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Title: Dizionario storico-critico degli scrittori di musica e de' più celebri artisti, vol. 3 (of 4) - Di tutte le nazioni sì antiche che moderne
Author: Bertini, Giuseppe
Language: Italian
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*** Start of this LibraryBlog Digital Book "Dizionario storico-critico degli scrittori di musica e de' più celebri artisti, vol. 3 (of 4) - Di tutte le nazioni sì antiche che moderne" ***


                  DIZIONARIO DEGLI SCRITTORI DI MUSICA

                               L. — R.


                              DIZIONARIO

                           _STORICO-CRITICO_

                      DEGLI SCRITTORI DI MUSICA

                      E DE' PIÙ CELEBRI ARTISTI

                         _DI TUTTE LE NAZIONI_

                        SÌ ANTICHE CHE MODERNE


                     _DELL'AB. GIUSEPPE BERTINI_

            MAESTRO DELLA REGIA IMPERIAL CAPPELLA PALATINA


                                           _In medio omnibus
                    Palmam esse positam qui artem tractant musicam._
                                                 Ter. Prol. in Phor.


                              TOMO TERZO

                               PALERMO
                  DALLA TIPOGRAFIA REALE DI GUERRA.
                                1815.



L


LAAG (Enrico), viveva ancora nel 1783, benchè in un'età molto avanzata a
Osnabruck, come maestro di cappella della chiesa di S. Maria. Egli
scrisse e pubblicò in sua lingua, _Elementi di cembalo e del basso
continuo_, Osnabruck in 4º, 1774 e _Cinquanta canzonette con melodie per
il forte-piano_, Cassel 1777. I cembali da lui costruiti sono ancora in
gran pregio.

LACASSAGNE (l'abate de), nel 1766 pubblicò in Parigi: _Traité général
des elemens du chant, dedié a Monseign. le Dauphin_ in 8vo. L'autore si
è prefisso in quest'opera di esporre semplicemente e facilmente il
metodo usitato d'imparare la musica, ponendo ad ogni precetto un
esempio, per far vedere, che tutte le diverse misure si possono con
facilità ridurre a due, e le chiavi ad una sola. Egli sviluppa meglio
questa materia in un altro libro, cui diè per titolo: _L'unicleffier
musical, pour servir de supplement au Traité général_, etc. La R.
Accademia delle Scienze sulle relazioni de' Sig. d'Alembert, e de'
Fouchy giudicò, che questo Trattato è chiaro, metodico e atto a
conseguire l'intento dell'autore. _V. l'artic. Boyer._

LACÉPÈDE (il conte Stefano de), membro dell'Instituto nazionale delle
Scienze ed Arti, nacque a Angen l'anno 1756. Egli pubblicò in Parigi nel
1778, alcune sinfonie a piena orchestra, ed altre concertanti. Nel 1785
diè al pubblico la sua _Poétique de la musique_, in 8vo. L'autore
applica i suoi precetti alle sue opere musicali non ancora impresse;
avrebbe certamente fatto meglio se preso avesse i suoi esempj nelle
produzioni ben note di qualche illustre compositore, come Gluck, Piccini
ec., ciò sarebbe stato realmente più utile a' giovani studiosi.
Quest'opera è scritta tutta via con molto fuoco e sensibilità. Il dotto
Carpani la loda moltissimo, e con ragione (_v. lettre 4, e 10_). Nel
primo libro ricerca l'autore da profondo filosofo l'origine della
musica: egli dice che noi dobbiamo quest'arte al dolore ed alla triste
malinconia; che nata in mezzo a' pianti conserva tuttora l'impronta
della sua origine, e che ella non dipinge con successo se non i dolorosi
eventi, le penose vicende, i disagiosi sentimenti o le affezioni
profonde. Nel secondo con maestrevol mano disegna la carriera che
percorrer dee l'Artista sotto 'l rapporto dello spirito di cui bisogna
investirsi. È gran pena che quest'opera non sia conosciuta abbastanza.

LACHNITH (Luigi-Venceslao), nato in Praga nel 1756 venne in Parigi nel
1773, a perfezionare i suoi talenti nella musica, ed ebbe quivi per
maestro nella composizione il cel. Philidor. Egli ha scritto più drammi
in musica, molte sinfonie e quartetti per violino molto stimati in
Francia. Ha formato un gran numero di allievi, e compose con M. Adam
_Une Méthode de doigté pour le forte-piano_, che è stato adottato dal
conservatorio.

LACOMBE (Giacomo), avvocato in Parigi può con ragione esser annoverato
tra i migliori autori, che hanno scritto sulla letteratura e le arti.
Egli pubblicò quivi _le Spectacle des beaux-arts_, in 12º, ove si
trovano delle giudiziose osservazioni sulla musica, e le _Dictionnaire
portatif des beaux-arts_ in 12º, in cui dà notizie di molti musici.
Lacombe era cognato del cel. M. Gretry, ed è morto sul principio del
presente secolo.

LAFFILARD (Michele) è autore di un'opera intitolata: _Principes très
faciles, qui conduisent jusqu'au point de chanter toute sorte de musique
à livre ouvert, dediés aux Dames religieuses_, Paris 1710. Vi si trova
la prima idea d'un _cronometro_, o pendolo destinato a misurar
esattamente i movimenti nella musica: egli avea posto alla testa di
alcune arie altrettante cifre ch'esprimevano il numero delle vibrazioni
del suddetto pendolo durante ciascuna misura: (_V. Diderot, Observat.
sur le Chronometre_). Progetto inutile, che non ha avuto giammai luogo
nella pratica.

LAGO (Gio. del) veneziano, autore di una _Breve introduzione di musica
misurata_, Venezia 1540. (_Martini, Stor., tom. 1_)

LAGRANGE (Giov. Luigi de), nato a Torino nel 1736, vien riguardato
come il più gran geometra che dopo il Newton sia stato in Europa. “Ancor
giovinetto, dice l'ab. Andres, entrò coraggiosamente nel campo
dell'Acustica dopo il Newton, il Taylor, i due Bernoulli, il d'Alembert
e l'Eulero, e toccò a lui il raccorne gli allori. Egli esamina la
dottrina del Newton su la propagazione del suono, espone l'analisi pura
ed esatta del problema secondo i primi principj della meccanica, e fa
conoscer l'insufficienza e la falsità del metodo newtoniano, e propone
un'altra via per la soluzione fondata su principj sicuri ed
incontrastabili. Discute le teorie del Taylor, dell'Alembert,
dell'Eulero, e le riforme, e le obiezioni di Daniele Bernoulli; e pesate
le ragioni degli uni e degli altri, conchiude, che i loro calcoli non
bastano a decidere tali questioni, e propone una soluzione, che sembra
avere tutto il merito della sodezza e della generalità. Passa poi a
sviluppare la teoria generale de' suoni armonici, degli stromenti da
corda e da fiato, e per una formola semplice determina il suono fisso ed
i suoni armonici, che propose il Sauveur, con quell'esattezza e
facilità, a cui quegli non potè giungere; e dà nuovi e sicuri lumi per
la cognizione del suono, applicabili anche alla pratica della
costruzione, e del maneggio degli stromenti, alla teoria dell'eco
semplice e composto, e ad altri curiosi e difficili punti dell'acustica.
Le formole sì semplici e generali, l'integrazione di tante equazioni,
l'analisi sì fina, chiara ed esatta, la penetrazione del suo ingegno, la
sodezza del suo giudizio chiamarono l'attenzione di tutti i geometri:
gli stessi atleti di quella nobile lizza, l'Eulero, il d'Alembert e il
Bernoulli, i venerati oracoli di questa scienza ascoltarono con rispetto
la voce del nascente geometra, nè sdegnarono di metterlo al loro lato
nel seggio, ch'essi occupavano nel matematico impero. Tutti e tre
scrissero tosto al giovine Lagrange, abbracciando molti punti della sua
dottrina, domandando d'altri maggiori rischiaramenti, e venerandolo in
tutti quasi come loro arbitro e giudice; e se l'Accademia di Berlino era
stata poc'anni prima il campo di battaglia fra que' tre illustri
campioni, l'Accademia di Torino divenne nel suo nascere il teatro
d'onore, dove fecero luminosa comparsa l'Acustica e l'algebra, e dove
concorsero, si può dire a corteggio del Lagrange, l'Eulero, e il
d'Alembert, i sovrani e principi delle matematiche discipline. Qual
gloria per un giovin geometra vedersi alla prima produzione portato
sull'ali della fama per tutte le accademie e le scuole ricevere gli
applausi de' più applauditi geometri, e gl'incensi e le adorazioni di
tutti gli altri? Questa singolar gloria, che ottenne allora il Lagrange,
l'ha sempre mantenuta, ed accresciuta costantemente perfino a' nostri
dì, spargendo ognor nuovi lumi su la presente materia, che sì
copiosamente avea illustrata.” (_Andres Origine ec. tom. 4, c. 8_). M.
Montuela, il dotto autore della storia delle matematiche, ha dato una
dettagliata analisi della bella _Dissertazione del Lagrange sulla
propagazione del suono_, che comparve al pubblico nel 1º vol. delle
_Memorie di Torino_, 1759. Noi rapporteremo solo l'estratto dell'ultimo
capitolo, in cui Lagrange applica la sua analisi a diversi punti della
teoria del suono: 1. _Come l'aria trasmette senza confusione i
differenti suoni_; 2. _Come due suoni ne producono un terzo, il che
rende ragione dell'esperimento che serve di base alla teoria del
Tartini_. Solamente Lagrange trova un suono all'ottava bassa di quello
di Tartini. Il nostro geometra fissò quindi la sua dimora in Parigi,
dove viveva ancora nel 1811, membro della classe delle scienze
dell'Istituto nazionale, e senatore.

LAHOUSSAYE (Pietro), uno de' migliori allievi del Tartini, nacque in
Parigi nel 1735. Fornito di un'organizzazione adatta alla musica,
all'età di 7 anni, da se solo senza maestro, sonava già assai soavemente
di violino; ancor giovinetto ebbe la fortuna di sentire spesso i primi
virtuosi su questo stromento, che abitualmente radunavansi presso il
conte di Sennetterre; questi erano Pugnani, Giardini, Gaviniès, Pagin e
Ferrari, e sonando ancor egli ne riscosse da' medesimi i più grandi
elogj. La buona fortuna di cui godeva Lahoussaye non lo distolse dalla
brama che aveva avuta sempre di vedere il gran Tartini. Egli attaccossi
al principe di Monaco, e profittò d'un viaggio di questo principe in
Italia per andar in Padova e render omaggio a quel sublime maestro. Sul
punto ch'egli entrava in chiesa, cominciava Tartini il suo concerto, non
può spiegarsi la sorpresa, l'ammirazione che gli produssero la purità,
la giustezza, la qualità del suono, il sublime incanto dell'espressione,
la magia dell'arco, tutte le perfezioni dell'arte di cui l'esecuzione
del Tartini gli offrì per la prima volta il modello: non si sentiva più
la forza di farglisi innanzi, vi si arrischiò non per tanto. Tartini lo
ricevette con bontà, e riconoscendo in lui la sua maniera e la sua
scuola, gli diè delle lezioni seguite. Lahoussaye, richiamato dal
principe di Monaco, fu, con suo gran disgusto, obbligato a lasciar
Padova. Le circostanze per alcun tempo lo stabilirono a Parma ove ebbe
la fortuna di piacere all'infante D. Filippo e a tutta la corte. Quivi
fu ch'egli apprese la composizione dal cel. Traetta, e dove la sua
musica de' balli ebbe gran successo, come in Venezia. Ricolmo delle
beneficenze dell'infante lasciò Parma per far ritorno in Padova presso
Tartini, da cui fu con tenerezza accolto, e proseguì a prender lezioni
sino al 1769. Egli ha diretto le più famose orchestre d'Italia,
d'Inghilterra, di Francia. Alla fama de' successi del suo scolare,
Tartini diceva con soddisfazione: _Io non ne son niente sorpreso, ho
sempre detto che Pietro il mio scolare sarebbe un giorno il terror de'
violini._ Ecco come descrive elegantemente il Bettinelli il carattere di
questo gran Genio nella musica: _Il Sig. Lahoussaye_, egli dice, _senza
quello stromento era uomo quieto, modesto, amico d'ozio e di pace. Ma
preso il violino, eccolo un altro. Si risveglia, si scuote, e s'accende
co' primi arpeggi, come un amico, ed un amante all'incontro, e al
possesso del suo caro bene. Par che l'abbracci, e s'interni e si perda
in quel suono, non bada ad altro con una forza, una rapidità,
un'applicazion di trasporto, che par fuor di se, ed io presente son da
lui trasportato, nè mi ricordo più il suonatore, non veggo più l'arco e
lo stromento, non ho altro senso, fuorchè l'orecchio, e l'anima è tutta
armonia. Le note a lui non servono, che di un disegno o modello, su cui
dipinge, vola, inventa, crea, signoreggia a talento, ed io non sentj da
un violino giammai tante cose, poemi, quadri, affetti, contrasti, e non
mi stanca per quanto pur suoni. Mi dicono ch'ei non si stanca in casa
suonando da se; e passa l'intere giornate con l'idolo suo. Ben
riflettei, conversando con lui che diviene eloquente parlando dell'arte
sua, ch'è superiore ai pregiudizj della musica italiana o francese, che
senza parzialità le concilia, ed è tutto fuoco parlando dell'armonia
generosa, profonda e passionata, odiator della fredda, affettata e
corretta_ (_Dell'entusiasmo delle belle arti, part. 2, t. 4 delle op._).
Lahoussaye viveva ancora l'anno 1810. “Padre ed avolo di una numerosa
famiglia, consacra gli avanzi di un gran talento, di cui la tradizione
di giorno in giorno va a perdersi, in una scelta compagnia di veri
amici, che sa apprezzarlo, e si reca a maraviglia come non abbia
ricevuto ancora dalla Francia una pensione a tanti titoli da lui
meritata” (_Fayolle nel suo artic._).

LALANDE (Girol. de), celebre astronomo, morto in Parigi nel 1807. Madama
la contessa de Salm ne ha pubblicato l'_Elogio istorico_, in 8.º 1810,
nel quale alla pag. 16, ella dice, che M. Lalande nel 1751, pubblicò
un'opera su la musica col titolo: _Principes de la science de l'armonie
et de l'art de la musique_, che non è alla nostra cognizione. Nel suo
_Voyage en Italie_ in 8 vol. in 12º, Lalande ha inserite alcune
osservazioni sulla musica di questo paese, ed alquanti aneddoti intorno
a' suoi musici. Parlando di Napoli: _La musica, egli dice, è in qualche
modo il trionfo de' Napoletani: pare che il timpano dell'orecchio è in
questo paese più delicato, più forte che nel resto dell'Europa. Tutta la
nazione è cantante._ Fin qui va bene. _Ogni gesto, ogn'inflessione di
voce degli abitanti, e anche la maniera della prosodia nelle sillabe
conversando, respirano l'armonia e la musica._ Il d. Burney, professore
di musica inglese, che viaggiando pure per l'Italia venne in Napoli,
tratta a ragione di enfatiche coteste espressioni del Lalande; _Questa
relazione_, egli dice, _è così lontana dall'esser esatta, che mette il
suo lettore nell'alternativa di supporre l'una di queste due cose; o
ch'egli non vi ha usata alcuna attenzione, o ch'egli non aveva orecchio
in istato di ben giudicare._ (_Travels, ec. tom. 1_).

LALANDE (Mich. Riccardo de), cel. compositore francese su i principj
dello scorso secolo, nato in Parigi, fu scelto da Luigi XV per maestro
di cembalo delle due principesse sue figlie, e ne ebbe il collare
dell'ordine di s. Michele. Egli morì in età di 67 anni nel 1726, de'
quali 45 avevane impiegati in servigio di Luigi XIV e del suo
successore, avendo dato in questo spazio di tempo 60 mottetti a gran
cori, oltre molta musica pel teatro. _Ne' suoi salmi o mottetti_, dice
l'ab. Laugier, _Lalande ci offre delle bellezze di composizione più
meditate e di più studio (che quelle di Camprà). Non vi si trova il
naturale grande, facile, grazioso, elegante, ma egli è riuscito
eminentemente nel divoto: vi si trova il tenero, il grave, l'augusto, il
maestoso, il terribile. Si rimarca in tutto una singolare espressione
delle grandi idee della Religione: de' nobili e teneri sentimenti
ch'ella ispira a coloro, che profondamente l'hanno impressa nel cuore._
(_Apolog. de la Mus. franc. p. 128_) V. l'artic. Camprà nel 2º tomo.

LALLEMANT, dottore in medicina e direttore di questa Facoltà in Parigi
nel 1751 pubblicò _Essai sur le mécanisme des passions en général_. In
questo trattato, parla degli effetti della musica, ed analizza
principalmente la maniera, con la quale il canto e la musica
istromentale influiscono sulle passioni.

LAMARK (M.). Nel tomo 49, del Giornale di Fisica del 1799 in Parigi, vi
ha di costui: _Mémoires sur la matière du son_, pag. 397.

LAMBERT (Giov. Enrico), nato a Malhause nel 1728 d'una famiglia francese
quivi rifuggita per motivo di religione, coltivò con successo la fisica,
le matematiche, la meccanica ed altre scienze. Egli era membro della
Società R. di Berlino, nelle cui _Nuove memorie_ nel vol. 31 vi ha di
lui: _Observations physiques sur les flûtes_, an. 1776, _Observations
sur la vitesse du son_. Nel vol. 30, del 1774, _Remarques sur le
tempérament en musique_. “La difficoltà di accordare esattamente per
quanto è possibile, le quinte e le terze nell'ottava (egli dice), ha in
ogni tempo esercitato i musici sia teorici, sia pratici. Si cercò di
giungervi a tastone, senza rimaner soddisfatti di quel che si era
trovato, perchè prima dell'invenzione de' logaritmi non era possibile di
risolvere metodicamente questo problema. Io impiegherò questi logaritmi
per comparare insieme le quinte e le terze, e per avere un termine di
comparazione fisso e costante metterò il temperamento medio per base.”
M. Chladni loda molto gli sperimenti di M. Lambert nel suo _Tratt.
d'Acustica_, pag. 74, e 310. Lambert morì in Berlino nel 1775.

LAMOTTA (Martino) siciliano, di cui rapporta _Adami da Bolsena_ nella
sua _Storia della cappella pontificia_, di cui era maestro di musica,
che Lamotta nel 1610 era in quella uno dei tenori, dove veniva molto
stimato a motivo de' suoi gran talenti.

LAMPE (Feder. Adolfo), dottore e professore in teologia a Brema dove
morì nel 1729, in età di 46 anni. Egli è autore di un trattato in latino
_de Cymbalis veterum_, Utrecht 1703, in 12º con molti rami: vi si trova
erudizione immensa, e sostenuta dalle testimonianze di antichi
scrittori.

LAMPRO D'ERITREA, celebre musico filosofo dell'antichità, ebbe la gloria
di essere stato uno de' maestri nella musica di Aristosseno, che fu
capo-scuola in questa scienza. Suida dice, che le più pregiate tra le
sue opere erano quelle, che egli aveva scritto sulla musica, e che per
disavventura si sono perdute. In una di queste opere egli trattava
_della musica in generale_, in un altra _De' suonatori di flauto, de'
flauti e d'altri stromenti_, e finalmente nella terza _Sulla maniera di
bucare, e costruire i flauti_. Egli fioriva cinque secoli innanzi l'era
volgare. Non bisogna confonderlo con un altro _Lampro_ di lui più
antico, e _poeta-musico_, di cui presso Platone (_in Menex_), dice
Socrate di avere appreso la musica. Ateneo in oltre rapporta (_lib. 1,
Deipnos_) che da questo Lampro apprese Sofocle la danza e la musica, e
Corn. Nepote nella vita di Epaminonda, c. 2, dice che questo Lampro
fecesi gran nome tra' musici.

LAMPUGNANI (Giov. Batt.). Milanese, eccellente melodista nella prima
metà dello scorso secolo, scrisse la musica di più drammi serj, come
l'_Ezio_ nel 1737, il _Demofoonte_ nel 1738, _Tigrane_ nel 1747, e _Amor
contadino_ nel 1760. Egli fu il primo che cominciò a lussureggiare negli
accompagnamenti delle arie, come dice il Carpani (_Lettera 4_), e a dare
maggior movimento agli stromenti.

LANDINI (Francesco), cittadino di Firenze divenuto cieco dall'infanzia,
si diè per diporto allo studio del canto e de' musicali istromenti
specialmente dell'organo, nel quale così valente egli era, che non
veniva con altro nome chiamato che _Francesco degli organi_. Filippo
Villani afferma nella sua vita, che al 1364 un re di Cipri il coronò
d'alloro in Venezia come il più celebre organista del suo secolo (_V.
Bettinelli Risorgimento ec. Cap. 3 della Poesia t. 2, p. 150_). Fu anche
inventore di più stromenti. Egli non occupossi in oltre così della
musica, che riuscito non fosse del pari illustre nella grammatica, nella
dialettica, e nella poesia sì italiana che latina. Nella biblioteca
Riccardiana in Firenze di lui conservansi manoscritti otto latini
poemetti. L'ab. _Mehus_ ne ha dato un saggio, come ancora pubblicò un di
lui sonetto; alcune sue Rime trovansi sotto il nome di _Franc. degli
organi_ nella raccolta dell'_Allacci_. Lo stile de' suoi versi latini, a
giudizio del _Tiraboschi_, non è di molto inferiore a quello del
Petrarca. Morì in Firenze al 1380.

LANGLÉ (Onorato Francesco), nato a Monaco nello stato di Genova nel
1731, all'età di 15 anni fu mandato in Napoli dal principe di Monaco,
per apprendervi la composizione; entrò nel conservatorio della _Pietà_,
e studiò sotto Caffaro uno de' migliori allievi del cel. Leo. Restò
quivi otto anni, e ne divenne il primo maestro di cappella. Vi fece
eseguire delle messe e de' mottetti, che meritaronsi gli applausi de'
primi maestri dell'Italia. Nel 1768 venne a stabilirsi in Parigi, dove
la musica ch'egli ha scritto per que' teatri acquistato gli hanno gran
fama. Langlé è morto membro e bibliotecario del Conservatorio li 20
settembre del 1807, in età di 66 anni. Come teorico ha dato al pubblico
molti trattati, che gli han fatto somma riputazione: 1.º _Traité
d'harmonie et de modulation_, 1793; 2. _Traité de la basse sous le
chant_, 1797; 3. _Traité de la fugue_, 1800; 4. _Nouvelle méthode pour
chiffrer les accords_, nel 1801. (_V. Mémoir. de l'Instit. Nation. tom.
2, e 3_)

LANZI (Petronio), maestro di cappella in Bologna, nel 1770 fu eletto a
presedere il concorso, che i membri della Società Filarmonica, ed i
compositori son usi di dare annualmente nella chiesa di _S. Giovanni in
monte_, per l'esecuzione delle composizioni loro. Era questa la seconda
volta che egli presedeva a questa lotta; ed i _Kyrie e Gloria_, che da
prima eseguironsi, erano da lui composti. Da un suo _Confitebor_ a 4
voci, che io ho avuto sotto gli occhi, si vede ch'egli scriveva con
molta scienza, ma con poco gusto. _Burney_ parla di lui nel 1º tomo de'
suoi viaggi, p. 176.

LASALETTE (Pier-Giov. de), antico generale di brigata, ispettore
d'artiglieria, membro residente della Società Accademica di Grenoble,
nel 1811 pubblicò in Parigi: _Considérations sur les différens systèmes
de la musique ancienne et moderne, et sur le genre enharmonique des
grecs; avec une dissertation préliminaire, relative à l'origine du
chant, de la lyre et de la flûte attribuée à Pan_, in 8º. Abbiamo
notizia di questa opera da un articolo di M. Champolion nel _Magasin
Encyclopédique_ an. 1811, e da un altro di M. Roquefort (_Moniteur 21
mai 1811_), dove si dice, che sia questa un'opera delle più importanti,
che si siano scritte sinora sulla musica. M. Lasalette è autore eziandio
d'una _Sténographie musicale ou manière abrégée d'écrire la musique_, in
8º, Paris 1805, che non ha avuto gran successo; e d'una _Lettre sur une
nouvelle manière d'accorder les forte-piano, ou plus généralement les
instrumens à clavier_, in 8.º, Paris 1808.

LASCEUX (Gugl.), nato a Paissy nel 1740 di molto buona famiglia, allievo
di M. Noblet per la composizione e maestro di cappella di S. Stefano del
monte in Parigi, dove viveva ancora nel 1810, colla riputazione di buon
compositore, specialmente per chiesa. Nel 1804 egli fece eseguire in S.
Gervasio per la festa di S. Cecilia una sua messa a grande orchestra, e
nel 1810 aveva disposto per le stampe _Essai sur l'art de l'orgue_,
posto all'esame della classe delle Belle-Arti dell'Instituto.

LASO D'ERMIONE, poeta-musico assai celebre fiorì sei secoli innanzi
l'era cristiana, e fu il maestro di Pindaro, e scolare di Pitagora. Egli
fu il primo a scriver de' libri sulla musica che più non esistono. Teone
di Smirna (_De mus. cap. 12_), dice che Laso ermionese, ed Ippaso di
Metaponto tentarono e pubblicarono lo sperimento de' bicchieri or più,
or meno pieni d'acqua, giusta i numeri armonici di Pitagora; e fecero
palese ai Greci, suonandoli col bacchettino, la verità delle
osservazioni del loro maestro intorno alle quantità proporzionali,
corrispondenti a numeri, con cui aveva egli contrassegnati i tagli della
corda armonica per la misura delle sei consonanze (_V. Requeno, t. 1_).
Intorno alla verità di questo sperimento potrassi consultare il
dottissimo ab. Andres nel 4º vol. dell'eccellente sua opera.

LASSUS (Roland de), detto degli Italiani _Orlando di Lasso_, nacque a
Mons nel 1520; apprese la musica e venne giovane in Italia, dimorò per
alcun tempo in Sicilia, in Milano ed in Napoli, e vi fu maestro di
musica. In Roma divenne maestro di cappella di S. Giov. Laterano. Errigo
VIII lo accolse con onore in Inghilterra, e finalmente dopo aver
ricevuto delle onorevoli distinzioni dall'Imperatore Massimiliano II,
morì a Monaco nel 1594, colla riputazione di essere il primo soggetto
dell'arte sua in un tempo, in cui la musica non era quel che è oggidì. I
suoi contemporanei lo chiamarono la maraviglia del suo secolo, superiore
ad Orfeo e ad Amfione. Il magistrato di Mons fecegli innalzare una
statua nella parocchia di S. Niccolò, ove ragazzo aveva servito da
cherico corista. _Rodolfo de Lassus_ suo figlio pubblicò dopo la di lui
morte, nel 1664 a Monaco l'opera la più stimata dagli intendenti, col
titolo: _Magnum opus musicum etc._ Negli archivj musicali di Munich si
conserva ancora un manoscritto prezioso delle opere di Orlando, adorno
di superbi freggi e pitture. Forkel ha scritto la sua biografia
nell'Almanacco di musica del 1784.

LATILLA (Gaetano), maestro di cappella in Venezia, nacque in Napoli
circa 1710. Giovane fu il rivale di Jommelli e di Galuppi nelle sue
composizioni da teatro: ma conservò poi più che essi la maniera semplice
e seria dell'antica scuola. Gl'Italiani l'hanno in conto de' migliori
moderni contrappuntisti. Il d. Burney lo rincontrò in Venezia nel 1770.
Egli era zio del cel. Piccini.

LATRE (don Thomas-Sebastian), consigliere di stato di S. M. Cattolica, e
suo secretario, nato circa 1740, e morto nell'anno 1804, faticò con
successo alla riforma del teatro della sua nazione spagnuola. Egli è
autore d'un'_Istoria del teatro greco e romano, in 3 vol. in 4º, Madrid
1804_, scritta in sua lingua, dove molte notizie egli raccoglie intorno
alla musica di queste due nazioni. Il dotto _Signorelli_ nella sua
_Storia de' Teatri antichi e moderni_, l. 3, c. 6, parla con elogio del
patriottismo di Latre per la riforma del teatro nazionale.

LAVALLE (Raffaele). Palermitano, costruttore celebre di organi, di cui
molti ve n'ha di sommo pregio in più città della Sicilia, e tra' quali
per la sua grandezza, per la qualità del suono e per la quantità dei
registri è con ispezialità rimarchevole quello della Cattedrale di
Palermo, comecchè nel trasporto, che ne fu fatto dopo la riedificazione
della medesima, sia deteriorato alquanto per la negligenza e poca
capacità di coloro, che per adattarlo al nuovo sito, ne sminuirono le
canne, ed altre ne sostituirono non lavorate con quell'arte ed
industria, in cui primeggiò sempre questo valentuomo. La fama di sua
celebrità in quest'arte giunse in Roma sino a Paolo V; che lo invitò a
portarsi colà per fabbricarvi de' nuovi organi: ma glielo impedì la sua
morte avvenuta a dì 7 aprile del 1621 all'età di 78 anni. Questo
grand'artista fu onorevolmente sepolto dinanzi al grand'altare della
chiesa di S. Maria Maggiore, cui la sua pietà ricolmato aveva di doni,
col seguente epitafio: _Raphaeli Lavalle Punorm. organario
eminentissimo, ob artis peritiam Romam a Paulo V S. P. evocato; de
majoris Pan. ecclesiæ illustribus editis operibus opt. merito. liberorum
pietas grati animi monumentum posuit, et._ (_Mongit. MS. ap. Bibl.
Senat. p. 399_).

LAUGIER (l'ab. Marc-Antonio) di Provenza, fu da prima gesuita, ma lasciò
quest'ordine per alcuni disgusti che ne ricevette, e si rivolse alle
belle arti, e alle lettere. Il primo giornale di musica, che sia
comparso in Francia, fu da lui pubblicato con questo titolo: _Sentiment
d'un armoniphile sur différens ouvrages de musique_, Lyon 1756.
Quest'opera non fu poi continuata. Egli scrisse ancora contro M.
Rousseau, _Apologie de la Musique Française_, a Paris 1754, con
quest'epigrafe: _Nostras qui despicit artes — Barbarus est_. Questo
scritto dell'ab. Laugier può riguardarsi come il migliore tra tutti
quelli, che comparvero in quella crise musicale, cosichè è stato
inserito nelle opere del filosofo di Ginevra, tom. 2 dell'edizione di
Neuchâtel 1764. Vi si trovano delle ottime riflessioni sulla musica in
generale ed eccellente n'è lo stile. L'ab. Laugier è morto nel 1769.

LAVIGNA, maestro napoletano de' nostri tempi, ha composto per lo più la
musica di opere buffe secondo il moderno gusto. Nel magazino musicale
del _Ricordi_ in Milano si trova di lui impresso, l'_Impostore
avvilito_.

LAVIT (J. B.), antico allievo della scuola politecnica di Parigi, nel
1808, ha dato quivi al pubblico: _Tableau comparatif du système
harmonique de Pythagore et du système des modernes_.


LEBEUF (Giov.), dell'accademia delle iscrizioni, morto in Parigi nel
1769 pubblicò più opere di erudizione, tra le quali un _Traité
historique et pratique sur le chant ecclésiastique_, a Paris 1741, in
8vo, pieno di ricerche curiose ed istruttive sopra questa materia.

LEBLOND (l'abate), intimo amico dell'illustre ab. Arnaud, e suo
confratello all'accademia delle Iscrizioni, ha pubblicato _les Mémoires
pour servir à l'histoire de la révolution musicale opérée en France par
le chev. Gluck_, Paris 1781, in 8vo. Non è questa che una collezione
molto interessante di più pezzi de' migliori scrittori, che presero
parte allora a quella guerra musicale o in contro, o in pro della musica
di Gluck.

LEBOEUF, organista nella badia di S. Genovefa a Parigi, fece imprimere
l'anno 1768, un'opera col titolo: _Traité d'harmonie et règles
d'accompagnement, suivant le système de M. Rameau_, in 8vo.

LEBRUN, eccellente suonatore di corno di caccia, nel 1785 era in Parigi,
dove facevansi i più grand'elogj del suo talento. Egli è autore
dell'articolo _Cor_ nella parte musicale dell'Enciclopedia metodica. Sua
moglie _Francesca Danzy_ era celebre nell'arte del canto, e nella
composizione. La sua voce sorpassava d'una terza il _fa_ più alto del
cembalo, e tutte le sue inflessioni aveano un'indicibil grazia. Nel 1771
cominciò a farsi ammirare sul teatro di Manheim sua patria; alquanti
anni dopo venne in Milano, e cantò nell'_Europa riconosciuta_ di
Salieri: era ella nel fior degli anni, ed i suoi talenti, e le sue
grazie le meritarono gli universali applausi a gran dispetto della
Balducci, allora prima donna in quello stesso teatro. Cantò colla stessa
gloria in Londra da prima-donna nel 1783, e quattr'anni dopo in Napoli
nelle opere di Paesiello. Vi ha anche di Mad. Lebrun tre sonate pel
forte-piano con violino, impresse a Offenbach nel 1783, che vengono
stimate moltissimo.

LECLERC (M.), dell'Istituto nazionale di Francia, pubblicò nel 1798 in
Parigi, _Essai sur la propagation de la musique en France_. _V. Memoir
de l'Instit. Litterat. etc. tom. 1._

LEDRAN (M.) nel 1765, diè al pubblico un'opera nella quale propone de'
nuovi segni per notar l'armonia sul basso continuo. Il di lui sistema è
così complicato che si sono dovute preferir le cifre già usate.

LEDUC (Pier-Ant. Augusto), ha in Parigi, insieme con alquanti socj, una
casa di commercio de' più considerevoli di quella gran città, e che
singolarmente è assai commendevole agli occhi degli artisti pei servigi,
che ella ha reso all'arte musica. Se le dee, oltre a più oggetti, la
pubblicazione de' _Principj di composizione delle scuole d'Italia_,
l'opera più ragguardevole che sia comparsa nel commercio di musica, e
nella quale l'incisione sottomessa alle forme della tipografia, offre
una nitidezza ed un'eleganza, di cui non vi era ancora verun modello
(_V. l'art, di M. Choron, nel 2º t._). Se le deve inoltre la _Collezione
dei classici musici_, che forma la continuazione di que' _Principj_; una
collezione delle sinfonie di _Haydn_ in partitura; un'edizione delle
opere di musica di _Marpurg_, la più bella e la meglio disposta di
tutte, coll'aggiunta d'un _trattato del contrappunto semplice_ del
medesimo autore; ed una serie di opere, la più elegante e la più
compiuta che possa desiderarsi su tutte le parti della composizione.
Questa casa possiede oltracciò una bellissima _biblioteca di trattati e
d'opere di musica_, di cui ne ha formato un gabinetto di lettura; ed è
questa l'unica in cui si trovino in ogni tempo tutte le notizie
possibili intorno a tutte le opere antiche e moderne; nazionali, o
estere di musica, e relative a quest'arte. Con tai mezzi, e colla
comodità d'una così ricca biblioteca di musica accessibile a chiunque,
reca pur meraviglia come ne abbia tratto così poco profitto M. Fayolle
per il suo Dizionario, non presentando egli che notizie assai
superficiali e sterili delle opere e degli autori.

LEGIPONS (Olivieri), benedettino del monastero di Rayhraden nella
Moravia, godeva di gran rinomanza per la sua rara erudizione. Nelle sue
_Dissertationes philologico-bibliographicæ, in quibus de adornandâ
Bibliotecâ ac musices studio_, ec. ch'egli pubblicò a Norimberga in 4º
nel 1746 si trova una Dissertazione _de musicâ, ejusque proprietatibus,
origine, progressu, cultoribus et studio bene instituendo_, di cui fa
grandi elogj il dottor Forkel.

LEMAIRE, maestro di musica verso la medietà del secolo 17º. Brossard a
lui attribuisce l'opera, che reca per titolo: _Méthode facile pour
apprendre à chanter la musique, par un maître célèbre de Paris_, 1666 in
8vo. Egli fu, soggiunge Brossard, non già l'inventore, ma il primo che
insegnò nella Francia a far di meno de' cambiamenti, con aggiungere la
nota _si_: fu dapprima contraddetto dagli antichi maestri di musica, per
il che fu senza dubbio costretto a nascondere il suo nome; ma la
facilità di questo metodo fece ben presto adottarlo, e si tolsero via i
cambiamenti.

LEMOYNE (Giov. Batt.), nato a Eymet nel 1751, fece i suoi studj di
musica a Perigueux, passò quindi in Germania, e studiò la composizione
sotto i cel. Graun, e Kirnberger. Fece gran fortuna in Berlino, fu
maestro del teatro del principe reale di Prussia, e il gran Federico, a
cui ebbe egli l'onore di dare alcune lezioni di musica, fecene
moltissima stima. In Varsavia la cel. Mad. Saint-Huberty, che quivi
cantò per la prima volta un di lui dramma in musica, volle da lui
ricevere la sua educazion teatrale, e ne divenne poi così rinomata in
Francia. Lemoyne è il solo compositore francese di cui le opere siansi
sostenute accanto a quelle del Piccini, del Gluck, del Sacchini, che
furono i rigeneratori del teatro lirico de' francesi. Egli morì in
Parigi nel dicembre del 1796. _Gabriele Lemoyne_ di lui figliuolo nato
in Berlino nel 1772, è un celebre sonatore di forte-piano attualmente in
Parigi, dove vi ha di lui impresse più sonate, e romanzi per
quest'instromento.

LEO (Leonardo), nato in Napoli nel 1694, divide con lo Scarlatti, col
Pergolesi, e alcuni altri suoi contemporanei la gloria di aver fatto
levare tant'alto in tutta l'Europa la scuola di Napoli per la musica
teatrale. _Tra i primi autori di sì felice rivoluzione_, dice Arteaga,
_debbono annoverarsi Alessandro Scarlatti, e Leonardo Leo, nelle
composizioni de' quali incominciarono le arie a vestirsi di convenevol
grazia, e melodia, e fornite si veggono d'accompagnamenti più copiosi e
brillanti: Il loro andamento è più spiritoso, è più vivo che non soleva
essere per lo passato: donde spicca maggiormente il divario tra il
recitativo, e il canto propriamente detto. Le note però, e gli ornamenti
sono distribuiti con sobrietà in maniera, che senza toglier niente alla
vaghezza dell'aria, non rimane questa sfigurata dal soperchio ingombro_
(t. 2). Leo fu per più anni maestro del Conservatorio della Pietà, dove
ebbe per discepoli Trajetta, Jommelli, Caffaro e moltissimi altri
celebri compositori del secolo 18º, che quali novelli prodigj ammirar si
fecero da tutta l'Europa. Comechè il genio di questo grande artista lo
portasse per preferenza alle composizioni nobili, e patetiche, ebbe
anche del successo nelle opere buffe, e tra le di lui opere in questo
genere si distingue quella che aveva per titolo: _Il cioè_. Erane il
soggetto un uomo, il cui abitual ghiribizzo era di aggiungere un _cioè_
a tutto quel che diceva, e per volere spiegar tutto, ne diveniva più
oscuro. Egli scrisse ancora molta eccellente musica per chiesa. Il
distintivo carattere di questo gran maestro era _il grandioso_, _il
sublime_. Cotesta qualità eminentemente riluce nel suo _Miserere_, ove
si ammira una scienza profonda del contrappunto, una nobiltà, e
chiarezza di stile, l'arte di condurre con naturalezza ed abilità
insieme le imitazioni, e le modulazioni, che danno alla scuola di Napoli
una distinta maggioranza su tutte le altre scuole di musica. Leo aveva
somma diligenza nel far eseguire la sua musica. Dicesi che dovendo far
sentire questo suo _Miserere_ nella settimana santa, cominciavane i
concerti nel mercordì delle ceneri, e proseguiva così tutt'i giorni
colla massima attenzione sino al termine stabilito. Egli morì
immaturamente di apoplesia nel 1745, di sua età 51. Mio padre, ch'ebbe
la sorte di averlo avuto per maestro, raccontava che egli era stato
trovato morto una mattina sul suo cembalo, e che fu incredibile il lutto
di tutto il conservatorio alla nuova di sua morte: che egli non lasciava
mai di portare al dito un anello d'ingente somma statogli regalato
dall'imperatrice delle Russie, e che era di bella figura, e di nobil
portamento.

LEONA, cortigiana ateniese, celebre per la grande sua abilità sulla lira
e nel canto, e famosa ancora per i suoi intrighi con due giovani uniti
insieme colla più tenera amicizia, Armodio e Aristogitone. Congiurarono
costoro contro Ippia ed Ipparco tiranni d'Atene, e figli di Pisistrato;
Leona benchè al fatto del secreto de' suoi amanti preferì la morte alla
viltà di tradirli: temendo di non poter resistere a' tormenti della
tortura, ella medesima fece in pezzi coi denti la sua lingua, perchè si
togliesse infino la possibilità di dire alcuna cosa contro i suoi amici.
Gli Ateniesi, ricuperata appena la libertà, resero sommi onori alla
memoria di tutti e tre, innalzaron a' due giovani delle statue sulla
pubblica piazza: e per evitare al tempo stesso il rimprovero di avere
eretto un pubblico monumento ad una cortigiana, scolpir fecero per
allusione, al di lei nome una lionessa senza lingua (_Plin. l. 34_).
Conservasi questa tuttora sulla porta dell'arsenal di Venezia, dove è
stata trasferita da Atene.

LEPILEUR d'Apligny, nel 1779 pubblicò in Parigi _Traité sur la musique
et sur les moyens d'en perfectionner l'expression_. Quest'opera è ben
scritta, ma piena di viste superficiali.

LEPRINCE (Mr.), morto nel 1781, era, non che eccellente pittore, ma
eziandio un piacevolissimo musico. Sonava molto ben di violino:
essendosi imbarcato in Olanda per andare in Pietroburgo, un corsare
inglese venne ad attaccare il vascello, che fu costretto a rendersi
prigioniero. Leprince prese allora il suo violino, e cominciò a sonarlo
con la più gran disinvoltura del mondo. I corsari sbalorditi sospesero
il saccheggio, e gli restituirono tutte le sue robe; nello stesso tempo
lo pregarono di farli ballare, e di accompagnar col suono la loro danza.
Fortunatamente per gli altri passaggieri, la presa fu dichiarata nulla
nel primo porto.

LESUEUR (Giov. Franc.), nato a Ponthieu di un'antica e distinta famiglia
circa 1766, fece i primi suoi studj di musica in Amiens, ed entrò poco
dopo nel collegio di quella città per terminare il suo corso di lingue
antiche, e di filosofia. Egli è stato maestro di cappella di molte
cattedrali della Francia e precisamente di quella di Parigi, per la
quale ha composto un gran numero di messe, di oratorj e di mottetti. I
straordinarj successi che la sua musica ha ottenuti in quella metropoli,
e gli elogj, che se ne sono pubblicati ne' giornali da Piccini,
Sacchini, Philidor e Gretry, han posto M. Lesueur da trent'anni in quà
nel primo rango de' compositori di Europa. _Io non conosco in Italia_,
diceva di lui il Sacchini circa 1785, _che due maestri di cappella che
possono uguagliarlo_. M. Lesueur era allora assai giovane. Paesiello nel
1805 gli scrisse una lettera molto onorevole, congratulandosi seco del
buon successo della sua musica sul dramma _les Bardes_. In occasione di
questa musica sono stati tutti d'accordo gli intendenti nell'asserire
che il sublime e 'l grande sono il carattere della medesima scritta
colla semplicità e il gran gusto dell'antico. Quì il compositore si
propose di rinnovare le impressioni, che i suoi uditori hanno provato
nella lettura delle opere d'_Ossian_; e la stranezza medesima della sua
melodia produsse l'effetto che dovevasene attendere. _La morte di
Adamo_, tragedia lirica in tre atti, fu rappresentata nel 1809.
S'intende benissimo quanto un tal soggetto abbia dovuto offrire delle
difficoltà a un compositore del volgo. La sola musica adatta era _quella
de' primi uomini_: doveva respirare dunque quel carattere di nativa
semplicità, da cui i nostri costumi e la perfezion medesima dell'arte
vie più ci discostano. Lesueur, che possiede un genio musicale
eminentemente _Biblico_, trattò questo soggetto d'una maniera sublime, e
stabilì per sempre la sua riputazione. Questa musica è semplice,
energica e solenne. La grandiosità che Lesueur ha saputo spargere in
tutte le sue opere per teatro e per chiesa, gli ha meritato il favor del
governo, e l'onorevole posto di successor di Paesiello. Egli si è fatto
conoscere ancora come autore di più scritti sulla musica. Nel 1787, diè
al pubblico, _Exposé d'une musique une, imitative, et particulière à
chaque solennité_, in 8º. Tra i diversi elogj accordati a
quest'importante opera, quello _del conte de Lacépède_, gran scrittore,
e gran compositore insieme, è certo di gran peso agli occhi de' lettori.
_M. Lesueur non si è contentato_ (scriveva nel 1787 M. de Lacépède) _di
dare una forma drammatica alla musica di chiesa componendola di quadri
sempre analoghi alle cerimonie della religione: ha voluto in oltre (e
questa è un'idea molto bella e tutta nuova), che presentasse un
particolar carattere alla solennità per la quale sarebbe composta; per
giungervi, egli ha ideato di situare ne' differenti pezzi della sua
musica, la dipintura delle diverse circostanze della Storia sacra
richiamate alla memoria da ciascuna particolare festività. Conoscendo in
oltre, che se i quadri offerti della musica rappresentano con forza i
diversi sentimenti, ed eziandio i differenti loro ombreggiamenti,
mancano sempre della precisione necessaria perchè si possano, senza un
soccorso straniero, riconoscer tutte le intenzioni del compositore, egli
ha creduto dover far sentire assai spesso le arie sacre, che dopo gran
tempo unite a delle parole note abbastanza, hanno acquistato, per così
dire, una determinata espressione, e fissar possono i significati vaghi
a rischiarar le intenzioni oscure. Ecco il piano di M. Lesueur._
(_Poétique de la musiq._) Vi ha oltracciò di questo eruditissimo
artista: _Notice sur la Melopée, la Rhythmopée, et les grandes
caractères de la musique ancienne_, impressa nella traduzione di
Anacreonte di M. Gail. Molti scrittori periodici, fra quali M. Ginguené,
l'han trovata dottissima, e adatta a spargere una nuova luce sulla
storia, ancora molto oscura, della musica de' Greci. Nel 1802 M. Lesueur
pubblicò una _Lettera al suo amico M. Guillard_, divisa in sei parti. I
compositori vi trovano dell'eccellenti vedute intorno all'arte, e
particolarmente sulla musica scenica: ha gran tempo ch'egli prepara una
più lunga opera col titolo: _Traité général sur le caractère méthodique
de la musique théâtrale et imitative_.

LEVENS (Carlo), compositore e maestro di Bordeaux, ha dato al pubblico:
_Abrégé des règles de l'harmonie, pour apprendre la composition_, 1743
in 4º. Quest'opera è divisa in due parti: la prima riguarda _la
composizione_; l'altra offre _un nuovo sistema di suoni_, ma non ha
avuto il merito di far fortuna.


LIBERATI (Antimo), da Foligno, cantore della cappella pontificia, ed
organista della SS. Trinità de' Pellegrini, maestro di cappella
finalmente di S. Maria dell'anima della nazione Teutonica in Roma,
viveva nell'ultima medietà del sec. 17º. Nel 1784, pubblicò _Lettera in
riposta ad una del Sig. Ovidio Persapegi_, che chiesto gli aveva il suo
parere intorno a cinque candidati, che aspiravano al posto di maestro di
cappella in una chiesa di Milano. Questa lettera contiene moltissime
osservazioni sulla musica che fecero allora gran sensazione. Si ha in
oltre di Liberati _Epitome della musica_, eccellente manoscritto della
Biblioteca Chigi.

LICHTENTHAL (Pietro), dottore di medicina tedesco, ma stabilito in
Italia dove fece i suoi studj in questa facoltà sotto il cel. D. Frank.
Gli si dee un eccellente libro, che cinque anni prima da lui pubblicato
in sua lingua fu applaudito in Germania, e quindi alle istanze di alcuni
celebri professori di medicina in Italia, da lui stesso in questa lingua
tradotto ed accresciuto fu stampato in Milano nel 1811, con questo
titolo: _Trattato dell'influenza della musica sul corpo umano, e del suo
uso in certe malattie_, in 8º. L'introduzione è il vero _Si quæris
miracula_ della musica, benchè dichiari l'autore di essere _ben avverso
dall'introdurre chimere nell'arte medica_. I soggetti su cui egli si
versa, sono: 1. _Analisi storica e ragionata dell'effetto della musica
sull'uomo sano, con alcune osservazioni sopra certi animali._ 2.
_Prospetto istorico di tutti gli esperimenti empirici che si fecero
nella medicina sino dagli antichissimi tempi._ 3. _Ragionamento come si
debba considerare l'effetto della musica._ 4. _Quali sono le malattie in
cui possiamo prometterci un buon uso della musica._ 5. _Quando si abbia
a far uso d'una musica dolce e d'una musica strepitosa._ 6. _Finalmente
alcuni cenni sul modo d'intendere una buona musica._ Noi rapporteremo
alcune di lui riflessioni, il che non sarà discaro a' lettori. Nella
caratteristica, ch'egli dà di varie specie di musica, ecco com'egli
parla di quella di chiesa. _Egli è senz'altro la specie più sublime di
musica. Il suo oggetto è un ideale che porta l'impronta della divinità e
della virtù, emanazione di quella. La sua tendenza è di concentrare i
sentimenti diversi in un solo, cioè la divozione._ Nella Caratteristica
delle voci cantanti egli avverte da prima, che _generalmente ogni voce,
se tiene le ottave di mezzo fa più bell'effetto di quelle che cantano
colle ottave alte o basse. Che il Soprano d'un castrato lusinga soltanto
l'orecchio le prime volte che viene ascoltato, ma non giunge sino al
cuore, quando anche il cantore eunuco fosse eccellente. Che il Soprano
di una donna o ragazza formata è pieno di sentimento e produce un
grand'effetto: che il Soprano di un ragazzo corista è raramente di molto
effetto._ Che il contralto _d'una donna è espressivo e virile, e invade
perfettamente l'animo degli ascoltanti. Il Contralto d'un ragazzo è
alquanto più da riputarsi che il soprano di esso._ Ma tra gli uomini non
c'è voce più bella del tenore. _Essa è la pittrice vera di tutte la
passioni: i suoi quadri portano il sigillo della verità. Il tenore è
pieno di forza, e il suo effetto è grandissimo._ Un'altra voce degli
uomini è il Basso: _il suo carattere è grande, sublime, solenne e pieno
di serietà. Ciò ch'egli ha di terribile e di ardito sembra non produrre
un effetto sulle anime deboli._ Nella caratteristica degli stromenti,
_il clarinetto_, egli dice, _è il più bello stromento da fiato, e merita
senz'altro il primo ordine nella musica istromentale. Egli corrisponde
nel suo ambito a tutte le bellezze d'un pezzo musicale. Il suo respiro è
molle, pieno di forza, tenero e soave. Il suo tuono non è quel grido
penetrante ch'è l'anima dell'oboè, ma un sentimento diffuso in amore, il
tuono de' cuori sensibili trasportati._ Il Corno di bassetto _è assai
vicino alla dolcezza del clarinetto, se non che ha un tuono alquanto
malinconico._ Ne' corni di caccia _i tuoni escono dolci e teneri, e
danno la più bella ombra a' quadri musicali: eccellente è l'effetto de'
quartetti per 4 corni di caccia, composti dal Sig. Belloli._ I meriti
del fagotto _distano poco da quelli del clarinetto: ambidue ci dipingono
gli effetti teneri._ Il flauto _ha un tuono ingenuo e di natura
incorrotta e campestre. Diviene solo d'incarico ove si sente troppo
sovente._ Gli oboè _hanno un tuono molto penetrante e non durevole. I
soli abilissimi oboisti possono rendere questo stromento veramente grato
a chi lo sente._ (Qui in Palermo ne abbiamo un esempio nel Sig. _Cukel_,
sonator di oboè di una singolare dolcezza ed agilità). I tromboni
_stromenti antichissimi giungono a un più gran fine. Esprimono il
sublime, il grande, il solenne, fanno alzare dalle loro tombe gli
spiriti, e parlare co' vivi. Maraviglioso è il loro effetto ne' cori._
Le trombe _hanno un suono eroico, guerriero ed esultante. Un organo
tenero spesse volte non lo sopporta. Mozart aveva nella sua gioventù
un'antipatìa contro questo stromento, e una volta cadde per esso in
convulsioni._ Il violoncello _agguaglia co' suoi pregi que' del fagotto.
Ha un tuono assai dolce, che s'accorda per lo più col tenore: il suo
effetto riesce grande s'egli passi a vicenda dalla voce di basso a
quella di tenore e di soprano._ (Noi possiamo vantarci in Palermo,
d'avere un sonatore di quest'istromento, che gareggiar può co' più
celebri di tutta Europa. Egli è il Sig. Massettina, che ha formati molti
bravi allievi, e che al suo gran talento e scienza musicale unisce una
vera pietà e singolare modestia). La viola _fa il contralto, e corrobora
il basso della musica istromentale, il suo effetto non è dissimile da
quello del violoncello, e fa la transizione ai violini._ Il violino _fa
il soprano della musica strumentale; e un buon sonatore produce con esso
un ottimo effetto._ Nel Pianoforte _tutto è melodia e armonia; se non
ch'esige sempre un contrappuntista capace onde comunicargli quella
maestà, che dee corrispondere a tutto quel grande e bellissimo effetto
che può produrre. Quest'istromento è amico dell'uomo in qualsivoglia
circostanza delle passioni umane, e la sua efficacia è riconosciuta._ Il
contrabbasso _regge tutto il carico dell'armonia, parla con arditezza, e
scuote fortemente nell'unisono col suo organo strepitoso, ec._ Intorno
al diverso gusto de' tedeschi e degli italiani: _Abbiamo_ egli dice,
_nelle grandi città di Germania, quasi in ogni casa, quartetti, concerti
ec.: perchè sì poca musica vocale? Io dubito esserne questo il motivo:
1.º perchè si manca in Germania di buoni poeti d'opera. 2.º perchè la
lingua tedesca non è troppo favorevole. E però direi in Italia esservi
più musica vocale che istromentale, perchè la lingua arride sommamente,
e vi abbondano buoni poeti d'opera._ I suoi cenni sul modo d'intendere
una buona musica sono veramente di un ottimo amatore di quest'arte, e
filosofo insieme, e possono leggersi con profitto.

LINGKE (Giorgio-Federico), consigliere del re di Polonia, fecesi
ricevere nel 1742 nella società di musica di Mitzler, alla quale
presentò egli nel 1744, un quadro degli intervalli, che fu adottato
dalla società. Nel 1766, pubblicò _Die sætze_, ec. cioè _Teoremi degli
assiomi musicali_. Nel 1779 pubblicò in Lipsia una seconda opera:
_Kurze_ ec. cioè _Istruzione di musica, nella quale si dà a conoscere
l'affinità di tutte le scale de' tuoni, e i principj dell'armonia proprj
a ciascuna di loro, con esempj_. Lingke nel 1790 viveva a Weissenfels.

LINGUET (Simone Nic. Arrigo), nato a Rheims nel 1736, scrittore
rinomatissimo di più opere, dopo lunghi viaggi ed esilj, dopo infinite
fatiche letterarie fu dal tribunale rivoluzionario condannato a morte a
27 giugno del 1794 in età di 58 anni, ch'egli soffrì con coraggio, per
avere lodati ne' suoi scritti l'imperatore e il re d'Inghilterra. Delle
sue opere non faremo menzione, che di quella che ha per titolo: _Journal
politique et littéraire depuis 1774 jusqu'en 1778_, dove vi ha più
articoli intorno alla musica, e dell'_Histoire du siècle d'Alexandre_,
la cui prima edizione è d'Amsterdam in 8.º 1762. L'autore, benchè allora
assai giovane, scelse quest'epoca interessante dello spirito umano per
presentare da filosofo, da critico, da storico il governo, i costumi,
gli usi, le arti degli antichi popoli dell'Asia e de' Greci: questo
soggetto forma l'ultima parte dell'opera. Egli vi tratta eziandio _dello
stato della musica in quell'epoca_: spiega gli effetti maravigliosi che
le attribuiscono gli antichi, e particolarmente ciò che dissero
dell'efficacia di essa per formare i costumi ed inspirare la virtù.
Sostiene in oltre, che quest'arte tra le mani de' Greci giunse al più
alto grado della perfezione, e merita di esser paragonata alla nostra,
per il che vien egli immeritamente censurato in un giornale letterario
di Berna del 1763.

LIPPIO, professore in Vittemberga, ove pubblicò nel 1610 _Dissertatio de
musicâ_, che secondo il Lichtenthal merita di esser letta.

LIROU (Giov. Franc. Espic; cav. de), passionato amatore di poesia e di
musica, nacque nel 1740. Egli pubblicò in Parigi nel 1785 un'opera col
titolo _Système de l'harmonie_, in 8vo, che è piuttosto un problema, di
cui dar ne pretende la soluzione. Quest'opera è molto oscura, anche per
le persone dell'arte, quando se ne vogliono applicare i principj alla
pratica. L'autore medesimo ne conveniva, e proponevasi di darne le
necessarie spiegazioni per renderla chiara e facile, e nel tempo stesso
di fondare una cattedra per ispiegarla a un certo numero d'allievi.
_Possiamo assicurare_, dice M. Fayolle, _che avendo ricevuto da lui
alcune lezioni d'armonia, niuno certamente ragionava sulla musica con
maggiore chiarezza, eleganza e precisione della sua: veniva ascoltato
per ore intiere senza farci accorgere, e senza che se n'accorgesse egli
stesso, che si affaticava alquanto._ M. de Lirou, profondamente versato
nella scienza dell'armonia, si era dato alla composizione: in società
col cel. Piccini compose la musica di _Diana ed Endimione_, che fu
eseguita con successo nel 1784; vi sono in oltre più scene liriche di
cui ha fatto la musica e le parole, e de' canoni d'ogni specie. Egli è
morto in Parigi di podagra nel 1806.


LOCATELLI (Pietro) da Bergamo; sin da fanciullo fu mandato in Roma, e
prese lezioni di violino dal gran Corelli. Dopo aver molto viaggiato,
ritirossi in Olanda, e stabilì un pubblico concerto in Amsterdam, egli
impiegava il suo tempo nell'insegnare altrui la musica, e nel comporre.
Alla sua morte quivi giunta nel 1764, la società degli amatori
d'Amsterdam prese il lutto. Egli era un fecondissimo compositore, e un
abile violinista, _de' cui scritti la miglior parte ancor si studia e si
loda_, dice il conte di S. Raffaele; _i lunghi e difficilissimi
capricci, onde egli ha deformato i suoi concerti, intendendo però
d'abbellirli, sono scogli famosi per mille naufragi. Sembra che in
quest'opera abbia l'autore pensato a raunar tutto ciò che può screditar
chi suona e nojar chi ascolta. Una difficoltà incalza l'altra, e un
rompicollo s'accavalla a un rompicollo. Talchè per quanti s'ostinino a
volerne venir a capo, tutti si trovan per via colle ali_ d'Icaro, _e sul
carro_ di Fetonte. _E sarebbe pur bene che si smarrissero queste
mattezze; affinchè la posterità stuonatrice, che certo sarà numerosa,
non possa recare ai nostri nipoti la stessa insoffribil molestia, che ci
recano i non puochi stuonatori presenti. Ben altro è il pregio delle
dotte e bellissime sonate a solo di questo autore. Qui si trova la
maschia ed esatta armonia, senza la stitichezza del gusto antico; qui
l'impensate modulazioni senza stento e senza stravaganze; quì la novità
delle idee, la sublimità de' concetti, la naturalezza del canto.
Dall'ingegnosa_ Follia Corelliana _attinse egli il pensier felicissimo
delle_ sì varie e sì dilettevoli sue Variazioni; _come altresì dai
brevi_ Adagi del maestro _apprese l'arte di distendere que' maestosi
suoi_ Gravi, _i quali benchè lunghissimi pur non annojano. Tanto è
grandioso lo stile, flebile il canto, squisito l'artificio, con cui sono
orditi e tessuti. Laonde a buona equità si può dare al_ Locatelli _il
vanto d'essere stato_ il più erudito e rinomato discepolo della scuola
d'Arcangelo Corelli. (_Letter. su l'Arte del suono_).

LOCK (Matthew), cantore della cattedrale d'Exeter, e buon compositore
del sec. 17º, ha scritto le seguenti opere: _Modern church music_ ec.
cioè _La moderna musica di chiesa; criticata e fermata ne' suoi
progressi avanti il regno di S. M._, 1666; _An essay_ ec., cioè: _Saggio
su i progressi che ha fatti la musica con levar via la difficoltà delle
diverse chiavi e con riunire sotto un carattere universale, ogni sorta
di musica_, ec. 1672.

LOCKMANN (John), della società d'Apollo che esisteva in Londra verso la
medietà dello scorso secolo. Al suo dramma intitolato _Rosalinda_ posto
in musica dal maestro Smith nel 1740, precede un di lui _Discorso
sull'origine e i progressi dell'Opera e della Musica_, in 4.º in lingua
inglese, di cui può leggersene un estratto nella _Biblioth.
Britannique_. Questo Discorso è scritto con giudizio, con erudizione e
con gusto: noi non ne rapporteremo che un grazioso aneddoto, che
Lockmann dice essergli stato narrato da Smith ocular testimonio. “Si
tratta d'un piccione del colombajo di M. Lee del contado di Chesh. Aveva
costui una figliuola, che sonava bene il cembalo. Il colombajo non era
distante dall'appartamento, dov'era quell'istromento. Essa suonava
diverse arie, e tra le altre quella di _Spera si_ nell'Ottone di
_Hendel_. Quest'era l'aria favorita del piccione: dachè la sentiva,
volava dal colombajo alla finestra: quivi a suo modo esprimeva le più
aggradevoli commozioni: ed al momento che più non si suonava la sua
aria, volava altrove. Questo ghiribizzo dinotato per lo _Spera si_
piacque tanto alla giovinetta musica, che non volle chiamar più con
altro nome quest'aria, che _l'aria del piccione_, e la copiò sotto
questo titolo nel suo libro de' pezzi scelti di musica.” Un tal fatto
conferma quel che già diceva Aristotele: _Belluina etiam animantia,
melodiis accentuque congruo oblectantur_. (_De nat. anim._)

LOEHLEIN (Giorgio-Simone), maestro di cappella a Danzica, all'età di 16
anni fu arrollato nelle truppe del re di Prussia, e tra le altre
campagne fu egli alla battaglia di Collin, dove restò sul campo in mezzo
ai morti. I vincitori Austriaci trovato avendogli alcuni segni di vita,
lo trasportarono nell'ospedale, e dopo alcun tempo guarito tornò in sua
patria, dove la sua famiglia era ancora in lutto. Nel 1760, portossi a
Jena col disegno di farvi i suoi studj. La sua grand'abilità sull'arpa
gli acquistò molte conoscenze, e diegli ingresso nelle migliori
famiglie. Sin d'allora applicossi alla musica con sì gran zelo, che nel
1761 ottenne il posto di direttore di musica in luogo di Wolff, che
divenne maestro di cappella a Weimar. Passò quindi in Lipsia, dove fu
ricevuto nel gran concerto, ed un altro particolare ne stabilì egli
composto per la più parte de' suoi allievi, in ambidue suonava egli ogni
sorta di stromenti, senza eccettuarne quelli da fiato, e vi faceva
eseguire le sue composizioni che imprimeva egli stesso ad acqua-forte.
Nel 1779 fu chiamato a Danzica come maestro di cappella, ma non
confacendosi il clima colla sua delicata salute, vi morì sul principio
del 1782, in età di 55 anni. Abbiamo di lui alcune opere di teoria
pubblicate in Lipsia: I. _Klavierschule_ ec. cioè _Scuola di cembalo, o
breve e ragionata istruzione sull'armonia, e la melodia, spiegata con
esempj_, 1765 in 4º. II. _Scuola di cembalo, vol. 2, nel quale s'insegna
l'accompagnamento del basso non cifrato, e le altre armonie omesse nel
primo, vi si ha aggiunto un trattato del recitativo_, 1781, in 4º. III.
_Anweisung ec. ossia: Elementi di violino: spiegati con esempj e con 24
duo_, Lipsia 1774.

LOEN (Giov. Mich. de) di Francfort, dotato dalla natura de' più rari
talenti, ebbe in oltre la fortuna di avere un'eccellente educazione:
fece i suoi studj nell'università di Marbourg, e studiò quindi le belle
lettere ed insieme la musica a Halle. Egli morì nel 1776. Di molte sue
opere sulla teologia e la politica, una ve ne ha che abbia rapporto alla
musica nel 4º vol. delle sue Opere diverse.

LOESCHER (Gasp.), dottore nell'università di Vittemberga morto nel 1718,
dove pubblicò una Dissertazione col titolo: _De Saule per musicam
curato_ in 4º, 1688, citata da Lichtenthal, p. 82, e da Walther.

LOGROSCINO (Niccolò), celebre compositore napoletano specialmente di
opere buffe, a cui deesi sovra tutto l'invenzione de' _finali._ Egli fu
il primo maestro di contrappunto nel _Conservatorio de' figliuoli
dispersi_ in Palermo dopo il 1747, e vi fece de' buoni allievi, tra'
quali molto si distinsero il _Muratori_, e il _Vermiglio_, che gli
succedettero in quel posto. I primi saggi nel genere burlesco debbonsi a
_Leo_, a Pergolesi e al Sassone, ma “_Logroscino_ genio originale e
fecondo, loro contemporaneo, diè la vera idea di ciò che poteva divenire
questa specie di dramma. Fu egli il primo che pensò di terminar ciascun
atto con un pezzo, in cui il motivo, proposto da prima da una sola voce,
si sviluppi in appresso a due, a tre, a quattro, continovamente
interrotto da nuovi canti, ridotto continovamente sotto tutte le forme
della melodia e dell'armonia, finalmente col divenir la materia di un
coro del più grand'effetto.” (_Framery, art. Bouffon, dans l'Encycl.
method._) Logroscino morì in Napoli circa 1760.

LOLLI (Antonio), da Bergamo, celebre violinista morto in Palermo nel
1802, e quivi onorevolmente sepolto nella chiesa de' Padri Capuccini
fuori la Città. M. Fayolle lo dice per errore morto in Napoli nel 1794.
Lolli fu dapprima maestro di concerti del duca di Wurtemberg sino al
1773: passò quindi in Russia, ove eccitò talmente l'ammirazione di
Caterina II, che donogli un arco, sul quale aveva ella medesima scritto
di sua mano in francese: _Archet fait par Catherine II pour
l'incomparable Lolli._ Nel 1785, fece egli un viaggio in Inghilterra ed
in Spagna. Venne quindi in Francia, e dopo il 1789 ritirossi in Italia
godendo delle ricche pensioni della Moscovia e di Napoli: passò
gl'ultimi anni di sua vita nel ritiro in Palermo; _io non voglio più
sonare,_ egli diceva, _che per le teste coronate_. La destrezza, che
egli aveva acquistata sul suo stromento, era del tutto sorprendente:
egli saliva più al di là di qualunque altro suonatore; i suoi capricci
talmente lo trasportavano negli _a solo_, che il più esercitato
accompagnatore poteva appena seguirlo: egli medesimo non poteva
accompagnare il canto, perchè difficilmente andava in misura. La prima
volta che Lolli fecesi sentire in un suo concerto sul teatro di Palermo
nel 1793, mi sovviene d'aver inteso sgridar in pubblico il Sig. Blasco
primo violino dell'orchestra, che non aveva uguale nell'arte di
dirigerla, perchè non si erano trovati insieme in misura, ma lo sbaglio
era piuttosto del Lolli, che affrettava sempre il tempo, ed andava
avanti. Essendo stato pregato un giorno di sonar un _adagio,_ ricusò di
farlo: _Io son di Bergamo_, ei soggiunse, _i cittadini di questo paese
son troppo matti per poter sonare l'adagio._ “Lolli che aveva delle
ragioni per non amare gli adagio, dice _M. de Ginguené_, raccorciolli
assai ne' suoi concerti, e vi mise in oltre sì poca espressione e
melodia che di raro diè da lagnarsi della loro breve durata, anzichè fè
riguardarli come una sorta di riposo e di transizione di un allegro
all'altro.” (_Encycl. method. art. Concerto_).

LORENTE (Andrea). Spagnuolo, scrittore didattico del sec. 17º, pubblicò
nel 1672, _El porqué de la musica, canto llano, canto de organo,
contrapunto, y composicion_, Alcalà in fol. La grandezza del volume non
bastò a difender dall'oblio totale l'autore e l'opera, sorte ordinaria
dei libri men che mediocri.

LOTTI (Antonio), capo della scuola veneziana, e maestro di cappella in
San Marco di Venezia, godeva d'una gran riputazione sulla fine del
secolo 17º. Egli aveva delle profonde cognizioni dell'armonia, che lo
resero superiore a tutti gli altri compositori del suo tempo. Il
_Sassone_, che lo conobbe in Venezia nel 1727 lo scelse per suo modello:
un dì, ch'egli era presente all'esecuzione di un'opera di Lotti, _Qual
espressione!_ egli esclamò, _quale varietà! e nel tempo stesso quale
precisione d'idee!_ Il dot. Burney parla con trasporto dell'impressione
da lui risentita nell'ascoltare in Venezia una messa di questo gran
maestro. Gl'Italiani rendongli testimonianza, ch'egli univa all'arte ed
alla regolarità degli antichi, tutte le grazie, l'abbondanza e 'l brio
de' compositori moderni. Può giudicarsi del successo ch'egli ebbe come
compositore di teatro, dalla sola circostanza che dal 1683 sino al 1718
scrisse sempre per lo stesso teatro di Venezia. Chiamato a Dresda
scrisse quivi la musica di un Dramma per le nozze del principe elettore
di Sassonia nel 1718, e tornò l'anno di appresso in sua patria. Walther
cita con elogio i di lui madrigali, ed in Lipsia si conserva un suo
eccellente _Miserere_ a 4 voci e 4 stromenti.

LOULIÉ (Mr.). Nelle memorie dell'Accademia delle Scienze an. 1701 si
trova di lui una scala per gradi, ossia regola divisa in più parti per
misurare la durata de' suoni, per determinare i loro diversi valori, e
sino i rapporti de' loro intervalli, con de' calcoli per il
temperamento! (_V. Rouss. Dictionn. art. Temperam._).


LUCCHESI (Andrea), nato a Motta nel Friuli veneziano nel 1741: ebbe per
maestri nell'arte della composizione, _Cochi_ napoletano per lo stile di
teatro, ed il P. _Paolucci_ allievo del _Martini_ per lo stile di
chiesa, e poi _Seratelli_, maestro di cappella del doge di Venezia. Nel
1767, in occasione di una gran festa che diè la repubblica di Venezia al
duca di Wittemberga, che trovavasi allora colà, Lucchesi scrisse una
Cantata per il teatro di S. Benedetto, che fu sommamente applaudita.
Scrisse ancora quivi più opere buffe, ma nel 1771 essendosi portato a
Bonn, con una compagnia di attori, entrò tosto al servizio dell'elettore
di Colonia coll'onorario di mille fiorini, e dopo avere scritto molta
musica pel teatro e per la chiesa, morì a Bonn nel 1810. Per il
Conservatorio _degli Incurabili_ di Venezia vi ha di lui un vespro a due
cori, un oratorio, e un _Te Deum_; una messa per la collegiale di S.
Lorenzo, una di _Requiem_ per l'esequie del duca di Mont'allegro
ambasciadore di Spagna in Venezia, e più messe e mottetti per la
cappella di Bonn, oltre più sinfonie, concerti e sonate per cembalo.

LUCIANO di Samosata nella Siria, di povera famiglia, fu destinato dal
padre ad apprendere da un suo zio l'arte della scultura, ma alcuni
cattivi trattamenti ricevuti da costui gliela fecero abbandonare, e
diessi interamente allo studio delle scienze. Egli fu uno de' genj più
brillanti dell'antichità, e tutte le sue opere ridondano delle grazie di
un vero bello spirito, tranne la sua irreligiosità e la mordacità delle
sue satire. Dopo aver vissuto lungamente in Atene, e nell'Egitto, dicesi
di esser morto in età di 90 anni. Nelle sue opere, che sono in gran
numero, trovansi molti passaggi sulla musica, e specialmente in quella
sulla danza (_De saltatione_), e ne' suoi _Dialoghi degli Dei_ ec. M.
Fayolle nel suo articolo mette ridicolosamente nel numero de' libri
musicali di Luciano quello che è intitolato _Harmonides_, ingannato dal
nome, quasichè dinotar volesse che tratti d'armonia: ma questo libro non
è, che una Lettera dedicatoria di tutte le di lui opere ad un amico, a
cui dà il titolo d'_Harmonide_ per allusione ad un altro dello stesso
nome discepolo del musico Timoteo. Tale è l'inavvertenza di questo
autore, e la poca esattezza del suo Dizionario. Perchè non si creda che
io ne lo accusi a torto, ecco le sue parole: _De divers écrits de
Lucien, nous ne citons ici que ceux qui ont rapport à la musique, tels
que ses Harmonides etc._ Luciano fiorì nel secondo secolo dell'era
cristiana (_V. Burdelot in vitâ Luciani ap. Fabric._).

LUDWIG (Giov. Adamo), membro della Società economica del Palatinato,
morto nel 1782 nell'immatura età di 52 anni, ha lasciato molti scritti
sulla costruzione degli organi; eccone i titoli tradotti dal tedesco: 1.
_Saggio sulle qualità necessarie a un costruttore d'organi_, 1759 in 4º;
2. _Lettera a M. Hoffmann primo organista a Breslavia_, 1759; 3. _Difesa
di M. Sorge contro M. Marpurg_; 4. _Idee su i grand'organi_; 5. _Ai
detrattori degli organi_, Erlange 1764, in 4º.

LULLI (Giov. Batt.), nacque in Firenze nel 1633, ma trasportato in età
di 14 anni a Parigi, divenne mercè il suo grandissimo ingegno, onde
avealo fornito la natura, l'eroe riformatore della musica francese. La
prima sua abilità, che lo rese celebre in Francia, fu quella di sonare
il violino; prima di lui ne' concerti di strumenti solo uno di questi
cantava, gli altri non facevano se non un semplice accompagnamento a
quello: Lulli mise in movimento tutte le parti, e creò il vero concerto.
Nell'infanzia della musica strumentale a lui deesi l'invenzione
opportunissima all'oggetto di aprire con pompa uno spettacolo teatrale,
cioè, la sinfonia, detta perciò _ouverture_ da' francesi; invenzione,
dice il _Carpani_, “che restò per gran tempo così priva d'imitatori, che
in Italia stessa pochissime furono le sinfonie composte per tal uso: una
di Lulli fu sonata contemporaneamente in diversi teatri d'Italia in capo
a molte opere di varii de' più rinomati maestri senza ch'alcuno d'essi
si desse la briga di stenderne di nuove: il fatto è che l'_ouverture_
francese regnò lungamente su i nostri teatri, quantunque vi si udissero
con maraviglia infinita le divine opere dei _Vinci_, dei _Pergolesi_,
dei _Leo_ ed altri simili.” (_Letter. 1_). Coll'abilità di sonare il
violino Lulli si acquistò la benevolenza di Luigi il grande, che lo fece
direttore dell'orchestra della sua corte, e poi divenne capo, e
compositore dell'opera francese, incominciatasi ad eseguire a' giorni
suoi. Egli trasse la musica francese dalla scipitezza in cui aveva sino
allora languito: egli fu un uomo di genio che ha spianato il cammino a
tutti coloro che gli sono venuti dopo, e 'l di cui nome risuonerà ne'
posteri, quali sian per essere le rivoluzioni della musica. Ma
l'entusiasmo dei francesi per la musica di Lulli, che durò oltre a un
secolo, è stata la cagione di ritardare presso quella vivace nazione i
progressi di quest'arte. _Che Lulli sia stato l'eroe della musica
francese_, dice il dotto Eximeno, _non si può certamente dubitare; ma
che la musica francese non abbia colpito nel vero scopo della musica, è
stato già bastantemente deciso da tutta l'Europa, e dagli stessi
francesi, i quali svanito già l'entusiasmo per la musica di Lulli, fanno
particolare studio della musica italiana. La musica di Lulli parla più
all'orecchio che non al cuore_ (_Lib. 3, c. 3_). Il carattere di Lulli
era gajo e brioso, egli rallegrava le compagnie con novellette e con de'
buoni motti, onde i più alti signori si facevano a gara per ammetterlo
alla loro familiarità: conservò sino alla morte il suo brio e la
prontezza del suo spirito. Essendo agli estremi ed abbandonato dai
medici, venne a visitarlo il cavalier di Lorena. _Sì veramente_, gli
disse allora la moglie di Lulli, _voi siete il suo più grande amico, voi
che siete stato l'ultimo ad ubbriacarlo, e che siete causa di sua
morte._ Lulli riprese tosto: _Zitto, mia cara, il signor cavaliere è
stato l'ultimo ad ubbriacarmi, ed in caso che io ne guarisco, sarà egli
il primo a far lo stesso._ Egli morì in Parigi li 22 Marzo del 1687, in
età di 54 anni: il cel. poeta latino Santeuil fece il suo epitafio.

LUNEAU de Boisgermain (Pier Giuseppe), nato a Issoudun di una comoda
famiglia nel 1752, coltivò ben presto le belle lettere. Le cognizioni,
ch'egli si dava premura di acquistare, non si limitavan solo alla sua
propria istruzione, ma dirigevansi ancora a rendersi altrui utili. Oltre
a più opere di varii generi, Luneau pubblicò per tre anni l'_Almanach
musical_, 1771-1783. Fayolle lo chiama _una collezione senza scelta, e
senza gusto, come tutte le altre sue compilazioni_: non posso
giudicarne, perchè non lo conosco. Questo laborioso scrittore morì
subitamente a 2 dicembre del 1801.

LUNIER (M.), autore di un'opera, cui diè per titolo _Dictionnaire des
sciences et des arts_, t. 3, in 8vo a Paris 1805, egli vi tratta ancora
della musica considerata come scienza e come arte, ma i brevi articoli
che ne ha fatti sono trascritti dal Dizionario di musica di Mr.
Rousseau.

LUPI (Mario), canonico e primicerio della cattedrale di Bergamo sua
patria, cameriere d'onore di papa Pio VI, nacque di nobil famiglia nel
1710. Co' suoi studj fatti in Bergamo, e nel collegio Cerasoli a Roma, e
colle sue opere si acquistò la riputazione di un uomo profondamente
dotto. Morì egli in sua patria li dì 7 novembre del 1789. Vi ha di lui
manoscritta una _Dissertazione intorno al suono_.

LUSCINIO (Otmaro), in tedesco _Rachtigal_, canonico di S. Stefano in
Strasburgo sua patria, dove in un'estrema vecchiezza morì l'anno 1535.
Tra le molte sue opere noi non rammenteremo che quella, che ha per
titolo: _Musurgia, seu praxis musicæ_, a Strasburgo 1536, in 4.º, libro
estremamente raro ed ornato di figure incise in legno, che rappresentano
ogni sorta di stromenti di musica usati al suo tempo in Francia, ed in
Germania.

LUSITANO (Vincenzo), professore ed autore di musica viveva in Roma verso
la metà del sec. 16º. Egli sostenne contro il _Vicentini_ che l'antica
musica de' Greci non comprendeva che il solo genere diatonico. Questa
disputa divenne così interessante che divise la maggior parte dei
letterati italiani, e si sostenne dai due campioni una spezie di
pubblica tesi nella cappella del papa alla presenza del Cardinale di
Ferrara, e di tutti gli intendenti nelle scienze armoniche, che allora
si trovavano in Roma. Il _Vicentini_, che difendeva altro non essere
stata la musica greca se non una confusione de' nostri tre generi
cromatico, diatonico ed enarmonico fu riputato aver il torto in paragone
del Lusitano. _V. Arteaga t. 1, pag. 226._

LUSTIG (Giac. Guglielmo), nato in Amburgo, studiò la teoria e la
composizion musicale sotto Mattheson, ed esercitossi nello stesso tempo
nella pratica di quest'arte sotto la direzione del cel. Telemann, al di
cui figlio insegnò egli il cembalo. Frequentava i teatri ed i concerti,
ove ebbe occasione di sentire alcuni gran virtuosi, fra' quali Bach, e
formarsi così sopra tai modelli. Nel 1734 si rese per alcuni mesi in
Londra per sentir ivi in tutta la loro perfezione le opere di Hendel, ed
ha sempre di poi soggiornato a Groninga dove occupava il posto di
Organista della chiesa di S. Martino sin dall'età di sedici anni,
essendovi stato eletto per la morte del padre suo. Lustig dee
annoverarsi tra que' puochi maestri che han saputo riunire ad una grande
abilità molto gusto, e delle profonde cognizioni, egli viveva ancora nel
1772. Abbiamo di lui molti scritti sulla musica in lingua olandese: I.
_Introduzione alla conoscenza della musica_; II. _Grammatica della
musica_, Amsterdam 1754 2 vol. in 8vo; III. _Giornale de' viaggi di
musica del d. Burney tradotto dall'inglese_. Quest'opera è molto
pregevole per le note e le addizioni di Lustig. Egli ha tradotto ancora
molte opere dal tedesco in sua lingua, come _l'Istruzione di Quanz per
il flauto traverso_, 1756, _Prove dell'organo di Werkmeister_,
_Musico-theologia di Schmidt_, _Elementi di violino di Woditzka_, _Nuova
istruzione per l'uso del flauto di Mahaut_, _Lezioni di cembalo di
Marpurg_. IV. _Una collezione molto interessante di notizie intorno a
145 musici_ di Lustig si trova inserita nel 2º vol. delle lettere
critiche di Marpurg, dove vi ha eziandio la sua biografia, scritta da
lui medesimo.

LUZASCHI (Luzasco), uno de' celebri maestri di musica del sec. 16º che
han diritto alla nostra venerazione, per avere intrapreso dopo tanti
secoli di barbarie di ridurre a miglior forma quest'arte e scienza.
Luzaschi era di Ferrara, e vi ha di lui per la musica pratica _Quattro
Libri di madrigali a 5 voci_, quivi impressi nel 1584. Egli in oltre fu
uno degli autori di quel tempo, che tentarono di stabilire l'antico
genere enarmonico. _Scorrendo io gl'autori del 1500_, dice l'ab.
Requeno, _ne ho trovato uno della corte di Ferrara, il quale volle
correggere ed imitare allo stesso tempo il_ Vicentini, _fabricando un
gravicembalo co' tre generi d'antica armonia, con cui lo storico dice,
ch'esso accompagnò i cantanti di certe composizioni, fatte a bella posta
per questo stromento._ (_Saggi tom. 2, p. 123_)



M


MABLY (ab. Gabriele Bonnot de), maggior fratello del cel. abate de
Condillac, parente del Cardinale de Tencin, è morto in Parigi nel 1785,
egli non era che suddiacono. Vi ha una superba edizione delle di lui
opere in 15 vol. in 8vo pubblicata in Parigi dall'ab. Brizard nel 1794,
tra queste si trova di Mably rapporto alla musica, _Lettres a Mad. la
marquise de P. sur l'Opera_, la cui prima edizione è del 1741, in 12º.

MACE (Thomas), distinto in Londra fra gli amatori di musica fece quivi
imprimere _Music's monument ec._ cioè _Monitore delle migliori opere
pratiche di musica che siano sinora comparse_ in fol. 1676. Nella storia
di Hawkins vi ha il di lui ritratto.

MACHAULT (Gugl. de), nato circa 1284, viveva sino al 1369, poeta
francese, cameriere del re Filippo il Bello. In un manoscritto delle sue
poesie trovansi le note della musica, che erano allora in uso, e di cui
fa menzione il Rousseau (_art. valeur des notes_): vi si trova in oltre
una _Messa in musica_ notata a quattro parti, che si crede essersi
cantata nel 1364, nella consecrazione di Carlo V, re di Francia. M.
Perne ha messo in partitura ed in note moderne questa messa, ch'è molto
curiosa ed un monumento atto a far conoscere lo stato dell'arte in
quell'epoca.

MACROBIO (Ambros. Aurelio), di genere consolare, fiorì a' tempi di
Onorio e Teodosio II, nel quinto secolo dell'era cristiana. Egli ha
scritto molte cose sulla musica ne' suoi _Saturnali_ e nel _Sonno di
Scipione_. “La musica in questo tempo era tutta diatonica e cromatica;
ed il genere enarmonico de' Greci più rinomati fu stimato da Macrobio
più che difficile. Chiamò egli il cromatico infame, proprio solamente
delle persone, che allettavano al vizio con la delicatezza del canto:
lodò solo il diatonico puro estremamente, come particolare dell'armonia
de' cieli e dell'universo.” Da questo saggio ben può conoscersi qual
guazzabuglio d'idee sulla musica contener doveva la testa di Macrobio.
Egli giunge sino a negare il canto stromentale significativo, tanto in
uso presso agli antichi musici della Grecia. _Il dire le sottili
minutezze de' tuoni, de' semituoni_, (egli scrive commentando il sogno
di Scipione) _e quello, che ne' suoni per lettera, per sillaba, e per
intiera parola si prende, è da vano ostentatore, e non già da
precettore._ (_V. Requeno tom. 1, cap. 11_)

MADIN (Arrigo), nativo d'Irlanda era di Verdun: fu maestro di cappella
del re in Parigi dopo Lalande, e morì a Versailles nel 1748. L'abbate
Madin oltre a più mottetti assai stimati in Francia scritti da lui per
la cappella reale, è autore di un _Trattato di contrappunto_ impresso a
Parigi nel 1742, che ebbe colà qualche stima, benchè sia questa un'opera
men che mediocre, e meritamente oggidì posta in dimenticanza.

MAELZEL, primo meccanico dell'imperatore d'Austria, si rese a Parigi nel
1806, per far conoscere al pubblico il _Pan-harmonicon_, di cui è
l'inventore, capo d'opera di meccanica, che offre un concerto di
stromenti da fiato, e 'l di cui scopo è di produrre l'effetto di una
grand'orchestra. L'artista ha saputo combinare con quest'istromenti i
timballi, una gran cassa, un'altra più piccola per la musica turca, i
cembali, il triangolo ed alcuni altri nuovi strumenti inventati
dall'autore, per surrogarli in qualche maniera a que' di corda. Il
_Pan-harmonicon_ eseguisce un numero considerevole di pezzi di musica
del genere il più sublime, tra' quali si distinguono _l'eco di
Cherubini_, e varj pezzi di _Steibelt_, di _Mozart_, d'_Haydn_ ec. Ciò
che sorprende soprattutto nell'esecuzione di tai pezzi, egli è che tutti
i chiaro-scuri di _forte, di piano, e d'espressione_ sono marcati con
tanto di precisione che di gusto. _V. Quatre Saisons du Parnasse 1807 p.
250._

MAELZEL (Leonardo), fratello del precedente, abile professore di musica
e compositore, dopo sei anni di fatica ha inventato ancora a Vienna un
nuovo strumento di musica di una gran perfezione. Seguendo il consiglio
di alcuni intendenti, gli ha dato provisoriamente il nome di _Armonia di
Orfeo_ a motivo dell'effetto straordinario che produce sugli uditori.
Esso ha la forma di una cassa, che posata orizontalmente presenta cinque
piedi quadrati di superficie, e tre piedi di profondità. I tasti
abbracciano lo spazio di cinque ottave; basta toccarli lievemente per
trarre senza verun rumore de' suoni, come di fiato che si prolunga per
tutto il tempo, che il dito non abbandona il tasto, e che ad arbitrio
possono rinforzarsi, o addolcirsi, esso imita perfettamente la voce
umana, ed i suoi suoni non sono meno melodici, che quelli dell'armonica,
senza essere così penetranti. I maestri _Salieri_, _Giuseppe Weigl_,
_Gyrowetz_, _Preindel_, _Hymmel_, e _Förster_ fanno i più grandi elogj
di questa singolare invenzione. (_V. Registro polit. della Sicilia n.
CXXXI, Londra_ 27 Dicembre 1814 _e Journal des decouvert._)

MAGGIORE (Ciccio o Francesco), napoletano, compositore di brio e di
gusto ha scritto delle opere in musica in varie città dell'Europa
ch'egli ha percorso. Morì in Olanda circa il 1780; riusciva egregiamente
nel render in musica le grida di differenti animali, genere basso e
spregevole. _I raggiri della cantatrice_, 1745, e _gli scherzi d'amore_,
1762, sono le migliori delle sue opere.

MAGIR (Giov.), uno de' letterati distinti e de' migliori musici del suo
tempo a Brunswick. Nel 1596 egli diè la prima edizione della sua opera a
Francfort intitolata, _Artis musicæ methodice legibus logicis informatæ
libri duo ad totum musices artificium et rationem componendi valde
accomodati_. Avendola quindi interamente rifusa, la pubblicò nuovamente
a Brunswick nel 1611. Egli morì d'apoplesia nel 1631. _V. Walther._

MAGLIARD (Pietro), canonico della cattedrale di Tournai, sul principio
del sec. 17º pubblicò quivi una dottissima opera in francese, secondo
ciò che ne dice il _Doni_ (_sopra i tuoni p. 127 242_) nella quale
stabilisce che i dodici modi, usati oggidì, si differiscono dai tuoni
ecclesiastici.

MAGRIZY (Taguv Ed-Dyne Ahmed al), uno de' più grand'uomini, che come
Abulfeda, vantar possa la letteratura Araba. Nacque al Cairo circa 1358
dell'era cristiana, dell'Egira 760. Grande pel suo merito di Scrittore;
grande principalmente per le qualità del suo cuore, non che del suo
spirito, ricolmo di onori occupò sino alla morte i posti più luminosi, e
studiò e scrisse eziandio sino alla morte per ricrear l'animo suo della
noja delle grandezze medesime, di cui come vero filosofo ne sentiva il
voto. Le sue opere sono innumerabili, e sopra un'infinità di materie,
ch'egli tratta con estrema esattezza, con lunghi dettagli, e con
eleganza di stile, avvengnachè le ore impiegate da lui allo studio non
fossero stati se non de' momenti, che egli rubava alle giornaliere
occupazioni de' suoi impieghi. Vi ha tra queste un _Trattato di Musica_,
di cui non possiamo dare alcun saggio, per non conoscerne altro che il
titolo. Questo grand'uomo finì di vivere nella sua patria l'anno
dell'Egira 845, dell'era comune 1441. (_Desland Dict. univ. tom. 19_)

MAIER (Gius. Bernardo), maestro di cappella a Hall nella Svevia, nel
1732, pubblicò quivi il suo _Museum musicum theoretico-practicum_, e nel
1747, ne diè una seconda edizione in tedesco col titolo di _Gabinetto di
musica teorica e pratica; ossia Breve ma compito metodo, per apprendere
la musica in pochissimo tempo per mezzo di esempj assai chiari con la
spiegazione de' termini tecnici della musica, oggi in uso, sì greci che
latini, italiani e francesi_. _V. Walther._

MAIRAN (Giov. Giac. d'Ortous de), secretario perpetuo dell'accad. delle
scienze sin dal 1741, in cui succedette a M. Fontenelle, e morto in
Parigi nel 1771. Nelle memorie di quell'accademia an. 1737 vi ha di
Mairan, _Discours sur la propagation du son dans les différens tons qui
le modifient_. Egli è diviso in sei parti: 1. sulla differenza delle
particelle dell'aria tra loro; 2. sull'analogia del suono e de' diversi
tuoni con la luce e i colori in generale; 3. sull'analogia particolare
de' tuoni e de' colori prismatici; 4. in che l'analogia del suono e
della luce, de' tuoni e de' colori, della musica e della pittura è
imperfetta o nulla; 5. sull'analogia di propagazione tra' suoni e le
onde, per rapporto all'esperienza, di cui si è fatta menzione nel nono
articolo del Discorso; 6. sulla maniera con cui le vibrazioni dell'aria
si comunicano all'organo immediato dell'udito. _Rousseau_ dice che
l'ipotesi di M. da _Mairan_ per ispiegare, come il suono d'una corda
venga sempre accompagnato da' suoi armonici, è la più ingegnosa tra
quelle che eransi sino allora immaginate, e la più filosofica (art.
Son); benchè dica un pò dopo, che sembri piuttosto che il suo autore
abbia così allontanata la difficoltà anzichè risolverla: l'ipotesi del
Mairan, dice l'ab. Andres, non è stata abbracciata da molti fisici, e
molto s'assomiglia al sistema del Newton. _Dell'Acustica t. 4._

MAJO (Francesco de), cui i Napoletani danno il nome di _Ciccio di Majo_.
“Scrittore pieno di melodia e di naturalezza: in pochi anni che visse,
ebbe la stessa sorte del Pergolesi, cui non restò inferiore
nell'invenzione e nella novità” (_Arteaga tom. 2. p. 326_). Egli era
figliuolo di Giuseppe di Majo, maestro della real cappella di Napoli
dopo Durante, posto, secondo il Mattei, ch'egli non con egual decoro
sostenne. Ciccio di Majo cominciò assai giovane a scrivere per teatro e
per chiesa; la semplicità del suo canto, la nitidezza della di lui
armonia, la sua maniera facile, naturale, piacevole gli acquistarono
tosto gran nome in tutta l'Italia. _Le sue carte sono piene d'estro e
d'espressione, ed egli sarebbe stato uno de' primi, se non fosse morto
sul fior dell'età._ (Matt. elog. di Jommel.). Quest'amabile compositore
finì di vivere in Roma circa 1774, all'età di 27 anni. Egli ha messo in
musica più drammi del Metastasio, come l'_Artaserse_, l'_Ipermestra_, il
_Catone_, l'_Antigono_, la _Didone_; e l'_Alessandro nell'Indie_
l'ultimo anno di sua vita: per chiesa messe, salmi per i vesperi e
salve, che non lascian tuttora di dar piacere agl'intendenti.

MAISSEDER, giovane compositore tedesco, di cui così dice il Carpani
(_Let. 15_): “Il Maisseder promette molto; ma il suo genio è all'aurora.
Giungerà egli al merigio? Ciò dipende da tanti accidenti.” Le sue carte,
per quanto io sappia, non sono ancora giunte sino a noi.

MALCOLM (Alessandro) pubblicò nel 1721 ad Edimburgo un'opera, cui diè
per titolo: _A Treatise of music_ ec. cioè: _Trattato di musica
specolativa, pratica ed istorica_, nella quale non dà a divedere gran
conoscenza dell'antichità nel dubitar ch'egli fa, se gli antichi
avessero una musica unicamente composta per gli stromenti: cita
frattanto le _sinaulie_ de' greci, di cui parla Ateneo, che altro non
erano se non se una musica vocale, ossia parlante eseguita dai soli
instromenti. Rousseau critica come mancante di giustezza la divisione
ch'egli dà della scala de' tuoni (art. _Echelle_).

MANCINI (Giov. Batt.), uno de' più famosi allievi del Bernacchi in
Bologna, si è anche distinto fra i letterati pel suo bel libro
intitolato: _Pensieri e Riflessioni pratiche sopra il canto figurato_
(Arteaga t. 2) in 4º, Vienna 1774. Ell'è questa un'opera eminentemente
classica: l'autore dà primieramente alcune notizie sulle diverse scuole
dell'Italia, e i celebri musici che ne sono usciti dopo la fine del
secolo 17º. Dà quindi delle regole sull'arte del canto: spiega cosa sia
_cadenza_, _trillo_, _mordente_, _appoggiatura_, _abbellimento del
canto_, ch'egli divide in _semplice_ e in _doppio_ ossia _groppetto_:
dinota i difetti della voce, e i mezzi di correggerla: fa parte a'
lettori delle sue osservazioni sull'intonazione, sulla miglior posizione
della bocca, sulla maniera di portare ed appoggiar la voce: e finisce
col trattar del recitativo e dell'azione teatrale. Di quest'opera si
sono fatte tre edizioni in Italia, e due traduzioni in francese da MM.
Désaugier e Rayneval in 8vo 1776 e 1796: Hiller cita con elogio un
_Magnificat_ a otto voci composto dal Mancini.

MANFREDI, figlio naturale di Federico II, coronato in Palermo re di
Sicilia e duca di Puglia l'anno 1258, principe saggio, prode, e grande,
fu al pari del padre suo coltivatore delle scienze e favoreggiator de'
letterati. Matt. Spinelli ci dice che in Barletta nel 1258, _soleva
questo principe gir di notte pigliando il fresco, e cantando strambotti
e canzone con due musici siciliani gran romanzatori_: e secondo Giovanni
Villani, _si dilettava molto di cantare e sonare egli stesso_. Fu sempre
perseguitato dai papi, e morì l'anno 1265 in età di 30 anni nella rotta
ricevuta presso Ceperano per tradimento de' Pugliesi subornati da Carlo
d'Angiò e da' Guelfi, di cui fa menzione il Dante. (_Infern. Cant. 28_)
_V. Signorelli, Vicende ec. t. 2._

MANFREDINI (Vincenzo) da Pistoja in Toscana, fu, come dice egli stesso,
allievo in Bologna per la composizione de' due celebri maestri Perti, e
Fioroni; cercando di far quindi miglior fortuna che in Italia, portossi
a Pietroburgo con una compagnia di musici italiani, ed avendo colà
scritto da prima la musica de' balli per servir d'intermedio ad un'opera
di Galuppi, e poi anche la musica di alcuni drammi del Metastasio per
quel teatro, ebbe grandissimo incontro, e divenne tosto maestro per il
cembalo del gran Duca delle Russie, che fu poi l'imperatore Paolo I.
Scrisse allora pel suo allievo sei sonate, e non ostante la critica che
ne fu fatta in Amburgo (_dans les amusemens_ etc.) presentate avendole
all'Imperatrice, ne ebbe mille rubbli in dono, e furono impresse a
Pietroburgo nel 1766. Scrisse ancora quivi più opere pel teatro, ma non
vi ha di queste impresse fuorchè _sei arie e un duetto_ dell'Olimpiade,
a Norimberga 1765. Tornò egli finalmente in Bologna assai ricco nel
1769, ma egli impiegò allora il suo ozio nello scriver piuttosto sulla
teoria, anzichè nella pratica della sua arte. Diè infatti al pubblico
nel 1775, _Regole armoniche, o sieno Precetti ragionati per apprender la
musica_: di cui ve n'ha una seconda edizione, dedicata come la prima a
Paolo I, più corretta ed accresciuta, in 8vo Venezia 1797, con 20 rami.
Benchè l'_Arteaga_ chiami quest'opera _libro frivolo, che altro non
contiene fuorchè delle nozioni elementari e triviali_, (t. 3, p. 351),
vi si trovano tuttavolta de' buoni precetti, delle ottime osservazioni
appoggiate, e sostenute da savie ragioni, e da una ben fondata
esperienza. Se non è ella, come a norma di ciò che promette il titolo,
esser non dee, un'opera di letteratura, è non per tanto _un buon libro
elementare_, scritto con chiarezza, con precisione, con giudizio, e non
vi ha nè più nè meno di quel che abbisogna per guidar lo studente ne'
buoni principj dell'arte. Nella prima parte l'A. dà i principj generali
della musica: nella seconda tratta degli accordi, della loro origine,
de' loro rivolti, e dà un buono e facil metodo d'accompagnamento; nella
terza parte espone i precetti e gli esempj più opportuni per lo studio
del canto, e nella quarta finalmente le regole più essenziali del
contrappunto con prevenire i suoi lettori contro gli errori e i
pregiudizj sì degli antichi che de' moderni. Così non lascia egli di
confutare nell'ultimo capitolo Rameau, e 'l suo comentatore d'Alembert
(p. 139), Tartini, e Rousseau (p. 141, 143) intorno al basso
fondamentale della scala diatonica da loro proposto; e lo stesso P.
Martini, allorchè pretende che _il canto fermo_ debba servir di base al
contrappunto; _il che è stato_, egli dice, _un male notabile e dannoso
non poco all'avanzamento dell'arte_ (p. 2, 161). Manfredini fu quindi
associato alla compilazione del _Giornale Enciclopedico_ di Bologna per
la parte della musica, e nel 1787, avendo egli impugnato l'opera delle
_Rivoluzioni del teatro musicale italiano_ dell'ab. Arteaga in un
_Estratto_ assai mal digerito, si trasse addosso da quel valentuomo una
disgustosa critica, che alla fine del terzo volume di quell'opera fece
costui imprimere col titolo di _Osservazioni ec._ In queste passo passo
andando dietro al suo censore ne rileva a ragione la poca logica, il
guazzabuglio delle idee, l'incoerenza del raziocinio, e la scarsa dose
di cognizioni musicali in ciò che spetta la parte filosofica, storica, e
critica della musica, mercè la di lui baldanza nel voler trattare di una
materia non sua. Ecco il discapito che ne avvien sempre a coloro, che si
accingono di entrare in lizza con più robusti campioni senza misurar
pria le forze loro. Il Manfredini pretese sìbbene di rispondervi con la
_Difesa della musica moderna e de' suoi celebri esecutori_, Bologna
1788, in 8vo, ma il suo antagonista non curollo affatto. Nelle Regole
Armoniche prometteva l'autore di pubblicare in oltre un _Saggio di
musica_ (p. 177, 185) ma ne lo impedì forse la sua avanzata età, o la
sua morte.

MANNA (Gennaro), compositore napoletano assai distinto, specialmente per
la sua musica di chiesa, era nipote del maestro Sarri. Dopo di avere
scritto nel 1751 la _Didone_ in Venezia, nel 1753, il _Siroe_, ed altri
drammi per alcuni teatri d'Italia, ritirossi in Napoli, ove compose
tutta la musica de' Salmi e delle Messe per le gran cerimonie della
chiesa, e quivi morì verso il 1788. Il suo stile è molto adattato a
questo genere, grave, maestoso, divoto, e quando le parole esiggono un
andamento allegro, egli sa farlo ben distinguere dall'allegro profano e
teatrale: in somma la sua musica per chiesa è tale, qual saggiamente
viene prescritto dal gran Benedetto XIV, cioè che il canto sia del tutto
differente da quell'usato ne' teatri ed acciò le parole vi si possano
sentire, non venga oppresso ed ingombro dal fracasso de' stromenti.

MARCELLO (Benedetto), patrizio veneto e d'una famiglia che molto amava
la musica, nacque nel 1686. Alle felici disposizioni che sortì dalla
natura unì egli l'assiduità allo studio, e 'l continuo esercizio di
quest'arte in seno ad un'accademia, che si teneva nel _Casino dei
nobili_. La cappella di S. Marco era allora in gran lustro per il numero
e la scelta de' cantanti e de' compositori, di cui era provveduta. Alla
loro testa trovavasi il cel. Francesco Gasparini. Fu costui uno de'
maestri che consultò Marcello, e per cui concepì egli la maggior
venerazione e fiducia: ebbe per lui in tutto il corso di sua vita una
singolar deferenza, e mai lasciò di sommettere al suo esame ed alla sua
critica le opere sue. Oltre la pratica, Marcello coltivò la teoria della
musica; in età di poco più di vent'anni scrisse egli un _Trattato di
composizione_, che l'annunziava un uomo istruito nella sua arte, e viene
assicurato da chi l'ha avuto per le mani, rimasto essendo per
disavventura manoscritto, che quest'opera figurerebbe con vantaggio tra
quelle che trattano della scienza della composizione. Egli formò alcuni
allievi; e fu il primo maestro della cel. Faustina Bordoni, poi moglie
del Sassone. Malgrado le sue occupazioni letterarie, e musicali, non
trascurò quelle del suo stato: secondo l'uso de' patrizj veneti esercitò
ancora la professione di avvocato, e diverse magistrature nella sua
patria: per lo spazio di 40 anni fu membro del consiglio dei quaranta, e
nel 1738 fu mandato in Brescia in qualità di camerlengo; ma potè godere
appena degli onori del nuovo posto, poichè la morte giunse ben tosto a
rapirlo alle arti e alla patria. Egli finì quivi i suoi giorni nel 1739
in età di 53 anni. Dal suo matrimonio con Rosetta Scalfi, una delle sue
discepole di bassa condizione, ch'egli aveva nascostamente sposata, non
lasciò figliuoli. Marcello è uno de' più belli genj che onorato abbiano
non che la scuola veneziana, ma quella di tutta l'Italia e l'arte in
generale: fu in uno stesso tempo scrittore eloquente, distinto poeta e
compositor sublime. “Genio fra i più grandi, dice l'ab. Arteaga, che
abbia nel nostro secolo posseduti l'Italia, e che nella sua immortale
composizione de' Salmi gareggia col Palestrina se non lo supera.
Quest'uomo eccellentissimo, che alla gravità dell'antica musica ha
saputo unir così bene le grazie della moderna, compose ancora una
saporitissima critica intitolata il _Teatro alla moda_ senza nome, senza
data, ove colla licenza che permette la maschera, schiera ad uno ad uno
con festiva ironia tutt'i difetti, che dominavano al suo tempo in sulle
scene.” (_t. 2._) La musica de' Salmi del Marcello è stata pubblicata
sotto il titolo di _Estro Poetico-Armonico, Parafrasi sopra i 50 primi
Salmi, poesia di Girol. Ascanio Giustiniani, musica di Ben. Marcello,
patrizj veneti_, Venezia 1724, e 1726. Verso la medietà del secolo 18º
se ne fece una nuova edizione in Inghilterra, con una traduzione
inglese. Nel 1803, Sebastiano Valle, stampatore in Venezia, ne ha data
una bella edizione in 8 volumi in fol. in fronte della quale si trova il
ritratto dell'autore, la di lui vita scritta dal Fontana, il catalogo
delle di lui opere impresse, e manoscritte, e gli elogj a lui dati da
varj scrittori. Da che quest'opera incomparabile vide la luce, eccitò
l'universale ammirazione. Nulla erasi ancor visto di uguale per l'ardita
e vigorosa maniera d'esprimere, per la grandiosità e regolarità del
disegno: ella pose il suo autore nel primo rango de' compositori, e la
posterità ha confermato il giudizio, che ne recarono allora i
contemporanei. “Nulla rassomiglia, dice M. Suard, all'entusiasmo che
regna nelle sue composizioni. Egli fa passar nella sua musica l'energia
de' pensieri orientali; egli è il Pindaro de' musici come ne è ancora il
Michelangelo.” Il Principe di Conca in una lettera al P. Sacchi così si
esprime: “Avete avuta somma ragione, M. R. P., d'introdurre nel vostro
collegio l'esercizio de' Salmi del Marcello; è costui il primo degli
autori, che ha un merito tutto suo proprio, cioè che tutti gli altri
maestri, quei medesimi che in alcuna parte dell'arte avrebbero potuto
superarlo, tutti hanno una certa maniera a cui si riconosce il loro
stile per un certo andamento di modulazione che han tenuto in tutti
quasi i soggetti. Marcello più che ogni altro fornito di genio, non ha
seguito se non quello dettatogli dall'entusiasmo: guidato dalla più
profonda scienza si è reso di tutti il più energico per la sua
espressione.” Nella sua prefazione a' Salmi vi si trovano delle dotte
osservazioni sull'impiego del contrappunto: per le altre di lui
composizioni di un genere differente, come Cantate, ed alcuni pezzi
ghiribizzosi e ridicoli può leggersi il _Carpani_ nelle lettere settima
e decima, ove a lungo ne ragiona. _Angelo Fabroni_, nel tomo IX della
sua _Biografia de' cel. letterati d'Italia_ ha scritto lungamente la
vita del Marcello, che quindi tradotta nell'italiano ed accresciuta dal
P. Sacchi comparve in Venezia nel 1788.

MARCHESINI (Luigi), il più celebre de' cantanti ed eunuchi d'Italia sul
finire del p. p. secolo, nacque in Milano circa 1755. Egli aveva appreso
sin da ragazzo a suonare il corno di caccia e i principj della musica da
suo padre sonatore di quest'istromento in quella città: ma come mostrava
delle gran disposizioni per il canto, alcuni intendenti gli
consigliarono di coltivarle, per il che fuggito dalla sua casa, portossi
a Bergamo e quivi di nascosto fecesi eunuco. Si pose quindi sotto la
direzione di Fioroni, del soprano Caironi e del tenore Albuzzi, e nel
1775, racconta Burney di averlo inteso in una chiesa di Milano, benchè
assicuri di non aver in lui trovato de' talenti straordinarj. Ma dopo
due anni fecesi nel suo canto un notabile cambiamento, egli cantò da
prima donna in luogo della Ristorini moglie del maestro Gazzaniga,
quindi da prim'uomo in Firenze nel _Castore e Polluce_ di Bianchi, e
nell'_Achille in Sciro_ di Sarti. Il rondò _Mia speranza, io pur vorrei_
di quest'opera assicurò per sempre la sua riputazione. Nel 1780, cantò
in Milano nell'_Armida_ di Misliwechek, ma la più parte di questa musica
non essendo incontrata nel pubblico, Marchesini vi sostituì quel rondò
di Sarti, che tanto successo avevagli procurato in Firenze, ed
un'arietta di Bianchi _Se piangi e peni_. Questi due pezzi uniti ad
un'aria di bravura di Misliwechek nella quale sorpassò se medesimo,
portarono al più alto grado l'ammirazione de' Milanesi. L'accademia, per
dimostrargli la sua soddisfazione, fè battere in suo onore una medaglia
d'argento: in Pisa fu impressa in rame la sua effigie, e tutto il mondo
provossi ad imitare l'arte o la magia, ch'egli aveva saputo adoperare in
que' pezzi. Nel 1782, il re di Sardegna lo chiamò in Torino, per cantar
nel teatro durante il soggiorno del gran-duca delle Russie,
coll'onorario di mille ducati. Il gran-duca rimase così incantato della
sua voce, che gli offrì cinque mila ducati, se voleva venire in
Moscovia. Cantò allora anche in un concerto alla corte il suo favorito
rondò con tale artificio, che il re mostrogli il suo gran piacere con
battergli la spalla e l'indomani nominollo suo musico di corte, col
trattamento di 1172 ducati, e 'l permesso di viaggiare per nove mesi
dell'anno. Nel carnovale del 1783 cantò in Roma con mille ducati
d'appuntamento, quindi in Lucca e in Firenze. Nel 1785 fè sentirsi in
Vienna, alla corte dell'imperatore, e vi fu generalmente ammirato:
questo principe fè pagargli la somma di 600 ducati per sei
rappresentazioni. L'anno d'appresso, trovossi con Sarti e la Todi in
Pietroburgo, ove rappresentossi l'_Armida_ di quel maestro. I regali,
che questi tre virtuosi ebbero allora, si valutarono a 15 mila rubbli.
Marchesini ebbe in oltre una scatola d'oro. Nel 1787 cantò in Berlino, e
l'anno dopo in Londra, e nel 1790 era già di ritorno in Italia. Egli si
è stabilito in Milano, ove gode della stima generale.

MARCHETTO _da Padova_, celebre commentator di Francone, ed il primo fra
gli autori che abbia trattato de' generi cromatico ed enarmonico;
abbiamo in oltre di lui _Lucidarium in arte musicæ planæ, inchoatum
Cesenæ, perfectum Veronæ an. 1274_; e _Pomarium in arte musicæ
mensuratæ_, dedicato a Roberto re di Napoli, e non a Carlo re di Sicilia
circa 1283, come pretende il D. _Burney_. Noi crediamo rapportarcene
piuttosto all'ab. _Gerbert_, a cui deesi la pubblicazione di queste due
opere di _Marchetto_, ritratte dalla Bibliot. del Vaticano (_V. Script.
Eccles. de music. t. III_). Son questi i più antichi trattati, dove si
faccia menzione de' _diesis, di contrappunto cromatico e di dissonanze_.
Tra le combinazioni armoniche proposte dal _Marchetto_, molte sono anche
in uso oggidì, altre si sono abolite.

MARCOU (Pietro), professore di musica attualmente a Bourges, nel 1804
pubblicò in Parigi, _Manuel du jeune musicien, ou élémens
théoriques-pratiques de musique_, nuova edizione accresciuta di un
saggio storico sulla musica in generale.

MARENZIO (Luca), cel. compositore di Madrigali, di mottetti e di musica
di chiesa nel sec. 17º, era maestro della cappella Sistina in Roma, dove
diligentemente conservansi tutte le sue opere. Walther rapporta il
catalogo delle medesime.

MARESCALCHI (Luigi), mercante di musica in Napoli, e compositore, studiò
il contrappunto sotto il P. Martini a Bologna, la sua musica sì vocale
che strumentale è stata in qualche pregio. Nel 1780 trovandosi in
Firenze compose il ballo di _Meleagro_ per il nuovo teatro, che si
apriva allora. Nel 1784 diè in Piacenza la musica dei _Disertori
felici_, che ebbe molto incontro. Vi sono anche di lui impressi a Parigi
4 quartetti di Violini, violoncello e basso, e in Venezia il Duetto
_Sventurato a chi fin'ora ec._ Deesi avvertire che per una soverchieria
da mercante di musica, cioè dell'autore medesimo, l'opera VII di
Boccherini, consistente di trio per 2 viol. e basso impresso,
effettivamente è di Marescalchi; la vera op. VII di Boccherini è
composta di 6 sonate di violino.

MARET (Hugues), professore di medicina, e secretario perpetuo
dell'accademia di Dijon, nel 1766 pubblicò un _Eloge historique de
Rameau_, in 8vo, pieno di dettagli interessanti sulla musica.

MARIANI, “dottissimo maestro di cappella del Duomo di Savona verso il
1782, aveva travagliato ad un'opera classica sulla melodia, in cui
cercava di fissare i generi diversi della medesima. Assegnava egli le
regole per formare de' bei canti in ognuno dei detti generi; accennava i
confini dell'espressione musicale, opera importantissima, e che finora
manca alla scienza musica; ma disgraziatamente per l'arte egli finì i
suoi giorni prima di averla compita. Gli scritti suoi andarono nelle
mani del celebre Padre Sacchi, tolto ancor esso anni sono alle muse ed
ai vivi, e di quell'opera non se ne sa più nulla.” (_Carpani lett. 9_).

MARIE DE SAINT-URSIN (P. J.), medico in Parigi, e compilatore della
_Gazette de Santé_, nel 1803 pubblicò quivi _Traité des effets de la
musique sur le corps humain_, tradotto dal latino.

MARIN (Fran. Claudio), di Provenza, compì i suoi studj in Parigi ove fu
avvocato nel parlamento, censore reale e secretario della libreria,
membro di più accademie. Nato con un carattere di facilità e di gusto
per le belle arti, egli fu uno degli autori della guerra musicale dal
1750 sino al 1760, e diè al pubblico degli opuscoli assai lepidi e
piacevoli, tra questi vien ricercato con ispezialità quello che ha per
titolo: _Lettres à mad. Folio_, in 8vo, Paris 1752. Marin cessò di
vivere in Parigi nel 1809, in età di anni 88, colla riputazione di un
uomo di spirito.

MARIN (Martino), visconte, della famiglia de' Marini che ha dati più
dogi alla rep. di Genova, e stabilita in Francia dopo il 1402, figlio di
Marcello di Marini amatore anch'egli, e compositore di musica, e da cui
egli apprese sin dall'età di quattr'anni la musica, e 'l piano-forte.
Nardini gli diè lezioni di violino, e questo gran maestro si compiaceva
di dire, ch'era il migliore suo allievo. Hosbruker fu il suo maestro per
l'arpa, e dopo 30 lezioni, l'istinto ch'egli ebbe di operare una
rivoluzione su questo stromento, il persuase a non voler più altro
maestro fuorchè se stesso. De Marin può aver de' rivali per il violino,
ma viene generalmente riconosciuto che non ne ha per l'arpa. Nel 1783 fu
ricevuto e coronato nell'Accademia degli Arcadi in Roma: egli
v'improvvisò sull'arpa, e vi eseguì alcuni soggetti di fuga che gli
vennero dati, e d'una maniera sino allora incognita su quell'istromento.
Vi eseguì ancora a primo colpo d'occhio delle partiture di Jommelli, e
delle fughe di Seb. Bach, e fece allora sull'arpa, ciò che appena può
farsi sul forte-piano. Egli fu il soggetto di tutt'i versi italiani, che
furono improvvisati in quella sessione; e la celebre Corilla, che vi era
presente, fece all'improvviso un poema in suo onore. Al suo ritorno
d'Italia egli non aveva più di 15 anni, e cominciò la sua educazione
militare a Versailles, dopo due anni ne sortì capitano de' dragoni, ed
ottenne il permesso di continuare i suoi viaggi; ma la rivoluzione che
sopraggiunse lo fè mettere nella lista degli emigrati. Dopo aver brigato
inutilmente il suo ritorno, passò in Inghilterra, dove ebbe il più gran
successo. Il celebre Delille ha lodato co' suoi versi non che la sua
abilità nella musica e sull'arpa, ma il suo patriotismo ancora e le
amabili qualità del suo spirito. Vi sono di lui impresse sì a Londra,
che a Parigi 24 opere per l'arpa, fra le quali una sonata a 4 mani, la
prima che siasi fatta per quest'istromento. Egli lo fa cantare come una
voce, quando suona, tanti sono belli, puri e sostenuti i suoni che sa
trarne; appena fa egli scorgere che fa uso de' pedali: l'agita tutti
senza sforzo, senza romore, e ne ottiene degli effetti nuovi,
incredibili, e tutte le ricchezze delle transizioni armoniche. In fronte
dell'op. 16 egli ha posta una tavola enarmonica per la cognizione de'
pedali, molto utile a' progressi dell'arte, e per apprendere a modulare
sullo stesso stromento. Il cel. Clementi fa tale stima della musica di
M. Marin, che l'ha fatta imprimere in Londra.

MARINELLI (Gaetano), compositore napoletano; o come altri vogliono,
siciliano stabilito da fanciullo in Napoli, dove fece nel conservatorio
i suoi studj di musica. Egli ha scritto per più teatri d'Italia con buon
successo, e con ispezialità il suo Oratorio il _Baldassare_ in Napoli
sul principio del corrente secolo, d'una espressione inavanzabile, e
d'una musica ben adatta al soggetto. Nel magazino di Ricordi in Milano
vi ha di lui impressa la musica di alcune opere buffe: _il Trionfo
d'amore_; il _Letterato alla moda_, e la _Rocchetta in equivoco_, farsa.

MARMONTEL (Giov. Fran.), dell'accademia francese, di cui ne fu il
secretario perpetuo sino all'anno della rivoluzione 1789, nel corso
della quale ritirossi in una casa di campagna alcune leghe distante da
Parigi, dove la sua anima onesta e dolce, gemè lungo tempo dei mali, di
cui fu testimone; passò quindi ad Aboville, dove comprò una specie di
capanna, e viveva da solitario, povero e nell'oblio, in compagnia
dell'amabile e sensibile sua moglie nipote dell'ab. Morellet. Quivi finì
i suoi giorni nel 1798 in età di 79 anni. Egli ebbe gran parte nella
guerra musicale tra i fautori di Gluck e di Piccini, e dichiarossi per
quest'ultimo. In questa guerra di spirito, Marmontel fu esposto a de'
libelli satirici, e agli epigrammi i più velenosi e grossolani, senza
avere avuto altro torto che di manifestare il suo sentimento con
moderazione, e di avere migliorato la poesia lirica e drammatica per
servire alla musica di Piccini: così il saggio M. Turgot diceva in
quell'incontro: _capisco benissimo che si ami la musica di Gluck, ma
parmi difficile l'amare i Gluckisti_. Nel 1777 Marmontel diè al
pubblico: _Essai sur les révolutions de la musique en France_, in 8vo.
Gli ammiratori passionati della musica di Gluck sostenevano, che ella
sola conveniva alla poesia drammatica e al teatro; l'A. s'innalza contro
questa opinione, e sostiene che non può sbandirsi dalla scena lirica la
musica delle arie de' Piccini, de' Sacchini, de' Traetta: pruova che la
nazione francese ha passato sempre di entusiasmo in entusiasmo, da
_Lulli a Rameau, da Rameau a Gretry, da Gretry a Gluck_: conclude che
bisogna ammettere sul teatro lirico francese il canto italiano, il solo
che gli sembri veramente musicale, mentre che gl'italiani dal canto
loro, lasciar dovrebbero da parte le loro triviali rapsodie senza
interesse, e senza buon senso nelle parole, per adottare il sistema
drammatico de' Francesi più giudizioso e più severo. Questo saggio gli
trasse addosso alcune critiche di M. Suard, e gli epigrammi dell'ab.
Arnaud. Marmontel per vendicarsene compose il suo _Poème de la Musique_,
che a giudizio degli intendenti è la miglior cosa, ch'egli abbia scritto
in versi: trovasi questo poema nella collezione delle di lui opere del
1806 in 31 vol., in 8vo.

MAROTTA (Erasmo), di Randazzo in Sicilia, celebre contrappuntista del
sec. 16º, di cui abbiamo i madrigali pubblicati nel 1603, fu il primo o
uno de' primi che faticasse sopra l'opera in musica, adornando di sue
note l'_Aminta_ del Tasso. È da credersi, che probabilmente fosse
scritta verso la fine del sullodato secolo, giacchè egli poi si diede ad
una vita più divota, ed entrò già prete fra' gesuiti nel 1612, _in età
matura_ come scrive il Mongitori. _Non so perdonare a' Siciliani_, dice
a ragione il Sig. Sav. Mattei, _di avere trascurato questo bel
monumento_ (cioè di non aver conservata la musica di Marotta su quel
dramma) _che ci addita evidentemente, che siccome dobbiamo la pastoral
poesia al_ Siciliano Teocrito, _così dobbiamo la musica pastorale, al_
Siciliano Marotta (Elog. di Jommel.). Di lui scrive eziandio con lode
l'Arteaga nel 1º tomo delle _Rivoluzioni_ p. 211, e il Bettinelli nel
_Risorgimento_ al cap. _Feste e Spettacoli_, p. 245.

MARPURG (Feder. Gug.), consigliere del re di Prussia, ha reso molti
importanti servigj colle sue opere alla didattica e alla teoria della
musica. Verso il 1746, egli fece qualche dimora in Parigi e quivi
contrasse delle familiarità con varii letterati e co' migliori
professori di quest'arte; da' cui lumi trasse non poco profitto. _Io
riguardo il tempo che vi ho passato_, dice egli stesso, _come il più
fortunato periodo di mia vita; e se sono riuscito a coltivare le Muse
con qualche successo io ne devo una gran parte a quel tempo_ (_Dedic. a
l'ab. de Cerceaux_). Tornato in Berlino, diessi interamente alla
composizione delle sue opere, di cui dal 1749 sino al 1763 ne pubblicò
una considerevole quantità sia didattiche, sia critiche, sia polemiche.
Intorno alla teoria del basso fondamentale non lo adottò egli che in
parte, e come un metodo di classificare gli accordi. L'arte il perdette
assai presto nel 1764 in età di circa 43 anni, allorchè trovavasi
occupato a dar l'ultima mano alla sua storia della musica. Marpurg è
senza dubbio il più pregevole scrittore didattico che abbia prodotto la
Germania, e che possedeva in generale l'arte della musica. Ad una
profonda cognizione de' principj unisce egli uno squisito giudizio ed un
ottimo gusto. Fra le sue opere due ve n'ha soprattutto, che meritano una
particolare attenzione: 1. il suo _Manuale d'armonia e di composizione
in tedesco_ 1756 in 4.º è un trattato compito a cui quasi nulla manca, e
generalmente assai metodico e ben chiaro: dir si potrebbe l'Euclide
musicale; 2. _Trattato della fuga e del contrappunto_, il più compito e
'l migliore che si sia pubblicato sulle fughe, i contrappunti
artificiosi ed i canoni, secondo i principj e l'esempio de' migliori
maestri tedeschi e d'altre nazioni, con 68 rami, 1753, in 4º.
Quest'opera fu tradotta in francese in 2 vol. in 4.º Berlino 1756, vi si
trova una breve storia del contrappunto e la notizia de' più dotti
contrappuntisti. Io l'ho avuta per le mani: e mi è sembrata eccellente
per il fondo; ma vi sarebbe a desiderare un miglior ordine: la
distribuzione delle materie non può essere più cattiva, e questo ne
rende molto difficile l'intelligenza. Abbiamo in oltre di lui scritte in
tedesco le seguenti opere: _Il musico critico_, 1749; _L'arte di sonar
di cembalo, e sul basso continuo_, 2 vol. in 4.º 1750-1755. Quest'opera
è stata tradotta in francese, e ve ne ha una terza edizione del 1760;
_Nuovo metodo di sonare il cembalo conforme al miglior gusto moderno_,
con 18 rami, 1755 in 4.º; _Memorie storiche e critiche per servire a'
progressi della musica_, 5 vol. in 8vo dal 1754 sino al 1762; _Elementi
di musica teorica_, 1757 in 4.º; _Introduzione sistematica all'arte
della composizione secondo i principj di M. Rameau_, non è che la
traduzione dal francese degli Elementi di d'Alembert con alcune note,
1758 in 4.º; _Introduzione all'arte del canto_, 1759 in 4.º; _Lettere
critiche sulla musica_, 3 volumi, 1763. Opera eccellente, piena delle
più interessanti materie, in cui si trovano molte dissertazioni di altri
gran maestri, come Agricola, Kirnberger ec.; _Introduzione critica
all'istoria ed ai principj della musica antica e moderna_, 1756 in 4.º;
_Introduzione alla musica in generale, ed in particolare all'arte del
canto_, 1763 in 8vo; _Istruzione sul basso continuo, e l'arte della
composizione di Sorge_, con note di Marpurg, 1760 in 4.º; _Saggio sul
temperamento in musica, con una Dissertazione sul basso fondamentale di
Rameau e di Kirnberger_, Breslavia 1776, in 8vo: “La migliore opera sul
temperamento, che io conosca, dice M. Chladni, (_Acustic. p. 40_), e di
cui ho adottate alcune idee, si è il Saggio di Marpurg.” Alla fine di
questo Saggio annunzia egli un'opera periodica col titolo di _Archivj di
musica_, ma non ne comparve nulla. Il suo ritratto si ritrova in sul
frontispicio dell'_Introduzione critica_ ec. del 1756. Si ha ancora di
Marpurg molta musica sì vocale che strumentale impressa in Berlino.

MARQUET (Franc. Nicolò), cel. botanico, e medico di Nancy sua patria,
scrisse un ghiribizzoso trattato col titolo di _Nouvelle méthode facile
et curieuse pour connoître le pouls par les notes de la musique_, Paris
1769, 2 edit. in 12º. Egli morì nel 1759.

MARSH (Narcisso), nato a Hennington d'un'antica famiglia nel 1638, fu
prima Vescovo di Dublino e nel 1703, arcivescovo d'Armagh e primate
dell'Irlanda; morì di 75 anni, nel 1713. Egli era uomo dottissimo, ed
autore di molte opere, di cui non citeremo che il suo _Saggio sulla
dottrina de' suoni_, Dublino 1683, che si trova ancora nelle Transazioni
filosofiche.

MARSIA, figlio di Janide, rinomato musico dell'antichità, fu l'inventore
delle doppie tibie, unendo due flauti grande e piccolo, e facendoli
sonare in diverso tuono al tempo stesso; nella quale invenzione era
necessario si servisse delle misure della corda armonica trovate da suo
padre. L'accompagnamento de' gravi cogli acuti suoni rese più
dilettevole il canto; e così l'arte di parlare co' flauti s'ingentilì.
Piacque all'estremo il ritrovato alla greca nazione, ed il plauso che si
fece a Marsia, suscitò l'invidia de' suonatori e cantori, per cui fecero
essi ingegnose satire, onde levargli la gloria d'inventore ed avvilirlo.
Spogliando delle favole, con cui cercaron gl'invidi di oscurare la sua
memoria, si conchiude esser egli stato un celebre suonatore, il quale,
benchè oppresso dalla malignità de' rivali, fece mentre che potè
l'ufficio di buon cittadino, educando nell'arte musica in allora bambina
i giovani imparziali, che lo coltivarono. “Molti de' miei leggitori poco
avvezzi all'esame dell'antichità, dice il dotto ab. Requeno, da cui si è
tratto quest'articolo, contenti d'uno studio superficiale, crederanno
essere favoloso il nome di Marsia, di Olimpo di lui principale
discepolo, e quanto di essi io ho detto, a' quali altro non risponderò,
che quello che dice Platone (Dial. min. 318), _che conservavansi cioè
all'età sua le cantilene dello scolaro di Marsia, Olimpo, e che i suoi
canti tibiali struggevano i cuori_. Vedano i critici seguaci di certi
superficiali francesi, se le arti ed i professori descritti da Omero
sieno invenzioni di quel poeta, e se debbano riputarsi romanzesche le
memorie storiche de' cantori cavate da questo scrittore, e rischiarate
con l'autorità de' posteriori autori.” (_t. 1, p. 45._)

MARTIGNONI (Ignazio) era ancor giovane quando pubblicò in Milano nel
1783, le sue _Opere varie_ in 8vo. Contengono queste alcuni bei Saggi
sulla poesia, sulla _musica_, e sul disegno. “In essi (dicesi nel Giorn.
de' letter. in Modena) egli si mostra scrittore ingegnoso, erudito,
elegante, e il filosofo non meno che l'uomo sensibile in essi trova di
che pascersi ed istruirsi”.

MARTIN (Vincenzo), detto lo Spagnuolo, maestro di cappella del principe
delle Austrie verso il 1785, nacque in Valenza nella Spagna l'anno 1754.
Vien egli con ragione riguardato come uno de' migliori, e de' più
graziosi compositori di musica drammatica. Le sue opere sono
l'_Ifigenia_, l'_Ipermestra_, il _Barbaro di buon cuore_, 1784, _La cosa
rara_, 1786. Dopo quest'anno sino al 1790, dimorò egli in Vienna, e per
ordine del re di Prussia, vi scrisse un'opera per il teatro di Berlino.
Il suo _Albero di Diana_ composto in Vienna nel 1787, e la _Cosa rara_
sonosi rappresentate in Palermo nel R. teatro di S. Cecilia con estremo
successo. Nel magazino di musica di Ricordi in Milano vi ha di lui
impressa la _Capricciosa corretta_, opera buffa nel 1802. La musica di
Martin è brillante, nuova e d'una facilità estrema per l'intelligenza e
l'esecuzione.

MARTINN (Giac. Gius.), figlio del maestro di musica del principe di
Lignè, nacque in Anversa nel 1775. Cominciò a comporre dall'età di 10
anni, e di 12 fece sentire una gran messa in musica, che nel 1793 fu
richiesta dalla direzione Batava per l'apertura de' tempj cattolici.
Egli si è stabilito di poi in Parigi, e vi è professore di musica
nell'imperiale Liceo. Vi sono di lui degli eccellenti quartetti, e nel
1811 annunziò per soscrizione la pubblicazione di dodici gran quartetti
da sortire di mese in mese.

MARTINELLI è l'autore delle _Lettere critiche sulla musica_ pubblicate
in 2 vol. nel 1760, che contengono dei dettagli assai interessanti.
Hiller nelle sue notizie sulla musica ne ha fatto grand'uso. Nel 1762 se
n'è fatta una traduzione francese, che si trova in un libro sotto questo
titolo: _L'Amateur, ou Nouvelles pièces et dissertations françaises et
étrangères_, in 12º, parte prima.

MARTINEZ (Marianna) nacque in Vienna verso il 1750 e nella casa stessa,
ove abitava il Metastasio intimo amico del di lei padre: così che è una
novelletta quel che racconta il nostro Sig. Ab. Scoppa, che ella era la
figlia di un giardiniere, che il Metastasio incontrolla piccolina per le
strade di Vienna, che tutta gaja e vivace cantava con bella voce e
prometteva molto: che l'arresta, l'interroga, la chiede a' parenti e si
addossa la cura di sua educazione (_Les vrais principes etc._ t. 3). Fu
ella in vero educata sotto gli occhi di quel gran poeta, ed alla morte
del padre suo nulla trascurò perchè ne formasse il cuore e lo spirito.
Fornita di un'eccellente voce, fecele ancora apprender la musica: ella
ebbe la fortuna di prender lezioni di cembalo e di canto dal famoso
Haydn (_V. Carpani Letter. 5_). Le cognizioni, e la straordinaria
abilità che essa vi acquistò in pochissimo tempo compensarono le pene,
che si era dato il Metastasio per istruirla, e colmarono di piacere gli
estremi anni di sua vita. Riuscì ella non solo peritissima nel suono di
varii stromenti e nel canto, ma eziandio nel comporre; dopo il 1773, fu
essa annoverata tra' membri della società filarmonica di Bologna. Il
d.^r Burney, che l'anno 1772 la sentì cantare ed eseguire sul
forte-piano alcuni pezzi da lei composti, assicura che gli mancavan le
parole per dipingere il suo canto, espressivo del pari e tenero: che
ella aveva delle cognizioni profonde nel contrappunto, e tra le altre
grandiose di lei composizioni, egli cita un _Miserere_ a 4 voci, e molti
salmi tradotti in volgar poesia del Mattei, a 4 e 8 voci, con
istrumenti. L'ab. Gerbert nella sua storia (nel 1773) dice ancora,
ch'egli possedeva una solenne messa da lei composta nel vero stile di
chiesa. Compose eziandio molta musica per camera sulle parole del
Metastasio, e mottetti e sonate per cembalo piene di vivacità e di
brillanti motivi. Metastasio, che riguardavala come sua figliuola, non
la chiamava che la sua S. Cecilia.

MARTINI (Giorgio Enrico) di Tanneberga nella Misnia, è autore di due
buone opere di erudizion musicale, 1. _De' conflitti di musica degli
antichi_; 2. _Che i giudizj de' moderni sulla musica degli antichi non
possono esser giammai decisivi_, Ratisbona 1764, in 4º.

MARTINI (il P. Giov. Batt.), tenuto con ragione in tutta l'Europa come
l'oracolo della musica, nacque in Bologna nel 1706, ed entrò giovane
nell'ordine de' conventuali. M. Fayolle, non so a quali memorie
appoggiato, dice che il gusto dell'erudizione e l'amore dell'antichità
gli fecero intraprendere de' viaggi sino nell'Asia; ciò nol trovo però
presso i di lui biografi: chechè ne sia egli si diè interamente alla
musica, e prima e dopo che si fosse fatto religioso studiò quest'arte
sotto più maestri, tra' quali annovera egli stesso il cel. Ant. Perti. I
suoi progressi nella composizione furono così rapidi, che in età di 19
anni fu maestro di cappella del convento del suo ordine in Bologna,
posto che egli occupò sino alla morte. Esercitò in questa qualità le
funzioni di professore, e la sua scuola, la più dotta tra quelle che a
suo tempo esistevano in Italia, ha prodotto un considerabilissimo numero
di gran compositori ed artisti di somma rinomanza, che si sono meritati
i più brillanti successi; e i più grand'uomini in quell'arte recavansi
ad onore e a dovere di chiedere i suoi consigli, e di seguire le sue
lezioni; tali furono il cel. Rameau, il gran Jommelli e più altri. Al
talento di formare de' buoni allievi, il P. Martini univa quello di
comporre una dotta musica. “Ma uomo più d'arte che d'ingegno, dice il
Mattei, era come Lucrezio, i di cui poemi al dir di Cicerone, _non erant
lita multis luminibus ingenii multæ tamen artis_: o come Callimaco, di
cui diceva Ovidio: _Quamvis ingenio non valet, arte tamen_, era un
_Casa_ e non un _Ariosto_, se non era felicissimo nel creare un motivo,
lo era poi in distender di mille maniere diverse un motivo già creato:
secco un poco nell'inventare, abbondantissimo nel mettere in opera.”
(_Letter. al P. della Valle_). Così il Jommelli, intendentissimo ch'egli
era in tal materia, diceva che _al Martini mancava il genio, e che
suppliva coll'arte laddove mancava la natura_. Sono ciò non ostante
pregevoli le di lui composizioni per la purità, la saviezza e la
dottrina che ne fanno il carattere. Ma i primarj titoli della
riputazione del Martini sono i Trattati ch'egli ha scritto sopra le
diverse parti della musica. Nel 1758 presentò una sua dissertazione
all'Accademia dell'istituto di Bologna, di cui era socio, col titolo:
_De usu progressionis geometricæ in musicâ_, che si trova inserita nel
5º vol. de' Commentarj di quell'Accademia; opera più erudita che utile,
come quella che ha per titolo: _Compendio della teoria de' numeri per
uso del musico_, 1769. Merita maggior attenzione il suo _Saggio
fondamentale pratico di contrappunto sopra il canto fermo_, Bologna
1774, e _Saggio ec. di contrappunto fugato_, 1776. Nel primo percorre
gli otto tuoni ammessi generalmente nel canto fermo, reca intorno ad
ogn'uno di questi un esempio di contrappunto, preso per lo più dalle
composizioni del P. Costanzo Porta, e molti esempj di canto fermo fugato
del Palestrina: fa a questi delle note per ispiegarli, e vi fa precedere
una breve esposizione delle regole di contrappunto. Nel secondo _Saggio_
dà delle regole della fuga e del canone con alcuni pezzi fugati nel
genere madrigalesco, e sacri e profani a due dapprima sino ad otto voci,
alle volte col basso continuo, e con alcune sue annotazioni. Ciò che vi
ha più a lodarsi è senza dubbio la scelta degli esempj estratti da'
migliori maestri, e che danno bene a conoscere il genere di lor
composizione: tranne questo, secondo l'attuale stato della musica,
quest'opera ci sembra d'altronde di un assai mediocre profitto. In
fatti, rapporto al contrappunto sul canto fermo, gli esempj citati dal
Martini, sono scritti sopra un sistema di tonalità che non è più
conforme alla maniera di sentire de' nostri giorni, e che per
conseguenza non può essere trattato con successo; riguardo a' pezzi
fugati, sono piuttosto de' _ricercari_ anzichè delle fughe propriamente
dette, e per conseguenza anche di poca utilità. In quanto al testo, di
cui il Martini accompagna siffatti modelli, troppo ristrette ne sono le
introduzioni, e perciò inutili a' principianti, che non le capiscono, ed
a' maestri, che debbono saperne più di quel che esse contengono. Le
digressioni, in cui si spazia fuor di cammino il comentatore, nulla
hanno che ne faccia sopportar la lunghezza, e si potrà da tutto ciò
inferirne soltanto, che il maggior merito dell'A. in quest'opera, si è
di aver dato a divedere ch'egli conosceva perfettamente l'antichità
italiana, cioè la migliore scuola de' secoli 16, e 17; e che per la
buona scelta de' capi d'opera quivi recati in esempio, è giunto a farla
egli stesso apprezzare al suo lettore. Si sa, che il dotto Eximeno
levossi contro a questi Saggi del Martini con una ben ragionata critica,
sebbene come confessa egli stesso, _lascio scorrer la penna con qualche
amarezza_, che non meritava quell'uomo di singolare dolcezza, e che non
ne trasse altra vendetta se non di mostrarglisi bramoso della sua
amicizia, e di riporre il di lui ritratto nella galleria da lui formata
de' più valenti scrittori, _cosa, che quasi mi levò di senno_, scrive lo
stesso Eximeno, _ed avrei voluto gettare al fuoco la penna, anzichè
lasciarla trascorrere a nessun tratto, che potesse amareggiare un uomo,
che tanta dolcezza d'animo univa a tanto sapere_. (_Lett. del 1785 al P.
Lavalle_). La _Storia della musica_ del P. Martini in tre vol. in 4.º
merita del pari elogj e censure: quest'opera dà veramente ad ammirare
una lettura immensa, una gran profondità di sapere, una prodigiosa
erudizione, ed un'eccellente pratica: ella è una vasta collezione di
memorie scritte con purità di lingua, e con qualche interesse; ma non vi
ha un oggetto fisso, un piano, un buon metodo, nè ombra di giudizio e di
critica. Egli si era proposto di compirla in cinque volumi: non sorpassa
frattanto l'epoca de' greci nei tre tomi che ne abbiamo, e continuando a
quel modo, non glie ne sarebbero bastati trenta e più ancora. Nella mira
di proseguire le sue fatiche egli aveva adunato un'enorme quantità di
materiali. Possedeva la gran biblioteca musicale del Bottrigari
contenente opere assai rare: la generosità del Farinelli gli somministrò
de' fondi considerevoli, e lo pose in istato di procacciarsi tutti gli
immaginabili materiali. Benedetto XIV con suo rescritto concesse al
Martini il poter estrarre que' libri dalla Biblioteca, de' quali
abbisognava: l'Imperatrice M. Teresa, il re di Portogallo, il Principe
Abate Gerbert lo provvidero in gran copia de' più rari manoscritti.
Questi materiali riuniti formavano una biblioteca di oltre a 17 mille
volumi, trecento de' quali erano MSS, essi occupavano quattro grandi
stanze: nella prima erano i manoscritti, nella seconda e terza le opere
in istampa, e nell'ultima le Opere di musica pratica dal rinnovamento
della medesima sino al suo tempo. Oltre alle opere già riferite del
Martini vi ha ancora di lui: _Lettera all'ab. Passeri sulla musica degli
Etruschi_, 1772; nel 2º vol. delle Opere di Doni in Firenze 1763,
_Onomasticum seu synopsis musicarum Græcarum atque obscuriorum vocum_
etc. Molti _articoli di musica_ inseriti in più Giornali italiani, e
alcune di lui _Lettere_ pubblicate nelle Memorie di sua vita dal P.
della Valle, Napoli 1785; ed oltracciò lasciò egli: _Commercio
letterario con diversi sopra questioni dell'arte: Giudizio di un nuovo
sistema di solfeggio comunicatogli circa 1745 dal Sig. Flavio Chigi
Sanese_. La dolcezza, la semplicità, e la modestia che formavano il
carattere del P. Martini, la premura ch'egli si dava di comunicare a chi
ne lo chiedeva, i tesori di scienza e di erudizione, ch'egli possedeva,
gli conciliarono la venerazione e la stima universale. Tutti coloro, cui
l'amor delle arti conduceva in Italia, venivano a visitarlo in Bologna,
e tornavano pieni di sentimenti d'ammirazione e di riconoscenza. Ebbe
non pertanto quivi stesso de' malevoli ed anche del numero de' suoi
allievi medesimi, che, come se ne lagna egli stesso in una lettera al
Sabbatini, tale guerra gli mossero che “levossi affatto dall'Accad. de'
Filarmonici per una delle loro solite insolenze fattagli” (_Gennaro
1782_). Questo valentuomo cessò finalmente di vivere, d'una idropisia di
petto a 23 agosto del 1784, in età di 78 anni. _G. B. Moreschi_ pubblicò
un'orazione in sua lode recitata nell'accad. de' Fervidi, Bologna 1786,
e il _P. della Valle_ le Memorie della sua vita, Napoli in 8vo 1785. Di
alcuni canoni berneschi del Martini lepidi e dotti leggasi il _Carpani_
letter. 6, p. 113.

MARTINI (Giov. Paolo), nato a Freystatt nel Palatinato, passò nel 1757
all'università di Friburgo per istudiarvi filosofia, dopo di avere
appreso la lingua latina e la musica. Portossi quindi in Francia, e
fermatosi a Nancy il suo talento per la musica e la franchezza del suo
carattere gli fecero molti amici, che presero particolar cura di lui.
Quivi applicossi mercè la meditazione, e i libri classici de' tedeschi
sulla composizione a perfezionarsi nella sua arte. Sotto la direzione di
M. Dupont costruttore di organi ebbe la fortuna di aver parte alla
costruzione dell'organo della chiesa primaziale di Nancy, di 50
registri, dalla prima disposizione de' materiali sino al compimento
totale del medesimo: ecco quel che gli somministrò l'idea della sua
opera intitolata _École d'orgue_, a Paris 1804. Ella è divisa in tre
parti, ed ha per iscopo di propagare i talenti degli organisti dietro i
sistemi de' più celebri tra costoro dell'Italia e dell'Allemagna; con
tanto più di ragione in quanto quest'istromento richiede molta scienza
musicale e contribuisce maggiormente a render musica un'intera nazione.
M. Martini, dopo una lunga esperienza e i giornalieri esempj, sostiene
che l'esecuzione ed il sentire i capi d'opera della musica di chiesa,
possono soli formare de' compositori, de' cantanti e delle voci. Nel
1764 egli venne a stabilirsi in Parigi e vi compose una solenne messa a
grande orchestra, ch'egli stesso riguarda come una delle migliori sue
opere per lo stile, e che si è eseguita per più anni a Vienna per la
festività di S. Stefano patrono di quella cattedrale. Entrò quindi come
direttore di musica al servigio del principe di Condé, e ne perdette gli
onorarj nella funesta rivoluzione del 1789. Nell'erezione del
Conservatorio fu egli uno de' cinque ispettori di quella scuola, ed ha
composta molta musica sì per chiesa, che per teatro applauditissima in
Francia. Egli è il primo che abbia introdotto l'uso di ridurre la musica
di più parti a due sole di violino e basso per il forte-piano, il che ne
rende più facile e l'esecuzione e l'acquisto, e contribuisce vie più a
diffondere il gusto della musica nelle famiglie, e a dilatarne il
commercio, che oggidì ne fa uno de' suoi rami principali; ed in ciò è
stato egli imitato in tutta l'Europa. Martini diè ancora al pubblico nel
1790, _La Mélopée Moderne_.

MARZIO (Giac. Federico), maestro di musica a Erlang, nel 1786 pubblicò a
Norimberga _Taschenbuch etc._ o _Manuale per gli amatori di musica
dell'uno e l'altro sesso_. Nell'introduzione egli promette di dare in
ciascun semestre una collezione di arie, minuetti, wals e di altri pezzi
per forte-piano: ed un'altra di brevi dissertazioni su varii oggetti di
musica, di biografie e aneddoti di musici, di lettere ec.

MASCARDIO (Guglielmo) viveva in Italia circa 1400. _Bendemaldo_ in un
manoscritto del suo comento al libro di Muris, che si conserva nella
libreria del P. Martini, fa di costui menzione come di un musico di
grido a' suoi tempi, ma le cui opere sono state avvolte insieme con
tanti altri depositi delle umane cognizioni nella irreparabile
dimenticanza dei secoli. _V. Arteaga T. 1._

MASSON, maestro di cappella in Francia sulla fine del sec. 17, di cui
abbiamo: _Nouveau Traité des regles pour la composition de la musique_,
1699, 2 ediz. in 8vo. Quest'opera veniva riguardata come classica
all'epoca, in cui non vi era in Francia verun trattato ragionevole sulla
composizione, quindi ebbe molte edizioni, di cui la quarta è del 1738.

MATTEI (Stanislao), nato in Bologna nel 1750 da un artigiano, dopo di
avere studiato la lingua latina e la geometria, entrò in età di 15 anni
nell'ordine de' conventuali, e dal 1767 sino al 1784 applicossi alla
composizione sotto la direzione del dotto P. Martini. Sin dal 1772, era
stato nominato di lui successore nella cappella di S. Francesco in
Bologna, e ne esercitò le funzioni dopo il 1784, epoca della morte del
suo precettore, sino alla soppressione del suo convento nel 1798.
Divenuto prete secolare, fu scelto nel 1805 maestro di contrappunto
della Società Filarmonica di Bologna. Tutte le composizioni del Mattei
sono per chiesa senza stromenti, sullo stile del Martini. Costui morendo
lasciò al Mattei molti materiali per compire la Storia della musica, e
già ne aveva terminato il quarto volume sulla musica degli Etruschi,
allorchè ne fu impedita la pubblicazione per i disastri politici
sopraggiunti in Italia. Puossene leggere un Saggio nelle Memorie del
Martini (_pag. 38 e seg._). Nel 1786, trovandosi in Roma il Mattei, gli
venne offerta la cappella di Loreto e quella di Padova, ch'egli ricusò
non potendo rinunziar quella di Bologna: in Torino scrisse una solenne
messa per il giorno di S. Francesco, che piacque moltissimo. Quest'abile
professore dal 1784 sino al giorno d'oggi conta circa 150 allievi.

MATTEI (Saverio), letterato di gran merito ed avvocato in Napoli, ha
reso molti importanti servigj alla musica con le sue dotte opere, e con
la sua poetica traduzione eziandio de' salmi imitando perfettamente la
dolcezza e la fluidità della poesia lirica del suo intimo amico il gran
Metastasio. Alla sua versione de' Salmi pubblicata in Padova nel 1780,
in 8 volumi fa egli precedere delle _Dissertazioni_, alcune delle quali
debbonsi a giusto titolo quì annoverare. Nel 1º vol. _Della musica
antica, e della necessità delle notizie alla musica appartenenti, per
ben intendere e tradurre i salmi_. Nel 2º vol. _Salmodia degli Ebrei_.
Nel 5º vol. _La filosofia della musica, o sia la musica de' salmi_, che
Metastasio chiama dottissima. In questa si lagna a ragione il Mattei di
non esservi tra' moderni, come non vi è stata per l'innanzi, una buona
scuola di musica. “S'insegna a' giovani il contrappunto, egli dice, e
questo si crede bastare a fare un gran maestro di cappella: il
contrappunto in musica corrisponde alle concordanze, e il saperle giova
per non fare errori piuttosto. Ma non ci è chi insegni la _Rettorica_ e
la _Poetica_ (dirò così) della musica, e restiamo solo nella Grammatica.
Alla _rettorica_ della musica apparterrebbe l'insegnare a' giovani, che
ogni sinfonia, ogni aria, ogni composizione costi delle sue parti: che
vi ha da essere il _proemio_, e questo dee trarsi _ex visceribus causa_;
che sussiegue la _proposizione e divisione de' punti_, o sia de' motivi
principali, che poi si dilateranno nel corso del componimento; che
questa dilatazione de' motivi forma la _narrazione_: che indi ne viene
una specie d'_Argomentazione_, o sien conseguenze, che da quella
deduconsi, cioè i passaggi da un tuono all'altro, le proposte e le
risposte, e un certo contrasto fra gli stromenti; che poi riunendosi
formano l'epilogo di tutto il componimento. Alla _poetica_ della musica
apparterrebbe insegnare a' giovani le diversità degli stili, _il tenue_,
_il mediocre_, _il sublime_, e fare osservare, come i migliori scrittori
si son serviti in diverse maniere di essi stili: che il _Sublime del
Sassone_, per esempio non è il sublime del _Jommelli e del Piccini_, e
che in quel primo ci è un'epica maestà, gravità, sobrietà, e saviezza
simile allo stile dell'Eneide di Virgilio, niente ci manca, niente
soverchia, e scorre qual fiume reale, che non altera il corso. Nel
_Jommelli_ ci è un fuoco, una fantasia lirica simile allo stile delle
odi d'Orazio, anzi di Pindaro: scorre qual impetuoso torrente, che
allaga i campi, e seco porta tutto nel mare: maraviglioso nell'uscite
inaspettate, improvvise, e veramente Pindariche: nuovo nell'invenzione
de' motivi, nuovo nell'esprimerli, nuovo nell'union delle parti. Nel
_Piccini_ all'incontro, come era nel _Pergolesi_ la sublimità non va mai
disgiunta dall'amenità, e dalla venustà. Qual è il miglior di costoro?
Ecco lo spirito di pedante. Tutti son ottimi nel lor genere: e bisogna
lasciar andare i giovani per quella via, ove il genio e la natura gli
guida, e non ridurli a forza di servile imitazione ad esser attaccati
più a questo, che a quello.” Nell'ottavo volume de' salmi si trova
finalmente un erudito carteggio del Mattei col Metastasio e con
Mons.^r Pau sulla celebre questione della musica de' Greci
dottissimamente da tutti e tre agitata: ma non sono tutte che
congetture, come ne conviene lo stesso Mattei, sostenendo egli la
superiorità dell'antica musica sulla moderna contro di loro. “Le vostre
conghietture, egli scrive, e le mie son tutte egualmente fondate sopra
incerti supposti, e per quanto si vogliano fortificare con riflessioni,
sempre saran conghietture” (_Lett. a Metast. del 1770_). Intorno a tal
questione supera tutti l'ab. Requeno dandone le più convincenti prove
tratte dagli sperimenti, e dal testo medesimo de' greci scrittori di
musica, a cui non giunsero mai tutti coloro che prima di lui avevano
trattato siffatta materia, e che era frattanto l'unica maniera di
pervenire allo scioglimento della questione. Dà in oltre il Mattei de'
migliori rischiaramenti sull'antica musica de' Greci nella
_Dissertazione_ ch'egli scrisse _sul nuovo sistema d'interpetrare i
Tragici Greci_. La malevolezza de' suoi emuli pretese pur nondimeno di
porre in ridicolo questo grand'uomo sulle scene di Napoli, coll'allusivo
dramma burlesco del _Socrate immaginario_, messo in un'assai bella
musica da Paisiello. Negli _Elogj del Metastasio e del Jommelli_ da lui
pubblicati nel 1785, si trova una storia esatta del rinnovamento della
musica, e de' progressi ch'ella ha fatto specialmente nel genere
drammatico mercè i sforzi di quel divino Poeta: e dei compositori di
musica, che dirsi possono alla di lui scuola formati. Vi ha finalmente
pubblicata in Napoli, _Se i maestri di cappella son compresi fra gli
artigiani, probole di Sav. Mattei, in occasione di una tassa di fatiche
domandata dal maestro Cordella_, in 4.º 1784. Forkel ne ha dato
l'estratto nel suo Almanacco di musica del 1789. Mattei è morto in
Napoli nel 1802.

MATTHESON (Giov.), canonico e maestro di cappella della cattedrale di
Hamburgo, è celebratissimo del pari come scrittore e come compositore di
musica. Ebbe egli dal padre suo, che in lui riconobbe delle gran
disposizioni per quest'arte, la più felice educazione. Hanff, Woldag,
Brunmüller, Pretorio e Kerner furono i maestri, ch'egli gli diede, e
all'età di 17 anni compose la sua prima opera per teatro. Strinse egli
poi la più intima unione col cel. Hendel, e molto profittò de' consigli
di questo gran musico. Datosi allo studio delle leggi e delle lingue
inglese, francese, ed italiana divenne soprintendente all'educazione del
figlio dell'ambasciadore d'Inghilterra, e fece con esso diversi viaggi a
Amsterdam, a Lubecca, e a Brunswick: allora fu che cominciò a provare un
grande infiacchimento all'udito, che nello spazio di 30 anni degenerò in
una totale sordità. Nel 1706 quell'ambasciadore il nominò segretario di
legazione. Si capisce appena com'egli badar potesse a tante fatiche
insieme. Insegnava ad un tempo stesso la musica a più di venti scolari,
serviva più chiese per l'organo; applicavasi al dritto, e alle lingue;
scriveva per teatro: a ciò si aggiungano le sue occupazioni come
secretario di legazione, e come direttore di musica alla cattedrale. Ciò
non ostante compose egli per quel che concerne solo la musica 88 opere,
e lasciò alla morte assai manoscritti e sufficienti materiali per la
pubblicazion d'altrettante, oltre al gran numero di musica pratica per
teatro e per chiesa. Morì egli nel 1764, in età di 83 anni, e lasciò
alla chiesa di S. Michele di Hamburgo una somma di 44 mille marche per
la costruzione di un organo, che secondo il di lui piano fu costruito da
Hildebrand con 64 registri, e tre tastiere lavorate di madreperla. Ecco
il catalogo delle di lui opere teoretiche da lui scritte in latino o in
tedesco. _Critica musica_, Hamb. 2 vol. in 4º, 1722-1725. _La grande
scuola del basso continuo_, in 4º, 1719-1731. _De eruditione musicâ,
schediasma epistolicum_, Hamburgi 1732 in 4º. _L'arte della melodia_,
1737 in 4º. _Progetto e principio d'un Archivio di musica contenente la
vita e le opere de' più celebri maestri, e compositori_, 1740 in 4º.
_Esame delle nuove opere_, in 4º. _Aristoxeni jun. Phthongologia
systematica_, ossia _Trattato sulla teoria del suono_, 1748 in 8vo.
_Nuova accademia musica_, più vol. in 8vo. _Riflessioni sul
rischiaramento di un problema di musica_, in 4º. _Il Patriota musico_,
in più volumi. Quest'opera è rimarchevole per molti curiosi dettagli, e
meriterebbe una nuova edizione. _Il perfetto maestro di cappella_, 1739
in fol. ec. Omettiamo a bello studio le sue opere polemiche sulla
musica, perchè piene d'ingiurie grossolane, che fanno rivoltare i
lettori. (_V. Walther, Heumann et Fabric._)

MAUPERTUIS (Pier-Luigi Moreau de), nativo di San Malò, cel. geometra,
membro delle accad. delle scienze di Parigi e di Berlino, morì in
Basilea nel 1759. Nelle memorie dell'accademia di Parigi per l'anno 1724
vi ha di lui un'opera relativa _agli strumenti di musica, alle corde e
a' suoni_.

MAUROLICO (Francesco), nato di nobil famiglia in Messina; abbate di S.
Maria del porto in Sicilia passò la più gran parte di sua vita nella
patria; ove fu pubblico professore di matematiche. Egli era così
profondo in questa scienza che divenne celebratissimo in tutta l'Europa.
Carlo V, l'onorò in Messina della sua amicizia, e molti forestieri di
distinzione vi si recarono per conoscerlo: coltivò in oltre le belle
lettere, e la musica; riconcentrato sempre in se stesso ed assorto nella
più profonda meditazione, se gli strappava a stento qualche parola sopra
altri soggetti oltre a quello de' suoi studj. Benchè fosse stato di una
complessione mal sana, giunse non per tanto sino all'età di 80 anni, e
morì in una casina di campagna nel 1575. Tra le sue opere di matematica
stampate in Venezia nel 1573 vi ha un suo trattato sulla _Scienza
musicale_ (_V. Tiraboschi, e Landi Hist. de la litterat. d'Ital. t. 4.
Martini Stor. t. 1_).

MAYER (Giov. Simone), nato in Baviera è stato pur nondimeno educato in
Italia, e quivi dalla prima età stabilito ha saputo destramente unire il
brio ed il gusto dell'armonia tedesca con la dolcezza e l'espressione
del canto italiano. Nella sua musica egli ha preso per modello lo stile
del gran Mozart, con adottarne spesso i più bei soggetti, ma in maniera
a comparir veramente originale. Nel 1796 prese in moglie una sua scolara
figlia di un ricco gentiluomo veneziano il Sig. Giuseppe Venturali, ed
in quest'occasione l'abb. _Rubbi_ impiegò il suo coltissimo estro in
undici sonetti sull'_armonia_ che servon di parafrasi al celebre sonetto
sullo stesso argomento, del _Mazza_, e di epitalamio a quelle nozze. “Un
fausto momento di vostra famiglia (scrive l'abb. Rubbi al padre della
sposa) ha dettato alla mia amicizia alcuni sonetti che io vi trascrivo,
e che d'ora innanzi son vostri. Nell'atto che io leggeva il bel sonetto
del _Mazza_ sull'_armonia_, mi vien data la nuova, che la Sig.
_Angioletta_ vostra primogenita è promessa sposa. Interrogando con chi,
mi si rispose, col Sig. _Simone Mayer celeberrimo giovine compositore di
musica_. Parve che le circostanze della lettura concorressero ad
aumentare la mia allegrezza. Un'amabil donzella che _ha tanta parte nel
regno musicale, un valente calcolatore di note, ammirato in Italia e
fuori_, che seppe al tempo medesimo _ispirarle scienza ed amore_, fanno
l'oggetto dolcissimo e fertile de' miei versi. Mi rinserro nei limiti
del sonetto del Mazza, che abbraccerebbe volentieri un lungo poema, ec.”
Questi eccellenti _sonetti_ del _Rubbi_ possono leggersi nel _Mercurio
Storico-Letterario d'Italia_ per l'anno 1797. Mayer è maestro di
cappella a Bergamo: le sue composizioni per teatro, che sono giunte a
nostra cognizione, e che trovansi nel Magazzino del Ricordi in Milano,
sono _Adelasia ed Aleramo_, che ebbe il più gran successo nel teatro
della Scala di Milano, e che si trova disposta anche per il forte piano
presso M. Le Duc impressa in Parigi; _Ginevra di Scozia_; _Adelaide_;
_la Lodoiska_; _i misteri Eleusini_, e _l'Elena_ che si è rappresentata
in quest'anno nel nostro R. teatro Carolino. Le opere buffe di Mayer
sono in oltre: _L'equivoco;_ _Nè l'un, nè l'altro_; _un pazzo ne fa
cento_; _il venditor d'aceto_, farsa; _un vero originale_; _amor non ha
ritegno_; _le due giornate_; _il pazzo per la musica_, eseguita con
sommi applausi in Parigi nel 1805 e _le finte rivali_ nel 1810. Altre di
lui farse sono: _Il pittore astratto_; l'_Elisa_; _l'intrigo della
lettera_; _l'amor conjugale_.

MAZZA (Angelo), rinomatissimo poeta italiano di Parma, tra le cui poesie
oltre al sonetto, del quale si è parlato nello scorso articolo, vi sono
di lui _Tre Odi sull'armonia_. In una sua lettera scritta da Parma, al
di lui amico Cesarotti, del 1772, “Tre odi sull'armonia, egli dice, mi
fanno istanza di presentarsi a voi, del cui favorevole orecchio ove
possan gloriarsi non ambiranno che altri le ascolti. Sentirò volentieri,
anzi vi prego a non la mi tacere, l'opinion vostra ec.” Alla quale così
rispose il cel. professore di Padova. “Le tre vostre _Odi_ hanno tutte
le ragioni di andarsene superbette anzi superbissime; ed io lungi dallo
sgridarle, mi compiaccio d'incoraggiarle maggiormente, e di farle
_conoscere ed applaudire da chiunque ha gusto in queste materie_.” Altre
ne scrisse poi il Mazza sullo stesso soggetto, e nel 1793 chiesene con
un'altra lettera il giudizio dell'amico Cesarotti: “Due Signori
Bolognesi, han riprodotto alcune _Odi mie sulla Musica_ fiancheggiate
dall'autorità del vostro giudizio: ne riceverete un esemplare ec.”
Tradusse egli ancora le odi di Pindaro in versi italiani, e lagnavasi
col Cesarotti de' pochi lumi che si hanno della greca musica, da cui
tanto dipender dovette il buon esito di quel poeta-musico. “Vivo mi
punge il desiderio (scrive egli al medesimo) di ascoltar Pindaro
ragionare tra noi. Ben mi fa pena lo sconosciuto musicale andamento
della espressione e del numero, da cui risultava un precipuo vantaggio
alle odi di quell'_Immenso_. Se i principj della musica greca fossero
meno oscuri, sarebbe men duro l'indovinarlo. Ma io credo che vaneggiasse
largamente _Brazzuolo_, e seco lui il Tartini, quando l'uno colle
attitudini affannate della persona, e gli sfinimenti della voce, l'altro
co' variati e insensibili ricercamenti del violino si adulavano di
riuscirvi.”

MAZZANTI (Ferdinando), rinomatissimo cantante di soprano, compositore di
gusto e buon sonator di violino, dopo aver cantato con incredibili
applausi su i primi teatri di Europa, andò a stabilirsi in Roma. Molti
vi ha tuttora viventi in Palermo, che son testimoni dell'entusiasmo
ch'egli vi produsse per la bellissima voce, per l'eccellente sua maniera
di cantare, e di rappresentare con singolar espressione sulla scena,
sicchè rapiva, e trasportava fuor di se i suoi ascoltanti. Il dott.
Burney afferma di avere avuto occasione di applaudire a' suoi talenti,
ed alle sue vaste cognizioni in diversi rami dell'arte, allorchè il vide
in Roma nel 1770. Egli possedeva una considerevolissima biblioteca di
libri impressi e manoscritti. La sua collezione di opere pratiche era
per la più parte composta delle composizioni del Palestrina. Egli mostrò
al dot. Burney un _Trattato di musica_ che era già sul termine di
compire. Compose in oltre la musica di più opere, mottetti, e trio,
quartetti, quintetti, ed altri pezzi pel violino. Morì egli in Roma
circa 1786.

MAZZOCCHI (l'Abbate) fu verso il 1779 in Italia l'inventore di un nuovo
strumento di musica, consistente in una cassa di due piedi di lunghezza,
e la cui larghezza è in proporzione di quella de' campanelli che
contiene, essendo in arbitrio dell'artista il dare alla cassa come a'
campanelli qualsivoglia posizione. Il suono si tira da questi per mezzo
di un arco da violino, di cui il crine è impiastrato o con pece, o con
trementina, o con cera, o con sapone. In tal maniera si ottengono non
che de' suoni così dolci come quelli che se ne traggono colle dita
sull'armonica, ma si fa render suono eziandio da' campanelli, che non ne
darebbero del tutto sotto le dita. L'abb. Mazzocchi si è provato in
oltre di sostituire alle campane di vetro altre campane di metallo, ed
anche di legno, e quest'ultime, per quanto si assicura, rendono de'
suoni poco diversi da quelli del flauto. Questo strumento può sonarsi
con uno o due archetti. _Lo stromento di musica fatto in Italia
dall'Abate Mazzocchi_, dice M. Chladni, _mi fè concepire l'idea di
servirmi d'un arco di violino, per esaminare le vibrazioni de'
differenti corpi sonori._ (_Prefac. a l'Acoustiq._)

MAZZOCCHI (Domenico), maestro della scuola romana sulla prima metà del
sec. 17, fu il primo a far uso del semituono enarmonico, e dei segni di
_crescere_, _diminuire_, del _piano_, del _forte_ nell'esecuzione della
sua musica d'onde passarono ben presto nella musica di chiesa.
“Raffinandosi l'arte nel procedere degli anni, nel sec. 17 apparve un
genere nuovo: come esemplare in tal genere io eleggo fra tutti _Domenico
Mazzocchi_: il suo stile è limpidissimo, i pensieri sono espressivi
molto, e ben distinti. L'armonia è gratissima, e il movimento di
ciascuna voce tanto comodo e decente, che il più delicato orecchio de'
moderni non vi trova cosa da riprendere, anzi dirò meglio, da desiderare
in due bellissime di lui operette stampate in Roma, l'una delle quali ha
per soggetto un tratto di Poesie italiane, e l'altra diverse Poesie
latine di Urbano VIII. L'ultima è una parafrasi poetica del cantico de'
tre fanciulli composta a sei voci, così bene stabilita nel principio
suo, e condotta poi con tale avvedimento, che se io avessi a mostrare
altrui, in che consiste l'unità del disegno in un lavoro musicale, e
come le varie parti di esso a formare un tutto unico e indivisibile si
riducono, non crederei di potere usare altro esempio alcuno più
opportuno, e più utile di questo.” _Sacchi lett. al Conte Riccati._


MEHUL (Stef. Arrigo), membro dell'Istituto nazionale, e professore di
composizione nel Conservatorio di musica in Parigi, nacque a Givet nel
1763; apprese il contrappunto da Hauser professore allemanno, assai
valente contrappuntista. Essendo venuto in Parigi all'età di 16 anni, fu
dopo due anni presentato a Gluck, che degnossi iniziarlo nella parte
filosofica e poetica dell'arte musicale. Sotto la direzione d'un sì
sublime genio cominciò egli a scrivere per teatro, e sino al 1811 più di
trenta drammi e serii e buffi aveva egli composto, e fatto eseguire in
più teatri di Parigi. L'energia e l'eleganza caratterizzano la musica di
M. Mehul. Nel rapporto all'Istituto per il gran premio di seconda classe
alla musica delle opere comiche, ecco il giudizio che vien dato di
quella di questo compositore: “M. Mehul particolarmente vi si è distinto
per alcune composizioni di un talento non men pieghevole che brillante.
_Stratonice_ ed _Euphrosine_ si accostano al sublime della tragedia,
_Ariodant_ nel 1790 è d'un tuono cavalleresco, e _Joseph_ nel 1807 di un
carattere religioso; l'_Irato_ nel 1801 è un'opera buffa che per alcun
tempo fu creduta una produzione italiana. _Une folie_ nel 1802 è una
commedia, che richiama alla memoria il genere vivace di Gretry.”
(_Rapport et Discussions etc. a Paris 1810_). Vi sono in oltre di Mehul
sonate di forte piano, e sei sinfonie impresse ed eseguite con successo
nel Conservatorio. Egli ha pubblicati i due rapporti, che ha letto
all'Istituto, il primo _Sur l'état futur de la musique en France_, e 'l
secondo _Sur les travaux des élèves du Conservatoire, qui sont
pensionnaires à l'Académie des Beaux-Arts, à Rome_.

MEI (Girol.), nobile fiorentino e letterato a' suoi tempi non
ispregevole; di cui si è parlato all'artic. di Gio. de' Bardi (T. 1, p.
82), nel 1602 diè alla luce in Venezia un libro col titolo di _Discorso
sopra la musica antica e moderna_, in 4.º ed un altro più considerevole
_De modis musicis_ inedito finora (_V. Notiz. letter. dell'Accad.
Fiorent._). Questi libri “quantunque abbondino di errori (dice a ragione
l'Arteaga), rispetto alla musica antica a motivo, che gli autori greci
appartenenti a siffatte materie non erano tanto illustrati in allora
quanto lo sono al presente; pure sono molto pregevoli per quella età.”
(_Tom. 1, p. 225_)

MEIBOMIO (Marco), filologo, a cui si dee l'eccellente edizione
greco-latina de' sette antichi autori di musica con sue annotazioni in 2
vol. in 4.º Amsterdam 1652; un'_Epistola_ in oltre _de scriptoribus
variis musicis_ (nelle lettere di Gudio) e nel 1694 _Vitruvio_ in fol.,
ove nelle sue note applicossi principalmente a spiegare i passaggi di
quest'autore, che hanno rapporto alla musica: finalmente _Plutarchi
dialogus de musicâ cum vers. lat. et gallicâ_. M. Fayolle colla sua
usata inesattezza aggiunge a' travagli di Meibomio, intorno all'antica
musica, l'edizione di Tolomeo e di Briennio con la sua versione latina e
note: ma ciò è falsissimo, dovendosi questa all'inglese geometra Wallis
in supplemento alla collezione di costui de' sette greci scrittori di
musica. Meibomio era uno de' letterati della corte di Cristina regina di
Svezia, e fu obbligato a lasciarla per l'occasione di quell'avventura
con Bourdelot da noi riferita al costui articolo tom. 1, p. 149. Egli
morì in un'età molto avanzata a Amsterdam nel 1710. In quanto al merito
delle sue fatiche su gli scrittori antichi di musica, noi rapporteremo
il giudizio che ne reca il dotto critico _Requeno_, come di colui il
quale più profondamente che ciascun altro ha disaminata siffatta
materia. “Kirkero, egli dice, lasciò la rinnovazione dell'arte de' Greci
al vanaglorioso suo rivale _Meibomio_, e questi in fatti ne assunse
intrepidamente l'impegno: se non che desso cominciò bene, seguitò male,
e terminò peggio l'impresa. La prima cosa, ch'egli fece, fu la raccolta
de' greci scrittori di musica; la seconda la traduzione in latino de'
medesimi; la terza le annotazioni per ischiarimento dell'antica melodia;
terminate le quali, cantò un _Te Deum_ in ringraziamento all'Altissimo
per averlo illuminato a segno di poter _notare_ la musica di quell'inno
all'usanza de' Greci; e per istordire gl'ignoranti, acciò non lo
capissero, lo premise alla sua opera. Se però siamo obbligati al
_Meibomio_ di averci data una raccolta benchè incompleta de' greci
armonici, non possiam dire altrettanto relativamente alla sua
traduzione, in cui non si accorse di esser stati gli originali di
_Aristosseno_, da cui tradusse, viziati e confusi di modo, che parte del
primo libro si trova nel secondo, parte del secondo e del terzo nel
primo; onde sono i lettori obbligati a brancolar nelle tenebre. Nel
giudizio de' greci armonici noteremo altre mancanze di osservazione di
questo traduttore. Ov'egli però mi fa pietà, è nelle aggiuntevi
annotazioni: tutte s'impiegano in correzioni grammaticali, in citazioni
erudite, ma inutili all'intelligenza dell'autore interpretato, in
riprensioni frequenti degli altri interpreti; cose tutte da dissimularsi
a chi ricalcava le orme de' grammatici del seicento. Quello però, che
non si può perdonare a Meibomio, e per cui egli meriterebbe un'acre
riprensione, si è l'aver esso aggiunti, levati, cambiati gli originali
in molti luoghi sotto pretesto di renderli intelligibili, e di corregere
gli errori de' copisti: le note musiche de' Greci sparse quà e là ne'
diversi autografi soffrirono un totale rovesciamento. Orgoglioso
grammatico! Dopo d'essersi millantato d'avere il primo dilucidate le
_note_ del canto greco, stampa lo sproposito di non avere servito le due
righe di note prescritte in ogni verso da tutti i greci armonici, che
per i principianti, essendo l'una di esse a suo parere superflua. Del
rimanente Meibomio niente arreca di lume a' greci scrittori per
agevolarci la loro intelligenza. Meibomio certamente è autore di
mediocre talento, d'una sufficiente e mal digerita erudizione, e d'una
grande alterigia.” (_Prefaz. a' Saggi_). Puossene leggere la
confutazione, che dottamente fa di lui il _Requeno_ nel 2.º tomo pag.
165-180, 337-351.

MEISSONNIER (Antonio), nacque in Marsiglia nel 1783. I suoi parenti lo
destinavano al commercio, ma amante dell'indipendenza preferì di seguire
la carriera musicale. In età di 16 anni partì per l'Italia, e dopo aver
percorso tutto questo paese, venne in Napoli, e presentossi al famoso
Interlandi, che degnossi di dargli de' consigli sì per la lira, che per
la composizione. Egli fece sentirsi ben tosto in Napoli nelle più
distinte compagnie. Il nostro principe di Butera, che amava le belle
arti, con ispezialità la musica, e proteggeva gli artisti, fecegli
comporre un'opera buffa _la Donna corretta_, che eseguita nel suo
palazzo in Napoli fu moltissimo applaudita. Lasciò egli non per tanto
quella città, e si stabilì in Parigi, ove ha pubblicato _Méthode de
lyre_, e molti _Capricci, Divertimenti ed Ariette italiane_, da lui
composte per quest'istromento.

MELANIPPE di Cuma, abilissimo non solo nel maneggio del flauto, ma della
lira eziandio. Pausania fa di lui menzione (_in Phocid._) e loda una
composizione cantabile di questo maestro da esso con le tibie
pronunziata in lode di Opi. Secondo Ferecrate citato da Plutarco
(_Dialog. de Music._), egli aumentò le corde negli strumenti,
accrescendo quelle della lira fino al numero di dodici, mentre era prima
di due tetracordi. Tale novità dispiacque allora ai severi Greci. I
seguenti versi che mette in bocca Ferecrate alla musica: _Melanippide fu
d'ogni mio male — Prima cagion; m'indebolì costui, — Dodici corde sopra
me ponendo_, due cose provano, come osserva il Requeno: 1. che Melanippe
sia stato il primo, che inventasse il sistema de' tre tetracordi; 2. che
li suonasse a mano, il che è lo stesso che avere rivolta la lira in
cetra; non distinguendosi questa da quella, che nel numero delle corde e
nel suonarsi senza plettro. Sono più molli i suoni delle corde suonate
con la mano, di quello che sieno quelli delle corde ferite col plettro.
Questa mollezza dispiacque dunque sul principio a' Greci, i quali,
avendo destinata la musica alla virile educazione, temettero, non si
snervassero gli animi de' giovani con la blanda cetra. Melanippe
impiegossi in educare giovani nell'arte musica: Filosseno fu suo
discepolo (_Saggi t. 1_). Egli fiorì presso a quattro secoli innanzi G.
C.

MELONE (Annibale), dotto contrappuntista in Bologna circa 1550; si è
reso utile alla storia della musica con la sua opera: _Desiderio di
Allemano Benelli_, che è l'anagramma del suo vero nome. Si credette
prima che Bottrigari ne fosse l'autore, e tanto più di verisimiglianza
acquistò allora quest'opinione, in quanto costui in cambio di
contradirla, fecene anzi pubblicare sotto il suo nome una seconda
edizione. Oltre la confutazione di un certo Patricio, quest'opera in
forma dialogistica, tratta principalmente de' concerti di musica, che
cominciavano ad essere allora in voga presso le persone del primo rango,
con ispezialità a Venezia e a Ferrara. Si resta sorpreso nel leggervi il
prodigioso numero di musici, che il duca di Ferrara aveva allora al suo
servigio, come eziandio la quantità e varietà d'instromenti che facevasi
sentire ne' suoi concerti. Nel progresso dell'opera, l'autore analizza,
a proporzione de' lumi di quel secolo eruditamente, i principj
dell'antica musica de' Greci e della moderna, riguardando questa come a
quella preferibile, secondo il pregiudizio di coloro che comparar
pretendono le cose note alle incognite.

MENESTRIER (Claudio Francesco), gesuita che allo studio degli antichi
seppe unir con profitto i viaggi, ch'egli fece per l'Italia, la
Germania, l'Inghilterra, e le Fiandre: morì in Parigi nel 1705. Tra le
sue opere distinguonsi: 1. _des Représentations en musique anciennes et
modernes_, Paris 1681, in 12º; 2. _Des ballets anciens et modernes_,
1682, in 12º.

MENGOLI (Pietro), professore di Meccanica nel collegio de' nobili in
Bologna, uomo distinto per la sodezza di sua dottrina, nel 1670 pubblicò
colà _Speculazioni di musica_, in 4.º: si trova alla fine una tavola
delle passioni, cui pretende l'autore, che ciascun modo, o ciascun tuono
della musica di chiesa possa calmare. “Vi sono ancora molte cose, che io
non ho potuto capire, dice M. de Boisgelou; per esempio, allorchè egli
parla de' tuoni di musica rossi, neri, verdi ec.” Nel t. 8 delle
Transaz. Filosofiche si trova un assai lungo estratto di quest'opera.

MENGOZZI (Bernardo), nato in Firenze nel 1758, cantante pieno di gusto e
pregevole compositore, era costantemente applaudito accanto de'
Viganoni, de' Rovedino, de' Mondini. Nelle opere di Paesiello e di
Cimarosa egli metteva alcuni pezzi di musica da lui composti, che
figuravano non meno che quelli di que' celebri autori: tra questi sono
principalmente da rimarcarsi un terzetto dell'_Italiana in Londra_, e la
deliziosa aria _Se m'abbandoni_. Dopo il 1792 stabilitosi in Parigi pose
in musica cinque opere buffe, e due comico-serie in quella lingua.
Scelto per maestro di canto in una delle classi del Conservatorio formò
molti buoni allievi. L'arte il perdette assai presto, essendo colà morto
nel 1800 di 42 anni.

MERCADIER DE BELESTA è autore di un'opera che ha per titolo, _Nouveau
Système de musique théorique et pratique_, in 8º, Paris 1776. Secondo M.
Chladni l'autore vi ha esposto molti oggetti intorno alla teoria
numerica dei suoni, meglio che molti altri, ed ha ottimamente confutato
alcune false asserzioni del Tartini sul fenomeno del terzo suono (_V.
Acoustiq. p. 15-254_).

MERSENNE (Marino), religioso minimo, cui la mordacità del Voltaire con
ingiusto scherno chiama il _minimissimo tra' minimi_, diessi allo studio
delle matematiche e della filosofia, e non lasciò di render loro de'
gran servigj, per il commercio che tenne sempre co' più distinti uomini
del suo secolo, di cui ne divenne il centro: a questo fine viaggiato
aveva in Italia, in Germania e ne' Paesi-Bassi; il suo carattere dolce,
pulito ed obbligante gli conciliò da per tutto degl'illustri amici. Tra
le scienze egli si attaccò specialmente alle matematiche ed alla musica,
e pubblicò molte opere in tutto o in parte relative a quest'ultima, come
1. _Quæstiones in Genesim_, dove a lungo tratta della musica e degli
stromenti degli Ebrei, 2. _Harmonie universelle contenant la théorie et
la pratique de la musique_, Paris 1636, 2 vol. in fog. con figure, opera
oggidì assai rara, secondo M. Fournier (_Dictionn. de Bibliograph._
1809), 3. _Harmonicorum Libri XII de sonorum naturâ, causis et
effectibus_, Paris 1648, in fol., quest'è in parte una traduzione
dell'opera precedente, che contiene molti pezzi, che non trovansi
nell'originale. L'A. vi tratta di tutte le parti teoriche dell'arte,
giusta le idee che a suo tempo avevasene in Francia, e nella quale dà
una meschina idea della sua propria istruzione, e dello stato dell'arte
in quell'epoca nella Francia. Quest'opera ebbe quivi gran corso, che
essa dovette alla singolarità piuttosto che al merito. 4. _Les préludes
de l'Harmonie universelle_, è una rapsodia, ove più si tratta di
Astrologia giudiziaria che di musica. 5. _Cogitata physico-mathematica
de Musicâ theoreticâ et practicâ_, in 4.º 1644. Mersenne giunse a
conoscere la coesistenza de' suoni acuti col suono fondamentale di una
corda, ma non l'ha spiegata bene (_V. Chladni, Acoust. p. 250_). Egli
aveva il talento di dir poco in molte parole, e non mostra gran giudizio
ne' suoi scritti. Morì in Parigi nel 1648 d'anni 60, tornando dalla casa
del suo intimo amico Descartes, ove aveva bevuta molt'acqua fredda per
dissetarsi.

MERULA (Cavalier Tarquinio), uno de' più profondi contrappuntisti del
sec. 17, e 'l più grave compositore per la musica di chiesa, non lasciò
tutta volta di scrivere delle bambocciate musiche, e fu anche in questo
genere il primo. “Immaginò una _fuga_ di ragazzi che recitano, senza
saperlo ben a mente, e declinano il pronome _qui quæ quod_. Gl'imbrogli,
le confusioni, le sconcordanze, e i scerpelloni, che pigliano que'
poveri ignorantelli, e il pedagogo che li sgrida, formavano il soggetto
di questo componimento, e facevano smascellare delle risa cantori, ed
uditorio. L'esito felice di questa prima prova diè coraggio al Merula di
comporne una consimile sul _hic hæc et hoc_, che non riuscì men
saporita.” (_Carpani lett. 7_). Nelle sue opere stampate in 10 vol. in
Venezia nel 1635 si trova un duetto intitolato _sopra la ciacona_, detto
così per imitar forse il canto limitato e monotono de' ciechi, d'onde è
derivato il nome di _ciacona_, in francese _chaccone_. La cantilena è
sopra un basso ristretto di 5 battute, che continua sempre a ripetersi
mentre quella va cambiando. Ghiribizzi di que' tempi senza gusto (_V.
Encycl. méthod. p. 222_).

METASTASIO (Abb. Pietro) nacque in Roma l'anno 1698, all'età di 10 anni
ebbe la fortuna di tirare a se, cantando per le strade con grazia, e con
espressione alcuni versi da lui composti, l'attenzione dell'ab. Gravina
celebre giureconsulto e letterato di prima riga: costui lo adottò in suo
figlio, e gli diè un'educazione degna de' suoi talenti, ma contro al suo
gusto lo destinò al foro, e non fu se non dopo la di lui morte che con
maggiore trasporto tornò egli alle Muse. Nel 1729, egli fu nominato
poeta _laureato_ dell'imperial corte di Carlo VI amatore intendentissimo
di musica, e che sosteneva con magnificenza il suo teatro lirico.
Metastasio fissò la sua dimora in Vienna dall'età di un poco più di 30
anni sino alla sua morte. Egli aveva studiato a fondo anche la musica: e
contribuì moltissimo co' suoi consigli a formar de' grand'uomini per la
composizione, e a dare un nuovo aspetto a quest'arte. Haydn, Jommelli,
il Sassone e più altri confessarono di aver più profittato della
conversazione di questo grand'uomo, che dello studio e delle lezioni de'
loro maestri. La musica è assolutamente debitrice della massima
perfezione, a cui è giunta in quest'ultimi tempi, ai drammi
dell'immortal Metastasio. Egli, dice l' ab. _Andres_, “ha avuta la
malizia poetica e musicale di schivare tutte le parole meno acconcie pel
canto, di studiare una felice combinazione di sillabe per la soavità ed
armonia de' tuoni, di variare adattamente i metri nelle arie, di
applicare dappertutto quella cadenza, quei salti, quei riposi, quegli
accenti, che più lirica e cantabile rendono la poesia. I suoi versi sono
di una tale fluidità, sonorità ed armonia, che sembra non si posson
leggere che cantando. La rapidità del recitativo dà maggiore forza alle
cose che vi si dicono, e maggiore fuoco e calore all'azione, e serve
insieme di grande ajuto e facilità per il canto. La sua penna sembra
intinta nel latte di Venere. Il Dio d'Amore se volesse discendere a
parlare cogli uomini, non si servirebbe, no, d'altra lingua, che di
quella del suo vate l'immortale Metastasio.” Egli ha posti i compositori
di musica in quello stato che richiede Orazio nel Poeta per comporre di
gusto. “Se i tuoi occhi si riempion di lacrime, dice a' giovani
compositori il Rousseau, se tu senti palpitare il tuo cuore, se
l'espressione ti soffoca ne' tuoi trasporti, prendi _Metastasio_ e
fatica, il suo _Genio_ accenderà il tuo, tu a suo esempio diverrai
creatore.” (_Dictionn. art. Génie_). Metastasio manteneva un commercio
di lettere con Farinelli, Hasse, Diodati, Martini e con Sav. Mattei,
nelle quali trovansi delle riflessioni sulla maniera di disporre la
musica de' suoi drammi, di prepararne gli affetti, sulla buona scuola
del canto, sugli abusi e la maniera di evitarli, sulla musica degli
antichi comparata con quella de' moderni, ed altri soggetti relativi
all'arte, che possono leggersi con profitto da' poeti e da' musici (_V.
Opere Postume del Metastasio, 3 vol. in 8vo 1796_). Vi sono in oltre di
lui due _Lettere_ o piuttosto _Dissertazioni sulla musica_ dirette da
Vienna a Loudun nel 1765 al Caval. de Chastellux. Tratta ancora
dottissimamente dell'antica musica de' Greci nel suo _Estratto della
poetica di Aristotele_ (_v. cap. 1-4-26_). Metastasio finalmente è anche
autore di musica pratica. Vi ha di lui impressa in Vienna la musica di
alcune _Canzoni, d'Arie sciolte, e coro con sinfonia_, e manoscritta a
due la cel. palinodia _Grazie agl'inganni tuoi_. In una sua lettera del
1750 alla principessa di Belmonte, parla egli stesso della musica da lui
composta sopra la _partenza di Nice_. “Sa già V. E. ch'io non so scriver
cosa, che abbia ad esser cantata senza (o bene o male) immaginarne la
musica. Questa che le trasmetto è musica per verità semplicissima, ma
pure quando si voglia cantare con quella tenera espressione, ch'io ci
suppongo, vi si troverà tutto quello, che bisogna per secondar le
parole.” Malgrado le sue frequenti malattie egli giunse agli anni 84 di
età, e morì in Vienna li dì 12 aprile del 1782. Tra' suoi biografi il
migliore per lo stile, per l'esattezza delle notizie e per le
riflessioni saggie sulla poesia e la musica con cui le accompagna, vien
riputato _Giov. Adamo Hiller_, direttore e professore di musica in
Lipsia, dove pubblicò questa vita nel 1786.

MEUDE-MONPAS, letterato ed amatore di musica in Parigi, fece quivi
imprimere verso il 1786, sei concerti pel violino a 9, da lui composti.
Egli avrebbe dovuto non passar oltre, ma pensò di pubblicare ancora
un'opera didattica col titolo di _Dictionnaire de musique_, piena da
capo a fondo di errori, per cui meritò giustamente una severa critica di
M. Framery nel num. 26 del Mercurio del 1788. Costui lo accusa, non
ostante che si dica egli stesso partigiano _della bella semplicità_, di
molte incoerenze, di espressioni ricercate, strane e fantastiche, oltre
a più trivialità e difetti di lingua.

MEUSEL (Giov. Giorgio), dottore di filosofia, e professore di storia a
Erlang, pubblicò un'opera in 8vo col titolo: _Teutsches_ ec., ossia
_Dizionario degli Artisti allemanni, o Catalogo di tutti gl'Artisti
viventi_: la seconda edizione accresciuta è del 1787. In essa trovansi
molte interessanti memorie su i principali musici della Germania. In
un'altra sua opera intitolata _Miscellanee per rapporto alle Arti_, dal
1779 sino al 1786, si trovano delle biografie di molti musici, come
ancora nel suo _Museo per gli artisti ed amatori delle arti_, a Manheim
1787.

MEZIERES (M. de), è l'autore di un'opera col titolo: _Effets de l'air
sur le corps humain, considérés dans le son, ou de la nature du chant_,
1760 in 12º. Questo libro non risponde in nulla al suo titolo, e non
contiene che delle viste superficiali e false. (_V. Journal des
Savans_).


MICHAELIS, dotto musico a Osnabruck, di cui nella gazzetta filarmonica
di Lipsia 1805, n. 8 si trova l'eccellente trattato: _Über frühe_, ec.
cioè _Sulla prima formazione in musica_, che vien molto commendato dal
d.^r Lichtenthal (pag. 66).

MIDIA era maestro di musica in Atene quattro secoli innanzi G. C. Di lui
ci narra il famoso oratore Demostene, che essendo egli incaricato dalla
sua tribù di mandare a' giuochi pubblici, coll'occasione d'un premio
proposto, i giovani più abili nel canto, scelto aveva Midia per
perfezionarli nell'armonia. Era però costui un occulto nemico di
Demostene, senza che questi, non ostante la sua penetrazione, se ne
fosse mai accorto: egli invece di disporre i giovani pel concorso, e
così aspirare al premio, trascurava la loro educazione per fare
scomparire il suo rivale, e fargli incorrere la indegnazione della
tribù. Ma avvertito Demostene del pravo suo animo, cacciò Midia da
quella scuola, e sostituì a lui il bravo Telefano, come diremo nel suo
articolo.

MILIZIA (Francesco) diè per la prima volta al pubblico nel 1771, in Roma
il suo _Trattato completo, formale, e materiale del teatro_ i di cui
esemplari furono tutti ritirati per ordine del maestro del Sacro
Palazzo, e passati in potere del Sig. _Odescalchi_, mecenate del libro a
condizione di non fargli vedere più luce. L'autore dopo avervi corretto
varj passi, e fattevi alcune aggiunte lo pubblicò in Venezia nel 1794,
in 4.º. Egli impiega quattro ben lunghi capitoli _sulla Musica_ dal
quinto sino all'ottavo del suo libro. Fa dapprima la storia dell'opera
in musica rinnovata in Italia sul cominciare del sec. 17. Tratta quindi
dell'argomento di dramma in musica, e non trascura di fare il dovuto
elogio al gran Metastasio, i di cui drammi, egli dice, sono le vere
regole dello stile lirico, e che egli sarebbe in tutto un legislatore
perfetto, se vi avesse sparso meno amore, e se avesse goduto più di
libertà in condurre e snodare i soggetti tragici. Il cap. 7 tratta della
musica, della sua origine, dell'influenza che ella ha grandissima sul
fisico e sul morale dell'uomo: della sua essenza. Dopo queste
preliminari nozioni della musica in generale, ne considera
l'applicazione alle varie parti del Dramma: e nel cap. 8 tratta
finalmente degli Attori. Noi rapporteremo alcune riflessioni dell'A.
sullo stato dell'attuale dicadimento della musica teatrale. “Dacchè la
nostra musica, egli dice, ha scosso il giogo della poesia, non è più
imitativa, nulla più esprime, e niun effetto più produce. _È divenuta
una raccolta di pensieri, eccellenti bensì, ma senza connessione, senza
significato, e senza convenienza_, appunto come gli arabeschi vaticani
di Raffaello tanto pregiati e tanto irregolari. La musica la meglio
calcolata in tutti i suoi tuoni, la più geometrica ne' suoi accordi, se
non ha alcuna significazione, sarà come un prisma, che presenta i più
bei colori, e non fa quadro: divertirà l'orecchie, ed annojerà
sicuramente lo spirito... Bisogna o che il Poeta sia Compositore o che
il Compositore sia Poeta; e non riunendosi insieme questi due rari
talenti abbia almeno il Compositore la docile discretezza d'intendersela
col Poeta, e di persuadersi una volta per sempre, che la musica è
un'espressione più forte, più viva, più calda de' concetti e degli
affetti dell'animo espressi dalla Poesia..... Un altro gran male
dell'odierna musica italiana è nel troppo. Questo troppo ha cagionato
ornati, ritagli, tritumi, bizzarrie, che hanno fatto perdere di vista
l'oggetto principale della musica, il quale consiste in esprimere nella
maniera più naturale e più semplice i sentimenti della poesia, affinchè
ne sia il cuore più vivamente toccato. La bella semplicità può sola
imitare la natura... L'altro malanno è quello d'una novità continua.
Quella musica che piaceva venti anni addietro, ora più non si soffre.
Fosse anche Apollo il compositore d'un'_Opera_, fatta ch'ella è una
volta in un teatro, Dio vi guardi che vi ritorni la seconda nemmeno in
capo a trent'anni. Questo è uno de' più grandi motivi, per cui essa
musica è divenuta come una moda passeggiera, piena di arzigogoli, e di
capricci; e viene tacciata, che sia caduta oggidì, come l'architettura
nel Borrominesco, cioè che per desiderio di sorprendere colla novità
abbia smarrito il dritto sentiero d'imitare la bella natura, per piacere
e giovare.” L'ultima che rapporteremo delle riflessioni di questo
scrittore filosofo è sulla bizzarria nuovamente introdotta di sostituire
al recitativo musicale (invenzione che fece tanto onore a' nostri
antichi musici) la declamazione parlante. “Eseguire il recitativo, dice
il N. A., nella maniera consueta (cioè cantando e trillando), è un
sonnifero; parlarlo semplicemente, no, _un'Opera ora parlata, ora
cantata, farebbe una discrepanza come tra gelo e fiamma_.” Sarebbe
desiderabile che i Compositori ed il pubblico per correggersi de'
moderni sviamenti e rientrare nel buon cammino, seguissero i saggi
consigli, e le vedute veramente filosofiche di questo autore.

MILLICO (Giuseppe), nato in Milano verso il 1739 è stato riguardato come
uno de' migliori cantanti da teatro sulla fine del p. p. secolo per la
sua maniera nobile insieme e piena di espressione e di sensibilità. A
siffatte qualità dovette egli l'onore di essere scelto da Gluck,
allorchè era in Vienna nel 1772, per insegnare alla sua nipote l'arte
del canto, e sotto la di lui direzione divenne ella in pochissimo tempo
oggetto dell'ammirazione di tutta la città. Da Vienna Millico fu a
cantare in Londra nel 1774, e tornò alla sua patria come musico di
camera del nostro sovrano Ferdinando III, nel 1780. Si dice che riunendo
i suoi straordinari talenti all'astuzia e all'ambizione di cortigiano,
egli perseguitava Marchesi e gli altri virtuosi esteri, che trascuravano
di andare in cerca della sua protezione. Egli viveva ancora sino al
1790.

MILLIN (Albino-Luigi), membro dell'Istituto nazionale, e noto abbastanza
per un gran numero di opere sulle arti e l'antichità. Egli sin dal 1795,
ha la cura di compilare una collezione periodica assai preziosa per la
storia delle scienze e delle lettere, intitolata le _Magasin
Encyclopédique_, dove molti interessanti opuscoli si trovano relativi
alla musica, e di M. Millin e d'altri autori (_V. i num. di maggio e di
agosto 1810_). Egli è anche autore di _un Dictionnaire des Beaux-Arts_,
in 3 vol. in 8vo 1806: ove si trovano molti articoli assai pregevoli
sulla musica e sugli stromenti, che per lo più sono tradotti dalla
teoria generale delle belle arti di Sulzer.

MINERMO musico-poeta greco, di cui Ateneo (_lib. 13_) parla con somma
lode. Inventò egli nelle tibie le diesis quadruntali per cantare il
molle pentametro, _dulces, reperit sonos, et mollis pentametri cantum_.
Properzio nella 9ª elegia del 1.º lib. lo fa superiore ad Omero ne'
versi amatori. Da questo poeta e da Orazio si conchiude, che le
composizioni di Minermo duravano ancora nel secolo di Augusto con gran
credito; e Camaleone presso Ateneo (_lib. 14_) afferma, che i Greci eran
soliti a cantare i versi di Minermo non men che quelli di Omero, di
Esiodo, di Archiloco, e di Focilide. In un suo Poema egli introdusse il
primo le nove muse celesti anteriori a Giove: invenzione, di cui
Pausania (_Beot._) fece gran conto, e di cui tanto parlarono i
grammatici del cinque cento. Frequentando Minermo, benchè già vecchio,
le allegre adunanze, e' conviti de' grandi, abbandonò la severità del
costume propria allora sempre de' musici; e nella più inoltrata età fu
colpito dall'amore della cantatrice Nano. Il povero vecchio sentendosi
ringiovenire, acceso d'insolito fuoco ravvivò l'ardore pel canto, e
compose e _notò_ in vaga musica canzoni piene di quelle delicatezze, di
cui abbondano i feriti cuori. Ma divenuto l'oggetto de' scherzi di
spiritosi giovani disingannossi della sua sognata felicità, e diessi a
comporre della musica sopra più serj soggetti; così Stobeo cita di lui
un'egloga, il di cui argomento era non doversi in modo alcuno collocar
negli amori la felicità dell'uomo; trovandosi nelle vicende di questa
passione più tormento che piacere. Secondo Laerzio (_in vitâ Solon._) fu
egli contemporaneo di Solone, visse cioè sei secoli innanzi l'era comune
(_V. Requeno tom. 1_).

MINGOTTI (Regina) nacque in Napoli circa 1726, da un padre uffiziale al
servigio dell'Austria, che bambina di pochi mesi seco la condusse a
Gratz nella Silesia; alla di lui morte un suo zio la mise in un Convento
di Orsoline, dove apprese la musica: a 14 anni di sua età ella tornò in
casa di sua madre, e la sua bella voce e la grand'arte con cui la
regolava, fecele al mondo la più brillante fortuna. Sposò pochi anni
dopo il Sig. Mingotti veneziano, impresario del teatro a Dresda:
Porpora, che era allora al servizio del re, la produsse come una giovane
delle più belle speranze, e per la sua raccomandazione le si offrì di
cantare in quel teatro insieme con la cel. Faustina moglie del Sassone.
Gli applausi e la riputazione, che quivi acquistossi pe' suoi talenti,
la resero celebre anche fuori, e al di là delle Alpi. Essa fu invitata
in Napoli a cantare sul gran teatro di S. Carlo nel 1750, e passando per
Vienna ottenne dal Metastasio una commendatizia alla Principessa di
Belmonte: egli la chiama nella sua lettera, _uno dei più distinti
ornamenti della schiera canora di Dresda_. Ella si era applicata con
tanto zelo allo studio della lingua italiana, che allorquando cantò per
la prima volta la parte di Aristea nell'Olimpiade del Galuppi, sorprese
gl'Italiani sì per la purezza della pronunzia, come per il suo canto
melodioso, e la sua maniera espressiva e naturale. I teatri di tutte le
grandi città della Germania, della Francia, dell'Inghilterra e
dell'Italia risuonarono degli applausi dovuti alla sua arte. Nel 1763
ella ritirossi a Monaco nella Baviera, dove godeva della stima generale
della corte e della città. Burney la sentì colà nel 1772, ella
conservava ancora tutta la bellezza della sua voce, e ragionava sulla
musica con molta profondità e giudizio: cantò dinanzi a lui per quattro
ore intiere, accompagnandosi ella medesima sul forte piano. La sua
conversazione era gaja e piacevole, parlava il tedesco, il francese e
l'italiano con tanta perfezione, che riusciva difficile il distinguere
qual fosse il suo patrio idioma. Nella galleria di Dresda vedesi il di
lei ritratto dipinto da Rosalba a pastello ad essa rassomigliante
mentr'era giovane (_V. Burney's Travels, tom. II, p 111_).

MINOJA (Ambrogio), uno de' più celebri maestri d'Italia d'oggi giorno, e
membro onorario del conservatorio di Milano, nacque a Lodi nel 1752.
All'età di 14 anni cominciò per suo diporto a coltivare la musica, e la
professò meno per necessità che per gusto. Fece il suo corso di studj in
Napoli sotto la direzione di Sala; e tornato alla sua patria, fu il
successore del cel. Lampugnani, come primo maestro di cembalo al teatro
_della Scala_ in Milano. Egli compose allora alcuni pezzi di musica
strumentale, sei quartetti col titolo di _Divertimenti della Campagna_,
e due opere serie, una pel teatro di Argentina in Roma, mentre colà
soggiornava, e l'altra per quello della _Scala_, in Milano, ove al suo
ritorno fu scelto maestro di cappella dei Padri _della Scala_, e diessi
interamente alla musica di chiesa. Poco tempo dopo, l'armate francesi
occupato avendo l'Italia, riportò egli il premio d'una medaglia d'oro
del valore di 100 Zecchini, per una marcia e una sinfonia funebre in
onore del gen. Hoche; scrisse ancora due messe di _Requiem_ che si
conservano negli archivj del governo: un _Veni creator_ e un _Te Deum_,
che fu eseguito nella cattedrale di Milano da un'orchestra di 250
musici. Egli ha fatta la musica di molti Salmi a più voci, con
accompagnamento di pochi stromenti, in cui la scienza nulla pregiudica
all'espressione ed al gusto. Minoja in oltre è autore di alcune _Lettere
sul canto_, Milano 1813. L'opera è divisa in tre parti. Tratta la prima
dello scopo del canto, quale, secondo lui, consiste in commovere, ed
istruire gli uditori per mezzo dell'espressione. Nella seconda s'occupa
egli del gusto che ha regnato nella musica vocale ad epoche differenti
del secolo passato. Nella terza finalmente i principali ed i più proprj
mezzi vengono esposti, atti a formare il canto, come l'intuonazione, il
solfeggio, le grazie, la pronunziazione, e la qualità del tuono (_V.
Giorn. Italico, Londra dicembre 1813_).

MIRABEAU (Gabr. Riquetti, conte de). A questo grand'oratore
vien'attribuito un opuscolo di 95 pagine relativo alla musica: _Le
Lecteur y mettra le titre_, Londra 1777, in 8vo (_Veggasi Dictionaire
des anonymes de M. Barbier, t. num. 34, 27_). Questo scritto è pieno di
eccellenti viste sulla musica stromentale, e contiene l'analisi
ragionata di una gran sinfonia di Raimondi col programma di Avventure di
Telemaco eseguita in Amsterdam li 15 gennaro del 1777.

MIRABELLA (Vincenzo), nobile siracusano, dell'Accademie di Roma e di
Napoli, assai dotto nelle belle lettere e nella musica, morì in Modica
nel 1624. Molti de' suoi scritti sulla musica trovansi impressi in
Palermo nel 1603; come nel 1606, il primo libro de' suoi madrigali.

MISLIWECHEK (Giuseppe), detto il _Boemo_ in Italia, era nato in un
villaggio vicino a Praga, ove secondo l'uso delle scuole di campagna
nella Boemia ebbe le prime lezioni di musica. Questa prima istruzione
svegliò i suoi talenti e 'l suo amore per la medesima, cosichè
immediatamente dopo la morte di suo padre portossi in Praga, per
prendervi le lezioni del cel. Segert, che quivi allora dimorava. Egli si
applicò a questo studio con tanto zelo e successo, che poco dopo compose
sei sinfonie che furono generalmente applaudite. Animato da questo primo
buon incontro, nel 1763 partì per Venezia, e vi studiò il contrappunto
sotto il maestro Pescetti: quindi si rese a Parma, ove scrisse la sua
prima opera, che piacque talmente che fu chiamato in Napoli. Il
_Bellerofonte_, ch'egli vi scrisse per il giorno natalizio del re
Ferdinando, lo rese così celebre, che per un intero decennio compose
nove opere per quel teatro; tra le quali si distingue l'_Olimpiade_ da
lui scritta nel 1778, principalmente per l'aria _Se cerca, se dice_, che
vien riguardata universalmente come un capo d'opera. A Venezia, a Pavia,
a Monaco ebbe del pari una favorevole accoglienza. Ma la fortuna
cominciò a voltargli le spalle nel 1780, allorchè diede in Milano la sua
_Armida_ che spiacque al segno, che dovette cambiarsi la musica sin
dalla prima rappresentazione, nè altro si ritenne della sua che un'aria
di bravura cantata dal _Marchesini_. Andò quindi in Roma, ed incontrò
anche peggio nell'opera che vi scrisse: egli morì quivi nell'estrema
miseria a' dì 4 febrajo del 1782 di 45 anni. In Italia aveva scritto
oltre a 30 opere, molti oratorj, sinfonie e concerti. Dodici delle sue
_overture_ sono state impresse in Germania. Nelle biografie degli uomini
celebri della Boemia e della Moravia si trova il suo ritratto.

MITZLER DE KOLOF (Lor. Cristiano), fece i suoi studj nel ginnasio di
Anspach, e sin da fanciullo apprese i principj della musica e 'l canto
sotto Ehrman. Dopo il 1734 consacrossi alle scienze nell'università di
Lipsia, e due anni dopo vi diè un corso pubblico di matematiche, di
filosofia, e di musica. La lettura degli scritti di Mattheson, l'assidua
sua frequenza al concerto musicale di Lipsia, ma soprattutto la
conversazione del gran Bach, formato avendo il suo gusto, egli volle
innalzar la sua arte alla dignità d'una scienza mattematica. Nel 1734,
pubblicò a tal disegno la sua dissertazione _Quod musica scientia sit_.
Nel 1738, co' soccorsi del conte Lucchesini, e del maestro di cappella
Bümler, stabilì una società corrispondente di scienze musicali, di cui
fu nominato secretario: tutte le memorie dovevano indirizzarsi a lui. Il
catalogo de' membri di questa società, e i di lei statuti trovansi nella
Biblioteca di musica. Il primario scopo della sua biblioteca era la
teoria musicale. Nel 1740, egli avventurò alcuni saggi d'odi da lui
composte, la di cui mediocrità mosse le risa di tutti. In uno scritto di
quel tempo per via di smodati encomj si misero in ischerno le sue
composizioni musico-matematiche, ed egli ebbe tuttavia la debolezza di
crederli sinceri, e di rispondere a quelle finte lodi con ringraziamenti
nella sua Biblioteca. Finì costui i suoi giorni in Varsavia col titolo
di matematico della corte di Polonia, nel 1778. Le sue opere di teoria
musicale sono: _Dissertatio quod musica scientia sit, et pars
eruditionis philosophicæ_, Lipsiæ 1734 in 4º. _Biblioteca di musica_, in
tedesco, o _notizie esatte ed analisi imparziali di libri e scritti
sulla musica_, 3. vol., in 4º 1738-1754. _Gli elementi del basso
continuo, trattati secondo il metodo matematico, e spiegati per mezzo di
una macchina, inventata a tale effetto_, Lipsia 1739 in 8vo. _Lo
speculatore in musica, che scuopre amichevolmente i difetti de' musici
ec._ Questa specie di Giornale comparve nel 1748, in 8vo. Alla fine del
medesimo aggiunse egli la traduzione dall'Italiano dell'Avviso a'
compositori ed ai cantanti di _Riva_, residente del duca di Modena in
Londra. E la _Traduzione dal latino del Gradus ad parnassum di Fux_, con
note, Lipsia 1742, in 4º.


MOJON (Giuseppe), dottore in medicina, membro dell'Istituto nazionale
ligure, e professore di chimica nell'università di Genova; delle molte
opere ch'egli ha dato alla luce non faremo menzione che di quella, cui
diè il titolo di _Memoria sull'utilità della musica, sì nello stato di
salute, come in quello di malattia_, Genova 1802. Il D. Muggetti,
medico-chirurgo di Pavia, e membro corrispondente della società medica
d'emulazione, e della galvanica di Parigi, ne ha pubblicata una
traduzione francese, Parigi 1803, in 8vo con alcune sue annotazioni.
Nella sua prefazione egli dice di avere intrapresa l'intera traduzione
di quella Memoria, non essendo, suscettibile di estratto, a motivo
dell'estrema sua concisione, che non permette di toglierne una sola
parola; _Io desidero che la mia fatica, le osservazioni e riflessioni
dell'autore render possano più comune l'impiego della musica a
preferenza delle droghe, a cui spesso ripugna la natura, e che il più
delle volte ancora sono di notabil danno in certe malattie nervose, e
soprattutto nell'ipocondria e in diverse altre specie di delirio; se
questa massima fosse stata ben ponderata da' medici, il filosofo di
Ginevra non avrebbe contro di loro avanzato quel sarcasmo, dicendo:_ Io
non sò di quai mali ci guariscono; anzichè ce ne regalano dei più
funesti ancora, la pusillanimità, la lassezza, la credulità, il terror
della morte; se guariscono il corpo, essi uccidono il coraggio.

MOLINEUX (d.^r Tommaso), inglese, di cui vi ha nelle Transazioni
filosofiche del 1702, num. 283, _a Letter etc._, cioè _Lettera al Rev.
Saint-George, Vescovo di Clogher in Irlanda, sopra alcuni dubbj intorno
l'antica lira de' Greci e de' Romani, colla spiegazione d'un passo
oscuro di un'ode di Orazio_.

MOMIGNY (Girol. Gius. de), nato a Philippeville nel 1776, apprese sin da
fanciullo la musica, e i suoi progressi furono sì rapidi che di nove
anni egli improvvisava. Non lasciò frattanto di applicarsi alle scienze,
e venne a stabilirsi in Parigi nel 1800, dove compose la musica di due
opere, di alcune cantate, quartetti, sonate per forte-piano ec. La sua
opera principale è _Cours complet d'harmonie, et de composition_, in 3
vol. in 8vo. Il suo corso è una nuova e compita teoria della musica,
fondata in parte sul sistema di Ballière, sviluppato da Jamard, e sopra
alcune vedute dell'ab. Feytou, come può vedersi all'artic. _Cromatique_
(_t. 1 de la musique dans l'Encyclop. méthod._). Le altre scoperte
sparse in quel corso appartengono interamente a M. de Momigny. Sono esse
diametralmente opposte alle idee ricevute, benchè non sian meno
ingegnose, sovra tutto ne' capitoli sulla misura e il ritmo. Nel 1802
egli avea pubblicato il primo anno delle sue lezioni di forte-piano, che
ha avuto buon incontro.

MONOPOLI (Giacomo), il cui vero nome di famiglia era _Insanguine_,
veniva detto Monopoli, perchè nato in questa città nel regno di Napoli.
La sua musica per teatro ebbe al suo tempo gran successo; egli scrisse
la musica di _Calipso_ nel 1782 e quella del salmo 71, in versi lirici
di Sav. Mattei nel 1775. Rammentiamo solo quest'ultime sue composizioni
per dare a conoscere l'epoca in cui egli fioriva, non avendo intorno a
lui altre memorie.

MONSIGNY (Pier-Alessandro), a cui i francesi attribuiscono la
rivoluzione musicale del loro teatro, avvicinando vieppiù la loro musica
a quella degl'italiani; per il che gli danno il nome di Sacchini della
Francia. Tutta la sua musica, essi dicono, è d'istinto, tutti i suoi
canti tuttora si ritengono, e vien riconosciuto generalmente da tutti,
che egli ha portato al supremo grado il patetico e 'l canto di
espressione. In un _Rapporto_ della Classe delle Belle-arti del 1810,
Monsigny viene annoverato tra' gran maestri, che hanno dato al teatro
delle eccellenti opere in tutti i generi (pag. 55). “La sensibilità di
questo compositore (_scriveva nel 1811, M. Fayolle_), bisogna che sia
stata molto viva, perchè conservato ne abbia così gran dose all'età di
82 anni. Non ha guari, spiegandoci egli la maniera con la quale aveva
voluto dipingere nel suo dramma le _Déserteur_, la situazione d'Aloisa,
allorchè riviene gradatamente dal suo deliquio, e che le sue parole
singhiozzanti sono interrotte d'alcuni pezzi strumentali; egli proruppe
in un largo pianto, e cadde egli stesso nello sfinimento che dipingeva
della più espressiva maniera.”

MONTECLAIR (Michele), imparò la musica e 'l gusto per quest'arte sotto
Moreau, ottimo maestro di cappella in quel tempo, e l'esercitò in Parigi
con buon successo, ove morì nel 1737. Tra le altre sue composizioni vi
ha il _Gefte_, che fu il primo Oratorio che si sia fatto sul teatro di
Parigi nel 1732. Vi ha in oltre di lui _Méthode pour apprendre la
musique_ in 8º, che vien tenuto in qualche pregio.

MONTEVERDE (Claudio), da Cremona, fu uno de' più gran musici del suo
tempo, e uno dei fondatori della scuola di Lombardia. Egli studiò la
composizione sotto M. Antonio Ingegneri, maestro di cappella del duca di
Mantova, nella di cui corte si era acquistato già molta stima come
violinista. Mal contento delle regole e della pratica de' suoi
predecessori, avventurò de' nuovi metodi; osò il primo di usare la
quinta diminuita, come consonanza: introdusse le dissonanze doppie con
preparazione, e provossi di praticare in nuove maniere le dissonanze di
passaggio. Benchè si sia egli ingannato in alcuni punti, come
chiaramente glie lo provò _Artusi_, può dirsi tuttavia certamente, che
di tutti i maestri egli è il primo a cui la tonalità e la moderna
armonia abbiano le maggiori obbligazioni. “Egli è indubitato, dice il
Carpani, che le dissonanze sono come il chiaro-scuro nella pittura. Col
mezzo dell'opposizione e del confronto danno esse più risalto ed effetto
all'accordo vero, ne accrescono il desiderio, e svegliano così
l'attenzione, operando a guisa degli stimolanti che si danno agli obesi
e sonnacchiosi. Quel momento d'inquietudine che producono in noi, si
trasforma in piacere vivissimo allorchè sentiamo poi l'accordo, quale
l'orecchio nostro non cessava di travederlo e desiderarlo. Non è a dire
perciò quanto vantaggio recassero alla musica, coll'introdurvi le
dissonanze, lo _Scarlatti_, e molto prima di lui il _Monteverde_,
_scopritor primo_ di questa miniera di bellezze” (_let. 3_). Monteverde
discolpossi intanto delle critiche, che se gli erano fatte, e rispose
con alcune _lettere_ stampate in fronte alle sue opere. Le bellezze
della sua musica attirarono in suo favore il pubblico, e la più parte
degli amatori. I suoi pretesi errori modificati cominciarono ad operare
la gran rivoluzione musicale in Italia, e furono generalmente adottati.
L'arte alleviata e disciolta da una quantità di severe regole, e dal
giogo della pedanteria, fece de' nuovi progressi, ed aprì nuova via a
tanti uomini celebri, che son venuti di poi. In ricompensa de' suoi
talenti e degli importanti servigj resi all'arte, Monteverde divenne
maestro di cappella di S. Marco in Venezia, posto occupato mai sempre
da' più grandi uomini. Egli quivi morì in età molto avanzata nel 1651.
Le sue composizioni per teatro e per chiesa, parte impresse in Venezia e
parte manoscritte, si conservano ancora in diverse biblioteche.

MONTÙ (M.), piemontese, dottissimo nella meccanica e nella teoria della
musica, morto immaturamente in Parigi nello scorso anno 1814. Egli è
autore di un'opera intitolata _Numerazione armonica per ispiegare le
leggi dell'armonia_: ed è inventore inoltre di due instromenti di
musica, detto l'uno _Sfera-armonica_, e _Sonometro_ l'altro. Può
leggersene la descrizione nel libro intitolato _Archives des
découvertes_ etc. Paris 1809, al num. 14. “Questi due instromenti, ivi
si dice, sono stati inventati da M. Montù, per dare una dimostrazione
matematica de' principj dell'armonia, ignoti o combattuti sinora.
Quest'instromenti e i loro accessorj sono d'una perfezione preziosa e
rara. I Sig. _Prony_, _Charles_, _Gossec_ e _Martini_, ne hanno fatto un
rapporto al ministro, in cui dichiarano che i suddetti stromenti possono
utilmente servire a far delle sperienze interessanti sulle proporzioni
musicali, relative ai sistemi degli antichi, non che a quei de' moderni.
Il governo li ha comprati, e li ha fatti deporre nel Conservatorio di
musica.” (pag. 372). Le invenzioni di Montù formano la maraviglia de'
Francesi, e l'orgoglio dell'Italia.

MONTUCLA (Giov. Franc. de), membro della R. Accademia delle scienze di
Berlino, pubblicò nel 1758 in Parigi un'opera in 2 vol. in 4º,
intitolata: _Histoire des mathématiques_, nella quale dalla pag.
122-136, si trova in ristretto la _Storia della musica greca_. Egli dà
un'esposizione assai superficiale e molto imperfetta del sistema
acustico de' Greci, comechè avesse dovuto farne l'oggetto essenziale del
suo argomento. Poteva dispensarsi piuttosto dal trattarvi la questione
della tonalità della greca musica, non avendo un rapporto necessario al
suo oggetto. Montucla morì a Versailles nel 1799; egli aveva preparata
una seconda edizione della sua Storia con molte addizioni, ch'è stata
pubblicata e compiuta dall'astronomo Lalande, a cui erano stati rimessi
i manoscritti del Montucla, in 4 vol. in 4º.

MONTVALLON (M. de), nel 1742, pubblicò un'opera intitolata: _Nouveau
Système de musique sur les intervalles des tons, et sur les proportions
des accords, ou l'on examine les systèmes proposés par divers auteurs_.
Non possiamo darne saggio, non conoscendola.

MONZA (Caval. Carlo), maestro di cappella in Milano sua patria, ove
godette della riputazione di uno de' migliori compositori per teatro e
per chiesa. Nel 1766, compose il _Temistocle_ per quel gran teatro
_della Scala_: e nel 1777, per quel di Venezia _Mitteti_ e _Cajo Mario_,
che incontrarono assaissimo: alcune arie di questi drammi furono
impresse in Germania, ed in Londra nel 1783, la sua terza opera consiste
in _six sonatas for the harpsichord, or piano-forte with a violon_. Il
d.^r Burney scrive di aver sentita una sua messa in _S. Maria secreta_
di Milano, ch'egli approvò come bella e piena di genio.

MOOSER (Luigi), di Friburgo nella Svizzera, giovane artista costruttore
di organi e piano-forte, ha portato la sua arte al più alto grado della
perfezione. La pienezza, la forza e nel tempo stesso la dolcezza e
morbidezza de' suoni distinguono sommamente i suoi piano-forte a coda.
L'organo ch'egli ha fatto per il nuovo Tempio di Berna è un capo
d'opera: bisogna sentirlo per farsene un'idea, ed esaminarlo di presenza
per apprezzarne il merito. L'ultima e migliore sua opera è un
forte-piano organizzato, che gli amatori si danno premura di andar a
vedere in sua casa, e ch'egli chiama _orchester-instrument_, stromento
di orchestra. Puossene vedere la descrizione in un libretto in 12º che
ha per titolo: _Etrennes Fribourgeoises pour l'année 1810_.

MORELLET (l'abb. Andrea), di Lione, pubblicò uno scritto, cui diè per
titolo: _De l'expression en musique_, pieno d'ingegnose idee sulle belle
arti in generale, ed in particolare sulla musica. Si trova negli
_Archives littéraires_, tom. 6, e nel _Mercurio_ di novembre 1771.

MORET DE LESCER, maestro di musica francese a Liegi, nel 1768, pubblicò
in un vol. in 4.º _Science de la musique vocale_. Nel 1775 comparve al
pubblico un prospetto di un'altra sua opera, ch'egli aveva già terminata
in 13 vol. in 8vo, ciascuno di 400 pagine, col titolo di _Dictionnaire
raisonné, ou histoire générale de la musique et de la lutherie_, con
diversi rami, ed un piccolo dizionario di tutti i gran maestri di musica
ed artisti che si sono resi celebri per il loro genio, ed i loro talenti
(_V. l'Esprit des Journaux, septembre 1775_).

MORIGI (Angelo) da Rimini, degno allievo del Tartini e primo violino del
teatro di Parma, ove morì nel 1790. Il cel. maestro Bonifacio Asioli si
reca a gloria di essere stato suo discepolo. Morigi è autore di più
opere di sonate e concerti di violino, che sono state impresse; la terza
di queste comparve in Amsterdam nel 1752, composta di sei concerti.

MORTELLARI (Michele), nato in Palermo nel 1750, fu allievo nel
Conservatorio _de' figliuoli dispersi_ del Muratori, ove diè a divedere
di buon'ora la vivacità del suo talento, e la felicità nel comporre.
Assai giovane portossi in Napoli, ed ebbe alcune lezioni del cel.
Piccini. Scrisse quindi la musica di più opere in Roma, a Milano, in
Modena e a Venezia, che ebbe felicissimo incontro. Il d.^r Burney
parla di una _Armida_ di Mortellari, da lui sentita nel 1786, nella
quale egli loda, come in tutte le altre composizioni di questo maestro,
l'eleganza unita all'energia delle idee musicali (_Travels etc._) Il
costui figlio, anche buon maestro di musica, si è stabilito in Londra,
ove secondo il D.^r Pananti è molto stimato. “Mortellari, egli dice, è
giovane professore pieno di talento e di gusto, e scrive con molta
grazia.” _V. il Poeta di teatro, t. 2, a Londra 1809 nelle note, p.
295._

MOSCA (Luigi). Napoletano, si è acquistato in Italia la riputazione di
un valente compositore, per le opere buffe specialmente ch'egli vi ha
scritto, come il _Sedicente filosofo_, farsa; _Chi si contenta gode_;
_Chi troppo vuol veder diventa cieco_; _La sposa a sorte_; _Velafico e
limella_, drammi burleschi che si trovano presso il Ricordi in Milano.
Nel 1805 venne egli in Palermo, dove scrisse la musica del _Gioas_,
oratorio per il R. teatro di S. Cecilia, che ebbe qualche successo, ed
una messa a piena orchestra per la solenne professione d'una figlia
dell'Ecc. Sig. Duca Lucchesi-Palli. _Giuseppe Mosca_, fratello di Luigi,
è ancora un buon maestro di musica stabilito in Parigi, ove ha scritto
per quel teatro, detto dell'Opera Buffa, _la Ginevra di Scozia_ nel
1805, e _la vendetta feminina_ nel 1806.

MOZART (Giov. Crisost. Volfango Teofilo, da altri detto ancora Amedeo)
nacque a Salisburgo li dì 27 Gennaro 1756 da Leopoldo Mozart, maestro
della cappella di quel principe arcivescovo, di cui si dirà in appresso.
Aveva appena tre anni, quando suo padre cominciò a dar lezioni di
cembalo alla di lui sorella in età allora di 7 anni. Mozart palesò ben
presto le sue sorprendenti disposizioni per la musica: era suo diporto
il cercar le terze sul cembalo, e il maggior suo contento imbattersi in
quell'armonioso accordo. All'età di quattr'anni imparò, come per
ischerzo, alcuni minuetti e altri pezzi di musica, e fece de' progressi
sì rapidi, che a cinque anni componeva di già de' piccoli pezzi di
musica, che suonava a suo padre, e che costui si dava cura di scrivere.
Il gusto dello studio prese allora su di lui tale ascendente, che davasi
tutto senza riserba alle occupazioni che gli venivano prescritte, e i
suoi progressi nella musica divenivan sempre maggiori. Suo padre
tornando un dì dalla chiesa con uno de' suoi amici trovò suo figlio
occupato nello scrivere. _Che fai tu dunque, cuor mio?_ gli dimandò.
_Compongo un concerto pel cembalo; e sono quasi al fine della prima
parte — Vediamo un pò questo bel scarabocchio — Se mi permettete, io
prima il finisco._ Il padre intanto prese la carta, e diè a vedere
all'amico quella guerra di note, che potevasi appena diciferare per le
gran macchie dell'inchiostro. I due amici risero dapprima come d'una
bambocceria, ma il padre avendola bene osservata, _Ve' dunque_, disse al
figliuolo, _come la tua composizione va tutta bene secondo le regole; ma
il malanno si è che non può farsene uso perchè troppo difficile, e chi
potrebbe mai sonarla? Ma egli è questo un concerto_, ripigliò il
fanciullo Mozart, _e bisogna studiarlo finchè si giunga a sonarlo bene.
Sentite un pò come deesi eseguire_. E cominciò egli tosto a suonare,
benchè non vi fosse riuscito che quanto bisognava per far vedere quali
fossero le sue idee. Allorchè fu egli all'età di sei anni, tutta la
famiglia Mozart, composta del padre, della madre, della figliuola e di
lui, si rese a Monaco nella Baviera. L'elettore sentì i due ragazzi, e
ne ebbero degli elogj e degli applausi senza numero. Nell'autunno del
medesimo anno 1762, i due piccoli virtuosi furono presentati alla corte
imperiale, ove trovavasi allora il famoso Wagenseil. Mozart che sapeva
già preferire a tutto l'approvazione di un gran maestro, pregò
l'imperatore che lo facesse venire, come _colui che ben se ne
intendeva_. Francesco I fece chiamare Wagenseil, e gli cedette il suo
luogo presso al clavicembalo. _Signore_, gli disse allora il virtuoso di
sei anni, _io sonerò uno de' vostri concerti, bisogna che voi mi
voltaste i fogli._ Sino allora Mozart non aveva sonato che il cembalo,
ma il suo genio non abbisognava di lezioni: egli aveva riportato da
Vienna a Salisburgo un piccolo violino, e si divertiva con questo
stromento. Wenzl, valente violinista, venne a trovare Mozart il padre
per consultarlo intorno a sei trio, che aveva di recente composti. Il
padre doveva suonare il basso, Wenzl il primo violino, ed il secondo
Schachtner; ma il piccolo Mozart importunò talmente per far quest'ultima
parte, che suo padre consenti a lasciargliela sonare sul suo violinetto.
Era questa la prima volta che lo sentiva; ma quale fu la sua sorpresa, o
la sua ammirazione piuttosto, quando vide ch'egli ne uscì a maraviglia.
Nel luglio 1763, nei settimo anno per conseguenza di Mozart, la di lui
famiglia intraprese il suo primo gran viaggio fuori della Germania, e fu
allora che si sparse per tutta l'Europa la riputazione del musico
fanciullo. Fecesi ammirare primamente a Monaco, e successivamente in
tutte le corti elettorali. Nel mese di novembre giunse a Parigi: suonò
egli l'organo a Versailles dinnanzi tutta la corte, nella cappella del
re. Gli applausi fatti a lui ed alla sorella in Parigi giunsero sino
all'entusiasmo. Venne inciso il ritratto del padre e de' due fanciulli,
e Mozart di sett'anni allora compose quivi e pubblicò le due sue prime
opere. Nel 1764, passaron eglino in Inghilterra, e vi ebbero il medesimo
incontro alla corte e alla capitale. I due ragazzi cominciarono d'allora
a suonar da per tutto su due cembali de' concerti a dialogo. Si
mettevano dinnanzi a Mozart differenti pezzi i più difficili di Bach, di
Hendel e di altri, ed egli li eseguiva a primo colpo d'occhio con la
possibile giustezza e nella convenevole misura. Durante il suo soggiorno
in quell'Isola, egli compose in età di otto anni sei sonate, che
dedicate da lui alla regina furono impresse in Londra. Ritornarono in
Francia nel 1765, e si resero in Olanda, ove Mozart compose una sinfonia
a piena orchestra per il possesso del principe d'Orange. Al suo ritorno
in Germania, l'elettor di Baviera gli propose un tema musicale per
istenderlo subitamente senza servirsi nè di violino, nè di cembalo; egli
lo fece in presenza dell'elettore: lo sonò di poi, e riscosse
l'ammirazione del principe e di tutti gli astanti. Tornato a Salisburgo
sulla fine del 1768, Mozart si diede con un nuovo ardore allo studio
della composizione. Emmanuele Bach, Hasse ed Hendel furono sue guide e
modelli, senza trascurar non per tanto gli antichi maestri italiani. Suo
padre che era anche teorico, gli diè lezioni di contrappunto. Nel 1764 i
due fanciulli suonarono in Vienna dinanzi l'imperatore Giuseppe II, che
diè a comporre a Mozart di undeci anni la musica di un'opera buffa. Ella
era la _Finta semplice_, che ebbe l'approvazione di Hasse e di
Metastasio, benchè non fu poi rappresentata. L'anno d'appresso
all'apertura della chiesa della casa degli orfani, compose egli la
musica della messa, e del mottetto: e la diresse egli stesso alla
presenza della corte imperiale. Nel dicembre del 1769, suo padre partì
con lui solo per l'Italia, ed egli è facile lo immaginarsi come il
giovinetto virtuoso dovette esser quivi ben accolto, nel paese ove la
musica e tutte le arti sono generalmente coltivate. “Quel maestro
d'ingegno, _dice il Carpani_ (_Lett. 5_), scrisse la sua prima opera in
Milano all'età di 13 anni in concorrenza dell'Hasse, il quale diceva in
udirlo: _questo ragazzo ci farà dimenticar tutti_.” In Bologna il cel.
P. Martini ed altri rinomati professori di musica davano in trasporti
nel vedere con qual maniera il ragazzo Mozart sviluppava i più difficili
soggetti di fuga, e senza esitare un momento li eseguiva sul cembalo con
tutta la precisione possibile. Dopo d'aver fatta in Firenze la medesima
sensazion, giunse in Roma nella settimana santa. La sera del mercordì si
portò con suo padre nella cappella _Sistina_, per sentire il famoso
_Miserere_, di cui era vietato sotto pena di scomunica il dare o prender
copia. Prevenuto di questo divieto, l'udì egli con tale attenzione, che
tornando in casa, lo notò intieramente. Fu eseguito la seconda volta il
venerdì santo: nel tempo dell'esecuzione egli tenne la musica
manoscritta nel suo cappello, e ciò gli bastò per farvi alcune
correzioni. Questo aneddoto fece molto romore in Roma, ed in un concerto
cantò egli questo _Miserere_ accompagnandosi col cembalo: il primo
soprano, che cantato l'aveva nella cappella, riconobbe con sua sorpresa,
che la copia ne era compita e fedele. Passò in Napoli, e al suo ritorno
in Roma, il papa, che il volle vedere, lo creò cavaliere dello speron
d'oro. Nel passar nuovamente in Bologna, egli ricevette una distinzione
più lusinghevole. Dopo le prove requisite, alle quali soddisfece con
sorprendente prontezza, fu unanimamente nominato membro della Società
filarmonica. Secondo il costume, fu egli rinchiuso solo, dopo avergli
dato a comporre un'antifona a 4 voci, il di cui soggetto era d'una
difficoltà proporzionata all'idea che si era formata del suo talento: ed
egli terminò a capo di mezz'ora. A Milano scrisse di ritorno il
_Mitridate_, opera seria, nel carnovale del 1771, e vi si replicò oltre
a venti sere di seguito. Per giudicare del suo successo, basta il sapere
che l'impresario fece ben tosto con lui un'accordo per iscritto con
l'obbligo di scrivere la prima opera dell'anno 1773; egli non aveva
allora che quindici anni. Il dramma fu _Lucio Silla_, che riuscì non
meno del Mitridate, ed ebbe 26 rappresentazioni consecutive. Nel 1771
egli aveva scritto colà _Ascanio in Alba_, e nel 1772 a Salisburgo _il
Sogno di Scipione_, per l'elezione del nuovo arcivescovo. Chiamato
quindi a Vienna, a Monaco ed altrove, tra le altre opere compose la
_Finta Giardiniera_, musica burlesca; due solenni messe per la cappella
dell'elettor di Baviera, e per il passaggio dell'Arciduca Ferdinando a
Salisburgo _il Re Pastore_: ciò fu nel 1775. Egli era giunto al colmo
della sua arte: la sua gloria si era sparsa in tutta l'Europa, e non
aveva che diciannove anni. L'elettore di Baviera ordinogli di scrivere
l'_Idomeneo_ pel teatro di Monaco: egli ne compose la musica co' più
favorevoli auspicj: aveva allora venticinque anni, e quel che gliela
inspirò fu l'amore da lui concepito per la persona che sposò poco dopo.
Questa passione e 'l suo amor proprio raffinati ad un estremo grado,
fecero produrgli un'opera ch'egli riguardò sempre come una delle
migliori, e di cui spesso ha preso egli in imprestito alcune idee nelle
posteriori sue composizioni. Da Monaco Mozart si rese a Vienna, dove
entrò al servigio dell'Imperatore, a cui rimase finchè visse
attaccatissimo: e sebbene non ne ricavasse che un molto tenue
trattamento, ricusò egli costantemente le offerte vantaggiose che gli
vennero fatte da altri sovrani, e precisamente quella del re di Prussia.
Fra questo tempo sposò egli madamigella _Weber_, virtuosa di un
particolare merito, ed ebbe da essa due figli. Giuseppe II incaricò
Mozart di mettere in note il _Matrimonio di Figaro_, che trionfava
allora su i teatri tutti. Questa musica occupò il teatro di Praga
l'intero inverno del 1787; egli compose quivi per i Boemi il _Don
Giovanni Tenorio_, il di cui successo fu eziandio più brillante di
quell'altro dramma. Il _Don Giovanni_ non fu molto ben accolto in Vienna
nelle prime rappresentazioni. Se ne parlava un giorno in una numerosa
adunanza, dove trovavasi la più parte de' conoscitori della capitale,
tra' quali Haydn. Tutti eran di accordo nel dire ch'ella era questa una
pregevolissima opera, di ricco genio, e d'una brillante fantasia; ma
ognuno vi trovava ad opporre qualche cosa: avevano tutti profferito già
il lor sentimento, eccetto l'Haydn. Mozart, non era presente: fu pregato
dunque costui a dir quel che ne sentiva. _Io non sono in istato di
giudicare questa contesa_, disse egli colla sua usata modestia: _Quel
che so si è, che Mozart è il più gran compositore che esista al
presente_. Ben solenne testimonianza diede altresì l'_Haydn_ del
concetto in che teneva il _Mozart_, allorchè nell'incoronazione di
Leopoldo II fu chiamato a Praga per comporvi in concorrenza del
suddetto. Egli disse allora, che _dove scriveva un Mozart, Haydn non
poteva mostrarsi_. Questo generoso e modesto rivale “non lasciava mai di
correre e sentire la musica di Mozart, ovunque sapeva eseguirsene. Mi
diceva (_scrive il Carpani_) d'aver sempre imparato qualche cosa ogni
volta che udito aveva le composizioni di quel talento prodigioso.”
_Mozart_ agiva nella stessa maniera riguardo all'_Haydn_: egli dando
alla luce i suoi _quartetti_ non solo li dedicò a questo grand'uomo, ma
nella dedica ingenuamente confessa d'avere da lui imparato come da
maestro. Mozart infatigabile sino alla tomba, negli ultimi mesi di sua
vita produsse i suoi tre capi d'opera: il _Flauto magico_ che è il più
sublime modello d'ogni musica drammatica, la _Clemenza di Tito_, e la
famosa _Messa di Requiem_, che potè appena terminare. La storia di
questo _Requiem_ è molto singolare. Un giorno che Mozart era immerso,
secondo il suo costume, nelle sue malinconiche meditazioni, sente
fermare una carrozza alla sua porta. Se gli annunzia un incognito, che
chiede di parlargli. Si fa entrare: era questi un uomo d'una certa età,
che aveva tutte le apparenze d'una persona di distinzione. _Io sono
incaricato_, disse quel forestiero, _da un uomo di gran considerazione
di venire da voi._ _Chi è costui?_, interruppe Mozart — _Egli non vuol
esser conosciuto_ — _Benissimo, e che brama egli?_ — _Vien questi di
perdere una persona a lui molto cara, e la cui rimembranza gli sarà
sempremai preziosa: vuol celebrare ciascun anno i suoi funerali, e vi
prega a comporre un Requiem per tal funzione._ Mozart s'intese penetrar
vivamente da questo discorso, dal tuon grave con cui proferivasi,
dall'aria misteriosa di tutta cotesta avventura. La disposizione del suo
animo accresceva vie più siffatte impressioni, e promise di fare il
_Requiem_. Proseguì l'incognito: _Impiegate in quest'opera tutto il
vostro genio: voi faticate per un buon intendente di musica._ — _Tanto
meglio._ — _Quanto tempo vi abbisogna?_ — _Quattro settimane_ — _Eh
bene! io tornerò da qui a questo tempo: qual prezzo esiggete voi della
vostra fatica?_ — _Cento ducati._ L'incognito numerogli la somma sul
tavolino, e disparve. Mozart resta per alcuni momenti immerso in
profonde riflessioni: ad un tratto dimanda da scrivere, e malgrado le
rimostranze di sua moglie si mette a comporre. Proseguì per più giorni
oltre l'ordinario a faticare e giorno e notte: ma la sua macchina non
potè resistere a questo sforzo. Svenne un giorno senza conoscenza, e fu
costretto a sospendere la composizione. Alcun tempo dopo, trattenendosi
con la moglie su i funesti pensieri che l'occupavano, confidolle di
esser ben persuaso, che travagliava a quella messa per servire a' suoi
funerali, e che credeva certo di avere avuto il veleno. Nulla potè
frastornarlo da quell'idea, e rimesso alcun poco de' suoi sfinimenti,
proseguì a faticare al suo _Requiem_, come Rafaello travagliava al suo
quadro della Trasfigurazione, colpito ancora dall'idea d'una vicina
morte. Mozart sentiva diminuir le sue forze; e 'l suo travaglio avanzava
lentamente; già erano scorse le quattro settimane che aveva dimandato, e
vide entrare un giorno in sua casa l'incognito: _Non mi è stato
possibile_, gli disse Mozart, _di mantener la parola._ — _Non vi prendete
pena_, rispose il forestiero, _quanto tempo ancor vi bisogna?_ — _Quattro
altre settimane. L'opera mi ha inspirato più interesse di quel che io
credeva: e molto più l'ho sentito di quel che volessi._ — _In questo caso
egli è giusto di crescere la vostra paga. Ecco cinquanta ducati di
più._ — _Signore_, disse Mozart vie più sopraffatto, _chi siete voi
dunque?_ — _Ciò non fa niente al caso, io tornerò di qua a quattro
settimane._ Mozart spedì tosto al partir di costui un suo domestico per
andar dietro a quest'uomo singolare, e sapere dove anderebbe a fermarsi,
ma questi nulla potè rintracciare. Saltò allora in capo al povero
Mozart, che non era costui un essere della comune, ch'egli aveva certo
relazione con l'altro mondo, e che eragli spedito dal cielo per
annunziargli il suo prossimo fine. Non travagliò frattanto con meno
ardore al suo _Requiem_, ch'egli riguardava come il più durevole
monumento del suo genio. Nel corso della fatica ricadde più volte in
peggiori svenimenti, ma l'opera fu compiuta prima delle quattro
settimane. Il giorno di sua morte fè portare il _Requiem_ dinanzi al suo
letto: _Non aveva io ragione_, sclamò egli in mezzo alle lagrime,
_quando affermava che per me componeva questo Requiem?_ Egli era questo
l'ultimo addio alla sua famiglia ed all'arte. Mozart morì a 5 dicembre
del 1792, non compiti ancora i 36 anni di sua vita. Tornò l'incognito al
termine convenuto, ed egli più non esisteva: gli si consegnò quella
musica, ma la vedova avevane conservata la partitura. Questo gran genio
non parlava mai delle sue opere, e solo qualche volta per giudicarne con
severità. Componeva in mezzo a' suoi amici, e passava le intiere notti
al travaglio: non poteva alle volte compire un'opera se non allo stesso
momento che bisognava eseguirsi: ciò gli avvenne nella sinfonia del _don
Giovanni_. Non la compose egli se non la notte avanti della prima
rappresentazione, ed allorchè erasene fatta la prova generale. “Mozart
in ispecie, _dice il D. Lichtenthal_, fu quel genio unico, che prevalse
in tutti i generi della musica, cosa che non si trovò in tutti i suoi
antecessori, nè forse si troverà mai più. Egli fu quello il quale
rigettò tutti i principj che assoggettavano la maniera libera di
comporre che si usò prima. Egli guidò co' voli del suo genio ad una
riforma universale sul gusto delle note, e il suo genio ordinò quei
quadri ne' quali, onde raccogliere il tutto d'una situazione ricca di
sentimenti, aveva con tanta fantasia e perspicacia inseguito ogni minimo
sentimento, sino al più impercettibile grado, ed egli quindi regnò, per
la sua vasta conoscenza dell'arte pratica in tutto l'ambito del sistema
musico.” La sua musica, dalla sinfonia sino a quella de' balli, dei
drammi serii e burleschi sino alle semplici canzoncine, è tutta
eccellente. Quel che più vi si ammira egli è una prodigiosa fecondità di
motivi franchi e felici, di sviluppamenti che si succedono con molta
destrezza, e nei quali il più profondo travaglio nulla nuoce alle
grazie; egli è questa una nuova ed abil maniera di usar dell'orchestra e
degli istromenti da fiato; e finalmente, uno straordinario talento per
trasportare nell'accompagnamento le ricchezze dell'armonia, con una
espressione, una forza ed un'immaginazione che non ha pari. Un genio
così strepitoso non poteva non produrre il più vivo entusiasmo. Commossa
da' di lui fortunati successi la servile greggia degli imitatori si è
precipitata sulle sue tracce; ma, come avviene assai volte, nelle loro
mani le bellezze del modello degenerarono in difetti: null'altro eglino
han fatto che rappezzare dei motivi sciapiti e triviali, con una penosa
fatica ed una affettazion pedantesca: come Mozart, hanno eglino
sopraccaricati i loro spartiti di tutta la massa degli instromenti, ma
non hanno saputo trarne, com'egli, veruno effetto: il loro canto, da
nulla per altro, ed insignificante, è rimasto soffogato del fracasso
dell'orchestra. Si sono essi dimenticati che due condizioni formano il
compositore perfetto: il _genio_ che è innato, e la _scuola_ che è il
risultato dello studio ben diretto. Mozart, tra i compositori di musica,
stimava a preferenza gli Italiani, come Leo, Durante, Porpora, Al.
Scarlatti, ma del pari il più celebre tedesco Hendel. Egli sapeva a
memoria le principali opere di questo gran maestro: apprezzava anche
molto il Jommelli. _Quest'artista_, diceva egli, _ha de' luoghi dove
brilla, e brillerà per sempre; ma non avrebbe dovuto uscirne, come
allorquando volle fare musica da chiesa sull'antico stile._ Riguardo a
Vincenzo Martin lo Spagnuolo, autore della _Cosa rara_, che era allora
in gran voga: _vi sono_, egli diceva, _in questa musica delle cose assai
belle: ma di quà a vent'anni, niuno vi farà più attenzione._ Vi sono
nove opere di Mozart con parole italiane: _Mitridate_; _Lucio Silla_;
_Idomeneo_; e _la clemenza di Tito_, drammi serj; e la _Finta semplice_;
_la Finta Giardiniera_; _le Nozze di Figaro_; _il Don Giovanni Tenorio_,
e _Così fan tutte_, burleschi. Tre altre opere con parole tedesche: _Il
Ratto dal Serraglio_, _il Direttor de' spettacoli_; ed _il Flauto
Magico_, ove vi ha un terzetto de' preti che incomincia _O Iside ed
Osiride_ scritto nello stile di chiesa, di cui così ragiona il Sig.
_Niemetschek_ nel suo libro intitolato: _lo Spirito di Mozart_. “O
discepoli della musica! se avete studiato la partitura _di tal capo
d'opera_ fino a questo sublime e commoventissimo punto; e se la gioja
quieta che spira, e quella purezza di effetti, quel dolce scioglimento,
non vi hanno invaso l'anima con simpatico calore, nè strappata una dolce
lagrima dagli occhi; disperate pure per sempre! Non avrete mai il sacro
dono di commovere i cuori, poichè la dispensiera delle gioje, Natura, vi
ha negato l'eco delle più soavi armonie, che la sua magica onnipotenza
diffonde.” In Palermo siamo debitori al Sig. barone Pisano uomo di genio
e di gusto, intendentissimo di questa bell'arte, di averci fatto
conoscere la divina musica del Mozart. Egli è stato il primo tra noi,
che si sia provvisto di alcune delle sue opere, e precisamente del _Don
Giovanni_, e del sullodato dramma, come anche del famoso _Requiem_.
Quest'ultimo è stato per ben tre volte eseguito da numerosa orchestra
nello scorso novembre in questa Capitale, in occasione de' solenni
funerali di S. M. la Regina, con riscuotere l'entusiasmo, il piacere e
gli applausi di tutto il pubblico. Chi desidera de' più minuti dettagli
intorno a Mozart e le sue opere, potrà consultare M. Schlichtegroll, nel
_Necrologio allemanno_ del 1793, t. II, e M. Ginguené nel t. 31 della
_Decade Filosofica_; _Lo spirito di Mozart_, in tedesco del professore
Niemetschek, e la _Notice sur Mozart_ di M. de Sèvelinges, in fronte
alla partitura del _Requiem_, impressa in Parigi nel 1805.

MOZART (Leopoldo), padre del precedente, fece i suoi studj a Salisburgo,
e nel 1743 fu ammesso nel corpo de' musici della cappella
dell'arcivescovo, come musico della corte. Egli era buon compositore, e
suonator di violino: nel 1762, ebbe il posto di sotto-direttore della
cappella di quel principe. I doveri del suo impiego alla cappella ed
alla corte non assorbivano tutto il suo tempo: e buon teorico ne impiegò
il resto a dar lezioni di composizione musicale, e di violino. Nel 1756
pubblicò ad Ausburgo un'opera col titolo: _Versuch eines_ ec. ossia
_Saggio di una scuola fondamentale di violino_, di cui ne fu fatta una
traduzione in francese da Valentino Rouser nel 1770. Secondo la
testimonianza de' più gran maestri, questo metodo ha servito a formare
tutti gli eccellenti violinisti della Germania nella seconda metà del
sec. 18, il che è un sufficiente elogio di quest'opera. Egli scrisse
ancora dodici oratorj, ed altri pezzi per teatro, oltre la musica per
chiesa e alcune sonate per cembalo impresse nel 1759. Il giovinetto
_Mozart_ figlio di Giov. Crisostomo, e nipote di costui fa onore
all'illustre nome di questa famiglia in Vienna colle sue composizioni, e
nel 1806 egli, e la vedova madre, come narra il Carpani, “solennizzarono
il giorno natalizio di Haydn con un concerto che diedero al teatro della
Wieden, e _Mozart_ il giovane vi produsse una sua cantata in lode del
sommo maestro che aveva indicate le vie del bello instrumentale al non
men celebre suo genitore, e il pubblico accolse come doveva questo
omaggio reso a un grande uomo dal figlio d'un suo grand'emulo, seguace e
rivale.” (_Letter. 14_)


MURIS (Giov. de), canonico della chiesa di Parigi e dottor della Sorbona
fioriva sul principio del decimoquarto secolo. Egli applicossi alla
musica, su la quale scrisse alcuni trattati assai buoni per quell'epoca
che trovansi inserti nella pregevole Collezione dell'Ab. Gerbert nel
vol. terzo. Nella _Summa Musicæ_, tratta egli della musica, de' suoi
inventori, delle sue diverse specie, delle proporzioni e degli
intervalli. Nella _Musica speculativa_, insegna l'arte di ben situare le
voci, ed i mezzi per accordarle insieme: parla quindi del monocordo,
della sua divisione, degli istromenti, della musica pratica, delle note,
e delle loro figure. Il di lui trattato _de Musicâ theoricâ_ porta la
data dell'anno 1323. Il p. _Jumilhac_ nel suo libro intitolato: _l'Art
du plainchant_, in 4.º a Paris 1673, dà un estratto della dottrina di
questo autore. M. Rousseau ne ha parlato nel suo Dizionario con molta
inesattezza, ed in maniera a far credere ch'ei non l'abbia mai letto. Il
principe ab. Gerbert ha rilevati molti abbagli de' Scrittori intorno a
Giov. de Muris, fra gli altri quello di averlo spacciato inventore del
canto misurato, quantunque sia a costui anteriore di tre secoli.



N


NANI (Emmanuele), nato in Malta circa 1770, da Angelo Nani veneziano,
celebre violinista e discepolo del famoso Nazari: suo padre fecelo
applicare agli studj delle lettere, destinar volendolo al foro, in cui
si era fatto buon nome in Venezia il suo avolo Girolamo Nani: ma sin da'
primi anni dimostrò egli gran trasporto per la musica e pel violino,
onde si mosse il di lui padre a dargli, benchè di raro, qualche lezione,
ma i progressi ch'egli vi fece, furono così rapidi, che in meno di due
anni fu in istato di eseguire nel teatro di Malta una sinfonia
concertata a due violini obbligati, facendo gli _a solo_ egli e suo
padre. Riscosse allora i più distinti applausi non che de' Cavalieri
dell'ordine, ma da' più bravi professori, che in gran numero quivi
risiedono. Portossi egli di poi in Italia, e benchè assai giovane, fu
per alcun tempo primo violino e direttore dell'orchestra nel teatro di
Camajore nello stato di Modena, dove trovavasi impresario dell'opera
buffa un certo Azzarello palermitano, suonator di contrabbasso. In
occasione della gran festa di Lucca in Settembre, Nani volle condurvisi;
e dopo essersi esposto all'esame solito farsi per essere ammesso nella
gran musica, vinse in quello il suo rivale, e sonò da primo violino del
concertino. Quivi egli ebbe degli applausi, e venne chiamato per sonare
_a solo_ nel palazzo del Doge insieme col cel. Rolla e con Rovalli e
Gros virtuosi in quell'epoca del duca di Parma. Egli sorpassò la comune
espettazione nell'esecuzione di un suo concerto, ed i fogli di quel
tempo dandone avviso celebrarono la chiarezza del suo suono, la
rotondità e dolcezza insieme della corda, ed una singolare giustezza
nell'esecuzione. Tornato in Malta acquistossi la celebrità di un deciso
ed esatto improvvisatore sul suo instrumento: e di un suonatore di brio
e di gusto: egli volle apprendere eziandio il contrappunto sotto il
bravo maestro _Vincenzo Anfossi_, e pubblicò varie sue composizioni di
musica sì vocale, che instrumentale. Passò quindi come virtuoso di
camera al servigio di S. A. il principe de Rohan, e viaggiò seco sino in
Costantinopoli ed in Francia, d'onde scoppiata essendo la fatale
rivoluzione del 1789, partì per l'Italia, ed indi per Sicilia. Egli si
trova attualmente stabilito in Catania, come primo violino di quel
teatro e della cattedrale, ove gode di un'ottima riputazione presso il
pubblico.

NANINI (Giov. Maria), da Vallerano, condiscepolo ed amico del
Palestrina, studiò il contrappunto sotto Rinaldo del Mell. Circa 1577,
era cantante nella cappella del Papa, dove conservansi le sue eccellenti
composizioni. Fu quindi il successore di Palestrina, come maestro di
cappella di _S. Maria Maggiore_. Antimo Liberati fa anche menzione di
_Bernardino Nanini_ minore fratello di Giovanni, e dice che le di lui
composizioni brillavano per il genio e l'originalità. Il P. Martini
rapporta nel t. 1 della sua storia _un Trattato di contrappunto con la
regola per far contrappunto a mente_, che ha ambidue per autori.

NARDINI (Pietro), nato in Livorno nel 1725, fu il più rinomato e 'l più
diletto scolare di Tartini, presso il quale soggiornò lungamente in
Padova. Di lui e di Pagin, dice il Conte di S. Raffaele, “con paterna
tenerezza faceva menzione il Tartini, dai quali nel pregio della
esecuzione ei confessavasi vinto; e confessavalo con quella patriarcal
lealtà ch'è un troppo raro fenomeno a dì nostri.” (_Dell'Arte del
suono_). Nardini, dopo di essere stato alla corte del duca di
Vittemberga come suo virtuoso, venne nel 1767 a Livorno, ove compose
quasi tutte le sue opere: portossi quindi in Padova nel 1769, per
rivedere il suo maestro Tartini, e ne prese una particolar cura nella
sua ultima malattia, mostrandogli la tenerezza di un figlio. L'anno
d'appresso entrò egli al servigio del gran duca di Toscana, come primo
suo violinista in Firenze, dove nel passaggio dell'imperatore Giuseppe
II ebbe l'onore di eseguire in sua presenza molti concerti: questo
principe in attestato della sua soddisfazione gli fè dono di una scatola
d'oro riccamente smaltata. Nardini brillava principalmente
nell'esecuzione degli _adagio_: alcuni, che l'hanno conosciuto,
assicurano che allorquando si sentiva senza vederlo, tale era la magia
del suo arco, che pareva sentire una voce piuttosto anzichè un
istromento. Lo stile delle sue sonate è sostenuto, chiare ne sono le
idee, ben condotti i motivi, ed espressivi e naturali i sentimenti, ma
analoghi al carattere serioso dell'autore. Evita il difficile, e tutto
sta il suo fare nell'arte e nel maneggio dell'arco, ch'egli possedeva
nell'ultima perfezione. Ecco perchè le sue sonate non fanno più lo
stesso effetto, se eseguite non vengono secondo la sua scuola. Veggasi
il _Saggio sul gusto della musica_, del Sig. Rangoni, Livorno 1790, in
12º. Nardini morì in Firenze nel 1796.

NASELLI (don Diego), della famiglia de' principi di Aragona, nobile
palermitano, allievo di Perez per la musica, alla di cui protezione ben
può dirsi che dovette questo maestro la sua fortuna. Il Cavalier Naselli
studiò così profondamente la musica, che compose più opere per i teatri
d'Italia, che ebbero allora grande incontro. Non volendo però comparirne
autore, facevale correre nel pubblico sotto il nome di _Egidio Lasnel_,
anagramma del suo vero nome. L'_Attilio Regolo_ rappresentossi con sua
musica in Palermo nel 1748, e il _Demetrio_ in Napoli nel 1749.

NASOLINI, compositore italiano nato circa 1767, ha scritto la musica di
più drammi in diverse città dell'Italia con buon successo. L'_Andromaca_
fu da lui composta in Londra nel 1790. Invitato a scrivere per il
carnovale del 1798 in Venezia, in vece di occuparsi della composizione
della sua opera, si diè ai divertimenti ed a' stravizzi con tale
eccesso, che ne divenne la vittima, e morì pria che avesse potuto
terminare la sua musica. Nel magazino di Ricordi si trova di lui la
_Merope_, dramma serio, e li _Opposti caratteri_ burlesco.

NAUMANN (Amedeo) nacque a Blasewitz nel 1745. Mostrato avendo dalla
prima età delle disposizioni straordinarie e de' gran talenti per la
musica, cominciò a studiarla dapprima in Dresda, e nell'età di 13 anni
venne a tale oggetto in Italia senz'altro ajuto che i suoi talenti e la
sua fortuna. Giunto in Padova, il cel. Tartini graziosamente lo accolse,
e gli diè delle lezioni. Dopo otto anni di soggiorno in Italia, la brama
di rivedere la patria, i parenti, gli amici, e di consacrare al servigio
del suo principe i talenti che aveva acquistati, lo determinò a mandare
a suo padre una delle sue composizioni, pregandolo di farla giungere
alla corte. Per soddisfare alla sua dimanda, sua madre portossi a Dresda
ed ebbe la buona fortuna di consegnarla alle mani dell'elettrice vedova
M. Antonietta. Questa principessa assai dotta nella musica, avendo
scorso quella composizione alla presenza della madre di Naumann, le diè
congedo con dirle che dubitava molto che fosse quella una vera
composizione del giovinetto, ma che ne prenderebbe informazione.
Assicuratasi quindi della verità mercè le testimonianze unanimi de'
migliori professori di musica dell'Italia, ai quali aveva fatto
scrivere, e che convenivan tutti nel fare l'elogio di quel giovane
virtuoso, essa gli inviò la sua nomina alla cappella di Dresda, alla
quale unì insieme la somma necessaria pel suo ritorno. Naumann
affrettossi allora di ritornare alla patria nel 1766. Questo viaggio non
fu frattanto che una visita passeggiera, stanteche i suoi impegni in
Italia ve lo richiamarono alcun tempo appresso, e dopo un secondo
soggiorno di due anni in questa patria delle arti, tornò a Dresda e vi
ottenne il posto di maestro di cappella in attività di servigio. Pur
nondimeno nel 1768 egli venne in Sicilia, e scrisse in Palermo
l'_Achille in Sciro_, che piacque moltissimo. In questa Capitale era
seco il cel. Schuster allora assai giovane, e mi ricordo, benchè fossi
io allora molto ragazzo, che Naumann invitò un giorno mio Padre a
sentire in sua casa alcuni suoi concerti, ed una sinfonia di Schuster;
io vi fui condotto ed ho presente tuttora la fisonomia di ambidue questi
grand'uomini. Nel 1774, Naumann fece un terzo viaggio in Italia, e
scrisse pel teatro di S. Marco in Venezia _le Nozze disturbate_, dramma
comico; _l'Isola disabitata_, e _l'Ipermestra_ di Metastasio; il
_Solimano_ di Migliavacca, per il teatro di S. Benedetto. Scrisse ancora
a Copenaghen nel 1785 _l'Orfeo_ in lingua danese, che ebbe quivi tale
successo, che la corte gli offrì il posto di maestro della cappella
reale, con le più vantaggiose condizioni, ma il suo amore per la patria
gli fece ricusar queste offerte, e l'elettor di Sassonia ne lo
ricompensò nominandolo capo, e direttor generale della cappella di
Dresda, con l'onorario di tre mila scudi. Alcuni anni prima della sua
morte egli si era consecrato quasi esclusivamente alla musica di chiesa.
Egli ha posto in musica quasi tutti gli Oratorj di Metastasio, un _Te
Deum_, 18 messe, vespri, litanie, mottetti ec. per la corte di Dresda.
Nel 1801 passeggiando nella villa elettorale finì subitamente di vivere
colpito di apoplesia. Il celebre Wieland ha dato nel nuovo Mercurio
allemanno del 1813, un interessante ragguaglio della vita di Naumann; e
nello stesso anno Meisner pubblicò alcune memorie per servire alla di
lui biografia, in un vol. in 8vo. Tutta la di lui musica si distingue
per una melodia dolce e naturale conforme alla buona scuola italiana, e
la sua armonia per quella chiarezza e semplicità d'instromentale, che di
rado si trova presso i compositori tedeschi.

NAUZE (Louis de la), dell'Accademia delle Iscrizioni e Belle-Lettere di
Parigi, nel di cui tomo X vi ha di lui _Dissertation sur les chansons de
l'ancienne Grèce en deux Mémoires_ 1733, n. 18 e 9. Egli tratta questa
materia con molta esattezza ed eleganza.


NEEFE (Cristiano) nacque a Chemnitz nella Sassonia nel 1748; studiò il
dritto e nello stesso tempo la musica in Lipsia, sotto il maestro di
cappella Hiller. Animato dalla costui approvazione intorno ad alcune sue
composizioni consacrossi interamente alla musica, e pose in note più
drammi comici per il teatro di Lipsia con tal successo, che ottenne il
posto di direttor della musica. Fu quindi maestro di cappella della
corte dell'elettore di Colonia a Bonn, e nel 1783 il suo onorario
montava alla somma di 2400 franchi. Nel Museo allemanno del 1776 vi ha
una sua _Dissertazione su le ripetizioni in musica_; e nel Magazino di
Cramer an. 1783, un'altra _Dissertazione sullo stato della musica a
Bonn_. (_V. Gerber_).

NEIDHART (Giov. Giorgio), maestro di cappella del re di Prussia a
Konisberga, morto nel 1740, è autore di un'opera tedesca che
ha per titolo: _Divisione perfetta e mattematica del canone
diatonico-cromatico, e temperato del monocordo_, 1732, con un rame di
figure. In essa mostra l'A. di qual maniera si possono trovare tutti i
temperamenti, ed esprimerli per via di linee e di cifre. Se n'è fatta
una seconda edizione in Lipsia nel 1734.

NEUKOMM (Sigismondo), nato a Salisburgo nel 1778, cominciò ad apprender
la musica all'età di sei anni, ma non lasciò di fare gli altri studj
nell'università di Salisburgo, e suo padre professore in quella di
calligrafia mostrò somma diligenza per la sua educazione scientifica e
musicale. Sua madre essendo in parentela con la moglie del maestro di
quella corte Michele Haydn, costui con quella bontà, che ne distingueva
il carattere, prestò l'opera sua nell'insegnargli la composizione, e lo
impiegò nelle sue funzioni come primo organista della corte. Nel 1798.
Neukomm portossi in Vienna, ove Giuseppe Haydn, sulla raccomandazione di
Michele suo fratello, lo accettò come allievo. Profittò egli per il
corso di sette anni di tale inapprezzabile fortuna, procurando sempre di
meritare in qualche maniera le buone grazie di sì gran maestro, che dal
canto suo lo trattò come un suo figlio. Nel 1804 si rese egli a
Pietroburgo, dove appena giunto fu nominato maestro di cappella e
direttore dell'opera, ma i rigori di quel clima nocendo alla sua salute
gli fu d'uopo rinunziare quel posto, e andarsene via. Nel 1807 fu eletto
membro dell'accademia reale di musica a Stockolm, e l'anno di appresso,
della società filarmonica di Pietroburgo. Tornato in Vienna ebbe la
sorte di abbracciare il suo caro maestro quattro mesi prima che fosse
morto. Da lì passò egli in Francia nel 1810. Neukomm si è provato in
tutti i generi, come far dovrebbe ogni giovane artista per indovinar
quello a cui è destinato dalla natura; egli ha creduto aver delle
disposizioni per il grave. Disperando di fare una sinfonia, che star
potesse a fronte di quelle di Haydn, e di Mozart, rinunziò del tutto a
tal genere di musica, e compose dei capricci a piena orchestra. Egli ha
scritto eziandio molta musica vocale sì latina, che tedesca, francese,
italiana, e russa; e molte opere per il forte-piano, e diversi
instromenti da fiato.

NEUSZ (Arrigo), dopo aver fatti de' profondi studj in più scienze, non
cominciò a studiar la musica che dopo il cinquantesimo anno di sua età.
Egli prese delle lezioni di contrappunto, e di composizione da
Bokemeyer, e vi fece tali progressi, che compose della musica per chiesa
a 4 voci, con successo eseguita nella chiesa di Wernigerode, dove era
egli primo pastore, ed eforo della scuola di quel paese. Pubblicò in
oltre una dissertazione _Dell'uso, e dell'abuso della musica_, che si
trova in fronte dell'opera di Werkmeister _della nobile dignità della
musica_ 1691. Lasciò ancora manoscritto un _Trattato sulla Musica_ in
4º: cap. 1. Dell'eccellenza della musica; 2. del suo uso ed utilità;
3. del suo abuso; e 4. sulla maniera di organizzare una musica.


NICHELMANN (Cristoforo), dopo avere appreso i principj della musica nel
suo nativo paese, fu dal padre suo, che rimarcato aveva i suoi talenti
per quest'arte, mandato a studiarla nella scuola di S. Tommaso in Lipsia
sotto la direzione del gran Seb. Bach nel 1730, ed il primo figlio di
costui insegnogli principalmente il cembalo, e lo guidò ne' suoi primi
saggi di composizione. Prese quindi in Hamburgo delle lezioni da tre
celebri maestri, Keiser, Telemann e Mattheson: nel 1740, stabilitosi in
Berlino fecesi istruire da Graun nella composizione, ed avendovi fatto
de' gran progressi, entrò nella corte del re di Prussia come suo
cembalista e musico di camera. Nel 1749, in occasione della disputa
sulla musica francese ed italiana, egli scrisse la sua opera pubblicata
quindi a Danzica nel 1755 con questo titolo: _La mélodie d'après sa
nature et ses qualités avec 22 planches._ Un anonimo confutolla con
veemenza in uno scritto intitolato: _Idées d'un amateur de musique_, in
4º, al quale rispose Nichelmann con un libro pieno d'ironia sotto il
titolo di _Excellence des idées de M... analisée par un amateur de
musique_. Egli morì nel 1761. Marpurg nelle sue _Memorie storiche e
critiche_ rapporta il catalogo delle di lui composizioni.

NICOLAI (Ernesto Ant.), dottore in medicina a Halle pubblicò nel 1745,
_Verbindung_ etc., ossia _Dissertazione sull'unione della musica con la
medicina_, ove ragiona degli effetti di quella sul corpo dell'uomo. (_V.
Lichtent. p. 82_)

NICOLAI (Federico), dotto librajo di Berlino, quivi nato nel 1733. Nella
_Relazione de' suoi viaggi_ le osservazioni, ch'egli fa sulla musica,
provano l'estensione delle sue cognizioni in questa facoltà. Le memorie
ch'egli rapporta sulla musica di Vienna, e con ispezialità intorno al
celebre Gluck, meritano di esser lette. Trovansi egualmente delle
notizie molto interessanti su i musici di Berlino nelle sue _Descrizioni
di Berlino, e di Potsdam_.

NICOLINI (Giuseppe), bravo compositore di musica per teatro attualmente
vivente in Napoli. Le sue opere sono molto graziose ed assai stimate, _I
Manlj_; _Abeniamet e Zoraide_; il _Trajano in Dacia_; il _Coriolano_,
drammi serj. _Il Trionfo del bel sesso_, e _le due gemelle_ burleschi,
si trovano nel magazino di musica del Ricordi in Milano.

NICOMACO, greco filosofo, viveva probabilmente verso la metà del secondo
secolo dell'era cristiana. Scrisse _un piano di musica_ pregato da una
dama, ch'egli chiama la più onesta donna dell'universo, e che volle da
lui essere instruita nella scienza armonica. Chiama egli il suo libro
_Manuale armonico_: il secondo annesso a questo dal Meibomio non segli
può giudiziosamente attribuire, essendo in esso citato Nicomaco
medesimo. “Nel primo si vede, _dice il Requeno_, che Nicomaco scriveva
da erudito, non mai da pratico nell'armonia, nè da esatto specolativo
nella pratica.” Le prove di questa proposizione possono leggersi con
profitto nel t. 1 de' di lui _Saggi_, p. 304. “Benchè Nicomaco
(_soggiugne il Requeno_), sia di poco calibro ne' precetti, copiando
egli dagli antichi, ci lasciò però alcune scelte memorie dell'arte...
Non so come dica Meibomio nella prefazione a Nicomaco, che questo sia
l'unico pittagorico scrittore armonico, che ci rimane, essendo tutti
_quelli della sua collezione_ tutti seguaci del sistema musico di
Pitagora, fuori di Bacchio, o affatto, o in parte. Ciò non può essere
venuto in mente a Meibomio, se non per non aver esso intesi gli stessi
autori, che ci commenta.” p. 307-309. _I Grandi Comentarj_, che Nicomaco
cita di avere scritto sulla musica, non ci sono rimasti: alcuni
frammenti se ne trovano solo presso Porfirio e Jamblico. Secondo
quest'ultimo egli dee esser posto nel numero de' più grand'uomini
dell'antichità: egli lo chiama un uomo straordinario, che pochi autori
hanno uguagliato nelle scienze mattematiche: vanta la sua profondità, e
'l genio inventore, l'ordine, e 'l nesso delle sue idee, la precisione,
la chiarezza, e l'eleganza del suo stile. Ma allorchè si leggono i
frammenti che ce ne restano, si è sorpreso che i nuovi Platonici abbiano
potuto credere tutte codeste cose; se non che la conformità delle
opinioni possa solo far credere ad un insensato che un insensato, che
gli rassomiglia, è un grand'uomo (_V. Meiniers t. 1, p. 212_). Che altro
infatti reca Nicomaco della musica, che vani confronti delle voci, e
degli astri, ed inutili calcoli delle ragioni de' suoni?

NIEMETSCHEK, professore nell'università di Praga nel 1804, pubblicò in
tedesco _Lo Spirito di Mozart_, in 8º, dove alla biografia di questo
gran maestro fa egli succedere delle interessanti osservazioni sul genio
particolare delle di lui famose composizioni, e sulla profonda di lui
cognizione dell'effetto, e dell'impiego degli instromenti da fiato. A
questo esame unisce egli un'analisi ragionata di tutte le sue opere, che
fassi leggere con piacere e con profitto.

NIEMEYER (Augusto-Ermanno), professore di teologia a Halle, quivi nato
nel 1752, è autore di un'opera pubblicata a Lipsia col titolo di
_Pensieri sulla Religione, la Poesia, e la Musica_, 1807, e di alcuni
drammi sacri posti in musica da Rolle.

NIGETTI (Francesco), dotto musico italiano circa 1600 fu l'inventore del
_Cembalo onnicordo_, detto il _Proteo_. Per questa invenzione gode egli
d'una gran celebrità nella storia della musica in Italia, che di mano in
mano andavasi allora perfezionando (_v. Maffei Veron. illustr._).

NIVERS (Gabriele). Maestro della R. cappella di Luigi XIV, nato a
Parigi, si distinse principalmente per le sue opere teoriche. Vi ha di
lui: I. _Traité de la composition de la musique_, Paris 1668, e
Amsterdam 1697, in 8º. II. _La gamme du Si_, che servì molto in
quell'epoca a facilitare il solfeggio. III. _Dissertation sur le chant
grégorien_, Paris 1683, in 8º, che vien ricercata tuttora per le dotte
ricerche che vi si trovano. IV. _Traité de la musique des enfans_. Egli
morì assai vecchio nel 1670.


NOPITSCH (Guglielmo), attualmente direttore di Musica a Nordlingue,
nacque nel 1758. Egli è un eccellente sonatore di forte-piano, e di più
altri instromenti, e studiò la composizione sotto Riepel e Beck. Nel
1784, pubblicò a Norimberga un _Saggio di un libro elementare dell'arte
del canto, ad uso delle scuole normali_, con 6 tavole di esempj, in 4º.
Egli ha scritto ancora molte sonate per il piano, e nel 1787 un oratorio
a piena orchestra molto stimato.

NORTH (lord Franc. Guilford), barone di Kertling, fornito delle
cognizioni proprie di un uomo di gran nascita, morì a Wroxton nel 1685.
Tra le sue opere scritte in lingua inglese vi ha _Saggio filosofico
sulla musica_, 1677. Egli coltivolla ancora come arte, ed ha lasciate
molte composizioni di musica.

NOUGARET (Pietro) pubblicò in Parigi nel 1769, _de l'Art du théâtre_, 2
vol. in 8º. Egli vi tratta dottamente della musica drammatica.

NOVERRE (Giov. Giorgio), cavaliere dell'ordine di Cristo, nato in Parigi
coltivò con trasporto le arti, e con ispezialità la danza e la musica,
sulle quali ha lasciato de' capi d'opera. Noi non farem quì menzione che
delle sue lettere _Sur les arts imitateurs_, Paris 1807, in 2 vol. in
8º, che assicurano la sua riputazione letteraria, e le sue profonde
cognizioni sulla musica e la danza. Egli è morto a S. Germano nel 1810,
di ottantatre anni.


NUWAIRI (Ahmed), dotto Arabo in Egitto, e giudice del Cairo, morì nel
1352. Egli è autore di un'opera scritta in arabo col titolo di _Nekajot_
ec., cioè _Lo scopo del bisogno, ovvero Ricerche ne' diversi generi
delle scienze_. Non è ella in sostanza che un'Enciclopedia o un trattato
universale disposto per ordine di materie, che si conserva ancora nella
biblioteca di Leide. Nel terzo capitolo della seconda parte di
quest'opera molto pregevole per la letteratura araba, egli tratta del
canto e degli instromenti a corda; di ciò che ne han pensato i loro
principi e generali che hanno coltivato la musica; della storia de'
musici; di quel che saper dee un musico, e di quello che hanno detto i
loro poeti intorno alla musica ed agli instromenti.



O


ODINGTON (Walter), benedettino d'Evesham in Inghilterra circa 1240. La
sua opera _de Speculatione Musicæ_ non contiene che un commentario della
dottrina di Francone, con alcune spiegazioni per rapporto alla misura.
Egli era un buon filosofo e matematico de' suoi tempi.

ODOARDI (Gius.) d'Ascoli, cel. costruttore di violini morto in età di
soli 28 anni. Galeazzi ne' suoi _Elementi di musica_ (Roma 1791) nel
primo tomo pag. 81 rapporta ch'egli ne aveva fatti duecento, molti de'
quali non sono in nulla inferiori ai migliori di Cremona.


OEDER (Luigi), consigliere di finanze del duca di Brunswick, morto in
questa città nel 1776, è autore di un trattato d'acustica col titolo:
_De vibratione chordarum_, Brunswick 1746 in 4º.

OELRICHS (Conrado), dottore in dritto, e celebre in Germania per la
quantità delle sue opere di letteratura, e di diplomazia. Nella sua
gioventù si era egli proposto di scrivere una Storia generale della
musica, e fornito si era di una numerosa collezione di opere sulla
musica, nella quale molte rare dissertazioni trovavansi sopra diversi
rami della medesima, di cui può vedersi il catalogo nel 3º vol. delle
_Lettere critiche_; ma non recò a fine quest'idea, nè altro vi ha di lui
su questo soggetto che _Notizia istorica delle dignità accademiche nella
musica, e delle accademie e società musicali_, Berlino 1752 in 8vo.

OETTINGER (Federico), abate di Murrhard, tra le sue opere si distingue
per rapporto alla musica _Eulerische_ ec. ossia _Filosofia di Eulero e
di Frick sulla musica_, Neuwied 1761.


OGINSKI (Hettman), conte cavaliere di più ordini nella Lituania, da
semplice amatore ha portato ad un grado eminente il suono del
clarinetto, e nelle assemblee musicali di Pietroburgo nel 1764 eseguì
dei concerti e degli _a solo_ i più difficili in mezzo agli applausi
universali. Egli era in oltre molto abile sull'arpa, sul violino e 'l
piano-forte. Una rimarchevole particolarità della vita di quest'illustre
dilettante si è l'avere concepita l'idea dell'oratorio della
_Creazione_, ch'egli comunicò al famoso Haydn. Egli è autore dell'artic.
_Harpe_ nella prima Enciclopedia: morì a Pietroburgo circa 1789. Il
conte _Michele Oginski_ della stessa famiglia è tuttora un amatore
distinto e passionato per la musica, e suona a maraviglia di violino e
di forte-piano. Alcune sue composizioni sono state impresse a
Pietroburgo negli anni 1807 e 1809. Dodici sue bellissime polacche, e
molti romanzi musicali in Parigi 1811.


OLENO, nativo della Licia, celebre suonatore e cantatore fu il primo,
secondo Pausania (_in Phocid._), che diede oracoli a Delfo in vece delle
poetesse. Erodoto afferma, che tutti gli anni si suonavano e si
cantavano a Delo gl'inni di Oleno. Questo entusiasta, prima di ritirarsi
a dare degli oracoli, era solito a fare ogni anno un viaggio al tempio
di Apollo in compagnia di due pulite zitelle, le quali pregavano Lucina,
acciocchè ritrovasse loro presto un buon marito, essendo questo il fine
del loro viaggio. Oleno lavorò così belle composizioni, e con sì
graziosa musica le stese, che cantate dalle due zitelle la prima volta
nel tempio, gli scaltri sacerdoti pensarono approfittarne; e a questo
effetto fondarono a Lucina un'annua festa detta _dell'accelerazione_, in
cui si cantassero gl'inni di Oleno. Fiorì costui cinque secoli innanzi
l'era comune (_Requeno t. 1_).

OLIMPO, scolare di Marzia antichissimo musico della Grecia, di cui parla
Omero, (_V. l'art. di Marsia_), lavorò molte cantilene, chiamate da'
greci _nomi_, in onore degli Dei, che secondo Platone struggevano i
cuori. Il celebre inno armazio, d'uso fino all'età di Plutarco, è da
questo enciclopedista attribuito ad Olimpo. Aristosseno attribuì al
medesimo l'invenzione del genere enarmonico, dicendo che quanto si era
prima di Olimpo composto e cantato era stato lavorato nel genere
diatonico. M. Burette seguendo Plutarco e Suida ha moltiplicato gli
Olimpi fino a tre, ma come giudiziosamente riflette l'ab. Requeno, un
Olimpo, ch'ebbe il merito di molti, diede origine a tanti celebrati
racconti, e che, parendo incredibili tante invenzioni in un solo uomo,
le attribuirono i Greci posteriori a tre diversi.


ONSLOW (Giorgio), nato a Clermont di parenti Inglesi, unì sempre a'
studj più necessarj quello della musica con tale trasporto, che le si è
abbandonato quasi del tutto. Egli ebbe successivamente lezioni da Dussek
ed Hülmandel di forte piano, ch'è l'istromento più da lui coltivato: e
studiò in Londra sotto Cramer la composizione musicale. Egli ha composto
delle sonate per il piano, tre quintetti, e tre trio per il forte-piano,
violino e violoncello impressi in Parigi da M. Pleyel, ne' quali Onslow
ha saputo unire la scienza all'espressione ed al gusto.


ORGITANO, figlio di un maestro di cappella napoletano, allievo del cel.
Ferdinando Per, morì sul fior dell'età in Parigi nel 1812. Assai giovane
egli era stato in Palermo, e qualche sua composizione, che vi fece
sentire, dava molto a sperare che sarebbe egli divenuto eccellente. In
Parigi nel 1811 scrisse alcuni pezzi nel Pirro, che piacquero
moltissimo, e nel magazino di Ricordi vi ha di lui _Amore
intraprendente_, farsa.

ORLANDI, compositore vivente, allievo di Per; nel 1806 fu eseguita in
Parigi con successo la sua musica del _Podestà di Chioggia_, e nel
magazzino di musica del Ricordi si trovano di lui i seguenti drammi
burleschi: _le Nozze chimeriche_; _la Dama soldato_; _i Raggiri
amorosi_; _l'Amor stravagante_; _la Pupilla scozzese_; _i Furbi alle
nozze_; _il Sarto declamatore_; e le farse _l'Amico dell'uomo_; _il
Baloardo_; _il Matrimonio per svenimento_.


OTTANI (Bernardo), nato a Torino nel 1748, studiò il contrappunto sotto
il P. Martini, nel tempo del pubblico esercizio de' compositori di
Bologna l'anno 1770, fecevi eseguire un _Laudate pueri_, che a parere
del d.^r Burney ivi presente era pieno d'idee vivaci. Ottani fu
ammesso tra' membri della società filarmonica di Bologna: e tornato in
Torino divenne maestro di cappella della cattedrale. Vi ha di lui molte
composizioni per teatro e per chiesa: la sua musica del dramma burlesco
_il Maestro di Cappella_ si eseguiva su i teatri di Germania verso il
1790. Ottani è nel tempo istesso un abile pittore.

OTTO (Stefano), di Frieberg, è autore di più opere teoriche sulla
musica, di cui non ne rammenteremo che quella riferita da Mattheson, col
titolo di _Principj della musica poetica_, in 4 parti; la prima tratta
della natura dell'armonia; la seconda della cognizione de' suoni; la
terza delle divisioni, delle distinzioni, delle conclusioni, delle fughe
ec.; e la quarta de' modi, e della loro trasposizione. Mattheson dice
che quest'opera è stata scritta con molta profondità riguardo al tempo,
in cui comparve al pubblico. L'autore fioriva nel secolo 17.


OUVRARD (Renato), maestro in Parigi della S. Cappella, e quindi canonico
di S. Graziano di Tours, valentuomo nelle belle lettere, nella
filosofia, nelle mattematiche, nella teologia e nella musica, morì a
Chinon sua patria nel 1694. Le sue opere sulla musica sono: _Secret pour
composer en musique par un art nouveau_, Paris 1660. Egli avrebbe fatto
meglio, dice _Laborde_, di non svelare questo secret; _Historia musices
apud Hebræos, Græcos, Romanos_. Quest'opera mediocre è rimasta
manoscritta, come si vede dal catalogo dei MSS. della cattedrale di
Tours, stampato nel 1706.


OVERBECK (Giov. Daniele), rettore del ginnasio di Lubecca nel sec. 18.
Tra il gran numero de' suoi scritti non citeremo, che i seguenti i quali
hanno rapporto alla musica: _Risposta al cantante Ruez sulle espressioni
di M. Batten intorno alla musica_, 1754. _Vita di Gasp. Rung direttore
di musica_, Lubecca 1765, in fol. (_V. Marpurg, Lett. crit, t. 1_).



P


PACCHIAROTTI (Gaspare), soprano rinomatissimo nato in un villaggio
presso Roma nel 1750; cominciò la sua carriera musicale nel 1770. I suoi
talenti, la cultura del suo spirito, la sua bella figura lo fecero
brillare successivamente su' teatri di Palermo, di Napoli, di Lucca, di
Torino e di Londra. “Pacchiarotti, dice _M. Bridon_, vale moltissimo nel
patetico, che troppo oggidì vien negletto sulla più parte de' teatri,
più che altri dà egli dell'espressione alle arie, e fa maggiore
impressione su i spettatori, perchè sente profondamente quel che dice:
eccita le grida della sorpresa, e strappa le lacrime. Egli è cosa da
rimarcarsi, come l'espressione non lo allontani mai dalla misura: ha
ancora il merito di accentuar bene i recitativi.” Dopo essersi molto
arricchito, nel 1801 è tornato in Italia, e risiede abitualmente in
Padova.

PACHYMERES (Giorgio), nato nel 1242 a Nicea, ove suo padre di una delle
prime famiglie di Costantinopoli erasi rifugito, allorchè questa città
fu presa da' Latini. Dopo la costoro espulsione tornò colà non avendo
allora che 19 anni. Per più anni coltivato egli aveva tutte le scienze,
ed entrato nello stato ecclesiastico pervenne tosto alle più eminenti
cariche. Morì circa 1310. Oltre la sua storia ed altre opere
interessanti, abbiamo di lui _De armonicâ et musicâ. De quatuor
scientiis mathematicis, arithmeticâ, musicâ, geometriâ et astronomiâ_
(_v. Fabric. B. Gr. t. 6_).

PAER, o PER (Ferdinando) nacque in Parma nel 1774; dopo aver fatti i
suoi studj nel seminario di questa città, mostrando de' gran talenti e
sommo trasporto per la musica, andò a studiarla in Napoli sotto
Ghiretti, napoletano e compagno del cel. Sala, nel conservatorio _della
Pietà_. Egli cominciò assai giovane a scrivere per i teatri d'Italia, in
Venezia, a Padova, in Milano, a Firenze; a Napoli, a Roma, a Bologna ec.
Il duca di Parma, suo patrino diegli una pensione, e gli permise di
andare in Vienna, per comporvi delle opere. Alla morte di Naumann nel
1801, fu chiamato a Dresda come maestro della corte. La morte del duca
di Parma lo mise in libertà di accettare quel posto che l'Elettore gli
offrì per tutta la sua vita. Dopo la battaglia di Jena, Napoleone volle
Paer presso di se, e la di lui moglie eccellente cantatrice: egli si è
stabilito in Parigi in qualità di Direttore della musica e di compositor
della corte. Paer oltrepassa appena i 40 anni di sua età; è membro
dell'Accademia delle Belle-Arti di Napoli, e di quelle di Bologna e di
Venezia, ed ha già compito oltre a 38 opere, senza numerarvi le cantate,
le arie, le sinfonie, sonate ec. In Vienna egli scrisse _Bacco ed
Arianna_; _la Conversazione armonica_; _il trionfo della Chiesa_; _il S.
Sepolcro_; cantate per uso della difonta Imperatrice M. Teresa, figlia
del nostro Sovrano Ferdinando III, con la quale egli aveva l'onore di
cantarle, e quindi fu maestro per il canto della di lei figlia M.
Aloisa, principessa nata per tutte le arti, e principalmente per la
musica. Le sue opere per teatro sono note abbastanza per il pieno
successo, che da per tutto han meritato, e specialmente nella Germania
dopo i capi d'opera del Mozart. Noi ci dispensiamo di recarne il
catalogo, non essendovi teatro in Europa dove non si siano eseguite. La
facilità, che egli ha nello scrivere, mostra il genio, di cui a piene
mani lo ha arricchito la natura. “Paer, _dice il Carpani_, celiando fra
gli amici, parlando di mille cose, sgridando i domestici, disputando
colla signora e co' figli, ed accarezzando il cane, scrisse la
_Camilla_, il _Sargino_ e l'_Achille_” (_Lett. 13_). Il suo primo
figlio, che non ha al presente più di 13 anni, è già abilissimo sul
forte-piano: a nove anni eseguiva le più difficili sonate di Dussek, e
mostra di calcar le tracce di suo padre, ch'è insieme sonator
valentissimo, e compositore di prima sfera.

PAESIELLO (cav. Giovanni), nacque a Taranto nel 1741, e studiò per
cinque anni la musica in Napoli sotto il cel. Durante nel conservatorio
di S. Onofrio. Nel 1763 scrisse la sua prima opera per il teatro di
Bologna, e quindi molte altre e serie e buffe per quelli di Venezia, di
Roma, di Napoli, di Milano, e finalmente nel 1766, partì per la Russia
al servigio di Caterina II, con quattro mila rubbli di appuntamento, ed
altri nove cento come maestro della gran duchessa, l'attuale
imperatrice. Oltre a più composizioni per teatro, fece egli imprimere a
Pietroburgo le sue _Regole per l'accompagnamento sul forte-piano_, per
servigio di quella principessa. Di ritorno in Napoli, il Sovrano
Ferdinando III lo nominò suo maestro di cappella, con 1200 ducati
d'annuo stipendio. Dopo la rivoluzione in Napoli del 1799, venne egli in
Palermo, e dopo alcun tempo col permesso della corte si portò in Parigi,
dove era stato chiamato con le più magnifiche offerte, e dove fu
direttore della cappella, ch'egli provide de' più celebri artisti, e per
la quale scrisse sedeci gran messe, mottetti, ec. Dopo due anni e mezzo
di soggiorno in Francia, gli fu d'uopo tornare in Napoli, non
confacendosi il clima di Parigi alla sua salute; e tosto fu nominato
membro di quell'Accademia delle Belle-Arti, presidente della direzione
musicale del R. Conservatorio, con 1800 ducati d'onorario, e maestro
della cattedrale di Napoli. Egli è anche membro di più dotte società,
come dell'Accademia italiana residente in Livorno, di quella di Lucca,
della società detta _des Enfans d'Apollon_ di Parigi, e nel 1809 è stato
adottato onorario dell'Istituto Nazionale di Francia. Le sue
composizioni sono innumerabili sì per teatro, che per chiesa. “Il genere
del suo talento, le qualità che caratterizzano la sua musica, sono una
gran fertilità d'invenzione straordinaria, ed una facilità felicissima
nel trovare de' motivi pieni di naturalezza insieme e di originalità, un
talento unico a svilupparli per via della melodia medesima, e ad
abbellirli di dettagli sempre interessanti; una condotta piena sempre di
estro e di saviezza: un gusto, una grazia ed una freschezza di melodia,
per le quali ha sorpassato di molto gl'altri compositori, ed ha servito
di modello a tutti coloro, che han dopo di lui faticato. Il suo stile,
semplicissimo e senza alcuna affettazione di scienza, è sempre corretto
insieme ed elegante: i suoi accompagnamenti nitidi sempre e chiari sono
ad un tempo stesso brillanti e pieni d'effetto. In riguardo
all'espressione, comechè la soavità sembri essere il tratto principale e
dominante del suo carattere, sa egli tuttavia variare perfettamente i
suoi tuoni, abbracciare tutti i generi, e passare dal burlesco, dal
semplice, dal ridicolo al grandioso, al serio, ed anche al terribile,
senza perder mai nulla non pertanto della grazia e dell'eleganza, da cui
par che non si sappia dipartire. Tali sono le qualità, che hanno riunito
tutti i suffragi a suo pro, sì quelli del pubblico e degli amatori, come
quelli de' dotti e degli artisti: e che gli hanno assicurato gli omaggi
del suo secolo, e quelli della posterità” (_Choron, elog. de
Paesiello_). Il cel. Paesiello, dice Carpani, quando aveva disposta la
tessitura di una composizione, soleva dire come _Cornelio_ stesso, che
avesse lo scheletro d'una tragedia: _L'opera è fatta: non mi resta che a
scriverla._ Egli inculcava a' suoi scolari _che tutto sta nella
condotta, e che nelle sue composizioni nulla gli costava più di essa_.
L'artificio di scegliere da principio un passo gradevole, ed adottarlo
come caratteristico di tutta la composizione, è divenuto a lui tanto
proprio, che quasi forma la base del suo stile. “Questa ripetizione
dello stesso passo serve a dare un'unità, una tinta, un'armonia tale
all'opera, sia sacra, sia profana, che l'orecchio e il buon senso ne
restano ugualmente appagati.” (_Lett. 9_). Ho voluto a bello studio
riferire questa dotta riflessione del Carpani, perchè molti ho inteso io
lagnarsi scioccamente di tali ripetizioni del Paesiello, come di un
difetto. Graziosa è in oltre la maniera usata da questo grand'uomo nello
scrivere secondo lo stesso Carpani. “Il Paesiello, egli dice, non
saprebbe staccarsi dal suo letto componendo, e nacquergli fra le
lenzuola la _Nina_, _il barbier di Siviglia_, _la Molinara_, e
tant'altri capi d'opera di quel genio inimitabile” (_Lett. 13_).

PALESTRINA (Gian Pierluigi), il più rinomato maestro della scuola
Romana, nacque nel 1529 nella piccola città di Palestrina, che è
l'antica _Preneste_. Dopo di avere studiata la musica, sarebbe egli
rimasto nell'oscurità e nell'indigenza, se il suo genio non fosse
concorso a metterlo nel primo rango dei compositori. Ecco quale ne fu
l'occasione. Era allora la musica un vero arzigogolo, privo di
significato intelligibile, un dottissimo romore che nulla diceva
all'anima, e nulla poteva dirle: un armonioso problema acustico
inestricabile per l'orecchio. Tutto era fuga, canoni, intrecci; nè vi
era musica che nelle chiese. I compositori trascuravano assolutamente
l'espressione, e non si occupavano che in quelle sole ricerche d'onde
altro non risultavane che fracasso e buffonerie molto indecenti. Questi
abusi eccitato avevano da gran tempo le lagnanze delle persone di pietà,
e più volte si erano proposte di bandire interamente la musica dalle
chiese, e ridurla al canto fermo. Finalmente, Papa Marcello II circa
1555 venne al punto di fulminare il decreto dell'abolizione, quando il
Palestrina, cantore allora della cappella pontificia, il quale aveva
certo fatta riflessione su i vizj della musica di quel tempo, e
concepito aveva l'idea di un genere più convenevole alla maestà del
luogo, chiese il permesso al Papa di fargli sentire una Messa da lui
composta. Avendoglielo questi concesso, la di lui messa sembrò così
bella e così nobile, che il Papa rinunziò al suo progetto, confermò la
cappella pontificia purchè si cantasse su quel gusto del Palestrina. A
questo genio immortale, dice il Carpani, devesi l'odierna melodia, fu
egli che scosse il giogo della barbara scuola de' maestri fiamminghi,
che solo signoreggiava in tutta l'Europa. “Profondo com'era nella sua
scienza, semplificò, purgò, ingentilì l'armonia, ed introdusse nel
contrappunto una cantilena, grave sì, ma sensibile, continuata e
naturale. Il suo esempio fu seguito da altri, ed avvenne allora la
felice rivoluzione della musica di chiesa, che in parte dura tuttora. Il
vero bello non invecchia mai. Ho sentito io stesso in S. Pietro di Roma
della musica sacra del Palestrina, che incanta e par fatta jeri.”
(_Letter. 9_). Palestrina nel 1562 divenne maestro di cappella di S. M.
Maggiore, e dopo la morte dell'Animuccia nel 1571, della chiesa di S.
Pietro, che egli arricchì di un gran numero de' suoi capi d'opera. “La
semplicità e naturalezza della modulazione colla giusta e varia distanza
delle voci per rendere chiara e varia l'armonia sono le proprietà
singolari, che faranno eterne le opere del Palestrina.” (_Eximen. l. 3.
c. 8_). Morì egli a dì 2 febbrajo del 1594 e gli si fece l'onore d'esser
sepolto nella chiesa medesima di S. Pietro con l'epitafio _Musicæ
Princeps_. I più gran maestri han fatto somma stima delle di lui opere,
Burney, Reichardt, Marpurg, Choron, Eximeno hanno di recente fatto
imprimere alcune delle sue composizioni, e viene eziandio assicurato che
un eccellente contrappuntista di Roma si occupa al presente di raccorre
e pubblicare tutte le opere del Palestrina.

PALIONE (Giuseppe), nato in Roma nel 1781, applicossi alla musica sin
dal 1792. Fontemaggi in Roma, e Finaroli a Napoli furono i suoi maestri
di canto, di forte-piano e di composizione. Egli scrisse _La Finta
amante_ in Napoli; _le Due rivali_; _la Vedova astuta_; e _la Villanella
rapita_ per il teatro del principe Aldobrandini in Roma, che
incontrarono moltissimo. Attualmente egli trovasi in Parigi, dove sin
dal 1810 ha composto molta musica sì vocale, che stromentale.

PALMA, compositore napoletano, di cui Martinelli racconta il seguente
aneddoto. Un usurajo, al quale doveva egli una ragguardevole somma,
essendo venuto per farlo arrestare, Palma gli si mise a cantare dinanzi
accompagnandosi al cembalo. Il suo canto produsse tal effetto sul cuore
del creditore, che in vece di riscuotere il pagamento della somma,
consentì a prestargliene un'altra. Ciò che reca maggior maraviglia, come
osserva il Martinelli, si è che Palma fè quel prodigio tuttocchè fosse
infreddato: che non avrebbe egli fatto se avesse avuta la voce libera?
il che prova abbastanza il potere della musica. Costui fioriva nella
medietà dello scorso secolo. Vi ha vivente tuttora un altro cel.
compositore, Silvestro _Palma_, che verso il 1802 scrisse la musica del
dramma burlesco _La Pietra Simpatica_, nel quale si distingue una
graziosa polacca _Sento che son vicino_: vi ha ancora di lui una farsa:
_la Sposa contrastata_.

PAOLUCCI (P. Giuseppe), scolare del Martini in Bologna, era come costui
minor conventuale; fu dapprima maestro di cappella in Venezia e poi del
suo convento in Assisi, dove morì nel 1775. Egli è autore dell'_Arte
pratica di contrappunto_, 2 vol. in fol. Venezia 1765; che si ha in
conto d'una eccellente opera: rapporta degli esempj cavati da' migliori
maestri d'armonia, e vi unisce de' dotti comentarj. Eximeno, Sacchi, e
Martini lo citano con elogio.

PARENTI (Francesco), nato in Napoli nel 1764, studiò il contrappunto
nel conservatorio _della Pietà_ sotto Sala, l'ideale con Giac. Tritta, e
l'accompagnamento col maestro Tarantina. Egli ha scritto in Italia della
musica sopra drammi serj e burleschi, che ha avuto del successo,
principalmente in Roma dove si giudica a tutto rigore dei Compositori:
_Antigono_; _il Re pastore_; _la Nitteti_, e l'_Artaserse_; _la
Vendemia_; _il matrimonio per fanatismo_; _i Viaggiatori felici_. Nel
1790 egli portossi in Parigi, e dopo avere scritto per il teatro
dell'Opera Comica, nel 1802 ne divenne il maestro di cappella e direttor
della musica. Egli dà quivi lezioni di canto secondo il metodo di _la
Barbiera_, detto _il Siciliano_ e maestro della Pietà.

PARRAN (Antonio), gesuita, diè al pubblico _Traité de musique, contenant
les préceptes de la composition_, Paris in 4º, 1746. Quest'opera, male
ideata e peggio compilata, non ebbe che un'efimera riputazione.

PASQUALI (Niccolò) nel 1762 pubblicò in Amsterdam una mediocre
istruzione sull'accompagnamento, col titolo: _La Basse-continue rendue
aisée_. Lustig dopo dieci anni ne diè una seconda edizione con
aggiungervi molti esempj, in francese ed in olandese. Comparve anche in
Londra col titolo: _The thorough Bass made easy, by Pasquali_, in fog.
1780.

PASSERI (Giov. Battista) nacque in Farnese nel 1694, fu discepolo del
cel. Gravina in Roma; ed intimo amico del Metastasio, del Rolli, e
d'altri de' primi ingegni, che fiorivano in que' tempi in Roma. Egli è
celebre per le sue opere, noi non faremo menzione che di quella ch'egli
pubblicò in Roma nel 1770, _De Musicâ veterum Etruscorum_. Tra gli altri
suoi manoscritti lasciò un _Lexicon musicum_: fu anche l'editore delle
opere di musica del cel. Giambattista Doni, stampate in Firenze nel
1763; _absoluta studio et operâ Io. Bapt. Passerii._ Morì in Pesaro nel
1780.

PAU (Monsign. Felice). Vescovo di Tropea nella Calabria, di cui abbiamo
alcune eruditissime lettere sull'antica musica dirette al Sig. Saverio
Mattei, nelle quali impugna la costui opinione sulla superiorità degli
antichi in quest'arte su i moderni. Anche il celebre Metastasio,
tuttochè amicissimo del Mattei, mostrò in alcune sue lettere le
difficoltà che aveva di abbracciare il suo sentimento. Questo carteggio,
nel quale da tre singolari ingegni viene discussa tal questione, si
trova nel tom. 8 delle opere del Metastasio dell'edizione di Napoli
1782. Nelle lettere di Mons. Pau e nelle risposte del Mattei oltre alla
pulitezza con cui vien agitato quel punto, si trova immensa erudizione e
dottrina. “Sommamente mi son dilettato, scrive il Metastasio al Mattei,
attentamente considerando il musico-filosofico carteggio, che si è
compiaciuta comunicarmi. Ho ammirate ed invidiate le forze di due
valorosissimi atleti, che non meno nell'assalire, che nello schermirsi
mostrano il lor magistero nell'arte. Mi hanno obbligato ad ondeggiar
lungo tempo fra le opposte loro sentenze: ciascuna di esse mi avrebbe
rapito sola ma avendomi assalito unite, l'una mi ha difeso dalla
violenza dell'altra: onde senza aver cambiato di sito, mi trovo tuttavia
fra le stesse antiche dubbiezze, ec.” Era necessaria la sveltezza
d'ingegno e la somma erudizione del savio Mattei per sciogliere le
difficoltà proposteli da due sì potenti contradittori, dice a questo
proposito l'Eximeno, presso il quale può vedersi dottissimamente
trattata la medesima questione. (_V. P. II. L. 1, p. 353._)

PAVESI, maestro di cappella vivente in Milano ha scritto molte opere,
che hanno avuto gran successo in diversi teatri d'Italia. Nel magazino
del Ricordi vi ha di lui _I Cheruschi_; _Elisabetta d'Inghilterra_,
drammi serii. _La festa delle rose_; _L'Incognito_; _Ser Marcantonio_,
buffi. _L'Avvertimento ai gelosi_; _L'Amante anonimo_; _L'accortezza
materna_; _La forza de' Simpatici_, farse.


PELLEGRINI (Anna Maria Celoni). Romana, donna assai culta ha fatti de'
profondi studj sulla musica: nel 1810 pubblicò ella in Roma
_Grammatica_, o _siano Regole di ben cantare_, dedicata a S. A. S. il
principe Federico di Saxe-Gotha, alla quale gli Editori hanno fatto
precedere il di lei ritratto inciso in rame dove viene rappresentata in
atto di cantare accompagnandosi al clavicembalo con l'epigrafe tratta da
Virgilio, _Cantu vocat in certamina Divos_. Quest'opera porta seco
l'approvazione di tre bravi maestri, del Guglielmi allora maestro della
cappella Giulia in S. Pietro, del Caruso maestro della cappella di
Perugia, e del Nicolini, dandole tutti e tre l'elogio di avere trovate
regole perfette in tutte le sue parti, ed atte a formare un bravo
cantante. La prefazione, che essa ha posto in fronte del libro è assai
ben pensata e scritta, eccone un saggio. “Innumerabili sono i cantanti,
essa vi dice, ma i Timotei sono rarissimi. Da due ragioni credo io, che
dipenda la scarsezza de' buoni cantanti: la prima dall'essere eglino la
maggior parte sforniti di quelle generali nozioni, le quali fanno
discernere ciò, che si canta: e l'altra dalla non sana maniera, che
tiensi da molti, i quali impunemente si arrogano il dritto d'insegnare
l'arte divina del canto, alla quale una volta si dedicavano solo i
filosofi ed i Poeti di non volgar nome dotati. Potrebbesi all'anzidette
ragioni aggiungere ancora la terza, ed è la sensibilità di cuore, la
quale non è certamente uno de' più frequenti doni, che fa la natura ad
un essere. Ciò posto sarà di mestieri, che in uno, che canta riuniscansi
le tre qualità succennate cioè _buon senso_, _buona maniera_, _e cuore
sensibile_, ec.”

PENNA (Lorenzo) da Bologna, carmelitano della congregazione di Mantova,
si applicò con successo allo studio della musica, e divenne membro della
società filarmonica di Bologna. Nel 1674, pubblicò quivi _Gli primi
albori musicali_, in 4.º di cui vi ha la quinta edizione del 1696.
L'opera è divisa in tre libri, contiene il primo 21 capitoli, ne' quali
tratta del canto figurato. Il secondo di 24 abbraccia la dottrina della
composizione. Il terzo in 17 capit. tratta del basso-continuo. Nel 1689,
pubblicò ancora in Modena il suo _Direttorio del canto_, in 4.º (_V.
Notizie sugli Scrittori di Bologna, tom. 6_).

PEREZ (David), figlio d'uno spagnuolo stabilito in Napoli, nacque colà
nel 1711, e studiò la musica nel Conservatorio di Loreto sotto i maestri
Gallo e Mancini. Terminati i suoi studj musicali con molto successo, il
suo protettore Naselli, nobile palermitano ed intendentissimo anch'egli
di musica (_V. suo art._), lo condusse seco in Palermo, ove fu tosto
eletto maestro della real cappella palatina, ch'egli arricchì di sue
egregie composizioni. Tra queste distinguonsi particolarmente i
Responsorj della settimana santa alla palestrina, dove si ammira la
singolare espressione delle parole, e la vera musica di chiesa. Scrisse
eziandio per il teatro di Palermo dal 1741 sino al 1748. Tornò in
Napoli, ove la sua _Clemenza di Tito_ ebbe il più gran successo nel
teatro di S. Carlo; la riputazione ch'egli si stabilì, lo fece chiamare
in Roma e in diversi teatri d'Italia. Nel 1752 fu invitato dalla corte
di Lisbona al servigio del re Giuseppe. Il _Demofoonte_ fu la prima
opera, che egli vi compose: il celebre Gizziello era il primo uomo, e il
gran Raff il tenore, la di lui musica ebbe gli applausi universali.
Scrisse ancora molta musica di chiesa per quella cappella reale, che è
rimasta celebratissima e con ispezialità i suoi Responsorj de' morti pei
funerali di quel monarca, che incisi superbamente in rame furono
pubblicati in Londra con in fronte la di lui effigie, dei quali egli
stesso ne mandò in dono una copia a mio padre.

PERGOLESI (Giambattista), detto così, perchè era di Pergoli nella Marca,
ove nacque nel 1707, il suo vero nome di famiglia era _Jesi_. In età di
14 anni venne in Napoli, e studiò la musica nel Conservatorio di
Sant'Onofrio. Gaetano Greco, che ne era allora il maestro, trovato
avendo in lui delle grandi disposizioni presene una particolar cura, e
fecegli fare particolarmente un profondo studio del contrappunto, e
della composizione. Secondo il gusto di que' tempi imparato egli aveva
dal maestro a non discostarsi in nulla dalla severità delle regole, ma
questo genio nudrito dalle Grazie e dalle Muse ebbe il raro talento di
trovarne a tempo le eccezioni. “Niuno meglio di lui ha saputo ottenere i
fini, che dee proporsi un compositore: niuno ha fatto miglior uso del
contrappunto, ove l'uopo lo richiedeva. Simile al Raffaello egli non
ebbe altra guida, che la natura, nè altro scopo, che di rappresentarla
al vivo, _l'arte che tutto fa, nulla si scopre_. Simile a Virgilio, ei
maneggiò con felicità incomparabile i diversi stili, de' quali si fa uso
nella musica, mostrandosi grave, maestoso, e subblime nello _Stabat
mater_; vivo, impetuoso, e tragico nell'_Olimpiade_, e nell'_Orfeo_;
grazioso, vario, e piccante nella _Serva Padrona_.” (_Arteaga tom. 2)_.
Si può dire che Pergolesi niente abbia lasciato che migliorare a'
successori, e che da quell'epoca in poi abbia piuttosto la musica
perduto, che acquistato vigore. Egli in breve tempo dal mediocre stato,
in cui trovò la musica teatrale, la ridusse al sommo, al perfetto. Si
riformò il gusto universale a quell'incanto, si cominciò a distinguere
l'accento, il metro, la continuazione delle melodie, e il popolo corse
presso ad un giovine, lasciando i vecchi più accreditati, da' quali
perchè _turpe putant parere minoribus_, gli fu mossa un'orribile
persecuzione, la quale giunse a tanto, che si è creduto, esser egli
morto di veleno preparatogli da' suoi malevoli (_Mattei, elog. di
Jomm._). Quel ch'è certo si è, ch'egli morì di consunzione piuttosto
dopo quattro anni d'uno sputo di sangue, per cui era andato a Pozzuoli,
in età di 33 anni. Tuttavia è ancor certo, dice Arteaga, che Pergolesi
fu il bersaglio della invidia, e che sembra essersi avverata nella sua
persona quella severa e incomprensibil sentenza, che la natura in
creando gli uomini singolari ha, come dice un poeta francese,
pronunciato contro di loro: _Sois grand'homme, et sois malhereux_. Il
suo _Stabat mater_, ammirato in tutta l'Europa come un capo d'opera di
espressione e di sentimento, non invecchia mai, e finchè vi sarà musica
sarà sempre immortale. Tutte le sue composizioni sono tuttora i modelli
del buongusto, e della buona scuola, esse dovrebbero essere tra le mani
di tutti i giovani studiosi, se aspirar vogliono al sublime ed al
grande.

PERI (Jacopo) da Firenze, uno di quei letterati musici su i principj del
sec. 17.º, che radunandosi presso il conte Giovanni de' Bardi molto
contribuirono con le loro ricerche, co' loro lumi, e con le loro
composizioni eziandio, al miglioramento dell'arte (_Veggansi gli
articoli Bardi, Caccini, Corsi ec._) dopo che il Caccini ed il Peri
posto avevano in note la _Dafne_ del Rinuccini con incredibil successo,
fu dal Peri medesimo con più accuratezza modulata l'_Euridice_, altra
tragedia per musica di quel poeta, rappresentata in Firenze nel 1600
nell'occasione delle nozze di Maria de' Medici col re di Francia Arrigo
IV. Questa può dirsi l'epoca nella quale ebbe origine in Europa la
musica drammatica: trovansi nel dramma del Peri il recitativo, le arie,
i cori, come si usano al presente, e benchè non fosse possibile in sul
principio di trovar nella sua musica la perfezione dell'arte, vi regna
tuttavia una certa semplicità preferibile a molti riguardi alla
sfoggiata pompa della nostra. Nella prefazione a questa musica
dell'Euridice, che fu impressa nello stesso anno, possono leggersi con
profitto i principj filosofici che stabilisce il Peri ragionando sulla
sua arte (_V. Arteaga t. 1_).

PEROLLE (M.), professore di medicina della università di Monpelieri, e
membro dell'Accademia delle scienze di Torino, è autore di più
dissertazioni sull'Acustica, nelle quali ha fatto parte al pubblico di
molti importantissimi sperimenti sulla propagazione del suono. La prima
è del 1783, col titolo di _Dissertation anatomico-acoustique_, Paris in
8.º; l'altre possono leggersi nel Journal de Physique, e sono — _Sur les
vibrations totales des corps sonores_, 1789, t. 37; _Sur les experiences
acoustiques de Chladni et de Jacquin_, 1799, t. 48; _Recherches
physiques sur le son, contenant des experiences rélatives à la
propagation du son dans diverses substances tant solides que fluides_;
_et un essai d'experiences qui tendent a déterminer la cause de la
résonnance des corps_, 1799 t. 49. Chladni assicura che gli esperimenti
di M. Perolle intorno a questa materia sono i migliori (_de l'Acoustica
p. 321_).

PEROTTI (G. A.) di Vercelli, accademico filarmonico di Bologna, e primo
maestro di cappella di S. Marco di Venezia, è autore di una
_Dissertazione sul progresso e la decadenza della musica italiana_,
Venezia 1813. La società Italiana di Scienze, Arti, e Belle-lettere
avendo proposto un premio per la miglior memoria su quell'argomento,
questo premio venne aggiudicato al Sig. Perotti.

PERRAULT (Claudio), dell'Accademia delle Scienze, e cel. architetto ne'
suoi _Comentarj_ a _Vitruvio_ da lui tradotto in francese ragiona a
lungo sulla musica degli antichi, ed in oltre alla fine del secondo
volume de' suoi Saggi di fisica vi ha di lui _Dissertation sur la
Musique des Ançiens_, Paris 1680, nella quale sostiene che i Greci non
ebbero cognizione della musica a più parti.

PERTI (Giac. Antonio) da Bologna, fu uno de' più gran professori
dell'antica scuola di quella città, ed uno degli autori classici per la
musica di chiesa, le sue opere ne son modelli. Una maschia e ben fondata
armonia, un'intelligenza ammirevole nelle disposizioni delle parti di
un'arte, tanto più grande, quanto è più nascosta, ecco i tratti che
dipingono quest'illustre maestro. Dopo di essere stato al servigio dei
gran duchi di Toscana, passò a quello dell'imperatore, dove è restato
quasi tutto il tempo di sua vita. Leopoldo e Carlo, che avevano molta
stima per lui, e che intendentissimi eran di Musica, lo colmarono di
onori e di considerevoli beni. Se questo compositore non si fosse reso
molto celebre per le sue belle produzioni, lo sarebbe divenuto solo per
essere stato il maestro del dotto P. Martini, il di cui merito, le
conoscenze, la dottrina, le opere, e la riputazione formano l'elogio del
Maestro. Perti morì in Venezia nel 1723.

PETRI (Giovan Samuele), precettore di musica alla scuola normale di
Halle, e professore nel ginnasio di Baudissin, racconta egli stesso come
cominciò i suoi studj dal frequentare le pubbliche lezioni di canto, _il
che far dovrebbero_, egli dice, _tutti i giovani che ne hanno il
comodo_. Bach ne' suoi trattenimenti spiegogli quello, che sino allora
aveva trovato d'oscurità nelle partiture di Telemann, di Graun, e del
Sassone, o quello ch'era sfuggito alle sue osservazioni. Petri pubblicò
quindi in tedesco la sua _Introduzione alla musica pratica_, Lauban
1767, ed essendosene spacciate prestamente tutte le copie, ne diede una
seconda edizione più accresciuta e corretta nel 1782, in tre vol. in 4º.
In quest'opera, che servir può di modello dello stile didattico, tratta
della musica in generale, del basso continuo, e di tutti gl'instromenti
in uso oggidì. A questo precede un'istoria breve sì, ma precisa e chiara
della musica, dalla sua origine sino al sec. 18º.


PFEFFINGER (Giacomo), mostrato avendo sin dall'infanzia gran
disposizione per la musica, i suoi primi passi in quest'arte furono
diretti in Strasburgo sua patria da Fil. Schmidt, letterato, musico, e
filosofo. Con la guida di un sì abile maestro, fece de' rapidi progressi
sul forte-piano, e nella conoscenza dell'armonia. Alla morte di
Schænfeld nel 1790, il senato di Strasburgo lo nominò maestro di
cappella della città e direttore della musica del Tempio-Nuovo. Fu a
quest'epoca ch'egli cominciò a far della musica uno studio più
particolare ed esatto; unissi allora col cel. M. Pleyel che era in quel
tempo maestro di cappella della cattedrale, e confessa egli stesso
dovere in gran parte il suo talento per la composizione a quell'insigne
artista, che gli facilitò lo studio di questa bell'arte di appresso i
principj di Fux. Intraprese nel 1791 insieme con Pleyel un viaggio in
Londra, ove restò sei mesi, e quivi ebbe occasione di unirsi in amicizia
coll'immortale Haydn, e di formare il suo gusto con lo studio e la
perfetta esecuzione degli oratorj di Hendel, che a giudizio de' veri
intendenti sorpassano ogn'altra composizione in questo genere in
subblimità e bellezza musicale. Pfeffinger ha pubblicato circa a 18
opere, sì per il forte-piano che per il canto. Le di lui composizioni
sono generalmente d'uno stile severo, ed annunziano della profondità di
cognizioni nell'armonia. Il suo gusto è deciso esclusivamente per gli
antichi.

PFEIFFER (Federico), bibliotecario dell'università di Erlang, e
professore di lingue orientali, pubblicò quivi una dissertazione nel
1779 _Sulla musica degli Ebrei_, in 4.º, la più compita e la più
perfetta opera che vi sia intorno a questa materia.


PIANTANIDA (l'Abate), scolare di Fioroni milanese ha composto molta
musica di chiesa, come mottetti, messe e vespri; il suo _Miserere_, _il
Credo_ sono in ispezialità molto pregiati. Quest'abate risiede
attualmente in Milano.

PICCINI (Nicolò), nato a Bari nel 1728, studiò la musica in Napoli sotto
il famoso Leo da prima, e quindi sotto il cel. Durante, che lo distinse
sempre con una particolare affezione in mezzo al gran numero de' suoi
allievi, e palesogli tutti gli arcani dell'arte. _Gli altri sono miei
scolari_ diceva egli alle volte, _ma questi è mio figlio._ Dopo dodici
anni di studio sortì Piccini finalmente dal Conservatorio nel 1754,
sapendo tutto quello ch'è possibile di sapere in musica, e pieno di un
fuoco, e d'un caldo d'immaginazione, che erano impazienti di fare la
loro esplosione. Il principe di Ventimiglia palermitano fu il primo a
produrlo in Napoli, lo propose al direttore del teatro de' Fiorentini,
ove lungamente regnato aveva il Logroscino, e gli fece comporre l'opera
_Le donne dispettose_. I partigiani dell'antico maestro formarono contro
il nuovo una così possente cabala, che senza la fermezza e la generosità
di quel principe, l'opera non si sarebbe rappresentata. Egli pagò
anticipatamente al direttore una somma di 2000 ducati, per ristoro del
danno che avrebbe ricevuto, se l'opera non sarebbe incontrata, ma fu
essa molto bene accolta dal pubblico, e Piccini datosi animo di quel
primo successo, compose negli anni seguenti _le Gelosie_, e _il Curioso
del proprio danno_, che furono non meno della prima applaudite, e
quest'ultima fu rimessa in iscena con nuovi applausi per quattro anni di
seguito, il che non si era mai fatto in Italia. Il suo genio acquistava
sempre delle nuove forze; e levossi ben tosto al genere serio nella
_Zenobia_, ch'egli compose nel 1756, per il gran teatro di S. Carlo.
Essa ebbe un incredibile incontro, che si è sostenuto tutte le volte che
è stata replicata. _L'Alessandro nell'Indie_, e la sua famosa
_Cecchina_, ch'egli scrisse in Roma, eccitò un'ammirazione che giunse
sino al fanatismo. Non v'ha esempio d'un successo più di questo
brillante, più meritato, più universalmente sostenuto. In tutti i teatri
d'Italia venne eseguita _la Cecchina_, e produsse da per tutto lo stesso
entusiasmo. In Roma contro all'usato, era questa da più mesi ancora in
teatro, e Roma era per così dire tutta in romore per il suo successa,
allorchè vi si trovò Jommelli che tornava da Stuttgard per venire in
Napoli. Al suo arrivo, non sentì parlare che della _Cecchina_, e del suo
autore: egli nulla ancora aveva inteso di lui, e quando era partito per
la Germania, Piccini era ancora nel Conservatorio. Infastidito di tutto
quel fracasso, _sarà_, disse egli in tuono di disprezzo, _qualche
ragazzo, e qualche ragazzata_: andò la sera al teatro, ascoltò dal
principio sino alla fine con somma attenzione, senza profferir parola,
nè fare un sol cenno. All'uscita, una calca di giovani e di dilettanti
il fermarono chiedendo il suo parere su quella musica: postosi in
serietà, _ascoltate_, disse loro, _la sentenza di Jommelli: questo è
inventore._ Egli compose nello spazio di venticinque anni 133 opere, di
cui la più parte sono de' capi d'opera: vi si ammira un vigore, una
varietà, una nuova grazia, e soprattutto uno stile brillante, animato, e
l'unione sì rara di tutte le qualità, che dar possono la natura e l'arte
al più sublime grado: egli ebbe il raro vantaggio di produrre molto, e
di produrre sempre delle cose eccellenti. Piccini ammirato sì dagli
esteri, che da' suoi compatriotti, era gagliardamente desiderato in
tutte le Capitali d'Europa. Parigi ebbe la fortuna di possederlo per
mezzo del marchese Caracciolo, quivi ambasciadore di Napoli, che molto
amava Piccini, assicurandogli nell'invitarlo una sorte vantaggiosa per
la sua numerosa famiglia. Le prime opere ch'egli scrisse in Francia, gli
mossero dei nemici molto accaniti, e gli valsero degli elogj forse
esaggerati: i francesi si divisero tra Gluck e Piccini, convenendo
frattanto che e l'uno e l'altro aveva disteso i confini dell'arte, ed
accresciuto i loro piaceri. Si sa con quale animosità sostennero i due
partiti l'opinion loro. Alla testa de' partigiani del compositore
tedesco distinguevasi l'ab. _Arnaud_, detto perciò il gran Pontefice de'
Gluckisti: e _Marmontel_ era il capo dei Piccinisti. Questa guerra fu
tutta d'epigrammi e di motteggi: ma quel che fu più disgustoso per
Piccini, si è che essa suscitogli degli intrighi imperdonabili: venne
criticato della più odiosa maniera, e se gli fece finalmente aborrire il
soggiorno di Parigi. Prese dunque il partito di tornare al suo paese, e
partì per Napoli nel 1791. Il nostro Sovrano fecegli la più lusinghevole
accoglienza, ordinogli tosto di scrivere pel teatro di S. Carlo, e gli
accordò una pensione. Egli compose l'oratorio di Gionata per la
quaresima del 1792, ed ebbe il più grande successo, ma avendo avuto
l'imprudenza di palesare in Napoli i suoi principj sulla rivoluzione
francese, rimase quivi perseguitato e in uno stato di abbandono, di
oppressione e d'indigenza, ch'egli sopportò da uomo di coraggio e da
filosofo. Allora fu ch'ei pose in musica un gran numero di salmi
tradotti dal Mattei per alcuni monasteri, dove sono rimaste le partiture
originali, l'autore non avendo l'agio di farseli copiare. Dopo che il re
accordogli un passaporto, tornò finalmente in Parigi. Le inquietudini, i
disagi provati nel lungo viaggio, alterarono la di lui salute. Dopo
avere prodigiosamente faticato, la sua fortuna non era molto brillante;
le sue pene morali accrebbero i suoi mali fisici; infermo e colpito di
paralisia, non tardò a soccombere a' suoi dispiaceri. Egli morì a Passy
nel 1800 di 72 anni. Piccini era dotato d'uno spirito vivace, esteso, e
culto. La letteratura latina ed italiana eragli familiare allorchè venne
in Francia, e pochi anni dopo non conosceva meno il fiore della
letteratura francese. Parlava e scriveva con gran purità l'Italiano, i
suoi principj della musica erano severi, avvengachè avesse egli
contribuito più che verun altro compositore a dar loro dell'estensione e
della flessibiltà. Qualunque ricchezza sapesse spargere al bisogno nella
sua orchestra, disapprovava non pertanto il lusso d'armonia, di cui
oggidì con troppa prodigalità si fa uso. Egli avrebbe voluto conservar
sempre alla voce il suo primato, e che i disegni figurati
degl'istromenti avessero sempre per iscopo di esprimer quello che le
parole, o l'azione de' personaggi, o il luogo della scena stessa
dinotano, e che la voce non può dipingere. Quegli accompagnamenti
caricati senza necessità, senz'oggetto, come oggigiorno si usa, non gli
sembravano che de' contrassensi ed abusi dell'arte. L'impiego simultaneo
di varj stromenti, i continovi effetti d'orchestra, le masse indigeste
d'armonia, ed una eterna affettazione di dissonanze, che sono oggi in
gran moda, erano a suo parere una vera mostruosità. “Se a ciascuno degli
istromenti, egli saviamente diceva, si riserbasse l'impiego, che la
natura stessa gli assegna, si produrrebbero degli effetti variati, si
giungerebbe a tutto dipingere, e a variare continuamente i suoi quadri;
ma si getta tutto alla rinfusa, tutto ad una volta e sempre. Si
stempera, s'indurisce così l'orecchio, nulla si dipinge al cuore, nulla
allo spirito.” Chi bramerebbe più distinte notizie sulla vita, i
sentimenti e le produzioni di questo illustre compositore, potrà
consultar con profitto la biografia che pubbliconne nel 1801 il di lui
amico M. Ginguené.

PICCINI (Luigi), figlio ed allievo del precedente nato in Napoli, venne
con lui in Parigi, e scrisse la musica di due drammi burleschi in
francese che ebbe degli applausi. Nel 1791 tornò in Napoli con suo
padre, e compose quivi _Ero e Leandro_, cantata per Mad. Billington;
_Gli accidenti inaspettati_, e _la Serva onorata_, in Venezia nel 1793;
_l'Amante statua_, in Firenze; _la notte imbrogliata_, in Genova; _Il
Matrimonio per raggiro_. Dopo aver passato sei anni come maestro di
cappella alla corte di Svezia, tornò in Parigi nel 1801, dove si è fatto
onore con varie sue composizioni per teatro, che sono più conosciute in
Francia che in Italia. _Alessandro Piccini_ di lui figlio è nato in
Parigi circa 1780; dall'età di 18 anni è professore di forte-piano.
Studiò la composizione sotto il celebre M. Lesueur, ed ha scritto la
musica di più drammi francesi: egli è ripetitore de' spettacoli della
corte ed accompagnatore dell'Accademia di Musica.

PICHL (Vincislao), compositore e direttore della musica dell'Arciduca
Ferdinando a Bruxelles, ed accademico-filarmonico, nel 1790 ha fatto
imprimere in Amsterdam sino a 16 opere, contenenti concerti per violino,
di cui è un ottimo professore, sinfonie, quartetti ec. Egli dimorò lungo
tempo in Italia e dal 1780 sino al 1790 era in Milano; fu allora ch'egli
propose al dotto P. Sacchi di risolvere la questione delle _quinte
successive_, non trovandosi contento delle ragioni che da' maestri sono
state prodotte. La lettera in risposta del Sacchi è diretta a M. Pichl,
e stampata in Milano nel 1780.

PIGEON DE SAINT-PATERNE (M.), interprete delle lingue orientali a
Parigi, è autore d'un'erudita _Memoria intorno alla musica degli Arabi_,
1790. (_V. Arteaga t. 2_)

PINDARO nacque a Tebe nella Beozia sei secoli prima dell'era cristiana.
Ebbe le prime lezioni di musica da suo padre, che suonava per
professione il flauto, studiò quindi sotto Mirti la poesia e la musica.
Questa donna distinta pe' suoi talenti si rese più famosa ancora per
avere annoverato fra' suoi discepoli Pindaro e Corinna (_V. il suo
artic. t. 2_). Si sa che i Beoti avevano molto gusto per la musica:
quest'arte fu da Pindaro posseduta coll'estensione della poetica,
essendo entrambe all'età sua unite insieme. Non bastando alla feconda
sua vena gli antichi metri, ne inventò de' nuovi con altri nuovi ritmi
eziandio per cantarli. Lo stromento, di cui si prevalse, fu il _magade_
di corde immobili: egli riuscì abilissimo nella lira e nella cetra. (_V.
Requeno t. 1_). Tutte le nazioni della Grecia lo ricolmarono di onori,
ed egli riportò più volte il premio ne' conflitti di poesia e di musica.
_Pausania_ racconta, come in tempo dei giuochi pitici a Delfo egli si
poneva a sedere coronato d'alloro sopra una scranna elevata, e dando di
piglio alla sua lira faceva sentire quei suoni che rapivano, ed
eccitavano da ogni parte grida d'ammirazione, e d'applausi (_lib. 10 c.
24_).

PISTOCCHI (Franc. Ant.) di Bologna, ottimo compositore del suo tempo è
principalmente riguardato in Italia come il fondatore della moderna
scuola di canto: essa si è resa celebre pel metodo d'insegnare, per la
varietà degli stili, e pel numero de' primarj maestri e cantanti che ne
sono sortiti. I più famosi allievi del Pistocchi, che divennero tanti
Capiscuola in Italia, nel sec. 18º furono il Bernacchi, il Pasi, il
Minelli, il Fabri tutti di Bologna, ed il Bartolino di Faenza. Tra i
scolari del primo basta rammentare Guarducci, Amadori, Raff, e Mancini,
che si è anche distinto fra i letterati pel suo bel libro intitolalo
_Riflessioni pratiche sul canto_. “I cinque allievi di Pistocchi, dice
il sullodato _Mancini_, benchè instruiti dal medesimo maestro,
differivano tra loro per il metodo e per lo stile, ciascuno di essi
essendo stato regolato secondo la naturale sua disposizione; e questo
esempio basta per dare a divedere che un buon maestro non dee limitarsi
ad un solo metodo co' suoi scolari, ma che per formare de' perfetti
cantanti, egli deve, profondamente sapere le diverse maniere di
dirigerli, e praticarle con giudizio. Chiunque avrà questo talento, sarà
sempre apprezzato dalle persone dell'arte, ec.” Pistocchi fiorì sul
principio del p. p. secolo, tra le sue composizioni è molto pregevole la
sua opera 3, pubblicata in Bologna nel 1707, che contiene dieci duetti e
due cantate a 3 voci.

PITAGORA nacque a Samo cinque secoli innanzi l'era cristiana: intraprese
lunghi viaggi presso le più culte nazioni, e dopo essersi arricchito di
vaste conoscenze, andò a stabilirsi a Crotona in Italia, e vi formò una
scuola, che si è resa celebre per i grand'uomini che produsse, sotto il
nome di _Setta Italica_. Non volle Pittagora arrogarsi, come gli altri,
il fastoso titolo di _Savio_, ma usò il primo il modesto nome di
_Filosofo_, cioè amatore della Sapienza. In riguardo alla musica, che
era da' Greci con ispezial cura coltivata, Pittagora vi si applicò
profondamente, ed a lui generalmente si attribuisce l'averla ridotta a
calcolo con qualche apparenza di scienza esatta. La sua teoria musicale,
diversa da quella che formarono in appresso i di lui seguaci i
Pittagorici, può vedersi bene sviluppata dal dotto ab. Requeno nella
seconda parte de' suoi Saggi t. 1, e nella quarta al 2º t. p. 189, egli
dà a divedere che questo grand'uomo, benchè senza pretenderlo, desse
origine ad un nuovo sistema armonico, non si discostò in nulla
dall'antichissima musica degli anteriori greci, nella quale fu
abilissimo; che egli non fu, come da tutti gli scrittori moderni si
vocifera, l'inventore del sistema armonico de' posteriori pittagorici:
ma che co' suoi calcoli altro non fece che scoprire nell'antico sistema
aritmetico gl'intervalli consoni, e notare le distanze della
fondamentale, in cui si trovavano. “Era Pitagora assai grande filosofo,
egli dice, per innalzare un sistema armonico da' pochi fatti scoperti e
verificati nell'antico sistema, fin allora applaudito nella nazione. Le
ragioni delle consonanze, da lui comunicate a' suoi scolari, e da questi
malamente intese, furono generalizzate e prese in astratto da' medesimi,
ed a poco a poco co' calcoli, senza fondamento di sperienze armoniche,
si allontanarono dall'antico sistema aritmetico di modo tale che ne
crearono un altro pieno di errori e di supposizioni, le quali fanno poco
onore a' loro seguaci” (_p. 199 t. 2_). Il racconto de' suoni armonici
trovati da Pitagora da' pesi diversi de' martelli d'un ferrajo, e del
gran numero delle maraviglie, che si pretende aver operato questo
filosofo per mezzo della musica, per quanto sia stato ricevuto da' Greci
e Latini, dagli antichi e moderni, dee nondimeno riporsi fra le favole
greche, e riggettarsi come privo di verisimiglianza, non che di verità.
Il Montucla, lo Stillingfleet, e M. Chladni hanno osservato non essere
conforme alla natura il formare un'armonia sensibile co' martelli
battuti su l'incudine, e molto più colle corde tese da tali pesi,
essendo i suoni piuttosto come le radici cubiche inverse de' pesi, e
come le radici quadrate della tensione (_Acustiq. p. 100_).

PITAGORA (Zacinto), diverso dell'antecedente fu capo d'una setta di
musici secondo ciò che ne riferisce Aristosseno (_Harmonic. p. 36_). Da
costui si rileva altresì ch'egli abbia scritto sulla musica, e secondo
Ateneo (_Lib. XIV_) fu inventore di un nuovo strumento musico detto
_Tripode_, _l'uso del quale_, egli dice, _durò per breve tempo, o perchè
era difficile a maneggiarsi, o per qualche altra ragione. Questo
instrumento, che fu in tanta ammirazione, subito dopo la di lui morte,
passò in disuso e in dimenticanza_. Pittagora fioriva circa cinque
secoli prima di G. C.


PLANELLI (cav. Antonio), letterato napoletano, _uomo fornito di ottime
cognizioni, di gusto delicato, e dolcissimi costumi_, come dice il
Mattei (_Nuovo sist. d'interpret. i trag. Greci_), pubblicò in Napoli un
eccellente libro intitolato: _Dell'opera in Musica_, in 8vo, 1772. Nella
Sezione 1 dimostra egli che s'intenda per opera in musica, fa la storia
de' suoi progressi e perfezione, e tratta assai dottamente delle belle
arti in generale. La Sez. 2 tratta del Melodramma. Nella 3, Sezione
della musica teatrale, dello stile proprio di ciascuna passione, e di
ciascuna parte di questa musica, della differenza tra la musica antica e
la moderna. La Sez. 4 si occupa della Pronunziazione dell'Opera in
musica. Le sez. 5 e 6, trattano della Decorazione e della Danza
dell'opera in musica; e l'ultima della Direzione, e Necessità, che ha
l'opera in musica del buon ordine, e come vi vada procurato il pubblico
costume. Questo trattato è ben scritto, e molto interessante: da per
tutto vi regna una non ordinaria erudizione, e buona lettura d'Autori
antichi, de' quali l'A. ha saputo fare uso ove bisognava, e ben
giudiziosamente. “Egli abbraccia, dice l'ab. Arteaga, in tutta la sua
estensione il suo oggetto. Le sue osservazioni circa le belle arti in
genere, e circa la musica, e direzione del teatro in particolare sono
assai giudiziose e proficue, e da pertutto respirano l'onestà, la
decenza e il buon gusto.” (_Disc. prelim._)

PLATONE, il celebre filosofo; nato in Atene passò la sua giovinezza
nello studio della musica e delle belle arti compagne: confessa egli
stesso, che prima che entrasse nella scuola del pitagorico Archita,
aveva egli imparata la musica degli antichi greci in iscuola, e nel
tempio ove con gl'altri suoi pari concorreva al canto delle leggi di
Solone ne' giorni festivi: onde è che ne' libri della Repubblica si
dichiara egli a favore di quest'arte per l'educazione. Platone, già
filosofo e calcolatore di sublime e audace ingegno per l'invenzione,
osservando la dissonanza degli stromenti accordati da' Pittagorici, e la
concorde melodia di quegli, che i greci antichi avevano lasciati per
l'uso de' tempj e della giovanile educazione; per non iscreditarsi co'
filosofi e per farsi nome con gli ignoranti pratici suonatori, stabilì,
che la musica pitagorica co' suoi calcoli dovesse destinarsi allo studio
della natura, e l'antica allo studio della religione e del costume. Per
far valere questa sua maniera di pensare, ci descrisse nel Timeo con le
armoniche proporzioni de' pitagorici la formazione dell'universo, e ne'
libri della Repubblica si dichiarò contro tutte le novità introdotte
nell'arte più severa degli antichi greci; e sì nell'una che nell'altra
opera mostra, non essere egli ignorante, anzi eruditissimo in ambidue i
sistemi di musica antico e moderno. Sentì egli sì bene l'insufficienza
del calcolo armonico ne' suoni degli instromenti, e quindi relegò
l'armonia pitagorica alle sfere, ove con le leggi de' tetracordi
potessero spiegarsi i loro movimenti, e la loro formazione con l'altra
dell'universo da non falsificarsi mai cogli stromenti armonici. Platone
fu tre volte in Sicilia, ed ebbe quivi lezioni di musica da Metello
d'Agrigento (_v. Requeno t. 1_). Morì finalmente in Atene circa 347 anni
prima di G. C.

PLAYFORD (John), mercante di musica, ed abile pratico in Londra è autore
di una buona opera intitolata: _Introduction to the skill of music_,
ossia _Introduzione all'arte della musica_, la di cui terza edizione è
del 1697. Il suo ritratto si trova nella storia di Hawkins.

PLEYEL (Ignazio), nato in Austria nel 1757, studiò la composizione sotto
il grande Haydn in Vienna, e fu il solo allievo ch'egli avesse fatto di
proposito. Nel 1786, Pleyel viaggiò in Italia, e fu da per tutto accolto
della più distinta maniera: scrisse _l'Ifigenia_ opera seria italiana,
la di cui musica ebbe grandissimo incontro in quella patria
dell'armonia. Nel 1787, venne egli chiamato a Strasburgo come maestro di
cappella, coll'onorario di quattro mila franchi, e dopo alcuni anni si è
stabilito in Parigi come mercante di musica e di cembali a piano-forte.
La più parte delle sue composizioni sono state impresse a Offenbach
presso il maestro di cappella André, autore del Giornale di musica per
le dame. Pleyel benchè abbia preso l'Haydn per _archetipo_ della sua
musica strumentale, ha cercato nondimeno di semplificare la melodia
collo scemare gli accordi e scarseggiare di transizioni, onde i suoi
lavori sono meno di quelli del suo maestro dignitosi e robusti: ma in
compenso la sua armonia ha una chiarezza, una grazia, che penetra
facilmente e contenta l'orecchio degli ascoltanti. Egli ha composto di
recente due opere di quartetti d'uno stile più forte, e d'un'armonia più
piena e robusta degli antecedenti.

PLINIO il seniore, nato in Verona, benchè abbia servito nelle armate di
più Imperatori, trovò da per tutto il tempo di darsi allo studio più
profondo della natura. Perì egli nella famosa eruzione del Vesuvio
l'anno 79 di G. C. allorchè restaron sepolte sotto le sue ceneri
Ercolano, Pompeja e molte altre città della Campania. La sua storia
naturale in 37 libri è una delle più importanti opere che ci
sopravanzino dell'antichità. Nel libro XI c. 51 tratta egli della voce e
del canto, e nel lib. XVI c. 36, rapporta in qual maniera costruivansi
le differenti specie di tibie o di flauti. (_V. Forkel, Hist. de la Mus.
t. 1_)

PLOTINO, filosofo della scuola de' posteriori Platonici, di cui
riferisce nella di lui vita Porfirio suo discepolo, ch'egli era
profondamente instruito in tutte le scienze, come ancora nella musica,
benchè esercitato non si fosse nella pratica. Che Plotino fosse versato
nella teoria della musica facilmente rilevasi dalle sue opere, ove ad
esempio di Pitagora e di Platone spiega col mezzo delle leggi
dell'armonia le cose naturali, come per esempio i movimenti de' corpi
celesti, e quelli della nostr'anima. (_V. Fabric. Bibl. Gr. t. 4_)

PLUTARCO, nato a Cheronea nella Beozia, uomo di una erudizione
universale, fiorì dall'impero di Nerone sino a quello di Adriano, e dopo
essere stato più volte in Roma morì in sua patria circa l'anno 120 di G.
C. Benchè in molte delle sue opere parli egli della musica, due
lascionne frattanto che trattano espressamente della medesima. L'una di
queste può considerarsi come un compendio benchè oscurissimo della
musica teorica, ed è il suo _Comento sul Timeo di Platone_: l'altra è
puramente istorica, ed è il suo _Dialogo sulla musica_, che M. Burette
ha tradotto in francese con lunghi comentarj e note, come veder si può
in più volumi, delle Memorie dell'Accad. delle Inscrizioni. Gli
interlocutori di quel dialogo sono _Lisia_ puro pratico, e _Soterico_
letterato di Alessandria; questi non danno che una mal digerita storia,
dell'origine e de' progressi dell'antica musica e dell'utilità
dell'armonia. Plutarco per bocca di Soterico (_dice l'ab. Requeno_)
“vuole spiegarci i tre generi di musica diatonica, cromatica ed
enarmonica: lo fa però così superficialmente e con tanto disordine
d'idee, che si scuopre ignorante del piano e de' precetti, su de' quali
ragiona; e solamente si rende stimabile per mostrarci lo stato, in cui
era allora questa famosa arte.” (_Tom. 1, pag. 284_)


POISSON (Leonardo), curato di Marcangis, diocesi di Sens, morto in
Parigi nel 1753, è autore d'un'eccellente opera intitolata: _Nouvelle
méthode, ou Traité théorique du plain-chant_, Paris 1745 in 8vo, vi si
trovano de' fatti curiosi, delle preziose ricerche e delle nuove
dottissime osservazioni.

POISSON (M.), professore di geometria nella scuola Politecnica, è autore
di una _Memoria sulla teoria del suono_, che si trova nel t. VII du
Journal ec. Chladni loda le sue ricerche come assai dotte (_V. Acoustiq.
p. 293_).

POLLUCE (Giulio) di Naucrate nell'Egitto, fu in Roma per la sua
erudizione, assai caro all'Imperatore Commodo, e per di lui ordine diè
scuola di umane lettere in Atene, ove morì in età di 58 anni. Tra le sue
opere una ve n'era intitolata _Certamen musicum_, di cui fa menzione
Suida, e che si è perduta; nel suo _Onomasticon_, ossia Vocabulario in X
libri, che tuttora ci rimane, vi ha molte notizie intorno agli
istromenti di musica in uso presso gli antichi, delle quali molto ne ha
profittato il Requeno trattando della divisione degli stromenti, tom. 2,
p. 404.

PONCE (Niccolò), celebre incisore, non che distinto letterato in Parigi,
nel 1805 diè al pubblico una memoria molto interessante _Sur les causes
des progrès et de la décadence de la musique chez les Grecs_. (_V. les
Quatre Saisons du Parnase p. 264_)

PONZIO (Pietro), nato in Parma nel 1532, abbracciò lo stato
ecclesiastico. Dotato delle più felici disposizioni per le scienze, e le
arti, e con ispezialità per la musica, fu chiamato circa 1550 a Bergamo
per maestro di cappella della cattedrale, donde passò in Milano, e
quindi fè ritorno in Parma, ove morì nel 1596. Abbiamo di lui
_Ragionamento di musica_, Parma 1588, dedicato al conte Bevilacqua di
Milano, gran partigiano della musica. _Dialogo, ove si tratta della
teoria e pratica di musica_, dedicato all'accad. filarmonica di Verona,
Parma 1595. Egli è diviso in quattro libri, e sono gli interlocutori il
conte Alessandro Bevilacqua, il conte Sarego, ed il conte Marco Verità:
opera pregevolissima per la dottrina di quel tempo.

POPE (Alessandro), celebre poeta inglese del secolo 18, di cui vi ha
un'_Ode sulla musica_, per la festa di S. Cecilia, che è un'imitazione
di quella di Dryden sullo stesso soggetto: M. Hennet nella sua _Poétique
Anglaise_ (3 vol. in 8, Paris 1806), e M. de Valmalète nel 1808, ne
hanno data la traduzione francese.

PORFIRIO, filosofo nato a Tiro l'anno di G. C. 223, dimorò per alcun
tempo in Sicilia, donde passò in Roma, ove morì sul cominciare del 4.º
secolo. Egli scrisse molto sulla musica, alla maniera de' nuovi
platonici, ne' suoi _Commentarj sugli Armonici di Tolomeo_, che il Dott.
Wallis pubblicò il primo, benchè imperfetti, a Oxford nel 1699.

PORPORA (Niccolò), uno de' più celebri maestri di Napoli, dove stabilì
una scuola di canto, che ha forgiati i più gran cantanti del 18º secolo,
come Farinelli, Cafarelli, Salimbeni, Hubert detto il Porporino, la
Gabrieli ec. che si sono fatti ammirare in Europa quai prodigi di
melodia. Egli era inoltre profondo nella teoria, e nella pratica del
contrappunto, ed ebbe la gloria, essendo in Vienna in casa
dell'ambasciatore di Venezia, d'insegnare al grand'Haydn la buona ed
italiana maniera di cantare, e quella pure di accompagnare al cembalo,
mestiere molto più scabroso di quello che si crede, e che pochi fra i
maestri medesimi possiedono perfettamente. Nell'articolo di Carlo VI, e
in quello di Haydn (tom. 2, p. 22, 199), abbiamo riferiti alcuni
aneddoti relativi al Porpora; egli fu inoltre maestro in Dresda della
principessa elettrice di Sassonia M. Antonia Valburga, alla quale dedicò
poi l'Eximeno l'opera sua sulla musica. In questa corte ebbe tale stima
il Porpora, che ne divenne infin geloso lo stesso Sassone: in Londra fu
il rivale di Hendel. La chiesa, la camera e 'l teatro sono stati
arricchiti da' suoi capi d'opera, e spesso i Pontefici hanno creduto di
fare un dono gradito ai principi regalandoli di un originale di Porpora.
Il carattere generale della di lui musica è il grande ed il serio: ma si
è di accordo nel dire che quanto è maraviglioso nel _cantabile,_
altrettanto è egli stentato negli accompagnamenti delle sue arie. Ciò
però gli è comune con tutti i buoni maestri del suo tempo, Vinci, Leo,
Pergolesi ec., perchè la semplicità e l'economia delle note, che
costituiscono la grazia, e l'espressione del canto, rendono la musica
instrumentale arida e scipita; ma tutti i compositori lo riguardarono
sempre come loro modello nel recitativo, Porpora può dirsene il padre,
egli trovò la vera declamazione musicale. Morì tuttavia in Napoli
nell'estrema indigenza nel 1767, di 82 anni.

PORPORA, altro maestro italiano dello scorso secolo, di cui raccontava
il Jommelli, che sebbene non fosse stato sprovveduto di merito in
riguardo alla cognizione teorica e pratica della musica, si rese però
ridicolo per non capire il senso delle parole che metteva in note.
Obbligato una volta a mettere in musica il _Credo_, alle parole
_Genitum, non factum,_ credette a proposito l'introdurvi il coro, il
quale, mentre un cantante diceva da una parte, _genitum, non factum_,
rispondeva, _factum non genitum_. Il pezzo fu eseguito, ed applaudito:
ma qualcuno dinunziò Porpora all'Inquisizione come empio. Egli si difese
con dire che non sapeva il latino, e sembrò di tanta buona fede, che i
giudici, meno severi allora, che non l'erano trent'anni avanti,
rimandarono via l'accusato. Un'altra volta dovendo mettere in musica
l'aria _Superbo di me stesso_, fece che l'attore dopo aver detto questo
primo verso, gridasse poi con enfasi, _Andrò portando in fronte:_
seguiva una gran pausa, e non si sapeva ancora _cosa andasse costui
portando in fronte_, quando con una uscita di corno gliela fece
annunziar chiaramente in mezzo alle risa di tutto il teatro.

PORTA (Costanzo), francescano di Cremona, fu condiscepolo del Zarlino
sotto Adriano Willaert, e uno de' primi compositori del suo secolo per
la musica di chiesa: il P. Martini facevane gran conto, comechè fosse
più adatta a soddisfar l'occhio anzichè l'orecchio. Egli fu maestro di
cappella a Padova, a Ravenna, e finalmente a Loreto, dove morì nel 1601.

PORTA (Berardo), nato in Roma circa 1760, fu allievo del Magrini che lo
era stato del cel. Leo. Egli fu dapprima maestro di cappella a Tivoli e
direttore d'orchestra: compose molte opere, oratorj, e musica
strumentale. Tornò quindi in Roma al servigio del principe di Salm
ch'era prelato in quella corte, ed ebbe la sopravvivenza di Anfossi sì
per i teatri, che per le cappelle, ma la rivoluzione gli fè perder
tutto, e nel 1798 venne in Parigi, dove ha scritto più opere per quel
teatro: egli vi si è stabilito, e vien riputato colà come uno de'
migliori maestri di composizione.

PORTOGALLO, compositore portoghese per teatro stabilito da più anni in
Italia: nel magazzino del Ricordi in Milano vi ha di lui impressa la
musica de' seguenti drammi: _Il ritorno di Serse_; _Idante_, opere
serie. _Lo spazza camino_; _la Donna di genio volubile_; _Oro non compra
amore_; _I due gobbi_, burlesche. _Il filosofo_; _la maschera
fortunata_; _il Ciabattino_, farse.

POULLEAU (M.) è l'inventore di un nuovo stromento a tasti, detto
l'_orchestrino_, che è brillante, espressivo e canta assai bene. A
siffatte pregevoli qualità unisce inoltre il vantaggio di potere imitare
il violoncello e la viola in maniera a produrre una compiuta illusione.
Benchè l'imitazione del violino sia di minor effetto, tuttavia un
suonator di forte-piano produce con questo strumento egli solo l'effetto
di un _quintetto_ composto di due violini, viola, violoncello e basso.
Poichè l'_orchestrino_ sostiene e fila i suoni per mezzo di un arco, e
fa passar quelli gradatamente dal _piano_ al _forte_, e dal _forte_ al
_piano_, egli ha perciò la varietà di esecuzione del pari che gli
stromenti ad arco nei canti, che esiggono delle note legate, staccate,
sostenute, o pizzicate. La di lui forma è di un piccolo clavicembalo; le
sue corde sono di budelli, ed il suo arco riceve movimento per mezzo di
una ruota che si fa girare col piede.


PRANDI (Girolamo), pubblico professore di filosofia morale, e di dritto
di natura nell'università di Bologna, nel 1805 all'occasione del solenne
aprimento delle scuole comunali filarmoniche di quella città recitò una
dotta _Orazione sulla musica_. Rintraccia in essa l'origine prima di
quest'arte, ne segue i progressi da filosofo osservatore, e tutti i
vantaggi descrive di questo mirabile ritrovato, ch'egli attribuisce al
tedio ed alla noja: il tutto è descritto con istile purgato e sublime.

PRATI (Alessio), nato a Ferrara circa 1736, fu un gran maestro,
compositore di molto gusto e generalmente stimato. Nel 1767 venne a
Parigi e scrisse per quel teatro con molto successo, si rese quindi a
Pietroburgo, ove fu similmente applaudita la sua musica. Dopo un'assenza
di 17 anni tornò in Italia, e scrisse in Firenze l'_Ifigenia_ nel 1784,
che ebbe uno straordinario incontro, nè meno prodigioso fu quello che
riportò in Monaco di Baviera per la sua _Armida abbandonata_ nel 1785,
per cui divenne maestro di cappella dell'elettor palatino. Non godette
molto però della sua fortuna, poichè finì di vivere in Ferrara sul
principio del 1788. Vi ha di lui molta musica sì vocale, che strumentale
impressa in Parigi, a Lione, in Berlino ed in Londra.

PREDIERI (Luca-Ant.) da Bologna, fu quasi per tutto il corso di sua vita
al servigio della corte di Vienna. Tenuto in conto de' più valenti
maestri del suo tempo, fu uno di quelli che più felicemente han saputo
unire l'antico gusto al moderno. Fornito di bella immaginazione e di una
gran verità di espressione, aveva moltissimo spirito, e la sua
conversazione si rendeva molto piacevole: l'Imperatore Carlo VI, che
aveva particolare stima di lui, si prendeva spesso piacere di contender
seco lui. Egli fu il primo a mettere in musica gli Oratorj del
Metastasio, _il Sagrifizio di Abramo_ nel 1738, e _l'Isacco_ nel 1740,
come ancora più drammi dello Zeno e del Silvani. Morì egli in Bologna
sua patria nel 1743.

PRETORIO (Michele), il di cui vero nome di famiglia era _Schulze_, fu
priore del monastero de' benedettini a Ringelheim, e maestro di cappella
dell'elettore di Sassonia e del duca di Brunswick; celebre come
compositore ed autore altresì di più opere sulla musica, morì a
Wolfenbuttel nel 1621. La sua principale opera è il _Syntagma Musicum_,
in 3 vol. in 4º ch'è divenuta rarissima.

PRINZ (Wolfango), distinto contrappuntista ed autore di musica, morì nel
1717 di 76 anni. Scrisse egli stesso la sua vita, di cui ve ne ha un
estratto presso Mattheson e Walther: ecco il catalogo delle sue opere,
che sono in gran pregio presso i tedeschi. 1. _Instruzione nell'arte del
canto_, 1686; 2. _Compendium musicæ, etc._ o _Compendio di tutte le cose
necessarie a quelli che vogliono imparare la musica vocale_, Lipsia
1714; 3. _Descrizione istorica dell'arte del canto_, Dresda 1690; 4. _Il
compositore satirico_, 3 vol. 1679; 5. _Exercitationes musicæ
theoretico-practicæ_, Dresda in 4º, 1689, oltre più opere manoscritte
teoriche e didattiche sulla musica.

PROFILIO (Giuseppe), nato in Palermo nel 1718, fu prete e dottore
nell'uno e nell'altro dritto: studiò la musica sotto la direzione del
maestro Pozzuolo profondo contrappuntista di que' tempi. All'età di 42
anni il suo amore per la solitudine abbracciar gli fece il posto di
organista, e maestro di cappella offertogli dai PP. Benedettini
dell'insigne monastero, di S. Martino, alcune miglia lontano da Palermo.
Tra le altre rarità, di cui abbonda questo monastero vi ha un magnifico
organo, opera in origine del cel. Lavalle, indi dal peritissimo
costruttore di questi stromenti Baldassare di Paola palermitano, alcuni
anni sono defunto, migliorata ed accresciuta sino al numero di 72
registri, fra' quali sonovi molti strumenti di orchestra bene imitati,
l'intera banda militare, l'eco, un armoniosissimo e sonoro ripieno coi
contrabbassi a tuono di quaranta, e quattro tastature per suonarsi in
concerto da tre diverse persone. L'ab. Profilio mostrò una particolare
abilità nella maniera di suonare questo grand'organo, l'armonia che
sapeva trarne, e 'l possesso con cui lo maneggiava, dilettava e
sorprendeva del pari. Persuaso della massima, che ripeteva sovente, cioè
che _allora suona bene l'organo quando canta_, volle sempre suonando
imitare la voce che canta: egli aveva la grand'arte di sapere adattare
ad ogni registro, secondo lo strumento che egli rappresenta, quel genere
di musica che più gli conveniva, non usando tuttavia altro stile se non
il più analogo alla maestà del luogo, ed alla gravità delle auguste
cerimonie della religione; pregio assai raro agli organisti de' nostri
giorni, i quali o per non sapere produrre improvvisando, o per voler
solo solleticare gli orecchi, ripetono sull'organo ariette di teatro,
rondò, balletti: il che è a mio avviso una profanazione del luogo santo.
Profilio aveva fatti, stando in città, molti allievi, il suo metodo
particolare di solfeggio formò de' buoni artisti e non pochi dilettanti
eziandio di ragguardevol nascita: proseguì a dar lezioni in quel
monastero a' religiosi giovani di suono e di canto, e ad alcuni di
composizione ancora, fra' quali merita il primo luogo il P. D. Bernardo
Platamone, oggidì Priore degnissimo, che alle altre sue profonde
cognizioni in più scienze unisce quella della musica sì teorica, che
pratica. Abbiamo del Profilio delle _Regole di accompagnamento_ ordinate
con buon metodo, ed alcune composizioni per chiesa che dimostrano più
scienza che gusto. Dopo una dimora di 23 anni in quel monastero, ove per
la regolarità di sua condotta, e la dolcezza de' suoi costumi erasi
conciliata la venerazione e la stima di tutta quella rispettabile
comunità, finì quivi i suoi giorni in età di 65 anni nel 1783.

PROVEDI (Francesco). Sanese, di cui nel tomo 50 degli opuscoli
scientifici e filologici Ven. 1754, vi ha _Paragone della musica antica
e della moderna_ in quattro ragionamenti. Nel primo tesse brevemente la
storia della musica, fa vedere l'uso e la stima che ne facevano i Greci,
e 'l pensiero che si prendevano per conservarla nella sua purezza: ne'
due seguenti ragionamenti passa egli a paragonare la musica greca colla
moderna: nel quarto prova, che una delle prime cagioni che imperfetta
rendono la musica moderna, è stata la poco propria maniera, colla quale
trattata è da' suoi scrittori. Il Giornalista di Modena credette per
isbaglio che Provedi fosse stato _Coltellinajo_ di professione; questo
era un secondo nome di famiglia (_Stor. letterar. d'Ital. t. X, 1757_).
Nel 1743 nacque in Siena una questione fra _Fausto Fritelli_ maestro di
cappella della cattedrale, e _Francesco Provedi_ circa il sistema di
musica più perfetto, e se debba preferirsi quello di Guido Aretino, o
quello di Anselmo Fiammingo. Il _Coltellinajo_ ad istanza degli amici
pubblicò il suo parere in una _Lettera_ in favore di Guido, e da essi ne
furono mandate copie in diverse parti; ma _Provedi_ persuaso del
profondo sapere del P. Martini, a lui rimise il giudizio della sua
_Lettera_ e della risposta del Fritelli suo avversario. Non sappiamo in
favore di chi sia stata la decisione del Martini.


PSELLO (Michele), scrittore greco del secolo XI sotto l'Imperatore
Costantino Ducas, del cui figlio Michele fu precettore, morì nel 1078.
Nella sua opera _De quatuor mathematicis scientiis_, tratta egli della
musica. “Gli scritti di Psello, dice l'ab. Requeno, per il titolo e per
il contenuto mostrano la barbarie dell'età sua. Scrisse del quadrivio,
sotto il cui nome allora s'intendevano l'aritmetica, la musica, la
geometria e l'astronomia. Intorno alla musica, se ci deve servire di
regola uno scrittore per giudicare dello stato, in cui essa allora
trovavasi, si conchiuderà, o che all'età di Psello si erano cambiati non
solo i nomi tecnici, ma la sostanza altresì degli armonici intervalli, o
che era egli stesso sommamente ignorante dell'arte e de' differenti
sistemi” (_V. Saggi t. 1. c. 14_).


PUCCITTA (Vincenzo), eccellente maestro italiano, e compositore del
nostro tempo di molto buon gusto e di nuovo stile per teatro. Verso il
1807 egli fu in Londra; _le sue opere_, dice il Dottor Pananti, _trenta
volte e più ripetute in quel teatro hanno avuto i più meritati applausi,
la sua bella musica è stata avidamente accolta dal pubblico_ (_V. poeta
di teatro, t. 2, Londra 1809, pag. 332 not. 5_). Nel magazzino del
Ricordi si trova di lui impressa la musica dei drammi _Teresa e Wilck_;
_Zelinda e Lindoro_; _i Due Prigionieri_; _il Puntiglio_.

PUCKERIDGE, irlandese, fu il primo inventore dell'_armonica_. Nel 1760
avendo osservato il suono prodotto dallo strofinamento della sommità di
un bicchiere con un dito bagnato, provossi il primo a formare uno
stromento armonioso col porre sopra una tavola un certo numero di
bicchieri di varie grandezze e ripieni d'acqua a metà. Puckeridge morto
giovane non ebbe l'agio di perfezionare la sua scoverta, il che fece di
poi il Dottor Franklin.

PUGNANI (Gaetano), di Torino, fu scolare di Somis, suo compatriota ed
uno de' migliori allievi di Corelli. Trovandosi già ben fermo sul
violino, andò a visitar Tartini in Padova per consultarlo sulla sua
maniera di suonare, pregandolo di dirgli francamente il suo parere. Egli
ricominciò il suo studio sotto la direzione di questo gran maestro, e si
fermò per alcuni mesi in Padova. Viaggiò quindi in molti paesi
dell'Europa, e si fermò lungamente in Inghilterra, dove compose una gran
parte della sua musica pel violino, e fece eseguire in Londra la sua
opera _Annetta e Lubino_, e tornò in Italia verso il 1770. Fondò in
Torino una scuola di violino, come il Corelli a Roma, e il Tartini a
Padova; dalla quale sono sortiti i primi suonatori della fine dello
scorso secolo, come Viotti, Bruni, Olivieri ec. È da rimarcarsi che i
suoi allievi sono stati molto abili nel reggere l'orchestra: egli era
questo il principale talento del maestro, ed egli aveva l'arte di
trasmetterlo altrui. “Pugnani dominava nell'orchestra, dice Rangoni,
come un generale in mezzo a' suoi soldati. Il suo arco era il bastone di
comando, a cui ubbidiva ciascuno colla maggior esattezza, ed egli
richiamava tutti a quella perfetta unione, ch'è l'anima del concerto.
Penetrato dal principale oggetto, cui dee proporsi ogni valente
accompagnatore, cioè di sostenere e far distinguere le parti essenziali,
prendeva così prestamente e gagliardamente l'armonia, il carattere, il
movimento e 'l gusto della composizione, che ne imprimeva al momento
stesso il sentimento nello spirito dei cantanti e di cadaun membro
dell'orchestra.” (_Saggio sul gusto della musica, Livorno 1790_). I
dettagli della vita privata del Pugnani offrono dei curiosi aneddoti.
Trovandosi un giorno _aux délices_ in Parigi, Voltaire recitò alcuni
suoi versi che Pugnani ascoltò colla più grande attenzione. Mad. Denis
pregò in seguito Pugnani a suonare alcun pezzo di musica sul suo
violino, ma inquietatosi che Voltaire proseguiva a parlar alto, e
turbava la sua esecuzione, rimettè lo strumento in sacca, _questo M. de
Voltaire_, egli esclamava, _sa far de' bei versi; ma per la musica non
se ne intende un diavolo_. Suonando una volta un concerto in una gran
compagnia, al far la cadenza, esce fuori di se, e credendosi solo si
mette a girar per la camera senza avvedersene, finchè alla fine della
sua cadenza sentì ripigliare tutta l'orchestra. La musica di Pugnani è
pregevole per una eloquenza nerboruta e brillante; le idee vi si
succedono con ordine senza allontanarsi dal soggetto: pochi artisti han
saputo meritare, com'egli, l'ammirazione per il loro talento e la stima
per la loro persona. La grandiosità della sua esecuzione rispondeva
perfettamente alla dignità del suo contegno. Morì in Torino nel 1798 in
età di 70 anni.

PUTEANO (Ericio), o _Enrico Dupuy_, governatore di Lovanio, e
storiografo del re di Spagna; fece i suoi studj in Colonia, a Padova, e
in Milano. Egli fu uno de' più dotti uomini del secolo 17. Delle molte
sue opere non citeremo qui che quella da lui pubblicata in Milano nel
1599, col titolo: _Pallas modulata sive septem discrimina vocum_ etc. in
8vo, di cui vi ha una seconda edizione in Lovanio del 1615, col titolo:
_Musathena_. Egli vi propose un nuovo metodo di solfeggio, con
aggiungervi una settima sillaba. Quest'innovazione recò scandalo ai
pedanti del suo secolo, ma trovandosi più utile il suo metodo fu quindi
generalmente abbracciato.



Q


QUADRIO (abbate Francesco) è autore di un'opera pubblicata in Bologna
1739 ed a Milano 1746 col titolo: _Della storia e della ragione d'ogni
poesia_, 4 vol. in 4.º, nella quale trovansi molti articoli concernenti
la letteratura della musica, tali sono quelli sul _merito di Guido
d'Arezzo sulla musica_ nel tom. 2, quello della _Cantata_ dell'_Opera in
musica_ degli _Oratorj_ nel tom. 3 ec. Ecco il giudizio che ne ha dato
l'Arteaga. “Il Quadrio, egli dice, uomo di lettura immensa, ma
d'erudizione poco sicura, di gusto mediocre e di critica infelice
impiegò un mezzo tomo della sua voluminosa opera nel trattare
dell'_Opera in musica_, ove il lettore altro non sa rinvenire che
titoli, che date e nomi di autori ammucchiati senz'ordine a spavento
della memoria, e a strazio della pazienza.” (_Disc. prelim._).

QUANZ (Gioacchino), celebre compositore, e scrittore di musica, fu il
maestro del gran Federico re di Prussia, con cui suonava insieme di
flauto, essendo stato eziandio virtuoso in quasi tutti gli instromenti.
Nel 1724 venne in Roma in compagnia dell'ambasciadore di Polonia, e 'l
suo primo pensiero fu di prendere quivi lezioni di contrappunto dal cel.
Gasparini: ebbe ancora occasione di sentire il gran Tartini. Nel 1727,
si rese a Napoli, ove trovò il Sassone che studiava allora sotto
Scarlatti: fece colà conoscenza co' più gran musici, come Leo, Mancini e
Feo. Quanz abitava insieme col Sassone, e lo pregò di presentarlo a
Scarlatti, ma questi, _tu sai_, gli disse, _che gli suonatori di
strumenti da fiato mi sono insoffribili, perchè sono stonatori_. Ma
Hasse fece tanto che lo persuase a riceverlo. Dopo avere inteso Quanz
sul flauto lo prese egli in tale affezione, che compose per lui molti _a
solo_ e lo introdusse nelle primarie case di Napoli. Quanz tornò in Roma
per sentire nella settimana santa il cel. _Miserere_ di Allegri:
proseguì quindi il suo viaggio per Firenze, Livorno, Bologna, Ferrara,
Padova sino a Venezia, dove trovò Vinci, Porpora e Vivaldi. Da lì passò
per Modena, Reggio, Parma, Milano e Torino, e si rese quindi a Parigi,
dove fece il suo primo Saggio di perfezionamento del flauto,
aggiungendovi una seconda chiave. Nel 1727 passò in Londra, e dopo avere
scorso l'Olanda, tornò in Dresda. La sua prima attenzione fu di porre in
ordine le nuove idee, che aveva acquistate ne' diversi paesi che aveva
percorsi: compose alcuni pezzi di musica sul gusto regnante; si diè a
comparare insieme tutti i suoi saggi, e ne separò quel che vi era di
buono, per formarne un tutto di un nuovo genere. Nel 1741 egli si
stabilì a Berlino, ove Federico II gli assegnò per suo onorario due mila
talleri, con pagargli a parte ciascuna delle sue composizioni, e cento
altri talleri per ogni flauto, che farebbe. Egli aveva cominciato a
costruirne in Dresda, e questo negozio valevagli molto. Morì egli assai
ricco a Potsdam nel 1773. Il re fece inalzare un monumento su la tomba
di questo celebre virtuoso. Sono le sue opere teoriche 1. _Essai d'une
méthode pour apprendre à jouer de la flûte traversière_, con 24 rami,
Berlino 1752, e Breslau 1781 tradotta in francese: ella vien citata dal
Sacchi nel suo libro delle Quinte successive p. 19. Quanz vi parla della
sua invenzione di quel pezzo o giunta, che serve ad alzare o abbassar
l'instromento senza cambiare il corpo del mezzo, e senza far torto alla
purezza del suono. M. Moldenit attaccò nel 1758 questo metodo, il che
diè occasione alla _Risposta di Quanz alle di lui oggezioni_, inserita
nelle notizie di Marpurg. 2. _Application pour la flûte avec deux
clefs_, in fol. 1760. Quest'opera è molto interessante: la sua utilità
non si limita solamente al suono del flauto, ogni musico ed il maestro
di cappella ancora vi troverà dei dettagli assai buoni a sapersi. 3.
_L'Histoire de sa Vie_. Questa memoria è compiuta, potrebbe chiamarsi la
Storia del virtuoso in generale. 4. _Diverse Lettere sulla musica_:
ambedue queste opere trovansi nel sullodato libro di Marpurg. Le
composizioni di Quanz portano seco l'impronta di una gran cognizione
delle leggi dell'armonia.

QUATREMERE de Quinci, ha fatto inserire nel Mercurio del 1789, un
articolo molto importante sotto il titolo _de la Nature des Opéras
bouffons, et de l'union de la comédie et de la musique dans ces poèmes_.
Questa dissertazione si trova eziandio nel tom. XVI, _des Archives
Littéraires_.

QUINTILIANO (Aristide), uno de' sette scrittori greci di musica della
collezione di Meibomio, che egli crede aver fiorito sotto l'imperatore
Adriano; ma il dotto critico l'abb. Requeno, “benchè non si sappia, egli
dice, dagli antichi storici nè la di lui patria, nè la nascita, nè l'età
con tutto ciò si può da' suoi libri conchiudere, ch'egli vivesse poco
dopo Cicerone, Virgilio ed Orazio. Atteso lo stile, attesa la sua
singolare perizia nell'antico sistema de' Greci, attesa la sua divozione
verso le false divinità, atteso il fine, per cui egli dice, che scrive;
io resto persuaso, esser egli vissuto o sul fine del secolo di Augusto,
o sul principio del seguente. Aristide è puro, eloquente, fluido,
naturale e grazioso nello scrivere; nè si trova così aureo scrittore
nell'età di Plutarco, nè molto prima. Nessuno de' posteriori autori ha
mostrata la metà di scienza musicale, di Aristide.” (_Saggi, t. 1, p.
267_). Il suo _Trattato della Musica_ è diviso in tre libri: egli
dichiara il fine per cui gli ha composti sul principio del terzo libro.
_Mi ha incitato a scrivere_, dice egli, _prima di tutto la
disapplicazione universale all'arte armonica; a questi infingardi
insegnerò io quale sia cotest'arte da essi disprezzata: giacchè fra gli
antichi non era dozzinale questo studio, com'essi pensano a dì nostri;
per non intenderlo, che anzi era tenuto per principale ed utile alle
altre scienze ed arti._. Per ben intendere il fine, a cui sono
indrizzate queste espressioni, leggasi al libro 2, p. 70 l'obbjezione,
che Aristide si fa dell'autorità di Cicerone ne' dialoghi della
Repubblica; e si vedrà che tutti e tre i libri sono diretti a dileguare
i pregiudizj sulla musica de' Greci sparsi da' Romani. M. Tullio
introduce in que' dialoghi uno degli interlocutori a provare, che l'arte
musica era non che inutile, ma eziandio pregiudizievole. Aristide nel
_primo libro_ s'impiega in dimostrare, che la musica non è arte delle
persone dozzinali; nel _secondo_ ch'essa serve per l'educazione della
gioventù; nel _terzo_ che la medesima ha una particolare relazione con
tutte le scienze più sublimi e con le arti liberali. “Quest'opera, dice
_M. du Bos_, è la più istruttiva che si trovi nell'antichità intorno a
questa scienza: ella è a mio avviso la più metodica.” (_Reflex. crit. t.
3. p. 7_). Nessuno de' greci, o de' latini armonici ha trattato di tutta
la greca musica, fuori di lui, nè con tanta chiarezza ha esposto nessuno
il sistema armonico con tutte le sue variazioni, quanto Quintiliano.
“Egli comprende l'antico sistema, lo sminuzza, lo spiega, applicandolo
alla fisica, alla morale, all'astronomia, ed in questo si mostra
filosofo pittagorico: nel musicale sistema però seguace de' greci
anteriori a Pittagora. Io consiglierei chiunque, che tentasse
d'istruirsi a fondo ne' greci sistemi, a leggere prima questo autore per
poi passare a scorrere gli altri scrittori armonici, i quali senza la
scorta di Quintiliano compariranno imbrogliati ed oscuri.” (_Requeno
loc. cit._).

QUINTILIANO (M. Fabio), celebre oratore romano, cui Plinio il giovane
vantavasi di avere avuto per maestro (_lib. II, et VI epistol._) fiorì
nel secondo secolo dell'era cristiana. Nella sua eccellente _Istituzione
oratoria_ impiega egli un lungo capitolo sulla musica, nel quale
intraprende a provare, essere ella stata in ogni tempo un'arte
necessaria alle persone di educazione e di nascita (V. lib. 1, cap. X).
L'Ab. du Bos nelle sue _Riflessioni critiche sulla poesia, la pittura e
la musica_ rapporta molti estratti di Quintiliano intorno alla musica
tradotti nel francese.



R


RABANO (Mauro), monaco da prima nel monastero di Fulda e morto quindi
arcivescovo di Magonza sua patria l'anno 856, aveva studiato la musica,
e cercò d'inspirarne il gusto a' suoi allievi. Nella sua opera _de
Institutione clericorum_ egli dice che fa d'uopo a' chierici
l'apprendere la musica, e parlando nel secondo libro della Salmodia,
dice che i cantanti per avere la voce alta, chiara e dolce mangiar
dovrebbero non altro che legumi: come facevano gli antichi (_cap. 48_).
In tal caso costerebbe assai caro il talento di ben cantare. Nel terzo
libro, trattando delle cognizioni necessarie agli ecclesiastici,
raccomanda loro grandemente lo studio del canto. Parla ancora spesso
della musica nel suo trattato _de Universo_. Brossard annovera Rabano
tra gli autori di musica nel secondo ordine.

RAFF (Antonio), il primo tenore della Germania e dell'Italia verso la
metà dello scorso secolo, era nato a Bonn. Soggiornò lungo tempo in
Italia, e fu allievo della cel. scuola di Bernacchi. La dolcezza
singolare della sua voce, l'espressione del suo canto rapiva
mirabilmente il cuore di chi l'udiva; verso il 1759 egli cantò nel
teatro di Palermo, dove fecesi anche stimare moltissimo per una
regolarità di condotta non ordinaria fra le persone del suo mestiere.
Raccontavano i nostri antichi che nello spazio di quel tempo, in cui non
doveva comparir sulle scene, stavasene egli ritirato nel suo gabinetto a
leggere qualche libro di pietà. M. Ginguené cita il seguente aneddoto di
Raff come uno de' più grandi effetti della musica. La principessa di
Belmonte in Napoli era inconsolabile della morte di suo marito: un mese
era già scorso senza che essa potesse mandar fuori un sol lamento e
versare una sola lagrima. Sul tramontar del sole veniva essa a
passeggiare ne' suoi giardini, ma nè l'aspetto del più bel cielo, nè la
riunione di tutto ciò che l'arte aggiungeva sotto a' suoi occhi alle
grazie della natura, nè l'oscurità stessa toccante della notte potè mai
produrre in essa quelle tenere commozioni, che dando uno sfogo al
dolore, gli tolgono ciò che ha di pungente e d'intollerabile. Raff
trovandosi allora per la prima volta in Napoli, volle veder quei
giardini, celebri per la loro amenità. Gli venne permesso; ma
raccomandogli di non avvicinarsi a quel tale boschetto, ove sedevasi la
principessa. Una delle sue cameriere sapendo che Raff era nel giardino,
propose alla signora di permettergli che venisse a salutarla. Raff si
accostò, ed era già instruito di quel che doveva fare. Dopo alcuni
istanti di silenzio, la stessa donna pregò la principessa di dare il
permesso che un cantante così famoso, che non aveva mai avuto l'onore di
cantare alla di lei presenza, potesse almeno farle sentire il suono di
sua voce. Non essendo stata la risposta un positivo rifiuto, Raff
interpretò quel silenzio ed essendosi messo un poco in disparte, cantò
quella canzonetta di Rolli _Solitario bosco ombroso_. La sua voce, che
era allora in tutta la sua freschezza, e una delle più belle e delle più
toccanti che si siano intese, la melodia semplice, ma espressiva di
quell'aria, le parole perfettamente adattate al luogo, alle persone,
alle circostanze, tutto questo insieme ebbe tale possanza sopra organi
che da gran tempo sembravano chiusi, e induriti dalla disperazione, che
cominciarono a scorrer le lacrime in abbondanza. Nè frenar queste si
poterono per il corso di più giorni, e così salvarono l'ammalata, che
senza quella salutevole effusione avrebbe immancabilmente perduta la
vita. Raff verso il 1783 viveva a Monaco nella Baviera come musico della
corte, e benchè in un'età assai avanzata cantava ancora con molta
grazia.

RAFFAELE (Benvenuto conte di san), torinese, regio direttore degli studj
a Torino, è autore di due belle _Lettere sull'arte del suono_ inserite
nella raccolta degli opuscoli di Milano, vol. 28 e 29. La prima tratta
maestrevolmente _de' Principj dell'arte del suono del violino_: “La più
parte de' maestri di suono, egli dice, male istituiti eglino, istituir
non possono i loro scolari. Avvezzi a non ragionar sopra l'arte,
anzicchè stender l'occhio a misurarne l'ampiezza, vanno striscion come
bachi per le calcate vie di una mera e disordinata pratica. Questa sola
li guida; e quanto è cieca la scorta, altrettanto forza è, che ciechi
sien essi, e ciechi divengan altresì i discepoli.” Nel cap. 1 addita
egli _quale, e come esser dee lo stromento_: dice, che i migliori
violini sono i fatti dallo _Stainer_, dagli _Amati_, dagli _Stradivari_,
da' _Guarneri_, dal _Bergonzi_, dal poco noto, eppur di fama degnissima
_Cappa_ di Saluzzo: che il violino vuole essere vecchio anzichenò. Tre
cose, dicea il _Geminiani_, pretendono le mie orecchie, _Musica di tre
giorni, Suonator di quarant'anni, e violino di ottanta_. Al qual detto
il _Tartini_ mettea una saggia restrizione, dicendo: _datemi un violino
vecchio, ma non decrepito come sono io._ Un solo violino si debba avere
alla mano; il cangiare soventi fa sì, che l'intuonazione non mai si
rinfranca. Nel capitolo secondo dà egli i _principj generali dell'arte
del suono sopra il violino_. Nella scambievole corrispondenza di una
mano che guida l'arco, e dell'altra che scorre sul manico, sta tutta
l'arte. Nel cap. 3 tratta _dell'esattezza del suono_; nel cap. 4 _della
verità del suono_; nel cap. 5 _degli abbellimenti del suono_. Aggiugnere
abbellimenti a ciò che sta scritto nè sempre è lecito, nè sempre
vietato; nè sempre conviene, nè sempre disdice. Quattro opportuni
riguardi sono da prescriversi nell'abbellire: _sobrietà, opportunità,
leggiadria, pulizia_. Ecco un piccol saggio della precisa, e brieve
maniera d'insegnare l'arte del suono, usata da questo dotto scrittore.
La seconda lettera scritta con la stessa eleganza e concisione di stile,
è piuttosto storica anzichè didattica, ed ha per soggetto _Le
rivoluzioni dell'arte del suono appo i moderni_. L'A. riduce a quattro
le scuole principali di violino degli ultimi tempi: quella del
_Corelli_, quella del _Tartini_, la tedesca di _Stamitz_, e l'ultima
attuale, la quale fa a suo avviso nella musica lo stesso effetto, che
tra le sette dell'antica filosofia l'Eccletticismo, mentre al par d'esso
con certo libero orgoglio a niun maestro s'attiene con servil
sommissione; ma dovunque ritrova il bello, sel prende, e il riveste, e
il fa suo, non ricopiando da vil plagiario, ma racconciandolo da prode
imitatore con ingegnosa e certamente lodevole maestria. Queste due
lettere piene di utilissimi precetti, e di osservazioni assai giudiziose
e filosofiche sull'arte in generale dovrebbero andar per le mani non che
de' soli violinisti, ma de' maestri di cappella eziandio, e di tutti
generalmente gli artisti. Il conte di S. Raffaele si è fatto ancor
distinguere come eccellente compositore per sei duetti di violino
pubblicati dapprima in Londra nel 1770, ed in appresso a Parigi 1786.

RAGUENET (Francesco), dottore sorbonico, sin dalla più tenera età,
applicossi allo studio delle belle lettere, che egli proseguì eziandio
dopo avere abbracciato lo stato ecclesiastico. Nel 1722 fu egli trovato
morto in sua casa in età di 60 anni. La città di Roma onorollo col
diritto di cittadinanza per la di lui opera intitolata _Monumens de
Rome_: per mostrare agl'Italiani la sua gratitudine l'abb. Raguenet
pubblicò nel 1704 il suo libro _Parallèle des Italiens et des Français,
en ce qui regarde la musique et l'Opéra_, Paris in 8vo, che fu occasione
di una guerra letteraria. La musica degl'italiani è secondo lui molto
superiore per ogni riguardo alla francese; primo per riguardo alla
lingua, di cui tutte le parole, tutte le sillabe distintamente si
profferiscono; 2. per rapporto al genio de' compositori, alla magia
dello strumentale, all'uso degli eunuchi, all'invenzione delle macchine.
Egli fu il primo che con questo suo libro cercò di aprire gli occhi de'
francesi sul cattivo stato della musica in Francia. Mr. de Fontenelle,
benchè imbevuto della _musica la più francese_, secondo l'espressione
del d'Alembert, ma filosofo pieno di moderazione, reconne, come Censore,
questo giudizio: _Io credo che l'impressione di quest'opera sarà
graditissima al pubblico, purchè sia capace d'equità._ Ma ella sollevò
contro al suo autore molti antagonisti, ai quali oppose egli un altro
scritto col titolo: _Réponse à la Critique du Parallèle_ in 8vo.

RAMEAU (Giov. Filippo) nacque a Dijon nel 1683, apprese da fanciullo i
principj della musica da suo padre organista della cattedrale, e dopo
aver fatti de' profondi studj sul contrappunto, viaggiò alcun poco per
l'Italia, e venne finalmente a stabilirsi in Parigi. Quivi impiegò il
suo tempo a dar lezioni di cembalo, e a far delle ricerche sulla teoria
della musica. In quell'epoca il gusto della fisica e delle mattematiche
era già cominciato a divenir generale in Francia: Rameau volle
applicarvisi; ma non ebbe la pazienza o le disposizioni necessarie per
riuscirvi. Avendo letto, che un corpo sonoro posto in vibrazione faceva
sentire, oltre il suono principale, la sua _duodecima_ e la sua _decima
settima_, provossi a stabilire su tal fenomeno la sua teoria musicale.
Egli sostenne che tutte le regole sino allora prescritte non erano che
delle tradizioni oscure e sparse a tastoni, senza nesso e senza alcun
fondamento: si propose a ridurle tutte ad un piccol numero di principj,
ch'egli pretese dedurre dalle leggi, o bene o male intese, della fisica.
Siccome le opinioni di quest'uomo celebre hanno avuto gran corso in
Francia, e nell'assoluta mancanza, che vi era colà di libri elementari
scritti a norma de' buoni principj, quelli di Rameau furono commentati,
semplificati e moltissimo lodati da autori celebri, per cui acquistarono
gran nome, così non sarà discaro ai lettori di quì darne un'idea.
Se pongonsi ad esame i diversi accordi, di cui si fa uso
nell'accompagnamento, si riconoscerà facilmente che questi possono tutti
ridursi alle diverse combinazioni di certe riunioni di suoni. Per
esempio, gli accordi _Ut-mi-sol_, _Mi-sol-ut_, _Sol-ut-mi_, chiaramente
non sono che tre combinazioni de' suoni _ut_, _mi_, e _sol_, gli accordi
_Sol-si-re-fa_, _Si-re-fa-sol_, _Re-fa-sol-si_, _Fa-sol-si-re_, sono
quattro combinazioni de' suoni _sol-si-re-fa_; nelle quali ognuno de'
suoni è preso successivamente per base, essendo assolutamente
indifferente la disposizione de' suoni superiori. Or, se si considera
uno di questi accordi, che sono composti de' medesimi suoni, come
l'accordo principale, gli altri potranno esser riguardati come loro
dipendenze. Ciò era stato detto dagli antichi, i quali riguardavano come
accordo principale quello, in cui tutti i suoni si trovan nell'ordine di
terze, e riguardavano gli altri accordi composti de' medesimi suoni come
rivolti del primo. Alcuni _ignoranti scrittori_ han fatto autore Rameau
di siffatta considerazione: per convincersi della falsità della loro
asserzione, basta volgere uno sguardo su i libri del _Zarlino_, del
_Berardi_, e d'altri, e vedrassi che una tale considerazione, per altro
verissima, era familiare agli antichi. Quel che appartiene a Rameau, è
lo avere preteso ridurre tutte le leggi dell'armonia a quelle, che
regolano gli accordi principali. A tal effetto egli chiama questi
accordi _accordi fondamentali_, _fondamentale_ la nota, che serve loro
di basso, e finalmente, _basso fondamentale_ un basso ipotetico formato
delle sole regole fondamentali. Ciò posto, egli prescrive le regole,
secondo le quali può formarsi quel basso, cioè secondo le quali gli
accordi fondamentali possono succedersi: e secondo lui, l'armonia sarà
regolare tutte le volte, che gli accordi de' quali è formata, essendo
ridotti ai loro accordi fondamentali, le successioni di questi si
troveranno conformi alle regole da lui stabilite. Ma per disavventura
nulla è più falso di questa sua pretensione: l'esperienza e
l'enumerazione de' casi fanno vedere: 1. che una successione
fondamentale, conforme alle regole di Rameau, può avere delle
successioni derivate cattivissime; 2. che al contrario alcune
successioni derivate, ottime e generalmente ammesse, spesso derivano da
successioni fondamentali, ch'egli rigetta come viziose. A queste
riflessioni aggiungasi ancora, che molti accordi, universalmente
ricevuti, non trovan luogo nei quadri di Rameau, ed egli non può
spiegarne le successioni. Per tutte queste ragioni il di lui sistema non
ottenne l'approvazione di niun valente pratico, e di veruna delle buone
scuole dell'Italia e della Germania. Rameau aveva gran premura di averne
l'approvazione dalla società de' filarmonici di Bologna, che ne rimise
l'esame al cel. P. Martini: ciò si ricava da una sua lettera al medesimo
de' 6 Luglio 1759. “I trattati ed i sistemi sull'armonia, egli vi dice,
non si sono moltiplicati senza frutto e senza successo, se non perchè
non vi si era ancor ravvisato il fenomeno del corpo sonoro. Egli è da
questo stesso fenomeno che io ho visto nascere le riflessioni, che ho
l'onore di sommettere al savio giudizio dell'Istituto: io lo attendo
colla più grande impazienza: qualunque sia per essere, sarà egli per me
infinitamente pregevole. Se non merito l'approvazion vostra, mi
renderete almeno l'inestimabil servigio di farmi conoscere i miei
errori.” (_V. Mem. del P. Martini, p. 105_). Ma dal silenzio dello
stesso Rameau, e de' di lui partigiani ben può dedursi, che l'affare non
ebbe il successo ch'egli bramava: imperocchè quanto non avrebbe fatto
egli valere l'approvazione di sì illustre accademia, e di un sì
accreditato teorico come il Martini? Tuttavia, sebben molte idee, sulle
quali è fondato il sistema del basso fondamentale, come le pruove, su di
cui egli l'appoggia, si fossero cominciate a scorgere prima di lui;
sebbene nella determinazione ch'egli ha fatta de' suoi elementi, regni
una confusione d'idee, che rende difettosa la maggior parte delle sue
regole d'armonia; sebbene egli medesimo abbia esposto il suo sistema con
molta oscurità ed una faticante profusione di dimostrazioni di fisica e
di geometria, che non hanno verun rapporto al suo primario oggetto, non
è men vero ch'egli fu il primo a tirar l'attenzione dei didattici sulla
teoria dei rivolti, e a dare a quegli che sono venuti dopo di lui il
mezzo di far meglio, presentando loro un corpo di dottrina imponente pel
suo totale. Così il dotto _Eximeno_ nel tempo stesso di attaccare la sua
teoria, _degno nondimeno lo stima di somma lode per aver dato a
conoscere il vero ed unico regolatore dell'armonia, e per aver date
delle regole utilissime di pratica_. Quì cade in acconcio l'osservare
che il basso fondamentale proposto dall'Eximeno come il vero ed unico
regolatore dell'armonia è tutt'altro di quello del Rameau, come
chiaramente si vede dalla sua opera medesima, e da ciò che ne dice egli
stesso in una sua lettera, che va in fine del suo libro in difesa alle
oggezioni di un maestro romano. “Or vedete, egli scrive, quanto
storditamente parla il vostro maestro Pandolfo: i francesi non conoscono
altro basso fondamentale, se non quello che ha stabilito il Sig. Rameau;
_ed egli suppone, che io metta quel basso per fondamento della mia
teorica, mentre prometto di rifiutare la teorica del Rameau. Io non ho
preso se non che il nome di basso fondamentale_.” (p. 461). Il ridicolo
autore delle _Riflessioni critiche sul presente dizionario_ o per mala
fede, o per non capire gli autori che legge, volle dare ad intendere
aver io falsamente asserito che l'illustre Eximeno rovesciato aveva il
sistema di Rameau del basso fondamentale. Possiamo a costui rispondere
con le stesse parole di questo autore. “Se prometto di rifiutare il
basso fondamentale regolato colla legge della generazione de' suoni
stabilita dal Rameau, non è un parlar da matto opporre contro di me ciò
che prometto di rifiutare?” Ma questo stordito censore è uno di quelli,
che a ragione vengono chiamati dallo stesso Eximeno i _Cabbalisti della
musica_ (ibid. p. 464): basta leggere l'opera stessa di questo dotto
autore per ismentirlo. Fra gl'italiani, che attaccarono la teoria del
Rameau, debbonsi annoverare il Conte Riccati, il P. Sacchi, e il
Manfredini nell'ultimo capitolo delle sue regole armoniche: fra i
Tedeschi Forkel, Scheibe e Chladni. In Francia se il suo sistema ebbe
per alcun tempo qualche successo, _è oggi giorno in un totale
abbandono_, dice Mr. Choron, ed è stato anche dottamente confutato da
MM. Framery e Suard in più articoli dell'Enciclopedia metodica, da M.
Suremain nella sua opera analitica e filosofica _Théorie
acoustico-musicale_, a Paris 1793, e dal testè citato M. Choron (_V.
Discor. prelim. p. XXII_). Non può negarsi tuttavia, che molte cose non
si trovino utilissime alla pratica nelle di lui opere, perchè egli
possedeva a dir vero, meglio l'arte che la scienza della musica. A lui
dee altresì la Francia la prima rivoluzione musicale nel genere
drammatico, avvicinandosi un poco più al gusto italiano del suo tempo e
discostandosi dal cammino battuto da' fautori di Lulli, _non quanto
avrebbe voluto, ma quanto gli fu almeno possibile_, dice M. d'Alembert.
Rameau seppe dare alla sua cantilena più d'abbellimenti e di varietà, a'
suoi cori più di moto e di effetto. Che se negar non gli si può
dell'estro, e della fantasia, deesi convenire altresì, che ha troppo
amato il fracasso, che ha mancato di sensibilità, che il suo canto è
bizzarro e il più delle volte di cattivissimo gusto, e tanto in ciò egli
è meno scusabile, in quanto conosceva i migliori modelli in questo
genere, avendo inteso nel suo viaggio in Italia, le opere di Scarlatti,
di Leo, di Durante; e che il solo motivo che gli impedì a seguire le
loro tracce, fu la ridicola gelosia, _che in ogni tempo_, dice M.
Choron, _ha animati i musici francesi contro i compositori italiani_. La
sua armonia piena zeppa di dissonanze è poco adatta allo stile
drammatico, e lo stesso di lui encomiatore M. Chabanon si dichiara
contro l'idea, che egli aveva di dipingere, principalmente nello
strumentale. “Voler sottomettere agli occhi l'arte de' suoni, egli dice,
si è un torle la natura: quest'intenzione ad altro non serve che ad
incomodare l'immaginazione del musico, ed a fissarla sopra di alcune
piccole rassomiglianze dubbiose cui sagrifica tutto, e a distrarlo dalle
ricerche della bella melodia, che la sola costituisce la vera musica, e
che forma la vera dipintura. Il musico, che vuol dipignere co' suoni ciò
che cade solamente sotto il senso della vista, lavora in fatti più per
gli occhi, che per le orecchie. Se Rameau dipinge le onde agitate,
l'allineamento delle note descrive la linea curva delle onde, s'egli
dipinge un fuoco artificiale come in _Achante et Cephise_, si veggono le
note innalzarsi come altrettanti razzi.” (_Elog. de M. Rameau a Paris
1765_). Non può nemmeno negarsi, che questo cel. artista non abbia avuto
una coltura di spirito poco ordinaria alle persone del suo mestiere, e
la penetrazione di un uomo che sa riflettere su la sua arte. “Chi dice
un dotto musico, (così egli scriveva a M. _de la Motte_ chiedendogli le
parole di un dramma per metterlo in musica), intende dir ordinariamente
un uomo, a cui nulla sfugge nella combinazion differente delle note; ma
si crede costui assorbito talmente in queste combinazioni, che vi
sagrifica tutto, il buon senso, il sentimento, lo spirito e la ragione.
Ma questi allora non è che un musico della scuola, e d'una scuola in cui
non si tratta che di note, e niente più; di maniera che si ha ragione di
preferirgli un musico che si picca meno di scienza che di gusto. Quegli
frattanto il di cui gusto non è formato che per via di comparazioni alla
portata di sue sensazioni, non può tutto al più riuscir eccellente che
in certi generi, cioè in quei relativi al suo temperamento. È egli
naturalmente tenero? esprimerà bene la tenerezza. Il di lui carattere è
vivace, ameno, scherzevole, ec.? la sua musica vi corrisponderà per
allora, ma fate che egli esca da' caratteri che gli sono naturali, voi
più non lo riconoscerete. Per altro come egli cava tutto dalla sua
immaginazione senza verun soccorso dell'arte, per mezzo dei rapporti
colle sue espressioni, egli si logora alla fine. Nel suo primo fuoco,
era tutto brillante, ma questo fuoco si consuma a misura che egli vuol
riaccenderlo, e più non si trova in lui che ripetizioni e freddure. Per
il teatro vi vuole un musico, che studii la natura prima di dipignerla,
e che per la sua scienza sappia fare la scelta de' colori e delle loro
gradazioni, di cui il suo spirito e 'l suo gusto gli avrebbero fatto
sentire il rapporto colle espressioni necessarie ec.” È d'uopo in somma
riconoscere in Rameau col filosofo di Ginevra, che non era per altro suo
grande amico, _un grandissimo talento, molto fuoco, più di abilità che
di fecondità; più di sapere che di genio, o almeno un genio soffocato
dal troppo sapere_. Le sue opere di teoria musicale sarebbero ancora
state più utili, se egli non avesse avuta la debolezza e la vanità di
applicare la geometria e la fisica alla musica, e pretendere di
cavar dalle medesime le regole di un'arte unicamente fondata
sull'organizzazione e la natura dell'uomo. Eccone i loro titoli: 1.
_Traité de l'harmonie, réduite à ses principes naturels_, 1722 in
4º. — 2. Nouveau Système de musique théorique, 1726 in 4º. — 3.
Génération harmonique, ou Traité de la musique théorique et pratique,
1737 in 8vo — 4. _Dissertation sur l'accompagnement_, 1731 in 8vo — 5.
_Dissertation sur le principe de l'harmonie_, 1750 in 8º. — 6. _Nouvelles
réflexions sur la démonstration du principe de l'harmonie_, 1752 in
8º. — 7. _Réponse à une lettre de M. Euler_, 1752 in 8º. — 8.
_Observations sur notre instinct pour la musique_, 1754 in 8º. — 9.
_Erreurs sur la musique dans l'Encyclopédie_, 1755, in 8º. — 10. _Code de
musique pratique_, 1760, 2 vol. in 4º. “Le opere teoriche di Rameau,
dice il filosofo di Ginevra, hanno di singolare che fecero gran fortuna
senza quasi esser lette, e molto meno il saranno dacchè d'Alembert si
prese la pena di fare in un picciol volume in 8vo il compendio di tutta
la sua dottrina”: al che si può aggiungere che niuno oggidì farassi più
a leggerle dopo che da più celebri autori se n'è dimostrata l'inutilità,
ed il poco profitto che se ne può trarre. Dopo il 1760 Rameau aveva
rinunziato a qualunque specie di fatica, e godette nel riposo della
fortuna e della riputazione che si era fatta colle sue produzioni: Luigi
XV avevagli accordata una pensione, e delle lettere con cui lo
dichiarava nobile, e cavaliere dell'ordine di S. Michele, ma prima di
mettersene in possesso venne egli a morire li 17 settembre del 1764.

RAMOS (Bartolomeo) Pereira, o Pereja, fu celebre professore di musica
nell'università di Salamanca, d'onde venne l'anno 1482 chiamato ad
occupar la cattedra di musica eretta dianzi in Bologna da Niccolò V.
Quivi nello stesso anno pubblicò il suo _Trattato di Musica_, in latino,
divenuto rarissimo. “Ramos, dice Arteaga, sarà sempre dalla memore
posterità annoverato fra i più grandi inventori. Egli ebbe il coraggio
di svelar all'Italia gli errori di Guido Aretino e di scoprire le
debolezze e le inconseguenze insieme del suo sistema.” Guardando con
occhio filosofico la musica ritrovò un utile temperamento, volendo
alterate le ragioni della quarta e della quinta, e sebbene dovè soffrire
le opposizioni del Burzio, e del Gaffurio, pur fu poi dopo un secolo
sostenuto e promosso dal Zarlino, e trionfò alla fine sì nella pratica,
che nella teorica de' musici. Egli è citato come il primo a far valere
lo sperimento della risonanza moltiplice di certi corpi sonori, secondo
la legge degli aliquoti, sperimento, che è divenuto sì celebre per
l'abuso che se n'è fatto nella teoria della musica, e per tutti i
sistemi ai quali si è fatto servire di base.

RAMLER (Guglielmo), professore di belle lettere, e dopo il 1787
direttore del teatro nazionale a Berlino, pubblicò in Lipsia
_Introduction aux belles-lettres_, in 8º, 1758. In quest'opera tratta
egli a lungo della musica. Nelle memorie per servire ai progressi della
musica di Marpurg, vol. 2, vi ha di Ramler: _Défense de l'Opéra en
musique, e Recueil des idées de Remond de St-Mard_ sullo stesso
argomento. Egli è anche autore della sublime cantata, _la morte di
Gesù_, suo capo d'opera per la poesia, come per la musica di Graun.

RANGONI (Giov. Battista), letterato fiorentino, e grand'amatore di
musica, pubblicò in Livorno nel 1790, _Saggio sul gusto della musica_,
in 12º, dove trovansi delle interessanti notizie intorno a' più moderni
virtuosi italiani.

RASPE (Rodolfo) di Hannover, professore nel collegio di Cassel, nel
1776, era in Londra. Egli pubblicò _Essai sur l'architecture, la
peinture et l'opéra musical, traduit de l'Italien par le comte
Algarotti_. Nella _nouvelle Bibliothèque des belles lettres_ vi ha di
lui una _Dissertation sur l'harmonie_.

RAVEZZOLI, romano, così profondo nello studio della composizione che
all'età di venticinque anni venne eletto maestro di cappella di San
Pietro in Roma, dopo avere trionfato de' suoi concorrenti quasi tutti
avanzati in età. Per vendicarsene, fecero essi malignamente entrare
contro il divieto una donna nel Vaticano, ove abitava Ravezzoli. Venne
perciò dinunziato e posto in prigione nel Castel Sant'Angelo, dove
languì di miseria e di afflizione sino alla morte. Nella sua malinconia
egli compose nella prigione parole e musica di un duetto che scrisse sul
muro col carbone, di cui possedevane una copia il Sig. Camillo Barni da
Como abile compositore ed eccellente suonator di violoncello. Dopo la
morte di Ravezzoli, che avvenne verso il 1754, la donna introdotta nel
suo alloggio del Vaticano confessò che il giovane compositore era stato
vittima della gelosia de' suoi rivali.

RAYMOND (G. Marie), professore di matematica e di fisica nel collegio di
Chambery, membro dell'Accad. imperiale delle Scienze e di più società
letterarie, nel 1811 pubblicò in Parigi _Lettre à M. Villoteau, touchant
ses vues sur la possibilité et l'utilité d'une théorie exacte des
principes naturels de la musique_, un vol. in 8º. “A niuno è venuto mai
in pensiero, dice sensatamente questo scrittore, di avanzare, senza
rischio di esser messo in ridicolo, che non abbisognan regole nella
pittura e nella scultura, nell'eloquenza e nella poesia; per quale
singolarità la sola musica potrà far di meno di regole e di principj?
Non è egli forse in conseguenza di sì strana eccezione che le sue opere
sono soggette ad appassire? Le opere di musica impresse si fan camminare
senza data: di tutte le arti la musica è l'unica, le di cui produzioni
non osano palesar l'epoca della loro nascita, sul timore senza dubbio di
esser condannate ad un presto oblio. Non è dessa la più forte prova che
le sue produzioni non hanno avuto che il capriccio per ispirazione e la
sola moda per guida? Se la tale musica pretende esser vera, come cessa
di esserla? Se dipinge il sentimento, come dunque le sue pitture, giuste
in un tempo, finiscono con divenir ridicole in un altro? Non è questo un
contrassegno certo che l'artista non ha seguito niun sodo principio, e
che la musica non ha trovato sinora il vero linguaggio della ragione e
del gusto? A questa medesima incertezza delle basi dell'arte è d'uopo
attribuire i giudizj tanto diversi e sovente tanto opposti, che recansi
tuttogiorno sulla musica, sul suo oggetto, sulle sue bellezze, sul
carattere ch'ella dee sviluppare in ciascuna situazione, e che vi sono,
per così dire, altrettante poetiche musicali quanti vi ha scrittori in
questo genere. Non è questo un vero scorno per l'arte l'ignorar tuttora
quali sono i suoi elementi fondamentali?” (pag. 94). Egli diè inoltre al
pubblico: _Determination des bases physico-mathématiques de la musique,
ou Essai sur l'application des nouvelles découvertes de l'acoustique à
l'art musical, suivi d'un appendice sur quelques systèmes d'écriture
musicale_, Paris 1812. L'argomento di quest'opera è una compiuta
spiegazione delle considerazioni e delle viste indicate dall'autore
nella prima lunga annotazione che è alla fine della sullodata lettera a
M. Villoteau. A questa ha egli unito nello stesso volume tre altri suoi
opuscoli: 1. _De la musique dans les Églises_, ove valorosamente
combatte il parer di coloro, i quali hanno ardito avanzare che l'uso
della musica nelle chiese è generalmente una specie di profanazione; 2.
_Lettre à M. Millin sur l'utilité du rétablissement des maîtrises de
chapelle dans les Cathédrales de France._ “Tutti gli artisti, egli vi
dice, non sono de' Pergolesi, degli Haydn, de' Mozart, de' Cherubini.
Non è se non per mezzo di una tradizione sostenuta che può mantenersi e
perpetuarsi lo stile grandioso e puro, che richieggono le solennità
della Religion cristiana. Su questa porzione esistono de' gran modelli;
il loro studio, la loro imitazione occupar dee continuamente l'artista
che si consacra alla chiesa: è d'uopo adunque che vi siano delle scuole
addette a questo genere di composizione e di esecuzione, nelle quali
possa formarsi il gusto mercè un lungo esercizio, dopo aver succhiato di
buon ora i principj che debbono dirigerlo.” 3. _Réfutation d'un Système
sur le caractère attribué a chacun des sons de la gamme, et sur les
sources de l'expression musicale_. Nulla concorre maggiormente ad
estinguere le arti ed eziandio le scienze quanto l'abuso de' sistemi.
“Allorchè io parlo dell'abuso de' sistemi, dice il dotto autore, io sono
ben lontano dal biasimare le teorie filosofiche che tanti lumi han
recato nelle arti e nelle scienze. Si sa benissimo che non debbonsi
confonder le teorie propriamente dette co' sistemi, anzichè non vi ha al
contrario cosa più adatta a far rovinare le vane ipotesi, quanto un
rigoroso ragionamento che nasce da inconcussi principj.” Lo strano
sistema, ch'egli confuta, consiste nel voler segnare il carattere de'
tre suoni fondamentali _ut, mi, sol_ per via di analogie prese a vicenda
da' colori e dalle forme geometriche de' corpi, che è in parte una
rinovazione di quello del P. Castel. In tutti questi opuscoli l'autore
stabilisce eccellenti principj e propone delle ottime vedute. _M.
Raymond_, dice il secretario dell'Instituto, _ha il sentimento delle
belle arti, e sa esprimerlo da uomo di spirito._


REDI (Francesco), fiorentino, celebre cantante sulla fine del secolo 17.
Egli fondò una scuola di canto in Firenze nel 1706, che per le sue
cognizioni e la sua abilità divenne ben presto una delle più rinomate e
delle migliori di tutta l'Italia. Per farne l'elogio, basti il dire che
la cel. Tesi fu quivi allevata.

REGGIO (Pietro), genovese, celebre musico della cappella della regina
Cristina di Svezia. Dopo che costei rinunziò al governo, egli si rese in
Inghilterra, e nel 1677 pubblicò a Oxford un'_Istruzione per cantar
bene_, in 12º. Morì in Londra nel 1685.

REICHA (Ant.), nato a Praga nel 1770, fu istruito sin dalla prima età
nella musica a Bonn da _Giuseppe Reicha_, suo zio celebre compositore e
direttore del teatro dell'elettore di Colonia quivi morto nel 1795. Da
costui ebbe egli i primi elementi dell'arte della composizione insieme
con Beethoven: mostrò ben presto per essa un'irresistibile passione, e
fece occultamente de' profondi studj sulle opere di Marpurg, di
Kirnberger, e di Sulzer. In età di 17 anni compose alcune scene
italiane, ed una sinfonia, che ebbero così gran successo nella corte di
Colonia che non volle credersi essere state da lui composte. Nel 1794 si
rese ad Amburgo, applicandosi per cinque anni a studiar continuamente e
con maggiore profondità la sua arte. Lo studio dell'algebra, che
passionatamente aveva amato da giovane, gli fu di grande ajuto per
iscoprire i misteri dell'armonia: egli promette infatti di dare al
pubblico un'opera col titolo di _Secreti della composizione pratica_.
Nel 1799 scrisse in Parigi una sinfonia che ebbe un prodigioso successo,
e poco dopo obbligato a partire per Vienna, si unì colà in istretta
amicizia con Haydn, Albrechtsberger, Salieri e Beethoven. Tra le molte
opere che ha composte e pubblicate in Vienna vi ha delle sinfonie,
oratorj, un _Requiem_, ed un'opera intitolata: _Trentasei fughe per il
forte-piano_, a cui precede un'ode dedicatoria in tedesco a Giuseppe
Haydn. Quest'opera ebbe tale incontro, che in meno di un anno non se ne
trovarono più esemplari. S. M. l'imperatrice dimandò a Reicha la musica
di alcune scene di un'opera seria in due atti, l'_Argene_: ella restò
così soddisfatta di quel saggio, che ordinò all'autore di mettere in
musica l'intero dramma; e ne' suoi concerti particolari cantò ella
medesima la parte di _Argene_. Gli avvenimenti politici dell'Austria
obbligaron Reicha a lasciar Vienna, e dopo il 1808 si è stabilito in
Parigi. Le sue opere in quasi tutti i generi di musica sono state
impresse a Vienna, a Lipsia, a Parigi, ed a Londra. Egli è stato il
primo a proporre una _nuova teoria di misure composte_, e ne ha dato
degli esempj. Veggansi le sue _fughe_ e i suoi _esercizj e studj per il
forte-piano_, impressi da Imbault. Ecco un saggio sulla maniera con cui
ha egli composte le 36 fughe dedicate a Haydn. Si sa che gli antichi
compositori hanno ristretto i soggetti delle fughe ad una piccolissima
quantità, e siccome la composizione in generale ha fatti de' passi
immensi, era ben giusto che la fuga non restasse in dietro. Si trattava
di trovare un mezzo di rendere un qualsivoglia motivo atto alla fuga ed
al suo sviluppo. Bisognava sacrificare l'antica severità della scuola,
appunto all'epoca in cui la fuga era ancora nella sua infanzia, ed in
cui non conoscevasi ancora l'arte di modulare dei gran maestri de'
nostri giorni. In questa collezione adunque si trovan delle fughe sopra
temi veramente straordinarj, che sono stati proposti all'autore per fare
prova del suo valore, e con intenzione di trovarlo in fallo. Per vedere
con qual esito ne sia egli uscito crediamo miglior fatto il rimetterci
all'opera stessa. In Germania, Ant. Reicha viene chiamato _il Ristorator
della fuga_.

REICHARDT (Federico), maestro di cappella di Federico il Grande, e di
Federico Guglielmo II, e III di lui successori, dell'Istituto imperiale
di Parigi, e delle arti e scienze di Amsterdam, nacque a Konisberga nel
1752, nella di cui università studiò sotto la direzione del celebre
filosofo Kant, e quindi in quella di Lipsia sino al 1772. Ne' suoi studj
di musica ebbe per maestro Richter della scuola di Bach. In concorso con
Naumann, fu egli preferito nel 1775 dal Gran Federico per succedere come
maestro della corte in luogo di Graun: stabilì in Berlino un concerto
per farvi eseguire i capi d'opera della musica italiana non conosciuti
sino allora, come le composizioni di Leo, Majo, Jommelli, Sacchini,
Piccini, Bertoni e altri. Distribuiva nel tempo stesso agli uditori un
brieve saggio storico e critico sui compositori e sulle opere che vi si
eseguivano. Nel 1782 fece il suo primo viaggio in Italia, e nel 1785 si
portò in Londra, dove fu graditissimo alla corte ed a quel colto
pubblico specialmente per la sua musica dell'oratorio della Passione di
Metastasio. Federico Gugl. II, che amava moltissimo il teatro italiano,
ne diè la direzione a Reichardt: la sua orchestra divenne immantinente
la prima di tutte le corti dell'Europa. Allora fu che Reichardt compose
la musica dell'_Andromeda_, di _Protesilao_, _Brenno_ e _Olimpiade_ in
uno stile tutto nuovo, con cui cercava di riunire l'effetto della scena,
e la verità della declamazione di Gluck, con le grazie, la ricchezza del
canto italiano, e il gran travaglio tedesco pel suo strumentale. Nel
1790, egli intraprese un secondo viaggio in Italia, per passare la
settimana santa in Roma, e cercar cantanti in Napoli e in tutta
l'Italia. Le fatiche di questo viaggio fecero soccombere la sua
costituzione robusta, ed una grave malattia al suo ritorno in Berlino
non gli permise di terminare la sua _Olimpiade_, destinata per
l'apertura del carnovale. Nel 1792 egli era a Parigi, il che diè
sospetto alla corte di Berlino di essere uno degli amici della
rivoluzione francese, e ne fu dimesso, ma sulla fine del 1794 fu
richiamato dal suo re, e riconosciuto innocente. Nel 1797 alla morte di
quel monarca fu incaricato dal suo nuovo re della direzione del suo
teatro italiano, e il giorno della di lui coronazione diè l'opera
tedesca l'_Isola degli spiriti_, e l'anno di appresso il dramma italiano
_Rosmonda_, che ebbe tal successo, che il re diedegli in premio sei mila
franchi. Dopo la pace di Tilsitt, per la quale il re di Prussia cedeva
alcune Provincie al re di Westfalia, Reichardt dopo 33 anni di servizio
sotto tre re di Prussia trovossi nella necessità di lasciar quella corte
per consiglio eziandio del suo re, e di stabilirsi a Halle. Il re di
Westfalia lo accolse con distinzione, e diegli il posto di direttore de'
suoi teatri francese ed allemanno con nove mila franchi di onorario.
Sino al 1811 egli occupavasi di comporre le _Memorie della sua vita_. Il
numero delle sue composizioni musicali è innumerabile in tutti i generi,
e la più parte trovasi impressa a Berlino, Riga, Amsterdam, Lipsia,
Offenbach ec. Egli non è meno celebre come letterato e come autore. Ecco
il catalogo delle sue opere pubblicate in tedesco: _Lettere di un
attento viaggiatore sulla musica_, t. 2, 1776; _Lettera sull'Opera
Comica, e la Poesia musicale_ — _Sulla musica di Berlino_ — _Su i doveri
di un musico d'orchestra_, t. 3, 1776; _Vita del cel. musico Enrico
Fiorino_, 1779; _Magazzino di musica_, t. 3, 1782-1791; _La giovinezza
di Hendel_, 1790; _Gazzetta musicale_ — _La Settimana musicale_ — _I
mesi musicali_, 1791-1793; _L'Allemagna_, giornale letterario, 1796; _Il
Liceo_, giornale letterario; _Lettere confidenziali, scritte in un
viaggio nella Francia negli anni 1803 e 1804_; _Gazzetta musicale di
Berlino_, 3 tomi, 1803-1806; _Lettere confidenziali sopra Vienna_, 1810;
_Alcune piccole dissertazioni e critiche_ in molti giornali, e gazzette
letterarie e musicali.

REIMAN (Federico), nel 1710 pubblicò a Halle: _Saggio di una
introduzione alla storia letteraria dell'Allemagna_, nel di cui terzo
volume tratta egli della storia della musica. _V. Gruber._

REINARD (Leonardo) davasi egli stesso il nome nelle sue opere di
_literatum humaniorum et musices cultor_. Nel 1750, pubblicò ad
Angsbourg un'opera in lingua tedesca col titolo d'_Istruzione sul basso
continuo_, che contiene delle regole brevi e facili. Il maestro Hiller
la loda moltissimo per la precisione e la chiarezza, con la quale è
scritta.

RELLSTAB (Carlo-Feder.), stampatore e mercante di musica in Berlino, ove
è nato nel 1760. Erasi dapprima consecrato alla musica, e studiò sotto
Agricola compositore della corte, e dopo la di lui morte sotto il
celebre compositore Fasch. Le circostanze di sua famiglia l'obbligarono
a darsi quindi al commercio, ma non lasciò di far della musica una delle
sue favorite occupazioni. Egli è in fatti autore di più opere: 1. _Essai
sur la réunion de la déclamation musicale et de la rhétorique,
principalment à l'usage des musiciens et des compositeurs, avec des
exemples_, Berlin, 1786. 2. _Essai sur les observations d'un voyageur
sur la musique d'église, les concerts etc._, 1789. 3. _Instruction pour
les amateurs du clavecin, sur l'usage des doigts à la manière de Bach_,
1790. Rellstab è eziandio compositore pregiatissimo, nel 1787 e nel
seguente pubblicò alcune sue composizioni per il canto e 'l piano-forte
col titolo di _Magasin de clavecin, à l'usage des connaisseurs et des
amateurs, contenant mélodie et harmonie etc._ L'oratorio di Ramler _i
Pastori alla grotta_, posto da lui in musica è celebratissimo nella
Germania.

REMIGIO, monaco di San Germano d'Auxerre nel nono secolo, riguardato
come il più grand'uomo di que' tempi, insegnò a Parigi, secondo la
testimonianza del Mabillon, la dialettica e la musica. Egli comentò il
trattato di Marciano Capella, e trattò della musica conforme al sistema
de' greci. Il manoscritto di quest'opera di Remigio, _de musica_, si
trova nella imperial biblioteca di Parigi, d'onde l'aveva estratta l'ab.
Gerbert e pubblicata nel 1º t. della sua collezione.

REQUENO (Vincenzo), dotto exgesuita Spagnuolo, nato nel regno di Granata
verso l'anno 1730, fece de' buoni studj ed unì alla cognizione delle
scienze fisiche e matematiche uno squisito gusto nelle belle arti, alle
quali egli si diè in Italia dopo l'espulsione del suo ordine. Nel 1766,
egli erasi fatto conoscere in tutta l'Europa per una eccellente opera,
pubblicata per le stampe in Siviglia col titolo di _Ricerche su i
monumenti romani nella Spagna_, 2 vol. in 4º. Ma le opere dell'ab.
Requeno, che suppongono più vaste cognizioni sono: 1. _Saggi sul
ristabilimento dell'antica arte de' Greci e de' Romani Pittori_, Venezia
1784, in 4º, e 2. _Saggi sul ristabilimento dell'Arte Armonica de' Greci
e Romani Cantori_, 2 vol. in 8vo, Parma 1798. Noi non parleremo che di
quest'ultima, benchè se ne abbia alcuna cosa detto nel nostro _Disc.
preliminare_ p. XXXI. Egli stesso dice di avere impiegati sette anni nel
leggere le opere armoniche greche, latine, italiane, spagnole e
francesi, delle quali potè aver notizia (_t. 2, p. 205_), che ebbe la
disgrazia di esserglisi bruciate le carte, ove più memorie intorno
all'antica musica aveva raccolte, ne' suoi viaggi (_ib. p. 386_); che lo
studio non interrotto per molti lustri de' greci armonici, e l'assidua
meditazione su i medesimi gli rese facile la loro intelligenza e la loro
spiegazione, ma che la vita d'un letterato spatriato, priva d'ogni
agiatezza non essendo suscettibile delle spese necessarie a costruire
molti strumenti antichi, e a stipendiare i maestri per provare, e
combinare la greca con la recente armonia, sperava egli che conceduta
agli exgesuiti spagnuoli la licenza di poter tornare in seno alle
proprie famiglie, e perciò mosso egli pure dal desiderio di rivedere i
patrii lari, ed obbligato a lasciare l'Italia, sperava di fare con tutto
l'agio in Ispagna il rimanente delle prove di fatto, e degli
esperimenti, e di aver cura di mandarne in Italia il risultato. “Felice
me! (egli dice p. 246) se col tempo potessi, o in questo o in altro modo
mostrare a questa gentile e colta nazione la dovuta gratitudine della
cortese accoglienza fattami per trent'anni.” Ma per disavventura
dell'Italia, e dell'arte, non ebbe egli il tempo di rivedere la sua
patria e di adempire alle promesse, essendo morto in Venezia nel 1799.
Per dare un'idea generale del merito di quest'opera _basta indicarne il
nome dell'Autore per tanti letterarj suoi meriti celebrato_ scrive
l'editore al Mecenate dell'opera. _Egli è uno di que' non pochi
coltissimi ingegni, che le vicende fortunose d'un corpo notissimo per
virtù e per isventure trapiantarono dalla Spagna in Italia; egli è l'ab.
Requeno, che lascia, prima di abbandonarci e ritornare alla patria,
questo laborioso ed utile lavoro, novello testimonio delle sue illustri
fatiche, e del suo valore nell'antichità erudita._ L'autore nel primo
tomo premette un _Saggio storico_ dell'antica musica: fa la Storia gran
forza a tutti, egli dice, pel disinganno delle pregiate moderne usanze;
dà in oltre gran lume a' dotti per continuare le loro ricerche, e per
l'intelligenza de' greci canti. Oltrecchè nessuno finora si è preso il
pensiero di ordinare in un corpo le memorie de' greci e de' romani
cantori; niuno degli storici della musica ci ha interpretato a dovere le
memorie di quest'arte non mai da essi cogli sperimenti provata. Nel
secondo volume dà l'Aut. il _Saggio Pratico_ sull'antica musica, in cui
si protesta di nulla avanzare senza que' sperimenti, che sieno facili a
ripetersi da' leggitori. Si tratta, egli dice, di ristabilire la più
graziosa arte de' greci: si tratta di cercare qualche rimedio alla
incoerente nostra scienza armonica: si tratta parimente di far vedere
co' fatti l'inutilità di mille grossi autorizzati volumi, pieni di
pregiudizj sopra la greca melodia, e tutto ciò co' fatti alla mano: non
con lunghe dissertazioni piene di greco e di latino idioma, non con
faticose serie di numeri e con astratti calcoli, ma con suoni sensibili
all'orecchio, e da sottoporsi all'esame delle persone esercitate
nell'armonia. “Italia! Italia! esclama l'illustre autore, madre e
maestra de' cantanti e de' suonatori dell'universo! voi avete e dovete
avere tutto il vanto d'aver resa con arte tollerabile una pratica
stromentale mancante di principj, un'armonia priva di fondamento! Voi, a
cui pur si deve la gloria di aver col vostro ingegno raddrizzata la
musica, lasciatavi da' barbari nelle irruzioni: voi, nelle cui mani
c'incantano i piani-forti, ci riempiono di stupore i violini ed i
flauti, ci struggono i cuori i cantanti! Voi che con le vostre arie e
co' vostri rondò vi conciliate il silenzio, fate ammutolire la romorosa
moltitudine delle platee de' vostri grandiosi teatri! quai più mirabili
effetti non cagionereste voi coll'armonia, se fosse questa a dovere da
voi sistemata e resa perfetta? La vostra serie armonica, di cui al
presente vi prevalete pel canto rimescolata di diatonico e di cromatico,
è senza dubbio difettosissima. Se non credete ad uno straniero qual io
mi sono, date fede a un Bottrigari, a un Zarlino, ad un Vincenzo
Galilei, ad un Martini, i quali a bella posta raccolsero e notarono i
vizj della presente vostra musicale costituzione, per incoraggirvi a
ricercarne una nuova, o ad istudiare i Greci per emendarla. Commosso io
da' loro clamori, e convinto dalle loro ragioni, nell'ameno soggiorno
destinatomi dagli dei della terra fra le vostre mura, non contento di
avervi messo in mano i greci pennelli, ed i telegrafi de' vostri
maggiori obbliati, ho procurato eziandio di fare quanto le mie
circostanze mi hanno permesso _per raccogliere le memorie de' greci
musici, e per ordinare le loro serie armoniche_, affine di contribuire
alla riforma desiderata da' vostri accreditati maestri. Io le assoggetto
al vostro criterio e al vostro fino orecchio: provatele senza
pregiudizj, e giudicate con imparzialità. Non dovrei meritarmi il
disprezzo de' colti, parlando sempre co' testimonj de' greci armonici;
nè dovrei essere creduto uno spagnuolo millantatore, presentandovi io
sperimenti e fatti.” (_t. 2, p. 70_). Ed in altro luogo: “Il tempo, dice
egli, e gli ulteriori sperimenti scuopriranno molte più cose, e l'Europa
rimarrà stupita degl'infiniti pregiudizj finora avuti, e autorizzati da'
maggiori nostri letterati sulla musica de' greci. Io non dispero, che
ciò accada a' miei giorni, se lo spirito marziale, da cui osservo come
invasata questa bella parte dell'orbe, darà luogo al tranquillo studio
de' coltivatori delle arti amene e piacevoli.” (_ib. p. 309_). Abbiamo a
bello studio riferiti cotesti passi dell'A. perchè i lettori vieppiù
s'invoglino a ricorrere all'opera medesima, e perchè diano essi una
riprova dell'ingegno, del cuore, della scienza armonica, della vasta
erudizione, e della coraggiosa critica, che risplendono in tutta l'opera
e fanno onore insieme con essa al dotto Spagnuolo, che ne ha arricchita
l'Italia.

RESINONE, autore del IX secolo, che tratta di musica alla maniera di
que' tempi: fu ricercata dal P. Martini la sua opera, per compire la
collezione da lui intrapresa di tutti gli scrittori di musica, e come
non ve n'era, che un manoscritto nell'imperiale biblioteca di Vienna,
egli l'ottenne per un espresso ordine dell'imperatrice M. Teresa (_V. la
Valle Mem. ec., p. 118_).

REVERONI (Giac. Ant.), nato in Lione nel 1769, d'una famiglia italiana
stabilita in Francia sino da' tempi di Caterina de' Medici, che seco la
portò da Firenze, in mezzo alle numerose funzioni militari, di cui è
stato incaricato come colonello del genio, ha coltivate con successo le
muse, e le scienze. Oltre a più drammi per musica da lui composti pel
teatro comico francese, egli è autore d'una dotta opera col titolo di
_Essai sur le perfectionnement des beaux arts par les sciences exactes_,
2 vol. in 8vo, 1810, dove tratta ancora a lungo della musica.

REUTER (Giorgio), maestro di cappella dell'imperatrice M. Teresa, e
dell'imperial cappella di S. Stefano in Vienna sua patria, fu, secondo
il Carpani, inventore di quegli ostinati andamenti di violini, co' quali
copriva la meschinità de' cantanti, che morto Carlo VI gran conoscitore
ed amatore della musica, s'erano introdotti in quella cappella (_Lett.
4_). Burney scrive di aver sentito nel 1772, un _Te Deum_ composto da
Reuter, la di cui musica parve essere a suo giudizio secca, confusa, e
sprovveduta di gusto. Come in Germania non fu mai praticata quella
detestabile operazione, che perpetuando nell'uomo la voce della donna,
lo rende un ente neutro, che per lo più non ha nè le grazie dell'una, nè
la forza fisica dell'altro, e facevansi perciò venir quivi dall'Italia
tali soggetti, divennero col tempo gli eunuchi più difficili a trovarsi
e troppo cari ad aversi. Suggerì allora il Reuter di stabilire nella
cattedrale di S. Stefano una scuola di sei fanciulli stipendiati, i
quali supplissero ai soprani artefatti: tutto ciò si è detto a provar
falso l'aneddoto riferito da Mr. Breton nella sua _Notice historique sur
Joseph Haydn_, che il Reuter concepì il barbaro pensiero di far divenire
soprano il giovinetto Haydn cantante in Santo Stefano, col metodo
italiano. Alle altre ragioni, che adduce il _Carpani_ confutando una tal
novelletta, aggiunge egli la riputazione e la fama di Reuter, che
tuttora lo predica per uomo probo, religioso, costumato, quanto umano e
prudente, onde incapace di un misfatto sì grave. “Una sì atroce
calunnia, egli dice, con cui s'intacca l'onore di un uomo savio,
dabbene, d'un artista riputato, deve essere combattuta senza riguardi e
misura” (_Lett. 16_). Reuter morì in Vienna nel 1770.

REY (Giov. Batt.), l'intimo amico del cel. Sacchini, e maestro di musica
al servigio di Luigi XVI dal 1779 sino alla fatale rivoluzione, che gli
fè perdere la pensione di due mila franchi assegnatigli dalla corte, fu
per trentacinque anni il direttore dell'opera comica a Parigi, e
contribuì molto a sostenerne l'onore e la gloria. Egli compose la musica
di moltissimi drammi, e compì l'opera d'_Arvire et Eveline_ di Sacchini,
che gliene aveva affidata morendo la cura. I suoi talenti gli meritaron
sempre la stima e l'affezione de' più rinomati compositori. Gluck,
Sacchini, Salieri, Piccini, Gretry, Paisiello, Cherubini, Winter,
Lesueur e più altri hanno assai volte contribuito alla di lui gloria,
onorando della loro confidenza i suoi talenti, e manifestando questo
sentimento di viva voce e per iscritto. Il suo merito fecelo onorare del
titolo di capo dell'orchestra della cappella imperiale. Padre sensibile
non potè giungere a calmare il dolore cagionatogli dalla perdita di una
sua figlia, assai virtuosa sul piano-forte e nella composizione, morta
nell'està del 1809; una lunga malattia il fè soccombere nel 1810. Egli è
autore di un'opera, che ha per titolo: _Système harmonique développé et
traité d'après les principes du cél. Rameau, ou Grammaire de musique,
sous le titre de Tablature se rapportant au dictionnaire de J. J.
Rousseau, avec théorie pour trouver et exercer commodément toutes les
harmonies et mélodies_, Paris in fol. 1801. L'autore così spiega le sue
intenzioni in un'epistola dedicatoria a' suoi amici Sonnerat e Bradi.
“Cittadini amici: le lingue, per quanto puossi agevolmente osservare,
hanno tutte la loro grammatica, od almeno sono generalmente capaci di
averne una. La musica, cui gli antichi hanno detta la lingua degli dei,
è ancora tuttavolta senza possederne una propria, comecchè la meriti
benissimo: quindi la penosa difficoltà di studiarla. Moltissimi artisti
presupposto avendo che questa intavolatura esser potrebbe effettivamente
la grammatica necessaria, e che dessa manca alla continuazione del
dizionario del sensibilissimo Giangiacomo Rousseau, io ho avventurata
l'edizione della mia opera, ec.”.

REY (J. B.), nato a Tarascona circa 1760, è stato maestro di musica
delle cattedrali di Viviers e di Usez, e attualmente uno de' musici
dell'imperiale accademia a Parigi. Apprese da se solo a sonare il
forte-piano, il violino e il violoncello: oltre a più composizioni di
musica, egli pubblicò altresì nel 1810 un _Traité d'harmonie_, in 8º,
nel quale ha per iscopo “dietro il principio generalmente ricevuto, di
far cessare le contradizioni, che inviluppano le regole dell'armonia,
separando del tutto il genere cromatico dal diatonico. Per siffatta
operazione, egli non riconosce che un basso fondamentale reale applicato
al genere cromatico su i tre gradi fondamentali, senz'altro con quinta
giusta. In quanto a quello che si è fatto derivare sino al presente dal
genere diatonico, s'egli poteva esistere, nol può più adesso, secondo il
suo sistema, o al più come basso-fondamentale numerico o aritmetico in
ragione delle differenti progressioni, che stabilir si possono su
gl'intervalli naturali della scala. L'autore ha trattato a fondo, ed in
una nuova maniera tutto ciò che può comprendere il genere diatonico, e
la parte delle cadenze, sulla quale essenzialmente si appoggia il genere
cromatico, e l'arte della modulazione.” L'estratto di quest'opera è
interamente di M. Fayolle, non essendo ella giunta ancora sino a noi.

REYON DE SILVA (don Diego Ant.), secretario di stato di S. M. cattolica
Carlo III, e membro dell'Accademia delle belle arti di Madrid, nato nel
regno di Mursia, e morto in età di 48 anni nel 1798 a Madrid, pubblicò
in sua lingua _Dizionario delle belle arti_, Segovia 1788 in 4.º, nel
quale trovansi degli articoli sulla musica.


RHODE (J. G.) è autore di un dotto opuscolo in lingua tedesca, che ha
per titolo: _Teoria della propagazione del suono per gli Architetti_,
Berlino 1800. Mr. Chladni dice ch'egli lo preferisce a molti altri
(_Acoust. p. 302_). Quest'autore osserva che la più parte de' teatri
sono assai poco favorevoli al suono, perchè troppo si sono negligentate
le leggi della propagazione del suono per mezzo di tubi, le di cui
pareti sien parallele, e di trombe parlanti: osserva inoltre che
l'ordinaria disposizione de' scenarj è contraria alla propagazione del
suono, imperocchè assorbiscono tutto il suono, che si spande verso i
lati.


RICCATI (conte Giordano), nato in Treviso capitale della Marca
Trivigiana, coltivò con successo le matematiche, e volle applicarle alla
musica. “È pur lode grande del conte _Giordano Riccati_, dice l'ab.
Andres, il meritare di essere nominato anche dopo il _la Grange_, ed
altri celebrati geometri: il terzo suono osservato dal _Tartini_, il
suono falso, ed alcuni altri nuovi punti sono stati da lui solo
geometricamente trattati; e se egli non ha uguagliati gli illustri suoi
antecessori nella finezza dell'analisi, e nella profondità de' calcoli,
gli ha forse superati nelle novità d'alcune materie, nell'estensione
delle ricerche, e nello studio di conformare alla pratica le sue teorie,
ciò ch'è un pregio non molto comune in tali speculazioni.” (_Origine ec.
t. 4, acustica_). Sono le sue opere riguardanti la musica: 1. _Delle
corde ovvero fibre elastiche_, Bologna 1767. 2. _Delle vibrazioni sonore
dei cilindri_, quest'opuscolo si trova nel t. 1 delle Memorie di
matematica e fisica della Società italiana Verona 1781. Mr. Chladni dice
che le sue ricerche sono molto esatte (p. 101), tuttavia confuta egli
una sua supposizione alla p. 63. 3. _Suono falso_ articolo del Prodromo
della nuova Enciclopedia italiana. 4. _Esame del sistema musico di M.
Rameau: Dissertazione Acustico-matematica_, 1779. Egli vi prova contro
il Rameau che la risonanza dei corpi sonori non è il principio
dell'armonia. 5. _Saggio sopra le leggi del contrappunto_, Castelfranco
1762; in quest'opera tratta a lungo del temperamento con un metodo, che
a suo parere, tende immediatamente al fine, ed è dimostrativo: egli
attacca altresì quello del Rameau. 6. _Esame del sistema musico del Sig.
Tartini: Dissertaz. Acustico-matematica_, 1789. 7. _Riflessioni sopra il
primo libro della Scienza teorica e pratica della moderna musica del P.
Vallotti_, 1780. 8. _Due lettere al P. Sacchi intorno al grado di
eccellenza, al quale è giunta la musica sì nella teoria che nella
pratica_, nel t. 41 del Giornale letterario di Modena, 1789. In esse il
_Riccati_ attacca con pulitezza l'ab. _Bettinelli_ per avere sostenuto,
che sinora la musica non ha trovato il suo risorgimento per niun modo ed
età nell'Italia; il che si oppone a quanto crede aver egli dimostrato
nelle sullodate opere: pretende ancora di confutar il sentimento
dell'ab. _Eximeno_ nel voler escludere le proporzioni della musica: ma
prescindendo di queste particolari opinioni del Riccati, si trova molto
da apprendere in ambe le sue lettere, che il P. Sacchi a ragione chiama
bellissime. 9. _Saggio della facoltà, che ha la Musica d'imitare il
senso delle parole e di risvegliare nell'animo i varj affetti_, 1787.
10. _Lettera al P. Sacchi, dove si dà giudizio sopra i duetti del
Bononcini ed Hendel_ — _Seconda lettera al medesimo, dove si paragona
l'antica alla moderna musica_ nel t. 36 del Giornale di Modena 1787. “La
posatezza, egli dice, è una delle differenze notabili, e forse anche la
più generale tra le antiche e moderne cantilene. Confrontando le buone
con le buone, a me sembra di vedere nelle cantilene moderne maggiore
varietà ed ornamento; nelle antiche maggiore verità e schiettezza; nelle
moderne un moto più celere, e più concitato, e nelle antiche un moto più
tardo e comodo, e per conseguenza una certa idea di tranquillità, di
compostezza e di riposo. Così le composizioni sacre di quasi tutti i
migliori tra i moderni sentono il teatro, e le profane degli antichi in
certo modo sentono la chiesa. La moderna musica pecca nell'essere
soverchiamente sminuzzata; e nulladimeno ai valenti professori non può
negarsi la lode di eseguire il difficile facilmente, e con somma
puntualità, il che dà campo ai maestri di sfogare la loro fertile
fantasia.” Il conte Riccati morì assai vecchio verso l'anno 1792.

RICCI (Pasquale), nato a Como nel 1733, studiò la musica sotto Vignati
maestro di cappella in Milano. La natura fornito aveva il discepolo di
gusto e di grazia, mentrechè altro non conosceva il maestro che la
profondità e i secreti dell'arte. L'ab. Ricci viaggiò per la Germania,
la Francia, l'Inghilterra e l'Olanda. Sino a' primi anni di questo
secolo viveva ed occupava ancora il posto di maestro di cappella della
cattedrale di Como. Vi sono di lui alcuni trio e quartetti, che hanno
del merito. Un suo _Dies Iræ_ vien riguardato come un capo d'opera: la
prima volta ch'egli lo fece eseguire, ispirò un santo orrore agli
ascoltanti. Al versetto _Tuba mirum_ tutta l'orchestra restò in
silenzio, e dall'alto della cupola si udì il suono di una tromba, che
parve annunziare l'estremo giudizio. Un tal ritrovato però non ha, a mio
avviso, altro pregio che la novità e la sorpresa: ella produce
l'illusione del momento. La ripetizione e l'uso frequente di questi
colpi, per così dire, di scena, fa svanire l'effetto, e nulla più
produce sull'immaginazione degli astanti. Non so per conseguenza
approvare quanto vien detto a questo proposito da Mr. Fayolle: _per
rendere immortale un compositore_, egli dice, _non vi vuole che un'idea
simile a questa del Ricci_; e solo niega egli a costui il merito
dell'invenzione, perchè Calviere cel. organista avevala trovata prima di
lui. Ecco una via molto facile ai compositori per giugnere
all'immortalità.

RICCIO (Angelo M.), dottore in teologia e professore di lingua greca in
Firenze, ove nel 1747 diè al pubblico _Dissertationes Homericæ_ in 4º.
Trovansi in quest'opera le tre seguenti dissertazioni, che hanno per
oggetto la musica: 1. _Diss. de Achille citharâ canente, veterique
græcorum musicâ_, tom. 2, p. 31. 2. _An musicâ curentur morbi_, p. 51.
3. _De musicâ virili et effeminatâ grecorum, nonnullisque aliis ad
cognitionem musicæ pertinentibus_, t. 3, p. 41.

RICCOBONI (Franc.) nacque in Mantova su i principj dello scorso secolo,
venne a stabilirsi in Francia come uno de' principali attori nel teatro
italiano di Parigi, e compose molti drammi comici per musica in lingua
francese, che ebbero del successo. Scrisse inoltre nella medesima lingua
_Histoire du Théâtre Italien_, Paris 1738, con bellissimi rami, 2. vol.
in 8º, e _Réflexions historiques et critiques_, Amsterdam 1740, in più
luoghi di quest'opera egli parla del teatro italiano, della musica, e
della poesia drammatica. Il cav. Planelli loda altresì un altro picciol
libro del Riccoboni intitolato: _Pensées sur la déclamation_, 8º, Paris
1738. (_Dell'opera ec. p. 172_). Riccoboni morì in Parigi nel 1772.

RIDIERI (Giov. Antonio) da Vicenza, dove apprese da Freschi i primi
elementi della musica, e quindi continuò a Ferrara sotto la direzione di
Giov. Batt. Bassani i suoi studj di musica vocale. Sul timore ch'ei non
farebbe gran fortuna come professore di canto, applicossi alla
composizione. La sensibilità, il fuoco e la grazia, che caratterizzano
le sue opere, gli conciliarono tutti i suffragj. Fu per sei anni al
servigio del principe Stanislao Rzeuscky in Polonia, dove molto scrisse
per teatro, per camera e per chiesa. Tornato in Italia, stabilì in
Bologna una scuola di musica in cui formaronsi più virtuosi distinti,
tra' quali l'illustre P. Martini: egli fu ricevuto con voti unanimi in
quella cel. Accademia. Poco tempo dopo ebbe ordine dal papa di comporre
la musica de' Salmi per la cappella di S. Pietro in Roma. Egli finì in
Bologna i suoi giorni nel 1746.

RIEDT (Gugl.), musico di camera del re di Prussia, morto in Berlino sua
patria nel 1783, suonava con molta perfezione il flauto, ed occupò per
più anni l'onorevol posto di direttore della società degli amatori di
musica di Berlino. Possedeva delle cognizioni poco comuni nelle
matematiche, ch'egli amava moltissimo, ed alla astrazione di questi
studj vien attribuita l'aridità, che caratterizza le di lui
composizioni. Egli è autore di più opere di teoria musicale in tedesco;
eccone i titoli: _Saggio sugli intervalli in musica sotto il rapporto
del loro numero, del loro posto, e de' vantaggi loro nella
composizione_, Berlino 1753, in 4º. _Difesa di quest'opera_, nel tom. 1
delle Mem. crit. di Marpurg, nel di cui 2º tomo vi ha altresì di Riedt:
_Considerazioni sulle variazioni arbitrarie nelle idee musicali,
nell'esecuzione d'una melodia_; ed inoltre: _Tavole di tutti gli accordi
primitivi a 3, e 4 voci, che contengonsi nella scala compita de' tuoni,
sì diatonici, che cromatici ed enarmonici del loro numero ed uso nella
composizione._ Nel terzo tomo trovansi di lui: _Due questioni di musica
colla loro soluzione a profitto degli amici della verità, cioè: se il
perfetto unisono è, o no, un intervallo reale, e se possono ammettersi
nella musica gli unisoni ingranditi, o diminuiti_. Alcune di lui
composizioni di musica instrumentale sono state impresse nel 1754 a
Parigi, e nel 1758, a Lipsia.

RIEPEL (Giuseppe) ha goduto per molti anni della generale stima alla
corte del principe de la Tour in Ratisbona, come direttore della di lui
musica, sì per la sua probità, che per i suoi talenti nella
composizione, e sul violino. Egli è morto nel 1782. Il principale suo
merito nella musica consiste nell'essere stato il primo scrittore in
Germania, che abbia sviluppato il caos del ritmo, e disposto in una
maniera intelligibile pei studenti. Ecco il giudizio che ne ha dato
Hiller: “Egli è un uomo che sa profondamente tutto ciò, che
essenzialmente appartiene alla composizione, che cerca a toglierne via
il superfluo, e che si applica a far conoscere a fondo ciò, che sinora
non è stato se non superficialmente osservato da quegli che l'han
preceduto. Egli non si ristringe a dar, come a caso, delle regole aride
e secche, di cui possa far uso il lettore sì in bene che in male; ma si
applica a mostrare a' suoi allievi, come debbon servirsene per trarne il
vero loro profitto.” I titoli delle di lui opere sono: _Anfangs_ etc.,
cioè: _Elementi della composizione musicale, e del sistema delle
misure_, Ratisb. 1754, in fol. di cui ve ne ha una seconda edizione.
_Regole fondamentali del sistema de' tuoni in generale_, Francfort 1755,
in fol. _Spiegazione ragionata del sistema de' tuoni in particolare,
comune alla più parte degli organisti_, Lipsia 1757, in fol.
_Spiegazione del falso sistema de' tuoni_, Ausburgo 1765, in fol.
_Spiegazione indispensabile del contrappunto sulle note generalmente
trasportate_, ec. con esempj estratti da altri autori, e composti in
parte a tal fine, Ratisb. 1768, in fol. _Del ritmo armonico, ai poeti ed
ai compositori, con alcuni esempj_, 1776, 2 vol. in fol. Il maestro
Hiller dice a tal proposito: “Questo libro merita che venga consultato
da tutti quegli, che desiderano possedere una cognizione esatta delle
parti essenziali della musica in generale, e d'una composizione pura in
ispecie.” Schubarth allievo di Riepel, dopo la sua morte pubblicò nel
1786, un'altra di lui opera intitolata _Chiave al basso: ossia
Istruzione per i principianti nella composizione_. Egli possiede inoltre
altri manoscritti di Riepel, che promette di dare al pubblico.

RIGEL (Arrigo Giuseppe), nato nella Franconia di onesta famiglia, ebbe
la fortuna di avere tra' suoi maestri il cel. Jommelli. Nel 1768, si
stabilì in Parigi, ove ebbe gran numero di allievi sul piano-forte, per
cui aveva molta abilità e gusto. Compose altresì con gran successo
quantità di musica sì per chiesa che per teatro: Gluck faceva molto caso
delle di lui composizioni. Questo grand'uomo essendo sul punto di
lasciare la Francia, gli amministratori del teatro mostrarongli il
dispiacere di vederlo partire. _Voi non avete tutto perduto_, disse egli
loro, _avete quì un uomo a cui bisogna attaccarsi; M. Rigel è quegli che
conviene pel gran teatro reale. Quando si ha scritto un Oratorio come
quello di Rigel_ (la Sortie d'Egypte), _si è in istato di fare delle
grandi opere._ I varj posti, ch'egli ottenne allora in Parigi, danno a
divedere la stima che facevasi de' suoi talenti. Rigel fu maestro di
musica del concerto spirituale, dell'Olimpico, e professore nella scuola
di canto nel Conservatorio, ove molto contribuì al perfezionamento della
nomenclatura, e de' principj dell'armonia, su i quali, dicesi di aver
egli avuto idee assai chiare e precise. Una gran purità di melodia, ed
uguale nitidezza d'armonia formano il carattere delle composizioni di
Rigel. Passionato per la sua arte, nemico d'ogni cabala, all'epoca in
cui la Francia era divisa in più fazioni musicali, l'una contro l'altra
accanite, egli sapeva far giustizia al merito, e distinguere il buono in
qualunque scuola, e in qualunque maestro si fosse. A siffatte qualità
deve egli l'acquisto della pregevole riputazione di onesto uomo, non che
di abil maestro: finì quasi subitamente di vivere in Parigi nel 1799.
_Luigi Rigel_, il maggiore de' suoi figli e suo allievo era un ottimo
sonatore di forte-piano e di violino, e buon compositore: fu egli il
primo a disporre per il piano-forte le sei gran sinfonie di Haydn, ed i
trio di Pleyel: benchè il suo talento non fosse indegno della capitale,
erasi stabilito frattanto all'Havre, dove è morto nel 1811 di anni 40.
_Giovanni Rigel_, di lui minor fratello, anch'egli eccellente professor
di musica in Parigi, promette di pubblicare le di lui opere postume.
Giovanni Rigel in età di 13 anni, dopo avere studiata quest'arte sotto
la direzione di suo padre, fu nominato sotto-professore nella scuola di
canto, e poco dopo cembalista e compositore al concerto spirituale. Fu
quindi nell'espedizione d'Egitto, venne nominato membro di
quell'istituto, e compose al Cairo la musica di un dramma quivi eseguita
con successo. Di ritorno in Parigi egli gode della più distinta
riputazione come uno de' primi accompagnatori sul forte-piano, e come un
professore assai virtuoso. Ha molto composto in differenti generi, e le
sue produzioni sono in grandissimo pregio per il buon gusto e la
regolarità, che le caratterizzano.

RIGHINI (Vincenzo), compositore italiano, maestro di cappella
primieramente dell'elettore di Magonza, e quindi del re di Prussia, e
molto stimato nella Germania. Nel 1782, diè la musica di due drammi
burleschi: il _Convitato di Pietra_, e la _Vedova scaltra_. Le più
recenti sue opere sono: il _Filosofo confuso_, 1786, _Armida_, 1788,
_Alcide al bivio_, 1789. In occasione dell'elezione dell'Imperatore nel
1790, egli fece eseguire a Francfort una sua messa, che piacque
moltissimo. Nel 1803, pubblicò per le stampe: _Esercizj per la
perfezione nell'arte del canto_; riuniscono essi la solidità degli
antichi maestri, e 'l buon gusto de' nostri giorni.

RINALDO (da Capua), napoletano, figliuolo naturale di un nobile del suo
paese, studiò dapprima per suo diporto la musica, ma fu in appresso
nella necessità di professarla per vivere. All'età di 15 anni diè in
Vienna la sua prima opera, e scrisse di poi per i migliori teatri di
Europa. In Roma vien egli creduto inventore dei recitativi obbligati, ma
si è trovato un oratorio di Aless. Scarlatti, dove molto prima di
Rinaldo costui avevali usati. Quello di cui può vantarsi Rinaldo si è lo
avere impiegato tra' primi de' lunghi ritornelli ne' recitativi,
esprimenti una gagliarda passione, il che non poteva farsi dalla voce.
Rousseau nel Dizionario lo considera come uno de' più cel. compositori
italiani.


ROBBERS (Giovanni), professore di musica ed organista della chiesa
francese a Rotterdam, è autore di una dissertazione _Sur l'union de la
musique avec la poésie_, ch'egli inviò alla società letteraria
d'Amsterdam nel 1790. La società avendo esaminato questo scritto, onorò
l'autore con una medaglia.

ROBERTSON (Thomas), dotto inglese pubblicò in Londra nel 1784, _Inquiry
into the fine arts_, in 4º, dove tratta della musica teorica e pratica.
(_V. Bent's cat. of books, p. 133_).

ROCHEFORT (Gugl. de), dell'Accademia delle Iscrizioni è autore di una
memoria intitolata: _Recherches sur l'harmonie et les accords de musique
des anciens_, 1788, nella quale prova contro M. Burette ed altri, che
l'arte delle parti concertanti in contrappunto non era così limitata
presso i Greci, come si è da taluni creduto. Mr. de Rochefort è noto
abbastanza per le sue traduzioni in versi dell'Iliade, e dell'Odissea
d'Omero.

ROCCHI (Antonio) è autore delle _Istituzioni di musica teorico-pratica_
in 4º, pubblicate per le stampe in Venezia nel 1777. Non possiamo dar
saggio di quest'opera, non essendo ancor giunta sino a noi.

RODIO (Rocco)º, cel. contrappuntista e didattico italiano del sec. 16,
pubblicò in Napoli nel 1589, una collezione delle sue opere di pratica,
e di altri rinomati compositori di quel secolo, come _Villani_, _Bovio_,
ec., nomi or sepolti nell'obblìo. Ha maggior pregio un'altra opera
didattica di Rodio intitolata: _Regole di musica_, Napoli 1626, citata
assai volte con molti elogj dal P. Martini.

RODOLPHE (Giov. Gius.), nato a Strasburgo, a 17 anni veniva riguardato
in Francia come il primo sonatore di corno da caccia, che usasse i
semituoni. Studiò altresì il violino sotto il celebre _le Clair_, e
verso il 1754 passò in Italia al servigio del duca di Parma: fu egli il
primo, che in un'aria di Traetta eseguì un accompagnamento di corno in
concerto con la voce, e che in Italia accompagnò su quest'instromento i
mottetti nelle chiese. Egli apprese anche in Parma la composizione sotto
il famoso Traetta allievo di Durante, e passato quindi al servizio del
duca di Wittemberga nel 1760, prese lezioni da Jommelli, e compose a
Stuttgard la musica di un gran numero di balli del cel. Noverre, ch'egli
poi condusse a Parigi, ove venne a stabilirsi nel 1763, e vi fece gran
fortuna. Circa 1780, diè egli a M. Amelot il piano d'una scuola di
musica, che fu eseguito quattr'anni dopo da M. Breteuil, e Rodolphe fu
nominato professore di questa scuola, per cui compose il suo _Traité
historique et pratique d'accompagnement_, e i suoi _Solfeggi_, che hanno
avuto tanto successo, e che hanno contribuito a moltiplicare in Francia
gli artisti, e gli amatori, rendendo facil l'ingresso nella carriera
musicale.

ROGER (Joseph-Louis) pubblicò a Mompellieri un'opera nel 1758 col
titolo: _Tentamen de vi soni et musices in corpus humanum_, molto lodata
dal Dr Lichtenthal. Forkel nel 1º vol. della sua storia generale della
musica riguarda quest'opera come la più importante, che si sia scritta
intorno a questa materia. Ella è divisa in due parti, nella prima tratta
_del suono ne' corpi sonori, de' mezzi co' quali si propaga, e del suono
nell'organo sensorio dell'udito_: nella seconda si dimostra _la
predisposizione dell'anima per i principj dell'armonia_, e quindi tratta
l'Aut. _della predisposizione della materia all'azione del suono: della
predisposizione dell'anima unita alla materia, ossia del corpo animato_,
e spiega finalmente _con quali e quanti mezzi, e che agisca sull'uomo la
musica_.

ROLLA (Alessandro), membro del real Conservatorio di Milano, e primo
violino del gran teatro, gode meritamente della riputazione di essere il
più abile virtuoso dell'Europa sulla viola. Dicesi inoltre che se gli è
fatto un divieto in Italia di sonarla in pubblico, perchè le donne non
possono sentirlo su quell'instromento, che non soffrino attacchi a'
nervi. I concerti di violino, ch'egli suona nelle orchestre, tirano a se
la folla de' dilettanti. Noi abbiamo riferito a questo proposito un
curioso aneddoto, all'art. _Diana_. Egli ha composto molta musica
istromentale pregiatissima.

ROMIEU (M.), della real società delle scienze di Monpellieri, a cui
presentò nel 1753 una sua memoria, quivi nel medesimo anno impressa col
titolo: _Nouvelle découverte des sons harmoniques graves dont la
résonance est très sensible dans les accords des instrumens à vent_. La
scoverta del terzo suono basso formato dalla riunione della vibrazione
di due suoni gravi era stata fatta dal cel. Tartini sino dal 1714, e
facevane la base della sua scuola in Italia, ma siccome non la pubblicò
che nel 1754 nel suo _Trattato di musica_, M. Romieu pretese esserne
l'inventore. “Nel rapportare questo fatto, dice Mr. d'Alembert, non
pretendiamo toglier nulla al Sig. Tartini; noi siamo persuasi ch'egli
non dee la sua scoverta che a' suoi proprj lumi; ma Mr. Romieu fu il
primo ad annunziarla al pubblico.” Cheche sia di ciò, le migliori
osservazioni intorno a questo terzo suono si trovano nelle _Ricerche di
Matt. Young_ e di _Lagrange._

ROQUEFORT (Bonaventura), nato nel 1778, membro di più accademie e
società letterarie, nel suo _Glossaire de la langue romaine_, 2 vol. in
8º, Paris 1808, promette di dare al pubblico un _Essai sur la poésie, la
musique et les istrumens des Français, depuis le IX siècle jusqu'au
XVII_. Il testo in parte è tratto da' manoscritti antichi; egli formerà
un vol. in 8º del testo, seguito da circa 100 rami coloriti dietro i
monumenti del tempo, e dagli esempj di musica di ciascun secolo. M.
Roquefort da più anni in quà si occupa altresì della composizione di una
_Storia generale della musica_, che abbraccerà i diversi impieghi o
rapporti di quest'arte con tutte le instituzioni presso tutti i popoli,
e in tutti i tempi. Questa storia formerà _cinque vol. in 4.º_, seguiti
da un sesto che conterrà le figure e gli esempj. “Ci si assicura, dice
Mr. Fayolle, che una porzione di quest'immenso travaglio è già posta in
ordine, e che l'A. possiede molti materiali, tra' quali ve n'ha gran
numero che non sono stati mai pubblicati.”

ROSA (Salvatore), celebre pittore napoletano morto in Roma nel 1673.
Amava egli passionatamente la sua arte, e le arti sorelle, la poesia e
la musica. Mostrasi buon poeta e bello spirito nelle sue satire, e
sonetti pieni di finezza, e bei motteggi: la sua casa in Roma era
divenuta un'accademia, cui intervenivano uomini di buon gusto e
d'ingegno: recitavansi de' versi, rappresentavansi commedie, e si faceva
della musica. Tra le belle satire di questo valentuomo una ve ne ha
mordentissima contro i musici e contro i cantanti, e contro quelle
composizioni da chiesa non ben adattate alla maestà del soggetto, e al
decoro dell'auguste cerimonie de la religione. _E pure è ver che con
indegni esempj — Diventano bestemmie a' giorni nostri — Di Dio gl'inni e
li Salmi in bocca agli empj — Che scandalo è il sentir ne' sacri
rostri — Grunnir il vespro, ed abbajar la messa, — Ragghiar il Gloria, il
Credo, e i Pater nostri! — E si sente per tutto a più potere — Cantar
sulla ciacona il Miserere ec._ Così con tanta ragione, e sì poco frutto
cantava questo bell'ingegno, e termina quindi — _Chi vuol cantar, segua
il salmista Ebreo, — Ed imiti Cecilia, e non Talìa, — Dietro l'orme di
Giobbe e non d'Orfeo_. Il d.^r Burney scrive ne' suoi _Viaggi
musicali_, di avere trovato in una collezione di _Cantate_ di Rossi,
Cavalli, Legrenzi, Pasqualini, Bandini ed altri celebri compositori di
que' tempi, conservate con diligenza da' curiosi in Italia, un libro
prezioso di musica del famoso Salv. Rosa. Le parole di molte di quelle
_cantate_ sono di lui, ed otto intere delle medesime sono poste in versi
ed in musica, e copiate dalla mano istessa di questo cel. Pittore. _Sono
esse non solo ammirabili per un semplice dilettante_, dice Burney, _ma
la loro melodia sorpassa in gusto quella della più parte dei maestri del
suo secolo_ (_V. Encycl. méthod. art. Cantate, p. 205_).

ROSETTI (Antonio), nato a Milano nel 1744, si è formato principalmente
sul modello del gran Gius. Haydn in Vienna, ove egli era verso il 1766
violinista nella cappella dell'Imperatore, e virtuoso di camera del
principe d'Althan. Il suo merito, come compositore e direttore di
orchestra, gli fè ottenere nel 1789 il posto di maestro di cappella a
Schwerin, in cui succedette al cel. Westenholz. Le di lui numerose
composizioni, per la più parte impresse, fannosi rimarcare per uno stile
piacevole; le sortite de' strumenti da fiato, di cui sapeva servirsi a
meraviglia, sono assai volte di un'estrema bellezza. Finchè si abbandona
al suo proprio genio, la sua particolar maniera merita i suffragj
degl'intendenti; ma dacchè calcar vuole le tracce di Haydn, il suo stile
diviene affettato e monotono. Tra le sue produzioni si distingue
l'oratorio impresso a Vienna nel 1786, _Gesù moribondo_, e l'opera prima
a Amsterdam contenente tre sinfonie a grande orchestra.

ROSSI (Lemme). Perugino, pubblicò nel 1666: _Sistema musico, o musica
speculativa_, Perugia in 4º. Il P. Martini nel 2º t. della sua storia
rapporta il sistema perfetto o _sintono_ di Rossi per gli strumenti
mobili, e l'imperfetto o _participato_ per gli strumenti stabili. Questo
sistema _Sintono_ vien attribuito a Tolomeo, ma si chiamò poi di Lemme
Rossi, “perchè questi giunse ad essere, _dice il Martini_, se non
l'unico, certamente il più diligente amplificatore del medesimo,
illustrandolo non solo colla più possibile precisione delle dovute
proporzioni, ma inoltre con la necessaria aggiunta di quegl'intervalli,
che lo fanno adatto all'artificio del contrappunto corrente.”

ROUSSEAU (Gian-Giac.), filosofo, scrittore di musica, e compositore
nacque in Ginevra nel 1712. La di lui avversione per il mestiere di suo
padre, costruttore di orologi, lo fè risolvere ad abbandonare la patria
nel 1728. Egli aveva studiato la musica, e nel tempo ch'egli andava
errante per la Francia e l'Italia, quest'arte il provvide de' mezzi di
sussistere. Fu particolarmente in Venezia, ove la sua gran passione per
la musica, più accesa dal sentire le buone composizioni, e dal comodo di
familiarizzarsi co' primi maestri dell'Italia, trovò non solo maggior
pabolo, ma venne portata del tutto ancora verso la musica Italiana.
Portossi quindi in Parigi, e cominciossi ben tosto a riguardarlo come
gran filosofo, e grand'oratore: tuttavia la sua occupazione ordinaria
consisteva nel copiar della musica. Egli si era prescritto il prezzo di
quattro soldi per una pagina in 4º e di sei per una pagina in fol. Nè
volle mai esigere oltre a questa tassa, cosichè avendogli il conte di
Clermont rimesso 25 luigi d'oro per la copia di alcuni pezzi di musica,
egli se ne offese, prese la medietà di un sol luigi, e restituì gli
altri 24. Questo impiego di copista così spregevole per un filosofo agli
occhi d'un preteso bello spirito di Parigi, fa molto onore al suo
carattere, quando si sa ch'egli applicavasi a questo disgustoso mestiero
non per i suoi bisogni, ma per sostenere unicamente una sua parente
povera. Nel suo dizionario egli fa un lungo articolo su i doveri di un
esatto copista, e rileva quivi egli stesso le contraddizioni solite del
suo carattere. “Comprendo benissimo, egli dice, che sarà di mio
nocumento qualora si compari il mio travaglio alle mie regole: ma so
ancora che quegli che cerca il vantaggio del pubblico, dee non curare il
suo proprio. Uomo di lettere, ho detto del mio stato tutto il male che
ne penso, amo la musica italiana, e non ho fatto che della musica
francese; ho descritto tutt'i mali della società, mentre essa formava la
mia felicità; cattivo copista, vengo quì ad esporre i mezzi di formarne
un buono. O verità! il mio proprio interesse è sempre sparito dinanzi a
te; ch'egli giammai profani il culto che ti ho consacrato.” In questo
intervallo oltre più capi d'opera per la filosofia e la letteratura,
compose le parole e la musica del suo dramma _le Devin du village_, e
del _Pigmalione_, che furono applaudite sul teatro con generale
entusiasmo. L'anno 1751 essendo venuta a Parigi una compagnia di
cantanti italiani dell'Opera buffa il loro buon incontro suscitò la
gelosia de' compositori francesi. Formaronsi due partiti; sosteneva
l'uno la buona causa della musica italiana, sforzavasi l'altro di farla
cadere. L'amor proprio si rivolse dal canto de' sostenitori della musica
francese, e portò tant'oltre finalmente l'affare, che la compagnia
italiana fu mandata via da Parigi. Rousseau, passionato partigiano della
musica italiana, dimenticò allora non solo il suo _Devin du village_, ma
altresì tutti i vantaggi che poteva promettersi della direzione
dell'opera con simili composizioni. Scrisse nel 1753 la sua famosa
_lettera sulla musica francese_. È nota a chiunque la di lui sagacità,
la di lui robusta eloquenza, il talento di persuader ciò che vuole,
tutto il fuoco della sua espressione: aggiungasi a questo la preferenza
che passionatamente egli dava alla musica italiana, forse ancora un
certo corruccio contro Rameau, che aveva criticata la sua musica.
Animato da questi motivi, egli disse ai francesi, _che non avevano
assolutamente musica_; che quella da essi creduta tale _non sapeva nè
parlar, nè dipingere nei recitativi e nelle arie_, che il loro canto _è
un abbajamento continuo, insoffribile all'orecchio, purchè non si sia
prevenuto_; la loro armonia _informe, senz'espressione, e che non è se
non un vero guazzabuglio da scolare_. Nel tempo istesso vi unisce egli
il parallelo della musica italiana, e la di lei maggioranza in tutti
questi punti. Tutto fu posto allora in romore: nove scritti comparvero
in pochissimo tempo contro la sua _Lettera_, credendo di averla
vittoriosamente confutata. Cantanti e virtuosi composero pasquinate,
satire e canzoni contro lui, e sparsero nel pubblico de' rami, ove colla
più grande indecenza si metteva in ridicolo la di lui immagine: si cercò
di oltraggiarlo in una farsa sul teatro, e si giunse, dice l'Elvezio,
sino ad incitare il governo a rigorosamente procedere contro la sua
persona. Gli si negò l'onorario, che se gli era assegnato per il suo
_Indovino del villaggio_, e se gli vietò per sempre l'ingresso al
teatro. Quel che Rousseau continuò a spargere sulla musica francese nel
suo dizionario ed altronde, non era fatto per appagare gli animi
sollevati contro di lui. Proseguirono quindi le sue persecuzioni, e quel
che effettivamente non soffrì da altri, il soffrì colla sua
immaginazione. Allontanossi più di più dalla società, e nojossi alla
fine della sua solitudine nel seno stesso della capitale. Scelse allora
per sua dimora il villaggio di Ermenonville, ma scorse appena sei
settimane, la mattina delli 2 di Luglio 1778, al ritorno del suo
passeggio, cadde tramortito, e poco dopo rese l'ultimo sospiro. Ecco le
opere di questo filosofo sulla musica: 1. _Projet concernant de nouveaux
signes pour la musique_ letto dall'A. all'accad. delle scienze li 22
agosto 1742. Può vedersene un lungo estratto, ch'egli stesso ne fa
all'articolo _Notes_ del suo dizionario. Egli vi dice che in questa
materia non bisogna consultare i musici, ma l'uomo che sa la musica, e
che ha saputo riflettere su quest'arte. La musica non è per gli artisti
la scienza de' suoni, ma delle figure nere, bianche ec., dacchè
cesserebbero queste di colpire i loro occhi, non crederebber eglino
veder più della musica: presso loro tutto fa l'abito. Egli fa vedere in
seguito tutt'i vantaggi del suo Progetto. Ma all'artic. _Caractères de
musique_: “Io credo che il pubblico ha saviissimamente fatto di lasciar
le cose come sono, e di mandar noi, e i nostri sistemi al paese delle
vane speculazioni.” 2. _Dissertation sur la musique moderne_, a Paris
1743. 3. _Lettre d'un symphoniste de l'Acad. R. de musique à ses
camarades de l'orchestre_, Paris 1752. 4. _Lettre sur la musique
française_, a Paris 1753. “L'eloquente penna di M. Rousseau, dice di
questa lettera M. d'Alembert, avvezza già a dirci delle verità pungenti,
ha ora un'occasione assai favorevole d'istruirci, e di malmenarci. Come
quel famoso romano ha sostenuto, quasi solo gli attacchi dell'armata
francese, accesa e riunita contro la sua lettera, e la sua persona.” 5.
_Dictionnaire de musique_, in 8vo 1754. M. Choron lo chiama un'opera
informe (_Notions élément. d'Acoust. p. 13_). “Il dizionario di musica
di Rousseau, dice M. Suard, è forse di tutte le sue grand'opere quella,
ove egli ha meno meditato, e con meno profondità trattato il soggetto.
Si rimane agevolmente sedotto dall'eleganza ch'egli usa alle volte nelle
analisi spesso astratte, e soprattutto dal fuoco, dallo spirito e dalla
grazia, ch'egli sparge sulle discussioni relative ai principj, o agli
effetti dell'arte, che appartengono al gusto ed all'immaginazione; ma
fia d'uopo diffidare un poco delle sue asserzioni sugli articoli di
dottrina, o di erudizione, che esiggono cognizioni positive, e rigorose
definizioni.” _Encycl. méthod._ art. _Accent_. Egli infatti non è molto
esatto nel definire, e noi ne abbiamo dato un esempio nella definizione
ch'egli ha dato della composizione (_Disc. prelim. p. XIX_) e ne abbiamo
rilevato il vizio nella Risposta all'autore della Critica del presente
dizionario, il quale per sua estrema ignoranza se ne dichiara
sostenitore. (_V. Esame ec. nel t. 2, p. 4_). Gli errori soprattutto in
teoria, che si trovano nel dizionario di Rousseau, sono stati da' più
dotti uomini confutati, e con ispezialità da M. _Suremain_ nella sua
_Théorie Acoustico-Musicale_, Paris 1793. Egli attribuisce questi errori
alla soverchia fretta, con cui fu obbligato di gettarne i fondamenti
nell'Enciclopedia, e alla necessità in cui trovossi, far volendo
un'opera compita di questo dizionario, di trattarvi degli oggetti, che
gli erano stranieri: quindi prega il lettore a non trarne niuna
disfavorevole induzione sulla sua maniera di pensiero per rapporto a
questo filosofo. “Discepolo ed ammiratore di Gian-Giacomo, egli dice,
entusiasta delle sublimi sue produzioni, penetrato dalla stima di sue
virtù, il solo amore della verità poteva superar quello, che io aveva
per la sua persona. Io ho sentito spesso la mia anima, che pressavami a
prender la sua difesa, allorchè i suoi detrattori sforzavansi ad
oscurare la sua memoria.” Gli articoli, che riguardano la poetica e la
rettorica della musica, sono maneggiati con tutta la solidità di un
filosofo, colla leggiadria di un bello spirito e la precisione di un
uomo di gusto: non sono però dello stesso pregio quelli che trattano
dell'antica musica. “Il superbo e deciso Rousseau, dice l'ab. Requeno,
contento del suo sistematico talento molto bene esercitato nella moderna
armonia, e pago d'alcuni scelti libri della R. biblioteca, e armato
delle dissertazioni dell'accademia, si ritirò a lavorare gli articoli
della greca musica per l'Enciclopedia e per il suo dizionario; e
consultò solamente per qualche bagattella i greci originali.
Incominciando io a notare gli errori ed i pregiudizj sulla dottrina de'
greci armonici sparsi nel dizionario, annojatomi abbandonai l'impresa. I
più classici saranno da me quà e là annoverati in questi Saggi ec.”
(_Pref. p. VII_). Quest'opera in somma, secondo _M. la Borde_, avrebbe
bisogno di esser rifatta, per risparmiare molta pena a coloro, che
vorranno studiarla, e impedire così che non s'imbevano di errori tanto
più malagevoli a scamparsi, che lo stile seducente di Rousseau ha l'arte
di strascinarvi i suoi leggitori. 6. _Lettre à M. l'abbé Raynal au sujet
d'un nouveau mode de M. Blainville_, 1764, di cui si è parlato nel 1º
vol. p. 122. 7. _Examen de deux principes avancés par Mr. Rameau_, etc.
8. _Lettre à M. Burney sur la musique_. Tutt'i trattati di Gian-Giacomo
sulla musica trovansi riuniti nel vol. 16 dell'edizione di _Due-ponti_
del 1792 di tutte le sue opere. Ne' seguenti scritti vi ha ancora de'
dettagli sulla musica: 1. _Nouvelle Héloïse_, part. II, Liv. 23. 2.
_Essai sur l'origine des langues_: nel cap. XII, egli parla
dell'_origine della musica, e de' suoi rapporti_; ne' cap. XIII, e XIV,
_dell'armonia_; nel cap. XV prova che _le nostre più vive sensazioni
agiscono spesso per via d'impressioni morali_; nel cap. XVI, _della
falsa analogia tra i colori ed i suoni_; nel cap. XVII, _Errore de'
musici nocivo all'arte loro_; nel cap. XVIII, _Il sistema musicale de'
greci non aveva niun rapporto al nostro_; nel cap. XIX, _Come ha
degenerato la musica_. Nulla quì diremo delle sue composizioni musicali,
di cui vi ha una collezione impressa a Parigi nel 1781, perchè son poco
conosciute ed apprezzate in Italia. “Rousseau (dice M. Choron), senza
essere nè profondo teorico, nè dotto compositore, intendeva assai bene
la poetica de l'arte, ed aveva il gusto d'una melodia semplice e
naturale. Può vedersi a questo proposito la sua _Professione di fede_ in
una lettera diretta a M. le Sage di Ginevra, e che si trova alla fine
della _Notice sur la vie et les écrits de M. le Sage, par M. Prévost_,
pag. 481. Questa Lettera pubblicata per la prima volta nel 1805 manca in
tutte l'edizioni di Gian-Giacomo.”

ROUSSEL, maestro di musica, pubblicò nel 1775, _le Guide musical ou
Théorie et pratique abrégées de la musique vocale et instrumentale selon
les règles de l'accompagnement et de la composition_.

ROUSSIER (L'abbé), di Marsiglia, canonico a Ecouis nella Normandia, ove
morì circa 1790. Sino all'età di 25 anni egli non conosceva una sola
nota di musica; sentendo parlare de' prodigj del sistema del basso
fondamentale di Rameau, diessi tutto alla lettura delle sue opere, e
poichè credette averne ben compresi i principj, ne divenne il più
infollito partigiano, e 'l più zelante propagatore. Più non vi fu per
lui che _basso fondamentale, tutto era basso fondamentale_. Incapace di
leggere una linea di musica, d'inventare la menoma frase di melodia, di
mettere un conveniente basso sotto una cantilena, e di scrivere
correttamente due battute di armonia, egli vide tutta l'intera musica in
quel sistema, e non volle mai riconoscervi le imperfezioni che vi
riconobbe lo stesso Rameau. Pretese innalzare su quel basso una compiuta
didattica, non riconobbe come legittimo se non quello che era d'accordo
colle sue regole ipotetiche, e senza veruno scrupolo rigettò tutta la
scienza del contrappunto, e la pratica de' più grandi maestri, che egli
nemmeno conosceva di nome, e che non erano a' suoi occhi se non
ispregevoli pratici, e musici d'orecchio. Non contento di aver fatto
della musica un'arte a suo capriccio, formar volle altresì una teorica
degna di star a lato della sua scuola. Straniero del pari nella fisica e
nella geometria, e tutto al più sapendo le prime regole dell'aritmetica,
ammassò de' ridicoli calcoli per sostener de' sistemi contrarj
all'osservazione e all'esperienza. “Quel che più muove la bile negli
scritti di questo pedante, dice M. Choron, egli è la presunzione e
l'arroganza con la quale decide sopra tutti gli oggetti, e
l'impertinenza con cui tratta i più celebri autori, allorchè non pensano
conforme al di lui sentimento, e non agiscono secondo le sue regole. A
proposito in fatti di alcuni andamenti di armonia, che combaciavano co'
suoi principj, egli ebbe l'insolenza di attaccare Gluck e Sacchini, che
come s'intende benissimo, non fecero che burlarsi delle sue
osservazioni. Egli attaccò della stessa maniera Tolomeo, Zarlino e gli
altri teorici. Secondo lui tutti gli esperimenti di acustica sono falsi
o superflui, e senza conseguenza. Se le opere dell'ab. Roussier sono
disgustose per lo spirito di sistema, per gli errori che contengono, per
il tuono di pedanteria e di arroganza che vi regna, per la goffagine
dello stile, hanno almeno un merito, che non può loro negarsi, cioè la
chiarezza; e a questa qualità dovettero elleno il buon incontro che
ottennero per alcun tempo: ma oggi son già cadute in un totale
discredito.” Eccone il catalogo: 1. _Traité des accords et de leur
succession, selon le système de la basse fondamentale_, Paris 1764. 2.
_Observations sur différens points d'harmonie_, Genève 1765. 3.
_Mémoires sur la musique des anciens, où l'on expose le principe des
proportions authentiques_, Paris 1776. Quest'opera è stata criticata con
ispezialità dall'ab. Requeno (_V. Pref. p. VII, e t. 2, p. 76. ec._). 4.
_L'harmonie pratique, ou exemples pour le traité des accords_, Paris
1776. 5. _Mémoires sur la musique des Chinois_, Paris 1780 in 4º. 6.
_Mémoires sur la nouvelle harpe de Cousineau_, Paris 1783.

ROZE (abbate Niccolò), bibliotecario del conservatorio di musica in
Parigi, verso l'anno 1807, si era applicato alla musica sin dall'età di
7 anni, e studiò la composizione sotto l'abb. Rousseau di Dijon, e l'ab.
Homet, che aveva molto gusto per il canto. L'ab. Roze fu dapprima
maestro di musica della cattedrale di Angers, e nel 1776 lo divenne
della chiesa de' SS. Innocenti a Parigi, ove la sua musica di chiesa
attraeva gran gente. Egli ha fatti degli allievi, che per la più parte
godono oggidì d'una ben fondata riputazione. Nel 1802 compose una messa
a piena orchestra, che eseguita in San Gervasio riscosse gli applausi di
tutti gl'intendenti. Il _Sistema d'armonia dell'ab. Roze_ è stato
pubblicato da M. Laborde nel 3º t. del suo _Essai sur la musique_.


RUBBI (l'abb. Andrea), veneziano, di cui si è parlato in questo tomo
all'articolo _Mayer_, come autore di undici bellissimi _Sonetti
sull'armonia_, pubblicati nel Mercurio d'Italia storico-letterario,
Venezia 1797, è autore altresì di un'opera intitolata _Il bello armonico
teatrale_, Ven. 1792, citata con somma lode dal Manfredini nelle sue
_Regole armoniche_ p. 70-193.

RUETZ (Gaspare), assai dotto in più scienze, e di molto distinto merito
nella musica, fu allievo del vecchio Bach. Morì a Lubecca nel 1755, di
47 anni. Egli è autore di tre dissertazioni scritte in tedesco col
titolo di _Confutazione de' pregiudizj sull'origine della musica di
chiesa_, Lubeck 1750; _Sullo stato presente della musica di chiesa_,
1752; _Confutazione de' pregiudizj contro la musica di chiesa, e delle
spese che vi si richiedono_, Rostock 1753. Nelle Memorie critiche di
Marpurg, t. 1 vi ha di lui una _Lettera intorno ad alcune idee di M.
Batteux relativamente alla musica_.

RUGGERIO (Francesco), cel. costruttore di violini a Cremona,
sopracchiamato _il Ber_, viveva verso la medietà del sec. 17. Due suoi
violini esposti in vendita nel 1790 avevano la data degli anni 1640, e
1670. _Giov. Batt. Ruggiero_ detto il buono, rinomato del pari per la
costruzione de' violini, viveva a Brescia circa 1653. I suoi strumenti
sono pregiatissimi.

RUPHY (J.-F.) nel 1802 pubblicò un piccol libro col titolo _de la
Mélomanie et de son influence sur la littérature_, in 8º. Egli
attribuisce la decadenza della letteratura ai progressi della musica nel
18º sec. Questa stravagante opinione fu ancora sostenuta da M. Gin (_V.
il suo artic. t. 2, p. 176_).

RUSTI (Giacomo). Nato in Roma nel 1740, studiò la musica e la
composizione primieramente nel conservatorio della Pietà in Napoli, e
poi in Roma sotto Rinaldo da Capua. Passò quindi in Venezia, ove nel
1764, scrisse la sua prima opera _la contadina in corte_: nel 1774,
compose la musica dell'_Idolo cinese_, del _Socrate immaginario_ nel
1776, dell'_Alessandro nell'Indie_ 1777, e di altri drammi per diversi
teatri d'Italia, ove acquistossi grande stima ed onore. Egli si stabilì
finalmente come maestro di cappella in Barcellona.

RUTINI (Giovanni) nacque in Firenze verso il 1730 e fece i suoi studj
musicali in Bologna sotto il cel. P. Martini. Viaggiò quindi per la
Germania, e nel 1757 si stabilì a Praga, dove fecesi fortuna
principalmente per la sua buona scuola di cembalo: le sue cinque opere
contenenti 31 sonate per quest'instromento furono impresse a Norimberga.
Nel 1766 tornò egli in Italia, e scrisse più opere per teatro, che
furono molto applaudite. Tra le di lui composizioni vi si distingue
_Lavinia e Turno_, cantata impressa a Lipsia, per ordine di S. A. Maria
Antonietta elettrice di Sassonia che ne aveva composta la poesia
intendentissima di musica, a cui dedicò l'ab. Eximeno la sua dottissima
opera. Rutini morì in Firenze verso il 1795. _Hiller_ cita con elogio le
di lui sonate, ma dice che le sue cantate non sorpasseranno la
mediocrità.



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   27  _Joural_       Journal
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   67  _Ricercali_    ricercari
  107  _Temistoele_   Temistocle
  114  sollenni       solenni
  140  V. Frab.       V. Fabric.
  199  formassi       formarsi
  ivi  reoole         regole
  216  promette       premette
  218  opra           opera



Nota del Trascrittore

Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, così
come le grafie alternative (armonia/armonìa, patriotismo/patriottismo,
qui/quì, magazino/magazzino, strumento/istrumento/instrumento,
stromento/istromento/instromento, Pitagora/Pittagora e simili),
correggendo senza annotazione minimi errori tipografici. Le correzioni
indicate dall'autore a pag. 246 sono state riportate nel testo.
Sono stati corretti i seguenti refusi (tra parentesi il testo
originale):

   23 — LEVENS (Carlo) [solo parentesi ( nell'originale, nome
          mancante], compositore
   27 — LINGKE [Linggke] (Giorgio-Federico)
   30 — Si tratta d'un piccione [pippione] del
   34 — le nozze del principe elettore [elettorale] di Sassonia
   53 — gli consigliarono [sonsultarono] di coltivarle
   55 — MARESCALCHI [Mareschalchi] (Luigi)
  100 — morì in Modica [Modena] nel 1624
  179 — della principessa elettrice [elettorale] di Sassonia
  240 — sulla sua maniera di pensiero [pensiere]





*** End of this LibraryBlog Digital Book "Dizionario storico-critico degli scrittori di musica e de' più celebri artisti, vol. 3 (of 4) - Di tutte le nazioni sì antiche che moderne" ***

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