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Title: Storia della Guerra della Independenza degli Stati Uniti di America, vol. 3
Author: Botta, Carlo
Language: Italian
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*** Start of this LibraryBlog Digital Book "Storia della Guerra della Independenza degli Stati Uniti di America, vol. 3" ***


                          STORIA DELLA GUERRA
                          DELLA INDEPENDENZA
                                DEGLI
                        STATI UNITI DI AMERICA


                              SCRITTA DA
                             CARLO  BOTTA


                             VOLUME TERZO



                                MILANO
                         PER ANTONIO FONTANA
                            M.DCCC.XXVII



STORIA DELLA GUERRA AMERICANA



LIBRO OTTAVO


[1777]

Avevano i ministri inglesi già da lungo tempo, siccome abbiam narrato,
fatto il disegno di aprirsi la via dal Canadà sino alla Nuova-Jork per
mezzo di un esercito, il quale venuto dai laghi sulle rive dell'Hudson
si congiungesse nei contorni di Albanìa con tutto, o con una parte di
quello, che militava sotto gli ordini del capitano generale Howe. In tal
modo sarebbero state separate le province orientali dalle occidentali;
il che si credeva, avrebbe dato al certo la vittoria finale della
guerra. Imperciocchè le prime, dov'erano i popoli più avversi, oppresse
da quella prepotente forza, non avrebbero potuto correre in soccorso
delle seconde. Queste poi, quantunque molto lontane dall'Hudson,
avrebbero anche dovuto accostarsi alla fortuna del vincitore, sbigottite
dall'infelice caso dell'altre, abbondanti di leali, che si sarebbero
levati in capo, e fors'anche ingelosite contro la Nuova-Inghilterra per
la potenza sua, ed inritrosite, perchè foss'ella stata la principal
cagione, per l'ostinazione sua, delle presenti calamità. Che poi
quest'impresa non fosse per avere una difficile esecuzione lo dimostrava
l'opportunità dei luoghi tutti aperti, se si eccettua un piccol tratto,
alla navigazione; ed i Francesi medesimi l'avevano tentata nel corso
della precedente guerra. Si era sperato, che già fin nel varcato anno
sarebbe stata mandata ad effetto. Ma parte per gli ostacoli incontrati
sui laghi, parte per la perversità della stagione, e parte perchè,
mentre Carleton procedeva verso Ticonderoga, e per conseguente verso
l'Hudson, Howe, in luogo di salir su per questo fiume per incontrarlo,
si era volto a ponente, ed osteggiava la Cesarea, la cosa non era
riuscita. Ma ora si rinfrescavano vieppiù questi pensieri, e quello che
nei precedenti anni era stato solamente una parte del disegno, soggetta
anche agli accidenti, era diventato in questo il capo più essenziale e
necessario della guerra. Stava tutta la nazione britannica in
grandissima aspettazione, e pareva che di altro non si favellasse presso
la medesima, che di questa spedizione del Canadà, dalla quale si sperava
di breve il totale soggiogamento dell'America. Conciossiachè, o si
poteva senza ostacolo la congiunzione dei due eserciti effettuare, ed in
tal caso si otteneva di queto l'intento; o per impedirla gli Americani
ne sarebbero venuti ad una battaglia giusta, ed in questo caso non si
dubitava punto della vittoria. Nè i ministri avevano tralasciato alcuno
di quei provvedimenti, che ad una tanta impresa erano creduti necessarj;
avendo essi abbondantemente tutte quelle cose somministrate, che i
generali medesimi avevano saputo e immaginare e desiderare. Erasi il
generale Burgoyne, capitano molto esperto, pratico dei luoghi, ed
amantissimo della gloria, recato in Inghilterra nel trascorso inverno,
dove, fatte molte consulte coi ministri, aveva con essi, e formato il
disegno di questa fazione, e fermato il modo di eseguirla. Questi, presa
molta confidenza nell'ingegno suo e nell'ardire, e molta speranza
collocando in quell'ardentissimo desiderio, da cui era egli tormentato
notte e dì, di far chiaro il nome suo nelle cose della guerra, lo
elessero a Capo di tutta la impresa. Nel che ebbero poco rispetto al
grado ed ai servigj prestati in questa medesima provincia dal generale
Carleton, al quale pareva, spettasse il trarla a fine, poichè già
l'aveva incominciata. Era poi anche uomo, al quale bastava, del pari che
a qualunque altro, la vista di governarla con prudenza e con valore. De'
luoghi ancora era assai pratico, avendovi fatto dimora parecchj anni, ed
esercitatovi la guerra. Ma forse erano ai ministri dispiaciute la sua
ritirata dalle mura di Ticonderoga, e la ripugnanza, che dimostrato
aveva grandissima all'adoperar gl'Indiani in questa guerra. Forse anche
la severità sua nell'esercizio del generalato aveva contro di sè
concitati gli animi di alcuni uffiziali, che perciò diventarono poco
favorevoli rapportatori dell'azioni sue. Burgoyne poi determinatosi ad
usar la occasione era venuto in Inghilterra, dove favorito nella Corte,
serpentando alle porte dei ministri, essendo presente, promettendo mari
e monti, tanto fece e tanto disse, che, messo in disparte Carleton, fu
egli eletto generale di tutto l'esercito canadese. Ma il governatore,
vedutosi contro l'aspettazione sua privo del comando dell'esercito, e
ristretta l'autorità sua nella provincia del Canadà, dimandò licenza di
ritornarsene in Inghilterra. Arrivava Burgoyne sul principio del mese di
maggio a Quebec, ed incontanente poneva mano a fare con ogni possibile
sforzo l'uffizio, che stato gli era commesso. Niuna cosa lasciava
intentata per compir gli apparecchiamenti, ch'erano necessarj per
fornire con celerità e felicità la impresa. Arrivavano intanto
dall'Inghilterra le navi cariche d'armi, di munizioni e di bagaglie in
grandissima copia. Carleton con lodevole esempio di temperanza cittadina
secondava Burgoyne in tutti quei modi, che meglio poteva e sapeva,
usando efficacissimamente e l'autorità che gli dava l'ufficio suo di
governatore, e quella che dagli amici ed aderenti suoi, che erano
numerosissimi, derivava. L'opera sua riuscì di molta utilità, e già
tutte le cose erano in pronto per questa fazione, la quale doveva
definire la fortuna di tutta la guerra, e dell'America. Si noveravano
nell'esercito burgoniano tra fanti inglesi e lanzi, meglio di settemila
soldati di ordinanza, non inclusi quei di artiglieria; cioè circa
tremila ottocento Inglesi, ed il rimanente Tedeschi, tutti una bella e
buona gente. Gli artiglieri poi sommavano pressochè a cinquecento. A
questi debbonsi aggiungere quasi che settecento altri soldati, i quali,
sotto gli ordini del colonnello Saint-Leger, erano destinati a fare una
correrìa nella contrada dei Moacchi per ivi assaltare ed insignorirsi
del Forte Stanwix, altrimenti detto il Forte Schuyler. Questi si
componevano di alcune compagnie di stanziali inglesi con alcune reclute
jorchesi, pochi corridori di Anhalt e qualche banda di Canadesi ed
Indiani. Al principal nervo delle genti di Burgoyne erano, secondo il
disegno dei ministri e del generale medesimo, per accostarsi due
migliaia di Canadesi, parte combattenti, e parte spianatori, pallaiuoli,
e marraiuoli, dei quali si prevedeva, si avrebbe, per racconciar le
strade, grandissimo bisogno. Seguiva una numerosa banda di navicellai
per governar le navi sui laghi e sull'Hudson. Oltre i Canadesi che
seguitar dovevano l'esercito, fu fatta la chiamata a molti altri,
acciocchè corressero la contrada, e tenessero i posti mezzani tra
l'esercito, che procedeva verso l'Hudson, ed il presidio, che si
lasciava nel Canadà, il quale sommava, inclusi i fuorusciti montanari, a
meglio di tre migliaia di soldati. Era questo necessario per
intraprendere la comunicazione tra il nemico, ed i mal'affetti nel
Canadà, per raffrenare i disertori, per tramandar le novelle e gli
ordini prontamente, ed in ogni modo per tenere i paesi alle spalle
sgombri e sicuri. Nè qui si ristettero le richieste fatte ai Canadesi.
Molti ancora furon fatti venire per rassettar le fortificazioni del
fiume Sorel, i porti Chambly e San Giovanni, e l'Isola delle Noci. Fu
finalmente fatta tra i medesimi popoli un'accolta di saccardi per condur
all'esercito le vettovaglie, le armi, le munizioni sì da bocca che da
guerra, e tutti gli arnesi creduti alla fazione necessarj. Tra questi
non teneva l'ultimo luogo una grossa quantità di abiti militari da
fornirsi a quei leali, i quali, non si dubitava, sarebbero venuti col
favore della vittoria a congiungersi coi soldati regj. Ma si credette
anco, che allo stabilimento delle cose del Re importassero molto gli
aiuti degl'Indiani; e perciò aveva il governo ordinato a Carleton, che
facesse ogni sforzo, ed ogni arte usasse per raccozzarne il numero di un
migliaio, ed anche più, se si fossero potuti ottenere. Egli, quantunque
per l'umanità sua, che difficilmente poteva tollerare la crudeltà loro,
ed ancora perchè aveva per isperienza trovato, che nelle guerre giuste
ed ordinate, come questa era, doveva l'opera loro più dannosa riuscire
che utile, tuttavia si era con ogni possibile diligenza adoperato per
sollevar quei barbari, e fargli correre all'armi sotto le bandiere
inglesi. Nel che fece grandissimo frutto; conciossiachè o ciò procedesse
dall'autorità sua, la quale invero era grande presso quelle nazioni, o
dalla sete del sangue, o dal desiderio della preda, o dalla leccornìa
dei presenti inglesi, concorrevano a stormo, e talmente si affoltarono,
che i capitani britannici temettero, dessero piuttosto impedimento, che
novella forza all'esercito. Perciò furono costretti a dar licenza a
coloro, i quali, o meno atti parevano alla guerra, o più crudeli, o meno
disciplinabili. Il fornimento delle artiglierie era eccellentissimo, e
tale, che forse mai altro esercito eguale a questo ne trainò
altrettante, nè meglio instrutte, nè più acconciamente governate da
pratichi artiglieri. Si credette un tanto corredo di somiglianti armi
molto necessario per poter isbaragliare di leggieri un nemico
indisciplinato alla campagna, o per isloggiarlo dai luoghi forti e
difficili. I generali, che accompagnavano Burgoyne alla fazione, erano
tutti delle cose militari intendentissimi, e da ogni parte uomini di
guerra compiutissimi. Tra questi tenevano il primo luogo il generale di
artiglieria Philipps, che si aveva acquistato buon nome nelle guerre di
Germania, i brigadieri generali Frazer, Powel, e Hamilton, il
maggior-generale Reidesel brunswicchese, ed il brigadier-generale
Specht. Tutto l'esercito poi in un coi capitani era pieno di ardire e di
speranza. Già si promettevano nella mente loro la vittoria certa e la
conquista dell'America.

Essendo adunque ogni cosa in concio, e tutte le genti, sì proprie che
ausiliarie, arrivate, andò Burgoyne a por gli alloggiamenti presso il
fiume Bouquet sulla occidentale riva del lago Champlain, poco distante a
tramontana da Crown-point. Quivi sendo vicino il tempo di dar principio
alle ostilità, e temendo egli molto della barbarie indiana, la quale,
oltre il disonore che ne nasceva alle armi britanniche, poteva
grandemente nuocere all'esito di tutta l'impresa, si deliberò di raunare
questi Barbari a parlamento, e giusta un costume loro, di far quello
ch'essi chiamano _il banchetto della guerra_. In questa circostanza
favellò ai convitati molto gravemente, e con accomodate parole, affine
di eccitar l'ardor loro nella comune causa, e nel medesimo tempo di por
un freno alle crudeli voglie. Per questo molto s'affaticò nel metter
sotto gli occhi loro la differenza che passa tra una guerra che si fa
contro un comune nemico, nella quale tutta la contrada ed i popoli sono,
e debbonsi nemici riputare, e quella che di presente si esercitava, in
cui i fedeli coi ribelli, i traditori cogli amici tramescolati si
ritrovavano. Raccomandava loro, e severissimamente comandava, non
istessero ad uccider altri, se non coloro, che armati e contrastanti
incontrassero; alle donne, ai vecchi, ai fanciulli, ai prigionieri
perdonassero. Soprattutto contro di questi non usassero, nè lo
scarpello, nè l'ascia, neanco nel calore delle mischie. Solo gli
adoperassero contro i cadaveri di coloro, che morti avessero nelle
giuste battaglie; si guardassero bene sotto niun pretesto, colore o
sotterfugio di non iscarpellare i feriti, e nemmeno i moribondi, e molto
manco ancora di non uccidergli a fine di eludere la proibizione. Metteva
finalmente a prezzo ciascun prigioniero, che vivo gli conducessero
davanti, e minacciava le più aspre pene contro coloro che i viventi
scotennato avessero.

Mentre dall'un de' lati Burgoyne cercava di mansuefare la naturale
ferocia dei Barbari, da un altro si affaticava colle minacce di questa
d'intimorire i popoli, ed alla soggezione disporgli. Mandò egli a questo
fine un bando dal suo campo di Putnam-Creek, dato addì 29 giugno, nel
quale molto magnificava le forze degli eserciti e delle armate
britanniche, che da ogni parte dovevano l'America attorniare e correre;
con parole molto gravi, e con colori assai vivi dipingeva le enormità
commesse dai Capi della ribellione, siccome pure l'infelice condizione,
alla quale era ridotta l'America per opera loro. Rammentava le
arbitrarie incarcerazioni ed i tormenti fatti sperimentar a coloro, che
fedeli si erano dimostrati al Re ed alla patria loro; andava spaziandosi
col descrivere la tirannide esercitata dalle assemblee e dai Consiglj
contro i quieti sudditi, senza distinzione di età e di sesso,
perch'erano essi, o forse perchè solo si sospettava che fossero a quel
governo aderenti, sotto il quale erano nati, e tanto tempo vissuti, ed
al quale erano da ogni legge divina ed umana obbligati. Ricordava, che
si era fatto violenza alle coscienze coll'aver forzato ai giuramenti, od
all'armi coloro, che le inudite usurpazioni detestavano. Proseguiva con
dire, che veniva con un fiorito e potente esercito da parte del Re per
por fine a tante enormità; che invitava i buoni a congiungersi seco lui
per ristorar l'autorità delle leggi; che i casalinghi, gli industriosi,
gl'infermi protetti avrebbe, purchè continuassero a starsene quieti, ed
i bestiami, le biade, e qualunque spezie di foraggi rimossi non avessero
dai luoghi loro, o rotto i ponti, o guaste le strade, e nessun'altra
dimostrazione nimichevole fatto avessero; che fornissero il campo di
ogni sorta di viveri, i quali a contanti sarebbero stati a giusti prezzi
pagati. Denunziava finalmente una terribil guerra a tutti quelli, che,
con menti caparbie ed indurate, nella ribellione continuato avessero;
minacciando loro, che la giustizia e la vendetta gli attendevano in sul
campo, accompagnate dalla devastazione, dalla fame, e da tutti quegli
orrori, che sogliono loro tener dietro. Gli ammoniva in ultimo, non
isperassero di trovare scampo per la lontananza, o nei nascondiglj;
perciocchè solo, che rallentasse il freno agl'Indiani, che a migliaia
(magnificando il numero loro per ispaventare) lo seguitavano, avrebbero
essi razzolato in tutti i canti, e, trovatigli, a condegno gastigo
tratti i nemici della Gran-Brettagna e dell'America.

Questo bando, il quale era poco degno del capitano di una polita
nazione, fu molto, e molto meritevolmente, non che nelle due Camere del
Parlamento, ed in tutta l'Inghilterra biasimato, ma in tutta l'Europa da
tutti gli uomini temperati e generosi. Nè vale il dire, siccome si scusò
Burgoyne, che l'avesse fatto per isbigottire, e non per eseguirlo.
Imperciocchè colle armi esercitate secondo l'usanza delle nazioni
civili, e non colle minacce dei Barbari si debbono i nemici intimorire.
Senza di che le soldatesche, e massimamente gl'Indiani, erano pur troppo
già di per sè stessi inclinati al sacco ed al sangue, e ad intender
daddovvero quello, che forse per finta e per arte annunziava il
capitano. Male si può scherzare con questa sorta di gente, e la materia
stessa non era da burla. Checchè di ciò ne sia, operò il bando un
effetto tutto contrario a quello che l'autor suo ne aspettava.
Quell'ardita generazione di uomini, e molto latina di bocca, che abitano
la Nuova-Inghilterra, non che non ne impaurissero, se ne trastullavano,
ed incontrandosi per le compagnevoli brigate, andavan dimandando l'un
l'altro le novelle di quel ventoso intronamento, come lo chiamavano, e
di quelle vesciche che venuto era a vendere in America l'ampolloso
capitano della Gran-Brettagna.

Gittati Burgoyne questi fondamenti alle cose sue, dopo d'aver soprastato
alcuni giorni a Crown-point per ordinarvi e riempirvi i magazzini, per
fondarvi gli ospedali, e per altri servigj farvi, necessarj
all'esercizio della guerra, procedeva con tutte le sue genti alla volta
di Ticonderoga. L'ala dritta marciava sulla riva occidentale del lago,
la sinistra sull'orientale, e la battaglia era trasportata sulle navi
per le acque del lago medesimo. La presa di quella Fortezza, senza la
quale non si poteva a patto nessuno passare più oltre, era la prima
fazione che si proponeva di fare l'esercito reale. Era il luogo assai
forte per natura e per arte, e si aveva ancora la memoria dell'infelice
assalto datogli nel 1758 dalle genti britanniche contro le francesi, che
vi erano dentro. Ma parte per levarsi dal viso quella macchia, parte
perchè tal era l'ardire del presente esercito di Burgoyne, che ogni più
difficile impresa, piana e facile riputava, credeva di doverne fra
brevissimo tempo riportar la vittoria. Giungevano sotto le mura di
Ticonderoga il dì delle calende di luglio. Nel medesimo tempo quella
squadra spedita, che abbiam detto dover correre il paese dei Moacchi,
condotta da Giovanni Johnson, e dal colonnello Saint-Leger si moveva da
Oswego, per andar ad osteggiare il Forte Stanwix. Il quale acquistato,
s'intendeva, dovesse recarsi a campo tra questo medesimo Forte e quello
d'Edoardo, posto sulle rive dell'Hudson, a fine di tagliare il ritorno
alla guernigione di Ticonderoga, ed ivi congiungersi col grosso
dell'esercito.

L'esercito americano, al quale era commessa la cura di contrastar il
passo alle genti del Re, e difendere Ticonderoga, era troppo più debole,
che non si conveniva ad un tanto bisogno; che anzi era stato sì stremo
di soldati durante l'inverno, che si temette, non gl'Inglesi non se ne
impadronissero per una battaglia di mano. Giunta la primavera, e
spesseggiando ogni dì più gli avvisi, che l'esercito nemico si
avvicinava, faceva il generale Schuyler, al quale aveva testè il
congresso dato il comando di tutte queste genti, ogni sforzo, ed ogni
arte usava per fare accolta di nuove. Desiderava egli, e sperava di
raccorre un novero almeno di dieci migliaia, il quale era necessario per
l'opportuna difesa di tutti quei luoghi. Ma la bisogna dello arrolare
procedeva molto lentamente. Ripugnavano in questo tempo i popoli
grandemente a condursi sotto le insegne, sia per una naturale freddezza,
sia perchè, o per arte degl'Inglesi, o per credenza dei capitani
americani si era divulgata la opinione, che l'esercito del Re non
dovesse già fare la fazione di Ticonderoga, ma sibbene che imbarcatosi
pel San Lorenzo, e quindi viaggiando per mare, fosse per andar a
congiungersi con quello del generale Howe. Per le quali cagioni,
allorquando le genti del Re apparvero improvvisamente sotto le mura di
Ticonderoga, se quelle di Schuyler arrivavano, certamente non passavano
il novero di cinque migliaia, incluse quelle che si trovavano dentro la
Fortezza, le quali sommavano ad un dipresso a tre migliaia, numero poco
sufficiente a difendere un sì gran circuito di mura, e tante pendici.

Siede Ticonderoga sulla riva occidentale di quell'emissario, pel quale
le acque del lago Giorgio scorrono in quello di Champlain.
Quest'emissario è lungo da dodici miglia, ed alla sua bocca inferiore
verso il Champlain è posta appunto la Fortezza di Crown-point.
Ticonderoga è fondata sopra una punta di terra, la quale da tre parti è
circondata dalle acque, le sponde delle quali sono alpestri e dirupate.
La parte a maestro, la quale sarebbe aperta, ha per difesa una profonda
palude, e le fortificazioni già fatte construrre dai Francesi. Gli
Americani avevano questo fianco assicurato con nuove fortificazioni.
Istessamente sulla sinistra un po' più in su verso il lago Giorgio nel
luogo dov'erano i mulini da segare, fatto avevano nuovi bastioni,
siccome pure sulla dritta un po' più in giù verso il lago Champlain.
Dall'altra parte dell'emissario, cioè sulla riva orientale di lui, e di
rincontro a Ticonderoga havvi un poggio, che gli Americani chiamarono
col nome di monte Independenza. Molto diligentemente lo affortificarono,
e munirono con grosse artiglierie. In cima al poggio, dov'era una
piccola pianura, construssero un Forte stellato, e sui fianchi grosse
trincee e ripari, perchè stessero a sopraccapo, e difendessero quelle
fatte a riva l'acqua. E perchè la comunicazione tra Ticonderoga ed il
monte Independenza fosse libera ed aperta, avevano gli Americani
edificato un ponte sull'emissario, opera di molta fatica ed industria.
Consisteva esso in ventidue grosse travi conficcate profondamente nel
letto dell'acqua, le quali servivano di pile. I tramezzi poi erano fatti
di grosse assi fortemente tra di loro e colle pile collegate con catene,
ed enormi aguti ribaditi. Ma siccome il nemico, che abbondava di
navilio, poteva facilmente venire contro il ponte e romperlo, così
avevano essi ficcati nel fondo da una riva all'altra dell'emissario
davanti, o sia sotto il ponte, alcuni aguzzi stecconi uniti insieme con
barre di ferro riconficcate, e con grosse catene. In tal modo non solo
era aperta la via tra l'un Forte e l'altro sulle due rive
dell'emissario, ma ancora l'adito affatto chiuso da tramontana a ostro.
Quella parte dell'emissario ch'è sotto Ticonderoga, ed è il capo del
lago Champlain, si allarga molto, e diventa capace di grosse navi, ma
l'altra parte, ch'è sopra la Fortezza, ed è la coda del lago Giorgio, è
molto stretta e difficile pei gorghi e le cadute. Ma sotto le mura di
Ticonderoga viene a congiungersi con esso lui sulla sua destra riva un
altro fiume, o piuttosto fiumana, che chiamano in questo luogo
Southriver, e più in su, come già abbiamo detto in uno dei precedenti
libri, Wood-creek. Tutte queste acque congiunte insieme formano una
specie di lago a ostro del ponte sopraddetto, e la punta di terra che si
comprende tra le medesime chiamano, essendo essa elevata a guisa di
monte. Sugar's-hill. La chiamavano altre volte Mount-Defiance, o sia
monte Diffidenza. Questo monte signoreggia del tutto Ticonderoga,
dimodochè chi ne fosse padrone, e vi conducesse in cima le artiglierie,
potrebbe battere e rovinar a posta sua la Fortezza. Di ciò si erano
benissimo avvisati gli Americani, e fattovi su una diligente consulta.
Ma considerato, che di già troppo erano deboli per guardare le altre
fortificazioni, si rimasero dall'occupare e fortificar questo monte.
Speravano altresì, che la difficoltà della salita, ch'era grandissima,
in un colla asprezza ed ineguaglianza della cima avrebbero trattenuto il
nemico dal voler tentar di montarvi, ed impeditolo soprattutto di trarre
fin là su le artiglierie.

Era il generale Saint-Clair preposto alla custodia della Fortezza di
Ticonderoga con un presidio di tremila soldati, dei quali un terzo erano
milizie delle province settentrionali. Ma mancavasi di molte cose
necessarie alla difesa, soprattutto di armi, particolarmente di
baionette tanto necessarie per ributtar il nemico, che tentasse di
salire sulle mura. Essendo comparsa l'ala dritta dell'esercito
britannico condotta da Philipps ai due di luglio sul fianco sinistro
della Fortezza, Saint-Clair, o perchè fosse egli stesso troppo debole
per difender tutte le pendici, o che credesse il nemico meno forte di
quello ch'egli era veramente, fe' votare tutti quei ripari, che si erano
fatti sulle rive dell'emissario del lago Giorgio sopra Ticonderoga. Il
che eseguirono i suoi prestamente, non senza però aver prima guasto ed
arso ogni cosa, e massimamente i mulini da segare. Philipps, usando la
occasione, s'impadronì, senza che gli assediati alcun motivo facessero
per disturbarnelo, di un posto di molto momento chiamato il Mount-Hope,
o monte Speranza, dal quale non solo signoreggiava da sopraccapo le
fortificazioni loro, ma ancora tagliava loro affatto la via da
Ticonderoga al lago Giorgio. Occupato il monte Speranza, tutta quella
schiera inglese, ch'era passata sulla riva occidentale del Champlain, si
distese da quel monte a questo lago, di maniera che tutto il fianco
della Fortezza, che guarda verso maestro, era investito, e la via
serrata per la parte di terra. La schiera tedesca guidata da Reidesel,
la quale aveva camminato sulla riva orientale del lago, era giunta
anch'essa sotto le mura della Fortezza, e stava alloggiata a
Three-Mile's-point distendendosi dalla riva del lago, ed essendo
attelata dietro il monte Independenza sino all'East-creek. Di là poteva
essa facilmente, procedendo più avanti, occupare quello spazio di terra,
ch'è frapposto tra l'East-creek ed il South-river, o sia il Wood-creek;
ed in tal modo serrare affatto il passo agli Americani sulla destra riva
del Wood-creek medesimo, per la quale si ha la via a Skeenesborough. Ma
il posto di maggior importanza da pigliarsi dagl'Inglesi quello era del
monte Diffidenza, il quale sta a ridosso, e signoreggia tutta la
Fortezza. E certo era, che, occupato questo e condottevi le artiglierie,
la guernigione doveva o votar precipitosamente la Fortezza, o venirne ai
patti. Fu il monte Diffidenza attentamente esplorato dai generali
inglesi, i quali vennero in isperanza, sebbene credessero ciò non
potersi senza molta fatica e difficoltà eseguire, di potervi salire e
piantarvi in cima le artiglierie. Dal detto al fatto si misero
all'opera, e con tanto studio lavorarono nello sterrare e spianare, che
il giorno cinque era fatta la via e montati i cannoni, di maniera che
all'indomani si poteva dar la batteria. Il presidio non s'ardì mai di
saltar fuori per noiar gli assedianti nell'opere loro, ed impedire o
almeno ritardare i lavori dell'oppugnazione. Trovavansi adunque in
grandissimo pericolo di avere di corto chiuse tutte le strade alla
ritirata. S'accorgevano benissimo, che, perduto il monte Diffidenza,
Ticonderoga non aveva più rimedio; e che non potevano sperare di far una
breve, non che una lunga resistenza. L'unica via allo scampo, che
rimaneva loro, era lo stretto passo tra l'East-creek ed il Wood-creek,
che Reidesel poteva chiudere ad ogni momento. In questo stato di cose
Saint-Clair, chiamati a Dieta i Capi del presidio, ed esposto loro il
vicino pericolo che correvano, i progressi fatti dal nemico, e
l'imminente chiusura da tutte le parti, richiedevagli, se paresse loro
bene, si votasse tostamente la Fortezza. Tutti opinarono del sì. Nessuno
non potrà negare, che questa deliberazione della Dieta militare di
Ticonderoga non sia stata necessaria; poichè oltre i progressi fatti dal
nemico nella circonvallazione, il presidio era sì debole, che non poteva
difendere la metà delle fortificazioni, e sarebbe stato fra breve tempo
totalmente dall'incomportabile fatica oppresso. Rimanendo si perdeva e
la Fortezza ed il presidio; partendo, quella si perdeva solamente, e
questo si poteva condurre a salvamento. Sapeva ancora Saint-Clair, che
Schuyler, il quale si trovava a quei dì al Forte Edoardo, non aveva
forze sufficienti da difendere sè, non che da poter soccorrer gli altri.
Ma quello, del che non si è mai addotto, nè che presso nessuno ha
trovato scusa, si è, che giacchè i generali americani conoscevano sè
stessi impotenti a difender la Fortezza, non l'abbiano più tostamente, e
nel buon dì abbandonata. La qual cosa, se avessero eseguita, e la
ritirata sarebbe stata sicura, e le bagaglie, le munizioni e le armi
avrebbero potuto tutte trasportarsi in salvo. Che se poi erano essi
ingannati intorno la forza del nemico esercito, e molto più debole lo
riputavano di quello ch'era, ciò dimostrerebbe pure una imperizia
nell'arte della guerra, che non si potrebbe abbastanza biasimare.

Ma tornando al filo della storia, i Capi americani, fatta la
risoluzione, si fecero ad eseguirla. La notte dei cinque si mettevano
all'impresa. Saint-Clair guidava l'antiguardo, il colonnello Francis il
retroguardo. Ordinavano ai soldati, procedessero con grandissimo
silenzio, e portassero seco panatica da logorare per otto giorni.
Imbarcaronsi a molta fretta su dugento battelli, che stavano
apparecchiati, e su cinque bastarde tutti i soldati invalidi, le
suppellettili dell'ospedale, e di munizioni e d'artiglierie tutte quelle
che per la brevità del tempo fu permesso; le rimanenti si guastarono, o
chiodarono. Montò sulle navi per guardia il colonnello Long col suo
reggimento ed alcuni soldati scelti. Allo stendare si spegnevano i lumi.
Queste cose si facevano con grand'ordine dentro Ticonderoga, non senza
qualche confusione al monte Independenza. Si passava parola, andassesi a
far la massa generale a Skeenesborough, le navi procedendo pel
Wood-creek, la gente da terra per la via di Casteltown sulla destra riva
di quella fiumana. Usciva alle due della mattina da Ticonderoga
Saint-Clair, seguivalo alle quattro Francis. Gl'Inglesi non si addavano,
ed ogni cosa procedeva prosperamente. Ma in questo mezzo tempo il fuoco
appiccato ad una casa sul monte Independenza subitamente rischiarò
l'aria all'intorno. Ciò diè avviso al nemico, e gli discoperse tutto
quello che succedeva. Gli Americani, conosciuta la cosa, si sgomentarono
e disordinarono. Procedettero ciò nondimeno, sebbene all'inviluppata,
sino ad Hubbardton, dove fecero alto per pigliar riposo, e raccorre gli
smarriti. Ma intanto gli Inglesi non istavano a bada. Frazer coi soldati
leggieri, i granatieri ed alcune altre compagnie di corridori gli
seguitava per terra, prendendo il cammino sulla destra della fiumana.
Veniva dietro velocemente co' suoi Brunswicchesi Reidesel, sia per
riunirsi con Frazer, sia per operar da sè secondo le occasioni. Burgoyne
si determinò di far il perseguito in persona per la via del fiume. Ma
per poter ciò fare era mestieri disfar prima lo stecconato, e poscia il
ponte che avevano gli Americani construtto davanti Ticonderoga. Posero
tosto i marinari ed i guastatori inglesi la mano all'opera, ed in men
che non si potrebbe credere, questi congegnamenti, che tanta spesa e
tanta fatica costato avevano, furono distrutti. Entrarono adunque le
navi di Burgoyne, e con grandissima rattezza procedettero pel Wood-creek
in cerca del nemico. Non si sostava nè per la via di terra, nè per
quella dell'acqua. Alle tre dopo mezzodì l'antiguardo inglese composto
delle navi più leste arrivò poco distante dalle cascate di
Skeenesborough, ed attaccò la battaglia colle bastarde americane. In
questo mezzo tre reggimenti furon posti a terra nel South-bay, che è il
sinistro ramo del Wood-creek, acciò, valicata una montagna con molta
celerità, riuscissero alle spalle del nemico superiormente in sul
Wood-creek medesimo, distruggessero le fortificazioni di Skeenesborough,
e gli tagliassero in tal modo la strada verso il Forte Anna. Ma gli
Americani, fuggendo a rotta, prevennero il disegno. Sopraggiunte poi le
fregate inglesi sopraffecero le bastarde nemiche, le quali già a mala
pena potevano dalle navi sottili difendersi. Due si arrendettero, tre
arsero. Si disperarono gli Americani. Posto fuoco ai Forti, ai mulini,
ai battelli, e guastato ciò che ardere non potevano, fuggirono alla
spezzata, e precipitosamente pel Wood-creek, ricoverandosi al Forte
Anna. Gravissima fu la perdita loro; conciossiachè i battelli fossero
carichi di bagaglie e di munizioni troppo necessarie al sostentamento
loro, od all'esercizio della guerra.

Nè migliore era la condizione di quelle genti, che si ritiravano per la
via di terra. Era la vanguardia condotta da Saint-Clair pervenuta a
Casteltown, distante a trenta miglia da Ticonderoga, e a dodici da
Skeenesborough; la dietroguardia, sotto gli ordini dei colonnelli Warner
e Francis, s'era fermata la notte de' sei in Hubbardton a sei miglia più
sotto di Casteltown verso Ticonderoga. Alle cinque della mattina dei
sette arrivavano a furia le genti inglesi condotte da Frazer. Occupavano
gli Americani un forte luogo, e facevano sembiante di volersi difendere.
Frazer, ancora che inferiore di forze, e confidatosi molto nel valore
de' suoi, sperando fosse vicino il soccorso di Reidesel, e temendo, se
indugiasse, si difilassero gl'inimici, non esitò punto a dar dentro. La
battaglia fu lunga e sanguinosa. Gli Americani condotti e confortati da
Capi valorosi menavano le mani aspramente. Gl'Inglesi combattevano
anch'essi con molta ostinazione. Vi furono molte inondazioni dal cacciar
degli uni, e dal rincacciar degli altri. Gl'Inglesi incominciavano a
balenare, e si disordinavano. Ma i Capi di nuovo gli rannodavano. Davan
mano alle baionette, e con molta foga si avventavano contro gli
Americani. Questi cominciavano a rompersi. In questo forte punto
sopraggiungeva Reidesel colla testa della sua colonna composta di
corridori e d'alcuni granatieri. Senza metter tempo in mezzo gli
conduceva alla battaglia. Gli Americani sopraffatti dal numero si
diedero da ogni parte alla fuga, abbandonando Francis, il quale
combattendo valorosamente morì. Lasciarono sul campo dugento soldati
uccisi con molti uffiziali. I prigionieri furono altrettanti o più, tra
i quali il colonnello Hale. Si credette, i feriti aver sommato a ben
seicento, tra i quali molti miserabilmente perirono nelle selve privi di
ogni soccorso. Dei regj morirono o furono feriti meglio che cento
ottanta. Avute Saint-Clair le novelle della rotta del Warner, e sentiti
anche da un uffiziale delle bastarde, arrivato in quel punto, i disastri
di Skeenesborough, temendo, non gli fosse tagliato il ritorno al Forte
Anna, si voltò con gran rattezza a sinistra, inselvandosi; incerto, se
dovesse ripararsi nella Nuova-Inghilterra e ne' luoghi superiori del
Connecticut, od al Forte Edoardo. Ma raccozzatosi due giorni dopo a
Manchester colle restanti genti di Warner, e raccolti i fuggiaschi
s'incamminò al Forte Edoardo per ivi congiungersi col generale Schuyler.

Mentre queste cose si facevano sulla sinistra, i capitani inglesi
determinavano di cacciar gli Americani dal Forte Anna, posto più in su
verso le fonti del Wood-creek. Vi mandarono a questo fine il colonnello
Hill da Skeenesborough, e per aiutarlo nella sua mossa faticarono con
ogni industria di far passare i battelli sopra le cascate di
Skeenesborough, affine di poter assalire il Forte anche per la via
dell'acqua. Sentendo poi che gli Americani vi stavano dentro molto
grossi, mandarono in soccorso dell'Hill il brigadier Powell con due
reggimenti. Il colonnello americano Long, scampato dall'eccidio delle
navi con molti de' suoi, comandava al presidio del Forte Anna. Avuto
lingua, che i nemici s'approssimavano, saltò fuori e corse molto
gagliardo contro gl'Inglesi. Si difendevano questi animosamente. Già gli
Americani gli accerchiavano. In tanto pericolo Hill ordinava a' suoi,
pigliassero tosto un luogo più forte. La qual cosa eseguirono in mezzo
gli spessi e forti assalti dei repubblicani con molto ordine e coraggio.
Sostenevano la carica con mirabile costanza; gli Americani instavano
ferocemente. Il conflitto durava già ben due ore, e pendeva incerta la
vittoria. Ma gli Americani udivano in questo punto le grida terribili
dei Barbari, che si avvicinavano; e saputo altresì, che già erano vicine
le schiere di Powell, abbandonatisi, si ritirarono al Forte Anna. Nè qui
credendosi sicuri, arsa prima e distrutta ogni cosa, si ricoverarono al
Forte Edoardo, posto sul fiume del Nort. Già si trovava in questo luogo
Schuyler, ed il giorno dodici vi arrivò Saint-Clair colle reliquie del
presidio di Ticonderoga. Nè si potrebbero sì di leggieri descrivere le
fatiche e gli stenti, ch'ebbero queste genti a sopportare per la
mancanza delle provvisioni e delle vestimenta, e pei tempi avversi nel
cammin loro da Casteltown sino al Forte Edoardo. Quivi dopo l'arrivo di
Long e del Saint-Clair, siccome dei fuggiaschi, che arrivavano alla
spezzata, sommavano le genti americane a poco più di quattromila
soldati, incluse le milizie. Difettavano di ogni bisognevole, e ancor
più di coraggio, sconfortate dalle recenti sconfitte. Perdettero gli
Americani in tutte le descritte fazioni cento vent'otto pezzi di
artiglierie con una quantità maravigliosa di munizioni da bocca e da
guerra, e particolarmente di farine, che furon trovate in Ticonderoga e
nel monte Independenza. Tutta la contrada all'intorno poi si era
grandemente impaurita a tante disgrazie, e gli uomini cercavano
generalmente piuttosto di provvedere alla propria sicurezza, che non a
correre in ajuto della pericolante patria.

In così grave frangente Schuyler non ometteva nissuna di quelle
diligenze, che ad un buon capitano, e ad un ottimo cittadino si
appartenevano. Già si era, quando il nemico s'ingrossava a
Skeenesborough, ingegnato d'interrompere con ogni sorta d'impedimenti la
navigazione del Wood-creek da quel luogo sino al Forte Anna, dove cessa
il medesimo di esser navigabile. Dal Forte Arma poi sino a quel
d'Edoardo (distanza non maggiore di sedici miglia), la contrada è di per
sè stessa orribilmente aspra, deserta e selvaggia; il suolo rotto ed
ineguale tramezzato da spessi torrenti, e da profonde e larghe paludi.
Non mancava Schuyler di render per arte ancor più difficile al nemico
quel passaggio, che la natura stessa pareva aver voluto con ogni maniera
di più gravi ostacoli proibire. Faceva tagliate, guastava i sentieri,
rompeva i ponti, atterrava spessi alberi e grossi, e gli collocava di
lungo e di traverso coi rami intralciati qua e là nei luoghi di passo,
sicchè quella solitudine già di per sè stessa tanto orrida, era
diventata pressochè impenetrabile. Nè qui si ristava l'industria del
generale americano. Faceva sgomberare a luoghi più lontani il bestiame,
e dal Forte Giorgio trasportar all'Edoardo a molta fretta le munizioni e
le bagaglie, delle quali le sue genti sì fattamente abbisognavano, ed
acciò non venissero in mano del nemico. Instava poscia caldamente,
perchè si mandassero a congiungersi con lui tutti i reggimenti di
stanziali, che nelle vicine province si ritrovavano; e faceva spesse e
forti chiamate alle bande paesane della Nuova-Inghilterra, e della
Nuova-Jork. Nelle vicinanze poi del Forte Edoardo e della città di
Albanìa nulla lasciava d'intentato per far genti; nel che faceva molto
frutto, avendo egli presso quei popoli grandissima dependenza.
Finalmente per ritardar il nemico pensava di dargli gelosia sul suo
fianco sinistro; e perciò mandò il colonnello Warner col suo reggimento
ad alloggiar nello Stato di Vermont, comandandogli, facesse correrìe
verso Ticonderoga, e raccogliesse le milizie del paese. Brevemente
attese Schuyler per ogni verso ad attraversar il cammino all'inimico, ed
a difficultargli l'impresa.

Mentre in tal modo si travagliava dalla parte degli Americani, per
tenere il nemico ai passi in su quei luoghi aspri e selvaggi, si
arrestava Burgoyne a Skeenesborough, sia per la difficoltà dei luoghi,
sia per aspettare giungessero le tende, le bagaglie, le artiglierie e le
vettovaglie cotanto necessarie, prima d'ingolfarsi in quelle catapecchie
disabitate. A questo tempo erano i Burgoniani talmente ordinati, che la
dritta occupava i poggi di Skeenesborough, avendo sull'estremità
dell'ala le genti d'armi del Reidesel, la sinistra composta di
Brunswicchesi alloggiava sulla riviera di Casteltown, la brigata di
Frazer formava la battaglia tra l'una e l'altr'ala. Il reggimento degli
Essiani di Hanau stanziava alla testa dell'East-creek per proteggere
contro le correrìe del Warner il campo di Casteltown, ed i battelli sul
Wood-creek. Si lavorava intanto indefessamente a tor via gli ostacoli su
di questa fiumana, e così ancora delle strade per al Forte Anna.
L'intendimento di Burgoyne era, che il grosso dell'esercito, traversata
la solitudine del Forte Anna, si recasse al Forte Edoardo, mentre
un'altra banda da Ticonderoga, presa la via del lago Giorgio, ed
impadronitasi del Forte di questo nome, ch'è piantato all'estremità
superiore di quello, venisse ad accozzarsi al Forte Edoardo. Acquistato
il Forte Giorgio, gli arnesi da guerra e le munizioni dovevano condursi
per la via del lago di questo nome, essendovi la navigazione più facile
e più spedita, che per il Wood-creek, ed avendovi una carreggiata dal
Forte medesimo sino a quello d'Edoardo. Così si travagliava da ambe le
parti, gl'Inglesi credendosi sicuri della vittoria, gli Americani con
poca speranza di migliorar fortuna.

La vittoria di Ticonderoga, ed i seguenti prosperi successi di Burgoyne,
siccome riempirono di stupore e di spavento le province americane, così
a somma allegrezza commossero generalmente i popoli della
Gran-Brettagna. Delle quali cose, come prima vi si ebbe notizia, se ne
fecero grandi feste e rallegramenti in Corte, ed appo tutti coloro, che
la illimitata soggezione dell'America desideravano. Già tutti formavano
tra sè altissimi concetti, e credevano la vittoria certa, il fine della
guerra vicino. Riputavasi, esser cosa impossibile, gli Americani si
riavessero, non solo per le gravi perdite d'uomini, d'armi e di
munizioni, che fatte avevano, ma eziandio per quelle del coraggio e
della riputazione, che nelle guerre altrettanto giovano, e forse più
delle armi stesse. Quindi le antiche note di codardìa si rinnovellavano
dai nemici loro; ed i parziali stessi molto rimettevano della
estimazione loro verso i coloni. Poco mancava, non gli sentenziassero
indegni di difendere quella libertà, della quale tanto si gloriavano. I
ministri si facevano belli de' lieti eventi, ed andavano empiendosene la
bocca per tutta la Corte. Tutti gli lodavano; chiamavasi la loro
ostinazione, costanza; i disegni, che temerarj parevano, ora pieni di
prudenza stati essere stimavansi; e la pertinacia loro a non volere dar
udienza a nissuna proposta di composizione, avvisavasi essere stata
lodevole gelosia degl'interessi del regno. Essendo stati i consiglj
guerreschi dei ministri favoriti da successi tanto felici, anche la
maggior parte di coloro ch'erano fin là stati autori di concordia,
spiegavano tutte le vele al vento sì prospero della fortuna, e parevano
desiderar meglio la sottomessione, che l'accordo.

Ma in America la perdita dei laghi e di quella Fortezza, che si
riputavano le sicure chiavi degli Stati Uniti, fu tenuta altrettanto più
grave, ch'ella era inaspettata; poichè i popoli universalmente, il
congresso, ed il generale Washington medesimo si erano dati a credere,
che l'esercito britannico del Canadà fosse più debole, e quello di
Schuyler più gagliardo di quello ch'erano veramente. Avvisavano
massimamente, che col presidio lasciato in Ticonderoga, quella Fortezza
fosse posta in sicuro stato. S'incominciò a lacerar la fama degli
uffiziali dell'esercito del Nort, ma soprattutto di Saint-Clair. Lo
stesso Schuyler, esperto capitano però e cittadino integerrimo, il
quale, se già da lungo tempo serviva, da lungo tempo ancora non gradiva,
non andò esente dalle maldicenze. Quelle lingue serpentine, massimamente
della Nuova-Inghilterra, che come amico ai Jorchesi non lo amavano, lo
laceravano aspramente. Il congresso per onor delle armi sue, e per
soddisfar ai popoli decretò, si ricercasse la condotta degli uffiziali,
e si mandassero loro incontanente gli scambj. Fatta la ricerca, furono
assoluti; gli scambj sospesi per intercessione di Washington. Ma una
cosa, che dee far non poca maraviglia, questa si è, che in tanta
malvagità della fortuna, nissuna inclinazione si manifestasse tra gli
Americani per calare agli accordi. Nissun maestrato nicchiò; fra i
particolari nissuno, o pochi, e questi la maggior parte persone
rigattate, e uomini di scarriera.

Intanto il congresso temendo, che le infauste novelle, arrivate che
fossero in Europa, nuocessero a quelle pratiche, che già si erano
introdotte alla Corte di Francia, e riguardando più, come si suol fare,
all'interesse della propria causa, che all'onore de' suoi capitani,
pretendendo colore di viltà e d'imperizia in Saint-Clair alla verità
delle cose, aveva mandato speditamente dicendo a' suoi mandatarj,
andassero insinuando, che tutta la colpa era di quello, il quale con
cinquemila uomini di presidio, fornitissimi di ogni cosa, non aveva
saputo difendere una Fortezza quasi inespugnabile. Che del rimanente
stavano essi forti, ed ogni studio ponevano nel riparare ai sofferti
danni.

Washington, il quale in questo così gran sinistro dimostrò, come in
tutti i precedenti, una grande costanza, era tutto intento a' rimedj, ed
a fermare lo stato della tremante repubblica, rinforzando e provvedendo
l'esercito di Schuyler. Le artiglierie e le munizioni si spedivano dal
Massacciusset. Il generale Lincoln, uomo di molta dependenza nella
Nuova-Inghilterra, vi fu mandato per far correr sotto le insegne le
milizie. Arnold accorreva anch'esso, e speravasi, che l'ardir suo fosse
per ispirar nuovo ardire alle scoraggiate genti. Il colonnello Morgan,
uomo, come abbiam veduto, di smisurato valore, vi si avviava col suo
reggimento di cavalleggieri. Tutti questi modi, siccome opportunamente
ritrovati, così anche efficacemente usati, operavano i soliti effetti.
Gli Americani ripigliavano grado grado il coraggio, e l'esercito si
andava ingrossando.

In questo mezzo tempo Burgoyne con somma contenzione si affaticava
nell'aprir la via del Forte Anna al Forte Edoardo. E contuttochè tutto
l'esercito con grandissimo ardore si adoperasse in questa bisogna, i
progressi che si facevano, erano molto tardi. Tanti erano
gl'impedimenti, che la natura e l'arte avevano frapposti. Oltrechè e'
faceva di mestiero ripulir le strade dagli alberi atterrati, bisognò
ancora edificare da quarantotto ponti tutti nuovi, e rassettarne de'
vecchi. Tanto penò l'esercito a valicar questo piccolo spazio, che non
potè toccare le rive dell'Hudson nelle vicinanze del Forte Edoardo, se
non il dì 30 di luglio. Gli Americani, sia perchè erano troppo deboli a
poter resistere, sia perchè il Forte Edoardo era piuttosto una rovina
inutile, che un difendevole riparo, e sia finalmente perchè temevano,
che il colonnello Saint-Leger, superato il Forte Stanwix, non scendesse
per la sinistra riva del fiume dei Moacchi sino all'Hudson, e così
tagliasse loro la via al ritorno, si ritirarono più sotto a Still-water,
dove attendevano a fortificarsi. Nel medesimo tempo abbandonarono il
Forte Giorgio, arse prima tutte le navi, che tenevano sul lago dello
stesso nome, e rotta in varj luoghi la carreggiata, che da quello guida
al Forte Edoardo. In tal modo la via di Ticonderoga pel lago sino a
questo Forte diventò affatto libera dalla presenza dei repubblicani.
Gl'Inglesi giunti sulle rive dell'Hudson, e viste le sue acque, le quali
erano state per tanto tempo l'oggetto delle speranze loro, e per
arrivare alle quali tante fatiche sopportate avevano, e tanti pericoli
corsi, si rallegrarono grandissimamente, e già si promettevano tutte le
cose prospere dalla fortuna.

Ma, non ostanti così liete speranze, incominciarono a provare molte e
gravi difficoltà. Tutta la contrada all'incontro era nimichevole, e le
vettovaglie si potevano solo trarre da Ticonderoga. Quindi è, che
l'esercito britannico dai trenta di luglio sino ai quindici d'agosto
tutto fu intento, ed ogni opera usò per far venir i battelli, le
provvisioni e le munizioni dal Forte Giorgio sino al primo luogo
navigabile dell'Hudson, ch'era una distanza di circa diciotto miglia.
L'impresa era difficile; nè il frutto che vi si faceva dentro, francava
la fatica ed il tempo che vi si spendevano. La strada era rotta in
diversi luoghi, e non vi si poteva passare se prima non si rassettasse.
De' cavalli che si aspettavano, appena ne fosse arrivato un terzo. De'
buoi a malo stento se n'erano potuti raccorre cinquanta paia. Grosse e
continue piogge avevano accresciuto le difficoltà. Laonde avvenne, che
malgrado tutta la diligenza che si usava, appena che si fossero potute
procurar le vettovaglie pel logorar giornaliero dell'esercito, non che
per far riposte, acciocchè potesse procedere più oltre. Addì quindici
non si avevano in canova provvisioni che per quattro giorni, e dieci
battelli nell'Hudson.

Molto, ed acerbamente fu biasimato Burgoyne per causa degl'indugj
operati prima pel passaggio pei deserti del Forte Anna, e poscia per la
difficoltà delle vettovaglie nelle stanze del Forte Edoardo. Allegarono,
che invece di andarsi ad intricare in quei deserti avrebbe dovuto, dopo
occupato Skeenesborough, e sbaragliato tutto l'esercito nemico,
ritornarsene rattamente pel Wood-creek a Ticonderoga; di là imbarcar di
nuovo le genti sul lago Giorgio, procedere al Forte di questo nome, e,
presolo, incamminarsi spedito e pronto per lo stradone carrozzabile al
Forte Edoardo. Sarebbonsi, opinarono, in tal modo precipitati gl'indugj,
i quali, se riuscirono pregiudiziali all'esercito britannico, furono di
altrettanto vantaggio cagione agli Americani. Sarebbesi, continuarono,
l'esercito insignorito di Albanìa, prima che i nemici avessero potuto
raccorre il fiato. Si giustificava però Burgoyne con dire, che
l'indietreggiare in mezzo al corso della vittoria avrebbe scemato
l'animo a' suoi, e datone ai nemici; che questi avrebbero fatto testa
nel Forte Giorgio, ed intanto rotto la strada per al Forte Edoardo; che
passando, come fece, per le solitudini del Forte Anna, oltrechè si
avvezzarono i soldati alla guerra intricata delle selve, si obbligarono
i nemici a votar di piano il Forte Giorgio, e che avendo già una strada
aperta, si doveva sperare, non guasterebbero quell'altra, di cui si
tratta; che le navi, che si sarebbero dovute usare pel trasporto delle
genti sopra il lago Giorgio, si erano potute adoperare pel trasporto
delle bagaglie, armi e munizioni. Mostrava finalmente, che l'avere
anteposta la via sulla sinistra a quella sulla dritta pel lago Giorgio,
gli aveva fatto abilità di mandare a mano stanca un buon polso di genti
sotto gli ordini del generale Reidesel, perchè tenessero in gelosia il
Connecticut, e tutta la contrada di Vermont.

Quale di questo sia la verità, Schuyler molto acconciamente si giovò di
tali soprastamenti. Già alcuni colonnelli di stanziali erano da
Peek's-hill arrivati al campo, e le milizie della Nuova-Inghilterra,
quantunque corresse a quei dì la stagione delle messi, stormeggiavano da
ogni parte, ed andavano a congiungersi coll'esercito principale; in
guisa che, se questi non era ancora abile ad offendere, poteva almeno
sperare, occupati i luoghi forti, di difendersi convenevolmente.

In questo mezzo ebbe Burgoyne le novelle, che il colonnello Saint-Leger
colle sue genti d'ordinanza, ed una buona torma d'Indiani per la via del
lago Oneida era venuto da Oswego nella contrada dei Moacchi, e che di
già oppugnava il Forte Stanwix. Prese tosto speranza, che gli si potesse
aprir la strada a qualche buon successo. Perchè, se l'esercito
americano, che lo fronteggiava, corresse su pel fiume Moacco per andar
in soccorso del Forte, in tal caso rimaneva agl'Inglesi aperto l'adito
sino ad Albanìa, e si otteneva il finale intento. Oltredichè, se
Saint-Leger ne andasse colla vittoria, le genti americane trovate si
sarebbero tra due eserciti regj, quello di Saint-Leger da testa, e
quello di Burgoyne da coda. Se per lo contrario i repubblicani si
consigliassero, abbandonato il presidio del Forte Stanwix alle sue
proprie forze, di ritirarsi in Albanìa, in questo secondo caso tutta la
contrada dei Moacchi sarebbe venuta in poter degl'Inglesi, e questi
avrebbero fatto la congiunzione loro colle genti del Saint-Leger.
Ingrossato allora l'esercito, e vettovagliato dai Moacchi avrebbe
facilmente potuto procedere più oltre. Dal che doveva nascere, o che il
nemico combatterebbe una battaglia campale, e non si dubitava della
vittoria; o sarebbesi grado grado ritratto a luoghi più bassi, ed in
questo modo gl'Inglesi si sarebbero fatti padroni della città di
Albanìa. Ma se il disegno di spingersi avanti era molto opportuno, non
era meno pieno di difficoltà pel difetto delle vettovaglie. Il qual
difetto sarebbe anche diventato maggiore in proporzione che l'esercito
si allontanerebbe dai laghi, dai quali esse vettovaglie si traevano.
Avrebbersi di vantaggio dovute far venire con grosse scorte, ed ordinar
una lunga tela di guardie per preservarle dai subiti assalti del nemico.
La qual cosa non si poteva ottenere senza assottigliar con evidente
pericolo l'esercito già di per sè stesso non troppo gagliardo. Voltò
adunque Burgoyne il pensiero a far procaccio di vettovaglie in altro
modo, senza del che il disegno non si poteva a patto nessuno mandar ad
effetto. Sapeva egli, che i nemici avevano ammassato una gran quantità
di biade e di grascie, siccome pure un notabile carreggio ad una Terra
chiamata Bennington, posta tra i due rami, che poscia uniti formano il
fiume Hosick. Giace ella a venti miglia distante dal fiume del Nort.
Quivi si conducevano altresì grossi branchi per uso del campo
repubblicano, i quali venivano dalla Nuova-Inghilterra per le parti
superiori del Connecticut, e poscia per le contrade del Vermont. Da
Bennington si mandavano secondo il bisogno alle diverse parti
dell'esercito. La Terra poi era guardata soltanto da alcune bande di
milizie di numero incerto; imperciocchè, ora andavano ora venivano,
secondo che la propria volontà loro le aggirava. Sebbene la distanza dal
campo di Burgoyne a Bennington fosse di cencinquanta miglia, ciò non di
meno considerato, che il paese all'intorno, il quale Reidesel già aveva
cavalcato, si era dimostrato anzi quieto che no, e bene inclinato
all'obbedienza, spinto eziandio da una insuperabile necessità, ed
avidissimo di gloria, non disperò il capitano britannico di potere con
una improvvisa correrìa arrivare a Bennington, sorprendervi, e portar
via sul carreggio del nemico le munizioni. Fatta la risoluzione, ne fu
data la cura al luogotenente colonnello Baum, uno de' più riputati
capitani tedeschi, che si avesse l'esercito, e molto capace in questa
maniera di guerreggiare, scorrazzando il paese nemico. Lo accompagnarono
alla fazione da cinquecento soldati, dugento uomini d'armi a piè di
Reidesel, i corridori del Frazer, i volontarj del Canadà, una parte dei
provinciali molto pratichi dei luoghi, che seguivano le bandiere
britanniche, e ben cento Indiani. Seguitavano due pezzi d'artiglierie da
campo. Nel medesimo tempo il luogotenente colonnello Breyman col suo
reggimento di Brunswicchesi andò a pigliar gli alloggiamenti più sotto
verso Bennington sul Batten-hill, a fine di essere in grado di
soccorrere, ove d'uopo fosse, a Baum. Le instruzioni, che questi ebbe da
Burgoyne, erano molto accomodate; usasse grandissima cautela nel pigliar
i posti; facesse diligentemente esplorare la contrada dagl'Indiani verso
l'Otter-creek ed il fiume del Connecticut. Non lasciasse scorrazzar gli
uomini d'armi, ma sempre gli tenesse raccolti; facesse marciar gli
armati alla leggiera da fronte ed alla coda, per non dar dentro agli
agguati; non tentasse zuffe dubbie; se il nemico gli venisse
all'incontro molto grosso, pigliasse un buon posto, e vi si
fortificasse; desse voce, che tutto l'esercito voleva passare nel
Connecticut; in fine venisse a ricongiungersi con esso lui in Albanìa.
Per dar poi gelosia all'esercito nemico, e tenerlo a bada durante la
fazione, Burgoyne mosse tutto l'esercito all'ingiù sulla sinistra riva
dell'Hudson, ed andò a por gli alloggiamenti di rincontro a Saratoga.
Fatto anche un ponte di foderi, fe' passare a questa Terra le genti più
spedite, e faceva le viste, come se tutto l'esercito valicar dovesse per
andare ad affrontar il nemico, che stava tuttavia nel suo campo di
Still-water.

Ordito, nel modo che abbiam detto, il disegno, procedeva Baum con eguali
prestezza e cautela ad eseguirlo. Incontrava a prima giunta una masnada
nemica, che faceva la scorta ad un branco, ed a certa quantità di
munizioni. Gl'intraprendeva, e mandava al campo. Ora quivi incominciò a
manifestarsi quella mala fortuna, che già tanto aveva ritardato
l'esercito reale. Tal era la mancanza delle bestie da tiro e da soma, e
tanto si trovarono pei cattivi tempi sdrucciolenti e rotte le strade,
che Baum non potette, se non molto lentamente procedere verso il luogo,
al quale si avviava. Ebbe perciò il nemico, che stava attento in
Bennington, tostano avviso del suo arrivare. Comandava in questa Terra
il colonnello Starke testè arrivatovi colle bande paesane, che aveva
messo insieme nel Nuovo-Hampshire. Mandò rattamente dicendo a Warner, il
quale col suo reggimento, dopo la rotta di Hubbardton, era venuto ad
alloggiare in Manchester, venisse a raggiugnerlo. Tutte queste genti con
alcune milizie dei contorni sommavano a circa due migliaia di soldati.
Udito, che il nemico si avvicinava, aveva Starke spedito avanti a
sopravvedere il colonnello Gregg, credendo dapprima, fosse solamente una
torma d'Indiani che corresse il paese. Ma veduto, ch'erano gli
stanziali, si ritirava agli alloggiamenti principali di Bennington.
Baum, avendo avuto lingua, che il nemico era tanto forte, che stato
sarebbe temerario consiglio l'assaltarlo, mandò tostamente a Breyman,
informandolo del pericolo, e corresse in aiuto. Egli intanto pigliato un
forte posto presso Santcoick-mills sulle rive del Wallon-creek, o sia
Rivo delle valli a quattro miglia distante da Bennington, si
affortificava. Ma Starke, volendo prevenir la congiunzione della squadra
di Breyman, si determinò ad assaltarlo. Trasse per tanto le sue genti
fuori di Bennington la mattina dei sedici d'agosto; le divideva in
parecchie schiere, perchè accerchiassero ed assalissero da tutte le
parti gli alloggiamenti di Baum. Mentre eseguivano i comandamenti del
capitano, e già erano pervenute a veggente del nemico, questi si
persuadeva tuttora, fossero leali, che venissero in soccorso suo;
essendochè vi erano con Baum molti fuorusciti, i quali operavano in
modo, ch'egli più uso a far le guerre, che a queste aggirandole civili
prestasse fede alle solite baie e vane credenze loro. Ma accortosi
finalmente dell'errore si difendeva molto gagliardamente. Tal era però
la foga ed il numero degli Americani, che non potette lungamente
sostenergli, e già, superati tutti gli ostacoli, e presi i due cannoni,
entravano da ogni parte negli alloggiamenti. Gl'Indiani, i Canadesi, ed
i corridori inglesi spulezzando qua e là, come meglio veniva loro,
s'inselvarono. Solo gli uomini d'armi tedeschi ostinati si attestarono,
e fieramente menavano le mani. Venute lor meno le munizioni, fatto un
puntone, Baum il primo, si misero a tracollo a furia di spadate, dov'era
maggiore la pesta dei repubblicani. Ma invano si affaticavano, oppressi
tosto dalla moltitudine de' nemici. Molti rimasero uccisi; i
sopravviventi, tra i quali lo stesso Baum gravemente ferito, si arresero
a prigionieri di guerra.

Intanto Breyman si era mosso verso Bennington in soccorso de' suoi; ed
avvengadiochè fosse partito molto per tempo la mattina dei quindici, che
avesse marciato senza mai ristarsi, e la distanza non fosse oltre le
ventiquattro miglia, ciò non di meno tanti e sì gravi furono
gl'impedimenti, che incontrò per causa della malvagità della strade,
rendute ancor più difficili dalle continue piogge, dalla scarsezza dei
cavalli, e dal traino delle artiglierie, che stette un pezzo a potere
sfangare, e non potette arrivare presso il campo di Baum, se non dopo
che la fortuna s'era già del tutto inclinata a favor degli Americani.
S'aggiunse, che non ebbe avviso a tempo, che già si combattesse, ed
allora solamente ebbe le novelle dell'evento della battaglia, quando i
fuggiaschi gliele riportarono. Giugneva alle quattro dopo mezzodì agli
alloggiamenti di Baum, dove in luogo degli amici, che il ricevessero,
trovò i nemici, che lo assaltarono. Malgrado la stanchezza de' suoi, si
difendette molto risolutamente. E siccome molti fra le milizie
provinciali si eran recati in sull'abbottinare, le cose andavano molto
strette, e si correva pericolo, non acquistasse Breyman quello, che
aveva perduto Baum. Già aveva cacciato i repubblicani da parecchj posti,
che pigliati avevano sui colli, ed aspramente serrava il nemico, che
malagevolmente teneva la puntaglia. Ma non corrisposero a questi primi
principj gli altri successi: poichè sopraggiunse in questo punto Warner
col suo reggimento di stanziali, che, con gran furia premendo addosso
agl'Inglesi ed ai Tedeschi incalzanti, rinfrescava la battaglia più
feroce che prima; e le milizie, che ritornavano dalla busca, sentito il
romore, si rannodavano. Stette gran pezza, e sino all'imbrunire dubbia
la vittoria, combattendo in favore degli uni il valore e la disciplina,
in favore degli altri il numero ed il furore. Finalmente i soldati di
Breyman sopraffatti dalla folla dei nemici, consumate tutte le
munizioni, e perdute due bocche da fuoco, che con incredibile fatica
avevano condotte, cominciarono a barellare, poscia a piegare.
Abbandonato finalmente del tutto il campo di battaglia, e lasciate in
sulla furia del partire in poter dei vincitore tutte le bagaglie, un
migliaio di archibusi, e da novecento armi bianche, usarono la oscurità
della notte per ritirarsi. Perdettero i reali in questi due fatti
settecento soldati, la maggior parte prigionieri, forse dugento uccisi.
La perdita dei repubblicani fu di poca importanza. Il congresso rendè
pubbliche grazie al colonnello Starke ed alle milizie, che combattettero
in queste giornate. Starke fu eletto a brigadier-generale.

Dalla parte dei Moacchi le cose inglesi succedevano sulle prime assai
prosperamente. Aveva il colonnello Saint-Leger posto il campo sotto le
mura del Forte Stanwix agli tre d'agosto. Guidava da ottocento uomini
tra Inglesi, lanzi, Canadesi e leali americani. Seguivano una
moltitudine d'Indiani colle femmine loro, e con molta ragazzaglia, vaghi
più dell'uccidere e dell'abbottinare, che dell'assediare Fortezze. Fatta
la chiamata al colonnello Gausevoort, rispondeva questi, volersi
difendere sino allo stremo. Vedute queste cose, e conoscendo benissimo,
di quanta importanza fosse il mantener quel Forte nell'obbedienza della
lega, il generale Harkimer, uomo di grande autorità nella contea di
Tryon, aveva fatto un'accolta di soldati di milizia, e marciava
speditamente in soccorso del Gausevoort. Mandavagli dicendo dal suo
campo di Erisca, distante a sei miglia dal Forte, che gli sei si sarebbe
spinto avanti, e fatto ogni sforzo per congiungersi col presidio.
Gausevoort commetteva al luogotenente colonnello Willet, saltasse fuori
per assaltar gli alloggiamenti inglesi, e ciò per dar favore al
tentativo dell'Harkimer. Ma il capitano inglese accorgendosi di quanto
pericolo fosse l'aspettare l'inimico negli alloggiamenti, e massimamente
conoscendo, quanto gl'Indiani fossero più atti all'offendere che al
difendersi, mandava ad incontrar le genti americane il colonnello
Giovanni Johnson con una parte dei regolari e cogl'Indiani. Marciava
Harkimer molto negligentemente senza mandare avanti speculatori nè
feritori alla leggiera sui fianchi; cosa che dee far maraviglia, non
potendo essergli nascoso, quanto il paese fosse atto alle insidie, e
quanto gli Indiani fossero destri a scorrere in masnade, a dar gangheri,
ed a porre agguati. Fu loro invero offerta la occasione di far una
celata, dalla quale nacque il quasi totale eccidio delle genti
dell'Harkimer. S'appiattarono gl'Indiani con alcuni regolari nelle selve
vicine alla strada, per la quale quelle camminavano, e tostochè furono
oltrepassate, saltaron fuori con molta furia, e le soprassalirono alle
spalle, mentre che a tutt'altro pensavano fuori che a questo. Fatte le
prime scariche cogli archibusi, si avventarono gl'Indiani coi coltelli,
e con molta crudeltà ammazzarono i contrastanti e gli arrendentisi. Gli
Americani giunti in tal modo alla schiaccia si disordinarono. La strage
fu grande; e l'orribile presenza dei Barbari accresceva terrore alla
cosa. I repubblicani oppressi da sì subita rovina si riebbero per altro
finalmente, e, fatto un puntone, riuscirono ad un luogo forte, nel quale
attestati si difendevano. Nonostante sarebbero stati dal numero e dalla
furia del nemico sopraffatti, se non che, avuto questi avviso
dell'improvviso assalto dato al campo dal Willet, si ritirò. Morirono da
quattrocento Americani, tra i quali lo stesso Harkimer e molti uomini
d'autorità nella provincia, con parecchj che tenevano i principali
maestrati. La qual cosa diè speranza ai reali, che si sarebbe di breve
spenta la ribellione. La vittoria però non fu senza sangue dalla parte
loro. Alcuni fra i regolari morirono. Degl'Indiani mancarono da sessanta
tra morti e feriti, tra i quali parecchj caporioni e guerrieri più
riputati. E pare eziandio, che nel calore e nell'inviluppamento della
mischia alcuni Indiani siano stati feriti dai regolari del Johnson.
Perilchè questa gente indisciplinata ed intrattabile, pronta al
sospetto, e feroce di natura, nè avvezza a trovare sì duri incontri,
s'inritrosì, ed inferocì di vantaggio. Quindi è, che fecero prima con
bestiale immanità un'orribile beccherìa de' prigionieri, e poi
diffidantisi e renitenti, ai comandamenti dei Capi non obbedivano,
sicchè più ingombro recavano e pericolo, che forza e sicurezza
all'esercito.

Intanto Willet saltato fuori dal Forte aveva assalito con eguali
industria e valore gl'Inglesi negli alloggiamenti loro, ed a prima
giunta molti ne uccise, altri cacciò nelle selve, alcuni nel fiume. Ma
solo essendo venuto per far diversione in favore d'Harkimer, ottenuto
l'intento, si ritrasse di nuovo alle mura, portando seco a trionfo
caldaie, coltrici, moschetti, pelli di fiere ed altri arnesi, o
necessarj all'uso della guerra, o tenuti cari dagl'Indiani. Vollero i
nemici tagliargli il ritorno al Forte, e fecero un'imboscata. Ma egli,
che stava vigilante, gli combattè, e fe' star lontani a furia di
archibusate e di cannonate a scaglia. Arrivò dentro sano e salvo con
tutti i suoi; e per trofeo ammontò le armi e le bagaglie conquistate
sotto lo stendardo americano, che sventolava sulle creste della
Fortezza. Poco dopo tentò con un altro compagno, chiamato Stockewell
felicemente un'assai più pericolosa fazione. Passarono di notte tempo
per gli alloggiamenti del nemico, e non rimanendosi al grave pericolo
che correvano, nè alla crudeltà dei selvaggi, riuscirono alla larga.
Nascondendosi secondo il bisogno nelle profonde selve e nelle paludi
corsero il paese per levare genti in aiuto del Forte; azione magnanima,
e da non esser mai senza molta lode ricordata.

Il colonnello Saint-Leger, volendo usare la vittoria avuta
sull'Harkimer, sotto speranza che ne fosse la guernigione sbigottita,
intimò la resa al comandante del Forte, prima con parole per mezzo del
colonnello Butler, poscia per iscrittura. Parlò della totale distruzione
degli amici loro, dell'impossibilità all'ottener soccorso, della
disperazion delle cose. Aggiunse, che Burgoyne, superate e disperse
tutte le genti americane, stava ora in Albanìa ricevendo le promesse di
soggezione e di fedeltà dei popoli circonvicini. Molto magnificò e le
proprie forze, e quelle di Burgoyne Annunziò, che, se venissero a patti,
sarebbero verso il presidio tutti quei modi usati, coi quali soglionsi
dalle civili nazioni trattare i vinti. Ma, se si volesse in una ostinata
ed inutile difesa persistere, sarebbero non solo i soldati del presidio
diventati vittima alla bestial rabbia degl'Indiani, che già a mala pena
poteva frenare; ma ancora ogni anima vivente, o uomini, o donne, o
vecchi, o fanciulli, o infermi, o sani che si fossero, stati sarebbero
senza alcuna compassione scarpellati e morti.

Rispose gravemente, e con molta costanza Gausevoort, che gli Stati Uniti
d'America dato gli avevano in guardia la Fortezza di Schuyler; che ad
ogni rischio, e sino all'estremo spirito intendeva egli di volerla
difendere; e che non aveva mai creduto, nè credeva dovere stare, nè
curarsi agli effetti, che nascer potessero dall'adempimento del suo
dovere. Aveva benissimo conosciuto, che se il capitano inglese avesse
avuto forze sufficienti, avrebbe o fatto una modesta chiamata, od
assaltato il Forte senza intrattenersi a fare una sì bizzarra braverìa.

L'Inglese vedendo, che le insidie e le minacce erano state senza frutto,
volse tutti i suoi pensieri alla oppugnazione. Ma poco stante si
accorse, che il Forte era e meglio munito, e meglio difeso di quanto si
era persuaso. Sperimentò altresì, che le sue artiglierie non eran di tal
portata a poter fare notabile danno da una certa distanza. Perciò pigliò
il partito di avvicinarsi colle trincee al Forte, sicchè le artiglierie
far potessero sufficiente passata; ed in questo procedeva con
grandissima diligenza. Intanto gl'Indiani e per le perdite fatte, e per
esser caduti dalle speranze del depredare, ogni dì diventavano più
rotti, più precipitosi e più molesti. Ad ogni piè sospinto minacciavano
di rubare, e poi di andarsene. Vennero in questo mentre le novelle al
campo, che Arnold si avvicinava potente di numero, e con grandissima
celerità. Il vero si era, che Schuyler, udito, che si combatteva il
Forte del suo nome, aveva spedito Arnold in soccorso con una brigata di
stanziali sotto gli ordini del generale Learned, al quale si accostaron
poi mille armati alla leggiera mandati da Gates. Procedeva Arnold colla
consueta audacia e celerità alla fazione, salendo per le rive del fiume
Moacco. Giunto a mezza strada, avendo avuto avviso, che il Gausevoort
era molto stretto dal nemico, e sapendo che niuna cosa tanto nuoce al
tempo, quanto il tempo, lasciate indietro le genti di grave armatura,
con novecento dei più lesti corse più che di passo al Forte. Ebbero
tosto gl'Indiani, che stavano di continuo cogli orecchi levati,
intenzione della cosa, sia dai loro, sia dalle spie mandate avanti a
bello studio dall'Arnold, che molto la magnificavano. Al nome d'Arnold,
e nella tempera, in cui già si trovavano, se si sgomentassero, nissuno
il domandi. Sopraggiunse loro addosso quell'altra novella, forse per
l'affare di Bennington, che Burgoyne con tutto l'esercito era stato
tagliato a pezzi. Non istettero più a soprastare. Si levarono a rotta
per andarsene. S'affaticarono Saint-Leger e Johnson molto per
incoraggiarli e trattenergli, ora dicendo, che gli avrebbero condotti
eglino stessi alla battaglia in compagnia delle migliori genti loro; che
scegliessero essi medesimi il luogo del combattere; che ordinassero le
mosse, come meglio piacesse e paresse loro. In ultimo chiamò Saint-Leger
a parlamento i Capi loro, sperando che per l'autorità di questi, e per
quella di Johnson, del Claws, e del Butler soprantendenti alle cose
indiane da parte del Re, si sarebbero potuti trattenere. Ma mentre
deliberavano, gli altri sbiettavano. Pochi rimasero, e minacciavan di
peggio, se non si levava il campo. Dovettero gl'Inglesi cedere alla
fortuna. Il dì 22 agosto levarono l'assedio, ritirandosi verso il lago
Oneida. Le tende, le munizioni, le artiglierie vennero in poter della
guernigione, la quale uscita dal Forte diè loro alla coda con grave
danno. Ma maggior pericolo sovrastava loro da parte dei feroci alleati,
che non da quella de' repubblicani. Mettevano gl'Indiani durante la
ritirata, o per me' dire la fuga, a bottino le provvisioni dell'esercito
e le robe dei soldati e degli uffiziali. Nè contenti a questo scannavano
colle proprie baionette gli sbrancati. Non si potrebbe con degne parole
descrivere la miserabilità di questa rotta, il danno, lo squallore e lo
spavento delle genti regie. Arrivarono finalmente sul lago, dove
trovarono conforto e riposo. Saint-Leger se ne tornò a Monreale, e
poscia a Ticonderoga per andarsi a congiungere con Burgoyne. Arnold
arrivò al Forte due dì dopo, che era stato sciolto l'assedio. Quivi gli
abbracciamenti e le allegrezze per la ricuperata libertà, e per
l'ottenuta vittoria furon senza fine tra i soldati del presidio e quei
del soccorso.

Pei fatti di Bennington e del Forte Schuyler parve, che la fortuna
cominciasse a risguardare con lieto occhio le cose dell'America; e
siccome riuscirono inaspettati ai repubblicani, poichè in tutto il corso
di questa guerra canadese, dopo l'infelice morte di Mongommery, nulla,
che male non fosse, era loro accaduto, così diedero loro molto animo, e
da impauriti e sfiducciati ch'erano, diventarono baldanzosi e
confidentissimi. Gl'Inglesi per lo contrario ne ricevettero grandissima
perturbazione, e molto rimettettero di quella speranza e di
quell'ardire, che ai primi favorevoli riguardi della fortuna concetti
avevano. Quindi cambiossi affatto l'aspetto delle cose; e
quell'esercito, ch'era stato cagione di terrore ai repubblicani, pareva
ora a questi che avesse frappoco a diventare preda alle genti loro.
L'affare di Bennington specialmente aveva spirato grandissima fiducia in
sè stesse alle bande paesane; poichè non solo avevano combattuto, ma
sbaragliato e vinto le genti ordinate del Re, o inglesi, o tedesche che
si fossero. Quindi non si tenevano da meno che i reggimenti d'ordinanza;
e questi dal canto loro, per non iscomparire, ogni diligenza ed ogni
maggiore sforzo facevano per mantenere la opinione dell'antica
superiorità sopra le milizie. Venuta poi meno a Burgoyne la speranza di
poter ottenere le vettovaglie di Bennington, di nuovo si trovava per la
carestia in grandissime difficoltà. Ma i prosperi successi avuti dagli
Americani sotto le mura del Forte Schuyler, oltre l'aver inanimato le
milizie, aveva anche questo altro effetto operato, che liberati dal
timore di un'invasione, nel paese de' Moacchi, potettero tutte le forze
loro raccorre sulle rive dell'Hudson contro l'esercito di Burgoyne.
Quindi era, che i popoli si levavano a romore in tutta la contrada, e,
prese le armi, correvano al campo. A ciò eziandio dava occasione
l'essere a quei dì terminate le bisogne delle messi, e d'incentivo
l'esser arrivato all'esercito il generale Gates, perchè ne pigliasse in
luogo di Schuyler il governo. Era Gates salito presso gli Americani a
grandissima stima e riputazione, ed il nome suo era cagione, che gli
animi loro s'innalzassero a maggiori speranze. Era egli stato tratto dal
congresso a generale dell'esercito del Nort nella tornata dei 4 agosto,
mentre le cose si ritrovavano in grandissima declinazione. Ma non era
arrivato a Still-water, che ai ventuno. Seppe Schuyler per tempo, che
gli era mandato lo scambio. Tuttavia da quel buon cittadino ch'egli era,
aveva continuato sino all'arrivo di Gates ad usare ogni ingegno per
ristorare i danni. Già, come veduto abbiamo, aveva fatto grandissimo
frutto, ed inclinava la vittoria a favor suo. Si dolse molto amaramente
con Washington, che gli fosse interrotto il corso della fortuna, e che
altri avesse a côrre il frutto delle sue fatiche, quella vittoria
godendosi, alla quale egli aveva preparata la via. Ma volle il congresso
mandare ad un esercito perdente un capitano vittorioso. Inoltre non gli
era nascoso, che, se Schuyler era grato ai Jorchesi, era però molto in
disdetta dei Massacciuttesi, e degli altri uomini della
Nuova-Inghilterra. Il che impediva grandemente, che le genti corressero,
con quella alacrità che si desiderava, ad ingrossar l'esercito
settentrionale, il quale si trovava allora accampato nelle isole poste
là, dove il fiume Moacco mette capo nell'Hudson.

Un'altra, e molto possente cagione, che operò in modo si levassero a
calca gli Americani contro l'esercito inglese, quella era delle crudeltà
commesse dagl'Indiani sia del Saint-Leger, sia di Burgoyne, i quali non
la perdonavano nè a sesso, nè a età, nè alle opinioni. I leali
egualmente che i libertini ne furono sperperati. Quindi si detestava ed
abborriva universalmente quell'esercito, che aveva condotto seco sì
feroci ausiliarj. Le cose vere si magnificavano a bello studio dagli
scrittori ed oratori parziali, e non che a rabbia, a furore si
concitavano quelle menti già di per sè stesse cotanto inviperite. Seguì
fra gli altri un caso degno di grandissima compassione, e soggetto
bastevole a qualunque sanguinosa e spaventosa tragedia; e questo fu, che
una donzella per nome Maccrea, fanciulla non meno virtuosa che bella, di
lodevoli maniere, e di famiglia onorata, testè giuratasi ad un uffiziale
inglese, fu presa dai Barbari nelle sue case presso il Forte Edoardo, e
strascinata nelle selve con altre donne e ragazzi, ed ivi
barbarissimamente scarpellata ed uccisa. Così la infelice giovane invece
di andarsene alle liete nozze, fu tratta a crudele morte da coloro
stessi, che le paghe ricevevano dai compagni del suo diletto marito.
Inorridirono a sì inudita ferità le genti sì in America, che in Europa,
e mille volte maledirono gli autori dell'indiana guerra. Così,
com'abbiam detto, raccontano la cosa gli scrittori americani. Ma altri
narrano, che il giovane inglese per nome Jones, dubitando non succedesse
all'amata donna qualche sinistro per essere il padre suo uno de' più
ostinati leali del paese, e perchè già si sapeva l'amore, ch'ella a lui
portava, avesse a due Indiani di diverse tribù persuaso, l'andassero a
pigliare, e conducesserla sana e salva alle stanze, dove avrebbe con
eccellente premio il conduttore rimeritato. Pigliaronla i due Barbari, e
condottala nelle selve per alla volta dello sposo, venuti a contesa fra
di loro, volendo l'uno e l'altro esser solo per averne il premio intiero
nel rappresentarla, uno di essi mosso da bestial furore, rotta ad un
tratto coll'infragnitoio la testa alla sventurata fanciulla, l'ammazzò.
Burgoyne, udito sì enorme caso, fece arrestar l'ucciditore, e lo
minacciava di morte. Poco poi gli perdonò con patto, gl'Indiani, siccome
promettevano di voler fare, si astenessero da simili barbarità, e
fedelmente osservassero quelle condizioni, alle quali nel convento fatto
sulle rive del fiume Bouquet si erano obbligati. Credette il generale,
che il perdono fosse più profittevole che non l'esempio del gastigo.
Parve ancora, avesse qualche scrupolo, che per le leggi inglesi non gli
fosse lecito il riconoscere e gastigare colla pena di morte l'uccisore
della fanciulla, come se altre leggi non vi fossero fuori delle inglesi,
che gli comandassero di punire colla condegna pena l'autore di sì
orribile misfatto. Che se poi la prudenza lo avvertiva di astenersene,
debbesi in tal caso, e deplorare la debolezza, in cui era ridotto, e
detestare i consiglj di coloro, che avevano tratto i Barbari a parte di
una contesa nata fra genti polite e civili. Comunque ciò sia, la
condiscendenza di Burgoyne ritornò in capo a lui; imperciocchè
gl'Indiani, vedendo di non potere, come prima, metter ogni cosa a ruba
ed a sangue, abbandonato il campo, depredando e guastando, alle case
loro in fretta se ne tornarono. Così finì quasi del tutto in quest'anno
la guerra indiana, mal avvisata nel principio, crudele nell'atto, ed
inutile nel fine. I Canadesi medesimi ed i leali, che seguitavano
l'esercito del Re, spaventati al sinistro aspetto delle cose,
disertavano alla ricisa, dimodochè al più gran bisogno fu Burgoyne
lasciato presso che solo colle genti stanziali inglesi e tedesche.

In questo medesimo tempo gli fu fatto alle spalle da uno spicchio di
repubblicani una fazione, la quale, se loro riuscita fosse, gli avrebbe
del tutto tagliato i viveri, ed il ritorno al Canadà; e dimostrò almeno
il pericolo, ch'egli correva coll'allontanarsi sì lungo tratto con
piccolo esercito dai luoghi sicuri dei laghi. Il generale Lincoln con
una grossa banda di milizie del Nuovo-Hampshire e del Connecticut entrò
in isperanza di poter ricuperare alla lega le Fortezze di Ticonderoga e
del monte Independenza, le quali si custodivano con deboli presidj, e
per conseguente la signorìa del lago Giorgio. Arrivò egli da Manchester
a Pawlet. Divideva le sue genti in tre schiere; la prima guidata dal
colonnello Brown doveva condursi al luogo, dove si arripa dal lago
Giorgio, poi correre ad assaltar Ticonderoga; la seconda capitanata dal
colonnello Johnson cavalcasse il paese verso il Forte Independenza per
far diversione, e se l'occasione si ofrisse, tentare altresì questa
Fortezza; l'ultima poi condotta dal colonnello Woodbridge andasse ad
osteggiare Skeenesborough, il Forte Anna, e perfino il Forte Edoardo.
Brown con non minor celerità, che segretezza procedendo sorprese, e
s'impadronì di tutti i posti sul lago Giorgio, e sull'emissario per alla
via di Ticonderoga, che sono il monte Speranza, il monte Diffidenza, e
le fortificazioni francesi. Recò in poter suo dugento battelli, un
giunco armato, e parecchie barche da portar artiglierie; fe' non pochi
prigioni. Nell'istesso tempo arrivò Johnson sotto le mura del Forte
Independenza. Fecero la invitata all'una ed all'altra Fortezza. Ma il
brigadiere Powel, che l'aveva in custodia, rispose di volersi difendere.
Diedero la batteria per ben quattro giorni continui; ma non avendo
artiglierie di grossa passata, e difendendosi quei di dentro
gagliardamente, fu vano il conato, ed, abbandonata l'impresa, se ne
tornarono alle prime stanze.

Burgoyne intanto continuava ad alloggiare sulla sinistra riva
dell'Hudson, e con ogni più diligente opera s'ingegnava a far venire dal
Forte Giorgio le munizioni. Avendone finalmente con incredibile fatica e
perseveranza ammassato una quantità da poter bastare trenta giorni, si
determinò a passare dalla sinistra sulla destra riva per trovarvi e
combattere l'inimico ed aprirsi colla vittoria la strada ad Albanìa. E
siccome il fiume gonfiato dalle continue piogge aveva portato via il
ponte di foderi, un altro ne construì con battelli. Varcò il fiume del
Nort verso la metà di settembre con tutto l'esercito, e scendendo per la
destra riva andò a pigliare gli alloggiamenti parte nelle pianure, e
parte sui colli vicini a Saratoga. Gates stava colle sue genti accampato
tre miglia più su di Still-water. Per conseguente i due eserciti
fronteggiavano l'un l'altro, e si aspettava una vicina battaglia.

Questo partito di essersi volto alla passata del fiume fu da molti, e
molto acerbamente censurato; e si credette, sia stato la principal
cagione del fine, che ebbe poi tutta l'impresa. Opinarono alcuni, che
sarebbe stato miglior consiglio dopo gli affari di Bennington e di
Stanwix, e considerata la forza dell'esercito di Gates, la quale
diventava anche tutti i giorni maggiore, che Burgoyne avesse abbandonato
il pensiero di recarsi ad Albanìa, e si fosse ritirato di nuovo ai
laghi. Della qual cosa però, giusta l'opinione nostra, lo scusa il non
aver egli a quel tempo ancor ricevuto nissuna novella, nè della forza
dell'esercito lasciato nella Nuova-Jork, nè delle mosse che fosse per
fare, o fatte avesse il generale Clinton su per le rive dell'Hudson per
alla volta di Albanìa. Aspettava una efficace cooperazione da parte di
Clinton. Così portavano ed il disegno ministeriale, e le ricevute
istruzioni. E non sarebbe egli stato grandemente da riprendersi, se,
ritratto l'esercito verso Ticonderoga, avesse abbandonato Clinton a sè
stesso, ed a tutti quei vantaggi rinunziato, che l'arrivo di questi, e
la congiunzione dei due eserciti promettevano? Bene ci pare, che vana
escusazione sia stata quella, che addusse egli stesso, dicendo, che, se
fosse tornato indietro, Gates avrebbe potuto andare a congiungersi con
Washington, e tutti e due uniti, opprimendo Howe, il destino di tutta la
guerra definire. Conciossiachè non avrebbe mai Gates potuto abbandonar
le rive dell'Hudson, finchè si conservava sano e salvo l'esercito di
Burgoyne, sia che questi alloggiasse a Saratoga, sia che stanziasse a
Ticonderoga. Senza di che consistendo una gran parte dell'esercito di
Gates in milizie della Nuova-Inghilterra, queste seguitato non
l'avrebbero, quando e' si fosse recato sulle rive della Delawara. Ma se
crediamo, che Burgoyne non abbia fatto errore nel voler seguitare
l'impresa, ci pare però ch'ei non avrebbe dovuto varcar l'Hudson, ma
sibbene rimanersene sulla sinistra riva; poichè in tal caso, o sia che
avesse voluto, secondo le circostanze, ritirare l'esercito a
Ticonderoga, o sospingerlo avanti sino in Albanìa, ciò poteva molto più
facilmente eseguire, trovandosi tra il suo e quello di Gates, già fatto
più gagliardo, frapposto il grosso fiume del Nort. Le strade all'insù da
Batten-hill sino al Forte Giorgio erano più facili sulla sinistra, che
non sulla dritta, ed all'ingiù sino ad Albanìa, se non migliori, certo
poco peggiori. Egli è vero che la città di Albanìa è posta sulla destra
riva del fiume; ma quando Burgoyne fosse pervenuto rimpetto a questa
città sulla sinistra, gl'Inglesi di sotto avrebbero potuto arrivarvi coi
battelli loro, e trasportare le genti sulla destra. In ogni caso
avrebbero potuto congiungersi con quelle di Clinton. Ma Burgoyne, o
troppo confidando ne' suoi soldati, i quali erano in vero una bella e
buona gente, o troppo poco conto tenendo degli Americani, dalla quale
opinione però avrebbero dovuto rimuoverlo i fatti di Bennington e di
Stanwix, amò meglio, lasciato il partito più sicuro, andar a tentar la
fortuna col combattere l'inimico, sperando di ottenere colla vittoria,
che credeva certa, il fine di tutta l'impresa. Così nell'istessa
maniera, che i ministri britannici, male giudicando della costanza de'
coloni, si pensarono di fargli calare alle voglie loro colle leggi
rigorose, i generali, ingannatisi a gran partito intorno il coraggio di
quelli, si fecero a credere di potere solo colla vista, colla voce, e
con un po' di romore d'armi fugargli. In tal modo si toccavano le
sconfitte per troppa speranza della vittoria, e si perdè la guerra per
troppa assicuranza di vincerla.

Ma ripigliando ora, donde lasciamo, il giorno diciannove di settembre
era riserbato dai cieli ad un aspro e sanguinoso combattimento, pel
quale si doveva definire, se gli Americani potevano solo difendersi
dagl'Inglesi dietro i ripari delle Fortezze, delle selve, dei fiumi e
delle montagne, siccome alcuni portavano opinione, ovvero se fossero
abili ad incontrargli sull'aperta campagna, nelle battaglie giuste ed
ordinate. Erasi Burgoyne, superati non senza fatica tutti gli ostacoli
dei rotti ponti e delle strade sfondate, condotto vicino a Gates,
dimodochè alcuni stretti boschi soltanto s'interponevano tra i due
eserciti. Senza fare alcuna dimora l'Inglese trasse fuori il suo in
ordinanza, e lo dispose alla battaglia. L'ala sua dritta alloggiava
presso certi colli, verso i quali il terreno si innalza graduatamente
partendo dal fiume. Essa era fiancheggiata dai granatieri e dai fanti
leggieri, i quali occupavano i colli sopraddetti. Poco più avanti in
fronte e da fianco di questi stavano, come stracorridori, quegl'Indiani,
leali e Canadesi, che rimasti erano nel campo. L'ala sinistra colle
genti di più grave armatura e le artiglierie era posta sullo stradone, e
nei prati che rasentano il fiume. Era questa capitanata dai generali
Philipps e Reidesel. Stava a petto col medesimo ordine schierato dal
fiume ai poggi l'esercito americano, Gates sulla dritta, e Arnold sulla
stanca. Già seguivano feroci avvisaglie tra i primi feritori dell'uno e
dell'altro esercito. Morgan col suo reggimento, ed il colonnello Durbin
coi fanti leggieri avevano dato dentro, e volto in fuga i Canadesi e gli
Indiani. Ma, venute altre genti in soccorso di questi, furono l'uno e
l'altro costretti a cedere, ed a ritirarsi al campo. Intanto Burgoyne, o
credendo di girare attorno il fianco sinistro del nemico, o perchè fosse
necessitato di così fare per ischivare, passando più in su, i borri dei
torrenti che corrono nell'Hudson, si distendeva coll'ala sua dritta su
pei poggi, e disegnava di andar a percuotere di fianco ed alle spalle
Arnold. Ma quel gioco, che Burgoyne voleva fare all'Arnold, nel medesimo
tempo Arnold intendeva di farlo al Burgoyne, senza che l'uno sapesse
dell'altro, o l'altro dell'uno per l'interposizione delle selve.
Incontraronsi le due schiere. Furono gli Americani ributtati da Frazer.
Trovato sì duro incontro sul fianco dritto dell'ala dritta inglese,
lasciato sufficientemente guardato questo luogo, si difilarono
rattamente verso la destra loro, ed andarono con molta furia ad
assaltare il sinistro fianco dell'ala medesima. Quivi Arnold diè pruove
di quell'alto e smisurato coraggio, di cui egli era fornito, confortando
i suoi colla voce, e più ancora coll'esempio. La battaglia era molto
pericolosa. Gl'Inglesi temendo che il nemico, rompendo le fila, non
penetrasse tra l'ala loro dritta e la sinistra, il quale si vedeva
manifestamente essere il disegno di lui, mandarono nuove schiere in
soccorso della parte pericolante. Vennevi Frazer col vigesimo quarto, e
con altre genti leggieri, ed i corridori di Breyman. Più sarebbervi
venuti dal fianco destro, se non che la necessità di difendere i poggi
nol consentì. Nondimeno tanto era il valore e l'ostinazione degli
Americani, che già gl'Inglesi incominciavano a disordinarsi. Ma arrivava
in questo punto Philipps con nuove genti, e con una parte delle
artiglierie; il quale, tosto udito il primo romore, s'era mosso in via,
e, traversata con molta difficoltà una selva, si era celeremente
condotto al luogo del pericolo. Frenò egli il nemico, e ristorò la
fortuna della giornata, che già declinava. Ciò nonostante continuarono
gli Americani l'assalto loro con molto valore, sicchè la notte sola pose
fine al combattimento. I repubblicani si ritirarono. I reali
pernottarono in armi sul campo di battaglia. Mancarono degli Americani
tra morti e feriti da trecento a quattrocento. Tra i primi i colonnelli
Adams e Coburn. Degl'Inglesi meglio di cinquecento. Morì fra gli altri
il capitano Jones, uffiziale di artiglieria molto riputato.

Pretendettero ambe le parti la vittoria. Gl'Inglesi acquistarono il
campo di battaglia. Ma siccome l'intenzione degli Americani era di non
andare, ma di stare, e quella degl'Inglesi di andare, e non di stare, e
che inoltre era agli Americani un vincere il non esser vinti, ognuno può
vedere, quale abbia raccolto maggior frutto dalla giornata. Da un altro
canto gli Inglesi si persuasero non senza molta diminuzione dell'ardire
e delle speranze loro, che avevano a fare con un nemico, il quale anche
a viso scoperto sapeva, e poteva tenere loro il fermo.

Il giorno seguente, vedendo Burgoyne che non poteva sperare di cacciar
di forza il nemico dai luoghi forti ed affortificati, dove alloggiava,
confidandosi forse, che il tempo potesse offerire qualche occasione di
far maggior frutto, ed aspettando inoltre di dì in dì le novelle del
generale Clinton, delle operazioni del quale egli era tutto al buio, si
fermò, e pose il campo a gittata d'artiglieria dagli alloggiamenti
americani. Faceva intanto fare sollecitamente grossi ripari, tanto sulla
dritta, dond'era venuto il pericolo, quanto sulla sinistra per difender
quelle praterìe vicine al fiume, dove aveva i suoi magazzini, e gli
ospedali. Un reggimento d'Inglesi, i lanzi d'Hanau, ed alcuni leali
furono fatti attendare nelle praterìe medesime per maggior sicurtà.
Gates continuò ne' suoi alloggiamenti, affortificandovisi però molto
studiosamente sulla sinistra.

Colla miglior fortuna s'accrescevano parimente ogni giorno le forze del
suo esercito per l'accozzamento di nuove genti sì stanziali, che cerne.
Venne tra gli altri a congiungersi Lincoln con duemila di queste tra
Massacciuttesi, Rodiani, Hampshiresi, e Connecticuttesi, tutti soldati
buoni ed agguerriti. Usavano gl'Inglesi grandissima diligenza per evitar
le sorprese; gli Americani per impedire gl'Inglesi non uscissero a
foraggiare. Si facevano in questo mezzo tempo frequenti badalucchi.

Intanto il generale britannico stava con grandissima impazienza
aspettando le novelle della Nuova-Jork, e gli pareva mille anni di non
riceverne. Finalmente il giorno venti gli pervenne una lettera dei dieci
scrittagli in cifera da Clinton, colla quale questi lo avvisava, che
verso il giorno venti del mese avrebbe con duemila uomini tentato il
Forte Montgommery situato sulla destra riva dell'Hudson alle falde dei
colli. Lo accontava nel medesimo tempo, che non poteva far di più,
trovandosi molto debole; e che anzi, quando il nemico facesse qualche
motivo verso le spiaggie della Nuova-Jork, sarebbe egli costretto di
ritornarsene. Mandò tosto Burgoyne un uomo a posta, due uffiziali
travestiti, e parecchie altre persone di credenza per differenti strade
a Clinton, acciò lo informassero della condizione, in cui si trovava, lo
avvisassero e pregassero, procedesse tostamente alla spedizione.
Aggiungessero, che in rispetto alle vettovaglie poteva egli, e voleva
bastare sino ai dodeci del presente ottobre. Ancorchè l'aiuto che
prometteva Clinton, di troppo minor momento fosse, di quanto si era
Burgoyne dato a credere dovesse essere, tuttavia sperava, che per
l'assalto dato al Forte Montgommery, e pel timore che gl'Inglesi, preso
questo, non si aprissero la via su pel fiume, avrebbe Gates, o mutati i
suoi alloggiamenti, o mandato qualche grossa banda all'ingiù contro
Clinton, e che nell'uno o nell'altro caso si sarebbe offerta la
occasione di acquistare qualche vittoria, e perciò di arrivare in
Albanìa. Abbenchè, se si consideri, di quanto fosse più gagliardo
l'esercito di Gates di quello di Burgoyne, e che il primo nuove forze
acquistava ogni dì, si potrà conoscere, quanto vana fosse l'aspettazione
del generale inglese. Ei pare adunque, ch'esaminata la debolezza
propria, quella di Clinton, e la prepotente forza di Gates avrebbe
dovuto pensare a ritirarsi, seppure la ritirata era ancora in facoltà
sua; imperciocchè il traversare il fiume, con un sì forte esercito
nemico tanto vicino, sarebbe stata impresa troppo pericolosa; e qui si
vede ancora, quanto improvvido sia stato il consiglio di averlo la prima
volta varcato; conciossiachè da questa passata l'andata ed il ritorno
diventarono del pari impossibili.

Sul principiar d'ottobre Burgoyne trovandosi a molto stretti termini
condotto, ed ogni giorno diventando più deboli le speranze del soccorso,
stimò, fosse necessaria cosa il diminuire le provvisioni giornaliere dei
soldati. La qual cosa, quantunque grave, sopportò con molta prontezza
l'esercito. Le cose continuarono in questo stato sino ai sette
d'ottobre, giorno, in cui avvicinatosi già a quattro o cinque di quello,
oltre il quale non si sarebbe potuto durare, il generale inglese si
determinò di voler far un motivo sulla sinistra del nemico, a fine di
scoprire, se possibile fosse di passare, quando si volesse andar avanti,
o di sloggiare l'inimico, quando si volesse dare indietro, o ad ogni
modo di uscire alla busca per raggranellar provvisioni. Era forzato per
necessità a tentare qualche partito notabile. Fece adunque un nodo di
quindici centinaia di buoni soldati stanziali, ai quali comandava egli
stesso accompagnato da Philipps, Reidesel e Frazer, capitani tutti di
ottima mente e di egregio valore. Aveva con sè due cannoni da dodici
libbre di palla, sei da sei, e due obici. La guardia del campo fu
commessa sulla dritta verso i poggi ai brigadieri generali Hamilton e
Specht, sulla sinistra verso il fiume al brigadiere Gall. Non potè
Burgoyne uscire dagli alloggiamenti più grosso, trovandosi così vicino,
e tanto superiore di forze l'inimico. Con questa schiera intendeva di
cominciar la battaglia. Aveva poi ordinato, che mentre ella dava dentro,
alcune compagnie di stracorridori indiani e leali, passando per
tragetti, girassero sul fianco sinistro degli Americani, ed andassero a
mostrarsi loro alle spalle. Già si era mossa la schiera, ed uscita dal
campo, ita era porsi in ordinanza a tre quarti di miglio sulla sinistra
del nemico, e faceva le viste di volersi far avanti, e di stendersi per
passare oltre il sinistro fianco di lui. Ma Gates, che stava a riguardo,
accortosi benissimo del disegno degl'Inglesi, pigliò tosto con molta
avvedutezza il partito di dare un improvviso e gagliardo assalto alla
sinistra punta della schiera suddetta, sperando in tal modo di separarla
intieramente dal rimanente esercito, e di mozzarle la via agli
alloggiamenti. Andarono gli Americani all'assalto con incredibile
impeto; ma trovarono un duro incontro, perchè il maggior Ackland alla
testa de' granatieri gli sostenne molto risolutamente. Gates, veduta la
cosa, mandò spacciatamente nuovi rinforzi a' suoi, di maniera che
potettero assaltar tutto ad un tempo anche il destro squadrone di
quest'ala sinistra della schiera inglese, nel quale si trovavano i
lanzi. Quindi è, che non fu fatto abilità al generale britannico di
smuovere dal luogo loro, siccome desiderato avrebbe, una parte di questi
lanzi per andarne a formare una seconda fila di riscossa dietro quella
punta sinistra, che si trovava in maggiore pericolo. Sulla destra della
schiera inglese non si combatteva peranco, allorquando i capitani
britannici si accorsero, che il nemico con una grossa squadra girava sul
loro fianco destro con intenzione manifesta di tagliar loro il ritorno
agli alloggiamenti. Per render vano questo pericoloso disegno del
generale americano, si ordinò ai fanti leggieri ed al vigesimo quarto,
si arringassero, come schiera di riscossa, e per protegger la ritirata,
dietro l'ala dritta. Nel mentre che questa mossa si eseguiva,
sopravveniva furiando Arnold con tre reggimenti, ed assaltava da fronte
quest'ala medesima. Nel medesimo tempo Gates mandava nuovi aiuti a
coloro fra suoi, che combattevano contro la punta sinistra inglese.
Quivi gl'Inglesi, tenuta un pezzo la puntaglia, finalmente si
disordinarono, e voltarono in fuga. Si avviavano a corsa i fanti
leggieri, ed il vigesimo quarto per fermar il corso della vittoria al
nemico. S'incontrarono nei corridori americani, i quali già inondavano,
e ne seguì una feroce mischia con morte di molti da ambe le parti. Morì
in questo conflitto il generale Frazer, il quale per la scienza e pel
valore teneva luogo fra i primi. In questo momento tutta la schiera
inglese si trovava in grandissimo pericolo. Nè minore era quello che
correvano gli alloggiamenti; imperciocchè il nemico gagliardo e
vittorioso andava per assaltargli, dove, se giunto fosse prima della
schiera che si ritirava, poca speranza si poteva avere di difendergli.
Adunque Philipps e Reidesel, eseguendo gli ordini del capitano generale,
raccolte il meglio, ed il più tosto che potettero, tutte quelle
compagnie, che ancora combattuto non avevano, s'ingegnarono di
proteggere la ritirata delle genti sconfitte, mentre Burgoyne coll'ala
dritta perseguitato fieramente dall'Arnold si ritraeva a grande stento
anch'esso verso gli alloggiamenti. Gli uni e gli altri, sebbene a
fatica, vi arrivarono, ed entrarono dentro, lasciati però sul campo di
battaglia molti morti e feriti, massimamente artiglieri, i quali in
questa giornata fecero con non minor gloria loro, che danno dei nemici
maravigliose pruove. Vennero anche in poter degli Americani sei pezzi di
artiglieria.

Ma qui non ebbe fine il fortunoso combattimento. Appena erano gl'Inglesi
entrati negli alloggiamenti loro, gli Americani seguendo l'impeto della
vittoria gli affrontarono da diverse parti con incomparabile ardire,
malgrado la furiosa tempesta di cannonate a scaglia, e di archibusate
che loro piovevano addosso. Arnold sopra tutti, il quale pareva in
questo giorno, fosse fuori di sè per l'agonia di menar le mani, ed i
pericoli cercasse piuttosto con bestial furore, che con valore umano,
abbandonatamente assaltò le trincee in quella parte, dove stavano alla
guardia i fanti leggieri inglesi sotto i comandamenti del lord Belcaro.
Ma gl'Inglesi con audacia inestimabile si difendevano. La battaglia fu
dura, lunga e sanguinosa. Infine, quando già s'abbuiava, Arnold,
superati tutti gli ostacoli, si sospinse per maladetta forza dentro il
vallo con pochi dei più animosi. Ma in questo punto fu sconciamente
ferito in quella gamba medesima, la quale già gli era stata guasta
nell'assalto di Quebec. Fu costretto con grandissimo suo cordoglio a
ritirarsi. I suoi tuttavia seguitavano a menar le mani, difendendosi
però sempre gli Inglesi gagliardamente, e, fatto già notte, anch'essi
finalmente si ritirarono.

Ma non si combattè così felicemente pei reali da un'altra parte. Quella
squadra di repubblicani, la quale condotta dal luogotenente colonnello
Brooks iva allargandosi sull'ala dritta dei regj, dato una gran
giravolta, erasi recata ad assaltar il destro fianco degli
alloggiamenti, e combattendo ferocemente si sforzava di entrarvi. Stava
alla difesa di questa parte del campo Breyman co' suoi lanzi. Questi non
mancarono a sè stessi, e con gran valore si affaticarono di risospingere
gli assalitori. Ma morto sulle prime Breyman, si disordinarono, e
dettero luogo all'impeto degl'inimici. Furono tutti o fugati, o fatti
prigionieri, o tagliati a pezzi. Perdettero tutte le tende, le bagaglie
e le artiglierie. Entrarono gli Americani, e piantarono gli
alloggiamenti loro dentro il campo inglese. Udite Burgoyne le novelle di
sì tristo caso, ordinò, si andasse a rincacciar il nemico. Ma o sia la
notte, ch'era sopraggiunta, o lo sbigottimento delle genti, che sel
facessero, i comandamenti suoi non ebbero effetto, e gli Americani
continuarono a dimorare nel luogo, che con tanta gloria acquistato
avevano. In tal modo s'erano questi aperto il passo sul fianco destro,
ed alle spalle dell'esercito inglese. Le altre schiere americane
stettero tutta la notte in armi ad un mezzo miglio distante dal campo
inglese. La perdita dei morti e dei feriti fu molto grave da ambe le
parti; ma più da quella degl'Inglesi, de' quali ne furon anche fatti
prigioni non pochi. Il maggiore d'artiglieria Williams e l'Ackland dei
granatieri furono nel numero di costoro. Molti pezzi d'artiglieria
vennero in poter dei repubblicani, con tutte le bagaglie dei Tedeschi, e
molte munizioni da guerra, delle quali avevano grandissimo bisogno.
Aspettavano gli Americani impazientemente il nuovo dì per rinnovar la
battaglia. Ma trista, ed oltre ogni dire pericolosa era la condizione
dell'esercito britannico, la quale però sopportava con maraviglioso
coraggio. Il continuar a starsene in quel sito era un esporsi l'indomani
ad una inevitabile rovina. Gli Americani più potenti e più arditi, e per
l'adito che già aperto si erano al destro fianco, e per le altre parti
ancora poco difendevoli, si sarebbero certamente fatto la via per ogni
dove nel campo, e l'esercito inglese sarebbe stato condotto ad un totale
sterminio. Pertanto si determinò Burgoyne a mutar gli alloggiamenti; il
che eseguì con mirabil ordine, e senza perdita veruna, facendo per a mò
di conversione retrograda dell'ala dritta, girando sulla sinistra che
stava ferma, ritirare indietro le sue genti presso il fiume su certi
poggi, che stavano a sopraccapo all'ospedale. In questa positura aveva
le spalle volte al fiume, la dritta all'in su, e la manca in giù della
sua sponda.

Aspettavano il giorno seguente nel nuovo campo loro gl'Inglesi la
battaglia. Ma Gates da quel capitano sperimentato ch'era, avendo buono
in mano, non volle rimescolare, abborrendo dal rimettere in arbitrio
della fortuna quella vittoria, che già era sua. Intendeva, godendosi il
benefizio del tempo, che la fame, e la necessità delle cose compissero
quell'opera che aveva con audace battaglia sì bene incominciata.
Seguirono però questo dì frequenti scaramucce di poco conto. In questo
istesso dì, la sera si fecero nel campo inglese le esequie al generale
Frazer, molto terribili e dogliose pel danno passato, pel pericolo
dell'avvenire, pel desiderio del morto, per l'abbuiar della notte, pel
balenar continuo, e pel rimbombo dell'artiglierie d'America, le quali
strisciando spruzzavano la terra ad ora ad ora sul viso del cappellano
che offiziava.

Ma Gates, il quale già prima della battaglia aveva fatto passare al di
là del fiume rimpetto Saratoga un grosso squadrone di soldati, acciò ne
custodissero il passo, ed impedissero che il nemico non facesse qualche
sdrucito da quella parte, ora ne mandò altrettanti anche ad un guado
superiore. Intanto avviava all'insù due migliaia di soldati scelti,
acciocchè girando sul fianco dritto degl'Inglesi si avvicinassero alla
riva del fiume, sicchè in tal modo sarebbero questi stati accerchiati da
ogni parte. Accortosi di ciò Burgoyne comandò, si ritraesse prestamente
l'esercito a Saratoga, che trovavasi sei miglia più in su sulla medesima
riva del fiume. Incominciavano a muoversi alle nove della sera; ma tal
era la malvagità delle strade, rese ancor più difficili da una continua
pioggia, e tale la debolezza delle bestie da trarre pel difetto degli
strami, che non arrivarono a Saratoga, che in sull'oscurarsi dell'aria
la sera del seguente giorno, stracchi tutti e malconci dalle fatiche e
dai disagi. Lasciarono in poter dei nemici da trecento malati
nell'ospedale, e molte trite cariche di munizioni e di bagaglie. Per
istrada distrussero le case, ed ogni cosa che loro si era parata
davanti. Cessata la pioggia, Gates gli seguitava sempre dietro un
alloggiamento, lentamente e colle briglie in mano, per aver gl'Inglesi
rotti i ponti, e per non dar loro occasione di appiccare con vantaggio
un qualche fatto d'armi. Temendo che Burgoyne con una subita correrìa di
soldati leggieri mandasse ad occupar il passo del fiume vicino al Forte
Edoardo, inviò certe compagnie di milizie nel medesimo Forte, perchè
l'impedissero. Non così tosto vi erano arrivate, che sopraggiungevano i
corridori inglesi; ma, trovato, ch'erano state loro furate le mosse,
tristi e dolenti se ne tornarono. In questo frattempo il grosso
dell'esercito inglese, passata la notte dei nove a Saratoga, ne partì la
mattina dei dieci, e varcò il Fish-kill-creek, che corre nell'Hudson a
tramontana di questa Terra. Speravano i capitani, che avrebbero quivi
potuto ad un solito passo traversar l'Hudson, e trovare scampo sulla sua
sinistra riva. Ma primieramente incontrarono una banda di repubblicani
sulla stanca di Fish-kill-creek, che già stavano lavorando alle trincee
su certi colli; i quali poscia, veduto il grosso numero degl'Inglesi,
attraversarono l'Hudson, ed andarono a congiungersi collo squadrone
principale, che alloggiava al di là, affine di impedire questo passo.

Perduta la speranza di varcar il fiume ne' luoghi vicini a Saratoga, i
capitani britannici voltarono il pensiero all'aprirsi la via sulla
destra riva sino di rincontro al Forte Edoardo, e là, sforzato il passo
con ributtar le genti, che poste vi erano per difenderlo, valicar sulla
sinistra. A questo fine mandarono avanti una compagnia di guastatori con
una scorta di un reggimento di regolari, alcuni feritori alla leggiera,
e leali, acciocchè racconciassero le strade ed i ponti per al Forte
Edoardo. Appena erano costoro partiti, che compariva l'inimico molto
grosso sui colli dalla parte opposta del Fish-kill-creek, il quale
faceva le sembianze di voler passare per attaccare la battaglia.
Richiamaronsi incontanente i regolari ed i feritori. Solo rimasero coi
guastatori i leali, i quali pizzicati appena da una piccola banda, che
andava ronzando intorno, diedero volta, lasciando soli i guastatori,
lavorassero a posta loro. Per la qual cosa disperossi affatto di poter
condurre in salvo le bagaglie e le artiglierie.

A tante difficoltà venne anche ad aggiungersi questa, che i
repubblicani, i quali stavano attelati lungo la riva sinistra del fiume,
ad ogni passo traevano contro i battelli carichi di munizioni e di
arnesi da guerra, che avevano, navigando a ritroso, seguitato l'esercito
dopo la sua partita da Still-water. Molti di questi battelli erano stati
presi, alcuni ripresi con perdita di gente da ambe le parti. Finalmente
e' bisognò per minor male sbarcar le munizioni, e ridurle sui poggi;
opera, che molto accrebbe di fatica al già tanto stracco esercito.

Ora era giunta al colmo la sfortuna delle genti britanniche, ed altro
non s'appresentava alla mente sì dei capitani, che dei soldati, che un
totale sterminio, od un pregiudiziale accordo. Il voler passar il fiume
così grosso, essendo la sinistra riva con tanta gelosia e da tante genti
guardata, e vicino un sì potente nemico gonfiato dall'aura della
vittoria, era impresa non che temeraria, disperata. Il ritirarsi per la
destra con questo medesimo nemico alla coda, per istrade cotanto
difficili ed intricate, era un partito piuttosto impossibile ad
eseguirsi, che malagevole. Ogni cosa presagiva una inevitabile
catastrofe. Eppure in mezzo a tanta calamità si apriva ag'Inglesi
qualche speranza di bene, e l'occasione di poter ad un tratto ristorar
la fortuna della guerra. Erano i due eserciti separati l'uno dall'altro
solamente dal Fish-kill-creek. La fama, che magnifica tutte le cose, a
motivo di quelle poche genti, che stat'erano mandate da Burgoyne per
iscorta ai guastatori sulla via al Forte Edoardo, aveva fatto credere a
Gates, che tutto l'antiguardo e la battaglia dell'esercito britannico si
fossero già buona pezza avviati alla volta di quel Forte, e che solo
rimanesse nelle pianure di Saratoga la dietroguardia; la quale venne
tosto in isperanza di potere con tutte le forze sue assaltare ed
opprimere. A questo fine la mattina degli undici ottobre Gates ogni cosa
ordinò all'assalto. Intendeva di pigliar l'occasione di una folta
nebbia, la quale in quelle regioni, ed a quella stagione oscura
solitamente l'aria sin poco dopo la levata del sole, passare molto per
tempo il Fish-kill, assaltar una batteria, che Burgoyne aveva piantato
sull'altra riva, e, superatola, correre incontanente contro le genti
nemiche. Ebbe Burgoyne certo avviso della cosa, e guernita prima molto
bene la batteria, aveva tutte le sue genti affilate, come in agguato,
dietro alcune macchie, che ingombravano le rive del fiume. Ordinatosi in
tal modo aspettava la vicina battaglia; e stante la vana credenza del
nemico, aveva grandissima confidenza della vittoria. Già la brigata del
generale americano Nixon aveva guadato il rivo, e seguitava quella del
generale Glover. Ma come prima pose questi il piede nell'acqua per
passare, ebbe lingua da un disertore inglese, che non già il solo
retroguardo, ma tutto intiero l'esercito reale si trovava ordinato alla
battaglia sull'altra riva. Intesa la cosa Glover si ristette, e mandò
dicendo a Nixon, il quale si trovava nell'imminente pericolo di essere
tagliato a pezzi, non istesse a soprastare, ma immediatamente si
ritraesse sulla destra riva. Mandò anche informando Gates di quello, che
accadeva. Questi rivocò tosto gli ordini, e comandò ritornassero tutti,
e stessero ai luoghi loro. Nixon in buon punto ricevè l'avviso di
Glover; perciocchè un quarto d'ora dopo stato sarebbe troppo tardi.
Indietreggiò spacciatamente; ma non sì, che, dileguatasi la nebbia prima
che avesse ripassato, non fosse il suo retroguardo noiato dalle
artiglierie inglesi con perdita di alcuni soldati.

Riuscita vana questa speranza, Burgoyne andava considerando, se qualche
altra via rimanesse a salvar l'esercito. Fatta una Dieta, deliberarono,
si dovesse, marciando velocemente di notte tempo, arrivare al fiume
nelle vicinanze del Forte Edoardo, e là con un repentino assalto
sforzare il passo, o sotto o sopra il Forte medesimo. E perchè i soldati
camminar potessero più speditamente, si risolvettero ad abbandonare le
artiglierie, le bagaglie, il carreggio e tutti gl'impedimenti.
Portassero i soldati di che logorare per alcuni dì, sinchè arrivar
potessero al Forte Giorgio. Ognuno si apparecchiava a mandar ad effetto
l'intento del capitano. Ma Gates, che aveva presentita la cosa, ci aveva
già fatto contro gli opportuni provvedimenti. Aveva comandato a quelle
bande, che guernivano la sinistra riva dell'Hudson, stessero molto
vigilanti, ed aveva anche ingrossate le guardie poste ai luoghi, dove
Burgoyne disegnava di varcare. Ordinava loro, sostenessero il nemico,
fino a tanto che arrivasse egli alle spalle con tutto l'esercito. Oltre
a ciò faceva accampare una grossa schiera su certi poggi tra i Forti
Edoardo e Giorgio, ed aveva imposto ai Capi, che diligentemente vi si
affortificassero.

Aveva Burgoyne mandato avanti ormatori per riconoscere il paese, e
soprattutto per esplorare, se si potesse sforzare il passo del fiume al
Forte Edoardo. Ritornaron dicendo, che le strade erano oltre ogni
credere rotte e difficili; che i nemici erano sì spessi e sì vigilanti
sulla sinistra riva, che avrebbero di leggieri ogni mossa osservata,
benchè piccola, ch'essi fatto avrebbero sulla destra; e che i passi al
Forte erano sì diligentemente guardati, che lo sforzargli senza
artiglierie era cosa del tutto impossibile. Dissero ancora del forte
campo posto sui poggi tra i due Forti. Queste sinistre novelle, giuntovi
eziandio, che Gates col grosso del suo esercito era così vicino, e tanto
stava attento alle vedette, che non avrebbero le genti inglesi potuto
dare un passo, che subito non le seguitasse, troncarono a Burgoyne ogni
speranza di potersi di per sè stesso dalla presente calamità sbrigare.
Solo, appiccandosi, come si suol dire, e come si fa nell'estrema
disperazione, alle funi del cielo, sperava che sorgesse qualche cosa di
verso le parti basse del fiume, e con intensissimo desiderio aspettava
l'aiuto di Clinton.

E' non si potrebbe con parole meritevolmente descrivere l'infelice
condizione, in cui era riposto l'esercito britannico. Stracche le genti,
e quasi vinte dalle continue fatiche, e dai travagli degli aspri
combattimenti, abbandonate dagl'Indiani e dai Canadesi, perduti i più
valorosi soldati ed i migliori capitani, ridotto tutto l'esercito a
cinquemila combattenti di dieci ch'egli erano, fra i quali poco più di
tre migliaia d'Inglesi; svanita ogni speranza di ritirata; investite ed
accerchiate da tre parti da un nemico quattro volte più numeroso di
loro, gonfiato dal favore della vittoria, e che conosciuta la necessità
loro ricusava di combattere, e che non si poteva sforzare pei luoghi
difficili, ai quali si era riparato; obbligate a star in armi di
continuo, la scaglia, e le palle delle artiglierie nemiche spruzzando e
strisciando di colpo e di rimando per ogni dove le file, e molti traendo
a morte ogni momento, serbavan esse tuttavia la solita costanza; e se
cedevano ad una dura necessità, mostravansi però di miglior fortuna
meritevoli. Nissun atto, nissuna parola fecero, che degna non fosse
d'uomini forti e valorosi.

In fine nessuna novella di soccorso, non che fondata, vana, trapelando
da parte nessuna, fu fatta la mattina dei tredici la veduta dei fondachi
pubblici, e si trovò, che vi era in munizione da vivere, e ciò molto
scarsamente, solo per tre dì. In tale stato l'andare ed il rimanere
essendo egualmente fuori della potestà loro, considerato, che quanto più
si differiva una deliberazione terminativa, tanto procedeva in maggior
precipizio la condizione dell'esercito, convocarono una Dieta generale,
alla quale intervennero non solo i primarj uffiziali, ma ancora tutti i
capitani delle compagnie. Mentre deliberavano le palle nemiche frullando
orribilmente, andavano qua e là traforando la tenda, dove si teneva il
Consiglio. Tutti unitamente opinarono, doversi cedere alla fortuna, ed
introdurre una pratica d'accordo col generale americano.

Usò Gates modestamente la vittoria. Solo propose, che le genti regie
deponessero le armi dentro gli alloggiamenti; la quale condizione
parendo loro di troppa iniquità, sdegnosamente rifiutarono gl'Inglesi.
Volevano tutti piuttosto esser menati al nemico in una disuguale
battaglia, che macchiarsi di una tanta vergogna. Dopo diverse pratiche
si accordarono il giorno quindeci gli articoli della capitolazione.
Dovevano sottoscriversi da ambe le parti la mattina dei diciassette. La
notte arrivò al campo di Burgoyne il capitano Campbell, mandatovi a gran
fretta dal generale Clinton, il quale recava le novelle, che questi
venuto sopra l'Hudson si era fatto padrone del Forte Montgommery; e che
il generale Vaughan colle genti più spedite già si avvicinava ad Esopo.
Rinascevano in alcuni le speranze di salute. Furono ricerchi gli
uffiziali del parer loro, se i soldati in un caso disperato abili
fossero a combattere, e se la fede pubblica fosse impegnata pel verbale
accordo. Molti risposero, i soldati infievoliti dalle fatiche e dalla
fame non potersi reggere; tutti furono apertamente fautori, essere
impegnata la fede pubblica. Solo Burgoyne opinò del no. Ma era obbligato
a seguire la pluralità dei suffragi. Gates intanto, conosciute queste
mene, e le nuove speranze, donde procedevano, il giorno diciassette
molto per tempo ordinò tutto il suo esercito alla battaglia, e mandò
dicendo a Burgoyne, giunto essere il tempo prefisso a sottoscrivere;
perciò si il facesse immediatamente, o si combatterebbe. Questi non si
fe' più pregare. L'accordo fu sottoscritto, il quale intitolarono:
convenzione tra il luogotenente generale Burgoyne, ed il
maggior-generale Gates. Le principali condizioni, oltre quelle per le
provvisioni, ed altre cose da somministrarsi all'esercito britannico
durante il suo cammino per a Boston, e la sua dimora in questa città,
furono che le genti uscissero dagli alloggiamenti con tutti gli onori
della guerra, colle corde accese, coi tamburi battenti, le bandiere
spiegate, le artiglierie da campo; deponessero le armi, e lasciassero le
artiglierie in un luogo a posta presso un'antica Fortezza; avessero la
facoltà d'imbarcarsi liberamente, e di passar in Europa da Boston, con
patto però non potessero portar le armi contro l'America durante la
presente guerra; non fossero sparpagliate, nè i soldati smembrati dagli
uffiziali loro; le chiamate, ed altri uffizj militari fossero permessi;
ritenessero gli uffiziali le spade; tutte le robe dei privati fossero
salve, le pubbliche si consegnassero di buona fede; non si svaligiassero
le bagaglie; tutti coloro, che seguitavano il campo di qualsivoglia
condizione, o paese si fossero, godessero il benefizio della
capitolazione; e fosse fatto abilità ai Canadesi di ritornarsene alle
case loro.

Non solo le condizioni di quest'accordo, se si considera il disperato
frangente, a cui si trovava l'esercito britannico condotto, sono molto a
questo onorevoli, ma Gates per una somma cortesia, e per un benigno
riguardo verso i vinti, fe' ritrarre dentro gli alloggiamenti le sue
genti, acciocchè moleste spettatrici non fossero alle inglesi, quando
elleno deponevano le armi. La qual cosa gli si dee non solamente ad
umanità, ma a sopportazione, e ad altezza d'animo recare; imperciocchè
già sapeva egli le inudite depredazioni, che andava facendo all'uso dei
Barbari sulla destra riva dell'Hudson il generale Vaughan, e come avesse
questi tutto il villaggio d'Esopo inesorabilmente arso e distrutto. Egli
è debito nostro di non passar sotto silenzio, che siccome Gates in tutto
il corso di questa guerra sulle rive dell'Hudson compì tutte quelle
parti, che ad accorto, valoroso e sperto capitano di guerra si
appartengono, così medesimamente niuna di quelle lasciò indietro, che
adornar sogliono gli animi generosi, onesti e civili. E questa
amorevolezza usò verso i sani, ma più ancora verso i malati, che la
fortuna dell'armi aveva posto nelle sue mani, ai quali tutti quei
soccorsi fe' ministrare, che meglio per la condizione delle cose seppe,
e potè. Sommava l'esercito americano il dì dell'accordo a un di presso a
quindici migliaia di soldati, dei quali dieci migliaia a circa di
stanziali; l'inglese a 5791, cioè 2412 Tedeschi, e 3379 Inglesi tra
combattenti, e non combattenti. Acquistarono gli Americani quarantadue
pezzi di belle artiglierie tra cannoni, obici, e bombarde, da 4600
archibusi, una quantità notabile di cartocci, di bombe, di palle, di
carcasse e di altri instrumenti da guerra.

Cotal fine ebbe la spedizione inglese sulle rive del fiume del Nort, la
quale cominciata con grandissima riputazione cadde in tanta difficoltà,
che coloro, i quali ne avevano sperato sì prosperi successi ne
ricevettero gravissimo danno, e quei che sì grandemente ne avevano
temuto, ne riportarono grandissimo benefizio. Certo è, che, se ella fu
disegnata prudentemente, siccome a noi pare, fu improvvidamente
governata da coloro che dovettero mandarla ad effetto. Conciossiachè il
buon successo suo dipendeva in tutto dagli sforzi uniti dei generali,
che comandavano su i laghi, e di quelli che amministravano la guerra
della Nuova-Jork. Ma invece, procedendo con separati consiglj, quando
uno veniva, l'altro se ne andava. Allorquando Carleton si era
impadronito dei laghi, Howe non che salisse per l'Hudson alla volta di
Albanìa, osteggiò nella Cesarea, e si volse verso la Delawara Quando poi
Burgoyne entrò vincitore in Ticonderoga, Howe s'imbarcò per andare ad
assaltar Filadelfia, e così l'esercito canadese restò privo dell'aiuto,
che aspettava dalla Nuova-Jork. Forse credette Howe, che la presa di
Filadelfia, città tanto principale fosse, per isbigottire sì fattamente
gli Americani, e tanto i disegni loro disordinasse, che dovessero, o
venire a patti, o far debole resistenza. Forse ancora avvisò, che il
correre con possente esercito contro le parti di mezzo, e, per così
dire, dentro il cuore stesso della lega, fosse un molto efficace mezzo
di diversione in favore dell'esercito settentrionale, di maniera che non
sarebbe stato in potestà degli Americani il mandar genti sufficienti
sull'Hudson a contrastargli. Forse finalmente trasportate dall'ambizione
si era fatto a credere da sè solo potere, ed esso solo dover godere la
gloria del por fine alla guerra. Ma ella è cosa, che ognuno può di per
sè stesso conoscere, che qualunque potesse essere l'importanza
dell'acquisto di Filadelfia, non era però da paragonarsi a patto nessuno
con quella della congiunzione in Albanìa dei due eserciti canadese e
jorchese. Poichè, che l'insignorirsi di quella città dovesse dar vinta
totalmente la guerra, era molto dubitabile; la congiunzione degli
eserciti verisimile. Senza di che gli Americani sarebbero venuti per
impedir questa ad una campale battaglia, l'evento della quale non poteva
quasi esser dubbio, nè per la susseguente congiunzione terminativo.
Oltreacciò due eserciti, i quali entrambi concorrer debbono allo stesso
fine, ciò molto meglio, e più convenientemente possono fare, quando più
vicini sono l'uno all'altro, che non quando ne son lontani. Per quanto a
noi pare adunque la presente fazione è stata e bene immaginata nel suo
principio, e con tutti i convenienti mezzi, eccettuata però quella peste
degl'Indiani, dai ministri britannici accompagnata; sicchè, giusta
l'opinione nostra, non abbiano essi meritato quei rimproveri, che e nel
Parlamento, e dagli scrittori parziali vennero loro in questo proposito
fatti. Bene ci sembra, che, forse perchè portassero troppo rispetto alla
persona, alla fama, al grado, ed alla militare sperienza di Guglielmo
Howe, abbiano commesso errore col non mandargli ordini più risoluti.
Perciocchè da quanto noi abbiam potuto spillare ci pare, che gli ordini
datigli dai ministri in proposito della cooperazione sua coll'esercito
canadese siano stati piuttosto discretivi, che assoluti; e dal difetto
di questa cooperazione nacque evidentemente tutta la rovina
dell'impresa.

Gates dopo la vittoria mandò speditamente al congresso il colonnello
Wilkinson a portar le felici novelle. Arrivato, ed introdotto disse:
«Stare l'intiero esercito britannico cattivo a Saratoga; l'americano
pieno di sanità e d'ardire aspettar gli ordini loro. Deliberassero i
Padri, a quale impresa propizia alla patria dovesse la forza, la virtù e
la prontezza sue dirizzare». Il congresso rendè immortali grazie a Gates
ed alle sue genti. Decretò, si presentasse Gates con una medaglia d'oro
gettata espressamente, tramandatrice ai posteri di così chiara vittoria.
V'era in quella coniato il ritratto del generale colle parole intorno:
_Horatio Gates, Duci strenuo_; ed in mezzo: _Comitia Americana_. Era sul
rovescio raffigurato Burgoyne in alto di render la spada, e dietro da
una parte e dall'altra i due eserciti d'Inghilterra e d'America. Sopra
stavano intagliate queste parole: _Salus regionum septentrion._, e sotto
quest'altre: _Hoste ad Saratogam in deditione accepto. Die XVII Oct.
MDCCLXXVII._

Se alle novelle di sì felice caso si rallegrassero gli Americani, non è
mestier di dirlo. Cominciarono a promettersi maggiori prosperità; ognuno
si avvisava, essere sicura la independenza. Tutti sperarono, e non senza
molta ragione, che così lieto evento fosse finalmente per indur la
Francia, e gli altri potentati che stavano con essa, a scoprirsi in
favor dell'America, cessati essendo i dubbj sui futuri accidenti, ed il
pericolo di pigliar il patrocinio di una nazione perdente.

Mentre Burgoyne si trovava a sì strette condizioni ridotto, Clinton era
partito sul principio d'ottobre dalla Nuova-Jork con poco più di tre
migliaia di soldati per recarsi alla sua fazione sull'Hudson in soccorso
di quello. Occupavano gli Americani comandati dal generale Putnam le
aspre montagne, tra mezzo le quali scorre velocemente il fiume del Nort,
e che incominciano ad innalzarsi nelle vicinanze di Peek's-hill. Oltre
la fortezza del luogo, essendo in mezzo di queste montagne le rive del
fiume ripide, e quasi inaccessibili, avevano gli Americani assicurati i
passi in diverse guise. Stavano più in su a sei miglia di Peek's-hill
sulla sponda occidentale due Forti chiamati l'uno Montgommery e l'altro
Clinton, divisi fra loro da un torrente, che scendendo dalle vicine
montagne scorre nel fiume. Eran essi posti su certi colli aspri e
scoscesi molto, dimodochè dalle falde loro non vi si sarebbe potuto
salire, ed erano del tutto signori di quel fiume. Altra via non v'era
aperta al nemico per accostarsi ai medesimi, che quella di entrar fra le
montagne più sotto verso Stony-point, e passando per luoghi difficili e
stretti riuscir loro a sopraccapo. Ma tali erano queste forre, che, se
si fossero convenevolmente guardate, sarebbe stato il passare, non che
malagevole, impossibile. Poichè poi il nemico non potesse, navigando,
oltrepassargli, s'erano ficcati dentro del fiume triboli, e fatto uno
stecconato, protetto eziandio da una grossissima catena di magnifica
opera da una riva all'altra. Queste cose si erano fatte con mirabile
industria e fatica. Erano difese dalle artiglierie del Forte, da una
fregata, e da certe galeotte sorte un poco sopra lo stecconato. Tali
erano i ripari, che i repubblicani avevano rizzati sulla destra riva, e
dentro le acque dell'Hudson per tener serrati questi passi, dei quali in
tutto il corso della guerra erano stati in tanta gelosia; perchè sono
essi la sbarra e lo steccato al nemico, che volesse scendere dal Canadà.
Sulla sinistra poi sopra un poggio molto elevato, ed a quattro o cinque
miglia distante all'insù di quei di Clinton e di Montgommery avevano
piantato un Forte, che nominarono Independenza, ed un altro chiamato
Costituzione a sei miglia più in su di questo dentro un'isola vicina
alla riva sinistra. Anche qui avevano coi triboli, e con uno stecconato
interrotta la navigazione del fiume. Stava Putnam alla custodia di
questi passi, il quale aveva con sè da seicento stanziali, ed alcune
cerne, il numero delle quali era incerto. Un Clinton americano governava
nei Forti.

Sapeva benissimo il general britannico, che l'assalire i Forti Clinton e
Montgommery di fronte sarebbe stata opera piuttosto impossibile, che
difficile. Fece pertanto il disegno di andare all'assalto con riuscir
loro a ridosso, entrando nelle forre presso Stony-point. Ma perchè gli
Americani non pensassero di mandar grossi rinforzi alle guernigioni,
determinò di far le sue determinazioni sulla sinistra del fiume, come se
suo intendimento fosse di voler assalire il Forte Independenza. Per la
qual cosa sbarcò con tutte le genti il giorno cinque ottobre a
Verplanks-point poco sotto a Peek's-hill, dove Putnam aveva le sue
stanze. Questi si ritirò più in su a luoghi alti e disagiosi.
Gl'Inglesi, imbarcatisi di nuovo la maggior parte la notte, sbarcarono
la mattina seguente per tempissimo sulla destra riva a Stony-point, e
rattamente entrati nelle strette salivano per alla volta dei Forti.
Intanto per le mosse, che andavano facendo le navi inglesi, e per la
piccola presa di genti lasciate a Verplanks-point continuava Putnam a
credere, che l'assalto fosse diretto contro il Forte Independenza. In
questo mezzo camminavano gl'Inglesi per la via delle montagne
sollecitamente. Il governator Clinton s'era tardi accorto
dell'avvicinarsi dei nemici. Sopraggiunsero contro l'uno e l'altro Forte
nel medesimo tempo gl'Inglesi, e fugati di leggieri i primi feritori,
ch'erano usciti fuori per intrattenergli, andarono a furore all'assalto.
In questo punto era arrivato anche il navilio inglese, e fulminava colle
artiglierie. Gli Americani, quantunque si fossero veduti gli avversarj
addosso fuori di ogni opinione loro, si difendettero però gagliardamente
buon pezzo; ma finalmente non potendo sostenere il ferocissimo impeto
degli assalitori, essendo anche troppo deboli per poter acconciamente
fornire tutte le fortificazioni, dopo grave perdita di morti e di feriti
cedettero, e si ritirarono. Molti, tra i quali il governatore Clinton,
essendo pratichi dei luoghi, scamparono. La strage fu grande, irritati
gli Inglesi dalla resistenza e dalla morte di alcuni uffiziali. Arsero
gli Americani le fregate e galeotte loro. Gl'Inglesi s'impadronirono
dello stecconato e della catena.

I Forti Independenza e Costituzione, avvicinativisi gl'Inglesi da terra
e da acqua, furono i giorni seguenti votati ed arsi dai difensori.
Gl'impedimenti del fiume vennero in mano degli assalitori. Tryon fu
mandato il giorno nove a distruggere in fondo una Terra chiamata il
villaggio Continentale, nel quale avevano i repubblicani in gran copia
ammassate le munizioni.

In cotal modo vennero in poter degl'Inglesi i forti passi delle montagne
dell'Hudson, che gli Americani sforzati si erano di assicurare con ogni
maniera di fortificazioni. Erano essi riputati meritamente le chiavi
della contea d'Albanìa. E si vede, che se i reali fossero stati più
grossi, avrebbero potuto porgere un efficace soccorso all'esercito di
Burgoyne, e forse far piegare in favor loro tutta la fortuna della
settentrionale guerra. Ma non potettero concorrere all'impresa, sia per
esser di gran lunga troppo deboli, sia perchè Putnam ingrossatosi fino
alle sei migliaia di combattenti per la congiunzione delle milizie del
Connecticut, della Nuova-Jork e della Cesarea gli minacciò da fronte ed
alle spalle.

Non potendo gl'Inglesi vincere si posero in sul depredare. Il giorno
tredici Jacopo Wallace con una armatetta di fregate sottili, ed il
generale Vaughan con una grossa presa di soldati salirono pel fiume
mettendo a sacco, a fuoco, ed a sangue tutto ciò che loro si parava
davanti; barbarie tanto più da condannarsi, quanto più ella non era, nè
poteva essere di giovamento alcuno. Si avvicinarono ad una bella e
fiorita Terra chiamata Kingston, o Esopo posta sulla riva occidentale
del fiume, e scacciati a furia di cannonate i repubblicani, entraron
dentro, e tosto vi appiccarono il fuoco da ogni parte. Arse tutta; una
sola casa non vi rimase in piè. Arsero medesimamente una considerabile
quantità di munizioni da guerra e da bocca. Allegò Vaughan per
giustificare sì barbarico furore, che i repubblicani avessero tratto
dalle finestre. La qual cosa negaron essi con maggior fondamento di
probabilità. Poichè e' pare, che la Terra abbandonassero, tostochè
osservarono, che le genti del Re erano sbarcate sulla vicina spiaggia.
Queste crudeltà usavano i reali nel medesimo punto, in cui Gates
concedeva onorevoli termini al vinto esercito di Burgoyne. L'Americano
scrisse una lettera molto grave, e sdegnosa a Vaughan, nella quale,
dolutosi prima aspramente dell'arsione di Esopo, e delle orribili
devastazioni usate sulle due sponde del fiume, continuò con dire: «in
cotal modo sperare i generali del Re le genti convertire alla real
causa? Ma le crudeltà loro operare un contrario effetto; l'indipendenza
fondarsi sul disdegno universale dei popoli; più abili generali, e più
anziani, che non si riputasse il generale Vaughan egli stesso, aver la
fortuna della guerra in sue mani posti; poter un dì la condizion loro
diventar la sua, ed allora nessuna umana cosa poterlo dalla giusta
vendetta di un offeso popolo salvare».

Ma Vaughan e Wallace, udito, che Gates si avvicinava velocemente
marciando, non istettero più a soprastare. Smantellati i Forti, e
portando seco loro il bottino, si allargarono da quei confini, e se ne
tornarono in un colle restanti genti di Clinton più che di passo alla
Nuova-Jork. Molto fu notabile il danno che gli Stati Uniti ricevettero
da questa correrìa degl'Inglesi su per le rive del fiume Hudson; perchè
credendosi universalmente, che quei luoghi alti e scoscesi fossero del
tutto inaccessibili alla furia del nemico, vi avevano in grandissima
copia ammassato ogni sorta di armi e di munizioni. Di artiglierie, tra
quella che guernivano i Forti, e quelle che si trovarono sulle navi
arse, o distrutte, o prese, se ne perdettero meglio di cento pezzi di
diversa grandezza; quindici a ventimila libbre di polvere, delle palle
all'avvenante, ed ogni ordigno atto a fabbricare, od acconciare tutti
quest'instrumenti da guerra.

Intanto l'esercito cattivo s'incamminava alla volta di Boston. Partendo
da Saratoga passava tra mezzo le fila dell'esercito vincitore, che stava
attelato a bella posta lungo la strada, e sui vicini colli da ambe le
parti. Si aspettavano i brobbj e gli scherni. Nissuno fiatò; memorabile
esempio di temperanza cittadina e di militar disciplina. Per istrada
saccheggiarono a rotta ogni cosa, massimamente quei lanzi
incorreggibili; onde la gente giudicò, da quello che facevano vinti, a
quello che farebbero vincitori. Arrivarono a Boston, ed ebbero gli
alloggiamenti nelle baracche di Cambridge. Gli abitatori gli
avversavano, non potendo sgozzare l'incendio di Charlestown, e le
novissime rapine.

Burgoyne, fatta la capitolazione, provò dal canto dei generali americani
ogni sorta di cortesia. Gates lo convitò alle sue tavole. Pareva
taciturno e sbattuto. Il conversare era onesto, e nulla si toccò delle
disgrazie per non fargli male. Solo gli chiedettero, come gli fosse
bastato l'animo di ardere gli abituri del povero popolo. Rispose, sì
aver fatto, perchè così gli avevano imposto di fare, o perchè le leggi
della guerra per la propria difesa così richiedevano. Quegli uomini
linguacciuti della Nuova-Inghilterra se ne empievano la bocca. Ma queste
erano intemperanze di plebe. Gli uomini civili lo accarezzavano.
Schuyler fra gli altri lo fece gentilmente accompagnare da un aiutante
di campo sino in Albanìa, e lo albergò in casa sua, dove la sua donna
tutte quelle gentilezze gli usò, che da una gentildonna meglio
desiderare si potevano. Eppure Burgoyne nei contorni di Saratoga, dove
Schuyler possedeva larghissimi poderi, gli aveva fatto ardere una
bellissima magione, di magazzini, e di altri edifizj per un valsente di
più di trecentomila franchi. Arrivato poi a Boston il generale Heath,
che comandava al Massacciusset, lo accolse in casa sua, e complì con lui
con termini di cortesia. Andava a posta sua e veniva per la città, senza
che se gli facessero le affoltate intorno per dirgli villanìa.

Ma però gli altri uffiziali non isperimentarono tanta agevolezza. I
Bostoniani non gli volevano albergar nelle case loro. Perciò furon fatti
alloggiare nelle baracche. Se ne dolse Burgoyne prima col generale
Heath, e poi con Gates, allegando, che il mal trattamento, e poco
convenevole al grado loro fatto agli uffiziali era un rompimento della
fede data nella capitolazione di Saratoga. Si aggiunse a questo, che
Burgoyne, dubitando, non arrivassero in Boston, dove l'imbarco doveva
aver luogo giusta gli articoli della capitolazione, sì tosto per la
malvagità della stagione le navi necessarie per trasportar l'esercito in
Inghilterra, aveva ricerco Washington, perchè consentisse, che invece di
Boston, s'imbarcassero a Nuovo-Porto nell'Isola di Rodi, od in qualunque
altro luogo del Sound. La quale richiesta non credendo Washington aver
facoltà nè di negare, nè di concedere, l'avea al congresso trasmessa,
perchè definisse egli. Dispiacque grandemente al congresso questo menar
per parole; e massimamente quel protestare della rotta fede; pel quale
poteva riputarsi Burgoyne sciolto da quella, che egli stesso aveva dato.
Parve altresì al congresso, che le navi condotte a Boston pel trasporto
delle genti non fossero sufficienti a tanta moltitudine, nè
bastantemente provvedute di vettovaglie per un sì lungo tragitto. E
finalmente notò che gl'Inglesi non avevano puntualmente osservati i
patti nel consegnar le armi, non avendo rimesse le fiaschette da tenervi
entro le polveri, ed altri arnesi, i quali, se non sono armi, all'uso di
queste però strettamente appartengono. Della qual cosa per altro Gates
molto, ed efficacemente giustificava gl'Inglesi. Per la qual cosa il
congresso, che voleva la gara, e che cercava le cavillazioni, perchè non
avrebbe voluto, che i cattivi s'imbarcassero per timore, che, contro i
capitoli, andassero a congiungersi con quelle dell'Howe, od almeno, che
arrivando molto per tempo in Inghilterra, avesse il governo inglese
facoltà di mandarne tosto altrettante in America, decretò, dovesse
Burgoyne fornire al governo americano i ruotoli delle rassegne, dove
annoverati fossero per nome, e per grado non solo gli uffiziali, ma
ancora i sotto uffiziali, e perfino tutti i gregarj. Parve cosa strana
all'Inglese, e perciò si andava divincolando per non fornirgli. Howe poi
procedeva con molta grettezza e sofisticheria negli scambj dei
prigionieri; il che accresceva vieppiù i disgusti ed i sospetti. Da
questa renitenza dell'uno e dell'altro entrò maggiormente in sospetto il
congresso; e perciò stanziò, si soprassedesse all'imbarco del Burgoyne,
e di tutte le genti cattive, fino a tantochè una chiara ed espressa
ratificazione della convenzione di Saratoga non fosse convenevolmente
dalla Corte della Gran-Brettagna al congresso notificata. Mandarono nel
medesimo tempo al generale Heath, ordinandogli, se alcune navi da
servire all'imbarco arrivassero nel porto di Boston, queste dovesse
tostamente sforzare a dipartirsene. Provvidero di vantaggio, si
moltiplicassero le guardie attorno le genti burgoniane. Rescrisse
Burgoyne, giustificandosi con molto efficaci parole, ed affermando, non
essersi mai creduto disobbligato dai capitoli di Saratoga, e
promettendo, darebbero per iscrittura ciascuno, e singoli gli uffiziali
la fede di osservar quei capitoli. Tutto fu indarno. Il congresso non si
lasciò svolgere, e fu giuocoforza ai cattivi, se ne rimanessero in
America. Cosa, che riusci loro molto grave, e servì di pretesto ai
ministeriali per gravar gli Americani colla nota di perfidia. Se poi
questi sospetti dal canto degli Americani avessero stabile fondamento,
noi lasceremo in dubbio, senza biasimare l'imprudenza di Burgoyne, o
lodare le cautele, o condannar la diffidenza del congresso. Certo è
bene, che in quei rancori ed alterazioni civili le apparenze diventavano
realtà, e le probabilità certezze. Certo è ancora, che a quei tempi
molto si richiamarono gli Americani della perfidia inglese, e gl'Inglesi
della infedeltà americana.

Veduto Burgoyne, che non poteva impetrare per gli altri, pregò per sè,
ed ottenne facilmente di potersene ritornare in Inghilterra. Infatti
poco tempo dopo partitosi arrivò a Londra, dove si mise tosto giù a
vociferare, ed a tempestare contro quei ministri, dei quali poco prima
aveva con ogni studio ricercato il favore, e dai quali, trascurato un
antico e provato capitano, aveva ricevuto la opportunità di far chiaro
il nome suo con una grande ed onorata impresa. Non mancarono a Burgoyne
nè l'ingegno svegliato, nè la scienza, nè l'esperienza dell'armi. Ma uso
in quelle guerre germaniche non si muoveva, se non sicuro, e lentamente,
e solo quando erano tutte le cose abbondantemente in pronto. Nè andava
ad alcuna fazione, se non allora, che tutte le più strette regole della
militare arte stat'erano osservate. Male conobbe egli il modo di
esercitare la guerra americana, la quale doveva spedita essere, e fatta
alla leggiera. In una regione, come l'America è, tanto frequente di
passi forti e difficili, e contro un nemico più destro ad
affortificarsi, a scorrere in masnade, a dar gangheri, a porre agguati,
a mozzar le vie alle vettovaglie, a tagliare i ritorni, doveva meglio
usarsi la celerità, che arrecava un pericolo presente, ma evitabile, che
la tardanza, la quale colla presente sicurezza arrecava un pericolo
futuro ed inevitabile. Si perdè la occasione di vincere, perchè non si
volle mai correre il rischio di perdere; e per non essersi voluto por
niente in arbitrio della fortuna, non si potè guadagnare il suo favore.
Senza di che l'adoperare i Barbari nelle guerre non fu mai principio di
buoni e stabili successi; nè fu mai uso dei capitani prudenti il
provocar l'inimico colle minacce, od il disperarlo colle arsioni e colle
ruberìe.

Mentre verso tramontana si governavano le cose in questa fortuna,
veleggiavano per l'alto mare coll'armata loro i fratelli Howe, incerti,
a quali dei due partiti si appiglierebbero, o di entrare nella Delawara,
ovvero di prendere il cammino pel golfo del Chesapeack, a fine di andar
sopra la città di Filadelfia. Stava Washington nella Nuova-Cesarea
pronto a soccorrere ai passi dell'Hudson, se l'armata britannica volta
si fosse a quei contorni, od a Filadelfia, se alla volta di questa città
si fosse incamminata. Intanto, finchè si avessero le novelle certe della
via tenuta da quella, e dei disegni dei capitani britannici, sentendosi
venir addosso una sì gran piena, faceva tutti quei provvedimenti, che
migliori immaginar sapeva per abilitar il suo esercito a sostenere il
peso di tanta guerra. Procacciava nuove armi e munizioni; faceva
ragunate di milizie da tutte le vicine province, e chiamava a sè tutti
quei reggimenti di stanziali, che per la difesa dell'Hudson risparmiare
si potevano. Tutte queste genti poi esercitava diligentemente alle
mosse, ed alle fazioni militari. Nella qual cosa di grandissima utilità
riuscivano, e l'esempio, e gl'insegnamenti degli uffiziali francesi, i
quali si erano testè condotti a militare nell'esercito americano. Tra
questi, e per la nobiltà del sangue, e per lo splendore della persona, e
per la fama dell'onesto costume teneva il primo luogo il marchese de
La-Fayette, il quale, siccome sogliono agli animi generosi facilmente
riuscir care ed accette le generose imprese, così questa d'America,
parendogli, come a quasi tutti gli uomini di que' tempi, e
particolarmente ai Francesi, non solo generosa, ma giusta ed alta,
grandemente amava e favoriva. Nel che tanto più vivi erano i suoi
desiderj, quantochè oltre il candore dell'animo suo, era egli in
quell'età constituito, non passando i diciannove anni, nella quale non
solo il buono par buono, ma bello; ed in cui l'uomo non solo ama, ma
s'innamora. E parendogli mille anni di trovarsi presenzialmente in quei
fatti, dei quali sì gran fama suonava in Europa, fin dal 1776 aveva il
suo pensiero di volersi in America condurre ai commissarj americani in
Parigi disvelato; i quali a ciò fare molto lo confortarono. Avutesi
poscia le novelle delle sconfitte della Cesarea, e parendo a quei dì non
che pericolante, disperata la fortuna della repubblica, eglino con
onesta sincerità dal suo proposito il dissuadevano. Aggiunsero, ch'erano
delle cose loro rimasti così bassi per le infelici novelle, che non
erano valevoli a noleggiar una nave, la quale il potesse in America
trasportare. È fama, che il valoroso giovane rispondesse, esser appunto
quello il tempo di servire alla causa loro. Quanto più erano i popoli
sfiducciati, tanto maggiori effetti dovere la sua dipartita operare; e
poichè procacciar la nave non potevano, una ne noleggerebbe del suo per
trasportar sè, e gli spacci loro in America. E come disse, così fece. I
popoli molto si maravigliavano, e molti discorsi facevano del consiglio
preso da un uomo di sì chiaro nome. La Corte di Francia, o che facesse
le viste per non ingelosir l'Inghilterra, o che questo fosse in vero
l'intendimento di lei d'impedir questa andata, ordinava a La-Fayette,
non istesse a partire. Dicesi, mandasse anche navi a posta per
intraprenderlo nelle acque delle Antille. Ciò nonostante, dipartendosi
egli dall'amata donna, che garzonissima era, s'imbarcava, e navigato
alla larga da quelle isole arrivava in Georgestown. Non omise il
congresso nissuna di quelle dimostrazioni, che potessero persuadere al
Francese, ed universalmente ai popoli, in quanto grado ei tenesse la sua
persona, il suo buon animo, ed i pericoli, che, siccome pareva, aveva
corso, e correva tuttavia per esser venuto soccorrere di presenza alla
pericolante America. Riceveva egli nel grato animo queste dimostrazioni
del governo americano, e prometteva, di voler far tutto quello, che
meglio sapeva e poteva. Solo richiedè, gli fosse fatto abilità di servir
a proprie spese, e d'incominciar a militare come volontario. Questa
generosità e modestia del marchese de La-Fayette riuscì tanto più grata
agli Americani, quanto che parecchj fra quei Francesi, i quali condotti
si erano ai soldi dell'America, volevano, e grosse paghe tirare, ed i
più alti gradi nell'esercito americano riempire. Il Deane era quello,
che questi patti era ito facendo in Francia con coloro, i quali volevano
agli stipendj americani condursi. La qual cosa molto dispiacque al
congresso, e fu causa principale, per cui poco poscia mandò lo scambio a
Deane nella persona di Giovanni Adams. Il congresso decretò, che siccome
il marchese de La-Fayette pel suo zelo verso la libertà, per la quale
gli Stati Uniti combattevano, aveva lasciato la famiglia, i parenti e
gli amici, ed era ito a sue spese ad offerir i suoi servigj senza voler
trar paga, o altro emolumento godere; e che molto desiderava di spendere
la sua vita in difesa loro, così si accettavano i suoi servigj; e per
quel riguardo, che si doveva avere alla famiglia, ai parenti e
dependenti suoi, avesse ad avere il grado di maggior-generale
nell'esercito degli Stati Uniti. Itosene il marchese al campo molto ivi
si addomesticò col generale Washington, il quale assai lo onorò, e tenne
caro. Nacque allora tra loro due quell'amicizia, la quale durò sino alla
morte del generale americano.

Stando l'esercito in questi termini forte di genti, montando la somma,
incluse però le milizie poco sperimentate alle battaglie stabili, a
quindici migliaia di combattenti, confidente nei Capi, e fatto ardito
dalla presenza, dall'esempio, e dai conforti loro, si ebbero le novelle,
che l'armata nemica si era scoperta sopra il capo May, posto alle bocche
della Delawara, veleggiando verso levante. Entrava tosto Washington in
gelosia in rispetto alle rive dell'Hudson, le quali era stato solito
avvertir diligentemente fin dal principio della guerra; e mandava a
quelle schiere, che lo dovevano venir a trovare nella Cesarea da
Peeck's-hill, stessero, ed a quelle che già erano in cammino, facessero
alto nei luoghi loro. Compariva di nuovo il giorno sette agosto l'armata
britannica a veduta della Delawara; ma spariva di corto, e non se ne
sentiva più nuova per molti giorni. L'Americano non poteva apporsi, nè
accertarsi del disegno del nemico; stava dubbio, e non si muoveva, non
sapendo, dove avesse quel nembo a scoccare. Ma, passati molti dì, la
lunghezza dell'indugio gli dava sospetto, che l'intenzione dell'Howe non
fosse punto di volersi condurre sull'Hudson; perciocchè soffiato avendo
lungo spazio i venti da ostro, se tale fosse stato il disegno del
generale Inglese, avvisava benissimo, che già sarebbe al destinato luogo
pervenuto. Inclinava dunque a credere, che avessero gl'Inglesi in animo
di far impressione in qualche parte delle province meridionali. Dubitava
in vero del golfo di Chesapeack; ma essendo questo poco lontano dalle
bocche della Delawara, vi avrebbe il nemico già dovuto comparire.
Considerate Washington tutte queste cose temeva di Charlestown di
Carolina. Ma in questo caso non avrebbe potuto arrivare in tempo
coll'esercito per soccorrere a quella città. Oltre a ciò quel paese era
mortalissimo per le malattie, massimamente nella stagione che correva.
Howe poi avrebbe potuto imbarcar di nuovo le sue genti, e gettarsi
improvvisamente a scaricare a Filadelfia, la quale, essendo spogliata di
capitano e di gente da guerra, non avrebbe avuto rimedio. Per la qual
cosa si risolveva di ristarsi per essere più propinquo alle cose della
Pensilvania, lasciando le Caroline totalmente esposte all'impeto delle
genti nemiche, e solo fondate in su quelle difese, che di per sè stesse
potevano apparecchiare. Ma per compensare i danni, che elleno avrebbero
potuto ricevere, si determinava di procedere con tutto l'esercito alla
volta del fiume del Nort, per voltarsi quindi, come più convenevole gli
parrebbe, o contro Burgoyne verso il Forte Edoardo, o contro Clinton
verso la Nuova-Jork sprovveduta della più gran parte de' suoi difensori.
Appena aveva fatto questo disegno, che ricevè le novelle essere il
nemico comparso con tutte le sue forze nel Chesapeack. Ciò pose fine
incontanente a tutte le ambiguità, e l'animo suo dubbio piegò in una
certa parte. Mandò spacciatamente ordini a tutte le diverse schiere,
venissero a gran giornate a rannodarsi nelle vicinanze di Filadelfia,
per quindi procedere alla punta del golfo di Chesapeack. Comandò alle
milizie della Pensilvania, della Marilandia, della Delawara, e delle
parti più settentrionali della Virginia, corressero alle insegne, ed
andassero a congiungersi coll'esercito principale.

Mentre queste cose si procedevano dal canto degli Americani, entrava
l'armata inglese a piene vele nel Chesapeack, e navigava col vento in
fil di ruota verso la punta di questo golfo, la quale chiamano Elk-head,
o sia capo dell'Elk. Aveva quest'armata, subito dopo la sua partenza da
Sandy-hook, sperimentato i venti molto contrarj, sicchè penò bene una
settimana per girare i capi della Delawara. Avendo quivi i capitani
britannici avuto lingua, che avevano gli Americani con tali impedimenti
interrotto la navigazione del fiume, che il poter salire sino a
Filadelfia era divenuta cosa affatto impossibile (quantunque, secondochè
alcuni credono, si sarebbero facilmente potute sbarcare le genti a
Wilmington, dond'era uno stradone molto comodo per a Filadelfia), si
fermarono di voler procedere al Chesapeack, e l'esercito su di quelle
terre della Marilandia sbarcare, le quali vicine essendo al capo d'Elk,
sono anche poco lontane da Filadelfia. Ma nella gita dalla Delawara al
Chesapeack soffiarono i venti sì fattamente contrarj, che si passò oltre
la metà d'agosto prima che potessero entrar in questo golfo. Il quale
indugio fu d'incredibil noia alle genti inglesi affoltate e stivate
nelle strette navi coi cavalli, e cogli innumerevoli arnesi
dell'esercito nella più calda stagione dell'anno. Sarebbe anche stato
molto pregiudiziale alla sanità dei soldati, se non che i Capi avevano
provveduto di vettovaglie, di camangiari, e di acqua una copia
inestimabile. Il mare si mostrò più favorevole nel Chesapeack, e
viaggiandovi a golfo lanciato già tenevano le terre della Marilandia.
Così si avvicinavano l'uno all'altro i due eserciti con grande
aspettazione dei popoli. In questo mezzo tempo fu fatta da Sullivan una
rilevata fazione contro l'Isola degli Stati, prospera nel principio,
infelice nel fine. Perciocchè sbarcatovi prima, e fattivi molti
prigionieri, funne poscia ributtato con non lieve perdita de' suoi.
Quindi s'incamminò rattamente alla volta di Filadelfia.

Il giorno 25 agosto sbarcava l'esercito britannico, nel quale si
noveravano diciotto migliaia di soldati, non lungi dal capo dell'Elk.
Era esso fornitissimo di tutte le cose appartenenti all'uso della
guerra. Solo difettava di cavalli, tanto pei soldati, quanto per le
salmerìe, essendone morti molti per carestia di strame il precedente
inverno, ed alcuni nell'ultimo tragitto dalla Nuova-Jork all'Elk. Il
quale difetto non poteva non nuocere grandemente alle genti regie nei
luoghi piani della Pensilvania, ed in que' campi atti a ricevere
cavalli, ed a maneggiarvisi larga guerra. Il giorno venzette procedette
Howe coll'antiguardo a capo d'Elk, ed il dì seguente a Gray's-hill. Là
venne poscia a congiungersi con lui Knyphausen col retroguardo, che era
stato lasciato indietro, finchè lo sbarco di tutti gli arnesi fosse
stato condotto a fine. Tutto l'esercito pigliò gli alloggiamenti dietro
il fiume Cristiana, avendo Newark alla dritta, e Pencada, o sia Atkins,
alla sinistra. Una colonna condotta da Cornwallis, incontratasi nei
corridori di Maxwell gli fugò, cacciandogli sino al di là di
White-clay-creek con perdita di alcuni morti e feriti.

L'esercito americano, mostratosi innanzi tratto per la città di
Filadelfia per tener in fede gli amici, e per isbigottir gli avversi,
acciò non pazzeggiassero, andava, affine di arrestar l'inimico, ad
accamparsi dietro il White-clay-creek. Poco poi, lasciati i corridori
nel campo medesimo, si ritirava Washington col grosso dell'esercito
dietro il Red-clay-creek, alloggiando coll'ala sinistra a Newport presso
il fiume Cristiana, e sullo stradone che conduce a Filadelfia, e colla
dritta a Hockesen. Ma questa positura di sito malamente era difendevole;
e l'inimico, che si era ingrossato per l'accostamento del retroguardo
guidato da Grant, tenendo a bada colla sua destra la battaglia degli
Americani, faceva le viste di voler girare colla sinistra dietro il loro
destro fianco. Considerate queste cose, Washington ritirò le sue genti
dietro il fiume Brandywine, e pigliò gli alloggiamenti sui poggi, che da
Chadsford si distendono da maestro a scirocco. I corridori di Maxwel
ronzavano sulla destra del Brandywine per bezzicare, ed intrattenere
all'uopo l'inimico. Le milizie sotto i comandamenti d'Amstrong
guardavano un passo più sotto l'alloggiamento principale di Washington,
e l'ala dritta più in su guerniva la sponda del fiume a certi luoghi più
difficili a varcarsi. Il passo di Chadsford, siccome più agevole di
tutti, era custodito dalla più grossa e migliore schiera di tutta
l'oste. Ordinato in tal modo l'esercito, aspettava il generale americano
l'incontro dell'Inglese. E quantunque il Brandywine, essendo facilmente
guadoso qua e là, non potesse servire di sufficiente difesa contro
l'impeto del nemico, tuttavia erasi sulle sponde fermato, avvisandosi
benissimo, che volere o no, non si poteva evitare la battaglia, e la
città di Filadelfia salvare, se non colla vittoria. Howe mosse
prestamente la fronte del suo esercito più innanzi, non però senza molta
cautela. Arrivò a Kennen-square poco distante dal fiume, e di là mandava
i corridori a far cavalcar il paese a dritta verso Wilmington, a
sinistra sulla strada per a Lancastro, e da fronte verso Chadsford. I
due eserciti si trovavano a sette miglia distanti l'uno dall'altro,
scorrendo tra di loro il Brandywine.

La mattina degli undeci settembre in sul far del dì gl'Inglesi andavano
alla battaglia. Aveva Howe spartito il suo esercito in due schiere. La
dritta sotto gli ordini di Knyphausen, la sinistra sotto quei di lord
Cornwallis. L'intendimento suo era, che, mentre la prima facesse
sembianza con ogni possibile dimostrazione di sforzare il passo di
Chadsford, dimodochè i repubblicani non potessero l'attenzione loro
rivolgere ad un'altra parte, la seconda montando su per la riva del
fiume, e dando una gran giravolta, lo andasse a passare là, dove,
essendo in più rami diviso, è più facilmente guadoso. S'incontrarono i
primi feritori inglesi coi corridori del Maxwel, e tostamente gli uni
cogli altri si mescolarono. A prima giunta questi eran ributtati
indietro; poi ricevuti rinforzi dal campo rincacciarono gl'Inglesi. Ma
infine venute medesimamente in soccorso loro nuove genti, e prevalendo i
reali di numero, Maxwel con tutti i suoi fu costretto a ritirarsi al di
là del fiume. Sopraggiungeva colla sua schiera Knyphausen, ed assaltava
molto furiosamente colle artiglierie il passo di Chadsford, e faceva
ogni dimostrazione, come se lo volesse sforzare. Si difendevano
gagliardamente gli Americani; mandando anche gli armati alla leggiera
sulla destra del fiume per noiare gli assalitori sui fianchi. Ma furono
tosto a viva forza rincacciati al di là, ed allora Knyphausen instava
più che mai per passare il fiume, come se veramente avesse avuto in
animo di passarlo; e tempestava, e menava un romore incredibile. In tal
modo teneva egli occupatissimo il nemico in questa parte della
battaglia.

Intanto iva Cornwallis girando colla sinistra schiera chetamente, e
velocemente verso la parte superiore del Brandywine. Arrivava senza
essere osservato alla diramazione, e senza ostacolo passava i due rami a
Trimbles ed a Jeffery's-ford alle due dopo mezzo giorno. Scendeva quindi
frettolosamente sulla sinistra riva del fiume, e difilavasi per la via
di Dilworth contro il fianco destro dell'esercito americano. Non tardò
il generale repubblicano a ricever la notizia di questa mossa del
nemico; e, siccome suole avvenire in somiglianti casi, i rapportatori
magnificavano la cosa dicendo, che l'Howe di presenza guidava la
schiera. Appigliossi perciò tosto a quel partito, che meglio era
conveniente, sebbene pieno di molto ardire. Avvisò adunque di passare
con tutta la battaglia e l'ala sinistra il fiume, e con feroce assalto
attritare Knyphausen. Pensava ottimamente, che la vittoria avuta sopra
la destra del nemico avrebbe abbondantemente compensato il danno, che
questi avrebbe potuto fare colla sua sinistra sforzando la dritta degli
Americani a ritirarsi. Ordinò pertanto a Sullivan, varcasse il fiume ad
un passo superiore colla sua schiera, ed assaltasse la sinistra di
Knyphausen. Egli intanto si metteva all'ordine per traghettar più sotto,
e fare impressione contro la destra. Già si avviavano gli uni e gli
altri alla fazione, quando arrivarono le novelle, esser falso quello
ch'era vero, cioè che il nemico non avesse varcato il fiume presso la
diramazione, e che non si fosse mostrato sul destro fianco dell'esercito
repubblicano. Ingannato dal falso avviso Washington si ristette; e
Greene, che già passava colla vanguardia, fu fatto tornare indietro.
Mentre si stava con questa incertezza, ecco, che si ebbero le certe
novelle, che non solo gl'Inglesi avevano varcato, ma che di più si
avviavano grossi, e minacciosi contro il destro fianco. Era l'ala destra
degli Americani composta delle schiere dei generali Stephens, Stirling e
Sullivan, la prima in un sito più alto su per la via del fiume, e per
conseguente più vicina agl'Inglesi; le altre due prossimane per grado,
quella di Sullivan essendo la più bassa. Tosto questi allontanandosi dal
centro dell'esercito, corse a congiungersi colle due prime, e, siccome
più anziano, pigliò il comandamento di tutte tre. Washington
accompagnato da Greene si avvicinò anch'esso con due grossi squadroni
all'ala destra, e pigliò gli alloggiamenti tra questa e quelle genti,
che aveva lasciate di rincontro a Chadsford sotto i comandamenti di
Wayne, acciocchè ostassero al passare di Knyphausen. I due squadroni poi
guidati da Washington servivano di schiera di riscossa per correre
secondo il bisogno in aiuto di Sullivan, o di Wayne.

Intanto, essendo già gl'Inglesi guidati da Cornwallis comparsi a veduta
degli Americani, Sullivan metteva i suoi in ordinanza in luogo eminente
sopra Birmingham-meeting-house, colla sinistra presso il Brandywine,
avendo questa e la destra fasciate da folte boscaglie. Le artiglierie si
erano piantate sui vicini colli molto opportunamente. Ma egli pare, che
la schiera propria di Sullivan arrivasse, avendo fatto un gran giro,
troppo tardi sul campo di battaglia, e perciò non fosse ancora, come si
aveva dato ordine, acconciamente posta in ordinanza, quando si
incominciò a combattere. Veduto gl'Inglesi la positura delle genti
americane, si affilarono, corsero in caccia, e in furia alla battaglia.
Incominciò questa con molta foga da ambe le parti alle quattro
meridiane. Gli Americani si difendettero valorosamente buon tempo, e
crudelmente si sboglientò la battaglia. Ma tanta fu la furia
degl'Inglesi e degli Essiani che menavano le mani a gara, che nè
l'opportunità dell'alloggiamento, nè le bene poste, e bene amministrate
artiglierie, nè la tempesta dell'archibuserìa, nè il coraggio dei
soldati potettero reggere contro. I fanti leggieri, i corridori, i
granatieri e le guardie inglesi si cacciarono con tanta intrepidità
dentro le file repubblicane, che ne furono a viva forza scompigliate e
ributtate. Cominciò a piegare, ed a disordinarsi il fianco sinistro,
poscia di mano in mano si perturbò ed andò in volta tutta la fila. I
vinti si rifuggirono nelle vicine selve. I vincitori gli perseguitarono,
e procedettero avanti per la strada maestra verso Dilworth. Appena aveva
Washington udito il primo romore, che avvisandosi di quello ch'era,
mandò alla schiera di Sullivan i due squadroni soccorrevoli.
Approssimandosi al campo s'incontrarono nei soldati di Sullivan, che
fuggivano a rotta, e s'accorsero, che niuna speranza rimaneva di
ristorar la battaglia. Greene con eccellente industria aprì i suoi
ordini per dar luogo ai fuggiaschi, e poscia rannodatigli di nuovo si
ritirò coll'ordinanza intiera, ritardando il perseguitar del nemico
colle artiglierie, che traevano a ritroso alla coda. Trovato poi una
stretta con boscaglie dai due lati vi arringò i suoi, e voltò di nuovo
il viso al nemico. Erano Virginiani, e Pensilvanesi. Quivi attestati si
difendevano, massimamente i Virginiani capitanati dal colonnello
Stevens, disperatamente.

In questo mezzo tempo Knyphausen veduto, che gli Americani avevano alle
mani di che fare sulla destra loro, e che le schiere che gli stavano
all'incontro dall'altra parte del fiume erano state assottigliate pei
soccorsi mandati a Sullivan, si era apparecchiato a mandare ad effetto
quello di che fin allora aveva fatto solo sembianza di voler fare, cioè
di varcare. Il passo di Chadsford era difeso da una trincea, e da una
batteria. Contrastarono un pezzo i repubblicani; ma udito le novelle
della sconfitta dell'ala destra, e vedendo comparire sul destro fianco
alcuni soldati inglesi, i quali sbrancati, erano trapelati sin là per le
folte selve, si ritirarono disordinati, lasciando sul campo le
artiglierie e le munizioni, delle quali, varcato il fiume, s'impadronì
il generale tedesco. Nella ritirata, o, per meglio dire, fuga loro
passarono vicino ed alla coda di Greene che tuttavia si difendeva, e fu
l'ultimo a spiccarsi dalla battaglia. Finalmente, fattosi già scuro,
anche questi dopo lungo e bravo combattere si ritirò, e tutto l'esercito
procedè la stessa notte a Chester, ed il giorno seguente a Filadelfia.
Quivi arrivavano ad ogni ora i fuggiaschi condottisi a salvamento per
tragetti e vie sconosciute. I vincitori passarono la notte sul campo di
battaglia. Se non fosse opportunamente sopraggiunto il buio, egli è
molto probabile, che tutto l'esercito americano ne sarebbe stato
distrutto. Perdettero i repubblicani in questa giornata da quattordici
centinaia di soldati tra morti, feriti e prigionieri, con dieci cannoni
ed un obice. De' reali morirono a un dipresso cento, e quattrocento ne
furono feriti. Gli uffiziali francesi furono agli Americani di molta
utilità, sia nell'ordinar le genti alla battaglia, sia nel riordinarle
dopo la rotta. Tra questi il barone de Saint-Ouary fu fatto prigione con
gran dispiacere del congresso, il quale lo aveva in grande stima. Al
capitano di Fleury, il quale combatteva egregiamente, fu morto sotto il
cavallo. Il congresso lo presentò con un altro alcuni giorni dopo il
fatto. Il marchese de La-Fayette, mentre si affaticava colla voce e
coll'esempio a rannodar i fuggiaschi, toccò una ferita in una gamba.
Continuò però a far il debito suo, e come soldato combattendo, e come
capitano confortando e riordinando. Combattette anche con molta lode il
conte Pulaski gentiluomo polacco, che guidava i cavalleggieri. Lo
riconobbe pochi giorni poi il congresso, dandogli le compagnie dei
cavalli, ed il grado di brigadiere.

Se tutte le genti americane combattuto avessero nella battaglia di
Brandywine col medesimo valore che i Virginiani ed i Pensilvanesi, e che
Washington non fosse stato indotto in errore da un falso rapporto, forse
che avrebbero esse, nonostante l'inferiorità del numero loro, e
l'imperfezione dell'armi, ottenuto la vittoria, o almeno l'avrebbero
lasciata più sanguinosa agl'Inglesi. Comunque ciò sia, certo è bene, che
l'ordine della battaglia dato dall'Howe è stato eccellente; che le
diverse mosse furono eseguite con eguale prudenza e celerità, e che i
soldati tanto inglesi che tedeschi combattettero con maraviglioso
valore.

La sera, che venne dopo a quella, in cui si combattè la giornata,
mandarono i capitani britannici una frotta di genti spedite a
Wilmington, luogo posto alla congiunzione della Cristiana e del
Brandywine. Quivi fecero prigione il governatore dello Stato della
Delawara, e presero a bottino molta moneta, e robe sì pubbliche che
private, come pure parecchie scritture pubbliche d'importanza.
Seguitarono la fortuna della vittoria le altre Terre della bassa
Pensilvania, le quali tutte furono ricevute nell'obbedienza del Re.

Non si sgomentò punto il congresso ad un tanto sinistro di fortuna, e
faceva ogni sforzo per persuadere ai popoli, non esser le cose tanto
afflitte, nè ridotte in tanto sterminio, che presto non potessero
risorgere. Andavasi spargendo, che avevano bene gli Inglesi acquistato
il campo di battaglia, ma non già la compiuta vittoria, stantechè la
perdita loro altrettanta era, e forse maggiore di quella che gli
Americani fatto avevano. Affermavano, che, sebbene disperso in parte,
era tuttavia intiero l'esercito loro; e che fra pochi dì sarebbe
rammassato, ed in grado di affacciarsi incontro a combattere l'inimico.
E perchè quello, che forse non facevano le parole e le esortazioni, se
lo facessero le dimostrazioni animose, il congresso non faceva nissuna
vista di volersene partire da Filadelfia. Ordinò, che quindici centinaia
di regolari si facessero venire da Peek's-hill; che le milizie della
Nuova-Cesarea, quelle stesse della città di Filadelfia, quelle del
generale Smallwood, ed un reggimento di stanziali, che allora si trovava
in Alessandria, venissero rattamente a far capo grosso coll'esercito
principale nella Pensilvania. Diè ancora balìa al generale Washington,
richiedesse di forza dagli abitatori carri, cavalli e munizioni ad uso
dell'esercito, dando loro però le polizze del ricevuto.

Washington parimente tutto era in questo, che si spirasse nuovo coraggio
al cuore dei soldati, facendo creder loro, che per niente dimostrati si
fossero inferiori ai nemici, e che un'altra volta si sarebbe potuto
ottener ciò, che al Brandywine era stato lasciato dubbio. Lasciava
intanto riposare un dì gli suoi nel contorni di Germantown, mandando
però sulla destra riva dello Schuyl-kill sino a Chester le genti più
spedite e più intiere, acciocchè spiassero gli andamenti del nemico,
frenassero le sue gualdane, e nel medesimo tempo raccogliessero gli
Americani sbrancati, ed erranti alla sfidata. Egli intanto era ito in
Filadelfia, dove era sovente col congresso a fine dì accordar con esso
lui quello che per rimedio delle cose afflitte fosse da fare. Ma il dì
quindici partitosi dalla città, e traversato di nuovo lo Schuyl-kill
dalla sinistra sulla destra riva con tutto l'esercito, se ne andò per la
via di Lancastro sino a Warren, stabilmente risoluto a combattere
un'altra volta il nemico, ovunque il trovasse. Credendo poi, che questi
molto fosse impedito dai malati e dai feriti, ordinò a Smallwood,
ronzasse coi corridori più lesti sul fianco di lui ed alla coda, e gli
facesse tutto quel male che potesse. Scassinavasi nel medesimo tempo il
ponte di Filadelfia posto sullo Schuyl-kill, acciocchè all'uopo si
potesse rompere del tutto. Il generale Amstrong colle bande
pensilvaniche stava alla difesa del fiume, e l'ingegner francese De
Portail con molta industria lo fortificava.

Ma Howe, passata la notte degli undici sul campo di battaglia, avviò il
giorno seguente un forte squadrone sotto gli ordini del generale Grant a
Concordia, al quale venne poscia a congiungersi Cornwallis. L'uno e
l'altro procedettero a Chester sulle rive della Delawara, come se fosse
per correre improvvisamente a Filadelfia. Howe voltò il grosso
dell'esercito alla strada su per Lancastro, e già era arrivato il giorno
sedici a Goshen, quando ebbe ad un tratto l'avviso, che Washington si
avvicinava con tutte le sue genti per combattere, ed era già arrivato a
sei miglia distante. L'una parte e l'altra si apparecchiava alla
battaglia, e già i primi feritori si avvisavano; quando ecco, che
sopravvenne una sì grave scossa d'acqua, che divenuti molli e fracidi i
soldati, il continuar nel combattimento diventò ad ambi gli eserciti
cosa impossibile. Gli Americani massimamente ne ricevettero grandissimo
danno nelle armi e munizioni loro. I focili degli archibusi, grossamente
lavorati, non combaciando davano via all'acqua che trapelava, ed umidiva
le polveri sui foconi. Istessamente le fiaschette dove il soldato suol
tenere i cartocci, per la mala costruzione loro, non arrestando l'acqua,
questi ne furono guasti, e diventarono inabili all'accendersi. Tutte
queste cose imponevano a Washington necessità a dover temporeggiare.
Perciò ritirò un'altra volta le genti al di là dello Schuyl-kill,
passando a Parker's-ferry, e pose gli alloggiamenti lungi il
French-creek, o sia Rivo Francese. Ma siccome per questa mossa
Smallwood, troppo lontano, rimaneva esposto a qualche fazione improvvisa
da parte del nemico, ordinò a Wayne, andasse a scorrazzare con una forte
squadra alle spalle di lui, ed ogni ingegno ponesse per accozzarsi con
Smallwood. Procedesse però con molta cautela per non aprir niun varco al
nemico, onde potesse offenderlo.

La malignità del tempo impedì agl'Inglesi di dar dietro agli Americani.
Solo restringevano le genti troppo sparpagliate, ed andavano a campo a
Trydruffyn, donde mandarono una frotta a pigliar certe farine ed altre
munizioni, che i repubblicani avevano lasciato a Valley-forge.

Howe ebbe spia, che Wayne con quindici centinaia di soldati andava
buzzicandosi per le vicine selve sul fianco suo sinistro ed alle spalle.
Dubitò perciò di qualche improvviso danno, e si determinò a voler far
provare a Wayne quello che questi intendeva di far provar a lui. La
notte dei venti mandò il generale Gray con due colonnelli di gente
scelta, ed alcuni fanti leggieri a sorprendere l'inimico. Governò Gray
l'impresa con molta prudenza e celerità. Passando per tragetti arrivò a
un'ora della mattina inosservato vicino al campo di Wayne, e, oppresse
le prime sentinelle morte, che stavano alle vedette, si avventò,
marciando i suoi soldati al lume dei fuochi che accesi avevano, contro i
nemici sonnacchiosi e spaventati. In mezzo a quel buio ne fu fatta
grande strage colle baionette. Perdettero gli Americani molta gente con
le bagaglie, le armi e le munizioni. Sarebbero anche stati maggiormente
consumati, e forse tutta la schiera stata sarebbe tagliata a pezzi, se
non che risentitosi finalmente il campo de' repubblicani, e Wayne non
punto smarritosi in quell'estremo frangente, furon in fretta posti in
ordinanza alcuni pochi reggimenti, i quali valorosamente difendendosi
fecero retta contro l'impeto del nemico, sicchè le altre genti ebbero
facoltà di potersi salvare. La perdita degl'Inglesi fu di poco o niun
rilievo. Mentre così si combatteva nella selva allo scuro, Smallwood,
che veniva per congiungersi con Wayne, già era pervenuto ad un miglio
vicino al campo di battaglia. E se avesse guidato soldati più valorosi
che quelli non erano, che il seguitavano, avrebbe potuto far in modo,
che i vincitori si cambiassero in vinti. Ma quelle milizie, le quali,
pei romori che correvano nel paese, già stavano coll'animo molto
sollevato, udito prima un po' di strepito, e poi vedute comparire alcune
frotte di nemici, che perseguitavano le genti di Wayne, non istettero
più ad udire o veder altro; ma incontanente si difilarono in rotta.

Assicuratosi con questa vittoria il generale inglese alle spalle, si
consigliò di volere, o sforzar l'Americano di venirne ad una battaglia
giudicata, od allontanarlo talmente da Filadelfia, che, passato
improvvisamente lo Schuyl-kill, potesse alla sicura volgersi a dritta,
ed andare ad impadronirsi di questa città. A questo fine iva aggirandosi
con varie mosse sulla destra del fiume, molto opportune per far credere
a Washington, che l'intento suo fosse di marciare all'insù, e passato il
fiume là, dov'era meno grosso, e più facilmente guadoso, spuntar l'ala
sua dritta, ed impadronirsi dei magazzini pieni di vettovaglie e di
armamento, che si erano fatti a Reading. Per opporsi ad un tanto danno
l'Americano ritrasse il suo esercito più in su, ed andò a por gli
alloggiamenti a Pottsgrove. La qual cosa intesa, Howe varcò
improvvisamente, e senza resistenza alcuna con tutto l'esercito lo
Schuyl-kill in due luoghi a Gordon-ford, e più sotto a Fat-land-ford. La
notte dei 23 tutto l'esercito inglese alloggiò sulla sinistra riva del
fiume, trovandosi tra l'esercito di Washington e la città di Filadelfia.
Questa città non aveva più difesa alcuna, e già dovevasi riputare, come
se venuta fosse in balìa degl'Inglesi, seppure il generale americano non
si determinava a cimentarsi in una battaglia giudicata. Ma egli
consigliandosi più colla prudenza, che coi desiderj e le vociferazioni
dell'universale, si astenne dal venirne a questo fatale sperimento,
giudicando, temerario e precipitoso partito fosse il pericolare lo stato
dell'America all'incerto esito di una campale giornata. Aspettavansi di
breve le restanti genti di Wayne e di Smallwood, gli stanziali da
Peek's-hill, e le bande paesane della Cesarea sotto i comandamenti del
generale Dickinson. Erano i soldati non istracchi, ma rifiniti dalle
continue mosse, dalle malvage strade, dalla fame, da ogni spezie di
patimenti. Fatta una Dieta, e considerata la condizione dell'esercito,
tutti deliberarono di rimanersene nei presenti alloggiamenti per
concedere qualche riposo alle logore genti, e dar tempo, arrivassero gli
aiuti, che di già erano vicini. Deliberò Washington di procedere in ogni
cosa con modo cauto e circospetto per prender poi quelle occasioni, che
Dio per la gloria della pia impresa, e per lo bene della repubblica gli
avesse posto innanzi. Così fu abbandonata del tutto Filadelfia, come
sicura preda del nemico.

Quando si ebbero in questa città le nuove della dirotta pioggia, che
nella giornata dei sedici aveva impedito i due eserciti dal venirne alle
mani, e costretto l'Americano a ritirarsi sulla sinistra dello
Schuyl-kill, si era sciolto il congresso, aggiornandosi il giorno
venzette a Lancastro. Si votarono nel medesimo tempo con grandissima
sollecitudine i magazzini, e gli archivj pubblici, ed il navilio, che
presso la vicina spiaggia era sorto, si ritrasse alle parti superiori
della Delawara. Si sostennero venti e più gentiluomini, la maggior parte
della generazione dei Quaccheri, scopertisi nemici allo Stato, non
volendo essi, richiesti, fare il giuramento di leanza. Si mandarono a
confine a Stanton di Virginia. Il congresso concedette a Washington,
poichè egli aveva eccitalo tale concetto della sua virtù, che pareva,
che in lui sicuramente riposar potessero le speranze della repubblica,
la stessa autorità dittatoria, che gli era stata concessa dopo le rotte
della Cesarea. Poscia, crescendo ogni ora più il romore della venuta
degl'Inglesi, abbandonò del tutto la città. Lord Cornwallis il giorno
ventisei di settembre entrò in Filadelfia con una coda di granatieri
inglesi ed essiani. Il rimanente esercito si lasciò alle stanze di
Germantown. Così venne la ricca e popolosa città di Filadelfia, capo di
tutta la lega, dopo un aspro conflitto, e dopo molti non meno bene
considerati, che penosi avvolgimenti dei due eserciti, in poter dei
reali, nella quale i Quaccheri, che rimasti vi erano, e tutti gli altri
leali gli ricevettero con grandissime dimostrazioni di allegrezza.
Washington calandosi giù per la sinistra sponda dello Schuyl-kill si
avvicinò a diciotto miglia di Germantown, e pose gli alloggiamenti a
Shippach-creek, avendo nell'animo di accomodare quindi i suoi consiglj
ai progressi delle cose.

Insignoritisi gl'Inglesi della città di Filadelfia, dalla perdita della
quale gli Americani non solo non si sgomentarono tanto, quanto quelli si
erano dati a credere dover avvenire, ma ancora non si perdettero d'animo
nè punto, nè poco, applicarono tosto l'animo a piantar batterie sulla
Delawara per signoreggiare tutta la larghezza del fiume, proteggere la
città da ogni insulto per la via dell'acqua, ed interrompere a'
repubblicani la navigazione dalle parti basse alle alte, e dalle alte
alle basse. Mentre stavano in tal modo gl'Inglesi lavorando alle
batterie, gli Americani colla fregata la Delawara sorta a cinquecento
passi di distanza, e con altri legni minori incominciarono a fulminare
colle artiglierie loro i palaiuoli e maraiuoli; dal che ne ricevettero
essi nelle imperfette trincee, e la città stessa molto danno. Ei pare
però che non abbiano saputo acconciamente giovarsi di quella pratica,
che avevano dei luoghi nel fiume, dimodochè alla decrescente la fregata
rimase nelle secche, e non si potè rimettere a galla. Della qual cosa
accortisi gl'Inglesi, incominciarono a trarle contro colle artiglierie,
e ciò fecero tanto aggiustatamente, che, abbassata la tenda, si arrendè.
Poscia colle medesime artiglierie fecero allontanare e rifuggire all'in
su le altre navi minori con perdita di un giunco, che andò a traverso
sulla riva.

Avevano gli Americani, dubitando di quello che avvenne, cioè di non
poter preservare Filadelfia, interrotto con ogni maniera d'impedimenti
il corso della navigazione per la Delawara, affinchè l'armata inglese
non potesse per la via del fiume alcuna comunicazione avere
coll'esercito, che fosse entrato in quella città. Sapevano che quello di
Washington sarebbe per l'accostamento di nuove genti fra poco tempo
ingagliardito, e che allora correndo il paese avrebbe impedito le
vettovaglie agl'Inglesi. Dal che ne sarebbe nato, che quando non
avessero la facoltà del cibarsi per la via del fiume, sarebbero fra
breve stati costretti ad abbandonarla. A questo fine avevano costrutto
un Forte, e piantato artiglierie su di una isola piana, bassa e
maremmana, o per meglio dire uno scanno di mota e di sabbia posto a
rincontro delle bocche dello Schuyl-kill nella Delawara, la quale dalla
natura sua chiamano Mud-island, che vuol dire Isola della Mota. Sulla
opposta riva della Cesarea in luogo chiamato Red-bank avevano rizzato un
altro simil Forte, e munitolo di grosse artiglierie. In mezzo poi alle
acque navigabili del fiume avevano affondato parecchie file di quei
triboli tra l'un Forte e l'altro, dei quali già altre volte abbiam
favellato. Tre miglia più sotto avevano parimente ficcato altre
somiglianti file di triboli, e sulla vicina riva della Cesarea in un
sito chiamato punta di Billing fatto larghe trincee, le quali,
quantunque ancora non fossero a fine condotte, potevan però, già
guernite di artiglierie essendo, grandemente noiare il nemico, che si
attentasse di scostare dal luogo loro i triboli. Sopra poi, e presso
all'una e l'altra fila di questi triboli, stanziavano molte galere
fornite di grossi cannoni, due batterie galleggianti, e molti altri
legni minori, tutti bene armati con alcuni brulotti.

Conoscevano gl'Inglesi di quanta importanza fosse l'aprirsi la via
libera al mare per mezzo della Delawara; poichè le cose loro non
potevano mai riputarsi quiete e sicure, mentrechè le genti del nemico
avessero qualche ricetto sulle rive del fiume; ed andavano avvisando i
mezzi da poter ottenere prestamente questo fine. Già fin dal dì, che
avevano vinto la giornata di Brandywine, Lord Howe, che comandava a
tutta l'armata, aveva dirizzato il corso alle bocche di quel fiume, e di
già vi erano giunte alcune navi più sottili, e tra le altre il Roebuck,
condottevi dal Capitano Hammond. Fece questi sentire al generale Howe,
che, ov'ei mandasse una buona presa di genti ad assaltare sulle rive
della Cesarea il Forte della punta di Billing, facil cosa era il
conquistarlo; e che in tal caso gli bastava la vista di aprire un varco
alle navi tra le file dei triboli. Approvato il consiglio, mandò il
generale a questa fazione, il colonnello Stirling con due reggimenti.
Varcato il fiume a Chester, e posto piede sulle terre cesariane si avviò
rattamente ad assalir il Forte a ritroso. Gli Americani, credendosi di
non poter sostenere il nemico, che veniva di rovescio, precipitosamente
lo abbandonarono, non senza però aver prima chiodate le artiglierie, ed
arse le baracche. Entrati dentro gl'Inglesi guastarono il tutto, e
massimamente quei bastioni, che fronteggiavano il fiume. Assicurato in
tal modo dalle offese, che poteva ricevere dalle parti di terra,
Hammond, dimostrandosi in ciò prontissime le ciurme delle sue navi,
procedette alla difficil opera di aprir la via a traverso dei triboli.
Nel che tanto fece, e tanto s'affaticò, che finalmente, cansatone
alcuni, ed altri cavatone, riuscì nel suo intento. Aprì adunque uno
stretto callone per le file inferiori dei triboli, pel quale potevano,
sebbene non senza molta difficoltà, le navi inglesi passare, e recarsi
contro le file superiori, l'Isola della Mota ed il Red-bank.

Ritornarono, compiuta la spedizione loro, i due reggimenti dello
Stirling a Chester, dove venne a trovargli un altro mandatovi apposta,
acciocchè tutti e tre fossero di sufficiente convoglio ad una grossa
quantità di vettovaglie, che si dirizzavano al campo.

In questo mezzo Washington, il quale dimorava tuttavia nel suo campo di
Shippach-creek, avuto intenzione, che Howe aveva indebolito il suo
esercito coll'aver mandato i tre reggimenti alle raccontate fazioni, e
per aver lasciato Cornwallis con quattro battaglioni di granatieri, come
presidio in Filadelfia, giudicò, che questa fosse una occasione da non
ne aspettar un'altra. Si risolvette perciò a volersi valere
dell'opportunità, assaltando improvvisamente l'esercito britannico, che
stava accampato ne' suoi alloggiamenti di Germantown. Al qual partito
tanto più confidentemente si accostò, che già aveva ricevuto i rinforzi
di Peek's-hill, e le cerne della Marilandia.

Alloggiava l'esercito britannico in Germantown, grosso borgo posto a
dodici miglia distante da Filadelfia sullo stradone, che da questa città
guida alle parti di tramontana. Esso è sì fattamente edificato, che
molto stretto essendo, si distende in lunghezza da una parte e
dall'altra dello stradone per lo spazio di due miglia. Il campo poi
delle genti regie era in tal modo ordinato, che la fila traversava ad
angoli retti il borgo, distendendosi l'ala sinistra sino allo
Schuyl-kill, e la dritta fuori del borgo medesimo un pezzo verso
levante. A fronte di quella un po' più in su verso il campo americano
alloggiavano, come quasi una prima schiera, i fanti ed i corridori
tedeschi armati alla leggiera; ed in fronte alla seconda un battaglione
di fanti leggieri inglesi coi corridori della reina. La battaglia poi,
che stanziava dentro il borgo, era guardata pure da fronte dal
quadragesimo, e da un altro battaglione di fanti leggieri, i quali
stanziavano in capo alla Terra a tre quarti di miglia innanzi.
Washington si risolvette a voler attaccar la giornata improvvisamente
coll'inimico, sperando, che, se lo potesse rompere, trovandosi quello
non solo lontano, ma ancora separato affatto dal suo navilio, avrebbe
potuto condurlo ad un totale sterminio. Ordinò le sue genti in modo, che
gli squadroni di Sullivan e di Wayne, fiancheggiati dalla brigata del
Conway, dovessero, assaltando il fianco dritto dell'ala sinistra e la
battaglia inglese, entrare dentro la Terra per la via principale di
Chesnut-hill; gli squadroni di Greene e di Stephens, fiancheggiati dalla
brigata di Macdougall, dato una giravolta verso levante, fossero per
attaccar il fianco sinistro dell'ala dritta, e, rottala, entrassero da
lato per la via delle fornaci da calce. L'intendimento di Washington
era, che impadronitosi con questo doppio sforzo di Germantown, venissero
separate e disgiunte l'una dall'altra le due ali dell'esercito inglese;
la qual cosa gli avrebbe dato una compiuta vittoria. Perchè poi il
fianco sinistro dell'ala sinistra inglese non potesse, ristringendosi,
correre in soccorso del destro, comandò, che il generale Armstrong colle
milizie della Pensilvania girasse verso lo Schuyl-kill, e, scendendo per
la sinistra riva di questo fiume, minacciasse e di costa ed alle spalle
quel fianco. Istessamente, acciocchè il fianco destro dell'ala destra
dell'esercito britannico non potesse andar in aiuto del sinistro, il
quale stanziava presso le mura del borgo, fece volteggiare a levante i
generali Smallwood e Foreman colle milizie marilandesi e cesariane,
acciò comparsi improvvisamente alle spalle del fianco destro, e lo
tenessero a bada, e lo disordinassero. Gli squadroni del lord Stirling,
e le brigate dei generali Nash e Maxwell stavano alle riscosse.
Schierato adunque nel modo che si è detto l'esercito repubblicano,
commise Washington, che si toccasse la levata. Perilchè, lasciati gli
alloggiamenti di Shippach-creek, marciarono contro i reali la sera dei
tre ottobre alle ore sette. I corridori battevano le strade per
intraprendere chiunque avrebbe potuto portar le nuove dell'imminente
assalto al capitano britannico. Washington istesso accompagnava di
persona lo squadrone di Sullivan e di Wayne. Procedevano fra l'oscurità
della notte tacitamente e velocemente. Alle tre della mattina dei
quattro le prime scolte inglesi diedero al grosso delle genti l'avviso
di quello ch'era. Tosto il campo si risentì, e vi si diè all'armi;
ognuno andava a pigliare il suo posto con molta fretta, e non senza
qualche disordine, essendo la cosa improvvisa. Gli Americani
sopraggiungevano a levata di sole. Cacciate da Conway le prime scolte,
si avventavano a slancio contro il battaglione dei fanti leggieri.
Contrastavano questi valorosamente un pezzo; ma finalmente sopraffatti
dal numero furono espugnati. Gli Americani, perseguitandogli, gli
rincacciarono nel villaggio. La fortuna pareva in quella prima giunta
dar favore alla impresa loro: e certamente, se si fossero fatti padroni
di tutta la Terra, avrebbero ottenuto una segnalata vittoria. Ma in
questo mentre il luogotenente colonnello Musgrave con sei compagnie si
era riparato dentro di una casa forte e grossa, situata in capo alla
Terra, e di ella facendo fioccare sugli assalitori le archibusate,
impediva loro di recarsi più avanti. Diedero gli Americani furiosamente
la battaglia a questo inaspettato nido del nemico; ma quei di dentro
continuarono a difendersi risolutamente. Accostarono i cannoni per
batterla; ma tale era l'intrepidezza dei soldati del Musgrave, e la
spessezza dei tiri loro, che non si potè far frutto alcuno.

Mentre così si travagliava in questa parte, la colonna sottoposta
all'obbedienza di Greene si avvicinava all'ala destra inglese, e
azzuffatasi coi fanti leggieri e coi corridori della reina, dopo non
molta resistenza gli ebbe cacciati indietro. Greene difilandosi sulla
sua dritta, ed approssimatosi al villaggio dava dentro nel fianco
sinistro dell'ala dritta inglese, e faceva di forza per entrar nel
murato. Intanto si aspettava, che le milizie pensilvaniche menate
dall'Amstrong sulla dritta, le marilandesi e le cesariane condotte da
Smallwood e da Foreman sulla sinistra, eseguendo gli ordini del capitano
generale, assalito ed accerchiato avrebbero, quelle il fianco sinistro,
e queste il destro dell'esercito britannico. Ma o che arrivassero troppo
tardi per gl'impedimenti trovati fra via, o che mancassero d'ardire, le
prime si mostrarono bene a veduta dei fanti e dei corridori tedeschi; ma
non gli affrontarono. Le seconde arrivarono sul campo troppo tardi.
Quindi avvenne, che il generale inglese Grey, credutosi sicuro sul
sinistro fianco, ebbe comodità di correre con quasi tutta l'ala
sinistra, che obbediva a' suoi ordini, in soccorso della battaglia, la
quale dentro del borgo, nonostante la resistenza inopinata del Musgrave,
era gagliardamente pressata dagli Americani, che di già erano penetrati
molt'oltre. Quivi la battaglia diventò molto feroce, incalzando tuttavia
fieramente gli Americani, e difendendosi non meno animosamente
gl'Inglesi. Ella stette un pezzo dubbia. Nell'ardore della pugna il
generale Agnew con grandissimo ardire combattendo alla testa della
quarta brigata britannica, ferito improvvisamente, se ne morì. Il
colonnello Matthew dello squadrone di Greene spintosi avanti con
incredibile valore ruppe gl'Inglesi da canto alle mura della Terra. Ne
fe' molti prigionieri, e già faceva le viste di voler entrar dentro. Ma
per la folta nebbia, che in quell'ora ingombrava l'aria, e per qualche
inegualità di terreno, perduto di vista il restante dello squadrone, ed
attorniato egli stesso da un grosso di nemici, che contro di lui si
affoltarono dalla estremità del corno loro destro, dove per
gl'indugiamenti dei Marilandesi e Cesariani nissun timore avevano, fu
fatto prigione con tutti i suoi, avendo anche gl'Inglesi ricuperato i
cattivi. Questo sinistro accaduto a Matthew fu cagione, che due
reggimenti dell'ala dritta inglese potettero alla sicura entrare nel
villaggio, ed assalir di costa gli Americani, che vi erano dentro.
Questi allora non potendo resistere si ritirarono alla sfuggiasca dalla
Terra con notabile perdita di morti e di feriti. Musgrave stesso, al
quale si dee la principal lode di tutto questo fatto, fu liberato
dall'assalto. Avuta Grey la vittoria dentro la Terra, corse in soccorso
dell'ala dritta, la quale tuttavia combatteva contro la sinistra banda
della colonna di Greene. Gli Americani allora andarono in fuga,
abbandonando da tutte le parti agl'Inglesi quella vittoria, la quale
avevano creduto sulle prime di avere sicura nelle mani. La densa nebbia,
la quale fece sì, che una squadra non vedendo l'altra, tutte, credutesi
sole, s'intimorissero, il che più operò sugli Americani, gente nuova e
meno disciplinata, che sui veterani inglesi; l'inegualità del terreno,
per la quale, e più facilmente si disordinano, e più difficilmente si
riordinano i nuovi, che non i vecchi soldati, ed infine l'ostacolo
impensato del Musgrave, il quale seppe in un pericoloso istante una casa
comune come quasi in una forte bastata trasformare, furono le principali
cagioni, per le quali un ben composto disegno non ebbe effetto; e quella
fortuna, che già pareva favorevole dimostrarsi ad una parte, voltandosi
improvvisamente, inclinò del tutto a prò dell'altra. Cornwallis, che si
trovava a Filadelfia, avuto l'avviso dell'impensato assalto, corse con
alcuni cavalleggieri e granatieri al luogo della battaglia; ma arrivò,
che già gli Americani avevano dato volta.

Morirono in questa battaglia degli Americani da dugento; seicento furono
feriti, e da quattrocento fatti prigionieri. Fu soprattutto lamentata la
morte del generale Nash della Carolina Settentrionale. Degl'Inglesi
rimasero, o morti o prigionieri pochi più di cinquecento. Si noverò tra
i primi oltre il generale Agnew, capitano di molto valore, il colonnello
Bird. L'esercito americano si ritirò dopo il combattimento, conducendo
seco tutte le artiglierie e munizioni, alle stanze di Perkiomy-creek, a
venti miglia discosto. Lodò il congresso pubblicamente l'impresa, e
molto ringraziò i soldati pel valore, col quale avevano combattuto. Solo
il generale Stephens fu casso per aver mal guidato i suoi, durante la
ritirata.

Alcuni giorni dopo quello della battaglia Howe si ritirò con tutto
l'esercito a Filadelfia, inabile a seguitare il nemico per que' luoghi
forti per la mancanza delle vettovaglie, e pel desiderio, che aveva
grandissimo, di aprirsi la via sino al mare per la Delawara. Washington
accostatessigli alcune centinaia di milizie, ed un reggimento stanziale
della Virginia, di nuovo si avvicinò al nemico, pigliando i soliti
alloggiamenti di Shippach-creek. Così gl'Inglesi avevano a fare con un
nemico, il quale, non che si sbigottisse all'avversa fortuna, pareva per
lo contrario da questa nuove forze acquistare; che vinto, non che si
disbandasse, di nuovo tornava più feroce alle offese; e tanta era la sua
diligenza e la sua costanza, che operava in modo, che le vittorie
degl'Inglesi partorivano per essi gli effetti delle sconfitte. Nè si
erano ottenuti dalla possessione di Filadelfia que' vantaggi, che se ne
aspettavano. Imperciocchè i popoli non se ne sgomentarono di sorta
veruna; e l'esercito vincitore trovandosi da ogni parte attorniato da
uomini nemici, pareva fosse nelle mura stesse della città confinato.
Instava minaccevolmente Washington dai poggi dello Schuyl-kill; e faceva
anche correre con numerose torme di cavalleggieri e di pedoni lesti il
paese posto tra la destra riva di questo fiume e la Delawara, per
opprimere le bande scorrazzanti dell'Howe, acciò non potessero
foraggiare alla sicura, e per impedire, che dai male affetti o dagli
avari non si movessero vettovaglie verso il campo dell'esercito nemico.
Oltreacciò il congresso stabilì, si punissero di morte coloro, i quali o
munizioni di qualunque sorta, od altri aiuti fornissero alle genti del
Re.

Il generale inglese, vedutosi in tal modo ingannato della sua speranza
di poter trarre dalla parte di terra i viveri necessarj all'esercito,
volse i pensieri a volersi strigare dagl'impedimenti posti nel corso
della Delawara, e ad aprirsi totalmente il varco al mare. L'impresa era
molto difficile e pericolosa. Era mestiero, per ottener l'intento,
conquistar l'Isola della Mota, nella quale stava piantato il Forte
Mifflin, e la punta di Red-bank, che gli Americani chiamavano Forte
Mercer. Superate queste due Fortezze, si sarebbe potuto sgombrare la
Delawara dalla superior fila dei triboli. Deliberò pertanto Howe di
assaltar nello stesso tempo le due Fortezze, facendo anche a quest'uopo
servir quelle navi, che avrebbero potuto passare pel callone
dell'inferior fila di quelli. Aveva altresì piantato una batteria di
grossi cannoni sulla sponda pensilvanica della Delawara, di rincontro
all'Isola della Mota, per poter noiare il presidio anche da questa
parte. Aveva il comando nel Forte Mifflin il colonnello Smith, e nel
Red-bank il colonnello Greene, l'uno e l'altro capitani di molta stima
presso gli Americani. Nell'assalto da darsi al Forte Mifflin intendeva
Howe, che si procedesse in modo, che mentre le batterie piantate sulla
riva lo fulminassero sul destro fianco, la nave da guerra il Vigilante,
passando per quello stretto canale, che l'Isola di Hog-island dall'Isola
della Mota divide, lo combattesse a ridosso, e le fregate colle navi
l'Iside e l'Augusta approssimandovisi pel canale più largo e più
profondo del mezzo, da fronte. Il Red-bank poi si doveva, trasportate le
genti sulla sinistra del fiume, assalire alle spalle dalla parte della
Cesarea.

Ordinate in tal modo le cose, andavano gl'Inglesi alla fazione la sera
dei 21 ottobre. Il colonnello Donop, uffiziale tedesco, che si era
acquistato buon nome in tutto il corso di questa guerra, con una grossa
banda di Essiani varcò la Delawara a Cooper's-ferry rimpetto a
Filadelfia. Quindi marciando sulle terre cesariane lungo il fiume
all'ingiù, arrivò il dì seguente a ora molto tarda dietro il Red-bank.
Consistevano le fortificazioni in un recinto esteriore molto largo, in
mezzo del quale si era fatto una grossa trincea munita d'artiglierie e
di palificate. Andò Donop all'assalto con maraviglioso coraggio. Gli
Americani, fatta una leggiera resistenza nel recinto esteriore, nè
credendosi abili a difenderlo convenientemente per la troppa larghezza
sua, si ritirarono nel mastio, donde si difendevano con grandissimo
ardire. Si avvicinarono gli Essiani, e facevano una molto aspra
battaglia. Ma o per la difesa di quei di dentro, o perchè non avessero
le scale opportune, poco profittavano. Fu ferito in questo mentre
mortalmente Donop, e fatto prigioniero. Molti de' suoi migliori
uffiziali o furono del pari uccisi, od in tal modo malconci dalle
ferite, che furono costretti a ritirarsi dalla battaglia. Il colonnello
Mingerode stesso, il quale dopo l'infelice caso di Donop gli era
succeduto nel comando, toccò una ferita molto pericolosa. Furono allora
ributtati duramente gli Essiani; ed il luogotenente colonnello Linsing
gli faceva a gran fretta ritirare. Nel che furono grandemente
danneggiati dalle galere e batterie galleggianti del nemico. Rimasero
uccisi da quattrocento Essiani. Morì il giorno seguente delle sue ferite
Donop. Ebbe gran parte nella vittoria il cavaliere Duplessis, francese,
il quale con molta industria e valore governò le artiglierie. I vinti
ritornarono a Filadelfia.

Frattanto le navi si erano mosse per andar a fare il debito loro contro
l'Isola della Mota. Superata non senza grande difficoltà la fila
inferiore dei triboli, l'Augusta, grossa nave da guerra, parecchie
fregate, ed altri legni minori stavano aspettando il flusso; e
ricorrendo finalmente le acque all'insù, posto da canto ogni indugio,
andavano all'assalto. Ma un vento gagliardo da tramontana impedì, che il
Vigilante, siccome era ordinato, pigliasse il suo posto tra l'Isola e la
costa di Pensilvania. Gl'impedimenti poi, che gli Americani avevano
posti dentro il letto del fiume, lo avevano talmente dal suo corso
consueto divertito, che le due navi più grosse, l'Augusta ed il Merlino,
toccarono terra, e non poterono più oltre procedere alla fazione. Le
fregate però arrivarono alla disegnata stazione, e cominciarono a trarre
contro il Forte Mifflin. Nel medesimo tempo le batterie di terra lo
fulminavano. Gli Americani animosamente si difendevano. La notte, che
sopraggiunse, pose fine al combattimento. La mattina gl'Inglesi
ricominciarono la battaglia; non che nel presente stato delle cose
sperassero di acquistare la vittoria; ma per potere, trattenendo
l'inimico, rimettere a galla le due navi, che avevano dato nelle secche.
Ciò nonostante l'Augusta arse, e scoppiò. Il Merlino, non potendosi
muovere, fu arso a bella posta. Le fregate intanto, credendo non poter
far frutto, e temendo dell'incendio delle due vicine navi, si
allargarono prima, e poscia si ritirarono. Il congresso pubblicamente
ringraziò, e presentò con una spada i colonnelli Greene e Smith per
avere, quello sì valorosamente difeso il Forte Mercer, o sia il
Red-bank, questo il Forte Mifflin.

I capitani inglesi però non si perdettero d'animo all'infelice riuscita
di questi due assalti; e l'importanza del libero commercio loro col mare
per via della Delawara era tanta per causa delle munizioni, e per la
congiunzione delle forze terrestri colle marittime, che niuna cosa
vollero lasciare intentata per arrivare a questo fine. Il Forte Mifflin
era piantato sull'estremità inferiore dell'Isola della Mota, acciocchè
potesse tener lontane le navi, che si attentassero di salire il fiume.
Al qual fine le principali fortificazioni erano da fronte, e volte
perciò verso la bocca del fiume. Di dietro, non aspettandosi da questa
parte l'assalto, perciocchè gl'Inglesi in Filadelfia non avevano
sufficiente navilio, il Forte era soltanto cinto da un affossamento
acquidoso. Era però questa faccia posteriore del Forte fiancheggiata ad
ambe l'estremità sue da Fortini, dei quali uno già era stato oltremodo
danneggiato nel primo assalto. Poco più insù dell'Isola della Mota avvi
una piccola e paludosa isola, che chiamano delle Province; e di questa
eransi impadroniti gl'Inglesi a fine di poter battere a ritroso, nella
sua parte più debole il Forte Mifflin. Non cessavano gl'Inglesi dal
portarvi grosse artiglierie, viveri e munizioni, passando con molta
disagevolezza per uno stretto canale presso la destra riva della
Delawara dietro l'Isola di Hog-island. Vi rizzavano anche nei luoghi più
acconci fortificazioni. S'accorgevano benissimo gli Americani, che, ove
il nemico avesse in quest'isola le sue opere terminato, sarebbe stato
loro impossibil cosa il mantenersi nell'Isola della Mota. Avrebbe voluto
Washington fare uno sforzo per cacciarnelo. Ma siccome aveva Howe
costruito un ponte sullo Schuyl-kill, poteva, quando gli Americani
fossero venuti sopra l'Isola delle Province correr loro alle spalle e
tagliar il ritorno. Venir poi con tutto l'esercito in soccorso loro
sarebbe stato l'istesso, che il volerne venire ad una battaglia campale;
il che a quei tempi il capitano del congresso voleva schivare. Non
voleva egli dopo le due rotte avute mettere così gran posta. E tanto più
a quest'estremo partito ripugnava, quantochè sapeva, che le cose
dell'esercito settentrionale già avevano avuto un felice fine. Perciò si
aspettavano gli aiuti, che ne venivano all'esercito pensilvanico. Si
astenne adunque dal voler tentar l'impresa dell'Isola delle Province.
Bensì sperava per la fortezza dei difensori e pei soccorsi, che si
sarebbero potuti mandar loro alla spicciolata, che avrebbero potuto
contrastare lungo tempo.

Ma dal canto degl'Inglesi essendo ogni cosa in pronto si andava
all'assalto il giorno quindici novembre. Tutte le navi essendo arrivate
ai posti loro, diedero mano al trarre. Sostennero gli Americani per un
pezzo fortissimamente l'impeto del nemico, traendo e dal Forte, e dalle
batterie della Cesarea, e dalle galere, che quivi poco discosto
stanziavano. Ma finalmente, atterrate del tutto le mura, e scassati i
fossi dalle rovine, si ritrovarono in grandissimo pericolo. Aspettavano
un vicino assalto alle mura, al quale ottimamente sapevano di non poter
resistere. Portavan pericolo di andar a fil di spada tutti. Tuttavia
gl'Inglesi, ristandosi, vollero indugiar sino all'indomani mattina.
Giovaronsi i repubblicani del soprastamento; e la notte votarono il
Forte, arse prima le baracche, e sgombrate le munizioni a luoghi sicuri.
Si ritirarono a Red-bank. L'indomani gl'Inglesi entrarono nel Forte.

Rimaneva per rimuovere del tutto gl'ingombri della Delawara, si
cacciassero dal Red-bank i soldati del congresso. La cosa era di somma
necessità; perciocchè, quantunque alcune navi sottili, levando viveri
nelle contrade prossimane a Chester, dove gli abitatori molto erano
inclinati a favor dei regj, gli recassero a Filadelfia, tuttavia se ne
difettava in questa città grandemente; ed inoltre non vi si aveva, se
non scarsamente da ardere. Per la qual cosa Howe, assicuratosi dentro
Filadelfia con certe trincee, che dalla Delawara si distendevano sino
allo Schuyl-kill, e ricevuti alcun rinforzi dalla Nuova-Jork, mandò
Cornwallis con una grossa banda sulle rive della Cesarea, acciocchè e
raccogliesse vettovaglie, ed assalisse alle spalle il Forte Mercer.
Varcò questi il fiume da Chester alla punta di Billing, e si
apparecchiava ad eseguir gli ordini del capitano generale. Si
congiunsero con esso lui altre genti venute dalla Nuova-Jork. Frattanto
Washington, avuto pronto avviso della cosa, e volendo, se possibil
fosse, tener quel freno in bocca al nemico, aveva ordinato a Greene,
avuto da lui in concetto d'uomo valoroso, che con una grossa schiera si
recasse anch'egli nella Cesarea. Sperava, che non solo avrebbe potuto
con effetto proteggere il Forte Mercer; ma che di più gli sarebbe venuto
in taglio di assaltare, e di rompere in qualche rilevata fazione
Cornwallis. Trovandosi il Forte situato sulle terre della Cesarea tra i
due rivi di Timber e di Manto, per lungo spazio non guadosi da parte
della Delawara, non poteva il capitano britannico inviarsi al Forte,
senza trovarsi chiuso da ogni parte, da fronte dal Forte medesimo, da
ambi i lati dai due rivi, ed alle spalle dalle genti di Greene.
Traghettò questi a Burlington. L'accompagnava il marchese de La-Fayette
vago di combattere, quantunque non ancora sanato affatto della sua
ferita. Dovevano a queste genti accostarsi quelle, che venivano dalle
sponde del fiume del Nort. Si avviarono alla volta del nemico. Ma
intesosi da Greene, che Cornwallis per l'accostamento delle genti testè
venute dalla Nuova-Jork, era diventato molto più forte, che egli stesso
non era, non si ardì di andarlo ad assaggiare. Per la qual cosa il
colonnello Greene, che comandava al presidio, perduta la speranza del
soccorso, ed avvicinandosi di già Cornwallis, votò il Forte, ed il
Red-bank, lasciando in poter dei reali buon numero di artiglierie, ed
una notabile quantità di munizioni tanto da guerra, che da bocca. Fu il
Forte smantellato dagl'Inglesi, e tutte le fortificazioni distrutte.

In questo stato di cose il navilio americano, che stanziava nella
Delawara, venute essendo le due rive del fiume in poter del nemico,
correva grandissimo pericolo di essere o guasto, o preso. Per la qual
cosa parecchie galere, ed altri legni armati in guerra, valendosi
dell'opportunità di una notte propizia, salirono il fiume, ed,
oltrepassate felicemente le batterie di Filadelfia, si ripararono a
salvamento alle parti superiori. Conosciuta la cosa, gl'Inglesi, perchè
non potessero fuggir loro dalle mani quelle che erano sotto, fornirono
di ciurma la fregata la Delawara, e le artiglierie piantarono e
dirizzarono nei luoghi più opportuni per impedir il passo al nemico.
Circondati in tal modo gli uomini delle ciurme americane, vedendo di non
poter essere soccorsi, abbandonarono, ed arsero le navi, le quali tutte
furono in poco d'ora consumate dalle fiamme. Montaron esse al novero di
diciassette di diversa forma e grandezza; tra le quali due batterie
galleggianti, e quattro brulotti.

Ottenutasi nel modo che abbiam detto, dagl'Inglesi l'intiera signoria
del fiume, si posero all'opera di sgombrarlo da tutti gl'impedimenti. Ma
tali, e sì gravi furono le difficoltà che in questa bisogna
incontrarono, oltre la stagione dell'anno già molto tarda (queste cose
si facevano sul finir di novembre), che con gran fatica poterono a
traverso la fila superiore dei triboli uno stretto callone aprire, pel
quale solo potevano passare le navi le più leggieri. Per mezzo di queste
erano portate le vettovaglie, e le munizioni da guerra a Filadelfia.

Quantunque fossero finalmente i regj riusciti in parte nell'intento loro
di sgombrar la Delawara, cionondimeno tanta, e sì lunga era stata la
resistenza dei repubblicani, che fu guasta all'Howe ogni occasione di
poter assalire l'esercito di Washington, primachè questi avesse ricevuti
i rinforzi delle genti vincitrici dell'Hudson. Imperciocchè il capitano
britannico prudente com'egli era, non volle mai mettersi al rischio di
una battaglia, se prima non aveva libero l'adito all'armata del
fratello, sia per la ragione delle vettovaglie, sia per la sicurtà della
ritirata nel caso di mala fortuna.

Frattanto continuava Greene a stanziar nella Cesarea, al quale già si
erano accostate alcune bande mandate da Gates in aiuto dell'esercito
pensilvanico, tra le quali in grandissima stima per gli egregi fatti
loro erano tenuti i corridori del Morgan. Non istava Washington senza
speranza, che Greene avrebbe fatto qualche onorata fazione, e che in tal
modo si ricuperasse con una nuova vittoria quello, che si era per
necessità perduto. Ma erasi Cornwallis sì fattamente fortificato nella
punta di Gloucester sulla sinistra riva della Delawara, che nissun adito
aveva lasciato a Greene di potergli far danno. Temendosi perciò, che
l'Inglese, avendo terminato l'opera sua nella Cesarea, ed ottenuto
l'intento della presa del Forte, e dell'aver fatto adunata, e mandato di
molte vettovaglie a Filadelfia, non ritornasse all'altra riva, e che
congiuntosi di nuovo coll'Howe, corressero ambidue uniti contro
Washington, comandò questi a Greene, rivalicasse il fiume. L'uno e
l'altro congiunsero le forze loro sulle rive del Schippach. Per
somiglianti ragioni ripassava colle sue genti Cornwallis, e si accozzò
coll'Howe. Prima però che queste genti nemiche abbandonassero le terre
della Cesarea, conflissero i corridori di Morgan, ed alcune mani di
milizie paesane condotte dal marchese de La-Fayette con una frotta di
Essiani e granatieri inglesi molto bravamente, e fecer loro voltar le
spalle. Da questo fatto al marchese, che fino allora militava come
volontario, il congresso concedette il capitanato di tutta una schiera
dell'esercito.

In questo mezzo erano arrivate all'esercito di Washington le genti
mandate da Gates, non senza però qualche difficoltà, e spessi
indugiamenti. Conciossiachè, e Gates medesimo era andato molto a rilento
nel mandarle, ed eransi parte ammottinate contro i capitani loro,
dicendo, che marciar non volevano, non avendo nè danaro, ne vestimenta.
Ma finalmente, confortate dagli uffiziali, si erano messe in via. Erano
in tutto quattro migliaia di soldati, buona gente pel valor loro, e per
la fresca vittoria, ma non bella per lo squallore e miseria. Avuto il
generale americano questo rinforzo andò a far capo grosso ad un luogo
detto White-marsh distante solamente a quattordici miglia da Filadelfia.
Era questo alloggiamento molto forte, essendo posto su poggi alti e
difficili, ed avendo dal fianco dritto il rivo di Wissahichon, e da
fronte il Sandy-run. Si annoveravano a questi dì nell'esercito americano
dodicimila stanziali, e qualche cosa più con circa tremila cerne. Aveva
seco Howe poco più di dodici migliaia di combattenti.

Era questi continuamente desideroso della battaglia; e pensandosi, che,
per la congiunzione delle nuove genti, il suo avversario fosse venuto
nel medesimo desiderio, si mosse il giorno quattro decembre, avviandosi
ad Sandy-run, molto risoluto al tentare di nuovo la fortuna delle armi.
Accampavasi a Chesnut-hill di rincontro a tre miglia dalla dritta del
nemico. Quivi si facevano spessi badalucchi, nei quali per lo più
rimanevano superiori i regj. Ma accorgendosi Howe, che la positura del
sito del campo americano da quella parte troppo era forte, perchè si
potesse assaltar con frutto, iva a schierarsi rimpetto al centro, ed
alla sinistra lontano solo ad un miglio. Andava distendendosi vieppiù
verso la punta sinistra dell'esercito nemico, come se spuntar lo
volesse, e girargli alle spalle. L'Americano non fuggiva la battaglia;
ma, non uscendo, la voleva aspettare ne' suoi alloggiamenti; perchè
seguendo il suo costume voleva avere conveniente riguardo alla
conservazione di quell'esercito, dal quale dipendeva la principale
sicurtà dello Stato dell'America. Ingrossava intanto l'ala sua sinistra.
Infine l'Inglese non potendo in nissuna maniera adescarlo, perchè
uscisse fuori, e nissuna favorevole occasione offerendosi di poterlo
sbarbar da questi alloggiamenti, dopo di essersi volteggiato or qua or
là lungo spazio, se ne tornò a Filadelfia. Patirono assai in queste
mosse dal rigor della stagione i suoi soldati, non essendo forniti di
tende e di altri arnesi necessarj al campeggiare. Il che giunto allo
stropiccio della guerra era causa, che ne stavano malissimo in arnese;
la qual cosa considerata, e la pertinacia del nemico a non volerne
venire, se non grandemente avvantaggiato, al cimento, ed essendo ormai
giunto il tempo che suole esser vacuo dagli esercizj della guerra, si
risolvette a fare svernar le sue genti in Filadelfia, non senza però
aver prima mandato una grossa banda sotto la obbedienza di Cornwallis a
fare una cavalcata per foraggiare largamente sulla destra riva dello
Schuyl-kill. Washington medesimamente si determinò a distribuire i suoi
soldati nelle stanze. Solo stava dubbioso del luogo, dove si avessero a
pigliare i quartieri. Perciocchè non voleva nè lasciare il paese esposto
ad esser mangiato senza difesa dal nemico, nè troppo distendere le sue
ordinanze, per non dargli luogo ad opprimerle qua e là con assalti
improvvisi.

Havvi una gran fondura sulla occidentale sponda dello Schuyl-kill a
sedici miglia da Filadelfia, che chiamano Valley-forge, vale a dire
Valle-fucina, situata in luogo alpestre e forte. Sui fianchi di questa
valle, e sopra una spianata eminente, che domina tutta la valle e le
circonvicine regioni, si risolvè Washington, poichè voleva riposare le
sue armi, di condurre l'esercito perchè ivi svernasse. Siccome poi tanta
era la miseria delle vestimenta dei soldati, che male avrebbero potuto
sofferire d'invernar sotto le tende in quella stagione, che oltre ogni
dire aspra era divenuta, così fece il pensiero di construrre un
sufficiente numero di capanne fatte con palanche ficcate in terra, ed
inzaffate al di dentro di calcina, le quali potessero, meglio che le
tende, difendergli dal rigore dell'invernata. Muovevasi pertanto tutto
l'esercito verso le nuove stanze. Alcuni rimanevan tra via pel freddo
che gli assiderava; ad altri, non avendo scarpe, sanguinavano i piedi
rotti dal ghiaccio e dai sassi. Ma infine dopo molti stenti arrivati a
Fucina lavoravano forte intorno le capanne, le quali edificarono a mò di
città regolare. Ogni cosa era in moto. Chi tagliava gli alberi nelle
selve; chi gli fendeva. Alcuni gli ficcavano in terra, altri gli
piallava, ed altri gl'inzaffava. In non molto tempo furon condotti a
fine i palancati; e le genti vi si ripararono dentro. In tal modo i due
eserciti dopo un aspro e continuo guerreggiare per ben quattro mesi si
riposavano quietamente nei quartieri a' tempi della cruda stagione. Nè
altro frutto raccolse il capitano britannico dalle sue vittorie, e da
tanti scaltri volteggiamenti fuori di quello di aver procacciato al suo
esercito comode e sicure stanze pel verno.

[1778]

In cotale guisa si avvicendarono le cose in America ora prospere, ora
avverse per le due parti nel corso dell'anno 1777. Nel quale, se gli
Americani fecero nella guerra canadese e dell'Hudson pruove mirabili di
non ordinario valore, e nella pensilvanica di non poca costanza contro
l'impeto dell'avversa fortuna, diedero nei quartieri di Valle-fucina
tali saggi di longanimità e di pazienza, che per me non saprei dire, se
altre nazioni di qualsivoglia tempo, o luogo si siano, nelle alte e
difficili imprese loro dato ne abbiano, non dirò maggiori, ma eguali.
Imperciocchè oltre la malvagità della stagione vi patiron essi della
carestia di tutte le cose, e di nissun bene vivente avevano per
ristorarsi. Delle quali miserie se ne deve accagionare, parte la
necessità delle cose, parte l'avarizia, o dei maestrati dell'abbondanza
o degli endicatori, parte l'indole avversa dei popoli, e parte
finalmente la poca sperienza del congresso medesimo la quelle cose, che
risguardano la pubblica amministrazione, specialmente militare. Giunti
erano appena i soldati alle stanze di Valle-fucina, che, fattosi un
motivo dal generale Howe per istrameggiare nelle isole della Delawara
poste sopra la foce del rivo di Derby, Washington, intendendo di
disturbarnelo, volle far muovere a quella volta una buona parte
dell'esercito. Ma, fattasi la veduta dei magazzini, si venne a
discoprire, cosa incredibile e spaventevole a quelle genti, che non vi
era da logorare per un dì. In tanto pericolo di vicina fame, e di totale
dissoluzione dell'esercito, non solo si dovette abbandonar il partito di
voler correre contro l'Inglese, ma si fecero di più partire colla
maggior prestezza saccomanni, acciocchè scorrazzando da ogni banda come
in paese nemico pigliassero, e rattissimamente recassero di che
sostentar l'esercito. A ciò fare era autorizzato Washington, e dalla
necessità del frangente, e dal decreto del congresso, pel quale gli era
stata l'autorità dittatoria conferita. Eseguirono gli stracorridori le
commissioni, e con incredibile fatica, e non poco disgusto degli
abitatori vettovagliarono il campo, dimodochè ebbe di che pascersi per
alquanti giorni. Ma poco poi, ricominciarono a sentire la medesima
strettezza. Si pose mano di nuovo al medesimo rimedio; ma con poco
frutto. Perciocchè, quantunque si razzolasse in ogni canto, eran povere
le ricolte, ed appena vi si poteva rispigolare, sia perchè la contrada
all'intorno già era in parte vota di vettovaglie, sia perchè gli
abitatori andavano con grande diligenza nascondendo nel fondo delle
selve, ed in mezzo alle paludi i bestiami, le biade e tutte quelle cose
che si ricercavano. Ciò facevano o per contrarietà d'opinione, o per
amor del guadagno. Amavan essi meglio condurre le grasce, quantunque con
molto pericolo, a Filadelfia, dove eran loro pagate con altrettant'oro,
che di serbarle ad uso dei proprj soldati; poichè in tal caso eran loro
date in iscambio polizze del ricevuto, da esser pagate soltanto in certo
tempo all'avvenire. In queste polizze poi poca o niuna confidenza
avevano, stantechè si diffidavano dello Stato; ed era anche accaduto, il
che non era loro nascosto, che, appresentate le polizze nel buon dì dai
portatori, non erano state rimborsate. Aveva bene il generale scritto ai
governatori della Nuova-Inghilterra, pregandogli, mandassero, senza
indugio veruno, provvisioni all'esercito, e massimamente di bestiami,
dei quali principalmente abbondano quelle province. Medesimamente gli
abbondanzieri militari avevano in queste, e principalmente nel
Connecticut, grosse incette fatte per via di contratti, sapendo
benissimo, che colle richieste sforzate non si può lungamente accivire
un intiero esercito. Ma questi rimedj riuscivano molto tardi; e
l'effetto che si aspettava dai contratti fu ad un punto per guastarsi
per una mala determinazione del congresso. Per le vittorie dell'Howe, e
pel sinistro aspetto delle cose nella Pensilvania, e forse più ancora
dalle esorbitanti gittate dei biglietti di credito, ch'era andato
facendo il congresso, indotto a ciò per avventura da una inevitabile
necessità, era accaduto, che essi biglietti scapitassero sul finir del
varcato anno, e sull'entrar del presente dei tre quarti del legale
valore loro; che è quanto a dire, che con cento dollari di biglietti si
potevano solamente avere venticinque dollari di conio. Quindi è ch'erano
cresciuti a un di presso proporzionevolmente i prezzi delle cose al
vivere necessarie; e gli abbondanzieri dell'esercito nei contratti loro
dovevano, se pure volevan trovare di che incettare, a cotali prezzi
uniformarsi. Spiacque al congresso la cosa, riputando ad avarizia dei
cittadini quello, ch'era l'effetto delle pubbliche strettezze. Perciò da
una parte, o i contratti non approvava, o ne indugiava la esecuzione. Nè
ciò bastandogli, fece una provvisione, la quale non poteva necessaria od
indispensabile stimarsi, poichè essa doveva, di necessità, inutile
riuscire; e questa era, che si raccomandasse ai differenti Stati di
determinare e stabilire con legge pubblica, non solo i prezzi de'
lavorii, ma altresì quelli delle cose, le quali cadono negli usi
dell'umana vita. Condiscesero i rispettivi Stati alla volontà del
congresso, e con pubbliche leggi pregiarono le cose. Ne nacque, che,
nascondendo i cittadini le robe loro, non si trovava più da comperare nè
in sui mercati pubblici, nè altrimenti. Il campo di Fucina ne affamava.
Già si temevano gli estremi danni. I soldati, nonostante l'incredibile
pazienza loro, incominciavano a levarsi in capo, e si ammottinavano.
Infine il congresso costretto da bella forza, fece rivocare le leggi in
sui prezzi. Poterono gli abbondanzieri continuar ad eseguire le incette
loro pel logorar dei soldati. Ma prima che le provvisioni arrivassero al
campo, difettandosi anche sommamente di carreggio e di bestie da
trainare, Washington, per ovviare ad un totale ed imminente sterminio,
aveva fatto uscire alla busca il generale Greene nelle vicinanze del
campo, il capitano Lee esperto, sagace ed attivissimo soldato nello
Stato della Delawara e nella Marilandia, e finalmente il colonnello
Tilghman nella Cesarea. Eseguirono questi sì diligentemente, e sì
aspramente gli ordini del capitano generale, che, frugato ne' luoghi più
riposti, trovarono e biade, e bestie da macello in sufficiente copia.
Lee sopra tutti rinvenne in certe praterìe paludose della Delawara
grossi branchi pronti ad esser fatti trapelare a Filadelfia, e gli fe'
trottare alla volta di Fucina. In tal modo si trovò, e fu portata
qualche vettovaglia da poter pascere per un tempo il campo.

Parrà forse strana cosa a taluno, che non si siano dal governo americano
a buon'ora usati quei mezzi, i quali avessero potuto allontanare un
tanto pericolo. Nel che si ha a sapere, che perfin nei primi tempi della
guerra era stato dal congresso eletto il colonnello Trumbull, uomo di
ottimo intendimento, e di molto zelo verso la repubblica, perchè
soprastasse al provvedimento delle cose necessarie al vivere dei
soldati. Ma o sia per la poca pratica degli affari, o perchè il governo
troppo tenero in su quei principj tutta quella assistenza non gli
potesse prestare ch'era del caso, la penuria era nata in mezzo all'oste;
dal che ne furono spesso guasti i disegni del capitano generale, e
perdute molte belle opportunità di onorate fazioni. Quando poi, verso la
metà dell'anno 1777, le cose dell'uffizio del Trumbull incominciavano ad
essere bene ordinate, il congresso, credendo col far dipendere
maggiormente dall'autorità sua gli abbondanzieri dell'esercito, di
procurare a questo maggiore abbondanza, creati prima due commissarj
generali, uno sui procacci, e l'altro sulle distribuzioni, determinò,
che vi fossero quattro deputati eletti dal congresso, uno preposto alle
mosse ed agli accampamenti, un altro ai foraggi, un terzo alle bestie ed
al carreggio, ed in ultimo un quarto all'attendare, al baraccare, al
trincierare, ed agl'istromenti e materie atte a somiglianti servigj
procurare. Volle altresì, che questi quattro deputati avessero da sè
solo dependenza, e non dai due commissarj generali, in quanto riguardava
la ritenzione dell'uffizio loro. Trumbull, al quale non piaceva tanta
divisione di uffizj, e questa independenza degli impiegati dai Capi
dell'azienda, rassegnò il maestrato. Non si lasciava il congresso
spuntare, e persisteva nel suo proposito. Quindi l'antico ordine di cose
essendo guasto, ed il nuovo non ancora stabilito, ne nacquero tutti
quegl'inconvenienti, dei quali abbiamo testè fatto menzione.

Finalmente, accortosi il congresso, che ne' tempi di guerra, e
massimamente negli Stati nuovi, gli uomini e gli affari militari
prevalgono ai civili, e che niun modo vi era per poter fare, che
l'amministrazione dell'esercito da lui ordinata, fosse dai Capi di
questo abbracciata, i quali costantemente la ricusarono, si consigliò di
accomodarsi alle voglie loro, e nominò il generale Greene, uomo molto di
Washington, a quartier mastro generale, ed un Wadsworth, persona molto
idonea, a commissario generale dei procacci con facoltà all'uno ed
all'altro di far gli scambj a posta loro ai subalterni, incettatori e
canovieri. Queste cose si fecero molto tardi. Epperò prima, che gli
effetti dei nuovi ordini si potessero sperimentare, l'esercito andò
soggetto a tutti quei mali, pe' quali la repubblica venne in sì fatta
estremità; e fu ad un pelo all'ultimo termine condotta.

Non solo si penuriava di vettovaglie, che anzi in tutti gli altri
servigj della guerra si provava una estrema scarsezza, o piuttosto
carestia di tutte le cose. Mancavano soprattutto le vestimenta tanto
necessarie alla sanità, ed alla elevazion d'animo dei soldati, i quali
laceri e nudi creduti gli avresti piuttosto altrettanti paltoni, che
difenditori di una patria generosa. Pochi avevano una camicia, molti la
metà di una, la maggior parte nessuna. Molti per difetto di calzamento
portavano nudi i piedi sulla gelata terra. Coltri per la notte poche se
ne avevano, o nessuna. Quindi è, che molti ammalavano. Altri in buon
numero inabili, pel freddo e per la nudità, ad alcuna militare fazione,
per consentimento dei capitani se ne astenevano, i quali, o gli
lasciavano stare, senza che ne uscissero mai, nelle capanne, o nelle più
vicine masserie gli collocavano. Poco meno di tremila soldati si
trovavano in tal modo per l'inclemenza della stagione, e per la miseria
del vestito affatto incapaci a poter il debito loro operare. Non aveva
il congresso nissuna diligenza tralasciata per andare all'incontro di un
tanto male. Aveva, come già si è detto, dato la facoltà a Washington di
far tolte presso chiunque si fosse, o con qualsivoglia nome si
chiamasse, di tutte quelle cose, che fossero al suo esercito necessarie,
fra le quali le cose acconce al vestire tenevano uno de' primi luoghi.
Ma e' ripugnava molto all'usare simile potestà, la quale dall'un canto
asperava i cittadini, dall'altro avvezzava i soldati a por mano nelle
proprietà altrui. Per la qual cosa, dolendosi il congresso
dell'inopportuna mansuetudine del suo capitano, raccomandò al governo di
ciascuno Stato, deputassero uomini a posta per tor le robe appartenenti
al vestir del soldato, intendendo però, che fossero pagate ai
posseditori in quel prezzo, che verrebbe da alcuni maestrati pubblici a
ciò preposti determinato. Elesse altresì un commissario generale sopra
il vestito dei soldati, il quale avesse in ciascuno particolare Stato un
sotto commissario, sia perchè sopravvedessero la bisogna delle tolte,
sia perchè, se possibil fosse, facessero procaccio per via de' contratti
di tutto quanto era necessario. Ma la bisogna procedeva molto
lentamente. Molti abborrivano dallo strappar dalle mani altrui le cose,
che vender di buon grado non volevano. Senza di che vi era a que' tempi
negli Stati Uniti carestia di panni, di tele, di cuoi, e di tutte le
altre cose che si ricercavano. Contuttociò il commissario sopra la
bisogna del vestire nel Massacciusset era riuscito a far contratti con
parecchj mercatanti per grosse quantità di merci al prezzo di dieci al
diciotto per centinaio. Parve ad alcuni, ed al congresso medesimo, cosa
molto enorme, ed assai cose si dissero sull'avarizia dei mercatanti. Del
che però possono venir escusati, stantechè i biglietti, che ricevevano
in pagamento, scapitavano dei tre quarti del valor loro; che grandissima
nel paese era la scarsezza di quelle merci; che la mano d'opera era
assai cresciuta di prezzo; e che le rimesse all'estero molto
difficilmente si potevano fare. Ossiachè pei nati bisbigli i mercatanti
dispettassero, ossiachè veramente più potesse in essi la cupidigia, che
le promesse del governo, parecchj fra coloro, che contrattato avevano,
ricusarono di fornire, se prima non erano pagati. La qual cosa
risaputasi dal congresso, ordinò, si levassero di forza le merci presso
coloro che contrattato avevano, e che non le volevano somministrare; e
fosser loro pagate non a termine dei contratti, ma sibbene a quella
rata, che i maestrati a ciò deputati determinato avrebbero. Queste
ordinazioni del congresso, e le lettere scritte agli Stati da
Washington, per le quali con parole gravi gli aveva esortati a venir
prontamente in soccorso del sofferente esercito, operarono infine quegli
effetti, che si desideravano; ma non sì però, che non fosse la maggior
parte del verno trascorsa, quando le prime provvisioni delle vestimenta
arrivarono al campo.

Nè solo si travagliava per le cose sovraddette, ma ancora per la
carestia degli strami. I soldati rotti dalle fatiche, infievoliti dalla
fame, aggrezzati dal freddo nelle fazioni loro diurne e notturne avevano
nelle capanne in vece di letto la nuda ed umida terra. Da questa, e
dalle altre cagioni che narrate abbiamo, si empiè l'esercito
d'infermità. Un numero senza fine di soldati ogni giorno ammalavano, ed
entravano negli ospedali, nei quali la più parte non uscivano, se non
per esserne portati alla sepoltura. Imperciocchè non eran meglio
ordinate le cose degli ospedali, che fossero quelle del campo. Per la
incongruenza degli edifizj a tal fine trascelti, per l'incredibile
penuria delle suppellettili, e per la moltitudine degl'infermi vi era
nato un fetore insopportabile. V'infuriava dentro la febbre da ospedale,
ed ogni dì i più robusti, come i più frali miserabilmente uccideva. Non
si poteva soccorrere, nè col cambiar spesso le biancherie, delle quali
non che si difettasse, si mancava totalmente, nè coi buoni alimenti, che
non si avevano alla mano, nè coi rimedj, i quali o non si avevano del
tutto, o si avevano guasti, o adulterati per la cupidigia degli
amministratori. Poichè tale è stata per lo più la natura degli
abbondanzieri degli eserciti, i quali meglio facitori di carestie si
dovrebbero appellare, che sempre preferito hanno l'intascare il
quattrino al preservar la vita del soldato. Quindi era, che quelle
corsìe somigliavano meglio stanze di moribondi, che asili d'infermi; e
non che gli ammalati vi guarissero, i sani vi ammalavano. Molti
abborrivano dall'entrare in quei luoghi pestilenti, e meglio amavano
perire di freddo all'aria libera ed aperta, che morire in quel tanfo di
morti. In cotal modo, o per una inevitabile necessità, o per l'avarizia
degli uomini una morte immatura ebbe troncato il filo della vita a molti
valorosi soldati, i quali, se meglio assistiti o curati stati fossero,
avrebbero potuto continuar a prestare l'utile opera loro alla sorgente e
pericolante patria.

Queste cose, che apportavano sì grave danno alle cose della repubblica,
erano originate dalle cagioni che abbiamo descritte, ed in parte ancora
dalla condizione del traino militare, nel quale nè nissun ordine si
osservava dai Capi, nè nissuna obbedienza dai subalterni; ed i cavalli o
morivan tra le vie, o inosservati si sbrancavano per le vicine campagne.
Erano le strade gremite di carri appartenenti all'esercito, i quali
muover non si potevano. Di quinci accadde, che quando per gl'incredibili
conati sì del governo, che dei buoni cittadini, si erano le provvisioni
per l'esercito apprestate, non si potevano agli opportuni luoghi
condurre; e di bel nuovo per le lunghe dimore si disperdevano e
dissipavano. Questa mancanza riuscì anche dannosissima al trasporto
dell'armi e delle munizioni, le quali perciò, o erano abbandonate alla
discrezione di coloro che le pigliavano, o trafugate dagli avari. Una
inestimabile quantità di pubblica suppellettile fu in cotale guisa o
guasta, o perduta. Negli alloggiamenti poi di Valle-fucina erano
costretti gli uomini a fare, e facevano in vero con incredibile pazienza
l'uffizio delle bestie, o sia nel legnare, o sia nel condur le
artiglierie. E certamente nissuna cosa si potrebbe ai disagi, che
l'esercito americano ebbe a provare durante quest'inverno, equiparare,
fuori della pazienza, e della costanza pressochè sovrumane, colle quali
gli sopportarono. Non è però che molti, disertando le insegne, non si
conducessero, in questo spalleggiati dagli amici del Re, all'esercito
britannico in Filadelfia. Ma erano questi per lo più Europei, i quali si
erano posti ai soldi dell'America. I natii con egregio esempio di bontà
cittadina, e forse ancora per la venerazione grandissima ed amore, che
al capitano generale portavano, si mantennero perseveranti; ed amarono
meglio far dura contro gli estremi della fame e del freddo, che mancar
in sì pericoloso frangente della data fede alla patria loro. A ciò anche
contribuì non poco la costanza dei Capi dell'esercito, i quali
tollerarono in sè medesimi con allegro animo tutte le fatiche, e tutta
la strettezza del vivere, in cui erano ridotti. Egli è ben vero, che, se
Howe avesse voluto pigliar l'occasione, e saltando fuori dalle stanze
fosse improvvisamente corso contro gli alloggiamenti di Fucina, ogni
ragione persuade, che ottenuto ne avrebbe una rilevata vittoria. Stremi
di munizioni sì da guerra che da bocca, non avrebbero potuto gli
Americani nè rimanere, nè difendere il campo. L'osteggiar poi all'aperto
cielo, ed in mezzo a que' sì grandi stridori del verno era loro cosa del
tutto impossibile diventata. Il primo febbraio erano quattro migliaia
d'uomini inabili a qualsivoglia fazione pel difetto delle vestimenta.
Gli altri in poco miglior condizione si ritrovavano. E brevemente di
diciassette migliaia di soldati, al qual numero sommava allora
l'esercito americano, gli abili a guerreggiare, se arrivavano, certo non
passavano le cinque migliaia. Per quali ragioni il capitano britannico
non abbia dato dentro in sì favorevoli circostanze, a noi non consta.
Certo ci pare, che l'aver avuto risguardo alla salute ed alla vita de'
suoi soldati, delle quali cose era egli studiosissimo, sia stato in
questo caso serbargli a maggiori disagi; e la circospezione si dee
meglio timidità, che prudenza riputare.

Queste calamità molto angustiavano l'animo di Washington. Ma di una fra
le altre sentiva grandissima molestia, siccome quella, che poneva un
perniziosissimo esempio ai soldati; e questa si era, che si andava
manifestando in mezzo agli uffiziali una inclinazione al voler
rassegnare le commissioni; e molti, fatta già la rinunziazione, se
n'erano alle case loro ritornati. La quale inclinazione era l'effetto
principalmente dello scapito dei biglietti. Era questo arrivato a tale,
ed il prezzo delle robe, sia per la medesima cagione, sia ancora per la
difficoltà del commercio, era sì fattamente cresciuto, che gli uffiziali
non potevano più, non che vivere onoratamente da gentiluomini, e secondo
il grado loro, ma nemmeno le cose al vivere necessarie procacciarsi.
Alcuni già avevano le facoltà loro consumate per apparire orrevoli al
cospetto delle genti, e gli altri che non avevano di che spendere del
loro, o s'erano indebitati, od in modo vivevano, obbligati ad estremare
di tutte le spese necessarie, che poco era degno dell'uffizio che
tenevano. Quindi il desiderio di rinunziare diventava pressochè
universale. Nè non è da credersi, che rinunziassero i meno buoni od i
tristi; il che sarebbe stato minor male, non essendo a quei tempi
riempite le compagnie, e soprabbondando gli uffiziali, ma i migliori, i
più riputati, i più generosi, siccome quelli, che più degli altri
disdegnavano quella condizione cotanto indegna degli animi loro,
volevano massimamente dagli stipendj cessare. Vedendo Washington ire
questo malore avanti, usava all'incontro tutti que' rimedj, che più
credeva convenevoli, promettendo e confortando; e nel medesimo tempo
scriveva efficacissimamente al congresso, perchè, considerata
diligentemente la cosa, vi facesse su gli opportuni provvedimenti.
Esortando soprattutto a stabilire in favor degli uffiziali dopo il fine
della guerra la mezza paga a vita, o a tempo. Scriveva, che possono bene
gli uomini favellar della patria, citar i pochi esempj delle antiche
storie di grand'imprese dal solo amor di quella a buon termine condotte;
ma che coloro, i quali sopra questa sola base si fondano per esercitare
una lunga e crudele guerra, debbon trovarsi infine dell'opinione loro
molto ingannati; che debbonsi usare le passioni, degli uomini, come sono
elleno, e non come essere dovrebbero; che molto invero nella presente
guerra aveva operato l'amor della patria; ma che per continuarla e
trarla a conclusione era necessario l'usare ancora l'aspettativa
dell'interesse, e la speranza delle ricompense.

Ripugnava molto dapprima il congresso ad ammettere questo desiderio del
capitano generale, o fosse, che gli paresse cosa troppo insolita, o che
non volesse gravare lo Stato di tanto peso, ovvero che si credesse, che
le promesse delle terre da concedersi giusta una precedente legge, della
quale abbiamo a suo luogo favellato, sì agli uffiziali che ai soldati,
dovessero bastare alle voglie degli uomini temperati. Ma infine vinto
dalla necessità decretò, che una provvisione di mezza paga a vita fosse
concessa agli uffiziali dell'esercito, intendendosi però, che fosse in
facoltà del governo il riscattarla colla somma delle mezze paghe di sei
anni da quegli uffiziali, ch'esso crederebbe conveniente. Poco poi con
un'altra risoluzione ristrinse le ricompense delle mezze paghe al solo
termine di sette anni, facendo tempo dalla conclusione della guerra.
Queste risoluzioni, se furono opportune, furono anche di soverchio
tarde, nè abbastanza spontanee da parte del governo. Imperciocchè già
più di dugento de' migliori uffiziali avevano preso le licenze; e per
parlar col proverbio, quei benefizj, che sono stati appiccati un pezzo
fra le dita del donatore, non riescono grati a nissuno. Senza di che
doveva il congresso considerare, che gli stabilitori degli Stati nuovi
non comandano, ma obbediscono ai soldati, e che giacchè si ha un bisogno
tanto indispensabile dell'opera loro, e non si può loro contrastare,
miglior partito è il vezzeggiargli.

In questo mezzo tempo trovavasi Washington molto coll'animo travagliato,
e pieno di amaritudine sì per le cose sopraddette, che per certi
maneggi, che contro la persona sua si andavano facendo. Gli uomini
impazienti, i quali vorrebbono, che con quella prestezza si terminassero
le cose, colla quale si desiderano, e gli ambiziosi, che sono sempre
pronti per innalzare sè stessi, ad attribuire altrui le colpe della
fortuna, o gli effetti della necessità, andavano via spargendo su pei
canti, o nelle gazzette stampando, che le disgrazie avute i due
precedenti anni nella Cesarea e nella Pensilvania dovevansi meglio
dall'insufficienza del capitano generale, che da tutt'altra cagione
riconoscere. Rammentavano le vittorie di Gates, il quale molto a
Washington preponevano, ed ivano gloriando, di quanto valore, di quali
alte imprese fossero gli Americani capaci, quando da un eccellente
capitano gli eserciti loro fossero governati. Nè solo questi schiamazzi
si facevano dagli uomini privati, ma anzi il mal umore andava anche
serpeggiando fra gli statuali, e già aveva trapelato in alcune assemblee
degli Stati, tra mezzo l'oste, ed infine nel congresso medesimo. Pareva,
si avesse in mira di voler tanto disgustare Washington, che si mettesse
da per sè stesso giù dall'impresa, chiedendo licenza; ed allora voltare
tutta la grandezza di lui a Gates. Che poi questi abbia tramato questa
pratica cogli altri, la cosa è incerta, e si penderebbe al no, se si
considera la rettitudine e la candidezza dell'animo suo, che invero
erano molto conspicue. Ma l'ambizione, la quale è un affetto assai
sottile, e che penetra in ispecie di virtù, corrompe e contamina troppo
spesso gli animi più generosi. Certo è bene, che Gates n'era
consapevole, e lasciava fare. Forse ancora credette, e con esso lui
credettero alcuni dei promovitori di questo maneggio, che veramente
Washington non fosse abile a sostener tanto peso, ed intendevano colla
dimessione di questo salvar la patria. Noi però per quel rispetto, che
si debbe avere alla verità, siamo in debito di dire, che i principali
autori, poco curandosi di patria, o di non patria, ciò facevano pel
biasimevole motivo dell'ambizione, avendo in animo di metter sè stessi,
o gli amici loro nel luogo altrui. Fra questi il primo era Conway, uno
de' più scaltri aggiratori, e de' più inquieti briganti, che dall'Europa
siansi a quei tempi trasportati in America. Tempestando egli, e non
lasciando vivere, nè tener i piedi in terra ad alcuni membri del
congresso, e gridando e schiamazzando, che non vi era nell'esercito
americano di nessuna disciplina, che bene fosse, e che non vi si avevano
due reggimenti, che armeggiassero di somiglianza, nè due uffiziali in
ciascun reggimento, i quali sapessero essi stessi eseguire, o far
eseguire agli altri gli armeggiamenti, tanto aveva e detto e fatto, che
il congresso lo aveva tratto inspettore e maggior generale. Il ch'era
stato cagione di molto scalpore nel campo; ed i brigadieri generali
rimostrarono. Questi volendo a' suoi fini arrivare, e uomo audace
essendo senza niun freno, o barbazzale avere, diceva di Washington tutto
quel male che sapeva e poteva. E come suol accadere nelle disgrazie,
facilmente trovava chi gli credea.

L'assemblea della Pensilvania fu la prima a rompere il diaccio; e quando
si divulgò, che Washington era per condurre i suoi soldati alle stanze
di Valle-fucina, presentò una rimostranza al congresso, censurando
fortemente questo consiglio del generale, e con aspre parole dolendosi
del modo, col quale aveva governata la guerra. Erano i Pensilvanesi
venuti in molto mal umore per la perdita della città capitale della
provincia, non ricordandosi della grettezza, colla quale erano proceduti
nel fornir l'esercito d'uomini e di munizioni. Si credette altresì, che
i deputati massacciuttesi al congresso, e principalmente Samuele Adams,
o che non potessero sgozzare che fosse stato nominato a capitano
generale di tutti gli eserciti un Virginiano con esclusione dei generali
massacciuttesi, che a quel tempo uguale, o forse maggior nome di uomini
di guerra avevano, che Washington non aveva; o che i medesimi, siccome
quelli, che in questa causa americana ardentissimi erano, non si
soddisfacessero di quella pacatezza del capitano generale, e
desiderassero per Capo dell'impresa un libertino più vivo e più
risentito, avessero in animo di far instanza, acciocchè si ricercassero
le cagioni della guerra infelicemente amministrata negli anni 1776 e
1777. Ciò non ebbe effetto. Si creò bene un maestrato sopra la guerra,
del quale furono fatti Capi i generali Gates e Mifflin, l'uno e l'altro,
se non erano, creduti essere fra gli autori della trama tessuta contro
Washington. Lettere anonime andavano attorno, per le quali gli si
levavano i pezzi, e gli si attribuiva e l'infelicità della guerra
cesariana e pensilvanica, e la misera condizione, alla quale erano
ridotte le genti nei quartieri d'inverno. Una ne fu indiritta a Laurens,
presidente del congresso, piena di gravi accusazioni contro il generale,
ed un'altra somigliante all'Enrico, governatore della Virginia, le quali
ambidue inviarono a Washington. Del ch'egli, che era per natura d'animo
franco ed assuefatto a resistere alle percosse più gravi della fortuna,
mirabile temperanza mostrando, non si alterò nè poco nè punto. Nè
maggiormente si passionò ad un altro disegno del congresso, ordito
d'accordo col nuovo maestrato sopra la guerra, forse per far vedere, che
sapeva far da sè, o perchè avesse veramente molto rimesso di quella
fede, che aveva nei tempi andati in lui collocata. Era questo disegno
una nuova spedizione contro il Canadà, alla quale avevano in animo di
preporre il marchese de La-Fayette, siccome francese, e di tanto nome,
dovendosi far la guerra in una provincia stata testè francese. Nel che
forse coloro, che mestavano in questa bisogna, ebbero anco per mira,
spiccando La-Fayette da Washington, di tôrre al capitano generale questo
scudo, che il difendeva contro i colpi loro. Dovevano sotto i suoi
ordini militare appunto quel Conway, ed il generale Starke. Washington
ricevette ordine senz'altra informazione intorno l'impresa, della quale
in nessun modo era stato fatto consapevole, di far marciare il
reggimento di Hazen composto di Canadesi alla volta d'Albanìa. Il che
eseguì prontamente. Arrivato il marchese in Albanìa, dove le genti
dovean far capo grosso, non vi trovò preparamento di sorta alcuna, nè
uomini, nè armi, nè munizioni. Ne scrisse al congresso. Fu lasciato
cadere il tentativo. Fu fatto abilità a Washington di chiamare al campo
il marchese. Quanto a Conway fu lasciato stare. Poco poi, vedutosi
caduto in disgrazia dell'universale pe' suoi superbi modi, e per le cose
fatte contro Washington, chiese, ed ottenne la licenza. Fu eletto ad
inspettor generale in suo luogo il barone di Stuben, uffiziale prussiano
di buon nome, il quale ripieno della disciplina di Federigo secondo,
imprese ad insegnarla ai soldati del congresso. Quindi ne nacque, che
gli Americani ottimamente ammaestrati impararono uniformi ordini di
armeggiare, e molto ne profittò la disciplina loro.

Non si potrebbe dire, quanto tutto l'esercito, ed i migliori cittadini
si risentissero all'udire di queste pratiche contro il diletto capitano
loro. Si levò un romore universale contro gl'intrigatori. Conway non si
ardiva più mescolarsi tra i soldati, i quali lo volevano manomettere. Si
riparò a Jork di Pensilvania, dove il congresso faceva a quel tempo la
sua residenza. L'istesso Samuele Adams, il quale, probabilmente tratto
da que' suoi vivi spiriti a prò della libertà, queste cose faceva a fin
di bene, girava alla larga dai soldati e dagli uffiziali, temendo
anch'egli nol mettessero per la mala via. Il congresso poi, quantunque
fosse venuto, a ciò indotto dai maneggi e dalle instanze di coloro fra i
suoi membri, che volevano lo scambio del capitano generale, alle
raccontate provvisioni, tuttavia, sapendo benissimo, di quanto danno
riescono negli affari di Stato i cambiamenti fatti alla leggiera, e
considerato anche, che non mai la Francia, l'intervenimento della quale
si sperava fra breve, avrebbe in un uomo inglese, quantunque fedele,
quale Gates era, quella fede posta, che di già aveva grandissima
nell'Americano; e che se forse alcuno uguagliava in fatto di perizia
nelle cose della guerra Washington, questi però tutti avanzava in fede,
la rettitudine, in bontà, e soprattutto in estimazione presso i popoli e
presso i soldati, tenne il fermo, e non fe' nissuna sembianza di voler
tôrre il supremo grado al suo provato capitano.

Ma Washington, al quale tutte le narrate pratiche non erano ascose, non
solo non se ne sgomentava, ma non se ne alterava; e non che si mettesse
in mal umore contro la sua patria, siccome soglion fare in simili casi
gli uomini, o deboli di mente, od ambiziosi, nulla rimetteva del suo
zelo nel far ciò, ch'egli credeva al debito suo appartenersi. Certamente
mostrossi in questa occorrenza molto vincitore di sè medesimo, e diè
pruova di animo temperato e costante. Si trovava egli in mezzo ad uno
esercito perdente, penurioso di ogni bene, afflitto dalla presente fame.
Risplendeva nel medesimo tempo Gates per la fresca vittoria, e per
l'antica fama della militare sperienza. I diarj pubblici lo laceravano,
le lettere anonime lo accusavano, i Pensilvanesi nelle lettere pubbliche
acerbamente il riprendevano, i Massacciuttesi gli puntavano addosso, il
congresso stesso nicchiava, e pareva lo volesse disgradare. In tanto
impeto dell'avversa fortuna conservava egli non solo la stabilità, ma
ancora la serenità della mente sua, e pareva, che tuttavia interamente
della patria, nè punto di sè stesso fosse sollecito. Scrisse il dì 23
gennaio da Valle-fucina, che nè l'interesse, nè l'ambizione lo avevano
al pubblico servigio condotto; che il comando aveva accettato richiesto,
non richiedente, e con quella sfidanza di sè medesimo, la quale in un
uomo del tutto ignaro s'ingenera dal conoscere sè stesso inabile a
riempir meritevolmente quelle parti, che commesse gli sono; che per
quanto era stato in sua facoltà, aveva il debito suo adempiuto, ed alla
proposta meta risguardato tanto dirittamente, quanto l'ago calamitato
risguarda; il polo che tostochè, o il pubblico più non gradisse i suoi
servigj, od altri si trovasse più idoneo di lui per soddisfare
all'aspettazione, lascerebbe il timone, ed alla privata condizione
ritornerebbe con quel piacere stesso, col quale l'affaticato pellegrino
dopo un pericoloso viaggio arriva alla terra santa, od al porto della
speranza; che desiderava bene, e santamente, che quegli, il quale dopo
lui verrebbe, più prosperevoli venti incontrasse e minori difficoltà;
che s'ei non aveva cogli sforzi suoi all'aspettazione del pubblico
soddisfatto, nissuno più di lui ciò lamentava; ma che solo di presente
voleva aggiunger questo, che verrebbe un dì, in cui il nascondere le
circostanze dell'America non gioverebbe più oltre la pubblica causa; e
che fin là non sarebbe tra i primi a disvelare quelle verità, le quali
la danneggierebbero, quantunque dal suo silenzio potesse il nome suo
ricevere nocumento. Queste ultime cose diceva, intendendo di parlare
delle segrete mene degli ambiziosi, e dei brutti aggiramenti dei
rapinatori, degli sciupatori, e di tutti coloro, i quali l'esercito a sì
compiuta inopia, ed a quelle fatali strette ridotto avevano. Da questa
compostezza del Washington in sì travaglioso accidente imparino tutti
gli statuali, che non si debbono colla stregua dell'amor proprio le
ricompense cittadine, ed il favore pubblico misurare; e che se i
reggitori delle nazioni sono spesso ingrati, i meritevoli cittadini
possono trovare, e conforto, e gloria nel non dispettar contro la
patria.

Nè solo nelle presenti difficoltà vinceva Washington sè stesso, ma
sovente ancora consultava, e scriveva al congresso sul modo, col quale
avesse a maneggiarsi quella guerra, e sulle cose occorrenti per riempir
le compagnie, e fare, che alla vicina stagione dell'uscire alla campagna
si rifornisse l'esercito di tutto quello che abbisognava. Sapevasi, che
il generale britannico aspettava grossi rinforzi d'Europa; ed avrebbe
voluto ricominciar la guerra, ed assaltarlo prima che fossero arrivati.
Era questa cosa di somma importanza, e perciò non cessava con frequenti
lettere al congresso, ed ai governi degli Stati di esortare, che non si
perdesse tempo, che si facessero immediatamente le provvisioni.
Avrebbero l'uno e gli altri voluto soddisfare ai desiderj del generale;
ma le deliberazioni si fanno di necessità lentamente nei governi
popolari; e quello che doveva essere apparecchiato nell'entrar della
primavera, nol fu, e tuttavia scarsamente, che nel corso della state. La
composizione stessa, o sia gli ordini dell'esercito furono stabiliti,
acciocchè tutte le membra e parti sue fossero uniformi e corrispondenti,
se non sul finir di maggio. Imperciocchè prima vi si osservava una gran
difformità tanto nei reggimenti di differenti Stati, quanto nei diversi
reggimenti dello Stato medesimo; dal che ne veniva il militare servizio
molto danneggiato. Ma per un decreto dei 27 maggio le fanterie, i
cavalli, gli artiglieri, e gl'ingegneri giusta una sola e comune norma
per tutte le parti dell'esercito furono ordinati. Avrebbero
quest'indugiamenti grandemente potuto nuocere alle armi americane, se
non che le cose che sopravvennero, impedirono i capitani britannici di
poter sì tosto, come avrebbero desiderato, osteggiare. Solo si
contentarono di far correre dai soldati leggieri i contorni di
Filadelfia, e le vicine terre della Cesarea, a fine di foraggiare, e di
aprir le vie. Nelle quali affrontate, nulla, che notabil fosse, succedè,
se non che una presa di Inglesi venuti improvvisamente addosso ad una
mano di Americani nel mese di marzo ai ponti di Quinton e di Hancock,
senza stare altrimenti a dar quartiere a coloro, che si arrendevano, o
che non si difendevano, tutti gli ammazzarono barbaramente. Fecero anche
gl'Inglesi a questo tempo un'impresa su per la Delawara per guastar i
magazzini pubblici a Bordentown, e per pigliare, od ardere il navilio,
che gli Americani avevano ritratto su pel fiume tra Filadelfia e
Trenton. L'una cosa e l'altra succedette loro felicemente. Vollero
finalmente assaltare improvvisamente il marchese de La-Fayette, il quale
si era posto a campo a Baron-hill sulla sinistra dello Schuyl-kill con
una grossa mano di soldati. Ma riuscì vano il tentativo: poichè egli con
mirabile industria e celerità se ne sbrigò, benchè sul principio la
fazione fosse succeduta prosperamente agli Inglesi condotti dal generale
Grant.

Mentre le cose in terra andavano a questo cammino, molto eziandio si
travagliava sul mare, dove ogni dì guadagnavano gli Americani
riputazione. Mostraronsi essi nelle imprese marittime sì fattamente
arditi ed operosi, che il commercio britannico ne ricevette incredibil
danno. Dal 1776 in poi predarono nei mari d'America da cinquecento navi
inglesi di diversa maniera e grandezza, cariche di molte e preziose
mercanzie. Venne poscia a tanto l'ardimento loro, che le coste istesse
della Gran-Brettagna non erano esenti dagl'insulti loro, dove vi
facevano ogni giorno ricche prede. Non è però, che le navi del Re non
facessero anche esse il debito loro, e le americane non intraprendessero
sui mari tanto d'America, quanto d'Europa. Ciò non di manco gli
Americani ne stettero in capitale.

In questo frattempo era arrivato a Filadelfia il cavaliere Enrico
Clinton, al quale doveva rimanere il governo supremo delle cose del Re
in luogo di Guglielmo Howe, il quale se ne ritornava in Inghilterra.
Aveva questi chiesto licenza, essendo scontento dei ministri, perchè non
gli avessero mandati tutti que' rinforzi, ch'ei credeva alla somma delle
cose necessarj; ed i ministri gliel'avevan concessa di buon grado,
essendo poco soddisfatti di lui, perchè non avesse più efficacemente
cooperato con Burgoyne, nè con quella vigorìa amministrato la guerra,
ch'essi avrebbero desiderato. Certamente ei si può lodare piuttosto,
come prudente, che come ardito capitano. E se merita commendazione per
la prontezza, o perizia, veramente singolari, colle quali quelle fazioni
condusse, che imprese a fare, forse non potrà sfuggire il biasimo di non
averne tentato maggiori e più rilevate. In sul principio della guerra,
quando più ardevano gli animi in America, e quando, non avendo ancora
gl'Inglesi tutte le forze loro raccolte, si aspettavano per essi i
grossi rinforzi, forsechè quella circospezione, e quel voler menare la
guerra lenta erano opportuni; perchè mai non si dee tutta la fortuna
cimentare con una parte delle forze, e meglio è assaltare il nemico,
quando già i sangui sono raffreddi. Ma allorquando già era in molti fra
gli Americani, consumati dalle spese, dalla lunga guerra, dalla carestia
di ogni cosa, cresciuta la voglia di ritornare alle prime condizioni, e
ch'erano arrivati tutti quegli aiuti, che si potevano aspettare, ei
doveva riporre tutta la speranza della vittoria nella celerità, e nel
terrore di una subita guerra. Il quale consiglio tanto più
volonterosamente doveva, secondochè appare, abbracciarsi, in quanto che
oltre la probabilità della vittoria, che in un fatto giusto sempre stava
in favore degli Inglesi, la disfatta totale dell'esercito del congresso
avrebbe, se non certamente, almeno verisimilmente prodotto la totale
soggezione dell'America, mentre dall'altra parte la rotta dell'esercito
inglese non avrebbe reso gli Americani più ostinati di quello che erano,
e nulla di più, massimamente dopo la capitolazione di Saratoga, avrebbe
aggiunto ai consiglj del governo francese, i quali di già manifestamente
tendevano alla guerra. Così colla vittoria decisiva si acquistava più,
che non si perdesse per la decisiva sconfitta. Era Howe, e voleva essere
tenuto molto tenero della vita de' suoi soldati, dovendogli venire di
così lontano le reclute; e forse temeva, che, quando avesse combattuto
infelicemente in una battaglia campale, i popoli sarebbersi levati a
stormo, ed avrebbero spento del tutto le reliquie del rotto esercito. Ma
un tale disfacimento non era probabile ad avvenire con tali soldati e
capitani; ed oltre a questo in ogni disfavore, che fosse sopravvenuto,
avrebbero i suoi potuto avere un sicuro ricetto sul navilio, quando si
fosse fatto la massa generale in luogo, al quale questo avesse potuto
accostarsi. Ad ogni modo le cose erano a quei tempi giunte a tale, che
si doveva mettere una gran posta; poichè nella continuazione della
guerra si scorgeva, intervenendo la Francia, pressochè certa la
separazione dell'America. Quale però di questo sia la verità, era Howe
certamente di animo alto e gentile, e le enormità commesse dalle sue
genti aveva più desiderio, che facoltà d'impedire, a motivo di quei
oltracotati lanzi, che non si potevan frenare a patto nessuno. Cortese
cogli uffiziali, umano coi soldati, moderato e non sanguigno, era da
tutti e amato e riverito grandemente. Innanzichè partisse, vollero gli
uffiziali fargli una festa, che riuscì molto splendida, la quale
chiamarono, consistendo ella in giostre, torneamenti, processioni,
addobbi, archi di trionfo, ed onorevoli iscrizioni di ogni maniera,
_meschianza_. La sera si arsero panegli, si trassono i razzi, e si
accesero i fuochi lavorati assai magnificamente. Partì poi Howe pochi
giorni dopo, e portato dalla fregata l'Andromeda, felicemente arrivò il
secondo di luglio a Londra, dove i ministeriali lo lacerarono
aspramente, gli oppositori lo innalzarono fino alle stelle.


FINE DEL LIBRO OTTAVO



LIBRO NONO


[1778]

Avutesi in Inghilterra le novelle della rotta di Burgoyne, e delle poco
profittevoli vittorie di Howe era in tutto l'universale una tacita
mestizia e scontentezza; le quali tanto maggiori si dimostravano, quanto
più vive erano state le concette speranze, e più grandi le promesse dei
ministri. S'erano a questi dal Parlamento concedute tutte quelle cose,
che per l'esercizio dell'americana guerra avevano richieste; nè avevano
essi mancato di mandarle in America alle fazioni del varcato anno con
quella prontezza, che si poteva desiderare. I Capi militari poi stati
proposti all'impresa, ed i soldati che vi si erano dentro adoperati,
erano de' migliori e de' più riputati, che si avesse non che
l'Inghilterra, l'Europa. Quindi si argomentava, che un qualche ostacolo
per la natura stessa delle cose insuperabile si opponesse alla vittoria,
ed incominciavasi a disperare del fine della guerra. Imperciocchè e
migliori, e più grossi eserciti dei passati non si potevano in America
mandare; e se gli Americani, nel principio del reggimento loro, avevano
le genti inglesi non solo combattute, ma vinte e prese, che si doveva
credere, fossero per fare nell'avvenire, più confidenti diventati per
l'avute vittorie, confermato lo stato dall'uso e dall'esperienza, e
fatti pel conceduto tempo maggiori provvedimenti contro il nemico? E non
che si dubitasse di acquistare quello che non si aveva, si temeva
grandemente di perder ciò che si possedeva. Temevasi particolarmente del
Canadà pei presidj poco gagliardi lasciativi, per la vicinanza e per
l'ardire dell'esercito vincitore. Nè non si stava senza apprensione, che
pel calore delle parti non vi nascesse qualche tumulto pregiudiziale
agl'interessi del Re: perciocchè la independenza sia esca dolce a tutte
le nazioni, e massimamente alle lontane; e la fortuna propizia agli
Americani causasse un più ardente desiderio di quella. Senza di che,
essendo i Canadesi, i più Francesi, dubitavasi, che la nimistà nazionale
accrescesse viemmaggiormente questi nuovi desiderj, e gli facesse in
atti pericolosi prorompere. Moltissima passione poi dava al governo il
vedere, quanto la bisogna del reclutare fosse diventata difficile in
America, intimoriti i leali dalle fresche vittorie dei repubblicani, e
nell'Inghilterra stessa, essendovi più che mai parziali e scontenti i
popoli. Ripugnavano questi assai all'andar soldati in una lontana e male
avventurosa guerra, che molti chiamavano ingiusta e crudele, e che tutte
le circostanti cose dimostravano a quei dì dover avere infelice fine. Nè
migliori speranze si avevano di ottener nuovi soldati dall'Allemagna.
Conciossiachè dall'un de' lati i grossi eserciti stanziali tenuti
continuamente in piè dall'Imperator d'Allemagna, e dal Re di Prussia
facevano sì, che si facessero leve in ogni canto, dimodochè pochi
rimanevano, che volessero condursi a pigliare i soldi inglesi; e
dall'altro, o questa stessa cagione, o gli uffizj fatti presso quei
principi dalla Francia, o que' dei mandatarj americani, o quella
benevolenza, la quale verso la causa loro manifestata si era in ogni
parte dell'Europa, che sel facessero, alcuni fra i principi tedeschi
erano giunti a tale, che avevano proibito il passo per gli Stati loro a
quelle poche genti, che con incredibile fatica si erano dagli agenti
inglesi raggranellate. Ma una cosa, che principalmente teneva sospesi
gli animi di tutti, si era il pericolo, che si vedeva vicino, che la
Francia si scoprisse in favor degli Americani, e che non più coi segreti
maneggi, o colla tacita protezione del loro corseggiare, ma sibbene
coll'armi in mano apertamente e gagliardamente il patrocinio loro
intraprendesse. Aveva questa tutti gli suoi apparecchiamenti di guerra,
massimamente marittimi, a fine condotti, e le novissime vittorie degli
Americani sulle rive dell'Hudson in una colla longanimità loro nelle
perdite fatte sulle rive della Delawara facevano certissimo argomento,
che chi entrasse a parte con loro non correrebbe pericolo di collegarsi
con un amico o troppo debole, o poco fedele, o meno costante. La
occasione tanto desiderata dai Francesi di abbassare la potenza e la
superbia inglese, e che con tanta gelosia spiavano, e con tanta
industria, e da sì lungo tempo fomentavano; era loro adesso posta avanti
dalla favorevole fortuna, dalla pertinacia, e dagli errori dei ministri,
e dei capitani britannici, i quali misurarono male la importanza e la
condizione delle cose, ed infine dal valore e dalla costanza americana.
Nè dubitavasi punto in Inghilterra, che la Francia non fosse per usare
convenevolmente quella opportunità, che le parava davanti il mezzo di
potere le antiche ferite sanare. Queste cose tutte molto travagliavano
l'universale, e si vedeva da tutti la necessità o di un accordo poco
onorevole con coloro stessi, che mai non si erano voluti udire, e contro
i quali tante stranezze prima, e poscia una sì crudele guerra esercitate
si erano. E sebbene non mancassero i ministri, e coloro che seguitavano
le parti loro, di buone ragioni per giustificar sè, ed i procedimenti
loro, tuttavia credevasi dai più, sarebbe stato miglior consiglio, che,
dato una volta ascolto alle supplicazioni degli Americani, o seguitando
i partiti parecchie fiate posti nel Parlamento dagli oppositori, si
fossero posate le armi, ed introdotto un negoziato, il quale avrebbe
potuto condurre ad un acconcio componimento. Dolevansi acerbamente, che
tante buone occasioni di pace si fossero trasandate; e che si avesse
ostinatamente voluto aspettare quel tempo, in cui non si poteva più nè
accordare con onore, nè guerreggiare con gloria; e nel quale non che si
avesse speranza o di conquistare, o di amicarsi l'America, dovevasi
temere di aver a perdere altre parti preziose del Regno. Molto
lamentavano specialmente, che dopochè già tante inutili pruove di
ridurre gli Americani all'obbedienza col mezzo della forza si erano
fatte, e primachè gli estremi sforzi si tentassero, oltre i quali, se
vani riuscissero, si doveva del tutto disperare della vittoria, non si
avesse voluto udire la proposta d'accordo fatta dal lord Chatam nella
tornata del Parlamento addì 20 maggio dell'anno prossimamente trascorso.
Dubitando egli delle fatali calamità, che alla patria sua sovrastavano,
vedendo, essere risoluti i ministri a voler mettere l'ultima posta, ed
accorgendosi benissimo, che ai pericoli della guerra interna si
sarebbero di breve aggiunti quei della esterna, quantunque impedito
dagli anni, e da una grave malattia, erasi nella Camera dei Pari recato,
ed ivi con mirabil eloquenza orando, e stando tutti intentissimi ad
ascoltarlo, aveva e pregato, e scongiurato, si sospendessero le ire, si
cessassero le armi, ad un tratto si rivocassero tutte le lamentate
leggi, s'introducesse una pratica d'accordo.

«Questo, diceva, è un momento, che fugge. Sei settimane forse, e non più
lasciate ci sono per arrestare i pericoli che ci attorniano. Il
tempestoso nugolo, ch'è sorto buon tempo fa, sta per iscoppiare. Già già
si rompe, e trabocca. Da quanto è finora accaduto, difficile cosa è al
governo lo strigarsi dagli sfidatori del Re, dagli sfidatori del
Parlamento, dagli sfidatori del popolo. Non sono io sfidator di persona;
ma se non si pon fine a questa guerra, è posto fine a questa contrada.
Nè mi fido io in questo al giudizio fatto nel presente stato della
salute mia; ma questo è il giudizio de' miei migliori dì; il
risultamento di quarant'anni d'attenzione all'America. Sono eglino
ribelli. Ma perchè son essi ribelli? Sicuramente non per difendere i
loro incontrastabili diritti. Che cosa han fatto altre volte questi
ribelli? e' mi sovviene, quando levarono quattro reggimenti di loro, e
del loro, e tolser Luisburgo dai veterani della Francia. Ma trascorsero
eglino a gravi eccessi. Vero è ciò, nè voglio io farmi panegirista loro.
Ma noterò ciò nondimanco gli erronei ed ostinati consiglj che
prevalsero. L'adito alla misericordia, ed alla giustizia stato è chiuso
contro di essi. Ma possono ancora esser pigliati nelle parole delle
prime protestazioni loro. Sapete voi, quanta sia la importanza
dell'America? Ella è un doppio mercato, una piazza di consumazione, ed
una di fornimento. Questo doppio mercato di molti milioni di cose
marinaresche, voi siete in punto di darlo al vostro ereditario rivale.
Se non provvedete in tempo, l'America, che già vi ha condotti ad una
guerra di quattro anni, vi condurrà alla morte. Consiglio è di saggio il
mutare i pregiudiziali consiglj. Voi avete ogni canto della Bassa
Sassonia rovistato. Ma quarantamila villanzoni di Allemagna atti non
sono a far istare dieci migliaia di liberi Bretoni. Possono essi
devastare; conquistare non mai. Voi dite, vogliam conquistare. Che? la
mappa dell'America. Io sto forte, e son pronto ad affrontarmi in questa
materia con qualunque uomo di guerra. Che cosa avete fatto voi lungi
dalla protezione delle vostre flotte? Di verno, se ammassati, affamano;
se dispersi, l'Americano gli spazza. Ho sperimentate le speranze di
primavera, e le vernali promesse. Conosco le parole vantevoli dei
ministri. Ma sopraggiungono infine l'equinoziali disdette. Diconvi i
ministri, che avrete un esercito altrettanto forte, quanto quello
dell'anno varcato era, il quale non era forte abbastanza. Non avete in
America altro guadagnato, che stazioni. Voi avete insegnato tre anni
continui ai coloni l'arte della guerra. Son essi abili scolari stati, e
son per dire alle Signorie Vostre, che fra i gentiluomini americani
sonvi uffiziali atti a capitanar gli eserciti di tutti i potentati
d'Europa. Le genti, che là mandato avete, son troppe per far la pace,
troppo poche per far la guerra. Poniamo la conquista, e che ne sarà?
Farete voi, che vi rispettino? Farete, che vi amino? Farete, che si
vestano delle robe vostre? Certo mai no. Rimeriteranno la crudel guerra
con un odio irreconciliabile. Voi state donando l'America alla Francia
al costo di dodici milioni all'anno. Ogni cosa profittevole alla
Francia, e l'Inghilterra, la vecchia Inghilterra, pagherà per tutti. Il
vostro traffico languisce, le vostre tasse s'accrescono, le vostre
rendite diminuiscono; e la Francia in questo sta assicurandosi, e
traendo a sè quel commercio, che creava i vostri marinari, che
alimentava le vostre isole, che era il principale fondamento della
ricchezza, della prosperità, e della potenza vostra. Si è fatto lo
sperimento dell'assoluta soggiogazione, si faccia quello dell'assoluta
emendazione. Ciò dimostrerà l'animo del Parlamento volto alla pace, ed
aprirà la via all'accordo. Affermano i ministri, non esservi per ancora
trattato colla Francia. Bene sta, l'onore è in salvo. Se domani si ode
esistere quel trattato, domani s'ha a denunziare la guerra alla Francia,
quand'anche non s'avessero, che cinque navi in porto. Ma la Francia
s'indugerà, quanto potrà, per vederci consumare. Siete ora voi posti
alla mercè di ogni piccola cancelleria germanica, e le pretensioni della
Francia ogni giorno s'accresceranno, finchè infine si discopra, e parte
diventi o nella pace, o nella guerra. Parlasi della dignità del regno;
ma meno se ne perderà rivocando le leggi, che sottomettendosi alle
domande delle cancellerie germaniche. Noi siamo gli assalitori. Gli
abbiamo noi sì fattamente assaltati, come l'armata spagnuola assaltava
l'Inghilterra. Il compassionare, ed il perdonare non possono
danneggiare. Si farà fondamento al trono del Re colla benevolenza dei
popoli; e milioni d'uomini, i quali ora malediscono, o ribellano,
pregheranno per lui. La rivocazione, e la misericordia causeranno in
America le dissensioni, la concordia in Inghilterra. Ponete innanzi
all'America una elezione. Finora non ebb'ella elezione. L'Inghilterra le
disse: _pon giù le armi_. Ed essa spartanamente rispose: _vieni,
prendile_».

Nè l'autorità dell'uomo, nè la forza dell'orazione, nè le disgrazie
presenti, nè il timore delle future poterono tanto operare, che fosse
accettata la proposta. Si disse dalla contraria parte, che non ne
starebbero gli Americani contenti; che fin dal principio avevan essi
posto la mira all'independenza. Favellarono della dignità del regno,
della debolezza della Francia, del numero dei leali in America pronti a
discoprirsi, ove l'occasione si parasse loro davanti, della tirannide
del congresso già venuta a noia a tutti, della votezza della Camera sua,
del disavanzare precipite dei biglietti di credito, del desiderio nato
in ognuno dell'antica tranquillità.

In cotale modo fu ventilata la quistione della pace e della guerra,
allorquando era tuttavia incerto l'avvenire, e che peranco non si era
fatto un giusto sperimento di tutte le forze inviate nell'America. Ma
ora, che si era venuto al cimento, e ch'era riuscito tanto esiziale
dall'un de' lati, e dubbio dall'altro, si condannava pressochè
universalmente l'ostinazione dei ministri e si levava al cielo la
prudenza, e la preveggenza del Chatam. Le quali opinioni, che nate siano
in coloro a cui queste cose sì strettamente toccavano, e nei quali erano
i sangui riscaldati, non dee far maraviglia. Ma si può affermativamente
credere, che il partito posto da quell'uomo, per altro degli affari di
Stato intendentissimo, sarebbe riuscito di un esito molto incerto, per
non usare parole più gagliarde. Imperciocchè già avevano allora gli
Americani chiarita la independenza; e quello, che operato avrebbero le
proposte concessioni, accompagnate dai poderosi eserciti, prima
dell'anzidetta dichiarazione, del pari non avrebbero potuto operare dopo
di questa, e quando già si appresentava alla mente degli Americani per
l'effetto della dichiarazione medesima, e per la resistenza fatta
all'armi dell'Howe sulle terre della Cesarea, più probabile quello
spiraglio degli aiuti della Francia. Oltrechè, se era incerto a quei
tempi l'esito di un negoziato, sarebbe stato fuor di dubbio poco
onorevole al governo il calar agli accordi senza sperimentare prima
quelle armi, che con tanto sforzo, e con sì grave spesa apparecchiate si
erano, ed in America mandate. La vittoria poi avrebbe, siccome si doveva
credere, prodotto la soggiogazione, od almeno più favorevoli condizioni
alla Gran-Brettagna. Essendosi adunque risoluti i ministri a voler
continuar nella guerra, facevano ogni più efficace opera loro per
ristorare quei danni che o per errore altrui, o per la malvagità della
fortuna si erano nel trascorso anno ricevuti. Si voltavano prima di ogni
cosa a voler far nuove genti, ed al procacciar pecunia oltre di quelle,
che loro stat'erano dal Parlamento concedute. Consideravano, che sebbene
molti vi fossero nel regno, i quali la guerra americana condannavano, un
certo numero tuttavia, seguendo o la opinione loro, o la aderenza ai
ministri, la medesima ed approvavano, e procuravano. A tutti costoro
determinarono di far le richieste, acciocchè di buon grado, e di propria
volontà gli uomini, e la necessaria pecunia somministrassero. Temendo
però in quest'affare le vociferazioni degli oppositori nel Parlamento,
perchè questo levar soldati, o pecunia, quantunque volontariamente,
senza il consenso di lui era cosa, che se non era, molto si avvicinava
ad una violazione della costituzione, mandavano ad effetto questo loro
disegno nelle vacanze del Parlamento, che caddero nel principio del
vertente anno, le quali a questo medesimo fine furono oltre il solito
fatte allungare. Si aveva in questo tanto migliore speranza, quanto che
per la dichiarazione dell'independenza, e per la congiunzione colla
Francia, della quale ogni dì vieppiù si avevano manifesti segni, molti,
che sulle prime si erano favorevoli dimostrati agli Americani, ora
avevano da quelli fatto secessione, e si erano ai ministeriali
accostati. Si mandarono adunque uomini a posta in diverse parti del
regno, ed in quelle, nelle quali avevano essi maggior credito, perchè
operassero in modo, che le genti corressero sotto le insegne, e con doni
gratuiti venissero in sollievo dello Stato. Rammentavano l'ingratitudine
americana, la nimistà della Francia, i bisogni della patria, la gloria e
lo splendore del nome inglese, ch'era d'uopo ai posteri immaculato
tramandare. La cosa ebbe effetto in alcune città principali, ed in altre
minori Terre in nessuna più compiutamente, che in quelle di Liverpool e
di Manchester, le quali l'una e l'altra levarono a proprie spese un
reggimento di mille soldati. Nella Scozia poi per l'animo guerriero
della nazione, e per l'opinione che vi regnava favorevole ai disegni del
governo in questa bisogna americana, il desiderio e l'ardore di correre
all'armi erano universali. Levò Edimburgo mille uomini, altrettanti
Glasgow. I montanari calavano a furia dalle balze loro, e s'accozzavano
nelle compagnie, buona, e cappata gente. Nè meno volonterosi si
dimostravano nel fornire della pecunia loro il pubblico, ed i doni
gratuiti si moltiplicavano. Avrebbe desiderato il governo, che la città
di Londra così grossa e così ricca, e capitale di tutto il regno fosse
entrata anch'essa in questo andazzo, e che anzi se ne fosse fatta testa.
Si sperava, avrebbe levato, ed a proprie spese mantenuto cinquemila
uomini per tre anni, o sino al finir della guerra. La cosa non pruovò.
Fatto un convento di popolo, ricusarono. Convocati i maestrati,
negarono. I ministeriali non se ne sgomentavano. Andavan, gridando su
pei canti, ch'era pur vergogna alla città, la quale pochi dì prima s'era
accordata a concedere ragguardevoli somme di denaro da impiegarsi in
benefizio dei prigionieri americani stati presi coll'armi in mano volte
contro l'Inghilterra, ora si ritraesse dal fornire checchessia a
sovvenimento della patria. Fu fatta un'adunata dei contenti, i quali si
obbligarono a ventimila lire di sterlini. Gli stessi maneggi si facevano
a Bristol, e collo stesso evento. Soldati non se ne poterono avere. Si
ottenne altrettanta pecunia quanta a Londra. In contado poco
prosperamente succedeva il disegno ministeriale, inritrositi i contadini
dalla gravezza delle taglie, e dall'essere stati ingannati delle
speranze e prese, e date loro a posta, che le tasse americane andar
dovessero in diminuzione delle loro. In somma questo consiglio dei
ministri di voler levar le buone voglie, e di raccor denari spontanei,
se non fu inutile del tutto, non fu a gran pezza altrettanto
profittevole, quanto avevano a sè medesimi persuaso. Bene se ne fece poi
in Parlamento un grande scalpore; però colla solita riuscita, prevalendo
i ministeriali.

Mentre nel modo che abbiam detto si travagliava in Inghilterra circa le
cose occorrenti alla guerra, si riscaldavano vieppiù le pratiche, che
già buon tempo indietro si erano dal congresso presso la Corte di
Francia introdotte. Avevano i commissarj americani a Parigi ogn'ingenio
usato, ed ogni opera posta, perchè quella si discoprisse, ed apertamente
il patrocinio della causa loro abbracciasse. Ma quantunque eglino
entrassero spesso sotto ai ministri francesi per trarre da loro qualche
partito terminativo, sempre girarono essi largo, e si andavano
schermendo. Imperciocchè ne' primi periodi non voleva la Francia,
essendo tuttora troppo incerto l'esito delle cose, venire a parte dei
pericoli altrui, e collegarsi con coloro, che non parevano aver forze
sufficienti a sostenere tanta mole di guerra. Temevano, che in sul bello
non fossero per partirsi dalla lega, e coll'Inghilterra di nuovo non si
racconciassero. Non era nascoso a quei che dirigevano i consiglj
francesi, che ove la Francia si discoprisse, avrebbe potuto
l'Inghilterra col far le addomandate concessioni precipitarsi ad un
tratto agli accordi coll'America; nel qual caso la guerra ne sarebbe
rimasta addosso a lei tutta. S'aggiungeva a questo, che si volevano,
prima di venir a rottura colla Gran-Brettagna, e riassettare le finanze,
e ristorar le cose marinaresche, le une e le altre a miserabile
condizione condotte dal mal ordine, dalle calamità, e dalle prodigalità
del precedente Regno. Egli è vero, che la dichiarazione
dell'independenza aveva il pericolo della subita riconciliazione
allontanato; ma rimaneva tuttavia quello dell'incertezza della
resistenza. Nè si dee tralasciar di dire, che se la Francia amava meglio
l'independenza dell'America, che la sua riconciliazione
coll'Inghilterra, amava ancora di vantaggio la lunga guerra tra di
quelle, che non la independenza. Che anzi anteponeva essa forse la
conquista fatta di viva forza, e la susseguente ricongiunzione, che non
la independenza medesima; perchè nel primo caso o ne sarebbero le
colonie inglesi attritate, e le ricchezze loro guaste e distrutte, ed
allora ne perderebbe l'Inghilterra tutti quei frutti, che dal commercio
loro traeva a' tempi di pace, e tutti quelli, che a' tempi di guerra
ricavava dalla forza e dalla potenza loro. Ovvero le vinte colonie
l'antica prosperità conserverebbero, ed allora ne sarebbe l'Inghilterra
obbligata a mantenervi una parte delle forze sue per impedir le
ribellioni, non potendo quei popoli non conservarsi pieni di sdegno per
la memoria delle ricevute offese, e delle commesse crudeltà. Ma nel
secondo caso, cioè in quello della independenza si vedeva
manifestamente, che l'esempio sarebbe stato pernicioso per le colonie
degli altri principi europei; o che per lo meno si sarebbe dovuto
lasciar loro con grave danno della metropoli una piena ed intiera
libertà di commercio. Queste cose molto ben considerate dai ministri
francesi facevano sì, ch'essi, tenendo occulta la cupidità loro alla
guerra, non si scoprivano, e portavano il negozio in lungo. Solo si
contentavano di dar agli Americani benigne parole, e di concedere loro
quegli aiuti sottovia dei quali abbiamo in altro luogo parlato. E questi
ancora concedevano più o meno nascostamente, meno o più liberalmente,
secondochè la ruota della fortuna girava avversa o favorevole alle armi
americane. E tanto era o voleva parere in questo rispettiva la Francia,
sia per non inimicarsi prima del tempo l'Inghilterra, sia per metter il
piede addosso agli Americani, e più con essi tirarsi in alto colle
dimande, che quando arrivarono le novelle della presura di Ticonderoga,
e del procedere vittorioso di Burgoyne alla volta di Albanìa, pei quali
le cose inglesi in America parevano ricevere sì grande augumento, si
mandarono spacciatamente ordini a Nantes, e negli altri porti del regno,
acciò non si ammettesser dentro i corsali americani, se non quando ciò
fosse loro indispensabile o per racconciar le navi, o per far
provvisioni, o per iscampar alle fortune di mare. Così la Francia,
seguendo accuratamente quella ragion di Stato, che alla condizione sua
ottimamente si apparteneva, iva dall'un canto intrattenendo i ministri
inglesi con protestazioni d'amicizia; e dall'altro coi segreti aiuti gli
Americani incoraggiava, coll'incertezza e colla grettezza dei medesimi
di maggior desiderio gli accendeva, e colle promesse della futura
cooperazione gli faceva stare nel proposito loro costanti e fermi. In
tal modo stando ella in sui generali, non si strigneva a nissun partito,
aspettando di veder prima, qual via pigliasse quest'acqua. Non cessavano
ciò nondimanco i commissari del congresso di stringere, e di conquidere
il governo di Francia, acciò ne venisse finalmente a capo. Ma i ministri
francesi alzavano la testa, e facevano spallucce, pretendendo varie
cagioni al loro temporeggiare; ora che la flotta piena di eccellenti
marinari, che si aspettava da Terra-Nuova, non era peranco arrivata, ora
che i galeoni di Spagna erano tuttavia in mare, ed ora qualche altro
sutterfugio o scusa cercando. Così talvolta avanzando, talvolta
rinculando, e sempre non lasciandosi intendere, tenevano gli Americani
incerti e dubbj. Finalmente i commissarj per ricogliersi una volta, e
strigarsi, se possibil fosse, da questo nodo, e vederne il fine, si
deliberarono di toccar certo tasto, e di mettere ai ministri francesi
tal dubbio, che non potessero non risentirsene; e questo fu di far loro
sentire, che, se i Francesi non gli aiutavano tosto, si sarebbero gli
Americani, o d'amore o di forza coll'Inghilterra accordati.

A questo fine si appresentaron essi verso la metà d'agosto del passato
anno con un memoriale appresso di que' ministri, col quale andarono
discorrendo, che se la Francia credeva, che la guerra potesse ancora,
senza l'intervento suo, continuar lungo tempo, s'ingannava a gran
partito. Imperciocchè il governo britannico aveva ogni cosa a perdere, e
niuna a guadagnare nella continuazione della guerra; ch'esso governo si
persuadeva di poter nel corso del presente anno l'America conquistare,
ed a questo fine faceva gli estremi sforzi suoi; che sperava, che la
fortuna avrebbe porta la occasione di alcune poche vittorie, le quali in
un coi bisogni ed i disagi dei coloni indurrebbero questi a ritornarne
all'antica dependenza più o meno stretta o larga; che s'accorgeva
ottimamente il medesimo governo, che se mai gli doveva esser fatto
abilità di poter l'America soggiogare, ciò nel presente anno dover luogo
avere, o non mai. Imperciocchè, come poter migliori successi sperare nei
susseguenti, allorquando saranno le prime difficoltà, in cui si
trovavano gli Americani, rimosse, i nuovi governi loro meglio stabiliti,
ed i popoli più convenevolmente armati, disciplinati, usi all'armi, e
forniti di tutte le cose necessarie alla resistenza? Perilchè era cosa
chiara agli occhi dei ministri britannici, che il continuar la guerra
oltre quest'anno altro non sarebbe, che prolungare il pericolo, e far
nascere per arrota, dell'americana l'europea guerra; che intendevano
certamente i medesimi ministri, dopo fatto lo sperimento di quest'anno,
qualunque ne avesse ad essere il fine, di far la pace colle migliori
condizioni, che ottener potessero; e se non potevano ricuperar le
colonie come suddite, riconoscere la independenza loro, e sicurarle con
un'alleanza; che perciò nissun mezzo era rimasto alla Francia per
impedire, che i coloni non si accordassero di breve colla
Gran-Brettagna, o come sudditi o come alleati, se non se quello di
contrarre immediatamente coi medesimi tali obbligazioni, che di
necessità serrassero la strada a qualunque altra, fermassero per sempre
il commercio e l'amicizia loro, e gli abilitassero ed a ributtar gli
assalti, ed a sprezzar le offerte del presente nemico. Continuarono con
dire, che si doveva la Francia rammentare, che la prima resistenza dei
coloni non era già stata per ottener l'independenza, ma sì solamente la
riparazione dei torti; che molti fra di loro si ritrovavano, i quali
anche adesso starebbero contenti ad una limitata soggezione verso la
Corona britannica; che per verità i più si erano scoperti a favor
dell'independenza, ma che ciò avevano fatto confidando, che la Francia,
attendendo a' suoi più importanti interessi, avrebbe dato pronti,
confessati, ed efficaci aiuti. Ma quando si trovavan essi caduti dalle
speranze loro, quando vedevano alcuni fra i principi europei fornir
genti ad impiegarsi nella soggiogazione loro, un altro proscrivere il
commercio (volendo parlare del Re di Portogallo), gli altri starsene,
quali indifferenti spettatori, a musare, esser cosa molto probabile, che
disperando degli aiuti esterni, e strettamente pressati dai nemici, e
dai bisogni loro siano per accostarsi ad accettar quelle condizioni, che
sarà per l'interesse, e per l'animo suo il governo britannico per
concedere; ciò aver detto lo stesso lord Giorgio Germaine poco fa nella
Camera dei Comuni; vale a dire, che la migliore speranza, che si avesse
di terminar l'americana guerra quest'anno, quella era, che collocava
nell'aontarsi dei coloni al vedere, che nissuna probabile assistenza
potevano aspettar dalla Francia; che gli aderenti dell'Inghilterra in
America non avrebbero mancato a sè stessi collo spargere ed accrescere
vieppiù quest'onta e questo dispetto con acconci rapportamenti; e che
già pur troppo andavano essi dicendo a tutti quelli che lo volevano
udire, che la Francia, ugualmente nemica alle due parti, la presente
guerra solo fomentava per render l'una e l'altra gl'istromenti della
vicendevole distruzione loro.

Se con questi, o con altri modi riuscisse la Gran-Brettagna a
disciogliere la unione delle colonie, ed a sè stessa ricongiungerle, la
Francia irrecuperabilmente perderebbe la più favorevole opportunità, che
mai si sia ad alcuna nazione parata davanti di umiliare un potente,
arrogante ed ereditario nemico.

Ma non è solo la opportunità di tarpar la Gran-Brettagna, che la Francia
perderebbe col presente suo starsene; poichè la stessa sua sicurezza, e
le possessioni sue americane pericolerebbero, tostochè l'Inghilterra e
l'America riconciliate si fossero. Sanno e sentono il Re ed i ministri
della Gran-Brettagna, che ha la Francia incoraggiato ed assistito nella
presente resistenza loro le colonie; ed altrettanto sono contro la
medesima sdegnati, quanto sarebbero, se loro avesse apertamente
denunziata la guerra. Per verità la Francia ha troppo fatto, se non
intende fare qualche cosa più. Nissuno potrà non accorgersi, che ogni
qual volta che si sarà la Gran-Brettagna pacificata coll'America,
qualunque abbiano ad essere le condizioni dell'accordo, tutte le forze
inglesi, le quali ora nel continente americano si ritrovano, saranno
improvvisamente nelle isole occidentali trasportate, ed adoperate nel
soggiogamento delle francesi per ristorare le perdite, e rifar le spese,
che la Gran-Brettagna ha sopportate, e fatte in questa guerra; e per
vendicare l'insulto e la ingiuria, che la Francia le ha fatto per
gl'incoraggiamenti ed aiuti, ch'è riputata avere contro la
Gran-Brettagna dato e prestato segretamente ai coloni.

Questo fu il memoriale avanzato a posta per cancellar le dubitazioni.
Tutto fu nulla. I ministri francesi non si allargavano, e rispondevano
spacciando pel generale, perchè volevano aspettare di veder il progresso
di questa guerra. Le nuove della presa di Ticonderoga, ed il timore
dell'impressione, che si credeva, dovesse far l'Howe col suo esercito,
gli tenevano tuttavia dubbj e sospesi. Nè volevano pigliar briga di
ripescar coloro, che sommergevano; ed a tutti è noto l'antico detto, che
_alla nave rotta ogni vento è contrario_. Oltreacciò aspettavano gli
Americani a qualche stretta per fargli calare alle voglie loro; e
desideravano, che vedessero il fondo dei mali, ed avessero l'acqua alla
gola per ottenerne per l'utile della Francia migliori condizioni.
Prevalendo poi, siccome a quei dì pareva dovesse accadere, le armi
britanniche, nessuno o certo minor pericolo vi era di accordo, la qual
cosa sopra tutte le altre temevano i ministri di Francia, tra la
metropoli e le colonie. Perchè i ministri d'Inghilterra, procedendo
prosperamente i disegni loro in America, a nessun accordo, fuori che a
quello della totale soggiogazione consentito avrebbero, la quale meglio
che l'independenza parevano i Francesi desiderare, purchè succedesse ad
una lunga e distruggitiva guerra.

In questo stato di cose, infastiditi i commissarj americani di tante
dilazioni, e da quell'essere sì lungo tempo tenuti in sul ponte; ed
accorgendosi benissimo a qual fine uccellassero i Francesi, poco mancò,
non interrompessero tutte le pratiche, gravemente dolendosi della
grettezza di quelli, i quali non riputavano aliene dal benefizio loro le
disgrazie altrui.

Non potendo gli Americani l'intento loro ottenere dalla Francia, nè
sapendo aiutare altrimenti questa materia, nè restando loro più altro in
giuoco, si volgevano all'Inghilterra proponendo a questa, riconoscesse
la independenza. La qual cosa ottenuta, avrebbero essi in tutti gli
altri capi, che venuti erano in contesa, tutte quelle concessioni fatte,
che più conducevoli fossero a salvar l'onore dell'antica patria.
Aggiungevano, che se i ministri britannici sapessero usare l'occasione,
ogni ragione persuadeva, che si sarebbe fatto tale accordo, che la
Gran-Brettagna ne sarebbe in sì felice e fiorente condizione posta, che
più desiderar non potrebbe, ed alla quale invano spererebbe, seguitando
un diverso consiglio, di poter arrivare. Ma quelli impazzati, perchè
improsperiti pei primi successi dell'esercito burgoniano, credendosi di
tener la fortuna pel ciuffo, e stando in sulla boria della guerra, non
vollero prestar orecchio a nissuna pratica d'accordo, e negarono
risolutamente la proposta. In ciò certamente improvvidi, che ricusando
gli Americani anche nel corso dell'avversa fortuna, e nella quasi totale
disperanza degli aiuti esterni, di volersi dall'independenza discostare,
e facendo anzi di questa una indispensabile condizione dell'accordo, non
abbiano conosciuto, che la ricongiunzione dei due Stati era diventata
impossibile; e che, poichè la necessità delle cose, e l'inesorabile
destino volevano che l'America più non fosse suddita, meglio era averla
alleata che nemica.

Ma la disfatta e la cattività dei Burgoniani, per le quali sì fattamente
era risorta la grandezza dell'America, dando nuovo ardire agli
Americani, nuove speranze, e nuovi timori ai Francesi, fecero di modo,
che le cose cominciarono a dimesticarsi, e che si mutarono i consiglj
degli uni e degli altri. L'Inghilterra stessa, se savj stati fossero, o
meno di loro testa il Re od i ministri, o l'uno e gli altri insieme,
avrebbe fatto senno, ed abbandonata la non riuscibile impresa, avrebbe
quel partito abbracciato, che solo le rimaneva per condursi a
salvamento. Ma l'orgoglio, le invasazioni, e le caponerie sono troppo
spesso la rovina degli Stati; e lord Bute non cessava dal mettere il Re
Giorgio in su questo traino. Gli Americani dopo la vittoria di Saratoga
molto acconciamente quella via seguirono, che per le nuove circostanze
si era loro parata davanti. Nel che diedero pruove non dubbie, e di
molta sagacità, e di non poca pratica negli affari di Stato. Andarono
discorrendo, che siccome la prosperevole fortuna rendeva sè stessi più
forti, e l'alleanza loro più desiderabile, e che nissun dubbio vi doveva
più oltre rimanere nella mente degli uomini prudenti intorno la
independenza loro, così opportuna cosa era il dar gelosia alla Francia
col fare le viste di volersi allegare coll'Inghilterra, ed il dar timore
all'Inghilterra colla sembianza di volersi in tutto recare in sulla lega
colla Francia. Credevano in tal modo di poterne venire una volta a
conclusione, e di vederne finalmente l'acqua chiara. Per la qual cosa
coll'istesso procaccio, che portò in Inghilterra le novelle delle gesta
di Saratoga, arrivarono dall'America lettere, colle quali si faceva
sentire, che ristucchi gli Americani ai troppo lunghi indugiamenti della
Francia, e disgustati al non averne ricevuto, a' tempi dei maggiori
infortunj loro, palesi e più efficaci soccorsi, molto desideravano di
collegarsi coll'Inghilterra, e di fare con questa un trattato di
commercio, purchè riconoscesse la independenza; e per maggiore sprone
aggiugnevasi anco, che assai stava loro a cuore il contrar lega
coll'antica patria; perciocchè nel contrario caso sarebbero stati
obbligati a gettarsi in grembo all'inveterato ed implacabile nemico del
nome inglese. A questo medesimo fine il generale Gates, cotanto chiaro
per la fresca vittoria, scrisse lettere ad uno dei membri più riputati
del Parlamento. Questi motivi facevano i Capi americani anche per
soddisfare ai popoli, i quali malvolentieri avrebbero sopportato di
esser gettati di punto in bianco alle parti francesi, senza che prima
ogni via tentata si fosse per accordarsi coll'Inghilterra. Le opinioni
impresse negli animi loro contro la Francia erano gagliarde molto, e
l'aver voluto questa, siccome credevano, far mercato delle miserie loro
gli aveva grandemente posti in mal umore. Queste pratiche si sapevano in
Francia, essendo state notificate a Franklin, il quale molto
accortamente le sapeva usare; e se i ministri francesi ne prendessero
sospetto, non è da domandare. Nel medesimo tempo si era dall'America
significato a Franklin, che convenevolmente instasse presso il governo
di Francia, acciocchè finalmente si scoprisse; senza di che si correva
pericolo, che l'Inghilterra, veduto manifestamente dalle dannose
sconfitte del Burgoyne, e dalle inutili vittorie dell'Howe, che il ridur
colla forza dell'armi gli Americani a divozione era cosa del tutto
impossibile, riconoscesse la independenza; che questi non vedendosi
favoriti dalla Francia sarebbero forzati a gettarsi in grembo
agl'Inglesi, ed a pigliar favori, dovunque gli trovassero; e che perciò
ne seguisse l'accordo con totale ed irreparabile pregiudizio
degl'interessi francesi. I ministri di Francia conoscendo benissimo,
ch'era arrivato il tempo, in cui, se non si voleva perdere il frutto di
tante arti, era d'uopo finalmente di por dall'un de' lati la persona di
volpe, e di usar la natura del lione, credendo e temendo, perciocchè
misuravano gli altri alla stregua loro, che i ministri britannici
fossero o più savj, o più nel loro procedere liberi, o affatto scevri,
come gli uomini di Stato debbon essere da ogni passione e sdegno,
deliberarono, raccogliendo la somma dei discorsi loro, di restringere e
condurre a conclusione quelle pratiche, che avevano già da tanto tempo
cogli Americani incominciate, e tanto astutamente prolungate. Al qual
consiglio tanto più prontamente si accostarono, quanto che non
ignoravano, che l'universale dei popoli americani, ammessa
l'independenza, si sarebbero più volentieri gittati agli accordi
cogl'Inglesi, gente consanguinea, della medesima favella; e costumi, e
ricordevole ancora dell'antica congiunzione, che coi Francesi, gente
strana, rivale, creduta infedele; che gli aveva tenuti sì lungo tempo in
pendente, e contro la quale avevano impresse fin dalla più tenera età
nelle menti loro poco favorevoli opinioni. Da un'altra parte avevano gli
Americani nel corso di tre anni sopportato gli estremi di ogni disagio,
senza avere mai fatto vista di volersi dalle prese risoluzioni
discostare, durato con mirabile costanza contro l'avversa fortuna; nè
smodati si erano nella propizia, e tanto fatto ed operato avevano, che
le prime vittorie degl'Inglesi si erano terminate in isconfitte. Le
quali cose persuaso avevano i ministri francesi, che l'America sapeva,
poteva e voleva serbar la fede. La deliberazione poi di volere,
apertamente entrando a parte della guerra, porgere una soccorrevol mano
all'America, riusciva generalmente grata ai popoli di Francia, non solo
per l'antico odio contro gl'Inglesi, per la ricordanza delle recenti
ferite, pel desiderio della vendetta, e per le opinioni politiche, che a
quei tempi si erano per ogni dove diffuse in questo regno, ma ancora per
molte ed assai gravi ragioni appartenenti alle cose commerciali. Il
traffico, che si era andato facendo tra la Francia e l'America dal
principio dell'americana querela in poi, e principalmente in quegli
ultimi anni, in cui si era rotto la guerra, aveva fatto di modo, che i
mercatanti francesi, avendovi fatto dentro grandissimi guadagni, tutti
desiderassero, che il nuovo ordine di cose si coronasse
coll'independenza, acciocchè fosse allontanato per sempre l'antico, nel
quale per le leggi proibitive del Parlamento, e specialmente per l'atto
di navigazione, sarebbero stati privi di quell'utile che ne ricavavano.
Egli è vero, che questo traffico non era riuscito di tanto vantaggio, di
quanto si erano fatti a credere; perchè alcuni fra di loro, essendosi
lasciati trasportare alla eccessiva cupidigia del guadagno, massimamente
quei delle città marittime, avevan caricate ricche merci sopra navi per
alla volta dell'America, le quali in gran parte, e con gravissimo danno
loro erano state intercette dai corsari inglesi. Ma queste istesse
perdite gl'infiammavano di maggior desiderio di poter il medesimo
commercio continuare, e di rintuzzare quell'ardimento britannico, che
voleva chiudere quello, che doveva esser aperto a tutto il mondo.
Speravano, che il navilio reale nella palese guerra sarebbe venuto in
soccorso del navilio mercantile; e che la forza avrebbe protetto ciò,
che per la cupidigia del guadagno s'intraprendeva. Avevano altresì i
Francesi in questa bisogna la speranza, o per meglio dire la certezza,
che la Spagna sarebbe venuta a parte della contesa. Il che gran peso
aggiugneva alle ragioni, che già di per sè stessi avevano. Era quel
regno molto potente in sull'armi navali, ed ardeva di tale desiderio di
farne pruova contro l'Inghilterra, che credevano in mezzo a quelle loro
tanto diligenti cautele, che abbisognasse meglio di freno, che di
sprone. Non dubitavano punto poi, che tutte le unite armi della Casa di
Borbone, che già da sì lungo tempo si forbivano, ed alla proposta meta
s'indirigevano, non fossero non che sufficienti, esuberanti per
abbassare quel detestato orgoglio, schermir le ricche navi dagl'insulti
britannici, e fare in modo, che il commercio dell'Indie occidentali, e
fors'anche quello delle orientali, o tutto, o gran parte venisse in mano
degli uomini francesi e spagnuoli. In tanta opportunità, e in tanta
aspettazione dei popoli, aveva il governo francese maggior bisogno di
prudenza, che il rattenesse dal non precipitar le risoluzioni, che di
ardire che lo stimolasse a commettersi all'arbitrio dell'incerta
fortuna. Certamente non ebbe mai nissun governo nè consiglio più spedito
a seguire, nè partito, cui il consenso e l'ardore dei popoli meglio
favoreggiassero, nè che più felice fine o maggiori vantaggi
pronosticasse. Per la qual cosa, e non si potendo più sostenere la
instanza, che ogni dì ne gli era fatta dagli agenti del congresso, si
deliberò finalmente di côrre la occasione, concludendo coll'America quel
trattato, che già da sì lungo tempo si negoziava. Ma siccome fino a
questo dì l'intendimento della Francia era stato d'intrattenere, non di
concludere, così gli articoli dell'accordo, quantunque già in lunghe e
frequenti consulte ventilati, non erano ancora non che presti,
stabiliti. Temendosi però, che infrattanto, se più s'indugiasse, il
governo inglese movesse qualche pratica d'accordo cogli Americani, i
ministri francesi si risolvettero a significare ai commissarj del
congresso i preliminari del trattato d'amicizia e di commercio da
stipularsi tra i due Stati. Il che venne eseguito addì 16 decembre 1777
dal signor Gerard, sindaco reale della città di Strasburgo e Segretario
del Consiglio di Stato del Re. Consistevan essi in ciò, che la Francia
non solo riconoscerebbe, ma con tutte le forze sue sopporterebbe
l'independenza degli Stati Uniti, e concluderebbe coi medesimi un
trattato d'amicizia e di commercio; che in ciò fare non si gioverebbe in
alcun modo della condizione, in cui gli Stati Uniti si ritrovavano, ma
che i capitoli ne sarebbero di tal natura, quali si converrebbero,
quando tutti e due gli Stati fossero da lungo tempo stabiliti, ed in
tutta la pienezza delle forze loro costituiti; che prevedeva benissimo
la Maestà Cristianissima, che nel pigliare questo partito, ne sarebbe
probabilmente entrata in guerra colla Gran-Brettagna, ma che non
desiderava per questo nissun compenso da parte degli Stati Uniti; non
che pretendesse in questo operar solo pel proprio interesse loro, poichè
oltre la bontà del reale animo suo verso di loro, le era manifesto, che
la potenza dell'Inghilterra ne sarebbe diminuita dalla separazione delle
sue colonie. Solo richiedevagli, e di ciò pigliava sicurtà, che gli
Stati Uniti in qualsivoglia pace, che fosse in avvenire per fermarsi,
alla independenza loro non rinunziassero, ed alla obbedienza verso il
governo britannico non ritornassero. Fattasi dalla parte della Francia
questa dichiarazione, la quale fermò gli animi degli Americani, si
continuarono con gran calore le pratiche per tutto il mese di gennaio.
Si significò nel tempo medesimo ogni cosa alla Spagna, acciocchè, quando
tal fosse l'intento suo, venisse anch'essa a parte dell'accordo; del che
non si tardò a ricevere favorevole risposta. Essendo adunque le cose
mature, e tutte le condizioni accordate dall'un canto e dall'altro, si
stipulò il dì sei febbraio il trattato d'amicizia tra la Maestà
Cristianissima e gli Stati Uniti d'America. Fu esso sottoscritto pel Re
dal Gerard, e per gli Stati da Beniamino Franklin, Silas Deane, e Arthur
Lee. In questo trattato, nel quale il Re di Francia gli Stati Uniti
d'America considerò, come una nazione independente, si stabilirono tra
l'una parte e l'altra diversi interessi marittimi e commerciali rispetto
ai dazj, che le navi mercantili dovevano pagare nei porti dello Stato
amico; alla reciproca protezione delle navi a' tempi di guerra; al
diritto delle pescagioni, e specialmente di quella, che i Francesi
esercitavano sui banchi di Terra-Nuova a norma de' trattati d'Utrecht e
di Parigi; al dritto di ubena, dal quale si dichiararono esenti tanto i
Francesi in America, quanto gli Americani in Francia; all'esercizio del
commercio, e del corseggiare dell'una parte a tempo, in cui l'altra
fosse in guerra con un terzo potentato; al quale fine, e per allontanare
ogni motivo di dissensione, si determinarono in un capitolo espresso gli
oggetti, che debbono a' tempi di guerra riputarsi di contrabbando, e
quelli, che deonsi riputare liberi, e perciò da potersi trasportare, e
condurre liberamente dai sudditi delle due parti nelle piazze nemiche,
eccettuato però quelle, che si trovassero attualmente assediate,
bloccate, o investite. Ancora stipularono, che i vascelli e bastimenti
loro non potessero andar soggetti ad alcuna visita, intendendosi, che
ogni visita e ricerca dovesse farsi prima dell'imbarco delle mercanzie,
e che quelle di contrabbando avessero ad arrestarsi, ed a torsi sulla
spiaggia, e non più, quando imbarcate fossero, eccettuati però i casi,
in cui si avessero indizj manifesti, o pruove di frodo. Si accordarono
oltre a ciò, per facilitare il commercio degli Stati Uniti colla
Francia, che il Re Cristianissimo concederebbe loro tanto in Europa,
quanto nelle isole di sua pertinenza in America parecchj porti franchi.
Il medesimo Re si obbligò finalmente ad adoperare i suoi buoni uffizj, e
la sua mezzanità presso l'Imperatore di Marocco, e presso le reggenze di
Algieri, Tripoli, e Tunisi, ed altri potentati della costa di Barbaria,
perchè nel miglior modo, che possibil fosse, si provvedesse alla
comodità, ed alla sicurezza dei sudditi, delle navi, e delle mercanzie
americane.

In questo trattato oltrechè si riconobbe l'independenza degli Stati
Uniti, si vennero anche a sovvertire intieramente quelle regole, le
quali in ogni tempo aveva voluto seguitare il Regno d'Inghilterra, e che
risguardano od il commercio dei neutrali a' tempi di guerra, od il
bloccare i porti di uno Stato nemico dalle navi da guerra inglesi. Per
la qual cosa si prevedeva benissimo, che, quantunque la Francia
obbligata non si fosse a prestar aiuti di sorta nessuna agli Stati
Uniti, tuttavia si sarebbe la Gran-Brettagna, siccome quella che veniva
ad esser toccata sì addentro nell'orgoglio suo, e ne' suoi più
essenziali interessi, vivamente risentita, ed avrebbe probabilmente
denunziato la guerra alla Francia. Quindi è, che fu tra le medesime
parti, e lo stesso giorno di febbraio, sottoscritto un altro trattato
casuale di alleanza offensiva e difensiva, il quale dovesse il suo
effetto avere, allorquando si rompesse la guerra tra l'Inghilterra e la
Francia. Si obbligarono le due parti ad aiutarsi l'una l'altra coi buoni
uffizj, col consiglio e colla forza. Si stipulò, cosa fino a quei tempi
inudita da parte di un Re, che il più essenziale e diretto fine della
lega fosse quello di mantenere effettualmente la libertà, la sovranità,
e l'independenza degli Stati Uniti. Si fermò ancora, che se le rimanenti
province inglesi nel continente americano si conquistassero, o le isole
Bermude, avessero a divenir confederate o dependenti degli Stati Uniti;
che se si acquistasse alcuna di quelle isole, che sono poste dentro, o
presso il golfo del Messico, queste dovessero alla Corona di Francia
appartenere. Si accordò, che niuna delle due parti potesse concluder
tregua o pace colla Gran-Brettagna senza il consentimento dell'altra. Si
obbligarono entrambe a non por giù le armi, finchè la independenza degli
Stati Uniti fosse formalmente, o tacitamente riconosciuta nei trattati,
che terminerebbero la guerra. Si guarentirono l'una all'altra cioè gli
Stati Uniti al Re Cristianissimo le presenti possessioni della Corona di
Francia nell'America, siccome anche quelle, che acquistar potrebbe nel
trattato di pace, ed il Re Cristianissimo agli Stati Uniti la libertà,
la sovranità e la independenza loro assolute, ed illimitate sì in fatto
di governo, che di commercio, ed altresì quelle possessioni, addizioni e
conquiste, che la lega fosse per fare durante la guerra ne' dominj della
Gran-Brettagna nell'America settentrionale. Fu lasciato luogo, ma ciò in
un capitolo a parte e segreto, al Re Cattolico di entrare nel trattato
d'amicizia e di commercio, come pure in quello dell'alleanza a quel
tempo, che giudicherebbe conveniente.

In questo modo la Francia sempre ricordevole delle ferite avute nella
guerra del Canadà, e sempre gelosa della potenza dell'Inghilterra aveva
prima con astuti maneggi, e lontani incentivi messi su, poscia con
soccorsi nascosi, ed all'uopo disdetti, confermati nella resistenza loro
i coloni inglesi; ed infine presili manifestamente per mano gli condusse
all'independenza. Nel che fare i ministri francesi con grandissima
solerzia destreggiarono, molto accomodatamente tutte quelle regole
seguendo, che la ragione di Stato insegna; e certo in nissun'altra
bisogna, quantunque grave ed importante si fosse, nè in nessuna età
tanta sagacità dimostrarono e tanta costanza, come in questa. Lavorarono
essi di soppiatto, quando era pericoloso lo scoprirsi, e si levarono la
maschera dal viso, quando, prosperando già le cose americane, offerivano
i coloni in sè stessi un sicuro alleato; quando già erano
abbondantemente apprestate le armi, massimamente le marinaresche; quando
già erano universalmente favorevoli i popoli; quando già ogni cosa
presagiva la vittoria. Allorchè poi furono pubblicati in Francia i
trattati, non si potrebbe agevolmente credere, a quanta esultazione vi
si commuovessero le genti. I commercianti già si promettevano nella
mente loro quelle ricchezze, che fin là stat'erano confinate nei porti
della Gran-Brettagna; i possessori delle terre s'immaginavano di aver a
provare in proporzione della maggior frequenza del commercio una
diminuzione delle tasse; i soldati e principalmente i marinaj, speravano
di potere le passate macchie lavare, e l'antica gloria ricuperare; gli
spiriti generosi si rallegravano, che la Francia si fosse fatta, come
doveva, l'avvocata degli oppressi; gli uomini liberali applaudivano,
perchè diventata fosse la difenditrice della libertà. Tutti poi
esultavano, che fosse finalmente nata la opportunità di abbassare
quell'abborrito orgoglio. Tutti si davano a credere, che si
ristorerebbero le perdite fatte nel precedente regno; tutti andavano
dicendo, queste esser le sorti promesse alla Corona di Francia; questi i
felici auspicj, coi quali incominciava il regno di un amorevole e dolce
principe; assai essersi sofferto; assai sopportato; ora aver principio
un più fortunato avvenire. Nè solo in Francia queste cose giravano; che
anzi in pressochè tutti gli altri Stati dell'Europa la medesima
disposizione d'animi si manifestava. Gli Europei lodavano, e sino al
cielo innalzavano la clemenza e la magnanimità di Luigi decimosesto.
Tanto, o detestavano gli uomini di quei tempi i consiglj britannici, o
questa medesima causa americana affezionavano.

Non andò gran tempo, da che erano stati i trattati sottoscritti, e molto
innanzi, che fossero pubblicamente significati, che i ministri
britannici n'ebbero le certe novelle. È fama, che alcuni fra i medesimi
abbracciando questa causa d'introdurre tra le due parti la concordia,
abbiano nelle consulte segrete proposto, che incontanente si
riconoscesse l'independenza delle colonie, ed un trattato d'alleanza e
di commercio si negoziasse cogli Stati Uniti. Ma o sia che ripugnasse il
Re molto testereccio di propria natura, o che Bute in sì fatto modo lo
imbecherasse, il partito non si ottenne. Si determinò adunque di
procedere per le mezzane vie, le quali, siccome sono le più comode, così
sono anche le meno riuscibili. Queste furono non già di riconoscere
l'independenza, la quale a quel tempo si poteva piuttosto negare, che
impedire, ma sibbene di rinunziare alla facoltà di tassare, di annullare
le lamentate leggi, di concedere le perdonanze, di riconoscere per un
certo tempo i maestrati americani, e di negoziare con essi. Questo
partito, il quale per la diminuzione della dignità del governo
equivaleva, e forse superava quello del riconoscimento della
independenza, e per l'effetto, che poteva operare a favor
dell'Inghilterra, gli era inferiore, fu da tutti gli uomini prudenti, e
degli affari di Stato intendenti biasimato. Nissuno non vedeva, che se
dubbio era, che fosse per operare il desiderato effetto prima della
dichiarazione della independenza, e della lega fatta colla Francia,
pareva certo, che dopo sarebbe stato al tutto inutile. L'amore, che si
ha di natura a volere portar un nome suo doveva prevalere negli animi
degli Americani all'offerta di essere agli antichi termini di soggezione
ritornati, qualunque fossero i vantaggi, che da questa ne risultassero.
Nè non poteva essere di poco momento presso di loro, e massimamente nei
Capi, che mal sicure sono nei casi di Stato le perdonanze de' principi;
e che queste medesime proposte da quei stessi ministri procedevano, i
quali avevano voluto affamar l'America, e l'avevano riempiuta di feroci
soldati, di rubamenti e di sangue. Oltredichè, se avessero rotta la
testè data fede alla Francia, avrebbero meritevolmente incontrato le
tacce di gente perfida ed infedele, ed abbandonati dalla Francia, che
tradito avrebbero, non avrebbero più negli estremi danni loro trovato
nessun patrocinio presso alcun potentato del mondo, e sarebbero stati
senza scudo nessuno esposti alla rabbia ed alla vendetta della
Gran-Brettagna. Ma forse credettero i ministri britannici, che se le
proposte provvisioni non fossero andate a terminarsi in un accordo,
avrebbero almeno potuto divider le opinioni, e far nascere gagliarde
parti, dimodochè dalla dissensione dei coloni fosse fatto opportunità
all'Inghilterra di nuovamente soggiogargli. Forse, ed anzi senza forse
credettero i ministri, che, ove avessero gli Americani rifiutato le
proposte d'accordo, avrebbero essi una colorata cagione per continuar la
guerra. Comunque ciò sia, o che il proceder loro in questa bisogna fosse
spontaneo, ovvero costretto, lord North nella tornata della Camera dei
Comuni dei 25 febbraio molto gravemente orò sulle presenti occorrenze;
che Guglielmo Howe nelle combattute battaglie, ed in tutto il corso
della pensilvanica guerra era stato, e pel numero dei soldati, e per la
bontà loro, e pel fornimento di ogni cosa molto superiore al nemico; che
Burgoyne sino al fatto di Bennington aveva comandato ad un esercito due
volte più gagliardo dell'americano; che ben sessantamila combattenti si
erano in America mandati; nel che si erano piuttosto oltrepassati, che
riempiuti i desiderj e le richieste dei generali; ma che la fortuna si
era sì fattamente dimostrata contraria, che non si eran potuti raccorre
quei frutti, i quali ragionevolmente se ne dovevano aspettare. Concluse
con dire, che, qualunque fosse tuttavia abilitatissima la Gran-Brettagna
a continuar la guerra sia pel numero dei soldati, e per la potenza del
navilio, che per la pecunia pubblica, la quale e per le tasse abbondava,
e per un accatto a basso merito si sarebbe potuta aumentare, ciò
nondimeno per quel desiderio, che ogni buon governo debbe avere di por
fine alle guerre, massimamente civili, si era determinato a sottomettere
alle deliberazioni della Camera certe proposizioni d'accordo, dalle
quali non si dubitava, s'avessero a ricavare grandissimi vantaggi.
Stettero tutti ad ascoltarlo intentissimi. Succedeva per qualche tempo
un silenzio profondo. Nissun segno di approvazione si manifestava da
niuna banda. Alcuni eran compresi dal timore, tutti da maraviglia; sì
diverso era il parlar presente dei ministri da quello che stato era fin
là. Argomentavano, qualche grave cagione avergli sforzati a ciò fare.
Vociferava intanto Fox, fermato essere il trattato d'alleanza tra gli
Stati Uniti e la Francia. E' vi fu grande malinconia, e molto scalpore.
Mosse lord North il partito, che il Parlamento non potesse all'avvenire
alcuna tassa o gabella nelle colonie dell'America settentrionale porre,
quelle sole eccettuate, che sarebbero credute spedienti per avanzar il
commercio, il gettar delle quali però avesse a raccogliersi sotto
l'autorità delle rispettive colonie, ed impiegarsi in uso e vantaggio
delle medesime. Propose inoltre, si creassero cinque commissarj, i quali
la facoltà avessero di accordare con qualsivoglia assemblea o persona le
differenze nate tra la Gran-Brettagna e le sue colonie, intendendosi
però, che gli accordi non potessero aver l'effetto loro, se non quando
fossero dal Parlamento confermati. Fossero anche autorizzati a bandire
ovunque, e comunque opportuno riputassero, la cessazione delle armi, a
sospendere le leggi proibitive, e generalmente tutte le leggi promulgate
dai 10 febbraio 1763, a graziare chiunque, o quanti volessero. Fosse
fatta loro finalmente autorità di nominare i governatori, ed i capitani
generali nelle province pacificate. In cotal modo i ministri britannici
ora costretti da bella forza, e quasi tirativi dall'argano, quelle cose
concedevano, che per ben quindici anni avevano negate, e per le quali
avevano esercitato già da tre anni un'aspra e crudel guerra; soggetti
anche in questo, come in tutte le altre deliberazioni loro, colpa della
fortuna, o propria, ad ostinarsi in tempo, ed a cedere fuori di tempo.
Così seguitavan essi, non guidavano gli avvenimenti. Furono le
provvisioni vinte in Parlamento con consenso pressochè universale. Ma
fuori nissuno contento. Alcuni dicevano, queste concessioni esser troppo
indegne del nome e della potenza britannica; doversi solo venirne là
nell'estrema necessità, dalla quale, la Dio mercè, era tuttavia la
Gran-Brettagna lontana; scoraggiarsene i cittadini; svigorirsene
l'esercito; i nemici più s'ardire; titubarne gli alleati. Altri
disseminavano, giacchè si era rinunziato al dritto di tassazione, che
stato era l'occasione e la causa della guerra, il meglio essere proceder
più oltre, e riconoscer l'independenza. In somma s'accusavano i ministri
d'aver fatto troppo, e troppo poco; destino comune degli uomini
peritosi, e dei mezzani consiglj, i quali nè per la prudenza riescono,
nè per l'arditezza conciliano. Così mordevan l'uno l'altro, ed i
ministri non solo gli uomini parziali, ma eziandio i temperati
cittadini. Ciò nonostante nominò il Re qualche tempo dopo a commissarj
il conte di Carlisle, lord Howe, il cavalier Eden e Giorgio Johnstone in
un col capitano generale dell'esercito inglese in America; uomini tutti,
o per la chiarezza del sangue, o per la gloria delle cose fatte, o per
la molta intelligenza e pratica delle cose americane riputatissimi.
Partirono poscia da Sant'Elena per all'America il giorno 21 aprile
portati dalla nave il Tridente il conte di Carlisle, l'Eden ed il
Johnstone.

In mezzo a questi fortunosi ravviluppamenti, e stando tutta la nazione
britannica sollevata alle future cose, il marchese de Noailles,
ambasciadore per parte del Re di Francia presso il Re della
Gran-Brettagna, presentò, secondo l'ordine avuto dal suo Signore, addì
13 marzo, al lord Weymout, segretario di Stato per gli affari esterni il
seguente rescritto:

«Che gli Stati Uniti d'America, i quali sono in piena possessione
dell'independenza pronunziata per l'atto loro dei 4 luglio 1776, avendo
fatto proporre al Re suo Signore, di consolidare con una formale
convenzione i vincoli, che già avevano incominciato ad unire le due
nazioni, i plenipotenziarj rispettivi fermato avevano un trattato di
amicizia e di commercio, il quale dovesse servir di fondamento alla
buona vicendevole corrispondenza. Che Sua Maestà essendo risoluta a
coltivare la buona intelligenza sussistente tra la Francia e la
Gran-Brettagna in tutti quei modi, che comportar potessero e la sua
dignità, ed il bene de' suoi sudditi, credeva, dover far parte di tale
accordo alla Corte di Londra, e significarle nel medesimo tempo, che le
parti contrattanti astenute si erano dallo stipulare verun esclusivo
vantaggio in favore della francese nazione, e che gli Stati Uniti
avevano conservato la libertà di trattar con tutte le altre nazioni
qualsivogliano nei termini dell'eguaglianza e della reciprocazione. Nel
fare questa comunicazione alla Corte di Londra, essere il Re fermamente
persuaso, ch'ella vi troverebbe nuove pruove della mente sua
costantemente e sinceramente volta alla pace, e che Sua Maestà
britannica albergando nell'animo suo il medesimo desiderio sarebbe
egualmente per evitare tutto ciò, che alterar potrebbe la buona armonìa,
e che particolarmente efficaci ordini darebbe, perchè il commercio dei
sudditi di Sua Maestà cogli Stati Uniti dell'America non venga turbato,
e per fare in questa materia osservare, e gli usi ricevuti tra le
commercianti nazioni, e le regole, che possono riputarsi sussistere fra
le Corone di Francia e della Gran-Brettagna. Concludeva, che in ciò
giustamente confidando, credeva superfluo l'avvertire, che il Re suo
Signore, essendosi risoluto ad efficacemente proteggere la libertà
legittima del commercio de' suoi sudditi, e di difendere l'onore della
sua bandiera, aveva a questo fine Sua Maestà fatti certi accordi casuali
cogli Stati Uniti dell'America settentrionale».

Questo rescritto tanto grave in sè stesso, e presentato anche un poco
alla traversa dal marchese toccò sul più vivo l'orgoglio britannico; e
se era uno dei soliti tratti, che costumano di usare tra di loro l'un
l'altro i principi, esso era ancora uno di quelli, che non si sogliono,
nè si possono comportare. Della qual cosa, non che si desse pensiero la
Francia, era appunto quello che desiderava e sperava. Lord North lo
comunicò il giorno diciassette di marzo alla Camera dei Comuni con un
messaggio del Re, il quale conteneva in sostanza, che Sua Maestà, avuto
il rescritto francese, aveva dalla Corte di Francia rappellato il suo
ambasciadore; che per lei non era stato, che non fosse turbata la
tranquillità d'Europa; che credeva, non poter venire incolpata
dell'interrompimento di tale tranquillità, se si risentiva ad
un'altrettanto non provocata, che ingiusta aggressione fatta contro
l'onore della sua Corona, e gli essenziali interessi del suo Reame, e
tanto contraria alle più solenni assicurazioni, sovvertitrice delle
leggi delle nazioni, ed ingiuriosa ai diritti di ogni sovrano potentato
d'Europa. Concluse dicendo, che per quella confidenza, che aveva
fermissima nello zelo de' suoi popoli sperava, sarebbe stata in grado di
difendersi dagl'insulti, di ributtar gli assalti, di mantenere e
conservare la potenza e la riputazione della sua Corona.

La cosa non riuscì nuova nè inaspettata; perciocchè già se ne motivava
nel pubblico. Lord North pose il partito, si rendessero le solite grazie
al Re, e fosse assicurato dell'appoggio del Parlamento. Mosse il signor
Baker, si pregasse il Re, acciò da' suoi Consiglj allontanasse quelle
persone, nelle quali il popolo non poteva più oltre alcuna sicurtà
pigliare. Molti facevano gran querimonia, dicendo aver il Baker tutte le
ragioni; doversi accettare la proposta. Sorse in questo mezzo il
governatore Pownal, uomo grave, e delle cose americane assai pratico, e
parlò nei seguenti termini:

«Io non credo già, signori miei, e cittadini amantissimi, che in questo
solenne dì, in cui dee pigliar principio, od il subito ristoramento, o
l'irreparabile rovina di questa nobilissima patria, ricercare da noi si
debba, se abbiano i presenti ministri a continuare ad indirigere in sì
perigliosa fortuna la sbattuta nave, ovvero se se ne debba ad altri
commettere il timone. Altre più gravi cure debbono, se l'opinione mia
non m'inganna, le menti vostre, e tutti i pensieri occupare.
Imperciocchè, qualunque essi siano questi ministri, dei quali odo
mormorarsi all'intorno, se noi abili siamo al far oggidì un'accomodata
risoluzione, non dubito punto, che saranno pur anche essi capaci a farla
a buono ed utile fine riuscire. Ma se noi, persistendo nei consiglj, che
ci hanno in queste fatali strette impacciati, aggiungiamo agli errori
antichi un nuovo errore, nè questi nè altri potranno nel desiderato
porto ricondurci. Senza di che, coloro i quali son vaghi di ricercar le
cagioni delle presenti disgrazie, e che agli attuali servitori della
Corona le imputano, potranno a posta loro liberamente discorrerne in
quel solenne giudizio, il quale già stato è in cospetto di questa Camera
a questo fine introdotto. Di che cosa si tratta, e qual è la occorrente
disquisizione? Viene contro di noi l'infedele e superba Francia, e ci
minaccia di guerra, se ci risentiamo all'ingiuria, se non accettiamo le
insolite condizioni. Qual è quel cittadino amante della sua patria, qual
è quel Brettone, che non si muova a sdegno, che non s'infiammi a
vendetta agl'inuditi oltraggi dell'implacabile rivale? Scorre anche
nelle mie vene il britannico sangue, sento gli stimoli usati, ed i
generosi ed alti consiglj approvo. Ma questo bene io condanno e, finchè
avrò forza e vita, condannerò, che si voglia due guerre incontrare in
luogo d'una sola, che si ami meglio l'aggiungere un nuovo nemico
all'antico, piuttosto che, accordandosi con questo, avventarsi di
conserva contro di quello. Vincer la Francia e l'America insieme è cosa
da doversi tra le impossibili annoverare; superar la prima, accordandosi
colla seconda, non che possibile, agevole. Ma per quest'ultimo fine
ottenere egli è d'uopo riconoscere ciò, che oggimai impedir non
possiamo, voglio dire l'americana independenza. E quali ostacoli si
frappongono, o quali ragioni addur si possono contro ad una sì salutare
risoluzione? Forse il desiderio della gloria, o l'onor della Corona? Ma
oltre che l'onore sta nella vittoria, e la vergogna nella perdita, e che
nei casi di Stato l'utile è l'onorevole, il riconoscere l'independenza
degli Stati Uniti, egli è un riconoscere non solo quello che è, ma
ancora quello che già, se non colle parole, colle opere almeno
riconosciuto abbiamo. In quelle stesse provvisioni d'accomodamento testè
accettate, se vogliamo dir il vero, ogni sorta di maggioranza è messa in
disparte. Se l'intento nostro è di continuare nella superiorità, già
abbiamo conceduto troppo; se quello di pacificarsi, troppo poco; ed il
nostro tentare stesso di volergli dependenti tenere gli farà procedere
più oltre nella via della independenza. Così di leggieri non si cambiano
le inveterate inclinazioni, nè così facilmente le risoluzioni prese dopo
lunga e matura deliberazione si pervertono. Se guarderem bene addentro,
facil cosa sarà il conoscere, che quelle non sono state l'effetto di un
trasporto di cadevol ira, o di momentanea escandescenza, ma sì piuttosto
il compimento di un antico e molto bene considerato disegno. Tentaron
essi prima i guadi, e, trovatigli sicuri, gli passarono; nè diedero
avanti un passo, se prima non furono o dalla favorevole fortuna delle
battaglie, o dal consenso universale dei popoli assicurati. Fecero essi
la dichiarazione dei diritti nel 1774, la quale già poco colla
maggioranza inglese poteva consistere. La confermaron poscia col
manifesto, col quale si sforzarono le armi loro giustificare; e
finalmente dichiararono la independenza, la quale stata è il colmo ed il
perfezionamento di quell'opera macchinata già buon tempo fa, dalla
stessa natura delle cose favoreggiata, e dai coloni, già son tre anni,
con tanta costanza e valore difesa. Se allorquando questi popoli si
vedevano dai principi europei abbandonati, e soli lasciati nella
sanguinosa contesa; se quando gli estremi sforzi loro prodotto non
avevano, se non disgrazie e danni; se quando parevano non che ad essi, a
tutto il mondo le cose loro disperate, nissun segno diedero di volersi
acchinare; che anzi con una fermezza, da chiamarsi piuttosto ostinazione
che costanza, nell'intrapresa via continuarono, come possiam noi sperare
adesso, che i fati si son volti a lor favore, che non solo si sono abili
trovati a resistere all'armi nostre, ma di più dall'un canto, avuta
contro di noi una gloriosa vittoria, fecero le più valorose genti regie
cattive, e dall'altro strettamente assediano dentro le mura di una sola
città un esercito poco fa vittorioso; quando vedon l'Europa alzarsi in
piè al patrocinio loro; quando scorgono le più possenti nazioni, e
riconoscer la independenza loro, e tenergli in luogo d'eguali, ed
ammettergli come alleati; quando già la Francia si scopre; quando si sa
che la Spagna sta per iscoprirsi, quando non si dubita, che la Olanda
verrà dietro; come, dico, possiam noi sperare, sian essi per rinunziare
al loro franco e nazionale governo per accettar il nostro, soggetto e
provinciale? Come possiam noi sperare di poter vincer quel nemico ora
unito ad altri, contro il quale solo stati siamo perdenti? Abbonda la
Francia d'uomini pugnaci e valorosi, e di questi ne manderà il bisogno
nell'americane terre; e se saremo noi abili, non che al conquistare, al
resistere, ognuno sel pensi. Senza di che, nissun non s'accorge, che
veggendo noi sin di qua le francesi spiagge, e stando quel governo
fornitissimo di apparecchj navali, se non abbiam timore, certo dobbiam
sospetto avere di un assalto dentro di queste terre stesse, dalle quali
minacciamo noi tanto sterminio all'America che ci combatte, ed alla
Francia che la soccorre. Quindi è, che quei soldati, che si potrebbero
alla guerra americana mandare, dovranno nella Gran-Brettagna ristarsi
per difendere le sante leggi, i sacri altari, la patria stessa contro il
francesco furore. Già sta pronta a sboccare la numerosa armata da Brest,
già le coste della Normandia si empiono di soldati, già fan vista di
avventarsi contro di questo felice regno. Noi intanto stiamo qui
deliberando, se sia meglio aver più nemici, che un solo; o se sia più
profittevole il combattere ad un tempo l'America e l'Europa a nostri
danni congiurate, che l'Europa combattere coll'armi dell'America con
essi noi confederata. Nè nel partito che io pongo, son io solo a
contendere, consistere la salute dell'Inghilterra, ma tutti gli uomini
prudenti venuti sono nella medesima sentenza, alla quale s'accosta la
voce universale dei popoli, i quali a queste deliberazioni dei ministri,
più ventose che animose, s'insospettiscono, e mali irreparabili alla
patria presagiscono. Del che non dubbia pruova si ha in questo, che i
capitali dei monti non poco disavanzarono, tostochè s'intese di questa
nuova pazzia ministeriale, e di questa più scozzese, che inglese
ostinazione. Dite su, o ministri, or dolci al credere, or ostinati al
deliberare, come facilmente avete riempiuto voi l'accatto dei varcati
dì, e l'interesse che ne pagate? Ma voi vi ristate. Ciò non dovrebb'egli
farvi accorti della perversità delle risoluzioni vostre? So, che alcuni
vanno spargendo, che il riconoscere l'indipendenza, oltrechè sarebbe
cosa nel fatto poco onorevole, sarebbe anche nel fine incerta, nissuna
sicurtà avendosi, che gli Americani ne vogliano star contenti. Ma come
possiam noi credere, siano gli Americani per anteporre alla nostra
l'alleanza della Francia? Non son questi quei Francesi medesimi, che già
gli hanno voluti soggiogar altre volte? Non son questi quei Francesi,
che non istaranno contenti, finchè non avranno spento al tutto il nome e
la lingua inglese? Come si può dubitare, che non entri nell'animo degli
Americani il pensiero, che, distrutto una volta il propugnacolo
dell'Inghilterra, saranno essi posti senza scudo e senza difesa alcuna
in balìa della Francia, la quale ne farà il voler suo? Come non si
accorgeranno essi di questa insidia francese, non nuova, ma ora
dall'imprudenza nostra più vicinamente apparecchiata, la quale consiste
nel voler romper l'unione nostra per opprimerci spartiti? Preferiranno
eglino certamente l'amicizia e la lega francese alla dependenza; ma
questo so, e certo sono che ameran meglio l'alleanza britannica
congiunta coll'independenza. Oltreacciò a nissuno è nascosto, essere gli
Americani sdegnati contro la Francia per aver essa in questo stesso
negoziato fatto mercato dell'avversità loro, e posta a prezzo la
independenza. Vagliamci noi, se saggi siamo, degli effetti della
francese avarizia, e sì facendo sperimenteremo amici quelli, che oramai
sudditi avere non possiamo. Senza di che, passate anche sotto silenzio
tutte queste cose, facilmente si vede, che l'interesse solo del
vicendevole commercio farà sempre in modo che gli Americani, postergata
la francese amicizia, alla nostra s'accosteranno. Ma perchè mi vado io
aggirando per persuadervi ciò, di che posso ad un tratto
dimostrativamente rendervi certi? Ho io veduto e letto con questi occhi
miei proprj una lettera scritta da Beniamino Franklin, uomo, come ognuno
sa, d'autorità tanto irrefragabile presso quei popoli, e mandata a
Londra dopo che stato era fermato il trattato della lega tra la Francia
e l'America, per la quale affermò, che se la Gran-Brettagna rinunziar
volesse alla superiorità, e cogli Americani, come con una independente
nazione trattare, potrebbe essa tosto aver la pace coll'America. Non son
queste le novelle e le baie, colle quali i nostri buoni ministri si
lasciano intrattenere dai fuorusciti. Ma s'ella è chiara la probabilità
dell'amicizia e della lega coll'independente America, egli è del pari
chiaro ed evidente, che invece di diventarne noi più deboli, ne
diverremo, malgrado la separazione, e più atti alle offese, e più
gagliardi alle difese. Imperciocchè una parte di quei soldati, che ora
l'inutil guerra esercitano nelle colonie nostre, potranno allora
opportunamente condursi a porre i presidj nel Canadà e nella
Nuova-Scozia, e queste province da ogni insulto e pericolo guarentire.
Altri potranno recarsi ed a guardare le nostre isole, e ad assaltare le
francesi, le quali sopraffatte dall'improvviso impeto, e non
sufficientemente munite, in mano nostra verranno. Il nostro navilio poi
potremo in tal modo partire, che ne siano le possessioni nostre ed il
commercio sì d'America, che d'Europa guarentite e difese. Così liberi
del tutto da quelle molestie americane, ci sarà fatto abilità di
rivolgere tutti i nostri pensieri e le forze contro di questa inquieta
Francia, e farle pagare il fio dell'oltracotanza ed ardimento suo. Per
la qualcosa io porto opinione, che, lasciate dall'un de' lati le mezzane
vie, ed ampliando il mandato dei commissarj, che in America s'inviano a
far le concessioni, sia fatto loro abilità di trattare e consultare, e
finalmente accordare e riconoscere gli Americani come una nazione
independente colla condizione però, ed in quel punto stesso, in cui
concluderanno con essi noi un trattato di commercio, ed una lega
difensiva ed offensiva. Per avventura, se della opinion mia non
m'inganno, maggior frutto ricaveremo noi da questa sola risoluzione, che
non da parecchie vittorie in una disperata guerra. Che per lo contrario,
se vogliamo ostinati nell'invasazione persistere, proveremo con nostro
irreparabil danno, quanto pregiudiziale consiglio sia il credere più
alle apparenze che alle realtà, ed il lasciarsi trasportare alle
ingannatrici passioni del dispetto e dell'orgoglio. Siate pur sicuri,
che se non avranno i commissarj il mandato libero per riconoscere
l'independenza, l'opera loro in America riuscirà di nessun frutto, e
meglio saria il non mandargli, che il mandargli all'onte ed agli
scherni».

Queste ragioni gravi in sè stesse, e con molta asseveranza dette fecero
molta impressione nella mente dei circostanti, e si vedeva chiaramente,
che alcuni fra i ministeriali medesimi balenavano. Ma il signor
Jenkinson preposto agli affari della guerra, e personaggio di non poca
autorità, fece dalla contraria parte la seguente orazione.

«Debbono, onorandi cittadini, le nazioni, come gli uomini, seguire il
giusto e l'onesto; il debbon tanto più efficacemente, quando caso è
ancora, siccome per lo più è, onorevole e grande; e da un altro canto
nessuna cosa più nuoce alla felicità degli Stati, che l'incertezza e
l'instabilità dei consiglj. Imperciocchè il volere, ed il disvolere
spesso significano da una parte in coloro che reggono, o debolezza di
mente, o timidità d'animo; dall'altra sono non di rado cagione, che non
si finiscano i disegni. Le quali cose essendo vere, siccome sono
verissime, spero io, che non durerò molta fatica a persuadervi, che
nella presente causa, nella quale gli uomini parziali corron pur troppo
dietro a vane immaginazioni, molto bene si confà alla giustizia del pari
che alla dignità nostra, ed ai più gravi interessi di questo regno il
non discostarsi dagli abbracciati consiglj. Comunque abbia a girar la
ruota sua la fortuna, questa, che facciamo, è una giusta guerra. Così
definì la sapienza del Parlamento; così confermò il consenso dei popoli;
così vuole la natura stessa delle cose. Perchè poi questa medesima
guerra stata non sia fortunata, non è questo il tempo da doversi
investigare. Comunque ciò sia, il difetto di prospera riuscita ha fatto
in modo, che ora i Francesi c'insultano, e minacciano di assaltarci.
Sonci alcuni, i quali vogliono, che in tale condizione la Gran-Brettagna
si disperi, che deliberi disonoratamente, che dia per una minaccia
francese vinta la causa agli antichi suoi sudditi. Ma che dico? Vogliono
perfino, che noi temiamo di noi medesimi, e par loro già di vedere
sventolar a rincontro delle porte di questa città le francesi insegne.
Ma, lasciate dall'un de' lati le battisoffiole di questi uomini, non so
se mi debba dire ambiziosi, o paurosi, io sarò per dimostrarvi, che la
via, che sin qui si è seguita, non è solo giusta ed onorevole, ma ancora
utile e profittevole. Ed in sul bel principio del mio ragionamento
dimanderò io a questi sviscerati amici dei ribelli, se certi sono, che
l'America intiera, ovvero solo pochi faziosi, i quali coll'arti, e
coll'audacia loro si sono della somma delle cose impadroniti, vogliano
l'independenza avere. In quanto a me si appartiene, io avviso, che
questa independenza sia piuttosto una visione, la quale appare ai
cervelli vaghi di nuove cose al di là, e al di qua dell'atlantico, che
un universale desiderio dei popoli. Di ciò fan fede tutti gli uomini
prudenti, che hanno lungamente conversato con quella gente invasata;
questo medesimo attestano i migliaia di leali, che corsi sono alle reali
insegne nella Nuova-Jork, e combattuto hanno pel Re nelle pianure di
Saratoga, e sulle sponde del Brandywine. Questo finalmente confermano le
prigioni stesse ripiene di uomini, che hanno amato meglio perdere la
libertà, che rinunziare alla leanza; e preferito un vicino pericolo di
morte all'impresa della ribellione; e se l'opera loro non riuscì di
quella utilità, che dal numero e possanza loro aspettar si doveva, ciò
non da tiepidezza, ma piuttosto dall'eccessivo zelo, che gli fece
prorompere innanzi tempo, si debbe riconoscere. Ogni ragione persuade,
che a quest'uomini, stati fedeli sin quando pretendeva l'Inghilterra
alla tassazione, molti altri si aggiungeranno, ora che a quella si è
rinunziato; poichè già tutti si sono accorti, quanto sia da anteporsi il
vivere sotto il moderato imperio d'un giusto principe alla tirannide
d'uomini nuovi ed ambiziosi. Qualche cosa ancora si dee concedere alla
corrispondenza dei sangui, alla comune favella, agl'interessi
vicendevoli, alla medesimità dei costumi, alla ricordanza dell'antica
congiunzione. Quello stesso argomento tratto dal mio avversario
dall'avarizia e dalle stranezze usate agli Americani dal governo
francese nel negoziato della lega, molto mi persuade, che al nuovo,
cupido, insolente ed infedele amico anteporranno l'antico, benefico ed
amorevole concittadino. Nè debbo io sotto silenzio passare una cosa, che
ad ognuno è nota, e questa è la povertà dell'erario americano, la quale
fa, che affamano, e van nudi i soldati; che il congresso non si può di
nessuna cosa necessaria allo Stato accivire; ed i creditori non hanno a
gran pezza l'aver loro dai debitori; cosa di gravissimi scandali, d'ire
private, e di molte maledizioni contro il governo loro cagione. Nè vi è
nissuno fra gli Americani, il quale non veda, che, accettati i termini
dall'Inghilterra proferiti, la Camera pubblica sarebbe ristorata, le
proprietà particolari sicure, l'abbondanza in ogni parte del socievol
corpo restituita. Verso la quale prosperità con maggior animo
concorreranno, quando vedranno la possente Inghilterra, essersi risoluta
al tutto a volere far pruova della sua fortuna, e con ogni sforzo suo la
guerra continuare. Certamente non crederanno essi, che neanco gli aiuti
di questa superba Francia possano di breve costringerci a calare ai
vergognosi accordi. Parmi veder correre già fin d'adesso, o m'inganno
forte, le americane genti alle nostre insegne, parte per fedeltà verso
il Re, parte per amore del nome inglese, parte per la speranza del
ristoro, parte per disgusto contro i nuovi ed insoliti alleati, e parte
infine per concetta collera contro la tirannide del congresso. Allora è,
che ci applaudiremo della costanza nostra, e conosceremo, quanto miglior
partito sia stato, l'aver la parte più onorevole e degna di così gran
Reame, come questo è, seguitata. Se non che io credo ancora, che la
nuova guerra contro la Francia in luogo di sbigottirci, debba a migliori
speranze innalzarci. Poichè se finora poco frutto abbiam fatto contro
gli Americani, qualunque di ciò ne sia stata la cagione, qual è
quell'Inglese, che non isperi, anzi che fermamente non creda, di dover
le gloriose vittorie contro i Francesi riportare? Di ciò mi persuade la
ricordanza delle passate imprese, l'amor dell'antica gloria, il presente
ardire dei nostri soldati, e soprattutto la potenza del nostro navilio.
Quindi è, che le cose prosperamente fatte per terra e per mare contro i
Francesi compenseranno le perdite avute in America, e mancata agli
Americani la speranza, che sì grande han posta nella efficacia degli
aiuti del nuovo alleato, isbigottiranno, e preferiranno la sicura pace
degli accordi alla futura independenza cotanto incerta renduta dalle
nuove sconfitte degli alleati. Oltre a questo chi oserà affermare, che
non sia la fortuna per inclinare a favor nostro sulle terre stesse
americane? Forse non dobbiam noi sperare, che le armi nostre portate
nelle province piane, fertili ed abbondanti di leali, più fortunate
saranno, che allorquando nelle contrade delle montagne, e sterili, e
selvagge, e piene di ribelli si esercitarono? Per me non dubito punto,
che la felicità della guerra giorgiana e caroliniana sarà per ristorarci
dell'infelicità della guerra cesariana, e pensilvanica. Ma pongasi, il
che Dio non voglia, l'infelicità della guerra, io questo pure mantengo,
che noi non dobbiamo però ristarci; imperciocchè se si perderà
l'impresa, non si perderà l'onore; ed amo meglio, che l'americana
independenza, seppure quest'è colassù prefissa dai fati inesorabili, sia
piuttosto il risultamento dell'avverso destino, che della viltà nostra.
Così adunque ci troverà dolci la Francia, che noi siamo per abbandonare
la nostra fortuna, e per cedere alla fama della nimicizia di lei il
possesso di tanta gloria? Noi che tutti ancora ci ricordiamo del tempo,
in cui dopo d'avere colle replicate vittorie abbassato l'orgoglio e la
potenza sua, correvam trionfanti i mari tutti e le terre americane? Di
qual paese adunque sono gli autori di sì timidi consiglj? Inglesi forse?
Per me nol credo. Di chi è questa bassezza d'animo, che ci vuol far
disperare? Quella forse di donnicciuole, o di fanciulli aombranti? Certo
il crederei, se non gli vedessi venire spesso fra queste mura a far le
sinistre cornici, a sbizzarrirsi della fantasia di dir male della patria
loro, a favellar dilettevolmente della debolezza sua, e la potenza
dell'ambizioso nemico magnificare. E qual è poi questa Francia, che ci
debba far tremare così molto alla prima? Dove sono le ciurme sue
pratiche delle opere navali? Dove i soldati, che abbian vedute le
battaglie? Dirò io a coloro che nol sanno, o che fan le viste di non
saperlo, ch'ella è a questo tempo da interno male occupata, il quale
farà, che verrà meno, quando vorrà muoversi. Chi non sa, che le mancan
trenta milioni all'anno per far le spese allo Stato? Chi non sa, che
delle prestanze non si può valere, gli uomini abbienti i grossi capitali
essendovi e rari, e sfiducciati? E non solo la diffidenza vi è grande;
ma l'opinione vi è contraria alla natura del governo. Imperciocchè per
le spesse investigazioni, che recentemente si son cominciate a fare in
Francia in fatto delle materie di Stato, già vi si va dicendo, che il
vigesimo è un dono gratuito; che ognuno ha diritto di potere, e della
necessità sua giudicare, e l'uso sopravvederne. Inoltre già
s'incominciano a pruovar in Francia i pregiudiziali effetti dello zelo,
col quale vi si è questa medesima causa americana favoreggiata; che
quelle massime della monarchia con tanta costanza, e per sì lungo spazio
mantenute dai Francesi, già sonvi contaminate con quelle della
repubblica; e questi semi di libertà sempre diminuiscono la forza del
governo, e se vi metteranno radice, e vi pulluleranno, noi vedremo il
francese governo, quanto un altro qualsivoglia distratto e disordinato.
Odo favellare della difficoltà degli accatti fra di noi, e del disavanzo
dei monti. Ma i prestatori già sonsi obbligati, e le prime rate son
pagate, e l'interesse è non solo non ingordo, ma moderato molto più là
di quello, che il nemico avrebbe desiderato, e questi paurosi
predicavano. Quanto al disavanzo stato è di niun momento, e già si son
riavuti. Ma che dirò di quell'altro spauracchio dell'invasion francese?
Noi abbiamo un formidabile navilio, trentamila stanziali, ottima gente;
possiamo ad un tratto fare adunata delle bande paesane sì fattamente,
che la Francia si terrà giù dall'impresa al tutto, o che glien
increscerebbe, se la tentasse. Così di leggieri non si vincono questi
Brettoni; nè questa patria è così facil preda a chicchessia. Dicesi
ancora, che gli Americani son pronti a far lega con noi, e che di ciò ne
hanno gettato i motti; e questi uomini credevoli già si lascian tirare.
Non sappiamo noi, che coloro, i quali muovono queste pratiche, se però
si dee prestar fede a questi romori, sono i rompitori dei patti di
Saratoga, quegl'istessi, che imprigionano, che tormentano, che uccidono
i fedeli sudditi del Re? Per me temo il dono, e ch'il reca; temo le
americane insidie; temo gli ammaestramenti francesi; temo, vogliano
avvilirci col rifiuto, dopo d'averci ingannati coll'offerta. Fin qui son
ito divisandovi ciò, che la ragione di Stato da voi richiede; ora
brevemente vi parlerò di quello, che la gratitudine, la giustizia, la
umanità ricercano. V'incresca di coloro, i quali in mezzo al furore
della ribellione si sono al Re, a voi, alla patria conservati fedeli.
Muovetevi a pietà di quelli, i quali tutte le speranze loro han poste
nella vostra costanza. Abbiate compassione alle spose, alle vedove, a'
figliuoli loro, i quali, esposti ora senza difesa all'americana rabbia,
pregano il cielo per la prosperità dell'armi regie, e nissun altro
termine traveggono ai martirj loro, che nella vittoria vostra. Vorrete
voi tutti questi abbandonare, e far pruovare loro danno della fede, che
hanno avuta in voi? Dimostreranno gl'Inglesi minor longanimità nei
proprj interessi loro, che i leali americani dimostrato ne hanno? Ah!
questi abbominevoli consiglj non furono mai seguìti da questo generoso
Regno. Parmi anzi già di vedere i vostri forti petti riempirsi di
sdegno, e già le voci gridar vendetta degl'inusitati oltraggi, e già
correr le mani alle riparatrici armi. Itene, o padri, a quel destino, al
quale il ciel vi chiama. Salvate l'onor del Regno, soccorrete ai miseri,
proteggete i fedeli, difendete la patria; e vegga l'Europa con
maraviglia, e provi la Francia con danno, che scorre tuttavia nelle
vostre vene immaculato e puro il britannico sangue. Per istringere
adunque in poche parole ciò, che di questo io sento e penso, dico, che,
posto dall'un de' lati il partito del mio avversario, si assicuri il Re,
essere i suoi fedeli Comuni pronti a tutti quei mezzi somministrargli, i
quali saranno necessarj a mantenere l'onor del suo popolo, e la dignità
della sua Corona».

Finito ch'ebbe Jenkinson di parlare, seguì nella Camera un bisbiglio
incredibile. Finalmente posto, e raccolto il partito fu quasi con tutti
i voti deliberato, che si ringraziasse il Re, si continuasse a
combattere contro le colonie, si prendesse la guerra contro la Francia.

Ma nella tornata della Camera dei Pari de' sette aprile, dopochè il Duca
di Richmond aveva orato con accomodatissime parole, e con gagliardi
argomenti sforzato si era di dimostrare, ch'era ormai tempo di dare un
altro indirizzo agli affari del Regno, successe un caso molto
lamentevole. Erasi il conte di Chatam, quantunque oppresso da una
piuttosto mortale, che grave infermità, nella Camera, sebbene non senza
grandissima fatica condotto, ed udite le nuove proposte che andavano
attorno, e non potendo sopportare che si volesse la separazione
dell'America persuadere, disse queste, che furono per esso lui le ultime
parole:

«Signori, io mi sono fra queste mura in questo dì, non so come, certo
oltre mia balìa recato per esprimere l'indegnazione, che io sento
all'udire della renunziazione alla sovranità dell'America motivare. Mi
rallegro io meco stesso, che il sepolcro non si sia ancor chiuso sopra
il mio morto corpo; ch'io viva ancora per poter alzar la mia voce contro
lo smembramento di quest'antica e nobilissima monarchia. Oppresso, come
sono, e quasi del tutto vinto dal malore, poco io posso alla mia patria
in sì periglioso frangente soccorrere. Ma, signori, finchè avrò vita e
spirito, non consentirò mai, che si privino i reali discendenti della
Casa di Brunswich, gli eredi della principessa Sofia, del più bel
retaggio loro. Dov'è colui, che s'ardisce dare un tal consiglio?
Succedette Sua Maestà ad un impero altrettanto grande in estensione,
quanto immaculato in riputazione. Offuscherem noi lo splendore di questa
nazione con una ignominiosa renunziazione de' suoi dritti, e delle sue
più belle possessioni? Dovrà questo gran reame, il quale tutto ed
intiero sopravvisse alle danesi depredazioni, alle scozzesi correrie, ed
alla normanna conquista, che stette forte contra la minacciata invasione
della spagnuola armata, cader ora prostrato a piè della Casa dei
Borboni? Certamente, signori, questa nazione non è più quella ch'era.
Potrà un popolo, il quale, son ora diciassette anni, era il terror del
mondo, ora tanto abbassarsi, che dir possa al suo inveterato nemico:
_te', quanto abbiamo; solo dacci la pace_? è cosa impossibile. In nome
di Dio, se sceglier dobbiamo tra la pace e la guerra, e la prima non
possa mantenersi, e perchè non cominciam l'altra senza esitare? Non
conosco per verità, quali siano gli apparecchiamenti di questo regno; ma
spero bene, siano sufficienti a preservare i suoi giusti diritti. Ma,
signori, ogni cosa è migliore della disperazione. Facciasi almeno uno
sforzo, e se cader dobbiamo, caggiamo com'uomini».

Qui fece fine al suo parlare. Sorse il Duca di Richmond, e cercò con sue
ragioni di persuadere, che conquistar l'America per la forza dell'armi
era cosa impossibile diventata, e che miglior partito era congiungersela
in alleanza, che gettarla in grembo alla Francia. Volle il conte di
Chatam replicare e ben tre volte tentò di alzarsi. Tutto fu indarno.
Cadde in fine svenuto sul suo seggio. S'affoltarono per soccorrerlo il
Duca di Cumberland, e parecchj altri de' principali membri della Camera.
Trasportaronlo così fuori di senso com'egli era, nella vicina camera,
che chiamano del principe. Successe una confusione, ed un andare e
venire incredibile. Il Richmond sollecitava, che, stante questa pubblica
calamità, si aggiornasse la Camera al dì seguente, e così fu fatto.
L'indomani, ricominciatosi a discutere intorno il partito posto da
Richmond, e poscia raccoltolo, non si ottenne.

Addì undici marzo passò da questa all'altra vita nella sua età di
settant'anni Guglielmo Pitt, conte di Chatam. Agli otto giugno lo
seppellirono con onoratissime, e pubbliche esequie nell'Abbazìa di
Westminster, dove gli fu poco poscia rizzata un monumento. Fu egli,
ossiachè si riguardi l'ingegno, o la virtù, o le cose fatte in prò della
patria, uomo piuttosto da eguagliarsi agli antichi, che da anteporsi ai
moderni. Ebbe lungo spazio in mano il governo del ricchissimo reame
d'Inghilterra, e recatolo a tanta gloria, che mai ne' passati tempi non
che avesse avuto, non avrebbe sperato l'uguale. Morì se non povero,
certo sì poco facoltoso, che la famiglia sua non ne avrebbe potuto
vivere orrevolmente. Il che non si sarebbe detto senza ragione a quei
tempi, e molto manco si direbbe nella presente età. Ma la ricordevol
patria riconosceva nei discendenti la virtù del padre. Fece il
Parlamento una provvisione annua e perpetua di quattromila lire di
sterlini alla famiglia di Chatam, e pagò di vantaggio ventimila lire di
sterlini di debiti, che aveva Guglielmo contratti per mantenere il grado
suo e la numerosa famiglia. Nessuno fin là, trattone solo il Duca di
Malsborough, aveva in Inghilterra ottenuto sì alte e sì liberali
ricompense. Fu poi eziandio del pari eccellente oratore, che uomo perito
nelle cose di Stato, o integro cittadino. Difendeva in cospetto del
Parlamento con ammirabil facondia quei partiti, i quali nelle consulte
private aveva e sapientemente deliberati, ed animosamente raffermati.
Abbenchè, in quanto al suo modo di dire, alcuni non senza ragione vi
riprendessero e l'uso troppo frequente delle figure, ed una certa
gonfiezza di stile molto propria di quei tempi. In questo poi
principalmente avanzò tutti i reggitori delle nazioni della sua età, che
seppe spirare a tutti i servitori dello Stato sì civili, che militari
non solo l'animo ed il valore; ma ancora lo zelo e l'entusiasmo. La qual
cosa non si concede dal cielo, se non di rado, e solo, agli uomini
singolari. In somma, ei fu uomo da non ricordarsi mai senza lode, nè
senza ardore d'animo da imitarsi.

Ma ripigliando ora, d'onde lasciammo vedendo i ministri britannici la
guerra diventata essere inevitabile contro la Francia, andavano facendo
all'incontro tutti quei provvedimenti, che necessarj credevan per
esercitarla. Nel che tanto più ardenti si dimostravano, quanto che molto
bene si avvedevano, che alla guerra francese ed americana, se fatta si
fosse infelicemente, si sarebbe tosto aggiunta la spagnuola, e
fors'anche la olandese, mentre che da un altro canto una subita e
rilevata vittoria avrebbe queste due ultime prevenute. Per la qual cosa
erano intentissimi soprattutto ad avanzar gli apparecchiamenti marittimi
nei quali principalmente consistevano la difesa del regno, e la speranza
della vittoria. Ma in questo, esaminatosi attentamente lo stato del
navilio, si trovò, che non era nè sì numeroso, nè sì convenevolmente
provveduto, come si sarebbe desiderato, e come alla gravità delle
circostanze era richiesto. Del che se ne fece un gran romore
nell'universale, e molte male parole si dissero nelle due Camere del
Parlamento dal conte di Bolton, e dal Fox contro il conte di Sandwich,
ch'era allora Capo dell'uffizio dell'ammiragliato. Tuttavia nessuna
diligenza si ometteva per ristorarlo. Volendo poi in così grave
frangente gli animi dei popoli confortare, e specialmente colla
confidenza del capitano spirar coraggio, ed ardire ai marinari, elessero
i ministri, a Capo di tutta l'armata, che era sorta nel porto di
Portsmouth, l'ammiraglio Keppel, uomo nelle bisogne navali
riputatissimo, e risplendente di molta gloria per le egregie cose da lui
fatte nelle precedenti guerre. I lordi Hawke, ed Anson, quei due sì
chiari lumi dell'inglese marineria, lo avevan tenuto molto caro, ed in
gran conto; e certamente nissuna elezione d'uomo, quantunquemente
celebrato ei fosse, avrebbe potuto altrettanto soddisfare agli animi di
tutti, quanto questa dell'ammiraglio Keppel. Non isfuggì egli il carico,
quantunque già fosse a quell'età pervenuto, nella quale l'uomo meglio
desidera lo starsi, che l'operare, e maggior gloria di quella, che aveva
ottenuto fin là, acquistar non potesse; che anzi doveva ripugnar
naturalmente al commetterla di bel nuovo alla fortuna delle battaglie.
Vi era anche in questo suo affare un'altra disagevolezza, e questa era,
che i ministri, come libertino, gli puntavano addosso. Il che poteva
riuscirgli nel corso delle cose di molto disgusto. Ma egli, risguardando
meglio all'utilità della sua patria, che in così gran bisogno desiderava
l'opera sua, che alle proprie comodità, non esitò punto ad accettare
quell'uffizio, che con tanta contentezza de' suoi concittadini gli era
stato commesso. Furono nominati a militare sotto di lui i due
vice-ammiragli Hartland e Palliser, l'uno e l'altro uffiziali molto
riputati. Arrivava Keppel a Portsmouth, dove in luogo di una grossa
armata lesta al veleggiare trovò, non senza grandissima maraviglia,
solamente sei navi di alto bordo pronte a mettere in mare, marinari
pochi, ed a gran pezza non sufficienti provvisioni, ed attrezzi
mancanti. Allegavano i ministri, le altre navi essere state mandate a
diverse fazioni, ma di breve dover ritornare. Comunque ciò sia,
l'ammiraglio tanto fece, e tanta diligenza usò, che a mezzo giugno si
trovò in grado di salpare con venti navi di fila. Aspettava ancora altri
e pronti rinforzi. Diè le vele al vento da Sant'Elena addì tredici. Lo
accompagnavano i desiderj ardentissimi dei popoli. I tempi correvano
oltre ogni dire stretti e difficili. Sapevasi, che aveva la Francia una
grossa armata a Brest pronta a far vela, e fornitissima di ogni cosa. Le
conserve, che portavano in Inghilterra le ricchezze dell'Indie, si
aspettavano di dì in dì, e potevan diventar preda ai Francesi. Il che
sarebbe riuscito di un danno inestimabile, non solo per la perdita delle
ricchezze medesime, ma ancora e molto più per quella di un gran numero
di marinari, i quali con gran desiderio si aspettavano per fornirne le
navi da guerra. A questa cagione già di tanto momento si aggiungevano la
difesa di tutte le coste della Gran-Brettagna tanto vaste, la sicurezza
della grande e ricchissima metropoli, la preservazione degli arsenali,
nei quali si contenevano tutte quelle cose, sulle quali e la presente
grandezza dell'Inghilterra, e tutte le speranze avvenire stavano
fondate. Tutti questi oggetti piuttosto di totale che di grande
importanza erano commessi all'opera di venti vascelli.

Intanto i preparamenti di terra con eguale passo procedevano con quei di
mare. La bisogna del reclutare si forniva efficacemente; e le cerne si
levavano speditamente, e si ordinavano in bande a mò degli stanziali. Si
ponevano parecchj campi ne' luoghi, che si credevano più esposti alle
percosse del nemico. In cotal modo si preparavano gl'Inglesi alla vicina
guerra. Già il governo aveva ordinato, rappigliandosi contro la Francia,
che si ritenessero nei porti tutte le navi francesi, che dentro vi si
trovassero.

Ma nella Francia, la quale, siccome quella chiedi che di lungo proposito
aveva disegnato di muovere l'armi contro l'Inghilterra, meglio di questa
stava fornita in sugli apparecchiamenti necessarj, il navilio era
grandissimo, ed ogni cosa in moto. Non prima vi si ricevettero le
novelle, le quali pervennero in brevissimo tempo, del nimichevole modo,
col quale il Re Giorgio aveva ricevuto il rescritto del marchese di
Noailles, che aveva il governo francese spedito ordini in tutti i porti,
acciò vi si fermassero le navi inglesi. Abbenchè da questa ritenzione,
siccome pure da quella fatta nei porti inglesi delle navi francesi,
pochi effetti ne seguissero; perciocchè i padroni pei sospetti di
guerra, che già da buon tempo andavano attorno, si fossero ai porti
patrj ritirati. Poscia, lasciate in disparte tutte le dubitazioni, ed in
quell'attitudine disponendosi, la quale ad una grande e possente nazione
ottimamente si conviene, volendo altresì perfezionar quell'opera, che
dal rescritto incominciata si era, e fors'anche gli animi dei nuovi
alleati confermare col dar quel passo, dal quale più non si poteva, se
non con vergogna, tornar indietro, si deliberò a ricever pubblicamente e
solennemente riconoscere i commissarj americani, come ambasciadori di
una nazione franca ed independente; la qual cosa, se riuscì dura
agl'Inglesi, non è da domandare. Adunque addì 21 del mese di marzo i tre
commissarj furono introdotti dal conte di Vergennes avanti il trono, su
di cui sedeva in mezzo ai Grandi della sua Corona il Re Luigi
decimosesto, e quivi ricevuti con tutti quegli usi e cirimonie, le quali
soglionsi osservare, ogni qualvolta che i Re di Francia danno audienza
agli ambasciadori delle nazioni sovrane ed independenti. Caso memorabile
in vero, e tale, che pochi, o forse nissuno se ne trovano nei ricordi
delle storie. Imperciocchè gli Americani sperimentarono in questo
miglior fortuna, che altre nazioni, le quali acquistarono
l'independenza, non provarono, come per cagion d'esempio gli Olandesi e
gli Svizzeri, i quali se non a stento, e dopo lungo tempo furono
riconosciuti come independenti da quegli stessi potentati, che a levarsi
dal collo la superiorità degli antichi signori loro gli aiutarono.

Avendo in tal modo la Francia passato del tutto il guado, ad avvedendosi
benissimo, che nella presente guerra si doveva far maggior fondamento
sulle armate, che sugli eserciti; che una parte ragguardevole della
guerra marittima consisteva di necessità nel predare sia le navi
guerresche del nemico per diminuire la sua potenza, sia le commerciali
per iscemar la ricchezza, cosa sempre di grandissima importanza, ma di
molto maggiore, quando si combatte contro l'Inghilterra, determinò di
porre avanti gli occhi degli uffiziali di mare e delle ciurme maggiori
incentivi, acciocchè con più animo e diligenza le navi nemiche
perseguitassero. Si usava in Francia per aizzar gli uomini al
corseggiare a' tempi di guerra di concedere alcune ricompense ai
rapitori delle navi di guerra, ed a quei delle navi mercantili un terzo
del provento della vendita delle navi medesime. Il Re per un decreto suo
dato addì 28 marzo ordinò, che le navi da guerra, ed i corsari nemici
venuti in poter de' suoi, cadessero in piena ed intiera proprietà dei
comandanti, uffiziali e ciurme, che intrapresi gli avessero, e che
medesimamente i due terzi del valore delle navi mercantili, e dei
carichi loro divenissero proprj di coloro, che predate le avessero,
salvando solo l'altro terzo da essere incamerato nella cassa
degl'invalidi di mare. Ma per altro questo decreto, sebbene sottoscritto
dal Re e dal duca di Penthièvre, grande almirante di Francia, per esser
mandato ad esecuzione il dì quattro del seguente maggio; nondimeno
ossiachè il Re, siccome credono alcuni, molto ripugnasse per la
benignità della natura sua al dar cominciamento al versar il sangue,
ovverochè la ragione di Stato il persuadesse, doversi aspettare, che
gl'Inglesi commettessero essi le prime ostilità, fu rattenuto gran
pezzo, e non fu pubblicato, nè eseguito prima del cominciar di luglio.

Perchè poi non potesse, temendo di sè medesimo, il governo inglese
mandar soccorsi di genti in America si facevan correre da tutte le parti
della Francia sulle coste, che prospettano l'Inghilterra, i reggimenti,
e già un esercito potente vi si trovava adunato, pronto, come se fosse,
ad essere imbarcato a bordo della grande armata di Brest, e sull'opposta
spiaggia trasportato. In Brest intanto non si perdeva tempo, e con
grandissima assiduità s'insisteva sui marinareschi lavori. Meglio di
trenta grosse navi di alto bordo già vi stavano allestite con un gran
numero di fregate, queste massimamente per correre contro, e far gran
danni al commercio inglese. Un'altra flotta trovavasi pronta a salpar
dal porto di Tolone. Questo quasi subito mutamento del navilio francese
causò non poca maraviglia a tutte le nazioni, e molta apprensione
all'Inghilterra; la quale, solita a tenere la signoria dei mari, non
poteva darsi a credere, che ora un altro potentato sorgesse, che potesse
di quella con essa lei contrastare. Per verità la debolezza in cui si
trovò la Francia al tempo della morte del re Luigi decimoquarto non solo
fu causa, che non si potè riparare alla debolezza, in cui fu lasciato il
navilio francese a' tempi della guerra della successione di Spagna, ma
ancora, che quelle navi stesse, le quali già stavano allestite nei
porti, curate non essendo, andarono a male. Le guerre poi d'Italia,
delle Fiandre e di Germania, che succedettero nel regno di Luigi
decimoquinto, facendo in modo, che tutte le rendite pubbliche, e tutti
gli sforzi dello Stato si rivolgessero agli eserciti di terra,
produssero una pregiudiziale freddezza nelle opere di mare; e stette la
Francia contenta all'armar alcune poche navi, piuttosto per proteggere
il suo commercio marittimo, che per turbare quello del nimico. Quindi le
sconfitte e le perdite non furon poche. S'aggiunse a tutte queste cose
l'opinione impressa nell'animo dei popoli francesi contenti alla
ricchezza delle terre loro, ed alla moltitudine delle manifatture, che
poco bisogno si avesse di un navilio gagliardo, e del commercio di mare.
Ma finalmente l'incremento dei proventi delle colonie loro, e la
grandissima utilità, che ne ritraevano dalla vendita di quelli sui
mercati esteri, fecero accorti i Francesi, di quanta importanza fosse il
commercio d'oltremare. Si avvidero inoltre, che senza un navilio
guerresco, che protegga il mercantile, il commercio marittimo è sempre,
siccome incerto, povero, e che la guerra distruggerebbe in pochi dì i
frutti di una lunga pace. Per la qual cosa si rivolsero i pensieri della
Francia al creare, ed intrattenere una possente armata, la quale potesse
e tener le guerre lontane, ed esercitarle con prosperità di fortuna, e
proteggere il commercio dagl'insulti delle navi nemiche. La presente
guerra di America poi, la quale tante speranze appresentava alla mente
dei Francesi, dava anche un potente incentivo a questi nuovi disegni; e
perchè non mancassero i marinari abili a governar le navi, si
chiamarono, imitando in ciò gli Inglesi e gli Olandesi, al servigio
delle navi del Re i marinari del navilio mercantile. Ed inoltre, cosa
che riuscì di grandissima utilità, si eran fatti uscire negli anni 1772,
1775 e 1776 tre flotte capitanate da tre eccellentissimi uomini di mare,
i conti d'Orvilliers, di Guichen e Duchaffault non ad altro fine, se non
perchè servissero di scuola pratica ad ammaestrare gli uffiziali e le
ciurme in tutte le mosse, esercizj ed armeggiamenti navali. Brevemente
tanto fece il governo francese, e tanto trovò consenzienti i popoli in
questo voler ristorare il proprio navilio, che in sul principio della
presente guerra se non superava, certo uguagliava quello
dell'Inghilterra; parlandosi però di quello, che allora avevano in
pronto gli Inglesi, o che potevano in poco spazio preparare.

Nè questo navilio si voleva tenere ozioso nei porti. Due erano le
imprese, l'una e l'altra di somma importanza, che per mezzo delle
apparecchiate navi si proponeva la Francia di voler fare, la prima colla
flotta di Tolone, l'altra coll'armata di Brest. Intendevasi, che quella
partitasi molto per tempo da Tolone se n'andasse colla maggior celerità,
che possibil fosse, in America, ed entrasse improvvisamente nelle acque
della Delawara. Dal che ne sarebbero nate due cose, fatali ambedue alla
Gran-Brettagna, e queste si erano, che l'armata del lord Howe, la quale
era sorta dentro di quel fiume, e molto era inferiore di forze alla
francese, sarebbe stata senza dubbio alcuno distrutta, o sarebbe venuta
in poter de' Francesi. Distrutta, o presa l'armata, l'esercito di terra
sotto gli ordini di Clinton pressato a fronte da Washington, ed alle
spalle per la via del fiume dall'armata francese, sarebbe anch'esso
stato costretto ad arrendersi, o certamente avrebbe avuto un molto
difficile scampo. In tal modo si sarebbe vinta ad un tratto tutta la
guerra americana. Quest'era il disegno, ch'era stato discorso ed
accordato in Parigi tra i commissarj americani ed i ministri francesi.
Nè si mise punto tempo in mezzo all'esecuzione. Partì da Tolone addì 13
aprile la flotta francese condotta dal conte d'Estaing, uomo di gran
valore e d'altissimi pensieri, la quale consisteva in dodici navi d'alto
bordo, e quattro fregate molto grosse. Portava molti soldati da
sbarcarsi ai servigj di terra. Silas Deane, uno dei commissarj
americani, il quale aveva ricevuto lo scambio, ed il Gerard eletto dal
Re a suo ministro presso il congresso, si trovarono a bordo. Si mostrò
la fortuna favorevole a questi primi principj. Viaggiava con vento
prospero l'armata; e quantunque i ministri britannici avessero tostano
avviso di questa partenza avuto, tuttavia parte pei venti di ponente,
che soffiarono per alcuni dì contrarj, parte perchè non sapevano, a qual
via s'indirizzasse d'Estaing, non fu, che sul principiar di giugno, e
dopo molte irresoluzioni, che ordinarono all'ammiraglio Byron, partisse
con dodici navi per alla volta dell'America, il quale doveva scambiar
l'Howe, che aveva chiesto la licenza di ritornarsene in Inghilterra. Ma
l'armata di Brest più grossa, capitanata dal conte De Orvilliers
desideroso di gloria, e di sostentare il cetto, che si aveva della sua
virtù, era destinata a scorrere i mari d'Europa per tener vivo sulle
coste della Gran-Brettagna il timor di una invasione, e soprattutto col
mezzo delle fregate, ch'erano numerosissime, intraprendere le navi
inglesi, le quali cariche di ricchissime merci si aspettavano di breve
dalle Indie sì occidentali, che orientali. In questa maniera le cose
s'incamminavano tra i due Stati a manifesta rottura, e le vicine
ostilità si aspettavano, quantunque non ancora la guerra fosse stata
denunziata dall'una parte all'altra secondo gli usi e le regole
d'Europa. Così la contesa tra la Francia e l'Inghilterra, sì possenti
nazioni, era negli occhi di tutti gli uomini, e dependevano gli animi
loro da aspettazione di cose di grandissimo momento. Non tardò la
fortuna ad offerire la occasione, perchè si accendesse quel fuoco, che
doveva quindi in tutte le quattro parti del mondo diffondersi.

Erasi appena l'ammiraglio Keppel partito da S. Elena il giorno tredici
giugno, e condottosi nel golfo di Biscaia, che scopriva in poca
lontananza due navi grosse con altre due più piccole, le quali facevan
le viste di esplorare gli andamenti della sua armata. Eran queste le due
fregate francesi chiamate il Liocorno e la Belle-Poule. Quivi si trovava
in un frangente molto difficile costituito. Da una parte desiderava
molto di impadronirsi delle navi per ricavarne notizie sullo stato e
sulla positura dell'armata di Brest; dall'altra la guerra non si era
ancora chiarita tra le due nazioni, e si sarebbe potuto riputare
l'incominciarla alla sua temerità. Nè trovava egli nelle istruzioni
avute dai ministri alcuna cosa, che lo potesse cavare dal dubbio in cui
era; poichè erano molto larghe, e tutto lasciavano in balìa ed alla
discrezione sua. Aggiungevasi, che essendo egli di una setta contraria a
quella dei ministri, poteva la sua condotta, caso ch'egli incominciasse
le ostilità, essere a mal fine interpretata, attribuendosi alle
parzialità politiche appartenenti alla sua setta quello, che appariva
essere la necessità delle cose. In tanta perplessità Keppel, da quel
buon cittadino ch'egli era, amò meglio servir la patria con pericolo
suo, che, stando, lasciar quella in pericolo. Perilchè il giorno 17
giugno ordinò alle sue navi, dessero la caccia alle francesi. Tra le
cinque e le sei della sera la fregata inglese il Milfort venne sopra il
Liocorno, ed il suo capitano richiedeva, con termini civili però, il
Francese, avesse a recarsi colla sua fregata a poppa dell'ammiraglio
Keppel. Il Francese sulle prime ricusò; ma veduto avvicinarsi l'Ettore,
vascello d'alto bordo, che gli trasse anche d'una cannonata, cedè alla
fortuna, e seguitando l'Ettore si condusse dentro le file dell'armata
inglese.

In questo mezzo il capitano Marshall colla sua fregata l'Aretusa di
ventotto cannoni da sei, di conserva col giunco l'Alert di dieci cannoni
se ne iva contro la Belle-Poule, che portava ventisei cannoni da dodici,
ed era accompagnata da una fusta armata di dieci cannoni. L'Aretusa,
siccome più veloce, arrivava verso le sei della sera a rincontro della
Belle-Poule a tiro di moschetto, ed intimavale, la seguitasse, perchè
aveva ordine dal suo ammiraglio di condurla a poppa della capitana. Il
Signor Chadeau-de-la-Clocheterie, che comandava la Belle-Poule, rispose
animosamente del no. Marshal gli fe' tirar d'una cannonata a traverso, e
La-Clocheterie ciò stante gli tirò di tutta una fiancata. Ne seguì tra
le due fregate una ferocissima battaglia, nella quale aizzati gli uni e
gli altri da emulazione, e volendo ad ogni modo riportare la vittoria di
quel primo fatto, combattettero con un valore inestimabile. Durò la
battaglia per ben due ore con grave danno delle due parti, essendo il
mare ed i venti in calma e sì vicine le due navi. Prevalevano i Francesi
per la portata dei cannoni, pel numero della ciurma, e per la vicinanza
delle coste loro. Gl'Inglesi dal canto loro erano avvantaggiati dal
maggior numero dei cannoni, e dalla presenza di due navi d'alto bordo,
il Valente ed il Monarca, le quali sebbene per la bonaccia non potessero
tanto accostarsi, che potessero aver parte nell'aiutar i loro, davan ciò
non di meno non poco sospetto al capitano francese, e molto le sue mosse
circoscrivevano. Infine dopo un ostinato combattimento la fregata
inglese trovandosi così vicina alle coste di Francia, disperando di
potersi insignorir della francese, ed avendo ricevuto molto danno negli
alberi, nelle antenne e nel sartiame, valutasi opportunamente di una
leggier brezza, che in quel momento era sorta, cessò, e rimorchiata dal
Valente e dal Monarca, si ritirò all'armata. Mentre se n'andava, la
salutarono i Francesi con cinquanta cannonate di colpo, senza che ne
scambiasse ella una sola. La fregata francese non le diè dietro, sia pei
danni avuti, sia per la prossimità delle due grosse navi, anzi di tutta
l'armata inglese. Per la qual cosa De-la-Clocheterie deliberatosi di
ritrarsi al sicuro andò la notte a por l'ancora in mezzo alle secche
presso Plouascat. Vennero all'indomani le due navi inglesi, ed andavano
osservando se possibile cosa fosse l'accostarsi tanto alla fregata, che
la potessero pigliare. Ma, trovati gl'impedimenti delle rocche
insuperabili, si posero giù dall'impresa, ed andarono a ricongiungersi
all'armata. Per l'istesse cagioni, e nel medesimo tempo, ma però con
diverso evento, si attaccarono l'uno l'altro il giunco inglese, e la
fusta francese con molta furia. Ma questa, fatta per più d'un'ora
valorosa resistenza, si arrendè. Perdè l'Aretusa in questo fatto da otto
uomini morti e trentasei feriti. La Belle-Poule da quaranta morti e
cinquantasette feriti. Tra i primi si trovò Saint-Marsault, luogotenente
della nave, tra i secondi De-la-Roche di Kerandraon, banderaio, Bonvet,
uffiziale ausiliario, e lo stesso De-la-Clocheterie, che rilevò due
leccature.

La mattina dei diciotto la fregata il Liocorno, che veleggiava in mezzo
all'armata di Keppel, avendo fatto qualche mossa, che diè sospetto
agl'Inglesi, gli tirarono avanti prua una cannonata per avvertirla,
seguitasse il cammino di conserva coll'altre navi. Al che rispose ella
non senza gran maraviglia dell'ammiraglio e dell'armata inglese con una
intiera fiancata, e con una generale scarica di archibuseria dentro la
nave l'America di settantaquattro, che molto le era vicina, ed alla
quale comandava il lord Longford. Ciò fatto, calate le tende si arrendè,
come se infastidita di quel mezzano stato tra la pace e la guerra, in
cui ella era tenuta, avesse voluto con un'animosa risoluzione porsi,
quantunque prigioniera, in sull'aperta guerra. Keppel la mandava a
Plymouth.

Nel medesimo tempo un'altra fregata francese di trentadue cannoni
chiamata la Pallade s'incontrava nella flotta inglese. L'ammiraglio la
fe' ritenere, non senza averne prima marinati gli uffiziali e la ciurma.
Queste cose fece Keppel contro le navi da guerra francesi; ma le
mercantili, le quali non furon poche a dar di cozzo nella sua armata,
lasciò andar liberamente al viaggio loro, non credendo aver la facoltà
di arrestarle.

In Francia parve una gran cosa, memorando le passate rotte, questo
fatto, e non v'è dubbio, che tanto gli uffiziali, quanto i marinari
della Belle-Poule abbian dimostrato non solo molto valore, ma ancora una
non ordinaria perizia delle cose navali. Quindi è, che se ne fecero
molte esultazioni, ed a ragione, e per dar animo alla nazione in quei
principj. Il Re poi procedette assai liberamente verso coloro, che
combattuto avevano. Nominò De-la-Clocheterie capitano di nave, Bouvet
luogotenente di fregata, e concedette a Roche-Kerandraon la croce di San
Luigi. Fece pensioni alla sorella di S.t-Marsault, alle vedove ed ai
figliuoli di coloro, ch'erano stati morti nella battaglia. Da un altro
canto Marshall e Fairfax, capitano del giunco, non ottennero provvisioni
di danaro, ma sì veramente molte lodi dall'ammiraglio e dai
concittadini.

Ma il Re di Francia, usando il motivo della battaglia data alla
Belle-Poule, e della presura delle altre fregate, credendo, che queste
cose gli dessero onesta occasione di mandar fuora quello che aveva
conceputo nell'animo, ordinò le rappresaglie contro i vascelli della
Gran-Brettagna, ed immediatamente fece pubblicare il suo decreto intorno
le prede; come se l'aver mandato il conte D'Estaing in America con
quegli ordini, che aveva, non dovesse riputarsi un cominciamento di
guerra. Gl'Inglesi fecero il medesimo, autorizzando colle parole quello
che già, in quanto alle navi guerresche, coi fatti operato avevano. Così
si esercitava ad ogni modo fra le due parti la guerra, quantunque non
fosse ancora, giusta le consuete formalità, bandita.

Intanto l'ammiraglio Keppel raccolse fiere novelle dalle scritture
trovate, e dagli uomini delle prese fregate; esservi nel porto di Brest
trentadue navi di alto bordo con dieci o dodici fregate, l'une e l'altre
pronte a far vela, quando che non aveva egli altro, che venti delle
prime, e tre delle seconde. Si trovava allora a veggente del capo
Ognissanti, e per conseguente vicino alle coste di Francia. Per la qual
cosa era a molto stretti termini condotto. Lo starsene era troppo
pericoloso in tanta prossimità e superiorità delle forze nemiche; ed il
mettersi a rischio di una battaglia, nella quale vi sarebbe andato la
salute del regno, era partito piuttosto temerario, che animoso. Da
un'altra parte il voltar le poppe alle coste di un insultato nemico gli
pareva cosa troppa indegna della propria fama e del nome inglese. Ma
infine badando più all'utile che all'apparente, e meglio consigliandosi
col debito suo che col puntiglio, volse le prue all'Inghilterra, ed
entrò nel porto di Portsmouth il giorno venzette del mese di giugno.
Quivi gli uni per le solite parzialità delle Sette, e per iscusar i
ministri, gli altri per soddisfare al nazionale orgoglio, aspramente lo
laceravano, come se colla ritirata avesse macchiato lo splendore del
nome inglese. Ed in questo alcuni si lasciarono tanto trasportare, che
all'ammiraglio Byng lo paragonavano. Sopportava Keppel con mirabile
costanza queste dicerìe dell'inquieto volgo, e degli impronti
setteggianti, ed ogni ingegno poneva, secondato anche in ciò
efficacemente dall'uffizio dell'ammiragliato, ad ingrossar l'armata, ed
abilitarla a correr di nuovo i mari. Nel che facevasi grandissimo
frutto. Ed essendo a quei dì arrivate nei porti le prime squadre delle
conserve dell'Indie occidentali e del Levante, si potè di maniera
rinforzare di ottimi marinari l'armata, che fu essa in attitudine a
scior l'ancore, e mettersi in mare, come fece il giorno nove di luglio.
Consisteva in ventiquattro navi di alto bordo, alle quali si congiunsero
poi altre sei di uguale portata. Si noveravan fra queste una di cento
cannoni nominata la Vittoria, che portava l'ammiraglio Keppel, sei da
novanta, una da ottanta, quindici da settantaquattro, e le rimanenti da
sessantaquattro, tutte governate da abilissimi uffiziali e marinari.
Mancavasi di fregate, non avendosene, che cinque o sei con due brulotti.
La flotta era divisa in tre squadre la vanguardia condotta da Roberto
Hartland, vice ammiraglio della Rossa; la battaglia dall'ammiraglio
Keppel aiutato dal sotto ammiraglio Campbel, uomo pratichissimo nelle
cose navali; e che per causa d'antica amicizia e compagnia con quello,
aveva voluto accompagnarlo, e faceva l'uffizio di primo capitano sulla
nave la Vittoria. Il dietroguardo poi era guidato da Ugo Palliser, vice
ammiraglio della Blo, ed uno dei membri dell'uffizio dell'ammiragliato.
Vedutisi forti, e credendosi sicuri della vittoria, vennero sopra le
coste di Francia, e con ogni diligenza cercavano l'armata francese,
ardentissimi nel desiderio di combatterla per preservare il commercio,
per levarsi dal viso la macchia dall'aver pochi dì prima volte le spalle
alle coste francesi, per mantener l'antico nome, per far inclinare già
fin da quei primi principj la fortuna della guerra in lor favore.

Era intanto il giorno otto di luglio uscita dal porto di Brest l'armata
di Francia divisa anch'essa in tre squadre, la vanguardia guidata da
conte Duchaffault, la battaglia dal conte D'Orvilliers capitano
generale, e la dietroguardia dal duca di Chartres, principe del sangue,
il quale aveva per guida e moderatore l'ammiraglio De La-Motte-Piquet.
Vi si noveravano trentadue navi di tre palchi ciascuna, tra le quali il
vascello ammiraglio nominato la Brettagna di cento dieci cannoni, una di
novanta chiamata la Città di Parigi, la quale portava il conte di
Guichen, due di ottanta, dodici di settantaquattro, una di settanta,
dodici di sessantaquattro, e le altre di sessanta con una di cinquanta.
Seguitavano una moltitudine di fregate. Era l'intenzione del conte
D'Orvilliers di non venire a battaglia affrontata col nemico, se non
molto avvantaggiato; non che non gli bastasse la vista, ch'era egli in
vero d'animo alto, e delle cose marinaresche intendentissimo; ma perchè
voleva, si esercitassero prima ottimamente le ciurme, e perchè sperava,
senza mettersi all'incerto rischio della battaglia, prevalendo di navi
spedite, potere far un gran danno all'Inghilterra con intraprendere le
conserve che a quei dì si aspettavano dall'occidente e dall'oriente.
Veleggiava in tanto verso il capo d'Ognissanti, credendosi o che
l'armata inglese, siccome già debole, riputandola a venti navi di linea,
e non di vantaggio, non si sarebbe osa uscir dai porti, o se uscita
fosse, l'avrebbe o cacciata, o sconfitta, ed acquistato ad ogni modo il
dominio del mare. Si dimostrò la fortuna favorevole a questi primi
conati. Imperciocchè sboccati appena da Brest s'incontrarono nella
fregata inglese la Lively mandata avanti a specolare dall'ammiraglio
Keppel, ed, accerchiatala, la pigliarono. Stava tutto il mondo attento e
sospeso nell'aspettazione delle future cose, mentre le due più potenti
nazioni dell'Europa si difilavano in sui mari l'una contro l'altra,
desiderosa l'Inglese di mantener l'antica fama della navale superiorità,
bramando per lo contrario ardentissimamente la Francese di côrre
un'opportuna occasione di cancellar con una nuova vittoria la memoria
dell'antica debolezza, e delle passate sconfitte. A questo fine, nè
indarno, aveva il governo francese tutti i suoi consiglj indiritti già
da parecchj anni addietro. Eran le navi pronte e fornitissime, i
marinari pratichi, i capitani molto eccellenti. Restava, favorisse la
fortuna i generosi disegni.

Arrivarono le due armate in cospetto l'una dell'altra la sera dei 23
luglio, essendo distanti a trenta leghe dal capo d'Ognissanti, e
spirando il vento da ponente. Il conte D'Orvilliers, credendo l'inimico
più debole di quello ch'era veramente, desiderava e cercava la
battaglia. Ma fattosi vicino all'armata inglese, e scoperto ch'essa era
a un dipresso altrettanto forte, quanto la sua, la schivava con
altrettanta industria, con quanta dapprima la ricercava. E godendo egli
il sopravvento, era impossibile che gl'Inglesi lo venissero malgrado suo
ad affrontare. La notte due navi francesi s'erano lasciate trasportare
sottovento dell'armata inglese. La qual cosa vedutasi la mattina da
Keppel, ordinò ad alcune delle sue, si avventassero contro, e le
pigliassero, od almeno le mozzassero fuori dalla restante armata.
Sperava in tal modo, che o l'ammiraglio francese si sarebbe per
soccorrerle posto al rischio della giornata, ovvero almeno, che si
sarebbero potute pigliare, o tagliar fuori di modo, che non potessero
raccozzarsi. Preferiva D'Orvilliers il non fare alcun motivo per andare
in aiuto loro, in guisa che, sebbene non venissero le due navi in poter
degl'Inglesi, furon esse però sì lungo spazio allontanate, che non
ebbero più nissuna parte negli avvenimenti che seguirono. Continuarono
le due armate a veggente l'una dell'altra pei quattro seguenti giorni,
studiandosi con molta industria l'Inglese o di alzarsi al vento, o di
talmente accostarsi al Francese, che di necessità si dovesse appiccar la
battaglia. Ma per arrivare a questo fine egli era impossibile serbar
l'ordinanza intiera, e perciò aveva Keppel comandato si desse la caccia
alla spezzata verso sopravvento; con ciò però, che si tenessero le navi
ristrette, quanto meglio si potesse. La qual mossa era anche necessaria
per non perder di vista l'inimico. Questo partito, il quale non era
senza pericolo, perciocchè poteva facilmente accadere, che si offerisse
ai Francesi qualche buona occasione di opprimere subitamente con forze
superiori qualcuna delle navi inglesi, fu causa, che la mattina dei
venzette, giorno in cui seguì la battaglia, l'armata francese fosse con
miglior ordine attelata, che non l'inglese, la quale pareva disordinata.
La mattina medesima continuando tuttavia il vento da ponente, ed avendo
i Francesi il sopravvento, erano le due armate separate l'una dall'altra
lo spazio di tre leghe, di tal maniera però, che la dietroguardia
inglese si trovasse un po' più indietro sottovento, che la battaglia e
la vanguardia. Laonde ordinava Keppel a Palliser, si facesse avanti, e
cacciasse verso sopravvento, acciò venisse ad affilarsi coll'altre due
squadre dell'armata. Eseguì Palliser gli ordini dell'ammiraglio. Questa
mossa fe' credere al D'Orvilliers (e forse non senza ragione, perciocchè
Palliser colle sue navi sempre più andava rimontando al vento) che
l'intenzione del nemico fosse di assaltare il retroguardo francese, e di
girargli dietro per andar a guadagnare il sopravvento. Per prevenir il
qual disegno, fatte girar di bordo le navi, iva a porsi, rivoltando
l'ordine dell'armata colle navi del centro e della vanguardia dietro
quelle della retroguardia. Intanto, e per questa stessa mossa, e per
alcune variazioni di vento, delle quali molto acconciamente si giovarono
gl'Inglesi, vennero tanto vicine le due armate, che s'incominciò la
battaglia, spirando il ponente, e correndo i Francesi da tramontana a
ostro, gl'Inglesi da ostro a tramontana. Questo modo di combattere,
stando le armate non ferme, ma in mozione, il quale era anche l'effetto
della mossa testè fatta dalla francese, molto piaceva al D'Orvilliers,
siccome quegli, il quale non avendo potuto schivar la battaglia, ne
otteneva almeno, che ella non potesse esser terminativa; poichè ne
seguiva necessariamente dal modo sopraddetto, che le due armate si
disordinassero durante la battaglia, e quegli, che avrebbe minor danno
ricevuto, non potesse immediatamente valersi della fatta impressione sia
in una particolar nave del nemico, sia in tutta la sua armata. Adunque,
camminando in tal guisa le due flotte nemiche in contrario verso, e
molto vicine l'una all'altra, cominciarono ad attaccarsi le prime navi
della vanguardia inglese colle prime della dietroguardia francese, la
quale, siccome abbiam detto, era succeduta nel luogo della vanguardia, e
così continuò la battaglia, finchè tutta la fila inglese fosse passata a
petto a petto di tutta la fila francese, di modo che la retroguardia
inglese guidata da Palliser, e la vanguardia francese divenuta
dietroguardia, e condotta dal Duchaffault, furon le ultime a
spiccarsene. Fu in quest'affronto grave il danno da ambe le parti; ma
siccome seguendo il costume loro i Francesi avevan tratto al sartiame, e
gl'Inglesi, come soglion fare, ai gusci delle navi, così le navi
francesi ricevettero in questi maggior danno, che le inglesi, e per lo
contrario le vele, le corde, gli alberi, e le antenne in queste molto
maggiormente danneggiate furono, che in quelle. I Francesi dopo il fatto
non tardarono a riordinarsi, trovandosi le navi loro per la ragione
sopraddetta più atte al veleggiare. Medesimamente la vanguardia e la
battaglia inglesi non indugiarono molto, quantunque la nave
dell'ammiraglio avesse ricevuto molto danno, ad ordinarsi, e presentare
di nuovo il viso al nemico. Ma le navi del Palliser con alcune altre non
solo non avevano ancora orzato, e non s'erano rivolte di bordo, ma
essendo molto danneggiate obbedivano al vento, ed andavano abbassandosi
sottovento. In questo stato di cose D'Orvilliers o sia che si
proponesse, come scrivono gl'Inglesi, di tramezzare e tagliar fuori
dalla restante armata loro queste navi, ovvero che, come affermano i
Francesi, intendesse, di recarsi a sottovento, perchè, aspettando una
seconda battaglia, volesse tôrre agl'Inglesi, ed acquistar per sè il
vantaggio di poter scaricar con frutto anche le artiglierie del ponte di
sotto, andava distendendosi in punta per entrar di mezzo tra le navi di
Keppel e quelle di Palliser. Accortosi l'ammiraglio inglese del disegno
dei Francesi si fece avanti colle sue navi, ordinando nel medesimo tempo
all'Hartland, lo seguitasse colle sue per mettersi di traverso tra la
vanguardia francese, che incominciava a spuntare, e le navi di Palliser.
O sia, che questa mossa di Keppel abbia veramente rotto il disegno ai
Francesi di tagliar fuori queste ultime navi, come infatti ottenne,
ovvero, che non avessero questi in animo altro che di recarsi al
sottovento, certo è, che per queste volte ne rimasero gl'Inglesi al
sopravvento, ed i Francesi al sottovento. Stava perciò in balìa dei
primi il rinnovar la battaglia, se però tutte le navi loro fossero state
a questo bisogno sufficienti. Ciò avrebbe voluto Keppel eseguire. Ma le
navi di Palliser, ora che l'ammiraglio, e l'Hartland s'eran frapposti
tra lui ed i Francesi, ed a questi avvicinatisi, si trovavano in
sopravvento dell'altre, e per conseguente più lontane dall'armata
francese, e poco in atto di poter aiutar le compagne nel caso della
rinfrescata battaglia. Per la qual cosa Keppel, prima di volerla
ricominciare, pose fuori il segnale, che tutte le navi, le quali stavano
a sopravvento, venissero ad arringarsi ai luoghi loro nella generale
ordinanza. Qui nacque un equivoco, che fu causa, che gli ordini di
Keppel non furono eseguiti. Non avendo la nave propria di Palliser
ripetuto il segnale, i capitani delle altre credettero, che quello fatto
da Keppel volesse significare, andassero a raggiungere la nave del
Palliser, e non quella dell'ammiraglio, e così fecero. In questo mezzo
continuavano i Francesi ad appresentarsi ordinati alla battaglia a
sottovento. Ripetè Keppel il medesimo segnale; ma non con miglior
frutto. Mandò poscia alle cinque della sera (Palliser scrive alle sette)
il Capitano della fregata il Fox acciò a viva voce comandasse a Palliser
quello, che già gli aveva ordinato col segnale. Tutto fu nulla. Nè il
Formidabile ch'era la nave propria del Palliser, nè le altre non si
muovevano. La qual cosa vedutasi da Keppel, ed essendo già l'ora
trascorsa fino alle sette, pose il segnale a ciascuna delle navi di
Palliser particolarmente, eccettuato però al Formidabile, forse per un
certo riguardo al grado ed all'uffizio, che teneva il vice ammiraglio,
venissero a' luoghi loro. La qual cosa si mettevano in punto di
eseguire. Ma intanto era sopraggiunta la notte, che pose fine ad ogni
speranza di combattimento. Queste sono le cagioni, che impedirono
l'ammiraglio Keppel dal rinnovar la battaglia, ossiachè la disobbedienza
del Palliser procedesse dalla impossibilità di muoversi pei gravi danni
provati nell'affronto, come par probabile, e come giudicò la Corte nel
solenne processo che ne seguì, ovvero da alcune sue parzialità, essendo
esso ministeriale, contro il Keppel. Comunque ciò sia, questo diè luogo
ai Francesi di dire, che da mezzodì fino a sera appresentarono la
battaglia a Keppel, ma che questi non la volle accettare. La qual cosa
fu vera nel fatto. Ma in rispetto alle intenzioni dell'ammiraglio
inglese, volle egli bene, ma non potè per le raccontate ragioni
attaccarsi di nuovo col nemico. La notte, o sia che i Francesi contenti
al modo, col quale avevano combattuto la battaglia, e del fine di
questa, che si poteva, come una vittoria, appresentare ai popoli il che
su quei primi principj era una gran cosa, più non volessero tentar
l'indomani la fortuna di un'altra giornata, oppure, che talmente fosse
danneggiata la flotta loro, che non potessero, valendosi
dell'opportunità del vento, che spirava propizio, voltaron le prue verso
le coste loro, ed entrarono il giorno seguente a piene vele nel porto di
Brest. Lasciaron però al luogo della battaglia per ingannare il nemico
col fargli credere, che vi stessero, tutta la notte fermi tre vascelli
corridori coi soliti fuochi accesi. La mattina in sul far del dì già ai
era dilungata l'armata francese dinanzi all'inglese, che appena si
poteva dai calcesi travedere. Solo continuavano a starsene poco lontani
a sottovento i tre vascelli. Ordinò Keppel alle navi il Principe
Giorgio, il Robusto, ed un'altra, desser loro la caccia. Ma non si fe'
frutto alcuno, essendo molto franchi veleggiatori; ed avendo le navi
inglesi gli arredi sconciamente rotti e sconquassati. L'ammiraglio
Keppel si addrizzò a Plymouth, dove intendeva di rassettare le navi,
lasciatene però in crociata alcune delle più intiere, acciò il commercio
britannico proteggessero, e principalmente le flotte che si aspettavano.

Morirono nella narrata battaglia degl'Inglesi da cento quaranta con
circa quattrocento feriti. La perdita dei Francesi non è certa. Ma è
assai probabile, abbia avanzato quella degl'Inglesi. La qual cosa si
ritrae da alcune autorità private, dalla moltitudine dei marinari e
soldati di mare, coi quali sogliono essi riempir le navi loro, e dal
modo del trarre degl'Inglesi, i quali hanno in costume di por la mira,
rasentando coi tiri l'acqua del mare, al corpo delle navi nemiche.

Il mese che seguì, uscirono di nuovo le due nemiche armate all'alto
mare. Ma o che si cercassero vicendevolmente, come pubblicarono, o che
si schivassero l'una l'altra, come alcuni lasciarono scritto
dell'inglese, molti della francese, certo è, che più non s'incontrarono.
Certo è ancora, che si purgò il mare, e si aprirono i vantaggi alle
flotte mercantili d'Inghilterra, mentre dall'altra parte molti ricchi
bastimenti francesi con grave danno e querela delle città di Bordeaux,
di Nantes, di Saint-Malò, e di Avra di Grazia vennero in poter del
nemico.

Tale fu l'esito della battaglia di Ognissanti, la quale incominciò la
guerra europea, e nella quale ebbero gli Inglesi ad osservare, non senza
maraviglia loro, che i Francesi non solo combatterono col solito
coraggio, ma che di più, e molto acconciamente, seppero dell'opportunità
dei venti valersi, e con mirabile destrezza e disinvoltura le navi loro
maneggiarono, e per ogni verso andaron facendo molto maneschi le volte.
Il che diè a temere ai primi, avessero a riuscir più duri gl'incontri di
questa guerra, che non quei della passata. In Francia se ne fecero molti
rallegramenti per dar animo, e migliori speranze ai popoli; in
Inghilterra se ne favellò molto sinistramente. Alcuni si dolsero del
Keppel, altri del Palliser secondo i diversi umori delle Sette; tutti
della fortuna. Dopo varie vicende ne nacquero due solenni processi l'uno
contro l'ammiraglio, l'altro contro il vice ammiraglio. Furono assoluti
ambidue, il primo con universale esultazione dei popoli; il secondo con
quella dei ministeriali.


FINE DEL LIBRO NONO



LIBRO DECIMO


[1778]

L'infelice successo della guerra canadese, e l'inutilità dei prosperi
eventi della pensilvanica avevano convinto la pertinacia dei ministri
britannici, che colla forza dell'armi impossibile fosse il ridurre gli
Americani a soggezione. Della qual cosa ora tanto più fermamente si
persuadevano, che la Francia, tanto possente per terra e per mare, aveva
le sue alle armi del congresso congiunte. Nissuno non vedeva, che avendo
potuto gli Americani durare contro la guerra fatta loro coll'estremo
sforzo suo dall'Inghilterra lo scorso anno, molto più facilmente
avrebbero potuto resistere per l'avvenire, confermato lo Stato loro dal
tempo, assicurate le speranze dalla prospera fortuna, aiutate le armi da
un principe potente. Invano si sarebbe sperato di potere in America
mandare nei futuri anni altrettanti soldati, quanti se n'erano mandati
nei passati. Perciocchè oltre che de' lanzi pochi o nessuno se ne
potevano più oltre ottenere, e che la bisogna del reclutare procedeva
tuttavia lentamente in Inghilterra, si aveva ed il timore di
un'invasione francese nel cuore stesso del regno, e bisognava di
necessità fornire le Antille di grossi presidj per preservarle dagli
assalti dei Francesi, i quali si sapeva, che stavano assai forti nelle
loro. Non era nascoso nei Consiglj britannici, che la principal mira,
che in questa nuova guerra, dopo la separazione dell'America dalla
Gran-Brettagna, ponevano i Francesi, era l'acquisto delle ricche isole
inglesi; nè ignoravasi, che già avevano prevenute le mosse, e mandato a
questo fine molte genti nelle proprie possessioni. Stavano perciò le
Antille inglesi quasi senza difesa esposte agli assalti nemici;
qualunque fosse di ciò la cagione, ossiachè i ministri avessero creduto,
che la guerra colla Francia non si dovesse rompere sì tosto, ossiachè
quelle sì vive speranze, che avevano di vincere ad ogni modo la guerra
del passato anno gli avessero indotti a pensare, o che la Francia non si
scoprirebbe, o che quando pure si scoprisse, la vittoria avuta sulla
terra-ferma americana avrebbe pôrta la opportunità di potere inviar per
tempo i richiesti aiuti nelle vicine isole. Si temeva eziandio del
Canadà, non solo dal canto degli Americani, ma ancora, e molto più, da
quello dei Francesi, essendo i Canadesi più francesi che inglesi, e
tuttavia ricordevoli dell'antica congiunzione. Perciò vi si volevano
lasciare presidj gagliardi e fermi. Ne seguiva da tutte queste cose, che
non si potessero rifornire gli eserciti, che militavano contro gli Stati
Uniti, e bisognava per lo contrario menomargli per mandarne una parte a
tutti gli anzidetti servigj. Ma dall'altro lato non si sgomentavano i
ministri, sperando di potere colle offerte d'accordo, e col cambiare il
modo della guerra, e fors'anche per le vittorie da aversi contro la
Francia, ottenere ciò che colle sole armi fin allora non si era potuto
ottenere. Si persuadevano, che gli Americani stanchi dalla lunga guerra,
e tanto scarsi di pecunia e di credito pubblico, sarebbero facilmente
calati agli accordi; o che almeno, se non il congresso, o tutti, certo
una considerabile parte avrebbero accettate le proposte; e speravano,
che le parzialità e le dissensioni avrebbero od alla totale
ricongiunzione, od al totale soggiogamento aperta la via. A questo fine
si era apposta nella provvisione d'accordo fatta dal Parlamento la
clausola, che i commissarj avessero facoltà di negoziare non solo con
qualunque maestrato, ma ancora con qualunque ordine di persone, e con
qualsivoglia privato cittadino che si fosse. Avendo poi trovato sì dura
resistenza negli abitatori delle settentrionali province, si eran fatti
a credere, stando essi molto alle baie e novelle dei fuorusciti, che
troverebbero la materia più tenera nelle meridionali; e perciò si
determinarono a volger le armi contro di queste, le quali siccome più
abbondanti d'uomini fedeli alla Corona, si sarebbero, come riputavano,
più facilmente, e dalla guerra lasciate sbigottire, e dalle offerte
degli accordi lusingare. Oltrechè abbondavano esse di grassi pascoli e
di feraci terre molto opportune al vivere degli eserciti, e molto più da
increscerne agli abitatori, quando andassero guaste dalla guerra. Ma a
qualunque fine avessero a riuscire queste speranze, volevano i ministri
continuar nella guerra, quando tornassero vani i tentativi d'accordo,
per non aver la sembianza di credere alle minacce della Francia; e
qualunque avesse ad esser l'esito, che riserbassero i fati alla guerra
americana, e' bisognava pure, credevano, se però debbon gli Stati aver
cura dell'onore e della propria dignità, sperimentar ancora per un tempo
la fortuna dell'armi; e se si aveva in ultimo a riconoscere la
independenza dell'America, il che diventato era l'oggetto proprio venuto
in contesa, di ciò pensavano, essersi sempre in tempo, e doversi meglio,
cedendo all'avversa fortuna, concedere dopo le infelici battaglie
onorevolmente, che vilmente acchinandosi alle minacce di un superbo
nemico darlo via indifesi ed inonorati. Questi erano i motivi che
operavano nei ministri della Gran-Brettagna nel presente periodo della
guerra, ai quali accomodaron poscia tutte le risoluzioni loro. Ma
siccome si avvedevano benissimo, che quando l'Inghilterra non avesse
fatto altre dimostrazioni, non avrebbe mancato il congresso di
ratificare al trattato fatto colla Francia, e che dopo ciò molto più
difficile diventerebbe, che ed il congresso medesimo ed i popoli dalla
presa risoluzione si volessero discostare, così si consigliarono
d'inviar tosto e diffondere in America, anche prima che già fossero
approvate dal Parlamento, le provvisioni d'accordo, sperando in tal
modo, che vedutosi dagli Americani, che l'Inghilterra rinunziava a ciò,
ch'era stato la prima e la principal cagione della contesa, vale a dire
alla tassazione, avrebbero facilmente preso forma tutte le altre
difficoltà, e si sarebbe potuto la ratificazione impedire. Il che
ottenutosi, i commissarj, i quali sarebber venuti dietro, avrebbero dato
perfezione alla concordia. Arrivarono adunque le copie delle provvisioni
alla Nuova-Jork verso la metà del mese di aprile, ed il governator
Tryon, persona, come abbiamo veduto, attiva e sagace molto, fattele
prima pubblicare nella città, fece opera, che trapelassero in mezzo agli
Americani, molto magnificando il buon animo del governo verso l'America.
Scrisse nel medesimo tempo al generale Washington, ed al Trumbull,
governatore della Cesarea, richiedendogli, cosa nuova e strana, le
recassero a notizia, il primo de' suoi soldati, il secondo dei popoli
cesariani. Washington avanzò le provvisioni al congresso, perchè
provvedesse. Trumbull rispose al Tryon molto gravemente; si maravigliava
bene di questo insolito modo di procedere in un negoziato da introdursi
tra due nazioni; stantechè in somiglianti casi le domande e le proposte
sian solite ad indirigersi non all'universale dei popoli, ma sibbene ai
governi loro; che ciò nonostante forse una volta una tale proposta da
parte dell'antica patria avrebbe potuto riceversi con allegro e grato
animo; ma che quei dì erano trascorsi via irrevocabilmente. Rammentò le
petizioni non udite, le ostilità incominciate, la barbarie della guerra
esercitata dagl'Inglesi, l'insolenza loro nella prospera fortuna, le
crudeltà usate contro i cattivi, posto avere un insuperabile ostacolo
alla riconciliazione. La pace solo potersi ottenere coll'independenza.
Sperimenterebbergli gl'Inglesi affezionati e profittevoli amici, quanto
stati erano risoluti e fatali nemici. Se la pace volevano, non
procedessero con insidie, ma apertamente la dimandassero a coloro, che
concedere la potevano.

Intanto il congresso, ricevute le novelle, deliberava quello che fosse a
fare. Fe' decreto finalmente, già quasi sicuro degli aiuti francesi, ed
irritato a questi nuovi tranelli inglesi, che qualunque privato, o
qualsivoglia ordine di persone, i quali presumessero di fare qualunque
separata, o parziale convenzione, od accordo coi commissarj della Corona
della Gran-Brettagna, riputati fossero, e trattati come nemici agli
Stati Uniti; che non potevano decentemente essi Stati entrar in nessuna
pratica, o trattato con niun commissario dalla parte della
Gran-Brettagna, salvochè non incominciassero questi, come preliminare, a
ritirar le armate ed eserciti loro; e così ancora l'independenza degli
Stati Uniti espressamente, e positivamente riconoscessero. E siccome,
risolvettero in ultimo, il disegno del nemico si era, che da questo
suono soave della pace quasi addormentati i cittadini d'America manco
sollecitamente attendessero alle provvisioni della guerra, così si
richiedesse dai diversi Stati, usassero ogni opera, ed ogni sforzo
facessero per far genti; tenesserle pronte al campeggiare; le bande
paesane allestissero. Volendo poi il congresso dimostrare, in quanto
poco conto tenesse, e le raccontate provvisioni del Parlamento, ed i
maneggi del Tryon per farle andar attorno, le fece con generoso
consiglio nei diarj pubblici stampare in un colle risoluzioni prese. Per
altro temendo, che molti di coloro, i quali fin allora avevano seguitato
le parti inglesi, disperati di trovar perdono nella patria loro, non
solo nell'ostinazione continuassero, ma ancora usando la occasione dei
perdoni offerti dal governo britannico non traessero col credito e colle
aderenze che avevano, al canto loro anche i fedeli all'America, risolvè,
che si raccomandasse ai diversi Stati, acciocchè graziassero da ogni
colpa e pena, salve però quelle restrizioni, che credessero necessarie,
tutti coloro, i quali avevano portate le armi contro gli Stati Uniti, od
in qualunque maniera pôrti avessero aiuti al nemico, ordinando, che a
ciascuno fossero perdonati gli errori, ch'egli avesse fatti in fin
allora; e che tutte le ingiurie, oltraggi e offese che fossero seguite
tra i cittadini si rimettessero l'uno all'altro.

Ma i soldati inglesi, i quali in America si ritrovavano, ignari di
quelle mene politiche, colle quali si reggono gli Stati, e fieramente
crucciati alla ostinata resistenza degli Americani, non si può dire, a
quanto sdegno si commuovessero a queste inaspettate risoluzioni dei
ministri. Volevan essi l'assoluta conquista e la totale soggiogazione.
Non potevano nell'animo loro comportare queste vituperose calate, e che
ora con tanta vergogna si ritrattasse, e concedesse ciò, che detto e
negato si era primieramente con tanta asseverazione. Aspettavano; e così
si era promesso loro, un rinforzo di ventimila compagni, e ricevevano
invece i diplomi delle concessioni. Quindi è, che vi furon nel campo
delle male parole e dei brutti fatti, avendo alcuni perfino stracciate a
furore le insegne che portavano; ed altri, principalmente Scozzesi,
lacerate le provvisioni. E se sì fattamente alterati si mostrarono i
soldati inglesi alla ricantazione, nissuno non dubiti, che i fuorusciti
americani nol fossero molto più. Vedevan eglino ora tutto ad un tratto
svanire quelle speranze, che così verdi concette avevano, di potersene
come vincitori alle case loro ritornare; e forse alcuni dispettarono per
non poter più, come si avevan proposto, esercitar le vendette loro. Con
sì poco frutto si travagliava in America dagli agenti inglesi per
riconciliarvi gli animi verso l'antica patria, e con tanta efficacia si
affaticava il congresso di contrastargli!

Il giorno due di maggio era quello, in cui doveva essere alzata al colmo
l'allegrezza degli Americani, e porsi il sigillo della disgiunzione del
vasto e possente Impero britannico. Arrivò in quel dì a Cascobay la
fregata francese la Sensibile, capitanata dal signor Marignì, stata a
bella posta a quest'uopo allestita, e veleggiatrice molto alla leggiera,
la quale partita da Brest gli otto marzo vi aveva levato Simone Deane,
fratello di Silas, portatore al congresso dei trattati conclusi colla
Francia. Oltre di questo recava felici novelle di tutto il continente
europeo, e del consenso ora più, che mai stato fosse, universale dei
popoli, e dei principi in favore dell'America. Incontanente si convocò
il congresso, e, conosciuta la cosa, se contenti e lieti ne fossero,
ciascuno sel pensi. Esaminati i trattati, gli ratificarono. Poscia non
potendo capir in sè stessi, e trascorrendo oltre i termini della
prudenza, siccome soglion fare gli Stati nuovi, i quali per eccessivo
desiderio, e per posare colle speranze gli animi degli uomini, dicono
spesso, e fanno di quelle cose che non dovrebbero, in ciò diversi dagli
Stati vecchi, i quali cauti sempre ed avviluppati non la svertano
nemmeno, quando bisognerebbe, spalancarono di tratto ai popoli il tutto
non senza disgusto di varj potentati, e massimamente della Spagna, che
non avrebbe voluto prima del prefisso tempo scoprirsi. Parlarono nel
bando, che mandaron fuori a questo fine, non solo del trattato di
commercio concluso colla Francia, ma ancora di quello di alleanza;
annunziarono senza rispetto alcuno, che l'Imperadore di Germania, i Re
di Prussia e di Spagna si eran determinati a sostenergli; che il Re di
Prussia principalmente non avrebbe permesso, che i lanzi levati
nell'Assia, e nell'Hanau per esser condotti ai soldi dell'Inghilterra
avessero il passo per le terre di sua dependenza, e che sarebbe stato il
secondo potentato d'Europa, che riconoscerebbe l'independenza
dell'America; che cinquantamila Francesi marciavano sulle coste della
Normandia e della Brettagna, e che il navilio della Francia e della
Spagna (come se già fossero sicuri dell'intervento di questa) sommava a
ben dugento vascelli, pronti a commettere ai venti le vele soccorrevoli
all'America. Composero poi e pubblicarono colle stampe una solenne
dicerìa molto diligentemente elaborata, sebbene un poco nuova per lo
stile avventato e gonfio, e per le cose religiose che dentro vi
tramescolarono; ed ordinarono, che tutti i ministri del Vangelo di
qualsivoglia setta si fossero, la leggessero nelle chiese ai popoli
convenuti per assistere ai divini uffizj. Andarono ricapitolando, e con
vivissimi colori dipingendo le vicende dello Stato dai passati anni sin
là; la virtù, la fortezza, la pazienza americane; le insidie,
l'ingiustizia, la crudeltà, la tirannide inglesi; l'assistenza da Dio
visibilmente prestata alla giusta causa loro, e l'antica debolezza, che
aveva fatto luogo alla presente sicurtà. Da questa ultima, continuavano,
ne nacque, che un altiero e disdegnoso Principe, ed un Parlamento, che
gli disprezzavano e proscrivevano, ora calavansi ad offerire condizioni
d'accordo. Ma stessero avveduti contro gli agguati di coloro, che non
gli avevan potuti vincere; l'intento loro non poter esser dubbio. Perchè
andar essi tuttavia razzolando in ogni canto della Gran-Brettagna per
far soldati? Perchè andar vezzeggiando, come fanno, ogni tirannello
d'Europa per comprarne a danni dell'America gl'infelici schiavi? Perchè
aizzar di continuo contro l'innocente America i barbari Indiani?
Destassersi, attendessero, riconoscessero l'inganno. Non istessero solo
alle speranze delle leghe esterne. Assicurar esse la independenza, non
difender la contrada dalla desolazione, non le abitazioni dal sacco, non
le donne dagl'insulti e dalle violazioni, non i figliuoli dalla
beccheria. Arrovellati dalla non riuscita, esser gl'Inglesi per
esercitar la rabbia della non soddisfatta ambizione. Si alzassero
perciò, corressero al campo, si accingessero alle battaglie; tempo
essere di far tornar in capo al distruggitore la vendetta. Aver esso
colmato il sacco delle sue abbominazioni. Ora volere i macchinati eccidj
trarre ad effetto. Molto essersi fatto; molto rimanere a farsi. Non
aspettassero la pace, finchè un angolo solo dell'America fosse occupato
dai nemici. Cacciassergli via da quella terra promessa, da quella terra
ove fluivano il latte ed il mele; implorar tuttavia i fratelli loro
dall'estreme parti del continente l'amicizia loro e la protezione.
Debito loro esser l'aiutargli. Aver quelli fame e sete di libertà.
Fessergli partecipi del celeste dono; averne essi dai favorevoli fati la
facoltà.

Pubblicarono eziandio quei capitoli del trattato di commercio e
d'amicizia, i quali alle cose commerciali si appartenevano, acciò gli
abitatori degli Stati Uniti avessero ad uniformarvisi, esortandogli
molto infine a tener i Francesi in luogo di fratelli, siccome quelli,
ch'eran sudditi ad un gran principe, il quale avendo negoziato cogli
Stati Uniti in sui termini della perfetta uguaglianza e dei vicendevoli
interessi, si era dimostrato il protettore dei diritti del genere umano.

Ma le allegrezze furono grandi in tutte le parti degli Stati Uniti; ed
il nome di Luigi decimosesto era in bocca di tutti. Ognuno lo chiamava
il protettore della libertà, il difenditore dell'America, il salvatore
della patria. All'esercito poi, il quale tuttavia era accampato a
Valle-fucina, le felici novelle furono annunziale con molta solennità,
stando i soldati in armi ed in ordinanza.

Erano intanto sul principio di giugno arrivati nelle acque della
Delawara i tre commissarj per la pace, Carlisle, Eden e Iohnstone, i
quali il giorno nove si ripararono a Filadelfia. Clinton scrisse a
Washington la cosa, pregandolo, mandasse un passaporto al dottor
Fergusson, segretario dei commissarj, acciò sicuramente potesse recare
al congresso le lettere di quelli. Ricusò Washington il passaporto, ed
il suo rifiuto fu poscia grandemente approvato dal congresso. In tale
occorrenza spedirono i commissarj le lettere per gli ordinarj procacci.
Le ricevette il congresso nella sua tornata dei tredici con una lettera
di Washington. Furono lette sino a certe parole della lettera indiritta
ad Enrico Laurens, presidente del congresso. Ma, udite quelle, si levò
dentro un romore incredibile, vociferando molti, non doversi procedere
più oltre, stantechè erano ingiuriose al Re di Francia. Le parole eran
quest'esse: _Noi non possiamo far di meno di notare la insidiosa
interposizione di un potentato, il quale stato è fin dal bel principio
dello stabilimento di queste colonie mosso da nimichevoli mire alle due
parti; e nonostanti le date patenti, e le presenti forme delle offerte
francesi all'America settentrionale, egli è notorio, che queste furon
fatte, perciocchè s'era presentito, ch'era entrato nei consiglj della
Gran-Brettagna il disegno di un amichevole componimento, ed a fine di
prevenire la riconciliazione, e questa distruggitrice guerra
prolungare._ Dopo molto contrasto sostarono, aggiornando la cosa
all'indomani. Le contese, ed i dispiaceri non furon pochi anche nei
giorni seguenti. Finalmente, avendo da un canto colla precedente contesa
dimostrato il rispetto, che all'alleato loro portavano, e dall'altro
avvisandosi benissimo, ch'era miglior partito il rispondere, perchè
molte cose si sarebbero potute dire atte a persuader i popoli, a non
piegarsi alle profferte inglesi, quandochè lo starsi avrebbe fatto
nascere mali umori con molto pregiudizio degli Stati, si deliberarono a
leggere i dispacci dei commissarj. Consistevan essi nella lettera
scritta dai medesimi al presidente del congresso, ed in una copia sì del
mandato loro, come delle ultime provvisioni del Parlamento. Nella
lettera loro offerivano i commissarj più, che non avrebbe abbisognato
per intepidire gli animi degli Americani, e per ottenere la pace nel
primi tempi della querela, e meno di quello che sarebbe stato necessario
per ottenerla ai presenti. Si sforzarono di persuadere gli Americani,
che le condizioni dell'accordo erano non solo favorevoli, ma ancora
sicure, e di tale qualità, che le due parti venivano a sapere, come
avessero a vivere insieme, e che si salderebbe tra di loro, e
terminerebbe l'amicizia, come si conviene fare a due, che vogliono viver
chiari, ed osservanti l'uno all'altro. Si avessero a deporre le armi, sì
per terra che per mare; si ristorerebbe il libero commercio; si
ravviverebbe la vicendevole affezione; si rinnoverebbero i comuni
beneficj del cittadinatico fra le diverse parti dell'Impero; si
concederebbe al traffico tutta quella libertà, che i rispettivi
interessi delle due parti richiederebbero; si gradirebbe, che nissuna
forza militare sarebbe fatta stanziare nei diversi Stati dell'America
settentrionale senza il consenso del congresso generale, o delle
particolari assemblee; si concorrerebbe nei mezzi neccessarj per liberar
l'America dai debiti, e per rialzare il credito ed il valore dei
biglietti; per istabilire meglio in futuro le cose loro si facesse una
reciproca deputazione di uno, o di più agenti dai differenti Stati, i
quali avrebbero e seggio, e voce nel Parlamento della Gran-Brettagna, o
se mandati dalla Gran-Brettagna, avessero seggio, e voce nelle assemblee
dei differenti Stati; e ciò a fine, che attendessero ai diversi
interessi dei mandatori loro; e brevemente si stabilirebbero le facoltà
delle rispettive assemblee, di modochè regolassero le rendite, siccome
pure le cose civili e militari; esercitassero una perfetta e libera
facoltà di legislazione e di governo interno, inguisachè gli Stati
britannici della settentrionale America operando, sì in pace che in
guerra, con quei d'Europa, sotto il medesimo sovrano irrevocabilmente
godessero tutti quei privilegj, che stessero al di qua di una totale
separazione d'interessi, e potessero con quell'unione di forza
consistere, dalla quale dipende la sicurezza della religione e della
libertà britanniche. In ultimo annunziarono i commissarj il desiderio
loro di convenire, o con tutto il congresso, o con qualcuni mandati da
lui alla Nuova-Jork, o a Filadelfia, o a Jork-Town, od in qualunque
altro luogo che il congresso proponesse. In tale modo per terminare una
guerra già molt'oltre proceduta largheggiavano nelle condizioni coloro,
i quali prima, e sul principio di essa, volevano l'assoluto
sottoponimento dell'America.

Intanto cominciossi nel congresso a consigliare della somma delle cose.
Le discussioni che vi seguirono, furono assai lunghe; non già che
volessero porsi giù dall'independenza; perciocchè a questo partito
nissuno inclinò, ma sibbene intorno il modo della risposta da farsi ai
commissarj. Furono molte cose parlate, e ventilata la materia sino ai
diciassette del mese. In questo dì rispose brevemente, e con molta
gravità il congresso, già fatto sicuro pei prosperi successi della
guerra, e per l'accostamento della Francia, dal quale sì grandemente
erano aumentate le cose sue, che gli atti del Parlamento britannico, il
mandato stesso dei commissarj, e le lettere loro al congresso
supponevano, che i popoli degli Stati Uniti fossero sudditi alla Corona
della Gran-Brettagna, e che del tutto si fondavano sulla dependenza, la
quale a patto nissuno ammettere si poteva; che pure desideravano la
pace, nonostanti le inique cagioni, dalle quali aveva avuto origine la
guerra, e la barbarie, colla quale era stata esercitata; ch'eran pronti
a praticare di un trattato di pace e di commercio, purchè fosse ai
trattati di già esistenti consentaneo, e che il Re della Gran-Brettagna
dimostrasse un sincero desiderio in questo proposito, del quale
nissun'altra pruova avrebbero ammesso fuori di quella dell'espresso
riconoscimento dell'independenza, e del ritrarre dalle terre degli Stati
Uniti le armate e gli eserciti. Aggiunsero, che quest'erano le
condizioni, con le quali sole erano contenti di convenire. Così gli
Americani, tenaci nel proposito loro, determinarono di seguitar
piuttosto la propria, e la fortuna francese, quella provata, questa
fresca, che la inglese già stanca e sbattuta; e, lasciati i pensieri
quieti, si voltarono del tutto alla guerra.

In tal modo furono tagliate le pratiche d'accordo, e vennero meno le
speranze, che in Inghilterra si erano concette intorno il negoziato
della riconciliazione; nel quale se gl'Inglesi concedevano dopo ch'era
trascorsa la occasione, gli Americani molto opportunamente negarono.
Imperciocchè, quantunque non si possa di sicuro affermare, che questo
fosse un lacciuolo teso dai primi a fine di snodar i secondi tra di loro
e dalla Francia, la qual cosa ottenuta, ne avrebber fatto poscia il
voler loro, certo è bene, che gli Americani dopo le fatali ire e le
crudeli battaglie, dopo gli stupri, i rubamenti e le arsioni
innumerevoli, non potevano non dubitare, che i ministri britannici non
andassero a malizia, e non volessero usar fraude. La ferita era
insanabile, e l'amicizia non si poteva ristorare. La qual cosa era
evidente agli occhi di tutti, ed il parere voler credere il contrario,
doveva necessariamente dar sospetto d'insidia, e che diversi avessero a
riuscire i fatti da quello che risuonavano le parole. Chiunque considera
attentamente la lunga tela degli avvenimenti, la quale fin qui abbiamo
ordito, troverà, che gli Americani furono ogn'ora costanti nel proposito
loro; gl'Inglesi voltabili, incerti e titubanti. Quindi non dee far
maraviglia, che quelli abbiano trovato nuovi amici, e questi non solo
perduto abbiano gli antichi, ma di più sperimentatigli nemici in quel
punto stesso, in cui e meno potevano nuocere loro, e maggior danno
riceverne. I risoluti consiglj prevengono altrui; gl'incerti lascian
sopraffare.

Ma non istando i Capi americani senza apprensione, che le imbasciate
dolci e le larghe concessioni nuovamente avute dall'Inghilterra, e le
arti segrete, che i commissarj userebbero, non operassero efficacemente
nelle menti dei più impazienti cittadini, con tutto che il congresso
altra risposta non avesse voluto dare fuori di quella, che poco sopra è
stata raccontata, adoperarono in modo, che molti scrittori popolani la
causa americana, e la risoluzione ultimamente presa dal congresso
difendessero. Al che fare tanto più volentieri si accostarono, quanto
che i commissarj inglesi, vedutisi caduti dalle speranze di poter far
frutto appo il congresso, si eran volti a voler persuadere con dicerìe
stampate, e largamente sparse nell'universale dei popoli, che
l'ostinazione del congresso era quella che traeva al precipizio
l'America, allontanandola dagli antichi amici, e dandola in preda
all'inveterato nemico. Dal qual procedere dei commissarj un nuovo
argomento cavarono i libertini per avvertire i popoli, e convincergli
delle insidie e delle soperchierie inglesi. Fra gli scrittori loro
merita particolar menzione Drayton, uno dei deputati della Carolina
Meridionale, uomo di chiaro sapere, il quale con accomodate scritture,
che si facevano nei diarj pubblici stampare, si andò affaticando, e non
senza molto probabili ragioni, per dimostrare, che siccome già avevano
gli Stati Uniti concluso un trattato colla Francia, come Stati
independenti, ed a questo istesso fine di mantener la independenza, il
trattar ora coi commissarj sul supposto della dependenza sarebbe un
contaminare quella sincerità e generosità dalla quale le operazioni loro
dovevano essere accompagnate, un farsi stimare un fedifrago ed infame
popolo, ed un perder per sempre ogni speranza di forestieri aiuti;
mentre che da un altro lato si troverebbero intieramente nella balìa
posti di coloro, i quali finallora ogni fraude usato avevano, ogni
crudeltà esercitata contro di loro. E stante che gli accordi fatti coi
commissarj non avevano ad esser determinativi, ma abbisognavano ancora
della ratificazione, chi gli assicurava, fossero il Re, i ministri, il
Parlamento per ratificare? E quando ratificassero, come poter esser
certi, che un nuovo Parlamento non fosse per disfare tutta l'opera loro?
Si ricordassero, quest'essere quel nemico cotanto infido, cotanto
crudele, cotanto frodolento. E come poter credere non dormirci dentro lo
scorpione, quando si considera, che i commissarj ci mettevano
chiaramente di bocca, più larghe condizioni offerendo, che non
concedevano il mandato loro e gli atti stessi del Parlamento? In cotal
modo redarguivano i libertini le promesse, le profferte e gli argomenti
dei commissarj di modo, che questi non approdarono in alcuna cosa, e ne
restò il negozio della concordia imperfetto.

Ma se qualche speranza di prospero successo del presente negoziato fosse
rimasta, questa avrebbe intieramente distrutta il votare, che fecero
gl'Inglesi in questo medesimo tempo la città di Filadelfia, l'acquisto
della quale aveva costato tanto sangue, ed una guerra di due anni.
Temendo i ministri inglesi di quello che avvenne, cioè che una flotta
francese arrivasse molto per tempo nella Delawara, e ponesse in
grandissimo pericolo l'esercito britannico, che alloggiava in
Filadelfia, ed avendo anzi stabilito di portar la guerra nelle province
meridionali, e mandar una parte delle genti a difender le Antille
dagl'insulti del nuovo nemico, il che molto avrebbe scemato l'esercito
rimasto nel continente, avevano per mezzo del commissario Eden inviato
ordine a Clinton, perchè abbandonasse immediatamente quella città e si
riparasse alla Nuova-Jork. Questa risoluzione, la qual era non che
prudente, necessaria, apparì però come piena di timore agli occhi degli
Americani, e non poteva non nuocere grandemente al successo delle
pratiche di concordia. Che bisogno avevano gli Americani di venirne a
patti, quando gl'Inglesi, cedendo, inferiori all'armi loro si
dimostravano? Comunque ciò sia, Clinton si apparecchiava a mandar ad
effetto quello che il governo gli aveva comandato. E siccome prevedeva,
che a recarsi per la via di terra alla Nuova-Jork gli era mestiero
traversare la Nuova-Cesarea, paese per le ragioni nei precedenti libri
raccontate diventato molto avverso, e dalla lunga guerra consumato, e
perciò avrebbe difettato di vettovaglie, così prima di partirsene da
Filadelfia, ne aveva ammassato a dovizia, e postele sopra un
numerosissimo carreggio. Egli è vero, che essendo l'armata di lord Howe
in pronto nell'acque stesse della Delawara, si avrebbe potuto
trasportare l'esercito per la via del mare alla Nuova-Jork; della qual
cosa dubitavano gli Americani, e ne stava Washington molto sospeso. Ma
forse le difficoltà e la lunghezza dell'imbarco, ed il timore
d'incontrare per quelle piagge l'armata francese molto più gagliarda,
stornarono i Capi inglesi dal seguir questo partito. Per la qual cosa
fattisi e dal canto di Clinton, e da quello di Howe i necessarj
apparecchiamenti, la mattina dei 28 giugno per tempissimo tutto
l'esercito inglese varcò la Delawara, e navigato un tratto all'ingiù,
sen andò ad arripare alla punta di Gloucester sulle terre della
Nuova-Cesarea. Poco stante marciava con tutti gl'impedimenti verso
Haddonfield, dove arrivò lo stesso giorno.

Ebbe Washington nel suo campo di Valle-fucina subito avviso, che
l'esercito inglese era in sulla levata, e mandò tosto il generale
Dickinson a raunare sotto l'insegne le milizie cesariane, e nel medesimo
tempo, per confortarle con qualche buon polso di soldati stanziali,
comandò al generale Maxwell, si recasse nella Cesarea. Gli uni e gli
altri dovevano tutti quegl'impedimenti frapporre in sulle vie da tenersi
dall'esercito inglese, che meglio potessero; far tagliate, rompere i
ponti, atterrare e traversar alberi. Evitassero nel medesimo tempo le
imprudenti mosse o le fazioni improvvise. Questi erano i primi disegni
di Washington per ritardar l'esercito nemico, finchè egli medesimo
potesse spingere tutto l'esercito nella Cesarea, e veder da vicino
quello che fosse a fare. Intanto i capitani americani fecero subito
ridurre il Consiglio a Valle-fucina per deliberare, se si dovesse,
bezzicando il nemico alla coda, fargli tutto quel male che si potesse,
senza però venirne ad una battaglia giusta; ovvero se fosse più
accettevole partito il dar dentro a capo all'ingiù, e tentar la fortuna
di una giornata determinativa. Stettero un pezzo in questo dibattito, e
furon varie le opinioni. Lee, che poco prima era stato scambiato col
Prescott, considerata l'egualità delle forze dei due eserciti, e la
favorevole condizione degli Stati Uniti da non doversi più senza
necessità mettere al rischio delle battaglie, e fors'anche poco
confidando nella disciplina delle genti americane, opinava, non si
mettesse quell'esercito sul tavoliere, si schivasse il fatto d'armi.
Solo voleva, si seguitasse il nemico alla leggiera, spiassersi i suoi
andamenti, gli s'impedisse il far danno. A questa opinione si
accostavano i più. Gli altri, tra i quali Washington stesso,
dissuadevano questo consiglio, e volevano, quando però una buona
occasione si appresentasse, si attaccasse la battaglia campale, non
potendo nell'animo loro comportare, che il nemico si ritirasse
impunemente per sì lungo spazio di cammino, e persuadendosi che a
ragione ei potevano ben promettersi di quei soldati, la costanza de'
quali non avevan potuto superare la malvagità della stagione, e la
inopia di tutte le cose. Consideravano ancora, essere l'esercito inglese
molto impedito dalle salmerie, e non dubitavano punto, che in qualcuno
dei molti luoghi difficili, pei quali ei doveva passare, qualche buon
destro si potrebbe côrre di combattere avvantaggiati. Ciò nonostante
prevalse l'opinione dei più, non senza evidente disgusto di Washington,
il quale, come uomo molto di sua testa, stette pertinace nella sua
deliberazione. Il giorno medesimo, in cui gl'Inglesi abbandonarono
Filadelfia, si mosse dal suo campo di Valle-fucina, e varcata la
Delawara a Coryell's-ferry, perciocchè Clinton marciava all'insù del
fiume, andò il giorno 22 a por gli alloggiamenti a Hopewell. Stava molto
incerto intorno il disegno del nemico. Il proceder di lui così lento, il
quale però era una necessità prodotta dalla moltitudine delle salmerie,
e non uno scaltrimento, lo faceva sospettare, che l'intenzione fosse
l'adescarlo in modo, che, passato il Rariton, scendesse nelle parti più
piane della Cesarea, ed allora marciando rattamente attorno la sua
dritta, rinserrarlo contro il fiume, e costringerlo svantaggiato alla
battaglia. Perciò procedeva con molta circospezione, e non si lasciava
aggirare a venirne a passar il Rariton. Forse credeva ancora, che il
nemico volesse varcar questo fiume per poter marciar difilatamente alla
Nuova-Jork, e che perciò fosse necessario volteggiarsi sulla sinistra di
lui per poterne impedire il passo a Clinton. Intanto si era questi già
condotto a Allenstown, e Washington spedì Morgan co' suoi cavalleggieri,
acciò noiasse costeggiando il destro fianco dell'esercito inglese,
mentre Maxwell e Dickinson lo infestavano sul sinistro, ed il generale
Cadwallader alla coda. Ma Clinton trovandosi in Allenstown andava
considerando, qual via dovesse seguire per arrivare alla Nuova-Jork.
Poteva egli volgendosi verso il Rariton incamminarsi alla volta di
Brunswick, ed ivi passato il fiume correre verso l'Isola degli Stati, e
per questa alla Nuova-Jork. L'altra via che gli si appresentava, era
quella di volgersi a dritta, e passando per la Terra di Montmouth
ripararsi speditamente ai colli di Middletown, pei quali era sicuro il
passo a Sandy-hook, per quindi coll'aiuto delle navi dell'Howe, che là
si aspettavano, condursi alla Nuova-Jork. Considerato adunque, che il
passare il fiume Rariton con un esercito impedito da tanto ingombrìo di
arnesi, ed avendo da fronte tutto quello di Washington, il quale sapeva
dover esser di breve anche rinforzato dalle genti, che dall'esercito
settentrionale conduceva Gates, si consigliò di voler seguire la strada
di Montmouth, e già si era messo tra via per mandare ad effetto il suo
disegno. Washington, il quale sin là era stato coll'animo sospeso,
perchè la via di Allenstown accennava egualmente a Brunswick ed a
Montmouth, intesa la cosa, comandò al generale Wayne, andasse, a
rinforzar con mille stanziali le squadre del Cadwallader, acciò più
sicuramente, e con maggior frutto potessero ritardare, fastidiandolo, il
nemico. Prepose poscia a tutte le genti, che sì da presso sotto gli
ordini di Wayne, di Cadwallader, di Dickinson e di Morgan seguitavano
gli Inglesi, essendo la cosa d'importanza, il maggiore generale
La-Fayette. Ma diventando ognora maggiore il pericolo, perchè già la
vanguardia americana si era avvicinata alla dietroguardia inglese,
giudicando, che all'aiuto de' suoi fossero necessarie altre spalle di
ordinanza ferma, spinse il generale Lee con due brigate ad ingrossar le
prime. Lee, come anziano, si recò in mano il comando di tutta la
vanguardia, rimanendo La-Fayette con quello delle milizie e dei
cavalleggieri. Pigliò Lee gli alloggiamenti a English-Town. Seguitava a
poca distanza Washington col grosso dell'esercito, e si accampava a
Cranberry. Continuavano a ronzare Morgan sulla dritta degl'Inglesi,
Dickinson sulla sinistra. Le cose si avvicinavano ad un evento
fortunoso. Era l'esercito inglese accampato sui poggi di Freehold, dai
quali scendendosi alla volta di Montmouth si entra in una fondura tre
miglia lunga, e larga uno, frequente qua e là di rialti, di selve e di
paludi. Veduto il generale inglese sì vicino il nemico, e la battaglia
inevitabile, fece sgombrar il retroguardo da tutte le bagaglie,
mettendole in capo alla vanguardia condotta da Knyphausen, acciocchè,
mentr'egli col retroguardo intratteneva il nemico, avesse comodità di
difilarsi, e di condurle a salvamento ai colli di Middletown. Egli
intanto continuò a starsene la notte dei venzette giugno ne' suoi
alloggiamenti di Freehold col retroguardo, il quale consisteva in
parecchj battaglioni di fanti inglesi sì di grave armatura, che di
leggiere, nei granatieri essiani, ed in un reggimento di cavalleggieri.
Il dì seguente allo spuntar dell'alba, Knyphausen coll'antiguardo, e col
carreggio calava nella valle, incamminandosi alla volta di Middletown, e
già si era difilato buon pezzo avanti. Clinton colla sua schiera, ch'era
tutta di gente eletta, continuava tuttavia nei primi alloggiamenti, sia
per ritardare il nemico, sia per dar luogo, le salmerie sgombrassero.
Washington informato tosto di quello che accadeva, e temendo, che il
nemico arrivasse a rintanarsi nelle montagne di Middletown, che erano a
poche miglia distanti, nel qual caso sarebbe divenuto cosa impossibile
il rompere il disegno di lui dal ritirarsi alla Nuova-Jork, si
determinò, a non metter più tempo in mezzo per attaccar la battaglia.
Commetteva tosto a Lee, si mescolasse col nemico da fronte, a Morgan ed
a Dickinson, si calassero giù dai fianchi dentro la valle, il primo a
dritta, il secondo a stanca per assaltar le genti del Knyphausen
impedite dagli arnesi e da tanta salmeria. Ivano gli uni e gli altri
alla zuffa. Già si era mosso Clinton, e scendeva dai poggi di Freehold
dentro la valle, quando s'avvide, che gli Americani scendevano anch'essi
a furia per assaltarlo. Ebbe nell'istesso tempo lingua, che Knyphausen
stesso e tutte le salmerie si trovavano in grandissimo pericolo, per
esser le medesime impacciate dentro le strette, e distese in una fila di
parecchie miglia. In così grave frangente, Clinton sopraggiunto da
improvvisa necessità di combattere, prese tosto quel partito, pel quale
solo poteva sperare con qualche probabilità di potersi sbrigare dal
difficile passo, in cui si trovava condotto. Si avvisò adunque di
avventarsi rattamente col dietroguardo contro gli Americani, che gli
venivano addosso, e con grandissimo sforzo puntando tentare di
ributtargli. Si persuadeva, che sopraffatti i medesimi dal gagliardo ed
inaspettato assalto, avrebbe richiamato tostamente in dietro, e fatto
venire in soccorso loro quelle genti, che minacciavano le bagaglie. Così
la dietroguardia inglese guidata da Cornwallis e da Clinton istesso, e
la vanguardia americana condotta dal marchese De La-Fayette e dal
generale Lee si difilarono l'una contro l'altra con determinata volontà
di combattere. Già incominciavano a trarre le artiglierie, ed i
corridori della reina attaccatisi coi cavalleggieri De La-Fayette gli
avevano risospinti indietro. Lee prevenuto dall'inaspettata risoluzione
di Clinton dell'aver voltato il viso agli Americani, e dalla celerità,
colla quale mandata l'aveva ad esecuzione, fu costretto a metter le sue
genti in ordinanza su di un terreno poco a ciò conveniente, trovandosi
alle spalle una grossa palude, la quale, in caso di rotta, gli avrebbe
grandemente impedito la ritirata. Forse anche essendo stato confortatore
del contrario consiglio, abborriva tuttavia dal voler fare una giornata
campale. Sopraggiunti gli Inglesi, dopo leggier conflitto abbandonò il
campo, e si ritirò indietro non senza qualche disordine delle sue
schiere, forse per la difficoltà del terreno. Sottentrarono gl'Inglesi,
e già passata anch'essi la palude, fieramente lo incalzavano, innanzi
che avesse tempo di riordinarsi. In questo pericoloso momento
sopraggiunse colle sue schiere Washington, il quale, siccome quegli che
stava sull'ali, udito il primo romore, era venuto a corsa, avendo
comandato a' suoi, lasciassero indietro ogni sorta d'impedimenti, e
perfino i zaini soliti a portarsi dai soldati a tutte le fazioni. Veduta
la ritirata, e quasi fuga dei suoi, la ebbe molto a grave, e, dette
prima alcuna aspre parole a Lee, si accinse con eguali prudenza e
coraggio a voler ristorare la fortuna della giornata. Prima di ogni cosa
egli era necessario arrestar per un poco d'ora l'impeto degl'Inglesi per
dar tempo a tutte le schiere del retroguardo di arrivare. A questo fine
ordinò ai battaglioni dei colonnelli Steewart e Ramsay, pigliassero un
posto d'importanza sulla sinistra dietro un gomito di un bosco, e là
sostenessero i primi empiti del nemico. Lee stesso stimolato dalle
parole del generale, e punto dall'amore della gloria, fatto un grande
sforzo, riordinava i suoi, e locatigli su di un terreno molto acconcio,
si rattestava e difendeva virilmente. Gl'Inglesi furono obbligati a
soprastare per isloggiarli. Ma finalmente sia Lee, sia Steewart e Ramsay
sopraffatti dal numero e dalla furia del nemico, andarono in volta,
ritirandosi però col serbar gli ordini. Andò Lee a porsi in ordinanza
dietro Englishtown. Ma in questo mezzo tempo era arrivato sul campo di
battaglia il dietroguardo americano, e Washington dispose queste genti
fresche, parte in una vicina selva, e parte sopra di un poggio posto
sulla sinistra, dal quale alcune bocche da fuoco condottevi dal lord
Stirling facevano un danno incredibile agli Inglesi. Le fanterie furono
poste di mezzo sotto il poggio a fronteggiar il nemico. Nel medesimo
tempo il generale Greene, il quale in quel dì guidava l'ala dritta
dell'esercito, e si era condotto molto innanzi, udito il romor
dell'armi, e la ritirata della vanguardia, molto prudentemente
consigliandosi indietreggiò anch'egli, ed arrivato sul campo, in cui ora
si combatteva, pigliò un posto molto forte sulla dritta del lord
Stirling. Fece medesimamente condur le artiglierie su di un poggio
eminente, le quali molto noiavano l'ala sinistra inglese. Arrestati in
tal modo gl'Inglesi e trovato da essi sì duro incontro da fronte,
tentarono di girare sul fianco sinistro degli Americani; ma furono
ributtati dai fanti leggieri, che a quest'uopo erano stati colà mandati
da Washington. Si volsero allora contro la destra di quelli, e si
affaticavano di spuntarla. Ma furono sconciamente danneggiati dalle
artiglierie del Greene, e costretti a ritirarsi. In questo punto
Washington, vedutigli crollare, trasse fuori i suoi fanti sotto gli
ordini di Wayne, e diè loro un furioso assalto. Volgevano allora
gl'Inglesi le spalle, e ripassata la palude, andarono a pigliare il
campo in quel luogo stesso, dove Lee aveva fatta la sua prima fermata.
Così rimase vinta la fortuna del vincitore. Ma la nuova positura
degl'Inglesi era molto forte. Avevano ai due fianchi selve e paludi
profonde, e da fronte quella stessa palude, che aveva disordinate le
genti di Lee sul principio del fatto, la quale non lasciava il passo
agli Americani per recarsi contro gl'Inglesi se non per una via molto
stretta. Ciò non di manco si apparecchiò Washington a sbarbargli, avendo
commesso al generale Poor, colla sua brigata, e con una presa di
Caroliniani gli assaltasse sulla dritta, ed al Woodfort sulla sinistra,
mentre le artiglierie gli fulminavano da fronte. Ivano entrambi facendo
il debito loro, con molta costanza affaticandosi per superar gli
ostacoli, che i fianchi dell'esercito inglese difendevano. Ma trovarono
passi cotanto intricati e difficili, che sopraggiunse la notte, innanzi
che potessero far frutto alcuno. Così si distaccò del tutto la
battaglia, e fu posto fine al combattimento. Intendeva Washington di
ricominciarlo l'indomani molto per tempo, e perciò fece star tutta la
notte le sue genti in ordinanza ed in armi. Ei provvedeva a tutte le
cose, non rifiutando alcun carico o fatica. Ma diversi da questi erano i
pensieri di Clinton. Erano già le bagaglie e la vanguardia arrivate a
salvamento presso Middletown; poichè in questo non l'aveva ingannato
l'opinione sua, stantechè non sì tosto ebbe egli assaltato le genti di
Lee, che questi richiamò a sè le truppe leggieri, che si erano
avventate, e pizzicavano da' fianchi dentro la valle le salmerie ed i
soldati che le guardavano. Avevano poi questi, mentre si combatteva,
continuato a marciare verso Middletown, e la sera già erano arrivati a'
luoghi sicuri dei colli; la battaglia era stata onorata dalla parte sua,
avendo sulle prime col suo retroguardo superato il vanguardo americano,
e sul fine arrestato tutto l'esercito nemico, Prevaleva Washington molto
di forze, e sarebbe stato imprudente consiglio, anche ad un esercito
uguale, l'avventurarsi alla fortuna di una nuova battaglia, quando una
sì gran parte di lui si trovava tanto lontana, ed in una contrada tanto
per gli uomini avversa, e pei luoghi malagevole. La perdita della
battaglia sarebbe stata seguìta dalla totale rovina dell'esercito.
Considerate tutte queste cose, si risolvette alla ritirata. Valendosi
adunque dell'oscurità della notte per non esser seguitato, e per
ischivare i calori diurni, i quali erano così eccessivi, che sarebbero
stati disonesti anche in paesi più caldi, alle dieci della sera (gli
Americani scrivono a mezza notte) mosse tutte le sue genti alla volta di
Middletown con tanto silenzio, che i nemici, quantunque vicini fossero,
e stessero avvertiti e desti a sentire la ritirata, non se ne addarono.
Scrisse, che si era a tempo della mossa giovato del lume della luna.
Della qual cosa se ne fecero in America le più grasse risa del mondo,
stantechè sia stata la luna in quel giorno, ed in quei climi nuova di
quattro dì, ed abbia tramontato un po' più prima delle undici della
sera. Da un'altra parte, consideratosi da Washington l'eccessivo calore
della stagione, la stanchezza delle sue genti, la natura della contrada
molto sabbionosa e priva d'acqua, colla distanza, alla quale già si era
recato, durante la notte, l'inimico, si scostò dal pensiero di
seguitarlo, e lasciò esalar i suoi nel campo d'Englishtown sino al dì
delle calende di luglio. Al qual partito tanto più volentieri si
accostò, perciocchè credette, che fosse impossibile l'impedire, od il
turbare l'imbarco degl'Inglesi a Sandy-hook.

Cotal fine ebbe la battaglia di Freehold, o come gli Americani la
chiamano, di Montmouth; nella quale se furono gli Americani perdenti sul
principio, acquistarono la vittoria sul fine. E pare molto probabile,
che se le genti di Lee fossero state alla dura, avrebbero intieramente
rotto l'inimico. Morirono in questo fatto dalla parte inglese da
trecento soldati, e ne furon feriti altrettanti. Ne furon fatti da cento
prigionieri. Molti ancora disertarono, principalmente essiani. Fra gli
Americani si accontarono pochi morti. Dall'una parte e dall'altra molti
soldati morirono non di ferite, ma, essendosi combattuto in sulla sferza
del caldo, di trambasciamento e di calore. Lodò Washington molto tutti i
suoi pel dimostrato valore, magnificamente Wayne. Rendè il congresso
pubbliche ed immortali grazie al suo esercito, specialmente agli
uffiziali ed a Washington.

Ma Lee non poteva, come quello che sentiva molto di sè medesimo,
sgozzare le parole dettegli da Washington in presenza dei soldati.
Scrisse perciò al capitano generale due lettere molto risentite, e piene
anco di non poca irreverenza. Queste diedero luogo al rivangar un
affare, che Washington, siccome prudente, e di posata natura ch'egli
era, avrebbe voluto porre in obblio. Per la qual cosa fu Lee sostenuto e
tradotto avanti una Corte militare, perchè avesse a scolparsi di tre
accuse, le quali furono, di aver disobbedito agli ordini per non aver
assaltato il nemico il giorno 28 giugno in conformità delle sue
instruzioni; di aver fatto una non necessaria, disordinata e vergognosa
ritirata; di aver commesso per le due sue lettere irreverenza verso il
capitano generale. Si difese Lee con molto acume d'ingegno, e non senza
facondia, dimodochè gli uomini indifferenti, e delle cose militari
intendenti, ebbero a rimanere in dubbio, se ci avesse colpa, o no.
Nonostante la Corte lo chiarì colpevole di tutti e tre i capi, salvochè
fu cassa la parola _vergognosa_, e sentenziò avesse ad essere ammonito
per un anno dall'uffizio del generalato; giudizio in vero o troppo mite,
se Lee era colpevole, o troppo severo, se innocente. La brigata ne ebbe
molto, che dire, lodandolo alcuni, altri biasimandolo. Il congresso,
sebbene suo malgrado, il medesimo giudizio confermò.

Washington la mattina del primo luglio mosse l'esercito verso il fiume
del Nort per assicurare i passi delle montagne, ora che gl'Inglesi eran
così grossi nella Nuova-Jork, lasciando però nelle parti basse della
Cesarea alcune frotte leggieri, e principalmente i corridori del Morgan,
a fine di contenere i disertori, e frenar le correrie del nemico. Nel
mentre che queste cose si facevano dai due eserciti di Washington e di
Clinton sulle terre cesariane, Gates con una parte dell'esercito
settentrionale si era calato per le rive dell'Hudson, minacciando di
molestar le cose della Nuova-Jork. Dalla qual mozione molt'opportuna ne
nacque, che il presidio di questa città stando in sospetto di sè stesso,
non potè correre in soccorso di coloro, che stavano alle prese col
nemico nella Nuova-Cesarea.

Intanto l'esercito inglese era arrivato ai poggi di Middletown l'ultimo
di giugno poco distante da Sandy-hook; al quale luogo già era pervenuta
la flotta del lord Howe, dopo però di essere stata lungo tempo
trattenuta dalle bonacce nella Delawara. Era Sandy-hook per lo avanti
una penisola, che a mò di sprone sporgeva dentro la bocca del golfo, pel
quale si naviga alla città della Nuova-Jork. Ma nel precedente inverno
era stata dalla violenza dei marosi staccata dalla terra-ferma, ed in
una isola convertita. L'arrivo tanto tempestivo delle navi liberò
l'esercito dal vicinissimo pericolo, in cui si trovava, se non avesse
potuto varcar quel nuovo stretto. Ma, fattosi con incredibile celerità
un ponte di barche, passò tutto intiero nell'isola di Sandy-hook, e poco
poi portato dalla flotta, alla Nuova-Jork; ignari gli uni e gli altri,
da quanto pericolo fossero stati da un benigno riguardo della fortuna
scampati, e da quanto fatale rovina preservati.

Era il conte D'Estaing con tutta la sua armata giunto nei mari
d'America, e dopo di essersi mostrato sulle coste della Virginia era ito
a far porto nelle bocche della Delawara nella notte degli otto di
luglio. S'egli avesse potuto arrivare a queste spiagge qualche giorno
innanzi, e prima che l'armata dell'Howe avesse sgomberato il fiume,
ovvero che incontrata l'avesse nel suo tragitto dalla Delawara a
Sandy-hook, non è dubbio, che consistendo questa solamente in due navi a
tre ponti, parecchie fregate, e molte navi da carico, l'avrebbe da capo
a fondo distrutta. L'esercito inglese poi privo del soccorso del suo
navilio, trovandosi nell'estreme parti della Cesarea serrato alle spalle
da Washington, bloccato dalla parte del mare da D'Estaing, ed
impossibilitato a trasportarsi alla Nuova-Jork, avrebbe dovuto
arrendersi, e si sarebbero a Middletown rinnovellati i patti di
Saratoga. Il quale accidente, quanta parte fosse per avere nella somma
della guerra, nissuno è che non lo veda. Ma così lunga e così tediosa,
dopo aver provati per alcuni dì i venti prosperi, riuscì al Francese la
navigazione dall'Europa in America, e così frequenti furono le bonacce
ed i venti contrarj, che non solo non arrivò in tempo per sorprendere
l'armata dell'Howe nella Delawara, e l'esercito di Clinton in
Filadelfia, com'era stato il disegno, ma ancora toccò le sponde di
questo fiume, quando e quella già si era riparata nel porto dietro
Sandy-hook, e questo ricoveratosi in salvo dentro le mura della
Nuova-Jork.

Ma se le genti da terra erano pervenute a salvamento in questa città,
pericolava tuttavia grandissimamente il navilio nel porto stesso di
Sandy-hook. D'Estaing, avuto l'avviso di quello ch'era accaduto, non
s'era stato a soprastare; ma dato di nuovo le vele al vento, era
improvvisamente ed alla non pensata comparso in veduta dell'armata
inglese a Sandy-hook il dì undici di luglio. Aveva egli dodici grosse
navi d'alto bordo, e molto ben leste, tra le quali una di novanta
cannoni, un'altra di ottanta, e sei di settantaquattro con tre o quattro
grosse fregate. Da un altro lato consisteva solamente l'armata inglese
in sei vascelli di sessantaquattro, tre di cinquanta, e due di quaranta,
con alcune fregate e corvette, tutti governati da scarse ciurme, e tardi
dal lungo servizio. Si aggiugneva, che allorquando apparve subitamente
l'armata francese, le navi dell'Howe non erano in quella ordinanza
poste, che si desiderava per la opportunità delle difese. Per la qual
cosa, se D'Estaing sulla sua prima giunta si fosse spinto avanti, ed
avesse superato la bocca del porto, ne sarebbe certamente, considerato
il valore e la possanza delle due parti, seguìta una battaglia delle più
aspre e sanguinose, la quale però, veduta la prepotente forza dei
Francesi, ogni ragione persuade, si sarebbe tutta in lor favore
terminata. D'Estaing faceva le viste di voler entrare; gli Inglesi se lo
aspettavano. Ma tal è la natura della bocca del golfo della Nuova-Jork,
che, quantunque sia molto larga, ella è però impedita da un renaio, o
scanno, che partendo dall'Isola Lunga molto si avvicina a quella di
Sandy-hook, dimodochè tra questa e l'estremità dello scanno è lasciato
solo un non molto largo passaggio alle navi. Possono però, e per la
strettezza di questo varco, e sopra lo stesso scanno, ch'è assai fondo
dentro le acque, trapassar comodamente le navi di minore portata,
massime a tempo della crescente. Ma delle navi molto grosse, com'erano
quelle di D'Estaing, si dubitava. Perciò consigliatosi coi piloti
americani assai pratichi, che dal congresso gli erano stati mandati,
temendo, che le sue navi, e specialmente la Linguadocca ed il Tonante,
le quali, come più grosse dell'altre, pescavano anche molto più, non
potessero varcare, si astenne dall'impresa, ed andò por l'áncora sulle
coste della Cesarea, a quattro miglia distante da Sandy-hook, poco lungi
dalla Terra di Shrewsbury. Quivi attendeva a far acqua e vettovaglie, ed
a consultar coi Capi americani intorno l'impresa dell'Isola di Rodi, la
quale si aveva in animo di voler fare, dopochè quella della Delawara per
la fortuna avversa era venuta meno. Credettero gl'Inglesi, che D'Estaing
s'indugiasse solo per aspettar i maggiori flussi del finir di luglio.
Stando essi adunque in apprensione del vicino assalto si preparavano
gagliardamente alle difese. Nel che fare dimostrarono e le genti di mare
e quelle di terra tanto ardore, che non si potrebbero con parole
sufficienti lodare. Intanto parecchie navi inglesi, che il corso loro
dirigevano alla Nuova-Jork, a tutto altro pensando fuori che a questo,
che i Francesi fossero diventati padroni del mare, venivano ogni dì in
poter di questi sotto gli occhi stessi dei compagni loro della flotta, i
quali a gravissimo sdegno se ne commuovevano; ma non potevano farvi
rimedio alcuno. Finalmente il giorno ventidue di luglio comparve alle
bocche del Sandy-hook tutta l'armata francese. Il vento le era
favorevole; le acque eran molto alte per la marea. Gl'Inglesi
aspettavano l'assalto, col quale ne doveva nascere necessariamente od
una non più udita vittoria, o la totale distruzione della flotta
britannica. Ma D'Estaing volteggiatosi un poco per quell'acque, voltosi
poscia improvvisamente verso l'ostro, in poco d'ora dilungatosi, gli
liberò dall'imminente pericolo. Ciò fu in buon punto per gl'Inglesi;
poichè dai ventidue sino ai trenta di luglio arrivarono alla spicciolata
a Sandy-hook sbattute e rotte dalle tempeste, e dal lungo tragitto
parecchie navi della flotta di Byron, le quali, se D'Estaing si fosse
indugiato alcuni giorni più, tutte sarebbero in suo potere venute.
Arrivarono la Rinomea, ed il Centurione di cinquanta cannoni, il
Ragionevole di sessantaquattro, e la Cornùallia di settantaquattro.
Vistosi in tal maniera Howe con mirabile suo piacere e de' suoi in grado
di osteggiare nell'aperto mare, commesse le vele al vento, iva in cerca
di D'Estaing, il quale trovò poscia nel porto di Nuovo-Porto nell'Isola
di Rodi.

Ma prima di raccontar le cose che avvennero tra i due ammiragli,
l'ordine della storia richiede, che descriviamo quelle che accaddero tra
i commissarj inglesi ed il congresso innanzi che quelli, abbandonata del
tutto l'impresa, dalle terre americane si dipartissero. Era Johnstone,
uno di essi, lungo tempo stato sulle coste d'America, dove aveva
acquistato non poca conversazione con parecchj principali personaggi
della contrada. Essendo poi anche stato governatore di una delle
colonie, siccome quelli ch'era persona entrante, manierosa, e non senza
lettere, si era facilmente procacciato molto credito e molta dependenza.
Oltreacciò, essendo membro del Parlamento, aveva in questo sempre con
molto calore la causa americana patrocinata, e gagliardamente
contrastato alle risoluzioni dei ministri. Queste cose, le quali forse
furono cagione ch'ei fosse tratto commissario, lo persuasero, che
potrebbe forse in America colle insinuazioni, e con un carteggio privato
fare quei frutti, che il procedere pubblico dei commissarj, sempre pieno
di sussiego e di contegno, non avrebbe per avventura potuto fare. O
certo almeno si credette, che l'empiere i principali repubblicani di
promesse d'onori e di lucro, avrebbe fatto una buona spianata alle
pubbliche proposizioni. Se a questo partito si risolvesse di per sè
stesso, o consapevoli, o comandanti i ministri, è incerto. Ma chi vorrà
considerare la somma delle lettere, ch'ei scrisse in questo proposito,
inclinerà facilmente a credere i ministri stessi siano entrati nel
disegno; perchè contro tutte le regole di coloro ch'esercitano una
potestà delegata, procedendo altamente, lodava la resistenza, che fin là
fatto avevano gli Americani contro le ingiuste e superbe leggi
dell'Inghilterra. La qual cosa non si sarebbe oso di fare, se non avesse
prima accattato la parola dei ministri intorno a quello che far dovesse.
In cotal modo scriveva ai principali personaggi e ad alcuni membri del
congresso, che l'avresti creduto piuttosto agente di questo, che del
governo della Gran-Brettagna; desiderava di poter veder per entro la
contrada, e con quegli uomini conversare, le cui virtù ammirava egli
meglio, che quelle dei Greci e dei Romani, acciò potesse a' proprj suoi
figliuoli raccontarle; che bene avevano usato la penna, e la spada per
vendicare i diritti del genere umano e della patria; che gli amava e
venerava grandemente, ed altre somiglianti novelle. Ebbe il congresso
sentore, anzi certo avviso della cosa. Raccomandò ai diversi Stati, e
comandò al capitano generale, ed agli altri uffiziali usassero ogni
diligenza per por fine ad ogni commercio di lettere, che venissero da
parte del nemico. Poscia procedendo più oltre, decretò, che tutte le
lettere concernenti i pubblici affari, che state fossero ricevute dai
membri del congresso da parte degli agenti, od altri sudditi britannici,
fossero avanti il cospetto suo recate. Allora diventarono palesi tre
lettere del Johnstone indiritte a tre membri del congresso, una a
Francesco Dana, l'altra al generale Reed, ed una terza a Roberto Morris.
Nella prima assicurava, che il dottor Franklin era stato contento ai
termini di accomodamento, che si proponevano; che la Francia s'era
condotta a stipular il trattato non già per l'interesse dell'America, ma
per paura della riconciliazione; che la Spagna era scontenta, e
disapprovava la condotta della Francia. Nella seconda, dopo molte lodi
date al Reed, continuava dicendo, che colui, il quale avrebbe cooperato
a ristorare l'armonia, ed a racconciar tra di loro i due Stati,
acquisterebbe maggior merito col Re e col popolo, di quanto fosse stato
finallora ad alcun uomo concesso. Nell'ultima, fatti alcuni complimenti
con dire, ch'ei credeva bene, che coloro, i quali governavano gli affari
dell'America, non si lasciavano smuovere da improprj motivi, continuava
colle seguenti parole: «Che in simili pratiche vi era qualche pericolo,
e credeva che chiunque vi si avventurasse, sarebbe assicurato; e che nel
medesimo tempo gli onori e gli emolumenti naturalmente seguiterebbero la
fortuna di coloro, i quali governato avessero la nave durante la
burrasca, e condottola sicuramente nel porto; ch'ei portava opinione,
che Washington, ed il presidente avevano diritto a tutti quei favori,
che una grata nazione conceder possa, quando una volta i vicendevoli
interessi loro riunissero, ed allontanassero le miserie e le
devastazioni della guerra». Questi furono i bocconi, coi quali, dicevano
gli Americani, Giorgio Johnstone tentò la fede dei primi maestrati
dell'America; queste le artifiziose parole, che negli orecchi di quelli
instillava per indurgli a tradir la patria loro. Ma quello, che più di
tutto riempì di sdegno il congresso, e di che questi molto
opportunamente si servì per rendere odiosa agli occhi dei popoli la
causa, e le proposte britanniche fu, che il generale Reed dichiarò, che
una gentildonna lo era venuto a trovare mandatavi dal Johnstone, e molto
esortato lo aveva a promuovere la riunione tra le due contrade; nel qual
caso si sarebbe rimeritato dal governo con diecimila lire di sterlini, e
colla concessione di quel migliore uffizio, che stesse in facoltà del Re
di conferire nelle colonie; al ch'ebbe egli risposto, siccome affermava;
_ch'ei non era da tanto da esser compro; ma quando pure si fosse, non
essere il Re della Gran-Brettagna a bastanza ricco per poter ciò fare_.

Decretò il congresso sdegnosamente, queste esser tente per subbillare e
corrompere il congresso degli Stati Uniti d'America; e che l'onor loro
non poteva più comportare, continuassero a tenere alcuna pratica, od
alcuna corrispondenza avere con Giorgio Johnstone, massime nel negoziar
di quegli affari, nei quali era la causa della libertà e della virtù
interessata.

Questa deliberazione del congresso diè luogo ad una molto risentita
dichiarazione di Johnstone, nella quale, se avesse usato più modeste
parole, avrebbe meglio fatto credere quello che voleva persuadere.
Disse, che quella deliberazione se la recava ad onore, non ad offesa;
che allorquando il congresso contendeva agli essenziali privilegj
necessarj alla conservazione della libertà loro, e solo mirava alla
emendazione dei torti, la censura loro avrebbe riempiuto l'animo suo di
rammarico e di dolore; ma adesso che vedeva il congresso essere sordo
alle miserabili grida di tanti cittadini sperperati dalla guerra,
contaminare con motivi di privata ambizione i principj della primiera
resistenza; ora che gli vedeva far le sberrettate e le genove
all'ambasciador francese, allearsi coll'antico nemico delle due
contrade, e ciò coll'evidente disegno di abbassar la potenza della
patria, qualunque siano le opinioni di tali uomini sul fatto suo, non se
ne curare. In quanto poi alle accusazioni cavate dalle lettere non negò,
nè confessò. Solo affermò, che la presente risoluzione del congresso non
aveva miglior fondamento di quella, che aveva preso per le fiaschette
dell'esercito burgoniano. Riserbò però a sè stesso la facoltà di
giustificarsi prima che partisse dall'America. Aggiunse, che intanto si
sarebbe astenuto dall'operare nella sua qualità di commissario.

Un'altra dichiarazione fecero i commissarj Carlisle, Clinton ed Eden per
significare al congresso ed ai popoli, che nissuna notizia avevano avuto
delle cose messe in palese da quello; facendo fede nel medesimo tempo
dell'integrità e del liberale animo di Johnstone, e del desiderio suo di
vedere ridotti a buona via gli Americani, e con termini giusti, ed alle
due parti profittevoli, ristorata l'unione tra la metropoli e le
colonie.

Ma l'intento dei commissarj nel pubblicar queste dichiarazioni non era
solo per iscusarsi, ma ancora, e molto più, per cancellar l'effetto dei
trattati fatti colla Francia, e per dimostrare all'universale dei
popoli, che il congresso non aveva la facoltà di ratificargli. Questo
era il consiglio che avevano abbracciato, sperando di poter far gran
frutto. Sapevano, che molti fra gli Americani si erano non che
raffreddi, crucciati, dopochè l'aiuto del D'Estaing, con tanta pompa di
parole pronunziato alle genti, era riuscito di così poca, anzi di
nissuna utilità. Erano anche i commissarj, secondo il solito, messi su
dai fuorusciti, i quali dicevan loro le più gran novelle del mondo
intorno la moltitudine e la potenza dei leali, ed egli se le credevano.
Pubblicarono adunque molte cose sulla perfidia della Francia,
sull'ambizione del congresso, e soprattutto molto s'affaticarono per
pruovare, che questo, trattandosi d'interessi così gravi, dove n'andava
la salute o la rovina di tutta l'America, e giusta le stesse
costituzioni loro non aveva la potestà di ratificare ai trattati colla
Francia, senza interpellare alla volontà del popolo, massime allorquando
notoriamente si aspettavano da parte del governo della Gran-Brettagna
quelle proposte d'accordo, e quelle concessioni, che avanzavano di gran
lunga non solo le domande, ma ancora l'aspettazione degli abitatori
dell'America. Concludevano, la fede loro non essere obbligata dalla
ratificazione fatta dal congresso.

Non mancarono dalla contraria parte autori, i quali cogli scritti loro
vollero purgare nell'anima dei popoli queste querele dei commissarj, tra
i quali più chiaro nome si acquistarono il Drayton sopraddetto, e quel
Tommaso Payne che aveva composto il libro del _comun senso_. Checchè si
debba di questa controversia pensare, le pubblicazioni dei commissarj
furono affatto inutili. Nissuno nicchiò.

Trovatisi adunque i commissarj caduti intieramente dalle speranze della
concordia, si consigliarono, prima di partirsene, di pubblicare un
manifesto, col quale denunziarono agli Americani gli estremi della più
distruggitiva guerra, che l'uomo potesse immaginare. Speravano, che il
terrore avrebbe quegli effetti prodotti, che le offerte della pace non
avevano potuto. Questa maniera di guerra, della quale molti erano stati
autori in Inghilterra, poteva invero tanti e sì gravi danni recar agli
Americani, che forse di breve ne sarebbe loro grandemente incresciuta la
presente condizione, ed avrebbero volti i desiderj e le speranze loro
all'antica pace e congiunzione. La vastità delle coste americane, la
frequenza e la profondità dei fiumi navigabili sono causa, che il paese
sia esposto e sui confini, e nelle sue più interne parti agl'insulti di
un nemico gagliardo in sull'armi di mare. A questo dava eziandio maggior
facilità l'esservi colà le città e le ville molto disperse, e poste qua
e là in lontani e disparati luoghi. Incominciarono i commissarj nel
manifesto loro con rammentar la crudel ostinazione dell'una delle due
parti, lamentandosi, essere loro proposte cose troppo esorbitanti per
venirne alla pace, e mescolando in ogni parola doglianze gravissime del
congresso; da un altro canto magnificavano i replicati sforzi fatti
dall'altra per arrivar ad un'amichevole composizione. Annunziarono
poscia, essersi risoluti a far di breve la dipartita loro dall'America,
non potendo nell'attuale stato delle cose colla dignità loro consistere
il rimaner più lungamente; dichiarando però, che durante tutto il tempo
in cui tuttora rimanessero, e le medesime condizioni d'accordo
offerivano, ed il medesimo animo disposto alla pace conserverebbero.
Finalmente informarono, ed avvertirono i popoli, che per l'avvenire si
sarebbero usati tutti gli estremi della guerra; e che, poichè l'America
apertamente professava di volere non solo diventare straniera
all'Inghilterra, ma ancora di dar sè stessa e tutte le cose sue in preda
al suo nemico, cambiavasi affatto la natura della controversia, e che
ora si trattava di sapere, sino a qual punto potesse la Gran-Brettagna,
coi mezzi che aveva in poter suo impedire, o render inutile una
connessione stata immaginata a sua rovina, e ad aggrandimento della
Francia. Terminarono con dire, che in tali circostanze le leggi della
propria conservazione dovevano indirigere la condotta della
Gran-Brettagna, e che se le colonie erano per diventare un'accessione
alla Francia, dover di quella era il render quest'accessione di così
poco frutto, di quanto possibil fosse, al suo nemico.

Questo manifesto, il quale fu poscia con acerbe parole censurato, e come
crudele e barbaro condannato da molti oratori del Parlamento,
specialmente dal Fox, non operò nella mente degli Americani maggior
effetto, che le offerte di pace operato si avessero.

Incominciò il congresso con mandar fuori un bando, col quale avvertì i
popoli pei siti loro esposti alle offese, che, poichè così piaceva al
crudel nemico loro di voler saccheggiare, ardere e sterminare ogni città
e Terra del continente, edificassero capanne a trenta miglia almanco
distanti dalle abitazioni, ed al primo romore del nemico là si
ritraessero, recando seco le mogli, i figliuoli, i bestiami, le
masserizie, e tutti coloro, che atti non fossero a portar le armi.
Aggiunsero, ed in questo, se era da biasimarsi la risoluzione dei
commissarj inglesi, non è tampoco da lodarsi quella del congresso, che
immediatamente, che il nemico avesse incominciato ad ardere o
distruggere qualche Terra, dovessero i popoli di quegli Stati por fuoco,
saccheggiare e distruggere le case e le proprietà di tutti i Tori nemici
alla libertà ed alla independenza dell'America; e sostener coloro fra i
medesimi, che credessero necessario aver in mano, perchè non aiutassero
l'inimico. Solo si avesse cura di non maltrattare inutilmente nè essi,
nè le famiglie loro, non volendo, che in questo imitassero gli Americani
i nemici loro, nè gli alleati di questi o Germani, o Neri, o Bronzini,
che si fossero. A tali esorbitanze si lascian trasportare gli uomini del
rimanente civili, quando da quella peste dell'amor delle parti sono
invasati. Gl'Inglesi minacciavano di voler far quello che già avevano
fatto, gli Americani quello, che non avrebbero dovuto fare, e che
precisamente tanto in quelli, e con tanta ragione, condannavano. Ma
molto più ama l'uomo appassionato imitar il male in altrui, che lo
spassionato il bene.

Qualche tempo dopo, per impedire che pel rigore delle parole inglesi non
germinassero nei popoli nuovi pensieri, pubblicarono un manifesto, col
quale rammentaron prima, che poichè non avevan potuto prevenire, avevano
essi almeno cercato di alleviare le calamità della guerra. Poscia si
fecero coi più vivi colori a descrivere quelle enormità, delle quali
accusavano la contraria parte. Ricordarono le devastazioni delle
campagne, le arsioni dei non difendevoli villaggi, e le beccherie fatte
dei cittadini d'America. Chiamarono le prigioni britanniche pesti dei
soldati loro, i vascelli dei marinari. Essersi aggiunti gl'insulti alle
ingiurie; gli scherni alle crudeltà. Esclamarono, che poichè gl'Inglesi
non avevano potuto rintuzzare quei generosi spiriti della libertà, si
erano volti agl'inganni, ai corrompimenti, alle servili adulazioni. Han
fatto, continuarono, scherno all'umanità con una fantastica distruzione
degli uomini; han fatto scherno alla religione con empie appellazioni a
Dio, mentrechè i suoi sacri comandamenti violavano; han fatto scherno
alla ragione stessa, sforzandosi di provare, che sicuramente potesse la
libertà e la felicità dell'America confidata essere a coloro, i quali la
loro avevano venduto, senza ristarsi nè a' precetti della virtù, nè agli
stimoli della vergogna. E siccome, terminarono dicendo, nè amorevolezza
alcuna gli tocca, nè la compassione gli muove, così avrebbero gli
Americani rappigliato e vendicato i diritti dell'umanità, un tale
esempio ponendo, che ne sarebbero sgomentati coloro, che avessero in
animo di usar per l'avvenire tanta barbarie. E ciò giurarono di voler
fare scevri d'ira e di vendetta, in presenza di quel Dio, che ricerca e
vede addentro negli umani cuori, ed il quale chiamarono in testimonio
della rettitudine delle intenzioni loro.

In questo mentre sdegnatosi il marchese De La-Fayette al modo, col quale
i commissarj inglesi nella lettera loro dei 26 agosto avevano parlato
della Francia, e dell'intervento suo nella presente querela, il quale
attribuirono all'ambizione, ed al desiderio di veder attritarsi le due
parti col prolungamento della guerra, mandò un cartello al conte di
Carlisle, sfidandolo a venir render ragione in singolar battaglia della
offesa fatta alla sua patria. Fuggì il conte la tela con dire, che,
siccome in ciò, di che si trattava, aveva egli operato in qualità di
commissario, e che la sua condotta, siccome le sue parole stat'erano
pubbliche, così a nissun altro averne a render conto fuori che alla
patria sua ed al suo Re. Terminò dicendo, che rispetto alle nazionali
differenze, sarebber elleno meglio decise, quando l'ammiraglio Byron ed
il conte D'Estaing si sarebbero incontrati sui mari.

Poco tempo poi partirono i commissarj disconclusi in tutto per alla
volta dell'Inghilterra, e, svanita ogni speranza di pace, restarono vie
più accesi i pensieri della guerra.

Ma mentre le legazioni discorrevano, era il congresso ritornato a
Filadelfia pochi giorni dopo che gl'Inglesi avevano questa città
abbandonata, e a dì sei agosto ricevè pubblicamente, e con tutte le
cirimonie usate in simili casi, il signor Gerard, ministro
plenipotenziario del Re di Francia. Questi, consegnate prima le sue
lettere di credenza, le quali erano sottoscritte dal Re Luigi, ed
indiritte _ai suoi cari e grandi amici ed alleati, il presidente ed i
membri del generale congresso dell'America settentrionale_, orò molto
acconciamente intorno al buon animo della Francia verso di quegli Stati,
della obbligazione, in cui si trovavano le due parti, considerati i
preparamenti, ed i disegni ostili del comune nemico, di mandar ad
effetto tutte le condizioni stipulate nel trattato casuale, e che già
dal canto suo il Re Cristianissimo aveva mandato in soccorso loro una
fiorita e possente armata. Sperava, che le massime, le quali
abbraccerebbero i due governi, sarebbero sì fatte, che quella unione si
consoliderebbe, ch'era stata dal vicendevole interesse delle due nazioni
originata.

Rispose con molto accomodate parole Enrico Laurens presidente, che bene
dai presenti trattati si dimostrava la sapienza e la magnanimità del Re
Cristianissimo, che l'aver trovato un sì possente ed illustre amico
riputavano ad un benigno riguardo della Provvidenza verso i virtuosi
cittadini dell'America. Non dubitasse punto, che tale sarebbe la
condotta loro, che l'amistà ne sarebbe confermata; e che giacchè
l'Inghilterra, per la scellerata ambizione del dominare, voleva si
prolungassero colla presente guerra le miserie degli nomini, si eran
essi risoluti a riempir tutte le condizioni del trattato casuale,
avvengadiochè ardentemente desiderassero, deponendo gli sdegni e l'armi,
il sangue umano risparmiare. Che speravano, l'assistenza del generoso e
saggio alleato avrebbe fatto rinsavir la Gran-Brettagna, ed avviatala su
i sentieri della giustizia e della moderazione. Furono presenti a questa
audienza molti gentiluomini, i maestrati della Pensilvania, molti
forestieri di conto, e gli uffiziali dell'esercito. Le esultazioni e le
allegrezze pubbliche in questo dì non furon poche. Nascevano in tutti le
speranze non solo dell'independenza, imperciocchè di questa già più non
si dubitava, ma ancora della futura prosperità; tutti credevano essere
coll'intervenimento francese solidato l'impero americano. Così un Re
porgeva la mano aiutatrice ad una repubblica contro di un altro Re; così
la lingua francese veniva in soccorso di una lingua inglese contro di
un'altra simil lingua; così le nazioni europee, le quali fin allora
riconosciuto non avevano altre nazioni independenti nell'America fuori
delle selvagge e barbare, tenendo tutte le altre in luogo di suddite
incominciarono a riconoscere come independente e sovrana una nazione
civile, e con essa lei trattare e concludere alleanze. Avvenimento al
certo cotanto grave, che, dopo la scoperta fatta dell'America da
Colombo, un eguale, nè un somigliante non s'era perancora agli occhi
degli uomini appresentato. Tanto poterono in America, o l'amor della
libertà, od il desiderio dell'independenza, ed in Europa una cieca
ostinazione, od un necessario orgoglio da una parte, la gelosia della
potenza, e le brame della vendetta dall'altra.

Addì quattordici settembre il congresso trasse ministro plenipotenziario
alla Corte di Francia il dottor Beniamino Franklin.

Già si è da noi raccontato come, e per quali ragioni la spedizione della
Delawara, per la quale se erano proposto, ed avevano sperato gli alleati
di opprimere ad un tratto, e l'armata e l'esercito britannici, non aveva
avuto effetto. Perciò, volendo tentare qualcun'altra fazione
d'importanza, dalla quale, e le armi loro ricevessero riputazione, e
qualche gran vantaggio si ricavasse, si risolvettero a voler far quella
dell'Isola di Rodi. Parve loro questa più d'ogni altra opportuna;
perciocchè tal era in quella provincia la natura dei luoghi, che gli
Americani coi soldati loro di terra, ed i Francesi coll'armi da mare
potevano gli uni gli altri aiutare, e congiunte le forze loro al
medesimo fine cooperare. Questo disegno era stato ordito tra i Capi
americani e D'Estaing a tempo della sua stazione presso Sandy-hook; e
già si era mandato nei contorni dell'Isola di Rodi il generale Sullivan,
acciocchè comandasse a quella parte dell'esercito, che doveva tentar
l'impresa, ed intanto facesse adunate delle bande paesane della
Nuova-Inghilterra. Fu ivi fatto andare medesimamente il generale Greene,
il quale, come nato in quell'isola, vi aveva grandissima dependenza. Non
istava il generale inglese senza sospetto di questo disegno degli
alleati, e perciò aveva mandato dalla Nuova-Jork grossi rinforzi al
maggior generale Pigot che governava l'isola, di maniera che i presidj
erano gagliardi, sommando bene a seimila combattenti. Aveva Sullivan
posti gli suoi alloggiamenti poco distante dalla Terra della
Provvidenza, e si noveravano nel suo campo da diecimila soldati, incluse
le milizie. Era il disegno, che, mentre Sullivan sarebbe venuto sopra
l'isola da tramontana, entrasse D'Estaing nel porto di Nuovo-Porto da
ostro, e quivi distrutto il navilio inglese, che si trovava, desse un
feroce assalto alle mura della città di questo nome, di maniera che il
presidio inglese, assalito nell'istesso tempo da due contrarie parti,
non avrebbe potuto, speravasi, reggere a tanta furia, ed avrebbe dovuto
arrendersi.

Lo Stato dell'Isola di Rodi è composto di molte isole adiacenti l'una
all'altra, delle quali la principale e la più vasta è quella che dà il
nome a tutta la provincia. Tra la spiaggia orientale di questa ed il
continente s'insinua il mare, e correndo a tramontana va a dilagarsi, ed
a formare il golfo di Montesperanza. Questo braccio di mare chiamano
Seacannel, o passaggio orientale. Tra l'Isola di Rodi e quella di
Conanicut entra pure il mare, e chiamano questo passo il canale di
mezzo, il quale è molto stretto. Fra la riva occidentale poi dell'Isola
di Conanicut ed il continente s'interpone un altro braccio di mare, il
quale nominano il passo occidentale o Naranganset. Giace la città di
Nuovo-Porto sulla sponda occidentale dell'Isola di Rodi a rimpetto di
quella di Conanicut, e poco distante dall'estremità sua australe una
giogaia di monti si distende a traverso l'Isola di Rodi dal canale
orientale sino a quello di mezzo dietro la città. Questi monti avevano
gl'Inglesi affortificati molto diligentemente per assicurarsi dagli
assalti degli Americani, i quali dovevano venire dalla parte
settentrionale dell'isola.

Il generale Pigot con eguale prudenza ed ardire si preparava alle
difese. Spogliò con ottimo consiglio di presidj l'isola di Conanicut, e
gli ritrasse tutti a Nuovo-Porto. Così fece anche sgombrare dentro a
questa città le artiglierie ed i bestiami. Le poste disperse qua e là
per l'isola, e massimamente quelle che stanziavano presso la sua punta
settentrionale, tenevan ordine di andar tosto a ricongiungersi colle
altre nella città, tostochè s'accorgessero dell'approssimar del nemico.
Le mura che prospettano il mare, si bastionarono con ogni diligenza; le
navi da carico si affondarono ne' luoghi più opportuni, ovvero si
arsero; le fregate si ritirarono, quanto possibile fosse, a luoghi
sicuri. Ma però, dubitandosi delle medesime, furon tolte le artiglierie
e le munizioni; i marinari appartenenti alle navi affondate, od arse si
fecero venire a governar le artiglierie sulle mura della città. Della
qual cosa e molto si dilettavano, e molto s'intendevano.

In questo mezzo tempo, D'Estaing partitosi da Sandy-hook dopo di aver
segato il mare vers'ostro sino ai capi della Delawara, rivolte le prue,
ivasene poggiando a greco verso l'Isola di Rodi. Addì 29 luglio arrivò
alla punta di Giuditta, e col grosso dell'armata diè fondo presso
Brenton's-ledge, cinque miglia distante da Nuovo-Porto. Due vascelli
però, passato il Naranganset, gettaron l'ancora a tramontana di
Conanicut. Alcune fregate entrarono pel Seacannel; il che fu causa, che
gl'Inglesi arsero una corvetta e due galere armate, che in questo luogo
si trovavano. Non fece D'Estaing per alcuni giorni verun'altra
dimostrazione per entrare col grosso dell'armata nel canale di mezzo a
fine d'andare all'assalto contro la città, secondochè si era cogli
Americani indettato. Perciocchè Sullivan non aveva ancora tutti quei
rinforzi ricevuti, massimamente di milizie, che aspettava, e che
abbisognavano alla sicurezza dell'impresa. Finalmente gli otto agosto,
essendo ogni cosa in pronto, ed il vento favorevole, entrò D'Estaing nel
porto, traendo contro le batterie inglesi, e contro la città, le quali
anch'esse trassero contro i Francesi, però con poco danno dell'una parte
e dell'altra. Andò ad afferrare poco sopra la città tra le isole di Goat
e di Conanicut, più vicino però a questa, dove già avevano gli Americani
posti i presidj. Arsero gl'Inglesi in questo mentre, non le potendo
salvare, molte fregate e parecchj legni minori. L'indomani Sullivan, il
quale da Provvidenza si era già condotto su quella parte del continente,
che guarda da levante l'Isola di Rodi, varcato con tutte le sue genti il
Seacannel al passo di Howland, sbarcò sull'estremità settentrionale di
quella. La qual cosa non era passata senza mala contentezza di
D'Estaing, il quale voleva esser egli il primo a por le genti a terra.
Sperava Sullivan, che non si sarebbe indugiato ad andar all'assalto,
quando ecco l'istesso giorno nove apparire in vista tutta l'armata
dell'Howe, il quale, udito che D'Estaing si era avviato contro l'Isola
di Rodi, si era mosso in aiuto del generale Pigot. Era egli, nonostante
l'accostamento delle navi ultimamente arrivate, tuttavia inferiore di
forze ai Francesi, se si considera la portata, e dei vascelli e delle
artiglierie; quantunque avesse più navi di questi, consistendo la sua
armata in una nave da settantaquattro, sette da sessantaquattro, e
cinque da cinquanta con parecchie fregate. Sperava però, che la fortuna
gli avrebbe appresentato qualche occasione di poterne venire alla
battaglia avvantaggiato, o pel favor del vento, o per altre circostanze.
E certo, se tostochè ebbe fatto la risoluzione di correre sopra l'Isola
di Rodi, avesse provato i venti prosperi, vi sarebbe arrivato sì per
tempo, che avrebbe trovato l'armata francese dispersa nei varj canali
dell'isole adiacenti, ed il grosso fuori del porto, sicchè ne avrebbe
facilmente avuto la vittoria. Ma soffiaron quelli sì fattamente
contrarj, che non potò arrivare, se non il giorno dopo che D'Estaing si
era riparato con tutta la flotta a luogo sicuro dentro il canale di
mezzo. Consideratasi da Howe ottimamente la natura de' luoghi ed il sito
delle navi francesi, e tenuto anche a questo fine qualche pratica col
Pigot, soffiando per sopra mercato il vento contrario, venne in questa
sentenza, che non vi era modo alcuno di soccorrer la città. Il porto era
così fatto, la gola sì stretta, le difese apparecchiate sull'isola di
Conanicut sì gagliarde, che non che un'armata inferiore, come l'inglese
era, ma una di gran lunga superiore non avrebbe potuto, se non
temerariamente, tentar la impresa. Per la qual cosa, se l'ammiraglio
francese, secondo ch'era rimasto d'accordo con Sullivan, avesse voluto
continuarla di presente, e non isnidare di là fino a tanto che fosse
stata compiuta, ogni ragione persuade, che la città di Nuovo-Porto
sarebbe venuta in poter degli alleati. Conciossiachè le circondanti
acque fossero occupate dai Francesi. Ma D'Estaing, uomo, siccome
Francese, impaziente ed animoso, essendosi la mattina del giorno dieci
vôlto il vento improvvisamente a greco, e diventato perciò propizio
all'uscita, entrò in tanta fantasia di combattere, che non potè temperar
sè medesimo, ed uscì fuori a trovar l'armata inglese nell'alto mare.
L'ammiraglio Howe, vistasi venir all'incontro una sì poderosa armata,
stando anche a sottovento, il che rendeva grandemente avvantaggiati i
Francesi, evitava la battaglia, ed iva volteggiandosi con gran maestrìa
per riuscir a sopravvento. Ma quanto s'ingegnava egli per guadagnarlo,
tanto si studiava, e non con minor industria, D'Estaing per conservarlo.
In tali volteggiamenti si consumò tutto il giorno dieci. L'indomani
continuando tuttavia il vento contrario agl'Inglesi, si risolvette, non
ostante, l'Howe a voler far la giornata, e perciò dispose le sue navi in
ordinanza, dimodochè potessero esser raggiunte da tre brulotti, che
venivano a rimorchio dietro le fregate. I Francesi ancor essi si
prepararono alla battaglia, e già si doveva definire, a quale dei due
forti avversarj dovesse la signoria dei mari americani rimanere. Ma in
questo punto cominciò a trarre una brezza gagliarda, la quale crescendo
appoco appoco diventò un vento furiosissimo. Il mare cominciò fortemente
a turbarsi ed a tempestare, sicchè gittatosi in una fiera burrasca, che
durò ben quarantott'ore, non solo separò e disperse le due flotte
nemiche, ma ancora sì forte le ruppe, che non potendo più mareggiare
furono costrette ambedue a cercar di rifuggirsi nei porti. La francese
ricevè maggior danno dell'inglese, principalmente negli alberi e negli
attrazzi. La Linguadocca di novanta cannoni, vascello ammiraglio, che
portava il conte D'Estaing, perdette il timone e tutti gli alberi. Così
disarborato e malconcio, andando vagando a seconda del marosi, fu
incontrato dalla nave inglese la Rinomea di cinquanta cannoni
padroneggiata dal capitano Dawson, il quale gli diè un furioso assalto,
che durò sino alla notte. Si difendeva a mala pena la Linguadocca, non
potendo usare che sette, o otto cannoni. Ma l'oscurità, ed il mare, che
continuava tuttavia molto fresco, preservarono il Francese da una
perdita, che pareva inevitabile. La mattina comparivano a veduta
parecchie navi francesi, le quali si cacciaron dietro al Dawson senza
però poterlo raggiungere. Ma liberarono intanto l'ammiraglio dal
presentissimo pericolo che correva. Nelle medesime circostanze, e colla
medesima speranza di vittoria incontratasi lo stesso giorno la nave
inglese, il Preston, di cinquanta cannoni, colla francese, il Tonante,
di ottanta, priva dell'artimone e del trinchetto, la assaliva. Ma ebbe
l'incontro l'istesso fine, e per le stesse cagioni, che il precedente.
Gl'Inglesi si ricoverarono parte a Sandy-hook, e parte alla Nuova-Jork,
dove attendevano con molta diligenza a racconciarsi. I Francesi si
ripararono all'Isola di Rodi.

Erasi intanto Sullivan, quantunque impedito dai cattivi tempi e dalle
difficoltà trovate nel far venir a sè le munizioni e le artiglierie,
condotto vicino alle mura di Nuovo-Porto; e già aveva sboccato
sull'Honeyman's-hill, e dava opera a piantar le batterie con molla ed
attività ed industria. Nè quei di dentro mancavano a sè stessi, rizzando
nuove fortificazioni, e nuove batterie per rimboccar le americane. Ma
con tutto ciò, se ritornato, che fu D'Estaing dalla sua più dannosa, che
utile fazione sul mare, a Nuovo-Porto, si fosse messo a voler cooperare
cogli Americani, le cose di Pigot si sarebbero trovate in grandissimo
pericolo. Avendo il presidio di Nuovo-Porto gli Americani, che lo
serravano alle spalle, se i Francesi, oltre del dar l'assalto dalle navi
loro alle mura della città dalla parte del mare, avessero sbarcato un
buon numero di soldati, il che poteva agevolmente loro venir fatto,
verso la punta australe dell'isola, e fossero corsi sul sinistro fianco
della città, il quale era il più debole, poca speranza poteva rimanere
agl'Inglesi di potersi difendere. Ma molto diversi da questo erano i
disegni di D'Estaing. Significò egli a Sullivan, che per obbedir agli
ordini del suo Re, e per conformarsi al parere concorde de' suoi
uffiziali, si era risoluto a ridursi nel porto di Boston per ivi
rassettar le navi malconce dalla precedente tempesta. Per verità le sue
istruzioni eran sì fatte, che, ove accadesse qualche sinistro, o si
avessero le novelle dell'arrivo di qualche armata nemica superiore alla
sua, dovesse in quest'ultimo porto subitamente ripararsi. Si avevano gli
avvisi, ch'era arrivato, quantunque colle navi assai malconce per aver
incontrato la stagione molto sinistra, l'ammiraglio Byron ad Halifax, e
pareva altresì, che l'evento della battaglia, e principalmente i danni
causati dalla burrasca, lo mettessero in quella condizione, di cui si
erano avvisati i ministri nelle istruzioni date all'ammiraglio. Gli
Americani, i quali evidentemente scorgevano, che l'allontanamento di
D'Estaing da Nuovo-Porto era la perdita totale dell'impresa,
rimostrarono, e molto pregarono per isvolgerlo da questa sua
risoluzione. Greene e La-Fayette assai si adoperarono per piegarlo a non
voler colla sua partenza lasciar intiepidire le cose della lega.
Rappresentarono di quanta importanza fosse alla Francia ed all'America
l'incominciata impresa; che già era essa a tal termine condotta, che non
si poteva dubitar dell'evento; che riuscirebbe di vergogna
l'abbandonarla in sul compirla, e d'infinito disgusto agli Americani, i
quali confidatisi nella promessa cooperazione dell'armata francese, là
erano concorsi a folla, e raunatovi con incredibile fatica e dispendio
una quantità inestimabile di munizioni; che sarebbe un dar vinta la
causa agli scontenti, i quali non avrebbero mancato di vociferare,
questa esser la fede francese, questi i frutti dell'alleanza; che la
nasata avuta della Delawara, poi quella di Sandy-hook, e finalmente
questa di Nuovo-Porto avrebbero posto il colmo al mal umore. Aggiunsero,
male con una flotta sì sdruscita potersi navigare per le secche di
Nantucket per alla via di Boston; meglio potersi fare i concieri a
Nuovo-Porto che a Boston; e finalmente da una superior flotta nemica
poter del pari venir bloccata la francese, ma più malagevolmente
difendersi in Boston, che in Nuovo-Porto. Tutto fu nulla, D'Estaing,
collate le vele, si avviò il dì ventidue a Boston, nel qual porto diè
fondo tre giorni dopo.

Che che si debba pensare di questa risoluzione del D'Estaing, nella
quale ebbe non solo consenzienti, ma richiedenti tutti gli suoi
uffiziali, certo è che perturbò essa grandemente l'animo del
repubblicani, e se ne fece un grande scalpore in tutta l'America. Le
milizie, le quali con tanto zelo erano concorse a trovare Sullivan
nell'Isola di Rodi, vedutesi in tal modo abbandonate dagli alleati, si
disbandarono, dimodochè in poco d'ora gli assediatori diventarono si
fievoli, e di sì poca possanza, che non arrivavano di dieci, che erano,
a cinquemila combattenti, mentre gli assediati sommavano a molti più. In
tanto cambiamento di fortuna, e trovandosi dentro di un'isola
coll'armata alleata lontana, e la nemica vicina, si accostò l'Americano
tostamente al partito di ritirar le sue genti alla terra-ferma. Per la
qual cosa il giorno 26 agosto incominciò ad avviar dietro verso la punta
settentrionale dell'isola le grosse artiglierie e le bagaglie; poi si
mosse egli stesso il dì 29 con tutta l'oste. Ed ancorchè fosse
perseguitato aspramente dagl'Inglesi e dagli Essiani arrivò senza danno
a questa punta medesima. Quivi, sopraggiunti in maggior numero
gl'Inglesi, si attaccò una feroce scaramuccia nelle vicinanze di
Quaker-hill, nella quale tra morti e feriti mancarono da ambe le parti
molti soldati. Tuttavia gli Americani con maraviglioso valore
ributtarono gli assalitori. La notte dai trenta passarono i Sullivani
sul continente pei guadi di Bristol, e di Howland alla sicura. Questo
fine ebbe un'impresa, la quale non solo fu incominciata con grandissima
speranza della vittoria, ma che già era stata ad un pelo condotta al
totale compimento. Fu la ritirata di Sullivan eseguita in assai buon
punto. Imperciocchè l'indomani il generale Clinton arrivò con
quattromila soldati e molti legni sottili in soccorso di Nuovo-Porto. Se
avesse avuti i venti più prosperi, o fosse stato meno pronto Sullivan a
ritirarsi, assalito questi dentro dell'isola da un nemico di lui più
gagliardo il doppio, e chiusagli la via al continente dalle navi,
avrebbe portato grandissimo pericolo. Lodò il congresso la prudenza di
Sullivan, e molto lo ringraziò.

L'ammiraglio Howe, racconce con maravigliosa prontezza le sue navi, di
nuovo diè le vele al vento, avviandosi verso Boston. Sperava di
arrivarvi prima del Francese, e per conseguente tagliarlo fuori di quel
nido, od almeno di assaltarlo, quando già vi si fosse ricoverato. Arrivò
invero nella cala di Boston il dì trenta agosto. Ma non gli riuscirono
nè l'uno nè l'altro disegno; poichè e già vi era giunto D'Estaing, e le
batterie rizzate negli opportuni luoghi dagli Americani su tutti i punti
del Nantucket, rendevano ogni assalto impossibile a tentarsi. Ritornò
pertanto alla Nuova-Jork, dove avendo trovato, essere arrivate parecchie
altre navi da guerra, inguisachè l'armata inglese superasse allora di
forza la francese, usando la licenza, che poco prima aveva ottenuto dal
governo, rassegnò il comando all'ammiraglio Gambier, perchè lo tenesse
sino all'arrivo di Byron in quell'acque; il che fu poi ai sedici di
settembre. Egli poco poscia se ne ritornò in Inghilterra. L'opera di
questo nobilissimo capitano, e delle cose marine spertissimo, riuscì di
molta utilità alla patria sua nella guerra pensilvanica, jorchese e
rodiana, e sarebbe riuscita di maggiore, se uguale alla sua fosse stata
la prudenza dei capitani di terra. Poichè passando anche sotto silenzio
i trasporti da lui operati da un paese all'altro assai lontano della
terra-firma americana di un grosso esercito, com'era quello del suo
fratello Guglielmo, l'industria e la costanza da lui mostrate nel
rimuovere gl'impedimenti della Delawara sono degne di grandissima
commendazione. Arrivato poi che fu D'Estaing con una sì poderosa armata,
e tanto superiore alla sua, gli tenne con tutto ciò il fermo a
Sandyhook; poscia invitandolo a combattere gli disordinò il disegno di
Nuovo-Porto, e fattolo venir fuori causò, che furono talmente guaste e
rotte le navi sue da una furiosa tempesta, che fu costretto a cercar
rifugio nel porto di Boston, donde non uscì, se non per andarsene alle
Antille, abbandonando in tal modo tutti quei disegni, che gli alleati
s'erano accordati di voler eseguire in quell'anno sulle coste
dell'America.

Clinton, veduto Nuovo-Porto libero, se ne tornò alle stanze della
Nuova-Jork. Mandò però dalla Nuova-Londra il generale Grey ad una
fazione verso levante che non fu di poca importanza. Annidavano nel
golfo di Buzzard, e nelle adiacenti riviere molti corsari, i quali e pel
numero loro, e per l'ardire recavano gran danno al commercio inglese
della Nuova-Jork, dell'Isola-Lunga e dell'Isola di Rodi. Clinton si
risolvette a volersi levare quello stecco d'in sugli occhi, ed
assicurare i mari dalle correrie loro. Quest'era il fin e della
spedizione di Grey. Arrivò egli colle navi da carico, e, sbarcate le
genti, distrusse da sessanta navi grosse con molti legni minori.
Procedendo poscia a Bedford ed a Fair-haven sulla riviera di Acushinet,
a guisa più di latroncolo che di soldato operando, guastò od arse
magazzini di considerevole valuta pieni di zucchero, di rum, di mielata,
di tabacco, di medicamenti e di simili altre mercanzie. Nè contento a
questo, recatosi sulla vicina isola, che chiamano Vigna di Marta, nido
di arditissimi corsali, e di suolo mollo fertile, pose un taglione, agli
abitatori, di bestiame sì grosso che minuto; soccorso graditissimo, e
necessario ai presidj della Nuova-Jork. Ne levò ancora di molte armi e
munizioni.

Lo stesso Grey ritornato che fu dalla precedente fazione alla
Nuova-Jork, ne intraprese un'altra, avendo sorpreso nel villaggio di
Old-Taapan, e manomesso non senza grave nota di crudeltà un reggimento
di cavalleggieri. Fecero gl'Inglesi pochi giorni dopo a questa un'altra
correria contro Little-egg-Harbour sulle spiagge della Cesarea, dove
distrussero molto navilio, e menaron molta preda. Corsero poscia contro
la legione di Pulaski alla non pensata, e vi commessero grande
uccisione. Maggiore strage sarebbe seguìta, se non che Pulaski, da
quell'uomo valoroso che egli era, risentitosi subitamente, corse co'
cavalli in aiuto dei suoi. Gl'Inglesi, rimbarcatisi, se ne tornarono
alla Nuova-Jork.

In questi tempi i Capi americani e francesi si disponevano a voler fare
di nuovo l'impresa del Canadà. Speravasi, oltre la possessione di una sì
importante provincia, che si sarebbero potute rovinare le pescagioni
britanniche sugli scanni di Terra-Nuova, e, ridotte a divozione le città
di Quebec e di Halifax, por fine alla potenza marittima dell'Inghilterra
su per quelle spiagge. I Francesi erano i principali stimolatori di
questo consiglio. Gerard e D'Estaing forse artatamente, il marchese De
La-Fayette, siccome giovane, e di queste mene politiche non avvisantesi,
nettamente, e per amor della gloria. Doveva egli uno dei primarj
capitani essere all'acquisto di quella provincia. D'Estaing pubblicò un
manifesto indiritto ai Canadesi in nome del suo Re, col quale, ricordato
prima, ch'eran nati Francesi, rammentate eziandio le antiche glorie e
prosperità sotto il modestissimo Imperio dei Borboni, dichiarò, che
tutti gli antichi sudditi del Re nell'America settentrionale, i quali
più oltre non riconoscessero la superiorità della Gran-Brettagna,
sarebbero protetti ed assicurati. Ma Washington si dimostrò contrario
alla fazione, e ne scrisse le sue ragioni al congresso. L'impresa fu
posta dall'un de' lati. Allegarono, non essere l'erario loro, le
armerìe, le canove, i soldati in grado di poter fornire una tanta
impresa; e che troppo increscerebbe loro, quando per la necessità delle
cose non potessero poi dal canto loro quelle condizioni adempire, che
promesse avessero. Quest'era il loro ragionare aperto. Ma invero
temevano, che vi fosse sotto materia, e che il Canadà si acquistasse non
all'America, ma alla Francia.

L'avere il conte D'Estaing abbandonata in sul compirla l'impresa di
Nuovo-Porto, aveva non poco alterato gli animi degli Americani, massime
nelle province settentrionali; e molti incominciavano a star di
malavoglia contro i novelli alleati, sospettando che questi facessero
seco loro a mal giuoco. A questa cagione aggiungevasi la ricordanza,
ch'era tuttavia molto viva, spezialmente nella minutaglia, dell'antiche
gare e gelosie nazionali, che la fresca lega, e la necessità dei
soccorsi francesi non avevan potuto spegnere. Si sforzava Washington, e
gli altri Capi americani di mitigar questi maligni umori, i quali
dubitavano, non prorompessero in manifesta discordia. Nè minore
attenzione usava il conte D'Estaing durante la sua fermata nel porto di
Boston, non sol per ischivar ogni occasione di scandali, ma di più per
conciliarsi gli animi dei nuovi alleati. E certamente sì fatta fu la
condotta non che degli uffiziali francesi, dei semplici marinari, che
non si potrebbe con parole sufficienti lodare. Questa circospezione non
potè tanto operare, che non nascesse la sera dei tredici settembre una
forte baruffa tra alcuni Bostoniani e Francesi con danno di questi
ultimi. Il cavaliere di San Salvatore, uffiziale francese, vi perdè la
vita. I maestrati della città, volendo levare ai Francesi l'occasione di
ogni sdegno con mostrar loro segno di buona e pronta volontà a punire i
colpevoli, bandirono, avrebber dato un guiderdone a chi avesse svelato
gli autori della rissa, e nel medesimo tempo pubblicarono, i cittadini
non avervi avuto colpa, ma sibbene i marinari inglesi fatti cattivi
nelle navi, ed i disertori dell'esercito burgoniano, i quali avevan
preso soldo su quelle degli armatori bostoniani. La cosa quietò.
D'Estaing, o fosse soddisfatto, o come prudente il paresse, non fece
altra dimostrazione. Nissun colpevole si scoprì. I Massacciuttesi
decretarono, si facesse un monumento al San Salvatore.

Ma troppo più grave di questa si fu la rissa nata la notte de' sei di
questo stesso mese di settembre a Charlestown di Carolina tra i marinari
americani e francesi, la quale si terminò in una formale battaglia.
Incominciarono i primi ad ingiuriare con brutte parole i secondi, i
quali se ne risentirono. Dalle parole si venne ai fatti, e brevemente i
Francesi furon cacciati di forza dalla città, e costretti di rifuggirsi
alle navi. Trassero quindi coll'artiglieria e colla schioppetteria
contro la città, e gli Americani medesimamente contro le navi francesi
dalle case e dalla spiaggia vicina. Vi si perdettero di molte vite da
ambe le parti. Si promise, ma invano, una taglia di mille lire di
sterlini a chi scoprisse gli autori. Il capitano generale della
provincia esortò con pubblico bando i suoi cittadini a tener i Francesi
in luogo di buoni e fedeli alleati, ed amici. Si fecero nel medesimo
tempo provvisioni contro il mal uso dello sparlare. Così finirono le due
riotte di Boston e di Charlestown, delle quali furono universalmente
accagionati, se non con verità, certo con prudenza, i bocconi ed i
maneggi britannici. Perciocchè temettero i Capi americani, che per
questo sdegno non girassero loro sotto i Francesi, siccome quelli che
gli conoscevano facili a dar la volta.

In quest'anno si rinfrescò più feroce che prima la guerra indiana;
poichè sebbene i selvaggi fossero stati intimoriti dai prosperi successi
di Gates, ed avessero mandato ambascerie a congratularsene seco lui e
cogli Stati, ciò nondimeno tante furono l'industria degli agenti inglesi
presso i medesimi, e l'efficacia dei presenti, che ne ricevevano, e
tante e sì fatte le promesse e le instigazioni dei fuorusciti, i quali
colà rifuggiti si erano in un colla naturale e propria sete del sacco e
del sangue, che poterono tanto operare, che andavano facendo correrie
qua e là sull'estreme frontiere settentrionali con infinito danno e
terrore dei popoli. I Capi più operativi, che gli guidavano a queste
sanguinoso fazioni erano il colonnello Butler, che già si era acquistato
nome nelle precedenti guerre indiane, ed un Brandt nato di sangue misto
europeo ed indiano, avventato e feroce bestione sopra quanti abbia mai
prodotto l'umana natura, troppo spesso vaga di somiglianti mostri. Non
la perdonavano nè a età, nè a sesso, nè a condizione, nè a
consanguinità; ma tutto, e tutti traevano indistintamente a rovina ed a
morte. La pratica che avevano i fuorusciti de' luoghi, la radezza delle
abitazioni sparse qua e là nei deserti, la lontananza del governo, e la
necessità del difendersi in altre rimote parti erano cagione, che i
Barbari potessero, e facilmente rompere i confini, e sicuramente
ritirarsi. Nè alcun rimedio efficace sin là s'era potuto fare contro
l'impeto di sì crudeli nemici. Ma in mezzo a questa piuttosto orribile
devastazione che guerra, ne nacque un caso degno di grandissima
compassione, e che per me non saprei, se nelle storie degli uomini
disumanati, e venuti al mondo con anime di fiere bestie, s'incontri od
il maggiore, od il peggiore di questo. Erasi stabilita sull'orientale
riva del fiume Susquehanna nell'estremo confine della Pensilvania, ed in
sulla via per Oswego dai popoli connecticuttesi la colonia di Viomino
popolosa, ricca e profittabile oltre qualunque altra, che a quei tempi
fiorisse in America. Consisteva ella in otto villaggi, a ciascun dei
quali era stato circoscritto un territorio di cinque miglia quadrate,
che distendevansi da una parte e dall'altra del fiume. Non si potrebbe
immaginare nè più felice cielo, nè più fertile terra di questi. Gli
uomini poi simili a loro ignoravano, e le troppe ricchezze, che
inorgogliano ed inviziano, e la povertà che tribola ed avvilisce. Tutti
vivevano nell'aurea mediocrità, nè il proprio prodigalizzando, nè
l'altrui desiderando. Occupati di continuo nei camperecci lavori
fuggivano l'ozio e la noia, i malori ed i vizj, che lo seguitano. Eravi
là insomma una vera immagine o rappresentazione di quell'età, che gli
antichi poeti favoleggiando chiamato hanno col nome dell'oro. Ma la
domestica felicità, di cui godevano, tanto non gli potè trattenere, sì
fatta era l'ardenza dei popoli in questa causa loro, che non pigliassero
le armi, ed in soccorso della patria volonterosamente non concorressero.
Dicesi, abbiano mandato all'esercito un migliaio di soldati; cosa
maravigliosa tra mezzo a sì poca e sì fortunata gente. Eppure nonostante
la privazione di sì fiorita e sì frequente gioventù non iscemava a modo
nissuno l'abbondanza delle ricolte; essendo tuttavia le masserie sì
fattamente ripiene di ricche messi, ed i pascoli sì gremiti di grassi
bestiami, che con abbondanti provvedimenti non cessavano di sopperire
all'esercito.

Ma nè la felicità del cielo, nè la fertilità della terra, nè la
longinquità del sito potettero impedire, che non entrasse tra di loro la
scellerata rabbia delle Sette. E sebbene i Tori, come gli chiamavano,
altrettanto numerosi non fossero, quanto coloro, che facevano
professione della libertà, ciò nonostante la possanza loro non era da
aversi in dispregio; e molto ancora si ajutavano colla pertinacia e
coll'ardire. Quindi è, che non solo le famiglie stavano contro le
famiglie, ma ancora spesso i figliuoli contro i padri, i fratelli contro
i fratelli, e perfino le mogli contro i mariti. Tanto è vero, che non
v'è bontà che resista all'opinione, nè felicità alla discordia
cittadina. I Tori poi erano stati asperati dai danni sofferti nelle
correrie fatte in compagnia dei selvaggi nel precedente anno contro
Viomino, ma molto più, e massimamente, perchè molti Tori forestieri non
conosciuti, i quali usando l'ospitalità tanto famosa degli Americani di
quei tempi, e particolarmente dei Viominesi, erano venuti a piantar le
sedi loro dentro la colonia, dati alcuni motivi di far sospettare di sè
stessi, furono arrestati, ed alcuni mandati nel Connecticut, perchè ivi
fosser loro fatti i processi, altri cacciati dalla colonia e banditi.
Gli odj perciò si rincappellarono. Giurarono i Tori, e meditavano la
vendetta. Si accozzarono cogli Indiani. Il tempo era prospero,
perciocchè la gioventù viominese era ita alla guerra. E perchè non
venisse meno il disegno, che tramavano, desiderando, che riuscisse
improvviso, perchè gli avversarj non avessero tempo di provvedersi,
deliberarono di voler usar gli inganni, simulando l'amicizia e la pace,
quando ad altro non pensavano che alla vendetta ed alla guerra.
Parecchie settimane prima che intendessero d'andar all'assalto,
mandarono più uomini a posta per protestare con efficacissime parole, ed
a chieder la pace. Queste lustre dall'un canto addormentavano i popoli
di Viomino, dall'altro davan comodità ai Tori ed agl'Indiani di
accordarsi cogli amici loro, e di considerare lo stato delle cose nella
colonia. Ciò nonostante malgrado la presente sicurezza, e che le parole
dei selvaggi sonassero tanto in contrario, avevano i Viominesi, siccome
suole per l'ordinario avvenire, allorquando gravi calamità sovrastano ai
popoli, un non so quale presentimento di quello, che doveva avvenire,
avuto. Mandarono perciò lettere a Washington, pregandolo, gli
soccorresse. Le lettere non pervennero, perchè furono tolte dai leali
pensilvanesi; e quand'anche fossero arrivate, non era più tempo. Già
erano i Barbari insorti contro l'estreme parti della colonia, e vi
avevano fatto alcuni rubacchiamenti poco importanti per la grandezza
loro, molto per le crudeltà; infelice preludio a quei mali più terribili
che dovevano di breve seguire.

Era giunto il presente anno al principio del mese di luglio, quando i
Barbari forti e gagliardi comparirono alla non pensata sulle rive della
Susquehanna. Guidavangli quel Giovanni Butler e quel Brandt con altri
Capi selvaggi molto ben noti per le crudeltà usate nelle precedenti
fazioni. Erano in tutto sedici centinaia di guerrieri, un quarto
Indiani, gli altri Tori travestiti, e dipintisi la pelle in modo, che il
parevano. Gli uffiziali però portavano gli abiti dell'uffizio e del
grado loro, e somigliavano stanziali. Avevano i Viominesi per sicurezza
loro, e stante la lontananza dei consorti, e la prossimità dei selvaggi,
piantato quattro Forti, ed avevano forse da cinquecento soldati sparsi
qua e là per le frontiere, od alloggiati nei Forti medesimi. Governava
tutta la colonia un Zebulone Butler, cugino a Giovanni, e uomo, se di
qualche valore, certo di poco cervello. Alcuni lo accusarono di fede
dubbia; il che è incerto. Certo è bene, che uno dei quattro Forti,
ch'era più vicino ai confini, era guardato da soldati infetti delle
opinioni dei Tori, i quali sul primo apparire dei nemici lo diedero in
poter loro. Un secondo, ricevuto un furioso assalto, si arrendè a
discrezione; dove quantunque i Barbari risparmiassero le donne ed i
fanciulli, i rimanenti crudelmente ammazzarono. Si ritirò in questo
mezzo Zebulone con tutti i suoi nella Fortezza principale chiamata
Kingston, dove concorrevano a calca, come in luogo di salute, spaventati
e con miserabili grida le donne, i vecchi, i fanciulli, i malati, e
tutti coloro, che inabili erano a portar l'armi. Era la Fortezza assai
difendevole, e quando Zebulone avesse tenuto il fermo, si poteva
sperare, che vi si sarebbe rotto l'impeto dei nemici, sintantochè
fossero arrivati gli aiuti. Ma Giovanni piaggiandolo e promettendogli
ogni cosa, operò si, e talmente, che lo trasse fuori della Fortezza
sotto colore di un accordo, il quale fu, che se venisse a parlamento
alla campagna, ci ritirerebbe i suoi dalla Fortezza, e si concluderebbe
la pace. Infatti diè indietro Giovanni con tutti i suoi soldati. Uscì
poscia Zebulone per andar al luogo accordato pel parlamento, assai
distante dal Forte; e per non esser solo si fece seguitare da
quattrocento soldati armati, quasi la totalità del presidio. Il che se
non è stato un tradimento, stato è certamente una molto strana ed
inescusabile semplicità. Arrivato Zebulone al convenuto luogo non
trovava anima vivente, ed increscendogli di ritornarsene senza
conclusione, procedeva verso le falde di certe montagne, ch'erano poco
lontane, sperando di trovarvi qualcuno, con cui potesse favellare.
Mentre marciava per quell'orrida solitudine, nissun segno se gli
appresentava, od ombra di vestigio umano. Avrebbe dovuto ristarsi; ma il
destino lo tirava; e di continuo si sospingeva avanti. La contrada
intanto incominciava a diventare scura e selvereccia. Discoprì
finalmente tra mezzo le macchie e gli arbusti di lungi un drappello, che
pareva lo invitasse a seguitare. E quei, che lo portava, come se temesse
egli stesso di tradigione, si ritirava, sempre drappellando, in dietro
con quel passo, col quale Zebulone camminava avanti. Intanto gl'Indiani,
che sapevano il paese, essendosi molto opportunamente valuti
dell'oscurità di quelle boscaglie, già lo avevano accerchiato da ogni
banda, mentre egli, ignaro del tutto del suo pericolo, tuttavia andava
innanzi per convincere i traditori ch'ei non gli voleva tradire. Ma
infine gl'Indiani lo svegliarono ben essi dal forte sonno, i quali
saltati fuori dalla imboscata, che fatto avevano nelle vicine foreste,
furiosamente, e con tremendi urli lo assalirono. Fatto un gomitolo dei
suoi si difendeva gagliardamente, mostrando migliore animo nella
battaglia, che mente nelle pratiche precedenti. E nonostante che la cosa
fosse tanto improvvisa, menavano i suoi soldati così fieramente le mani,
e con tanta costanza serbavano gli ordini, che la battaglia non solo
rimaneva dubbia, ma già incominciava a favor loro inclinare. In questo
punto, ecco un soldato del Zebulone o per tema, o per tradimento gridare
improvvisamente: _indietro; il colonnello ha comandata la ritirata_.
Tosto balenano, si rompon gli ordini, i Barbari entrano tra le file.
Segue una strage orribile. I fuggenti sono trafitti dalle trascorrevoli
armi, i contrastanti ammaccati dai mazzeri, o abbocconati dai coltelli.
Sani con feriti, moribondi con boccheggianti si abbaruffano in ogni
strana attitudine. Felice chi muore prima, o tosto; imperciocchè
gl'Indiani scotennavano i viventi, ed i Tori indragati, quando non
potevan coll'armi, colle mani gli sbranavano. Nissuno si pensi, che
alcuna rotta sia mai stata più lagrimevole di questa, nè che tanta
crudeltà siasi usata da feroci vincitori sopra i vinti. La maggior parte
morirono. Da settanta col Zebulone scampati dalla beccheria si
ricoverarono sbandatamente in un Fortino dall'altra parte del fiume.

I vincitori di nuovo investivano Kingston, e per ispaventar con orribile
spettacolo il già debole presidio vi briccolaron dentro dugento zaccagne
tuttavia grondanti di sangue dei loro parenti, amici e compagni. Il
colonnello Dennisson, comandante del Forte, veduta l'impossibilità del
difendersi, mandò chiedendo a Butler, quali condizioni concederebbe, se
si arrendessero. Rispose con ferità più che barbara e bestiale, e con
una sola parola l'_Ascia_. In un frangente tanto spaventevole
difendevasi Dennisson per un tempo, come meglio sapeva e poteva. Infine
morti, o feriti quasi tutti i suoi, si arrendè a discrezione. Entrarono
i Barbari, ed incominciarono a trar fuori dal Forte i vinti, i quali già
si credevano di esser menati ad una certa morte. Ma infastiditi
dall'impaccio e dalla lunghezza delle particolari morti si ravvisarono
di stivargli, uomini, donne, vecchi e fanciulli alla mescolata dentro le
case e le baracche, alle quali posto il fuoco, gli arsero dentro tutti,
dilettandosi essi nell'udire le compassionevoli grida di tanta
moltitudine di morenti.

Rimaneva in poter dei Viominesi il Forte Wilkesborough. Sopraggiungevano
i vincitori, e quei di dentro, sperando di trovar mercè, si arrendettero
senza resistenza alcuna ed a discrezione. Ma se la resistenza irritava
quegli uomini feroci, o piuttosto quelle fiere avide del sangue umano,
la cessione non gli disasprava. La rabbia loro si esercitò
principalmente contro i soldati del presidio, i quali eran piuttosto
stradieri da confini, che stanziali o milizie. Tutti gli ammazzarono con
inudita barbarie, e con nuovi ed inusitati martorj. Gli altri, uomini,
donne e fanciulli, i quali non parevan loro meritare una speciale
attenzione, arsero, come quegli altri, nelle case e nelle baracche,
tutti comprendendo in un universale incendio.

Prese le Fortezze, ivano i Barbari alla sicura disterminando la
contrada. Adoperavano il ferro, il fuoco, ogni stromento di distruzione.
Le messi e le ricolte, l'une e l'altre abbondantissime, ardevano. Le
case, gli arredi, le masserizie, preziosi frutti e cari dell'umana
industria e della civile società, si guastavano, come più veniva a
grado, o come meglio sapevano studiarsi i distruggitori. Ma eglino
spietati e snaturati, com'erano, non si ristavano ai volti umani; anzi
contro le bestie stesse rivolgevano il furor loro. Tagliate le lingue ai
cavalli, alle pecore, ed ai boccini gli lasciarono poscia andar vagando
per quelli testè sì pieni e lieti, ed ora distrutti pascoli, contenti al
veder prima i tormenti loro, che la morte.

Noi siamo stati lungamente in forse, se raccontare dovessimo i
particolari esempj della barbarica crudeltà; imperciocchè solo nel
rammentargli ci sentivamo raccapricciare. Ma considerato, che forse se
ne potrebbero i buoni Principi ritrarre dalle guerre, ed i cittadini
dalle civili discordie, non abbiam voluto, che la memoria di quelli a
queste nostre storie mancasse. Essendo il capitano Bedlock stato
spogliato nudo, gli si piantarono nel corpo suo fuscelletti di pino,
poscia posto sopra una catasta di rami del medesimo albero, datovi il
fuoco, fu arso vivo miserabilmente. I capitani Ranson e Durgee furon
gettati anch'essi viventi nelle fiamme. I Tori non che non
eguagliassero, forse superavano la crudeltà dei selvaggi. Uno fra gli
altri, la cui madre si era ad un secondo marito sposata, e questa, ed il
padrigno, e le sue proprie sorelle ed i bambini loro ammazzò. Un altro
uccise colle sue mani stesse il proprio padre, e tutta la sua famiglia
disterminò. Un terzo si bruttò le mani nel sangue dei fratelli suoi,
delle sorelle, del cognato e dello suocero. Queste furono una parte
delle dispietanze usate dai selvaggi, e dai fuorusciti nell'eccidio di
Viomino. Altre, se possibil sia, più orribili, passiamo sotto silenzio.

Nè meno lamentevole era la condizione di coloro, la più parte donne e
fanciulli, i quali avanzati a tanto sterminio, si eran rifuggiti nelle
selve in quell'ore, in cui i Barbari infuriavano contro i mariti e padri
loro. Dispersi e vaganti per le foreste, dove il caso o la paura gli
guidava, senza cognizione de' luoghi, senza vestimenta, senza
vettovaglie, ogni estremo di miseria dovettero sopportare. Parecchie
partorirono fra boschi, troppo lontani dai luoghi abitati, perchè
potessero sperar soccorso. Le più forti di mente e di corpo scamparono;
le altre perirono; ed i corpi loro e quei delle innocenti creature
diventarono preda alle crudeli fiere. In cotal modo fu ad un totale
subbissamento condotta la più fiorente colonia, che allora in America si
ritrovasse.

La distruzione di Viomino, e le crudeltà che l'accompagnarono,
riempirono d'orrore, di sdegno e di compassione gli Americani tutti; e
si proponevano bene tra loro medesimi di volerne fare un dì un'adeguata
vendetta. Ma di ciò nelle presenti occorrenze della guerra avevano
meglio il desiderio, che la facoltà. Tuttavia furon fatte quest'anno
alcune spedizioni contro gli Indiani, le quali se non riuscirono di
molto momento alla somma delle cose, furono però molto memorabili per la
prudenza, e per l'ardimento, co' quali furono eseguite. Partì dalla
Virginia il colonnello Clarke accompagnato da una forte schiera per
recarsi contro le colonie poste dai Canadesi sulle superiori rive del
Mississipì nella contrada degl'Illinesi. Intendeva Clarke di opprimere
con un improvviso impeto fino nei più reconditi ridotti e serragli loro
questa gente impronta e crudele. Costeggiata prima la Monongahela,
poscia l'Ojo, si volse a tramontana per alla volta di Kaskakias,
capitale villata di que' stabilimenti. I repubblicani giunti in quel
luogo, ed entrati dentro quasi senza resistenza niuna, essendo i
terrazzani occupati dal sonno, se ne fecero padroni. Poscia cavalcarono
il paese vicino, e ridussero a divozione altre terre. Gli abitanti
spaventati correvano a giurar obbedienza agli Stati Uniti. Di là poi si
volse Clarke contro altri Barbari più vicini, e penetrando nei più
segreti ricettacoli e caverne loro, tutto pose a fuoco ed a sangue. Così
sperimentarono i selvaggi nelle proprie case quei mali, che avevano
portati nelle altrui. Il che operò di modo, che per l'avvenire
diventarono timidi all'assaltare, e gli Americani animosi al difendersi.

Un'altra spedizione somigliante a questa fu qualche mese dopo intrapresa
da un altro colonnello Bluter contro i Tori e gl'Indiani abitatori delle
rive della Susquehanna, quegli stessi, ch'erano stati gli autori
dell'eccidio di Viomino. Arse e distrusse parecchie villate, ed i
ricetti degli odiati Tori. Le messi, le ricolte, le case, i mulini,
tutto fu guasto e sperperato. Gli abitatori, avuti gli avvisi per tempo,
si eran recati in salvo, e di ciò molto bene glien incolse loro; poichè
sarebbero stati pagati a misura di carbone del macello di Viomino.
Compitasi dagli Americani la bisogna, se ne tornarono sani e salvi a'
luoghi loro, non senza però aver sopportati infiniti disagi e pericoli.
In questo modo si terminò quest'anno la guerra indiana.

Nè solo erano gli Americani assaliti da fronte dagl'Inglesi, ed in
sospetto da tergo per gl'Indiani e fuorusciti, ma ancora davan loro non
poca noia gli scontenti di dentro. Fra questi, più vivi degli altri si
dimostravano i Quaccheri, i quali, quantunque da principio abbracciato
avessero, o paruto abbracciare il partito della rivoluzione, e che anche
a' presenti tempi si annoverassero fra di essi alcuni de' più cospicui
libertini del paese, quali erano per cagion d'esempio i generali Greene,
e Mifflin, ciò nondimeno la maggior parte parteggiavano per
l'Inghilterra, o sia perchè fosse loro venuta a noia la lunga guerra; o
che avessero voluto solamente la emendazione delle leggi, non la
independenza, o che creduto avessero, che dopo la conquista di
Filadelfia fossero del tutto le cose americane spacciate, ed
intendessero, colla sottomessione dimostrata a buon'ora, placare il
vincitore, e nella futura signoria britannica procurare a sè quei
vantaggi, che ai più ostinati negati sarebbero. Quindi è, che servivano
di spie, di guide, di rapportatori agl'Inglesi molto volentieri. Alcuni
di loro, siccome già abbiam narrato, erano stati confinati in paesi
strani, altri sostenuti nelle prigioni. Di parecchj furon prese a
Filadelfia le dovute pene, siccome di quelli, che furon convinti di aver
insidiato alla libertà coll'aver avuto intendimento col nemico.
Speravano i repubblicani con questi esempj fare star fermi tutti quelli,
che sentivano diversamente. Ma però l'opera di questi scontenti poco
importava alla somma delle cose; perciocchè l'ardire aperto ed il
consenso degli uni grandemente prevalevano alle arti ed alle segrete
macchinazioni degli altri.

In questo mezzo tempo il marchese De La-Fayette desiderando di servire
al proprio Re nella guerra, ch'ei non dubitava, fosse anche per
esercitarsi in Europa, e sperando oltreacciò di avanzar colle
rappresentazioni, ed esortazioni sue la causa di quegli Stati presso il
governo di Francia, chiedeva al congresso licenza di potersene ritornar
in Europa. Washington dal quale il marchese era grandemente amato, e
considerando eziandio, di quanta importanza fosse il nome di lui,
avrebbe desiderato, che gli si concedesse solamente un temporale
congedo; ma non già, che cessasse dagli stipendj, e di ciò scrisse al
congresso. Abbracciò questi molto volentieri il partito posto da
Washington, ed inoltre scrisse a La-Fayette, immortali grazie
rendendogli dello zelo, col quale si era mosso a salute ed a pro
dell'America, e dei servigj da lui renduti a quegli Stati in tante
occorrenze. Ordinò ancora al dottor Franklin, lo presentasse con una
spada figurata con quegl'intagli, che meglio potessero le azioni sue
ricordare. Raccomandavalo finalmente molto al Re Cristianissimo. Pigliò
il marchese commiato dal congresso, e partissi, per ritornarvi però a
tempo opportuno, dall'America nell'entrare del seguente anno. Giunto in
Francia fu veduto con allegra fronte dal Re e dai popoli. Franklin gli
presentò la spada istoriata. Eranvi intagliate le battaglie ed i fatti
egregi del giovine francese. V'era egli scolpito in atto di ferire il
lione britannico. Riceveva in questo un ramo d'alloro per le mani
dell'America sciolta dalle sue catene. L'America stessa era raffigurata
per mezzo di una luna crescente con questo molto: _crescam, ut prosim_.
Dall'altro lato si leggevano queste parole: _Cur non?_ le quali erano la
divisa, ch'egli aveva portato, partendo di Francia. Questo fu dono di
mirabile artifizio, e di grata ricordanza al valoroso aiutatore
dell'America.

Intanto continuava D'Estaing a stanziare nel porto di Boston, dove
attendeva a vettovagliar la sua armata. La quale cosa gli sarebbe con
difficoltà venuta fatta per la scarsezza delle biade, in cui si
trovavano le province settentrionali; perciocchè era stato interrotto
dalla guerra il commercio colle meridionali, che ne abbondavano, se non
che le navi predate dagli arditi armatori della Nuova-Inghilterra furono
in sì gran numero, che non che si fornisse copiosamente la flotta, gli
abitatori tutti del Massacciusset e del Connecticut ne provarono
infinito giovamento. L'ammiraglio Byron non sì tosto fu arrivato alla
Nuova-Jork, che attese diligentemente a racconciar le sue navi per farle
leste al mareggiare. Finalmente avendo ogni cosa in pronto, sciolte le
ancore, se ne iva a Boston per ivi osservare gli andamenti di D'Estaing.
Ma quella stessa fortuna, che lo aveva accompagnato dall'Inghilterra
sino nell'America, si manifestò di nuovo contro di lui in quelle
spiagge. Levatasi una furiosa burrasca, venne sospinto in alto mare,
dove furono talmente rotte un'altra volta, e fracassate le sue navi,
ch'ei fu costretto a porre, per rassettarsi, nel porto dell'Isola di
Rodi. Colse l'ammiraglio francese la occasione, e salpò ai tre di
novembre dal porto di Boston per andarsene alle Antille, dove lo
chiamavano gli ordini del suo Re, e le vicende della guerra. Nel
medesimo giorno, avendo gl'Inglesi conosciuto ottimamente, quali fossero
i disegni di D'Estaing, e quanto deboli fossero i presidj loro nelle
isole Antille di loro pertinenza, partì da Sandy-hook alla volta delle
isole medesime il comandante Hotham con sei navi da guerra, le quali
portavano cinquemila soldati da sbarcarsi, capitanati dal
maggior-generale Grant. Lo seguitò l'ammiraglio Byron con tutta la sua
armata il giorno 14 di decembre.

Quasi nel medesimo tempo partì dalla Nuova-Jork per andar alla conquista
della Giorgia il colonnello Campbell con un buon nervo d'Inglesi e di
lanzi. Gli faceva l'accompagnatura l'almirante Hyde-Parker con
un'armatetta di navi da guerra. Così la guerra dopo d'aver lungo tempo
incrudelito nelle province settentrionali e mezzane, si trasportava
tutto ad un tratto nelle vicine isole, e nelle meridionali province
della Lega.


FINE DEL LIBRO DECIMO



LIBRO UNDECIMO


[1778]

Non erano ancora D'Estaing ed Hotham arrivati alle Antille, che il
comandante inglese Evans s'era recato sopra le due isole di San Pietro e
di Michelone, l'una e l'altra molto opportune alle pescagioni di
Terra-Nuova, le quali per esser poco o nulla difese, ottenne facilmente.
Quivi egli, come se spegner volesse in quei luoghi tutti i vestigi della
signoria francese, con barbarici modi procedendo distrusse e guastò i
fondachi e le baracche, che stat'erano costrutte ad uso delle
pescagioni, rovinò gli edifizj, e rimandonne tutti gli abitatori, che
sommavano coi presidj a duemila persone, in Europa.

Di questa perdita assai bene si ristorarono i Francesi
coll'impadronirsi, come fecero poco dopo, dell'isola Domenicana, la
quale essendo posta tra la Guadaluppa e la Martinica, era in quelle
spiagge di somma importanza alle future operazioni della guerra. Di ciò
si era benissimo accorto il governo inglese, il quale l'aveva
diligentemente affortificata e munita di grosse e copiose artiglierie.
Ma nè il presidio, nè la quantità delle munizioni corrispondevano a
tanto apparato, ed all'importanza del sito. I magazzini pubblici vi si
trovavano pressochè vuoti, e la guernigione se arrivava, certo non
passava cinquecento soldati, la maggior parte milizie. Avevano molto per
tempo gli oppositori del Parlamento britannico ed i mercatanti di Londra
gravi querele mosse, perchè si lasciassero spogliate di più sicuri
presidj, e quasi esposte all'appetito de' nemici le isole delle Indie
occidentali. Ma tutto fu nulla, ossiachè i ministri per la guerra
americana non abbian voluto, o che non abbian potuto convenientemente
presidiarle. I Francesi per lo contrario stavano molto forti nelle loro,
ed apparecchiati non che a difendersi, ad offendere. Aggiungasi, che
furono questi i primi a ricever le novelle della rottura della guerra in
Europa; perchè le fregate inglesi, che stat'erano mandate per
annunziarla, eran venute in poter dei Francesi sulle coste di San
Domingo, dimodochè la prima notizia, che ne pervenne all'ammiraglio
Barrington, il quale con due navi di alto bordo e due fregate stanziava
alle Barbade, si fu per mezzo del manifesto di guerra stato pubblicato
alla Martinica dal marchese di Bouillé, che n'era governatore. La
cattura poi delle fregate aveva avvertito Barrington e tutti gli altri
Capi inglesi in quelle parti, che la guerra non solo era chiarita, ma
ancora incominciata. Stava questo ammiraglio molto sospeso di quello
ch'egli avesse a farsi; perciocchè non che ricevuto avesse novelli
ordini, teneva tuttavia gli antichi, pei quali gli era stato commesso,
continuasse nella stazione delle Barbade. Il marchese di Bouillé, uomo
attivo, e che gli bastava la vista, volendo giovarsi dell'incertezza e
della debolezza degl'Inglesi, si determinò a dar cominciamento alla
guerra con una rilevata fazione. Imbarcatosi con due migliaia di soldati
da porre in terra a bordo di diciotto navi da carico, e scortato dalle
fregate la Tortore, la Diligente e l'Anfitrite arrivò sopra l'isola
Domenica il giorno sette di settembre in sul far del dì. Sbarcava con
tutte le genti. Il signor Fontaneau, protetto anche dalla fregata la
Diligente, corse contro il Forte Cachacrou, e senza fatica se ne
impadronì. Traevano gagliardamente gl'Inglesi dal Forte Roseau e dalla
batteria di Lubiera. Ciò nondimanco il signor de la Chaise coi primi
feritori del reggimento oxerrese non solo si andava avvicinando alla
batteria, ma giuntovi con mirabile coraggio vi entrò dentro per le
cannoniere, aggrappandosi alle gioie dei cannoni, e se ne fece padrone.
In questo mezzo tempo il visconte di Damas era proceduto sulle alture,
le quali stanno a sopraccapo al Forte Roseau, ed il marchese di Bouillé
col grosso delle sue genti era entrato nei sobborghi. Fulminava
parimente contro il Forte la fregata la Tortore. Tuttavia si difendevano
gl'Inglesi valorosamente. Ma finalmente, essendo così pochi contro
tanti, e vedendo i Francesi pronti a dar la scalata, Stuart, ch'era il
castellano, chiesti i patti, si arrendè. Il marchese, o sia che volesse
colla clemenza adescar i governatori delle altre isole inglesi, che
intendeva di assalire, ad arrendersi anch'essi più facilmente, o che
temesse di Barrington, ch'era vicino, ovvero che tale fosse, come si dee
credere, la sua natura volta alla generosità, concedette termini molto
onorevoli allo Stuart. Uscissero con tutti gli onori della guerra,
ritenessero le armi, fossero salve le antiche leggi ed ordinamenti
dell'isola, la quale se al fine della guerra avesse a rimanere in
potestà della Francia, potessero ad elezione loro gli abitatori la
maniera del reggimento francese accettare, o la propria ritenere. Fosse
loro lecito ancora in tal caso andarsen essi, e tutte le robe loro
trasportare, dove meglio volessero o piacesse loro; quelli che
rimanessero, non avessero ad avere verso il Re di Francia maggiori
obbligazioni, di quanto verso quello della Gran-Brettagna si avessero.
Trovarono i Francesi in quei differenti Forti da centosessantaquattro
pezzi di grosse artiglierie con ventiquattro bombarde ed una certa
quantità di munizioni da guerra. I legni da corseggiare, che si
trovavano nei porti dell'isola, furon tutti o guasti o presi; furon le
case e le robe preservate dal sacco; e le persone dall'insolenza della
soldatesca con immortale gloria del vincitore. Concedette a' suoi,
perchè non fossero scontenti, un caposoldo. Dopo breve posata, lasciati
nella Domenica quindici centinaia di soldati di presidio, e creato il
marchese Duchilleau governatore, se ne tornò Bouillé alla Martinica. Ma
se fu memorabile e degna di eterna lode la continenza e la generosità
sua, non fu minore la sfrenatezza e la inumanità del Duchilleau, il
quale ogni cosa comportava a' suoi soldati, e tutte quelle stranezze usò
ai Domenicani ch'esercitar si sogliono dai superbi ed insolenti
vincitori contro i vinti. Tanto possono nei mortali o una sfrenata
natura, od i rancori o gli odj nazionali. Nè furono quegl'isolani
liberati dall'imperio insolente di Duchilleau, se non quando fu fermata
la pace tra i due Stati.

Non così tosto ebbe l'ammiraglio Barrington ricevuto gli avvisi
dell'invasione della Domenica, che prevalendo nell'animo suo la gravità
del fatto alle commissioni che teneva, partì incontanente per andar
colla sua armatetta a soccorrerla, e sturbar, se ancor fosse in tempo,
quell'acquisto al nemico. Ma arrivò quando Bouillé già si era ritirato
alla sua sicura stazione della Martinica. Tuttavia la presenza sua
contribuì non poco a confortare gli animi degli abitatori delle vicine
isole inglesi spaventati all'improvviso caso, ed al quasi totale
disarmamento, in cui allora si trovavano.

Ma queste cose non furono che il principio di quelle maggiori, che
seguirono poco dopo. Erano partiti, come già abbiam narrato, lo stesso
giorno il conte D'Estaing da Boston, ed il comandante Hotham da
Sandy-hook per recarsi l'uno e l'altro all'isole Antille, il primo alla
Martinica, ed il secondo alle Barbade. Viaggiavano le due flotte, senza
che il sapessero, l'una vicino all'altra, ancorachè l'Inglese, avendo
qualche sospetto, molta industria usasse per tener la sua, la quale
siccome consistente in navi più picciole, era anche più numerosa,
raccolta e rannodata, quanto meglio sapesse e potesse. Imperciocchè se
D'Estaing avesse avuto sentore di quello ch'era, siccome molto più
potente, avrebbe tostamente potuto opprimere la flotta inglese, tanto le
navi da guerra, quanto quelle da carico, che in grandissimo numero
portavano le genti da sbarcare, nelle quali sole consisteva la speranza
di poter quelle ricche isole conservare alla Corona della
Gran-Brettagna. Finalmente però una grossa folata avendo disperse le due
armate, tre bastimenti inglesi diedero dentro a quella di D'Estaing, e
vennero in poter suo. Avendo egli avuto per questo mezzo notizia della
cosa, quantunque non potesse dar la caccia agl'Inglesi, perciocchè non
aveva ancor potuto raccor le sue navi disperse qua e là dalla forza del
vento, tuttavia si determinò a disviarsi dal suo cammino, ed in luogo di
continuare a correre verso la Martinica, volse le prue verso Antigoa,
persuadendosi che a quest'isola, e non alle Barbade s'indirigessero
gl'Inglesi. Sperava di poter arrivare prima che sbarcati fossero, o
riparatisi nei porti, e perciò tutta quella forza inglese sì da terra
che da mare ad un tratto opprimere e conquistare. Dalla qual cosa quanto
danno fossero per ricevere gl'Inglesi, nissuno nol vede. Certamente
avrebbe D'Estaing dopo una tanta vittoria posto al tutto fine alla
signoria inglese nelle Antille. Ma la fortuna non favorì il disegno.
Gl'Inglesi continuando tuttavia di camminare alla volta delle Barbade,
vi arrivarono felicemente il giorno dieci di decembre, dove Hotham si
accozzò con Barrington, che già vi era ritornato. D'Estaing pervenuto
con grandissima celerità nelle acque di Antigoa, vi si andò volteggiando
per alquanti dì, ed in fine non vedendo comparire l'inimico, e riputando
avesse posto altrove, si volse, ed arrivò alla Martinica.

I capitani inglesi in niun modo sospettando di aver vicino un sì
possente nemico si risolvettero senza sovrastamento alcuno ad assaltar
l'isola di Santa Lucia, la quale, siccome forte per natura e per arte, e
posta tra la Martinica e la Domenica, era di non poco momento alle
operazioni della guerra. Posti adunque sopra le navi da quattro migliaia
di soldati valentissimi, si condusse l'ammiraglio Barrington dalla
Barbada a Santa Lucia, dove arrivò il giorno tredici decembre. Il
generale Meadows sbarcato con una buona presa di genti iva tostamente
per occupare i poggi, che sovrastano alla settentrionale riva di quella
cala, che i Francesi chiamano il _Grand-Cul-de-Sac_. Stava alla difesa
di quelli il cavaliere di Micou, comandante dell'isola, con alcuni pochi
stanziali, e colle milizie del paese, che con alcune artiglierie molto
noiavano e lo sbarcar degl'Inglesi, ed il proceder loro verso i poggi.
Micou, fatta una valorosa resistenza, non potendo con sì poche forze
reggere, cedè il luogo, ritirandosi alla città capitale, che chiamano
_Morne-Fortune_. Sottentravano gl'Inglesi, e s'impadronirono dei poggi.
Nel medesimo tempo il generale Prescott era sbarcato con cinque
reggimenti, ed aveva occupato tutti i luoghi circonvicini alla cala.
L'indomani mattina Meadows co' suoi, ch'erano la vanguardia, guidando
Prescott la dietroguardia, marciava contro la città di Morne-Fortune,
nella quale entrò, superata dal superior numero degl'Inglesi, la
resistenza del Micou. Si ritirò questi più in su a luoghi più aspri e
difficili, muniti però d'artiglierie. Prescott intanto con mirabile
prudenza assicurava e forniva d'artiglieria e di soldati tutti i luoghi
abbandonati dal nemico. Ma Meadows non contento a questo, e desiderando
di rendersi padrone anche della cala del Carenaggio, che giace più in là
a tramontana a tre miglia dal Grand-Cul-de-Sac; perciocchè in essa
avrebbono i soccorsi francesi potuto sbarcare, e ferir da fianco gli
Inglesi, sprezzata la difficoltà de' luoghi, e l'ardore cocente del
sole, andò a piantarsi sul posto detto della Vergine, il quale è situato
sulla settentrionale riva della cala del Carenaggio, e ne signoreggia
intieramente la bocca. Altri pigliarono luogo sull'austral punta di
questa, e vi piantavano le artiglierie. Il generale Calder poi colle
restanti genti andava a porsi sull'austral riva del Grand-Cul-de-Sac,
dimodochè da questa sino alla settentrionale spiaggia del Carenaggio
tutti i posti furono in poter degl'Inglesi ridotti. La flotta di
Barrington stanziava nel Grand-Cul-de-Sac, le navi da guerra alla bocca,
e quelle da carico dentro. Il cavaliere di Micou teneva tuttavia un
Forte munitissimo posto sulle montagne.

Erano le cose in questo stato, già tenendo gl'Inglesi quasi l'intiera
vittoria in mano, e nissun'altra speranza avendo i Francesi, che nel
pronto soccorso di D'Estaing, quando comparì questi improvvisamente in
cospetto dell'isola con tutta la sua armata, accompagnata da una
moltitudine di fregate, di corsali, e di legni da carico, che portavano
da nove migliaia di soldati. Aveva egli ricevuto subito avviso
dell'assalto dato dagl'Inglesi a Santa Lucia. Del che si era mostrato
assai contento; perciocchè se gli scopriva la occasione di affliggere
con una compiuta vittoria, e con poco rischio, essendo molto
avvantaggiato di forze, tutta la potenza britannica nelle Antille. Per
la qual cosa non aveva posto tempo in mezzo all'imbarcarsi, e correre
contro il nemico, che non l'aspettava. E per verità, se fosse arrivato
sopra Santa Lucia ventiquattro ore prima, gli veniva tosto fatto il
disegno. Ma, e già gl'Inglesi s'eran fatti padroni dei posti principali,
ed affortificativisi; ed essendo l'ora tarda, quando arrivò, fu
obbligato ad indugiar la batterìa sino all'indomani. Intanto la notte
l'ammiraglio Barrington con grand'animo, e con non minor industria si
apparecchiava contro il futuro e molto pericoloso assalto. Le navi da
carico e tutti gl'impedimenti rimuoveva all'indentro del
Grand-Cul-de-Sac, e le navi da guerra disponeva in modo alla bocca, che
potessero più vantaggiosamente, che possibil fosse, reggere contro
l'impeto del nemico, ed impedirgli d'entrar dentro la cala. Aveva seco
il vascello detto il Principe di Cornovaglia di 74 cannoni, il Boyne di
70, il Sant'Albano ed il Nonpari di 64, il Centurione e l'Iside di 50
con tre fregate.

Il conte d'Estaing, non credendo, che la cala del Carenaggio già fosse
venuta in poter del nemico, si volse la mattina dei 15 a quella per
entrarvi, proponendosi quindi di recarsi per la via di terra contro il
fianco destro degl'Inglesi, i quali, secondochè si era assicurato cogli
occhi suoi proprj, occupavano il Grand-Cul-de-Sac. Ma non sì tosto fu
pervenuto alla bocca del Carenaggio, che le artiglierie inglesi poste
sulle due punte trassero furiosamente non senza grave danno delle sue
navi, massime della capitana la Linguadocca. Da ciò fatto certo
l'ammiraglio francese, che non v'era modo alcuno di poter entrar da
quella parte, si difilò con dieci navi delle più grosse contro
Barrington con evidente disegno di sforzar il passo, ed entrar nella
cala; il che stato sarebbe l'ultima rovina degl'Inglesi. Si attaccava
una battaglia molto aspra, nella quale sostennero questi con
inestimabile valore, protetti anco dalle batterie di terra, la carica di
un nemico ad ogni modo sì superiore. D'Estaing si tirava indietro;
poscia verso la sera rinnovava la battaglia con dodici navi, più feroce
che prima, dirigendo di maniera i colpi delle sue artiglierie, che
andassero principalmente a ferire contro il sinistro corno dell'armata
inglese. Ma nè questo consiglio, nè l'aggiunta delle nuove navi, nè il
valore e la perizia singolari, che dimostrarono i suoi, poterono tanto
operare, che si rompesse la fila delle navi inglesi. Continuaron queste
a difendersi con tanta costanza, che D'Estaing non potè farvi dentro
impressione di sorta alcuna, e fu obbligato a ritirarsi non senza
qualche disordine, e notabil danno delle sue navi. In tale modo acquistò
Barrington a sè stesso una gloria immortale, e confermò alla patria sua
la possessione di una isola, la quale, venuta in poter suo non più di
ventiquattr'ore prima, aveva corso un vicinissimo pericolo di ritornarne
tosto sotto il dominio del suo antico padrone.

Ma D'Estaing avendo veduto, che gli assalti dati coll'armi di mare gli
eran successi infelicemente, si volse a quelle di terra, delle quali
anche molto abbondava. Per la qual cosa la notte dei sedici, e la
mattina del giorno seguente sbarcò le sue genti a Choc-baye, piccolo
seno di mare, che si trova tra il Carenaggio ed il Gros-islet. Intendeva
di assaltar Meadows, il quale con tredici centinaia di soldati stava
accampato nella penisola della Vergine posta tra la cala del Carenaggio
ed il seno di mare sopraddetto. Aveva molta speranza di poterlo
opprimere e tagliar fuori del tutto dai compagni, sia per la difficoltà
dei luoghi, pei quali questi avrebbero dovuto passare per soccorrerlo,
sia perchè aveva disegnato di far le viste di voler scendere a terra
anche negli altri luoghi; il che avrebbe, dando loro diversi riguardi,
tenuti sospesi e fermi nei posti loro gl'Inglesi. E come aveva divisato,
così eseguì. Spuntava dal Choc-baye contro la penisola della Vergine con
cinque migliaia di soldati scelti, ed andava ad assaltar gli
alloggiamenti di Meadows posti a traverso della medesima penisola. Aveva
diviso le sue genti in tre schiere, la dritta guidata da lui medesimo,
la mezzana dal signor di Lovendal, e la stanca dal marchese di Bouillé.
Muovevansi da prima i Francesi con mirabil ordine, sinchè già
avvicinatisi, erano grandemente noiati per l'iniquità del sito, in cui
si trovavano, da fianco dalle artiglierie del Morne-Fortune, che Micou
nell'abbandonarle non aveva fatto chiodare. Ciò nonostante procedevano
innanzi, e con una furia incredibile assaltarono gli alloggiamenti del
nemico. Ricevettero gli Inglesi l'urto loro con eguale costanza, e
lasciatigli approssimare, scaricati una sol volta gli archibusi, si
avventaron contro con le baionette. Avevano i tiri degl'Inglesi fatto un
terribil danno, e molto diradate le file dei Francesi. Tuttavia questi
sostenevano la battaglia con incredibile valore, e non che cedessero,
sempre più si avvicinavano agli alloggiamenti. Che anzi da settanta di
loro già vi erano saltati dentro, ed aspramente vi menavano le mani. Ma
gl'Inglesi fatto un estremo sforzo, gli risospinsero. I primi entrati
furono morti tutti. I Francesi, raccolto fiato, e pigliati di nuovo gli
ordini, ritornarono più feroci che prima alla battaglia. Gli ricevevano
gl'Inglesi colla medesima ostinazione e fermezza. Una seconda volta gli
ributtavano. Ma D'Estaing avvolontato di combattere, ed avendola presa
in pruova, e non potendo comportare, che una presa di sì poca gente
sgarassero i suoi, uomini tutti valorosissimi e numerosi, ordinò,
gissero ad un terzo assalto. L'obbedirono prontamente. Ma questa fiata
fecero debole prova; imperciocchè stracchi ed assottigliati nei due
primi affronti, dopo leggier conflitto si ritirarono. Lasciarono i morti
loro ed i feriti in poter dei vincitori. Fatto però tosto un accordo, i
primi furon lasciati sotterrare, ed i secondi ritirare; avendo D'Estaing
dato la fede sua, che sarebbero compresi nel numero dei prigionieri.
Comportossi in questo fatto Meadows da quell'uomo prudente e valoroso
ch'egli era; e comechè fosse ferito dal bel principio, mai non vi fu
modo, che abbandonar volesse il campo di battaglia. Fu assai grave la
perdita dei Francesi. Ebbero da quattrocento morti, cinquecento sì
sconciamente feriti, che diventarono inabili al servire. Cinquecento
altri furon feriti leggiermente. La perdita degl'Inglesi, avendo essi
combattuto da luogo sicuro, fu di poco conto.

Lasciò D'Estaing ancora, per alcuni giorni dopo la battaglia, le sue
genti a terra, ed egli coll'armata andava bordeggiando a veduta
dell'isola, sperando forse, che qualche nuova occasione gli si offerisse
di far maggior frutto. Ma finalmente la notte dei 29, imbarcati di nuovo
tutti i suoi, se ne tornò al Forte Reale della Martinica, deposto il
pensiero delle cose di San Vincenzo e della Grenada, le quali isole
aveva avuto in animo di assaltare. Il giorno seguente De Micou con cento
uomini di presidio pattuì. Le condizioni furon molto onorevoli.
Uscissero con tutti gli onori della guerra, serbassero le bagaglie, ma
non le armi; gli abitanti, e specialmente i parrochi, fossero protetti
nelle robe e persone loro, e nella religione. Pagassero al Re della
Gran-Brettagna le medesime tasse, e non più, che al Re Cristianissimo
erano soliti di pagare; non potessero venir obbligati a portar le armi
contro il Re di Francia. Trovarono gl'Inglesi cinquantanove cannoni,
molta archibuserìa con un'insigne quantità di munizioni da bocca. In
cotal modo venne in poter dell'Inghilterra l'Isola di Santa Lucia. Fu
questo agl'Inglesi un acquisto di molta importanza. Oltrechè quivi
fecero poi il capo grosso di tutte le forze loro navali delle Antille, e
la riposta di tutte le armi e munizioni, potevano spiar da vicino, e
senza pericolo gli andamenti dei Francesi dentro la cala del Forte Reale
della Martinica, ed intraprendere i rinforzi e le conserve, che pel
canale di Santa Lucia a quella si avviavano. Infatti e molto la
fortificarono, e sempre vi mantennero gagliardi presidj, non senza però
gravissimo danno loro per l'insalubrità di quel clima.

Pochi giorni dopo la ritirata di D'Estaing, arrivò in quelle spiagge con
nove vascelli l'ammiraglio Byron, e diè fondo a Santa Lucia. Ne
seguitava quasi come una tacita tregua tra le due parti, prevalendo
dall'un canto troppo gl'Inglesi d'armi navali, i Francesi dall'altro
delle terrestri. Questa sospensione, la quale durò ben cinque mesi, non
fu rotta, se non quando già si era congiunto coll'armata del Byron
quella del comandante Rowley, ed all'armata di D'Estaing quella di
La-Motte-Piquet e del conte di Grasse, partita l'una e l'altra
dall'Europa sul finir del presente anno, o nell'entrar del seguente per
alla stazione delle Antille; perciocchè avevano ambidue i governi
conosciuto di quanta importanza fosse lo esser forte in sugli apparati
marittimi in mezzo a quelle isole molto ricche, le une alle altre
vicine, e tra di loro le nemiche frammescolate.

Tornando ora alle cose che si facevano sulla terra-ferma americana, è da
rammentare, che i ministri, ed i capitani britannici si eran risoluti ad
assalire con grandissimo sforzo di guerra le parti meridionali della
Lega. Al qual partito accostati si erano, non solo perchè speravano,
credendo eglino, che i popoli generalmente di quel nuovo Stato non si
contentassero, e fosse diventato loro molto grave l'imperio dei
libertini, colle spalle dei leali farle rivoltare all'obbedienza del Re,
ma ancora per molte altre, e tutte assai gagliarde ragioni. Sono le
province meridionali, e massimamente la Giorgia e la Carolina abbondanti
di feraci terre, le quali producono in gran copia le biade, e
soprattutto il riso tanto utile alle armate sì da terra, che da mare.
Del quale tanto maggiore bisogno si aveva, che queste si trovavano sì
gran tratto lontane dai luoghi, da cui potevan esse, e dovevano trarre i
viveri necessarj al loro logorare. Conciossiachè le province americane,
che sin là erano venute in poter degl'Inglesi, non potevano una quantità
sufficiente somministrarne; ed era loro mestiero far venire il rimanente
dalla lontana Europa; cosa molto incerta in sè stessa per l'instabilità
del mare, e pericolosa per l'ardimento dei corsari americani, i quali
spesso le navi, che portavan le vettovaglie, intraprendevano. Nè è da
passarsi sotto silenzio, che il riso della Giorgia e della Carolina
Meridionale serviva ad alimentar le flotte francesi ed i soldati, che
stavano in presidio nelle isole di loro pertinenza. E non solamente i
proventi dell'agricoltura giorgiana e caroliniana, la quale per la
quiete non mai quasi interrotta, della quale avevano gli anni addietro
queste due province goduto, era fioritissima, i nominati vantaggi
arrecavano agli alleati; ma ancora portati essendo in Europa, servivano
molto convenevolmente di materia ai commercio degli Americani in questa
contrada, e gli abilitavano a far gli scambj per quelle cose che ne
traevano, necessarie ed agli usi della guerra, ed a quei della pace.
Considerarono oltreacciò gl'Inglesi, che siccome la Giorgia confina
colla Florida orientale, così era questa non di rado vessata dalle armi
del congresso; e prevedevano benissimo che non si sarebbe posto fine
alle correrìe loro, ed assicurata la quiete in quella provincia, se non
quando le armi britanniche cacciato avessero dalla Giorgia e dalle
Caroline le americane. Non dubitavano poi, che la conquista della prima
riducesse prontamente in loro arbitrio anche le cose delle seconde; e
particolarmente molte speranze collocavano nella possessione di
Charlestown, città grossa, ricca e di molta importanza per l'opportunità
del sito e del porto. Tutti questi vantaggi speravano di acquistar
gl'Inglesi, se avessero cacciato gli avversarj dalle province
meridionali, e, levatele dall'obbedienza del congresso, sotto la propria
ridotte le avessero.

Per le quali cose tutte, e non potendosi per la stagione, che allora
correva molto rigorosa, altre fazioni tentare nelle province montagnose
poste a tramontana, aveva Clinton, siccome nel libro precedente abbiam
narrato, inviato alla volta della Giorgia forza di navi passeggiere,
scortate dalle navi da guerra di Hyde-Parker, le quali portavano da
duemila e cinquecento soldati parte inglesi, parte essiani, e parte
bande di leali e fuorusciti. Col favore di questi ultimi, e degli amici
ed aderenti loro, sperava di poter entrar facilmente in quella
provincia. Obbedivano tutte queste genti agli ordini del colonnello
Campbell valoroso, e molto esperto capitano di guerra. Nel medesimo
tempo aveva Clinton commesso al generale Prevost, il quale comandava
alle Floride, che, raccolte tutte quelle genti, che per la difesa di
quelle province necessarie non fossero, marciasse anch'esso contro la
Giorgia, dimodochè essa fosse assalita da fronte per la via del mare da
Campbell, e da fianco sulle sponde del fiume Savanna da Prevost.
Ordinatosi in tal modo dagl'Inglesi il disegno della conquista della
Giorgia, la quale giudicavano aver ad essere scala a quella delle due
Caroline, arrivarono sul finir di decembre Campbell e Hyde-Parker
all'isola di Tybee situata presso le bocche del fiume sopraddetto. Le
navi da carico non penaron molto a trapassar lo scanno, e ad entrar nel
fiume. Seguivano pochi giorni dopo quelle da guerra, sicchè tutta la
flotta addì venzette si trovò sorta nelle acque di quello, e pronta a
far i comandamenti dei capitani per l'invasion della provincia.
Ignorando questi, quali fossero le forze, i provvedimenti, e le
intenzioni dei repubblicani, fecero dar una scorribanda per le vicine
rive e spiagge da alcuni fanti leggieri, dai quali presi due Giorgiani,
s'intese da loro, non essersi avuta nella provincia contezza alcuna del
disegno dei regj, niuna nuova difesa essersi apparecchiata, le batterie
che proteggevano i fiumi rovinate, le galere starsene a mala guardia, e
sì fattamente poste da poter essere facilmente intraprese. Si ricavò
ancora essere debole il presidio di Savanna, città capitale della
provincia; ma però aspettarvisi di breve i rinforzi. Avute queste
notizie, non metteva l'Inglese verun tempo in mezzo per incominciar
l'impresa. Le due rive del fiume Savanna, partendo dall'isola di Tybee
prossimana alla sua foce per un buon pezzo all'insù, non essendo altro
che un continuo tratto di maresi, pei quali scorrono lentamente lo due
fiumane di Sant'Agostino e di Tybee, non offeriscono nissun luogo, che
servir possa di porto per isbarcare. Quindi furon costretti gl'Inglesi
di salir più in su per irsene a dar in terra al solito luogo dello
sbarco, dal quale ha principio un dicco molto stretto, che conduce
poscia alla città. Questo luogo, siccome molto difficile per sè stesso,
avrebbero gli Americani potuto difendere agevolmente. Ma parte perchè la
cosa era riuscita loro improvvisa, parte perchè non avevano forze
sufficienti, non se ne avvisarono. Gl'Inglesi, senza ostacolo veruno
incontrare, sbarcarono, i fanti leggieri i primi, poscia quei della
grave armatura. Corre il dicco sopraddetto tra mezzo una risaia
paludosa, ed è fiancheggiato da ambe le parti da un fosso assai fondo.
Più addentro a secento passi dal luogo dello sbarco s'incontra a capo
del dicco un poggetto, sul quale è posta una magione, che chiamano la
casa di Gerido. Stavanvi a guardia una banda di repubblicani. Non sì
tosto ebbero i fanti leggieri, la maggior parte montanari condotti dal
capitano Camerone, afferrato, che, postisi, in ordinanza, corsero,
camminando sul dicco, contro quella masnada di Americani. Non mancaron
questi a sè stessi, ed il nemico ricevettero con tiri molto fitti di
archibuserìa, dai quali rimase morto Camerone. Ma i montanari spinti dai
proprj spiriti generosi, e grandemente irritati all'uccisione del
capitano, si avventarono con tanta rattezza contro la casa di Gerido,
che non ebbero tempo gli altri di scaricar una seconda volta, e si
posero in fuga. Sottentrarono i montanari, e s'impadronirono del poggio.
Salito Campbell sopra di questo, e prospettando il paese all'intorno,
discoprì l'esercito nemico posto in ordinanza davanti, ed un po' a
levante di Savanna, il quale governato essendo dal maggior-generale
Roberto Howe, stava aspettando l'incontro dei reali, e faceva la vista
di voler gagliardamente difendere la città capitale della provincia.
Consisteva esso in una grossa schiera di stanziali e di bande paesane.
Era sì fattamente attelato, che le sue due ali si distendevano dentro
nel paese dall'una parte e dall'altra della strada maestra, che guida a
Savanna, la dritta capitanata dal colonnello Eugee, e composta di
Caroliniani a dritta di quella; ed era il fianco suo verso l'aperta
campagna protetto da una fitta selvosa, e dalle case di Tatnal. La
stanca poi si appoggiava col suo destro fianco alla strada medesima, e
col sinistro a terreni limacciosi. Erano questi la maggior parte
Giorgiani comandati dal colonnello Elbert. Le due punte eran guardate
ciascuna da una bocca da fuoco, ed il mezzo sullo stradone da due. A
cento passi poi innanzi, laddove questo passa tra due profondi maresi,
avevan fatto una tagliata, ed un buon tratto avanti questa, rotto un
ponte soprapposto ad un rio anch'esso paludoso. Alle spalle finalmente
erano assicurati dalla città stessa di Savanna, la quale era affossata.
Il capitano inglese, lasciato prima una grossa guardia al luogo dello
sbarco, ed una altra simile ad una strada vicinale, che attraversa lo
stradone a fine di assicurarsi alle spalle, iva avvicinandosi al nemico,
ed andava considerando del modo, che più accomodato fosse per assaltarlo
nella forte positura, nella quale si trovava. Non tardò ad accorgersi
dalle mosse e dall'ordinanza del nemico, che questi si aspettava e
desiderava, ch'egli assalisse il corno sinistro. Per la quale cosa non
lasciò indietro nissuna di quelle diligenze, che in simili occorrenze
soglionsi usare dagli esperti capitani per intrattenere l'inimico nella
concetta opinione. Traeva fuori sulla sua dritta una parte de' suoi, ed
andava anche distendendosi verso questa medesima parte coi fanti
leggieri. Si risolvette intanto ad attaccar la battaglia coll'ala dritta
degli Americani. Mentre andava tra sè stesso rivolgendo le diverse
maniere d'assalto che praticar si potevano, la fortuna gli condusse tra
le mani un Nero, dal quale seppe, esservi un sentiero poco conosciuto,
il quale a traverso di quella palude selvosa, che abbiam detto trovarsi
alla destra punta dell'esercito americano, andava a riuscir loro alle
spalle. Offerivasi il Nero di far la guida, e molto confortava il
capitano britannico a farne impresa. Deliberatosi Campbell ad usar la
occasione, che la favorevole fortuna gli parava davanti, comandò a
Jacopo Baird, che coi fanti leggieri si mettesse a quella via, acciocchè
girato intorno all'ala dritta degli Americani gli assaltasse poscia per
di dietro là, dove meno se lo potevano aspettare. Lo faceva seguitare,
acciocchè all'uopo potesse essere soccorso dai volontarj jorchesi,
condotti dal colonnello Tumbull. Mentre Baird e Tumbull, guidati dal
Nero, procedevano alla disegnata fazione, Campbell piantava le sue
artiglierie a sinistra accanto lo stradone in modo, che non potevano
esser vedute dall'inimico. Questo fece, perchè quando fosse venuto il
tempo di fulminar i Caroliniani, si potessero impedire, non si
avventassero contro i fanti leggieri del Baird. In questo mezzo traevano
furiosamente colle artiglierie loro i repubblicani contro i regj. Questi
non fiatavano. Il che avrebbe pur dovuto far sospettare gli altri di
qualcosa, se stati fossero, o più esperti o meno invasati. Infine
Campbell, quando si pensò, che Baird fosse pervenuto al luogo suo, diè
tutto ad un tratto fuoco alle artiglierie, e mosse spacciatamente i suoi
contro il nemico, che tuttavia ignorava il pericolo, in cui si trovava.
Tale fu l'impeto degl'Inglesi e degli Essiani, che gli Americani, non
sostenendo la carica, si volsero tostamente in fuga. I vincitori gli
seguitarono. Intanto erano già i fanti leggieri del Baird, dato una
giravolta, arrivati dietro le spalle dell'ala destra americana, ed
attaccatisi con alcune milizie giorgiane, che stat'erano poste alla
guardia dello stradone, che guida a Ogeechee, dopo breve contrasto le
fugavano, e si difilavano ratti contro il grosso delle genti americane,
che già erano andate in volta. Dal detto al fatto si mettevano a
trabocco dentro le fila dei fuggiaschi; e se qualcheduno rimasto vi era,
che serbasse tuttavia gli ordini ed il coraggio, questi coll'inaspettato
e velocissimo impeto loro ebbero subitamente disordinati e disanimati.
La vittoria fa compitissima. Trent'otto uffiziali, meglio di
quattrocento tra sotto-ufficiali e gregarj, 48 pezzi di buone
artiglierie, 13 bombarde, cento bariglioni di polvere, un Fortino con
entrovi tutte le munizioni, il navilio, ch'era sorto nel fiume, una
molto notabile quantità di provvisioni d'ogni sorta, e la città stessa
di Savanna vennero, prima che si facesse notte, in poter dei vincitori.
Degli Americani a cagione della pronta fuga loro non morirono più che
cento, parte nella battaglia, parte nelle paludi, mentre si sforzavano
di scampare. Fra gl'Inglesi i morti ed i feriti non arrivarono a venti.
Tanto lieta fu la vittoria partorita dagli opportuni ordinamenti di
Campbell. Nè minore fu la umanità sua, tanto più da lodarsi, quanto che
non poteva non ricordarsi dei mali trattamenti ricevuti nelle prigioni
di Boston, che fossero state la sua accortezza e la prudenza. Non solo
la città di Savanna fu preservata dal sacco; ma quantunque vi entrassero
i vincitori, come in una città presa d'assalto, ed alla mescolata coi
fuggiaschi, nissuno di quelli, che non avevano le armi in mano, o che si
arrendevano, furon posti a morte. Dal che si può argomentare, che le
enormità commesse ai tempi di guerra sono meglio dalla rilassatezza o
complicità dei capitani, che dal furor de' soldati da riconoscersi.

[1779]

Impadronitisi, nel modo che abbiam detto, gl'Inglesi della città di
Savanna, si distesero coll'esercito per tutto il paese; poscia mandaron
fuori un bando, pel quale e graziavano i disertori, ed esortavano gli
amatori del nome inglese a correre alle insegne del Re, e coll'armi in
mano difendere la causa sua, promettendo loro protezione e aiuto. La
cosa non restò senz'effetto. Venivano in buon numero, ed i capitani
britannici gli ordinavano in un reggimento di cavalleggieri. Ma i più
risoluti repubblicani, preferendo l'esilio alla soggezione, si
rifuggirono nella Carolina. Posero anche gl'Inglesi ogni ingegno, ed
ogni arte usarono per indur i soldati repubblicani fatti cattivi a
pigliar soldo nelle truppe del Re; ma in questo fecero poco o nissun
frutto. Furon perciò stivati a bordo delle navi, dove e pel fetore
dell'aria, e pel calore della stagione durante la state che seguì,
morirono un gran numero. Gli uffiziali però furon mandati sulla fede
loro a Sunbury, Terra la quale solo nella Giorgia teneva ancora pel
congresso. Solo fu ritenuto, e sostenuto prigione sulle navi, in mezzo
agli altri gregarj, Moisè Allen, cappellano dei Giorgiani, il quale non
solo colle esortazioni sui pulpiti aveva acceso i popoli a seguir questa
impresa loro, ma ancora colle armi in mano la difese egli stesso in
mezzo alle battaglie, dando un mirabil esempio di fortezza e d'amor
cittadino. Venutagli a noia la sua lunga e schifa cattività, gettossi un
dì a capo all'ingiù nel fiume, sperando di potersi salvar a nuoto in
un'isola vicina. Ma annegò con infinito rincrescimento dei popoli, i
quali e le sue virtù veneravano, ed il coraggio suo grandemente
desiderarono. I vinti scombuiati del tutto, varcato il fiume al passo di
Zubly, si ritirarono nella Carolina. I vincitori si distendevano, e
riducevano a divozione del Re la maggior parte della Giorgia,
accrescendo le scolte sulle rive della Savanna per la gelosia dei
nemici, che tuttavia erano padroni della Carolina.

Nel medesimo tempo il generale Prevost si era messo nella Florida
orientale in punto per eseguir ciò, che stato gli era comandato da
Clinton. Nel che incontrò gravissime difficoltà, sia per la stranezza
de' luoghi, come per la disagevolezza delle vettovaglie. Arrivato
finalmente dopo incredibile fatica nella Giorgia, pose l'assedio al
Forte ed alla Terra di Sunbury. Vi eran dentro dugento soldati di
presidio, i quali mostravano di volersi difendere, dimodochè l'Inglese
già aveva incominciato a far le trincee. Ma poco stante, perduta ogni
speranza di soccorso, si abbandonarono e diedero la Terra a discrezione.
Furon trattati umanamente. Questo accadde nel tempo, in cui Campbell già
si muoveva dal canto suo contro Sunbury. S'accompagnarono l'uno
coll'altro congratulandosi del salvo arrivo i due eserciti, e Prevost
giunto in Savanna pigliò il governo di tutte le genti regie, che venute
dalla Nuova-Jork e da Sant'Agostino avevano conquistato al Re tutta la
provincia della Giorgia. Avuta così lieta vittoria, andavano i Capi
inglesi considerando quello che fosse a fare. Conoscevano benissimo di
non esser abbastanza gagliardi per poter fare una grande impressione
nella Carolina, provincia potente, molto concorde, almeno nelle parti
più basse, e che aveva al governo suo uomini di ottima mente, e di non
poca autorità nell'universale. Per verità l'unico e solo fine, che fin
là si era proposto Clinton, quello era della conquista della Giorgia,
avendo tra sè stesso deliberato di assaltar la Carolina, allorquando
arrivati fossero i rinforzi, che se gli annunziavano dall'Inghilterra, e
che dovevan esser tragittati dall'ammiraglio Arbuthnot. Ciò nondimeno,
discorrendo molto bene di quanta importanza fosse all'esito delle future
cose il recarsi sulla guerra offensiva, piuttostochè tenersi sulla
difensiva, si risolvettero a far certe correrìe nella Carolina, per
tener vivo in quella provincia il timore delle armi regie, e per dar
animo ai leali. Per la qual cosa mandarono una buona presa di genti
condotte dal maggior Gardiner a pigliar possessione dell'Isola di
Porto-Reale. L'impresa non solo non riuscì, ma ebbe pessimo fine; perchè
assaliti là entro aspramente da una banda di Caroliniani, ne furon
cacciati di forza con perdita di molti ed uffiziali e soldati.

Venuto meno questo disegno volsero l'animo a voler far muovere coloro, i
quali erano di sinistro animo contro il nome del congresso, ed abitavano
in gran numero, siccome in altro luogo fu da noi raccontato, le parti
diretane della Giorgia e delle due Caroline. La quale speranza era stata
una delle principali cagioni, che aveva fatto intraprendere l'invasione
delle meridionali province. Di cotesti leali ve n'erano di diverse
maniere. Alcuni, più avventati e più nimichevoli degli altri, non solo
avevano la patria loro abbandonato, ma si erano rifuggiti in mezzo
agl'Indiani, e congiunti con questi facevano ai consorti loro colle
solite correrìe tutto quel male, che sapevano e potevano. Altri poi se
ne vivevano sfuggiaschi e solitarj ne' luoghi disabitati posti
sull'estremo confine delle Caroline, aspettando, che la fortuna
offerisse loro qualche buona occasione di ripatriarsi. Altri finalmente,
o meno avversi, o più astuti, continuavano a dimorare in mezzo ai
libertini, facendo le sembianze di essersi soggettati, e di accomodarsi
al volere dei più. Deposte le armi avevan dato di mano alla zappa ed
alla marra, pronti però a ripigliare quelle, ove qualche spiraglio di
mutazion di cose si appresentasse. Intanto non potendo giovarsi
dell'armi, usavano le arti, tenendo con molta diligenza ragguagliati gli
usciti di tutto ciò, che accadeva nella contrada, e specialmente di
tutti i motivi dei libertini. Queste cose non ignoravano i generali del
Re; e per ciò per metter cuore ed al punto i leali, procedettero molto
in su pel fiume Savanna, e pigliaron posto nella città d'Augusta. Quivi
niuna cosa lasciavano intentata per adescare e piccare quelli, acciocchè
corressero all'armi. Mandavan fra di loro frequenti messi, accrescevano
molto colle parole le forze regie; ponevan loro innanzi gli occhi, che
se essi si riunissero, diventerebbono di gran lunga superiori al nemico;
facevan promesse, abbondavano in presenti; stimolavano gli animi già
inviperiti colle vive rappresentazioni delle crudeltà dei libertini. Di
queste opinioni empievano i Capi britannici gli amici del Re. Queste
instigazioni operaron di modo, che i leali si levarono in armi, e
postosi sotto la condotta del colonnello Boyd, uno dei Capi loro,
scendevano a dilungo per le occidentali frontiere della Carolina per
andarsi a congiungere colle genti regie. Erano i più piuttosto
malandrini che soldati, gettatisi alla strada, e vogliosi del logorar
dell'altrui. Devastavano perciò ogni cosa, ovunque passavano, e quello
che consumar non potevano, ardevano. Già avevano tanto fatto, che,
varcata la Savanna, si avvicinavano agli alloggiamenti inglesi, quando
furono sopraggiunti dal colonnello Pickins, il quale guidava una grossa
smannata di Caroliniani raggranellati nel distretto di Ninety-six. Dal
detto al fatto si mescolarono ferocemente gli uni cogli altri
combattendo con grandissima rabbia per l'ira civile, e pel timore dei
mali, che i vinti avrebbero avuto a sopportare dai vincitori. Durò la
battaglia per bene un'ora. Finalmente i leali si disordinarono, ed
andarono in volta. Boyd restò ucciso sul campo. Tutti furono dispersi.
Molti vennero in poter dei vincitori. Settanta furono sentenziati a
morte; però solo cinque furono giustiziati. Questo successo fermò le
cose della Giorgia, le quali già erano in manifesto movimento contro il
congresso; frenò del tutto le correrìe dei leali, e diè luogo ai
libertini di potere con maggiore sicurezza attendere ai preparamenti da
farsi contro le armi regie. Dal medesimo ne nacque ancora, che
gl'Inglesi, abbandonata Augusta, si ritirarono più ingiù, restringendosi
tutti nelle vicinanze di Savanna.

A questo partito tanto più volontieri si appigliarono i regj, in quanto
che il generale Lincoln, creato dal congresso capitano generale di tutte
le genti nelle province meridionali, era arrivato, ed aveva posto il
campo a Black-swamp sulla sinistra riva della Savanna, non molto
distante da Augusta. Avevano i Caroliniani, come prima ebbero le notizie
del disegno, che gl'Inglesi avevano fatto sopra le meridionali province,
chiesto al congresso, concedesse loro per Capo di tutta la difesa, che
intendevano di voler fare, il generale Lincoln massacciuttese, che si
era acquistato il nome di animoso ed esperto capitano nella guerra
settentrionale. Alla quale richiesta si era molto volentieri inclinato
il congresso, avendo esso medesimo collocato gran fede in Lincoln, e
conoscendo di quanta importanza sia nelle cose della guerra la
confidenza che hanno i soldati nei Capi loro. Il presidente Lowndes
tutte quelle cose faceva che all'uffizio suo si convenivano, per dar
animo agli abitatori dell'australe Carolina, e per fargli correre
all'armi in difesa della patria. Usava le pubbliche e le private
esortazioni, ed ordinava, che tutti i bestiami delle isole e delle terre
poste sulla marina si ritirassero all'indietro a' luoghi sicuri. Le
bande paesane si adunavano, ed andavano a congiungersi cogli stanziali.
Nè minore zelo della cosa pubblica si manifestava al vicino pericolo
nella Carolina Settentrionale, dove in pochi dì furono ammassate due
migliaia di cerne, alle quali vennero preposti i generali Ashe e
Rutherford; e se non fosse stato, che non poterono sì tosto, come era il
bisogno, ottener le armi, e che perciò furon obbligate ad indugiare,
sarebbero arrivate in tempo, e, congiuntesi prima della sconfitta colle
genti di Roberto Howe, avrebbero forse fatto inclinare a favor loro la
fortuna della giornata di Savanna. Il calore era grande fra i libertini
caroliniani a quei dì; l'esercito loro s'ingrossava. Del che invero
avevano grandissimo bisogno. Perciocchè Washington era lontano, e prima
che i soccorsi arrivassero, le cose loro potevano essere spacciate.
Inoltre stava quegli in molta gelosia dei passi delle montagne, ed il
suo esercito ogni giorno si assottigliava per quella peste, non del
tutto ancor sanata, della brevità delle ferme. Per la qual cosa non si
poteva sperare, fosse per inviare grossi rinforzi. Ma questo stesso
interno male, che indeboliva l'esercito washingtoniano, era cagione
ancora, che non si potesse far gran fondamento su quello di Lincoln,
quantunque già si fosse raccozzato coi rimasugli di Howe. Perciocchè,
trattone seicento stanziali, i rimanenti erano milizie poco use alle
guerre, e poco stabili avendo solo le ferme per pochi mesi. Tuttavia
Lincoln non si perdeva d'animo, e molto col buon voler suo si aiutava.
Volendo mostrare il viso al nemico, si era condotto a Black-swamp sulle
rive della Savanna. La quale mossa in un colla rotta data dai libertini
ai leali aveva causato, che il generale inglese avesse ritirato i suoi
all'ingiù del fiume, tenendo le prime scolte al passo di Hudson. Ma ciò
non bastando a Lincoln, e disegnando di restringere vieppiù il nemico,
confinandolo del tutto sulla costiera, acciocchè e dell'opportunità di
quelle grasse terre non si potesse valere, e segrete od aperte pratiche
intrattenere coi leali delle regioni superiori, comandò al generale
Ashe, che, lasciate indietro le bagaglie, andasse a por gli
alloggiamenti sulla destra riva della Savanna dietro il rivo, che
chiamano Briar-creek. Eseguì Ashe diligentemente gli ordini del capitano
generale, ed in sì fatta guisa pose il campo, che n'era diventato
fortissimo. Da fronte lo difendeva il rivo sì profondo a molte miglia in
su, che non era guadoso, da stanca la Savanna ed un'altra palude. Si era
poi assicurato a destra con una torma di cavalleggieri. Aveva seco da
due migliaia di combattenti.

Ma nonostante la fortezza degli alloggiamenti dell'Ashe si deliberarono
gl'Inglesi di assaltargli. Il colonnello Prevost, il quale stava al
passo di Hudson, si mosse a questa fazione. Divise i suoi in due
schiere. Colla dritta munita di due cannoni procedeva dirittamente
contro il rivo, facendo le viste di volerlo passare per tener a bada i
repubblicani. Colla stanca consistente in novecento soldati tra quei di
grave armatura, ed i corridori sì a piè che a cavallo andava girando
distendendosi a sinistra, affine di passare nei luoghi superiori il
rivo, e di potersi quindi avventare contro il retroguardo nemico. Nel
medesimo tempo il generale Prevost per intrattenere Lincoln, acciò non
pensasse ai casi dell'Ashe, iva movendosi tra Savanna ed Ebenezer, come
se volesse varcar il fiume in quei luoghi. Ashe, il quale in tanta
vicinanza del nemico avrebbe dovuto stare a buona guardia, invece di
mandar avanti i suoi cavalli, come speculatori della contrada, gli aveva
inviati a qualcun'altra fazione di poca importanza. Per la qual cosa
arrivarono a dì alto gli Inglesi sì improvvisi, che le prime novelle,
che ne ricevettero gli Americani, furono le grida, il rimbombo e lo
scricchiolar dell'armi degli assalitori. Le milizie spaventate non
istettero a badare, ma tosto si mettevano in fuga alla dirotta. Molti
però trovarono, fuggendo, quella morte, che, combattendo valorosamente,
avrebbero potuto schivare. La viltà dell'animo non apportò loro sicurtà
maggiore. Sopraffatti dalla paura alcuni annegarono nel fiume, altri
affogarono nella palude, diventando ora istromenti della rovina loro
quegl'impedimenti stessi, che prima riputati avevano i più saldi
fondamenti della sicurezza loro. Gli stanziali giorgiani e caroliniani
guidati ed incuorati dal generale Elbert fecero miglior pruova. Ma
abbandonati dalle milizie, ed assaliti da tanta moltitudine di nemici
andarono anch'essi in volta. Questa fu la rotta di Briar-creek, che
seguì a dì tre di marzo. Perdettero gli Americani sette pezzi di
artiglieria, tutte le armi e munizioni, con non pochi morti e
prigionieri. Il numero degli annegati ed ammemmati non è noto. Ma e'
pare, sia stato maggior di quello di coloro che morirono per le ferite.
Di tutte le genti di Ashe pochi più di quattrocento si ricongiunsero con
Lincoln, il quale per l'effetto di questo infortunio, trovò il suo
esercito avere scemato meglio della quarta parte. Questa vittoria
impadronì di nuovo i regj di tutta la Giorgia, ed aperse loro la via a
poter comunicare coi leali delle parti diretane sì della Giorgia che
delle Caroline; e questi, che ancora non avevano deposto il timore della
fresca percossa, si riconfortarono, e potevano a man salva recarsi ad
ingrossare l'esercito regio.

A tante disgrazie si risentirono vivamente i Caroliniani; ma però non si
sgomentarono; e per impedire il nemico vittorioso, che non venisse ad
osteggiare sulle ricche terre loro, facevano ogni opera per ravvivar gli
animi, e per far nuove genti. Posero severe taglie a coloro, che
richiesti negassero di andar soldati, o ricusassero di obbedir agli
ordini dei capitani; promettevano caposoldi; levavano cavalli; creavano
uffiziali fra i più riputati uomini del paese. Nominavano a governatore
della colonia Giovanni Rutledge, uomo di grandissim'autorità, dandogli
facoltà di fare ogni e qualunque cosa, che credesse al ben pubblico
necessaria. Tanta fu la diligenza che usarono, e tante, e sì possenti le
persuasioni sì pubbliche che private dei più vivi libertini, i quali, e
per amor della patria, e perchè si vedevan ridotti in mal termine, se
gl'Inglesi s'insignorissero della provincia, non cessavano di andare e
venire a questa bisogna, che verso la metà di aprile aveva Lincoln con
sè meglio di cinque migliaia di soldati.

Mentre queste cose si travagliavano nelle Caroline, il generale Prevost
attendeva a ricomporre nella Giorgia le cose guaste dalla guerra.
Ordinava il reggimento interno della provincia, ed allettava i leali
continuamente a venirlo trovare. Non si attentò di passar la Savanna,
perchè ella era per le precedenti pioggia molto cresciuta, perchè non
aveva forze bastanti ad assaltar la bassa Carolina tanto avversa, e
perchè Lincoln, non ostante la rotta di Briar-creek, continuava tuttavia
a starsene sull'opposta riva pronto a combatterlo, se volesse varcare.
Lincoln poi dal canto suo, innanzichè ricevesse i nuovi aiuti, non era
in grado di poter offendere, e stimava sua gran ventura fosse, che il
nemico non l'offendesse. Ma ingrossato finalmente, siccome abbiam detto,
fece una mossa, dalla quale ne nacque un'altra molto importante del suo
avversario. Marciò egli sul principiar di maggio verso Augusta, sia per
proteggere non so quale adunata dei deputati della provincia, che in
quella città si doveva fare, sia per pigliar qualche Forte posto nella
Giorgia superiore, affine d'impedire che in essa le cose non facessero
qualche variazione, e che i leali non mandassero più oltre genti e
vettovaglie agl'Inglesi. Già era arrivato nella Giorgia, ed attendeva
diligentemente a recar ad effetto il suo disegno. Aveva però lasciato il
generale Moultrie con mille cinquecento uomini rimpetto a Prevost, acciò
gl'impedisse il passo del fiume. La qual cosa in un colla grossezza del
medesimo, le paludi prossimane alle sue rive dalla parte della Carolina,
e gli spessi torrenti e fiumane che la intersecano, aveva creduto
sufficiente ostacolo fosse, perchè il generale inglese non si movesse a
varcare per correre la provincia, e minacciar la metropoli, che è
Charlestown.

Ma Prevost faceva diversi pensieri da questi. Si era il suo esercito
ingrossato per l'accostamento dei leali. Sperava, che la presenza sua
nella Carolina ve gli avrebbe fatti romoreggiare; difettava di
vettovaglie, delle quali era sicuro di potervisi abbondantemente
fornire, ed in ultimo l'invasione di questa provincia avrebbe rivocato
Lincoln dalla Giorgia, e forse quindi appresentata qualche conveniente
occasione di venirne alle mani. Per la qual cosa determinatosi al tutto
a voltar la fronte alla Carolina, varcò con tremila uomini tra Inglesi,
leali ed Indiani il fiume Savanna ed i vicini stagni, comechè non senza
grandissima difficoltà. Le milizie del Moultrie maravigliate a tanto
ardire, spaventate si disbandarono, e quasi tutte, dopo fatta leggier
resistenza, si ricoverarono a Charlestown. Quelle che rimasero con
Moultrie, alle quali si accostarono i cavalleggieri di Pulaski, facevan
ogni sforzo per ritardar l'impeto del nemico, ma troppo eran deboli per
poter ciò fare efficacemente.

Veduta Prevost la facilità, colla quale aveva superato gli ostacoli de'
luoghi, e la debole resistenza del nemico, innalzava l'animo a concetti
e speranze maggiori; e quel motivo che aveva fatto nel principio non per
altro, che per foraggiare, volle estendere ad una più alta, ed onorata
impresa, e quest'era l'assedio della ricca città di Charlestown;
presupponendo, che questa, acquistato ch'egli avesse la campagna, fosse
prontamente per riceverlo. A ciò lo stimolavano ancora i leali, ai quali
secondo il solito non lasciando lume la troppa cupidità, credon essi, e
voglion far credere agli altri quello che desiderano. Lo assicuravano,
che avevano intendimento coi più, e coi principali cittadini di
Charlestown, e che quando una prima bandiera del Re sventolasse sotto le
mura di quella città, le genti avrebbero tosto fortuneggiato dentro, e
fatto di forza, che ella venuta sarebbe senza dubbio alcuno in poter
suo. Si offerivano poi anche prontissimi a stradar le genti, e dar sulla
qualità de' luoghi tutte quelle informazioni che sarebbero del caso.
Dava inoltre a quest'opinione qualche peso, che Lincoln comunque non
potesse non esser informato, che gl'Inglesi avevano passato il fiume, e
minacciavano la città capitale della Carolina, tuttavia nissuna
sembianza faceva di volerne venire al soccorso suo; sì fattamente era
persuaso, che i reali fossero venuti non per conquistare, ma per
buscare. Per la qual cosa s'incamminava Prevost molto alla sicura verso
Charlestown, sperando nella trepidazione della città avere qualche
occasione di entrarvi dentro. Quando però Lincoln s'accorse dal continuo
avvicinarsi del nemico alle mura di quella, che la cosa non era da
finta, avviò rattamente in aiuto una buona squadra di fanti leggieri, i
quali fece anche montare in groppa sui cavalli, perchè potessero
arrivare più speditamente. Egli intanto gli seguitava col rimanente
dell'esercito. Arrivarono gl'Inglesi sulle rive del fiume Ashley, il
quale bagna le mura di Charlestown dalla destra parte, e subito
passatolo, pigliarono gli alloggiamenti quasi a gittata di cannone dalle
mura, tra il medesimo e l'altro fiume chiamato Cooper, che scorre a
sinistra della città. Avevano i Caroliniani fatto per la difesa di
questa tutti quei provvedimenti, che per la brevità del tempo potuto
avevano maggiori. Avevano arsi i sobborghi, e fatto uno stecconato, che
correva dietro la città da un fiume all'altro; i baloardi furono
rassettati, e le artiglierie piantate sopra tutta quella tela di
fortificazioni, che tra quei due fiumi è frapposta. Due giorni prima
erano arrivati dentro la città il governatore Rutledge con cinquecento
cerne, il colonnello Harris coi fanti leggieri mandati da Lincoln, i
quali avevano corso più di quaranta miglia ad ogni alloggiamento. Eravi
giunto eziandio il conte Pulaski coi corridori della sua legione, la
quale chiamavano la legione americana. La presenza di tutte queste genti
assai confortò i cittadini, i quali, se non fossero arrivate, o che
gl'Inglesi senza aver badato per via, come fecero, non ricordandosi
forse del proverbio volgare che _chi vuol far non dorma_, fossero
comparsi due giorni prima, avrebbero avuto carestia di buoni partiti.
Stettero tutta la notte i Caroliniani dentro la città a diligentissima
guardia, avendo accesi i fuochi nelle case, e sulle mura tutto
all'intorno. Il giorno seguente il generale inglese intimò la resa,
offerendo favorevoli condizioni. Mandaron fuori gli Americani i
commissarj loro per negoziare, e si appiccò una pratica d'accordo, la
quale essi, avendo conosciuto, che gl'Inglesi non erano nè in numero, nè
armati di maniera, che potessero sforzare la città, e credendosi di
sicuro, che Lincoln non avrebbe pretermesso di venir tosto in soccorso
loro, ivano tirando in lungo meglio che sapevano. Proposero, stesse
Charlestown neutrale durante la guerra, ed alla pace si definisse, a chi
dovesse appartenere degli Stati Uniti, o dell'Inghilterra. Fu risposto
dagl'Inglesi, i capitani britannici non esser venuti là con potestà
legislativa, e che, poichè il presidio stava armato, dovevano arrendersi
a prigionieri di guerra. Si fecero da ambe le parti altre proposte, che
non si accettarono, ed in queste pratiche si consumò inutilmente
dagl'Inglesi tutto il giorno. Non furon rotte, se non la sera. La notte
i cittadini aspettavano l'assalto, non rallentata a niun patto la
diligenza del guardare.

Caduto Prevost dalla speranza che preso aveva che si muovesse qualche
cosa di dentro a suo favore, andò considerando, che le mura della città
erano munitissime di artiglierie, e protette da molte navi armate,
massimamente galee; che il presidio era più numeroso del suo esercito
stesso; ch'ei non aveva artiglierie, se non poche e da campo, tali, che
non potevano fare sufficiente passata; che non aveva navi da guerra che
lo potessero aiutare; che già i primi feritori dell'esercito lincolniano
erano comparsi, ed il rimanente si avvicinava con presti alloggiamenti;
e che se l'assalto avesse avuto infelice fine, con una guernigione
vittoriosa da fronte, e con un esercito più grosso del suo alle spalle,
con una contrada da trascorrere frequente di fiumi e di fiumane,
sarebbero le sue genti, quando il sole le avesse trovate in
quell'alloggiamento, in un presentissimo pericolo poste di venir
oppresse, ed intieramente distrutte. Laonde valendosi dell'opportunità
della notte si levò da campo, e si ritirò di verso la Giorgia. Ma invece
di avviarsi per la via di terra, che troppo era pericolosa, traghettò i
suoi nelle isole di San Jacopo e di San Giovanni, poste ad ostro di
Charlestown, fertili e grasse da potervi ristorar dentro l'esercito
comodamente. E siccome una seguenza d'isolette vicine alla costiera si
continua dà Charlestown sino a Savanna, tra le quali scorrendo il mare
va formando qua e là, e canali da navigare, e porti da fermarvisi entro
alla sicura, così Prevost non istava più in pensiero di potersi,
quandochè fosse, senza pericolo a questa ultima città riparare. Ma il
suo disegno per allora si era di andar a porre gli alloggiamenti
nell'isola di Porto-Reale, ferace e sana molto, posta poco distante
dalla Savanna. Le stanze poi dentro di quest'isole erano altrettanto più
accettevoli, che già era giunta sul continente della Carolina e della
Giorgia la stagione insalubre, e pressochè pestilente, dalla quale i
soldati inglesi, non avvezzi, avrebbero gravissimo danno ricevuto.

Mentre si travagliava Prevost nel muover il suo esercito da un'isola in
un'altra, Lincoln, che aveva seguitato d'in sulla terra-ferma le mosse
degl'Inglesi, credette di poter assaltar con frutto il colonnello
Maitland, il quale con una mano d'Inglesi, di Essiani e di leali
caroliniani stava accampato a cavallo di quello stretto braccio di mare,
che chiamano riviera di Stono, e che l'isola di San Giovanni divide
dalla terra-ferma vicina. Vi si erano affortificati con puntoni muniti
d'artiglierie, e circondati da stecconati. Andarono gli Americani
all'assalto con grande virtù. Si difenderono i regj valorosamente. In
fine essendo i repubblicani sconciamente danneggiati dalle artiglierie
inglesi, non potendo le loro, siccome minute, far sufficiente
impressione contro le fortificazioni, e veduto venire un rinforzo, si
ritirarono. Dopo questo fatto tutto l'esercito britannico, lasciate le
guardie ne' luoghi più opportuni, arrivò alle stanze nell'isola di
Porto-Reale. Gli Americani se ne ritornarono, i più agli alloggiamenti
loro; e la malvagità della stagione pose fine ad ogni ulterior impresa
da ambe le parti. Così rimasero gl'Inglesi quietamente in possessione di
tutta la provincia della Giorgia; e gli Americani, avuto quello
rimescolamento di Charlestown, si riconfortarono, comechè non fossero
del tutto sgombri dal timore di una novella invasione nella Carolina,
avendo i nemici acquistato quel nido della Giorgia.

Questa gualdana nella ricca ed intiera provincia della Carolina
meridionale riuscì non che di nessun giovamento, di danno alle faccende
del Re, di non poca utilità agli uffiziali e soldati, e di grave
pregiudizio agli abitatori, e ciò per cagion del sacco, che vi fecero
strabocchevolmente i reali, e della guerra iniquissimamente esercitata
contro le donne, i fanciulli, gl'infermi, e le mura stesse delle più
conspicue città. In ciò avevan essi per ispie e per compagni i Neri, i
quali trovandosi in grand'abbondanza in que' luoghi, pei quali passavano
gl'Inglesi, concorrevano, sperando di recuperare la franchigia, e per
acquistar grado con essi tutto mettevano a bottino; e se qualche cosa di
valuta avevano i padroni loro nascosa, questa discoprivano, e davano in
mano ai rapitori. Tanta fu la rabbia di costoro, che non contenti di
spogliar le case della più ricca suppellettile, e le persone dei più
cari ornamenti, non perdonando nemmeno alla quiete de' morti, andaron
rovistando le tombe per la gola di trovarvi entro i tesori. Quello, che
transportar non potevano, sformavano. Quanti ameni giardini furon
disertati e guasti! Quanti nobili abituri rovinati od arsi! Quanti
preziosi arredi rotti e fracassati! Gli animali stessi, o grandi, o
piccoli, o necessarj, o diletti che si fossero, furon messi a morte. Non
si potrebbe con meritevoli parole ridire il barbarico furore delle
sfrenate soldatesche, e massimamente di quei feroci, o dai mali loro
inferociti Africani allora allora spastoiati. Ma il maggior danno che
abbiano avuto a sopportare i Caroliniani quello fu di questi stessi
schiavi, dei quali se ne perdettero ben quattromila, o condotti via
dagl'Inglesi nelle isole, o venuti meno di stento nelle selve, o morti
di una pestilenziale malattia, che poco dopo si era ad essi appiccata.
Insomma, se pieno di barbarie si fu il manifesto pubblicato dai
commissarj inglesi in sull'accomiatarsi dall'America dopo gl'infausti
negoziati, nissuno non dubiti, che non ne sia stata la esecuzione
fattasi nella Carolina assai conforme, e risuonò di nuovo per tutto il
mondo la ferita degli eserciti britannici. In cotal modo le cose della
Giorgia travagliate con varj progressi erano ridotte in grandissime
turbolenze.

In questo mezzo tempo iva Clinton maturando nella Nuova-Jork, ove si
trovava, una deliberazione, il cui fine si era di rapinare sulle coste
opime della Virginia, o che intendesse con questa crudele ed inutile
guerra eseguire i comandamenti dei ministri, ovvero, che volesse
concordare coll'impresa della Carolina, credendo, che facesse alle cose
di questa provincia non poco momento il tener sulle brighe la Virginia.

Apprestato avendo un sufficiente navilio, e messi in punto duemila
soldati, prepose a quello Collier, ed a questi il generale Matthews.
Sbarcavano, e pigliavano posto in Hampton per interchiudere quel porto e
la navigazione del fiume James; altri, posti a terra sulle rive del
fiume Elisabetta, rattamente procedevano contro la Terra di Portsmouth,
nella quale senza ostacolo alcuno entrarono. Collo stesso impeto
pigliarono il Forte Nelson abbandonato in sui primi romori dal nemico.
Si impadronirono medesimamente della Terra, o per meglio dire delle
reliquie di Norfolk situata sull'opposta sponda del fiume. Usando poscia
la medesima celerità corsero, ed occuparono la Terra di Suffolk posta
sulla destra riva del fiume Nansemondo. In tutti questi luoghi, ed in
quelli ancora di Kempe, di Shepperd's-Gosport, di Tanner's-creek,
siccome in altri circonvicini, procedendo gli Inglesi in ogni cosa con
nimicissimo animo, fecero tutto quel male, che seppero e potettero.
Distrussero i fondachi, guastarono o rapirono le munizioni, arsero o
tolsero gran numero di navi. Una grossa quantità di misalta apprestata
ad uso dell'esercito di Washington, e molte altre munizioni vennero in
poter dei vincitori. Di tabacco poi ne trovarono e rapirono più oltre di
quello che avrebbero voluto; e brevemente quelle sì ricche e
prosperevoli Terre furono in pochi dì arse e distrutte. Se ne
risentirono gravemente i Virginiani, e mandaron dicendo agl'Inglesi:
_Qual modo di guerra fosse quello?_ Al che risposero; _aver essi
commissione di così fare a tutti coloro, che il Re obbedire non
volevano_. I capitani britannici standosene alle novelle dei fuorusciti,
i quali mai non cessavano d'insinuare, che fra i Virginiani eranvi molti
leali, i quali nulla più desideravano, che di far rivoltare lo Stato,
quando vi si fosse fatto in qualche acconcio luogo un capo grosso,
avrebbero voluto più lungamente dimorare su quelle Terre, e disegnavano
specialmente di farsi forti in quella di Portsmouth. Ne scrissero al
generale Clinton. Ma questi, al quale già erano venute a noia quelle
guerre di ladroni, e che siccome non tanto precipitoso, come Collier,
non prestava tanta fede alle baie dei fuorusciti, se n'era messo giù, e
commise loro, che, assicurata la preda, venissero a ricongiungersi con
lui alla Nuova-Jork. Questo fece egli ancora, perciocchè aveva in animo
di fare una fazione sulle rive dell'Hudson di non poca importanza. Così
fu posto fine per allora alle espilazioni ed alle taglie della Virginia.

Avevano gli Americani con molta industria e dispendio rizzato notabili
fortificazioni sui posti di Verplank e di Stoney-point, l'uno situato
rimpetto all'altro sulle opposte rive del fiume sopraddetto, il primo
sulla sinistra, ed il secondo sulla destra. Guardavan questi due posti
il passo del fiume molto frequentato, che chiamano del Re, il quale se
venuto fosse in mano degl'Inglesi, sarebbe stato causa, che i coloni
avrebbero dovuto dare una giravolta di novanta miglia all'insù per
recarsi dalle meridionali nelle settentrionali province, o da queste a
quelle. Aveva Clinton disegnato d'impadronirsi di questi due posti.
Washington, il quale si trovava allora col suo esercito a Middlebrook,
troppo era lontano, perchè potesse impedir la fazione. Perilchè in sul
finir di maggio ivano gl'Inglesi a questa impresa, guidando Collier le
navi che salivano pel fiume, il generale Vaughan la destra schiera, la
quale sbarcò poi sulla sinistra riva poco sotto di Verplank, Clinton la
sinistra, la quale arrivò sulla destra del fiume in un luogo poco
inferiore a Stoney-point. Gli Americani, veduto sì vicino il nemico, non
essendo apparecchiati contro un sì repentino assalto, abbandonarono
Stoney-point, nel quale entrarono tosto i reali. Ma a Verplank vi fu
maggiormente che fare. Avevano i repubblicani fatto su di questa punta
un'assai forte bastita, che avevano fornita di presidio e di
artiglierie. La nominarono il Forte La-Fayette. Ma ella era
signoreggiata dai poggi di Stoney-point, sopra i quali gl'Inglesi non
senza grave difficoltà avevano condotto la notte le artiglierie ed
alcune bombarde. La mattina incominciarono a fulminar il Forte
La-Fayette. Nell'istesso tempo Collier colle galere, e coll'altre navi
munite di cannoni gli tirava di punto in bianco, e Vaughan colla sua
schiera girava ed arrivava infine alle spalle del Forte. Accerchiato in
tal guisa il presidio, disperato di soccorso, e di poter far più lunga
resistenza, essendo già levate le difese, tutte le mura intronate dalla
furia delle artiglierie, e molti morti o feriti, si arrendè la mattina
seguente a discrezione. Furon trattati umanamente. Ordinò Clinton, si
finissero le fortificazioni di Stoney-point, ed andò a porsi a campo a
Filippoborgo, Terra posta a mezza via tra Verplank e la città della
Nuova-Jork, per esser ivi lesto ad esercitar la guerra, ove l'occasione
si discoprisse. Ma nè egli, nè Washington volevano mettersi al rischio
delle battaglie, aspettando l'uno i rinforzi dalla Inghilterra, l'altro
quei degli alleati. Questa fu la cagione, per la quale le cose della
guerra in questo anno nelle province del miluogo procedettero tanto
rimessamente, e che niente vi si fece, che avesse nervo.

Non potendo i reali conquistare, venivano in sul volersi liberare dalle
molestie dei corsari, ed in sul devastare. Abitavano le coste del
Connecticut che bagna il Sound, arditissimi corsari, i quali correndo
esso Sound, e predando le navi avevano fatto di modo, che tutto il
commercio della Nuova-Jork per quella via ne era stato distrutto con
gravissimo detrimento dell'esercito e dell'armata inglesi, ch'erano
stati soliti di trarre in gran parte da quei luoghi le provvisioni. Per
levarsi quel bruscolo di sugli occhi, mandò Clinton a quella volta il
generale Tryon con due cantari di soldati. Sbarcarono a New-Haven, e
superate le milizie, che volevano difendere la Terra, la pigliarono, e
guastaronvi ogni cosa. Procedettero di là a Fairfield, ed entrati
dentro, l'arsero tutto. In simil modo furon consumate dalle fiamme la
grossa Terra di Norwalk, e la piccola di Greenfield. Il danno degli
Americani fu inestimabile tra per le case distrutte, i fondachi
rovinati, le munizioni guaste o involate, le navi sì grosse, che sottili
bruciate e predate. Tryon, non che gl'increscessero simili enormità, se
ne vantava, ed andava dicendo, aver fatto molto bene, ed utilmente in
servizio del Re, come se nelle guerre che si fanno contro un intiero
popolo non si trattasse piuttosto di vincere, che di gastigare, e le
arsioni e distruzioni, le quali nulla importano alla somma delle cose,
non fossero, e non siano da condannarsi. Ma se quest'errore di mente o
questa stemperatezza d'animo in un uomo del rimanente civile, non debbon
far maravigliare, non avendo mai questa natura umana avuto penuria di
simili generazioni d'uomini, bene parrà strano ad ognuno, ch'ei si
facesse a credere, che con quel modo di guerreggiare potesse far venir
gli Americani a porsi sotto le insegne del Re. Imperciocchè è da
sapersi, che in mezzo a quegl'incendj e devastazioni ebbe mandato fuori
un bando, col quale esortò gli abitatori a ritornare all'antica leanza
ed obbedienza. Ma, o sia che questi modi fossero dispiaciuti a Clinton,
il quale forse voleva solamente ai depredassero, o bruciassero le navi,
non le case ed i tempj, o per qualunque altra più vera cagione, comandò
a Tryon, cessasse, e venisse speditamente a ritrovarlo alla Nuova-Jork.
Ma rimasero miserabili vestigi della rabbia degl'Inglesi, ed il nome
loro per le molte estorsioni fatte, divenne vieppiù grave ai popoli.

Mentre in tal modo le rive del Connecticut erano vessate dall'armi
britanniche, fu fatta dagli Americani una fazione piena di grandissimo
ardimento, la quale dimostrò non solo non mancare, ma ancora abbondare
in essi quel coraggio, pel quale tanto sono celebrati gli uomini
europei. Eransi gl'Inglesi molto diligentemente affortificati a
Stoney-point, e già avevan ridotto quella rocca nella condizione di
un'assai buona e stabile Fortezza. Vi avevano posto dentro una
guernigione pel luogo assai gagliarda, e tutta composta di soldati
valentissimi. Nè mancavano le munizioni, ed ogni cosa necessaria alla
difesa. Tutte queste cose però non poterono tanto trattenere Washington,
il quale, udita la presura di Stoney-point e di Verplank, era venuto a
porsi ne' luoghi superiori delle montagne dell'Hudson, che non facesse
il disegno di correr contro l'una e l'altra di queste rocche, sperando
d'impadronirsene con una battaglia di mano. Commetteva al generale
Wayne, assaltasse Stoney-point, al generale Howe Verplank. Fu data al
primo una presa di gente eletta, usa ai pericoli ed alle più difficili
imprese. Partivano addì 15 luglio, e camminando per erte montagne, per
profonde paludi, per istrette difficili, per sentieri disagiosi
arrivarono alle otto della sera ad un miglio distante da Stoney-point.
Fatto alto, andava Wayne a riconoscere il sito dei luoghi, ed a
squadrare la condizione della Fortezza e della guernigione. Gl'Inglesi
tuttavia non se ne addavano. Poscia partì le sue genti in due colonne.
La dritta intendeva di guidar egli stesso; precedeva una vanguardia di
cento cinquanta soldati scelti, uomini arrisicatissimi, ai quali prepose
quell'animoso e destro Francese il colonnello Fleury. A quest'istessa
vanguardia poi camminava avanti una piccola frotta di fanti perduti,
guidati dal tenente Gibbon. La sinistra, la quale era condotta dal
maggiore Stewart, aveva anch'essa somigliante vanguardia, ed una squadra
di fanti perduti, che obbedivano agli ordini del tenente Knox. Dovevano
i fanti perduti fare ogni sforzo per rimuovere i primi intoppi delle
sbarre e degli stecconati, affine di agevolare la via alla vanguardia,
che da vicino gli seguitava. Comandò Wayne a tutti i suoi, camminassero
ordinati, cheti, cogli archibusi scarichi, colle baionette appiccate.
Arrivarono a mezzanotte sotto le mura della rocca. Le due colonne
andavano all'assalto sui fianchi, il maggiore Murfee minacciava il
presidio da fronte. Incontravano l'ostacolo impensato di una profonda
palude, che s'interponeva tra essi e la Fortezza. Gl'Inglesi traevano
furiosamente a scaglia. Ma nè l'impedimento della palude, nè quello di
un doppio stecconato, nè le mura di magnifica opera, che torreggiavano
da fronte e da lato, nè la tempesta delle archibusate e delle cannonate
poterono la virtù americana sormontare. Facevansi i waynesi la via a
forza di baionette, sinchè finalmente, superati tutti gli ostacoli de'
luoghi e dei difensori, espugnarono la Fortezza, e le due colonne si
ricongiunsero dentro la piazza principale di quella. Wayne rilevò una
leccatura nella testa da una palla di moschetto. Fleury spiantò colle
sue mani proprie lo stendardo reale d'in sulle mura. Dei fanti perduti,
di venti, ch'erano con Gibbon, morirono diecisette. Perdettero
gl'Inglesi fra morti e prigionieri meglio di seicento soldati. La Terra
fu preservata dal sacco, e da ogni ingiuria dei soldati. Nel che tanto
più sono gli Americani da lodarsi, quanto che si ricordavano dei freschi
ladronecci, e delle uccisioni commesse nella Carolina, nel Connecticut,
e nella Virginia; mirabile vittoria, e pel valore di chi l'ottenne, e
per l'umanità che l'accompagnò.

Da un altro canto non avvenne bene il disegnato assalto contro la
Fortezza di Verplank per gl'impedimenti trovati fra via da Howe. Ma
intanto erano le novelle pervenute a Clinton della disgrazia di
Stoney-point; e non volendo, che il nemico si annidasse su quelle mura,
senza soprastamento alcuno mandò i cavalli ed i fanti leggieri in aiuto
della Fortezza. Ma Washington, che aveva disegnato di venire, e non di
stare, abborrente dalle occasioni di mettere per una parte sola tutta la
somma delle cose in potestà della fortuna, e che altro non aveva avuto
per mira, che d'impadronirsi delle artiglierie, e delle munizioni del
Forte, guastar le opere, e catturar il presidio, ottenute tutte queste
cose, aveva ordinato a Wayne, si ritirasse. Il che eseguì, dopo di avere
smantellato il Forte, felicemente. Di questa impresa tanto gloriosa alle
armi americane si fecero molte allegrezze in tutte le parti della Lega.
Il congresso rendè pubbliche grazie a Washington ed a Wayne, a Fleury, a
Steewart, a Gibbon ed a Knox. Presentò con una medaglia di oro gettata a
posta, e rappresentante con acconci intagli il fatto, il generale Wayne,
e con un'altra somigliante d'argento Fleury e Stewart. Per non lasciare
senza premio la virtù de' suoi soldati, fatto fare una stima del valore
delle munizioni da guerra trovate a Stoney-point, le partì tra di loro.

Fatti i repubblicani più arditi dal prospero successo di questa impresa,
andavano spesso infestando le prime scolte dell'esercito regio, e ne
seguivano frequenti avvisaglie con diverso evento tra le due parti. Una
più grossa delle altre se ne fece a Paulus-hook, luogo posto rimpetto
alla Nuova-Jork sulla destra del fiume. Ma poco frutto vi fecero i
soldati del congresso.

Un'altra fazione di maggiore importanza si fece sulle rive del fiume
Penobscot presso l'estremo confine della Nuova-Inghilterra e della
Nuova-Scozia. Erasi partito da Halifax il colonnello Maclean con un
grosso squadrone di stanziali per recarsi a pigliar posto sulle bocche
di questo fiume in mezzo a quella contrada, che chiamano la contea di
Lincoln. Arrivatovi si affortificava. Intendeva di noiare da quel luogo
molto acconcio i confini orientali della Lega, e tenendo quel calcio in
gola al Massacciuttesi, sperava non si sarebbero i medesimi osi di
mandar molta gente in aiuto dell'esercito washingtoniano. Saputasi la
cosa in Boston, non si può dire, quanto vi si commuovessero gli animi,
ed in quanta gelosia entrassero sui futuri disegni del nemico.
Determinarono di fare un grande sforzo per cacciarlo da quel nido, che
gli poteva servir di scala a cose maggiori. Allestirono con grandissima
celerità un'armata; ed affinchè non mancassero le navi da carico,
ordinarono, si ritenessero tutte quelle che nei porti loro si
ritrovavano; le fornirono di soldati e di ciurme, ed in poco tempo fu
ogni cosa pronta alla spedizione. Preposero all'armata il comandante
Saltonstall, alle soldatesche il generale Lovel. Fecero vela alla volta
di Penobscot.

Aveva intanto Maclean udito prima i romori, poscia avuto le certe
novelle degli apparecchiamenti, che si facevano nel Massacciusset. Ogni
opera usava, per quanto la brevità del tempo il comportava, per
viemmeglio assicurar le difese del luogo. Arrivarono i repubblicani, e
dopo parecchj tentativi per isbarcare, riusciti vani a cagione della
risoluta resistenza de' regj, finalmente tanto fecero, che fu loro fatto
abilità, ributtati i difenditori, di porre in terra. Lovel, invece di
andar tosto all'assalto, il che gli avrebbe dato la vittoria certa, si
pose in sul trincerarsi. Ripresero animo gl'Inglesi. Vi fa un trarre di
artiglierie continuo per quindici dì. In ultimo, essendo già levate in
parte le difese, deliberarono gli Americani di voler dar la batteria. Ne
ebbe Maclean lingua, e si apparecchiava a ributtargli. La mattina ogni
cosa in pronto; ma un profondo silenzio nel campo degli assedianti. Non
san che dirsi. Finalmente fatta l'esplorazione, trovarono,
maravigliandosene ognuno, i nemici aver del tutto abbandonato gli
alloggiamenti, le opere loro esser rimaste nude di guardia, e ritirati
uomini, armi e munizioni alle navi. Nè stettero gran pezzo ad accorgersi
di ciò, ch'era stato la cagione di sì strano accidente. Era Collier
comparso improvvisamente alle bocche del Penobscot, il quale, avuto
avviso del pericolo di Maclean, era prestamente partito per soccorrerlo
da Sandy-hook con una sufficiente armata. Fe' le viste Collier di
assalir il navilio massacciuttese. Si disordinarono i repubblicani, i
regj gli sfolgorarono. Tutto quel navilio sì da guerra, che da carico fu
arso o preso con danno inestimabile dei Bostoniani, i quali in
quest'impresa avevano posto l'occhio. I soldati ed i navicellai
viaggiando con incredibile disagio tra vasti deserti e profonde selve,
si condussero a luogo di salvamento. Saltonstall e Lovel, ma
principalmente il primo diventarono in odio a tutti, e le botte che
furon date ad ambidue d'ignoranza e di codardìa non furon poche. Questo
fine ebbe l'impresa fatta alla foce del Penobscot, nella quale i
Massacciuttesi provarono con grave danno loro, quanto improvvido
consiglio sia negli Stati confederati l'operare spartitamente dai
compagni. Imperciocchè e' pare, che i Capi loro non abbian voluto in
rispetto a questa fazione non che accordarsi, consigliarsi coi capitani
del congresso. Così della conquista della Giorgia in fuori si
travagliavano in quest'anno freddamente le armi, e non succedevano, se
non effetti di piccolo momento.

Ma però nel mese di luglio fu fatta addosso gl'Indiani una terribile
rappresaglia dai repubblicani condotti dal generale Sullivan. Le
spedizioni l'anno scorso contro di quelli eseguite da Buller e Clarke
non avevano ancora potuto soddisfare agli animi dei Capi della Lega, i
quali tuttavia ardentissimamente desideravano di fare un'adeguata
vendetta della distruzione di Viomino. Oltreacciò pareva loro necessario
di frenar le correrìe, che sugli estremi confini non cessavano di fare
que' sfrenati selvaggi resi più arditi dall'impunità, ed instigati dagli
agenti britannici, i quali con denari e con presenti, in pubblico ed in
privato avevano tutto quel paese avvelenato. Tra quelli si mostravano
più vive e più moleste le sei tribù più possenti di tutte per la lega
contratta fra di loro, per gli ordini già avvicinatisi a quei di uno
Stato civile, e pel gran numero dei venturieri europei, che alle
medesime tramescolati si erano, e dai quali avevano già in qualche modo
le fogge degli armeggiamenti, e dei militari scaltrimenti d'Europa
imparato. A queste si erano accostate altre nazioni selvagge meno
rilevanti, eccettuati però gli Oneidiani, i quali, standosene di mezzo
ad osservare, tennero il fermo al congresso. Per la qual cosa si
deliberarono i Capi americani a volere con uno sforzo rilevato liberarsi
del tutto da quella rangola; e siccome Dio, secondo il detto del volgo,
non paga il sabbato, far pagar il fio a quella gente spietata delle
crudeltà di Viomino. Alla qual risoluzione altrettanto più volentieri si
accostarono, perciocchè le cose della guerra procedevano, come abbiam
veduto, assai freddamente nelle province più vicine al mare. Fu ordito
talmente il disegno di questa fazione, che il generale Sullivan, il
quale doveva guidare tutta l'impresa, salendo con circa tremila soldati
su per le rive della Susquehanna arrivò a Viomino, e quivi aspettava il
generale Jacopo Clinton, che veniva pel fiume Moacco con sedici
centinaia di soldati. Seguivano un gran numero di guastadori, di
bagaglioni, di saccardi, di galuppi, ed altra simile bordaglia per far
le strade, portar le vettovaglie, devastar il paese. Le vettovaglie
erano copiosamente fornite, sebbene non tante, quante Sullivan avrebbe
desiderato. Doveva l'esercito passar lungo spazio per paesi, che non ne
somministravano. Di cavalli se ne avevano in copia; delle artiglierie da
campo sei con due obici. I due generali congiunsero le genti loro a
Viomino il giorno 21 d'agosto. Messisi all'ordine, di nuovo si ponevano
in via verso le parti superiori della Susquehanna. Alla fama di questa
venuta avevano gl'Indiani fatti tutti que' sforzi, che meglio per loro
si potevano per difendersi, ed allontanar dal paese loro l'imminente
rovina. Guidati da quei Johnson, Butler e Brandt nominati nei precedenti
libri, si erano assembrati in numero assai ben grosso, e si accozzarono
con essi loro da dugentocinquanta leali. Credutisi forti, erano venuti
sopra la Terra di Newtown, per la quale doveva Sullivan passare, e
quivi, aspettandolo, avevan construtto una grossa e lunga trincea, che
assicurarono vieppiù con un palancato, ed alcuni imperfetti bastioni
alla foggia europea. Arrivato Sullivan tosto attaccò la battaglia. Si
difesero gl'Indiani molto francamente per ben due ore, quantunque non
avessero artiglierie. Per isloggiargli più facilmente da quel riparo
commise Sullivan al generale Poor, andasse allargandosi sulla dritta per
andar a riuscir loro alle spalle. Veduta questa mossa, ed assaliti anche
aspramente da fronte, si perdettero gli Indiani di animo, e si diedero
precipitosamente alla fuga. Pochi furono uccisi, nissuno venne in poter
dei vincitori. Sottentrarono questi, e s'impadronirono di Newtown. Si
sentirono talmente questi uomini selvaggi a questa rotta, che più non si
rattestarono. Ora altro ostacolo non rimaneva da superare ai sullivani,
per correre il paese indiano, fuori di quello delle vettovaglie e della
difficoltà, la quale era grandissima, delle strade. L'uno e l'altro
superarono con incredibile pazienza. Arrivarono finalmente, e ne seguì
una intiera distruzione della contrada, la quale gli abitatori, uomini e
donne, vecchi e fanciulli intanatisi ne' deserti e foreste più selvagge,
abbandonato avevano. Arsero le case, guastarono le messi, mandarono a
male ogni sorta di biade, tagliarono gli alberi fruttiferi. Nel che fu
tanta rabbia usata, ch'era la cosa venuta a vergogna a parecchj
ufficiali non avvezzi a fare, come dicevano, quel mestier di ladroni. Ma
Sullivan era inesorabile, volendo eseguire le commissioni, ed i soldati
volentieri l'obbedivano, avendo mal animo addosso agl'Indiani, perchè si
ricordavano di Viomino. Guastarono da centosessanta mila moggia di
biade. Rovinarono in fondo da quaranta villate, tagliarono un numero
infinito di alberi sì fattamente, che in un solo verziere ne furono
atterrati da quindici centinaia tra pomi, peri e persici. I bestiami
ancora, quelli, ch'erano rimasti o trasportarono, o uccisero. Nulla si
lasciò che intatto fosse o di ciò, che vegetasse sopra la terra, o di
ciò, che vivesse nelle stalle od in sui pascoli, o che l'industria umana
prodotto o provveduto avesse.

Questa spedizione non solo fu notabile pel rigore, col quale fu mandata
ad effetto, ma ancora per le nozioni, che si acquistarono intorno la
condizione di quelle società selvagge. E' pare che quelle nazioni, le
quali ora furono ad un tanto sterminio condotte, più oltre fossero nella
civiltà procedute, che prima si credesse, o che si sarebbe potuto
giudicare. Le case loro erano nei più ameni e salutevoli luoghi poste,
spaziose, pulite, e non senza qualche eleganza, che poco più si sarebbe
potuto desiderare. I campi poi, nei quali così grasse e prosperevoli
eran cresciute le biade, dimostrarono, non esser ignota a quelle genti
l'arte di coltivar la terra. L'antichità e la maravigliosa grandezza
degli alberi fruttiferi, e la frequenza de' bruoli davano certo indizio,
che non di recente, ma già da lungo tempo fossero ad un tal grado di
civiltà salite. E siccome il seminar le biade, ed il piantar gli alberi
sono non dubbj argomenti, che l'uomo guarda nell'avvenire, così si venne
a conoscere, esser falso quello che si credeva vero degl'Indiani, cioè
non aver essi previdenza. Le quali cose si debbono dalla frequenza della
popolazione loro riconoscere, dalla famigliarità degli Europei, e
massimamente dagli uffizj de' Missionarj, i quali ne' tempi andati, e
forse ancora a quei medesimi erano fra di loro vissuti o vivevano.
Furono gl'Indiani dalla presente battitura sì fattamente sbigottiti, che
non fecero più dopo in alcun tempo verun motivo d'importanza. Compiuta
l'opera, ritornò Sullivan a Easton nella Pensilvania. I suoi uffiziali e
soldati molto lo ringraziarono, e seco lui si congratularono con
pubbliche dicerìe, che andarono anche per le stampe, del prospero
successo della spedizione, ciò facendo o spontaneamente, o perchè
Sullivan, siccome uomo anzi leggieri e glorioso, ch'egli era, che no,
così volesse, facessero. Poco tempo dopo, essendo diventato cagionevole,
chiesta licenza dal congresso, l'ottenne facilmente; perciocchè erano i
membri di quello disgustati con lui, o fosse per le sue superbe
vantazioni, o perchè, siccome quegli, ch'era assai largo di bocca,
sovente gli cardava.

Raccontate nel modo fin qui scritto le cose, che accaddero sul
continente americano tra i reali ed i repubblicani, o tra questi e
gl'Indiani, l'ordine della storia richiede, che ci facciamo a descrivere
quelle che avvennero tra gl'Inglesi ed i Francesi nelle isole Antille,
dopoch'erano arrivati ai primi i rinforzi di Europa condotti dal Rowley,
ed ai secondi quelli del conte di Grasse. Dall'accostamento di queste
novelle forze erano le due flotte nemiche divenute a un dipresso
egualmente gagliarde. Avrebbero gl'Inglesi voluto venirne ad una
battaglia giusta. Ma D'Estaing, il quale, siccome molto più forte di
soldati di terra, che Byron non era, aveva in animo principalmente di
conquistare le vicine isole inglesi, fuggiva la battaglia, la quale se
avesse infelice fine avuto, avrebbe renduta la superiorità sua nell'armi
terrestri infruttuosa. Perciò se ne stava quietamente nel Porto-Reale
della Martinica, aspettando una favorevole occasione per far qualche
onorata impresa in servizio del suo Re. Questa non tardò molto la
fortuna a parargli davanti. Erasi partito addì sei di giugno
l'ammiraglio Byron da Santa Lucia per recarsi all'Isola di San
Cristoforo, dove avevan fatto la massa le conserve delle Antille, pronte
a far vela per alla volta dell'Europa. Intendeva di conviarle con tutta
la sua armata per un grande spazio, sia perchè, se ne avesse lasciato
una parte in qualche porto di quelle isole, non avendovene nissuno, che
del tutto sicuro fosse, sarebbe stata esposta agli assalti di un nemico
molto più forte, sia perchè si sapeva, ch'era partito di Francia, ed era
tra via con un altro grosso rinforzo per D'Estaing il conte de
La-Motte-Piquet. Era cosa evidente, che se questi si fosse abbattuto in
sui mari nelle conserve, le avrebbe prese con inestimabile danno
dell'Inghilterra, quando non fossero state da una forza sufficiente
accompagnate. Partito Byron da Santa Lucia non furon tardi i Francesi ad
usar la occasione, che loro si scopriva. Commise D'Estaing al cavaliere
di San Rumain, andasse con cinque navi armate, e quattrocento uomini di
sopraccollo tra soldati stanziali e milizie ad assaltare l'isola di San
Vincenzo. Faceva ottimamente il cavaliere i comandamenti del capitano
generale; e nonostante le correnti che lo sviarono, e la perdita di una
nave, sbarcò le sue genti sopra l'isola. Dal detto al fatto si insignorì
coll'armi in mano di un colle, che sta a ridosso di Kingston, borgo
capitale dell'Isola. I Caraibi, o sia i naturali abitatori, gente
armigera e bellicosa, venivano a torme a congiungersi cogli assalitori.
Il governatore Morris, quantunque avesse sotto di sè più gente da
difendersi, che non aveva San Rumain per offenderlo, forse per paura dei
Caraibi grandemente irritati all'avarizia e crudeltà degl'Inglesi, si
arrendè a patti. Furono essi assai onorevoli e somiglianti a quei, che
ottenne il governatore della Domenica, quando venne quell'isola in poter
dei Francesi.

In questo mezzo era arrivato al Forte Reale della Martinica l'ammiraglio
La-Motte-Piquet, che aveva condotto sei navi di alto bordo, le quali,
congiunte alle diciannove, che già aveva D'Estaing, componevano una
fioritissima armata di venticinque grosse navi di fila. Si annoveravano
fra di esse due di ottanta cannoni, ed undici di settantaquattro. Queste
forze erano superiori a quelle di Byron, il quale non aveva altro che
diciannove, tra le quali una di novanta, undici di settantaquattro, le
altre minori. Aveva inoltre La-Motte-Piquet recato un rinforzo di
stanziali con molte munizioni sì navali, che da guerra. Elevato per
queste cose D'Estaing a maggiori speranze, si risolvette a far l'impresa
della Grenada, difficile assai per la fortezza dei luoghi, ma di non
poco momento per la situazione, e pei proventi dell'isola. Aveva egli
già buon tempo posto il capo a questa fazione; ma sempre andò
indugiandosi, aspettando il tempo, in cui fosse per prevalere di armi
navali. La quale cosa avendo conseguìto per l'arrivo di La-Motte-Piquet,
la mandava ad effetto. Salpò addì 30 di giugno dalla Martinica, ed il
secondo giorno del seguente mese dato fondo nel Molinier, che è un seno
di mare così detto nell'isola di Grenada, pose in terra da duemila e
trecento soldati, la maggior parte Irlandesi condottisi ai soldi della
Francia, e capitanati dal colonnello Dillon. Occuparono incontanente i
posti circonvicini. Era tutta l'isola governata dal lord Macartney con
un presidio di circa ottocento soldati, dugento stanziali, i rimanenti
milizie. Erano questi alloggiati sopra un poggio, che chiamano Morne
dell'Ospedale, il quale oltrechè si è naturalmente di una salita assai
ripida, resa anco più difficile dalle more, che vi avevano alzate qua e
là, era stato affortificato da parte delle falde con una grossa
palificata, e più insù con tre trincee, l'una posta a sopraccapo
dell'altra. Signoreggia questo poggio la città di Giorgio, il Forte ed
il porto. D'Estaing intimò la resa a Macartney. Rispose, che per verità
non conosceva le forze di D'Estaing, ma che conosceva bene le sue, e si
voleva difendere. Sapeva benissimo il capitano francese, che se v'era
modo alcuno di conquistare l'isola, questo si era per una battaglia di
mano. Imperciocchè non dubitava punto, che indugiandosi, sarebbe
sopravvenuto Byron in soccorso, e gli avrebbe rotto il disegno. Per la
qual cosa non mise tempo in mezzo, ed ordinò i suoi all'assalto. Vennero
la notte seguente approssimandosi al poggio, ed a due ore dopo
mezzanotte da ogni parte lo accerchiarono. Eran divisi in tre colonne
per dare all'inimico diversi riguardi, la dritta guidata dal visconte di
Noailles, la manca da Dillon, la mezzana tra le due dal conte D'Estaing
medesimo, il quale s'era animosamente posto a capo ai granatieri. Gli
artiglieri, non avendo cannoni da governare, chiesero, ed ottennero di
marciare i primi. Incominciavasi la battaglia per un assalto simulato
dato sotto l'ospedale dalla parte del fiume San Giovanni. Non così tosto
ebbe principio, che le tre colonne con grand'ordine, e con maggior
ardire inarpicandosi per l'erta ivano all'assalto. Sostennero gli
assaltati l'urto loro con molta costanza. Parvero esitare un istante.
Gl'Inglesi scrivono, avergli ributtati. I Capi gl'incoraggiavano. Si
avventavano più fieri che prima. L'uno serrava l'altro e lo spigneva
avanti. Nè le palificate, nè la difficoltà della salita, nè le trincee,
nè la furia dell'armi nemiche tanto poteron operare, che non
riportassero una gloriosa vittoria. D'Estaing il primo coi granatieri
saltò armatamente dentro gli alloggiamenti inglesi. Lo seguitarono gli
altri. In un momento gl'inondarono. Gl'Inglesi chiedevano la vita, i
Francesi la concedevano. L'oscurità della notte ebbe accresciuto orrore
alla cosa, gloria ai vincitori. Trovarono undici cannoni di diversa
gittata e sei bombarde. La mattina, fatto dì, voltarono le conquistate
artiglierie contro il Forte, che tuttora si teneva per gl'Inglesi. Fatto
il primo colpo, mandò Macartney un trombetto, chiedendo i patti.
D'Estaing gli concedeva un'ora e mezzo, perchè facesse le proposte.
Mandata una bozza di capitolazione a D'Estaing, questi ricusò le
condizioni. Ne mandò il Francese un'altra del suo all'Inglese,
contenente sì nuovi e strani capitoli, che Macartney e gl'isolani stessi
amarono meglio rimettersi senz'alcuna condizione nell'arbitrio dei
vincitori, che accettargli. E così fu fatto. Se grandi e meritevoli di
eterna memoria furono le virtù ed il coraggio degli assalitori durante
la battaglia, non furono minori la temperanza e l'umanità loro dopo la
vittoria. La città fu preservata dal sacco, al quale avrebbe potuto
esser posta giusta le consuete regole della guerra. Furon protetti gli
abitatori nella roba e nelle persone, e le salvaguardie concedute a
tutti coloro che le domandarono. Dillon specialmente meritò la lode di
mansueto e civile guerriero. S'impadronirono i Francesi di cento pezzi
di artiglierie e di sedici bombarde. Fecero settecento prigionieri.
Vennero anche in mano loro da trecento bastimenti mercantili di ricco
carico, che si trovavano nel porto. Tra morti e feriti perdettero poco
più di cento soldati.

La prudenza di D'Estaing nell'aver voluto con tanta celerità compir
l'impresa della Grenada gli tornò bene. Imperciocchè il giorno sei di
luglio compariva a veduta del porto di San Giorgio tutta l'armata
inglese condotta da Byron, seguitata da molte navi da carico, le quali
portavano un buon nervo di soldati da sbarcare levati da Santa Lucia.
Aveva quest'ammiraglio accompagnato buona pezza le conserve delle
Antille nel viaggio loro verso l'Europa, e poscia concessa loro la
scorta, che credette necessaria fosse per conviarle sino nei porti
d'Inghilterra. Se n'era poscia tornato colle diciannove navi di tre
palchi, che gli rimanevano, e con una fregata a Santa Lucia. Quivi ebbe
le novelle della perdita di San Vincenzo, e perciò si era recato in un
col generale Grant sul volerla ricuperare. A questo fine aveva imbarcate
le genti, e veleggiava alla volta di quell'isola. Durante il viaggio gli
sopraggiunse la notizia, che D'Estaing aveva assaltato la Grenada.
Perilchè ebbe tosto rivolto il suo cammino per andarsene all'aiuto di
questa. Aveva D'Estaing avuto avviso per mezzo delle sue fregate mandate
fuori a speculare dell'approssimarsi dell'armata inglese, ed aveva
perciò comandato ai capitani delle sue navi, salpassero e si
discostassero da terra. Alcuni avevano di già questo comandamento
eseguito, altri erano in punto per eseguirlo, quando comparì a piene
vele l'armata di Byron, che correva sopra quella di D'Estaing, e le
presentava la giornata. Spirando il vento di levante, e da greco
levante, e venendo quegli di Santa Lucia sulla Grenada lo aveva in
poppa. Veduto D'Estaing sì vicino il nemico, ordinò a quelle navi che
ancora salpato non avevano tagliassero i cavi, e si mettessero tosto in
mare in ordine di battaglia colle altre, e così fu fatto. Ma siccome in
questo mentre sopraggiungeva l'inimico, ciascuna nave si recò in fila,
come più presto potè, senz'andare a cercar i luoghi loro nella solita
ordinanza. Gl'Inglesi godevano il sopravvento, ed ivano poggiando verso
la Grenada, credendo, che Macartney tuttavia si tenesse. Seguitavano più
ancora in fuori a sopravvento le navi da carico. I Francesi avevano il
sottovento, ed orzavano verso l'armata inglese. I primi desideravano
molto di venire ad una stretta battaglia, perciocchè speravano colla
rotta dell'armata francese ricuperar la Grenada. I secondi, siccome
quelli, che là erano venuti principalmente per conquistare questa isola,
e che questo fine ottenuto avevano, non volendo più mettere in arbitrio
della fortuna ciò, che di già aveva ella posto in mano loro, ripugnavano
ad una battaglia giudicata, ed intendevano di combattere alla larga, e
solo quando necessario fosse per romper agl'Inglesi il disegno di
ricuperar la Grenada. Con questi diversi fini andavano l'uno
all'incontro dell'altro i due ammiragli. Da principio solamente quindici
navi dell'armata francese si appresentarono alla battaglia; perciocchè
le altre per la forza delle correnti erano state risospinte a
sottovento. Arrivava il vice ammiraglio Barrington, che guidava
l'antiguardo colle tre navi, il principe di Cornovaglia, il Boyne ed il
Sultano, e si attaccava colla vanguardia francese. Si combattè da ambe
le parti con grandissimo furore. Ma le tre navi inglesi, avendo contro
di loro molte più francesi, perchè le compagne non avevano ancora avuto
tempo di arrivare, ricevettero gravissimo danno, massimamente negli
attrazzi, sia perchè tal è la maniera del trarre dei Francesi nelle
battaglie navali, sia perchè si combatteva di lungi, e sia finalmente
perchè i Francesi tiravano da sottovento, e perciò le palle loro
andavano più alte. Barrington ne rimase ferito. Arrivarono intanto le
altre navi inglesi, e dal canto suo D'Estaing aveva fatto di modo, che
quelle fra le sue, le quali erano rimaste indietro a sottovento, fossero
venute a trovarlo, e postesi in fila colle prime quindici, che
incominciato avevano la battaglia. Gl'Inglesi si difilavano
continuamente verso la Grenada, viaggiando di conserva le navi da carico
sulla sinistra loro verso l'alto mare, trovandosi la fila delle navi da
guerra tra esse navi da carico e l'armata francese. Scorrendo in tal
guisa le due armate l'una a riscontro dell'altra per contrario verso si
combattè senza cessare, finchè entrambi ebbero trapassato. Ma siccome le
navi inglesi erano venute contro le francesi cacciando, e però un po'
disordinate, e che da un altro canto erano queste molto più destre a
vela, e perciò in piena potestà di serbar a posto loro quelle distanze
che volevano, ne seguì, che poche delle prime ebbero a sopportare tutto
il peso delle artiglierie di molte, o di tutte le seconde. Quindi è, che
furono grandemente danneggiate, e più di tutte il Grafton, la
Cornovaglia ed il Lione; massimamente quest'ultima, la quale fu rotta di
modo, che pareva vicina a naufragare. Il Montmouth altresì, il quale si
era ravvisato per indur i Francesi a combattere più manescamente, di
mettersi di traverso della vanguardia loro per arrestarla, fu malconcio
di modo, che il Lione stesso non l'era di vantaggio. Ma la testa della
vanguardia inglese continuando a camminare era pervenuta alla bocca
della cala di San Giorgio nella Grenada, dove veduto le bandiere
francesi sventolare sulle creste dei Forti, e ricevuto anche i colpi
delle batterie più vicine, furono fatti certi gl'Inglesi di quello
ch'era, la Grenada venuta essere in poter del nemico. Per la qual cosa
conoscendo ottimamente l'ammiraglio Byron, che nella presente condizione
della sua armata, e con quella dei Francesi tanto superiore a ridosso,
era diventata cosa impossibile lo snidargli, commise tostamente al
capitano Barker, ch'era preposto alle navi da carico, facesse altri
pensieri, e più che velocemente le conducesse in salvo in Antigoa o a
San Cristoforo. Egli intanto rivoltò le prue verso tramontana affine di
proteggere le navi da carico nel viaggio loro pure a quella volta, acciò
non venissero in mano del nemico. Ma le tre navi, il Grafton, la
Cornovaglia ed il Lione, le quali pei gravi danni sofferti non potevano
acconciamente governarsi, non solo rimanevano indietro, ma ancora si
lasciavano cadere a sottovento, e perciò più vicine ai Francesi, ed in
pericolo di esser mozzate fuori e prese. Infatti accortosi D'Estaing
dello stato loro aveva voltati i bordi, e poste le prue a ostro per
eseguir ciò, che Byron temeva, cioè di tagliar fuori, e pigliar quelle
tre navi. Ma l'ammiraglio inglese per impedir questo disegno rivoltò
anch'esso i bordi, e veleggiò di nuovo vers'ostro. Mentre in tal modo le
due armate nemiche, dopo d'aver orzato buona pezza, correvano poscia
l'una e l'altra poggiando vers'ostro, il Lione arrancandosi, così
scassinato com'egli era, il meglio, che potesse, e pigliando il vento da
poppa, s'incamminò verso ponente, ed arrivò qualche giorno dopo alla
Giamaica. Avrebbe potuto facilmente D'Estaing, se avesse voluto,
pigliarlo. Ma non volle sparpagliar la sua armata per non correr
pericolo di cadere a sottovento della Grenada. Perciocchè intendeva di
raccorla tutta nei porti di quest'isola. Le due altre navi delle tre
trovaron modo, prima che i Francesi s'interponessero, di ricongiungersi
colla restante armata. Il Montmouth non potendo più mareggiare, fu
mandato speditamente ad Antigoa. Le due armate nemiche continuarono a
stanziar nelle medesime acque a veduta l'una dell'altra fino alla
seguente notte, e standosene gl'Inglesi tuttavia a sopravvento per
protegger le navi da carico, che se ne andavano, e non osando assaltar
l'inimico, perchè inferiori di forze, e molto danneggiati. I Francesi se
ne stettero anch'essi oziosi a sottovento, non potendo rappiccar la
battaglia, appunto perchè si trovavano a sottovento, e forse ancora
probabilmente non volendo D'Estaing fare l'ultima sperienza della virtù
de' suoi, perciocchè quello, che sin là s'era fatto, si poteva, come se
fosse una vittoria, rappresentare, oltre i motivi che gli facevano
desiderare di schivar l'estreme battaglie. La mattina seguente rientrò
D'Estaing nella cala di San Giorgio con infinito plauso dei soldati e
degli abitanti francesi, i quali erano stati spettatori della battaglia.
Le onerarie inglesi, eccettuata una, che venne in mano dei Francesi,
arrivarono tutte a salvamento nell'Isola di San Cristoforo. Byron dopo
di essersi tenuto in sul mare alcuni dì dopo il fatto, andò finalmente a
porre anch'esso nei porti dell'isola medesima.

Ebbero gl'Inglesi in questa giornata, che si combattè il dì sei di
luglio, 183 morti, e 346 feriti; ma grandissimo fu il danno loro negli
attrezzi navali. Mancarono dei Francesi molti più, sia a cagione del
modo del trarre degl'Inglesi, sia perchè le navi loro erano ingombre non
che di ciurme, di soldati da terra. Ebbero perciò molti uffiziali di
conto, da dugento marinari o soldati uccisi, e pressochè ottocento
feriti. Questa fu la battaglia della Grenada, per la quale si fecero
molte allegrezze in Francia, ed il Re Luigi scrisse all'arcivescovo di
Parigi, seguendo in ciò il costume solito ad osservarsi nelle occasioni
delle vittorie, cantasse l'inno delle grazie nella chiesa metropolitana.
Pretendeva infatti D'Estaing la vittoria, per aver tenuti accesi i lumi
tutta quella notte, che venne dietro al giorno della battaglia, per
averla Byron ricusata lo spazio di molte ore, quantunque avesse il
sopravvento, per non aver fatto l'Inglese nissuna dimostrazione per
preservar il Lione, mentre andandosene a mala pena verso ponente si
trovava in tanto pericolo, per aver il medesimo abbandonato il campo di
battaglia, ed essersi ritirato; per aver esso D'Estaing catturato una
nave da carico al nemico, conquistato la Grenada, e reso vano il disegno
fatto da Byron a fine di riconquistarla; per aver infine recato in mano
sua la signoria di quei mari. Imperciocchè l'ammiraglio inglese,
ricevuto nelle vele, negli alberi e nel sartiame sì grave detrimento, il
qual era tanto più da lamentarsi, quanto che in que' luoghi poco si
poteva risarcire, si era ritirato a San Cristoforo, risoluto a non
uscirne, se non quando o si fosse il nemico infievolito, o egli stesso
ingagliardito. La qual cosa riuscì d'infinito terrore a tutti gli
abitatori delle Antille inglesi, i quali da lungo tempo, e forse non mai
si erano incontrati a veder i Francesi padroni del mare. Pochi giorni
dopo la battaglia, D'Estaing, rabberciate le navi, commise di nuovo le
vele al vento, ed andò a mostrarsi in cospetto dell'Isola di San
Cristoforo, davanti la cala di Bassa-Terra, dove s'era Byron appiattato,
e ciò a fine d'invitarlo e tirarlo a combattere. Ma tutto fu nulla.
L'Inglese non si mosse. La qual cosa vedutasi dal Francese, si avviò a
San Domingo, dove fatta un'adunata di tutte le navi mercantili di
diverse isole ordinò, partissero alla volta d'Europa con un convoglio di
due navi da tre coperte e di tre fregate.

In questo stato di cose, essendovi ancora buon tempo al poter operare
per la stagione che correva, andava il conte D'Estaing fra sè stesso
considerando, a quale impresa più vantaggiosa al suo Re dovesse volger
le armi. Gli pervennero in questo mezzo lettere dall'America, le quali
recavano, avere i repubblicani gli animi pieni di mala soddisfazione,
poichè la lega fatta col Re di Francia non era riuscita, in quanto alle
cose fatte in su quel continente, nè all'aspettazione loro, nè alla
potenza sua; che le grosse spese fatte nella fazione dell'Isola di Rodi
erano state indarno; che il pronto vettovagliar l'armata regia dai
Bostoniani altro non aveva prodotto, che un allontanamento della
medesima dalle terre loro, e la gita sua a lontane spedizioni; che non
era stata l'alleanza fin allora di nissun frutto all'America, stantechè
la perdita fatta, per cagione della lontananza dei Francesi, di Savanna
e di tutta la Giorgia uguagliava pur troppo il benefizio della
ricuperazione di Filadelfia operata dalla presenza loro, in congiunzione
però colle armi americane, e che finalmente questa istessa perdita della
Giorgia, provincia così lontana dal centro della Lega, e tanto esposta
agli assalti di mare poteva, e doveva presagir danni ancor più gravi per
l'opportunità offerta al nemico di conquistar le Caroline; l'inimico
vivere e trascorrere danneggiando per le viscere dell'America; starsene
intanto, si dolevano, i capitani francesi correndo i mari delle Antille,
facendo il lor pro di quelle ricche isole inglesi, e lasciando gli
Americani soli a travagliarsi nell'aspra e perigliosa contesa.
Accrescersene il numero degli scontenti, sgomentarsene i contenti. Lo
pregavano perciò, ed instantissimamente il richiedevamo, volgesse
l'animo suo al soccorso del fedele e pericolante alleato. D'Estaing si
lasciò smuovere, quantunque avesse commissione dal suo Re di
ritornarsene tosto in Europa colle dodici navi grosse e le quattro
fregate, che componevano la flotta di Tolone, lasciando però alcuni
vascelli e fregate sotto i comandamenti di La-Motte-Piquet alle stanze
di San Domingo, ed altri otto vascelli con altri legni minori ad
invernare nei porti della Martinica, intendendosi, che questi condotti
dal conte di Grasse cooperassero col marchese di Bouillé alla conquista
di altre isole inglesi. Tali erano in quei tempi i pensieri della
Francia; perciocchè, riscaldandosi allora vieppiù le pratiche colla
Spagna, avrebbe essa voluto veder gli Americani coll'acqua alla gola per
ottenerne nel prossimo trattato della Lega col Re Cattolico, e per l'uno
e per l'altro Re più favorevoli condizioni. Ma D'Estaing seguendo meglio
la generosità dell'animo suo, che gli ordini del suo Re, e volendo con
ogni studio fuggire ogni occasione di dare agli Americani alcun sospetto
d'animo poco verso di loro sincero, partì alla volta dell'America con
ventidue navi di alto bordo e otto fregate. Due erano le imprese, le
quali aveva in pensiero di voler fare, accordatosi prima in ciò coi Capi
americani, l'una e l'altra di grandissima importanza. La prima si era
quella di opprimere le forze del generale Prevost, e, spazzata in tal
modo la Giorgia, liberar questa dalla presenza, la Carolina Meridionale
dal pericolo degl'Inglesi. Non credeva, fosse disagevol cosa ad esser
mandata ad effetto. L'altra, di maggior importanza e difficoltà,
consisteva nell'assaltare congiuntamente col generale Washington per
terra e per mare la città di Nuova-Jork. Dalle quali due fazioni, se
avessero avuto felice fine, ne sarebbe stata la guerra del tutto
terminata sulla terra-ferma americana.

Compariva egli il dì delle calende di settembre sulle coste della
Giorgia con venti navi delle più grosse, avendone tra via mandato due a
Charlestown di Carolina per darvi avviso del suo arrivare in su quelle
spiagge. La cosa riuscì affatto improvvisa agl'Inglesi, i quali a
tutt'altra cosa avrebbero pensato, fuori che a questa. Il che fu
cagione, che la nave inglese lo Sperimento di cinquanta cannoni,
governata dal capitano Wallace, non senza però aver fatto una
valorosissima, e quasi disperata resistenza, si arrendette alle armi
francesi. Tre altre fregate inglesi vennero parimente in poter di
D'Estaing; siccome pure cinque chiatte annonarie, preziosa preda pel
fallimento delle vettovaglie, in cui erano, ai vincitori. Trovavasi
allora Prevost nella città di Savanna con una parte solamente delle sue
genti; le migliori, se non le più, avendo tuttavia gli alloggiamenti
loro nell'Isola di Porto-Reale, situata presso le coste della Carolina.
Conosciuto l'inaspettato e grave pericolo in cui era, mandò
spacciatamente ordine al colonnello Maitland, il quale era al governo di
quelle, non mettesse tempo in mezzo per venire a ricongiungersi seco lui
dentro le mura della città. Gli stessi ordini spedì tosto ad un'altra
presa de' suoi, che stanziavano a Sunbury. Nell'istesso tempo gl'Inglesi
quelle navi, che avevano nel fiume Savanna, e nelle circonvicine acque o
ritirarono in su ne' luoghi più sicuri, o affondarono per impedir il
passo a quelle del nemico. Steccarono allo stesso fine il fiume.
Guastarono le batterie piantate nell'Isola di Tibee. Fecero con fatica
incessabile lavorare i Neri alle fortificazioni. I marinari scesi a
terra si congiunsero coi soldati, e specialmente si accinsero a voler
ministrare le artiglierie.

Ma intanto tostochè si ebbero nella città di Charlestown le novelle
dell'arrivo di D'Estaing, se le genti si rallegrassero, non è da
domandare. Tosto il generale Lincoln si metteva in via con una buona
mano di soldati per alla volta di Savanna. Si spedirono all'ammiraglio
francese piccoli legni in gran numero, perchè gli servissero ad uso di
sbarcare i suoi soldati, non potendo le grosse navi molto avvicinarsi a
quelle spiagge. Avute queste D'Estaing, ed accostatosi allo scanno, che
è posto alla foce della Savanna, traghettò appoco appoco, passando sopra
di questo, le sua genti e le sbarcò a Beaulieu a tre miglia distante
dalla città. Nel medesimo tempo le sue fregate entrarono ad occupar le
diverse fiumane, ed i bracci di mare, che sono in quei contorni assai
frequenti, approssimandosi quanto meglio e più potessero a Savanna. Il
dì quindici settembre comparivano sotto le mura della città i Francesi,
accompagnati dalla legione di Pulaski, la quale, fatta grandissima
diligenza, già era venuta ad accozzarsi coi medesimi. Prevost dopo
alcune leggieri avvisaglie ritirò dentro tutte le sue genti, essendo,
poichè Maitland non era ancora arrivato, poco sufficiente a difendersi,
non che atto ad offendere. D'Estaing con parole alte intimò la resa a
Prevost; che quelle genti, ch'egli aveva guidato sotto le mura di
Savanna, non erano, che una parte di quelle, che avevano conquistato per
assalto la Grenada; che l'umanità sua l'obbligava a rammentarglielo, e
che ciò fatto non potrebbe venir imputato, se non potesse poi la furia
de' suoi soldati raffrenare. Chiedeva, e ciò non senza grave querela e
sospetto degli Americani, si arrendesse all'armi del Re di Francia.

Prevost, considerato che le genti di Maitland non erano arrivate, e che
le fortificazioni, che intendeva di fare, non erano ancor compite, dava
del buono, e s'ingegnava di logorar tempo con far le viste di voler
introdurre una pratica d'accordo. Rispose pertanto a D'Estaing, non
potere, nè dovere arrendersi, se prima non conosceva le condizioni.
Aggiunse, proponessele. Dopo varie pratiche, Prevost fu tanto astuto, e
D'Estaing tanto dolce, o tanto confidente, che conchiusero una sosta di
ventiquattr'ore. In questo frattempo arrivò dall'Isola di Porto-Reale
con tutte le sue genti Maitland, dopo di aver superato con molta sua
lode tutte le difficoltà opposte tra via da' luoghi e dal nemico.
Ricevuto questo rinforzo, nel quale per verità consisteva la principale
speranza della difesa, Prevost fece intendere a buona cera a D'Estaing,
che si voleva difendere. Ma due giorni prima era arrivato nel campo
degli assedianti il generale Lincoln con circa tremila soldati tra
stanziali e milizie. Sommavano i Francesi al novero di quattro o cinque
migliaia. Il presidio tra soldati, marinari e leali arrivava bene a tre
migliaia di soldati. Pigliarono i Francesi il campo a dritta, gli
Americani a sinistra. Non avendo gli alleati potuto insignorirsi della
città di queto, nè credendosi poterla pigliare d'assalto per la
gagliardìa del presidio e delle fortificazioni, le quali già fatto
avevano, e tuttavia facevano gl'Inglesi con grandissima diligenza, si
risolvettero a volerla pigliare per oppugnazione. Per la qual cosa,
incominciarono a lavorar di forza alle trincee, e già il giorno
ventiquattro avevano sboccato a trecento passi dalle palificate sulla
sinistra della città. Fecero gli assediati ogni sforzo per impedir
l'opere degli assedianti, sebbene con poco effetto. Finalmente avendo
gli alleati condotto a fine le trincee, e piantatovi le batterie,
incominciarono la notte dei tre ottobre, a briccolare in gran copia le
bombe dentro la città, ed in sul far del dì dei quattro trassero
furiosamente con trentasei bocche da fuoco dalle batterie di terra, e
con nove bombarde. Nel medesimo tempo fulminavano di fianco con sedici
cannoni posti sulle navi. Per accrescer terrore alla cosa non cessavano
dal gettar dentro carcasse, le quali appiccarono il fuoco a parecchie
case. Questa tempesta di tant'istromenti da guerra, che durò bene cinque
giorni, siccome causò un danno infinito alla città, così fece poca
impressione dentro le mura, le quali non erano sì tosto in qualche luogo
danneggiate, che non fossero più presti gli Inglesi a rassettarle.
Quindi invece di perdere della forza e solidità loro in mezzo a tanta
furia di cannonate e di bombe, pareva che nuove ne acquistassero. I
soldati poi del presidio, e molti ancora fra gli abitanti, siccome
quelli, che stavano sulle mura per difenderle, ne ricevettero pochissimo
danno. Ma bene fu assai grave quello delle donne, e dei fanciulli, e
delle altre turbe inermi, le quali disseminate qua e là per le case che
diroccavano od ardevano, non trovavano contro tanto furore rifugio
alcuno. Molti perirono, altri furono sgabellati a doverne increscer loro
la vita. Mosso dalle miserabili grida loro Prevost mandò pregando
d'Estaing, fosse contento, che le donne ed i fanciulli fossero mandati
sopra di una nave giù pel fiume, e posti sotto la protezione di una nave
da guerra francese, e là stessero, finchè la bisogna dell'assedio fosse
terminata. Aggiunse, che ove per sua cortesia concedesse la domanda, gli
faceva a sapere che la sua moglie stessa, i figliuoli ancor fanciulli, e
tutta la famiglia l'avrebbero usata. Alla quale richiesta piuttosto da
desiderarsi da un generoso nemico per concederla, che da apprendersi per
negarla, trattandosi, come invero si trattava di un'impresa da doversi
terminare colla forza, non colla fame, rispose superbamente D'Estaing, o
di per sè stesso, o messo su da Lincoln, il quale siccome
Massacciuttese, era uno dei più risentiti libertini del paese, che non
poteva acconsentire, perchè Prevost lo aveva ingannato colla tregua; che
nella presente domanda vi poteva esser sotto materia (sospettando, che
il generale inglese volesse con questo stratagemma cansare le ricche
spoglie della Carolina); che finalmente lamentava bene l'infelice
condizione di quelle persone, ma che se non poteva fare altro, lo
imputasse Prevost a sè stesso, ed a quella illusione che gli offuscava
l'animo.

Qualunque fosse la perizia degl'ingegneri inglesi, e specialmente quella
del capitano Moncrieff, l'opera del quale fu di grandissimo comodo in
quest'assedio, nel racconciar le mura rotte dall'impeto delle
artiglierie nemiche, ed il valore, col quale gli assediati le
difendevano, poca speranza potevano avere di poterle tenere ancora lungo
tempo, e minor eziandio di ottenere la vittoria, quando gli assedianti
avessero perseverato nell'assedio. Ma si trovava D'Estaing oppresso da
gravissime difficoltà. Non si era egli persuaso, che fosse per trovare
sotto le mura di Savanna un sì duro incontro; ed era venuto in tanta
confidenza di una prossima vittoria, che si era fermato con tutta la sua
flotta su quelle spiagge poco sicure in ogni stagione dell'anno, ma
molto pericolose in quella, che allora correva. Aveva anzi significato
agli Americani, che non poteva fare in terra più lunga dimora, che di
otto o dieci giorni. Già ne erano trascorsi venti, dacchè era venuto a
oste sopra Savanna, e questa città nissuna sembianza faceva di volersi
arrendere. La stagione diventava ogni dì più infedele, ed i suoi
uffiziali non cessavano di mostrargli, in quanto pericolo esporrebbe
l'armata del Re, e tutti i suoi, se più lungamente si ostinasse
nell'incominciata impresa. Poteva anco un'armata inglese fresca, e
fornita di ogni cosa arrivar in quelle spiagge, e dar la battaglia alla
francese mancante allora di tutti i soldati e marinari, e di tutte le
artiglierie sbarcate alla fazione di Savanna. Onde è, che quantunque le
trincee non fossero a quella perfezione condotte, che era necessaria, nè
le mura della città altrettanto danneggiate, quanto si sarebbe
desiderato, si deliberò D'Estaing a volerle dar l'assalto; tratto ora
dalla necessità delle cose a quella risoluzione, la quale avrebbe dovuto
mandar ad effetto, allorquando in sul principio poco era la città
difendevole, e gli aiuti di Maitland non arrivati. Fatta la risoluzione,
consultò con Lincoln del modo di eseguirla, ed ambidue si fermarono di
voler assaltar la città sul fianco destro da quella parte stessa, dove
si erano gli Americani accampati. Da questo lato una strada fonda e
paludosa poteva condurre gli assalitori, senza che potessero essere non
che danneggiati, veduti dagli assediati, sino distante solo a cinquanta
passi dallo sdrucciolo della Fortezza, ed in qualche luogo anche più
presso. La mattina dei nove ottobre, prima del dì, D'Estaing e Lincoln,
raccolto il fiore dei soldati loro, andarono per la strada coperta a
riconoscere la batteria. Ma a cagione del buio s'innoltrarono più in là
nella fondura, che non avrebbero voluto, avendo dato una più gran
giravolta a sinistra. Il che fu causa, che ci si perdè tempo, e si
disordinarono i soldati. Tuttavia, ripigliato tosto le ordinanze, si
affacciarono alle mura, e diedero con incredibile ardire un ferocissimo
assalto. Gl'Inglesi, i quali, come scrivono alcuni, ne avevano avuto
qualche fiato la sera precedente, e che perciò stavano sull'intesa, con
quel medesimo valore si difendevano, col quale erano assaliti. Si
attaccarono principalmente, con un furore inestimabile gli uni gli altri
intorno un bastione posto sulla via per Ebenezer, facendo gli alleati un
incredibile sforzo per ispuntar di quello gl'Inglesi. Si combatteva
anche nelle altre parti con uguale valore, e non si poteva
conghietturare, da qual parte fosse per inclinar la vittoria. D'Estaing
e Lincoln in capo alle file dei loro, ed esposti ad un grandissimo
pericolo gli animavano. Da un altro canto Prevost, Maitland ed il
Moncrieff non mancavano a lor medesimi, continuamente aizzando i loro,
cacciassero da quelle mura i ribelli al Re, i nemici inveterati del nome
inglese sfolgorassero. Durò l'ostinatissima contesa per ben un'ora. Ma
infine cedendo il valore degli assalitori alla costanza dei difensori,
ed essendo quelli grandissimamente infestati dalle artiglierie, le quali
poste con mirabile industria da Moncrieff nei luoghi più opportuni
piovevan loro addosso continuamente, e da tutti i lati palle e scaglia;
incominciò l'impeto degli alleati a raffreddare; poscia balenarono.
Della qual cosa accortisi quei di dentro, e conoscendo benissimo, quello
essere il momento, il quale se bene usassero, doveva dar loro la
vittoria compiuta in mano, saltaron fuori, granatieri massimamente e
marinari, e spintisi a trabocco nei fossi e nei ripari, in men che non
si dice, gli spazzarono, cacciatine di forza tutti i nemici. Nè contenti
a questo, avventati pel calor della battaglia, e gonfiati all'aura della
vittoria, gli perseguitarono sì ferocemente e sì precipitosamente, che
gli ributtarono fuori delle palificate dentro la fondura. Il quale
cacciamento fu così subito, che quelle insegne, che Prevost aveva
mandato dietro i suoi alle riscosse, non ebbero tempo di arrivare ad
aver parte nell'impresa. Non è da passar sotto silenzio, che mentre più
ardeva la battaglia, il conte Pulaski postosi alla testa di dugento
cavalleggieri tentò galoppando a tutta briglia di entrare tra mezzo i
ripari nella città per assalir poscia alle spalle, e scombuiar i nemici.
Ma ferito in quel punto mortalmente, fu costretto a ritirarsi; ed i
suoi, perduto il capitano, disanimatisi si tolsero dall'impresa.
Dissipata la nebbia ed il fumo, che avevano ingombrato l'aria nell'ora
dell'assalto, si scoperse uno spettacolo orribile a vedersi. Mucchi di
morti misti coi viventi qua e là, ma principalmente intorno il puntone
di Ebenezer; armi rotte, sangue sparso, grida lamentevoli, ogni cosa
degna di compassione. Chiedevan gli alleati una tregua per seppellir i
morti, e raccorre i feriti. Fu concessa, con restrizione però rispetto a
quei che si trovavano in un certo spazio vicino alle mura.

Fu molto grave in questo fatto la perdita degli alleati. Dei Francesi
morirono, o furono feriti meglio di settecento, tra i quali più di
quaranta uffiziali. Tra i feriti si annoverarono lo stesso D'Estaing, i
visconti di Fontange, e di Bethisì, ed il barone di Steding. Degli
Americani tra morti e feriti mancarono da quattrocento. La perdita
degl'Inglesi fu di poco conto, avendo combattuto da luoghi sicuri. Ora
si facevano dai vinti le invenie per la risposta data a Prevost rispetto
alla moglie e figliuoli di lui. Davano la colpa, come dicevano, a
quell'avventato Lincoln. Offerivano adesso, imperciocchè facevano
tuttavia le viste di voler continuare l'assedio, quello che prima tanto
rigidamente avevano negato. Gissero pure la donna, ed i figliuoli del
generale col seguito loro; sarebbero ricevuti a bordo della nave la
Chimera dal cavaliere di San Rumain. Rispondeva con sopraccigli levati
Prevost, che quello che stato era negato una volta con insulto, non
francava la spesa di accettare.

Pochi giorni dopo passò da questa all'altra vita il conte Pulaski, uomo
polacco di chiaro sangue, il quale non trovando più nella patria sua
modo alcuno di adoprarsi in questa causa della libertà di cui ei faceva
professione, s'era con generoso consiglio condotto ad aiutarla
presenzialmente in America. Nel che fare se perdette la vita, acquistò
non poca laude presso gli uomini valorosi. Raccontasi, che quando fu al
Re di Polonia annunziata la morte di Pulaski, abbia esclamato: _Pulaski
sempre bravo, ma sempre nemico ai Re_. E certo, se il Re Stanislao si
doleva di Pulaski, ne aveva ben anche il perchè. Il congresso decretò,
gli si rizzasse un monumento.

Il giorno 18 ottobre, gli alleati, aperto del tutto l'assedio, si
levarono da campo, e tale fu la diligenza che usarono nel ritirarsi, che
non fu fatta agl'Inglesi veruna abilità di poter far loro danno. I
regolari di Lincoln si ripararono sulla sinistra riva della Savanna; le
cerne si disbandarono. I Francesi si ritrassero alle navi. D'Estaing,
posti di nuovo sopra di queste i soldati, le armi e le munizioni,
abbandonando del tutto le spiagge dell'America, commise le vele ai
venti, intendendo di recarsi egli stesso con una parte dell'armata in
Europa, e di rimandar la rimanente alle Antille. Ma una grossa folata
disperdè le navi, le quali penarono poi gran pezza prima che si
potessero, raccozzare.

Questo fine ebbe la spedizione di D'Estaing sulle coste dell'America
settentrionale, nella quale avevano gli alleati tante liete speranze
collocate. Rottogli prima dall'avversa fortuna il disegno della
Delawara, abbandonò poscia due volte in sul bel compirla l'impresa di
Nuovo-Porto; e finalmente sotto le mura di Savanna, dopo d'essere stato
troppo rispettivo nel principio riguardando all'assalto, tanto lo
affrettò sul fine, che ne ricevette una grave sconfitta. Acquistò per
altro alla Francia due ricche isole nelle Antille, e combattè con non
poco frutto una onorevol battaglia contro un'armata inglese
esercitatissima, e governata da capitani espertissimi. Era D'Estaing,
del pari precipitoso nel risolversi che animoso nell'eseguire; e se la
fortuna avesse, siccome amica agli audaci, aiutato l'audacia sua, o
voluto favorire gli ottimi consiglj presi dai ministri francesi nelle
cose ordinategli, avrebbe fuor di dubbio grandemente afflitta la
possanza navale dell'Inghilterra, ed un grande aiuto porto all'America,
che dal suo operare aveva sperato il pronto fine della guerra. Con tutto
ciò, sebbene l'opera dell'ammiraglio francese non sia riuscita in
America di quella utilità, che si aspettava, fu però di non poco
vantaggio agli Americani. Imperciocchè la sua presenza contenne
gl'Inglesi, che non si recassero sì tosto, come disegnato avevano,
contro le province meridionali. Inoltre i ministri britannici, temendo
non solo dell'Isola di Rodi, ma ancora della Nuova-Jork, quando le genti
loro continuassero ad alloggiare spartitamente in quelle due province,
ed in altri luoghi, comandarono a Clinton, volasse speditamente la
prima, e tutto il presidio ritirasse alla Nuova-Jork; il che eseguì il
giorno 25 di ottobre. Così la provincia dell'Isola di Rodi, la quale era
venuta di queto in mano dei reali, tornò nel modo stesso in poter dei
repubblicani. E siccome era allora D'Estaing sulle coste della Giorgia,
così temendo i generali inglesi, venisse tosto sull'Isola di Rodi,
questa votarono sì all'inviluppata, che vi lasciarono le grosse
artiglierie, ed una gran quantità di munizioni. Ne pigliarono gli
Americani possessione immantinente. Vi lasciarono per alcuni dì
sventolare le insegne inglesi; al quale inganno prese molte navi del Re
entrarono in Nuovo-Porto altrettanto ricca, che sicura preda ai
repubblicani.

Raccontato avendo sin qui gli accidenti della guerra, che nacquero in
quest'anno, sia nel continente d'America, sia nelle isole occidentali,
ci è ora mestiero descrivere quelle cose, che nel medesimo frattempo
avvennero, e che risguardano, o l'erario pubblico, o le opinioni, i moti
e le sette di quei popoli agitati da sì gravi e sì spessi rivolgimenti.
La congiunzione delle armi di Francia a quelle del congresso, se dall'un
dei lati era stata di non poca utilità agli Americani e per dar loro
migliori speranze dell'avvenire, e per difendergli effettualmente dagli
assalti britannici, dall'altro riuscì di notabil danno rispetto alla
comune opinione dei popoli. Questa stessa possente tutela, e quelle
speranze che ne furono l'immediato e necessario effetto, furono causa,
ch'eglino si dessero a credere, che la contesa fosse ormai vicina al suo
fine; che l'Inghilterra fosse per calare; e che altro non rimanesse a
farsi, che aspettar quietamente il termine dei mali loro, ed attendere a
godersela, e a darsi buon tempo. Quella causa stessa, la quale avrebbe
dovuto per l'emulazione verso il possente alleato stimolargli a
comportarsi da valorosi, ed a concorrere efficacemente alla comune meta,
gli faceva per lo contrario impoltronire, proponendosi eglino di volere
anticipatamente, e quando tuttavia durava il pericolo quel riposo
godersi, che non avrebbero dovuto desiderare, se non quando avessero
ottenuto l'intento loro. In mezzo a quelle vivaci immagini di non
lontana felicità, che la vaga immaginazione continuamente rappresentava
alle menti loro, non si ricordavano, che il negozio poteva ancor venir
guasto in sul compirsi, e che poteva tuttavia, siccome si suol dire,
cader loro la gragnuola in sul far della ricolta. La Francia, vedutigli
così trasandati, avrebbe potuto far altri pensieri, servendo la
trascuraggine loro di pretesto apparente, e d'accrescimento di forza
alla ragione di Stato sempre pronta a pigliar le occasioni di fare il
suo interesse a spese degli alleati. La Spagna ancora avrebbe potuto
starsene, e non si discoprire con grave danno di tutta la Lega, la quale
dall'accessione di lei sperava la vittoria certa. Nè pensavano gli
Americani, che se le buone armi ed i forti eserciti sono causa, che più
presto si finiscono le guerre, così lo sono ancora per ottenere le più
favorevoli condizioni della pace. Tutte queste cose nissuna, o poca
impressione facevano negli animi dell'universale, e contenti a quello
che fin là fatto avevano, e grandi assegnamenti facendo sugli aiuti
francesi, si stavano, e parevano voler lasciare tutto il peso del
fornire la bisogna all'alleato loro. Questa rilassatezza, la quale era
entrata in tutti gli ordini di persone, era altrettanto più grande,
quanto era stato più vivo l'entusiasmo degli anni precedenti. La qual
cosa era anche maggiormente di sinistro augurio; imperciocchè
l'esperienza dimostra potersi bene facilmente concitar i popoli la prima
volta, ma risvegliargli da quel torpore che tien dietro all'ardore,
difficilmente. I Capi americani più prudenti, e massimamente Washington,
conosciuto ottimamente il male, ne stavano di malissima voglia, e vi
facevan contro tutti quei rimedj, che migliori e più efficaci immaginar
potevano e sapevano. Usavano le esortazioni, gli argomenti della passata
gloria, la necessità di non iscomparire in paragon dell'alleato, i
pericoli, che tuttora soprastavano, la possanza e le arti
dell'Inghilterra. Tutto era nulla. Se ne stavano tuttafiata a gambe
larghe, e lasciavano portare al caso le cose di maggior momento. Non vi
era modo che si volessero risentire. La bisogna del reclutare procedeva
peggio che lentamente. I soldati, che si trovavano all'esercito di
Washington, alcuni, perchè avevano finite le ferme, altri, perchè eran
loro venute a noia le guerre, lo desertavano, ed alle case loro
ritornavano. Nè il riempire le compagnie assottigliate era facil cosa a
conseguirsi. Pochi, o nissuno volevan obbligarsi giusta le provvisioni
del congresso a tre anni, o sino al finir della guerra. Il condurgli per
un più breve spazio, oltrechè riusciva di poco profitto, non era anche
concesso per la torpidezza dei popoli. Il trar le sorti, ed obbligargli
per forza ad andar sotto le insegne era creduta, ed era in vero in mezzo
a quelle opinioni che regnavano, cosa troppo pericolosa. Dormiva ogni
cosa nell'esercito, avendo per grazia, che gl'Inglesi non
l'assaltassero. Queste state sono le cagioni per le quali così
freddamente procedettero in quest'anno le cose della guerra, e per cui
Washington, oltre la sua naturale prudenza di non volere, se non
avvantaggiatissimo, riporre nel rischio delle battaglie una impresa, che
già credeva vinta, non che assaltar volesse, recava a sua gran ventura
il non essere assaltato. Che se le cose fossero avvenute, non come
andarono, ma come avrebbero dovuto andare, gli si sarebbe scoperta
qualche buona occasione di fare un gran fatto in servigio e gloria della
patria sua; e forse gl'Inglesi non se ne sarebbero stati nella
Nuova-Jork così quieti, come fecero tutto l'anno, e l'Isola di Rodi non
avrebbe penato sì lungo tempo a ritornare alla divozione dell'America;
poichè si trovavano i reali in quei primi mesi molto indeboliti per
cagione dei soldati mandati alle fazioni delle Antille e della Giorgia.
Ma in mezzo ai popoli tumultuanti, presso i quali il governo, siccome
nuovo, è più debole, e la volontà dei particolari uomini, siccome con
minor freno, più forte, e le comuni opinioni, che solo nascono dagli
ordini stabili, non ancora fermate, non è raro che si perdano le
migliori occasioni. E se l'imprese loro riescono qualche volta a buon
fine, ciò più spesso dalla buona ventura, che dalla costanza loro si dee
riconoscere. Tal era la condizione a questi dì dei popoli americani, e
se nella Giorgia e nella Carolina si fe' qualche sforzo per ributtar
l'inimico, ciò fu massimamente per mezzo delle bande paesane di quelle
due province, alle quali la cosa toccava sì strettamente. Le altre non
si mossero, o fecero provvisioni assai fredde; perciocchè, rilassato il
nodo della comunanza, non riputavano proprio il pericolo altrui.

Nè solo, ferme quelle prime caldezze, vi era grande la tiepidità delle
menti, ma non vi era minore la cupidigia del guadagno, e lo sfrenato
desiderio delle ricchezze, fossero qualsivogliano i mezzi di
acquistarle; o buoni, o cattivi, o leciti, od illeciti, di ciò poco si
curavano. Nata vi era fra gli Americani di quei tempi, siccome pur
troppo suol avvenire nei rivolgimenti politici delle nazioni, una
generazione d'uomini che convertivano in lor prò, e nel privato
interesse loro le miserie del comune. Costoro poco curandosi di
dependenza o di non dependenza, di libertà o di non libertà attendevano
a far sacco con popparsi e succiarsi lo Stato; e mentre i buoni
cittadini, o si logoravano nelle fazioni militari, o si travagliavano
nelle consulte, dando alla patria non solo il tempo, ma ancora le
sostanze, il sangue e la vita loro, questi impronti ladroni le facoltà
sì pubbliche, che private senza vergogna alcuna manomettevano ed
arraffavano. Quindi non v'era contratto privato, ch'essi non vi
usureggiassero su, e non vi facessero dentro i disonesti guadagni, nè
endica pubblica, che lo Stato facesse per uso degli eserciti, nella
quale non si ficcassero dentro. Dal che ne nasceva, che si spendeva
assai, e poco si otteneva. Nè anco nissuno si pensi, che mai si sia da
modesti e virtuosi amatori della patria loro tanto romor menato, o tante
dimostrazioni fatte d'amor della patria, come costoro menavano e
facevano. E' pareva ch'essi soli fossero i zelatori, essi gli ottimi
cittadini; e coloro i quali erano in grado, e tenevano i maestrati, e
che non volevano alle tresche loro prestar le mani, tosto sì eran
chiamati dai medesimi tiepidi, leali, reali venduti all'Inghilterra;
come se stato fosse debito di coloro, i quali si erano abbattuti al
governo della repubblica in circostanze sì calamitose, l'arricchirgli.
Che poi queste cose dicessero essi, non è da far maraviglia; perciocchè
non v'è mai stato ladro che non sia mai stato prima ingannatore; ma
quello, che era più strano e poco credevole, questo era, che trovavano,
chi loro credeva. Questa peste andava serpendo, e già già s'era
insinuata nel cuore stesso della repubblica. Quindi i buoni si
ristavano, i malvagi alzavano la cresta. Ogni cosa minacciava una
prossima rovina. Quest'erano le speranze dell'Inghilterra. Del quale sì
gran mutamento in quelle genti, altre volte di sì lodevoli costumi
dotate, se si vogliono ricercar le cagioni, troveremo, che oltre quella
generale rilassatezza, che sogliono produr le guerre nelle opinioni
morali dei popoli, i reggimenti nuovi, i quali penuriano di pecunia,
sono costretti ad accattar questa, o le robe dagli usurai. L'esempio è
pernizioso, e si diffonde largamente anche fra i privati. Sono anche i
reggimenti medesimi obbligati per la necessità delle cose a conceder
molto, e a dar i preferimenti a coloro, che seguitano o paiono seguitar
le parti loro, accettando per buono e risponsivo negli affari pecuniali
il solo zelo del bene pubblico, o vero o simulato ch'esso sia; e se
agevoli debbon essere per forza nel concedere a simil sorta d'uomini,
quando si appresentano, debbono per le medesime cagioni esser rispettivi
nel castigargli, quando fan mancamento. Brevemente in tali circostanze i
buoni debbono per necessità dar la passata ai tristi, e questi vedutisi,
non che impuniti, tollerati, non che tollerati, usati, non che usati,
spesso incoraggiati, si moltiplicano; e siccome i cadaveri addossati ai
corpi sani e viventi gl'infracidano ed uccidono, così essi l'onestade
altrui guastano e corrompono. Ma una delle prime e più possenti cagioni
di sì strano cambiamento nei costumi americani quello si era dello
scapitamento dei biglietti di credito, il quale era venuto a tale in sul
principiar del presente anno, che con otto dollari di quelli non si
poteva avere, che un sol dollaro di conio. Questo disavanzo andò
crescendo continuamente in tutto il corso del medesimo anno, sia per le
continue gittate, che ne faceva il congresso, sia pel poco frutto, che
sin qui s'era ricavato dall'aiuto delle armi francesi, sia finalmente
per le infelici novelle della Giorgia. Nel mese di decembre appena che
quaranta dollari di biglietti si potessero spendere per un dollaro
d'argento. Una cena, od una coppia di scarpe non si avevano, se non con
dugento o trecento lire tornesi in biglietti. Del che non si dee pigliar
maraviglia. Imperciocchè oltre l'incertezza dello Stato, correvano nel
mese di settembre 159,948,882 di dollari del congresso nelle tredici
province confederate. Alla qual somma, se si aggiungeranno quelle dei
biglietti gittati dai particolari Stati, si verrà a conoscere, quanto
smisurata fosse la totale somma di questa sorta di pecunia, che allora
sopraffaceva ed aggravava gli Stati Uniti. Oltre di questo, molto
efficace cagione dello scapito dei biglietti erano i contraffacimenti
assai frequenti, che fatto ne avevano, e tuttavia facevano i leali e
gl'Inglesi. Di questi biglietti così falsificati, ma sì finamente
lavorati a guisa dei buoni, che difficilmente si potevano distinguere,
ne arrivavano spesso le casse piene dall'Inghilterra; ed i capitani
britannici, e specialmente Clinton sebbene questi, come pare, a
malincorpo, e costretto a bella forza dai ministri, ogn'industria
usavano per fargli trapelar nel paese. Certo è, ch'essi ministri un
principal fondamento alla ricuperazione delle colonie ponevano in queste
falsificazioni dei biglietti di credito. Perciocchè sapevano ottimamente
che quella era la sola pecunia, che potessero spendere il congresso e
gli Stati per le provvisioni della guerra; e che se fosse loro venuto
meno quel principal nervo, sarebbero di necessità cadute di mano le armi
agli Americani. Il qual modo di far la guerra, se non era usato allora
la prima volta, nè stato lo è l'ultima, sarà però sempre dagli uomini
diritti e dabbene grandemente, ed a buon diritto biasimato ed abborrito.
Imperciocchè la fede pubblica si debba serbar anche tra nemici, e la
fraude delle falsificazioni delle monete sia di tutte le altre non solo
la più dannosa, ma la più vile. A tutte queste cose si aggiungeva, che
siccome da una parte il commercio, che gli Americani andavano altre
volte facendo coi proventi loro in Inghilterra, ed in parte anco presso
le estere nazioni, era interrotto, e dall'altra il suolo e l'industria
loro non davano parecchj oggetti indispensabili all'uso della guerra,
così questi dovevano procacciare a suon di monete d'oro e d'argento
dall'esterno. Dal che ne nacque, che la quantità di queste, che si
trovava negli Stati Uniti, la quale di già molto non era abbondante
prima della guerra, a' tempi di questa andò appoco appoco scemando, e
diventando in proporzione della scarsezza sua più preziosa. Perciò i
biglietti divennero anch'essi proporzionatamente di minor valore
nell'opinione degli uomini. Da questo smisurato disavanzare dei
biglietti non solo accadeva, che le borse si serrassero ed i mercati si
sfornissero con gravissimo danno e querela dei popoli, ma ancora, che la
fede dei contratti si rompesse, e la rettitudine dei privati si
contaminasse. I debitori con poco si liberavano di molto verso i
creditori; e se questo nel principio si faceva da pochi, siccome il male
si appicca più facilmente che il bene, molti poscia diventarono
macchiati della medesima pece; e funne quasi un generale andazzo. Nè in
questo i debitori infedeli ed avari risguardavano più a questa persona
che a quell'altra, poichè di questi tratti ne furono usati allo stesso
generale Washington, il quale i suoi denari aveva prestato generosamente
a chi ne aveva bisogno. Vi era anche nata un'altra generazione d'uomini,
i quali ad altro non badavano, che al mercanteggiare continuo in sul
disavanzo dei biglietti, accortamente valendosi dell'aggio, secondochè
quelli acquistavano, o perdevano di riputazione. E questo acquistare, o
perdere di riputazione dei biglietti meno procedeva dalle circostanze
più o meno favorevoli, in cui si trovasse il pubblico, che dalle
novelle, dai raggiri, dai maneggi, dagl'inganni e dai monopolj di
costoro. Quindi le arti utili, i traffichi onorati si abbandonavano per
correr dietro a questa ghiottornìa dell'aggio. I più tristi ed i più
malvagi arricchivano; i buoni ed onesti impoverivano; ogni avere, sì
pubblico che privato, in confusione. Nè il male si ristava all'avarizia;
ma la contagione di questa scellerata peste più oltre si divulgava nelle
menti umane, e siccome suol fare, corrompeva anche tutte le altre virtù.
L'avarizia dei privati perturbava le cose pubbliche. Guardavasi da
troppi più, che non si potrebbe credere, sopra l'amor della patria, come
se una fola fosse, in cui molto più vi fosse da perdere, che da
guadagnare. Non volevasi andar soldato, se non con ingordi caposoldi;
non dar gli appalti pubblici, senza averne le palmate; non pigliargli,
senza smisurati profitti; non entrar negli uffizj o maestrati, se non
con disonesti salarj, o per farvi entro la penna. E questa corruttela
procedè tant'oltre, che ne fu con troppo manifesto esempio l'antico
proverbio riconfermato, che _quando l'ottimo si guasta, e' scende del
tutto verso la parte più rea_.

Ma all'ingorda sete dell'oro si aggiungeva per arrota il furor delle
Sette, dal quale invasati erano gli stessi membri del congresso. Il
ch'era causa, che pur troppo spesso disputassero tra di loro d'interessi
privati e di personalità, piuttosto che delle faccende gravi ed
importanti dello Stato. Allorquando una nazione debole si mette sotto il
patrocinio di una potente, e che di questa si trova in gran bisogno, vi
sorgono di necessità in mezzo della prima le Sette e le fazioni. Alcuni
risguardando molto più agli interessi della patria loro, od alla propria
ambizione, che alla necessità di conservar la buona armonia colla
nazione più possente, seguendo meglio il diritto, che la ragione di
Stato, fanno spesso, e dicono di quelle cose, che agli agenti di essa
nazione arrecano non poco disgusto. Altri, o perchè così credano, che
sia il meglio della patria loro, ovvero per arrivar ai fini loro
particolari, si dimostrano più arrendevoli, e concedono largamente, e
piaggiano offiziosamente, e fanno le invenie bassamente. Quelli
chiamansi independenti, questi dependenti. Errano i primi; perciocchè
non si possono usar in tutto le maniere dell'independenza, laddove s'ha
un indispensabile bisogno del patrocinio altrui. Errano i secondi;
perciocchè il conceder troppo accresce la gola altrui, e fa anche venir
voglia di addomandar troppo; e serbar in questi casi un giusto mezzo è
cosa più malagevole, che taluno potrebbe immaginare. Questi ultimi sono
per l'ordinario, o debbon esser più accetti agli agenti sovrannominati,
perciocchè ne fanno essi più facilmente il voler loro, e servon loro
(quando i dependenti sono di quei, che vogliono conseguir i proprj fini
d'avarizia e d'ambizione) di calunniatori, di rapportatori e di spie,
astenendomi anche per amore della modestia dall'usar parole più gravi.
Ma tra di loro son gagliardi i contrasti e le impronte dicerìe. Gli uni
rimproverano agli altri, volere dei proprj interessi la patria loro
intiera ed avvinta dare in preda ai protettori; far mercato di quella:
esser più del paese dei protettori, che del loro; gli chiamano vile e
disprezzabil gente. Gli altri rimproverano agli uni, volere per un
intempestivo orgoglio far capitar male lo Stato, perdendo la protezione;
doversi prima acquistare l'independenza, poscia far gl'independenti; in
tutte le azioni loro gli uomini prudenti, e massimamente gli statuali
andar pei tragetti, quando la dritta via conduce al precipizio; non
doversi governar gli affari di Stato coi moti dell'amor proprio degli
uomini privati; in quelli il più profittevole essere il più onorevole; e
nessuno mettervi dell'onor suo, quando ottiene il fine, che si era
proposto. Queste cose dicevano i più temperati fra i dependenti; ma i
più scatenati fra i medesimi, e quei, che non eran netti, gridavano a
testa, quest'independenti esser nemici alla Francia, amici
all'Inghilterra; essere traditori; intendersela cogl'Inglesi; a questi
disvelare i segreti dello Stato; volere il rompimento della fede
pubblica data nel trattato d'alleanza; desiderare ed operare, che posta
dall'un de' lati l'alleanza francese con tanta solennità giurata, si dia
ascolto alle proposte di pace fatte dall'Inghilterra, e si faccia con
questa la lega. Conciossiachè a questi tempi i ministri britannici non
cessavano di tentar gli animi dei Capi americani con nuove offerte di
pace, anche riconoscendo la independenza. Ciò facevan essi, o per
ingelosir la Francia, o per far nascere le Sette in America, o per
ottener invero la pace e l'alleanza dagli Stati Uniti. Che che si debba
pensare delle intenzioni loro, queste tente avevano in America
l'effetto, che forse si erano proposto, operato, e non vi mancando
neanco delle male zeppe desiderose di veder male, che le aiutavano, le
parti e gli umori vi bollivano gagliardamente. Per verità non solo i
particolari cittadini, ma ancora quelli, che tenevano i gradi,
attendevano meglio a proverbiarsi, ed a bisticciarsi tra di loro, che
alle faccende dello Stato. Questi semi di discordia cittadina, che già
eran pullulati, e cresciuti gran tempo prima, crebbero ancora vieppiù,
quando colla flotta di D'Estaing arrivò in America Silas Deane, prima
agente del commercio americano in Europa, poscia uno dei tre commissarj,
che avevano fermato il trattato d'alleanza a Parigi. Costui scontento
nell'animo all'esser stato rivocato, e volendo fare un gran romore in
testa agli altri, perchè gli altri nol facessero a lui, e parere il
buono ed il bello coi Francesi, andava pria seminando, poscia stampò,
che il congresso non voleva udire in sulla relazione della sua missione
a Parigi; che non voleva aggiustar i suoi conti; che Arthur Lee, uno dei
tre commissarj, e Guglielmo Lee, agente pel commercio del congresso in
Europa, ed i due fratelli loro membri del congresso parteggiavano per
l'Inghilterra, e con questa tenevano pratiche segrete; ch'essi, e tutti
quelli, che tenevano con loro, volevano la Francia disgustare in varj
modi, e specialmente col non volere, si rimborsassero a quei Francesi, i
quali avevano sul principio della guerra fornite le armi e le munizioni
all'America, lo somme che speso vi avevano dentro; che volevan ora tôrre
il grado a Franklin, come una volta l'avevano voluto tôrre a Washington;
cambiare in somma gli uomini e le cose, e dare un altro indirizzo agli
affari dello Stato. La diceria, che Silas fe' stampare in questo
proposito, e diffondere largamente per gli Stati nel mese di decembre
del 1778, causò un grandissimo romore; le parti vieppiù si riscaldavano,
ed i rancori s'inviperivano. I Lee risposero modestamente. Ma gli fu
bene arrovesciato da Tommaso Payne, e da Guglielmo Enrico Drayton tal
ranno addosso, che non ne rimase in capitale. Si rivoltarono eglino al
Silas Deane dicendogli, che non solo il congresso lo voleva udire, ma
che di già lo aveva udito, e scrittogli di volerlo ancora udire; che se
non aveva ultimato i suoi conti, questo era, perchè le partite non erano
provate, avendo esso Deane, o a caso o a studio, lasciato in dietro in
Francia i ricordi; che se Arthur Lee teneva pratiche segrete in
Inghilterra, questo faceva, perchè lo doveva fare, essendo ambasciadore;
e che potevan essi bene affermare, che il congresso aveva da Lee durante
l'ambascerìa di lui in Parigi migliori lettere, e di gran lunga più
grasse d'avvisi ricevute, che non da Deane, il quale non ne scrisse mai,
che vane non fossero; che l'amicizia della Francia, siccome generosa, si
poteva meglio conservare coll'altezza d'animo, che coll'andar bassamente
a' versi, e col confettar i suoi agenti; che se non si eran volute far
le rimesse per rimborsar quei Francesi, che somministrato avevano le
armi e le munizioni, ciò era, perch'egli stesso, il Deane, in un coi due
altri commissarj aveva scritto, che per quelle somministrazioni nissuna
rimessa si doveva fare, essendo quelle doni gratuiti, presenti generosi
di gente bene inclinata a favor dell'America; che non si aveva un
pensiero al mondo di voler tôrre il grado a Franklin, perciocchè si era
ottimamente conosciuto, quanto le notizie mandate, ed i contratti fatti
in Francia da quell'uomo onorando fossero differenti da quelle e da
quelli, che mandate, e fattivi aveva Deane; che si ricordavano bene,
quanto quei Francesi, ch'erano stati in detta con Franklin per condursi
agli stipendj dell'America diversi fossero, e di costumi e di
pretensioni da quelli, che avevano fatto le parole con Deane. Nelle
quali cose tutte, se vi fosse entro materia poco onorevole a lui
medesimo, nissuno meglio di lui poterne giudicare; che poco si conveniva
a Deane il rammentar i maneggi o veri, o falsi fatti contro Washington,
perchè egli stesso, quando si trovava agente pel congresso in Parigi,
aveva mosso parole, considerassero molto bene, se non sarebbe utile
stato il condurre a capitano generale delle genti americane qualcuno dei
più riputati generali d'Europa, come per cagione d'esempio il principe
Ferdinando, ed il maresciallo di Broglio; che si doveva finalmente, e si
voleva serbar la fede data alla Francia, ma che si dovevano, e volevano,
seguendo l'uso di tutti gli Stati, udire le proposte, ed intrattenere le
pratiche, da chiunque, o con chiunque procedessero, e ciò per farne il
buon prò in benefizio della patria. Queste cose pubblicate da Payne, e
da Drayton assai dispiacquero al Gerard, ministro di Francia,
insospettitosi all'udir rammemorare di quelle pratiche coll'Inghilterra,
e quel non voler pagare le somministrazioni. Ne fe' querela con molto
romore al congresso. Questi, per acquetarlo, decretò, ch'ei disapprovava
le cose contenute nei memoriali stampati di Payne e di Drayton; ch'era
persuaso, le somministranze state non esser un presente. Per verità il
congresso n'era stato fatto debitore in sulle partite, o che realmente
non fossero elleno un presente, del che molti dubitarono, o che Deane
pei beveraggi ingordi così avesse operato, si facesse, come alcuni
eziandio portaron opinione. Decretò ancora, che gli Stati Uniti non
avrebbero mai concluso nè pace, nè tregua colla Gran-Brettagna senza il
formale, e precedente consentimento dell'alleato loro. Tommaso Payne
chiese, ed ottenne licenza dall'uffizio che teneva di segretario del
congresso per gli affari esteri; perciocchè questo era, o si mostrava
scontento di Payne, per aver esso in questa gara scoperto qualche
embrice più, che non avrebbe abbisognato.

Tale quale abbiamo fin qui raccontato era la corruzione delle Sette, e
lo stato delle parti in America, le quali si sarebbero forse rotte in
attuale discordia, se meno quei popoli stati fossero usi alla libertà, o
se il gravissimo pericolo, in cui si trovarono poco dopo le due Caroline
per l'assedio fatto dal generale Clinton alla città di Charlestown,
siccome pure i negoziati prima, ch'ebbero luogo colla Spagna, poscia
l'intervento suo nella guerra non avessero tenuto sospesi gli animi, e
rivolti ad un'altra parte. Ardeva, come già abbiamo detto, la Spagna di
desiderio di venir a parte della contesa sia per l'odio immortale, che
si portavano vicendevolmente le due nazioni spagnuola ed inglese, sia
affine di abbassare quel detestato orgoglio, sia ancora, e
principalmente per acquistare a sè Gibilterra, l'Isola Giamaica e le due
Floride, tant'opportune per ottenere l'intiero dominio del golfo del
Messico. A questo partito era anche stimolata la Francia, la quale oltre
l'interesse comune, ch'ella aveva in questa causa, ogni dì la stringeva
e gravava, eseguisse le condizioni del patto di famiglia. Ma da un altro
canto ella stava in ponte, e procedeva molto rispettiva. Perciocchè non
le andava troppo a sangue l'independenza americana, pensando, se si
fosse lasciato prender piede a quell'esempio, non le desse cagione di
temere per le sue colonie. Oltre di ciò iva facendo le viste di non
volersi discoprire, in ciò forse intendendosela colla Francia, per
ottener in suo prò più profittevoli condizioni dagli Americani. Era alla
Francia incresciuta la necessità, in cui era stata ridotta di scoprirsi
avanti il prefisso tempo dall'inaspettata vittoria di Gates, la quale
aveva indotto il vicino pericolo, che l'Inghilterra si acconciasse,
riconoscendo l'independenza, coll'America. Avrebbe essa voluto più lungo
tempo indugiarsi, e che gli Americani avessero provato i più estremi
danni, perchè calassero ad accordi più a sè vantaggiosi, che non erano
stati quelli, che furon fatti pei due trattati di commercio e
d'alleanza. Ma giacchè la fortuna tanto favorevole a quelli aveva guasto
l'occasione e rotti quei disegni, si voleva almeno far pagare caro ai
medesimi l'intervenimento della Spagna, l'utilità e la necessità del
quale molto accrescevano a bello studio, intendendo ora in tal modo con
una tempestiva ritrosìa ottenere ciò, che per la pressa avuta a tempo
della dichiarazione della Francia non si era potuto impetrare. L'oggetto
finale di tutti questi maneggi era di fare assicurare nel futuro
trattato di pace ai sudditi della Francia le pescagioni di Terra-nuova
con esclusione dei sudditi degli Stati Uniti, ed alla Spagna la
possessione delle due Floride, la privata navigazione del fiume
Mississipì, esclusine gli Americani, coll'acquisto di quelle contrade,
che sono poste sulla sinistra riva del fiume medesimo, e dietro i
confini delle province degli Stati Uniti. A questo fine il Re Cattolico
per far vedere agli Americani, quanto si recasse a cuore gl'interessi
loro, agli Spagnuoli, ed a tutta l'Europa, siccome si suol fare, la
pace, e per parer anche entrar più giustificato nella guerra, offerì la
sua mediazione, la quale sapeva benissimo, che l'Inghilterra non avrebbe
accettata. Imperciocchè non era nascoso all'Inghilterra, che la Spagna
congiunta con sì stretti vincoli alla Francia non poteva essere un
mediatore indifferente, ed inoltre, che i mediatori parziali finiscono
sempre per diventare scoperti nemici. Ancora avendo il Re di Spagna in
animo di proporre, come mediatore, che nel negoziato per la pace si
avessero dall'Inghilterra le colonie a trattare come independenti, non
era da presumersi, che ad una tale condizione, la qual era precisamente
il punto principale della contesa, fosse quella per acconsentire.
Propose adunque il marchese d'Almodovar, ambasciadore pel Re Cattolico
alla Corte di Londra, oltre della sovrascritta, le seguenti condizioni
d'accordo; che, acciocchè potesse più facilmente acquetarsi la guerra,
le due Corone di Francia e della Gran-Brettagna ponessero giù le armi, e
consentissero ad una universal tregua; che i plenipotenziarj rispettivi
convenissero in un accordato luogo per ivi le differenze loro terminare;
che la Gran-Brettagna concedesse anch'essa una simil tregua alle colonie
americane; che quella e queste posassero le armi; che si regolassero tra
queste due parti i confini, i quali nè l'una nè l'altra, durante la
tregua, potessero trapassare; che uno, o più commissarj del Re
britannico, e delle colonie convenissero nella città di Madrid per
acconsentire agli anzidetti patti, ed a tutti quegli altri, che
potessero confermare la tregua. All'offerta di questa mediazione si
andaron divincolando i ministri britannici, interponendo varie
dilazioni; perciocchè accettarla non volevano per non riconoscere
l'independenza, e rifiutarla neppure, sia per non mettere così alla
dirotta i popoli della Gran-Brettagna in mal umore, sia per aver tempo
intanto d'introdur le pratiche loro presso le Corti d'Europa.
Intendevano di offerir favorevoli condizioni alla Francia per separarla
dall'America, ed all'America per isbrancarla dalla Francia. Ed in caso,
che, come presumevano, questi trattati non avessero ottenuto l'effetto
loro, volevano fare ogni sforzo presso altri potentati perchè si
muovesse qualche scacco in Europa a' danni della Francia, sperando, che,
occupata questa nella guerra terrestre, sarebbe resa meno potente alle
cose di mare, e ne avrebbero facilmente conseguito la vittoria.
Consideravano ancora, che quando si fossero scoperte in Europa nuove
armi contro la Francia, sarebbero meglio gli Americani stati inclinati a
dar ascolto alle proposizioni dell'Inghilterra, ed a calar agli accordi.
Sì fatti erano i consiglj dei potentati, ch'erano in guerra, e di quei
che ci volevano entrare. Intanto la Francia e la Spagna per ottener
dagli Stati Uniti quei patti, i quali dopo la separazione dell'America
dall'Inghilterra, erano la principal mira di queste mene, avevano
operato di modo, che il Gerard, ministro francese a Filadelfia, si
rappresentasse, come fece, avanti il congresso, dandogli contezza della
mediazione offerta all'Inghilterra dal Re Cattolico, ed osservando, che
siccome il fine della mediazione era la pace, così era molto probabile,
che si appiccasse qualche pratica per negoziarla e concluderla.
Esortava, creasse il congresso plenipotenziarj autorizzati a venir a
parte di questi negoziati sia coll'Inghilterra, sia colla Spagna.
Prescrivessero nel medesimo tempo i termini, coi quali intendevano di
concluder la pace. Nel che aggiungeva, che portava opinione,
s'appartenesse al dover suo di avvertire, che sarebbe stato il meglio,
che non portassero l'animo più alto di quello, che si convenisse alla
loro presente fortuna, e ch'essi termini fossero modesti, affinchè
l'Inghilterra non si ritraesse, e fosse la Spagna abilitata a proseguir
la sua mediazione sino alla conclusione della pace. Che in quanto al
riconoscimento dell'independenza da parte della Gran-Brettagna, era da
credersi, ch'essa avrebbe per quell'orgoglio, che hanno, e debbono avere
i sovrani, grandissimamente ripugnato al farlo espressamente; che per
questo si era provveduto nel trattato d'alleanza coll'avere stipulato,
che lo scopo di questa fosse l'ottener agli Stati Uniti l'independenza
espressa, o sottintesa; che sapeva la Francia per propria sperienza,
quanto ostica cosa sia, e dura ai monarchi lo sputar fuori quelle
parole, di riconoscere per independenti coloro, che avuto avevano in
luogo di sudditi; che la Spagna ne' tempi andati non aveva
l'independenza dell'Olanda riconosciuta, se non se tacitamente, e dopo
una guerra di trent'anni, ed espressamente dopo una resistenza di
settanta; che sino a quei tempi medesimi la repubblica di Genova, ed i
tredici Cantoni svizzeri non avevano ancor potuto impetrare un espresso
riconoscimento degli Stati loro, e della sovranità ed independenza da
parte degli antichi signori. Proseguiva il ministro dicendo
(imperciocchè voleva egli aver la sembianza di persuader questa cosa con
molta efficacia, sapendo benissimo, che gli Americani non l'avrebbero
acconsentita, e che perciò per indur la Francia e la Spagna a voler
anche esse l'espresso riconoscimento dell'independenza ottenere
dall'Inghilterra, avrebbero quelli fatte loro tutte le concessioni, che
desideravano), che purchè si avesse in fatto la cosa, poco si doveva
rimanere alle parole. Faceva anche sentire, e ciò per fargli star duri a
non concedere ciò, ch'ei domandava, ch'ei credeva però, che gli Stati
Uniti, e per la situazion loro, e pel modo, col quale avevano governato
la resistenza erano in diritto di pretendere migliori condizioni, che
l'Olanda, la repubblica di Genova ed i Cantoni svizzeri non avevano. Ma
temendo, che tutte queste cose non bastassero per muover gli Americani a
far le concessioni, andava Gerard tuttavia avvolgendosi in parole,
dicendo, che non solo era necessario l'abilitar con moderati termini il
mediatore a poter piegare l'Inghilterra alla pace, ma che di più era
mestiero tali condizioni offerire al mediatore per sè medesimo, che, ove
la pace non si potesse ottenere dalla Gran-Brettagna, potesse
gl'interessi e le armi sue a que' della Francia e dell'America
accoppiare, compiendosi in tal modo quel triumvirato, che si aveva in
mira, e che solo dar poteva la vittoria certa. Imperciocchè, sebbene le
armi della Francia e dell'America erano sufficienti per tener a bada, e
per resistere a quelle del nemico, solo la congiunzione di quelle della
Spagna poteva renderle prepotenti, ed allontanar quei mali, che
seguirebbero da un solo sinistro avvenimento; che infatti si vedeva, che
la bilancia sin là era stata uguale dalle due parti, e che un nuovo peso
era necessario per farla traboccare. Così andava Gerard battendo intorno
le buche per far uscir gli Americani. Motivava poscia delle pescagioni
di Terra-nuova, della possessione delle Floride, della navigazione del
Mississipì, dell'occupazione da farsi dalla Spagna delle terre di
ponente, che sono quelle, le quali ora compongono quel paese, che
chiamano lo Stato di Kentucky.

Il congresso, avute queste comunicazioni, andava riflettendo quello che
fosse da farsi. Da una parte considerava, che mettesse molto conto a
loro l'intervento della Spagna; dall'altra gli pareva, ch'ella ne
volesse troppo, e ripugnava grandemente al far tutte quelle concessioni,
che la Spagna e la Francia desideravano. O fosse questa ripugnanza, od i
dispareri, che ne nacquero fra i suoi membri, poichè al guarentire la
possessione delle Floride alla Spagna tutti consentivano, alla
rinunziazione della navigazione del Mississipì tutti ripugnavano, a
quella della possessione delle terre occidentali molti, a quella delle
pescagioni la maggior parte, massimamente quei della Nuova-Inghilterra,
ovvero che avessero conosciuto, che qualunque avesse ad essere la
volontà loro intorno le cose venute in disputazione, tanta era la
bramosìa della Spagna al venirne alle mani coll'Inghilterra, e tanta la
pertinacia di questa a non voler riconoscere la independenza, che in
qualunque modo si sarebbe tra le medesime rotta la guerra, indugiarono
tanto a dar le risposte, al crear i plenipotenziarj, ed al fermar le
instruzioni, che già si erano tra quei due potentati incominciate le
ostilità non solo in Europa, ma altresì in America. Già fin dal
principiar d'agosto Don Bernardo Galvez, governatore spagnuolo della
Luigiana, si era recato ad una fazione contro le possessioni inglesi del
Mississipì, la quale ebbe prospero fine. Ricevute queste novelle, e
quelle ancora, che lo stesso Don Galvez aveva nel medesimo tempo
pubblicamente a suon di tamburo riconosciuta la independenza degli Stati
Uniti nella città della Novella-Orleans, se prima esitavano, ora fatti
più arditi negarono di voler fare le concessioni. Per la qual cosa,
siccome nonostante la guerra che si era accesa tra la Spagna e
l'Inghilterra, Gerard non cessava di dire che quest'ultima si dimostrava
inclinata alla pace, e che la Francia e la Spagna vi erano
inclinatissime, commettevano nell'istruzioni al loro ministro
plenipotenziario alla Corte di Francia, ed a quello che sarebbe creato
per negoziar il trattato di pace colla Gran-Brettagna, insistessero,
acciocchè siccome il primo, ed il più grand'oggetto della guerra
difensiva, che facevano gli alleati, quello era di stabilir la
independenza degli Stati Uniti, così si avesse a porre per articolo
preliminare in ogni negoziato da introdursi coll'Inghilterra, ch'essa
trattasse con essi Stati Uniti, come con Istati sovrani, liberi ed
independenti; e che la independenza fosse assicurata e guarentita
diligentemente giusta la forma e gli effetti del trattato d'alleanza
fatta col Re Cristianissimo. In rispetto poi al diritto della pesca
sugli scanni di Terra-nuova, instassero, perchè fosse conservato ai
sudditi degli Stati Uniti; e che se l'Inghilterra turbasse loro quelle
pescagioni, fosse questo tenuto dalla Francia caso d'alleanza.
Commettevano inoltre ai plenipotenziarj, ponessero ogni ingegno, e
facessero ogni sforzo per ottener dall'Inghilterra a favor degli Stati
Uniti la cessione del Canadà e della Nuova-Scozia (essendo queste
pretensioni mosse dai Massacciuttesi ed altri deputati della
Nuova-Inghilterra); ma che però se questa proposta non si potesse
vincere, non fosse un ostacolo alla conclusione della pace. Vollero
ancora, che fossero autorizzati ad accordare una sospension d'armi
durante il tempo delle pratiche, con patto però, che l'alleato loro
anch'egli consentisse, e tutte le genti nemiche intieramente votassero i
territorj degli Stati Uniti. Queste eran le instruzioni date ai
plenipotenziarj. Nel rimanente, si governassero giusta la propria
prudenza i capitoli della lega ed i consiglj dell'alleato.

Essendo già incominciata effettualmente la guerra tra la Spagna e la
Gran-Brettagna, non poteva più il cavaliere de La-Luzerne, il quale era
venuto a Filadelfia ad iscambiar il Gerard, presso il congresso addurre,
affine di piegarlo a far le concessioni alla Spagna, la utilità e la
necessità della congiunzione delle armi spagnuole a quelle degli
alleati. Andava perciò ponendo loro sotto gli occhi il vantaggio, che ne
risulterebbe grandissimo agli Stati Uniti, se avessero seco loro
congiunto il Re Cattolico con trattati d'alleanza e di commercio, coi
quali si regolassero i comuni e vicendevoli interessi loro, sia presenti
che avvenire. Egli era chiaro, diceva, che la Spagna avrebbe giuocato di
migliore contro l'Inghilterra, ove conosciuto avesse gli utili, che
doveva ricavare da una guerra intrapresa principalmente in vantaggio e
benefizio degli Stati Uniti. Da un altro canto nissuno non vedeva,
quanto importasse a ben confermare le forze e la riputazione di essi
Stati, se la independenza loro fosse specificata e solennemente
riconosciuta da un sì grande e sì possente monarca, quale il Re
Cattolico si era, e se con esso lui si congiungessero con un trattato
d'amicizia e d'alleanza. Quest'alleanza, continuava esser in cima dei
pensieri di sua Maestà Cristianissima, la quale stretta al Re Cattolico
con tanti sacri vincoli, ed all'America con quelli della più tenera
amistà, non poteva non desiderare ardentissimamente la più intima e
durevole congiunzione fra ai loro. Molto si allargò il ministro medesimo
in tutta questa materia, aggiungendo anche altri argomenti tratti dal
diritto.

Ma tutto fu indarno. Il congresso, avvisandosi, che la Spagna entrava a
parte della guerra, non già per gl'interessi di lui, nè per istabilire
la independenza dell'America, la quale nella condizione delle cose di
allora doveva meglio stimarsi una cosa fatta, che da farsi, ma sibbene
pe' suoi proprj, e massimamente per disfare la potenza navale
dell'Inghilterra, stava in sul tirato, e non voleva salir questo nuovo
scaglione. Tuttavia per dimostrare il desiderio ch'egli aveva di fermare
il piè col Re Cattolico, creava ministro plenipotenziario presso il
medesimo Giovanni Jay, al quale comandò, che insinuatosi con esso lui
vedesse d'indurlo a contentarsi di far un trattato d'amicizia e di
commercio cogli Stati Uniti. Gli commettevano, che se il Re Cattolico
entrasse nella lega contro la Gran-Brettagna, avrebbero gli Stati Uniti
consentito, che egli assicurasse a sè stesso la possessione delle due
Floride; che anzi, quando avesse nei trattati ottenuto il consentimento
dell'Inghilterra, gliele avrebbero gli Stati Uniti guarentite, con
questa condizione, che godessero la libera navigazione del fiume
Mississipì dentro, e sino al mare. Aggiungevano, che non potevano
consentir alla rinunziazione dei territorj situati sull'oriental riva
del fiume. Gli comandavano ancora, richiedesse il Re di Francia, siccome
quello, ch'era la guida e l'indirizzatore di tutta l'impresa, fosse
contento di esser il mediatore, acciocchè i trattati colla Spagna
potessero aver luogo. Aggiunsero parecchie altre domande da farsi al Re
Cattolico. Ma per aver il congresso negato di accondiscendere a quelle
condizioni, che più stavano a cuore alla Spagna, non solamente di tutte
queste cose non se ne ottenne nissuna, ma di più, neanco quando il Re
Cattolico denunziò la guerra alla Gran-Brettagna, volle l'independenza
degli Stati Uniti riconoscere, nè accettare, nè mandar ambasciadori.
Nello stesso tempo, in cui fu eletto Jay plenipotenziario alla Corte di
Spagna, fu tratto Giovanni Adams ministro plenipotenziario per negoziar
un trattato di pace e di commercio coll'Inghilterra.

Mentre nel modo che abbiamo detto, si travagliava in America, le cose in
Europa si avvicinavano a quella riuscita, la quale tutti gli uomini
prudenti avevano preveduta, e che desideravano coloro stessi, che
facevano le viste di volersi ad un affatto contrario fine incamminare.
Aveva la Spagna tutti gli suoi apparecchiamenti marittimi a compimento
condotti, ed era giunta a quel termine, nel quale aveva deliberato di
por giù la maschera dal viso. Voleva ella apertamente venire a parte
della guerra, e, congiungendosi colla Francia, fare improvvisamente tal
danno all'Inghilterra, che, battuta la potenza navale troppo eminente di
questa, ne diventassero i Borboni signori del mare. A questo fine
volendo trovare colorata occasione di giustificar le azioni sue, si
determinò a ravvivar di modo le pratiche della mediazione introdotte in
Inghilterra, ed a stringer sì fattamente il governo inglese, che non
potesse, non venirne a capo. Per il che il marchese d'Almodovar,
ministro spagnuolo a Londra, fece nel mese di giugno una gran pressa ai
ministri britannici, perchè si discoprissero, e dessero finalmente una
risposta terminativa. Quest'uffizio fece con tanto miglior animo, che
già si sapeva, che il conte D'Orvilliers era uscito con tutta l'armata
francese da Brest, e si era volto vers'ostro per andarsi a congiungere
presso l'Isola di Cisarga colla spagnuola, la quale fornitissima di ogni
cosa stava pronta a salpare, tostochè l'altra fosse pervenuta in
quell'acque. A questa deliberazione dava altresì molto favore il
considerare, che il navilio dell'Inghilterra, colpa della necessità o
dei ministri, non era a gran pezza in tale condizione posto, che potesse
fronteggiare quelle due possenti armate accozzate insieme. Risposero i
ministri britannici, la condizione dell'independenza, anche modificata
secondo le proposizioni di Spagna, non potersi ammettere. Il ministro
spagnuolo allora partì da Londra, dopo di aver presentato al lord
Weymouth, segretario di Stato, una dichiarazione, la quale conteneva,
oltre il rifiuto dell'offerta mediazione, molti altri motivi di guerra,
come sarebbero insulti fatti sui mari alla bandiera spagnuola, correrìe
nimichevoli sulle terre del Re, instigazione ai Barbari di correre
contro i sudditi spagnuoli della Luigiana, violazioni dei diritti del Re
Cattolico nel golfo di Honduras, ed altri di simil fatta. Rispose la
Corte di Londra con un altro manifesto, col quale secondo, che si suol
fare in tali casi, ribatteva le accusazioni di quella di Madrid. Il Re
d'Inghilterra rivocò da Madrid lord Grantham suo ambasciadore. Poscia
mandò fuori un bando di rappresaglie contro la Spagna, ed un altro per
regolar le partizioni delle prede. Pubblicò eziandio la Francia a questo
tempo, siccome quella, ch'era la guidatrice ed il capo principale della
lega, un manifesto, col quale espose agli occhi degli uomini d'Europa i
motivi, pei quali le due Corti alleate erano state costrette a pigliar
l'armi ed a far la guerra. I quali motivi lungamente detti possonsi ai
seguenti ridurre: per vendicar le ingiurie, e per por fine (in questo
parlando sinceramente) a quel tirannico dominio, che l'Inghilterra aveva
usurpato, e pretendeva di mantenere sopra l'Oceano. Nè il Re di Spagna
se ne stette tacendo con questi manifesti. Anzi dopo d'aver pubblicato
due reali cedole, come le chiamano, atte a persuader a' suoi sudditi la
necessità e la giustizia della guerra, mandò fuori un assai ben lungo
manifesto, nel quale dedusse cento motivi di guerra, la maggior parte
de' quali sono dell'istessa sorta di quelli, che il marchese d'Almodovar
aveva nel suo primo manifesto annoverati. Aggiunse, ed a grande ingiuria
si recò, che i ministri britannici nel medesimo tempo in cui rifiutavano
le proposte alla scoperta fatte dalla Spagna, come mediatrice nei
negoziati della pace, erano andati di nascosto insinuandosi alla Corte
di Francia per mezzo di segreti agenti, e facendo larghissime offerte,
acciò le colonie abbandonasse, e fermasse la pace coll'Inghilterra; e
che nel punto stesso erano iti segretamente praticando per mezzo di un
altro agente col dottor Franklin a Parigi, al quale fecero diverse
proposte per ismembrar l'America dalla Francia, e perchè gli Americani
gli affari loro racconciassero colla Gran-Brettagna, profferendo loro
condizioni non pure somiglianti a quelle, che avevano e ricusate e
disdegnate, quando procedevano da parte del Re Cattolico, ma più larghe
ancora e più favorevoli. Delle quali cose le prime, vale a dire
gl'insulti fatti alle insegne spagnuole, le ostili correrìe sui
territorj del Re, le ingiuste sentenze delle Corti dell'ammiragliato
sarebbersi potute riparare, se le due parti avuto avessero a quei tempi
animi meno inimichevoli l'una contro l'altra. La seconda, cioè la
duplicità dei ministri britannici a tempo dei negoziati della
mediazione, se non è in loro da lodarsi, il che non ardiremmo di
affermare, non è tampoco da biasimarsi, e non sapremmo dire, come possa
addotta essere quale motivo di guerra. Imperciocchè queste aggirandole
nelle faccende politiche siano non solo non nuove, ma nemmeno rade, e da
tutti riputate, e massimamente da quei, che le usano, mezzi se non
onorevoli, certo tollerabili per arrivar ai fini loro. Ma il primo e
principal motivo della guerra, al quale tutti gli altri non servivano
poco altro, che di coperta, quello si era del volere la superiorità
marittima dell'Inghilterra atterrare. Nel che procedette il Re Cattolico
anzi candidamente che no, imitando anche in ciò il Re di Francia.
Perciocchè nel manifesto dichiarò, che per ottener il fine di una sicura
pace egli era d'uopo temperare l'immoderata grandezza dell'Inghilterra
sui mari, e quelle massime ch'ella soleva usare; per ottener il quale
oggetto tutti gli altri potentati marittimi, ed anzi tutte le nazioni
erano grandemente interessate. Il quale argomento, se era giusto e
lodevole, sarebbe stato anche più onorevole, se il tirannico dominio
dell'Inghilterra sui mari, del quale allora si facevano le querele, non
fosse stato sì lungo tempo alla medesima non solo comportato, ma ancora
con ella accordato. Replicò il Re della Gran-Brettagna con un altro
manifesto, nel quale non senza molt'arte si studiò di ribattere gli
argomenti dei due Re nemici, facendo anche molto instantemente le solite
protestazioni di umanità, delle quali si può dire, che dopochè sono
venute in uso presso i civili reggitori delle europee nazioni, non si
vede, che le guerre siano diventate o meno frequenti, o meno
distruggitive.

Intanto mentre le due parti in ciò si adoperavano, che la nuova guerra,
che imprendevano, fosse agli occhi degli uomini giustificata, l'uno e
l'altro Re protestando, che non erano stati i primi turbatori della
pace, le due armate francese e spagnuola congiuntesi insieme nei mari di
Spagna, spaventevoli molto all'apparenza, si appresentavano sulle coste
della Gran-Brettagna. Consistevano in sessantasei grosse navi di alto
bordo, tra le quali se ne annoveravano una spagnuola, che chiamavano la
Santa Trinità di 114 cannoni, la Brettagna di 110, e la città di Parigi
di 104, sette altre di ottanta, quindici di settantaquattro, e le altre
minori. Seguitavano una moltitudine di fregate, di giunchi, di corvette,
di fuste armate e di brulotti. Governava le due armate, come capitano
generale il conte D'Orvilliers portato dalla Brettagna, essendo la
vanguardia guidata dal conte di Guichen, e la dietroguardia da Don
Gastone. La vanguardia stessa poi era preceduta da una squadra leggiera
condotta da Latouche-Preville, consistente in cinque navi delle più
sparvierate, ed accompagnate da tutte quelle fregate, che non
appartenevano alle prime schiere. Era l'uffizio di questa squadra di
sopravvedere, di sopraccorrere, e di spazzare i mari. Teneva dietro al
retroguardo una squadra destinata anch'essa a speculare, ed alle
riscosse capitanata da Don Luigi di Cordova, e composta di sedici grosse
navi. Era, siccome pareva, il disegno degli alleati di fare una scesa
nella parte, che trovato avrebbero più opportuna, della Gran-Brettagna,
a ciò stimolati dalla grandezza dell'impresa, dalla possanza loro, dalla
condizione poco difendevole dell'Irlanda, dall'inferiorità del navilio
inglese, dalla debolezza degli eserciti stanziali dell'Inghilterra, di
cui non poca parte era stata mandata a guerreggiar nell'America e nelle
Antille. Per la qual cosa oltre quell'armata, della quale una più
formidabile non aveva mai il mare Oceano solcato, trecento navi atte a
trasportar soldati stavano apparecchiate nei porti di Avra di Grazia, di
San Malò, ed altri su quelle coste. Ogni cosa in moto nelle province
settentrionali della Francia. Meglio di quarantamila soldati già si
trovavano assembrati sulle coste della Brettagna e della Normandia, e
molti altri reggimenti marciavano a quella volta dalle altre parti del
Regno. Creava il Re i generali, che dovevano governar la spedizione. Le
genti, che già erano raunate nei porti e sulle coste che guardano
l'Inghilterra, ogni giorno si esercitavano nelle diverse maniere
d'imbarcarsi e di sbarcare, e tutte dimostravano un ardentissimo
desiderio di recarsi sulle opposte rive per ivi combattere ed atterrare
la potenza dell'antico rivale. Avevano seco moltissime ed ottime
artiglierie; e cinquemila granatieri, il fiore degli eserciti francesi,
trascelti con diligente cura da diversi reggimenti, dovevano servire
d'avanguardia e di cominciatori alla segnalata impresa.

Erano pervenute in Inghilterra molto per tempo le novelle dei
preparamenti della Francia, e della disegnata invasione. Nè avevano
mancato i ministri a sè medesimi nell'apparecchiar tutte quelle difese,
che e per la brevità del tempo, e per la presente condizione del Regno
meglio avevano e saputo, e potuto. Avevano adunato sotto la condotta
dell'ammiraglio Carlo Hardy trent'otto navi di alto bordo, e mandatele a
mareggiare nel golfo di Biscaja a fine d'impedire, se ancora possibil
fosse, la congiunzione delle due flotte nemiche. Ed è cosa maravigliosa,
che le due armate, inglese ed alleata, le quali entrambe, ma
principalmente l'ultima, si distendevano per un sì largo spazio di mare,
non siano venute, incontratesi le navi mandate avanti a speculare, in
cognizione l'una dell'altra. Mandò il Re un bando, pel quale annunziando
ai popoli della Gran-Brettagna, che l'inimico intendeva di invadere il
Regno, comandava agli uffiziali, che guardavano le coste, stessero a
diligentissima guardia, e tostochè quello comparisse, facessero
sgomberare dai luoghi interiori e più sicuri i cavalli, i boccini, le
pecore, ogni sorta di bestiame e di vettovaglie, quelli soli eccettuati,
che fossero per servire all'uso dei soldati britannici. Le bande paesane
instrutte nell'armi si adunavano, e tenevansi pronte a correre ai luoghi
dello sbarco. Le guardie stesse del Re erano leste a marciare. Tutti
erano grandemente commossi al pericolo della patria. I più speravano
molti temevano, tutti mostravano un animo ostinato alle difese. Ma
l'armata degli alleati, la quale impedita dalle bonacce aveva lungamente
penato a poter entrare nello stretto, ciò eseguì addì 15 di agosto, e si
appresentò con terribile apparato al cospetto di Plymouth. Tosto si
spaventano gl'inermi, gli armati corrono alle poste, si raddoppiano le
guardie agli arsenali di Plymouth e di Portsmouth. In questa città si
serra la Banca, e si interrompe ogni sorta di commercio. Gli abitatori
della Cornovaglia fuggono a corsa a' luoghi più rimoti colle famiglie
loro e cogli arredi più preziosi. Aggiunse nuove cagioni al terrore una
nuova sventura. La nave l'Ardente di 64 cannoni, la quale da Portsmouth
era in viaggio per recarsi all'armata di Carlo Hardy, venne in poter del
nemico, veggenti i Plymottesi. L'ammiraglio inglese intanto iva
volteggiandosi per l'alto mare a rincontro delle bocche dello stretto,
non essendo in grado nè per la debolezza sua, nè per la situazione del
nemico di porger soccorso alla patria sua, che si trovava in sì grave
pericolo. Ma quello che operare non potevano gli uomini, operarono i
cieli contrarj ad una sì grande impresa. Mettevasi in mezzo a tante
speranze e tanti timori improvvisamente un greco gagliardo, il quale
incominciò eziandio a sollevar il mare sì fattamente, che gli alleati ne
furon cacciati a viva forza dallo stretto nel vasto Oceano. Cessato il
vento, di nuovo si arringavano distendendosi dal capo Finisterra e
dall'isola di Scilly sino alle bocche dello stretto molto vicinamente a
queste, affine di mozzare la via all'Hardy, che non potesse entrare per
ricoverarsi nei porti dell'Inghilterra. Ciò nonostante il dì ultimo
d'agosto con mirabile industria veleggiando, ed avendo il vento
favorevole, entrò l'ammiraglio inglese dentro lo stretto, vedendolo gli
alleati, che non lo poterono impedire. Intendeva egli di adescargli
tanto, che venissero ad ingolfarsi nelle strette del canale, dove il
numero delle navi, pel quale grandemente prevalevano, sarebbe loro di
niuno o di poco frutto stato, ricompensando in tal modo col vantaggio
del sito il disavvantaggio delle forze. Lo seguitarono gli alleati sino
al cospetto di Plymouth. L'una e l'altra armata serbavano una
maravigliosa ordinanza, l'inglese per non lasciarsi avvicinare prima di
essere arrivata a luogo conveniente, e per opprimere quei puntoni della
francese che se le avvicinassero; la seconda per correre serrata, e
difilarsi verso Plymouth per tagliare fuori l'altra. Ma il conte
D'Orvilliers, o sia che non volesse troppo avventurarsi in quelle
strette, o che il vento di levante, che si era mosso, l'impedisse,
ovvero che incominciasse a patir fallimento di viveri, come fu scritto,
o che la prossimità dell'equinozio lo rendesse riguardoso, o che le
malattie contagiose, che infuriavano, ed ogni dì con gran numero di
morti assottigliavano le sue ciurme, lo indebolissero, o che tutte
queste cause insieme, come pare probabile, sel facessero, si levò dal
pensiero; ed abbandonate le coste dell'Inghilterra, se ne tornò nel
porto di Brest. Cotal fine ebbe un'impresa, la quale aveva minacciato di
prossimo pericolo un potentissimo Reame. E certamente, siccome
nissun'armata mai fu sì poderosa, così ancora nissuna fece sì deboli
effetti. La mortalità poi fu di sì gran fatta sulle navi degli alleati,
che ne perdettero da cinquemila tra soldati e marinari, e ne furono
posti i capitani in disperazione di alcun buon successo per tutto il
rimanente anno. Quindi nacque, che i più deboli raccolsero quei frutti,
che avrebbero dovuto raccorre i più gagliardi. Non solo le numerose
conserve inglesi, che portavano le ricchezze delle due Indie, arrivarono
felicemente nei porti della Gran-Brettagna, ma ancora uscite di nuovo
sul mare le navi dell'Hardy intrapresero molti ricchi bastimenti
francesi e spagnuoli con gravissimo danno degli uni e degli altri, e non
poca maraviglia dell'Europa, la quale se n'era stata grandemente
sollevata a sì formidabile apparato, ed attentissima al fine, che
dovesse avere quella contesa non che di grande, quasi di unica, e di non
più udita importanza. Dall'esito ch'ella ebbe, confermossi, e crebbe
assai la chiarezza del nome inglese nelle opere navali; e quantunque non
avessero a patto nessuno gli alleati mancato, nè di arte, nè di ardire,
tuttavia siccome i più degli uomini giudicano delle cose più dalla
riuscita loro, che dalle cagioni, la fama loro ne andò soggetta a non
poca diminuzione.

Ma quantunque le due grosse flotte nemiche per varj accidenti della
fortuna, per la volontà dei capitani non abbiano voluto, o potuto
combattere quella battaglia, nella quale da ambe le parti si metteva sì
gran posta, vi furono però pochi giorni appresso feroci incontri tra
navi particolari, nei quali i Francesi, gli Americani, e gl'Inglesi
acquistarono la fama di alto e disperato valore. Aveva l'ammiraglio
d'Orvilliers mandato fuori da Brest ad esplorar i mari verso le coste
dell'Inghilterra la fregata la Surveillante sotto la condotta del
cavaliere di Couedic, ed il giunco la Spedizione, capitanato dal
visconte di Roquefeuil. S'incontrarono queste due navi poco lungi dal
capo Ognissanti colla fregata inglese il Quebec, guidata dal capitano
Farmer, ed accompagnata pure da un giunco chiamato il Rambler. Si
attaccarono gli uni cogli altri con grandissimo furore il dì 7 ottobre;
ed essendo il coraggio, l'industria e la forza da ambe le parti uguali,
la battaglia durò bene tre ore e mezzo. Combattevano le due fregate sì
vicino, che parecchie fiate le antenne dell'una s'intricarono in quelle
dell'altra. Già le artiglierie avevano fatto un danno incredibile. Molti
erano i morti ed i feriti. Caduti erano e fracassati gli alberi dell'una
e dell'altra; e non si potevan più governare. Tuttavia non facevano
sembianza alcuna di voler cessare o di arrendersi. Il capitano francese
rilevava una ferita sulla testa, che gli toglieva i sensi; ma
rinvenutosi seguitava a combattere. Poco poi ne toccava due altre
mortali nel ventre; e ciò nonostante non che cessasse, ordinava, volendo
venirne a capo, si andasse all'abbordo. Farmer anch'esso si difendeva
non solo con valore, ma con una invincibile ostinazione. Per fare una
spianata all'abbordo gettavano i Francesi dentro il Quebec molte
granate; le vele di lui si accendevano. Il fuoco cresce, s'appicca ad
altre parti della nave. Già il suo cassero ardeva. L'Inglese tuttavia si
affaticava per ispegnerlo, e non si piegava ancora al volersi arrendere.
Couedic per timore dell'incendio si allontanava non senza grande
difficoltà. Perciocchè lo sprone della sua fregata si era intralciato
cogli attrazzi della nemica. Infine la fregata inglese, conservate fino
all'ultimo le bandiere alzate, appiccatosi il fuoco alle polveri,
scoppiò. Il capitano francese con un esempio di umanità da non potersi
abbastanza lodare, nè da doversi mai dimenticare tutto era in ciò, che
salvasse il maggior numero che potesse d'Inglesi, i quali per fuggir il
fuoco si erano a slascio precipitati nell'acque. Di trecento che erano,
solo quarantatre ne potè scampare. Farmer fu inghiottito dalle acque in
un colle reliquie della sua nave. La francese fracassata non poteva
muoversi. Il giunco la Spedizione spiccatosi dal Rambler, col quale
aveva combattuto, si recò in aiuto della fregata, e rimorchiando la
condusse il giorno seguente nel porto di Brest. Il governo di Francia
seguendo e gli esempj proprj, e quei delle nazioni più civili rimandò
franchi e liberi in Inghilterra i quarantatre Inglesi, non volendo
sostener prigionieri coloro, i quali scampato avevano alla rabbia degli
uomini, dei cannoni, dell'incendio e del mare. Ebbero i Francesi
quaranta uccisi e cento feriti. Il Re creò il cavaliere di Couedic
capitano di vascello. Ma non potè lungo tempo godere l'onorata fama, che
pel valore, e pell'umanità sua aveva acquistato; poichè, peggiorando
ogni dì il male delle ferite, passò dalla presente all'altra vita tre
mesi dopo il combattimento. Fu molto meritamente lodato, ed amaramente
pianto in Francia, e con egual lode rammentato in tutta l'Europa,
particolarmente in Inghilterra.

Un altro affronto del pari glorioso alle due parti, ed ostinato che
questo, era intervenuto alcuni giorni prima sulle coste della
Gran-Brettagna. Erasi recato Paolo Jones, uomo scozzese, ma postosi agli
stipendj dell'America, prima nei mari d'Irlanda per esplorare, poscia in
quei della Scozia, e quivi stava attendendo la occasione di fare qualche
preda, ovvero anche, come era solito di fare, scendere a terra, e porre
a saccomanno la contrada. Aveva seco un'armatetta consistente nella
fregata il Bon-homme Richard di quaranta cannoni, l'Alleanza di 36,
l'una e l'altra navi americane, la Pallade, fregata francese di 32, ai
soldi del congresso con altri due legni minori. S'incontrava ai 23
settembre colla flotta mercantile inglese del Baltico, alla quale faceva
la scorta il capitano Pearson colla fregata la Serapide di 44 cannoni, e
la Contessa di Scarborough di 20. Non così tosto ebbe Pearson veduto
l'armata di Jones, che s'allargava per andarla a combattere, mentre le
navi mercantili ogni sforzo facevano per avvicinarsi alla spiaggia.
L'Americano si ordinò alla battaglia. Si avventarono alle sette della
sera l'uno contro l'altro molto accanitamente. Combattevano le due parti
con eguale valore. Ma la Serapide più grossa, e più destra si
avvantaggiava. Paolo per ragguagliarsi volle combattere più
manescamente. Accostò perciò la sua alla fregata inglese, dimodochè
l'una ne venne a sprolungar l'altra, e s'impacciarono le antenne loro
insieme, ed i gusci diventarono sì vicini, che le gioie dei cannoni si
toccavano; In questo stato continuarono a combattere dalle otto sino
dopo le dieci con un coraggio da chiamarsi piuttosto furore, che valore.
Ma le artiglierie dell'Americano poco erano atte a far danno al nemico;
perchè avendo ricevuto molte botte di grosse palle a fior di acqua gli
era stata tolta ogni facoltà di poter più scaricare quelle del ponte di
sotto, e di quelle del ponte superiore due, o tre erano scoppiate ai
tiri con morte di coloro che le ministravano. Restavangli a poterle
usare soltanto tre, e con queste iva facendo quella miglior difesa che
poteva, ponendo la mira agli alberi della fregata nemica, e traendo con
palle armate, e ramate; ma accorgendosi di far poco frutto colle
artiglierie, si voltò Jones ad un altro modo di combattere. Avventò una
quantità grandissima di granate e d'altri fuochi lavorati dentro la
Serapide. Ma entrando già l'acqua a furia pe' luoghi rotti dentro la
sentina del Bon-homme Richard, si abbassava esso, e pareva volesse
affondare. La qual cosa vedutasi da alcuni uffiziali di Jones, gli
dissero: _capitano, vogliamo noi arrenderci? No_, rispose egli con una
voce terribile; ed intanto attendeva a gettar fuochi. Già ardeva la
Serapide in varj luoghi; a gran fatica potevano gl'Inglesi spegnere.
Infine un cartoccio pigliò fuoco, e tutti gli altri insieme
s'accendevano nel medesimo tempo con orribile scoppio. Ne rimaser morti
tutti coloro, che si trovarono presso l'artimone, e le vicine
artiglierie non si potevano più usare. Pure Pearson non si perdeva
d'animo. Comandava a' suoi, andassero all'abbordo. Si accingevano; ma
Paolo non se ne stava. Mentre gl'Inglesi salivano, ecco gli Americani in
fila colle picche abbassate in sembianza molto terribile. Si levavan
quelli dal pensiero, e si ritiravano di nuovo alla nave loro. In questo
mezzo si era appiccato il fuoco dalla Serapide al Bon-homme Richard, e
tutte due ardevano. Ma gli uomini ostinati tuttavia non si piegavano a
tanto furor degli elementi. Già s'era fatto buio. Solo le fiamme miste
col fumo, che sino al cielo s'innalzavano, rischiaravano l'aria lontano,
mentre ingombravano la vista dei combattenti. In questo momento
sopraggiunse l'altra fregata americana l'Alleanza, la quale, in mezzo a
quell'orribile scombuglio, non distinguendo gli amici dai nemici, tirò
di una intiera, fiancata al Bon-homme Richard, e molti uccise di coloro,
che sopravvissuto avevano fin là a tante cagioni di morte. Accortasi
poscia dell'errore, si volse con maggior rabbia contro la Serapide. Il
valoroso Inglese, morti, e feriti gran parte de' suoi, rotte le
artiglierie, la nave mezz'abbronzata, crescendo tuttavia le fiamme
svelto l'albero maestro, s'arrendè. Marinati i suoi, tutti correvano a
spegner il fuoco. Nel che riuscirono. Altri erano intentissimi ad
aggottar l'acqua, che dalle sfessature delle pareti in gran copia era
entrata nel Bon-homme Richard, ma ciò con poco frutto, perciocchè il
giorno susseguente andò a fondo. Di 375, che erano sul Bon-homme
Richard, trecento sei furono morti, o feriti. Ebbero gl'Inglesi 49
morti, e 68 feriti. Non si troverà negli annali delle storie, pieni per
altro di tante aspre battaglie una, che più di questa sia stata per
tutte le circostanze tremenda, nè più ostinata, nè più sanguinosa. Nel
medesimo tempo la fregata la Pallade aveva combattuto contro la Contessa
di Scarborough, e l'ebbe presa dopo un'ostinata resistenza. Paolo Jones,
avuta sì difficile, e sì luttuosa vittoria, dopo d'avere errato pei
venti contrarj molti dì colle navi fracassate pel mare del Nort, pose
finalmente il giorno sei d'ottobre nell'acque del Texel.

[1780]

Questi, che abbiamo narrati, furono in sul finir del 1779 in Europa gli
avvenimenti della guerra, dacchè la Spagna si era accostata alla lega
contro l'Inghilterra. Ma in sull'entrar del seguente, si discoprirono
presso altri potentati mali umori contro della medesima, i quali
facevano temere o di vicine ostilità dal canto loro, od almeno di poco
sicura amicizia. Avevano gli Olandesi, durante tutto il corso della
guerra, esercitato di nascosto un traffico molto profittevole, il quale
in questo consisteva che portassero nei porti della Francia le legna
acconcie alle costruzioni navali, ed oggetti necessarj all'esercizio
della guerra principalmente marittima. Di ciò avevano gl'Inglesi
notizia, ed il governo britannico se n'era spesso doluto gravemente
cogli Stati Generali, come di cosa contraria, non solo a quelle regole,
che l'Inghilterra era solita di seguire a' tempi di guerra rispetto al
commercio dei neutrali, e da questi o espressamente, o tacitamente
ammesse, ma ancora ai capitoli dei trattati di alleanza e di commercio,
che l'uno e l'altro Stato congiungevano. S'era anche il medesimo governo
doluto della protezione, che si concedeva nei porti olandesi ai corsari
sì francesi, che americani. Rispose a queste parole il governo d'Olanda,
o negando, o vagando. Tra le altre scappate si ebbe in Inghilterra
sull'entrar di gennaio l'avviso, che una numerosa carovana di navi
olandesi cariche di munizioni navali in servizio della Francia era in
via per recarsi nei porti di questa; e che per ischivar il pericolo
dell'esser intrapresa dai bastimenti inglesi, i quali in questa bisogna
stavano vigilantissimi, s'era posta a seguitar il conte Byland, che con
un'armatetta di navi da guerra e di fregate conviava un'altra conserva
di navi mercantili per alla volta del Mediterraneo. Mandavasi
dall'Inghilterra il capitano Fielding con un numero di navi sufficiente,
acciò visitasse la conserva, e quelle navi, che portassero robe di
contrabbando, pigliasse. Arrivato Fielding vicino agli Olandesi
chiedette, se gli permettesse di visitare le navi mercantili. Risposero
del no. Ciò nonostante mandò egli alcuni legni, perchè andassero a far
questo uffizio. Gli Olandesi trassero di alcune cannonate, e
l'impedirono. L'Inglese allora trasse alcuni colpi avanti prua al conte
Byland, e questi lo rincalzò con una intiera fiancata. Un'altra simile
ne mandò Fielding; l'Olandese non potendo resistere, abbassata la tenda,
si arrendè. Ma intanto la maggior parte delle navi, che portavano le
cose riputate essere di frodo, s'erano allargate, e viaggiando
velocemente recate si erano a salvamento nei porti francesi. Le
rimanenti furono arrestate. Ciò fatto, il capitano inglese fece a sapere
all'ammiraglio olandese che stava in facoltà sua di alzar di nuovo le
insegne, e di andarsene al suo viaggio. Rizzò egli bene le insegne, ma
in quanto a continuar nell'intrapreso cammino, non volle consentire.
Anzi non volendo separarsi da quella parte della conserva, ch'era venuta
in mano degl'Inglesi, l'accompagnò, ed entrò con essi nel porto di
Spithead. I bastimenti, ed i carichi furono, come di frodo, posti al
fisco. Pervenuta la notizia di queste cose in Olanda, vi si levò un
grandissimo romore. Principalmente quei ch'erano amici alla parte dei
Francesi, perciocchè a quei tempi tutta la nazione olandese era divisa
in due Sette, francese, ed inglese, si risentirono gravemente, e
gridavano, non doversi a patto nissuno un tanto insulto pazientemente
tollerare. Questo fatto fece anche cader l'animo a coloro, i quali
favorivano le cose degl'Inglesi. Si vedeva chiaramente, che
quest'affrontata sarebbe stata cagione di nuova guerra, la quale non che
temessero, forse desideravano gl'Inglesi: perchè amavano meglio la
guerra aperta, che quei soccorsi dati di soppiatto al nemico, ed avevano
posto l'occhio alle smisurate ricchezze olandesi, che o viaggiavano sui
mari colla sicurezza della pace, o stavano nelle lontane isole ammassate
senza le necessarie difese. Gli Olandesi poi non erano in modo nissuno,
e forse non sì tosto sarebbero stati apparecchiati alla guerra.

Questo caso, gli uffizj della Francia, il voler giovarsi della difficile
condizione, in cui allora si trovava la Gran-Brettagna assalita da
tanti, e sì possenti nemici, e soprattutto il desiderio di liberare a'
tempi di guerra il commercio dei sudditi dalle molestie inglesi fecero
di modo, che si stipulò tra i potentati del Nort quella solenne lega,
alla quale diedero il nome di _Neutralità armata_. Se non il primo
autore, certo, capo e guida di questa fu Caterina, Imperatrice delle
Russie, alla quale si accostarono tosto i due Re di Svezia e di
Danimarca. I primi principj di questa lega furono, che le navi neutrali
debbono poter navigar liberamente anche da un porto all'altro, e sulle
coste dei potentati guerreggianti; che tutte le robe appartenenti a'
sudditi dei potentati guerreggianti abbiano ad essere riputate libere a
bordo delle navi neutrali, eccettuate solo quelle, le quali fossero per
qualche antecedente trattato chiarite di contrabbando; che per
determinare, quali siano quelle robe, che abbiano a riputarsi di
contrabbando, l'Imperatrice Caterina si riferiva agli articoli decimo ed
undecimo del suo trattato di commercio colla Gran-Brettagna,
estendendone anche le obbligazioni a tutti gli altri potentati
guerreggianti; che per definire, quali siano quei porti, che si debbono
riputar bloccati, s'intenda, che tali debbano riputarsi quelli
solamente, avanti, e sì vicino ai quali stanzino attualmente vascelli
nemici in tal numero, che ne sia diventato l'entrarvi dentro pericoloso:
che questi principj debbano servire come regole nei processi giudiziali,
e nelle sentenze da profferirsi intorno la legalità delle prede. Questi
erano i principj fondamentali della lega, per l'esecuzione dei quali i
tre alleati determinarono, che ciascuno tenesse una parte delle sue
flotte allestita, ed in tali luoghi la collocasse, che venisse a
formarsi una seguenza non interrotta di navi dei confederati
apparecchiate a proteggere il comune commercio, ed a prestarsi
scambievolmente aiuto ed assistenza. Fermarono ancora che allorquando
una nave qualsivoglia avesse provato per mezzo delle sue scritture, che
non portasse robe di contrabbando, le fosse concessa l'accompagnatura
delle navi da guerra, sotto la custodia delle quali avesse a porsi, e
che avessero ad impedire, non venisse arrestata, o dal suo cammino
svolta. Questo capitolo, il quale attribuiva solo allo Stato
interessato, od a' suoi alleati la facoltà di giudicare della qualità
dei carichi in rispetto al contrabbando, pareva escludere il diritto di
visita tanto instantemente preteso dall'Inghilterra, contro la quale
malgrado, che si parlasse con termini generali, si vedeva manifestamente
essere indirizzato tutto questo apparato della lega. Aggiunsero gli
alleati a queste stipulazioni parole magnifiche; che difendevano i
diritti della natura e delle nazioni; che stabilivano le libertà
dell'uman genere; che procacciavano la felicità e la prosperità
dell'Europa. Per verità tutte le nazioni europee, eccettuata solo
l'Inglese, si mostrarono grandemente contente a questo nuovo disegno dei
Re del Nort, e tutte lodavano, e sino al cielo innalzavano la sapienza e
la magnanimità di Caterina seconda. Tanto era l'odio, che contro di sè
aveva concitato l'Inghilterra co' suoi portamenti sul mare. Furono i
capitoli della lega comunicati a tutti i potentati d'Europa,
principalmente alla Francia, alla Spagna, all'Olanda, all'Inghilterra ed
al Portogallo, e nell'istesso tempo gl'invitarono a voler entrar anche
essi nella lega. La Francia e la Spagna, le quali sommamente
desideravano d'intorbidare alla Gran-Brettagna l'acqua di altre parti
d'Europa, oltre le magnifiche lodi date all'Imperatrice, risposero, non
solo essere contente al venire a parte della lega, ma già avere molto
prima agli ammiragli loro e capitani di mare sì fatti ordini dato, che
già eran le massime della neutralità armata poste da loro in esecuzione,
avendo la giustizia della cosa prodotto in elle quegli effetti, che ora
coi capitoli della lega avevano i potentati del Nort confermato. Il
Portogallo per la grande introduzione, che aveva a quella Corte il nome
inglese, o dependente o fedele all'Inghilterra, se ne scusò. Le Province
Unite dell'Olanda stavano intanto deliberando quello che fosse a fare.
Già avevano i ministri britannici, o desiderando, o temendo quello che
doveva avvenire, e per fare iscoprir gli Olandesi, richiestigli,
fornissero all'Inghilterra i sussidj stipulati nel trattato d'alleanza.
Al che questi, in nome per la inevitabile tardità delle deliberazioni
loro, in fatto perchè non gli volevano concedere, non avevano fatto
ancora alcun segno di voler acconsentire. Onde il Re della
Gran-Brettagna, per toccar il fondo della cosa, e per impedire i governi
delle Province Unite, non si accostassero alla lega del Nort, col
dimostrar loro, che nonostante il numero e la potenza dei nemici, che lo
premevano, si era peraltro al tutto risoluto al venirne con essi loro
agli estremi casi, quando le antiche regole della neutralità non
osservassero, giacchè a quelle dell'alleanza soddisfare non volevano,
mandò fuori un ordine, col quale significò, che il non aver voluto
mantener gli obblighi della confederazione da parte delle Province Unite
era da riputarsi, come un rompimento dell'alleanza. Dichiarò perciò, che
quella repubblica, ed i sudditi di lei erano scaduti da quei privilegj
che il trattato d'alleanza aveva loro conferiti; e si dovevano per
l'avvenire tener in quel grado medesimo, in cui si tenevano le altre
nazioni neutrali non alleate. In questa maniera il Re britannico, anche
prima, che avesse avuto la negativa espressa alla sua richiesta, si
disobbligò dal trattato d'alleanza, sperando con questo risoluto
consiglio d'intimorir gli Olandesi sì fattamente, che non fossero per
entrar nella lega contro di sè ordita pressochè generalmente in Europa.
La cosa non ebbe effetto. Le parti francesi erano troppo gagliarde nelle
Province Unite, massimamente in quella d'Olanda tanto principale, e
nella Frisia occidentale, e gli animi vi erano troppo alterati
dall'insulto fatto al Byland. Laonde dopo molte e frequenti consulte,
tutte di consentimento concorde deliberarono, non esser da concedersi i
soccorsi richiesti all'Inghilterra; doversi dare le accompagnature delle
navi da guerra alle conserve mercantili della repubblica, di qualunque
natura ne fossero i carichi, eccettuati solo quelli, che per le
stipulazioni fatte nei trattati potessero riputarsi di contrabbando.
Accettassesi con grato animo l'invito dell'Imperatrice delle Russie, ed
a questo fine s'intavolasse un negoziato col principe di Gallitzin,
Inviato straordinario di Sua Maestà presso gli Stati Generali.

Ma l'Inghilterra trovandosi con tanti nemici addosso, e vedendo la
Russia tanto potente, e l'alleanza della quale tanto le era necessaria,
tentennare, alla proposta della lega senza volersi restringere, rispose
spacciando pel generale, ed iva dando del buono per la pace. In mezzo a
tanti e sì possenti nemici, o già scoperti o vicini allo scoprirsi, non
solo non si sgomentava, ma ancora continuava nel disegno di voler la
guerra offensiva proseguire nella Terra-ferma americana. Solo, come
abbiamo narrato, si consigliò, lasciati gagliardi presidj nella
Nuova-Jork, portarla contro le province meridionali. A questo fine, e
per abilitar Clinton alla impresa delle Caroline, era partito il mese di
maggio dall'Inghilterra l'ammiraglio Arbuthnot per alla volta
dell'America con una flotta di navi armate, e con meglio di quattrocento
vascelli da carico. Ma come prima si era scostato dalle spiagge
dell'Inghilterra, ebbe avviso, avere i Francesi sotto la condotta del
principe di Nassau assaggiato L'Isola di Jersey, situata presso le coste
della Normandia. Seguendo meglio la necessità del frangente, che gli
ordini che teneva, rimandate indietro a Torbay le conserve, si recò
coll'armata in soccorso del presidio di Jersey. Riuscì vano il tentativo
dei Francesi. Di nuovo l'Arbuthnot si avviò verso l'America. Ma tali
furono gli accidenti contrarj del tempo e dei venti, ch'egli ebbe ad
incontrare pel soprastamento fatto nell'impresa di Jersey, che penò
assai lungo tempo, prima che potesse dalle terre dell'Inghilterra
allargandosi, entrar nell'alto mare, e veleggiare alla distesa verso
l'America. Non arrivò alla Nuova-Jork, se non se in sull'uscir d'agosto.
Ma però non si mossero gl'Inglesi; perciocchè temevano di D'Estaing, il
quale si trovava allora all'impresa di Savanna. Finalmente, avuto le
novelle dell'esito di quella e della partenza dell'ammiraglio francese
dalle spiagge americane, aveva Clinton imbarcato settemila soldati, e,
scortato dall'ammiraglio Arbuthnot, era partito per all'impresa della
Carolina il giorno 26 di decembre del trascorso anno.

E non solo intendeva l'Inghilterra di volere con gagliardo sforzo
continuar la guerra sul continente americano, ma ancora difendersi, ed
offendere, secondochè la opportunità si scoprirebbe, nelle Antille. Per
la qual cosa i ministri si erano risoluti a mandar con un rinforzo di
navi e di genti in quelle spiagge l'ammiraglio Rodney, uomo, nel quale
ed essi e tutta la nazione britannica avevano una grandissima confidenza
posta. Alla qual deliberazione tanto più volentieri si accostarono,
quanto che sapevano, che i Francesi stavano per far partire a quella
volta un simile rinforzo sotto la guida del conte di Guichen. Ma però,
prima che colà si avviasse, vollero, andasse ad una impresa di molta
importanza. Dai primi tempi, in cui si era rotta la guerra colla Spagna,
avevano gli Spagnuoli assediato, e bloccato per mare e per terra la
Fortezza di Gibilterra. Era stato preposto alla bisogna dell'assedio
l'ammiraglio Don Barcelo, uomo vigilantissimo, il quale con ogni maggior
industria impediva, non trapelassero dentro munizioni di sorta alcuna.
Il presidio già incominciava a pruovare grande carestia di vettovaglie,
e molto a patirne. Nè aveva speranza di poterne ricevere dalle vicine
spiagge per mezzo dei traforelli e delle saettìe, che la diligenza de'
Spagnuoli schivassero; essendochè i Barbari, che abitano le coste
dell'Affrica, e massimamente l'Imperatore di Marocco, veduto ch'ebbero,
essere gl'Inglesi al di sotto nel Mediterraneo, si erano volti a favorir
gli Spagnuoli. Così i Gibilterrani erano a grandissima stretta di
vittuaglia, e nello stesso tempo si ritrovavano del tutto privi di
quell'abbondante procaccio, ch'erano stati usi fin là di fare sulle
vicine coste della Barbaria. Nè altra via v'era a vettovagliar la
Fortezza, sè non se dall'Inghilterra, e per mezzo di grosse
accompagnature di navi da guerra date ai bastimenti da carico. Quest'era
l'impresa, che doveva fornire Rodney. Partì dai porti d'Inghilterra in
sull'entrar del presente anno con un'armata di ventuna nave da guerra,
ed una numerosa carovana di navi annonarie. Favorì la fortuna questi
suoi primi conati. Giunto egli verso il Capo Finisterra cozzava in una
conserva spagnuola di quindici navi da carico accompagnata dalla nave di
alto bordo il Guipuscoa di 64 cannoni, da quattro fregate, e da due
altri legni minori armati in guerra. Andavano da San Sebastiano a Cadice
a fine di portar le munizioni sì da guerra che da bocca all'armata, che
in questo porto si trovava assembrata. Data loro la caccia, tutte le
pigliò di colpo, ricca, e molt'opportuna preda al vincitore. Oltre la
presa del Guipuscoa, nuova e bellissima nave, quelle da carico alcune
portavano una notabile quantità di frumento e di farine, siccome pure
altre provvisioni, munizioni da guerra, ed attrezzi navali. Le prime
condusse a Gibilterra, le navali mandò in Inghilterra, dove se ne aveva
grandissimo bisogno.

Ma un altro più grande e più prospero successo riserbavano i cieli alla
fortuna di Rodney. Il giorno 16 di gennaio, s'abbattè presso il Capo
Santa Maria in un'armata spagnuola di nove vascelli di alto bordo, la
quale sotto il governo di Don Giovanni Langara stava presso il capo
medesimo, non dubitando di pericolo alcuno, in crociata. Avrebbe
l'ammiraglio spagnuolo, se avesse voluto, potuto schivar l'incontro di
una forza tanto alla sua superiore. Ma in luogo di mandare, tosto che
discoperse dall'alto delle gagge le vele nemiche, le fregate a
sopravvedere, ed a riconoscere il numero e la forza loro, e quindi
ritrarsi ai porti, mise tosto le sue in ordine di battaglia. Quando poi,
approssimatisi vieppiù gl'Inglesi, ebbe osservato, quanto fossero di lui
più gagliardi, si affaticò per tirarsi indietro; ma già non era più
tempo. L'ammiraglio Rodney aveva ordinato a' suoi, dessero la caccia,
dimodochè potessero guadagnar il sottovento per mozzare agli Spagnuoli
la ritirata ai porti. Essendo i vascelli inglesi molto più destri al
correre, che gli spagnuoli, riuscirono nel disegno. Quindi la battaglia
diventò inevitabile. Don Giovanni si difendette con grandissimo valore.
L'aspetto delle cose era oltre ogni dire terribile. L'ora era tarda, e
già incominciava ad abbuiare; il mare grosso, e tempestoso; i vicini
scogli di San Lucar accrescevano il pericolo. In questo mezzo il
vascello spagnuolo, il San Domenico, di 70 cannoni, ardeva con orribile
scoppio. Tutta la ciurma, ch'erano bene 600 persone, perirono. Durarono
la battaglia, e poscia la perseguitazione, che ne seguì dopo la rotta
degli Spagnuoli, fino alle due della mattina. La capitana denominata la
Fenice, sopra la quale si trovava Don Giovanni, e portava 80 cannoni con
tre altre di 70, fu presa, e condotta a man salva dentro il porto di
Gibilterra. Il Sant'Eugenio ed il San Giuliano vennero anch'essi in
poter degl'Inglesi, i quali ne avevano marinati gli uffiziali, e mandato
un certo numero dei loro a bordo. Ma essendo il mare molto grosso, la
notte tempestosa, trovandosi in mezzo a scogli, e mancando gl'Inglesi di
piloti, che fossero pratichi de' luoghi, si mettevano nella discrezione
degli Spagnuoli, i quali da vinti diventati vincitori ricondussero le
due navi nel porto di Cadice. Due altri vascelli grossi, ed altri più
sottili, quantunque grandemente danneggiati, nel medesimo porto si
ricoverarono. Il giorno seguente ebbero gl'Inglesi molta fatica per
sbrigarsi dalle secche, e per arrivar di nuovo nell'alto e profondo
mare. Fu Don Giovanni ferito gravemente. Ottenuta la vittoria arrivò
Rodney a Gibilterra, ed ebbevi in poco tempo scaricate tutte le navi
annonarie, in guisa che non solo fu sollevata la carestia dei viveri,
ch'era dentro la Fortezza, ma di più fu essa posta in grado di poter
sopportare senza nuovi aiuti un lungo assedio. Riempiuti con tanta
utilità della patria, e con non minore sua gloria gli ordini del Re,
verso mezzo febbraio si mise, siccome gli era stato commesso, tra via
con una parte della flotta alla volta delle Antille. Il rimanente in un
colle prede della Spagna viaggiava verso l'Inghilterra sotto la condotta
del Sotto-ammiraglio Digby. La fortuna, che s'era tanto propizia
dimostrata agl'Inglesi nell'andata loro a Gibilterra, gli volle anche
nel ritorno loro favoreggiare. Il giorno 23 di febbrajo discoprì Digby
in lontananza una flotta consistente in molte navi francesi di
differente grandezza. Quest'era una conserva, che se ne iva all'Isola di
Francia scortata dal Proteo e dall'Aiace, l'uno e l'altro di 64 cannoni,
e dalla fregata la Charmante. Governava il tutto il visconte
Du-Chilleau. Accortosi questi degl'Inglesi, con ottimo consiglio comandò
tostamente all'Aiace, ed alla più parte della conserva, si schivassero,
e velocemente per di dietro si difilassero. Egli poi da fronte raccozzò
in un gomitolo la sua propria nave il Proteo, la fregata, ed alcuni
altri legni più piccoli, e ciò affinchè il nemico, ch'era tuttavìa
lontano, ingannatosi, lo scambiasse per tutta la conserva. Lo
scaltrimento ebbe l'effetto, che se ne aspettava. Digby, non accortosi
dell'Aiace, e del grosso della conserva che se ne andavano, perseguitava
il Proteo. Fuggiva questo sì rattamente che non sarebbe stato preso. Ma
cadutogli un calcese, e perciò rallentatosegli l'abbrivo, sopraggiunsero
gl'Inglesi e lo pigliarono. Vennero anche in poter loro tre navi da
carico. Tale fu la riuscita della spedizione di Rodney a Gibilterra. Se
ne fecero in Inghilterra molti rallegramenti, sia per la cosa in se,
ch'era d'importanza sia perchè erano queste le prime felici novelle, che
da lungo tempo vi fossero pervenute. Il Parlamento rendè pubbliche ed
immortali grazie a Giorgio Rodney.

In questo modo l'Inghilterra, mentre dall'un canto sì difendeva da' suoi
nemici in Europa, n'incamminava dall'altro alle offese tanto contro i
Repubblicani sulla terra-ferma d'America, quanto contro i Francesi e gli
Spagnuoli nelle Antille. La risoluzione sua di voler durare contro tanti
e sì possenti nemici aveva riempiuto gli uomini di maraviglia. Tutti
lodavano grandemente la costanza degl'Inglesi, come di persone valorose,
e d'alto animo fornite. Gl'Inglesi, dicevano, essere il pregio e l'onore
d'Europa. Essi avere con eterna gloria loro dimostrato, come non pure
non si debba cedere all'avversa fortuna, ma eziandio in che modo opporsi
e resister si possa ad un nemico superiore di numero e di forze, essi
rinnovar ora l'esempio dì Luigi decimoquarto, Re di Francia, il quale
non solo non si smarrì, ma fe' testa, e combattè valorosamente contro
tutta l'Europa insieme congiurata a' suoi danni; essi imitare le recenti
geste di Federigo Re di Prussia, il quale non perdutosi punto d'animo
alla possente lega contro di lui ordita, quella aveva non solo
combattuto, ma ancora superato e vinto. Quegli stessi, i quali i
consigli presi dall'Inghilterra contro gli Americani biasimato ed
abbonito avevano, maravigliosamente ora la magnanimità britannica
lodavano. Queste cose diceva e pensava l'universale dei popoli. Ma gli
uomini prudenti, i quali più addentro penetravano nella verità delle
cose, comechè lodassero anch'essi la costanza inglese, tuttavia nè a
quella di Luigi decimoquarto, nè a quella di Federigo secondo
l'uguagliavano; stantechè essendo l'Inghilterra una isola, non si possa
se non se difficilissimamente nelle sue più interne parti, le quali
danno vigore e vita a tutta le altre, assaltare; e le battaglie navali
non siano altrettante determinative, quanto le terrestri. Ma in
Inghilterra veramente pareva, crescesse in un colla grandezza del
pericolo l'ardore e l'ardimento dei popoli. Quei medesimi, i quali le
deliberazioni dei Ministri rispetto all'America fin là condannato
avevano, e tuttavia condannavano, andavano sclamando; questo non essere
il tempo da far le pazzie. _Leviamci_, dicevano, _costoro da dosso, e
poi chiariremo questa partita tra noi_. S'accordavano i privati tanto
nelle più conspicue città, quanto nel contado a pagar grosse somme di
danaro per levar genti, ed ordinarle in compagnie e reggimenti. Nè solo
i privati, ma ancora i corpi politici o mercantili gareggiavano tra di
loro per concedere allo Stato la volontaria pecunia. La Compagnia
dell'Indie orientali presentò il governo con una somma bastante a levare
e spesare seimila marinari, ed offrì del suo tre vascelli di 74 cannoni.
Quindi si davano grossi caposoldi a coloro che volevano porsi sotto le
insegne in servizio del Re sì per mare che per terra. Correvano e per
questa cagione, e per amor della patria, e per odio ai Francesi ed agli
Spagnuoli numerosamente i marinari alle navi; si riempivano le compagnie
delle genti di terra, e le bande paesane con ardore maraviglioso si
ordinavano in ogni canto, e nell'armi si esercitavano. Ogni cosa in moto
per alla guerra contro i Borboni. Tutte queste cose, che si risapevano
in Europa, fecero di modo, che le nazioni, le quali da principio, quando
avevano veduto tutta la Casa dei Borboni congiurarsi e muoversi a' danni
dell'Inghilterra, e questa restar sola alle percosse di tutto il mondo,
credettero, difficilmente essa potere a tanta piena resistere, ora
venissero in questa sentenza, che l'evento della contesa, quando la
fortuna aiutasse il suo ardire avesse a riuscire, se non alla medesima
favorevole, sicuramente almeno dubbio ed incerto.


FINE DEL VOLUME TERZO



TAVOLA DELLE COSE CONTENUTE NEL TOMO TERZO


  LIBRO OTTAVO                                            _pag_. 3

  _Sommario._ — Disegni dei ministri d'Inghilterra.
  Spedizione di Burgoyne. Convento di selvaggi. Bando di
  Burgoyne, e sue mosse. Gli Americani si preparano a
  combatterlo. Descrizione di Ticonderoga. Presa di questa
  Fortezza; e fatti d'arme, che ne conseguono. Burgoyne
  arriva sulle rive dell'Hudson. Assedio del Forte Stanwix.
  Fatto d'arme di Bennington. Burgoyne si trova alle strette.
  Gates capitano generale dell'esercito settentrionale. Aspra
  battaglia tra Burgoyne e Gates. Altra battaglia assai feroce.
  Burgoyne in gran pericolo. Si arrende. Generosità di Gates.
  Depredazione dei regj. I repubblicani si preparano a sostenere
  l'impressione dell'armi di Howe. Il marchese De La-Fayette,
  e sue qualità. Howe sbarca coll'esercito nel Chesapeack.
  Battaglia di Brandywine. Dopo varie mosse i regj
  s'impadroniscono di Filadelfia. Battaglia di Germantown.
  Fazioni sulla Delawara. I due eserciti vanno alle stanze.
  Miserabile condizione dei repubblicani nelle stanze di
  Valle-fucina, e loro costanza maravigliosa. Maneggi
  contro Washington; e sua magnanimità. Howe scambiato da
  Clinton se ne parte per l'Inghilterra.

  LIBRO NONO                                                   148

  _Sommario._ — Effetti prodotti in Inghilterra dagli
  accidenti della guerra. Il conte di Chatam vuol persuadere
  gli accordi, ma senza frutto. Disegni de' ministri. Pratiche
  del congresso in Francia. Cautele di questa. La Francia
  riconosce l'independenza degli Stati Uniti. Lord North muove
  in Parlamento proposizioni d'accordo. Rescritto
  dell'ambasciador di Francia. Pownal ôra in Parlamento,
  perchè si riconosca l'independenza; Jenkinson ôra in contrario,
  ed ottiene la proposta. Il conte di Chatam muore; sue qualità.
  La guerra si chiarisce tra la Francia, e l'Inghilterra.
  Battaglia navale d'Ognissanti.

  LIBRO DECIMO                                                 225

  _Sommario._ — Le proposizioni d'accordo dei ministri
  arrivano in America, e loro effetti. Diliberazioni del
  congresso. I trattati fatti colla Francia vi arrivano.
  Allegrezza dei repubblicani. Il congresso gli ratifica.
  I Pacieri mandati dal Re Giorgio arrivano in America.
  Gli Americani rifiutano gli accordi. Gl'Inglesi votano
  Filadelfia. Battaglia di Monmouth. Il conte D'Estaing
  arriva coll'armata di Francia nelle acque d'America;
  e con quali pensieri. Altre operazioni dei Pacieri del
  Re Giorgio. Riescono inutili, ed essi sen partono disconclusi
  dall'America. Il congresso riceve in solenne audienza il
  ministro del Re Luigi. Guerra Rodiana. Battaglia tra i
  due ammiraglj D'Estaing e Howe. Mal umore degli Americani
  contro i Francesi e risse, che ne conseguono. Eccidio
  crudelissimo di Viomino. D'Estaing se ne parte per le
  Antille. Byron lo seguita. I regj se ne vanno ad assaltare
  le province meridionali della Lega.

  LIBRO UNDECIMO                                               297

  _Sommario._ — I Francesi pigliano l'isola Domenica;
  gl'Inglesi quella di Santa Lucia. I regj sbarcano nella
  Giorgia, e s'impadroniscono di Savanna. Tentano Charlestown
  di Carolina. Loro depredazioni ad uso dei barbari. Varj
  successi di guerra. Le isole di S. Vincenzo, e della Grenada
  vengono in poter dei Francesi. Battaglia navale tra
  D'Estaing e Byron. D'Estaing arriva nella Giorgia. Assalta
  Savanna. Se ne torna in Europa. Rinvolture civili in America.
  La Spagna entra nella lega contro la Gran-Brettagna. Le armate
  unite di Francia e di Spagna s'appresentano sulle coste
  d'Inghilterra. Si ritirano, e perchè. Gli umori in Olanda
  contro l'Inghilterra. Lega del Nort. L'Inghilterra manda aiuti
  a' suoi in America, rompe le flotte di Spagna, soccorre
  a Gibilterra. Magnanimità degl'Inglesi.

FINE DELLA TAVOLA



Nota del Trascrittore

Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, così come le
grafie alternative (armonia/armonìa, ancora/áncora, pro/prò e simili),
correggendo senza annotazione minimi errori tipografici.





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