproni
agli stivali, i calzoni scamosciati, lo scudiscio in mano e,
tutt'intorno, un puzzo da mozzare il fiato.

Il marchese aveva poi un'abitudine, che ingenerava molta confusione: i
cavalli, i cocchieri e le signore chiamava soltanto col nome di
battesimo: Adamastor, Dirce, Vandalo, Fanny, Sandro, Cecco, Toni;
l'Ippolita, la Jenny, la Norina.

Un altro bell'originale era Gianni Rebaldi, un omaccione sulla
cinquantina, con una gran zazzera bionda, ritinta, spaccone scempiato,
e sussurrone fastidioso, coll'aggiunta di una velleità seccante,
quella di ostinarsi, col mezzo secolo in groppa, a voler fare il
ganimede e il giovinottino che cerca moglie.

Gianni Rebaldi aveva trascorso a Bologna la prima e la seconda
gioventù, divorandosi tutto il patrimonio fino alle ultime briciole e,
adesso, a Borghignano, coll'aiuto delle signore, ripristinava, per suo
proprio conto una specie di _diritto d'asilo_. Egli sfuggiva dalle
persecuzioni dei creditori insediandosi, per mezze giornate, in un
salotto o in un altro, discorrendo delle avventure di Bologna, delle
feste di Bologna, delle signore di Bologna, tutto di Bologna,
accapigliandosi sovente coi due Lastafarda, i quali pretendevano,
invece, che a Milano, soltanto a Milano, vi fosse tutto il bello e
tutto il buono del mondo.

Attorno a costoro, qualche avvocatino sentimentale e senza clienti,
qualche piccolo vice-segretario di prefettura, qualche ufficialetto
dilettante di musica, e i gran _lions_ di Borghignano c'erano tutti.

Si può immaginare dal quadro il bel divertimento di Lalla!... Essa
sentiva come un sollievo, come un'eco della vita elegante di Pegli e
di Roma, abbandonandosi alla passioncella pel Vharè; e mentre
aspettava ansiosamente il suo arrivo, aveva intanto scritto lei alla
Giulia, quantunque al Vharè avesse lasciato credere il contrario,
perchè venisse subito a tenerle compagnia a Borghignano. Lalla capiva
già che il marchese Giacomo sarebbe stato molto più forte a
Borghignano di quanto non lo fosse stato a Roma, e perciò aveva
chiesto il ritorno della Giulia, nella quale ella avrebbe avuto un
pretesto sempre pronto da adoperare all'occorrenza, una salvaguardia,
una inconscia e potente alleata.

Poi, anche in casa, la vita di Lalla sarebbe stata troppo monotona
senza il soccorso del brio e delle effervescenze della Giulia. L'amore
profondo di Giorgio, tenero, rispettoso, era sempre uguale, senza
burrasche, senza le seduzioni dell'ignoto e dell'impreveduto. Prospero
Anatolio, che colla Giulia faceva l'amabile e l'accompagnava in
carrozza al passeggio, con Lalla diventava serio, tanto per far
credere che, in politica, lui aveva più peso di suo marito, e le
riferiva, parola per parola, le interminabili discussioni del
Consiglio Comunale, e i discorsoni ch'egli preparava e teneva in serbo
per l'apertura del Senato. Maria, malaticcia, melanconica, aveva
sempre pronto qualche buon consiglio od una qualche opportuna
rimostranza. Discorreva a lungo colla figlia de' suoi affetti, de'
suoi doveri e del suo avvenire; ma quanto era spontanea l'effusione di
Maria, altrettanto Lalla l'ascoltava sommessa in apparenza, con un
raccoglimento forzato che, il più delle volte, nascondeva a stento uno
sbadiglio: uno sbadiglio leggero, che poteva anche passare per un
sorriso. Così per tutto questo, il Vharè tornava carissimo a Lalla che
otteneva da quell'idillio coll'avvenente marchese distrazioni nuove e
piacevoli, che alleggerivano la noia delle lunghe giornate. In un modo
o nell'altro, riuscivano a vedersi ed a parlarsi frequentemente.
Giacomo in casa non le poteva fare più di due visite alla settimana, e
soltanto, ma ben di rado, quando il conte Della Valle andava in
campagna, oppure era in seduta al Consiglio Provinciale, ne
arrischiava una terza. Adesso era Giorgio che domandava alla moglie se
aveva avuta la visita del Vharè, e quando gli aveva detto di sì, egli
s'imbronciava, ma senza fiatare, ciò che faceva sorridere e divertiva
Lalla moltissimo.

Invece il marchese Giacomo si faceva assiduo in casa d'Eleda, dove
incontrava Lalla senza destar sospetti e dove, accattivatosi Prospero,
lusingandolo nella sua vanità d'uomo di Stato, vi era ricevuto
benissimo. Poi, Lalla e Giacomo combinavano d'accordo visite e ritrovi
presso qualche comune conoscente, e non si peritavano nemmeno di
commettere l'imprudenza, che più tardi dovettero pagare ben cara, di
fissar convegni per istrada, e di fare insieme un breve tratto di via.
Una volta Giacomo si arrischiò di proporre all'amica una rapida volata
nel suo piccolo quartierino--sicuro per ogni verso;--ma Lalla rispose
subito che--quella cosa lì, non l'avrebbe mai fatta.

Oltre agli incontri, ai ritrovi, agli appuntamenti, c'era anche
l'aiuto del teatro, quand'era aperto, del caffè nelle sere di musica,
delle riunioni private, dei concerti; e tutto questo complicatissimo
orario veniva combinato, diretto ed anche modificato all'occorrenza,
da uno scambio, da un andirivieni continuo di libri che servivano pel
solito sistema di corrispondenza che Lalla aveva già usato, la prima
volta, col Frascolini, e che adesso aveva insegnato lei,
l'innocentina, a quel suo don Giovanni, tanto vecchio del mestiere.

Di mandar lettere non si fidava, e diceva al Vharè, sovente, tanto per
scusarsi:--quando mi metto allo scrittoio e comincio a scriverti, mi
sento presa da una soggezione strana che mi turba, mi confonde, mi fa
perdere le idee e le parole. Tu hai tanto ingegno! Tu sai tante cose,
ed io, invece, non sono altro che una povera... ignorantina!

Certi rispetti al passato, il--pudore delle memorie--essa non lo
sentiva affatto. Un giorno, rovistando a caso in uno scrignotto, le
era corso fra le mani l'anellino di Sandro, e Lalla, anche un po' per
liberarsene lo affidò _in deposito_ al Vharè, facendogli credere che
lo aveva ricevuto in dono, per la sua prima comunione, dalla zia di
Genova; la famosa marchesa vecchia e sorda.

L'ascetismo poetico, non solo durava vivo in quell'idillio
sentimentale, ma cresceva sempre d'intensità. Adesso il Vharè era
costretto a tenersi chiusa nel portafoglio una piccola medaglina
benedetta; e tutte le volte che erano soli nel salotto, Lalla gli
toglieva con una carezza il portafoglio di tasca, lo apriva, ne
frugava i segreti, levava la medaglina, la baciava, e voleva, colle
sue moine, che la baciasse anche lui, cosa che il Vharè non rifiutava
di fare, dopo però di avere imposto a Lalla, ed ottenuto, qualche
dolce compenso. Quindi, finite le divozioni, essa gli riponeva il
portafoglio nella tasca dell'abito, e si fermava qualche momento colla
mano sul petto di Giacomo, per sentirne i battiti del cuore. Un giorno
ch'ella lesse in un libro di preghiere, tradotto dallo spagnuolo,
un'_Ave Maria_ in versi, inspirata e gentile, volle, ad ogni costo,
che il Vharè l'imparasse a memoria: se lo fece inginocchiare dinanzi,
sorridendo voluttuosa, le mani nei capelli di lui, che la teneva
abbracciata per la vita e baciandogli la bocca, gli occhi, la fronte,
gliela fece ripetere tante volte, finchè Giacomo la potè dire da solo.

Lalla s'era messa in mente d'essere come una specie di piccolo
missionario, che sperava, riconducendo la pecorella smarrita al buon
pastore, di scusare, e quasi di rendere meritorie le sue scappate. Si
sa bene, se alle volte doveva pur sottomettersi e doveva cedere,
concedendo qualche piccolo premio a quel peccatore così difficile da
convertire, anche Domeneddio avrebbe dovuto chiudere un occhio e forse
tutt'e due... per il trionfo della fede. _Il fine giustifica i mezzi_;
tuttavia la duchessina non avrebbe sempre potuto cantar vittoria se
anche la Provvidenza non l'avesse aiutata.

Erano diversi giorni che il Vharè si faceva vedere imbronciato.--Così
non la può durare--borbottò con l'amica.--Sento, capisco, non mi
volete bene.--Lalla protestava; si stringeva nelle spalle sospirando,
gemendo, spremendo qualche lacrimetta dagli occhi bellissimi e... non
si andava più in là.

Che fare?...

Il Vharè cominciava ad essere seccato, arrabbiato, nervoso:

--Era tempo di concludere, ormai, o di finirla.

Ma faceva i conti senza l'astuzia finissima di Lalla, ed
insensibilmente le si era troppo legato per poterla lasciare.

Stavano così le cose, quando la _Prefettessa_ di Borghignano,
nell'occasione del proprio onomastico, offrì alle varie notabilità del
Comune e della Provincia, una serata di gala.

A Borghignano, l'aristocrazia affettava di non intervenire ai
ricevimenti pubblici del Prefetto, prima di tutto perchè il Prefetto
rappresentava un Governo di _sinistra_, e i Lastafarda avevano
riferito che anche a Milano la nobiltà, quella pura, non si lasciava
vedere in simili riunioni, e poi perchè, naturalmente, vi era ammesso
_un po' di tutto_. L'aristocrazia di Borghignano era un'aristocrazia
spiantata, che teneva molto al sangue e ai titoli, anche per il resto
che se n'era ito, e con una invidia assaettata, odiava i _nuovi
ricchi_, i quali, se avevano lasciati i blasoni al loro posto, s'erano
impadroniti delle ville più grasse e dei palazzi più splendidi. Così

    . . . . la rancida
    Muffa Patricia

credeva di vendicarsi contro le sopraffazioni del denaro, sfoggiando
un'alterigia altrettanto impertinente quanto ridicola. Dal Prefetto
dunque i _corpi santi_, come si chiamavano le matrone meglio
inquartate, non comparivano affatto; soltanto i loro mariti, per
convenienza e per curiosità, vi facevano una fugace apparizione,
tenendosi appartati e cuciti sempre insieme, alle falde, gli uni cogli
altri, temendo quasi di perdersi in quel _bailamme_, silenziosi, duri,
impettiti, come i congiurati nel _Ballo in maschera_. Lalla, figlia
del senatore e moglie del deputato di Borghignano, non poteva
rifiutare l'invito, e poi aveva troppo ingegno e troppo spirito per
patire simili bizze; tuttavia non volendo correre il rischio di
_restar sola_, condusse la Giulia con sè.

Questa paura era esagerata: per amore o per forza sarebbe intervenuta
alla festa anche la moglie del generale Calandrà, una baronessa
polacca, papista sfegatata e _arciduchina_ in fondo all'anima; secca
di corpo grulla di spirito e attempatuccia; rigonfia, a chiacchiere,
di principî e di morale; in pratica, spavento e arpia dei giovani
ufficiali d'ordinanza di suo marito, che li voleva scegliere sempre
lei, che li voleva sempre scapoli, assoggettandoli a servizi
straordinari, non contemplati dai regolamenti. Poi non avrebbe nemmeno
potuto mancare ad una festa data dal Prefetto la moglie del Presidente
del Tribunale, una piemontesona coll'_erre_, che nasceva dai Bertù di
Saint-Florin de la Baltea, sciocca, linfatica, schifiltosa e
pettegola, che girava attorno con un'aria balorda, che parea dire a
quel volgo in guanti bianchi:--_tireve-'n là, i veui pa
spörcheme_.--Maria no: Maria non si lasciò vedere nonostante le
sollecitazioni di Prospero, il quale voleva diventar popolare per le
solite elezioni del quinto dei consiglieri comunali. La duchessa
d'Eleda non aveva lena di muoversi, di affaticarsi. Tutte le sere le
veniva la febbre, e perciò era sempre più debole e più sofferente.

--Sarò stasera al ballo del Prefetto,--diceva _Le journal d'une
femme_, del Feuillet, mandato da Lalla a Giacomo.--Non so se vi potrò
venire,--rispose la _Conquête de Plassans_, rimandata dal marchese
alla duchessina. Il Vharè, certo, non voleva mancare alla festa, ma
rispose così per mostrarsi in collera.

L'appartamento del Prefetto, illuminato a spese della Provincia,
lasciava molto a desiderare in fatto di buon gusto: le sale parevano
quelle di un albergo, riempite, per l'occasione, col mobilio di tutta
la casa. Le stoffe dei canapè e delle seggiole erano differenti di
tessuto e di colore, forse in omaggio ai vari _partiti_ politici che
vi erano ospitati. Povero l'apparecchio, i servitori portavano i baffi
e si vedevano rinfagottati nelle livree stinte coi bottoni lustri.
Anche le signore, meno poche eccezioni, erano di una bellezza e di una
eleganza da far innamorare un pittore di pappagalli. Alcune, fra le
altre, mogli rispettabili di qualche consigliere comunale o
provinciale, o di qualche regio impiegato, s'erano messe intorno, per
fare del lusso, tutto il guardaroba, e il tesoro di famiglia, dalle
buccole di corallo al bel medaglione di lava del Vesuvio. Andavano
guernite con nastri a mille colori, che sulle tuniche chiare, di seta
greggia, o di _grenadine_ celeste, stonavano maledettamente, come il
pianoforte della sala da ballo, anche quello di proprietà della
Provincia. Di tanto in tanto si vedevano dondolare braccia nude,
secche e nere, che ricordavano le lingue affumicate; ma la maggioranza
era rappresentata dalle donne grasse, rigonfie, colle spalle nude
picchiettate da rosse bollicine che la cipria non riusciva a
nascondere, e con quel tutt'insieme di poco pulito, esalante un odore
di sudaticcio, che si potrebbe dire il profumo della fedeltà
coniugale, perchè, si sa, la donna, in generale, non si trascura... se
ha degli amanti.

Lalla, la Giulia, la Bertù e la generalessa, corteggiate da Gianni
Rebaldi, da qualche ufficiale di cavalleria e da due o tre piccoli
segretari di Prefettura, formavano un circolo a parte.

Lalla, nascondendo le risatine, dietro il ventaglio, si divertiva a
mettere la gente in caricatura, e la Bertù arricciava all'aria il naso
aquilino, sempre malcontenta di tutto e di tutti e toglieva
addirittura il respiro colle sue interrogazioni inconcludenti e
scipite. Parlava senza mai una battuta di pausa, come il _tè-tè-tè-tè_
monotono e stonato di una trombetta di legno. E voleva sapere se
quella signora vestita di verde era ricca, se quell'altra coll'abito
giallo aveva figliuoli, se questa in lilla andava d'accordo con suo
marito; domandava il nome e l'indirizzo e i prezzi delle sarte, delle
modiste, e discuteva sulle vesti, sulle acconciature e sui buoni
costumi, con un calore, che avrebbe fatto ridere, se però avesse
seccato meno. La sua vittima principale era la Giulia, che le
rispondeva distratta, essendo occupatissima nel tener vive, ad un
tempo, le speranze di quattro innamorati.

Il conte Della Valle discorreva di politica col Prefetto e
d'amministrazione col Presidente dei _Luoghi Pii_, mentre Prospero
Anatolio dava il braccio, accompagnandola in giro per le sale, alla
moglie di un celebre avvocato ultra democratico ch'era il _leader_
dell'opposizione municipale. E quando il duca passava con quel carico
vicino a Lalla e alla Giulia, evitava di guardarle.

Oh! parlava spedito, quella sera, Prospero Anatolio: l'avvocatessa non
poteva esercitare su di lui i fascini occulti che gli legavano la
lingua! Era un donnone colossale, colle spalle e colle braccia rosse e
rigonfie. In capo aveva un'acconciatura di penne bianche e di fiori
finti, con le fogliuzze d'oro; vestiva un abito di seta chiara, a
strie verdognole, guernito con bottoni d'acciaio brillantato. Al collo
portava una collana di perle false, nelle orecchie smeraldi di Murano,
in mezzo al petto, enorme e sformato, uno spillone di filagrana, con
una miniatura rappresentante la Piazzetta di S. Marco e la laguna.
Aveva la bocca grande, il labbro superiore ornato da due baffetti da
_matricolino_, i denti guasti e il naso a ballotta. Per farsi bionda,
essendo rossa di capelli, s'era coperta di cipria e ne aveva sul
collo, nelle orecchie, sulle braccia, tanto da infarinare la giubba di
Prospero Anatolio, che non poteva a meno di sentire una certa
ripugnanza scorgendo un cordoncino annerito dal sudore e dall'uso, il
cordoncino del corsè, che usciva fuori, di dietro, sulle spalle, fra
il candido fisciù dell'ampia scollatura, rivelatore indiscreto di
certi misteri che non destavano curiosità. Portava i guanti bianchi,
ad un bottone solo; le braccia erano coperte da braccialetti d'oro, di
tartaruga, di corallo e di _venturina_. Camminando, la fiera
avvocatessa, faceva il passo dell'angelo, sventolandosi con un
ventaglio di struzzo, che perdeva le piume, appeso ad una catenella di
_nickel_ legata attorno alla vita, e dimenandosi tronfia, per essere
al fianco del duca d'Eleda, pur non ascoltando altro che
distrattamente tutto ciò che Prospero Anatolio le diceva d'amabile,
occupatissima com'era ad osservare se _quelle altre_ la vedevano così
accoppiata, e se la vedevano tutte, e se, finalmente, crepavano di
rabbia!...

Tuttavia, la signora aveva una punta di amarezza, in mezzo alla sua
piena felicità: sapeva di non dover quel trionfo ai propri meriti
personali, ma invece... a suo marito!... Era costui un omiciattolo
scarno, gobbo e irrequieto, insaccato nella giubba logora e con un
dito sempre nel naso, forse per impedire alle idee di scappar fuori da
quella parte. Permaloso e aggressivo nella vita pubblica, era docile
assai con la moglie, la quale, per vanità, volendo sfoggiare in
pubblico il suo predominio su quel piccolo Robespierrino, si godeva a
mortificarlo con spostature e rispostacce che impacciavano abbastanza
il duca d'Eleda, non abituato a quelle beghe, ma che poi anche lo
vendicavano di quello sgorbio addottrinato, del quale aveva dovuto
inghiottire più di una volta, nelle sedute del Consiglio Comunale, le
demagogiche requisitorie.

Il marchese di Vharè entrò l'ultimo: la festa era già cominciata da un
pezzo. Con un'aria di noia e di sonnolenza altrettanto di _buon
genere_, quanto era poco lusinghiera per la riunione, egli si guardò
attorno stringendo le palpebre in cerca della padrona di casa, e
quando l'ebbe veduta in un angolo, in fondo della sala, si avviò
diritto verso di lei e le strinse la mano con dimestichezza,
sorridendo appena, a fior di labbra, in un modo che voleva
dire:--Capisco che vi dovete seccare assai e vi compiango
sinceramente.--Poi passò vicino al Prefetto e gli fece un saluto
distratto, con un cenno del capo, come se già lo avesse veduto poco
prima; quindi si fermò un momento, cercando intorno cogli occhi e,
alla fine, quando ebbe scoperto le quattro signore appartate, mosse
adagio verso il gruppo, stringendosi coi gomiti per non urtare la
folla e strisciando leggero co' piedi, per evitare gli strascichi.
Giunto dinanzi all'eletto circolo s'inchinò tre volte, in tre tempi e,
sempre senza dire una parola, senza curarsi particolarmente di Lalla,
si adagiò, stirandosi, sopra uno sgabello vicino alla Giulia, le tolse
il ventaglio e cominciò a farsi vento, scompigliando l'esercito timido
dei piccoli adoratori e facendo subito allontanare Gianni Rebaldi, che
passò vicino alla Bertù.

La Saint-Florin de la Baltea si scagliò su Rebaldi. _té-té-té-té_, per
conoscere gli anni, le rendite e il casato del marchese Giacomo.

Gianni Rebaldi che lo odiava per invidia, quantunque ci mettesse molta
buona volontà, non riuscì a calunniarlo altro che a proposito degli
anni; ma il naso della Bertù ch'era rimasto indifferente
all'enumerazione dei debiti del Vharè fatta con l'accanimento di chi
non paga i propri, si arricciò quando sentì dire che quel marchesato
non era autentico e si contorse scandalizzata al racconto delle
audacie galanti del marchese, perchè la signora Bertù di Saint-Florin
de la Baltea era assai schifiltosa in fatto di morale.

La contessina Giulia era bellissima quella sera, e il Vharè si godeva
a farla ridere, per vedere i dentini bianchi apparire fra le labbra
umide e rosse. Lalla, un po' mortificata, osava appena di rivolgere,
colla sua voce più morbida, qualche paroletta a Giacomo, che le
rispondeva distratto, mostrandosi solo occupato della sua bella
vicina. Intanto colla Prefettessa, che passava e ripassava strizzando
l'occhio, facendo frequenti e rapide corse in quella piccola riunione,
prendendo viva parte ad ogni discorso che vi si faceva, mostrando
chiaro come col cuore fosse tutta lì in mezzo, quantunque i pesi della
rappresentanza la obbligassero altrove, si stava combinando un
_carrè_, per i primi _lancieri_; un _carrè_ a parte, fra loro sole,
composto dalla Bertù, dalla Calandrà, dalla Giulia e da Lalla. A poco
a poco anche il Prefetto, il Generale, il conte Della Valle e Prospero
Anatolio, che con bella maniera aveva deposto il carico avariato, si
accostarono al circolo, e allora, trovandosi tutt'insieme, come in
famiglia, respirarono più liberamente, cominciarono a ridere ed a
scherzare.

Giulia si alzò la prima, perchè si sentiva sete; il Vharè le offrì il
braccio e la condusse al _buffet_. Là s'intrattennero più del
necessario, discorrendo fra di loro soli, pianino; Giulia,
coll'intenzione di far risolvere, mediante lo stimolo della gelosia,
l'uno o l'altro dei suoi timidi pretendenti; Giacomo, recitando
apposta quella commediola perchè la Della Valle ne dovesse soffrire, e
siccome egli sapeva bene la sua parte, il gioco gli riusciva
pienamente. Infatti furono presto raggiunti dalla duchessina e da
Prospero Anatolio che, anche lui senza parere, non perdeva mai di
vista la Giulia, come fa un vecchio avaro col suo tesoro. Lalla era
nervosa e non si sentiva più tanto sicura, tanto padrona di sè.
L'ultima volta che s'era trovata col Vharè c'era stato un po' di
burrasca: Giorgio, proprio all'indomani della festa del Prefetto,
doveva andare in campagna, e il Vharè, avendolo saputo, voleva un
appuntamento; ma Lalla era stata risoluta a non volerlo concedere, e
da ciò la collera e i dispetti...

Dall'altra sala, frattanto, giungeva allegra la musica del _valzer_ e
il frastuono vivace, animato delle varie voci confuse col fruscìo
delle vesti. Giacomo fece un cenno alla contessina Giulia,
inchinandosi sorridendo: la fanciulla rispose accettando l'invito, gli
si appoggiò mollemente con una mano sulla spalla, e tutti e due,
stretti insieme, sparirono, travolti come da un'onda, in quel turbine
di colori e di luce, per ritornare poco dopo, Giulia al braccio del
Vharè, col volto acceso, il seno palpitante, spirando dal languido
atteggiamento di tutta la persona l'ebbrezza goduta in quella volata
rapida e voluttuosa.

Il duca Prospero non volle più saperne di simili corteggiamenti:
appena la vide, le mosse incontro, la prese lui con bel garbo sotto il
braccio e la ricondusse a sedere accanto alla Bertù. Lalla e il Vharè
rimasero così faccia a faccia, e come fossero soli, perchè in mezzo a
gente che non conoscevano e che non dava loro nessuna noia: tuttavia
un po' impacciati, per trovarsi giunti al momento desiderato e
aspettato con tanta ansietà.

--Cattivo!...--balbettò Lalla con un filo di voce. Giacomo la guardò
fissamente, senza parlare.

La musica del _valzer_ era finita, e adesso l'instancabile maestro
cominciava sul pianoforte i primi accordi che preludiano i _lancieri_,
mentre le coppie si univano, si avviavano chiacchierando al loro
posto.

--Li ha già impegnati questi _lanciers_, signora contessa?--domandò
Giacomo finalmente, con un leggero tremito nella voce.

Lalla alzò i grandi occhi sopra di lui con due lacrimone belle che li
rendevano ancor più dolci e insinuanti.

--Sì... con te!

Giacomo le offrì il braccio, e lei, nel passar di sotto colla mano,
trovò il destro di pungerlo forte, fin nelle carni, colle sue
unghiette di madreperla, così bene affilate. Il Vharè impallidì, poi
sorrise, premendo col suo braccio il braccio nudo della duchessina.

La pace era fatta.

Le coppie della Calandrà, della Bertù, della Giulia si erano già messe
di fronte: Lalla col suo bel cavaliere venne a compire il _carrè_, ma
quel _carrè_ non fu certo un modello di ordine, nè di compostezza:
Gianni Rebaldi, che non ballava, si divertiva a fare lo spiritoso, a
cacciarsi in mezzo alle coppie, così grosso e bracalone, durante i
_traversez_ e i _retraversez_, a imbrogliare un _demi-ronde_ o un
_tour de mains_, a dare indicazioni sbagliate colla voce fessa e
uggiosa, ridendo sgangheratamente quando riusciva a confondere tutta
la _figura_.

Le signore, tranne la Bertù che girava attorno severa, composta, colla
maestà ch'era fusa nel sangue dei Saint-Florin, secondavano il chiasso
animatamente, dando la beffa a Gianni Rebaldi e percuotendolo
leggermente coi ventagli e chiamando la Prefettessa perchè gli
comandasse di smettere, di stare zitto, di andar via; e tutto ciò
accresceva il disordine, la confusione, il brio schietto e disinvolto
che tutti gli altri _carrés_, i quali compivano il _dos-à-dos_, la
_visite_, la _promenade_ e la _reverence_, taciti, composti, senza mai
confondersi nelle _figure_, osservavano, invidiavano e disapprovavano
scandalizzati.

Lalla aveva perduta ogni prudenza: parlava troppo, e sempre a bassa
voce, col Vharè. Negli intervalli gli si appoggiava al braccio con
languido abbandono e, quasi sempre, distratti tutti e due, erano
chiamati all'ordine dalle altre coppie. Quando, per le combinazioni
delle varie _figure_, Lalla doveva dare il braccio ad un altro
cavaliere, continuava a fare segni e a rivolgere a Giacomo occhiatine
e parolette che sottintendevano discorsi interi, mentre Giorgio, che
non la perdeva di vista, si faceva, a mano a mano, più serio e
imbronciato.

Il frastuono, la vivacità, il calore crescevano sempre: Gianni Rebaldi
era riuscito nel più bello d'un _chassez croisez_ ad allontanare dalla
sua dama un ballerino poco esperto e a mettersi lui al suo posto.
Lalla, che di solito nel _tour de mains_ e nella _chaîne_ offriva due
dita sole al cavalieri, adesso invece, quando incontrava la mano del
Vharè la stringeva fortemente, segandola colle unghiette che si
sentivano bene anche sotto i guanti. La confusione raggiunse il colmo
alla _chaîne_ finale. Chi passava da una parte e chi dall'altra,
incrociandosi rapidamente, vorticosamente, ridendo e vociando,
sfogandosi in un'allegria obliosa, espansiva, correndo e saltellando,
fermandosi ad ogni tratto per salutarsi, per inchinarsi e poi per
ritornare a correre e a girare attorno, storditi e anelanti. Era una
vertigine di colori, di spalle nude, di capelli biondi e neri, di
faccie pallide, di occhi scintillanti; un disordine ed un eccitamento
nuovo dei sensi istigati e irritati dal continuo stringersi delle
mani, dal premere delle braccia, dallo strisciar dei fianchi e delle
vesti, mentre le orecchie rimanevano intronate da quella musica del
cembalo chiara, pettegola, che ripeteva insistente il monotono
ritornello dei _lancieri_, affrettandolo nelle ultime battute con una
vibrazione più calda e più animata.

La Bertù era già uscita dal _carrè_ prima che il ballo finisse; Gianni
Rebaldi, rosso invasato, il colletto della camicia molle di sudore,
dondolante, sventolandosi col fazzoletto, facendosi becero per la
smania di sembrar disinvolto, finì collo sdraiarsi, sghignazzando,
sopra una lunga poltrona vicino al _buffet_, dove ingoiò mezzo
pasticcio con una bottiglia di Marsala.

Lalla, accesa in volto, il respiro ansante e gli occhi che le
sfavillavano, come se quei tepidi _lancieri_ avessero sollevate per
lei le complici ebbrezze del _valzer_, si appoggiava colla piccola
personcina, tutta rorida e fremente, al braccio di Giacomo, che doveva
ricondurla nel solito cantuccio dell'altra sala, fra la contessina
Giulia, la Generalessa e la Bertù.

--Dunque?... Domani?... le chiese il Vharè, sottovoce.

Lalla lo guardò appena, timida, amorosa, poi palpitando più forte e
premendogli il braccio con le dita della mano, ch'ella vi aveva
appoggiata, chinò il capo senza rispondere.

--Alle due?--insistè l'altro.

La duchessina non lo guardò, ma rispose un _sì_ lento, quasi
inintelligibile, che corse con un brivido per le vene di Giacomo.

Quando il Vharè l'ebbe accompagnata al suo posto, s'inchinò
salutandola; girellò qua e là per la sala, discorrendo coll'uno o
coll'altro del più e del meno, ma presto sparì dalla festa. Il suo
scopo, ormai, era stato raggiunto.

--Avevi da parlare di cose molto importanti, col signor
Vharè?--domandò Giorgio alla moglie, mentre si spogliavano per andare
a letto.

--M'è venuta una buona idea; voglio persuaderlo a sposare Giulia.

--È un'idea pazza!... Uno spiantato pieno di debiti e di vizi!... Non
incaricartene affatto, e ricordati: meno colui ti verrà fra i piedi,
più ne sarò contento.

Quel tono aspro e freddo, quella severità del marito, mentre Lalla era
così piena di dolci ricordi della serata, la irritò, le sembrò cosa
cattiva, ingiusta, e Giacomo le diventò, per il contrasto, ancor più
piacente e più caro. Essa rispose a Giorgio con altrettanta durezza ed
ironia:

--Senti, caro: io non posso, nè voglio fare degli sgarbi a chi è
sempre stato amico della mia famiglia, a chi è sempre stato molto
gentile con me, senza mai mancarmi nè di riguardo nè di rispetto. Se
tu vuoi metterlo alla porta, buon padrone; ma tocca a te: sei tu...
l'uomo forte.

Non era il primo caso, codesto, nel quale Lalla si mostrasse adirata;
ma le altre volte Giorgio smetteva subito la bizza e le domandava
perdono, accarezzandola. Invece, quella notte, tacque imbronciato; e
mentre Lalla, svestita e inginocchiata dall'altra parte del letto,
diceva le sue orazioni, Giorgio, coricato, cominciò a leggere il
_Diritto_. Lalla fini di pregare, si segnò, baciò l'amuleto che teneva
appeso sul capezzale, e leggiera, svelta si tuffò sotto le lenzuola.
Giorgio continuò imperturbabile a leggere il _Diritto_. Quella
resistenza era affatto nuova e Lalla ne rimase un pochino
impressionata. Ma Giorgio non leggeva: meditava, assorto col pensiero
nel Vharè e nelle parole di sua moglie. Certo, da molti anni colui era
l'amico della famiglia d'Eleda... l'amico di Maria. Il dubbio,
persino, gli ripugnava, ma... Ma pure, vedeva ancora Maria e Giacomo
come in quella triste mattina, così per tempo, a cavallo, soli soli,
sul _Poggio dei Platani_... Giorgio continuò per un pezzo a
fantasticare, ma poi finì, secondo il solito, persuadendosi di essere
un pazzo...--Sì, sì; un pazzo!... Dubitare di Maria?

--Se non era altro che una statua di ghiaccio!... Se non aveva cuore
per nessuno!... Che!... avrebbe giocata la vita, sull'onestà,
classica, di quella donna!

Poi, dopo un momento, tornava a pensare:--Discorrevano della Giulia.
Certo, certo; se il Vharè avesse intenzione di fare la corte a Lalla,
Lalla stessa, che mi conta tutto, me lo avrebbe già detto. Metterlo
alla porta?... Si fa presto a dirlo, ma... come si fa? E le
chiacchiere? I commenti? E poi, comprometterei il mio onore e l'onore
di mia moglie, senza una ragione! Del resto ho un bel mostrarmi
freddo, inurbano con quello sfacciato: o non capisce, o non vuol
capire!... Eh, se ci fosse qualche cosa!... per Dio!... lo
ammazzerei!... Povera Lalla; tanto buona... ed io tanto sospettoso!...
Ma non è di te che dubito, no, angelo mio, è della perfidia, della
cattiveria altrui!... Se potessi portarmela via, lontana da tutti,
sola... con me...--Così pensando, si voltò verso la moglie, per
vederla dormire; Lalla riposava tranquilla, come una bimba, i bei
capelli disciolti, le braccia incrociate sul petto, la bocca socchiusa
e ridente. Egli la guardò a lungo, con una tenerezza profonda,
appassionata, e allora tutti i suoi cattivi pensieri svanirono come
per incanto. Non volle destarla, ma lievemente, trattenendo il
respiro, depose un bacio su quella bocca fragrante come un fiore...
ritornò a guardarla... a guardarla... poi, sospirò, spense il lume e
si rannicchiò per dormire. Ma appena il lume fu spento, Lalla aprì lei
gli occhi e senza muoversi, senza farsi sentire, sorrise con una
contentezza birichina: suo marito era sempre lo stesso innamorato!



XXIV.


Chi dormì meno di tutti, quella notte, o, per dir meglio, chi non
dormì affatto, fu il marchese Giacomo di Vharè. Il _sì_ di Lalla, che
sentiva sempre vivo nel sangue, lo teneva desto agitato. Egli era
ritornato ai turbamenti e alle commozioni dei primi amori. Lalla aveva
saputo incatenarlo assai strettamente; ma l'indole sua non poteva
resistere a lungo a quella ginnastica platonica, e la sensualità vi si
faceva sentire ancora più prepotente per quel tanto ch'era stata
trattenuta e domata.

Non potè dormire in tutta la notte; soltanto verso l'alba riposò un
poco. Si alzò tardi, con gli occhi pesti, col capo intronato, con un
gran desiderio addosso e con un grande sgomento.

Gli era pur cara quella donnina così amorosa, così intelligente e
sagace e nello stesso tempo così ingenua! Era l'ultima volta ch'egli
amava o, per lo meno, era adesso alla sua ultima passione.
Riflettendoci bene, ebbe paura di poter compromettere per imprudenza
tutta quella sua grande felicità; poi pensò ai propri guai
finanziari... al giorno, non lontano, nel quale non potendo più
tirarla innanzi coi ripieghi sarebbe stato costretto a saldare i
creditori con un colpo di rivoltella. Morire? E Lalla?... Lalla
avrebbe trovato un nuovo amante!... Allora, proprio come un
collegiale, gli si affacciò l'idea di morire tutti e due, ma finì
presto col ridere di questa sua pensata alla Werther. Lalla era tanto
giovane. Ben presto ella stessa lo avrebbe piantato per un altro. Si
guardò nello specchio e si consolò; il pericolo non pareva
imminente!... Il Vharè era una di quelle fortunate eccezioni, che non
invecchiano mai, oppure che, anche invecchiando, colla loro testa
grigia, ardita, espressiva, fanno fantasticare le testine romantiche
delle fanciulle. Allora poi egli poteva dirsi ancora nel fiore
dell'età. Più che essere un bell'uomo, cosa stupida alle volte,
quanto, alle volte, lo è anche una bella donna, egli era un bel tipo.
Che cosa importa la sostanza, quando al di fuori egli appariva
simpatico, attraente, con un tutt'insieme dove c'era del poeta e del
gran signore, del diplomatico e del rompicollo?...

Appena vestito se ne andò subito al caffè a far colazione; dopo,
accese un sigaro, e girellando a caso, coll'immagine di Lalla che gli
vezzeggiava dinanzi agli occhi, fece, come Dio volle, venir le due.
Quando passò la soglia del palazzo Della Valle, aveva la faccia ancora
più pallida del solito e gli batteva il cuore precipitosamente.

--La contessa è in casa?...

--Sissignore.--Erano già stati dati ordini in proposito; il portiere
tirò la corda del campanello senza nemmeno passare nell'atrio a
domandare ai servitori se la contessa volesse ricevere. Giacomo, per
tali indizi, fu preso da una gioia espansiva, quasi fanciullesca; ma
ahimè!--la gioia dei mortali... è un fumo passeggero!--Nella corte
c'era il marchese di Toscolano,--stivali alla scudiera, giacca di
velluto e il solito scudiscio fra le mani;--col cavallerizzo del conte
Della Valle egli stava provando un puledro storno, che uno scozzone
faceva passeggiare dinanzi alla scuderia.

Il Vharè sperava di passar via senz'esser veduto, ma la scampanellata
aveva messo il Toscolano sull'avviso.

--Oh! caro, carissimo il nostro bel marchese!

--Grazie, altrettanto!--e il Vharè sperava di poter tirar dritto.

--Vai su, da Lalla?

--Appunto, salgo un momento dalla contessa.

--Aspetta; vengo anch'io.

Giacomo, in cuor suo, mandò quell'altro in tanta malora, pure dovette
contenersi, ed aspettare l'amico, ammirando insieme il bel puledro. Il
Toscolano disse qualche parola, in aria di mistero, al cavallerizzo,
poi, dopo di aver regalato allo scozzone, mettendoglielo in bocca, il
sigaro di virginia ch'egli stesso fumava, prese Giacomo a braccetto,
sbattendo e strisciando i piedi per nettare le suole dalla ghiaia.

--Ma tu, scusa,--gli domandò il Vharè infastidito,--ti presenti alle
signore... in questa _toilette?_...

--Sicuro!... O bene che mi prendano così o che non mi prendano!--Bella
bestia, non è vero? Se non accade qualche disgrazia, quello si farà un
cavallo famoso, e bisognerà che tu corra il ben di Dio, cane d'un
marchese, prima di trovarne un altro eguale!... Sai chi mi ricorda
quel puledro? Un morello che aveva tuo padre: lo comperò, ci sono
entrato anch'io nell'affare, lo comperò da un aiutante di Radetzky, e
lo ha poi venduto, con cinquecento svanziche di regalo sul prezzo di
costo, allo zio dei Lastafarda, il signor Nicola,--sai!--quello che
stava a Sant'Antonio e che mangiava i gatti in salsa, per far
economia.

Discorrendo, avevano fatto la scalone. L'anticamera era deserta; altro
indizio, codesto, che fece rimaledire a Giacomo l'incontro di
Toscolano. Attraversarono l'appartamento e furono incontrati da Lalla
che usciva dal salottino. Essa si mostrò meravigliata che non ci fosse
nessuno in anticamera, e intanto, non poteva a meno di sorridere;
indovinava, dalla faccia stralunata del Vharè, com'egli dovesse
trovarsi male per quell'incontro così inopportuno.

Lalla rientrò nel salottino; i due la seguirono. Si parlò del più e
del meno, di Giorgio ch'era andato in campagna, del puledro storno e
della festa del Prefetto. Il Toscolano si vantava di non averci messo
piede, quantunque avesse ricevuto l'invito.--Questo signore aveva
ballato da tutti i governatori austriaci succedutisi a Borghignano, ma
di Prefetti di _sinistra_ non ne voleva sapere, perchè tutti i
_sinistri_, diceva lui, erano nemici mascherati dell'Italia e della
Monarchia.--Giacomo, su le prime, se la cavava con bastante
disinvoltura, tanto per mostrare a Lalla che aveva spirito e che
sapeva far buon viso alla disdetta, ma poi, rodendosi dentro perchè
quell'altro non dava segno di voler andar via, a poco a poco diventò
taciturno e imbronciato.

--Vieni o rimani?--gli domandò alla fine il Toscolano, dopo un momento
di silenzio.

--Rimarrei, se la contessa lo permette.

--Io... bisogna che me ne vada!--e così dicendo il Toscolano cacciò le
mani in tasca e si sdraiò ancora più comodamente nella poltrona. Lalla
si godeva assai vedendo quell'altro che pareva sulle spine, in fondo
al cuor suo, provava una certa inquietudine, un timore vago,
indefinibile... insomma, aveva un gran piacere... a non restar sola
col Vharè.

Il Toscolano domandò delle signore meglio vestite della festa, e
Lalla, con molto brio descrisse l'abbigliamento dell'avvocatessa,
mentre l'altro sobbalzava e lacrimava a forza di ridere. Poi il
Toscolano tornò a guardare l'oriuolo, e accavallando una gamba
sull'altra, e battendo il tempo col tacco, si pose a cantarellare
sull'aria dei cospiratori nella _Madama Angot_:

--Bisogna che me ne vada! Bisogna che me ne vada!--... E non si
moveva.

Giacomo, tuttavia, non aveva perduta ogni speranza: da un momento
all'altro quell'importuno se ne sarebbe andato, ed ogni ritornello del
Toscolano lo confortava... Ma, sul più bello, si sentì un rumore di
passi, un fruscio di vesti, e questa volta, annunziata dal servitore,
si fece avanti la Calandrà. Allora sì che il Toscolano battè subito in
ritirata; ma rimaneva quell'altra, a guardare la piazza!...

La generalessa domandò conto della Giulia: Lalla rispose che sua
cugina aveva detto, ed era vero, di voler dormire fino all'ora del
pranzo, perchè si sentiva stanca; allora si tornò da capo a discorrere
della festa del Prefetto. Giacomo non ne poteva più, ma le sue pene
erano ben lungi dalla fine. Poco dopo la generalessa, capitarono i due
Lastafarda, che in quei giorni si affaccendavano in visite, perchè
tutti e due avevano da sfoggiare un soprabito _ultima novità_; poi,
andata via la generalessa, venne Gianni Rebaldi, colla zazzera
impomatata, non più bionda, ma d'un rosso cupo, avvenimento che a
Borghignano si spiegava raccontando d'una certa operazione di credito
ch'egli aveva conchiusa di fresco e sulla quale, in conto di
altrettanta valuta, avea dovuto accettare i fondi di bottega di un
profumiere fallito. Qualche cosa di vero in queste chiacchiere ci
doveva essere, perchè il Rebaldi, infatti, sentiva di muschio, di
verbena e di violetta lontano un miglio, e i suoi capelli cambiavano
ogni giorno di colore.

I Lastafarda se ne andarono presto: a Milano si usa di far visite
corte; ma il Rebaldi rimase duro, fermo, al suo posto. Egli, dopo aver
ripetute le spiritosaggini dette la sera innanzi, voleva che Lalla gli
trovasse moglie e per un bel pezzo continuò a cantare e a descrivere
la verginità del suo cuore, tanto che Giacomo, stizzito, gli buttò in
faccia, un po' sgarbatamente, che a cinquant'anni, sonati, non si
poteva più sposare che la propria governante. Il Rebaldi rimase
imbronciato, ma non andò via, tanto più che, ad aumentare il ghiaccio
fattosi d'intorno, capitò la Bertù, colla sua aria da ficcanaso, la
quale si mostrò molto sostenuta col Vharè, affettando di chiamarlo
sempre il _signor Vharè_, e niente marchese.

Giacomo era arrivato al colmo dell'impazienza!... Aveva la testa
intronata da tutti quei discorsi così vuoti, inconcludenti,
interminabili; si dondolava sulla seggiola, strappava convulsamente la
fodera del cappello e, cogli occhi levati, numerava ad uno ad uno i
putti del soffitto, Lalla, invece, gaia e ridente, si godeva a
lanciare sul Vharè certe occhiate maliziose, significantissime, che la
rendevano ancora più attraente.

Ad ogni costo egli avrebbe aspettato di restar solo! Almeno un bacio,
ma glielo voleva dare!

La Bertù e Gianni Rebaldi stavano finalmente combinando d'andar via
insieme, in carrozza. Lui sarebbe disceso al club; lei ci doveva
passar sui piedi, tornando a casa. Si alzarono, cominciarono i saluti,
il Vharè era lì lì per spuntarla, quando,--chi è? chi non è?--si
affaccia sull'uscio Pier Luigi da Castiglione, che arrivava in quel
punto da Viareggio, senza avere scritto prima, perchè voleva fare
un'improvvisata.

L'arrivo di Pier Luigi non fu molto gradito alla duchessina: essa ebbe
il presentimento che quell'uomo capitava apposta per farle del male.
Tuttavia si mostrò lieta, e sonò, perchè avvertissero subito la
Giulia.

Il Vharè era proprio spacciato.

--Sicuro; vengo da Viareggio... vengo. Ho per te--e si rivolse a
Lalla--i saluti della Raimondi, della Rescalvi e della Vigofanti;
sicuro. Sì sperava che saresti venuta a Viareggio, ma... Tò, tò, tò,
guarda chi vedo! Il nostro caro marchese!... A Borghignano, voi?!...
Ma, come mai?... Eh! Eh! Eh! _cherchez la femme, cherchez!_... Cercate
la donna, cercate!

Si strinsero la mano e si guardarono in viso, tutti e due.

Il Vharè se ne andò presto con la Bertù e col Rebaldi. Egli sperava di
sfuggire all'occhio maligno di Pier Luigi, ma aveva cominciato troppo
tardi ad essere prudente; quella sua visita a Lalla, così prolungata,
determinò e precipitò la catastrofe.

Appena la Calandrà e la Bertù si trovarono insieme nella serata,
quella domandò a questa chi ci aveva veduto dalla duchessina:--Gianni
Rebaldi e il _signor_ Vharè--rispose l'anemica discendente dei
Saint-Florin.

--Come?... il Vharè era ancora da Lalla quando ci sei stata tu? Se ce
l'ho trovato io pure!

--Mah!--Questo _mah_ della Bertù esprimeva un sospetto e un lamento
insieme.

--Allora le fa la corte?

--Pare...

--Lalla, ci casca per inesperienza. Bisogna impedire che la cosa si
faccia seria.

--Certo, bisogna salvarla.

--Bisogna salvarla!

La stessa osservazione, la stessa maraviglia, i medesimi commenti, si
erano fatti al club fra il Toscolano e il Rebaldi.

A poco a poco, la notizia importante fu divulgata, smentita,
confermata, e tutta Borghignano fu messa sossopra. Alcuni assicuravano
che ormai al conte Della Valle non rimaneva più altro che _reprimere_,
altri sostenevano, con pari calore, che c'era tutto il tempo per poter
_prevenire_. Al club si notava la faccia del Vharè quando entrava,
l'ora e la strada che prendeva quando ne usciva. In una farmacia,
vicina al palazzo Della Valle, nascosti dietro le tendine verdi dei
cristalli, c'erano sempre parecchi curiosi che spiavano il Vharè
mentre si recava a far visita alla contessa Della Valle. Nel _caffè di
Borghignano_, la mattina all'ora di colazione e la sera dopo il teatro
si sospese, per il momento, di salvare la patria, volendo salvare
invece il conte Della Valle, dal serio pericolo che correva. Pochi
accusavano Lalla; i più la difendevano; tutti esaltavano i meriti di
Giorgio, e condannavano, senza pietà, il marchese Vharè: quelle brave
persone erano diventate, ad un tratto, altrettanti Catoni, altrettanti
Collatini insieme e in solido! E non indietreggiavano neppure dinanzi
a qualche grave incomodo.--Lalla e il Vharè non poteva mai uscir di
casa senza avere, l'uno o l'altra, un bracco dilettante alle calcagna,
il quale poi, secondo la direzione della pesta, correva a mettere la
quiete o l'allarme in città.

Il Lastafarda, numero due, girava attorno in cerca di notizie e di
aneddoti che riferiva poi al Lastafarda numero uno, il quale, in tal
modo, era riuscito a diventare piacevole alle signore. Gianni Rebaldi
assicurava che a Bologna uno spiantato, roso dai debiti, non sarebbe
stato ricevuto nella _buona società_, e il marchese di Toscolano, ora
scommetteva la testa e ora la coda di _Adamastor_, sostenendo che il
Vharè aveva fatto un buco nell'acqua. La Prefettessa difendeva Lalla a
spada tratta; la Calandrà elogiava con molto calore il conte Della
Valle, la Bertù faceva da pubblico ministero con requisitorie
draconiane che condannavano tutti quanti!...

Pier Luigi era il solo della famiglia che gli amici mettessero a parte
di quello scandalo; uno scandalo che, a sentire lo stesso Pier Luigi,
pareva scandalizzare anche lui!... Tutti lo consigliavano circa il da
farsi: gli uni, trovavano necessario di aprire gli occhi al marito,
altri, invece, di aprirli alla moglie. La Bertù voleva che Pier Luigi
ne parlasse subito al duca Prospero, la Calandrà alla duchessa Maria,
ma la Prefettessa suggeriva di star a vedere come si mettevano le
cose.

--Mio fratello,--esclamava smaniando il giovane Lastafarda,--ha detto
stamattina che s'egli fosse nel conte Pier Luigi, se la prenderebbe
col Vharè, soltanto col Vharè, tagliando i nodi alla militare, con una
buona sciabolata!

Ben presto anche la contessa Della Valle e l'amico suo si accorsero
del nuovo ambiente che si andava loro formando intorno. Nel palchetto,
in teatro, erano lasciati soli, quasi sempre: in casa, appena arrivava
Giacomo, le altre visite si dileguavano subito. Poi, le allusioni
degli amici e delle amiche, le mezze parole, i sorrisi a freddo, i
musi lunghi della Bertù, l'aria diplomatica della Prefettessa, e le
effusioni della Calandrà, la quale, se dietro le spalle non
risparmiava la Della Valle, a tu per tu con lei, faceva l'impossibile
per entrarle in amicizia, per ottenere le sue confidenze. Inoltre
l'austerità, gli scrupoli, l'_onore della famiglia_, roba nuova di
zecca, colla quale Pier Luigi rimpinzava ogni sua cicalata, e
finalmente qualche parolina, qualche scherzo della Giulia, tutto ciò
non lasciava dubbio: il loro segreto incominciava ad essere il segreto
di Pulcinella! Il Vharè ne fu seccato; Lalla spaventata, e si
consolava pensando che era ancora--a tempo--di ritirarsi, che, ancora,
non aveva fatto--niente di male.

La prima, che parlò a Lalla del Vharè, fu sua madre. A Maria nessuno
avea osato dire una sola parola, ma lei stessa, per suo conto, aveva
finito col notare la grande assiduità del marchese. Allora mostrò con
lui un contegno così freddo ch'egli, per forza, dovette accorgersene.
Due o tre volte di seguito, gli fece dire, senza una parola di scusa,
che non lo poteva ricevere.--Giacomo cessò dal presentarsi in casa
d'Eleda; ma, naturalmente, Maria si avvide presto, che allontanandolo
da sè, non era riuscita ad allontanarlo anche da sua figlia.

Lalla, dapprima, ascoltò le rimostranze della mamma un po' inquieta e
cogli occhi bassi: temeva avesse capito, scoperto qualcosa. Ma poi,
quando fu ben sicura che la mamma era lontana da qualunque sospetto,
allora si ribellò contro una morale troppo rigida, troppo austera.
Quella sorveglianza la inquietava e la infastidiva:--alla fine era
donna, e delle sue azioni non doveva render conto a nessun altro che a
suo marito!...

--So bene, cara mamma; non ricevendo alcuno, chiudendosi in casa, come
fai tu, è certo: non si corre nemmeno il rischio di prendersi un
raffreddore; ma, a me pare, scusa, sai, a me pare sia anche lecito...
si possa anche tenersi qualche amica, qualche amico d'intorno. Dovrei
offendermi perchè il marchese preferisce la mia compagnia, alla
compagnia della Bertù, che non sa parlar d'altro che di abbigliamenti
e d'araldica? o a quella della Calandrà, che discorre soltanto di
_affari di servizio?_... In quanto a me poi, lo confesso, fra il puzzo
di scuderia del Toscolano e le spiritosaggini del Rebaldi, preferisco
il Vharè, che ha spirito e che è molto per bene!--Lalla si era fatta
un po' ardita, perchè punta sul vivo, e perchè sentiva, in fondo, che
la mamma aveva ragione.

--Il Toscolano e il Rebaldi sono persone... indifferenti e senza
conseguenze!

--E tu, mamma, credi il Vharè... pericoloso?

--Non gode certo una buona opinione--rispose ingenuamente la duchessa,
che non aveva notata l'ironia birichina della figliuola.

--Oh, sai!... Ci vorrebbe altro!... Preoccuparsi di tutte le
chiacchiere!

--Una donna deve preoccuparsi moltissimo di tutto ciò che può dire la
gente quando le sta veramente a cuore non soltanto il proprio onore,
ma anche l'onore di suo marito.

Lalla non sapeva più che rispondere, e tormentava nervosamente le
stecche del suo ventaglio; Maria, temendo di essere stata un po' dura,
si avvicinò a Lalla e, dopo averla abbracciata, mentre con una mano le
accarezzava i bei capelli, le domandò con un'espressione piena di
dolcezza:

--Senti, carina mia, tu non ci tieni molto alle visite del Vharè?...

--No.

--Ebbene, in tal caso, puoi fare un piccolo sacrificio alla tua mamma:
quel Vharè, mandalo a spasso! Sarà un capriccio, ma che vuoi!... si
può accontentare la mamma anche in un suo capriccio. Quando eri bimba
io ne ho appagati tanti de' tuoi!--e Maria le sorrise teneramente.

--Ma... Come si può fare?... Metterlo alla porta? Egli non me ne ha
dato nessun motivo.--Lalla capiva che non doveva ostinarsi, che doveva
cedere, o almeno fingere di cedere, per non compromettersi.

--Fa, come ho fatto io. Veniva da me con troppa frequenza e la cosa
non mi accomodava perchè veniva sempre quando c'eri anche tu; ebbene,
ho dato ordine che gli dicessero alla porta, per due o tre volte, che
non ero in casa... e non è più venuto. Se così ti par troppo, gli puoi
far dire che hai fissato di non ricever più fino al tuo ritorno dalla
campagna. Tanto, tra un mese, andiamo via tutti.

--Buona ragione... per anticipare la noia d'un mese!

--Ma santo Dio!... Si direbbe, a sentirti parlare, che non sei
innamorata di tuo marito!

--Innamoratissima, mamma cara, ma non l'ho sposato per morir d'amore!

--Come rispondi a sproposito, certe volte!... Dovresti sentirti
orgogliosa di tuo marito...

--Lo sono tanto, ma...

--Dovresti essere felice solamente per lui e con lui, non dovresti
domandare, non cercar più nulla, non pensare più ad altro, dovresti
sentirti gelosa contro tutto ciò che potesse togliertelo per un'ora
soltanto, che...

--Oh! oh! quale entusiasmo, mammina cara!

Maria tacque d'improvviso, arrossendo.

--Eppure--continuò Lalla,--che vuoi?... Non mi pare tu abbia sempre
riscontrato in Giorgio le virtù più sublimi.

--Non capisco!...

--Volevo dire che... non sono senza memoria. Mi ricordo quando eravamo
fidanzati. Tu non eri, certo, la più contenta, di noi tre. Mi ricordo
che ti mostravi pochissimo espansiva; e una volta, che io ho
desiderato ch'egli ti abbracciasse, tu, quasi, volevi buttarti giù
dalla carrozza.

Maria senti stringersi il cuore e non potè trattenere le lacrime, e
allora fu Lalla, che l'abbracciò, che cercò di consolarla, che le
promise di fare sempre e in tutto ciò che la mamma le avrebbe
consigliato. Non le conveniva disgustarla e temeva, persuasa com'era
della poca simpatia di sua madre pel conte Della Valle, di aver fatto
male mostrando di averci badato.

Lalla e il Vharè si trovarono insieme poco dopo e fu convenuto, fra di
loro, ch'egli diraderebbe le visite; anche Giacomo capiva bene che,
per il momento, bisognava usare molta prudenza. Si sarebbero
incontrati qualche volta, si sarebbero veduti la sera al teatro, o al
caffè... Ma fra un paio di mesi, si troverebbero liberamente a Roma...
A Roma dove Lalla doveva ritornare con suo marito, per la riapertura
della Camera. Quanta felicità allora!... Sì; bisognava essere prudenti
per non arrischiare di perderla.

Giacomo, intanto, voleva almeno approfittare dell'occasione; voleva
indurla a scrivergli direttamente; ma non ci fu verso. Lalla aveva
paura; era troppo tenuta d'occhio; potevano sorprenderla da un momento
all'altro. No, no, non avrebbe mai avuto il coraggio di mettere lei,
colle sue proprie mani, una lettera in buca!... Da che aveva imparato
a scrivere, consegnava le lettere al servitore, il quale le rimetteva,
colle altre della casa, al maggiordomo, e il maggiordomo, due volte al
giorno, le portava alla posta. Pensandoci solamente di doversi fermare
vicino alla cassetta per gettarvi dentro una lettera, si sentiva
diventar rossa dalla vergogna. Le pareva che tutti dovessero guardarla
e ghignare, dicendo fra di loro:--quella lì, manda una lettera
all'amante!--Insomma, la ripugnanza era più forte di lei; no, no; era
impossibile!...

--Questo... come il resto... tutto prova che non mi vuoi
bene;--rispondeva il Vharè secco secco. Lalla cercava di persuaderlo
del contrario, ed egli a lungo andare non aveva più il coraggio
d'insistere, sebbene sentisse che quella donnina non era ancor sua,
che non la teneva ancora ben stretta fra le sue mani e che, anzi, da
un momento all'altro gli poteva sfuggire.

Si combinò uno scambio di libri per l'indomani, e fissarono
d'incontrarsi il venerdì prossimo, mentre lei sarebbe andata a piedi
dalla Prefettessa.

--Venerdì?... Brutto giorno!--pensava Lalla che era superstiziosa; ma
poi dovette cedere, perchè sabato era troppo tardi per Giacomo, e
giovedì troppo presto per lei.

Ma intanto il temporale si addensava sul loro capo. Pier Luigi ne
sapeva già abbastanza e gli premeva di vendicarsi in qualche modo di
Lalla, e di mettere il bastone fra le ruote a quel marchese
conquistatore. Certo, egli, adesso, aveva il diavolo dalla sua, e se
l'intenzione era cattiva, gli effetti erano quelli di un'opera santa.
Pier Luigi, faceva il bene per disperazione, per non aver potuto fare
il male; ma, ad ogni modo, egli restava sempre dalla parte della
morale e delle... istituzioni.

Dopo averci riflettuto lungamente, trovò che il meglio da farsi era di
tenerne parola, come già gli aveva consigliato la Bertù, a Prospero
Anatolio, e gliene parlò in fatti, avendo cura di protestare che
riteneva la duchessina pienamente innocente e che soltanto agli occhi
del mondo avrebbe potuto correre un serio pericolo.--E bisognava
soffocare le chiacchiere subito subito, ipso facto, perchè, se la
virtù della donna--diceva il conte da Castiglione--può parer di
cristallo ed essere invece di diamante; l'onore dell'uomo, è sempre di
vetro, è sempre, anche quando lo si crederebbe d'acciaio; il che vuol
dire che è fragilissimo; vuol dire.

Il duca Prospero lo ringraziò colle lacrime agli occhi, premendosi,
sul cuore, le due mani di Pier Luigi.

--Grazie, grazie; non dico altro. È un tratto... d'amico vero, di
parente affezionato!--E il duca, volle abbracciarlo, spinto da uno
slancio di tenerezza e di riconoscenza.--Ma, in questo caso, più
dell'autorità del padre deve agire, deve imporsi la prudente
oculatezza del marito. Sapete, caro Pier Luigi?... Io non potrei altro
che consigliare, e i consigli, entrano da un orecchio, per uscire da
quell'altro!...

--Se ne fa l'abitudine... se ne fa.

--Bravo! Precisamente!... Giorgio, invece, è un altro paio di maniche.
È il marito, è l'autorità costituita... Mi spiego?

--Parlatene voi stesso, a Giorgio.

--No, no, no, ottimo amico; non mi pare. La cosa, per sè stessa
delicatissima, si farebbe subito troppo grave, per il mio medesimo
intervento. Capite, Pier-Luigi?... Fra suocero e genero, fra la
_destra_, come sarebbe a dire, e la _sinistra_--e Prospero lasciò
scappare una risatina maliziosetta---si fa sempre una politica
d'opposizione. Sapete qual'è il miglior partito?... Di questo dolor di
testa incaricatevene voi!... Voi, che non solo siete lo zio, ma
l'amico dilettissimo del nostro Giorgio. Egli vi ama, vi stima e vi
professa tutta quella considerazione che...

--Non facciamo complimenti, non facciamo...

--No, no; lasciatemi dire--che giustamente, giustissimamente vi è
dovuta. Dunque?... Siamo intesi?

Il conte da Castiglione si fece pregare, ma poi, in fine, disse di sì:
tuttavia prima di parlare con Giorgio, ben conoscendo il predominio di
Lalla, volle aver tanto in mano da non poter essere smentito. Allora
si pose a far la posta, non perdendo più d'occhio la cara nipotina, e
quel venerdì, appunto, nel quale Lalla e Giacomo dovevano vedersi per
andare dalla Prefettessa, egli le tenne dietro appena uscì di casa, la
vide incontrarsi col Vharè, salutarsi, fermarsi e poi, bel bello
continuar la strada... insieme.

Pier Luigi affrettò il passo, li raggiunse e, oltrepassandoli, salutò
la nipote e il marchese con una grande scappellata, un grande inchino
e un cordialissimo sorriso.

I due rimasero colpiti, spaventati e si lasciarono subito: Lalla, col
solito espediente dei libri, avrebbe fatto sapere a Giacomo se mai
l'incontro di quel--iettatore--avesse portato disgrazia; se invece non
vedeva libri, egli sarebbe andato la domenica prossima, alle quattro,
ora diplomatica, a farle visita.

La Della Valle si fermò un minuto solo dalla Prefettessa; dopo, corse
a casa inquietissima, con mille timori nell'animo. Essa temeva la
linguaccia e l'odio di Pier Luigi! Era sicurissima che quel vecchio
esoso non si lascerebbe sfuggire una così buona occasione per
vendicarsi.

Appena a casa si spogliò del cappellino, della mantellina, poi si
accomodò nel cantuccio del suo salotto, tranquillissima in apparenza,
e prese a sfogliare una rivista, aspettando che Giorgio andasse a
cercarla. Ma non leggeva; pensava al suo metodo di difesa.--Aveva ben
ragione quando temeva che il venerdì le sarebbe stato fatale!... E...
Giorgio, crederebbe più a lei, o a Pier Luigi?...

In quelle ore--eterne--non pensò che al pericolo dal quale era
minacciata la sua pace e il suo avvenire. Se pensava al Vharè, era
soltanto per confortarsi di...--non aver rimorsi--e, al caso, di
poterlo anche giurare!

Del resto s'inquietava a torto; nessuno, nemmeno Pier Luigi, e suo
marito meno ancora degli altri, voleva mettere in dubbio la sua
innocenza.

Pier Luigi, uscendo dal club con Giorgio, lo prese a braccetto e gli
disse appena, in via di discorso, che nella sua qualità di stretto
parente si trovava in obbligo di consigliarlo a impedire l'assiduità
del Vharè presso sua moglie, perchè il mondo l'aveva notata; e
soprattutto, doveva vietare a Lalla di lasciarsi accompagnare per via
da quel pessimo soggetto.--La moglie di Cesare--concluse Pier
Luigi--non deve essere nemmeno sospettata, non deve essere!

Giorgio non pronunziò una parola; ma fu preso da un impeto d'ira
contro la leggerezza di Lalla...--poteva far supporre a qualche
imbecille, anche ciò che non era!...--E si avviò difilato a casa,
risoluto, questa volta, a parlar chiaro e ad imporre la propria
volontà.

Lalla lo sentì subito, al passo che risonava lungo l'appartamento:
c'erano molte sale da attraversare, e le pareva ch'egli non arrivasse
mai; lo affrettava quell'istante e tuttavia avrebbe voluto
allontanarlo all'infinito. Appena Giorgio si presentò sulla porta,
Lalla capì che lo zio non aveva perduto tempo: Giorgio era pallido,
col volto contratto.--In quel momento, se il Vharè avesse potuto
guardare nel cuore della sua amica, non vi avrebbe trovato nemmeno più
l'ombra di un po' d'amore: l'amore era tutto sparito; non c'era dentro
altro che una gran paura!

Giorgio le parlò brevemente, duramente. Lalla rispose balbettando, poi
scoppiò in lagrime, giurando e spergiurando la propria innocenza.

--Ah, viva Dio, credo bene!--rispose l'altro, sempre più adirato.--Non
sarei qui da te, se ne potessi dubitare!--A Lalla si allargò il cuore,
ma continuò a gemere e a piangere.--Era stato lui, il marchese, a
fermarla... per caso... perchè aveva da farle i saluti del commendator
Pasoletti...; poi, il Vharè, sentendo che lei andava dalla
Prefettessa, le offrì di accompagnarla... le seccava... le seccava
molto... ma non poteva mandarlo via!

--E questo è avvenuto, perchè?... Perchè gli hai data troppa
confidenza! perchè lo hai ammesso, quasi, nella tua intimità, e io non
volevo, te l'ho detto cento volte, non una, cento volte che non lo
volevo fra i piedi!... Intanto si mormora, capisci? ed io, ridicolo,
non lo voglio essere, e non lo voglio nemmeno parere!

--Dimmi tu... tutto quello che vorrai... lo farò, lo farò senza
esitare... ti prometto... ti giuro... tutto tutto. Nino mio!

--Domani... andremo in campagna, e.... ricordati bene: non devi dirlo
a nessuno.

--E a chi lo dovrei dire!--esclamò Lalla alzando gli occhi bellissimi,
ancora scintillanti di lacrime.

Ma quando Giorgio uscì, essa respirò sorridendo: l'uragano era
passato. Ci avrebbe pensato lei, a far ritornare il bel tempo.

Poco dopo, venne sua madre a trovarla: Lalla le raccontò la scena,
gettandole le braccia al collo e singhiozzando. Maria l'accarezzò e la
consolò, pur facendole capire, delicatamente, come sarebbe stato assai
meglio se avesse badato subito a' suoi consigli; e dopo non la lasciò
più, in tutta la giornata.

Il Della Valle, dinanzi alla pronta ubbidienza e al dolore di Lalla,
si era calmato pienamente. Egli temeva, anzi, di essere stato troppo
severo; e accompagnando Maria, quando se ne andò, fino alla carrozza,
se ne scusò anzi con lei, ringraziandola del suo affetto, baciandole e
ribaciandole la mano, con tenerezza affettuosa.

Si era combinato, che i Della Valle sarebbero andati in campagna
subito, il giorno dopo, e che Maria e il Duca li avrebbero raggiunti
nella settimana. Appunto, per essere tutti uniti, anche gli sposi
andavano a Santo Fiore: questi, per altro, nel Villino che Giorgio
Della Valle aveva comperato dal Vharè.

Ma quella sera la duchessina, già spogliata e inginocchiata, in
camiciuola, accanto al letto, non finiva mai di dire le sue orazioni.
Giorgio, coricato, leggeva serio la gazzetta; ma stava attento a Lalla
che non si moveva, e però, ad un certo punto, si accorse che
piangeva... che singhiozzava.

--Animo, Lalla--le disse allora con dolcezza;--non c'è ragione di
piangere. Io non sono in collera con te, lo sai bene.

Lalla baciò le sue madonnine, si asciugò gli occhi, poi in fretta,
saltò nel letto, ma tenendosi affatto sulla sponda, dalla sua parte,
il più lontano possibile dal marito, e senza guardarlo, senza dire una
parola.

Giorgio buttò via il giornale, e si tirò lui più vicino, ma Lalla
continuò a non guardarlo, rimanendo immobile cogli occhi spalancati.

--Animo... via, non voglio vederti a piangere, mi fa pena;--e si piegò
per darle un bacio, ma Lalla gli puntò contro il petto le sue braccia
tese, così fortemente, che sembravano di ferro.

--No,--gli disse,--non mi devi più baciare, dal momento che non mi
vuoi più bene.

--Ma no, cara! Ti voglio tanto tanto bene, ed è per questo che...

--Oh, se tu mi amassi davvero, mi stimeresti anche, e non avresti
creduto subito alle bugie di un cattivo; perchè c'è stato un cattivo
che ha voluto metter male fra di noi.

--Ascolta, bambina mia...

--No... _tua_, no, più!--Giorgio a questa minaccia, tentò di prenderle
una mano, ma Lalla non volle saperne.--No!... no!... Io ti ho sempre
raccontato tutto, fin le sciocchezze che mi dicevano per farmi la
corte, e tu hai potuto credere, non so come, che io potessi mentire!

--No, non l'ho mai creduto.

--Se vuoi domandarlo alla mamma, essa ti potrà dire che, non più tardi
dell'altro giorno, mi ero consigliata con lei appunto per trovar modo,
senza parere, di far diminuire al marchese le sue visite. E ciò, sai,
non perchè egli me ne avesse dato motivo, ma per togliere ogni
pretesto alla malignità di certa _gente_.

--Sì, cara, ti credo, ti credo; ma non devi pensare che io non ti
voglia più bene.

--Oh, pur troppo, la scena d'oggi non potrò dimenticarla per un pezzo!
Dio mio!... non ti avrei mai creduto così!...

--Via, Lalla... sii buona... perdonami.

--È impossibile.

--Te ne prego... ti supplico!...

--È impossibile...--No, sai: vado sola... in un'altra camera!

--Ti amo!... ti amo tanto!

--Adesso, mi ami... ma oggi, no; oggi non mi volevi più bene!

E... e non ci fu verso. Giorgio dovette rassegnarsi e cominciò a
credere di essere proprio lui dalla parte del torto.

Il giorno dopo Giacomo di Vharè chiese due o tre volte al suo vecchio
servitore se erano stati mandati dei libri: nulla; non era arrivato
nulla. Nella mattina della domenica (la domenica dell'appuntamento)
nemmeno; alle tre tornò a casa: poteva esser capitato qualche avviso,
ancora all'ultimo momento...--non c'era niente! Allora, ormai sicuro
che l'incontro del venerdì non aveva avuto cattive conseguenze, si
avviò tranquillamente a casa Della Valle.

--C'è la contessa?--domandò al portinaio; ed era tanto sicuro di
trovarla in casa, che si avviò diritto verso la scala, senza aspettare
la risposta.

Ma invece il portinaio gli corse dietro gridando:

--Nossignore! Nossignore! non c'è nessuno!

--Come?... Non è in casa la contessa?

--Non c'è nessuno.--I padroni sono andati in campagna, a Santo Fiore.

--Per tutto il giorno?...

--Per due o tre mesi: non si sa quando ritorneranno. Il Vharè guardò
fisso il portinaio e gli sembrò di scorgere sotto una cera umile e
rispettosa un sorrisetto maligno.

--Va bene.--Giacomo prese dal portafoglio un biglietto da visita, lo
piegò ad uno degli angoli e se ne andò con aria indifferente, senza
dir altro. Ma, invece, egli era assai turbato, assai inquieto e
addolorato. La notizia di quella partenza lo aveva messo tutto
sossopra. Era accaduto certo qualche cosa di grave; Lalla, chissà, non
avea nemmeno avuto il tempo di avvertirlo!

--Povera Lalla!... Povera Lalla!

Pensò di seguirla, di correre da lei, nascondendosi in qualche casetta
dei dintorni; ma era un agire da pazzo e non da uomo: l'avrebbe
perduta interamente, senza scopo; e vi rinunciò. Egli era sicuro che
appena Lalla potesse farlo, gli avrebbe subito scritto, informandolo
di tutto. Ma, invece, passarono due, tre, quattro giorni... e nessuna
lettera, nessun avviso... niente. Aspettò ancora, sempre colla
speranza, colla febbre: aspettò un'altra settimana... niente, niente.
Allora cominciò a calmarsi e a ragionare.

--Com'è possibile che in tanto tempo, non abbia mai trovato il modo di
potermi scrivere, almeno una parola?... Un servitore, un contadino,
una persona qualunque si trova facilmente, e nei casi disperati si
manda al diavolo anche la prudenza!

Aspettò ancora un altro poco, finchè un giorno vide, sul Corso,
Giorgio Della Valle, proprio lui,--quel cane!--che andava per le
botteghe a fare acquisti.

Giacomo pensò subito di avvicinarlo e di fermarlo: così almeno sarebbe
uscito dall'incertezza.

Giorgio era un carattere troppo franco e sincero, per saper fingere,
per saper simulare.

Il Vharè attraversò la strada col cuore sospeso, ma con piglio
risoluto.

--Buon giorno, conte!

--Oh, buon giorno, marchese.

--Si possono aver notizie della contessa Della Valle?

--Sta benissimo, grazie.

--Vi pregherò di presentarle i miei omaggi.

--Grazie, marchese!

Giorgio era stato più amabile del solito col Vharè, e per poco non lo
invitava a Santo Fiore!... Per Dio, il conte Della Valle, certo non
aveva l'aria di far morire sua moglie, o di tenerla relegata nel fondo
di una torre come un tiranno del Medio Evo!... Dunque? Che cosa
pensare? Qualche cosa era accaduto, ad ogni modo, ma nulla di serio,
nulla di grave. Dunque?... Era Lalla la leggera, la civetta, la
perfida!... Era lei che si era messa a scappare alla prima
scaramuccia!... Sicuro... Lalla non amava, non sapeva amare!...
Innanzi al primo pericolo, il suo amore, così pieno di giuramenti e di
promesse, svaniva a un tratto e tutto dimenticava, anche quell'uomo
che soffriva per lei e che con una parola, con una sola parola ella
avrebbe potuto illudere e consolare. No, non aveva cuore, come non
aveva sangue: egli ne aveva sempre dubitato; adesso ne era sicuro.

Una sera, poco tempo dopo, egli seppe a teatro, dalla Calandrà, che la
contessa Della Valle si divertiva in campagna, ch'era allegrissima,
che vedeva molta gente e che spesso facevano gite a cavallo e
combinavano cacce alla volpe, numerosissime. La Calandrà, non potendo
riuscire ad ottenere le confidenze di Lalla, voleva tentare di avere
quelle del marchese, e perciò gli parlò lungamente, con aria di
mistero, della duchessina, promettendo a Giacomo che gli avrebbe fatto
sapere quando sarebbe ritornata a Santo Fiore.

--Grazie, molte grazie!...--rispose il Vharè, senza mostrare di aver
capita la generosa offerta della Calandrà.--La pregherò soltanto di
ricordarmi particolarmente ai d'Eleda e ai Della Valle.

Quando il Vharè ritornò a casa e si chiuse nella sua camera, gli
pareva di soffocare; aveva la gola secca e il cuore gonfio. Cominciò
per svestirsi, ma poi d'un tratto, si buttò sopra una poltrona, ch'era
a' piedi del letto, piangendo come un ragazzo.

Ma con quelle poche lacrime sgorgò dal suo cuore tutto quanto vi era
di gentile e di nobile; con quelle poche lacrime si consumò tutto il
suo dolore, tutto il suo amore... ed egli non sentì più altro per la
duchessina che dispetto e disprezzo.

--Sì,--borbottava,--ne convengo! mi hai giocato bene!... Sei stata più
furba di me, e sei la sola che può vantarsi di avermi ingannato!... Ma
chi avrebbe indovinata la tua perfidia sotto quell'apparenza timida e
pudibonda? Ma... chi sa?... ride bene chi ride l'ultimo. Chi sa?...
chi sa?...

A questo punto il marchese Giacomo di Vharè, che aveva finito di
svestirsi, si cacciò nel letto, e poco dopo si addormentò
profondamente.



XXV.


A Santo Fiore, in questo frattempo, era successo un fatto molto
importante: nientemeno che la signora Veronica e la bella Ottavia...
erano rimaste incinte tutte e due, con grande contentezza e meraviglia
del signor Domenico e del signor Niso, ai quali le rispettive consorti
non avevano mai concesso un tanto onore.

Il nuovo segretario comunale, succeduto al povero Frascolini, morto da
qualche mese, un giovinottino della città, tisicuzzo, giallo, biondo e
un po' gobbetto, ma ricco di cuore e d'un _pince-nez_, era riuscito a
rappattumarle fra di loro, tanto che adesso, tutt'e due, la Minerva e
la Venere del paese, facevano disegni in comune, pei loro nascituri, e
volevano essere chiamate zia, l'una e l'altra, dal rispettivo _bébé_
dell'amica. Era un divertimento per tutto Santo Fiore quando la
brigatella andava insieme e d'accordo per istrada, a fare la
passeggiata igienica del dopo pranzo. Camminavano adagio adagio; ma il
gobbetto rimaneva in mezzo, quasi nascosto dalle donne e
dall'_Omnibus, gazzetta di Borghignano_ che egli teneva spiegata,
leggendone ad alta voce l'appendice. La bella e maestosa Ottavia,
dondolante, la pancia gravida che risaltava sotto un grembiule
scarlatto, voleva far la bambina, la vergognosetta, e arrossiva,
frignando, ad ogni scherzo che le veniva diretto. E a quelle
allusioni, quando il signor Niso si trovava presente, arrossiva anche
lui, per una contentezza fiera e modesta. La signora Veronica, invece,
superba del suo stato, camminava colla testa alta, la faccia arcigna,
lanciando certe occhiate che dardeggiavano e parevan dire a tutti
quelli che incontrava:--Fate altrettanto, se ne siete capaci!...

Ma, tuttavia, questo duplice e fortunato avvenimento, non era la sola
novità importante di Santo Fiore: c'era ben altro!...

Sandro Frascolini era ritornato al paese, appunto in que' giorni, per
raccogliere l'eredità paterna (una decina all'incirca di mille lire);
e intanto, non volendo perdere il suo tempo, si dava attorno tentando
di fondare il _Circolo democratico degli Operai Agricoltori_ e cercava
azionisti per un suo giornale politico di là da venire: L'Amico del
Contadino. Il Frascolini, adesso, l'aveva a morte coi nobili e coi
preti, ch'egli chiamava _sepolcri imbiancati_, poi prendeva spesso la
sbornia, portava la cravatta rossa, il cappello alla _Lobbia_ e usciva
sempre con un nodoso bastone.

Egli aveva dovuto abbandonare il canto per la politica, dietro il
consiglio di un classico pugno che aveva preso in un occhio, per amori
e gelosie del dietro scena. Era però sempre un bel giovane, anche con
un occhio solo; il vuoto lasciato da quell'altro, che se n'era ito, lo
teneva nascosto con una benda di seta oscura. I crapuloni, gli oziosi
e le birbe lo portavano in auge; ma aveva perduta la stima delle
persone dabbene. Il signor Domenico, per esempio, il sindaco, gli
aveva levato il saluto. Il medico e il veterinario lo schivavano, e il
maresciallo dei carabinieri gli teneva gli occhi addosso. In quanto al
signor Niso... Il signor Niso lo salutava sempre, ma poi se ne
scusava, sospirando, colla moglie, che non voleva--vergogna!--e lo
strapazzava per quella sua debolezza.

Invece don Vincenzo soffriva una gran paura del Frascolini, e quando
usciva dalla canonica, faceva sbirciare dal _nonzolo_ se lo scorgeva
sulla piazza, e se c'era, sgattaiolava dalla porticina di dietro. Il
Frascolini non lo insolentiva, e non lo minacciava: soltanto si levava
il cappello, e inchinandosi profondamente gli gridava dietro ad alta
voce:--Mi saluti la _signora_, reverendo!

La Veronica e l'Ottavia incontravano spesso il Frascolini nelle loro
passeggiate, ma era tal e quale come se non lo avessero mai
conosciuto. Tiravano via diritto, la Veronica guardandolo fiera,
minacciosa, a testa alta, la Ottavia abbassando gli occhi,
pudicamente, e stirandosi il gonfio grembiule colle mani. Quando poi
erano passate innanzi, si scambiavano un'occhiata di sopra al piccolo
segretario, il quale, alla vista dell'ex tenore, parea volesse
nascondersi tutto dentro la gazzetta. In quanto al Frascolini, egli
non ci badava, nemmeno per riderne! Si sentiva salito troppo in alto
per occuparsi delle signore di Santo Fiore!

La duchessina, lo stesso primo giorno ch'era arrivata in villa, lo
vide subito, fermo sulla piazza della Stazione; ma, sul momento, non
lo aveva nemmeno riconosciuto. Gli fu indicato da miss Dill, la quale
era andata incontro alla contessa Della Valle, componendosi sulle
labbra una smorfia, un sorriso, col quale voleva esprimere tutto il
suo giubilo; ma invece, in fondo al cuore, la miss era molto seccata
pel ritorno della duchessina. Ormai ci avea preso troppo gusto a
spadroneggiare a Santo Fiore e ad essere libera de' fatti suoi.

A Lalla la vista del Frascolini non fece nessuna impressione; tant'e
tanto, a lei non poteva far nulla di male!... La sua figura plebea,
gli stessi ricordi dell'ultima scenata ch'egli le aveva fatta a
Borghignano, tutti insomma i molti ricordi di quella scappatella
sentimentale, s'erano via via dileguati dal suo animo, alla stessa
guisa che i primi tepori d'un bel mattino d'autunno fanno dileguare
dai cristalli della finestra i fantastici rabeschi, i fregi bizzarri
che la nebbia e il freddo della notte vi avevano disegnati.

D'altra parte il Frascolini, per qualche giorno, non si lasciò vedere
dalla duchessina; egli invece si ubbriacava più spesso, e le sue
sfuriate contro le _carogne aristocratiche_ si facevano più irose, più
violente. Adesso aveva imparato a memoria lunghi brani dei _Misteri
del Popolo_ di Eugenio Sue, e spesso ripeteva le profetiche invettive
dei figli di Gioele, il _brenn_ della Tribù di Karnak, spacciandole
come roba sua. Durante quelle sfuriate stringeva i pugni, si mordeva
le dita, e schizzava foco dal suo occhio vivo, iniettato di sangue,
con un'espressione di rancore, di odio, di ferocia, da non lasciare in
lui nessuna traccia del buon Guglielmo (quello dei _Due Sergenti_) che
tante lacrime aveva fatto spargere alle sensibili donnine di Santo
Fiore. Ma, con tutto ciò, Sandro Frascolini non mostrava molto
coraggio contro la _casta_ esecrata: tutt'altro!... bastava ch'egli
udisse, mentre stava predicando in piazza, la sonagliera dei due
_poney_ della contessa Della Valle, perchè fuggisse via, come un cane
scottato!

Un giorno, per altro, rimase preso, lì, su due piedi, quando meno se
l'aspettava. La contessa usciva dal palazzo a braccio di Giorgio per
andare a salutar don Gregorio, e Sandro la vide passare vicina, tanto
vicina, da udire ancora una volta il timbro della sua voce, tanto
vicina, da vederla ancora una volta nella sua personcina vaga,
sottile, tutta bianca e odorosa come un fiore, con quegli occhioni
grandi e modesti...

Tutti s'inchinavano umili e riverenti; ella passava via leggera,
tranquilla, simile alla visione di un sogno.

E dire ch'egli l'aveva stretta fra le sue braccia quella creatura
superba che sembrava una regina!... e dire ch'egli l'aveva baciata in
bocca, ch'egli le aveva cacciate le mani nei capelli, ch'egli avea
confusa la sua propria colla voluttà di quella creatura vereconda...
che sembrava una madonna!...

Quell'incontro di Lalla, inasprì la ferita sempre aperta. Sandro tentò
di ubbriacarsi, prima col vino, poi co' liquori; ma non ci riuscì.
Rimaneva freddo, cupo, coll'immagine di Lalla fissa dinanzi agli
occhi. Imprecava contro di lei, la malediva, la copriva d'insulti, ma
Lalla gli sorrideva cogli occhi languidi, la bocca umida, socchiusa,
dalla quale usciva l'alito caldo e profumato, che gli risollevava nel
sangue il ricordo dei fremiti lunghi e voluttuosi di quel suo
corpicciuolo morbido di sensitiva. Sparuto e taciturno, viveva solo,
lasciando in pace, per il momento, tutti i figli di Gioele, il _brenn_
della Tribù di Karnak. Sfuggiva gli amici, i soci, i camerati, e mancò
più di una volta alle sedute del _Circolo democratico degli Operai
Agricoltori_.

Lalla aveva l'abitudine di ritornare da Santo Fiore al Villino tutte
le sere a piedi, dopo di aver preso il _perdono_ in chiesa, con miss
Dill e con don Vincenzo. La strada, larga e dritta, era tutta chiusa
da folte siepi di pruno selvatico, rese più fitte dagli ontani che vi
si spesseggiavano. Solo ad una metà circa del cammino, venendo dal
paese, le siepi erano aperte da due passaggi, l'uno di contro
all'altro, che mettevano nei campi.

Lungo quella strada non s'incontrava mai anima viva: una sera Lalla
sentì camminare al di là delle siepe, ma non vi fe' caso. La sera
dopo, invece, avvicinandosi dove si apriva il passaggio, appoggiato ad
uno de' cancelli vide un uomo fermo, immobile, colle braccia
incrociate sul petto. Lo indicò agli altri e lo riconobbero subito:
era Sandro Frascolini, Si consultarono a bassa voce: tornare indietro
non si poteva, dunque, per amore o per forza, bisognava tirare innanzi
e passargli proprio sui piedi.

Lalla aveva una gran paura, il cuore le batteva fortemente, e colla
coda dell'occhio guardò se il Frascolini si levava il cappello, perchè
gli avrebbe fatto anche lei, di ricambio, un salutino gentile, tanto
per non irritarlo maggiormente. Ma il Frascolini non si mosse.

A don Vincenzo tremavano le gambe, non fiatava. Il povero prete si
faceva curvo, piccino, piccino, sperando, quasi, lui così grosso, di
potersi nascondere dietro alla miss, che camminava impettita, dura
come fosse di legno.

Gli passarono davanti adagio adagio, poi a mano a mano, senza
accorgersene, affrettarono il passo sempre di più, e quando furono in
vista del Villino si può dire che andavano di corsa, tutti e tre
stretti insieme, senza mai voltarsi, senza mai parlare, colle sottane
svolazzanti, innalzando mentalmente una preghiera al buon Dio in tre
lingue diverse: in italiano, in inglese e in latino. Giunti a casa, al
sicuro, miss Dill bevette subito un bicchierino di _acqua di tutto
cedro_, ed ordinò al credenziere di sturare una bottiglia per don
Vincenzo. Lalla non prese nulla; passato il pericolo, era passata
anche la paura, e scherzava e rideva raccontando a Giorgio quanto le
era accaduto, e metteva in burletta don Vincenzo e l'istitutrice. Ma
disse al marito che le altre sere sarebbe andata a Santo Fiore in
carrozza e che lui l'avrebbe dovuta accompagnare. Giorgio ne fu ben
contento, quantunque in pericolo, in tutto ciò, non vedesse altro che
le spalle del Frascolini.

Quando la duchessa Maria e il duca Prospero erano venuti in campagna,
avevano condotto seco anche la Giulia che, in quegli ultimi giorni,
aveva dovuto abbandonare i Della Valle per casa d'Eleda. Era stato
Prospero Anatolio a consigliare ed a voler così, non trovando nè
conveniente, nè divertente per la ragazza, quel dover correre dietro a
far da comodino fra marito e moglie. Pier Luigi, senz'altro, aveva
approvato ed accettato il cambiamento, ed era partito per
Varese.--Sarebbe poi ritornato a Santo Fiore, sarebbe, a riprendere la
pupilla, in ottobre, dopo le corse, dopo.

Le due famiglie, unite e d'accordo, vivevano sempre insieme. I Della
Valle andavano a pranzo--dalla mamma--quasi ogni giorno e dopo,
accompagnati dai d'Eleda, a piedi, avendo i medici consigliato alla
duchessa qualche breve passeggiata, ritornavano al villino, dove
passavano la sera giocando e facendo un po' di musica.

In quelle piccole gite, Lalla dava il braccio a miss Dill. Fra la
vecchia istitutrice e la contessa Della Valle era nata di fresco una
grande intrinsichezza: la mattina andavano insieme alla messa di don
Vincenzo (don Vincenzo la diceva apposta un po' più tardi) e insieme
combinavano molte altre divozioni. Miss Dill, aveva sempre qualche
notizia, qualche pettegolezzo da riferire in segreto e fu lei che fece
prendere una sgridata solenne alla Nena, raccontando alla contessa di
averla veduta col Frascolini, poco lungi dalla villa.

Il duca Prospero, invece, dava il braccio alla Giulia e le confidava,
sospirando, di essere un marito infelice: sua moglie, la _Madonna di
neve_, non sapeva comprenderlo e tanto meno apprezzarlo. Maria e
Giorgio venivano gli ultimi, un po' discosti dagli altri, perchè
Maria, più debole, si stancava più presto.

Dopo che Lalla aveva fatto capire alla mamma di essersi accorta della
sua freddezza per Giorgio, Maria aveva creduto bene di mutare contegno
e di mostrarsi col genero assai meno riservata. Ella temeva che quella
bizzarra figliuola potesse sinistramente interpretare la rigidezza
fino allora mantenuta ne' suoi rapporti col conte Della Valle. Ne
parlò prima, in proposito e lungamente, con don Gregorio, e il buon
prete pure la persuase che, ormai, essa non aveva più nulla da temere,
che ormai, tutte le prove più aspre erano state superate e che però
poteva, anzi doveva espandere in una nuova tenerezza, tutta quella
grande passione che l'aveva colpita, senza riuscire ad abbatterla.

--Non hai più nulla da temere... No... consolati... hai vinto!--diceva
a Maria don Gregorio.--Per quanto possa essere grande la tua
tenerezza, io ti conosco bene, tu lo amerai coll'affetto di una madre.

Maria, a quelle parole, chinava il capo e sospirava.

Sì, lo avrebbe amato come una madre; ma sentiva pure che nessun
figliuolo al mondo sarebbe stato amato come Giorgio Della Valle!

Un'altra voce più intima, segreta, consigliava a Maria quel mutamento:
una voce le diceva, consolandola, che molto ancora non le rimaneva da
vivere; e Maria non voleva... aveva diritto di non lasciare una
memoria che non fosse cara, un rimpianto che non fosse duraturo. Non
era tutto per lei?... La sua consolazione, la sua felicità, il premio
suo che sospirava, che domandava a Dio, per le angosce sofferte?

E in quelle indimenticabili passeggiate, era sempre Lalla il
prediletto argomento d'ogni loro discorso. Giorgio confidava--alla
mamma--tutto l'amore, tutta la passione che gli traboccava dall'anima
e le confidava (a lei, _a lei sola_) premendole il braccio
teneramente,--ch'egli sperava sempre... che il suo sogno dorato non
era del tutto svanito... insomma... quella sua felicità così grande
sarebbe stata compiuta soltanto da un bambino... un bambino della sua
Lalla!...

Maria, pallidissima, ma col volto irradiato da un sorriso mesto e
soave, riusciva, forse lacerandolo, ad aprire il suo cuore a
quell'eloquenza dolce e appassionata!... E mentre Giorgio, lietissima
di riacquistare così la sua buona sorella, ma dolente di averla in
quegli anni tanto sconosciuta da non rifuggire dinanzi a un sospetto
mostruoso, esprimeva con calda espansione la stima profonda che le
professava. Maria, che non voleva desiderare di più, innalzava
sospirando gli occhi al cielo, ancora scintillanti di lacrime. E anche
Maria faceva voti, anch'essa, la povera martire, perchè il desiderio
di Giorgio fosse esaudito. Del resto, quel bimbo (e maschio,
s'intende) era un po' il desiderio di tutta la famiglia; ma le
speranze parevano diminuire con ogni giorno, anzi, con ogni mese che
passava.

Anche Lalla n'era contrariata, e non voleva farlo capire. Ci teneva ad
essere invidiata anche nella sua perfetta felicità, e perciò ripeteva
a tutt'andare che l'aver figliuoli non era altro che una seccatura!...
Ma poi... Pier Luigi ghignava, la Giulia sorrideva e il duca... povero
duca! Egli era addolorato più di tutti!... Aveva ottenuto che il
primogenito dei Della Valle avesse a portare riuniti i nomi delle due
famiglie e chiamarsi Prospero Giorgio Maria Anatolio conte Della Valle
e duca d'Eleda, ma... ma come per fare un arrosto di lepre occorre per
lo meno la lepre, così per ottenere un futuro duca d'Eleda,
occorreva... un contino Della Valle!...

Giorgio, dal canto suo, si guardava bene dal lasciar trasparire neppur
l'ombra del dispiacere; e ciò, primieramente, perchè egli voleva
troppo bene a sua moglie, e poi perchè, sua moglie aveva finito
coll'imporsi in tutto e per tutto e coll'avere su di lui un grande
predominio. Quasi quasi, certe volte, si sentiva intimidito, aveva un
po' di soggezione, specialmente a doverla contradire. Essa faceva
tanto presto a montare in collera!... E le collere di Lalla, ad onta
della sua dolce soavità, ad onta della sua compostezza tranquilla,
erano sorde e ostinate. Non gridava, non faceva scene, ma non gli
rivolgeva più la parola, e a qualunque cosa che egli le dicesse
rispondeva con un--_come vuoi_--immutabile di espressione e di tono,
mentre alle sue carezze essa si faceva di ghiaccio.

La più ostinata di quelle _collere bianche_--era Pier Luigi che le
chiamava così--il Della Valle l'ebbe appunto da combattere nei primi
giorni che erano arrivati a Santo Fiore. Appena Lalla fu persuasa che
suo marito non aveva alcun sospetto fondato e che ormai la credeva più
candida di un'innocente colombella, pensò subito a difendersi per
l'avvenire e anche un pochino a vendicarsi, per lo spavento avuto.
Giorgio tentò ogni mezzo per acquetarla: la dolcezza, le carezze, le
preghiere, i rimproveri;--niente: non c'era verso di smuoverla! Lalla
ci teneva troppo a far sì che quella lezioncina fosse ricordata ben
bene, e quando cedette finalmente, e solo perchè cominciava ad essere
seccata lei stessa della propria ostinazione, volle ancora
stravincere, e ci riuscì.

--Ebbene, io dimenticherò e perdonerò--disse a Giorgio che la
supplicava,--ma ad un patto.

--Quale?... tutto ciò che vuoi!...

--Devi essere sincero e rispondere _sì_ o _no_, francamente, ad una
mia domanda.

--Ti dirò tutto!

--Fu tuo zio, fu Pier Luigi, non è vero, quello che s'è presa la
briga...--e Lalla sorrise con malizia birichina--quello che s'è preso
il bel divertimento di aprirti gli occhi?

--Scusa, ma prima di rispondere bisognerebbe...

--O _sì_ o _no!_...

--Ma...

--_Sì_ o _no_?

Giorgio la guardò facendole capire ch'essa aveva indovinato, ma non
volle dirlo apertamente.

--Lo sapevo, sai, oh lo sapevo!... Quello invece che non sai tu, è
perchè il tuo caro zio mi odia.

--No, Lalla, non ti odia; anzi, ti vuol molto bene!

--Troppo... troppo bene!...--esclamò Lalla, diventando rossa,
palpitante di vergogna e di collera.--Sai, Giorgio? ho dovuto
difendermi a viva forza! Mi ha baciata a tradimento!... L'ho scacciato
dalla mia stanza!... Per questo si vendica!

--Lui?... Pier Luigi?... Pier Luigi?!--esclamò Giorgio balzando in
piedi.

--Sì!... Soltanto perchè era lui... Pier Luigi... perchè era tuo zio,
ho taciuto.... ho soffocato tutto dentro di me!.... Ma quanto
piangere, Giorgio! Piangevo sola, di nascosto, piangevo di vergogna,
di collera, di ribrezzo!... Dio, Dio, che giorni, che notti orribili!
Ma speravo di poter risparmiare, almeno a te, questo gran dolore!
Invece ora... non posso più tacere; mi sento il dovere, ho il dovere
di dirti tutto. Speravo che il modo col quale l'ho trattato potesse
bastare; invece no; mi sono ingannata! Cattivo e perfido, quanto è
brutto, ributtante! Approfittò della mia stessa bontà per farmi del
male, per avvelenare il nostro amore! È un'infamia!... È infame!--E
Lalla, tutta tremante per l'urto dei singhiozzi, finì scoppiando in un
pianto dirotto.

Giorgio, pallido, smorto, non disse una parola. Oh, se Pier Luigi gli
fosse capitato dinanzi in quel momento, egli lo avrebbe
schiaffeggiato... ammazzato.

Ma poi non potè reggere a lungo: quel miserabile che aveva insidiato
il suo onore, insidiata sua moglie, era il fratello di sua madre!... E
si buttò sopra una poltrona coprendosi il volto con le mani.

Lalla cessò dal piangere, si strinse al petto di Giorgio e lo coprì di
baci.

--Nino mio, Nino mio! La tua Lalla ti vuol tanto bene!....

Giorgio sospirò, scrollando il capo; Lalla, tenera, affettuosa,
sedendosi sulle sue ginocchia, stringendolo colle belle braccia
odorose, tornò a baciarlo, continuò a baciarlo, sussurrandogli
parolette care e deliziose ch'erano altrettante carezze:

--Oh, Nino mio, tu sei stato ingiusto colla tua piccola Lalla e l'hai
giudicata a torto; hai dubitato di lei, del suo affetto per te: l'hai
sgridata, l'hai spaventata con una scena terribile; l'hai costretta a
scappar via da Borghignano a precipizio, e tutto ciò per che cosa?...
per chi?.... Per un brutto cattivo!... Ma d'ora innanzi crederai
sempre alla tua Lalla, vero?... alla tua Lalla che ti vuol tanto
bene!...

--Sì.

--Crederai sempre a me?... E a nessun altro?...

--Sì!... Sì!...--rispose Giorgio vinto, consolato, innamorato; e
Lalla, in compenso di una tale promessa, lo fece delirare con un
furore di baci.

In quella commozione e in quel trasporto la duchessina era spontanea e
sincera.--Povero Giorgio, tanto buono!--Era contentissima di non aver
rimorsi e il Vharè non lo voleva più vedere, sentiva che non lo amava
più. No, no; non voleva più saperne di sotterfugi: aveva avuto troppa
paura. Sentiva ancora, come in quel malaugurato venerdì, i passi di
Giorgio, quando si avvicinava al salottino:--Dio, Dio! Che
angoscia!... che momento terribile...

Ma, dopo qualche giorno, ormai pienamente sicura di suo marito,
ricominciarono le inquietudini per via del Vharè.--Come avrebbe egli
accettata quella scomparsa improvvisa e, sopratutto, quel suo continuo
silenzio?...--Lalla, appena a Santo Fiore, aveva pensato se gli doveva
scrivere, tanto per calmarlo.--Ma, poi, per mandargli la lettera?--Di
chi si sarebbe fidata?--Della Nena?... E se Giorgio l'avesse spiata e
scoperta?... Allora... allora suo marito avrebbe avuto ragione di
credere anche quello che non era, perchè lei, infine, non aveva
_rimorsi!_--Non sarebbe stato prudente nemmeno il valersi, come al
solito, dei libri. Giorgio, che non era uno stupido, avrebbe capito
subito il contrabbando.--Era meglio lasciar correre l'acqua per la sua
china...--e lasciò correre.

Per altro, passato molto tempo, quando fu sicura che il Vharè non
pensava, nè avea mai pensato di correrle dietro, allora si sentì un
po' mortificata.

--Ma dunque?... non era innamorato come diceva?... Si rassegnava a
perderla, e per sempre, senza ribellarsi, senza fiatare?...
Oh,--allora, per ripicco, voleva mostrarsi indifferente anche
lei!...--E per ciò, quando arrivarono le prime visite della Bertù e
della Calandrà, la contessa Della Valle fu di buonissimo umore,
raccontando che vedeva molta gente, che andava alla caccia, che andava
a cavallo, insomma che si divertiva dalla mattina alla sera. E tutto
ciò perchè il Vharè lo sapesse e fosse convinto che se lui si era
subito confortato, anche lei non moriva di dolore!... In tal modo,
senza che Lalla se ne fosse accorta, il bel marchese, uscitole dal
cuore da una parte vi rientrava dall'altra; sempre, è vero, per
stradette oscure e recondite chè, direttamente, lì dentro per la
strada maestra, non vi entrava nessuno.

Cessati tutti i timori, quella rottura col Vharè le spiacque anche per
un'altra ragione: Pier Luigi, la Bertù, la Calandrà, Gianni Rebaldi,
tutti insomma i pettegoli maligni di Borghignano, avevano ragione di
stare allegri; avevano ottenuto il loro scopo; quello, cioè, che il
Vharè non le andasse più in casa, e non le facesse la corte.

Ogni volta che pensava a questo fatto, e nella solitudine di quella
sua vita uniforme e noiosa Lalla ci pensava troppo di sovente, si
sentiva rodere per un po' di rabbietta. A poco a poco, essa cominciò a
dir male del mondo e della _società_; le sue parole erano piene di
amarezza; tutti erano--cattive lingue--tutti erano--maligni--e quando
la Calandrà e la Bertù ritornarono a Santo Fiore--perchè d'autunno e
di primavera esse andavano in giro per le ville, a scroccare pranzi e
colazioni--furono ricevute da Lalla tanto freddamente, che non osarono
ripetere l'improvvisata.

Un altro signore che si ebbe un'accoglienza non molto cordiale in casa
Della Valle, fu Pier Luigi; questi, come aveva promesso a Prospero
Anatolio, era venuto dopo le _corse_ di Varese a Santo Fiore, per
riprendere la Giulia.

--Allontanare Pier Luigi da Giorgio!...--Lalla trionfava; ma col
marito si mostrò dolentissima di essere la cagione innocente di quella
rottura, e lo consigliò, lo pregò, lo supplicò a non fare scene, e
lasciar correre.

--Quello che gli stava ben detto, glielo aveva saputo dir lei; ma non
conveniva inimicarselo; ormai lo conoscevano, e perciò del male non
poteva più farne.

Giorgio le promise tutto ciò, ma non andò a prendere lo zio alla
stazione, e anche al Villino gli fece un'accoglienza glaciale.

--Ah, ah!... la colombina, ha confessato, la colombina! Sicuro, ha
confessato il peccato mio per nascondere il proprio!--borbottava Pier
Luigi, che aveva tutto indovinato.--Me l'ha fatta; ma me l'ha fatta
bene, ed a tempo. Eh, c'è sangue, c'è!... Un po' che volesse
ingrassare, sarebbe una perfezione, sarebbe! Io mi tenevo sicuro che
non avrebbe parlato! _Diabolo_.... _Diabolo!_.... Se ho cercato di
saltare il fosso, la spinta, per altro, me l'ha data lei e secondo le
buone regole avrebbe dovuta tacere! Ad ogni modo... è carina; e perciò
bisogna accordarle le attenuanti. Ha parlato solamente quando ha
capito che era utile e necessario. Sono stato un imbecille, sono
stato, a voler predicare la morale. Forse, colla pazienza e
perseveranza chi sa?... Povero Giorgio! Per lui sarebbe stato molto
meglio se avesse sposata la Giulia... Per lui, e per me. Almeno io
avrei finito di fare il padre nobile, avrei finito.

Di questa rottura, chi ne sentì più forte il dispiacere, fu Prospero
d'Eleda. In famiglia, è naturale, si notò subito la freddezza fra
Giorgio e lo zio, e il d'Eleda si adoperò a tutt'uomo per sapere che
cosa diamine fosse accaduto!

Era un dovere per lui, in quel caso, di mettersi in mezzo e far da
paciere. E si arrabbiava con Maria perchè non lo secondava con
bastante calore; ma la duchessa sospettava intorno la verità e, troppo
delicata per parlarne con chicchessia, approvava in cuor suo la
condotta di Giorgio. Il duca, invece, borbottava e smaniava,
dichiarando energicamente che se il signor conte era matto, buon
padrone! Lui non voleva seguirlo sul terreno delle sgarbatezze, e fu
fissato che Pier Luigi, in dicembre avrebbe ricondotta Giulia a
Borghignano per tener compagnia alla duchessa quando i Della Valle
sarebbero ritornati a Roma.

La duchessa, infatti, aveva bisogno di compagnia e di svago, perchè
andava peggiorando di giorno in giorno. Santo Fiore e le passeggiate
le avevano fatto più male che bene, e invece di andare a Roma coi
figliuoli, come sarebbe stato il primo disegno, doveva rimanere a
Borghignano per curarsi. Prospero Anatolio sarebbe rimasto a
Borghignano anche lui e finalmente in marzo o in aprile, avrebbe
potuto tornare a Roma per i lavori del Senato. Povero duca!... Egli si
sacrificava (e lo diceva a tutti, sospirando) a cagione della salute
di sua moglie, e degli studi di un nuovo progetto sulla riforma e
sulla cessione in appalto del _Dazio consumo_, che aveva sollevato,
nel Consiglio e fuori, un forte partito avverso all'_Amministrazione
d'Eleda_.

L'ultimo giorno che i Della Valle rimasero in villa, pareva ancora un
giorno tepido di ottobre. La campagna anch'essa ha le sue civetterie e
molte volte, quando noi siamo sulle mosse per abbandonarla, ella
sembra adornarsi, farsi più bella, più gaia, ringiovanire, quasi
volendo lasciare nel nostro cuore, col suo ultimo ricordo, un
desiderio e un rimpianto.

La Giulia e Pier Luigi, se n'erano andati da vari giorni e a Prospero
Anatolio, dopo quella partenza, erano capitati addosso tanti conti da
regolare e da rivedere, da non lasciargli nemmeno il tempo, assicurava
lui, lamentandosi, di respirare. La brigatella si trovava dunque
ridotta a due sole coppie: a Lalla che camminava davanti con miss
Dill, e a Giorgio con Maria un po' più indietro.

Giorgio, durante quella passeggiata che, in certo modo, si poteva dire
di commiato, scherzava amabilmente intorno a quell'avversione che
Maria, negli anni passati, sembrava nutrire per lui.

Maria, scherzando a sua volta, si schermiva con molta finezza, ma poi,
fatta più seria, concluse che quelle accuse non avevan ombra di
fondamento: se gli fosse stata nemica e se, invece, non lo avesse
molto stimato, non gli avrebbe mai concessa in moglie la sua
figliuola.

--Oh, in quanto alla stima, siamo d'accordo! ma fu la vostra
confidenza, fu la vostra affezione che mi toglieste ad un tratto.
Perchè?... Questo è il problema!

Maria, tornò a ripetere che non era vero, che si ingannava; non si
sentiva bene e ciò la metteva spesso di malumore.

--No, no,--insisteva l'altro,--voi non mi dite tutto; no, non posso
ingannarmi, vi conosco troppo bene. Forse, adesso, vi siete ricreduta,
forse adesso mi avete _quasi_ perdonato, e soltanto per il grande
amore che sento per vostra figlia.

--Sì, sì; vi sono molto riconoscente di... del vostro affetto per
Lalla; per mia figlia. Giuratemi, giuratemi che l'amerete sempre così!

Giorgio, premendole il braccio, la guardò lungamente, in un modo che
valeva assai più di qualunque risposta.--Voi credete, non è vero, che
al di là... Voi credete che ci sia _un al di là?_

--Oh, se ci credo!--rispose Maria levando al cielo gli occhi umidi e
lucenti, con un'espressione che rivelava tutto il suo favore e tutta
la sua fede.

--Ebbene,--continuò Giorgio, indicando Lalla amorosamente--anche _al
di là_... io l'amerò sempre così, perchè la mia anima è piena di lei,
come il mio cuore.

--Grazie... grazie.--Ma la poveretta non potè continuare, interrotta
da un urto di tosse forte e doloroso come un singulto.

Giorgio si fermò guardandola colpito.

--Vi sentite male?

--No, no; è passato;... anzi, mi sento meglio; molto meglio. Le vostre
parole... il sapere che voi amate mia figlia... Sono contenta, mi
sento tanto felice--è la mia gioia più grande, questa; è la gioia che
mi farà forse, guarire.

--Allora, in cambio della mia promessa, ne voglio un'altra, da voi.

--Quale?... Quale?...--La voce di Maria si era fatta tenue come un
sospiro, come un gemito.

--Quando ritorneremo da Roma, vi troverò buona, come siete buona...
adesso?

--Sì; fate felice mia figlia, amatela sempre sempre, e sarò buona, ve
lo prometto.

--Grazie, _mamma_, grazie!... Oh se sapeste quanto vi voglio bene!--E
Giorgio, così dicendo,--erano soli nella stradetta,--l'abbracciò con
improvvisa tenerezza e le baciò i capelli e la fronte. Maria gettò un
grido; Lalla e miss Dill si fermarono voltandosi; ma Lalla indovinò
tutto e correndo presso la mamma e abbracciandola, come aveva fatto
suo marito, finse amabilmente d'esserne un po' gelosa.

--Sì, sì,--esclamò Giorgio,--l'amo più di te! assai più di te!--E
presale una mano, si tirò Lalla sul cuore, e la baciò, la strinse con
tanta passione, da rendere ancor più evidente il giuoco di quelle
parole.

Miss Dill, commossa e muta dinanzi a quella scena si tolse il
_pince-nez_, e colla punta del dito mignolo si asciugò lentamente due
lacrime: una per occhio.



XXVI.


La contessa Della Valle, ritornata a Roma, si trovò con pochissimi
adoratori. Oramai non era più una novità e poi correva la voce che a
lei piaceva scherzare, ma che, allo stringer dei conti, lasciava tutti
con un palmo di naso, e citavano l'esempio del Vharè.

--È innamorata di suo marito,--dicevano, e questa _calunnia_,
inventata ad arte dalle donne, e messa in giro dagli uomini, toglieva
ogni attrattiva alla povera contessa. Il corteggiarla non era di moda;
anzi voleva dire... fare la figura del novizio. A teatro, visite
corte, per paura del _pozzo_; in casa, qualche onorevole, amico del
marito, e nessun altro. Alle feste da ballo i giovanotti eleganti le
parlavano appena, tanto erano affaccendati. Non già che la
trascurassero per farle dispetto, ma, in fine, non avevano tempo da
perdere e consumavano le loro fiamme per altre divinità che si
sapeva--si sperava--non facessero languire i supplicanti. La
duchessina, era innamorata di suo marito; dunque, era anche troppo se
con lei sacrificavano, per turno, qualche quadriglia o qualche giro
del _cotillon_. Lalla si mostrava amabile, lusinghiera, più carina che
mai; cercava, tentava tutte le sue _risorse_; ma non riusciva a
ritornare in auge.--Innamorata di suo marito?--Non c'è niente da
fare.--E non se ne curavano più.

Lalla ci soffriva assai; e quando tornava a casa stanca e seccata,
pensando alle emozioni e ai trionfi dell'anno prima, le veniva da
piangere. In quelle notti sognava spesso il bel marchese Vharè, quando
la stringeva fra le braccia e vagavano voluttuosamente, trascinati e
travolti dall'onda calda del valzer, mentre tutto il bel mondo le si
affollava d'intorno, pieno di ammirazione e di entusiasmo. Allora
sì... allora sì, era felice!... Ma allora la gente non era tanto
stupida; allora non la credevano innamorata di suo marito. Chi mai
aveva inventata quella sciocchezza?... E così, in cuor suo, la
duchessina sperava sempre che il bel marchese non l'avesse dimenticata
interamente; sperava sempre di vederlo tornare da un momento
all'altro; ma ben presto dovette perdere anche la speranza. Il Vharè
era a Nizza a passare l'inverno e a giocare; in quei giorni egli aveva
avuto un duello molto grave, finito colla peggio del suo avversario,
e, in proposito, si faceva il nome di una notissima signora milanese.

Quando fu raccontato questo fatto alla contessa Della Valle, Giorgio
era con lei, e quando rimasero soli, Lalla non potè a meno di
esclamare, con un misto di amarezza e d'ironia:--Adesso non avrai più
paura che il Vharè mi faccia la corte!

Era proprio gelosa di quella nuova avventura.

--Come il--perfido--l'aveva subito dimenticata!... Almeno lo avesse
fatto per vendicarsi di lei!...--E di tutto ciò, chi più ne portava la
pena era, naturalmente, il marito. Ne portava la pena senza averne
alcun vantaggio; diventando sempre più innamorato, e quanto più Lalla
era nervosa, tanto più, per amore e per timore, egli ne subiva
l'influenza, in casa, fuori di casa, e persino alla Camera, dove il
suo colore politico sbiadiva a vista d'occhio, mentre invece il duca
Prospero avanzava ogni giorno, giovanilmente, verso le idee liberali.

Lalla, era spesso triste e si sentiva come sfiduciata. Anche a Nervi,
dove si recavano l'estate coi d'Eleda. perchè i medici avevano
prescritto a Maria l'aria del mare, il suo umore era inquieto e
lunatico; e fu ancora peggio quando, alla fine, ritornarono a
Borghignano.

Borghignano, in quei giorni, era commossa da un grande avvenimento: la
Presidenza del teatro dell'Opera aveva scritturata, per la prossima
stagione di carnevale, nientemente che la _diva_ Soleil per cantare
nella _Forza del destino_ e nell'_Aida_. Non si parlava d'altro; e
tutti, pareva si fossero data la parola per riferire e ripetere alla
Della Valle, magnificandola, la straordinaria notizia. I Lastafarda,
il Rebaldi, il Toscolano discutevano dinanzi a lei, se e quando la
_diva_ aveva fatto la pace col Vharè; ma poi, sopravveniva la Calandrà
a tagliar corto; e marcando le parole, per ferire Lalla nel vivo,
assicurava che il Vharè le aveva fatto capire che la Soleil, per il
suo spirito bizzarro e originale, era l'unica donna che gli aveva
fatto impressione e che non avrebbe potuto mai dimenticare. Anche la
Bertù (quella stupida, quella mummia a freddo della Bertù!) diceva di
aver veduta la Soleil a Torino al _Circolo degli Artisti_, e che aveva
l'aria molto _comme il faut_; era un modo qualunque, ma buono, per far
scontare a Lalla la sua freddezza di Santo Fiore e la sua accoglienza
così poco gentile e poco incoraggiante.

Lalla, partì da Borghignano col cuore gonfio di dispetto e di
amarezza. Sentiva gelosia contro il Vharè, trovava che con lei s'era
condotto assai male, le pareva di essere stata ingannata e tradita;
insomma era molto infelice, e prometteva a sè stessa che, per
vendicarsi, non l'avrebbe riveduto mai più. Invece, lo rivide presto,
prestissimo; lo rivide tal e quale, col suo volto pallido e beffardo e
colla sua aria alla lord Byron. Questa volta, guardando il Vharè, la
duchessina sentì battersi il cuore con violenza, e per amore e per
puntiglio, per far dispetto alla Calandrà, alla Bertù e a tutti i
pettegoli di Borghignano che l'avevano angustiata, per punire gli
imbecilli di Roma che l'avevano trascurata, e finalmente per il suo
trionfo di donna, lo volle suo; volle rapirlo alla Soleil, volle
rapirlo alla bella signora di Milano!

La contessa Della Valle era andata in quell'autunno a Torino col babbo
e col marito, per assistere alle feste della Mostra Nazionale di Belle
Arti.

Giorgio faceva parte della rappresentanza della Camera. Prospero
diceva, ma non era vero, che gli seccava moltissimo quel viaggio--gli
seccava per dover abbandonare sua moglie sempre malaticcia; ma come si
fa?... Doveva alla sua volta rappresentare il Senato,--In verità,
quando non c'era la Giulia, tutti i pretesti gli facevano comodo per
andarsene a spasso e piantar la moglie, che, davvero, non era una
compagnia molto allegra.

Erano arrivati a Torino di sera e avevano preso alloggia all'_Hôtel
d'Europa_, e subito erano scesi, tutti insieme, nella sala da pranzo.

La sala a specchi, ad arazzi e a fregi dorati era illuminata con tre
grandi lumiere cariche di globetti, di gocciole, di pestellini di
cristallo sfaccettati. A quell'ora, tutte le tavole erano vuote, e
solamente in fondo c'era ancora una comitiva di giovanotti eleganti e
di ufficiali che si divertivano al giochetto della mela: un giochetto
che consiste nel far girare attorno una mela infilata in un
forchettone; ognuno dei commensali per turno, con un coltello deve
tagliarne una fetta d'un colpo; chi fa cadere l'ultimo pezzetto ha
perduto e paga lo sciampagna. Quando la Della Valle col duca Prospero
entrarono nella sala, il giuoco era finito allor allora e lo
sciampagna era stato perduto da un ufficiale, fra le grida e gli
evviva dei vincitori: ma per altro appena comparsa una bella signora,
tutta quella gente si calmò ad un tratto per guardarla.

--È molto carina! È molto elegante!... Chi è?

Lalla, seria seria, non voltò mai gli occhi verso quei signori, ma
valendosi del giuoco degli specchi, aveva subito notato di aver fatto
colpo; poi, improvvisamente, un colpo lo sentì lei al cuore: là, fra
quella gente, c'era _lui_... il Vharè... Giacomo!...

Lalla, non arrossì, non si confuse. Fu Giorgio, il primo, a
riconoscere il Vharè e ad indicarlo agli altri, dopo aver salutato con
un cenno cortese del capo, perchè, adesso, gli spiaceva di essere
stato ingiustamente freddo con lui e quasi sgarbato.

Il Vharè si alzò, rispondendo al saluto di Giorgio, e si avvicinò alla
tavola della contessa Della Valle: strinse la mano a tutti e a Lalla,
naturalmente, prima di tutti, senza mostrare il minimo turbamento; e
dopo aver complimentato il loro arrivo a Torino, cominciò a discorrere
del Morelli, del Michetti e di _Satanella_, un dramma _nuovissimo_ che
si recitava al _Gerbino_ con grande successo.

--Ci andremo domani?--chiese Lalla a Giorgio.

--Come vuoi.

--Temo, contessa, che non ci sarà posto: anch'io sono andato oggi per
prendermi una poltroncina e non l'ho trovata.

--Se i signori desiderano delle _fauteuilles_ per il
_Gerbino_,--soggiunse inchinandosi un cameriere--al _bureau
dell'hôtel_ credo ve ne siano ancora; una famiglia che le voleva per
domani, e che deve partire improvvisamente, le lasciò disponibili.

--Sappiatemi dire quante sono--ordinò Giorgio al cameriere. Questi
uscì dalla sala e vi rientrò poco dopa con cinque _poltroncine_: dal
numero 18 al 22.

--Ne prendete una anche voi, marchese?--domandò Prospero Anatolio,
rivolgendosi a Giacomo. Giacomo, non rispose subito, ma volle prima
aspettare che Giorgio gli ripetesse l'offerta: allora soltanto
accettò, ringraziando con un piccolo inchino.

La contessa Lalla non aveva detto una parola: tuttavia, assistendo a
quello scambio di complimenti fra suo marito e... _quell'altro_, non
potè a meno di sorridere fra sè. La presenza del Vharè non le
cagionava nessuna commozione: pareva che lo avesse veduto il dì
innanzi, pareva che l'avvenente marchese non fosse mai stato altro per
lei che un buon amico. Essa mangiava quietamente, silenziosamente ed
anche con discreto appetito, godendosi a rosicchiare i _grissini_.

Giacomo scambiò ancora qualche parola, poi raggiunse gli amici, che si
erano alzati, e uscì con loro.

--È un grande chiacchierone, ma ha un certo spirito!...--esclamò il
duca Prospero, appena il Vharè fu scomparso.

Il Della Valle approvò sorridendo, e non disse un ette contro il
Vharè. Non voleva lasciar credere a Lalla di essere ancora in
sospetto, e perciò cercava tutte le occasioni per mostrare la sua
piena fiducia.

Lalla continuava sempre a rosicchiare i _grissini_ e non mostrava
nessuna preoccupazione per quell'incontro inaspettato. Tutta la sera
fu di buonissimo umore e affettuosissima col marito; ma senza
premeditazione, così, perchè si sentiva contenta, perchè si sentiva
allegra, perchè le piaceva di essere a Torino. Il Vharè portava sempre
l'anellino che gli aveva regalato lei, quello del Frascolini,--la
turchina colle rose d'Olanda,--e ciò l'aveva fatta sorridere di
compiacenza; e di più, aveva notato che sotto ad una disinvoltura
apparente, il Vharè era impacciato e confuso.

Il giorno dopo, Giacomo non si lasciò vedere nè all'Esposizione, nè
sotto i portici di Po e nemmeno all'albergo, all'ora del pranzo.
Prospero Anatolio era malcontento di questo fatto, perchè lo avrebbe
veduto volentieri per raccontargli tutte le feste e le cortesie di cui
gli erano stati prodighi i Torinesi. Quella sera, dopo teatro,
dovevano andare, lui e Giorgio, e accompagnati dal Sindaco di Torino,
al _Club del whist_, e più tardi dovevano incontrare i ministri Miceli
e De-Sanctis, coi quali erano stati invitati a colazione dal duca
d'Aosta. Giorgio avrebbe fatto senza volentieri di quell'invito; ma ne
sorrideva con compiacenza; invece Prospero Anatolio confidava a tutti
che quella colazione era per lui una gran seccatura, una gran noia, ma
internamente ne era beato.

Il marchese di Vharè capitò in teatro quando il primo atto di
_Satanella_ era già verso la fine. Il Della Valle, salutandolo, passò
nell'altra poltrona, rimasta vuota, e gli cedette il posto vicino a
Lalla.

Lalla, quella sera, non solo era piacente, ma pareva bella; vestiva un
abito di seta, d'un bianco a fondo giallo, coperto di trine e chiuso
sotto al mento. Dalle maniche corte si vedeva uscire il braccio nudo
quando guardava col cannocchiale, o quando si appoggiava mollemente
col capo ad una mano. Aveva un cappellone bizzarro, guernito colla
stoffa e le trine dell'abito, e di sotto alle tese larghe e lunghe il
visino di Lalla, cogli occhioni grandi, appariva ancor più birichino e
più carino. Con un cenno del capo sorrise appena al Vharè, poi ritornò
attentissima al dramma, rimanendo immobile, ed esprimendo una
commozione vivissima.

Il dramma, che in quel punto cominciava a diventare assai
interessante, rappresentava una delle più ardite, delle più
arrischiate variazioni sul tema eterno dell'amore.

_Satanella_ non era una donna; era un caso _patologico_. Essa
inebriava di sè tutti quanti l'avvicinavano; e quando aveva fatto
serpeggiare nei sensi dell'uomo un fuoco divoratore, ritornava fredda
e impassibile. Cleopatra uccideva lo schiavo al quale il suo capriccio
avea voluto concedere una notte di amore. _Satanella_, dopo i suoi
baci, rendeva pazzo l'amante con un riso schernitore. Ma il poeta
aveva rivestito il suo mostro con versi splendidi e ispirati; la
maravigliosa attrice, che ne interpretava il carattere, oltre di
aggiungervi il fascino delle forme magnifiche, sapeva infondervi tanta
vita, tanta verità, tanto calore, che il pubblico, sedotto, si
appassionava, si entusiasmava, s'innamorava anche lui di _Satanella_,
e l'applaudiva con frenesia.

Il pubblico è un gran fanciullo: a volte capriccioso, crudele,
diffidente; a volte credulo, sublime, minchione; ma sempre
fanciullo!...

Alla fine del primo atto, _Satanella_ s'incontra in un altro _caso
patologico_; un giovane biondo e forte, che riuniva la ferrea volontà
d'un tedesco all'anima divampante di un italiano. Il seguito del
dramma rappresentava appunto la lotta e la sconfitta di _Satanella_.
Essa spensierata, credeva di poter ripetere lo stesso giuoco anche con
lui; ma si accorge subito che ha da combattere con un avversario ben
diverso dagli altri, e ne rimane impaurita e sedotta. La iena, che ha
fiutato il pericolo, si leva, si scuote, gli gira d'attorno
sospettosa, vorrebbe affascinarlo, vorrebbe sorprenderlo, poi,
scorata, intimidita, riunisce ogni suo sforzo e con un anelito supremo
tenta all'improvviso la fuga, ma invano!... Il nuovo amante l'afferra
con una stretta poderosa, la scuote, la doma, la vince, e _Satanella_
soccombe volente e innamorata. Allora l'urlo di quelle due passioni
che s'incontrano, che si urtano, che si confondono, solleva in tutto
il teatro un'eco potentissima, e _Satanella_ palpitante, spettinata,
scolorita è chiamata, invocata sei, sette, dieci volte alla ribalta da
un pubblico inebriato, che non si sazia di rivederla, di salutarla, di
festeggiarla, che l'applaude e che l'adora.

Lalla, pallidissima, aveva gli occhi molli di pianto, le labbra arse;
era stanca, sbattuta dall'emozione. Quella donna così superbamente
bella, quei versi di fuoco, tutti quegli applausi, quelle grida,
quelle feste di una folla delirante; quell'aria greve, viziata della
sala che le bruciava la faccia; quella luce, quei colori che
l'abbarbagliavano, l'avevano confusa, sbalordita, trasportata. Non
sapeva più dove fosse, non pensava più a nulla; questo solo sentiva,
che il suo cuore batteva forte col cuore di _Satanella_.

Verso la fine del terzo atto, quando la bella eroina, stanca di
lottare, si getta impazzita alla sua volta, e impazzita d'amore, fra
le braccia dell'amante gridando--_hai vinto!_--con uno slancio, con
una espressione così potente da sollevare nel pubblico un _urrà_
d'applausi, il Vharè toccò, accarezzò col piede il piedino di Lalla:
Lalla non ritirò il suo; ma rispose a quell'invito con un premito più
forte, e mentre lunghi brividi di voluttà la facevano fremere, essa,
dimentica di tutto e, più di tutto, della vereconda ritenutezza che le
era abituale, languidamente fissava Giacomo col seno anelante e colla
bocca socchiusa, dalla quale pareva pure fosse per prorompere l'_hai
vinto_ di Satanella.

Finito il dramma, Lalla rimaneva sempre muta e immobile. Fu Giorgio a
chiamarla, a scuoterla dal suo rapimento.--Vuoi che andiamo,
cara?--Allora ebbe un tremito: si alzò, senza rispondere; aiutata dal
Vharè e da Giorgio, si accomodò intorno lo scialle; poi si mosse come
trasognata, con _Satanella_ dinanzi agli occhi, con la sua fosca
passione nel cuore, e nella testa, ancora intontita, l'eco viva,
assordante degli applausi.

Si avviarono tutti insieme, passo passo, verso i portici di Po, per
ricondurre Lalla all'albergo; piovigginava e c'era un'aria fredda,
frizzante. Giorgio discuteva di _Satanella_ come opera d'arte, e gli
pareva immorale. Prospero Anatolio, altro che immorale, la giudicava
addirittura indecente! Il Vharè pensava a tutt'altro, e Lalla stretta
nello scialle, e senza saperlo, pensava anche lei a ciò che pensava il
Vharè.

--Non sono che le dieci e un quarto,--disse alla fine Prospero a
Giorgio, cambiando discorso,--dobbiamo andare al club?

--Come vuoi; ci fermeremo molto?...

--No, no. Un'oretta, non più. Sono troppo stanco.

--Vuoi fermarti al caffè? Vuoi prendere qualche cosa?--domandò Giorgio
rivolgendosi alla moglie.

--Ho detto alla Nena che mi farò il thè. Se posso offrirgliene una
tazza, marchese?... Le farà bene.--Lalla, sorridendo, si era rivolta
al Vharè, con una finezza tutta sua. Giacomo, capì l'amabile malizia e
rispose un--grazie--che non era nè un _sì_, nè un _no_.

--Quando ritorneremo dal club,--soggiunse Giorgio,--ne prenderemo una
tazza anche noi; non è vero, Prospero?

--Oh, per me, ti ringrazio. Appena sono libero, scappo a letto!

Erano giunti sotto l'atrio dell'albergo. Il Duca strinse la mano alla
figliuola e sollecitò Giorgio perchè si sbrigasse; ma Giorgio aveva
ricevuto dal cameriere due o tre lettere e stava sfogliandole. Quando
ebbe finito, Lalla e la Nena, la quale, avvisata del ritorno della
padrona era scesa ad incontrarla, si avviavano su per lo scalone.
Giacomo, intanto, era scomparso.

--Dov'è andato il Vharè?--domandò Giorgio, che voleva salutarlo.

--Non so,--rispose Lalla come distratta--non lo vedo.

--Andiamo, fai presto!--borbottò Prospero, impazientito.

--Mi aspetti alzata?--chiese ancora Giorgio a Lalla. Quella sera egli
non sapeva staccarsene.

--Sì.

--Fra un'ora, sai; non di più. Addio cara.

--Addio, Nino; vieni presto.

Il conte Della Valle se ne andò col suocero.

Lalla non sapeva, davvero, dove il Vharè si fosse nascosto; non lo
vedeva più. Tuttavia, lo sentiva... Era lì... lo sentiva. Era lì
presso... aspettando il momento di trovarla sola. Il quartierino della
contessa Della Valle era un po' alto; essa cominciò a salire le scale
adagino, con un'indolenza fiacca e cascante, poi, quando giunse al
primo piano, si fermò un poco, come per riposare, indugiandosi nella
_Sala di lettura_, ordinando alla Nena di precederla, di accendere la
lucerna ed il fuoco e di preparare il _bouilloire_ per il thè. Rimasta
sola, si era appena messa a sfogliare l'_Illustrazione_, quando
Giacomo le comparve dinanzi.

--Contessa, le domando perdono della libertà che mi prendo, ma avrei
qualche cosa di suo da restituirle.--Così dicendo egli s'era tolto ed
offriva a Lalla l'anello del Frascolini.

Lalla lo prese, lo guardò, sospirò, poi, colla testina bassa, senza
alzare gli occhi, prese la mano di Giacomo e tornò ad infilarvi
l'anello.

--Cattivo!... Mi dia il braccio. Mi sento stanca, stanca....

Egli non si mosse: la guardava serio, fisso. Ma Lalla gli si avvicinò,
e passando il suo braccio sotto il braccio di lui, cominciarono a
salire insieme lentamente.

Lalla doveva essere davvero molto stanca, perchè si appoggiava tutta
al braccio di Giacomo, fermandosi ancora, ad ogni ramo di scala, con
atteggiamenti pieni di amorevolezza; e siccome, ad un certo punto,
Giacomo si fermò risoluto, come per domandarle conto del suo
abbandono:--Ho avuto paura,--ella gli disse.--Dio, Dio: credevo morire
dalla paura. Ero sola: li avevo tutti contro di me... Più tardi, mi
sarei arrischiata a farle avere mie nuove, ma lei... lei, dov'era
andato?--E non aggiunse altro; capiva bene d'essersi abbastanza
spiegata e giustificata.

Quando arrivò sull'uscio del suo piccolo quartierino si sciolse dal
braccio del Vharè, entrò, attraversò l'anticamera, seguita da
quell'altro, sempre un po' imbronciato, e si fermò nel salotto: la
Nena aveva accesa la lucerna, che da una campana smerigliata
diffondeva una luce ristretta e tranquilla. Sul caminetto i fastelli
scoppiettavano levando una vampa viva, mobilissima; sul tavolo, in
mezzo alla stanza, una fiamma azzurra, debole, incerta, faceva
grillettare l'acqua del thè.

Lalla sciolse lentamente i lunghi nastri del cappellino, che la Nena
portò nell'anticamera; ma lo scialle volle tenerlo, perchè aveva,
freddo, e finalmente con un lungo--ah!--di soddisfazione, potè
sdraiarsi sulla lunga poltrona accanto al caminetto.

--Desidera altro, signora contessa?

--No, va pure: quando tornerà il padrone ti chiamerò.

La Nena uscì.

Giacomo, immobile, diritto dinanzi al fuoco, appoggiato con un gomito
al piano del caminetto, fissava Lalla senza parlare. La duchessina,
così illuminata dal chiaror della vampa, aveva nell'insieme alcunchè
di fantastico e di bizzarro. Lo scialle scuro, quasi nero, nel quale
si teneva avvolta, contrastava coi colori chiari dell'abito, collo
splendore delle braccia nude e coi vaghi riflessi dei capelli biondi,
mentre il piedino, chiuso in una scarpetta a strie d'oro ricamate,
sbucava fuori, colla punta sottile, come un serpentello curioso che,
nascosto sotto le vesti, spiasse lo svolgersi di quel peccato.

Giacomo non voleva esser lui a rompere il silenzio e, sempre più
oscurandosi in faccia, batteva il tacco sulla pedana con un _tic, tic,
tac_, convulso e minaccioso. E neppur Lalla ci si arrischiava a esser
lei, e però di tanto in tanto fissava Giacomo con un'occhiata ch'era
un rimprovero, un lamento e una preghiera, poi riabbassava il capo
come mortificata, sfilando, con un moto delle dita febbrili, le frange
dello scialle.

Durò a lungo quella scena muta; ma, anche tacendo, avevano cominciato
a spiegarsi, a intendersi, a concludere che si amavano ancora, finchè
Giacomo, il quale adesso guardando Lalla, la bruciava più delle fiamme
del caminetto, le si avvicinò all'improvviso, preso da una subita
risoluzione, e--Sai--balbettò--sai di avermi fatto molto male?!--Lalla
rialzò il capo un'altra volta e un'altra volta fissò Giacomo negli
occhi; ma lo sguardo di lei non era più triste, non era più mesto;
appariva inondato di dolcezza. Giacomo, chinandosi, teneva una mano
stretta alla spalliera della poltrona. Lalla la vide e la baciò... la
baciò, proprio, dove c'era l'anello colle rose d'Olanda... poi con un
atto pieno di grazia infantile e di tenerezza, posò languidamente su
quella mano la sua bella testina. Giacomo, pallido, tremante,
s'inginocchiò per esserle più vicino, ma senza toglier la mano sulla
quale ella aveva appoggiata la guancia, che scottava come avesse la
febbre. Colle ginocchia, con mezza la persona, la duchessina toccava
adesso il petto di Giacomo; ma non si ritrasse, non si mosse nemmeno;
continuava a guardarlo, sorridendogli con passione infinita, e lui,
inginocchiato fra le sue vesti, le raccontava con infinita passione,
tutte le pene, le angoscie, lo strazio patito! Le disse di averla
amata sempre, come un pazzo, come un delirante: le disse che invano
aveva voluta odiarla; che invano avea tentato di dimenticarla, perchè
la sentiva sempre nel cuore, nella mente, nel sangue, perchè la
voleva. Lalla, continuava a tacere e a guardarlo, ma sotto la calda
veemenza di quelle parole il suo volto ora sbianchiva affilandosi, ora
arrossiva infocato; gli occhi umidi, profondi, lanciavano fiamme, e il
petto le si sollevava anelante.

Giacomo la strinse più fortemente, e colla mano che avea libera, prese
una mano di Lalla, poi il braccio, e accarezzandolo ne seguì le linee
morbide, tondeggianti, penetrando nei caldi misteri della manica
larga, guernita di trine. Egli pure anelava, smorto, tremante. La voce
gli si rompeva rauca, ma parlava sempre. Non era più un rimprovero il
suo, non era più un lamento; era una preghiera audace, insistente, che
tentava Lalla, che la stordiva, avvolgendola in un assopimento, in
un'inerzia voluttuosa. Ella si teneva stretta intorno lo scialle e si
teneva ancora colla testa appoggiata sulla mano di Giacomo, ma i suoi
occhi, a poco a poco, s'erano spenti, aveva la bocca socchiusa, le
labbra umide, tremanti, come se nell'estasi sua volesse rispondere coi
baci a quell'inno d'amore...

A Giacomo, frattanto, le parole uscivano sempre più rotte, confuse,
poi tacque ad un tratto e baciò avidamente quella bocca umida, odorosa
che lo tentava; baciò i capelli, gli occhi, di Lalla, la coprì tutta
di baci. Lalla si scosse, abbrividì, spalancò gli occhi esterrefatta,
ma poi, sciogliendosi dello scialle e sfavillando negl'improvvisi
riflessi della sua veste gialla, cacciò le mani nei capelli di lui e
balbettando--chiamami Satanella!--con voce rotta, soffocata--chiamami
Satanella!... Satanella tua!--si abbandonò così, senza muoversi dalla
poltrona, dimentica di tutto, senza lacrime, sorridendo, vinta dai
sensi e dalle immagini che le tumultuavano nella mente.

A poco a poco, quando il calore del loro sangue si fu intiepidito,
quando all'ebbrezza delirante seguì il dolcissimo e lento risveglio,
Giacomo, accoccolato alle ginocchia della sua cara, cercava di
riprenderle la mano, ch'ella adesso teneva nascosta sotto lo scialle,
per tornare ad accarezzarla; ma Lalla si ritrasse come una sensitiva,
e con un'occhiata ed un sorriso significantissimi indicò la porta del
salottino. Giacomo sorrise della loro imprudenza e del pericolo che
avevano corso; passò nell'anticamera a vedere se l'uscio era chiuso,
poi, rientrando, si tirò dietro e serrò colla molla anche quello del
salotto e ritornò a baciarla, ad accarezzarla.

--No, sai. Nino; ho paura, troppo paura...--gli rispose Lalla
schermendosi.--_Egli_ può venire, da un momento all'altro.

...._Egli_ infatti entrava là dentro poco dopo, e vide il Vharè,
diritto, vicino al fuoco, appoggiato al caminetto, che fumava parlando
dell'_Esposizione_, parlando di quadri e di statue, e Lalla, sdraiata
nella sua poltrona, avvolta, stretta nello scialle, che lo ascoltava
un po' stanca e un po' assonnata.

Sul fuoco la baldoria dei fastelli era finita; ma in mezzo al tavolo
la fiammella azzurra, mobile, silenziosa della _theiera_, continuava a
far bollire l'acqua che gorgogliava fumando. Nel salottino spirava
un'aura di tranquillità e di pace che, certo, non dava nessun indizio
delle passate commozioni, come, dopo la tempesta, la calma ritorna sul
mare e vi diffonde una serenità limpida e gioconda che ricrea e che
consola. Giorgio, entrando là dentro, col tepore dell'ambiente, sentì
la soavità di quel benessere e di quella pace; però sorrise a Lalla, e
si avvicinò al marchese di Vharè stendendogli la mano.



XXVII.


Se a Torino il duca d'Eleda si dava buon tempo, ciò non voleva dire
che l'amministrazione comunale di Borghignano navigasse in placide
acque: tutt'altro; ed anzi Prospero Anatolio, terminate le feste e
ritornato con Lalla e con Giorgio a Santo Fiore, non vi si fermò che
un giorno o due, poi corse precipitosamente in città per scongiurare
la crisi. Chiuso, solo solo, e sballottato nel suo _coupé_, egli
meditava il piano di difesa. Non c'era da farsi troppe illusioni: lo
stato delle cose era molto grave. Fra i più formidabili nemici
sollevati contro la Giunta municipale dal nuovo progetto per la
_riforma delle gabelle e la cessione in appalto del Dazio Consumo_ si
schierava, con un accanimento spietato, anche l'unico organo
dell'opinione pubblica di Borghignano, il giornale l'_Omnibus_, che,
di punto in bianco, mutato l'auriga e rotta l'alleanza di prima, s'era
messo al servizio dall'_Opposizione_.

Questo colpo, i _costituzionali_, la _Giunta_ e il duca Sindaco, erano
ben lungi dall'aspettarselo; capitò loro addosso, tra capo e collo,
proprio come un colpo d'accidente. L'_Omnibus_, col fervore dei
neofiti, non la risparmiava a nessuno--di quei signori della
_camorra_--e menava botte da orbi: e ciò sia detto senza metafora,
perchè appunto il suo nuovo direttore era orbo di un occhio: era il
_celebre_ Frascolini!

Fra le varie ditte aspiranti all'appalto del dazio comunale c'era
anche una _Società Anonima_, che s'era apposta costituita e della
quale faceva parte l'antico direttore dell'_Omnibus_. Costui sostenne,
da principio, a spada tratta, il progetto e le riforme proposte dalla
_Giunta_, finchè ebbe la speranza che gli fosse aggiudicato l'appalto;
ma poi, quando invece i signori del Municipio, non trovando abbastanza
solide le garanzie proposte da quell'impresa, conchiusero il contratto
con una casa bancaria di Genova, l'ira del direttore dell'_Omnibus_
non ebbe più ritegno. Egli cominciò dal fare una guerra sorda, coperta
all'amministrazione d'Eleda; ma, per quanto avrebbe desiderato, senza
contradire tutti i precedenti della sua vita politica e giornalistica.
Si trovava sbilanciato, in certo qual modo, combattuto fra l'utile
proprio e il proprio _partito_, e cercava una via di cavarsela con
decenza, se non con onore, e... di vendicarsi! In quei giorni,
bazzicava spesso negli uffici dell'_Omnibus_, per l'appunto, il
Frascolini, il quale voleva combinare colla medesima stamperia della
gazzetta un contratto per la pubblicazione del suo giornale _L'amico
del contadino_. Il direttore dell'_Omnibus_, da uomo pratico, subito,
appena lo vide, trovò in lui tutte le qualità dello _Sparafucile_ che
tornavano bene al suo caso.

--Coll'impianto di un giornale nuovo, tu,--e lo lusingavo con quel
_tu_, buttato lì come a un confratello,--tu ci rimetti de' bei
quattrini per il gusto di dare al mondo un morto di più. Ti
converrebbe meglio rilevare addirittura un giornale che avesse già i
suoi abbonati, il suo nome, il suo pubblico, il suo ambiente
insomma... mi capisci?

--Eh, per capire, capisco; ma io voglio spiegare le mie forze, voglio
combattere qui, su questa zona di territorio.

--E chi ti dice il contrario?

--Ma di giornali, a Borghignano, non vedo altro che il _vostro_; che
il tuo!

--E così?... Se vuoi, io te lo cedo! È una mia creatura, lo amo come
un figliuolo, ma in questo caso so di affidarlo in buone mani. Sono
vecchio, sono stanco, sono seccato di questa vita, di queste lotte
quotidiane. Credilo, caro Frascolini, a lavare la testa all'asino ci
si rimette il ranno ed il sapone e poi si corre anche il rischio di
buscarsi dei calci per soprammercato.

Comperare l'_Omnibus_?... Essere lui, Sandro Frascolini, il padrone,
il despota, quello che avrebbe dettata la legge a Borghignano?...
Poter mandare all'aria, nello stesso tempo, il Duca d'Eleda
_costituzionale_ e il Della Valle _progressista?_... Ripresentarsi
minaccioso, terribile, dinanzi alla signora Duchessina?--L'occhio di
Sandrino,--peccato ne avesse uno solo,--scintillava fiammeggiando.

--Ma...--c'era un _ma_.--L'_Omnibus_ non è un giornale del mio colore.

--E che importa?... Il colore d'un giornale è quello del suo
direttore. Impara dall'America; perchè è dall'America che dobbiamo
tutti imparare!

--Sicuro... sicuro. E quali sarebbero le tue pretese? Io non ne ho
molti da spendere.

Allora intavolarono le prime proposte: un altro giorno si discusse più
a fondo il negozio, e in una settimana e coll'intervento di un
avvocato, scelto di comune accordo, fu combinato e accettato dalle due
parti un contratto, in forza del quale, Alessandro Frascolini
diventava il direttore-proprietario del giornale l'_Omnibus_,
obbligandosi al pagamento di una certa somma, divisa in varie rate
semestrali.

La notizia della vendita e della compera dell'_Omnibus_ scoppiò come
un fulmine a ciel sereno: i _moderati_, quei della Giunta
specialmente, ne erano rimasti sbigottiti e andavano dicendo roba da
chiodi dell'ex direttore del giornale, chiamandolo un Girella, un
venduto, un farabutto. Però si vedeva che erano avviliti e che
cercavano colle chiacchiere, colle scappellate, colle proteste di
liberalismo e di vera _democrazia_, di crearsi degli aderenti e parare
il colpo. I _progressisti_, invece, insuperbivano ed esaltavano il
coraggio, il patriottismo, la lealtà e soprattutto il _carattere
antico_ dell'ex direttore dell'_Omnibus_ e, per sottoscrizione,
indissero un gran banchetto in suo onore. In quanto poi al Frascolini,
il nuovo direttore, nessuno lo conosceva; ma per gli avversari, cioè
per i moderati, era una canaglia, una specie di mezzo analfabeta, un
fallito, un porco; per gli altri il vero tipo del giornalista
americano, un carattere integerrimo, un grande amico di Cairoli e di
Zanardelli.

Il Caffè di Borghignano era stato il centro di tutte queste
commozioni; mattina e sera, non vi si parlava d'altro. Là si sparse,
per la prima volta, la notizia della vendita dell'_Omnibus_ e là
arrivarono le prime informazioni intorno alla somma pattuita nel
contratto, somma che subiva rialzi e ribassi favolosi; là si
discutevano con pazienza e con amore i vari articoli del contratto. Il
notaio che doveva redigerlo era uno della comitiva, e il giorno in cui
fu messa la firma i _progressisti_ e _moderati_ del Caffè, tutti uniti
e d'accordo, lo aspettarono curiosi, e appena capitò dentro gli furono
addosso, se lo strapparono l'un l'altro di mano, soffocandolo sotto
una grandine fitta fitta di domande, tante domande che non gli
lasciavano nemmeno il tempo di rispondere, di capire, di tirare il
fiato. Figurarsi poi come rimasero la prima mattina che il Frascolini,
con un fascio di giornali sotto il braccio (la _posta_ del
mezzogiorno), entrò nel Caffè a far colazione: pareva che tutti quegli
avvocati e tutti quei cavalieri avessero mutato mestiere e vocazione:
stavano attenti e attoniti a guardarlo, a studiarlo, ad ammirarlo,
senza fiatare.

Il Frascolini, intanto, duro duro, faceva colazione, sfogliava i
giornali, con un gran sussiego, e strapazzava democraticamente il
cameriere. Quando ebbe finito e se ne andò via, scoppiarono tutti
insieme a gridare pro e contro il nuovo direttore; e si riscaldavano
specialmente per quell'occhio che gli mancava.

Lo aveva perduto in battaglia--no--lo aveva perduto in un
duello--no--era stato accecato da un questurino durante una
dimostrazione;--ma nessuno sapeva o diceva la verità.

Tutto questo gran rumore era quello che precede lo scoppio del
temporale; e il temporale in fatti, anzi la tempesta, si scatenò sulla
Giunta con articoloni sesquipedali che tuonavano fino dal titolo:
_Fame e camorra--I proletari--La tratta dei bianchi--L'agonia di un
delinquente, ovvero gli ultimi giorni dell'Amministrazione
d'Eleda_,--catilinaria, infocata contro il duca Prospero Anatolio,--_I
tentennanti, ovvero i rossi di ieri_,--fiera botta, diretta contro il
deputato Della Valle.

Giorgio alzava le spalle e non ci badava; tutt'al più quelle sfuriate
senza logica e senza grammatica lo mettevano di buon umore; ma il duca
d'Eleda, che a Borghignano era sempre stato trattato coi guanti,
leccato, adulato, ed anche discusso, ma col rispetto col quale si
discutono le cose sacre, il povera duca d'Eleda, a sentirsene dire di
cotte e di crude, e da un Frascolini qualunque, s'infuriava e
diventava di tutti i colori, come i capelli del Rebaldi. Cominciò col
dire che quel Frascolini bisognava farlo bastonare; che era un
ignorante, un mariuolo; ma a mano a mano che quell'altro aumentava la
dose delle ingiurie s'intimoriva sempre di più, e considerava
l'_Omnibus_ come una forza, e domandò a Giorgio s'egli non credeva
fosse il caso di avere un'_intervista_ per sapere, almeno, da quel
Maramaldo, qual era lo scopo de' suoi attacchi, della sua guerra
insensata. Il conte Della Valle non ne volle sapere; anzi, disse
chiaro al suocero, che un tal passo, disdicevole sempre, nel loro caso
particolare, sarebbe stato ancora più sconveniente e indecoroso, e gli
lasciò trapelare qualcosa delle strambe impertinenze del Frascolini
verso Lalla.

--Ah, già, già! Allora... allora, sicuro; bisogna lasciar
correre!...--rispose sospirando Prospero Anatolio; ma nel suo interno
pensò che Giorgio non era altro che un famoso egoista.

--Certo,--borbottava,--a lui le tirate di questo ciuco imbizzarrito
non possono far nessun danno, e per questo si diverte a lasciar
correre e a disprezzarlo. È infeudato, lui, nel suo _collegio_, e se
quell'altro gli grida contro che smonta di colore questo gli giova,
invece di nuocergli. Nel Consiglio Provinciale, poi, le votazioni
sdrucciolano come l'olio! Ma vorrei vederlo un po' ne' miei panni. Oh,
se vorrei vederlo, colla marea che monta e la tempesta che soffia da
tutte le parti!... Quel becero affamato voleva fare il patito a
Lalla?... Sciocchezze!... Sarà stato ubriaco, appunto come lo è
sempre, anche quando scrive. Del resto Lalla è come la Giulia; a
sentirle tutti s'innamorano come matti, appena le vedono, principi e
villani!... E intanto chi si cura, chi si dà pensiero di questo povero
vecchio?... Nessuno.--Ah, Signore Iddio, che mondaccio egoista!--e il
duca sospirava, alzando gli occhi al cielo.

Quando, dunque, il senatore d'Eleda, sballottato nel suo _coupé_,
ritornava da Santo Fiore a Borghignano per prepararsi alla battaglia
ultima e definitiva, egli riandava nella mente tutta la storia degli
ultimi avvenimenti si affaticava indarno per trovare, nel buio fosco e
minaccioso, una qualunque via di salvezza.

La sua condizione e quella della Giunta era ancor più disperata perchè
non potevano disporre d'un giornale per difendersi dalle accuse, per
dissipare gli equivoci, per soffocare le calunnie che inventava e
diffondeva l'_Omnibus_ quotidianamente. Tutt'al più dovevano limitarsi
a far scrivere _corrispondenze_ su qualche giornale di fuori, che poi
arrivavano in ritardo a Borghignano e che l'_Omnibus_ riproduceva
stronche e alterate, con cappelli e code che toglievano loro ogni
efficacia. Si era pensato, in quel frangente, di pubblicare un altro
giornale, ma ormai era troppo tardi: un giornale nuovo non avrebbe
avuto tempo di acquistarsi il credito, e uscito proprio all'ultima
ora, apposta per difendere il Sindaco e la Giunta, avrebbe fatto più
male che bene.

--Se il Frascolini fosse stato un uomo onesto e... abile? Perchè non
provare... cercando d'illuminarlo sulla vera condizione delle cose?...
Uno scopo, e recondito, ci doveva pur essere che lo spingeva in quella
guerra fiera e sleale. Bisognava cercare di conoscerlo questo scopo e
poi... poi chi sa; colle buone avrebbero forse potuto addomesticare la
bestia!... Ma!...

Tuttavia... tuttavia se il signor conte Della Valle era un famoso
egoista, il duca d'Eleda non voleva essere un minchione, e non era
obbligato a seguirlo, tanto più che militavano ciascuno in un campo
opposto. D'altra parte il Sindaco di Borghignano aveva non solo la sua
_Amministrazione_ da difendere, ma eziandio l'utile superiore del
_partito_, al quale doveva sacrificare anche il risentimento
personale. Poteva andare incontro a certa rovina, senza tentare ogni
via per scongiurarla?

Poteva assistere impavido alla sua prossima sconfitta? Poteva vedere,
in una parola, minacciato il reale benessere di Borghignano, della sua
diletta Borghignano, senza tentare, per quanto almeno era fattibile,
di scongiurare la catastrofe?... Sicuro, era assai penoso il dover
scendere a spiegazioni con un Frascolini qualunque; ma, e perciò?...
Doveva egli arrestarsi sulla via del dovere?--No, mai.--Quel passo era
penosissimo, ma bisognava compierlo od ogni modo. Forte della sua
coscienza, avrebbe sacrificato l'uomo privato all'utile del paese.
Egli certo non voleva essere un perfetto egoista come il conte Della
Valle; quel suo caro signor genero senza carattere, senza coraggio,
senza iniziativa.

Meditato e approvato il bel disegno, Prospero Anatolio volle subito
metterlo in esecuzione, e appena giunto a Borghignano mandò un
bigliettino al direttore dell'_Omnibus_, pregandolo d'indicargli
un'ora nella giornata, per discorrere insieme su vari argomenti di
interesse pubblico.

Il Frascolini aspettava e desiderava da molto tempo un simile invito,
e per ottenerlo più presto spingeva ogni giorno di più la violenza e
l'acredine della sua polemica.

Egli aveva dubitato, prima ancora di rivederla a Santo Fiore, che
anche l'ultima promessa di Lalla fosse stata una promessa bugiarda
come tutte le altre. Ma quando s'incontrò con lei; quando la rivide,
sebbene perdesse allora anche l'ultima illusione, tuttavia l'immagine
di quella creatura _fatale_ gli riaccese nel sangue un tumulto di
memorie e di desideri, che la lontananza aveva solo intiepidito. La
contessa Della Valle, colla sua indifferenza superba, non riuscì a
cancellare Lalla dal suo cuore, soltanto, prima vi era circonfusa
d'amore, e adesso invece, quella figuretta gentile vi sollevava impeti
feroci di gelosia e di odio.

Sandro era smanioso d'incontrarla, di rivederla, di ridestare in lei
qualche sensazione, fosse pure di sgomento, di essere ancora qualche
cosa nella sua vita, fosse pur la sventura.

Egli la vedeva sempre, aveva sempre la _signorina_, viva, dinanzi agli
occhi; e nelle ore tetre, uggiose del giorno e nei lunghi sogni
affannosi delle sue notti, tutto era pieno del sorriso, dei capelli
biondi, del viso di lei, ora acceso d'amore, ora freddo e ironico ed
ora pallido, scolorito, come in quei tempi beati delle loro angosciose
ebbrezze di fanciulli.

Non curato dalla contessa Lalla, egli cercò della Nena colla quale
aveva sempre tenuta viva l'amicizia, pensando di valersene in ogni
evenienza; ma non potè trovarsi con la Nena che una sol volta, perchè
la padroncina, già informata da miss Dill, aveva vietato aspramente
alla cameriera di avere rapporti e tener colloqui col Frascolini.

Sandro, finchè rimase a Santo Fiore, non amava più, odiava la
duchessina, e avrebbe dato tutto il suo sangue, pur di riuscire a
vendicarsi. Tuttavia, quando egli si trovò a Borghignano, a cassetta
dell'_Omnibus_, da quella posizione elevata sperò ancora di poter
giungere fino alla contessa Della Valle; e a mano a mano che nella sua
fantasia vagheggiava un seguito avventuroso di quell'amore infelice,
l'odio nuovo svaniva e ritornava l'antico affetto colle belle
illusioni e le sue belle speranze.

Nella breve dimora che la contessa Della Valle fece quell'anno a
Borghignano, ritornando da Nervi per andare a Santo Fiore, il
Frascolini cercò d'incontrarla ma non gli riuscì: incontrò invece la
Nena, e allora, e perchè gli piaceva, essendo un bel pezzo di ragazza,
e perchè avrebbe potuto valersene per vedere e spiare in casa della
padrona, strinse i nodi a quell'amoretto; e una domenica, dopo averla
condotta a passeggiare per viuzze deserte, la fece capitare nelle
vicinanze degli uffici dell'_Omnibus_, che erano nella casa medesima
dove c'era la tipografia del giornale, e dov'egli aveva il suo
alloggio. Sandro, fingendo d'essere capitato a caso in quel luogo,
offerse alla Nena di condurla a vedere le macchine: ma poi, dopo le
macchine, dopo la stamperia, forzandola un po', violentando i
_no_--_no_--debolissimi, paurosi ch'ella opponeva, volle mostrarle
anche il suo quartierino e lì... E quando la Nena pallida, sconvolta
uscì da quella casa, confessava a se stessa di aver fatto male, assai
male, a disubbidire la padrona e a ritornare a _discorrere_ col signor
Sandrino.

Ma, oramai, era inutile il rimpianto, e la Nena, che aveva un debole
per quel bel ragazzo e che in lui, anche adesso che il Frascolini
aveva un occhio solo, vedeva sempre l'eroe dei _Due Sergenti_, da
quella domenica in poi fu roba sua, tutta sua, anima e corpo.

Povera Nena!... Era tanto innamorata da non accorgersi nemmeno, da
principio, che il suo amante le parlava sempre della sua padrona, più
della sua padrona che di lei; ma ci badò più tardi e ne fu gelosa, e
ne pianse.

In quel tempo, ricomparsa Lalla a Borghignano, si ritornò a discorrere
dei suoi amori col Vharè, e la notizia giunse naturalmente anche alle
orecchie del direttore dell'_Omnibus_, il quale, allora, ritornando a
perdere le speranze, ritornò ad odiarla e d'un odio ancor più feroce
di prima, perchè oltre di non amarlo più lui, Lalla adesso faceva
peggio, ne amava un altro.

Domandò subito alla Nena, in uno di quei loro ritrovi domenicali, se
era vera, propriamente vera la--infame tresca--; ma la Nena gli
rispose negando tutto e arrabbiandosi contro quelle _pitocche_ di
Borghignano che dicevano male della sua padrona perchè era più bella e
più ricca di loro.

--Se la signora contessa,--concluse poi--aveva agito male con
lui--Sandro le aveva raccontato che era stata la sua amorosa e che
erano stati soli insieme e che si erano baciati per notti intere--se
la signora contessa aveva agito male con lui, bisognava scusarla,
perchè allora era ancora una bimba, e non sapeva quello che si
facesse, ma adesso era un angelo di virtù, e non amava altri che il
signor conte.

Simili assicurazioni non calmavano certo il Frascolini: la signora
contessa non avrebbe dovuto amare nemmeno suo marito, anzi suo marito
meno degli altri. Non gli aveva giurato che lo sposava per forza?

Tutte queste contradizioni, tutti questi opposti sentimenti ispiravano
ogni atto della vita del Frascolini e perciò egli aveva voluto far
paura al duca Prospero perchè il duca, smessa la superbia, si facesse
umile e cercasse di cattivarselo per averlo alleato, se non amico. Il
Sindaco di Borghignano non aveva obbligo di usare molta deferenza
verso il quarto potere? verso gli uomini dell'avvenire? E se lui,
Frascolini, lo attaccava anche ingiustamente, non era tenuto a
invitarlo a reciproche e franche spiegazioni? Non doveva illuminarlo
perchè potesse condurre il suo _Omnibus_ sulla buona strada?....
Sicuro, Sandro Frascolini non desiderava altro che questo: condurre
l'_Omnibus_ sulla buona strada, e lo desiderava per le aspirazioni del
proprio cuore prima di tutto... ed anche per certi interessi, che egli
chiamava--di tipografia.--È poi da notare che in questi ultimi tempi
il Frascolini si era di molto dirozzato e aveva perduto un po' di
quelle sue arie di cantante a spasso che lo facevano primeggiare nelle
sedute burrascose del _Circolo democratico degli Operai Agricoltori_.

Sandro Frascolini entrò dal duca d'Eleda, serio, impettito, colla tuba
e col vestito nero: il duca, gli corse incontro, scusandosi
graziosamente di averlo incomodato; gli prese la mano che strinse
cordialmente, con effusione, fra le sue, e lo fece sedere sul canapè.

Allora Prospero Anatolio cominciò a ricordare l'antica famigliarità
dei Santo Fiore coi Frascolini; gli disse che si ricordava di lui,
Sandro, quando era ragazzo e che si ricordava di suo padre col quale
era stato sempre in ottimi rapporti--un uomo integerrimo operoso,
intelligente!...--E a mano a mano commovendosi, concluse ch'egli aveva
creduto di evocare tante care memorie per scusare e per spiegare in
certo modo, il grave passo fatto dal Sindaco di Borghignano verso
l'egregio uomo che dirigeva l'_Omnibus_, dal quale (e qui cominciava
un pochino a riscaldarsi) egli non si sarebbe mai aspettato una guerra
accanita, personale, ingiusta; no, mai, perchè si era abituato a
considerarlo come un amico!...

Sandro, a questo punto, credeva che il duca avesse finito, ma questi,
invece, non si fermò nemmeno per pigliar fiato e non lasciandogli il
tempo di risponderci cominciò a giustificarsi, a difendersi, saltando da
un argomento in un altro, dal _Dazio Consumo_ alle _Riforme_, dalla
_Costituzione_ alla _Progressista_. Poi tornò a commoversi, a intenerirsi,
e finì coll'aggiungere che quella guerra dell'_Omnibus_,--accanita,
personale ed ingiusta--aveva dato un gran dolore anche alla duchessa
Maria, alla sua moglie diletta e... e (sospirò) e così malandata in
salute.

Il Frascolini aveva la testa piena, confusa da tanti discorsi; non
sapeva che cosa dire, non sapeva come regolarsi, non sapeva più se
doveva accusare o se doveva difendersi.

--Veramente--cominciò poi, lisciando adagio, col palmo della mano, il
cappello a cilindro,--veramente, la polemica sostenuta del nostro
giornale non è diretta al duca d'Eleda, ma all'Amministrazione del
Comune.

--E all'uno e all'altra, amico mio; ed anzi, se volete dirlo
francamente, forse più all'uno che all'altra, ed è ciò che mi
addolora, ed è ciò che mi sconforta, come uomo privato e come uomo
pubblico.--Io posso aver sbagliato, avrò sbagliato... ho sbagliato!
Ditemelo voi, chi è infallibile a questo mondo?... Ma l'_Omnibus_,
viva Dio, mi attacca anche nelle intenzioni!... Sono in errore?... Le
mie idee non si accordano colle vostre?... Il progetto delle nuove
riforme, che mi costa tanti studi, tante veglie angosciose, lo
giudicate improvvido?... Ebbene, discutiamolo! Dio buono,
discutiamolo! Io non domando di più, non domando di meglio:
discutere!... E se mi convincerete che sono in errore, sarò io il
primo a ringraziarvi e a sottomettermi, perchè, credete, egregio e
caro amico, io non sono un ambizioso! Io amo il mio paese al quale ho
sacrificata la quiete, la vita: ecco tutto!

--Scusate--replicò Sandro, mettendo il cappello sopra una sedia, e
familiarizzando con quel _voi_ che gli accarezzava l'orecchio.--Scusate,
ma ammesso, come dite, che l'_Ominibus_ abbia combattuto qualche volta
il duca d'Eleda, ha combattuto solamente l'uomo pubblico, e non ha mai
tirato in ballo l'uomo privato, quantunque...

--Grazie tante, ma...

--Lasciatemi finire! Quantunque anche l'uomo privato, abbia
aspirazioni diametralmente opposte a quelle che informano la nostra
vita di pubblicisti; perchè mentre noi siamo gli uomini dell'avvenire,
siamo l'avanguardia, siamo... siamo... dirò così...--Il direttore
dell'_Omnibus_ cercava un'altra bella frase per tornir meglio il
periodo, ma non riuscendo a imbroccarla dovette troncarlo a
mezzo:--siamo liberali insomma,--soggiunse,--e voi no!...

--Ecco l'errore!... Ecco l'equivoco!... Ecco la grande
Ingiustizia!--Non siamo liberali noi?--Non sono liberale io?--E
Prospero Anatolio accavallò una gamba sull'altra, dondolandola
democraticamente.--Non sono liberale?... Liberale lo sono quanto voi,
più di voi. Sissignore! Solamente non voglio correre, voglio
camminare.... per non dover precipitare, o peggio, per non dover
tornare indietro.--A questo punto il duca Prospero sfoggiò
un'eloquenza tribunizia da far strabiliare. Citò la Francia e la
Germania, l'Inghilterra e l'America, il conte di Cavour e Leone
Gambetta, gli _ultramontani_ e i _nichilisti_, i _fatti delle
Romagne_, Cantelli e la spedizione di Crimea; il _quarantotto_, il
_novantatrè_ ed il _settanta_; la _legge elettorale_, _l'abolizione
del corso forzoso_ e la _trasformazione dei partiti_. I
partiti--concluse finalmente,--che cosa vogliono, che cosa
rappresentano i partiti in Italia? Qual'è la vera _demarcazione_ fra
la _destra_ e la _sinistra_, tenuto calcolo, specialmente, delle
_oscillazioni_ dei _centri?_ Noi, vedete, amico mio, noi dai nostri
stalli tranquilli del Senato teniamo d'occhio la baraonda della Camera
giovane e... Volete proprio sapere qual'è lo studio più assiduo che
vediamo farsi là dentro? Quello di cercare una scusa tutti i giorni,
tutti i giorni un pretesto nuovo, per non venire fra _destra_ e
_sinistra_ a spiegazioni reciproche, per continuare nell'equivoco,
altrimenti,--è chiaro come il sole--_destri e sinistri_ non avrebbero
ragione di esistere.--Prospero Anatolio scoppiò in una risata, il riso
fa buon sangue, e il Frascolini approvò.

--Ma vedete, duca Prospero--cominciò dopo un momento di
silenzio,--noi...

--Noi siamo _radicali?_... È questo che volete dire?

--Appunto; rispose il direttore dell'_Omnibus_,--noi siamo radicali.

--Ma Dio mio, caro Frascolini, chi oggi non è radicale, non è
repubblicano... in teoria?... Ci si cammina, non dubitate, ci si
cammina, verso la repubblica; ma se non vogliamo esser noi stessi i
necrofori dell'opera nostra, dobbiamo attendere lo sviluppo naturale
degli avvenimenti, dobbiamo preparare il terreno gradatamente,
dobbiamo educare il popolo a questa libertà benedetta, se no, gli
potrebbe dare le vertigini! Ricordate le parole di un mio amico
carissimo:--fatta l'Italia, bisogna fare gl'Italiani.--E perciò, è
necessario uno scambio d'idee, un connubio, direi quasi, fra gli
uomini della _permanente_, gli uomini di ieri, come sono io, cogli
araldi della rivoluzione, cogli uomini del domani, come siete voi.

Il Frascolini non ci capiva più nella pelle!... Quantunque avesse
viaggiato, fosse stato applaudito nella _Favorita_ e si trovasse ora
alla direzione dell'_Omnibus_, in fondo in fondo egli restava sempre
il ragazzotto di Santo Fiore, che, per tradizione di padre in figlio,
riconosceva nel duca d'Eleda una autorità istintivamente subìta e che
la lettura dei _Misteri del Popolo_ aveva scossa, ma che non era
riuscita a vincere interamente.

Quella familiarità del signor duca, quel _voi_ alla buona,
quell'_amico mio_, quel _carissimo Frascolini_ lo facevano arrossire
di piacere, e per il momento non avrebbe potuto desiderare di più.
Dalla burbanzosa protezione del signor Domenico, il sindaco sensale di
Santo Fiore, era arrivato all'amicizia del duca d'Eleda!--Nei primi
giorni del suo amore,--quando Sandrino passeggiava per la campagna
solo solo, colle mani in tasca e il sigaro spento in bocca,
fantasticando il romanzo del proprio avvenire, egli non era giunto ad
immaginare un capitolo più luminoso. Che cosa ne avrebbe pensato la
contessa Lalla sentendo suo padre parlare con ammirazione del
_carissimo_, dell'onorevole Frascolini?... Egli le aveva giurato che
sarebbe arrivato a farsi un nome, una posizione e... e Prospero
Anatolio lo chiamava amico, lo invitava in sua casa e lo trattava da
pari a pari!... Oh la cara signora contessa avrebbe veduto bene come
le sue promesse egli sapeva mantenerle!

Intesi e d'accordo in massima, sulla politica interna ed esterna, si
cominciò a discorrere diffusamente intorno al progetto sulla _riforma
delle gabelle_ ed alla cessione in appalto del _Dazio consumo_;
l'argomento del giorno, come diceva il duca d'Eleda, o la _questione
vitale e palpitante_, come la chiamava Sandro Frascolini.

Il duca Prospero, cominciò allora a spiegare, al direttore
dell'_Omnibus_, tutti i vantaggi morali e materiali che dovevano
venire da tali riforme alle esauste finanze del Comune; gli fece
toccar con mano che l'opposizione era mossa da interessi privati, e
riuscì facilmente a convincerlo che il partito, il _colore_ politico,
ci entrava come il cavolo a merenda.

Il Frascolini, dopo di aver conservato un silenzio severo, e
dignitoso, verso la fine del discorso approvò le conclusioni del duca
d'Eleda con un lento chinar del capo; ma fece aspettare un qualche
minuto il proprio responso. Pareva incerto, dubbioso, stringeva le
labbra, chiudeva gli occhi, come per raccogliere meglio i pensieri; ma
poi, finalmente, stendendo la mano a Prospero Anatolio che lo guardava
sospeso:--Ebbene, sarò franco,--gli disse;--le vostre spiegazioni mi
hanno quasi... non dirò... Mi hanno scosso in molti punti.

--Ne ero certo,--esclamò il duca--ma è troppo giusto; voi, caro
direttore, non dovete credere soltanto a me, non dovete prestare cieca
fede alle mie parole.--no e poi no;--ci dovete veder dentro coi vostri
occhi.--A questo punto il Frascolini, che degli occhi ne aveva uno
solo, diventò rosso visibilmente, e l'altro si accorse d'averla detta
grossa; ma tuttavia al duca d'Eleda non mancava lo spirito, e tirò
innanzi diritto senza interrompersi e senza nemmeno tentare di
correggersi. Pregò il caro direttore a voler ritornare la sera di
quello stesso giorno, alle nove. Avrebbe trovato gli altri membri
della Giunta e così, dedicando al loro nuovo progetto un maturo e
coscienzioso esame, egli avrebbe veduto se non fosse stato il caso,
invece di combatterlo, di appoggiarlo.--Borghignano,--concluse poi,
accompagnando l'egregio amico verso l'uscio del salotto,--Borghignano
attraversa un periodo molto grave. Se io fossi un egoista, dovrei
desiderare una maggioranza sfavorevole. Sicuro! Ho bisogno di riposo;
mia moglie sta sempre poco bene e poi... e poi sono trent'anni,
capite, caro Frascolini, sono trent'anni che combatto e che sto sulla
breccia!... Se ne discorreva appunto anche l'altro giorno a Torino,
col duca d'Aosta. La lotta, la battaglia non mi ha mai fatto paura.
Anche trent'anni fa, vedete, io ero ritenuto un clericale; e allora,
anche più d'adesso,--e sapete perchè?--Perchè sono sempre stato l'uomo
dell'ordine, della prudenza, perchè ho predicato sempre, nella Camera
e fuori--_piano piano, chi va piano va lontano!_ E, infatti, ditemelo
una buona volta, francamente; se non c'era una maggioranza che votasse
le _guarentigie_, credete voi che i Governi stranieri avrebbero
accettato i fatti compiuti?...--No!...--Oh! bravo!... Che ci sia
almeno un uomo del vostro valore che mi rende giustizia. Chi ama il
proprio paese, deve sacrificarsi, sfidando l'impopolarità, ed io mi
son sempre sacrificato;... Dunque, come vi dicevo... vi dicevo che...
ah, ecco, per me, se questa volta il Consiglio mi dà, come si dice, il
voto nella schiena, io lo ringrazio tanto e lo saluto. Mi ritiro,
domando la giubilazione!... E non ci avrei altro che da guadagnare.
Tuttavia (lasciamo da parte, adesso, la mia persona), ritenendo che in
questo momento la caduta dell'Amministrazione potrebbe essere causa di
gravi danni al nostro credito, così, per non avere rimorsi, cerco,
tento di tenere in piedi la baracca. Se poi non riesco, sia detto in
amicizia, fra di noi,--e il duca d'Eleda si guardò attorno, come per
assicurarsi che nessun indiscreto fosse lì, ad ascoltare,--sia detto
in amicizia, se non riesco, tanto meglio!

Dal salotto, sempre discorrendo, Prospero Anatolio accompagnò
l'onorevole pubblicista nell'anticamera, uscì con lui fino sullo
scalone, e lì con un--dunque, a questa sera--ultimo e definitivo, gli
tornò a stringere tutte e due le mani con espansione vivissima.

Sandro uscì dal palazzo d'Eleda felice, raggiante. Era arrivato
finalmente!... Venivano a patti con lui, tutti quei _cani_ di
signori!... E quando si trovò solo in ufficio, non si potè più
trattenere e fece un salto dalla gioia, canterellando, colla sua bella
voce da tenore, un'arietta del repertorio favorito.

E la contessa Lalla?... Oh la cara contessa sarebbe stata sua! Ne era
tanto sicuro, che non la odiava più, tornava a volerle bene.

La sera andò alla riunione della Giunta. Fra quei parrucconi si tenne
sulla sua, usando il _noi_ con molta affettazione, parlando lungamente
di Law e del _libero scambio_; ma, nello stesso tempo, lasciandosi
menare bellamente per il naso.

Si combinò che l'_Omnibus_, riservandosi piena libertà d'azione per
l'avvenire, in quel dibattito finanziario avrebbe appoggiata la
Giunta. Il Frascolini ammise di non aver prima studiato a fondo il
nuovo progetto, fidandosi di alcune notizie inesatte che gli erano
state esposte; però, adesso, meglio informato, sentiva di doverlo
difendere. Dichiarò di appartenere al grande partito democratico, ma
di non essere al servizio di nessuno, e che non voleva imposizioni
altro che dalla propria coscienza.

Il giorno dopo, fra la maraviglia e i più disparati commenti, uscì
un articolo nell'_Omnibus_--_Serio esame, ovverosia le nuove
riforme_--col quale il Frascolini trattava la questione dal punto
di vista puramente economico. Era un passo indietro, fatto apposta
per prendere lo slancio e saltare il fosso. Al primo articolo,
infatti, tenne subito dietro il secondo:--_La politica in
Municipio_--sostenendo l'_Omnibus_ che il Consiglio comunale non
doveva fare politica, ma soltanto una buona amministrazione; e
poco dopo buttò via la maschera, schierandosi con tre colonne di
_Franche parole, ovvero gli interessi cittadini_--fra i più caldi
sostenitori del progetto presentato dalla Giunta. Allora fu la
volta pei _costituzionali_ di andare in giro pettoruti, ed erano
invece i _progressisti_ che scantonavano mogi mogi e costernati,
dicendo corna dell'amico integerrimo di Cairoli e di Zanardelli.

Frattanto il giorno della battaglia si avvicinava e non c'era da farsi
illusioni. O il progetto presentato dalla Giunta era approvato dal
Consiglio, e allora l'Amministrazione d'Eleda restava al potere,
oppure veniva respinto, e bisognava dimettersi.

Fra i soliti avventori del _Caffè di Borghignano_ c'era un orgasmo
febbrile. La mattina, all'ora di colazione o la sera, dopo il
teatro, non si faceva altro che scrivere col lapis, sui tavolini
di marmo, il nome di tutti i consiglieri comunali, mettendo in
fila--separatamente--quelli che avrebbero votato per il _sì_, e
quelli che avrebbero votato per il _no_, poi facevano le somme; ma
risultava sempre sul tavolino dei _progressisti_ la maggioranza
pel _no_, e su quello dei _costituzionali_ pel _sì_.

Alla vigilia della gran seduta, la Giunta e i suoi aderenti si
abboccarono un'ultima volta col Frascolini, in casa d'Eleda. Fu
convenuto, dopo una discussione molto vivace, di pubblicare l'indomani
stesso sull'_Omnibus_ un ultimo articolo cannonata. L'_Omnibus_
sarebbe uscita apposta un'ora prima del solito, e l'articolo col
titolo--_All'ultima ora_--era stato scritto da un egregio avvocato,
segretario della _Costituzione_ e fabbricere del Duomo. Fu discusso,
corretto in qualche punto, e poi raccomandato caldamente al direttore.
Il Frascolini lesse ancora l'articolo per suo conto, lentamente, sotto
voce, poi stringendo le labbra, concluse:--Non c'è malaccio, ma è
troppo lungo. Chi lo ha scritto, si capisce, non è del mestiere.
Tuttavia, per accontentarvi, non adopreremo le forbici: lo faremo
soltanto precedere da due righe di _cappello_.

--No, non occorre!--esclamarono tutti gli altri spaventati, tranne il
d'Eleda, che quella sera si mostrava abbattuto assai.

--Lasciate fare, lasciate fare:--rispose il Frascolini coll'aria
seccata. Egli mostrava un gran sussiego, proprio come se nel suo
_Omnibus_ portasse a spasso l'Europa. Ma il _cappello_ si ridusse poi
ad una sola aggiunta nel titolo, che fu stampato così:--_All'ultima
ora, ovvero Voto e Coscienza_.

E venne il domani, finalmente, quel domani memorabile, aspettato con
tanta apprensione! Il Consiglio era quasi al completo, le tribune
affollate: la lotta fu accanita d'ambo le parti. Il piccolo avvocatino
dei _progressisti_, il Robespierre in sedicesimo, fu eloquente,
impetuoso, terribile. L'altro, l'avvocato dei _costituzionali_,
pacato, forbito e prudente, sgattaiolava a destra e a sinistra, di
modo che il fulvo campione della democrazia terminava col tirar colpi
al vento e perciò, qualche volta, perdeva le staffe; ma caduto una
volta, si rialzava più inferocito. L'uno combatteva le riforme e la
cessione del _Dazio consumo_, nel nome della giustizia e della fame
del popolo, e citava l'America; l'altro le difendeva per la salute
della finanza, per il benessere morale e materiale del paese e della
famiglia, e citava l'Inghilterra. Esaurita la discussione, quando fu
il momento di _passare ai voti_, Prospero Anatolio, pallido, la fronte
molle di sudore, suonò il campanello con mano tremante.

Il momento era solenne e definitivo per l'una parte e per l'altra. Si
sa bene, _moderati_ e _progressisti_ avevano tutti sotto gli stivali
il Dazio consumo e la riforma delle imposte! Adesso, la questione
vitale, _palpitante_, come diceva l'_Omnibus_, era una sola: la Giunta
e i _moderati_ volevano restare al potere; i _progressisti_, invece,
volevano rovesciarli, per mettersi al loro posto.

Erano tutti in piedi! giù i consiglieri negli stalli, e su, in alto, i
curiosi delle tribune. Prospero Anatolio soltanto rimaneva seduto: era
commosso, gli tremavano le gambe. Il silenzio era imponente e si
sarebbe udita una mosca a volare e due farfalle a fare all'amore...
Finalmente si conobbe l'esito della votazione; il progetto della
Giunta era stato accettato con due soli voti di maggioranza; e il
risultato fu accolto con grida, con applausi, con l'entusiasmo d'ambo
le parti.

Erano tutti contenti: i _costituzionali_ si gloriavano di aver vinto,
e infatti avevano ottenuta la maggioranza; i _progressisti_ sostenevan
che la vittoria era stata dalla loro parte e che loro avevano
applicato alla Giunta uno schiaffo morale, perchè il progetto era
passato dal buco della chiave, per due miserabili voti racimolati
all'ultima ora.

L'indomani, quando Prospero Anatolio arrivato fresco a Santo Fiore,
raccontava in famiglia le vicende della fiera battaglia, si doleva,
sospirando, di quella vittoria che lo obbligava a restare sindaco di
Borghignano. Egli che avrebbe buttato via tanto volentieri quella
camicia di Nesso!... Era stanco, seccato, di sacrificarsi tutto e
sempre al servizio del pubblico, il quale ricambia con amarezze e
ingratitudine. In quanto a' suoi colleghi, confidava a Giorgio, in
segreto, che l'avevano fatta molto grossa venendo quasi a patti col
direttore dell'_Omnibus_!... Quello era stato un passo falso che aveva
creato malcontenti nel seno stesso del partito e che, a occhio e
croce, aveva spostato tre o quattro voti di maggioranza.

Nulladimeno, a Natale, capitò al Frascolini il diploma che lo nominava
Cavaliere della Corona d'Italia, e quel diploma gli fu annunziato da
una lettera molto gentile e obbligante del duca d'Eleda.

--Cavaliere?... Lo era davvero, lui. Se l'era guadagnato, quel titolo,
col proprio ingegno, col proprio lavoro, colla propria onestà, e
valeva assai più di tutto il marchesato posticcio del _signor_ Giacomo
Vharè.



XXVIII.


Povero Vharè!... I suoi affari precipitavano a rotta di collo! Ormai,
da vario tempo, non viveva più altro che del credito; ma il credito,
per chi lo gode, è come una rete: strappata una maglia, si rompe tutto
l'ordito.

A Torino, quando successe l'incontro suo colla contessa Della Valle,
non si era recato per le feste della Mostra, ma per tentare una grossa
operazione di credito che gli era stata scovata e indicata da un
agente di cambio: operazione che, riuscendo, gli doveva fornire il
denaro necessario per poter far fronte a due o tre scadenze imminenti
e per pater passare quel resto dell'inverno a Nizza o a Monaco. Ma il
sovventore, richiesto dell'imprestito, mentre dapprima si era mostrato
molto condiscendente, riservandosi soltanto un par di giorni per la
risposta definitiva, quando Giacomo si presentò la seconda volta, non
si lasciò più vedere e gli fe' rispondere che si trovava spiacente di
non poterlo servire, stante il mancato incasso di una forte somma su
cui aveva fatto assegnamento. Il Vharè non era un novellino, e capì
subito che il capitalista, prima di concludere, aveva voluto assumere
informazioni, e che queste erano state cattive.

In un altro momento, anche quel brutto incaglio non gli avrebbe dato
un gran colpo, ma allora lo avvilì profondamente. Era il quarto
rifiuto in quindici giorni e intanto crescevano le difficoltà,
cresceva il bisogno, e la fine dell'anno si avvicinava, sdrucciolando
via le settimane, con la velocità tutta particolare, colla quale il
tempo passa, corre, vola per i debitori. Si diede attorno di qua, di
là, ridusse l'ammontare della somma, abbreviò il termine della
scadenza, ma non ci fu verso: a quanti domandava danari, tutti
rispondevano picche.

Fatta la pace e partita Lalla per Santo Fiore, dopo la promessa
scambievole di trovarsi a Roma ai primi di dicembre, Giacomo,
riscaldato anche da questa impensata avventura, tornò daccapo al
lavoro, con un'alacrità ed un'accortezza che sarebbero state degne di
miglior successo. Da Torino passò a Genova, da Genova a Milano, da
Milano a Padova, ma sempre collo stesso esito infelice; ragion per cui
dovette in breve ritirarsi a Borghignano, avendo finiti i quattrini
anche per quelle corse disperate. A Borghignano aveva casa sua, e per
qualche tempo il piccolo credito, tanto per vivacchiare, non gli
sarebbe mancato.--E all'avvenire? Oh, all'avvenire il marchese di
Vharè non ci voleva pensare, perchè in tal caso avrebbe perduto anche
l'appetito; l'unica cosa buona che gli rimanesse.

Tuttavia, egli si conservava filosofo, e non si mostrava nè sgomento,
nè triste, tanto più che dovendo tirarla innanzi col credito, avrebbe
colla melanconia accresciuta la sfiducia. Il Vharè, del resto,
conosceva gli uomini e le donne; e mentre si sarebbe guardato bene dal
lasciar scorgere a' suoi amici le perturbazioni del proprio bilancio,
a Lalla, invece, gliene scrisse tosto a Santo Fiore, scherzandovi
sopra e confidandole che dubitava, per quell'inverno, di poterla
raggiungere a Roma, temendo di doversi fermare a Borghignano ad
ammirare il trotto di _Adamastor_ e le pelliccie nuove dei Tangoloni;
a far la corte alla Bertù, a confidarlo alla Calandrà ed a tentare con
Gianni Rebaldi la sorte del _tresette_. Ma chiudeva la lettera
dicendole che la sua vita d'adesso, egli, ad ogni costo, non l'avrebbe
cambiata con nessun altro perchè sentiva ogni contentezza, ogni
gaudio, ogni felicità, pensando a Lei, colla certezza cara che gli
volesse un po' di bene.

E il Vharè sapeva pure che confidando queste sue strettezze alla
duchessina, in una forma brillante, non le avrebbero fatta cattiva
impressione; anzi, era alcunchè di nuovo, di originale, di simpatico;
mentre invece, se Lalla ne avesse sentito parlare da altri, ed egli
avesse voluto farne un mistero, allora, forse, correva il rischio di
scapitarci assai.

I debiti sono come la canizie: portata con disinvoltura può ancora
piacere, ma volendo nasconderla coi cerotti e le tinture diventa
ridicola. Certamente egli non contava tutto alla duchessina, ma
lasciava scorgere quel tanto del suo _deficit_ che presentava qualcosa
d'artistico e che non offendeva il gentiluomo. Oh, il Vharè si sarebbe
guardato bene, per esempio, dal confidarle che gli era minacciato un
protesto e che pranzava a credito. Dinanzi all'usciere e all'appetito,
i debiti, anche per una duchessina sentimentale, diventano _borghesi_
e non hanno più nessuna attrattiva.

Appena successo a Torino il riavvicinamento fra Giacomo e Lalla, era
subito cominciato fra loro un attivissimo scambio di lettere, ed era
stata la prima Lalla a scrivere, ad onta delle sue ripugnanze, e della
sua prudenza. Svegliandosi alla mattina, placidamente, accanto a
Giorgio, dopo aver assorbito la sera innanzi col Vharè il delizioso
thè della riconciliazione, essa provò il prepotente bisogno di un
altra voluttà: quella di scrivere.--Perchè?...

Giorgio doveva alzarsi e uscire presto per affari e le aveva dato un
bacio solo e discretissimo, per via dell'emicrania di cui Lalla si era
già lamentata la sera innanzi.

--Ancora _bobo?_...--le aveva domandato, sorridendole, come ad una
bambina, appena la vide muoversi e aprire gli occhi.--Ancora
_bobo?_...

--Sì... molto, molto.--Lalla si era scostata sospirando, e Giorgio,
dopo aver sospirato alla sua volta, si era alzato adagino per
lasciarla quieta e se n'era andato.

Lalla rimase rannicchiata a godersi il delizioso calduccio del letto,
e così tranquilla che non si sentiva respirare. Ma non dormiva:
pensava, riandava tutti gli avvenimenti della sera innanzi. Essa non
era soddisfatta. La realtà era molto al di sotto di quanto l'aveva
immaginata, ed era meravigliata e mortificata perchè lo stordimento
era cessato troppo presto. Il sangue tornava calmo e freddo, il cuore
non batteva più violentemente, i ricordi non si affollavano
tumultuosi, ma si schieravano ad uno ad uno, lentamente, chiari,
precisi, in quella camera d'albergo, colle pareti vuote, di carta
gialla... Pensava, riandava ricordando in ogni particolare quanto era
successo, dall'incontro sulle scale, alla porta rimasta aperta.
Pensava, ricordava tutto ciò, mentre le voci e i passi dei camerieri e
il rumore e i suoni dell'albergo rendevano ancor più volgare quel suo
ridestarsi ad una vita che avrebbe dovuto essere una vita nuova e
tragica, agitata e sconvolta da terrori e da emozioni potenti... e che
non era invece altro che la sua vita solita, solitamente tranquilla.
Allora, in quel tepido dormiveglia, soffrì l'uggiosa impressione di
chi entra di giorno in un teatro: quel vuoto, quel buio freddo, l'oro
sbiadito dello stucco e del cartone, davano a Lalla un'uggia
fastidiosa, strana, e cominciava lì, appunto, il suo rimorso, da tutto
quel malcontento, da tutto quel disinganno...

Lalla sentì il bisogno di muoversi, di _arrischiare_, di gettarsi a
capofitto nella sua avventura, in cerca di emozioni più forti, che
dovevano stordirla, eccitarla, inebriarla e così soffocare il
persistente borbottìo della sua coscienza e del suo pudore. Sì, anche
il pudore ci soffriva in tutta quella calma, anche il pudore sentiva
il bisogno di coprirsi, di nascondersi in mezzo alle fiamme della
passione: e però, credendo di poter ingannare sè stessa e sperando di
poter riuscire a convincersi che si era abbandonata perchè vi era
stata trascinata, vinta dall'amore, dall'amore il più forte, il più
ardente, si alzò di colpo col desiderio e la risoluzione di commettere
una grande imprudenza e scrisse una lettera al _suo amante_.

Non era _lui_ il padrone e l'arbitro della sua vita?... E con un
caratterino minuto, fermo, regolare, riempì quattro paginette di carta
profumata; ma, quando fu alla firma, pensò che non c'era bisogno di
firmare... la solita prudenza cominciò ad avere il sopravvento e Lalla
volle rileggere la lettera. Allora trovò che diceva troppo, la
stracciò, la buttò sul fuoco, aspettò che fosse affatto distrutta e
poi, preso un altro foglietto, scrisse due righe sole:

«Mi ami tanto?... Ho bisogno che tu me lo dica sempre, che tu non mi
lasci mai sola a riflettere... «Mi ami tanto tanto?... «_Sempre:_
ricordati!

«L.».

Giacomo, prima di pranzo, andò a farle una visita, com'erano rimasti
intesi, e la trovò sola. Allora, siccome lei partiva all'indomani, si
fece promettere ch'egli le avrebbe scritto a Santo Fiore, dirigendo le
lettere, chiuse in una busta suggellata e senza indirizzo e segnate
con numero progressivo, in un'altra busta diretta a miss Dill. Le era
penoso un tal passo, ma ormai indietro non potea più tornare. In
quanto a lei avrebbe scritto a Giacomo direttamente.

A Santo Fiore, combinato lo scambio coll'istitutrice, alla quale Lalla
non diede nessuna spiegazione, e passato l'orgasmo pauroso delle prime
lettere ricevute, ella se ne fece una piacevole abitudine e le
aspettava con impazienza e le leggeva con grande interesse. A Santo
Fiore essa non aveva altre distrazioni. Là, sola sola, pensava a
Giacomo di frequente e alla vita che a Roma avrebbero fatta insieme.
Certo, in quell'inverno, gli adoratori le sarebbero ritornati tutti
intorno, e lei voleva vendicarsi del loro abbandono. Ma poi, in mezzo
ai più bei disegni, cambiò, a un tratto, d'umore, diventò nervosa,
lunatica... poi capitò la lettera del Vharè a mandar tutto in fumo, e
così in dicembre partì per Roma, lamentandosi di dover essere in
viaggio tutto l'anno.

Ci pativa anche perchè la Bertù, la Calandrà e tutti gli altri
pettegoli avrebbero creduto che il Vharè rimanesse a Borghignano per
la Soleil. Nè una tale supposizione sarebbe stata fuori di luogo e
Lalla stessa, in fondo al cuore, non era affatto senza sospetti. Il
Vharè si mostrava nella sua lettera troppo di buon umore; e se non si
fermava apposta, certo la presenza della Soleil gli avrebbe reso meno
spiacevole quel domicilio forzato. Così, la rabbietta e un po' di
gelosia, suscitarono nella sua testolina bizzarra un altro di quei
fuochi di paglia che in lei divampavano ad un tratto e con strani
chiarori.

Pensò ad un pretesto per non tornare più a Roma in quell'inverno,
quando lei e Giorgio sarebbero ritornati a Borghignano per passar il
Natale con la mamma. E un pretesto non solo, ma una ragione eccellente
non le mancava. Era una ragione, per altro, che Lalla non avrebbe
voluto mettere in campo; che anzi le ripugnava di adoperare in tale
occasione; ma poi finì col servirsene, quando si vide costretta a
farlo in mancanza di meglio, e quando capì che, ormai, per il timore
ed anche un pochino pel rimorso, aveva taciuto anche troppo.

Confessò il suo segreto alla mamma abbracciandola e arrossendo; alla
mamma che, dopo averla ascoltata tremando, si strinse la figliuola al
cuore e diede ella stessa, povera Maria, la cara novella a Giorgio,
con un sorriso che appariva fra le lacrime, come un raggio di sole che
attraversa la tempesta.

Giorgio impallidì dalla commozione e abbracciò la sua Lalla, abbracciò
Maria senza poter dire una parola: la gioia gli serrava la gola.
Prospero Anatolio si mise a piangere dalla consolazione, poi prese il
cappello e infilata la porta andò a partecipare all'Arcivescovo il
miracoloso avvenimento. Ritornato a casa, regalò mille lire alla
Congregazione di Carità, e a Lalla una collana di diamanti, approvando
pienamente il suo desiderio di rimanere tranquilla a Borghignano,
tanto più che, in tal caso, egli era sicuro che vi si sarebbe fermata
anche la Giulia. Nella famiglia d'Eleda, da quel giorno in poi, non si
parlò più d'altro, non si fecero progetti, preparativi, auguri che non
fossero diretti all'atteso Prosperino. Il solo, che non prendeva parte
a tanto giubilo era Pier Luigi. Sicuro!... Pier Luigi confrontava le
date e sogghignava; ed alla Calandrà, che pianino discorrendo con lui,
aveva fatto un'osservazioncella piuttosto impertinente:--Mah,--rispose
il vecchio cinico, alludendo a Giorgio:--Chi si contenta gode; chi si
contenta!

Lalla, come aveva voluto, rimase dunque a Borghignano; e mentre
Giorgio andava continuamente innanzi e indietro da Roma, ella perdeva
il tempo e la pace a commettere imprudenze col Vharè, spinta dalla sua
gelosia per la Soleil. Adesso però, la duchessina, per quanto facesse,
non poteva ricuperare, tutto intero, il cuore di Giacomo. Egli era
tornato daccapo, approfittando della buona occasione: la contessa
Lalla era sempre simpatica, egli le voleva sempre bene, ma non le
credeva più. Quando Lalla fuggì via da lui, piantandolo in quel brutto
modo, essa aveva distrutta la sua ultima illusione, aveva distrutto il
suo ultimo amore, destandolo, bruscamente da un sogno romantico; e il
Vharè era troppo uomo e troppo esperto per riaddormentarsi di nuovo.
Le bambinerie della duchessina, che una volta lo avevano commosso e
sedotto, ora lo tenevano in sospetto; e dal candore, dalla grazia, dai
timidi abbandoni e dalle ingenue sorprese della sua innamorata egli
vedeva sorgere e far capolino quella finissima civetteria che, per una
volta tanto, era pur riuscita a canzonarlo, e molto bene.

Oltre a ciò, che sarebbe bastato anche da solo, c'era poi un altro
sentimento, nuovo e profondo, che lo divideva da Lalla: la disistima.

Per quanto corrotto, per quanto dissoluto, l'amante è sempre, per la
donna che gli si abbandona, il suo giudice più rigido e più spietato,
quando la passione si acqueta e la verità comincia a farsi strada. Il
marito, l'offeso, non può essere più implacabile. Il Vharè vedeva,
adesso, tutta la colpa che Lalla commetteva giocherellando colle sue
ariette fanciullesche, da null'altro spinta che da un leggero
capriccio, e tutto ciò lo allontanava insensibilmente da lei,
riavvicinandolo, invece, a poco a poco, alla Soleil. In fine, l'amore
della Soleil era grande e sincero, mentre Lalla era stata spinta
soltanto dalla vanità e dalla curiosità; l'una si era donata, l'altra
si era fatta rubare. Si sa: quando l'amore se ne va, la logica
ritorna.

Bisogna anche aggiungere, ch'egli aveva abbandonata la Soleil dopo
aver vissuto insieme per ben tre anni, e l'aveva piantata senza un
motivo, anzi peggio, mettendosi assolutamente dalla parte del torto;
bisogna aggiungere che s'incontravano, si rivedevano allora per la
prima volta dopo quell'abbandono, e che il legame del marchese di
Vharè colla _diva_ non era stato uno dei soliti amoretti del
palcoscenico.

Quando Giacomo conobbe la Desirée Soleil, questa ormai pareva
inaccessibile e inafferrabile. Co' suoi straordinari e insperati
trionfi si era sentita così pienamente felice da non aver bisogno
d'altre emozioni: e poi la virtù le era allora consigliata anche dal
medico, per conservar la voce.

Tuttavia essa non negava di aver avuto amanti: soltanto, dichiarava di
non volerne più.

L'arrivare al suo cuore non era dunque facile impresa. Era una donna
d'ingegno e d'esperienza, conosceva il mondo e le seduzioni, danari ne
guadagnava tanti quanti ne voleva spendere, ed anche così
inflessibile, era festeggiata e aveva adoratori fino alla noia. Anzi,
questo suo, era forse il modo migliore per averne moltissimi. Si
consolavano a vicenda della comune sconfitta, si deridevano l'un
l'altro e continuavano a sperare tutti insieme ed ognuno per proprio
conto. D'altra parte, la Soleil era buona, amabile, piena di spirito,
tollerava qualche allusione un po' arrischiatella e aveva il tratto di
una gran dama. Il corteggiarla era di moda; il diventare uno de' suoi
intimi voleva dire essere una persona del bel mondo, un uomo d'ingegno
o una celebrità del giorno, e però i suoi innamorati, non potendo
giungere fino al suo cuore, si accontentavano di essere ricordati ai
suoi occhi, ottenendo di farle porre i loro ritratti in un _album_
ch'ella teneva esclusivamente per le fotografie degli _amici_, e nel
quale, variando ad ogni _piazza_, figuravano, s'intende, tutti i
giovanotti più eleganti delle varie città ove cantava.

Non la lasciavano mai; si davano la posta a casa sua, a quell'ora
precisa ch'ella prometteva la sera innanzi di essere visibile; e
quando usciva dalla sua camera, ancora in vestaglia ed in pianelle,
trovava il salotto già pieno di adoratori. Gli amici anticipavano
sempre di qualche minuto: i loro orologi correvano per due motivi: per
arrivare più presto a vederla, e per tenersi d'occhio l'un l'altro.

Dalla Soleil bevevano _cognac_ squisito, ch'era stato regalato alla
_diva_ da un ricco signore di Bordeaux, tanto perdutamente innamorato,
da unirle al bariletto che le mandava ogni tre mesi, la formale
domanda della sua mano; fumavano sigarette turche, speditele da un
_pascià_, pure innamorato perdutamente, il quale continuava a
rinnovare l'offerta di licenziare per lei il proprio _harem_; facevano
il chiasso con una chitarra di un nobile Idalgo che tutte le notti, a
Madrid, le cantava sotto le finestre:

    In Castiglia e nei tesori
    Dell'Alhambra e dei re mori
    Non v'è gemma per mia fè
    Che rifulga così splendida
    Come gli occhi a Desirée.

E infine facevano musica sopra un piano-forte che le era stato
regalato dall'imperatore del Brasile, il quale la chiamava sempre--il
mio piccolo canarino--e le voleva bene come ad una figliuola. Tutte
queste fortune gli amici della _diva_ le sapevano a memoria, ma le
stavano a sentire ogni giorno, senza interromperla, sfogandosi
negl'intervalli, non potendo farlo colla padrona, ad abbracciare
l'Assunta, la compiacente cameriera, con certe strette così furibonde
da toglierle il respiro.

Fra la padrona di casa e gli amici suoi, c'era molta armonia.
Solamente, di tanto in tanto, passava qualche piccola nube a proposito
delle _signore della società_, che la Soleil biasimava sempre con un
accanimento ferocissimo. Ma la sua collera non durava molto, ed erano
sempre gli amici i primi che le domandavano scusa, sempre in
ginocchio, magari anche d'aver avuto ragione. Allora Desirée dava loro
la mano da baciare, ma essi invece le baciavano il braccio più su che
potevano: a tanta indiscrezione la _diva_ ridendo, li scappellottava
amabilmente, e la pace era fatta.

La Desirée Soleil era una francese, di Milano, la quale, prima di
calcare le scene, si chiamava Andreina Calziraghi. Era una donna assai
bella: il suo corpo avrebbe potuto servire da modello per i contorni
ad uno scultore dell'età d'oro, e per il colorito ad un pittore della
scuola veneziana. Grandi e neri gli occhi di fuoco, neri, folti,
lunghissimi i capelli, la bocca grande, coi denti candidi, regolari;
le labbra rosse e vive. Tutta la sua persona pareva un invito alla
voluttà; ma la sua faccia, mobilissima, caratteristica e simpatica,
dalla quale trasparivano, a tratti, gli impeti del suo ingegno vivace,
faceva pensare. Elegante, prodiga, spensierata, scriveva l'italiano
come una tedesca, e parlava il francese come un'americana.

Aveva molte stranezze: nell'inverno si avvoltolava fra le pellicce e
nell'estate indossava certi abiti di velo che la riparavano dalle
mosche più che dagli occhi. I suoi adoratori dovevano credere, o
montava in collera, che vivesse soltanto di dolci, di frutta, di
foglie di rosa che succhiava continuamente e di gramolate che sorbiva
adagio adagio, con lunghe cannucce di paglia.

Quantunque vantasse più magnanimi lombi, sua madre era stata una
portinaia che l'aveva avuta dal suo padroncino di casa, un contino
biondo e roseo come una ragazza. Andreina aveva dunque nella sua
costituzione la schiettezza del popolo e le raffinatezze
dell'aristocrazia; le carni rotonde e sode della mamma e la pelle
bianca e fine del babbo; aveva del sanguigno e del nervoso ad un
tempo; e se alcune volte il sangue materno l'aveva spinta fra le
braccia di un qualche gagliardo e bel ragazzotto, il sangue paterno
non tardava ad avere il sopravvento, e allora Andreina subiva i
fascini d'un volto pallido e delicato. Quando cessò d'essere Andreina
Calziraghi per diventare la Desirée Soleil, e non aveva più amanti
d'intorno, ma soltanto sudditi e amici, allora si avvezzò presto
all'aristocrazia, e tanto bene, che vi pareva nata. Cominciò a contare
d'essere la figlia d'un barone francese, che possedeva miniere in
America e schiavi di tutti i colori, e a questa paternità, a forza di
ripeterla, terminò col crederci anche lei, anzi, era lei, la sola, che
ci credesse un pochino.

Le storielle erano il suo punto debole. Ne contava molte, ne contava
troppe. Ne aveva una, fra le altre, che spacciava per uso e consumo
de' suoi adoratori, i più ricalcitranti al regime negativo, e che
pareva un romanzo del Montépin.

L'eroe era un principe russo, ricchissimo, possessore di venti
villaggi, d'una barba orribile e d'una desinenza in _off_ ancora più
orribile, che voleva amarla per forza, quantunque lei gli rispondesse
sempre di no. Il principe, al primo rifiuto sorrise cinicamente,
offrendole, in cambio della sua virtù, manate di turchine e pugni di
diamanti; ma lei, dura sul _no_, anche la seconda volta. Allora i peli
della barba del principe si agitarono come tante lamprede fuori
dell'acqua, e il sorriso cinico si mutò in un ghigno feroce; ma
siccome non poteva farla frustare, si rassegnò ad aggiungere
all'offerta delle turchine e dei diamanti anche quella della sua mano
e della desinenza in _off_. A tale proposta, continuava a contare la
_diva_, lei s'era messa a ridere, ringraziandolo d'averla corteggiata
_pour le bon motif_; ma dichiarandogli, nello stesso tempo, ch'egli
arrivava troppo tardi, perchè la Desirée Soleil aveva sposato il
teatro, e l'arte sola oramai le poteva far battere il cuore; era
costretta quindi, _avec beaucoup de chagrin_, a dirgli di--no--_pour
la troisième fois_. La barba del principe, all'ostinato rifiuto, non
si mosse nemmeno: cattivo segno. La sera dopo, mentre lei e l'Assunta
uscivano dal teatro, il principe, aiutato dalla polizia, le rapì tutte
e due: sicuro, anche la cameriera, che a questo punto veniva citata
sempre come a testimonio. Le peripezie del viaggio lungo i deserti di
ghiaccio, coi lupi affamati che saltavano attorno alla slitta, erano
innumerevoli e svariatissime, ma presto o tardi si arrivava
felicemente al castello del principe. Era un castello in mezzo alla
neve, con parco e giardino inglese, illuminato a luce elettrica. Nel
castello, Barbarossa ne tentò di tutti i colori contro la virtù della
_diva_. Tentò la grazia, la forza, e in fine tentò anche l'astuzia.
Voleva addormentarla con un potente narcotico, ma lei, invece di bere
il narcotico, mangiò la foglia e visse solo di frutta e di ghiaccio.
Irritato da tanta fermezza, Barbarossa perde la prudenza: e colla
faccia infocata, gli occhietti da basilisco, digrignando i denti,
magro, sporco, sparuto, ella lo vide, una notte, capitare attraverso
un quadro, nella sua camera da letto e... La lotta che successe allora
fu terribile e grottesca. La Soleil, raccontandola, si animava,
diventava rossa in faccia, e, alzandosi, afferrava uno de' suoi amici,
lo trascinava attorno due o tre giri per il salotto e finiva con un
impeto potentemente drammatico a lanciarlo fuori dell'uscio che gli
chiudeva sul muso, accompagnando la spinta con un--no!--nel quale
echeggiava una bellissima nota di contralto. Anelante, tornava poi a
sedere, e terminava tranquillamente di raccontare il drammatico
epilogo del principe russo il quale, in capo ad una settimana, e a
cagione di quell'amore infelice, diventato pazzo furioso e legato nel
proprio letto, colla camicia di forza, non faceva altro che
ripetere--no!--no!--no!--lo spietato--no, della diva!

Ma quando le fu presentato il marchese Giacomo di Vharè, essa non gli
raccontò la storiella del principe dei venti villaggi e nemmeno quella
più modesta del babbo barone. Capiva che col Vharè doveva essere
tutt'altra cosa, e invece di parlare sempre lei, come faceva con tutti
gli altri, lo stava ad ascoltare attentamente, provando una seduzione
nuova, profonda, indefinibile a quella parola così facile, così
affascinante. La Soleil capì, subito, che avrebbe finito coll'amare il
Vharè, e coll'amarlo forse tanto, quanto non aveva mai amato fino
allora; e tutti questi suoi sgomenti una sera che, per caso, furono
lasciati soli nel _camerino_, ella glieli confidò candidamente, come
le uscivano dal cuore che pareva le si risvegliasse allora, dopo un
sonno lunghissimo. Col Vharè essa non era più la Desirée Soleil, era
ritornata Andreina Calziraghi, la semplice, la buona ragazza.

--Siate generoso con me;--gli disse fissandolo quasi timidamente.--Non
insistete tanto per farvi amare; non mi tentate così. A voi il
lasciarmi non costa nulla, ed io con voi, lo sento, arrischierei
troppo, arrischierei tutto. Ero così tranquilla e stordita; ero così
beata. Ridevo, ridevo sempre, e voi tornate a farmi diventar triste e
a farmi pensare. No, mi secca; non voglio!.... Non voglio più voler
bene; e se ne volessi a voi sarebbe una cosa seria; forse la più seria
della mia vita, e terminerebbe coll'annoiarvi. Da bravo, marchese, ve
ne prego, seguite un mio consiglio: presto la _stagione_ sarà finita,
non venite più da me, rinunciate al teatro, per queste poche sere, e
tutti e due conserveremo la nostra pace.

Giacomo vedeva bene che la Soleil non mentiva, e gli piacque la
sincerità, il bel tipo di bruna, mentre lo allettavano l'ingegno
dell'artista e le difficoltà dell'impresa.

Invece di lasciarla, si attaccò a lei ancora di più; e Andreina, a
poco a poco, si innamorava perdutamente e ritornava a sentire
inquietudini e turbamenti, lei artista, lei cantante, lei che non era
nuova nè all'amore e nemmeno agli amanti e che doveva essere
agguerrita contro qualunque seduzione. Ma l'amore fa di questi tiri, e
ne fa anche di peggio!... Quando dal suo camerino ella vedeva Giacomo
avvicinarsi, le batteva il cuore e arrossiva d'improvviso, come una
giovinetta, come un'ingenua sensitiva, ancora ai primi palpiti. Una
sera, mentre era in iscena e cantava, lo sentì, più che non lo
vedesse, entrare in un palco di proscenio, avvicinarsi al parapetto,
fissarla col cannocchiale, e la poveretta, come se ritornasse alle
emozioni dei virginali turbamenti, stonò forte, e non ebbe i soliti
applausi alla sua aria favorita.

Adesso non recitava la commedia, no, no; aveva paura davvero, e non
vedeva il momento che si chiudesse quella malaugurata _stagione_ per
andarsene via, per fuggire, per non vederlo più; ma il Vharè non
gliene lasciò il tempo.

Un giorno Andreina era ancora seduta a tavola e pensava appunto al bel
marchese di Vharè, giocherellando distratta e quasi triste, coll'orlo
della salvietta: quella sera essa doveva cantare e però non voleva
ricever nessuno; ma Giacomo seppe commuovere il tenero cuore
dell'Assunta, e Andreina se lo vide capitare dinanzi, in quel momento
che lo credeva più lontano. Lo accolse con un grido, si arrabbiò
coll'Assunta, si mostrò crucciata con Giacomo, non voleva dargli la
mano; ma non ebbe il coraggio di mandarlo via.

La piccola stanzetta era quasi al buio: due candele rischiaravano
appena il disordine della tavola apparecchiata, mentre dallo
sportellino della stufa accesa usciva a tratti, come un respiro di
fuoco, la fiamma rossastra. Faceva caldo, si soffocava lì dentro, e
Giacomo venendo allora dal freddo della strada, si sentì bruciare la
faccia, mentre respirava a fatica in quell'aria greve, impregnata dal
profumo dei fiori e corrotta dall'odore che vi era rimasto delle
vivande.

L'Assunta, buona donna e affezionata alla padrona, si fermò un
momento, sorridendo con malizietta affettuosa, poi, volendo farsi
perdonare il tradimento, le disse forte, indicando l'orologio a
pendolo della caminiera:--Si ricordi signora; fra dieci minuti, al più
tardi bisogna vestirsi per il teatro...--Non c'era dunque tempo da
perdere, e infatti, appena uscita la cameriera, Giacomo prese Andreina
e la strinse fra le braccia mentre la diva, tremando tentava di
allontanarlo, di difendersi e a bassa voce, per non essere udita
dall'Assunta che preparava la _cesta_ nella camera vicina, scongiurava
Giacomo di non tormentarla, di andarsene, di aver compassione di lei.

Poveretta!... Quell'uomo l'aveva sorpresa, era capitato là dentro come
un ladro, per rubarle la sua felicità, la gioia stordita, rumorosa dei
suoi trionfi di donna e di artista, per rubarle l'anima!

Anche Giacomo pregava, supplicava. Pregavano, tutti e due, ma non
s'intendevano, non si ascoltavano. Più che coi baci, Giacomo la
stordiva colle parole appassionate, insinuanti ch'ella sentiva
correrle pei capelli, pel collo, per tutto il corpo come un fiato
caldo, voluttuoso, che la inebriava, che la vinceva.

--No!... No!... Ti prego!... Ti prego!... Non voglio!... Ero così
contenta! Ero così felice!...--Ma già Andreina, a poco a poco, si
sentiva venir meno, si sentiva portar via come in un sogno; già
lottava solo con un--no--debolissimo, convulso, che le usciva appena
dalle labbra tremanti, e non più dal cuore; un--no--pieno di lacrime,
di amore, d'abbandono e che sarebbe rimasto preso, soffocato da un
bacio... quando improvvisamente un suono lungo, squillante echeggiò
nel silenzio della stanzetta. Lontani lontani com'erano dal mondo
tutti e due, trasalirono quasi: era l'orologio della caminiera che
suonava le sette. Bastò un secondo a Giacomo per rimettersi, ma era
bastato un istante anche ad Andreina per ricuperare la coscienza di sè
e del pericolo che correva, e sciogliendosi vivamente dalle braccia di
Giacomo, corse a salvarsi sull'uscio dell'altra stanza, gridandogli
con voce rotta, soffocata:--No!... No!... Ve ne supplico!... Andate
via! Andate via!... _Stasera canto!_--E chiamò l'Assunta.

_Stasera canto!_... Cercando una scusa, un'arma per difendersi, per
farsi rispettare, non ne aveva trovata una migliore. Ma non era più,
adesso, la Desirée Soleil che lottava contro il principe dei venti
villaggi, no; non era che la buona Andreina, la quale sentiva di non
poter invocare in suo aiuto nè l'onore, nè il pudore, perchè
quell'uomo ch'ella amava, avrebbe potuto deriderla; e però disse
quelle semplici parole--_stasera canto_--tremando e piangendo, le mani
giunte e con un'espressione di sgomento così viva che faceva pietà e
che mutava la sua preghiera in un grido disperato dell'anima.

Ma, pur troppo, la sera dopo ella non cantava, aveva _riposo_, e
Giacomo di Vharè rimase solo con lei oltre la mezzanotte. Quando
Giacomo se ne andò via, Andreina aveva voluto accompagnarlo fin
sull'uscio dell'ultima stanza d'uscita, abbracciandolo un'altra volta
con una tenerezza infinita.--Ascolta, Giacomo,--gli disse,--io ti ho
data tutta l'anima mia; ormai non mi appartengo più. Non abbandonarmi
subito; io non ti ho ingannato e non ho mentito. Darei la mia vita, il
mio nome, il mio trionfo d'artista, tutto tutto, per essere ancora una
donna onesta e poterti dire:--non sono stata che tua, e non sarò che
tua.--Stordita, non ho mai avuto rimorso del mio passato; ora ne ho
dolore per la prima volta e per te, perchè ti voglio bene Sento che ho
finito ormai di essere calma e felice; ma non rimpiango la mia
felicità, ti amo troppo, e non la ricordo nemmeno. Tuttavia, per poco
che io possa contare nella tua vita, ci voglio essere come una memoria
cara, voglio sfiorarla come un sorriso. Non voglio costarti nessun
sacrificio, nessuna amarezza. Giura, amor mio, giurami che il primo
giorno nel quale non sentirai per me più... più nessun desiderio, tu
me lo dirai subito, francamente e lealmente. In compenso di tutta me
stessa, non ti domando altro che questa parola sincera.

--Ti amerò sempre,--le rispose il Vharè con galanteria.

Andreina comprese la leggerezza di una simile risposta e sentì come un
presentimento delle ore tristi che le si preparavano.

--Sempre?... Le donne come me non si amano sempre. Ma ti prometto, ti
giuro, che mi avrai _sempre_ tua, finchè ti piacerà di tenermi.--E si
lasciarono così, stringendosi la mano e baciandosi, lui con un
sorriso, lei con un sospiro.

Tre anni dopo, infatti era il Vharè che abbandonava Andreina, senza
ch'egli avesse nulla da poterle rimproverare.

La Desirée Soleil, la _diva_, si mostrò indifferente a quell'abbandono
così immeritato, ma Andreina Calziraghi ne soffrì assai, perchè essa
amava sempre il Vharè, come già aveva sentito di amarlo quel primo
giorno in cui l'orologio a pendolo l'aveva salvata. Essa ne soffrì
assai, tanto che ammalò e per due _stagioni_ stette senza cantare.
Quando volle ritornar sul teatro dovette accontentarsi di quella
misera scrittura di Borghignano, perchè gl'impresari dei grandi
spettacoli temevano non fosse più quella di prima e non volevano
arrischiarla. Andreina avrebbe _riposato_ ancora volentieri, ma come
si fa?... I suoi pochi risparmi erano consumati; le sue perle, i suoi
brillanti erano impegnati e bisognava cantare per vivere. Certo, se
avesse voluto, non le sarebbe mancata la generosità di un qualche
amico e protettore; ma come vi sono donne nate nell'azzurro e che
cadono giù, attirate dal fango, così ve ne sono altre, e dove forse
meno si crederebbe, che si sentono attratte a sollevarsi in alto,
sempre più in alto, nell'azzurro, e la buona Andreina era appunto di
queste.

A Borghignano, però, tornata la Desirée Soleil, fu compensata delle
sue privazioni da un grande e straordinario successo.

Andreina non sapeva che a Borghignano si sarebbe incontrata col Vharè,
come non conosceva nemmeno la vera cagione del suo abbandono. A
Borghignano, per altro, ci fu chi, credendo fare il proprio interesse,
volle illuminarla di tutto. Non sapeva, l'ingenuo, che amore...
perdona amore.

Giacomo, vano e ambizioso della conquista della Soleil, non aveva mai
apprezzato Andreina secondo il merito, e molto scettico, anche in
fatto di donne, mentre si lasciava abbindolare da Lalla, credeva
all'apparente indifferenza di Andreina; ma quando seppe, e lo seppe
appunto poco dopo che la contessa Della Valle lo aveva piantato in
quel bel modo, quando seppe che la _diva_ aveva finito coll'ammalarsi
per essere stata abbandonata, questa notizia fu per il Vharè una cara
scoperta, e fu grato alla Soleil di amarlo a tal segno, sentendo nel
suo cuore come un conforto, come un contraccolpo dal disinganno
sofferto. Però, adesso che stava per incontrarla, per rivederla,
sentiva che si sarebbero riconciliati e ricongiunti. Se la Desirée,
offesa, non avesse voluto più amarlo, era sicuro che la buona Andreina
avrebbe domandato grazia per lui.

Nello stesso tempo che il passato risorgeva più bello e più cara nella
memoria del Vharè, il fascino di Lalla, com'è naturale, scemava assai.
Del resto, anche l'amore della duchessina procedeva a sbalzi: ora
pareva insensibile e indifferente, ed ora aveva gli slanci, gli
abbandoni e le esigenze più appassionate. Ma, in ogni caso, e più caro
nella memoria del Vharè, il fascino di Lalla lo amava più per gli
altri che per sè stesso. Al teatro, in quelle sere d'opera, le
ripetevano tutti che il bel marchese si era fermato a Borghignano
perchè c'era la _diva_ a cantare, e Lalla voleva far sapere e far
credere che invece il Vharè vi si era fermato per lei, solo per lei, e
la sua vanità, punta nel vivo, arrivava dove non era arrivato il suo
amore, e le faceva perdere anche la prudenza.

Il Vharè non poteva andare che assai di rado in casa Della Valle; ma,
in compenso la contessa Lalla era già stata due volte nel quartierino
del bel marchese, posto in ottimo luogo per simili scappatelle; e
tutt'e due le volte si era fatta promettere ch'egli non sarebbe
tornato mai e poi mai, per nessun motivo, dalla Desirée; che non si
sarebbe mai e poi mai lasciato vedere con lei, e che, incontrandola,
non l'avrebbe nemmeno salutata. Giacomo, fino a questo punto, non
voleva dare la sua parola; non c'era ragione perchè dovesse fuggire la
Soleil e tanto meno usarle sgarberie, ma finiva poi col promettere
tutto ciò che Lalla voleva, non trascurando, nel tempo stesso, di
cercare l'occasione per incontrarsi con Andreina e fare la pace. Era
sicuro, del resto, che la strana volubilità d'umore, e i capricci di
Lalla gli avrebbero dato argomento di giustificarsi, nel caso che le
sue bugie fossero scoperte.

La _diva_ a Borghignano faceva furore: tutti ne parlavano, tutti la
lodavano, erano tutti innamorati di lei. La _Direzione_ del teatro,
composta di membri molto maturi, si tingeva capelli e barba due volte
al giorno; il Presidente, che secondo le sue abitudini sperava molto,
faceva la doccia; i due Lastafarda si esercitavano a parlar francese;
Gianni Rebaldi faceva provviste di sigarette nel camerino della
_diva_, e regalava all'Assunta i dolci che rubava ai bambini della
Bertù. Il Toscolano le offriva _Adamastor_ se voleva far passeggiate,
e aveva grandi misteri col _brumista_ che la conduceva tutte le sere
da casa al teatro e viceversa. L'Assunta era fermata per istrada dai
molti curiosi che volevano sapere gli anni della sua padrona e se era
un'americana davvero e se i capelli che portava in scena erano tutti
suoi. Fra il _palcone_ degli ufficiali e la _barcaccia_ dei nobili
cominciò una fiera rivalità, ed erano corse sfide, che per altro non
avevano avuto seguito, con grandissimo dispiacere degli avventori del
_Caffè di Borghignano_, i quali, appena sentivano parlare di duelli,
si accendevano, drizzavano le orecchie e diventavano spadaccini sino
all'ultimo sangue... degli altri.

Tutti i giorni la diva riceveva regali: abbondava però il genere fiori
e _marrons glacés_. Ma chi faceva sul serio e le mandava ricchissimi
gioielli, era il conte Pier Luigi, il quale si era incapricciato
stranamente della Soleil, tanto da non muoversi più da Borghignano e
da esserle sempre d'intorno, quantunque Andreina, che in principio
accettava per debito di convenienza i suoi omaggi, gli avesse fatto
capire che non gli avrebbe dato da baciare nemmeno la punta di un
dito, tanto le faceva schifo. Per altro, a Borghignano, credevano
tutti che già il vecchio milionario fosse riuscito a soppiantare il
bel marchese, bello sì, ma spiantato.

Tuttavia la Desirée Soleil si portò in modo che anche le cattive
lingue dovettero presto ricredersi. E come stessero le cose fu chiaro
a tutti i curiosi, una sera in cui la Desirée si era messa a fissare
ostinatamente dal palcoscenico la contessa Della Valle, mentre questa,
a sua volta, guardava la _diva_, sorridendo con olimpica indifferenza.
Il Vharè, al quale non era sfuggito l'incrociarsi di quei due sguardi,
trovò immediatamente il pretesto per fare la pace con Andreina: così
impediva uno scandalo che avrebbe potuto perdere la contessa Lalla.
Scese dunque sul palcoscenico, terminando di persuadersi che vi andava
per compiere una buona azione; e consegnato il suo biglietto di visita
al portiere, lo pregò di domandare alla signora Soleil se lo poteva
ricevere. L'Assunta, che lesse per la prima il biglietto del marchese,
corse, rossa dal piacere, ad annunziarlo alla padrona; ed il Vharè fu
subito introdotto nel camerino.

Andreina lo salutò stendendogli la mano, senza poter parlare, e
alzando il volto impallidito e fissandolo con quell'espressione di
mestizia e di affettuosa indulgenza, che traluce dagli occhi della
donna soltanto quando essa perdona la colpa d'un figlio o quella di un
amante. Anche al Vharè batteva il cuore e lo si vedeva impacciato.

Lì, in mezzo a loro, sebbene straniero a tutti quegli affetti, c'era
pure un altro cuore che batteva con violenza alla vista del marchese
di Vharè: il cuore di Alessandro Frascolini. Il direttore
dell'_Omnibus_ si era recato poco prima sul palcoscenico per offrire
alla _diva_ l'omaggio del pubblicista e l'ammirazione del compagno
d'arte.

Andreina presentò l'uno all'altro: entrambi si salutarono appena, con
un cenno del capo, senza stringersi la mano. Il Vharè non badò nemmeno
al cavalier Frascolini, ma Sandro squadrava Giacomo da capo a' piedi:
c'era assai più che la gelosia, c'era ferocia in quel suo occhio torvo
iniettato di sangue, e ci fu un momento nel quale sfavillò con una
fiamma sinistra. Il Frascolini avea veduto in dito al Vharè l'anello
ch'egli aveva regalato alla duchessina: la turchina colle rose
d'Olanda. A quella vista, mille pensieri, mille ricordi gli si
affollarono tumultuosi nella mente, e dinanzi all'odio che gli
prorompeva dall'anima, ogni altro odio rimaneva muto, e lo stesso
Vharè, il suo rivale, scompariva nel cocente desiderio di vendicarsi
della duchessina e di farla finita, magari con un delitto. Egli salutò
appena la Desirée, troppo commossa per poter notare il suo turbamento,
non salutò affatto il marchese che, ritto in piedi, appoggiato alla
parete e, mezzo nascosto da una sottana rossa e da un _bournous_
grigio che vi erano appesi, non lo guardò neppure, ed uscì all'aperto
dove si sfogò bestemmiando contro Lalla chiamandola una Faustina, una
Brunechilde, una Mirofleda, la peggiore, insomma delle eroine
baldracche della razza maledetta dai figli di Gioele... il _brenn_
della tribù di Karnak.

Rimasta sola con Giacomo, Andreina chiamò l'Assunta raccomandandole di
star bene attenta per avvisarla quando «_toccava a lei_»; e lasciato
che si chiudesse, come per caso, l'uscio del camerino dietro alla
donna che usciva, gettò le braccia al collo del Vharè, stringendolo
fortemente e lungamente.

Intanto la comparsa inaspettata del marchese di Vharè avea prodotto
sul palcoscenico un bolli bolli straordinario. I signori della
_Direzione_, ch'erano innamorati in blocco della Soleil, per godersela
da soli, almeno durante la recita, avevano proibito severamente
l'accesso sulla scena a chi non apparteneva allo spettacolo, facendo
solo una forzata eccezione per «i maledetti» giornalisti.

Quei tre o quattro vecchiotti, fra un atto e l'altro, volevano
mangiarsi tutti la _diva_, almeno cogli occhi, a pezzetti e a
bocconcini: beati di poterle baciar la mano, di stringerle il braccio,
di toccarle i fianchi, beati, gongolanti, quando potevano sorprenderla
un po' in disordine d'abbigliamento e non si movevano mai dal
palcoscenico, tenendola d'occhio con gelosia sospettosa. In quella
sera dunque, appena uno di costoro ebbe visto un intruso (e nientemeno
che il Vharè!) nel camerino della Soleil, corse a dare l'allarme al
_Presidente_. Il _Presidente_, montò su tutte le furie, come un Turco
alla vista del proprio harem violato da un infedele; chiamò d'urgenza
gli altri membri della _Direzione_, e tutti insieme, in un cantuccio
del palcoscenico, si accusarono, l'un l'altro, di poca energia, di
poca fermezza nel far eseguire gli ordini impartiti; ma poi tutte le
ire si rovesciarono sul capo innocente del _portiere_, al quale
intimarono lo sfratto, se il caso si fosse ripetuto. La sera dopo, il
Vharè si vide chiudere sul naso la porta del palcoscenico; ma non si
turbò: fece subito chiamare l'Assunta perchè avvertisse la padrona, e
Andreina, in tale circostanza, si mostrò la figlia... di sua madre.
Non si degnò nemmeno di venire a patti coi signori della _Direzione_,
i quali si erano chiusi nel loro _palchetto_ riservato, aspettando la
fine della burrasca. Invece, mandò a chiamare l'impresario e gliene
disse tante da stordirlo, strapazzandolo come un cane, protestando che
nel suo camerino volea essere padrona di ricevere chi le accomodava;
gridando che quelle _scenate_ succedevano solamente in provincia e
che, alla fin dei fini, il Vharè era il suo amante ed era padrone,
padronissimo di andare da lei quando e quanto voleva. Il _Presidente_,
o la Soleil non cantava, dovette togliere il _veto_; ma da quella sera
memorabile i signori della _Direzione_ mutarono affatto di contegno
verso Andreina. Non le fecero più la corte, non andarono più in
estasi, non si precipitarono più nel suo camerino per adorarla. Si
sparpagliavano invece nel teatro, dove facevano notare agli abbonati
che la _diva_ era giù di voce e non mettevano più come prima tutte le
mani, con mirabile accordo, sul fuoco, assicurando che il conte Pier
Luigi da Castiglione non le aveva nemmeno toccato un dito. Invece si
lasciavano fuggire certi mah!... certi uhm!... certi sorrisi
maliziosi, che esprimevano tutto il contrario. Poi, ultima vendetta,
sospesero, per economia, lo splendido e ricchissimo nastro col _sole_
trapunto all'un dei capi, ch'era stato ordinato apposta per la sua
serata, e non le fecero presentare dal servo di scena, altro che un
mediocre mazzo di fiori, con un nastruccio scozzese, vecchio e stinto.

Soltanto il _Presidente_, in fondo al cuore, rimaneva fedele agli
incanti della _diva_: in fondo al cuore, chè non si arrischiava di
contrariare, di mettersi in opposizione, co' suoi colleghi. Se però
gli altri non lo vedevano, egli, per far piacere ad Andreina, era
amabilissimo anche col Vharè; e quando il camerino della Soleil
rimaneva aperto, la adocchiava dalle quinte in faccia, coll'aria di
uno studentello innamorato, tenendosi, per paura di compromettersi,
mezzo nascosto dietro il pompiere. Tutte le volte che Andreina
attraversava le quinte, se lo trovava sempre fra i piedi, rosso e
timido. Con la _diva_, si arrischiava appena di sospirare, ma tutti i
suoi dispiaceri li confidava all'Assunta, che il buon vecchietto si
stringeva al cuore, paternamente, e regalava di zuccherini,
contentandosi, così, di poter abbracciare almeno la cameriera...
dell'oggetto amato.

Questi pettegolezzi, che correvano per Borghignano, arrivarono ben
presto, come si può credere, all'orecchio della contessa Della Valle,
la quale avea dovuto rinunciare improvvisamente al teatro per la morte
di un prozio materno, che dimorava in Sicilia. Dapprima essa ne fu
punta nell'amor proprio, e al Vharè, che cercava scusarsi, fece
qualche scenettina assai vivace; ma poi si rassegnò, si abituò, si
consolò quasi delle infedeltà del bel marchese.

E questa sua freddezza non era punto studiata. Non era una delle
solite simulazioni; la sentiva proprio spontanea nell'anima e cresceva
ogni giorno. Quando venne a sapere che, terminata la stagione d'opera,
la Soleil si sarebbe ancor fermata fino ai primi di maggio a
Borghignano, d'onde poi sarebbe partita per Genova e quindi per
l'America, Lalla non se ne curò, non ne parlò nemmeno col Vharè. Certo
gliene avrebbe parlato per avere una scusa di romperla con lui, se un
pacchetto di lettere, con un nastrino azzurro, e ch'ella sapeva ben
custodito in una scrivania del marchese, non l'avesse tenuta molto
inquieta e in dubbio sul da farsi. Sì, la duchessina Lalla avrebbe
voluto veder la fine di quell'intrighetto che da un momento all'altro
era diventato seccante; del quale adesso sentiva vivo il rimorso,
tanto che avrebbe fatto qualunque sacrificio pur di tornare indietro,
ai bei giorni nei quali si sentiva la coscienza netta, com'era prima
del loro incontro di Torino.

Ma Lalla confondeva col rimorso il disinganno e la noia. Adesso non
era più ambiziosa del Vharè, anzi evitava tutte le occasioni di farsi
vedere insieme, perchè ne sentiva quasi vergogna. L'opinione pubblica
di Borghignano lo aveva bello e spacciato. Lo sfuggivano tutti, lo
guardavano d'alto in basso, e al _club_ cercavano un pretesto per
mandarlo via. La generalessa e la Bertù gli avevano tolto il saluto;
il Toscolano riferiva che il Vharè andava tutti i giorni a desinare a
scrocco dalla Soleil; i due Lastafarda, quantunque gli facessero il
bello sul muso, perchè avevano paura di buscarsi una sciabolata, ne
dicevano di cotte e di crude sul suo conto. Fra le altre, il
Lastafarda _juniore_ contava questa: suo fratello aveva dato mille
lire al Vharè sulla parola, e non gli era stato più possibile di
riaverle. Ma chi addirittura montava in bestia, solo a sentirne
parlare, era Gianni Rebaldi, il quale era lì lì per ottenere un po' di
danaro in prestito da un usuraio, una perla del genere; ma l'usuraio,
vantando un credito sul Vharè, aspettava che questi lo pagasse per
avere la sommetta occorrente allo sconto della nuova cambiale. Il
Rebaldi, gliene diceva contro di tutti i colori, rimproverando al
Vharè di vivere alle spalle delle amanti, di far debiti e di non
pagarli. Quando poi venne a sapere che l'usuraio, non potendo
incassare i denari, si era accontentato, d'accordo con altri
creditori, di porre il sequestro sui mobili del marchese, rinunciando
per conseguenza a concludere l'affare con lui, egli si credette
derubato dal Vharè, e avrebbe voluto, nientemeno, che lo cacciassero
in prigione.

Lalla, quando udiva parlare di queste cose, si sentiva venire i
brividi.--Ah, se non ci fossero state quelle lettere!...--Ma, certe
volte, anche il profumato pacchetto, legato col nastrino azzurro, essa
lo vedeva messo sotto sequestro, e ciò la spingeva a pazientare, a
dissimulare finchè le fosse capitata l'occasione di fare un'ultima
visita nelle camerette di Giacomo e allora... allora trovare il modo e
il momento di portarsi via le sue lettere.

Dio, Dio, che felicità!...

Una volta si era arrischiata di ridomandarle; ma Giacomo le aveva
risposto, sospirando, ch'essa non le avrebbe riavute altro che dopo la
sua morte. Giacomo in vero, non ci teneva gran che, e aveva risposto
così per abitudine, per dire una delle sue solite galanterie alla
Byron e ben lontano dal sospettare quante inquietudini e quanti
sgomenti metteva in cuore, con tali parole, alla dolce amica.

Oh, come la duchessina, adesso, avrebbe obbedito volentieri alla sua
mamma, che le continuava a ripetere e a predicare,--che non le piaceva
punto di vederle quell'uomo sempre vicino!... Che era una cosa
sconveniente per ogni verso e che sarebbe stata la fonte di nuovi e
gravi dispiaceri.--A Borghignano i _vigili_ della morale, distratti
dai debiti del Vharè, dal gran successo della Soleil e dell'amore
accanito del conte Pier Luigi per la bella _diva_, ormai non si
occupavano più che tanto della contessa Della Valle, la quale per di
più, essendo in lutto, si lasciava vedere pochissimo. Quel suo
capriccetto sentimentale per il bel marchese, era una cosa alla quale
si credeva e non si credeva, ma che ormai aveva fatto il suo tempo:
_parce sepulto_; non se ne parlava più; Maria sola, non mutava; il suo
affetto era sempre vigilante, il suo pensiero fisso ad un punto e ogni
volta che incontrava il Vharè dalla sua figliuola, mostrava a Giacomo
la sua freddezza e non nascondeva a Lalla il suo malcontento. Sulle
prime Lalla s'inquietava un po' e un po' si scusava; ma un giorno che
sua madre tornò a rimproverarle quell'amicizia, ella si mise a
piangere e, gettandosi nelle braccia di Maria, la scongiurò
d'indicarle il modo di potersene liberare, chè davvero la frequenza
del Vharè le diveniva uggiosa e mortificante, dopo le chiacchiere che
correvano in giro.

--Gliene parlerò io, sei contenta?--domandò Maria alla figliuola, dopo
aver discusso un po' sul da farsi.

Lalla rispose che si metteva nelle sue mani e che avrebbe ubbidito in
tutto.--Certo,--pensava intanto fra sè,--prima di guastarmi con
Giacomo, bisogna che io riabbia le mie lettere; ma, ad ogni modo, non
sarebbe male che la mamma gli parlasse un pochino lei, severamente.
Ciò lo farà essere più guardingo, e potrà giovarmi per l'avvenire.

Giacomo di Vharè ci teneva molto, presentemente, a farsi vedere in
casa Della Valle e in casa d'Eleda. Finchè egli era ricevuto in quelle
due grandi famiglie, nessun altro poteva arrogarsi il diritto di
fargli sgarbi e, contenti o no, bisognava tollerarlo. Questo era
l'argomento più forte che consigliava al Vharè di tenersi ancora
legato a Lalla e che lo aveva spinto a ritornare dai d'Eleda, dove la
freddezza con la quale Maria lo trattava gli era compensata dalla
cordialità più espansiva di Prospero Anatolio, al quale il Vharè era
simpatico tanto quanta capiva che era antipatico a sua moglie. Il duca
lo riceveva gentilmente, appunto perchè sua moglie cercava di
allontanarlo, e ciò non per altro che per il gusto di contraddirla
sempre in tutto. In quanto ai pericoli che poteva correre sua figlia
per quell'amicizia, toccava a Giorgio a pensarci: egli non voleva
incaricarsene. Pier Luigi stesso, che una volta aveva voluto dire la
sua, non era stato allontanato da casa Della Valle?...--Oh, quella
lezioncina gli bastava; serviva d'esempio.

Pochi giorni dopo che Lalla si era confidata colla mamma, Giacomo,
senza punto sospettare ciò che gli doveva accadere, si presentò
tranquillo e sereno in casa d'Eleda. Maria, che non dubitava, che non
avrebbe mai dubitato, buona e santa com'era, di parlare coll'amante
della propria figlia, e lo teneva solo come un importuno che avrebbe
finito col comprometterla, lo accolse, questa volta, con straordinaria
affabilità, indotta a mostrarsi gentile dalle tristi condizioni del
Vharè, che nel suo cuore suscitavano una pietà viva e sincera.
Cominciò col dirgli ch'egli saprebbe certo scusare le ubbie, i
fantasmi che si crea una madre nelle sue continue inquietudini.
Aggiunse che il mondo era così sospettoso, che la riputazione di una
donna era tanto fragile da dover schivare ogni apparenza, anche la più
lieve, la più insignificante; e per tutto ciò concluse pregandolo di
volerle concedere un favore: diminuire la sua frequenza presso la
contessa Della Valle!... In quei mesi il conte Giorgio era sempre
lontano per il suo ufficio di deputato, e Lalla rimaneva sola, e
perciò dava maggiore appiglio ai commenti malevoli. Giacomo, a tali
parole, si sentì subito assai impacciato e tanto più che, oltre alla
sorpresa e un po' alle inquietudini che destava in lui un simile
discorso, la duchessa gli si rivelava ad un tratto, come non l'aveva
mai veduta, nè immaginata. Non era più la signora fredda e un po'
altezzosa; non era più la _Madonna di neve_ che gli parlava, ma dal
cuore di Maria prorompeva un'eloquenza così calda e appassionata, così
sincera e onesta che, commovendolo, mal suo grado lo turbava. E mentre
Maria credeva solamente di toccargli il cuore, ogni sua parola gli
penetrava invece tormentosa anche nella coscienza. Ad accrescere poi
la sua confusione, come se tutto ciò non bastasse, in quel punto
ch'egli stava per aprir bocca (o bene o male doveva pur rispondere
qualche cosa), ecco capitare Giorgio inaspettatamente: Giorgio Della
Valle, arrivato allor allora da Roma, e che apposta non si era fatto
annunziare, desiderando e sperando fare--alla mamma--una gradita
sorpresa.

Maria e il Vharè, com'è naturale, rimasero un po' confusi per
quell'apparizione; e tanto più in quel momento. Il Vharè, tuttavia,
fece presto a rimettersi, ed anzi, da uomo esperto, ne approfittò per
levarsi d'imbroglio, correre da Lalla e concertarsi a proposito del
sermoncino che gli aveva fatto la duchessa e che credeva, in buona
fede, dovesse recare molta meraviglia anche all'amica. Invece, il
conte Della Valle, il quale sperava una ben diversa accoglienza, non
riusciva a spiegarsi tanta confusione, tanta incertezza, tanta
freddezza. Una cosa sola era chiara, molto chiara: egli era capitato
assai male a proposito.

Il Vharè trovò Lalla nel solito salottino, ma non più avvolto nelle
tenebre, così care ai fidi colloqui. Dalle finestre socchiuse e dai
vetri colle tendine alzate il sole entrava allegramente, con tutto il
suo lusso di colori e di luce.

Lalla leggeva _Les rois en exil_ del Daudet, e quando vide Giacomo gli
stese la mano, senza nemmeno alzare il capo dal libro. Ormai erano
arrivati al punto, che il romanzetto vero di Giacomo aveva per lei
minori attrattive di quello stampato che teneva fra le mani.

--Vengo ora dalla duchessa.

--Hai veduta la mamma?

--Sì, e... mi ha parlato molto di te...

Lalla alzò il capo un momentino, ma lo chinò quasi subito, per tornare
a leggere.

--Mi ha fatto una gran predica!...--E Giacomo, parola per parola,
riferì a Lalla tutto quanto gli avea detto la duchessa Maria.

--Ero sicura che mia madre un dì o l'altro ti avrebbe tenuto un simile
discorso. Ieri, figurati, mi ha fatto una gran scena perchè, non so
chi, se la Bertù o la Calandrà, è andata a dirle di averti trovato
qui, da me. Una scena. Dio mio, che mi ha fatto star male tutto il
giorno. Lalla si asciugò una pronta lacrimetta, e sospirò, ma tenne
gli occhi sempre fissi sul libro e continuò a leggere.

--Sono corso apposta da te;--le disse Giacomo,--per sentire ciò che si
deve fare.

--Pur troppo... capisco: il vedersi... diventa ogni giorno più
difficile.

--E lo dici, così?...

--Ma io...

--Ma tu... tu sei come gli altri.--E Giacomo, invece del solito ghigno
beffardo, ebbe un sorriso tristo, doloroso.--Sì, cara contessa; è
tempo di finirla. Non le pare? Un buon colpo di revolver e buona
notte.

Lalla, a tali parole, si sentì assai turbata. A lei la vita sorrideva
ancora: qualche noia, qualche contrarietà, qualche leggero sgomento,
ma scomparivano presto, lasciandola pienamente felice. La morte per
Lalla era qualche cosa di lugubre, di spaventoso, e non l'avrebbe
augurata nemmeno al suo più fiero nemico; perciò, l'idea sola che il
Vharè fosse giunto al punto di desiderarla, le rivelava un'angoscia
così grande da inspirarle una pietà nuova e profonda.

Buttò via il libro, corse vicino a Giacomo per consolarlo e gli disse
che--se adesso egli la vedeva più timida e più paurosa doveva capire
che adesso lei non era più sola, ma che se tremava, tremava anche per
suo figlio. E quando Giacomo le domandò rassegnato che cosa voleva
ch'egli facesse e se doveva, come desiderava sua madre, non andarle
più in casa, Lalla gli rispose di sì, che ciò era assolutamente
necessario: poi saltandogli sulle ginocchia, sorridendo e baciandogli
i capelli, gli aggiunse a bassa voce, colla bocca appoggiata
all'orecchio:--Verrò io da te... se mi prometti di esser buono.

--Quando?

--Prometti prima che sarai buono, e che mi darai un bacio solo; sulla
fronte.

--Prometto.

--Giura.

--Giuro. Quando vieni?

Lalla alzò il capo seria, per riflettere. Essa voleva le sue lettere,
e se avea promesso di andare da lui, tanto valeva farla subito
quest'ultima scappata, perchè ogni dì che passava il pacchetto col
nastrino azzurro si trovava sempre in maggior pericolo.--Se quella
certa scrivania venisse messa all'incanto?...

--Domani,--rispose finalmente, dando a Giacomo un altro bacio sui
capelli. All'indomani, in fatti, suo marito aveva seduta al Consiglio
Provinciale e al Comizio Agrario. Giacomo la strinse al cuore
ringraziandola: in quel momento Lalla, forse perchè stava perdendola,
gli piaceva assai. Egli era poi così abbattuto: lo squallore, la
vergogna della miseria lo circondavano così da vicino, che si sentiva
consolare al contatto di quella donnina elegante, che gli spandeva
d'intorno come un ultimo raggio de' suoi lontani splendori.

--Dunque domani?--ripetè Giacomo alzandosi per andar via: non voleva
incontrarsi un'altra volta col marito.

--Sì. Domani.

--A che ora?

--Aspettami fino alle due. Ma...

--Ma?

Lalla non disse una parola di più: Giacomo vide passare ne' suoi occhi
il nome della Soleil.

--Cattiva!

--Un'altra cosa, signor marchese. Intendiamoci: non bisognerà
dimenticare ciò che mi ha giurato.

--Un bacio solo...

--E sulla fronte.--Lalla, civettina e stordita, fece una smorfietta di
una gravità così comica e così gentile, che Giacomo non potè
trattenersi dal sorridere e dal ripeterle che le voleva bene.

Quando il marchese di Vharè uscì dal salottino e passò nell'altra
camera, gli parve sentire qualcuno che si movesse dietro la porticina
che Lalla gli aveva fatto vedere fino dalla sua prima visita a
Borghignano. Si fermò su due piedi, aspettò un poco, voleva quasi
tornare indietro per avvertire Lalla; ma poi, non udendo più nulla e
pensando di essersi sbagliato, continuò diritto, tranquillamente, per
la sua strada.

Giacomo non si era sbagliato; da quella porticina avea avuto tempo di
scappar via la Nena.



XXIX.


La Nena era gelosa della sua padrona.

Il Frascolini l'aveva soggiogata moralmente e fisicamente; colle
carezze e colle botte, colla promessa di sposarla e colla minaccia di
piantarla su due piedi se non voleva fare ciò che comandava lui, cioè
spiare la signora contessa attentamente e riferire tutto ciò che
poteva vedere e sentire. La Nena, in sulle prime, si era adattata
assai di mala voglia al brutto mestiere; ma poi, per la gelosia, che
le si destò forte e pungente, cominciò a farlo con passione.

Appena la contessa Della Valle, ritornata da Roma, si era fermata a
Borghignano, il direttore dell'_Omnibus_, ormai cavaliere e persona
autorevole, si teneva sicuro di rientrare nelle buone grazie della
duchessina, alla quale non doveva parer vero, secondo lui, di
accogliere nel suo salotto una persona tanto ragguardevole. Perciò
egli si credeva in obbligo di sfoggiare colla Nena un'aria di
sussiego, certi atteggiamenti olimpici, che la mettevano sulle spine.

Un giorno poi,--figurarsi!--la poveretta lo vide tutto vestito di
nero, attillato, profumato e con un bellissimo occhio di vetro, che
per qualche ora cominciava a poter sopportare, e seppe dal Frascolini
stesso, che egli si era messo con tanto lusso, perchè doveva recarsi
verso le tre, dalla contessa Della Valle! La Nena prima si fece seria
seria; ma infine, vedendo che quell'altro non la guardava nemmeno, lo
scongiurò di non farla diventar matta gridando che se aveva in mente
di tradirla, sarebbe stato un bugiardo, un traditore, un infame.

Il Frascolini lasciò sfogare la tempesta senza scomporsi; quindi, con
molta gravità, cominciò a confortarla, assicurandola che, in ogni
caso, egli la avrebbe sempre avuta a cuore; che, del resto, dovea ben
capire come nella sua presente condizione egli non poteva
bamboleggiare col sentimentalismo; egli aveva una gran missione da
compiere, uno scopo da raggiungere. Il _Patto sociale_, simile
all'Ebreo Errante, camminava sempre senza fermarsi mai, e attraversata
la notte dei secoli, arrivava allora ai primi albori della civiltà. Il
_Terzo stato_ aveva fatto il suo tempo, il _quarto_ avanzava,
bisognava preparare il _quinto_. Del resto lui le avrebbe sempre
voluto bene, ma a condizione che non lo seccasse, che non gli facesse
perdere un tempo prezioso. Era inutile opporsi; lei del resto non lo
poteva capire, e perciò loro due non si potevano intendere. Questo
solo doveva mettersi in testa:

    «Non si trattien lo strale
    Quando dall'arco usci!

Ed egli, ormai, s'era lanciato.

La Nena, che aveva ascoltato Sandro cogli occhi spalancati, gli
confessò che non lo capiva affatto; ma che per quella visita ch'egli
voleva fare alla sua padrona, ella si sentiva stringere il cuore. Il
Frascolini perdette la pazienza, la strapazzò come un cane e la mandò
via.

Un'ora dopo, egli si avviava verso casa Della Valle lentamente, con un
gran batticuore, quantunque volesse fingere seco stesso di essere
franco e sicuro del fatto suo.

Egli vedeva ancora la signorina Lalla con quel suo vestitino succinto
di mussola bianca, gli occhi bassi, le guance soffuse di un leggero
incarnato; bella com'era bella l'ultimo giorno che si erano lasciati a
Borghignano, poco prima delle sue nozze, quando gli promise che
_dopo... si sarebbero riveduti_.--La signorina gliel'aveva promesso,
ma... Ma in fin dei conti toccava a lui di farsi innanzi per il primo;
non poteva pretendere che fosse la donna quella che lo venisse a
cercare. Adesso era cavaliere, quasi amico del duca Prospero Anatolio;
era direttore e proprietario dell'_Omnibus_... Una visita gliela
doveva.

Intanto, pensando a tutto ciò, era arrivato a casa Della Valle. Si
fermò sul portone colla scusa di guardare nel portafoglio se aveva
biglietti da visita; ma, in verità, si era preso quel momento per
rinfrancarsi, e poi entrò diritto colla risoluzione affannosa di chi
si getta, d'un salto, in una corrente di acqua fresca.

Il portiere, richiesto, vista l'eleganza del visitatore, rispose che
la padrona era in casa, che riceveva, e sonato il campanello lo
accompagnò fino ai piedi dello scalone. Sull'uscio dell'anticamera
c'era un servitore che fece entrare il Frascolini nella prima sala;
poi gli domandò il suo nome e andò ad annunziarlo. Tornò dopo averlo
fatto aspettare abbastanza perchè Sandro, consumata tutta la sua
provvista di coraggio, pentito, pauroso dell'atto temerario, al quale
non sapea più nemmen lui come avesse potuto risolversi, desiderasse
che Lalla non lo ricevesse per poter scappar via. Invece il servitore
lo pregò di seguirlo; ma non lo accompagnò nel salottino della
contessa, e Sandro, molto maravigliato, si trovò inaspettatamente
nello studio del signor conte e proprio a faccia a faccia con lui, il
tentennante, il _rosso di ieri_!...

Il Della Valle lo salutò appena, con un cenno del capo, e senza farlo
sedere, tenendolo in piedi vicino all'uscio, domandò che cosa il
cavalier Frascolini desiderava da sua moglie.

L'egregio uomo, direttore dell'_Omnibus_, in questa circostanza non
trovò più una gocciola di spirito e nemmeno un granellino di pepe; ma
si turbò, si perdette d'animo, ed in preda ad una gran confusione
balbettò coll'aria di chi sa di doversi discolpare,--ch'egli si era
recato dalla signora contessa, desiderando solo di presentarle i suoi
omaggi.--Allora Giorgio, fissandolo bene, gli rispose di essere
incaricato, appunto dalla signora contessa, di dispensarlo da ogni
obbligo: e detto ciò non aggiunse una parola di più, nè rispose agli
umili inchini del Frascolini che nell'andar via sbagliava gli usci,
non trovava la scala, maledicendo il momento che avea messo i piedi in
quella casa.

Ma trovatosi all'aria aperta gli ritornò subito il coraggio e la
cattiveria, e col bruciore addosso della brutta figura che aveva fatta
si arrovellò contro Lalla e contro Giorgio aggiungendo a tutto ciò che
avea sofferto anche la vergogna di quell'ultima umiliazione.

Però, quando rivide la Nena, non le riferì il cattivo esito della sua
visita: era stato uno smacco troppo forte. Invece ebbe reticenze,
misteri, i quali lasciavano sospettare chissà cosa alla povera grulla,
che temeva sempre le sfuggisse l'amante, e si sforzava non più per
difendere la padrona, ma per convincere Sandro che la signora contessa
avea tutt'altri in mente che lui. Gli riferì, allora, come la sua
padrona si era incontrata a Torino col marchese di Vharè, e a mano a
mano gli contò tutto ciò che le venne fatto di scoprire, non
sospettando mai che quel suo spionaggio potesse recar danno alla
contessa; ma sperando solo di strappar via dal cuore del proprio
innamorato ogni ricordo, ogni cara memoria.

Il Frascolini, più furbo della Nena, sapeva giocarla benissimo su
questo tasto. Dopo ch'egli ebbe scoperto il suo anello in dito al bel
marchese,--quell'anello che gli era costato tanti sacrifici e tanti
dispiaceri,--risoluto di vendicarsi e trovato il modo di farlo, per
metterlo in esecuzione lasciò capire alla ragazza che s'egli non aveva
prove più convincenti non avrebbe mai potuto credere che la contessa
Della Valle potesse incapricciarsi di un tristo soggetto dello stampo
del Vharè; ma che lei, la Nena, voleva ingannarlo pe' suoi fini; e
dopo di essere arrivato ad una tale conclusione taceva, pareva
distratto e sospirava.

La Nena che, oltre a tutto il resto, si sentiva accusare di falsità,
si pose all'opera con maggiore impegno e si tenne sempre vigilante,
spiando la sua padrona quando usciva, quando restava in casa, e
tenendo d'occhio chi andava e chi veniva. Appena il portiere sonava,
annunziando una visita, la Nena cacciava il capo fuori della
_galleria_ per vedere chi attraversava la corte, finchè, venuta la
volta del Vharè, essa, passando per l'uscio segreto che dava adito
alla stanza vicina al salottino, potè udire tutto ciò che dicevano il
signor marchese e la signora contessa. Ne sentì abbastanza, più di
quanto avrebbe creduto, e la sera, trovandosi come di solito, nei
viali deserti dei _Giardini pubblici_ col Frascolini, gli riferì ogni
cosa, pur di convincerlo che se voleva ancora sospirare per la sua
padrona, era fiato sprecato.

Sandro l'ascoltò attentamente, fermandosi su due piedi, per paura di
perdere una sillaba; e lì, sotto quelle piante che rendevano più
ingombra la luce cupa della sera, anche il suo occhio di vetro pareva
animato da una gioia selvaggia.

--Per la Madonna!--ghignò concitato quando la Nena ebbe finito di
parlare.--Adesso non mi scappano più! No!... ci sono caduti nella
rete, ci sono caduti!

--Gesù mio! Che cosa dici?... che cosa intendi di fare?...--esclamò la
Nena spaventata.

--Ciò che voglio fare non ti riguarda.

--Ma la mia padrona?

--Non ci devi pensare.

--No, no. Sandro, non voglio; non voglio che tu le faccia del male.
T'ho contato tutto, perchè ero gelosa, ecco, non per altro.

--Oh, non l'amo, no. Sta tranquilla che non l'amo e ne avrai presto la
prova.

La Nena, sbigottita, cominciava adesso ad aprire gli occhi e per la
prima volta si fermava nella sua corsa vertiginosa per riflettere, per
misurare tutte le conseguenze di quell'atto infame, commesso da lei
durante uno stordimento che l'avea spinta, trascinata giù giù, in
fondo all'abisso, senza ch'ella nemmeno se ne fosse accorta. Allora,
colle punture del rimorso nel suo cuore sconvolto dall'amore, ma non
ancora pervertito, tornò a ridestarsi tutto l'affetto per la
duchessina, la gratitudine per tutto ciò che le doveva; e pregò,
supplicò Sandro di acquietarsi, di perdonare alla signora contessa, di
promettere, di giurare che non le avrebbe fatto del male. Ma Sandro,
le mani in tasca, il capo basso, il cappello calato sul naso, invece
di lasciarsi commuovere e di rispondere, si era messo a fischiare la
_Marsigliese_; e la durò così, ingrugnito, quanto fu lunga la
passeggiata, finchè venuto il momento di tornare a casa, tentò di
cavarsela salutando in fretta e filando via. Ma la Nena gli corse
dietro e non lo lasciò, e Sandro dovette promettere che l'indomani si
sarebbe trovato in ufficio a mezzogiorno per aspettarla e che,
frattanto, non avrebbe tentato nulla contro nessuno.

La poveretta arrivò a casa più morta che viva: era sbalordita,
tremante, coll'angoscia paurosa di chi ha commesso un delitto. Quella
sera, per giunta, la signora contessa fu con lei ancora più buona del
solito; e quando ebbe finito di svestirla, le regalò una cappotta,
sulla quale Lalla sapeva che la sua cameriera teneva l'occhio da un
pezzo. La Nena si sentì stringere la gola nel ringraziarla, e quella
veste le pesò sull'anima come fosse di piombo.

Entrò nella sua camera barcollante, si cacciò presto nel letto e
avrebbe voluto addormentarsi per non isvegliarsi più. Ma il sonno,
invece, non voleva venire; smaniava, dava le volte pel letto, aveva
paura e si sentiva i brividi della febbre. Passò così buona parte
della notte finchè, colla stanchezza, riebbe un po' di calma.--Sandro,
pensava, non doveva essere affatto senza cuore e lei lo avrebbe tanto
pregato, che avrebbe finito col cedere. Al primo colpo, si sa, era
rimasto ferito nel vivo e non aveva voluto piegarsi, ma l'indomani,
certo, sarebbe stato più buono. Non era un birbante, non era una
canaglia. Alla fine egli aveva molti obblighi con lei, obblighi
sacrosanti. Ebbene, ella dimenticherebbe tutto, non gli domanderebbe
nemmeno più che la sposasse, a patto, per altro, che abbandonasse ogni
cattivo pensiero contro la padrona. Ma e... e se invece tenesse
duro?... Se fosse così... così cane, da non piegarsi a nessun
costo?... Ebbene, allora lei sarebbe tornata a casa e avrebbe
confessato tutto alla signora contessa... Sì, sì. La signora contessa
dovea essere salva e lei l'avrebbe salvata. Alla fine poi, mentre la
signora contessa e il signor marchese fissavano il loro convegno, non
li avea uditi che lei sola, e al caso, in un caso disperato, avrebbe
anche giurato e spergiurato di aver riferito il falso al Frascolini.

Così confortata, potè addormentarsi; ma la sua quiete durò poco. Si
svegliò quasi subito, sussultando, in preda a nuove angosce. Nel sogno
le era apparsa la faccia del Frascolini che la fissava con un ghigno
beffardo, feroce, e quella faccia s'ingrandiva a mano a mano che le si
avvicinava, e appariva mostruosa, mentre di sotto alla benda nera gli
colava, lungo la guancia, una riga di sangue. Ma la Nena non poteva
liberarsene; ormai le era addosso, la toccava e nello stesso tempo che
la vedeva chiara dinanzi, la sentiva sul petto greve, opprimente. Si
svegliò che credeva di soffocare; spalancò gli occhi; eccola ancora,
quella grinta, in mezzo al buio della cameretta!.... Accese il lume
impaurita, si provò a pregare; no, no, non poteva; aveva la mente
troppo sviata, troppo sconvolta. Si alzò che albeggiava. Il primo
oggetto che si presentò al suo sguardo fu la cappotta regalatale dalla
padrona. Allora la prese con tutt'e due le mani, la baciò quasi
devotamente, e riandando col pensiero le memorie più lontane della sua
infanzia, rammentava tutti i benefici ch'ella aveva ricevuti in quella
casa; l'assistenza, i soccorsi prodigati a sua madre, al babbo suo, e
quel comando di Lalla di non ritornare a _discorrere mai più col
Frascolini_.... Lei l'aveva disubbidita; aveva incontrato Sandro, di
nuovo si era messa a parlare con lui... Egli le disse che le voleva
sempre bene... la condusse lassù, in quel camerone buio, lungo, basso
come una prigione, pieno zeppo di ruote, di cavalletti, di macchine
che giravano, pestavano, fischiavano, mentre uomini sudici, col ceffo
annerito e con certi occhiacci che la divoravano viva, sembravano in
tutto quel fracasso d'inferno altrettante anime dannate; poi... poi,
senza saper come, da un momento all'altro, si trovò in una stanzetta
linda, silenziosa...

Per la prima volta sentiva adesso, adesso soltanto, tutto l'orrore
della propria colpa, come un ubriaco che, risvegliandosi dopo un lungo
sonno, a poco a poco si ricorda di aver commesso un delitto. A questo
strazio non potè reggere, cadde bocconi sul letto e mentre le pareva
di sentirsi nell'anima la maledizione de' suoi due vecchi, balbettava
singhiozzando:--Vergine Santa! Vergine Santa! Che cosa ho mai fatto!

Più tardi, quando ebbe vestita la sua padrona, prima del mezzodì, e
colla scusa di dover andare dal merciaio, corse dal Frascolini. Ma il
Frascolini non c'era, nè giù all'ufficio, nè su, in casa, e nemmeno in
stamperia.

La Nena si sentì una stretta al cuore: Sandro non le aveva mantenuta
la promessa. Ne domandò a un monello in camiciotto, con due occhietti
neri, maliziosi, luccicanti in una faccia scialba e sudicia, la pipa
in bocca e un berretto in testa, fatto con un giornale. Il monello
sbirciò la bella ragazza, strizzando l'occhio, tale quale come se
fosse stato un uomo di vent'anni, poi levandosi la pipa, sputando e
asciugandosi lentamente le labbra colla manica del camiciotto,
rispose:

--È il direttore che cerca? Il direttore è andato a... e movendo la
--mano aperta, distesa, all'un de' fianchi, il monello fece quell'atto
--che spiegava come Sandro fosse andato a mangiare.

--Tarderà molto a venire?

--Secondo l'appetito. Intanto può aspettare in ufficio.

--No, grazie.

--Come vuole.--E il monello, continuando a sbilucciarla, sputacchiò
un'altra volta per darsi importanza, poi, fischiettando con un certo
fare da menimpipo, infilò l'uscio della stamperia e scomparve.

La Nena era inquieta e sgomenta: aspettò sulla porta una mezz'ora
buona, salì di nuovo, nemmeno il _proto_ sapeva indicarle dove si
potesse trovare il signor direttore. Al caffè avevano mandato a
cercarlo, ma non c'era; non andava più lì, di fisso, a far colazione.

La poveretta era sulle spine e ogni minuto che passava pareva le
portasse via un tanto di fiato e di vita. Finalmente, quando già
cominciava a disperarsi, vide Sandro scantonare e avvicinarsi verso
casa.

--È un'ora che ti aspetto,--gli gridò la Nena appena fu dentro e si
trovò sola con lui...

--Se non volevi aspettarmi potevi andartene.

La Nena guardò attentamente il Frascolini: era più rosso del solito,
aveva la cravatta sciolta, ansava... doveva aver bevuto molto a
colazione.

--Sai che cosa mi avevi promesso, ieri sera?...

L'altro si strinse nelle spalle, schivando che il suo occhio
s'incontrasse negli occhi penetranti della ragazza--Ho da fare,
oggi,--le disse alla fine, tanto per liberarsene.

--Me ne vado via subito; soltanto voglio prima che tu mi prometta ciò
che non hai voluto promettermi ieri sera.

--Impossibile--rispose Sandro, strappandosi del tutto la cravatta,
perchè soffocava.

La Nena non si perdette d'animo e con quell'eloquenza che prorompe dal
cuore, tornò a scongiurarlo di perdonare alla Signora contessa e di
non farle del male. Gli disse che a questo solo patto ella sarebbe
stata la sua serva, la sua schiava, che egli non avrebbe più udito
dalla sua bocca nè un rimprovero, nè un lamento e che non gli avrebbe
più rinfacciato la pace, l'onore perduto. Gli ricordò la devozione, la
gratitudine che il padre di lui, il vecchio Frascolini, aveva sempre
serbata viva nell'anima per la signora duchessa, quella santa donna
che sarebbe morta d'affanno, se qualche disgrazia fosse toccata alla
sua figliuola; e siccome Sandro si era messo a fissarla come
intontito, la Nena lo credette commosso, gli gettò le braccia al collo
e continuò a pregarlo, a supplicarlo, coprendolo di carezze, di baci,
di lacrime finchè, vedendo che l'altro durava a star zitto,
esclamò:--Dunque, di' su, rispondi; mi fai questa grazia?... Posso
viver tranquilla, vero?... Posso viver tranquilla?

--Levati, via!... Mi secchi, mi fai caldo, così a ridosso,--esclamò il
Frascolini; poi con una certa precipitazione, come se volesse
liberarsi d'un gran peso,--dopo tutto,--concluse--è tempo perso per me
e per te. Tornare indietro adesso non si può; quel ch'è fatto, è
fatto.

La Nena diede un urlo e il Frascolini fu scosso dall'espressione
strana di sgomento, di dolore, d'ira, che apparve su quel volto
contratto. Allora, per vincere l'inquietudine da cui si sentiva
dominato, si pose a gridare, a urlare a sua volta, col braccio teso,
col pugno chiuso; pareva volesse percuotere un'immagine odiata ch'egli
si vedeva ritta dinanzi.

--M'hanno scacciato come un cane, nome d'un Dio!... Come un ladro! Tu
non lo sapevi questo, vero?... Fu lei, che ha fatto crepare mio padre
di dolore; fu lei, che mi ha avvelenata la vita, che mi ha guastato il
sangue, che mi ha strappato il cuore!... La cercavo io?... No. Ero
tranquillo, ero felice, ero onesto. Sì; onesto. È stata lei a
rovinarmi, a perdermi, a filtrarmi fuoco e tossico nell'aria che
respiravo. Sì!... Mi sono vendicato. Sì!... E per questo? Vita per
vita!... Pace per pace!... Onore per onore!... Alla gogna!--Alla
lanterna gli aristocratici, alla lanterna; nome d'un Dio!

La Nena pallida, fremente, cogli occhi torvi, gli afferrò il braccio
che teneva disteso, e stringendolo e strappandolo con una forza
nervosa, strana:--Rispondi--balbettò, palpitante.--Rispondi,
assassino; che cos'hai fatto?

Sandro era in preda ad una commozione, ad una eccitazione
indescrivibile. I fumi del vino che gli annebbiavano il cervello,
l'ira, l'odio che aveva nell'anima, i ricordi degli oltraggi e del suo
amore offeso, tutto ciò non riusciva, in quel momento, a soffocare il
rimorso! Egli giurava a sè stesso, alla Nena, a Dio, ai Santi che
aveva avuto ragione di vendicarsi come si era vendicato, che nemmeno
il Padre Eterno avrebbe avuto più pazienza di lui, che altrimenti
sarebbe stato uno stupido, un vigliacco: ma non osava di guardare la
Nena, e quanto più alzava la voce e smaniava, tanto meno riusciva a
nascondere, a soffocare quell'altra voce che gli usciva più forte
dalla coscienza.

--Assassino! Assassino!... Che cos'hai fatto?!--continuava a ripetere
la Nena, con voce rotta, convulsa, così dappresso ch'egli si sentiva
bruciare la faccia da quell'alito caldo.--A me, sai, non si può darla
ad intendere. A me non puoi venire a dirle le tue menzogne. Non puoi
parlare di giustizia, di diritto con me!... Che giustizia è la tua di
vendicarti su chi, anche, ti avesse fatto del male?... Mi vendico io
di te?... E me n'hai fatto del male!... Oh! se me n'hai fatto!... Ero
venuta a cercarti io?... Ti avevo strappato il cuore, attossicata
l'aria? No. E dunque, vita per vita, pace per pace, onore per onore,
non t'eri forse pagato abbastanza con me, assassino?

Sandro, così come gli appariva allora, non aveva mai veduta la Nena...
Non era più la fanciulla innamorata sommessa che gli stava dinanzi;
era un'altra donna. Al Frascolini pareva che in lei si fosse incarnato
il proprio rimorso. Lo sdegno di quella donna era più vero e più
giusto del suo; essa lo confondeva, lo schiacciava, e Sandro ne ebbe
paura. Allora, senza neppur sapere ciò che facesse o dicesse, a
strappi, confessando prima e poi contraddicendosi e negando, accusando
gli altri e difendendo se stesso, cercando scuse e pretesti,
cominciando col mentire e terminando coll'essere sincero, contò alla
Nena, con ogni più minuto particolare, l'infame vigliaccheria che
aveva commessa; e quando ebbe finito, senti come un grande sollievo a
non aver lui, lui solo, sulla coscienza, il peso enorme di
quell'odioso segreto.

La Nena lo ascoltò, ascoltò tutto, pallida, tremante, senza mai dire
una parola; poi, uscì ratta dalla camera, fece le scale a precipizio e
correndo, senza badare ai curiosi che si voltavano a guardarla, corse
subito a casa per cercare della signora contessa, per avvisarla di
tutto, per impedire ch'ella andasse dal Vharè, per salvarla. Alle due,
mancavano più di tre quarti d'ora. Oh, sarebbe arrivata ancora in
tempo!... La Vergine benedetta le avrebbe fatta questa grazia, questo
miracolo!...

Arrivata a casa, fece le scale di corsa, entrò nell'appartamento, ma
non trovò la signora, in nessun luogo. Era uscita per andare alla
messa, poi non era più tornata...--Certo,--le dissero le altre donne,
che la Nena aveva interrogate,--certo, doveva essere da sua madre.--La
Nena, tornò da capo a uscire, a correre con un orgasmo, che parea le
mettesse le ali ai piedi. Arrivò al palazzo d'Eleda stanca, sfinita,
anelante, fuori di sè, come una matta:--Dio, Dio!... Si faceva tardi:
forse non era più in tempo, forse la sua padrona era perduta...

--La signora contessa è qui?... è di sopra?--domandò al portiere,
senza pensare che mostrandosi tanto inquieta avrebbe finito col
destare sospetti.

--Sì; almeno lo credo. Per essere venuta è venuta di certo, mezz'ora
fa. Se per altro non è tornata via mentre io sono stato fuori per la
signora Luigia.

--Mi faccia il favore di domandare subito a Lorenzo se la mia padrona
c'è ancora.

--E se c'è, devo farle dire qualche cosa?

Il portiere era stato messo in grande curiosità dall'agitazione della
signora Nena.

--No... no. Mi basta di sapere se c'è; nient'altro che questo; ma per
carità... faccia presto!... faccia presto!

Se la sua padrona era lì, pensava intanto la Nena fra sè, lei
l'avrebbe aspettata in portineria, e quando fosse per uscire, le
avrebbe tenuto dietro e l'avrebbe avvertita di ogni cosa.

--Signora Nena! Signora Nena!--il portiere la chiamava, da una
finestra del primo piano.

La Nena passò subito nella corte e--c'è?!--gli domandò prima di
salire, con un'incertezza angosciosa.

--Venga di sopra, subito!--e il portiere, così dicendo, abbassò il
capo.--La povera donna credette, in quel modo, che l'altro avesse
inteso di rispondere affermativamente.

--Ah, benedetto Dio!... era ancora arrivata a tempo!--E consolata,
raggiante, non pensando nemmeno che per salvare la sua padrona avrebbe
dovuto cominciare coll'accusar sè stessa, fece le scale d'un salto.

--Dov'è?--chiese ansando al portiere, che l'aspettava in anticamera.

--La signora contessa è uscita adess'adesso. È la mia padrona che le
vuol parlare.--La Nena perdeva la testa, ma non ebbe tempo di
muoversi, se non basta di fuggire, che già la duchessa, in persona,
era comparsa sull'uscio. Il portiere, mentre cercava Lorenzo, aveva
incontrato la duchessa Maria, e richiesto da lei le aveva detto che
era salito perchè la Nena voleva sapere se c'era ancora la sua
padrona, e aggiunse che gli era sembrata inquieta, sconvolta. Udendo
ciò. Maria volle veder subito la Nena pel timore che fosse accaduta
qualche disgrazia.

--Che cos'è successo?... Che cosa vuoi dalla tua padrona?

--Nulla... volevo... Non è successo nulla, signora duchessa; stia
certa... Nulla... volevo...--Ma la Nena commossa, confusa, non sapeva
dire una parola, si confondeva, tremava, balbettava tanto che Maria,
vedendo tutto quel turbamento, mandò via il portiere e condotta la
Nena nella stanza attigua, le domandò vivamente, imperiosamente:--Che
cosa è accaduto?... Parla: di su; non m'inganni. Che cosa è accaduto?

--Nulla... Nulla...--e alla Nena le girava intorno tutta la stanza, le
si piegavano le ginocchia, le pareva di soffocare, di morire.

Maria indovinò, lesse su quella faccia alterata, stravolta, che Lalla
doveva correre qualche pericolo: e--Sono sua madre, intendi? Sono sua
madre!...--gridò alla Nena scotendola.--Rispondi, subito: che cosa è
successo?

--Nulla!...

--No. Devi dire la verità. Voglio sapere la verità.

--Ebbene...

--Ebbene?... Parla!... Ma parla, disgraziata!... Vuoi farmi morire?

La Nena, non potè resistere a quest'ultimo urto; non potè lottare, e
coll'abbandono disperato del naufrago che non ha più lena di opporsi
contro l'onda che lo percuote, che lo trascina, cadde ai piedi di
Maria e singhiozzando le svelò ogni cosa.

Maria, nello stesso tempo che a quelle parole si sentiva stringere il
cuore come in una morsa, trovò pure tanto coraggio, tanta energia,
quanta non ne aveva avuta mai. Vide, capì soltanto, che sua figlia era
in pericolo, e non pensò più che a salvarla. Si fece ripetere dalla
Nena tutto ciò che aveva saputo dal Frascolini, poi le ordinò di
ritornare a casa e di mostrarsi con tutti tranquilla e indifferente.
Si sarebbe abbandonata più tardi alle lacrime ed ai rimorsi, quando la
sua padrona fosse stata al sicuro. Per quella madre, Sandro, il Vharè,
la Nena erano tutti colpevoli, odiosamente colpevoli, ma sua figlia
no, o, almeno, non pensava alla sua parte di colpa; sua figlia non la
vedeva altro che in pericolo. Corse nella sua camera, si buttò addosso
una mantelletta nera, un velo fitto sugli occhi, e si avviò verso la
casa del Vharè. A che fare?... Non lo sapeva nemmeno; ma se non avesse
potuto salvare sua figlia l'avrebbe difesa, l'avrebbe protetta, se la
sarebbe portata via: era sua, non era di nessun altro. Lalla, sua
figlia; era sua.

Maria aveva saputo dove il Vharè stava di casa, poco tempo prima,
quando successe lo scambio dei biglietti di visita fra il marchese
Giacomo e il duca Prospero, per la morte dello zio.

Risoluta, con passo fermo, sicuro, non sentendosi più nemmeno
ammalata, arrivò alla casa del Vharè. Appena dentro alla porta, in
fondo alla scala, c'era di guardia il vecchio servitore di Giacomo.

--Da che parte si va dal vostro padrone?

--Non è in casa--rispose l'altro, un po' turbato.

--E in casa, è in casa. Accompagnatemi dal vostro padrone, subito.
Andate, presto!... Andate avanti; dov'è?

Il vecchio, a quelle parole e a tanta fermezza, non ebbe il coraggio
di opporsi e non sapeva che fare. Ad ogni modo, pensò che doveva
avvertire il suo padrone di quanto accadeva; corse su per le scale,
aprì l'uscio in fretta, ma in quel punto Maria, che lo aveva seguito,
con una spinta lo allontanò dalla porta ed entrò con impeto, mentre
l'altro gridava per dare l'allarme:--Padrone! signor padrone!

Il Vharè si presentò subito a Maria, ma questa non ebbe il tempo di
dirgli nulla: sentì un grido che le schiantò il cuore.

Era stato il grido di Lalla, che aveva riconosciuta sua madre.

--Vieni!... Vieni via! Forse siamo ancora a tempo. _Gli_ hanno scritto
una lettera anonima. Vieni via!

Lalla, spaventata, si mise a piangere, a balbettare parole sconnesse,
mentre confusa e tremante cercava, il cappello, la mantellina, i
guanti... Il Vharè rimaneva immobile, colla testa bassa, pallidissimo.
Egli, che sarebbe stato forte, impassibile contro il marito offeso,
dinanzi alla madre perdette tutta la sua audacia, si sentì colpevole e
vile.

Maria non gli rivolse una parola, non lo guardò nemmeno; non sentiva,
non vedeva, non capiva nulla, altro che una cosa sola: salvare sua
figlia. Lalla era pronta, stava già per uscire, quando Maria che si
era avvicinata alla finestra spiando dietro le tendine calate, diè
all'improvviso un grido soffocato, e presa e stretta sua figlia fra le
braccia, come per salvarla, con un atto d'indicibile sgomento le
additò un uomo nascosto fra le colonne esterne di una chiesa, che
faceva angolo in fondo della strada. Prima ancora di ravvisarlo, tutte
e due sentirono ch'era lui, Giorgio, e non s'ingannarono punto:
Giorgio, immobile, le braccia incrociate sul petto e lo sguardo fisso
sulla porta di quella casa maledetta. Doveva esservi giunto allora
allora: Maria, quando era passata di là, avea guardato bene; non c'era
nessuno.

Giorgio, infatti, era lì fermo da pochi istanti.

Quel giorno al tocco, lo si sapeva, era aspettato alla sede del
_Comizio Agrario_; ma invece la seduta era andata deserta. Egli
allora, era una bella giornata di sole, ritornò a casa per prendere
Lalla e fare insieme una passeggiata. Anche il Della Valle, come prima
la Nena, sentì che Lalla non c'era, ma anch'egli pensò subito che
l'avrebbe trovata da sua madre. Prima per altro, come faceva spesso,
passò dal suo studio per vedere se fossero arrivate lettere od
altro.--Trovò il suo ragioniere, parlò di affari con lui, gli diede
alcuni ordini e già stava per andarsene, quando l'altro gli additò una
lettera e una gazzetta appena arrivate. Il Della Valle guardò l'una e
l'altra distrattamente, poi buttò il giornale e tenne la lettera.
L'indirizzo era scritto con una calligrafia ignota; anzi, a guardarci
bene, era una calligrafia a sghimbescio, ammaccata, piena di
adulterazioni studiate. Ciò lo mise in sospetto. Osservò il bollo: era
di città; la data: quella dell'ultima impostazione. Doveva essere,
senza dubbio, una lettera anonima, e diè un'alzata di spalle! Nelle
noie, nei triboli della sua vita pubblica, erano queste le spine meno
pungenti. Sorridendo stracciò la busta, e come aspettandosi una
buffonata cominciò a leggere tranquillamente; ma poi, dopo le prime
parole, trasalì, oscurandosi in viso:

«Signor conte!

«Se non siete un vile, se vi sta a cuore l'onor vostro e quello della
vostra famiglia, oggi alle due dovete recarvi in persona a fare una
visita al vostro amico, il marchese Giacomo di Vharè. Chi ve ne
consiglia, sappiatelo, è la Giustizia di Dio!»

--Ah, no, no, no!... Questo è un tiro di quel farabutto del
Frascolini!--esclamò Giorgio calmato il primo impeto, e si strinse
nelle spalle e stracciò la lettera.--Un uomo onesto, un uomo che si
rispetta, non tiene nessun calcolo delle lettere anonime--pensava fra
sè. Certo; doveva averla scritta il Frascolini, per vendicarsi
d'essere stato messo alla porta!... Canaglia, buffone!... «_Andate
alle due dal vostro amico, il marchese Giacomo di Vharè, se vi sta a
cuore l'onor vostro e quello della vostra famiglia!..._»--Ha proprio
trovato, l'imbecille, chi ci casca nella rete. Ma... con che scopo mi
scrive così? Anche ammesso che io fossi tanto gonzo, una volta che ci
andassi, che cosa avrebbe ottenuto?...--Così, a poco a poco, senza
accorgersene, cominciò ad essere inquieto. Di sua moglie era sicuro;
per altro, con quella lettera, si voleva alludere a lei. Ripetè seco
stesso che sarebbe stato un vile, peggio del Frascolini, se avesse
dubitato di sua moglie, per una lettera anonima. Di sua moglie era
sicuro, non arrivava nemmeno a concepire un dubbio così mostruoso; ma,
ad ogni modo, perchè si scrivesse a lui in quella forma, perchè lo si
volesse fare andar lui, quel giorno, dal Vharè, chi scriveva doveva
aver preso un qualche equivoco.--Giorgio era sicuro di Lalla, tuttavia
lo turbava quel nome del Vharè, messo lì per eccitare la sua gelosia.
Perchè avevano scelto il Vharè?... proprio il Vharè? Dunque si era
detto in giro che costui faceva la corte a sua moglie?... In
conclusione, quella lettera cominciava a fare il suo effetto, e già
egli voleva accertarsi che era una menzogna, che era una calunnia
infame; e pensò ad una scusa, ad un pretesto per poter andare dal
marchese. Perchè ci voleva un pretesto. Se il Vharè avesse indovinato
qualche cosa, egli avrebbe fatto una figura ridicola. Ma infine, non
andarci e tenersi addosso quella febbre?... Se la lettera avesse
accusata apertamente Lalla, forse lo avrebbe meno inquietato; ma
quella forma sibillina, quel reciso consiglio di andare dal Vharè alle
_due_ proprio alle _due_?... Che scopo ci doveva essere per mandarlo
là a quell'ora? Non avrebbero potuto inventare qualche cosa di meglio?
Un ordito più ingegnoso e che non si potesse così subito mettere in
chiaro?... E Giorgio, attratto da una forza che vinceva ogni
ragionamento, persuaso che non avrebbe dovuto essere così debole,
sicuro che commetteva quasi una bassezza, ma pur tuttavia volendo fare
ciò che gli avrebbe ridata la pace e la quiete, anche a costo di esser
lui più tardi il primo a ridere di sè stesso, volle vedere,
verificare, toccare con mano che quella lettera era stata scritta da
un bugiardo, infame, e per di più da uno sciocco: bugiardo, perchè
mentiva; infame perchè calunniava sotto l'anonimo, e sciocco perchè
non aveva saputo immaginare una falsità più verosimile.--E se lo scopo
dell'anonimo fosse quello soltanto di burlarsi di lui per ridere alle
sue spalle?...--Un tal pensiero lo trattenne a mezza strada... e lo
fermò appunto, sotto la chiesa. Era inquieto, titubante e anche un po'
si vergognava di sè stesso, perchè infine, il fatto di fermarsi a
spiare era un'azionaccia indegna.--Ma dopo, sarebbe stato così
tranquilla, così felice!

Era lì da qualche tempo e aspettava, e non vedendo alcuno nè entrare
nè uscire, persuaso e convinto di aver avuto torto a muoversi, stava
per andar via, quando si affacciò sotto la porta, dove il suo occhio
era sempre fisso, il marchese di Vharè. Giacomo uscì, venne verso la
chiesa tenendosi sul marciapiede opposto, e tirò diritto senza
guardare nemmeno dalla parte dov'era il conte Della Valle.

Ma il cuore?... il presentimento?... il Vharè passava diritto e
sicuro; eppure a Giorgio sembrò di notare in lui qualche cosa di
strano, di irresoluto, qualche cosa che non era naturale; e invece di
andarsene, rimase fermo, guardando fisso quella porta che pareva
volesse bruciare cogli occhi.

Su, intanto, in casa del Vharè, Maria e Lalla erano in un tormento di
disperazione. Lalla inginocchiata, piangeva sempre, nascondendo la
faccia nelle vesti di sua madre che, rigida e stecchita, nascosta
dietro la tendina, non respirava, non viveva altro che per gli occhi,
intenti in quell'uomo, sempre immobile laggiù, fra le colonne della
chiesa.

Era stata lei che aveva consigliato al Vharè di uscire. In mezzo allo
sgomento di tutti, lei, lei sola, per amore di sua figlia, conservava
ancora un po' di coraggio, un po' di fermezza.

--Signor Vharè... provi ad uscire--gli aveva detto:--e qualunque cosa
accada, per ora, non ritorni più qui. Chi sa, vedendolo andar via
solo, non vedendo più nessuno, chi sa ch'egli non possa calmarsi e
credere di essere stato ingannato.

Il Vharè non rispose una parola. Non ebbe il coraggio nemmeno di
alzare gli occhi; ma con una obbedienza passiva e rispettosa, fece
quanto gli veniva imposto. La duchessa Maria, pallidissima e anelante,
tornò a guardare fissa dalla finestra.

Lalla era tramortita e si vedeva perduta da un momento all'altro, e
perciò, per lo spavento che le legava il cuore, sentiva un gran
conforto dalla presenza di sua madre. Le stava vicina piangendo,
inginocchiata e tenendosi colle mani stretta alle vesti di Maria.

--È andato?... Se ne va?... Si muove?...--chiese poi a sua madre, con
un fil di voce, senza osare di alzarsi a guardar lei dalla finestra,
quando le sembrò che il Vharè dovesse ormai essere passato dalla
chiesa, ed anche scomparso dalla strada.

--No!--rispose Maria colla disperazione sorda di chi ha perduta anche
l'ultima speranza.

--Dio, Dio mio!--balbettò Lalla, torcendosi le mani con un altro
scoppio di pianto dirotto,--Dio! Dio mio!... Che cosa fa fare la
passione! Tu non sai, mamma; tu non sai!

--Io non so?... Io?...--Maria, a tali parole, si sentì scuotere tutta,
si sentì vacillare come se una mano invisibile l'avesse percossa sulla
faccia, e le sembrò allora, in quel momento, che tutta la storia della
sua vita così addolorata, le si sollevasse viva dinanzi. Anche Maria
aveva la febbre, anche Maria delirava. Le più forti commozioni, mille
opposti sentimenti si affollavano, si confondevano in lei; e mentre
rimaneva immobile, palpitante per il disonore, per l'infamia che
minacciava sua figlia, già l'audacia di un sacrificio ch'ella aveva
appena intravveduto, ma che sentiva pure di dover accettare ad ogni
costo, perchè sola poteva salvare sua figlia, le sgominava la
coscienza, le straziava l'anima. Era un sacrificio supremo e
terribile, era lo schianto di tutto il suo cuore, era la sua ultima
speranza perduta, la sua ultima illusione svanita; era l'orgoglio, era
il santo pudore della donna che in lei rimaneva mortalmente offeso,
era Giorgio, Giorgio che l'avrebbe derisa, disprezzata, maledetta!...
Era l'urto dei due sentimenti più forti della sua vita che
s'incontravano, che davan di cozzo fra di loro per abbatterla, per
ucciderla.

--Io non la conosco la passione?... Io non la conosco?... T'inganni,
sai, Lalla... Son vent'anni che la conosco, è da vent'anni che mi
tenta, è da vent'anni che mi fa piangere, che mi fa soffrire, che mi
strazia, ed oggi... oggi, sì, ha vinto lei; però è riuscita ad
uccidermi, ma non è riuscita a perdermi,--Io non la conosco la
passione?... E sei tu, tu, che inginocchiata, fra le lacrime ed i
rimorsi, non trovi altra difesa alla tua colpa che in un insulto al
mio dolore. Ma sai che io ebbi il coraggio di fuggirlo l'uomo che
amavo, e che colle mie stesse mani ho voluto e ho saputo cancellare
dal suo cuore ogni memoria, ogni ricordo mio? E sai tu quando, dopo
averlo pianto con tutte le mie lacrime per anni ed anni, senza averlo
potuto mai dimenticare nemmeno per un giorno, nemmeno per un'ora, sai
tu quando l'ho riveduto?... Quando venne a chiedermi in moglie mia
figlia!... Ed io mia figlia gliel'ho data in moglie, e lo amavo, sai,
Lalla, e lo amo; tanto è vero che muoio!...

--Lui?... Giorgio!...--esclamò Lalla, guardando sua madre
esterrefatta.

--Sì... tuo marito; tuo marito che oggi vedrà me uscire da questa casa
e crederà che io sia l'amante di un uomo che è corrotto, che è vile,
infame, quanto tuo marito è grande, è nobile, è bello!... Sì...
Giorgio!... Sì... anche l'ultima mia speranza mi deride, la speranza
di essere ricordata come una madre adorata, come una donna onesta;
anche l'unico sentimento che mi era concesso di ottenere da lui, e che
mi era pur tanto caro, la sua stima, oggi la perdo per sempre. Ma che
importa?... Nel mio stesso sacrificio sento più viva, più grande la
mia passione; e se non mi è dato di amarlo, sono io, io sola, che in
questo momento può difendere, può salvare la sua quiete, la sua
felicità, la sua vita... e la tua!--Maria, così dicendo, cogli occhi
scintillanti, bella, più bella nel suo amore, nel suo dolore, nel suo
coraggio, pareva godere, fremendo, la voluttà di quello spasimo
supremo, e abbassato, il velo sugli occhi si strinse nella mantellina
e si avviò per uscire.

--No!... No!... Non voglio!--gridò Lalla, non più singhiozzando, ma
guardando sua madre con un'espressione di maraviglia, di sgomento e
anche quasi di gelosia ne' suoi occhi spauriti.--No, no, non voglio!--

--Lasciami!... Lasciami passare!... Domando a Dio, domando a te per
tutto quanto ho sofferto, una grazia... una grazia sola: quella di
poterti salvare.--Va via! Alzati!... Tu non puoi impedire a me, a tua
madre, di salvarti. Alzati! Va via!... Te lo impongo. Io sola, qui, ho
diritto di comandare e di sacrificarmi; tu questo diritto non l'hai,
tu devi ubbidire. Va!... Va! Lasciami passare!...--Maria più forte di
Lalla in quell'istante, l'afferrò per un braccio e dopo averla
violentemente strappata dall'uscio la condusse vicino alla finestra
e--sta attenta,--le disse concitata, indicandole Giorgio,--tra poco lo
vedrai... lo vedrai muoversi di là... forse per seguirmi... forse...
per fuggire. Tu allora potrai scendere, potrai salvarti. Bada!... Al
mondo non ho più nulla, altro che te. Devi salvarti, te lo comando;
devi salvarti, perchè tu sei ancora l'ultimo anelito di questo cuore
che s'infrange. Salvati, o mi farai maledire la mia virtù, il mio
sacrificio, la mia vita; salvati, o mi farai morire dannata!--E uscì
ratta, sciogliendosi con un urto violento dalle braccia, dalle mani di
Lalla che tremante, le si aggrappava d'intorno, tentando invano di
trattenerla.

Lalla rimase interdetta, stordita; ma poi, trovandosi sola, il
pericolo che correva la fece presto rientrare in sè stessa. Si
avvicinò alla finestra, tenendosi sempre nascosta dietro le tendine,
trattenendo fino il respiro, tanto aveva timore di poter essere
scoperta. Giorgio era lontano, ma lo vedeva bene. Aspettò con un
battito di cuore angoscioso; ci fu un punto in cui lo vide trasalire
con una scossa di tutta la persona: indovinò che sua madre, in quel
momento gli era passata dinanzi. Poco dopo, lo vide uscire barcollante
dalle colonne della chiesa, guardarsi attorno sospettoso e sparire.
Allora... oh, allora sentì che era salva!... Si accomodò in fretta le
vesti, la mantellina, il cappello; si guardò attorno un'altra volta,
come incerta, esitante, poi, ad un tratto, parve risolversi e si
avvicinò alla scrivania, aprì un cassetto: c'erano le sue lettere
unite insieme, legate col nastrino azzurro. Le prese, rinchiuse il
cassetto, le cacciò in tasca, abbassò il velo, si strinse nelle vesti,
scese a volo giù dalle scale e corse a casa lesta, spedita.

Giorgio, quel giorno, salì da sua moglie più tardi del solito. Aveva
girato a lungo per le strade più deserte di Borghignano; voleva
stordirsi, voleva calmarsi. Si sentiva sconvolto e umiliato dalla
dolorosa e vergognosa scoperta. Non domandò nemmeno al portiere se
Lalla era rientrata; ormai non pensava, non ricordava più che, quando
prima l'aveva cercata, sua moglie era fuori. La trovò nel salotto
sola, che lavorava coll'uncinetto una piccola cuffia da bambino.
Giorgio si sentì stringere il cuore e baciò Lalla sui capelli, colle
labbra che gli bruciavano dalla febbre; poi ebbe appena il tempo di
fuggire nella sua camera, perchè si sentiva soffocare dalle lacrime.

Quando riapparve, all'ora del pranzo, disse a Lalla ch'egli si sentiva
poco bene, ma le prodigò le cure più affettuose, più tenere, che
lasciavano scorgere in lui qualche cosa di triste, di melanconico,
un'espressione di compianto indefinibile. Giorgio non si stancava di
accarezzarla, le dimostrava tutto il suo amore, come se volesse amarla
e consolarla anche per la mamma... che la poveretta non aveva più.

Lalla seria, mesta, riceveva quelle carezze con una docilità timida,
quasi paurosa. Cogli occhi scuri, profondi guardava lungamente suo
marito, quando egli non la vedeva, e il suo sguardo era inquieto e
appassionato: lo guardava come non lo aveva guardato mai, a volte
facendosi pallida pallida, a volte diventando rossa, di fuoco.



XXX.


Trascorsi in pace alcuni giorni e riposatasi alquanto dal gran
pericolo che aveva corso, la contessa Lalla era tuttavia sempre
assorta col pensiero nelle vicende di quel momento tanto angoscioso e
terribile. Vedeva ancora sua madre fremere di amore e di dolore, nel
compiere l'ineffabile sacrificio; sentiva ancora, nell'anima, l'eco di
quelle parole che Maria le aveva gettate in faccia calde, vive,
sanguinanti, come i brani di un cuore infranto, e tutto ciò mentre si
agitavano in lei, mentre correvano nel suo sangue le prime fiamme di
quella istessa passione. Giorgio le appariva come non le era apparso
mai: anche Lalla, adesso, lo vedeva grande, nobile; lo vedeva bello.
Quando egli parlava, non era più distratta, non lo interrompeva più
per uno scherzo, per un nonnulla, ma lo ascoltava silenziosa,
fissandolo con dolcezza infinita, come se da quella sua voce adorata
ricevesse intime seduzioni. Lo cercava sempre, gli era sempre
d'attorno, continuamente, quantunque cominciasse a sentire una
soggezione indefinibile alla presenza di Giorgio, una timidezza
strana!.... Arrossiva quando egli le si avvicinava; le sue parole la
turbavano e rimaneva colpita e mortificata dalla devozione cieca
ch'egli aveva per lei: ma tuttavia era beata quando Giorgio stava lì a
vezzeggiarla, a sorriderle, a ripeterle che le voleva tutto un mondo
di bene. Adesso Lalla non gli faceva più scene, non aveva più
capricci, non era più lei che comandava; ma era docile e sottomessa,
esprimendo in ogni suo atto una tenerezza affettuosa e rispettosa.

Come si era mutata in poco tempo!... Giorgio, consolato, credeva di
dover tutta quella trasformazione alla donna che diventava madre.
Lalla non era più frivola, non era più permalosa, ma era triste spesso
e malinconica, era diventata una donnina raccolta e pensierosa.

Il segreto di simile cambiamento era... era l'amore: Lalla cominciava
ad amare e si sentiva infelice. Cominciava ad amare suo marito come
non lo aveva amato mai; come, così, non aveva mai amato nemmeno
_quell'altro_: cominciava adesso ad amare per la prima volta. Ma
Lalla, a cui tutto pareva sorridere, Lalla, che si sarebbe creduto
avesse tanta e così sconfinata felicità d'intorno quanto ha la rondine
d'aria e di cielo, era invece infelicissima. A mano a mano che il suo
cuore cominciava e vivere, a battere, il suo cuore sentiva più fiera,
più acuta la voce interna del rimorso, e allora il sacrificio quasi
disumano di sua madre le pesava più della colpa. Subiva strazi e
punture atroci, tanto che un giorno, in preda ad una convulsione
disperata, pensò di buttarsi ginocchioni dinanzi a suo marito, pensò
di svelargli, di confessargli tutto; poi non ebbe il coraggio di
farlo, non già che si sentisse vile, ma perchè, dopo, egli non
l'avrebbe più amata. E Lalla, a costo di perdere la pace per sempre, a
costo di soffrire per sempre l'affanno per quel rimorso, a costo di
finire dannata, non voleva perdere, non voleva, non poteva rinunziare
all'amore di Giorgio.

La sua mente, il suo spirito, erano in continua agitazione, in
continuo tormento. Tra le sue angosce c'era anche la ripugnanza
ch'ella sentiva adesso per il Vharè, una ripugnanza strana e dolorosa,
che alle volte rivolgeva contro sè stessa, perchè le pareva di
sentirsi tutto il corpo insudiciato da quella colpa. Allora non era
più antipatia, non era più ripulsione che il Vharè destava in lei; ma
lo odiava coll'odio quasi feroce della donna disamorata che ha ceduto
in un momento di debolezza o di abbandono dei sensi.

Ogni volta che suo marito, accarezzandola, alludeva alla propria
contentezza, alle intime gioie che gli risvegliava nel cuore quella
creaturina non ancora nata, ma già tanto viva al suo affetto, sembrava
a Lalla di vedere il Vharè mettersi fra di loro come un fantasma, per
mutare in uno spasimo di rimorso la cara voluttà delle più dolci
carezze. Lalla non poteva mai essere sola con Giorgio; l'immagine del
Vharè non la lasciava un istante!... Allora, per fuggirla, per
cancellarla, sentiva il bisogno di stordirsi e di nascondersi in mezzo
a tutti i suoi cari; ma anche lì era aspettata e tormentata da nuovi
dolori. Giorgio credeva sua madre colpevole, colpevole del suo proprio
delitto!... Egli voleva, tentava di nascondere in fondo all'anima
l'odioso segreto, ma come nel suo contegno, ed anche nella sua
rispettosa tenerezza verso la mamma, come si era fatto diverso! E
come, per quanto si sforzassero di dissimulare, era tutto ciò
indovinato e _sentito_ nello stesso tempo, da tutte e due!... Giorgio
per di più, in quell'inganno così perfido nel quale era stato avvolto,
non dubitava nemmanco che Maria sapesse com'egli l'aveva veduta uscire
dalla casa del Vharè, e, perciò, non la supponeva attenta ad ogni sua
parola, ad ogni suo atto, nè immaginava punto che una sola risposta
data di malumore potesse inasprire la ferita profonda.

Lalla cercava sempre di attenuare l'insulto di quella freddezza; ma,
senza volerlo, non riusciva ad altro che a renderla più evidente. Il
suo dovere, lo sapeva, sarebbe stato quello di gridare a Giorgio:--Mia
madre è innocente, mia madre è una santa!... Io, io sola, sono
colpevole; mia madre si è sacrificata per me, per salvarmi!--Ma,
allora, come la mamma sarebbe apparsa grande e splendida e bella agli
occhi di Giorgio e come lei sarebbe caduta giù giù, in basso, nel
fango! E a questi pensieri, fra il rimorso, il dolore, il pentimento,
sentiva pure la gelosia acuta che le penetrava nell'anima contro
quella virtù tanto sublime, contro quell'amore tanto grande!... Lalla
era combattuta da mille opposti sentimenti, e forse da quella lotta,
da quell'urto medesimo, erano uscite le prime scintille del nuovo
incendio.--No, no; Giorgio era suo; alla mamma avrebbe ceduto, in
compenso, la sua parte di Paradiso, ma suo marito no; suo marito non
doveva amare altri che lei, solamente lei!--E impaurita, pregava Dio
perchè confortasse la mamma e le infondesse nuovo coraggio, e la sua
preghiera le usciva dal cuore calda, sentita, appassionata. Era sicura
che sua madre non l'avrebbe tradita, che sarebbe morta senza dire una
parola, senza mai un lamento, e nel disordine dei suoi pensieri e dei
suoi affetti, di contro agl'impeti della gelosia, le prorompeva dal
cuore la gratitudine più viva per la mamma buona che si sacrificava
per lei, che le aveva conservato l'amore e la stima di Giorgio!...

No, no, la mamma moriva, ma rimaneva forte e muta, e nella santa
poesia della fede credeva non solo di aver salvato la figliuola sua,
ma di averla redenta, e ciò la consolava nella rovina, nella disfatta
del cuore. Maria aveva perduta anche l'ultima e la sua più dolce
speranza: quella di lasciare a Giorgio una memoria cara di sè: egli
l'avrebbe maledetta, l'avrebbe ricordata con orrore, si sarebbe fatto
cupo ogni qualvolta avesse udito pronunciare il suo nome: eppure Maria
era tanto e ancora e così supremamente madre, da tremare che Lalla in
avvenire potesse mai scoprirsi con Giorgio, forse vinta, forse tradita
da un impeto di dolore o di rimorso o di amore.

Il male, intanto, cresceva rapidamente; ma la febbre che la teneva in
vita, la rendeva più colorita e più bella. Certo, ogni volta ch'ella
incontrava Giorgio e leggeva il disprezzo ne' suoi occhi, era per la
poveretta un urto violento che la spingeva più presto verso la fine;
certo, notando come Giorgio cercava di allontanare Lalla da lei, e
notando come diventava pallido e cupo quando vedeva sua moglie--il suo
amore, la sua donnina cara, idolatrata--a darle un bacio od a farle
una carezza, quasi temendo ne dovesse rimanere offeso l'ingenuo
candore, certo Maria sentiva allora che quel suo amato era lui, lui
stesso che la uccideva!... Era uno stato di cose che non poteva
durare; era troppo penoso; e tutti e tre, ma per vie diverse, e non
sapendo nulla l'uno dell'altro, pensavano ad un modo qualunque di
poterne uscire.

Un giorno, Prospero Anatolio fece la proposta di andare a Palermo
tutti insieme: Maria, Lalla, Giorgio e la Giulia. Egli vi si doveva
recar con sua moglie, per l'eredità dello zio, che vi avevano da
raccogliere, ed era una bella occasione per visitare la Sicilia. Un
viaggetto di un paio di mesi in quella stagione e colla Giulia in
compagnia, sarebbe stato piacevolissimo!

Ma Giorgio, udite appena le parole dello suocero, guardò Lalla
facendole segno di no; e l'atto fu notato anche dalla duchessa Maria.
Maria, subito, non potè nemmeno parlare, ma appena vinta la commozione
si oppose alla partenza con straordinaria vivacità.--Quel
viaggio--disse a Prospero Anatolio--lo dovevano fare loro due soli e
in fretta, perchè lei non desiderava di rimanere molto tempo fuori di
Borghignano; e poi doveva essere un viaggio d'affari e non una gita di
piacere, anche per un riguardo al loro lutto. Aggiunse di più che
stava sempre poco bene, che capiva di non poter essere una piacevole
compagna, e che lei stessa ormai si trovava meglio quando era
sola.--Erano tutte scuse di nessun peso, ma la duchessa le espresse
con un tono così risoluto, con una concitazione così precipitata, che
nessuno osò contraddirla... e Prospero Anatolio meno degli altri. In
tanti anni di matrimonio, sua moglie non gli aveva mai espressa la
propria volontà in un modo così fermo altro che una sol volta--e c'era
passato molto tempo--quando all'epoca della de Haute-Cour aveva voluto
dividersi e ritirarsi a Santo Fiore. Al duca Prospero, anche adesso,
sembrò di vedere sotto quell'ostinazione qualche cosa di simile e
dubitò che Maria avesse indovinato le sue platoniche tenerezze verso
la Giulia; però, subito, non disse verbo, sorridendo anzi per quel
capriccetto della moglie, ma poi facendole subire, quando furono soli,
tutto il peso del suo umore più nero.

Giorgio, da parte sua, che non poteva più vedersi a Borghignano,
pensò di approfittare di quella partenza dei d'Eleda per portarsi via
la sua Lalla e andarsene un po' soli a vivere in quiete. Egli cercò e
prese in affitto un villino sulla riviera Ligure, vicino a Nervi, che
sua moglie, un'altra volta che vi erano stati, avea trovato
amenissimo; ma per non doversi sopportare il peso della Giulia
lasciarono credere di voler fare una corsa fino a Parigi e a Londra,
e perciò il Conte da Castiglione era rimasta come disperato alla
notizia della doppia partenza.--Sono diventati matti, sono
diventati!--andava brontolando al _club_ e al caffè, dove, per tante
novità, si era diffusa una certa agitazione. Ma la sua bizza
proveniva da ciò: partiti i d'Eleda e i Della Valle a chi avrebbe
affidata la Giulia? Non c'era una ragione per tenerla a Borghignano;
non avrebbe certo potuto mandarla sola a Firenze, e in quanto a
lui--cascasse il mondo, cascasse, non si sarebbe allontanato dalla
Soleil finchè non... finchè non fosse riuscito nel suo capriccio...
o, come diceva Pier Luigi nel suo linguaggio figurato--finchè non
avesse attraversata la Manica!...--Navigazione che pareva molto
difficile e in cui non era certo piacevole il tirarsi dietro una
pupilla.

Che cosa fare?... il conte da Castiglione, rabbioso, bisbetico sfogava
il suo malumore su Prospero Anatolio, che lo accarezzava e lo
lisciava, e fu Prospero medesimo, alla fine, che, dopo essersi dato
d'attorno per la grave faccenda, riuscì ad allogare la Giulia dalla
Bertù e dalla Calandrà, che si erano risolte a prendere in affitto un
casinetto di campagna e che in quelle pene e intente sempre a cavar
cinque denari da un quattrino, accolsero la Giulia a braccia aperte.
Infatti avrebbero risparmiato un terzo di spesa, e tutto quello che
mancava per mettere in ordine il villino sarebbe stato prestato
graziosamente dal duca d'Eleda.--Molto gentile il caro duca: volle
pensar lui anche alla cantina; volle mandar lui anche il suo
giardiniere coi fiori più belli e più rari!

Se la Desirée Soleil continuava ancora ad ostinarsi sul no, il conte
Pier Luigi finiva matto come il principe russo. La passione amorosa
del vecchio libertino non era paziente come quella del duca Prospero,
ma era quasi feroce. Non gli lasciava nè tempo, nè lena di pensare ad
altro, lo occupava interamente, irritandolo e facendolo soffrire. A
vederlo, adesso, sempre rosso invasato, col naso paonazzo, gli
occhietti spelati, lustri lustri e lacrimosi, metteva ribrezzo. Ma non
c'era verso: la Desirée non voleva saperne di lui; prima di tutto
perchè amava il suo Giacomo alla follia e gli voleva essere fedele, e
poi perchè quel vecchiaccio le ripugnava, le faceva orrore, e glielo
mandò a dir dalla sarta che le offriva a nome del signor conte grosse
somme di denaro per un giorno, per una notte, per un'ora soltanto. Gli
mandò a dire, chiaro e netto, che non avrebbe voluta essere toccata da
lui, nemmeno con un dito, per tutto l'oro del mondo!... E gli mandò a
dire, di più, che se anche fosse stato bello come un amorino, quel
_no_ sarebbe stato egualmente inflessibile. Essa amava il marchese di
Vharè ed era sua, tutta sua, solamente sua, anima e corpo!

Era la prima volta che il conte Pier Luigi non poteva soddisfare un
suo capriccio; era la prima volta che la sua passione si trovava di
contro ad un ostacolo insormontabile. Egli così ricco, così prodigo,
non poteva averla quella donna!... quella donna, che tutte le notti
dormiva col suo amante!... Fosse stata casta, onesta, gli sarebbe
stata forse indifferente; ma ciò che lo invogliava, che lo accendeva
di più, era il vizio che si rifiutava al suo vizio.

Tutto il giorno era sempre a macchinare della _diva_ colla sarta: una
buona signora non più giovane, magra, pulitissima, che aveva sempre
l'onore di servire le artiste drammatiche, le cantanti, le ballerine e
le cavallerizze che capitavano sulla _piazza_, accomodando i vestiti
per la scena, stirando la biancheria, portando, all'occorrenza, anche
qualche monile al Pietoso e non rifiutandosi a nessun servizio, anche
più delicato, pur di guadagnarsi tanto, diceva lei, da campare
onestamente.

Da questa brava signora, il conte Pier Luigi era riuscito una volta a
poter avere un abito molto usato della Desirée. Lo aveva fatto portare
a casa, lo aveva fatto portare su, segretamente, in camera sua, e vi
si era rinchiuso dentro solo soletto... Aveva cominciato a toccarlo, a
svolgerlo colle mani tremanti... poi a stringerlo, a baciarlo, a
brancicarlo pazzamente, ed a morderlo, e stracciarlo, tormentato ed
ubbriacato dalle forme belle della donna che lasciava scorgere e
dall'odore di cui era tutto impregnato.

L'Andreina sapeva poi dalla sua sarta tutte queste pazzie e ne rideva
di gusto ripetendole a Giacomo, lusingata nella sua vanità di donna
per quei desideri sfrenati, per quei tormenti che eccitava la sua
bellezza, e indovinando che sarebbe stata ancora più bramata dal suo
amante per le grandi follìe che suscitava.

Ma Giacomo ascoltava assai distrattamente le prodezze del vecchio
frollo, e non lo mettevano più di buon umore. Ogni giorno che passava
era un passo verso la rovina e il disonore! Era arrivato al punto da
non sapere più dove dar la testa. Certe volte, non aveva in casa da
prendersi i sigari, e doveva sfogarsi a tutto pasto colle sigarette
turche del _pascià!_ L'amor proprio il punto d'onore, la delicatezza,
tutto ciò il marchese Giacomo aveva consumato da un pezzo, e di giorno
in giorno diventava anche permaloso: faceva colazione, pranzava
dall'Andreina e in cambio le mandava mazzi di fiori che prendeva senza
pagare da una povera fioraia che gli teneva il credito aperto pel solo
timore che, disgustandolo, allontanasse gli altri avventori.

Della scena successa in casa sua, quando Maria era capitata a
sorprendervi Lalla, il Vharè non conosceva la fine. La contessa Della
Valle non si era fatta più viva, ed egli avea creduto prudente di non
andarla a cercare. Soltanto il suo servitore, quel povero vecchio che
ad ogni costo--a costo anche di patir la fame--non aveva voluto
abbandonare il signor marchese, gli aveva riferito che la prima a
discendere e ad uscire era stata la signora duchessa, e poi la
contessa Lalla, quasi subito.

Indovinava da tutto ciò, e dal contegno tranquillo del Della Valle,
che la tempesta era stata scongiurata, ma non sapeva come, e non si
affannava per ottenere la chiave del mistero. Aveva ben altro da
pensare, povero Vharè! Capiva ormai che non gli restavano altro che
due vie da scegliere; o fuggire, o ammazzarsi. Veramente, ce ne
sarebbe stata forse anche una terza... da galantuomo almeno, se non da
gentiluomo: lavorare. Ma a questa il Vharè non aveva pensato. Dunque,
fuggire. Ma dove fuggire?... Come?...--Ammazzarsi?... Sì; non gli
restava che ammazzarsi, e non era molto per stare allegro.

Intanto, verso la metà di aprile, il palazzo d'Eleda e la casa Della
Valle, si chiudevano contemporaneamente, e alla stessa ora e colla
medesima corsa, Maria e Prospero, e Lalla e Giorgio, partivano tutti
insieme, diretti a Genova: a Genova poi dovevano separarsi, gli uni
per andare a Nervi, gli altri per andare a Palermo.

Alla vigilia della partenza, il conte Della Valle avea detto alla
moglie che la Nena si era licenziata per ritornare a Santo Fiore, dove
la chiamava, sul momento, una lettera della Pierina. Giorgio aveva
temuto con quella notizia di darle un dispiacere, ma invece Lalla,
dopo aver finto la più grande maraviglia, si era accomodata subito, e
benissimo, con un'altra cameriera: infatti era stata Lalla medesima
che aveva imposto alla Nena di licenziarsi e di ritornare a Santo
Fiore, con una scusa qualunque.

Povera Nena!... Non fu rimpianta nemmeno dal cavaliere Frascolini.
Allontanandosi lei, si allontanava anche il pericolo di doverla
sposare; poi era diventata musona, bisbetica... faceva bene a cambiar
aria! In verità, non si potevano più vedere, si facevano ribrezzo l'un
l'altro, e avevano finito coll'odiarsi. La Nena non aveva detto a
Sandro che il tiro della lettera anonima era andato fallito, temendo
che ne preparasse uno più sicuro, ma invece questo pericolo non c'era.
Il Frascolini, che aveva aspettato colle orecchie tese lo scoppio
della bomba in casa Della Valle, quando i giorni passarono tranquilli
e silenziosi senza nessuna novità, si era assai maravigliato, trovando
che anche il conte Giorgio, quel _tentennante stinto_, era un marito
di buona pasta, ma poi, in fondo all'animo suo, non ne aveva provato
gran dolore... Anzi, gli seccava di aver scritto quella lettera e,
quantunque giurasse e spergiurasse seco stesso di essere stato il
rappresentante del dito di Dio, un'altra volta, forse, non si sarebbe
data la pena di tornare daccapo, e avrebbe lasciato che il gran dito
facesse da sè.

Il viaggio da Borghignano a Genova fu per i Della Valle e i d'Eleda
tutt'altro che allegro.

Il duca Prospero era convulso e dimostrava, per quella partenza, per
quel distacco dalla sua figliuola e dal suo caro Giorgio, un dolore
vivissimo. Diceva sospirando, ma non era sincero nel dirlo, che aveva
il presentimento di non più rivederli!... Invece la duchessa Maria,
che sentiva davvero che sarebbe morta prima di ricongiungersi a Lalla,
a Giorgio, non ebbe mai una parola in tutto il viaggio, mai un
sospiro, come non ebbe mai una lacrima negli occhi accesi dalla
febbre. Giorgio, essa pensava, avrebbe trattenuta Lalla a Nervi chi sa
per quanto tempo! Il suo studio, il suo pensiero fisso non era quello
di allontanare Lalla da lei? E per poco che egli ci fosse riuscito a
trovare scuse... era finita.

Anche il Della Valle doveva sentirsi seccato, impacciato, e certo non
vedeva il momento di essere a Genova e che i d'Eleda fossero
imbarcati; la presenza della suocera lo rendeva nervoso, lo faceva
star male.

Lalla era angosciata dal rimorso, era tenuta in soggezione, era
umiliata dalla muta presenza di sua madre, ed oltre a ciò soffriva uno
strano timore, quello di non poter fuggire fino a Nervi, senza che
Giorgio arrivasse prima a scoprir tutto. Lalla non era più tentata
dall'idea di buttarsi alle ginocchia di suo marito e di confessargli
tutto; oh no, no. Ad ogni costo voleva apparire come egli la credeva,
pura, innocente; perchè lo amava e voleva essere riamata. D'altra
parte, non era solamente la sua felicità, ma era la felicità di suo
marito, era l'esistenza di Giorgio, che difendeva dissimulando in tal
modo; e la mamma... la mamma, se si sacrificava e taceva... taceva e
si sacrificava perchè voleva bene a tutti e due. Sì, sì, l'orgoglio,
la consolazione, la gioia di salvare quella pace, quella felicità era
tutta della mamma e non gliela voleva togliere. Lei era cattiva... e
vile; sì, vile; ma che importa? Voleva essere amata!...

Il viaggio, fra tutta quella gente, le faceva paura. Le pareva che in
mezzo al frastuono assordante, dovesse alzarsi un grido od uno
scroscio di risa contro di lei, per tradirla. Temeva che la mamma, nel
momento supremo del distacco, potesse perdere il coraggio, e pregava
Dio, pregava la Vergine buona, perchè aiutassero la mamma; e
finalmente, in quell'agitazione d'animo, le pareva, ad ogni fermata
del convoglio, di vedere il Frascolini avvicinarsi ad un tratto al
loro _coupé_ per coprirla d'insulti e smascherarla. Era una paura
sciocca, stupida; ma tant'è, la teneva inquieta e agitata; e sotto la
tettoia della stazione di Alessandria, mentre aspettavano il treno da
Torino, poco mancò non desse in un grido, tanto le era sembrato di
vederlo davvero il Frascolini, muoversi gesticolando in mezzo ad un
gruppo di persone che le veniva incontro.

Che sciocchezza!... Ma però che sgomento le avea messo in cuore.--E
Giorgio?... Giorgio non avrebbe potuto leggere la verità sul volto
stesso della mamma?... In quel suo dolore così cupo, così profondo?...
Insomma tutto il viaggio, fu un viaggio triste, penoso, che non finiva
mai.

Giunti a Genova, stettero insieme fino al momento in cui il _Newton_
levò l'ancora per la Sicilia. Un poco prima i Della Valle
accompagnarono i d'Eleda, in canotto, fino al battello, e lì
ricominciarono i saluti; ma allora, nel momento di separarsi, Lalla
ebbe uno slancio improvviso che le fece dimenticare tutte le ansie, i
timori di prima ed anche il suo amore, vinta e trascinata da un impeto
di gratitudine che le proruppe dal cuore per la mamma buona, per la
mamma santa, e abbracciandola stretta e baciandola si abbandonò ad un
pianto dirotto e poco mancò in quel momento, che non si tradisse da sè
sola. Ma il dolore di Maria si mantenne muto e forte, quantunque un
ultimo spasimo l'aspettasse anche in quell'ultimo addio. Giorgio aveva
abbracciato il duca Prospero, che ansimava cogli occhi gonfi, e doveva
salutare, doveva abbracciare anche la duchessa; ma si sentiva di
ghiaccio, non sapeva come fare; si sforzò, volle risolversi e poi,
quando le fu vicino, invece di abbracciarla, indietreggiò, stendendole
la mano. Maria la toccò appena, salì in fretta sul battello e
incespicò nel vestito: quel nuovo colpo l'aveva stordita.

Giorgio e Lalla partirono per Nervi la sera stessa. Soli, soli, in un
_coupé_ colle finestrelle aperte, dalle quali entravano grandi ondate
d'aria sana, dimentichi di tutto quanto avevano sofferto, si tenevano
l'uno vicino all'altra, stretti insieme, come due innamorati da un
mese, il conte Della Valle discorreva con sua moglie di molte cose,
animandosi e sorridendo coll'allegria d'un fanciullo; discorreva dei
loro disegni per l'estate, della vita tranquilla che avrebbero
condotto a Nervi, della Giulia che doveva annoiarsi parecchio in
compagnia della Bertù e della Calandrà; e Lalla lo ascoltava
sorridente, silenziosa, tutta abbandonata sul petto del suo Giorgio,
così ch'egli ne sentiva ogni respiro, ogni fremito. Aveva la bella
testina sulla spalla di lui e gli occhioni scuri, fissi in quel
profondo infinito del mare. Ella si sentiva consolata e le pareva di
rinascere, avvolta dall'aria fresca e umida, che le bagnava i capelli
come una rugiada e che le ricreava i sensi cogli odori acuti delle
alghe marine e colla fragranza dolce degli aranci e delle acacie. Il
treno correva via sbuffando e fischiando, ma non interrompeva la gran
calma della notte, e a Lalla pareva di essere sola col suo Giorgio, in
una solitudine immensa, e si sentiva beata. Sandro, il Vharè, la Nena,
Pier Luigi, erano ormai lontani dal suo spirito, al di là di quel
mare, al di là di quelle onde scintillanti come pallide fiammelle,
erano laggiù, in fondo in fondo, sepolti nel buio della tenebra densa
e infinita. Lalla, non sentiva più nulla, delle pene sofferte, più
nulla, nemmeno il rimorso. In quel vasto silenzio d'ogni voce umana,
il frastuono delle onde, misurato come una cantilena, si univa al
gorgheggiare dell'usignuolo, al canto del grillo, ai mille stridori
degli insetti, al rumorio della scogliera, al sussurro del vento e
formava un'armonia sola, amorosa e voluttuosa, che Lalla sentiva
nell'anima e sentiva nei sensi, mentre l'aria tepida e fragrante,
sollevando atomi d'acqua dalle onde che s'infrangevano, pareva le
portasse sulle guance, sul collo, sulla bocca, il bacio umido del
mare. Allora si sentì correre intorno tanta felicità quanta non ne
avea mai sognata, e d'improvviso, abbracciando Giorgio, stringendolo,
fissandolo cogli occhi raggianti d'amore, gli mormorò coi più lunghi
fremiti:--T'amo, sai! T'amo, t'amo!...--finchè gli ricadde stanca,
sfinita sul petto.



XXXI.


La sera che precedette la partenza della Soleil da Borghignano, fu
davvero una serataccia. La diva aveva molto lavorato coll'Assunta nel
riporre la roba e nel prepararsi per la partenza, e tutt'e due erano
stanche morte. Poi, si sa bene, l'ultimo giorno che si rimane in un
luogo, anche quando non si lasciano nè persone, nè memorie care, non è
mai un giorno allegro, e l'Andreina invece lasciava Borghignano, dove
si era riconciliata con Giacomo, dove si era riunita con lui, dove
aveva amato e dove avea godute di quelle ore così felici, che non si
dimenticano più e che non tornano quasi mai. Era dunque naturale la
sua malinconia, quantunque Giacomo partisse con lei; ma dalla
malinconia all'affanno ci corre, e l'Andreina mostrava dagli occhi
rossi di aver molto pianto, e di tratto in tratto si guardava intorno
smarrita e trasaliva con brividi di ribrezzo e quasi di terrore.

Si sentiva afflitta in tal modo, perchè vedeva quel suo bel nido
guasto e sciupato, come il nido della cingallegra caduto fra le mani
di un ragazzaccio cattivo?... Oppure aveva qualche altra amarezza
chiusa dentro nel cuore?... Sì, quelle povere stanzette presentavan
davvero uno spettacolo uggioso: il suo lettuccio non era più addobbato
colle cortine candide e civettuole dai lunghi fiocchi azzurri, ma la
corona d'ottone, le stanghe e i ferri della camerella apparivano così
spogliati, come uno scheletro gigantesco, dalle braccia lunghe e
sottili. Sopra il canapè del salotto, che aveva udito le parole più
care e i baci più dolci, era stato portato un cassone enorme, color
verde scuro, foderato di ferro. Il giardiniere, finito il nolo, s'era
già portati via i bei vasi di rose e i sempreverdi, dalle larghe
foglie, che nascondevano la tappezzeria vecchia e stinta. Le stuoie,
spogliate dei vari tappeti, logore, indicavano il posto dove le casse
erano state ferme per tanti mesi con delle righe quadrate di polvere e
di sudiciume; ma pure, se tutto ciò era uggioso, l'abbattimento di
Andreina era troppo forte, perchè non dovesse nasconder qualche altro
affanno. Ella andava innanzi e indietro dal salotto alla sua camera,
con mucchi di biancherie e di _spartiti_ che accatastava, sorridendo
amorosamente, sulle ginocchia del Vharè, che rimaneva cupo e
distratto, senza nemmeno guardarla.

--Via, non temere,--gli disse l'Andreina, sedendosi sulle sue
ginocchia, quando ebbe terminato di vuotare i palchetti e di riempire
i bauli.--Non temere; vedrai che domattina lo Schreiber mi risponderà
favorevolmente. Ho telegrafato un'altra volta, a quel tedesco
tartaruga!

Lo Schreiber era l'impresario per l'America, e Andreina, che aveva
firmata una scrittura per due anni gli aveva scritto domandandogli
un'anticipazione di quindicimila lire sul suo contratto. Ella
continuava a dire a Giacomo di non aver ancora ricevuto riscontro alla
sua lettera; ma ciò non era punto vero. Lo Schreiber le aveva risposto
subito, e le aveva risposto un bel no. E il Vharè, quantunque non lo
sapesse, lo prevedeva.

Per il Vharè, avere sì o no quindicimila lire entro le
ventiquattr'ore, voleva dire poter restare al sole o doversi
accontentare di vederlo a scacchi. L'elegante marchese di Vharè era
giunto a questo punto!... I suoi creditori, dopo avergli messo il
sequestro sui mobili di casa, glieli avevano lasciati _in custodia_
con tutte le regolarità volute dalla legge; ma Giacomo, un brutto
giorno che avea dovuto combattere colla fame, aveva cominciato a far
sparire un quadro, poi un seggiolone antico, poi il pianoforte, e così
a poco a poco aveva dato fondo a quasi tutta la roba.

Si trattava di truffa, e c'era tanto d'andare diritto in prigione!...
Andreina, appena il Vharè le aveva confessato il proprio fallo, pareva
disperata: pianti, convulsioni, gemiti; ma poi, sembrò le balenasse un
raggio di speranza, si consolò e consolò anche Giacomo. Era subito
corsa col pensiero a... a Schreiber. Si sentiva tanto felice, povera
Andreina, e le doveva capitare quel colpo terribile!... Aveva finito
di essere gelosa e di temere la contessa Della Valle; lo portava via
lei, il suo Giacomo; se lo portava in America, ed era più contenta
sapendolo povero, perchè, povero, era meno facile che le scappasse di
nuovo, e perchè povero si sarebbe persuaso che lei gli voleva bene
senza nessuna mira interessata... povera Andreina!

Ma per quanto il sentimento dell'onore si fosse attutito nel cuore del
Vharè, tuttavia la parte di procolo, di marito della prima donna, o
press'a poco, offendeva troppo vivamente la delicatezza del
gentiluomo.--Non c'era dubbio; la sua carriera finiva molto male!--Ma
d'altra parte, che cosa poteva fare? Necessità non ha legge, e a conti
fatti, ancora ancora, avrebbe potuto ringraziare la Provvidenza se
quell'affare dei mobili non fosse capitato, sul più bello, a
precipitare la catastrofe.--Scappare!...--Dove?... Lo tenevano
d'occhio, e senza quattrini lo avrebbero ripreso subito...--che!
scappare? ci vogliono quattrini per scappare!...--Intanto,
all'indomani, egli doveva estinguere quindicimila lire di cambiali,
oppure presentare il mobilio intatto, oppure... in galera. I suoi
creditori, per non lasciarlo nell'incertezza, lo avevano avvertito che
non gli verrebbe usato nessun riguardo.--in prigione?... Aveano messo
in prigione, per debiti, anche il conte di Mirabeau!...--Ma questo
riscontro era un magro conforto, e poi, lui, non lo avrebbero messo
dentro per debiti soltanto, ma per truffa.--Dio santo! Bisognava
finirla!...

Il povero marchese era tanto oppresso, quella sera dai più tristi
pensieri, da non badare nemmeno all'Andreina, da non accorgersi che
essa aveva trasalito quando erano sonate le undici all'orologio della
piazza. E poi, gli si era avvicinata quasi subito, baciandolo con gran
passione e dicendogli colla voce piena di lagrime:--Sono stanca assai,
lasciami andar a dormire--Di solito, era sempre Andreina che lo
tratteneva con mille carezze, con mille furberie, con tutti gli
agguati della donna innamorata; ma il Vharè aveva ben altro da pensare
che a fare confronti!... Si alzò, e colla testa bassa, senza dire una
parola, prese il cappello e si avviò lentamente per uscire.

--Vai via?... Senza dirmi nulla? Te ne hai avuto a male?--gli chiese
Andreina, fermandolo ancora con un altro bacio.

--Avermene a male?... Di che cosa? Va... Va a dormire. Hai ragione di
sentirti stanca. Buona notte!--E la baciò distratto, senza sapere
nemmeno lui dove baciava.

--Non temere, Giacomo, vedrai che domani le quindicimila lire di
Schreiber arriveranno di sicuro. Mi par di sentirlo:--Nostro
pell'astro fulgidissimo, non afere che da comantare, tuo piccolo
Schreiber sempre pronto ai comanti,--e Andreina, sebbene avesse la
morte nel cuore, si mise a ridere per far ridere l'amico suo; ma non
ci riuscì.

--Sì... Sì... Schreiber!...--mormorò il Vharè con un'alzata di spalle.
Andreina intese bene quella sorda disperazione e con un tremito lo
abbracciò più forte.

--Giurami che non hai nessuna idea matta per la testa?

--Cioè?... Non ti capisco!...

--Giurami che aspetterai... che aspetterai fino a domani la risposta
di Schreiber?...

--Non vuoi altro?... Giuro che aspetterò.

--No, così no!... Devi giurare per tua madre.

--Ebbene sia: te lo giuro per mia madre.

Giacomo avea lasciata Andreina da una mezz'ora, quando un brum da
nolo si fermò sulla porta di quella casa e ne discese la sarta...
la buona signora. Essa tirò la maniglia del campanello e subito,
da una finestra del primo piano, spuntò una testa di donna e si
udì una voce gridare dall'alto:--Viene subito!--Era la voce
dell'Assunta.--S'accomodi!--rispose la sarta dalla strada.

Poco dopo la porta si aprì e Andreina, tutta imbacuccata, ne uscì
lesta e saltò nel brum. La buona signora le tenne dietro, chiuse lo
sportello e il brum ripartì com'era venuto.

Il Vharè, nel frattempo, era giunto a casa sua, si era levato l'abito,
e così in maniche di camicia, camminava su e giù nella camera spoglia
di quadri e quasi anche di mobili; e continuò a passeggiare per un
pezzo, poi, di colpo, si buttò sul letto ancora mezzo vestito, spense
il lume, ma non potè addormentarsi.

Si vedeva ammanettato fra due guardie di questura, con la tuba pesta,
con le scarpe rotte, e con i monelli che gli correvano dietro urlando
e fischiando... L'immagine era così viva, così spaventosa, che più a
lungo non la potè sopportare. Si alzò di botto, riaccese il lume e
caricò un revolver che teneva in una busta, appeso a capo del letto,
deliberato di uccidersi e finirla. Ma il marchese di Vharè, che in
dieci duelli aveva sfidata la morte baldo e insolente, in mezzo alla
verzura d'un prato, o nel risonante frastuono d'una sala d'armi, lì
solo, in quella camera muta e fredda, ebbe paura. La morte non avea
più nulla di grande, di attraente; non gli appariva più come un
fantasma luminoso che predilige gli eroi, ma gli stava dinanzi lercia
ed esosa, colla faccia arcigna di un usuraio, che mette il sequestro
sull'esistenza.

Sentiva ribrezzo di morire a quel modo.--E se il colpo falliva?... Se
non riusciva ad ammazzarsi del tutto?... Eppure, bisognava farsi
coraggio e finirla.--Allora ricordò che in un armadio aveva ancora una
mezza bottiglia di cognac; la cercò, la trovò e l'ingollò in una sola
tirata; ma nemmeno il cognac riusciva ad ubriacarlo, a stordirlo.
Solamente si sentiva dentro, nello stomaco, un gran calore, un gran
fuoco. Spalancò la finestra e si appoggiò sul davanzale per respirare
un po' meglio; gli pareva di soffocare!...

L'alba sorgeva appena: la luce che stenebrava il silenzio profondo
della strada, tutta chiusa e deserta, gli metteva addosso uno sgomento
indefinibile; e a mano a mano che i profili delle case si disegnavano
più nettamente e le colonne della chiesa lontana uscivano alla luce,
egli provava un grande affanno. Sentiva paura di quel giorno
inesorabile e spietato che incominciava, e avrebbe voluto ancora
un'ora di tenebre per avere un'altra ora di quiete.

Sentì un brivido acuto. Anche quella strada così vuota, con tutte le
porte, con tutte le imposte chiuse, gli faceva risentire, come la sua
camera, l'impressione della tomba, e stava già per richiudere la
finestra, quando fu scosso da un rumore sordo, da un mormorio di voci,
che si avvicinava... Erano i soldati che partivano per le manovre.
Cominciava a vederli bene... Cantavano.--Che cosa cantavano?...--Aveva
udita ancora quella canzone... Ah sì; adesso se ne ricordava! Era la
canzone dei volontarii...

    Addio, mia bella, addio,
    L'armata se ne va.
    Se non partissi anch'io
    Sarebbe una viltà.

--Maledetti, come stonano!--brontolò il Vharè che aveva ancora
l'orecchio assai delicato. Ma poi, quasi subito, non badò più alle
stonature. I soldati sfilavano lieti e baldi, animando la contrada
colle loro voci, coi loro canti, col _tran tran_ misurato della
marcia, con un fracasso pieno di vita.

Allora corse a ritroso, col pensiero, in tutti gli anni che aveva
sciupati, e pensò che lui pure, se avesse voluto, avrebbe potuto
diventare qualche cosa... Un prefetto, un diplomatico, almeno un
deputato!....--Se fosse entrato nell'esercito, a quell'ora avrebbe
potuto essere maggiore... colonnello e forse, chi sa, anche generale,
e comandar lui tutta quella gente!...

Il primo battaglione era già passato sotto le sue finestre, adesso ne
passava un altro. I soldati, vedendo il Vharè alla finestra, mezzo
svestito, alzavano il capo guardandolo, mentre ripetevano il
ritornello:

    Se non partissi anch'io
    Sarebbe una viltà!...

A Giacomo in quel punto, sembrò che il ritornello fosse diretto contro
di lui e gli fosse buttato in faccia come un insulto.

--Perchè non sono partito anch'io, quando gli altri andavano a
battersi?...--Pensò... pensò, cercando una scusa, ma non la trovò. Si
sentiva la testa balorda che gli girava: il cognac incominciava a fare
il suo effetto.

--Dov'ero io, nel 59?... A Monaco, sì a Monaco; a far saltare la
_roulette!_... E nel 60?... Non mi ricordo... non mi ricordo... Ah,
sì... Nel 60 ero a Nizza.--Nel 67, mentre i soldati del Papa
ammazzavano i Garibaldini a Mentana ero... ero... ero... a Parigi, a
rovinarmi colla Fanny Printemps. Ma dunque io sono un...--Ho saltato
una data, il 66!... Ero a Torino, nel 66, e corteggiavo la baronessa
Delafosse... sicuro, mentre suo marito, il capitano, si faceva
ammazzare a Custoza per la patria.--La patria?... Che cos'è la
patria?... Rettorica!

I soldati, frattanto erano passati, le loro voci si perdevano con
un'ultima eco, nella strada che appariva adesso, dopo tutta quella
gente e tutto quel rumore che l'avea attraversata, ancor più seria e
silenziosa; ma il ritornello frullava sempre chiaro e vivo nella testa
di Giacomo.

--Ebbene, sì... _È stata una viltà!_... E perciò? Tornare indietro non
è più possibile, dunque?...--Avanti e _marche_ per l'altro
mondo!--Impugnò la rivoltella, l'appuntò sotto il mento... ma poi si
fermò irresoluto e fissò l'arma cogli occhi inebetiti, borbottando:

--Ammazzarmi? E perchè mi dovrei ammazzare?... Avrei tutto da
perdere... e niente da guadagnare... Il nome?... Non lo
salvo.--L'onore?... Oh, l'onore!... Tanti che valgono meno di me,
vivono allegramente, rispettati e temuti. Se invece potessi davvero
andarmene in America coll'Andreina!... E Schreiber?... E Schreiber è
un ladro. Si lascia impiccare piuttosto di tirar fuori un quattrino,
prima del tempo!...--Ma forse, dovrei ammazzarmi io, perchè Schreiber
è un cane?... Che!... Se non mi ammazzo, diranno che sono un vile; ma
se mi ammazzo diranno che sono un vile lo stesso. Buffoni!... No! non
mi ammazzo. A tutto c'è rimedio, tranne all'osso del collo, Andreina,
farà furori... Pago i debiti... Torno dall'America milionario... Chi
sa! Chi sa! Sono a tempo forse di... di... ventare de...putato.

Così dicendo si avvicinò al letto, barcollando. Le pareti ballavano in
giro e la stanza pareva piena d'insetti che ronzassero molesti... Si
buttò, sbuffando, sul letto; ma allora ebbe un impeto di rabbia, di
furore contro sè stesso, perchè era un vigliacco, perchè non aveva il
coraggio di uccidersi. Si voltò cercando il revolver a tastoni, e
smaniando perchè non lo trovava più, stramazzò per terra lungo
disteso... Borbottò ancora qualche parola, si strappò la camicia sul
petto, poi si addormentò profondamente.

La mattina dopo, il servitore del Vharè, spinse adagio l'uscio della
camera, ma non l'aveva aperto del tutto che già si udì un grido
disperato, e una donna, Andreina, buttando da parte il vecchio che era
rimasto sulla soglia impietrito, si precipitò sul Vharè ch'era sempre
addormentato per terra, col revolver vicino. Quel grido e i baci, e le
strette angosciose dell'Andreina risvegliarono Giacomo dal suo sonno;
egli si guardò intorno smarrito: non capiva...--Era ancora vestito?...
Era caduto dal letto?!... Perchè lo fissavano in quel modo?...

--Sei ferito?!...--gli domandò Andreina tutta tremante...

Il Vharè, a tale domanda, cominciò a ricordare quanto era successo, e
trovandosi ancora vivo e sano in mezzo a quello sgomento e a quel
dolore, si sentì impacciato e vergognoso; tuttavia superò presto il
suo turbamento. Si risvegliava alla vita in una condizione molto
comica; e però... bisognava riderne per il primo!

--No, no. Avevo pensato d'ammazzarmi, è vero; ma la risoluzione è
seria; ho creduto bene dormirci su... e ora... ho cambiato idea.

Giacomo disse tutto ciò con un ghigno, con una smorfia dolorosa.

--E tu?... che vieni a fare così presto?--domandò all'amica appena il
servitore se ne fu andato.

--Sai,--rispose Andreina, arrossendo,--sono arrivati i danari di
Schreiber.

--Possibile?...--e il Vharè, non pensando ad altro che a quella
fortuna che lo salvava, strinse l'amante fra le braccia. Ella chinò il
capo per islacciarsi il busto; e ne tolse un grosso pacco di biglietti
di banca.

--Ecco,--balbettò sulle prime confusa, impacciata, ma poi animandosi e
parlandone con grande precipitazione:--Ecco le... le quindicimila
lire... per levare il sequestro,--Colla vendita della tua roba, avremo
tanto da fare il viaggio e da vivere finchè arriveremo sulla _piazza_:
in America, vedrai, se l'impresario vorrà sentir cantare la Soleil,
dovrà tirarne fuori degli altri. Ma adesso intanto, si può partire col
cuore tranquillo e ritornare, poi, con la testa alta. Vedrai... in
pochi mesi pagheremo tutti i debiti. Tu mi sarai di grande aiuto cogli
impresari, cogli agenti teatrali; sarai la mia fortuna. In arte, ne
abbiamo tanto bisogno di un uomo per difenderci dai pirati!...

Il Vharè fece un'altra smorfia. Si vedeva seduto dietro il _bigoncio_,
all'ingresso d'un teatro, fra due portieri, e gli sembrò di udire
dietro le spalle il riso schernitore di Lalla.

Allora, per svagarsi, cominciò a numerare sbadatamente i biglietti di
banca: erano tutti nuovi fiammanti.--Come mai?--Questa combinazione lo
meravigliò; alzò colla mano il piccolo orologio che Andreina portava
appeso alla cintura e vide che non erano ancora le nove e mezzo.
Guardò Andreina fissamente: era pallida, spettinata, col volto
affaticato, cogli occhi lividi le labbra arse...

--A che ora hai ricevuto la lettera?...

--Colla prima dispensa, rispose Andreina tornando ad arrossire ed a
turbarsi.

--Con un _assegno_, non è vero? Perchè una somma così forte non si
manda mai in una lettera assicurata.

--Sì... un _assegno_... sulla Banca Nazionale.

--Sulla Banca Nazionale? E ti venne scontato a quest'ora... Sono le
nove e mezzo appena e la cassa non si apre prima delle dieci!

Andreina abbassò il capo, confondendosi sempre di più; quelle domande
la imbarazzavano assai; non le aveva prevedute!... Giacomo indovinò,
comprese tutto in un attimo, e stringendo Andreina per le braccia, la
scosse violentemente. Di', rispondi, rispondi,--balbettò con voce
rauca,--rispondi senza mentire. Voglio saper tutto!... Da chi hai
avuto questo danaro?... Da chi?

Andreina, non rispose; ma scoppiò in un singhiozzo quando l'altro le
sussurrò un nome all'orecchio. Non era più possibile mentire. Giacomo
si fe' bianco in faccia; Avrebbe voluto percuotere quella donna,
stracciare tutto quel danaro infame! Ma dopo l'impeto della prima
commozione, calmandosi un poco, pensò che quella donna si era
sacrificata per lui, che quel danaro, per quanto fosse infame,
rappresentava pure la sua _onorabilità_ e che lo salvava dall'essere
accusato di truffa...--Non c'era altra via di scampo. Se voleva
salvare il suo onore, o almeno salvarsi dalla prigione, bisognava
accettare il prezzo di quel lurido mercato!... Giacomo lottò a lungo
col cuore, coll'orgoglio, che gli si rivoltavano... poi, infine,
sospirò profondamente, strinse Andreina sul petto e le sfiorò appena i
capelli; ma con grande sforzo: senza guardarla.

--Che?... Mi baci?--esclamò la poveretta allontanandosi e fissandolo
con uno sguardo in cui, oltre alla meraviglia, c'era dell'amarezza, e
quasi della paura.--Mi baci?

--Povera donna!... hai voluto salvarmi!

Ella continuava a fissarlo con un'espressione indicibile di stupore e
d'angoscia.

--Ma perchè mi guardi così?... Che hai?...

--Ho... non ho nulla; ma, adesso che sai tutto... se mi amassi davvero
avresti dovuto uccidermi colle tue mani... con un colpo solo...
strozzarmi.

Giacomo tacque, confuso. Non sapeva che cosa rispondere: quella donna
aveva ragione e valeva assai più di lui.

Pagate le cambiali, venduto in blocco tutto ciò che gli era rimasto,
il Vharè, già quasi abituato alla nuova condizione, se ne andava per
sempre da Borghignano. dopo aver chiuso l'ultima volta il suo
quartierino, che non era più suo. Ma in fondo alla scala, vide il
vecchio servitore che lo aspettava muto, con una gran tristezza
impressa sul viso; aveva le scarpe rotte e il berretto, che teneva in
mano, perdeva la fodera. Il pover'uomo, fissava il marchese
coll'occhio di un cane che sia stato maltrattato ingiustamente dal
padrone.

Giacomo si fermò di botto, battendogli sulla spalla.--Hai fame, non è
vero?--gli chiese frugandosi coll'altra mano nei taschini del
panciotto.

--Nossignore...

Giacomo contò il danaro di cui poteva disporre: era pochino assai. Ma,
in quel momento, mentre pensava di ricorrere all'Andreina, perchè il
vecchio avesse tanto da poter campare un paio di mesi, gli cadde
sott'occhio l'anello che gli aveva regalato Lalla; la turchina colle
rose d'Olanda. Egli non lo aveva mai venduto quell'anello, nemmeno nei
momenti più difficili, per una di quelle ripugnanze che erano fra le
anomalie del suo carattere di gentiluomo pervertito. Rimase un istante
sopra pensiero, guardandolo, lisciandolo e poi borbottò:--Infine,
posso ben dire che mi ha portato sfortuna!--Se lo levò dal dito
risolutamente, lo unì al danaro e diede tutto al servitore.--Prendi,
con queste poche lire e con questo anello avrai da vivere, non
allegramente, ma insomma tanto da poterla tirare innanzi per un po' di
tempo. Appena saremo... sulla _piazza_,--e il Vharè sorrise, come
aveva fatto prima con Andreina, in un modo che pareva una
smorfia;--appena saremo arrivati sulla piazza, ti manderemo il resto.
Mia madre, forse, ebbe torto di mettermi al mondo, ma tu, che l'hai
servita fedelmente, non devi crepar di fame. Piangi?... Non credi alla
mia parola?

--No, no, signor marchese; non è per ciò; ma... sono tanto vecchio...
Chi sa se potrò vederlo ancora?...

A queste parole, cessò d'un tratto il riso forzato, schernitore del
marchese Giacomo: egli battè un'altra volta sulla spalla del buon
vecchio:--Sì, sì. Ci rivedremo ancora, ci rivedremo!--gli disse. E se
ne andò in fretta, perchè si sentiva commosso.

Con tutti gli amici e con tutte le donne che lo avevano amato, con
tutti i sorrisi, gli amori e le fortune della sua vita, l'unico che lo
avrebbe ricordato e rimpianto sarebbe stato quel povero vecchio... il
suo servitore.



XXXII.


Una lugubre notizia commosse ad un tratto tutta la città di
Borghignano. Al gran Caffè arrivò, una mattina, come una saetta, in
mezzo ad un crocchio di persone che non volevano saperne di
malinconie; ma la violenza fu così viva, così inaspettata, che si
guardarono in faccia l'un l'altro sbalorditi. Poi ci fu chi pianse,
chi si tuffò in un cupo silenzio e chi, stringendosi la fronte, voleva
come svegliarsi da un brutto sogno A poco a poco, il triste annunzio
corse per ogni via, penetrò in ogni casa, commosse tutti i cuori.

Che colpo! Che disgrazia!... Che tragedia per quella povera famiglia!

Non tutti volevano credere a quanto si narrava: forse era uno sbaglio,
una confusione, un equivoco di nomi di casati!... No.--C'era pur
troppo chi assicurava con profonda amarezza, che la catastrofe non
lasciava dubbio, speranze.

La Della Valle, la contessa Della Valle, Lalla, era morta!

Correvano in folla alla casa sventurata in cerca di notizie. Il
portiere, prima di sera, era rimasto senza voce. Aveva cominciato col
narrare ai primi arrivati tutti i particolari della gran disgrazia,
inventando anche del suo; ma poi, visto che i curiosi si
moltiplicavano all'infinito, tagliò corto, limitandosi a scrollare il
capo, a sospirare ed a piagnucolare, davanti ad ogni nuovo arrivato.

Le commozioni del funebre annunzio sollevarono un entusiasmo postumo
intorno alle virtù e alle doti del cuore e della mente della povera
morta.

A Borghignano le debolezze della duchessina per il marchese di Vharè
erano state dimenticate, ed ora si ricordava soltanto e si portava ad
esempio il suo amore per Giorgio, per la mamma e per il babbo ch'essa
idolatrava. Non era più una donnina simpatica, piacente: diventava
addirittura una bellezza straordinaria.--Così intelligente! Così
buona! Così giovane!--Non aveva ancora vent'anni, la poverina!

Il giorno dei funerali era atteso con molta ansietà: dovevano essere
splendidi, e uno della Giunta assicurava che i pompieri, in quella
circostanza, avrebbero sfoggiato l'uniforme nuova, che erano tutti
curiosissimi di vedere.

La salma della contessa Della Valle sarebbe arrivata a Borghignano due
giorni dopo che vi era giunta la notizia della sua morte: Lalla
sarebbe stata un'ultima volta, e per poche ore, in casa Della Valle, e
di là sarebbe stata condotta al cimitero.

L'_Omnibus_, aveva pubblicati i telegrammi di condoglianza spediti dal
Re al senatore d'Eleda e al deputato Della Valle, e dalla Regina alla
duchessa Maria; e questo fatto raddoppiò l'entusiastico dolore della
Bertù, della Calandrà e della Prefettessa, che piangevano Lalla come
fosse stata la loro amica più cara, e levavano al cielo le sue opere
di beneficenza, la sua divozione, il suo spirito, la sua bellezza. Gli
occhi rossi, i sospiri, i lamenti erano diventati di prescrizione, e
si fecero vedere in teatro, tutte tre, vestite di nero, _tenuta_ che
la sera dopo fu imitata da molte signore della _buona società_ di
Borghignano. Era diventato di moda l'essere parente di quella morta
che aveva fatto tanto colpo. O bene o male, trovavano tutti la maniera
d'essere cugini, magari in terzo grado, dell'una o dell'altra famiglia
e andavano, venivano, si cacciavano in ogni luogo, in chiesa o in
teatro, sul corso o al caffè, per il gusto, per l'ambizione di farsi
vedere in lutto. I due Lastafarda approfittarono subito di quella
scusa per poter mettere il nastro nero sulla tuba cenere (in gran voga
a Milano), e si vedeva sul corso il grave _Adamastor_, anch'esso con
nappe di seta nera. Povero _Adamastor_! In quel rimpianto ufficiale di
circostanza, era il solo che ci avesse sotto il bruno degli ornamenti,
anche l'aria melanconica e afflitta.

L'_Omnibus_, in quella circostanza, assecondò la generale commozione.

Al primo annunzio della triste novella il Frascolini era rimasto come
fulminato; ma poi, a poco a poco rinvenne, si acquetò e ne sentì come
un senso di sollievo, come un gran peso che gli fosse levato dal
cuore. La duchessina non avrebbe più fatto all'amore col Vharè, egli
non l'avrebbe più veduta al braccio di suo marito non sarebbe più
stato tormentato da quello spasimo che lo spingeva a correrle dietro e
a fuggirla, non avrebbe più sofferto quella gelosia e quella brama
acuta, pungente, che lo straziava, che lo faceva delirare, che gli
metteva il diavolo addosso. Le perdonò dunque il male che gli avea
fatto, si lasciò commuovere per la sua fine immatura e cominciò a
scrivere un articolo necrologico, forbito, conciso e commovente.

Buttò giù due, tre, quattro colonne di roba, le stracciò, ne scrisse
molte altre; capovolse l'articolo, della coda ne fece il cappello e
del cappello la coda; ma l'insieme non tornava; la sua testa aveva le
vertigini e il suo cuore era in sussulto. Allora pensò che la
necrologia gliela avrebbe portata uno dei soliti redattori onorari
dell'_Omnibus_, e intanto pubblicò i telegrammi del Re e della Regina,
promettendo, per l'indomani, di parlare più diffusamente delle virtù e
dei pregi della Nobile Estinta,--perchè in quel giorno era costretto a
deporre la penna per il troppo vivo cordoglio.

Povera Lalla!... in quei mesi aveva tutto dimenticato; era felice, non
sognava che il paradiso per deporlo ai piedi del suo Giorgio, se ne
sentiva ricompensata con altrettanto amore... e proprio allora che
benediva la vita come il sorriso, la felicità e l'amore, era morta!

Il parto era stato difficile, l'avevano operata. Però tutti i
consulenti di quel letto di puerpera, assicuravano che la contessa si
sarebbe salvata; e infatti fu presto tranquilla e parve riaversi. Il
bambino era un bambinone tondo e roseo, grasso e rabbioso, con un gran
ciuffo di capelli biondi sulla fronte. Prospero Anatolio lo aveva
preso subito fra le braccia, guardandolo ben bene, cercando in quel
mostriciattolo il _tipo_ dei d'Eleda, e ve lo trovò certamente, perchè
si sentì preso all'improvviso dall'affetto di nonno, e per la prima
volta, dopo le contrarietà che aveva subite a proposito del viaggio in
Sicilia, cessò d'essere di malumore.

Ma in mezzo a tante speranze e a tanti sorrisi, quando più nessuno
tremava per lei, Lalla moriva, colta quasi a tradimento da una febbre
spietata. Tutto ciò che mente e cuore umano potevano ideare per
trattenere una creatura sulla terra, tutto ciò fu fatto, fu tentato,
ma inutilmente; e pochi giorni dopo che la duchessa Maria con Prospero
erano arrivati a Nervi non c'era più da poter sperare che in un caso o
nella provvidenza divina.--I medici parlarono chiaro, senza ambagi,
senza pietà malintesa, e a Lalla, coi singhiozzi serrati in gola e con
una disperazione tenuta nascosta a forza di schianti, si era dovuto
consigliare un confessore.

Lalla, esterrefatta, fissò negli occhi suo padre che, per debito di
coscienza, era stato il solo che aveva potuto trovar le parole in quel
momento; poi, senza muover la testa guardò attorno per la stanza: vide
Giorgio, ma lo fuggi collo sguardo; ella cercava sua madre e la
riconobbe dall'altra parte del letto, ritta, immobile, come una santa
di marmo. L'ammalata la guardò, la fissò lungamente, ostinatamente,
cogli occhi colmi di parole, di sgomento e di disperazione. Maria
comprese quello sguardo, sentì quella preghiera che le veniva rivolta,
vide in quegli occhi lo spavento di morire dannata, e la consolò
coprendola di baci, di lacrime, confortandola a sperare nel perdono di
Dio, con singulti che assicuravano alla morente il perdono di chi ella
avea tanto offeso sulla terra.

Lalla si confessò, ricevette l'Eucaristia... ma rimase inquieta,
affannosa, e domandò che il prete non uscisse dalla camera. Lo voleva
lì, sempre vicino, per poterlo chiamare ancora prima di morire. E ci
fu un istante in cui forse ancora si poteva sperare. In quell'ultimo
giorno di una giovane vita, il male si prese un'ora di tregua; il
medico sorpreso, ma non illuso, si lasciò sfuggire che poteva esservi
ancora un miracolo, e subito tutta la casa esultò di gioia... ma fu
l'ironia crudele della morte.

Lalla ritornò a peggiorare, e verso sera aveva ancora poche ore, forse
pochi minuti da vivere.

Per altro era in sè; le durava l'inquietudine, l'affanno la
disperazione nel viso acceso e scarno, e pareva invocare ancora un
filo di speranza, ancora un filo di vita; poi tornò cogli occhi
impauriti a fissare il prete, e con un cenno del capo lo chiamò vicino
e gli parlò a stento, a tratti, con ansia, come se le parole,
uscendole dalla gola, le sollevassero il cuore. Ma ad un certo
momento, il prete non la intese più; allora egli affrettò le sue
preghiere, le fece il segno in fronte coll'olio santo e tornò a
ritirarsi nel cantuccio in fondo alla camera. Poco dopo, Lalla
riapriva gli occhi, e tornava a fissare lo sguardo in quella figura
nera, che si moveva adagio, nell'ombra, barbottando preghiere. Maria,
buttata, distesa attraverso il letto, sui piedi della figliuola, aveva
spasimi convulsi... e il duca Prospero--povero duca--si era
allontanato gemendo. Il suo cuore paterno non poteva resistere a tanto
strazio, non poteva vedere la sua Lalla a morire.

Giorgio, invece, da molte ore, non aveva più una lacrima. Era
disfatto. Con tremiti, con respiri strozzati a mezzo, inginocchiato
accanto al letto, stringeva le mani della morente, fredde e umide, fra
le sue che bruciavano, e ne baciava le dita coprendole, difendendole
dalla morte, col tepore delle carezze. Lalla moveva appena il capo sui
guanciali, ma non si lamentava più, quando verso le dieci ore di
notte, ad un tratto, sembrò rinvenire: era l'ultimo urto della lotta
disperata contro la morte. Spalancò gli occhi... e le parve che la
figura nera del prete, staccandosi dal fondo buio, lentamente si
avvicinasse al suo letto: non era vero, ma lo vide quel prete, lo
sentì piegarsi su di lei e mormorare parole di minaccia, di
maledizione, di comando... Allora, cadendo col capo verso Giorgio, con
faticosa respiro e con voce fioca, mormorò piano le ultime parole...
irrigidì, la bocca aperta... sembrò che il misero corpo assecchito si
allungasse per l'ultimo spasimo.... Lalla era spirata!

Giorgio si alzò di colpo: egli pure aveva l'aspetto di un cadavere. Ma
la vita sinistramente balda, gli si riversò tutta in un grido che ebbe
un eco spaventoso in quella stanza, in tutta quella casa, e fissò la
morta con uno sguardo terribile, in cui non c'era più nè dolore, nè
pietà, nè rimpianto!

Lalla era spirata a tempo per non conoscere l'odio di Giorgio: nel
delirio dell'agonia, essa gli aveva tutto confessato; tutto. In quelle
ultime parole c'era la sua colpa e il sacrificio di sua madre...

Al grido, all'urlo di Giorgio, Maria comprese che Lalla era morta, e
all'uomo che aveva perduta la moglie volle recare, unico conforto,
tutto ciò che gli rimaneva di lei: suo figlio. Ma Giorgio vedendo
quella creaturina innocente, sentì sollevarsi nel cuore un impeto di
odio e di ferocia. Lo prese, lo strappò, lo strinse e, per Dio, lo
avrebbe strozzato!... Ma in quel punto i suoi occhi s'incontrarono
negli occhi di Maria. Fu un lampo... barcollò... volle parlare... La
voce gli uscì rotta... inarticolata.... Senza guardarlo più, si lasciò
togliere il bambino dalle mani, e lui che da tante ore non poteva più
piangere, scoppiò in un pianto dirotto e fuggì da quella camera.



XXXIII.


Giorgio, arrivato come un fuggitivo a Borghignano, poche ore prima che
incominciassero i funerali di Lalla, si era chiuso solo in camera sua.
Non voleva nessuno: nè amici, nè parenti.

Quella camera, in fondo della casa, dava sul giardino; Giorgio
spalancò i vetri e le persiane, perchè si sentiva soffocare e gli
pareva che una grossa pietra gli si aggravasse sul cervello.

Egli credeva, sperava di essere vittima di un sogno terribile; il
contrasto de' suoi sentimenti era così forte, da farlo diventar matto!
Andava, veniva, tirava calci alle seggiole, le alzava afferrandole con
violenza e poi le lasciava cadere di tutto peso sul pavimento, e
richiamato alla realtà della vita, pensava, raccapricciando, ch'egli
non aveva diritto di piangere, di lamentarsi; egli non doveva altro
che imprecare e maledire. Il dolore, il suo dolore, era vile! Ma per
maggior derisione chi lo aveva offeso era fuggito lontano, non si
sapeva dove, e Lalla, che lo aveva tradito, era morta.

Dove, su chi poteva egli sfogare quell'impeto d'ira, tutto quell'odio
che si sentiva nell'anima?... Egli non poteva lamentarsi, non poteva
soffrire e nemmeno poteva vendicarsi!... Per Dio! che inferno!... che
inferno!...

Così stordito dall'angoscia, ci fu un momento in cui pensò di correre
fuori, di correre in mezzo alla gente e di confessare a tutti la sua
vergogna, per sollevare la giustizia umana e divina contro quei due
colpevoli!... Ma l'idea non era ancora balenata intera alla sua mente
che già si stringeva la fronte per trattenerla, pauroso che l'aria
sola l'avesse potuto indovinare. Affranto da quello spasimo e da
quelle angoscie, restava lì per ore ed ore come trasognato; gli pareva
impossibile di non rivedere in quella camera, riflessa da uno specchio
o sorridente fra le cortine dell'alcova, la gentile figuretta di
Lalla, e non poteva comprendere come mai quella morta che lo aveva
tradito e che lo faceva misero, infelice, potesse essere la stessa
donna ch'egli aveva amata con tanta passione e che gli era sempre
apparsa nella vita come un sorriso!--No, no, non era la stessa! La sua
Lalla era bella, era buona, era pia; invece l'altra la morta (la
ricordava bene), aveva gli occhi torvi e sbarrati, le occhiaie livide;
era deforme, era cattiva, era dannata!... No, no!... Non era quella
sua moglie; Lalla non era quella! Ma dov'era andata dunque la buona,
la soave; la sua Lalla dov'era andata?... E mentre si guardava attorno
ritrovava quella camera piena di lei... Pareva che Lalla ne fosse
uscita allor allora, e vi dovesse ritornare all'istante!

C'era il suo specchio che aveva avuto il suo ultimo sguardo: c'erano
libri, che non aveva finito di leggere!... Appesa, al capezzale, c'era
l'immagine della Madonna, ch'ella baciava sempre tutte le sere; e
Giorgio sentì ancora quel sussulto, quel fremito di bambina freddolosa
col quale ella si cacciava sotto le coperte. Allora, lusingato da
tante memorie, alzò il capo... ed ebbe un sorriso che pareva quello
che irradia, alle volte, la faccia d'un pazzo, che sia ammattito per
una sventura d'amore.

Si avvicinò alla toeletta: c'erano le spazzole, le forbici ed anche i
pettini d'avorio e di tartaruga. In uno, il pettine lungo, quello che
Lalla aveva adoperato, ravviandosi i riccioli della fronte prima di
uscire l'ultima volta per andare alla stazione, vide attortigliato
alla dentatura un filo biondo, che pareva di seta. Giorgio lo staccò
dal pettine tremando... poi se lo cacciò in fretta nel portabiglietti
che aveva addosso, guardandosi attorno, come pauroso di commettere
quella strana viltà.

Sullo scrittoio, in un elegante vasetto di porcellana, che
rappresentava un amorino stanco sotto il grave peso d'una rosa,
c'erano alcuni fiori disseccati. Guardandoli, fissandoli, l'occhio di
Giorgio tornò a sfavillare. Ma per Dio!... non gli cadrebbe nelle mani
quell'uomo maledetto?...--Voleva cercarlo in capo al mondo. Gli
avrebbe piantata la spada nel cuore; voleva vederlo spasimare prima di
vederlo morire, e quando fosse agonizzante, allora gli avrebbe detto
che Lalla era viva, era sua che si amavano pazzamente... così l'infame
sarebbe morto disperato!... Ma poi, ritornato più calmo, pensò che
quei fiori non potevano essere di colui: Lalla non li avrebbe
dimenticati!... Li prese, li cacciò in tasca, finchè pentito della sua
debolezza, distrusse i fiori e strappò, stracciò anche il
portabiglietti con tutto ciò che vi era dentro!... Ma fu un impeto
d'ira... molti agguati lo attendevano ancora. Tutto all'intorno, sulla
poltrona, vicino al letto, sul divano, c'erano i lavori di Lalla, i
trapunti, i ricami... Erano i suoi regali; e ognuno ricordava un
giorno di festa, una sorpresa cara, uno scambio dolcissimo di carezze
e di baci. Come erano mutati quei giorni!... Non poteva nemmeno
rimpiangerli; non gli doveva restare nemmeno il dolore di averli
perduti!

Fra quei ricordi c'erano ricami a fiori sul fondo tenue, color di
cielo, ed egli adesso, vedeva uscire tra le foglie, sotto i bottoni
delle rose e i calici delle campanelle selvatiche, sottili serpentelli
dalla bava velenosa. Trine antiche, preziose, coprivano il letto; ma
guardando fisso quel bianco, quei distacchi, quei disegni, ne usciva
al suo occhio un ondeggiare di linee che si sbattevano le une contro
le altre, così che la tinta pallida del filo intrecciato a poco a poco
diventava cupa e nera come il ricamo di uno strato mortuario.

--Maledetta!... Un'ora, un'ora sola fosse stata ancor viva quella
donna!....avrebbe voluto insultarla... farla soffrire!... Lo aveva
tanto offeso, e soffriva tanto, lui!... Ma pure, doveva essere stata
vinta, ingannata, chi sa con quali artifici diabolici... Egli la aveva
amata, adorata... non aveva rimorsi!... Il suo cuore, la sua mente, la
sua anima, tutto era stato in balìa di quella donna!... Perfida,
infame!... Non era bastato tutto il paradiso ch'egli le avrebbe
dato!... Era corrotta nell'anima!... Aveva il vizio nel sangue!...
Ma... E se quelle parole fossero state il delirio dell'agonia?... No,
no, no! Era la verità!... Era la verità!

Intanto, a poco a poco, di lontano, giungeva al suo orecchio un
confuso mormorio, un borbottare di preci.--Ah, venivano a prenderla.
La portavano via!... Lalla!...--Giorgio si precipitò sull'uscio; poi
si arrestò come fulminato.--Ebbene?--Che doveva importarne a
lui?--Come era morta, alla vita, non doveva esser morta anche al suo
cuore?... Sì, sì; via, fuori, lontana, lontana dalla sua casa!
Dovevano seppellirla profondamente sotto terra! Così profondamente,
che il suo cuore non dovesse sentirla più!... Piangevano? Pregavano
per lei?... Ingannava la gente anche dopo morta!... E avrebbe voluto
correre in mezzo a quelle donne genuflesse, avrebbe voluto rovesciare
quei ceri, riempiere de' suoi gridi quella desolazione, ridere in
faccia a quegli addolorati e impedire che la croce le fosse stesa
sulla bara!

Ma là, vicino alla morta, fra la gente che piangeva, avrebbe veduta
una donna pallida, muta, senza lacrime, con un bambino fra le
braccia... Era l'immagine di quell'angelo di madre, di quella martire
sublime, che gli appariva circonfusa di un divino splendore! Se
pensava a ciò che di grande, di temerario aveva fatto quella donna per
salvare sua figlia, una figlia così perfida, da permettere che la
propria colpa ricadesse sulla madre, sentiva, per Maria, più che
ammirazione, sentiva una devozione viva, profonda.

Egli la vedeva scendere per un dirupo irto di sterpi e di spine, coi
piedi che le sanguinavano, colle vesti lacere e lorde di fango. Pure,
procedeva coraggiosa, con un sorriso di speranza e di fede, cogli
occhi e col cuore in alto, nel sereno, ne' cieli, come una santa che
aspetta la sua palma di martirio. E dinanzi a quella immagine, Giorgio
si sentiva più calmo e più tranquillo. Il tumulto si acquetava, e quel
sentimento nuovo, indefinito, dolcissimo di pace e di amore ch'egli
sentiva per Maria si diffondeva anche là dove imperversava l'odio
contro chi lo aveva ingannato.

Fu così, colla tempesta nell'anima, chiuso al buio, come un condannato
o come un pazzo, senza dormire, senza prender cibo, senza svestirsi,
colla febbre nelle ossa, il pianto in gola e la disperazione nel
cuore, ch'egli passò due giorni interi. Non voleva veder nessuno. La
gente gli faceva tedio e paura: non voleva essere compianto e temeva
di essere deriso!

Il duca Prospero era partito col bambino e con Maria per Santo Fiore:
il duca gli aveva già scritto che lo aspettava, ma Giorgio non voleva
muoversi.

Quando entrò nello studio, la prima volta, si fermò un'ora, cogli
occhi fissi sul suo fermacarte antico. Gli pareva ancora di vederci
sotto quella lettera fatale...

--Perchè non aveva creduto a quella lettera? Perchè non aveva sentito
subito che gli diceva la verità?... Perchè mai non era corso in quella
casa maledetta, perchè non era penetrato in quella camera infame?...
Ah, per Dio, li avrebbe uccisi sul colpo!... Come il suo disonore era
stato diffuso pubblicamente! Ed egli aveva creduto che non fosse altro
che una calunnia del Frascolini!... No:, no; era stato qualche suo
amico... qualche suo amico che voleva salvarlo dal ridicolo, forse
qualche suo parente... Pier Luigi forse... Pier Luigi?...
no!...--Perchè no?... Che cosa era successo fra lui e Pier Luigi?...
Che cosa?...--E Giorgio rimaneva fisso, immobile, cogli occhi
istupiditi per ore ed ore, ma non era più capace di ricordarsi perchè
era andato in collera con Pier Luigi.

Una cosa sola egli aveva sempre dinanzi alla mente: Lalla. Di notte
non poteva dormire; dormiva di giorno, e se voleva avere un po' di
calma, un po' di riposo, doveva pensare a Maria e riandare il grande
sacrificio compiuto da lei, dal suo cuore. Sì... sì. C'era pure chi lo
amava sulla terra.

E il bambino?... suo figlio?--Lo aveva veduto in un momento in cui la
sua ragione e il suo cuore erano troppo sconvolti; ma poi, anche quel
bambino cominciò a farsi vivo e a tormentarlo come la memoria della
madre...---Della madre?... sì... della madre sola... perchè non era
suo quel bambino!

Ogni volta che a Giorgio balenava questo orribile pensiero, gli
salivano le fiamme al viso, e gli battevano i denti con uno spasimo
strano. In quel momento non faceva più pietà; faceva paura.

Ma un giorno gli si fisse in mente di volerlo vedere. Sì.--Voleva
vederlo per cercare su quel visino appena abbozzato un indizio, una
verità, una accusa. Titubò molto tempo prima di risolversi:--avrebbero
creduto ch'egli s'illudesse, e gli volesse bene; che lo credesse
suo!... No... no! Lo odiava; ma lo voleva vedere. Chissà che non
avesse rassomigliato a Lalla!...

Capitò a Santo Fiore una mattina, prestissimo. Tutte le finestre del
palazzo erano ancora chiuse. Attraversò il giardino, il portico, aprì
la porta del tinello, entrò e fece chiamare la Luigia. Si guardarono
senza dir motto; ma la Luigia indovinò subito perchè il signor conte
capitava lì a quell'ora, e lo condusse nella camera dove dormiva il
figliuolino.

La culla, ricchissima, era in un canto, vicina ad una grande finestra
che lasciava entrar il sole allegramente.

Il bambino dormiva, rivolto, colla bocca piegata all'ingiù e colla
cuffietta riversata all'indietro: egli lo prese e lo alzò colle due
mani; il bambino aprì gli occhi e cominciò subito a strillare. Giorgio
lo guardò fisso fisso, corrugando la fronte... gli pareva che quella
testolina s'ingrandisse a poco a poco...--Aveva i capelli lunghi...
biondi... era Lalla!

Lo ricacciò nella culla fuggì via dalla camera.

--Riparte così subito, signor conte?--gli gridò dietro la Luigia.

--Sì.

--Non vuol vedere la signora duchessa?... Sta molto male, signor
conte!... Da due giorni non si alza più dal letto.

Giorgio fissò la Luigia, che abbassò il capo e si mise a piangere; ma
tuttavia egli non si fermò a Santo Fiore.

Ritornando a Borghignano era affranto, avea il cuore spezzato; eppure
si sentiva più calmo. Maria stava male! Questo nuovo dolore, al quale
poteva abbandonarsi senza rimorso, senza vergogna e senza collera,
penetrava come un'aura di pace nella sua anima sconvolta.



XXXIV.


Erano trascorsi due mesi dalla morte di Lalla, quando una sera a Santo
Fiore tutte le campane del piccolo villaggio sonavano lentamente e
lugubremente. Da vari giorni venivano innalzate al cielo pubbliche
preci con un fervore sincero, che vinceva l'uniformità fredda e
convenzionale delle pompe solenni, ma tutto inutilmente:--la duchessa
Maria peggiorava, peggiorava sempre! Era giunta all'agonia. Dio voleva
richiamare quella sua martire, e non ascoltava più altro, oramai, che
una preghiera fioca e debole, che gli domandava la pace e che saliva
fino a Lui non confusa dal frastuono del tempio, ma solitaria, da un
letto di dolore.

Imbruniva appena: dai cancelli spalancati del palazzo entrò un gran
carrozzone chiuso e nero, come un carro mortuario, e ne discese il
conte Della Valle curvo, scarno, coi capelli quasi bianchi: in due
mesi era invecchiato di dieci anni. Nella prima sala a terreno fu
incontrato dal duca Prospero, anche lui dimesso e colla faccia
sbattuta, che lo abbracciò singhiozzando.

--Tutt'e due!... Tutt'e due, in così poco tempo! È troppo!... È
troppo!

Giorgio lo guardò colla faccia istupidita, senza dire una parola.

--Va... Va... se vuoi vederla,---e il duca con una mano, indicava
l'uscio che metteva alla scala.--Non ti riconoscerà nemmeno. Io non
posso resistere; sono ammalato; questi colpi ammazzano un
pover'uomo.--Così dicendo, sospirando e singhiozzando, si buttò sopra
una poltrona, presso il camino.

Giorgio salì la scala lentamente. Il suo volto non esprimeva nessuna
emozione; egli non sembrava nè commosso, nè addolorato; era soltanto
attonito, sbalordito. Attraversò l'anticamera con un passo grave,
pesante, senza nemmeno badare che era piena di donne inginocchiate,
che recitavano preghiere. Erano le sorelle della _Scuola Cristiana_.
Nel mezzo, non inginocchiate per terra come le altre, ma appoggiate a
due seggiole, si scorgevano la Veronica e l'Ottavia, tutte e due
vestite di nero, tutte e due col manuale di Filotea fra le mani, tutte
e due colla medaglietta del _Patronato_ puntata sul petto. La Veronica
si guardava intorno dispettosa, interrompendo le orazioni con degli
_zitt_.... lunghi, rabbiosi che parevano sferzate, quando l'una o
l'altra delle donne alzava un po' troppo la voce; ma il rimbrotto
veniva poi mitigato dall'Ottavia, che confortava la malcapitata,
colpita da tanta collera, con un sorriso beato, da dopo pranzo. Miss
Dill, stanca, era seduta in un angolo oscuro; don Vincenzo, in piedi,
pregava a bassa voce, leggendo il breviario.

Quando Giorgio attraversò la stanza, tutte le donne gli tennero dietro
cogli occhi, e quella sua figura, quel fantasma cupo del dolore,
sembrò raddoppiasse il fervore delle loro preci.

Miss Dill, vedendolo, fece per alzarsi e muovergli incontro; ma poi si
fermò, e con un cenno del capo chiamò don Vincenzo.

--Non credereste,--gli disse piano,--di parlarne anche al conte
Giorgio?

--State tranquilla, miss Dill: ve l'ho già detto; chi ha fatto fare il
testamento alla signora duchessa è stato il duca Prospero; e voi vi
siete ricordata.

--Non vorrei si facesse come l'altra volta. Nemmeno una memoria!... E
sì che la contessa avea molte obbligazioni con me.

--È inutile, vi ripeto. Ormai, quel ch'è fatto è fatto. E poi, il
signor conte, dicono, è diventato mezzo matto.

Intanto il Della Valle aveva attraversato un lungo appartamento tutto
buio, attratto dalla luce rossastra, che veniva dal fondo.

Quando fu giunto sulla soglia della camera di Maria, si fermò: allora
il suo volto sembrò animarsi e il suo respiro diventò affannoso. La
Nena singhiozzava vicina all'uscio; don Gregorio pregava ai piedi del
letto.

Appena Giorgio apparve sull'uscio, don Gregorio si alzò, gli andò
incontro, gli prese una mano, che strinse colle sue mani tremanti, e
con un cenno, scrollando il capo, indicò Maria. Il povero vecchio
pensò che era stato il Signore a parlare al conte Giorgio, a farlo
arrivare in quel momento, e si ritirò in un angolo, benedicendo alla
sapienza e alla bontà infinita.

La camera era mezzo al buio: soltanto una lucernetta, nascosta da un
fitto cappuccio, gittava una luce sinistra sul letto e intorno alla
morente.

Giorgio dal lugubre silenzio che lo aveva seguito a mano a mano che
attraversava tutte quelle stanze fredde e deserte, avvolte nelle
tenebre, non aveva ricevuta nessuna sensazione; ma quando si trovò
dinanzi al letto di Maria, il suo cuore, da tanto tempo insensibile,
tornò a commuoversi e a palpitare.

Maria, prima di vederlo, lo aveva sentito. Da alcuni minuti
l'ammalata, col viso intento, battendo le palpebre, pareva cercasse
qualche cosa in quella luce rossastra e ristretta, serrata nelle ombre
cupe.

Chi cercava, chi aspettava era Giorgio: Maria, colla sensibilità dei
morenti, aveva udito la carrozza entrare nel palazzo; aveva seguito i
passi di Giorgio che si avvicinava, e il desiderio di vederlo ancora,
l'ultima volta, le aveva ridato un nuovo alito, una forza nuova, un
vivo desiderio di luce, un rimpianto, il primo e il supremo, alla vita
che le fuggiva.

Maria lo fissò ostinatamente, colle pupille arse, ma nelle quali
l'amore aveva raccolta tutta l'anima sua. Lo fissò con tanto affetto,
che le trasfuse nel sangue un nuovo calore; la vita ritornò per un
momento a riaccendersi e un'ondata di rossore imporporò quel povero
volto distrutto...

Giorgio, che l'avea veduta tanto bella, non l'avrebbe più
riconosciuta; ma parlavano l'occhio di lei e i battiti del suo cuore,
e non poteva essere in dubbio. Si avvicinò, come preso da tremori
convulsi, e un tanfo umido, greve, lo avvolse mentre il lume
rischiarava l'agonizzante con riflessi così strani e foschi, da
sentirne a tratti perfino paura.

Ed era lei. Maria, un giorno tanto bella!... Ma un improvviso, un
prepotente pensiero superò ogni titubanza: Maria moriva per amor
suo!... E a questo pensiero Giorgio sentiva anche dinanzi a quello
spettacolo d'orrore delle intime seduzioni, e guardandola ancora, gli
sembrò che tinte rosee incarnassero quelle guance scarne, affilate, e
che vi risplendesse come un ultimo bagliore della sparita bellezza.

Allora si buttò sopra di lei, piegando le ginocchia e baciandole le
mani con fervore disperata... Ma anche allora la povera donna ricordò
di essere madre: avea capito, indovinato, letto sul volto di Giorgio
ch'egli tutto sapeva; e vincendo e dimenticando l'orribile strazio
della sua vita balbettò con voce fioca e rotta:

--Perdonate... a Lalla!

Giorgio fu vinto da quell'atto sublime, divinamente grande, e fissando
la morente con uno sguardo d'affetto profondo e appassionato le
rispose:

--Sì, Maria, perdonerò... per te!--e avvicinandosi ancora di più e
sollevandole la testa colle mani, la baciò sulla bocca.

Maria lottava adesso per trattenere la vita e colla vita la voluttà di
un primo bacio, ch'ella, nel suo delirio, confondeva coll'estasi del
Paradiso; di un bacio, che viva l'avrebbe forse uccisa e che morente
le innalzava l'anima a Dio, staccandola dalla terra con un fremito
d'amore. In tal modo ella morì: coi brividi di quel bacio che le
correva per ogni fibra mutando la suprema agonia in una gioia suprema;
compensando coll'ebbrezza purissima di quell'ultima ora, tutta intera
la sua vita di dolori. Morì col sorriso sulle labbra e la felicità
nell'anima, la sua fede e il suo amore indivisi nel cuore. Morì, passò
dalla vita, senza strazio, tranquilla, come una fanciulla che si
addormenta stanca, posando la testa sul petto del suo fidanzato.



XXXV.


    Il duca d'Eleda al conte Pier Luigi da Castiglione:

                                --Senato del Regno--

    «_Carissimo Pier Luigi_,

«Vi scrivo ancora sbalordito, ancora più di là che di qua, affranto,
ammalato, per tante sventure che in quest'anno terribile mi spezzarono
il cuore.

«Se mi vedeste, non mi riconoscereste più: certo, farei pietà anche a
voi: non posso mangiare, non posso vedermi in mezzo alla gente, e
solo, non faccio altro che piangere. Basta; il Signore ha voluto così;
sia benedetta la sua santa volontà.

«Però, credetelo, caro Pier Luigi; noi abituati alle gioie pure e
serene della famiglia, noi, che consideravamo come giorni d'esilio
tutti i giorni che eravamo obbligati a starcene lontani, quando ci
troviamo a dover sopravvivere ai nostri cari, proviamo uno sgomento,
una desolazione che ci mette addosso le vertigini. Ed io sono solo,
spaventosamente solo!... Giorgio si è lasciato vincere, dominare
interamente dall'egoismo del suo proprio dolore, ed ha dimenticato
questo povero padre, questo povero marito, che piange disperato, in
una casa deserta e senza echi. Egli presentò le sue dimissioni da
deputato, e chiuso in una villa, su quel di Bergamo, conduce una vita
monastica e lo dicono preso dalla monomania religiosa.

«A rinunciare alla politica ha fatto bene; in lui non c'era la stoffa
di un uomo di Stato. Era timido, debole, irresoluto; tanto debole da
cadere sfinito, affranto, sotto il peso della sventura, senza sentirsi
capace di rialzarsi mai più, nemmeno pensando di essere padre.

«Che cosa succederebbe,--ditelo voi, caro Pier Luigi,--che cosa
succederebbe di quel povero bambino, se io facessi altrettanto? Se
anch'io mi abbandonassi ad una disperazione inconsulta?...
No!--no!--Finchè Dio mi vorrà quaggiù, relegato in mezzo ai triboli,
quella povera creaturina, tutto ciò che mi resta della mia Lalla e
della mia povera Maria, troverà in me la tenerezza di un padre.

«Nulla di meno, per quanto un padre possa essere sollecito e
affettuoso, quella creaturina non sentirà il bisogno di un affetto più
gentile, di un bacio più dolce, di una mano più delicata che la
accarezzi? Non avrà bisogno, insomma, di tutte quelle cure, che
soltanto il cuore amoroso della donna prevede e comprende? Questo mi
domando, giorno e notte, perchè giorno e notte non ho altro pensiero.

«Miss Dill?... Miss Dill non è una donna: è una strega! E fatta
apposta per spaventarli, per farli piangere i bambini, e non per
consolarli. È stata la mia povera moglie ad ostinarsi, a volerla
prender per Lalla: fin d'allora, io non la potevo soffrire; ma la mia
Maria la voleva e... Come si fa?...--Sentite, caro conte, nella
sventura ho un solo conforto; ma è un grande conforto; quello di
essermi sempre sacrificato alla volontà, fin anco ai capricci,
parlando come se da viva ne avesse avuti, di quella poveretta. E poi,
adesso, miss Dill (ingrata come tutto il mondo) sicura della pensione
che la mia povera moglie le ha lasciato, per intercessione mia, si è
fatta stizzosa, bisbetica, prepotente.

«Per ora, si sa bene, il mio Prosperino non ha bisogno di nessuno; la
nutrice pensa a tutto e basta a tutto; ma fra qualche anno, anzi, fra
qualche mese?... Devo condurlo con me, al Senato?... E a casa, a chi
potrei affidarlo con animo tranquillo? A nessuno.

«Tutto ciò ben calcolato, e rinunziando per mio figlio ad altri e più
gelosi sentimenti del mio cuore, e ripensando a quanto voi mi avete
già scritto, cioè ch'Ella sarebbe disposta a sacrificare la sua
gioventù con un povero vecchio, nel quale troverebbe però un padre e
un servitore umile, rispettoso e devoto, vi domando la mano della
contessina Giulia di Rocca Vianarda. Ma... siamo intesi: per un anno,
almeno, non se ne deve discorrere: il mio cuore, prima di esserle
offerto, bisogna che si ritempri nello stesso dolore che lo ha
colpito, poi... Poi darò al mio piccino una sorella maggiore.

«Fra qualche giorno verrò a Firenze per baciare la mano alla
contessina Giulia e per sentire da lei stessa s'ella acconsente di
unirsi a me nel consolare e nel proteggere quell'angioletto che non ha
più la mamma, e che il babbo ha dimenticato.

«La contessina era molto cara a quelle poverette, ed è perciò la sola
donna che può entrare nella mia casa senza offendere la loro memoria.

«Vi saluto e vi stringo la mano.

                                «Tutto vostro»
                                «PROSPERO D'ELEDA».

«P. S.--Non per voi, ma per la contessina Giulia, vi mando l'ultimo
numero dell'_Omnibus_, nel quale troverete un articolo biografico che
parla diffusamente della mia vita politica. Sono piccolezze alle quali
non ho mai tenuto, essendo sempre stato un nemico acerrimo della
_réclame_; la quale, del resto, non è mai stata tanto sfacciata e
impudente come lo è al giorno d'oggi. L'articolo qui unito, è per
altro un'eccezione: è sincero. Lo ha scritto il cavalier Frascolini,
il direttore dell'_Omnibus_; un bravo ragazzo intelligente e
abbastanza galantuomo.

«Qui si lavora attorno alla famosa _legge elettorale_. Molto
probabilmente il mio voto sarà favorevole al progetto. Caro mio, che
cosa volete fare?... Se vogliamo essere ostinati a tirar indietro per
la coda il così detto _progresso_, la democrazia, più forte di noi, ci
trascinerà per forza, e faremo la figura dei vinti: è meglio
risolversi a tempo e saltare lesti alla testa... per tentare, se è
ancora possibile, di mettervi un freno, o almeno per guidarne i
movimenti.

        «Roma, 15 dicembre, 1881.»


FINE.





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