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Title: Storia della Guerra della Independenza degli Stati Uniti di America, vol. 4 Author: Botta, Carlo Language: Italian As this book started as an ASCII text book there are no pictures available. *** Start of this LibraryBlog Digital Book "Storia della Guerra della Independenza degli Stati Uniti di America, vol. 4" *** STORIA DELLA GUERRA DELLA INDEPENDENZA DEGLI STATI UNITI DI AMERICA SCRITTA DA CARLO BOTTA VOLUME QUARTO MILANO PER ANTONIO FONTANA M.DCCC.XXVII STORIA DELLA GUERRA AMERICANA LIBRO DUODECIMO [1780] Io m'apparecchio a scrivere una ostinata guerra, la quale variata in numerosi affronti, e spesse battaglie dimostrò forse più, che in un'altra qualsivoglia, quanto siano incerte le operazioni dell'armi, ed instabili i favori della fortuna; e quanto tenaci siano le umane menti nel proseguire ciò, che posto hanno in cima dei desiderj loro. Le vittorie partorirono frequentemente i frutti delle rotte, e le rotte quei delle vittorie; i vincitori diventarono spesso vinti, i vinti vincitori. In piccoli fatti mostrossi una gran virtù, e dall'opera di poche genti, secondochè queste o quelle ebbero prospero, od infelice successo, altrettanto, o più in ultimo si ottenne, che ricavato si sia le più volte dalle grossissime battaglie combattute ne' campi europei da valorose e potentissime nazioni. Nè si cessò dall'aspra contesa nelle Caroline, se non quando già s'incamminavano le cose a quel fatale caso, che del tutto afflisse le britanniche armi sul continente americano. Erasi, come nel precedente libro si è da noi raccontato, partito dalla Nuova-Jork il generale Clinton per recarsi all'impresa delle Caroline, nelle quali si proponeva principalmente d'insignorirsi della città di Charlestown; avuta la quale si sperava, tutta la provincia avesse ad inclinare subito il collo all'obbedienza del Re. Conduceva seco da sette in ottomila soldati tra Inglesi, Essiani e leali, tra i quali una buona squadra di cavalli, gente molto necessaria all'esercizio della guerra in quelle province agili e piane. Aveva anche posto sulle navi una quantità grandissima di munizioni sì da guerra che da bocca. Viaggiavano gli Inglesi pieni di ardimento, e confidentissimi della vittoria. Dapprima furono assai favorevoli i venti, e propizio il mare. Ma messisi poscia gli orribili temporali, ne fu l'intiera flotta dispersa, e grandemente danneggiata. Alcune navi pervennero sul finir di gennaio a Tibee nella Giorgia; altre furono intraprese dagli Americani; un'annonaria infortunò, e si ruppe con perdita di tutte le munizioni che portava; i cavalli, sì quei che servivano al traino delle artiglierie, come quei delle compagnie, la maggior parte perirono. Tutti questi danni, che stati sarebbero gravi in ogni tempo, riuscirono in quell'occorrenze gravissimi, e quasi irreparabili. Ritardaron poi anche sì fattamente l'impresa di Charlestown, che ebbero gli Americani tempo ad apparecchiar le difese. Finalmente si raccozzaron tutti nella Giorgia. Le genti vincitrici di Savanna ricevettero con molte dimostrazioni d'allegrezza quelle di Clinton, le une e le altre molto efficacemente adoperandosi per ristorar i danni sofferti nel tragitto. Quando furon di bel nuovo in punto, il che fu al dieci febbraio, partirono sulle navi da carico, accompagnate anco da quelle da guerra, ed avuti i venti prosperi arrivarono speditamente nelle bocche del Nort-Edisto, fiume, che mette in mare poco lungi dall'Isola di San Giovanni sulle coste caroliniane. Esplorati i luoghi, e superato lo scanno, sbarcarono, distendendosi dentro l'isola sopraddetta, e quella di San Jacopo più vicina a Charlestown. Già le prime scolte toccavano le rive del fiume Ashley, il quale bagna le mura di questa città. Occupavano parimente il Wappoo-cut, pel quale i battelli e le galere dovevan passare per trasportare poscia i soldati dalla destra sponda dell'Ashley sulla sinistra, sulla quale è posto Charlestown. Ma gl'indugi causati dalla passata fortuna di mare, pei quali avevano i Caroliniani avuto tempo di munire la città con nuove fortificazioni e più grossi presidj, avevano indotto Clinton a vieppiù soprastare all'oppugnazione, ed a mandar ordine intanto al generale Prevost a Savanna, gl'inviasse de' suoi dodici centinaia di soldati, incluso quel maggiore numero di cavalli che potesse. Aveva anche scritto a Knyphausen, il quale, partito Clinton, era rimasto al governo dei presidj della Nuova-Jork, spedisse tostamente all'oste presso Charlestown rinforzi di genti e di munizioni. Venne infatti pochi giorni dopo a congiungersi con Clinton il generale Patterson mandatovi da Prevost colle richieste genti, dopo d'aver superato non senza molta fatica e pericolo gl'impedimenti de' sfondati cammini, dei fiumi ingrossati, e del nemico, che, leggiero e sparso, lo aveva con ispesse scaramucce col sinistro fianco noiato da Savanna sin molto addentro nella Carolina. Stava intanto Clinton affortificandosi sulle rive dell'Ashley, e su quelle delle vicine fiumane, e bracci di mare per mantener libere le vie a poter comunicare col suo navilio. In questo mezzo il colonnello Tarleton, del quale sarà fatta frequente menzione in queste storie, non meno arrisicato, ch'esperto condottiere di cavalleggieri, recatosi nell'Isola di Porto-Reale, situata sulle coste della Carolina più verso la Giorgia, assai fertile e ricca, attendeva con procacci fatti, per danaro dagli amici, per forza dai nemici, di nuovi cavalli a ristorar la perdita di quelli, che morti erano durante l'infelice tragitto. Nel che se non ottenne tutto quello che desiderava, ebbe però più assai di quanto egli sperava. Così in sul finir di marzo ogni cosa era in pronto per cominciar l'assedio di Charlestown, dalla quale città l'esercito britannico era separato soltanto dalle acque del fiume Ashley. Dall'altro canto non erano stati oziosi gli Americani nel fare tutti quei provvedimenti sì civili che militari, che più creduti avevano necessarj ad una gagliarda difesa, quantunque in questo quegli effetti non ottenessero che avrebbero desiderato, e che la gravità del caso richiedeva. I biglietti di credito nella Carolina Meridionale avevano tanto perduto di riputazione, che con essi assai difficilmente si potevano fare i procacci necessarj agli usi della guerra. Nè meno si travagliava per la carestia dei soldati. Le milizie dopo l'ardue fazioni della Giorgia nel passato inverno, tratte dal desiderio del riposo, s'erano, disbandandosi, alle case loro ritornate. Il timore del vaiuolo, che sapevano serpeggiare in Charlestown, le impediva ancora di recarsi al soccorso della città capitale. I reggimenti poi degli stanziali appartenenti alla provincia, ch'erano sei, si trovavano talmente assottigliati dalla frequenza de' disertori, dalle malattie, dalle battaglie, dal finir delle ferme, che tutti insieme non arrivavano ad un migliaio di soldati. Non pochi parimente dei Caroliniani si erano ridotti a giovarsi dei perdoni presso Prevost a Savanna, parte per fedeltà verso il Re, e parte per preservare le robe loro dal sacco. Perocchè gl'Inglesi, senza rispetto alcuno, depredavano e devastavano le proprietà di coloro, i quali continuavano a militare sotto le insegne del congresso. La vittoria poi di Savanna aveva indotto negli animi un grande terrore dell'armi inglesi; e molti ripugnavano all'andarsi a serrare dentro le mura di una città, che poco credevano poter resistere agli assalti di un nemico sì valoroso. E se deboli erano per la necessità delle cose i preparamenti dei Caroliniani meridionali, erano poco più gagliardi quei del congresso. Aveva questi avuto tempestivo avviso del disegno degl'Inglesi, e vedendo rannuvolar nella Carolina avrebbe voluto soccorrerle. Ma dall'un de' lati la debolezza dell'esercito washingtoniano, che era stato assai diradato dal finir delle ferme, dall'altro la grossezza dei presidj lasciati da Clinton nella Nuova-Jork erano causa, che da quello non si potesse un molto efficace aiuto inviare a Charlestown. Ma per altro per confortare colle parole, giacchè non poteva coi fatti, ovvero perchè avesse credenza, che i popoli si sarebbero risentiti al vicino pericolo della Carolina ed accostati alle insegne, iva il congresso scrivendo a quei che governavano le faccende in questa provincia, stessero forti, perciocchè avrebbe mandato loro un soccorso di novemila soldati. Ma il fatto fu che non ne potè mandare, che quindici centinaia, soldati stanziali però della Carolina Settentrionale e della Virginia. Mandò inoltre due fregate, una corvetta, ed alcune altre navi minori, per contrastare, se possibil fosse, il passo verso la città per la via del mare. Aveva anche esortato i Caroliniani, armassero gli schiavi. La qual cosa non ebbe effetto, sia perchè a ciò ripugnavano essi universalmente, sia perchè non si avevano in pronto sufficienti armi a por loro in mano. Nonostante questa freddezza dei popoli, i maestrati di Charlestown, confortati anco dalla presenza e dalle parole del generale Lincoln, il quale governava tutte le faccende appartenenti alla guerra, fatta sopra di ciò una consulta, con unito consenso deliberarono di voler difendere sino all'ultimo la città. Nè contenti a questo, sapendo benissimo, quanto nelle cose della guerra, e nei casi massimamente più gravi, vaglia l'unità dei consiglj, diedero la potestà dittatoria a Giovanni Rutledge, loro governatore, dandogli facoltà di fare tutto ciò, che necessario credesse alla salute della repubblica; solo non gli diedero autorità sopra il sangue, e vollero che non potesse tor la vita ad un cittadino senza un legale giudizio. Avuta una tanta autorità, chiamò Rutledge a campo le milizie; ma pochi accorrevano. Mandò poscia fuori un bando, col quale comandò a tutte le squadre regolari di milizie, a tutti gli abitanti, ed a tutti coloro i quali qualche proprietà avessero nella città, dovessero sotto le insegne porsi, e venir a congiungersi col presidio. Se non obbedissero, fossero i beni loro posti al fisco. A questo aspro comandamento alcuni si mossero, comunque a gran pezza tanti armati non si ottenessero, quanti si sarebbero desiderati, tanta era la freddezza dei popoli; perciocchè erano sbigottiti, e volevano star a vedere, che sesto piglierebbero le cose, e brevemente tutto il presidio di una sì gran città poco passava i cinquemila uomini, inclusi gli stanziali, le milizie ed i marinari. Dei primi, i quali erano il membro più grande della difesa, se ne annoveravano da circa due migliaia. Lavoravasi intanto con incessabile fatica alle fortificazioni. Consistevano le difese della città dalla parte di terra, da quel lato che si distende dietro di quella dal fiume Ashley a quello, che chiamano Cooper, in una tela di bastioni, di trincee e di batterie, ove si annoveravano ottanta grossi cannoni, e parecchie bombarde. Le opere esteriori, che fronteggiavano l'aperta campagna, erano da due fianchi protette da paludi, le quali nate dall'una parte e dall'altra dai due fiumi si distendevano all'indentro verso il miluogo posto tra i medesimi. Per serrare poi il passo di mezzo, le due paludi erano state congiunte da un canale artefatto, che correva dall'una all'altra. In mezzo allo spazio compreso tra queste opere esteriori e le trincee avevano gli Americani fatto due forti palafitte coll'aver ficcato dentro in terra grossi alberi di modo, che i rami colle punte loro fossero volti all'infuori. Tra le due palafitte avevano scavato un fosso molto affondo con entrovi l'acqua. Tra lo steccato interiore e le trincee avevano per maggior sicurezza fatte certe buche qua e là da trappolarvi dentro gli assalitori, se fin là fossero penetrati. Le trincee poi ed i ripari fattivi erano da fianco, cioè a riva i due fiumi da ambe le parti fortissimi, e sì fattamente costrutti, che le artiglierie loro tiravano rasente terra, e spazzavano la campagna. Ma le trincee nel mezzo essendo più deboli, si praticò in questo luogo un puntone ammattonato, il quale a guisa di rivellino fortificasse l'entrata della Terra, e la porta principale di lei coprisse. Quest'erano le fortificazioni, che stendendosi a traverso del promontorio dietro la città da un fiume all'altro, la difendevano dalla parte di terra. Ma sui due lati, dov'ella è bagnata dalle acque dei fiumi, avevano piantato spesse e grosse artiglierie su certi ripari fatti con molta diligenza, e costrutti, perchè meglio resistessero ai colpi delle artiglierie, con terra frammescolata al legno di palmetto. I luoghi poi, dove si sarebbe potuto sbarcare, avevano accuratamente fortificati con grosse palificate. Oltreacciò, e per cooperare con quella difesa, che dalle batterie di terra si sarebbe fatta, e per impedir alle navi inglesi il passo dentro del porto, apparecchiato avevano una nave, che portava 44 cannoni, sette fregate loro proprie, una fregata francese di 36 cannoni con altri legni minori, principalmente galee. Tutto questo barchereccio da principio con ottimo consiglio avevano fermato nello stretto passo, che si trova tra l'Isola di Sullivan ed il Middle-ground; nella quale positura se avessero continuato a starsene, avrebbero potuto grandemente danneggiare la flotta inglese nel suo approssimarsi al Forte Moultrie, posto su quell'isola, e tanto celebrato per la valorosa difesa fatta contro gli Inglesi nel 1776. Ma quando l'ammiraglio Arbuthnot si avvicinò colle sue navi allo scanno, abbandonato quel luogo, ed alle proprie forze il Forte Moultrie, si avvicinarono vieppiù alla città, ed andarono a porsi di traverso a quel canale, che non è altro che il fiume Cooper, e scorre tra il sinistro lato della città, ed un renaio assai basso, che chiamano Shutte's-folly. Ivi furono le fregate affondate in un con altri legni mercantili, e sopra di esse con gomene, catene e barre fu fatta come una barricata, che si stendeva da una riva all'altra; e per assicurarla vieppiù v'intralciaron dentro gli alberi delle navi affondate. Così non rimase agl'Inglesi altro impedimento all'entrar nel porto, ed a venir sopra alla città per cooperar colle genti di terra fuori di quello del Forte Moultrie. In cotal modo i Caroliniani con grand'animo si apparecchiarono contro gli assalti inglesi, stando anche in isperanza degli aiuti delle vicine province della Carolina Settentrionale, e della Virginia. Lincoln, e Rutledge grandissima lode meritarono per lo zelo e per l'industria singolari, coi quali si adoperarono nel confortar i popoli, e fortificar la città. Gli ingegneri francesi De-Laumoy, e De-Cambray con molt'arte gli secondarono. Furono gli stanziali posti a difendere le trincee, dov'era maggiore il pericolo, le milizie i lati a riva il fiume. Appena avuto assetto tutte queste cose, il dì 29 di marzo Clinton, lasciate le guardie a Wappoo-cut, dov'erano i magazzini, varcava colle altre genti, senza ostacolo veruno incontrare, il fiume Ashley a dodici miglia distante sopra Charlestown. E subito posto piede in terra mandò i soldati armati alla leggiera sì fanti che cavalli, ad occupar la strada maestra ed a correre il paese sino a gittata dei cannoni della città. Seguitò poscia tutto l'esercito, e pigliò gli alloggiamenti a traverso l'istmo dietro la città ad un miglio e mezzo distante. In tal modo fu del tutto infrachiusa la via di terra al presidio; ed essendo gl'Inglesi padroni delle rive dell'Ashley, gli rimaneva solo aperta a poter ottener rinfrescamento di vettovaglia e di genti quella a sinistra a traverso il fiume Cooper. Non tardarono i regj a trasportar al campo loro, prestando in ciò un'opera eccellente co' suoi battelli e galere il Capitano Elphinstone, le grosse artiglierie, le bagaglie e le munizioni sì da guerra che da bocca. La notte del primo aprile incominciarono a lavorare alle trincee, e nel termine di una settimana, avendo gli assediati tratto con poco frutto, già erano i cannoni posti sulle batterie e pronti a batter la piazza. Nel medesimo tempo l'ammiraglio Arbuthnot si era messo in punto per passare lo scanno, a fine di entrare nel porto di Charlestown. Le fregate, siccome più leggieri, trapassarono senza difficoltà alcuna. Ma a volere che le navi più grosse varcassero, fu mestiero alleggerirle col tor via le artiglierie, le munizioni e per fino l'acqua che portavano. Ebbe luogo il passaggio il dì 20 di marzo. Arbuthnot gettò l'ancora a Five-Fathom-Hole. Rimaneva a superarsi, perchè la sua armata potesse avvicinarsi a Charlestown e cooperare colle genti di terra, l'ostacolo del Forte Moultrie, alla guardia del quale era posto il colonnello Pinckney con un sufficiente presidio. L'ammiraglio inglese pigliando la opportunità di un vento da ostro, e della crescente, levate le ancore il dì nove aprile, e camminando a piene vele, passò oltre facilmente, ed andò a fermarsi a tiro di cannone dalla città presso l'isola di San Jacopo. Non aveva tralasciato Pinckney di sparar le sue artiglierie nel momento in cui gl'Inglesi passavano; ma tanta fu la celerità loro, che ne ricevettero poco danno. I morti ed i feriti non arrivarono a trenta. Solo una nave da carico fu abbandonata ed arsa. In questo stato di cose, essendo le batterie pronte a fulminare la piazza, e questa cinta quasi da ogni banda, Clinton e Arbuthnot ricercarono la città a Lincoln. Lo ammonirono con parole gravi delle calamità, che, se stesse ostinato, soprastavano alla città, dei terribili effetti di un assalto dato prosperamente, e che quella era la sola favorevole occasione, che gli si appresenterebbe per salvar la vita e la proprietà dei cittadini. Rispose animosamente l'Americano, volersi difendere. Avuta questa risposta, diedero tosto gl'Inglesi mano al trarre. Gli Americani dalle mura a più possa gli rimboccavano. Prevalevano gli assedianti, avendo più artiglierie, e massimamente bombarde, che facevano gran danno. Intanto i palaiuoli e maraiuoli, governati dal Montcrieffe, quegli stesso, che si era acquistato tanta lode nella difesa di Savanna, lavorando gagliardamente alle trincee, si facevano avanti. Già la seconda circonvallazione era condotta a compimento, e le batterie piantatevi. Ogni cosa prometteva una vicina vittoria agli Inglesi. Ma gli Americani avevano fatto una massa nelle parti superiori del fiume Cooper in un luogo detto Monk's-corner. Erano sotto la condotta del generale Huger. Potevano di là noiare gli assedianti alle spalle, rinfrescar di genti e di munizioni il presidio di Charlestown, e nell'estremo caso fargli ala al votar la città, ed al ritirarsi a luoghi sicuri nella campagna. Questa testa poi di genti, che tenevano il campo, avrebbe potuto servir d'incentivo e di nodo ad altre, che ad esse sarebbero venute ad accozzarsi. Già ricevuto avevano dalla settentrionale Carolina molto carreggio, armi, munizioni e bagaglie. Considerate tutte queste cose, Clinton si deliberò ad andargli a combattere primachè vieppiù s'ingrossassero. Mandò a questa bisogna con quattordici centinaia di soldati il colonnello Webster, acciocchè e quel nido di repubblicani sperperasse, e troncasse loro le vie per a Charlestown dalla parte del Cooper. Lo accompagnavano Tarleton e Fergusson, l'uno e l'altro molto arrischievoli condottieri di corridori. Avevano gli Americani posti gli alloggiamenti principali sulla sinistra riva di quel fiume, ed essendo padroni del ponte avevano anche mandato sulla destra tutta la cavalleria, colla quale grandemente prevalevano. Il luogo era forte, non essendovi adito al ponte, se non per un dicco, che scorreva a traverso di luoghi acquidosi e maremmani. Ma stavano a mala guardia, non avendo locato scolte all'intorno, nè fatto correre la contrada dai cavalleggieri. Inoltre l'ordinanza loro era da condannarsi, avendo posti i cavalli avanti ed i fanti dietro. Arrivarono gl'Inglesi improvvisi alle tre della notte. Fatto un gagliardo impeto smagliarono e ruppero tosto l'inimico. Chi non fuggì, fu morto. Il generale Huger, ed i colonnelli Washington e Jamieson cacciatisi nelle vicine paludi, col favore delle tenebre scamparono. Quattrocento cavalli, assai preziosa preda, vennero in poter dei vincitori con molti carri carichi di armi, d'abiti e di munizioni. I reali s'impadronirono del ponte. Poco poscia assicurarono a sè stessi un altro passo inferiore, ed inondarono il paese posto sulla sinistra del fiume, e principalmente il distretto di San Tommaso. In cotal modo fu intrachiusa la sola via, che rimasta era agli assediati a poter comunicare colla contrada, e la città si trovò intieramente, e da ogni banda investita. La guernigione, siccome non troppo gagliarda, non fe' nissun motivo per impedire queste fazioni. Solo si attentarono ad affortificarsi su di una punta della sinistra riva del fiume, che chiamano la punta di Lamprey. Ma, ingrossatisi gl'Inglesi per nuovi rinforzi mandati da Clinton sulla riva medesima, ed arrivato il conte di Cornwallis a pigliare il governo di tutte queste genti, gli Americani quel nuovo posto abbandonarono tostamente. Foraggiavano gl'Inglesi alla libera, impedivano le adunate delle milizie, ed i soccorsi alla città. Pochi giorni dopo Tarleton recatosi con incredibile celerità sulle rive del fiume Santee, sopraffece, e mandò in rotta un'altra presa di cavalieri repubblicani, ivi raccoltisi sotto la guida del colonnello Buford. Armi, cavalli, e munizioni, tutto venne in balìa dei vincitori. Nè a queste cose si arrestò l'avversa fortuna dei repubblicani. Venuto l'ammiraglio Arbuthnot sopra l'Isola Sullivan, vi sbarcò una mano di marinari, uomini valentissimi. Incominciò a stringere il Forte Moultrie, ed avuto diligente contezza delle mura e del presidio, si apparecchiava a dargli l'assalto dalla parte di ponente e di maestro, dov'erano più deboli le difese. Quei di dentro, perduta ogni speranza di soccorso, essendo gl'Inglesi padroni del mare, ed essi troppo deboli a poter resistere, si arrenderono il dì sette di maggio. Così il forte Moultrie, che, allora faceva quattro anni, aveva sgarato con grandissimo danno tutte le forze dell'ammiraglio Hyde-Parker, ora, rivoltatasi la fortuna della guerra, venne di queto in poter dei reali. Intanto fattisi avanti cogli approcci avevano questi condotto a termine la terza circonvallazione molto, vicina al canale da noi sopraddescritto, e tanto lavorarono colle zappe, che pervenuti a destra nella palude, dalla quale l'acqua era derivata, e, svoltala, la seccarono. Alzarono poi poco stante le batterie su quest'ultima circonvallazione, e compirono le traverse e gli altri cunicoli di comunicazione. Cinta in tal modo d'ogni intorno la piazza, e gli assedianti in atto di piovervi dentro le palle e le bombe, intimava Clinton la resa a Lincoln. Si appiccava una pratica d'accordo; ma pretendendo l'Americano, che non solo le milizie ed i cittadini fossero franchi e liberi delle loro persone, ma ancora che le proprietà loro vendere e trasportare, ove meglio piacesse loro, potessero, le quali condizioni ricusava l'Inglese di concedere, volendo, che si arrendessero tutti a prigionieri di guerra, ed in rispetto alle proprietà a null'altro volendo consentire, se non se che le soldatesche nolle avrebbero manomesse, si ruppe tosto la pratica, e si ricominciarono le ostilità. Le palle intronavano le mura; le bombe e le carcasse, che si crollavano in grandissima copia dentro la città, rovinavano ed accendevano gli edifizj; ed i tiratori essiani in ciò molto destri, cogli archibusi rigati imberciavano tutti coloro, che alle cannoniere, od altrove si affacciavano. Niuna cosa rimaneva a quei di dentro libera e sicura. Tutto annunziava appropinquarsi la necessità della dedizione. Già si rallentavano i tiri degli assediati, imboccate le artiglierie loro, fracassati i carretti, morti gli artiglieri, e gl'Inglesi spintisi avanti colle zappe avevano sboccato nel fosso a pochi passi distante dalle mura. Minacciavano di assalto la misera città. Già dentro appariva principio di discordia civile, perciocchè i cittadini, parte timidi, parte leali, incominciavano a romoreggiare. Pregavano, scongiuravano Lincoln, non volesse vedere l'estremo sterminio di quella diletta stanza loro, di quella sì ricca e sì nobile città. Si arrendesse, accettasse le condizioni. Già mancare la panatica; gl'ingegneri aver dichiarato, non potersi sostenere l'assalto; nissuno spiraglio di salute discoprirsi da nissuna banda. In così terribile congiuntura, deposta la natural sua durezza, piegò Lincoln finalmente l'animo all'arrendersi, ed ai dodici del mese di maggio si fermò la capitolazione. Uscissero i soldati del presidio con alcuni degli onori della guerra, e giunti al luogo, tramezzo le mura ed il canale, ivi deponessero le armi; le casse non battessero; le insegne fossero piegate; ritenessero gli stanziali ed i marinari le bagaglie loro, e rimanessero prigionieri di guerra sino agli scambj; le cerne se ne tornassero alle case loro, dando la fede di non portar le armi contro le genti regie; la quale sintantochè serbassero, non potessero venir molestate nè nella roba nè nelle persone; i cittadini parimente di qualunque ordine si riputassero sulla fede loro prigionieri di guerra; le proprietà loro conservassero colle medesime condizioni, che le cerne; gli uffiziali ritenessero i loro servi, le armi e le bagaglie non isvaligiate; avesse Lincoln facoltà d'inviare una nave a posta con ispacci a Filadelfia. In cotal modo dopo un assedio di quaranta giorni venne la città capitale della Carolina Meridionale in mano dei reali. Sette generali, dieci reggimenti di stanziali, ma però molto diradati, e tre battaglioni di artiglieria diventati prigionieri fecero conspicua la vittoria degl'Inglesi. Il numero dei prigioni, incluse le milizie ed i marinari, tanto americani che francesi, arrivarono a meglio di seimila persone. Quattrocento bocche da fuoco di diversa sorta e grandezza caddero in poter dei vincitori con una quantità non ordinaria di polvere, di palle, di bombe e di scaglia. Tre grosse fregate americane, ed una francese con altri legni di minor grandezza accrebbero l'importanza della vittoria. La perdita dei morti e dei feriti fu di poco momento da ambe le parti. I Caroliniani agramente si dolsero dei loro vicini massimamente dei Virginiani, perchè non avessero porto loro quegli aiuti, che avrebbero potuto. Fu Lincoln molto, e molto diversamente ripreso del modo, col quale ei governò tutta questa fazione. Lo biasimarono alcuni dell'essersi rinchiuso dentro le mura di una Terra grande e male riparabile, invece di osteggiare alla campagna. Affermarono, che se questo secondo partito seguitato avesse, avrebbe potuto conservare alla lega un esercito notabile, e le più fertili terre della provincia. Mantennero, che sarebbe stato meglio con agguati, con iscappate, con aggirate, con opportuni assalti stancare, e consumar l'inimico; poco esser difendevoli le mura di Charlestown; le genti poche a tanto circuito; diverso modo da questo, e con molta utilità della patria aver tenuto Washington, quando antepose alla perdita dell'esercito quella dell'Isola della Nuova-Jork, e della città stessa di Filadelfia. Delle quali cose si può credere, che certamente sarebbe stato miglior consiglio, temporeggiando in sulle difese, straccar l'inimico sulla campagna. Ma della contraria deliberazione di Lincoln non egli dee venir accagionato, ma sibbene il congresso e gli Stati provinciali vicini, i quali nell'approssimarsi del pericolo quegli aiuti promisero, che poi non mandarono. Altri lo condannarono per non aver votato la città, quando tuttora erano aperte le vie sulla sinistra sponda del Cooper. Della quale risoluzione fu causa, prima questa stessa speranza degli aiuti; poscia, quando dopo la vittoria di Monk's-corner gl'Inglesi avevano inondato le terre poste tra il Cooper e la Santee, il timore di esser sopraffatto da forze superiori, massimamente cavalli, e la ripugnanza al lasciare la città a discrezione in mano del nemico. Avuta Clinton la possessione della città capitale della Carolina, vi si assicurava dentro con buoni ordini civili e militari, e, assettata questa, volgeva l'animo a racconciar la provincia, nella quale già ogni cosa piegava a divozione dell'esercito vincitore. Divisava egli, e mandava ad effetto tre spedizioni; perciocchè non voleva nè lasciar freddare i suoi, nè respirar il nemico; l'una verso il fiume Savanna nella Giorgia, l'altra a Ninetysix al di là del fiume Saluda, queste due per far levar in capo i leali molto abbondanti in quei luoghi; la terza per disperdere affatto le reliquie delle bande americane, le quali tuttavia andavano ronzando tra il Cooper e la Santee, e principalmente per rompere una testa di repubblicani, che sotto la condotta del colonnello Buford si ritiravano a gran giornate dalla Carolina. Ebbero tutte e tre felice fine. Accorrevano da ogni banda gli abitatori verso le genti regie, dichiarando di voler all'antica leanza ritornare, ed offerendosi di voler armata mano difendere e sostenere la causa del Re. Molti si affoltavano per le stesse cagioni e fini nella città stessa di Charlestown, a ciò ancora invitati da un bando mandato fuori da Clinton. Il conte di Cornwallis, spazzate le rive del Cooper, e varcata la Santee, s'impadroniva di Georgetown. Sì grand'era lo zelo dei popoli, o vero o simulato pel Re, ed il desiderio, parte per paura, parte per amore di gratuirsi il vincitore, che non contenti al venire essi stessi, conducevano anco prigioni seco loro quei libertini, che potevano aver fra le mani, ai quali poco prima con tanta prontezza obbedito avevano, e che ora col nome di oppressori appellavano. Intanto Buford colla sua schiera già si era assai dilungato, ed era assai difficile impresa quella di raggiungerlo. Ma Tarleton si offeriva pronto, e dava speranza di trarla a buon fine. Cornwallis gli concedè a tal uopo una buona frotta di cavalleggieri, ed un centinaio di fanti montati in groppa. Camminando egli con grandissima celerità arrivò il giorno 28 maggio a Cambden, dove ricevè le novelle, che Buford era partito il dì precedente da Rugeley's-mills, e che a gran giornate marciando era vicino a congiungersi con un'altra schiera di repubblicani, ch'era in via per venire da Salisbury a Charlotte nella Carolina Settentrionale. Conosceva Tarleton, di quanta importanza fosse il prevenire la congiunzione di queste genti. E perciò malgrado la stanchezza degli uomini e dei cavalli, dei quali alcuni per questa sola cagione erano morti, ed il calore della stagione, raddoppiò i passi, e tanto fu presta la mossa delle sue genti, che venne sopra il nemico in un luogo chiamato Wacsaws, trascorso avendo 105 miglia in cinquantaquattr'ore. Gl'Inglesi intimavano la resa agli Americani; questi ricusavano le condizioni animosamente rispondendo, volersi difendere. Ordinò Buford i suoi alla battaglia, ch'erano da quattrocento stanziali della Virginia con una torma di cavalleggieri del Washington. Gli distendeva in una sola fila; i cannoni, le bagaglie, tutta la salmerìa continuavano intanto ad andar al viaggio loro. Comandava, non traessero, finchè i cavalli inglesi non fossero vicini a venti passi. Tarleton non metteva tempo in mezzo; ma a trabocco si mescolava col nemico. Fatta una leggiera resistenza, andarono gli Americani in volta. Gli seguitarono ferocemente gl'Inglesi, e ne fecero strage. Fu piena la vittoria. Quasi tutti furono o uccisi o sconciamente feriti, o fatti prigioni. Tanto fu il furore degl'Inglesi in questo fatto, che spietatamente manomisero anche coloro, che si arrendevano. Da ciò si accanirono viemmaggiormente gli Americani, e nacque tra di loro un proverbio volgare, che volendo significare un crudel nemico, od una strage orribile dicevano: _I quartieri di Tarleton_. Le armi, inclusi i cannoni, le munizioni, le bagaglie, il carreggio, tutto vennero in poter del vincitore. E' pare che abbia Buford commesso in questo fatto due errori, dei quali il primo si fu quello di aver aspettato l'inimico, che prevaleva di cavalleria, in luogo aperto. Se invece di aver mandato il carreggio indietro, tosto ch'ebbe scoperto i regj, ne avesse fatto carrino tutto all'intorno delle sue genti, o non lo avrebbero gl'Inglesi assaltato, o ne sarebbero forse rimasti colla peggio. Il secondo poi fu quello di aver vietato a' suoi, non traessero al nemico, se non vicino; il che fu causa, che i cavalli di Tarleton caricarono avventati ed ordinati. Ritornò questi subitamente, conducendo seco le conquistate spoglie a Cambden, dove si ricongiunse con Cornwallis. Quella schiera di Americani, che si era avviata a Charlotte, udita la rotta di Wacsaws, fece altri pensieri, e se ne tornò più che di passo a Salisbury. La vittoria di Wacsaws, siccome quella, ch'ebbe rotte le ultime speranze dei Caroliniani, ridusse tutta la Carolina ad una intiera soggezione. Scrisse Clinton al ministro a Londra, che tutto vi seguitava il nome degl'Inglesi, e che pochi uomini vi rimanevano, i quali non fossero o prigionieri sulla fede loro, o coll'armi in mano in servizio del Re. Ma conosceva benissimo, che quello che acquistato aveva coll'armi, bisognava coi buoni ordinamenti civili confermare. Volse perciò l'animo a dar forma alle cose della provincia. Nel che fare si consigliava di volere e quetar gli animi colle perdonanze, e far concorrere i popoli alla difesa della provincia, ed al ristoramento in ella dell'autorità del Re. Bandì a questo fine congiuntamente coll'ammiraglio Arbuthnot un indulto pieno e libero in favor di coloro, i quali immediatamente alla leanza loro ritornassero, promettendo, che dei delitti e delle trasgressioni commesse per il passato circa le cose dello Stato non sarebbero riconosciuti. Solo eccettuò quelli, i quali posto avessero, sotto la coperta di schernevoli forme della giustizia, le mani nel sangue di quei concittadini loro, che la ribellione e le usurpazioni abborrito avevano. Considerato poscia, che molti tra gli abitatori della Carolina erano sotto la fede loro prigionieri di guerra, e che sino a tantochè in tale condizione continuassero, non si potevano convenevolmente costringere a pigliar le armi in favore del Re, Clinton poco curandosi, siccome vincitore, del rompimento della fede pubblica, dichiarò con un pubblico bando, mandato fuori espressamente il dì 3 giugno, ch'erano sciolti e liberi dalle parole, che date avevano, eccettuati solamente gli stanziali stati fatti prigionieri nel Forte Moultrie, e nella città di Charlestown. Aggiunse, ch'erano restituiti a tutti i diritti ed a tutti i doveri dei cittadini inglesi. Perchè poi non vi potesse esser dubbio intorno le intenzioni sue, e per chiarir anche i sospetti, fece a sapere, che ognuno doveva attivamente adoperarsi nel ristabilire ed assicurare il governo del Re, e nel liberar la contrada da quell'anarchia, che già da troppo lungo tempo afflitta l'aveva. E per dar sesto ed ordine alla cosa comandò, che ognuno si tenesse pronto a marciare al primo avviso, e che coloro che avevano famiglia si ordinassero in bande di milizia per le difese di casa, ma quei, che non ne avevano, dovessero militare in compagnia delle forze regie per cacciare, siccome diceva, i ribelli oppressori dalla provincia, e dalle calamità della guerra liberarla. Non durasse però la loro condotta oltre sei mesi, e non potessero adoperati essere fuori delle due Caroline e della Giorgia. Così i cittadini si spingevano contro i cittadini, i fratelli contro i fratelli; e coloro, i quali erano stati riconosciuti come soldati del congresso, poichè erano stati ammessi alla condizione di prigionieri di guerra, si costringevano a militare in favore del Re; cosa, se non nuova, certo non tollerabile, e che fu di pessimi effetti cagione, come racconteremo in appresso, contro coloro, che la usarono. Vedutasi da Clinton la quiete della provincia e l'ardore che pareva universale dei popoli nell'aiutare i regj, distribuite le genti nei presidj pe' luoghi più opportuni, e lasciate tutte quelle che stanziavano nella Carolina e nella Giorgia sotto la condotta del conte di Cornwallis, se ne partì da Charlestown per ritornarsene alla Nuova-Jork. Non erano in questo mezzo state le cose di quest'ultima città senza travaglio; perchè si trovò improvvisamente esposta ad un gravissimo pericolo. Era la vernata stata sì aspra, che il fiume del Nort con tutti i vicini stretti e canali ne erano invetrati e rassodati. Tale era la spessezza e la durezza del diaccio, che i più gravi pesi e le artiglierie stesse potevano passarvi sopra sicuramente. A questo inaspettato accidente si risentirono grandemente i generali del Re, e molto temevano della città stessa della Nuova-Jork, essendovi dentro assai deboli i presidj, e fuori l'esercito di Washington poco lontano. Non tralasciarono però nissuna di quelle diligenze, che in simil caso usare si potevano. Tutti i Jorchesi di qualsivoglia ordine o condizione si fossero, furono arruolati, armati ed ordinati in compagnie. I marinari stessi furono descritti in queste. Gli uffiziali e le ciurme delle fregate si posero alle artiglierie, quei delle navi da carico, annonarie e mercantili, armati di picche, stavano alle difese delle navi medesime, delle rive e dei magazzini. Ma Washington non era da sè stesso bastante a tentare cosa di momento alla vittoria. Le sue genti ch'erano baraccate a Morristown, non arrivavano al novero degli stanziali inglesi, che si trovavano nella Nuova-Jork. Mandò bene per tentar la cosa lord Stirling con una grossa banda di soldati sopra l'Isola degli Stati; ma questi, veduto, che niuno accidente nasceva dentro della città, che potesse dare speranza di prospero evento, se ne tornò a' suoi primi alloggiamenti. Così gli Americani per quella peste della brevità delle ferme, e per la tiepidezza, che presso di loro prevaleva a quei tempi, perdettero la più propizia occasione, che desiderar potessero, di affliggere con un gran fatto la potenza britannica. E se gli Americani per la debolezza loro erano costretti a contenersi nella quiete nelle vicinanze della Nuova-Jork, gl'Inglesi, inoltrata essendo di già la stagione, ed allontanato per lo scioglimento del ghiaccio il pericolo che corso avevano, non se ne stavano neghittosi. Ritornarono in su quelle loro ladronaie nella Cesarea. L'intento loro questo stesso era di voler devastare e rapinare, siccome anche di consuonar colle cose che si facevano nella Carolina, acciocchè l'inimico distratto in varj luoghi non potesse soccorrere a nissuno. I Generali Knyphausen, Robertson e Tryon, i quali, durante l'assenza di Clinton, governavano le genti della Nuova-Jork, in sull'entrar di giugno, ed alcuni giorni prima, che il capitano generale ritornato da Charlestown vi arrivasse, erano venuti con cinquemila uomini sopra le terre cesariane, ed impadronitisi d'Elisabethtown. Quivi si portarono molto lodevolmente, astenendosi dal sacco. Spintisi poscia più avanti occuparono Connecticut-farms, nuova ed assai prosperevole villata. Instizziti alla resistenza che incontrato avevano per via, imperciocchè le bande paesane stormeggiando tutto all'intorno erano accorse, e gli avevano combattuti, tutta l'arsero, eccetto solo due case. La chiesa stessa fu consumata dalle fiamme. In questo luogo successe un caso molto compassionevole, e che contribuì non poco a vie più inviperir i repubblicani contro i reali. Viveva in Connecticut-farms una gentildonna molto bella, e di lodevoli costumi ornata, sposata ad un Jacopo Cadwel, sviscerato libertino in quella provincia. Avvertita dal marito e dagli amici, si cansasse, non volle, confidatasi nella propria innocenza. Stavasene ella nelle camere sue sicuramente, conversando co' suoi piccioli figliuoli, che gli stavano attorno, con accanto la fantesca, la quale sulle proprie braccia sosteneva un bambino di lei. In questo mezzo ecco un soldato arrivare (dicesi sia stato un efferato Essiano), il quale posto l'archibuso sulla finestra, e presala di mira con una ferita mortalissima nel maternale petto l'ammazzò. Il sangue della madre sgorgando bruttò le tenere membra de' spaventati fanciulli. Sottentravano i soldati, e sotterrata in fretta la morta donna, la casa arsero ed ogni cosa. In tale guisa raccontano il dolente caso i repubblicani. Ma i reali mantengono, il colpo essere stato tratto dagli Americani, poichè affermano, fosse venuto dalla parte, ov'eglino si ritrovavano. Quale di questo sia la verità, la lagrimevol morte di questa gentildonna a tanta rabbia concitò i libertini, che, romoreggiando da ogni parte, ed accorrendo a calca, la fecero tornar in capo ai commettitori. Si erano questi messi in cammino per andar a conquistare un'altra Terra quivi vicina, chiamata Springfield, e giunti poco lungi vi trovavano dentro il generale Maxwell, il quale con un colonnello di stanziali cesariani, ed un grosso di arrabbiate milizie gli aspettava. Si fermarono gl'Inglesi, e quivi alloggiarono la notte. La mattina, ossiachè non bastasse loro l'animo di assalire un nemico sì grosso e sì risoluto, ovverochè, come divolgarono, avessero avuto le novelle, che si trovaron vere, che Washington avesse a gran fretta inviato da Morristown in aiuto di Maxwell una grossa squadra, davano indietro, e si ritiravano alle stanze di Elisabethtown. Gli seguitarono ferocemente gli Americani, sebbene con poco effetto pei buoni ordini, e pel valore di quelli. In questo punto arrivò Clinton alla Nuova-Jork, e tosto si deliberò di voler l'incominciata impresa ad un buono ed utile fine condurre. Era il suo intento di sbarbare Washington dai forti posti, che aveva pigliati nella contrada alpestre della Morrisonia, la quale, quasi come una cittadella naturale, aveva servito di sicuro asilo al capitano d'America contro gli assalti inglesi, anche quando le forze sue erano state più deboli. A questo fine imbarcò Clinton molte genti alla Nuova-Jork, e tali dimostrazioni faceva su pel fiume del Nort, che pareva, ch'ei vi volesse salire, per andare ad impadronirsi dei forti passi delle montagne per alla volta dei laghi. Teneva per fermo, che, saputesi da Washington queste mosse, avrebbe fatto qualche precipitazione, si sarebbe posto in gran gelosia di questi passi, e non avrebbe omesso di venire o con tutto, o colla più gran parte delle sue genti a guardargli. La qual cosa ottenutasi, disegnava l'Inglese colle genti che aveva a Elisabethtown, correre velocemente verso la Morrisonia, ed occupar in tal modo il solito nido di Washington. E quando per la lontananza loro que' luoghi non si fossero potuti tenere, era pure una gran cosa il distruggere le canove, che gli Americani fatte vi avevano. Effettivamente Washington, che stava continuamente alla vista, ed aveva odorato la mente di Clinton, temendo di West-point, e delle vicine ed importanti strette, serbatosi a randa il suo bisogno per guardare i poggi della Morrisonia, mandava le restanti genti sotto la guida di Greene sulle rive dell'Hudson. Partivano allora i reali da Elisabethtown, incamminandosi a gran passo verso Springfield. Giace Springfield alle falde delle montagne della Morrisonia sulla destra sponda di un fiumicello, che, sceso da quelle, lo bagna da fronte. Stava alla guardia del ponte il colonnello Angel con pochi, ma valenti soldati. Dietro questi, come una seconda schiera, si era posto in ordinanza il colonnello Shrieve col suo reggimento, e più in su sopra i primi poggi presso Short's-hill si erano attelati Greene, Maxwell, e Stark. Di stanziali difettavano; ma erano numerose, e concitatissime le milizie. Arrivavano i regj al ponte, e si attaccavano con molta furia coll'Angel. Questi si difendeva assai valorosamente. Molti ammazzava de' nemici, pochi perdeva de' suoi. Finalmente sopraffatto dal numero diè luogo, e con ottima ordinanza procedendo, andò a congiungersi colla seconda schiera. Occupato gl'Inglesi il ponte, si avventavano contro di questa. Sosteneva Shrieve un pezzo l'urto loro francamente. Ma in ultimo, vedutigli così grossi, ed armati di molte artiglierie, cedè il luogo, ed andò a porsi dietro la schiera del Greene. Esaminata poscia bene la positura de' luoghi, e la fortezza degli alloggiamenti americani, si levarono gl'Inglesi dal pensiero di assaltargli. Forse l'ora tarda, in cui già erano, l'ignorare la qualità delle forze nemiche, la difficoltà della contrada, l'ostinata difesa del ponte, il correre, che facevano da ogni banda le milizie all'armi, e la malagevolezza di tener aperta la via sino ad Elisabethtown contribuirono non poco a questa deliberazione dei reali. Intanto arrabbiati al non poter far frutto, predarono ed affocarono la ricca Terra di Springfield. Poscia indietreggiarono verso Elisabethtown. I repubblicani gonfj d'ira a quelle arsioni aspramente gli perseguitarono, e sì fattamente gli accanarono, che, se non fosse stata la disciplina, ed i buoni ordini loro ne sarebbero stati sconfitti all'estremo. La notte, abbandonate del tutto le terre cesariane, varcarono nell'Isola degli Stati. In questo modo dall'inaspettato valore degli Americani fu rotto tutto il disegno di Clinton. Ne ottennero gl'Inglesi biasimo e disonoranza, ed un odio immortale presso il nemico. Washington con lettere pubbliche molto commendò la virtù de' suoi. Tornando al proposito della nostra narrazione delle cose della Carolina, il reggimento inglese, che vi era stato introdotto, dacchè i reali avevano preso la tenuta della provincia, andava considerando del modo di ristorarvi i danni causati dalla guerra e dalle fazioni, e di vieppiù confermarla nella divozione del Re. Dopo la conquista i biglietti di credito perduto avevano ogni sorta di riputazione, e più non vi si potevano spendere per nissun valore. E siccome molti da un canto avevano ricevuto in pagamento di antichi crediti i biglietti scapitanti, e da un altro vi rimanevano da pagarsi molti residui di debiti contratti nel valore edittale di essi biglietti, così si vollero costringere i primi debitori a compensare ai loro creditori con un nuovo pagamento di moneta la differenza, che passava tra il valore reale, e l'edittale dei biglietti, e stabilire una norma ferma, giusta la quale i debitori dei residui dovessero con moneta ai loro creditori soddisfare. Si crearono a questo fine tredici commissarj, i quali fossero per informarsi dei varj gradi dello scapito dei biglietti, e facessero poscia uno specchietto, o tavola scalata della declinazione del credito di quelli; la qual tavola dovesse servire di norma legale nel pagamento degli anzidetti debiti. Procedettero i commissarj in questa difficile bisogna con eguale e giustizia ed avvedimento; e ragguagliando i prezzi che avevano le grasce nel paese a' tempi dei biglietti con quelli, che esse avevano l'anno precedente alla guerra, ed esaminate le diverse proporzioni degli scambj tra le monete effettive, ed i biglietti medesimi, formarono la tavola non solo anno per anno, ma ancora mese per mese, contenendo la prima colonna le date, la seconda la ragione del valor dei biglietti a quello delle monete, la terza la ragion del valore dei biglietti a quello delle grasce, e la quarta il mezzo proporzionale dello scapito. Questa estinzione del valor dei biglietti di credito causata dalla presenza degl'Inglesi nella Giorgia e nella Carolina fece sì, che quei, che se ne trovavano ancora per le mani, gli portarono, o mandarono nell'altre province, nelle quali, sebbene poco, conservavano però ancora qualche valore. Da questo, siccome pure dalla perdita della Carolina, e dal sinistro aspetto che avevano le cose del congresso a questo tempo, ne nacque, che i biglietti andaron soggetti in tutti gli Stati ad un nuovo e soverchio bassamento. La qual cosa vedutasi dal congresso, e conoscendo benissimo che nissun rimedio vi era, che atto fosse a resistere a tanta rovina, e ad arrestar il corso del disavanzo, determinò di cedere al temporale, ordinando, che per l'avvenire si spendessero i biglietti non nel valore edittale, ma nel convenzionato, e fece a quest'uopo anch'esso fare la tavola scalata, la quale dovesse servir di norma nei pagamenti. Questa risoluzione del congresso ch'era una violazione della pubblica fede, se si eccettuano alcuni debitori disonesti, fu e grata, ed utile all'universale. Imperciocchè nissuna calamità possa essere maggiore ad una nazione di quella, che nasce dall'avere un mezzo, che serve di pecunia, il quale sia fisso dalla legge, e variabile nell'opinione; e da un'altra parte i biglietti si trovavano allora nelle mani non dei primi, ma sibbene degli ulteriori possessori, i quali anch'essi gli avevano avuti a basso prezzo. Solo si sarebbe desiderato, che il congresso non avesse fatto tante e sì efficaci protestazioni di voler mantenere il valor edittale dei biglietti. Conciossiachè ed il tenore stesso dei biglietti, ed i termini della creazione loro, e tutti gli atti pubblici, che a quelli risguardavano, promesso avessero, e solennemente assicurato, che un dollaro in biglietti sempre speso si sarebbe, e compro per un dollaro d'argento. E pochi mesi prima aveva il congresso in una sua lettera circolare favellato, come di una cosa ingiustissima di questa stessa risoluzione, che ora aveva preso, affermando, che la supposizione sola, che si volesse abbracciare, era da aversi in orrore. Ma tal è la natura dei reggimenti nuovi, massimamente a' tempi delle rivoluzioni, in cui gli affari dello Stato sono, più che in altri, soggetti all'arbitrio della fortuna, che spesso promettono di quelle cose che poi non possono attenere, essendo più forte l'imperio delle circostanze, che la necessità di serbar la fede. La qual cosa dovrebbe tali reggimenti rendere rispettivi nell'allargarsi in promesse. Ma eglino, o poco esperti, o troppo confidenti, o credendosi di aver vinto l'impresa, quando han trovato modo di spignerla pure avanti un dì, sembrano per l'ordinario più voler promettere, quanto meno hanno facoltà di attenere. Il bando mandato fuori dai capitani britannici, pel quale disobbligavano dalle parole loro i prigionieri di guerra, e, restituendogli alla condizione di sudditi inglesi, gli costringevano ad unirsi alle genti regie, aveva causato non poco disgusto fra i Caroliniani. La maggior parte desideravano, poichè perduto avevano la libertà, di godersi almeno la pace alle case loro, accomodandosi in tal modo al tempo, e servendo alla necessità; la qual cosa, se fosse stata ad essi conceduta non avrebbero più fatto novità, e meno impazientemente sopportato avrebbero l'infelice condizione della repubblica. Quindi appoco appoco si sarebbero avvezzati al presente ordine di cose, e dimenticato avrebbero il passato. Ma quel bando di nuovo concitò la rabbia loro. Tutti dicevano; _se si ha a ripigliar le armi si combatta piuttosto per l'America, e per gli amici, che per l'Inghilterra, e per gli strani_. Alcuni, come dissero, così fecero. Sciolti dalla fede loro, siccome credettero di aver acquistato il diritto di ripigliar le armi, così lo vollero anche usare, e risoluti di pruovare ogni fortuna, per vie strane, ed incogniti tragetti si conducevano sulle terre della Carolina Settentrionale occupate tuttavia dalle genti del congresso. Altri continuarono a dimorare nel paese, e nella condizione di prigionieri, aspettando a volersi risolvere, che fossero chiamati attualmente dai capitani britannici sotto le insegne. I più, cedendo ai tempi, e non sofferendo loro l'animo di abbandonar le proprietà loro, e di ritirarsi in lontane regioni, come i primi, o temendo delle persecuzioni degl'Inglesi, e di quelle dei proprj paesani, desiderosi d'ingraziarsi presso i nuovi signori, amarono meglio, dissimulando, scambiar la condizion loro, e da prigionieri americani, diventar sudditi britannici. Alla quale risoluzione tanto più volentieri si accostarono, che correva voce, forse data ad arte, che il congresso fosse venuto in sulla determinazione di non contrastar più oltre agl'Inglesi la possessione delle meridionali province. La qual cosa non solo non era vera, ma era vero tutto il contrario, stantechè aveva il congresso nella sua tornata dei 25 giugno con molta solennità dichiarato, che ogni maggiore sforzo si voleva fare per ricuperarle. Ma queste cose non si sapevano dai prigionieri della Carolina, e vi si credeva dai più, ch'ella rimasta sarebbe una provincia britannica. Così la moltitudine correva parte per amore, parte per forza alla leanza. Ma gl'Inglesi avrebbero voluto avergli tutti, e non tornava lor bene, che vi rimanesse dentro, o fuori della provincia alcuno, che seguisse le parti del congresso. Epperò ogni sorta di stranezze usavano contro i beni, e le famiglie di coloro ch'erano fuorusciti, o di quei che rimasti erano prigionieri di guerra. Le proprietà dei primi erano sequestrate, e guaste, e le famiglie guardate di mal occhio, e taglieggiate, come di ribelli. I secondi erano spesso dai parenti loro separati e confinati in luoghi disagiosi e strani. Quindi quelli rientravano ogni giorno, e venivano a piegare il collo sotto il giogo della nuova servitù; e questi andavano anch'essi ad offerirsi, come buoni e fedeli sudditi del Re. Tra gli uni e gli altri vi erano di quegli stessi, i quali più vivi si erano dimostrati in quella loro impresa della libertà, e che avevano tenuto i primi maestrati nel reggimento popolare. Generalmente si escusavano col dire, che non avevano mai posto la mira all'independenza, e che detestavano la lega fatta colla Francia. Così gli uomini amano meglio esser tenuti bugiardi e spergiuri, che viver poveri e disgraziati. Queste cose si facevano nel contado. Ma gli abitatori della città, siccome quelli, che avevano per la capitolazione il diritto di starsene alle case loro, non furono inclusi nel bando dei 3 giugno. Epperò altri modi si usarono per fargli calare alla leanza. Gl'Inglesi ed i leali inveterati bucherarono di modo, che dugento e più Charlestonnesi fecero, e sottoscrissero una lettera pubblica, colla quale si rappresentarono al Capi britannici, seco loro congratulandosi dell'avuta vittoria. E siccome quest'era un concerto, fu loro risposto, goderebbero la protezione dello Stato, e tutti i benefizj della cittadinanza inglese, se volessero sottoscrivere una dichiarazione di leanza, e del buon animo loro a voler sostenere la causa del Re. Così fecero essi; molt'altri gl'imitarono. Quindi nacque una distinzione tra i sudditi ed i prigionieri. Erano i primi protetti, onorati, incoraggiati; i secondi guardati di traverso, molestati, perseguitati nella roba e nelle persone. I beni di costoro posti in contado erano manomessi e calpestati. In città era intrachiuso loro il ricorso ai tribunali per dirvi ragione contro i loro debitori, mentre da un altro canto era fatto abilità ai creditori, quand'eran sudditi, di chiamargli in giudizio. Quindi eran forzati a pagare i debiti, ed impediti dal riscuotere i crediti. Non erano lasciati uscir dalla città, se non colla licenza, la quale spesso, e senza nissun motivo era loro negata; e minacciati ancora di carcere, ove la leanza non sottoscrivessero. Le robe loro erano state messe a bottino dai soldati, e particolarmente gli schiavi involati. Nè v'era modo, che fossero loro restituiti, se non si piegavano, mentre i sudditi ciò di leggieri ottenevano. Erano gli artigiani permessi di lavorare, ma era poi negata loro la facoltà di farsi pagar la mercede delle opere dagli avventori, quando questi la ricusavano. Gli Ebrei stati erano lasciati comperare molte e ricche robe dai mercatanti inglesi, i quali colà eran venuti coll'esercito. Ma a meno che diventassero sudditi, non si permetteva loro di venderle. Insomma ogni arte si usava, e le minacce, e la forza per fare, che i cittadini mancassero alla fede data, ed all'antica soggezione ritornassero. I più simularono e dissimularono; e diventati sudditi furon fatti partecipi della britannica protezione. Altri o più ostinati o più virtuosi non s'inclinarono. Quindi le proprietà loro eran fatte bersaglio alla sfrenata cupidità delle soldatesche; altri nelle strette e pestilenti prigioni confinati; altri più fortunati, o più accorti incontrarono un volontario esiglio. In mezzo a così fiera catastrofe le donne caroliniane diedero l'esempio di una fortezza più che virile; e tanto amore dimostrarono di quella patria americana, che per me non saprei se le storie sì antiche che moderne ci abbiano tramandato la memoria di uguali, non che di maggiori. Non solo non tenevano a male, ma e si rallegravano, e si gloriavano all'essere chiamate col nome di donne ribelli. Invece di andarsene per le adunate pubbliche, dove si facevano le feste ed i rallegramenti, concorrevano a bordo delle navi ed in altri luoghi, in cui erano tenuti prigioni i consorti loro, i figliuoli e gli amici, e quivi con modi pieni di cortesia gli consolavano e riconfortavano. «Stessero forti, dicevano, non cedessero al furor dei tiranni; doversi anteporre le prigioni alla infamia, la morte alla servitù; risguardar l'America i suoi diletti campioni; sperare, i mali loro dover fruttificare, e produrre e confermare quella inestimabile libertà contro gli attentati dei ladroni d'Inghilterra; martiri essi essere, ma martiri di una causa sacra agli uomini e grata a Dio». Con tali detti ivano queste valorose donne disasprando i mali dei miseri cattivi. Allorchè i conquistatori nelle festevoli brigate, e ne' lieti concerti convenivano, non era mai che volessero le Caroliniane intervenirvi, e quelle poche, che sì facevano, n'erano presso le altre disgraziate. Ma come prima arrivava prigioniero in Charlestown un uffiziale d'America, tosto il ricercavano, e con ogni sorta di più onesta cortesia, e con ogni segno di osservanza e rispetto il proseguivano. Altre ne' luoghi più segreti delle case loro convenivano, e quivi addolorate lamentavano le sventure della patria. Altre i mariti loro incerti e titubanti riconfortavano, sicchè preferiron essi all'interesse ed ai comodi della vita un disagioso esiglio. Nè poche furono quelle, le quali venute per la costanza loro in odio ai vincitori, furono dalla patria bandite, ed ebbero i beni posti al fisco. Queste nel prender l'ultimo congedo dai padri, dai figliuoli, dai fratelli, e dagli sposi loro non che alcun segno dessero della fralezza, non so se nel presente caso io mi debba meglio dire maschile, o femminile, gli esortavano e scongiuravano, fossero di buono e saldo proponimento, non cedessero alla fortuna, e non sofferissero, che l'amore che portavano alle famiglie loro tanto in essi potesse, che dimenticassero quello, di ch'erano alla patria debitori. Quando poi, siccome accadde poco dopo, furono comprese in un bando dato ai libertini, abbandonate colla medesima costanza le natie Terre, ed esulando anch'esse, i mariti loro accompagnarono in lontane contrade, od anche sulle fetide e schife navi gli seguitarono, che a quelli servivano di prigione. Ivi ridotte in somma povertà, nutrendosi di vilissimi cibi, andavano con miserabile spettacolo mendicando il pane. Molte, ch'erano nate ed allevate in mezzo alle ricchezze, non solo ai soliti agi rinunciarono della passata vita, ed alla speranza della condizione avvenire delle famiglie loro, ma ancora ai più grossi lavorj; ed ai più umili servigi le disavvezze mani accomodarono. Tutte queste cose facevano non che con fortezza, con allegrezza; l'esempio loro confermò gli altri, e da questa fermezza delle caroliniane donne stette principalmente, che non venisse spento affatto nelle meridionali province il desiderio ed il nome della libertà. Da questo conobbero anche gl'Inglesi, che avevano alle mani un'impresa più dura di quello, che prima si fossero fatti a credere. Imperciocchè il più manifesto segno della generale opinione, e dell'ostinazione dei popoli in qualche pubblica faccenda loro quello sia, che le donne ne siano venute a parte, ed in questa abbiano posto la loro immaginazione, la quale se più debol'è, e più variabile di quella degli uomini, quand'è in calma, è bene molto più tenace e forte, quando è mossa ed accesa. In cotal guisa si travagliava nella meridional Carolina, essendovi da una parte, od una ostinazione aperta contro il volere dei vincitori, od una simulata sottomessione, e dall'altra quei consiglj stessi che si pigliavano, operando un tutto contrario effetto a quello, che gli autori loro si proponevano. Il calore intanto della stagione, lo stato medesimo poco sicuro della Carolina, la carestia delle provvisioni, e la necessità di aspettar, per campeggiare, che fossero fatte le messi, indussero un pressochè generale silenzio della guerra, e soprattennero gl'Inglesi, acciò non si volgessero a voler conquistare la Carolina Settentrionale prima dell'uscir d'agosto, o dell'entrar di settembre. Per la qual cosa Cornwallis distribuì i suoi nelle stanze, di manierachè più pronti fossero e a dar animo ai contenti, ed a frenar gli scontenti, ed a por mano, quando fosse venuto il tempo, alla invasione di quella provincia. Attendeva specialmente a raccor vettovaglie e munizioni da guerra, delle quali fece la principal massa a Cambden, Terra grossa posta sulle rive del fiume Wateree sulla calpestata, che conduce nella settentrionale Carolina. Temendo poi, che i leali di questa provincia da eccessivo zelo mossi non prorompessero innanzi tempo, e perciò rimanessero oppressi, mandava loro continuamente dicendo, aspettassero le messi; stessero quieti; apparecchiassero intanto provvisioni per le genti del Re, che venute sarebbero a soccorrergli verso settembre. Queste esortazioni non poterono tant'operare, che i leali della contea di Tryon messi al punto dal colonnello Moore non insorgessero. Ma oppressi tosto da un subito impeto dei libertini guidati dal generale Rutherford, pagarono con una totale sconfitta il fio dell'imprudenza loro, e del non aver dato ascolto agli avvertimenti di chi più di loro e sapeva e poteva. Ottocento leali però sotto la condotta del colonnello Bryan riuscirono a congiungersi colle genti regie. Mentre una delle parti si ordinava ad assaltare nella stagione propizia la settentrional Carolina per di là aprirsi la via nel cuore della Virginia, il congresso faceva ogni diligenza per mettersi in grado di poter ricuperare la Carolina Meridionale. Nel che fece, come si vedrà, grandissimi frutti. Così la guerra, che per la malvagità della stagione era quasi spenta, doveva al tempo nuovo con maggior rabbia, che prima, riaccendersi. Prima di raccontar quelle cose, che accaddero nell'aspra contesa che ne seguì, necessaria cosa è, che ci facciamo a descrivere quelle, che intervennero nelle isole Antille tra i due possenti, ed instizziti rivali. Già era seguìto un feroce affronto nelle acque de la Grange tra Lamotte-Piquet, che guidava quattro grosse navi, tra le quali se ne trovavano due di 74 cannoni chiamate l'una l'Annibale, l'altra il Diadema, ed il comandante Cornwallis, che ne aveva tre, la più grossa delle quali nominata il Lione portava 64 cannoni. Ma questa non fu, che leggiera avvisaglia rispetto alle battaglie, che poco dopo seguirono. Era verso il finir di marzo arrivato alle Antille il conte di Guichen con tali rinforzi marittimi, che il navilio francese vi arrivava bene a venticinque grosse navi di alto bordo. Diventati i Francesi superiori per l'armi navali, e prevalendo medesimamente delle terrestri, avevano senza soprastamento alcuno imbarcate molte genti sotto la condotta del marchese di Bouillé, e si appresentarono con ventidue navi tutte di tre ponti avanti l'isola di Santa Lucia. Intendevano di pigliarla per assalto. Ma tali furono le disposizioni fatte dal generale Vaughan delle forze terrestri, alle quali comandava, e sì accomodatamente si era l'ammiraglio Hyde-Parker, il quale dalle americane spiagge si era in queste recato con sedici maggiori navi, attraversato alla bocca del Gros-Islet, che i capitani francesi si tolsero dall'impresa, e se ne ritornarono alla Martinica. Giugneva pochi giorni dopo a Santa Lucia cogli aiuti d'Europa l'ammiraglio Rodney, il quale congiuntosi coll'Hyde-Parker venne ad aver con lui ventidue navi tutte di tre coperte. Fatti allora gagliardi, gl'Inglesi, commesse le vele al vento, andarono a volteggiarsi avanti il porto del Forte Reale della Martinica, invitando i Francesi a battaglia. Ma Guichen, che voleva far seco loro a ferri puliti, e combattere, quando voleva egli, e non quando volevano gli altri, non uscì. Per la qual cosa Rodney, lasciate in crociata alcune navi delle più veloci, perchè spiassero gli andamenti del nemico, ed avvertissero, se salpasse, se ne tornò colle rimanenti a Santa Lucia. I Francesi non si ristarono. La notte dei 13 aprile, levati quattromila valenti soldati uscivano con ventidue vascelli, pronti ad intraprendere quelle fazioni, per le quali si discoprisse loro migliore la occasione. Ne ebbe Rodney subito avviso, e corse a ritrovargli, avendo seco venti navi delle più grosse, ed una chiamata il Centurione di 50. Guidava la battaglia lo stesso ammiraglio Rodney, capitano generale dell'armata, l'antiguardo Hyde-Parker, il dietroguardo Rowley. Solcavano i Francesi il canale della Domenica, intendendo di sboccar per questo per potersi poscia allargare al vento della Martinica. Governava tutta l'armata come capitano generale il conte di Guichen, la vanguardia il cavaliere di Sade, la retroguardia il conte di Grasse. Si incontrarono le due armate la sera dei 16 aprile. Si studiavano i Francesi di schivar la battaglia, avendo le navi loro ingombre di soldati, e trovandosi a sottovento. Ma gl'Inglesi andavano loro incontro. Sopraggiunse la notte, durante le quale Guichen iva aggirandosi, affine di non trovarsi all'indomani nella necessità del combattere; Rodney per lo contrario col disegno di costringervelo. La mattina seguente le due armate, fatti con mirabil arte molti volteggiamenti, finalmente ad un'ora meridiana si attaccarono la vanguardia inglese colla retroguardia francese, la quale pei detti volteggiamenti era divenuta vanguardia, mentre la vanguardia era divenuta dietroguardia. Arrivava in questo mentre colla battaglia Rodney, e si mescolava colla battaglia francese, combattendo francamente il Sandwich, sul quale egli stesso si trovava, colla Corona, che portava il conte di Guichen, e coi suoi due secondi. Ma siccome l'armata francese aveva fatto grande sforzo di vele prima che s'incominciasse il combattimento, così gli ordini suoi non erano fitti. Oltreacciò la sua vanguardia, siccome quella, ch'era meno veloce veleggiatrice della battaglia, e della dietroguardia, era rimasta indietro a sottovento, ed era nata una notabile distanza tra essa e le due seconde. Questa distanza era anche diventata maggiore, perciocchè la nave francese, l'Azionario, che nella fila era l'ultima della battaglia, e perciò avrebbe dovuto congiungersi colla prima della vanguardia diventata, come dicemmo, dietroguardia, era anch'essa rimasta indietro, e lasciatasi calare sottovento. Volle Rodney giovarsi di questa opportunità, e si mosse a fine di entrar di mezzo, e tagliar fuori questa dietroguardia dalla restante armata. Ma la nave il Destino, capitanata da Dumaits de Goimpy, ch'era la testa della dietroguardia medesima, gli si attraversò nel suo cammino, e combattendo valorosamente lo arrestò. Ne sarebbe ella però stata sfolgorata da una forza tanto superiore, se non che il conte di Guichen, accortosi del disegno di Rodney, aveva ordinato alle navi della battaglia, che voltassero i bordi, e tutte di compagnia, pigliando il vento in poppa, ed indietreggiando, andassero a raggiungere, ed a soccorrere la dietroguardia. Fu la mossa eseguita con grandissima celerità, ed in tal modo fu rotto all'ammiraglio inglese un disegno, il quale, se avesse avuto effetto, causato avrebbe l'ultimo eccidio dell'armata francese. In questo punto Rodney correndo pericolo, che Guichen facesse a lui quello, ch'egli aveva voluto fare a Guichen, si tirava indietro, ed iva di nuovo a porsi nella fila coll'altre sue navi. Poco poi volle ricominciar la battaglia, e già aveva disposte le vele per ciò fare. Ma veduto, che il Sandwich, ch'era la sua nave capitana, a mala pena pei gravi danni sofferti poteva pigliar l'abbrivo, e che anzi faceva le viste di voler affondare, avendo anche altre navi sconciamente rotte e fracassate, se ne rimase. Il conte di Guichen, fatto penna, racconciò le sue navi; poscia pose nella Guadaluppa per deporvi i suoi feriti e malati. Rodney continuò a volteggiarsi nell'alto mare, e poscia si condusse a porsi in crociata davanti il Forte Reale della Martinica, sperando di poter intraprendere l'armata francese, che credeva, fosse per venire a dar in terra a quel porto. Ma finalmente, non vedendo comparir il nemico, e conosciuta la necessità di rassettar le navi, di far acqua, di sbarcar i feriti, ed i malati, andò a dar fondo a Choc-bay nell'isola di Santa Lucia. Morirono in questo fatto degl'Inglesi da 120, e furon feriti 350. Dei Francesi morirono 221, e furon feriti 340. Rodney nel racconto, che mandò in Inghilterra, della battaglia, assai lodò l'ammiraglio francese, come capitano esperto e valoroso, aggiungendo ancora, ch'era stato acconciamente secondato da' suoi uffiziali. Nel che tacitamente rimproverò i suoi, dei quali generalmente fu scontento. L'uno e l'altro ammiraglio pretendettero la vittoria, come sempre suol accadere nelle battaglie, che hanno avuto un fine dubbio. Guichen, racconciate le navi, e levati di nuovo i soldati dalle bande terrestri sotto la guida di Bouillé, diè un'altra volta le vele ai venti. Era il suo disegno di rimontar al vento dell'Isole passando a tramontana della Guadaluppa, e ciò fatto sbarcar le genti a Gros-Islet nell'isola di Santa Lucia. Avuto Rodney avviso della cosa, si pose anch'esso in mare, andando in cerca del nemico. Sboccava dal canale di Santa Lucia, quando Guichen radeva l'estreme spiagge della Martinica verso la punta delle Saline. L'ammiraglio francese, veduta l'armata inglese, si levò dal pensiero di assaltar Santa Lucia. Prese poi molto accortamente la risoluzione di astenersi dal venir a battaglia, quantunque avesse ciò in poter suo di fare agevolmente, godendo il sopravvento. Ma prima voleva quei vantaggi ottenere, che la natura di quei mari, e la qualità del vento gli offerivano. Per la qual cosa andava muovendosi di modo, che conservar potesse il sopravvento, e tirasse gl'Inglesi al vento della Martinica. Imperciocchè in tal caso, vinto, avrebbe potuto ripararsi nei porti di quest'isola, vincitore, non avrebbe il nemico disfatto trovato rifugio. L'Inglese andava via via approssimandosi, ed ogni sforzo faceva per riuscir a sopravvento. Avevano le due armate ricevuto ciascuna un rinforzo di una grossa nave d'alto bordo, la francese del Delfino reale, l'inglese del Trionfo. In questi volteggiamenti, nei quali i due ammiragli diedero pruove di non ordinaria perizia nelle cose marinaresche, si consumarono parecchi giorni, senza che l'Inglese potesse venir a capo dell'intento suo. I Francesi, essendo le navi loro più veloci, a fine di adescar gl'Inglesi colla speranza di una vicina battaglia, e tirargli, come si è detto, vieppiù al vento della Martinica, spesso si lasciavano avvicinare; poscia tutto ad un tratto, collate tutte le vele, si allontanavano. Questo giuoco continuò buon tempo con prospero successo; ma infine poco mancò, non impacciasse i Francesi in una generale battaglia, la quale stata sarebbe ad essi molto pericolosa, non essendo, siccome quelli, che tuttavia la volevano evitare, in ordinanza accomodata per combatterla. Erasi, dopo varie folate, il vento volto ad ostro. La qual cosa vedutasi da Rodney, che stava vigilantissimo, fece improvvisamente voltare le prue alle sue navi, e, correndo per converso a forza di vele, cercava di mettersi sopravvento al nemico per poter poi col vento prospero andargli addosso. Gli sarebbe venuto fatto il disegno, se non che il vento inclinatosi in quel forte punto subitamente a scirocco, diè facoltà all'ammiraglio francese di rivoltar ancor esso i bordi; per mezzo della qual mossa e fronteggiò l'inimico, e l'impedì che non riuscisse a sopravvento. Di nuovo si tirò indietro per non combattere. Ma essendo per l'ultime mosse accostatesi l'una all'altra le due armate, quanto pativa il tiro delle artiglierie, e spingendosi avanti gl'Inglesi velocemente colla vanguardia loro, si attaccò tra questa, e la dietroguardia francese la battaglia, inclinando già il sole all'orizzonte, il giorno dei quindeci maggio. Le prime navi della vanguardia inglese, e più di tutte l'Albione, le quali erano alle mani sole contro tutta la dietroguardia francese, ricevettero infinito danno. Arrivarono intanto le altre. Ma i Francesi più destri al veleggiare si allontanarono. Questo fu il secondo incontro tra l'ammiraglio Rodney, ed il conte Guichen. Conservarono i Francesi il sopravvento. Continuarono le due armate pei tre seguenti giorni in veduta l'una dell'altra, muovendosi ambedue coi sovraddescritti fini. Finalmente la mattina dei 19 maggio, trovandosi già gl'Inglesi inoltrati al vento della Martinica per ben quaranta leghe, ed a quattro o cinque a libeccio dei Francesi, il conte di Guichen si determinò ad aspettar la battaglia, ed a questo fine assicurò le vele. Quando poi già si era avvicinata la vanguardia inglese buon pezzo, la francese si spiccò anch'essa e si attaccarono l'una l'altra con eguale valore. Poco dopo arrivarono le altre squadre a' luoghi loro, attelandosi i Francesi a sopravvento, gl'Inglesi a sottovento. La battaglia diventò aspra e generale, combattendo gli uni da orza, gli altri da poggia. Ma le navi francesi della vanguardia e quelle del mezzo essendosi, per combattere più manescamente, accostate più da vicino alla fila inglese, e perciò rimanendo la retroguardia buon pezzo indietro, vi era pericolo, che gl'Inglesi dopo di aver orzato, venissero, poggiando a piene vele, a caricarla. Per prevenir i mali, che da questa mossa degl'Inglesi avrebbero potuto risultare, Guichen fe' rivoltar i bordi alle sue, ed andò di nuovo a porsi in fila colla sua retroguardia. Fu questa mossa molto opportuna; e se l'ammiraglio francese non l'avesse eseguita, ne sarebbe qualche gran disastro avvenuto alla sua flotta. Imperciocchè qualche tempo dopo, ch'ella era stata condotta a fine, ecco che si scopersero nuove navi inglesi, le quali si difilavano a slascio, ed a piene vele contro la retroguardia francese. Ma però, quando esse conobbero, che già la vanguardia, e la battaglia si erano a quella raccozzate, e che tutte e tre si erano in ottima ordinanza arringate, si stettero. Allora l'ammiraglio Rodney raccolse le sue, ch'erano sparse, e di nuovo le affilò. Stettero in tal modo le due armate l'una a rimpetto dell'altra sprolungate sino alla notte, anzi sino all'indomani; ma più oltre non si mescolarono, probabilmente pei danni invero gravi, che avevano ricevuto in questo e nel precedente combattimento. Rodney, mandate le navi il Conquistatore, la Cornovaglia, ed il Boyne, che più delle altre stat'erano danneggiate, a racconciarsi a Santa Lucia, si condusse colle rimanenti a far porto nella cala di Carlisle nell'isola delle Barbade. La Cornovaglia affondò in sull'entrar del carenaggio. Guichen nel medesimo tempo ammainò le vele nel Forte Reale della Martinica. Perdettero gli Inglesi in questi due ultimi incontri da 68 morti, e da 300 feriti. I Francesi 158 morti, e meglio di 800 feriti. Tra i morti noverarono il figliuolo stesso di Guichen, e molti uffiziali di conto. Anche gl'Inglesi ebbero a lamentar la morte di alcuni uffiziali assai riputati. Questo fine ebbero le tre battaglie combattute tra i Francesi, e gl'Inglesi nelle Antille, nelle quali, se a un di presso uguali erano le forze dalle due parti, furono anche uguali la industria ed il valore. Nel che si può far considerazione, quanta efficacia abbiano nel destino delle battaglie, e nel preservar le nazioni da fatali rotte l'arte e l'ingegno dei capitani. Perocchè egli è evidente, che se nei tre combattimenti, che abbiamo testè raccontato, o nel lungo fronteggiare, che fecero l'uno e l'altro per lo spazio di molti dì, i due nemici ammiragli avessero sfallito in un sol punto, ne seguiva la rotta e la rovina dell'armata. Se sin qui erano state in bilico le forze francesi ed inglesi nelle Antille, bene non tardarono molto le prime a diventar d'assai superiori per l'accostamento di un'armata spagnuola poco dopo in quei mari sopraggiunta. Erasi la Spagna posta in grandissimo desiderio d'acquistar l'Isola Giamaica, ed i Francesi dall'altro canto bramavano d'impadronirsi delle altre isole, che tuttavia erano in poter del nemico. Le quali cose se si fossero potute ottenere, era del tutto posto fine alla signoria inglese nelle Antille. Per queste cagioni era partito verso mezzo aprile da Cadice Don Giuseppe Solano con dodici navi d'alto bordo, e parecchie fregate. Scortavano queste meglio di ottanta navi da carico, che portavano undicimila buoni fanti spagnuoli con una quantità grandissima di artiglierie e di munizioni da guerra; fiorito, e formidabile apparecchio, e molto capace invero a servir ai fini, che i confederati, e principalmente la Spagna si proponevano. Già viaggiavano felicemente per l'Atlantico, dirizzando il corso loro al Forte Reale della Martinica. Quivi si doveva fare la massa generale con tulle le forze francesi. Stavasi Rodney tuttavia nella cala di Carlisle, attendendo a riposare, ed a curare i suoi, a far acqua e munizioni, ed a racconciar le fracassate navi. Non aveva egli nissun sospetto di quella piena, che gli veniva addosso. Ma il capitano Mann, che si volteggiava in crociata per l'Atlantico colla fregata il Cerbero, incontrossi tra via colla conserva spagnuola; e conosciuta la cosa di quell'importanza ch'era, pigliando la carica sopra di sè, che il suo ammiraglio sentirebbe tutto in bene, scostandosi dalle commessioni che aveva, veleggiò rattamente alla volta delle Antille per recar l'avviso a Rodney. Avuta Rodney questa novella, troncato ogni indugio, salpava per andar all'incontro della flotta spagnuola, confidentissimo della vittoria, se avesse potuto venirle sopra prima del congiungimento di lei colla francese; e siccome sospettava di ciò, ch'era veramente, cioè, che quella s'avviasse alla Martinica, così l'aspettava per combatterla in sulla via solita a tenersi dalle navi, che verso la medesima isola sono in cammino. Era molto bene considerato il suo disegno; ma la prudenza e precauzione dell'ammiraglio spagnuolo glielo ruppe. Dubitandosi questi di non so che, quantunque niuna cosa avesse spirato dello attendere degl'Inglesi, e del pericolo che gli soprastava, invece di andar per la diritta via verso il porto del Forte Reale della Martinica, torceva il cammino a diritta verso tramontana, indirizzando il corso delle sue navi più in su verso l'Isola Domenica, e la Guadaluppa. Quando poi già era vicino a queste arrivato, si fermò, mandando per mezzo di una fregata molto veloce dicendo a Guichen, venisse a congiungersi seco. Uscì il francese con diciotto vascelli, ed essendo informato, che gl'Inglesi si volteggiavano a sopravvento delle Antille, egli per ischivar l'incontro loro navigò a sottovento delle medesime, e fu sì cauto e prospero il suo viaggio, che le due armate si congiunsero insieme tra la Domenica e la Guadaluppa. Certamente, se tutte queste forze, le quali assai superavano quelle di Rodney, avessero potuto conservarsi intiere, o che i confederati si fossero tra di loro meglio accordati, si sarebbe ottenuto il fine, che si erano proposto, di distruggere affatto la potenza britannica nell'Isole occidentali. Ma prima di ogni cosa queste forze portavano dentro di sè medesime i semi della propria distruzione. Era nata in mezzo ai soldati spagnuoli tra per la lunghezza del viaggio, la carestia delle fresche vettovaglie, il cambiamento del clima, e la immondizia loro una febbre pestilente, che, con incredibile celerità propagatasi, molti già aveva tolti di vita, e tuttavia toglieva. Oltre i morti nel tragitto, eransi sbarcati dodici centinaia di malati alla Domenica, ed altrettanti, e forse più alla Guadaluppa ed alla Martinica. Nè perchè il clima di quelle isole fosse sano, o perchè si somministrassero loro nuovi alimenti, rimetteva il male della sua ferocia. Ogni dì molti valorosi soldati passavano da questa all'altra vita. La contagiosa influenza si appiccò anche ai Francesi, e molto fra i medesimi infuriava, sebbene non tanto, quanto fra gli Spagnuoli. Da quest'inopinato, disordine ne nacque, che i confederati non solo grandemente rimetterono dell'ardire loro all'intraprendere, ma anche una gran parte degl'instromenti a ciò fare venner loro meno. S'aggiunse a questo, che gli Spagnuoli avrebbero voluto far prima l'impresa della Giamaica, i Francesi quella di Santa Lucia, e delle altre vicine isole. Il che fu causa, che non si tentò nè l'una, nè l'altra. In queste circostanze tanto da quelle diverse, che gli alleati si erano poco prima alla immaginazione loro rappresentate, imbarcarono di nuovo le poco sane genti, e procedevano di conserva verso le isole disottane. Guichen accompagnò gli Spagnuoli sino nelle acque di San Domingo, donde, lasciatigli andare al viaggio loro, pose al Capo francese. Quivi si congiunse colla flotta di Lamotte-Piquet, che colà stanziava per la protezione del commercio. Gli Spagnuoli procedettero, ed andarono ad afferrare all'Avanna. Rodney intanto, avute le novelle della congiunzione delle due flotte nemiche, andò a porsi a Gros-islet in Santa Lucia. Quando poi ebbe inteso, che i nemici erano partiti dalla Martinica, avendo ricevuto dall'Inghilterra un rinforzo di vascelli e di soldati guidati dal comandante Walsingham, ne mandò un buon polso alla Giamaica per assicurarla contro gli assalti dei confederati. Coi restanti se ne rimase a Santa Lucia per osservar il nemico, e proteggere le isole vicine. In questa maniera si terminarono le speranze, che sì verdi concette si erano in Francia ed in Ispagna intorno le conquiste da farsi nelle Antille inglesi; colpa parte della fortuna, e parte della diversità e della disgiunzione degl'interessi, che prevalgono per l'ordinario nelle menti dei confederati, i quali concorrere uniti al medesimo fine non vogliono, e discordi non possono. Dopo le cose, che fin qui abbiamo raccontate, succedè per qualche tempo nelle Antille come quasi una generale tregua da ambe le parti. Ma se era cessata la rabbia degli uomini, sottentrò quell'assai più tremenda degli elementi. Era giunto il presente anno al mese d'ottobre, e godevansi gli Antillesi l'inaspettata cessazione dell'armi, e quella securità, che sì poco avevano sperato, quando i mari e le spiagge loro furono afflitte da una sì spaventevole tempesta, che pochi, o nissun esempio si trovano di altrettanto furore nei ricordi delle cose marinaresche, sì pieni peraltro di orribili disastri, e di compassionevoli naufragi. E quantunque questo terribile flagello di Dio abbia, dove più, dove meno disertato tutte le Antille, in nissuna però tanto infuriò, quanto nella fiorita isola delle Barbade. Incominciò a menare la non descrivibile tempesta la mattina dei dieci, e continuò ferocissimamente per ben quarantotto ore. Le navi, che sicure stavano nel porto, furon tosto strappate dalle ancore, e nell'alto e tempestoso mare sospinte. Correvanvi un vicinissimo pericolo di naufragio. Non meno degna di compassione si trovò la condizione di coloro, che rimasero in terra. Imperciocchè la notte, che seguì, crescendo vieppiù la violenza della bufera, le case diroccavano, gli alberi si diradicavano, gli uomini e le bestie erano arrandellati qua e là, e pesti miserabilmente. La capitale stessa dell'isola fu pressochè uguagliata al suolo. La magione del governatore molto forte, conciossiachè avesse le mura grosse ben tre piedi, era scossa fin dalle fondamenta, e faceva le viste di voler crollare. Di dentro abbarravano le porte, e le finestre, ed ogni sforzo facevano per resistere a tanto stravolgimento del cielo. Tutto fu nulla. Superò il dragone irreparabile; schiantò dai gangheri e dagli arpioni le porte e le imposte; le mura stesse diroccava. Il governatore colla sua famiglia si rifuggiva nelle sotterranee volte. Ma da questo cercato asilo contro il vento lo cacciava tosto l'acqua, la quale cadendo dal cielo dirottissimamente inondò, e, quasi un secondo diluvio, sopraffece ogni cosa. Uscivano allora all'aperta campagna, dove con incredibile stento e pericolo si ricoverarono dietro un mastio, sopra il quale era rizzata la stacca della bandiera; ma questo ancora traballando alla furia del trabocchevole vento, temendo di essere stiacciati da cadenti massi, un'altra volta si allargarono nei campi. Fortuna, che non si sbrancarono, perciocchè separati e privi l'un l'altro dell'aiuto dei compagni, tutti ne sarebbero stati morti. Pure aggirati dal remolino tornavano qua e là, e s'avvoltolavano nel fango e nella mota. Infine stanchi, fracidi e trafelati si ripararono ad una batteria, e dietro i carretti dei grossi cannoni si appiattarono, miserabile e poco sicuro asilo; imperciocchè anche questi erano violentemente scossi e traportati dalla procella. Le altre case della città, siccome più deboli, essendo state prima di quella del governatore rovinate, andavano gli abitatori vagando qua e là in quella tristissima notte senza asilo e senza ristoro. Molti perirono sotto i rottami delle case loro; altri annegarono nelle sopravanzanti acque: parecchj affogarono nella mota. Le tenebre spessissime, il frequente folgoreggiar del cielo, i tuoni spaventevoli, il fischiare orribile del vento, lo stridore della cadente pioggia, le grida miserabili dei morenti, le lamentazioni compassionevoli di coloro, che disperati erano al non potergli soccorrere, il pianto e gli urli delle donne e dei fanciulli facevano di modo, ch'e' pareva venuto il finimondo. Ma all'aprirsi del dì si discopriva agli occhi dei sopravviventi uno spettacolo da essere piuttosto raffigurato dalla spaventata immaginazione, che descritto da una mente non percossa da tanta calamità. Quella testè sì ricca, sì fiorita, sì ridente isola pareva ora ad un tratto trasformata essere in una di quelle polari regioni, dove per l'aspetto sinistro del sole regna un eternale inverno. Case nissune in piè, o rovine traballanti; alberi diradicati; cadaveri umani sparsi qua e là; niun bestiame vivente; la sopraffaccia stessa della terra non pareva più quella. Non che fossero distrutte le promettenti messi e le copiose ricolte; i giardini medesimi, sì dilettevole ornamento, ed i campi, sì lieta speranza dei mortali, non erano più: o arena, o fango, o pozze dappertutto; i partevoli termini distrutti; i fossi scassati; le strade sprofondate. Sommò il numero dei morti a parecchie migliaia. Questo si sa; ma quanto sia stato per l'appunto, è incerto. Imperciocchè oltre di quelli, ai quali furon sepoltura le rovine delle case loro, non pochi furono agguindolati dal crudel girone fin dentro il mare, altri sguizzati via da novissimi, e non mai più veduti torrenti, e fiumi, o dall'onde marine strascinati, le quali, oltrepassato il solito confine, dilagato avevano, e spazzato molto indentro le terre. Tanta fu la gagliardia del vento, che un cannone, che buttava dodici libbre di palla, ne fu trasportato, se si dee prestar fede ai documenti più solenni, da una batteria all'altra, lontana bene a trecento passi. Quello poi, ch'era avanzato al furor della tempesta, diventò preda in parte della rabbia degli uomini. Rotte le prigioni saltaron fuori in quella fatal notte i ribaldi, i quali in un coi Neri poco curando, come gente disperata, la rabbia del cielo, tutto avevan messo a sacco ed a ruba. E forse ne sarebbe stata tutta l'isola condotta ad un totale sterminio, ed i Bianchi tratti a morte, se non era, che vi si trovò a quel tempo il generale Vaughan con una grossa schiera di stanziali, i quali colla disciplina e virtù loro la scamparono. E tanto fecero, che cansarono una grossa quantità di munizioni da bocca, senza di che era da temersi che gl'isolani testè liberati dal flagello della tempesta non soggiacessero a quello non men orribile della fame. E non è da passarsi sotto silenzio da un candido amatore della verità, e delle opere gentili, che i prigionieri di guerra spagnuoli, che non eran pochi in quel dì nella Barbada sotto la condotta di Don Pedro San Jago, capitano del reggimento d'Aragona, fecero tutte quelle parti, che a ben nati e civili uomini si convenivano. Posti tra quel violento scroscio in balìa loro, non che si valessero dell'opportunità offerta per commettere qualche atto inimichevole, niuna cosa lasciarono intentata, nè a fatica, nè a pericolo alcuno si ristettero per aiutare i miseri Barbadesi. Nel che la cooperazione loro non riuscì di poca utilità. Le altre isole sì francesi, che inglesi furono poco meno di quella della Barbada devastate. Ma nella Giamaica all'impeto della tempesta si coniunse un orribile tremoto, ed inoltre il mare gonfiò sì fattamente, che tutte le case, ed i campi, sin molto addentro nell'isola, ne furono totalmente desertati. Ma stantechè il vento era da levante, gli effetti del temporale furono maggiori sulle spiagge occidentali della medesima, particolarmente nei distretti di Westmoreland, e di Hannover. Accadde in ispecialità, che mentre gli abitanti di Savanna-La-Mer, ricca e grossa Terra nel Westmoreland, stavano stupefatti osservando l'inusitato gonfiamento del mare, lo sterminato cavallone arrivò loro addosso, e tutto, uomini, bestie, case portò seco a perdizione. Non rimase vestigio veruno di quella infelice Terra. Più di trecento persone furono inghiottite dalle onde. I fertili campi rimasero largamente coperti d'infecond'arena. Le più opulenti famiglie furono ad un tratto ridotte alla più strema miseria. E se oltre ogni dire degna di compassione fu la condizione di coloro, i quali in terra abitavano, non fu migliore quella degli altri, che si trovarono in sull'acque. Imperciocchè delle navi, che gli portavano, alcune andarono a traverso negli scogli, altre furono ingoiate dal furibondo mare, ed altre a grande stento se ne tornarono lacere e fracassate nei porti. A queste fatali strette si trovarono non solo quelle, che viaggiavano, ma ancora quelle, ch'erano sorte nei porti anche i più sicuri, le quali o ruppero dentro i medesimi, o furono cacciate di forza nel mare sì straordinariamente fiottoso. Tra le altre il Fulminatore di 74 cannoni affondò anime e beni. Parecchie fregate o naufragaron del tutto, od in tal modo furono scassinate, ch'era difficil cosa diventata il racconciarle. Perirono in tutto per gli effetti di questa procella di navi inglesi un vascello di 74, due di 64, uno di 50, con sette in otto fregate. In mezzo a tanti, e sì gravi disastri, e ad un quasi totale disfacimento della natura, recò qualche conforto la umanità del marchese di Bouillé. Erangli venuti nelle mani alcuni marinari inglesi, miserabili reliquie delle ciurme delle navi il Lauro, e l'Andromeda, che rotte si erano sulle spiagge della Martinica. Gli rimandò franchi e liberi a Santa Lucia, mandando, non voler ritenere prigioni coloro, i quali erano stati alle prese cogli arrabbiati elementi, e dall'impeto loro scampati. Aggiunse, sperare, avrebbero gl'Inglesi i medesimi termini usato verso di quei Francesi, che l'inesorabile fortuna avesse gettato in poter loro. Ricordò, increscergli, gl'Inglesi cattivi esser così pochi, e nissun fra gli uffiziali essersi salvato. Conchiuse con dire, che siccome era stata comune ed universale la calamità, così anche dover esser comuni ed universali la umanità e la benevolenza. I mercatanti di Kindston, città capitale della Giamaica, con mirabil esempio di bontà cittadina tosto si obbligarono a somministrare un aiuto di diecimila lire di sterlini ai sofferitori. Il Parlamento, udito il fortunoso caso, quantunque a quei dì tanto fosse pressato dalle spese della guerra, decretò si donassero ai Barbadesi ottantamila lire di sterlini, ed a quei della Giamaica quarantamila. Nè i doni si ristettero alla munificenza pubblica; che anzi molti privati cittadini vollero soccorrere della propria pecunia gli abitanti delle Antille. Il navilio di Guichen, e quello di Rodney schivarono la burrasca, perchè il primo già era partito nel mese d'agosto per alla volta dell'Europa con quattordici vascelli di tre palchi, convogliando una ricca e numerosa conserva di navi mercantili. Il secondo, e per questa stessa partenza di Guichen, non sapendo, dove questi s'inviasse, e perchè quelle genti spagnuole sbarcate all'Avanna gli davano non poco sospetto, mandate, come abbiamo detto, alcune navi a proteggere la Giamaica, si era posto in via poco tempo dopo colle rimanenti per alla Nuova-Jork. Ma però in America, prima ch'egli vi arrivasse, anzi prima che partisse dalle Antille, v'era intervenuto un maraviglioso rivolgimento nelle pubbliche cose, siccome da noi sarà in conveniente luogo raccontato. Combattendo nel modo che si è detto, tra di loro così ferocemente gli uomini e gli elementi sulla terra-ferma d'America, e nelle circonvicine isole, non se ne stavano in Europa oziosamente a badare i potentati guerreggianti. Prevalevano gl'Inglesi per l'unità dei consiglj; ma avevano a paragon dei confederati minor numero di navi, quantunque le loro meglio instrutte fossero di quelle dei Francesi e degli Spagnuoli. Avevano questi per lo contrario più numeroso navilio, e più copiosi soldati. Ma tratti gli uni e gli altri in diverse parti dai contrarj interessi non facevano quel frutto, che avrebbero potuto desiderare. Quindi è, che gli Spagnuoli, avendo sempre la loro principal mira posta all'acquisto di Gibilterra, là mandavano le genti, e spendevano i tesori. A questo medesimo fine le navi loro ritenevano nel porto di Cadice, invece di congiungerle alle francesi, e tentare, uniti a questi, qualche rilevata impresa contro la potenza britannica. Quindi i Francesi obbligati erano a mandar le loro in quel medesimo porto, ed intanto le armate inglesi bloccavano i porti loro dell'Oceano, intraprendevano il commercio, arraffavano le conserve, pigliavano le fregale. Era uscito all'alto mare con un'armata di circa trenta vascelli l'ammiraglio inglese Geary, il quale, morto Carlo Hardy, era stato posto in suo scambio al governo di quella. S'incontrò il dì tre di luglio in una conserva di navi mercantili francesi cariche di cocco, di zucchero, di caffè e di cotone, e scortate dal vascello il Fiero di 50 cannoni. Geary diè dentro, e ne pigliò dodici, e più ne avrebbe pigliato, e forse tutte, se non che una folta nebbia, e la vicinanza delle spiagge nemiche lo impedirono. Le altre giunsero a salvamento nel porti. Parecchie altre navi francesi, principalmente fregate, vennero poco tempo dopo, sebbene non senza una pertinace difesa, in poter degl'Inglesi. Tutti gl'incontri, ch'ebbero luogo, sarebbe troppo lunga bisogna il raccontare; merita però particolar menzione il cavaliere de Kergerion, il quale, governando la fregata la Belle-Poule, si difese lungamente contro Jacopo Wallace, che guidava il vascello il Nonpari di 64 cannoni; e non fu, se non dopo la morte del Kergerion, che il suo successore Lamotte-Tabouret, avendo lacere le vele, gli alberi rotti, fracassati i carretti delle artiglierie, e morti molti de' suoi, si arrese. Di queste perdite molto bene si ristorarono i confederati il giorno 9 d'agosto. Era partita sul finir di luglio dai porti d'Inghilterra una numerosa conserva di bastimenti sì regj che mercantili per alla volta delle Indie orientali ed occidentali. Cinque dei primi portavano, oltre molte armi, munizioni ed artiglierie, una quantità notabile di attrazzi navali ad uso della flotta inglese, che stanziava in quelle lontane regioni. I secondi arrivavano a diciotto, ed erano o navi annonarie, o cariche di armi, di munizioni, di tende, e di reclute destinate a rinfrescare, e rifondere l'esercito d'America. Erano gli altri bastimenti mercantili di ricchissimo carico. Accompagnava la conserva il vascello d'alto bordo il Rumilli con tre fregate. Andavano al viaggio loro, e già radevano, sebben di lontano, le coste di Spagna, quando improvvisamente la notte degli otto agosto s'incontrarono in una squadra dell'armata confederata, la quale stava sulle volte sulla via solita a tenersi per alle due Indie. Era la squadra sotto la condotta dell'ammiraglio spagnuolo, Don Luigi di Cordova. Scambiarono gl'Inglesi i lumi soliti a porsi la notte dai naviganti sui calcesi per quei del convoglio loro, e seguitavano il nemico, credendo di seguitare i loro. La mattina seguente si trovarono impacciati in mezzo alla flotta spagnuola. Questa prestamente gli accerchiò e pigliò da sessanta bastimenti. Le navi da guerra scamparono. Ora entravano i vincitori nel porto di Cadice trionfando. Concorrevano i popoli a vedere la moltitudine dei cattivi, e le ricche spoglie, notabile ornamento alla vittoria, e spettacolo loro tanto più grato, quantoch'era ed inusitato e poco sperato. Scendevano a terra pressochè tremila prigioni d'ogni ordine, condizione ed età. Erano sedici centinaia di marinari, luttuosa perdita all'Inghilterra, e non pochi passeggieri. Gravissimo fu il danno non tanto per le cose mercantili, ma ancora, e molto più per le provvisioni da guerra, delle quali nelle due Indie gl'Inglesi abbisognavano. Fu questa assai lieta vittoria agli Spagnuoli, e da essi con infinita allegrezza ricevuta. Per lo contrario le novelle causarono nella Gran-Brettagna un rammarico grande, e si udirono contro i ministri in ogni parte gravissime querele, accusandogli ognuno di temerità, perchè sapendo, che i confederati stavano così gagliardi in Cadice, provveduto non avessero, che la conserva viaggiasse molto più alla larga dalle coste di Spagna. Intanto se così si travagliava sui mari d'Europa, le cose non passavano neanco quiete sotto le mura di Gibilterra. Aveva la Spagna, come abbiamo veduto, capriccio sopra di questa Fortezza. In ciò pareva aver posto tutti i suoi pensieri, e volervi adoperare tutte le forze del regno. Era la cosa in sè stessa di molta importanza, e pareva anche poco onorevole ad un sì possente Re, che uomini forestieri possedessero una Terra dentro il suo reame, e gli tenessero, come si suol dire, quel calcio in gola. Paragonavasi il caso di Gibilterra con quello di Calais, allorquando questa città era posseduta dagl'Inglesi, e volevasi, che l'istesso fine avesse. Per la qual cosa, dopoch'era stata rinfrescata da Rodney, l'ammiraglio spagnuolo Don Barcelo sognava del continuo modi, e con ogn'industria s'ingegnava per impedire, che non entrassero dentro alla sfuggita nuovi soccorsi. Da un altro canto il generale Mendoza, al quale obbedivano le genti di terra, ogni sforzo faceva per serrare la Fortezza da quella parte, fortificando ogni dì il suo campo di San Rocco, e continuamente approssimandosi, quanto possibil era, con nuove cave e trincee. Ciò nondimeno, e nonostanti tutte le cautele usate dai capitani spagnuoli, tanta era l'instabilità dei venti e del mare, e sì fatta l'attività ed industria degli uffiziali inglesi, che di quando in quando entrava dentro nuovo fodero. Il che riusciva d'infinita allegrezza alla guernigione che ne pativa, e di uguale rammarico agli Spagnuoli, i quali s'erano fatti a credere, non potere la difesa bastar sì lungo tempo. Questi sforzi del presidio molto erano aiutati dalla presenza di parecchie navi da guerra, ch'erano state lasciate nel porto dall'ammiraglio Rodney, tra le quali una ve n'era di 74 cannoni, chiamata la Pantera. Per levarsi quel bruscolo d'in sugli occhi, gli Spagnuoli fecero il disegno di volerle ardere in un colle navi da carico, che nel medesimo luogo erano sorte, siccome pure i magazzini pieni di munizioni, ch'erano stati costrutti sulla riva del mare. Apparecchiarono a questo fine sette brulotti con un numero grandissimo di battelli e di bastarde; gli uni, e le altre pieni di soldati, e d'ogni sorta di armi da offendere. Nel medesimo tempo le navi da guerra di Don Barcelo sorsero, e s'arringarono avanti la bocca della cala, non solo per dar coraggio a' suoi, e concorrere nella impresa, ma ancora per intraprendere qualunque nave, che avesse voluto cansarsi. Dal lato di terra Mendoza stava pronto per accrescer terrore alla cosa, e per facilitar il disegno, a piover bombe dentro la città, tostochè i brulotti appiccato avessero il fuoco al navilio inglese. Appuntarono all'impresa la notte de' 6 giugno. Era ella molto scura, il vento ed il mare propizj. Gl'Inglesi non si addavano. Ivano i brulotti avvicinandosi, e già era vicino a compiersi il disegno. Ma gli Spagnuoli, o impazienti, o per l'oscurità della notte credendosi più presso di quello ch'erano veramente, o temendo di accostarsi di vantaggio, precipitarono gl'indugj, e dier fuoco ai brulotti ancora un po' lontani. Destaronsi gl'Inglesi a sì improvviso accidente, e nulla punto smarritisi al subito pericolo, uffiziali e soldati montarono spacciatamente nei battelli, e con mirabile coraggio accostatisi agli ardenti brulotti gli aggraffarono, e condussero alla larga in luoghi, dove non potessero far danno. Gli Spagnuoli senza frutto alcuno si ritirarono. Intanto era Mendoza intentissimo a farsi avanti coi lavori della circonvallazione. Il generale Elliot, al quale il Re Giorgio aveva commesso la cura di difendere quella rocca, lo lasciava fare. Ma quando lo Spagnuolo aveva condotto a fine le opere sue, ecco che Elliot a furia di cannonate le disfaceva, ed intieramente rovinava tutte. Saltava anche qualche volta fuori, e, guaste le opere degli assedianti, ne chiodava o rapiva le artiglierie. Queste vicende parecchie volte si rinnovarono. Se ne rallegravano gl'Inglesi; gli Spagnuoli ne sentivano una noia grandissima. Per la qual cosa aguzzando gl'intelletti loro alla necessità, e male soffrendo, che una piccola presa di genti, poichè il presidio di Gibilterra, inclusi gli uffiziali, non passava i seimila soldati, non solo loro resistessero, ma con sì prosperi successi gli combattessero, fecero una deliberazione, la quale molto noiò nel processo di tempo la guernigione, accrebbe la difficoltà ed i pericoli della difesa, e produsse in ultimo un total eccidio della città. Questa fu di construrre in gran numero certe piatte, che chiamarono _barche cannoniere_. Erano sì fatte, che portavano da trenta a quaranta botti, quaranta o cinquanta uomini, ed un cannone in prua, che buttava ventisei libbre di palla. Altre portavano bombarde. Avevano una larga vela, e quindici remi dalle due bande. Erano molto maneggevoli; ed intendevasi con esse di gettar bombe e palle nella città e nei forti di nottetempo, ed anche, quando la occasione si scoprisse, di assaltar le fregate. Poichè credevasi, che due di queste piatte fossero bastevoli a far istare una fregata. E siccome poco si alzavano sopra il pelo dell'acqua, così era cosa assai malagevole il por loro la mira, e colpirle. Non avendo i Gibilterrani in pronto una simil sorta di navi, male dagli assalti loro si sarebbero potuti difendere. Così gli Spagnuoli erano intentissimi nel procurare a sè stessi questo nuovo istrumento di oppugnazione, che stimarono dover apportare grandissimo giovamento alla felice riuscita dell'impresa. Mentre prevalevano in tal modo sulla terra-ferma d'America le armi britanniche; che nelle Antille quelle dei due antichi rivali si pareggiavano, e che in Europa con diverso evento si combatteva, sicchè pareva, che non ancora volesse la fortuna a favore nè di questo nè di quell'altro nemico inclinarsi, le cose fin là incerte e dubbie state nelle Province unite dell'Olanda ad un certo e determinato fine s'incamminavano. Conciossiacosachè avevano i cieli destinato, che la querela americana commovesse alla guerra tutto il mondo, e che colla congiunzione delle armi olandesi a quelle dei Borboni e del congresso si venisse a compir quella formidabile lega, che pareva, dovere l'ultimo tuffo dare alla potenza dell'Inghilterra. Erano state dal bel principio della querela le cose d'America fomentate in Olanda con molta estenuazione di quelle d'Inghilterra, sia per l'amore che a questa causa della libertà si portava generalmente a quei tempi in Europa, sia perchè paresse agli Olandesi, che l'impresa ridondasse tutta in pro degl'interessi della comunanza protestante, temendosi molto dai dissenzienti delle vere o credute usurpazioni della Chiesa anglicana, e sia finalmente perchè la presente condizione degli Americani molto pareva conforme a quella, in cui gli Olandesi stessi si erano ritrovati ai tempi delle guerre loro contro la Spagna. Quindi è, che coloro, i quali seguitavano in Olanda le parti francesi ed avevano, e ogni dì acquistavano, maggior seguito di quelli che parteggiavano per l'Inghilterra. I più pertinaci fra questi ultimi, sebbene per la ricordanza dell'antica amicizia, per le opinioni loro intorno alle cose commerciali, per l'odio che portavano alla Francia, e pei mali che temevano, fosse questa in grado di far loro nell'avvenire, nell'amicizia inglese persistessero, tuttavia molto detestavano i consiglj presi contro l'America dai ministri britannici, e ciò facevano per l'appunto, e massimamente perchè prevedevano, che essi consiglj avrebbero finalmente quella buon'armonia rotto, ch'eglino avrebbero voluto conservare, e fatto del tutto traboccar la Olanda alle parti di Francia. Aggiungevasi a questo, che siccome vi si stava generalmente molto in gelosia contro la potenza dello Statholder, congiunto di sangue col re Giorgio, e temendosi, che questi lo volesse favorire, e fargli le spalle nelle sue usurpazioni, o disegnate invero, o soltanto credute, o volute farsi credere che si fossero, così vivevano le genti in molto sospetto intorno le intenzioni dell'Inghilterra. Temevano, ch'ella non volesse fare a tempo accomodato, e per mezzo dello Statholder a sè medesimi quello, che allora voleva fare all'America. Queste cose si dicevano apertamente, e con vivi colori si dipingevano dai gallizzanti. Per la qual cosa salivano essi in maggior riputazione, mentre l'autorità degli avversarj diminuiva giornalmente. Tra le città e le province, che si mostravano parziali per la Francia, tenevano il primo luogo e per la ricchezza, e per la potenza loro quelle di Amsterdam e dell'Olanda. Per la qual disposizione d'animi mantenere viva, e per tirare anche altre città e province nella medesima sentenza, aveva la Francia, avvisandosi benissimo, quanto sia potente nei cuori umani, e massimamente in coloro, che fanno professione del mercanteggiare, l'amor del guadagno, molto accortamente ordinato, ch'ella farebbe pigliare in sui mari tutte le navi olandesi, le quali facessero il commercio colla Gran-Brettagna, solo eccettuando quelle delle città di Amsterdam e di Harlem. Dalla quale deliberazione ne era nato, che parecchie altre città principali, tra le quali Rotterdam e Dort, si erano per godere il medesimo privilegio alle parti francesi accostate. Tutte queste cose erano state causa, che si era appiccata, già erano due anni, una pratica in Aquisgrana tra Giovanni Neuville, il quale operava in nome, e per l'autorità di un Van-Berkel personaggio, siccome affezionatissimo ai Francesi, così nimicissimo agl'Inglesi, e Capo del governo della città di Amsterdam, e Guglielmo Lee commissario per parte del congresso. Questi due agenti dopo molte consulte fermarono un trattato d'amicizia e di commercio fra quella città, e gli Stati Uniti d'America. Questo trattato non era in nome, che casuale, intendendosi, che dovesse solo avere il suo effetto, allorquando l'independenza degli Stati Uniti fosse dalla Gran-Brettagna riconosciuta. Ma infatto si riconoscevano questi come franchi ed independenti, poichè come se tali fossero si negoziava e si accordava con essi. Non era invero il trattato stato fatto con altri, che colla città d'Amsterdam. Ma si sperava, che la prepotenza, ch'ella aveva nella provincia d'Olanda, avrebbe tirato a parte della cosa tutta questa provincia, e che quella prepotenza stessa della provincia avrebbe fatto nel medesimo disegno inclinare anche tutte l'altre. Queste pratiche furono con tanta gelosia tenute segrete, che nulla se ne riseppe in Inghilterra. Ma il congresso, il quale ardeva di desiderio, che quello, che si era segretamente stipulato, si recasse apertamente in effetto, creò plenipotenziario a questo fine presso gli Stati Generali Laurens, quello stesso, che stato era presidente. Questo partito con tanto più pronto volere aveva abbracciato, in quanto che si era persuaso quello ch'era vero, cioè, che per gli acciacchi ed insolenze usate dagl'Inglesi alle navi mercantili olandesi nel commercio loro coi porti francesi, si fossero in tutta la Olanda gravemente alterati gli animi; e che massimamente a grandissimo sdegno vi si fossero concitati per la presura fatta delle navi accompagnate dal conte Byland. Questi mali umori poi, e queste nuove ferite invece di sedare e di ammorbidare, aveva viemmaggiormente mossi, e fatte inciprignire Jorke, ambasciadore pel Re della Gran-Brettagna all'Aia con un memoriale pieno di alterigia da lui porto al governo, il quale fu giudicato non dicevole alla dignità di una nazione franca ed independente. Ma la fortuna, la quale così spesso si fa giuoco dei miseri mortali, volle far di modo, che questi maneggi venissero per un impensato accidente a notizia dei ministri inglesi, prima che avessero potuto avere il loro compimento. Non così tosto erasi Laurens dipartito da Filadelfia, che, incontrata la nave, che lo portava, sulle coste di Terranuova dalla fregata inglese la Vestale, e presa, fu egli fatto prigione. Aveva bene subito, accortosi del pericolo, fatto getto di tutte le sue scritture pubbliche, ma per la celerità e la destrezza di un marino inglese furon tratte dall'acqua, ed a salvamento condotte, prima che si sfacessero. Fu Laurens condotto a Londra, e confinato, come reo di Stato, in fondo della Torre. Tra le scritture intraprese, i ministri britannici ebbero fra le mani quel trattato, di cui abbiamo favellato, e parecchie lettere tutte risguardanti la pratica di Aquisgrana. Tosto Jorke ne levò all'Aia un grandissimo romore. Richiese in nome del suo Re gli Stati Generali, non solo facessero disdetta del procedere del pensionario Van-Berkel, ma ancora ristorassero prontamente la offesa, e quello, ed i suoi complici traessero a condegno castigo, come perturbatori della pubblica pace, e violatori dei diritti delle nazioni. E siccome gli Stati Generali si peritavano alla risposta, così egli faceva nuove e caldissime istanze, perchè si risolvessero. Ma quelli, che non si volevano affrettare, e che andavano molto renitenti allo scoprirsi, sia perchè erano pei loro ordini pubblici di necessità molto tardi al deliberare, sia perchè avrebbero voluto raccorre prima a luoghi sicuri le ricchezze loro, ch'erano o portate dalle navi sui mari, od ammassate per la securità della pace nelle proprie isole quasi senza niuna difesa, risposero, che avrebbero considerato. Da un altro canto i ministri britannici, che avevano fretta, perciocchè ardevano di desiderio di por la mano addosso a quelle ricchezze, intendendo anco, che gli Olandesi non avessero tempo di fare i necessarj apparecchiamenti di guerra, fecero le viste di non esser contenti a quella risposta, e rivocarono incontanente l'ambasciador loro dall'Aia. Seguirono poco dopo da ambe le parti i soliti manifesti. Così portò la condizione de' tempi, che finalmente fossero interrotti gli uffizj di benevolenza tra due nazioni da lungo tempo congiunte in amicizia, e che avevano molti e grandi interessi comuni. La quale guerra altrettanto fu più grave all'Inghilterra, in quanto ch'era l'Olanda un nemico vicino, e molto perito sulle navali armi. Ma da una parte l'orgoglio, forse necessario ad uno Stato possente, e la gola dell'arraffare sempre condannabile, e non mai saziata, dall'altra le discordie intestine, e la debolezza delle armi terrestri, ch'erano causa, che più si temesse dei vicini di terra-ferma, di quello, che sarebbe stato richiesto all'independenza, fecero di modo, che fu rotta un'antica amicizia, e nacque una guerra che tutti gli uomini prudenti, i quali s'intendevano dello Stato, condannarono ed apertamente biasimarono. Ripigliando ora, ove lasciammo, delle cose, che giravano sulla terra-ferma d'America, egli è da sapersi, che dopo la presa di Charlestown, e la invasione nella meridionale Carolina un grande e maraviglioso cambiamento si era fatto negli animi di quei popoli; e che vi nacque la salute da quegli stessi casi, che parevano una instante rovina pronosticare. Tanto è vero quello, che i nostri maggiori vollero significare con quel proverbio loro, _gran pesto fa buon cesto_; il che altro non vuole significare, se non se che lo sprone dell'avversità fa fare agli uomini in utile loro di quelle cose, che gli allettamenti della prospera fortuna non possono. Imperciocchè le disgrazie della Carolina non che sbattuto avessero gli Americani, parve per lo contrario, che nelle menti loro maggior ostinazione, e nei cuori maggior coraggio infondessero. Venne meno in essi quella tiepidezza, alla quale nei precedenti anni erano stati soggetti, e che di tanto danno era stata cagione alla Repubblica, e di tanto dolore ai Capi di essa. Ognuno s'incendeva di nuovo ardore per soccorrere alla patria. Tutti s'inanimavano a sviscerarsi intieramente ai servigj della repubblica. Avresti detto, esser tornati i primi tempi della rivoluzione, quando sì grandi erano il consenso e l'ardore degli uomini in questa impresa loro contro l'Inghilterra. Molti scordarono gl'interessi privati per non pensare, che a quei del pubblico; e tutti andavano dicendo, doversi cacciare il crudelissimo nemico da quelle fertili terre; doversi soccorrere ai fratelli del mezzodì; doversi quelli avanzi di satelliti britannici scappati a mala pena al ferro americano spegnere del tutto; doversi la guerra con un estremo sforzo di breve terminare. Così negli Americani operarono le avversità, che quando parevano più depressi e più conculcati, risorgevano coll'animo più costante e più pertinace. A questi novelli spiriti davano incentivo le recenti ruberie commesse dalle genti del Re nella Carolina e nella Cesarea; speranza l'osservare, che l'accidente seguìto dell'occupazione di Charlestown partito avesse, e sì lungo spazio tra di loro separate le forze del nemico, sicchè più facilmente, o una parte o l'altra potrebbero venire oppresse. Alla quale speranza maggior forza accrescevano le certe novelle, che si avevano, del non lontano arrivo degli aiuti francesi, e molti già facevano cosa fatta la conquista della Nuova-Jork, colla quale speravano di ristorarsi della perdita di Charlestown. Infatti era allora ritornato in America De La-Fayette con liete novelle della Francia; già essere imbarcate le genti; già le agevoli prue portatrici degli aiuti essere volte alle americane spiagge; già esser vicine ad afferrarle. La cosa era vera. Il marchese stesso si era nella patria sua con molto ardore in ciò affaticato, e non ne era partito, se non quando già tutto era in pronto. Del che molto e Washington, ed il congresso lo ringraziarono. Oltrechè la presenza sua tanto grata a quei popoli gli aveva molto confortati, nacque ancora, che si andavano incitando e pungendo l'un l'altro per non iscomparire a paragone dei vegnenti alleati. Affermavano, esser vergogna, e che sarebbero ben degni stati di eterno biasimo, se per propria infingardaggine guasta e perduta avessero quella occasione, che offeriva loro la vicina e possente cooperazione della Francia. Dicevano, gli occhi di tutta l'Europa essere rivolti a loro, e che dalla guerra di quell'anno doveva pendere l'independenza, la gloria, la fortuna tutta dell'americana repubblica. Il congresso poi, e tutti gli altri maestrati, siccome pure gli uomini d'autorità nell'universale, opportunamente si giovarono di questo novissimo calore degli animi, e niuna cosa lasciarono intentata, perchè e si conservasse, e si accrescesse, e più largamente si diffondesse. Scrisse il congresso lettere circolari a tutti gli Stati, molto infiammatamente esortandogli a riempir le compagnie, ed a mandar all'oste quella parte di soldati, che a ciascun di loro si apparteneva. La stessa cosa operarono i generali Washington, Reed ed altri capitani di riputazione. La cosa ebbe effetto. Riavuti gli spiriti, i soldati, seguendo l'esempio dei capitani, s'andavano sotto le insegne riducendo. In ogni parte risorgeva il nome del congresso. Perchè poi non venisse meno la pecunia pubblica, gli uomini abbienti si obbligarono per ogni banda a pagar grosse somme in sollievo dell'erario pubblico allora sì scarso. Queste cose si facevano principalmente nella città di Filadelfia; ma l'esempio era fruttuoso. Si propagava nel contado e nell'altre province. Le donne filadelfiesi, fatta guidatrice della impresa la moglie di Washington, donna di grande dassaiezza, mostrarono in ciò un grandissimo amore verso la patria. Oltre la pecunia, che si obbligarono di pagar del loro, andavano di casa in casa esortando i cittadini a volere delle facoltà loro soccorrere alla repubblica. La cosa non rimase senza effetto; perciocchè accattarono grosse somme di denaro, che nell'erario pubblico portarono, acciocchè fosse usato nei caposoldi da darsi a quei soldati, che meritati gli avessero, ed in accrescimento di paga a tutti. Le donne del contado e delle altre province imitarono l'esempio. Ma un ordinamento, che fu fatto a quei dì, e che degno è di particolar menzione, quello fu di un Banco pubblico, il quale coi denari dei soscrittori, dei prestatori, e del congresso potesse ai soldati sovvenire. Nel che il congresso ebbe non solo consenzienti, ma ancora richiedenti le buone borse della Pensilvania. Si obbligassero i soscrittori a fornire un capitale di trecentomila lire di moneta pensilvanica nella ragione di sette scellini e sei pensi per ogni dollaro di Spagna. Avesse il Banco due direttori; avessero questi facoltà di accattar denaro in sul credito del Banco per sei mesi, o per minore spazio, e di dare scritte a' prestatori, le quali fruttassero un interesse del sei per centinaio; ricevesse il Banco la pecunia pubblica del congresso, cioè il sommar delle tasse, e quando queste ed i denari dei prestatori non bastassero, fossero tenuti i soscrittori ad effettivamente fornire quella parte, che sarebbe creduta necessaria, delle somme, le quali sodate avessero; i denari ricevuti nei modi che abbiam detto, siccome pure le scritte dei direttori in niun altro uso si potessero impiegare fuori che in quello del procacciar provvisioni all'esercito; creassero i soscrittori un fattore, l'uffizio del quale fosse di fare i procacci, e le cose procacciate, come a dire carni, farine, rum, ed altre rimettere al capitano generale, od al maestrato sopra la guerra; avesse questo fattore facoltà di trarre pel denaro speso nei procacci sopra i direttori. Dovesse inoltre il fattore aprire un fondaco, il quale riempisse di rum, di zucchero, di caffè, di sale e di altre grasce, che servono all'uso comune degli uomini, le quali grasce tutte obbligato fosse a vendere a minuto ed al medesimo prezzo, col quale le aveva comperate all'ingrosso, a coloro, dai quali comperato avesse le provvisioni per l'esercito; e ciò a fine di poter dai medesimi ottenere, e più prontamente quelle, che migliori fossero. Quantunque di prestatori fuori del Banco pochi si appresentassero, perchè i più per fornire il denaro loro avrebbero desiderato prima maggiore stabilità nello Stato, tuttavia si trovarono tosto soscrittori per un capitale di trecento quindicimila lire pensilvaniche, dei quali ciascuno si obbligò a somministrare ai direttori del Banco una determinata somma per mezzo di scritte da pagarsi da essi in monete d'oro o d'argento. In cotal modo i privati uomini, mossi da lodevole zelo verso la patria, vollero col credito loro sopportare ed ampliare quello del pubblico, esempio tanto più da commendarsi, quantochè le cose dello Stato non erano ancora ferme. Nè a questi tempi, quando un vittorioso nemico sì ferocemente instava, e già già batteva alle porte loro, si ristettero gli Americani al procurar genti e pecunia alla repubblica; che anzi procedettero più oltre, ed in mezzo a quei romori di guerra vollero con acconci ordinamenti promuovere le utili scienze, le nobili discipline, le necessarie arti, sapendo benissimo, che, senza di tutte queste, la guerra mena per la diritta alla barbarie, e che ne è meno lieta, e meno felice la pace. Nel che intesero non solo una cosa utilissima operare, e conducevole al buon costume dei popoli, ma sì ancora, mostrando securità in mezzo a quei pericoli, far vedere ai loro, ed ai strani, quanto poco essi pericoli curassero, e quanta fosse la confidenza, che nell'impresa loro collocato avevano. Per la qual cosa lo Stato di Massacciusset fondò in Boston una società, od accademia d'arti e di scienze, e con lodevoli statuti la ordinò. Il fine suo fosse di promuovere e d'incoraggiare la cognizione delle antichità dell'America e della storia naturale della contrada, di determinare a quali usi servir potessero i proventi naturali di lei, di promuovere le mediche scoperte, le matematiche disquisizioni, le ricerche, e gli sperimenti filosofici, le osservazioni astronomiche, meteorologiche e geografiche, l'agricoltura, le arti, le manifatture, il commercio; di coltivare insomma ogni arte e scienza, le quali tender potessero ad avanzare (così dicevano) l'interesse, l'onore, la dignità e la felicità di un libero, independente e virtuoso popolo. Addì quattro di luglio poi, celebrato prima con grandissima solennità l'anniversario dell'Independenza, il presidente del congresso, quello dello Stato di Pensilvania, e gli altri maestrati sì della città che della provincia, siccome anche il cavaliere de la Luzerne, ministro di Francia, si recarono con non ordinaria pompa all'Università per ivi assistere alla collazione dei gradi agli studenti. Il Preposto agli studj orò molto accomodatamente secondo il temporale. Le bramose menti dei giovani di nuovo zelo si accendevano, e di maggior amore s'informavano verso il nuovo Stato. I circostanti felici augurj pigliavano della nascente repubblica. A questi medesimi tempi, in cui per ogni canto, e con ogni più convenevole modo si concitavano gli Americani a correre nella presa carriera, e che sorgeva in essi un nuovo ardore alla guerra, arrivarono all'Isola di Rodi i soccorsi, che la Francia mandava in mantenimento delle cose d'America; ed allora fu l'allegrezza loro nel suo maggior colmo posta. Consistevano in un'armata di sette navi d'alto bordo, tra le quali il Duca di Borgogna di 84 cannoni, di cinque fregate, e due altri legni minori. Era tutto questo navilio condotto dal Signore di Ternay. Seguitavano una moltitudine di navi da carico, le quali portavano sei migliaia di soldati, che obbedivano agli ordini del conte de Rochambeau, luogotenente generale negli eserciti francesi. Ma però il Re Luigi, ed il congresso si erano accordati, che Washington, come capitano generale, dovesse guidare tutte le genti sì francesi, che americane, ed a questo fine egli era stato creato dal medesimo Re luogotenente generale, e vice ammiraglio degli eserciti, e delle armate francesi. Gli abitanti di Nuovo-Porto accesero per festa i fuochi alle case loro. Il Generale Heath ricevè con molte dimostrazioni di cortesia e di allegrezza gli ausiliarj di Francia; e siccome correva attorno voce, che Clinton fosse per venir ad assaltar l'Isola di Rodi, così gli mise in possessione tosto di tutti i Forti, nei quali i Francesi con tanta diligenza si fortificarono, che in brevissimo tempo furono in grado di poter ributtare qualunque nemico, che si appresentasse. La generale assemblea dello Stato dell'Isola di Rodi mandò deputati a complire col capitano del Re Luigi, i quali molte cose dissero del grato animo dell'America, e della generosità del Re di Francia. Promettevano ogni sorta di aiuti e di provvisioni. Rispose Rochambeau, che quei soldati, che là condotto aveva, erano soltanto la vanguardia di quelli, che il suo Signore era per mandare in aiuto loro. Non dubitassero, che il Re non sarebbe per mancare alla salute e sicurtà dell'America; che sarebbero le sue genti vissute civilmente, ed in grado di fratelli. Concluse con dire, che come fratelli, egli, e tutti i suoi avevano le vite loro vogliosamente al servigio dell'America votate. Così il capitano francese ed aiutava di presente gli Americani, e gli nutriva con grande speranza, che dovessero arrivare altre genti, per dar loro animo a sostenersi. Queste cose, che si risapevano, molto confortavano quei popoli bisognosi dell'aiuto altrui, ed ardenti nell'impresa loro. Ma i partigiani dell'Inghilterra, che ancora vi rimanevano, sia che volessero la independenza o la ricongiunzione, rodevano il freno. Washington per viemmaggiormente accomunare i due popoli ordinò a' suoi, portassero nelle insegne il colore nero, e bianco, cioè il campo nero, attornovi il bianco, essendo il primo l'insegna degli Americani, il secondo quella dei Francesi. Aveva solo a questo tempo l'ammiraglio Arbuthnot, il quale tuttavia se ne stava nella Nuova-Jork, quattro navi di alto bordo, e non che pensasse ad assaltare, temeva di essere assaltato. Pochi giorni dopo per altro arrivò dall'Inghilterra l'ammiraglio Graves con sei altri vascelli di simil portata. Perilchè diventati gl'Inglesi superiori di forze, si deliberarono ad andare ad assalir i Francesi nell'Isola di Rodi. Vi andò prima Graves colla sua armata per vedere, se vi fosse modo di poter isconfiggere dentro Nuovo-Porto quella del nemico. Ma i Francesi con tant'arte, e con tante difesa si erano assicurati, che ne sarebbe stato peggio che pericoloso il cimento. Se ne tornò alla Nuova-Jork. Clinton allora, il quale non avrebbe voluto dar tempo ai Francesi di metter barbe in quelle nuove terre, si risolvette a far l'impresa dell'isola di Rodi con seimila soldati dei migliori che si avesse, i quali portati dalle navi da guerra dovevano sbarcare a qualche luogo a ciò accomodato. Dava Graves le mani all'impresa, sebbene avesse la volontà aliena da quella, perchè poco la credeva riuscibile. S'imbarcarono, e già erano proceduti presso Huntingdon-bay nell'Isola Lunga. Ma Washington, che non dormiva alle mosse di Clinton, vedutolo partito con tanta gente dalla Nuova-Jork, ed avendo già tali rinforzi avuto da tutte le bande, che il suo esercito poco fa sì debole ora sommava a dodici migliaia di soldati, scendè a gran giornate per le rive dell'Hudson, ed arrivato a Kingsbridge minacciava di vicino assalto la città stessa della Nuova-Jork priva allora de' suoi eletti difensori. Da un'altra parte le bande paesane della Nuova-Inghilterra si erano levate a stormo, ardendo di desiderio di far vedere ai Francesi in quel loro primo giungere, da quanto esse fossero. Già erano un grosso di dieci migliaia, che marciavano a Provvidenza, e molte più stavano in pronto per raggiungerle. Queste cose, che tosto si riseppero dai capitani britannici, giunto anche i dispareri, che tra di essi correvano, fecero di modo che Clinton si levò dal pensiero, e se ne tornò tosto con tutti i suoi alla Nuova-Jork. Lo sgomento degli Inglesi molto crebbe l'animo agli Americani, i quali già risguardavano sopra il presidio di quella città, come se sbattuto fosse e prigioniero. A tutte queste ragioni di conforto si aggiunse, che i Francesi venuti nell'Isola di Rodi avevano portato gran quantità di monete di conio del loro paese, e siccome soglion fare, quante ne avevano, queste tutte spendevano nei comodi e nei piaceri del mondo. Quindi accadde, che in poco tempo incominciarono esse ad andar attorno in tutti gli Stati se non copiosamente, certo bastevolmente con evidente ristoro del corpo politico, che per difetto di quelle se ne stava languendo, e vicino quasi al disciogliersi. Vero è, che i biglietti di credito ne scapitaron di vantaggio. Ma non fu grave la perdita; perciocchè già assai poco di riputazione conservato avevano, e lo Stato ne fu poco poscia sgombro del tutto in quel modo, che si racconterà nel progresso di queste storie. Tutte le cause, che sin qui abbiamo narrate, avevano generalmente nuovo coraggio negli Americani di tutti gli Stati infuso. Ma operarono con maggior efficacia negli abitatori degli Stati meridionali, siccome in quelli, che avevano vicino il pericolo, e che maggiormente, e per ispeciali cagioni erano dell'insolenza inglese infastiditi. Quindi avvenne, che già ribollendovi le cose, si rannodavano qua e là nella Carolina Settentrionale, e sugli estremi confini della Meridionale parecchie prese di repubblicani, le quali condotte da capitani arditissimi non solo davano molto sospetto ai reali, ma ancora le poste loro spesso bezzicavano, e qualche volta opprimevano. Ma tutti questi condottieri di gente ostinata, e pronta a mettersi ad ogni sbaraglio avanzava, e pel credito, che aveva nella provincia, e pel valore, e per la perizia delle cose militari il colonnello Sumpter caroliniano. La maggior parte di quei Caroliniani, i quali pel tedio della signoria inglese abbandonato avevano la patria, erano concorsi a porsi sotto le sue bandiere, e già erano sì numerosi, che potevano scorrere la campagna, e tenevano intenebrato tutto il paese. Denari non avevano, nè abiti da soldato, nè alimento certo; ma vivevano alla sfuggita di quello che la fortuna, od il coraggio loro parava davanti. Stavano pure in gran difetto d'armi e di munizioni da guerra. Ma i villerecci stromenti dell'agricoltura convertivano in grossolane armi da guerra, ed in luogo di palle di piombo ne gittavano di stagno del vasellame, che a quest'uso vogliosamente donavano loro i cittadini. Eppure queste somministranze non bastavano. Furono visti venir alle mani col nemico, non avendo ciascun di loro più di tre cariche. E mentre si combatteva, alcuni, mancando o d'armi o di munizioni, se ne stavano in disparte aspettando, che le ferite o la morte dei compagni offerisse loro l'occasione di pigliar le armi, e di caricarle. Ed allorquando se ne tornavano vincitori dai duri incontri, erano costretti per fornir sè medesimi di spogliar i morti ed i feriti delle armi e munizioni. Finalmente divenuto Sumpter più gagliardo per l'accostamento di nuove genti, assaltò un grosso posto britannico a Rocky-Mount. Ne fu risospinto, ma non isgomentato. S'attaccò alcuni giorni dopo, imperciocchè nè pigliava in mezzo alle sue correrie riposo nè il concedeva altrui, con un'altra grossa posta d'Inglesi a Hanging-rock, e tutti gli smagliò, stanziali e leali. Sconfisse altresì con eguale fortuna il colonnello Bryan venuto co' suoi leali dalla Carolina Settentrionale; e brevemente questo Sumpter era una continua rangola agl'Inglesi, i quali a patto nessuno nollo potevano spegnere, per aver esso uno smisurato ardire, ed i rifugj propinqui. Era egualmente destro a dar gli assalti, che i gangheri; e, vinto o vincitore ch'ei fosse, non era possibile corgli posta addosso. Gli stessi danni causava il colonnello Williams con una leggiera smannata di Caroliniani del distretto di Ninety-six, il quale tanto si andò aggirando, che in fine sorprese e tagliò a pezzi un branco di leali sulle rive del fiume Ennoree. Così da questa minuta guerra molto erano noiati gl'Inglesi, gli Americani ripigliavano gli spiriti, e si mantenevano rizzate in quella provincia le insegne del congresso. Ma queste avvisaglie, le quali poco, o nulla importavano alla somma delle cose, non erano altro, che il principio delle maggiori battaglie, che dovevano di lì a poco seguire. Non ebbe avuto sì tosto Washington avviso dell'assedio di Charlestown, che aveva avviato alla volta della Carolina Meridionale un rinforzo di quattordici centinaia di stanziali marilandesi e delawariani sotto la condotta del barone di Kalb. Si erano questi messi in via molto per tempo, e se avessero potuto arrivare al punto accordato, avrebbero per avventura dato alle cose un altro indirizzo. Ma tali e tanti furono gli ostacoli, che incontrarono nella Carolina Settentrionale per la carestia delle vettovaglie, per le difficoltà de' luoghi, e pell'immoderato calore della stagione, che non poterono camminare, che di pian passo. È fama, vivessero molti dì coi bestiami, che trovarono sbrancati nelle selve, e spesso privi affatto di carne e di farina, la vita loro sostentarono con pesche, o coi granelli di frumento immaturo. Questi disagi tutti sopportarono con mirabile costanza. Strada facendo per la Virginia erano stati ingrossati dalle milizie della provincia, ed arrivati sulle rive del fiume Deep furono accostati dalle bande della Carolina Settentrionale, guidate dal generale Caswell. Sommavano a sei migliaia di soldati. Essendo l'esercito rispetto agli Stati Uniti numeroso, e l'impresa di cacciar gl'Inglesi dalle Caroline di gran momento, il congresso, per favorire con la riputazione del capitano le cose di queste province, ne diede il governo a Gates. La qualità di straniero, il non conoscere la natura dei luoghi, ed il non avere sperienza dei modi da usarsi colle indisciplinate milizie nocquero tanto al barone di Kalb, che gli fu mandato lo scambio. Arrivò Gates al campo sul fiume Deep addì 25 di luglio. Là fece la mostra e la rassegna delle sue genti per conoscere quali e quante fossero; poscia le mosse verso il fiume Pedee, il quale nelle parti disottane separa la settentrionale Carolina dalla meridionale. Il nome e la fortuna di Gates operavano di modo, che non solo la gente corresse alle insegne, ma ancora, che le munizioni di ogni sorta fossero portate al campo. I popoli si levavano a romore. Già gli abitatori di quel tratto di contrada, che giace tra i due fiumi Pedee e Black, rivoltatisi prese avevano le armi contro i reali; e Sumpter con una buona smannata di fanti e di cavalleggieri andava ronzando sulla stanca degl'Inglesi con animo di mozzar loro la via per a Charlestown. Teneva infestato tutto il paese all'intorno. Tostochè Gates toccò coll'esercito i confini della meridionale Carolina mandò fuori un bando, invitando i Caroliniani ad adunarsi per vendicare cogli auspicj suoi i diritti dell'America, promettendo, che sarebbero liberi da ogni colpa o pena coloro, che erano stati forzati a dar le parole dai feroci conquistatori, solo eccettuali quelli, i quali esercitato avessero atti di barbarie, o di depredazione sopra le persone e le proprietà dei loro concittadini. Non furono vane le esortazioni di Gates. Non solo i popoli correvano all'armi per soccorrere alle cose della Carolina, ma le compagnie stesse dei Caroliniani, i quali si erano posti ai servigj del Re, o ribellarono o disertarono. Sumpter, fatto forte, faceva gran danni agl'Inglesi. Aveva lord Rawdon, il quale, trovandosi Cornwallis a Charlestown tutto intento nell'assestare gli affari della Carolina, governava tutte le genti alloggiate a Cambden e ne' luoghi circonvicini, avviato una presa d'Inglesi malati a Georgetown, e postogli sotto la scorta dei Caroliniani condotti dal colonnello Mills. Questi, già fatta una parte del viaggio, si ammottinarono, e fatti gli uffiziali, che gli guidavano, prigioni, condussero essi, i malati e sè medesimi a salvamento agli alloggiamenti di Gates. Il colonnello Lisle, il qual era uno di quelli, che avevano dato la parola, e che poscia aveva promesso di voler essere un buono e fedele suddito dei Re, subornò un battaglione di milizie, che stat'erano levate in nome del lord Cornwallis, ed intiero lo guidò a Sumpter. Questi poi sull'occidentale riva del Wateree con incredibile celerità procedendo, aveva intrapreso una moltitudine di some di rum, e d'altre grasce e munizioni, che da Charlestown si mandavano a Cambden. Fece nel medesimo fatto prigioni molti malati e stanziali che gli accompagnavano. Già la via di Cambden a Ninety-six era infestata dai repubblicani, e quella di Cambden a Charlestown vicina ad esserlo. Così le cose del Re nella Carolina parevano in manifesta declinazione. Lord Rawdon vedendo tanto nemico vicino a scoccarglisi addosso, e non avendo forze sufficienti a poter vagar per il paese liberamente, nè a tener un largo campo, ristrinse i suoi ne' luoghi circonvicini a Cambden, e pose gli alloggiamenti sulla destra sponda del rivo Linche. Intanto diè ragguaglio di ogni cosa, e del pericolo, che correva, a Cornwallis. Arrivò Gates con tulle le sue genti sulla sinistra riva, e si accampò a rincontro del nemico. Scaramucciavano spesso i repubblicani coi regj con varia fortuna. Avrebbe il generale americano voluto venire a giornata, assaltando Rawdon troppo debole a paragon suo dentro gli suoi alloggiamenti. Ma trovatigli troppo forti, se ne rimase. Fu questo suo, come pare, ottimo consiglio. Ma bene si lasciò fuggir dalle mani una molto propizia occasione di riportar una onorata vittoria. Poichè, se avesse marciato a gran passi verso le fonti del rivo, avrebbe potuto facilmente oltrepassare il sinistro fianco del lord Rawdon, ed arrivatogli alle spalle impadronirsi improvvisamente di Cambden. La qual cosa stata sarebbe l'ultima rovina degl'Inglesi. Ma o non l'avvertì, o, avvertendolo, non s'ardì. Poco poscia il capitano britannico, vedute fare dagli Americani alcune mosse verso l'ala sua dritta, che gli diedero sospetto pe' suoi magazzini e per l'ospedale, lasciate le rive del Linche, si ritirò con tutte le genti, e senza ricevere molestia alcuna da parte del nemico, a Cambden. In questo punto arrivò al campo il conte di Cornwallis. Conosciuto lo stato delle cose, e veggendo, quanto i repubblicani si fossero fatti vivi, ed il paese loro partigiano, faceva molto correre la contrada dagli speculatori, riempiva le compagnie coi convalescenti più gagliardi, forniva l'esercito d'armi, e specialmente la legione di Tarleton di cavalli, dei quali difettava. Ciò nondimeno non aveva egli sotto le insegne oltre di duemila soldati, tra i quali a un dipresso quindici centinaia di stanziali, ottima gente però, gli altri leali, e fuorusciti. L'attaccarsi con un nemico tanto superiore di forze pareva cosa non che pericolosa, temeraria. Avrebbe potuto schivar di combattere, e ritirarsi a Charlestown. Ma andò considerando, che, abbracciando questo consiglio, avrebbe dovuto lasciar indietro in balìa del nemico da ottocento malati, ed una quantità inestimabile di munizioni sì da guerra che da bocca; e che, se si eccettuano le due città di Charlestown e di Savanna, la ritirata avrebbe causato la perdita di tutte due le province della Carolina e della Giorgia. Nè gli sfuggiva, che la maggior parte delle sue genti erano soldati valentissimi, fornitissimi di ogni cosa, capitanati da uffiziali di mirabile perizia e valore. La vittoria poi avrebbe, siccome credeva, posto in sua mano intieramente le due Caroline, mentre la sconfitta poco maggior danno gli avrebbe recato della ritirata. Per le quali cose si determinò a mostrare il viso al nemico, ed a tentar la fortuna delle battaglie. E siccome Cambden, dove allora si trovava l'esercito, non era luogo forte, e che i partiti più generosi sono anche per l'ordinario i più fortunati, così volle, non già aspettar il nemico nelle sue stanze, ma sibbene andargli a fare un alloggiamento addosso a Rugeley's-mills, dove si era posto a campo, e tentar la giornata con esso. Il giorno 15 d'agosto tutte le genti del Re ebbero ordine di tenersi pronte al marciare. Alle dieci della sera si muovevano verso Rugeley's-mills. La prima schiera era guidata dal colonnello Webster, e consisteva in fanti leggieri e cavalli. La seconda schiera, nella quale erano posti i volontarj d'Irlanda ed i leali, era sotto la condotta del lord Rawdon, e seguitata, come da una piccola squadra di riscossa, da due battaglioni d'Inglesi. Nella terza schiera, che seguitava alla coda, erano il carreggio, e gli uomini d'arme della legione. Camminavano in mezzo all'oscurità della notte con grandissimo silenzio; e già passato il rivo Saunder si erano scostati a dieci miglia da Cambden alla volta di Rugeley's-mills. Mentre in tal modo contro gli Americani marciavano gl'Inglesi intentissimi ed eseguire gli ordini dei capitani loro, Gates aveva mosso il campo alle dieci della sera da Rugeley's-mills, e si era avviato verso Cambden, intendendo di fare a Cornwallis quello, che questi voleva fare a lui. Aveva egli ordinato i suoi di modo, che marciava la prima legione dei cavalleggieri del colonnello Armand col fanti leggieri del colonnello Porterfield alla dritta, ed i fanti leggieri del maggiore Amstrong alla stanca. Venivano dopo le brigate degli stanziali della Marilandia, e le bande paesane della Carolina Settentrionale e della Virginia. Seguitavano alla coda le salmerie con una grossa guardia di volontarj, e la cavalleria dai due lati. Comandava Gates, si muovessero taciti e serrati; non isparassero a pena di cuore. I gravi impedimenti, i malati, le munizioni non necessarie aveva mandato indietro a Wacsaws. Così si difilavano fra le tenebre con maraviglioso silenzio, e non senza grave sospetto vicendevole gli uni contro gli altri i repubblicani ed i regj. Era la notte giunta alle due della mattina, quando le prime scolte inglesi s'incontrarono nella testa della colonna americana. I legionarj d'Armand secondati dai fanti di Porterfield aspramente ributtarono i primi feritori inglesi; Porterfield ne riportò una grossa ferita. Allora i fanti leggieri inglesi con due colonnelli di grave armatura attestandosi in sulla calpestata, frenarono l'impeto degli Americani. Succedette una mischia feroce con egual vantaggio e perdita da ambe le parti. Ma nè l'una, nè l'altra volendo commettere al rischio di una battaglia notturna la fortuna della guerra, si ristettero, e ne nacque in mezzo a quel buio un silenzio d'armi, il quale durò sino al nuovo dì. Intanto Cornwallis ebbe fumo dagli uomini del paese, che la natura dei siti molto era favorevole a' suoi, e contraria ai soldati di Gates: poichè la via, per la quale solo poteva questi far la passata per venirlo ad assaltare, era assai stretta, e fiancheggiata dai due lati da paludi. La qual cosa, rendendo inutile il maggior numero delle genti americane, pareggiava le partite tra i due eserciti. Laonde il capitano inglese si determinò a far la battaglia dell'indomani in quel luogo. In sul far del dì squadronava di modo i suoi, che la frontiera dell'esercito fosse composta di due schiere, delle quali la diritta sotto i comandamenti di Webster aveva il fianco diritto attorniato da una palude, e col sinistro si appoggiava alla strada maestra, e la stanca guidata dal lord Rawdon si atteneva medesimamente col fianco suo sinistro ad una palude, e col destro si congiungeva in su quella stessa strada colla schiera di Webster. Tra l'una e l'altra locarono le artiglierie. Un battaglione erasi attelato, come un poco di retroguardo, dietro la schiera di Webster; un secondo dietro quella di Rawdon. La legione di Tarleton si era arringata accanto la strada sulla dritta, pronta a difendere, o ad offendere, secondochè si discoprisse la occasione. Nè dall'altro canto Gates se ne stava neghittoso in faccia all'ordinantesi nemico. Trasse fuori i suoi, e sì fattamente gli ordinò, che la vanguardia ne fu divisa in tre squadre, la destra guidata dal generale Gist, la quale col destro suo fianco toccava una palude, e col sinistro si congiungeva vicino la strada con quella di mezzo, composta di bande paesane della Carolina del Nort, e condotta dal generale Caswell. Nella stanca poi si trovavano le milizie virginiane guidate dal generale Stevens. Dietro i Virginiani si affilarono i fanti leggieri di Porterfield, e di Amstrong. Armand co' suoi cavalli si era schierato dietro la sinistra per contrastare alla legione di Tarleton. Quest'era la vanguardia. Gli stanziali della Marilandia e della Delawara, uomini fortissimi, e nei quali era collocata la principale speranza della vittoria, si erano posti in ordinanza, come dietroguardo, e schiera di riscossa. Questi erano capitanati dal generale Smallwood. Le artiglierie eransi ordinate parte sulla dritta degli stanziali, e parte sulla strada maestra. Stavano in tal modo attelati l'uno a rincontro dell'altro i due eserciti, e pronti ambidue a venirne alle mani, quando Gates non contento alla positura delle schiere di Caswell e di Stevens, ordinò, non so se con ragione, ma certo con imprudenza, si dislocassero per pigliarne un'altra, che più opportuna gli parve. La qual cosa vedutasi da Cornwallis, non volendo egli lasciarsi fuggir dalle mani quella occasione, che la favorevole fortuna gli offeriva, comandò a Webster, si facesse pesatamente avanti, e vigorosamente assaltasse l'opposta schiera di Stevens, i soldati della quale tuttavia ondeggiavano per non aver ancor del tutto pigliato i nuovi ordini. Riempì incontanente Webster la volontà del capitano generale. Si appiccò dunque di prima presa la battaglia tra l'ala dritta inglese, e la sinistra americana; ma non tardò a diventar generale lungo tutta la fila. L'aere essendo piorno, ed il cielo scuro, il fumo dell'armi da fuoco non poteva alzarsi nelle regioni superiori; ma accumulatosi in copia nelle basse avviluppava, come un denso nugolo, i due eserciti, dimodochè malagevolmente l'uno poteva scorgere quello che l'altro si facesse. Tuttavia si vedeva, che gl'Inglesi combattendo ora cogli archibusi, ora colle baionette molto aspramente, si facevano avanti, mentre gli Americani indietreggiavano. In fine i Virginiani ferocemente incalzati da Webster, e già mezzi scompigliati da quell'inopportuna mossa, ordinata in procinto della battaglia da Gates, dopo leggier conflitto, voltate le spalle, si davano, lasciando i compagni nelle peste, vergognosamente alla fuga. Le successive compagnie dei Caroliniani incominciarono anch'esse a balenare, e seguitarono poscia la medesima bruttezza, nissuno quasi combattendo, o mostrando il volto agli avversarj, smarrita non che altro, per la fuga così subita, la virtù dei Capi. Così appoco appoco si andò smagliando tutto il sinistro corno dell'esercito americano. Fecero Gates e Caswel qualche sforzo per riordinargli; ma sopraggiunse in terribile sembianza Tarleton, il quale, veduta la rotta loro, gli aveva seguitati a slascio, e quei che già erano in volta, spaventò viemmaggiormente, e quei, che si volevano rannodare, sbaragliò. Nissun fine o modo al terrore ed alla fuga. Tutti si rifuggirono alla sfilata nelle vicine selve. Così per la rotta dei Virginiani e delle più vicine milizie della Carolina un reggimento caroliniano, e gli stanziali marilandesi e delawariani, che già si trovavano alle prese da fronte, furono anche assaliti sul loro sinistro fianco, ch'era rimasto nudato, dall'ala dritta inglese, che vittoriosa s'era volta contro di loro. Combatterono ciò nondimeno egregiamente; e furono operatori, che se non poterono ristorare la fortuna della battaglia, almeno non ne furono in questo dì macchiate con una nota di codardia, e disgraziate presso i forti uomini le americane insegne. Traevano da disperati; si avventavano colle baionette, tennero un pezzo la battaglia dubbia; e non contenti al difendersi, ma spintisi innanzi, guidati ed incuorati dal barone di Kalb, si scagliarono furiosamente addosso gl'Inglesi, e gli fecero restare un momento. Ma finalmente sopraffatti dal numero dei regj, e tentati e punti da ogni banda dalla cavalleria andarono anch'essi in volta, non avendo però lasciata la vittoria senza sangue agl'inimici. Il barone di Kalb fu ferito mortalmente di undici ferite, e fatto prigioniero. Si salvarono come a ciascun venne in sorte, scomposti e sbarattati. Solo si levarono dal campo Gist con un nodo intiero di cento fanti, ed Armand co' suoi cavalli. Seguitarono gl'Inglesi gagliardamente i vinti colla cavalleria per lo spazio di ventitre miglia, e non fu fatto fine al perseguitare, se non quando la stanchezza indusse la necessità del riposo. Fu assai grave in questo fatto la perdita degli Americani, poichè il numero dei morti, feriti e prigionieri loro arrivò bene a due migliaia di soldati. Tra i prigionieri si noverarono il barone di Kalb, ed il generale Rutherford caroliniano; tra i morti il generale Gregory. Otto cannoni, duemila archibusi, un buon numero di bandiere, tutto il carreggio, le bagaglie e le munizioni vennero in poter dei vincitori. La perdita degli Inglesi tra morti e feriti, sommò soltanto a 324, inclusi gli uffiziali. Il barone di Kalb tre giorni dopo, sentendosi vicino al morire, pregava il cavaliere du Buisson, suo ajutante di campo, esprimesse in nome suo a Gist e Smallwood, quanto stato fosse soddisfatto del valore dimostrato nella battaglia di Cambden dagli stanziali della Delawara e della Marilandia. Ciò fatto, rendè lo spiritò con manifesti segni di contento all'aver perduto la vita in difesa di una causa, che sì ardentemente aveva amato. Il congresso decretò, se gli si rizzasse un monumento nella città di Annapoli, capitale della Marilandia. E' pare, che Gates, oltre l'errore dell'aver voluto cambiar l'ordinanza dei suoi in cospetto del nemico, abbia anche commesso quell'altro di aver fatto marciar di nottetempo le milizie, le quali, non use ancora ai pericoli della guerra, e mal ferme negli ordini loro, facilmente aombrano e sbigottiscono. Si ritirò egli a Hillsboroug nella Carolina Settentrionale; Gist e Smallwood prima a Charlottetown, e poscia più in su a Salisbury, dove intendevano a raccorre i fuggiaschi, ed ogni sforzo facevano per rifare una grossa testa. Ora tutto veniva a divozione dei vincitori, e nissuna insegna si discopriva più oltre rizzata in tutta la Carolina Meridionale in favore della repubblica. Solo Sumpter si andava tuttavia aggirando con una mano di circa mille soldati, e due bocche da fuoco sull'occidental riva del fiume Wateree. Ma avute le novelle, che Gates era stato rotto in battaglia a Cambden, si ritirava più che di passo verso Catawba, distretto posto nelle parti superiori della settentrionale Carolina. Cornwallis, il quale era uomo operosissimo, avvisandosi che l'opera non era compiuta, finchè non avesse rotto quel capo, che solo rimaneva, di repubblicani, lo faceva perseguitare da Tarleton. Usando una incredibile celerità, giunse alla non pensata sugli alloggiamenti di Sumpter, mentr'egli se ne stava pigliando riposo sulle sponde del Fishingcreek. La cosa riuscì sì improvvisa, che gl'Inglesi ebbero tempo di por le mani sulle armi degli Americani, primachè avessero potuto risentirsi. I soldati di Sumpter si perdettero di animo, e benchè qua e là si facesse qualche difesa, furono di breve rotti e fugati. Molti furono tratti a morte, quantunque si arrendessero; perciocchè Tarleton non voleva lasciargli in vita, non avendo seco ad un terzo tanta gente, quanta Sumpter. Infine cessò la strage, quando furono liberati gl'Inglesi ed i leali, che prigionieri essendo, aveva Sumpter fatto alloggiare dietro il campo. I cannoni, le munizioni, le bagaglie, il carreggio diventarono preda al vincitore, Sumpter scampò dalla rotta con pochi de' suoi. Ei non v'ebbe colpa, perciocchè non avesse tralasciato di mandare avanti gli speculatori a sopravvedere, i quali tutt'altra cosa fatto avevano fuori di quella, che dovevan fare. Tarleton colla preda, coi prigionieri, e coi liberati se ne tornò tre giorni dopo a Cambden. Dopo il fatto d'arme di Cambden avrebbe Cornwallis, per non corrompere colla tardanza il frutto della vittoria, desiderato di condursi tosto nella Carolina Settentrionale, provincia debole ed infetta di mali semi verso il congresso, per andar poscia a danni della Virginia. Certamente la presenza in quella dell'esercito vincitore avrebbe le ultime reliquie disperso dei vinti, impedito che di nuovo si ordinassero ed ingrossassero, e dato animo ai cittadini amatori del nome reale, perchè potessero levarsi, e romoreggiare. Ma varie cagioni si opponevano a questa volontà di Cornwallis. Era la stagione caldissima e malsana, il numero de' malati dentro gli ospedali grande, e quello dei feriti non poco. I fondachi ancora male eran forniti delle cose necessarie a campeggiare, nissuna canova sulle frontiere delle Caroline; quella del Nort scarsissima di vettovaglie. Per la qual cosa, omessi i pensieri caldi, e partiti i suoi soldati nelle stanze, se ne tornò nella città di Charlestown, credendosi sicuro e della intiera soggezione della meridionale Carolina, e della vicina conquista della settentrionale, quando fossero ed il tempo diventato propizio, e le munizioni apparecchiate. Solo scrisse frequenti lettere agli amici del Re nella Carolina del Nort, esortandogli a pigliar le armi, a far masse, ed a por le mani addosso ai più violenti libertini, ed alle munizioni e magazzini loro; intraprendessero eziandio, e si assicurassero delle persone degli sbrancati dell'esercito ribelle. Prometteva infine, sarebbe venuto tosto in soccorso loro. E perchè i fatti consuonassero colle parole, non potendo ire con tutto l'esercito, mandò sui confini occidentali della Carolina del Nort coi cavalleggieri, ed una banda di mille leali, il maggiore Fergusson, arditissimo condottiere di stracorridori. Doveva questi colla presenza sua dar animo ai leali, e principalmente intrattenere pratiche cogli abitatori della contea di Tryon, più di tutti gli altri affezionati al nome dell'Inghilterra. Non potendo Cornwallis guerreggiare, si metteva in sul voler riordinare le cose interne, per viemmeglio stabilire l'acquisto della provincia. Nel che fare volendo egli usare medicine forti, si propose e di spaventare i repubblicani con severe pene, e di tor loro i modi di nuocere, togliendo loro le sostanze. Mandò pertanto ordini ai capitani britannici, perchè immediatamente gastigassero col supplizio delle forche coloro, i quali dopo di aver militato nelle bande paesane in favor del Re, si fossero poscia congiunti coi ribelli; che incarcerassero, e spropriassero coloro, i quali essendosi prima sottomessi, avessero poi avuto parte nell'ultima ribellione; e che cogli effetti loro si ristorassero quelle persone, che state fossero da essi o spogliate od oppresse. Nel che si dee far considerazione, che se tanta severità si poteva escusare rispetto a coloro, i quali avevano scambiato la condizione di prigionieri di guerra con quella di sudditi britannici, era però condannabile e degna di eterno biasimo quella, che si esercitava contro coloro, che nella prima condizione avevano voluto perseverare. Imperciocchè erano stati sciolti delle parole loro dal solenne bando mandato fuori da Cornwallis addì 3 di giugno. Ma i vincitori o gavillando, e qualche volta ancora senza gavillare, massimamente quando si tratta di affari di Stato, rompono troppo spesso la fede loro, come se necessaria cosa fosse l'accoppiare alla ferocità delle armi l'arte degl'inganni. Comunque ciò sia, gli ordini di Cornwallis, avvengadiochè duri ed aspri fossero, eran posti ad effetto in ogni parte, e tutta la Carolina ne fu ripiena di esempj crudeli e superbi. La qual cosa alcuni fra gli uffiziali britannici altamente condannavano; ma i più, e più di tutti Tarleton, come utile e necessaria alla causa del Re sommamente commendavano. Conciossiachè Tarleton già si era molto doluto della clemenza, siccome la chiamava egli, usata da Cornwallis prima della battaglia di Cambden, dicendo, ch'essa era non solo buona a nulla, ma ancora nociva in tutto, siccome quella, che faceva gli amici meno vogliosi, ed i nemici più arditi. Il che se era vero, stato non sarebbe da biasimarsi, se nelle guerre si avesse solo ad aver riguardo all'utile, e nissuno alla umanità, alla fede ed alla giustizia; poichè nissuno niega, che nell'esercizio di quelle l'avvelenare le fonti, l'ammazzar sul fatto i prigionieri che ci vengono alle mani, il condurre in ischiavitù gli uomini, le donne, i fanciulli dei vinti, e di ogni proprietà ed umano diritto dispogliargli, possano essere, o siano invero cose utili ad effettuarsi. Ciò nonostante si vede, che le nazioni civili, ed i capitani degli eserciti, che del tutto barbari e disumanati non siano stati, se ne sono in ogni tempo astenuti. Ma gli Inglesi intanto non restandosi traevano a crudel morte gli uomini più riputati del paese. I cittadini di Camden, di Ninety-six, di Augusta, e di altri luoghi videro montare su i patiboli coloro, i quali di nissun'altra cosa si accagionarono fuori di quella di essere stati troppo fedeli ad una causa, ch'eglino tanto giusta, ed alla patria loro profittevole riputavano. Le menti si riempirono d'orrore, ed i cuori s'infiammarono di ferino, e più che immortale odio contro i crudeli vincitori. Fremevano i popoli all'intorno, e giuravano di vendicarsi; tutti abbominavano un re, che sì feroci esecutori delle volontà sue aveva nella diletta contrada loro inviati. Le insegne sue ne diventaron esecrate; ed i capitani britannici impararon per pruova, che i supplizj e la disperazione degli uomini sono poco sicuri fondamenti alla conquista di un popolo in lontane regioni posto, da una comune opinione mosso, ed in una generale impresa infervorato. Nè furono questi i soli provvedimenti, che credè Cornwallis utile di fare per assicurarsi nella possessione di quelle province, che colle armi aveva conquistate. Usò ancora, per tor vieppiù favori ai malcontenti, i confini ed i sequestri. Ossiachè temesse, che la presenza dentro Charlestown dei principali personaggi, i quali, stando fermi in sulle parole loro di prigionieri di guerra, non avevano voluto rivestirsi della qualità di sudditi, non contribuisse a mantener vivo il desiderio della resistenza, ovverochè, siccome gl'Inglesi lasciarono scritto, avessero essi sin là tenuto pratiche segrete coi nemici del nome reale, le quali venute fossero a notizia dei Capi britannici per mezzo delle scritture trovate nelle bagaglie dei generali americani prese nella rotta di Cambden, fece arrestare più di trenta dei Capi più riputati delle parti americane, e gli mandò a confine nella città di Sant'Agostino nella Florida orientale. Erano questi tutti del numero di coloro, che avevano più mestato nel passato governo, e che s'erano dimostrati più ardenti in voler tenere quella guerra. Perchè poi non potessero coloro, ch'ei credeva, od erano infatti avversi, le sostanze loro usare in benefizio del congresso, o per isforzargli a calare alla soggezione, con pubblico bando sequestrò i beni di tutti coloro, i quali o intrattenessero traditevoli pratiche, o stessero ai servigj, od in qualunque modo operassero sotto l'autorità del congresso, od accostati si fossero ai nemici della Gran-Brettagna, o la ribellione con parole, o con fatti sostenessero, ed avanzassero. Costituì nel medesimo tempo un commissario sopra i beni sequestrati, il quale fosse obbligato di contare alle famiglie degli staggiti una parte della rendita annua al netto, la quarta a quelle, che consistessero nella moglie e nei figliuoli, ed una sesta alle mogli che non avessero figliuoli, bene inteso però, che dovessero nella provincia fare la residenza loro. Questi modi in un con una grandissima vigilanza sugli andamenti dei sospetti usarono gl'Inglesi per compor le cose, e per estirpare al tutto la ribellione nella meridionale Carolina, e potere, quando fosse giunto il tempo propizio, sicuramente recarsi a conquistare quella del Nort. Qual fine avessero queste deliberazioni, apertamente si vedrà nel progresso di queste storie. Mentre dal canto delle Caroline la perversità della stagione avea posto fine alle ostilità, e che anche da quello della Nuova-Jork gl'Inglesi, poco potendo offendere, perchè erano più deboli di armi terrestri, ed i confederati, perchè erano al di sotto di armi navali, una simile cessazione della guerra si era introdotta, si andava maturando un disegno, il quale, se avesse quella riuscita avuto, che gli autori suoi si erano proposto, avrebbe partorito la totale rovina dell'esercito di Washington, e forse ancora l'intiero soggiogamento dell'America. Certo egli stette ad un pelo, che l'opera di tanti anni, e che già tanti tesori aveva costati, e tanto sangue, non venisse da una inopinata causa sino in fondo distrutta, e che gl'Inglesi per via di un tradimento quel fine conseguissero, al quale non avevano potuto arrivare per mezzo di una lustrale guerra con sì grande arte, e con tutte le forze loro esercitata. E venire doveva il danno da parte di colui, dal quale meno, che da ogni altro potevano, e dovevano gli Americani aspettarlo. Dal che si ebbe un argomento manifesto, che il coraggio disgiunto dalla virtù non è da pigliarsi a fidanza; che gli uomini più avventati in una causa sono anche spesso alla medesima i più infedeli, e che gli avari, ed ambiziosi dissipatori delle proprie, e delle pubbliche sostanze facilmente diventano della patria loro scellerati venditori e traditori. Nè nessuno dubiti, che siccome le virtù private sono le produttrici, così siano ancora il principale ed unico fondamento alle pubbliche; e si dee tener per sicuro, che coloro, i quali privi essendo delle prime si accostano al governo delle repubbliche, ciò fanno o per ambiziosamente soprastare, o per avaramente taglieggiare i proprj concittadini. E quando ciò non è loro comportato, fanno novità al di dentro, o tradimenti al di fuori. Era il nome del generale Arnold molto, e molto meritevolmente caro a tutti gli Americani, che lo stimavano uno dei principali difensori dello Stato loro. Essendosi egli ritratto dal militare in sui campi, a motivo di quelle ferite non ben sanate, che sì sconciamente gli avevano guasto una gamba, e non volendo il congresso e Washington porre in dimenticanza i servigj di lui, lo avevano creato comandante di Filadelfia, allorquando, ritiratisi gl'Inglesi da questa città, era essa di bel nuovo venuta in poter dei repubblicani. Quivi vivendo dissolutamente, più spendeva che potesse spendere, e più esigeva di quello, che avesse diritto di esigere. Postosi ad abitare nelle case di Penn le aveva fornite di ogni foggia di ricchi addobbi e di preziosi arredi. Giuocava alla dirotta; metteva tavola spesso; teneva gran vita, di balli, di concerti, di feste promovitore, e donatore grandissimo. Nè bastando a gran pezza le solite paghe del suo grado a tanti stravizzi e strabocchi, si era messo in sul mercanteggiare, ed in sul corseggiare. Le cose non gli tornaron bene; i debiti s'ammontavano, i creditori lo importunavano; quell'animo altiero e dissoluto non sapeva dove volgersi; nulla voleva rimettere della sua grandigia; filava tuttavia del signore. Questo gli fe' concepir animo di far peggio, e sperando di ristorarsi con quel del pubblico per inganno di quello, che dissipato aveva per iscialacquo, presentò certi conti in cui inserì di quelle cose, che sarebbero state disoneste al più ingordo usuriere del mondo. La cosa parve non solo strana, ma enorme. Si creò un magistrato espresso di commissarj per esaminargli. Questi non solo non vollero spegnere con esso lui i conti, ma ricusarono la metà delle partite. Si arricciò fieramente l'Arnold, e diceva dei commissarj di quelle cose, che non si sarebbero potute dipingere. Non istette contento al loro giudicato, e ne appellò al congresso. Delegò questi alcuni de' suoi membri, perchè, esaminato questo affare, lo assestassero. I quali giudicarono, che i commissarj più avevano concesso ad Arnold di quello, che avesse diritto di domandare. Se ad una tale sentenza montasse egli in bizzarria, ciascuno il pensi; e siccome uomo rotto e caldo, ch'egli era in tutte le sue azioni, diceva del congresso le più vituperose parole, e le maggiori villanie, che mai a uomini costituiti in grado si dicessero. Queste cose non erano sì fatte, che potessero disacerbar le ire, e ricompor gli animi gonfiati dall'una parte e dall'altra. Nè la pertinacia di quelle menti americane era tale, che fossero capaci di lasciar a mezza via una faccenda, che incominciato avessero. Fu Arnold accusato di peculato dallo Stato della Pensilvania, e tradotto avanti una Corte militare per subir il suo processo. Lo accagionarono, tra molte altre cose, che avesse fatto sue le mercanzie inglesi, che aveva trovate, e staggite in Filadelfia l'anno 1778; che usasse i carri del pubblico per trasportar certe robe dei privati, e specialmente le sue, e quelle de' suoi compagni nel commercio della Cesarea. La Corte sentenziò, dovesse essere ripreso da Washington. Il quale giudizio non soddisfece nè agli accusatori, ne all'accusato, allegando i primi, che si avesse avuto più rispetto ai passati servigj d'Arnold, che alla giustizia; e dolendosi il secondo, dell'ingiustizia e dell'ingratitudine della sua patria. E non potendo quell'uomo altiero sgozzare sì grave ingiuria, siccome la chiamava, nè comportare, poichè gli Americani con sì smoderato affetto l'avevano amato, d'essere ora venuto in tanta disgrazia loro, si determinò nell'impeto della concetta collera; e per poter continuare a gozzovigliare ed a grandeggiare coll'oro inglese, giacchè coll'americano più non poteva, di aggiungere alla intemperanza la frode, ed alle ruberie il tradimento. Per la qual cosa, risoluto al tutto di ritornar la patria sua in servitù degl'Inglesi, discovrì con una lettera l'animo suo a un Robinsone colonnello inglese, il quale ne diè tosto contezza a Clinton. Si appiccò una pratica tra le due parti per mezzo del maggior André, ajutante di campo del generale inglese, giovane e per l'eccellenza delle forme, e per costumi, per bontà, per cortesia amabilissimo. Arnold e André carteggiavano tra di loro sotto i finti nomi di Gustavo e dì Anderson. Promettevano all'Arnold molt'oro, e il grado di generale nell'esercito regio. Egli dal canto suo si offeriva di fare qualche rilevato, e determinativo fatto in benefizio del Re. Si condussero tanto innanzi con queste pratiche, che vennero in parole di porre la Rocca di West-point in mano dei regj. Egli è West-point un luogo forte sull'occidentale riva del fiume del Nort. E siccome piuttosto di unica, che di grand'importanza per guardar il passo delle montagne dall'insù del fiume, così lo avevano gli Americani con infinita spesa ed arte talmente affortificato, che a ragione era chiamato il Gibilterra dell'America. Questo fortissimo propugnacolo s'accordò Arnold di voler porre nelle mani degl'Inglesi. Laonde allegando, che gli era venuto a noia il soggiorno di Filadelfia, e che desiderava di adoperarsi di nuovo fra i campi in servigio dello Stato, chiedè, gli si concedesse, ed ottenne il capitanato di West-point, e di tutta quella parte delle genti americane, che in quei contorni alloggiavano. Ma il disegno non si ristava alla dazione di West-point. Intendeva Arnold di far pigliare tali posti alle sue genti fuori della Fortezza, che fosse facilmente fatto abilità a Clinton di arrivar alla non pensata, e subitamente opprimerle. La qual cosa ottenutasi in un colla possessione di West-point, si sarebbero gl'Inglesi avventati contro le restanti genti di Washington, le quali, per custodire quei passi, nei circonvicini luoghi dall'una parte e dall'altra del fiume si erano fermate, e le avrebbero all'ultimo sconfitte e conculcate. In tal modo oltre la perdita di West-point, e di quei passi, che erano venuti in contesa già tante volte, e per acquistar i quali aveva il governo inglese fatto la spedizione di Burgoyne, avrebbero gli Americani tutto l'esercito loro, le artiglierie, le munizioni, le bagaglie, ed i migliori uffiziali perduto. E si poteva conghietturare che sopraffatte le menti dall'improvviso caso, e da sì subita rovina, e valendosi gl'Inglesi della confusione e dello sbigottimento dei popoli, gli Stati Uniti stati ne sarebbero oppressi, e l'independenza loro all'ultima ora condotta. Erasi verso la metà di settembre Washington recato, per fornirvi alcune pubbliche bisogne, a Hartford nel Connecticut. Sotto questa occasione credettero di poter trarre a fine l'accordato disegno. Appuntarono, che per pigliar insieme le ultime deliberazioni, sarebbe André venuto nascostamente a trovare Arnold. Sbarcò quegli la notte dei 21 settembre dalla corvetta inglese l'Avoltoio, che già da lungo tempo Clinton aveva fatto fermare su pel fiume non lungi da West-point per facilitare le pratiche, che tra di lui ed il generale americano bollivano. Trovò l'Arnold; stettero insieme tutta la notte. In sul fare del dì, non avendo ancor potuto accordare tutta la bisogna, André fu nascosto in luogo sicuro. La notte seguente se ne voleva ritornare. I navicellai non vollero ricondurlo all'Avoltoio, perchè aveva questo con certe mosse dato non so qual sospetto. Si risolvette, se ne gisse per la via di terra. Diegli Arnold un cavallo, ed un passaporto col nome di Anderson. Si spogliò André, benchè, come è fama, suo malgrado, ed a ciò costretto da Arnold, dell'abito d'offiziale inglese, che sin là aveva portato sotto un gabbano, vestendone un comune. Si avviava verso la Nuova-Jork. Già aveva trapassato le guardie, e le estreme scolte del campo. Credevasi giunto a salvamento. Ma I cieli avevano altro fine destinato alla brutta perfidia di Arnold, ed al generoso voto, che di sè stesso aveva fatto alla patria sua l'André. Passando questi per una Terra chiamata Tarrytown, già vicino a quelle occupate da' suoi, ecco che tre uomini di milizia, che là si trovavano a caso, e non per ordine, lo arrestarono. Mostrato il passaporto, lo lasciavano andare al suo cammino. Ma uno dei tre più sospettoso degli altri, avendo osservato non so che di strano nelle sembianze del passeggiero, il richiamò, André domandava, _Chenti fossero?_ Risposero, _di laggiù_, intendendo parlare della Nuova-Jork. Il non sospettante giovine mal naturato agl'inganni rispose, _ed ancor io sono_. Lo arrestavano. Si scopriva, qual era, un uffiziale inglese. Offeriva quant'oro volevano, un prezioso orologio, gradi, e ricompense nell'esercito britannico, se lo lasciassero andare. Tutto fu nulla. Giovanni Paulding, Davide Williams, ed Isacco Wanwert, che tali erano i nomi dei tre soldati, disdegnarono le esibizioni, in ciò tanto più degni di lode, quanto che erano in basso luogo nati ed avrebbero acquistato altra condizione. Così nell'istesso tempo, in cui quegli, che teneva uno de' primi gradi negli eserciti dell'America, e che famoso era al mondo pel valore suo, e per le cose fatte in pro della patria, per un po' di concetta collera, e per la gola dell'oro, essa patria tradiva, e voleva dar in mano al nemico, tre soldati gregarj l'onesto all'utile, la fedeltà alle ricchezze anteponevano. Ricercarono l'André in ogni parte della persona. Trovarono, dentro gli stivali copiosi ricordi, tutti scritti di pugno d'Arnold sulle positure de' luoghi, sulle munizioni, sul presidio di West-point, e sul più convenevole modo di assaltar la Fortezza. Condotto André avanti l'uffiziale, che era preposto alle scolte, temendo di nuocere ad Arnold, se si discoprisse tosto, qual egli era, e non curando il pericolo, che correva vicinissimo di essere immediatamente, come spia, posto a morte, quando si risapesse, aver egli dissimulato il proprio nome, continuava ad affermare, esser desso Anderson. L'Americano non sapeva, che farsi, e si andava peritando, non potendo credere, che colui, il quale aveva sparso tante volte il suo sangue a beneficio della patria la avesse ora voluta tradire. Queste dubitazioni, le negazioni d'André, il ritrovarsi Washington ed Arnold medesimo lontani dal campo furono causa, che quest'ultimo ebbe comodità, avendo udito prontamente l'arrestamento d'André, di scansarsi, e di guadagnar l'Avoltoio. Divulgatasi la cosa, si riempirono i popoli d'insolito stupore al tradimento di un uomo, nel quale tanta confidenza, e sì lunga avevano posto, al vicino pericolo, che corso avevano, ed al fortunevole caso, che ne gli aveva preservati. Dio, dicevano, non permettere, periscano gli uomini valorosi; l'assistenza di lui nella presente occasione stata essere evidente; gradire esso, e proteggere la causa dell'America. Tutti abbominavano Arnold, tutti encomiavano gli arrestatori d'André. In questo arrivò Washington al campo, ritornando dal Connecticut. Prima di ogni cosa sospettando, che vi potesse esser più marcio e più complici, nè sapendo quali, pensava a' rimedj e pigliava quelle risoluzioni, che credeva valevoli a render vani gli sforzi loro. Temeva altresì, che l'esempio fosse pernizioso, e che in quei medesimi, ch'erano estrani al disegno, nascesse il desiderio di cose nuove. Imperciocchè, rotto una volta il guado, per l'ordinario vi s'affolla la gente per passare, e gli uomini a guisa delle pecore più volentieri vanno, dove vedono andar gli altri, che dove si dovrebbe andare. Di ciò stava egli tanto più in apprensione, che i suoi soldati erano pagati tardi, ed a spilluzzico, e mancavano di molte cose non solo al guerreggiare, ma anche al vivere necessarie. Ma le cautele furono superflue. Nissuno dondelò; nè si scoperse da alcun canto, che la mala influenza avesse altri contaminato oltre l'Arnold. André, quando pel progresso del tempo potè presumere, che Arnold fosse giunto in salvo, palesò il suo nome, e grado. Era più che della sua salute sollecito di provare, ch'ei non era nè impostore, nè spia, allegando, che quelle cose, che tale lo potevano far credere agli occhi degli uomini, non erano suo fatto. Affermava, che l'intento suo era stato solamente di venirsi ad abboccare in una Terra neutrale con quella persona, che gli era stata dal suo generale indicata; ma che quindi era stato aggirato, e tratto dentro gli alloggiamenti americani. Da quel momento in poi nulla potersegli imputare, poichè si trovava in potestade altrui. Washington intanto creò una Corte militare della quale furono eletti membri, oltre molti uffiziali americani dei primi, il marchese de La-Fayette, ed il barone di Steuben. Mandò egli al cospetto loro l'André, perchè esaminata, e considerata bene la cosa, definissero, di che qualità fosse il caso, e qual fosse il castigo, che convenisse dare al colpevole. Comparì l'Inglese al cospetto della Corte, nè insolente, nè avvilito. La sua ancor verde età, l'eleganza della persona, le maniere piene di cortesia piegavano i cuori di tutti i circostanti in suo favore. In quel tanto essendo Arnold arrivato a bordo dell'Avoltoio, scrisse tosto una lettera a Washington. Sì gloriava in essa, che l'amore, che fin dal bel principio della querela aveva portato alla sua patria, quello stesso l'aveva ora a questo passo condotto, checchè di ciò pensar potessero gli uomini sì spesso ingiusti estimatori delle azioni altrui. Continuava dicendo, che nulla pregava per sè, già troppo avendo sperimentato l'ingratitudine della sua patria, ma sì pregava bene, e scongiurava il capitano generale, fosse contento preservar la donna sua dagli insulti della gente irritata; mandassela a Filadelfia in mezzo agli amici di lei, o permettesse, andasse a raggiungerlo alla Nuova-Jork. Dopo questa venne una lettera del colonnello Robinson, data pure a bordo dell'Avoltoio. Chiedeva instantemente, fossegli renduto l'André, affermando, esser questo andato a riva per una bisogna pubblica, e sotto la tutela di un tamburino, chiamatovi dall'Arnold, e mandatovi dal suo generale; che per ritornasene alla Nuova-Jork aveva avuto licenza, e passaporti dal generale americano; che tutto quello, che aveva operato l'André, dopo ch'era venuto in mezzo agli alloggiamenti americani, e specialmente l'aver cambialo l'abito ed il nome era stato fatto per volontà di Arnold. Concludeva, che il ritenerlo più oltre era una violazione della santità dei tamburini, ed una cosa contraria agli usi della guerra, da tutte le nazioni riconosciuti e praticati. Scrisse poco poi lo stesso Clinton, richiedendo colle medesime instanze e ragioni l'André. In questa di Clinton era stata inclusa una lettera d'Arnold scritta in termini assai vivi, colla quale affermava, ch'egli nel grado suo di generale americano aveva il diritto di concedere ad André la solita protezione dei tamburini, perchè senza pericolo potesse venire ad abboccarsi seco lui, e che per rimandarnelo stava in sua facoltà di seguir quei modi, che più convenevoli aveva creduti. Ma André minor pensiero si dava della sua salute, che gli amici suoi dall'altra parte si avessero. Abborrendo ogni bugia e sotterfugio, volendo, giacchè si trovava dai fati inesorabili condotto all'ultimo confine della sua vita, questa almeno terminare pura e chiara, e senz'alcuna nota d'infamia, candidamente confessò, non esser venuto a niun modo sotto la protezione di un tamburino, aggiungendo, che se in tal modo venuto fosse, colla medesima accompagnatura se ne sarebbe ritornato. Guardavasi dall'incolpar chicchessia; di sè stesso parlò con mirabile ingenuità; confessò più di quello, di che fosse interrogato. Ognuno ammirava tanta generosità e tanta costanza. Tutti con lagrime dolorose compassionavano l'infelice giovane. Avrebbero desiderato salvarlo, ma troppo era la cosa chiara. La Corte, fondandosi sulle sue confessioni, sentenziò, essere André, e dovere considerarsi come una spia, e come tale dover essere posto a morte. Notificò Washington a Clinton, rispondendo alle lettere di lui, la sentenza. Narrò tutte le circostanze del fatto, e notò, che sebbene queste tali fossero, che, costituitone André nel grado di spia, sarebberne stati giustificati contro di lui i più sommarj procedimenti, tuttavia si aveva voluto operare più consigliatamente, facendo esaminar la cosa da un maestrato espresso, e che il giudicato suo era stato quello, che gl'inviava. Ma Clinton, al quale oltre ogni dire doleva il destino d'André, ch'era l'occhio e l'anima sua, non era uomo da ristarsi, per iscamparlo, alle già fatte dimostrazioni. Scrisse pertanto un'altra lettera a Washington, pregandolo giacchè, come diceva, i giudici non erano stati bene informati del fatto, fosse contento, si facesse un abboccamento a questo fine tra quelle persone, che dalle due parti si deputerebbero. Consentì Washington, e si abboccarono a Dobbs'-ferry il generale Robertson dalla parte inglese, e Greene dall'americana. Molto instò il primo per provare, che André non era spia, allegando i soliti argomenti dei tamburini, e del suo operar costretto, quando egli era in potestà d'Arnold. Ma accorgendosi di non far frutto, saltò a toccar dell'umanità, della necessità di mitigare con generosi consiglj la crudeltà della guerra, della clemenza di Clinton, che mai non aveva fatto porre a morte alcuno di coloro, che le leggi della guerra violato avevano; che André molto era caro al capitano generale, e che se a lui fosse conceduto di ricondurlo seco alla Nuova-Jork, ogni qualunque persona colpevole, che in mano degl'Inglesi si trovasse, della quale gli Americani si richiamassero, sarebbe incontanente posta in libertà. Pregò ancora, si sospendesse, e si rimettesse la cosa nell'arbitrio di due soldati pratichi degli usi della guerra, e delle nazioni, proponendo i generali Knyphausen, e Rochambeau, e che ciò, ch'essi opinassero, quello si facesse. Presentò infine una lettera d'Arnold indiritta a Washington, colla quale si era studiato d'incolpare in tutto sè, e di scolpar André. Concluse minacciando, che, se la sentenza recata contro André fosse posta ad effetto, si sarebbero fatte orribili rappresaglie; e che in ispecialità quei traditori della Carolina, ai quali Clinton, mercè sua, aveva fin'allora perdonato la vita, ne sarebbero tratti immediatamente a morte. L'interposizione di Arnold non poteva non nuocere all'André; e quando gli Americani avessero voluto piegarsi alla clemenza, la lettera sua ne gli avrebbe stornati. Si terminò l'abboccamento senza effetto. André intanto s'andava apparecchiando alla morte. Dimostrò egli contro di questa non quel disprezzo, che spesso è simulazione o bestialità, nè quella debolezza, che propria è degli uomini effeminati, o rei, ma sibbene quella costanza, che s'appartiene agli uomini virtuosi e forti. Gli pesava il morire; ma molto più gl'incresceva il modo della morte. Avrebbe desiderato di morire, come i soldati sogliono, passando per l'armi, non come le spie, ed i malandrini sulle forche. Questo abborriva grandissimamente. Ne addimandò alla Corte. Non gli fu risposto; perciocchè concedere la domanda non volevano, negarla espressamente stimarono crudeltà. Ma due altre cose molto l'animo del giovane tormentavano, e quest'erano, che la madre sua, e le tre sorelle, che sole aveva al mondo, e ch'egli piamente amava, e colle sue paghe sosteneva, fossero, morto lui, ridotte a miseria; l'altra, che gli uomini potessero credere, che gli ordini di Clinton quelli stati fossero, che lo avessero obbligato a far quei passi, i quali lo avevano nella presente condizione condotto. Temeva perciò, venisse la sua morte a quell'uomo imputata, ch'egli sommamente amava, e venerava. Gli fu concesso, ne scrivesse a Clinton; il che fece, molto a lui l'infelice madre, e le sorelle raccomandando, e testimoniando, che gli accidenti dell'esser venuto dentro le poste del nemico, e dell'essersi travestito erano stati cose contrarie, siccome alle sue intenzioni, così ancora agli ordini di Clinton. Il dì due d'ottobre fu il giorno dai cieli destinato per termine alla vita di André. Condotto al patibolo disse, _così debbo io morire?_ Gli fu risposto non essersi potuto fare altrimenti. Ne dimostrò grave dolore. Infine, fatte le sue preghiere, pronunziò queste, che furono per lui le ultime parole: _Siate testimoni voi, che io muojo, come un bravo uomo dee morire_. Così fu tratto a giusta, ma indegna morte un dabben giovine meritevole in tutto di miglior destino. La mestizia fu grande tra gli amici, e tra i nemici. Arnold si rodeva, seppure quell'anima contaminata era capace di rimorso. Gl'Inglesi stessi il detestavano e pel suo tradimento, e per essere stato cagione della morte d'André. Ciò nondimeno, siccome nelle cose di Stato soglionsi adoperare così gl'istromenti più vili, come i più generosi; e che in esse il fine, non i mezzi si guardano, fu Arnold creato Brigadier generale negli eserciti britannici. Sperava Clinton, che il nome di quello, e la dependenza avrebbero indotto molti fra gli Americani a correre a porsi sotto le insegne del Re. Ma Arnold conosceva benissimo, che poichè aveva abbandonato i suoi, gli era mestiero mostrarsi vivo in favor degl'Inglesi. E siccome gli uomini anche più malvagi vogliono serbar tuttavia la sembianza della virtù, così mandò un cartello, col quale, sperando di velare con questo artifizio l'infamia sua, iva aggirandosi, dicendo, che da principio aveva pigliate le armi in mano, perciocchè credeva, fossero offesi i diritti della sua patria; che anche aveva accomodato l'animo alla dichiarazione dell'independenza, quantunque la credesse intempestiva; ma che quando la Gran-Brettagna, come buona ed amorevole madre, aveva loro aperte le braccia, ed ebbe offerti giusti ed onorevoli accordi, il rifiuto di questi, e di più la lega colla Francia avevano intieramente cambiato la natura della querela, e fatto, che quello, che era giusto ed onorevole, diventato fosse ingiusto e vituperoso. D'allora in poi, affermava, esser diventato desideroso di ritornare nell'antica fede coll'Inghilterra. Censurò il congresso, e con aspre parole rammentò la tirannide e l'avarizia sua, condannò la lega colla Francia, lamentando, che i più gravi interessi della patria fossero dati in preda ad un superbo e perfido nemico; definì la Francia troppo debole per istabilir l'independenza; chiamolla nemica della fede protestante; accusolla di fraude nel voler mostrarsi affezionata alle libertà del genere umano, mentre i suoi proprj figliuoli teneva in vassallaggio e schiavitù. Concluse con dire, aver tanto indugiato ad operare a norma delle sue nuove opinioni, perchè aveva desiderato di far qualche gran fatto in benefizio, e riscatto della sua patria, e per evitare, per quanto possibil fosse, lo spargimento dell'uman sangue. Questo cartello indirizzò generalmente a' suoi concittadini. Un altro ne pubblicò pochi giorni dopo, intitolato agli uffiziali e soldati dell'esercito americano. Gli esortava a venirsi a porre sotto le insegne del Re, offerendo e gradi e caposoldi. Gloriavasi di voler condurre una scelta banda d'Americani alla pace, alla libertà, alla sicurezza; strappar la patria dalle mani della Francia, e di coloro che condotta l'avevano vicina al precipizio. Affermava, essere l'America preda all'avarizia, scherno al nemico, pietà agli amici; avere invece della libertà l'oppressione; spogliarvisi le proprietà, incarcerarvisi le persone, sforzarvisi la gioventù alle battaglie, inondarvi il sangue. Che altro è ora l'America, sclamava, se non se una terra di vedove, di orfani, di mendichi? Se l'Inghilterra cessasse gli sforzi suoi per liberarla, qual sicurezza rimanerle a potere quella religione godersi, per la quale gli antichi padri affrontarono l'oceano, il cielo, i deserti? Non essersi testè veduto l'abbietto e scellerato congresso assistere alla messa, e partecipare nei riti di una chiesa, contro l'anticristiana corruzione, della quale i pii maggiori renduto avrebbero col proprio sangue testimonianza? Questi furono i manifesti del traditore, che riuscirono altrettanto più inutili, quant'erano più smodati. Ma gli scrittori dalla parte dell'America non istettero all'incontro a badare; chè anzi con molte parole e ragioni alle sue contrarie gagliardamente il ributtarono. Tra le altre cose argomentarono, nissuno più dell'Arnold essere stato, anche dopo il rifiuto degli accordi, divoto e ligio servitor dei Francesi; nissuno più di lui esser andato loro a' versi; esso avere invitato il ministro Gerard in sul suo primo arrivo a Filadelfia ad abitar le sue case; esso avergli fatto le spese molto sontuosamente, e di balli, di feste, di conviti essersene avuto buona ragione; esso stato essere moiniere di Silas Deane, lancia dei Francesi; esso coi consoli ed altri maestrati francesi avere più di ogni altro avuto dimestichezza e familiarità, dimodochè quelli siansi creduti aver in Arnold trovato il miglior amico, che si avessero. Ma così andar la cosa, gli ambiziosi far le viste di servile servitù, e poscia di animo elevato secondo i casi, non vergognandosi di accusare in altrui i proprj vizj loro. Così, se Arnold aveva conficcato, gli altri ribadirono. Credette il congresso, fosse cosa indegna di sè il fare alcun motivo della tradigione, e dei manifesti d'Arnold. Solo per dimostrare in qual grado ei tenesse l'opera egregia, e degna d'onore di Giovanni Paulding, Davide Williams, ed Isacco Wanwert, che furono gli arrestatori d'André, fece loro con pubblico ed orrevole partito una onesta provvisione di dugento dollari senz'alcuna ritenzione, o stanziamento per ciascuno anno, durante la loro vita, deliberare e pagare. Decretò ancora, si gittasse, e rimettesse loro una medaglia d'argento col motto _fedeltà_ da una parte, e dall'altra quest'altro, _vincit amor patriae_. Il consigliò esecutivo di Pensilvania mandò un bando, col quale citò Benedetto Arnold in compagnia di alcuni altri vili uomini a comparire innanzi i tribunali per render ragione dei tradimenti loro, ed in difetto gli chiariva soggetti a tutte le pene solite a darsi a coloro, che venderono la patria, e vollero porla al giogo de' tiranni. Furon questi i soli atti, pei quali i pubblici maestrati dell'America avvertirono al tradimento d'Arnold. Avendo noi raccontato qual fine abbia avuto la trama ordita alla Nuova-Jork, l'ordine della storia, che intrapreso abbiamo, richiede, che descriviamo ora i successi, ch'ebbero nelle due Caroline le armi britanniche. Era la stagione pervenuta verso la metà di settembre, quando i capitani del Re, apparecchiato avendo le munizioni, le genti, ed ogni altra cosa necessaria, si risolvettero a voler muovere le armi, e quelle imprese compire, che già da molto tempo disegnate avevano, e che dovevano essere il più importante frutto della vittoria di Cambden. Stimavano che come avessero volto il viso verso la Carolina Settentrionale, subito al romore l'esercito americano se n'avesse a partire; e nella mente loro già non solo si promettevano la conquista di questa provincia, ma ancora quella della Virginia. Speravano, che allorquando a quella delle due Caroline, della Giorgia e della Nuova-Jork si fosse aggiunta la possessione della Virginia tanto ricca, e tanto possente, gli Americani non potendo più nutrir una tanta guerra, avrebbero piegato l'animo a far il volere della Gran-Brettagna. Non dubitavano punto, che le cose degli Americani avessero a declinare, ed ire del tutto in fascio. A questi fini dovevano nel medesimo tempo cooperare Cornwallis colle genti che aveva, correndo dalla meridionale nella settentrionale Carolina, e Clinton con quelle della Nuova-Jork, mandandone una parte ad assaltare i luoghi bassi della Virginia; e conquistati questi, e passato il fiume Roanoke, congiungersi colle prime sui confini della Carolina e della Virginia. Per la qual cosa Clinton, mandato tre migliaia di soldati sotto la condotta del generale Leslie sulle rive del Chesapeake, i quali sbarcati a Portsmouth ed in altre vicine Terre pigliarono possessione del paese, ardendo e guastando le provvisioni, principalmente di tabacco, ch'erano copiosissime. S'impadronirono di molte navi onerarie. Quivi dovevano aspettar le novelle dell'avvicinarsi di Cornwallis, le quali avute, sarebbero marciati per accozzarsi con esso lui sulle rive del Roanoke. Ma siccome la distanza era grande, e che gli accidenti fortuiti della guerra avrebbero per avventura potuto impedir la congiunzione dei due eserciti, così Clinton aveva commesso a Leslie, obbedisse agli ordini di Cornwallis; e ciò a fine, che questi potesse all'uopo far venire, quando la congiunzione medesima per la strada di terra fosse impossibile, una parte di quelle genti a trovarlo per la via del mare fin nelle Caroline. Da un'altra parte s'era mosso Cornwallis da Cambden, incamminandosi alla volta di Charlottes-town, città posta nella Carolina Settentrionale. Per altro per tenere in fede la meridionale, e non perder l'ansa da potervi all'uopo ritornare, lasciò dietro di sè, oltre un grosso presidio in Charlestown, altri più piccoli, ma sufficienti sulle frontiere, uno in Augusta sotto i comandamenti del colonnello Brown, un altro a Ninety-six governato dal colonnello Cruger, ed un terzo più gagliardo a Cambden sotto la condotta del colonnello Turnbull. Marciò egli col grosso delle sue genti, e pochi cavalli per la via di Hanging-Rock verso Catawba, mentre Tarleton col rimanente della cavalleria, varcato il Wateree, saliva per la oriental riva del fiume. L'una e l'altra schiera dovevano ricongiungersi a far capo grosso a Charlottes-town. Vi arrivarono infatti sul finir di settembre, e s'insignorirono della Terra. Ma non penarono gran fatto gl'Inglesi ad accorgersi, che avevano alle mani una impresa molto più dura di quello che avessero creduto. La contrada all'intorno di Charlottes-town era sterile, e per le strade strette ed intricate assai difficile, gli abitatori non solo nemichevoli, ma ancora vigilantissimi ed attivissimi nell'assaltar le scolte, nel mozzar le vie, nell'arrestar i messi, nell'opprimere gli sbrancati, nel por le mani addosso alle munizioni, che da Cambden si avviavano a Charlottes-town. Quindi non potevano i regj nè uscire alla campagna, nè foraggiare, se non grossi, nè avere lingua di quelle cose che accadevano nei contorni. Oltre di questo Sumpter, il quale aveva rizzato una bandiera di ventura per far guerra, dove gli venisse meglio, iva aliando con un grosso di genti arrisicatissime intorno gli estremi confini delle due Caroline. Un'altra testa di valenti stracorridori si era raccozzata sotto la condotta del colonnello Marion. Oltre di questo dava non poca noia il sapere, che il colonnello Clarke aveva raggranellato una grossa banda di montanari, abitatori delle parti superiori delle Caroline, uomini armigeri, duri alla guerra, coraggiosissimi. E sebbene si fosse inteso, che un assalto, ch'egli aveva dato ad Augusta, per la valorosa difesa fattavi entro da Brown, avesse infelice fine avuto, tuttavia, serbati raccolti i suoi, teneva il campo, ed andava volteggiandosi verso le montagne, pronto od a congiungersi con Sumpter, od almeno, se la squadra di Fergusson ciò gl'impedisse, ad aspettar più altri montanari, che correvano a trovarlo. Così i reali si trovavano attorniati da ogni banda da nugoli di repubblicani; e, posti in mezzo ad un paese tutto nimichevole all'intorno, avevano meglio la sembianza di assediati, che di assalitori. A tante angustie sopraggiunse per arrota un caso, che gli obbligò tosto a pensar ai fatti loro. Era il colonnello Fergusson, siccome sopra si è detto, stato mandato da Cornwallis sulle frontiere della Carolina Settentrionale per ivi dar animo, e raccorre i leali. Erano questi venuti a congiungersi con lui in buon numero; ma la maggior parte uomini ribaldi e rubatori, i quali avendo creato per Capo del loro furore Fergusson ogni cosa mandavano a sacco ed a sangue, ovunque passavano. A tante enormità bastanti a riscaldare ogni freddo spirito alla vendetta fieramente si crucciarono i vicini montanari, e calavano a stormo dalle montagne, quelle armi carpando, che la elezione, il caso, od il furore paravano loro davanti. Tutti dicevano di voler ire a dar la caccia a quel bestione di Fergusson, fargli pagar cari i latrocinj ed il sangue; si mettevan l'un l'altro alle coltella; presi a furia i primi uffiziali di milizia, che incontrarono, questi crearono a loro Capi. Ciascuno portava un'arme, uno zaino, una coperta. Corcavansi sopra la nuda terra, sotto lo stellato cielo; all'acqua dei rivi si dissetavano; sfamavansi col bestiame che si facevan trottar dietro, o colle selvaggine, che ammazzavano in mezzo alle profonde foreste. Gli guidavano i colonnelli Campbell, Cleveland, Selby, Seveer, William, Brandy e Lacy. Cercavano per ogni dove, a tutti domandavano di Fergusson. Giuravano ad ogni passo di volerlo esterminare. Finalmente il trovarono. Ma Fergusson era un uomo così fatto, che non temeva nè essi nè altri. Stava egli accampato sopra un poggio selvoso, e cavaliere alla campagna, la cui base è di figura circolare. Lo chiamano Kingsmountain, o sia montagna del Re. Aveva posto al di sotto sulla via principale alla scesa una guardia. Arrivati vicini i montanari tosto la fugavano; poscia partiti in varie colonne, attorniato il monte, salivano arditissimamente all'assalto. Traevano gli uni di dietro gli alberi, gli altri di dietro le petraie, molti ancora scopertamente. Si difendeva aspramente Fergusson. I primi ad arrivare in sul poggio furono quei guidati dal Cleveland. Gl'Inglesi si avventavan loro contro colle baionette, e gli risospingevano. In questo mentre arrivava Shelby co' suoi, e si sforzava di entrar negli alloggiamenti nemici; ma Fergusson rivoltatosigli contro colle baionette lo ributtava. Non aveva egli sì tosto avuto la vittoria contro Shelby, che arrivava a furia sulla cima Campbell, e tuttavia l'Inglese mostravagli il viso, e pure colle baionette lo cacciava. Ma invano si spendeva tanto valore contro gli assalti di un nemico arrabbiato. Quando Fergusson era alle mani cogli uni, e gli faceva piegare, gli altri, che stat'erano cacciati, ritornavano a caricarlo. Fe' egli tuttociò, che uomo esperto e franco può fare nelle difficili battaglie per isbrigarsi. Ma già inclinava la vittoria a favor dei repubblicani, i quali inondavano il poggio. Non volendo il capitano inglese arrendersi, tuttavia combattendo fu morto. Il suo successore, chiesti i quartieri, gli ottenne. Fu fatto in questa zuffa gran sangue; poichè ebbero i reali tra morti, feriti e prigionieri meglio di undeci centinaia di soldati, luttuosa e gravissima perdita in quelle occorrenze. Tutte le armi e munizioni fecer più chiaro il trionfo dei vincitori. Fecero questi a buona guerra cogl'Inglesi; ma i leali bistrattarono, alcuni anche crudelmente impiccarono. Dissero, per rappresaglia di quei repubblicani, che stat'erano tratti al medesimo supplizio dai reali a Cambden, Ninety-six ed Augusta. Allegarono ancora, essere stati quelli colpevoli di delitti meritevoli di morte secondo le leggi del paese. Così al furor della guerra veniva a congiungersi, come se esso non fosse non che bastante, troppo, la rabbia cittadina. I montanari, avuta la vittoria, alle case loro se ne tornarono. La rotta di Kingsmountain indebolì molto le cose del Re nelle Caroline, e diè molto a pensare a Cornwallis. Oltre lo sbigottimento dei leali, che ne seguì, i quali d'allora in poi si rimasero dal venirlo a trovare, era egli con un esercito debole in mezzo ad un paese nemico, ad una contrada sterile, ad una difficoltà grandissima di pigliar lingua. Prevedeva benissimo, che l'andar avanti era un accrescere la angustie, in cui già si trovava. Per la qual cosa, veduto di non poter più per allora conquistar la Carolina Settentrionale, nella quale i repubblicani avevano in copia e avvisi di spie, e comodità di ricetti, si risolvette a difendere almeno, e guarentire la meridionale, sino a tanto che avesse ricevuto nuovi aiuti. Quindi è, che, lasciato Charlestown, e ripassata la Catawba, andò a porsi a Winnesborough, Terra posta in luogo, donde si poteva consuonare coi posti di Cambden e di Ninety-six, e che per la feracità del suolo offeriva più grassi alloggiamenti. Nel medesimo tempo inviò ordini a Leslie nella Virginia, imbarcasse immediatamente le sue genti, e toccato prima Wilmington, se ne venisse poscia, e rattamente, a Charlestown. La ritirata delle genti del Re da Charlottes-town a Winnesborough, e la rotta di Kingsmountain diedero molto ardire ai repubblicani, i quali correvano a porsi sotto le insegne dei loro arditissimi capitani, tra i quali tenevano il primo luogo Sumpter e Marion. Questo infestava le contrade basse, quello le superiori. Ora Cambden, ora Ninety-six erano minacciati, ed i reali non potevano, nè buscare, nè foraggiare, nè legnare, nè alcun'altra fazione fare senza correre gran pericolo di essere oppressi. Per liberarsi da quella rangola, Tarleton si metteva in sulle mosse contro Marion; ma questi, che intendeva soltanto di bezzicare trascorrendo, e non di combattere le campali battaglie, spacciatamente si ritirava. L'Inglese lo perseguitava. Ma gli sopravvennero ordini da Cornwallis, acciò si recasse contro Sumpter, che minacciava di venir sopra a Ninety-six, e già aveva rotto, o preso sulle rive del fiume Broad il maggiore Wemis, e fatti molti prigionieri, fanti e cavalli. Tarleton con incredibile celerità camminando arrivò all'incontro di Sumpter, il quale si era accampato sulla destra riva del fiume Tigre in un luogo detto Blackstocks. Erano gli alloggiamenti americani fortissimi, avendo un rivo, case, e palificate da fronte, montagne inaccessibili, o luoghi erti e difficili dai due lati. Tarleton sospinto dal suo ardore, e temendo che Sumpter, varcato il Tigre, non gli fuggisse dalle mani, lasciati i fanti leggieri, e quei della sua legione indietro, si era fatto avanti cogli uomini d'arme, e con una parte delle fanterie. Si attaccò una feroce zuffa, nella quale l'una parte e l'altra mostrarono un grandissimo valore. Un reggimento britannico fu sì malconcio, che disordinato si tirò indietro. Tarleton per rinfrescar la battaglia diè dentro cogli uomini d'arme. Ma gli Americani tennero il fermo. Fu l'Inglese costretto a ritirarsi con perdita di molti morti e feriti, tra i quali alcuni uffiziali di conto. Ma sopraggiunta la notte, avvicinandosi le genti che il capitano britannico aveva lasciate indietro, ed essendo stato Sumpter gravemente ferito in una spalla, si riparò questi al di là del fiume, e non potendo più per allora star in sulla guerra a cagione della ferita, fu portato da alcuni suoi soldati più fedeli a luoghi alpestri e sicuri. La maggior parte de' suoi si disbandarono. Tarleton, corso per alcuni dì la contrada posta sulla stanca del Tigre, se ne tornò di pian passo sulle rive del fiume Broad nella meridional Carolina. Così si travagliava da ambe le parti con una guerra guerriata, nei piccoli incontri della quale e molto ardire si mostrava, e maggiore si pigliava. In questo mezzo tempo Gates, racimolate alcune poche genti massimamente cavalli, per mantener vivo in quelle parti il nome del congresso, e rizzare una testa, che col tempo si potesse ingrossare, ripassato, il fiume Jadkin, era venuto a por gli alloggiamenti a Charlottes-town, intendendo anche di far isvernare ivi l'esercito; perciocchè credeva, che durante l'inverno, che già si avvicinava, non si sarebbe potuto in quelle contrade guerreggiare. Mentre Gates con grandissima diligenza si adoperava per apparecchiarsi ad una nuova guerra, e che già pareva, gli ritornasse la prosperità della fortuna, arrivò al campo il generale Greene, il quale avendo generato di sè ottimo concetto di persona di molto valore, e d'altrettanta fede verso la repubblica, era mandato dal congresso e da Washington a pigliare in iscambio di quello il governo dell'esercito. Sopportò Gates, siccome quegli, che più amava la sua patria, che il potere e la gloria, non solo con costanza, ma ancora senza mal umore questo sinistro della fortuna. Confortollo assai l'assemblea della Virginia, la quale passando egli per Richmond per ridursi alle sue case, lo mandò a visitare, assicurandolo, che la memoria delle sue gloriose gesta non poteva cancellata essere da nissuna disgrazia; andasse pur sicuro, che i Virginiani sempre ricordevoli de' suoi meriti non avrebbero nissuna occasione trasandato per testimoniar al mondo quella gratitudine, che come membri dell'americana lega gli portavano. Non condusse seco Greene alcun rinforzo dall'esercito settentrionale, sperando, che il caso si potesse medicare colle sole forze delle meridionali province. Solo venne con lui il colonnello Morgan con alcune carabine, che erano in grandissimo nome di soldati esercitatissimi. Era il suo esercito molto debole. Ma i boschi, le paludi, i fiumi, dei quali era piena la contrada, lo assicuravano. Siccome l'intento suo era soltanto di badaluccare, non di far battaglie giuste, così sperava di poterne venire a capo con attritare e consumare appoco appoco il nemico. Quasi nel medesimo tempo, ch'era la metà di decembre, era arrivato dalla Virginia a Charlestown con un rinforzo di meglio, che duemila stanziali Leslie, dove, trovati nuovi ordini, si pose tosto in via con quindici centinaia di soldati, ed andò a congiungersi col lord Cornwallis a Winnesborough. [1781] Ricevuto questo rinforzo, si rinnovarono nel capitano britannico i medesimi desiderj di conquistar la Carolina Settentrionale, e, oltrepassata questa, di entrare nella Virginia. Ma i Capi britannici per meglio assicurarsi dell'esito di questa impresa, non l'ebbero commessa solamente all'esercito, che militava sotto gli ordini di Cornwallis, ma vollero di più, si facesse nel medesimo tempo un gagliardo motivo dalla parte della Virginia; non già per conquistarla totalmente, imperciocchè a questo senza le forze di Cornwallis non erano sufficienti, ma sibbene soltanto per impedire, che da quella provincia potente non fossero mandati aiuti all'esercito di Greene. A questo fine avevano imposto al generale Arnold, che si recasse nel Chesapeack, e là, sbarcate le genti, facesse tutto quel maggior male che potesse. Speravano altresì, che il suo nome ed il suo esempio avrebbero dato animo a molti ad abbandonare le insegne della repubblica per andare a porsi sotto quelle del Re. Iva Arnold alla fazione molto baldanzosamente con un'armata di cinquanta navi da carico, e quindici centinaia di soldati. Sbarcato, mandava sottosopra ogni cosa. A Richmond ed a Smithfield fece un danno incredibile. Ma stormeggiando i popoli all'intorno, e le milizie levandosi in capo, si ritirò a Portsmouth, e quivi attendeva a fortificarsi. Perocchè andarsene non voleva per tener quel calcio in gola agli Americani, correre la campagna non poteva, essendo troppo debole in mezzo ad una provincia gagliarda, e molto al nome reale nemica. Questa ladronaia produsse in parte gli effetti, che se ne aspettavano, ed in parte no; poichè i soccorsi di verso la Carolina ne furono ritardati; ma del venire gli abitatori a trovar l'Arnold, nissuno se ne trovò, essendo gl'incendj, le rovine ed il sacco poco acconci allettativi ai popoli. Ma nella Carolina la guerra già era incominciata; ed i due capitani nemici si erano accinti a riempire i disegni, che ordito avevano. Erasi mosso da Winnesborough lord Cornwallis, e camminava tra i due fiumi Broad e Catawba per recarsi per le vie superiori verso la Carolina Settentrionale. Già era giunto a Turkey-creek. Greene per impedire i progressi dell'esercito regio si risolvette a fare una dimostrazione per assaltar il posto di Ninety-six, mentre nel medesimo tempo mandò Morgan con cinquecento stanziali virginiani, alcune bande di milizie, ed i cavalleggieri del colonnello Washington a guardare i passi del fiume Pacolet. Egli poi andò a porsi a Hick's-creek sulla sinistra riva del Pedee rimpetto a Cheraw-hill. L'avere diviso in tal modo le sue genti già sì deboli, fu da molti riputato biasimevole consiglio. Imperciocchè, se gl'Inglesi si fossero spinti innanzi velocemente, avrebbero potuto cacciarsi di mezzo tra lui e Morgan, e riportarne agevolmente la vittoria di ambidue. Ma forse credette, che i regj fossero, come in parte era vero, troppo ingombri d'impedimenti per far una sì presta mossa; e forse ancora non aveva avuto avviso della congiunzione di Leslie con Cornwallis. Questi spedì immantinente Tarleton colla sua legione di cavalli, e con una parte dei fanti in aiuto di Ninety-six. Giunto Tarleton nelle vicinanze di questa Terra trovò ogni cosa sicura, ed i nemici essersi ritirati dopo alcune leggieri avvisaglie. Allora si determinò a volgersi contro Morgan, tenendo per certo, o di poterlo rompere con uno assalto improvviso, od almeno di farlo ritirare al di là del fiume Broad, lasciando in tal modo sgombra la strada all'esercito reale. Ne scrisse a Cornwallis, il quale non solo approvò il disegno, ma ancora si risolvette a cooperarvi, salendo lungo la sinistra riva del Broad a fine di minacciar Morgan alle spalle. Le cose da principio succedevano bene. Tarleton, superati con eguale celerità che felicità i fiumi Ennoree e Tigre si appresentava sulle rive del Pacolet. Morgan si ritirava da questo, e Tarleton, occupato il passo, lo perseguitava. Già già lo incalzava. Ora era divenuta cosa pericolosa a Morgan il varcare il fiume Broad, presso il quale si trovava, avendo un sì feroce e lesto nemico vicino. Per la qual cosa si determinò ad aspettare la battaglia. Ordinava i suoi molto convenevolmente partendogli in due file, delle quali la prima, che fu la vanguardia, ed era condotta dal colonnello Pickens fece distendere fuori, e lungo il ciglione di un bosco in vista del nemico. La seconda guidata dal colonnello Howard nascose dentro il bosco medesimo. Era, in quest'ultima, posta la principale speranza della vittoria; perciocchè era composta la maggior parte di valenti soldati stanziali, mentre la prima constava di bande raunaticce di milizia. Il colonnello Washington co' suoi cavalli si era attelato, come per servire alla riscossa, dietro questa seconda schiera. Sopraggiunse Tarleton, ed ordinò anch'egli i suoi alla battaglia. Ogni cosa pareva promettergli la vittoria. Prevaleva di cavalli, ed i suoi sì uffiziali che soldati si dimostravano ardentissimi al combattere. Assalirono gl'Inglesi la prima schiera americana, la quale, fatta una sola scarica con poco danno del nemico, disordinatamente andò in volta. Si attaccavano allora colla seconda; ma quivi trovarono più duro incontro. Sì menava le mani aspramente dalle due parti, e la battaglia era pareggiata. Tarleton per far piegare la fortuna in suo favore spinse avanti uno squadrone della seconda schiera, e nel medesimo tempo mandò una frotta di cavalli a ferire il destro fianco degli Americani; perchè il noiargli sul sinistro non si ardiva a cagione, che in questo si trovava il colonnello Washington, il quale già con una feroce affrontata aveva ributtato indietro la cavalleria, ch'era andata ad annasarlo. Le mosse di Tarleton ebbero l'effetto che ne aspettava. Gli stanziali americani piegarono, e disordinati rincularono. Seguitavano gl'Inglesi già gonfiati dall'aura della vittoria. Già Tarleton colla cavalleria manometteva i fuggiaschi, quando ecco il colonnello Washington co' suoi cavalli, ch'erano rimasti intieri, caricare improvvisamente l'inimico furiante, e messosi nella gran pressa ristorar la fortuna della giornata. Nell'istesso momento Howard aveva riordinato i suoi stanziali, e gli riconduceva alla pugna. Pickens ancor'egli, con incredibile sforzo operando, aveva rannodato le milizie, e le spigneva rattamente contro i reali. Morgan con voce ed aspetto terribile incuorava i suoi alla battaglia. Tutti gli Americani in un subito, e con impeto concorde si serrarono addosso agl'Inglesi. Questi sorpresi e sbalorditi all'inaspettato rincalzo, prima si ristettero, poscia andarono in fuga. Instarono i primi, e strettamente perseguitando i fuggiaschi gli sfondolarono. Nè i preghi, nè le minacce, nè le esortazioni de' Capi gli poterono trattenere. La rotta fu assai grave. Perdettero gl'Inglesi tra morti, feriti e prigionieri meglio di ottocento soldati, due cannoni, le insegne del settimo reggimento, tutto il carreggio e le bagaglie. Ma perdita gravissima ed irreparabile fu quella dei cavalli grandemente necessarj all'esercizio della guerra in quei luoghi piani, e tanto opportuni alle insidie. Tale fu l'esito della battaglia di Cowpens, gli effetti della quale risentirono gl'Inglesi in tutto il corso della caroliniana e della virginiana guerra, e fu la prima e principal cagione del fine, ch'ella ebbe. Imperciocchè oltre la perdita piuttosto di totale, che di grande importanza dei cavalli, l'aver rotto Tarleton e la sua legione, che diventati erano terribili ad ognuno, infuse novelli spiriti in quelle genti; e se prima erano, o sbigottite, o disperate, ora diventarono confidentissime. Rendè il congresso pubbliche ed immortali grazie a Morgan, e lo presentò con una medaglia d'oro. Presentò altresì con una d'argento i colonnelli Washington e Howard, con una spada Pickens. Cornwallis, avute le novelle della rotta di Cowpens, ne sentì gravissimo dolore; perciocchè vi aveva perduto la miglior parte de' suoi soldati armati alla leggiera, ch'erano i principali stromenti a' suoi ulteriori disegni. Ma da quell'uomo valoroso, ch'egli era, nulla sgomentandosi, si determinò a voler ottenere coi maggiori sforzi dei soldati, che gli rimanevano, e colla distruzione delle bagaglie quello, che dapprima fondavasi di poter conseguire coll'opera de' stracorridori. Laonde due giorni intieri impiegò nel guastare, o sformar tutti quegl'impedimenti, che all'esercizio della guerra, ed al vivere dei soldati non erano assolutamente necessarj. Tutti i carri ne furono distrutti, eccettuati solo quelli, che servivano ad uso di trasportare il sale, le munizioni, gli arnesi da ospedale, e quattro altri vuoti pei feriti ed i malati. Le più preziose bagaglie dei soldati ne furon disfatte; il vino, ed i liquori tanto salutevoli, massimamente nelle guerre invernali, sparsi al suolo. I soldati non portarono altre sostanze da cibarsi fuori di alcune poche provvisioni di friscello. Sopportò l'esercito regio con incredibile pazienza ogni cosa, e si dimostraron tutti obbedientissimi nel fare i comandamenti del capitano generale. Due erano i pensieri, che occupavano la mente di Cornwallis in questo tempo. L'uno era di correre immediatamente contro Morgan, romperlo, liberare i prigioni, ed impedire che non si raccozzasse con Greene, il quale tuttavia si trovava a Hick's-creek. Il secondo, e di molto maggior importanza, quello era di marciar a gran giornate verso Salisbury, e verso le fonti del Jadkin, prima che Greene avesse varcato questo fiume. Il qual fine se si fosse conseguito, ne nasceva di necessità, che il generale americano stato sarebbe tagliato fuori dagli aiuti, che gli arrivavano dalia Virginia, e costretto od a ritirarsi alla sfilata, e con perdita di tutte le bagaglie, ed armi gravi, o combattere una battaglia non a modo suo, ma a quello del nemico. E come aveva disegnato, così si metteva in punto di eseguire. Si mosse egli più che di passo, ed a gran giornate marciando, iva volgendo il suo cammino verso dritta alla volta del fiume Catawba, sperando d'intraprendere ed opprimere Morgan, prima che l'avesse passato. Ma gli Americani stavano alla vista. Morgan, tosto acquistata la vittoria di Cowpens, sapendo benissimo, che Cornwallis non era lontano, aveva inviato indietro i prigionieri sotto la condotta di un capitano fedele, e poco poscia si era mosso egli stesso con tutte le sue genti verso la Catawba. E tanta fu la diligenza, che usò, che il dì 29 gennajo l'ebbe passata con tutte le armi, le munizioni ed i prigionieri. Non sì tosto avevano gli Americani varcato, che sopraggiunsero gl'Inglesi: e se rimanessero attoniti e dolorosi al veder l'inimico sull'opposta riva, non è da domandare. Morgan, facendosi tuttavia trottare avanti i prigionieri alla volta della Virginia, ordinò i suoi di modo, che potessero se non impedire, almeno ritardare il passo ai reali. Ma un altro, e questo insuperabile ostacolo opponevano loro i cieli favorevoli in quel dì ai repubblicani. Questo fu, che sì dirottamente piovve la notte precedente nelle vicine montagne, che gonfiatasi la Catawba improvvisamente divenne impossibile ad essere varcata. La qual piena se fosse venuta poche ore prima, Morgan con tutti i suoi si sarebbe trovato a strettissimo partito. In questo arrivò Greene al campo di Morgan, e si recò in mano il governo di tutta la schiera. Aveva egli avvisandosi benissimo del disegno di Cornwallis, ordinato alle sue genti, che si trovavano a campo a Hick's-creek, che, lasciati indietro tutti gl'impedimenti, velocemente marciassero, tenendo le vie superiori verso le montagne per trovar le grotte dei fiumi più benigne, ed i guadi più facili, alla volta della Carolina Settentrionale, ed andassero a far la massa generale a Guilford-court-house. Egl'intanto precedendo si era recato, come abbiam detto, agli alloggiamenti di Morgan sulla sinistra riva della Catawba. Eseguivano le genti di Hick's-creek guidate da Huger non solo appuntino, ma con incredibile zelo gli ordini del capitano generale. Le piogge erano tali, che credute erano sfoggiate anche a quella stagione; i ponti rotti, le acque grosse, le strade sfondate, o pietrose, o gelate a grossi tocchi; i soldati senza scarpe, senza vestimenta, e qualche dì senza pane. Eppure tutti questi disagi sopportavano con non minore costanza, che gl'Inglesi si facessero i loro. Nissuno disertò, in ciò tanto più da lodarsi dei loro nemici stessi, poichè i repubblicani ritornandosene alle case loro erano sicuri di trovarvi ristoro, mentrechè i regj sbandandosi incontrato avrebbero un paese nimichevole tutto all'intorno. Mentre queste genti marciavano, avendo in animo di ridursi tutte a Guilford, abbassatesi le acque della Catawba, si aprì il varco ai reali. Ma dall'altra parte stavano avvisati i repubblicani per contrastarlo. Non solo vi era la valente schiera di Morgan, ma tutte le bande paesane delle vicine contee di Roano, e di Mecklenburgo, nemicissime al nome inglese, erano accorse. Ciò nonostante si risolvè Cornwallis a tentar l'impresa, giudicando, fossero cose di troppo gran momento, sia quella d'intraprendere le genti di Huger, prima che arrivassero a Guilford, sia l'altra di ficcarsi in mezzo tra loro e la Virginia. Per la qual cosa andava avvolgendosi su e giù per la destra riva del fiume, facendo le viste di volere, per aggirar il nemico, passar in differenti luoghi. Ma il suo vero disegno era di varcare al passo di Gowan. Infatti la mattina del primo di febbraio gl'Inglesi guadavano. Era il fiume largo, profondo, sassoso. Gli Americani posti sulla sinistra riva, e condotti dal generale Davidson, tutte bande di milizia, perciocchè Morgan si trovava a guardar un altro passo, traevano spessi colpi a mira ferma. Ma gl'Inglesi non ristandosi si spingevano avanti con grandissimo coraggio, ed in fine, ributtati indietro i primi feritori, e felicemente superata la grotta del fiume, apparirono. Tosto pigliavano gli ordini, ed incominciavano la battaglia. Come prima si venne al paragone dell'armi fu morto Davidson. Le milizie andarono in fuga. Anche le schiere, che si erano poste alla guardia degli altri passi gli abbandonarono. Tutto l'esercito reale passò trionfando sull'altra riva. Le milizie si disbandarono. Solo alcune fecero una testa a Tarrant; ma assalite furiosamente da Tarleton si disperdettero del tutto. Morgan intanto si ritirava intiero, ed a gran passo verso Salisbury, intendendo di varcar colà il Jadkin, e così frapporre un grosso fiume tra sè e l'esercito reale. Seguitavanlo velocemente i regj ardentissimi nel desiderio di vendicarsi della rotta di Cowpens. Ma tale fu la celerità sua, e tali gl'impedimenti, che frappose ai perseguitatori, che passò con tutti i suoi, parte a guado, parte in sui battelli il fiume ne' primi giorni di febbraio felicemente. Ritirò tutti i battelli sulla sinistra riva. Arrivarono poco stante a tutta corsa gl'Inglesi condotti dal generale O-Hara. Osservarono, il nemico aver varcato, e starsene attelato dall'altra parte, pronto a ributtargli, se volessero passare. Ciò però non gli avrebbe potuti trattenere dal tentarlo, se non se che per le cadute piogge tanto gonfiò improvvisamente il Jadkin, che ogni speranza di poterlo fare fu tolta loro. I pii abitatori dell'America giudicarono, queste subite piene essere state una visibile assistenza, che la provvidenza del cielo avesse mandato in pericolosi tempi alla giusta causa loro. Imperciocchè se l'acque, prima della Catawba, poscia quelle del Jadkin cresciute fossero poche ore prima, l'esercito loro, non potendo varcare, sarebbe stato tagliato a pezzi dai veloci vincitori. Se poi gonfiate non fossero poche ore dopo, avrebbero potuto gl'Inglesi subitamente traghettare dietro gli Americani, e ne sarebbero stati tratti all'ultimo sterminio. Così parvero egualmente provvide e le piene, e le ore. Cornwallis, veduto di non poter varcare al passo di Salisbury, ch'è il più comodo, ed il più frequentato di tutti gli altri, si deliberò di marciar all'insù del fiume, sperando di poterlo traversar a guado là, dov'ei si dirama. E come sperava, così gli venne fatto; ma l'indugio, che questa aggirata causò, diè tempo agli Americani di ritirarsi quietamente a Guilford, dove il giorno sette di febbraio si congiunsero con incredibile allegrezza, e non poca lode di Greene le due schiere dell'esercito d'America, quella di Huger, che per non aver potuto pareggiare la celerità di Greene era rimasta indietro, e l'altra di Morgan. In cotal modo e per la prudenza dei capitani del congresso, e per la pazienza e la velocità dei loro soldati, e per uno tempestivo aiuto del cielo furon rotte al conte di Cornwallis due parti principalissime del suo disegno, quella di sopraggiungere ed attritar Morgan, l'altra d'impedire la congiunzione sua con Huger. Rimaneva da potersi conseguire l'ultima parte, ch'era, quella di tagliar fuori Greene dalla Virginia, ai confini della quale già l'uno esercito e l'altro si trovava sì vicino. È la Virginia separata dalla Carolina Settentrionale per mezzo del fiume Roanoke, il quale nelle parti superiori porta il nome di Dan. Siccome il capitano britannico credeva, che il fiume nelle basse parti non fosse guadoso, così andava considerando, che, se potesse guadagnare i passi superiori, gli verrebbe intieramente fatto il suo disegno. Imperciocchè Greene non potendo varcare il Dan, ne sarebbe stato accerchiato, e serrato a ponente da grossi fiumi, a levante dal mare, a tramontana da Cornwallis, a ostro da Rawdon, il quale, come già abbiam notato, alloggiava con una grossa schiera a Cambden. Le forze poi di Greene non erano tali malgrado la congiunzione, che potessero bastare contro quelle di Cornwallis; e già gl'Inglesi si promettevano la vittoria compiuta e certa. Gli uni e gli altri prevedevano benissimo, ch'ella ne andava a coloro, che avessero migliori gambe avuto. Per la qual cosa e regj e repubblicani camminavano con estrema celerità verso guadi superiori. Prevalsero i reali, i quali, per ricompensar con la prestezza il tempo perduto a' passi dei fiumi, fecero in ciò un grandissimo sforzo, ed i primi questi guadi occuparono. Ora si trovava Greene in gravissimo pericolo. Si volse egli rattamente ad un guado inferiore, che chiamano di Boyd, incerto della vita o della morte de' suoi, poichè non sapeva, se si avrebbe potuto passare. Seguitavanlo i regj infuriati, e gonfj dalla speranza della vicina e totale vittoria. Greene in tanto pericolo, nulla dimenticatosi di sè stesso, nissuna di quelle parti ebbe tralasciato, che a prudente ed animoso capitano di guerra si appartengono. Fece un grosso gomitolo di valentissimi soldati armati alla leggiera, consistente nei colonnelli di cavalleria di Lee, di Bland e di Washington, nei fanti leggieri stanziali, ed in alcune carabine. Comandava loro, reprimessero l'inimico, salvassero l'esercito. Egl'intanto con tutte le salmerie, e le restanti genti velocemente procedeva verso il passo di Boyd. Calarono a furia i reali da Salem alle fonti del fiume Haw, da queste al Reedy-fork, dal Reedy-fork al Troublesome-creek, e quindi per alla volta del Dan. Ma già quella votata schiera di repubblicani con feroci incontri, e col rompimento dei ponti, e col guastamento delle strade gli aveva ritardati. Già Greene toccava le rive dei fiume; il trovava guadoso; alcuni battelli presti il traghettavano; teneva le virginiane terre. Anche le salmerie tutte trapassarono; il gomitolo stesso dei preservatori dell'esercito arrivava poco dopo, e, varcato con prospero augurio il fiume, guadagnava anch'esso la desiderata sponda a salvamento. Arrivarono poco stante sulla destra del fiume avventatissimi i reali, dove nissun nemico osservarono, ogni cosa in salvo sull'opposta riva, l'esercito d'America schieratovi in altitudine minaccevole, guaste tutte le loro speranze, perduto il frutto di tante fatiche e di tanti disagi. La ritirata di Greene, e la perseguitazione di Cornwallis debbon riputarsi fra quegli avvenimenti dell'americana guerra, che più degni sono di considerazione, e che non sarebbero stati disdicevoli anche ai più celebrati capitani sì di quelli, che dei passati tempi. Caduto lord Cornwallis dalle speranze sì liete, che concetto aveva, iva ora considerando quello che fosse a fare. L'assaltar la Virginia, provincia tanto possente con un esercito debole, come quello era, che obbediva a' suoi comandamenti, ed essendo quello del nemico dall'altra parte tuttavia intiero, gli parve partito troppo pericoloso. Perlochè, messosene giù, si risolvette, poichè diventato era padrone di tutta la Carolina Settentrionale, a voler farvi levar le genti in favor del Re. Con questo pensiero, lasciate le rive del Dan, se ne tornò con comodi alloggiamenti ad Hillsborough, dove per aiutar le cose sue, rizzato lo stendardo reale, invitò i popoli con un pubblico bando ad accorrervi, e ad ordinarsi in regolari compagnie. Ma non vi ebbe contro il congresso quel seguito, che si era persuaso; poichè sebbene venissero a trovarlo molto frequentemente alcuni per curiosità, molti per sopravvedere, e per far le spie, tutti però ripugnavano al mestier di soldato. Si dolse Cornwallis nelle sue pubbliche lettere della freddezza loro. Nissun fondamento poteva fare sull'aiuto dei popoli di questa provincia stata altre volte tanto affezionata al nome del Re. Ma la lunga signoria de' libertini, le enormità commesse dai soldati del Re in varj luoghi dell'America vi avevano cambiato ogni cosa. I popoli dimostravano animo poco stabile nella divozione del Re, e la vicinanza dell'esercito repubblicano intero, che poteva ad ogni ora di nuovo prorompere, gl'intimoriva. In questo mezzo tempo gl'Inglesi s'impadronirono con un'armatetta, e con genti venute da Charlestown di Wilmington, città della Carolina Settentrionale posta presso le foci del fiume del capo Fear. Ivi si fortificarono, e predarono munizioni, siccome pure alcuni legni sì americani che francesi. Quest'impresa, la quale era stata ordinata da Cornwallis già prima, che si partisse da Winnesborough per seguitar Morgan, tentarono gl'Inglesi a fine di aprirsi la via dai contorni di Hillsborough fino al mare per mezzo del fiume del capo Fear, cosa di somma importanza, perchè speravano in tal modo poterne ricevere le provvisioni. La ritirata di Greene nella Virginia, quantunque tutti quegli effetti non avesse partorito negli animi dei Caroliniani fedeli al Re, che Cornwallis si era persuaso dovesse operare, tuttavia aveva eccitato in alcuni fresche speranze e desiderj di cose nuove. Il capitano inglese poi era intentissimo nell'incoraggiargli ed esortargli al correre all'armi. Era fama, che il distretto situato tra i fiumi Haw e Deep abbondasse soprattutti di leali; e per fargli sollevare, mandò Cornwallis Tarleton nel paese loro. Non pochi vi alzarono le bandiere del Re. La famiglia dei Pili, molto principale, era fra tutte la più ardente e la prima guidatrice dei loro consiglj. Già un colonnello di questa famiglia aveva raggranellato una grossa banda de' suoi più arditi seguaci, ed era in via per accostarsi a Tarleton. Ma Greene, il quale s'accorgeva benissimo, quanto il lasciar cader del tutto le cose della Carolina Settentrionale disgraziasse le armi del congresso, e temendo che i leali non vi suscitassero qualche grave incendio, aveva di nuovo mandato sulla destra riva del Dan il colonnello Lee coi cavalleggieri, a fine facesse punta d'intimorir i leali, di rinfrancar i libertini, e d'impedire, che il nemico non vagasse alla libera pel paese. Intendeva anche, tostochè ricevuto avesse i rinforzi, che già erano in via, di ripassare egli stesso il fiume, e recarsi di nuovo sulle caroliniane terre; imperciocchè aveva preso la ricuperazione delle Caroline a scesa di testa. Faceva Lee egregiamente l'opera sua, la quale non penò molto a riuscir fatale ai seguaci di Pilo. Stavano questi, siccome quelli, che poco conoscevano gli scaltrimenti della guerra, molto a mala guardia, sì fattamente, che credendosi per via d'incontrarsi nello squadrone di Tarleton, diedero dentro a quello di Lee. L'Americano, accerchiatogli, gli assalì ferocemente. Essi, che tuttavia credevano di aver a fare con Tarleton, il quale scambiati gli avesse per libertini, sclamavano, guardasse bene quello che si facesse; perciocchè essi erano leali. Andavano gridando a tutta possa, _Viva il Re_, mentre Lee infuriato gli affettava. E brevemente non si fe' fine all'uccisione, finchè non furono tutti o morti o prigionieri. Così questa gente inesperta fu condotta alla mazza da un capitano temerario per aver fatto maggior fondamento sul calor delle parti, che sui buoni ordini militari. Dopo questo fatto, che fu piuttosto uno inretamento ed uccisione di regj, che battaglia, Tarleton, il quale si trovava vicino, si metteva tra via per andare ad incontrar Lee. Ma un comandamento di Cornwallis lo arrestò, e fe' tornare a Hillsborough. La cagione di questa subita risoluzione del capitano britannico si fu, che Greene, quantunque non avesse ancor ricevuto altro che una piccola parte dei rinforzi, che aspettava, aveva animosamente ripassato il Dan, e di nuovo minacciava di correre la Carolina; non che intendesse di combattere una battaglia giudicata, prima che avesse l'esercito intiero, ma per mostrare intanto a Cornwallis ed ai libertini della provincia, che egli era vivo ed abile all'osteggiare. Poneva gli alloggiamenti sulla sinistra riva, e molto in su presso le fonti dell'Haw per evitar la necessità del combattere. Cornwallis, udito, che le armi di Greene si facevano di nuovo sentire nella Carolina, abbandonando Hillsborough, e passando l'Haw più sotto, andò a porsi presso l'Allemance-creek, facendo correre i cavalli di Tarleton fino al fiume Deep. Così i due eserciti si trovavano molto vicini, e solo separati dal fiume Haw. Seguivano spesse scaramucce, tra le quali una ne avvenne di non poca importanza, nella quale Tarleton fe' gran danno nella legione di Lee, ai montanari ed alle milizie del capitano Preston. Si andarono per lo spazio di molti dì i due nemici capitani con molta maestria volteggiando, l'Americano per ischivar la battaglia, l'Inglese per farla; nel che tanto fu avventurato, od esperto Greene, che ottenne l'intento suo. Infine avendo egli verso la metà di marzo messo in assetto nuove genti, massimamente stanziali e bande paesane della Virginia condotte dal generale Lawson, ed alcune milizie caroliniane guidate dai generali Butler, e Eaton, fatto confidente, si determinò a non voler più sfuggir l'incontro, ma per lo contrario a combattere coi nemici a bandiere spiegate in una terminativa battaglia. Si spinse perciò innanzi con tutte le genti, ed andò a piantar gli alloggiamenti a Guilford-courthouse. Argomentava, che siccome prevaleva di numero di soldati, e principalmente di cavalli, la sconfitta dei suoi non avrebbe potuto essere totale, nè irreparabile; e che il più pernizioso effetto, che avrebbe operato, stato sarebbe quello d'indurre la necessità di ritirarsi un'altra volta nella Virginia, dove avrebbe potuto agevolmente rifar l'esercito. Considerava ancora, che le milizie, le quali abbondavano nel campo, si disbanderebbero prontamente, se non fossero usate tosto, e durante il primo calore degli animi loro. Da un'altra parte, se gl'Inglesi rimanevano perdenti, lontani dalle navi loro, in mezzo ad un paese tanto avverso, impossibilitati alla ritirata, ne sarebbe stato l'esercito loro conculcato e disfatto. Certo nella vicina battaglia mettevano più gran posta gl'Inglesi, che gli Americani. Cornwallis dal canto suo si accorgeva ottimamente, che il rimaner più lungo tempo in que' luoghi con un esercito nemico sì possente da fronte, e coi popoli all'intorno o freddi, o titubanti, o avversi non era più oltre cosa possibile ad eseguirsi. La ritirata poi, oltrechè sarebbe riuscita d'infinito pregiudizio agl'interessi del Re, doveva riputarsi pericolosissima, per non dire del tutto impraticabile. I suoi soldati erano veterani valentissimi, usi a tutte le arti, ed a tutti i pericoli della guerra, e già nudriti in tante vittorie. Perilchè, non lasciato luogo a dubitazione alcuna, scegliendo fra tutti il partito, se non il meno pericoloso, certo il più onorevole, avviò tosto il suo esercito alla volta di Guilford con animo di por fine una volta a tanti indugi, ed a tante giravolte con una giusta e determinativa battaglia. Per essere più spedito, e per precauzione in caso di sconfitta, mandò il carreggio colle bagaglie con una grossa scorta sino a Bell's-mills, luogo situato sul fiume Deep. Greene anch'esso, dirizzate prima le salmerie a Ironworks a dieci miglia distante alle spalle, aspettava la battaglia. L'uno e l'altro mandavano avanti gli stracorridori per pigliar lingua. S'incontrarono nello spazio tra mezzo i due eserciti quei di Tarleton con quei di Lee, e ne seguì un feroce affrontamento. Dapprima la fortuna inclinava a favore di Lee, poscia cresciuti di numero gl'Inglesi, superò Tarleton. Lee si ritirava di nuovo al campo. In questo mentre l'uno e l'altro esercito si apparecchiava a far la giornata. Vi erano nell'Americano da seimila uomini, la maggior parte milizie della Virginia, e della Carolina Settentrionale, il rimanente stanziali virginiani, marilandesi e delawariani. Gl'Inglesi, inclusi anche gli Essiani, sommavano a un dipresso a duemila quattrocento soldati. Era la contrada tutto all'intorno una boschereccia selvatichezza interrotta qua e là da campestri campi. Una collina dolce e boscata s'attraversava, e molto dall'una parte e dall'altra si continuava della strada maestra, che guida da Salisbury a Guilford. La strada stessa passava per mezzo la selva. Da fronte, e prima che si arrivasse a piè della collina, v'era un campo largo seicento passi. Dietro la selva, tra il suo cisale posteriore, e le case di Guilford si distendeva un altro campo spedito, molto acconcio a volteggiarvi dentro i soldati. Questa collina selvosa, e questo campo aveva Greene empiuto di genti, e, fatto ivi il suo alloggiamento fermo, intendeva di combattere la vicina battaglia. Aveva egli nel seguente modo assembrato i suoi soldati. Erano partiti in tre schiere. La prima composta di bande paesane della Carolina Settentrionale guidata da Butler, e da Eaton si era fermata alle falde della collina sull'anteriore orlo della selva, ed aveva a petto una folta siepe. Due bocche da fuoco guardavano la strada maestra. La seconda consistente in milizie virginiane, e governata da Stephens, e da Lawson erasi attelata dietro, e parallela alla prima dentro il bosco, forse ottocento passi distante. Gli stanziali poi sotto il generale Huger, ed il colonnello Williams si erano fermati nel campo frapposto tra la selva e Guilford, dove potevano adoperarsi e mostrare la loro virtù. Due altre bocche da fuoco arringate sopra un poggio a lato loro erano pronte a spazzar la strada. Il colonnello Washington cogli uomini d'arme, e con alcuni fanti leggieri, ed i corridori di Linch assicurava il fianco destro, il colonnello Lee con altri fanti leggieri, ed i corridori di Campbell il sinistro. Ma Cornwallis disponeva le sue genti di modo, che il generale Leslie con un reggimento inglese, ed il reggimento essiano di Bose occupassero la diritta della sua prima fila; ed il colonnello Webster con due colonnelli di soldati inglesi la sinistra. Un battaglione delle guardie formava un poco di retroguardo ai primi, ed il generale O-hara con un altro al secondo. L'artiglierie, e gli uomini d'arme marciavano stretti sulla calpestata. Tarleton colla sua legione arringatosi sulla medesima tenne ordine di non muoversi, se non in caso di estremo bisogno, fino a che le fanterie, superato il bosco, spinte si fossero nel campo posteriore, dove la cavalleria avrebbe potuto a posta sua armeggiare. Incominciava la battaglia coll'allumarsi da ambe le parti le artiglierie, che non poco diradarono le file. Poscia gl'Inglesi, lasciate indietro le artiglierie, si spinsero avanti, traversando scoperti, ed esposti ai colpi del nemico, il campo anteriore. Le milizie caroliniane senza far motto gli lasciarono approssimare, poscia trassero. Gl'Inglesi, fatto una prima scarica, si avventaron correndo colle baionette. Fecero i Caroliniani cattivissima sperienza. Senza aspettar l'urto del nemico, nonostante la fortezza del sito loro, abbandonarono la zuffa, e si misero vergognosamente in fuga. I Capi gli confortarono invano per far loro riassumere gli ordini, e per rannodargli. Così dette piega, ed andò in fuga il primo stuolo americano. Stevens, veduta la rotta irreparabile dei Caroliniani, perchè i suoi non ne sbigottissero, diè voce, che quelli tenevano ordine, tosto fatti i primi spari, di ritirarsi. Aprì quindi le sue file per dar luogo ai fuggiaschi, le passassero; poi le richiuse. Sopraggiunsero gl'Inglesi, e si attaccarono coi Virginiani. Ma questi sostennero francamente la pugna, e vi fu che fare assai, prima che volessero cedere il luogo. Finalmente piegarono, e si ritirarono anch'essi, non senza qualche disordine nelle file, verso gli stanziali. Intanto tra per l'effetto della battaglia, e quello dell'inegualità del terreno e della spessezza del bosco si era la schiera inglese anch'essa disordinata, ed aperta in varj luoghi. Perilchè i capitani, fatti venir avanti i due dietroguardi, riempirono con questi gli spazj vuoti. Tutta la schiera allora, passato il bosco, ed arrivata nel campo posteriore, si lanciava contro gli stanziali. Ma questi asserrati sostennero l'impeto del nemico valorosamente. Ciascuno di loro dimostrava egregiamente la sua virtù, sicchè stette per un pezzo la vittoria dubbia, a quale delle parti dovesse inclinare. Sulla sinistra loro Leslie trovò sì feroce incontro negli stanziali, che fu costretto a ritirarsi dietro una fondura, e quivi star aspettando le novelle di quello, che fosse accaduto in altre parti. Ma nel mezzo vi era gran pressa, e si travagliava aspramente. Il colonnello Steewart col secondo battaglione delle guardie, ed una mano di granatieri valorosissimamente combattendo aveva fatto volger le spalle, e preso due cannoni ai Delawariani. Ma i Marilandesi valentissimi vennero rattamente alla riscossa, e non solo ristorarono la battaglia, ma fecero barcollar gl'Inglesi. Sopraggiungeva in questo mentre il colonnello Washington colla cavalleria, ed urtati ferocemente i regj, gli metteva in manifesta fuga, gli tagliava a pezzi, ripigliava i cannoni. Ne furono sperperati, e quasi morti tutti i soldati di Steewart. Egli stesso ne rimase ucciso. In questo punto l'evento della giornata pendeva da un sol filo; e se gli Americani avessero, seguendo la fortuna loro, tutto quello che dovevan fare, fatto, tutto l'esercito inglese era spacciato. Se tosto rotto le guardie, e morto Steewart, occupato avessero un poggio, che giace a lato la strada maestra sull'orlo posteriore del bosco, e munito d'artiglierie, avrebbero probabilmente rimosso ogni dubbio della vittoria. Imperciocchè in tale caso non avrebbero potuto gl'Inglesi rinfrescarsi in quella parte di nuove arme e di nuovi combattitori, ne sarebbe stata separata l'ala loro sinistra dalla mezzana e dalla diritta, e le sbaragliate guardie non avrebbero avuto comodità di riaversi e di riordinarsi. Ma gli Americani contenti a quello, che sin là avevan fatto, in luogo d'impadronirsi del poggio, andarono a ripigliare i posti, che avevano prima che si scagliassero contro gl'Inglesi. Quindi avvenne, che il tenente inglese Macleod, veduto il bello, si spinse avanti colle artiglierie, e, collocatele in su quel medesimo poggio, potè ferire aspramente da fronte gli stanziali americani. I granatieri ed un altro colonnello inglese comparvero sulla destra dentro il campo, e spintisi avanti percossero anch'essi con grand'impeto in quelli. Nell'istesso tempo spuntò sulla sinistra un'altra insegna di stanziali inglesi, e Tarleton arrivò spazzando colla sua legione. O-hara intanto, avvengadiochè fosse ferito sconciamente, aveva riordinato le sbattute e sconfitte guardie. Tutte queste genti mandate ed arrivate in fretta dalle due ali, e dal mezzo in aiuto, e per riparare alla rotta della mezzana e prima schiera, produssero quegli effetti che se ne dovevano aspettare. Gli stanziali americani, sopra i quali era restato tutto il pondo del fatto, assaliti da tante parti, cominciarono a rimettere del primo impeto, e ad uscire dalla battaglia, quantunque ordinati, minaccevoli ed attestati. Lasciarono sul campo non solo i due pezzi di artiglieria, che avevano di fresco riconquistati, ma ancora due altri in poter del nemico. Webster allora ricongiunse l'ala sua a quella di mezzo, e, fatto nuovo impeto contro l'estrema ala dritta di Greene, agevolmente la fugò. Cornwallis si astenne dal far seguitare dalla cavalleria di Tarleton gli Americani che si ritiravano, perchè di quella gliene faceva mestiero in altra parte. Si erano attaccate l'ala dritta inglese colla stanca americana; e quantunque il reggimento essiano di Bose, condotto dal signor de Buy, il quale in quel dì combattè con molto valore, e le altre genti inglesi avessero il vantaggio, tuttavia gli Americani facevano un'aspra contesa. E siccome il terreno era disuguale ed ingombro di boscaglie, e che le milizie erano molto atte al combattere alla leggiera, così non potevano i primi venirne a capo. Fugate ritornavano, cacciate si rimpiattavano, rotte si rattestavano. In mezzo a questa battaglia sparsa, o per meglio dire moltitudine di parziali abboccamenti sopraggiunse battendo Tarleton, il quale girato intorno alla punta dell'ala dritta de' suoi, e nascosto in mezzo al fumo delle armi loro, imperciocchè a questo fine avevano tratto tutti ad una volta, urtò l'inimico contrastante, e rottolo gli fece votar le stanze in ogni parte. Le milizie s'inselvarono. Così furon liberati gli Essiani da quella lunga, e fin là inestricabile avvisaglia. In questa maniera fu posto fine all'ostinata e molto varia battaglia di Guilford, la quale si combattè addì quindici di marzo. Vi perdettero gli Americani tra morti, feriti, prigionieri e smarriti meglio di tredici centinaia di soldati. Pochi furono i prigionieri. La più parte de' feriti si annoverarono tra gli stanziali; i dissipati per la fuga, e tornati alle loro case fra le milizie. Huger e Stevens furono tra i feriti. La perdita degl'Inglesi fu in proporzione del numero loro maggiore, sommando i morti ed i feriti gravemente a più di seicento ottimi soldati. Oltre Steewart sopraddetto, morì con forte rammarico loro Webster. Howard e O-hara, che tenevano i primi luoghi nell'esercito regio, siccome pure Tarleton, rimasero feriti. Dopo la battaglia ritirò Greene le sue genti dietro il Reedy-fork, dove attese un pezzo a raccorre i fuggiaschi, gli sciorinati ed i traviati. Poscia indietreggiando vieppiù, andò a por gli alloggiamenti ad Ironworks sulle sponde del rivo Troublesome. Cornwallis rimase padrone del campo di battaglia. Ma non solo non potè côrre nissuno dei consueti frutti della vittoria, ma ancora fu costretto di abbracciare quei consiglj, che sogliono usarsi dai vinti. La stanchezza de' suoi, la moltitudine dei feriti, la fortezza dei nuovi alloggiamenti presi dal generale americano, ed il prevaler questi di soldati armati alla leggiera, massimamente di cavalli, lo impedirono dal seguitar la vittoria. Poscia la vivezza ed il numero dei libertini, la freddezza dei leali, i quali non che facessero le viste di voler romoreggiare dopo il fatto di Guilford, se ne stavano quieti, nonostante che Cornwallis con un nuovo bando gli avesse invitati a correre alle armi, ed a rivoltarsi all'obbedienza del Re, soprattutto la carestia delle vettovaglie operarono di modo, che il capitano britannico fu necessitato a tirar le sue genti indietro sino a Bell's-mills sul fiume Deep, lasciando anche a New-Garden molti de' suoi più sconciamente feriti in poter dei repubblicani. Rinfrescate le genti a Bell's-mills, e raggranellate alcune poche vettovaglie, dirizzò l'esercito verso Cross-creek alla volta di Wilmington. Lo seguitava spacciatamente Greene, e con un nugolo di stracorridori continuamente lo noiava alla coda. Non fe' l'Americano fine alla persecuzione, se non quando egli arrivò a Ramsay's-mills, dove essendo la contrada sterile e sfruttata, e rottosi dagl'Inglesi il ponte sul Deep, gli lasciò andar al cammino loro. Ma siccome quegli, che animoso era, e grande intraprenditore, volendo giovarsi della congiuntura, in cui i regj si trovavano al disotto, ritorse con novissimo ardore le sue genti per verso la Carolina Meridionale, la quale era stata spogliata della più gran parte de' suoi difensori, e specialmente si difilava a gran giornate contro Cambden. Così Greene rotto a Guilford era più potente in sui campi che prima; così i vincitori, come se vinti fossero, partivano dal giuoco, ed i vinti, come se fossero vincitori, incalzavano fieramente, e di nuovo più arditi, che prima, correvano alle offese. Cornwallis dopo gravi fatiche e stenti arrivò a Wilmington il giorno sette aprile. Quivi si appresentavano alla mente sua due imprese da farsi, ambedue di grandissima importanza. Una era di muoversi in soccorso della Carolina Meridionale, l'altra di volgersi alla Virginia per congiungersi colle genti d'Arnold, e con quelle, che di fresco vi aveva condotte Phillips. Furono molti i dispareri dei Capi dell'esercito intorno quest'oggetto, dalla decisione del quale poteva dipendere tutta la somma della guerra. Volevano alcuni, che si conducesse tosto l'esercito nella Virginia. Allegavano, esser la contrada tra il fiume del capo Fear e Cambden povera, gretta ed impedita da frequenti fiumi e fiumane; che specialmente il passare il fiume Pedee con un nemico così grosso da fronte era cosa troppo malagevole e pericolosa; che sulla strada per a Georgetown s'incontravano le medesime difficoltà; che l'imbarcar le genti per a Charlestown era opera tediosa e lunga; che nulla v'era da temersi per quest'ultima città; che l'assaltar con esercito potente la ricca provincia della Virginia avrebbe rivocato Greene dalla Carolina; che non si sarebbe potuto arrivare in tempo per soccorrere lord Rawdon, che allora si trovava dentro Cambden, e che, se egli fosse stato rotto prima dell'arrivo dell'esercito soccorritore, si sarebbe questo trovato nel vicinissimo, e forse irreparabile pericolo di essere tagliato a pezzi da forze a molti doppj superiori. Da un altro canto quei, che mantenevano la contraria opinione, instavano, che le strade alla volta della Virginia erano non meno, e forse più difficili di quelle che menavano alla Carolina; che gli indugi dell'imbarcare provenivano massimamente dalla cavalleria, e che questa poteva sicuramente fare il viaggio per la via di terra; il che i capitani suoi, e soprattutti Tarleton, si offerivano prontissimi ad eseguire; che ciò posto si poteva prestamente fare l'imbarco; e se i venti fossero favorevoli, si sarebbe potuto arrivare nel buon dì in soccorso della Carolina; che poichè non si era potuto conquistare la Virginia, si doveva almeno conservar le Caroline; che il recarsi contro la prima si era un porsi in dubbio di conquistare una nuova provincia, e nella certezza di perderne intieramente due, e forse tre delle altre, che già erano in potestà del Re; che già i popoli in queste incuorati dall'avvicinarsi di Greene, e dalla lontananza dell'esercito si sollevavano universalmente a cose nuove; che già Marion e Sumpter correvano la campagna; che ogni cosa vi si volgeva a nuova ribellione; che poichè nulla si aveva a temere di Charlestown, si doveva anche star sicuri rispetto a Cambden, città fortificata con un presidio gagliardo dentro, governato da un capitano esperto e forte; che per altrettanto tempo, per quanto le città di Charlestown, e di Cambden si reggessero a divozione del Re, era sempre la Carolina da stimarsi in balìa sua, e da potersi facilmente tutta ricuperare; lamentavano finalmente, che la gita verso Cambden non fosse stata intrapresa già fin quando, trovandosi l'esercito a Cross-creek, si ebbero le novelle, che non si poteva aprir la via alla navigazione del fiume del capo Fear da quel luogo stesso di Cross-creek sino a Wilmington. Ma che quantunque pel fatto soprastamento il prospero successo non fosse più del pari certo, tuttavia era ancora probabile, e non si doveva tralasciarne la occasione. Prevalse la opinione dei primi, e Cornwallis indirizzò totalmente l'animo, dopo fatto una sufficiente fermata a Wilmington a fine di riposar le genti, e rammassar vettovaglie, a volgersi contro la Virginia. Dalla quale deliberazione del capitano britannico ne nacque poco appresso quel fortunoso avvenimento, il quale fu principal cagione del pronto fine della guerra, e dell'americana independenza. FINE DEL LIBRO DUODECIMO LIBRO DECIMOTERZO [1781] Mentre nel modo che abbiamo detto, Greene e Cornwallis, i quali si erano sì lunga pezza vicendevolmente perseguitati, ora spiccatisi l'uno dall'altro s'incamminavano il primo contro la Carolina Meridionale, il secondo contro la Virginia, gl'Inglesi e gli Olandesi, nuovi nemici, si apparecchiavano alla guerra, e già tra di loro esercitavano le ostilità. Speravano i primi, siccome quelli, che veduto avevano già da qualche tempo addietro la guerra olandese nell'aria, e perciò meglio acciviti d'uomini, e d'ogni sorta di arnesi guerreschi si appresentavano, di potere sulle prime affliggere con qualche gran fatto la potenza e la ricchezza del nemico; la quale speranza era stata la principal cagione dell'affrettata denunziazione della guerra. Intendevano, colle vittorie da acquistarsi contro gli Olandesi, potersi rifare delle perdite fatte all'incontro dei Francesi e degli Americani, e così arrecare nei futuri negoziati della pace, quando che fossero, tale somma in tutto di vantaggi, che bastevol fosse a procurar loro le più favorevoli condizioni. Da un altro canto aspettavano gli Olandesi cogli aiuti dei confederati, e colle forze proprie di potere l'antica loro gloria marittima rinverdire, ricuperare le ricche possessioni state tolte loro nell'ultime guerre, e liberare il commercio dall'avanìe britanniche. Nel che grande era la contenzione d'animi in Olanda, e gagliardi gli sforzi che vi si facevano. Decretava la repubblica, si allestissero da novantaquattro navi da guerra tra le quali undeci di alto bordo, quindici di cinquanta cannoni, due di quaranta, le rimanenti minori. Dovessero governare tutto questo navilio, la più ferma speranza della repubblica, diciottomila eletti marinari. Si spedirono le più veloci saettìe ne' varj luoghi dei dominj olandesi, per avvertire i governatori, ed i capitani dell'incominciata guerra, esortandogli di farsi forti sull'armi, ed a stare a buona guardia. Il Re di Francia ebbe tosto mandato in tutti i porti del suo Reame avviso della cosa, acciò le navi olandesi, che vi si trovavano, conosciuto il nuovo pericolo, pensassero ai casi loro, e non si esponessero a diventar preda ad un nemico svegliato, e forte sull'armi navali. Era la Francia intentissima nel procacciare, che l'Olanda non ricevesse danno in quella causa, che questa aveva più pel di lei, che per suo proprio interesse intrapresa. Ma tutte queste cautele, quantunque opportunamente usate, non poterono tanto operare, che gl'Inglesi, ai quali la fresca rottura della guerra era stata piuttosto il colore per usare le già apparecchiate armi, che un motivo per apparecchiarle, non si avvantaggiassero, e molti, e gravi danni non facessero in su quelle prime prese al più animoso che provvido nemico. Parecchie navi da guerra, o cariche di preziose merci vennero in poter loro. Tra le prime si notò principalmente il vascello il Rotterdam di cinquanta cannoni predato dal vascello inglese il Warwick. Ma quest'eran cose di poco momento a paragon di quelle, che intervennero a pregiudizio degli Olandesi nell'Indie occidentali. Avevano i capitani britannici in quelle spiagge ricevuto dall'Inghilterra tostane commissioni d'impadronirsi delle possessioni olandesi, tanto delle isole, quanto di terra-ferma, le quali per la lunga e sicura pace non si guardavano, e male stavano armate, sicchè poco atte essendo a resistere agli assalti del primo nemico, che si appresentasse, vi era da far del bene assai. Rodney, il quale sul finir del trascorso anno sen'era dalla Nuova-Jork ritornato a Santa Lucia, e Vaughan si mettevano all'impresa, in ciò altrettanto più pronti, in quanto che aveva il Re loro, negli editti pubblicati per regolar le prede da farsi contro gli Olandesi, una notabil parte di quelle ai predatori conceduto. Fiutata prima invano l'Isola di San Vincenzo, e sollevati, verosimilmente per dar probabile copritura al vero disegno, con subita apparita sulle coste loro gli abitatori della Martinica, si appresentarono improvvisamente con diciassette vascelli, e quattromila soldati da terra il giorno tre di febbraio avanti l'isola di Sant'Eustachio appartenente agli Olandesi. Era ella altrettanto indifesa, che ricca preda ai conquistatori. Imperciocchè sebbene sia essa assai montagnosa ed aspra, e che non si vi possa sbarcare altro che in un solo luogo, e questo ancora facilmente difendevole, tuttavia nissuna speranza si aveva di poter ributtare l'inimico, non essendovi dentro presidio di ragione alcuna; Olandesi pochi, una moltitudine d'uomini di diversa natura e costumi, Francesi, Spagnuoli, Americani, Inglesi, tutta gente usa al mercanteggiare, non al guerreggiare. Inoltre vivevanvi dentro gli abitatori molto sprovveduti, nissune armi vi erano apparecchiate, ed il governatore, e con esso lui tutti gli altri, a tutt'altra cosa avrebbero pensato fuori che a questa. Tanto erano le menti loro occupate nelle bisogne del commercio, e nell'amor del guadagno. È l'Isola di Sant'Eustachio sterile e bretta in sè stessa, non essendo abile a produrre più di seicento, o settecento bariglioni di zucchero ciascun anno. Ma per altro era divenuta a quei tempi la più frequentata, e la più ricca scala dell'Indie occidentali. Era essa, come un porto franco al quale concorrevano in grandissimo numero i mercatanti da tutte le parti del mondo, sicuri di trovarvi e sicurezza, e facilità di scambj, e moneta copiosissima. La neutralità sua, e la guerra altrui l'avevano a tanta prosperità condotta, e fattala diventar il mercato di tutte le nazioni. Là venivano i Francesi e gli Spagnuoli per vendervi le derrate loro, e comperarvi le merci inglesi. Là accorrevano gl'Inglesi per vendervi queste merci, e levarvi i proventi francesi e spagnuoli. Ma gli Americani massimamente lungo tempo si giovarono della prosperevole neutralità di Sant'Eustachio. Perocchè portandovi i proventi loro ne levavano poscia con inestimabile utile, ed evidente avanzamento dell'impresa loro le armi e le munizioni da guerra, che i Francesi, gli Spagnuoli, gli Olandesi, e gl'Inglesi stessi vi arrecavano. Certo grande aiuto agli Americani si fu questo franco mercato di Sant'Eustachio. Il che fu causa, che un oratore della Camera dei Comuni, non so con qual prudenza, ma certo con biasimevole smoderatezza orando, ebbe detto, che se l'Isola di Sant'Eustachio fosse stata precipitata negli abissi, avrebbe l'independenza americana avuto corta vita. Queste cose si dicevano; ma quelle che si fecero, furono bene consuonanti colle parole. Si riempì l'Europa di querele contro l'avarizia inglese. Gli uomini più prudenti e più modesti dell'Inghilterra stessa condannavano i barbarici eccessi, veggendo con tanta insolenza essere offesa la dignità del nome britannico. Rodney e Vaughan fecero la chiamata al governatore dell'isola, si arrendesse fra lo spazio di un'ora; altrimenti ne starebbe alle seguenze. Il signor Graaf, il quale non aveva ancora avuto notizia della nuova guerra, non sapeva, che cosa questo volesse dire; ed appena che volesse prestar fede all'uffiziale, che gli aveva intimato la resa. Infine conoscendo benissimo, che era giuocoforza risolversi, ed essendo il luogo spogliato d'ogni presidio, rispose, dar in mano di Giorgio Rodney e di Giovanni Vaughan l'isola con tutte le sue pendici; solo raccomandando la città e gli abitatori alla clemenza e mercè dei capitani britannici. Le quali quante, e quali siano riuscite, or ora siamo per raccontare. Era l'isola non che piena, pinza di tutti i beni, e delle più preziose merci del mondo. Non solo tutti i magazzini, ch'erano numerosissimi e capacissimi, ne erano da capo in fondo zeppi; ma le spiagge stesse erano gremite di barili di zucchero e di tabacco. Gli stessi conquistatori, tuttochè assetati di preda, ed in grande aspettazione fossero, ne rimasero fortemente maravigliati. Si fe' una stima così un cotale alla grossa, che il valor delle merci arrivasse a meglio di tre milioni di sterlini. Tutte furono senza distinzione veruna pigliate, inventariate e confiscate. Gravissimo fu il danno degli Olandesi, massimamente della loro Compagnia dell'Indie, e degli Amsterdammesi, i quali ne possedevano una ragguardevol parte. La qual cosa riuscì di non poco contento agl'Inglesi irritatissimi contro i cittadini di Amsterdam per cagione del calore, col quale nella patria loro seguitato avevano le parti francesi. I principali sofferitori però non furono già gli strani; ma sibbene i proprj mercatanti inglesi, i quali confidatisi nella neutralità del luogo, ed in alcuni atti del Parlamento, che a ciò fare gli autorizzavano, accumulato vi avevano una inestimabile quantità di proventi antillesi, siccome pure di derrate e merci d'Europa. Nè il danno si rimase al pigliamento delle merci stivate nei magazzini; che anzi da dugento trenta bastimenti di ogni foggia con ricchissimo carico, i quali si ritrovavano nel porto, vennero in poter dei vincitori. Oltreacciò s'impadronirono nel porto medesimo di una fregata olandese, e di cinque altri legni da guerra di minore levata. Nè a questo fu contenta la fortuna in quei dì contraria agli Olandesi. Era partita poco prima dal porto di Sant'Eustachio una conserva di trenta bastimenti mercantili carichi di zucchero e di altre grasce di quelle terre alla volta d'Europa, ed era convogliata da una nave da guerra. Tosto Rodney, che era uomo vigilantissimo ed operosissimo, la faceva perseguitare da due grossi vascelli e da una fregata. Non indugiarono molto ad arrivar sopra la conserva. L'Ammiraglio olandese Krull, quantunque tanto inferiore di forze volle piuttosto pericolosamente combattere, che disonoratamente arrendersi. Si attaccarono la sua nave il Marte, e la inglese il Monarca. Non fu lungo il combattimento; perciocchè Krull di prima presa vi perdè la vita. Il successore, abbassata la tenda, si arrendè. In questo mezzo le altre navi avevano dato la caccia ai bastimenti della conserva, e presigli, tutti gli condussero nel porto. Lasciarono gl'Inglesi un pezzo le bandiere d'Olanda sventolare sulle cime del Forte di Sant'Eustachio, al quale inganno prese molte navi olandesi, francesi ed americane entrarono nel porto, non meno ricco, che sicuro acquisto ai nuovi signori. L'aver posto mano nelle proprietà dei particolari uomini, quantunque nemici, solite a rispettarsi anche a' tempi di guerra dalle civili nazioni, diè luogo a molte rimostranze da parte degli abitatori delle Antille inglesi, e della Gran-Brettagna stessa, che vi avevano interesse. Allegarono, che le merci avevano colà portate in virtù delle leggi del Parlamento; che in ogni età i conquistatori, i quali del tutto barbari non siano stati, rispettarono non che le proprietà private dei concittadini loro, ma ancora quelle dei nemici; che l'esempio sarebbe perniziosissimo; imperciocchè se per la variabile fortuna della guerra le isole inglesi venissero in poter del nemico, questi per rappresaglia ne sarebbe autorizzato a far lo stesso contro le proprietà dei privati uomini inglesi con grave danno, e totale rovina loro; che con questi barbari modi proceduto non avevano i Francesi a tempo della conquista della Grenada, i quali tutte le proprietà private franche ed inviolate conservarono, quantunque per assalto, e senza capitolazione veruna di quell'isola impadroniti si fossero; che anzi avendo il conte D'Estaing sequestrato sino alla pace le proprietà degli assenti, la Corte di Francia con parole gravissime aveva disapprovato questa risoluzione del suo ammiraglio, e fatto levar il sequestro; che Sant'Eustachio era un porto franco, e per tale riconosciuto da tutti i Potentati marittimi dell'Europa, e dall'Inghilterra stessa; che le leggi di questa non solo permesso, ma incoraggiato avevano il traffico con quell'isola; che gli uffiziali della dogana nella Gran-Brettagna avevano conceduto le bollette d'uscita per quelle merci stesse indiritte a Sant'Eustachio, che ora state erano poste al fisco; che questo commercio era stato quello che aveva alimentato le isole di Antigoa e di San Cristoforo, senza del quale ne sarebbero gli abitatori morti di fame, o stati costretti a gettarsi in grembo al nemico; che gli Eustachiesi andavano debitori di grosse somme ai mercatanti inglesi, ai quali non avrebbero potuto soddisfare, se le robe loro rimanessero confiscate; che finalmente si doveva pur credere, che si fosse la conquista dell'isole olandesi intrapresa dall'armi del Re per un altro più nobil fine, che quello non era dello spogliamento e del sacco. Tutto fu nulla. Rodney aveva ciò fatto, perchè il governo suo aveva voluto, che così facesse. Rispose ai rimostranti, che si maravigliava bene, che mentre i mercatanti inglesi avevano la facoltà di portar le merci loro nelle isole di spettanza inglese a sopravvento, le avessero mandate a sottovento in quella di Sant'Eustachio, dove ad altro fine non potevano portate essere, se non a quello di sopperir ai bisogni dei nemici del Re e della patria loro. Nel che si dee notare, che se i mercatanti avevano il torto, non l'avevano minore i capitani delle navi britanniche, e quelli stessi dell'armata di Rodney, i quali le prede fatte in sui mari di vettovaglie, ed anche di armi e di munizioni da guerra erano andati vendendo nel medesimo porto di Sant'Eustachio, dond'erano state ricompre, e convertite in usi guerreschi dai nemici della Gran-Brettagna. Aggiunse Rodney, che l'isola di Sant'Eustachio era olandese; che tutto ciò, che in essa si conteneva, era pure olandese; che tutto vi stava sotto la protezione della bandiera olandese, e che intendeva, che ogni cosa vi fosse trattata, come se olandese fosse. Gli stessi rigori si esercitarono sopra le vicine isole di San Martino e di Saba, le quali a quei medesimi dì seguitarono la fortuna del vincitore. Ma i capitani britannici non contenti al rapir le robe, incrudelirono contro le persone. Tutti coloro, che il nome inglese non portavano, non solo dall'isola sbandirono, ma ancora crudelmente trattarono. Furono gli Ebrei, assai numerosi e ricchi, i primi a pruovar la rabbia loro. Gli stivaron tutti dentro la magione della dogana; gli stazzonarono da capo a piè; tagliaron loro i gheroni delle vestimenta; ruppero, e ricercaron le casse e le valige; gli spogliarono degli effetti e del denaro loro, ed imbarcatigli così nudi e miseri gli mandarono a cercar loro civanza nell'Isola di San Cristoforo. Un Saxton, capitano di una nave britannica, era il soprantendente, e l'esecutore della crudeltà dei Capi. Tennero dietro agli Ebrei gli Americani, i quali spogliati di tutto furono anch'essi, come gente disperata, buttati a San Cristoforo. Eppure vi erano fra di questi non pochi di coloro, i quali venuti in odio ai conterranei loro per cagione dello zelo, che dimostrato avevano in favore del Re, erano stati costretti ad andar a cercare in estrane contrade asilo contro il furore di quelli. Così questi leali erano cacciati dalla patria loro, come amici agli Inglesi, e perseguitati dagli Inglesi come amici agli Americani, del pari infelici per aver serbato la fede al Re, che se l'avessero violata. Dimostrò l'assemblea di San Cristoforo molta pietà verso i confinati, concedendo ai medesimi provvisioni e per l'immediato ristoro loro, e pel futuro collocamento. Furono in ultimo luogo banditi da Sant'Eustachio i mercatanti francesi, ed olandesi, gli Amsterdammesi più aspramente di tutti. Nel medesimo tempo Rodney bandì un pubblico incanto di tutte le robe confiscate, facendo facoltà a chiunque di venirle a comprare. Concorsero in grandissimo numero i mercatanti delle nazioni amiche, o neutrali, e per sè stessi, e per conto dei nemici dell'Inghilterra, massime dei Francesi e Spagnuoli, i quali come più vicini, ed in guerra ne avevano più degli altri bisogno. Così quelle robe stesse per aver fatto comodità delle quali ai nemici della Gran-Brettagna per la via ordinaria del commercio erano stati gli Eustachiesi sì crudamente manomessi, e quasi all'ultimo termine condotti, ora per la pubblica e franca vendita fattane dai Capi britannici, in mano di quei medesimi nemici liberamente trapassarono. Questo fu il maggior incanto che mai si facesse, e la parte delle ricchezze, che ne toccò a Rodney, ed a Vaughan non fu poca. Ma era fatale, che essi lungo tempo non ne godessero; poichè Dio, che, come si vuol dire, non paga il sabbato, altro fine riserbava all'avarizia loro; della quale cosa faremo noi parole, quando avremo quelle cose raccontate, che più da vicino si appartengono al filo di queste storie. Ritornando adunque al principal proposito nostro, dal quale il dolore giustissimo del danno pubblico, e della nuova infamia inglese ci aveva, forse più lungamente, che non conviene alla legge dell'istoria, traportati, la perdita di Sant'Eustachio non fu la sola sventura, alla quale siano gli Olandesi andati soggetti nelle occidentali Indie, avendo gl'Inglesi preso, come a gara il correre contro di essi, quasi dimenticatisi degli altri nemici, che avevano alle mani. Possedevano sulla terra-ferma d'America una ricca colonia, che chiamano di Surinam, la quale è parte di quella vasta contrada, a cui fu dato il nome di Guianna. Stavanvi i governatori a mala guardia, e senza sospetto, non avendo peranco nissuna notizia avuto della guerra. Ma in questo mezzo arrivarono alcuni corsari inglesi, la maggior parte bristolesi, i quali entrati, non senza grave pericolo, nei fiumi di Demerary, e d'Essequibo molte navi cariche di preziose merci recarono in poter loro. Gli Olandesi, conosciuta la cosa, e temendo di diventar preda agli sfrenati venturieri, mandarono dicendo al governatore della Barbada, che si arrendevano, e davano in balìa del Re della Gran-Brettagna. Solo pregarono, non sapendo, quali fossero, si concedesser loro i medesimi patti, che agli Eustachiesi erano stati conceduti. Il governatore consentì. Ma quando poco dopo gli conobbero, aspettavano di esser depredati. Ciò nondimeno mostrò Rodney maggior umanità verso gli abitatori di Demerary, di Essequibo e di Berbice, i quali tutti addomandato avevano i patti, di quello, che verso di Sant'Eustachio fatto si avesse. Furono assicurati nella roba e nelle persone, e permessi a continuare ad aver quelle leggi e quei maestrati, che fin là governati gli avevano. Così arrideva ovunque agl'Inglesi la fortuna nell'indiana guerra, che con tanta rabbia contro gli Olandesi esercitavano. Ma a questo tempo le cose succedevan loro sinistramente contro gli Spagnuoli, i quali erano entrati coll'esercito ne' confini della Florida occidentale. Conciossiachè Don Galvez e Don Solano dopo d'essere stati stranamente strabalzati e rotti da una furiosa tempesta vennero a por l'assedio sotto le mura di Pensacola, città forte, e capitale di quella provincia. Stavavi dentro il generale Campbell, il quale si difese valorosamente lunga pezza. Ma finalmente una bomba caduta vicina alla polveriera, dato fuoco alle polveri, fe' con orribile scoppio saltar in aria un grosso bastione. Se ne giovarono gli Spagnuoli, e, presone possesso, minacciavano di prossimo assalto la piazza. Campbell calò agli accordi, che furono molto onorevoli. Così tutta la provincia della Florida occidentale, la quale era stata uno de' più preziosi frutti della guerra del Canadà, ritornò dopo non molto tempo in poter degli Spagnuoli. Ora dagli estremi campi, sui quali si esercitava la guerra, l'ordine della storia richiede, che ci accostiamo alle fonti, dond'ella procedeva, e che andiamo divisando, quali fossero a questi tempi i pensieri, ed i disegni dei Re, e delle repubbliche guerreggianti. Si erano gli Americani posti in mal umore, ed aspramente si dolevano dei Francesi loro alleati, siccome di quelli, che da alcune vane dimostrazioni in fuori, nissuno aiuto, che efficace fosse, prestato avessero, e quasi gli abbandonassero ad arrissarsi soli nell'aspra contesa contro di un potente nemico. Affermavano, le genti sbarcate all'Isola di Rodi essere riuscite di niun frutto per la mancanza delle forze navali; così sempre ancora inutili dover riuscire, o poco manco, quando da un prepotente navilio non fossero accompagnate; non potersi sperare di poter una guerra fruttuosa fare in quelle spiagge, se non da colui, che abbia il dominio del mare; continuar intanto gl'Inglesi a posseder la Giorgia, la più gran parte della meridional Carolina, tutta la Nuova-Jork; minacciare per soprassoma la Virginia; nissuna insegna francese essersi veduta in difesa, ed a ricuperazione di queste province; venir meno intanto gli Stati Uniti sotto il peso di sì sproporzionata guerra; logorarvisi gli uomini, mancarvi la industria, negligentarvisi l'agricoltura, disseccarvisi le fonti del pubblico tesoro; nissun prossimo fine discoprirsi a tante calamità. Così si lamentavano i popoli dell'America. Ma in Europa si maravigliavano le genti, come una tanta, e sì possente lega così pochi frutti partorito avesse contro il comune nemico, che paresse in vero, che questi in luogo di rimanerne al di sotto, se ne stesse in sul vantaggio; imperciocchè l'Inghilterra e correva alle offese in America, e signoreggiava i mari delle Antille, e conquistava le colonie olandesi, e si avvantaggiava nelle Indie orientali, e teneva la fortuna in bilico in Europa. Quindi è, che i nomi spagnuolo e francese ne andavano soggetti a diminuzion di riputazione. La Francia specialmente, come quella, che era l'anima, e la principal guidatrice di tanta mole, ci metteva del suo. Il Re Cattolico stesso era scontento, ed assai si richiamava del Cristianissimo, perchè non l'avesse aiutato nell'impresa della Giamaica, che voleva incominciare, ed in quella di Gibilterra, che già aveva incominciato, nelle quali posto aveva un ardentissimo desiderio. Gli Olandesi poi, i quali avevano principiato a pagare sì duro scotto, sclamavano a cielo, che fossero senza sovvenimento lasciati stare soppozzati in quel pericolo, nel quale erano stati gittati dai consiglj, e dalle instigazioni della Francia. E tanto maggior rammarico facevano, in quanto che avevano avuto sentore, che si allestiva nei porti della Gran-Brettagna una possente armata destinata ad assaltar il capo di Buona Speranza, scala di tanto momento a quelle nazioni che fanno il traffico nelle Indie orientali. Temevano di aver a pruovar in oriente altrettanti danni, quanti di già provato avevano in occidente. E certamente priachè avessero potuto apparecchiar le difese, e mandar gli aiuti, gl'Inglesi meglio preveduti, e provveduti avrebbero avuto tempo di trarre il disegno loro a compimento. Mosso il Re di Francia da tutte queste cagioni e dal proprio interesse si determinò di mostrarsi nel presente anno più vivo, di quanto stato fosse nel passato, volendo con nuova vigorìa riparar i danni operati dalla antica freddezza. Per la qual cosa faceva lavorar di forza nell'arsenale di Brest, ed apparecchiava in ogni parte del Regno gagliardamente le armi terrestri. Tre erano i fini che principalmente si proponeva di voler conseguire. Il primo era quello di mandar sì fatta armata nelle Antille, che congiunta a quella che si trovava ne' porti della Martinica, se ne venisse ad acquistar superiorità sull'armata inglese. Quest'armata, al governo della quale fu preposto il conte di Grasse, doveva anche trasportare un buon numero di soldati, i quali accozzatisi nella Martinica con quei del Bouillé avrebbero qualche impresa d'importanza tentato contro le Isole inglesi. La qual cosa ottenutasi, e prima che fosse trascorso il tempo di guerreggiare in quei climi, s'intendeva, che il conte di Grasse si recasse sulle americane spiagge per ivi cooperare con Rochambeau e con Washington al sottoponimento delle forze, che la Gran-Brettagna vi aveva. Il secondo poi si era quello d'inviar una sufficiente flotta sulle coste africane, perchè soccorresse al pericolo del capo di Buona Speranza, e ciò fatto s'incamminasse alla volta delle Indie orientali, dove per l'industria e per la gagliardìa dell'ammiraglio inglese Hughes le cose francesi erano al di sotto. Col terzo finalmente si voleva una qualche rilevata fazione fare nei mari d'Europa in benefizio della Lega, e massimamente della Spagna. Si motivava specialmente dell'impresa di Minorca. Frattanto in Inghilterra parte si sapevano, e parte si presumevano i disegni degli alleati; e perciò vi si facevano contro tutti quei preparamenti che si credevano del caso. Già vi si allestiva con gran sollecitudine una flotta, la quale doveva portar un rinforzo di alcuni colonnelli inglesi, e di tremila Essiani in America al lord Cornwallis, acciocchè fosse in grado non solo di poter conservare quello che acquistato aveva, ma ancora distendere più oltre la prosperità delle sue armi. Perocchè le vittorie di Cambden e di Guilford avevano maravigliosamente sollevato gli animi di tutta la nazione a nuove speranze, e tutti già si promettevano il pronto fine della guerra, ed il soggiogamento dell'America. S'intendeva parimente colla giunta della flotta medesima, quantunque in sè stessa non molto forte, a quella, che già esisteva nell'acque delle Antille, conservar all'armi britanniche quella superiorità, che acquistato vi avevano. Ma ognuno particolarmente stava attentissimo ad osservare, a qual fine tendesse un armamento forte che si faceva nei porti, consistente in una nave di 74 cannoni, una di 54, tre di 50, con parecchie fregate, brulotti, giunchi ed altri minori legni da guerra. Lo dovevano accompagnare molte navi da carico fornitissime di armi e di munizioni. Tre migliaia di valenti soldati erano stati posti a bordo sotto la condotta del generale Meadows. Il governo della flotta era stato commesso al comandante Johnstone. Molto varj erano i romori che correvano fra la gente intorno l'oggetto di questa spedizione, il quale era con grandissima gelosia tenuto segreto. I più però concorrevano nel dire, che la spedizione fosse volta alle Indie orientali per por fine colà alla signoria francese. La qual cosa, per quanto si potè giudicare dagli accidenti che seguirono, fu vera. Ma e' pare ancora, che la guerra, che sopravvenne coll'Olanda, abbia i ministri della Gran-Brettagna indotto a darle altro destino, restringendola alla fazione del capo di Buona Speranza, ed al mandar nelle Indie quegli aiuti, ch'erano creduti necessarj, se non al conquistar nuovo paese, almeno al conservar il conquistato. Ma di tutte le cure, che a questi dì pressavano nei consiglj britannici, forse la più rilevante, e certamente la più premurosa, era quella di soccorrere al presidio di Gibilterra. Nel che, oltre l'importanza della cosa, l'onor della nazione era grandemente interessato. Gli Spagnuoli e gl'Inglesi avevano quell'assedio preso in gara, ed i primi si andavano vantando, che ad ogni modo colla flotta che avevano a Cadice, avrebbero ogni soccorso, che si fosse voluto far entrare, impedito. Già dentro s'incominciava a disagiar grandissimamente di vettovaglie, essendo in gran parte consumate le munizioni l'anno precedente introdotte dall'ammiraglio Rodney, e quelle che sopravanzavano, erano sì corrotte, che poco erano mangerecce. Già Elliot era stato costretto a diminuire di un quarto la provvisione giornaliera del vitto a' suoi soldati; gli uffiziali stessi, perchè i gregarj sopportassero di miglior animo la privazione, furono proibiti dall'usar la polvere di cipri nella cura dei loro capelli. A queste strette era ridotto il presidio. Ma gli abitatori della città per la mancanza delle cose al vivere necessarie travagliavano grandemente. Tal era stata la vigilanza e la prontezza degli Spagnuoli nel vietar le vettovaglie, che dall'ultimo rinfrescamento in poi pochissime navi erano state lasciate entrar dentro dalle più vicine, come dalle più rimote, parti dell'Africa. Solo alcuni legni minorchesi, molto sguizzanti, a volta a volta vi erano trapelati. Ma non bastavano a gran pezza a tanta bisogna, ed i prezzi che mettevano i padroni alle robe loro, erano sì esorbitanti, che pochi vi si potevano accostare. Perfino le miserabili reliquie delle antiche provvisioni guaste, com'erano, si vendevano a prezzi sfoggiati. Una libbra di vecchio biscotto di bordo tutto bacato vi si comperava ventiquattro soldi, e non se ne trovava. Le farine corrotte, ed i piselli intonchiati un terzo più; il sale il più immondo, la spazzatura dei granai valevano sedici soldi la libbra; il butirro salato una mezza corona; un pollo d'India, quando se ne trovava, valeva meglio di trenta franchi; un porcello non si poteva avere, se non con cinquanta franchi; un'anitra ne costava più di dodeci; una gallina magra dieci; un ventre di vitello non si poteva avere per una ghinea, che sono meglio di venticinque franchi; ed un capo di bue si vendeva ancor più caro. Da ardere si aveva sì scarsamente, che le biancherie si lavavano coll'acqua fredda, e non si distendevano co' ferri; cosa, che riuscì di grave danno alla salute degli uomini nella stagione umida, e fredda del varcato inverno. Sopportava bene la guernigione tutti questi disagi con maravigliosa costanza; ma non avrebbe potuto durar più oltre, e quella importante rocca, la chiave del Mediterraneo, sarebbe fra breve ritornata all'obbedienza degli antichi signori, se prontamente non le si soccorreva. Da questi pensieri erano occupate le menti degli uomini in Inghilterra. In Olanda intanto si lavorava incessantemente negli arsenali per allestire un navilio, che capace fosse a rinnovar l'antica gloria, ed a mantener la dignità della repubblica. Si aveva principalmente in animo di proteggere il commercio, che gli Olandesi andavano facendo nel Baltico, e preservarlo dalla rapacità degl'Inglesi. In ciò però non si ottenevano tutti quegli effetti, ch'erano da desiderarci, sì per cagione delle Sette, che tuttavia bollivano in quel paese, e che la forza del reggimento infievolivano, come perchè la lunga pace vi aveva gli animi ammolliti, e fattovi trasandar le provvisioni navali. Tali erano i rispetti, coi quali reggevano a questo tempo i principi i pensieri e le operazioni loro. Gli apparecchj di guerra, che avevano fatti per venirne a capo, erano grandi. Stava il mondo in grandissima aspettazione delle cose avvenire. I primi ad uscire furono gl'Inglesi. L'intento loro era di recarsi al soccorso di Gibilterra. Partirono da Portsmouth con ventotto navi d'alto bordo il giorno 13 di marzo. Ma furono obbligati a soprastar alcuni dì sulle coste d'Irlanda per aspettar le annonarie e le passeggiere, che in grandissimo numero si erano raccolte nel porto di Cork. Le conserve volte alle Indie sì orientali, che occidentali accompagnavano l'armata; dalla quale, arrivate che fossero in certi luoghi fuori del pericolo delle flotte nemiche, si dovevano spiccare per andarsene al viaggio loro. Viaggiava medesimamente di compagnia colla grande armata la flotta spedita di Johnstone destinata, come si è narrato, alla fazione del capo di Buona Speranza; e questa doveva sin là convogliare la conserva d'Oriente. Era l'armata governata dagli ammiragli Darby, e Digby, e da Lockart Ross; ed essendo partita in tre squadre ciascuna era da uno di essi capitanata. Siccome la necessità di soccorrere Gibilterra era evidente, che i preparamenti, che a questo fine si facevano nei porti della Gran-Brettagna, erano noti a tutti, e che anzi gl'Inglesi apertamente confessavano di voler ciò fare, così gli Spagnuoli avevano fatto ogni sforzo per far tornare vano questo disegno. Per verità avevano allestito nel porto di Cadice una armata di trenta navi di alto bordo, e datone il governo a Don Luigi di Cordova, uffiziale di molto valore. Tali erano le forze degli Spagnuoli. Ma queste magnificavano ancora vieppiù per istornare, se possibile fosse, gl'Inglesi dal tentar l'impresa. Perchè poi alle forze, ed alle parole si accoppiasse anche l'ardire, Don Luigi entrava, ed usciva spesso da Cadice, ed iva colla sua armata volteggiandosi sulle vicine coste del Portogallo per quella via, che gl'Inglesi dovevano tenere per correre a Gibilterra. Aggiungevano, esser pronte a congiungersi colle loro molte grosse navi francesi, che allora si trovavano nel porto di Tolone, ed in quei dell'Oceano. Infatti vi era nel solo porto di Brest un'armata sì possente, che di per sè stessa stata sarebbe abile a contrastar il passo, ed a combattere con buona speranza di vittoria tutta l'armata inglese. Vi si annoveravano ventisei vascelli d'alto bordo tutti pronti al veleggiare. E certamente, se questa si fosse congiunta coll'armata di Spagna, avrebbero i confederati acquistato una forza prepotente, e sarebbe agli Inglesi riuscita assai dura impresa quella del soccorso di Gibilterra. Così speravano gli Spagnuoli, che i Francesi avrebbero operato. Ma questi avevano troppo a cuore di proseguir i disegni loro nelle Antille, e nella terra-ferma d'America, siccome pure di ristorar le cose loro, che andavano in declinazione nelle Indie orientali, perchè si volessero risolvere, trasandati tutti questi oggetti di sì gran momento, ad aiutar la Spagna in una impresa, la quale ridondata sarebbe in solo e privato utile di questa. Per la qual cosa il giorno 22 di Marzo uscì da Brest con tutta l'armata il conte di Grasse, e volte le prue all'occidente s'incamminò verso le Antille. Viaggiava di conserva con esso lui il Signor di Suffren colla sua flotta consistente in cinque navi d'alto bordo, parecchie fregate, ed una grossa mano di soldati da terra. Doveva questi, tosto arrivato all'isola Madera, partirsi dalla grossa armata, e veleggiando a ostro verso la punta d'Africa, preservare il capo di Buona Speranza; e, ciò fatto, recarsi nell'Indie orientali. Così le due grandi armate, e le due più piccole inglesi, e francesi, alle quali i due nemici Re avevano commesso fazioni di tanta importanza, e nelle quali sì grandi speranze della salute e della prosperità dei regni loro collocato avevano, uscirono le une e le altre quasi nel medesimo tempo all'alto mare; e senza di quel soprastamento, che gl'Inglesi furono costretti a fare sulle spiagge dell'Irlanda; ogni ragion persuade, che si sarebbero incontrate, ed avrebbero definito con una giudicata battaglia sui mari d'Europa quella lite, che non dovevano se non se nelle lontane regioni delle due Indie determinare. Viaggiavano gli Inglesi con vento prospero verso il capo San Vincenzo, dove pervenuti con molta circospezione si governavano per sospetto dell'armata spagnuola. Ma Don Luigi, il quale ne' precedenti dì era ito in volta nel golfo di Cadice, avuto presto avviso dell'avvicinarsi degl'Inglesi, non confidandosi nelle forze proprie, e dimenticatosi dell'importanza della cosa, non gli stette ad aspettare, ed andò tostamente a ricoverarsi nel porto medesimo di Cadice. Così fu lasciata libera la via al nemico sino a Gibilterra. L'ammiraglio Darby, guardato dentro in Cadice, e conosciuto, che gli Spagnuoli nissuna mostra facevano di voler uscire, spinse avanti tutte le navi da carico, le quali sommavano nel torno di cento, facendole scortare da un certo numero di navi da guerra. Parte di queste dovevano stanziare nel golfo stesso di Gibilterra per difender le navi passeggiere dagli assalti delle piatte spagnuole, delle quali abbiamo nel precedente libro favellato; e parte arringarsi alla bocca dello stretto verso il Mediterraneo per impedir le offese, che di là avrebbero potuto venire. Darby intanto continuò a volteggiarsi avanti Cadice per attendere con ogni diligenza gli andamenti del nemico. Le cose riuscirono, come l'Inglese le aveva disegnate. E comechè gli Spagnuoli colle piatte molto si affaticassero per danneggiar alle annonarie, e che male le navi grosse potessero dalle importune bezzicature di quelle liberarle, perciocchè fossero troppo piccole a poter esser prese di mira, del che gli uffiziali inglesi a grandissima rabbia si concitavano, tuttavia nissun notabile frutto poteron'operare. Furono sicuramente poste a terra tutte le armi, e le munizioni sì da guerra, che da bocca con incredibile allegrezza degl'Inglesi, con non poco biasimo degli Spagnuoli, e con molta maraviglia di tutta l'Europa. Il Re di Spagna, che aveva posto l'occhio a quest'impresa di Gibilterra, e che già vi aveva speso intorno tanti tesori, essendosi fatto a credere, che quella rocca sarebbe, come sicura preda, venuta tosto nelle sue mani, vedutosi ingannato di sì vicina speranza, determinossi a voler coll'armi di terra acquistar quello, che colle marittime non aveva potuto conseguire. In ciò tanto più vivo era il suo desiderio, che conosceva benissimo, a quanta diminuzione di gloria fossero andate soggette le armi sue presso gli uomini valorosi a quell'inaspettato rinfrescamento della Fortezza. Già si erano i suoi soldati dal campo di San Rocco fatti avanti, per quanto ciò era possibile ad eseguirsi, coi lavori della circonvallazione, e le opere loro avevano munite con una quantità grandissima di grossissimi cannoni e bombarde. Arrivavano i primi a centosessanta, le seconde a ottanta. Adunque ai dodeci d'aprile, e quando ancora la flotta inglese si trovava nel porto di Gibilterra, incominciarono tutto ad un tratto ad allumare queste artiglierie, le quali col fuoco, cogli scoppj, col fumo e colle palle facevano uno spettacolo orribile a vedersi e ad udirsi. E siccome il bersaglio loro era molto stretto, perciocchè la rupe di Gibilterra sia a un di presso lunga soltanto una lega, e larga un quarto, così il nembo delle palle e delle bombe vi era molto fitto, e nissun luogo vi era, se si eccettuano le casematte, e le sotterranee volte, dove l'uomo potesse contro l'impeto loro sicuramente ricoverarsi. Nè il governatore Elliot se ne stava neghittoso ad osservare; che anzi rendeva fuoco per fuoco, furia per furia sì fattamente, chè pareva la roccia tutto all'intorno gettasse fiamme e fumo, e tutta intiera in tuoni e folgori si disfacesse. Stavano sulle due vicine coste dell'Africa e dell'Europa maravigliate, e spaventate le genti, che colà erano a bella posta concorse ad osservare. Ma quei, ch'erano dentro, eccettuati i soldati, che si erano posti a' luoghi sicuri per difender la piazza, ed offendere il nemico, andavano esposti ad ogni sorta di più compassionevoli accidenti. Grand'era il terror loro; ma più grande ancora il danno. Le membra dei morti e dei moribondi sparse al suolo qua e là; le donne coi fanciulli in braccio andando chiedendo quella mercè, che trovare non potevano. Ne fur viste delle schiacciate in un coi figliuoletti, e sformate ad un tratto, e lacerate in mille pezzi dalle scoppianti bombe. Le infulminate si aggavignavano colle tremanti mani alle schiegge, e balze dei petroni per cercar asilo ne' luoghi più selvaggi e più rimoti. Alcune fra le principali furon lasciate entrar nelle casematte, dove si recarono a gran ventura il potere in mezzo al tanfo delle stanze, al trambusto delle soldatesche, ai gemiti dei feriti e dei moribondi da quella crudele morte scampare, che al di fuori minacciava la incredibile furia degl'istromenti da guerra. La città, che è posta sulla falda della roccia a riva il mare di verso occidente, ne fu distrutta da capo a fondo. Al che non poco contribuirono le piatte spagnuole, che di nottetempo velocemente sguizzavano tra le navi inglesi, e compita l'opera loro si ritiravano la mattina, giovandosi del vento, che per l'ordinario si mette a quell'ora, nel porto di Algesiras. Queste piatte parimente ebbero sfragellati coi tiri loro molti di coloro, i quali sui vicini fianchi della roccia ritiratisi, erano scampati al furor delle artiglierie del campo di San Rocco. Lo scaricar continuo durò con eguale frequenza meglio, che tre settimane; poscia si rallentò, vedendo gli Spagnuoli, che riusciva poco altro, che un romor vano; e non volendo dall'altra parte Elliot far tanta jattura di munizioni in una battaglia di poco frutto. Sparava egli bene di quando in quando per mostrare, ch'era vivo; ma la maggior parte del tempo se ne stava inoperoso a rimirare l'inutile furia degli Spagnuoli. Consumarono eglino in questa spessa batteria meglio di cento migliaia di libbre di polvere, avendo tratto settantacinquemila cannonate, e venticinquemila bombe. Nonostante la strettezza del luogo, e la maravigliosa spessezza dei tiri morirono de' soldati della guernigione assai pochi, e da dugento cinquanta furono feriti. Gli abitatori della città privi delle case, avendo sempre presente nell'immaginazione loro la miserabilità del passato caso, e temendo dei futuri, desiderarono di andarsene. Al che Elliot, dopo d'avergli con ogni maniera di più umano conforto racconsolati, facilmente ebbe consentito. La maggior parte s'imbarcarono a bordo della flotta, che aveva vettovagliato la piazza. Partì poscia la flotta medesima alla volta dell'Inghilterra. Ma prima, ch'ella vi arrivasse, la fortuna propizia ai Francesi, fe' ai nemici loro pruovar un sinistro, il quale causò gran danno alle cose loro, e fu una giusta pena delle rapine di Sant'Eustachio. Si aveva avuto in Francia il tempestivo avviso, che una numerosa conserva di navi cariche delle ricche spoglie di quell'isola n'era partita verso il finir del mese di marzo per recarsi nei porti d'Inghilterra. Si seppe ancora, che a questa conserva teneva dietro un'altra non meno preziosa pei proventi, ch'ella portava dell'isola Giamaica. Scortava la prima l'Hotham con quattro vascelli da guerra. Il momento era molto propizio ai Francesi, trovandosi a quei dì la grande armata britannica occupata nell'impresa di Gibilterra. Non si lasciarono i ministri di Francia fuggir dalle mani una sì favorevole occasione; che anzi con grandissima diligenza avevano fatto lavorare nel porto di Brest per metter in punto una flotta, perchè potesse correre sopra le conserve inglesi. La cosa ebbe effetto. In men che non si potrebbe credere furono allestite otto navi d'alto bordo, molto destre veleggiatrici. Ne fu dato il governo al conte de Lamotte-Piquet. Uscì egli dal porto il giorno 25 aprile, e dato di cozzo nella conserva di Sant'Eustachio, tutta la sperperò. Ventidue bastimenti predò; due altri vennero in mano dei corsari. Alcuni pochi colle navi di guerra, che convogliati gli avevano, si ricoverarono nei porti dell'occidentale Irlanda. I mercatanti inglesi, che avevano assicurati i navilj, perdettero per questo caso da settecentomila lire di sterlini. Non tardò l'ammiraglio Darby durante il suo viaggio ad aver notizia della cosa; e tosto si metteva all'ordine per intraprendere Lamotte-Piquet, primachè si fosse recato in salvo nei porti di Francia. Ma l'ammiraglio francese, che teneva gli occhi aperti, avuta sì prospera vittoria, ed avvertito dell'avvicinarsi di Darby, lasciata andare a suo viaggio la conserva della Giamaica, si cansò tosto, e felicemente apportò in Brest. Le feste, che si fecero in Francia per questa cattura non furon poche; e molte, ed assai meritate lodi furono date agli autori della fazione del pari opportunamente disegnata, che velocemente, e prudentemente eseguita. L'armata di Darby e la conserva della Giamaica arrivarono con prospera fortuna nei porti della Gran-Brettagna. In questo mezzo le due flotte di Johnstone e di Suffren veleggiavano alla volta del capo di Buona Speranza; e non che l'uno non sapesse dell'altro, erano per lo contrario i due nemici capitani ottimamente informati della partenza, del cammino e dei disegni dell'avversario. Andavano perciò entrambi a gara per arrivar i primi al destinato luogo. Ma l'Inglese era stato obbligato, per rinfrescarsi, di far porto nella cala di Praya posta nell'Isola di San Jago, la principale di quelle, che, raccolte come in un gruppo, si chiamano del capo Verde, ed appartenevano alla Corona di Portogallo. Quivi attendeva a far acqua, a procacciar bestiami, a fornirsi di camangiari, ed altri servigj fare necessarj al lungo viaggio, ch'era in punto d'intraprendere. Molti uomini delle compagnie navali si trovavano a terra. Ne ebbe Suffren tostano avviso, e senza metter tempo in mezzo s'incamminava a golfo lanciato verso il porto di Praya. Aveva ferma speranza di arrivarvi improvviso, e di sorprendere gl'Inglesi trasandati, e non avvisantisi. Già iva radendo inosservato marina marina una lingua di terra, che da levante abbraccia il porto, e si avvicinava alla bocca di questo. Ma la nave inglese l'Iside, che più vicina era alla bocca medesima, discoprì in quel momento al di là della lingua di terra le cime degli alberi di alcune navi, che dapprima diedero sospetto. Poscia dal modo, con cui erano governate, si conobbe, ch'erano francesi; diè l'Iside il segno. Si rivocavano i marinari dalla spiaggia; si sgomberavano le corsìe, si apparecchiavano alla battaglia. Girata intanto la punta, compariva, qual era, la flotta francese alla bocca del porto, e dal detto al fatto l'una coll'altra si mescolarono. Avevano gl'Inglesi un vascello da settantaquattro, tre altri minori, con tre fregate, e molti legni mercantili dell'India armati in guerra; ma erano sconcertati, e fuori di sesto, nè arringati per ricever la carica del nemico. I Francesi ne avevano due di settantaquattro, e tre di sessantaquattro. Cominciarono questi col tirare di buone fiancate all'Iside, che si trovò la prima; poscia ordinatisi in un puntone, si spinsero avanti dentro del porto, passando tra mezzo le navi inglesi e sparando furiosamente; e nel medesimo tempo da poggia, e da orza. L'Annibale, ch'era la testa, guidato dal cavaliere di Tremignon, posciachè si fu inoltrato dentro, quanto più potè, con mirabile intrepidità operando, imperciocchè le navi inglesi traevano gagliardamente dai due lati, gettò l'ancora. Seguitollo in secondo luogo l'Eroe guidato dallo stesso Suffren, poscia nel terzo, come dietroguardo, l'Artesiano governato dal cavaliere di Cardaillac. I due rimanenti poco si poterono avvicinare, e trovandosi a sottovento si allargarono, fatti i primi tiri, nell'alto mare. Due navi inglesi l'Iside, ed il Romney poco si potevano giovare, la prima per essere stata gravemente dai vascelli francesi nel loro passare danneggiata, la seconda per essersi trovata posta troppo indentro nel fondo del porto. Così combattevano dai due lati tre navi di alto bordo contro tre somiglianti, scaricando i Francesi in un tempo, per trovarsi in mezzo, dalle due bande, gl'Inglesi da una sola. Ma le fregate inglesi, ed i vascelli armati della Compagnia dell'Indie, riavutisi, vennero a parte del combattimento, e fortemente secondarono le più grosse. Durò la battaglia lo spazio di un'ora e mezzo, quando finalmente l'Artesiano, morto il suo capitano, e non potendo più resistere a sì duro bersaglio, tagliato il cavo, si allontanò. Allora Suffren privato del retroguardo, e fieramente percosso anch'esso dai due lati diè medesimamente indietro colla sua nave l'Eroe, e ne venne fuori del porto. Da questa ritirata delle due navi l'Eroe e l'Artesiano ne nacque, che l'Annibale restò solo esposto ai colpi di tutti i vascelli nemici. Ne ricevette un danno grandissimo; perdè tutti gli alberi, prima il trinchetto, poscia il maestro, e finalmente l'artimone. Tuttavia con incredibile sforzo operando si condusse sino alla bocca del porto, dove, preso a rimorchio dalla nave la Sfinge, e riparati meglio, che si potè, gli alberi, andò a ricongiungersi colla restante armata. Avrebbero voluto gl'Inglesi seguitare i Francesi, e rinfrescar la battaglia. Ma i venti, le correnti, l'ora tarda, ed i gravi danni pruovati dall'Iside glien'impedirono. Questo fu il combattimento di Praya, il quale si passò con poca riputazione dell'uno e dell'altro capitano. Errò l'Inglese nell'essersi tenuto a sì mala guardia in una cala aperta ed indifesa, quando sapeva pure, che il nemico andava aggirandosi nelle medesime acque. Nè vale il dire, che forse credette, che la neutralità del luogo l'avrebbe preservato. Perciocchè egli stesso affermò, che i Francesi, quando viene loro il destro, non son soliti a portar rispetto a queste neutralità. La qual cosa, se è vera, non si vede, con qual ragione possano gl'Inglesi ai nemici loro rimproverarla. Errò ancora per aver lasciato sbarcar a terra tanto numero de' suoi; per aver locato le navi più piccole alla bocca del porto, e per aversi lasciato fuggire dalle mani il vascello l'Annibale sì malconcio. Errò da un altro canto Suffren per aver voluto combattere in sull'ancore; imperciocchè per quanto si può argomentare delle probabili cose se, come prima fu arrivato, e senza perder tempo a gettar l'ancore, fosse ito all'abbordo, od almeno avesse combattuto a vela, avrebbe una compiuta vittoria riportato del nemico sorpreso, e non apparecchiato alla battaglia. Riparati tostamente i danni, l'armata inglese seguitò la francese; ma trovatala attelata in ordine di battaglia, si astenne dal venirne al cimento. Sopraggiunta poi la notte, le due armate l'una dall'altra si scostarono. Ritornò l'inglese nel porto di Praya. La francese veleggiando tuttavia vers'ostro, e rimorchiando l'Annibale, si condusse in quel porto del capo di Buona Speranza, che chiamano _falsa baia_. Là andarono tosto a raggiungerla le sue conserve, le quali, per irne ad assaltar gl'Inglesi nel porto di Praya, aveva lasciate nell'alto mare sotto il convoglio della corvetta La Fortuna. In cotal modo fu guasto il disegno, che gl'Inglesi avevano fatto sopra il capo di Buona Speranza. Ma non potendo essi conquistare, vennero in sul corseggiare. Ebbe Johnstone avviso da' suoi speculatori, che si trovavano nella cala di Saldana, vicino al capo medesimo, parecchie navi della Compagnia olandesi dell'Indie di ricchissimo carico. S'incamminò a quella volta per predarle. Arrivato sulle coste dell'Africa, piaggiando egli stesso come piloto, acciocchè le sue navi non fortunassero nei vicini scogli, camminando, velocemente la notte, nascondendosi il giorno, tanto fece, che arrivò improvvisamente sopra la cala, e predò cinque di quelle navi più ricche e più grosse. Le rimanenti arsero. Ottenuta questa cosa, la quale fu causa, che la spedizione sua non sia stata del tutto intrapresa a credenza, avviò una parte della flotta col generale Meadows alla volta dell'Indie. Egli poi col Romney, le fregate, e le ricche spoglie se ne tornò in Inghilterra. Suffren dal canto suo, assicurato con buon presidio il Capo, rivolse anch'egli le prue verso le orientali Indie. Così la guerra, che già infuriava in Europa, in Africa ed in America stava per rinfrescarsi più feroce, che prima, sulle lontane rive del Gange. Ritornando ora alle cose che si facevano sotto le mura di Gibilterra, alla furiosa batteria data loro succedette una quasi totale calma. Solo quelle piatte trapellando nottetempo molto noiavano la guernigione. Per la qual cosa il governatore per liberarsi ad un buon tratto da quella rangola, piantati alcuni cannoni di lunghissima gittata, che a quest'uopo stesso gli erano stati portati d'Inghilterra, e rizzate certe grosse bombarde nell'esteriori batterie, arrivava con palle e con bombe ad infestar il campo di San Rocco; e tutte le volte, che arrivavano le piatte, ed ei traeva furiosamente dentro gli alloggiamenti spagnuoli. Accortosi perciò Mendoza, che Elliot ciò faceva solamente per rappresaglia degli assalti delle piatte, fu costretto di comandare ai capitani di queste cessassero dagl'insulti loro, e se ne stessero quietamente nel porto di Algesiras. Solo stessero vigilanti al non lasciar entrar vettovaglie nella piazza. Erano intanto gli Spagnuoli indefessi nell'avanzar i lavori delle trincee, e già si erano condotti assai vicini alle falde della rocca, dimodochè la circonvallazione si distendeva da destra a sinistra per tutta la larghezza dell'istmo, che quella rocca medesima congiunge colla terra-ferma di Spagna. Avevano poi sulla stanca scavato il cunicolo di comunicazione tra l'esterior circonvallazione e gli alloggiamenti. Elliot, che se ne stava sicuro sulla cima della rupe, non volendo spendere le sue munizioni invano, gli aveva lasciati fare. Ma quando le opere loro furon condotte a fine, allora deliberò di guastarle, col fare loro addosso una incamiciata. Saltò fuori alle tre della mattina del giorno 27 di novembre con tre schiere di valenti soldati tutte governate dal generale Ross. Le accompagnavano un buon numero di palajuoli, e marrajuoli, e d'artiglieri con fuochi lavorati. Procedettero con grandissim'ordine e silenzio. Sopraggiunsero improvvisi. Dato dentro mettevano prestamente in fuga le guardie, e si facevano padroni della prima parata. Tutto scombuiarono. Gli artiglieri, appiccato il fuoco, tutto quello, che accendibil'era, arsero; ruppero i carretti dei cannoni, ed i mortaj, e quelli con incredibile celerità chiodarono. I guastatori volsero sossopra le piazzuole delle artiglierie; rovinarono le traverse; i parapetti uguagliarono al suolo. I magazzini arsero l'uno dopo l'altro nel general incendio; e quella magnifica opera, che tanta fatica, tempo e spesa costato aveva, fu nello spazio di una mezz'ora distrutta. Gli Spagnuoli, o sopraffatti dall'improvviso caso, o credendo i nemici più grossi di quello, ch'erano, non si ardirono uscir dal campo loro per ributtargli. Solo trassero continuamente, sebbene con niuno effetto, a palla ed a scaglia. Gl'Inglesi compiuta la bisogna, ritornarono sani e salvi ad incastellarsi. In Europa intanto covava un disegno, il quale doveva, se fosse stato condotto a fine, grandemente affliggere la potenza britannica nel mare mediterraneo. Restavano gli Spagnuoli molto male soddisfatti della Francia, siccome quella, che pensato avesse sin allora solamente ai proprj suoi interessi, e non a quei dei suoi alleati. Si dolevano aspramente, ch'ella non avesse aiutato le imprese della Giamaica e di Gibilterra, come se non vedesse volentieri crescere nei mari di America, e nelle terre d'Europa il nome spagnuolo. L'aver gl'Inglesi così sicuramente vettovagliato quest'ultima Terra, senza che i Francesi nissun motivo di sorta alcuna fatto avessero per impedirlo, ed il poco frutto fatto contro le mura di quella dall'ultima e sì feroce batteria data loro con sì estremo sforzo, avevano questi mali umori vieppiù accresciuti, e fattigli diventar aperte scontentezze. Mormoravano universalmente i popoli della Spagna, e dicevano della Corte di quelle cose, che sarebbe stato meglio tacere. Affermavano, che questa non per interesse dei popoli spagnuoli, ma solo per secondare, e per far le spalle ai disegni dell'avara ed ambiziosa Francia, aveva quella guerra intrapresa. La chiamavano una guerra di Corte e di famiglia. Stimolata la Francia dall'importunità di questi discorsi, e considerato, che l'abbassar, in qualunque modo si fosse, la potenza britannica, era un accrescere la sua, si risolvette a voler efficacemente cooperar a qualche impresa, che di breve ridondasse in utile e benefizio speciale della Spagna. E siccome quella della Giamaica non si poteva sì tosto tentare, perchè sarebbe stato richiesto assai tempo ai necessarj preparamenti, e quella di Gibilterra era troppo dura a poterla compir prestamente, così si voltarono i pensieri ad un'altra, la quale tanto più riuscibile pareva, quanto che gl'Inglesi non se l'aspettavano. Questa fu la conquista dell'isola Minorca. Oltre i motivi finora raccontati, che facevano di modo, che la Francia molto questa fazione desiderasse, era essa ancora grandemente grata agli Spagnuoli. Ella è l'isola Minorca in sì opportuno sito posta per corseggiare, che molti arditissimi corsari, i quali colà si riparavano, tenevano infestati tutti i mari, e disturbata la navigazione, ed i commerci sì di Spagna che di Francia, coll'intraprendere le navi di queste due nazioni, come ancora le neutrali, che con quelle andavano trafficando. Oltre di che ella era quasi come una depositerìa, dove gli Inglesi ammassavano le munizioni, sì da guerra che da bocca, le quali traevano dalle vicine coste dell'Africa, e poscia o le navi loro ne fornivano, o trafugavano dentro Gibilterra. La facilità dell'impresa era anche un possente incentivo al tentarla. Imperciocchè nonostante, che la rocca di San Filippo, ch'è il principale propugnacolo dell'isola, fosse di sito e di mura assai forte, la qualità del presidio non corrispondeva nè alla fortezza, nè alla importanza del luogo. Eranvi dentro solamente quattro reggimenti, due inglesi, due annoveriani, che sommavano a poco più di due migliaia di soldati; e quantunque l'aria ivi sia salubre, e gli erbaggi copiosi, erano quelli malsani ed infetti di scorbuto. Governavano tutto il presidio i generali Murray e Draper. Fatta la risoluzione, i confederati francesi e spagnuoli si accordavano di modo, che il conte di Guichen sul finir del mese di giugno partì da Brest con un'armata di diciotto vascelli di alto bordo de' più grossi, ed andò a congiungersi nel porto di Cadice colla spagnuola, che l'aspettava. Aveva con lui i Signori de Beaussett e de Lamotte-Piquet, l'uno e l'altro uffiziali di molta rinomea. L'armata spagnuola, la quale era governata da don Luigi di Cordova, come capitano generale, e dai due sotto-ammiragli Don Gastone e Don Vincenzo Droz, arrivava a trenta vascelli grossi. Si era poi ivi fatto una massa di diecimila Spagnuoli, ottima gente, i quali senza indugio alcuno si posero sulle navi. Salparono il giorno 22 di luglio, ed arrivati sopra Minorca, senza ostacolo alcuno incontrare, sbarcarono nella cala di Moschito il dì 20 d'agosto. Recaron tosto in lor potere tutta l'isola, inclusavi la città di Maone, che ne è la capitale. I difensori, essendo così deboli, avevano tutti questi posti abbandonato, e s'erano dentro di San Filippo incastellati. Poco poscia arrivarono da Tolone quattro reggimenti francesi sotto la condotta del barone di Falkenhayen. Avevano i due Re confederati dato il governo di tutta l'impresa al duca di Crillon, giovane nato di chiarissimo sangue, desiderosissimo della gloria, e delle cose della guerra molto intendente. Si era egli condotto agli stipendj della Spagna, ed essendo Francese fu creduto personaggio acconcio alla comune impresa. Ma l'assedio di San Filippo era una cosa assai difficile a pigliarsi a fare. È la Fortezza tagliata nel vivo sasso, e tutta ben minata. Lo stesso sdrucciolo, e la strada coperta scavati dentro nel sasso medesimo sono assicurati con mine, contramine, palificate, e munitissimi tutt'all'intorno sopra la corona del fosso di artiglierie. Attorno il fosso, che è profondo venti piedi, gira una galleria sotterranea, e merlata, sicuro asilo ai difenditori. Traverso segrete e scannafossi danno l'adito dalle opere esteriori al castello. In esse, che sono fatte a mò di laberinto, sono scavati pozzi profondi con coperchj muovevoli, e qua e là feritoje da ogni lato. Il castello circondato anch'esso da un cammino coperto fortificato con contramine non solo è difeso da controscarpe e mezze lune, ma di più da un muro sessanta piedi alto, e da un fosso trentasei piedi fondo. Il mastio poi, ch'è una torre quadrata fiancheggiata da quattr'orecchioni, ha le mura alte ottanta piedi, ed un fosso profondo quaranta, scavato nel macigno. Aveva anch'esso ed il suo corridoio, e le stanze pei soldati. Nel miluogo havvi una spianata, perchè la guernigione vi possa fare gli suoi armeggiamenti. Intorno alla medesima sono costrutti i quartieri pei soldati, ed i magazzini per le munizioni, gli uni, e gli altri a botta di bomba, e tutti nella durissima roccia scavati. Gl'Inglesi finalmente per assicurarsi vieppiù avevano rovinata, ed uguagliata al suolo la vicina città di San Filippo. Si avvicinarono cautamente i confederati a questa cittadella, siccom'ella in sito alto locata torreggia, e domina tutto il paese all'intorno, così non iscavando, ma piuttosto trasportando ed innalzando terra le loro trincee formavano. Elevarono un grosso ciglione murato lungo dugento piedi, alto cinque, e grosso sei. Questa difficile opera fu tratta a fine, senza che gli assedianti ricevessero alcun danno, non osando Murray saltar fuori, o perchè troppo si diffidasse della debolezza del presidio, o perchè troppo confidasse nella fortezza del luogo. Solo ebbe gittato bombe e palle, che non fecero effetto di sorta alcuna. Infine, essendo la parata compita, scopri Crillon le batterie, e con cento undici cannoni, che buttavano ciascuno ventiquattro libbre di palla, e con trentatre bombarde, che aprivano tredici pollici di diametro, fulminava la piazza. Mentre queste cose si facevano sotto le mura San Filippo, l'armata de confederati, nella quale si trovavano pressochè cinquanta navi delle più grosse, guidata dal conte di Guichen, si era rivolta alle rive dell'Inghilterra. Era l'intento dell'ammiraglio francese di andare all'incontro dell'armata inglese, e di assaltarla, essendo venuto in grandissima speranza della vittoria, imperciocchè non fosse essa a gran pezza pel molto minor numero delle navi abile a resistere a tanto apparato. Disegnava altresì con questa mossa d'impedir gli aiuti, che dall'Inghilterra si sarebbero potuti mandare a Minorca. Sperava finalmente di poter intrachiudere la via, e por le mani addosso alle conserve, che partite dall'Indie, ad ora ad ora si attendevano nei porti della Gran-Brettagna, siccome pure a quella, che, raccozzatasi nel porto di Cork in Irlanda, era in procinto di partirne per alle orientali ed occidentali Indie. Nè stava senza aspettazione che l'inopinata apparizione di una sì possente armata sulle coste di quel Regno non fosse per farvi nascere dentro qualche buona occasione di fare un onorato fatto in servigio della lega. Arrivato arringava la sua flotta alla bocche dello stretto distendendola dal capo Ognissanti sino all'Isola di Scilly. Era allora l'ammiraglio Darby con ventuno vascelli d'alto bordo in mare ed in via per andar all'incontro delle conserve. Ebbe gran ventura nell'essere informato per mezzo di un bastimento neutrale dell'avvicinarsi dei confederati così grossi; senza del che si sarebbe trovato alla non pensata impacciato nell'armata loro, e quello, che succeduto ne sarebbe, nissun nol vede. Avuto l'avviso, si ritirò tosto dentro la cala di Torbay. Venivano spacciatamente a congiungersi con esso lui altri vascelli di prima portata, finchè ne ebbe da trenta. Gli ordinava entro la cala medesima, la quale è aperta, e poco difendevole, a mò di crescente luna, per poter più agevolmente ributtar il nemico, se questi lo volesse assaltare. Ma il pericolo era tuttavia grande. Temevasi della flotta, temevasi delle città marittime, principalmente di Cork, Terra indifesa, e piena di magazzini zeppi di munizioni di ogni sorta. Erano in tutta l'Inghilterra gli animi sollevatissimi. Compariva a gonfie vele l'armata alleata in cospetto di Torbay. Convocò Guichen incontanente una Dieta militare, per aver il parere dei Capi intorno a quello, che fosse a fare. Voleva egli, che si desse dentro, e si assaltasse l'armata britannica. Discorreva, esser questa quasi come presa dentro una rete; l'occasione aver corta vita, e non mai, trasandata questa, potersi un'altra più propizia sperare per ispogliar del tutto la Gran-Brettagna dell'imperio del mare. Ricordava, con quanta infamia essa occasione si perderebbe, e quanto pungenti stimoli di penitenza seguiterebbero, chi non l'abbracciasse. Essere il nemico impacciato, aversi buona quantità di brulotti, l'effetto dei quali in quell'ordinanza fitta ed immobile delle navi di Darby stato sarebbe inevitabile; dimostrassero con un nobile ardire agli alleati, quali, e quanti essi fossero. Don Vincenzo Droz non solo sosteneva la opinione del capitano generale, ma di più si offeriva pronto a guidar la testa, e ad attaccar la zuffa il primo. Ma il signor di Beausset, uomo nelle cose navali di grandissima riputazione, manteneva la contraria sentenza. Argomentava, che l'assaltar il nemico in quel luogo era lo stesso, che privarsi del vantaggio, che si aveva grandissimo, del maggior numero delle navi; che non si sarebbe potuto andare alla battaglia coll'ordinanza spiegata, ma sibbene per puntone, ed una nave dopo l'altra; la qual cosa avrebbe fatto abilità ai nemici, i quali avrebbero tratto a mira ferma rasentando l'acque, e con palle incrocicchiantisi da destra e da sinistra, di fracassar le navi già fin prima, che giugnessero ai posti, che sarebbero lor destinati. Concludeva, che siccome la risoluzione di assaltare il nemico in quel luogo non si poteva a patto nissuno giustificare, così credeva, che più riuscibile partito, e se non di eguale, certo di grande importanza, fosse il por l'animo ad intraprendere la conserva, che poco lontana esser doveva, dell'Indie occidentali. Si accostarono all'opinione di Beausset Don Luigi, e tutti gli altri uffiziali spagnuoli, trattone Don Vincenzo. Prevalse perciò l'opinione di costoro, e l'impresa fu posta da l'un de' lati. Ma se i confederati non vollero, o non seppero quella occasione usare, che la fortuna aveva loro apparecchiato, così ella guastò loro poscia quel disegno, che in luogo del primo abbracciato avevano. Incominciarono le malattie ad incrudelire a bordo delle navi, massime delle spagnuole, e le burrasche, che seguirono poco dopo, obbligarono i due ammiragli a pensare alla salute loro. Onde avvenne, che Guichen co' suoi si ritirò a Brest, e Don Luigi a Cadice. Entrarono sicuramente le conserve nei porti d'Inghilterra. Così questa seconda apparizione dei confederati sulle coste inglesi riuscì altrettanto vana, quanto la prima; ma però i soccorsi verso Minorca ne furono impediti. Ma se le cose tra gl'Inglesi, i Francesi, e gli Spagnuoli passarono nei mari d'Europa senza molto spargimento di sangue, e pressochè tutte in mostramenti, se non del tutto inutili, certo poco fruttuosi, si attaccarono però gl'Inglesi e gli Olandesi con tanto furore, e con sì gran valore combatterono gli uni contro gli altri, che parvero rinnovarsi quelle ostinatissime battaglie, per le quali sì grandemente furono queste due nazioni nel decimo settimo secolo celebrate. Esercitavano gli Olandesi nel mare Baltico un fioritissimo commercio coi proventi delle colonie loro, ed essendo come quasi i fattori generali diventati del traffico tra le nazioni settentrionali, e meridionali d'Europa, ne avevano grandissime ricchezze acquistato. Oltreacciò i paesi di verso tramontana erano quelli, nei quali andavano a far procaccio di tutti gli oggetti alle construzioni navali necessarj. La qual cosa molto più frequentemente usavano di fare, dopo ch'era nata la guerra colla Gran-Brettagna, a fine di poter allestire il navilio necessario, e mantener le possessioni, il commercio e la dignità della repubblica. Conciossiachè molto mancava, che i suoi arsenali nel momento della rottura fossero forniti delle cose, che abbisognavano. Non isfuggiva agl'Inglesi, di quanta importanza fosse e l'interrompere questo commercio, e l'impedire l'accivimento degli arsenali. Per la qual cosa molto per tempo, e perfino dal mese di giugno avevano fatto uscire con quattro grossi vascelli, ed uno di cinquanta l'ammiraglio Hyde-Parker, padre di quell'altro, che militava nei mari d'occidente, vecchio, ed espertissimo capitano di mare. Gli fu commesso, andasse a correre i mari di tramontana, facesse quel maggior male, che potesse, al commercio olandese, e ritornandosene a casa, sotto la sua tutela pigliasse, e convogliasse una ricca conserva, che era raccolta, e pronta al viaggio nel porto di Elseneur. Eseguì diligentemente Hyde-Parker i comandamenti del suo Re, e già rivenuto dal Baltico segava colla conserva le acque del mare d'Allemagna. Si erano dopo la sua partenza da Portsmouth seco lui accozzate altre navi, tra le quali una di 74 chiamata il Berwick, una di 44 nominata il Delfino, e parecchie fregate, dimodochè arrivava la sua flotta a sei navi d'alto bordo, oltre il Delfino, e le fregate. Ma gli Olandesi non erano in questo mezzo tempo stati neghittosi; anzi con incredibile sforzo operando avevano apparecchiato una flotta di sette navi di fila con parecchie fregate, e fuste armate in guerra. Ne davano il governo all'ammiraglio Zoutman, ed al comandante Kindsberghen. Mettevasi Zoutman in mare verso la metà di luglio con una conserva di legni mercantili destinata pel Baltico, sino al quale intendeva di scortarla. Venne in questo mentre a congiungersi seco lui una grossissima fregata americana, denominata il Charlestown. S'imbattè la mattina dei 5 agosto coll'ammiraglio Hyde-Parker sopra lo scanno detto Doggers-bank. L'armata d'Inghilterra aveva il sopravvento. Veduto il nemico così gagliardo, mandavano al viaggio loro le navi della conserva accompagnate dalle fregate; colle grosse si scagliavano contro gli Olandesi. Questi, scoperto il nemico, fatt'anch'essi ritirare in dietro verso i porti loro la conserva, si ordinavano animosamente alla battaglia; poichè nel desiderio di questa non erano meno ardenti, che gl'Inglesi si fossero. Si attelavano gl'Inglesi con sette navi, tra le quali una di 80, ma questa vecchia e sdruscita, due di 74 gagliardissime, una di 64, una di 50, e finalmente una ultima di 44. Gli Olandesi si affilavano anch'eglino con sette navi, una di 76, due di 68, tre di 54, ed una di 44. Le fregate spigliate, e leggieri fuori della fila se ne stavano pronte a correre, ove d'uopo facesse. Correva a piene vele, e col vento in fil di ruota l'armata inglese contro la olandese, che, ferma e ne' suoi ordini ristretta, l'aspettava. Un silenzio profondo, ch'è segno per l'ordinario dell'ostinazione, regnava su tutte a due. Nissun romore si udiva, se non se quello del cigolar delle girelle, del fischiar del vento, e del fremere dell'onde. Stavano in attitudine aspra arringati coll'armi in mano i soldati aspettando il segno della battaglia, e gli artiglieri colle corde accese presso il focone dei cannoni. Nissuno trasse, finchè non furono le due armate vicine l'una all'altra ad una mezza gittata di moschetto. Si appettarono le due capitane, cioè la Fortezza, su cui si trovava Hyde-Parker, e l'Ammiraglio Ruyter, sulla quale era Zoutman, ed incominciarono una ferocissima battaglia. Non tardarono a mescolarsi anche le altre, e diventò essa tosto generale. Prevalevano gli Olandesi per la grossezza delle artiglierie, e per le fregate, massime per la Charlestown, le quali velocemente aggirandosi qua e là, ferivano da fianco le navi del nemico. Prevalevano all'incontro gl'Inglesi, essendo essi più maneschi, e le navi loro più maneggevoli, per la spessezza dei tiri. Si combattè da ogni parte con grandissimo ardore, e con pari sorte lo spazio di tre ore e mezzo, o di vantaggio. Non potevano gli Olandesi esser cacciati dal luogo loro, e gl'Inglesi ogni altra cosa piuttosto si avrebbero eletta, che di partirsi senza vittoria. Ma la forza degli elementi quegli effetti produsse, ai quali ripugnava la rabbia degli uomini. Erano le navi dall'una parte, e dall'altra sì fattamente malconce, che più non si potevano governare. Si lasciavano, come legna morte, trasportare all'ondeggiar dell'acque. Questo le separò di tanto spazio, che più desiderarono, che potessero combattere. Ricevettero le navi inglesi inestimabile danno negli alberi, nelle vele, e nel sartiame. Volle Hyde-Parker, dopo pigliato breve rifiatamento, riordinar le sue navi, e ricominciar la battaglia, quando tuttavia Zoutman se ne stava. Volle seguitarlo, quando lo vide partire alla volta del Texel. Ma tutto fu indarno. Vennero meno nello sforzarsi. Nè in miglior condizione si trovavano le navi olandesi, mentre se ne andavano. A questa cadeva un albero, a quella un altro. Ora un capitano mandava dicendo a Zoutman, che il muoversi gli era divenuto impossibile; ora un secondo, che tant'era l'acqua dentro le sfesse navi, che non si poteva aggottare; ora un terzo, che andava a fondo; ed ora se ne udiva un quarto trar le cannonate di misericordia. La nave la Olanda affondò a trenta leghe distante dal Texel, e fu sì presto il caso, che la fuggente ciurma lasciovvi dentro abbandonati a certa morte i miseri feriti. Le altre rimorchiate dalle fregate si condussero, comechè non senza grave fatica, a salvamento nei porti. Perdettero gl'Inglesi tra morti, e feriti da 450 soldati, tra i quali alcuni uffiziali di conto. Tra i morti fu con somma lode rammentato il capitano Macartney, il quale aveva guidato la nave la Principessa Amelia. Ma se fu mirabile la virtù sua, non fu minore quella del giovine Macartney suo figliuolo, il quale fanciullo ancora di sette anni se ne stette continuamente a' fianchi del capitano, mentre più ardeva la pugna, essendo stato infelice, ma forte testimonio della morte del padre. Lord Sandwich, capo del maestrato sopra le cose navali, avendo l'ucciso capitano in questa vita lasciato una numerosa famiglia, e poche facoltà, lo adottò in suo figliuolo. Nè qui si ristettero le lodi date in Inghilterra ai combattitori della giornata di Doggers-bank. Lo stesso Re Giorgio, giunto che fu l'ammiraglio Hyde-Parker nel porto di Nora, lo andò a visitare a bordo della sua nave, e molto commendò e questo, e gli suoi uffiziali pel calore dimostrato in quel pericoloso cimento. Ma il vecchio Hyde-Parker, uomo brusco, e, siccome marino, solito a svertarla, essendo gonfiato contro l'uffizio dell'ammiragliato, perchè avendogli dato sì poche forze, gli avesse rotto la occasione di una segnalata vittoria, disse a buona cera al Re, che gli desiderava più giovani uffiziali, e migliori navi. Che in quanto a lui era diventato tropp'oltre cogli anni, perchè potesse più lungamente servire. E poterono bene il Re, i cortigiani, ed i ministri dire a posta loro, ch'egli se ne stette sodo, e domandò licenza. Nè in Olanda il pubblico, ed i maestrati furono avari delle lodi verso i loro capitani, e soldati, che nella battaglia dei 5 agosto avevano sostenuto l'antica riputazione del nome olandese. Scrisse il Principe Statholder lettere pubbliche a Zoutman commendandolo, e molto ringraziandolo, in nome della repubblica, e da sotto-ammiraglio, ch'egli era, lo creò vice-ammiraglio. Nominò sotto-ammiragli i capitani Dedel, Braam, e Kindsberghen. Con grandissimi onori poi proseguirono il conte Bentinck, mentre portato a riva, e trafitto da cassale ferita se ne moriva. Aveva questi durante la battaglia non meno espertamente che animosamente il vascello il Batavo governato. Lo crearono anche, prima che morisse, sotto-ammiraglio. La perdita degli Olandesi tra uccisi, feriti e sommersi fu maggiore di quella degl'Inglesi. Tale fu l'esito della battaglia navale di Doggers-bank, la più ordinata, e la meglio combattuta di tutta la presente guerra. Chi ne avesse il vantaggio, egli è incerto. Ma certo è bene, che gli Olandesi, essendo stati costretti a rientrar nei porti pe' gravi danni sofferti, dovettero torsi giù dal disegno loro che era stato di recarsi nei mari di tramontana. La nazione olandese però si levò universalmente a nuove speranze, e si rinfrescò nel cuore di tutti la virtù dei passati tempi. Tosto che fu il conte di Guichen rientrato nel porto di Brest, si fecero in Francia nuovi disegni. Conoscevano benissimo i ministri, che il conte di Grasse si sarebbe fra breve trovato in bisogno di aiuti sì marittimi, che terrestri. Imperciocchè nei mari dell'Antille e vi sono assai scarse le provvisioni navali, e la natura del cielo, e dell'acque è tale, che vi si logorano prontissimamente le navi. Oltreacciò sebbene si credeva, che le forze colà mandate nel precedente, e nel presente anno fossero sufficienti a compir i disegni, che fatti si erano sulla terra-ferma d'America, e contro le isole inglesi più deboli, tuttavia a voler far l'impresa della Giamaica, alla quale continuamente stimolava la Spagna, vi abbisognavano più gagliarde armi sì da terra, che da mare. Nè era nascosto a coloro, i quali reggevano lo Stato, che per ricuperar le cose perdute nell'Indie orientali, era mestiero mandarvi nuove forze, e che di più vi s'incominciava a difettar grandemente di armi, e di munizioni da guerra. Per le quali cose tutte si ammassarono con grandissima diligenza nel porto di Brest armi e munizioni destinate ad esser portate nelle Indie. Vi si facevano marciar i soldati, e sollecitamente si lavorava a risarcir il navilio, ed a metterlo in punto ad uscire. Infine essendo ogni cosa in pronto, salpavano il conte di Guichen colla grossa armata, il marchese di Vaudreil con una flotta più sottile, e le due conserve per le Indie occidentali, ed orientali. Doveva Guichen, fatto che avesse la posta a quest'ultime sino all'alto mare, e condottele fuori del pericolo delle flotte, che stanziavano nei porti d'Inghilterra, volgersi a ostro; ed andar a congiungersi coll'armata spagnuola nel porto di Cadice. Quest'era per impedire i soccorsi, che dalla Gran-Brettagna si sarebbero potuti mandare a Minorca. S'intendeva, che Vaudreil conducesse i novelli soldati nelle Antille, e congiungessesi col conte di Grasse per far unitamente agli Spagnuoli l'impresa della Giamaica. Da lungo tempo non erano uscite dai porti francesi conserve sì numerose; nè che sì importante carico portassero di fornimenti guerreschi. Si ebbero in Inghilterra tosto dello smisurato apprestamento le novelle, sebbene vi s'ignorasse, se per colpa dei ministri, o altrimenti, che dovesse essere accompagnato da sì gagliarde armi navali. Fu perciò commesso il carico all'ammiraglio Kempelfeldt, perchè uscisse al mare con dodici navi di fila, una di 50, e quattro fregate per correre contro le conserve. Ma Guichen aveva diecinove navi delle più grosse, e Kempelfeldt, in vece di pigliar altrui, correva pericolo di esser pigliato egli. Ciò nonostante fece la fortuna quello, che gli uomini non potevano fare. Il giorno dodici di dicembre l'ammiraglio inglese, essendo il tempo brusco, ed il mare fiottoso, s'incontrò nella conserva francese, e sì fattamente ebbe la buona ventura, che in quel punto trovandosi egli a sopravvento della conserva, l'armata francese ne era a sottovento, e perciò fuori di facoltà di soccorrerla. Giovossi l'Inglese molto destramente della favorevole occasione, e dato dentro pigliò venti bastimenti, alcuni ne mandò a fondo, ed i rimanenti disperdette. Più ne avrebbe pigliato, se il tempo fosse stato più chiaro, il mare più tranquillo, ed avesse avuto maggiore numero di fregate. Intanto sopraggiunse la notte. L'uno e l'altro ammiraglio avevano le navi loro raccolto e rannodato. Viaggiava di conserva Kempelfeldt tutta la notte con animo, subito che fosse spuntato il nuovo dì, di dare la battaglia al nemico, tuttavia ignorando qual fosse la forza di lui. Infatti la mattina lo discoprì a sottovento; ma vedutolo così gagliardo, fece altri pensieri. E non volendo perdere per imprudenza quello, che acquistato aveva per forza, e per un riguardo favorevole della fortuna, volse le prue verso i porti dell'Inghilterra, nei quali arrivò sicuramente con tutte le predate navi. Fe' egli in quest'incontro prigioni undici centinaja di stanziali, da seicento a settecento marinari. Le conquistate spoglie furono una quantità assai considerabile di cannoni, e di ogni altra specie di armi, di munizioni, e di attrezzi da guerra, siccome pure di grasce di diversa natura, come sarebbe a dire vino, olio, spiriti, farina, biscotto, carne salata ed altre di simil sorta. Nè a questo si ristette la fortuna avversa ai Francesi; che il giorno seguente assalite le navi loro da una furiosa tempesta accompagnata da tuoni, e folgori orribili, e da un vento di scirocco impetuosissimo, furono obbligati a condurle, tutte rotte e sdruscite, com'erano, nel porto di Brest. Solo le due di fila il Trionfante ed il Bravo, e cinque o sei da carico poterono il viaggio loro continuare. Fu questo gravissimo danno alla Francia; poichè oltre la perdita inestimabile dell'armi e delle munizioni, penarono tanto le navi da guerra ad essere ristorate, che trascorsero ben sei settimane prima, che potessero rimettersi in mare alla volta delle Antille; indugio che riuscì assai fatale, come si vedrà in appresso, all'armi francesi in quelle spiagge. Travagliandosi le armi nel modo che siamo andati finora discorrendo, con varia fortuna in Europa, il conte di Grasse veleggiava prosperamente alla volta della Martinica, e per arrivarvi più per tempo fece dalle sue navi da guerra rimorchiare quelle da carico. Tanta fu la diligenza che usò, che giunse in cospetto di quell'isola con cencinquanta vascelli, computando insieme l'armata e la conserva, trenta giorni dopo, dacchè egli era dal porto di Brest partito. Ebbe l'ammiraglio Rodney pronto avviso dell'avvicinarsi dell'ammiraglio francese. Conosceva egli ottimamente, di quanta importanza fosse l'impedire la congiunzione di questa novella armata con quella, che già si trovava nei porti della Martinica e di San Domingo. Conduceva seco il conte di Grasse venti navi di alto bordo con una di 50, e nei porti sopraddetti già se ne avevano in punto da sette in otto altre, che l'attendevano. Rodney non aveva che ventuna navi di fila. Egli era vero che Hyde-Parker ne aveva altre quattro alla Giamaica. Ma queste, oltrechè erano credute necessarie alla difesa di quell'isola, trovandosi a sottovento, non si poteva sperare, potessero venire in aiuto della grossa armata, che stava a sopravvento. Mosso da tutte queste ragioni mandò Rodney i due ammiragli Samuele Hood e Drake con diecisette vascelli a star in crociata avanti la bocca del porto del Forte Reale della Martinica, al quale sapeva, che il conte di Grasse aveva rivolto il corso del suo viaggio. Perchè l'ammiraglio inglese abbia eletto di mandar quest'armata a bordeggiar rimpetto al porto del Forte Reale, dov'era soggetta a cader sottovento, ed a lasciar inevitabilmente, e sicuramente passar l'armata francese tra essa e la terra per ridursi in quel porto medesimo, piuttosto che farla stanziare a sopravvento presso la punta delle Saline a noi non è noto. Fu scritto, che Hood, il quale era uomo nelle cose navali eccellentissimo, abbia fatto in questo proposito qualche rimostranza. Ma Rodney, ch'era uomo di sua testa, e che voleva quel che voleva, gli mandò dicendo, non pensasse ad altro; attendesse ad eseguir le commissioni. Ma l'esito che ebbe la cosa, dimostrò, che la crociata della punta delle Saline sarebbe stata più opportuna, che quella del porto del Forte Reale. Compariva con magnifica mostra il conte di Grasse presso la nominata punta la sera dei 28 aprile. Gli speculatori recarono tosto le novelle all'Hood dell'approssimarsi dei Francesi. Ordinò egli prestamente le sue navi alla battaglia colle prue rivolte verso la parte, donde veniva il nemico. Comandò eziandio, che orzassero per poter poscia, poggiando, meglio avvicinarsi alle coste della Martinica, a fine d'impedire ai Francesi il trapassare tra sè e la terra. Intanto si fe' bruno, e sopraggiunse la notte. La mattina gl'Inglesi ebbero vista dell'armata francese, la quale in bellissimo ordine, ed in una lunga fila arringata andava radendo terra terra le spiagge dell'isola. Dietro, cioè tra la terra medesima e le navi da guerra, navigavano le onerarie. Ma le prime colle orze rivolte all'armata inglese, e le prue al porto, tra essa armata e le seconde s'interponevano. Le une e le altre si sforzavano di girar intorno il capo Diamante, passato il quale avrebbero potuto correre difilatamente nel porto. Tanto non poterono operar gl'Inglesi per esser a sottovento, che le navi da guerra, che erano quattro di fila, ed una di cinquanta, le quali già in quello si ritrovavano, non uscissero, e non venissero a congiungersi colle vegnenti. Quindi il conte di Grasse venne ad aver sotto i suoi comandamenti ventisei grosse navi di fila; ed abbenchè in quel fortunoso punto si fosse accostato all'Hood un vascello di 74 testè venuto da Santa Lucia, ciò nondimanco non poteva la sua alla forza dell'avversario equiparasi. Ciò nonostante, ossiachè credesse sulle prime, che de Grasse non avesse tanto numero di navi, quant'egli aveva veramente, o che si fosse persuaso, che parecchie fra le medesime, quantunque avessero la sembianza di navi da guerra, non fossero però altro, che giunchi, o, come dicono i Francesi, navi armate in _fluta_, o che veramente così il consigliassero il suo ardire e la confidenza, che aveva grandissima ne' suoi, si sforzava ad avvicinarsi, come meglio poteva orzando, all'armata francese. Il conte di Grasse trovandosi forte, e volendo tuttavia condurre a salvamento nel porto la conserva nè cercava, nè sfuggiva la battaglia. Arrivati che furono gl'Inglesi a lunga gittata dai Francesi, s'incominciò da ambe le parti a por mano al trarre delle artiglierie. Così si continuò a combattere di lontano per lo spazio di tre ore con grave danno dei primi, e leggiero dei secondi. In questo mezzo la conserva era entrata nel porto. Allora, fatti i Francesi più arditi, si scagliavano contro gli Inglesi. Quest'indietreggiarono, sebbene in ottima ordinanza. Ma le navi di Hood per esser tutte foderate di rame erano più franche veleggiatrici, e non era fatto abilità a de Grasse di raggiungerle. Oltreacciò il dietroguardo francese essendo rimasto indietro, perchè non vi si erano collate tutte le vele, fattosi un intervallo tra di esse e la rimanente armata, poco mancò, che Hood non si ficcasse in mezzo, e non riportasse una inaspettata vittoria. Ma accortosi prontamente de Grasse rife' il ripieno, ed impedì l'imminente rovina. Continuarono per due dì i Francesi a seguitare, gl'Inglesi a ritirarsi, finchè, tornati gli uni e gli altri indietro, i primi posero nel porto del Forte Reale, ed i secondi in Antigoa. In questi incontri le quattro navi britanniche il Centauro, il Russel, il Torbay e l'Intrepido patirono gravissimo danno. Avuto Rodney, il quale continuava a starsene a Sant'Eustachio occupatissimo nella vendita delle opime spoglie, le novelle del danno de' suoi, e dello avere il conte di Grasse felicemente afferrato al Forte Reale, s'accorse incontanente, che non era quello il tempo di starsi in sui mercati, e di aspettar lo scorcio della fiera. Conobbe, che seppure voleva sostener le cose delle Antille, bisognava far altri pensieri, e lavorarci dentro con tutte le forze. Per la quale cosa, fatti con grandissima sollecitudine i suoi preparamenti, se ne andò con tre vascelli, ed un polso di genti da terra a trovare Hood ad Antigoa. Intendeva di riporsi tosto in mare per contrastare i disegni al gagliardo nemico, il quale di già gli aveva fatto assai male, e minacciava di voler far peggio. Ma i Francesi non istettero punto a badare. Volevano con prestezza terminar quello che con felicità di fortuna avevano principiato. Laonde, tentata prima, sebbene invano, l'isola di Santa Lucia, si recarono velocemente contro quella di Tabago. Il primo a sbarcarvi fu il signor di Blanchelande, il quale con quindici centinaia di soldati s'impadronì di prima presa della città di Scarborough e del Forte che la difendeva. Governava tutta l'isola Fergusson. Aveva questi poco più di quattrocento stanziali, ma un numero maggiore di milizie, ottima gente, ed affezionatissima allo Stato inglese. L'universale ancora degl'isolani era nella opinione medesima molto ardente. Trovandosi Fergusson così debole, abbandonate le spiagge, si riparò più addentro nella isola alla città di Concordia, dalla quale posta sopra di un sublime poggio si discopre da ambe le parti il mare, cosa di somma importanza al presidio per vedere, se si movesse cosa alcuna per quello in soccorso loro. Arrivava poco dopo il marchese di Bouillé con un rinforzo di tremila soldati, e congiuntosi con Blanchelande, sotto le mura di Concordia, cinse la città d'assedio. Nel medesimo tempo il conte di Grasse con ventiquattro navi di fila si andava, per impedir gli aiuti, attorno l'assaltata isola aggirando. Non aveva pretermesso il governatore, tostochè ebbe veduto venirsi incontro il nemico, di darne subito avviso, e chiedere pronti aiuti all'ammiraglio Rodney, il quale da Antigoa già s'era recato alla Barbada. Questi, o che si credesse che gli assalitori fossero più deboli di quello ch'erano veramente, o che gli assaliti fossero più gagliardi, o che al postutto non sapesse, che l'ammiraglio francese fosse venuto con tutta la sua armata sopra Tabago, invece di venir egli stesso con tutta la sua in aiuto dell'isola, fu contento al mandarvi solamente l'ammiraglio Drake con sei vascelli, alcune fregate, e con forse seicento soldati di sopracollo. Venne Drake presso Tabago; ma veduto il nemico sì grosso si tolse dall'impresa, e rivolse le vele verso la Barbada. Perseguitavalo de Grasse. Non potè però impedire, che l'Inglese non arrivasse sano e salvo alla Barbada, dove portò le moleste novelle all'ammiraglio Rodney. Ma intanto la condizione del governatore di Tabago era diventata molto stretta; ed essendosi i Francesi impadroniti di diversi poggi, i quali stanno a sopraccapo a Concordia, determinò di ritirarsi sulla montagna più alta del miluogo. Ivi si erano costrutte per le stanze e pel vivere dei soldati alcune baracche e magazzini. Già messosi a camminare era arrivato alla città di Caledonia posta sulla via per alla montagna. Tra questa e quella sono le strade così aspre e difficili, che pochi uomini vi potrebbero tutto un esercito arrestare. Bouillé conosceva, che il tempo e la necessità delle cose non pativano la lunghezza di un assedio; e da un altro canto, se il nemico si riparava a que' luoghi, ne sarebbe l'impresa di necessità lunga e difficile diventata; il che avrebbe impedito i futuri disegni, che si avevano. Si temeva altresì del prossimo arrivo di Rodney. Per la qual cosa pensò Bouillé di accelerar in altro modo, che quello dell'armi, il fine della fazione. Mandò dicendo al governatore, in ciò scostandosi dalla consueta sua umanità, forse per l'ostinazione degl'isolani e forse ancora per l'enormità commesse a Sant'Eustachio, che incomincerebbe ad ardere due abitazioni e due campi di cannameli; e come disse, così fece. Fece intendere altresì, che, se non si arrendesse, ogn'intervallo di quattr'ore avrebbe fatto lo stesso a due volte altrettanti. Vedutosi dagli abitatori, che la cosa non era da burla, e che se più oltre si volesse perseverare nella difesa, ne sarebbero tutte le poste loro arse e distrutte, abbiettatisi anche all'aver vedute le andantisi poppe di Drake, e non punto disposti a tollerare il tedio dell'aspettare gli aiuti ogn'ora più incerti, prima incominciarono a romoreggiare, poscia appiccarono pratiche d'accordo col capitano francese. Fergusson, accorgendosi ottimamente di non poter resistere al temporale, e conosciuto inoltre, che gli stessi stanziali stanchi e sgomentati nicchiavano, s'inclinò a convenire, e, chiesti i patti, gli ottenne. Furono essi molto onesti e somiglianti a quelli, che Bouillé, solito sempre a procedere con termini mansueti coi vinti, concesse agli uomini della Domenica. Queste cose si facevano nell'entrar di giugno. Arrivò Rodney poco dopo sopra l'isola con tutta la sua armata; ma udita la perdita di quella, e trovato il conte di Grasse più di lui gagliardo, schivata la battaglia, se ne tornò alla Barbada. In questo modo i Francesi, diventati nelle Antille superiori di armi marittime, e con lodevole celerità e prudenza usandole, e danneggiarono il nemico sul mare, e conquistarono una ricca e bene munita isola. Ma questa non era, che una parte dei disegni orditi dalla Francia, e commessi alla cura del conte di Grasse. Gli avevano i ministri comandato, che, fatte quelle maggiori e più utili fazioni nelle Antille, che meglio per la stagione potesse, si recasse poscia con tutte le forze sue sulle coste dell'America, e là cooperasse coi soldati nazionali e con quei del congresso nel debellare, ed estirpar del tutto la potenza britannica in quelle contrade. Washington e Rochambeau, per incominciar a metter mano all'opera, lo aspettavano, e si erano per mezzo di spedite navi, mandate da una parte e dall'altra, accordati di quello, che, quando congiunti fossero, si avesse a fare. Lo avevano richiesto, conducesse oltre il navilio, cinque o seimila soldati, munizioni da guerra e da bocca, e soprattutto pecunia, della quale non solo gli Americani, ma ancora i Francesi stessi difettavano. Pregavanlo finalmente, operasse presto, perchè le cose andavano molto strette, e gli aiuti inglesi avrebbero potuto arrivare. Stimolato il conte di Grasse da tutti questi motivi, e dal desiderio della gloria che acquisterebbe, se egli avesse quello fatto, che stato era tentato invano dal conte D'Estaing, con por fine del tutto alla guerra americana, si risolvette a non metter tempo in mezzo. Per la qual cosa partì dalla Martinica, ed arrivò al Capo francese nell'isola di San Domingo. Quivi fu costretto a soprastar alcun tempo per aspettar il denaro, il qual era necessario per levare le genti e per far massa delle munizioni che si dovevano in America alla grand'impresa trasportare. Il denaro però non potè ottenere. Nel medesimo luogo si accozzarono con lui altre cinque navi d'alto bordo. Finalmente imbarcati i soldati e le munizioni, commetteva le vele al vento, e, scortata prima una grossa conserva sino a' luoghi sicuri, e toccato la Havanna per levarvi denaro, che gli Spagnuoli di buona voglia somministrarono, viaggiava con tempo prospero alla volta del golfo di Chesapeack con vent'otto vascelli di fila. Portava tre migliaia di valentissimi soldati, denari e munizioni a dovizia, e con essi tutta la fortuna della guerra. Da un altro canto Rodney, che teneva l'occhio attento a tutte le mozioni di Grasse, avuto lingua di quello che accadeva, e giudicando la cosa di quella importanza, ch'ella era, mandava speditamente alla volta dell'America l'ammiraglio Hood con quattordici navi di fila, acciocchè congiuntele con quelle, che già vi aveva l'ammiraglio Graves, si opponesse agl'intraprendimenti del conte di Grasse. Egli poi cagionevole di salute con alcune navi malconce, ed una grossa conserva se ne tornò in Inghilterra. Fu molto, e molto acerbamente biasimato Rodney pei consiglj da lui presi a questi dì, ed alcuni anche lo accagionarono dei sinistri avvenimenti, che poco dopo sopravvennero. Argomentavano costoro, che se l'ammiraglio inglese avesse seguitato tostamente il francese con tutta la sua armata, ed anzi apportato alla Giamaica, ed ivi congiuntosi colla forza di Hyde-Parker avesse così grosso fatto vela verso l'America, o il conte di Grasse non avrebbe intrapreso di fare quello che fece, o ne sarebbe stato perdente nel conflitto. Si dolevano, che Rodney invece di pigliar questo consiglio, il quale, secondo che avvisavano era il solo che buono fosse a seguitarsi in quella occorrenza, abbia, recandosi in Inghilterra con parecchie delle più grosse navi, ed abbandonato il campo di battaglia, ed infievolito l'armata già non troppo gagliarda ad un tanto bisogno. Aggiungevano, che fu grand'errore il suo, di aver l'armata medesima in parecchie piccole squadre spartita, lasciando alcune navi nelle isole di sottovento, dove i Francesi non ne avevano lasciato nissuna, mandandone altre tre alla Giamaica, che niuno allora aveva in animo di assaltare, ed inviando finalmente Samuele Hood con una ineguale ed insufficiente forza in America. Da ciò concludevano, esser ben da maravigliare, che mentre i nemici tutte le forze loro in un solo luogo adunavano, l'ammiraglio inglese le sue spartisse in diversi. Quali effetti ne siano nati, dicevano, da questa deliberazione, averlo poscia veduto il mondo, rammaricarsene con incessabili lagrime l'Inghilterra. Da un altro canto redarguivano coloro, che la sentenza di Rodney mantenevano, che l'essersi egli recato in Inghilterra era stato, rispetto alla sua sanità, piuttosto necessità che elezione; che le navi, le quali aveva condotte seco, erano sì fattamente malconce, che non si sarebbero potute riparar in quei porti; che siccome de Grasse aveva sotto la sua tutela una numerosa e ricca conserva, così si doveva credere, che non l'avrebbe avviata sola e senza convoglio alla volta dell'Europa; la qual cosa se avesse, come ragion voleva, fatto, ne sarebbe stato il numero delle sue navi da guerra scemato; che quando anche nissuna stima si volesse fare delle cose sin qui dette, la forza che condusse seco in America Samuele Hood, se congiunta si fosse con quella di Graves, sarebbe stata bastevolissima ad affrontare tutta l'armata dell'ammiraglio francese; ma che bene aveva errato l'ammiraglio Graves, il quale invece di tener raccolta ed intiera la sua flotta nel porto della Nuova-Jork se n'era ito inutilmente aggirando nell'acque di Boston sino a tanto che sopravvenuti essendo i tempi fortunali, ne furono le navi sue rotte e fracassate; il che fu causa, che anche dopo l'arrivo dell'Hood alla Nuova-Jork si trovarono le forze inglesi inferiori alle francesi; che se Graves non ebbe nissun tempestivo avviso dell'arrivo del conte di Grasse e di quello dell'ammiraglio Hood, ciò alla malvagia fortuna, e non a colpa di Rodney doversi riputare, il quale non tralasciò di spacciar verso l'America saettìe a recar le novelle, le quali furono nel viaggio loro dal nemico intraprese; che in fine non si poteva il capitano generale biasimare dell'aver mandato Samuele Hood in America, piuttosto che l'esservi andato egli stesso; perciocchè fosse Hood un uomo il quale nella scienza delle cose navali molti avanzava, a nissuno cedeva. Noi non saremo per definire quale delle due parti s'accostasse alla ragione. Imperciocchè negli accidenti della guerra, se non si dee giudicar dagli eventi, non si dee nemmeno pretermettere la considerazione delle cause; e certo è bene, che dalla presente risoluzione di Rodney dipendettero tutte le future cose nella terra-ferma americana, la fortuna dell'America stessa e quella vicinamente di tutta la guerra. Narrati gli accidenti, che nel presente anno intervennero tanto in Europa, quanto nelle isole delle Indie occidentali, ci conviene ora raccontar quelli, che accaddero sul continente d'America, dove principalmente si contendeva della somma delle cose, e si doveva con tutte le forze sì da terra, che da mare definire, a quale delle due parti dovesse rimanere la finale vittoria. Negli altri luoghi si combatteva per gli accidenti della presente guerra, e della futura pace; ma là si quistionava di tutta la fortuna, e per così dire della sostanza stessa dell'una e dell'altra. Ma priachè ci facciamo a descrivere i successi dell'armi, necessario è, che favelliamo di quelle cose, le quali sebbene non siano altrettanto come quelli, appariscenti e gloriose, sono però ai medesimi il principale, ed il più sodo fondamento. Queste sono quelle, che appartengono al reggimento interno dello Stato. Era la condizione degli Stati Uniti sul principiar del presente anno non che prosperevole, calamitosissima, e dava maggiori motivi di timore, che di speranza. Quantunque gli sforzi fatti dagli Americani nel varcato anno, ed il nuovo ardire nato nei medesimi per cagione dei disastri delle Caroline avessero alcuni buoni effetti operato, tuttavia essendo essi fondati solamente sulla fugace ardenza dei particolari uomini, e non su d'alcun buon ordine pubblico, ne nacque, che incominciarono tosto ad andare in declinazione, sicchè non s'indugiò molto a ritornare in eguali, e forse in maggiori angustie di prima. L'erario pubblico era voto, o pieno soltanto di biglietti di credito, che più non avevano nissun valore. Le provvisioni per l'esercito non si facevano, o si facevano per forza con dar all'incontro polizze del ricevuto, le quali perduto avevano ogni sorta di riputazione. Quindi era, che e le derrate si nascondevano, ed i popoli si disgustavano. Quando poi si era riuscito a ragranellare qualche poca provvisione, questa non si poteva a luoghi comodi trasportare, perchè non si aveva denaro per pagar le some ai vetturali; ed in alcuni paesi, dove si aveva voluto far forza, ne erano nate cattive parole, e peggiori fatti. Non si avevano magazzini in pronto; ma bene soltanto qualche riposte qua e là, nelle quali spesso nè vettovaglie, nè vestimenta di sorta alcuna si ritrovavano. Le armerie stesse mancavano d'armi. I soldati laceri, nudi, privi di ogni bene vivente, invano chiedevano aiuto a quella patria, che difendevano. Gli antichi disertavano, i nuovi non volevano andar all'esercito; e sebbene il congresso avesse decretato, che il primo gennaio vi dovessero essere trentasettemila uomini in armi, appena che la ottava parte fossero arrivati sotto l'insegne nel mese di maggio. Brevemente e' pareva, che l'America venisse meno al suo più gran bisogno, e volesse tornar indietro, allorquando già più era vicina ad arrivar alla meta. Ognuno credeva che non sarebbero stati gli Americani capaci ad esercitar la guerra difensiva, non che far la offensiva; ed invece di cooperare coi Francesi nel cacciar via da quelle terre i soldati del Re Giorgio, si temeva che non bastassero a far di modo, che questi non cacciassero quelli. Tanto era il cambiamento di fortuna prodotto dalla povertà dell'erario, e dalla mancanza di quegli ordini pubblici, che sarebbero stati necessarj per fornirlo. Queste cose non isfuggivano la mente dei Capi americani, e facevano ben essi ogni sforzo per rimediarvi. Ma di ciò avevano meglio la volontà, che il potere. Il solo mezzo, che avesse il congresso per soddisfare ai bisogni dello Stato erano o le nuove gittate di biglietti di credito, o le gravezze da porsi sui popoli. Ma quelli avevano perduto ogni sorta di valore, ed il congresso medesimo tratto da una inevitabile necessità aveva richiesto gli Stati, acciocchè le leggi rivocassero da essi fatte, le quali avevano prescritto, che i biglietti dovessero servire e riceversi in luogo di moneta effettiva nei pagamenti. Inoltre aveva ordinato che nei contratti che in nome dello Stato si andavano facendo per le provvisioni dei soldati, si stipulasse il prezzo specificamente in moneta. Il ch'era l'istesso che stabilire, che lo Stato medesimo non riconosceva più i biglietti come moneta, e che questi non solo non avevano più, ma ancora non potevano più avere nissun valore. Il congresso poi non aveva la facoltà di por tasse, la quale risiedeva tuttavia nei particolari Stati. Ma questi andavano molto più a rilento, che non sarebbe stato il bisogno, nel porne; della quale freddezza molte erano le cagioni. I reggitori degli Stati particolari erano per lo più uomini popolari, i quali temevano di venire in disgrazia dell'universale, se prestanziato avessero i popoli in un paese massimamente, in cui per quella, non so se mi debba dire fausta od infausta, utile o perniziosa agevolezza di gittar biglietti per sopperire ai pubblici bisogni, erano usi a pagar nissuna tassa, o poche. Inoltre, quantunque i biglietti del congresso fossero mancati, gli Stati particolari però ne avevano dei loro, i quali, comechè non di sì gran posta scapitassero quanto i primi, erano peraltro andati soggetti a non leggier disavanzo; e ripugnavano i reggitori al por tasse in moneta perchè credevano, e non senza ragione, che ciò gli avrebbe fatti disavanzare di vantaggio. Nè si dee passar sotto silenzio, che, siccome nissuna testa di reggimento vi era, la quale definisse, qual fosse la rata di tassa, che secondo le abilità singolari dovesse a ciascuno Stato spettare, così gli uni per gelosia degli altri si peritavano alle tasse per paura di gravar sè stessi più degli altri. Tanto erano quei popoli sospettosi e restii, quando si doveva venire al toccar dei cofani. Così mentre gli uni stavano osservando gli altri, e nissuno incominciava, non si forniva il nervo dell'entrate pubbliche allo Stato, e la repubblica si disfaceva. Nè alcuna speranza si poteva avere, che gli Stati mossi da tanta necessità fossero per investir il congresso dell'autorità di por le tasse, sia perchè gli uomini non si spogliano volentieri dell'autorità che hanno, sia perchè in quelle opinioni intorno la libertà, che avevano gli Americani, stavano in sospetto che il congresso potesse abusare. Finalmente egli è da far considerazione, che a quel tempo molto confidavano gli Americani al poter ottenere soccorsi di denaro esterni, massime da parte della Francia, e si erano dati a credere, che solo, che un ministro del congresso si appresentasse a domandar denaro presso alcuna Corte d'Europa, tosto ne otterrebbe quella quantità che vorrebbe egli stesso, come se i forestieri avessero dovuto esser più teneri degli Americani della prosperità e degl'interessi dell'America. In cotal modo si era la fonte della pecunia pubblica, che dai biglietti di credito derivava, seccata, e quella delle tasse non si apriva. Si debbe ancora avvertire, che quand'anche le tasse si fossero stabilite e sino a quell'estremo punto che si sarebbero potute sopportare, era evidente, che quello che gittassero, non avrebbe potuto a gran pezza supplire alla voragine della guerra, e per conseguente la spesa avrebbe sempre vinto l'entrata. Conciossiachè si era quella nutrita con tanta spesa, che vi si erano consumati dentro venti milioni di dollari all'anno, e le più gravi tasse che si sarebbero potute porre in quelle occorrenze degli Stati Uniti, non avrebbero potuto fruttificare più di otto milioni di dollari. E sebbene si potesse sperare, che con un buon maneggio del denaro pubblico l'enorme costo della guerra si potesse diminuire, non è però, che non avesse il medesimo sempre di gran lunga la rendita avanzato. Considerate tutte queste cose, aveva il congresso molto per tempo commesso al Dottor Franklin, che quelle maggior'istanze che potesse, facesse presso il signor di Vergennes, per mano del quale passava allora principalmente tutto il governo delle cose d'America, per ottener dalla Francia un accatto di alcuni milioni di tornesi per far le spese della guerra. Gli comandò ancora, ponesse ogn'industria per impetrar dal Re Cristianissimo la facoltà di far un altro accatto a favor degli Stati Uniti presso gli uomini pecuniosi di Francia e che fossero all'America affezionati. Le medesime instruzioni mandò a Giovanni Adams e Giovanni Jay, il primo ministro plenipotenziario degli Stati Uniti presso le Province Unite d'Olanda, il secondo presso la Corte di Spagna, e ciò al fine stesso di ottener da questi due Stati un conveniente accatto. Esponessero alla Spagna, che sarebbero sul voler rinunziare (tanto erano spiritati a questi tempi gli Americani) alla navigazione del Mississipì, ed all'aver un porto su di questo fiume; all'Olanda, che le avrebbero procurato vantaggi commerciali d'importanza; alla Francia, che senza di questo aiuto di pecunia ne sarebbe la impresa loro spacciata; a tutti, che l'America era di tal risponsivo, che nissun dubbio si poteva avere intorno all'essere al convenuto termine rimborsati. Siccome poi la cosa era di tanto momento, così non contenti all'aver queste nuove commissioni inviate ai ministri loro, mandarono ancora in Francia il colonnello Laurens, acciò presenzialmente i ministri francesi confortasse al medesimo cammino, e l'accatto sollecitasse. La Spagna non si lasciò piegare; perchè Jay non volle quella rinunziazione offerire; l'Olanda nemmeno, perchè dubitava del risponsivo di quel nuovo Stato. La Francia sola, la quale vedeva benissimo che l'aiutar la vittoria degli Stati Uniti, e mantenergli in vita era un esser pagata meglio, che di pecunia, concesse sei milioni di tornesi, non però come prestito, ma come dono, e non senza qualche mal motto sulla freddezza degli Stati nel fornire ai loro bisogni, allegando, che quando si vogliono compire onorate imprese, non bisogna essere tanto rispettivi allo spendere. Aggiunse molte protestazioni delle angustie proprie per far parere migliore la cosa. Ma essendo questa somma troppo inferiore ai bisogni, consentì la Francia ad entrare mallevadrice in Olanda per un accatto di dieci milioni tornesi da farvisi dagli Stati Uniti d'America. E siccome malgrado della mallevadoria l'accatto si forniva lentamente, così il Re Cristianissimo fu contento ad anticiparne il sommato, cavandolo dal proprio erario. Rispetto poi all'accatto da farsi presso i privati uomini della Francia, non volle il Re acconsentire. In tal modo vennero gli Americani ad ottenere dalla Francia un sussidio di sedici milioni di tornesi, dei quali però una parte già era stata consumata nel pagamento delle precedenti tratte del congresso sopra il Dottor Franklin pei bisogni anteriori dello Stato mandate. Il rimanente o fu imbarcato in altrettanta moneta per essere in America trasportato, o convertito dal colonnello Laurens in valore di vestimenta, d'armi e di munizioni da guerra in servigio degli Stati Uniti. L'intenzione del donatore de' sei milioni era, che siccome il dono era destinato all'uso dell'esercito d'America, così fosse o tenuto in serbanza all'ordine, o rimesso nelle mani del generale Washington, acciocchè non venisse in quelle d'altri maestrati, i quali, siccome dubitava, si sarebbero per avventura creduti in necessità di divertirlo in altri usi dello Stato. Questa condizione non solo non piacque, ma dispiacque molto al congresso; perciocchè si pensò, che in tal modo i suoi soldati sarebbero, come se fosse, diventati pensionati dalla Francia, e temette, che molto ne rimettessero della dependenza loro verso di sè stesso. Perciò ordinò, che i fornimenti compri con parte della donata pecunia, quando in America arrivassero, fossero consegnati al maestrato sopra la guerra, e che in ordine alla pecunia effettiva, foss'ella posta in mano del camerlingo, il quale se ne desse carico e la spendesse poscia, secondochè gli sarebbe dal congresso comandato in servigio dello Stato. Fu questo soccorso della Francia opportunissimo agli Stati Uniti; e se ne accrebbero grandemente gli obblighi della repubblica verso quella Corona. Ma prima che i negoziati, che tendevano ad ottenerlo, fossero al termine loro condotti, o che il denaro e le provvisioni arrivassero, era stato richiesto un lungo tratto di tempo, sicchè riuscivano al presente bisogno dell'America di tardo rimedio. Nè il sussidio stesso era bastevole a soddisfare a tante necessità. Nè quando il fosse stato, si poteva credere che fosse per bastare effettivamente, quando non si riformassero gli ordini relativi allo spendere la pecunia pubblica. Imperciocchè se povera era l'entrata, nissuno non dubiti, che maggiore prodigalità non vi fosse nell'uscita. Le quali cose molto bene considerate dal congresso, pensò di strigarsi finalmente da questo nodo, che tanto lo aveva tenuto impacciato fin dal principio della rivoluzione; e si risolvette ad introdurre una buona economia nella Camera del Comune. A questo fine il giorno 20 di febbraio trasse a camerlingo Roberto Morris, uno dei deputati dello Stato di Pensilvania al congresso, uomo di grandissimo credito, sapere e pratica nelle faccende mercantili, di larghe facoltà dotato, di costumi integerrimi e nella impresa del nuovo Stato zelantissimo. Gli diè facoltà di sopravvedere e soprantendere l'entrata e l'uscita pubblica, investigare il debito dello Stato, immaginare e proporre nuovi ordini di pubblica amministrazione. Se grave fu il carico imposto al Morris, non fu minore l'ingegno e la fedeltà co' quali ei lo sostenne. Non tardò egli ad introdurre la regolarità, dov'era il disordine, la buona fede, dov'era l'inganno; e siccome la principale e più utile prerogativa di un amministratore si è la esattezza nell'adempimento delle obbligazioni, così in questo fu puntualissimo. Dal che ne procedette, che là, dov'era una sfidanza universale, nacque appoco appoco una universale fidanza. Una delle prime operazioni del camerlingo si fu di appresentare al congresso un modello di un Banco nazionale per tutti gli Stati Uniti d'America. Avesse il Banco un capitale di quattrocentomila dollari diviso in altrettanti luoghi di quattrocento dollari ciascuno in monete d'oro e d'argento da procacciarsi per mezzo delle soscrizioni; che questo capitale potesse al bisogno, e giusta certe restrizioni e limitazioni, essere accresciuto pure per mezzo delle soscrizioni; fosservi dodici direttori del Banco; fosse questo riconosciuto dal congresso sotto il nome del presidente, direttori e Compagnia del Banco dell'America Settentrionale; il camerlingo avesse la facoltà di sopravvedere tutte le operazioni del Banco. Questi erano gli ordini ed i principali lineamenti della instituzione. L'uso poi si era questo, che le scritte del Banco pagabili a richiesta, dichiarate fossero moneta legale pel pagamento di tutte le imposizioni e tasse in ciascuno degli Stati Uniti, e si ricevessero altresì nelle casse del pubblico erario, come se oro, od argento fossero. Diè il congresso con solenne decreto pubblico ratificamento all'ordinazione. Nè si penò molto a trovare i soscrittori, e tutte le poste furono in breve tempo riempite. Riuscì il Banco di grandissima utilità agli Stati. Perciocchè per mezzo delle sue scritte ne fu abilitato il camerlingo ad anticipare i proventi delle imposizioni. Nè contento allo aver per mezzo del Banco fatto servir i capitali, ed il credito dei particolari soscrittori a sostegno del credito pubblico, volle lo stesso effetto operare coll'autorità del suo proprio credito e nome. Perciò gettò nel pubblico una non leggier somma di obbligazioni sottoscritte di sua mano, e pagabili a differenti tempi coi sussidj forestieri, o colle rendite interne degli Stati Uniti. E quantunque col tempo queste sue obbligazioni abbiano sommato a meglio di cinquecento ottant'un migliaio di dollari, ciò non di manco non è stato mai, che scemassero di riputazione, se non forse un poco negli ultimi tempi. Tanta era la confidenza, che avevano i popoli nella fede, e nella puntualità del camerlingo. Così nell'istesso tempo, in cui il credito dello Stato era presso che spento, e che le carte di lui poco o nulla valevano, quello di un solo uomo era fermo, ed universale. Gli effetti prodotti a vantaggio degli Stati Uniti da queste obbligazioni del camerlingo pel mezzo, ch'elleno somministrarono, di poter usar anticipatamente le imposizioni ad un tempo, in cui quest'anticipazione era non che necessaria, indispensabile, furono inestimabili. Per esse ne fu fatto abilità ai maestrati di far le provvisioni per l'esercito non più per mezzo delle tolte, ma sibbene per contratti regolari. La qual cosa fu d'infinito benefizio cagione e pel risparmio che si ottenne, e per la esattezza dei fornimenti medesimi, e per la contentezza dei popoli, i quali a quelle richieste forzate fieramente si corrucciavano. E sebbene questo usare per anticipamento i proventi delle imposizioni non sia esempio buono ad imitarsi, nè senza pericolo, tanta però fu la prudenza di Morris in questo maneggio, e sì grandi l'ordine e l'economia da lui introdotti in tutte le parti dell'uscita del denaro pubblico, che non ne risultò danno di sorta alcuna. Ma un fondamento era necessario a tutte queste nuove ordinazioni del camerlingo, e quest'erano le tasse. Per la qual cosa il congresso decretò, si richiedessero gli Stati a fornire per via d'imposizione all'erario otto milioni di dollari, e nel medesimo tempo determinò, quale dovesse essere in questa somma la rata di ciascuno Stato. Tal era la necessità delle occorrenze della repubblica e tale la confidenza, che nel camerlingo aveva ognuno collocata, che gli Stati a questo nuovo decreto del congresso volentieri si accomodarono; e con ciò si pose un rimedio efficace alla strettezza dell'erario. Nè qui si ristettero le cose fatte dal Morris in benefizio degli Stati. La provincia della Pensilvania era quella dalla quale, siccome frumentosa, si cavavano principalmente le somministrazioni delle farine ad uso degli eserciti. Queste somministrazioni per mancanza della moneta procedevano, sull'entrar del presente anno, molto lentamente. Ma non così tosto Morris fu creato camerlingo, che prima col suo credito privato procurò le incette delle farine pei soldati, poscia si offerì, ed ottenne di soddisfar esso stesso alle richieste da farsi di tali derrate alla Pensilvania durante tutto il presente anno, solo che gli fosse concesso il rimborsarsi sul provento della rata del sovrannominato balzello, che a quella provincia era toccata, la quale sommava a meglio di un milione e centoventi migliaia di dollari. Così per opera del camerlingo furono ristorati il credito e l'erario pubblico, e questo da una estrema votezza ad una sufficiente pienezza condotto. Per lui stette principalmente, che gli eserciti dell'America non si disbandassero, e che il congresso, invece di cedere ad una inevitabile necessità, abbia nel presente anno potuto non solo con vigore, ma ancora con prosperità di fortuna la guerra offensiva esercitare. Certamente dovettero, e debbono gli Americani altrettanto saper il buon grado e restare obbligati alle camerali ordinazioni di Roberto Morris, quanto ai negoziati di Beniamino Franklin, ed alle armi di Giorgio Washington. Prima però che questi nuovi e salutevoli ordini avessero corroborato lo Stato, ed in sul bell'entrar dall'anno era succeduto un caso, il quale aveva fatto temere di prossima rovina tutta l'America; e se non fu la prima causa, fu certamente il più possente sprone, perchè gli ordini medesimi si facessero. Erano a questo tempo, siccome abbiam notato, i soldati privi di ogni cosa non solo al militare, ma ancora al vivere necessaria; il che gli faceva stare molto di mala voglia. A queste cagioni di scontentezza se ne venne a congiungere per gli stanziali della Pensilvania un'altra speciale, e questa fu, che siccome avevano preso le ferme o per tre anni, o per tutto il tempo della guerra, così per l'ambiguità dei termini delle condotte loro si credettero sul finir di quei tre anni essere sciolti ed aver la facoltà di ritornarsene alle case loro, mentre dal canto suo lo Stato pretendeva che militar dovessero sino al fine della guerra. Queste due cause operando insieme nelle menti loro fecero di modo, che la notte del primo gennaio tumultuarono di mala sorte e si ammotinarono dicendo, che volevano armata mano ire alla sede del congresso, e quivi ottenere ai torti, che sofferivano, ammenda e ristoramento. Erano nel torno di quindici centinaia di soldati. Fecero gli uffiziali ad ogni poter loro per sedar il tumulto ma tutto fu in vano, e nel contrasto che ne seguì, alcuni fra gli ammotinati da una parte, ed un uffiziale dall'altra, vi perdettero la vita. Si presentò il generale Wayne, uomo pel valor suo di grande autorità presso i soldati, ed avendo alzato la pistola contro i sediziosi, gli fu detto, badasse bene a quello che si facesse, che ne sarebbe anch'egli tagliato a pezzi; e già gli avevano posto le baionette al petto. Quindi, fatto massa delle artiglierie, delle bagaglie e del carreggio, che alla schiera loro appartenevano, si avviarono in bella ordinanza verso Middlebrook. La notte ponevano gli alloggiamenti con trincee e ripari molto cautamente, come se fossero in paese nemico. Avevano eletto a capo dell'impresa un certo Williams, disertore inglese, e gli avevano dato per arroti, con chi potesse consultare, tutti i sergenti delle compagnie. Da Middlebrook procedettero a Princetown, e vi si accamparono. Uffiziali non vollero in mezzo di loro, e già cacciato avevano da Princetown il marchese de La-Fayette, il generale Saint-Clair, ed il colonnello Laurens, che vi erano venuti per quietar gli strepiti. Intesasi la cosa in Filadelfia, e parendo ai Capi della lega di quella importanza ch'ella era, si mandarono delegati, tra i quali i generali Reed e Sullivan, per iscoprire a che termine dovesse arrivare quel moto, e coll'autorità loro porvi, se possibil fosse, rimedio. Arrivati nelle vicinanze di Princetown mandaron dicendo agli ammotinati, che cosa volesse dir questo, e che si volessero. Risposero, che questo voleva dire, che non s'intendevano di star più oltre alle baje, ed alle promesse che loro si facevano; che pretendevano, che tutti coloro i quali avevano militato lo spazio di tre anni, avessero congedo; che sia quelli che se n'andassero, sia quelli che rimanessero, avessero ad avere immediatamente tutte le paghe decorse e tutte le vestimenta, che avrebbero dovuto avere sino a quel dì; che fossero loro pagati i residui dei caposoldi; e che finalmente volevano per l'avvenire, senza lasciare scattar pure un giorno, essere pagati tutti appuntatamente. Intanto era la nuova dell'ammotinamento nella Nuova-Jork a Clinton pervenuta, il quale tosto deliberò di giovarsi della occasione. Mandò al campo de' sollevati tre uomini a posta, tutti e tre leali americani, perchè in nome suo proferissero loro le seguenti condizioni; sarebbero ricevuti sotto la protezione del governo inglese; sarebbero loro perdonate tutte le passate offese; sarebbero fedelmente di tutte le paghe soddisfatti dovute loro dal congresso senza niuna obbligazione di militar sotto le insegne del Re, quantunque volentieri si sarebbero accettate le buone voglie; che solo si esigeva, ponessero giù le armi, ed alla leanza loro ritornassero; mandassero deputati in Ambuosa per praticare, ed accordar con coloro, che là sarebbero venuti da parte di Clinton. Gli agenti poi di questi, oltre le narrate condizioni, andavano mettendo male biette, con vivi colori dipingendo il ben essere dei soldati del Re, le miserie loro proprie, l'ingratitudine del congresso. Ma Clinton non contento a questo, per dare di luogo vicino favore agli ammotinati, e facilità al venire, quando il volessero, a congiungersi con esso lui, era varcato con non poca parte delle sue genti dalla Nuova-Jork nell'Isola degli Stati. Non volle però andar più oltre, e por piede sulla Cesarea per non far levar i popoli a romore, e non irritare con troppo vicina dimostrazione quelle genti, e far loro di nuovo dar la volta in favor del congresso. Risposero alle proposte di Clinton nè del sì, nè del no. Gl'inviati ritennero. In questo frattempo si erano appiccate, e bollivano le pratiche tra i deputati del congresso, e quei de' sollevati, e siccome gli animi erano gonfj, così vi fu che fare e che dire assai, prima che si volessero udire gli uni gli altri, non che far le viste di volersi accordare. Offerivano i primi di dar congedo a tutti coloro, che avevano pigliato le ferme indeterminatamente per tre anni, o per la durata di tutta la guerra, e che nei casi, in cui le scritte del tempo delle ferme non si potessero avere, si ammettessero per pruova i giuramenti dei soldati; che darebbero polizze, o sia promesse di rifacimento delle somme, che i soldati perdute avevano a cagione del disavanzo dei biglietti; che i soldi corsi si sarebbero assestati il più presto, che far si potesse; che somministrerebbero loro sul fatto certi capi di vestimenta, dei quali stavano in maggior bisogno; si perdonerebbero e dimenticherebbero le offese. Per queste proposte le cose si domesticarono; fu fatto l'accordo, e si posarono gli animi. Marciarono poscia da Princetown a Trenton, dove furono le condizioni mandate ad effetto. Consegnarono in mano dei loro i deputati di Clinton, i quali senz'altro indugiare furono impiccati. In tal modo fu fermato un tumulto, che aveva maravigliosamente tenuto in sentore, ed impaurito gli Americani, e dato sì grandi speranze al generale inglese. Ma molti valenti soldati, ottenuto commiato, ed abbandonato l'esercito, alle case loro se ne ritornarono. Washington, durante l'ammotinamento non fe' dimostrazione veruna, e se ne stette quieto ne' suoi alloggiamenti di New-Windsor sulle rive del fiume del Nort. Della quale deliberazione furono causa il sospetto, ch'egli aveva, che i suoi proprj soldati si mettessero in levata, la pochezza loro, il pericolo che vi era, che se egli sprovvedesse le rive di quel fiume, il generale inglese vi salisse e s'impadronisse dei forti passi già tante volte venuti in contesa; e finalmente il timore che se s'intromettesse inutilmente, l'autorità sua ne andasse presso tutti gli altri soldati soggetta a diminuzione, e diventasse contennenda; il che sarebbe stato di pessime conseguenze cagione. Forse ancora nel mezzo dell'animo suo stette contento a quello sprone dato al congresso, acciocchè meglio, e con ogni sforzo fosse per attendere ai bisogni dell'esercito, movendolo la difficoltà, colla quale si provvedevano i denari necessarj al sostentamento di quello. Pochi giorni dopo gli stanziali della Cesarea, mossi dall'esempio dell'ammotinamento dei Pensilvanesi, e del fine ch'esso ebbe, si levarono anch'essi in capo. Ma Washington, mandato loro all'incontro una grossa banda di soldati, della fede dei quali si era nella precedente sedizione assicurato, tostamente gli ridusse al dovere, e fe' aspramente gastigare i nutritori dello scandalo. Così fu posto fine del tutto al tumultuar dei soldati; e gli Stati, avuta questa battisoffia, per chiarirsene una volta tanto dissero e tanto fecero, che rimedirono, e mandarono al campo paghe per tre mesi in altrettanto oro ed argento. Con questo aiuto si confermarono gli animi dei soldati, tantochè tennero il fermo, sino a che le ultime deliberazioni del congresso, che abbiamo sopra raccontate, operato avessero quegli effetti che se ne dovevano aspettare. Nel tempo medesimo in cui il congresso, avendo anche in ciò consenzienti Washington, e tutti gli altri principali uomini della lega, si sforzava di stabilir nuovi e buoni ordini civili, i quali sono il principale fondamento alle fortunate guerre, il Capo dell'esercito meridionale correva a gran giornate, e con forze potenti alla ricuperazione della Carolina, la quale gli era, come se fosse sicura, o poco difficile preda, lasciata nelle mani dal lord Cornwallis, che si era a volgersi contro la Virginia deliberato. Era, partitosene Cornwallis, il governo della meridionale Carolina venuto in mano del lord Rawdon, giovane di buona mente e di non mediocre aspettazione nelle cose della guerra. Aveva egli posto il suo principal alloggiamento in Cambden, città assai fortificata; ma però il presidio vi era dentro molto debole, e tale, che se atto era a difendere la Terra, non l'era del pari a tener la campagna. E questa medesima debolezza aveva luogo in tutti gli altri posti della provincia, che tuttora si tenevano per gl'Inglesi. Oltreacciò, siccome il paese era per ogni dove nimichevole, così erano stati obbligati a partir le genti loro in altrettante piccole squadre, a fine di conservare nella propria divozione que' luoghi ch'erano necessarj alle difese, ed a raccorre le provvisioni. Di questi i principali erano la città stessa di Charlestown, e quelle di Cambden, di Ninety-six e di Augusta. I popoli, udito la ritirata di Cornwallis verso la Virginia, avevano volto l'animo a cose nuove. Già in alcuni luoghi incominciato avevano a far sedizione, e si erano cupidissimamente vendicati in libertà. Sumpter e Marion, l'uno e l'altro uomini dispostissimi ad ogni pericolo, attizzavano il fuoco, e la gente tumultuaria riducevano sotto le insegne, ed ordinavano in regolari compagnie. Tenevano infestati i confini della bassa Carolina, mentre Greene col grosso dell'esercito si difilava verso Cambden. Già si sentivano in questa città occulti mormorj della venuta del capitano della repubblica, e già esso, essendo vicino ad arrivarvi, aveva, per dar maggior animo ai popoli rivoltantisi, mandato il colonnello Lee co' suoi cavalli a congiungersi con Marion e con Sumpter. Così Rawdon non solo si trovò ad un tratto assalito da fronte dalle genti di Greene, ma ebbe timore, che non gli venisse tagliata la strada alla ritirata verso Charlestown. La cosa gli apparve non solo improvvisa, ma ancora molto strana; imperciocchè nissuno indizio certo, o sentore gli era pervenuto della risoluzione presa da Cornwallis di abbandonar la Carolina per recarsi contro la Virginia; non che Cornwallis non avesse spedito i messi portatori della novella, ma erano sì generalmente avversi i popoli, che nissuno aveva potuto trapelare, e da questi nissuna notizia, che vera fosse, si poteva spillare. Egli poi a tutt'altra cosa avrebbe pensato fuori che a questa, che il frutto della vittoria di Guilford stato fosse quello di doversi Cornwallis ritirare dalla presenza del vinto nemico. Tuttavia Rawdon nulla sgomentandosi a quest'inopinato cambiamento delle cose, siccome uomo valente ch'egli era, fece tosto quelle deliberazioni, che meglio alla congiuntura, in cui egli si trovava, si convenivano. Avrebbe voluto ritirarsi più verso Charlestown; ma essendo il paese infestato dagli stracorridori di Sumpter, ed avendo già Greene alle costole, se ne tolse dal pensiero. Nella quale risoluzione viemmaggiormente si confermò, considerato, che le mura di Cambden erano forti e capaci a sostenere un primo impeto del nemico. Solo le genti sparse qua e là nelle guernigioni delle Terre più deboli contrasse, e fe' venire dentro di Cambden. Lasciò solamente munite le città più forti. Accostò Greene l'esercito alle mura di Cambden; ma trovatele ben munite, e conoscendo di esser troppo sottile di gente per poter assaltare la piazza con isperanza di vittoria, prese la via dei monti, ed andò a mettersi a fortezza sopra un colle chiamato Hobkirk-hill ad un miglio distante dalla città. Non istava senza speranza, che la fortuna gli avrebbe scoperto qualche occasione per combattere, e se non credeva sè stesso abbastanza gagliardo ad assaltar il nemico dentro le mura, si persuadeva però di poterlo vincere nell'aperta campagna. Era l'alloggiamento suo molto forte, avendo da fronte tra la collina e Cambden folte boscaglie, e da sinistra una profonda e non valicabile palude. In questo campo facevano gli Americani negligenti guardie, confidatisi o nella fortezza del luogo, o nella debolezza del nemico, ovvero portati da quella loro trascuraggine, dalla quale tante infelici pruove non avevano potuto per ancora ritorgli. Lord Rawdon, conosciuta la condizione del nemico, e sapendo anche che questi aveva mandato indietro ad un miglio distante le sue artiglierie, si mosse per andarlo ad assaltare; animosa risoluzione, ma fatta necessaria dalle circostanze. Poste le armi in mano perfino ai suonatori, ai tamburini, ed ai saccardi, e la città in guardia ai convalescenti, trasse fuori l'esercito camminando alla volta di Hobkirk. Non potendo nè il bosco, nè la palude, che gli stavano davanti, varcare, iva distendendosi a destra, e tanto si allargò, che gli venne fatto di girar intorno la palude, e di comparire improvvisamente sopra il fianco sinistro del campo americano. Greene, veduto un sì vicino pericolo, emendò colla prontezza sua nell'ordinare i soldati alla battaglia la passata negligenza. Essendosi accorto, che il nemico marciava assai ristretto in una colonna, venne in isperanza di poterlo spuntar dai due lati. Per la qual cosa comandò al colonnello Ford, perchè con un reggimento di Marilandesi andasse a fiancheggiar gl'Inglesi sulla sinistra, ed al colonnello Campbel commise, gli ferisse sulla destra. Gli fe' poi assaltar da fronte dal colonnello Gunby, e mandò nel medesimo tempo il colonnello Washington co' suoi cavalli, perchè, girato intorno il fianco loro destro, gli urtasse alle spalle. In tal modo si appiccò la battaglia molto feroce da ambe le parti. I reali sulle prime piegarono, ed andarono, fanti e cavalli, disordinati in volta. Il terror loro era anche accresciuto dalle spesse gittate di scaglia, che facevano loro addosso i repubblicani per mezzo delle artiglierie arrivate in su quel fatto al campo. In questo punto Lord Rawdon spinse avanti una squadra d'Irlandesi, ed alcune altre compagnie, che aveva tenuto in serbo per le riscosse, e per mezzo loro ristorava la fortuna della giornata. Si combattè allora buon pezzo aspramente, e diversi ondeggiamenti si osservavano, cedendo ora questa parte, ora quella. Ma finalmente un reggimento marilandese fieramente pressato dal nemico si disordinò, e pose in fuga. Questo fu causa, che anche i vicini si smagliarono, e la rotta divenne in poco tempo universale. Si rattestarono i repubblicani parecchie volte, ma sempre invano, incalzando vicinamente gl'Inglesi. Entrarono questi poco dopo negli alloggiamenti nemici sulla collina. Intanto il colonnello Washington, eseguendo gli ordini del capitano generale, si era colla sua cavalleria condotto dietro le file inglesi, mentre ancora non si erano, dopo la prima rotta, rimesse negli ordini loro, e molti aveva fatto prigionieri. Ma, veduta poscia la rotta de' suoi, si ritirò intiero. Alcuni dei prigionieri gli sfuggirono dalle mani; gli altri condusse seco al campo, dove si raccozzò con Greene. Questi dopo la sconfitta si era ricoverato a Gun-Swamp a cinque miglia da Hobkirk, dove fece testa, ed attese alcuni dì a raccorre i fuggiaschi, ed a riordinare l'esercito. Questa fu la battaglia di Hobkirk, la quale si combattè addì 25 di aprile. Lord Rawdon, essendo al di sotto in cavalli, ed avendo fatto non leggiera perdita nella battaglia, in luogo di seguitar Greene, si era riparato di nuovo dentro le mura di Cambden. Quivi avrebbe voluto fermar le stanze, e ciò tanto più volentieri ch'ebbe ricevuto un rinforzo di genti sotto la condotta del colonnello Watson. Ma ebbe gli avvisi, che gli Americani levatisi a romore inondavano da ogni parte il paese; che già il Forte Watson aveva pattuito; e quei di Granby, di Orangeburgh e di Motte erano stretti d'assedio, dei quali quest'ultimo non era di poca importanza per esser posto presso la congiunzione dei due fiumi Congaree, e Santee, ed essere una notabile riposta di munizioni. Queste sinistre novelle operarono di modo nella mente del capitano britannico (imperciocchè tutti quei Forti erano posti alle sue spalle), che si risolvette ad abbandonare Cambden, ed a ritirarsi più sotto verso Charlestown. La quale risoluzione mandò ad effetto il giorno nove di maggio. Uguagliò al suolo le fortificazioni, trasportò in salvo tutte le artiglierie e le bagaglie, condusse seco le famiglie di quei leali, che per essersi ardentemente scoperti pel Re, erano in maggior odio venuti de' repubblicani. Arrivò tutto l'esercito a Nelson's-ferry sulle sponde del fiume Santee il giorno 13 dello stesso mese. Quivi avendo inteso, essersi gli Americani fatti padroni di tutti i Forti, che sopra abbiam nominato, levate le tende, indietreggiò vieppiù, ed andò a porre il campo a Eutaw-Springs. Greene veduto, che Rawdon, ritiratosi nelle parti disottane della provincia, si era levato del tutto dal pensiero di difendere le superiori, pose l'animo a voler conquistare i porti di Ninety-six, e di Augusta, che soli vi si mantenevano in nome del Re. Erano già questi due Forti assediati dalle milizie condotte dai colonnelli Pickens, e Clarke. Accostava Greene l'esercito alle mura di Ninety-six, e postosi intorno procedeva tosto a farvi intensissimamente lavorare all'oppugnazione. Nel che con grandissima laude si adoperò il colonnello Kosciusko, giovane polacco, desiderosissimo di veder bene di quella causa d'America. Eravi dentro, come castellano, il colonnello Cruger. Nel medesimo tempo Pickens campeggiava strettamente la Terra di Augusta, dentro la quale con non poca industria e valore si difendeva il colonnello Brown, che n'era conestabile. L'una e l'altra piazza erano molto forti, e ci voleva assai tempo per soggiogarle. Ma lord Rawdon, al quale incresceva il venir privo di quelle, e molto più il perdere le guernigioni, che le difendevano, avendo anche ricevuto in questo mezzo un rinforzo di tre reggimenti poco prima arrivati dall'Irlanda a Charlestown, si metteva in via per andare a disalloggiar il nemico da quelle Terre, e principalmente da quella di Ninety-six; perciocchè non avendo deliberazioni, se non difficili, e pericolose, amò meglio attenersi al partito più generoso. Strada facendo gli pervennero le novelle della perdita di Augusta, la quale combattuta forte da Pickens, e non avendo rimedio, si era arresa all'armi del congresso. Il qual caso fu all'animo suo un nuovo stimolo per conservare Ninety-six. Greene, riscaldando ogni ora più la nuova dell'avvicinarsi di Rawdon, conobbe ottimamente, che la qualità, ed il numero de' suoi soldati non erano di tal fatta, che potessero resistere, quando assaltati fossero nel medesimo tempo e dalla guernigione di Ninety-six, che saltasse fuori, e dai soldati freschi e desiderosissimi di gloria, che incontro gli venivano. Da un altro canto l'abbandonar l'assedio, prima che avesse tentato qualche onorata fazione contro la piazza, gli pareva troppo vituperevole partito. Per la qual cosa, sebbene i lavori dell'oppugnazione non fossero ancora a quel termine condotti ch'era necessario, e che malgrado, che già avesse sboccato nel fosso, e si fosse colle zappe avvicinato ad un bastione, tuttavia le fortificazioni rimanevano pressochè intiere, si determinò a voler dar la battaglia alla Terra. Poco sperava in quella condizione di cose di poterla conquistare. Ma confidava almeno di potersene andare in modo, che le armi americane ricevessero minor percossa nella riputazione. Fu battuta con grande impeto la Terra dagli Americani, e con ugual valore difesa dagl'Inglesi. Ma, veduto Greene, che non profittava cosa nissuna; che per lo contrario molti de' suoi erano morti dalle artiglierie nei fossi non ancora appianati, fatto suonare a raccolta, gli ritirò agli alloggiamenti. Poco dopo la ributtata, essendo già vicino Lord Rawdon, stendava, e si ritirava, perseguitandolo i reali inutilmente, al di là dei fiumi Tigre, e Broad. Il capitano del Re entrato in Ninety-six, ed attentamente esaminata la qualità dei luoghi, venne in questa sentenza, che la Terra non si potesse tenere. E perciò, messosi di nuovo in cammino, e procedendo verso le parti più basse della Carolina, andò a porsi con tutte le sue genti a Orangeburgh. Veniva Greene, fatto ardito dalla ritirata di Rawdon, per annasarlo in questa ultima città. Ma trovatolo grosso, ed acconciamente alloggiato dietro le giravolte del fiume, si ristè, ed andò a metter campo sulle alte colline del Santee. Sopraggiunse quindi la stagione caldissima e malsana; e nacque per essa quella cessazione dalla guerra, alla quale la rabbia degli uomini per sè stessa non avrebbe voluto consentire. Sospese in tal modo le ire guerresche, si accesero vieppiù le civili, e queste furono molto più dagl'Inglesi, siccome perdenti, esercitate, che non dagli Americani. Tra gli altri successe un caso molto compassionevole, e che a grandissima rabbia ebbe tutta l'America concitato, specialmente i Caroliniani; e questo fu una esecuzione, che fecero i reali contro di un gentiluomo benissimo nato, e di ottimi costumi fornito. Era il colonnello Isacco Hayne stato ardentissimo nell'americana impresa, ed a' tempi dell'assedio di Charlestown aveva militato sotto le insegne di una banda paesana a cavallo. Venuta poi quella città in poter dell'esercito regio, Hayne, non bastandogli l'animo di abbandonar la propria famiglia, la quale tenerissimamente amava, per andarsene in istrani luoghi cercando rifugio contro la rabbia dei conquistatori, e conoscendo, che ad altri uffiziali americani era stata concessa la facoltà di rimanersene quieti alle case loro, purchè dessero la fede di non offendere gl'interessi del Re, se ne venne in Charlestown, ed ivi si constituì volontariamente presso i generali britannici prigioniero di guerra. Ma questi, ai quali non era ascoso, quanto fosse l'ingegno suo, e quanta l'autorità, ch'egli esercitava presso i popoli, desiderarono di averlo del tutto in poter loro, e non vollero riceverlo in quel grado, ch'era venuto a domandare. Gli fecero perciò intendere, ch'egli aveva a diventare suddito britannico, ovvero ad essere in istretta prigione rinchiuso. Questo avrebbe Hayne potuto sopportare; ma non gli sofferì l'animo d'essere dalla sua moglie, e da' suoi figliuoli sì lungo spazio disgiunto, e tanto meno, quanto che sapeva, che infuriava fra di essi il vaiuolo, dal quale eziandio furono, poco dopo, quella, e due di questi ad immatura morte condotti. Nè gli sfuggiva, che se non consentisse alla inchiesta britannica, ne sarebbero state le proprietà sue dalle sfrenate soldatesche poste a ruba ed a sacco. Nella durissima alternativa l'amor di padre e di marito tanto in lui operarono, che consentì a rivestirsi della qualità di suddito inglese. Solo pregò, non potesse venir obbligato a combattere coll'armi in mano contro i suoi; la qual cosa gli fu dal generale inglese Patterson, e dal Simcoe, sovrantendente di polizia in Charlestown, costantemente promessa ed affermata. Ma primachè si fosse al pericoloso passo risoluto, se n'era a trovar il dottor Ramsay andato, quegli, che scrisse poi la storia della rivoluzione d'America, pregandolo, gli fosse in ogni caso avvenire testimonio, che non intendeva a patto nissuno la causa dell'America abbandonare. Sottoscritta la obbligazione di leanza, fu lasciato ritornare alle case sue. Intanto essendosi vieppiù la guerra riscaldata da ambe le parti, e gli Americani, che erano stati debellati e vinti, riavutisi e comparsi essendo di nuovo più arditi che prima in sui campi, i capitani del Re nulla curando la promessa fatta all'Hayne, gl'intimarono, pigliasse le armi, seco loro si congiungesse, andasse a combattere quelle nuove teste di repubblicani. Non volle. Arrivarono poscia nel paese i soldati del congresso; gli abitatori del suo distretto si sollevarono, lo elessero a capitano loro. Non credendosi egli più oltre obbligato a serbar quella fede agli altri, che gli altri, siccome gli pareva, non avevano voluto serbar a lui, consentì alle voglie dei suoi terrazzani, e vestì di nuovo quelle armi, che la necessità gli aveva fallo deporre. Venne poscia coi corridori ad infestar la contrada attorno Charlestown, dove, incappato in un agguato tesogli dai capitani del Re, fu preso, condotto nella città, e gettato in fondo di una oscura e schifa prigione. Fu dannato a morte dal lord Rawdon e dal colonnello Balfour, comandante di Charlestown, e ciò senza niuna forma di giudiziale processo. La qual cosa parve a tutti, qual era veramente, non solo enorme, ma barbara; imperocchè perfino ai disertori siano concesse le solite forme dei processi, e le difese; dal qual benefizio solo le spie sono state dalle leggi della guerra escluse. Tutti, e repubblicani, e reali per le virtù sue il compassionavano, e voluto avrebbero salvargli la vita. Nè solo nei desiderj vani si contennero; chè anzi molti fra i leali, e lo stesso governatore per parte del Re venuti in presenza di Rawdon con grandissime instanze intercedettero in favor del condannato. Le gentildonne di Charlestown con ogni maniera di più umili, e di più efficaci parole scongiurarono, gli fosse condonato. I figliuoli suoi ancor fanciulli con orrevole accompagnatura de' più prossimi parenti, conciossiachè il crudel morbo avesse testè la madre di questa vita tolta, tutti sordidati e vestiti a bruno, ginocchioni si appresentarono avanti Rawdon, supplichevolmente della vita dell'infelice padre addomandandolo. Tutti i circostanti con dirotte lagrime secondavano gli effetti dei pietosi preghi. Rawdon e Balfour non vollero a patto nissuno mitigare la severità del giudizio. Vicino Hayne all'essere condotto all'ultimo passo fe' venire al cospetto suo il suo figliuolo primogenito, allora in età di tredici anni constituito, gli rimesse certe scritture da esser porte al congresso; poi gli disse; _tu verrai al luogo del mio supplizio; là riceverai il corpo mio, e farailo interriare nella sepoltura dei nostri maggiori._ Menato al patibolo, preso con affettuose parole l'ultimo congedo dai dolenti amici, che gli stavano intorno, incontrò la morte con quella stessa costanza, colla quale era vissuto. Fu egli del pari dabben uomo, amorevole padre, benvogliente cittadino, valoroso soldato. E certo se le smoderatezze de' principi, o l'impazienza dei popoli rendono qualche volta inevitabili le rivoluzioni negli Stati, bene è da deplorarsi, che le prime e principali vittime ne siano per lo più i migliori, i più ragguardevoli, i più onorandi cittadini. Preso questo crudel supplizio d'un uomo tenuto in sì gran concetto, onde tutta la città rimase intenebrata, e pregna di vendetta, se ne partì Lord Rawdon alla volta dell'Inghilterra. Chechè si debba della giustizia di quest'atto dei capitani britannici pensare (abbenchè in ogni tempo l'estrema giustizia sia stata riputata estrema ingiustizia), essendo esso stato tratto ad esecuzione, allorquando le cose loro già erano in tanta declinazione, parve alla maggior parte piuttosto uno sfogo di un nemico aontato dalle perdite, che l'effetto di una giusta legge. Fieramente ne adirarono gli Americani, e quegli odj, che già sì acerbi erano, vieppiù si rinfuocolarono. Gli uffiziali di Greene gli addomandarono, usasse le rappresaglie, protestando di esser pronti a sottomettersi a tutte le conseguenze, che ne sarebbero nate. Perilchè ei mandò fuori un bando, col quale minacciò di rappigliarsi della morte di Hayne sulle persone degli uffiziali britannici, che gli verrebbero alle mani. Così la guerra, già di per sè stessa tanto crudele, la diventava ancor di vantaggio per le tracotanti ire degli uomini. Greene in questo mezzo tempo non era stato ozioso nel suo campo sulle colline del Santee; chè anzi con ogni industria si era affaticato nel rifar genti, e con ispessi armeggiamenti le veterane confermare, le nuove ammaestrare nell'arte delle fazioni militari. Nè la sua diligenza era rimasta senza effetto. Fatte venire al suo esercito le bande paesane dei contorni, venne a raccozzare un novero di un esercito giusto, ottima gente, ed infiammatissima contro gl'Inglesi. Diventato poderoso, ed essendosi già in sull'entrar di settembre rinfrescata la stagione, si determinò ad andare ad assalir gl'Inglesi, e cacciargli del tutto da quelle poche Terre, che tuttora possedevano nella Carolina fuori della città di Charlestown. Fatta adunque una grande aggirata all'insù, passava il fiume Congaree, e poscia scendeva a gran passo sulla destra riva, spingendosi per la diritta con tutto l'esercito contro gl'Inglesi, i quali sotto la condotta del colonnello Steewart avevano posto il campo loro a Macord's-ferry, luogo situato presso la congiunzione di quel fiume medesimo col Santee. I regj intesa la mossa di Greene, vedendosi venir all'incontro un nemico così grosso, e fornitissimo massimamente di corridori, e trovandosi troppo lontani da Charlestown, donde traevano le provvisioni, abbandonato Macord's-ferry si ritirarono più sotto Eutaw-springs, dove attendevano ad affortificarsi. Gli seguitò Greene, e ne nacque gli otto di settembre la battaglia di Eutaw-springs. Aveva il capitano del congresso indrappellato le sue genti, dimodochè la vanguardia fosse composta delle milizie delle due Caroline, e la battaglia di stanziali caroliniani, virginiani e marilandesi. Il colonnello Lee colla sua legione proteggeva il fianco diritto, ed il colonnello Henderson il sinistro. Il colonnello Washington co' suoi cavalli, ed i Delawariani seguitavano alla coda. Questi, come schiera di sovvenimento, dovevano fare spalle alle prime in caso di rotta. Le artiglierie procedevano a fronte delle due prime schiere. Il capitano inglese arringò i suoi in due file, la prima delle quali era difesa sulla dritta dal rivo Eutaw, e sulla stanca dalle vicine selve; la seconda, quale schiera di riscossa, si era fatta attelare sopra di un poggio per guardar la strada per a Charlestown. Si mescolarono dapprima i corridori dell'una e dell'altra parte. Poscia, ritiratisi dietro gli altri, si appiccò la zuffa molto aspra tra le genti di più grave armatura. Si pareggiò buona pezza la battaglia; ma finalmente le milizie caroliniane, cedendo il luogo, disordinate si ritirarono. Quella parte delle genti regie, che formavano la sinistra ala della prima fila, lasciati i luoghi loro, gli tenevano dietro. Il che fu cagione, che un poco si scompigliarono gli ordini, e non poterono combattere di compagnia coll'altra parte della fila. Si giovarono tosto i repubblicani del fallo commesso dai reali. Greene si spinse innanzi colla seconda schiera, e gli assalì con sì grande e forte animo, che incontanente gli ruppe e fugò. Per accrescere la rotta, ed impedire agl'Inglesi, che non si riordinassero, Lee co' suoi cavalli, girato loro all'intorno sul sinistro fianco, gli assaltò alle spalle. Allora non vi fu più modo alcuno allo scompiglio, ed alla fuga dell'esercito britannico. La destra ala però manteneva tuttavia la battaglia. Ma Greene operò di modo, che fu ferita da fronte molto aspramente dagli stanziali marilandesi e virginiani, e da fianco dallo squadrone del Washington. Tutti allora disordinati andarono in fuga. Così tutto l'esercito regio, voltate le spalle, e cogli ordini scomposti, si ritraeva verso gli alloggiamenti. S'erano gli Americani già fatti padroni di alcune artiglierie, avevano presi molti prigionieri, e parevano essere intieramente in possessione della vittoria. Ma gli eventi della guerra dipendono troppo spesso dal voler della fortuna; ed i soldati, che sono con ottima disciplina informati, sanno sovente in mezzo al disordine rannodarsi e ricuperar quello, che già parevano avere irrevocabilmente perduto; del che se ne vide nella presente battaglia un manifesto esempio. I regj in mezzo a tanto perturbamento degli ordini loro si gettarono dentro ad una grossa, e bene fondata casa, e là rattestatisi facevano una disperata difesa. Altri si raccozzarono dentro una folta e pressochè impenetrabile boscaglia, ed altri dentro di un giardino impalizzato. Quivi si rinnovò la battaglia più sanguinosa che prima. Fecero gli Americani tutto ciò, che per valenti soldati si potè per isbarbar il nemico da quei nuovi posti. Diedero la batteria con quattro cannoni alla casa; Washington sulla dritta si sforzò di entrare nella boscaglia, Lee nel giardino. Tutto fu nulla; vi si difesero gl'Inglesi sì valorosamente, che ne fecero tornare indietro con grave danno i repubblicani. Il colonnello Washington istesso ne fu ferito e fatto prigioniero. La pressa, l'abbattuta e la mortalità furono grandi, principalmente presso la casa. Steewart intanto, avendo riordinata la sua ala dritta, la spinse avanti, e fattala girare a stanca, urtò all'improvviso i soldati di Greene sul loro sinistro fianco. La qual cosa vedutasi dal generale americano, siccome pure la strage de' suoi, che la magione assaltato avevano, disperato di poter più spedire questo nodo, fe' suonar a raccolta, e ritirò le sue schiere ai primi alloggiamenti, poche miglia distante dal campo di battaglia. Perchè si sia ritirato sì lungo spazio, lo attribuisce alla mancanza delle acque. Condusse seco da cinquecento prigionieri, e tutti i suoi feriti, eccetto quelli, che si trovarono troppo vicini alle mura della casa. Perdè due cannoni. Gl'Inglesi se ne stettero tutto il giorno negli alloggiamenti loro. La notte, levatisi da quel campo, andarono a porsi più sotto a Monk's-corner. Scrivono gli Americani, avere i reali per la fretta sparsi a terra i liquori spiritosi, e rotto e nascosto nelle fonti di Eutaw molte armi. Perdè Greene in questo fatto tra feriti, morti e prigionieri meglio di seicento soldati; Steewart, noverando anche gli smarriti, molti più. Fu grande il valore mostrato in questa giornata dai repubblicani, i quali impazienti diventati di battaglia manesca, tosto ne vennero alle bajonette, l'uso della quale arme, se tanto temettero ne' principj della guerra, ora fatti più arrisicati facevano, che altri lo temesse. Rese il congresso immortali, e pubbliche grazie ai combattitori della giornata di Eutaw-springs, e presentò con uno stendardo conquistato, ed una medaglia d'oro il generale Greene. Poco tempo dopo, ricevuti alcuni rinforzi, seguendo con molto ardore la fortuna vincitrice, scendè nelle parti più basse incontro agl'Inglesi, e mostratosi nelle vicinanze di Monk's-corner e di Dorchester fece di modo, ch'eglino, impotenti al resistere, si rintanarono del tutto dentro la città di Charlestown. Solo facevano correre la contrada intorno dai loro speculatori, e foraggieri; ma però non si allargavano molto, perchè Greene prevalendo soprattutto di soldati leggieri gli frenava, e, correndo pel paese, disturbava le vettovaglie. In questo modo fu posto fine alla meridional guerra, e Greene dopo una lunga ed aspra contesa, e con molta maestria di guerra ricuperò alla lega tutte le due Caroline e la Giorgia, solo eccettuate le due città capitali dell'una e dell'altra provincia, le quali tuttavia obbedivano agl'Inglesi in un coi territorj più vicini alle mura. Tali furono i frutti della risoluzione presa da lord Cornwallis a Wilmington di portar le armi sue contro la Virginia. Ma molta lode si debbe a Greene, il quale venuto, scambiando Gates, al governo dell'esercito del mezzodì, quando le cose vi erano non solamente in declinazione, ma quasi disperate, le ristorò di modo coll'attività sua, coll'ingegno e coll'ardire, che i suoi, da vinti diventarono vincitori, i popoli sfiduciati confidentissimi, e la fortuna inglese testè sì promettente non trovò altro scampo, se non dentro le mura di Charlestown. E se fu valoroso capitano, si mostrò del pari integro cittadino, uomo gentile e cortese, amorevole amico. Ei fu tale che superò l'invidia colle sue virtù, e giovando alla patria sua, ed ogni cosa governando, e massime sè stesso, con mirabile modestia, fu degno che la fama trasmettesse immaculato il suo nome alla posterità. Ma nella Virginia iva Arnold mettendo a sacco, ed a ruba sì le cose del pubblico, come quelle dei privati, quasi che volesse al tradimento accoppiare la crudeltà. La qual cosa, siccome da noi già si è notato, ad altro fine non era stata dai Capi britannici ordinata, se non se per cooperare coll'armi di Cornwallis nelle Caroline, e per turbare e dividere i disegni, e le armi del nemico. Imperocchè lo stabilire alla divozione del Re la Virginia con sì poche genti, non era cosa che si potesse non che eseguire, sperare. Ma intanto la fortuna dimostratasi contraria a Cornwallis, posto avea Arnold in un grandissimo pericolo, e già le milizie virginiane levandosi a romore tutto all'intorno lo avevano costretto ad abbandonare la campagna, ed a ritirarsi di tutta carriera a Portsmouth, dove attendeva a fortificarsi. Da un altro canto Washington, che stava continuamente in orecchie, conoscendo, quanto gli Americani desiderassero il sangue del traditore, aveva fatto il pensiero di serrarlo per terra e per mare, dimodochè non gli potesse sfuggire dalle mani. A questo fine aveva speditamente mandato alla volta della Virginia il marchese de La-Fayette con dodici centinaia di fanti leggieri; ed anche operò di modo coi Capi delle forze francesi nell'Isola di Rodi, che questi fecero uscire un'armata di otto navi di fila, perchè andassero a serrare il passo ad Arnold nel Chesapeack. Ma gl'Inglesi avendo avuto pronto avviso della cosa, salparono dalla Nuova-Jork con otto somiglianti navi sotto la condotta dell'ammiraglio Arbuthnot, ed incontrarono i Francesi presso il capo Enrico. Ne seguì una grossa affrontata, in cui le due armate ricevettero a un dipresso uguale danno. Questi ultimi però ne furono costretti ad abbandonar l'impresa loro, e di ritornarsene all'Isola di Rodi. Il che uditosi da La-Fayette, il quale già era giunto in Annapoli di Marilandia, se ne andò di là a capo d'Elk. Così scampò Arnold da un grave pericolo. A questi dì i capitani del congresso avevano mandato un trombetto, o caporale, o sergente, ch'ei si fosse, al mastro padiglione d'Arnold per ivi fornirvi alcuna bisogna appartenente all'esercizio della guerra. Porta la fama, che avendogli il traditore chiesto, che cosa avrebbero di lui fatto, se preso l'avessero, colui gli desse questa subita risposta: _Se t'avessimo pigliato quella gamba, che ti fu guasta, quando stavi ai soldi della repubblica, l'avremmo seppellita con ogni dimostrazione d'onore; il rimanente del corpo tuo l'avremmo impiccato._ Clinton, conosciuto il pericolo, che aveva portato Arnold, e dubitando, che i confederati non ottenessero un'altra volta quello, che ora avevano tentato invano, mandò tosto in soccorso suo il generale Phillips con due migliaia di soldati. Accozzatisi insieme Phillips e Arnold, di nuovo corsero la provincia, depredando ed ardendo ogni cosa. A Osborn distrussero un numeroso navilio con molti ricchi arnesi, e merci, massime tabacco. Il Barone di Steuben, il quale governava i repubblicani, avendo poche genti, non era abile al resistere. In fine arrivava il marchese co' suoi, e colla presenza sua ebbe preservato la ricca città di Richmond. Quivi però gli fu forza prospettar l'incendio della città di Manchester, posta sulla destra riva del fiume James, rimpetto a Richmond, alla quale i regj a bello studio avevano appiccato il fuoco. Ma la guerra, finora vaga e sparsa, già si volgeva ad un solo e determinato fine. Aveva Phillips ricevuto le novelle, che Cornwallis si avvicinava, e già era presso ad arrivar a Pietroburgo. La-Fayette anch'egli aveva avuto fumo di quello, che succedeva. Per la qual cosa l'uno e l'altro capitano si affrettavano per arrivare, prima delle genti ritornate dalla Carolina, a Pietroburgo; il primo per ivi congiungersi con Cornwallis, il secondo per questa congiunzione impedire. Prevalsero gl'Inglesi, e posto piede dentro la Terra vi si alloggiarono. Quivi Phillips assalito da mortal febbre passò di questa vita con infinito desiderio de' suoi, che molto per la perizia nelle cose militari il riputavano. Arrivò Cornwallis, dopo d'aver corso con infinito disagio trecento miglia, a Pietroburgo, e si recò in mano il governo di tutte le genti. L'esser la Virginia fatta sede della guerra molto rinvergava coi disegni, che i ministri britannici avevano fatto sopra di questa provincia. Tostochè pervennero in Inghilterra le novelle della vittoria di Guilford si erano i ministri fatti a credere, che le due Caroline fossero intieramente ridotte nella potestà del Re, e che poco più vi rimanesse a fare altro, che ordinarvi il consueto reggimento civile. Non dubitavano, che quello a che le armi di Cornwallis avevano aperta la strada, non fossero i buoni ordini per compire. Soprattutto un grandissimo fondamento facevano sui leali, siccome quelli, che malgrado tant'infelici sperimenti, e tante false speranze molto tuttavia se ne stavano alle baie, ed alle novelle dei fuorusciti soliti sempre a confortarsi cogli aglietti. Pertanto coll'opera di questi leali, col romore delle vittorie di Cornwallis, e con pochi presidj, che intendevano di lasciare qua e là ne' luoghi più acconci, avevano speranza, che i libertini delle Caroline sarebbero stati impediti dal tentar cose nuove, e che queste due province sarebbero nella pristina obbedienza raffermate. Rispetto poi alla Virginia, siccome dall'un de' lati ella è molto frequente di grossi e profondi fiumi, e di golfi mediterranei, e dall'altro credevano, che colle navi mandate nell'acque d'America dall'ammiraglio Rodney dalle Antille, avrebbero potuto la navale superiorità in quelle medesime acque conservare, così dubbio alcuno non avevano, ch'ella si potesse, se non intieramente conquistare e soggiogare dall'armi del Re, almeno sì fattamente molestare, e nelle sue viscere stesse percuotere, che molto ne increscesse agli Americani, ed affatto inutile diventasse alla lega. A questo fine avevano disegnato, che i capitani da terra scegliessero un luogo comodo sulle spiagge virginiane, e con ogni maggior diligenza lo affortificassero, perchè potesse diventare un posto sicurissimo contro le offese del nemico. Con questo, e colle prepotenti armi marittime stimavano di diventare del tutto padroni della Virginia; e da un'altra parte per le sopra narrate cagioni erano confidentissimi dell'intiera possessione delle Caroline, siccome pure della Giorgia. Nè temevano per queste ultime gl'insulti delle armi navali nemiche, essendo le spiagge loro importuose, e quei pochi porti più comodi che vi sono, trovandosi in mano dei soldati del Re. In questo stato di cose, essendo padroni delle quattro ricche province poste a mezzodì, siccome anche di quell'altra non meno ricca, che opportuna pei porti, della Nuova-Jork, opinavano, che gli Americani si sarebbero finalmente dati vinti per istracca, o che anche si sarebbe potuto la guerra offensiva proseguire. Così argomentavano, non sapendo ancora, che le armate inglesi sulle spiagge dell'America erano non che al di sopra, al di sotto: che le Caroline in luogo di essere in balìa del Re, erano tornate quasi intieramente all'obbedienza del congresso; e che se veramente Cornwallis era arrivato nella Virginia, là era giunto piuttosto, nonostante il fatto di Guilford, in sembianza di vinto, che di vincitore. Intanto Cornwallis, avendo soprasseduto alcuni giorni a Pietroburgo, e ricevuto un rinforzo di parecchie centinaia di soldati mandatigli dalla Nuova-Jork da Clinton, deliberò di passare il fiume James, e di correre le parti più interne della Virginia. Poco timore aveva, che a quei dì i confederati se gli potessero opporre, essendo le forze loro parte deboli, parte disgiunte. Poichè il Barone di Steuben alloggiava nelle parti superiori della provincia, il marchese nelle inferiori, ed il generale Wayne, il quale era in via cogli stanziali della Pensilvania, era tuttavia ancor lontano. Per la qual cosa il capitano britannico varcò facilmente il fiume a Westover, essendosi il marchese ritirato dietro il Chickahomini. Di là mandò una banda a pigliar possessione di Portsmouth, dove venivano i leali, e quei, che volevano parer tali, a promettere obbedienza al Re. Egli poi foraggiava largamente nella contea di Hannover. Ivi ebbe avviso, che molti fra i più riputati uomini del paese avevano fatto un convento a Charlotteville per ivi accordare tra di loro alcune bisogne dello Stato; e che il Barone di Steuben si era posto alla punta di Fork, che è un luogo situato presso la diramazione del fiume James tra la Fluviana e la Rivana, e che vi aveva in custodia buona quantità di armi e di munizioni. Queste cose lo mossero, oltrechè la contrada per non avere ancor sentito le armi inglesi era abbondante di ogni cosa, prima che tentasse altre fazioni, di fare quelle di Charlotteville, e della punta di Fork. Commetteva la prima a Tarleton, la seconda a Simcoe. L'una e l'altra ebbero felice fine. Arrivò il primo, per aver marciato senza resta, e di buono andar di galoppo, sì improvviso in quella città, che pose le mani addosso a molti deputati, e s'impadronì di una notabile quantità di fornimenti sì da guerra che da bocca. Ma quello, che più gli premeva di avere in poter suo, non potè arrestare, e questi fu Tommaso Jefferson, il quale veduto dalle sue case venir gli uomini d'armi inglesi, si pose in salvo, non senza però aver fatto prima sgomberare, con molta fatica e propria e de' suoi, a luoghi sicuri buona copia d'armi e di munizioni. E se Tarleton si era della benignità degli altri suoi commilitoni doluto, nissuno potè dolersi della sua; imperciocchè da rapace ed insolente, rapacissimo ed insolentissimo diventato, niuna cosa avendo nè santa, nè sicura, le rapiva e profanava tutte quante. Dall'altro canto Simcoe si era, camminando più che di passo, approssimato a Steuben. Questi non so per quale ubbìa, perciocchè avrebbe potuto difendersi agevolmente, ma certo con precipitoso consiglio si ritirò prestamente. Non potè però fare in modo, che l'Inglese nol sopraggiungesse, e tagliasse a pezzi una parte del suo retroguardo. Quando Tarleton e Simcoe furono ritornati al campo, Cornwallis, camminando in una contrada fertile e ricca, mosse l'esercito a Richmond, e poco poscia a Williamsburgo, città capitale della Virginia. I suoi corridori però non potevano più foraggiare e buscar alla libera; perciocchè La-Fayette congiuntosi con Steuben, e cogli stanziali pensilvanesi condottigli da Wayne, era diventato sì grosso, che gl'incalzava vicino, e gli opprimeva, se si sbrancavano. In questo tempo pervennero a Cornwallis ordini da Clinton, perchè gli mandasse alla Nuova-Jork una parte delle sue genti, sepperò non avesse allora per le mani alcuna impresa d'importanza. Aveva Clinton avuto lingua dell'approssimarsi dei confederati, e dubitava di qualche gran nembo, che gli venisse scoccare addosso. Perciò temeva della Nuova-Jork, dell'Isole degli Stati, e Lunga, per difender le quali egli era troppo debole. Cornwallis, per mandare ad effetto le commissioni del capitano generale, avviò le sue genti verso le rive del fiume James, per poscia, varcato che lo avesse, recarsi a Portsmouth, dove avrebbe i richiesti soldati imbarcato per alla Nuova-Jork. Ma siccome instava ferocemente alle spalle il marchese de La-Fayette, gli fu mestiero fare un po' di fermata sulla sinistra riva del fiume, e pigliar ivi un forte luogo, affine di arrestar l'impeto del marchese, e dar tempo a' suoi, trasportassero sull'altra riva le armi, le munizioni e le bagaglie. Pose adunque gli alloggiamenti poco lungi dal fiume in luogo forte, avendo sulla dritta uno stagno e nel mezzo, e sulla stanca paludi. Intanto la vanguardia americana guidata da Wayne si era avvicinata. Gl'Inglesi mandarono avanti spie, perchè facessero credere agli Americani, che già il grosso delle genti del Re avevano passato il fiume, e che solo rimaneva sulla sinistra un debole retroguardo consistente nella legione britannica, ed alcuni fanti. Ossiachè i repubblicani si lasciassero pigliare a questo tranello, ovvero che si lasciassero troppo trasportare al valor loro, diedero dentro, ed assalirono con molta furia i reali. Già gli stanziali della Pensilvania guidati da Wayne avevano passato la palude, e fieramente incalzavano l'ala sinistra dei reali; e nonostante che questi fossero assai più numerosi, sostenevano però i primi la battaglia con molto valore. Ma intanto si erano gl'Inglesi, oltrepassato lo stagno, spinti contro l'ala sinistra, e, fugatala facilmente, perciocchè erano milizie, si mostrarono sul fianco sinistro di Wayne. Nel medesimo tempo, distendendosi sulla sinistra loro oltre la palude, avevano spuntato il suo fianco destro, e facevano le viste di volerlo accerchiare da ogni banda. La qual cosa, vedutasi dal marchese, ordinò tosto a Wayne, si tirasse indietro. Il che fece egli, lasciando però due bocche da fuoco in poter del nemico. La-Fayette soprastette buona pezza a Green-springs per raccorre i suoi. Cornwallis se ne tornò a' suoi alloggiamenti. Non potè perseguitare il nemico, perchè era sopraggiunta la notte, ed il paese era difficile pei luoghi boscati e paludosi. L'indomani prima del far del dì ordinò a' suoi cavalli, seguitassero il marchese, e, noiandolo alla coda, gli facessero tutto quel male, che potessero. Il che eseguirono con niun altro effetto, che quello d'intraprendere alcuni de' suoi soldati, ch'erano rimasti indietro. Forsechè, se Cornwallis avesse spinto il giorno seguente alla battaglia tutto il suo esercito contro i repubblicani, gli avrebbe condotti ad un totale sterminio. Ma molto gli stava a cuore il recarsi prestamente a Portsmouth, per ivi, giusta i comandamenti di Clinton, imbarcar le genti per alla Nuova-Jork. Varcato con tutte le sue genti il fiume, giunse Cornwallis a Portsmouth, e fatta una diligente considerazione dei luoghi, trovò, che a patto nessuno non vi si poteva fare un alloggiamento, che forte fosse, e tutti quei disegni riempisse, che vi aveva fatto sopra il generale Clinton. Intanto si adoperava diligentemente ad imbarcar le genti. Gli pervennero in quel mentre nuove commissioni da Clinton, che recavano, ritornasse a Williamsburgo, ritenesse le genti, fortificasse invece di Portsmouth il posto di Old-point-comfort, perchè avesse in qualunque caso un sicuro ricetto. Della quale novella risoluzione del capitano generale fu cagione dall'un canto l'aver ricevuto dall'Europa un rinforzo di tremila Tedeschi, dall'altro il desiderio, che aveva di aver la via aperta per mezzo della strada di Hampton e del fiume James verso di quella fertile e popolosa parte della Virginia, ch'è posta tra i due fiumi James e Jork. Ma fatto esaminare attentissimamente la positura de' luoghi a Old-point-comfort si trovò, che anche questo era un luogo impertinente a porvi il campo, e che non poteva meglio di Portsmouth rispondere a quei fini, che si sarebbero voluti ottenere. Laonde abbandonossi del tutto il pensiero di porvi le stanze. Ma siccome per le future operazioni della guerra si voleva ad ogni modo avere un alloggiamento fermo nella contrada mezzana tra i due fiumi soprannominati, così Cornwallis, ripassato con tutto il suo esercito il James, se ne iva a mettere il campo a Jork-town. Non potè il marchese noiare il nemico, mentre s'imbarcava, perchè gli Americani, ch'erano nel suo campo, non vollero consentire a correre più sotto sin verso Portsmouth. Egli è Jork-town un borgo posto sulla destra riva del fiume Jork rimpetto ad un altro più piccolo chiamato Glowcester, il qual è fondato sull'opposta riva sopra una punta di terra, che sporgendo indentro, molto ivi restringe il letto del fiume assai profondo, e capace di ricevere anche le più grosse navi da guerra. Scorre a dritta di Jork-town un rivo paludoso; da fronte, sino alla distanza di un miglio, il paese è largo e piano; oltre di questo s'incontra un bosco bagnato a stanca dal fiume, a dritta da un rivo. Oltrepassato il bosco, la campagna è aperta e coltivata. In questo luogo Cornwallis attendeva con grandissima diligenza a fortificarsi. Il marchese, il quale dopo il fatto di James-town si era riparato tra i due fiumi Mattapony e Pamunckey, i quali altro non sono, che i due rami, che poscia insieme uniti compongono il fiume Jork, udito delle nuove stanze prese da Cornwallis, passava un'altra volta il Pamunckey, ed iva a porsi nella contea di New-Kent; non che avesse in animo di assaltar l'Inglese, perciocchè a ciò fare era troppo debole, ma per tenerlo a bada, ed impedirgli l'andare in busca, ed il foraggiare. In tal modo de La-Fayette, al quale Washington aveva commesso la cura di difendere la Virginia, con mirabile industria volteggiandosi e tenne a bada Cornwallis, e lo combattè virilmente, e finalmente lo condusse in luogo, dove potesse trovar accesso il poderoso navilio di Francia, che fra breve si aspettava. Ma se sin qui si era la guerra di Virginia travagliata con varj, ma deboli accidenti, ora però quel disegno, il quale doveva con un gran fatto por fine a tutta l'americana guerra, diventava ogni dì, ed ogni ora più vicino al suo adempimento. Erano i Capi della lega in America informati, che il conte di Grasse colla sua armata, e con un rinforzo di genti da terra era prossimo ad arrivare, e non s'indugiarono a far tutti quei preparamenti, che necessarj credettero al poter trar profitto della prepotente forza, ch'erano per acquistare sì per terra, che per mare. Si abboccarono a questo effetto a Wither-field Washington e Rochambeau, al quale abboccamento doveva, secondo l'ordine preso, trovarsi anche presente il conte di Barras, che governava il navilio francese sorto a Nuovo-Porto nell'Isola di Rodi; ma quest'ultimo per alcune sue altre bisogne non potè intervenire. Si accordarono i due capitani di far l'impresa della Nuova-Jork, e rituffando quel presidio nel mare tor del tutto agl'Inglesi quel principal nido, che di tanta utilità era stato loro cagione in tutto il corso della guerra, ed era tuttavia. Le mosse, che poscia fecero, furono tutte consentanee a questa deliberazione, e sì appropriate, che, allorquando fosse giunto in quelle spiagge l'ammiraglio francese, si potesse subito por mano all'assedio della città. Ne entrò Clinton in tanto sospetto, che per questa sola cagione aveva, siccome si è detto, voluto rivocare una parte delle genti di Cornwallis, primachè avesse ricevuto quell'aiuto di Tedeschi. Sperava Washington di poter condur a buon fine l'impresa della Nuova-Jork, perchè era confidentissimo, che gli Stati, massime i settentrionali, soddisfatto avrebbero pienamente alle richieste, che loro erano state fatte, di fornir ciascuno un determinato numero di soldati. Ma sebbene avessero in parte adempiuti i desiderj del capitano generale, non avevano però mandato al campo tutte quelle genti, che avrebbero dovuto mandare, in guisa ch'egli, che aveva sperato di aver in questo gran bisogno un esercito di dodici in quindicimila soldati del paese, non si trovò ad aver altro, che quattro, o cinquemila stanziali, ed altrettanti soldati di milizia, od in quel torno. La fazione poi della Nuova-Jork doveva riuscire assai difficile, avendovi dentro Clinton un forte presidio di più di diecimila soldati; e non si poteva ragionevolmente credere di poterla fornire con sì poca gente. Oltreacciò aveva de Grasse fatto intendere, che stante gli ordini del suo Re, e gli accordi da lui fatti cogli Spagnuoli nelle Antille, non avrebbe potuto sulle coste dell'America rimanere oltre la metà di ottobre; e certamente sì breve intervallo di tempo non avrebbe bastato ad operare la conquista della Nuova-Jork. Finalmente si conosceva la ripugnanza, che gli uffiziali di mare, specialmente francesi, avevano a superar lo scanno per entrar nel porto di questa città. Tutti questi pensieri turbarono la deliberazione di Washington di assaltar la Nuova-Jork; e considerato, che sebbene a questa impresa per la pochezza delle sue genti non fosse capace, poteva però facilmente, e con molta speranza di prospero successo recarsi contro Cornwallis nella Virginia, a quest'ultimo partito si appigliò. Ma però siccome colle mosse già fatte aveva fatto nascere nella mente di Clinton il sospetto, ch'ei volesse recarsi contro la Nuova-Jork, così, malgrado che avesse volto l'animo ad un'altra impresa, volle continuare a nudrir in quello con altre, e più vive dimostrazioni il sospetto medesimo, e ciò a fine, che il capitano inglese non potesse apporsi, e penetrar nel suo segreto. Per la qual cosa, per condurlo più coloratamente nella trappola, scrisse lettere a parecchj de' suoi capitani, od agli uffiziali civili, nelle quali ei palesava il suo disegno di voler correre contro la Nuova-Jork, e poi artatamente le ebbe mandate per quelle vie, dove sapeva, che sarebbero dal nemico intraprese. La cosa allignava, e Clinton entrava ogni dì più in gelosia per quella sua città principale, e vi moltiplicava dentro le difese. Nel medesimo tempo era partito dall'Isola di Rodi il conte di Rochambeau con cinquemila Francesi, è già era giunto vicino al fiume del Nort. Si levava Washington dal suo campo di New-Windsor, ed andava ad incontrarlo sulla sinistra riva. Accozzatisi insieme ivano i confederati a campo a Philisburgo, come se correr volessero a Kingsbridge, ed entrar nell'isola stessa della Nuova-Jork. Vennero poscia a porsi effettualmente a Kingsbridge, ed andavano bezzicando i posti britannici or qua, or là tutto all'intorno dell'isola medesima. Nè contenti a questo gli uffiziali dei due eserciti accompagnati dagl'ingegneri andavano continuamente sopravvedendo dai due lati l'isola, raggiustando carte dei luoghi particolari, e formando piante di diversi posti, e perfino delle fortificazioni stesse, alle quali si accostarono a tiro d'artiglieria. Diedero anche voce, che fosse tosto per arrivar al Sandy-hook il conte di Grasse, e per far parere la cosa più verosimile, si erano i Francesi recati verso il Sandy-hook, e verso le coste prospettanti l'Isola degli Stati, come se avessero disegno di aiutar l'armata di Grasse a varcar quel passo, e ad entrar nel porto della Nuova-Jork. Tanto abbondarono con questi tranelli, che piantarono perfino una batteria alle bocche del fiume Rariton all'indentro del Sandy-hook. Raccolti tutti questi andari degli alleati, fece Clinton avviso, che volessero far impeto contro la Nuova-Jork, ed aspettava un vicinissimo assalto. Ma già era vicino il tempo, che doveva schiarire questa posta, e quella benda, che con tant'arte era stata avvolta intorno agli occhi del capitano britannico, pronta a sciorsi, ed a cadere. Quando ebbe Washington i certi avvisi, che il conte di Grasse non era più lontano dal Chesapeack, alle bocche del qual golfo ei sapeva, che questi aveva rivolto il cammino, passava improvvisamente il fiume Crotone, poscia quello del Nort, e traversata a gran passi la Cesarea, iva ad accamparsi a Trenton sopra la Delawara. Diè però voce, e fe' certe finte, che diedero a credere a Clinton, che questo motivo aveva fatto soltanto per trarlo dalla Nuova-Jork, e combatterlo con forze prepotenti alla campagna. Clinton, credendosi d'ingannar l'ingannatore, non uscì. Finalmente avendo il capitano della lega inteso, già essere le prue francesi vicine ad afferrare le americane spiagge, varcata con grandissima celerità la Delawara, ed una parte della Pensilvania, comparì improvvisamente a capo d'Elk, che è la testa del golfo Chesapeack. Un'ora dopo, e ciò se non fu destino espresso del cielo, fu certamente un maraviglioso appuntamento di bene ordita e concertatissima impresa, arrivò a piene vele alle bocche del golfo il dì 28 agosto il conte di Grasse con venticinque navi di allo bordo; e non sì tosto arrivato pose mano ad eseguire quella parte del disegno, che gli era stata commessa. Bloccava le bocche dei due fiumi James e Jork colle sue navi armate; questo per tagliare ogni corrispondenza per la via del mare a Cornwallis colla Nuova-Jork, quello per aprirne una al marchese de La-Fayette, il quale già si era recato agli alloggiamenti di Williamsburgo. A questo ultimo fine dubitando i confederati, che lord Cornwallis, accortosi di quell'agguato, che gli si andava tendendo tutto all'intorno, non corresse contro il marchese, ed oppressolo colla prepotente forza che aveva, non si salvasse verso le Caroline, per non corrompere la opportunità con la tardità, posti in sui legni minori da tremila soldati, molto buona e forbita gente, sotto la condotta del marchese di San Simone, fecero loro salire il fiume James, sicchè tosto si congiunsero coi soldati di La-Fayette. Così tutte le genti furono ridotte insieme a Williamsburgo. Ma siccome gl'Inglesi avevano molto fortificato Jork-town, e tuttavia lo fortificavano, così a volersene impadronire era necessaria una regolare oppugnazione, e perciò abbisognavasi di molte grosse artiglierie. Per questo era partito tre giorni prima dell'arrivo del conte di Grasse al Chesapeack dall'Isola di Rodi il conte di Barras con quattro navi di alto bordo, ed alcune altre minori, colle quali aveva levato tutti gli stromenti più necessarj all'oppugnazione delle piazze. E siccome non gli era nascoso, che gl'Inglesi stavano con una gagliarda armata nel porto della Nuova-Jork, così per non correr pericolo di esser intrapreso, il che avrebbe rotti tutti i disegni, e guaste tutte le speranze, si era molto allargato nell'alto mare, e segando le acque delle isole Bahame aveva il corso del suo viaggio dirizzato verso il Chesapeack. Intanto era arrivato alle bocche di questo golfo lo stesso giorno dei 25 agosto colle sue quattordici navi l'ammiraglio Hood, e non avendovi trovato, fuori dell'aspettazione sua, l'ammiraglio Graves, gli mandò tosto per una veloce fregata annunziando il suo arrivo, e senza por tempo in mezzo andò a congiungersi con lui con tutta la sua flotta nel porto di Sandy-hook il giorno vent'otto. Non aveva Graves, siccome da noi fu accennato, nissun avviso ricevuto del futuro arrivo di Hood, ed oltre di ciò erano state le navi sue con grave danno travagliate dai tristissimi tempi durante la crociata nelle acque di Boston, e perciò non erano a modo niuno pronte ad uscire. Nondimeno avendo egli, il quale come anziano si era recato in mano il governo di tutta l'armata, avuto tempestiva notizia della partenza del conte di Barras dall'Isola di Rodi, aveva con tanta sollecitudine fatto lavorare al risarcimento delle navi, che si trovò apparecchiato a salpare l'ultimo dì d'agosto. Uscì con diciannove navi d'alto bordo, e si avviò verso il Chesapeack, dove sperava di arrivare prima di Barras. Pare, ch'egli non avesse ancora nissuna contezza dell'arrivo del conte di Grasse in quel golfo. Ma non sì tosto potè scoprire di lontano il capo Enrico, che osservò l'armata francese, la quale consisteva in quel punto in ventiquattro vascelli, sorta di modo, che dal capo medesimo si distendeva sino allo scanno, che chiamano il _Middleground_. Si preparava incontanente alla battaglia, quantunque avesse meno cinque navi del suo avversario. Da un altro canto il conte di Grasse, veduto comparire l'armata inglese, levatosi con maravigliosa celerità d'in sull'ancore, ed entrato nell'alto mare veleggiava, acciò non perturbasse la speranza della vittoria, alla volta del nemico. L'intenzione dell'Inglese era di combattere una stretta battaglia, poichè la condizione del tempo era sì grave, che vi andava, se più si tardasse, tutta la fortuna dell'armi britanniche, ed il destino di tutta la guerra. Una totale sconfitta avrebbe per gl'interessi della Gran-Brettagna poco peggiori effetti partorito, che una battaglia larga e sciolta, la quale non potendo essere determinativa, avrebbe sempre lasciato i Francesi padroni del Chesapeack, e per conseguente Cornwallis nel medesimo pericolo. Ma il conte di Grasse, il quale aveva buono in mano, non voleva recare il giuoco vinto a partito, nè commettere all'arbitrio dell'incerta fortuna quello, che quasi già sicura preda teneva in poter suo. Nella qual risoluzione tanto più si confermò, che quindici centinaia de' suoi marinari non si trovavano sulle navi, impiegati essendo nel trasportar a terra i soldati di San Simone; e fu sì subita l'apparizione dell'armata inglese, che non ebbe tempo a fargli rimontare. Solo si proponeva d'intrattenere, e di dar tanto impaccio con affronti trascorrevoli, e lontani al nemico, che potesse Barras sicuramente arrivare nel Chesapeack. Con questi diversi pensieri andarono all'incontro l'uno dell'altro i due nemici ammiragli. Si appiccò la battaglia molto aspra tra le due vanguardie, nella quale però entrarono anche alcune navi del mezzo. I Francesi, i quali non volevano troppo mordere, nè essere morsi, avendo anche ricevuto non poco danno, si ritirarono indietro, e condussero la vanguardia loro a ricongiungersi colla restante armata. La prossimità della notte, e la vicinanza delle nemiche coste obbligarono l'ammiraglio inglese a desister dal cercar più oltre di mescolarsi col nemico. Fu fatto grave danno altresì alla sua vanguardia. I vascelli più malconci furono il Shrewsbury, il Montagu, l'Aiace, l'Intrepido ed il Terribile, che anzi quest'ultimo fu sì rotto, che, non potendovisi più aggottare, fu costretto Graves ad arderlo. Perdettero gl'Inglesi in questo fatto tra morti e feriti 336 soldati e marinari; i Francesi poco più di dugento. Continuarono a starsene le due armate l'una a riscontro dell'altra ancora pei quattro seguenti dì; ma godendo per lo più i Francesi il sopravvento, e sempre persistendo nella risoluzione di non volerne venire ad una battaglia giudicata, più non si attaccarono. Finalmente, quando il conte ebbe inteso, che Barras era entrato sano e salvo colle navi armate, e colle onerarie nel Chesapeack, si ritrasse dall'alto mare ed andò a riporsi nel golfo, dond'era partito. Volle anche la fortuna, in tutto contraria agli Inglesi, che, nell'atto del rientrar nella bocca di quello, due fregate l'Iride ed il Richmond, che si erano durante la sua assenza introdotte dentro per portare, sebbene ciò non sia loro riuscito, spacci a Cornwallis, tolte in mezzo dalle navi di Francia, rimanessero loro in preda Graves, avendo le navi sue fracassate essendo il mare diventato tempestoso, e venutogli meno il disegno d'intraprendere Barras, era alcuni giorni dopo ito ad apportare alla Nuova-Jork. Divenuti in tal modo i Francesi totalmente padroni del Chesapeack sbarcarono prima le armi e le munizioni portate dall'Isola di Rodi, poscia con grandissima sollecitudine si adoperarono a traghettar colle votate navi da carico, e colle più leggieri fregate l'esercito di Washington da Annapoli (imperciocchè a capo d'Elk non si era trovato in pronto sufficiente navilio per operare un tal passaggio) alle bocche del fiume James, e di là a Williamsburgo. Così fu tolta del tutto la campagna a Cornwallis, e le genti sue, ch'erano nel torno di settemila combattenti, si trovarono tutto ad un tratto per un mirabile concorso di prudenza umana, e di favorevole fortuna cinte da ogni intorno d'assedio, dalla parte di terra da un fiorito esercito di ventimila soldati, inclusi quattro migliaia di milizie, e da quella di mare, e per la via dei fiumi James e Jork da un'armata di circa trenta vascelli di alto bordo, e da una moltitudine di legni di minore grandezza. Tutto l'esercito dei confederati si era, come abbiam detto, raccolta dentro Williamsburgo, la qual città è lontana a poche miglia da Jork-town. Avevano però mandato una grossa banda di soldati, massimamente cavalli, sotto la condotta del signor de Choisy, e del generale Wieden a campo sulla sinistra riva del fiume Jork rimpetto Glowcester per impedire che di là gl'Inglesi non uscissero a foraggiare. Si erano i Francesi alloggiati sulla sinistra del campo a rincontro della dritta della città assediata, distendendosi dal fiume sino alla palude; gli Americani si eran posti sulla destra, e congiuntisi coi Francesi presso la palude, accerchiavano quindi la sinistra della città sino al fiume sotto la medesima. Avea Clinton, al quale sì grandemente era a cuore il soccorrere Cornwallis nello stesso tempo, in cui l'ammiraglio Graves si era recato verso il Chesapeack, mandato a fare una fazione nel Connecticut. Sperava, tenendo in sulle brighe questa provincia, farvi concorrere una parte dei nemici; poichè avvisava ottimamente, che rimanendo le forze loro intere attorno le mura di Jork-town, avrebbe agli assediati convenuto arrendersi. Era il fine della fazione l'acquisto della città di Nuova Londra, ricca e prosperante Terra, posta sulle rive del fiume Nuovo Tamigi. Fu l'impresa commessa ad Arnold, il quale poca prima era ritornato dalla Virginia alla Nuova-Jork. Era l'accesso del porto di Nuova Londra reso difficile da due Forti piantati sulle due opposte spiagge, dei quali uno chiamavano Forte Trumbull, l'altro Griswold. Sbarcati i regj la mattina molto per tempo, agevolmente si fecero padroni del primo. Ma intorno al secondo vi fu che fare assai. Vi s'era gettato dentro a molta fretta il colonnello Ladyard con una banda di milizie, ed il Forte stesso era gagliardo, consistendo in una murata quadrata con orecchioni ai quattro angoli. Andarono ciò nonostante i reali valorosamente all'assalto, il quale se fu feroce, non fu men'ostinata la difesa. Si combattè prima coll'armi da fuoco, poscia, quando gl'Inglesi pervennero, sebbene non senza gravissime difficoltà e notabile strage loro, sulle mura, colle picche molto arrabbiatamente. Entrati finalmente dentro gli assalitori ammazzarono e chi s'arrendeva, e chi resisteva. Arse quindi tutta la Terra; chi scrive a caso, chi a posta. Molte ricche navi vennero in potere di Arnold. Compiuta la bisogna, non vedendo gl'Inglesi farsi all'intorno alcun motivo in favore loro, anzi romoreggiandovi i popoli contro, se ne tornarono là, dond'erano partiti, non senz'aver prima miserabilmente lacerato tutto il paese, pel quale passarono. Fu questa spedizione dal canto loro una ladronaia del tutto inutile. Imperciocchè poterono bene a posta loro tempestare, e furiare nel Connecticut, che Washington, avendo questo movimento in piccolissimo concetto, non si lasciò smuovere dal suo proposito, sapendo benissimo, che a colui, al quale ne fosse andata la vittoria di Jork-town, ne sarebbe anche andata quella di tutta la guerra. In luogo di mandar genti nel Connecticut le faceva tutte riscontrare nella Virginia. Riusciti vani i due tentativi fatti per soccorrere Cornwallis, uno per mezzo della raccontata battaglia navale, l'altro per quello della fazione contro la Nuova Londra, Clinton raunò una Dieta di tutti i Capi dell'esercito e dell'armata, perchè tra di loro esaminassero e risolvessero quello che far si dovesse. Era a questo tempo arrivato dall'Europa alla Nuova-Jork l'ammiraglio Digby con tre vascelli d'alto bordo, ed inoltre un altro di pari portata vi era giunto con parecchie fregate dalle Antille. E sebbene, nonostanti tutti questi rinforzi, l'armata inglese non fosse ancora eguale alla francese, tuttavia, considerata la grandezza del pericolo, e l'importanza del caso, deliberarono i Capi britannici di porsi in mare, e correre in sovvenimento dell'assediato esercito. La qual cosa, premendo il tempo, avrebbe essi voluto fare immediatamente. Ma i racconci da farsi alle navi rotte dalla battaglia gl'impedirono. Sperarono però, che avrebbero potuto salpare ai cinque d'ottobre. Questo annunziò Clinton a Cornwallis per una scritta in cifera, la quale, malgrado l'estrema diligenza del nemico, gli fu il giorno 29 settembre ricapitata. Questa lettera operò di modo nella mente di Cornwallis, che, abbandonate tutte le difese esteriori, si ritirò del tutto dentro la piazza. Della quale risoluzione gli uomini intendenti della guerra molto, e secondo che a noi pare, molto meritevolmente il biasimarono, ed alcuni de' suoi capitani stessi ne lo avevano sconfortato; imperciocchè sebbene il capitano generale gli avesse annunziato, che aveva ogni ragione di sperare, gli aiuti sarebbero partiti dalla Nuova-Jork il dì 5 d'ottobre, ciò non di meno ei doveva considerare, che questa speranza per molte impensate cause poteva sfallire, e che ad ogni modo i viaggi marittimi sono più di ogni altra umana impresa soggetti agli accidenti della fortuna. Dal ch'egli è manifesto, che doveva ogni industria usare, ed ogni sforzo fare per mandar in lungo la difesa; ad ottener il quale intento le fortificazioni esteriori gli offerivano un mezzo molto efficace. Erano esse assai gagliarde; vi si era speso intorno incredibile fatica, e le genti erano a bastanza numerose, perchè potessero convenientemente difenderle. L'aver poi le genti medesime stivate dentro di una Terra, o per meglio dire di un campo trincerato, angusto per tanta moltitudine, le difese del quale erano tuttora imperfette, ed esposto per ogni dove, eccetto solo forse nel pendìo della collina verso il fiume, ad essere solcato dalle artiglierie del nemico, non fu certamente partito, che si possa lodare. Forse credette, che il restringersi, ed il ritirarsi in dentro, siccome pareva segno di timore, così sarebbe stato un nuovo sprone alla baldanza dei Francesi, perchè andassero subito all'assalto, del quale non dubitava punto di avere una compiuta vittoria. Ma Washington era altrettanto prudente, quanto animoso; ed i Capi francesi in quelle lontane contrade erano, ed a gran ragione, avari della vita dei loro. Tutti poi ripugnavano al rendere dubbia un'impresa, che ogni cosa annunziava, dover essere certa. Per la qual cosa saviamente deliberarono di farsi avanti colle zappe nel lavori di una regolare oppugnazione, prima di voler coll'armi assalire la Fortezza. Egli è Jork-town, siccome abbiamo detto, una Terra posta sulla destra riva del fiume Jork. In questa era ridotta tutta la somma della guerra. L'avevano gl'Inglesi cinta di fortificazioni di diversa sorta. Dalla parte dritta, cioè superiore, l'avevano munita con un serraglio di puntoni tra di loro uniti, ed accortinati per mezzo di uno steccato, il quale sopportava un terrato a foggia di parapetto. I puntoni erano assicurati vieppiù da palizzate di frecce, e da abbattute d'alberi, e di terra. Una fondura paludosa si distendeva a fronte di queste opere, e quivi avevano costrutto un altro grosso puntone frecciato anch'esso, ed affossato. Questa era la parte più forte della Terra. Da fronte, cioè nel mezzo del circuito della piazza, avanti il quale girava anche la fondura, le difese consistevano in una tela di grosse palificate, ed in batterie, che guardavano i dicchi, che a traverso la palude davano l'adito alla palificata. Sul lato sinistro della fronte avevano alzato un'opera a corno affossata anch'essa, ed impalizzata; e quantunque non ancora perfetta fosse, nondimeno già vi avevano aperte alcune cannoniere. La parte sinistra poi, ch'è la inferiore, era assicurata da puntoni, e da semplici batterie accortinate con alzate di terra. Due altri piccoli, e non ancora finiti ridotti erano stati costruiti alcuni passi più in fuori verso la campagna, affine di dar maggior forza a questa parte, di verso la quale credevano principalmente avessero a venir le offese. Quivi la campagna era o piana, o solcata da stroscie, ed opportuna agli assediatori. Lo spazio poi dentro le fortificazioni era molto stretto, e mal sicuro alla guernigione. Dall'altra parte del fiume, vale a dire a Glowcester si era fatta un'altra cinta con terrati, e batterie, dove meglio il sito lo consentiva, ma però di poco momento. Incominciarono i confederati a lavorare alle trincee la notte de' 6 ottobre. Nel che procedendo con cautela, fecero, nonostante che quei di dentro non avessero mancato di noiargli colle artiglierie, tanto frutto, che non tardarono a condur a termine tutta la prima circonvallazione, a rizzarvi su le batterie, ed a mostrar alla piazza poco meno di cento bocche da fuoco delle più grosse. Contro tanto impeto non avrebbero potuto resistere le meglio edificate mura, non che quelle di Jork-town ancora imperfette. Erano gl'Inglesi occupati non solo nel difenderle e ripararle, ma ancora in finirle. In pochi giorni la maggior parte dei cannoni loro erano soffocati, le difese levate, e le bombe traboccavano a copia in ogni luogo, e perfino, oltrepassata la Terra, nel fiume, dove appiccarono il fuoco, ed arsero la fregata il Caronte. Si vedeva manifestamente, che il valor non bastava contro tanto furore, e che non avrebbe la difesa potuto durar lungo tempo. Le artiglierie degli assedianti erano governate dal generale americano Knox, il quale così in questa, come in tutte le altre fazioni della guerra meritò lodi di ottimo bombardiere, e fu operatore, che i suoi in ciò tanto profittassero, che i Francesi stessi restavano maravigliati all'industria loro nel maneggiare questa sorta di armi. In mezzo a tanto pericolo ricevè Cornwallis lettere da Clinton, per le quali ei gli faceva intendere, che sperava, che l'armata soccorritrice avrebbe potuto passar lo scanno, ed entrar nell'alto mare il dì 12 di ottobre, salvi i venti, e gli accidenti contrarj. Lo avvertiva però, che tutte queste cose erano molto soggette a ingambature; e perciò gli facesse a sapere, se potesse tenersi sino alla metà di novembre; poichè nel contrario caso avrebbe egli fatto un motivo per la via di terra, correndo contro la città di Filadelfia. Il che avrebbe fuor di dubbio fatto una possente diversione in suo favore. Così scrisse il capitano generale a Cornwallis. Perchè poi nei concieri da farsi alle navi si sia più tempo consumato di quanto i Capi britannici si erano fatti a credere da principio, e come in ciò si siano ingannati sì grossamente, che invece di uscir dal porto della Nuova-Jork ai cinque d'ottobre, come annunziato avevano, non siano usciti, che ai diecinove, a noi non è noto. Certo è, che l'annunzio, e l'inopinato indugio furono causa, che si perdè l'esercito. Imperciocchè Cornwallis stando a speranza del vicino soccorso persistette nella difesa, e si astenne da quelle risoluzioni, che lo avrebbero potuto salvare. Nel che però, se egli si può scusare, dopo ch'ebbe la prima lettera di Clinton ricevuto, colla quale questi gli aveva annunziato che l'armata sarebbe partita il dì 5 d'ottobre, non lo è ugualmente, siccome pare, dopo ricevuta la seconda, per la quale seppe, ch'essa armata non poteva mettersi in via, se non se ai dodeci, lasciata anche la partenza medesima molto in dubbio. Non mancarono alcuni fra i capitani britannici, i quali furono confortatori, abbandonasse quelle fievoli mura, ritirasse improvvisamente l'esercito sulla sinistra riva del fiume, altro scampo cercasse alla sua salute. Lo consigliarono, trasportasse la notte la maggior parte delle sue genti a Glowcester; il che si poteva agevolmente fare per la copia del navilio, che si aveva in pronto dentro il fiume; rompesse, cosa anche facile ad ottenersi pel caso impensato, e per la superiorità delle forze, la schiera del signor de Choisy. Mostrarono, che allora si sarebbe trovato l'esercito in quella fertilissima regione, che è posta tra i due fiumi Jork e Rappahanock, dove per non aver essa fin allora patito nissuna percossa d'armi, si sarebbero trovati cavalli e vettovaglie in abbondanza; che si sarebbe potuto dilungare, marciando velocemente, di cento miglia dal nemico; che si sarebbe potuto proteggere la ritirata con una coda di tremila soldati valentissimi a piè ed a cavallo. Argomentarono, che una volta guadagnate le Terre oltre il fiume Jork, si sarebbe potuto deliberare, se si dovesse correre verso Filadelfia per andarsi a congiungere con Clinton il quale vi sarebbe venuto per la Cesarea, ovvero volgersi verso le Caroline, tenendo le vie superiori per poter guadar i fiumi sopra le diramazioni loro; che l'uno e l'altro partito offerivano pure qualche speranza di salute; perciocchè Washington non avrebbe potuto tostamente passare il fiume per seguitargli, a cagione del mancamento delle navi, e non sapendo a qual meta s'indirizzassero, sarebbe stato costretto a dividere in più parti il suo esercito. Aggiunsero, che quando anche avesse avuto prontamente le novelle della via, che intrapreso avessero, non avrebbe potuto tener loro dietro velocemente; perchè non avrebbe trovato nè stanze sufficienti per alloggiare, nè forni per ispianar pane, che bastasse ad alimentare tanta moltitudine. Concludettero, che il rimanere era un abbandonarsi in una perdita certa, e che l'andarsene poteva offerire qualche occasione di salvamento; e che in ogni caso la generosa impresa avrebbe con nuovo splendore le armi del Re illustrato. Se è fisso colassù, dicevano, che sì fiorito esercito non possa dalla cattività scampare, ciò non sia, se non dopo ch'esso abbia ogni sforzo fatto per allontanarla, e dopo d'aver onorato nome acquistato, e chiara fama presso gli uomini valorosi. Non volle Cornwallis, checchè di ciò ne sia la cagione, prestar orecchio a questi consiglj, e si risolvette a voler continuare a difendersi dentro le non difendevoli mura. Fors'ei credette, poter resistere più lungo tempo, dover gli aiuti arrivar più presto, e non potere, se questi fossero arrivati, venir escusato presso il suo Re, quando nella ritirata perduto avesse l'esercito. Pensò forse finalmente, che l'incertezza di salvarlo per mezzo della ritirata fosse altrettanto grande, quanto quella dell'arrivo dei soccorsi. Ma quello, che ne fosse la cagione, già le cose si volgevano a quel fatal fine, al quale erano incamminate. I confederati s'erano posti intorno i lavori della seconda circonvallazione, e con incredibile diligenza procedendo molto s'avanzavano. Era ella soltanto a trecento passi dalla piazza. Cercarono gl'Inglesi d'impedirgli cogli obici e colle bombarde. Ma gli altri colle artiglierie della prima circonvallazione, che continuamente fulminavano, operarono di modo, che gli assediati non solo non poterono guastare, o ritardar i lavori, ma ancora furono in sì fatta guisa battute le cannoniere sulla sinistra parte, che le artiglierie di dentro non potevano più fare effetto alcuno. Il che fu di tanto maggior pregiudizio, che verso quella appunto quei di fuori distendevano le trincee loro. Rimaneva a poterle compire, che si cacciassero gli assediati dai due ridotti esteriori, dei quali abbiam favellato, e ch'erano situati sulla sinistra della Terra. Comandò Washington, si pigliassero d'assalto. E per destar emulazione fra le due nazioni, commise l'assalto del ridotto destro posto a riva il fiume agli Americani, quello del sinistro ai Francesi. Erano i primi condotti dal marchese de La-Fayette, e dal colonnello Hamilton, aiutante di campo di Washington, giovane di grandissima aspettazione. Si trovava pure con essi il colonnello Laurens, figliuolo del presidente, ch'era tenuto prigione nella Torre di Londra, giovane anch'esso di alta speranza, e che avrebbe dato pruove della sua virtù, se un'acerba morte non l'avesse poco dopo alla sua famiglia ed alla patria tolto. Guidava i secondi il barone di Viomenil col conte Carlo di Damas, ed il conte di Due-Ponti. I capitani confortavano gli uni, e gli altri, combattessero con animo forte; quell'ultima fatica dover partorire una perpetua quiete. Andarono all'assalto con impeto grandissimo. Dall'esito di esso dipendeva massimamente quello dell'assedio. Approssimaronsi gli Americani cogli archibusi scarichi, e solo confidandosi nell'opera delle baionette. Arrivati, senza aspettare, che si rimuovessero gli ostacoli delle palificate, ma superatigli con grandissima celerità, saltarono dentro. Non così tosto si erano gli Inglesi messi in punto di difendersi, che furono dall'improvviso impeto oppressi, e se fu grande nell'assalto la virtù dei vincitori, non fu minore la umanità dopo la vittoria. Concedettero la vita a tutti coloro che la domandarono, malgrado le recenti crudeltà esercitate a Nuova Londra. L'uffiziale inglese si arrendè a Laurens, il quale in questo fatto si portò da uomo valoroso, ed acquistonne buon nome presso i suoi. Pochi soldati vi perdettero la vita da ambe le parti. Dall'altro canto vi fu maggiormente che fare. Ma infine i primi feritori, ed i granatieri francesi incuorati dai Capi, superati tutti gli ostacoli, entrarono dentro colle baionette appuntate, e si fecero padroni del ridotto. Così furono con non minor gagliardìa, che utilità loro guadagnati dai collegati i due ripari. Presentò Washington i due reggimenti Gatinese, e di Due-Ponti, i quali si erano trovati nel fatto, con due cannoni di quelli, che conquistati avevano. Non fecero gli assediati nissun motivo per ricuperar i due ridotti, e tosto gli assedianti gli rinchiudettero dentro la seconda circonvallazione, la quale si trovò allora compiuta sino al fiume. Ora la condizione degli assediati era diventata pericolosissima, e quasi disperata. Prevedeva ottimamente Cornwallis, che quando quei di fuori avessero piantate le batterie sopra la seconda circonvallazione, e con queste fulminato la piazza, non vi poteva più essere speranza alcuna di poter resistere. Le artiglierie sue erano la maggior parte o imboccate, o rotte, o senza carretti, i fossi scassati, le mura intronate, e quasi tutte le difese levate. Era egli a tanto bassamento condotto, che perduto l'uso delle artiglierie più grosse, appena che potesse dar segno di difesa col trarre degli obici, e di alcune più piccole bombarde. Oltre di ciò stavano i confederati apparecchiando certe batterie per trarre in arcata, e non si aveva dentro alcun riparo contro le offese delle palle di rimbalzo. In questo stato di cose, affine di ritardare, per quanto fosse in poter suo, il compimento delle batterie nemiche sulla seconda circonvallazione, si risolvette il capitano britannico a fare una sortita per farvi tutto quel guasto che potesse. Non credendo però, neanco con questo spediente, potere sbrigarsi dal pericolo in cui si trovava, nè prolungar le difese lungo spazio, scrisse a Clinton, che, essendo esposto ogni ora ad un assalto dentro fortificazioni rovinate, in una Terra poco atta alle difese, e con un presidio infievolito dalle ferite e dalle malattie, la condizione della Fortezza era molto incerta, e non portava il pregio, che l'armata, e le genti della Nuova-Jork si mettessero a qualche sbaraglio per soccorrerlo. Salivano gl'Inglesi dalla Terra la notte dei sedici sotto la condotta del colonnello Abercrombie, ed ingannati i nemici coll'aver dato voce, che fossero Americani, s'impadronirono di due batterie della seconda circonvallazione, una francese, e l'altra americana. Non pochi de' Francesi, che le difendevano, rimasero uccisi. Inchiodarono undeci pezzi di grosse artiglierie, e maggior male avrebbero fatto, se non che il visconte di Noailles, spintosi avanti prestamente, gli rincacciò, e rimesse dentro. Questa sortita riuscì del tutto inutile agli assediati, poichè per l'industria dei Francesi e le opere furono in breve tempo rassettate, e le artiglierie schiodate. Ora tutti i cannoni della piazza erano spenti; solo gli assediati briccolavano ad ora ad ora nel campo degli assedianti qualche bomba, ma ciò con poco frutto, e già veniva loro meno la provvisione delle bombe. Erano i soldati assai diradati, perduti d'animo, rifiniti dalle fatiche. Niuna speranza rimaneva di difesa; un assalto sarebbe stato irreparabile. Stretto Cornwallis da ogni parte, e disperato delle cose fu costretto di pensare per lo scampo suo a nuovi rimedj. Per la qual cosa deliberò di appigliarsi a quel partito, che avrebbe dovuto prima, quando era ancor tempo, abbracciare, e questo fu di far passare improvvisamente il fiume alle sue genti, e cercar quello, che sulla sinistra riva del medesimo determinasse la fortuna. Avvisava, che quando anche non potesse sfuggir la cattività, l'avrebbe almeno per qualche tempo ritardata, e che ad ogni modo i confederati occupati nel perseguitarlo, non avrebbero potuto sì tosto volger l'animo e l'armi ad altre imprese. Si preparano le barche; la notte vi s'imbarcano le genti, si lascian dietro le bagaglie, una piccola schiera, perchè capitoli, i feriti e malati, che non si possono trasportare, una lettera di Cornwallis a Washington per raccomandargli alla generosità del vincitore. Già una parte è sbarcata a Glowcester; già un'altra ha afferrato; già si aspettavano le rimanenti; i venti erano in calma, le acque tranquille, tutte le circonstanti cose parevano il nuovo disegno favoreggiare. Ma in questo arrischievole momento ecco improvvisamente sorgere una spaventevole bufera, che ogni cosa trasse a rovina. Le navi, che trasportavano le restanti genti ne furono di forza spinte all'ingiù del fiume, e l'esercito si trovò ad un tratto diviso in varie parti, le quali tra di loro non potevano comunicazione avere, nè vicendevolmente aiutarsi. Il pericolo era grande. Già si avvicinava la luce del dì. I nemici avevano posto mano ad allumare le artiglierie loro della prima e della seconda circonvallazione, e con orribile rimbombo e fracasso fulminavano la Terra. Le bombe traboccavano a copia nel fiume. Ma la tempesta intanto si era tranquillata, le barche poterono ritornare, ed essendo stato chiuso dall'inesorabile fortuna quest'ultimo spiraglio di salute agl'Inglesi, se ne tornarono essi, sebbene non senza pericolo durante il tragitto, là, dov'erano sicuri trovare od una certa morte, od un'inevitabile cattività. Occuparono pertanto di nuovo Jork-town. Cornwallis non vedendo alle cose sue rimedio alcuno, ed anteponendo la vita de' suoi valenti soldati all'onore, che avrebbero potuto acquistare in un mortalissimo assalto, mandò per mezzo di un tamburino dicendo a Washington, si cessassero le offese lo spazio di ventiquattr'ore, e si creassero intanto da ambe le parti commissarj per accordar l'arrendimento dei posti di Jork-town, e di Glowcester. Rispose il generale dell'America (imperciocchè non voleva andar tanto in là col tempo pel sospetto degli aiuti), che concedeva una tregua di due ore; proponesse in questo mezzo i patti. Avrebbe desiderato Cornwallis, che i suoi avessero la facoltà di ritornarsene alle case loro, gl'Inglesi in Inghilterra, i Tedeschi in Germania, dando però la fede di non portar le armi contro la Francia, e l'America sino agli scambj. Desiderò altresì, si regolassero gl'interessi di coloro fra gli Americani, i quali l'esercito britannico seguitato avevano, ed erano venuti a parte della sua fortuna. Ma nè l'una, nè l'altra di queste condizioni potè impetrare, la prima, perchè il Re d'Inghilterra non potesse i soldati cattivi adoperare nelle guernigioni interne, la seconda, perchè quella era una bisogna civile, fuori dell'autorità dei Capi della guerra. Rispetto però a quest'ultima tanto operò, che ottenne la facoltà di mandar per ispaccio, e senza che potesse essere ricerca, alla Nuova-Jork la corvetta la Bonetta. Solo fu obbligato di promettere, che tutte quelle persone, che vi si sarebbero imbarcate, dovessero esser poste al ragguaglio dei prigionieri di guerra, ed in tale condizione rimanersi sino agli scambj. Essendosi finalmente, dopo varie pratiche, i due nemici capitani accordati intorno gli articoli della resa, convennero nelle case di Moore i commissarj degli accordi, dalla parte inglese i colonnelli Dundas e Ross, da quella dei confederati il visconte di Noailles, ed il colonnello Laurens. Ai diciannove si fermarono gli accordi. Fossero le genti da terra prigioniere dell'America, quelle di mare della Francia; ritenessero gli uffiziali le armi loro, e le bagaglie; fossero i soldati fatti stanziare, e per quanto possibil fosse, raccolti in reggimenti nella Virginia, nella Marilandia, e nella Pensilvania; una parte degli uffiziali dovessero rimaner nella contrada in compagnia dei soldati; gli altri avessero la facoltà di andarsene sotto la fede loro, o nei porti americani tenuti dagl'Inglesi, od in Europa; la Bonetta ritornasse dalla Nuova-Jork, e fosse consegnata al conte di Grasse. Tutte le navi ed attrezzi navali furono posti in mano dei Francesi. Gli Americani ritennero le armi terrestri. Sommarono le navi al novero di venti, tutte da carico, oltre le fregate la Guadaluppa ed il Fowey. Altre venti erano state arse a tempo dell'assedio. Si trovarono tra in Jork-town, e Glowcester cento sessanta cannoni, la più parte di bronzo, ed otto bombarde. Il numero dei cattivi sommò, esclusi i marinari, a meglio di settemila soldati, ma di questi più di duemila o feriti, o malati. Morirono degli assediati da cinquecento cinquanta; fra gli uffiziali di conto nissuno fuori del maggiore Cochrane. Ebbero gli assedianti da quattrocento cinquanta tra morti e feriti. Deposte le armi furono i vinti a' destinati luoghi condotti. Se furono grandi, e di eterna lode meritevoli l'industria ed il valore, che dimostrarono gli alleati durante l'assedio, lo furono del pari la umanità e le cortesie, che usarono ai cattivi dopo la vittoria. I Francesi massimamente furono in questo singolari. Parve che a niun'altra cosa più pensassero che a quella di riconfortare, e racconsolare con memorabili pruove di gentilezza e di liberalità i vinti. Nè contenti alle dimostrazioni, profferirono, e ciò con istanze caldissime, la moneta loro sì pubblica che privata. Rendè Cornwallis per le sue lettere pubbliche alla cortesia loro solenne testimonianza. Fatte tutte queste cose, arrivava, il dì ventiquattro d'ottobre, alle bocche del Chesapeack l'armata inglese consistente in venticinque navi di fila con due di cinquanta cannoni, e parecchie fregate. Era essa partita dalla Nuova-Jork il giorno diciannove. Portava settemila soldati, e veniva in soccorso di Cornwallis. Ma i Capi udito prima il romore, poscia le vere novelle del disastro di Jork-town, la ricondussero tosto, tristi e dolenti, alla Nuova-Jork. Se al suono della novella di una tanta, e sì gloriosa vittoria si rallegrassero gli Americani, non è da domandare. Tutti dimenticavano le passate sciagure, tutti gratificavano a sè stessi colle speranze dell'avvenire. Nissun dubbio intrattenevano della independenza. Tutti vedevano, che se la vittoria di Saratoga condotti gli aveva all'alleanza colla Francia, quella di Jork-town gli doveva condurre alla condizione di una nazione libera e franca; che se quella era stata causa di una fortunata guerra, questa doveva esserlo di una avventurosa pace. In ogni parte degli Stati si fecero feste e rallegramenti a sì gran sollevamento della fortuna d'America, ed a tanto abbassamento di quella del nemico. Le lodi di Washington, di Rochambeau; di Grasse e di La-Fayette andavano sino al cielo: Nè solo i popoli si rallegravano, e ringraziavano; ma il congresso la riconoscenza di tutti con solenni decreti confermava. Rendè pubbliche ed immortali grazie ai capitani, siccome pure a tutti gli uffiziali, e soldati dell'esercito vincitore. Ordinò, si rizzasse a Jork-town di Virginia una colonna di marmo ornata cogli emblemi dell'alleanza tra gli Stati Uniti, ed il Re Cristianissimo, e vi s'inscrivesse la compendiosa narrativa della dedizione del conte di Cornwallis. Decretò, fosse Washington presentato con due stendardi dei vinti, il conte di Rochambeau con due cannoni, e si richiedesse il Re di Francia, perchè fosse contento, si presentasse del pari il conte di Grasse. Andò altresì il congresso con solenne processione alla chiesa, per rendere divote e liete grazie all'altissimo Dio dell'avuta vittoria. Decretò finalmente, che il giorno tredici di dicembre fosse osservato, come di ringraziamenti e di preci a cagione di quell'evidente aiuto della divina Provvidenza. Nè a questo si ristettero le dimostrazioni della gratitudine della repubblica verso del capitano generale della lega. Gli Stati, le Università degli studj, le Società letterarie con lettere pubbliche si congratularono, e delle cose fatte molto il commendarono. Rispose a tutti assai modestamente, affermando, altro non aver fatto, se non quello, ch'era il dover suo di fare; del rimanente con acconce parole, e la virtù dell'esercito, e l'util opera del possente e generoso alleato lodando. Avrebbe voluto Washington sì fattamente indirizzare l'avuta vittoria, che ne fossero del tutto gl'Inglesi cacciati dalla terra-ferma. Aveva principalmente posto l'occhio all'impresa di Charlestown; le quali cose tutte sarebbergli venute agevolmente fatte, se il conte di Grasse avesse avuto in poter suo di rimanere più lungamente su quei lidi. Ma i comandamenti del suo Re, e questi molto risoluti, il chiamavano nelle Antille. Alla volta delle quali isole, imbarcati i soldati venuti col marchese di San Simone, ei fece vela il dì cinque di novembre. Le genti vincitrici di Jork-town, parte si recarono sulle rive del fiume del Nort per vegghiar le cose di Clinton, che tuttavia si trovava forte nella Nuova-Jork, parte s'avviarono presso le Caroline per ingrossar Greene, e confermare alla lega l'acquisto di quelle province. Gl'Inglesi, abbandonata intieramente la campagna, dentro le mura di Charlestown e di Savanna si ritirarono. Intorno a questo medesimo tempo partì il marchese de La-Fayette per alla volta d'Europa desiderato, ed oltre ogni dire amato da quei popoli. Molto il congresso lo ringraziò dell'opera sua in favor dell'America. Pregollo ancora, fosse presso i ministri di Francia ad accordar seco loro le future cose, e molto tenesse presso il suo Re raccomandata la divota repubblica. Washington si riparò a Filadelfia, dove sovente si trovava a discorrere, ed a consultar col congresso sopra i casi della guerra, e le faccende dello Stato. E tanto fece ed operò, che gli affari appartenenti alla guerra furono per l'anno avvenire più presto, che nei passati stati fossero, espediti ed apparecchiati. Questo fu il fine della guerra virginiana, il quale fu anche a un di presso quello di tutta la guerra americana. In tale modo fu afflitta dal caso di Jork-town la potenza britannica su quel continente, che d'allora in poi, disperati gl'Inglesi di poter più instaurar l'impresa, pensarono non più all'offendere, ma soltanto al difendersi; ed eccettuati i luoghi forti, o quelli, ai quali aveva l'adito il loro prepotente navilio, che sono la provincia della Nuova-Jork, le circostanti isole, e le città di Charlestown e di Savanna, tutto il rimanente era ritornato all'obbedienza del congresso. Così pel cambiamento della fortuna i conquistatori diventarono conquistati, e quei, che nel corso di una crudele guerra l'arte di questa, come da maestri, dai nemici loro imparavano, in sì fatta guisa se ne informarono, che la fecero tornar in capo agl'insegnatori. Nelle Antille intanto la fortuna non si mostrava più propizia agl'Inglesi, di quanto si fosse mostrata sulla terra-ferma d'America. Era venuto a notizia del marchese di Bouillé, che il governatore dell'isola di Santo Eustachio, confidatosi o nella fortezza del luogo, o nella lontananza dell'armata del conte di Grasse, faceva molto negligenti guardie. Senza mettere punto tempo in mezzo imbarcò alla Martinica dodici centinaia di stanziali, ed alcune milizie del paese sopra tre fregate, una corvetta, e quattro altri legni minori armati in guerra. Salpò, e volse il corso del suo viaggio a Sant'Eustachio. Per meglio confermar il nemico in questa sicurtà, nella quale ei s'era addormentato, diè nome, che se ne iva all'incontro dell'armata francese, la quale ritornava dall'America. Arrivava la notte dei 25 novembre sopra l'isola. Ma qui ebbe molto a travagliarsi. L'ira del mare, grosso fuori dell'usato, non solo l'impedì di sbarcar tutti i suoi soldati, ma ancora le fregate allontanò dalla riva, ed i palischermi fe' rompere contro gli scogli. Si adoperò egli con tanta industria, ch'ebbe, comechè non senza grandissima fatica, posto a terra quattrocento soldati della legione irlandese con alcuni primi feritori di due reggimenti francesi. Queste genti separate per mezzo di un mare fiottoso dalle compagne correvano grandissimo pericolo; poichè il presidio dell'isola sommava bene a settecento valenti soldati. Ma il marchese di Bouillé da quell'uomo animoso ch'egli era, nulla punto smarritosi alla difficoltà del tempo, tosto pigliò quella risoluzione, che sola lo poteva condurre alla vittoria. Questa fu di spingersi velocemente avanti, ed operar per sorpresa quello, che per la quantità delle forze non poteva. Arrivò improvviso vicino alla Fortezza; e tale fu la buona fortuna, e la celerità sua, e tanta la negligenza del nemico, che trovò la mattina a buon'ora una parte del presidio, che sicuramente se ne stava armeggiando sulla spianata. Altri erano sparsi qua e là per le case, e pei quartieri. Il primo avviso, che ebbero gl'Inglesi della presenza del nemico, imperocchè anche quando gli videro comparire gli scambiarono per Inglesi, portando gl'Irlandesi gli abiti rossi, si fu una scarica di archibusate fatta loro addosso a mezzo tiro, che tolse di vita alcuni, e molti più ferì. Seguiva una baruffa. Il governatore Cokburn, che in quel punto ritornava da una cavalcata fatta per diporto, accorso all'improvviso romore, fu fatto prigioniero. Intanto i feritori francesi si erano allargati, e girato alle spalle degl'Inglesi si erano alla porta del Forte accostati. Vi accorrevano dentro disordinatamente gl'Inglesi, e si studiavano di alzar il ponte levatoio. Ma sopraggiunti in questo mentre i veloci Francesi, entrarono con quelli alla mescolata. Sopraffatti gl'Inglesi dall'improvviso caso, e nissun ordine avendo, che intiero fosse, poste giù le armi, si arrenderono. Così venne tutta l'Isola di Sant'Eustachio in poter dei Francesi. Fu ricchissima la preda. Settanta pezzi di cannoni furono il frutto della vittoria. Un milione di lire, ch'era stato posto in sequestro dagl'Inglesi, fu tosto dal vincitore generoso restituito agli Olandesi, ai quali apparteneva. Il governatore Cokburn si richiamò di una somma di dugento sessantaquattromila lire, come di suo peculio, e questa gli fu con eguale liberalità consegnata. Ma però Bouillé partì a bottino fra suoi soldati un milione, e seicentomila lire, che appartenevano all'ammiraglio Rodney, al generale Vaughan, e ad altri uffiziali inglesi, ed erano il frutto delle vendite fatte a Sant'Eustachio. Così furono prima da Lamotte-Piquet, poscia da Bouillé rapite ai rapitori le ricchezze di quest'isola, sicchè poco rimase in mano loro di sì preziose spoglie. Le vicine isole di Saba, e di San Martino vennero anch'esse il giorno dopo in poter dei Francesi. [1782] Ma sull'entrar di febbraio dell'anno susseguente i medesimi guidati dal conte di Kersaint, e portati da sette navi sottili armate in guerra racquistarono all'Olanda la colonia di Demerary, d'Essequibo, e di Berbice, dimodochè l'Inghilterra tutte le conquiste dell'ammiraglio Rodney, nelle quali molto liete speranze di prosperevole mercatura aveva collocate, con quella facilità e prontezza perdè, colle quali le aveva fatte. La Francia dal canto suo prima colla preservazione del Capo di Buona Speranza, poscia col ricuperamento delle colonie si acquistò il nome di fedele, e disinteressato alleato, ed ebbe cagione di vieppiù congiungersi con questi benefizj gli Olandesi. Fatta la conquista di Sant'Eustachio, ed essendo dall'America arrivato alla Martinica il conte di Grasse, si determinarono i Francesi a seguitar il corso delle vittorie loro; e trovandosi tanto superiori di forze sì terrestri, che navali, non dubitavano di avere prosperi, ed importanti successi. Posero l'animo a voler assaltare l'isola della Barbada assai ricca; e siccome quella, che è posta a sopravvento dell'altre, molto accomodata al dominio di tutte. Due volte si avviarono con tutto l'apparato necessario, e due volte i venti contrarj gli ributtarono indietro, soffocato in tal modo il valor degli uomini dalla potestà troppo grande della fortuna. Si risolvettero allora a correre contro l'isola di San Cristoforo, che è situata a sottovento della Martinica. Vi arrivò il conte di Grasse il giorno undici di gennaio con trentadue navi di fila, il marchese di Bouillé con seimila soldati. Sorse l'armata nella cala di Bassa-terra, dove le genti sbarcarono. Erano gli abitatori dell'isola scontenti del proprio governo, sia a cagione della guerra d'America, che sempre avevano condannato, sia per certe provvisioni, che credettero agl'interessi loro contrarie, fatte dal Parlamento, e sia massimamente perchè le robe loro, che avevano ammassate in Sant'Eustachio, erano state poste sì aspramente a bottino da Rodney, e da Vaughan. Perciò in luogo di ostar ai Francesi, se ne stettero dall'un de' lati ad osservare. Gli Inglesi si ritirarono dalla Bassa-terra alla rocca di Brimstone-hill. Erano da settecento fanti vivi, ai quali vennero poco dopo ad accozzarsi trecento soldati delle bande paesane. Era governatore dell'Isola il generale Frazer, vecchio capitano di guerra. Guidava le milizie un Shyrley, governator di Antigoa. Brimstone-hill è un greppo, siccome di salita assai ripida, così poco accostevole, e posto a riva il mare, poco distante dalla città della Punta di Sabbia, che è riputata la seconda dell'isola, e circa quattro leghe da quella della Bassa-terra, che ne è la capitale. Ma le fortificazioni fatte sulla cima del poggio non erano alla naturale fortezza di questo corrispondenti, ed inoltre troppo ampie, perchè potessero convenevolmente esser difese da sì poco numero di soldati. Non così tosto furono i Francesi sbarcati, che partiti in quattro colonne marciarono alla volta di Brimstone-hill, e da ogni parte lo investirono. E siccome le artiglierie della piazza molto gli tribolavano, così conveniva loro di procedere con grande temperamento, facendosi avanti con trincee, e parate di terra. Difettavano grandemente di grosse artiglierie; perciocchè la nave che le portava, era andata a traverso presso la Punta di Sabbia. Ma tanta fu la pazienza, e l'industria dei Francesi, che una gran parte ne ripescarono. Ne fecero anche prestamente venire dalle vicine isole. Oltreacciò tanto fecero, che s'impadronirono di alcune assai ben grosse a piè del monte, che erano state mandate dall'Inghilterra molto tempo prima, e che per negligenza del governatore non erano state tratte sulla cima. Nè solo pigliarono le artiglierie, ma ancora una quantità non ordinaria di palle e di bombe. Così le armi e le munizioni, le quali il governo inglese aveva mandato per difesa della Fortezza, venute per la trascuraggine degli uomini in mano del nemico servirono alle offese. Eppure il caso della vicina isola di Sant'Eustachio avrebbe dovuto tener i Capi di San Cristoforo attenti e svegliati. Acciviti in tal modo i Francesi di ogni cosa necessaria, e pigliati sui vicini poggi i luoghi più acconci, diedero mano a percuotere colle artiglierie la rocca. Quei di dentro si difendevano francamente, e più che non si sarebbe potuto aspettare da sì debole presidio. In questo mezzo tempo, tornato dall'America, si ritrovava l'ammiraglio Hood nella cala di Carlisle nella Barbada con ventidue navi di fila. Avute le novelle del pericolo di San Cristoforo, quantunque fosse tanto inferiore di forze al conte di Grasse, si pose in via per andar a soccorrere l'assaltata isola. Salutata Antigoa dove levò il generale Prescot con circa due migliaia di soldati, veleggiò poscia alla volta della cala della Bassa-terra. Alla improvvisa apparizione dell'armata britannica si risentì tosto il conte di Grasse, e, troncato ogn'indugio, sciolse le ancore per andarle all'incontro. Ciò fece egli per poter nel vasto mare meglio giovarsi del maggior numero dei vascelli, pel quale prevaleva, ed anche per impedire, che Hood non andasse a porre alla Punta della Sabbia, donde avrebbe potuto vicinamente soccorrere Brimstone-hill. L'ammiraglio inglese, che stava a riguardo, fece segno di voler aspettare la battaglia; poscia ad un tratto indietreggiò, e ciò a fine di tirar il conte di Grasse ad allontanarsi vieppiù dall'Isola. La qual cosa ottenuto avendo di leggieri, improvvisamente voltò le prue verso la cala di Bassa-terra, ed opportunamente valendosi colle sue veloci navi del vento, vi arrivò, e gettò le ancore in quell'istesso luogo, dove prima le aveva poste l'ammiraglio francese. La qual cosa non fu senza molto, non solo cordoglio, ma ancora lode del suo nemico, il quale rimase a questa maestrevole volta grandemente ammirato. Lo seguitarono i Francesi, e si attaccò, sebbene con poco frutto, la vanguardia loro con quella degl'Inglesi. Venne poco poscia con tutta la sua armata il conte di Grasse, e diè un feroce assalto alla inglese, le navi della quale si erano affilate di modo, che stavano su due ancore colle poggia rivolte a terra, e l'orze al mare. Ne fu ributtato non senza grave perdita. Rinfrescò un'altra volta la battaglia, ma con non miglior evento di prima. Si astenne allora dal combattere, e se ne andò solamente volteggiandosi alla larga per bloccar dentro la cala l'armata inglese, e proteggere le conserve, le quali cariche di munizioni arrivavano dalla Martinica, e dalla Guadaluppa. Hood, veduto, che i Francesi attendevano ad altro, che a noiarlo in quella nuova stanza, sbarcò Prescot con tredici centinaia di soldati, i quali, fatto voltar le spalle ad una banda di Francesi, che là si trovavano, si posero in un forte alloggiamento sopra di un poggio. Sperava, che si sarebbe scoperta qualche occasione di soccorrere la rocca. Ogni cosa pareva promettergli una gloriosa vittoria. Aveva grandissima confidenza, che per la fortezza del luogo Frazer si sarebbe potuto tener lungo tempo. E siccome aveva i certi avvisi, che Rodney, ritornato dall'Europa con un rinforzo di dodici navi d'alto bordo, si avvicinava, così era certo, che, ove fosse arrivato, e congiuntosi con esso lui, il conte di Grasse, e più ancora il marchese di Bouillé avrebbero avuto carestia di buoni partiti. Già si prometteva nella mente sua la cattività di tutte le genti di Bouillé. Ma altre cose pensano gli uomini, ed altre ne dispone il cielo. Già il marchese avendo spacciato duemila soldati contro Prescot, lo aveva costretto ad abbandonar la Terra, ed a rifuggirsi di nuovo sulle navi. Da un'altra parte scosse dall'impeto delle artiglierie diroccavano ad ora ad ora a grandi sfasciumi le mura di Brimstone-hill; ed anzi quella parte, la quale fronteggiava il campo dei Francesi, tutta era caduta a terra. Non che una, ma parecchie breccie essendo fatte, vi si poteva entrar per assalto da ogni banda. Il governatore, perduta ogni speranza di conservar quella Fortezza, e non volendo aspettar l'assalto, il quale non avrebbe potuto non riuscir funesto a' suoi, chiese i patti. Furono essi assai onorevoli pei soldati, utili agl'isolani. In riconoscenza della valorosa difesa, che dentro fatto avevano Frazer, e Shyrley furono dal vincitor lasciati liberi, e franchi delle persone loro. Venuta per la resa di Brimstone-hill tutta l'isola di San Cristoforo in poter dei Francesi, l'armata dell'ammiraglio Hood, oltrechè lo stanziar in quel luogo non poteva più esser di alcuna utilità, si trovava esposta, se non tutta, almeno parte ai colpi delle artiglierie, che sulle più vicine spiagge avrebbero quelli potuto piantare. Nè era di poco momento la considerazione di doversi andare a congiungere coll'ammiraglio Rodney, che di breve si aspettava, o forse già era arrivato alla Barbada. Ma avendo l'armata francese così vicina, e così grossa, la cosa era piena di pericolo. Tuttafiata la necessità delle cose non lasciava luogo a dubitazione alcuna. Laonde la notte, che seguì la capitolazione, essendo i Francesi lontani a quattro leghe, gl'Inglesi, tagliati i cavi, acciocchè tutti i vascelli in uno, e nel medesimo punto potessero pigliar il vento, e l'abbrivo, ed in tal modo viaggiar più rannodati, se ne partirono, e senza nissun intoppo navigando arrivarono alla Barbada. Quivi con incredibile allegrezza loro si accozzarono con Rodney, il quale testè vi era giunto con dodici navi delle più grosse. Fu il conte di Grasse gravemente accagionato di negligenza, e di poco ardire per non aver istrettamente bloccato prima, che partisse, o assaltato quando partiva, o perseguitato, quando era partita l'armata dell'Hood. Lo scusarono alcuni, allegando, che avesse carestia di viveri; che non fossero le sue navi a gran pezza sì veloci, quanto le inglesi erano; e che inoltre in una indispensabile necessità si trovasse di ritornarsene tosto alla Martinica per proteggervi le conserve, che si aspettavano di breve dall'Europa. Comechè questa cosa se ne stia, certo è, che queste, o negligenza, o necessità, e la congiunzione dei due ammiragli inglesi riuscirono nel progresso del tempo non che di grande, di totale pregiudizio agl'interessi della Francia, come per le cose, che si diranno, sarà di mano in mano, a chiunque leggerà, manifesto. In questo mentre l'isola di Monserrato si arrendè anch'essa all'armi dei conti di Barras e di Flechin. Approdò il conte di Grasse pochi giorni dopo alla Martinica. In tal modo si era la fortuna britannica abbassata sì in America, che nelle Antille. Ma l'armi del Re Giorgio miglior ventura non avevano in Europa di quella, che nei lontani lidi dell'occidente si avessero. Che anzi le cose sue si andavano di giorno in giorno riducendo in peggiore stato con infinito contento dei confederati, massimamente della Spagna, la quale ne raccolse prima i frutti. Era il duca di Crillon desiderosissimo d'impadronirsi del castello di San Filippo, sapendo con quant'ardore il Re Cattolico bramasse di aver in poter suo tutta l'isola di Minorca. Perciò nissuna diligenza, o artifizio di guerra aveva lasciato indietro per superare la Fortezza; e tanto si era acceso nel batterla, che l'opera delle artiglierie era piuttosto maravigliosa, che rara. Ma dubitando, che la oppugnazione per la natura del luogo, ch'era per arte, e per sito munitissimo, e per la gagliarda difesa, che vi facevano dentro gli assediati, troppo andasse in lunga, seguitò un consiglio, il qual avrebbe dovuto grandemente abborrire, e questo fu di sobillare, e di corrompere il governatore Murray, acciò gli desse per tradimento in mano quella Fortezza, che per forza non si confidava di potere sì tostamente conquistare. Aveva egli di così fare avuto commissione dal Re Cattolico, il quale caldissimo essendo in su quest'impresa di Minorca, non ebbe a disdegno l'abbassarsi ad un atto tanto indegno della Maestà reale. Rispose gravemente, ed alteramente Murray a Crillon; che allorquando un valoroso antenato di lui era stato dal suo principe richiesto, perchè il duca di Guisa assassinasse, aveva quella risposta dato, che egli avrebbe dovuto dare al Re di Spagna, quando gli commetteva di contaminar il carattere di un uomo, il nascimento del quale tanto era illustre, quanto fosse il suo, o quello del duca di Guisa; non gli scrivesse, o facesse parlar più, perciocchè ei non voleva più altramente con esso lui comunicare, che per la via delle armi. Rescrisse Crillon a Murray, che bene stava, e che la lettera di lui aveva l'uno e l'altro di essi in quella condizione collocati, che loro ottimamente si conveniva; e che in quella stima lo aveva confermato, nella quale sempre lo aveva avuto. Ma intanto le cose degli assediati erano ridotte ad una somma necessità. Quantunque saltati fuora avessero acremente assalito, e cacciato il duca di Crillon dal capo Mola, dov'egli aveva il suo principale alloggiamento, ciò nonostante ricevettero per la debolezza loro maggior nocumento, che utilità da questa fazione. Non avrebbero essi potuto pel poco numero loro a gran pezza bastare alla difesa di tanto ampie fortificazioni, quand'anche tutti fossero stati freschi di salute. Ma molto lontano da questo era il caso loro. Quei semi di scorbuto, dai quali erano i corpi loro infetti già prima dell'assedio, ora sviluppandosi, avevano questa mortale malattia tanto fatto montare, e moltiplicatala, e resala tanto feroce, che ogni dì appiccandosi ad un gran numero di soldati, questi o uccideva, o rendeva inutili alla difesa. Di questi effetti erano le principali cagioni la carestia, o per meglio dire la totale privazione degli ortaggi, l'essere i soldati stivati nelle sotterranee volte, l'orribile puzzo di queste, l'incredibile fatica, che duravano nella difesa della piazza. Allo scorbuto, come se di sè stesso non bastasse a condurre all'ultimo termine la misera guernigione, vennero a congiungersi le putride febbri, e la dissenteria, peste tanto fatale dei campi. Ciò nonostante sopportavano e sani, e cagionevoli con maravigliosa costanza i mali del corpo, e le fatiche dell'assedio; ed in ciò erano tanto infervorati, che non pochi già bacati essendo, e tocchi dai pestilenti morbi gli dissimulavano, ed ostinatamente affermavano esser sani, perchè non venissero dai Capi loro dalle militari fazioni esentati. Così pareva, che più per vigore dello spirito, che per fortezza delle membra reggessero la vita. Alcuni furono veduti morire stando in sulle guardie. Ma infine più potè la natura inferma, che la ostinazione degli animi. Nell'entrar di febbraio si trovò il presidio in tal modo assottigliato, che solo rimanevano seicentosessanta soldati, che fossero atti o tanto o quanto alle fazioni; e di questi la maggior parte erano anche infetti di scorbuto. Temevasi, che il nemico informato di tanta debolezza non andasse all'assalto, e con una battaglia di mano s'impadronisse del castello. Della qual cosa tanto maggiormente si dubitava, che le artiglierie già avevano la maggior parte delle difese superiori diroccate. Dei cannoni i più erano o scavalcati, o rotti, o imboccati; e tuttavia i nemici continuavano a fulminare. In tale stato di cose il resistere più lungo tempo sarebbe stato piuttosto bestiale ostinazione, che umano valore. Si arrendè Murray a patti, i quali furono molto onorevoli al presidio. Avessero tutti gli onori della guerra; fossero, data però la fede loro, come prigioni trasportati in Inghilterra; fosse fatto abilità a tutti i forestieri di ritornarsene colle persone, e colle robe alle proprie case; ai Minorchesi, che avevano seguitato le parti d'Inghilterra, fosse conceduto di poter godersi la patria e tutti i loro beni. Uscivano i cattivi piuttosto ombre, che uomini, miserabili avanzi di tanti valorosi soldati. Stavano schierati dall'una parte, e dall'altra i Francesi e gli Spagnuoli. Precedevano seicento, parte vecchi, parte decrepiti, parte malati, e tutti emaciatissimi soldati. Seguitavano centoventi reali artiglieri, poi dugento marinari; venivan dopo pochi Corsi, e forse alcuni più Greci, Turchi e Mori. Vedevano mesti, e compassivi i vincitori passar in mezzo di loro i cattivi. Giunti i vinti al luogo, in cui dovevano depor le armi, diventò anche più pietoso di prima lo spettacolo; poichè quivi sclamarono cogli occhi pregni di lagrime, che a Dio solo quelle armi rendevano. La quale cosa non fu senza ammirazione veduta, nè senza lode raccontata dai generosi vincitori. Fu grande altresì, e degna di onorata ricordanza la umanità di questi. Onde stringendogli pure la pietà naturale, e la forza della vera virtù cominciarono i soldati gregarj stessi a porgergli diversi rinfrescamenti, e con parole cortesi lodavano la loro costanza. Ma il duca di Crillon, ed il barone di Falkenhayen niuna cosa tralasciarono, per confortare i sani, se alcuno ve n'era rimasto, e per curar i malati, e gli uni, e gli altri di quelle cose fornire, delle quali abbisognavano. In ciò tanto si travagliarono, che parevano più di quelli, che dei proprj soldati solleciti. Le quali cose, siccome scemano orrore alla guerra, così dovrebbero anche le nazionali rivalità e nimicizie raddolcire e rattemperare. In cotal modo l'isola Minorca ritornò, dopo d'essere stata bene ottant'anni in poter della Gran-Brettagna, sotto l'imperio della Corona di Spagna. Quando si ebbero in Inghilterra le novelle di tanti, e così gravi disastri, e massime dei patti di Jork-town si commossero maravigliosamente gli animi, e del desiderio di cose nuove s'impressionarono. Già era venuta a noia a tutti la lunghezza della guerra, e la enormità delle spese, che in ella si erano fatte, o tuttavia si facevano. Ma le novissime sconfitte accrebbero questa universale scontentezza; e colla diminuzione della speranza delle vittorie era nato in ognuno un maggior desiderio della pace. Si vedeva manifestamente, che lo sperare di poter ritornare un'altra volta in sulla guerra offensiva sulla terra-ferma d'America era del tutto vano; e che il costringere gli Americani all'obbedienza per mezzo della forza era cosa impossibile diventata. Le segrete mene per dividere quei popoli, il terrore, e la crudeltà dell'armi dei Barbari, i tentativi di tradimento, la distruzione del commercio, la falsificazione dei biglietti di credito, cose tutte, che i ministri britannici avevano messo in opera, e le vittorie stesse di Howe, di Clinton e di Cornwallis non avevano potuto tanto operare, che gli Americani facessero sembianza di volere all'antica soggezione ritornare. E se furono costanti nell'impresa, allorquando la nave loro si trovava inabissata, e vicina a sommergersi, come si poteva credere, che fossero per piegarsi ora, ch'ella era dai prosperevoli venti dentro il desiderato porto sospinta? Egli era chiaro agli occhi di tutti, che la guerra contro l'America non poteva più altro fine avere fuori di quello di ottenere, riconosciuta però la independenza, i più onorevoli accordi, che si potessero. Da un altro canto le gravi perdite fatte nelle Antille facevano di modo che si temesse di maggiori; e si stava in molta apprensione rispetto alla Giamaica, contro la quale si sapeva, che i Borboni volevano dirizzare le forze loro con grandissimo apparato. Il danno poi di Minorca, e la perdita di San Filippo, così forte castello, erano causa, che si dubitasse anche di Gibilterra. Tutte queste disgrazie imputavano i popoli, siccome sogliono fare, non alla contrarietà della fortuna, ma alla insufficienza dei ministri. La qual cosa, se non era del tutto senza ragione, non era però senza qualche torto. Coloro, che dentro il Parlamento, e fuori si erano ai disegni di quelli sin dal principio della querela opposti, levarono un grandissimo romore. Andavano dicendo, esser questi i presagiti frutti della ministeriale imprudenza ed ostinazione. Sclamavano, doversi cambiare quest'inetti e corrotti servitori della Corona; doversi impedire, che coloro, i quali la patria condotto avevano all'orlo del precipizio, non le dessero ad un bel tratto la pinta e l'ultimo trabocco; doversi infine aprir la via alla salute collo scartare questi decennali intoppi; doversi gettar via quest'impronti istromenti di una infelice guerra. Queste vociferazioni erano conformi al temporale, e trovavano negli scontenti popoli buona corrispondenza. Inoltre a nissuno era nascoso, che, poichè la necessità dei fati aveva operato sì, che bisognasse calare agli accordi coll'America, e la independenza di lei riconoscere, non era convenevole, che coloro, i quali tanto gli Americani avevano colle irritative leggi prima, e poscia coll'armi troppo spesso a mò dei Barbari esercitate, asperati, essi accordi praticassero, riputando poco atti istromenti di una buona pace gli autori di sì aspra guerra. Già il generale Conway con molta eloquenza orando nella Camera dei Comuni il giorno 22 di febbraio aveva posto, e vinto il partito, perchè si pregasse Sua Maestà, commettesse a' suoi ministri di non continuar più oltre nel proposito di voler ridurre le colonie alla leanza per mezzo della forza, e della guerra sulla terra-ferma d'America. Nella tornata poi de' 4 marzo pose, ed ottenne il partito, che coloro, i quali consigliassero al Re, di continuar la guerra offensiva sul continente della settentrionale America fossero chiariti nemici del Re, e della patria. Per le quali cose tutte coloro, che dirigevano le consulte segrete, dove le cose si stillavano, e si risolvevano, si accorsero, ch'era oggimai tempo di por mano al solito rimedio del cambiamento dei ministri. Vi era fra gli uomini un'aspettazione grandissima. Infine il dì 20 di marzo, avendo il conte di Surrey mosso nella Camera dei Comuni, perchè si supplicasse al Re di far gli scambj ai ministri, lord North alzatosi, e con molta gravità favellando disse, che non occorreva, si dessero più oltre pensiero di questa bisogna; perciocchè il Re già aveva i presenti congedato, e fra breve avrebbe nuovi ministri creato. Poscia continuò a discorrere, che prima di tor congedo dalla Camera si credeva egli obbligato di renderle grazie dell'appoggio e del favore, che pel corso di tanti anni conceduto gli aveva. Aggiunse, che un successore di maggior capacità, di maggiore senno, e più atto, e fatto per riempir quel luogo, era facile trovare; ma più zelante degl'interessi della patria, più fedele al suo Principe, ed amator più sincero della constituzione, non parimente. Sperava, che i nuovi ministri della Corona, qualunque essi fossero, avrebbero tali consiglj presi, che effettualmente avrebbero liberata la patria dalle presenti difficoltà, e sì dentro che di fuori la sua umile fortuna sollevata. Concluse dicendo, che del rimanente egli era pronto a stare alla sua patria di tutti gli atti del suo reggimento; e che quando se ne volesse far una disamina, ei non era a patto nissuno per isfuggirla. Furono i nuovi ministri creati di quelli, che nelle due Camere del Parlamento si erano più caldamente mostrati alla causa degli Americani favorevoli. Tra questi il marchese di Rockingam fu eletto primo Lord del Tesoro, il conte di Shelburne, ed il signor Fox segretarj di Stato, lord Giovanni Cavendish camerlingo; l'ammiraglio Keppel fu nel medesimo tempo creato visconte, e Capo del maestrato sopra le cose navali, che chiamano l'uffizio dell'ammiragliato. Tanta fu l'allegrezza dei popoli a queste elezioni, che si temette, quel di Londra non prorompesse, come suol fare, in qualche improvvisa riotta. Ognuno era diventato confidentissimo, che presto si sarebbe il fine della guerra, e di tante calamità conseguito. Solo avrebbero voluto, che i patti fossero onorevoli, e perciò tutti desideravano, e pei nuovi ministri speravano, che qualche evento favorevole la Gran-Brettagna riscuotesse da quel bassamento, in cui era caduta per gl'infelici casi avvenuti sull'uscir del passato, ed in sull'entrar del presente anno. FINE DEL LIBRO DECIMOTERZO LIBRO DECIMOQUARTO [1782] Gli Stati, che esercitavano la guerra, non aspettavano altro per compir i disegni che avevano orditi sul principiar del presente anno, che la perfezione degli apparecchj, la stagione favorevole e la occasione propizia. Stracchi gli uni e gli altri dalla lunga guerra si accorgevano ottimamente, che gli avvenimenti di questo medesimo anno avrebbero, e la fortuna di quella, e le condizioni sue definito. Non ignoravano neanco, che a chi ne tocca vicino alla pace, a quel ne va il peggio; perciocchè non ha tempo di riaversi. Per la qual cosa avevano tutti ogni ingegno posto, e ponevano, ed ogni opera facevano, perchè fossero le armi loro sì gagliarde, che dovessero ad ogni modo restarne al di sopra. Volevano gli alleati principalmente ed acquistar il dominio dei mari di Europa, e far l'impresa di Gibilterra, ed impadronirsi della Giamaica. I Francesi in ciò erano specialmente, che si soccorresse alle cose loro nelle Indie orientali, le quali nonostante il valore di Suffren, e molte non men ostinate, che bene combattute battaglie contro Hughes, le cose loro erano andate in declinazione, e già le due importanti Terre di Negapatam, e di Trincamale erano in poter degl'Inglesi venute. A tutti questi fini, siccome pure a proteggere le proprie conserve, e quelle del nemico intraprendere s'indirizzavano i pensieri dei confederati. Si erano perciò accordati, che le armate spagnuola ed olandese andassero a trovar la francese nel porto di Brest, e con quella congiuntesi ne uscissero poscia all'alto mare; e correndo dallo stretto di Gibilterra sino alle coste della Norvegia da ogni forza nemica lo nettassero. Era l'intento loro, che mentre le navi più grosse, oltratesi nei mari ed anche nei canali più stretti, le armate nemiche impedissero dall'uscir fuori, le fregate spazzassero ogni cosa nell'aperto, e le conserve ed il commercio inglese sperperassero. Nè a ciò si ristavano. Volevano altresì bezzicar continuamente, e tenere in apprensione le coste della Gran-Brettagna, ed anche, se qualche favorevole occasione si aprisse, scendervi, e desertar il paese, e se i popoli romoreggiassero, o non fossero i difensori pronti, farvi anche di peggio. A tutte queste cose fare erano molto atti, avendo, quando le forze loro congiunte fossero, meglio di sessanta navi di fila con un numero maraviglioso di velocissime fregate. Non avevano a gran pezza gl'Inglesi nei porti loro una forza, che fosse sufficiente al resistere ad un sì formidabile apparato. Speravasi dal canto della lega, che la guerra antillese ed europea avrebbe in questo anno il medesimo fine avuto, che nel varcato quella d'America; e che in tal modo si sarebbe di breve conseguìto una lieta, e felicissima pace. Dall'altra parte in Inghilterra i nuovi reggitori dello Stato niuna cosa lasciavano intentata per soccorrere alle cose afflitte, e per resistere a quella piena, che loro veniva addosso. Quello, che per l'inegualità delle forze non potevano, speravano coll'arte dei capitani, coll'ardire dei soldati, e colla opportunità delle fazioni conseguire. Mentre stavano apparecchiando l'armata, e tutte le cose necessarie al soccorso di Gibilterra, impresa, che sopra tutte le altre, dopo quella della sicurezza del regno, stava loro a cuore, conobbero, che prima di tutto era mestiero l'impedir la congiunzione dell'armata olandese colla francese e colla spagnuola. Nel che si otteneva ancora, e nel medesimo tempo, che s'interrompesse il commercio, che gli Olandesi andavano facendo nel Baltico, ed il proprio dagli insulti loro si preservasse. Perilchè fecero uscire dal porto di Portsmouth l'ammiraglio Howe con dodici navi di fila, avendogli commesso, andasse a volteggiarsi sulle coste d'Olanda. La cosa tornò lor bene. Imperciocchè l'armata olandese, la quale, commesse le vele al vento, già era uscita dal Texel, abbandonato del tutto l'imperio di quei mari, di nuovo era rientrata nel porto. Howe dopo essere stato pel torno di un mese in crociata presso quelle coste, veduto, che il nemico non faceva mostra alcuna di voler uscire un'altra volta, ed avendo per l'insalubrità della stagione molti malati a bordo, se ne tornò a porre in Portsmouth. Ma fu poco dopo mandato al medesimo servizio in luogo dell'Howe l'ammiraglio Milbanke, per opera del quale, comechè il commercio d'Olanda del Baltico non ricevesse danno alcuno, ciò non di meno quel d'Inghilterra fu tutelato, e soprattutto il passo pel canale della Manica all'armata nemica impedito. Così l'Olanda, tanto chiara repubblica nei tempi andati, fuori del valor dimostrato nella giornata di Doggers-bank nulla fece in questa guerra, che di sè, e dell'antica sua fama degno fosse. Tanto era ella dall'antica gloria e potenza scaduta; miserabile effetto delle esorbitanti ricchezze, dell'eccessivo amor del guadagno, e forse più ancora delle malaugurose Sette, che vi regnavano; perciocchè se in una repubblica quelle Sette, che risguardano il reggimento interno dello Stato, sono qualche volta utili a mantenere viva la libertà e la generosità degli animi nei popoli, non è nissuno, che non veda, che quelle, le quali hanno per obbietto i potentati esterni, partoriscono un tutto contrario effetto, e fanno, che dalla rabbia in fuori, nissuno vivace spirito si conservi. Certamente il più manifesto segno, che s'indebolisce la forza, e si perde la independenza, si è in una nazione lo scellerato parteggiare pe' forestieri; e quest'era per l'appunto la condizione degli Olandesi di quei tempi. Quindi è, che sul finir della presente guerra, se non fu l'Olanda all'estrema condizione condotta, che anzi se ricuperò in gran parte le cose perdute, ciò all'armi ed all'intervenimento della Francia, piuttostochè alle proprie forze si dee massimamente, anzi intieramente riputare. Ripigliando ora il filo della storia là, donde il lasciammo, si erano d'intorno a questi tempi le certe novelle ricevute in Inghilterra, ch'era pronta a salpare dal porto di Brest una considerabile conserva volta alle Indie per recarvi rinforzi di soldati, d'armi e di munizioni. Dubitandosi dall'un canto della Giamaica, dall'altro delle possessioni delle coste del Malabar, non s'indugiarono punto i ministri, e fecero tosto uscire l'ammiraglio Barrington con dodici navi d'alto bordo, perchè andasse in cerca di quella conserva, e trovata la sfolgorasse. Eseguì egli diligentemente i comandamenti loro, ed arrivato nel golfo di Biscaia s'incontrò nella conserva, la quale consisteva in diciotto navi onerarie, ed in due da guerra chiamate il Pegaso, ed il Protettore, che le convogliavano. Era il tempo brusco, ed il mare tempestoso. Ciò non di meno dava loro la caccia velocemente. Il vascello il Fulminante, molto franco veleggiatore condotto dal capitano Jervis, sopraggiungeva, e si attaccava col Pegaso, che era governato dal cavaliere di Sillano. Durò la battaglia, essendo le forze delle due navi pressochè uguali, per bene un'ora molto feroce. Ma finalmente il Francese, morti o feriti molti de' suoi, si arrendè. Essendo il vento fresco, ed il mare grosso appena Jervis potette una piccola parte dei prigionieri della predata nave marinar nella sua, e por dentro a quella una piccola parte de' suoi. Portava perciò grandissimo pericolo, che si riscuotessero. Ma arrivò in questo punto il capitano Maitland colla sua nave la Regina, e compì la bisogna. Ciò fatto, una folata gli separò. S'imbattè poi Maitland in un'altra grossa nave francese, chiamata l'Azionario, e combattutala, dopo leggier contrasto, la pigliò. In questo mezzo le più leggieri fregate avevan dato la caccia alle onerarie, le quali in sul primo apparir degl'Inglesi, dato il segno, si erano a bello studio, e con molta velocità sparpagliate. Dodici vennero in poter loro, grave perdita alla Francia. Imperciocchè oltre le navi, le armi e le munizioni sì da guerra, che da bocca, meglio di undici centinaia di valenti soldati vennero in poter dei vincitori. Barrington colle predate navi, colle spoglie, e coi cattivi felicemente rientrava nei porti d'Inghilterra. Questi consiglj di far correre i vicini mari da flotte spedite, essendo riusciti bene, determinarono gl'Inglesi di continuare nei medesimi; al che fare tanto più volentieri si accostarono, quanto che nissuna novella era loro pervenuta, che fosse la grossa armata dei confederati in punto d'arrivare su di quelle spiagge; e se le deliberazioni delle leghe furono in ogni tempo lente, perchè intricate, e di diversi interessi frammescolate, molto anche tali furono nella presente occorrenza, quantunque la Francia e la Spagna fossero ardentissime nel desiderio di abbassar la potenza dell'inveterato nemico. Perciò gl'Inglesi, i quali con nissun altro, che con loro stessi si consigliavano, assai si avvantaggiavano colla prontezza, e coll'unità delle deliberazioni. Per la qual cosa, entrato Barrington, mandarono fuori Kempenfeldt a correre il golfo di Biscaia, commettendogli, che tutto quel male, che potesse, facesse al commercio francese, l'inglese proteggesse, e specialmente due ricchissime conserve, che frappoco si aspettavano, una dalla Giamaica, l'altra dal Canadà, dagl'insulti del nemico preservasse. Finalmente dopo molto tempo consumato in vano, si erano i confederati posti all'ordine per mandare ad effetto quelle imprese, che avevano disegnate. Il conte di Guichen preposto al governo dell'armata francese, e don Luigi di Cordova, capitano generale dell'una e dell'altra, salparono dal porto di Cadice nell'entrare di giugno con venticinque navi delle più grosse tra francesi e spagnuole; e volte le prue a tramontana viaggiavano alla volta dell'Inghilterra col desiderio, e colla speranza di cavar dalle mani di quegli arditi isolani l'imperio del mare. Ivano piaggiando le coste di Francia, e mentre procedevano nel viaggio loro venivano di mano in mano a congiugnersi altre navi da guerra, che in diversi porti stanziavano, e massimamente una maggiore squadra, che nel porto di Brest era sorta. Per tutti questi accostamenti diventò l'armata dei confederati sì numerosa, che vi si annoveravano bene da quaranta vascelli grossi di alto bordo. Arrise la fortuna a questi primi conati. Incontratisi nelle conserve di Terranuova, e di Quebec, le quali erano convogliate dall'ammiraglio Campbell con una nave di cinquanta, e parecchie fregate, quelle parte pigliarono, parte sperdettero. Diciotto onerarie vennero in poter dei vincitori, assai ricca e preziosa preda. Le navi da guerra scamparono, ed entrarono a salvamento nei porti di Inghilterra. Così i Francesi, con un insigne fatto, della perdita della conserva delle Indie si rappigliarono. Ottenuta questa, se non difficile, certo utile vittoria, e diventati del tutto padroni del mare, si recarono verso le bocche del canale della Manica, e quivi schieratisi, come già altre volte fatto avevano, dall'isola Scilly al capo Ognissanti, stavano attendendo a quello, che fosse per succedere sulle coste dell'Inghilterra, alla preservazione delle proprie conserve, ed al rapimento di quelle del nemico continuamente badando. I ministri britannici non se ne stavano neghittosi; ma poste ventidue navi di fila sotto la condotta dell'ammiraglio Howe, gli mandarono, uscisse al mare, evitasse la battaglia trascorrendo, ogni opera facesse per proteggere la conserva della Giamaica, preziosa in sè stessa, e più ancora per la recente perdita della Canadese. Non mancò Howe a sè stesso; ma da quel capitano pratico, ch'egli era, tostamente sbrigatosi dall'armata nemica, veleggiava a ponente di questa di verso la parte, dalla quale doveva venir la conserva. E tanto fu egli, o destro, o fortunato, che la cosa gli venne fatta. Peter-Parker, che faceva il convìo alla conserva, questa stessa, e tutta l'armata dell'Howe entrarono a man salva nei porti d'Irlanda in sul finir di luglio. Se ne tornarono poscia i confederati dopo l'inutile mostra, non più fortunati, e non più arditi in questa, che nelle due prime stati fossero, nei porti loro. L'impresa però, intorno la quale con maggior contenzione d'animi si travagliava in Europa, quell'era dell'assedio di Gibilterra. Gl'Inglesi tutti erano in questo, che a quella Fortezza si soccorresse; i Francesi, e massime gli Spagnuoli, che s'intraprendessero i soccorsi. Questa cosa era venuta in gara tra di loro; poichè oltre la gloria dell'armi, e l'onor delle Corone, quella rocca era opportunissima alla conservazione dell'imperio del mare mediterraneo. Neanco mai in nissun'altra fazione di guerra ebbero gli uomini tanta aspettazione collocato, quanta in questa, e quest'assedio pareggiavano ai più famosi, così degli antichi, come dei moderni tempi. La pressa era grande in Inghilterra per quel soccorso; perciocchè sapevasi, che di già dentro la rocca s'incominciava ad aver carestia di munizioni, massimamente da bocca, e che gli assediatori avevano il largo assedio cambiato in oppugnazione, volendo con mirabili macchine, delle quali sarà per noi favellato in appresso, far pruova di pigliare per forza quello, che colla fame non avevano potuto. Adunque mentre a quelle mura tanto per natura, e per arte forti e munite sovrastava un'aspra, e non mai per lo avanti udita battaglia, i ministri britannici facevano riscontrar in Portsmouth tutte le forze navali del regno, incluse quelle, che stanziavano sulle coste dell'Olanda, e le altre, che correvano il golfo di Biscaia. Là concorrevano anche in gran numero quelle da carico, sulle quali con grandissima diligenza si abbarcavano le provvisioni. L'impresa del soccorso di Gibilterra bolliva forte. Infine sul principiare di settembre, essendo ogni cosa in pronto, Howe, capitano generale dell'impresa, accompagnato dagli ammiragli Milbanke, Roberto Hughes e Hotham partì da quel porto, avendo sotto la sua condotta, oltre quelle da carico, ch'erano una gran moltitudine, trentaquattro navi d'alto bordo, non poche fregate, e molti brulotti. Dalla fortuna di quell'armata pendeva quella dell'assediata Fortezza. Peraltro le armi non erano i soli stromenti che i nuovi ministri della Gran-Brettagna volevano adoperare per arrivare al fine loro, ch'era quello di una fortunata guerra, e di una onorata pace. E siccome tutti i nemici loro, quando nella presente unione continuassero, vincere e superar del tutto non isperavano, così fecero pensiero di mettere screzio tra di quelli, e scomunargli con fare a ciascun di loro profferte di condizioni di pace separate, avvisandosi, che il rompimento della lega stato sarebbe la più sicura via al conseguimento di una finale vittoria. Nel che speravano ancora, che quand'anche non avessero potuto ottenere l'intento, avrebbero almeno conseguìto quello di dar pasto, e di contentar i popoli della Gran-Brettagna, e rendergli, con dimostrare la necessità della guerra, alla continuazione della medesima meno avversi. Nè non era possente stimolo agli animi loro il pensare, che pure dovevan essi, volendo sostener quelle persone, che fin là tanto fuori, quanto dentro del Parlamento sostenute avevano, amici ed autori di pace, se non sinceramente, almeno apparentemente dimostrarsi. Per tutte queste cagioni operarono di modo presso l'Imperadrice delle Russie, ch'ella fece uffizio di componimento colle Province Unite d'Olanda col proporre, essendo a ciò fare dal Re della Gran-Brettagna autorizzata, alla repubblica una tregua, e quelle medesime condizioni di pace, che stat'erano accordate coll'Inghilterra nel trattato del mille seicento settantaquattro. L'ambasciador di Francia, che allora si trovava all'Aia, e che vegghiava queste pratiche, gagliardamente operò, perchè la cosa non avesse effetto, esortando gli Stati Generali a mantenersi in fede. Espose, che pure si erano colla Francia a non fare la pace coll'Inghilterra, se non se quando questa avesse riconosciuto l'illimitata libertà dei mari, obbligati; parlò dei concerti presi tra i due Stati intorno le operazioni navali da farsi contro il comune nemico, il rompere i quali sarebbe stato ugualmente poco onorevole alla repubblica, che dannoso al suo Re, loro fedele alleato. Toccò finalmente della riconoscenza, che gli dovevano per la conservazione del Capo di Buona Speranza, e per la ricuperazione dell'isola di Sant'Eustachio, e delle colonie di Surinam, l'una e l'altra operate dall'armi di Francia. Questi furono gli uffizj dell'ambasciadore. Considerarono poi gli Olandesi, che quelle isole e colonie erano come altrettanti statichi in mano dei Francesi, e che poca speranza poteva rimaner loro di ricuperarle, se essi dalla lega colla Francia si discostassero. Queste cose in un coll'opera dei partigiani della Francia, i quali in questa occorrenza efficacemente si travagliarono, fecero di modo, che gli Stati Generali non si dimesticarono alle proposte inglesi, e si risolvettero a non dipartirsi dall'amicizia di Francia, allegando, che ciò molto bene si conveniva a quella incorrotta fede, colla quale era sempre stata solita a procedere quella repubblica. Nè miglior fine sortirono le pratiche a questo medesimo fine introdotte presso i governi di Francia e di Spagna; perciocchè entrambi le offerte condizioni ricusarono, il primo, perchè aveva ferma speranza di cacciar del tutto gl'Inglesi dall'isole delle Antille, ed ottenere poscia migliori patti in proposito della libertà dei mari; il secondo per questi stessi motivi, e principalmente per quella leccornìa, accresciuta anche dalla speranza di aver in mano sua la Giamaica e Gibilterra, non considerando, che l'uomo ordisce, e la fortuna tesse; l'uno e l'altro poi per osservare il patto di famiglia, e per conservare intatto l'onore delle loro corone, il quale sarebbe grandemente offeso ad un somigliante abbandono fatto dell'alleato loro. Ma i ministri britannici avevano non poca speranza, che pei maneggi loro si potessero ridurre le cose a qualche composizione cogli Stati Uniti d'America. Per questo avevano mandato per iscambio al generale Clinton il Carleton, uomo, il quale per la prudenza ed umanità dimostrate nei passati fatti della canadese guerra era in buona voce presso gli Americani. Gli diedero facoltà, siccome pure all'ammiraglio Digby, di accordar la pace cogli Stati Uniti, riconoscendo la independenza, e concludendo con essi un trattato di amicizia e di commercio. Ma gli Americani considerarono, che a quel tempo nissuna legge era stata fatta dal Parlamento, che autorizzasse il Re a concludere o pace, o tregua coll'America, e che per conseguente quest'erano offerte e promesse, che i ministri facevano di per sè stessi, e che il Parlamento avrebbe potuto disdire. Conoscevano la ripugnanza, che aveva grandissima il Re al riconoscere la independenza loro. Perciò entrarono in gran sospetto, che ci covasse sotto qualche occulta frode, o malizia. Nel quale si confermarono anche maggiormente, quando intesero le novelle, che i ministri avevano introdotto pratiche d'accordi separati presso gli altri potentati guerreggianti d'Europa. Per le quali cose tutte si fermarono onninamente in questa sentenza, che questo fosse un andirivieno britannico fabbricato a bello studio per disgiugnergli tra di loro, e per menargli per parole. Sospettavano, che il trattamento dell'accordo fosse stato con artifizio dagl'Inglesi usato per deviargli dalle provvisioni della guerra, e per farsi più facile l'oppressione loro. Fece anche a questo tempo il ministro francese presso il congresso grandi uffizj, perchè si sturbasse la pratica, e non si desse retta a queste proposte, dall'una parte la mala fede britannica, dall'altra la lealtà e la generosità del suo Re esponendo, e con vivi colori dipingendo. Parve invero una gran cosa a coloro che reggevano i consiglj dell'America, il rompere sul bel principio dello Stato loro le promesse, e lo scambiar in una non sicura amicizia una provata alleanza. Perilchè ricusarono. Dichiarò il congresso non potere, nè volere in alcun negoziato particolare, nel quale l'alleato loro non partecipasse, entrare. E perchè da nissuno potesse stimarsi poco sincera la fede della repubblica, e per tor ogni speranza all'Inghilterra, ed ogni sospetto alla Francia, i particolari Stati tutti decretarono, che non mai sarebbono divenuti ad una pace coll'Inghilterra, se non vi fosse stato il contento dell'alleato; chiarendo anche nemici alla patria coloro, i quali tentassero di negoziare senza l'autorità del congresso. In cotal modo si ruppero sul principiar del presente anno le pratiche della pace, perchè le cose della guerra non erano ancor mature, e perchè in mezzo a tanta scambievole diffidenza nissuna forma di concordia si poteva trovare, se non era dall'ultima necessità indotta. Andando le cose in America a questo cammino, nelle lontane isole dell'occidente già s'incamminavano elle a quel fatale caso, che doveva por fine all'antillese guerra, non altrimenti, che quello del Cornwallis aveva concluso l'americana. Eransi dai confederati quei maggiori apparati, che possibili fossero, fatti, per fare una volta l'impresa della Giamaica. Avevano gli Spagnuoli una possente armata, ed una grossa banda di soldati nelle isole di San Domingo e di Cuba, l'una e l'altra fornitissime di ogni cosa, e pronte a partire per ogni qualunque fazione, che si volesse tentare. Il conte di Grasse poi si trovava nel porto del Forte Reale della Martinica con trentaquattro grosse navi di fila, con altre due di cinquanta cannoni, con due armate in fluta, e molte fregate. Quivi attendeva a racconciarle, e stava aspettando una seconda conserva partita da Brest sul principio di febbraio, la quale gli recava una egregia quantità di armi e di munizioni, delle quali abbisognava. Rassettato che avesse il navilio, e ricevuto i nuovi fornimenti di guerra, intendeva di andar a congiungersi a San Domingo cogli Spagnuoli, e correre quindi unitamente contro la Giamaica. Effettuata la congiunzione, avrebbero avuto gli alleati un'armata di sessanta navi di fila, e da quindici in ventimila soldati da sbarcare, forza prepotente, e tale, che una somiglievole non s'era mai in quelle spiagge veduta. Non avevano a gran pezza gl'Inglesi forze nè terrestri, nè marittime, le quali fossero sufficienti a contrastare a tanto apparato. Imperciocchè Rodney, il quale si trovava a questo tempo alla Barbada dopo la congiunzione sua ivi fatta con Hood, e l'arrivo dall'Inghilterra di altre tre navi, aveva sotto il suo governo non più di trentasei vascelli di alto bordo, soldati da sparmiare per le guernigioni delle altre isole pochi, e nella Giamaica stessa si avevano solamente sei battaglioni di stanziali, con anco entrovi, secondo l'usanza di quei paesi, molte paghe morte, e le bande paesane. Il terrore vi era grande, ed il governatore dell'isola vi aveva promulgato la legge marziale, per la quale veniva a cessare ogni autorità ne' maestrati civili, ed a conferirsi tutta ai Capi della guerra. L'ammiraglio Rodney conosceva benissimo, che tutta la fortuna dell'antillese guerra, e quella di tutte le possessioni inglesi in quei mari totalmente pendevano dall'intraprendere la conserva di Brest, primachè ella arrivasse nei porti della Martinica, e dall'impedire, che l'armata francese non andasse ad accoppiarsi colla spagnuola a San Domingo. Per ottenere il primo di quest'intenti era egli uscito al mare, e talmente aveva la sua flotta arringata a sopravvento dell'isole, che ella si distendeva dall'isola Desirada sino a quella di San Vincenzo in su quella via, la quale tengono per l'ordinario le navi, che vengono d'Europa per recarsi alla Martinica. E per maggiore sicurezza aveva anche fatto affilar le sue fregate più in là a sopravvento, perchè, speculando tutto all'intorno, avvisassero prontamente l'avvicinarsi del nemico. Ma i Francesi, che pure subodorato avevano qual cosa, invece di andare al solito viaggio per alla Martinica, la conserva loro talmente avviarono, che, torta la via a destra verso settentrione, passarono a tramontana della Desirada, e poscia piaggiando a sottovento la Guadaluppa e la Domenica, la condussero a salvamento a Porto Reale della Martinica. Fu questo molt'opportuno rinfrescamento ai Francesi, e d'infinito cordoglio cagione agli Inglesi, ai quali nissun'altra speranza rimaneva al preservarsi da una totale rovina in quei lidi, fuori di quella d'impedire la congiunzione delle due armate francese e spagnuola in San Domingo. A questo fine andò Rodney a porsi al Gros-Islet in Santa Lucia, dove stava continuamente alla vista, e per la vicinanza de' luoghi poteva facilmente, e spacciatamente venire informato di quello, che si facesse il nemico al Forte Reale. Faceva sopravvedere diligentemente il mare dalle veloci fregate. Attendeva intanto a far acqua, e viveri, ed a porsi in grado a poter bastare ad una lunga crociata. In questo mezzo il conte di Grasse, poichè il tempo era da spenderlo in operare, e non volendo più oltre indugiarsi al mandare ad effetto le commessioni, che aveva dal suo Re ricevute, e che di tanta importanza erano alla gloria ed alla prosperità del Reame di Francia, comandò alle navi della conserva, nel preservamento delle quali consisteva tutta la speranza dell'impresa della Giamaica, uscissero dal porto, e faceva lor fare l'accompagnatura dai due vascelli di guerra il Sagittario, e lo Sperimento. Poco poscia le seguitava egli stesso con tutta l'armata. Avrebbe voluto, andando a seconda dell'etesie, indirigersi direttamente a San Domingo. Ma preveggeva ottimamente, che sì facendo, ed ingombro, com'egli era, con una conserva che sommava meglio, che a cento legni passeggieri, ed in tanta costanza di vento, non avrebbe potuto tanto vantaggiarsi, che l'armata inglese non sopraggiungesse. La qual cosa lo avrebbe costretto alla battaglia, ch'ei voleva, e doveva schivare. Perciò pigliò altro partito. Prendendo voga verso tramontana, iva con tutto il suo numerosissimo navilio radendo le spiagge delle isole. Era questo un molto conveniente consiglio, e ne doveva l'ammiraglio francese sperare un felice evento. Poichè in tal modo conoscendo i suoi piloti molto meglio degl'Inglesi le giaciture di quei lidi, la maggior parte francesi, o spagnuoli, potevano più presso a questi spingere le navi. I diversi canali poi, che fra quelle frequenti isole si frappongono, e sicuri ricetti, e comodi venti offerivano contro il perseguitante nemico. Oltracciò poteva egli ordinar di modo le sue navi, che quelle da carico costeggiassero terra terra, mentre le guerresche si appetterebbero al di fuori contro le nemiche. Dal che ne poteva nascere facilmente, che le inglesi ne fossero spinte a sottovento; e perciò fosse lasciata libera la via alle francesi per a San Domingo. Con questo consiglio sperava il conte di Grasse di potersi appoco appoco sguizzare sino al luogo destinato alla massa generale in quell'isola. Le fregate inglesi, che stavano vigilanti alle poste, diedero tosto per mezzo dei concertati segnali avviso dell'uscita della flotta francese all'ammiraglio Rodney; ed egli che stava sull'ali, ed era pigliatore di gran partiti, troncati tutti gl'indugi, salpò incontanente per andarla a trovare. Era il giorno nono di aprile, e già i Francesi avevano incominciato a spuntar la Domenica, trovandosi a sottovento della medesima, quando si mostrò improvvisamente agli occhi loro tutta l'armata inglese. De Grasse comandò ai capitani della conserva, collassero tutte le vele, gissero ad apportar nella Guadaluppa. L'uno e l'altro ammiraglio con eguale arte ed ardire si ordinavano alla battaglia. Questa il Francese intendeva di combattere lontana per dar tempo alla conserva di allargarsi, e per non commettere all'arbitrio dell'incerta fortuna una impresa certa; l'Inglese manesca, perciocchè non poteva sperare alle cose sue riparo, se non se in una vittoria determinativa. Aveva seco il conte di Grasse trentatre navi di fila, tra le quali si noveravano la Città di Parigi di 110 cannoni, cinque di ottanta, ventuna di settantaquattro, le altre minori; erano le compagnie delle ciurme pienissime, e si trovavano a bordo da cinque a seimila eletti soldati di sopracollo. Governava il tutto, come capitano generale il conte di Grasse; la vanguardia era guidata dal marchese di Vaudreuil, il dietroguardo dal signor di Bougainville. Consisteva l'armata di Rodney in trentasei navi di alto bordo, fra le quali una di novantotto cannoni, cinque di novanta, venti di settantaquattro, e tutte le altre minori. Era al governo di tutta l'armata l'ammiraglio Rodney, dell'antiguardo il vice-ammiraglio Hood, del dietroguardo il sotto-ammiraglio Drake. Avrebbero voluto gl'Inglesi venirne tosto con tutta l'armata loro alle mani; ma trovandosi tuttora dietro le alture della Domenica, ne erano impediti dal tempo bonaccioso. Solo meglio che potevano, si ingegnavano di approfittar dei buffi, che di quando in quando si levavano, per approssimarsi ai Francesi. Ma questi, essendo più inoltrati verso la Guadaluppa, già godevano del benefizio del vento, ed ogni mossa operavano, che loro pareva più opportuna. Infine la brezza incominciò a gonfiar le vele della vanguardia Inglese, della quale giovandosi Hood pervenne a tiro d'artiglieria presso l'armata nemica, e si appiccò la battaglia alle nove della mattina. Era De Grasse confidentissimo della vittoria. Perocchè combatteva con tutte le sue forze contro una sola parte di quelle del nemico. Perciò l'incontro fu molto aspro, e la pressa, che facevano i Francesi molto grande. Ma gl'Inglesi, comechè con grave danno loro, fecero tal retta, che nè rincularono, nè si smagliarono. Intanto le prime navi della battaglia inglese, ottenuto il vento, venivano per soccorrere la vanguardia, che pativa, e che aveva bisogno di aiuto, e giunte a tiro con una incredibile furia entrarono anch'esse nella mischia; nè fu con minor valore l'impeto loro dai Francesi ricevuto. Fulminava soprattutto terribilmente colla sua nave il Formidabile, e colle due sue seconde il Namur, ed il Duca, tutte e tre di novanta cannoni, l'ammiraglio Rodney. Ma un capitano francese, il quale governava una nave di settantaquattro, ostinatissimamente se gli opponeva, e fatta con magnanima risoluzione voltare a ritroso la vela di gaggia dell'albero maestro per tôrre a' suoi ogni opinione, ch'ei si volesse ritirare, e però fargli nella pugna più ostinati, ferocissimamente combatteva contro le tre più grosse navi di Rodney. E tanta fu la virtù sua, che un uffiziale inglese, scrivendo a' suoi, lo ebbe a chiamare _divino Francese_. Arrivarono in questo mezzo di mano in mano le altre navi di Rodney, e già poco anch'erano lontane quelle del dietroguardo condotte da Drake. Per la qual cosa il conte di Grasse, il quale avendo buono in mano non voleva rimescolare, fece tirar indietro i suoi, ed in tal modo fu posto fine ad un combattimento, nel quale non saprei, se stato sia maggiore il valor, o la perizia delle marinaresche cose, che e l'una parte, e l'altra dimostrarono. Non seguitarono gl'Inglesi, sia perchè avevano il vento meno favorevole, sia perchè le navi della vanguardia avevano grave danno ricevuto, massime le due il Real Pino, ed il Montagù, ch'erano la testa. Il che vedutosi dall'ammiraglio francese, ordinò incontanente alle navi della conserva, le quali avevano afferrato alla Guadaluppa, salpassero di nuovo, e gissero al viaggio loro. La qual cosa essendo stata diligentemente eseguita dal signor Langle, che le governava, arrivarono esse, pochi giorni dopo, tutte felicemente a San Domingo. Alcune navi francesi furono assai malconce. Fra le altre il Catone fu sì danneggiato, che ne fu mandato per rassettarsi alla Guadaluppa. Queste cose impedirono, che il conte di Grasse non potesse sì tosto, come avrebbe voluto, rimontare al vento di quel gruppo d'isole, che chiamano le Sante, siccome era il suo disegno, per recarsi poscia a sopravvento della Desirada, e quindi difilarsi, passando a tramontana dell'isole, a San Domingo. Gl'Inglesi, racconce le navi loro, di nuovo s'erano posti a seguitare i Francesi. De Grasse sempre bordeggiava per riuscire a sopravvento delle Sante, e già tanto aveva operato, che il dì undici, superate le Sante, incominciava a spuntar a sopravvento della Guadaluppa; e già aveva sì gran vantaggio preso dell'armata inglese, che solo i gabbieri di questa, e ciò a gran fatica, potevano la francese discoprire. Gl'Inglesi, i quali sapendo ottimamente, quanta posta vi andasse, avevano con quella maggior celerità, che avevano potuto, seguitato i Francesi, ora già erano pressochè totalmente disperati di potergli raggiungere; e già i Capi ristrettisi tra di loro si consigliavano, se non fosse miglior partito per lo servizio delle cose loro il torsi giù dal seguitar l'inimico, e volger le prue a sottovento, affine di arrivare, se possibil fosse, prima di lui nelle acque di San Domingo. Mentre in questo fortunevole punto se ne stavano deliberando, ed ansiosamente d'in sulle gagge velettando, incerti del destino, che alla Giamaica soprastava, ed a chi dovesse dell'Inghilterra, o della Francia la signoria delle Antille rimanere, ecco comparir di lungi, era l'ora del mezzodì, due navi francesi, le quali non potendo pareggiare la prestezza delle compagne, si erano lasciate, e si lasciavano continuamente cadere a sottovento delle loro, e perciò più vicine all'armata inglese. Erano queste il Zelante, il quale pare, che sia stato destinato dai cieli ad essere in questi dì un fatale intoppo alla fortuna francese, e la fregata l'Astrea, che il conte di Grasse gli aveva mandato dietro, perchè lo rimorchiasse. Aveva poco prima questo Zelante, non so se per imperizia di chi il guidava, o se per fortuito caso dato di cozzo nella Città di Parigi, e ne ebbe rotti gli alberi dello sprone e del trinchetto. Il quale accidente, rallentando il suo abbrivo, l'aveva fatto rimanere indietro. Tosto si rinfrescavano nel cuor degl'Inglesi le speranze di quella battaglia, che tanto agognavano. Perciocchè credevano fermamente che ov'essi fossero venuti sopra alle indietreggiate navi per pigliarle, l'ammiraglio francese sarebbe venuto in soccorso di quelle, e per conseguente postosi nella necessità del combattere. Per la qual cosa con incredibile contenzione d'animo aiutandosi, ed incalzandosi l'un l'altro, poichè stringeva molto il tempo, tanto fecero, che si avvicinarono di modo, che le due navi, se De Grasse non le soccorreva, sarebbero senza fallo alcuno, prima che abbuiasse, in poter loro venute. Credesi, e non senza ragione, che se il conte contento alla gloria acquistata sulle rive della Virginia avesse saputo moderare la propria fortuna, ed abbandonato a quel destino, che le minacciava, le due fatali navi, avrebbe con felicità corsi i mari fino a San Domingo, e là congiuntosi cogli Spagnuoli avrebbe spenta del tutto la potenza britannica in quei lidi. Poichè già si era tanto allargato a sopravvento, che quando avesse il suo cammino seguitato, non sarebbe più stata riuscibile cosa agl'Inglesi il raccostarlo. Ma giudicando, che fosse contro la dignità, e la riputazione di quell'armata il sopportare, che così vicino a lei venissero predate le navi, si risolvette, certo con animoso, ma non meno arrischiato consiglio, ad andare in soccorso loro, mettendosi in tal modo, per voler salvare una piccola parte della sua armata, in pericolo di perderla tutta. Rivolse adunque le prue al nemico, e preservò il Zelante. Ma intanto si fu di tanto spazio avvicinato, che fu sforzato ad ogni modo a far la giornata. I due nemici ammiragli con grande animo, e con accesa disposizione di tutti i loro vi si apparecchiavano, consapevoli l'uno e l'altro, che in quella si combatterebbe la gloria dei due regni, e la signoria delle Antille. Ma essendo l'ora tarda, e volendo i due generosi nemici a buono sciente combattere, sino all'indomani mattina la indugiarono; solo spendendo la notte nell'esortare i loro ad apparecchiare i corpi e l'armi alla battaglia. Il campo, in cui si doveva combattere, è un pelago posto tra le isole Guadaluppa, Domenica, le Sante e Maria-galante; di qua e di là a sopravvento, ed a sottovento acque infedeli, e lidi scogliosi. L'indomani all'ore sei della mattina le due armate si attestarono attelate l'una a rincontro dell'altra, avendo quella di Francia le scotte a orza, quella d'Inghilterra a poggia. In questo punto essendo il vento, per aver variato da levante a scirocco, diventato più favorevole agl'Inglesi, questi giovandosene tosto ai spinsero avanti colla vanguardia, e colla maggior parte della mezzana schiera, e pervenuti a mezza gittata di cannone incominciarono una fierissima battaglia. Durò essa dalle sette della mattina sino alle sette della sera. Di mano in mano gli altri vascelli inglesi della squadra di mezzo, e la più parte di quei del dietroguardo, incluso il Barfleur, capitanato dallo stesso Hood, arrivarono anch'essi a tiro, ed affilatisi vennero a parte del combattimento. Il Zelante in questo mentre condotto a rimorchio dall'Astrea si avviava alla Guadaluppa. Nissuno creda, che mai in altre battaglie maggior valore d'uomini affocatissimi nel voler riportare la vittoria si sia dimostrato, come in questa e Francesi, ed Inglesi dimostrarono. Spesseggiavano le fiancate; il fumo, il rimbombo, il fracasso, e lo stroscio delle navi, che si tritavano, eran orribili. Il Formidabile, ch'era l'almirante, trasse fino in ottanta fiancate; la Città di Parigi altrettante. Stette un pezzo dubbia la vittoria. Le navi si dirompevano con grossi sbrani ad ogni momento, e l'anelito degli uomini era grande. Dal bel principio della battaglia gli Inglesi, secondo l'usanza loro, avevano fatto pruova di ficcarsi in mezzo e di romper l'ordinanza francese. Ma non avendo il vento abbastanza propizio per potersi lanciar con quel momento, che sarebbe stato necessario, e da un altro canto avendo i Francesi fatto gran retta, furono risospinti. Intanto la vanguardia e battaglia del conte, avendo grave danno ricevuto, massime negli attrazzi, e maggiore di quello, che sopportato avesse la dietroguardia, ne nacque, che il movimento di quelle due prime squadre si rallentò notabilmente, e non avendo quest'ultima, ch'era rimasta più intiera, accomodato il suo al movimento di quelle altre, ne avvenne che l'ordinanza si scompigliò; perocchè alcune navi vennero a trovarsi più innanzi, altre più indietro. A questo sconcerto già grave in sè stesso, e che fu colpa degli uomini, si aggiunse una contrarietà di fortuna, e questa fu che il vento si voltò da levante scirocco sino a scirocco schietto, accidente sfavorevole ai Francesi, poichè le vele loro ne furono improvvisamente volte a ritroso, e favorevole agl'Inglesi, che ne vennero ad acquistare il vento più propizio. Se ne giovò Rodney incontanente, e con mirabile rattezza spintosi avanti col Formidabile, col Namur, col Duca, e col Canadà, fracassato e disarborato affatto il vascello il Glorioso, ruppe e fendè l'ordinanza francese, tre navi distante dalla Città di Parigi, dove combatteva il conte di Grasse. Ciò fatto, comandò tosto alle navi, che orzando lo seguitassero. Il che prestamente stato essendo eseguito ne avvenne, che tutta l'armata inglese riuscì a sopravvento della francese. Queste mosse definirono la fortuna della giornata. Gl'Inglesi si scagliarono poggiando contro i Francesi, i quali disordinati ed ingarbugliatisi insieme tutti male si potevano contro un nemico ordinatissimo, stretto, ed esultante per la speranza della vicina vittoria, riparare. D'allora in poi i Francesi non combattettero più raccolti in file regolari, ma con navi separate, o gomitoli snodati. In tale pericoloso frangente non mancarono per altro a sè stessi. Tentarono di rannodarsi a sottovento; ma ciò non venne loro fatto. Non potendo più operare con consiglio comune, combattettero in singolari affronti con tanto valore, che al tutto si mostrarono di miglior fortuna meritevoli. Ora gl'Inglesi s'avventavano a questa, ora a quell'altra nave, secondochè veniva lor meglio il destro per pigliarle. Il Canadà si attaccò coll'Ettore, e dopo una ostinata resistenza lo prese. Il Centauro si mise a petto al Cesare, l'uno e l'altro rimasti pressochè intieri. Ne seguì un furiosissimo affronto. Il Francese non voleva arrendersi. Vennero ad assaltarlo altri tre vascelli d'alto bordo. Ma il signor di Marignì, che il capitanava, in luogo di abbassar la tenda, intorato, e feroce la faceva chiodare all'albero, e tuttavia tirava avanti con una furia di cannonate. Fu morto. Il successore si difendeva con pari coraggio. Infine, caduto l'albero maestro, e perduti tutti i suoi corredi, cedendo alla fortuna, si arrendè. Il Glorioso anch'esso, non senza prima aver fatto una gagliarda difesa, venne in poter degl'Inglesi. L'Ardente ebbe la medesima fortuna. Il Diadema rotto e fracassato affondò. Ma se fu grande la virtù dimostrata dai capitani francesi sin qui raccontati, le navi dei quali vennero in poter degl'Inglesi, fu degna altresì di perpetua lode quella del conte di Grasse, il quale parve, si fosse posto in animo di voler piuttosto andare a fondo, che arrendersi. Lacera essendo, e sfessa la sua nave, la Città di Parigi, per una battaglia, che già da dieci ore durava, nissuna sembianza faceva di volersi piegare e tuttavia continuava a tronare orribilmente ed a rispondere da ogni parte. Veniva ad assaltarlo ferocemente il capitano Cornwallis colla nave il Canadà, e tuttochè con incredibile valore si affaticasse, non faceva frutto. Perocchè quella enorme mole lungi da sè con prepotente forza il ributtava. Venivano per dargli l'ultimo strazio a congiungersi col Canadà altre sei grosse navi inglesi; ma tutto era nulla. Erano intanto accorse per isbrigarlo le navi francesi la Linguadoca e la Corona, poscia il Plutone ed il Trionfante. Ma sopraffatte dalla moltitudine delle navi di Rodney furono costrette a lasciar la capitana loro nel gravissimo pericolo, in cui si trovava. Venutagli meno quest'ultima speranza, e veduta la sua armata testè sì fiorita, ora tutta o fugata, o presa, l'invitto animo del conte di Grasse non si voleva per ancora inclinar alla resa; e continuando nella difesa non rifinava di trarre. Sopraggiungeva allora Samuele Hood avventatissimo col suo Barfleur, e giunto presso la Città di Parigi (già il giorno si rabbruzzava) vi scaricò dentro con orribile strabocco un nembo sì fitto di palle, che ne furono strambellati tutti coloro, che sulla coperta si ritrovavano. Fu scritto, ne siano rimasti uccisi al primo tratto sessanta. Disperato della salute aveva tuttavia il conte cura dell'onore. Sostenne tanta furia ancora più per un quarto d'ora. Infine, abbassata la tenda al Barfleur, si arrendè all'Hood. È fama che nel momento della resa tre soli uomini rimanessero viventi, e non feriti sopra la coperta, dei quali uno si fu il conte stesso. In questo molto la Città di Parigi, vascello, ch'era a ragione stimato il più bel ornamento, ed il principale propugnacolo della marineria francese, venne in potestà degl'Inglesi. Era stato dato in dono dalla città di quel nome al Re Luigi Decimoquinto, allorquando le cose navali della Francia erano state a tanto bassamente condotte durante la guerra del Canadà. Vi si erano spesi intorno da quattro milioni di tornesi. Trentasei casse di contanti, tutte le artiglierie, le somerie, e le munizioni, che dovevano all'assalto della Giamaica servire, diventarono preda del vincitore. Morirono in questa battaglia degl'Inglesi, inclusi anche quelli, che furono uccisi nella giornata dei nove, e furon feriti meglio di un migliaio; dei Francesi molti più, oltre dei prigionieri. Fra i primi furono morti degli uffiziali segnalati i due capitani Boyne e Blair. Lord Roberto Maners figliuolo, che fu del marchese di Granby, giovane di grandissima aspettazione, ferito gravemente, dopo d'essere stato alcun tempo in fine di morte, anch'egli trapassò. De' secondi sei capitani di nave, tra i quali il conte d'Escars, e de la Clocheterie furono da questa vita tolti. Avrebbe l'ammiraglio Rodney per non corrompere la speranza di cose maggiori, voluto seguitare dopo la battaglia il nemico. Ma essendo sopraggiunta la notte, e volendo prima assicurarsi delle prede, e conoscere il danno ricevuto da' suoi, e dalle sue navi, se ne temperò. La mattina seguente fu medesimamente dal ciò fare impedito dalle bonacce, che sopravvennero presso le spiagge della Guadaluppa. Avendo però fatto sopravvedere nei vicini porti delle isole nemiche, ed accortosi che in questi non si erano gli avanzi della rotta armata riparati, e dubitando di quello, ch'era, cioè che si fossero dirizzati a San Domingo, comandò, per non fermare il corso della vittoria, all'ammiraglio Hood, la cui squadra era rimasta più intiera, se ne andasse a stare sulle volte in quelle acque. Gli commise ancora, che, compiuta la bisogna, si recasse al Capo Tiberone, dove sarebbe colla restante armata ito egli stesso per ivi fare la generale massa. Infatti, eccettuate alcune navi, le quali furono condotte a racconciarsi a Sant'Eustachio dal signor di Bougainville, le altre raccolte dal marchese di Vaudreuil andarono a far porto al Capo-Francese in San Domingo. Intanto era arrivato nelle acque di quest'isola l'Hood, e mentre si stava volteggiando nel passaggio di Mona, che la medesima da quella di Portoricco divide, osservò di lontano quattro navi, due d'alto bordo, due altre minori. Quest'erano il Giasone, ed il Catone, che ritornavano dai concieri della Guadaluppa, colla fregata l'Amabile, e la corvetta la Cerere. Non erano i capitani loro informati dell'esito della battaglia dei dodici, e viaggiavano a sicurtà. Hood diè dentro; e dopo una leggiera avvisaglia tutte le pigliò. Una quinta nave, che si discoperse, sebbene non senza gran fatica, scampò. Così perdettero li Francesi otto navi d'alto bordo, delle quali il Diadema affondò, il Cesare arse, e sei fecero chiara e notabile la vittoria degl'Inglesi, per essere in poter loro venute. Raccozzatisi insieme Rodney, e Hood al Capo Tiberone, il primo colle prede e colle navi malconce si avviò alla Giamaica, il secondo se ne rimase con venticinque delle più intiere nelle acque di San Domingo, acciò e gl'inimici osservasse, ed impedisse loro di tentar qualche fatto di rilievo contro le possessioni britanniche. Imperciocchè quantunque scoraggiati dalla recente sconfitta, erano tuttavia gli alleati assai formidabili, avendo al Capo-Francese, Vaudreuil ventitre navi di fila, e Don Solano sedici con molte migliaia di pedoni a potere, ove d'uopo fosse, sbarcare. Ciò nondimeno non solo si perdè del tutto l'impresa della Giamaica; ma ancora nissuna fazione d'importanza si tentò, dopo la raccontata, nelle Antille. Se ne tornarono gli Spagnuoli nell'Avana. Alcune navi francesi si avviarono, facendo la scorta ad una conserva, verso l'Europa, e con prospero viaggio vi arrivarono. Vaudreuil colle rimanenti andò ad ammainar le vele nei porti della settentrionale America. In tal modo furono agli alleati sturbati i disegni sopra la Giamaica, e questo fine ebbe l'antillese guerra. Solo il giorno sei di maggio le isole Bahame, state fin là sicuro nido d'infestevoli corsari, all'armi spagnuole si arresero. Un'altra fazione, debol compenso a tanta perdita, successe prosperamente ai Francesi nelle regioni più settentrionali dell'America. Aveva il marchese di Vaudreuil poco prima, che partisse per alla volta degli Stati Uniti, spedito il signor De la Peyrouse colla nave lo Scettro, e due fregate, commettendogli, se ne andasse al seno d'Hudson, e là tutto quel maggior male che potesse, facesse alle possessioni della Compagnia inglese. La cosa riuscì, e la Compagnia ricevè un danno di parecchj milioni. Fu questa spedizione degna di ricordanza, non già per gli ostacoli, che gli uomini abbiano opposto, giacchè stavano gl'Inglesi indifesi e sicuri, ma sibbene assai per le difficoltà, che parevano piuttosto insuperabili, che grandi, de' luoghi. Le spiagge erano difficili, e poco esplorate, le acque infedeli; e quantunque corresse, quando arrivarono, la stagione del finir di luglio, tuttavia il sido vi era sì grande, e i ghiacci sì grossi, che poco mancò, le avventurieri navi non vi fossero rapprese dentro, ed in quel crudissimo clima per tutto l'inverno confinate. Tra queste cose l'ammiraglio Rodney era alla Giamaica pervenuto, e nel porto di Kingston trionfalmente entrato. Concorrevano gl'isolani con infinita allegrezza a vedere il loro liberatore, le vincitrici, e le predate navi, le ricche spoglie, e quel nemico capitano stesso rimirando, che, già vincitore in America di una gran guerra, poscia minacciatore potentissimo della patria loro, compariva allora in sì dimessa fortuna vinto, e cattivo agli occhi loro. Ma se grandi furono la fortuna di Rodney, ed il contentamento dei Giamaichesi, non furono minori le cortesie, che quello e questi usarono verso il vinto nemico, niuna cosa tralasciato avendo, la quale potesse nell'avverso caso racconsolarlo. Poco poscia l'ammiraglio inglese, avuto lo scambio dall'ammiraglio Pigot, scambio, che fu ordinato, primachè si avessero a Londra le novelle della vittoria dei dodici aprile, partì per l'Inghilterra, alla volta della quale aveva anco sulla carovana della Giamaica inviato il conte di Grasse. Era venuto Rodney in molta disgrazia dell'universale a cagione di quelle rapine di Sant'Eustachio, delle quali se ne fecero anche risentitamente le parole in cospetto del Parlamento. Da ogni parte risuonavano querele contro di lui; e questo fu forse il principale motivo, oltre di quello della diversità delle Sette, che i ministri il rappellassero. Ma alle accusazioni, giunto che ei fu in Inghilterra, rispose mostrando cattivo ai popoli il conte di Grasse. Allora l'accagionato spogliatore di Sant'Eustachio diventò tosto l'idolo di tutta la nazione. E quegli stessi, che prima più la fama sua laceravano, ora più di tutti si studiavano di encomiarlo, le passate ruggini alla presente gloria condonando. Furono fatte in Inghilterra le gratissime accoglienze al conte di Grasse, parte per civiltà, parte per vanagloria. Arrivato a Londra, fu presentato al Re, gli furon fatte pubbliche feste, il popolo, che spesso sotto i balconi della sua casa concorreva, lo voleva vedere; e volesse egli, o no, gli era forza il mostrarsi, ed allora le acclamazioni e gli applausi non erano pochi, tutti ad alta voce chiamandolo, (tanto è bella la virtù, che piace anche ai nemici in un nemico) il bravo, il valoroso Francese. Ne' luoghi pubblici, dov'ei compariva, gli facevano le affoltate intorno, non per noiarlo, ma per fargli onoranza; e tanto si andò oltre con questo occupamento della plebe londinese verso il conte di Grasse, che pretendevano, e volevano che altri il credesse loro, che la fisonomia del conte ritraesse dell'inglese; e gli fu giuocoforza, si lasciasse fare il ritratto. Del quale se ne sparsero tostamente tante copie nel contado, che chi non l'aveva, era tenuto scemo, o disamorevole. Fu Rodney creato dal re Pari d'Inghilterra sotto il titolo di lord Rodney, Hood Pari d'Irlanda, Drake e Affleck Baroni del regno. In Francia intanto le novelle della rotta dei dodici aprile furono di universale cordoglio cagione, tanto più grave, quanto stat'erano più liete le passate speranze. I Francesi però durevoli nell'allegrezza, trascorrevoli nella mestizia, ed animosi di natura tosto si riconfortavano. Fu il Re il primo a dar l'esempio della fermezza. Seguitavano gli altri. Comandò per rifornir i perduti, si fabbricassero incontanente dodici vascelli tra di 110 cannoni, di 80 e di 74. Il conte di Provenza, e quel d'Artesia, suoi fratelli, ne offerirono del loro ciascuno uno di 80. Il principe di Condé uno ne offerse di 110 in nome degli Stati di Borgogna. I Preposti de' mercanti, gli Schiavini e le sei Capitudini de' mercanti della città di Parigi, i negozianti di Marsiglia, di Bordeaux, di Lione si risolvettero anch'essi con maravigliosa prontezza a somministrare allo Stato ciascuno una nave della medesima portata. I ricevitori e gli appaltatori generali della Camera pubblica, ed altri pubblicani offerirono, e fornirono somme di pecunia di non poca importanza. Furono tutte queste esibizioni accettate; ma non già quelle, che avevano fatte i particolari cittadini, ai quali il Re, perchè la buona volontà dei già gravati popoli in maggior aggravio loro non tornasse, fe' le somme offerte, o già donate restituire. In cotal modo, per l'universale consentimento d'animi verso la patria, verso il Re bene inclinati, si sopportò in Francia l'acerbità della fortuna, si riparavano i passati danni, e le felici speranze dell'avvenire si rinfrescavano. Avendo noi sin qui raccontato in quale modo per un irreparabile infortunio degl'Inglesi sia stata la guerra sulla terra-ferma d'America terminata, e come altresì per una fatale sconfitta delle forze navali della Francia sia veduta a conclusione nelle Antille, egli è oggimai tempo, che da quelle lontane ragioni la mente rivocando, ci facciamo a descrivere, qual fine ella abbia avuto là, dond'ella principalmente procedeva, vogliam dire in queste più vicine contrade di Europa. Erano gli occhi di tutti gli uomini rivolti all'assedio di Gibilterra. Nè non aveva mai nè in quell'età, nè forse in molte superiori veduto Europa tentarsi oppugnazione, che fosse di maggior aspettazione per la fortezza di quella rocca, e per gli effetti importanti, che dal perderla, o dal vincerla risultavano. Veleggiava Howe al soccorso di quella. Cadevano nei discorsi degli uomini varj concetti. Alcuni confidandosi nell'ardire e nel sapere britannici, e dalla felicità dei passati tentativi all'esito del presente argomentando, pensavano, che l'impresa del soccorso sarebbe a buon fine riuscita. Altri attendendo alle prepotenti forze navali della lega, nell'industria, e nel valore di Don Luigi, e del conte di Guichen, che le governavano, confidando, portavano una contraria opinione. Chi si persuadeva, osservati gli straordinarj preparamenti che stati erano fatti, e tuttavia si facevano dagli assedianti, che fosse non che probabile, vicina la resa della piazza. E chi per lo contrario credeva, considerata la fortezza del luogo, la concinnità delle fortificazioni, ed il coraggio degli assediati, ch'ella fosse non solo improbabile, ma impossibile. Tutti poi erano venuti in questa opinione, che l'opera sarebbe riuscita dura, e che vi si sarebbe sparso dentro molto sangue. Intanto la fama era corsa, e raccontando le cose di Gibilterra aveva acceso nell'animo di tutti gli uomini valorosi un ardentissimo desiderio di entrare a parte, od almeno di trovarsi presenti, come spettatori di quelle onorate fazioni, che sotto di quelle mura dovevano agli occhi degli uomini maravigliati rappresentarsi. Quindi è, che non solo dalla Francia, e dalla Spagna i più riputati personaggi per generosità, e per valore concorrevano a gara al campo di San Rocco, e nel porto di Algesiras, ma ancora dall'Allemagna, e dalle più lontane regioni del Settentrione. Nè tanto potè operar la barbarie nelle vicine popolazioni delle coste africane, che non accorressero anch'esse nei più propinqui lidi per poter di là l'inusitato spettacolo, che soprastava, prospettare. Ogni cosa era in moto nel campo, nelle flotte, negli arsenali dei confederati. Elliot dall'alto della rocca con mirabile costanza aspettava il pericoloso assalto. Ma primachè quelle cose raccontiamo degnissime invero di memoria, che seguirono, egli è cosa necessaria, e, secondochè noi stimiamo, da non riuscir discara ai nostri leggitori, l'andar descrivendo, qual fosse la natura de' luoghi, e quali le fortificazioni dentro e fuori della rocca, e quali ancora fossero gli apparecchiamenti, e le intenzioni degli assediatori. Ella è la Fortezza di Gibilterra fondata sopra di una roccia, la quale a guisa di lingua nata dalla terra-ferma di Spagna corre per lo spazio di una lega da tramontana a ostro, e si termina in un puntazzo, che chiamano punta d'Europa. La cima della roccia è alta a mille piedi sopra il pelo dell'acqua del mare. Il suo lato di levante, quello cioè, che è volto verso il mediterraneo, è tutto da una parte all'altra composto di un vivo macigno, e talmente rupinoso ed erto, che non che altro, il salirvi su è cosa del tutto impossibile. La punta d'Europa, fatta anch'essa di vivo sasso s'abbassa, e termina in una spianata venti piedi alta sopra l'acqua del mare, e quivi gl'Inglesi hanno piantato una batteria di venti colubrine, che traggono di punto in bianco. Dalla punta d'Europa indietro il promontorio s'allarga, ed alzandosi si distende poscia in un'altra spianata, che sta a ridosso della prima. Questa seconda è abbastanza grande, perchè i soldati vi possano fare per la difesa del luogo tutte le loro mosse, armeggiamenti, ed uffizj militari; e siccome la china è dolce, e ne sarebbe la salita agevole, così gl'Inglesi vi han fatto tagliate, e procinti di mura qua e là, e circondato il ciglione della spianata con un muro quindici piedi alto, e grosso altrettanti, e munitissimo d'artiglierie. Oltreacciò hanno costrutto all'indentro della spianata medesima un campo trincerato, ove come dentro una sicura ritirata possano ripararsi, e rattestarsi, caso, che fossero dalle esteriori difese cacciati. Da questo luogo havvi la via ad un altro più alto e posto tra massi dirupati e scoscesi, dove avevano gli assediati gli alloggiamenti loro piantato. Sul lato occidentale del promontorio a riva il mare è fondata lunga e stretta la città di Gibilterra, che era stata dall'ultima batteria data alla Fortezza quasi intieramente distrutta. Ella è chiusa a ostro da un muro, a tramontana da una vecchia bastita, che chiamano il castello de' Mori, e da fronte verso il mare da un parapetto quindici piedi grosso, e munito da luogo a luogo di batterie, che traggono a livello d'acqua. Dietro la città il monte si innalza molto ben erto sino alla cima. Per maggiore sicurezza di questa parte hanno anche gl'Inglesi due altre fortificazioni, che molto s'inoltrano nel mare, fatte, l'una e l'altra guernite di formidabili artiglierie. La prima posta a tramontana chiamano molo vecchio, la seconda molo nuovo. Nè contenti a questo fecero avanti il molo vecchio, ed il castello de' Mori un'altra bastita consistente in due bastioni accortinati, la scarpa de' quali, ed il cammino coperto sono molto difficili a minare, per esser contramminati ben per tutto. L'intendimento di chi fece questa murata si fu per battere colle artiglierie piantate in essa, e spezzare quella stretta striscia di terra, che corre tra il mare e la roccia, e per la quale si ha l'adito dalla terra-ferma di Spagna alla Fortezza. Più in là fu per mezzo di argini, e di cateratte introdotta l'acqua del mare, e formatosene una laguna, o marese, che molto aggiugne alla fortezza del luogo. La roccia finalmente la quale è a tramontana, che è quanto a dire dalla parte di Spagna, più alta, che in qualunque altro luogo, fronteggia il campo di San Rocco, ed è munita ne' luoghi più acconci di una maravigliosa quantità di batterie, che sopraggiudicano le une le altre, e traggono a cavaliere sopra il campo spagnuolo. In questo modo tutta quella mole era ridotta a Fortezza molto sicura. Tra quel risalto, che fa il promontorio di Gibilterra e la costa di Spagna, havvi dall'altra parte verso ponente una profonda tacca, dentro la quale ingolfandosi il mare forma quel seno, che chiamano il golfo di Gibilterra, o d'Algesiras. Il porto poi, e la città d'Algesiras sono posti sulla occidentale riva di questo golfo rimpetto Gibilterra. Il presidio, che vi era dentro, sommava a poco più di settemila soldati, e circa dugento cinquanta uffiziali. Tal era la natura di questa rocca, contro la quale la Monarchia spagnuola, come in una impresa studiosamente presa a gara, e vicinamente spettante all'onor della Corona, aveva gran parte delle forze sue adunato, aiutata ancora dai possenti rinforzi della Francia. I due Re confederati credevano, che nell'acquisto di quella consistesse la perfezione della guerra; e perchè la espugnazione far si potesse con riputazione e sicurtà maggiore, le fu preposto il duca di Crillon tanto risplendente per la recente vittoria, sperando tutti, che il conquistatore di Minorca avesse ad essere il vincitore di Gibilterra. I preparamenti poi per avanzare la oppugnazione erano non solo grandi, ma maravigliosi, e sin là inuditi. Più di dodici centinaia di cannoni de' più grossi stavano pronti a fulminar da ogn'intorno la piazza, e tanta era la quantità della polvere, che se ne avevano ottantatremila bariglioni; delle palle e delle bombe all'avvenante. Quaranta piatte con grosse artiglierie, la metà altrettante con enormi bombarde stavano in punto per noiar il presidio dalla parte del golfo, ed a queste dovevano e protezione, e maggior forza dare con terribile apparato cinquanta navi d'alto bordo, dodici francesi, le altre spagnuole. Altri legni più leggieri, come sarebbe a dire fregate e simili, s'erano a questi più gravi frammescolati, perchè potessero e soccorrere, e ministrare, ove d'uopo fosse, gli altri, e ficcarsi più vicini ne' luoghi più opportuni, ed ove la occasione si discoprisse, alla Fortezza. Oltreacciò più di trecento battelli s'eran fatti venire da tutte le parti della Spagna, i quali giunti a quelli, che già sì trovavano in Algesiras, erano una moltitudine infinita. S'intendeva che questi dovessero, durante l'assalto, che si sarebbe dato, somministrare alle navi da guerra il bisognevole, e sbarcare le genti, tostochè fosse la Fortezza smantellata. Nè minori erano gli apparecchj, che si erano fatti dalla parte di terra, di quello che si fossero quei del mare. Eransi gli Spagnuoli già fatti avanti colle zappe, ed avevano la circonvallazione loro compiuta, e rizzatovi su, con una quantità maravigliosa di cannoni, numerosissime batterie. Per infondere poi, se non maggior coraggio, del quale non mancavano, agli Spagnuoli, ma più vivi spiriti tanto necessarj alla bisogna di un assalto, s'erano fatti venire al campo di San Rocco dodicimila eletti Francesi. Considerata la smisurata copia degl'istromenti di oppugnazione, che si avevano in pronto, e la tostanezza dei soldati, i Capi dell'assedio desiderosissimi di vedere il fine dell'impresa erano in tanta confidenza venuti, che già avevano tra di loro posto in deliberazione, se si dovesse, senza più oltre badare, andar all'assalto. S'erano fisso in mente, che nel medesimo tempo, in cui le genti da terra avrebbero assaltato la Fortezza dalla parte dell'istmo, il navilio la battesse d'ogni intorno da quella del mare. Speravano in tal modo, che la guernigione già non troppo numerosa, oltre il numero dei morti e dei feriti, pel quale stata sarebbe infievolita, dovendo fronteggiare e difendersi da tante parti, ne sarebbe aperta la via ad una onorata vittoria. La perdita di alcune migliaia d'uomini, e quella di parecchie navi di fila stimavano leggier cosa, purchè un sì prezioso frutto si cogliesse. Ma i più savj e più prudenti capitani mantennero, che quest'era un partito non che pericoloso, temerario. Osservarono, che dalla parte di terra, finchè non si fossero levate le difese alla piazza, il tentar l'assalto sarebbe un mandar i soldati ad una certa morte senza nissuna speranza di vittoria; e che da quella del mare le navi ne sarebbero state dalle artiglierie della Fortezza guaste e distrutte, primachè avessero potuto fare sopra di quelle impressione di sorta alcuna. S'avvedevano ottimamente, che, se era impossibile, come appareva, vincer la rocca assaltandola solamente dalla parte di terra, così da un altro canto non si poteva sperare di poterla battere con frutto dalla parte del mare, se non si avessero in pronto navi, le quali meglio che le ordinarie, potessero ai colpi delle artiglierie resistere. Imperciocchè con breve assalto non era la Fortezza vincevole; un lungo era impossibile per la subita distruzione delle navi. Per rimediare a sì fatto pericolo, e porre in grado gli assediatori a poter durare anche per la parte del mare con una lunga battaglia contro la Fortezza, varie e moltiplicate furono le invenzioni degli uomini ingegnosi, i quali a sì gloriosa impresa avevano gl'intelletti loro aguzzati. Tutte furono con somma diligenza esaminate. Molte furono poste in disparte, come insufficienti; nissuna come di troppa spesa. Infine dopo molte consulte si approvò, e si convenne di trar ad esecuzione il trovato, per verità assai sottile e magnifico del signor d'Arçon, colonnello del corpo reale degl'ingegneri francesi. Questo fu la costruzione di certe macchine molto mirabili, che chiamarono batterie galleggianti, le quali non potessero nè essere rotte dalle palle fredde, nè accese dalle roventi. Il primo di questi fini si doveva conseguire per la straordinaria grossezza delle pareti di esse batterie, il secondo per mezzo di un invoglio, che tutte le rivestisse dalle parti, donde potevano venir i tiri, il quale consisteva in una coperta di grossissime travi, e di una grossa lama di sughero, il quale per essere stato lungamente immerso nell'acqua era, non che umido, inzuppato. Oltreacciò vi s'era racchiusa dentro, come quasi un grosso velo, in tutta la larghezza di essa coperta, una falda di sabbia bagnata. E tutte queste cose non soddisfacendo ancora l'animo dell'ingegnoso inventore, per render le sue macchine più sicure contro il pericolo dell'incendio, ebbe con maraviglioso magistero operato, che un'agevole circolazione di acqua si potesse per tutte le parti loro incessantemente stabilire. Conciossiachè fossero esse per ogni dove perforate, e per questi canali interiori, o docce per mezzo di numerose e larghe trombe, che dentro del mare pescavano, si poteva, non altrimenti, che nel corpo umano il sangue per mezzo del cuore viene spinto in tutte le vene, fare abbondevolissimamente l'acqua salire e trascorrere. Quindi è, che se fosse avvenuto, che una palla rovente fosse penetrata all'indentro, rompendo essa una, o più docce faceva di modo, che si spargesse a copia l'acqua tutto all'intorno della medesima, e sì la spegnesse; maraviglioso ordigno, che operava in guisa, che il male stesso fosse causa del suo rimedio. Perchè poi le macchine fossero preservate dall'impeto delle bombe, ed i soldati, che dovevano le artiglierie loro ministrare, dalla scaglia e dalle palle difesi, le aveva d'Arçon fatte coprire con un tetto accomignolato, pel quale sdrucciolando le bombe andassero, senza far alcun danno, a cader nel mare. Era il tetto alla restante macchina annodato per mezzo di certi ingegni, che il rendevano muovevole, in guisa che si poteva esso più, o meno a volontà di chi governava, e secondo il bisogno, inclinare. Era composto di cordoni reticolati, ricoperti di cuoi lavorati a posta, e bagnati. Tutto questo macchinamento stava fondato sopra gli scafi di grosse navi di portata da secento a quattordici centinaia di botti, alle quali a quest'uopo erano stati tolti tutti gli attrazzi, ed ogni specie di armamento. Erano queste batterie galleggianti dieci, e portavano tra tutte cencinquanta quattro grossissimi pezzi di cannoni, tutti rizzati in sulle batterie loro, oltre la metà altrettanti tenuti in riserbo per gli scambj. La sola Pastora, che era la capitana, ne aveva ventiquattro sulla batteria e dodici in riserbo. La Tagliapiedra, capitanata dal Principe di Nassau, e la Paula, che così chiamavano due altre delle più gagliarde, ne avevano poco meno. E perchè per le morti o le ferite non potessero venir meno gli artiglieri, si erano posti trentasei di questi sì Spagnuoli, che Francesi al maneggiamento di ciascun pezzo. Il governo di tutto questo navilio era stato commesso all'ammiraglio Don Moreno, capitano esperto e forte, la cui opera era stata di molta utilità nelle cose di Minorca. E comechè queste navi di trovato novissimo e per le materie, colle quali erano formate, e per la grandezza loro, e per la straordinaria quantità delle artiglierie, che portavano, fossero pesantissime, ciò nondimeno, tal era la maestria della costruzione loro, erano veleggiatrici leggieri, e come se fregate fossero, veloci e maneggevoli. Essendo in tale modo tutti gli apparecchiamenti al fine loro condotti, ed ogni cosa in assetto, e credendosi se non da tutti, certo dalla maggior parte non che probabile, sicura la presa della Fortezza, allorquando le si desse l'assalto, arrivarono verso mezzo agosto all'oste i due Principi francesi il conte d'Artesia, ed il duca di Borbone. Ciò fu fatto studiosamente per dar maggior animo agli assedianti, e perchè potessero i principi côrre il frutto essi stessi dì sì gloriosa vittoria. E certo, se al loro giugnere al campo si rallegrassero, e di nuovo ardire si accendessero tutti, massimamente i Francesi, nissuno il domandi. Pareva loro mill'anni, che non incominciassero il fatto; ed avevano meglio di freno, che di sprone bisogno. Tanto erano vive le speranze, che si erano concette, che il duca di Crillon ne fu stimato cauto, ed anzi timido, che nè, per aver detto, che fra quindici giorni sarebbe stato padrone della Fortezza. La volevano pigliare in ventiquattr'ore. Fu la venuta dei Principi francesi accompagnata da ogni sorta di gentilezze. Teneva il conte d'Artesia con ispesa infinita gran tavola, e sì gran cortigianie usava, che pareva, che i modi parigini, e gli usi della Corte di Francia fossero stati ad un tratto in mezzo alla rozzezza dei campi, ed al romore dell'armi trasportati. Nè solo queste cortesie si usavano verso gli amici, ma seguendo il costume di quel secolo tanto ingentilito, anche verso i nemici. Avevano gli Spagnuoli intrapreso un plico di lettere indiritte agli uffiziali della guernigione di Gibilterra, e le avevano portate in Corte a Madrid, dove si tenevano in serbo. Queste il conte d'Artesia ottenne dal Re Cattolico, e giunto al campo le ebbe al loro ricapito mandate. Pel medesimo procaccio il duca di Crillon scrisse al generale Elliot, dell'arrivo dei principi ragguagliandolo, e da parte loro assicurandolo, in quanto pregio eglino tenessero e la persona, e la virtù sua. Richiedevalo, ed instantemente pregavalo, fosse contento di accettare un presente di frutta, e d'ortaggi, che per uso suo proprio gli mandava; siccome pure un po' di ghiaccio, ed alcune altre delicature pe' gentiluomini della sua casa. Pregavalo in ultimo luogo, che siccome non gli era nascoso, ch'ei si nutriva unicamente d'erbaggi, così gli piacesse d'informarlo, quali specie meglio amasse, per poternelo regolatamente, e giornalmente fornire. Rendette Elliot colla sua risposta cortesia per cortesia, molto il duca, ed i principi dell'amorevolezza loro ringraziando. Fece quindi a sapere al primo, che accettando il presente di lui, erasi scostato dalla determinazione, la quale si aveva fisso nell'animo, di niuna cosa consumare, e nissuna comodità a sè medesimo procurare, che gli altri suoi commilitoni non potessero usare o procurarsi. Concluse con dire, ch'ei credeva, che al suo onore si appartenesse, che ogni cosa, e così l'abbondanza, come la carestia fossero a lui, ed a' suoi soldati anche negli ultimi gradi constituiti, comuni. Pregollo finalmente, non mandasse più oltre presenti, poichè non avrebbe potuto all'avvenire usargli per sè stesso. Furono queste proposte e risposte molto degne e di quei che le fecero, e de' principi, ch'ei rappresentavano. Fattesi dall'un canto e dall'altro tutte queste cortesie dicevoli alla pace, si pose tosto mano alle orribilità della guerra. Era fin là Elliot stato quasi inoperoso a rimirare i preparamenti degli alleati, e veduto, ch'ebbe spuntare nel porto di Algesiras quelle enormi moli delle batterie galleggianti, se nulla rimesse della sua costanza, fu nondimeno commosso a non poca maraviglia. E non sapendo quale avesse ad essere l'effetto loro, molto se ne stava dubbio e sospeso. Faceva però da parte sua tutti quegli apparecchj, che per un uomo prudentissimo si potevano fare, e di tutte quelle difese si forniva, che meglio credeva, fossero atte a potere l'impeto loro frastornare. E tanto ei si confidava nella fortezza del luogo, e nella virtù de' suoi, che in niun modo dubitava del finale esito della contesa. Per dimostrar poi al nemico, che egli era vivo, invece di aspettar l'assalto si recò in sull'assaltare. Avevano gli assedianti, con incredibile celerità lavorando, condotto a perfezione le trincee dalla parte di terra, e già molto si avvicinavano alle falde della Rocca. Volle Elliot pruovarsi, se le potesse guastare. Perciò la mattina degli otto settembre ei piovve contro di quelle una sì sfolgorata quantità di palle roventi, di bombe, e di carcasse, che fu cosa maravigliosa. Alle dieci già la batteria detta di Maoone era tutta in fiamme; i magazzini, i carretti dei cannoni, gli assiti delle loro piazzuole, ed i gabbioni in più di cinquanta luoghi, spaventevole spettacolo, ardevano. Le traverse, massime sulla punta orientale della circonvallazione, il parapetto, le trincee furono in gran parte distrutte. E non fu senza gran fatica, e grave perdita di soldati, che venne fatto agli assedianti di spegnere il fuoco, e d'impedire la totale rovina delle opere loro. Si risentì il duca di Crillon gravemente, e l'indomani, risarciti avendo la notte con prestezza maravigliosa i danni, fe' scoprire tutte le sue batterie, ch'erano cento novantatre bocche da fuoco, e battè con inestimabile furia le fortificazioni degl'Inglesi, così quelle della montagna, come quelle di sotto. Nello stesso tempo una parte della flotta, giovandosi di un favorevole vento, e lentamente movendosi, andò traendo contro il nuovo molo, ed i bastioni vicini; poscia non fu sì tosto arrivata alla punta d'Europa, che ivi schieratasi in ordinanza diè una feroce stretta alle batterie, che la difendevano. Ma poco nocumento provarono da tante, e sì furiose battaglie gli assediati. Succedè per pochi dì un silenzio di guerra, il quale doveva per una sanguinosa battaglia rompersi. Era il giorno tredici di settembre destinato dai cieli ad una fazione, della quale non si legge nelle storie nè la più aspra pel valore dimostrato da ambe le parti, nè la più singolare per la qualità delle armi, nè la più terribile, mentre durava, nè la più gloriosa per la umanità mostrata dai vincitori dopo l'evento. Essendo già la stagione divenuta tarda, e temendo i confederati, che l'Howe, il quale si avvicinava, non riuscisse a rinfrescar la Fortezza, si risolvettero a non mettere più tempo in mezzo per mandar ad effetto quell'assalto, che avevano in animo di darle. Era il disegno loro, che e le batterie di terra, e le galleggianti, e la flotta, e le piatte armate, fulminassero tutte al medesimo tempo la piazza. Avevano di modo ordinato la cosa, che mentre dal campo di San Rocco si traesse furiosamente contro gli assediati in arcata, acciò le palle di rimbalzo e di rimando non gli lasciassero stare ai posti loro, le batterie galleggianti andassero ad arringarsi lungo il muro, che fronteggia il golfo, distendendosi dal molo vecchio sino al nuovo. In questo mezzo le piatte, o sia le barche armate di cannoni e di bombarde, postesi alle due ali della fila di queste batterie galleggianti, dovevano tirar di fianco contro le batterie inglesi, le quali difendevano quelle fortificazioni, che sono a riva il mare. L'armata intanto, aggirandosi qua e là, avrebbe questa, o quella parte noiato, secondochè pei venti, e per le circostanze della battaglia si sarebbe potuto più convenientemente eseguire. In cotal modo in uno e medesimo punto quattrocento bocche da fuoco, senza far conto delle artiglierie dell'armata, avrebbero battuto la piazza. Dal canto suo aveva Elliot ogni cosa preparato alla difesa necessaria. Erano i soldati alle guardie loro, gli artiglieri colle corde accese presso i cannoni; ed un numero maraviglioso di fornaci ardevano per infuocare le palle. Alle sette della mattina le dieci batterie galleggianti condotte da Don Moreno si muovevano. Alle nove arrivavano, e parallele si attelavano alle mura della Fortezza, comprendendo lo spazio dal vecchio al nuovo molo. La capitana di Don Moreno si pose a fronte del bastione del Re; poscia a diritta, ed a stanca della medesima si arringarono le altre con grandi ed ordine e costanza. S'incominciò allora da ambe le parti a por mano allo sparar delle artiglierie con uno schianto, ed un romore orrendo. Dalla terra, dal mare, dalla roccia fioccavano a copia le palle, le bombe, le carcasse; ma terribil era soprattutto l'effetto delle palle roventi, delle quali sì spessa grandine saettò Elliot, che parve a tutti, ed ai nemici stessi cosa maravigliosa. E siccome le batterie galleggianti erano quelle delle quali come di cosa nuova, e non bene conosciuta stavano gli assediati in maggiore apprensione, così contro di queste, come ad un comune bersaglio dirizzavano essi la mira dei colpi loro. Ma queste, tal era l'eccellenza della costruzione loro, non solo efficacemente resistevano, ma rendendo fuoco per fuoco, furia per furia, già avevano non poco danno operato nelle mura del vecchio molo. Folgoravano con eguale forza e assediati e assedianti, e stette un pezzo dubbia la vittoria. Infine verso le tre ore meriggiane certi fumaiuoli si scopersero sopra il tetto delle due batterie galleggianti la Pastora, e la Tagliapiedra. Questi erano causati da alcune palle roventi, che penetrate molto indentro nelle pareti, non avevano potuto essere spente dal versamento dell'acqua fatto dagli artifiziali doccioni, ed avevano alle vicine parti il fuoco appiccato. Questo covando, ed appoco appoco serpeggiando, continuamente si allargava. Vedevansi allora acquaiuoli, i quali con non poca prestezza, ed evidente pericolo della vita loro operando, si affaticavano in versar acqua nelle buche fatte dalle palle, per ispegnervi il distendentesi fuoco. Tra per l'opera loro, e per l'effetto dei sifoni, tanto si contenne il medesimo, che le batterie continuarono a stare, ed a trarre sino alla sera. Quando poi incominciava ad annottare, era l'incendio sì cresciuto, che non solo era molta la confusione in esse, ma ancora il disordine si era in tutta la fila sparso. Allora, rallentandosi notabilmente il loro trarre, quello della Fortezza venne a sopravanzare. Elliot sempre più s'infiammava nella battaglia, e spesseggiava co' tiri. Si continuò a scaricar tutta la notte. La mattina ad un'ora le due batterie ardevano. Le altre parimente, o per l'effetto delle palle roventi, o perchè gli Spagnuoli, come scrissero, disperati di poterle salvare, avessero a bella posta appiccato il fuoco, erano in fiamme. Ora il perturbamento, e la disperazione apparivano grandi. Facevano gli Spagnuoli ogni momento segnali, e specialmente mandavano all'aria spessi razzi per implorar dai compagni loro soccorso. Si spiccavano allora dalla flotta i battelli, e venivano intorno alle brucianti macchine a raccorre i loro. Ciò facevano con mirabile intrepidezza, ma con grandissimo pericolo. Imperciocchè non solo erano esposti all'infinita moltitudine delle palle, delle bombe, e delle carcasse, che vibravano gli assediati, i quali, essendo l'aria rischiarata dalle larghe fiamme, traevano colpi aggiustati, ma ancora al pericolo delle ardenti navi, piene, com'esse erano, di ogni sorta di stromenti di morte. Nissuno pensi, che mai più miserando, o più spaventevole spettacolo si sia offerto agli occhi de' mortali di questo per la lontana oscurità della notte, pel vicino chiarore dell'incendio, pel rintuonar orrendo delle artiglierie, per le grida dei disperati, e dei moribondi. Venne ad accrescere terrore alla cosa, e ad interrompere la pietosa opera dei soccorritori il capitano Curtis, uomo di non poca perizia nelle faccende di mare, e di smisurato ardire. Governava questi dodici piatte, ciascuna delle quali portava in prua un cannone di diciotto, o di ventiquattro. Ell'erano state costrutte a bella posta per contrastare alle piatte spagnuole. Il loro trarre a pelo d'acqua, e la mira ferma erano causa, che facessero grandissimo effetto. Curtis le ordinò di modo, che ferivano di fianco la fila delle galleggianti. Da ciò ne nacque, che diventò oltre ogni dire degna di compassione la condizione degli Spagnuoli. Le piatte loro non s'ardivano più avvicinarsi, e furono costretti ad abbandonar le stupende navi loro alle fiamme, ed i compagni o ad una certa morte, od alla mercè di un nemico attizzato dalla battaglia. Parecchj battelli, e barche affondarono. Altre allontanandosi scamparono. Alcune feluche si appiattarono la notte; ma, spuntata l'alba, prese a bersaglio dagl'Inglesi, si arrendettero. Se stato era terribile lo spettacolo della notte, non fu meno compassionevole quello, che si scoperse agli occhi dei circostanti in sullo schiarir del nuovo dì. Uomini disperati, che in mezzo alle fiamme chiedevano pietà. Altri scampati al fuoco andavano vagando per le acque con non minor pericolo della vita loro. Di questi alcuni vicini ad affogare cercavano di aggrapparsi colle tremanti mani alle abbronzate, od ardenti navi; altri afferrato avendo le nuotanti tavole, o travi delle guastate navi a quelle fermamente, come all'ultima speranza, ch'era rimasta loro, si attenevano; e tuttavia ad alta voce gridavano aiuto verso i soprastanti vincitori. Questi, tocchi dalla infinita miserabilità del caso, e dalla propria umanità mossi, dall'ire temperandosi, cessarono del tutto lo sparare; e furono come animosi nella battaglia, così misericordiosi dopo la vittoria. Nel che tanto più sono degni di lode da stimarsi, che non potevano soccorrere ai vinti senza evidente pericolo loro. In ciò dimostrossi il capitano Curtis piuttosto singolare, che raro, tanta essendo stata l'attività sua, che parve più desideroso di salvare la vita altrui, che di conservare la propria. S'aggirava colle sue piatte intorno le fiammanti navi, e coloro, ch'erano prossimi ad essere o ingoiati dalle acque, o arsi dal fuoco, raccoglieva e ristorava. Fu visto ancora salir egli stesso sulle navi infuocate, e colle sue proprie mani trarre di mezzo le fiamme gli atterriti e ringrazianti nemici. Intanto ad ogni tratto correva pericolo di essere morto. Poichè ora scoppiavano i magazzini di polvere, ed ora le artiglierie di per sè stesse si scaricavano a misura, che il fuoco arrivava a toccar quelli, o ad aver riscaldato queste. Parecchj de' suoi furono in tal guisa o morti, o sconciamente sgabellati. Accadde ancora, che avendo egli troppo vicino accostato la sua nave ad una di quelle, che ardevano, scoppiando questa ad un tratto, ne fu vicino a perdere la vita. Meglio di quattrocento alleati furono dagli sforzi di Curtis da inevitabile morte riscattati. Ciò non di manco i morti in tutto questo fatto, tra Francesi e Spagnuoli, varcarono quindici centinaia. I feriti, che vennero in mano dei vincitori, furono negli ospedali della Fortezza trasportati; e quivi umanissimamente trattati. Nove batterie galleggianti arsero, o per l'effetto delle palle arroventite, o per opera degli Spagnuoli. La decima, caduta in poter degl'Inglesi, fu arsa da questi, perchè non la poterono dall'incendio, che già sopravanzava, preservare. La perdita degl'Inglesi non fu di molto momento, non avendo avuto dai nove di agosto in poi più di sessantacinque morti e 388 feriti. Fu altresì leggiero il guasto fatto nelle fortificazioni, e tale, che non diè luogo ad alcuna apprensione per l'avvenire. Di tal maniera fu la vittoria acquistata con eterna sua laude da Elliot, e dal presidio di Gibilterra. Tutti i tesori, che il Re Cattolico aveva con infinita larghezza spesi nella construzione di quelle maravigliose moli, la pazienza, e la virtù de' suoi soldati, il valore, e la baldanza dei Francesi furono indarno. Quantunque non si possa di certo affermare, che coi preparati mezzi, quando anche stati fossero con tutta la efficacia, e secondo la intenzione dei capitani diligentemente usati, si fosse potuto la Fortezza espugnare, pare però, che in tutto il corso di questa bisogna abbiano i confederati commesso più errori di non poco momento. E prima di tutto l'avere per le narrate cagioni precipitato gl'indugi, e voluto dar di presente la battaglia, fu causa, che d'Arçon non ebbe potuto a quella perfezione le sue macchine condurre, che avrebbe desiderato. Imperciocchè pignendo, e ripignendo gli stantuffi delle trombe, si era egli accorto, che l'acqua dei doccioni trapelava, e si spandeva internamente sulle vicine parti con pericolo di bagnar le polveri, e renderle inabili all'accendersi. Avrebbe trovato rimedio a quest'inconveniente, ma gli fu tronco il tempo per la pressa, che si ebbe. Quindi i doccioni interiori furono turati, e solo lasciati aperti gli esteriori, i quali furono insufficiente riparo contro l'ardor delle palle. Fu anche sì presto l'ordine mandato a Don Moreno, perchè dalla punta di Maiorca, dove si trovava colle sue batterie, si recasse immediatamente all'assalto, che non potè farle sorgere presso il vecchio molo, com'era il disegno, donde avrebbe potuto e maggiormente esso molo danneggiare, e ritirarsi agevolmente indietro, ove lo avesse giudicato necessario. Andò invece a gettar le ancore nel miluogo tra il vecchio ed il nuovo molo. Nè le piatte degli Spagnuoli furono di quella utilità, che si aspettava, o impedite dal vento contrario, come essi scrivono, ovverochè, vista quella inescogitabile tempesta di tante maniere d'istromenti di morte, che mandava e rimandava la Fortezza, non si siano ardite. Da una o due in fuori, nissuna pigliò il posto, nè trasse. La stessa grossa armata se ne stette pressochè inoperosa, ossiachè il vento le fosse contrario, o che vi siano state gelosie tra i capitani di terra, e quei di mare. Nè le batterie del campo di San Rocco, quale di ciò sia stata la cagione, tutta quella opera diedero, che avrebbero potuto dare. Trassero pochi colpi, e quasi tutti orizzontali, pochissimi in arcata, comechè dalle circostanze del fatto fosse chiaro, che maggior fondamento si doveva fare nelle palle di rimbalzo, che nelle dirette. Da tutte queste cose ne conseguitò, che i soldati della guernigione, invece di essere sopraffatti dalla moltitudine dei tiri, ed in tale modo aggirati, che non sapessero a qual parte volgersi, ebbero la maggior parte facoltà di recarsi a ministrar le artiglierie, che fronteggiavano le batterie galleggianti, e queste con insuperabile energia sbattere, sconquassare e distruggere. Per tali cause fu guasto il più generoso, e meglio ordito disegno, che fosse da lungo tempo nella mente degli uomini caduto, furono rotte le più belle speranze, e nacque una opinione, che quella rocca di Gibilterra, la quale già era giudicata fortissima, fosse del tutto inespugnabile. Ora era ridotta nei confederati tutta la speranza del vincere la Fortezza in sull'assedio, giacchè per assalto ciò avevano tentato invano, dandosi a credere di poter colla fame conseguire quello, che colla forza delle armi non avevano potuto. Per ottener questo fine egli era necessario d'impedire, che Howe, il quale di breve si aspettava, non riuscisse a far entrare nuova scorta nella piazza. Si erano perciò i confederati posti nel golfo di Gibilterra con un'armata di circa cinquanta navi d'alto bordo, tra le quali se ne annoveravano cinque di 110 cannoni, ed un'altra detta la Trinità di 112. Intendevano di combattere colle grosse l'armata inglese, quando arrivasse, e colle sottili di dar la caccia alle annonarie, e l'una dopo l'altra arraffarle. Perchè invece di andare ad incontrare il nemico nell'alto mare presso il Capo di Santa Maria, dove prevalendo di numero di navi avrebbero potuto con somma utilità spiegar l'ordinanza loro, abbiano piuttosto eletto di aspettarlo in uno stretto golfo, in cui la moltitudine delle proprie navi sarebbe stata più d'impaccio, che di giovamento, noi non abbiamo saputo spiare. E' pare, che il Re di Spagna medesimo, il quale sempre infiammatissimo nel desiderio di conquistar Gibilterra, andava dì e notte di quest'impresa mulinando, abbia così ordinato. Veleggiava intanto Howe per l'Atlantico alla volta della Fortezza, non peraltro con quella velocità, colla quale avrebbe desiderato; perciocchè i venti contrarj il ritardavano. Dai quali indugi era egli grandemente vessato pel timore, che si approssimasse la Fortezza alla dedizione, e che il soccorso arrivasse troppo tardi. Ma non fu sì tosto giunto sulle coste del Portogallo, che gli pervennero le novelle della vittoria d'Elliot. Dalle quali riconfortato sperò di poter più facilmente il disegno suo trarre ad esecuzione, credendo che i nemici, dopo tanta perdita venuti dimessi, non fossero, come prima, abili a contrastarglielo. Pervenuto vicino allo Stretto, una furiosa tempesta gli conquassava le navi; ma ciò con poco danno loro. Bene fu grande quello, che ne ricevettero gli alleati nel porto d'Algesiras. Una delle loro andò a traverso presso la città stessa di questo nome; un'altra fu tratta dalla forza del vento sotto le mura di Gibilterra, dove venne in potestà del presidio. Due furono a viva forza spinte nel Mediterraneo; parecchie altre furono sconcie e sfesse grandemente in varie parti. La mattina seguente l'armata inglese entrava nello Stretto ordinata in battaglia con un vento di scirocco. Fatto notte, si trovò rimpetto il golfo di Gibilterra. Ma essendosi il vento abbonacciato, e volto a ponente, solo quattro delle annonarie poterono nel porto di quella città approdare. Le altre coll'armata furono dalle correnti trasportate nel Mediterraneo. Seguitarono gli alleati con tutta l'armata loro. Ma ossiachè le bonacce ed un annebbiamento che sopravvennero, glielo impedissero, o che veramente l'intento loro non fosse di volerne venire ad una battaglia giusta, se non avvantaggiatissimi, si ristettero. Per la qual cosa l'ammiraglio Howe maestrevolmente usando un levante, che in quell'ora, cominciò forte a soffiare, rientrò nello Stretto, e tutte le sue annonarie fe' entrare nel porto di Gibilterra. In questo mezzo l'armata inglese si era arringata alla bocca dello Stretto verso il Mediterraneo tra le due opposte rive d'Europa e di Ceuta. Sopraggiungeva a piene vele l'armata de' confederati. Ma Howe andò considerando, che, poichè si era il vettovagliamento della Fortezza effettuato, il quale era il principal fine dell'incumbenza, che gli era stata data, e la totale conclusione dell'opera, sarebbe stato soverchio consiglio il porsi al rischio di una campale battaglia, massime prevalendo il nemico di forze, ed in luogo, dove per la vicinità delle coste nemiche una disfatta avrebbe un intiero sterminio della sua armata partorito. Nè gli sfuggì il pensiero, che, se la battaglia non si potesse schivare, sarebbe stato miglior partito il farla in luogo aperto, dove volteggiandosi avrebbe potuto combatterla alla larga, piuttosto che in istretto, dove sarebbe stata di necessità terminativa. Per le quali cagioni, volendo recarsi in luogo, dove la qualità del sito non facesse inferiori le sue condizioni, date le vele al favorevole vento, attraversò di nuovo lo Stretto, e se ne tornò nell'Atlantico. Lo seguitarono gli alleati, ma peraltro non con tutta l'armata. Perciocchè dodici vascelli de' più grossi per esser tardi all'abbrivo erano rimasti indietro. Ne accadde tra le due vanguardia e retroguardia nemiche una assai aspra, ma però lontana affrontata, per la quale nulla si giudicò, se non che alcune navi ricevettero grave danno da ambe le parti. Si allargarono poscia gl'Inglesi, le navi dei quali erano più veloci, sì fattamente, che gli alleati, perduta ogni speranza di raggiugnerli, andarono a dar fondo nel porto di Cadice. Howe, mandate otto delle sue navi alle Indie occidentali, e sei sulle coste d'Irlanda, se ne tornò colle rimanenti a Portsmouth. In tal modo e per l'avuta vittoria, e pel rinfrescamento della vettovaglia, le cose di Gibilterra furono poste in sicuro stato con molta gloria degl'Inglesi, e non senza biasimo degli alleati, i quali presso quelle mura sfallirono parte per precipitazione, parte per iscordo, e nell'aperto mare parte per la contrarietà de' tempi, parte per mancanza d'ardire. Imperocchè la prepotenza delle forze loro navali tanto in questa ultima, quanto nelle precedenti fazioni sulle coste della Gran-Brettagna riuscì piuttosto di vana mostra, che d'effettivo danno al comune nemico. Ma se in tutto il corso della guerra eglino alle giudicate battaglie tra armata ed armata, o si ristettero, o furono disfatti, o al più combatterono con egualità di fortuna, negli affronti particolari, che non di rado tra nave e nave intervennero, e nel presente, e nei varcati anni, tanto ardire, e sì fatta perizia delle cose marinaresche dimostrarono, massimamente i Francesi, che combatterono sempre onorevolmente, spesso felicemente. Dei quali effetti, quali ne siano state le cagioni, noi lasceremo a coloro, che più di noi sanno di guerra e di marineria, giudicare. Dalle fazioni di tanto momento, che siamo andati sì nel presente, che nel precedente libro delineando, ne nacque in tutti i potentati guerreggianti non solo un acceso desiderio, ma ancora un'espressa volontà di por fine alla guerra. Tutti speravano, che si sarebbe dato fra breve alle cose universali onesta forma. La guerra, ch'era in piè già da tanti anni senza aver prodotto frutto alcuno di momento, e la cattività incontrata sotto le mura di Jork-town da tutto quell'esercito, che aveva militato sotto l'imperio del conte di Cornwallis, avevano i ministri britannici persuaso che il ridurre gli Americani a soggezione per la forza dell'armi era cosa oramai impossibile diventata. I maneggi poi posti in opera, per dividergli tra di loro o dagli alleati, non avevano partorito migliori frutti, che le armi. Da un'altra parte le vittorie di Rodney, e d'Elliot non solo avevano assicurato e le ricche isole delle Antille, e quel principale propugnacolo di Gibilterra, ma ancora posto in salvo l'onore della Gran-Brettagna, di manierachè poteva ella, dal capitolo dell'independenza degli Stati Uniti in fuora, che l'era forza riconoscere, intorno tutti gli altri con egualità di condizioni co' suoi nemici negoziare; perchè ed aveva vinto la guerra di Gibilterra, e tenuto la fortuna in bilico nei mari d'Europa, e prevalso in quei delle Antille; e se nei medesimi aveva fatto notabili perdite, aveva peranco acquistato l'isola di Santa Lucia, tanto importante per la fortezza de' luoghi, per la bontà de' suoi porti, e per l'opportunità del suo sito. E quantunque essa non potesse giudicarsi giusto compenso alla perdita della Domenica, di Tobago e di San Cristoforo, s'era nonostante l'Inghilterra talmente avvantaggiata nelle orientali Indie, che più recava per questo conto nel comune negoziato, che la Francia non poteva. Oltre a ciò il debito pubblico di lei era diventato enorme, e tuttavia ogni giorno ne diventava di vantaggio. Il popolo desiderava, che si aprisse qualche adito alla pace, e già diceva sinistre parole sopra la prolungazione della guerra. I ministri stessi, i quali sì grandi repetj avuto avevano cogli antecessori loro intorno l'ostinazione di quelli a volerla continuare, sia perchè i bisogni dello Stato così richiedevano, sia perchè ancora non volevano quel biasimo riportare essi stessi, del quale avevano gli altri accusati, desideravano la pace. Imperocchè quantunque fosse in immatura età, e con dolore di tutti i buoni morto il marchese di Rockingham, il qual era quegli, che timoneggiava tutto, e Fox avesse rassegnato l'uffizio, e che in luogo del primo stato fosse surrogato il conte di Shelburne, e del secondo Guglielmo Pitt, figliuolo che fu del conte di Chatam, l'uno e l'altro consenzienti all'independenza dell'America più per necessità, che per elezione, ciò nulladimeno i più dei ministri erano di quelli, che prima la rivocazione delle rigorose leggi contro l'America fatte, poscia il primaticcio riconoscimento della independenza avevano in cospetto del Parlamento con parole non men ornate, che instanti voluto persuadere. Per le quali cose tutte avevano essi a buon'ora mandato a Parigi Grenville, perchè tentasse il guado, acciocchè i plenipotenziarj, che venissero dopo, avessero causa di deliberare più prontamente. Poco poscia spacciarono nella medesima città per quest'istesso oggetto di trattare il negozio della pace due plenipotenziarj Fitz-Herbert, e Oswald, ai quali non fu necessario usare molta diligenza per chiarirsi della inclinazione del governo di Francia. Già vi erano anche convenuti i plenipotenziarj degli Stati Uniti Giovanni Adams, Beniamino Franklin, Giovanni Jay ed Enrico Laurens, il quale uscito dalla Torre di Londra era stato in sua libertà lasciato. Se grande era il desiderio della pace che si aveva in Inghilterra, non si desiderava ella meno in Francia sia dai popoli, sia da coloro, i quali reggevano lo Stato. Aveva questa conseguìto ciò che sopra ogni cosa aveva desiderato, vogliam dire la separazione delle colonie inglesi dalla metropoli loro, poichè i ministri britannici offerivano in primo luogo di volere l'independenza degli Stati Uniti riconoscere; il quale oggetto era da parte della Francia il principale, anzi il solo fine, che confessato fosse della guerra. Rispetto poi alle cose delle Antille, oltrechè le fazioni, che si erano avute in animo di fare, erano piuttosto in vantaggio particolare, e per conto della Spagna, che della Francia, la sconfitta dei dodici aprile aveva e guasti tutti i disegni, e troncate tutte le speranze. Nè si poteva aspettare, si facessero maggiori frutti nei mari d'Europa; poichè già da tanti anni indietro non se n'era fatto nissuno, che di qualche momento fosse alla somma delle cose. Le perdite finalmente delle orientali Indie si potevano colle vincite fatte nelle occidentali compensare. Quindi è che la Francia, e poteva con egualità di condizioni trattare rispetto agli accidenti della guerra, e con onorata superiorità rispetto alla sostanza stessa della medesima, che era l'independenza degli Stati Uniti. Ma oltre tutte le narrate cagioni, altre se ne avevano in Francia, perchè vi si anteponesse una pronta pace alla continuazione di una lunga guerra. Era la Camera pubblica ridotta a mal termine, e nonostanti i buoni ordini, che dai presenti ministri vi erano stati introdotti, e l'economia nuova che in tutte le parti del governo aveva prevaluto, non era quella a gran pezza sufficiente a poter bastare contro le esorbitanti spese della guerra. Si metteva ciascun anno più a uscita, che ad entrata; ed il pubblico debito vieppiù s'ingrossava. S'erano in questa guerra spesi tesori inestimabili. Imperciocchè e si era esercitata in lontanissime contrade, e fu mestiero di ristorar la marineria, e le provvisioni con gran giattura del pubblico erario spesso state dalle flotte inglesi intraprese. Gli Americani poi oltre modo lenti al pagar le tasse, ed inabili di per sè stessi a sopportare il peso di tanta guerra, facevano ogni giorno una gran calca alla Francia, perchè di nuovi denari gli accomodasse. Il che avevano ottenuto; poichè oltre un milione di lire di tornesi, che accattato avevano dagli appaltatori generali di Francia, ed oltre le somme accattate in Olanda, per le quali la Francia era entrata mallevadrice, avevano avuto dal governo francese diciotto milioni di tornesi, e tuttavia ne addomandavano altri sei. Le quali cose la penuria dell'erario pubblico già sì povero, e stretto pe' passati debiti, e pel presente dispendio, viemmaggiormente accrescevano. Infine il commercio del regno, verso il quale in quell'età avevano i Francesi con grand'ardore volto l'animo, era stato dalla guerra gravemente afflitto, e molti particolari uomini avevano non leggieri perdite fatte, delle quali non isperavano per altro modo ristorarsi, se non per mezzo della pace. Tutte queste cose erano causa, che se la pace poteva essere onorevole alla Francia, ella era peranco necessaria, e da un desiderio universale confermata. Venendo ora a favellar della Spagna, le speranze che sì vive aveva ella concette di acquistare a sè Gibilterra e la Giamaica, erano state del tutto tronche dalle disfatte dei dodici aprile, e dei tredici settembre, ed il continuar nella guerra per ottenere questi due fini era piuttosto da riputarsi ostinazione, che costanza. Da un altro canto aveva ella fatto acquisto per la forza delle sue armi dell'isola Minorca, e della Florida occidentale. E siccome l'Inghilterra dal canto suo non aveva alcun compenso da offerire alla Spagna, così ragion voleva ch'elleno fossero ai conquistatori cedute pei capitoli della pace, ed in potestà loro si rimanessero. Il che sebbene non fosse tutto quello, che si era sperato, era nondimeno causa che la guerra non fosse stata del tutto intrapresa a credenza, e che i popoli della Spagna non la potessero, siccome spesso erano soliti di fare, piuttosto guerra gentilizia, che spagnuola chiamare. Era paruta invero a tutti cosa maravigliosa, che la Spagna avesse voluto nutrire un incendio, che avrebbe facilmente potuto diventare sì pernizioso allo Stato suo, entrando a parte di una guerra, lo scopo manifesto della quale era quello di fondar una repubblica independente in un paese sì vicino alle sue possessioni del Messico. L'esempio era senza dubbio pericoloso per il prurito d'orecchie che eccitano nel mondo le novità, e per la facilità, che hanno gli uomini a dar la volta, essendo più pronti a scuotere il giogo, che a portarlo. Ma se si era contro i reali interessi della Corona venuto a parte della contesa, sarebbe stato condannabile partito il prodigalizzar tuttavia tanti tesori e tanti soldati per perseverarvi, ora massimamente che si poteva per l'acquisto di Minorca, e della Florida con onorevoli condizioni accordare. Così anche dalla parte di Spagna le cose si dirizzavano a concordia. Rispetto finalmente agli Olandesi, seguitavano essi piuttosto, che andassero di pari passo cogli alleati; ed erano a tanto bassa fortuna condotti, che altro non potevano volere, che quello che la Francia voleva, da questa sola, e non dalle forze loro sperando di condur a buon fine la somma della guerra. Imperciocchè la riavuta dell'isola di Sant'Eustachio, e della colonia di Demerary non dall'armi proprie, ma sibbene da quelle della Francia dovevano solo, ed unicamente riconoscere. Desideravano poi tutti generalmente la pace, poichè avevano per pruova conosciuto, che colle forze loro non potevano con prosperità di fortuna esercitar la guerra; e questa a nissun'altra nazione sia più pregiudiziale, che a quelle, che vivono principalmente in sul commercio. A questa inclinazione verso la pace, che a questi dì prevaleva presso tutti i potentati guerreggianti, venne ad aggiugnersi la mediazione di due possenti principi dell'Europa, l'Imperadrice delle Russie, e l'Imperador di Germania, i quali s'interposero alla concordia. L'uffizio loro fu abbracciato da tutti molto volentieri, e già le cose si andavano accomodando ad una quiete universale. Ognuno era alle strette di doversi pacificare. Pertanto bollivano gagliardamente in sul finir del presente anno le pratiche della pace nella città di Parigi. I primi ad accordarsi furono gl'Inglesi, e gli Americani, i quali il giorno trenta di novembre fecero tra di loro per modo di provvisione un trattato da inserirsi e da far parte del trattato terminativo, che fermato si sarebbe, allorquando quello, il quale doveva tra la Francia, e la Gran-Brettagna aver luogo, fosse concluso. Le più, e maggiori condizioni di quest'accordo furono, che il Re della Gran-Brettagna riconosceva la libertà, la sovranità, e la independenza dei tredici Stati Uniti d'America, i quali furono tutti ad uno ad uno nominati; e che il Re cedeva, e rinunziava tanto per sè, quanto pe' suoi eredi, e successori ad ogni ragione, che avesse, o aver pretendesse sopra il governo, le proprietà, e le terre di quelli. Ancora per levar da ogni parte l'occasione alle ingiurie per motivo dei confini, questi si determinarono accuratamente con tirar alcune linee immaginarie, per mezzo delle quali furono posti in potestà, e dentro il territorio degli Stati Uniti, paesi immensi, laghi, e fiumi, sopra i quali fin allora non avevano essi Stati preteso ragione veruna. Imperocchè oltre le vaste e fertili contrade poste sulle rive dell'Oio, e del Mississipì, i confini degli Stati Uniti si distesero molto addentro nel Canada, e nella Nuova Scozia, e vennero ad acquistar parte del commercio delle pelli. Inoltre parecchie nazioni indiane, le quali prima vivevano sotto la superiorità dell'Inghilterra, e specialmente le sei Tribù state sempre amiche, ed alleate agl'Inglesi, furono in virtù di detta circoscrizione di limiti date in mano agli Stati Uniti. Ancora, dovessero gl'Inglesi restituire, e votar tutti i territorj degli Stati medesimi, cioè la Nuova-Jork, l'Isola Lunga, e quella degli Stati, Charlestown, e Penobscot, e tutte le appartenenze loro. Non si fe' parola di Savanna, poichè già gl'Inglesi, ritiratisi da questa Terra, e da tutta la Giorgia l'avevano intieramente in balìa degli Americani lasciata. Ancora, avessero gli Americani il diritto di pescar liberamente sopra gli scanni di Terranuova, nel golfo di San Lorenzo, ed in tutti que' luoghi, nei quali le due nazioni, quand'erano unite, erano solite ad esercitar le pescagioni. Si stipulò altresì, che il congresso dovesse caldamente raccomandar ai diversi Stati, perchè provvedessero, fossero restituiti i beni, i diritti, e le proprietà tanto ai sudditi inglesi, quanto a coloro fra gli Americani, che seguitato avevano le parti inglesi, i quali erano stati durante la guerra confiscati; e che costoro non potessero per ogni qualunque cosa, che detto, o fatto avessero in favore della Gran-Brettagna, essere ricerchi, o perseguitati. I quali ultimi articoli, siccome non piacquero a certi larghi repubblicani dell'America, i quali non considerando, quanto il più delle volte riesce amara la dolcezza della vendetta, avrebbero voluto sfogarsi, così dispiacquero grandemente ai leali, i quali non contenti a quella semplice raccomandazione, che poteva aver effetto, o no secondo la volontà degli Stati, dell'essere stati, come dicevano, dall'Inghilterra abbandonati, della ingratitudine sua, e dell'avversa fortuna loro fieramente si rammaricavano. Furonvi anche in questo proposito grandi batoste in Parlamento, dolendosi aspramente coloro, che a' disegni dei ministri si opponevano, che gli uomini fedeli all'Inghilterra, con perpetua infamia di lei, stati fossero dati in preda ai loro persecutori, come se in queste tresche politiche non si risguardasse piuttosto a ciò, che è possibile o impossibile ad ottenersi, utile o dannoso a farsi, che al giusto, all'onorevole, all'onesto; e coloro, i quali si frammettono in queste rinvolture e guerre cittadine, hanno ad aspettarsi di essere tosto o tardi a cotali strette condotti, ed a dover bever questo calice; imperciocchè lo Stato, per lo più tutte le cose dalla utilità sola misurando, si accorda, e non ti cura; poichè esso mira più alla propria conservazione, che a quella d'altrui; e più ha rispetto all'universale, che al particolare. Si accordò finalmente, che tra i due Stati cessassero immediatamente le ostilità sì per terra, che per mare. [1783] I preliminari della pace tra la Francia e l'Inghilterra furono fermati a Versaglia il giorno venti di gennaio del 1783 tra il conte di Vergennes per consiglio del quale s'indirizzavano la maggior parte di queste cose, ed il signor Fitz-Herbert. Per questi fu ampliato d'assai a favor dell'Inghilterra il diritto delle pescagioni sugli scanni di Terranuova. Ma peraltro essa restituì alla Francia in pieno diritto, e proprietà le isole di San Pietro, e Michelone. Nelle Antille l'Inghilterra restituì alla Francia l'isola di Santa Lucia; le cedette, e guarentì l'isola di Tobago. Da un'altra parte la Francia restituì all'Inghilterra l'isola di Grenada colle Grenadine, e quelle di San Vincenzo, di San Cristoforo, di Nevis, e di Monserrato in un colla Domenica. Nelle Indie orientali furono ristorati, alla Francia, e guarentiti Pondicherì e Caricallo, e tutte le sue possessioni del Bengal, e della costa di Orixa. Le furono anche fatte altre concessioni di non poco rilievo rispetto al commercio, ed alla facoltà di fortificar certe Terre. Ma un capitolo assai onorevole alla Francia quello fu, pel quale l'Inghilterra consentì all'abrogazione ed annullazione di tutti gli articoli relativi a Dunkerke, che stati erano tra i due Stati accordati dal trattato di pace d'Utrecht del 1713 in poi. Furono nel medesimo giorno fermati i preliminari della pace tra la Spagna e l'Inghilterra, da parte di quella dal conte d'Aranda, e da parte di questa dal medesimo Fitz-Herbert. Cedette il Re della Gran-Brettagna al Re Cattolico l'isola Minorca e le due Floride, occidentale ed orientale. Da un altro canto il secondo restituì al primo le isole Bahame. La quale restituzione si conobbe poi essere stata superflua. Perocchè il colonnello Deveaux con una presa di pochi uomini, e con denaro del suo, venuto sopra a quelle isole, l'ebbe alla Gran-Brettagna per forza d'armi riacquistate. Furono tutti questi preliminari in formale e determinativo trattato di pace ridotti il terzo giorno di settembre del 1783, per parte della Francia dal conte di Vergennes, per quella della Spagna dal conte d'Aranda, e per quella dell'Inghilterra dal duca di Manchester. Il trattato terminativo tra la Gran-Brettagna, e gli Stati Uniti fu fermato il medesimo giorno in Parigi dall'un de' lati da Davidde Hartley, e dall'altro da Giovanni Adams, Beniamino Franklin, e Giovanni Jay. Il giorno precedente era seguìto l'accordo pure a Parigi tra il Re della Gran-Brettagna per mezzo del duca di Manchester, e gli Stati Generali delle Province Unite d'Olanda per mezzo dei Signori Van-Berkenroode, e Bransten. Per questo il Re restituì agli Stati Generali Trincamale; ma questi cedettero, e guarentirono al primo la città di Negapatam con tutte le sue pendici. Dei diritti marittimi de' neutri in caso di guerra coll'Inghilterra, dei quali avevano i confederati tanto rombazzo fatto, e menati sì gran vanti, non si fe' in tutti questi trattati menzione alcuna. Questo fine ebbe la lunga tenzone d'America, nella quale se entrarono volonterosamente gli Americani, ed a ciò inclinati da lungo tempo, la eccitarono gli Inglesi prima con leggi rigorose, che irritavano, non costringevano, e poscia con insufficienti armi, e con ispicciolati e scompagnati consiglj lasciarono crescere, e strabocchevolmente sormontare. La quale guerra fu esercitata tra Inglesi ed Americani, come per lo più le civili guerre soglionsi, spesso con valore, sempre con rabbia, qualche volta con barbarie; tra gl'Inglesi, e le altre nazioni europee sempre con valore, ed il più delle volte con quella umanità tanto squisita, che pare di quei tempi essere stata propria e speciale. Riportarono il congresso, ed universalmente gli Americani somma lode di costanza; i ministri britannici forse il biasimo dell'ostinazione; e quei di Francia diedero pruove non dubbie di non ordinaria perizia nelle cose di Stato. Da tutto ciò ne conseguì la fondazione nel Nuovo-Mondo di una repubblica, pe' suoi ordini pubblici felice al di dentro, per la sua indole pacifica, e per l'abbondanza de' suoi proventi riverita, e ricercata al di fuori. E per quanto si può delle cose di costaggiù giudicare, dalla fertilità e vastità delle sue terre, siccome pure dalla sua popolazione ognora, e rapidamente crescente, ella ha a diventare un dì un grande, e possente Stato. Solo a volere, che la repubblica loro viva lungamente, e vada tutto il corso, che a lei è ordinato dal cielo, debbono massimamente gli Americani due cose schivare, la prima delle quali si è la corruzione degli animi per via dell'amore dell'eccessivo guadagno; la seconda il discostamento da quei principj, che la fondarono. E siccome tutte le cose del Mondo sono solite a disordinarsi, ed a corrompersi, così quando ciò accadesse, dovranno eglino essa repubblica ridurre a sanità, ritirandola verso i suoi principj. Pervenute in America (nella quale si era combattuto pigramente, e da una leggier assembraglia in fuori, in cui fu morto il colonnello Laurens, e dal votamento di Charlestown, nulla, che degno sia di speciale ricordanza, era intervenuto) le novelle dei preliminari della pace, si rallegrarono grandemente quei popoli, non peraltro tanto, quanto si sarebbe potuto credere, sì perchè già la facevano cosa fatta, sì perchè ancora l'uomo è solito meno rallegrarsi pel conseguimento di alcun bene, che per le speranze di esso. Oltreacciò gli animi furono tosto volti ad altra parte dal timore di cose nuove, perciocchè in questo stesso tempo si stava apparecchiando materia ad un fuoco, il quale fece le viste di voler prorompere in manifesto incendio, e poco mancò, non traesse, contaminando con una nuova guerra cittadina tutta la felicità della presente pace, a fatale rovina la repubblica. Stavansi gli uffiziali dell'esercito con grosse paghe decorse da riscuotere, e speso avevano la maggior parte, e forse tutte le sostanze loro, e quelle ancora degli amici in servigio dello Stato. Avevano altresì non poca apprensione, che quel decreto fatto dal congresso nel 1780, pel quale si era stabilita a favor loro la mezza paga a vita, non fosse posto ad effetto. Avevano perciò mandato a Filadelfia deputati, perchè la bisogna delle paghe presso il congresso sollecitassero. Era il mandato loro, operassero, che si dessero immediatamente agli uffiziali le paghe correnti, e si assestassero i conti per le decorse, e si dessero sicurtà pel pagamento di esse; si convertisse la mezza paga conceduta a vita dal congresso in una equivalente somma pagata in una sola volta; si aggiustassero finalmente i conti, e si facesse un compenso per le perdite fatte dagli uffiziali a cagione delle passate mancanze nelle provvisioni giornaliere del vitto e del vestito. Ma il congresso, sia perchè alcuni de' suoi membri erano avversi a questi favori verso i soldati, sia perchè altri fra i medesimi avrebbero desiderato, che non lo Stato generale, ma piuttosto gli Stati particolari questi guiderdoni concedessero, non si risolveva. L'affar delle paghe procedeva peggio, che lentamente. I deputati ne scrissero al campo. Nè in miglior condizione di quella degli uffiziali si ritrovavano gli altri creditori del Pubblico, i quali preveggevano benissimo, che le consuete rendite dello Stato a gran pezza non avrebbero bastato a fornir i pagamenti loro, e credevano, che gli Stati avrebbero molto ripugnato al venirne in sul porre qualche straordinario balzello, col ritratto del quale potessero essere soddisfatti. Però gli uni, e gli altri se ne vivevano in malissima contentezza, e molto degli averi loro dubitavano. Erano a questi dì i reggitori dello Stato divisi in due Sette. Volevano gli uni, si ponesse il balzello; con esso si contentassero i creditori; la fede pubblica si osservasse; si stabilisse nel medesimo tempo una rendita generale pei bisogni dell'erario della repubblica da impiegarsi all'ordine, e secondo la volontà del congresso. Gli altri questa rendita pubblica, come pericolosa alla libertà ridottavano. Volevano, gli Stati particolari soli, non il congresso, avessero facoltà di por tasse, o balzelli. Già questi avevano sgarato una provvisione, che il congresso aveva raccomandato, si facesse, per la quale si sarebbe stabilita una generale gabella di cinque per centinaio del valore sul consumo di tutti i proventi, e lavorii forestieri, i quali introdotti fossero negli Stati Uniti. Perocchè, quantunque dodici Stati approvato avessero la risoluzione del congresso, uno ricusò, e col suo dissentire rendè vano il volere di tutti gli altri. In questo mezzo appunto arrivarono le novelle dei preliminari. I primi temettero, che scemati colla pace il bisogno ed il timore dei soldati, poichè intendevasi, che si licenziasse e dissolvesse l'esercito, diventassero gli avversarj loro più pertinaci nel non volere allo stabilimento della rendita generale acconsentire, e con ciò non solo i presenti creditori se ne restassero in fallimento, ma ancora la repubblica andasse soggetta in avvenire ad essere ne' gravi suoi bisogni incagliata pel difetto di una potestà generale a porre i balzelli. Deliberarono di usare la presente occasione, la quale trascorsa essendo, non ritornerebbe più, per ottener il fine loro, che credevano alla repubblica profittevole. Ma quali fossero i mezzi da porsi in opera stavano in dubbio, ed erano tra di loro nati assai dispareri. I più risoluti, non considerando quanto ancipiti siano i moti della moltitudine, volevano, si usasse la forza, e si facesse l'esercito istromento dei disegni loro. Erano i principali fra costoro Alessandro Hamilton, ch'era allora membro del congresso, il camerlingo Roberto Morris con un altro Morris suo assistente nell'uffizio. Ma i più rispettivi pensavano, si tenesse una via mezzana, ed intendevano, che l'esercito accennasse bensì ma non colpisse; minacciasse ma non operasse, come se di questi romori popolari taluno potesse essere a posta sua il moderatore. Nelle consulte segrete, che si tennero, prevalse la opinione di questi ultimi. A questo fine fu mandato, sotto colore che vi andasse per esercitarvi la sua carica d'inspettor generale, al campo uno Stewart, colonnello di stanziali pensilvanesi, acciò l'animo di Washington tentasse e scoprisse, quanto questi fosse disposto a dar le mani al disegno. Soprattutto sommovesse l'esercito, e persuadesselo a non volersi sbandare, se prima non fosse assicurato, che sarebbero i presti corsi pagati, ed essi dei fornimenti, che avrebbero dovuto avere, e dei quali erano stati privi sin là, ristorati. Arrivò Steewart al mastro padiglione del capitano generale, e fu spesso con lui a consultare intorno a questa cosa, la quale pure doveva stimarsi di tanto momento. Il capitano generale, ossia chè invero non ne fosse alieno, quantunque non volesse esser egli a levar questo dado, o che come cauto stesse sopra di sè, ed il disegno non biasimasse, certo è, che Steewart si credette, e fe' credere agli altri, ch'ei l'approvasse. Intanto gli avversarj ebbero fumo del trattato, e si misero in punto per disturbarlo. E sapendo di quanta importanza fosse l'avere Washington volto in favor loro, operarono di modo, che un Harvie, il quale aveva l'animo molto sospeso a questi romori di cose nuove, gli scrisse, che sotto colore di voler ristorare i creditori dello Stato covavano perniziosi disegni contro la repubblica; che si voleva spegnere il libero governo, ed introdurre la tirannide. Aggiunse motti speciali intorno la persona stessa di Washington; che gli si voleva tôrre il grado, rovinare gli amici di lui, e quell'opera tutta disfare, che con tanta fatica, tanto sangue, e tanta gloria condotta oggimai avevano a compimento. Entrò Washington in apprensione. Credette, girassero macchinazioni, e conspirazioni contro lo Stato. Mandò attorno la lettera di Harvie, acciò i soldati la leggessero. Faceva ogni sforzo per impedir la sommossa dell'esercito. Così il capitano generale si apparecchiava a contrastare ad un disegno, che forse dentro l'animo suo approvava, quantunque i mezzi, che si volevano adoperare, grandemente, e non senza molta ragione, biasimasse. Si andavano intanto a bello studio spargendo romori irritativi; che l'esercito doveva, prima, che si sbandasse, ottener giustizia; che dovevano ancor essi godere i frutti delle vittorie acquistate con loro fatiche e pericoli; che gli altri creditori dello Stato, ed alcuni membri del congresso medesimo desideravano questa mossa, e che aspettavano, che i soldati fossero i primi a dare il fuoco alla girandola, ch'essi poscia avrebbero seguitato; la cosa allignava. S'infiammavano le menti, si facevano nel campo cerchiolini e capannelle. Si vuol far forza al congresso. Gli animi si dimostravano molto parati al risentimento. In mezzo a questi romori si facevano andar attorno anonimi inviti ad un generale convento degli uffiziali per gli undici di marzo. In questo medesimo tempo l'uno porgeva all'altro un'anonima diceria, ma peraltro, come si conobbe poi, composta dal maggiore Giovanni Amstrong. Questa diceria composta con molto ingegno, e con maggior passione era attissima ad inasprir vieppiù i soldati già pur troppo asperati, ed a concitargli contro la patria loro, e l'autorità del congresso. E se sarebbe stata poco tollerabile, quando gli animi fossero stati altrettanto posati, quanto erano commossi, nella tempera, in cui allora si trovavano, era ella grandissimamente da condannarsi. Vi si leggevano tra le altre parole, e tutte infiammatissime, le seguenti. «Lo scopo, al quale già son sette anni, c'indirizzammo, ora finalmente siam vicini a conseguire. Il coraggio vostro, e la pazienza hanno gli Stati Uniti d'America per mano guidato per mezzo una dubbia e sanguinosa guerra, ed all'independenza condotti. Già torna la pace di tutti i beni largitrice. Ma a chi? Forse ad una patria desiderosa di ristorar i vostri danni, di apprezzar i vostri meriti, di ricompensar i vostri servigi? Forse ad una patria, che intenerita lagrimando, e lieta ammirando al ritorno vostro alle private case applaude? Forse a quella patria bramosa di partir insieme con voi quella independenza, la quale la vostra prodezza le ha dato, e quelle ricchezze, che le vostre ferite han preservato? Questo è forse il caso? O non piuttosto ad una patria, che i vostri diritti ha in dispregio, che le vostre lamentanze disdegna, che alle vostre miserie insulta? Voi pure testè i vostri desiderj, ed i bisogni vostri esponeste, e supplicaste al congresso; desiderj e bisogni, che la gratitudine e la ragione di Stato avrebbero dovuto non che invanir conosciuti, anticipar non rappresentati. Non aveste voi orora colle rimesse parole di umili addomandatori dalla giustizia loro implorato ciò, che dal favore più oltre non potevate aspettare? Quale n'è stata la risposta? Le lettere dei vostri delegati a Filadelfia ve n'accontino esse. Se questo è dunque il trattamento, che vi si fa, ora che le spade vostre sono alla difesa dell'America necessarie, quale sarà, allorquando la vostra voce sarà spenta, e la forza divisa? Allorquando queste stesse spade, gl'istromenti ora, e le compagne della vostra gloria, saranno dai fianchi vostri spartate, e nissun'altra divisa avrete a mostrare di soldato, fuori delle necessità vostre, delle infermità, delle cicatrici? Consentirete voi dunque ad essere i soli patitori di questa rivoluzione, e, ritirativi da questi stipendj, nella povertà invecchiare, nella miseria, nel contento? Consentirete voi a vivere nel vil fango della dependenza, ed alla caritade altrui le miserabili reliquie di quella vita dovere, che avete fin qui spesa nell'onore? Se così è, e l'animo vel soffre, ite, e recate con voi lo scherno dei Tori, lo scorno dei libertini, la derisione, e quel ch'è peggio, la compassione del mondo. Ite, affamate, siate obbliati. Ma se gli animi vostri si raccapricciano a ciò, se avete la mente ed il cuore capaci di conoscere e di combattere la tirannide, sotto qualunque sembianza ella si appresenti, o vestita della semplice cotta della repubblica, o della splendida roba della realtà ammantata, se avete pure imparato a distinguere gli uomini dai principj, risvegliatevi, alla vostra condizione attendete, fatevi giustizia da voi medesimi. Se il presente momento si lascia fuggire via; ogni futuro sforzo sarà indarno; e le vostre minacce saranno allora altrettanto vane, quanto sono ora le vostre supplicazioni». Queste parole, più dicevoli ad un avventato tribuno di plebe che ad un assennato Americano, gli animi già concitati commossero ad indicibile rabbia. Già si brogliava fortemente; le cose si volgevano ad un sinistro fine, e la guerra cittadina tra le potestà civili e militari era imminente. Ma Washington, uomo tanto grave, uso ai pericoli, e non che amato, riverito dai soldati, temendo del vicino pericolo della patria, volle quelle facelle spegnere, e quella discordia frenare, che stat'erano apparecchiate. E conoscendo benissimo quanto gran momento apporti in somiglianti casi il guidare gli sviati, piuttostochè contrastar loro, e che più facile cosa è il prevenire, che l'emendare i fatti, pose tosto l'animo a voler impedire il convento degli uffiziali. Pubblicò ordini indiritti agli uffiziali annunziando, che sperava bene, che nissun conto avrebbero fatto di quella scritta anonima, e ch'ei disapprovava, e grandemente condannava quest'insoliti procedimenti. Nell'istesso tempo intimò un generale convento degli uffiziali generali, e di uno per compagnia pel giorno quindici, affine deliberassero, che cosa fosse a farsi per ottener ai torti loro dirizzamento. Con questo procedere, che fu molto prudente, Washington fe' credere generalmente all'esercito, ch'ei non fosse alieno dall'aiutar l'impresa; ed ai principali sommovitori particolarmente, che segretamente il disegno loro favorisse; e diè tempo a sè stesso di procurarsi favori, acciò il convento quell'effetto sortisse, ch'ei si era nell'animo proposto. Il giorno seguente Amstrong fe' mandar attorno un'altra scritta anonima, colla quale cogli uffiziali si congratulava, che le risoluzioni loro avessero a ricevere l'approvazione della pubblica autorità; e molto esortandogli a star fermi nel parlamento, che si doveva fare il dì quindici. Intanto andava Washington tentando gli animi, e le ire rammorbidando. Fatti venire a sè ad uno ad uno gli uffiziali, a questo rappresentava il pericolo della patria, a quell'altro la passata pazienza; a tutti l'antica gloria, che bisognava intera e pura ai posteri loro tramandare. Ricordò ancora la povertà dell'erario, e l'infamia che acquistato avrebbero, se alle discordie civili, ed al sangue venissero, e la felicità di quella pace turbassero, che pure orora si era conseguita. Al giorno appuntato da Washington si fe' il parlamento degli uffiziali. Favellò il capitano generale molto gravemente. Confortogli, pregogli, ribattè le anonime scritte. Mostrò, in quant'orrore si dovesse avere l'alternativa proposta dall'autore di esse di minacciar coll'armi la patria loro, quando, fatta la pace, immediatamente alle richieste loro non soddisfacesse; e seppure la guerra continuasse, di abbandonarla, ritirandosi a qualche incolta e disabitata contrada. «Mio Dio! _sclamò_, a quai fini mira con tali esortazioni questo scrittore? Può esser egli mai un amico all'esercito? Può essere un amico a questa patria? O non forse piuttosto un insidioso nemico, un commettimale mandato a bella posta dalla Nuova-Jork per tramare la rovina dell'uno e dell'altra, un seminatore di discordie e di separazione tra le civili e le militari autorità del Continente? Pregovi, signori, _aggiuns'egli_, di non abbracciare di quei consiglj, ch'esaminati dalla sana ragione parrebbero, e tôrre a voi della dignità vostra, e quella gloria macchiare, che finora mantenuto avete. Abbiate nella data fede della vostra patria, e nelle intemerate intenzioni del congresso piena fidanza. Crediate, che prima che siate com'esercito, sciolti, avrà esso i vostri conti aggiustati, e tali determinazioni prese, che ne sarà fatta ampia giustizia ai vostri fedeli, e meritorj servigi. Pregovi, e scongiuro in nome della nostra comune patria, per quanto stimate il sacro onor vostro, per quanto rispettate i diritti dell'umanità, e per quanto conto fate della militare e nazionale dignità dell'America, vogliate dimostrare in quanto orrore e detestazione abbiate un uomo, il quale desidera sotto speciosi pretesti mandar sossopra le libertà della vostra patria, e che malvagiamente s'attenta d'aprir le porte alla civile discordia, e questo nascente impero col sangue inondare. Sì facendo, voi arriverete per la più piana e diritta via alla meta, che desiderate; voi romperete gl'insidiosi disegni dei nostri nemici, che, disperati di vincerci coll'aperta forza, vogliono ora coi segreti artifizj ingannarci. Voi darete ancora una volta una rilevata pruova di quel non mai più udito amor della patria, e di quella paziente virtù, di tutte le necessità, di tutti i patimenti superatrice. Voi offerirete col vostro dignitoso contegno alla posterità occasione di dire, quand'ella favellerà del glorioso esempio, che avete al genere umano mostrato, che se fosse questo giorno stato meno, non avrebbe mai il mondo veduto quell'ultimo grado di perfezione, al quale è l'umana natura capace di arrivare». Tostochè ebbe Washington fatto fine al suo ragionamento, nacque prima un silenzio, poscia un bisbiglio grande fra gli ascoltanti. L'autorità dell'uomo, la gravità del discorso, la tenerezza di lui nota a tutti verso l'esercito, nelle menti loro efficacemente operavano. Gl'inacerbiti spiriti si rappacificarono. Nissuno pose partito contrario. Stanziarono, che nissuna circostanza di travaglio, e di pericolo avrebbe mai tanto operato, che si lasciassero indurre a macchiar quella fama, e quella gloria contaminare, che acquistate avevano; che l'esercito continuava ad avere una fermissima confidenza nella giustizia del congresso e della patria loro; che si richiedesse il capitano generale, scrivesse al congresso, ardentemente pregandolo di espedir tosto l'oggetto del loro memoriale; che abborrivano, e grandemente disdegnavano le infami proposizioni nella lettera anonima indiritta agli uffiziali dell'esercito contenute. Così Washington colla prudenza ed autorità fu operatore, che una nuova discordia non ponesse in un inaspettato pericolo quella patria, che stata era testè condotta a salvamento. E chi sa sin dove sarebbero trascorse le cose se in quei principj fosse nata la guerra civile, e se i soldati avessero posto mano nel sangue dei loro concittadini? Scriss'egli poi al congresso, molto caldamente la causa degli uffiziali rappresentando, e raccomandando[1]. Decretò questo, avessero gli uffiziali a ricevere in luogo della mezza paga a vita il sommato alla volta di cinque anni d'intiera paga, e ciò in contanti, od in iscritte obbligatorie, che fruttassero il sei per centinaio all'anno. Tanto poi si adoperò il congresso, e tanto fece il camerlingo, che si mandarono, sebbene tardi, e non prima, che le reclute pensilvanesi fatto avessero un grosso ammotinamento a Filadelfia, e per alcune ore armata mano occupato la sede, e le stanze del congresso, agli uffiziali, e soldati paghe per tre mesi in altrettante scritte di esso camerlingo. Allora si diè mano a licenziar l'esercito, e furono concessi di mano in mano i congedi a quei soldati, i quali nel corso di una ostinata guerra di sette anni con mirabile costanza avevano non solo contro il ferro ed il fuoco, ma ancora contro la fame, la nudità ed il furore stesso degli elementi combattuto; ed ora condotta a prospero fine l'opera loro, stabilita la libertà, e l'independenza della patria, quietamente alle case loro se ne tornarono. Il congresso con pubbliche lettere molto il valore, e la costanza loro commendò, ed in nome della riconoscente patria ringraziò. Non tardarono gl'Inglesi a votar la Nuova-Jork con tutte le sue appartenenze, nelle quali avevano sì lungo tempo paesato. Partirono poco poscia i Francesi molto ringraziati, e degli alleati loro soddisfatti dall'Isola di Rodi alla volta delle possessioni loro. Deliberò il congresso, si rendessero il dì undici dicembre pubbliche e solenni grazie al Datore d'ogni bene per l'ottenuta pace e l'acquistata independenza. Decretò ancora, si rizzasse una statua equestre di bronzo al generale Washington in quella città, nella quale risedesse il congresso. Fosse il generale rappresentato al modo romano col bastone nella destra mano, e la testa cinta di una corona d'alloro; posasse la statua sopra un piedestallo di marmo, nel quale fossero istoriati in basso rilievo i principali avvenimenti della guerra, dei quali ebbe Washington il supremo governo. Sono eglino quest'essi: la liberazione di Boston; la cattura degli Essiani a Trenton; la battaglia di Princetown; la giornata di Mont-mouth e la resa di Jork-town. Sulla superiore fronte poi del piedestallo s'improntassero le seguenti parole: _Gli Stati Uniti in congresso adunati ordinarono, questa statua fosse eretta l'anno di Nostro Signore 1783 in onore di questo Giorgio Washington, illustre capitano generale degli eserciti degli Stati Uniti d'America durante la guerra, la quale vendicò ed assicurò le loro libertà, sovranità ed independenza._ Questo fine ebbe una contesa, che bene otto anni continui tenne il Mondo attento e maravigliato, e trasse a parte di sè le più possenti nazioni d'Europa. Della quale se si vorrà investigare, per quali ragioni siano stati gli Americani vincitori, e perchè non sia loro stata guasta da altri, nè l'abbiano guasta essi stessi, si troverà in primo luogo, che ciò fu, perchè invece di aver le altre nazioni contrastanti, o nemiche, le ebbero per lo contrario o consenzienti, o amiche, od anche alleate. La qual cosa, siccome dava loro maggior fede nella giustizia della causa loro, così ancora spirava maggior confidenza nei mezzi di condurla a buon fine. Le leghe da più potenti nazioni fatte contro d'una sola per cagione di qualche riforma, ch'essa voglia fare nel suo reggimento interno, e che la medesima in vicinissimo pericolo inducono di perdere non solo quel fine, che proposto ha a sè stessa, ma ancora la sua libertà ed independenza, sogliono per lo più operare di modo, che i reggitori di essa scostandosi da ogni moderazione, e prudenza pongon mano a mezzi violenti e straordinarj, dai quali e presto si logorano le forze della nazione, e nasce il mal talento nei proprj cittadini, manomessi in mille guise, e vessati dagli agenti dello Stato; dal che procedono poscia le gare civili e la debolezza di tutti. S'ingenera eziandio nell'universale per l'esercitate violenze un tal odio contro l'impresa, che confondendo l'abuso coll'uso di essa, amano meglio di tornare donde sono partiti, ed anche più in là, che di continuar a correre verso di quella meta, che nuovamente proposta si sono. Quindi è che se l'impresa era di libertà, si precipitano poscia i popoli al dispotismo, amando meglio quello di un solo, che quello di molti. Ma a queste fatali strette non furono ridotti gli Americani dalla pericolosa guerra esterna, così per la ragione sopraddetta, come per la positura della patria loro lontana, e separata per mezzo di un vasto mare da quelle nazioni, che sogliono tenere in piè grossi eserciti stanziali, e cinta d'ogn'intorno, fuorichè dalla parte del mare, da foreste impenetrabili, da deserti smisurati, da montagne inaccessibili; e da queste parti altro pericolo non portavano, nè altro timore avevano fuori di quello degl'Indiani atti piuttosto a rapire, ed a disertar le terre, che a conquistarle, ed a tenerle. Un'altra e molto possente cagione, per la quale la rivoluzione americana ebbe quella riuscita, che i Capi di lei si erano proposto, si fu la poca differenza, che passò tra quella maniera di governo, dalla quale erano partiti, e quell'altra, alla quale s'incamminarono. Imperciocchè non dalla monarchia dispotica andaron essi verso la libertà, ma sibbene da una monarchia temperata; ed è la condizione delle cose morali nell'uomo, come quella delle fisiche, e quella stessa di tutta la natura, nelle quali i totali, ed improvvisi cambiamenti non si possono fare senza causare o gravi malattie, o morti, o rovine. L'autorità regia in America, siccome lontana, e dagli ordini di un governo largo tarpata, era poco operosa, o poco sentita, e perciò, quando gli Americani se la levarono di collo, poco si accorsero del cambiamento; e tolta la realtà, e conservati tutti i pristini ordini, si trovarono ad un tratto, e naturalmente costituiti in repubblica. Questa fu la condizione loro, mentrechè quella di altri popoli, che volessero far passo dall'assoluta realtà alla repubblica, dovrebbero non solo gli ordini strettamente spettanti a quella sconvolgere, e spegnere, ma ancora tutti gli altri, ed introdurne degli affatto nuovi. Ma queste cose non si possono fare senza far urto nelle opinioni, nei costumi, negli usi e nelle maniere dei più, ed altresì senza offendere gravemente gl'interessi loro. Quindi nasce il mal talento nell'universale; sotto la forma della repubblica cova la realtà; e veduto, che si rammaricavano di gamba sana, pigliano i popoli di voglia le prime occasioni, per far di nuovo rivolgere lo Stato, e farlo là tornare, dond'era partito, e dove lo tira la propria inclinazione. A questo medesimo esito dell'americana rivoluzione contribuirono ancora non poco la regola, e la misura, colle quali quei popoli assegnati di natura, e nel proposito loro non che costanti, tenaci procedettero. Contenti allo aver tolta la realtà consistettero, e stabilmente perseverarono negli antichi ordini, ch'erano rimasti. Così non incontrarono peggio per non aver voluto acquistar meglio, sapendo, che per lo più mal ne incoglie a coloro, che cercano miglior pan, che di grano. Conobbero essi ottimamente, che l'incostanza, e la volubilità nei propositi scemano gravità alla causa, non le lasciano porre le sue radici, accrescono il numero degli scontenti. Imperciocchè di migliori gambe si corre ad una meta certa, che ad una incerta, e quello, che piace all'uno non piacendo all'altro, la moltiplicità dei fini moltiplica anche coloro, che gli disgradano. Così allevarono gli Americani la pianta, perchè la lasciarono allignare, e colsero il frutto, perchè lo lasciarono maturare. Non fecero eglino ad ogni piè sospinto mutazioni nello Stato; perchè non essendo impazienti di natura, nè insopportabili de' disagi, essendo anzi pazientissimi, e sopportabilissimi, i mali, che pruovavano, non a difetti, che credessero esistere negli ordini pubblici, nè alla insufficienza, od alla cattività dei reggitori, ma sibbene alle difficoltà delle circostanze, ed alla necessità delle cose attribuivano. Del qual effetto fu anche cagione, che in mezzo a quei popoli per la consueta ed antica maniera del viver loro dovevano in minore numero, che in mezzo ad altri trovarsi gli uomini cupidi di maggioreggiare e di soprastare agli altri. Nè era là andazzo, che s'inimicassero, ed anche s'accalognassero tra di loro gli amici, solo perchè uno di essi era diventato statuale, e teneva i maestrati, e l'altro no. Perciocchè più operava in essi l'amor della patria, che l'ambizione. Perilchè se vi furono là libertini e reali, non vi furono però libertini di diversa sorte, i quali colle discordie loro il seno di quella lacerassero. I dispareri fra di questi furono pochi e leggieri; nè mai proruppero in isfrenate ire, in guerra cittadina, in confiscazioni ed in morti. Quindi uniti prevalsero, e colsero il frutto dello avere le proprie discrepanze alla città donato, e la salute della repubblica al desiderio di sovrastare anteposto. Mirabile esempio, che i turbati, ed avventati consiglj guastano le imprese, e fan rovinare gli Stati; mentre i modesti, e temperati le conducono e gli fondano. Licenziato l'esercito rimaneva tuttavia la capitananza generale nelle mani di Washington. Stavano gli uomini in aspettazione di quello, ch'egli a fare si risolvesse. Credendo egli, come uomo prudente, che si convenisse porre alcun termine all'appetito della gloria dell'armi, e volendo lasciare alla patria sua un utile esempio di temperanza cittadina, scrisse al congresso, il quale allora faceva suo capo nella città di Annapoli di Marilandia, pregandolo, poichè intendeva di rassegnar il maestrato, gli facesse a sapere, se volontà di lui fosse, ch'ei ciò eseguisse privatamente per lettere, o pubblicamente con apparato. Rispose, desiderava, ciò fosse in pubblica e solenne audienza. Assegnò il giorno 23 di dicembre. Questo dì era la sala, destinata alle tornate del congresso, piena di spettatori. I maestrati civili, molti uffiziali dei primi, ed il console generale di Francia erano presenti. Stavano i membri del congresso seduti e coperti; gli spettatori ritti e scoperti. Fu il generale, introdotto dal segretario, e presso al seggio del presidente condotto. Dopo leggier bisbiglio succedeva un profondo silenzio. Il presidente, ch'era il generale Mifflin, rivoltosigli, gli disse, essere il congresso apparecchiato ad ascoltar ciò, ch'egli avesse a dire. Washington allora rizzatosi in piè con grave facondia, e con incredibile maestà favellando incominciò: «Signor Presidente. I grandi avvenimenti, dai quali la rinunziazione mia dipendeva, avendo finalmente avuto luogo, ho io ora l'onore di offerir al congresso le mie sincere congratulazioni, ed al cospetto suo rappresentarmi per rassegnar nelle sue mani la potestà concessami, e da esso lui la buona licenza impetrare di ritirarmi dai servigi della patria. Felice per la confermazione della nostra independenza e sovranità, e contento all'opportunità offerta agli Stati Uniti di diventar una rispettabile nazione, io rassegno con soddisfazione di me medesimo quel mandato, che con tanta diffidenza aveva accettato; diffidenza causata dal pensiero di non esser capace di riempire quell'arduo uffizio, che stato mi era commesso. La quale dubitazione per altro cedette in me il luogo, quando mi ricorsero nella mente la rettitudine della nostra causa, il sostegno della suprema potestà della lega, ed il patrocinio del cielo. La prospera riuscita della guerra ha a qualunque più grande aspettazione soddisfatto, e la mia gratitudine all'intervenimento della Provvidenza, ed all'assistenza da' miei paesani prestatami s'accresce, quando io vo ogni caso della pericolosa contesa rammemorando. In ripetendo gli obblighi, che io ho a tutto l'esercito generalmente, non sarei a quello, che dentro dell'animo sento, conforme, se qui non riconoscessi i peculiari servigi, ed i singolari meriti di que' gentiluomini, i quali durante la guerra hanno alla mia persona atteso. Certo uffiziali più confidati di questi eleggere, per compor la mia famiglia[2], non era possibile. Siate contento, signore, che io vi preghi, di aver particolarmente per raccomandati coloro, i quali sino al presente dì continuato hanno nei servigi, siccome quelli che sono meritevoli di favorevole attendimento, e del patrocinio del congresso. Io mi reco a mio indispensabile dovere il chiudere quest'atto della mia pubblica vita con raccomandar gl'interessi della mia dilettissima patria alla buona mercè dell'altissimo Dio, ed alla sua santa guardia coloro, i quali ne stanno al governo. Compiuta ora l'opera, che stata mi era commessa, dall'agone mi ritraggo, ed un affezionato addio dando a questo augusto Corpo, sotto i comandamenti del quale ho sì lungo tempo operato, offero qui la commessione mia, e la licenza tolgo da tutti gl'impieghi della pubblica vita». Ciò detto, ed al seggio del presidente accostatosi, nelle mani di questo consegnò il ruotolo. Il presidente, standosene tuttavia Washington in piè, gli fece in nome del congresso la seguente risposta: «Gli Stati Uniti in congresso assembrati ricevono, signore, con commozione d'animo sì grave, che non si potrebbe con parole esprimere, la solenne rinunziazione delle autorità, colle quali voi avete gli eserciti loro con prosperità di fortuna condotti durante il corso di una pericolosa, e dubbia guerra. Chiamato dalla patria vostra a difendere gli suoi offesi diritti, voi il sacro incarico accettaste, primachè ella od alleanze formasse, o pecunia avesse, o reggimento atto a sostentarvi. Voi avete, invariabilmente ai diritti della civile potestà risguardando, la grande guerresca tenzone fra mezzo i disastri, ed i rivolgimenti con saviezza, e fortezza condotto. Voi avete per quell'affezione, e quella confidenza, che in voi avevano i vostri paesani poste, questi abilitati a mostrare il marziale animo loro, e la fama alla posterità tramandare. Voi avete perseverato, fino a tantochè questi Stati Uniti da un magnanimo Re, e nazione aiutati, e sotto la scorta di una giusta Provvidenza ottennero di terminare col conseguimento della libertà, della sicurezza, e della independenza la guerra. Del qual felice caso noi le nostre aggiugniamo alle vostre congratulazioni. Avendo le insegne della libertà in questo nuovo mondo difese, ed un utile ammaestramento dato a coloro che opprimono o che sono oppressi, voi dal travaglioso arringo vi ritirate, le benedizioni de' vostri concittadini seco voi portando. Ma la fama delle vostre virtù non pertanto cesserà coll'autorità vostra militare. Continuerà ella ad infiammar gli uomini delle più rimote età. Gli obblighi, che abbiamo generalmente verso l'esercito, ci stanno, siccome a voi, a cuore, e particolar cura avremo di coloro i quali alla persona vostra atteso hanno sino a questo commotivo giorno. Noi ci giugniamo seco voi nel raccomandar alla protezione dell'altissimo Dio gl'interessi della nostra carissima patria, pregandolo voglia i cuori e le menti disporre de' cittadini di lei a giovarsi dell'opportunità offerta loro di diventar una felice, e rispettabile nazione. E quanto a voi, noi gli dirizziamo le più instanti preci, perchè si pieghi a volere una sì cara vita con ogni sua cura nodrire; perchè i vostri dì siano altrettanto felici, quanto sono stati illustri; e perchè finalmente quel premio vi dia, il quale non potrebbe il mondo di costaggiù donarvi». Quando ebbe il presidente posto fine al suo favellare, stettero buona pezza taciti ed intenti gli ascoltanti, siccome quelli che grandemente commossi erano alla novità di quello spettacolo, alla ricordanza delle passate cose, alla felicità presente, alle speranze dell'avvenire. Quindi ed il capitano generale, ed il congresso con magnifiche parole commendarono. Ritrattosi Washington dalla presenza dei Padri si ridusse poco poscia ai desiati, e felici ozj della sua villa di Monte Vernone, situata in su quel di Virginia. NOTE [1] Rispetto al fondo della cosa, alcuni anni dopo, e quando già erano posate le alterazioni (nel 1797), Washington scrisse a Amstrong di questo accidente parlando, ch'egli aveva avuto dipoi sufficienti cagioni di credere, che l'oggetto dell'autore (_delle dicerie anonime_) fosse giusto, onorevole, e propizio alla patria, quantunque i mezzi suggeriti dal medesimo fossero certamente soggetti ad essere molto e malamente intesi, e sinistramente usati. [2] I capitani d'America chiamano _famiglia_ loro tutti quegli uffiziali, aiutanti, od altri, i quali nel mastro padiglione attendono alla persona, ed ai comandamenti del generale. FINE DEL QUARTO ED ULTIMO VOLUME. TAVOLA DELLE COSE CONTENUTE NEL TOMO QUARTO LIBRO DUODECIMO _pag._ 3 _Sommario_. — Guerra meridionale. Gl'Inglesi assediano, e pigliano Charlestown. Tarleton rompe i repubblicani a Wacsaw. Soggezione della Carolina Meridionale, e bandi di Cornwallis per quietarvi del tutto le cose. Nuova-Jork in pericolo. Nuove ladronaie degl'Inglesi. Washington rompe i disegni a Clinton. Vicende dei biglietti di credito. Nuovi rigogli dei repubblicani nella Carolina. Mirabile fortezza delle donne caroliniane. Guerra marittima. Battaglie tra Rodney, e Guichen. Orribile tempesta nelle Antille. Gl'Inglesi arraffano una conserva francese. Gli Spagnuoli arraffano una conserva inglese. Guerra gibilterrana. Sette in Olanda. Trattato secreto tra il congresso, e la città d'Amsterdam. La guerra si rompe tra l'Inghilterra, e l'Olanda. Nuovo calore degli Americani, e per quali cagioni. De La-Fayette arriva di Francia in America, portatore di felici novelle. Banco di Filadelfia. Accademia di Massacciusset. Gli aiuti francesi arrivano all'Isola di Rodi condotti dal conte di Rochambeau. La guerra si riaccende in Carolina. Gates posto al governo dell'esercito caroliniano. Battaglia di Cambden tra Gates e Cornwallis. Supplizj nella Carolina. Congiura, e tradimento. Morte compassionevole del giovane Andrè. Nuova guerra nelle Caroline. Battaglia di Kingsmountain. Fatto d'arme di Blackstocks. Greene scambia Gates. Fatto d'arme di Cowpens. Perseguitazione degl'Inglesi, e ritirata degli Americani, l'una, e l'altra mirabili. Battaglia feroce di Guilfort tra Greene e Cornwallis. Greene si volge contro le Caroline, Cornwallis contro la Virginia. LIBRO DECIMOTERZO 138 _Sommario_ — Danni degli Olandesi. Rapine degl'Inglesi a Sant'Eustachio. Gli Spagnuoli conquistano la Florida occidentale. Pensieri dei potentati guerreggianti. Gl'Inglesi rinfrescano Gibilterra. Gli Spagnuoli danno una terribile batteria a questa Fortezza. De Lamotte-Piquet toglie sul mare agl'Inglesi le spoglie di Sant'Eustachio. Battaglia navale di Praya. Suffren soccorre al Capo di Buona Speranza. Elliot, castellano di Gibilterra, rovina le stupende opere degli Spagnuoli. Impresa di Minorca. I confederati si mostrano sulle coste d'Inghilterra. Ferocissima battaglia tra gl'Inglesi e gli Olandesi. Il Conte di Grasse arriva con una possente armata nelle Antille. Battaglia tra lui e Hood. I Francesi pigliano l'isola di Tabago. De Grasse e Hood s'avviano ad onorate fazioni in America. Faccende civili negli Stati Uniti. Ammotinamento nel campo pensilvanico. Battaglia di Hobkirk. Battaglia di Eutaw-springs, e fine della guerra meridionale. Guerra di Virginia. Cornwallis si pone a campo a Jork-town. I confederati lo assediano, e lo costringono alla resa con tutte le sue genti. I Francesi s'insignoriscono di San Cristoforo. Minorca viene in poter de' confederati. Scambio de' ministri in Inghilterra. LIBRO DECIMOQUARTO, ED ULTIMO 273 _Sommario_ — Disegni dei potentati guerreggianti. Fazioni sul mare. Confederati sulle coste d'Inghilterra. Maneggi de' nuovi ministri. Guerra antillese. Memorabile battaglia tra De Grasse e Rodney combattuta il dì 12 aprile. Assedio di Gibilterra. Descrizione della Fortezza. Batterie galleggianti. Mirabile assalto. Vittoria d'Elliot. Howe rinfresca Gibilterra. Le cose si dispongono ad una quiete universale. Pace. Moto pericoloso nell'esercito del congresso. Si danno le licenze all'esercito. Washington rassegna il capitanato generale, e si ritira alla sua villa di Monte Vernone. FINE DELLA TAVOLA INDICE ALFABETICO _di alcune parole e frasi italiane meno comuni usate dall'Autore, colla relativa spiegazione._ _Accalognata_ — da _accalognare_ — Calunniata. _Accettevole_ — Opportuno. _Accivire_ — Provvedere. _Accomignolato_, da _Accomignolare_ — Congiunto a modo di comignolo. _Accorr'uomo_ — Grida per fare che accorrano gli uomini a porger aiuto. _Acquarzente_ — Acquavite raffinata, quasi ardente. _Addentellato_ — Per metafora, e si dice negli edifizj quel risalto disuguale di muraglia che si lascia per potervi collegare nuovo muro. _Addopati_ da _Addopare_ — Porsi dopo, o dietro. _Adombrare ne' ragnateli_ — Proverbio, come affogarsi in un bicchier d'acqua, pericolare da imbecilli, e da timidi. _Aliare_ — Aggirarsi più che uom non suole intorno a checchessia. _Alla spicciolata_ — Alla sfilata, separatamente. _All'avvenante_ — A proporzione, a ragguaglio. _Al postutto_ — In tutto e per tutto. _Ammemmati_, o sia _Ammelmati_ — Affogati nella melma. _Andar di scarriera_ — Esser presti ad ogni mal fare. _Andazzo di corrompere_ — Uso, costume di corrompere. _A pena di cuore_ — Sotto pena della vita. _Appicco_ — Speranza. _A randa_ — A mala pena, per l'appunto. _Arrogere_ — Aggiungere. _Arrovelare_ — Stizzirsi rabbiosamente. _A scesa di testa_ — Ostinatamente. _Assottigliate dalle malattie_ — Ridotte a pochi, diminuite. _Attutita, da attutire_ — Mitigare, ammorzare. _Aver cura all'infornare_ — Guardarsi da entrare in maneggi, de' quali non si possa uno a sua posta ritrarre senza danno. _Avvisaglia_ — Affrontamento, scontro. _Barellare_ — Barcollare. _Batoste_ — Contese di parole. _Bordaglia_ — Marmaglia, canaglia. _Bucherare_ — Far buchi. _Cagliare_ — Mancar d'animo, cedere. _Callone_ — Apertura che si lascia nelle pescaie de' fiumi per transito delle navi. _Calpestata_ — Strada maestra. _Camangiare_ — Ogni erba buona a mangiare o cruda o cotta. _Cántaro_, e _cántare_ — Figuratamente, una determinata moltitudine di gente. _Cappannuccio_ — Una massa per appiccarvi fuoco ed abbruciarla per allegrezza. _Cappata_ da _Cappare_ — Scegliere. _Carnaio_ — Sepoltura comune d'ospedali, e pubblici luoghi. _Carrino_ — Trincea, o riparo di carri. _Cassale_ — Mortale. _Cantellare_ — Bere a sorsi, assaporare. _Cerchiolini e cappanelle, e cerchiellini e cappanelli_ — Crocchi e radunanze di persone che discorrono in pubblico. _Chenti_ — Quali, chi. _Ciarpa_ — Quella banda o cintura che portano gli uomini di guerra. _Cisale_ — Ciglione che spartisce o chiude i campi. _Civanza_ — Utile, guadagno. _Confettare una persona_ — Vale farle cortesie ed ossequi per rendersela, o mantenersela benevola. _Confino_ — Relegazione, pena di stare in un luogo per forza. _Confortarsi cogli aglietti_ — Confortarsi con deboli speranze. _Contennendi_, da _contennere_ — Dispregiare. _Credenza_ (_a_) — Senza occasione, per nonnulla. _Dare le imbeccate_ — Corrompere con donativi. _Dar gangheri_ — Dar indietro per artifizio. _Dassaiezza_, astratto di assai grande — Di grande solerzia e prestezza nell'operare. _Diana_ (_sulla_) — Di buon mattino. _Dicerìa_ — Ragionamento disteso. _Dileticati_ — Solleticati, stuzzicati. _Di queto_ — Quietamente. _Di straforo_ — Di nascosto. _Dormirvi sotto lo scorpione_ — Esservi nascosto un inganno. _Endicatori_ — Incettatori. _Espilazione_ — Rubamento fatto con inganno. _Far entro la penna_ — Guadagnare nelle cariche oltre allo stipendio ordinario. _Far fuoco nell'orcio_ — Fare nascostamente i suoi fatti e in maniera di non essere appostato. _Far gran calca_ — Fare istanza grandissima. _Far tenere l'olio_ — Fare star cheto alcuno per bella paura. _Fisicosi_ — Scrupolosi, fantastici. _Forra_ — Apertura lunga, e stretta tra poggi alti. _Friscello_ — Fior volatile di farina, che si attacca, alle muraglie ne' mulini quando si macina. _Gavillare_ — Cavillare. _Gazzarre_ — Strepiti e suoni fatti per allegrezza. _Geldra di codardi_ — Moltitudine, truppa di codardi. _Genove_ — Genuflessioni, prostrazioni. _Girandolata_ — Fantasticata, raggirata, posta per intrigo. _Girone_ — Turbine. _Giubbetto_ — Forche. _Giullerie_ — Buffonerie. _Gozzaie_ — Metaforicamente, rancori, odj inveterati. _Grascini_ — Ministri bassi del magistrato della grascia. _Greppo_ — Rupe aspra e difficile. _Gualdana_ — Masnada, truppa di gente armata. _Imbeccherare_ — Subornare. _Imberciare_ — Cogliere, dar nel segno. _Imberciare a sesta_ — Togliere di mira, trarre diritto. _Incamiciata_ — Scelta di soldati per sorprendere di notte il nemico. _Inciprignire_ — Incrudelire. _Indettare_ — Restar d'accordo. _Interriati_, da _interriare_ — Seppellire. _Intraprendere_ — Ledere, pregiudicare. _Istatichi_ — Ostaggi. _Latino di bocca_ — Linguacciuto, facile a parlare. _Libito_ — Volontà. _Lustre_ — Finzioni. _Macìa_ — Ammasso di pietre, muriccia. _Marina marina_ — lungo la riva del mare. _Marinare_ — Termine marinaresco, e vale metter nuovi marinari nel legno predato, trattine quelli che sono fatti schiavi. _Mariti randagi_ — Mariti bordellieri, damerini. _Marzocchi_ — Leoni scolpiti. _Mastio_, o _Maschio_ — Sorta di fortificazione. _Matassa_ — Metaforicamente per imbarazzo. _Mettere alcuno alle coltella_ — Aizzarlo, incitarlo alla vendetta. _Metter male biette_ — Metter male, seminar la zizzania. _Metter una mala cannella_ — Mettere una cattiva usanza. _Miluogo_ — Centro, luogo di mezzo. _Misalta_ — Carne insalata di porco avanti ch'ella sia rasciutta e secca. _Misfare_ — Far male. _More_ — Monti di sasso. _Moria_ — Mortalità pestilenziale. _Musare_ — Stare oziosamente a guisa di stupidi. _Nicchiare_ — Figuratamente, per imprender mal volentieri a far qualche cosa, e mostrare di non esser soddisfatti interamente. _Ostico_ — Strano e difficile a comportarsi. _Palmata_ — Figuratamente dicesi de' presenti che si danno o si prendono per vendere e alterare la giustizia, e per far monipolio di checchessia. _Paltoni_ — Mendichi che van lemosinando. _Panegli_ — Viluppi di cenci unti, i quali per le pubbliche feste s'accendono in cima a' più alti edifizj della città per far luminaria. _Parato lo sdrucciolo_ — Metaforicamente preparato un inciampo, una trama, o pratica, o precipizio ec. a danno altrui. _Peritarsi_ — Non avere ardire, stare in forse. _Piaggiare_ — Adulare, secondare con dolcezza di parole l'altrui opinione a fine di venire a capo del proprio desiderio. _Pigliare alla stracca_ — Stancare. _Piorno_ — Pregno d'acqua. _Rabberciate_, da _Rabberciare_ — Rattoppare, racconciare. _Racimolare_ — Raccogliere qua e là, raggranellare. _Raunaticcia_ (_gente_) — Gente raccolta in fretta e senza riguardo se buona o no. _Repubblicone largo in cintura_ — Appassionatissimo per le cose della libertà. _Retta_ — Resistenza o difesa: da reggere, sostenere. _Ribadire_ — Ribattere, conficcare di nuovo. _Ricisa_ (_alla_) — Senza intermissione. _Ridottare_ — Temere. _Rigattate_, cioè _Ricattate_ — Vendicative. _Rinvergare_ — Ritrovare, investigare. _Riotte_ — Contese, quistioni sì di fatti che di parole. _Saccomanno_ — Quegli che conduce dietro agli eserciti, vettovaglie, arnesi e bagaglie. _Sbiettare_ — Scappar via. _Scapolare_ — Trasportare clandestinamente. _Scarpellare_ — Cavar la pelle coll'unghie. _Scassinare_ — Guastare. _Scede_ — Beffe, scherni. _Sciorinati_ — Stanchi, malconci. _Scolte_ — Sentinelle. _Scovato_ — Scoperto. _Sdruscito_ — Guasto, danno. _Sgarato_, da _Sgarare_ — Vincer la gara. _Sgozzare_ — Metaforicamente, comportare, dimenticare. _Sido_ — Freddo eccessivo. _Sobillare_ — Sedurre, e corrompere. _Sodate_ — Consolidate. _Soffitto_ (aggettivo) — Nascoso. _Sollo_ — Soffice. _Sopperire_ — Supplire. _Soppiattone_ — Simulato, doppio. _Soprassoma_ — Sopracarico. _Sopruso_ — Ingiuria. _Sostenuto_ — Arrestato, sequestrato. _Sparvierato_ — Aggiunto che propriamente si dà alle navi, quando sono spedite e acconce a camminar velocemente. _Spastoiati_ — Sciolti, strigati. _Spelagarsi_ — Trarsi fuori del pelago, trarsi d'impaccio. _Spigliati_ — Agili, destri. _Spulezzare_ — Fuggir con grandissima fretta. _Stacca_ — Anello a cui si assicurano le insegne. _Staggite_, da _staggire_ — Sequestrare. _Stare in sul bisticcio_ — Contrastare pertinacemente proverbiandosi. _Stare in sul tirato_ — Stare all'erta. _Starsi a canna badata_ — Stare con tutta l'applicazione, con tutto l'impegno, come chi compra panno bada alla canna su cui si misura. _Statichi_ — Ostaggi. _Stazzonare_ — Palpeggiare. _Stregua_ — Parte, porzione, ragguaglio, proporzione. _Stropiccio_ — Figuratamente, affanno, danno. _Stroscia_ — Riga che fa l'acqua correndo in terra o su checchessia. _Subillare_ — Instigare. _Svertare_ — Dire senza riguardo quel ch'è occulto. _Tenere del gretto_ — Essere di pensare meschino. _Tenere in sul ponte_ — Tener sospeso. _Tolta di un tale_ — Amico, aderente in un tale. _Traffico di scarriera_ — Traffico clandestino, fuori dell'uso comune, e quasi di contrabbando. _Trambasciamento_ — Eccessiva ambascia. _Trauzeschi_ — Forse per forestieri, estranei, o per Tedeschi. _Ubbìa_ — Opinione o pensiero superstizioso. _Uomo rotto ed arabico_ — uomo precipitoso e strano. _Valeggio_ — Efficacia, valore. _Velettare_, _stare alle velette_ — Osservare. _Vento in fil di ruota_ — Vento favorevole. _Vivere in cagnesco_ — Guardarsi di mal occhio. _Zaccagna_ — Cotenna dinanzi del capo. _Zaino_ — Sacchetto di pelle col pelo, che i pastori portano legato alle spalle. _Zana_ — Cesta, culla: figuratamente inganno. Nota del Trascrittore Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, così come le grafie alternative (conseguito/conseguìto, Montagu/Montagù e simili), correggendo senza annotazione minimi errori tipografici. *** End of this LibraryBlog Digital Book "Storia della Guerra della Independenza degli Stati Uniti di America, vol. 4" *** Copyright 2023 LibraryBlog. All rights reserved.