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Title: La distanza
Author: Lopez, Sabatino
Language: Italian
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                            SABATINO LOPEZ


                             LA DISTANZA

                         COMMEDIA IN TRE ATTI



                                MILANO
                       FRATELLI TREVES, EDITORI
                                 1922

                          =Secondo migliaio.=



PROPRIETÀ LETTERARIA.

_I diritti di riproduzione e di traduzione sono riservati per tutti i
paesi, compresi la Svezia, la Norvegia e l'Olanda._

Copyright by Sabatino Lopez, 1922.

È assolutamente proibito di rappresentare questa commedia senza il
consenso della Società Italiana degli Autori, Via Sant'Andrea, 9,
Milano. (_Articolo 14 del Testo unico, 17 settembre 1882_).

Milano, Tip. Treves.



                                  A

                          FERDINANDO MARTINI.



PERSONAGGI.

  MARINO SERRALUNGA.
  EMILIO SERRALUNGA.
  IL MARCHESE ANDREA DI PRIMASCO.
  IL PRINCIPE MICHELE DI MELISANGRO.
  PIERO CAPPELLI.
  IL PROFESSOR DEL BASSO.
  IL PROFESSOR DIODATO.
  LA MARCHESA DIANORA DI PRIMASCO.
  TERESA GILIARDI.
  ISOLINA.
  IL BIDELLO DEL GINNASIO
  Camerieri e Cameriere di Casa Primasco.

  A Salduggio, in Piemonte. — Oggi.


_Questa commedia fu rappresentata la prima volta al teatro Manzoni di
Milano, dalla Compagnia diretta da Dario Niccodemi la sera del 28
ottobre 1921._



ATTO PRIMO.


    Ottobre. — La modesta sala dei Professori del Ginnasio di
    Salduggio. Alla parete di fondo il ritratto giovanile in
    litografia di Vittorio Emanuele III. A quella di destra una
    scansia a vetri che contiene i pochi libri della povera
    biblioteca del Ginnasio.

    A quella di sinistra, in quadro, il calendario scolastico
    approvato dal Provveditore agli studi della Provincia di
    Novara.

    Nel centro della sala un tavolone coi cassetti chiusi —
    intorno alla tavola sette, otto sedie di legno ricurvo, una
    più alta, di poco diversa, per il Direttore.


    A un capo della tavola, quando comincia l'azione, sta il
    professor Del Basso, miope, barbuto, zazzeruto, pepe e sale
    nei capelli e nell'abito, con tutt'un'aria di polvere addosso
    dalla testa alle scarpe; a metà della tavola la Giliardi,
    bruna, ventottenne, accurata nell'abito semplice e unito di
    colore; all'altro capo Cappelli, lindo, elegante, ben
    pettinato, ben rasato. Del Basso si muove sempre, grida
    sempre, agita sempre le mani e le gambe.


SCENA PRIMA.

DEL BASSO — CAPPELLI — LA GILIARDI.


DEL BASSO

                                        accalorato, alla Giliardi.

No, no, no. E no. Non ci siamo. Io, cara lei, ragiono, discuto, combatto
con argomenti. Delle circolari del Ministro io me ne stropiccio.
Sissignora, perchè il Ministro della Pubblica Istruzione è un ciuco.

                                        La Giliardi e Cappelli
                                        protestano.

Sissignori: è un ciuco. E ve lo dimostro.

LA GILIARDI

Per lei tutti i Ministri son ciuchi.

DEL BASSO

Si capisce: i Ministri cambiano.... ma io non cambio. E più professoroni
erano, più ciuchi diventano quando montano sul cadreghino. Nessuno di
loro capisce più niente.

LA GILIARDI

Solo lei capisce qualcosa.

DEL BASSO

                                        disorientato per un momento.

Come dice?

                                        Riprende fiato e non molla
                                        più.

Solo io. Lei no, per lo meno.

                                        Ride la Giliardi e ride
                                        anche lui.

In materia di pubblico insegnamento bisogna sfrondare. Sfrondare. La
matematica?

                                        Col gesto, come se desse un
                                        colpo trasversale di
                                        accetta, accompagna la
                                        minaccia fragorosa.

Via. Non serve che a confonder la testa. La filosofia? via: appanna i
cervelli. La storia naturale?

                                        Terribile.

Viaaaa: che te ne fai di sapere come digeriscono i pesci o come le talpe
si liberano l'intestino? Bisogna sostituire a coteste buggerate
l'insegnamento delle lingue. Lingue, lingue, lingue.

LA GILIARDI

Allevare cocorite e pappagalli.

DEL BASSO

Lei è una cocorita!

                                        E ci ride.

Alla mia maniera crescerebbero uomini liberi, uomini pratici, uomini
fattivi perchè sarebbero prescritte soltanto le lingue vive: il francese
— è contenta? — l'inglese, il tedesco, lo spagnolo.

CAPPELLI

                                        placido continua.

L'arameo....

DEL BASSO

Come dici? Marameo?

CAPPELLI

L'arameo.

DEL BASSO

                                        approva col capo e seguita.

.... l'arameo, magari il copto, il turco, il persiano.... E così
potremmo girare il mondo, concludere affari, imbrogliare il prossimo....

CAPPELLI

Ma che stai dicendo? Tu che ti sei fatto imbrogliare tutta la vita.

DEL BASSO

                                        testardo.

Perchè non sapevo le lingue.

CAPPELLI

Perchè non sei nato imbroglione.

DEL BASSO

Perchè non sapevo le lingue. Ossia: sapevo il latino che serve soltanto
ai preti e il greco antico che non serve a nessuno. Retorica....
Retorica. Accidenti alla retorica. Noi italiani siamo retori: cioè siamo
citrulli. Citrullo uguale citriolo. Noi siamo citrioli.

LA GILIARDI

Lei compreso.

DEL BASSO

Come dice?... Me compreso. Pensi se voglio escludermi! Mio padre
negoziava in formaggi: io ho voluto negoziare in declinazioni latine.
_Rosa, rosae...._ per venir a crepare a Salduggio. Se vendessi pecorino
o caciocavallo marcerei in automobile: e così vado a piedi. E si vede
dalle scarpe.

                                        Mostra il piede.

La maledetta retorica che infradicia i cervelli!

                                        Alla Giliardi d'un tratto.

Lei, vede, era nata per fare la bella ragazza.

LA GILIARDI

Perchè non dice addirittura la cocotte?

DEL BASSO

Be'! Si spaventa della parola? la cocotte. Che c'è di male? Avrebbe
fatto la onesta cocotte.... che ce n'è tanto bisogno! Invece no, si è
tirata su a professoressa.

                                        A Cappelli che ride
                                        canzonatorio.

Il signor conte qui che ride come se io fossi il suo buffone, doveva
fare il conte e basta. Nossignore, anche lui professore, professore
filodrammatico, professore tenorino che canta tre volte la settimana le
sue romanze per uno stipendio che a fin di mese non gli basta per le
sigarette!

CAPPELLI

                                        calmo.

Anche per il caffè.

DEL BASSO

Perchè li bevi al castello dei Primasco.

                                        Riprende.

Come per esempio, mi dite perchè ci dev'essere un Ginnasio a Salduggio?

                                        Ripete il gesto
                                        dell'accetta.

Viaa!

CAPPELLI

                                        sempre tranquillo.

Il Ginnasio, via; il professor Del Basso via; le cinque figliole del
professor Del Basso, via; Salduggio, via: l'Italia....

DEL BASSO

                                        ora calmo anche lui.

Nooo. Salduggio, dal momento che c'è, resti.

CAPPELLI

Tu permetti?

DEL BASSO

                                        man mano torna ad
                                        accalorarsi.

Ma il Ginnasio, no. Quello non serve che ai signori Marchesi di Primasco
che di generazione in generazione vengono a scaldarsi il di dietro sulle
panche. E allora i signorini marchesini e le signorine marchesine vadano
a Novara o a Cuneo o a Torino e non gravino sul bilancio dello Stato. Ma
io mi vendico: gli scolari li mando tutti avanti, li promuovo tutti.
Come dice Dante? — «Non ti curar di lor ma guarda e passa». — Io li
passo tutti.

CAPPELLI

Io invece ne ho bocciati due.

LA GILIARDI

Io cinque.

DEL BASSO

                                        con le mani nei capelli.

Le donne, le donne!

LA GILIARDI

Domandi al professor Serralunga, se erano da promuovere!

DEL BASSO

Serralunga?

                                        urla.

E chi è Serralunga?

CAPPELLI

                                        calmissimo.

Un ciuco.

DEL BASSO

                                        esita.

È probabile. Comunque è un novizio, un cappellone, dunque un fanatico.


SCENA II.

DIODATI — DEL BASSO — LA GILIARDI.


DIODATI

                                        che funziona da direttore,
                                        sessantenne, veneto;
                                        entrando.

Del Basso che urla: miracolo!

                                        Saluti scambievoli. Diodati
                                        tocca, ma non si leva il
                                        cappello a cencio.

Buondì. Ho fissato lo scrutinio per domattina alle nove. Si va avanti
più che si può, alle tre si riprende e si finisce in giornata.

                                        A Cappelli.

Così, se tu vuoi andare a Torino.... Ci vai?

CAPPELLI

È probabile.

                                        Si alza, e batte sulla
                                        spalla a Del Basso.

Ti porterò i gianduiotti. Per addolcirti la bocca.

DEL BASSO

Cioccolatini? Per me? Ci vuol altro! Non so: un taglio di arrosto per
tutta la famiglia, una dozzina di calze per le bimbe, un ombrello per
madama....

DIODATI

Tu vuoi troppo, caro. E Serralunga?

LA GILIARDI

L'aspetto per classificare alcuni lavori.

DIODATI

Simpatico giovane. È un buon acquisto per il nostro Ginnasio.

DEL BASSO

Quello lì? dura un anno scolastico.

DIODATI

Non si può dire. Anche Cappelli, qui, credevo non sarebbe rimasto più
d'un anno, e invece....

DEL BASSO

                                        guardando prima Cappelli poi
                                        la Giliardi.

Bisognerebbe raccomandarsi alle donne.... Trovarne una disposta a fare
all'amore col Serralunga....

DIODATI

Che linguaccia!

DEL BASSO

Io?! Mettere un avviso che dicesse: «Cercasi bella giovane disposta
concedersi professore scuole classiche, pelo nero, già combattente,
decorato al valore: escludesi matrimonio».

DIODATI

                                        ridendo.

Che proprio si debba escludere....

DEL BASSO

Ah! senti. Non ce ne sono mica molti corbelli come me, che a Salduggio
ci hanno fatto la cova! A meno che Serralunga non s'innamori qui della
nostra giovane collega di francese....

LA GILIARDI

Lei si cheti.

DEL BASSO

Perchè? O che non ci starebbe a sposarlo? Dica la verità: non le
parrebbe vero.

LA GILIARDI

                                        enigmatica.

E se mai, che le importa?

DEL BASSO

O Dio, lo vorrei sapere per cominciare a mettere da parte i regali per
il regalo di nozze.

LA GILIARDI

                                        secca.

La dispenso. Lei è dispensato da tutto.

DIODATI

No, sai; c'è prima il Burlandi.

                                        Benevolo, quasi paterno alla
                                        Giliardi.

Vero, cara, che c'è prima il Burlandi?

CAPPELLI

                                        interessandosi.

Quale Burlandi? Il padrone del Magazzino Americano?

                                        Alla Giliardi.

Non mi aveva detto, non sapevo....

DIODATI

Ma noi sappiamo. Abbiamo i nostri servizi segreti. Siamo o non siamo il
capo dell'Istituto?

CAPPELLI

O senti: ho piacere.

                                        Avvicinandosi alla Giliardi.

Si mangeranno questi confetti?

LA GILIARDI

Non si mangeranno.

CAPPELLI

Eppure! Farebbe male, sa. Il Burlandi è un uomo attivo, ha del suo, è
senza impegni di famiglia....

                                        Del Basso li guarda, si
                                        soffrega la barba e
                                        sogghigna.

LA GILIARDI

Lei è un bravo avvocato, ma la causa è già perduta. Gli ho già detto di
no. E quando dico di no.... Lei lo sa.

DIODATI

E si è rassegnato?

                                        Sorridendo.

O.... o.... che un giorno o l'altro, quando lei passa per il corso lui
non mi venga fuori.... pim.... pam.... prima a lei, poi a sè....

LA GILIARDI

                                        ora ride.

Speriamo di no.

DIODATI

Dovrei fare un lungo rapporto al Ministero....

DEL BASSO

Parli tu, Cappelli, sul feretro?...

LA GILIARDI

                                        pronta.

Ma lei no, sa! Tutti meno che lei. Proibisco. Meglio un rospo.

DEL BASSO

                                        sghignazza e si frega le
                                        mani.

To': ecco il Serralunga. Buon giorno.


SCENA III.

DETTI — SERRALUNGA — poi IL BIDELLO.

    Marino Serralunga ha ventisette anni, figura diritta, capelli
    alti a spazzola, barbetta a punta, cappello e cravatta molli,
    vestito non a misura. Non segue la moda. Quando parla, anche
    per il modo, si avverte che è qualcuno, non del gregge. Sente
    di sè e non lo nasconde.


MARINO

                                        guarda attorno e quando vede
                                        Diodati.

Direttore, cercavo proprio di lei.

                                        Agli altri.

Buongiorno.

DIODATI

Buon dì, professore. Cosa c'è?

MARINO

Ho da riferire e da chiedere.

                                        Diodati si leva.

No, preferisco parlare davanti ai colleghi.

DIODATI

                                        risiede.

E allora dica: ascolto. Siedi, caro.

MARINO

Dunque: iersera quando stavo per rientrare in casa, mi si è accompagnato
il professor Cerettoni....

DEL BASSO

.... detto Francesco Ferruccio.

                                        Intorno si ride.

MARINO

                                        s'interrompe.

Non capisco.

DIODATI

Il professor Cerettoni.... non è un eroe. Ecco spiegato. Va' avanti,
caro.

MARINO

Il professor Cerettoni mi chiese delle prove d'esame in generale e in
particolare di quelli dell'alunno Di Primasco. Gli dissi che il Di
Primasco era tra i respinti.

                                        Breve silenzio.

DEL BASSO

Conseguente fifa del professor Cerettoni.

MARINO

                                        a Del Basso.

Starei per dire di sì.

                                        Volgendosi ora all'uno, ora
                                        all'altro.

Perchè prima storse la bocca, poi venne fuori con mozziconi di frasi
prudenti ed ambigue, poi espresse più chiaramente il suo pensiero. Il
ragazzo è figlio di un fratello del marchese — che è poco meno che il
padrone di Salduggio — ha strappato il punto sufficiente per il
passaggio allo scritto, ha meritato un quattro all'orale. Dice il
professor Cerettoni: «Sarebbe il caso di portare quel quattro al sei. Il
ragazzo può esser timido.... si può anche esser confuso.... bestia più,
bestia meno, il mondo non casca. Invece a volersi mantener rigidi c'è da
procurar fastidi a lei, direttore, a me....»

DEL BASSO

                                        con la voce e col gesto.

Fifa, fifa....

MARINO

Perchè — dice sempre il Cerettoni — se i Primasco sono potenti, anche la
marchesa, figlia di un senatore influentissimo, principe romano, è poco
meno che una sovrana. Case di nobiltà di vecchia data, crociate,
benemerenze patriottiche e civili, elargizioni munifiche, eccetera,
eccetera.

                                        Si ferma.

Ho finito. Riferivo.

DIODATI

Lei, caro professore, ascolti la sua coscienza. E basta! Non si occupi
d'altro.

MARINO

La ringrazio.

DIODATI

E guardi che non andremo incontro al martirio nè lei, nè io. Il
professor Cerettoni è un buon uomo, tanto caro, ma.... mi aiuti lei....

DEL BASSO

Ma soffre di fifa....

                                        A Diodati.

Non volevi l'aiuto?

DIODATI

                                        sorride.

Insomma, non ci stia a badare. Domani in Consiglio legga i voti che ha
creduto di assegnare al ragazzo e noi metteremo la sabbia.

                                        Volgendosi attorno.

Potete dir voi se ho mai fatto pressioni per favorire uno piuttosto che
un altro....

IL BIDELLO

                                        entrando.

Signor direttore, c'è il padre dell'alunno Lanfranchi.

DIODATI

                                        si alza di premura.

Vengo vengo.

                                        Il bidello esce.

Addio cari, ci vediamo.

                                        Ed esce. C'è un breve
                                        silenzio.


SCENA IV.

MARINO — DEL BASSO — LA GILIARDI — CAPPELLI.


DEL BASSO

Bravo Serralunga! Io sono per passarli tutti — lo dicevo adesso — ma
quello lì hai fatto bene.

CAPPELLI

Se lo meritava, hai fatto benissimo. Ma non era il caso che tu riferissi
il discorso Cerettoni: pressioni da parte dei Primasco non ne hai avuto.

DEL BASSO

Verranno.

CAPPELLI

Se fossero venute, allora sì.

MARINO

Ho voluto sùbito mettere in chiaro e a posto.

CAPPELLI

Per lo meno hai anticipato. Parevi San Giorgio che parte lancia in resta
contro il drago. E il drago non c'è.

DEL BASSO

                                        canzonatorio.

Draghi? A Salduggio? Tutte lucertole: al più ramarri.

CAPPELLI

Ma fammi il piacere, tu!

DEL BASSO

Nemmeno ramarri? Ma sì, tutti puri in quella casa. A cominciare dal
portiere che se invece era a servizio da te o da me, sarebbe in galera
per sevizie....

CAPPELLI

Ma Del Basso!

DEL BASSO

O che non picchiava la moglie? A finir con la cuoca che fece un figliolo
con persona ignota di sesso diverso e lo mise ai bastardi.

CAPPELLI

                                        non sa se adirarsi o ridere.
                                        Marino ride.

Tu, se ti mordi la lingua, ti avveleni!

DEL BASSO

Se tu ti mordi la tua muori di diabete. Tutto zucchero sei!

CAPPELLI

                                        per farlo ragionare.

Ma se non li conosci i Primasco!

DEL BASSO

Naturale che io non li conosco! Io sono un vile borghese. E miserabile.
Loro ci hanno i milioni!

IL BIDELLO

                                        rientra.

Professor Serralunga, la Marchesa di Primasco domanda di lei.

                                        Movimento generale.

MARINO

Di me? Non avete mica sbagliato?

DEL BASSO

                                        strizzando l'occhio a
                                        Cappelli.

La lucertolina. Prevedevo.

IL BIDELLO

                                        a Marino.

Sissignore. Di lei.

DEL BASSO

                                        a Marino.

Povero Cerettoni, l'ha indovinata! Alle volte la fifa apre i cervelli.

MARINO

Ah! perchè tu credi che...?

                                        Al bidello.

Vengo.

                                        Ma già Del Basso, la
                                        Giliardi, Cappelli si sono
                                        alzati, il bidello sta per
                                        avviarsi.

CAPPELLI

                                        lo ferma colla voce e col
                                        gesto.

Aspetta, Stefano.

                                        A Marino.

E dove la ricevi? Per istrada?

MARINO

Hai ragione.

                                        Al bidello.

Che passi.

                                        Il bidello esce. A tutti.

No, no, restate, restate.

DEL BASSO

Darei un soldino per restare, ma non è possibile.

LA GILIARDI

                                        a Marino.

Quei temi? Nel pomeriggio?

MARINO

No. Se vuole, appena avrò sbrigata la marchesa. Aspetta di là?

DEL BASSO

Io vado.

                                        Mostrando un sacco a corda
                                        con pagnotte.

«Pianger sentii nel sonno i miei figlioli — ch'eran con meco e dimandar
del pane».... E io porto a casa il pane!

                                        Dianora è apparsa. I
                                        Professori salutano col
                                        capo. Del Basso scivola via.
                                        La Giliardi fa un cenno
                                        rapidissimo ed esce dietro a
                                        lui. Cappelli si è fermato
                                        sulla soglia.


SCENA V.

CAPPELLI — MARINO — DIANORA.


DIANORA

                                        bella, sorridente, luminosa
                                        in un fresco abito
                                        mattutino, saluta lietamente
                                        Cappelli.

Cappelli, c'è anche lei?

                                        E gli stende la mano.

Bravo Cappelli, come sono contenta! Così mi presenta e mi aiuta.

CAPPELLI

                                        baciandole la mano.

Presentarla, è un piacere e un onore. Aiutarla, non so in che, e perciò,
marchesa, la prego, me ne dispensi.

                                        E presenta.

Il professor Marino Serralunga, la marchesa Dianora di Primasco.

                                        Marino irrigidito piega
                                        appena il capo.

Ecco fatto. — Marchesa, se mi permette....

                                        E vuol prendere congedo.

DIANORA

Se ne vuol proprio andare. A quando? Viene domani a pranzo da noi?

CAPPELLI

La ringrazio, marchesa. Ma vado a Torino.

DIANORA

Questa Torino! questa Torino! Chi ci sarà mai a Torino che ce lo ruba
ogni settimana?

CAPPELLI

                                        sorride.

C'è Torino. Passerò a sentire se lei avesse ordini.

DIANORA

Avrà già tanto da fare! A rivederci, Cappelli. E se non è domani, si
faccia vedere al ritorno. Non si renda troppo prezioso.

CAPPELLI

Marchesa!

                                        Le bacia la mano ed esce.


SCENA VI.

DIANORA — MARINO.


DIANORA

                                        a Marino che non accenna a
                                        dirle di sedere.

Professore, lei non ha impegni urgenti? Perchè mi dispiacerebbe
disturbare.

                                        Accennando a quelli che sono
                                        usciti.

Erano forse in seduta?

MARINO

No, signora. Dica pure quel che ha da dire. Si accomodi.

DIANORA

Ecco: grazie.

                                        Siede.

Non si stupisca di vedermi qui. Costumi semplici a Salduggio. Avrei
potuto incaricare il conte Cappelli di pregarla di venire lei da me.

                                        Sorride.

Passavo: sono entrata.

                                        Sorride.

È anche più gentile, no?

                                        Sorride.

Prima domanda.... se non sono indiscreta: mi può dire l'esito dell'esame
di mio nipote? o non può? Se non può, non chiedo infrazioni alla legge.

                                        Poichè Marino tace:
                                        sorridendo.

Ho capito: non può.

MARINO

Posso. Ma la signora saprà già....

DIANORA

Se sapessi non domanderei.

MARINO

Suo nipote?

                                        Secco.

L'ho bocciato.

DIANORA

                                        sorridendo.

Ah! sì? Ha fatto benissimo.

MARINO

Lei trova?...

                                        E ne è sorpreso, sviato.

DIANORA

Benissimo: perchè se lo merita. E glielo avevo anche predetto. Non
studia, per conseguenza non sa. Mi ero persino stupita che si fosse
salvato allo scritto.

                                        Ride.

Forse ha copiato da qualche compagno, ma è legittimo che sia caduto agli
orali. Penserà suo padre a farlo studiare: a noi non è riuscito, — e se
lo riprenderà a casa. Diceva: «Sì zia, sì zia bella....»

                                        Arrossisce.

È indulgente come tutti i ragazzi — ma poi.... Giustizia è fatta.

                                        Sorride e cambia tono.

Seconda domanda.... Non si spaventi: è l'ultima, per oggi: il professor
Cappelli mi ha parlato molto di lei.

MARINO

                                        borbotta.

O guarda!

DIANORA

La conosce da poco tempo: dieci, quindici giorni? — ma lei può già
considerarlo come un amico e un ammiratore.

MARINO

Circa l'amicizia ci conto; circa l'ammirazione è troppo facile.

DIANORA

No, prego: il conte Cappelli non si abbandona ad entusiasmi e sa pesare
gli uomini. «Se sentisse come parla; se leggesse come scrive; se vedesse
come disegna». — Lei troverà naturale che le parole di Cappelli abbiano
acceso in me il desiderio di conoscerla.

MARINO

Ma si guardi, signora, che il Cappelli....

DIANORA

                                        sorridendo.

Mi lasci prima finire. Siamo in una piccola città, quasi un paese. Le
occasioni d'intrattenersi con persone d'ingegno e dottrina sono così
rare! Lei sa tante belle cose, ha tanto buon gusto.... vorrei essere tra
quelli che se ne avvantaggiano. Concludo: se domani Cappelli non parte,
tanto meglio, e allora viene con lui; ma se lui va a Torino, mi vuole
usare la cortesia di pranzare domani da noi? La invito a pranzo perchè
trovi anche mio marito. In altra ora è difficile che ce lo incontri. Gli
uomini, si sa, stanno poco in casa: il mio poi!

MARINO

La ringrazio, signora. Ma sono qui a Salduggio da pochi giorni con tante
cose da mettere a posto! E ne ho tante da sbrigare.

DIANORA

L'avrà pure un'ora per il pranzo! Subito dopo la lascierò andar via.
Almeno per questa prima volta mi accontenterò di poco: non le rubo che
un'ora.

MARINO

Il Cappelli che le ha parlato tanto di me, le avrà pur detto che io sono
un orso.

DIANORA

                                        sorride.

Sì, me lo ha detto. E per questo sono venuta di persona.... a stanare la
belva.

MARINO

E allora sarò schietto. Io sono uomo di studio, e senza risorse, per lo
meno di quelle facili, che riescon gradite alle signore. Con persone del
bel mondo, mi tedio e le tedio. Se mi lascio prendere nel giro delle
visite, dei pranzi, dei tè finisco col non attendere più ai miei lavori
— noiosi, sa — ed io non mi posso permettere il lusso di far lo svagato
e il farfallone notturno. Oltre il resto, son povero. E fumo sigari
toscani. Mi spiace rispondere con un deciso rifiuto e ricambiare una
cortesia con una rusticheria, ma preferisco esser villano che mentitore.

                                        Dianora si leva.

È offesa?

DIANORA

                                        semplice.

Io? No. Mi alzo perchè ho finito. L'ho invitato per rispondere più che a
un mio desiderio — la schiettezza le piacerà in tutti e per tutti — a un
desiderio del conte Cappelli che voleva ch'io la conoscessi e sperava
incontrarla anche da me. Non speravo, no, in una accettazione
entusiastica da parte sua, ma in un rassegnato consenso. Poi si sarebbe
adattata, e poi fors'anche — veda un po' — ci si sarebbe

                                        Sorridente.

trovato bene. Amico, ma libero. In casa mia non tengo gabbie, nemmeno
per gli orsi. Ma lei ha da lavorare! Dio mi guardi dal farle perdere un
tempo prezioso. Se lei, non dico muta pensiero, — tra le sue molte virtù
avrà anche quella della tenacia! — ma trova un qualche ritaglio di
tempo, lei sa dove stiamo. Io le ho fatto una visita: se crede e quando
crede, me la restituisce. Quando sono in casa, ogni giorno è buono: e se
non mi trova, meglio per lei. Buongiorno.

MARINO

                                        d'un tratto, quasi
                                        trattenendola.

Ma io lei l'avevo già veduta. — Non qui.

DIANORA

Ah! sì?

MARINO

E ammirata.

DIANORA

Nientemeno. Quando? Mi lasci sentire.

                                        Risiede.

MARINO

L'orso è sgraziato nei movimenti, ma pure lui ha occhi per vedere e
orecchi per intendere. Io ho fatto molta strada con lei: in treno.
Viaggiavo anch'io in prima classe, da signore, perchè ero ufficiale e
viaggiavo per servizio. Fu l'altra estate, e posso dire anche il giorno:
il tre settembre. Lei salì alla stazione di Bergamo, ma proveniva da San
Pellegrino, in compagnia di un bel signore bianco.

DIANORA

Lei ha buona memoria ed è preciso. Mio padre c'era andato per cura. Come
fa a ricordarsi?

MARINO

Io? Sempre. È così facile! Basta guardare le persone e le cose ogni
volta come se si dovessero vedere per l'ultima volta. Nel suo caso, poi,
lei disse parole argute, pronunziò giudizi assennati sulla bellezza dei
luoghi e sul carattere delle signore colle quali s'era intrattenuta a
San Pellegrino. Sentii: non per indiscrezione: lei parlava forte e io
non dormivo. Poi disse di Bergamo con accenni gustosi, personalissimi,
sulle opere d'arte viste in quella medesima giornata, specie sui Tiepolo
della Cappella, che non eran frutto di erudizione mal digerita o
risciacquatura di vecchie Guide. Ho studiato anch'io i Tiepolo, ho avuto
occasione di vederne molti — tra i pittori moderni lo prediligo — e
posso dire che non è facile trovar chi dimostri conoscenza così piena di
quell'artista. Specie tra le signore.

DIANORA

                                        sorride.

La ringrazio molto. E mi scusi se oggi non l'ho ravvisato.

MARINO

Non c'era motivo perchè lei mi dovesse riconoscere, ce n'era più d'uno
perchè io riconoscessi lei. Io ero in uniforme, e me ne stavo in
silenzio rannicchiato in un angolo. Lei era in piena luce e parlava.

DIANORA

E non dicevo spropositi? nè d'arte nè di lingua? Ma come bisogna
sorvegliarsi! Anche là dove meno si aspetta c'è un giudice. Ora vado via
contenta.... o quasi.

                                        Sorride.

perchè mi pare d'intendere che il suo rifiuto di poco fa non risponde ad
una spiacevole impressione del primo incontro, ma a tutto un suo sistema
di vita. In fondo, chissà, forse ha ragione lei a starsene appartato.
Buon lavoro, professore. E addio....

                                        Si leva, gli porge la mano.

O a rivederci. Sta a lei.

MARINO

                                        non risponde, le dà la mano,
                                        s'inchina, l'accompagna fino
                                        alla porta, poi torna
                                        indietro, solleva fieramente
                                        il capo, scuote le chiome.

Ah, perdio, no! non mi pigliano! Ho di meglio a fare io che salamelecchi
e madrigali.

                                        E accende un mezzo toscano.
                                        Nell'atto lo sorprende
                                        Cappelli. Marino si volta.

To'! Sei qui ancòra?


SCENA VII.

MARINO — CAPPELLI.


CAPPELLI

Ho visto dalla finestra della Direzione la Marchesa che usciva e son
tornato a sentire.

MARINO

Di' un po'; sei conte tu?

CAPPELLI

Io sì. Perchè?

MARINO

L'ho imparato adesso. Non me lo avevi detto.

CAPPELLI

Perchè non ha importanza: ma non perchè me ne vergogni. Non è un
disonore.

MARINO

Disonore no. Niente. Per me un titolo vale meno di questo mezzo sigaro.

CAPPELLI

Perchè vieni di famiglia popolana.

MARINO

Credi che se io fossi nobile me ne terrei?

CAPPELLI

Forse. Non si può sapere. Dunque? Che altro ti ha detto la marchesa? Non
avrete parlato tutto il tempo di me.

MARINO

La conoscevo. Sì, la signora la conoscevo già. L'ho ravvisata sùbito, di
sulla porta, e gliel'ho anche detto. L'avevo incontrata l'anno scorso in
treno, a Bergamo, ma non c'eravamo scambiati parola.

CAPPELLI

E oggi che ci hai parlato, che impressione ti ha fatto?

MARINO

                                        concedendo.

Sì, sì, è una bella signora.

CAPPELLI

E ti ha chiesto del nipote?

MARINO

Anche. Ma il mio sospetto era ingiusto perchè trova anche lei che è un
bestione. Dice che tu le hai parlato molto bene di me.... e mi ha
invitato a pranzo per domani.

CAPPELLI

Ci vai?

MARINO

Io no.

CAPPELLI

Se ci vai rinunzio alla gita a Torino per accompagnarti. Io sono di
casa.

MARINO

Ti ringrazio. Ma non sono abbastanza elegante io.

CAPPELLI

La marchesa non bada al taglio degli abiti.

MARINO

Nemmeno nei modi.

CAPPELLI

Non è vero.

MARINO

E nemmeno mi finisce di piacere. Dev'essere una posatrice.

CAPPELLI

Invece è una donna così semplice!

MARINO

                                        non persuaso.

Uhm! Intanto il nome è pretenzioso: Dianora.

CAPPELLI

Se anche, non l'ha scelto lei. Invece ci dovresti venire. Anche per
toglierti da quell'abbrutimento serale che è lo scopone al caffè Rossini
tra Del Basso che ringhia e Cerettoni che trema. Venire al castello una
volta, non ti obbliga a nulla. Se ti trovi a disagio non ci torni.
Prova.

MARINO

Meglio non far nemmeno la prova.

CAPPELLI

Sei un testone.

MARINO

E il marito? Sì, com'è il marito?

CAPPELLI

In che senso?

MARINO

In tutti i sensi.

CAPPELLI

È un bell'uomo, giovane, che bada alle sue proprietà, intelligente....

MARINO

Duro, prepotente, accaparratore di quadri vecchi e di donne giovani,
competente in fatto d'arte, ma più in fatto di femmine....

CAPPELLI

E allora, perchè chiedi?

MARINO

Somiglia? il ritratto. E allora ti dirò che anche per questo mi tengo
lontano dalla sua casa.

CAPPELLI

Sì, il ritratto somiglia. Per lo meno le ombre ci sono. Tutte quante. Ma
è anche questione di come si guarda un ritratto, di chi lo guarda.
Intanto è generoso. È veramente munifico.

MARINO

E prolifico. A casa sua no. Ma fuori, si rifà. Mi dicono che ha seminato
figlioli un po' dappertutto.

CAPPELLI

Riconosco lo stile Del Basso. Esagerazioni dell'informatore. E comunque
anche fosse

                                        Ride.

tu che hai da temere? Non sei nè un contadino ignorante cui possa
rapinare le robe, nè una fanciulla cui possa insidiare l'onore. E vale
la pena di tollerarne la presenza per quel po' di tempo che si trattiene
in casa, per il molto che ci sta la marchesa. Lei con la sua grazia, col
suo sorriso....

MARINO

                                        quasi con dispetto.

Sorride sempre?

CAPPELLI

Sempre. Come gli altri respirano. Eppure non è felice. Ma è una di
quelle creature che ti riconciliano col genere umano. Venne qui appena
sposa. Durante gli anni di guerra fu una benedizione per il paese.
Pensa: non c'è chi non le perdoni la bellezza, la ricchezza, il
marchesato.... Di questi tempi, ce ne vuole! La calunnia non la può
toccare: è una lastra che non si appanna.

MARINO

Tu ne parli come un innamorato.

CAPPELLI

Tutti ne sono innamorati.

MARINO

Allora anche tu.

CAPPELLI

Naturalmente.

MARINO

Oh! Giudizio!

CAPPELLI

Perchè?

MARINO

Se è così una santa, niente da fare.

CAPPELLI

Si capisce.

MARINO

                                        piano piano incuriosito, ma
                                        sempre delicato e lento
                                        nell'inchiesta.

Allora innamorato.... per modo di dire. O sei stato grave?

CAPPELLI

Sto meglio.

MARINO

Ma non bene. E lei? possibile che non se ne sia accorta?

CAPPELLI

Si è accorta e mi ha distolto senza sdegni, con delicatezza. Perfetta,
purtroppo. Perfetta.

MARINO

E.... hai fatto una cura per migliorare?

CAPPELLI

Sì, ho fatto una cura: omeopatica. _Similia similibus._ Ma non ha
servito. E così riprendo ed andar via il sabato e a tornare il lunedì
sera. A Torino giro i teatri, i caffè e peggio. Mi imbestialisco un
poco. Quando torno, come maschio, come.... animale, scegli tu, sono
sazio....

MARINO

E perchè non chiedi addirittura un trasloco? Guariresti.

CAPPELLI

Perchè mi piace essere malato.

MARINO

Sei preso bene!

CAPPELLI

Preso, sì: bene non direi.... Zitto! La Giliardi.

                                        Infatti la Giliardi è
                                        apparsa sulla porta. Si è
                                        accorta che hanno interrotto
                                        il discorso.


SCENA VIII.

CAPPELLI — MARINO — LA GILIARDI.


LA GILIARDI

Se disturbo posso anche tornare.

CAPPELLI

Non disturba affatto.

LA GILIARDI

Mi era parso.

                                        Breve silenzio.

E così, professore, la marchesa?

MARINO

È andata.

LA GILIARDI

Lo vedo.

MARINO

Niente raccomandazione per il nipote. Altra roba.

LA GILIARDI

Meglio così. Bella, eh?

MARINO

Sì, sì, bella.

LA GILIARDI

Cappelli, ringrazi.

CAPPELLI

                                        seccato, cercando di
                                        evitare.

Che c'entro io?

LA GILIARDI

                                        non cede e incalza.

Non è un ammiratore? Scommetto ne avete parlato sino ad ora!

                                        A Cappelli.

E lei s'è interrotto quando mi ha visto apparire. Ma ci sto anch'io a
cantarne le lodi, che diavolo! È una civetta della specie più
pericolosa, ma....

CAPPELLI

Lei non dica sciocchezze.

LA GILIARDI

Sciocchezze?

                                        A Marino.

Giudicherà lei, quando la conoscerà meglio, se dico sciocchezze. A meno
che anche lei non perda la testa. E la perderà, è probabile: è l'omaggio
di rito. Anche lei cadrà in ginocchio. Ma badi che la signora marchesa
non è di quelle che si compromettono. È di quelle che prendono, lei: non
di quelle che dànno.

CAPPELLI

                                        quasi la investe.

Io non arrivo a capire questa sua sfuriata a freddo.

LA GILIARDI

Scommetto che Serralunga capisce.

MARINO

Io le assicuro che....

                                        E si mette la mano al petto.

LA GILIARDI

                                        va avanti senza badargli.

Figuriamoci se Del Basso non l'ha sùbito informato!

MARINO

Io le giuro....

LA GILIARDI

Ma sì, di me col signore.

                                        Indica Cappelli.

CAPPELLI

                                        cercando d'imporsi.

Ora basta, eh? Lei forse non se ne accorge, ma tutto quello che dice e
che fa adesso è grottesco e di pessimo gusto.

LA GILIARDI

E lei? Anche lei! Anche lei, che mezz'ora fa, davanti ai colleghi mi ha
chiesto perchè non sposo il Burlandi, che mi consigliava a sposare il
Burlandi. Lei lo sa, il perchè. Perchè io non porto a un galantuomo gli
avanzi di nessuno, io non imbroglio nessuno.

CAPPELLI

                                        la investe ma è addolorato
                                        più che offeso.

Che cosa vuole da me? Vuol proprio una spiegazione? Meglio che ci sia un
testimone. — Non erano offensive od ironiche le mie parole di prima. Per
lo meno la mia intenzione era un'altra. Dissero — io non lo sapevo — che
un signor Burlandi la vuole per moglie. Poichè — in altri tempi — io
avevo avuto la sorte d'interessarla — non sono stato io a raccontarlo a
Serralunga: lo ha detto lei — e poichè tutto è finito — non per volontà
mia — lei lo sa — mi pareva un dovere dichiararle — sia pure di
sfuggita, in forma leggera quasi scherzosa — ch'io la consideravo
perfettamente libera di sè.

LA GILIARDI

Ah! lo so. Lei m'ha sempre considerata libera. Perchè lei si è sentito
libero sempre. Ma la mia con lei non è stata un'avventura, per me. Per
lei, sì, per me no. Uomini cui piacessi per divertirmi, non avevo che da
scegliere. Ma io non vedevo che lei, non amavo che lei. E solo in
apparenza, io ho voluto finire, ma in realtà è stato lei.

CAPPELLI

                                        debolmente.

Io?

LA GILIARDI

Che crede? che non sapessi, che non vedessi? Mi ero voluta illudere e
tacevo, ma si sopporta fintanto che si spera di salvare comunque un
brandello d'amore. Trattenendolo a forza non salvavo nulla; nemmeno la
mia dignità. E così, tornando a Salduggio, dopo mesi, dopo poche lettere
gelide ho detto: basta e ho voluto finire. Lei è tornato qui da quindici
giorni: così, per convenienza o per abitudine, ha tentato, una volta, di
riprendere. Ho detto di no: non mi ha chiesto nemmeno il perchè, tanto
era contento di riscattarsi, di tornare finalmente sincero.

CAPPELLI

                                        dopo un breve silenzio.

Ebbene: se anche tutto questo fosse vero....

LA GILIARDI

È vero.

CAPPELLI

Se anche fosse vero, non occorre mischiare il nome di persona che non ha
nulla a che fare con queste nostre miserie.

LA GILIARDI

Non ha nulla a che fare? Perchè mentisce ora? Se è stato con me ma non
pensava che a lei? se non ha amato, se non ama che lei? Neghi, se può!

CAPPELLI

                                        accennandole a tacere.

La prego. La prego. — Tu Serralunga, ti fermi ancòra? A più tardi.

                                        Esce.


SCENA IX.

MARINO — LA GILIARDI.


MARINO

                                        silenzio d'imbarazzo. I due
                                        si trovano a disagio.

Se vuole che rimandiamo....

LA GILIARDI

                                        si è ricomposta. Ora è
                                        calma.

Scusi: e non ci giudichi troppo male. Quel veder qui la signora.... ho
pensato che fosse venuta per lui.... che aver chiamato lei fosse un
pretesto.... Stupidaggini: mi credevo forte, e invece sono peggio di una
bambina cui si è portato via il giocattolo. Che volgarità questa mia!
non mi riconosco più! — Be'.... torniamo a fare i professori; dove sono
questi temi?

MARINO

                                        va a una cassetta chiusa
                                        della tavola, la apre con
                                        una chiavetta che si leva
                                        dalla tasca, ne trae un
                                        fascio di pagine piegate a
                                        mezzo, lo richiude, poi
                                        prima ancòra di mettersi a
                                        sedere.

Lei non mi permette di chiedere a Cappelli?...

                                        Non sa nemmeno lui che cosa.

LA GILIARDI

Nulla. Perchè non c'è nulla da fare. Io sola ho avuto torto; e non
soltanto oggi: sempre; e perciò sono io che pago, come di dovere. Mi
sono innamorata di uno ch'era innamorato di un'altra. Storie vecchie. E
lo sapevo!

MARINO

Lo sapeva?

LA GILIARDI

Già! Lo sapevo. Ma m'illudevo di diventare io la più forte; storia
vecchia anche questa. Invece no: non si lotta. Con quella donna, poi!

MARINO

                                        esitando.

Gran civetta, eh?

LA GILIARDI

Oh! no. Non badi a quello che ho detto prima: sono gelosa ed ero stata
offesa: credevo di essere stata offesa. Che colpa ci ha lei se ha tutto
per interessare, per piacere? E come potevo mai vincere? Ci pensi! Lei è
una cavallina di razza e io sono una bestia da fatica. È naturale che
gli piaccia lei e non io, che ami lei e non me, perchè anche lui,
Cappelli, è un cavallo di razza, per nascita, per istinto, per
consuetudine: loro due sono vicini: noi due invece.... sì, possiamo fare
lo stesso mestiere, e incontrarci per strada, ma poi.... Non ne parliamo
più. — Rivediamo questi temi.

MARINO

Vuol proprio?

LA GILIARDI

                                        si è impadronita del fascio
                                        di pagine.

Ma sì.

                                        Guarda sul fianco della
                                        prima.

Chi è questo? Fausto Belvilieri del secondo corso. È un ripetente.
Quanto ha assegnato?

MARINO

                                        ora s'immerge nel lavoro
                                        professionale. Le due teste
                                        sono quasi confuse sulla
                                        stessa pagina.

Cinque. Svolgimento sbagliato; qualche errore di lingua e d'ortografia
deturpa quel poco....

                                        La Giliardi si copre il viso
                                        con le mani: forse piange.
                                        Marino fa un vago gesto di
                                        pietà.


CALA LA TELA.



ATTO SECONDO.

    Luglio. — Una delle tante sale del palazzo dei Primasco: il
    salotto dove d'ordinario riceve la Marchesa. In fondo
    un'arcata a vetri, sicchè si vedono passare le persone prima
    che entrino e mentre passano ad altre sale. Soffitto a
    cassettoni. Arazzi alle pareti. Sala vasta, dove una
    scrivania per signora, i mobili di stile, il pianoforte non
    ingombrano. Segni evidenti di ricchezza non fastosa ma antica
    e di buon gusto.


    Quando si alza la tela non è ancora buio. La scena è vuota.
    Poco dopo Marino, che tiene un piccolo dipinto in legno tra
    le mani è introdotto da un servo in livrea che s'inchina poi
    domanda:


SCENA PRIMA.

MARINO — IL SERVO — poi DIANORA.


IL SERVO

Professore, vuole che accenda?

MARINO

Mi par presto.

IL SERVO

Come vuole lei.

                                        Ed esce. Marino riguarda il
                                        dipinto, lo avvicina a sè,
                                        lo allontana, scuote la
                                        testa con dispregio. Quando
                                        vede apparire dietro la
                                        vetrata Dianora, lo depone
                                        sulla scrivania.

DIANORA

                                        sorridente.

Buona sera, Serralunga.

                                        Gli porge le mani.

MARINO

                                        s'inchina.

Buona sera, signora.

DIANORA

Mi dica la verità, ha pranzato?

MARINO

Io sì; son venuto troppo presto?

DIANORA

                                        sorride.

Ma no. Io mi alzo adesso da tavola. Non l'ho mandata a chiamare per non
levarla anche oggi a suo padre. Ero sola perchè i miei uomini sono
andati alla Primaschina e, secondo l'ora, tornano.... mangiati o da
mangiare.

                                        Marino si tura le orecchie.
                                        Dianora ride e suona.

MARINO

Anche il signor principe è fuori?

DIANORA

Sì, anche papà. La gita alla Primaschina è per lui, per mostrargli gli
ultimi lavori. Lei li ha già visti, vero? Io non sono andata: troppo
caldo.

                                        Apparisce un altro servo.

Da bere.

                                        Il servo s'inchina, esce.

E allora hanno caricato a forza il Cappelli. Se c'era anche lei,
volevano anche lei. Ma al Ginnasio non c'era, così lei si è salvato e il
povero Cappelli no.

MARINO

Cappelli per amor suo farebbe questo e altro.

DIANORA

                                        sorride.

Ma io non facevo parte della comitiva.

MARINO

Questo è vero. E il signor principe si trattiene ancora?

DIANORA

Fino a sabato, perchè lunedì si riapre il Senato. Ci pensi! a metà
luglio!

                                        Entrano due servi gallonati,
                                        quel di prima e un altro,
                                        con la guantiera, il
                                        secchiello del ghiaccio,
                                        siroppi, che depongono su un
                                        tavolinetto basso, poi
                                        Dianora, a tempo, li congeda
                                        col gesto.

Papà deve avere una grande simpatia per lei. Spremuta di limone, vero?

MARINO

                                        conferma col gesto.

Simpatia ricambiata.

DIANORA

Perchè lei l'ha battuto a scacchi, e tuttavia non le serba rancore. Io
gliel'ho detto «Serra....» perchè io d'ora in poi la chiamo Serra....
Serralunga è troppo lungo, «Marino Serra» mi piace di più....

                                        Dianora serve, Marino beve.

Permette?

MARINO

                                        magnanimo, con gesto largo.

Permetto! Sebbene tutto è questione d'abitudine. Il suo nome, prima, mi
garbava poco....

DIANORA

Lo so: me lo disse Cappelli.

MARINO

                                        minaccioso col gesto.

Ah! birbante. Ebbene, ora trovo che le si adatta alla persona come una
veste. «Dianora». È pulito. Non ricordo nella storia o nella leggenda
peccatrici di tal nome. È luminoso e sonoro. «Dianora».

DIANORA

                                        sorride.

Ma guardi un po' quante cose è!

MARINO

                                        gaio.

E poi è ricco di rime: facili ma non volgari.

                                        Quasi canticchiando.

«Ridi, ridi, ridi ancora — bella bocca di Dianora.» «Quando sorgi appar
l'aurora — Tutto intorno s'incolora.» «L'aria, il prato, il ciel
s'indora.» E si potrebbe seguitare per un pezzo.

                                        Ride.

E lei, pur mantenendo la rima, può mandare.... «il poeta alla malora».
Ma sa perchè mi piace lei — la persona oltre che il nome? Glielo voglio
dire.

DIANORA

Bravo, me lo dica: così ci ripenserò questi tre mesi che lei starà via.
Se sapesse quanto lei mi mancherà!

MARINO

Non mi faccia insuperbire, che son già orgoglioso di mio.

DIANORA

Dunque mi dica; perchè le piaccio?

MARINO

Perchè è una donna per bene, di una bella sanità fisica e morale. Non ha
la bellezza gracile e fuggitiva di certi fiori esotici: è una bellezza
italiana. E a me piacciono gli scrittori pastosi, i pittori ricchi di
colore, e le donne che riposano e non tormentano.

                                        S'inchina.

Lei, signora, mi piace. Eccole fatta, a mio modo, la mia dichiarazione.

DIANORA

Sì, sì! Ma in casa mia non ci voleva venire.

MARINO

Ma poi ci sono venuto fin troppo.

DIANORA

Troppo no.

MARINO

Se non le par troppo, bontà sua, ma son qui da loro quasi ogni sera, e
il professsor Del Basso ci ha scritto su un epigramma.

DIANORA

Ah! Sì?

MARINO

Lo vuol sentire? Sì? glielo dico: «Quando giunse al castel torvo, Marino
— Guarda si disse: — che bel can mastino! — Non passò un anno da quel
giorno ancora; — Si dice: — Che bel cane da signora!»

DIANORA

Non c'è mica male!

MARINO

Soltanto, come cane da signora, sono mal pettinato.

DIANORA

E ci ha il fiocco di traverso. Si aggiusti la cravatta che è storta....

MARINO

Così?

                                        E tira.

DIANORA

                                        ridendo.

Ma no.... Se non si guarda allo specchio....

MARINO

                                        si accomoda allo specchio,
                                        poi si dà una gran manata ai
                                        capelli.

Bah! come muso non c'è poi tanto male!

                                        E dà in una allegra risata.

DIANORA

La sua dama come lo trova?

MARINO

Mai avuto dame.

DIANORA

Evvia!

MARINO

Le mie dame; prima la licenza liceale, poi la laurea, e prima e poi
l'Italia. Permio! Se è bella! Viva l'Italia, permio!

                                        E poichè si trova con una
                                        giravolta innanzi al
                                        pianoforte aperto mette le
                                        dita sulla tastiera.

DIANORA

Bravo! Giacchè è lì canti qualche cosa.

MARINO

Ah, no!

                                        E chiude il piano.

DIANORA

Un'aria antica, che le canta così bene.... Anzi, mi spiega perchè per
tanti mesi nascose a tutti le sue capacità musicali?

MARINO

Primo: perchè sono scarse....

                                        Dianora protesta.

Si fidi di me, sono scarse. Secondo: perchè non volevo apparire il
saputello in conversazione o, Dio ci liberi tutti, la ragazzina
assetatuzza che parla francese, tedesco, dipinge fiori e stonicchia
romanze da salotto.

DIANORA

                                        scherzando.

Io penso che lo fece per civetteria.

MARINO

Questo mai.

DIANORA

Comunque le riuscì bene. Sentirla cantare fu una dolce sorpresa.

MARINO

                                        malizioso.

Dolce anche per Cappelli? Non credo.... Lo sa che adesso è geloso di me?

DIANORA

Mi sono accorta. Ma che ci posso fare? Volta a volta è stato geloso di
tutti. Poi si avvede che non c'è un motivo e si acquieta. — E quella
professoressa, sempre innamorata di lui?

MARINO

Sempre. Poverina, mi fa una gran pena. A volte la sorprendo che lo
guarda con tanto accoramento che mi commuove! Quella, pel suo amore, è
capace di qualunque sacrificio e di qualunque delitto.

DIANORA

Come tutte le donne.

MARINO

Tutte non crederei. Lei per esempio, no.

DIANORA

Anche lei va dietro alla solita leggenda che io son fredda, insensibile,
diamantina? Trasparente ma gelida? Falso. Ho anch'io le mie nausee e i
miei turbamenti. Soltanto li tengo per me, non li dò in pasto alla
gente. E creda che con un marito come il mio....

                                        Si ferma, cambia discorso.

Accendo.

                                        Dianora ora vede il dipinto.

Ah! ha riportato il quadro.

                                        E lo prende.

E dunque?

MARINO

Confermo la diagnosi: venti lire a pagarlo il suo prezzo.

DIANORA

No, via.

MARINO

Io, venti lire non le darei. E suo marito l'ha pagato cinquemila, mi
pare!...

DIANORA

Sì, cinquemila.

MARINO

Questa volta il signor marchese è stato buscherato. E ci ho gusto.

DIANORA

                                        scherzosamente.

Professore! Certe compiacenze almeno le tenga per sè.

MARINO

                                        imperterrito.

Sì, perchè lui passa la vita a buscherare gli altri: si provi anche lui!
A meno che il marchese non abbia voluto comprare un falso, sapendolo
falso.

DIANORA

A che scopo?

MARINO

Per dare le cinquemila lire.

DIANORA

Ma a che scopo?

MARINO

                                        conferma.

Dare cinquemila lire a persona che interessa cui si deve un favore, un
servizio! Non so: un modo di pagare senza offendere o senza averne
l'aria.

DIANORA

Ma no! Se ha comprato dal Barancola, il padre dell'Isolina.

MARINO

                                        con una risata.

Allora! Non cinque.... diecimila!

DIANORA

Perchè?

MARINO

                                        con un gesto largo.

Eeh!

DIANORA

L'Isolina!? No, non è possibile!

MARINO

                                        vuol deviare e si alza.

Allora vogliamo fare un po' di musica? Ma io suono e lei canta. Oppure
lei canta e suona, e io sto a sentire.... Beatitudine piena! Una bella
voce calda come la sua, vetrate aperte sul giardino fiorito e in cielo
tutto un spolverìo di stelle.

                                        Dianora è pensosa.

Guardi, guardi il cielo.

DIANORA

L'Isolina! Ma no, via!

                                        Tutto questo come a sè, più
                                        forte.

Del resto

                                        Si avvia.

ora sentiamo.

                                        E suona.

MARINO

Che fa, signora? che fa?

DIANORA

La chiamo e le domando.

MARINO

Io vado via.

DIANORA

No. Non è forse nelle usanze, ma voglio che senta anche lei. Perchè
potrebbe ricredersi e smentire questa stupida calunnia.

                                        Apparisce un servo.

Mandatemi l'Isolina.

                                        Il servo esce.

MARINO

Dunque lei non sapeva? Eppure suo marito non si fa un riguardo.... E
generalmente si pensava che lei si sentisse superiore a queste miserie.

DIANORA

Di altre sì, sapevo e tacevo; ma di questa....

                                        S'interrompe.

È qui.


SCENA II.

DIANORA — MARINO — ISOLINA.


ISOLINA

                                        bionda, fresca, graziosa nel
                                        suo vestitino da cameriera,
                                        saluta appena col capo
                                        Marino e rivolta a Dianora
                                        chiede.

Voleva?

DIANORA

Vieni avanti. Qui il professor Serralunga dice che il quadro che tuo
padre ha venduto al marchese è falso.

ISOLINA

Quale quadro?

DIANORA

Non sai che il marchese ha comperato un quadretto di proprietà di tuo
padre, un vecchio quadro che avevate in casa — dice lui — e lo ha pagato
cinquemila lire?

ISOLINA

Io no. Non so nulla.

DIANORA

                                        che diffida.

Questo qui. Guarda.

                                        E le mostra il dipinto.

Lo conosci?

ISOLINA

Io non so nulla. La signora marchesa sa che io vedo mio padre, sì e no,
due volte l'anno. Lui sta a Novara e fa i suoi affari; io sto qui e non
me ne occupo.

MARINO

                                        a Dianora.

Mi pare che non occorra altro.

DIANORA

Puoi andare.

                                        Quando Isolina è sulla porta
                                        la richiama.

Eh! no! Isolina, senti un po'. Sai che cosa mi son venuti a raccontare?
Bada, io non ci credo.

                                        La fissa.

Che tu te la intendi con mio marito. — Esiti? Dunque è vero!

ISOLINA

                                        fredda.

Ma allora perchè non ha cominciato a chiedermi del marito invece che del
quadro?

MARINO

                                        d'impeto.

Che maniere son queste?

ISOLINA

E lei che c'entra? Io non ho da renderle i conti.

DIANORA

A me, rispondi a me. Dunque di mio marito....

ISOLINA

Non son io che sono andata a cercarlo.

DIANORA

Io ti ho beneficata, ti ho accolta, e tu....

ISOLINA

Beneficata in che modo? Lei mi paga e io la servo. Dunque, benefici
niente.

DIANORA

Ma è il tuo padrone, ma è mio marito!...

ISOLINA

Proprio per questo!

DIANORA

Ma tu fai i tuoi fagotti _sùbito_ e te ne vai: _sùbito_. La tua roba te
la manderemo a Novara.

ISOLINA

Nossignora: no a Novara, a Torino, perchè non torno a casa. Lascio
l'indirizzo alla Caterina.

                                        Il fragore di un'automobile
                                        che si ferma.

Sente? Sono i signori. Vuol dire che al signor marchese glielo dice lei
che non sono più al servizio. — Signora.

                                        Esce tranquilla, sfrontata.

DIANORA

                                        nauseata e furiosa.

E non ha vent'anni. Che schifo! Ah! Ma tutto ha un limite. Buona, sì,
imbecille, no.

MARINO

Ma lasci diguazzar nel pantano chi è nel pantano, lei che è pulita!


SCENA III.

DIANORA — MARINO — IL PRINCIPE DI MELISANGRO — IL MARCHESE ANDREA — I
SERVI.


                                        Entra prima il Principe di
                                        Melisangro, poi Andrea,
                                        tutti e due polverosi. Il
                                        Principe sessantenne, ma
                                        valido, ancor bello. Andrea
                                        trentacinquenne, barbuto,
                                        naso aquilino, occhi
                                        lucenti, modi bruschi e
                                        recisi d'imperio. I servi
                                        passano dietro le invetriate
                                        con le maschere, gli
                                        spolverini dei padroni. Il
                                        servo gallonato che ha
                                        schiuso le porte per far
                                        entrare il Principe, attende
                                        che entri anche il marchese
                                        Andrea ed esce soltanto
                                        quando è entrato lui.

IL PRINCIPE

Ciao, Dianora.

                                        E la bacia sulle guance
                                        senza troppo accostarsi a
                                        lei.

Buona sera, professore. La mano no: troppa polvere.

MARINO

Signor principe....

IL PRINCIPE

                                        a Marino.

Ha pranzato colla marchesa?

                                        A Dianora.

Hai avuto buona compagnia.

DIANORA

No, è venuto dopo.

IL PRINCIPE

                                        a Marino.

Mi darà la rivincita a scacchi?

MARINO

Quando vuole!

IL PRINCIPE

Ma sono già rassegnato al mio destino. Troppo forte!

ANDREA

                                        che entra solo adesso perchè
                                        si è intrattenuto a leggere
                                        un telegramma.

Dianora, noi non abbiamo pranzato.... Addio, professore....

                                        Riprende.

Ma occorre aspettare Cappelli: lo abbiamo deposto a casa. Formalista,
lui! Se non è in abito nero.... Ma io rimango così, se permetti. Andiamo
a levarci la polvere.

                                        Il Principe lo precede per
                                        uscire, Andrea lo segue, poi
                                        si ferma.

Di' tu a Dianora quel che ti è parso della Primaschina.

IL PRINCIPE

Superba! Un tenimento superbo. Ci avete speso, ma è raddoppiato di
valore. Ci dovreste passare qualche mese, godervela.

ANDREA

Speso relativamente poco.

                                        Guardando Marino.

Di versi non m'intendo, vero, professore? ma di affari....

DIANORA

                                        che intanto ha preso il
                                        dipinto, lo mette quasi
                                        sotto gli occhi del marito e
                                        dice seccamente.

È falso.

ANDREA

Ah! sì?

                                        Al Principe.

Va' intanto. Vengo sùbito.

                                        Il Principe, che era già
                                        sulla porta, esce.

Chi lo dice?

                                        A Marino.

Lei?... Ne è sicuro?

MARINO

Sicurissimo.

ANDREA

                                        freddo.

Sarà. Ma io lo faccio vedere a un altro.

MARINO

Che se ne intenda più di me.

ANDREA

Si capisce.

MARINO

Non la consiglio. Ci scapiterà il suo buon nome d'intenditore.

ANDREA

Non occorre dire che l'ho già comperato. Se confermerà, butteremo sul
fuoco. Ma anche il più esperto a volte ci casca.

DIANORA

Bell'imbroglione quel Barancola che te l'ha venduto!

ANDREA

Se credi che io ci perda l'appetito!

                                        A Marino.

Venga ad assistere e vedrà.

                                        Esce.

DIANORA

Ha visto? Imperturbabile! Quasi quasi mi piace più la serva del padrone.

MARINO

Ci pensa ancora? Non mi faccia pentire di aver parlato.

DIANORA

Lei? Le ho detto: lei mi ha dato una prova di amicizia.

                                        Si volta.

Ecco Cappelli.

                                        E gli va incontro.

Buona sera, Cappelli.


SCENA IV.

MARINO — DIANORA — CAPPELLI.


CAPPELLI

                                        che entra.

Buona sera, marchesa.

                                        Le bacia la mano.

MARINO

                                        da lontano.

Ciao, Cappelli.

CAPPELLI

                                        lo vede solo ora e ne è
                                        seccato.

Ah! sei qui anche tu? Ciao.

DIANORA

                                        a Marino.

Magari sapeva anche Cappelli e non mi ha detto nulla.

CAPPELLI

Che cosa, marchesa? Mi dica.

DIANORA

Poi, poi, a suo tempo. Ci divertiremo un po' tutti.

CAPPELLI

Di cattivo umore anche lei?

DIANORA

Nuvoli. — Pare che le faccia piacere.

CAPPELLI

Che lei sia triste? Si figuri!... Posso almeno sapere?

DIANORA

A suo tempo. Perchè questa volta non sto zitta. Non ci pensi. Vado dar
ordini anche per lei.

                                        Ed esce.


SCENA V.

MARINO — CAPPELLI — ANDREA.


CAPPELLI

                                        a Marino.

Mi dici dove ti cacci tu tutto il giorno? Al Ginnasio non c'eri, a casa
non c'eri. Oramai per trovarti bisogna venir qui.

MARINO

Ho riportato il dipinto.

CAPPELLI

Tutti i pretesti son buoni.

MARINO

Pretesti di che?

CAPPELLI

Nulla. M'intendo da me.

MARINO

Caro il mio Cappelli, tu vaneggi....

CAPPELLI

                                        altro tono.

Be'; tu sarai informato. Ormai se non sei tu al corrente, non lo è
nessuno. Che cos'ha la Marchesa? Sì, che cosa dovevo sapere e non le ho
detto, ma a suo tempo saprò?

MARINO

Hai sentito.... Nuvoli.... Ma forse le passano... E non volendo sono
stato io.... Nel bel mondo, nel vostro mondo, si direbbe che ho fatto
una gaffe.

CAPPELLI

Miracolo!

MARINO

Perchè? Ne ho fatte molte?

CAPPELLI

Qualcuna.

MARINO

                                        indulgente.

Che tono!

                                        Con un inchino.

Signor conte!

                                        Cambiando.

Del resto lo so, la maggiore, per te — la sola anzi — lo sproposito che
ti dà fastidio, è quel vedermi qui. Se mai, battiti il petto.... _mea
culpa_. Sei tu che mi ci hai voluto. E posso fare al più degli
spropositi se si guarda alle leggi eleganti del bel mondo: ma le azioni,
no. E sulle regole eleganti del bel mondo io ci faccio una bella risata.

ANDREA

                                        entrando, a Cappelli.

Hai fatto presto: bravo! Possiamo andare.

                                        A Marino.

Venga anche lei ad assistere.

                                        Cappelli e Marino si
                                        avviano. Andrea vorrebbe
                                        seguirli, ma sopraggiunge
                                        Dianora.


SCENA VI.

DIANORA — ANDREA.


DIANORA

                                        ad Andrea

Ho bisogno di te....

                                        A Marino e Cappelli.

Andate pure voi, ve lo mando sùbito.

ANDREA

Adesso? Mica una storia lunga?

DIANORA

No, no.

ANDREA

Un qualche baloss da mettere a posto? Asili infantili? Sussidii di latte
alle gestanti?

DIANORA

                                        sempre fredda.

No, no. Altra roba.

ANDREA

Che non si può rimandare?

                                        A Cappelli.

Allora andate voi, il principe è già a tavola.

                                        Marino e Cappelli escono.

DIANORA

Siedi.

ANDREA

Ahi! si comincia male.

                                        Siede.

Siedo perchè son stanco, ma breve, eh?

DIANORA

                                        in piedi vicino a lui,
                                        calma.

Prima che te lo dica lei, se la incontri, te lo dico io, anche per
incarico suo, anche perchè tu non ne chieda agli altri della servitù: ho
messo fuori di casa l'Isolina.

ANDREA

                                        freddo.

Ah!

DIANORA

Proprio adesso: sarà un quarto d'ora.

ANDREA

Bene. C'è altro?

DIANORA

Sei un ingrato. Nemmeno una parola di rimpianto.

ANDREA

Isolina: personale tuo, affare tuo.

DIANORA

Ah! no: personale tuo, molto più tuo che mio, perchè veniva a letto con
te.

ANDREA

                                        alza le spalle.

Storie.

                                        E si leva.

DIANORA

No, storia. E se n'è anche vantata.

ANDREA

Anche!

DIANORA

Domanda a Serralunga. C'era anche lui....

ANDREA

                                        aggrotta le ciglia.

E tu, davanti a Serralunga...?

DIANORA

Era già informato. Sicuro! Tutti informati prima di me.

ANDREA

E Serralunga ha riferito a te. Bella canaglia!

DIANORA

Perchè?

ANDREA

Perchè è una canaglia, che ti sta attorno e cerca di profittare di
malumori....

DIANORA

                                        interrompendo.

No, sai. Non deviare perchè non attacca. Niente alibi. Rispondi a me.

ANDREA

Che cosa ho da rispondere? Te l'ha detto lei, se n'è anche vantata....
tu l'hai messa fuori: partita chiusa. Ora mi lasci andare a pranzo.

DIANORA

No, eh! Così no. Come se fosse una cosa da nulla, come se dovessi
rifarti un tanto, no. Non è la prima volta, verissimo. Tu sai che lo so.
Ma non è una ragione perchè tu debba passarla liscia, senza rivalse da
parte mia. Sì, anche delle altre a suo tempo ho saputo, ma almeno le
altre valevan qualche cosa, con quelle altre rischiavi qualche cosa,
dietro le altre c'era qualcuno, non un padre che specula vendendoti, per
pitture antiche, modernissime croste; un ricattino sudicio e
dissimulato. Sì, capisco: aver la donnetta in casa per i bassi servizi
era comodo, ma vergognoso anche per te; perchè non devi credere che lei
ti voglia bene, che tu le piaccia. No; per avvilirti.... e per
avvilirmi. Di questo s'è vantata: non d'altro. Per essere alla pari con
una gran dama, per dividere con me, me, per fare un dispregio a me....

                                        Minacciosa.

Ma non finisce qui. Stavolta non finisce qui. Balleremo tutti, stavolta.

ANDREA

Tu che vuoi? Parla chiaro. Vuoi denunziarmi a tuo padre?

DIANORA

Niente mio padre. Fra me e te. Da un pezzo non siamo più marito e
moglie, ma non mi basta. Me ne voglio andare.

ANDREA

                                        impetuoso.

Ah! senti, veh! Ho sgobbato tutta la mattina a scriver lettere, a dar
ordini, a far verifiche. Sono stato quattr'ore al volante. Ho discusso
con appaltatori e fittavoli tutto il pomeriggio. Sono più delle nove e
quasi non ho preso un boccone dacchè mi sono alzato. E tutto il giorno e
tutti i giorni lavoro e giro come un facchino e come un fattorino di
banca. Altro che chiacchiere di letteratura e comitati di beneficenza! E
dunque lasciami in pace. E non diventar ridicola. Dopo sei anni di
matrimonio!

DIANORA

No, non sei anni: sei mesi. Nemmeno. Non eran sei mesi che già ti sapevo
con un'altra. — Ma perchè mi hai sposato? Perchè mi hai sposato?

ANDREA

Anche il perchè? Non possiamo rimandare a domani?

DIANORA

Noo.

ANDREA

Perchè? o bella, perchè mi piacevi. Per averti. E con te non c'era altro
modo. Perchè ridevi bene con una bella bocca, e io ti speravo meno
romantica, meno nelle nuvole e più di questo mondo, dove i maschi sono
maschi e le femmine sono femmine, e non angioletti di bambagia o
caprette di cartapesta!

                                        Più marcato.

E sopratutto per aver dei figlioli che non mi hai saputo fare. Almeno,
quando le donne hanno un marmocchio si acquietano!

DIANORA

E quando non ne hanno, marmocchi?

ANDREA

Quando non ne hanno, se sono sgualdrine si pigliano un amante.... o
due.... o tre.... e se no, si rassegnano agli scappucci del marito. E se
no, diventano un castigo di Dio.... e non riparano a niente. È questione
di temperamento: io mangio a tutte le tavole e a tutte le ore: senza
guardare se chi mi dà da mangiare son padrone o son serve, grandi dame o
piccole borghesi. Ho l'amore allegro, io!

DIANORA

Anch'io sarei allegra. Allegra no, serena. Ma con te! Lascia l'amore: la
compagnia. Chi ti vede te, tutto il giorno? Lavori come un facchino: chi
ti obbliga? Io no. Anzi.... — non ora, ora ci sono avvezza e preferisco
— ma prima, io pensavo che lavorare per te era il modo per stare il più
possibile lontano da me. E avevo vent'anni.... avevo il diritto di
pretendere che tu fossi solo per me. Tu invece non hai mai cercato che
donne e denaro: sudice donne e sudicio denaro.

ANDREA

                                        sarcastico.

Perchè sudicio? Perchè guadagno? Da quando in qua si lavora per
rimettere?

DIANORA

Ma tu spendi cento per aver mille, tu lesini sulle paghe....

ANDREA

Te l'ha detto Serralunga anche questo?

DIANORA

Nessuno. Non me l'ha detto nessuno. So che tu dovresti dare: dare e non
prendere.

ANDREA

Sicuro! Regalare il palazzo al Municipio, il podere ai contadini, e
campar di sospiri. Soprattutto quello: tu sull'albero a cantare e io in
basso a guardarti. Tu un cicì e io un madrigale: tu una strofetta e io
un sospiro. Ci hai pur avuto sempre qualcuno a sospirare: non ti basta?
Perchè guarda che a tuo modo l'amore lo fai anche tu.

DIANORA

Io?!

ANDREA

Anche tu. Diverso da me, ma lo fai. Al modo che ti piace: guardarsi e
non toccarsi. Ma guardarsi, guardarsi molto.

DIANORA

L'alibi. Tu cerchi un alibi e una rivalsa.

ANDREA

Noo. Serralunga ti piace. Cappelli meno, e quello è in ribasso.
Serralunga è in auge.

DIANORA

Non è vero. Lo dici per vendicarti del quadro....

ANDREA

                                        ride forte.

Che ha detto che è falso? Lo sapevo prima di lui.

DIANORA

Che mi ha detto dell'Isolina.

ANDREA

Figurarsi! me ne ha liberato. — Ma non si deve permettere di ficcare il
naso nelle faccende di casa mia. Sospirare, sospiri pure; ma che mi
venga a fare il pedagogo e il moralista, no, non è tollerabile.
Maestrino da cinque lire a lezione! Ma ora vedi: un po' per uno a
mettere la gente alla porta.

                                        Suona.

DIANORA

                                        pronta, violenta.

Che fai?

ANDREA

Gli insegno come si sta al mondo. Un po' per uno a insegnare.

                                        Al servo che entra.

Dì al professore Serralunga, che è in sala da pranzo, che passi un
minuto di qua. Gli ho da parlare.

                                        Il servo esce.

DIANORA

Bada che non mi vedi più.

ANDREA

Ho sentito. L'hai detto ogni volta.

DIANORA

Ma guardami bene: stavolta lo faccio.

ANDREA

Figli non ce n'è, per grazia di Dio: più aria, più respiro, più largo:
buon viaggio.

                                        E poichè Dianora accenna a
                                        restare.

Eh! no. Le donne a certi discorsi non hanno a restare.

DIANORA

Come vuoi!

                                        Ed esce a testa alta. Quando
                                        Andrea si volta Marino è già
                                        apparso.


SCENA VII.

ANDREA — MARINO.


MARINO

                                        si è fermato sulla porta.

Vuole me?

ANDREA

                                        sarcastico.

Venga, venga, professore! Si accomodi.

                                        E poichè Marino non siede.

Vuol Stare in piedi? stia in piedi. «Patti chiari e amicizia lunga....»

                                        Ma si corregge.

No, non è il caso. «Cosa fatta capo ha....» Ecco, così va bene: quand'è
che parte lei?

MARINO

                                        altero.

Perchè?

ANDREA

Presto, vero? E siccome non credo che avrò l'occasione di rivederla
un'altra volta, le do stasera un consiglio: quando passa da Roma chieda
il trasloco, perchè questa di Salduggio non è più aria per lei.

MARINO

                                        fa un passo avanti, freddo,
                                        contenuto.

Consiglio per consiglio. C'è mica il caso che lei?

                                        Col gesto indica la pazzia.

Si curi. Se mai conosco a Torino un alienista famoso.

ANDREA

                                        fa un grande sforzo e si
                                        frena.

La ringrazio, ma ho la testa solida e le spalle quadrate. Tanto è vero
che....

                                        S'interrompe.

Eh! no: mi correggo anche questa volta. Il tono è troppo alto, poichè nè
lei nè io vogliamo finire con un duello rusticano. Io le posso dire quel
che preme con sufficiente chiarezza, ma senz'ira. — Dunque. Io non sono
un frate, un prete, un santo.... — e la Marchesa lo sa da un pezzo —
sicchè gazzettieri, predicatori, battistrada, non occorrono. Se lei
crede — come stasera ha mostrato di credere — di dover ripagare qualche
tè o qualche invito a pranzo con qualche informazione di carattere
privato, si sbaglia. E non occorre aver commentato i classici latini per
sapere di queste cose. Mi sono spiegato?

MARINO

                                        calmo.

Oh, si è spiegato benissimo. E rispondo. Prendo di lontano. Venni la
prima volta qui dentro perchè la signora graziosamente mi c'invitò e mi
ci volle. Ci tornai perchè alla signora fui gradito. Mi sono sempre
considerato ospite della signora: della signora, non d'altri. Per lei,
signor marchese, non mi sarei disturbato nè distratto dai miei studi e
dalle mie occupazioni, e lei, per mia buona o cattiva sorte, ho
incontrato cinque o sei volte in tutto, scambiando parole di cerimonia o
chiacchiere da caffè. Dunque lei per me un amico, no: nè consuetudine,
nè affinità di sentimenti, nè comunanza d'idee. Se lei, poniamo, fosse
per rompersi il collo, direi: «Faccia pure». Per la signora no, è
diverso.

ANDREA

Lo so.

MARINO

Tanto meglio. Perciò, veda, se io avessi saputo di poter giovare alla
signora, con avvertimenti, anche di carattere privato, l'avrei fatto
senza cercare se la cosa sarebbe gradita o no a Vostra Signoria. Vero è
che io parlando stasera non sapevo di giovare o di nuocere alla signora:
riferii semplicemente quel che era «di pubblico dominio» come dicono i
«gazzettieri». Questo per il passato, recente o lontano. Per quel che
tocca il futuro, abbia io o no a tornare a Salduggio — non è nato ancora
chi mi possa dar permessi o imporre veti di stare o di andare, di dire o
non dire — il signor marchese di Primasco non avrà più il fastidio di
vedermi in casa sua. E questo, s'io ho ben inteso, è quel che le preme.

ANDREA

Esatto.

                                        Brevissimo silenzio. Suona e
                                        al servo che apparisce.

Accompagna il professore che vuole andarsene.

IL SERVO

Mi scusi, signor marchese: la signora marchesa la fa avvertire che vuol
parlare col professore. Che si fermi e verrà.

ANDREA

                                        interroga prima col viso poi
                                        con la parola Marino.

Dica lei.

MARINO

Sono agli ordini della Signora.

ANDREA

                                        al servo.

Riferisci.

                                        Il servo esce.

Se è possibile discorso breve. La saluto.

MARINO

Riverisco.

                                        Andrea esce. È appena
                                        scomparso quando rientra
                                        Dianora.


SCENA VIII.

MARINO — DIANORA.


DIANORA

Che cosa le ha detto mio marito? Che accade? Che sta per accadere? Non
mi tenga in pena.

MARINO

                                        calmo.

Oh! semplicissimo. E pacifico. Il suo signor marito mi ha messo alla
porta. Quindi se lei mi dà licenza....

                                        E quasi si avvia.

DIANORA

Nessuna licenza! Questa è casa mia. Lei vorrà riconoscere che io rimango
padrona di ricevere, di trattenere chi voglio e quanto voglio.

MARINO

Lei sì. Giusto: chi vuole e quanto vuole. Ma è anche la casa del suo
signor marito che mi ha congedato. E contentarsi! In altri tempi il
signor marchese di Primasco mi avrebbe fatto impiccare.

DIANORA

Ma lei, lei.... che intende di fare?

                                        E poichè Marino tace.

Mi vede in che stato sono? Lei che fa?

MARINO

                                        con un riso amaro.

Signora mia, che vuole ch'io faccia? Tanti saluti alla nobil casata dei
Primasco e me ne vado.

DIANORA

                                        quasi umile.

È in collera anche con me?

MARINO

                                        affettuoso.

Con lei? Le pare?! Rancore contro di lei? Buonanotte, ecco.

                                        E le tende la mano che
                                        Dianora non prende.

Diamoci la buona notte.

DIANORA

Ma.... domani?

MARINO

Domani?

                                        Amaro.

Se si ha da giudicare dallo stellato ha da essere una bella giornata.

DIANORA

                                        ora gli pone le mani sulle
                                        spalle e l'obbliga a
                                        guardarla.

No, eh?

MARINO

                                        che ora soltanto capisce la
                                        sua paura.

Battermi?

                                        Una gran risata.

No, no, non ci penso nemmeno. Mai pensato. Io non ho da tenere alto il
blasone. Io sono plebeo, e me ne glorio. E, ringraziando Iddio, ci ho
mio padre cui provvedere. E non sono nemmeno cavaliere, io: sono fante.
E battermi, d'altronde, non sarebbe difenderla, sarebbe recarle danno e
offesa. Se è per questo riguardo, non abbia pensiero.

DIANORA

Grazie, Serra. Lei non sa quanto io l'apprezzi, quanto la stimi, quanto
sono addolorata.... — più, peggio — avvilita, vergognosa, di quel che è
accaduto. Se fossi stata più calma, più accorta, avrei potuto evitare.

MARINO

La prego, signora. Non ci perdiamo in recriminazioni: anch'io se mai,
avrei dovuto esser più prudente con lei. Ora mi lasci andare.

                                        Vuol congedarsi.

Buona fortuna, signora.

DIANORA

E i suoi libri, dove glieli rimando? Sono due, salvo errore.

MARINO

                                        sùbito.

Se li vuol tenere per mio ricordo....

                                        Si ritrae.

Non ci badi a questo che dico: a certe ore nei cervelli nasce e vegeta
il bacillo del tenero. Me li rimandi a casa. E mi riverisca il suo
signor padre, dato che io non lo incontri per istrada prima ch'io parta.

DIANORA

                                        accorata

Quando partirà?

MARINO

Presto, presto.

                                        Ride sarcastico.

DIANORA

Ma me ne vado anch'io!...

MARINO

Lei!?

DIANORA

Qui con mio marito non ci posso più vivere.... Mi sento tutta livida e
pesta come se mi fossero passati sopra coi piedi. In casa mia! senza il
più elementare riserbo! con una donna come quella.... sicchè mi potesse
trattare da pari a pari.... peggio, lei da padrona io da serva.... ha
sentito?

                                        Quasi con un grido di
                                        liberazione.

Ah! non ci sto più!

MARINO

                                        come se la richiamasse alla
                                        realtà.

Sì: e dove va?

DIANORA

Dovunque, purchè non qui.

MARINO

                                        quasi affermando.

Da suo padre?

DIANORA

No, da lui no. Ossia andrò qualche volta, qualche mese anche da lui; ma
ora no, tutta la vita, come una ripudiata, no. No, perchè lui troverà
eccessiva la mia reazione. Oh! ci son preparata. È uomo, e uomo di
mondo. Senza saperlo, con tutte le possibili limitazioni, ma sarà
solidale con lui.

                                        Quasi ripetesse probabili
                                        frasi, con amarezza.

Siamo in alto noi, dobbiamo dare l'esempio! Quando si ha la gloria di
aver avuto tra i lontani ascendenti qualche cardinale e perfino un papa,
_noblesse oblige_. E in massima non gli do torto. Ma quando si può. Io
non posso.

                                        Riprende.

Non so ancora dove andrò: troppo presto per veder chiaro. Farò un po' di
bene, lavorerò, studierò. Mi potrà consigliare anche lei, più in qua.
Perchè mi scriverà, vero? Mi vorrà aiutare? Io non la voglio perdere.
Vede? tutto questo tempo, lei non mi dava propriamente consigli, ma pure
era come una mia guida spirituale: io sentivo la sua presenza, e quel
fatto di vedermela accanto, di pensare: «Serralunga si regolerebbe a
questo modo» mi sosteneva, mi segnava il cammino più che lei non creda.

                                        Quasi solenne, per
                                        impegnarlo.

Io ci conto su questa sua assistenza, qualunque sia il nostro destino.
Ci conto.

                                        Intensa.

E lei? Mi dica, lei dove andrà?

MARINO

Ora a casa, a Roma.... Un altr'anno dove vorrà il Ministro....

                                        Si corregge.

Dove vorrà il Caposezione. Ma qui o lì è indifferente.

DIANORA

                                        con qualche esitazione.

E mi dica.... Per me.... Per saperlo io. Se non era per stasera, per le
parole di mio marito sarebbe tornato a Salduggio? Anche se le avessero
proposto un'altra residenza migliore o un altro ufficio più degno di
lei? Sia schietto.

MARINO

Sì. E avrei fatto male.

DIANORA

                                        a mezza voce.

Male perchè?

MARINO

Perchè qui non è più aria per me! Immagini! oggi me l'hanno detto già
due.

DIANORA

Già due?

MARINO

                                        con un riso cattivo.

Il signor marchese di Primasco e il signor conte Cappelli. Altre parole,
altri motivi, ma nella sostanza la nobiltà è concorde. Sicuro! Anche il
signor conte Cappelli.

DIANORA

Anche Cappelli?

MARINO

                                        forte, levando il capo.

Dice che io sono innamorato di lei.

DIANORA

                                        con la sfumatura di un
                                        sorriso.

Lo dice anche mio marito.

MARINO

Ah! — E allora!... Io non me n'ero accorto, ma dev'esser vero.

DIANORA

                                        timida, ma curiosa,
                                        desiderosa di averne
                                        conferma.

Se non lo sa lei....

MARINO

                                        ci ripensa.

Ma sì! Forse hanno ragione. Quel bisogno di star con lei, di parlar con
lei, di sentirne parlare, di vivere il più possibile al lume della sua
lampada.... forse è amore. Domani glielo potrei dire con sicurezza se è
vero, dal mio patire per la privazione, perchè fin oggi l'ho vista
quante volte ho voluto e mi sono beato della sua presenza. E questo
forse è l'amore per me. Perchè la necessità di brancicar con le mani, di
afferrarla, di domarla, no, quella no. Io non ho l'amore aggressivo,
ferino e tanto meno lascivo.... Petrarca no, ma tanto meno l'Aretino.
Forse. Anzi credo di sì.... Ma io!

                                        Ed alza le spalle.

Passerà.... Il male si è che il Cappelli.... il suo signor marito non
so, ma il signor conte Cappelli sì, crede anche di lei.... che anche lei
mi voglia bene.

DIANORA

Anche mio marito me l'ha detto. Ma è probabile che non lo pensi.
Accusato, si voleva rifare accusando.

MARINO

E Cappelli?

DIANORA

Cappelli è un'anima in pena, sospettoso e in agguato.

MARINO

Già. Ma è un sismografo. È uno strumento delicatissimo che sente di
lontano il pericolo, il disastro. Eh, sì, signora mia, il disastro,
perchè se lei veramente sentisse qualche cosa per me, che se ne vuol
fare di me? Io dunque l'ho da ringraziare il suo signor marito ch'è uomo
di giudizio. Io vado via e metto tutti in pace.

DIANORA

Quando, dove ci rivedremo?

MARINO

                                        amaro.

Chissà!...

DIANORA

                                        incitatrice.

Ma tornerà a studiare! E a pubblicare. Presto eh! Se non la vedrò,
voglio almeno leggerla. Presto. Io forse l'ho distratta dal lavoro, non
per vanità, sa, ma pure per un piacere mio, e ne ho sino un rimorso. Un
certo orgoglio di sentirmi.... non dico amata, no.... considerata da lei
sì, l'ho provato e me ne sono compiaciuta: sono donna e son sola. Lei
l'ha visto quanto son sola. Tanto, e da tanto più tempo che lei non
creda! Lavori.

                                        E gli prende le mani per
                                        afforzarlo nel proponimento.

MARINO

                                        triste.

Lasci andare: l'Italia non ha perso molto; può aspettare.

DIANORA

                                        convinta.

Non dica così. Lei deve credere in sè, deve dare il suo cuore e il suo
ingegno alla patria. Se io avessi potuto restarle vicino sento che avrei
finito col fare qualche cosa di alto di lei.

MARINO

Credo anch'io.

                                        Sono sempre colle mani nelle
                                        mani.

DIANORA

                                        sfavillante.

Davvero! È una gran gioia e un tormento sentirmi dir questo. E allora,
se è così, mi pensi sempre come se le fossi vicina. Mi lasci almeno
questa illusione di non essere passata invano nella sua vita. Non solo
di averle attraversata la strada, ma di averla aiutata a trovarla: la
troverà. Mi lasci almeno questo conforto: io ne ho pochi, e mi preparo
ad averne anche meno, ad aver questo solo. Quale sia stata, quale sia la
mia vita lei l'ha intesa anche se non ho parlato che stasera. Il
sollievo, il ristoro di questi ultimi mesi era la sua compagnia. Lei
sente, vero, che queste parole non sono semplici frasi?

                                        Gli leva le mani.

Ma io voglio salutarla ancora.

MARINO

Non venga. Salutarci domani piuttosto che oggi, che vale, se non ci
dobbiamo più rivedere? Se lei fosse per me la donna del capriccio.... o
io per lei l'uomo del capriccio, allora! Ma il capriccio lo detestiamo
io e lei. Io sono superbo: o tutto o nulla. Lei.... Lei.... la preda di
un'ora non può essere e non mi piacerebbe. Bella sì.... quanto bella!
Lei è donna, padrona, signora. Ecco: signora. E per questo non l'ho mai
voluta chiamare marchesa, che non dice nulla. La signora. La signora di
Salduggio, Nostra Signora di Salduggio. Ecco ora sa quello che penso,
che sento di lei: donna di salute, non di perdizione.

                                        Ora sono vicinissimi.

DIANORA.

Ah! no. Per nessuno, ma per lei poi, per lei non voglio essere la donna
del piacere e del sotterfugio. Fianco a fianco avrei voluto esserle,
compagna se non avessi potuto esser moglie.

MARINO

                                        a mezza voce, perduto.

Dove va lei? dove va?

DIANORA

Perchè? Perchè?

MARINO

Per ritrovarci.... per camminare assieme.... a viso scoperto. Mi pare
che lei sarebbe una gran forza e una gran luce per me. E io sono un
galantuomo. E le voglio un bene! un bene! tanto bene! Mi vede? Devo aver
gli occhi che mi brillano. E anche lei.... Mai così bella come ora!
Insieme.... o accanto.... vicini vicini. Come se ci fossimo sposati.
Vuole? Mi pare che voglia. Ha una faccia come non gliel'ho mai veduta:
un cielo senza nuvole, e una bocca.... una bocca....

                                        Si tende verso lei per
                                        baciarla.

DIANORA

                                        si ritrae senza sdegno, e
                                        quasi senza voce.

No, Marino, no.... Come ha detto lei: due fidanzati stasera. Ma quando
partirà.... se mi vuole.... sarò con lei.

                                        Si fa forza e un poco
                                        vacillando giunge al
                                        campanello e suona. Marino
                                        si ricompone. Dianora con
                                        voce dolcissima,
                                        congedandolo di lontano.

Buona sera, Marino.

                                        Il servo comparisce adesso.

MARINO

Buona sera, signora.

                                        E mentre Marino si avvia


CALA LA TELA.



ATTO TERZO.


    Nella modestissima casa d'affitto di Marino. Uno studiolo la
    cui maggiore ricchezza sono i libri sparsi per ogni dove. Una
    piccola scrivania senza ornamenti e senza pretesa di stile.
    Sedie di paglia. A una parete una incisione sola: il ritratto
    di Giosuè Carducci di Giuseppe Mancini. Sulla scrivania un
    piccolo calamaio, un tagliacarte a pugnale. Una porta a
    sinistra dove sono le due camere di Marino e del padre. In
    fondo c'è un terrazzino con fiori: dà sulla strada, mentre le
    camere dànno sulla corte. Tutto è lindo, all'ordine, salvo i
    libri che sono parte in terra, parte sulle sedie. In terra
    una cassetta d'ordinanza d'ufficiale: e anche su quella più
    di un libro. Luce elettrica, ma nessun lampadario; un
    semplice braccio sulla scrivania.


SCENA PRIMA.

LA GILIARDI — EMILIO — poi MARINO.


                                        Emilio Serralunga è un
                                        vecchietto lindo, arzillo,
                                        barbuto, asciutto, dagli
                                        occhi vivacissimi e dal
                                        parlar fiorito, con qualche
                                        cadenza dialettale.

EMILIO

Ah! non lo sapeva? Sicuro! Marino sarebbe il mio quarto figliolo: due
femmine e un maschio prima di lui. La mia moglie — poverina — quasi
quasi si era impaurita quando si accorse d'essere un'altra volta....

                                        Ha ritegno a dire «incinta»
                                        e fa vagamente il gesto
                                        della rotondità.

Ha capito? Mica che non lo desiderasse, tutt'altro! ci si struggeva
dalla grande smania di aver un figliolo, almeno uno!... ma gli altri
erano andati a male prima di nascere o erano morti in fascie, capisce?
Invece, ringraziando Dio, Marino venne al mondo che era una bellezza,
che tutti si voltavano a guardarlo, e stette sempre bene, sempre bene.
Prospero e in salute. Ma lei, la mia povera moglie, che l'aveva
sospirato tanto! se lo potè goder poco, perchè si ammalò che lui aveva
quattro anni: mesi, mesi e mesi in letto e poi....

                                        Fa il cenno ch'è volata in
                                        cielo.

Ma si vede che dall'alto me lo protegge e benedice. Io non ho mai avuto
un dispiacere da lui, mai. È buono. Marino! E poi

                                        Si picchia col dito sulla
                                        fronte.

ha capito? ingegno! Di quello anche la mia moglie ce n'aveva....
Studiare no.... poverina.... non aveva potuto e per questo era
ignorante, ma.... si figuri....

                                        S'interrompe nel parlare
                                        dolce e lento.

Ma io la stordisco e l'annoio....

LA GILIARDI

                                        che ogni tanto si distraeva,
                                        ma si forzava a mostrarsi
                                        attenta.

No, no. S'immagini! È un piacere sentirla discorrere.

EMILIO

Perchè io discorrevo per farle passare il tempo che ha da aspettarlo, ma
se invece preferisce restarsene sola a leggere un libro.... io me ne
vado di là....

LA GILIARDI

                                        lo ferma col gesto.

Ma no, ma no. Che le pare? — E ora che sono cominciate le vacanze
estive, che cosa intendono di fare?

                                        Un po' esitando.

Il suo figliolo le avrà pur dette le sue intenzioni!

EMILIO

Mah! Io non so nulla.

                                        E ci ride.

Non so nulla. Tanto! per me un paese o l'altro.... Se son con lui che me
ne importa? Io credo — credo, veh! — credo che andiamo a Roma.

LA GILIARDI

Ah!

EMILIO

Sì, perchè quando mi fece venir qui a Salduggio — domani sarà un mese —
sicuro! ci venni il sedici di giugno — quando mi fece venir qui a
Salduggio, mi scrisse: «Poi torneremo insieme a casa.» — Ma può anche
aver mutato pensiero. Forse — badi che non lo so di sicuro — lui prima
va a Venezia per certi suoi studi sui pittori di quella città lì e mi
verrebbe a raggiungere. Stamane mi pare che dicesse così.... ma parlò
breve, io ero attorno ai miei fiori, e non gli chiesi altro perchè non
mi piace apparire insistente.

                                        Ride dolcemente.

Si, capisco bene, lui è figliolo e io sono il babbo.... Ma quando i
figlioli ne sanno tanto più del babbo.... allora i babbi fanno da
figlioli, e i figlioli fanno da babbi.

                                        E ci ride.

E lei, signorina, dove passerà le sue vacanze?

LA GILIARDI

Io? Vado a casa mia.

EMILIO

In Toscana, vero?

LA GILIARDI

In Toscana, a Livorno.

EMILIO

Ah! Senti: a Livorno? Ci fui.... ci fui....

                                        Cerca nella memoria e
                                        rinunzia.

Sono tanti anni! Col mio povero babbo. Bella città.

                                        Quasi affermativo.

Ma in ottobre tornerà a Salduggio?

LA GILIARDI

Chissà!

EMILIO

Vorrebbe cambiare? O che non ci si trova bene? Certo è piccolina, non ci
sono molti svaghi, ma pure è graziosa.... Anche questi signori marchesi
di Primasco dice che sono tanto ospitalieri, tanto accoglienti.... La
signora marchesa specialmente. Lei, signorina, la conosce?

LA GILIARDI

No, non la conosco.

EMILIO

                                        sorpreso.

Ah! no? Io la vidi un giorno di sfuggita.... Me la segnò a dito un
bottegaio, ma mi sarebbe piaciuto, non dico di avvicinarla.... ci avrei
troppa soggezione.... ma di sentire anche da lei....

                                        Una chiave gira nella toppa.

Marino è qui....

                                        Si alza per avviarsi, ma
                                        Marino sopraggiunge. Anche
                                        la Giliardi si è alzata.

MARINO

                                        tra dentro e fuori.

Ciao, babbo.

EMILIO

Guarda, Marino!

                                        E indica la Giliardi.

MARINO

                                        un po' inquieto.

Oh! Che c'è? Qualche novità?

LA GILIARDI

Ma no! Vi ho voluto fare una sorpresa.

MARINO

È la vostra prima visita.

LA GILIARDI

Almeno una: la visita di congedo.

MARINO

Partite domani?

LA GILIARDI

                                        incerta.

Domani, dopo domani....

MARINO

                                        volgendosi al padre.

Le hai offerto da bere?

EMILIO

Non ha voluto. Ti aspetta da un pezzo, sai!

MARINO

Bravo, che le hai tenuto compagnia.

LA GILIARDI

Gli son proprio grato.

                                        Emilio ridente fa un piccolo
                                        inchino.

MARINO

Voi non lo conoscevate mio padre?

LA GILIARDI

Non avevo questo piacere.

                                        Altro inchino di Emilio.

Sì, sì, non per modo di dire: il piacere. Mi ha fatto vedere anche i
fiori.... Che bravo!

                                        Silenzio.

EMILIO

                                        quasi chiedendo più che il
                                        parere il permesso di
                                        Marino.

Allora io vado?

MARINO

Va' va'.... Ma non esci, vero? Quando già ero su per le scale mi sono
ricordato che dovevo prendere.... Poi ti dico.

                                        Fa una carezza lenta e
                                        amorosa su tutto il viso del
                                        padre.

Vero che è simpatico il mio vecchietto?

                                        Emilio scuote la testa
                                        sorridendo.

LA GILIARDI

Che Iddio ve lo conservi.

EMILIO

                                        si congeda dalla Giliardi.

Si conservi anche lei, signorina.

LA GILIARDI

Non mi chiami signorina.

EMILIO

                                        guarda Marino come sempre a
                                        chiedergli consiglio.

E come devo dire? Dottoressa, professoressa?

LA GILIARDI

Dica Teresa, dica figliola....

EMILIO

Troppa confidenza, così presto; vero, Marino? Se tornerà lei e se
tornerò io un altr'anno, allora sì, dirò «Teresa». Va bene? Buone
vacanze.

LA GILIARDI

Grazie.

                                        Gli prende la mano, gliela
                                        vorrebbe baciare.

EMILIO

                                        si ritrae e dice
                                        scherzosamente.

Ma che fa? Non sono mica il vescovo. Ha capito?

                                        Alla porta fa un altro breve
                                        inchino ed esce. I due lo
                                        seguono con gli occhi fin
                                        dopo che è uscito. Quando si
                                        voltano si fissano. Hanno
                                        un'altra faccia, una faccia
                                        ansiosa.

MARINO

                                        concitato.

E dunque? Che significa questa vostra visita?

LA GILIARDI

Niente.

MARINO

Eh no! Niente no. Ma dite presto perchè ho molte cose da preparare.

LA GILIARDI

Per la vostra partenza.

MARINO

                                        la fissa in silenzio.

Naturalmente. Per la mia partenza. — E poi? Dite, fuori.

LA GILIARDI

                                        si decide.

Vi volevo parlare di Cappelli.

MARINO

Ah! ecco: ora ci siamo.

LA GILIARDI

Non so quello che gli abbiate detto.... o voi.... o un'altra persona....
Parte ha indovinato, parte ha avuto delle confidenze.... Io so e non
so.... o meglio, credo di sapere.

                                        Poi più basso, intensamente,
                                        accoratamente.

È disperato.

MARINO

                                        aggrotta le sopracciglia.

Più chiara. Siate più chiara. Non parlate per strambotti.

LA GILIARDI

Sì che mi capite. Forse lui, con l'immaginazione, va anche più in là del
vero. Io dovrei essere contenta che soffrisse per quell'altra: senza
volerlo, nè lui nè lei, mi hanno fatto tanto male! Lei senza
responsabilità, senza colpa, lo riconosco.... Dovrei esser contenta; e
invece no.... E quando lui mi ha detto di voi, ne ho patito per lui. In
certe ore c'è una solidarietà.... illogica, innaturale.... ma c'è.
Pensate a che punto di desolazione dev'essere se è venuto a piangere da
me: come un ragazzo!

MARINO

                                        aspro.

È venuto da voi!

LA GILIARDI

Soffre tanto!

MARINO

A piangere da voi! È straordinario!

LA GILIARDI

Che importa! Sapeva che io lo potevo capire. E soffre: ma dire che
soffre è poco: non vi fate un'idea.

                                        Con una certa esitazione
                                        iniziale.

Quella signora.... non l'amava, ma ormai ci si era rassegnato.... la
vedeva.... le parlava.... e, comunque, forse sperava.... si spera
sempre.... Ma quel saper che lei ama un altro.... che quell'altro siete
voi....

MARINO

                                        enigmatico.

Avanti, avanti. Andate avanti.

LA GILIARDI

                                        svolta il discorso e prega.

Marino! Cappelli vi vuol bene, vi ha sempre portato in palma di mano,
per voi non sentiva invidia, ed è proprio lui che ve l'ha fatta
conoscere.... Siate buono con lui....

MARINO

Cioè; in che consiste esser buono?

                                        L'altra esita.

Coraggio, cara, coraggio!

                                        Il tono è quasi gentile, ma
                                        l'intenzione è sarcastica.

LA GILIARDI

Cappelli crede che dobbiate partire con lei.... o raggiungerla.... Non
sa bene.... Non commettete una pazzia e una cattiva azione.

MARINO

Ah! Dovrei partir solo?

                                        Con una mezza risata.

Non chiedete che questo? Siete discreta! E anche lui è discreto....
perchè vi ha mandato lui.

LA GILIARDI

No.... Vi giuro: lui non sa.

MARINO

Iniziativa vostra, allora. Ma sentite un po' voi: se lui — Cappelli
intendo, — vi dicesse: «Vieni via con me»

                                        Movimento della Giliardi tra
                                        la gioia e lo sgomento.

voi andreste.... In capo al mondo andreste. Eppure sapete che lui non vi
ama. Ebbene, questa no, per voi, questa non sarebbe una pazzia. È una
pazzia, è una cattiva azione perchè non si tratta di voi due, perchè si
tratta di me, si tratta.... di un'altra persona.

LA GILIARDI

Ma io sono libera di me.

MARINO

                                        d'impeto.

E anche lei è libera. Quando si è legati a un mascalzone ci si scioglie,
si diventa liberi, si torna liberi.

LA GILIARDI

Io non farei male che a me sola.

MARINO

E lei a chi fa male? A Cappelli, vero? Ma Cappelli è nessuno per lei.
Niente e nessuno. Sono brutale? È il solo modo di andare in fondo alle
cose, di non lasciarci abbacinare dalle lustre. Cappelli è chiunque, è
uno del prossimo.

LA GILIARDI

È chiunque anche per voi?

MARINO

È un amico. Ma se certe decisioni si dovessero prendere dopo aver
chiesto il parere o il consenso degli amici! eh!... E quanto al marito
vi ho detto che è una canaglia e che se ne infischia.

LA GILIARDI

Forse no.

MARINO

Tanto meglio.

LA GILIARDI

E suo padre?

MARINO

Suo padre....

                                        Un secondo di esitazione.

Suo padre doveva informarsi prima, saper prima a chi la dava.

LA GILIARDI

E vostro padre? Nemmeno voi ne avete doveri? Vostro padre che vive di
voi, è chiunque anche lui?

MARINO

                                        prima smarrito, sgomento,
                                        ora le torna di contro.

Non avete mica detto nulla voi a mio padre? O', non facciamo scherzi!

                                        E la rivolta a sè col
                                        braccio.

LA GILIARDI

Per chi mi prendete?

MARINO

Scusate: sono eccitato.

                                        Lascia cadere le braccia,
                                        quasi umile.

Eh! sì: c'è mio padre; è vero. Se non mi vedete esultante, è per lui.
Gli dò certo un dolore, e comunque faccio cosa che mio padre nella sua
beata semplicità, nella sua ingenuità fanciullesca non può approvare. Lo
so.

                                        Si rianima.

Ma d'altronde! Ci si batte per le proprie idee anche se non sono quelle
di nostro padre, anche contro nostro padre: si va alla guerra — io ci
sono andato — anche se si ha il padre e si potrebbe restare a casa o
almeno restare indietro, al sicuro. Dio guardi se a una certa età non si
fosse liberi, autonomi, e non si lottasse, e non ci si perdesse
finanche, per il proprio bene, per la propria causa, sia donna, sia
arte, sia patria. Quando si è uomini si ha il diritto di correre dietro
le farfalle o incontro alle fucilate, da soli, senza consensi. Egoismo?
Sarà. Ma è quel divino egoismo che solo permette di compiere cose
grandi: nel bene e nel male. La vita è sempre un contrasto fra un dovere
e un altro dovere, fra un sentimento e un altro sentimento più grande.
Queste cose non le devo insegnare a voi, che me le potreste insegnare,
che me le insegnate in questo momento.

LA GILIARDI

Io?!

MARINO

Voi. Il vostro dovere era.... non darvi, ma un amore che vi è parso un
dovere più grande, tanto premeva su voi, vi ha spinto a darvi. Il vostro
sentimento vi spingerebbe a godere che Cappelli soffra per un'altra
donna che vi ha fatto soffrire: invece un altro sentimento più forte vi
spinge qui a intercedere per lui. Che resta di tutte le vostre parole?
Nulla.

LA GILIARDI

Ma....

MARINO

Nulla. Che cosa vorreste da me? Che io rinunci alla mia felicità perchè
lui soffra un po' meno? Andiamo: non siamo più ragazzi nè io nè voi.
Parliamo di cose serie, se s'ha da parlare ancora.

LA GILIARDI

                                        un breve silenzio.

Va bene: visto che tutto quello che non vi riguarda direttamente non vi
sembra serio, parliamo di cose che toccano voi, voi in pieno; di cose
che parranno serie anche a voi. Sapete quello che si dirà?... l'ingegno
non conta, il valor personale non conta.... foste, non so.... Giosuè
Carducci redivivo, si dirà che lei, la signora, è nata principessa di
Melisangro e che voi siete un maestro di scuola. Lei una squilibrata,
voi un mantenuto.

MARINO

Perdio! come lo difendete bene il vostro uomo! Coi denti e con l'unghie.
Con spavaldo coraggio, senza badare alla botta.

                                        alzando un poco la voce.

«Si dirà....» Ma chi lo dirà? Qualche farabutto o qualche infrollito. Me
ne infischio fin d'ora. Faremo una vita così semplice e così modesta,
uno accanto all'altra, uno per l'altra! Intanto io non sono un qualunque
maestro di scuola, io. E non è una donnicciola qualunque, lei. Io e lei
ci sentiamo molto più in alto della bassa o della media statura degli
uomini e delle donnette che passano. Eh! no: aria, aria, aria!

LA GILIARDI

Sicchè lo scandalo non vi fa paura?

MARINO

Niente mi fa paura. Se non avete altri moccoli è veglia spenta.

LA GILIARDI

                                        desolata.

E sia. Me ne vado.

MARINO

O brava! Perchè ho da fare.

LA GILIARDI

Addio.

MARINO

Riverisco!

                                        La Giliardi esce. Si sente
                                        lo sbattere della porta che
                                        si chiude. Marino rimane un
                                        momento pensoso, poi si
                                        mette attorno a raccoglier
                                        libri, allorquando Emilio
                                        rientra. Marino si volta.

Babbo, volevi?

EMILIO

Io nulla. Piuttosto tu che mi avevi raccomandato di non uscire e
pareva....

MARINO

                                        si ricorda.

Ah! già: restituire certi libri al Ginnasio. Ma non occorre che ci vada
tu. Faccio più presto da me.

                                        E prende tre diversi volumi.

EMILIO

Graziosa quella signorina Giliardi! ha un'aria semplice che mi piace.

MARINO

                                        distratto, come un'eco.

Sì, semplice.

EMILIO

Non si sposa?

MARINO

Chi? Non so. No: non si sposa.

EMILIO

Non ha trovato chi la voglia? Trovano tante che non se lo meritano, e
lei che sarebbe una brava moglie.... Non credi?

MARINO

Credo.

                                        Incerto.

Senti babbo....

                                        E sospende.

EMILIO

Di', caro.

MARINO

                                        forzatamente semplice.

Forse non potrò partire con te.... Tu dovrai precedermi. E anche se
partiamo assieme.... No, è un discorso lungo. Più tardi, ora vado.

                                        E si muove.

EMILIO

Starai fuori un pezzo?

MARINO

No, non crederei. Ma non so.

EMILIO

Per il desinare.

MARINO

All'ora solita. Se tardo....

EMILIO

Vai dai marchesi di Primasco?

MARINO

No. Perchè?

                                        Lo accarezza sui capelli col
                                        gesto abituale anche più
                                        affettuoso e più trepido.

Il mio babbo! il mio babbo!

                                        Esce in fretta.


SCENA II.

EMILIO — IL PRINCIPE.


EMILIO

                                        spalanca il terrazzo, ne
                                        trae, per portare nella
                                        stanza, due vasi di fiori.
                                        Uno dopo l'altro con le
                                        forbici ne taglia qualche
                                        foglia appassita,
                                        canticchiando. Poi leva di
                                        tasca una pipetta di radica,
                                        l'empie di tabacco, quando
                                        si suona all'uscio. Allora
                                        in fretta riporta i fiori in
                                        terrazza, ricaccia in tasca
                                        la pipa, va ad aprire e
                                        rientra col principe di
                                        Melisangro.

Entri, entri.

IL PRINCIPE

Il professore è in casa?

EMILIO

                                        lo guarda, cerca di fissare
                                        la fisonomia, di
                                        riallacciare vecchi ricordi:
                                        chi è? eppure!

Nossignore. È uscito. Che gli ho a dire qualcosa?

IL PRINCIPE

Grazie: volevo proprio parlare con lui. Starà molto a tornare?

EMILIO

Non crederei. Mi ha detto di no, ma non ha precisato. Se si vuole
accomodare.... o se crede di tornare più tardi....

IL PRINCIPE

Tornerò tra mezz'ora. Se intanto venisse gli direte che c'è stato il
principe di Melisangro.

EMILIO

                                        sorride soddisfatto.

Ah! ecco: il principe di Melisangro. Mi pareva e non mi pareva. Sono
passati tanti anni, ma la memoria delle fisonomie mi serve ancòra.

IL PRINCIPE

                                        l'osserva incerto.

Eppure!...

EMILIO

Ma sì, signor principe. Sono Emilio.

                                        Gli si ricorda più
                                        precisamente.

Il bidello del Liceo Cavour.

IL PRINCIPE

                                        sorpreso, lieto, quasi
                                        commosso.

Emilio?... Sei tu, Emilio!... Emilio.... ma guarda!

EMILIO

Dopo tanto tempo! Gli anni, poverini, anche loro lavorano, distruggono,
ma qualche cosa, scava, scava, sotto sotto ci resta.

IL PRINCIPE

                                        come ripetendo a sè.

Ma già: Emilio. Come son contento di rivederti!

EMILIO

Io tanto quanto non può credere! Se mi vuol far l'onore di
accomodarsi....

                                        Ridendo.

Come faceva allora, signor principe.

IL PRINCIPE

Sicuro che mi accomodo. Figurati se non voglio fare una chiacchierata
con te dopo tanti anni! Emilio: quanti sono?

EMILIO

                                        come per scacciarli col
                                        gesto.

Non li diciamo che è meglio.

IL PRINCIPE

Stai bene, sai. Non sei mai stato un colosso.... ma ti trovo in buona
salute. Vecchierello, si capisce.

                                        Canterella.

Siamo diventati vecchi.

EMILIO

Io son diventato vecchio.

IL PRINCIPE

E io no?

EMILIO

Ne ho tanti più di lei!

                                        Sorride.

O', ne ho settantadue! Son molti. Allora ero giovane anch'io.

IL PRINCIPE

E come mai tu sei qui a Salduggio?

EMILIO

Ah! ci son venuto a trovare il figliolo.

IL PRINCIPE

Quale figliolo?

EMILIO

Eh! Il professore.

IL PRINCIPE

Ma sì, caro, scusa. Serralunga, Emilio Serralunga.... Ma tu per me, per
tutti gli scolari del Liceo Cavour eri Emilio. Ti si chiamava per nome.
E ci hai quel figliolo solo?

EMILIO

Quello solo.

IL PRINCIPE

Ma di quello lì te ne puoi contentare. È un bravo giovane.

EMILIO

Ah, sì, questo sì. Ringraziando Dio, sì. Lo sa, signor principe, che
anche da ufficiale si fece tanto onore?

IL PRINCIPE

Lo so, lo so.

EMILIO

Bisognava sentire il suo colonnello, quando andai che gli diedero la
medaglia, al mio Marino.

                                        Con tenerezza e orgoglio.

Ah! il mio Marino....

                                        Come spaventato, ridendo.

Uh! se torna e mi sente che faccio le sue lodi, mi mangia! Ma creda,
signor principe, così bravo com'è non me lo meritavo.

IL PRINCIPE

Perchè non te lo meritavi? Anzi! Sei sempre stato un brav'uomo e avrai
fatto tanti sacrifici per lui! Chissà con quanti stenti te lo sei tirato
su!

EMILIO

Eh! sì. E tutti che mi dicevano: «Da' retta, mettilo a un mestiere, che
tanto non ci arrivi a vederlo con la laurea». E io: «No, no, nemmeno per
idea. Ogni anno che studia è uno di più che fa e uno di meno.... che gli
manca a finire. Se non ci arrivo io a vederlo dottore, che importa?
Purchè ci arrivi lui!» O lei signor principe — mi scusi l'ardire della
domanda — o come mai è qui a Salduggio?

                                        Si apre la porta. Marino non
                                        visto rimane fermo, stupito
                                        della presenza del principe,
                                        e più del tu confidenziale
                                        che delle parole del
                                        colloquio. Alcune delle
                                        quali lo abbattono, lo
                                        feriscono.


SCENA III.

IL PRINCIPE — EMILIO — MARINO.


IL PRINCIPE

O che non lo sai che ci ho qui una figliola maritata? Sicuro: la
marchesa di Primasco.

EMILIO

                                        stupido.

O senti! La signora marchesa è la sua figlia! Quella signora tanto bella
che ne dicono tutti tanto bene? E che è tanto alla mano che non pare
nemmeno d'una gran nascita? Ha avuto anche la gran finezza di ricevere
in casa sua il mio Marino, come se fosse uno della sua condizione.

IL PRINCIPE

                                        con una certa degnazione.

Che c'entra! Se uno dovesse badare a queste cose.... O lo sai che ci ho
ancòra due libri legati da te? Sicuro! Un _Ariosto_ e una _Fisica_ del
Ganot. Te lo ricordi quando venivo in portineria coi libri da legare?

                                        Emilio è tutto umile e
                                        contento.

e che più di una volta — non mi ricordo se fosti tu.... o tuo padre....
o la tua mamma — mi nascondeste nel vostro sgabuzzino perchè il Preside
non mi vedesse e capisse che il professore mi aveva messo fuori di
classe? Ero un gran ragazzaccio!

EMILIO

Ma no, signor principe, che dice mai! Era un ragazzo. Il suo signor
padre, che Dio l'abbia in gloria, una volta che mi seppe in strettezze e
che volevo comprare una macchina per legatoria, mi dette trecento
lire.... — gliele resi, sa.... gliele resi....

                                        Ora vede Marino, tutto
                                        festoso.

Marino? Quando sei venuto?

MARINO

                                        con la gola secca.

Adesso.

                                        Si avanza e saluta col capo
                                        il principe.

IL PRINCIPE

Oh! bravo professore. Lo sa?

                                        Battendo sulla spalla ad
                                        Emilio.

che ho conosciuto il suo babbo quando lei era «in mente dei»?

EMILIO

                                        contento.

Sicuro! Da più di quarant'anni.

IL PRINCIPE

E il babbo del suo babbo. Quand'ero scolaro al Liceo Cavour.

EMILIO

                                        quasi con orgoglio.

Ero il suo bidello.

IL PRINCIPE

Siamo vecchi amici, noi.

EMILIO

Lo vedi, Marino? Come se fossi un suo pari.

IL PRINCIPE

E che sei? Non sei un uomo come me, un brav'uomo come me, anzi più di
me?

EMILIO

                                        ridendo.

Sì, so appena leggere e scrivere! E poi sarà come vuole lei, signor
principe, ma i signori son signori — specialmente i signori di nascita,
vero, Marino? — e i poveri son poveri. E quando un signore come lei si
degna....

IL PRINCIPE

Ma non dir così. Ci sono tanti signori che non valgono nulla. E invece,
lo vedi il tuo figliolo....

                                        S'interrompe.

Oh! scusi, professore, io seguito a dar del tu a suo padre.

EMILIO

                                        vivacissimo.

Vorrei vedere che non mi desse del tu. Mi offenderei, vero, Marino?

MARINO

Lei, principe, voleva me, immagino. Se mi vuol dire....

EMILIO

Sì, caro, hai ragione.

                                        Vuol prendere congedo.

Se il signor principe mi permette....

IL PRINCIPE

Ti permetto, ti permetto. Speriamo di rivederci. Addio, Emilio. Tanto
tanto piacere di averti incontrato. Mi hai fatto tornar ragazzo.

                                        E gli porge la mano.

EMILIO

                                        gliela prende.

Signor principe....

                                        E fa per baciarla.

IL PRINCIPE

Ma che fai?

                                        E gliela batte sulla spalla.

E se m'incontri per strada e io non ti vedessi, non aver soggezione.
Ciao, Emilio.

                                        Emilio, di sulla porta della
                                        sua camera fa un inchino
                                        cerimonioso ed esce tutto
                                        ridente.


SCENA IV.

IL PRINCIPE — MARINO.


MARINO

                                        rimane in piedi. Fa cenno al
                                        principe di sedersi e dice
                                        irrigidito.

Mi dica.

IL PRINCIPE

                                        bonario.

Senta un po', professore. L'altra sera.... martedì sera, lei andò via da
casa Primasco all'improvviso.... senza nemmeno prender congedo da me.

MARINO

Ma lei non sa....

IL PRINCIPE

                                        bonario.

Non è un rimprovero. Credo di sapere. Almeno in parte, so. Quando
martedì sera richiesi di lei, mia figlia, muta, chiusa, il marchese
ciarliero, gaio, ma di quella gaiezza insolente che mi piace poco. Fra
ieri e oggi mi è parso d'intendere che lei, in seguito a qualche parola
vivace di mio genero, avrebbe deciso di non tornar più a casa nostra....
Casa nostra finchè ci sono io. E anche quando non ci sono; casa di mia
figlia, anche casa mia. Questo incidente mi dispiace, per lei che
stimo.... e più ancòra.... Be', conosco mio genero e oramai dovrebbe
conoscerlo anche lei: ogni tanto dà una sgroppata come un cavallo di
sangue. Non è dunque il caso di dar troppo peso alle sue parole.

MARINO

                                        stupito, vivacissimo.

Le conosce?

IL PRINCIPE

Le parole a volte saltano come i mortaretti: polvere e fumo.

MARINO

Ma le conosce?

IL PRINCIPE

Non precisamente, le ho detto, ma pure....

MARINO

Io sono stato messo alla porta.

IL PRINCIPE

Ma son qui io a invitarla a tornare.

MARINO

Lei: non suo genero.

IL PRINCIPE

Non le basta?

MARINO

Non mi basta.

IL PRINCIPE

Irremovibile?

MARINO

Irremovibile. E il signor marchese può essermi grato della mia
discrezione. Non ho fatto nulla, non farò nulla contro di lui.

IL PRINCIPE

Già: ma non c'è solo lei in gioco. Se no, scusi, non sarei qui. Altre
volte non sono mai intervenuto nei piccoli dissensi — inevitabili — tra
la marchesa e mio genero: ho lasciato che si sbrigassero tra di loro,
anche se presente: brevi contrasti coniugali che si accomodavano.
Stavolta però la marchesa è irritata.... per lei.... e per altro. Il
dissidio è più aspro; come tra potenza e potenza. Ho rilevato una frase:
«O il professore ritorna o io vado da lui....» Esagerazioni.
Esasperazioni. In altre circostanze, se anche la marchesa di Primasco
avesse salito queste sue scale di pieno giorno, niente di meno che
corretto; ma se fosse oggi, un atto troppo marcato, di voler prendere le
sue parti contro il marito, potrebbe determinare una mezza catastrofe. A
rompere si fa presto; saldare poi è difficile. E io contavo di poter
tornare a palazzo con una sua promessa per gettare acqua sul fuoco. Ho
detto fin troppo.

MARINO

La ringrazio della sua fiducia. E sono grato alla signora marchesa del
suo sdegno e della sua difesa. Sono grato anche del pensiero espresso di
una sua visita; ma che si fermi all'intenzione e non venga. Glielo può
dire, se crede: non mi troverebbe.

IL PRINCIPE

                                        sorpreso.

Noo?

MARINO

Oggi non mi troverebbe. E domani sarò in viaggio con mio padre.

IL PRINCIPE

Così presto?

MARINO

Anticipo.

IL PRINCIPE

                                        rasserenato.

Forse è meglio. E la ringrazio. Se mio genero l'ha offesa si abbia da me
le sue scuse; un giorno o l'altro forse riceverà le sue dirette.

MARINO

                                        alzandosi.

Un giorno, se la signora marchesa me lo permetterà, le scriverò,
spiegherò, mi scuserò anch'io se non prendo congedo da lei. Intanto me
la riverisca. A Salduggio non torno.

IL PRINCIPE

                                        si alza.

Nemmeno un altr'anno?

MARINO

Non credo. Domando al Ministero un'altra sede. Qui mi manca il materiale
per i miei studi d'arte.

                                        Breve silenzio. Non hanno
                                        più altro da dirsi.

IL PRINCIPE

Penso che lei abbia da fare.

MARINO

Molto.

IL PRINCIPE

Speriamo di rivederci. Se non qui, altrove.

MARINO

Grazie.

IL PRINCIPE

Buona fortuna.

MARINO

                                        ringrazia col capo, e gli fa
                                        strada. Il principe esce.
                                        Marino richiude e torna
                                        pallido, livido, rigido.

Finito! Tutto finito! Tutto finito!

                                        Poi si muove agitato,
                                        febbrile, si trova davanti
                                        alla porta della camera e
                                        chiama.

Babbo, babbo.

                                        Emilio quasi non è ancòra
                                        apparso.

Partiamo domani. E partiamo insieme. Andiamo a Roma direttamente. Ho
deciso.


SCENA V.

MARINO — EMILIO.


EMILIO

                                        lo guarda.

Sì, Marino, sì.

MARINO

La tua roba è pronta? Se no ammucchiala: e non ti curvare, non ti
stancare. Penso io a mettere tutto nei bauli, a chiudere, a spedire.
Faccio tutto io. Tutto io. E un altr'anno vieni con me. Tutto l'anno con
me, dovunque mi destinano.

                                        Piantandoglisi in faccia,
                                        sollevandogli il capo.

Hai capito? sempre con te, solo con te.

                                        Poi d'improvviso, desolato.

Ah! perchè mi hai fatto studiare? Eravamo poveri e ignoranti: dovevamo
restar poveri e ignoranti. Non avrei guardato in alto e non soffrirei.

EMILIO

Marino! Che hai? Marino! Che hai?

MARINO

                                        si ricompone.

Niente, babbo, niente. Hai avuto piacere, vero, di ritrovare il
principe?

EMILIO

Tanto! Hai visto come mi ha trattato? Un signore come lui.

MARINO

Ho visto.

EMILIO

È stato affabile anche con te?

MARINO

Anche con me.

EMILIO

Ti ha forse detto qualche cosa che ti ha fatto dispiacere? Perchè ti
vedo turbato.

MARINO

No, babbo. Niente. Mi doveva riferire per incarico della signora
marchesa. Anzi.... senti, se venisse la signora marchesa....

EMILIO

Ha da venire?

MARINO

Non credo! Ma potrebbe darsi.... Se suonano alla porta, tu non ti
muovere, ecco. Scusa. Io ho da scrivere una lettera di premura.... tu
intanto prepara di là.... Lasciami solo. Scusa.

                                        E lo accarezza. Emilio lo
                                        guarda ansioso, muto.

Ognuno al suo posto, vero? Al suo grado e al suo posto. — Ciao, babbo.

                                        Emilio esce. Rimasto solo
                                        Marino accatasta dei libri,
                                        poi lascia a mezzo.

Eh! no: prima scrivere. Scrivere. Scrivere. Pregherò Cappelli.
Figurarsi!

                                        Ed ha un triste sorriso.

O lasciare al portone? Intanto scrivere.

                                        Siede alla scrivania, prende
                                        carta da lettere e scrive
                                        velocemente le prime parole,
                                        ma poichè si suona alla
                                        porta, straccia il foglio e
                                        va ad aprire. Si sente di
                                        dentro la sua voce stupita.

Lei?

                                        Poi rientra con Dianora.


SCENA VI.

MARINO — DIANORA.


DIANORA

Non mi aspettava?

MARINO

Ma perchè? Che ha fatto mai!

DIANORA

Ha paura?

MARINO

L'hanno vista entrare?

DIANORA

Ha paura? O non mi vuol più vedere?

MARINO

Ma ha incontrato suo padre? Le ha detto che è venuto qui?

DIANORA

Me l'ha detto. Se no non sarei qui da lei: io e lei ci eravamo intesi.
La mia visita a lei non era che una minaccia di rappresaglia: non sarei
venuta. Giorno prima, giorno dopo non importava: il nostro destino era
segnato. Si pensava che sarebbe stato per tutta la vita. Io almeno
pensavo così.

MARINO

Anch'io. Sposi o con la legge, o senza la legge, o contro la legge.

DIANORA

Ma le parole di mio padre, se non ha voluto metterlo fuori di strada — e
il suo contegno, e il suo viso — mi fanno sospettare che lei ha mutato
parere: che si è pentito. Mi spieghi. Credo di averne il diritto.

MARINO

Sì, ne ha il diritto. Le scrivevo: parlerò. Il signor principe si è
incontrato con mio padre: si sono riconosciuti. Mio padre è stato
bidello nel Liceo dove il signor principe ha fatto i suoi primi studi.
Li ho visti insieme, li ho intesi parlare: ho sentito che non è
possibile.... Io e lei non è possibile! La frode, l'abbrutimento, il
possesso di un'ora, sì, si potrebbe: ma fare la strada insieme,
convivere, sposarci, col prete o senza prete, col sindaco o senza
sindaco, sposarci non si può. Siamo troppo distanti: non si può.

DIANORA

Perchè dice questo? Forse che io non l'ho sempre considerato come un
uomo della mia stessa classe. Forse che l'ho trattato come se fosse di
un'altra razza, di una razza inferiore?

MARINO

No, ma da ospite, in casa sua. Io non le sono apparso inferiore in casa
sua; le apparirei inferiore in casa nostra. Io stesso non ho avvertito
questa distanza fintanto che venivo un'ora da lei: mi pareva che i miei
studi, il mio ingegno superassero di gran lunga la sua nobiltà. Ma qui
no. In questa cameretta, no. Io vedo il povero padrone di casa che sono.
Io mi sento umiliato della mia miseria, della mia goffaggine. Ora che il
principe e lei sono passati di qua, avverto che io sono in un certo
senso da più di voi, ma sono anche da meno di voi: son diverso, come
d'un'altra gente.

DIANORA

Perchè lei non mi ama. Se lei mi amasse sentirebbe che l'amore distrugge
ogni differenza di condizione e di casta.

MARINO

                                        quasi gridandolo con
                                        spasimo.

Non è vero, non è vero! Un'ora fa lo dicevo anch'io, lo gridavo, anzi,
forse per persuadermene: adesso non lo dico più perchè sento che non è
vero. Le bestie sì, non ragionano: si desiderano e si allacciano
dovunque, comunque. Le persone no. Per un'ora sì; sì se potessimo
abbracciarci e morirne, romanticamente morirne, sì. Ma morirne non si
può: anche se non fosse ridicolo o pazzesco, anche se non fosse inumano
non si può: morire quando voglio non posso.... Ho mio padre.... mio
padre, di cui senza saperlo

                                        A mezza voce.

mi vergogno. Vede a che punto si discende? Io credevo di esser grande,
di esser forte dicendo: è un piccolo impiegato dello Stato in pensione.
Questo sì, lo dicevo, perchè mi pareva che accrescesse il mio merito: ma
l'umiltà del suo ufficio non l'ho mai precisata innanzi a lei. E anche
lei, lei non sa, ma non è più di me. Lei che aveva sopportato le cento
amanti di suo marito non gli ha perdonato quest'ultima perchè era una
serva.

DIANORA

Perchè l'amavo e soffrivo di più.

MARINO

No, ancòra non sapeva d'amarmi, e se mai il suo amore per me l'avrebbe
aiutata a tollerare. L'orgoglio, l'orgoglio, l'orgoglio che sopravvive.

DIANORA

È lei, è lei che è impastato d'orgoglio, non io. Lei che non sente che
la sua voce....

MARINO

Perchè mi dice così? Crede che io non senta a che cosa rinunzio? Non sa
che mi par di morire a strapparmela dalla carne? dal cuore? E lo devo
fare! Ma non per la gente, per il mondo, sa! Che crede?... Son tutto un
tremito, tutto una piaga e crede che m'importi del mondo! Me ne rido!
Non è il fuori di me, di te che mi spaventa. E nemmeno la voce della mia
coscienza che mi fa paura. Capisco la rapina per me che sono uomo, anche
se fosse una rapina. E non è: è un consenso. E capisco il diritto
all'amore per te che sei stata disamata, disconosciuta. Ma tu sei nata
vicino a un trono, io dentro una portineria: è dentro di me, dentro di
te che ho paura; di me che ti serberei rancore della tua superiorità, di
te che tra un mese, tra due, forse prima, troveresti in me qualche cosa
d'inferiore, di goffo e non mi ameresti più, o mi ameresti con
umiliazione, con vergogna. E non voglio.

                                        Con un grido.

Non voglio. Non voglio che tu ti dia a me, ora o più tardi, come a un
povero. Non saremmo pari, non saremmo pari. E io vorrei essere come
te.... più di te, più in alto di te, perchè sono l'uomo io. Non voglio
che tu sii la principessa, la regina, e io il borghesuccio, perchè io
dovrei essere il re, io il re, per essere amato sempre, sempre, sempre,
perchè ti amo, perchè ti amo, perchè ti amo!

                                        L'afferra, e poichè ella
                                        investita e quasi atterrita
                                        dalla sua violenza è ormai
                                        alla porta, tra la preghiera
                                        e il pianto le dice.

Va' via!

                                        E la bacia.

Va' via!

                                        E la bacia.

Va' via!

                                        E con un ultimo bacio la
                                        sospinge fuori della porta.


FINE.



OPERE DI SABATINO LOPEZ

(Edizioni Treves).

  _La buona figliola_, commedia in tre atti          L. 5 —
  _Bufere_, commedia in tre atti                        5 —
  _Il brutto e le belle; La nostra pelle_, commedie     5 —
  _Ninetta; Il terzo marito_, commedie                  5 —
  _Mario e Maria_, commedia in tre atti                 5 —
  _Il passerotto; Sole d'ottobre_, commedie             6 —
  _Teatro color di rosa._ (A-E-I. — Schiccheri è
   grande. — L'ultimo romanzo. — La fondùa di Natale.
   — Fatica)                                            7 —
  _La distanza_, commedia in tre atti                   7 —
  _Il Teatro_ (Fra un atto e l'altro. — Il segreto.
   — Daccapo. — La guerra. — Il punto d'appoggio)       2 25



Nota del Trascrittore

Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, così come le
grafie alternative (ancora/ancòra, danno/dànno e simili), correggendo
senza annotazione minimi errori tipografici.





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