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Title: La distanza Author: Lopez, Sabatino Language: Italian As this book started as an ASCII text book there are no pictures available. *** Start of this LibraryBlog Digital Book "La distanza" *** SABATINO LOPEZ LA DISTANZA COMMEDIA IN TRE ATTI MILANO FRATELLI TREVES, EDITORI 1922 =Secondo migliaio.= PROPRIETÀ LETTERARIA. _I diritti di riproduzione e di traduzione sono riservati per tutti i paesi, compresi la Svezia, la Norvegia e l'Olanda._ Copyright by Sabatino Lopez, 1922. È assolutamente proibito di rappresentare questa commedia senza il consenso della Società Italiana degli Autori, Via Sant'Andrea, 9, Milano. (_Articolo 14 del Testo unico, 17 settembre 1882_). Milano, Tip. Treves. A FERDINANDO MARTINI. PERSONAGGI. MARINO SERRALUNGA. EMILIO SERRALUNGA. IL MARCHESE ANDREA DI PRIMASCO. IL PRINCIPE MICHELE DI MELISANGRO. PIERO CAPPELLI. IL PROFESSOR DEL BASSO. IL PROFESSOR DIODATO. LA MARCHESA DIANORA DI PRIMASCO. TERESA GILIARDI. ISOLINA. IL BIDELLO DEL GINNASIO Camerieri e Cameriere di Casa Primasco. A Salduggio, in Piemonte. — Oggi. _Questa commedia fu rappresentata la prima volta al teatro Manzoni di Milano, dalla Compagnia diretta da Dario Niccodemi la sera del 28 ottobre 1921._ ATTO PRIMO. Ottobre. — La modesta sala dei Professori del Ginnasio di Salduggio. Alla parete di fondo il ritratto giovanile in litografia di Vittorio Emanuele III. A quella di destra una scansia a vetri che contiene i pochi libri della povera biblioteca del Ginnasio. A quella di sinistra, in quadro, il calendario scolastico approvato dal Provveditore agli studi della Provincia di Novara. Nel centro della sala un tavolone coi cassetti chiusi — intorno alla tavola sette, otto sedie di legno ricurvo, una più alta, di poco diversa, per il Direttore. A un capo della tavola, quando comincia l'azione, sta il professor Del Basso, miope, barbuto, zazzeruto, pepe e sale nei capelli e nell'abito, con tutt'un'aria di polvere addosso dalla testa alle scarpe; a metà della tavola la Giliardi, bruna, ventottenne, accurata nell'abito semplice e unito di colore; all'altro capo Cappelli, lindo, elegante, ben pettinato, ben rasato. Del Basso si muove sempre, grida sempre, agita sempre le mani e le gambe. SCENA PRIMA. DEL BASSO — CAPPELLI — LA GILIARDI. DEL BASSO accalorato, alla Giliardi. No, no, no. E no. Non ci siamo. Io, cara lei, ragiono, discuto, combatto con argomenti. Delle circolari del Ministro io me ne stropiccio. Sissignora, perchè il Ministro della Pubblica Istruzione è un ciuco. La Giliardi e Cappelli protestano. Sissignori: è un ciuco. E ve lo dimostro. LA GILIARDI Per lei tutti i Ministri son ciuchi. DEL BASSO Si capisce: i Ministri cambiano.... ma io non cambio. E più professoroni erano, più ciuchi diventano quando montano sul cadreghino. Nessuno di loro capisce più niente. LA GILIARDI Solo lei capisce qualcosa. DEL BASSO disorientato per un momento. Come dice? Riprende fiato e non molla più. Solo io. Lei no, per lo meno. Ride la Giliardi e ride anche lui. In materia di pubblico insegnamento bisogna sfrondare. Sfrondare. La matematica? Col gesto, come se desse un colpo trasversale di accetta, accompagna la minaccia fragorosa. Via. Non serve che a confonder la testa. La filosofia? via: appanna i cervelli. La storia naturale? Terribile. Viaaaa: che te ne fai di sapere come digeriscono i pesci o come le talpe si liberano l'intestino? Bisogna sostituire a coteste buggerate l'insegnamento delle lingue. Lingue, lingue, lingue. LA GILIARDI Allevare cocorite e pappagalli. DEL BASSO Lei è una cocorita! E ci ride. Alla mia maniera crescerebbero uomini liberi, uomini pratici, uomini fattivi perchè sarebbero prescritte soltanto le lingue vive: il francese — è contenta? — l'inglese, il tedesco, lo spagnolo. CAPPELLI placido continua. L'arameo.... DEL BASSO Come dici? Marameo? CAPPELLI L'arameo. DEL BASSO approva col capo e seguita. .... l'arameo, magari il copto, il turco, il persiano.... E così potremmo girare il mondo, concludere affari, imbrogliare il prossimo.... CAPPELLI Ma che stai dicendo? Tu che ti sei fatto imbrogliare tutta la vita. DEL BASSO testardo. Perchè non sapevo le lingue. CAPPELLI Perchè non sei nato imbroglione. DEL BASSO Perchè non sapevo le lingue. Ossia: sapevo il latino che serve soltanto ai preti e il greco antico che non serve a nessuno. Retorica.... Retorica. Accidenti alla retorica. Noi italiani siamo retori: cioè siamo citrulli. Citrullo uguale citriolo. Noi siamo citrioli. LA GILIARDI Lei compreso. DEL BASSO Come dice?... Me compreso. Pensi se voglio escludermi! Mio padre negoziava in formaggi: io ho voluto negoziare in declinazioni latine. _Rosa, rosae...._ per venir a crepare a Salduggio. Se vendessi pecorino o caciocavallo marcerei in automobile: e così vado a piedi. E si vede dalle scarpe. Mostra il piede. La maledetta retorica che infradicia i cervelli! Alla Giliardi d'un tratto. Lei, vede, era nata per fare la bella ragazza. LA GILIARDI Perchè non dice addirittura la cocotte? DEL BASSO Be'! Si spaventa della parola? la cocotte. Che c'è di male? Avrebbe fatto la onesta cocotte.... che ce n'è tanto bisogno! Invece no, si è tirata su a professoressa. A Cappelli che ride canzonatorio. Il signor conte qui che ride come se io fossi il suo buffone, doveva fare il conte e basta. Nossignore, anche lui professore, professore filodrammatico, professore tenorino che canta tre volte la settimana le sue romanze per uno stipendio che a fin di mese non gli basta per le sigarette! CAPPELLI calmo. Anche per il caffè. DEL BASSO Perchè li bevi al castello dei Primasco. Riprende. Come per esempio, mi dite perchè ci dev'essere un Ginnasio a Salduggio? Ripete il gesto dell'accetta. Viaa! CAPPELLI sempre tranquillo. Il Ginnasio, via; il professor Del Basso via; le cinque figliole del professor Del Basso, via; Salduggio, via: l'Italia.... DEL BASSO ora calmo anche lui. Nooo. Salduggio, dal momento che c'è, resti. CAPPELLI Tu permetti? DEL BASSO man mano torna ad accalorarsi. Ma il Ginnasio, no. Quello non serve che ai signori Marchesi di Primasco che di generazione in generazione vengono a scaldarsi il di dietro sulle panche. E allora i signorini marchesini e le signorine marchesine vadano a Novara o a Cuneo o a Torino e non gravino sul bilancio dello Stato. Ma io mi vendico: gli scolari li mando tutti avanti, li promuovo tutti. Come dice Dante? — «Non ti curar di lor ma guarda e passa». — Io li passo tutti. CAPPELLI Io invece ne ho bocciati due. LA GILIARDI Io cinque. DEL BASSO con le mani nei capelli. Le donne, le donne! LA GILIARDI Domandi al professor Serralunga, se erano da promuovere! DEL BASSO Serralunga? urla. E chi è Serralunga? CAPPELLI calmissimo. Un ciuco. DEL BASSO esita. È probabile. Comunque è un novizio, un cappellone, dunque un fanatico. SCENA II. DIODATI — DEL BASSO — LA GILIARDI. DIODATI che funziona da direttore, sessantenne, veneto; entrando. Del Basso che urla: miracolo! Saluti scambievoli. Diodati tocca, ma non si leva il cappello a cencio. Buondì. Ho fissato lo scrutinio per domattina alle nove. Si va avanti più che si può, alle tre si riprende e si finisce in giornata. A Cappelli. Così, se tu vuoi andare a Torino.... Ci vai? CAPPELLI È probabile. Si alza, e batte sulla spalla a Del Basso. Ti porterò i gianduiotti. Per addolcirti la bocca. DEL BASSO Cioccolatini? Per me? Ci vuol altro! Non so: un taglio di arrosto per tutta la famiglia, una dozzina di calze per le bimbe, un ombrello per madama.... DIODATI Tu vuoi troppo, caro. E Serralunga? LA GILIARDI L'aspetto per classificare alcuni lavori. DIODATI Simpatico giovane. È un buon acquisto per il nostro Ginnasio. DEL BASSO Quello lì? dura un anno scolastico. DIODATI Non si può dire. Anche Cappelli, qui, credevo non sarebbe rimasto più d'un anno, e invece.... DEL BASSO guardando prima Cappelli poi la Giliardi. Bisognerebbe raccomandarsi alle donne.... Trovarne una disposta a fare all'amore col Serralunga.... DIODATI Che linguaccia! DEL BASSO Io?! Mettere un avviso che dicesse: «Cercasi bella giovane disposta concedersi professore scuole classiche, pelo nero, già combattente, decorato al valore: escludesi matrimonio». DIODATI ridendo. Che proprio si debba escludere.... DEL BASSO Ah! senti. Non ce ne sono mica molti corbelli come me, che a Salduggio ci hanno fatto la cova! A meno che Serralunga non s'innamori qui della nostra giovane collega di francese.... LA GILIARDI Lei si cheti. DEL BASSO Perchè? O che non ci starebbe a sposarlo? Dica la verità: non le parrebbe vero. LA GILIARDI enigmatica. E se mai, che le importa? DEL BASSO O Dio, lo vorrei sapere per cominciare a mettere da parte i regali per il regalo di nozze. LA GILIARDI secca. La dispenso. Lei è dispensato da tutto. DIODATI No, sai; c'è prima il Burlandi. Benevolo, quasi paterno alla Giliardi. Vero, cara, che c'è prima il Burlandi? CAPPELLI interessandosi. Quale Burlandi? Il padrone del Magazzino Americano? Alla Giliardi. Non mi aveva detto, non sapevo.... DIODATI Ma noi sappiamo. Abbiamo i nostri servizi segreti. Siamo o non siamo il capo dell'Istituto? CAPPELLI O senti: ho piacere. Avvicinandosi alla Giliardi. Si mangeranno questi confetti? LA GILIARDI Non si mangeranno. CAPPELLI Eppure! Farebbe male, sa. Il Burlandi è un uomo attivo, ha del suo, è senza impegni di famiglia.... Del Basso li guarda, si soffrega la barba e sogghigna. LA GILIARDI Lei è un bravo avvocato, ma la causa è già perduta. Gli ho già detto di no. E quando dico di no.... Lei lo sa. DIODATI E si è rassegnato? Sorridendo. O.... o.... che un giorno o l'altro, quando lei passa per il corso lui non mi venga fuori.... pim.... pam.... prima a lei, poi a sè.... LA GILIARDI ora ride. Speriamo di no. DIODATI Dovrei fare un lungo rapporto al Ministero.... DEL BASSO Parli tu, Cappelli, sul feretro?... LA GILIARDI pronta. Ma lei no, sa! Tutti meno che lei. Proibisco. Meglio un rospo. DEL BASSO sghignazza e si frega le mani. To': ecco il Serralunga. Buon giorno. SCENA III. DETTI — SERRALUNGA — poi IL BIDELLO. Marino Serralunga ha ventisette anni, figura diritta, capelli alti a spazzola, barbetta a punta, cappello e cravatta molli, vestito non a misura. Non segue la moda. Quando parla, anche per il modo, si avverte che è qualcuno, non del gregge. Sente di sè e non lo nasconde. MARINO guarda attorno e quando vede Diodati. Direttore, cercavo proprio di lei. Agli altri. Buongiorno. DIODATI Buon dì, professore. Cosa c'è? MARINO Ho da riferire e da chiedere. Diodati si leva. No, preferisco parlare davanti ai colleghi. DIODATI risiede. E allora dica: ascolto. Siedi, caro. MARINO Dunque: iersera quando stavo per rientrare in casa, mi si è accompagnato il professor Cerettoni.... DEL BASSO .... detto Francesco Ferruccio. Intorno si ride. MARINO s'interrompe. Non capisco. DIODATI Il professor Cerettoni.... non è un eroe. Ecco spiegato. Va' avanti, caro. MARINO Il professor Cerettoni mi chiese delle prove d'esame in generale e in particolare di quelli dell'alunno Di Primasco. Gli dissi che il Di Primasco era tra i respinti. Breve silenzio. DEL BASSO Conseguente fifa del professor Cerettoni. MARINO a Del Basso. Starei per dire di sì. Volgendosi ora all'uno, ora all'altro. Perchè prima storse la bocca, poi venne fuori con mozziconi di frasi prudenti ed ambigue, poi espresse più chiaramente il suo pensiero. Il ragazzo è figlio di un fratello del marchese — che è poco meno che il padrone di Salduggio — ha strappato il punto sufficiente per il passaggio allo scritto, ha meritato un quattro all'orale. Dice il professor Cerettoni: «Sarebbe il caso di portare quel quattro al sei. Il ragazzo può esser timido.... si può anche esser confuso.... bestia più, bestia meno, il mondo non casca. Invece a volersi mantener rigidi c'è da procurar fastidi a lei, direttore, a me....» DEL BASSO con la voce e col gesto. Fifa, fifa.... MARINO Perchè — dice sempre il Cerettoni — se i Primasco sono potenti, anche la marchesa, figlia di un senatore influentissimo, principe romano, è poco meno che una sovrana. Case di nobiltà di vecchia data, crociate, benemerenze patriottiche e civili, elargizioni munifiche, eccetera, eccetera. Si ferma. Ho finito. Riferivo. DIODATI Lei, caro professore, ascolti la sua coscienza. E basta! Non si occupi d'altro. MARINO La ringrazio. DIODATI E guardi che non andremo incontro al martirio nè lei, nè io. Il professor Cerettoni è un buon uomo, tanto caro, ma.... mi aiuti lei.... DEL BASSO Ma soffre di fifa.... A Diodati. Non volevi l'aiuto? DIODATI sorride. Insomma, non ci stia a badare. Domani in Consiglio legga i voti che ha creduto di assegnare al ragazzo e noi metteremo la sabbia. Volgendosi attorno. Potete dir voi se ho mai fatto pressioni per favorire uno piuttosto che un altro.... IL BIDELLO entrando. Signor direttore, c'è il padre dell'alunno Lanfranchi. DIODATI si alza di premura. Vengo vengo. Il bidello esce. Addio cari, ci vediamo. Ed esce. C'è un breve silenzio. SCENA IV. MARINO — DEL BASSO — LA GILIARDI — CAPPELLI. DEL BASSO Bravo Serralunga! Io sono per passarli tutti — lo dicevo adesso — ma quello lì hai fatto bene. CAPPELLI Se lo meritava, hai fatto benissimo. Ma non era il caso che tu riferissi il discorso Cerettoni: pressioni da parte dei Primasco non ne hai avuto. DEL BASSO Verranno. CAPPELLI Se fossero venute, allora sì. MARINO Ho voluto sùbito mettere in chiaro e a posto. CAPPELLI Per lo meno hai anticipato. Parevi San Giorgio che parte lancia in resta contro il drago. E il drago non c'è. DEL BASSO canzonatorio. Draghi? A Salduggio? Tutte lucertole: al più ramarri. CAPPELLI Ma fammi il piacere, tu! DEL BASSO Nemmeno ramarri? Ma sì, tutti puri in quella casa. A cominciare dal portiere che se invece era a servizio da te o da me, sarebbe in galera per sevizie.... CAPPELLI Ma Del Basso! DEL BASSO O che non picchiava la moglie? A finir con la cuoca che fece un figliolo con persona ignota di sesso diverso e lo mise ai bastardi. CAPPELLI non sa se adirarsi o ridere. Marino ride. Tu, se ti mordi la lingua, ti avveleni! DEL BASSO Se tu ti mordi la tua muori di diabete. Tutto zucchero sei! CAPPELLI per farlo ragionare. Ma se non li conosci i Primasco! DEL BASSO Naturale che io non li conosco! Io sono un vile borghese. E miserabile. Loro ci hanno i milioni! IL BIDELLO rientra. Professor Serralunga, la Marchesa di Primasco domanda di lei. Movimento generale. MARINO Di me? Non avete mica sbagliato? DEL BASSO strizzando l'occhio a Cappelli. La lucertolina. Prevedevo. IL BIDELLO a Marino. Sissignore. Di lei. DEL BASSO a Marino. Povero Cerettoni, l'ha indovinata! Alle volte la fifa apre i cervelli. MARINO Ah! perchè tu credi che...? Al bidello. Vengo. Ma già Del Basso, la Giliardi, Cappelli si sono alzati, il bidello sta per avviarsi. CAPPELLI lo ferma colla voce e col gesto. Aspetta, Stefano. A Marino. E dove la ricevi? Per istrada? MARINO Hai ragione. Al bidello. Che passi. Il bidello esce. A tutti. No, no, restate, restate. DEL BASSO Darei un soldino per restare, ma non è possibile. LA GILIARDI a Marino. Quei temi? Nel pomeriggio? MARINO No. Se vuole, appena avrò sbrigata la marchesa. Aspetta di là? DEL BASSO Io vado. Mostrando un sacco a corda con pagnotte. «Pianger sentii nel sonno i miei figlioli — ch'eran con meco e dimandar del pane».... E io porto a casa il pane! Dianora è apparsa. I Professori salutano col capo. Del Basso scivola via. La Giliardi fa un cenno rapidissimo ed esce dietro a lui. Cappelli si è fermato sulla soglia. SCENA V. CAPPELLI — MARINO — DIANORA. DIANORA bella, sorridente, luminosa in un fresco abito mattutino, saluta lietamente Cappelli. Cappelli, c'è anche lei? E gli stende la mano. Bravo Cappelli, come sono contenta! Così mi presenta e mi aiuta. CAPPELLI baciandole la mano. Presentarla, è un piacere e un onore. Aiutarla, non so in che, e perciò, marchesa, la prego, me ne dispensi. E presenta. Il professor Marino Serralunga, la marchesa Dianora di Primasco. Marino irrigidito piega appena il capo. Ecco fatto. — Marchesa, se mi permette.... E vuol prendere congedo. DIANORA Se ne vuol proprio andare. A quando? Viene domani a pranzo da noi? CAPPELLI La ringrazio, marchesa. Ma vado a Torino. DIANORA Questa Torino! questa Torino! Chi ci sarà mai a Torino che ce lo ruba ogni settimana? CAPPELLI sorride. C'è Torino. Passerò a sentire se lei avesse ordini. DIANORA Avrà già tanto da fare! A rivederci, Cappelli. E se non è domani, si faccia vedere al ritorno. Non si renda troppo prezioso. CAPPELLI Marchesa! Le bacia la mano ed esce. SCENA VI. DIANORA — MARINO. DIANORA a Marino che non accenna a dirle di sedere. Professore, lei non ha impegni urgenti? Perchè mi dispiacerebbe disturbare. Accennando a quelli che sono usciti. Erano forse in seduta? MARINO No, signora. Dica pure quel che ha da dire. Si accomodi. DIANORA Ecco: grazie. Siede. Non si stupisca di vedermi qui. Costumi semplici a Salduggio. Avrei potuto incaricare il conte Cappelli di pregarla di venire lei da me. Sorride. Passavo: sono entrata. Sorride. È anche più gentile, no? Sorride. Prima domanda.... se non sono indiscreta: mi può dire l'esito dell'esame di mio nipote? o non può? Se non può, non chiedo infrazioni alla legge. Poichè Marino tace: sorridendo. Ho capito: non può. MARINO Posso. Ma la signora saprà già.... DIANORA Se sapessi non domanderei. MARINO Suo nipote? Secco. L'ho bocciato. DIANORA sorridendo. Ah! sì? Ha fatto benissimo. MARINO Lei trova?... E ne è sorpreso, sviato. DIANORA Benissimo: perchè se lo merita. E glielo avevo anche predetto. Non studia, per conseguenza non sa. Mi ero persino stupita che si fosse salvato allo scritto. Ride. Forse ha copiato da qualche compagno, ma è legittimo che sia caduto agli orali. Penserà suo padre a farlo studiare: a noi non è riuscito, — e se lo riprenderà a casa. Diceva: «Sì zia, sì zia bella....» Arrossisce. È indulgente come tutti i ragazzi — ma poi.... Giustizia è fatta. Sorride e cambia tono. Seconda domanda.... Non si spaventi: è l'ultima, per oggi: il professor Cappelli mi ha parlato molto di lei. MARINO borbotta. O guarda! DIANORA La conosce da poco tempo: dieci, quindici giorni? — ma lei può già considerarlo come un amico e un ammiratore. MARINO Circa l'amicizia ci conto; circa l'ammirazione è troppo facile. DIANORA No, prego: il conte Cappelli non si abbandona ad entusiasmi e sa pesare gli uomini. «Se sentisse come parla; se leggesse come scrive; se vedesse come disegna». — Lei troverà naturale che le parole di Cappelli abbiano acceso in me il desiderio di conoscerla. MARINO Ma si guardi, signora, che il Cappelli.... DIANORA sorridendo. Mi lasci prima finire. Siamo in una piccola città, quasi un paese. Le occasioni d'intrattenersi con persone d'ingegno e dottrina sono così rare! Lei sa tante belle cose, ha tanto buon gusto.... vorrei essere tra quelli che se ne avvantaggiano. Concludo: se domani Cappelli non parte, tanto meglio, e allora viene con lui; ma se lui va a Torino, mi vuole usare la cortesia di pranzare domani da noi? La invito a pranzo perchè trovi anche mio marito. In altra ora è difficile che ce lo incontri. Gli uomini, si sa, stanno poco in casa: il mio poi! MARINO La ringrazio, signora. Ma sono qui a Salduggio da pochi giorni con tante cose da mettere a posto! E ne ho tante da sbrigare. DIANORA L'avrà pure un'ora per il pranzo! Subito dopo la lascierò andar via. Almeno per questa prima volta mi accontenterò di poco: non le rubo che un'ora. MARINO Il Cappelli che le ha parlato tanto di me, le avrà pur detto che io sono un orso. DIANORA sorride. Sì, me lo ha detto. E per questo sono venuta di persona.... a stanare la belva. MARINO E allora sarò schietto. Io sono uomo di studio, e senza risorse, per lo meno di quelle facili, che riescon gradite alle signore. Con persone del bel mondo, mi tedio e le tedio. Se mi lascio prendere nel giro delle visite, dei pranzi, dei tè finisco col non attendere più ai miei lavori — noiosi, sa — ed io non mi posso permettere il lusso di far lo svagato e il farfallone notturno. Oltre il resto, son povero. E fumo sigari toscani. Mi spiace rispondere con un deciso rifiuto e ricambiare una cortesia con una rusticheria, ma preferisco esser villano che mentitore. Dianora si leva. È offesa? DIANORA semplice. Io? No. Mi alzo perchè ho finito. L'ho invitato per rispondere più che a un mio desiderio — la schiettezza le piacerà in tutti e per tutti — a un desiderio del conte Cappelli che voleva ch'io la conoscessi e sperava incontrarla anche da me. Non speravo, no, in una accettazione entusiastica da parte sua, ma in un rassegnato consenso. Poi si sarebbe adattata, e poi fors'anche — veda un po' — ci si sarebbe Sorridente. trovato bene. Amico, ma libero. In casa mia non tengo gabbie, nemmeno per gli orsi. Ma lei ha da lavorare! Dio mi guardi dal farle perdere un tempo prezioso. Se lei, non dico muta pensiero, — tra le sue molte virtù avrà anche quella della tenacia! — ma trova un qualche ritaglio di tempo, lei sa dove stiamo. Io le ho fatto una visita: se crede e quando crede, me la restituisce. Quando sono in casa, ogni giorno è buono: e se non mi trova, meglio per lei. Buongiorno. MARINO d'un tratto, quasi trattenendola. Ma io lei l'avevo già veduta. — Non qui. DIANORA Ah! sì? MARINO E ammirata. DIANORA Nientemeno. Quando? Mi lasci sentire. Risiede. MARINO L'orso è sgraziato nei movimenti, ma pure lui ha occhi per vedere e orecchi per intendere. Io ho fatto molta strada con lei: in treno. Viaggiavo anch'io in prima classe, da signore, perchè ero ufficiale e viaggiavo per servizio. Fu l'altra estate, e posso dire anche il giorno: il tre settembre. Lei salì alla stazione di Bergamo, ma proveniva da San Pellegrino, in compagnia di un bel signore bianco. DIANORA Lei ha buona memoria ed è preciso. Mio padre c'era andato per cura. Come fa a ricordarsi? MARINO Io? Sempre. È così facile! Basta guardare le persone e le cose ogni volta come se si dovessero vedere per l'ultima volta. Nel suo caso, poi, lei disse parole argute, pronunziò giudizi assennati sulla bellezza dei luoghi e sul carattere delle signore colle quali s'era intrattenuta a San Pellegrino. Sentii: non per indiscrezione: lei parlava forte e io non dormivo. Poi disse di Bergamo con accenni gustosi, personalissimi, sulle opere d'arte viste in quella medesima giornata, specie sui Tiepolo della Cappella, che non eran frutto di erudizione mal digerita o risciacquatura di vecchie Guide. Ho studiato anch'io i Tiepolo, ho avuto occasione di vederne molti — tra i pittori moderni lo prediligo — e posso dire che non è facile trovar chi dimostri conoscenza così piena di quell'artista. Specie tra le signore. DIANORA sorride. La ringrazio molto. E mi scusi se oggi non l'ho ravvisato. MARINO Non c'era motivo perchè lei mi dovesse riconoscere, ce n'era più d'uno perchè io riconoscessi lei. Io ero in uniforme, e me ne stavo in silenzio rannicchiato in un angolo. Lei era in piena luce e parlava. DIANORA E non dicevo spropositi? nè d'arte nè di lingua? Ma come bisogna sorvegliarsi! Anche là dove meno si aspetta c'è un giudice. Ora vado via contenta.... o quasi. Sorride. perchè mi pare d'intendere che il suo rifiuto di poco fa non risponde ad una spiacevole impressione del primo incontro, ma a tutto un suo sistema di vita. In fondo, chissà, forse ha ragione lei a starsene appartato. Buon lavoro, professore. E addio.... Si leva, gli porge la mano. O a rivederci. Sta a lei. MARINO non risponde, le dà la mano, s'inchina, l'accompagna fino alla porta, poi torna indietro, solleva fieramente il capo, scuote le chiome. Ah, perdio, no! non mi pigliano! Ho di meglio a fare io che salamelecchi e madrigali. E accende un mezzo toscano. Nell'atto lo sorprende Cappelli. Marino si volta. To'! Sei qui ancòra? SCENA VII. MARINO — CAPPELLI. CAPPELLI Ho visto dalla finestra della Direzione la Marchesa che usciva e son tornato a sentire. MARINO Di' un po'; sei conte tu? CAPPELLI Io sì. Perchè? MARINO L'ho imparato adesso. Non me lo avevi detto. CAPPELLI Perchè non ha importanza: ma non perchè me ne vergogni. Non è un disonore. MARINO Disonore no. Niente. Per me un titolo vale meno di questo mezzo sigaro. CAPPELLI Perchè vieni di famiglia popolana. MARINO Credi che se io fossi nobile me ne terrei? CAPPELLI Forse. Non si può sapere. Dunque? Che altro ti ha detto la marchesa? Non avrete parlato tutto il tempo di me. MARINO La conoscevo. Sì, la signora la conoscevo già. L'ho ravvisata sùbito, di sulla porta, e gliel'ho anche detto. L'avevo incontrata l'anno scorso in treno, a Bergamo, ma non c'eravamo scambiati parola. CAPPELLI E oggi che ci hai parlato, che impressione ti ha fatto? MARINO concedendo. Sì, sì, è una bella signora. CAPPELLI E ti ha chiesto del nipote? MARINO Anche. Ma il mio sospetto era ingiusto perchè trova anche lei che è un bestione. Dice che tu le hai parlato molto bene di me.... e mi ha invitato a pranzo per domani. CAPPELLI Ci vai? MARINO Io no. CAPPELLI Se ci vai rinunzio alla gita a Torino per accompagnarti. Io sono di casa. MARINO Ti ringrazio. Ma non sono abbastanza elegante io. CAPPELLI La marchesa non bada al taglio degli abiti. MARINO Nemmeno nei modi. CAPPELLI Non è vero. MARINO E nemmeno mi finisce di piacere. Dev'essere una posatrice. CAPPELLI Invece è una donna così semplice! MARINO non persuaso. Uhm! Intanto il nome è pretenzioso: Dianora. CAPPELLI Se anche, non l'ha scelto lei. Invece ci dovresti venire. Anche per toglierti da quell'abbrutimento serale che è lo scopone al caffè Rossini tra Del Basso che ringhia e Cerettoni che trema. Venire al castello una volta, non ti obbliga a nulla. Se ti trovi a disagio non ci torni. Prova. MARINO Meglio non far nemmeno la prova. CAPPELLI Sei un testone. MARINO E il marito? Sì, com'è il marito? CAPPELLI In che senso? MARINO In tutti i sensi. CAPPELLI È un bell'uomo, giovane, che bada alle sue proprietà, intelligente.... MARINO Duro, prepotente, accaparratore di quadri vecchi e di donne giovani, competente in fatto d'arte, ma più in fatto di femmine.... CAPPELLI E allora, perchè chiedi? MARINO Somiglia? il ritratto. E allora ti dirò che anche per questo mi tengo lontano dalla sua casa. CAPPELLI Sì, il ritratto somiglia. Per lo meno le ombre ci sono. Tutte quante. Ma è anche questione di come si guarda un ritratto, di chi lo guarda. Intanto è generoso. È veramente munifico. MARINO E prolifico. A casa sua no. Ma fuori, si rifà. Mi dicono che ha seminato figlioli un po' dappertutto. CAPPELLI Riconosco lo stile Del Basso. Esagerazioni dell'informatore. E comunque anche fosse Ride. tu che hai da temere? Non sei nè un contadino ignorante cui possa rapinare le robe, nè una fanciulla cui possa insidiare l'onore. E vale la pena di tollerarne la presenza per quel po' di tempo che si trattiene in casa, per il molto che ci sta la marchesa. Lei con la sua grazia, col suo sorriso.... MARINO quasi con dispetto. Sorride sempre? CAPPELLI Sempre. Come gli altri respirano. Eppure non è felice. Ma è una di quelle creature che ti riconciliano col genere umano. Venne qui appena sposa. Durante gli anni di guerra fu una benedizione per il paese. Pensa: non c'è chi non le perdoni la bellezza, la ricchezza, il marchesato.... Di questi tempi, ce ne vuole! La calunnia non la può toccare: è una lastra che non si appanna. MARINO Tu ne parli come un innamorato. CAPPELLI Tutti ne sono innamorati. MARINO Allora anche tu. CAPPELLI Naturalmente. MARINO Oh! Giudizio! CAPPELLI Perchè? MARINO Se è così una santa, niente da fare. CAPPELLI Si capisce. MARINO piano piano incuriosito, ma sempre delicato e lento nell'inchiesta. Allora innamorato.... per modo di dire. O sei stato grave? CAPPELLI Sto meglio. MARINO Ma non bene. E lei? possibile che non se ne sia accorta? CAPPELLI Si è accorta e mi ha distolto senza sdegni, con delicatezza. Perfetta, purtroppo. Perfetta. MARINO E.... hai fatto una cura per migliorare? CAPPELLI Sì, ho fatto una cura: omeopatica. _Similia similibus._ Ma non ha servito. E così riprendo ed andar via il sabato e a tornare il lunedì sera. A Torino giro i teatri, i caffè e peggio. Mi imbestialisco un poco. Quando torno, come maschio, come.... animale, scegli tu, sono sazio.... MARINO E perchè non chiedi addirittura un trasloco? Guariresti. CAPPELLI Perchè mi piace essere malato. MARINO Sei preso bene! CAPPELLI Preso, sì: bene non direi.... Zitto! La Giliardi. Infatti la Giliardi è apparsa sulla porta. Si è accorta che hanno interrotto il discorso. SCENA VIII. CAPPELLI — MARINO — LA GILIARDI. LA GILIARDI Se disturbo posso anche tornare. CAPPELLI Non disturba affatto. LA GILIARDI Mi era parso. Breve silenzio. E così, professore, la marchesa? MARINO È andata. LA GILIARDI Lo vedo. MARINO Niente raccomandazione per il nipote. Altra roba. LA GILIARDI Meglio così. Bella, eh? MARINO Sì, sì, bella. LA GILIARDI Cappelli, ringrazi. CAPPELLI seccato, cercando di evitare. Che c'entro io? LA GILIARDI non cede e incalza. Non è un ammiratore? Scommetto ne avete parlato sino ad ora! A Cappelli. E lei s'è interrotto quando mi ha visto apparire. Ma ci sto anch'io a cantarne le lodi, che diavolo! È una civetta della specie più pericolosa, ma.... CAPPELLI Lei non dica sciocchezze. LA GILIARDI Sciocchezze? A Marino. Giudicherà lei, quando la conoscerà meglio, se dico sciocchezze. A meno che anche lei non perda la testa. E la perderà, è probabile: è l'omaggio di rito. Anche lei cadrà in ginocchio. Ma badi che la signora marchesa non è di quelle che si compromettono. È di quelle che prendono, lei: non di quelle che dànno. CAPPELLI quasi la investe. Io non arrivo a capire questa sua sfuriata a freddo. LA GILIARDI Scommetto che Serralunga capisce. MARINO Io le assicuro che.... E si mette la mano al petto. LA GILIARDI va avanti senza badargli. Figuriamoci se Del Basso non l'ha sùbito informato! MARINO Io le giuro.... LA GILIARDI Ma sì, di me col signore. Indica Cappelli. CAPPELLI cercando d'imporsi. Ora basta, eh? Lei forse non se ne accorge, ma tutto quello che dice e che fa adesso è grottesco e di pessimo gusto. LA GILIARDI E lei? Anche lei! Anche lei, che mezz'ora fa, davanti ai colleghi mi ha chiesto perchè non sposo il Burlandi, che mi consigliava a sposare il Burlandi. Lei lo sa, il perchè. Perchè io non porto a un galantuomo gli avanzi di nessuno, io non imbroglio nessuno. CAPPELLI la investe ma è addolorato più che offeso. Che cosa vuole da me? Vuol proprio una spiegazione? Meglio che ci sia un testimone. — Non erano offensive od ironiche le mie parole di prima. Per lo meno la mia intenzione era un'altra. Dissero — io non lo sapevo — che un signor Burlandi la vuole per moglie. Poichè — in altri tempi — io avevo avuto la sorte d'interessarla — non sono stato io a raccontarlo a Serralunga: lo ha detto lei — e poichè tutto è finito — non per volontà mia — lei lo sa — mi pareva un dovere dichiararle — sia pure di sfuggita, in forma leggera quasi scherzosa — ch'io la consideravo perfettamente libera di sè. LA GILIARDI Ah! lo so. Lei m'ha sempre considerata libera. Perchè lei si è sentito libero sempre. Ma la mia con lei non è stata un'avventura, per me. Per lei, sì, per me no. Uomini cui piacessi per divertirmi, non avevo che da scegliere. Ma io non vedevo che lei, non amavo che lei. E solo in apparenza, io ho voluto finire, ma in realtà è stato lei. CAPPELLI debolmente. Io? LA GILIARDI Che crede? che non sapessi, che non vedessi? Mi ero voluta illudere e tacevo, ma si sopporta fintanto che si spera di salvare comunque un brandello d'amore. Trattenendolo a forza non salvavo nulla; nemmeno la mia dignità. E così, tornando a Salduggio, dopo mesi, dopo poche lettere gelide ho detto: basta e ho voluto finire. Lei è tornato qui da quindici giorni: così, per convenienza o per abitudine, ha tentato, una volta, di riprendere. Ho detto di no: non mi ha chiesto nemmeno il perchè, tanto era contento di riscattarsi, di tornare finalmente sincero. CAPPELLI dopo un breve silenzio. Ebbene: se anche tutto questo fosse vero.... LA GILIARDI È vero. CAPPELLI Se anche fosse vero, non occorre mischiare il nome di persona che non ha nulla a che fare con queste nostre miserie. LA GILIARDI Non ha nulla a che fare? Perchè mentisce ora? Se è stato con me ma non pensava che a lei? se non ha amato, se non ama che lei? Neghi, se può! CAPPELLI accennandole a tacere. La prego. La prego. — Tu Serralunga, ti fermi ancòra? A più tardi. Esce. SCENA IX. MARINO — LA GILIARDI. MARINO silenzio d'imbarazzo. I due si trovano a disagio. Se vuole che rimandiamo.... LA GILIARDI si è ricomposta. Ora è calma. Scusi: e non ci giudichi troppo male. Quel veder qui la signora.... ho pensato che fosse venuta per lui.... che aver chiamato lei fosse un pretesto.... Stupidaggini: mi credevo forte, e invece sono peggio di una bambina cui si è portato via il giocattolo. Che volgarità questa mia! non mi riconosco più! — Be'.... torniamo a fare i professori; dove sono questi temi? MARINO va a una cassetta chiusa della tavola, la apre con una chiavetta che si leva dalla tasca, ne trae un fascio di pagine piegate a mezzo, lo richiude, poi prima ancòra di mettersi a sedere. Lei non mi permette di chiedere a Cappelli?... Non sa nemmeno lui che cosa. LA GILIARDI Nulla. Perchè non c'è nulla da fare. Io sola ho avuto torto; e non soltanto oggi: sempre; e perciò sono io che pago, come di dovere. Mi sono innamorata di uno ch'era innamorato di un'altra. Storie vecchie. E lo sapevo! MARINO Lo sapeva? LA GILIARDI Già! Lo sapevo. Ma m'illudevo di diventare io la più forte; storia vecchia anche questa. Invece no: non si lotta. Con quella donna, poi! MARINO esitando. Gran civetta, eh? LA GILIARDI Oh! no. Non badi a quello che ho detto prima: sono gelosa ed ero stata offesa: credevo di essere stata offesa. Che colpa ci ha lei se ha tutto per interessare, per piacere? E come potevo mai vincere? Ci pensi! Lei è una cavallina di razza e io sono una bestia da fatica. È naturale che gli piaccia lei e non io, che ami lei e non me, perchè anche lui, Cappelli, è un cavallo di razza, per nascita, per istinto, per consuetudine: loro due sono vicini: noi due invece.... sì, possiamo fare lo stesso mestiere, e incontrarci per strada, ma poi.... Non ne parliamo più. — Rivediamo questi temi. MARINO Vuol proprio? LA GILIARDI si è impadronita del fascio di pagine. Ma sì. Guarda sul fianco della prima. Chi è questo? Fausto Belvilieri del secondo corso. È un ripetente. Quanto ha assegnato? MARINO ora s'immerge nel lavoro professionale. Le due teste sono quasi confuse sulla stessa pagina. Cinque. Svolgimento sbagliato; qualche errore di lingua e d'ortografia deturpa quel poco.... La Giliardi si copre il viso con le mani: forse piange. Marino fa un vago gesto di pietà. CALA LA TELA. ATTO SECONDO. Luglio. — Una delle tante sale del palazzo dei Primasco: il salotto dove d'ordinario riceve la Marchesa. In fondo un'arcata a vetri, sicchè si vedono passare le persone prima che entrino e mentre passano ad altre sale. Soffitto a cassettoni. Arazzi alle pareti. Sala vasta, dove una scrivania per signora, i mobili di stile, il pianoforte non ingombrano. Segni evidenti di ricchezza non fastosa ma antica e di buon gusto. Quando si alza la tela non è ancora buio. La scena è vuota. Poco dopo Marino, che tiene un piccolo dipinto in legno tra le mani è introdotto da un servo in livrea che s'inchina poi domanda: SCENA PRIMA. MARINO — IL SERVO — poi DIANORA. IL SERVO Professore, vuole che accenda? MARINO Mi par presto. IL SERVO Come vuole lei. Ed esce. Marino riguarda il dipinto, lo avvicina a sè, lo allontana, scuote la testa con dispregio. Quando vede apparire dietro la vetrata Dianora, lo depone sulla scrivania. DIANORA sorridente. Buona sera, Serralunga. Gli porge le mani. MARINO s'inchina. Buona sera, signora. DIANORA Mi dica la verità, ha pranzato? MARINO Io sì; son venuto troppo presto? DIANORA sorride. Ma no. Io mi alzo adesso da tavola. Non l'ho mandata a chiamare per non levarla anche oggi a suo padre. Ero sola perchè i miei uomini sono andati alla Primaschina e, secondo l'ora, tornano.... mangiati o da mangiare. Marino si tura le orecchie. Dianora ride e suona. MARINO Anche il signor principe è fuori? DIANORA Sì, anche papà. La gita alla Primaschina è per lui, per mostrargli gli ultimi lavori. Lei li ha già visti, vero? Io non sono andata: troppo caldo. Apparisce un altro servo. Da bere. Il servo s'inchina, esce. E allora hanno caricato a forza il Cappelli. Se c'era anche lei, volevano anche lei. Ma al Ginnasio non c'era, così lei si è salvato e il povero Cappelli no. MARINO Cappelli per amor suo farebbe questo e altro. DIANORA sorride. Ma io non facevo parte della comitiva. MARINO Questo è vero. E il signor principe si trattiene ancora? DIANORA Fino a sabato, perchè lunedì si riapre il Senato. Ci pensi! a metà luglio! Entrano due servi gallonati, quel di prima e un altro, con la guantiera, il secchiello del ghiaccio, siroppi, che depongono su un tavolinetto basso, poi Dianora, a tempo, li congeda col gesto. Papà deve avere una grande simpatia per lei. Spremuta di limone, vero? MARINO conferma col gesto. Simpatia ricambiata. DIANORA Perchè lei l'ha battuto a scacchi, e tuttavia non le serba rancore. Io gliel'ho detto «Serra....» perchè io d'ora in poi la chiamo Serra.... Serralunga è troppo lungo, «Marino Serra» mi piace di più.... Dianora serve, Marino beve. Permette? MARINO magnanimo, con gesto largo. Permetto! Sebbene tutto è questione d'abitudine. Il suo nome, prima, mi garbava poco.... DIANORA Lo so: me lo disse Cappelli. MARINO minaccioso col gesto. Ah! birbante. Ebbene, ora trovo che le si adatta alla persona come una veste. «Dianora». È pulito. Non ricordo nella storia o nella leggenda peccatrici di tal nome. È luminoso e sonoro. «Dianora». DIANORA sorride. Ma guardi un po' quante cose è! MARINO gaio. E poi è ricco di rime: facili ma non volgari. Quasi canticchiando. «Ridi, ridi, ridi ancora — bella bocca di Dianora.» «Quando sorgi appar l'aurora — Tutto intorno s'incolora.» «L'aria, il prato, il ciel s'indora.» E si potrebbe seguitare per un pezzo. Ride. E lei, pur mantenendo la rima, può mandare.... «il poeta alla malora». Ma sa perchè mi piace lei — la persona oltre che il nome? Glielo voglio dire. DIANORA Bravo, me lo dica: così ci ripenserò questi tre mesi che lei starà via. Se sapesse quanto lei mi mancherà! MARINO Non mi faccia insuperbire, che son già orgoglioso di mio. DIANORA Dunque mi dica; perchè le piaccio? MARINO Perchè è una donna per bene, di una bella sanità fisica e morale. Non ha la bellezza gracile e fuggitiva di certi fiori esotici: è una bellezza italiana. E a me piacciono gli scrittori pastosi, i pittori ricchi di colore, e le donne che riposano e non tormentano. S'inchina. Lei, signora, mi piace. Eccole fatta, a mio modo, la mia dichiarazione. DIANORA Sì, sì! Ma in casa mia non ci voleva venire. MARINO Ma poi ci sono venuto fin troppo. DIANORA Troppo no. MARINO Se non le par troppo, bontà sua, ma son qui da loro quasi ogni sera, e il professsor Del Basso ci ha scritto su un epigramma. DIANORA Ah! Sì? MARINO Lo vuol sentire? Sì? glielo dico: «Quando giunse al castel torvo, Marino — Guarda si disse: — che bel can mastino! — Non passò un anno da quel giorno ancora; — Si dice: — Che bel cane da signora!» DIANORA Non c'è mica male! MARINO Soltanto, come cane da signora, sono mal pettinato. DIANORA E ci ha il fiocco di traverso. Si aggiusti la cravatta che è storta.... MARINO Così? E tira. DIANORA ridendo. Ma no.... Se non si guarda allo specchio.... MARINO si accomoda allo specchio, poi si dà una gran manata ai capelli. Bah! come muso non c'è poi tanto male! E dà in una allegra risata. DIANORA La sua dama come lo trova? MARINO Mai avuto dame. DIANORA Evvia! MARINO Le mie dame; prima la licenza liceale, poi la laurea, e prima e poi l'Italia. Permio! Se è bella! Viva l'Italia, permio! E poichè si trova con una giravolta innanzi al pianoforte aperto mette le dita sulla tastiera. DIANORA Bravo! Giacchè è lì canti qualche cosa. MARINO Ah, no! E chiude il piano. DIANORA Un'aria antica, che le canta così bene.... Anzi, mi spiega perchè per tanti mesi nascose a tutti le sue capacità musicali? MARINO Primo: perchè sono scarse.... Dianora protesta. Si fidi di me, sono scarse. Secondo: perchè non volevo apparire il saputello in conversazione o, Dio ci liberi tutti, la ragazzina assetatuzza che parla francese, tedesco, dipinge fiori e stonicchia romanze da salotto. DIANORA scherzando. Io penso che lo fece per civetteria. MARINO Questo mai. DIANORA Comunque le riuscì bene. Sentirla cantare fu una dolce sorpresa. MARINO malizioso. Dolce anche per Cappelli? Non credo.... Lo sa che adesso è geloso di me? DIANORA Mi sono accorta. Ma che ci posso fare? Volta a volta è stato geloso di tutti. Poi si avvede che non c'è un motivo e si acquieta. — E quella professoressa, sempre innamorata di lui? MARINO Sempre. Poverina, mi fa una gran pena. A volte la sorprendo che lo guarda con tanto accoramento che mi commuove! Quella, pel suo amore, è capace di qualunque sacrificio e di qualunque delitto. DIANORA Come tutte le donne. MARINO Tutte non crederei. Lei per esempio, no. DIANORA Anche lei va dietro alla solita leggenda che io son fredda, insensibile, diamantina? Trasparente ma gelida? Falso. Ho anch'io le mie nausee e i miei turbamenti. Soltanto li tengo per me, non li dò in pasto alla gente. E creda che con un marito come il mio.... Si ferma, cambia discorso. Accendo. Dianora ora vede il dipinto. Ah! ha riportato il quadro. E lo prende. E dunque? MARINO Confermo la diagnosi: venti lire a pagarlo il suo prezzo. DIANORA No, via. MARINO Io, venti lire non le darei. E suo marito l'ha pagato cinquemila, mi pare!... DIANORA Sì, cinquemila. MARINO Questa volta il signor marchese è stato buscherato. E ci ho gusto. DIANORA scherzosamente. Professore! Certe compiacenze almeno le tenga per sè. MARINO imperterrito. Sì, perchè lui passa la vita a buscherare gli altri: si provi anche lui! A meno che il marchese non abbia voluto comprare un falso, sapendolo falso. DIANORA A che scopo? MARINO Per dare le cinquemila lire. DIANORA Ma a che scopo? MARINO conferma. Dare cinquemila lire a persona che interessa cui si deve un favore, un servizio! Non so: un modo di pagare senza offendere o senza averne l'aria. DIANORA Ma no! Se ha comprato dal Barancola, il padre dell'Isolina. MARINO con una risata. Allora! Non cinque.... diecimila! DIANORA Perchè? MARINO con un gesto largo. Eeh! DIANORA L'Isolina!? No, non è possibile! MARINO vuol deviare e si alza. Allora vogliamo fare un po' di musica? Ma io suono e lei canta. Oppure lei canta e suona, e io sto a sentire.... Beatitudine piena! Una bella voce calda come la sua, vetrate aperte sul giardino fiorito e in cielo tutto un spolverìo di stelle. Dianora è pensosa. Guardi, guardi il cielo. DIANORA L'Isolina! Ma no, via! Tutto questo come a sè, più forte. Del resto Si avvia. ora sentiamo. E suona. MARINO Che fa, signora? che fa? DIANORA La chiamo e le domando. MARINO Io vado via. DIANORA No. Non è forse nelle usanze, ma voglio che senta anche lei. Perchè potrebbe ricredersi e smentire questa stupida calunnia. Apparisce un servo. Mandatemi l'Isolina. Il servo esce. MARINO Dunque lei non sapeva? Eppure suo marito non si fa un riguardo.... E generalmente si pensava che lei si sentisse superiore a queste miserie. DIANORA Di altre sì, sapevo e tacevo; ma di questa.... S'interrompe. È qui. SCENA II. DIANORA — MARINO — ISOLINA. ISOLINA bionda, fresca, graziosa nel suo vestitino da cameriera, saluta appena col capo Marino e rivolta a Dianora chiede. Voleva? DIANORA Vieni avanti. Qui il professor Serralunga dice che il quadro che tuo padre ha venduto al marchese è falso. ISOLINA Quale quadro? DIANORA Non sai che il marchese ha comperato un quadretto di proprietà di tuo padre, un vecchio quadro che avevate in casa — dice lui — e lo ha pagato cinquemila lire? ISOLINA Io no. Non so nulla. DIANORA che diffida. Questo qui. Guarda. E le mostra il dipinto. Lo conosci? ISOLINA Io non so nulla. La signora marchesa sa che io vedo mio padre, sì e no, due volte l'anno. Lui sta a Novara e fa i suoi affari; io sto qui e non me ne occupo. MARINO a Dianora. Mi pare che non occorra altro. DIANORA Puoi andare. Quando Isolina è sulla porta la richiama. Eh! no! Isolina, senti un po'. Sai che cosa mi son venuti a raccontare? Bada, io non ci credo. La fissa. Che tu te la intendi con mio marito. — Esiti? Dunque è vero! ISOLINA fredda. Ma allora perchè non ha cominciato a chiedermi del marito invece che del quadro? MARINO d'impeto. Che maniere son queste? ISOLINA E lei che c'entra? Io non ho da renderle i conti. DIANORA A me, rispondi a me. Dunque di mio marito.... ISOLINA Non son io che sono andata a cercarlo. DIANORA Io ti ho beneficata, ti ho accolta, e tu.... ISOLINA Beneficata in che modo? Lei mi paga e io la servo. Dunque, benefici niente. DIANORA Ma è il tuo padrone, ma è mio marito!... ISOLINA Proprio per questo! DIANORA Ma tu fai i tuoi fagotti _sùbito_ e te ne vai: _sùbito_. La tua roba te la manderemo a Novara. ISOLINA Nossignora: no a Novara, a Torino, perchè non torno a casa. Lascio l'indirizzo alla Caterina. Il fragore di un'automobile che si ferma. Sente? Sono i signori. Vuol dire che al signor marchese glielo dice lei che non sono più al servizio. — Signora. Esce tranquilla, sfrontata. DIANORA nauseata e furiosa. E non ha vent'anni. Che schifo! Ah! Ma tutto ha un limite. Buona, sì, imbecille, no. MARINO Ma lasci diguazzar nel pantano chi è nel pantano, lei che è pulita! SCENA III. DIANORA — MARINO — IL PRINCIPE DI MELISANGRO — IL MARCHESE ANDREA — I SERVI. Entra prima il Principe di Melisangro, poi Andrea, tutti e due polverosi. Il Principe sessantenne, ma valido, ancor bello. Andrea trentacinquenne, barbuto, naso aquilino, occhi lucenti, modi bruschi e recisi d'imperio. I servi passano dietro le invetriate con le maschere, gli spolverini dei padroni. Il servo gallonato che ha schiuso le porte per far entrare il Principe, attende che entri anche il marchese Andrea ed esce soltanto quando è entrato lui. IL PRINCIPE Ciao, Dianora. E la bacia sulle guance senza troppo accostarsi a lei. Buona sera, professore. La mano no: troppa polvere. MARINO Signor principe.... IL PRINCIPE a Marino. Ha pranzato colla marchesa? A Dianora. Hai avuto buona compagnia. DIANORA No, è venuto dopo. IL PRINCIPE a Marino. Mi darà la rivincita a scacchi? MARINO Quando vuole! IL PRINCIPE Ma sono già rassegnato al mio destino. Troppo forte! ANDREA che entra solo adesso perchè si è intrattenuto a leggere un telegramma. Dianora, noi non abbiamo pranzato.... Addio, professore.... Riprende. Ma occorre aspettare Cappelli: lo abbiamo deposto a casa. Formalista, lui! Se non è in abito nero.... Ma io rimango così, se permetti. Andiamo a levarci la polvere. Il Principe lo precede per uscire, Andrea lo segue, poi si ferma. Di' tu a Dianora quel che ti è parso della Primaschina. IL PRINCIPE Superba! Un tenimento superbo. Ci avete speso, ma è raddoppiato di valore. Ci dovreste passare qualche mese, godervela. ANDREA Speso relativamente poco. Guardando Marino. Di versi non m'intendo, vero, professore? ma di affari.... DIANORA che intanto ha preso il dipinto, lo mette quasi sotto gli occhi del marito e dice seccamente. È falso. ANDREA Ah! sì? Al Principe. Va' intanto. Vengo sùbito. Il Principe, che era già sulla porta, esce. Chi lo dice? A Marino. Lei?... Ne è sicuro? MARINO Sicurissimo. ANDREA freddo. Sarà. Ma io lo faccio vedere a un altro. MARINO Che se ne intenda più di me. ANDREA Si capisce. MARINO Non la consiglio. Ci scapiterà il suo buon nome d'intenditore. ANDREA Non occorre dire che l'ho già comperato. Se confermerà, butteremo sul fuoco. Ma anche il più esperto a volte ci casca. DIANORA Bell'imbroglione quel Barancola che te l'ha venduto! ANDREA Se credi che io ci perda l'appetito! A Marino. Venga ad assistere e vedrà. Esce. DIANORA Ha visto? Imperturbabile! Quasi quasi mi piace più la serva del padrone. MARINO Ci pensa ancora? Non mi faccia pentire di aver parlato. DIANORA Lei? Le ho detto: lei mi ha dato una prova di amicizia. Si volta. Ecco Cappelli. E gli va incontro. Buona sera, Cappelli. SCENA IV. MARINO — DIANORA — CAPPELLI. CAPPELLI che entra. Buona sera, marchesa. Le bacia la mano. MARINO da lontano. Ciao, Cappelli. CAPPELLI lo vede solo ora e ne è seccato. Ah! sei qui anche tu? Ciao. DIANORA a Marino. Magari sapeva anche Cappelli e non mi ha detto nulla. CAPPELLI Che cosa, marchesa? Mi dica. DIANORA Poi, poi, a suo tempo. Ci divertiremo un po' tutti. CAPPELLI Di cattivo umore anche lei? DIANORA Nuvoli. — Pare che le faccia piacere. CAPPELLI Che lei sia triste? Si figuri!... Posso almeno sapere? DIANORA A suo tempo. Perchè questa volta non sto zitta. Non ci pensi. Vado dar ordini anche per lei. Ed esce. SCENA V. MARINO — CAPPELLI — ANDREA. CAPPELLI a Marino. Mi dici dove ti cacci tu tutto il giorno? Al Ginnasio non c'eri, a casa non c'eri. Oramai per trovarti bisogna venir qui. MARINO Ho riportato il dipinto. CAPPELLI Tutti i pretesti son buoni. MARINO Pretesti di che? CAPPELLI Nulla. M'intendo da me. MARINO Caro il mio Cappelli, tu vaneggi.... CAPPELLI altro tono. Be'; tu sarai informato. Ormai se non sei tu al corrente, non lo è nessuno. Che cos'ha la Marchesa? Sì, che cosa dovevo sapere e non le ho detto, ma a suo tempo saprò? MARINO Hai sentito.... Nuvoli.... Ma forse le passano... E non volendo sono stato io.... Nel bel mondo, nel vostro mondo, si direbbe che ho fatto una gaffe. CAPPELLI Miracolo! MARINO Perchè? Ne ho fatte molte? CAPPELLI Qualcuna. MARINO indulgente. Che tono! Con un inchino. Signor conte! Cambiando. Del resto lo so, la maggiore, per te — la sola anzi — lo sproposito che ti dà fastidio, è quel vedermi qui. Se mai, battiti il petto.... _mea culpa_. Sei tu che mi ci hai voluto. E posso fare al più degli spropositi se si guarda alle leggi eleganti del bel mondo: ma le azioni, no. E sulle regole eleganti del bel mondo io ci faccio una bella risata. ANDREA entrando, a Cappelli. Hai fatto presto: bravo! Possiamo andare. A Marino. Venga anche lei ad assistere. Cappelli e Marino si avviano. Andrea vorrebbe seguirli, ma sopraggiunge Dianora. SCENA VI. DIANORA — ANDREA. DIANORA ad Andrea Ho bisogno di te.... A Marino e Cappelli. Andate pure voi, ve lo mando sùbito. ANDREA Adesso? Mica una storia lunga? DIANORA No, no. ANDREA Un qualche baloss da mettere a posto? Asili infantili? Sussidii di latte alle gestanti? DIANORA sempre fredda. No, no. Altra roba. ANDREA Che non si può rimandare? A Cappelli. Allora andate voi, il principe è già a tavola. Marino e Cappelli escono. DIANORA Siedi. ANDREA Ahi! si comincia male. Siede. Siedo perchè son stanco, ma breve, eh? DIANORA in piedi vicino a lui, calma. Prima che te lo dica lei, se la incontri, te lo dico io, anche per incarico suo, anche perchè tu non ne chieda agli altri della servitù: ho messo fuori di casa l'Isolina. ANDREA freddo. Ah! DIANORA Proprio adesso: sarà un quarto d'ora. ANDREA Bene. C'è altro? DIANORA Sei un ingrato. Nemmeno una parola di rimpianto. ANDREA Isolina: personale tuo, affare tuo. DIANORA Ah! no: personale tuo, molto più tuo che mio, perchè veniva a letto con te. ANDREA alza le spalle. Storie. E si leva. DIANORA No, storia. E se n'è anche vantata. ANDREA Anche! DIANORA Domanda a Serralunga. C'era anche lui.... ANDREA aggrotta le ciglia. E tu, davanti a Serralunga...? DIANORA Era già informato. Sicuro! Tutti informati prima di me. ANDREA E Serralunga ha riferito a te. Bella canaglia! DIANORA Perchè? ANDREA Perchè è una canaglia, che ti sta attorno e cerca di profittare di malumori.... DIANORA interrompendo. No, sai. Non deviare perchè non attacca. Niente alibi. Rispondi a me. ANDREA Che cosa ho da rispondere? Te l'ha detto lei, se n'è anche vantata.... tu l'hai messa fuori: partita chiusa. Ora mi lasci andare a pranzo. DIANORA No, eh! Così no. Come se fosse una cosa da nulla, come se dovessi rifarti un tanto, no. Non è la prima volta, verissimo. Tu sai che lo so. Ma non è una ragione perchè tu debba passarla liscia, senza rivalse da parte mia. Sì, anche delle altre a suo tempo ho saputo, ma almeno le altre valevan qualche cosa, con quelle altre rischiavi qualche cosa, dietro le altre c'era qualcuno, non un padre che specula vendendoti, per pitture antiche, modernissime croste; un ricattino sudicio e dissimulato. Sì, capisco: aver la donnetta in casa per i bassi servizi era comodo, ma vergognoso anche per te; perchè non devi credere che lei ti voglia bene, che tu le piaccia. No; per avvilirti.... e per avvilirmi. Di questo s'è vantata: non d'altro. Per essere alla pari con una gran dama, per dividere con me, me, per fare un dispregio a me.... Minacciosa. Ma non finisce qui. Stavolta non finisce qui. Balleremo tutti, stavolta. ANDREA Tu che vuoi? Parla chiaro. Vuoi denunziarmi a tuo padre? DIANORA Niente mio padre. Fra me e te. Da un pezzo non siamo più marito e moglie, ma non mi basta. Me ne voglio andare. ANDREA impetuoso. Ah! senti, veh! Ho sgobbato tutta la mattina a scriver lettere, a dar ordini, a far verifiche. Sono stato quattr'ore al volante. Ho discusso con appaltatori e fittavoli tutto il pomeriggio. Sono più delle nove e quasi non ho preso un boccone dacchè mi sono alzato. E tutto il giorno e tutti i giorni lavoro e giro come un facchino e come un fattorino di banca. Altro che chiacchiere di letteratura e comitati di beneficenza! E dunque lasciami in pace. E non diventar ridicola. Dopo sei anni di matrimonio! DIANORA No, non sei anni: sei mesi. Nemmeno. Non eran sei mesi che già ti sapevo con un'altra. — Ma perchè mi hai sposato? Perchè mi hai sposato? ANDREA Anche il perchè? Non possiamo rimandare a domani? DIANORA Noo. ANDREA Perchè? o bella, perchè mi piacevi. Per averti. E con te non c'era altro modo. Perchè ridevi bene con una bella bocca, e io ti speravo meno romantica, meno nelle nuvole e più di questo mondo, dove i maschi sono maschi e le femmine sono femmine, e non angioletti di bambagia o caprette di cartapesta! Più marcato. E sopratutto per aver dei figlioli che non mi hai saputo fare. Almeno, quando le donne hanno un marmocchio si acquietano! DIANORA E quando non ne hanno, marmocchi? ANDREA Quando non ne hanno, se sono sgualdrine si pigliano un amante.... o due.... o tre.... e se no, si rassegnano agli scappucci del marito. E se no, diventano un castigo di Dio.... e non riparano a niente. È questione di temperamento: io mangio a tutte le tavole e a tutte le ore: senza guardare se chi mi dà da mangiare son padrone o son serve, grandi dame o piccole borghesi. Ho l'amore allegro, io! DIANORA Anch'io sarei allegra. Allegra no, serena. Ma con te! Lascia l'amore: la compagnia. Chi ti vede te, tutto il giorno? Lavori come un facchino: chi ti obbliga? Io no. Anzi.... — non ora, ora ci sono avvezza e preferisco — ma prima, io pensavo che lavorare per te era il modo per stare il più possibile lontano da me. E avevo vent'anni.... avevo il diritto di pretendere che tu fossi solo per me. Tu invece non hai mai cercato che donne e denaro: sudice donne e sudicio denaro. ANDREA sarcastico. Perchè sudicio? Perchè guadagno? Da quando in qua si lavora per rimettere? DIANORA Ma tu spendi cento per aver mille, tu lesini sulle paghe.... ANDREA Te l'ha detto Serralunga anche questo? DIANORA Nessuno. Non me l'ha detto nessuno. So che tu dovresti dare: dare e non prendere. ANDREA Sicuro! Regalare il palazzo al Municipio, il podere ai contadini, e campar di sospiri. Soprattutto quello: tu sull'albero a cantare e io in basso a guardarti. Tu un cicì e io un madrigale: tu una strofetta e io un sospiro. Ci hai pur avuto sempre qualcuno a sospirare: non ti basta? Perchè guarda che a tuo modo l'amore lo fai anche tu. DIANORA Io?! ANDREA Anche tu. Diverso da me, ma lo fai. Al modo che ti piace: guardarsi e non toccarsi. Ma guardarsi, guardarsi molto. DIANORA L'alibi. Tu cerchi un alibi e una rivalsa. ANDREA Noo. Serralunga ti piace. Cappelli meno, e quello è in ribasso. Serralunga è in auge. DIANORA Non è vero. Lo dici per vendicarti del quadro.... ANDREA ride forte. Che ha detto che è falso? Lo sapevo prima di lui. DIANORA Che mi ha detto dell'Isolina. ANDREA Figurarsi! me ne ha liberato. — Ma non si deve permettere di ficcare il naso nelle faccende di casa mia. Sospirare, sospiri pure; ma che mi venga a fare il pedagogo e il moralista, no, non è tollerabile. Maestrino da cinque lire a lezione! Ma ora vedi: un po' per uno a mettere la gente alla porta. Suona. DIANORA pronta, violenta. Che fai? ANDREA Gli insegno come si sta al mondo. Un po' per uno a insegnare. Al servo che entra. Dì al professore Serralunga, che è in sala da pranzo, che passi un minuto di qua. Gli ho da parlare. Il servo esce. DIANORA Bada che non mi vedi più. ANDREA Ho sentito. L'hai detto ogni volta. DIANORA Ma guardami bene: stavolta lo faccio. ANDREA Figli non ce n'è, per grazia di Dio: più aria, più respiro, più largo: buon viaggio. E poichè Dianora accenna a restare. Eh! no. Le donne a certi discorsi non hanno a restare. DIANORA Come vuoi! Ed esce a testa alta. Quando Andrea si volta Marino è già apparso. SCENA VII. ANDREA — MARINO. MARINO si è fermato sulla porta. Vuole me? ANDREA sarcastico. Venga, venga, professore! Si accomodi. E poichè Marino non siede. Vuol Stare in piedi? stia in piedi. «Patti chiari e amicizia lunga....» Ma si corregge. No, non è il caso. «Cosa fatta capo ha....» Ecco, così va bene: quand'è che parte lei? MARINO altero. Perchè? ANDREA Presto, vero? E siccome non credo che avrò l'occasione di rivederla un'altra volta, le do stasera un consiglio: quando passa da Roma chieda il trasloco, perchè questa di Salduggio non è più aria per lei. MARINO fa un passo avanti, freddo, contenuto. Consiglio per consiglio. C'è mica il caso che lei? Col gesto indica la pazzia. Si curi. Se mai conosco a Torino un alienista famoso. ANDREA fa un grande sforzo e si frena. La ringrazio, ma ho la testa solida e le spalle quadrate. Tanto è vero che.... S'interrompe. Eh! no: mi correggo anche questa volta. Il tono è troppo alto, poichè nè lei nè io vogliamo finire con un duello rusticano. Io le posso dire quel che preme con sufficiente chiarezza, ma senz'ira. — Dunque. Io non sono un frate, un prete, un santo.... — e la Marchesa lo sa da un pezzo — sicchè gazzettieri, predicatori, battistrada, non occorrono. Se lei crede — come stasera ha mostrato di credere — di dover ripagare qualche tè o qualche invito a pranzo con qualche informazione di carattere privato, si sbaglia. E non occorre aver commentato i classici latini per sapere di queste cose. Mi sono spiegato? MARINO calmo. Oh, si è spiegato benissimo. E rispondo. Prendo di lontano. Venni la prima volta qui dentro perchè la signora graziosamente mi c'invitò e mi ci volle. Ci tornai perchè alla signora fui gradito. Mi sono sempre considerato ospite della signora: della signora, non d'altri. Per lei, signor marchese, non mi sarei disturbato nè distratto dai miei studi e dalle mie occupazioni, e lei, per mia buona o cattiva sorte, ho incontrato cinque o sei volte in tutto, scambiando parole di cerimonia o chiacchiere da caffè. Dunque lei per me un amico, no: nè consuetudine, nè affinità di sentimenti, nè comunanza d'idee. Se lei, poniamo, fosse per rompersi il collo, direi: «Faccia pure». Per la signora no, è diverso. ANDREA Lo so. MARINO Tanto meglio. Perciò, veda, se io avessi saputo di poter giovare alla signora, con avvertimenti, anche di carattere privato, l'avrei fatto senza cercare se la cosa sarebbe gradita o no a Vostra Signoria. Vero è che io parlando stasera non sapevo di giovare o di nuocere alla signora: riferii semplicemente quel che era «di pubblico dominio» come dicono i «gazzettieri». Questo per il passato, recente o lontano. Per quel che tocca il futuro, abbia io o no a tornare a Salduggio — non è nato ancora chi mi possa dar permessi o imporre veti di stare o di andare, di dire o non dire — il signor marchese di Primasco non avrà più il fastidio di vedermi in casa sua. E questo, s'io ho ben inteso, è quel che le preme. ANDREA Esatto. Brevissimo silenzio. Suona e al servo che apparisce. Accompagna il professore che vuole andarsene. IL SERVO Mi scusi, signor marchese: la signora marchesa la fa avvertire che vuol parlare col professore. Che si fermi e verrà. ANDREA interroga prima col viso poi con la parola Marino. Dica lei. MARINO Sono agli ordini della Signora. ANDREA al servo. Riferisci. Il servo esce. Se è possibile discorso breve. La saluto. MARINO Riverisco. Andrea esce. È appena scomparso quando rientra Dianora. SCENA VIII. MARINO — DIANORA. DIANORA Che cosa le ha detto mio marito? Che accade? Che sta per accadere? Non mi tenga in pena. MARINO calmo. Oh! semplicissimo. E pacifico. Il suo signor marito mi ha messo alla porta. Quindi se lei mi dà licenza.... E quasi si avvia. DIANORA Nessuna licenza! Questa è casa mia. Lei vorrà riconoscere che io rimango padrona di ricevere, di trattenere chi voglio e quanto voglio. MARINO Lei sì. Giusto: chi vuole e quanto vuole. Ma è anche la casa del suo signor marito che mi ha congedato. E contentarsi! In altri tempi il signor marchese di Primasco mi avrebbe fatto impiccare. DIANORA Ma lei, lei.... che intende di fare? E poichè Marino tace. Mi vede in che stato sono? Lei che fa? MARINO con un riso amaro. Signora mia, che vuole ch'io faccia? Tanti saluti alla nobil casata dei Primasco e me ne vado. DIANORA quasi umile. È in collera anche con me? MARINO affettuoso. Con lei? Le pare?! Rancore contro di lei? Buonanotte, ecco. E le tende la mano che Dianora non prende. Diamoci la buona notte. DIANORA Ma.... domani? MARINO Domani? Amaro. Se si ha da giudicare dallo stellato ha da essere una bella giornata. DIANORA ora gli pone le mani sulle spalle e l'obbliga a guardarla. No, eh? MARINO che ora soltanto capisce la sua paura. Battermi? Una gran risata. No, no, non ci penso nemmeno. Mai pensato. Io non ho da tenere alto il blasone. Io sono plebeo, e me ne glorio. E, ringraziando Iddio, ci ho mio padre cui provvedere. E non sono nemmeno cavaliere, io: sono fante. E battermi, d'altronde, non sarebbe difenderla, sarebbe recarle danno e offesa. Se è per questo riguardo, non abbia pensiero. DIANORA Grazie, Serra. Lei non sa quanto io l'apprezzi, quanto la stimi, quanto sono addolorata.... — più, peggio — avvilita, vergognosa, di quel che è accaduto. Se fossi stata più calma, più accorta, avrei potuto evitare. MARINO La prego, signora. Non ci perdiamo in recriminazioni: anch'io se mai, avrei dovuto esser più prudente con lei. Ora mi lasci andare. Vuol congedarsi. Buona fortuna, signora. DIANORA E i suoi libri, dove glieli rimando? Sono due, salvo errore. MARINO sùbito. Se li vuol tenere per mio ricordo.... Si ritrae. Non ci badi a questo che dico: a certe ore nei cervelli nasce e vegeta il bacillo del tenero. Me li rimandi a casa. E mi riverisca il suo signor padre, dato che io non lo incontri per istrada prima ch'io parta. DIANORA accorata Quando partirà? MARINO Presto, presto. Ride sarcastico. DIANORA Ma me ne vado anch'io!... MARINO Lei!? DIANORA Qui con mio marito non ci posso più vivere.... Mi sento tutta livida e pesta come se mi fossero passati sopra coi piedi. In casa mia! senza il più elementare riserbo! con una donna come quella.... sicchè mi potesse trattare da pari a pari.... peggio, lei da padrona io da serva.... ha sentito? Quasi con un grido di liberazione. Ah! non ci sto più! MARINO come se la richiamasse alla realtà. Sì: e dove va? DIANORA Dovunque, purchè non qui. MARINO quasi affermando. Da suo padre? DIANORA No, da lui no. Ossia andrò qualche volta, qualche mese anche da lui; ma ora no, tutta la vita, come una ripudiata, no. No, perchè lui troverà eccessiva la mia reazione. Oh! ci son preparata. È uomo, e uomo di mondo. Senza saperlo, con tutte le possibili limitazioni, ma sarà solidale con lui. Quasi ripetesse probabili frasi, con amarezza. Siamo in alto noi, dobbiamo dare l'esempio! Quando si ha la gloria di aver avuto tra i lontani ascendenti qualche cardinale e perfino un papa, _noblesse oblige_. E in massima non gli do torto. Ma quando si può. Io non posso. Riprende. Non so ancora dove andrò: troppo presto per veder chiaro. Farò un po' di bene, lavorerò, studierò. Mi potrà consigliare anche lei, più in qua. Perchè mi scriverà, vero? Mi vorrà aiutare? Io non la voglio perdere. Vede? tutto questo tempo, lei non mi dava propriamente consigli, ma pure era come una mia guida spirituale: io sentivo la sua presenza, e quel fatto di vedermela accanto, di pensare: «Serralunga si regolerebbe a questo modo» mi sosteneva, mi segnava il cammino più che lei non creda. Quasi solenne, per impegnarlo. Io ci conto su questa sua assistenza, qualunque sia il nostro destino. Ci conto. Intensa. E lei? Mi dica, lei dove andrà? MARINO Ora a casa, a Roma.... Un altr'anno dove vorrà il Ministro.... Si corregge. Dove vorrà il Caposezione. Ma qui o lì è indifferente. DIANORA con qualche esitazione. E mi dica.... Per me.... Per saperlo io. Se non era per stasera, per le parole di mio marito sarebbe tornato a Salduggio? Anche se le avessero proposto un'altra residenza migliore o un altro ufficio più degno di lei? Sia schietto. MARINO Sì. E avrei fatto male. DIANORA a mezza voce. Male perchè? MARINO Perchè qui non è più aria per me! Immagini! oggi me l'hanno detto già due. DIANORA Già due? MARINO con un riso cattivo. Il signor marchese di Primasco e il signor conte Cappelli. Altre parole, altri motivi, ma nella sostanza la nobiltà è concorde. Sicuro! Anche il signor conte Cappelli. DIANORA Anche Cappelli? MARINO forte, levando il capo. Dice che io sono innamorato di lei. DIANORA con la sfumatura di un sorriso. Lo dice anche mio marito. MARINO Ah! — E allora!... Io non me n'ero accorto, ma dev'esser vero. DIANORA timida, ma curiosa, desiderosa di averne conferma. Se non lo sa lei.... MARINO ci ripensa. Ma sì! Forse hanno ragione. Quel bisogno di star con lei, di parlar con lei, di sentirne parlare, di vivere il più possibile al lume della sua lampada.... forse è amore. Domani glielo potrei dire con sicurezza se è vero, dal mio patire per la privazione, perchè fin oggi l'ho vista quante volte ho voluto e mi sono beato della sua presenza. E questo forse è l'amore per me. Perchè la necessità di brancicar con le mani, di afferrarla, di domarla, no, quella no. Io non ho l'amore aggressivo, ferino e tanto meno lascivo.... Petrarca no, ma tanto meno l'Aretino. Forse. Anzi credo di sì.... Ma io! Ed alza le spalle. Passerà.... Il male si è che il Cappelli.... il suo signor marito non so, ma il signor conte Cappelli sì, crede anche di lei.... che anche lei mi voglia bene. DIANORA Anche mio marito me l'ha detto. Ma è probabile che non lo pensi. Accusato, si voleva rifare accusando. MARINO E Cappelli? DIANORA Cappelli è un'anima in pena, sospettoso e in agguato. MARINO Già. Ma è un sismografo. È uno strumento delicatissimo che sente di lontano il pericolo, il disastro. Eh, sì, signora mia, il disastro, perchè se lei veramente sentisse qualche cosa per me, che se ne vuol fare di me? Io dunque l'ho da ringraziare il suo signor marito ch'è uomo di giudizio. Io vado via e metto tutti in pace. DIANORA Quando, dove ci rivedremo? MARINO amaro. Chissà!... DIANORA incitatrice. Ma tornerà a studiare! E a pubblicare. Presto eh! Se non la vedrò, voglio almeno leggerla. Presto. Io forse l'ho distratta dal lavoro, non per vanità, sa, ma pure per un piacere mio, e ne ho sino un rimorso. Un certo orgoglio di sentirmi.... non dico amata, no.... considerata da lei sì, l'ho provato e me ne sono compiaciuta: sono donna e son sola. Lei l'ha visto quanto son sola. Tanto, e da tanto più tempo che lei non creda! Lavori. E gli prende le mani per afforzarlo nel proponimento. MARINO triste. Lasci andare: l'Italia non ha perso molto; può aspettare. DIANORA convinta. Non dica così. Lei deve credere in sè, deve dare il suo cuore e il suo ingegno alla patria. Se io avessi potuto restarle vicino sento che avrei finito col fare qualche cosa di alto di lei. MARINO Credo anch'io. Sono sempre colle mani nelle mani. DIANORA sfavillante. Davvero! È una gran gioia e un tormento sentirmi dir questo. E allora, se è così, mi pensi sempre come se le fossi vicina. Mi lasci almeno questa illusione di non essere passata invano nella sua vita. Non solo di averle attraversata la strada, ma di averla aiutata a trovarla: la troverà. Mi lasci almeno questo conforto: io ne ho pochi, e mi preparo ad averne anche meno, ad aver questo solo. Quale sia stata, quale sia la mia vita lei l'ha intesa anche se non ho parlato che stasera. Il sollievo, il ristoro di questi ultimi mesi era la sua compagnia. Lei sente, vero, che queste parole non sono semplici frasi? Gli leva le mani. Ma io voglio salutarla ancora. MARINO Non venga. Salutarci domani piuttosto che oggi, che vale, se non ci dobbiamo più rivedere? Se lei fosse per me la donna del capriccio.... o io per lei l'uomo del capriccio, allora! Ma il capriccio lo detestiamo io e lei. Io sono superbo: o tutto o nulla. Lei.... Lei.... la preda di un'ora non può essere e non mi piacerebbe. Bella sì.... quanto bella! Lei è donna, padrona, signora. Ecco: signora. E per questo non l'ho mai voluta chiamare marchesa, che non dice nulla. La signora. La signora di Salduggio, Nostra Signora di Salduggio. Ecco ora sa quello che penso, che sento di lei: donna di salute, non di perdizione. Ora sono vicinissimi. DIANORA. Ah! no. Per nessuno, ma per lei poi, per lei non voglio essere la donna del piacere e del sotterfugio. Fianco a fianco avrei voluto esserle, compagna se non avessi potuto esser moglie. MARINO a mezza voce, perduto. Dove va lei? dove va? DIANORA Perchè? Perchè? MARINO Per ritrovarci.... per camminare assieme.... a viso scoperto. Mi pare che lei sarebbe una gran forza e una gran luce per me. E io sono un galantuomo. E le voglio un bene! un bene! tanto bene! Mi vede? Devo aver gli occhi che mi brillano. E anche lei.... Mai così bella come ora! Insieme.... o accanto.... vicini vicini. Come se ci fossimo sposati. Vuole? Mi pare che voglia. Ha una faccia come non gliel'ho mai veduta: un cielo senza nuvole, e una bocca.... una bocca.... Si tende verso lei per baciarla. DIANORA si ritrae senza sdegno, e quasi senza voce. No, Marino, no.... Come ha detto lei: due fidanzati stasera. Ma quando partirà.... se mi vuole.... sarò con lei. Si fa forza e un poco vacillando giunge al campanello e suona. Marino si ricompone. Dianora con voce dolcissima, congedandolo di lontano. Buona sera, Marino. Il servo comparisce adesso. MARINO Buona sera, signora. E mentre Marino si avvia CALA LA TELA. ATTO TERZO. Nella modestissima casa d'affitto di Marino. Uno studiolo la cui maggiore ricchezza sono i libri sparsi per ogni dove. Una piccola scrivania senza ornamenti e senza pretesa di stile. Sedie di paglia. A una parete una incisione sola: il ritratto di Giosuè Carducci di Giuseppe Mancini. Sulla scrivania un piccolo calamaio, un tagliacarte a pugnale. Una porta a sinistra dove sono le due camere di Marino e del padre. In fondo c'è un terrazzino con fiori: dà sulla strada, mentre le camere dànno sulla corte. Tutto è lindo, all'ordine, salvo i libri che sono parte in terra, parte sulle sedie. In terra una cassetta d'ordinanza d'ufficiale: e anche su quella più di un libro. Luce elettrica, ma nessun lampadario; un semplice braccio sulla scrivania. SCENA PRIMA. LA GILIARDI — EMILIO — poi MARINO. Emilio Serralunga è un vecchietto lindo, arzillo, barbuto, asciutto, dagli occhi vivacissimi e dal parlar fiorito, con qualche cadenza dialettale. EMILIO Ah! non lo sapeva? Sicuro! Marino sarebbe il mio quarto figliolo: due femmine e un maschio prima di lui. La mia moglie — poverina — quasi quasi si era impaurita quando si accorse d'essere un'altra volta.... Ha ritegno a dire «incinta» e fa vagamente il gesto della rotondità. Ha capito? Mica che non lo desiderasse, tutt'altro! ci si struggeva dalla grande smania di aver un figliolo, almeno uno!... ma gli altri erano andati a male prima di nascere o erano morti in fascie, capisce? Invece, ringraziando Dio, Marino venne al mondo che era una bellezza, che tutti si voltavano a guardarlo, e stette sempre bene, sempre bene. Prospero e in salute. Ma lei, la mia povera moglie, che l'aveva sospirato tanto! se lo potè goder poco, perchè si ammalò che lui aveva quattro anni: mesi, mesi e mesi in letto e poi.... Fa il cenno ch'è volata in cielo. Ma si vede che dall'alto me lo protegge e benedice. Io non ho mai avuto un dispiacere da lui, mai. È buono. Marino! E poi Si picchia col dito sulla fronte. ha capito? ingegno! Di quello anche la mia moglie ce n'aveva.... Studiare no.... poverina.... non aveva potuto e per questo era ignorante, ma.... si figuri.... S'interrompe nel parlare dolce e lento. Ma io la stordisco e l'annoio.... LA GILIARDI che ogni tanto si distraeva, ma si forzava a mostrarsi attenta. No, no. S'immagini! È un piacere sentirla discorrere. EMILIO Perchè io discorrevo per farle passare il tempo che ha da aspettarlo, ma se invece preferisce restarsene sola a leggere un libro.... io me ne vado di là.... LA GILIARDI lo ferma col gesto. Ma no, ma no. Che le pare? — E ora che sono cominciate le vacanze estive, che cosa intendono di fare? Un po' esitando. Il suo figliolo le avrà pur dette le sue intenzioni! EMILIO Mah! Io non so nulla. E ci ride. Non so nulla. Tanto! per me un paese o l'altro.... Se son con lui che me ne importa? Io credo — credo, veh! — credo che andiamo a Roma. LA GILIARDI Ah! EMILIO Sì, perchè quando mi fece venir qui a Salduggio — domani sarà un mese — sicuro! ci venni il sedici di giugno — quando mi fece venir qui a Salduggio, mi scrisse: «Poi torneremo insieme a casa.» — Ma può anche aver mutato pensiero. Forse — badi che non lo so di sicuro — lui prima va a Venezia per certi suoi studi sui pittori di quella città lì e mi verrebbe a raggiungere. Stamane mi pare che dicesse così.... ma parlò breve, io ero attorno ai miei fiori, e non gli chiesi altro perchè non mi piace apparire insistente. Ride dolcemente. Si, capisco bene, lui è figliolo e io sono il babbo.... Ma quando i figlioli ne sanno tanto più del babbo.... allora i babbi fanno da figlioli, e i figlioli fanno da babbi. E ci ride. E lei, signorina, dove passerà le sue vacanze? LA GILIARDI Io? Vado a casa mia. EMILIO In Toscana, vero? LA GILIARDI In Toscana, a Livorno. EMILIO Ah! Senti: a Livorno? Ci fui.... ci fui.... Cerca nella memoria e rinunzia. Sono tanti anni! Col mio povero babbo. Bella città. Quasi affermativo. Ma in ottobre tornerà a Salduggio? LA GILIARDI Chissà! EMILIO Vorrebbe cambiare? O che non ci si trova bene? Certo è piccolina, non ci sono molti svaghi, ma pure è graziosa.... Anche questi signori marchesi di Primasco dice che sono tanto ospitalieri, tanto accoglienti.... La signora marchesa specialmente. Lei, signorina, la conosce? LA GILIARDI No, non la conosco. EMILIO sorpreso. Ah! no? Io la vidi un giorno di sfuggita.... Me la segnò a dito un bottegaio, ma mi sarebbe piaciuto, non dico di avvicinarla.... ci avrei troppa soggezione.... ma di sentire anche da lei.... Una chiave gira nella toppa. Marino è qui.... Si alza per avviarsi, ma Marino sopraggiunge. Anche la Giliardi si è alzata. MARINO tra dentro e fuori. Ciao, babbo. EMILIO Guarda, Marino! E indica la Giliardi. MARINO un po' inquieto. Oh! Che c'è? Qualche novità? LA GILIARDI Ma no! Vi ho voluto fare una sorpresa. MARINO È la vostra prima visita. LA GILIARDI Almeno una: la visita di congedo. MARINO Partite domani? LA GILIARDI incerta. Domani, dopo domani.... MARINO volgendosi al padre. Le hai offerto da bere? EMILIO Non ha voluto. Ti aspetta da un pezzo, sai! MARINO Bravo, che le hai tenuto compagnia. LA GILIARDI Gli son proprio grato. Emilio ridente fa un piccolo inchino. MARINO Voi non lo conoscevate mio padre? LA GILIARDI Non avevo questo piacere. Altro inchino di Emilio. Sì, sì, non per modo di dire: il piacere. Mi ha fatto vedere anche i fiori.... Che bravo! Silenzio. EMILIO quasi chiedendo più che il parere il permesso di Marino. Allora io vado? MARINO Va' va'.... Ma non esci, vero? Quando già ero su per le scale mi sono ricordato che dovevo prendere.... Poi ti dico. Fa una carezza lenta e amorosa su tutto il viso del padre. Vero che è simpatico il mio vecchietto? Emilio scuote la testa sorridendo. LA GILIARDI Che Iddio ve lo conservi. EMILIO si congeda dalla Giliardi. Si conservi anche lei, signorina. LA GILIARDI Non mi chiami signorina. EMILIO guarda Marino come sempre a chiedergli consiglio. E come devo dire? Dottoressa, professoressa? LA GILIARDI Dica Teresa, dica figliola.... EMILIO Troppa confidenza, così presto; vero, Marino? Se tornerà lei e se tornerò io un altr'anno, allora sì, dirò «Teresa». Va bene? Buone vacanze. LA GILIARDI Grazie. Gli prende la mano, gliela vorrebbe baciare. EMILIO si ritrae e dice scherzosamente. Ma che fa? Non sono mica il vescovo. Ha capito? Alla porta fa un altro breve inchino ed esce. I due lo seguono con gli occhi fin dopo che è uscito. Quando si voltano si fissano. Hanno un'altra faccia, una faccia ansiosa. MARINO concitato. E dunque? Che significa questa vostra visita? LA GILIARDI Niente. MARINO Eh no! Niente no. Ma dite presto perchè ho molte cose da preparare. LA GILIARDI Per la vostra partenza. MARINO la fissa in silenzio. Naturalmente. Per la mia partenza. — E poi? Dite, fuori. LA GILIARDI si decide. Vi volevo parlare di Cappelli. MARINO Ah! ecco: ora ci siamo. LA GILIARDI Non so quello che gli abbiate detto.... o voi.... o un'altra persona.... Parte ha indovinato, parte ha avuto delle confidenze.... Io so e non so.... o meglio, credo di sapere. Poi più basso, intensamente, accoratamente. È disperato. MARINO aggrotta le sopracciglia. Più chiara. Siate più chiara. Non parlate per strambotti. LA GILIARDI Sì che mi capite. Forse lui, con l'immaginazione, va anche più in là del vero. Io dovrei essere contenta che soffrisse per quell'altra: senza volerlo, nè lui nè lei, mi hanno fatto tanto male! Lei senza responsabilità, senza colpa, lo riconosco.... Dovrei esser contenta; e invece no.... E quando lui mi ha detto di voi, ne ho patito per lui. In certe ore c'è una solidarietà.... illogica, innaturale.... ma c'è. Pensate a che punto di desolazione dev'essere se è venuto a piangere da me: come un ragazzo! MARINO aspro. È venuto da voi! LA GILIARDI Soffre tanto! MARINO A piangere da voi! È straordinario! LA GILIARDI Che importa! Sapeva che io lo potevo capire. E soffre: ma dire che soffre è poco: non vi fate un'idea. Con una certa esitazione iniziale. Quella signora.... non l'amava, ma ormai ci si era rassegnato.... la vedeva.... le parlava.... e, comunque, forse sperava.... si spera sempre.... Ma quel saper che lei ama un altro.... che quell'altro siete voi.... MARINO enigmatico. Avanti, avanti. Andate avanti. LA GILIARDI svolta il discorso e prega. Marino! Cappelli vi vuol bene, vi ha sempre portato in palma di mano, per voi non sentiva invidia, ed è proprio lui che ve l'ha fatta conoscere.... Siate buono con lui.... MARINO Cioè; in che consiste esser buono? L'altra esita. Coraggio, cara, coraggio! Il tono è quasi gentile, ma l'intenzione è sarcastica. LA GILIARDI Cappelli crede che dobbiate partire con lei.... o raggiungerla.... Non sa bene.... Non commettete una pazzia e una cattiva azione. MARINO Ah! Dovrei partir solo? Con una mezza risata. Non chiedete che questo? Siete discreta! E anche lui è discreto.... perchè vi ha mandato lui. LA GILIARDI No.... Vi giuro: lui non sa. MARINO Iniziativa vostra, allora. Ma sentite un po' voi: se lui — Cappelli intendo, — vi dicesse: «Vieni via con me» Movimento della Giliardi tra la gioia e lo sgomento. voi andreste.... In capo al mondo andreste. Eppure sapete che lui non vi ama. Ebbene, questa no, per voi, questa non sarebbe una pazzia. È una pazzia, è una cattiva azione perchè non si tratta di voi due, perchè si tratta di me, si tratta.... di un'altra persona. LA GILIARDI Ma io sono libera di me. MARINO d'impeto. E anche lei è libera. Quando si è legati a un mascalzone ci si scioglie, si diventa liberi, si torna liberi. LA GILIARDI Io non farei male che a me sola. MARINO E lei a chi fa male? A Cappelli, vero? Ma Cappelli è nessuno per lei. Niente e nessuno. Sono brutale? È il solo modo di andare in fondo alle cose, di non lasciarci abbacinare dalle lustre. Cappelli è chiunque, è uno del prossimo. LA GILIARDI È chiunque anche per voi? MARINO È un amico. Ma se certe decisioni si dovessero prendere dopo aver chiesto il parere o il consenso degli amici! eh!... E quanto al marito vi ho detto che è una canaglia e che se ne infischia. LA GILIARDI Forse no. MARINO Tanto meglio. LA GILIARDI E suo padre? MARINO Suo padre.... Un secondo di esitazione. Suo padre doveva informarsi prima, saper prima a chi la dava. LA GILIARDI E vostro padre? Nemmeno voi ne avete doveri? Vostro padre che vive di voi, è chiunque anche lui? MARINO prima smarrito, sgomento, ora le torna di contro. Non avete mica detto nulla voi a mio padre? O', non facciamo scherzi! E la rivolta a sè col braccio. LA GILIARDI Per chi mi prendete? MARINO Scusate: sono eccitato. Lascia cadere le braccia, quasi umile. Eh! sì: c'è mio padre; è vero. Se non mi vedete esultante, è per lui. Gli dò certo un dolore, e comunque faccio cosa che mio padre nella sua beata semplicità, nella sua ingenuità fanciullesca non può approvare. Lo so. Si rianima. Ma d'altronde! Ci si batte per le proprie idee anche se non sono quelle di nostro padre, anche contro nostro padre: si va alla guerra — io ci sono andato — anche se si ha il padre e si potrebbe restare a casa o almeno restare indietro, al sicuro. Dio guardi se a una certa età non si fosse liberi, autonomi, e non si lottasse, e non ci si perdesse finanche, per il proprio bene, per la propria causa, sia donna, sia arte, sia patria. Quando si è uomini si ha il diritto di correre dietro le farfalle o incontro alle fucilate, da soli, senza consensi. Egoismo? Sarà. Ma è quel divino egoismo che solo permette di compiere cose grandi: nel bene e nel male. La vita è sempre un contrasto fra un dovere e un altro dovere, fra un sentimento e un altro sentimento più grande. Queste cose non le devo insegnare a voi, che me le potreste insegnare, che me le insegnate in questo momento. LA GILIARDI Io?! MARINO Voi. Il vostro dovere era.... non darvi, ma un amore che vi è parso un dovere più grande, tanto premeva su voi, vi ha spinto a darvi. Il vostro sentimento vi spingerebbe a godere che Cappelli soffra per un'altra donna che vi ha fatto soffrire: invece un altro sentimento più forte vi spinge qui a intercedere per lui. Che resta di tutte le vostre parole? Nulla. LA GILIARDI Ma.... MARINO Nulla. Che cosa vorreste da me? Che io rinunci alla mia felicità perchè lui soffra un po' meno? Andiamo: non siamo più ragazzi nè io nè voi. Parliamo di cose serie, se s'ha da parlare ancora. LA GILIARDI un breve silenzio. Va bene: visto che tutto quello che non vi riguarda direttamente non vi sembra serio, parliamo di cose che toccano voi, voi in pieno; di cose che parranno serie anche a voi. Sapete quello che si dirà?... l'ingegno non conta, il valor personale non conta.... foste, non so.... Giosuè Carducci redivivo, si dirà che lei, la signora, è nata principessa di Melisangro e che voi siete un maestro di scuola. Lei una squilibrata, voi un mantenuto. MARINO Perdio! come lo difendete bene il vostro uomo! Coi denti e con l'unghie. Con spavaldo coraggio, senza badare alla botta. alzando un poco la voce. «Si dirà....» Ma chi lo dirà? Qualche farabutto o qualche infrollito. Me ne infischio fin d'ora. Faremo una vita così semplice e così modesta, uno accanto all'altra, uno per l'altra! Intanto io non sono un qualunque maestro di scuola, io. E non è una donnicciola qualunque, lei. Io e lei ci sentiamo molto più in alto della bassa o della media statura degli uomini e delle donnette che passano. Eh! no: aria, aria, aria! LA GILIARDI Sicchè lo scandalo non vi fa paura? MARINO Niente mi fa paura. Se non avete altri moccoli è veglia spenta. LA GILIARDI desolata. E sia. Me ne vado. MARINO O brava! Perchè ho da fare. LA GILIARDI Addio. MARINO Riverisco! La Giliardi esce. Si sente lo sbattere della porta che si chiude. Marino rimane un momento pensoso, poi si mette attorno a raccoglier libri, allorquando Emilio rientra. Marino si volta. Babbo, volevi? EMILIO Io nulla. Piuttosto tu che mi avevi raccomandato di non uscire e pareva.... MARINO si ricorda. Ah! già: restituire certi libri al Ginnasio. Ma non occorre che ci vada tu. Faccio più presto da me. E prende tre diversi volumi. EMILIO Graziosa quella signorina Giliardi! ha un'aria semplice che mi piace. MARINO distratto, come un'eco. Sì, semplice. EMILIO Non si sposa? MARINO Chi? Non so. No: non si sposa. EMILIO Non ha trovato chi la voglia? Trovano tante che non se lo meritano, e lei che sarebbe una brava moglie.... Non credi? MARINO Credo. Incerto. Senti babbo.... E sospende. EMILIO Di', caro. MARINO forzatamente semplice. Forse non potrò partire con te.... Tu dovrai precedermi. E anche se partiamo assieme.... No, è un discorso lungo. Più tardi, ora vado. E si muove. EMILIO Starai fuori un pezzo? MARINO No, non crederei. Ma non so. EMILIO Per il desinare. MARINO All'ora solita. Se tardo.... EMILIO Vai dai marchesi di Primasco? MARINO No. Perchè? Lo accarezza sui capelli col gesto abituale anche più affettuoso e più trepido. Il mio babbo! il mio babbo! Esce in fretta. SCENA II. EMILIO — IL PRINCIPE. EMILIO spalanca il terrazzo, ne trae, per portare nella stanza, due vasi di fiori. Uno dopo l'altro con le forbici ne taglia qualche foglia appassita, canticchiando. Poi leva di tasca una pipetta di radica, l'empie di tabacco, quando si suona all'uscio. Allora in fretta riporta i fiori in terrazza, ricaccia in tasca la pipa, va ad aprire e rientra col principe di Melisangro. Entri, entri. IL PRINCIPE Il professore è in casa? EMILIO lo guarda, cerca di fissare la fisonomia, di riallacciare vecchi ricordi: chi è? eppure! Nossignore. È uscito. Che gli ho a dire qualcosa? IL PRINCIPE Grazie: volevo proprio parlare con lui. Starà molto a tornare? EMILIO Non crederei. Mi ha detto di no, ma non ha precisato. Se si vuole accomodare.... o se crede di tornare più tardi.... IL PRINCIPE Tornerò tra mezz'ora. Se intanto venisse gli direte che c'è stato il principe di Melisangro. EMILIO sorride soddisfatto. Ah! ecco: il principe di Melisangro. Mi pareva e non mi pareva. Sono passati tanti anni, ma la memoria delle fisonomie mi serve ancòra. IL PRINCIPE l'osserva incerto. Eppure!... EMILIO Ma sì, signor principe. Sono Emilio. Gli si ricorda più precisamente. Il bidello del Liceo Cavour. IL PRINCIPE sorpreso, lieto, quasi commosso. Emilio?... Sei tu, Emilio!... Emilio.... ma guarda! EMILIO Dopo tanto tempo! Gli anni, poverini, anche loro lavorano, distruggono, ma qualche cosa, scava, scava, sotto sotto ci resta. IL PRINCIPE come ripetendo a sè. Ma già: Emilio. Come son contento di rivederti! EMILIO Io tanto quanto non può credere! Se mi vuol far l'onore di accomodarsi.... Ridendo. Come faceva allora, signor principe. IL PRINCIPE Sicuro che mi accomodo. Figurati se non voglio fare una chiacchierata con te dopo tanti anni! Emilio: quanti sono? EMILIO come per scacciarli col gesto. Non li diciamo che è meglio. IL PRINCIPE Stai bene, sai. Non sei mai stato un colosso.... ma ti trovo in buona salute. Vecchierello, si capisce. Canterella. Siamo diventati vecchi. EMILIO Io son diventato vecchio. IL PRINCIPE E io no? EMILIO Ne ho tanti più di lei! Sorride. O', ne ho settantadue! Son molti. Allora ero giovane anch'io. IL PRINCIPE E come mai tu sei qui a Salduggio? EMILIO Ah! ci son venuto a trovare il figliolo. IL PRINCIPE Quale figliolo? EMILIO Eh! Il professore. IL PRINCIPE Ma sì, caro, scusa. Serralunga, Emilio Serralunga.... Ma tu per me, per tutti gli scolari del Liceo Cavour eri Emilio. Ti si chiamava per nome. E ci hai quel figliolo solo? EMILIO Quello solo. IL PRINCIPE Ma di quello lì te ne puoi contentare. È un bravo giovane. EMILIO Ah, sì, questo sì. Ringraziando Dio, sì. Lo sa, signor principe, che anche da ufficiale si fece tanto onore? IL PRINCIPE Lo so, lo so. EMILIO Bisognava sentire il suo colonnello, quando andai che gli diedero la medaglia, al mio Marino. Con tenerezza e orgoglio. Ah! il mio Marino.... Come spaventato, ridendo. Uh! se torna e mi sente che faccio le sue lodi, mi mangia! Ma creda, signor principe, così bravo com'è non me lo meritavo. IL PRINCIPE Perchè non te lo meritavi? Anzi! Sei sempre stato un brav'uomo e avrai fatto tanti sacrifici per lui! Chissà con quanti stenti te lo sei tirato su! EMILIO Eh! sì. E tutti che mi dicevano: «Da' retta, mettilo a un mestiere, che tanto non ci arrivi a vederlo con la laurea». E io: «No, no, nemmeno per idea. Ogni anno che studia è uno di più che fa e uno di meno.... che gli manca a finire. Se non ci arrivo io a vederlo dottore, che importa? Purchè ci arrivi lui!» O lei signor principe — mi scusi l'ardire della domanda — o come mai è qui a Salduggio? Si apre la porta. Marino non visto rimane fermo, stupito della presenza del principe, e più del tu confidenziale che delle parole del colloquio. Alcune delle quali lo abbattono, lo feriscono. SCENA III. IL PRINCIPE — EMILIO — MARINO. IL PRINCIPE O che non lo sai che ci ho qui una figliola maritata? Sicuro: la marchesa di Primasco. EMILIO stupido. O senti! La signora marchesa è la sua figlia! Quella signora tanto bella che ne dicono tutti tanto bene? E che è tanto alla mano che non pare nemmeno d'una gran nascita? Ha avuto anche la gran finezza di ricevere in casa sua il mio Marino, come se fosse uno della sua condizione. IL PRINCIPE con una certa degnazione. Che c'entra! Se uno dovesse badare a queste cose.... O lo sai che ci ho ancòra due libri legati da te? Sicuro! Un _Ariosto_ e una _Fisica_ del Ganot. Te lo ricordi quando venivo in portineria coi libri da legare? Emilio è tutto umile e contento. e che più di una volta — non mi ricordo se fosti tu.... o tuo padre.... o la tua mamma — mi nascondeste nel vostro sgabuzzino perchè il Preside non mi vedesse e capisse che il professore mi aveva messo fuori di classe? Ero un gran ragazzaccio! EMILIO Ma no, signor principe, che dice mai! Era un ragazzo. Il suo signor padre, che Dio l'abbia in gloria, una volta che mi seppe in strettezze e che volevo comprare una macchina per legatoria, mi dette trecento lire.... — gliele resi, sa.... gliele resi.... Ora vede Marino, tutto festoso. Marino? Quando sei venuto? MARINO con la gola secca. Adesso. Si avanza e saluta col capo il principe. IL PRINCIPE Oh! bravo professore. Lo sa? Battendo sulla spalla ad Emilio. che ho conosciuto il suo babbo quando lei era «in mente dei»? EMILIO contento. Sicuro! Da più di quarant'anni. IL PRINCIPE E il babbo del suo babbo. Quand'ero scolaro al Liceo Cavour. EMILIO quasi con orgoglio. Ero il suo bidello. IL PRINCIPE Siamo vecchi amici, noi. EMILIO Lo vedi, Marino? Come se fossi un suo pari. IL PRINCIPE E che sei? Non sei un uomo come me, un brav'uomo come me, anzi più di me? EMILIO ridendo. Sì, so appena leggere e scrivere! E poi sarà come vuole lei, signor principe, ma i signori son signori — specialmente i signori di nascita, vero, Marino? — e i poveri son poveri. E quando un signore come lei si degna.... IL PRINCIPE Ma non dir così. Ci sono tanti signori che non valgono nulla. E invece, lo vedi il tuo figliolo.... S'interrompe. Oh! scusi, professore, io seguito a dar del tu a suo padre. EMILIO vivacissimo. Vorrei vedere che non mi desse del tu. Mi offenderei, vero, Marino? MARINO Lei, principe, voleva me, immagino. Se mi vuol dire.... EMILIO Sì, caro, hai ragione. Vuol prendere congedo. Se il signor principe mi permette.... IL PRINCIPE Ti permetto, ti permetto. Speriamo di rivederci. Addio, Emilio. Tanto tanto piacere di averti incontrato. Mi hai fatto tornar ragazzo. E gli porge la mano. EMILIO gliela prende. Signor principe.... E fa per baciarla. IL PRINCIPE Ma che fai? E gliela batte sulla spalla. E se m'incontri per strada e io non ti vedessi, non aver soggezione. Ciao, Emilio. Emilio, di sulla porta della sua camera fa un inchino cerimonioso ed esce tutto ridente. SCENA IV. IL PRINCIPE — MARINO. MARINO rimane in piedi. Fa cenno al principe di sedersi e dice irrigidito. Mi dica. IL PRINCIPE bonario. Senta un po', professore. L'altra sera.... martedì sera, lei andò via da casa Primasco all'improvviso.... senza nemmeno prender congedo da me. MARINO Ma lei non sa.... IL PRINCIPE bonario. Non è un rimprovero. Credo di sapere. Almeno in parte, so. Quando martedì sera richiesi di lei, mia figlia, muta, chiusa, il marchese ciarliero, gaio, ma di quella gaiezza insolente che mi piace poco. Fra ieri e oggi mi è parso d'intendere che lei, in seguito a qualche parola vivace di mio genero, avrebbe deciso di non tornar più a casa nostra.... Casa nostra finchè ci sono io. E anche quando non ci sono; casa di mia figlia, anche casa mia. Questo incidente mi dispiace, per lei che stimo.... e più ancòra.... Be', conosco mio genero e oramai dovrebbe conoscerlo anche lei: ogni tanto dà una sgroppata come un cavallo di sangue. Non è dunque il caso di dar troppo peso alle sue parole. MARINO stupito, vivacissimo. Le conosce? IL PRINCIPE Le parole a volte saltano come i mortaretti: polvere e fumo. MARINO Ma le conosce? IL PRINCIPE Non precisamente, le ho detto, ma pure.... MARINO Io sono stato messo alla porta. IL PRINCIPE Ma son qui io a invitarla a tornare. MARINO Lei: non suo genero. IL PRINCIPE Non le basta? MARINO Non mi basta. IL PRINCIPE Irremovibile? MARINO Irremovibile. E il signor marchese può essermi grato della mia discrezione. Non ho fatto nulla, non farò nulla contro di lui. IL PRINCIPE Già: ma non c'è solo lei in gioco. Se no, scusi, non sarei qui. Altre volte non sono mai intervenuto nei piccoli dissensi — inevitabili — tra la marchesa e mio genero: ho lasciato che si sbrigassero tra di loro, anche se presente: brevi contrasti coniugali che si accomodavano. Stavolta però la marchesa è irritata.... per lei.... e per altro. Il dissidio è più aspro; come tra potenza e potenza. Ho rilevato una frase: «O il professore ritorna o io vado da lui....» Esagerazioni. Esasperazioni. In altre circostanze, se anche la marchesa di Primasco avesse salito queste sue scale di pieno giorno, niente di meno che corretto; ma se fosse oggi, un atto troppo marcato, di voler prendere le sue parti contro il marito, potrebbe determinare una mezza catastrofe. A rompere si fa presto; saldare poi è difficile. E io contavo di poter tornare a palazzo con una sua promessa per gettare acqua sul fuoco. Ho detto fin troppo. MARINO La ringrazio della sua fiducia. E sono grato alla signora marchesa del suo sdegno e della sua difesa. Sono grato anche del pensiero espresso di una sua visita; ma che si fermi all'intenzione e non venga. Glielo può dire, se crede: non mi troverebbe. IL PRINCIPE sorpreso. Noo? MARINO Oggi non mi troverebbe. E domani sarò in viaggio con mio padre. IL PRINCIPE Così presto? MARINO Anticipo. IL PRINCIPE rasserenato. Forse è meglio. E la ringrazio. Se mio genero l'ha offesa si abbia da me le sue scuse; un giorno o l'altro forse riceverà le sue dirette. MARINO alzandosi. Un giorno, se la signora marchesa me lo permetterà, le scriverò, spiegherò, mi scuserò anch'io se non prendo congedo da lei. Intanto me la riverisca. A Salduggio non torno. IL PRINCIPE si alza. Nemmeno un altr'anno? MARINO Non credo. Domando al Ministero un'altra sede. Qui mi manca il materiale per i miei studi d'arte. Breve silenzio. Non hanno più altro da dirsi. IL PRINCIPE Penso che lei abbia da fare. MARINO Molto. IL PRINCIPE Speriamo di rivederci. Se non qui, altrove. MARINO Grazie. IL PRINCIPE Buona fortuna. MARINO ringrazia col capo, e gli fa strada. Il principe esce. Marino richiude e torna pallido, livido, rigido. Finito! Tutto finito! Tutto finito! Poi si muove agitato, febbrile, si trova davanti alla porta della camera e chiama. Babbo, babbo. Emilio quasi non è ancòra apparso. Partiamo domani. E partiamo insieme. Andiamo a Roma direttamente. Ho deciso. SCENA V. MARINO — EMILIO. EMILIO lo guarda. Sì, Marino, sì. MARINO La tua roba è pronta? Se no ammucchiala: e non ti curvare, non ti stancare. Penso io a mettere tutto nei bauli, a chiudere, a spedire. Faccio tutto io. Tutto io. E un altr'anno vieni con me. Tutto l'anno con me, dovunque mi destinano. Piantandoglisi in faccia, sollevandogli il capo. Hai capito? sempre con te, solo con te. Poi d'improvviso, desolato. Ah! perchè mi hai fatto studiare? Eravamo poveri e ignoranti: dovevamo restar poveri e ignoranti. Non avrei guardato in alto e non soffrirei. EMILIO Marino! Che hai? Marino! Che hai? MARINO si ricompone. Niente, babbo, niente. Hai avuto piacere, vero, di ritrovare il principe? EMILIO Tanto! Hai visto come mi ha trattato? Un signore come lui. MARINO Ho visto. EMILIO È stato affabile anche con te? MARINO Anche con me. EMILIO Ti ha forse detto qualche cosa che ti ha fatto dispiacere? Perchè ti vedo turbato. MARINO No, babbo. Niente. Mi doveva riferire per incarico della signora marchesa. Anzi.... senti, se venisse la signora marchesa.... EMILIO Ha da venire? MARINO Non credo! Ma potrebbe darsi.... Se suonano alla porta, tu non ti muovere, ecco. Scusa. Io ho da scrivere una lettera di premura.... tu intanto prepara di là.... Lasciami solo. Scusa. E lo accarezza. Emilio lo guarda ansioso, muto. Ognuno al suo posto, vero? Al suo grado e al suo posto. — Ciao, babbo. Emilio esce. Rimasto solo Marino accatasta dei libri, poi lascia a mezzo. Eh! no: prima scrivere. Scrivere. Scrivere. Pregherò Cappelli. Figurarsi! Ed ha un triste sorriso. O lasciare al portone? Intanto scrivere. Siede alla scrivania, prende carta da lettere e scrive velocemente le prime parole, ma poichè si suona alla porta, straccia il foglio e va ad aprire. Si sente di dentro la sua voce stupita. Lei? Poi rientra con Dianora. SCENA VI. MARINO — DIANORA. DIANORA Non mi aspettava? MARINO Ma perchè? Che ha fatto mai! DIANORA Ha paura? MARINO L'hanno vista entrare? DIANORA Ha paura? O non mi vuol più vedere? MARINO Ma ha incontrato suo padre? Le ha detto che è venuto qui? DIANORA Me l'ha detto. Se no non sarei qui da lei: io e lei ci eravamo intesi. La mia visita a lei non era che una minaccia di rappresaglia: non sarei venuta. Giorno prima, giorno dopo non importava: il nostro destino era segnato. Si pensava che sarebbe stato per tutta la vita. Io almeno pensavo così. MARINO Anch'io. Sposi o con la legge, o senza la legge, o contro la legge. DIANORA Ma le parole di mio padre, se non ha voluto metterlo fuori di strada — e il suo contegno, e il suo viso — mi fanno sospettare che lei ha mutato parere: che si è pentito. Mi spieghi. Credo di averne il diritto. MARINO Sì, ne ha il diritto. Le scrivevo: parlerò. Il signor principe si è incontrato con mio padre: si sono riconosciuti. Mio padre è stato bidello nel Liceo dove il signor principe ha fatto i suoi primi studi. Li ho visti insieme, li ho intesi parlare: ho sentito che non è possibile.... Io e lei non è possibile! La frode, l'abbrutimento, il possesso di un'ora, sì, si potrebbe: ma fare la strada insieme, convivere, sposarci, col prete o senza prete, col sindaco o senza sindaco, sposarci non si può. Siamo troppo distanti: non si può. DIANORA Perchè dice questo? Forse che io non l'ho sempre considerato come un uomo della mia stessa classe. Forse che l'ho trattato come se fosse di un'altra razza, di una razza inferiore? MARINO No, ma da ospite, in casa sua. Io non le sono apparso inferiore in casa sua; le apparirei inferiore in casa nostra. Io stesso non ho avvertito questa distanza fintanto che venivo un'ora da lei: mi pareva che i miei studi, il mio ingegno superassero di gran lunga la sua nobiltà. Ma qui no. In questa cameretta, no. Io vedo il povero padrone di casa che sono. Io mi sento umiliato della mia miseria, della mia goffaggine. Ora che il principe e lei sono passati di qua, avverto che io sono in un certo senso da più di voi, ma sono anche da meno di voi: son diverso, come d'un'altra gente. DIANORA Perchè lei non mi ama. Se lei mi amasse sentirebbe che l'amore distrugge ogni differenza di condizione e di casta. MARINO quasi gridandolo con spasimo. Non è vero, non è vero! Un'ora fa lo dicevo anch'io, lo gridavo, anzi, forse per persuadermene: adesso non lo dico più perchè sento che non è vero. Le bestie sì, non ragionano: si desiderano e si allacciano dovunque, comunque. Le persone no. Per un'ora sì; sì se potessimo abbracciarci e morirne, romanticamente morirne, sì. Ma morirne non si può: anche se non fosse ridicolo o pazzesco, anche se non fosse inumano non si può: morire quando voglio non posso.... Ho mio padre.... mio padre, di cui senza saperlo A mezza voce. mi vergogno. Vede a che punto si discende? Io credevo di esser grande, di esser forte dicendo: è un piccolo impiegato dello Stato in pensione. Questo sì, lo dicevo, perchè mi pareva che accrescesse il mio merito: ma l'umiltà del suo ufficio non l'ho mai precisata innanzi a lei. E anche lei, lei non sa, ma non è più di me. Lei che aveva sopportato le cento amanti di suo marito non gli ha perdonato quest'ultima perchè era una serva. DIANORA Perchè l'amavo e soffrivo di più. MARINO No, ancòra non sapeva d'amarmi, e se mai il suo amore per me l'avrebbe aiutata a tollerare. L'orgoglio, l'orgoglio, l'orgoglio che sopravvive. DIANORA È lei, è lei che è impastato d'orgoglio, non io. Lei che non sente che la sua voce.... MARINO Perchè mi dice così? Crede che io non senta a che cosa rinunzio? Non sa che mi par di morire a strapparmela dalla carne? dal cuore? E lo devo fare! Ma non per la gente, per il mondo, sa! Che crede?... Son tutto un tremito, tutto una piaga e crede che m'importi del mondo! Me ne rido! Non è il fuori di me, di te che mi spaventa. E nemmeno la voce della mia coscienza che mi fa paura. Capisco la rapina per me che sono uomo, anche se fosse una rapina. E non è: è un consenso. E capisco il diritto all'amore per te che sei stata disamata, disconosciuta. Ma tu sei nata vicino a un trono, io dentro una portineria: è dentro di me, dentro di te che ho paura; di me che ti serberei rancore della tua superiorità, di te che tra un mese, tra due, forse prima, troveresti in me qualche cosa d'inferiore, di goffo e non mi ameresti più, o mi ameresti con umiliazione, con vergogna. E non voglio. Con un grido. Non voglio. Non voglio che tu ti dia a me, ora o più tardi, come a un povero. Non saremmo pari, non saremmo pari. E io vorrei essere come te.... più di te, più in alto di te, perchè sono l'uomo io. Non voglio che tu sii la principessa, la regina, e io il borghesuccio, perchè io dovrei essere il re, io il re, per essere amato sempre, sempre, sempre, perchè ti amo, perchè ti amo, perchè ti amo! L'afferra, e poichè ella investita e quasi atterrita dalla sua violenza è ormai alla porta, tra la preghiera e il pianto le dice. Va' via! E la bacia. Va' via! E la bacia. Va' via! E con un ultimo bacio la sospinge fuori della porta. FINE. OPERE DI SABATINO LOPEZ (Edizioni Treves). _La buona figliola_, commedia in tre atti L. 5 — _Bufere_, commedia in tre atti 5 — _Il brutto e le belle; La nostra pelle_, commedie 5 — _Ninetta; Il terzo marito_, commedie 5 — _Mario e Maria_, commedia in tre atti 5 — _Il passerotto; Sole d'ottobre_, commedie 6 — _Teatro color di rosa._ (A-E-I. — Schiccheri è grande. — L'ultimo romanzo. — La fondùa di Natale. — Fatica) 7 — _La distanza_, commedia in tre atti 7 — _Il Teatro_ (Fra un atto e l'altro. — Il segreto. — Daccapo. — La guerra. — Il punto d'appoggio) 2 25 Nota del Trascrittore Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, così come le grafie alternative (ancora/ancòra, danno/dànno e simili), correggendo senza annotazione minimi errori tipografici. *** End of this LibraryBlog Digital Book "La distanza" *** Copyright 2023 LibraryBlog. All rights reserved.