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Title: Fiori d'arancio
Author: Bracco, Roberto, 1861-1943
Language: Italian
As this book started as an ASCII text book there are no pictures available.


*** Start of this LibraryBlog Digital Book "Fiori d'arancio" ***


Internet Archive.

                             ROBERTO BRACCO

                                 TEATRO

                              VOLUME TERZO

                DON PIETRO CARUSO — LA FINE DELL’AMORE —
                *FIORI D’ARANCIO* — TRAGEDIE DELL’ANIMA.

                              3ª EDIZIONE.



                         REMO SANDRON — Editore
                        Libraio della Real Casa
                      MILANO-PALERMO-NAPOLI-GENOVA

Copyright by Roberto Bracco and Miss Dircé St. Cyr in the United States
                              of America.

                                  ————

                          PROPRIETÀ LETTERARIA

    _I diritti di riproduzione e di traduzione sono riservati per
    tutti i paesi, non escluso il Regno di Svezia e quello di
    Norvegia._

    È assolutamente proibito di rappresentare queste produzioni
    senza il consenso scritto dell’Autore _(Art. 14 del Testo Unico
    17 Settembre 1882)_.

    Copyright by Roberto Bracco and Miss Dircé St. Cyr in the United
    States of America.

    Off. Tip. Sandron — 148 — I — 290514.

                                  ————



                            FIORI D’ARANCIO

                          _Idillio in un atto_

Rappresentato per la prima volta nell’_aprile_ del _1898_ al teatro
_Fiorentini_ di _Napoli_, a beneficio della Società Margherita pei
Ciechi, dalla signorina _Rosina Gervasi_, e dai signori conte _Giuseppe
Calletti_, _Leopoldo Persico_ e _Felice De Luca_.

                                  ————



                              PERSONAGGI:

    _Il signor_ _Vannucci,_ _direttore della scuola._
    _Nina,_ _alunna._
    _Altre undici alunne._
    _Don Paolo,_ _curato._
    _Ferdinando._
    _Un maestro._

                                  ————



                               ATTO UNICO


_Lo studio del direttore, di forma irregolare. La parete di sinistra sta
di sbieco, formando un angolo ottuso con la parete di fondo. Ambiente
rusticano. Una scrivania innanzi a una seggiola a bracciuoli di tela
cerata. Sulla scrivania, tra gli altri oggetti, un orciuolo. A un muro
l’enorme orologio ufficiale della scuola: sfere e pendolo, immobili.
Attaccato alla parete di destra, e precisamente alle spalle della
seggiola a bracciuoli, un gran calendario illustrato e una carta
geografica. In un canto della stanza, un lavamani, con su una bottiglia
d’acqua. In un altro canto, una campanella con una cordicina penzolante.
Una vecchia poltrona presso un tavolinetto portatile. In fondo, un uscio
a due battenti, e sull’uscio i ritratti in oleografia del Re e della
Regina: bruttissimi. Nella parete di sbieco, un gran balcone spalancato,
dal quale si scorge la campagna._



                                SCENA I.


            Il signor VANNUCCI e DON PAOLO, poi il MAESTRO.


                              _Don Paolo_

_(si è appisolato sulla vecchia poltrona, con le spalle volte al signor
Vannucci. Ha davanti il tavolinetto su cui sono una tazzolina vuotata e
un mazzo di carte.)_

                               _Vannucci_

_(è seduto presso la scrivania, curvo sopra un registro aperto, e
scrive. Un lungo silenzio. A un tratto, si lascia scivolare con mal
garbo la penna dalle dita)_ Ih, che inchiostro! Che inchiostro! _(Prende
l’orciuolo e versa inchiostro nel calamaio. Quindi, stringendo fra le
labbra i peli più lunghi dei baffi, borbotta:)_ Si va male. Male assai!
_(Guardando il registro)_ Punti scadenti in grammatica, punti scadenti
in geografia, punti scadenti in condotta...: punti scadenti sempre!
Fatiche buttate via con queste fanciulle benedette! L’istruzione
obbligatoria?... A che pro? A che pro?... Fisime, caro don Paolo,
utopie, sogni! La scuola nel villaggio! Uhm! Che sbaglio! Ignoranti
vogliono restare, ignoranti! Ed è meglio!... Oh, la santa, beata e
comoda ignoranza! Altro che progresso! Diceva bene il celebre Giuseppe
Verdi: «Torniamo all’antico!» Già, voi siete un progressista
sfegatato!... Menate vanto di seminare in campagna le idee della città e
quindi non potete essere della mia opinione. Non è così? Eppure, voi,
che dite di conoscere a fondo l’umanità, dovreste capirmi. _(Un
silenzio.)_ Don Paolo, parlo con voi. _(Un silenzio.)_ _(Alzando la voce
e chiamando:)_ Don Paolo, don Paolo!

                              _Don Paolo_

_(svegliandosi)_ Oh!... Sono all’ordine. _(Pigliando il mazzo di carte)_
Faccio carte io.

                               _Vannucci_

Ma, don Paolo, non è l’ora della partita. Vi eravate addormentato?

                              _Don Paolo_

Il vostro caffè è... un narcotico potentissimo!

                               _Vannucci_

Bravo!

                              _Don Paolo_

Ma perchè non si può fare la partita?

                               _Vannucci_

Devo mettere in libertà le classi femminili, adesso. Sono le sette e
forse più.

                              _Don Paolo_

Come lo sapete? L’orologio della vostra scuola non è di quelli che
camminano. Oh, no!

                               _Vannucci_

_(alzandosi)_ Il mio vero orologio è il sole. Vedete: l’ultimo raggio ha
già lasciato il mattoncello lesionato. _(Indica un punto del
pavimento.)_ Nondimeno, per la scolaresca, l’orologio a cucù, che è
l’orologio ufficiale, funziona perfettamente. _(Prende di su la
scrivania una stecchetta di osso.)_ Non cammina?... Che importa?...
Introducendo questa stecchetta nelle sue viscere, io ottengo quanti
ululati voglio. E nelle scuole, caro don Paolo, tutto è forza morale.
State a sentire. _(Con la stecchetta, comincia a martoriare
l’ingranaggio dell’orologio, il quale mette fuori sette suoni
affannosi.)_

                              _Don Paolo_

Bella, questa forza morale!

                               _Vannucci_

_(dopo il settimo suono)_ Ecco, sono le sette. _(Indi, va a tirare la
cordicina della campanella, che riempie l’aria del suo strepito.)_

                              _Don Paolo_

_(portando le mani alle orecchie)_ Altro saggio di forza morale!

_(Si ode sùbito un rumore di panchette smosse e un gaio e fanciullesco
vocìo femminile.)_

                              _Il Maestro_

_(di dentro, con voce nasale)_ Calma, ragazze, calma! Caspita, che
fretta!

                               _Vannucci_

Ma ci scommetto che il maestro ha più fretta delle scolare. _(Torna a
sedere presso la scrivania.)_

                              _Il Maestro_

_(schiudendo l’uscio del fondo e facendo comparire soltanto la testa
calva con i relativi occhiali e un paio d’orecchie a ventaglio)_ Valgo a
servirla, direttore?

                               _Vannucci_

_(quasi tra sè)_ Se l’ho detto io che ha più fretta lui!... _(Al
maestro)_ Nulla di nuovo?

                              _Il Maestro_

Nulla, direttore. Servo suo, direttore.

                               _Vannucci_

E dica, professore: hanno imparato i quattro punti cardinali?

                              _Il Maestro_

Non tutti e quattro, direttore. Mi sono riserbato il Nord per la volta
ventura.

                               _Vannucci_

Ha fatto bene.

                              _Il Maestro_

Grazie, direttore. Servo suo, direttore.

                               _Vannucci_

Si conservi. E le raccomando...

                              _Il Maestro_

Che cosa?

                               _Vannucci_

Il Nord.

                              _Il Maestro_

Non dubiti, direttore. Servo suo, direttore. _(E via.)_

                               _Vannucci_

_(sbuffando e parlando tra sè:)_ Direttore di qua, direttore di là,
direttore di giù, direttore di su.... Sarà un omaggio, sarà tutto quello
che si vuole; ma a me sembra una burletta! Nè più, nè meno: una
burletta!

                              _Don Paolo_

Fatemi grazia: perchè non vi siete ammogliato?

                               _Vannucci_

Come c’entra questo?

                              _Don Paolo_

Voi avete tutti i difetti delle vecchie zitelle, compreso quello di
brontolare dalla mattina alla sera. Se vi foste ammogliato, io non avrei
per amico... un brontolone....

                               _Vannucci_

Mi dispiace, ma non c’è rimedio.

                              _Don Paolo_

Ammogliatevi, ammogliatevi. È meglio tardi che mai. Anzi, a questo
proposito, io volevo proporvi....

                               _Vannucci_

_(interrompendo)_ Don Paolo, vi prego.... Ho da fare il controllo della
scolaresca. Vi pare il momento opportuno per prendermi in giro?

                              _Don Paolo_

Il controllo! Oh! Oh! Che controllo?

                               _Vannucci_

Ma sì. Devono essere dodici teste e dodici «riverisco». Conto giusto.

                              _Don Paolo_

E allora me ne vado. Se manca qualche testa, sto fresco. Arrivederci
..._direttore_! Ma torno più tardi per la partita, eh?

                               _Vannucci_

Sì, sì, don Paolo. Arrivederci, arrivederci.

                              _Don Paolo_

                               _(Esce.)_

_(Si odono i battimani delle fanciulle e le lor voci confuse:)_ Don
Paolo! Don Paolo! Don Paolo!...

                         _(Ancora battimani.)_

                               _Vannucci_

_(stringendosi il capo tra le palme)_ Ora me le mette in rivoluzione!...
Che pazienza! Che pazienza! _(Vede schiudere un po’ l’uscio di fondo.)_
Finalmente, ci siamo!



                               SCENA II.


                         VANNUCCI e le ALUNNE.


_(Comincia la sfilata delle scolare. Ognuna di esse sporge la testa di
tra i battenti dell’uscio semiaperto, saluta e scappa.)_

                             _Prima alunna_

Riverisco, signor direttore.

                               _Vannucci_

_(tra sè)_ E una. _(Poi, gridando e battendo il pugno sulla scrivania:)_
Ho detto mille volte che a quest’ora le parole «signor direttore» sono
superflue! Ma prèdico al deserto, io? _(Di nuovo tra sè)_ Fra le altre
cose, quel «signor direttore» mi confonde la mente, e addio controllo!

                            _Seconda alunna_

Riverisco, signor dir....

                               _Vannucci_

Zitta! E due.

                             _Terza alunna_

Riverisco, signor....

                               _Vannucci_

Zitta! E tre.

                            _Quarta alunna_

Riverisco....

                               _Vannucci_

Proprio così! E quattro.

                            _Quinta alunna_

Riverisco.

                               _Vannucci_

Benissimo! E cinque.

                             _Sesta alunna_

Riverisco.

                               _Vannucci_

E sei.

                            _Settima alunna_

Riverisco, signor direttore.... Uh! Non l’ho fatto apposta....

                               _Vannucci_

E sette.... _(Arrabbiandosi)_ E sette sono i peccati mortali!...

                            _Ottava alunna_

Riverisco... e niente più.

                               _Vannucci_

_(come sopra)_ Brava la sciocca! E otto.

                             _Nona alunna_

Riveri... schi.

                               _Vannucci_

_(correggendo)_ sco... sco.... E nove.

                            _Decima alunna_

Riveris.... Riverì....

                               _Vannucci_

... sco! sco! sco!... E dieci.

                          _Undicesima alunna_

Riveri... scò... scò... scò!

                               _Vannucci_

_(irritatissimo)_ Scoppio! scoppio! scoppio! E undici. _(Dopo una lunga
pausa)_ E undici.... _(Impensierito)_ Undici!... Una di meno! Dove
diamine s’è cacciata la dodicesima?... Ah! Eccola... _(Meravigliato)_
Entra... O perchè mai entra?...



                               SCENA III.


                            VANNUCCI e NINA.


                                 _Nina_

_(portando la borsa dei libri sotto il braccio destro, si avanza
titubante, con gli occhietti lucidi, che guardano in mille punti in un
momento solo.)_

                               _Vannucci_

Che c’è, Nina? Che c’è?

                                 _Nina_

_(tenta di sorridere, ma non fa che mostrare i suoi dentini bianchi, e
sotto l’ascella stringe la borsa dei libri, quasi temendo che le cada.)_

                               _Vannucci_

Ma che c’è, dunque, Nina?

                                 _Nina_

Nulla.

                               _Vannucci_

_(brusco)_ E allora buona notte! Non vedete che sono occupato? Potevate
riverirmi com’era vostro dovere ed andar via con le vostre compagne.
_(Pausa. Poi, gentilmente)_ Venite qua, Nina: vi ho rimproverata, ma ho
bisogno di scusarvi io medesimo ai miei occhi e di giustificare la
vostra venuta in questa stanza. Via, avvicinatevi.... Non fate la
cattiva.... Il vostro direttore, lo sapete, vi vuol bene come a una
figlia.

                                 _Nina_

_(inquieta e riluttante, si pesta con l’uno l’altro piedino. Ma, a un
tratto, si fa coraggio.)_ Signor direttore....

                               _Vannucci_

Dite....

                                 _Nina_

_(con una cantilena come di parole imparate a mente)_ Io vengo a
ringraziarvi di tutte le cure che avete spese per me. La mamma verrà a
fare lo stesso... domani.

                               _Vannucci_

_(con l’animo sospeso, si fa triste in viso e la guarda di sottecchi.)_
Spiegatevi, Nina. Non ho capito....

                                 _Nina_

Ecco, signor direttore, io... oggi....

                               _Vannucci_

... oggi?

                                 _Nina_

_(lasciando scorgere il suo ingenuo compiacimento)_ Compisco sedici
anni.

                               _Vannucci_

_(simulando indifferenza)_ Ah ah! Sicuro! Sedici anni! Eh, infatti,
siete diventata alta quasi come una donna e avete allungata la veste
fino ai piedi.... _(La contempla con un misto di curiosità, di
compiacenza e di sordo dispetto.)_ Me ne accorgo adesso. _(Indi, guarda
altrove. Tace. Ha un fastidio invincibile. Sbuffa. Brontola:)_ A
quest’ora, sale dai giardini una fragranza di fiori d’arancio così acuta
che dà alla testa!... Auff!...

                                 _Nina_

Volete che chiuda le invetriate?

                               _Vannucci_

No, no, non chiudete.... Mi piace di vedere il tramonto.

_(Nel lontano orizzonte, incorniciato dal balcone aperto, un lembo di
cielo rosseggia.)_

                                 _Nina_

_(è lì, immobile, coi piedini serrati e incollati al suolo.)_

                               _Vannucci_

_(scattando)_ Sedici anni! E perciò credete di poter dare un calcio alla
scuola! Siete donna, non è vero? Siete donna? Il maestro tien compagnia
alla bambola! A sedici anni, siete una dottora! A sedici anni i libri si
chiudono e la veste si allunga; allo studio si sostituiscono le
passeggiate, i nastri, i ghiribizzi, e al direttore si sostituisce....
Dio sa che cosa!... Basta! Basta! Basta!... Mi saluti. Se ne vada.
Subito però... e non se ne parli più!..

                                 _Nina_

_(torcendo il collo per non farsi guardare, trattiene le lagrime.)_ Non
è colpa mia se me ne vado,... e non è colpa di nessuno. Ho sedici anni,
ecco; e l’articolo ottavo parla chiaro.

                               _Vannucci_

_(trasalendo)_ L’articolo ottavo?!...

                                 _Nina_

_(ripete ad alta voce, cadenzatamente, il testo dell’articolo:)_ «Non
sono ammesse le fanciulle che abbiano meno di sette anni e più di
quindici. E l’alunna che avrà raggiunta l’età di sedici anni, anche nel
corso dell’anno scolastico, sarà obbligata a lasciare la scuola....»
Eh!... Questo è l’articolo ottavo.

                               _Vannucci_

Lo ricordate a memoria, lo ricordate?!... Non c’è che dire! Dovete
andarvene. Sono parole che scrissi proprio io quando fondai la scuola in
questo villaggio. _(Sospirando)_ Avevo appena trent’anni ed erano neri i
miei capelli.... Ora ne ho quaranta suonati.... Questi dieci anni se li
è rubati il tempo! _(Pausa.)_

                                 _Nina_

_(lo ha ascoltato senza capire, ed ora è intenta a cacciarsi il dito
mignolo della sinistra fra le umide labbra porporine.)_

                               _Vannucci_

_(in tono di acerbo rimprovero, gridando e aggrottando le sopracciglia)_
Che fate lì?

                                 _Nina_

_(tutta spaurita)_ Sa... signor direttore... mi pulivo il dito. Veda...
è macchiato d’inchiostro. _(E, stendendo il braccio, mostra il dito
macchiato.)_

                               _Vannucci_

_(con ira eccessiva)_ Ma ci vuol tutta la sua faccia tosta per venirmi a
contare di simili ragioni. Gliel’ho ripetuto fino alla nausea, cocciuta
d’una ragazza, che mettere le mani in bocca è ciò che vi ha di più
ristucchevole e di più indecente. Ma tutto fiato sprecato! Le mie parole
le entrano in un orecchio e se n’escono dall’altro! Si ha un
bell’affacchinarsi da che fa giorno a che fa notte! Ecco, ecco quel che
se ne ha in compenso: malecreanze, mali modi e ingratitudine. Gli è già
un pezzo che lei, signorina mia, si è guastata. Guardi, guardi, guardi
qui gli ultimi suoi rapporti, e mi dica un po’ lei stessa se non c’è da
inorridire. _(Consultando nervosamente il registro)_ Cinque in
geografia... tre in calligrafia... quattro in grammatica... zero in
condotta! E per giunta? Per giunta: «ho sedici anni.» Vuole che gliela
dica come la sento? Vuole che glielo faccia in tre parole il suo
ritratto?... Cervellina, ignorante e ingrata. Sì, ingrata!... Ingrata!

                                 _Nina_

_(vorrebbe parlare e non può: la parola le si strozza in gola)_
Signor... diret...tore, signor... di...rettore.... _(Scoppia in un
pianto dirotto.)_

                            _(Un silenzio.)_

                               _Vannucci_

_(mortificato, si accosta a Nina, le solleva la fronte con le mani
tremanti, le asciuga le lagrime col suo fazzoletto, le carezza
leggermente i capelli, e le mormora all’orecchio:)_ Ho torto io, Nina,
ho torto io..., ma... te ne prego... non mi lasciare!

                                 _Nina_

_(abbassa lo sguardo e, presa da un lieve tremito di paura vaga, che le
fa cadere di sotto l’ascella la borsa dei libri, si scosta da lui.)_

                               _Vannucci_

_(osserva tutto ciò con profonda tristezza.)_

                      _(L’aria si è fatta buia.)_

                               _Vannucci_

_(inquieto, stranamente emozionato, va al balcone, e resta lì come
estatico, mormorando:)_ Oh, questa fragranza!... Questa fragranza di
fiori d’arancio...!

                                 _Nina_

_(sempre tremando, si guarda intorno, e fugge via.)_

                               _Vannucci_

_(ritornando nella stanza, cerca Nina nella penombra:)_ Nina!...
Nina!... Dove sei, Nina? _(Pausa.)_ Fuggita! _(Va di nuovo al balcone e
la scorge che dilegua.)_ Come corre!... S’allontana.... Non si vede più.
_(Chiude le invetriate e gli scuri del balcone; accende un lume;
raccoglie da terra la borsa e i libri di Nina, e li pone accuratamente
su la scrivania. Siede al suo posto. Scrolla il capo. Si passa una mano
sulla fronte. Indi, prende una penna e guardando il registro ricomincia
a borbottare:)_ Eh,... si va male!... Male assai!



                               SCENA IV.


                      VANNUCCI, FERDINANDO e NINA.


                              _Ferdinando_

_(di fuori, chiamando in tono d’allarme:)_ Signor Vannucci! Signor
Vannucci!

                               _Vannucci_

Ohè, chi mi chiama con tanta furia? _(Si alza.)_

                              _Ferdinando_

Signor Vannucci! Presto presto, aprite, chè la Nina è svenuta!

                               _Vannucci_

Oh, diavolo!... _(Esce in fretta dal fondo, gridando:)_ Nina? Nina?
Nina?

                            _(Un silenzio.)_

_(Entrano il signor Vannucci e Ferdinando, che, insieme, portano Nina
svenuta.)_

                               _Vannucci_

Là, là, su quella poltrona.

                              _Ferdinando_

È viva per miracolo!

                               _Vannucci_

_(adagiando Nina sulla vecchia poltrona)_ Ma che è accaduto? Che è
accaduto? Mi si fa il favore di dirmi quello che è accaduto?

                              _Ferdinando_

Il fosso, signor Vannucci, il fosso!

                               _Vannucci_

Il fosso?!

                              _Ferdinando_

Un po’ d’acqua, intanto.... Un poco d’acqua dov’è?... Ecco. _(Sta per
prendere l’orciuolo di su la scrivania.)_

                               _Vannucci_

No. Che fate? Questo è inchiostro!...

                              _Ferdinando_

E che Dio vi benedica! Avete l’inchiostro negli orciuoli?

                               _Vannucci_

L’acqua è lì, nella bottiglia....

                              _Ferdinando_

Ah! _(La prende.)_

                               _Vannucci_

Nina? Nina? Ninuccia bella? Non senti la mia voce?

                              _Ferdinando_

_(con in mano la bottiglia, spruzzando l’acqua sul viso e sulla veste di
Nina)_ Sss! State zitto. Lasciate fare a me.... _(Continua a spruzzare
acqua)_ Lo vedete? Lo vedete come rinviene?

                               _Vannucci_

È vero, è vero!

                                 _Nina_

_(con un fil di voce)_ Dove... dove sono capitata?

                               _Vannucci_

In casa mia, Nina. In casa del vostro direttore.

                                 _Nina_

_(con un lieve moto di panico)_ Oh!

                              _Ferdinando_

Sss.... State zitto! È ancora tutta spaurita.... Figuratevi! Appena
uscita dalla scuola, aveva presa tale una rincorsa che pareva una pazza,
pareva. E fuggiva, fuggiva, fuggiva... come se fosse stata inseguita da
un cane rabbioso. Era buio, capite, perchè il sindaco non ne ha figlie
da mandare a scuola, e i fanali qui non ce li mette mica; ed è per
questo che, alla svoltata del viottolo, la poveretta inciampa, barcolla,
e dando un grido, _patapúnfete_, giù!...

                               _Vannucci_

Misericordia!

                              _Ferdinando_

Fortuna, però, che nel fosso ci ero già io!

                               _Vannucci_

C’eri già tu?!

                              _Ferdinando_

L’ho potuta afferrare prima che toccasse il terreno, signor Vannucci,
prima che toccasse il terreno...! E siccome le mie braccia sono di
ferro, ella è restata, così, in aria, come una colomba con le ali
aperte. _(A Nina)_ Neanche indolenzita, n’è vero, Nina? Neanche
indolenzita?...

                                 _Nina_

_(alzandosi e parlando con soavità, senza raccapezzarsi)_ Oh no! Niente
niente.... Mi sembra soltanto d’aver sognato.... E non capisco perchè,
ma certo non mi dispiacerebbe di rifare il medesimo sogno....

                               _Vannucci_

Ah! Non vi dispiacerebbe?... _(Dopo un breve silenzio, non riuscendo a
dissimulare la sua preoccupazione, si rivolge con ansia sospettosa a
Ferdinando)_ E tu, come ti ci trovavi in quel fosso?

                              _Ferdinando_

Io... mi ci trovavo... di passaggio.

                               _Vannucci_

Ma che passaggio! Che passaggio!... _(Adirandosi)_ Quel fosso ha la
forma d’un imbuto. Bisogna discenderci a bella posta, santodio! E per
fare ciò non si può avere che un solo scopo: quello di nascondersi.
Sicuro! Di nascondersi come un ladro!

                              _Ferdinando_

Signor Vannucci!...

                               _Vannucci_

Nina, Nina, per amor del cielo, ditemela voi la verità. Ditemela voi.
Come si trovava laggiù questo galantuomo?

                                 _Nina_

Signor direttore, io non lo so....

                               _Vannucci_

La verità, Nina! La verità! La verità!

                                 _Nina_

_(con pudica reticenza)_ La verità è ch’egli....

                               _Vannucci_

_(quasi con terrore)_ Ti aspettava?!

                                 _Nina_

_(ha un impercettibile sorriso, e, arrossendo, si copre il volto con un
braccio)_ Sì, mi aspettava!

                               _Vannucci_

_(sentendosi soffocare da una dolorosa commozione)_ Dio! Dio! Che
enormità! Che corruzione! Che rovina! E che si dirà di me nel paese? Che
si dirà di me? È naturale: si dirà che questo insegno io alle ragazze,
si dirà che io le educo a fare all’amore, che io le spingo a camminare
su gli orli dei precipizi!... Dio mio! Sono perduto! Sono perduto!...

                                 _Nina_

Ma no, signor direttore, non vi disperate così.... Ferdinando mi
aspettava innocentemente....

                               _Vannucci_

_(incalzando)_ Parla, parla....

                                 _Nina_

Sì, innocentemente. Mi aspettava... per dirmi qualche paroletta... senza
mostrarsi alle mie compagne... senza mostrarsi a nessuno.... Aveva
soltanto, un po’, la testa fuori del fosso.... E laggiù non lo scorgevo
che io, io sola, perchè... io distinguo il colore dei suoi capelli anche
all’oscuro.... Che male c’è?... Ci conosciamo da diciassette anni.... È
vero che io non ne ho che sedici... ma lui — dice la mamma — veniva già
in casa un anno prima che io nascessi. È il figliuolo di compare Antonio
— lo sapete —, quello che ha la vigna accanto all’orto della mamma. Ma
la mamma dice ch’egli non ci deve mettere più piede in casa, ed ecco
che, così, da un momento all’altro, lo ha scacciato....

                               _Vannucci_

Ah? Lo ha scacciato?!

                                 _Nina_

Lo ha scacciato, sì, perchè le galline — dice la mamma — le galline lo
hanno in antipatia, e, quando lo vedono, si guastano il sangue e fanno
le ova acide. Eh!... Lo dice lei; ma io non me ne sono accorta. E allora
il poverino — dico io — che deve fare? Lui mi dice: così non si può
vivere. Io gli dico: allora, aspettami nel fosso. Lui mi dice: e sì,
t’aspetterò. E allora, passando, gli dico: buona notte, buona notte,
Ferdinando! E lui... lui mi dice: ti voglio bene, Nina, ti voglio tanto
bene!... Ieri _(assai dolce)_ me lo disse due volte.... Oggi — vedete...
vi racconto tutto — oggi _(con qualche lagrimuccia)_ non me lo ha detto
ancora.

                               _Vannucci_

_(dopo un silenzio, si accosta con severità esagerata e cupa a
Ferdinando, che è rimasto lì un poco imbarazzato e intenerito)_ Lo
intendi, tu, quello che fai?!

                              _Ferdinando_

_(semplicemente)_ Sissignore.

                               _Vannucci_

_(in tono truce)_ Tu commetti un’infamia!

                              _Ferdinando_

Mi meraviglio, signor Vannucci! O che non prese forse moglie il mio
babbo? Ebbene, me ne voglio prendere una anch’io.

                                 _Nina_

Ha ragione!

                               _Vannucci_

_(a Nina, gridando aspramente)_ A posto, voi!

                              _Ferdinando_

E anzi, se foste un direttore coi fiocchi, uno di quelli buoni, ci
andreste voi a parlare col babbo mio e con la mamma di Nina.

                               _Vannucci_

Ma come?! È ufficio d’un direttore di scuola, questo?

                                 _Nina_

_(con umiltà)_ In fin dei conti, signor direttore, io ho compiuti gli
studi. Non dovreste darmi un diploma? E invece mi date un marito.

                               _Vannucci_

_(montando in furia)_ E vi pare che sia lo stesso, vi pare!?

                                 _Nina_

No. Proprio lo stesso, no. Ma gli è che voi siete così buono con me.
Anche quando mi sgridate, sento che siete buono. Anche quando mi fate
piangere, sento che siete il mio protettore. Non mi abbandonate adesso
che ho più bisogno della vostra protezione.... Tanto, alla scuola io non
ci posso più venire.... E giacchè mi toccherebbe di stare tutta la
giornata in ozio, non è forse meglio maritarmi?... Don Paolo, il
confessore, mi ha detto che il maritarsi non è peccato e che le ragazze
sono ragazze appunto per cercare marito.... Parlate, dunque, parlate voi
con la mamma.... Ditele tante cose.... Ditele che mi sono condotta
bene... e che ho meritato questo premio.... Diteglielo con la vostra
voce dolce, con la vostra voce migliore, e lei vi crederà... vi
crederà... perchè quando parlate con quella voce _(gentilissimamente)_
non c’è nessuno che non creda in voi come in un santo!...



                                SCENA V.


                         DON PAOLO e gli ALTRI.


                              _Don Paolo_

_(fermandosi sulla soglia della porta in fondo)_ Piano, piano, piccina
mia. Non confondere il signor direttore coi santi. Lui, è un altro
genere!

                               _Vannucci_

_(voltandosi con rabbioso rancore)_ Ah, don Paolo, siete voi che mettete
i mariti nel cervello delle fanciulle?

                              _Don Paolo_

Io non ce li metto, mio caro: io ce li trovo.

                               _Vannucci_

_(esasperandosi)_ A quell’età, è una cosa orribile!... Orribile!

                              _Don Paolo_

Non esageriamo. _(Con serenità sacerdotale)_ Quando il terreno è
propizio e l’aria è pura, si può anticipare la seminagione.

_(Nina e Ferdinando si avvicinano al signor Vannucci, l’una da un lato,
l’altro dall’altro, supplichevoli e insistenti.)_

                                 _Nina_

Signor Direttore....

                              _Ferdinando_

Signor Vannucci....

                                 _Nina_

Accompagnate Ferdinando e me dalla mamma.... È così tardi.... Ella sarà
in pena.

                              _Ferdinando_

Sì, sì, non perdiamo più tempo....

                                 _Nina_

Proteggeteci....

                              _Ferdinando_

Aiutateci....

                              _Don Paolo_

Animo, direttore, animo!...

                               _Vannucci_

_(scattando con un accento di strazio)_ Anche voi, Don Paolo, anche voi
contro di me?! Ma è inutile! Io non mi lascio imporre da nessuno,
perdinci!, e non sarò mai il complice d’una mostruosità! Mai! Mai!... E
poi, per quale ragione dovrei aiutarli? Perchè sono buono? E chi lo dice
che sono buono? Lo pensa lei _(indicando Nina)_ e s’intende che lo pensi
visto che lei è una piccola egoista a cui fa comodo di pensarlo. Ma non
sono buono io, no che non lo sono, e non è possibile d’esser buoni
quando si vive come io vivo, senza il ricordo d’un sorriso..., senza la
speranza d’un sorriso! _(In una crescente esasperazione di malinconia)_
Coltivo un giardino che non è mio e che è di tutti gli altri, e, per
questi fiori che vedo sbocciarmi dinanzi belli e rigogliosi, io sono un
estraneo... un estraneo; e alla mia mano che vorrebbe difenderli perfino
dalla rugiada troppo fredda o dal raggio di sole troppo ardente, essi
preferiscono quella che li strappa senza pietà e che li porta ad
appassire... chi sa dove!... Non sono buono io, no, non lo sono, e non
voglio esserlo, non voglio esserlo!... Don Paolo, non mi cacciate in
codesta faccenda, e non mi fate predicozzi, chè, tanto, non mi
convincereste. Questi ragazzi mi hanno dato un dolore, un gran dolore;
e, adesso, che se la sbrighino tra loro e mi lascino in pace. _(Siede
sulla vecchia poltrona presso il tavolino, e non sa dissimulare la sua
sofferenza.)_ Ciascuno per sè e Dio per tutti; e se c’è qualcuno che
vuol morire d’amore, muoia, muoia pure, e buon viaggio! Io me ne lavo le
mani!

                            _(Un silenzio.)_

                              _Don Paolo_

_(gli si avvicina e, guardingo, insinuante, semplice, solenne, gli parla
all’orecchio:)_ Signor Vannucci... siete sicuro... di non essere voi
innamorato di quella fanciulla?

                               _Vannucci_

_(levandosi come per una violenta scossa elettrica e spalancando gli
occhi in un misto di stupore e di raccapriccio)_ Io! _(Poi acuisce il
pensiero, impallidisce, abbassa gli occhi e dice a Don Paolo, con voce
fioca e penosa:)_ Don Paolo, voi siete stato crudele,... ma io vi sono
riconoscente!

                              _Don Paolo_

_(si stringe nelle spalle in segno di bonaria indulgenza sacerdotale e
si scosta da lui, andando verso Ferdinando e Nina.)_

                               _Vannucci_

_(facendo uno sforzo)_ Sentite, Nina.... Ho riflettuto al vostro
desiderio.... _(Con molta dolcezza)_ È giusto, sì.... Mi occuperò io di
ogni cosa.... Sarete contenta.... Fidate in me.... Ne riparleremo
domani.... Per ora, abbiate pazienza.... Ho un po’ d’emicrania.... Ma,
domani, sarà passata... sarà passata.... _(Torna a sedere sulla vecchia
poltrona e piega il capo in una mano, poggiando il gomito sul
tavolino.)_

                                 _Nina_

_(piano, a Don Paolo)_ Don Paolo....

                              _Don Paolo_

_(piano come lei)_ Cos’è?

                                 _Nina_

_(commossa)_ Gli ho forse fatto del male?

                              _Don Paolo_

Un poco.

                                 _Nina_

Devo chiedergli perdono?

                              _Don Paolo_

E perchè no? Sarà un beneficio per lui e anche per te. Va... va....

                                 _Nina_

_(incoraggiata dallo sguardo di Don Paolo, ma pur timidamente, si
accosta al signor Vannucci e gli s’inginocchia ai piedi.)_ Vi chiedo
perdono, signor direttore.... Io non so che male vi ho fatto, ma vi vedo
soffrire, vi vedo molto soffrire... e capisco che ne sono io la causa.
_(Con grande tenerezza)_ Perdonatemi, signor direttore, perdonatemi....

                               _Vannucci_

_(evitando di guardarla)_ No, Nina, voi non mi avete fatto niente....
Che significa ciò? _(Stendendo il braccio per sollevarla)_ Su, su....
Alzatevi, alzatevi, vi prego di alzarvi!

                              _Ferdinando_

_(con l’aria d’aver capito, presso la porta in fondo)_ Andiamo via,
Nina!

                                 _Nina_

Sì, mi alzerò; ma permettetemi almeno, permettetemi di baciarvi questa
mano. _(Glie la prende con effusione.)_

                               _Vannucci_

_(ritraendola bruscamente, come per una gran paura indefinibile)_ No,
no, no!... _(Indi, mutando il tono di paura in un tono di contenuta
affettuosità)_ No, Nina, non ce n’è bisogno.... Grazie... grazie.... _(A
un tratto, le lagrime gli sgorgano dagli occhi copiosamente; ed egli si
affretta ad incrociare le braccia sul tavolino e a nascondervi il viso,
singhiozzando in silenzio.)_

                                 _Nina_

_(lo guarda attonita e lentamente si alza. Poi guarda attonita Don
Paolo. Poi, di nuovo, con gli occhi fissi sul signor Vannucci,
retrocedendo verso Ferdinando che l’aspetta inquieto e che tuttora col
gesto le consiglia di andar via, mormora quasi tra sè:)_ Come è
strano!... _(Pausa.)_ Come è strano!...


                                SIPARIO.

                          _Fine dell’idillio._





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