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Title: Storia della Guerra della Independenza degli Stati Uniti di America, vol. 4
Author: Botta, Carlo
Language: Italian
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*** Start of this LibraryBlog Digital Book "Storia della Guerra della Independenza degli Stati Uniti di America, vol. 4" ***


                          STORIA DELLA GUERRA
                          DELLA INDEPENDENZA
                                DEGLI
                        STATI UNITI DI AMERICA


                              SCRITTA DA
                             CARLO  BOTTA


                            VOLUME QUARTO



                                MILANO
                         PER ANTONIO FONTANA
                            M.DCCC.XXVII



STORIA DELLA GUERRA AMERICANA



LIBRO DUODECIMO


[1780]

Io m'apparecchio a scrivere una ostinata guerra, la quale variata in
numerosi affronti, e spesse battaglie dimostrò forse più, che in
un'altra qualsivoglia, quanto siano incerte le operazioni dell'armi, ed
instabili i favori della fortuna; e quanto tenaci siano le umane menti
nel proseguire ciò, che posto hanno in cima dei desiderj loro. Le
vittorie partorirono frequentemente i frutti delle rotte, e le rotte
quei delle vittorie; i vincitori diventarono spesso vinti, i vinti
vincitori. In piccoli fatti mostrossi una gran virtù, e dall'opera di
poche genti, secondochè queste o quelle ebbero prospero, od infelice
successo, altrettanto, o più in ultimo si ottenne, che ricavato si sia
le più volte dalle grossissime battaglie combattute ne' campi europei da
valorose e potentissime nazioni. Nè si cessò dall'aspra contesa nelle
Caroline, se non quando già s'incamminavano le cose a quel fatale caso,
che del tutto afflisse le britanniche armi sul continente americano.
Erasi, come nel precedente libro si è da noi raccontato, partito dalla
Nuova-Jork il generale Clinton per recarsi all'impresa delle Caroline,
nelle quali si proponeva principalmente d'insignorirsi della città di
Charlestown; avuta la quale si sperava, tutta la provincia avesse ad
inclinare subito il collo all'obbedienza del Re. Conduceva seco da sette
in ottomila soldati tra Inglesi, Essiani e leali, tra i quali una buona
squadra di cavalli, gente molto necessaria all'esercizio della guerra in
quelle province agili e piane. Aveva anche posto sulle navi una quantità
grandissima di munizioni sì da guerra che da bocca. Viaggiavano gli
Inglesi pieni di ardimento, e confidentissimi della vittoria. Dapprima
furono assai favorevoli i venti, e propizio il mare. Ma messisi poscia
gli orribili temporali, ne fu l'intiera flotta dispersa, e grandemente
danneggiata. Alcune navi pervennero sul finir di gennaio a Tibee nella
Giorgia; altre furono intraprese dagli Americani; un'annonaria
infortunò, e si ruppe con perdita di tutte le munizioni che portava; i
cavalli, sì quei che servivano al traino delle artiglierie, come quei
delle compagnie, la maggior parte perirono. Tutti questi danni, che
stati sarebbero gravi in ogni tempo, riuscirono in quell'occorrenze
gravissimi, e quasi irreparabili. Ritardaron poi anche sì fattamente
l'impresa di Charlestown, che ebbero gli Americani tempo ad apparecchiar
le difese. Finalmente si raccozzaron tutti nella Giorgia. Le genti
vincitrici di Savanna ricevettero con molte dimostrazioni d'allegrezza
quelle di Clinton, le une e le altre molto efficacemente adoperandosi
per ristorar i danni sofferti nel tragitto. Quando furon di bel nuovo in
punto, il che fu al dieci febbraio, partirono sulle navi da carico,
accompagnate anco da quelle da guerra, ed avuti i venti prosperi
arrivarono speditamente nelle bocche del Nort-Edisto, fiume, che mette
in mare poco lungi dall'Isola di San Giovanni sulle coste caroliniane.
Esplorati i luoghi, e superato lo scanno, sbarcarono, distendendosi
dentro l'isola sopraddetta, e quella di San Jacopo più vicina a
Charlestown. Già le prime scolte toccavano le rive del fiume Ashley, il
quale bagna le mura di questa città. Occupavano parimente il Wappoo-cut,
pel quale i battelli e le galere dovevan passare per trasportare poscia
i soldati dalla destra sponda dell'Ashley sulla sinistra, sulla quale è
posto Charlestown. Ma gl'indugi causati dalla passata fortuna di mare,
pei quali avevano i Caroliniani avuto tempo di munire la città con nuove
fortificazioni e più grossi presidj, avevano indotto Clinton a vieppiù
soprastare all'oppugnazione, ed a mandar ordine intanto al generale
Prevost a Savanna, gl'inviasse de' suoi dodici centinaia di soldati,
incluso quel maggiore numero di cavalli che potesse. Aveva anche scritto
a Knyphausen, il quale, partito Clinton, era rimasto al governo dei
presidj della Nuova-Jork, spedisse tostamente all'oste presso
Charlestown rinforzi di genti e di munizioni. Venne infatti pochi giorni
dopo a congiungersi con Clinton il generale Patterson mandatovi da
Prevost colle richieste genti, dopo d'aver superato non senza molta
fatica e pericolo gl'impedimenti de' sfondati cammini, dei fiumi
ingrossati, e del nemico, che, leggiero e sparso, lo aveva con ispesse
scaramucce col sinistro fianco noiato da Savanna sin molto addentro
nella Carolina. Stava intanto Clinton affortificandosi sulle rive
dell'Ashley, e su quelle delle vicine fiumane, e bracci di mare per
mantener libere le vie a poter comunicare col suo navilio. In questo
mezzo il colonnello Tarleton, del quale sarà fatta frequente menzione in
queste storie, non meno arrisicato, ch'esperto condottiere di
cavalleggieri, recatosi nell'Isola di Porto-Reale, situata sulle coste
della Carolina più verso la Giorgia, assai fertile e ricca, attendeva
con procacci fatti, per danaro dagli amici, per forza dai nemici, di
nuovi cavalli a ristorar la perdita di quelli, che morti erano durante
l'infelice tragitto. Nel che se non ottenne tutto quello che desiderava,
ebbe però più assai di quanto egli sperava. Così in sul finir di marzo
ogni cosa era in pronto per cominciar l'assedio di Charlestown, dalla
quale città l'esercito britannico era separato soltanto dalle acque del
fiume Ashley.

Dall'altro canto non erano stati oziosi gli Americani nel fare tutti
quei provvedimenti sì civili che militari, che più creduti avevano
necessarj ad una gagliarda difesa, quantunque in questo quegli effetti
non ottenessero che avrebbero desiderato, e che la gravità del caso
richiedeva. I biglietti di credito nella Carolina Meridionale avevano
tanto perduto di riputazione, che con essi assai difficilmente si
potevano fare i procacci necessarj agli usi della guerra. Nè meno si
travagliava per la carestia dei soldati. Le milizie dopo l'ardue fazioni
della Giorgia nel passato inverno, tratte dal desiderio del riposo,
s'erano, disbandandosi, alle case loro ritornate. Il timore del vaiuolo,
che sapevano serpeggiare in Charlestown, le impediva ancora di recarsi
al soccorso della città capitale. I reggimenti poi degli stanziali
appartenenti alla provincia, ch'erano sei, si trovavano talmente
assottigliati dalla frequenza de' disertori, dalle malattie, dalle
battaglie, dal finir delle ferme, che tutti insieme non arrivavano ad un
migliaio di soldati. Non pochi parimente dei Caroliniani si erano
ridotti a giovarsi dei perdoni presso Prevost a Savanna, parte per
fedeltà verso il Re, e parte per preservare le robe loro dal sacco.
Perocchè gl'Inglesi, senza rispetto alcuno, depredavano e devastavano le
proprietà di coloro, i quali continuavano a militare sotto le insegne
del congresso. La vittoria poi di Savanna aveva indotto negli animi un
grande terrore dell'armi inglesi; e molti ripugnavano all'andarsi a
serrare dentro le mura di una città, che poco credevano poter resistere
agli assalti di un nemico sì valoroso. E se deboli erano per la
necessità delle cose i preparamenti dei Caroliniani meridionali, erano
poco più gagliardi quei del congresso. Aveva questi avuto tempestivo
avviso del disegno degl'Inglesi, e vedendo rannuvolar nella Carolina
avrebbe voluto soccorrerle. Ma dall'un de' lati la debolezza
dell'esercito washingtoniano, che era stato assai diradato dal finir
delle ferme, dall'altro la grossezza dei presidj lasciati da Clinton
nella Nuova-Jork erano causa, che da quello non si potesse un molto
efficace aiuto inviare a Charlestown. Ma per altro per confortare colle
parole, giacchè non poteva coi fatti, ovvero perchè avesse credenza, che
i popoli si sarebbero risentiti al vicino pericolo della Carolina ed
accostati alle insegne, iva il congresso scrivendo a quei che
governavano le faccende in questa provincia, stessero forti, perciocchè
avrebbe mandato loro un soccorso di novemila soldati. Ma il fatto fu che
non ne potè mandare, che quindici centinaia, soldati stanziali però
della Carolina Settentrionale e della Virginia. Mandò inoltre due
fregate, una corvetta, ed alcune altre navi minori, per contrastare, se
possibil fosse, il passo verso la città per la via del mare. Aveva anche
esortato i Caroliniani, armassero gli schiavi. La qual cosa non ebbe
effetto, sia perchè a ciò ripugnavano essi universalmente, sia perchè
non si avevano in pronto sufficienti armi a por loro in mano. Nonostante
questa freddezza dei popoli, i maestrati di Charlestown, confortati anco
dalla presenza e dalle parole del generale Lincoln, il quale governava
tutte le faccende appartenenti alla guerra, fatta sopra di ciò una
consulta, con unito consenso deliberarono di voler difendere sino
all'ultimo la città. Nè contenti a questo, sapendo benissimo, quanto
nelle cose della guerra, e nei casi massimamente più gravi, vaglia
l'unità dei consiglj, diedero la potestà dittatoria a Giovanni Rutledge,
loro governatore, dandogli facoltà di fare tutto ciò, che necessario
credesse alla salute della repubblica; solo non gli diedero autorità
sopra il sangue, e vollero che non potesse tor la vita ad un cittadino
senza un legale giudizio. Avuta una tanta autorità, chiamò Rutledge a
campo le milizie; ma pochi accorrevano. Mandò poscia fuori un bando, col
quale comandò a tutte le squadre regolari di milizie, a tutti gli
abitanti, ed a tutti coloro i quali qualche proprietà avessero nella
città, dovessero sotto le insegne porsi, e venir a congiungersi col
presidio. Se non obbedissero, fossero i beni loro posti al fisco. A
questo aspro comandamento alcuni si mossero, comunque a gran pezza tanti
armati non si ottenessero, quanti si sarebbero desiderati, tanta era la
freddezza dei popoli; perciocchè erano sbigottiti, e volevano star a
vedere, che sesto piglierebbero le cose, e brevemente tutto il presidio
di una sì gran città poco passava i cinquemila uomini, inclusi gli
stanziali, le milizie ed i marinari. Dei primi, i quali erano il membro
più grande della difesa, se ne annoveravano da circa due migliaia.
Lavoravasi intanto con incessabile fatica alle fortificazioni.
Consistevano le difese della città dalla parte di terra, da quel lato
che si distende dietro di quella dal fiume Ashley a quello, che chiamano
Cooper, in una tela di bastioni, di trincee e di batterie, ove si
annoveravano ottanta grossi cannoni, e parecchie bombarde. Le opere
esteriori, che fronteggiavano l'aperta campagna, erano da due fianchi
protette da paludi, le quali nate dall'una parte e dall'altra dai due
fiumi si distendevano all'indentro verso il miluogo posto tra i
medesimi. Per serrare poi il passo di mezzo, le due paludi erano state
congiunte da un canale artefatto, che correva dall'una all'altra. In
mezzo allo spazio compreso tra queste opere esteriori e le trincee
avevano gli Americani fatto due forti palafitte coll'aver ficcato dentro
in terra grossi alberi di modo, che i rami colle punte loro fossero
volti all'infuori. Tra le due palafitte avevano scavato un fosso molto
affondo con entrovi l'acqua. Tra lo steccato interiore e le trincee
avevano per maggior sicurezza fatte certe buche qua e là da trappolarvi
dentro gli assalitori, se fin là fossero penetrati. Le trincee poi ed i
ripari fattivi erano da fianco, cioè a riva i due fiumi da ambe le parti
fortissimi, e sì fattamente costrutti, che le artiglierie loro tiravano
rasente terra, e spazzavano la campagna. Ma le trincee nel mezzo essendo
più deboli, si praticò in questo luogo un puntone ammattonato, il quale
a guisa di rivellino fortificasse l'entrata della Terra, e la porta
principale di lei coprisse. Quest'erano le fortificazioni, che
stendendosi a traverso del promontorio dietro la città da un fiume
all'altro, la difendevano dalla parte di terra. Ma sui due lati,
dov'ella è bagnata dalle acque dei fiumi, avevano piantato spesse e
grosse artiglierie su certi ripari fatti con molta diligenza, e
costrutti, perchè meglio resistessero ai colpi delle artiglierie, con
terra frammescolata al legno di palmetto. I luoghi poi, dove si sarebbe
potuto sbarcare, avevano accuratamente fortificati con grosse
palificate. Oltreacciò, e per cooperare con quella difesa, che dalle
batterie di terra si sarebbe fatta, e per impedir alle navi inglesi il
passo dentro del porto, apparecchiato avevano una nave, che portava 44
cannoni, sette fregate loro proprie, una fregata francese di 36 cannoni
con altri legni minori, principalmente galee. Tutto questo barchereccio
da principio con ottimo consiglio avevano fermato nello stretto passo,
che si trova tra l'Isola di Sullivan ed il Middle-ground; nella quale
positura se avessero continuato a starsene, avrebbero potuto grandemente
danneggiare la flotta inglese nel suo approssimarsi al Forte Moultrie,
posto su quell'isola, e tanto celebrato per la valorosa difesa fatta
contro gli Inglesi nel 1776. Ma quando l'ammiraglio Arbuthnot si
avvicinò colle sue navi allo scanno, abbandonato quel luogo, ed alle
proprie forze il Forte Moultrie, si avvicinarono vieppiù alla città, ed
andarono a porsi di traverso a quel canale, che non è altro che il fiume
Cooper, e scorre tra il sinistro lato della città, ed un renaio assai
basso, che chiamano Shutte's-folly. Ivi furono le fregate affondate in
un con altri legni mercantili, e sopra di esse con gomene, catene e
barre fu fatta come una barricata, che si stendeva da una riva
all'altra; e per assicurarla vieppiù v'intralciaron dentro gli alberi
delle navi affondate. Così non rimase agl'Inglesi altro impedimento
all'entrar nel porto, ed a venir sopra alla città per cooperar colle
genti di terra fuori di quello del Forte Moultrie. In cotal modo i
Caroliniani con grand'animo si apparecchiarono contro gli assalti
inglesi, stando anche in isperanza degli aiuti delle vicine province
della Carolina Settentrionale, e della Virginia. Lincoln, e Rutledge
grandissima lode meritarono per lo zelo e per l'industria singolari, coi
quali si adoperarono nel confortar i popoli, e fortificar la città. Gli
ingegneri francesi De-Laumoy, e De-Cambray con molt'arte gli
secondarono. Furono gli stanziali posti a difendere le trincee, dov'era
maggiore il pericolo, le milizie i lati a riva il fiume.

Appena avuto assetto tutte queste cose, il dì 29 di marzo Clinton,
lasciate le guardie a Wappoo-cut, dov'erano i magazzini, varcava colle
altre genti, senza ostacolo veruno incontrare, il fiume Ashley a dodici
miglia distante sopra Charlestown. E subito posto piede in terra mandò i
soldati armati alla leggiera sì fanti che cavalli, ad occupar la strada
maestra ed a correre il paese sino a gittata dei cannoni della città.
Seguitò poscia tutto l'esercito, e pigliò gli alloggiamenti a traverso
l'istmo dietro la città ad un miglio e mezzo distante. In tal modo fu
del tutto infrachiusa la via di terra al presidio; ed essendo gl'Inglesi
padroni delle rive dell'Ashley, gli rimaneva solo aperta a poter ottener
rinfrescamento di vettovaglia e di genti quella a sinistra a traverso il
fiume Cooper. Non tardarono i regj a trasportar al campo loro, prestando
in ciò un'opera eccellente co' suoi battelli e galere il Capitano
Elphinstone, le grosse artiglierie, le bagaglie e le munizioni sì da
guerra che da bocca. La notte del primo aprile incominciarono a lavorare
alle trincee, e nel termine di una settimana, avendo gli assediati
tratto con poco frutto, già erano i cannoni posti sulle batterie e
pronti a batter la piazza.

Nel medesimo tempo l'ammiraglio Arbuthnot si era messo in punto per
passare lo scanno, a fine di entrare nel porto di Charlestown. Le
fregate, siccome più leggieri, trapassarono senza difficoltà alcuna. Ma
a volere che le navi più grosse varcassero, fu mestiero alleggerirle col
tor via le artiglierie, le munizioni e per fino l'acqua che portavano.
Ebbe luogo il passaggio il dì 20 di marzo. Arbuthnot gettò l'ancora a
Five-Fathom-Hole. Rimaneva a superarsi, perchè la sua armata potesse
avvicinarsi a Charlestown e cooperare colle genti di terra, l'ostacolo
del Forte Moultrie, alla guardia del quale era posto il colonnello
Pinckney con un sufficiente presidio. L'ammiraglio inglese pigliando la
opportunità di un vento da ostro, e della crescente, levate le ancore il
dì nove aprile, e camminando a piene vele, passò oltre facilmente, ed
andò a fermarsi a tiro di cannone dalla città presso l'isola di San
Jacopo. Non aveva tralasciato Pinckney di sparar le sue artiglierie nel
momento in cui gl'Inglesi passavano; ma tanta fu la celerità loro, che
ne ricevettero poco danno. I morti ed i feriti non arrivarono a trenta.
Solo una nave da carico fu abbandonata ed arsa.

In questo stato di cose, essendo le batterie pronte a fulminare la
piazza, e questa cinta quasi da ogni banda, Clinton e Arbuthnot
ricercarono la città a Lincoln. Lo ammonirono con parole gravi delle
calamità, che, se stesse ostinato, soprastavano alla città, dei
terribili effetti di un assalto dato prosperamente, e che quella era la
sola favorevole occasione, che gli si appresenterebbe per salvar la vita
e la proprietà dei cittadini. Rispose animosamente l'Americano, volersi
difendere. Avuta questa risposta, diedero tosto gl'Inglesi mano al
trarre. Gli Americani dalle mura a più possa gli rimboccavano.
Prevalevano gli assedianti, avendo più artiglierie, e massimamente
bombarde, che facevano gran danno. Intanto i palaiuoli e maraiuoli,
governati dal Montcrieffe, quegli stesso, che si era acquistato tanta
lode nella difesa di Savanna, lavorando gagliardamente alle trincee, si
facevano avanti. Già la seconda circonvallazione era condotta a
compimento, e le batterie piantatevi. Ogni cosa prometteva una vicina
vittoria agli Inglesi. Ma gli Americani avevano fatto una massa nelle
parti superiori del fiume Cooper in un luogo detto Monk's-corner. Erano
sotto la condotta del generale Huger. Potevano di là noiare gli
assedianti alle spalle, rinfrescar di genti e di munizioni il presidio
di Charlestown, e nell'estremo caso fargli ala al votar la città, ed al
ritirarsi a luoghi sicuri nella campagna. Questa testa poi di genti, che
tenevano il campo, avrebbe potuto servir d'incentivo e di nodo ad altre,
che ad esse sarebbero venute ad accozzarsi. Già ricevuto avevano dalla
settentrionale Carolina molto carreggio, armi, munizioni e bagaglie.
Considerate tutte queste cose, Clinton si deliberò ad andargli a
combattere primachè vieppiù s'ingrossassero. Mandò a questa bisogna con
quattordici centinaia di soldati il colonnello Webster, acciocchè e quel
nido di repubblicani sperperasse, e troncasse loro le vie per a
Charlestown dalla parte del Cooper. Lo accompagnavano Tarleton e
Fergusson, l'uno e l'altro molto arrischievoli condottieri di corridori.
Avevano gli Americani posti gli alloggiamenti principali sulla sinistra
riva di quel fiume, ed essendo padroni del ponte avevano anche mandato
sulla destra tutta la cavalleria, colla quale grandemente prevalevano.
Il luogo era forte, non essendovi adito al ponte, se non per un dicco,
che scorreva a traverso di luoghi acquidosi e maremmani. Ma stavano a
mala guardia, non avendo locato scolte all'intorno, nè fatto correre la
contrada dai cavalleggieri. Inoltre l'ordinanza loro era da condannarsi,
avendo posti i cavalli avanti ed i fanti dietro. Arrivarono gl'Inglesi
improvvisi alle tre della notte. Fatto un gagliardo impeto smagliarono e
ruppero tosto l'inimico. Chi non fuggì, fu morto. Il generale Huger, ed
i colonnelli Washington e Jamieson cacciatisi nelle vicine paludi, col
favore delle tenebre scamparono. Quattrocento cavalli, assai preziosa
preda, vennero in poter dei vincitori con molti carri carichi di armi,
d'abiti e di munizioni. I reali s'impadronirono del ponte. Poco poscia
assicurarono a sè stessi un altro passo inferiore, ed inondarono il
paese posto sulla sinistra del fiume, e principalmente il distretto di
San Tommaso. In cotal modo fu intrachiusa la sola via, che rimasta era
agli assediati a poter comunicare colla contrada, e la città si trovò
intieramente, e da ogni banda investita. La guernigione, siccome non
troppo gagliarda, non fe' nissun motivo per impedire queste fazioni.
Solo si attentarono ad affortificarsi su di una punta della sinistra
riva del fiume, che chiamano la punta di Lamprey. Ma, ingrossatisi
gl'Inglesi per nuovi rinforzi mandati da Clinton sulla riva medesima, ed
arrivato il conte di Cornwallis a pigliare il governo di tutte queste
genti, gli Americani quel nuovo posto abbandonarono tostamente.
Foraggiavano gl'Inglesi alla libera, impedivano le adunate delle
milizie, ed i soccorsi alla città. Pochi giorni dopo Tarleton recatosi
con incredibile celerità sulle rive del fiume Santee, sopraffece, e
mandò in rotta un'altra presa di cavalieri repubblicani, ivi raccoltisi
sotto la guida del colonnello Buford. Armi, cavalli, e munizioni, tutto
venne in balìa dei vincitori. Nè a queste cose si arrestò l'avversa
fortuna dei repubblicani. Venuto l'ammiraglio Arbuthnot sopra l'Isola
Sullivan, vi sbarcò una mano di marinari, uomini valentissimi.
Incominciò a stringere il Forte Moultrie, ed avuto diligente contezza
delle mura e del presidio, si apparecchiava a dargli l'assalto dalla
parte di ponente e di maestro, dov'erano più deboli le difese. Quei di
dentro, perduta ogni speranza di soccorso, essendo gl'Inglesi padroni
del mare, ed essi troppo deboli a poter resistere, si arrenderono il dì
sette di maggio. Così il forte Moultrie, che, allora faceva quattro
anni, aveva sgarato con grandissimo danno tutte le forze dell'ammiraglio
Hyde-Parker, ora, rivoltatasi la fortuna della guerra, venne di queto in
poter dei reali.

Intanto fattisi avanti cogli approcci avevano questi condotto a termine
la terza circonvallazione molto, vicina al canale da noi
sopraddescritto, e tanto lavorarono colle zappe, che pervenuti a destra
nella palude, dalla quale l'acqua era derivata, e, svoltala, la
seccarono. Alzarono poi poco stante le batterie su quest'ultima
circonvallazione, e compirono le traverse e gli altri cunicoli di
comunicazione. Cinta in tal modo d'ogni intorno la piazza, e gli
assedianti in atto di piovervi dentro le palle e le bombe, intimava
Clinton la resa a Lincoln. Si appiccava una pratica d'accordo; ma
pretendendo l'Americano, che non solo le milizie ed i cittadini fossero
franchi e liberi delle loro persone, ma ancora che le proprietà loro
vendere e trasportare, ove meglio piacesse loro, potessero, le quali
condizioni ricusava l'Inglese di concedere, volendo, che si arrendessero
tutti a prigionieri di guerra, ed in rispetto alle proprietà a
null'altro volendo consentire, se non se che le soldatesche nolle
avrebbero manomesse, si ruppe tosto la pratica, e si ricominciarono le
ostilità. Le palle intronavano le mura; le bombe e le carcasse, che si
crollavano in grandissima copia dentro la città, rovinavano ed
accendevano gli edifizj; ed i tiratori essiani in ciò molto destri,
cogli archibusi rigati imberciavano tutti coloro, che alle cannoniere,
od altrove si affacciavano. Niuna cosa rimaneva a quei di dentro libera
e sicura. Tutto annunziava appropinquarsi la necessità della dedizione.
Già si rallentavano i tiri degli assediati, imboccate le artiglierie
loro, fracassati i carretti, morti gli artiglieri, e gl'Inglesi spintisi
avanti colle zappe avevano sboccato nel fosso a pochi passi distante
dalle mura. Minacciavano di assalto la misera città. Già dentro appariva
principio di discordia civile, perciocchè i cittadini, parte timidi,
parte leali, incominciavano a romoreggiare. Pregavano, scongiuravano
Lincoln, non volesse vedere l'estremo sterminio di quella diletta stanza
loro, di quella sì ricca e sì nobile città. Si arrendesse, accettasse le
condizioni. Già mancare la panatica; gl'ingegneri aver dichiarato, non
potersi sostenere l'assalto; nissuno spiraglio di salute discoprirsi da
nissuna banda. In così terribile congiuntura, deposta la natural sua
durezza, piegò Lincoln finalmente l'animo all'arrendersi, ed ai dodici
del mese di maggio si fermò la capitolazione. Uscissero i soldati del
presidio con alcuni degli onori della guerra, e giunti al luogo,
tramezzo le mura ed il canale, ivi deponessero le armi; le casse non
battessero; le insegne fossero piegate; ritenessero gli stanziali ed i
marinari le bagaglie loro, e rimanessero prigionieri di guerra sino agli
scambj; le cerne se ne tornassero alle case loro, dando la fede di non
portar le armi contro le genti regie; la quale sintantochè serbassero,
non potessero venir molestate nè nella roba nè nelle persone; i
cittadini parimente di qualunque ordine si riputassero sulla fede loro
prigionieri di guerra; le proprietà loro conservassero colle medesime
condizioni, che le cerne; gli uffiziali ritenessero i loro servi, le
armi e le bagaglie non isvaligiate; avesse Lincoln facoltà d'inviare una
nave a posta con ispacci a Filadelfia. In cotal modo dopo un assedio di
quaranta giorni venne la città capitale della Carolina Meridionale in
mano dei reali. Sette generali, dieci reggimenti di stanziali, ma però
molto diradati, e tre battaglioni di artiglieria diventati prigionieri
fecero conspicua la vittoria degl'Inglesi. Il numero dei prigioni,
incluse le milizie ed i marinari, tanto americani che francesi,
arrivarono a meglio di seimila persone. Quattrocento bocche da fuoco di
diversa sorta e grandezza caddero in poter dei vincitori con una
quantità non ordinaria di polvere, di palle, di bombe e di scaglia. Tre
grosse fregate americane, ed una francese con altri legni di minor
grandezza accrebbero l'importanza della vittoria. La perdita dei morti e
dei feriti fu di poco momento da ambe le parti. I Caroliniani agramente
si dolsero dei loro vicini massimamente dei Virginiani, perchè non
avessero porto loro quegli aiuti, che avrebbero potuto. Fu Lincoln
molto, e molto diversamente ripreso del modo, col quale ei governò tutta
questa fazione. Lo biasimarono alcuni dell'essersi rinchiuso dentro le
mura di una Terra grande e male riparabile, invece di osteggiare alla
campagna. Affermarono, che se questo secondo partito seguitato avesse,
avrebbe potuto conservare alla lega un esercito notabile, e le più
fertili terre della provincia. Mantennero, che sarebbe stato meglio con
agguati, con iscappate, con aggirate, con opportuni assalti stancare, e
consumar l'inimico; poco esser difendevoli le mura di Charlestown; le
genti poche a tanto circuito; diverso modo da questo, e con molta
utilità della patria aver tenuto Washington, quando antepose alla
perdita dell'esercito quella dell'Isola della Nuova-Jork, e della città
stessa di Filadelfia. Delle quali cose si può credere, che certamente
sarebbe stato miglior consiglio, temporeggiando in sulle difese,
straccar l'inimico sulla campagna. Ma della contraria deliberazione di
Lincoln non egli dee venir accagionato, ma sibbene il congresso e gli
Stati provinciali vicini, i quali nell'approssimarsi del pericolo quegli
aiuti promisero, che poi non mandarono. Altri lo condannarono per non
aver votato la città, quando tuttora erano aperte le vie sulla sinistra
sponda del Cooper. Della quale risoluzione fu causa, prima questa stessa
speranza degli aiuti; poscia, quando dopo la vittoria di Monk's-corner
gl'Inglesi avevano inondato le terre poste tra il Cooper e la Santee, il
timore di esser sopraffatto da forze superiori, massimamente cavalli, e
la ripugnanza al lasciare la città a discrezione in mano del nemico.
Avuta Clinton la possessione della città capitale della Carolina, vi si
assicurava dentro con buoni ordini civili e militari, e, assettata
questa, volgeva l'animo a racconciar la provincia, nella quale già ogni
cosa piegava a divozione dell'esercito vincitore.

Divisava egli, e mandava ad effetto tre spedizioni; perciocchè non
voleva nè lasciar freddare i suoi, nè respirar il nemico; l'una verso il
fiume Savanna nella Giorgia, l'altra a Ninetysix al di là del fiume
Saluda, queste due per far levar in capo i leali molto abbondanti in
quei luoghi; la terza per disperdere affatto le reliquie delle bande
americane, le quali tuttavia andavano ronzando tra il Cooper e la
Santee, e principalmente per rompere una testa di repubblicani, che
sotto la condotta del colonnello Buford si ritiravano a gran giornate
dalla Carolina. Ebbero tutte e tre felice fine. Accorrevano da ogni
banda gli abitatori verso le genti regie, dichiarando di voler
all'antica leanza ritornare, ed offerendosi di voler armata mano
difendere e sostenere la causa del Re. Molti si affoltavano per le
stesse cagioni e fini nella città stessa di Charlestown, a ciò ancora
invitati da un bando mandato fuori da Clinton. Il conte di Cornwallis,
spazzate le rive del Cooper, e varcata la Santee, s'impadroniva di
Georgetown. Sì grand'era lo zelo dei popoli, o vero o simulato pel Re,
ed il desiderio, parte per paura, parte per amore di gratuirsi il
vincitore, che non contenti al venire essi stessi, conducevano anco
prigioni seco loro quei libertini, che potevano aver fra le mani, ai
quali poco prima con tanta prontezza obbedito avevano, e che ora col
nome di oppressori appellavano. Intanto Buford colla sua schiera già si
era assai dilungato, ed era assai difficile impresa quella di
raggiungerlo. Ma Tarleton si offeriva pronto, e dava speranza di trarla
a buon fine. Cornwallis gli concedè a tal uopo una buona frotta di
cavalleggieri, ed un centinaio di fanti montati in groppa. Camminando
egli con grandissima celerità arrivò il giorno 28 maggio a Cambden, dove
ricevè le novelle, che Buford era partito il dì precedente da
Rugeley's-mills, e che a gran giornate marciando era vicino a
congiungersi con un'altra schiera di repubblicani, ch'era in via per
venire da Salisbury a Charlotte nella Carolina Settentrionale. Conosceva
Tarleton, di quanta importanza fosse il prevenire la congiunzione di
queste genti. E perciò malgrado la stanchezza degli uomini e dei
cavalli, dei quali alcuni per questa sola cagione erano morti, ed il
calore della stagione, raddoppiò i passi, e tanto fu presta la mossa
delle sue genti, che venne sopra il nemico in un luogo chiamato Wacsaws,
trascorso avendo 105 miglia in cinquantaquattr'ore. Gl'Inglesi
intimavano la resa agli Americani; questi ricusavano le condizioni
animosamente rispondendo, volersi difendere. Ordinò Buford i suoi alla
battaglia, ch'erano da quattrocento stanziali della Virginia con una
torma di cavalleggieri del Washington. Gli distendeva in una sola fila;
i cannoni, le bagaglie, tutta la salmerìa continuavano intanto ad andar
al viaggio loro. Comandava, non traessero, finchè i cavalli inglesi non
fossero vicini a venti passi. Tarleton non metteva tempo in mezzo; ma a
trabocco si mescolava col nemico. Fatta una leggiera resistenza,
andarono gli Americani in volta. Gli seguitarono ferocemente gl'Inglesi,
e ne fecero strage. Fu piena la vittoria. Quasi tutti furono o uccisi o
sconciamente feriti, o fatti prigioni. Tanto fu il furore degl'Inglesi
in questo fatto, che spietatamente manomisero anche coloro, che si
arrendevano. Da ciò si accanirono viemmaggiormente gli Americani, e
nacque tra di loro un proverbio volgare, che volendo significare un
crudel nemico, od una strage orribile dicevano: _I quartieri di
Tarleton_. Le armi, inclusi i cannoni, le munizioni, le bagaglie, il
carreggio, tutto vennero in poter del vincitore. E' pare che abbia
Buford commesso in questo fatto due errori, dei quali il primo si fu
quello di aver aspettato l'inimico, che prevaleva di cavalleria, in
luogo aperto. Se invece di aver mandato il carreggio indietro, tosto
ch'ebbe scoperto i regj, ne avesse fatto carrino tutto all'intorno delle
sue genti, o non lo avrebbero gl'Inglesi assaltato, o ne sarebbero forse
rimasti colla peggio. Il secondo poi fu quello di aver vietato a' suoi,
non traessero al nemico, se non vicino; il che fu causa, che i cavalli
di Tarleton caricarono avventati ed ordinati. Ritornò questi
subitamente, conducendo seco le conquistate spoglie a Cambden, dove si
ricongiunse con Cornwallis. Quella schiera di Americani, che si era
avviata a Charlotte, udita la rotta di Wacsaws, fece altri pensieri, e
se ne tornò più che di passo a Salisbury.

La vittoria di Wacsaws, siccome quella, ch'ebbe rotte le ultime speranze
dei Caroliniani, ridusse tutta la Carolina ad una intiera soggezione.
Scrisse Clinton al ministro a Londra, che tutto vi seguitava il nome
degl'Inglesi, e che pochi uomini vi rimanevano, i quali non fossero o
prigionieri sulla fede loro, o coll'armi in mano in servizio del Re. Ma
conosceva benissimo, che quello che acquistato aveva coll'armi,
bisognava coi buoni ordinamenti civili confermare. Volse perciò l'animo
a dar forma alle cose della provincia. Nel che fare si consigliava di
volere e quetar gli animi colle perdonanze, e far concorrere i popoli
alla difesa della provincia, ed al ristoramento in ella dell'autorità
del Re. Bandì a questo fine congiuntamente coll'ammiraglio Arbuthnot un
indulto pieno e libero in favor di coloro, i quali immediatamente alla
leanza loro ritornassero, promettendo, che dei delitti e delle
trasgressioni commesse per il passato circa le cose dello Stato non
sarebbero riconosciuti. Solo eccettuò quelli, i quali posto avessero,
sotto la coperta di schernevoli forme della giustizia, le mani nel
sangue di quei concittadini loro, che la ribellione e le usurpazioni
abborrito avevano. Considerato poscia, che molti tra gli abitatori della
Carolina erano sotto la fede loro prigionieri di guerra, e che sino a
tantochè in tale condizione continuassero, non si potevano
convenevolmente costringere a pigliar le armi in favore del Re, Clinton
poco curandosi, siccome vincitore, del rompimento della fede pubblica,
dichiarò con un pubblico bando, mandato fuori espressamente il dì 3
giugno, ch'erano sciolti e liberi dalle parole, che date avevano,
eccettuati solamente gli stanziali stati fatti prigionieri nel Forte
Moultrie, e nella città di Charlestown. Aggiunse, ch'erano restituiti a
tutti i diritti ed a tutti i doveri dei cittadini inglesi. Perchè poi
non vi potesse esser dubbio intorno le intenzioni sue, e per chiarir
anche i sospetti, fece a sapere, che ognuno doveva attivamente
adoperarsi nel ristabilire ed assicurare il governo del Re, e nel
liberar la contrada da quell'anarchia, che già da troppo lungo tempo
afflitta l'aveva. E per dar sesto ed ordine alla cosa comandò, che
ognuno si tenesse pronto a marciare al primo avviso, e che coloro che
avevano famiglia si ordinassero in bande di milizia per le difese di
casa, ma quei, che non ne avevano, dovessero militare in compagnia delle
forze regie per cacciare, siccome diceva, i ribelli oppressori dalla
provincia, e dalle calamità della guerra liberarla. Non durasse però la
loro condotta oltre sei mesi, e non potessero adoperati essere fuori
delle due Caroline e della Giorgia. Così i cittadini si spingevano
contro i cittadini, i fratelli contro i fratelli; e coloro, i quali
erano stati riconosciuti come soldati del congresso, poichè erano stati
ammessi alla condizione di prigionieri di guerra, si costringevano a
militare in favore del Re; cosa, se non nuova, certo non tollerabile, e
che fu di pessimi effetti cagione, come racconteremo in appresso, contro
coloro, che la usarono. Vedutasi da Clinton la quiete della provincia e
l'ardore che pareva universale dei popoli nell'aiutare i regj,
distribuite le genti nei presidj pe' luoghi più opportuni, e lasciate
tutte quelle che stanziavano nella Carolina e nella Giorgia sotto la
condotta del conte di Cornwallis, se ne partì da Charlestown per
ritornarsene alla Nuova-Jork.

Non erano in questo mezzo state le cose di quest'ultima città senza
travaglio; perchè si trovò improvvisamente esposta ad un gravissimo
pericolo. Era la vernata stata sì aspra, che il fiume del Nort con tutti
i vicini stretti e canali ne erano invetrati e rassodati. Tale era la
spessezza e la durezza del diaccio, che i più gravi pesi e le
artiglierie stesse potevano passarvi sopra sicuramente. A questo
inaspettato accidente si risentirono grandemente i generali del Re, e
molto temevano della città stessa della Nuova-Jork, essendovi dentro
assai deboli i presidj, e fuori l'esercito di Washington poco lontano.
Non tralasciarono però nissuna di quelle diligenze, che in simil caso
usare si potevano. Tutti i Jorchesi di qualsivoglia ordine o condizione
si fossero, furono arruolati, armati ed ordinati in compagnie. I
marinari stessi furono descritti in queste. Gli uffiziali e le ciurme
delle fregate si posero alle artiglierie, quei delle navi da carico,
annonarie e mercantili, armati di picche, stavano alle difese delle navi
medesime, delle rive e dei magazzini. Ma Washington non era da sè stesso
bastante a tentare cosa di momento alla vittoria. Le sue genti ch'erano
baraccate a Morristown, non arrivavano al novero degli stanziali
inglesi, che si trovavano nella Nuova-Jork. Mandò bene per tentar la
cosa lord Stirling con una grossa banda di soldati sopra l'Isola degli
Stati; ma questi, veduto, che niuno accidente nasceva dentro della
città, che potesse dare speranza di prospero evento, se ne tornò a' suoi
primi alloggiamenti. Così gli Americani per quella peste della brevità
delle ferme, e per la tiepidezza, che presso di loro prevaleva a quei
tempi, perdettero la più propizia occasione, che desiderar potessero, di
affliggere con un gran fatto la potenza britannica.

E se gli Americani per la debolezza loro erano costretti a contenersi
nella quiete nelle vicinanze della Nuova-Jork, gl'Inglesi, inoltrata
essendo di già la stagione, ed allontanato per lo scioglimento del
ghiaccio il pericolo che corso avevano, non se ne stavano neghittosi.
Ritornarono in su quelle loro ladronaie nella Cesarea. L'intento loro
questo stesso era di voler devastare e rapinare, siccome anche di
consuonar colle cose che si facevano nella Carolina, acciocchè l'inimico
distratto in varj luoghi non potesse soccorrere a nissuno. I Generali
Knyphausen, Robertson e Tryon, i quali, durante l'assenza di Clinton,
governavano le genti della Nuova-Jork, in sull'entrar di giugno, ed
alcuni giorni prima, che il capitano generale ritornato da Charlestown
vi arrivasse, erano venuti con cinquemila uomini sopra le terre
cesariane, ed impadronitisi d'Elisabethtown. Quivi si portarono molto
lodevolmente, astenendosi dal sacco. Spintisi poscia più avanti
occuparono Connecticut-farms, nuova ed assai prosperevole villata.
Instizziti alla resistenza che incontrato avevano per via, imperciocchè
le bande paesane stormeggiando tutto all'intorno erano accorse, e gli
avevano combattuti, tutta l'arsero, eccetto solo due case. La chiesa
stessa fu consumata dalle fiamme. In questo luogo successe un caso molto
compassionevole, e che contribuì non poco a vie più inviperir i
repubblicani contro i reali. Viveva in Connecticut-farms una gentildonna
molto bella, e di lodevoli costumi ornata, sposata ad un Jacopo Cadwel,
sviscerato libertino in quella provincia. Avvertita dal marito e dagli
amici, si cansasse, non volle, confidatasi nella propria innocenza.
Stavasene ella nelle camere sue sicuramente, conversando co' suoi
piccioli figliuoli, che gli stavano attorno, con accanto la fantesca, la
quale sulle proprie braccia sosteneva un bambino di lei. In questo mezzo
ecco un soldato arrivare (dicesi sia stato un efferato Essiano), il
quale posto l'archibuso sulla finestra, e presala di mira con una ferita
mortalissima nel maternale petto l'ammazzò. Il sangue della madre
sgorgando bruttò le tenere membra de' spaventati fanciulli.
Sottentravano i soldati, e sotterrata in fretta la morta donna, la casa
arsero ed ogni cosa. In tale guisa raccontano il dolente caso i
repubblicani. Ma i reali mantengono, il colpo essere stato tratto dagli
Americani, poichè affermano, fosse venuto dalla parte, ov'eglino si
ritrovavano. Quale di questo sia la verità, la lagrimevol morte di
questa gentildonna a tanta rabbia concitò i libertini, che,
romoreggiando da ogni parte, ed accorrendo a calca, la fecero tornar in
capo ai commettitori. Si erano questi messi in cammino per andar a
conquistare un'altra Terra quivi vicina, chiamata Springfield, e giunti
poco lungi vi trovavano dentro il generale Maxwell, il quale con un
colonnello di stanziali cesariani, ed un grosso di arrabbiate milizie
gli aspettava. Si fermarono gl'Inglesi, e quivi alloggiarono la notte.
La mattina, ossiachè non bastasse loro l'animo di assalire un nemico sì
grosso e sì risoluto, ovverochè, come divolgarono, avessero avuto le
novelle, che si trovaron vere, che Washington avesse a gran fretta
inviato da Morristown in aiuto di Maxwell una grossa squadra, davano
indietro, e si ritiravano alle stanze di Elisabethtown. Gli seguitarono
ferocemente gli Americani, sebbene con poco effetto pei buoni ordini, e
pel valore di quelli. In questo punto arrivò Clinton alla Nuova-Jork, e
tosto si deliberò di voler l'incominciata impresa ad un buono ed utile
fine condurre. Era il suo intento di sbarbare Washington dai forti
posti, che aveva pigliati nella contrada alpestre della Morrisonia, la
quale, quasi come una cittadella naturale, aveva servito di sicuro asilo
al capitano d'America contro gli assalti inglesi, anche quando le forze
sue erano state più deboli. A questo fine imbarcò Clinton molte genti
alla Nuova-Jork, e tali dimostrazioni faceva su pel fiume del Nort, che
pareva, ch'ei vi volesse salire, per andare ad impadronirsi dei forti
passi delle montagne per alla volta dei laghi. Teneva per fermo, che,
saputesi da Washington queste mosse, avrebbe fatto qualche
precipitazione, si sarebbe posto in gran gelosia di questi passi, e non
avrebbe omesso di venire o con tutto, o colla più gran parte delle sue
genti a guardargli. La qual cosa ottenutasi, disegnava l'Inglese colle
genti che aveva a Elisabethtown, correre velocemente verso la
Morrisonia, ed occupar in tal modo il solito nido di Washington. E
quando per la lontananza loro que' luoghi non si fossero potuti tenere,
era pure una gran cosa il distruggere le canove, che gli Americani fatte
vi avevano. Effettivamente Washington, che stava continuamente alla
vista, ed aveva odorato la mente di Clinton, temendo di West-point, e
delle vicine ed importanti strette, serbatosi a randa il suo bisogno per
guardare i poggi della Morrisonia, mandava le restanti genti sotto la
guida di Greene sulle rive dell'Hudson. Partivano allora i reali da
Elisabethtown, incamminandosi a gran passo verso Springfield. Giace
Springfield alle falde delle montagne della Morrisonia sulla destra
sponda di un fiumicello, che, sceso da quelle, lo bagna da fronte. Stava
alla guardia del ponte il colonnello Angel con pochi, ma valenti
soldati. Dietro questi, come una seconda schiera, si era posto in
ordinanza il colonnello Shrieve col suo reggimento, e più in su sopra i
primi poggi presso Short's-hill si erano attelati Greene, Maxwell, e
Stark. Di stanziali difettavano; ma erano numerose, e concitatissime le
milizie. Arrivavano i regj al ponte, e si attaccavano con molta furia
coll'Angel. Questi si difendeva assai valorosamente. Molti ammazzava de'
nemici, pochi perdeva de' suoi. Finalmente sopraffatto dal numero diè
luogo, e con ottima ordinanza procedendo, andò a congiungersi colla
seconda schiera. Occupato gl'Inglesi il ponte, si avventavano contro di
questa. Sosteneva Shrieve un pezzo l'urto loro francamente. Ma in
ultimo, vedutigli così grossi, ed armati di molte artiglierie, cedè il
luogo, ed andò a porsi dietro la schiera del Greene. Esaminata poscia
bene la positura de' luoghi, e la fortezza degli alloggiamenti
americani, si levarono gl'Inglesi dal pensiero di assaltargli. Forse
l'ora tarda, in cui già erano, l'ignorare la qualità delle forze
nemiche, la difficoltà della contrada, l'ostinata difesa del ponte, il
correre, che facevano da ogni banda le milizie all'armi, e la
malagevolezza di tener aperta la via sino ad Elisabethtown contribuirono
non poco a questa deliberazione dei reali. Intanto arrabbiati al non
poter far frutto, predarono ed affocarono la ricca Terra di Springfield.
Poscia indietreggiarono verso Elisabethtown. I repubblicani gonfj d'ira
a quelle arsioni aspramente gli perseguitarono, e sì fattamente gli
accanarono, che, se non fosse stata la disciplina, ed i buoni ordini
loro ne sarebbero stati sconfitti all'estremo. La notte, abbandonate del
tutto le terre cesariane, varcarono nell'Isola degli Stati. In questo
modo dall'inaspettato valore degli Americani fu rotto tutto il disegno
di Clinton. Ne ottennero gl'Inglesi biasimo e disonoranza, ed un odio
immortale presso il nemico. Washington con lettere pubbliche molto
commendò la virtù de' suoi.

Tornando al proposito della nostra narrazione delle cose della Carolina,
il reggimento inglese, che vi era stato introdotto, dacchè i reali
avevano preso la tenuta della provincia, andava considerando del modo di
ristorarvi i danni causati dalla guerra e dalle fazioni, e di vieppiù
confermarla nella divozione del Re. Dopo la conquista i biglietti di
credito perduto avevano ogni sorta di riputazione, e più non vi si
potevano spendere per nissun valore. E siccome molti da un canto avevano
ricevuto in pagamento di antichi crediti i biglietti scapitanti, e da un
altro vi rimanevano da pagarsi molti residui di debiti contratti nel
valore edittale di essi biglietti, così si vollero costringere i primi
debitori a compensare ai loro creditori con un nuovo pagamento di moneta
la differenza, che passava tra il valore reale, e l'edittale dei
biglietti, e stabilire una norma ferma, giusta la quale i debitori dei
residui dovessero con moneta ai loro creditori soddisfare. Si crearono a
questo fine tredici commissarj, i quali fossero per informarsi dei varj
gradi dello scapito dei biglietti, e facessero poscia uno specchietto, o
tavola scalata della declinazione del credito di quelli; la qual tavola
dovesse servire di norma legale nel pagamento degli anzidetti debiti.
Procedettero i commissarj in questa difficile bisogna con eguale e
giustizia ed avvedimento; e ragguagliando i prezzi che avevano le grasce
nel paese a' tempi dei biglietti con quelli, che esse avevano l'anno
precedente alla guerra, ed esaminate le diverse proporzioni degli scambj
tra le monete effettive, ed i biglietti medesimi, formarono la tavola
non solo anno per anno, ma ancora mese per mese, contenendo la prima
colonna le date, la seconda la ragione del valor dei biglietti a quello
delle monete, la terza la ragion del valore dei biglietti a quello delle
grasce, e la quarta il mezzo proporzionale dello scapito. Questa
estinzione del valor dei biglietti di credito causata dalla presenza
degl'Inglesi nella Giorgia e nella Carolina fece sì, che quei, che se ne
trovavano ancora per le mani, gli portarono, o mandarono nell'altre
province, nelle quali, sebbene poco, conservavano però ancora qualche
valore. Da questo, siccome pure dalla perdita della Carolina, e dal
sinistro aspetto che avevano le cose del congresso a questo tempo, ne
nacque, che i biglietti andaron soggetti in tutti gli Stati ad un nuovo
e soverchio bassamento. La qual cosa vedutasi dal congresso, e
conoscendo benissimo che nissun rimedio vi era, che atto fosse a
resistere a tanta rovina, e ad arrestar il corso del disavanzo,
determinò di cedere al temporale, ordinando, che per l'avvenire si
spendessero i biglietti non nel valore edittale, ma nel convenzionato, e
fece a quest'uopo anch'esso fare la tavola scalata, la quale dovesse
servir di norma nei pagamenti. Questa risoluzione del congresso ch'era
una violazione della pubblica fede, se si eccettuano alcuni debitori
disonesti, fu e grata, ed utile all'universale. Imperciocchè nissuna
calamità possa essere maggiore ad una nazione di quella, che nasce
dall'avere un mezzo, che serve di pecunia, il quale sia fisso dalla
legge, e variabile nell'opinione; e da un'altra parte i biglietti si
trovavano allora nelle mani non dei primi, ma sibbene degli ulteriori
possessori, i quali anch'essi gli avevano avuti a basso prezzo. Solo si
sarebbe desiderato, che il congresso non avesse fatto tante e sì
efficaci protestazioni di voler mantenere il valor edittale dei
biglietti. Conciossiachè ed il tenore stesso dei biglietti, ed i termini
della creazione loro, e tutti gli atti pubblici, che a quelli
risguardavano, promesso avessero, e solennemente assicurato, che un
dollaro in biglietti sempre speso si sarebbe, e compro per un dollaro
d'argento. E pochi mesi prima aveva il congresso in una sua lettera
circolare favellato, come di una cosa ingiustissima di questa stessa
risoluzione, che ora aveva preso, affermando, che la supposizione sola,
che si volesse abbracciare, era da aversi in orrore. Ma tal è la natura
dei reggimenti nuovi, massimamente a' tempi delle rivoluzioni, in cui
gli affari dello Stato sono, più che in altri, soggetti all'arbitrio
della fortuna, che spesso promettono di quelle cose che poi non possono
attenere, essendo più forte l'imperio delle circostanze, che la
necessità di serbar la fede. La qual cosa dovrebbe tali reggimenti
rendere rispettivi nell'allargarsi in promesse. Ma eglino, o poco
esperti, o troppo confidenti, o credendosi di aver vinto l'impresa,
quando han trovato modo di spignerla pure avanti un dì, sembrano per
l'ordinario più voler promettere, quanto meno hanno facoltà di attenere.

Il bando mandato fuori dai capitani britannici, pel quale disobbligavano
dalle parole loro i prigionieri di guerra, e, restituendogli alla
condizione di sudditi inglesi, gli costringevano ad unirsi alle genti
regie, aveva causato non poco disgusto fra i Caroliniani. La maggior
parte desideravano, poichè perduto avevano la libertà, di godersi almeno
la pace alle case loro, accomodandosi in tal modo al tempo, e servendo
alla necessità; la qual cosa, se fosse stata ad essi conceduta non
avrebbero più fatto novità, e meno impazientemente sopportato avrebbero
l'infelice condizione della repubblica. Quindi appoco appoco si
sarebbero avvezzati al presente ordine di cose, e dimenticato avrebbero
il passato. Ma quel bando di nuovo concitò la rabbia loro. Tutti
dicevano; _se si ha a ripigliar le armi si combatta piuttosto per
l'America, e per gli amici, che per l'Inghilterra, e per gli strani_.
Alcuni, come dissero, così fecero. Sciolti dalla fede loro, siccome
credettero di aver acquistato il diritto di ripigliar le armi, così lo
vollero anche usare, e risoluti di pruovare ogni fortuna, per vie
strane, ed incogniti tragetti si conducevano sulle terre della Carolina
Settentrionale occupate tuttavia dalle genti del congresso. Altri
continuarono a dimorare nel paese, e nella condizione di prigionieri,
aspettando a volersi risolvere, che fossero chiamati attualmente dai
capitani britannici sotto le insegne. I più, cedendo ai tempi, e non
sofferendo loro l'animo di abbandonar le proprietà loro, e di ritirarsi
in lontane regioni, come i primi, o temendo delle persecuzioni
degl'Inglesi, e di quelle dei proprj paesani, desiderosi d'ingraziarsi
presso i nuovi signori, amarono meglio, dissimulando, scambiar la
condizion loro, e da prigionieri americani, diventar sudditi britannici.
Alla quale risoluzione tanto più volentieri si accostarono, che correva
voce, forse data ad arte, che il congresso fosse venuto in sulla
determinazione di non contrastar più oltre agl'Inglesi la possessione
delle meridionali province. La qual cosa non solo non era vera, ma era
vero tutto il contrario, stantechè aveva il congresso nella sua tornata
dei 25 giugno con molta solennità dichiarato, che ogni maggiore sforzo
si voleva fare per ricuperarle. Ma queste cose non si sapevano dai
prigionieri della Carolina, e vi si credeva dai più, ch'ella rimasta
sarebbe una provincia britannica. Così la moltitudine correva parte per
amore, parte per forza alla leanza. Ma gl'Inglesi avrebbero voluto
avergli tutti, e non tornava lor bene, che vi rimanesse dentro, o fuori
della provincia alcuno, che seguisse le parti del congresso. Epperò ogni
sorta di stranezze usavano contro i beni, e le famiglie di coloro
ch'erano fuorusciti, o di quei che rimasti erano prigionieri di guerra.
Le proprietà dei primi erano sequestrate, e guaste, e le famiglie
guardate di mal occhio, e taglieggiate, come di ribelli. I secondi erano
spesso dai parenti loro separati e confinati in luoghi disagiosi e
strani. Quindi quelli rientravano ogni giorno, e venivano a piegare il
collo sotto il giogo della nuova servitù; e questi andavano anch'essi ad
offerirsi, come buoni e fedeli sudditi del Re. Tra gli uni e gli altri
vi erano di quegli stessi, i quali più vivi si erano dimostrati in
quella loro impresa della libertà, e che avevano tenuto i primi
maestrati nel reggimento popolare. Generalmente si escusavano col dire,
che non avevano mai posto la mira all'independenza, e che detestavano la
lega fatta colla Francia. Così gli uomini amano meglio esser tenuti
bugiardi e spergiuri, che viver poveri e disgraziati. Queste cose si
facevano nel contado. Ma gli abitatori della città, siccome quelli, che
avevano per la capitolazione il diritto di starsene alle case loro, non
furono inclusi nel bando dei 3 giugno. Epperò altri modi si usarono per
fargli calare alla leanza. Gl'Inglesi ed i leali inveterati bucherarono
di modo, che dugento e più Charlestonnesi fecero, e sottoscrissero una
lettera pubblica, colla quale si rappresentarono al Capi britannici,
seco loro congratulandosi dell'avuta vittoria. E siccome quest'era un
concerto, fu loro risposto, goderebbero la protezione dello Stato, e
tutti i benefizj della cittadinanza inglese, se volessero sottoscrivere
una dichiarazione di leanza, e del buon animo loro a voler sostenere la
causa del Re. Così fecero essi; molt'altri gl'imitarono. Quindi nacque
una distinzione tra i sudditi ed i prigionieri. Erano i primi protetti,
onorati, incoraggiati; i secondi guardati di traverso, molestati,
perseguitati nella roba e nelle persone. I beni di costoro posti in
contado erano manomessi e calpestati. In città era intrachiuso loro il
ricorso ai tribunali per dirvi ragione contro i loro debitori, mentre da
un altro canto era fatto abilità ai creditori, quand'eran sudditi, di
chiamargli in giudizio. Quindi eran forzati a pagare i debiti, ed
impediti dal riscuotere i crediti. Non erano lasciati uscir dalla città,
se non colla licenza, la quale spesso, e senza nissun motivo era loro
negata; e minacciati ancora di carcere, ove la leanza non
sottoscrivessero. Le robe loro erano state messe a bottino dai soldati,
e particolarmente gli schiavi involati. Nè v'era modo, che fossero loro
restituiti, se non si piegavano, mentre i sudditi ciò di leggieri
ottenevano. Erano gli artigiani permessi di lavorare, ma era poi negata
loro la facoltà di farsi pagar la mercede delle opere dagli avventori,
quando questi la ricusavano. Gli Ebrei stati erano lasciati comperare
molte e ricche robe dai mercatanti inglesi, i quali colà eran venuti
coll'esercito. Ma a meno che diventassero sudditi, non si permetteva
loro di venderle. Insomma ogni arte si usava, e le minacce, e la forza
per fare, che i cittadini mancassero alla fede data, ed all'antica
soggezione ritornassero. I più simularono e dissimularono; e diventati
sudditi furon fatti partecipi della britannica protezione. Altri o più
ostinati o più virtuosi non s'inclinarono. Quindi le proprietà loro eran
fatte bersaglio alla sfrenata cupidità delle soldatesche; altri nelle
strette e pestilenti prigioni confinati; altri più fortunati, o più
accorti incontrarono un volontario esiglio. In mezzo a così fiera
catastrofe le donne caroliniane diedero l'esempio di una fortezza più
che virile; e tanto amore dimostrarono di quella patria americana, che
per me non saprei se le storie sì antiche che moderne ci abbiano
tramandato la memoria di uguali, non che di maggiori. Non solo non
tenevano a male, ma e si rallegravano, e si gloriavano all'essere
chiamate col nome di donne ribelli. Invece di andarsene per le adunate
pubbliche, dove si facevano le feste ed i rallegramenti, concorrevano a
bordo delle navi ed in altri luoghi, in cui erano tenuti prigioni i
consorti loro, i figliuoli e gli amici, e quivi con modi pieni di
cortesia gli consolavano e riconfortavano. «Stessero forti, dicevano,
non cedessero al furor dei tiranni; doversi anteporre le prigioni alla
infamia, la morte alla servitù; risguardar l'America i suoi diletti
campioni; sperare, i mali loro dover fruttificare, e produrre e
confermare quella inestimabile libertà contro gli attentati dei ladroni
d'Inghilterra; martiri essi essere, ma martiri di una causa sacra agli
uomini e grata a Dio». Con tali detti ivano queste valorose donne
disasprando i mali dei miseri cattivi. Allorchè i conquistatori nelle
festevoli brigate, e ne' lieti concerti convenivano, non era mai che
volessero le Caroliniane intervenirvi, e quelle poche, che sì facevano,
n'erano presso le altre disgraziate. Ma come prima arrivava prigioniero
in Charlestown un uffiziale d'America, tosto il ricercavano, e con ogni
sorta di più onesta cortesia, e con ogni segno di osservanza e rispetto
il proseguivano. Altre ne' luoghi più segreti delle case loro
convenivano, e quivi addolorate lamentavano le sventure della patria.
Altre i mariti loro incerti e titubanti riconfortavano, sicchè
preferiron essi all'interesse ed ai comodi della vita un disagioso
esiglio. Nè poche furono quelle, le quali venute per la costanza loro in
odio ai vincitori, furono dalla patria bandite, ed ebbero i beni posti
al fisco. Queste nel prender l'ultimo congedo dai padri, dai figliuoli,
dai fratelli, e dagli sposi loro non che alcun segno dessero della
fralezza, non so se nel presente caso io mi debba meglio dire maschile,
o femminile, gli esortavano e scongiuravano, fossero di buono e saldo
proponimento, non cedessero alla fortuna, e non sofferissero, che
l'amore che portavano alle famiglie loro tanto in essi potesse, che
dimenticassero quello, di ch'erano alla patria debitori. Quando poi,
siccome accadde poco dopo, furono comprese in un bando dato ai
libertini, abbandonate colla medesima costanza le natie Terre, ed
esulando anch'esse, i mariti loro accompagnarono in lontane contrade, od
anche sulle fetide e schife navi gli seguitarono, che a quelli servivano
di prigione. Ivi ridotte in somma povertà, nutrendosi di vilissimi cibi,
andavano con miserabile spettacolo mendicando il pane. Molte, ch'erano
nate ed allevate in mezzo alle ricchezze, non solo ai soliti agi
rinunciarono della passata vita, ed alla speranza della condizione
avvenire delle famiglie loro, ma ancora ai più grossi lavorj; ed ai più
umili servigi le disavvezze mani accomodarono. Tutte queste cose
facevano non che con fortezza, con allegrezza; l'esempio loro confermò
gli altri, e da questa fermezza delle caroliniane donne stette
principalmente, che non venisse spento affatto nelle meridionali
province il desiderio ed il nome della libertà. Da questo conobbero
anche gl'Inglesi, che avevano alle mani un'impresa più dura di quello,
che prima si fossero fatti a credere. Imperciocchè il più manifesto
segno della generale opinione, e dell'ostinazione dei popoli in qualche
pubblica faccenda loro quello sia, che le donne ne siano venute a parte,
ed in questa abbiano posto la loro immaginazione, la quale se più
debol'è, e più variabile di quella degli uomini, quand'è in calma, è
bene molto più tenace e forte, quando è mossa ed accesa.

In cotal guisa si travagliava nella meridional Carolina, essendovi da
una parte, od una ostinazione aperta contro il volere dei vincitori, od
una simulata sottomessione, e dall'altra quei consiglj stessi che si
pigliavano, operando un tutto contrario effetto a quello, che gli autori
loro si proponevano. Il calore intanto della stagione, lo stato medesimo
poco sicuro della Carolina, la carestia delle provvisioni, e la
necessità di aspettar, per campeggiare, che fossero fatte le messi,
indussero un pressochè generale silenzio della guerra, e soprattennero
gl'Inglesi, acciò non si volgessero a voler conquistare la Carolina
Settentrionale prima dell'uscir d'agosto, o dell'entrar di settembre.
Per la qual cosa Cornwallis distribuì i suoi nelle stanze, di manierachè
più pronti fossero e a dar animo ai contenti, ed a frenar gli scontenti,
ed a por mano, quando fosse venuto il tempo, alla invasione di quella
provincia. Attendeva specialmente a raccor vettovaglie e munizioni da
guerra, delle quali fece la principal massa a Cambden, Terra grossa
posta sulle rive del fiume Wateree sulla calpestata, che conduce nella
settentrionale Carolina. Temendo poi, che i leali di questa provincia da
eccessivo zelo mossi non prorompessero innanzi tempo, e perciò
rimanessero oppressi, mandava loro continuamente dicendo, aspettassero
le messi; stessero quieti; apparecchiassero intanto provvisioni per le
genti del Re, che venute sarebbero a soccorrergli verso settembre.
Queste esortazioni non poterono tant'operare, che i leali della contea
di Tryon messi al punto dal colonnello Moore non insorgessero. Ma
oppressi tosto da un subito impeto dei libertini guidati dal generale
Rutherford, pagarono con una totale sconfitta il fio dell'imprudenza
loro, e del non aver dato ascolto agli avvertimenti di chi più di loro e
sapeva e poteva. Ottocento leali però sotto la condotta del colonnello
Bryan riuscirono a congiungersi colle genti regie. Mentre una delle
parti si ordinava ad assaltare nella stagione propizia la settentrional
Carolina per di là aprirsi la via nel cuore della Virginia, il congresso
faceva ogni diligenza per mettersi in grado di poter ricuperare la
Carolina Meridionale. Nel che fece, come si vedrà, grandissimi frutti.
Così la guerra, che per la malvagità della stagione era quasi spenta,
doveva al tempo nuovo con maggior rabbia, che prima, riaccendersi.

Prima di raccontar quelle cose, che accaddero nell'aspra contesa che ne
seguì, necessaria cosa è, che ci facciamo a descrivere quelle, che
intervennero nelle isole Antille tra i due possenti, ed instizziti
rivali. Già era seguìto un feroce affronto nelle acque de la Grange tra
Lamotte-Piquet, che guidava quattro grosse navi, tra le quali se ne
trovavano due di 74 cannoni chiamate l'una l'Annibale, l'altra il
Diadema, ed il comandante Cornwallis, che ne aveva tre, la più grossa
delle quali nominata il Lione portava 64 cannoni. Ma questa non fu, che
leggiera avvisaglia rispetto alle battaglie, che poco dopo seguirono.
Era verso il finir di marzo arrivato alle Antille il conte di Guichen
con tali rinforzi marittimi, che il navilio francese vi arrivava bene a
venticinque grosse navi di alto bordo. Diventati i Francesi superiori
per l'armi navali, e prevalendo medesimamente delle terrestri, avevano
senza soprastamento alcuno imbarcate molte genti sotto la condotta del
marchese di Bouillé, e si appresentarono con ventidue navi tutte di tre
ponti avanti l'isola di Santa Lucia. Intendevano di pigliarla per
assalto. Ma tali furono le disposizioni fatte dal generale Vaughan delle
forze terrestri, alle quali comandava, e sì accomodatamente si era
l'ammiraglio Hyde-Parker, il quale dalle americane spiagge si era in
queste recato con sedici maggiori navi, attraversato alla bocca del
Gros-Islet, che i capitani francesi si tolsero dall'impresa, e se ne
ritornarono alla Martinica. Giugneva pochi giorni dopo a Santa Lucia
cogli aiuti d'Europa l'ammiraglio Rodney, il quale congiuntosi
coll'Hyde-Parker venne ad aver con lui ventidue navi tutte di tre
coperte. Fatti allora gagliardi, gl'Inglesi, commesse le vele al vento,
andarono a volteggiarsi avanti il porto del Forte Reale della Martinica,
invitando i Francesi a battaglia. Ma Guichen, che voleva far seco loro a
ferri puliti, e combattere, quando voleva egli, e non quando volevano
gli altri, non uscì. Per la qual cosa Rodney, lasciate in crociata
alcune navi delle più veloci, perchè spiassero gli andamenti del nemico,
ed avvertissero, se salpasse, se ne tornò colle rimanenti a Santa Lucia.
I Francesi non si ristarono. La notte dei 13 aprile, levati quattromila
valenti soldati uscivano con ventidue vascelli, pronti ad intraprendere
quelle fazioni, per le quali si discoprisse loro migliore la occasione.
Ne ebbe Rodney subito avviso, e corse a ritrovargli, avendo seco venti
navi delle più grosse, ed una chiamata il Centurione di 50. Guidava la
battaglia lo stesso ammiraglio Rodney, capitano generale dell'armata,
l'antiguardo Hyde-Parker, il dietroguardo Rowley. Solcavano i Francesi
il canale della Domenica, intendendo di sboccar per questo per potersi
poscia allargare al vento della Martinica. Governava tutta l'armata come
capitano generale il conte di Guichen, la vanguardia il cavaliere di
Sade, la retroguardia il conte di Grasse. Si incontrarono le due armate
la sera dei 16 aprile. Si studiavano i Francesi di schivar la battaglia,
avendo le navi loro ingombre di soldati, e trovandosi a sottovento. Ma
gl'Inglesi andavano loro incontro. Sopraggiunse la notte, durante le
quale Guichen iva aggirandosi, affine di non trovarsi all'indomani nella
necessità del combattere; Rodney per lo contrario col disegno di
costringervelo. La mattina seguente le due armate, fatti con mirabil
arte molti volteggiamenti, finalmente ad un'ora meridiana si attaccarono
la vanguardia inglese colla retroguardia francese, la quale pei detti
volteggiamenti era divenuta vanguardia, mentre la vanguardia era
divenuta dietroguardia. Arrivava in questo mentre colla battaglia
Rodney, e si mescolava colla battaglia francese, combattendo francamente
il Sandwich, sul quale egli stesso si trovava, colla Corona, che portava
il conte di Guichen, e coi suoi due secondi. Ma siccome l'armata
francese aveva fatto grande sforzo di vele prima che s'incominciasse il
combattimento, così gli ordini suoi non erano fitti. Oltreacciò la sua
vanguardia, siccome quella, ch'era meno veloce veleggiatrice della
battaglia, e della dietroguardia, era rimasta indietro a sottovento, ed
era nata una notabile distanza tra essa e le due seconde. Questa
distanza era anche diventata maggiore, perciocchè la nave francese,
l'Azionario, che nella fila era l'ultima della battaglia, e perciò
avrebbe dovuto congiungersi colla prima della vanguardia diventata, come
dicemmo, dietroguardia, era anch'essa rimasta indietro, e lasciatasi
calare sottovento. Volle Rodney giovarsi di questa opportunità, e si
mosse a fine di entrar di mezzo, e tagliar fuori questa dietroguardia
dalla restante armata. Ma la nave il Destino, capitanata da Dumaits de
Goimpy, ch'era la testa della dietroguardia medesima, gli si attraversò
nel suo cammino, e combattendo valorosamente lo arrestò. Ne sarebbe ella
però stata sfolgorata da una forza tanto superiore, se non che il conte
di Guichen, accortosi del disegno di Rodney, aveva ordinato alle navi
della battaglia, che voltassero i bordi, e tutte di compagnia, pigliando
il vento in poppa, ed indietreggiando, andassero a raggiungere, ed a
soccorrere la dietroguardia. Fu la mossa eseguita con grandissima
celerità, ed in tal modo fu rotto all'ammiraglio inglese un disegno, il
quale, se avesse avuto effetto, causato avrebbe l'ultimo eccidio
dell'armata francese. In questo punto Rodney correndo pericolo, che
Guichen facesse a lui quello, ch'egli aveva voluto fare a Guichen, si
tirava indietro, ed iva di nuovo a porsi nella fila coll'altre sue navi.
Poco poi volle ricominciar la battaglia, e già aveva disposte le vele
per ciò fare. Ma veduto, che il Sandwich, ch'era la sua nave capitana, a
mala pena pei gravi danni sofferti poteva pigliar l'abbrivo, e che anzi
faceva le viste di voler affondare, avendo anche altre navi sconciamente
rotte e fracassate, se ne rimase. Il conte di Guichen, fatto penna,
racconciò le sue navi; poscia pose nella Guadaluppa per deporvi i suoi
feriti e malati. Rodney continuò a volteggiarsi nell'alto mare, e poscia
si condusse a porsi in crociata davanti il Forte Reale della Martinica,
sperando di poter intraprendere l'armata francese, che credeva, fosse
per venire a dar in terra a quel porto. Ma finalmente, non vedendo
comparir il nemico, e conosciuta la necessità di rassettar le navi, di
far acqua, di sbarcar i feriti, ed i malati, andò a dar fondo a Choc-bay
nell'isola di Santa Lucia. Morirono in questo fatto degl'Inglesi da 120,
e furon feriti 350. Dei Francesi morirono 221, e furon feriti 340.
Rodney nel racconto, che mandò in Inghilterra, della battaglia, assai
lodò l'ammiraglio francese, come capitano esperto e valoroso,
aggiungendo ancora, ch'era stato acconciamente secondato da' suoi
uffiziali. Nel che tacitamente rimproverò i suoi, dei quali generalmente
fu scontento. L'uno e l'altro ammiraglio pretendettero la vittoria, come
sempre suol accadere nelle battaglie, che hanno avuto un fine dubbio.

Guichen, racconciate le navi, e levati di nuovo i soldati dalle bande
terrestri sotto la guida di Bouillé, diè un'altra volta le vele ai
venti. Era il suo disegno di rimontar al vento dell'Isole passando a
tramontana della Guadaluppa, e ciò fatto sbarcar le genti a Gros-Islet
nell'isola di Santa Lucia. Avuto Rodney avviso della cosa, si pose
anch'esso in mare, andando in cerca del nemico. Sboccava dal canale di
Santa Lucia, quando Guichen radeva l'estreme spiagge della Martinica
verso la punta delle Saline. L'ammiraglio francese, veduta l'armata
inglese, si levò dal pensiero di assaltar Santa Lucia. Prese poi molto
accortamente la risoluzione di astenersi dal venir a battaglia,
quantunque avesse ciò in poter suo di fare agevolmente, godendo il
sopravvento. Ma prima voleva quei vantaggi ottenere, che la natura di
quei mari, e la qualità del vento gli offerivano. Per la qual cosa
andava muovendosi di modo, che conservar potesse il sopravvento, e
tirasse gl'Inglesi al vento della Martinica. Imperciocchè in tal caso,
vinto, avrebbe potuto ripararsi nei porti di quest'isola, vincitore, non
avrebbe il nemico disfatto trovato rifugio. L'Inglese andava via via
approssimandosi, ed ogni sforzo faceva per riuscir a sopravvento.
Avevano le due armate ricevuto ciascuna un rinforzo di una grossa nave
d'alto bordo, la francese del Delfino reale, l'inglese del Trionfo. In
questi volteggiamenti, nei quali i due ammiragli diedero pruove di non
ordinaria perizia nelle cose marinaresche, si consumarono parecchi
giorni, senza che l'Inglese potesse venir a capo dell'intento suo. I
Francesi, essendo le navi loro più veloci, a fine di adescar gl'Inglesi
colla speranza di una vicina battaglia, e tirargli, come si è detto,
vieppiù al vento della Martinica, spesso si lasciavano avvicinare;
poscia tutto ad un tratto, collate tutte le vele, si allontanavano.
Questo giuoco continuò buon tempo con prospero successo; ma infine poco
mancò, non impacciasse i Francesi in una generale battaglia, la quale
stata sarebbe ad essi molto pericolosa, non essendo, siccome quelli, che
tuttavia la volevano evitare, in ordinanza accomodata per combatterla.
Erasi, dopo varie folate, il vento volto ad ostro. La qual cosa vedutasi
da Rodney, che stava vigilantissimo, fece improvvisamente voltare le
prue alle sue navi, e, correndo per converso a forza di vele, cercava di
mettersi sopravvento al nemico per poter poi col vento prospero andargli
addosso. Gli sarebbe venuto fatto il disegno, se non che il vento
inclinatosi in quel forte punto subitamente a scirocco, diè facoltà
all'ammiraglio francese di rivoltar ancor esso i bordi; per mezzo della
qual mossa e fronteggiò l'inimico, e l'impedì che non riuscisse a
sopravvento. Di nuovo si tirò indietro per non combattere. Ma essendo
per l'ultime mosse accostatesi l'una all'altra le due armate, quanto
pativa il tiro delle artiglierie, e spingendosi avanti gl'Inglesi
velocemente colla vanguardia loro, si attaccò tra questa, e la
dietroguardia francese la battaglia, inclinando già il sole
all'orizzonte, il giorno dei quindeci maggio. Le prime navi della
vanguardia inglese, e più di tutte l'Albione, le quali erano alle mani
sole contro tutta la dietroguardia francese, ricevettero infinito danno.
Arrivarono intanto le altre. Ma i Francesi più destri al veleggiare si
allontanarono. Questo fu il secondo incontro tra l'ammiraglio Rodney, ed
il conte Guichen. Conservarono i Francesi il sopravvento. Continuarono
le due armate pei tre seguenti giorni in veduta l'una dell'altra,
muovendosi ambedue coi sovraddescritti fini. Finalmente la mattina dei
19 maggio, trovandosi già gl'Inglesi inoltrati al vento della Martinica
per ben quaranta leghe, ed a quattro o cinque a libeccio dei Francesi,
il conte di Guichen si determinò ad aspettar la battaglia, ed a questo
fine assicurò le vele. Quando poi già si era avvicinata la vanguardia
inglese buon pezzo, la francese si spiccò anch'essa e si attaccarono
l'una l'altra con eguale valore. Poco dopo arrivarono le altre squadre
a' luoghi loro, attelandosi i Francesi a sopravvento, gl'Inglesi a
sottovento. La battaglia diventò aspra e generale, combattendo gli uni
da orza, gli altri da poggia. Ma le navi francesi della vanguardia e
quelle del mezzo essendosi, per combattere più manescamente, accostate
più da vicino alla fila inglese, e perciò rimanendo la retroguardia buon
pezzo indietro, vi era pericolo, che gl'Inglesi dopo di aver orzato,
venissero, poggiando a piene vele, a caricarla. Per prevenir i mali, che
da questa mossa degl'Inglesi avrebbero potuto risultare, Guichen fe'
rivoltar i bordi alle sue, ed andò di nuovo a porsi in fila colla sua
retroguardia. Fu questa mossa molto opportuna; e se l'ammiraglio
francese non l'avesse eseguita, ne sarebbe qualche gran disastro
avvenuto alla sua flotta. Imperciocchè qualche tempo dopo, ch'ella era
stata condotta a fine, ecco che si scopersero nuove navi inglesi, le
quali si difilavano a slascio, ed a piene vele contro la retroguardia
francese. Ma però, quando esse conobbero, che già la vanguardia, e la
battaglia si erano a quella raccozzate, e che tutte e tre si erano in
ottima ordinanza arringate, si stettero. Allora l'ammiraglio Rodney
raccolse le sue, ch'erano sparse, e di nuovo le affilò. Stettero in tal
modo le due armate l'una a rimpetto dell'altra sprolungate sino alla
notte, anzi sino all'indomani; ma più oltre non si mescolarono,
probabilmente pei danni invero gravi, che avevano ricevuto in questo e
nel precedente combattimento. Rodney, mandate le navi il Conquistatore,
la Cornovaglia, ed il Boyne, che più delle altre stat'erano danneggiate,
a racconciarsi a Santa Lucia, si condusse colle rimanenti a far porto
nella cala di Carlisle nell'isola delle Barbade. La Cornovaglia affondò
in sull'entrar del carenaggio. Guichen nel medesimo tempo ammainò le
vele nel Forte Reale della Martinica. Perdettero gli Inglesi in questi
due ultimi incontri da 68 morti, e da 300 feriti. I Francesi 158 morti,
e meglio di 800 feriti. Tra i morti noverarono il figliuolo stesso di
Guichen, e molti uffiziali di conto. Anche gl'Inglesi ebbero a lamentar
la morte di alcuni uffiziali assai riputati. Questo fine ebbero le tre
battaglie combattute tra i Francesi, e gl'Inglesi nelle Antille, nelle
quali, se a un di presso uguali erano le forze dalle due parti, furono
anche uguali la industria ed il valore. Nel che si può far
considerazione, quanta efficacia abbiano nel destino delle battaglie, e
nel preservar le nazioni da fatali rotte l'arte e l'ingegno dei
capitani. Perocchè egli è evidente, che se nei tre combattimenti, che
abbiamo testè raccontato, o nel lungo fronteggiare, che fecero l'uno e
l'altro per lo spazio di molti dì, i due nemici ammiragli avessero
sfallito in un sol punto, ne seguiva la rotta e la rovina dell'armata.

Se sin qui erano state in bilico le forze francesi ed inglesi nelle
Antille, bene non tardarono molto le prime a diventar d'assai superiori
per l'accostamento di un'armata spagnuola poco dopo in quei mari
sopraggiunta. Erasi la Spagna posta in grandissimo desiderio d'acquistar
l'Isola Giamaica, ed i Francesi dall'altro canto bramavano
d'impadronirsi delle altre isole, che tuttavia erano in poter del
nemico. Le quali cose se si fossero potute ottenere, era del tutto posto
fine alla signoria inglese nelle Antille. Per queste cagioni era partito
verso mezzo aprile da Cadice Don Giuseppe Solano con dodici navi d'alto
bordo, e parecchie fregate. Scortavano queste meglio di ottanta navi da
carico, che portavano undicimila buoni fanti spagnuoli con una quantità
grandissima di artiglierie e di munizioni da guerra; fiorito, e
formidabile apparecchio, e molto capace invero a servir ai fini, che i
confederati, e principalmente la Spagna si proponevano. Già viaggiavano
felicemente per l'Atlantico, dirizzando il corso loro al Forte Reale
della Martinica. Quivi si doveva fare la massa generale con tulle le
forze francesi. Stavasi Rodney tuttavia nella cala di Carlisle,
attendendo a riposare, ed a curare i suoi, a far acqua e munizioni, ed a
racconciar le fracassate navi. Non aveva egli nissun sospetto di quella
piena, che gli veniva addosso. Ma il capitano Mann, che si volteggiava
in crociata per l'Atlantico colla fregata il Cerbero, incontrossi tra
via colla conserva spagnuola; e conosciuta la cosa di quell'importanza
ch'era, pigliando la carica sopra di sè, che il suo ammiraglio
sentirebbe tutto in bene, scostandosi dalle commessioni che aveva,
veleggiò rattamente alla volta delle Antille per recar l'avviso a
Rodney. Avuta Rodney questa novella, troncato ogni indugio, salpava per
andar all'incontro della flotta spagnuola, confidentissimo della
vittoria, se avesse potuto venirle sopra prima del congiungimento di lei
colla francese; e siccome sospettava di ciò, ch'era veramente, cioè, che
quella s'avviasse alla Martinica, così l'aspettava per combatterla in
sulla via solita a tenersi dalle navi, che verso la medesima isola sono
in cammino. Era molto bene considerato il suo disegno; ma la prudenza e
precauzione dell'ammiraglio spagnuolo glielo ruppe. Dubitandosi questi
di non so che, quantunque niuna cosa avesse spirato dello attendere
degl'Inglesi, e del pericolo che gli soprastava, invece di andar per la
diritta via verso il porto del Forte Reale della Martinica, torceva il
cammino a diritta verso tramontana, indirizzando il corso delle sue navi
più in su verso l'Isola Domenica, e la Guadaluppa. Quando poi già era
vicino a queste arrivato, si fermò, mandando per mezzo di una fregata
molto veloce dicendo a Guichen, venisse a congiungersi seco. Uscì il
francese con diciotto vascelli, ed essendo informato, che gl'Inglesi si
volteggiavano a sopravvento delle Antille, egli per ischivar l'incontro
loro navigò a sottovento delle medesime, e fu sì cauto e prospero il suo
viaggio, che le due armate si congiunsero insieme tra la Domenica e la
Guadaluppa. Certamente, se tutte queste forze, le quali assai superavano
quelle di Rodney, avessero potuto conservarsi intiere, o che i
confederati si fossero tra di loro meglio accordati, si sarebbe ottenuto
il fine, che si erano proposto, di distruggere affatto la potenza
britannica nell'Isole occidentali. Ma prima di ogni cosa queste forze
portavano dentro di sè medesime i semi della propria distruzione. Era
nata in mezzo ai soldati spagnuoli tra per la lunghezza del viaggio, la
carestia delle fresche vettovaglie, il cambiamento del clima, e la
immondizia loro una febbre pestilente, che, con incredibile celerità
propagatasi, molti già aveva tolti di vita, e tuttavia toglieva. Oltre i
morti nel tragitto, eransi sbarcati dodici centinaia di malati alla
Domenica, ed altrettanti, e forse più alla Guadaluppa ed alla Martinica.
Nè perchè il clima di quelle isole fosse sano, o perchè si
somministrassero loro nuovi alimenti, rimetteva il male della sua
ferocia. Ogni dì molti valorosi soldati passavano da questa all'altra
vita. La contagiosa influenza si appiccò anche ai Francesi, e molto fra
i medesimi infuriava, sebbene non tanto, quanto fra gli Spagnuoli. Da
quest'inopinato, disordine ne nacque, che i confederati non solo
grandemente rimetterono dell'ardire loro all'intraprendere, ma anche una
gran parte degl'instromenti a ciò fare venner loro meno. S'aggiunse a
questo, che gli Spagnuoli avrebbero voluto far prima l'impresa della
Giamaica, i Francesi quella di Santa Lucia, e delle altre vicine isole.
Il che fu causa, che non si tentò nè l'una, nè l'altra. In queste
circostanze tanto da quelle diverse, che gli alleati si erano poco prima
alla immaginazione loro rappresentate, imbarcarono di nuovo le poco sane
genti, e procedevano di conserva verso le isole disottane. Guichen
accompagnò gli Spagnuoli sino nelle acque di San Domingo, donde,
lasciatigli andare al viaggio loro, pose al Capo francese. Quivi si
congiunse colla flotta di Lamotte-Piquet, che colà stanziava per la
protezione del commercio. Gli Spagnuoli procedettero, ed andarono ad
afferrare all'Avanna. Rodney intanto, avute le novelle della
congiunzione delle due flotte nemiche, andò a porsi a Gros-islet in
Santa Lucia. Quando poi ebbe inteso, che i nemici erano partiti dalla
Martinica, avendo ricevuto dall'Inghilterra un rinforzo di vascelli e di
soldati guidati dal comandante Walsingham, ne mandò un buon polso alla
Giamaica per assicurarla contro gli assalti dei confederati. Coi
restanti se ne rimase a Santa Lucia per osservar il nemico, e proteggere
le isole vicine. In questa maniera si terminarono le speranze, che sì
verdi concette si erano in Francia ed in Ispagna intorno le conquiste da
farsi nelle Antille inglesi; colpa parte della fortuna, e parte della
diversità e della disgiunzione degl'interessi, che prevalgono per
l'ordinario nelle menti dei confederati, i quali concorrere uniti al
medesimo fine non vogliono, e discordi non possono.

Dopo le cose, che fin qui abbiamo raccontate, succedè per qualche tempo
nelle Antille come quasi una generale tregua da ambe le parti. Ma se era
cessata la rabbia degli uomini, sottentrò quell'assai più tremenda degli
elementi. Era giunto il presente anno al mese d'ottobre, e godevansi gli
Antillesi l'inaspettata cessazione dell'armi, e quella securità, che sì
poco avevano sperato, quando i mari e le spiagge loro furono afflitte da
una sì spaventevole tempesta, che pochi, o nissun esempio si trovano di
altrettanto furore nei ricordi delle cose marinaresche, sì pieni
peraltro di orribili disastri, e di compassionevoli naufragi. E
quantunque questo terribile flagello di Dio abbia, dove più, dove meno
disertato tutte le Antille, in nissuna però tanto infuriò, quanto nella
fiorita isola delle Barbade. Incominciò a menare la non descrivibile
tempesta la mattina dei dieci, e continuò ferocissimamente per ben
quarantotto ore. Le navi, che sicure stavano nel porto, furon tosto
strappate dalle ancore, e nell'alto e tempestoso mare sospinte.
Correvanvi un vicinissimo pericolo di naufragio. Non meno degna di
compassione si trovò la condizione di coloro, che rimasero in terra.
Imperciocchè la notte, che seguì, crescendo vieppiù la violenza della
bufera, le case diroccavano, gli alberi si diradicavano, gli uomini e le
bestie erano arrandellati qua e là, e pesti miserabilmente. La capitale
stessa dell'isola fu pressochè uguagliata al suolo. La magione del
governatore molto forte, conciossiachè avesse le mura grosse ben tre
piedi, era scossa fin dalle fondamenta, e faceva le viste di voler
crollare. Di dentro abbarravano le porte, e le finestre, ed ogni sforzo
facevano per resistere a tanto stravolgimento del cielo. Tutto fu nulla.
Superò il dragone irreparabile; schiantò dai gangheri e dagli arpioni le
porte e le imposte; le mura stesse diroccava. Il governatore colla sua
famiglia si rifuggiva nelle sotterranee volte. Ma da questo cercato
asilo contro il vento lo cacciava tosto l'acqua, la quale cadendo dal
cielo dirottissimamente inondò, e, quasi un secondo diluvio, sopraffece
ogni cosa. Uscivano allora all'aperta campagna, dove con incredibile
stento e pericolo si ricoverarono dietro un mastio, sopra il quale era
rizzata la stacca della bandiera; ma questo ancora traballando alla
furia del trabocchevole vento, temendo di essere stiacciati da cadenti
massi, un'altra volta si allargarono nei campi. Fortuna, che non si
sbrancarono, perciocchè separati e privi l'un l'altro dell'aiuto dei
compagni, tutti ne sarebbero stati morti. Pure aggirati dal remolino
tornavano qua e là, e s'avvoltolavano nel fango e nella mota. Infine
stanchi, fracidi e trafelati si ripararono ad una batteria, e dietro i
carretti dei grossi cannoni si appiattarono, miserabile e poco sicuro
asilo; imperciocchè anche questi erano violentemente scossi e traportati
dalla procella. Le altre case della città, siccome più deboli, essendo
state prima di quella del governatore rovinate, andavano gli abitatori
vagando qua e là in quella tristissima notte senza asilo e senza
ristoro. Molti perirono sotto i rottami delle case loro; altri
annegarono nelle sopravanzanti acque: parecchj affogarono nella mota. Le
tenebre spessissime, il frequente folgoreggiar del cielo, i tuoni
spaventevoli, il fischiare orribile del vento, lo stridore della cadente
pioggia, le grida miserabili dei morenti, le lamentazioni
compassionevoli di coloro, che disperati erano al non potergli
soccorrere, il pianto e gli urli delle donne e dei fanciulli facevano di
modo, ch'e' pareva venuto il finimondo. Ma all'aprirsi del dì si
discopriva agli occhi dei sopravviventi uno spettacolo da essere
piuttosto raffigurato dalla spaventata immaginazione, che descritto da
una mente non percossa da tanta calamità. Quella testè sì ricca, sì
fiorita, sì ridente isola pareva ora ad un tratto trasformata essere in
una di quelle polari regioni, dove per l'aspetto sinistro del sole regna
un eternale inverno. Case nissune in piè, o rovine traballanti; alberi
diradicati; cadaveri umani sparsi qua e là; niun bestiame vivente; la
sopraffaccia stessa della terra non pareva più quella. Non che fossero
distrutte le promettenti messi e le copiose ricolte; i giardini
medesimi, sì dilettevole ornamento, ed i campi, sì lieta speranza dei
mortali, non erano più: o arena, o fango, o pozze dappertutto; i
partevoli termini distrutti; i fossi scassati; le strade sprofondate.
Sommò il numero dei morti a parecchie migliaia. Questo si sa; ma quanto
sia stato per l'appunto, è incerto. Imperciocchè oltre di quelli, ai
quali furon sepoltura le rovine delle case loro, non pochi furono
agguindolati dal crudel girone fin dentro il mare, altri sguizzati via
da novissimi, e non mai più veduti torrenti, e fiumi, o dall'onde marine
strascinati, le quali, oltrepassato il solito confine, dilagato avevano,
e spazzato molto indentro le terre. Tanta fu la gagliardia del vento,
che un cannone, che buttava dodici libbre di palla, ne fu trasportato,
se si dee prestar fede ai documenti più solenni, da una batteria
all'altra, lontana bene a trecento passi. Quello poi, ch'era avanzato al
furor della tempesta, diventò preda in parte della rabbia degli uomini.
Rotte le prigioni saltaron fuori in quella fatal notte i ribaldi, i
quali in un coi Neri poco curando, come gente disperata, la rabbia del
cielo, tutto avevan messo a sacco ed a ruba. E forse ne sarebbe stata
tutta l'isola condotta ad un totale sterminio, ed i Bianchi tratti a
morte, se non era, che vi si trovò a quel tempo il generale Vaughan con
una grossa schiera di stanziali, i quali colla disciplina e virtù loro
la scamparono. E tanto fecero, che cansarono una grossa quantità di
munizioni da bocca, senza di che era da temersi che gl'isolani testè
liberati dal flagello della tempesta non soggiacessero a quello non men
orribile della fame. E non è da passarsi sotto silenzio da un candido
amatore della verità, e delle opere gentili, che i prigionieri di guerra
spagnuoli, che non eran pochi in quel dì nella Barbada sotto la condotta
di Don Pedro San Jago, capitano del reggimento d'Aragona, fecero tutte
quelle parti, che a ben nati e civili uomini si convenivano. Posti tra
quel violento scroscio in balìa loro, non che si valessero
dell'opportunità offerta per commettere qualche atto inimichevole, niuna
cosa lasciarono intentata, nè a fatica, nè a pericolo alcuno si
ristettero per aiutare i miseri Barbadesi. Nel che la cooperazione loro
non riuscì di poca utilità. Le altre isole sì francesi, che inglesi
furono poco meno di quella della Barbada devastate. Ma nella Giamaica
all'impeto della tempesta si coniunse un orribile tremoto, ed inoltre il
mare gonfiò sì fattamente, che tutte le case, ed i campi, sin molto
addentro nell'isola, ne furono totalmente desertati. Ma stantechè il
vento era da levante, gli effetti del temporale furono maggiori sulle
spiagge occidentali della medesima, particolarmente nei distretti di
Westmoreland, e di Hannover. Accadde in ispecialità, che mentre gli
abitanti di Savanna-La-Mer, ricca e grossa Terra nel Westmoreland,
stavano stupefatti osservando l'inusitato gonfiamento del mare, lo
sterminato cavallone arrivò loro addosso, e tutto, uomini, bestie, case
portò seco a perdizione. Non rimase vestigio veruno di quella infelice
Terra. Più di trecento persone furono inghiottite dalle onde. I fertili
campi rimasero largamente coperti d'infecond'arena. Le più opulenti
famiglie furono ad un tratto ridotte alla più strema miseria. E se oltre
ogni dire degna di compassione fu la condizione di coloro, i quali in
terra abitavano, non fu migliore quella degli altri, che si trovarono in
sull'acque. Imperciocchè delle navi, che gli portavano, alcune andarono
a traverso negli scogli, altre furono ingoiate dal furibondo mare, ed
altre a grande stento se ne tornarono lacere e fracassate nei porti. A
queste fatali strette si trovarono non solo quelle, che viaggiavano, ma
ancora quelle, ch'erano sorte nei porti anche i più sicuri, le quali o
ruppero dentro i medesimi, o furono cacciate di forza nel mare sì
straordinariamente fiottoso. Tra le altre il Fulminatore di 74 cannoni
affondò anime e beni. Parecchie fregate o naufragaron del tutto, od in
tal modo furono scassinate, ch'era difficil cosa diventata il
racconciarle. Perirono in tutto per gli effetti di questa procella di
navi inglesi un vascello di 74, due di 64, uno di 50, con sette in otto
fregate. In mezzo a tanti, e sì gravi disastri, e ad un quasi totale
disfacimento della natura, recò qualche conforto la umanità del marchese
di Bouillé. Erangli venuti nelle mani alcuni marinari inglesi,
miserabili reliquie delle ciurme delle navi il Lauro, e l'Andromeda, che
rotte si erano sulle spiagge della Martinica. Gli rimandò franchi e
liberi a Santa Lucia, mandando, non voler ritenere prigioni coloro, i
quali erano stati alle prese cogli arrabbiati elementi, e dall'impeto
loro scampati. Aggiunse, sperare, avrebbero gl'Inglesi i medesimi
termini usato verso di quei Francesi, che l'inesorabile fortuna avesse
gettato in poter loro. Ricordò, increscergli, gl'Inglesi cattivi esser
così pochi, e nissun fra gli uffiziali essersi salvato. Conchiuse con
dire, che siccome era stata comune ed universale la calamità, così anche
dover esser comuni ed universali la umanità e la benevolenza. I
mercatanti di Kindston, città capitale della Giamaica, con mirabil
esempio di bontà cittadina tosto si obbligarono a somministrare un aiuto
di diecimila lire di sterlini ai sofferitori. Il Parlamento, udito il
fortunoso caso, quantunque a quei dì tanto fosse pressato dalle spese
della guerra, decretò si donassero ai Barbadesi ottantamila lire di
sterlini, ed a quei della Giamaica quarantamila. Nè i doni si ristettero
alla munificenza pubblica; che anzi molti privati cittadini vollero
soccorrere della propria pecunia gli abitanti delle Antille. Il navilio
di Guichen, e quello di Rodney schivarono la burrasca, perchè il primo
già era partito nel mese d'agosto per alla volta dell'Europa con
quattordici vascelli di tre palchi, convogliando una ricca e numerosa
conserva di navi mercantili. Il secondo, e per questa stessa partenza di
Guichen, non sapendo, dove questi s'inviasse, e perchè quelle genti
spagnuole sbarcate all'Avanna gli davano non poco sospetto, mandate,
come abbiamo detto, alcune navi a proteggere la Giamaica, si era posto
in via poco tempo dopo colle rimanenti per alla Nuova-Jork. Ma però in
America, prima ch'egli vi arrivasse, anzi prima che partisse dalle
Antille, v'era intervenuto un maraviglioso rivolgimento nelle pubbliche
cose, siccome da noi sarà in conveniente luogo raccontato.

Combattendo nel modo che si è detto, tra di loro così ferocemente gli
uomini e gli elementi sulla terra-ferma d'America, e nelle circonvicine
isole, non se ne stavano in Europa oziosamente a badare i potentati
guerreggianti. Prevalevano gl'Inglesi per l'unità dei consiglj; ma
avevano a paragon dei confederati minor numero di navi, quantunque le
loro meglio instrutte fossero di quelle dei Francesi e degli Spagnuoli.
Avevano questi per lo contrario più numeroso navilio, e più copiosi
soldati. Ma tratti gli uni e gli altri in diverse parti dai contrarj
interessi non facevano quel frutto, che avrebbero potuto desiderare.
Quindi è, che gli Spagnuoli, avendo sempre la loro principal mira posta
all'acquisto di Gibilterra, là mandavano le genti, e spendevano i
tesori. A questo medesimo fine le navi loro ritenevano nel porto di
Cadice, invece di congiungerle alle francesi, e tentare, uniti a questi,
qualche rilevata impresa contro la potenza britannica. Quindi i Francesi
obbligati erano a mandar le loro in quel medesimo porto, ed intanto le
armate inglesi bloccavano i porti loro dell'Oceano, intraprendevano il
commercio, arraffavano le conserve, pigliavano le fregale. Era uscito
all'alto mare con un'armata di circa trenta vascelli l'ammiraglio
inglese Geary, il quale, morto Carlo Hardy, era stato posto in suo
scambio al governo di quella. S'incontrò il dì tre di luglio in una
conserva di navi mercantili francesi cariche di cocco, di zucchero, di
caffè e di cotone, e scortate dal vascello il Fiero di 50 cannoni. Geary
diè dentro, e ne pigliò dodici, e più ne avrebbe pigliato, e forse
tutte, se non che una folta nebbia, e la vicinanza delle spiagge nemiche
lo impedirono. Le altre giunsero a salvamento nel porti. Parecchie altre
navi francesi, principalmente fregate, vennero poco tempo dopo, sebbene
non senza una pertinace difesa, in poter degl'Inglesi. Tutti
gl'incontri, ch'ebbero luogo, sarebbe troppo lunga bisogna il
raccontare; merita però particolar menzione il cavaliere de Kergerion,
il quale, governando la fregata la Belle-Poule, si difese lungamente
contro Jacopo Wallace, che guidava il vascello il Nonpari di 64 cannoni;
e non fu, se non dopo la morte del Kergerion, che il suo successore
Lamotte-Tabouret, avendo lacere le vele, gli alberi rotti, fracassati i
carretti delle artiglierie, e morti molti de' suoi, si arrese.

Di queste perdite molto bene si ristorarono i confederati il giorno 9
d'agosto. Era partita sul finir di luglio dai porti d'Inghilterra una
numerosa conserva di bastimenti sì regj che mercantili per alla volta
delle Indie orientali ed occidentali. Cinque dei primi portavano, oltre
molte armi, munizioni ed artiglierie, una quantità notabile di attrazzi
navali ad uso della flotta inglese, che stanziava in quelle lontane
regioni. I secondi arrivavano a diciotto, ed erano o navi annonarie, o
cariche di armi, di munizioni, di tende, e di reclute destinate a
rinfrescare, e rifondere l'esercito d'America. Erano gli altri
bastimenti mercantili di ricchissimo carico. Accompagnava la conserva il
vascello d'alto bordo il Rumilli con tre fregate. Andavano al viaggio
loro, e già radevano, sebben di lontano, le coste di Spagna, quando
improvvisamente la notte degli otto agosto s'incontrarono in una squadra
dell'armata confederata, la quale stava sulle volte sulla via solita a
tenersi per alle due Indie. Era la squadra sotto la condotta
dell'ammiraglio spagnuolo, Don Luigi di Cordova. Scambiarono gl'Inglesi
i lumi soliti a porsi la notte dai naviganti sui calcesi per quei del
convoglio loro, e seguitavano il nemico, credendo di seguitare i loro.
La mattina seguente si trovarono impacciati in mezzo alla flotta
spagnuola. Questa prestamente gli accerchiò e pigliò da sessanta
bastimenti. Le navi da guerra scamparono. Ora entravano i vincitori nel
porto di Cadice trionfando. Concorrevano i popoli a vedere la
moltitudine dei cattivi, e le ricche spoglie, notabile ornamento alla
vittoria, e spettacolo loro tanto più grato, quantoch'era ed inusitato e
poco sperato. Scendevano a terra pressochè tremila prigioni d'ogni
ordine, condizione ed età. Erano sedici centinaia di marinari, luttuosa
perdita all'Inghilterra, e non pochi passeggieri. Gravissimo fu il danno
non tanto per le cose mercantili, ma ancora, e molto più per le
provvisioni da guerra, delle quali nelle due Indie gl'Inglesi
abbisognavano. Fu questa assai lieta vittoria agli Spagnuoli, e da essi
con infinita allegrezza ricevuta. Per lo contrario le novelle causarono
nella Gran-Brettagna un rammarico grande, e si udirono contro i ministri
in ogni parte gravissime querele, accusandogli ognuno di temerità,
perchè sapendo, che i confederati stavano così gagliardi in Cadice,
provveduto non avessero, che la conserva viaggiasse molto più alla larga
dalle coste di Spagna.

Intanto se così si travagliava sui mari d'Europa, le cose non passavano
neanco quiete sotto le mura di Gibilterra. Aveva la Spagna, come abbiamo
veduto, capriccio sopra di questa Fortezza. In ciò pareva aver posto
tutti i suoi pensieri, e volervi adoperare tutte le forze del regno. Era
la cosa in sè stessa di molta importanza, e pareva anche poco onorevole
ad un sì possente Re, che uomini forestieri possedessero una Terra
dentro il suo reame, e gli tenessero, come si suol dire, quel calcio in
gola. Paragonavasi il caso di Gibilterra con quello di Calais,
allorquando questa città era posseduta dagl'Inglesi, e volevasi, che
l'istesso fine avesse. Per la qual cosa, dopoch'era stata rinfrescata da
Rodney, l'ammiraglio spagnuolo Don Barcelo sognava del continuo modi, e
con ogn'industria s'ingegnava per impedire, che non entrassero dentro
alla sfuggita nuovi soccorsi. Da un altro canto il generale Mendoza, al
quale obbedivano le genti di terra, ogni sforzo faceva per serrare la
Fortezza da quella parte, fortificando ogni dì il suo campo di San
Rocco, e continuamente approssimandosi, quanto possibil era, con nuove
cave e trincee. Ciò nondimeno, e nonostanti tutte le cautele usate dai
capitani spagnuoli, tanta era l'instabilità dei venti e del mare, e sì
fatta l'attività ed industria degli uffiziali inglesi, che di quando in
quando entrava dentro nuovo fodero. Il che riusciva d'infinita
allegrezza alla guernigione che ne pativa, e di uguale rammarico agli
Spagnuoli, i quali s'erano fatti a credere, non potere la difesa bastar
sì lungo tempo. Questi sforzi del presidio molto erano aiutati dalla
presenza di parecchie navi da guerra, ch'erano state lasciate nel porto
dall'ammiraglio Rodney, tra le quali una ve n'era di 74 cannoni,
chiamata la Pantera. Per levarsi quel bruscolo d'in sugli occhi, gli
Spagnuoli fecero il disegno di volerle ardere in un colle navi da
carico, che nel medesimo luogo erano sorte, siccome pure i magazzini
pieni di munizioni, ch'erano stati costrutti sulla riva del mare.
Apparecchiarono a questo fine sette brulotti con un numero grandissimo
di battelli e di bastarde; gli uni, e le altre pieni di soldati, e
d'ogni sorta di armi da offendere. Nel medesimo tempo le navi da guerra
di Don Barcelo sorsero, e s'arringarono avanti la bocca della cala, non
solo per dar coraggio a' suoi, e concorrere nella impresa, ma ancora per
intraprendere qualunque nave, che avesse voluto cansarsi. Dal lato di
terra Mendoza stava pronto per accrescer terrore alla cosa, e per
facilitar il disegno, a piover bombe dentro la città, tostochè i
brulotti appiccato avessero il fuoco al navilio inglese. Appuntarono
all'impresa la notte de' 6 giugno. Era ella molto scura, il vento ed il
mare propizj. Gl'Inglesi non si addavano. Ivano i brulotti
avvicinandosi, e già era vicino a compiersi il disegno. Ma gli
Spagnuoli, o impazienti, o per l'oscurità della notte credendosi più
presso di quello ch'erano veramente, o temendo di accostarsi di
vantaggio, precipitarono gl'indugj, e dier fuoco ai brulotti ancora un
po' lontani. Destaronsi gl'Inglesi a sì improvviso accidente, e nulla
punto smarritisi al subito pericolo, uffiziali e soldati montarono
spacciatamente nei battelli, e con mirabile coraggio accostatisi agli
ardenti brulotti gli aggraffarono, e condussero alla larga in luoghi,
dove non potessero far danno. Gli Spagnuoli senza frutto alcuno si
ritirarono. Intanto era Mendoza intentissimo a farsi avanti coi lavori
della circonvallazione. Il generale Elliot, al quale il Re Giorgio aveva
commesso la cura di difendere quella rocca, lo lasciava fare. Ma quando
lo Spagnuolo aveva condotto a fine le opere sue, ecco che Elliot a furia
di cannonate le disfaceva, ed intieramente rovinava tutte. Saltava anche
qualche volta fuori, e, guaste le opere degli assedianti, ne chiodava o
rapiva le artiglierie. Queste vicende parecchie volte si rinnovarono. Se
ne rallegravano gl'Inglesi; gli Spagnuoli ne sentivano una noia
grandissima. Per la qual cosa aguzzando gl'intelletti loro alla
necessità, e male soffrendo, che una piccola presa di genti, poichè il
presidio di Gibilterra, inclusi gli uffiziali, non passava i seimila
soldati, non solo loro resistessero, ma con sì prosperi successi gli
combattessero, fecero una deliberazione, la quale molto noiò nel
processo di tempo la guernigione, accrebbe la difficoltà ed i pericoli
della difesa, e produsse in ultimo un total eccidio della città. Questa
fu di construrre in gran numero certe piatte, che chiamarono _barche
cannoniere_. Erano sì fatte, che portavano da trenta a quaranta botti,
quaranta o cinquanta uomini, ed un cannone in prua, che buttava ventisei
libbre di palla. Altre portavano bombarde. Avevano una larga vela, e
quindici remi dalle due bande. Erano molto maneggevoli; ed intendevasi
con esse di gettar bombe e palle nella città e nei forti di nottetempo,
ed anche, quando la occasione si scoprisse, di assaltar le fregate.
Poichè credevasi, che due di queste piatte fossero bastevoli a far
istare una fregata. E siccome poco si alzavano sopra il pelo dell'acqua,
così era cosa assai malagevole il por loro la mira, e colpirle. Non
avendo i Gibilterrani in pronto una simil sorta di navi, male dagli
assalti loro si sarebbero potuti difendere. Così gli Spagnuoli erano
intentissimi nel procurare a sè stessi questo nuovo istrumento di
oppugnazione, che stimarono dover apportare grandissimo giovamento alla
felice riuscita dell'impresa.

Mentre prevalevano in tal modo sulla terra-ferma d'America le armi
britanniche; che nelle Antille quelle dei due antichi rivali si
pareggiavano, e che in Europa con diverso evento si combatteva, sicchè
pareva, che non ancora volesse la fortuna a favore nè di questo nè di
quell'altro nemico inclinarsi, le cose fin là incerte e dubbie state
nelle Province unite dell'Olanda ad un certo e determinato fine
s'incamminavano. Conciossiacosachè avevano i cieli destinato, che la
querela americana commovesse alla guerra tutto il mondo, e che colla
congiunzione delle armi olandesi a quelle dei Borboni e del congresso si
venisse a compir quella formidabile lega, che pareva, dovere l'ultimo
tuffo dare alla potenza dell'Inghilterra. Erano state dal bel principio
della querela le cose d'America fomentate in Olanda con molta
estenuazione di quelle d'Inghilterra, sia per l'amore che a questa causa
della libertà si portava generalmente a quei tempi in Europa, sia perchè
paresse agli Olandesi, che l'impresa ridondasse tutta in pro
degl'interessi della comunanza protestante, temendosi molto dai
dissenzienti delle vere o credute usurpazioni della Chiesa anglicana, e
sia finalmente perchè la presente condizione degli Americani molto
pareva conforme a quella, in cui gli Olandesi stessi si erano ritrovati
ai tempi delle guerre loro contro la Spagna. Quindi è, che coloro, i
quali seguitavano in Olanda le parti francesi ed avevano, e ogni dì
acquistavano, maggior seguito di quelli che parteggiavano per
l'Inghilterra. I più pertinaci fra questi ultimi, sebbene per la
ricordanza dell'antica amicizia, per le opinioni loro intorno alle cose
commerciali, per l'odio che portavano alla Francia, e pei mali che
temevano, fosse questa in grado di far loro nell'avvenire, nell'amicizia
inglese persistessero, tuttavia molto detestavano i consiglj presi
contro l'America dai ministri britannici, e ciò facevano per l'appunto,
e massimamente perchè prevedevano, che essi consiglj avrebbero
finalmente quella buon'armonia rotto, ch'eglino avrebbero voluto
conservare, e fatto del tutto traboccar la Olanda alle parti di Francia.
Aggiungevasi a questo, che siccome vi si stava generalmente molto in
gelosia contro la potenza dello Statholder, congiunto di sangue col re
Giorgio, e temendosi, che questi lo volesse favorire, e fargli le spalle
nelle sue usurpazioni, o disegnate invero, o soltanto credute, o volute
farsi credere che si fossero, così vivevano le genti in molto sospetto
intorno le intenzioni dell'Inghilterra. Temevano, ch'ella non volesse
fare a tempo accomodato, e per mezzo dello Statholder a sè medesimi
quello, che allora voleva fare all'America. Queste cose si dicevano
apertamente, e con vivi colori si dipingevano dai gallizzanti. Per la
qual cosa salivano essi in maggior riputazione, mentre l'autorità degli
avversarj diminuiva giornalmente. Tra le città e le province, che si
mostravano parziali per la Francia, tenevano il primo luogo e per la
ricchezza, e per la potenza loro quelle di Amsterdam e dell'Olanda. Per
la qual disposizione d'animi mantenere viva, e per tirare anche altre
città e province nella medesima sentenza, aveva la Francia, avvisandosi
benissimo, quanto sia potente nei cuori umani, e massimamente in coloro,
che fanno professione del mercanteggiare, l'amor del guadagno, molto
accortamente ordinato, ch'ella farebbe pigliare in sui mari tutte le
navi olandesi, le quali facessero il commercio colla Gran-Brettagna,
solo eccettuando quelle delle città di Amsterdam e di Harlem. Dalla
quale deliberazione ne era nato, che parecchie altre città principali,
tra le quali Rotterdam e Dort, si erano per godere il medesimo
privilegio alle parti francesi accostate. Tutte queste cose erano state
causa, che si era appiccata, già erano due anni, una pratica in
Aquisgrana tra Giovanni Neuville, il quale operava in nome, e per
l'autorità di un Van-Berkel personaggio, siccome affezionatissimo ai
Francesi, così nimicissimo agl'Inglesi, e Capo del governo della città
di Amsterdam, e Guglielmo Lee commissario per parte del congresso.
Questi due agenti dopo molte consulte fermarono un trattato d'amicizia e
di commercio fra quella città, e gli Stati Uniti d'America. Questo
trattato non era in nome, che casuale, intendendosi, che dovesse solo
avere il suo effetto, allorquando l'independenza degli Stati Uniti fosse
dalla Gran-Brettagna riconosciuta. Ma infatto si riconoscevano questi
come franchi ed independenti, poichè come se tali fossero si negoziava e
si accordava con essi. Non era invero il trattato stato fatto con altri,
che colla città d'Amsterdam. Ma si sperava, che la prepotenza, ch'ella
aveva nella provincia d'Olanda, avrebbe tirato a parte della cosa tutta
questa provincia, e che quella prepotenza stessa della provincia avrebbe
fatto nel medesimo disegno inclinare anche tutte l'altre. Queste
pratiche furono con tanta gelosia tenute segrete, che nulla se ne
riseppe in Inghilterra. Ma il congresso, il quale ardeva di desiderio,
che quello, che si era segretamente stipulato, si recasse apertamente in
effetto, creò plenipotenziario a questo fine presso gli Stati Generali
Laurens, quello stesso, che stato era presidente. Questo partito con
tanto più pronto volere aveva abbracciato, in quanto che si era persuaso
quello ch'era vero, cioè, che per gli acciacchi ed insolenze usate
dagl'Inglesi alle navi mercantili olandesi nel commercio loro coi porti
francesi, si fossero in tutta la Olanda gravemente alterati gli animi; e
che massimamente a grandissimo sdegno vi si fossero concitati per la
presura fatta delle navi accompagnate dal conte Byland. Questi mali
umori poi, e queste nuove ferite invece di sedare e di ammorbidare,
aveva viemmaggiormente mossi, e fatte inciprignire Jorke, ambasciadore
pel Re della Gran-Brettagna all'Aia con un memoriale pieno di alterigia
da lui porto al governo, il quale fu giudicato non dicevole alla dignità
di una nazione franca ed independente. Ma la fortuna, la quale così
spesso si fa giuoco dei miseri mortali, volle far di modo, che questi
maneggi venissero per un impensato accidente a notizia dei ministri
inglesi, prima che avessero potuto avere il loro compimento. Non così
tosto erasi Laurens dipartito da Filadelfia, che, incontrata la nave,
che lo portava, sulle coste di Terranuova dalla fregata inglese la
Vestale, e presa, fu egli fatto prigione. Aveva bene subito, accortosi
del pericolo, fatto getto di tutte le sue scritture pubbliche, ma per la
celerità e la destrezza di un marino inglese furon tratte dall'acqua, ed
a salvamento condotte, prima che si sfacessero. Fu Laurens condotto a
Londra, e confinato, come reo di Stato, in fondo della Torre. Tra le
scritture intraprese, i ministri britannici ebbero fra le mani quel
trattato, di cui abbiamo favellato, e parecchie lettere tutte
risguardanti la pratica di Aquisgrana. Tosto Jorke ne levò all'Aia un
grandissimo romore. Richiese in nome del suo Re gli Stati Generali, non
solo facessero disdetta del procedere del pensionario Van-Berkel, ma
ancora ristorassero prontamente la offesa, e quello, ed i suoi complici
traessero a condegno castigo, come perturbatori della pubblica pace, e
violatori dei diritti delle nazioni. E siccome gli Stati Generali si
peritavano alla risposta, così egli faceva nuove e caldissime istanze,
perchè si risolvessero. Ma quelli, che non si volevano affrettare, e che
andavano molto renitenti allo scoprirsi, sia perchè erano pei loro
ordini pubblici di necessità molto tardi al deliberare, sia perchè
avrebbero voluto raccorre prima a luoghi sicuri le ricchezze loro,
ch'erano o portate dalle navi sui mari, od ammassate per la securità
della pace nelle proprie isole quasi senza niuna difesa, risposero, che
avrebbero considerato. Da un altro canto i ministri britannici, che
avevano fretta, perciocchè ardevano di desiderio di por la mano addosso
a quelle ricchezze, intendendo anco, che gli Olandesi non avessero tempo
di fare i necessarj apparecchiamenti di guerra, fecero le viste di non
esser contenti a quella risposta, e rivocarono incontanente
l'ambasciador loro dall'Aia. Seguirono poco dopo da ambe le parti i
soliti manifesti. Così portò la condizione de' tempi, che finalmente
fossero interrotti gli uffizj di benevolenza tra due nazioni da lungo
tempo congiunte in amicizia, e che avevano molti e grandi interessi
comuni. La quale guerra altrettanto fu più grave all'Inghilterra, in
quanto ch'era l'Olanda un nemico vicino, e molto perito sulle navali
armi. Ma da una parte l'orgoglio, forse necessario ad uno Stato
possente, e la gola dell'arraffare sempre condannabile, e non mai
saziata, dall'altra le discordie intestine, e la debolezza delle armi
terrestri, ch'erano causa, che più si temesse dei vicini di terra-ferma,
di quello, che sarebbe stato richiesto all'independenza, fecero di modo,
che fu rotta un'antica amicizia, e nacque una guerra che tutti gli
uomini prudenti, i quali s'intendevano dello Stato, condannarono ed
apertamente biasimarono.

Ripigliando ora, ove lasciammo, delle cose, che giravano sulla
terra-ferma d'America, egli è da sapersi, che dopo la presa di
Charlestown, e la invasione nella meridionale Carolina un grande e
maraviglioso cambiamento si era fatto negli animi di quei popoli; e che
vi nacque la salute da quegli stessi casi, che parevano una instante
rovina pronosticare. Tanto è vero quello, che i nostri maggiori vollero
significare con quel proverbio loro, _gran pesto fa buon cesto_; il che
altro non vuole significare, se non se che lo sprone dell'avversità fa
fare agli uomini in utile loro di quelle cose, che gli allettamenti
della prospera fortuna non possono. Imperciocchè le disgrazie della
Carolina non che sbattuto avessero gli Americani, parve per lo
contrario, che nelle menti loro maggior ostinazione, e nei cuori maggior
coraggio infondessero. Venne meno in essi quella tiepidezza, alla quale
nei precedenti anni erano stati soggetti, e che di tanto danno era stata
cagione alla Repubblica, e di tanto dolore ai Capi di essa. Ognuno
s'incendeva di nuovo ardore per soccorrere alla patria. Tutti
s'inanimavano a sviscerarsi intieramente ai servigj della repubblica.
Avresti detto, esser tornati i primi tempi della rivoluzione, quando sì
grandi erano il consenso e l'ardore degli uomini in questa impresa loro
contro l'Inghilterra. Molti scordarono gl'interessi privati per non
pensare, che a quei del pubblico; e tutti andavano dicendo, doversi
cacciare il crudelissimo nemico da quelle fertili terre; doversi
soccorrere ai fratelli del mezzodì; doversi quelli avanzi di satelliti
britannici scappati a mala pena al ferro americano spegnere del tutto;
doversi la guerra con un estremo sforzo di breve terminare. Così negli
Americani operarono le avversità, che quando parevano più depressi e più
conculcati, risorgevano coll'animo più costante e più pertinace. A
questi novelli spiriti davano incentivo le recenti ruberie commesse
dalle genti del Re nella Carolina e nella Cesarea; speranza l'osservare,
che l'accidente seguìto dell'occupazione di Charlestown partito avesse,
e sì lungo spazio tra di loro separate le forze del nemico, sicchè più
facilmente, o una parte o l'altra potrebbero venire oppresse. Alla quale
speranza maggior forza accrescevano le certe novelle, che si avevano,
del non lontano arrivo degli aiuti francesi, e molti già facevano cosa
fatta la conquista della Nuova-Jork, colla quale speravano di ristorarsi
della perdita di Charlestown. Infatti era allora ritornato in America De
La-Fayette con liete novelle della Francia; già essere imbarcate le
genti; già le agevoli prue portatrici degli aiuti essere volte alle
americane spiagge; già esser vicine ad afferrarle. La cosa era vera. Il
marchese stesso si era nella patria sua con molto ardore in ciò
affaticato, e non ne era partito, se non quando già tutto era in pronto.
Del che molto e Washington, ed il congresso lo ringraziarono. Oltrechè
la presenza sua tanto grata a quei popoli gli aveva molto confortati,
nacque ancora, che si andavano incitando e pungendo l'un l'altro per non
iscomparire a paragone dei vegnenti alleati. Affermavano, esser
vergogna, e che sarebbero ben degni stati di eterno biasimo, se per
propria infingardaggine guasta e perduta avessero quella occasione, che
offeriva loro la vicina e possente cooperazione della Francia. Dicevano,
gli occhi di tutta l'Europa essere rivolti a loro, e che dalla guerra di
quell'anno doveva pendere l'independenza, la gloria, la fortuna tutta
dell'americana repubblica. Il congresso poi, e tutti gli altri
maestrati, siccome pure gli uomini d'autorità nell'universale,
opportunamente si giovarono di questo novissimo calore degli animi, e
niuna cosa lasciarono intentata, perchè e si conservasse, e si
accrescesse, e più largamente si diffondesse. Scrisse il congresso
lettere circolari a tutti gli Stati, molto infiammatamente esortandogli
a riempir le compagnie, ed a mandar all'oste quella parte di soldati,
che a ciascun di loro si apparteneva. La stessa cosa operarono i
generali Washington, Reed ed altri capitani di riputazione. La cosa ebbe
effetto. Riavuti gli spiriti, i soldati, seguendo l'esempio dei
capitani, s'andavano sotto le insegne riducendo. In ogni parte risorgeva
il nome del congresso. Perchè poi non venisse meno la pecunia pubblica,
gli uomini abbienti si obbligarono per ogni banda a pagar grosse somme
in sollievo dell'erario pubblico allora sì scarso. Queste cose si
facevano principalmente nella città di Filadelfia; ma l'esempio era
fruttuoso. Si propagava nel contado e nell'altre province. Le donne
filadelfiesi, fatta guidatrice della impresa la moglie di Washington,
donna di grande dassaiezza, mostrarono in ciò un grandissimo amore verso
la patria. Oltre la pecunia, che si obbligarono di pagar del loro,
andavano di casa in casa esortando i cittadini a volere delle facoltà
loro soccorrere alla repubblica. La cosa non rimase senza effetto;
perciocchè accattarono grosse somme di denaro, che nell'erario pubblico
portarono, acciocchè fosse usato nei caposoldi da darsi a quei soldati,
che meritati gli avessero, ed in accrescimento di paga a tutti. Le donne
del contado e delle altre province imitarono l'esempio. Ma un
ordinamento, che fu fatto a quei dì, e che degno è di particolar
menzione, quello fu di un Banco pubblico, il quale coi denari dei
soscrittori, dei prestatori, e del congresso potesse ai soldati
sovvenire. Nel che il congresso ebbe non solo consenzienti, ma ancora
richiedenti le buone borse della Pensilvania. Si obbligassero i
soscrittori a fornire un capitale di trecentomila lire di moneta
pensilvanica nella ragione di sette scellini e sei pensi per ogni
dollaro di Spagna. Avesse il Banco due direttori; avessero questi
facoltà di accattar denaro in sul credito del Banco per sei mesi, o per
minore spazio, e di dare scritte a' prestatori, le quali fruttassero un
interesse del sei per centinaio; ricevesse il Banco la pecunia pubblica
del congresso, cioè il sommar delle tasse, e quando queste ed i denari
dei prestatori non bastassero, fossero tenuti i soscrittori ad
effettivamente fornire quella parte, che sarebbe creduta necessaria,
delle somme, le quali sodate avessero; i denari ricevuti nei modi che
abbiam detto, siccome pure le scritte dei direttori in niun altro uso si
potessero impiegare fuori che in quello del procacciar provvisioni
all'esercito; creassero i soscrittori un fattore, l'uffizio del quale
fosse di fare i procacci, e le cose procacciate, come a dire carni,
farine, rum, ed altre rimettere al capitano generale, od al maestrato
sopra la guerra; avesse questo fattore facoltà di trarre pel denaro
speso nei procacci sopra i direttori. Dovesse inoltre il fattore aprire
un fondaco, il quale riempisse di rum, di zucchero, di caffè, di sale e
di altre grasce, che servono all'uso comune degli uomini, le quali
grasce tutte obbligato fosse a vendere a minuto ed al medesimo prezzo,
col quale le aveva comperate all'ingrosso, a coloro, dai quali comperato
avesse le provvisioni per l'esercito; e ciò a fine di poter dai medesimi
ottenere, e più prontamente quelle, che migliori fossero. Quantunque di
prestatori fuori del Banco pochi si appresentassero, perchè i più per
fornire il denaro loro avrebbero desiderato prima maggiore stabilità
nello Stato, tuttavia si trovarono tosto soscrittori per un capitale di
trecento quindicimila lire pensilvaniche, dei quali ciascuno si obbligò
a somministrare ai direttori del Banco una determinata somma per mezzo
di scritte da pagarsi da essi in monete d'oro o d'argento. In cotal modo
i privati uomini, mossi da lodevole zelo verso la patria, vollero col
credito loro sopportare ed ampliare quello del pubblico, esempio tanto
più da commendarsi, quantochè le cose dello Stato non erano ancora
ferme.

Nè a questi tempi, quando un vittorioso nemico sì ferocemente instava, e
già già batteva alle porte loro, si ristettero gli Americani al procurar
genti e pecunia alla repubblica; che anzi procedettero più oltre, ed in
mezzo a quei romori di guerra vollero con acconci ordinamenti promuovere
le utili scienze, le nobili discipline, le necessarie arti, sapendo
benissimo, che, senza di tutte queste, la guerra mena per la diritta
alla barbarie, e che ne è meno lieta, e meno felice la pace. Nel che
intesero non solo una cosa utilissima operare, e conducevole al buon
costume dei popoli, ma sì ancora, mostrando securità in mezzo a quei
pericoli, far vedere ai loro, ed ai strani, quanto poco essi pericoli
curassero, e quanta fosse la confidenza, che nell'impresa loro collocato
avevano. Per la qual cosa lo Stato di Massacciusset fondò in Boston una
società, od accademia d'arti e di scienze, e con lodevoli statuti la
ordinò. Il fine suo fosse di promuovere e d'incoraggiare la cognizione
delle antichità dell'America e della storia naturale della contrada, di
determinare a quali usi servir potessero i proventi naturali di lei, di
promuovere le mediche scoperte, le matematiche disquisizioni, le
ricerche, e gli sperimenti filosofici, le osservazioni astronomiche,
meteorologiche e geografiche, l'agricoltura, le arti, le manifatture, il
commercio; di coltivare insomma ogni arte e scienza, le quali tender
potessero ad avanzare (così dicevano) l'interesse, l'onore, la dignità e
la felicità di un libero, independente e virtuoso popolo. Addì quattro
di luglio poi, celebrato prima con grandissima solennità l'anniversario
dell'Independenza, il presidente del congresso, quello dello Stato di
Pensilvania, e gli altri maestrati sì della città che della provincia,
siccome anche il cavaliere de la Luzerne, ministro di Francia, si
recarono con non ordinaria pompa all'Università per ivi assistere alla
collazione dei gradi agli studenti. Il Preposto agli studj orò molto
accomodatamente secondo il temporale. Le bramose menti dei giovani di
nuovo zelo si accendevano, e di maggior amore s'informavano verso il
nuovo Stato. I circostanti felici augurj pigliavano della nascente
repubblica.

A questi medesimi tempi, in cui per ogni canto, e con ogni più
convenevole modo si concitavano gli Americani a correre nella presa
carriera, e che sorgeva in essi un nuovo ardore alla guerra, arrivarono
all'Isola di Rodi i soccorsi, che la Francia mandava in mantenimento
delle cose d'America; ed allora fu l'allegrezza loro nel suo maggior
colmo posta. Consistevano in un'armata di sette navi d'alto bordo, tra
le quali il Duca di Borgogna di 84 cannoni, di cinque fregate, e due
altri legni minori. Era tutto questo navilio condotto dal Signore di
Ternay. Seguitavano una moltitudine di navi da carico, le quali
portavano sei migliaia di soldati, che obbedivano agli ordini del conte
de Rochambeau, luogotenente generale negli eserciti francesi. Ma però il
Re Luigi, ed il congresso si erano accordati, che Washington, come
capitano generale, dovesse guidare tutte le genti sì francesi, che
americane, ed a questo fine egli era stato creato dal medesimo Re
luogotenente generale, e vice ammiraglio degli eserciti, e delle armate
francesi. Gli abitanti di Nuovo-Porto accesero per festa i fuochi alle
case loro. Il Generale Heath ricevè con molte dimostrazioni di cortesia
e di allegrezza gli ausiliarj di Francia; e siccome correva attorno
voce, che Clinton fosse per venir ad assaltar l'Isola di Rodi, così gli
mise in possessione tosto di tutti i Forti, nei quali i Francesi con
tanta diligenza si fortificarono, che in brevissimo tempo furono in
grado di poter ributtare qualunque nemico, che si appresentasse. La
generale assemblea dello Stato dell'Isola di Rodi mandò deputati a
complire col capitano del Re Luigi, i quali molte cose dissero del grato
animo dell'America, e della generosità del Re di Francia. Promettevano
ogni sorta di aiuti e di provvisioni. Rispose Rochambeau, che quei
soldati, che là condotto aveva, erano soltanto la vanguardia di quelli,
che il suo Signore era per mandare in aiuto loro. Non dubitassero, che
il Re non sarebbe per mancare alla salute e sicurtà dell'America; che
sarebbero le sue genti vissute civilmente, ed in grado di fratelli.
Concluse con dire, che come fratelli, egli, e tutti i suoi avevano le
vite loro vogliosamente al servigio dell'America votate. Così il
capitano francese ed aiutava di presente gli Americani, e gli nutriva
con grande speranza, che dovessero arrivare altre genti, per dar loro
animo a sostenersi. Queste cose, che si risapevano, molto confortavano
quei popoli bisognosi dell'aiuto altrui, ed ardenti nell'impresa loro.
Ma i partigiani dell'Inghilterra, che ancora vi rimanevano, sia che
volessero la independenza o la ricongiunzione, rodevano il freno.
Washington per viemmaggiormente accomunare i due popoli ordinò a' suoi,
portassero nelle insegne il colore nero, e bianco, cioè il campo nero,
attornovi il bianco, essendo il primo l'insegna degli Americani, il
secondo quella dei Francesi.

Aveva solo a questo tempo l'ammiraglio Arbuthnot, il quale tuttavia se
ne stava nella Nuova-Jork, quattro navi di alto bordo, e non che
pensasse ad assaltare, temeva di essere assaltato. Pochi giorni dopo per
altro arrivò dall'Inghilterra l'ammiraglio Graves con sei altri vascelli
di simil portata. Perilchè diventati gl'Inglesi superiori di forze, si
deliberarono ad andare ad assalir i Francesi nell'Isola di Rodi. Vi andò
prima Graves colla sua armata per vedere, se vi fosse modo di poter
isconfiggere dentro Nuovo-Porto quella del nemico. Ma i Francesi con
tant'arte, e con tante difesa si erano assicurati, che ne sarebbe stato
peggio che pericoloso il cimento. Se ne tornò alla Nuova-Jork. Clinton
allora, il quale non avrebbe voluto dar tempo ai Francesi di metter
barbe in quelle nuove terre, si risolvette a far l'impresa dell'isola di
Rodi con seimila soldati dei migliori che si avesse, i quali portati
dalle navi da guerra dovevano sbarcare a qualche luogo a ciò accomodato.
Dava Graves le mani all'impresa, sebbene avesse la volontà aliena da
quella, perchè poco la credeva riuscibile. S'imbarcarono, e già erano
proceduti presso Huntingdon-bay nell'Isola Lunga. Ma Washington, che non
dormiva alle mosse di Clinton, vedutolo partito con tanta gente dalla
Nuova-Jork, ed avendo già tali rinforzi avuto da tutte le bande, che il
suo esercito poco fa sì debole ora sommava a dodici migliaia di soldati,
scendè a gran giornate per le rive dell'Hudson, ed arrivato a
Kingsbridge minacciava di vicino assalto la città stessa della
Nuova-Jork priva allora de' suoi eletti difensori. Da un'altra parte le
bande paesane della Nuova-Inghilterra si erano levate a stormo, ardendo
di desiderio di far vedere ai Francesi in quel loro primo giungere, da
quanto esse fossero. Già erano un grosso di dieci migliaia, che
marciavano a Provvidenza, e molte più stavano in pronto per
raggiungerle. Queste cose, che tosto si riseppero dai capitani
britannici, giunto anche i dispareri, che tra di essi correvano, fecero
di modo che Clinton si levò dal pensiero, e se ne tornò tosto con tutti
i suoi alla Nuova-Jork. Lo sgomento degli Inglesi molto crebbe l'animo
agli Americani, i quali già risguardavano sopra il presidio di quella
città, come se sbattuto fosse e prigioniero. A tutte queste ragioni di
conforto si aggiunse, che i Francesi venuti nell'Isola di Rodi avevano
portato gran quantità di monete di conio del loro paese, e siccome
soglion fare, quante ne avevano, queste tutte spendevano nei comodi e
nei piaceri del mondo. Quindi accadde, che in poco tempo incominciarono
esse ad andar attorno in tutti gli Stati se non copiosamente, certo
bastevolmente con evidente ristoro del corpo politico, che per difetto
di quelle se ne stava languendo, e vicino quasi al disciogliersi. Vero
è, che i biglietti di credito ne scapitaron di vantaggio. Ma non fu
grave la perdita; perciocchè già assai poco di riputazione conservato
avevano, e lo Stato ne fu poco poscia sgombro del tutto in quel modo,
che si racconterà nel progresso di queste storie.

Tutte le cause, che sin qui abbiamo narrate, avevano generalmente nuovo
coraggio negli Americani di tutti gli Stati infuso. Ma operarono con
maggior efficacia negli abitatori degli Stati meridionali, siccome in
quelli, che avevano vicino il pericolo, e che maggiormente, e per
ispeciali cagioni erano dell'insolenza inglese infastiditi. Quindi
avvenne, che già ribollendovi le cose, si rannodavano qua e là nella
Carolina Settentrionale, e sugli estremi confini della Meridionale
parecchie prese di repubblicani, le quali condotte da capitani
arditissimi non solo davano molto sospetto ai reali, ma ancora le poste
loro spesso bezzicavano, e qualche volta opprimevano. Ma tutti questi
condottieri di gente ostinata, e pronta a mettersi ad ogni sbaraglio
avanzava, e pel credito, che aveva nella provincia, e pel valore, e per
la perizia delle cose militari il colonnello Sumpter caroliniano. La
maggior parte di quei Caroliniani, i quali pel tedio della signoria
inglese abbandonato avevano la patria, erano concorsi a porsi sotto le
sue bandiere, e già erano sì numerosi, che potevano scorrere la
campagna, e tenevano intenebrato tutto il paese. Denari non avevano, nè
abiti da soldato, nè alimento certo; ma vivevano alla sfuggita di quello
che la fortuna, od il coraggio loro parava davanti. Stavano pure in gran
difetto d'armi e di munizioni da guerra. Ma i villerecci stromenti
dell'agricoltura convertivano in grossolane armi da guerra, ed in luogo
di palle di piombo ne gittavano di stagno del vasellame, che a quest'uso
vogliosamente donavano loro i cittadini. Eppure queste somministranze
non bastavano. Furono visti venir alle mani col nemico, non avendo
ciascun di loro più di tre cariche. E mentre si combatteva, alcuni,
mancando o d'armi o di munizioni, se ne stavano in disparte aspettando,
che le ferite o la morte dei compagni offerisse loro l'occasione di
pigliar le armi, e di caricarle. Ed allorquando se ne tornavano
vincitori dai duri incontri, erano costretti per fornir sè medesimi di
spogliar i morti ed i feriti delle armi e munizioni. Finalmente divenuto
Sumpter più gagliardo per l'accostamento di nuove genti, assaltò un
grosso posto britannico a Rocky-Mount. Ne fu risospinto, ma non
isgomentato. S'attaccò alcuni giorni dopo, imperciocchè nè pigliava in
mezzo alle sue correrie riposo nè il concedeva altrui, con un'altra
grossa posta d'Inglesi a Hanging-rock, e tutti gli smagliò, stanziali e
leali. Sconfisse altresì con eguale fortuna il colonnello Bryan venuto
co' suoi leali dalla Carolina Settentrionale; e brevemente questo
Sumpter era una continua rangola agl'Inglesi, i quali a patto nessuno
nollo potevano spegnere, per aver esso uno smisurato ardire, ed i rifugj
propinqui. Era egualmente destro a dar gli assalti, che i gangheri; e,
vinto o vincitore ch'ei fosse, non era possibile corgli posta addosso.
Gli stessi danni causava il colonnello Williams con una leggiera
smannata di Caroliniani del distretto di Ninety-six, il quale tanto si
andò aggirando, che in fine sorprese e tagliò a pezzi un branco di leali
sulle rive del fiume Ennoree. Così da questa minuta guerra molto erano
noiati gl'Inglesi, gli Americani ripigliavano gli spiriti, e si
mantenevano rizzate in quella provincia le insegne del congresso. Ma
queste avvisaglie, le quali poco, o nulla importavano alla somma delle
cose, non erano altro, che il principio delle maggiori battaglie, che
dovevano di lì a poco seguire. Non ebbe avuto sì tosto Washington avviso
dell'assedio di Charlestown, che aveva avviato alla volta della Carolina
Meridionale un rinforzo di quattordici centinaia di stanziali
marilandesi e delawariani sotto la condotta del barone di Kalb. Si erano
questi messi in via molto per tempo, e se avessero potuto arrivare al
punto accordato, avrebbero per avventura dato alle cose un altro
indirizzo. Ma tali e tanti furono gli ostacoli, che incontrarono nella
Carolina Settentrionale per la carestia delle vettovaglie, per le
difficoltà de' luoghi, e pell'immoderato calore della stagione, che non
poterono camminare, che di pian passo. È fama, vivessero molti dì coi
bestiami, che trovarono sbrancati nelle selve, e spesso privi affatto di
carne e di farina, la vita loro sostentarono con pesche, o coi granelli
di frumento immaturo. Questi disagi tutti sopportarono con mirabile
costanza. Strada facendo per la Virginia erano stati ingrossati dalle
milizie della provincia, ed arrivati sulle rive del fiume Deep furono
accostati dalle bande della Carolina Settentrionale, guidate dal
generale Caswell. Sommavano a sei migliaia di soldati. Essendo
l'esercito rispetto agli Stati Uniti numeroso, e l'impresa di cacciar
gl'Inglesi dalle Caroline di gran momento, il congresso, per favorire
con la riputazione del capitano le cose di queste province, ne diede il
governo a Gates. La qualità di straniero, il non conoscere la natura dei
luoghi, ed il non avere sperienza dei modi da usarsi colle
indisciplinate milizie nocquero tanto al barone di Kalb, che gli fu
mandato lo scambio. Arrivò Gates al campo sul fiume Deep addì 25 di
luglio. Là fece la mostra e la rassegna delle sue genti per conoscere
quali e quante fossero; poscia le mosse verso il fiume Pedee, il quale
nelle parti disottane separa la settentrionale Carolina dalla
meridionale. Il nome e la fortuna di Gates operavano di modo, che non
solo la gente corresse alle insegne, ma ancora, che le munizioni di ogni
sorta fossero portate al campo. I popoli si levavano a romore. Già gli
abitatori di quel tratto di contrada, che giace tra i due fiumi Pedee e
Black, rivoltatisi prese avevano le armi contro i reali; e Sumpter con
una buona smannata di fanti e di cavalleggieri andava ronzando sulla
stanca degl'Inglesi con animo di mozzar loro la via per a Charlestown.
Teneva infestato tutto il paese all'intorno. Tostochè Gates toccò
coll'esercito i confini della meridionale Carolina mandò fuori un bando,
invitando i Caroliniani ad adunarsi per vendicare cogli auspicj suoi i
diritti dell'America, promettendo, che sarebbero liberi da ogni colpa o
pena coloro, che erano stati forzati a dar le parole dai feroci
conquistatori, solo eccettuali quelli, i quali esercitato avessero atti
di barbarie, o di depredazione sopra le persone e le proprietà dei loro
concittadini. Non furono vane le esortazioni di Gates. Non solo i popoli
correvano all'armi per soccorrere alle cose della Carolina, ma le
compagnie stesse dei Caroliniani, i quali si erano posti ai servigj del
Re, o ribellarono o disertarono. Sumpter, fatto forte, faceva gran danni
agl'Inglesi. Aveva lord Rawdon, il quale, trovandosi Cornwallis a
Charlestown tutto intento nell'assestare gli affari della Carolina,
governava tutte le genti alloggiate a Cambden e ne' luoghi circonvicini,
avviato una presa d'Inglesi malati a Georgetown, e postogli sotto la
scorta dei Caroliniani condotti dal colonnello Mills. Questi, già fatta
una parte del viaggio, si ammottinarono, e fatti gli uffiziali, che gli
guidavano, prigioni, condussero essi, i malati e sè medesimi a
salvamento agli alloggiamenti di Gates. Il colonnello Lisle, il qual era
uno di quelli, che avevano dato la parola, e che poscia aveva promesso
di voler essere un buono e fedele suddito dei Re, subornò un battaglione
di milizie, che stat'erano levate in nome del lord Cornwallis, ed
intiero lo guidò a Sumpter. Questi poi sull'occidentale riva del Wateree
con incredibile celerità procedendo, aveva intrapreso una moltitudine di
some di rum, e d'altre grasce e munizioni, che da Charlestown si
mandavano a Cambden. Fece nel medesimo fatto prigioni molti malati e
stanziali che gli accompagnavano. Già la via di Cambden a Ninety-six era
infestata dai repubblicani, e quella di Cambden a Charlestown vicina ad
esserlo. Così le cose del Re nella Carolina parevano in manifesta
declinazione. Lord Rawdon vedendo tanto nemico vicino a scoccarglisi
addosso, e non avendo forze sufficienti a poter vagar per il paese
liberamente, nè a tener un largo campo, ristrinse i suoi ne' luoghi
circonvicini a Cambden, e pose gli alloggiamenti sulla destra sponda del
rivo Linche. Intanto diè ragguaglio di ogni cosa, e del pericolo, che
correva, a Cornwallis. Arrivò Gates con tulle le sue genti sulla
sinistra riva, e si accampò a rincontro del nemico. Scaramucciavano
spesso i repubblicani coi regj con varia fortuna. Avrebbe il generale
americano voluto venire a giornata, assaltando Rawdon troppo debole a
paragon suo dentro gli suoi alloggiamenti. Ma trovatigli troppo forti,
se ne rimase. Fu questo suo, come pare, ottimo consiglio. Ma bene si
lasciò fuggir dalle mani una molto propizia occasione di riportar una
onorata vittoria. Poichè, se avesse marciato a gran passi verso le fonti
del rivo, avrebbe potuto facilmente oltrepassare il sinistro fianco del
lord Rawdon, ed arrivatogli alle spalle impadronirsi improvvisamente di
Cambden. La qual cosa stata sarebbe l'ultima rovina degl'Inglesi. Ma o
non l'avvertì, o, avvertendolo, non s'ardì. Poco poscia il capitano
britannico, vedute fare dagli Americani alcune mosse verso l'ala sua
dritta, che gli diedero sospetto pe' suoi magazzini e per l'ospedale,
lasciate le rive del Linche, si ritirò con tutte le genti, e senza
ricevere molestia alcuna da parte del nemico, a Cambden. In questo punto
arrivò al campo il conte di Cornwallis. Conosciuto lo stato delle cose,
e veggendo, quanto i repubblicani si fossero fatti vivi, ed il paese
loro partigiano, faceva molto correre la contrada dagli speculatori,
riempiva le compagnie coi convalescenti più gagliardi, forniva
l'esercito d'armi, e specialmente la legione di Tarleton di cavalli, dei
quali difettava. Ciò nondimeno non aveva egli sotto le insegne oltre di
duemila soldati, tra i quali a un dipresso quindici centinaia di
stanziali, ottima gente però, gli altri leali, e fuorusciti.
L'attaccarsi con un nemico tanto superiore di forze pareva cosa non che
pericolosa, temeraria. Avrebbe potuto schivar di combattere, e ritirarsi
a Charlestown. Ma andò considerando, che, abbracciando questo consiglio,
avrebbe dovuto lasciar indietro in balìa del nemico da ottocento malati,
ed una quantità inestimabile di munizioni sì da guerra che da bocca; e
che, se si eccettuano le due città di Charlestown e di Savanna, la
ritirata avrebbe causato la perdita di tutte due le province della
Carolina e della Giorgia. Nè gli sfuggiva, che la maggior parte delle
sue genti erano soldati valentissimi, fornitissimi di ogni cosa,
capitanati da uffiziali di mirabile perizia e valore. La vittoria poi
avrebbe, siccome credeva, posto in sua mano intieramente le due
Caroline, mentre la sconfitta poco maggior danno gli avrebbe recato
della ritirata. Per le quali cose si determinò a mostrare il viso al
nemico, ed a tentar la fortuna delle battaglie. E siccome Cambden, dove
allora si trovava l'esercito, non era luogo forte, e che i partiti più
generosi sono anche per l'ordinario i più fortunati, così volle, non già
aspettar il nemico nelle sue stanze, ma sibbene andargli a fare un
alloggiamento addosso a Rugeley's-mills, dove si era posto a campo, e
tentar la giornata con esso. Il giorno 15 d'agosto tutte le genti del Re
ebbero ordine di tenersi pronte al marciare. Alle dieci della sera si
muovevano verso Rugeley's-mills. La prima schiera era guidata dal
colonnello Webster, e consisteva in fanti leggieri e cavalli. La seconda
schiera, nella quale erano posti i volontarj d'Irlanda ed i leali, era
sotto la condotta del lord Rawdon, e seguitata, come da una piccola
squadra di riscossa, da due battaglioni d'Inglesi. Nella terza schiera,
che seguitava alla coda, erano il carreggio, e gli uomini d'arme della
legione. Camminavano in mezzo all'oscurità della notte con grandissimo
silenzio; e già passato il rivo Saunder si erano scostati a dieci miglia
da Cambden alla volta di Rugeley's-mills. Mentre in tal modo contro gli
Americani marciavano gl'Inglesi intentissimi ed eseguire gli ordini dei
capitani loro, Gates aveva mosso il campo alle dieci della sera da
Rugeley's-mills, e si era avviato verso Cambden, intendendo di fare a
Cornwallis quello, che questi voleva fare a lui. Aveva egli ordinato i
suoi di modo, che marciava la prima legione dei cavalleggieri del
colonnello Armand col fanti leggieri del colonnello Porterfield alla
dritta, ed i fanti leggieri del maggiore Amstrong alla stanca. Venivano
dopo le brigate degli stanziali della Marilandia, e le bande paesane
della Carolina Settentrionale e della Virginia. Seguitavano alla coda le
salmerie con una grossa guardia di volontarj, e la cavalleria dai due
lati. Comandava Gates, si muovessero taciti e serrati; non isparassero a
pena di cuore. I gravi impedimenti, i malati, le munizioni non
necessarie aveva mandato indietro a Wacsaws. Così si difilavano fra le
tenebre con maraviglioso silenzio, e non senza grave sospetto
vicendevole gli uni contro gli altri i repubblicani ed i regj. Era la
notte giunta alle due della mattina, quando le prime scolte inglesi
s'incontrarono nella testa della colonna americana. I legionarj d'Armand
secondati dai fanti di Porterfield aspramente ributtarono i primi
feritori inglesi; Porterfield ne riportò una grossa ferita. Allora i
fanti leggieri inglesi con due colonnelli di grave armatura attestandosi
in sulla calpestata, frenarono l'impeto degli Americani. Succedette una
mischia feroce con egual vantaggio e perdita da ambe le parti. Ma nè
l'una, nè l'altra volendo commettere al rischio di una battaglia
notturna la fortuna della guerra, si ristettero, e ne nacque in mezzo a
quel buio un silenzio d'armi, il quale durò sino al nuovo dì. Intanto
Cornwallis ebbe fumo dagli uomini del paese, che la natura dei siti
molto era favorevole a' suoi, e contraria ai soldati di Gates: poichè la
via, per la quale solo poteva questi far la passata per venirlo ad
assaltare, era assai stretta, e fiancheggiata dai due lati da paludi. La
qual cosa, rendendo inutile il maggior numero delle genti americane,
pareggiava le partite tra i due eserciti. Laonde il capitano inglese si
determinò a far la battaglia dell'indomani in quel luogo. In sul far del
dì squadronava di modo i suoi, che la frontiera dell'esercito fosse
composta di due schiere, delle quali la diritta sotto i comandamenti di
Webster aveva il fianco diritto attorniato da una palude, e col sinistro
si appoggiava alla strada maestra, e la stanca guidata dal lord Rawdon
si atteneva medesimamente col fianco suo sinistro ad una palude, e col
destro si congiungeva in su quella stessa strada colla schiera di
Webster. Tra l'una e l'altra locarono le artiglierie. Un battaglione
erasi attelato, come un poco di retroguardo, dietro la schiera di
Webster; un secondo dietro quella di Rawdon. La legione di Tarleton si
era arringata accanto la strada sulla dritta, pronta a difendere, o ad
offendere, secondochè si discoprisse la occasione. Nè dall'altro canto
Gates se ne stava neghittoso in faccia all'ordinantesi nemico. Trasse
fuori i suoi, e sì fattamente gli ordinò, che la vanguardia ne fu divisa
in tre squadre, la destra guidata dal generale Gist, la quale col destro
suo fianco toccava una palude, e col sinistro si congiungeva vicino la
strada con quella di mezzo, composta di bande paesane della Carolina del
Nort, e condotta dal generale Caswell. Nella stanca poi si trovavano le
milizie virginiane guidate dal generale Stevens. Dietro i Virginiani si
affilarono i fanti leggieri di Porterfield, e di Amstrong. Armand co'
suoi cavalli si era schierato dietro la sinistra per contrastare alla
legione di Tarleton. Quest'era la vanguardia. Gli stanziali della
Marilandia e della Delawara, uomini fortissimi, e nei quali era
collocata la principale speranza della vittoria, si erano posti in
ordinanza, come dietroguardo, e schiera di riscossa. Questi erano
capitanati dal generale Smallwood. Le artiglierie eransi ordinate parte
sulla dritta degli stanziali, e parte sulla strada maestra. Stavano in
tal modo attelati l'uno a rincontro dell'altro i due eserciti, e pronti
ambidue a venirne alle mani, quando Gates non contento alla positura
delle schiere di Caswell e di Stevens, ordinò, non so se con ragione, ma
certo con imprudenza, si dislocassero per pigliarne un'altra, che più
opportuna gli parve. La qual cosa vedutasi da Cornwallis, non volendo
egli lasciarsi fuggir dalle mani quella occasione, che la favorevole
fortuna gli offeriva, comandò a Webster, si facesse pesatamente avanti,
e vigorosamente assaltasse l'opposta schiera di Stevens, i soldati della
quale tuttavia ondeggiavano per non aver ancor del tutto pigliato i
nuovi ordini. Riempì incontanente Webster la volontà del capitano
generale. Si appiccò dunque di prima presa la battaglia tra l'ala dritta
inglese, e la sinistra americana; ma non tardò a diventar generale lungo
tutta la fila. L'aere essendo piorno, ed il cielo scuro, il fumo
dell'armi da fuoco non poteva alzarsi nelle regioni superiori; ma
accumulatosi in copia nelle basse avviluppava, come un denso nugolo, i
due eserciti, dimodochè malagevolmente l'uno poteva scorgere quello che
l'altro si facesse. Tuttavia si vedeva, che gl'Inglesi combattendo ora
cogli archibusi, ora colle baionette molto aspramente, si facevano
avanti, mentre gli Americani indietreggiavano. In fine i Virginiani
ferocemente incalzati da Webster, e già mezzi scompigliati da
quell'inopportuna mossa, ordinata in procinto della battaglia da Gates,
dopo leggier conflitto, voltate le spalle, si davano, lasciando i
compagni nelle peste, vergognosamente alla fuga. Le successive compagnie
dei Caroliniani incominciarono anch'esse a balenare, e seguitarono
poscia la medesima bruttezza, nissuno quasi combattendo, o mostrando il
volto agli avversarj, smarrita non che altro, per la fuga così subita,
la virtù dei Capi. Così appoco appoco si andò smagliando tutto il
sinistro corno dell'esercito americano. Fecero Gates e Caswel qualche
sforzo per riordinargli; ma sopraggiunse in terribile sembianza
Tarleton, il quale, veduta la rotta loro, gli aveva seguitati a slascio,
e quei che già erano in volta, spaventò viemmaggiormente, e quei, che si
volevano rannodare, sbaragliò. Nissun fine o modo al terrore ed alla
fuga. Tutti si rifuggirono alla sfilata nelle vicine selve. Così per la
rotta dei Virginiani e delle più vicine milizie della Carolina un
reggimento caroliniano, e gli stanziali marilandesi e delawariani, che
già si trovavano alle prese da fronte, furono anche assaliti sul loro
sinistro fianco, ch'era rimasto nudato, dall'ala dritta inglese, che
vittoriosa s'era volta contro di loro. Combatterono ciò nondimeno
egregiamente; e furono operatori, che se non poterono ristorare la
fortuna della battaglia, almeno non ne furono in questo dì macchiate con
una nota di codardia, e disgraziate presso i forti uomini le americane
insegne. Traevano da disperati; si avventavano colle baionette, tennero
un pezzo la battaglia dubbia; e non contenti al difendersi, ma spintisi
innanzi, guidati ed incuorati dal barone di Kalb, si scagliarono
furiosamente addosso gl'Inglesi, e gli fecero restare un momento. Ma
finalmente sopraffatti dal numero dei regj, e tentati e punti da ogni
banda dalla cavalleria andarono anch'essi in volta, non avendo però
lasciata la vittoria senza sangue agl'inimici. Il barone di Kalb fu
ferito mortalmente di undici ferite, e fatto prigioniero. Si salvarono
come a ciascun venne in sorte, scomposti e sbarattati. Solo si levarono
dal campo Gist con un nodo intiero di cento fanti, ed Armand co' suoi
cavalli. Seguitarono gl'Inglesi gagliardamente i vinti colla cavalleria
per lo spazio di ventitre miglia, e non fu fatto fine al perseguitare,
se non quando la stanchezza indusse la necessità del riposo. Fu assai
grave in questo fatto la perdita degli Americani, poichè il numero dei
morti, feriti e prigionieri loro arrivò bene a due migliaia di soldati.
Tra i prigionieri si noverarono il barone di Kalb, ed il generale
Rutherford caroliniano; tra i morti il generale Gregory. Otto cannoni,
duemila archibusi, un buon numero di bandiere, tutto il carreggio, le
bagaglie e le munizioni vennero in poter dei vincitori. La perdita degli
Inglesi tra morti e feriti, sommò soltanto a 324, inclusi gli uffiziali.
Il barone di Kalb tre giorni dopo, sentendosi vicino al morire, pregava
il cavaliere du Buisson, suo ajutante di campo, esprimesse in nome suo a
Gist e Smallwood, quanto stato fosse soddisfatto del valore dimostrato
nella battaglia di Cambden dagli stanziali della Delawara e della
Marilandia. Ciò fatto, rendè lo spiritò con manifesti segni di contento
all'aver perduto la vita in difesa di una causa, che sì ardentemente
aveva amato. Il congresso decretò, se gli si rizzasse un monumento nella
città di Annapoli, capitale della Marilandia. E' pare, che Gates, oltre
l'errore dell'aver voluto cambiar l'ordinanza dei suoi in cospetto del
nemico, abbia anche commesso quell'altro di aver fatto marciar di
nottetempo le milizie, le quali, non use ancora ai pericoli della
guerra, e mal ferme negli ordini loro, facilmente aombrano e
sbigottiscono. Si ritirò egli a Hillsboroug nella Carolina
Settentrionale; Gist e Smallwood prima a Charlottetown, e poscia più in
su a Salisbury, dove intendevano a raccorre i fuggiaschi, ed ogni sforzo
facevano per rifare una grossa testa. Ora tutto veniva a divozione dei
vincitori, e nissuna insegna si discopriva più oltre rizzata in tutta la
Carolina Meridionale in favore della repubblica. Solo Sumpter si andava
tuttavia aggirando con una mano di circa mille soldati, e due bocche da
fuoco sull'occidental riva del fiume Wateree. Ma avute le novelle, che
Gates era stato rotto in battaglia a Cambden, si ritirava più che di
passo verso Catawba, distretto posto nelle parti superiori della
settentrionale Carolina. Cornwallis, il quale era uomo operosissimo,
avvisandosi che l'opera non era compiuta, finchè non avesse rotto quel
capo, che solo rimaneva, di repubblicani, lo faceva perseguitare da
Tarleton. Usando una incredibile celerità, giunse alla non pensata sugli
alloggiamenti di Sumpter, mentr'egli se ne stava pigliando riposo sulle
sponde del Fishingcreek. La cosa riuscì sì improvvisa, che gl'Inglesi
ebbero tempo di por le mani sulle armi degli Americani, primachè
avessero potuto risentirsi. I soldati di Sumpter si perdettero di animo,
e benchè qua e là si facesse qualche difesa, furono di breve rotti e
fugati. Molti furono tratti a morte, quantunque si arrendessero;
perciocchè Tarleton non voleva lasciargli in vita, non avendo seco ad un
terzo tanta gente, quanta Sumpter. Infine cessò la strage, quando furono
liberati gl'Inglesi ed i leali, che prigionieri essendo, aveva Sumpter
fatto alloggiare dietro il campo. I cannoni, le munizioni, le bagaglie,
il carreggio diventarono preda al vincitore, Sumpter scampò dalla rotta
con pochi de' suoi. Ei non v'ebbe colpa, perciocchè non avesse
tralasciato di mandare avanti gli speculatori a sopravvedere, i quali
tutt'altra cosa fatto avevano fuori di quella, che dovevan fare.
Tarleton colla preda, coi prigionieri, e coi liberati se ne tornò tre
giorni dopo a Cambden.

Dopo il fatto d'arme di Cambden avrebbe Cornwallis, per non corrompere
colla tardanza il frutto della vittoria, desiderato di condursi tosto
nella Carolina Settentrionale, provincia debole ed infetta di mali semi
verso il congresso, per andar poscia a danni della Virginia. Certamente
la presenza in quella dell'esercito vincitore avrebbe le ultime reliquie
disperso dei vinti, impedito che di nuovo si ordinassero ed
ingrossassero, e dato animo ai cittadini amatori del nome reale, perchè
potessero levarsi, e romoreggiare. Ma varie cagioni si opponevano a
questa volontà di Cornwallis. Era la stagione caldissima e malsana, il
numero de' malati dentro gli ospedali grande, e quello dei feriti non
poco. I fondachi ancora male eran forniti delle cose necessarie a
campeggiare, nissuna canova sulle frontiere delle Caroline; quella del
Nort scarsissima di vettovaglie. Per la qual cosa, omessi i pensieri
caldi, e partiti i suoi soldati nelle stanze, se ne tornò nella città di
Charlestown, credendosi sicuro e della intiera soggezione della
meridionale Carolina, e della vicina conquista della settentrionale,
quando fossero ed il tempo diventato propizio, e le munizioni
apparecchiate. Solo scrisse frequenti lettere agli amici del Re nella
Carolina del Nort, esortandogli a pigliar le armi, a far masse, ed a por
le mani addosso ai più violenti libertini, ed alle munizioni e magazzini
loro; intraprendessero eziandio, e si assicurassero delle persone degli
sbrancati dell'esercito ribelle. Prometteva infine, sarebbe venuto tosto
in soccorso loro. E perchè i fatti consuonassero colle parole, non
potendo ire con tutto l'esercito, mandò sui confini occidentali della
Carolina del Nort coi cavalleggieri, ed una banda di mille leali, il
maggiore Fergusson, arditissimo condottiere di stracorridori. Doveva
questi colla presenza sua dar animo ai leali, e principalmente
intrattenere pratiche cogli abitatori della contea di Tryon, più di
tutti gli altri affezionati al nome dell'Inghilterra.

Non potendo Cornwallis guerreggiare, si metteva in sul voler riordinare
le cose interne, per viemmeglio stabilire l'acquisto della provincia.
Nel che fare volendo egli usare medicine forti, si propose e di
spaventare i repubblicani con severe pene, e di tor loro i modi di
nuocere, togliendo loro le sostanze. Mandò pertanto ordini ai capitani
britannici, perchè immediatamente gastigassero col supplizio delle
forche coloro, i quali dopo di aver militato nelle bande paesane in
favor del Re, si fossero poscia congiunti coi ribelli; che
incarcerassero, e spropriassero coloro, i quali essendosi prima
sottomessi, avessero poi avuto parte nell'ultima ribellione; e che cogli
effetti loro si ristorassero quelle persone, che state fossero da essi o
spogliate od oppresse. Nel che si dee far considerazione, che se tanta
severità si poteva escusare rispetto a coloro, i quali avevano scambiato
la condizione di prigionieri di guerra con quella di sudditi britannici,
era però condannabile e degna di eterno biasimo quella, che si
esercitava contro coloro, che nella prima condizione avevano voluto
perseverare. Imperciocchè erano stati sciolti delle parole loro dal
solenne bando mandato fuori da Cornwallis addì 3 di giugno. Ma i
vincitori o gavillando, e qualche volta ancora senza gavillare,
massimamente quando si tratta di affari di Stato, rompono troppo spesso
la fede loro, come se necessaria cosa fosse l'accoppiare alla ferocità
delle armi l'arte degl'inganni. Comunque ciò sia, gli ordini di
Cornwallis, avvengadiochè duri ed aspri fossero, eran posti ad effetto
in ogni parte, e tutta la Carolina ne fu ripiena di esempj crudeli e
superbi. La qual cosa alcuni fra gli uffiziali britannici altamente
condannavano; ma i più, e più di tutti Tarleton, come utile e necessaria
alla causa del Re sommamente commendavano. Conciossiachè Tarleton già si
era molto doluto della clemenza, siccome la chiamava egli, usata da
Cornwallis prima della battaglia di Cambden, dicendo, ch'essa era non
solo buona a nulla, ma ancora nociva in tutto, siccome quella, che
faceva gli amici meno vogliosi, ed i nemici più arditi. Il che se era
vero, stato non sarebbe da biasimarsi, se nelle guerre si avesse solo ad
aver riguardo all'utile, e nissuno alla umanità, alla fede ed alla
giustizia; poichè nissuno niega, che nell'esercizio di quelle
l'avvelenare le fonti, l'ammazzar sul fatto i prigionieri che ci vengono
alle mani, il condurre in ischiavitù gli uomini, le donne, i fanciulli
dei vinti, e di ogni proprietà ed umano diritto dispogliargli, possano
essere, o siano invero cose utili ad effettuarsi. Ciò nonostante si
vede, che le nazioni civili, ed i capitani degli eserciti, che del tutto
barbari e disumanati non siano stati, se ne sono in ogni tempo astenuti.
Ma gli Inglesi intanto non restandosi traevano a crudel morte gli uomini
più riputati del paese. I cittadini di Camden, di Ninety-six, di
Augusta, e di altri luoghi videro montare su i patiboli coloro, i quali
di nissun'altra cosa si accagionarono fuori di quella di essere stati
troppo fedeli ad una causa, ch'eglino tanto giusta, ed alla patria loro
profittevole riputavano. Le menti si riempirono d'orrore, ed i cuori
s'infiammarono di ferino, e più che immortale odio contro i crudeli
vincitori. Fremevano i popoli all'intorno, e giuravano di vendicarsi;
tutti abbominavano un re, che sì feroci esecutori delle volontà sue
aveva nella diletta contrada loro inviati. Le insegne sue ne diventaron
esecrate; ed i capitani britannici impararon per pruova, che i supplizj
e la disperazione degli uomini sono poco sicuri fondamenti alla
conquista di un popolo in lontane regioni posto, da una comune opinione
mosso, ed in una generale impresa infervorato. Nè furono questi i soli
provvedimenti, che credè Cornwallis utile di fare per assicurarsi nella
possessione di quelle province, che colle armi aveva conquistate. Usò
ancora, per tor vieppiù favori ai malcontenti, i confini ed i sequestri.
Ossiachè temesse, che la presenza dentro Charlestown dei principali
personaggi, i quali, stando fermi in sulle parole loro di prigionieri di
guerra, non avevano voluto rivestirsi della qualità di sudditi, non
contribuisse a mantener vivo il desiderio della resistenza, ovverochè,
siccome gl'Inglesi lasciarono scritto, avessero essi sin là tenuto
pratiche segrete coi nemici del nome reale, le quali venute fossero a
notizia dei Capi britannici per mezzo delle scritture trovate nelle
bagaglie dei generali americani prese nella rotta di Cambden, fece
arrestare più di trenta dei Capi più riputati delle parti americane, e
gli mandò a confine nella città di Sant'Agostino nella Florida
orientale. Erano questi tutti del numero di coloro, che avevano più
mestato nel passato governo, e che s'erano dimostrati più ardenti in
voler tenere quella guerra. Perchè poi non potessero coloro, ch'ei
credeva, od erano infatti avversi, le sostanze loro usare in benefizio
del congresso, o per isforzargli a calare alla soggezione, con pubblico
bando sequestrò i beni di tutti coloro, i quali o intrattenessero
traditevoli pratiche, o stessero ai servigj, od in qualunque modo
operassero sotto l'autorità del congresso, od accostati si fossero ai
nemici della Gran-Brettagna, o la ribellione con parole, o con fatti
sostenessero, ed avanzassero. Costituì nel medesimo tempo un commissario
sopra i beni sequestrati, il quale fosse obbligato di contare alle
famiglie degli staggiti una parte della rendita annua al netto, la
quarta a quelle, che consistessero nella moglie e nei figliuoli, ed una
sesta alle mogli che non avessero figliuoli, bene inteso però, che
dovessero nella provincia fare la residenza loro. Questi modi in un con
una grandissima vigilanza sugli andamenti dei sospetti usarono
gl'Inglesi per compor le cose, e per estirpare al tutto la ribellione
nella meridionale Carolina, e potere, quando fosse giunto il tempo
propizio, sicuramente recarsi a conquistare quella del Nort. Qual fine
avessero queste deliberazioni, apertamente si vedrà nel progresso di
queste storie.

Mentre dal canto delle Caroline la perversità della stagione avea posto
fine alle ostilità, e che anche da quello della Nuova-Jork gl'Inglesi,
poco potendo offendere, perchè erano più deboli di armi terrestri, ed i
confederati, perchè erano al di sotto di armi navali, una simile
cessazione della guerra si era introdotta, si andava maturando un
disegno, il quale, se avesse quella riuscita avuto, che gli autori suoi
si erano proposto, avrebbe partorito la totale rovina dell'esercito di
Washington, e forse ancora l'intiero soggiogamento dell'America. Certo
egli stette ad un pelo, che l'opera di tanti anni, e che già tanti
tesori aveva costati, e tanto sangue, non venisse da una inopinata causa
sino in fondo distrutta, e che gl'Inglesi per via di un tradimento quel
fine conseguissero, al quale non avevano potuto arrivare per mezzo di
una lustrale guerra con sì grande arte, e con tutte le forze loro
esercitata. E venire doveva il danno da parte di colui, dal quale meno,
che da ogni altro potevano, e dovevano gli Americani aspettarlo. Dal che
si ebbe un argomento manifesto, che il coraggio disgiunto dalla virtù
non è da pigliarsi a fidanza; che gli uomini più avventati in una causa
sono anche spesso alla medesima i più infedeli, e che gli avari, ed
ambiziosi dissipatori delle proprie, e delle pubbliche sostanze
facilmente diventano della patria loro scellerati venditori e traditori.
Nè nessuno dubiti, che siccome le virtù private sono le produttrici,
così siano ancora il principale ed unico fondamento alle pubbliche; e si
dee tener per sicuro, che coloro, i quali privi essendo delle prime si
accostano al governo delle repubbliche, ciò fanno o per ambiziosamente
soprastare, o per avaramente taglieggiare i proprj concittadini. E
quando ciò non è loro comportato, fanno novità al di dentro, o
tradimenti al di fuori. Era il nome del generale Arnold molto, e molto
meritevolmente caro a tutti gli Americani, che lo stimavano uno dei
principali difensori dello Stato loro. Essendosi egli ritratto dal
militare in sui campi, a motivo di quelle ferite non ben sanate, che sì
sconciamente gli avevano guasto una gamba, e non volendo il congresso e
Washington porre in dimenticanza i servigj di lui, lo avevano creato
comandante di Filadelfia, allorquando, ritiratisi gl'Inglesi da questa
città, era essa di bel nuovo venuta in poter dei repubblicani. Quivi
vivendo dissolutamente, più spendeva che potesse spendere, e più esigeva
di quello, che avesse diritto di esigere. Postosi ad abitare nelle case
di Penn le aveva fornite di ogni foggia di ricchi addobbi e di preziosi
arredi. Giuocava alla dirotta; metteva tavola spesso; teneva gran vita,
di balli, di concerti, di feste promovitore, e donatore grandissimo. Nè
bastando a gran pezza le solite paghe del suo grado a tanti stravizzi e
strabocchi, si era messo in sul mercanteggiare, ed in sul corseggiare.
Le cose non gli tornaron bene; i debiti s'ammontavano, i creditori lo
importunavano; quell'animo altiero e dissoluto non sapeva dove volgersi;
nulla voleva rimettere della sua grandigia; filava tuttavia del signore.
Questo gli fe' concepir animo di far peggio, e sperando di ristorarsi
con quel del pubblico per inganno di quello, che dissipato aveva per
iscialacquo, presentò certi conti in cui inserì di quelle cose, che
sarebbero state disoneste al più ingordo usuriere del mondo. La cosa
parve non solo strana, ma enorme. Si creò un magistrato espresso di
commissarj per esaminargli. Questi non solo non vollero spegnere con
esso lui i conti, ma ricusarono la metà delle partite. Si arricciò
fieramente l'Arnold, e diceva dei commissarj di quelle cose, che non si
sarebbero potute dipingere. Non istette contento al loro giudicato, e ne
appellò al congresso. Delegò questi alcuni de' suoi membri, perchè,
esaminato questo affare, lo assestassero. I quali giudicarono, che i
commissarj più avevano concesso ad Arnold di quello, che avesse diritto
di domandare. Se ad una tale sentenza montasse egli in bizzarria,
ciascuno il pensi; e siccome uomo rotto e caldo, ch'egli era in tutte le
sue azioni, diceva del congresso le più vituperose parole, e le maggiori
villanie, che mai a uomini costituiti in grado si dicessero. Queste cose
non erano sì fatte, che potessero disacerbar le ire, e ricompor gli
animi gonfiati dall'una parte e dall'altra. Nè la pertinacia di quelle
menti americane era tale, che fossero capaci di lasciar a mezza via una
faccenda, che incominciato avessero. Fu Arnold accusato di peculato
dallo Stato della Pensilvania, e tradotto avanti una Corte militare per
subir il suo processo. Lo accagionarono, tra molte altre cose, che
avesse fatto sue le mercanzie inglesi, che aveva trovate, e staggite in
Filadelfia l'anno 1778; che usasse i carri del pubblico per trasportar
certe robe dei privati, e specialmente le sue, e quelle de' suoi
compagni nel commercio della Cesarea. La Corte sentenziò, dovesse essere
ripreso da Washington. Il quale giudizio non soddisfece nè agli
accusatori, ne all'accusato, allegando i primi, che si avesse avuto più
rispetto ai passati servigj d'Arnold, che alla giustizia; e dolendosi il
secondo, dell'ingiustizia e dell'ingratitudine della sua patria. E non
potendo quell'uomo altiero sgozzare sì grave ingiuria, siccome la
chiamava, nè comportare, poichè gli Americani con sì smoderato affetto
l'avevano amato, d'essere ora venuto in tanta disgrazia loro, si
determinò nell'impeto della concetta collera; e per poter continuare a
gozzovigliare ed a grandeggiare coll'oro inglese, giacchè coll'americano
più non poteva, di aggiungere alla intemperanza la frode, ed alle
ruberie il tradimento. Per la qual cosa, risoluto al tutto di ritornar
la patria sua in servitù degl'Inglesi, discovrì con una lettera l'animo
suo a un Robinsone colonnello inglese, il quale ne diè tosto contezza a
Clinton. Si appiccò una pratica tra le due parti per mezzo del maggior
André, ajutante di campo del generale inglese, giovane e per
l'eccellenza delle forme, e per costumi, per bontà, per cortesia
amabilissimo. Arnold e André carteggiavano tra di loro sotto i finti
nomi di Gustavo e dì Anderson. Promettevano all'Arnold molt'oro, e il
grado di generale nell'esercito regio. Egli dal canto suo si offeriva di
fare qualche rilevato, e determinativo fatto in benefizio del Re. Si
condussero tanto innanzi con queste pratiche, che vennero in parole di
porre la Rocca di West-point in mano dei regj. Egli è West-point un
luogo forte sull'occidentale riva del fiume del Nort. E siccome
piuttosto di unica, che di grand'importanza per guardar il passo delle
montagne dall'insù del fiume, così lo avevano gli Americani con infinita
spesa ed arte talmente affortificato, che a ragione era chiamato il
Gibilterra dell'America. Questo fortissimo propugnacolo s'accordò Arnold
di voler porre nelle mani degl'Inglesi. Laonde allegando, che gli era
venuto a noia il soggiorno di Filadelfia, e che desiderava di adoperarsi
di nuovo fra i campi in servigio dello Stato, chiedè, gli si concedesse,
ed ottenne il capitanato di West-point, e di tutta quella parte delle
genti americane, che in quei contorni alloggiavano. Ma il disegno non si
ristava alla dazione di West-point. Intendeva Arnold di far pigliare
tali posti alle sue genti fuori della Fortezza, che fosse facilmente
fatto abilità a Clinton di arrivar alla non pensata, e subitamente
opprimerle. La qual cosa ottenutasi in un colla possessione di
West-point, si sarebbero gl'Inglesi avventati contro le restanti genti
di Washington, le quali, per custodire quei passi, nei circonvicini
luoghi dall'una parte e dall'altra del fiume si erano fermate, e le
avrebbero all'ultimo sconfitte e conculcate. In tal modo oltre la
perdita di West-point, e di quei passi, che erano venuti in contesa già
tante volte, e per acquistar i quali aveva il governo inglese fatto la
spedizione di Burgoyne, avrebbero gli Americani tutto l'esercito loro,
le artiglierie, le munizioni, le bagaglie, ed i migliori uffiziali
perduto. E si poteva conghietturare che sopraffatte le menti
dall'improvviso caso, e da sì subita rovina, e valendosi gl'Inglesi
della confusione e dello sbigottimento dei popoli, gli Stati Uniti stati
ne sarebbero oppressi, e l'independenza loro all'ultima ora condotta.
Erasi verso la metà di settembre Washington recato, per fornirvi alcune
pubbliche bisogne, a Hartford nel Connecticut. Sotto questa occasione
credettero di poter trarre a fine l'accordato disegno. Appuntarono, che
per pigliar insieme le ultime deliberazioni, sarebbe André venuto
nascostamente a trovare Arnold. Sbarcò quegli la notte dei 21 settembre
dalla corvetta inglese l'Avoltoio, che già da lungo tempo Clinton aveva
fatto fermare su pel fiume non lungi da West-point per facilitare le
pratiche, che tra di lui ed il generale americano bollivano. Trovò
l'Arnold; stettero insieme tutta la notte. In sul fare del dì, non
avendo ancor potuto accordare tutta la bisogna, André fu nascosto in
luogo sicuro. La notte seguente se ne voleva ritornare. I navicellai non
vollero ricondurlo all'Avoltoio, perchè aveva questo con certe mosse
dato non so qual sospetto. Si risolvette, se ne gisse per la via di
terra. Diegli Arnold un cavallo, ed un passaporto col nome di Anderson.
Si spogliò André, benchè, come è fama, suo malgrado, ed a ciò costretto
da Arnold, dell'abito d'offiziale inglese, che sin là aveva portato
sotto un gabbano, vestendone un comune. Si avviava verso la Nuova-Jork.
Già aveva trapassato le guardie, e le estreme scolte del campo.
Credevasi giunto a salvamento. Ma I cieli avevano altro fine destinato
alla brutta perfidia di Arnold, ed al generoso voto, che di sè stesso
aveva fatto alla patria sua l'André. Passando questi per una Terra
chiamata Tarrytown, già vicino a quelle occupate da' suoi, ecco che tre
uomini di milizia, che là si trovavano a caso, e non per ordine, lo
arrestarono. Mostrato il passaporto, lo lasciavano andare al suo
cammino. Ma uno dei tre più sospettoso degli altri, avendo osservato non
so che di strano nelle sembianze del passeggiero, il richiamò, André
domandava, _Chenti fossero?_ Risposero, _di laggiù_, intendendo parlare
della Nuova-Jork. Il non sospettante giovine mal naturato agl'inganni
rispose, _ed ancor io sono_. Lo arrestavano. Si scopriva, qual era, un
uffiziale inglese. Offeriva quant'oro volevano, un prezioso orologio,
gradi, e ricompense nell'esercito britannico, se lo lasciassero andare.
Tutto fu nulla. Giovanni Paulding, Davide Williams, ed Isacco Wanwert,
che tali erano i nomi dei tre soldati, disdegnarono le esibizioni, in
ciò tanto più degni di lode, quanto che erano in basso luogo nati ed
avrebbero acquistato altra condizione. Così nell'istesso tempo, in cui
quegli, che teneva uno de' primi gradi negli eserciti dell'America, e
che famoso era al mondo pel valore suo, e per le cose fatte in pro della
patria, per un po' di concetta collera, e per la gola dell'oro, essa
patria tradiva, e voleva dar in mano al nemico, tre soldati gregarj
l'onesto all'utile, la fedeltà alle ricchezze anteponevano. Ricercarono
l'André in ogni parte della persona. Trovarono, dentro gli stivali
copiosi ricordi, tutti scritti di pugno d'Arnold sulle positure de'
luoghi, sulle munizioni, sul presidio di West-point, e sul più
convenevole modo di assaltar la Fortezza. Condotto André avanti
l'uffiziale, che era preposto alle scolte, temendo di nuocere ad Arnold,
se si discoprisse tosto, qual egli era, e non curando il pericolo, che
correva vicinissimo di essere immediatamente, come spia, posto a morte,
quando si risapesse, aver egli dissimulato il proprio nome, continuava
ad affermare, esser desso Anderson. L'Americano non sapeva, che farsi, e
si andava peritando, non potendo credere, che colui, il quale aveva
sparso tante volte il suo sangue a beneficio della patria la avesse ora
voluta tradire. Queste dubitazioni, le negazioni d'André, il ritrovarsi
Washington ed Arnold medesimo lontani dal campo furono causa, che
quest'ultimo ebbe comodità, avendo udito prontamente l'arrestamento
d'André, di scansarsi, e di guadagnar l'Avoltoio. Divulgatasi la cosa,
si riempirono i popoli d'insolito stupore al tradimento di un uomo, nel
quale tanta confidenza, e sì lunga avevano posto, al vicino pericolo,
che corso avevano, ed al fortunevole caso, che ne gli aveva preservati.
Dio, dicevano, non permettere, periscano gli uomini valorosi;
l'assistenza di lui nella presente occasione stata essere evidente;
gradire esso, e proteggere la causa dell'America. Tutti abbominavano
Arnold, tutti encomiavano gli arrestatori d'André. In questo arrivò
Washington al campo, ritornando dal Connecticut. Prima di ogni cosa
sospettando, che vi potesse esser più marcio e più complici, nè sapendo
quali, pensava a' rimedj e pigliava quelle risoluzioni, che credeva
valevoli a render vani gli sforzi loro. Temeva altresì, che l'esempio
fosse pernizioso, e che in quei medesimi, ch'erano estrani al disegno,
nascesse il desiderio di cose nuove. Imperciocchè, rotto una volta il
guado, per l'ordinario vi s'affolla la gente per passare, e gli uomini a
guisa delle pecore più volentieri vanno, dove vedono andar gli altri,
che dove si dovrebbe andare. Di ciò stava egli tanto più in apprensione,
che i suoi soldati erano pagati tardi, ed a spilluzzico, e mancavano di
molte cose non solo al guerreggiare, ma anche al vivere necessarie. Ma
le cautele furono superflue. Nissuno dondelò; nè si scoperse da alcun
canto, che la mala influenza avesse altri contaminato oltre l'Arnold.
André, quando pel progresso del tempo potè presumere, che Arnold fosse
giunto in salvo, palesò il suo nome, e grado. Era più che della sua
salute sollecito di provare, ch'ei non era nè impostore, nè spia,
allegando, che quelle cose, che tale lo potevano far credere agli occhi
degli uomini, non erano suo fatto. Affermava, che l'intento suo era
stato solamente di venirsi ad abboccare in una Terra neutrale con quella
persona, che gli era stata dal suo generale indicata; ma che quindi era
stato aggirato, e tratto dentro gli alloggiamenti americani. Da quel
momento in poi nulla potersegli imputare, poichè si trovava in potestade
altrui. Washington intanto creò una Corte militare della quale furono
eletti membri, oltre molti uffiziali americani dei primi, il marchese de
La-Fayette, ed il barone di Steuben. Mandò egli al cospetto loro
l'André, perchè esaminata, e considerata bene la cosa, definissero, di
che qualità fosse il caso, e qual fosse il castigo, che convenisse dare
al colpevole. Comparì l'Inglese al cospetto della Corte, nè insolente,
nè avvilito. La sua ancor verde età, l'eleganza della persona, le
maniere piene di cortesia piegavano i cuori di tutti i circostanti in
suo favore. In quel tanto essendo Arnold arrivato a bordo dell'Avoltoio,
scrisse tosto una lettera a Washington. Sì gloriava in essa, che
l'amore, che fin dal bel principio della querela aveva portato alla sua
patria, quello stesso l'aveva ora a questo passo condotto, checchè di
ciò pensar potessero gli uomini sì spesso ingiusti estimatori delle
azioni altrui. Continuava dicendo, che nulla pregava per sè, già troppo
avendo sperimentato l'ingratitudine della sua patria, ma sì pregava
bene, e scongiurava il capitano generale, fosse contento preservar la
donna sua dagli insulti della gente irritata; mandassela a Filadelfia in
mezzo agli amici di lei, o permettesse, andasse a raggiungerlo alla
Nuova-Jork. Dopo questa venne una lettera del colonnello Robinson, data
pure a bordo dell'Avoltoio. Chiedeva instantemente, fossegli renduto
l'André, affermando, esser questo andato a riva per una bisogna
pubblica, e sotto la tutela di un tamburino, chiamatovi dall'Arnold, e
mandatovi dal suo generale; che per ritornasene alla Nuova-Jork aveva
avuto licenza, e passaporti dal generale americano; che tutto quello,
che aveva operato l'André, dopo ch'era venuto in mezzo agli
alloggiamenti americani, e specialmente l'aver cambialo l'abito ed il
nome era stato fatto per volontà di Arnold. Concludeva, che il ritenerlo
più oltre era una violazione della santità dei tamburini, ed una cosa
contraria agli usi della guerra, da tutte le nazioni riconosciuti e
praticati. Scrisse poco poi lo stesso Clinton, richiedendo colle
medesime instanze e ragioni l'André. In questa di Clinton era stata
inclusa una lettera d'Arnold scritta in termini assai vivi, colla quale
affermava, ch'egli nel grado suo di generale americano aveva il diritto
di concedere ad André la solita protezione dei tamburini, perchè senza
pericolo potesse venire ad abboccarsi seco lui, e che per rimandarnelo
stava in sua facoltà di seguir quei modi, che più convenevoli aveva
creduti. Ma André minor pensiero si dava della sua salute, che gli amici
suoi dall'altra parte si avessero. Abborrendo ogni bugia e sotterfugio,
volendo, giacchè si trovava dai fati inesorabili condotto all'ultimo
confine della sua vita, questa almeno terminare pura e chiara, e
senz'alcuna nota d'infamia, candidamente confessò, non esser venuto a
niun modo sotto la protezione di un tamburino, aggiungendo, che se in
tal modo venuto fosse, colla medesima accompagnatura se ne sarebbe
ritornato. Guardavasi dall'incolpar chicchessia; di sè stesso parlò con
mirabile ingenuità; confessò più di quello, di che fosse interrogato.
Ognuno ammirava tanta generosità e tanta costanza. Tutti con lagrime
dolorose compassionavano l'infelice giovane. Avrebbero desiderato
salvarlo, ma troppo era la cosa chiara. La Corte, fondandosi sulle sue
confessioni, sentenziò, essere André, e dovere considerarsi come una
spia, e come tale dover essere posto a morte. Notificò Washington a
Clinton, rispondendo alle lettere di lui, la sentenza. Narrò tutte le
circostanze del fatto, e notò, che sebbene queste tali fossero, che,
costituitone André nel grado di spia, sarebberne stati giustificati
contro di lui i più sommarj procedimenti, tuttavia si aveva voluto
operare più consigliatamente, facendo esaminar la cosa da un maestrato
espresso, e che il giudicato suo era stato quello, che gl'inviava. Ma
Clinton, al quale oltre ogni dire doleva il destino d'André, ch'era
l'occhio e l'anima sua, non era uomo da ristarsi, per iscamparlo, alle
già fatte dimostrazioni. Scrisse pertanto un'altra lettera a Washington,
pregandolo giacchè, come diceva, i giudici non erano stati bene
informati del fatto, fosse contento, si facesse un abboccamento a questo
fine tra quelle persone, che dalle due parti si deputerebbero. Consentì
Washington, e si abboccarono a Dobbs'-ferry il generale Robertson dalla
parte inglese, e Greene dall'americana. Molto instò il primo per
provare, che André non era spia, allegando i soliti argomenti dei
tamburini, e del suo operar costretto, quando egli era in potestà
d'Arnold. Ma accorgendosi di non far frutto, saltò a toccar
dell'umanità, della necessità di mitigare con generosi consiglj la
crudeltà della guerra, della clemenza di Clinton, che mai non aveva
fatto porre a morte alcuno di coloro, che le leggi della guerra violato
avevano; che André molto era caro al capitano generale, e che se a lui
fosse conceduto di ricondurlo seco alla Nuova-Jork, ogni qualunque
persona colpevole, che in mano degl'Inglesi si trovasse, della quale gli
Americani si richiamassero, sarebbe incontanente posta in libertà. Pregò
ancora, si sospendesse, e si rimettesse la cosa nell'arbitrio di due
soldati pratichi degli usi della guerra, e delle nazioni, proponendo i
generali Knyphausen, e Rochambeau, e che ciò, ch'essi opinassero, quello
si facesse. Presentò infine una lettera d'Arnold indiritta a Washington,
colla quale si era studiato d'incolpare in tutto sè, e di scolpar André.
Concluse minacciando, che, se la sentenza recata contro André fosse
posta ad effetto, si sarebbero fatte orribili rappresaglie; e che in
ispecialità quei traditori della Carolina, ai quali Clinton, mercè sua,
aveva fin'allora perdonato la vita, ne sarebbero tratti immediatamente a
morte. L'interposizione di Arnold non poteva non nuocere all'André; e
quando gli Americani avessero voluto piegarsi alla clemenza, la lettera
sua ne gli avrebbe stornati. Si terminò l'abboccamento senza effetto.
André intanto s'andava apparecchiando alla morte. Dimostrò egli contro
di questa non quel disprezzo, che spesso è simulazione o bestialità, nè
quella debolezza, che propria è degli uomini effeminati, o rei, ma
sibbene quella costanza, che s'appartiene agli uomini virtuosi e forti.
Gli pesava il morire; ma molto più gl'incresceva il modo della morte.
Avrebbe desiderato di morire, come i soldati sogliono, passando per
l'armi, non come le spie, ed i malandrini sulle forche. Questo abborriva
grandissimamente. Ne addimandò alla Corte. Non gli fu risposto;
perciocchè concedere la domanda non volevano, negarla espressamente
stimarono crudeltà. Ma due altre cose molto l'animo del giovane
tormentavano, e quest'erano, che la madre sua, e le tre sorelle, che
sole aveva al mondo, e ch'egli piamente amava, e colle sue paghe
sosteneva, fossero, morto lui, ridotte a miseria; l'altra, che gli
uomini potessero credere, che gli ordini di Clinton quelli stati
fossero, che lo avessero obbligato a far quei passi, i quali lo avevano
nella presente condizione condotto. Temeva perciò, venisse la sua morte
a quell'uomo imputata, ch'egli sommamente amava, e venerava. Gli fu
concesso, ne scrivesse a Clinton; il che fece, molto a lui l'infelice
madre, e le sorelle raccomandando, e testimoniando, che gli accidenti
dell'esser venuto dentro le poste del nemico, e dell'essersi travestito
erano stati cose contrarie, siccome alle sue intenzioni, così ancora
agli ordini di Clinton. Il dì due d'ottobre fu il giorno dai cieli
destinato per termine alla vita di André. Condotto al patibolo disse,
_così debbo io morire?_ Gli fu risposto non essersi potuto fare
altrimenti. Ne dimostrò grave dolore. Infine, fatte le sue preghiere,
pronunziò queste, che furono per lui le ultime parole: _Siate testimoni
voi, che io muojo, come un bravo uomo dee morire_. Così fu tratto a
giusta, ma indegna morte un dabben giovine meritevole in tutto di
miglior destino. La mestizia fu grande tra gli amici, e tra i nemici.
Arnold si rodeva, seppure quell'anima contaminata era capace di rimorso.
Gl'Inglesi stessi il detestavano e pel suo tradimento, e per essere
stato cagione della morte d'André. Ciò nondimeno, siccome nelle cose di
Stato soglionsi adoperare così gl'istromenti più vili, come i più
generosi; e che in esse il fine, non i mezzi si guardano, fu Arnold
creato Brigadier generale negli eserciti britannici. Sperava Clinton,
che il nome di quello, e la dependenza avrebbero indotto molti fra gli
Americani a correre a porsi sotto le insegne del Re. Ma Arnold conosceva
benissimo, che poichè aveva abbandonato i suoi, gli era mestiero
mostrarsi vivo in favor degl'Inglesi. E siccome gli uomini anche più
malvagi vogliono serbar tuttavia la sembianza della virtù, così mandò un
cartello, col quale, sperando di velare con questo artifizio l'infamia
sua, iva aggirandosi, dicendo, che da principio aveva pigliate le armi
in mano, perciocchè credeva, fossero offesi i diritti della sua patria;
che anche aveva accomodato l'animo alla dichiarazione dell'independenza,
quantunque la credesse intempestiva; ma che quando la Gran-Brettagna,
come buona ed amorevole madre, aveva loro aperte le braccia, ed ebbe
offerti giusti ed onorevoli accordi, il rifiuto di questi, e di più la
lega colla Francia avevano intieramente cambiato la natura della
querela, e fatto, che quello, che era giusto ed onorevole, diventato
fosse ingiusto e vituperoso. D'allora in poi, affermava, esser diventato
desideroso di ritornare nell'antica fede coll'Inghilterra. Censurò il
congresso, e con aspre parole rammentò la tirannide e l'avarizia sua,
condannò la lega colla Francia, lamentando, che i più gravi interessi
della patria fossero dati in preda ad un superbo e perfido nemico;
definì la Francia troppo debole per istabilir l'independenza; chiamolla
nemica della fede protestante; accusolla di fraude nel voler mostrarsi
affezionata alle libertà del genere umano, mentre i suoi proprj
figliuoli teneva in vassallaggio e schiavitù. Concluse con dire, aver
tanto indugiato ad operare a norma delle sue nuove opinioni, perchè
aveva desiderato di far qualche gran fatto in benefizio, e riscatto
della sua patria, e per evitare, per quanto possibil fosse, lo
spargimento dell'uman sangue. Questo cartello indirizzò generalmente a'
suoi concittadini. Un altro ne pubblicò pochi giorni dopo, intitolato
agli uffiziali e soldati dell'esercito americano. Gli esortava a venirsi
a porre sotto le insegne del Re, offerendo e gradi e caposoldi.
Gloriavasi di voler condurre una scelta banda d'Americani alla pace,
alla libertà, alla sicurezza; strappar la patria dalle mani della
Francia, e di coloro che condotta l'avevano vicina al precipizio.
Affermava, essere l'America preda all'avarizia, scherno al nemico, pietà
agli amici; avere invece della libertà l'oppressione; spogliarvisi le
proprietà, incarcerarvisi le persone, sforzarvisi la gioventù alle
battaglie, inondarvi il sangue. Che altro è ora l'America, sclamava, se
non se una terra di vedove, di orfani, di mendichi? Se l'Inghilterra
cessasse gli sforzi suoi per liberarla, qual sicurezza rimanerle a
potere quella religione godersi, per la quale gli antichi padri
affrontarono l'oceano, il cielo, i deserti? Non essersi testè veduto
l'abbietto e scellerato congresso assistere alla messa, e partecipare
nei riti di una chiesa, contro l'anticristiana corruzione, della quale i
pii maggiori renduto avrebbero col proprio sangue testimonianza? Questi
furono i manifesti del traditore, che riuscirono altrettanto più
inutili, quant'erano più smodati. Ma gli scrittori dalla parte
dell'America non istettero all'incontro a badare; chè anzi con molte
parole e ragioni alle sue contrarie gagliardamente il ributtarono. Tra
le altre cose argomentarono, nissuno più dell'Arnold essere stato, anche
dopo il rifiuto degli accordi, divoto e ligio servitor dei Francesi;
nissuno più di lui esser andato loro a' versi; esso avere invitato il
ministro Gerard in sul suo primo arrivo a Filadelfia ad abitar le sue
case; esso avergli fatto le spese molto sontuosamente, e di balli, di
feste, di conviti essersene avuto buona ragione; esso stato essere
moiniere di Silas Deane, lancia dei Francesi; esso coi consoli ed altri
maestrati francesi avere più di ogni altro avuto dimestichezza e
familiarità, dimodochè quelli siansi creduti aver in Arnold trovato il
miglior amico, che si avessero. Ma così andar la cosa, gli ambiziosi far
le viste di servile servitù, e poscia di animo elevato secondo i casi,
non vergognandosi di accusare in altrui i proprj vizj loro. Così, se
Arnold aveva conficcato, gli altri ribadirono. Credette il congresso,
fosse cosa indegna di sè il fare alcun motivo della tradigione, e dei
manifesti d'Arnold. Solo per dimostrare in qual grado ei tenesse l'opera
egregia, e degna d'onore di Giovanni Paulding, Davide Williams, ed
Isacco Wanwert, che furono gli arrestatori d'André, fece loro con
pubblico ed orrevole partito una onesta provvisione di dugento dollari
senz'alcuna ritenzione, o stanziamento per ciascuno anno, durante la
loro vita, deliberare e pagare. Decretò ancora, si gittasse, e
rimettesse loro una medaglia d'argento col motto _fedeltà_ da una parte,
e dall'altra quest'altro, _vincit amor patriae_. Il consigliò esecutivo
di Pensilvania mandò un bando, col quale citò Benedetto Arnold in
compagnia di alcuni altri vili uomini a comparire innanzi i tribunali
per render ragione dei tradimenti loro, ed in difetto gli chiariva
soggetti a tutte le pene solite a darsi a coloro, che venderono la
patria, e vollero porla al giogo de' tiranni. Furon questi i soli atti,
pei quali i pubblici maestrati dell'America avvertirono al tradimento
d'Arnold.

Avendo noi raccontato qual fine abbia avuto la trama ordita alla
Nuova-Jork, l'ordine della storia, che intrapreso abbiamo, richiede, che
descriviamo ora i successi, ch'ebbero nelle due Caroline le armi
britanniche. Era la stagione pervenuta verso la metà di settembre,
quando i capitani del Re, apparecchiato avendo le munizioni, le genti,
ed ogni altra cosa necessaria, si risolvettero a voler muovere le armi,
e quelle imprese compire, che già da molto tempo disegnate avevano, e
che dovevano essere il più importante frutto della vittoria di Cambden.
Stimavano che come avessero volto il viso verso la Carolina
Settentrionale, subito al romore l'esercito americano se n'avesse a
partire; e nella mente loro già non solo si promettevano la conquista di
questa provincia, ma ancora quella della Virginia. Speravano, che
allorquando a quella delle due Caroline, della Giorgia e della
Nuova-Jork si fosse aggiunta la possessione della Virginia tanto ricca,
e tanto possente, gli Americani non potendo più nutrir una tanta guerra,
avrebbero piegato l'animo a far il volere della Gran-Brettagna. Non
dubitavano punto, che le cose degli Americani avessero a declinare, ed
ire del tutto in fascio. A questi fini dovevano nel medesimo tempo
cooperare Cornwallis colle genti che aveva, correndo dalla meridionale
nella settentrionale Carolina, e Clinton con quelle della Nuova-Jork,
mandandone una parte ad assaltare i luoghi bassi della Virginia; e
conquistati questi, e passato il fiume Roanoke, congiungersi colle prime
sui confini della Carolina e della Virginia. Per la qual cosa Clinton,
mandato tre migliaia di soldati sotto la condotta del generale Leslie
sulle rive del Chesapeake, i quali sbarcati a Portsmouth ed in altre
vicine Terre pigliarono possessione del paese, ardendo e guastando le
provvisioni, principalmente di tabacco, ch'erano copiosissime.
S'impadronirono di molte navi onerarie. Quivi dovevano aspettar le
novelle dell'avvicinarsi di Cornwallis, le quali avute, sarebbero
marciati per accozzarsi con esso lui sulle rive del Roanoke. Ma siccome
la distanza era grande, e che gli accidenti fortuiti della guerra
avrebbero per avventura potuto impedir la congiunzione dei due eserciti,
così Clinton aveva commesso a Leslie, obbedisse agli ordini di
Cornwallis; e ciò a fine, che questi potesse all'uopo far venire, quando
la congiunzione medesima per la strada di terra fosse impossibile, una
parte di quelle genti a trovarlo per la via del mare fin nelle Caroline.
Da un'altra parte s'era mosso Cornwallis da Cambden, incamminandosi alla
volta di Charlottes-town, città posta nella Carolina Settentrionale. Per
altro per tenere in fede la meridionale, e non perder l'ansa da potervi
all'uopo ritornare, lasciò dietro di sè, oltre un grosso presidio in
Charlestown, altri più piccoli, ma sufficienti sulle frontiere, uno in
Augusta sotto i comandamenti del colonnello Brown, un altro a Ninety-six
governato dal colonnello Cruger, ed un terzo più gagliardo a Cambden
sotto la condotta del colonnello Turnbull. Marciò egli col grosso delle
sue genti, e pochi cavalli per la via di Hanging-Rock verso Catawba,
mentre Tarleton col rimanente della cavalleria, varcato il Wateree,
saliva per la oriental riva del fiume. L'una e l'altra schiera dovevano
ricongiungersi a far capo grosso a Charlottes-town. Vi arrivarono
infatti sul finir di settembre, e s'insignorirono della Terra. Ma non
penarono gran fatto gl'Inglesi ad accorgersi, che avevano alle mani una
impresa molto più dura di quello che avessero creduto. La contrada
all'intorno di Charlottes-town era sterile, e per le strade strette ed
intricate assai difficile, gli abitatori non solo nemichevoli, ma ancora
vigilantissimi ed attivissimi nell'assaltar le scolte, nel mozzar le
vie, nell'arrestar i messi, nell'opprimere gli sbrancati, nel por le
mani addosso alle munizioni, che da Cambden si avviavano a
Charlottes-town. Quindi non potevano i regj nè uscire alla campagna, nè
foraggiare, se non grossi, nè avere lingua di quelle cose che accadevano
nei contorni. Oltre di questo Sumpter, il quale aveva rizzato una
bandiera di ventura per far guerra, dove gli venisse meglio, iva aliando
con un grosso di genti arrisicatissime intorno gli estremi confini delle
due Caroline. Un'altra testa di valenti stracorridori si era raccozzata
sotto la condotta del colonnello Marion. Oltre di questo dava non poca
noia il sapere, che il colonnello Clarke aveva raggranellato una grossa
banda di montanari, abitatori delle parti superiori delle Caroline,
uomini armigeri, duri alla guerra, coraggiosissimi. E sebbene si fosse
inteso, che un assalto, ch'egli aveva dato ad Augusta, per la valorosa
difesa fattavi entro da Brown, avesse infelice fine avuto, tuttavia,
serbati raccolti i suoi, teneva il campo, ed andava volteggiandosi verso
le montagne, pronto od a congiungersi con Sumpter, od almeno, se la
squadra di Fergusson ciò gl'impedisse, ad aspettar più altri montanari,
che correvano a trovarlo. Così i reali si trovavano attorniati da ogni
banda da nugoli di repubblicani; e, posti in mezzo ad un paese tutto
nimichevole all'intorno, avevano meglio la sembianza di assediati, che
di assalitori. A tante angustie sopraggiunse per arrota un caso, che gli
obbligò tosto a pensar ai fatti loro. Era il colonnello Fergusson,
siccome sopra si è detto, stato mandato da Cornwallis sulle frontiere
della Carolina Settentrionale per ivi dar animo, e raccorre i leali.
Erano questi venuti a congiungersi con lui in buon numero; ma la maggior
parte uomini ribaldi e rubatori, i quali avendo creato per Capo del loro
furore Fergusson ogni cosa mandavano a sacco ed a sangue, ovunque
passavano. A tante enormità bastanti a riscaldare ogni freddo spirito
alla vendetta fieramente si crucciarono i vicini montanari, e calavano a
stormo dalle montagne, quelle armi carpando, che la elezione, il caso,
od il furore paravano loro davanti. Tutti dicevano di voler ire a dar la
caccia a quel bestione di Fergusson, fargli pagar cari i latrocinj ed il
sangue; si mettevan l'un l'altro alle coltella; presi a furia i primi
uffiziali di milizia, che incontrarono, questi crearono a loro Capi.
Ciascuno portava un'arme, uno zaino, una coperta. Corcavansi sopra la
nuda terra, sotto lo stellato cielo; all'acqua dei rivi si dissetavano;
sfamavansi col bestiame che si facevan trottar dietro, o colle
selvaggine, che ammazzavano in mezzo alle profonde foreste. Gli
guidavano i colonnelli Campbell, Cleveland, Selby, Seveer, William,
Brandy e Lacy. Cercavano per ogni dove, a tutti domandavano di
Fergusson. Giuravano ad ogni passo di volerlo esterminare. Finalmente il
trovarono. Ma Fergusson era un uomo così fatto, che non temeva nè essi
nè altri. Stava egli accampato sopra un poggio selvoso, e cavaliere alla
campagna, la cui base è di figura circolare. Lo chiamano Kingsmountain,
o sia montagna del Re. Aveva posto al di sotto sulla via principale alla
scesa una guardia. Arrivati vicini i montanari tosto la fugavano; poscia
partiti in varie colonne, attorniato il monte, salivano arditissimamente
all'assalto. Traevano gli uni di dietro gli alberi, gli altri di dietro
le petraie, molti ancora scopertamente. Si difendeva aspramente
Fergusson. I primi ad arrivare in sul poggio furono quei guidati dal
Cleveland. Gl'Inglesi si avventavan loro contro colle baionette, e gli
risospingevano. In questo mentre arrivava Shelby co' suoi, e si sforzava
di entrar negli alloggiamenti nemici; ma Fergusson rivoltatosigli contro
colle baionette lo ributtava. Non aveva egli sì tosto avuto la vittoria
contro Shelby, che arrivava a furia sulla cima Campbell, e tuttavia
l'Inglese mostravagli il viso, e pure colle baionette lo cacciava. Ma
invano si spendeva tanto valore contro gli assalti di un nemico
arrabbiato. Quando Fergusson era alle mani cogli uni, e gli faceva
piegare, gli altri, che stat'erano cacciati, ritornavano a caricarlo.
Fe' egli tuttociò, che uomo esperto e franco può fare nelle difficili
battaglie per isbrigarsi. Ma già inclinava la vittoria a favor dei
repubblicani, i quali inondavano il poggio. Non volendo il capitano
inglese arrendersi, tuttavia combattendo fu morto. Il suo successore,
chiesti i quartieri, gli ottenne. Fu fatto in questa zuffa gran sangue;
poichè ebbero i reali tra morti, feriti e prigionieri meglio di undeci
centinaia di soldati, luttuosa e gravissima perdita in quelle
occorrenze. Tutte le armi e munizioni fecer più chiaro il trionfo dei
vincitori. Fecero questi a buona guerra cogl'Inglesi; ma i leali
bistrattarono, alcuni anche crudelmente impiccarono. Dissero, per
rappresaglia di quei repubblicani, che stat'erano tratti al medesimo
supplizio dai reali a Cambden, Ninety-six ed Augusta. Allegarono ancora,
essere stati quelli colpevoli di delitti meritevoli di morte secondo le
leggi del paese. Così al furor della guerra veniva a congiungersi, come
se esso non fosse non che bastante, troppo, la rabbia cittadina. I
montanari, avuta la vittoria, alle case loro se ne tornarono. La rotta
di Kingsmountain indebolì molto le cose del Re nelle Caroline, e diè
molto a pensare a Cornwallis. Oltre lo sbigottimento dei leali, che ne
seguì, i quali d'allora in poi si rimasero dal venirlo a trovare, era
egli con un esercito debole in mezzo ad un paese nemico, ad una contrada
sterile, ad una difficoltà grandissima di pigliar lingua. Prevedeva
benissimo, che l'andar avanti era un accrescere la angustie, in cui già
si trovava. Per la qual cosa, veduto di non poter più per allora
conquistar la Carolina Settentrionale, nella quale i repubblicani
avevano in copia e avvisi di spie, e comodità di ricetti, si risolvette
a difendere almeno, e guarentire la meridionale, sino a tanto che avesse
ricevuto nuovi aiuti. Quindi è, che, lasciato Charlestown, e ripassata
la Catawba, andò a porsi a Winnesborough, Terra posta in luogo, donde si
poteva consuonare coi posti di Cambden e di Ninety-six, e che per la
feracità del suolo offeriva più grassi alloggiamenti. Nel medesimo tempo
inviò ordini a Leslie nella Virginia, imbarcasse immediatamente le sue
genti, e toccato prima Wilmington, se ne venisse poscia, e rattamente, a
Charlestown.

La ritirata delle genti del Re da Charlottes-town a Winnesborough, e la
rotta di Kingsmountain diedero molto ardire ai repubblicani, i quali
correvano a porsi sotto le insegne dei loro arditissimi capitani, tra i
quali tenevano il primo luogo Sumpter e Marion. Questo infestava le
contrade basse, quello le superiori. Ora Cambden, ora Ninety-six erano
minacciati, ed i reali non potevano, nè buscare, nè foraggiare, nè
legnare, nè alcun'altra fazione fare senza correre gran pericolo di
essere oppressi. Per liberarsi da quella rangola, Tarleton si metteva in
sulle mosse contro Marion; ma questi, che intendeva soltanto di
bezzicare trascorrendo, e non di combattere le campali battaglie,
spacciatamente si ritirava. L'Inglese lo perseguitava. Ma gli
sopravvennero ordini da Cornwallis, acciò si recasse contro Sumpter, che
minacciava di venir sopra a Ninety-six, e già aveva rotto, o preso sulle
rive del fiume Broad il maggiore Wemis, e fatti molti prigionieri, fanti
e cavalli. Tarleton con incredibile celerità camminando arrivò
all'incontro di Sumpter, il quale si era accampato sulla destra riva del
fiume Tigre in un luogo detto Blackstocks. Erano gli alloggiamenti
americani fortissimi, avendo un rivo, case, e palificate da fronte,
montagne inaccessibili, o luoghi erti e difficili dai due lati. Tarleton
sospinto dal suo ardore, e temendo che Sumpter, varcato il Tigre, non
gli fuggisse dalle mani, lasciati i fanti leggieri, e quei della sua
legione indietro, si era fatto avanti cogli uomini d'arme, e con una
parte delle fanterie. Si attaccò una feroce zuffa, nella quale l'una
parte e l'altra mostrarono un grandissimo valore. Un reggimento
britannico fu sì malconcio, che disordinato si tirò indietro. Tarleton
per rinfrescar la battaglia diè dentro cogli uomini d'arme. Ma gli
Americani tennero il fermo. Fu l'Inglese costretto a ritirarsi con
perdita di molti morti e feriti, tra i quali alcuni uffiziali di conto.
Ma sopraggiunta la notte, avvicinandosi le genti che il capitano
britannico aveva lasciate indietro, ed essendo stato Sumpter gravemente
ferito in una spalla, si riparò questi al di là del fiume, e non potendo
più per allora star in sulla guerra a cagione della ferita, fu portato
da alcuni suoi soldati più fedeli a luoghi alpestri e sicuri. La maggior
parte de' suoi si disbandarono. Tarleton, corso per alcuni dì la
contrada posta sulla stanca del Tigre, se ne tornò di pian passo sulle
rive del fiume Broad nella meridional Carolina. Così si travagliava da
ambe le parti con una guerra guerriata, nei piccoli incontri della quale
e molto ardire si mostrava, e maggiore si pigliava.

In questo mezzo tempo Gates, racimolate alcune poche genti massimamente
cavalli, per mantener vivo in quelle parti il nome del congresso, e
rizzare una testa, che col tempo si potesse ingrossare, ripassato, il
fiume Jadkin, era venuto a por gli alloggiamenti a Charlottes-town,
intendendo anche di far isvernare ivi l'esercito; perciocchè credeva,
che durante l'inverno, che già si avvicinava, non si sarebbe potuto in
quelle contrade guerreggiare. Mentre Gates con grandissima diligenza si
adoperava per apparecchiarsi ad una nuova guerra, e che già pareva, gli
ritornasse la prosperità della fortuna, arrivò al campo il generale
Greene, il quale avendo generato di sè ottimo concetto di persona di
molto valore, e d'altrettanta fede verso la repubblica, era mandato dal
congresso e da Washington a pigliare in iscambio di quello il governo
dell'esercito. Sopportò Gates, siccome quegli, che più amava la sua
patria, che il potere e la gloria, non solo con costanza, ma ancora
senza mal umore questo sinistro della fortuna. Confortollo assai
l'assemblea della Virginia, la quale passando egli per Richmond per
ridursi alle sue case, lo mandò a visitare, assicurandolo, che la
memoria delle sue gloriose gesta non poteva cancellata essere da nissuna
disgrazia; andasse pur sicuro, che i Virginiani sempre ricordevoli de'
suoi meriti non avrebbero nissuna occasione trasandato per testimoniar
al mondo quella gratitudine, che come membri dell'americana lega gli
portavano. Non condusse seco Greene alcun rinforzo dall'esercito
settentrionale, sperando, che il caso si potesse medicare colle sole
forze delle meridionali province. Solo venne con lui il colonnello
Morgan con alcune carabine, che erano in grandissimo nome di soldati
esercitatissimi. Era il suo esercito molto debole. Ma i boschi, le
paludi, i fiumi, dei quali era piena la contrada, lo assicuravano.
Siccome l'intento suo era soltanto di badaluccare, non di far battaglie
giuste, così sperava di poterne venire a capo con attritare e consumare
appoco appoco il nemico. Quasi nel medesimo tempo, ch'era la metà di
decembre, era arrivato dalla Virginia a Charlestown con un rinforzo di
meglio, che duemila stanziali Leslie, dove, trovati nuovi ordini, si
pose tosto in via con quindici centinaia di soldati, ed andò a
congiungersi col lord Cornwallis a Winnesborough.

[1781]

Ricevuto questo rinforzo, si rinnovarono nel capitano britannico i
medesimi desiderj di conquistar la Carolina Settentrionale, e,
oltrepassata questa, di entrare nella Virginia. Ma i Capi britannici per
meglio assicurarsi dell'esito di questa impresa, non l'ebbero commessa
solamente all'esercito, che militava sotto gli ordini di Cornwallis, ma
vollero di più, si facesse nel medesimo tempo un gagliardo motivo dalla
parte della Virginia; non già per conquistarla totalmente, imperciocchè
a questo senza le forze di Cornwallis non erano sufficienti, ma sibbene
soltanto per impedire, che da quella provincia potente non fossero
mandati aiuti all'esercito di Greene. A questo fine avevano imposto al
generale Arnold, che si recasse nel Chesapeack, e là, sbarcate le genti,
facesse tutto quel maggior male che potesse. Speravano altresì, che il
suo nome ed il suo esempio avrebbero dato animo a molti ad abbandonare
le insegne della repubblica per andare a porsi sotto quelle del Re. Iva
Arnold alla fazione molto baldanzosamente con un'armata di cinquanta
navi da carico, e quindici centinaia di soldati. Sbarcato, mandava
sottosopra ogni cosa. A Richmond ed a Smithfield fece un danno
incredibile. Ma stormeggiando i popoli all'intorno, e le milizie
levandosi in capo, si ritirò a Portsmouth, e quivi attendeva a
fortificarsi. Perocchè andarsene non voleva per tener quel calcio in
gola agli Americani, correre la campagna non poteva, essendo troppo
debole in mezzo ad una provincia gagliarda, e molto al nome reale
nemica. Questa ladronaia produsse in parte gli effetti, che se ne
aspettavano, ed in parte no; poichè i soccorsi di verso la Carolina ne
furono ritardati; ma del venire gli abitatori a trovar l'Arnold, nissuno
se ne trovò, essendo gl'incendj, le rovine ed il sacco poco acconci
allettativi ai popoli. Ma nella Carolina la guerra già era incominciata;
ed i due capitani nemici si erano accinti a riempire i disegni, che
ordito avevano. Erasi mosso da Winnesborough lord Cornwallis, e
camminava tra i due fiumi Broad e Catawba per recarsi per le vie
superiori verso la Carolina Settentrionale. Già era giunto a
Turkey-creek. Greene per impedire i progressi dell'esercito regio si
risolvette a fare una dimostrazione per assaltar il posto di Ninety-six,
mentre nel medesimo tempo mandò Morgan con cinquecento stanziali
virginiani, alcune bande di milizie, ed i cavalleggieri del colonnello
Washington a guardare i passi del fiume Pacolet. Egli poi andò a porsi a
Hick's-creek sulla sinistra riva del Pedee rimpetto a Cheraw-hill.
L'avere diviso in tal modo le sue genti già sì deboli, fu da molti
riputato biasimevole consiglio. Imperciocchè, se gl'Inglesi si fossero
spinti innanzi velocemente, avrebbero potuto cacciarsi di mezzo tra lui
e Morgan, e riportarne agevolmente la vittoria di ambidue. Ma forse
credette, che i regj fossero, come in parte era vero, troppo ingombri
d'impedimenti per far una sì presta mossa; e forse ancora non aveva
avuto avviso della congiunzione di Leslie con Cornwallis. Questi spedì
immantinente Tarleton colla sua legione di cavalli, e con una parte dei
fanti in aiuto di Ninety-six. Giunto Tarleton nelle vicinanze di questa
Terra trovò ogni cosa sicura, ed i nemici essersi ritirati dopo alcune
leggieri avvisaglie. Allora si determinò a volgersi contro Morgan,
tenendo per certo, o di poterlo rompere con uno assalto improvviso, od
almeno di farlo ritirare al di là del fiume Broad, lasciando in tal modo
sgombra la strada all'esercito reale. Ne scrisse a Cornwallis, il quale
non solo approvò il disegno, ma ancora si risolvette a cooperarvi,
salendo lungo la sinistra riva del Broad a fine di minacciar Morgan alle
spalle. Le cose da principio succedevano bene. Tarleton, superati con
eguale celerità che felicità i fiumi Ennoree e Tigre si appresentava
sulle rive del Pacolet. Morgan si ritirava da questo, e Tarleton,
occupato il passo, lo perseguitava. Già già lo incalzava. Ora era
divenuta cosa pericolosa a Morgan il varcare il fiume Broad, presso il
quale si trovava, avendo un sì feroce e lesto nemico vicino. Per la qual
cosa si determinò ad aspettare la battaglia. Ordinava i suoi molto
convenevolmente partendogli in due file, delle quali la prima, che fu la
vanguardia, ed era condotta dal colonnello Pickens fece distendere
fuori, e lungo il ciglione di un bosco in vista del nemico. La seconda
guidata dal colonnello Howard nascose dentro il bosco medesimo. Era, in
quest'ultima, posta la principale speranza della vittoria; perciocchè
era composta la maggior parte di valenti soldati stanziali, mentre la
prima constava di bande raunaticce di milizia. Il colonnello Washington
co' suoi cavalli si era attelato, come per servire alla riscossa, dietro
questa seconda schiera. Sopraggiunse Tarleton, ed ordinò anch'egli i
suoi alla battaglia. Ogni cosa pareva promettergli la vittoria.
Prevaleva di cavalli, ed i suoi sì uffiziali che soldati si dimostravano
ardentissimi al combattere. Assalirono gl'Inglesi la prima schiera
americana, la quale, fatta una sola scarica con poco danno del nemico,
disordinatamente andò in volta. Si attaccavano allora colla seconda; ma
quivi trovarono più duro incontro. Sì menava le mani aspramente dalle
due parti, e la battaglia era pareggiata. Tarleton per far piegare la
fortuna in suo favore spinse avanti uno squadrone della seconda schiera,
e nel medesimo tempo mandò una frotta di cavalli a ferire il destro
fianco degli Americani; perchè il noiargli sul sinistro non si ardiva a
cagione, che in questo si trovava il colonnello Washington, il quale già
con una feroce affrontata aveva ributtato indietro la cavalleria, ch'era
andata ad annasarlo. Le mosse di Tarleton ebbero l'effetto che ne
aspettava. Gli stanziali americani piegarono, e disordinati rincularono.
Seguitavano gl'Inglesi già gonfiati dall'aura della vittoria. Già
Tarleton colla cavalleria manometteva i fuggiaschi, quando ecco il
colonnello Washington co' suoi cavalli, ch'erano rimasti intieri,
caricare improvvisamente l'inimico furiante, e messosi nella gran pressa
ristorar la fortuna della giornata. Nell'istesso momento Howard aveva
riordinato i suoi stanziali, e gli riconduceva alla pugna. Pickens
ancor'egli, con incredibile sforzo operando, aveva rannodato le milizie,
e le spigneva rattamente contro i reali. Morgan con voce ed aspetto
terribile incuorava i suoi alla battaglia. Tutti gli Americani in un
subito, e con impeto concorde si serrarono addosso agl'Inglesi. Questi
sorpresi e sbalorditi all'inaspettato rincalzo, prima si ristettero,
poscia andarono in fuga. Instarono i primi, e strettamente perseguitando
i fuggiaschi gli sfondolarono. Nè i preghi, nè le minacce, nè le
esortazioni de' Capi gli poterono trattenere. La rotta fu assai grave.
Perdettero gl'Inglesi tra morti, feriti e prigionieri meglio di
ottocento soldati, due cannoni, le insegne del settimo reggimento, tutto
il carreggio e le bagaglie. Ma perdita gravissima ed irreparabile fu
quella dei cavalli grandemente necessarj all'esercizio della guerra in
quei luoghi piani, e tanto opportuni alle insidie. Tale fu l'esito della
battaglia di Cowpens, gli effetti della quale risentirono gl'Inglesi in
tutto il corso della caroliniana e della virginiana guerra, e fu la
prima e principal cagione del fine, ch'ella ebbe. Imperciocchè oltre la
perdita piuttosto di totale, che di grande importanza dei cavalli,
l'aver rotto Tarleton e la sua legione, che diventati erano terribili ad
ognuno, infuse novelli spiriti in quelle genti; e se prima erano, o
sbigottite, o disperate, ora diventarono confidentissime. Rendè il
congresso pubbliche ed immortali grazie a Morgan, e lo presentò con una
medaglia d'oro. Presentò altresì con una d'argento i colonnelli
Washington e Howard, con una spada Pickens.

Cornwallis, avute le novelle della rotta di Cowpens, ne sentì gravissimo
dolore; perciocchè vi aveva perduto la miglior parte de' suoi soldati
armati alla leggiera, ch'erano i principali stromenti a' suoi ulteriori
disegni. Ma da quell'uomo valoroso, ch'egli era, nulla sgomentandosi, si
determinò a voler ottenere coi maggiori sforzi dei soldati, che gli
rimanevano, e colla distruzione delle bagaglie quello, che dapprima
fondavasi di poter conseguire coll'opera de' stracorridori. Laonde due
giorni intieri impiegò nel guastare, o sformar tutti quegl'impedimenti,
che all'esercizio della guerra, ed al vivere dei soldati non erano
assolutamente necessarj. Tutti i carri ne furono distrutti, eccettuati
solo quelli, che servivano ad uso di trasportare il sale, le munizioni,
gli arnesi da ospedale, e quattro altri vuoti pei feriti ed i malati. Le
più preziose bagaglie dei soldati ne furon disfatte; il vino, ed i
liquori tanto salutevoli, massimamente nelle guerre invernali, sparsi al
suolo. I soldati non portarono altre sostanze da cibarsi fuori di alcune
poche provvisioni di friscello. Sopportò l'esercito regio con
incredibile pazienza ogni cosa, e si dimostraron tutti obbedientissimi
nel fare i comandamenti del capitano generale. Due erano i pensieri, che
occupavano la mente di Cornwallis in questo tempo. L'uno era di correre
immediatamente contro Morgan, romperlo, liberare i prigioni, ed impedire
che non si raccozzasse con Greene, il quale tuttavia si trovava a
Hick's-creek. Il secondo, e di molto maggior importanza, quello era di
marciar a gran giornate verso Salisbury, e verso le fonti del Jadkin,
prima che Greene avesse varcato questo fiume. Il qual fine se si fosse
conseguito, ne nasceva di necessità, che il generale americano stato
sarebbe tagliato fuori dagli aiuti, che gli arrivavano dalia Virginia, e
costretto od a ritirarsi alla sfilata, e con perdita di tutte le
bagaglie, ed armi gravi, o combattere una battaglia non a modo suo, ma a
quello del nemico. E come aveva disegnato, così si metteva in punto di
eseguire. Si mosse egli più che di passo, ed a gran giornate marciando,
iva volgendo il suo cammino verso dritta alla volta del fiume Catawba,
sperando d'intraprendere ed opprimere Morgan, prima che l'avesse
passato. Ma gli Americani stavano alla vista. Morgan, tosto acquistata
la vittoria di Cowpens, sapendo benissimo, che Cornwallis non era
lontano, aveva inviato indietro i prigionieri sotto la condotta di un
capitano fedele, e poco poscia si era mosso egli stesso con tutte le sue
genti verso la Catawba. E tanta fu la diligenza, che usò, che il dì 29
gennajo l'ebbe passata con tutte le armi, le munizioni ed i prigionieri.
Non sì tosto avevano gli Americani varcato, che sopraggiunsero
gl'Inglesi: e se rimanessero attoniti e dolorosi al veder l'inimico
sull'opposta riva, non è da domandare. Morgan, facendosi tuttavia
trottare avanti i prigionieri alla volta della Virginia, ordinò i suoi
di modo, che potessero se non impedire, almeno ritardare il passo ai
reali. Ma un altro, e questo insuperabile ostacolo opponevano loro i
cieli favorevoli in quel dì ai repubblicani. Questo fu, che sì
dirottamente piovve la notte precedente nelle vicine montagne, che
gonfiatasi la Catawba improvvisamente divenne impossibile ad essere
varcata. La qual piena se fosse venuta poche ore prima, Morgan con tutti
i suoi si sarebbe trovato a strettissimo partito. In questo arrivò
Greene al campo di Morgan, e si recò in mano il governo di tutta la
schiera. Aveva egli avvisandosi benissimo del disegno di Cornwallis,
ordinato alle sue genti, che si trovavano a campo a Hick's-creek, che,
lasciati indietro tutti gl'impedimenti, velocemente marciassero, tenendo
le vie superiori verso le montagne per trovar le grotte dei
fiumi più benigne, ed i guadi più facili, alla volta della
Carolina Settentrionale, ed andassero a far la massa generale a
Guilford-court-house. Egl'intanto precedendo si era recato, come abbiam
detto, agli alloggiamenti di Morgan sulla sinistra riva della Catawba.
Eseguivano le genti di Hick's-creek guidate da Huger non solo appuntino,
ma con incredibile zelo gli ordini del capitano generale. Le piogge
erano tali, che credute erano sfoggiate anche a quella stagione; i ponti
rotti, le acque grosse, le strade sfondate, o pietrose, o gelate a
grossi tocchi; i soldati senza scarpe, senza vestimenta, e qualche dì
senza pane. Eppure tutti questi disagi sopportavano con non minore
costanza, che gl'Inglesi si facessero i loro. Nissuno disertò, in ciò
tanto più da lodarsi dei loro nemici stessi, poichè i repubblicani
ritornandosene alle case loro erano sicuri di trovarvi ristoro,
mentrechè i regj sbandandosi incontrato avrebbero un paese nimichevole
tutto all'intorno. Mentre queste genti marciavano, avendo in animo di
ridursi tutte a Guilford, abbassatesi le acque della Catawba, si aprì il
varco ai reali. Ma dall'altra parte stavano avvisati i repubblicani per
contrastarlo. Non solo vi era la valente schiera di Morgan, ma tutte le
bande paesane delle vicine contee di Roano, e di Mecklenburgo,
nemicissime al nome inglese, erano accorse. Ciò nonostante si risolvè
Cornwallis a tentar l'impresa, giudicando, fossero cose di troppo gran
momento, sia quella d'intraprendere le genti di Huger, prima che
arrivassero a Guilford, sia l'altra di ficcarsi in mezzo tra loro e la
Virginia. Per la qual cosa andava avvolgendosi su e giù per la destra
riva del fiume, facendo le viste di volere, per aggirar il nemico,
passar in differenti luoghi. Ma il suo vero disegno era di varcare al
passo di Gowan. Infatti la mattina del primo di febbraio gl'Inglesi
guadavano. Era il fiume largo, profondo, sassoso. Gli Americani posti
sulla sinistra riva, e condotti dal generale Davidson, tutte bande di
milizia, perciocchè Morgan si trovava a guardar un altro passo, traevano
spessi colpi a mira ferma. Ma gl'Inglesi non ristandosi si spingevano
avanti con grandissimo coraggio, ed in fine, ributtati indietro i primi
feritori, e felicemente superata la grotta del fiume, apparirono. Tosto
pigliavano gli ordini, ed incominciavano la battaglia. Come prima si
venne al paragone dell'armi fu morto Davidson. Le milizie andarono in
fuga. Anche le schiere, che si erano poste alla guardia degli altri
passi gli abbandonarono. Tutto l'esercito reale passò trionfando
sull'altra riva. Le milizie si disbandarono. Solo alcune fecero una
testa a Tarrant; ma assalite furiosamente da Tarleton si disperdettero
del tutto. Morgan intanto si ritirava intiero, ed a gran passo verso
Salisbury, intendendo di varcar colà il Jadkin, e così frapporre un
grosso fiume tra sè e l'esercito reale. Seguitavanlo velocemente i regj
ardentissimi nel desiderio di vendicarsi della rotta di Cowpens. Ma tale
fu la celerità sua, e tali gl'impedimenti, che frappose ai
perseguitatori, che passò con tutti i suoi, parte a guado, parte in sui
battelli il fiume ne' primi giorni di febbraio felicemente. Ritirò tutti
i battelli sulla sinistra riva. Arrivarono poco stante a tutta corsa
gl'Inglesi condotti dal generale O-Hara. Osservarono, il nemico aver
varcato, e starsene attelato dall'altra parte, pronto a ributtargli, se
volessero passare. Ciò però non gli avrebbe potuti trattenere dal
tentarlo, se non se che per le cadute piogge tanto gonfiò
improvvisamente il Jadkin, che ogni speranza di poterlo fare fu tolta
loro. I pii abitatori dell'America giudicarono, queste subite piene
essere state una visibile assistenza, che la provvidenza del cielo
avesse mandato in pericolosi tempi alla giusta causa loro. Imperciocchè
se l'acque, prima della Catawba, poscia quelle del Jadkin cresciute
fossero poche ore prima, l'esercito loro, non potendo varcare, sarebbe
stato tagliato a pezzi dai veloci vincitori. Se poi gonfiate non fossero
poche ore dopo, avrebbero potuto gl'Inglesi subitamente traghettare
dietro gli Americani, e ne sarebbero stati tratti all'ultimo sterminio.
Così parvero egualmente provvide e le piene, e le ore. Cornwallis,
veduto di non poter varcare al passo di Salisbury, ch'è il più comodo,
ed il più frequentato di tutti gli altri, si deliberò di marciar
all'insù del fiume, sperando di poterlo traversar a guado là, dov'ei si
dirama. E come sperava, così gli venne fatto; ma l'indugio, che questa
aggirata causò, diè tempo agli Americani di ritirarsi quietamente a
Guilford, dove il giorno sette di febbraio si congiunsero con
incredibile allegrezza, e non poca lode di Greene le due schiere
dell'esercito d'America, quella di Huger, che per non aver potuto
pareggiare la celerità di Greene era rimasta indietro, e l'altra di
Morgan. In cotal modo e per la prudenza dei capitani del congresso, e
per la pazienza e la velocità dei loro soldati, e per uno tempestivo
aiuto del cielo furon rotte al conte di Cornwallis due parti
principalissime del suo disegno, quella di sopraggiungere ed attritar
Morgan, l'altra d'impedire la congiunzione sua con Huger. Rimaneva da
potersi conseguire l'ultima parte, ch'era, quella di tagliar fuori
Greene dalla Virginia, ai confini della quale già l'uno esercito e
l'altro si trovava sì vicino. È la Virginia separata dalla Carolina
Settentrionale per mezzo del fiume Roanoke, il quale nelle parti
superiori porta il nome di Dan. Siccome il capitano britannico credeva,
che il fiume nelle basse parti non fosse guadoso, così andava
considerando, che, se potesse guadagnare i passi superiori, gli verrebbe
intieramente fatto il suo disegno. Imperciocchè Greene non potendo
varcare il Dan, ne sarebbe stato accerchiato, e serrato a ponente da
grossi fiumi, a levante dal mare, a tramontana da Cornwallis, a ostro da
Rawdon, il quale, come già abbiam notato, alloggiava con una grossa
schiera a Cambden. Le forze poi di Greene non erano tali malgrado la
congiunzione, che potessero bastare contro quelle di Cornwallis; e già
gl'Inglesi si promettevano la vittoria compiuta e certa. Gli uni e gli
altri prevedevano benissimo, ch'ella ne andava a coloro, che avessero
migliori gambe avuto. Per la qual cosa e regj e repubblicani camminavano
con estrema celerità verso guadi superiori. Prevalsero i reali, i quali,
per ricompensar con la prestezza il tempo perduto a' passi dei fiumi,
fecero in ciò un grandissimo sforzo, ed i primi questi guadi occuparono.
Ora si trovava Greene in gravissimo pericolo. Si volse egli rattamente
ad un guado inferiore, che chiamano di Boyd, incerto della vita o della
morte de' suoi, poichè non sapeva, se si avrebbe potuto passare.
Seguitavanlo i regj infuriati, e gonfj dalla speranza della vicina e
totale vittoria. Greene in tanto pericolo, nulla dimenticatosi di sè
stesso, nissuna di quelle parti ebbe tralasciato, che a prudente ed
animoso capitano di guerra si appartengono. Fece un grosso gomitolo di
valentissimi soldati armati alla leggiera, consistente nei colonnelli di
cavalleria di Lee, di Bland e di Washington, nei fanti leggieri
stanziali, ed in alcune carabine. Comandava loro, reprimessero
l'inimico, salvassero l'esercito. Egl'intanto con tutte le salmerie, e
le restanti genti velocemente procedeva verso il passo di Boyd. Calarono
a furia i reali da Salem alle fonti del fiume Haw, da queste al
Reedy-fork, dal Reedy-fork al Troublesome-creek, e quindi per alla volta
del Dan. Ma già quella votata schiera di repubblicani con feroci
incontri, e col rompimento dei ponti, e col guastamento delle strade gli
aveva ritardati. Già Greene toccava le rive dei fiume; il trovava
guadoso; alcuni battelli presti il traghettavano; teneva le virginiane
terre. Anche le salmerie tutte trapassarono; il gomitolo stesso dei
preservatori dell'esercito arrivava poco dopo, e, varcato con prospero
augurio il fiume, guadagnava anch'esso la desiderata sponda a
salvamento. Arrivarono poco stante sulla destra del fiume avventatissimi
i reali, dove nissun nemico osservarono, ogni cosa in salvo sull'opposta
riva, l'esercito d'America schieratovi in altitudine minaccevole, guaste
tutte le loro speranze, perduto il frutto di tante fatiche e di tanti
disagi. La ritirata di Greene, e la perseguitazione di Cornwallis debbon
riputarsi fra quegli avvenimenti dell'americana guerra, che più degni
sono di considerazione, e che non sarebbero stati disdicevoli anche ai
più celebrati capitani sì di quelli, che dei passati tempi.

Caduto lord Cornwallis dalle speranze sì liete, che concetto aveva, iva
ora considerando quello che fosse a fare. L'assaltar la Virginia,
provincia tanto possente con un esercito debole, come quello era, che
obbediva a' suoi comandamenti, ed essendo quello del nemico dall'altra
parte tuttavia intiero, gli parve partito troppo pericoloso. Perlochè,
messosene giù, si risolvette, poichè diventato era padrone di tutta la
Carolina Settentrionale, a voler farvi levar le genti in favor del Re.
Con questo pensiero, lasciate le rive del Dan, se ne tornò con comodi
alloggiamenti ad Hillsborough, dove per aiutar le cose sue, rizzato lo
stendardo reale, invitò i popoli con un pubblico bando ad accorrervi, e
ad ordinarsi in regolari compagnie. Ma non vi ebbe contro il congresso
quel seguito, che si era persuaso; poichè sebbene venissero a trovarlo
molto frequentemente alcuni per curiosità, molti per sopravvedere, e per
far le spie, tutti però ripugnavano al mestier di soldato. Si dolse
Cornwallis nelle sue pubbliche lettere della freddezza loro. Nissun
fondamento poteva fare sull'aiuto dei popoli di questa provincia stata
altre volte tanto affezionata al nome del Re. Ma la lunga signoria de'
libertini, le enormità commesse dai soldati del Re in varj luoghi
dell'America vi avevano cambiato ogni cosa. I popoli dimostravano animo
poco stabile nella divozione del Re, e la vicinanza dell'esercito
repubblicano intero, che poteva ad ogni ora di nuovo prorompere,
gl'intimoriva. In questo mezzo tempo gl'Inglesi s'impadronirono con
un'armatetta, e con genti venute da Charlestown di Wilmington, città
della Carolina Settentrionale posta presso le foci del fiume del capo
Fear. Ivi si fortificarono, e predarono munizioni, siccome pure alcuni
legni sì americani che francesi. Quest'impresa, la quale era stata
ordinata da Cornwallis già prima, che si partisse da Winnesborough per
seguitar Morgan, tentarono gl'Inglesi a fine di aprirsi la via dai
contorni di Hillsborough fino al mare per mezzo del fiume del capo Fear,
cosa di somma importanza, perchè speravano in tal modo poterne ricevere
le provvisioni.

La ritirata di Greene nella Virginia, quantunque tutti quegli effetti
non avesse partorito negli animi dei Caroliniani fedeli al Re, che
Cornwallis si era persuaso dovesse operare, tuttavia aveva eccitato in
alcuni fresche speranze e desiderj di cose nuove. Il capitano inglese
poi era intentissimo nell'incoraggiargli ed esortargli al correre
all'armi. Era fama, che il distretto situato tra i fiumi Haw e Deep
abbondasse soprattutti di leali; e per fargli sollevare, mandò
Cornwallis Tarleton nel paese loro. Non pochi vi alzarono le bandiere
del Re. La famiglia dei Pili, molto principale, era fra tutte la più
ardente e la prima guidatrice dei loro consiglj. Già un colonnello di
questa famiglia aveva raggranellato una grossa banda de' suoi più arditi
seguaci, ed era in via per accostarsi a Tarleton. Ma Greene, il quale
s'accorgeva benissimo, quanto il lasciar cader del tutto le cose della
Carolina Settentrionale disgraziasse le armi del congresso, e temendo
che i leali non vi suscitassero qualche grave incendio, aveva di nuovo
mandato sulla destra riva del Dan il colonnello Lee coi cavalleggieri, a
fine facesse punta d'intimorir i leali, di rinfrancar i libertini, e
d'impedire, che il nemico non vagasse alla libera pel paese. Intendeva
anche, tostochè ricevuto avesse i rinforzi, che già erano in via, di
ripassare egli stesso il fiume, e recarsi di nuovo sulle caroliniane
terre; imperciocchè aveva preso la ricuperazione delle Caroline a scesa
di testa. Faceva Lee egregiamente l'opera sua, la quale non penò molto a
riuscir fatale ai seguaci di Pilo. Stavano questi, siccome quelli, che
poco conoscevano gli scaltrimenti della guerra, molto a mala guardia, sì
fattamente, che credendosi per via d'incontrarsi nello squadrone di
Tarleton, diedero dentro a quello di Lee. L'Americano, accerchiatogli,
gli assalì ferocemente. Essi, che tuttavia credevano di aver a fare con
Tarleton, il quale scambiati gli avesse per libertini, sclamavano,
guardasse bene quello che si facesse; perciocchè essi erano leali.
Andavano gridando a tutta possa, _Viva il Re_, mentre Lee infuriato gli
affettava. E brevemente non si fe' fine all'uccisione, finchè non furono
tutti o morti o prigionieri. Così questa gente inesperta fu condotta
alla mazza da un capitano temerario per aver fatto maggior fondamento
sul calor delle parti, che sui buoni ordini militari. Dopo questo fatto,
che fu piuttosto uno inretamento ed uccisione di regj, che battaglia,
Tarleton, il quale si trovava vicino, si metteva tra via per andare ad
incontrar Lee. Ma un comandamento di Cornwallis lo arrestò, e fe'
tornare a Hillsborough. La cagione di questa subita risoluzione del
capitano britannico si fu, che Greene, quantunque non avesse ancor
ricevuto altro che una piccola parte dei rinforzi, che aspettava, aveva
animosamente ripassato il Dan, e di nuovo minacciava di correre la
Carolina; non che intendesse di combattere una battaglia giudicata,
prima che avesse l'esercito intiero, ma per mostrare intanto a
Cornwallis ed ai libertini della provincia, che egli era vivo ed abile
all'osteggiare. Poneva gli alloggiamenti sulla sinistra riva, e molto in
su presso le fonti dell'Haw per evitar la necessità del combattere.
Cornwallis, udito, che le armi di Greene si facevano di nuovo sentire
nella Carolina, abbandonando Hillsborough, e passando l'Haw più sotto,
andò a porsi presso l'Allemance-creek, facendo correre i cavalli di
Tarleton fino al fiume Deep. Così i due eserciti si trovavano molto
vicini, e solo separati dal fiume Haw. Seguivano spesse scaramucce, tra
le quali una ne avvenne di non poca importanza, nella quale Tarleton fe'
gran danno nella legione di Lee, ai montanari ed alle milizie del
capitano Preston. Si andarono per lo spazio di molti dì i due nemici
capitani con molta maestria volteggiando, l'Americano per ischivar la
battaglia, l'Inglese per farla; nel che tanto fu avventurato, od esperto
Greene, che ottenne l'intento suo. Infine avendo egli verso la metà di
marzo messo in assetto nuove genti, massimamente stanziali e bande
paesane della Virginia condotte dal generale Lawson, ed alcune milizie
caroliniane guidate dai generali Butler, e Eaton, fatto confidente, si
determinò a non voler più sfuggir l'incontro, ma per lo contrario a
combattere coi nemici a bandiere spiegate in una terminativa battaglia.
Si spinse perciò innanzi con tutte le genti, ed andò a piantar gli
alloggiamenti a Guilford-courthouse. Argomentava, che siccome prevaleva
di numero di soldati, e principalmente di cavalli, la sconfitta dei suoi
non avrebbe potuto essere totale, nè irreparabile; e che il più
pernizioso effetto, che avrebbe operato, stato sarebbe quello d'indurre
la necessità di ritirarsi un'altra volta nella Virginia, dove avrebbe
potuto agevolmente rifar l'esercito. Considerava ancora, che le milizie,
le quali abbondavano nel campo, si disbanderebbero prontamente, se non
fossero usate tosto, e durante il primo calore degli animi loro. Da
un'altra parte, se gl'Inglesi rimanevano perdenti, lontani dalle navi
loro, in mezzo ad un paese tanto avverso, impossibilitati alla ritirata,
ne sarebbe stato l'esercito loro conculcato e disfatto. Certo nella
vicina battaglia mettevano più gran posta gl'Inglesi, che gli Americani.
Cornwallis dal canto suo si accorgeva ottimamente, che il rimaner più
lungo tempo in que' luoghi con un esercito nemico sì possente da fronte,
e coi popoli all'intorno o freddi, o titubanti, o avversi non era più
oltre cosa possibile ad eseguirsi. La ritirata poi, oltrechè sarebbe
riuscita d'infinito pregiudizio agl'interessi del Re, doveva riputarsi
pericolosissima, per non dire del tutto impraticabile. I suoi soldati
erano veterani valentissimi, usi a tutte le arti, ed a tutti i pericoli
della guerra, e già nudriti in tante vittorie. Perilchè, non lasciato
luogo a dubitazione alcuna, scegliendo fra tutti il partito, se non il
meno pericoloso, certo il più onorevole, avviò tosto il suo esercito
alla volta di Guilford con animo di por fine una volta a tanti indugi,
ed a tante giravolte con una giusta e determinativa battaglia. Per
essere più spedito, e per precauzione in caso di sconfitta, mandò il
carreggio colle bagaglie con una grossa scorta sino a Bell's-mills,
luogo situato sul fiume Deep. Greene anch'esso, dirizzate prima le
salmerie a Ironworks a dieci miglia distante alle spalle, aspettava la
battaglia. L'uno e l'altro mandavano avanti gli stracorridori per
pigliar lingua. S'incontrarono nello spazio tra mezzo i due eserciti
quei di Tarleton con quei di Lee, e ne seguì un feroce affrontamento.
Dapprima la fortuna inclinava a favore di Lee, poscia cresciuti di
numero gl'Inglesi, superò Tarleton. Lee si ritirava di nuovo al campo.
In questo mentre l'uno e l'altro esercito si apparecchiava a far la
giornata. Vi erano nell'Americano da seimila uomini, la maggior parte
milizie della Virginia, e della Carolina Settentrionale, il rimanente
stanziali virginiani, marilandesi e delawariani. Gl'Inglesi, inclusi
anche gli Essiani, sommavano a un dipresso a duemila quattrocento
soldati. Era la contrada tutto all'intorno una boschereccia
selvatichezza interrotta qua e là da campestri campi. Una collina dolce
e boscata s'attraversava, e molto dall'una parte e dall'altra si
continuava della strada maestra, che guida da Salisbury a Guilford. La
strada stessa passava per mezzo la selva. Da fronte, e prima che si
arrivasse a piè della collina, v'era un campo largo seicento passi.
Dietro la selva, tra il suo cisale posteriore, e le case di Guilford si
distendeva un altro campo spedito, molto acconcio a volteggiarvi dentro
i soldati. Questa collina selvosa, e questo campo aveva Greene empiuto
di genti, e, fatto ivi il suo alloggiamento fermo, intendeva di
combattere la vicina battaglia. Aveva egli nel seguente modo assembrato
i suoi soldati. Erano partiti in tre schiere. La prima composta di bande
paesane della Carolina Settentrionale guidata da Butler, e da Eaton si
era fermata alle falde della collina sull'anteriore orlo della selva, ed
aveva a petto una folta siepe. Due bocche da fuoco guardavano la strada
maestra. La seconda consistente in milizie virginiane, e governata da
Stephens, e da Lawson erasi attelata dietro, e parallela alla prima
dentro il bosco, forse ottocento passi distante. Gli stanziali poi sotto
il generale Huger, ed il colonnello Williams si erano fermati nel campo
frapposto tra la selva e Guilford, dove potevano adoperarsi e mostrare
la loro virtù. Due altre bocche da fuoco arringate sopra un poggio a
lato loro erano pronte a spazzar la strada. Il colonnello Washington
cogli uomini d'arme, e con alcuni fanti leggieri, ed i corridori di
Linch assicurava il fianco destro, il colonnello Lee con altri fanti
leggieri, ed i corridori di Campbell il sinistro. Ma Cornwallis
disponeva le sue genti di modo, che il generale Leslie con un reggimento
inglese, ed il reggimento essiano di Bose occupassero la diritta della
sua prima fila; ed il colonnello Webster con due colonnelli di soldati
inglesi la sinistra. Un battaglione delle guardie formava un poco di
retroguardo ai primi, ed il generale O-hara con un altro al secondo.
L'artiglierie, e gli uomini d'arme marciavano stretti sulla calpestata.
Tarleton colla sua legione arringatosi sulla medesima tenne ordine di
non muoversi, se non in caso di estremo bisogno, fino a che le fanterie,
superato il bosco, spinte si fossero nel campo posteriore, dove la
cavalleria avrebbe potuto a posta sua armeggiare. Incominciava la
battaglia coll'allumarsi da ambe le parti le artiglierie, che non poco
diradarono le file. Poscia gl'Inglesi, lasciate indietro le artiglierie,
si spinsero avanti, traversando scoperti, ed esposti ai colpi del
nemico, il campo anteriore. Le milizie caroliniane senza far motto gli
lasciarono approssimare, poscia trassero. Gl'Inglesi, fatto una prima
scarica, si avventaron correndo colle baionette. Fecero i Caroliniani
cattivissima sperienza. Senza aspettar l'urto del nemico, nonostante la
fortezza del sito loro, abbandonarono la zuffa, e si misero
vergognosamente in fuga. I Capi gli confortarono invano per far loro
riassumere gli ordini, e per rannodargli. Così dette piega, ed andò in
fuga il primo stuolo americano. Stevens, veduta la rotta irreparabile
dei Caroliniani, perchè i suoi non ne sbigottissero, diè voce, che
quelli tenevano ordine, tosto fatti i primi spari, di ritirarsi. Aprì
quindi le sue file per dar luogo ai fuggiaschi, le passassero; poi le
richiuse. Sopraggiunsero gl'Inglesi, e si attaccarono coi Virginiani. Ma
questi sostennero francamente la pugna, e vi fu che fare assai, prima
che volessero cedere il luogo. Finalmente piegarono, e si ritirarono
anch'essi, non senza qualche disordine nelle file, verso gli stanziali.
Intanto tra per l'effetto della battaglia, e quello dell'inegualità del
terreno e della spessezza del bosco si era la schiera inglese anch'essa
disordinata, ed aperta in varj luoghi. Perilchè i capitani, fatti venir
avanti i due dietroguardi, riempirono con questi gli spazj vuoti. Tutta
la schiera allora, passato il bosco, ed arrivata nel campo posteriore,
si lanciava contro gli stanziali. Ma questi asserrati sostennero
l'impeto del nemico valorosamente. Ciascuno di loro dimostrava
egregiamente la sua virtù, sicchè stette per un pezzo la vittoria
dubbia, a quale delle parti dovesse inclinare. Sulla sinistra loro
Leslie trovò sì feroce incontro negli stanziali, che fu costretto a
ritirarsi dietro una fondura, e quivi star aspettando le novelle di
quello, che fosse accaduto in altre parti. Ma nel mezzo vi era gran
pressa, e si travagliava aspramente. Il colonnello Steewart col secondo
battaglione delle guardie, ed una mano di granatieri valorosissimamente
combattendo aveva fatto volger le spalle, e preso due cannoni ai
Delawariani. Ma i Marilandesi valentissimi vennero rattamente alla
riscossa, e non solo ristorarono la battaglia, ma fecero barcollar
gl'Inglesi. Sopraggiungeva in questo mentre il colonnello Washington
colla cavalleria, ed urtati ferocemente i regj, gli metteva in manifesta
fuga, gli tagliava a pezzi, ripigliava i cannoni. Ne furono sperperati,
e quasi morti tutti i soldati di Steewart. Egli stesso ne rimase ucciso.
In questo punto l'evento della giornata pendeva da un sol filo; e se gli
Americani avessero, seguendo la fortuna loro, tutto quello che dovevan
fare, fatto, tutto l'esercito inglese era spacciato. Se tosto rotto le
guardie, e morto Steewart, occupato avessero un poggio, che giace a lato
la strada maestra sull'orlo posteriore del bosco, e munito
d'artiglierie, avrebbero probabilmente rimosso ogni dubbio della
vittoria. Imperciocchè in tale caso non avrebbero potuto gl'Inglesi
rinfrescarsi in quella parte di nuove arme e di nuovi combattitori, ne
sarebbe stata separata l'ala loro sinistra dalla mezzana e dalla
diritta, e le sbaragliate guardie non avrebbero avuto comodità di
riaversi e di riordinarsi. Ma gli Americani contenti a quello, che sin
là avevan fatto, in luogo d'impadronirsi del poggio, andarono a
ripigliare i posti, che avevano prima che si scagliassero contro
gl'Inglesi. Quindi avvenne, che il tenente inglese Macleod, veduto il
bello, si spinse avanti colle artiglierie, e, collocatele in su quel
medesimo poggio, potè ferire aspramente da fronte gli stanziali
americani. I granatieri ed un altro colonnello inglese comparvero sulla
destra dentro il campo, e spintisi avanti percossero anch'essi con
grand'impeto in quelli. Nell'istesso tempo spuntò sulla sinistra
un'altra insegna di stanziali inglesi, e Tarleton arrivò spazzando colla
sua legione. O-hara intanto, avvengadiochè fosse ferito sconciamente,
aveva riordinato le sbattute e sconfitte guardie. Tutte queste genti
mandate ed arrivate in fretta dalle due ali, e dal mezzo in aiuto, e per
riparare alla rotta della mezzana e prima schiera, produssero quegli
effetti che se ne dovevano aspettare. Gli stanziali americani, sopra i
quali era restato tutto il pondo del fatto, assaliti da tante parti,
cominciarono a rimettere del primo impeto, e ad uscire dalla battaglia,
quantunque ordinati, minaccevoli ed attestati. Lasciarono sul campo non
solo i due pezzi di artiglieria, che avevano di fresco riconquistati, ma
ancora due altri in poter del nemico. Webster allora ricongiunse l'ala
sua a quella di mezzo, e, fatto nuovo impeto contro l'estrema ala dritta
di Greene, agevolmente la fugò. Cornwallis si astenne dal far seguitare
dalla cavalleria di Tarleton gli Americani che si ritiravano, perchè di
quella gliene faceva mestiero in altra parte. Si erano attaccate l'ala
dritta inglese colla stanca americana; e quantunque il reggimento
essiano di Bose, condotto dal signor de Buy, il quale in quel dì
combattè con molto valore, e le altre genti inglesi avessero il
vantaggio, tuttavia gli Americani facevano un'aspra contesa. E siccome
il terreno era disuguale ed ingombro di boscaglie, e che le milizie
erano molto atte al combattere alla leggiera, così non potevano i primi
venirne a capo. Fugate ritornavano, cacciate si rimpiattavano, rotte si
rattestavano. In mezzo a questa battaglia sparsa, o per meglio dire
moltitudine di parziali abboccamenti sopraggiunse battendo Tarleton, il
quale girato intorno alla punta dell'ala dritta de' suoi, e nascosto in
mezzo al fumo delle armi loro, imperciocchè a questo fine avevano tratto
tutti ad una volta, urtò l'inimico contrastante, e rottolo gli fece
votar le stanze in ogni parte. Le milizie s'inselvarono. Così furon
liberati gli Essiani da quella lunga, e fin là inestricabile avvisaglia.
In questa maniera fu posto fine all'ostinata e molto varia battaglia di
Guilford, la quale si combattè addì quindici di marzo. Vi perdettero gli
Americani tra morti, feriti, prigionieri e smarriti meglio di tredici
centinaia di soldati. Pochi furono i prigionieri. La più parte de'
feriti si annoverarono tra gli stanziali; i dissipati per la fuga, e
tornati alle loro case fra le milizie. Huger e Stevens furono tra i
feriti. La perdita degl'Inglesi fu in proporzione del numero loro
maggiore, sommando i morti ed i feriti gravemente a più di seicento
ottimi soldati. Oltre Steewart sopraddetto, morì con forte rammarico
loro Webster. Howard e O-hara, che tenevano i primi luoghi nell'esercito
regio, siccome pure Tarleton, rimasero feriti. Dopo la battaglia ritirò
Greene le sue genti dietro il Reedy-fork, dove attese un pezzo a
raccorre i fuggiaschi, gli sciorinati ed i traviati. Poscia
indietreggiando vieppiù, andò a por gli alloggiamenti ad Ironworks sulle
sponde del rivo Troublesome. Cornwallis rimase padrone del campo di
battaglia. Ma non solo non potè côrre nissuno dei consueti frutti della
vittoria, ma ancora fu costretto di abbracciare quei consiglj, che
sogliono usarsi dai vinti. La stanchezza de' suoi, la moltitudine dei
feriti, la fortezza dei nuovi alloggiamenti presi dal generale
americano, ed il prevaler questi di soldati armati alla leggiera,
massimamente di cavalli, lo impedirono dal seguitar la vittoria. Poscia
la vivezza ed il numero dei libertini, la freddezza dei leali, i quali
non che facessero le viste di voler romoreggiare dopo il fatto di
Guilford, se ne stavano quieti, nonostante che Cornwallis con un nuovo
bando gli avesse invitati a correre alle armi, ed a rivoltarsi
all'obbedienza del Re, soprattutto la carestia delle vettovaglie
operarono di modo, che il capitano britannico fu necessitato a tirar le
sue genti indietro sino a Bell's-mills sul fiume Deep, lasciando anche a
New-Garden molti de' suoi più sconciamente feriti in poter dei
repubblicani. Rinfrescate le genti a Bell's-mills, e raggranellate
alcune poche vettovaglie, dirizzò l'esercito verso Cross-creek alla
volta di Wilmington. Lo seguitava spacciatamente Greene, e con un nugolo
di stracorridori continuamente lo noiava alla coda. Non fe' l'Americano
fine alla persecuzione, se non quando egli arrivò a Ramsay's-mills, dove
essendo la contrada sterile e sfruttata, e rottosi dagl'Inglesi il ponte
sul Deep, gli lasciò andar al cammino loro. Ma siccome quegli, che
animoso era, e grande intraprenditore, volendo giovarsi della
congiuntura, in cui i regj si trovavano al disotto, ritorse con
novissimo ardore le sue genti per verso la Carolina Meridionale, la
quale era stata spogliata della più gran parte de' suoi difensori, e
specialmente si difilava a gran giornate contro Cambden. Così Greene
rotto a Guilford era più potente in sui campi che prima; così i
vincitori, come se vinti fossero, partivano dal giuoco, ed i vinti, come
se fossero vincitori, incalzavano fieramente, e di nuovo più arditi, che
prima, correvano alle offese. Cornwallis dopo gravi fatiche e stenti
arrivò a Wilmington il giorno sette aprile. Quivi si appresentavano alla
mente sua due imprese da farsi, ambedue di grandissima importanza. Una
era di muoversi in soccorso della Carolina Meridionale, l'altra di
volgersi alla Virginia per congiungersi colle genti d'Arnold, e con
quelle, che di fresco vi aveva condotte Phillips. Furono molti i
dispareri dei Capi dell'esercito intorno quest'oggetto, dalla decisione
del quale poteva dipendere tutta la somma della guerra. Volevano alcuni,
che si conducesse tosto l'esercito nella Virginia. Allegavano, esser la
contrada tra il fiume del capo Fear e Cambden povera, gretta ed impedita
da frequenti fiumi e fiumane; che specialmente il passare il fiume Pedee
con un nemico così grosso da fronte era cosa troppo malagevole e
pericolosa; che sulla strada per a Georgetown s'incontravano le medesime
difficoltà; che l'imbarcar le genti per a Charlestown era opera tediosa
e lunga; che nulla v'era da temersi per quest'ultima città; che
l'assaltar con esercito potente la ricca provincia della Virginia
avrebbe rivocato Greene dalla Carolina; che non si sarebbe potuto
arrivare in tempo per soccorrere lord Rawdon, che allora si trovava
dentro Cambden, e che, se egli fosse stato rotto prima dell'arrivo
dell'esercito soccorritore, si sarebbe questo trovato nel vicinissimo, e
forse irreparabile pericolo di essere tagliato a pezzi da forze a molti
doppj superiori. Da un altro canto quei, che mantenevano la contraria
opinione, instavano, che le strade alla volta della Virginia erano non
meno, e forse più difficili di quelle che menavano alla Carolina; che
gli indugi dell'imbarcare provenivano massimamente dalla cavalleria, e
che questa poteva sicuramente fare il viaggio per la via di terra; il
che i capitani suoi, e soprattutti Tarleton, si offerivano prontissimi
ad eseguire; che ciò posto si poteva prestamente fare l'imbarco; e se i
venti fossero favorevoli, si sarebbe potuto arrivare nel buon dì in
soccorso della Carolina; che poichè non si era potuto conquistare la
Virginia, si doveva almeno conservar le Caroline; che il recarsi contro
la prima si era un porsi in dubbio di conquistare una nuova provincia, e
nella certezza di perderne intieramente due, e forse tre delle altre,
che già erano in potestà del Re; che già i popoli in queste incuorati
dall'avvicinarsi di Greene, e dalla lontananza dell'esercito si
sollevavano universalmente a cose nuove; che già Marion e Sumpter
correvano la campagna; che ogni cosa vi si volgeva a nuova ribellione;
che poichè nulla si aveva a temere di Charlestown, si doveva anche star
sicuri rispetto a Cambden, città fortificata con un presidio gagliardo
dentro, governato da un capitano esperto e forte; che per altrettanto
tempo, per quanto le città di Charlestown, e di Cambden si reggessero a
divozione del Re, era sempre la Carolina da stimarsi in balìa sua, e da
potersi facilmente tutta ricuperare; lamentavano finalmente, che la gita
verso Cambden non fosse stata intrapresa già fin quando, trovandosi
l'esercito a Cross-creek, si ebbero le novelle, che non si poteva aprir
la via alla navigazione del fiume del capo Fear da quel luogo stesso di
Cross-creek sino a Wilmington. Ma che quantunque pel fatto soprastamento
il prospero successo non fosse più del pari certo, tuttavia era ancora
probabile, e non si doveva tralasciarne la occasione. Prevalse la
opinione dei primi, e Cornwallis indirizzò totalmente l'animo, dopo
fatto una sufficiente fermata a Wilmington a fine di riposar le genti, e
rammassar vettovaglie, a volgersi contro la Virginia. Dalla quale
deliberazione del capitano britannico ne nacque poco appresso quel
fortunoso avvenimento, il quale fu principal cagione del pronto fine
della guerra, e dell'americana independenza.


FINE DEL LIBRO DUODECIMO



LIBRO DECIMOTERZO


[1781]

Mentre nel modo che abbiamo detto, Greene e Cornwallis, i quali si erano
sì lunga pezza vicendevolmente perseguitati, ora spiccatisi l'uno
dall'altro s'incamminavano il primo contro la Carolina Meridionale, il
secondo contro la Virginia, gl'Inglesi e gli Olandesi, nuovi nemici, si
apparecchiavano alla guerra, e già tra di loro esercitavano le ostilità.
Speravano i primi, siccome quelli, che veduto avevano già da qualche
tempo addietro la guerra olandese nell'aria, e perciò meglio acciviti
d'uomini, e d'ogni sorta di arnesi guerreschi si appresentavano, di
potere sulle prime affliggere con qualche gran fatto la potenza e la
ricchezza del nemico; la quale speranza era stata la principal cagione
dell'affrettata denunziazione della guerra. Intendevano, colle vittorie
da acquistarsi contro gli Olandesi, potersi rifare delle perdite fatte
all'incontro dei Francesi e degli Americani, e così arrecare nei futuri
negoziati della pace, quando che fossero, tale somma in tutto di
vantaggi, che bastevol fosse a procurar loro le più favorevoli
condizioni. Da un altro canto aspettavano gli Olandesi cogli aiuti dei
confederati, e colle forze proprie di potere l'antica loro gloria
marittima rinverdire, ricuperare le ricche possessioni state tolte loro
nell'ultime guerre, e liberare il commercio dall'avanìe britanniche. Nel
che grande era la contenzione d'animi in Olanda, e gagliardi gli sforzi
che vi si facevano. Decretava la repubblica, si allestissero da
novantaquattro navi da guerra tra le quali undeci di alto bordo,
quindici di cinquanta cannoni, due di quaranta, le rimanenti minori.
Dovessero governare tutto questo navilio, la più ferma speranza della
repubblica, diciottomila eletti marinari. Si spedirono le più veloci
saettìe ne' varj luoghi dei dominj olandesi, per avvertire i
governatori, ed i capitani dell'incominciata guerra, esortandogli di
farsi forti sull'armi, ed a stare a buona guardia. Il Re di Francia ebbe
tosto mandato in tutti i porti del suo Reame avviso della cosa, acciò le
navi olandesi, che vi si trovavano, conosciuto il nuovo pericolo,
pensassero ai casi loro, e non si esponessero a diventar preda ad un
nemico svegliato, e forte sull'armi navali. Era la Francia intentissima
nel procacciare, che l'Olanda non ricevesse danno in quella causa, che
questa aveva più pel di lei, che per suo proprio interesse intrapresa.
Ma tutte queste cautele, quantunque opportunamente usate, non poterono
tanto operare, che gl'Inglesi, ai quali la fresca rottura della guerra
era stata piuttosto il colore per usare le già apparecchiate armi, che
un motivo per apparecchiarle, non si avvantaggiassero, e molti, e gravi
danni non facessero in su quelle prime prese al più animoso che provvido
nemico. Parecchie navi da guerra, o cariche di preziose merci vennero in
poter loro. Tra le prime si notò principalmente il vascello il Rotterdam
di cinquanta cannoni predato dal vascello inglese il Warwick. Ma
quest'eran cose di poco momento a paragon di quelle, che intervennero a
pregiudizio degli Olandesi nell'Indie occidentali. Avevano i capitani
britannici in quelle spiagge ricevuto dall'Inghilterra tostane
commissioni d'impadronirsi delle possessioni olandesi, tanto delle
isole, quanto di terra-ferma, le quali per la lunga e sicura pace non si
guardavano, e male stavano armate, sicchè poco atte essendo a resistere
agli assalti del primo nemico, che si appresentasse, vi era da far del
bene assai. Rodney, il quale sul finir del trascorso anno sen'era dalla
Nuova-Jork ritornato a Santa Lucia, e Vaughan si mettevano all'impresa,
in ciò altrettanto più pronti, in quanto che aveva il Re loro, negli
editti pubblicati per regolar le prede da farsi contro gli Olandesi, una
notabil parte di quelle ai predatori conceduto. Fiutata prima invano
l'Isola di San Vincenzo, e sollevati, verosimilmente per dar probabile
copritura al vero disegno, con subita apparita sulle coste loro gli
abitatori della Martinica, si appresentarono improvvisamente con
diciassette vascelli, e quattromila soldati da terra il giorno tre di
febbraio avanti l'isola di Sant'Eustachio appartenente agli Olandesi.
Era ella altrettanto indifesa, che ricca preda ai conquistatori.
Imperciocchè sebbene sia essa assai montagnosa ed aspra, e che non si vi
possa sbarcare altro che in un solo luogo, e questo ancora facilmente
difendevole, tuttavia nissuna speranza si aveva di poter ributtare
l'inimico, non essendovi dentro presidio di ragione alcuna; Olandesi
pochi, una moltitudine d'uomini di diversa natura e costumi, Francesi,
Spagnuoli, Americani, Inglesi, tutta gente usa al mercanteggiare, non al
guerreggiare. Inoltre vivevanvi dentro gli abitatori molto sprovveduti,
nissune armi vi erano apparecchiate, ed il governatore, e con esso lui
tutti gli altri, a tutt'altra cosa avrebbero pensato fuori che a questa.
Tanto erano le menti loro occupate nelle bisogne del commercio, e
nell'amor del guadagno. È l'Isola di Sant'Eustachio sterile e bretta in
sè stessa, non essendo abile a produrre più di seicento, o settecento
bariglioni di zucchero ciascun anno. Ma per altro era divenuta a quei
tempi la più frequentata, e la più ricca scala dell'Indie occidentali.
Era essa, come un porto franco al quale concorrevano in grandissimo
numero i mercatanti da tutte le parti del mondo, sicuri di trovarvi e
sicurezza, e facilità di scambj, e moneta copiosissima. La neutralità
sua, e la guerra altrui l'avevano a tanta prosperità condotta, e fattala
diventar il mercato di tutte le nazioni. Là venivano i Francesi e gli
Spagnuoli per vendervi le derrate loro, e comperarvi le merci inglesi.
Là accorrevano gl'Inglesi per vendervi queste merci, e levarvi i
proventi francesi e spagnuoli. Ma gli Americani massimamente lungo tempo
si giovarono della prosperevole neutralità di Sant'Eustachio. Perocchè
portandovi i proventi loro ne levavano poscia con inestimabile utile, ed
evidente avanzamento dell'impresa loro le armi e le munizioni da guerra,
che i Francesi, gli Spagnuoli, gli Olandesi, e gl'Inglesi stessi vi
arrecavano. Certo grande aiuto agli Americani si fu questo franco
mercato di Sant'Eustachio. Il che fu causa, che un oratore della Camera
dei Comuni, non so con qual prudenza, ma certo con biasimevole
smoderatezza orando, ebbe detto, che se l'Isola di Sant'Eustachio fosse
stata precipitata negli abissi, avrebbe l'independenza americana avuto
corta vita. Queste cose si dicevano; ma quelle che si fecero, furono
bene consuonanti colle parole. Si riempì l'Europa di querele contro
l'avarizia inglese. Gli uomini più prudenti e più modesti
dell'Inghilterra stessa condannavano i barbarici eccessi, veggendo con
tanta insolenza essere offesa la dignità del nome britannico. Rodney e
Vaughan fecero la chiamata al governatore dell'isola, si arrendesse fra
lo spazio di un'ora; altrimenti ne starebbe alle seguenze. Il signor
Graaf, il quale non aveva ancora avuto notizia della nuova guerra, non
sapeva, che cosa questo volesse dire; ed appena che volesse prestar fede
all'uffiziale, che gli aveva intimato la resa. Infine conoscendo
benissimo, che era giuocoforza risolversi, ed essendo il luogo spogliato
d'ogni presidio, rispose, dar in mano di Giorgio Rodney e di Giovanni
Vaughan l'isola con tutte le sue pendici; solo raccomandando la città e
gli abitatori alla clemenza e mercè dei capitani britannici. Le quali
quante, e quali siano riuscite, or ora siamo per raccontare. Era l'isola
non che piena, pinza di tutti i beni, e delle più preziose merci del
mondo. Non solo tutti i magazzini, ch'erano numerosissimi e capacissimi,
ne erano da capo in fondo zeppi; ma le spiagge stesse erano gremite di
barili di zucchero e di tabacco. Gli stessi conquistatori, tuttochè
assetati di preda, ed in grande aspettazione fossero, ne rimasero
fortemente maravigliati. Si fe' una stima così un cotale alla grossa,
che il valor delle merci arrivasse a meglio di tre milioni di sterlini.
Tutte furono senza distinzione veruna pigliate, inventariate e
confiscate. Gravissimo fu il danno degli Olandesi, massimamente della
loro Compagnia dell'Indie, e degli Amsterdammesi, i quali ne possedevano
una ragguardevol parte. La qual cosa riuscì di non poco contento
agl'Inglesi irritatissimi contro i cittadini di Amsterdam per cagione
del calore, col quale nella patria loro seguitato avevano le parti
francesi. I principali sofferitori però non furono già gli strani; ma
sibbene i proprj mercatanti inglesi, i quali confidatisi nella
neutralità del luogo, ed in alcuni atti del Parlamento, che a ciò fare
gli autorizzavano, accumulato vi avevano una inestimabile quantità di
proventi antillesi, siccome pure di derrate e merci d'Europa. Nè il
danno si rimase al pigliamento delle merci stivate nei magazzini; che
anzi da dugento trenta bastimenti di ogni foggia con ricchissimo carico,
i quali si ritrovavano nel porto, vennero in poter dei vincitori.
Oltreacciò s'impadronirono nel porto medesimo di una fregata olandese, e
di cinque altri legni da guerra di minore levata. Nè a questo fu
contenta la fortuna in quei dì contraria agli Olandesi. Era partita poco
prima dal porto di Sant'Eustachio una conserva di trenta bastimenti
mercantili carichi di zucchero e di altre grasce di quelle terre alla
volta d'Europa, ed era convogliata da una nave da guerra. Tosto Rodney,
che era uomo vigilantissimo ed operosissimo, la faceva perseguitare da
due grossi vascelli e da una fregata. Non indugiarono molto ad arrivar
sopra la conserva. L'Ammiraglio olandese Krull, quantunque tanto
inferiore di forze volle piuttosto pericolosamente combattere, che
disonoratamente arrendersi. Si attaccarono la sua nave il Marte, e la
inglese il Monarca. Non fu lungo il combattimento; perciocchè Krull di
prima presa vi perdè la vita. Il successore, abbassata la tenda, si
arrendè. In questo mezzo le altre navi avevano dato la caccia ai
bastimenti della conserva, e presigli, tutti gli condussero nel porto.
Lasciarono gl'Inglesi un pezzo le bandiere d'Olanda sventolare sulle
cime del Forte di Sant'Eustachio, al quale inganno prese molte navi
olandesi, francesi ed americane entrarono nel porto, non meno ricco, che
sicuro acquisto ai nuovi signori. L'aver posto mano nelle proprietà dei
particolari uomini, quantunque nemici, solite a rispettarsi anche a'
tempi di guerra dalle civili nazioni, diè luogo a molte rimostranze da
parte degli abitatori delle Antille inglesi, e della Gran-Brettagna
stessa, che vi avevano interesse. Allegarono, che le merci avevano colà
portate in virtù delle leggi del Parlamento; che in ogni età i
conquistatori, i quali del tutto barbari non siano stati, rispettarono
non che le proprietà private dei concittadini loro, ma ancora quelle dei
nemici; che l'esempio sarebbe perniziosissimo; imperciocchè se per la
variabile fortuna della guerra le isole inglesi venissero in poter del
nemico, questi per rappresaglia ne sarebbe autorizzato a far lo stesso
contro le proprietà dei privati uomini inglesi con grave danno, e totale
rovina loro; che con questi barbari modi proceduto non avevano i
Francesi a tempo della conquista della Grenada, i quali tutte le
proprietà private franche ed inviolate conservarono, quantunque per
assalto, e senza capitolazione veruna di quell'isola impadroniti si
fossero; che anzi avendo il conte D'Estaing sequestrato sino alla pace
le proprietà degli assenti, la Corte di Francia con parole gravissime
aveva disapprovato questa risoluzione del suo ammiraglio, e fatto levar
il sequestro; che Sant'Eustachio era un porto franco, e per tale
riconosciuto da tutti i Potentati marittimi dell'Europa, e
dall'Inghilterra stessa; che le leggi di questa non solo permesso, ma
incoraggiato avevano il traffico con quell'isola; che gli uffiziali
della dogana nella Gran-Brettagna avevano conceduto le bollette d'uscita
per quelle merci stesse indiritte a Sant'Eustachio, che ora state erano
poste al fisco; che questo commercio era stato quello che aveva
alimentato le isole di Antigoa e di San Cristoforo, senza del quale ne
sarebbero gli abitatori morti di fame, o stati costretti a gettarsi in
grembo al nemico; che gli Eustachiesi andavano debitori di grosse somme
ai mercatanti inglesi, ai quali non avrebbero potuto soddisfare, se le
robe loro rimanessero confiscate; che finalmente si doveva pur credere,
che si fosse la conquista dell'isole olandesi intrapresa dall'armi del
Re per un altro più nobil fine, che quello non era dello spogliamento e
del sacco. Tutto fu nulla. Rodney aveva ciò fatto, perchè il governo suo
aveva voluto, che così facesse. Rispose ai rimostranti, che si
maravigliava bene, che mentre i mercatanti inglesi avevano la facoltà di
portar le merci loro nelle isole di spettanza inglese a sopravvento, le
avessero mandate a sottovento in quella di Sant'Eustachio, dove ad altro
fine non potevano portate essere, se non a quello di sopperir ai bisogni
dei nemici del Re e della patria loro. Nel che si dee notare, che se i
mercatanti avevano il torto, non l'avevano minore i capitani delle navi
britanniche, e quelli stessi dell'armata di Rodney, i quali le prede
fatte in sui mari di vettovaglie, ed anche di armi e di munizioni da
guerra erano andati vendendo nel medesimo porto di Sant'Eustachio,
dond'erano state ricompre, e convertite in usi guerreschi dai nemici
della Gran-Brettagna. Aggiunse Rodney, che l'isola di Sant'Eustachio era
olandese; che tutto ciò, che in essa si conteneva, era pure olandese;
che tutto vi stava sotto la protezione della bandiera olandese, e che
intendeva, che ogni cosa vi fosse trattata, come se olandese fosse. Gli
stessi rigori si esercitarono sopra le vicine isole di San Martino e di
Saba, le quali a quei medesimi dì seguitarono la fortuna del vincitore.
Ma i capitani britannici non contenti al rapir le robe, incrudelirono
contro le persone. Tutti coloro, che il nome inglese non portavano, non
solo dall'isola sbandirono, ma ancora crudelmente trattarono. Furono gli
Ebrei, assai numerosi e ricchi, i primi a pruovar la rabbia loro. Gli
stivaron tutti dentro la magione della dogana; gli stazzonarono da capo
a piè; tagliaron loro i gheroni delle vestimenta; ruppero, e ricercaron
le casse e le valige; gli spogliarono degli effetti e del denaro loro,
ed imbarcatigli così nudi e miseri gli mandarono a cercar loro civanza
nell'Isola di San Cristoforo. Un Saxton, capitano di una nave
britannica, era il soprantendente, e l'esecutore della crudeltà dei
Capi. Tennero dietro agli Ebrei gli Americani, i quali spogliati di
tutto furono anch'essi, come gente disperata, buttati a San Cristoforo.
Eppure vi erano fra di questi non pochi di coloro, i quali venuti in
odio ai conterranei loro per cagione dello zelo, che dimostrato avevano
in favore del Re, erano stati costretti ad andar a cercare in estrane
contrade asilo contro il furore di quelli. Così questi leali erano
cacciati dalla patria loro, come amici agli Inglesi, e perseguitati
dagli Inglesi come amici agli Americani, del pari infelici per aver
serbato la fede al Re, che se l'avessero violata. Dimostrò l'assemblea
di San Cristoforo molta pietà verso i confinati, concedendo ai medesimi
provvisioni e per l'immediato ristoro loro, e pel futuro collocamento.
Furono in ultimo luogo banditi da Sant'Eustachio i mercatanti francesi,
ed olandesi, gli Amsterdammesi più aspramente di tutti. Nel medesimo
tempo Rodney bandì un pubblico incanto di tutte le robe confiscate,
facendo facoltà a chiunque di venirle a comprare. Concorsero in
grandissimo numero i mercatanti delle nazioni amiche, o neutrali, e per
sè stessi, e per conto dei nemici dell'Inghilterra, massime dei Francesi
e Spagnuoli, i quali come più vicini, ed in guerra ne avevano più degli
altri bisogno. Così quelle robe stesse per aver fatto comodità delle
quali ai nemici della Gran-Brettagna per la via ordinaria del commercio
erano stati gli Eustachiesi sì crudamente manomessi, e quasi all'ultimo
termine condotti, ora per la pubblica e franca vendita fattane dai Capi
britannici, in mano di quei medesimi nemici liberamente trapassarono.
Questo fu il maggior incanto che mai si facesse, e la parte delle
ricchezze, che ne toccò a Rodney, ed a Vaughan non fu poca. Ma era
fatale, che essi lungo tempo non ne godessero; poichè Dio, che, come si
vuol dire, non paga il sabbato, altro fine riserbava all'avarizia loro;
della quale cosa faremo noi parole, quando avremo quelle cose
raccontate, che più da vicino si appartengono al filo di queste storie.

Ritornando adunque al principal proposito nostro, dal quale il dolore
giustissimo del danno pubblico, e della nuova infamia inglese ci aveva,
forse più lungamente, che non conviene alla legge dell'istoria,
traportati, la perdita di Sant'Eustachio non fu la sola sventura, alla
quale siano gli Olandesi andati soggetti nelle occidentali Indie, avendo
gl'Inglesi preso, come a gara il correre contro di essi, quasi
dimenticatisi degli altri nemici, che avevano alle mani. Possedevano
sulla terra-ferma d'America una ricca colonia, che chiamano di Surinam,
la quale è parte di quella vasta contrada, a cui fu dato il nome di
Guianna. Stavanvi i governatori a mala guardia, e senza sospetto, non
avendo peranco nissuna notizia avuto della guerra. Ma in questo mezzo
arrivarono alcuni corsari inglesi, la maggior parte bristolesi, i quali
entrati, non senza grave pericolo, nei fiumi di Demerary, e d'Essequibo
molte navi cariche di preziose merci recarono in poter loro. Gli
Olandesi, conosciuta la cosa, e temendo di diventar preda agli sfrenati
venturieri, mandarono dicendo al governatore della Barbada, che si
arrendevano, e davano in balìa del Re della Gran-Brettagna. Solo
pregarono, non sapendo, quali fossero, si concedesser loro i medesimi
patti, che agli Eustachiesi erano stati conceduti. Il governatore
consentì. Ma quando poco dopo gli conobbero, aspettavano di esser
depredati. Ciò nondimeno mostrò Rodney maggior umanità verso gli
abitatori di Demerary, di Essequibo e di Berbice, i quali tutti
addomandato avevano i patti, di quello, che verso di Sant'Eustachio
fatto si avesse. Furono assicurati nella roba e nelle persone, e
permessi a continuare ad aver quelle leggi e quei maestrati, che fin là
governati gli avevano. Così arrideva ovunque agl'Inglesi la fortuna
nell'indiana guerra, che con tanta rabbia contro gli Olandesi
esercitavano. Ma a questo tempo le cose succedevan loro sinistramente
contro gli Spagnuoli, i quali erano entrati coll'esercito ne' confini
della Florida occidentale. Conciossiachè Don Galvez e Don Solano dopo
d'essere stati stranamente strabalzati e rotti da una furiosa tempesta
vennero a por l'assedio sotto le mura di Pensacola, città forte, e
capitale di quella provincia. Stavavi dentro il generale Campbell, il
quale si difese valorosamente lunga pezza. Ma finalmente una bomba
caduta vicina alla polveriera, dato fuoco alle polveri, fe' con orribile
scoppio saltar in aria un grosso bastione. Se ne giovarono gli
Spagnuoli, e, presone possesso, minacciavano di prossimo assalto la
piazza. Campbell calò agli accordi, che furono molto onorevoli. Così
tutta la provincia della Florida occidentale, la quale era stata uno de'
più preziosi frutti della guerra del Canadà, ritornò dopo non molto
tempo in poter degli Spagnuoli.

Ora dagli estremi campi, sui quali si esercitava la guerra, l'ordine
della storia richiede, che ci accostiamo alle fonti, dond'ella
procedeva, e che andiamo divisando, quali fossero a questi tempi i
pensieri, ed i disegni dei Re, e delle repubbliche guerreggianti. Si
erano gli Americani posti in mal umore, ed aspramente si dolevano dei
Francesi loro alleati, siccome di quelli, che da alcune vane
dimostrazioni in fuori, nissuno aiuto, che efficace fosse, prestato
avessero, e quasi gli abbandonassero ad arrissarsi soli nell'aspra
contesa contro di un potente nemico. Affermavano, le genti sbarcate
all'Isola di Rodi essere riuscite di niun frutto per la mancanza delle
forze navali; così sempre ancora inutili dover riuscire, o poco manco,
quando da un prepotente navilio non fossero accompagnate; non potersi
sperare di poter una guerra fruttuosa fare in quelle spiagge, se non da
colui, che abbia il dominio del mare; continuar intanto gl'Inglesi a
posseder la Giorgia, la più gran parte della meridional Carolina, tutta
la Nuova-Jork; minacciare per soprassoma la Virginia; nissuna insegna
francese essersi veduta in difesa, ed a ricuperazione di queste
province; venir meno intanto gli Stati Uniti sotto il peso di sì
sproporzionata guerra; logorarvisi gli uomini, mancarvi la industria,
negligentarvisi l'agricoltura, disseccarvisi le fonti del pubblico
tesoro; nissun prossimo fine discoprirsi a tante calamità. Così si
lamentavano i popoli dell'America. Ma in Europa si maravigliavano le
genti, come una tanta, e sì possente lega così pochi frutti partorito
avesse contro il comune nemico, che paresse in vero, che questi in luogo
di rimanerne al di sotto, se ne stesse in sul vantaggio; imperciocchè
l'Inghilterra e correva alle offese in America, e signoreggiava i mari
delle Antille, e conquistava le colonie olandesi, e si avvantaggiava
nelle Indie orientali, e teneva la fortuna in bilico in Europa. Quindi
è, che i nomi spagnuolo e francese ne andavano soggetti a diminuzion di
riputazione. La Francia specialmente, come quella, che era l'anima, e la
principal guidatrice di tanta mole, ci metteva del suo. Il Re Cattolico
stesso era scontento, ed assai si richiamava del Cristianissimo, perchè
non l'avesse aiutato nell'impresa della Giamaica, che voleva
incominciare, ed in quella di Gibilterra, che già aveva incominciato,
nelle quali posto aveva un ardentissimo desiderio. Gli Olandesi poi, i
quali avevano principiato a pagare sì duro scotto, sclamavano a cielo,
che fossero senza sovvenimento lasciati stare soppozzati in quel
pericolo, nel quale erano stati gittati dai consiglj, e dalle
instigazioni della Francia. E tanto maggior rammarico facevano, in
quanto che avevano avuto sentore, che si allestiva nei porti della
Gran-Brettagna una possente armata destinata ad assaltar il capo di
Buona Speranza, scala di tanto momento a quelle nazioni che fanno il
traffico nelle Indie orientali. Temevano di aver a pruovar in oriente
altrettanti danni, quanti di già provato avevano in occidente. E
certamente priachè avessero potuto apparecchiar le difese, e mandar gli
aiuti, gl'Inglesi meglio preveduti, e provveduti avrebbero avuto tempo
di trarre il disegno loro a compimento.

Mosso il Re di Francia da tutte queste cagioni e dal proprio interesse
si determinò di mostrarsi nel presente anno più vivo, di quanto stato
fosse nel passato, volendo con nuova vigorìa riparar i danni operati
dalla antica freddezza. Per la qual cosa faceva lavorar di forza
nell'arsenale di Brest, ed apparecchiava in ogni parte del Regno
gagliardamente le armi terrestri. Tre erano i fini che principalmente si
proponeva di voler conseguire. Il primo era quello di mandar sì fatta
armata nelle Antille, che congiunta a quella che si trovava ne' porti
della Martinica, se ne venisse ad acquistar superiorità sull'armata
inglese. Quest'armata, al governo della quale fu preposto il conte di
Grasse, doveva anche trasportare un buon numero di soldati, i quali
accozzatisi nella Martinica con quei del Bouillé avrebbero qualche
impresa d'importanza tentato contro le Isole inglesi. La qual cosa
ottenutasi, e prima che fosse trascorso il tempo di guerreggiare in quei
climi, s'intendeva, che il conte di Grasse si recasse sulle americane
spiagge per ivi cooperare con Rochambeau e con Washington al
sottoponimento delle forze, che la Gran-Brettagna vi aveva. Il secondo
poi si era quello d'inviar una sufficiente flotta sulle coste africane,
perchè soccorresse al pericolo del capo di Buona Speranza, e ciò fatto
s'incamminasse alla volta delle Indie orientali, dove per l'industria e
per la gagliardìa dell'ammiraglio inglese Hughes le cose francesi erano
al di sotto. Col terzo finalmente si voleva una qualche rilevata fazione
fare nei mari d'Europa in benefizio della Lega, e massimamente della
Spagna. Si motivava specialmente dell'impresa di Minorca.

Frattanto in Inghilterra parte si sapevano, e parte si presumevano i
disegni degli alleati; e perciò vi si facevano contro tutti quei
preparamenti che si credevano del caso. Già vi si allestiva con gran
sollecitudine una flotta, la quale doveva portar un rinforzo di alcuni
colonnelli inglesi, e di tremila Essiani in America al lord Cornwallis,
acciocchè fosse in grado non solo di poter conservare quello che
acquistato aveva, ma ancora distendere più oltre la prosperità delle sue
armi. Perocchè le vittorie di Cambden e di Guilford avevano
maravigliosamente sollevato gli animi di tutta la nazione a nuove
speranze, e tutti già si promettevano il pronto fine della guerra, ed il
soggiogamento dell'America. S'intendeva parimente colla giunta della
flotta medesima, quantunque in sè stessa non molto forte, a quella, che
già esisteva nell'acque delle Antille, conservar all'armi britanniche
quella superiorità, che acquistato vi avevano. Ma ognuno particolarmente
stava attentissimo ad osservare, a qual fine tendesse un armamento forte
che si faceva nei porti, consistente in una nave di 74 cannoni, una di
54, tre di 50, con parecchie fregate, brulotti, giunchi ed altri minori
legni da guerra. Lo dovevano accompagnare molte navi da carico
fornitissime di armi e di munizioni. Tre migliaia di valenti soldati
erano stati posti a bordo sotto la condotta del generale Meadows. Il
governo della flotta era stato commesso al comandante Johnstone. Molto
varj erano i romori che correvano fra la gente intorno l'oggetto di
questa spedizione, il quale era con grandissima gelosia tenuto segreto.
I più però concorrevano nel dire, che la spedizione fosse volta alle
Indie orientali per por fine colà alla signoria francese. La qual cosa,
per quanto si potè giudicare dagli accidenti che seguirono, fu vera. Ma
e' pare ancora, che la guerra, che sopravvenne coll'Olanda, abbia i
ministri della Gran-Brettagna indotto a darle altro destino,
restringendola alla fazione del capo di Buona Speranza, ed al mandar
nelle Indie quegli aiuti, ch'erano creduti necessarj, se non al
conquistar nuovo paese, almeno al conservar il conquistato. Ma di tutte
le cure, che a questi dì pressavano nei consiglj britannici, forse la
più rilevante, e certamente la più premurosa, era quella di soccorrere
al presidio di Gibilterra. Nel che, oltre l'importanza della cosa,
l'onor della nazione era grandemente interessato. Gli Spagnuoli e
gl'Inglesi avevano quell'assedio preso in gara, ed i primi si andavano
vantando, che ad ogni modo colla flotta che avevano a Cadice, avrebbero
ogni soccorso, che si fosse voluto far entrare, impedito. Già dentro
s'incominciava a disagiar grandissimamente di vettovaglie, essendo in
gran parte consumate le munizioni l'anno precedente introdotte
dall'ammiraglio Rodney, e quelle che sopravanzavano, erano sì corrotte,
che poco erano mangerecce. Già Elliot era stato costretto a diminuire di
un quarto la provvisione giornaliera del vitto a' suoi soldati; gli
uffiziali stessi, perchè i gregarj sopportassero di miglior animo la
privazione, furono proibiti dall'usar la polvere di cipri nella cura dei
loro capelli. A queste strette era ridotto il presidio. Ma gli abitatori
della città per la mancanza delle cose al vivere necessarie
travagliavano grandemente. Tal era stata la vigilanza e la prontezza
degli Spagnuoli nel vietar le vettovaglie, che dall'ultimo
rinfrescamento in poi pochissime navi erano state lasciate entrar dentro
dalle più vicine, come dalle più rimote, parti dell'Africa. Solo alcuni
legni minorchesi, molto sguizzanti, a volta a volta vi erano trapelati.
Ma non bastavano a gran pezza a tanta bisogna, ed i prezzi che mettevano
i padroni alle robe loro, erano sì esorbitanti, che pochi vi si potevano
accostare. Perfino le miserabili reliquie delle antiche provvisioni
guaste, com'erano, si vendevano a prezzi sfoggiati. Una libbra di
vecchio biscotto di bordo tutto bacato vi si comperava ventiquattro
soldi, e non se ne trovava. Le farine corrotte, ed i piselli intonchiati
un terzo più; il sale il più immondo, la spazzatura dei granai valevano
sedici soldi la libbra; il butirro salato una mezza corona; un pollo
d'India, quando se ne trovava, valeva meglio di trenta franchi; un
porcello non si poteva avere, se non con cinquanta franchi; un'anitra ne
costava più di dodeci; una gallina magra dieci; un ventre di vitello non
si poteva avere per una ghinea, che sono meglio di venticinque franchi;
ed un capo di bue si vendeva ancor più caro. Da ardere si aveva sì
scarsamente, che le biancherie si lavavano coll'acqua fredda, e non si
distendevano co' ferri; cosa, che riuscì di grave danno alla salute
degli uomini nella stagione umida, e fredda del varcato inverno.
Sopportava bene la guernigione tutti questi disagi con maravigliosa
costanza; ma non avrebbe potuto durar più oltre, e quella importante
rocca, la chiave del Mediterraneo, sarebbe fra breve ritornata
all'obbedienza degli antichi signori, se prontamente non le si
soccorreva. Da questi pensieri erano occupate le menti degli uomini in
Inghilterra. In Olanda intanto si lavorava incessantemente negli
arsenali per allestire un navilio, che capace fosse a rinnovar l'antica
gloria, ed a mantener la dignità della repubblica. Si aveva
principalmente in animo di proteggere il commercio, che gli Olandesi
andavano facendo nel Baltico, e preservarlo dalla rapacità degl'Inglesi.
In ciò però non si ottenevano tutti quegli effetti, ch'erano da
desiderarci, sì per cagione delle Sette, che tuttavia bollivano in quel
paese, e che la forza del reggimento infievolivano, come perchè la lunga
pace vi aveva gli animi ammolliti, e fattovi trasandar le provvisioni
navali.

Tali erano i rispetti, coi quali reggevano a questo tempo i principi i
pensieri e le operazioni loro. Gli apparecchj di guerra, che avevano
fatti per venirne a capo, erano grandi. Stava il mondo in grandissima
aspettazione delle cose avvenire. I primi ad uscire furono gl'Inglesi.
L'intento loro era di recarsi al soccorso di Gibilterra. Partirono da
Portsmouth con ventotto navi d'alto bordo il giorno 13 di marzo. Ma
furono obbligati a soprastar alcuni dì sulle coste d'Irlanda per
aspettar le annonarie e le passeggiere, che in grandissimo numero si
erano raccolte nel porto di Cork. Le conserve volte alle Indie sì
orientali, che occidentali accompagnavano l'armata; dalla quale,
arrivate che fossero in certi luoghi fuori del pericolo delle flotte
nemiche, si dovevano spiccare per andarsene al viaggio loro. Viaggiava
medesimamente di compagnia colla grande armata la flotta spedita di
Johnstone destinata, come si è narrato, alla fazione del capo di Buona
Speranza; e questa doveva sin là convogliare la conserva d'Oriente. Era
l'armata governata dagli ammiragli Darby, e Digby, e da Lockart Ross; ed
essendo partita in tre squadre ciascuna era da uno di essi capitanata.
Siccome la necessità di soccorrere Gibilterra era evidente, che i
preparamenti, che a questo fine si facevano nei porti della
Gran-Brettagna, erano noti a tutti, e che anzi gl'Inglesi apertamente
confessavano di voler ciò fare, così gli Spagnuoli avevano fatto ogni
sforzo per far tornare vano questo disegno. Per verità avevano allestito
nel porto di Cadice una armata di trenta navi di alto bordo, e datone il
governo a Don Luigi di Cordova, uffiziale di molto valore. Tali erano le
forze degli Spagnuoli. Ma queste magnificavano ancora vieppiù per
istornare, se possibile fosse, gl'Inglesi dal tentar l'impresa. Perchè
poi alle forze, ed alle parole si accoppiasse anche l'ardire, Don Luigi
entrava, ed usciva spesso da Cadice, ed iva colla sua armata
volteggiandosi sulle vicine coste del Portogallo per quella via, che
gl'Inglesi dovevano tenere per correre a Gibilterra. Aggiungevano, esser
pronte a congiungersi colle loro molte grosse navi francesi, che allora
si trovavano nel porto di Tolone, ed in quei dell'Oceano. Infatti vi era
nel solo porto di Brest un'armata sì possente, che di per sè stessa
stata sarebbe abile a contrastar il passo, ed a combattere con buona
speranza di vittoria tutta l'armata inglese. Vi si annoveravano ventisei
vascelli d'alto bordo tutti pronti al veleggiare. E certamente, se
questa si fosse congiunta coll'armata di Spagna, avrebbero i confederati
acquistato una forza prepotente, e sarebbe agli Inglesi riuscita assai
dura impresa quella del soccorso di Gibilterra. Così speravano gli
Spagnuoli, che i Francesi avrebbero operato. Ma questi avevano troppo a
cuore di proseguir i disegni loro nelle Antille, e nella terra-ferma
d'America, siccome pure di ristorar le cose loro, che andavano in
declinazione nelle Indie orientali, perchè si volessero risolvere,
trasandati tutti questi oggetti di sì gran momento, ad aiutar la Spagna
in una impresa, la quale ridondata sarebbe in solo e privato utile di
questa. Per la qual cosa il giorno 22 di Marzo uscì da Brest con tutta
l'armata il conte di Grasse, e volte le prue all'occidente s'incamminò
verso le Antille. Viaggiava di conserva con esso lui il Signor di
Suffren colla sua flotta consistente in cinque navi d'alto bordo,
parecchie fregate, ed una grossa mano di soldati da terra. Doveva
questi, tosto arrivato all'isola Madera, partirsi dalla grossa armata, e
veleggiando a ostro verso la punta d'Africa, preservare il capo di Buona
Speranza; e, ciò fatto, recarsi nell'Indie orientali. Così le due grandi
armate, e le due più piccole inglesi, e francesi, alle quali i due
nemici Re avevano commesso fazioni di tanta importanza, e nelle quali sì
grandi speranze della salute e della prosperità dei regni loro collocato
avevano, uscirono le une e le altre quasi nel medesimo tempo all'alto
mare; e senza di quel soprastamento, che gl'Inglesi furono costretti a
fare sulle spiagge dell'Irlanda; ogni ragion persuade, che si sarebbero
incontrate, ed avrebbero definito con una giudicata battaglia sui mari
d'Europa quella lite, che non dovevano se non se nelle lontane regioni
delle due Indie determinare. Viaggiavano gli Inglesi con vento prospero
verso il capo San Vincenzo, dove pervenuti con molta circospezione si
governavano per sospetto dell'armata spagnuola. Ma Don Luigi, il quale
ne' precedenti dì era ito in volta nel golfo di Cadice, avuto presto
avviso dell'avvicinarsi degl'Inglesi, non confidandosi nelle forze
proprie, e dimenticatosi dell'importanza della cosa, non gli stette ad
aspettare, ed andò tostamente a ricoverarsi nel porto medesimo di
Cadice. Così fu lasciata libera la via al nemico sino a Gibilterra.
L'ammiraglio Darby, guardato dentro in Cadice, e conosciuto, che gli
Spagnuoli nissuna mostra facevano di voler uscire, spinse avanti tutte
le navi da carico, le quali sommavano nel torno di cento, facendole
scortare da un certo numero di navi da guerra. Parte di queste dovevano
stanziare nel golfo stesso di Gibilterra per difender le navi
passeggiere dagli assalti delle piatte spagnuole, delle quali abbiamo
nel precedente libro favellato; e parte arringarsi alla bocca dello
stretto verso il Mediterraneo per impedir le offese, che di là avrebbero
potuto venire. Darby intanto continuò a volteggiarsi avanti Cadice per
attendere con ogni diligenza gli andamenti del nemico. Le cose
riuscirono, come l'Inglese le aveva disegnate. E comechè gli Spagnuoli
colle piatte molto si affaticassero per danneggiar alle annonarie, e che
male le navi grosse potessero dalle importune bezzicature di quelle
liberarle, perciocchè fossero troppo piccole a poter esser prese di
mira, del che gli uffiziali inglesi a grandissima rabbia si concitavano,
tuttavia nissun notabile frutto poteron'operare. Furono sicuramente
poste a terra tutte le armi, e le munizioni sì da guerra, che da bocca
con incredibile allegrezza degl'Inglesi, con non poco biasimo degli
Spagnuoli, e con molta maraviglia di tutta l'Europa.

Il Re di Spagna, che aveva posto l'occhio a quest'impresa di Gibilterra,
e che già vi aveva speso intorno tanti tesori, essendosi fatto a
credere, che quella rocca sarebbe, come sicura preda, venuta tosto nelle
sue mani, vedutosi ingannato di sì vicina speranza, determinossi a voler
coll'armi di terra acquistar quello, che colle marittime non aveva
potuto conseguire. In ciò tanto più vivo era il suo desiderio, che
conosceva benissimo, a quanta diminuzione di gloria fossero andate
soggette le armi sue presso gli uomini valorosi a quell'inaspettato
rinfrescamento della Fortezza. Già si erano i suoi soldati dal campo di
San Rocco fatti avanti, per quanto ciò era possibile ad eseguirsi, coi
lavori della circonvallazione, e le opere loro avevano munite con una
quantità grandissima di grossissimi cannoni e bombarde. Arrivavano i
primi a centosessanta, le seconde a ottanta. Adunque ai dodeci d'aprile,
e quando ancora la flotta inglese si trovava nel porto di Gibilterra,
incominciarono tutto ad un tratto ad allumare queste artiglierie, le
quali col fuoco, cogli scoppj, col fumo e colle palle facevano uno
spettacolo orribile a vedersi e ad udirsi. E siccome il bersaglio loro
era molto stretto, perciocchè la rupe di Gibilterra sia a un di presso
lunga soltanto una lega, e larga un quarto, così il nembo delle palle e
delle bombe vi era molto fitto, e nissun luogo vi era, se si eccettuano
le casematte, e le sotterranee volte, dove l'uomo potesse contro
l'impeto loro sicuramente ricoverarsi. Nè il governatore Elliot se ne
stava neghittoso ad osservare; che anzi rendeva fuoco per fuoco, furia
per furia sì fattamente, chè pareva la roccia tutto all'intorno gettasse
fiamme e fumo, e tutta intiera in tuoni e folgori si disfacesse. Stavano
sulle due vicine coste dell'Africa e dell'Europa maravigliate, e
spaventate le genti, che colà erano a bella posta concorse ad osservare.
Ma quei, ch'erano dentro, eccettuati i soldati, che si erano posti a'
luoghi sicuri per difender la piazza, ed offendere il nemico, andavano
esposti ad ogni sorta di più compassionevoli accidenti. Grand'era il
terror loro; ma più grande ancora il danno. Le membra dei morti e dei
moribondi sparse al suolo qua e là; le donne coi fanciulli in braccio
andando chiedendo quella mercè, che trovare non potevano. Ne fur viste
delle schiacciate in un coi figliuoletti, e sformate ad un tratto, e
lacerate in mille pezzi dalle scoppianti bombe. Le infulminate si
aggavignavano colle tremanti mani alle schiegge, e balze dei petroni per
cercar asilo ne' luoghi più selvaggi e più rimoti. Alcune fra le
principali furon lasciate entrar nelle casematte, dove si recarono a
gran ventura il potere in mezzo al tanfo delle stanze, al trambusto
delle soldatesche, ai gemiti dei feriti e dei moribondi da quella
crudele morte scampare, che al di fuori minacciava la incredibile furia
degl'istromenti da guerra. La città, che è posta sulla falda della
roccia a riva il mare di verso occidente, ne fu distrutta da capo a
fondo. Al che non poco contribuirono le piatte spagnuole, che di
nottetempo velocemente sguizzavano tra le navi inglesi, e compita
l'opera loro si ritiravano la mattina, giovandosi del vento, che per
l'ordinario si mette a quell'ora, nel porto di Algesiras. Queste piatte
parimente ebbero sfragellati coi tiri loro molti di coloro, i quali sui
vicini fianchi della roccia ritiratisi, erano scampati al furor delle
artiglierie del campo di San Rocco. Lo scaricar continuo durò con eguale
frequenza meglio, che tre settimane; poscia si rallentò, vedendo gli
Spagnuoli, che riusciva poco altro, che un romor vano; e non volendo
dall'altra parte Elliot far tanta jattura di munizioni in una battaglia
di poco frutto. Sparava egli bene di quando in quando per mostrare,
ch'era vivo; ma la maggior parte del tempo se ne stava inoperoso a
rimirare l'inutile furia degli Spagnuoli. Consumarono eglino in questa
spessa batteria meglio di cento migliaia di libbre di polvere, avendo
tratto settantacinquemila cannonate, e venticinquemila bombe. Nonostante
la strettezza del luogo, e la maravigliosa spessezza dei tiri morirono
de' soldati della guernigione assai pochi, e da dugento cinquanta furono
feriti. Gli abitatori della città privi delle case, avendo sempre
presente nell'immaginazione loro la miserabilità del passato caso, e
temendo dei futuri, desiderarono di andarsene. Al che Elliot, dopo
d'avergli con ogni maniera di più umano conforto racconsolati,
facilmente ebbe consentito. La maggior parte s'imbarcarono a bordo della
flotta, che aveva vettovagliato la piazza. Partì poscia la flotta
medesima alla volta dell'Inghilterra. Ma prima, ch'ella vi arrivasse, la
fortuna propizia ai Francesi, fe' ai nemici loro pruovar un sinistro, il
quale causò gran danno alle cose loro, e fu una giusta pena delle rapine
di Sant'Eustachio. Si aveva avuto in Francia il tempestivo avviso, che
una numerosa conserva di navi cariche delle ricche spoglie di
quell'isola n'era partita verso il finir del mese di marzo per recarsi
nei porti d'Inghilterra. Si seppe ancora, che a questa conserva teneva
dietro un'altra non meno preziosa pei proventi, ch'ella portava
dell'isola Giamaica. Scortava la prima l'Hotham con quattro vascelli da
guerra. Il momento era molto propizio ai Francesi, trovandosi a quei dì
la grande armata britannica occupata nell'impresa di Gibilterra. Non si
lasciarono i ministri di Francia fuggir dalle mani una sì favorevole
occasione; che anzi con grandissima diligenza avevano fatto lavorare nel
porto di Brest per metter in punto una flotta, perchè potesse correre
sopra le conserve inglesi. La cosa ebbe effetto. In men che non si
potrebbe credere furono allestite otto navi d'alto bordo, molto destre
veleggiatrici. Ne fu dato il governo al conte de Lamotte-Piquet. Uscì
egli dal porto il giorno 25 aprile, e dato di cozzo nella conserva di
Sant'Eustachio, tutta la sperperò. Ventidue bastimenti predò; due altri
vennero in mano dei corsari. Alcuni pochi colle navi di guerra, che
convogliati gli avevano, si ricoverarono nei porti dell'occidentale
Irlanda. I mercatanti inglesi, che avevano assicurati i navilj,
perdettero per questo caso da settecentomila lire di sterlini. Non tardò
l'ammiraglio Darby durante il suo viaggio ad aver notizia della cosa; e
tosto si metteva all'ordine per intraprendere Lamotte-Piquet, primachè
si fosse recato in salvo nei porti di Francia. Ma l'ammiraglio francese,
che teneva gli occhi aperti, avuta sì prospera vittoria, ed avvertito
dell'avvicinarsi di Darby, lasciata andare a suo viaggio la conserva
della Giamaica, si cansò tosto, e felicemente apportò in Brest. Le
feste, che si fecero in Francia per questa cattura non furon poche; e
molte, ed assai meritate lodi furono date agli autori della fazione del
pari opportunamente disegnata, che velocemente, e prudentemente
eseguita. L'armata di Darby e la conserva della Giamaica arrivarono con
prospera fortuna nei porti della Gran-Brettagna.

In questo mezzo le due flotte di Johnstone e di Suffren veleggiavano
alla volta del capo di Buona Speranza; e non che l'uno non sapesse
dell'altro, erano per lo contrario i due nemici capitani ottimamente
informati della partenza, del cammino e dei disegni dell'avversario.
Andavano perciò entrambi a gara per arrivar i primi al destinato luogo.
Ma l'Inglese era stato obbligato, per rinfrescarsi, di far porto nella
cala di Praya posta nell'Isola di San Jago, la principale di quelle,
che, raccolte come in un gruppo, si chiamano del capo Verde, ed
appartenevano alla Corona di Portogallo. Quivi attendeva a far acqua, a
procacciar bestiami, a fornirsi di camangiari, ed altri servigj fare
necessarj al lungo viaggio, ch'era in punto d'intraprendere. Molti
uomini delle compagnie navali si trovavano a terra. Ne ebbe Suffren
tostano avviso, e senza metter tempo in mezzo s'incamminava a golfo
lanciato verso il porto di Praya. Aveva ferma speranza di arrivarvi
improvviso, e di sorprendere gl'Inglesi trasandati, e non avvisantisi.
Già iva radendo inosservato marina marina una lingua di terra, che da
levante abbraccia il porto, e si avvicinava alla bocca di questo. Ma la
nave inglese l'Iside, che più vicina era alla bocca medesima, discoprì
in quel momento al di là della lingua di terra le cime degli alberi di
alcune navi, che dapprima diedero sospetto. Poscia dal modo, con cui
erano governate, si conobbe, ch'erano francesi; diè l'Iside il segno. Si
rivocavano i marinari dalla spiaggia; si sgomberavano le corsìe, si
apparecchiavano alla battaglia. Girata intanto la punta, compariva, qual
era, la flotta francese alla bocca del porto, e dal detto al fatto l'una
coll'altra si mescolarono. Avevano gl'Inglesi un vascello da
settantaquattro, tre altri minori, con tre fregate, e molti legni
mercantili dell'India armati in guerra; ma erano sconcertati, e fuori di
sesto, nè arringati per ricever la carica del nemico. I Francesi ne
avevano due di settantaquattro, e tre di sessantaquattro. Cominciarono
questi col tirare di buone fiancate all'Iside, che si trovò la prima;
poscia ordinatisi in un puntone, si spinsero avanti dentro del porto,
passando tra mezzo le navi inglesi e sparando furiosamente; e nel
medesimo tempo da poggia, e da orza. L'Annibale, ch'era la testa,
guidato dal cavaliere di Tremignon, posciachè si fu inoltrato dentro,
quanto più potè, con mirabile intrepidità operando, imperciocchè le navi
inglesi traevano gagliardamente dai due lati, gettò l'ancora. Seguitollo
in secondo luogo l'Eroe guidato dallo stesso Suffren, poscia nel terzo,
come dietroguardo, l'Artesiano governato dal cavaliere di Cardaillac. I
due rimanenti poco si poterono avvicinare, e trovandosi a sottovento si
allargarono, fatti i primi tiri, nell'alto mare. Due navi inglesi
l'Iside, ed il Romney poco si potevano giovare, la prima per essere
stata gravemente dai vascelli francesi nel loro passare danneggiata, la
seconda per essersi trovata posta troppo indentro nel fondo del porto.
Così combattevano dai due lati tre navi di alto bordo contro tre
somiglianti, scaricando i Francesi in un tempo, per trovarsi in mezzo,
dalle due bande, gl'Inglesi da una sola. Ma le fregate inglesi, ed i
vascelli armati della Compagnia dell'Indie, riavutisi, vennero a parte
del combattimento, e fortemente secondarono le più grosse. Durò la
battaglia lo spazio di un'ora e mezzo, quando finalmente l'Artesiano,
morto il suo capitano, e non potendo più resistere a sì duro bersaglio,
tagliato il cavo, si allontanò. Allora Suffren privato del retroguardo,
e fieramente percosso anch'esso dai due lati diè medesimamente indietro
colla sua nave l'Eroe, e ne venne fuori del porto. Da questa ritirata
delle due navi l'Eroe e l'Artesiano ne nacque, che l'Annibale restò solo
esposto ai colpi di tutti i vascelli nemici. Ne ricevette un danno
grandissimo; perdè tutti gli alberi, prima il trinchetto, poscia il
maestro, e finalmente l'artimone. Tuttavia con incredibile sforzo
operando si condusse sino alla bocca del porto, dove, preso a rimorchio
dalla nave la Sfinge, e riparati meglio, che si potè, gli alberi, andò a
ricongiungersi colla restante armata. Avrebbero voluto gl'Inglesi
seguitare i Francesi, e rinfrescar la battaglia. Ma i venti, le
correnti, l'ora tarda, ed i gravi danni pruovati dall'Iside
glien'impedirono. Questo fu il combattimento di Praya, il quale si passò
con poca riputazione dell'uno e dell'altro capitano. Errò l'Inglese
nell'essersi tenuto a sì mala guardia in una cala aperta ed indifesa,
quando sapeva pure, che il nemico andava aggirandosi nelle medesime
acque. Nè vale il dire, che forse credette, che la neutralità del luogo
l'avrebbe preservato. Perciocchè egli stesso affermò, che i Francesi,
quando viene loro il destro, non son soliti a portar rispetto a queste
neutralità. La qual cosa, se è vera, non si vede, con qual ragione
possano gl'Inglesi ai nemici loro rimproverarla. Errò ancora per aver
lasciato sbarcar a terra tanto numero de' suoi; per aver locato le navi
più piccole alla bocca del porto, e per aversi lasciato fuggire dalle
mani il vascello l'Annibale sì malconcio. Errò da un altro canto Suffren
per aver voluto combattere in sull'ancore; imperciocchè per quanto si
può argomentare delle probabili cose se, come prima fu arrivato, e senza
perder tempo a gettar l'ancore, fosse ito all'abbordo, od almeno avesse
combattuto a vela, avrebbe una compiuta vittoria riportato del nemico
sorpreso, e non apparecchiato alla battaglia. Riparati tostamente i
danni, l'armata inglese seguitò la francese; ma trovatala attelata in
ordine di battaglia, si astenne dal venirne al cimento. Sopraggiunta poi
la notte, le due armate l'una dall'altra si scostarono. Ritornò
l'inglese nel porto di Praya. La francese veleggiando tuttavia
vers'ostro, e rimorchiando l'Annibale, si condusse in quel porto del
capo di Buona Speranza, che chiamano _falsa baia_. Là andarono tosto a
raggiungerla le sue conserve, le quali, per irne ad assaltar gl'Inglesi
nel porto di Praya, aveva lasciate nell'alto mare sotto il convoglio
della corvetta La Fortuna. In cotal modo fu guasto il disegno, che
gl'Inglesi avevano fatto sopra il capo di Buona Speranza. Ma non potendo
essi conquistare, vennero in sul corseggiare. Ebbe Johnstone avviso da'
suoi speculatori, che si trovavano nella cala di Saldana, vicino al capo
medesimo, parecchie navi della Compagnia olandesi dell'Indie di
ricchissimo carico. S'incamminò a quella volta per predarle. Arrivato
sulle coste dell'Africa, piaggiando egli stesso come piloto, acciocchè
le sue navi non fortunassero nei vicini scogli, camminando, velocemente
la notte, nascondendosi il giorno, tanto fece, che arrivò
improvvisamente sopra la cala, e predò cinque di quelle navi più ricche
e più grosse. Le rimanenti arsero. Ottenuta questa cosa, la quale fu
causa, che la spedizione sua non sia stata del tutto intrapresa a
credenza, avviò una parte della flotta col generale Meadows alla volta
dell'Indie. Egli poi col Romney, le fregate, e le ricche spoglie se ne
tornò in Inghilterra. Suffren dal canto suo, assicurato con buon
presidio il Capo, rivolse anch'egli le prue verso le orientali Indie.
Così la guerra, che già infuriava in Europa, in Africa ed in America
stava per rinfrescarsi più feroce, che prima, sulle lontane rive del
Gange.

Ritornando ora alle cose che si facevano sotto le mura di Gibilterra,
alla furiosa batteria data loro succedette una quasi totale calma. Solo
quelle piatte trapellando nottetempo molto noiavano la guernigione. Per
la qual cosa il governatore per liberarsi ad un buon tratto da quella
rangola, piantati alcuni cannoni di lunghissima gittata, che a
quest'uopo stesso gli erano stati portati d'Inghilterra, e rizzate certe
grosse bombarde nell'esteriori batterie, arrivava con palle e con bombe
ad infestar il campo di San Rocco; e tutte le volte, che arrivavano le
piatte, ed ei traeva furiosamente dentro gli alloggiamenti spagnuoli.
Accortosi perciò Mendoza, che Elliot ciò faceva solamente per
rappresaglia degli assalti delle piatte, fu costretto di comandare ai
capitani di queste cessassero dagl'insulti loro, e se ne stessero
quietamente nel porto di Algesiras. Solo stessero vigilanti al non
lasciar entrar vettovaglie nella piazza. Erano intanto gli Spagnuoli
indefessi nell'avanzar i lavori delle trincee, e già si erano condotti
assai vicini alle falde della rocca, dimodochè la circonvallazione si
distendeva da destra a sinistra per tutta la larghezza dell'istmo, che
quella rocca medesima congiunge colla terra-ferma di Spagna. Avevano poi
sulla stanca scavato il cunicolo di comunicazione tra l'esterior
circonvallazione e gli alloggiamenti. Elliot, che se ne stava sicuro
sulla cima della rupe, non volendo spendere le sue munizioni invano, gli
aveva lasciati fare. Ma quando le opere loro furon condotte a fine,
allora deliberò di guastarle, col fare loro addosso una incamiciata.
Saltò fuori alle tre della mattina del giorno 27 di novembre con tre
schiere di valenti soldati tutte governate dal generale Ross. Le
accompagnavano un buon numero di palajuoli, e marrajuoli, e d'artiglieri
con fuochi lavorati. Procedettero con grandissim'ordine e silenzio.
Sopraggiunsero improvvisi. Dato dentro mettevano prestamente in fuga le
guardie, e si facevano padroni della prima parata. Tutto scombuiarono.
Gli artiglieri, appiccato il fuoco, tutto quello, che accendibil'era,
arsero; ruppero i carretti dei cannoni, ed i mortaj, e quelli con
incredibile celerità chiodarono. I guastatori volsero sossopra le
piazzuole delle artiglierie; rovinarono le traverse; i parapetti
uguagliarono al suolo. I magazzini arsero l'uno dopo l'altro nel general
incendio; e quella magnifica opera, che tanta fatica, tempo e spesa
costato aveva, fu nello spazio di una mezz'ora distrutta. Gli Spagnuoli,
o sopraffatti dall'improvviso caso, o credendo i nemici più grossi di
quello, ch'erano, non si ardirono uscir dal campo loro per ributtargli.
Solo trassero continuamente, sebbene con niuno effetto, a palla ed a
scaglia. Gl'Inglesi compiuta la bisogna, ritornarono sani e salvi ad
incastellarsi.

In Europa intanto covava un disegno, il quale doveva, se fosse stato
condotto a fine, grandemente affliggere la potenza britannica nel mare
mediterraneo. Restavano gli Spagnuoli molto male soddisfatti della
Francia, siccome quella, che pensato avesse sin allora solamente ai
proprj suoi interessi, e non a quei dei suoi alleati. Si dolevano
aspramente, ch'ella non avesse aiutato le imprese della Giamaica e di
Gibilterra, come se non vedesse volentieri crescere nei mari di America,
e nelle terre d'Europa il nome spagnuolo. L'aver gl'Inglesi così
sicuramente vettovagliato quest'ultima Terra, senza che i Francesi
nissun motivo di sorta alcuna fatto avessero per impedirlo, ed il poco
frutto fatto contro le mura di quella dall'ultima e sì feroce batteria
data loro con sì estremo sforzo, avevano questi mali umori vieppiù
accresciuti, e fattigli diventar aperte scontentezze. Mormoravano
universalmente i popoli della Spagna, e dicevano della Corte di quelle
cose, che sarebbe stato meglio tacere. Affermavano, che questa non per
interesse dei popoli spagnuoli, ma solo per secondare, e per far le
spalle ai disegni dell'avara ed ambiziosa Francia, aveva quella guerra
intrapresa. La chiamavano una guerra di Corte e di famiglia. Stimolata
la Francia dall'importunità di questi discorsi, e considerato, che
l'abbassar, in qualunque modo si fosse, la potenza britannica, era un
accrescere la sua, si risolvette a voler efficacemente cooperar a
qualche impresa, che di breve ridondasse in utile e benefizio speciale
della Spagna. E siccome quella della Giamaica non si poteva sì tosto
tentare, perchè sarebbe stato richiesto assai tempo ai necessarj
preparamenti, e quella di Gibilterra era troppo dura a poterla compir
prestamente, così si voltarono i pensieri ad un'altra, la quale tanto
più riuscibile pareva, quanto che gl'Inglesi non se l'aspettavano.
Questa fu la conquista dell'isola Minorca. Oltre i motivi finora
raccontati, che facevano di modo, che la Francia molto questa fazione
desiderasse, era essa ancora grandemente grata agli Spagnuoli. Ella è
l'isola Minorca in sì opportuno sito posta per corseggiare, che molti
arditissimi corsari, i quali colà si riparavano, tenevano infestati
tutti i mari, e disturbata la navigazione, ed i commerci sì di Spagna
che di Francia, coll'intraprendere le navi di queste due nazioni, come
ancora le neutrali, che con quelle andavano trafficando. Oltre di che
ella era quasi come una depositerìa, dove gli Inglesi ammassavano le
munizioni, sì da guerra che da bocca, le quali traevano dalle vicine
coste dell'Africa, e poscia o le navi loro ne fornivano, o trafugavano
dentro Gibilterra. La facilità dell'impresa era anche un possente
incentivo al tentarla. Imperciocchè nonostante, che la rocca di San
Filippo, ch'è il principale propugnacolo dell'isola, fosse di sito e di
mura assai forte, la qualità del presidio non corrispondeva nè alla
fortezza, nè alla importanza del luogo. Eranvi dentro solamente quattro
reggimenti, due inglesi, due annoveriani, che sommavano a poco più di
due migliaia di soldati; e quantunque l'aria ivi sia salubre, e gli
erbaggi copiosi, erano quelli malsani ed infetti di scorbuto.
Governavano tutto il presidio i generali Murray e Draper. Fatta la
risoluzione, i confederati francesi e spagnuoli si accordavano di modo,
che il conte di Guichen sul finir del mese di giugno partì da Brest con
un'armata di diciotto vascelli di alto bordo de' più grossi, ed andò a
congiungersi nel porto di Cadice colla spagnuola, che l'aspettava. Aveva
con lui i Signori de Beaussett e de Lamotte-Piquet, l'uno e l'altro
uffiziali di molta rinomea. L'armata spagnuola, la quale era governata
da don Luigi di Cordova, come capitano generale, e dai due
sotto-ammiragli Don Gastone e Don Vincenzo Droz, arrivava a trenta
vascelli grossi. Si era poi ivi fatto una massa di diecimila Spagnuoli,
ottima gente, i quali senza indugio alcuno si posero sulle navi.
Salparono il giorno 22 di luglio, ed arrivati sopra Minorca, senza
ostacolo alcuno incontrare, sbarcarono nella cala di Moschito il dì 20
d'agosto. Recaron tosto in lor potere tutta l'isola, inclusavi la città
di Maone, che ne è la capitale. I difensori, essendo così deboli,
avevano tutti questi posti abbandonato, e s'erano dentro di San Filippo
incastellati. Poco poscia arrivarono da Tolone quattro reggimenti
francesi sotto la condotta del barone di Falkenhayen. Avevano i due Re
confederati dato il governo di tutta l'impresa al duca di Crillon,
giovane nato di chiarissimo sangue, desiderosissimo della gloria, e
delle cose della guerra molto intendente. Si era egli condotto agli
stipendj della Spagna, ed essendo Francese fu creduto personaggio
acconcio alla comune impresa. Ma l'assedio di San Filippo era una cosa
assai difficile a pigliarsi a fare. È la Fortezza tagliata nel vivo
sasso, e tutta ben minata. Lo stesso sdrucciolo, e la strada coperta
scavati dentro nel sasso medesimo sono assicurati con mine, contramine,
palificate, e munitissimi tutt'all'intorno sopra la corona del fosso di
artiglierie. Attorno il fosso, che è profondo venti piedi, gira una
galleria sotterranea, e merlata, sicuro asilo ai difenditori. Traverso
segrete e scannafossi danno l'adito dalle opere esteriori al castello.
In esse, che sono fatte a mò di laberinto, sono scavati pozzi profondi
con coperchj muovevoli, e qua e là feritoje da ogni lato. Il castello
circondato anch'esso da un cammino coperto fortificato con contramine
non solo è difeso da controscarpe e mezze lune, ma di più da un muro
sessanta piedi alto, e da un fosso trentasei piedi fondo. Il mastio poi,
ch'è una torre quadrata fiancheggiata da quattr'orecchioni, ha le mura
alte ottanta piedi, ed un fosso profondo quaranta, scavato nel macigno.
Aveva anch'esso ed il suo corridoio, e le stanze pei soldati. Nel
miluogo havvi una spianata, perchè la guernigione vi possa fare gli suoi
armeggiamenti. Intorno alla medesima sono costrutti i quartieri pei
soldati, ed i magazzini per le munizioni, gli uni, e gli altri a botta
di bomba, e tutti nella durissima roccia scavati. Gl'Inglesi finalmente
per assicurarsi vieppiù avevano rovinata, ed uguagliata al suolo la
vicina città di San Filippo. Si avvicinarono cautamente i confederati a
questa cittadella, siccom'ella in sito alto locata torreggia, e domina
tutto il paese all'intorno, così non iscavando, ma piuttosto
trasportando ed innalzando terra le loro trincee formavano. Elevarono un
grosso ciglione murato lungo dugento piedi, alto cinque, e grosso sei.
Questa difficile opera fu tratta a fine, senza che gli assedianti
ricevessero alcun danno, non osando Murray saltar fuori, o perchè troppo
si diffidasse della debolezza del presidio, o perchè troppo confidasse
nella fortezza del luogo. Solo ebbe gittato bombe e palle, che non
fecero effetto di sorta alcuna. Infine, essendo la parata compita,
scopri Crillon le batterie, e con cento undici cannoni, che buttavano
ciascuno ventiquattro libbre di palla, e con trentatre bombarde, che
aprivano tredici pollici di diametro, fulminava la piazza.

Mentre queste cose si facevano sotto le mura San Filippo, l'armata de
confederati, nella quale si trovavano pressochè cinquanta navi delle più
grosse, guidata dal conte di Guichen, si era rivolta alle rive
dell'Inghilterra. Era l'intento dell'ammiraglio francese di andare
all'incontro dell'armata inglese, e di assaltarla, essendo venuto in
grandissima speranza della vittoria, imperciocchè non fosse essa a gran
pezza pel molto minor numero delle navi abile a resistere a tanto
apparato. Disegnava altresì con questa mossa d'impedir gli aiuti, che
dall'Inghilterra si sarebbero potuti mandare a Minorca. Sperava
finalmente di poter intrachiudere la via, e por le mani addosso alle
conserve, che partite dall'Indie, ad ora ad ora si attendevano nei porti
della Gran-Brettagna, siccome pure a quella, che, raccozzatasi nel porto
di Cork in Irlanda, era in procinto di partirne per alle orientali ed
occidentali Indie. Nè stava senza aspettazione che l'inopinata
apparizione di una sì possente armata sulle coste di quel Regno non
fosse per farvi nascere dentro qualche buona occasione di fare un
onorato fatto in servigio della lega. Arrivato arringava la sua flotta
alla bocche dello stretto distendendola dal capo Ognissanti sino
all'Isola di Scilly. Era allora l'ammiraglio Darby con ventuno vascelli
d'alto bordo in mare ed in via per andar all'incontro delle conserve.
Ebbe gran ventura nell'essere informato per mezzo di un bastimento
neutrale dell'avvicinarsi dei confederati così grossi; senza del che si
sarebbe trovato alla non pensata impacciato nell'armata loro, e quello,
che succeduto ne sarebbe, nissun nol vede. Avuto l'avviso, si ritirò
tosto dentro la cala di Torbay. Venivano spacciatamente a congiungersi
con esso lui altri vascelli di prima portata, finchè ne ebbe da trenta.
Gli ordinava entro la cala medesima, la quale è aperta, e poco
difendevole, a mò di crescente luna, per poter più agevolmente ributtar
il nemico, se questi lo volesse assaltare. Ma il pericolo era tuttavia
grande. Temevasi della flotta, temevasi delle città marittime,
principalmente di Cork, Terra indifesa, e piena di magazzini zeppi di
munizioni di ogni sorta. Erano in tutta l'Inghilterra gli animi
sollevatissimi. Compariva a gonfie vele l'armata alleata in cospetto di
Torbay. Convocò Guichen incontanente una Dieta militare, per aver il
parere dei Capi intorno a quello, che fosse a fare. Voleva egli, che si
desse dentro, e si assaltasse l'armata britannica. Discorreva, esser
questa quasi come presa dentro una rete; l'occasione aver corta vita, e
non mai, trasandata questa, potersi un'altra più propizia sperare per
ispogliar del tutto la Gran-Brettagna dell'imperio del mare. Ricordava,
con quanta infamia essa occasione si perderebbe, e quanto pungenti
stimoli di penitenza seguiterebbero, chi non l'abbracciasse. Essere il
nemico impacciato, aversi buona quantità di brulotti, l'effetto dei
quali in quell'ordinanza fitta ed immobile delle navi di Darby stato
sarebbe inevitabile; dimostrassero con un nobile ardire agli alleati,
quali, e quanti essi fossero. Don Vincenzo Droz non solo sosteneva la
opinione del capitano generale, ma di più si offeriva pronto a guidar la
testa, e ad attaccar la zuffa il primo. Ma il signor di Beausset, uomo
nelle cose navali di grandissima riputazione, manteneva la contraria
sentenza. Argomentava, che l'assaltar il nemico in quel luogo era lo
stesso, che privarsi del vantaggio, che si aveva grandissimo, del
maggior numero delle navi; che non si sarebbe potuto andare alla
battaglia coll'ordinanza spiegata, ma sibbene per puntone, ed una nave
dopo l'altra; la qual cosa avrebbe fatto abilità ai nemici, i quali
avrebbero tratto a mira ferma rasentando l'acque, e con palle
incrocicchiantisi da destra e da sinistra, di fracassar le navi già fin
prima, che giugnessero ai posti, che sarebbero lor destinati.
Concludeva, che siccome la risoluzione di assaltare il nemico in quel
luogo non si poteva a patto nissuno giustificare, così credeva, che più
riuscibile partito, e se non di eguale, certo di grande importanza,
fosse il por l'animo ad intraprendere la conserva, che poco lontana
esser doveva, dell'Indie occidentali. Si accostarono all'opinione di
Beausset Don Luigi, e tutti gli altri uffiziali spagnuoli, trattone Don
Vincenzo. Prevalse perciò l'opinione di costoro, e l'impresa fu posta da
l'un de' lati. Ma se i confederati non vollero, o non seppero quella
occasione usare, che la fortuna aveva loro apparecchiato, così ella
guastò loro poscia quel disegno, che in luogo del primo abbracciato
avevano. Incominciarono le malattie ad incrudelire a bordo delle navi,
massime delle spagnuole, e le burrasche, che seguirono poco dopo,
obbligarono i due ammiragli a pensare alla salute loro. Onde avvenne,
che Guichen co' suoi si ritirò a Brest, e Don Luigi a Cadice. Entrarono
sicuramente le conserve nei porti d'Inghilterra. Così questa seconda
apparizione dei confederati sulle coste inglesi riuscì altrettanto vana,
quanto la prima; ma però i soccorsi verso Minorca ne furono impediti.

Ma se le cose tra gl'Inglesi, i Francesi, e gli Spagnuoli passarono nei
mari d'Europa senza molto spargimento di sangue, e pressochè tutte in
mostramenti, se non del tutto inutili, certo poco fruttuosi, si
attaccarono però gl'Inglesi e gli Olandesi con tanto furore, e con sì
gran valore combatterono gli uni contro gli altri, che parvero
rinnovarsi quelle ostinatissime battaglie, per le quali sì grandemente
furono queste due nazioni nel decimo settimo secolo celebrate.
Esercitavano gli Olandesi nel mare Baltico un fioritissimo commercio coi
proventi delle colonie loro, ed essendo come quasi i fattori generali
diventati del traffico tra le nazioni settentrionali, e meridionali
d'Europa, ne avevano grandissime ricchezze acquistato. Oltreacciò i
paesi di verso tramontana erano quelli, nei quali andavano a far
procaccio di tutti gli oggetti alle construzioni navali necessarj. La
qual cosa molto più frequentemente usavano di fare, dopo ch'era nata la
guerra colla Gran-Brettagna, a fine di poter allestire il navilio
necessario, e mantener le possessioni, il commercio e la dignità della
repubblica. Conciossiachè molto mancava, che i suoi arsenali nel momento
della rottura fossero forniti delle cose, che abbisognavano. Non
isfuggiva agl'Inglesi, di quanta importanza fosse e l'interrompere
questo commercio, e l'impedire l'accivimento degli arsenali. Per la qual
cosa molto per tempo, e perfino dal mese di giugno avevano fatto uscire
con quattro grossi vascelli, ed uno di cinquanta l'ammiraglio
Hyde-Parker, padre di quell'altro, che militava nei mari d'occidente,
vecchio, ed espertissimo capitano di mare. Gli fu commesso, andasse a
correre i mari di tramontana, facesse quel maggior male, che potesse, al
commercio olandese, e ritornandosene a casa, sotto la sua tutela
pigliasse, e convogliasse una ricca conserva, che era raccolta, e pronta
al viaggio nel porto di Elseneur. Eseguì diligentemente Hyde-Parker i
comandamenti del suo Re, e già rivenuto dal Baltico segava colla
conserva le acque del mare d'Allemagna. Si erano dopo la sua partenza da
Portsmouth seco lui accozzate altre navi, tra le quali una di 74
chiamata il Berwick, una di 44 nominata il Delfino, e parecchie fregate,
dimodochè arrivava la sua flotta a sei navi d'alto bordo, oltre il
Delfino, e le fregate. Ma gli Olandesi non erano in questo mezzo tempo
stati neghittosi; anzi con incredibile sforzo operando avevano
apparecchiato una flotta di sette navi di fila con parecchie fregate, e
fuste armate in guerra. Ne davano il governo all'ammiraglio Zoutman, ed
al comandante Kindsberghen. Mettevasi Zoutman in mare verso la metà di
luglio con una conserva di legni mercantili destinata pel Baltico, sino
al quale intendeva di scortarla. Venne in questo mentre a congiungersi
seco lui una grossissima fregata americana, denominata il Charlestown.
S'imbattè la mattina dei 5 agosto coll'ammiraglio Hyde-Parker sopra lo
scanno detto Doggers-bank. L'armata d'Inghilterra aveva il sopravvento.
Veduto il nemico così gagliardo, mandavano al viaggio loro le navi della
conserva accompagnate dalle fregate; colle grosse si scagliavano contro
gli Olandesi. Questi, scoperto il nemico, fatt'anch'essi ritirare in
dietro verso i porti loro la conserva, si ordinavano animosamente alla
battaglia; poichè nel desiderio di questa non erano meno ardenti, che
gl'Inglesi si fossero. Si attelavano gl'Inglesi con sette navi, tra le
quali una di 80, ma questa vecchia e sdruscita, due di 74
gagliardissime, una di 64, una di 50, e finalmente una ultima di 44. Gli
Olandesi si affilavano anch'eglino con sette navi, una di 76, due di 68,
tre di 54, ed una di 44. Le fregate spigliate, e leggieri fuori della
fila se ne stavano pronte a correre, ove d'uopo facesse. Correva a piene
vele, e col vento in fil di ruota l'armata inglese contro la olandese,
che, ferma e ne' suoi ordini ristretta, l'aspettava. Un silenzio
profondo, ch'è segno per l'ordinario dell'ostinazione, regnava su tutte
a due. Nissun romore si udiva, se non se quello del cigolar delle
girelle, del fischiar del vento, e del fremere dell'onde. Stavano in
attitudine aspra arringati coll'armi in mano i soldati aspettando il
segno della battaglia, e gli artiglieri colle corde accese presso il
focone dei cannoni. Nissuno trasse, finchè non furono le due armate
vicine l'una all'altra ad una mezza gittata di moschetto. Si appettarono
le due capitane, cioè la Fortezza, su cui si trovava Hyde-Parker, e
l'Ammiraglio Ruyter, sulla quale era Zoutman, ed incominciarono una
ferocissima battaglia. Non tardarono a mescolarsi anche le altre, e
diventò essa tosto generale. Prevalevano gli Olandesi per la grossezza
delle artiglierie, e per le fregate, massime per la Charlestown, le
quali velocemente aggirandosi qua e là, ferivano da fianco le navi del
nemico. Prevalevano all'incontro gl'Inglesi, essendo essi più maneschi,
e le navi loro più maneggevoli, per la spessezza dei tiri. Si combattè
da ogni parte con grandissimo ardore, e con pari sorte lo spazio di tre
ore e mezzo, o di vantaggio. Non potevano gli Olandesi esser cacciati
dal luogo loro, e gl'Inglesi ogni altra cosa piuttosto si avrebbero
eletta, che di partirsi senza vittoria. Ma la forza degli elementi
quegli effetti produsse, ai quali ripugnava la rabbia degli uomini.
Erano le navi dall'una parte, e dall'altra sì fattamente malconce, che
più non si potevano governare. Si lasciavano, come legna morte,
trasportare all'ondeggiar dell'acque. Questo le separò di tanto spazio,
che più desiderarono, che potessero combattere. Ricevettero le navi
inglesi inestimabile danno negli alberi, nelle vele, e nel sartiame.
Volle Hyde-Parker, dopo pigliato breve rifiatamento, riordinar le sue
navi, e ricominciar la battaglia, quando tuttavia Zoutman se ne stava.
Volle seguitarlo, quando lo vide partire alla volta del Texel. Ma tutto
fu indarno. Vennero meno nello sforzarsi. Nè in miglior condizione si
trovavano le navi olandesi, mentre se ne andavano. A questa cadeva un
albero, a quella un altro. Ora un capitano mandava dicendo a Zoutman,
che il muoversi gli era divenuto impossibile; ora un secondo, che
tant'era l'acqua dentro le sfesse navi, che non si poteva aggottare; ora
un terzo, che andava a fondo; ed ora se ne udiva un quarto trar le
cannonate di misericordia. La nave la Olanda affondò a trenta leghe
distante dal Texel, e fu sì presto il caso, che la fuggente ciurma
lasciovvi dentro abbandonati a certa morte i miseri feriti. Le altre
rimorchiate dalle fregate si condussero, comechè non senza grave fatica,
a salvamento nei porti. Perdettero gl'Inglesi tra morti, e feriti da 450
soldati, tra i quali alcuni uffiziali di conto. Tra i morti fu con somma
lode rammentato il capitano Macartney, il quale aveva guidato la nave la
Principessa Amelia. Ma se fu mirabile la virtù sua, non fu minore quella
del giovine Macartney suo figliuolo, il quale fanciullo ancora di sette
anni se ne stette continuamente a' fianchi del capitano, mentre più
ardeva la pugna, essendo stato infelice, ma forte testimonio della morte
del padre. Lord Sandwich, capo del maestrato sopra le cose navali,
avendo l'ucciso capitano in questa vita lasciato una numerosa famiglia,
e poche facoltà, lo adottò in suo figliuolo. Nè qui si ristettero le
lodi date in Inghilterra ai combattitori della giornata di Doggers-bank.
Lo stesso Re Giorgio, giunto che fu l'ammiraglio Hyde-Parker nel porto
di Nora, lo andò a visitare a bordo della sua nave, e molto commendò e
questo, e gli suoi uffiziali pel calore dimostrato in quel pericoloso
cimento. Ma il vecchio Hyde-Parker, uomo brusco, e, siccome marino,
solito a svertarla, essendo gonfiato contro l'uffizio dell'ammiragliato,
perchè avendogli dato sì poche forze, gli avesse rotto la occasione di
una segnalata vittoria, disse a buona cera al Re, che gli desiderava più
giovani uffiziali, e migliori navi. Che in quanto a lui era diventato
tropp'oltre cogli anni, perchè potesse più lungamente servire. E
poterono bene il Re, i cortigiani, ed i ministri dire a posta loro,
ch'egli se ne stette sodo, e domandò licenza. Nè in Olanda il pubblico,
ed i maestrati furono avari delle lodi verso i loro capitani, e soldati,
che nella battaglia dei 5 agosto avevano sostenuto l'antica riputazione
del nome olandese. Scrisse il Principe Statholder lettere pubbliche a
Zoutman commendandolo, e molto ringraziandolo, in nome della repubblica,
e da sotto-ammiraglio, ch'egli era, lo creò vice-ammiraglio. Nominò
sotto-ammiragli i capitani Dedel, Braam, e Kindsberghen. Con grandissimi
onori poi proseguirono il conte Bentinck, mentre portato a riva, e
trafitto da cassale ferita se ne moriva. Aveva questi durante la
battaglia non meno espertamente che animosamente il vascello il Batavo
governato. Lo crearono anche, prima che morisse, sotto-ammiraglio. La
perdita degli Olandesi tra uccisi, feriti e sommersi fu maggiore di
quella degl'Inglesi. Tale fu l'esito della battaglia navale di
Doggers-bank, la più ordinata, e la meglio combattuta di tutta la
presente guerra. Chi ne avesse il vantaggio, egli è incerto. Ma certo è
bene, che gli Olandesi, essendo stati costretti a rientrar nei porti pe'
gravi danni sofferti, dovettero torsi giù dal disegno loro che era stato
di recarsi nei mari di tramontana. La nazione olandese però si levò
universalmente a nuove speranze, e si rinfrescò nel cuore di tutti la
virtù dei passati tempi.

Tosto che fu il conte di Guichen rientrato nel porto di Brest, si fecero
in Francia nuovi disegni. Conoscevano benissimo i ministri, che il conte
di Grasse si sarebbe fra breve trovato in bisogno di aiuti sì marittimi,
che terrestri. Imperciocchè nei mari dell'Antille e vi sono assai scarse
le provvisioni navali, e la natura del cielo, e dell'acque è tale, che
vi si logorano prontissimamente le navi. Oltreacciò sebbene si credeva,
che le forze colà mandate nel precedente, e nel presente anno fossero
sufficienti a compir i disegni, che fatti si erano sulla terra-ferma
d'America, e contro le isole inglesi più deboli, tuttavia a voler far
l'impresa della Giamaica, alla quale continuamente stimolava la Spagna,
vi abbisognavano più gagliarde armi sì da terra, che da mare. Nè era
nascosto a coloro, i quali reggevano lo Stato, che per ricuperar le cose
perdute nell'Indie orientali, era mestiero mandarvi nuove forze, e che
di più vi s'incominciava a difettar grandemente di armi, e di munizioni
da guerra. Per le quali cose tutte si ammassarono con grandissima
diligenza nel porto di Brest armi e munizioni destinate ad esser portate
nelle Indie. Vi si facevano marciar i soldati, e sollecitamente si
lavorava a risarcir il navilio, ed a metterlo in punto ad uscire. Infine
essendo ogni cosa in pronto, salpavano il conte di Guichen colla grossa
armata, il marchese di Vaudreil con una flotta più sottile, e le due
conserve per le Indie occidentali, ed orientali. Doveva Guichen, fatto
che avesse la posta a quest'ultime sino all'alto mare, e condottele
fuori del pericolo delle flotte, che stanziavano nei porti
d'Inghilterra, volgersi a ostro; ed andar a congiungersi coll'armata
spagnuola nel porto di Cadice. Quest'era per impedire i soccorsi, che
dalla Gran-Brettagna si sarebbero potuti mandare a Minorca. S'intendeva,
che Vaudreil conducesse i novelli soldati nelle Antille, e
congiungessesi col conte di Grasse per far unitamente agli Spagnuoli
l'impresa della Giamaica. Da lungo tempo non erano uscite dai porti
francesi conserve sì numerose; nè che sì importante carico portassero di
fornimenti guerreschi. Si ebbero in Inghilterra tosto dello smisurato
apprestamento le novelle, sebbene vi s'ignorasse, se per colpa dei
ministri, o altrimenti, che dovesse essere accompagnato da sì gagliarde
armi navali. Fu perciò commesso il carico all'ammiraglio Kempelfeldt,
perchè uscisse al mare con dodici navi di fila, una di 50, e quattro
fregate per correre contro le conserve. Ma Guichen aveva diecinove navi
delle più grosse, e Kempelfeldt, in vece di pigliar altrui, correva
pericolo di esser pigliato egli. Ciò nonostante fece la fortuna quello,
che gli uomini non potevano fare. Il giorno dodici di dicembre
l'ammiraglio inglese, essendo il tempo brusco, ed il mare fiottoso,
s'incontrò nella conserva francese, e sì fattamente ebbe la buona
ventura, che in quel punto trovandosi egli a sopravvento della conserva,
l'armata francese ne era a sottovento, e perciò fuori di facoltà di
soccorrerla. Giovossi l'Inglese molto destramente della favorevole
occasione, e dato dentro pigliò venti bastimenti, alcuni ne mandò a
fondo, ed i rimanenti disperdette. Più ne avrebbe pigliato, se il tempo
fosse stato più chiaro, il mare più tranquillo, ed avesse avuto maggiore
numero di fregate. Intanto sopraggiunse la notte. L'uno e l'altro
ammiraglio avevano le navi loro raccolto e rannodato. Viaggiava di
conserva Kempelfeldt tutta la notte con animo, subito che fosse spuntato
il nuovo dì, di dare la battaglia al nemico, tuttavia ignorando qual
fosse la forza di lui. Infatti la mattina lo discoprì a sottovento; ma
vedutolo così gagliardo, fece altri pensieri. E non volendo perdere per
imprudenza quello, che acquistato aveva per forza, e per un riguardo
favorevole della fortuna, volse le prue verso i porti dell'Inghilterra,
nei quali arrivò sicuramente con tutte le predate navi. Fe' egli in
quest'incontro prigioni undici centinaja di stanziali, da seicento a
settecento marinari. Le conquistate spoglie furono una quantità assai
considerabile di cannoni, e di ogni altra specie di armi, di munizioni,
e di attrezzi da guerra, siccome pure di grasce di diversa natura, come
sarebbe a dire vino, olio, spiriti, farina, biscotto, carne salata ed
altre di simil sorta. Nè a questo si ristette la fortuna avversa ai
Francesi; che il giorno seguente assalite le navi loro da una furiosa
tempesta accompagnata da tuoni, e folgori orribili, e da un vento di
scirocco impetuosissimo, furono obbligati a condurle, tutte rotte e
sdruscite, com'erano, nel porto di Brest. Solo le due di fila il
Trionfante ed il Bravo, e cinque o sei da carico poterono il viaggio
loro continuare. Fu questo gravissimo danno alla Francia; poichè oltre
la perdita inestimabile dell'armi e delle munizioni, penarono tanto le
navi da guerra ad essere ristorate, che trascorsero ben sei settimane
prima, che potessero rimettersi in mare alla volta delle Antille;
indugio che riuscì assai fatale, come si vedrà in appresso, all'armi
francesi in quelle spiagge.

Travagliandosi le armi nel modo che siamo andati finora discorrendo, con
varia fortuna in Europa, il conte di Grasse veleggiava prosperamente
alla volta della Martinica, e per arrivarvi più per tempo fece dalle sue
navi da guerra rimorchiare quelle da carico. Tanta fu la diligenza che
usò, che giunse in cospetto di quell'isola con cencinquanta vascelli,
computando insieme l'armata e la conserva, trenta giorni dopo, dacchè
egli era dal porto di Brest partito. Ebbe l'ammiraglio Rodney pronto
avviso dell'avvicinarsi dell'ammiraglio francese. Conosceva egli
ottimamente, di quanta importanza fosse l'impedire la congiunzione di
questa novella armata con quella, che già si trovava nei porti della
Martinica e di San Domingo. Conduceva seco il conte di Grasse venti navi
di alto bordo con una di 50, e nei porti sopraddetti già se ne avevano
in punto da sette in otto altre, che l'attendevano. Rodney non aveva che
ventuna navi di fila. Egli era vero che Hyde-Parker ne aveva altre
quattro alla Giamaica. Ma queste, oltrechè erano credute necessarie alla
difesa di quell'isola, trovandosi a sottovento, non si poteva sperare,
potessero venire in aiuto della grossa armata, che stava a sopravvento.
Mosso da tutte queste ragioni mandò Rodney i due ammiragli Samuele Hood
e Drake con diecisette vascelli a star in crociata avanti la bocca del
porto del Forte Reale della Martinica, al quale sapeva, che il conte di
Grasse aveva rivolto il corso del suo viaggio. Perchè l'ammiraglio
inglese abbia eletto di mandar quest'armata a bordeggiar rimpetto al
porto del Forte Reale, dov'era soggetta a cader sottovento, ed a lasciar
inevitabilmente, e sicuramente passar l'armata francese tra essa e la
terra per ridursi in quel porto medesimo, piuttosto che farla stanziare
a sopravvento presso la punta delle Saline a noi non è noto. Fu scritto,
che Hood, il quale era uomo nelle cose navali eccellentissimo, abbia
fatto in questo proposito qualche rimostranza. Ma Rodney, ch'era uomo di
sua testa, e che voleva quel che voleva, gli mandò dicendo, non pensasse
ad altro; attendesse ad eseguir le commissioni. Ma l'esito che ebbe la
cosa, dimostrò, che la crociata della punta delle Saline sarebbe stata
più opportuna, che quella del porto del Forte Reale. Compariva con
magnifica mostra il conte di Grasse presso la nominata punta la sera dei
28 aprile. Gli speculatori recarono tosto le novelle all'Hood
dell'approssimarsi dei Francesi. Ordinò egli prestamente le sue navi
alla battaglia colle prue rivolte verso la parte, donde veniva il
nemico. Comandò eziandio, che orzassero per poter poscia, poggiando,
meglio avvicinarsi alle coste della Martinica, a fine d'impedire ai
Francesi il trapassare tra sè e la terra. Intanto si fe' bruno, e
sopraggiunse la notte. La mattina gl'Inglesi ebbero vista dell'armata
francese, la quale in bellissimo ordine, ed in una lunga fila arringata
andava radendo terra terra le spiagge dell'isola. Dietro, cioè tra la
terra medesima e le navi da guerra, navigavano le onerarie. Ma le prime
colle orze rivolte all'armata inglese, e le prue al porto, tra essa
armata e le seconde s'interponevano. Le une e le altre si sforzavano di
girar intorno il capo Diamante, passato il quale avrebbero potuto
correre difilatamente nel porto. Tanto non poterono operar gl'Inglesi
per esser a sottovento, che le navi da guerra, che erano quattro di
fila, ed una di cinquanta, le quali già in quello si ritrovavano, non
uscissero, e non venissero a congiungersi colle vegnenti. Quindi il
conte di Grasse venne ad aver sotto i suoi comandamenti ventisei grosse
navi di fila; ed abbenchè in quel fortunoso punto si fosse accostato
all'Hood un vascello di 74 testè venuto da Santa Lucia, ciò nondimanco
non poteva la sua alla forza dell'avversario equiparasi. Ciò nonostante,
ossiachè credesse sulle prime, che de Grasse non avesse tanto numero di
navi, quant'egli aveva veramente, o che si fosse persuaso, che parecchie
fra le medesime, quantunque avessero la sembianza di navi da guerra, non
fossero però altro, che giunchi, o, come dicono i Francesi, navi armate
in _fluta_, o che veramente così il consigliassero il suo ardire e la
confidenza, che aveva grandissima ne' suoi, si sforzava ad avvicinarsi,
come meglio poteva orzando, all'armata francese. Il conte di Grasse
trovandosi forte, e volendo tuttavia condurre a salvamento nel porto la
conserva nè cercava, nè sfuggiva la battaglia. Arrivati che furono
gl'Inglesi a lunga gittata dai Francesi, s'incominciò da ambe le parti a
por mano al trarre delle artiglierie. Così si continuò a combattere di
lontano per lo spazio di tre ore con grave danno dei primi, e leggiero
dei secondi. In questo mezzo la conserva era entrata nel porto. Allora,
fatti i Francesi più arditi, si scagliavano contro gli Inglesi.
Quest'indietreggiarono, sebbene in ottima ordinanza. Ma le navi di Hood
per esser tutte foderate di rame erano più franche veleggiatrici, e non
era fatto abilità a de Grasse di raggiungerle. Oltreacciò il
dietroguardo francese essendo rimasto indietro, perchè non vi si erano
collate tutte le vele, fattosi un intervallo tra di esse e la rimanente
armata, poco mancò, che Hood non si ficcasse in mezzo, e non riportasse
una inaspettata vittoria. Ma accortosi prontamente de Grasse rife' il
ripieno, ed impedì l'imminente rovina. Continuarono per due dì i
Francesi a seguitare, gl'Inglesi a ritirarsi, finchè, tornati gli uni e
gli altri indietro, i primi posero nel porto del Forte Reale, ed i
secondi in Antigoa. In questi incontri le quattro navi britanniche il
Centauro, il Russel, il Torbay e l'Intrepido patirono gravissimo danno.

Avuto Rodney, il quale continuava a starsene a Sant'Eustachio
occupatissimo nella vendita delle opime spoglie, le novelle del danno
de' suoi, e dello avere il conte di Grasse felicemente afferrato al
Forte Reale, s'accorse incontanente, che non era quello il tempo di
starsi in sui mercati, e di aspettar lo scorcio della fiera. Conobbe,
che seppure voleva sostener le cose delle Antille, bisognava far altri
pensieri, e lavorarci dentro con tutte le forze. Per la quale cosa,
fatti con grandissima sollecitudine i suoi preparamenti, se ne andò con
tre vascelli, ed un polso di genti da terra a trovare Hood ad Antigoa.
Intendeva di riporsi tosto in mare per contrastare i disegni al
gagliardo nemico, il quale di già gli aveva fatto assai male, e
minacciava di voler far peggio. Ma i Francesi non istettero punto a
badare. Volevano con prestezza terminar quello che con felicità di
fortuna avevano principiato. Laonde, tentata prima, sebbene invano,
l'isola di Santa Lucia, si recarono velocemente contro quella di Tabago.
Il primo a sbarcarvi fu il signor di Blanchelande, il quale con quindici
centinaia di soldati s'impadronì di prima presa della città di
Scarborough e del Forte che la difendeva. Governava tutta l'isola
Fergusson. Aveva questi poco più di quattrocento stanziali, ma un numero
maggiore di milizie, ottima gente, ed affezionatissima allo Stato
inglese. L'universale ancora degl'isolani era nella opinione medesima
molto ardente. Trovandosi Fergusson così debole, abbandonate le spiagge,
si riparò più addentro nella isola alla città di Concordia, dalla quale
posta sopra di un sublime poggio si discopre da ambe le parti il mare,
cosa di somma importanza al presidio per vedere, se si movesse cosa
alcuna per quello in soccorso loro. Arrivava poco dopo il marchese di
Bouillé con un rinforzo di tremila soldati, e congiuntosi con
Blanchelande, sotto le mura di Concordia, cinse la città d'assedio. Nel
medesimo tempo il conte di Grasse con ventiquattro navi di fila si
andava, per impedir gli aiuti, attorno l'assaltata isola aggirando. Non
aveva pretermesso il governatore, tostochè ebbe veduto venirsi incontro
il nemico, di darne subito avviso, e chiedere pronti aiuti
all'ammiraglio Rodney, il quale da Antigoa già s'era recato alla
Barbada. Questi, o che si credesse che gli assalitori fossero più deboli
di quello ch'erano veramente, o che gli assaliti fossero più gagliardi,
o che al postutto non sapesse, che l'ammiraglio francese fosse venuto
con tutta la sua armata sopra Tabago, invece di venir egli stesso con
tutta la sua in aiuto dell'isola, fu contento al mandarvi solamente
l'ammiraglio Drake con sei vascelli, alcune fregate, e con forse
seicento soldati di sopracollo. Venne Drake presso Tabago; ma veduto il
nemico sì grosso si tolse dall'impresa, e rivolse le vele verso la
Barbada. Perseguitavalo de Grasse. Non potè però impedire, che l'Inglese
non arrivasse sano e salvo alla Barbada, dove portò le moleste novelle
all'ammiraglio Rodney. Ma intanto la condizione del governatore di
Tabago era diventata molto stretta; ed essendosi i Francesi impadroniti
di diversi poggi, i quali stanno a sopraccapo a Concordia, determinò di
ritirarsi sulla montagna più alta del miluogo. Ivi si erano costrutte
per le stanze e pel vivere dei soldati alcune baracche e magazzini. Già
messosi a camminare era arrivato alla città di Caledonia posta sulla via
per alla montagna. Tra questa e quella sono le strade così aspre e
difficili, che pochi uomini vi potrebbero tutto un esercito arrestare.
Bouillé conosceva, che il tempo e la necessità delle cose non pativano
la lunghezza di un assedio; e da un altro canto, se il nemico si
riparava a que' luoghi, ne sarebbe l'impresa di necessità lunga e
difficile diventata; il che avrebbe impedito i futuri disegni, che si
avevano. Si temeva altresì del prossimo arrivo di Rodney. Per la qual
cosa pensò Bouillé di accelerar in altro modo, che quello dell'armi, il
fine della fazione. Mandò dicendo al governatore, in ciò scostandosi
dalla consueta sua umanità, forse per l'ostinazione degl'isolani e forse
ancora per l'enormità commesse a Sant'Eustachio, che incomincerebbe ad
ardere due abitazioni e due campi di cannameli; e come disse, così fece.
Fece intendere altresì, che, se non si arrendesse, ogn'intervallo di
quattr'ore avrebbe fatto lo stesso a due volte altrettanti. Vedutosi
dagli abitatori, che la cosa non era da burla, e che se più oltre si
volesse perseverare nella difesa, ne sarebbero tutte le poste loro arse
e distrutte, abbiettatisi anche all'aver vedute le andantisi poppe di
Drake, e non punto disposti a tollerare il tedio dell'aspettare gli
aiuti ogn'ora più incerti, prima incominciarono a romoreggiare, poscia
appiccarono pratiche d'accordo col capitano francese. Fergusson,
accorgendosi ottimamente di non poter resistere al temporale, e
conosciuto inoltre, che gli stessi stanziali stanchi e sgomentati
nicchiavano, s'inclinò a convenire, e, chiesti i patti, gli ottenne.
Furono essi molto onesti e somiglianti a quelli, che Bouillé, solito
sempre a procedere con termini mansueti coi vinti, concesse agli uomini
della Domenica. Queste cose si facevano nell'entrar di giugno. Arrivò
Rodney poco dopo sopra l'isola con tutta la sua armata; ma udita la
perdita di quella, e trovato il conte di Grasse più di lui gagliardo,
schivata la battaglia, se ne tornò alla Barbada. In questo modo i
Francesi, diventati nelle Antille superiori di armi marittime, e con
lodevole celerità e prudenza usandole, e danneggiarono il nemico sul
mare, e conquistarono una ricca e bene munita isola. Ma questa non era,
che una parte dei disegni orditi dalla Francia, e commessi alla cura del
conte di Grasse. Gli avevano i ministri comandato, che, fatte quelle
maggiori e più utili fazioni nelle Antille, che meglio per la stagione
potesse, si recasse poscia con tutte le forze sue sulle coste
dell'America, e là cooperasse coi soldati nazionali e con quei del
congresso nel debellare, ed estirpar del tutto la potenza britannica in
quelle contrade. Washington e Rochambeau, per incominciar a metter mano
all'opera, lo aspettavano, e si erano per mezzo di spedite navi, mandate
da una parte e dall'altra, accordati di quello, che, quando congiunti
fossero, si avesse a fare. Lo avevano richiesto, conducesse oltre il
navilio, cinque o seimila soldati, munizioni da guerra e da bocca, e
soprattutto pecunia, della quale non solo gli Americani, ma ancora i
Francesi stessi difettavano. Pregavanlo finalmente, operasse presto,
perchè le cose andavano molto strette, e gli aiuti inglesi avrebbero
potuto arrivare. Stimolato il conte di Grasse da tutti questi motivi, e
dal desiderio della gloria che acquisterebbe, se egli avesse quello
fatto, che stato era tentato invano dal conte D'Estaing, con por fine
del tutto alla guerra americana, si risolvette a non metter tempo in
mezzo. Per la qual cosa partì dalla Martinica, ed arrivò al Capo
francese nell'isola di San Domingo. Quivi fu costretto a soprastar alcun
tempo per aspettar il denaro, il qual era necessario per levare le genti
e per far massa delle munizioni che si dovevano in America alla
grand'impresa trasportare. Il denaro però non potè ottenere. Nel
medesimo luogo si accozzarono con lui altre cinque navi d'alto bordo.
Finalmente imbarcati i soldati e le munizioni, commetteva le vele al
vento, e, scortata prima una grossa conserva sino a' luoghi sicuri, e
toccato la Havanna per levarvi denaro, che gli Spagnuoli di buona voglia
somministrarono, viaggiava con tempo prospero alla volta del golfo di
Chesapeack con vent'otto vascelli di fila. Portava tre migliaia di
valentissimi soldati, denari e munizioni a dovizia, e con essi tutta la
fortuna della guerra. Da un altro canto Rodney, che teneva l'occhio
attento a tutte le mozioni di Grasse, avuto lingua di quello che
accadeva, e giudicando la cosa di quella importanza, ch'ella era,
mandava speditamente alla volta dell'America l'ammiraglio Hood con
quattordici navi di fila, acciocchè congiuntele con quelle, che già vi
aveva l'ammiraglio Graves, si opponesse agl'intraprendimenti del conte
di Grasse. Egli poi cagionevole di salute con alcune navi malconce, ed
una grossa conserva se ne tornò in Inghilterra. Fu molto, e molto
acerbamente biasimato Rodney pei consiglj da lui presi a questi dì, ed
alcuni anche lo accagionarono dei sinistri avvenimenti, che poco dopo
sopravvennero. Argomentavano costoro, che se l'ammiraglio inglese avesse
seguitato tostamente il francese con tutta la sua armata, ed anzi
apportato alla Giamaica, ed ivi congiuntosi colla forza di Hyde-Parker
avesse così grosso fatto vela verso l'America, o il conte di Grasse non
avrebbe intrapreso di fare quello che fece, o ne sarebbe stato perdente
nel conflitto. Si dolevano, che Rodney invece di pigliar questo
consiglio, il quale, secondo che avvisavano era il solo che buono fosse
a seguitarsi in quella occorrenza, abbia, recandosi in Inghilterra con
parecchie delle più grosse navi, ed abbandonato il campo di battaglia,
ed infievolito l'armata già non troppo gagliarda ad un tanto bisogno.
Aggiungevano, che fu grand'errore il suo, di aver l'armata medesima in
parecchie piccole squadre spartita, lasciando alcune navi nelle isole di
sottovento, dove i Francesi non ne avevano lasciato nissuna, mandandone
altre tre alla Giamaica, che niuno allora aveva in animo di assaltare,
ed inviando finalmente Samuele Hood con una ineguale ed insufficiente
forza in America. Da ciò concludevano, esser ben da maravigliare, che
mentre i nemici tutte le forze loro in un solo luogo adunavano,
l'ammiraglio inglese le sue spartisse in diversi. Quali effetti ne siano
nati, dicevano, da questa deliberazione, averlo poscia veduto il mondo,
rammaricarsene con incessabili lagrime l'Inghilterra. Da un altro canto
redarguivano coloro, che la sentenza di Rodney mantenevano, che
l'essersi egli recato in Inghilterra era stato, rispetto alla sua
sanità, piuttosto necessità che elezione; che le navi, le quali aveva
condotte seco, erano sì fattamente malconce, che non si sarebbero potute
riparar in quei porti; che siccome de Grasse aveva sotto la sua tutela
una numerosa e ricca conserva, così si doveva credere, che non l'avrebbe
avviata sola e senza convoglio alla volta dell'Europa; la qual cosa se
avesse, come ragion voleva, fatto, ne sarebbe stato il numero delle sue
navi da guerra scemato; che quando anche nissuna stima si volesse fare
delle cose sin qui dette, la forza che condusse seco in America Samuele
Hood, se congiunta si fosse con quella di Graves, sarebbe stata
bastevolissima ad affrontare tutta l'armata dell'ammiraglio francese; ma
che bene aveva errato l'ammiraglio Graves, il quale invece di tener
raccolta ed intiera la sua flotta nel porto della Nuova-Jork se n'era
ito inutilmente aggirando nell'acque di Boston sino a tanto che
sopravvenuti essendo i tempi fortunali, ne furono le navi sue rotte e
fracassate; il che fu causa, che anche dopo l'arrivo dell'Hood alla
Nuova-Jork si trovarono le forze inglesi inferiori alle francesi; che se
Graves non ebbe nissun tempestivo avviso dell'arrivo del conte di Grasse
e di quello dell'ammiraglio Hood, ciò alla malvagia fortuna, e non a
colpa di Rodney doversi riputare, il quale non tralasciò di spacciar
verso l'America saettìe a recar le novelle, le quali furono nel viaggio
loro dal nemico intraprese; che in fine non si poteva il capitano
generale biasimare dell'aver mandato Samuele Hood in America, piuttosto
che l'esservi andato egli stesso; perciocchè fosse Hood un uomo il quale
nella scienza delle cose navali molti avanzava, a nissuno cedeva. Noi
non saremo per definire quale delle due parti s'accostasse alla ragione.
Imperciocchè negli accidenti della guerra, se non si dee giudicar dagli
eventi, non si dee nemmeno pretermettere la considerazione delle cause;
e certo è bene, che dalla presente risoluzione di Rodney dipendettero
tutte le future cose nella terra-ferma americana, la fortuna
dell'America stessa e quella vicinamente di tutta la guerra.

Narrati gli accidenti, che nel presente anno intervennero tanto in
Europa, quanto nelle isole delle Indie occidentali, ci conviene ora
raccontar quelli, che accaddero sul continente d'America, dove
principalmente si contendeva della somma delle cose, e si doveva con
tutte le forze sì da terra, che da mare definire, a quale delle due
parti dovesse rimanere la finale vittoria. Negli altri luoghi si
combatteva per gli accidenti della presente guerra, e della futura pace;
ma là si quistionava di tutta la fortuna, e per così dire della sostanza
stessa dell'una e dell'altra. Ma priachè ci facciamo a descrivere i
successi dell'armi, necessario è, che favelliamo di quelle cose, le
quali sebbene non siano altrettanto come quelli, appariscenti e
gloriose, sono però ai medesimi il principale, ed il più sodo
fondamento. Queste sono quelle, che appartengono al reggimento interno
dello Stato. Era la condizione degli Stati Uniti sul principiar del
presente anno non che prosperevole, calamitosissima, e dava maggiori
motivi di timore, che di speranza. Quantunque gli sforzi fatti dagli
Americani nel varcato anno, ed il nuovo ardire nato nei medesimi per
cagione dei disastri delle Caroline avessero alcuni buoni effetti
operato, tuttavia essendo essi fondati solamente sulla fugace ardenza
dei particolari uomini, e non su d'alcun buon ordine pubblico, ne
nacque, che incominciarono tosto ad andare in declinazione, sicchè non
s'indugiò molto a ritornare in eguali, e forse in maggiori angustie di
prima. L'erario pubblico era voto, o pieno soltanto di biglietti di
credito, che più non avevano nissun valore. Le provvisioni per
l'esercito non si facevano, o si facevano per forza con dar all'incontro
polizze del ricevuto, le quali perduto avevano ogni sorta di
riputazione. Quindi era, che e le derrate si nascondevano, ed i popoli
si disgustavano. Quando poi si era riuscito a ragranellare qualche poca
provvisione, questa non si poteva a luoghi comodi trasportare, perchè
non si aveva denaro per pagar le some ai vetturali; ed in alcuni paesi,
dove si aveva voluto far forza, ne erano nate cattive parole, e peggiori
fatti. Non si avevano magazzini in pronto; ma bene soltanto qualche
riposte qua e là, nelle quali spesso nè vettovaglie, nè vestimenta di
sorta alcuna si ritrovavano. Le armerie stesse mancavano d'armi. I
soldati laceri, nudi, privi di ogni bene vivente, invano chiedevano
aiuto a quella patria, che difendevano. Gli antichi disertavano, i nuovi
non volevano andar all'esercito; e sebbene il congresso avesse
decretato, che il primo gennaio vi dovessero essere trentasettemila
uomini in armi, appena che la ottava parte fossero arrivati sotto
l'insegne nel mese di maggio. Brevemente e' pareva, che l'America
venisse meno al suo più gran bisogno, e volesse tornar indietro,
allorquando già più era vicina ad arrivar alla meta. Ognuno credeva che
non sarebbero stati gli Americani capaci ad esercitar la guerra
difensiva, non che far la offensiva; ed invece di cooperare coi Francesi
nel cacciar via da quelle terre i soldati del Re Giorgio, si temeva che
non bastassero a far di modo, che questi non cacciassero quelli. Tanto
era il cambiamento di fortuna prodotto dalla povertà dell'erario, e
dalla mancanza di quegli ordini pubblici, che sarebbero stati necessarj
per fornirlo. Queste cose non isfuggivano la mente dei Capi americani, e
facevano ben essi ogni sforzo per rimediarvi. Ma di ciò avevano meglio
la volontà, che il potere. Il solo mezzo, che avesse il congresso per
soddisfare ai bisogni dello Stato erano o le nuove gittate di biglietti
di credito, o le gravezze da porsi sui popoli. Ma quelli avevano perduto
ogni sorta di valore, ed il congresso medesimo tratto da una inevitabile
necessità aveva richiesto gli Stati, acciocchè le leggi rivocassero da
essi fatte, le quali avevano prescritto, che i biglietti dovessero
servire e riceversi in luogo di moneta effettiva nei pagamenti. Inoltre
aveva ordinato che nei contratti che in nome dello Stato si andavano
facendo per le provvisioni dei soldati, si stipulasse il prezzo
specificamente in moneta. Il ch'era l'istesso che stabilire, che lo
Stato medesimo non riconosceva più i biglietti come moneta, e che questi
non solo non avevano più, ma ancora non potevano più avere nissun
valore. Il congresso poi non aveva la facoltà di por tasse, la quale
risiedeva tuttavia nei particolari Stati. Ma questi andavano molto più a
rilento, che non sarebbe stato il bisogno, nel porne; della quale
freddezza molte erano le cagioni. I reggitori degli Stati particolari
erano per lo più uomini popolari, i quali temevano di venire in
disgrazia dell'universale, se prestanziato avessero i popoli in un paese
massimamente, in cui per quella, non so se mi debba dire fausta od
infausta, utile o perniziosa agevolezza di gittar biglietti per
sopperire ai pubblici bisogni, erano usi a pagar nissuna tassa, o poche.
Inoltre, quantunque i biglietti del congresso fossero mancati, gli Stati
particolari però ne avevano dei loro, i quali, comechè non di sì gran
posta scapitassero quanto i primi, erano peraltro andati soggetti a non
leggier disavanzo; e ripugnavano i reggitori al por tasse in moneta
perchè credevano, e non senza ragione, che ciò gli avrebbe fatti
disavanzare di vantaggio. Nè si dee passar sotto silenzio, che, siccome
nissuna testa di reggimento vi era, la quale definisse, qual fosse la
rata di tassa, che secondo le abilità singolari dovesse a ciascuno Stato
spettare, così gli uni per gelosia degli altri si peritavano alle tasse
per paura di gravar sè stessi più degli altri. Tanto erano quei popoli
sospettosi e restii, quando si doveva venire al toccar dei cofani. Così
mentre gli uni stavano osservando gli altri, e nissuno incominciava, non
si forniva il nervo dell'entrate pubbliche allo Stato, e la repubblica
si disfaceva. Nè alcuna speranza si poteva avere, che gli Stati mossi da
tanta necessità fossero per investir il congresso dell'autorità di por
le tasse, sia perchè gli uomini non si spogliano volentieri
dell'autorità che hanno, sia perchè in quelle opinioni intorno la
libertà, che avevano gli Americani, stavano in sospetto che il congresso
potesse abusare. Finalmente egli è da far considerazione, che a quel
tempo molto confidavano gli Americani al poter ottenere soccorsi di
denaro esterni, massime da parte della Francia, e si erano dati a
credere, che solo, che un ministro del congresso si appresentasse a
domandar denaro presso alcuna Corte d'Europa, tosto ne otterrebbe quella
quantità che vorrebbe egli stesso, come se i forestieri avessero dovuto
esser più teneri degli Americani della prosperità e degl'interessi
dell'America. In cotal modo si era la fonte della pecunia pubblica, che
dai biglietti di credito derivava, seccata, e quella delle tasse non si
apriva. Si debbe ancora avvertire, che quand'anche le tasse si fossero
stabilite e sino a quell'estremo punto che si sarebbero potute
sopportare, era evidente, che quello che gittassero, non avrebbe potuto
a gran pezza supplire alla voragine della guerra, e per conseguente la
spesa avrebbe sempre vinto l'entrata. Conciossiachè si era quella
nutrita con tanta spesa, che vi si erano consumati dentro venti milioni
di dollari all'anno, e le più gravi tasse che si sarebbero potute porre
in quelle occorrenze degli Stati Uniti, non avrebbero potuto
fruttificare più di otto milioni di dollari. E sebbene si potesse
sperare, che con un buon maneggio del denaro pubblico l'enorme costo
della guerra si potesse diminuire, non è però, che non avesse il
medesimo sempre di gran lunga la rendita avanzato. Considerate tutte
queste cose, aveva il congresso molto per tempo commesso al Dottor
Franklin, che quelle maggior'istanze che potesse, facesse presso il
signor di Vergennes, per mano del quale passava allora principalmente
tutto il governo delle cose d'America, per ottener dalla Francia un
accatto di alcuni milioni di tornesi per far le spese della guerra. Gli
comandò ancora, ponesse ogn'industria per impetrar dal Re Cristianissimo
la facoltà di far un altro accatto a favor degli Stati Uniti presso gli
uomini pecuniosi di Francia e che fossero all'America affezionati. Le
medesime instruzioni mandò a Giovanni Adams e Giovanni Jay, il primo
ministro plenipotenziario degli Stati Uniti presso le Province Unite
d'Olanda, il secondo presso la Corte di Spagna, e ciò al fine stesso di
ottener da questi due Stati un conveniente accatto. Esponessero alla
Spagna, che sarebbero sul voler rinunziare (tanto erano spiritati a
questi tempi gli Americani) alla navigazione del Mississipì, ed all'aver
un porto su di questo fiume; all'Olanda, che le avrebbero procurato
vantaggi commerciali d'importanza; alla Francia, che senza di questo
aiuto di pecunia ne sarebbe la impresa loro spacciata; a tutti, che
l'America era di tal risponsivo, che nissun dubbio si poteva avere
intorno all'essere al convenuto termine rimborsati. Siccome poi la cosa
era di tanto momento, così non contenti all'aver queste nuove
commissioni inviate ai ministri loro, mandarono ancora in Francia il
colonnello Laurens, acciò presenzialmente i ministri francesi
confortasse al medesimo cammino, e l'accatto sollecitasse. La Spagna non
si lasciò piegare; perchè Jay non volle quella rinunziazione offerire;
l'Olanda nemmeno, perchè dubitava del risponsivo di quel nuovo Stato. La
Francia sola, la quale vedeva benissimo che l'aiutar la vittoria degli
Stati Uniti, e mantenergli in vita era un esser pagata meglio, che di
pecunia, concesse sei milioni di tornesi, non però come prestito, ma
come dono, e non senza qualche mal motto sulla freddezza degli Stati nel
fornire ai loro bisogni, allegando, che quando si vogliono compire
onorate imprese, non bisogna essere tanto rispettivi allo spendere.
Aggiunse molte protestazioni delle angustie proprie per far parere
migliore la cosa. Ma essendo questa somma troppo inferiore ai bisogni,
consentì la Francia ad entrare mallevadrice in Olanda per un accatto di
dieci milioni tornesi da farvisi dagli Stati Uniti d'America. E siccome
malgrado della mallevadoria l'accatto si forniva lentamente, così il Re
Cristianissimo fu contento ad anticiparne il sommato, cavandolo dal
proprio erario. Rispetto poi all'accatto da farsi presso i privati
uomini della Francia, non volle il Re acconsentire. In tal modo vennero
gli Americani ad ottenere dalla Francia un sussidio di sedici milioni di
tornesi, dei quali però una parte già era stata consumata nel pagamento
delle precedenti tratte del congresso sopra il Dottor Franklin pei
bisogni anteriori dello Stato mandate. Il rimanente o fu imbarcato in
altrettanta moneta per essere in America trasportato, o convertito dal
colonnello Laurens in valore di vestimenta, d'armi e di munizioni da
guerra in servigio degli Stati Uniti. L'intenzione del donatore de' sei
milioni era, che siccome il dono era destinato all'uso dell'esercito
d'America, così fosse o tenuto in serbanza all'ordine, o rimesso nelle
mani del generale Washington, acciocchè non venisse in quelle d'altri
maestrati, i quali, siccome dubitava, si sarebbero per avventura creduti
in necessità di divertirlo in altri usi dello Stato. Questa condizione
non solo non piacque, ma dispiacque molto al congresso; perciocchè si
pensò, che in tal modo i suoi soldati sarebbero, come se fosse,
diventati pensionati dalla Francia, e temette, che molto ne rimettessero
della dependenza loro verso di sè stesso. Perciò ordinò, che i
fornimenti compri con parte della donata pecunia, quando in America
arrivassero, fossero consegnati al maestrato sopra la guerra, e che in
ordine alla pecunia effettiva, foss'ella posta in mano del camerlingo,
il quale se ne desse carico e la spendesse poscia, secondochè gli
sarebbe dal congresso comandato in servigio dello Stato.

Fu questo soccorso della Francia opportunissimo agli Stati Uniti; e se
ne accrebbero grandemente gli obblighi della repubblica verso quella
Corona. Ma prima che i negoziati, che tendevano ad ottenerlo, fossero al
termine loro condotti, o che il denaro e le provvisioni arrivassero, era
stato richiesto un lungo tratto di tempo, sicchè riuscivano al presente
bisogno dell'America di tardo rimedio. Nè il sussidio stesso era
bastevole a soddisfare a tante necessità. Nè quando il fosse stato, si
poteva credere che fosse per bastare effettivamente, quando non si
riformassero gli ordini relativi allo spendere la pecunia pubblica.
Imperciocchè se povera era l'entrata, nissuno non dubiti, che maggiore
prodigalità non vi fosse nell'uscita. Le quali cose molto bene
considerate dal congresso, pensò di strigarsi finalmente da questo nodo,
che tanto lo aveva tenuto impacciato fin dal principio della
rivoluzione; e si risolvette ad introdurre una buona economia nella
Camera del Comune. A questo fine il giorno 20 di febbraio trasse a
camerlingo Roberto Morris, uno dei deputati dello Stato di Pensilvania
al congresso, uomo di grandissimo credito, sapere e pratica nelle
faccende mercantili, di larghe facoltà dotato, di costumi integerrimi e
nella impresa del nuovo Stato zelantissimo. Gli diè facoltà di
sopravvedere e soprantendere l'entrata e l'uscita pubblica, investigare
il debito dello Stato, immaginare e proporre nuovi ordini di pubblica
amministrazione. Se grave fu il carico imposto al Morris, non fu minore
l'ingegno e la fedeltà co' quali ei lo sostenne. Non tardò egli ad
introdurre la regolarità, dov'era il disordine, la buona fede, dov'era
l'inganno; e siccome la principale e più utile prerogativa di un
amministratore si è la esattezza nell'adempimento delle obbligazioni,
così in questo fu puntualissimo. Dal che ne procedette, che là, dov'era
una sfidanza universale, nacque appoco appoco una universale fidanza.
Una delle prime operazioni del camerlingo si fu di appresentare al
congresso un modello di un Banco nazionale per tutti gli Stati Uniti
d'America. Avesse il Banco un capitale di quattrocentomila dollari
diviso in altrettanti luoghi di quattrocento dollari ciascuno in monete
d'oro e d'argento da procacciarsi per mezzo delle soscrizioni; che
questo capitale potesse al bisogno, e giusta certe restrizioni e
limitazioni, essere accresciuto pure per mezzo delle soscrizioni;
fosservi dodici direttori del Banco; fosse questo riconosciuto dal
congresso sotto il nome del presidente, direttori e Compagnia del Banco
dell'America Settentrionale; il camerlingo avesse la facoltà di
sopravvedere tutte le operazioni del Banco. Questi erano gli ordini ed i
principali lineamenti della instituzione. L'uso poi si era questo, che
le scritte del Banco pagabili a richiesta, dichiarate fossero moneta
legale pel pagamento di tutte le imposizioni e tasse in ciascuno degli
Stati Uniti, e si ricevessero altresì nelle casse del pubblico erario,
come se oro, od argento fossero. Diè il congresso con solenne decreto
pubblico ratificamento all'ordinazione. Nè si penò molto a trovare i
soscrittori, e tutte le poste furono in breve tempo riempite. Riuscì il
Banco di grandissima utilità agli Stati. Perciocchè per mezzo delle sue
scritte ne fu abilitato il camerlingo ad anticipare i proventi delle
imposizioni. Nè contento allo aver per mezzo del Banco fatto servir i
capitali, ed il credito dei particolari soscrittori a sostegno del
credito pubblico, volle lo stesso effetto operare coll'autorità del suo
proprio credito e nome. Perciò gettò nel pubblico una non leggier somma
di obbligazioni sottoscritte di sua mano, e pagabili a differenti tempi
coi sussidj forestieri, o colle rendite interne degli Stati Uniti. E
quantunque col tempo queste sue obbligazioni abbiano sommato a meglio di
cinquecento ottant'un migliaio di dollari, ciò non di manco non è stato
mai, che scemassero di riputazione, se non forse un poco negli ultimi
tempi. Tanta era la confidenza, che avevano i popoli nella fede, e nella
puntualità del camerlingo. Così nell'istesso tempo, in cui il credito
dello Stato era presso che spento, e che le carte di lui poco o nulla
valevano, quello di un solo uomo era fermo, ed universale. Gli effetti
prodotti a vantaggio degli Stati Uniti da queste obbligazioni del
camerlingo pel mezzo, ch'elleno somministrarono, di poter usar
anticipatamente le imposizioni ad un tempo, in cui quest'anticipazione
era non che necessaria, indispensabile, furono inestimabili. Per esse ne
fu fatto abilità ai maestrati di far le provvisioni per l'esercito non
più per mezzo delle tolte, ma sibbene per contratti regolari. La qual
cosa fu d'infinito benefizio cagione e pel risparmio che si ottenne, e
per la esattezza dei fornimenti medesimi, e per la contentezza dei
popoli, i quali a quelle richieste forzate fieramente si corrucciavano.
E sebbene questo usare per anticipamento i proventi delle imposizioni
non sia esempio buono ad imitarsi, nè senza pericolo, tanta però fu la
prudenza di Morris in questo maneggio, e sì grandi l'ordine e l'economia
da lui introdotti in tutte le parti dell'uscita del denaro pubblico, che
non ne risultò danno di sorta alcuna. Ma un fondamento era necessario a
tutte queste nuove ordinazioni del camerlingo, e quest'erano le tasse.
Per la qual cosa il congresso decretò, si richiedessero gli Stati a
fornire per via d'imposizione all'erario otto milioni di dollari, e nel
medesimo tempo determinò, quale dovesse essere in questa somma la rata
di ciascuno Stato. Tal era la necessità delle occorrenze della
repubblica e tale la confidenza, che nel camerlingo aveva ognuno
collocata, che gli Stati a questo nuovo decreto del congresso volentieri
si accomodarono; e con ciò si pose un rimedio efficace alla strettezza
dell'erario. Nè qui si ristettero le cose fatte dal Morris in benefizio
degli Stati. La provincia della Pensilvania era quella dalla quale,
siccome frumentosa, si cavavano principalmente le somministrazioni delle
farine ad uso degli eserciti. Queste somministrazioni per mancanza della
moneta procedevano, sull'entrar del presente anno, molto lentamente. Ma
non così tosto Morris fu creato camerlingo, che prima col suo credito
privato procurò le incette delle farine pei soldati, poscia si offerì,
ed ottenne di soddisfar esso stesso alle richieste da farsi di tali
derrate alla Pensilvania durante tutto il presente anno, solo che gli
fosse concesso il rimborsarsi sul provento della rata del sovrannominato
balzello, che a quella provincia era toccata, la quale sommava a meglio
di un milione e centoventi migliaia di dollari. Così per opera del
camerlingo furono ristorati il credito e l'erario pubblico, e questo da
una estrema votezza ad una sufficiente pienezza condotto. Per lui stette
principalmente, che gli eserciti dell'America non si disbandassero, e
che il congresso, invece di cedere ad una inevitabile necessità, abbia
nel presente anno potuto non solo con vigore, ma ancora con prosperità
di fortuna la guerra offensiva esercitare. Certamente dovettero, e
debbono gli Americani altrettanto saper il buon grado e restare
obbligati alle camerali ordinazioni di Roberto Morris, quanto ai
negoziati di Beniamino Franklin, ed alle armi di Giorgio Washington.

Prima però che questi nuovi e salutevoli ordini avessero corroborato lo
Stato, ed in sul bell'entrar dall'anno era succeduto un caso, il quale
aveva fatto temere di prossima rovina tutta l'America; e se non fu la
prima causa, fu certamente il più possente sprone, perchè gli ordini
medesimi si facessero. Erano a questo tempo, siccome abbiam notato, i
soldati privi di ogni cosa non solo al militare, ma ancora al vivere
necessaria; il che gli faceva stare molto di mala voglia. A queste
cagioni di scontentezza se ne venne a congiungere per gli stanziali
della Pensilvania un'altra speciale, e questa fu, che siccome avevano
preso le ferme o per tre anni, o per tutto il tempo della guerra, così
per l'ambiguità dei termini delle condotte loro si credettero sul finir
di quei tre anni essere sciolti ed aver la facoltà di ritornarsene alle
case loro, mentre dal canto suo lo Stato pretendeva che militar
dovessero sino al fine della guerra. Queste due cause operando insieme
nelle menti loro fecero di modo, che la notte del primo gennaio
tumultuarono di mala sorte e si ammotinarono dicendo, che volevano
armata mano ire alla sede del congresso, e quivi ottenere ai torti, che
sofferivano, ammenda e ristoramento. Erano nel torno di quindici
centinaia di soldati. Fecero gli uffiziali ad ogni poter loro per sedar
il tumulto ma tutto fu in vano, e nel contrasto che ne seguì, alcuni fra
gli ammotinati da una parte, ed un uffiziale dall'altra, vi perdettero
la vita. Si presentò il generale Wayne, uomo pel valor suo di grande
autorità presso i soldati, ed avendo alzato la pistola contro i
sediziosi, gli fu detto, badasse bene a quello che si facesse, che ne
sarebbe anch'egli tagliato a pezzi; e già gli avevano posto le baionette
al petto. Quindi, fatto massa delle artiglierie, delle bagaglie e del
carreggio, che alla schiera loro appartenevano, si avviarono in bella
ordinanza verso Middlebrook. La notte ponevano gli alloggiamenti con
trincee e ripari molto cautamente, come se fossero in paese nemico.
Avevano eletto a capo dell'impresa un certo Williams, disertore inglese,
e gli avevano dato per arroti, con chi potesse consultare, tutti i
sergenti delle compagnie. Da Middlebrook procedettero a Princetown, e vi
si accamparono. Uffiziali non vollero in mezzo di loro, e già cacciato
avevano da Princetown il marchese de La-Fayette, il generale
Saint-Clair, ed il colonnello Laurens, che vi erano venuti per quietar
gli strepiti. Intesasi la cosa in Filadelfia, e parendo ai Capi della
lega di quella importanza ch'ella era, si mandarono delegati, tra i
quali i generali Reed e Sullivan, per iscoprire a che termine dovesse
arrivare quel moto, e coll'autorità loro porvi, se possibil fosse,
rimedio. Arrivati nelle vicinanze di Princetown mandaron dicendo agli
ammotinati, che cosa volesse dir questo, e che si volessero. Risposero,
che questo voleva dire, che non s'intendevano di star più oltre alle
baje, ed alle promesse che loro si facevano; che pretendevano, che tutti
coloro i quali avevano militato lo spazio di tre anni, avessero congedo;
che sia quelli che se n'andassero, sia quelli che rimanessero, avessero
ad avere immediatamente tutte le paghe decorse e tutte le vestimenta,
che avrebbero dovuto avere sino a quel dì; che fossero loro pagati i
residui dei caposoldi; e che finalmente volevano per l'avvenire, senza
lasciare scattar pure un giorno, essere pagati tutti appuntatamente.
Intanto era la nuova dell'ammotinamento nella Nuova-Jork a Clinton
pervenuta, il quale tosto deliberò di giovarsi della occasione. Mandò al
campo de' sollevati tre uomini a posta, tutti e tre leali americani,
perchè in nome suo proferissero loro le seguenti condizioni; sarebbero
ricevuti sotto la protezione del governo inglese; sarebbero loro
perdonate tutte le passate offese; sarebbero fedelmente di tutte le
paghe soddisfatti dovute loro dal congresso senza niuna obbligazione di
militar sotto le insegne del Re, quantunque volentieri si sarebbero
accettate le buone voglie; che solo si esigeva, ponessero giù le armi,
ed alla leanza loro ritornassero; mandassero deputati in Ambuosa per
praticare, ed accordar con coloro, che là sarebbero venuti da parte di
Clinton. Gli agenti poi di questi, oltre le narrate condizioni, andavano
mettendo male biette, con vivi colori dipingendo il ben essere dei
soldati del Re, le miserie loro proprie, l'ingratitudine del congresso.
Ma Clinton non contento a questo, per dare di luogo vicino favore agli
ammotinati, e facilità al venire, quando il volessero, a congiungersi
con esso lui, era varcato con non poca parte delle sue genti dalla
Nuova-Jork nell'Isola degli Stati. Non volle però andar più oltre, e por
piede sulla Cesarea per non far levar i popoli a romore, e non irritare
con troppo vicina dimostrazione quelle genti, e far loro di nuovo dar la
volta in favor del congresso. Risposero alle proposte di Clinton nè del
sì, nè del no. Gl'inviati ritennero. In questo frattempo si erano
appiccate, e bollivano le pratiche tra i deputati del congresso, e quei
de' sollevati, e siccome gli animi erano gonfj, così vi fu che fare e
che dire assai, prima che si volessero udire gli uni gli altri, non che
far le viste di volersi accordare. Offerivano i primi di dar congedo a
tutti coloro, che avevano pigliato le ferme indeterminatamente per tre
anni, o per la durata di tutta la guerra, e che nei casi, in cui le
scritte del tempo delle ferme non si potessero avere, si ammettessero
per pruova i giuramenti dei soldati; che darebbero polizze, o sia
promesse di rifacimento delle somme, che i soldati perdute avevano a
cagione del disavanzo dei biglietti; che i soldi corsi si sarebbero
assestati il più presto, che far si potesse; che somministrerebbero loro
sul fatto certi capi di vestimenta, dei quali stavano in maggior
bisogno; si perdonerebbero e dimenticherebbero le offese. Per queste
proposte le cose si domesticarono; fu fatto l'accordo, e si posarono gli
animi. Marciarono poscia da Princetown a Trenton, dove furono le
condizioni mandate ad effetto. Consegnarono in mano dei loro i deputati
di Clinton, i quali senz'altro indugiare furono impiccati. In tal modo
fu fermato un tumulto, che aveva maravigliosamente tenuto in sentore, ed
impaurito gli Americani, e dato sì grandi speranze al generale inglese.
Ma molti valenti soldati, ottenuto commiato, ed abbandonato l'esercito,
alle case loro se ne ritornarono. Washington, durante l'ammotinamento
non fe' dimostrazione veruna, e se ne stette quieto ne' suoi
alloggiamenti di New-Windsor sulle rive del fiume del Nort. Della quale
deliberazione furono causa il sospetto, ch'egli aveva, che i suoi proprj
soldati si mettessero in levata, la pochezza loro, il pericolo che vi
era, che se egli sprovvedesse le rive di quel fiume, il generale inglese
vi salisse e s'impadronisse dei forti passi già tante volte venuti in
contesa; e finalmente il timore che se s'intromettesse inutilmente,
l'autorità sua ne andasse presso tutti gli altri soldati soggetta a
diminuzione, e diventasse contennenda; il che sarebbe stato di pessime
conseguenze cagione. Forse ancora nel mezzo dell'animo suo stette
contento a quello sprone dato al congresso, acciocchè meglio, e con ogni
sforzo fosse per attendere ai bisogni dell'esercito, movendolo la
difficoltà, colla quale si provvedevano i denari necessarj al
sostentamento di quello. Pochi giorni dopo gli stanziali della Cesarea,
mossi dall'esempio dell'ammotinamento dei Pensilvanesi, e del fine
ch'esso ebbe, si levarono anch'essi in capo. Ma Washington, mandato loro
all'incontro una grossa banda di soldati, della fede dei quali si era
nella precedente sedizione assicurato, tostamente gli ridusse al dovere,
e fe' aspramente gastigare i nutritori dello scandalo. Così fu posto
fine del tutto al tumultuar dei soldati; e gli Stati, avuta questa
battisoffia, per chiarirsene una volta tanto dissero e tanto fecero, che
rimedirono, e mandarono al campo paghe per tre mesi in altrettanto oro
ed argento. Con questo aiuto si confermarono gli animi dei soldati,
tantochè tennero il fermo, sino a che le ultime deliberazioni del
congresso, che abbiamo sopra raccontate, operato avessero quegli effetti
che se ne dovevano aspettare.

Nel tempo medesimo in cui il congresso, avendo anche in ciò consenzienti
Washington, e tutti gli altri principali uomini della lega, si sforzava
di stabilir nuovi e buoni ordini civili, i quali sono il principale
fondamento alle fortunate guerre, il Capo dell'esercito meridionale
correva a gran giornate, e con forze potenti alla ricuperazione della
Carolina, la quale gli era, come se fosse sicura, o poco difficile
preda, lasciata nelle mani dal lord Cornwallis, che si era a volgersi
contro la Virginia deliberato. Era, partitosene Cornwallis, il governo
della meridionale Carolina venuto in mano del lord Rawdon, giovane di
buona mente e di non mediocre aspettazione nelle cose della guerra.
Aveva egli posto il suo principal alloggiamento in Cambden, città assai
fortificata; ma però il presidio vi era dentro molto debole, e tale, che
se atto era a difendere la Terra, non l'era del pari a tener la
campagna. E questa medesima debolezza aveva luogo in tutti gli altri
posti della provincia, che tuttora si tenevano per gl'Inglesi.
Oltreacciò, siccome il paese era per ogni dove nimichevole, così erano
stati obbligati a partir le genti loro in altrettante piccole squadre, a
fine di conservare nella propria divozione que' luoghi ch'erano
necessarj alle difese, ed a raccorre le provvisioni. Di questi i
principali erano la città stessa di Charlestown, e quelle di Cambden, di
Ninety-six e di Augusta. I popoli, udito la ritirata di Cornwallis verso
la Virginia, avevano volto l'animo a cose nuove. Già in alcuni luoghi
incominciato avevano a far sedizione, e si erano cupidissimamente
vendicati in libertà. Sumpter e Marion, l'uno e l'altro uomini
dispostissimi ad ogni pericolo, attizzavano il fuoco, e la gente
tumultuaria riducevano sotto le insegne, ed ordinavano in regolari
compagnie. Tenevano infestati i confini della bassa Carolina, mentre
Greene col grosso dell'esercito si difilava verso Cambden. Già si
sentivano in questa città occulti mormorj della venuta del capitano
della repubblica, e già esso, essendo vicino ad arrivarvi, aveva, per
dar maggior animo ai popoli rivoltantisi, mandato il colonnello Lee co'
suoi cavalli a congiungersi con Marion e con Sumpter. Così Rawdon non
solo si trovò ad un tratto assalito da fronte dalle genti di Greene, ma
ebbe timore, che non gli venisse tagliata la strada alla ritirata verso
Charlestown. La cosa gli apparve non solo improvvisa, ma ancora molto
strana; imperciocchè nissuno indizio certo, o sentore gli era pervenuto
della risoluzione presa da Cornwallis di abbandonar la Carolina per
recarsi contro la Virginia; non che Cornwallis non avesse spedito i
messi portatori della novella, ma erano sì generalmente avversi i
popoli, che nissuno aveva potuto trapelare, e da questi nissuna notizia,
che vera fosse, si poteva spillare. Egli poi a tutt'altra cosa avrebbe
pensato fuori che a questa, che il frutto della vittoria di Guilford
stato fosse quello di doversi Cornwallis ritirare dalla presenza del
vinto nemico. Tuttavia Rawdon nulla sgomentandosi a quest'inopinato
cambiamento delle cose, siccome uomo valente ch'egli era, fece tosto
quelle deliberazioni, che meglio alla congiuntura, in cui egli si
trovava, si convenivano. Avrebbe voluto ritirarsi più verso Charlestown;
ma essendo il paese infestato dagli stracorridori di Sumpter, ed avendo
già Greene alle costole, se ne tolse dal pensiero. Nella quale
risoluzione viemmaggiormente si confermò, considerato, che le mura di
Cambden erano forti e capaci a sostenere un primo impeto del nemico.
Solo le genti sparse qua e là nelle guernigioni delle Terre più deboli
contrasse, e fe' venire dentro di Cambden. Lasciò solamente munite le
città più forti. Accostò Greene l'esercito alle mura di Cambden; ma
trovatele ben munite, e conoscendo di esser troppo sottile di gente per
poter assaltare la piazza con isperanza di vittoria, prese la via dei
monti, ed andò a mettersi a fortezza sopra un colle chiamato
Hobkirk-hill ad un miglio distante dalla città. Non istava senza
speranza, che la fortuna gli avrebbe scoperto qualche occasione per
combattere, e se non credeva sè stesso abbastanza gagliardo ad assaltar
il nemico dentro le mura, si persuadeva però di poterlo vincere
nell'aperta campagna. Era l'alloggiamento suo molto forte, avendo da
fronte tra la collina e Cambden folte boscaglie, e da sinistra una
profonda e non valicabile palude. In questo campo facevano gli Americani
negligenti guardie, confidatisi o nella fortezza del luogo, o nella
debolezza del nemico, ovvero portati da quella loro trascuraggine, dalla
quale tante infelici pruove non avevano potuto per ancora ritorgli. Lord
Rawdon, conosciuta la condizione del nemico, e sapendo anche che questi
aveva mandato indietro ad un miglio distante le sue artiglierie, si
mosse per andarlo ad assaltare; animosa risoluzione, ma fatta necessaria
dalle circostanze. Poste le armi in mano perfino ai suonatori, ai
tamburini, ed ai saccardi, e la città in guardia ai convalescenti,
trasse fuori l'esercito camminando alla volta di Hobkirk. Non potendo nè
il bosco, nè la palude, che gli stavano davanti, varcare, iva
distendendosi a destra, e tanto si allargò, che gli venne fatto di girar
intorno la palude, e di comparire improvvisamente sopra il fianco
sinistro del campo americano. Greene, veduto un sì vicino pericolo,
emendò colla prontezza sua nell'ordinare i soldati alla battaglia la
passata negligenza. Essendosi accorto, che il nemico marciava assai
ristretto in una colonna, venne in isperanza di poterlo spuntar dai due
lati. Per la qual cosa comandò al colonnello Ford, perchè con un
reggimento di Marilandesi andasse a fiancheggiar gl'Inglesi sulla
sinistra, ed al colonnello Campbel commise, gli ferisse sulla destra.
Gli fe' poi assaltar da fronte dal colonnello Gunby, e mandò nel
medesimo tempo il colonnello Washington co' suoi cavalli, perchè, girato
intorno il fianco loro destro, gli urtasse alle spalle. In tal modo si
appiccò la battaglia molto feroce da ambe le parti. I reali sulle prime
piegarono, ed andarono, fanti e cavalli, disordinati in volta. Il terror
loro era anche accresciuto dalle spesse gittate di scaglia, che facevano
loro addosso i repubblicani per mezzo delle artiglierie arrivate in su
quel fatto al campo. In questo punto Lord Rawdon spinse avanti una
squadra d'Irlandesi, ed alcune altre compagnie, che aveva tenuto in
serbo per le riscosse, e per mezzo loro ristorava la fortuna della
giornata. Si combattè allora buon pezzo aspramente, e diversi
ondeggiamenti si osservavano, cedendo ora questa parte, ora quella. Ma
finalmente un reggimento marilandese fieramente pressato dal nemico si
disordinò, e pose in fuga. Questo fu causa, che anche i vicini si
smagliarono, e la rotta divenne in poco tempo universale. Si
rattestarono i repubblicani parecchie volte, ma sempre invano,
incalzando vicinamente gl'Inglesi. Entrarono questi poco dopo negli
alloggiamenti nemici sulla collina. Intanto il colonnello Washington,
eseguendo gli ordini del capitano generale, si era colla sua cavalleria
condotto dietro le file inglesi, mentre ancora non si erano, dopo la
prima rotta, rimesse negli ordini loro, e molti aveva fatto prigionieri.
Ma, veduta poscia la rotta de' suoi, si ritirò intiero. Alcuni dei
prigionieri gli sfuggirono dalle mani; gli altri condusse seco al campo,
dove si raccozzò con Greene. Questi dopo la sconfitta si era ricoverato
a Gun-Swamp a cinque miglia da Hobkirk, dove fece testa, ed attese
alcuni dì a raccorre i fuggiaschi, ed a riordinare l'esercito. Questa fu
la battaglia di Hobkirk, la quale si combattè addì 25 di aprile. Lord
Rawdon, essendo al di sotto in cavalli, ed avendo fatto non leggiera
perdita nella battaglia, in luogo di seguitar Greene, si era riparato di
nuovo dentro le mura di Cambden. Quivi avrebbe voluto fermar le stanze,
e ciò tanto più volentieri ch'ebbe ricevuto un rinforzo di genti sotto
la condotta del colonnello Watson. Ma ebbe gli avvisi, che gli Americani
levatisi a romore inondavano da ogni parte il paese; che già il Forte
Watson aveva pattuito; e quei di Granby, di Orangeburgh e di Motte erano
stretti d'assedio, dei quali quest'ultimo non era di poca importanza per
esser posto presso la congiunzione dei due fiumi Congaree, e Santee, ed
essere una notabile riposta di munizioni. Queste sinistre novelle
operarono di modo nella mente del capitano britannico (imperciocchè
tutti quei Forti erano posti alle sue spalle), che si risolvette ad
abbandonare Cambden, ed a ritirarsi più sotto verso Charlestown. La
quale risoluzione mandò ad effetto il giorno nove di maggio. Uguagliò al
suolo le fortificazioni, trasportò in salvo tutte le artiglierie e le
bagaglie, condusse seco le famiglie di quei leali, che per essersi
ardentemente scoperti pel Re, erano in maggior odio venuti de'
repubblicani. Arrivò tutto l'esercito a Nelson's-ferry sulle sponde del
fiume Santee il giorno 13 dello stesso mese. Quivi avendo inteso,
essersi gli Americani fatti padroni di tutti i Forti, che sopra abbiam
nominato, levate le tende, indietreggiò vieppiù, ed andò a porre il
campo a Eutaw-Springs.

Greene veduto, che Rawdon, ritiratosi nelle parti disottane della
provincia, si era levato del tutto dal pensiero di difendere le
superiori, pose l'animo a voler conquistare i porti di Ninety-six, e di
Augusta, che soli vi si mantenevano in nome del Re. Erano già questi due
Forti assediati dalle milizie condotte dai colonnelli Pickens, e Clarke.
Accostava Greene l'esercito alle mura di Ninety-six, e postosi intorno
procedeva tosto a farvi intensissimamente lavorare all'oppugnazione. Nel
che con grandissima laude si adoperò il colonnello Kosciusko, giovane
polacco, desiderosissimo di veder bene di quella causa d'America. Eravi
dentro, come castellano, il colonnello Cruger. Nel medesimo tempo
Pickens campeggiava strettamente la Terra di Augusta, dentro la quale
con non poca industria e valore si difendeva il colonnello Brown, che
n'era conestabile. L'una e l'altra piazza erano molto forti, e ci voleva
assai tempo per soggiogarle. Ma lord Rawdon, al quale incresceva il
venir privo di quelle, e molto più il perdere le guernigioni, che le
difendevano, avendo anche ricevuto in questo mezzo un rinforzo di tre
reggimenti poco prima arrivati dall'Irlanda a Charlestown, si metteva in
via per andare a disalloggiar il nemico da quelle Terre, e
principalmente da quella di Ninety-six; perciocchè non avendo
deliberazioni, se non difficili, e pericolose, amò meglio attenersi al
partito più generoso. Strada facendo gli pervennero le novelle della
perdita di Augusta, la quale combattuta forte da Pickens, e non avendo
rimedio, si era arresa all'armi del congresso. Il qual caso fu all'animo
suo un nuovo stimolo per conservare Ninety-six. Greene, riscaldando ogni
ora più la nuova dell'avvicinarsi di Rawdon, conobbe ottimamente, che la
qualità, ed il numero de' suoi soldati non erano di tal fatta, che
potessero resistere, quando assaltati fossero nel medesimo tempo e dalla
guernigione di Ninety-six, che saltasse fuori, e dai soldati freschi e
desiderosissimi di gloria, che incontro gli venivano. Da un altro canto
l'abbandonar l'assedio, prima che avesse tentato qualche onorata fazione
contro la piazza, gli pareva troppo vituperevole partito. Per la qual
cosa, sebbene i lavori dell'oppugnazione non fossero ancora a quel
termine condotti ch'era necessario, e che malgrado, che già avesse
sboccato nel fosso, e si fosse colle zappe avvicinato ad un bastione,
tuttavia le fortificazioni rimanevano pressochè intiere, si determinò a
voler dar la battaglia alla Terra. Poco sperava in quella condizione di
cose di poterla conquistare. Ma confidava almeno di potersene andare in
modo, che le armi americane ricevessero minor percossa nella
riputazione. Fu battuta con grande impeto la Terra dagli Americani, e
con ugual valore difesa dagl'Inglesi. Ma, veduto Greene, che non
profittava cosa nissuna; che per lo contrario molti de' suoi erano morti
dalle artiglierie nei fossi non ancora appianati, fatto suonare a
raccolta, gli ritirò agli alloggiamenti. Poco dopo la ributtata, essendo
già vicino Lord Rawdon, stendava, e si ritirava, perseguitandolo i reali
inutilmente, al di là dei fiumi Tigre, e Broad. Il capitano del Re
entrato in Ninety-six, ed attentamente esaminata la qualità dei luoghi,
venne in questa sentenza, che la Terra non si potesse tenere. E perciò,
messosi di nuovo in cammino, e procedendo verso le parti più basse della
Carolina, andò a porsi con tutte le sue genti a Orangeburgh. Veniva
Greene, fatto ardito dalla ritirata di Rawdon, per annasarlo in questa
ultima città. Ma trovatolo grosso, ed acconciamente alloggiato dietro le
giravolte del fiume, si ristè, ed andò a metter campo sulle alte colline
del Santee. Sopraggiunse quindi la stagione caldissima e malsana; e
nacque per essa quella cessazione dalla guerra, alla quale la rabbia
degli uomini per sè stessa non avrebbe voluto consentire.

Sospese in tal modo le ire guerresche, si accesero vieppiù le civili, e
queste furono molto più dagl'Inglesi, siccome perdenti, esercitate, che
non dagli Americani. Tra gli altri successe un caso molto
compassionevole, e che a grandissima rabbia ebbe tutta l'America
concitato, specialmente i Caroliniani; e questo fu una esecuzione, che
fecero i reali contro di un gentiluomo benissimo nato, e di ottimi
costumi fornito. Era il colonnello Isacco Hayne stato ardentissimo
nell'americana impresa, ed a' tempi dell'assedio di Charlestown aveva
militato sotto le insegne di una banda paesana a cavallo. Venuta poi
quella città in poter dell'esercito regio, Hayne, non bastandogli
l'animo di abbandonar la propria famiglia, la quale tenerissimamente
amava, per andarsene in istrani luoghi cercando rifugio contro la rabbia
dei conquistatori, e conoscendo, che ad altri uffiziali americani era
stata concessa la facoltà di rimanersene quieti alle case loro, purchè
dessero la fede di non offendere gl'interessi del Re, se ne venne in
Charlestown, ed ivi si constituì volontariamente presso i generali
britannici prigioniero di guerra. Ma questi, ai quali non era ascoso,
quanto fosse l'ingegno suo, e quanta l'autorità, ch'egli esercitava
presso i popoli, desiderarono di averlo del tutto in poter loro, e non
vollero riceverlo in quel grado, ch'era venuto a domandare. Gli fecero
perciò intendere, ch'egli aveva a diventare suddito britannico, ovvero
ad essere in istretta prigione rinchiuso. Questo avrebbe Hayne potuto
sopportare; ma non gli sofferì l'animo d'essere dalla sua moglie, e da'
suoi figliuoli sì lungo spazio disgiunto, e tanto meno, quanto che
sapeva, che infuriava fra di essi il vaiuolo, dal quale eziandio furono,
poco dopo, quella, e due di questi ad immatura morte condotti. Nè gli
sfuggiva, che se non consentisse alla inchiesta britannica, ne sarebbero
state le proprietà sue dalle sfrenate soldatesche poste a ruba ed a
sacco. Nella durissima alternativa l'amor di padre e di marito tanto in
lui operarono, che consentì a rivestirsi della qualità di suddito
inglese. Solo pregò, non potesse venir obbligato a combattere coll'armi
in mano contro i suoi; la qual cosa gli fu dal generale inglese
Patterson, e dal Simcoe, sovrantendente di polizia in Charlestown,
costantemente promessa ed affermata. Ma primachè si fosse al pericoloso
passo risoluto, se n'era a trovar il dottor Ramsay andato, quegli, che
scrisse poi la storia della rivoluzione d'America, pregandolo, gli fosse
in ogni caso avvenire testimonio, che non intendeva a patto nissuno la
causa dell'America abbandonare. Sottoscritta la obbligazione di leanza,
fu lasciato ritornare alle case sue. Intanto essendosi vieppiù la guerra
riscaldata da ambe le parti, e gli Americani, che erano stati debellati
e vinti, riavutisi e comparsi essendo di nuovo più arditi che prima in
sui campi, i capitani del Re nulla curando la promessa fatta all'Hayne,
gl'intimarono, pigliasse le armi, seco loro si congiungesse, andasse a
combattere quelle nuove teste di repubblicani. Non volle. Arrivarono
poscia nel paese i soldati del congresso; gli abitatori del suo
distretto si sollevarono, lo elessero a capitano loro. Non credendosi
egli più oltre obbligato a serbar quella fede agli altri, che gli altri,
siccome gli pareva, non avevano voluto serbar a lui, consentì alle
voglie dei suoi terrazzani, e vestì di nuovo quelle armi, che la
necessità gli aveva fallo deporre. Venne poscia coi corridori ad
infestar la contrada attorno Charlestown, dove, incappato in un agguato
tesogli dai capitani del Re, fu preso, condotto nella città, e gettato
in fondo di una oscura e schifa prigione. Fu dannato a morte dal lord
Rawdon e dal colonnello Balfour, comandante di Charlestown, e ciò senza
niuna forma di giudiziale processo. La qual cosa parve a tutti, qual era
veramente, non solo enorme, ma barbara; imperocchè perfino ai disertori
siano concesse le solite forme dei processi, e le difese; dal qual
benefizio solo le spie sono state dalle leggi della guerra escluse.
Tutti, e repubblicani, e reali per le virtù sue il compassionavano, e
voluto avrebbero salvargli la vita. Nè solo nei desiderj vani si
contennero; chè anzi molti fra i leali, e lo stesso governatore per
parte del Re venuti in presenza di Rawdon con grandissime instanze
intercedettero in favor del condannato. Le gentildonne di Charlestown
con ogni maniera di più umili, e di più efficaci parole scongiurarono,
gli fosse condonato. I figliuoli suoi ancor fanciulli con orrevole
accompagnatura de' più prossimi parenti, conciossiachè il crudel morbo
avesse testè la madre di questa vita tolta, tutti sordidati e vestiti a
bruno, ginocchioni si appresentarono avanti Rawdon, supplichevolmente
della vita dell'infelice padre addomandandolo. Tutti i circostanti con
dirotte lagrime secondavano gli effetti dei pietosi preghi. Rawdon e
Balfour non vollero a patto nissuno mitigare la severità del giudizio.
Vicino Hayne all'essere condotto all'ultimo passo fe' venire al cospetto
suo il suo figliuolo primogenito, allora in età di tredici anni
constituito, gli rimesse certe scritture da esser porte al congresso;
poi gli disse; _tu verrai al luogo del mio supplizio; là riceverai il
corpo mio, e farailo interriare nella sepoltura dei nostri maggiori._
Menato al patibolo, preso con affettuose parole l'ultimo congedo dai
dolenti amici, che gli stavano intorno, incontrò la morte con quella
stessa costanza, colla quale era vissuto. Fu egli del pari dabben uomo,
amorevole padre, benvogliente cittadino, valoroso soldato. E certo se le
smoderatezze de' principi, o l'impazienza dei popoli rendono qualche
volta inevitabili le rivoluzioni negli Stati, bene è da deplorarsi, che
le prime e principali vittime ne siano per lo più i migliori, i più
ragguardevoli, i più onorandi cittadini. Preso questo crudel supplizio
d'un uomo tenuto in sì gran concetto, onde tutta la città rimase
intenebrata, e pregna di vendetta, se ne partì Lord Rawdon alla volta
dell'Inghilterra. Chechè si debba della giustizia di quest'atto dei
capitani britannici pensare (abbenchè in ogni tempo l'estrema giustizia
sia stata riputata estrema ingiustizia), essendo esso stato tratto ad
esecuzione, allorquando le cose loro già erano in tanta declinazione,
parve alla maggior parte piuttosto uno sfogo di un nemico aontato dalle
perdite, che l'effetto di una giusta legge. Fieramente ne adirarono gli
Americani, e quegli odj, che già sì acerbi erano, vieppiù si
rinfuocolarono. Gli uffiziali di Greene gli addomandarono, usasse le
rappresaglie, protestando di esser pronti a sottomettersi a tutte le
conseguenze, che ne sarebbero nate. Perilchè ei mandò fuori un bando,
col quale minacciò di rappigliarsi della morte di Hayne sulle persone
degli uffiziali britannici, che gli verrebbero alle mani. Così la
guerra, già di per sè stessa tanto crudele, la diventava ancor di
vantaggio per le tracotanti ire degli uomini.

Greene in questo mezzo tempo non era stato ozioso nel suo campo sulle
colline del Santee; chè anzi con ogni industria si era affaticato nel
rifar genti, e con ispessi armeggiamenti le veterane confermare, le
nuove ammaestrare nell'arte delle fazioni militari. Nè la sua diligenza
era rimasta senza effetto. Fatte venire al suo esercito le bande paesane
dei contorni, venne a raccozzare un novero di un esercito giusto, ottima
gente, ed infiammatissima contro gl'Inglesi. Diventato poderoso, ed
essendosi già in sull'entrar di settembre rinfrescata la stagione, si
determinò ad andare ad assalir gl'Inglesi, e cacciargli del tutto da
quelle poche Terre, che tuttora possedevano nella Carolina fuori della
città di Charlestown. Fatta adunque una grande aggirata all'insù,
passava il fiume Congaree, e poscia scendeva a gran passo sulla destra
riva, spingendosi per la diritta con tutto l'esercito contro gl'Inglesi,
i quali sotto la condotta del colonnello Steewart avevano posto il campo
loro a Macord's-ferry, luogo situato presso la congiunzione di quel
fiume medesimo col Santee. I regj intesa la mossa di Greene, vedendosi
venir all'incontro un nemico così grosso, e fornitissimo massimamente di
corridori, e trovandosi troppo lontani da Charlestown, donde traevano le
provvisioni, abbandonato Macord's-ferry si ritirarono più sotto
Eutaw-springs, dove attendevano ad affortificarsi. Gli seguitò Greene, e
ne nacque gli otto di settembre la battaglia di Eutaw-springs. Aveva il
capitano del congresso indrappellato le sue genti, dimodochè la
vanguardia fosse composta delle milizie delle due Caroline, e la
battaglia di stanziali caroliniani, virginiani e marilandesi. Il
colonnello Lee colla sua legione proteggeva il fianco diritto, ed il
colonnello Henderson il sinistro. Il colonnello Washington co' suoi
cavalli, ed i Delawariani seguitavano alla coda. Questi, come schiera di
sovvenimento, dovevano fare spalle alle prime in caso di rotta. Le
artiglierie procedevano a fronte delle due prime schiere. Il capitano
inglese arringò i suoi in due file, la prima delle quali era difesa
sulla dritta dal rivo Eutaw, e sulla stanca dalle vicine selve; la
seconda, quale schiera di riscossa, si era fatta attelare sopra di un
poggio per guardar la strada per a Charlestown. Si mescolarono dapprima
i corridori dell'una e dell'altra parte. Poscia, ritiratisi dietro gli
altri, si appiccò la zuffa molto aspra tra le genti di più grave
armatura. Si pareggiò buona pezza la battaglia; ma finalmente le milizie
caroliniane, cedendo il luogo, disordinate si ritirarono. Quella parte
delle genti regie, che formavano la sinistra ala della prima fila,
lasciati i luoghi loro, gli tenevano dietro. Il che fu cagione, che un
poco si scompigliarono gli ordini, e non poterono combattere di
compagnia coll'altra parte della fila. Si giovarono tosto i repubblicani
del fallo commesso dai reali. Greene si spinse innanzi colla seconda
schiera, e gli assalì con sì grande e forte animo, che incontanente gli
ruppe e fugò. Per accrescere la rotta, ed impedire agl'Inglesi, che non
si riordinassero, Lee co' suoi cavalli, girato loro all'intorno sul
sinistro fianco, gli assaltò alle spalle. Allora non vi fu più modo
alcuno allo scompiglio, ed alla fuga dell'esercito britannico. La destra
ala però manteneva tuttavia la battaglia. Ma Greene operò di modo, che
fu ferita da fronte molto aspramente dagli stanziali marilandesi e
virginiani, e da fianco dallo squadrone del Washington. Tutti allora
disordinati andarono in fuga. Così tutto l'esercito regio, voltate le
spalle, e cogli ordini scomposti, si ritraeva verso gli alloggiamenti.
S'erano gli Americani già fatti padroni di alcune artiglierie, avevano
presi molti prigionieri, e parevano essere intieramente in possessione
della vittoria. Ma gli eventi della guerra dipendono troppo spesso dal
voler della fortuna; ed i soldati, che sono con ottima disciplina
informati, sanno sovente in mezzo al disordine rannodarsi e ricuperar
quello, che già parevano avere irrevocabilmente perduto; del che se ne
vide nella presente battaglia un manifesto esempio. I regj in mezzo a
tanto perturbamento degli ordini loro si gettarono dentro ad una grossa,
e bene fondata casa, e là rattestatisi facevano una disperata difesa.
Altri si raccozzarono dentro una folta e pressochè impenetrabile
boscaglia, ed altri dentro di un giardino impalizzato. Quivi si rinnovò
la battaglia più sanguinosa che prima. Fecero gli Americani tutto ciò,
che per valenti soldati si potè per isbarbar il nemico da quei nuovi
posti. Diedero la batteria con quattro cannoni alla casa; Washington
sulla dritta si sforzò di entrare nella boscaglia, Lee nel giardino.
Tutto fu nulla; vi si difesero gl'Inglesi sì valorosamente, che ne
fecero tornare indietro con grave danno i repubblicani. Il colonnello
Washington istesso ne fu ferito e fatto prigioniero. La pressa,
l'abbattuta e la mortalità furono grandi, principalmente presso la casa.
Steewart intanto, avendo riordinata la sua ala dritta, la spinse avanti,
e fattala girare a stanca, urtò all'improvviso i soldati di Greene sul
loro sinistro fianco. La qual cosa vedutasi dal generale americano,
siccome pure la strage de' suoi, che la magione assaltato avevano,
disperato di poter più spedire questo nodo, fe' suonar a raccolta, e
ritirò le sue schiere ai primi alloggiamenti, poche miglia distante dal
campo di battaglia. Perchè si sia ritirato sì lungo spazio, lo
attribuisce alla mancanza delle acque. Condusse seco da cinquecento
prigionieri, e tutti i suoi feriti, eccetto quelli, che si trovarono
troppo vicini alle mura della casa. Perdè due cannoni. Gl'Inglesi se ne
stettero tutto il giorno negli alloggiamenti loro. La notte, levatisi da
quel campo, andarono a porsi più sotto a Monk's-corner. Scrivono gli
Americani, avere i reali per la fretta sparsi a terra i liquori
spiritosi, e rotto e nascosto nelle fonti di Eutaw molte armi. Perdè
Greene in questo fatto tra feriti, morti e prigionieri meglio di
seicento soldati; Steewart, noverando anche gli smarriti, molti più. Fu
grande il valore mostrato in questa giornata dai repubblicani, i quali
impazienti diventati di battaglia manesca, tosto ne vennero alle
bajonette, l'uso della quale arme, se tanto temettero ne' principj della
guerra, ora fatti più arrisicati facevano, che altri lo temesse. Rese il
congresso immortali, e pubbliche grazie ai combattitori della giornata
di Eutaw-springs, e presentò con uno stendardo conquistato, ed una
medaglia d'oro il generale Greene. Poco tempo dopo, ricevuti alcuni
rinforzi, seguendo con molto ardore la fortuna vincitrice, scendè nelle
parti più basse incontro agl'Inglesi, e mostratosi nelle vicinanze di
Monk's-corner e di Dorchester fece di modo, ch'eglino, impotenti al
resistere, si rintanarono del tutto dentro la città di Charlestown. Solo
facevano correre la contrada intorno dai loro speculatori, e foraggieri;
ma però non si allargavano molto, perchè Greene prevalendo soprattutto
di soldati leggieri gli frenava, e, correndo pel paese, disturbava le
vettovaglie. In questo modo fu posto fine alla meridional guerra, e
Greene dopo una lunga ed aspra contesa, e con molta maestria di guerra
ricuperò alla lega tutte le due Caroline e la Giorgia, solo eccettuate
le due città capitali dell'una e dell'altra provincia, le quali tuttavia
obbedivano agl'Inglesi in un coi territorj più vicini alle mura. Tali
furono i frutti della risoluzione presa da lord Cornwallis a Wilmington
di portar le armi sue contro la Virginia. Ma molta lode si debbe a
Greene, il quale venuto, scambiando Gates, al governo dell'esercito del
mezzodì, quando le cose vi erano non solamente in declinazione, ma quasi
disperate, le ristorò di modo coll'attività sua, coll'ingegno e
coll'ardire, che i suoi, da vinti diventarono vincitori, i popoli
sfiduciati confidentissimi, e la fortuna inglese testè sì promettente
non trovò altro scampo, se non dentro le mura di Charlestown. E se fu
valoroso capitano, si mostrò del pari integro cittadino, uomo gentile e
cortese, amorevole amico. Ei fu tale che superò l'invidia colle sue
virtù, e giovando alla patria sua, ed ogni cosa governando, e massime sè
stesso, con mirabile modestia, fu degno che la fama trasmettesse
immaculato il suo nome alla posterità.

Ma nella Virginia iva Arnold mettendo a sacco, ed a ruba sì le cose del
pubblico, come quelle dei privati, quasi che volesse al tradimento
accoppiare la crudeltà. La qual cosa, siccome da noi già si è notato, ad
altro fine non era stata dai Capi britannici ordinata, se non se per
cooperare coll'armi di Cornwallis nelle Caroline, e per turbare e
dividere i disegni, e le armi del nemico. Imperocchè lo stabilire alla
divozione del Re la Virginia con sì poche genti, non era cosa che si
potesse non che eseguire, sperare. Ma intanto la fortuna dimostratasi
contraria a Cornwallis, posto avea Arnold in un grandissimo pericolo, e
già le milizie virginiane levandosi a romore tutto all'intorno lo
avevano costretto ad abbandonare la campagna, ed a ritirarsi di tutta
carriera a Portsmouth, dove attendeva a fortificarsi. Da un altro canto
Washington, che stava continuamente in orecchie, conoscendo, quanto gli
Americani desiderassero il sangue del traditore, aveva fatto il pensiero
di serrarlo per terra e per mare, dimodochè non gli potesse sfuggire
dalle mani. A questo fine aveva speditamente mandato alla volta della
Virginia il marchese de La-Fayette con dodici centinaia di fanti
leggieri; ed anche operò di modo coi Capi delle forze francesi
nell'Isola di Rodi, che questi fecero uscire un'armata di otto navi di
fila, perchè andassero a serrare il passo ad Arnold nel Chesapeack. Ma
gl'Inglesi avendo avuto pronto avviso della cosa, salparono dalla
Nuova-Jork con otto somiglianti navi sotto la condotta dell'ammiraglio
Arbuthnot, ed incontrarono i Francesi presso il capo Enrico. Ne seguì
una grossa affrontata, in cui le due armate ricevettero a un dipresso
uguale danno. Questi ultimi però ne furono costretti ad abbandonar
l'impresa loro, e di ritornarsene all'Isola di Rodi. Il che uditosi da
La-Fayette, il quale già era giunto in Annapoli di Marilandia, se ne
andò di là a capo d'Elk. Così scampò Arnold da un grave pericolo. A
questi dì i capitani del congresso avevano mandato un trombetto, o
caporale, o sergente, ch'ei si fosse, al mastro padiglione d'Arnold per
ivi fornirvi alcuna bisogna appartenente all'esercizio della guerra.
Porta la fama, che avendogli il traditore chiesto, che cosa avrebbero di
lui fatto, se preso l'avessero, colui gli desse questa subita risposta:
_Se t'avessimo pigliato quella gamba, che ti fu guasta, quando stavi ai
soldi della repubblica, l'avremmo seppellita con ogni dimostrazione
d'onore; il rimanente del corpo tuo l'avremmo impiccato._ Clinton,
conosciuto il pericolo, che aveva portato Arnold, e dubitando, che i
confederati non ottenessero un'altra volta quello, che ora avevano
tentato invano, mandò tosto in soccorso suo il generale Phillips con due
migliaia di soldati. Accozzatisi insieme Phillips e Arnold, di nuovo
corsero la provincia, depredando ed ardendo ogni cosa. A Osborn
distrussero un numeroso navilio con molti ricchi arnesi, e merci,
massime tabacco. Il Barone di Steuben, il quale governava i
repubblicani, avendo poche genti, non era abile al resistere. In fine
arrivava il marchese co' suoi, e colla presenza sua ebbe preservato la
ricca città di Richmond. Quivi però gli fu forza prospettar l'incendio
della città di Manchester, posta sulla destra riva del fiume James,
rimpetto a Richmond, alla quale i regj a bello studio avevano appiccato
il fuoco. Ma la guerra, finora vaga e sparsa, già si volgeva ad un solo
e determinato fine. Aveva Phillips ricevuto le novelle, che Cornwallis
si avvicinava, e già era presso ad arrivar a Pietroburgo. La-Fayette
anch'egli aveva avuto fumo di quello, che succedeva. Per la qual cosa
l'uno e l'altro capitano si affrettavano per arrivare, prima delle genti
ritornate dalla Carolina, a Pietroburgo; il primo per ivi congiungersi
con Cornwallis, il secondo per questa congiunzione impedire. Prevalsero
gl'Inglesi, e posto piede dentro la Terra vi si alloggiarono. Quivi
Phillips assalito da mortal febbre passò di questa vita con infinito
desiderio de' suoi, che molto per la perizia nelle cose militari il
riputavano. Arrivò Cornwallis, dopo d'aver corso con infinito disagio
trecento miglia, a Pietroburgo, e si recò in mano il governo di tutte le
genti. L'esser la Virginia fatta sede della guerra molto rinvergava coi
disegni, che i ministri britannici avevano fatto sopra di questa
provincia. Tostochè pervennero in Inghilterra le novelle della vittoria
di Guilford si erano i ministri fatti a credere, che le due Caroline
fossero intieramente ridotte nella potestà del Re, e che poco più vi
rimanesse a fare altro, che ordinarvi il consueto reggimento civile. Non
dubitavano, che quello a che le armi di Cornwallis avevano aperta la
strada, non fossero i buoni ordini per compire. Soprattutto un
grandissimo fondamento facevano sui leali, siccome quelli, che malgrado
tant'infelici sperimenti, e tante false speranze molto tuttavia se ne
stavano alle baie, ed alle novelle dei fuorusciti soliti sempre a
confortarsi cogli aglietti. Pertanto coll'opera di questi leali, col
romore delle vittorie di Cornwallis, e con pochi presidj, che
intendevano di lasciare qua e là ne' luoghi più acconci, avevano
speranza, che i libertini delle Caroline sarebbero stati impediti dal
tentar cose nuove, e che queste due province sarebbero nella pristina
obbedienza raffermate. Rispetto poi alla Virginia, siccome dall'un de'
lati ella è molto frequente di grossi e profondi fiumi, e di golfi
mediterranei, e dall'altro credevano, che colle navi mandate nell'acque
d'America dall'ammiraglio Rodney dalle Antille, avrebbero potuto la
navale superiorità in quelle medesime acque conservare, così dubbio
alcuno non avevano, ch'ella si potesse, se non intieramente conquistare
e soggiogare dall'armi del Re, almeno sì fattamente molestare, e nelle
sue viscere stesse percuotere, che molto ne increscesse agli Americani,
ed affatto inutile diventasse alla lega. A questo fine avevano
disegnato, che i capitani da terra scegliessero un luogo comodo sulle
spiagge virginiane, e con ogni maggior diligenza lo affortificassero,
perchè potesse diventare un posto sicurissimo contro le offese del
nemico. Con questo, e colle prepotenti armi marittime stimavano di
diventare del tutto padroni della Virginia; e da un'altra parte per le
sopra narrate cagioni erano confidentissimi dell'intiera possessione
delle Caroline, siccome pure della Giorgia. Nè temevano per queste
ultime gl'insulti delle armi navali nemiche, essendo le spiagge loro
importuose, e quei pochi porti più comodi che vi sono, trovandosi in
mano dei soldati del Re. In questo stato di cose, essendo padroni delle
quattro ricche province poste a mezzodì, siccome anche di quell'altra
non meno ricca, che opportuna pei porti, della Nuova-Jork, opinavano,
che gli Americani si sarebbero finalmente dati vinti per istracca, o che
anche si sarebbe potuto la guerra offensiva proseguire. Così
argomentavano, non sapendo ancora, che le armate inglesi sulle spiagge
dell'America erano non che al di sopra, al di sotto: che le Caroline in
luogo di essere in balìa del Re, erano tornate quasi intieramente
all'obbedienza del congresso; e che se veramente Cornwallis era arrivato
nella Virginia, là era giunto piuttosto, nonostante il fatto di
Guilford, in sembianza di vinto, che di vincitore.

Intanto Cornwallis, avendo soprasseduto alcuni giorni a Pietroburgo, e
ricevuto un rinforzo di parecchie centinaia di soldati mandatigli dalla
Nuova-Jork da Clinton, deliberò di passare il fiume James, e di correre
le parti più interne della Virginia. Poco timore aveva, che a quei dì i
confederati se gli potessero opporre, essendo le forze loro parte
deboli, parte disgiunte. Poichè il Barone di Steuben alloggiava nelle
parti superiori della provincia, il marchese nelle inferiori, ed il
generale Wayne, il quale era in via cogli stanziali della Pensilvania,
era tuttavia ancor lontano. Per la qual cosa il capitano britannico
varcò facilmente il fiume a Westover, essendosi il marchese ritirato
dietro il Chickahomini. Di là mandò una banda a pigliar possessione di
Portsmouth, dove venivano i leali, e quei, che volevano parer tali, a
promettere obbedienza al Re. Egli poi foraggiava largamente nella contea
di Hannover. Ivi ebbe avviso, che molti fra i più riputati uomini del
paese avevano fatto un convento a Charlotteville per ivi accordare tra
di loro alcune bisogne dello Stato; e che il Barone di Steuben si era
posto alla punta di Fork, che è un luogo situato presso la diramazione
del fiume James tra la Fluviana e la Rivana, e che vi aveva in custodia
buona quantità di armi e di munizioni. Queste cose lo mossero, oltrechè
la contrada per non avere ancor sentito le armi inglesi era abbondante
di ogni cosa, prima che tentasse altre fazioni, di fare quelle di
Charlotteville, e della punta di Fork. Commetteva la prima a Tarleton,
la seconda a Simcoe. L'una e l'altra ebbero felice fine. Arrivò il
primo, per aver marciato senza resta, e di buono andar di galoppo, sì
improvviso in quella città, che pose le mani addosso a molti deputati, e
s'impadronì di una notabile quantità di fornimenti sì da guerra che da
bocca. Ma quello, che più gli premeva di avere in poter suo, non potè
arrestare, e questi fu Tommaso Jefferson, il quale veduto dalle sue case
venir gli uomini d'armi inglesi, si pose in salvo, non senza però aver
fatto prima sgomberare, con molta fatica e propria e de' suoi, a luoghi
sicuri buona copia d'armi e di munizioni. E se Tarleton si era della
benignità degli altri suoi commilitoni doluto, nissuno potè dolersi
della sua; imperciocchè da rapace ed insolente, rapacissimo ed
insolentissimo diventato, niuna cosa avendo nè santa, nè sicura, le
rapiva e profanava tutte quante. Dall'altro canto Simcoe si era,
camminando più che di passo, approssimato a Steuben. Questi non so per
quale ubbìa, perciocchè avrebbe potuto difendersi agevolmente, ma certo
con precipitoso consiglio si ritirò prestamente. Non potè però fare in
modo, che l'Inglese nol sopraggiungesse, e tagliasse a pezzi una parte
del suo retroguardo. Quando Tarleton e Simcoe furono ritornati al campo,
Cornwallis, camminando in una contrada fertile e ricca, mosse l'esercito
a Richmond, e poco poscia a Williamsburgo, città capitale della
Virginia. I suoi corridori però non potevano più foraggiare e buscar
alla libera; perciocchè La-Fayette congiuntosi con Steuben, e cogli
stanziali pensilvanesi condottigli da Wayne, era diventato sì grosso,
che gl'incalzava vicino, e gli opprimeva, se si sbrancavano. In questo
tempo pervennero a Cornwallis ordini da Clinton, perchè gli mandasse
alla Nuova-Jork una parte delle sue genti, sepperò non avesse allora per
le mani alcuna impresa d'importanza. Aveva Clinton avuto lingua
dell'approssimarsi dei confederati, e dubitava di qualche gran nembo,
che gli venisse scoccare addosso. Perciò temeva della Nuova-Jork,
dell'Isole degli Stati, e Lunga, per difender le quali egli era troppo
debole. Cornwallis, per mandare ad effetto le commissioni del capitano
generale, avviò le sue genti verso le rive del fiume James, per poscia,
varcato che lo avesse, recarsi a Portsmouth, dove avrebbe i richiesti
soldati imbarcato per alla Nuova-Jork. Ma siccome instava ferocemente
alle spalle il marchese de La-Fayette, gli fu mestiero fare un po' di
fermata sulla sinistra riva del fiume, e pigliar ivi un forte luogo,
affine di arrestar l'impeto del marchese, e dar tempo a' suoi,
trasportassero sull'altra riva le armi, le munizioni e le bagaglie. Pose
adunque gli alloggiamenti poco lungi dal fiume in luogo forte, avendo
sulla dritta uno stagno e nel mezzo, e sulla stanca paludi. Intanto la
vanguardia americana guidata da Wayne si era avvicinata. Gl'Inglesi
mandarono avanti spie, perchè facessero credere agli Americani, che già
il grosso delle genti del Re avevano passato il fiume, e che solo
rimaneva sulla sinistra un debole retroguardo consistente nella legione
britannica, ed alcuni fanti. Ossiachè i repubblicani si lasciassero
pigliare a questo tranello, ovvero che si lasciassero troppo trasportare
al valor loro, diedero dentro, ed assalirono con molta furia i reali.
Già gli stanziali della Pensilvania guidati da Wayne avevano passato la
palude, e fieramente incalzavano l'ala sinistra dei reali; e nonostante
che questi fossero assai più numerosi, sostenevano però i primi la
battaglia con molto valore. Ma intanto si erano gl'Inglesi, oltrepassato
lo stagno, spinti contro l'ala sinistra, e, fugatala facilmente,
perciocchè erano milizie, si mostrarono sul fianco sinistro di Wayne.
Nel medesimo tempo, distendendosi sulla sinistra loro oltre la palude,
avevano spuntato il suo fianco destro, e facevano le viste di volerlo
accerchiare da ogni banda. La qual cosa, vedutasi dal marchese, ordinò
tosto a Wayne, si tirasse indietro. Il che fece egli, lasciando però due
bocche da fuoco in poter del nemico. La-Fayette soprastette buona pezza
a Green-springs per raccorre i suoi. Cornwallis se ne tornò a' suoi
alloggiamenti. Non potè perseguitare il nemico, perchè era sopraggiunta
la notte, ed il paese era difficile pei luoghi boscati e paludosi.
L'indomani prima del far del dì ordinò a' suoi cavalli, seguitassero il
marchese, e, noiandolo alla coda, gli facessero tutto quel male, che
potessero. Il che eseguirono con niun altro effetto, che quello
d'intraprendere alcuni de' suoi soldati, ch'erano rimasti indietro.
Forsechè, se Cornwallis avesse spinto il giorno seguente alla battaglia
tutto il suo esercito contro i repubblicani, gli avrebbe condotti ad un
totale sterminio. Ma molto gli stava a cuore il recarsi prestamente a
Portsmouth, per ivi, giusta i comandamenti di Clinton, imbarcar le genti
per alla Nuova-Jork. Varcato con tutte le sue genti il fiume, giunse
Cornwallis a Portsmouth, e fatta una diligente considerazione dei
luoghi, trovò, che a patto nessuno non vi si poteva fare un
alloggiamento, che forte fosse, e tutti quei disegni riempisse, che vi
aveva fatto sopra il generale Clinton. Intanto si adoperava
diligentemente ad imbarcar le genti. Gli pervennero in quel mentre nuove
commissioni da Clinton, che recavano, ritornasse a Williamsburgo,
ritenesse le genti, fortificasse invece di Portsmouth il posto di
Old-point-comfort, perchè avesse in qualunque caso un sicuro ricetto.
Della quale novella risoluzione del capitano generale fu cagione dall'un
canto l'aver ricevuto dall'Europa un rinforzo di tremila Tedeschi,
dall'altro il desiderio, che aveva di aver la via aperta per mezzo della
strada di Hampton e del fiume James verso di quella fertile e popolosa
parte della Virginia, ch'è posta tra i due fiumi James e Jork. Ma fatto
esaminare attentissimamente la positura de' luoghi a Old-point-comfort
si trovò, che anche questo era un luogo impertinente a porvi il campo, e
che non poteva meglio di Portsmouth rispondere a quei fini, che si
sarebbero voluti ottenere. Laonde abbandonossi del tutto il pensiero di
porvi le stanze. Ma siccome per le future operazioni della guerra si
voleva ad ogni modo avere un alloggiamento fermo nella contrada mezzana
tra i due fiumi soprannominati, così Cornwallis, ripassato con tutto il
suo esercito il James, se ne iva a mettere il campo a Jork-town. Non
potè il marchese noiare il nemico, mentre s'imbarcava, perchè gli
Americani, ch'erano nel suo campo, non vollero consentire a correre più
sotto sin verso Portsmouth. Egli è Jork-town un borgo posto sulla destra
riva del fiume Jork rimpetto ad un altro più piccolo chiamato
Glowcester, il qual è fondato sull'opposta riva sopra una punta di
terra, che sporgendo indentro, molto ivi restringe il letto del fiume
assai profondo, e capace di ricevere anche le più grosse navi da guerra.
Scorre a dritta di Jork-town un rivo paludoso; da fronte, sino alla
distanza di un miglio, il paese è largo e piano; oltre di questo
s'incontra un bosco bagnato a stanca dal fiume, a dritta da un rivo.
Oltrepassato il bosco, la campagna è aperta e coltivata. In questo luogo
Cornwallis attendeva con grandissima diligenza a fortificarsi. Il
marchese, il quale dopo il fatto di James-town si era riparato tra i due
fiumi Mattapony e Pamunckey, i quali altro non sono, che i due rami, che
poscia insieme uniti compongono il fiume Jork, udito delle nuove stanze
prese da Cornwallis, passava un'altra volta il Pamunckey, ed iva a porsi
nella contea di New-Kent; non che avesse in animo di assaltar l'Inglese,
perciocchè a ciò fare era troppo debole, ma per tenerlo a bada, ed
impedirgli l'andare in busca, ed il foraggiare. In tal modo de
La-Fayette, al quale Washington aveva commesso la cura di difendere la
Virginia, con mirabile industria volteggiandosi e tenne a bada
Cornwallis, e lo combattè virilmente, e finalmente lo condusse in luogo,
dove potesse trovar accesso il poderoso navilio di Francia, che fra
breve si aspettava.

Ma se sin qui si era la guerra di Virginia travagliata con varj, ma
deboli accidenti, ora però quel disegno, il quale doveva con un gran
fatto por fine a tutta l'americana guerra, diventava ogni dì, ed ogni
ora più vicino al suo adempimento. Erano i Capi della lega in America
informati, che il conte di Grasse colla sua armata, e con un rinforzo di
genti da terra era prossimo ad arrivare, e non s'indugiarono a far tutti
quei preparamenti, che necessarj credettero al poter trar profitto della
prepotente forza, ch'erano per acquistare sì per terra, che per mare. Si
abboccarono a questo effetto a Wither-field Washington e Rochambeau, al
quale abboccamento doveva, secondo l'ordine preso, trovarsi anche
presente il conte di Barras, che governava il navilio francese sorto a
Nuovo-Porto nell'Isola di Rodi; ma quest'ultimo per alcune sue altre
bisogne non potè intervenire. Si accordarono i due capitani di far
l'impresa della Nuova-Jork, e rituffando quel presidio nel mare tor del
tutto agl'Inglesi quel principal nido, che di tanta utilità era stato
loro cagione in tutto il corso della guerra, ed era tuttavia. Le mosse,
che poscia fecero, furono tutte consentanee a questa deliberazione, e sì
appropriate, che, allorquando fosse giunto in quelle spiagge
l'ammiraglio francese, si potesse subito por mano all'assedio della
città. Ne entrò Clinton in tanto sospetto, che per questa sola cagione
aveva, siccome si è detto, voluto rivocare una parte delle genti di
Cornwallis, primachè avesse ricevuto quell'aiuto di Tedeschi. Sperava
Washington di poter condur a buon fine l'impresa della Nuova-Jork,
perchè era confidentissimo, che gli Stati, massime i settentrionali,
soddisfatto avrebbero pienamente alle richieste, che loro erano state
fatte, di fornir ciascuno un determinato numero di soldati. Ma sebbene
avessero in parte adempiuti i desiderj del capitano generale, non
avevano però mandato al campo tutte quelle genti, che avrebbero dovuto
mandare, in guisa ch'egli, che aveva sperato di aver in questo gran
bisogno un esercito di dodici in quindicimila soldati del paese, non si
trovò ad aver altro, che quattro, o cinquemila stanziali, ed altrettanti
soldati di milizia, od in quel torno. La fazione poi della Nuova-Jork
doveva riuscire assai difficile, avendovi dentro Clinton un forte
presidio di più di diecimila soldati; e non si poteva ragionevolmente
credere di poterla fornire con sì poca gente. Oltreacciò aveva de Grasse
fatto intendere, che stante gli ordini del suo Re, e gli accordi da lui
fatti cogli Spagnuoli nelle Antille, non avrebbe potuto sulle coste
dell'America rimanere oltre la metà di ottobre; e certamente sì breve
intervallo di tempo non avrebbe bastato ad operare la conquista della
Nuova-Jork. Finalmente si conosceva la ripugnanza, che gli uffiziali di
mare, specialmente francesi, avevano a superar lo scanno per entrar nel
porto di questa città. Tutti questi pensieri turbarono la deliberazione
di Washington di assaltar la Nuova-Jork; e considerato, che sebbene a
questa impresa per la pochezza delle sue genti non fosse capace, poteva
però facilmente, e con molta speranza di prospero successo recarsi
contro Cornwallis nella Virginia, a quest'ultimo partito si appigliò. Ma
però siccome colle mosse già fatte aveva fatto nascere nella mente di
Clinton il sospetto, ch'ei volesse recarsi contro la Nuova-Jork, così,
malgrado che avesse volto l'animo ad un'altra impresa, volle continuare
a nudrir in quello con altre, e più vive dimostrazioni il sospetto
medesimo, e ciò a fine, che il capitano inglese non potesse apporsi, e
penetrar nel suo segreto. Per la qual cosa, per condurlo più
coloratamente nella trappola, scrisse lettere a parecchj de' suoi
capitani, od agli uffiziali civili, nelle quali ei palesava il suo
disegno di voler correre contro la Nuova-Jork, e poi artatamente le ebbe
mandate per quelle vie, dove sapeva, che sarebbero dal nemico
intraprese. La cosa allignava, e Clinton entrava ogni dì più in gelosia
per quella sua città principale, e vi moltiplicava dentro le difese. Nel
medesimo tempo era partito dall'Isola di Rodi il conte di Rochambeau con
cinquemila Francesi, è già era giunto vicino al fiume del Nort. Si
levava Washington dal suo campo di New-Windsor, ed andava ad incontrarlo
sulla sinistra riva. Accozzatisi insieme ivano i confederati a campo a
Philisburgo, come se correr volessero a Kingsbridge, ed entrar
nell'isola stessa della Nuova-Jork. Vennero poscia a porsi
effettualmente a Kingsbridge, ed andavano bezzicando i posti britannici
or qua, or là tutto all'intorno dell'isola medesima. Nè contenti a
questo gli uffiziali dei due eserciti accompagnati dagl'ingegneri
andavano continuamente sopravvedendo dai due lati l'isola, raggiustando
carte dei luoghi particolari, e formando piante di diversi posti, e
perfino delle fortificazioni stesse, alle quali si accostarono a tiro
d'artiglieria. Diedero anche voce, che fosse tosto per arrivar al
Sandy-hook il conte di Grasse, e per far parere la cosa più verosimile,
si erano i Francesi recati verso il Sandy-hook, e verso le coste
prospettanti l'Isola degli Stati, come se avessero disegno di aiutar
l'armata di Grasse a varcar quel passo, e ad entrar nel porto della
Nuova-Jork. Tanto abbondarono con questi tranelli, che piantarono
perfino una batteria alle bocche del fiume Rariton all'indentro del
Sandy-hook. Raccolti tutti questi andari degli alleati, fece Clinton
avviso, che volessero far impeto contro la Nuova-Jork, ed aspettava un
vicinissimo assalto. Ma già era vicino il tempo, che doveva schiarire
questa posta, e quella benda, che con tant'arte era stata avvolta
intorno agli occhi del capitano britannico, pronta a sciorsi, ed a
cadere. Quando ebbe Washington i certi avvisi, che il conte di Grasse
non era più lontano dal Chesapeack, alle bocche del qual golfo ei
sapeva, che questi aveva rivolto il cammino, passava improvvisamente il
fiume Crotone, poscia quello del Nort, e traversata a gran passi la
Cesarea, iva ad accamparsi a Trenton sopra la Delawara. Diè però voce, e
fe' certe finte, che diedero a credere a Clinton, che questo motivo
aveva fatto soltanto per trarlo dalla Nuova-Jork, e combatterlo con
forze prepotenti alla campagna. Clinton, credendosi d'ingannar
l'ingannatore, non uscì. Finalmente avendo il capitano della lega
inteso, già essere le prue francesi vicine ad afferrare le americane
spiagge, varcata con grandissima celerità la Delawara, ed una parte
della Pensilvania, comparì improvvisamente a capo d'Elk, che è la testa
del golfo Chesapeack. Un'ora dopo, e ciò se non fu destino espresso del
cielo, fu certamente un maraviglioso appuntamento di bene ordita e
concertatissima impresa, arrivò a piene vele alle bocche del golfo il dì
28 agosto il conte di Grasse con venticinque navi di allo bordo; e non
sì tosto arrivato pose mano ad eseguire quella parte del disegno, che
gli era stata commessa. Bloccava le bocche dei due fiumi James e Jork
colle sue navi armate; questo per tagliare ogni corrispondenza per la
via del mare a Cornwallis colla Nuova-Jork, quello per aprirne una al
marchese de La-Fayette, il quale già si era recato agli alloggiamenti di
Williamsburgo. A questo ultimo fine dubitando i confederati, che lord
Cornwallis, accortosi di quell'agguato, che gli si andava tendendo tutto
all'intorno, non corresse contro il marchese, ed oppressolo colla
prepotente forza che aveva, non si salvasse verso le Caroline, per non
corrompere la opportunità con la tardità, posti in sui legni minori da
tremila soldati, molto buona e forbita gente, sotto la condotta del
marchese di San Simone, fecero loro salire il fiume James, sicchè tosto
si congiunsero coi soldati di La-Fayette. Così tutte le genti furono
ridotte insieme a Williamsburgo. Ma siccome gl'Inglesi avevano molto
fortificato Jork-town, e tuttavia lo fortificavano, così a volersene
impadronire era necessaria una regolare oppugnazione, e perciò
abbisognavasi di molte grosse artiglierie. Per questo era partito tre
giorni prima dell'arrivo del conte di Grasse al Chesapeack dall'Isola di
Rodi il conte di Barras con quattro navi di alto bordo, ed alcune altre
minori, colle quali aveva levato tutti gli stromenti più necessarj
all'oppugnazione delle piazze. E siccome non gli era nascoso, che
gl'Inglesi stavano con una gagliarda armata nel porto della Nuova-Jork,
così per non correr pericolo di esser intrapreso, il che avrebbe rotti
tutti i disegni, e guaste tutte le speranze, si era molto allargato
nell'alto mare, e segando le acque delle isole Bahame aveva il corso del
suo viaggio dirizzato verso il Chesapeack. Intanto era arrivato alle
bocche di questo golfo lo stesso giorno dei 25 agosto colle sue
quattordici navi l'ammiraglio Hood, e non avendovi trovato, fuori
dell'aspettazione sua, l'ammiraglio Graves, gli mandò tosto per una
veloce fregata annunziando il suo arrivo, e senza por tempo in mezzo
andò a congiungersi con lui con tutta la sua flotta nel porto di
Sandy-hook il giorno vent'otto. Non aveva Graves, siccome da noi fu
accennato, nissun avviso ricevuto del futuro arrivo di Hood, ed oltre di
ciò erano state le navi sue con grave danno travagliate dai tristissimi
tempi durante la crociata nelle acque di Boston, e perciò non erano a
modo niuno pronte ad uscire. Nondimeno avendo egli, il quale come
anziano si era recato in mano il governo di tutta l'armata, avuto
tempestiva notizia della partenza del conte di Barras dall'Isola di
Rodi, aveva con tanta sollecitudine fatto lavorare al risarcimento delle
navi, che si trovò apparecchiato a salpare l'ultimo dì d'agosto. Uscì
con diciannove navi d'alto bordo, e si avviò verso il Chesapeack, dove
sperava di arrivare prima di Barras. Pare, ch'egli non avesse ancora
nissuna contezza dell'arrivo del conte di Grasse in quel golfo. Ma non
sì tosto potè scoprire di lontano il capo Enrico, che osservò l'armata
francese, la quale consisteva in quel punto in ventiquattro vascelli,
sorta di modo, che dal capo medesimo si distendeva sino allo scanno, che
chiamano il _Middleground_. Si preparava incontanente alla battaglia,
quantunque avesse meno cinque navi del suo avversario. Da un altro canto
il conte di Grasse, veduto comparire l'armata inglese, levatosi con
maravigliosa celerità d'in sull'ancore, ed entrato nell'alto mare
veleggiava, acciò non perturbasse la speranza della vittoria, alla volta
del nemico. L'intenzione dell'Inglese era di combattere una stretta
battaglia, poichè la condizione del tempo era sì grave, che vi andava,
se più si tardasse, tutta la fortuna dell'armi britanniche, ed il
destino di tutta la guerra. Una totale sconfitta avrebbe per
gl'interessi della Gran-Brettagna poco peggiori effetti partorito, che
una battaglia larga e sciolta, la quale non potendo essere
determinativa, avrebbe sempre lasciato i Francesi padroni del
Chesapeack, e per conseguente Cornwallis nel medesimo pericolo. Ma il
conte di Grasse, il quale aveva buono in mano, non voleva recare il
giuoco vinto a partito, nè commettere all'arbitrio dell'incerta fortuna
quello, che quasi già sicura preda teneva in poter suo. Nella qual
risoluzione tanto più si confermò, che quindici centinaia de' suoi
marinari non si trovavano sulle navi, impiegati essendo nel trasportar a
terra i soldati di San Simone; e fu sì subita l'apparizione dell'armata
inglese, che non ebbe tempo a fargli rimontare. Solo si proponeva
d'intrattenere, e di dar tanto impaccio con affronti trascorrevoli, e
lontani al nemico, che potesse Barras sicuramente arrivare nel
Chesapeack. Con questi diversi pensieri andarono all'incontro l'uno
dell'altro i due nemici ammiragli. Si appiccò la battaglia molto aspra
tra le due vanguardie, nella quale però entrarono anche alcune navi del
mezzo. I Francesi, i quali non volevano troppo mordere, nè essere morsi,
avendo anche ricevuto non poco danno, si ritirarono indietro, e
condussero la vanguardia loro a ricongiungersi colla restante armata. La
prossimità della notte, e la vicinanza delle nemiche coste obbligarono
l'ammiraglio inglese a desister dal cercar più oltre di mescolarsi col
nemico. Fu fatto grave danno altresì alla sua vanguardia. I vascelli più
malconci furono il Shrewsbury, il Montagu, l'Aiace, l'Intrepido ed il
Terribile, che anzi quest'ultimo fu sì rotto, che, non potendovisi più
aggottare, fu costretto Graves ad arderlo. Perdettero gl'Inglesi in
questo fatto tra morti e feriti 336 soldati e marinari; i Francesi poco
più di dugento. Continuarono a starsene le due armate l'una a riscontro
dell'altra ancora pei quattro seguenti dì; ma godendo per lo più i
Francesi il sopravvento, e sempre persistendo nella risoluzione di non
volerne venire ad una battaglia giudicata, più non si attaccarono.
Finalmente, quando il conte ebbe inteso, che Barras era entrato sano e
salvo colle navi armate, e colle onerarie nel Chesapeack, si ritrasse
dall'alto mare ed andò a riporsi nel golfo, dond'era partito. Volle
anche la fortuna, in tutto contraria agli Inglesi, che, nell'atto del
rientrar nella bocca di quello, due fregate l'Iride ed il Richmond, che
si erano durante la sua assenza introdotte dentro per portare, sebbene
ciò non sia loro riuscito, spacci a Cornwallis, tolte in mezzo dalle
navi di Francia, rimanessero loro in preda Graves, avendo le navi sue
fracassate essendo il mare diventato tempestoso, e venutogli meno il
disegno d'intraprendere Barras, era alcuni giorni dopo ito ad apportare
alla Nuova-Jork. Divenuti in tal modo i Francesi totalmente padroni del
Chesapeack sbarcarono prima le armi e le munizioni portate dall'Isola di
Rodi, poscia con grandissima sollecitudine si adoperarono a traghettar
colle votate navi da carico, e colle più leggieri fregate l'esercito di
Washington da Annapoli (imperciocchè a capo d'Elk non si era trovato in
pronto sufficiente navilio per operare un tal passaggio) alle bocche del
fiume James, e di là a Williamsburgo. Così fu tolta del tutto la
campagna a Cornwallis, e le genti sue, ch'erano nel torno di settemila
combattenti, si trovarono tutto ad un tratto per un mirabile concorso di
prudenza umana, e di favorevole fortuna cinte da ogni intorno d'assedio,
dalla parte di terra da un fiorito esercito di ventimila soldati,
inclusi quattro migliaia di milizie, e da quella di mare, e per la via
dei fiumi James e Jork da un'armata di circa trenta vascelli di alto
bordo, e da una moltitudine di legni di minore grandezza. Tutto
l'esercito dei confederati si era, come abbiam detto, raccolta dentro
Williamsburgo, la qual città è lontana a poche miglia da Jork-town.
Avevano però mandato una grossa banda di soldati, massimamente cavalli,
sotto la condotta del signor de Choisy, e del generale Wieden a campo
sulla sinistra riva del fiume Jork rimpetto Glowcester per impedire che
di là gl'Inglesi non uscissero a foraggiare. Si erano i Francesi
alloggiati sulla sinistra del campo a rincontro della dritta della città
assediata, distendendosi dal fiume sino alla palude; gli Americani si
eran posti sulla destra, e congiuntisi coi Francesi presso la palude,
accerchiavano quindi la sinistra della città sino al fiume sotto la
medesima.

Avea Clinton, al quale sì grandemente era a cuore il soccorrere
Cornwallis nello stesso tempo, in cui l'ammiraglio Graves si era recato
verso il Chesapeack, mandato a fare una fazione nel Connecticut.
Sperava, tenendo in sulle brighe questa provincia, farvi concorrere una
parte dei nemici; poichè avvisava ottimamente, che rimanendo le forze
loro intere attorno le mura di Jork-town, avrebbe agli assediati
convenuto arrendersi. Era il fine della fazione l'acquisto della città
di Nuova Londra, ricca e prosperante Terra, posta sulle rive del fiume
Nuovo Tamigi. Fu l'impresa commessa ad Arnold, il quale poca prima era
ritornato dalla Virginia alla Nuova-Jork. Era l'accesso del porto di
Nuova Londra reso difficile da due Forti piantati sulle due opposte
spiagge, dei quali uno chiamavano Forte Trumbull, l'altro Griswold.
Sbarcati i regj la mattina molto per tempo, agevolmente si fecero
padroni del primo. Ma intorno al secondo vi fu che fare assai. Vi s'era
gettato dentro a molta fretta il colonnello Ladyard con una banda di
milizie, ed il Forte stesso era gagliardo, consistendo in una murata
quadrata con orecchioni ai quattro angoli. Andarono ciò nonostante i
reali valorosamente all'assalto, il quale se fu feroce, non fu
men'ostinata la difesa. Si combattè prima coll'armi da fuoco, poscia,
quando gl'Inglesi pervennero, sebbene non senza gravissime difficoltà e
notabile strage loro, sulle mura, colle picche molto arrabbiatamente.
Entrati finalmente dentro gli assalitori ammazzarono e chi s'arrendeva,
e chi resisteva. Arse quindi tutta la Terra; chi scrive a caso, chi a
posta. Molte ricche navi vennero in potere di Arnold. Compiuta la
bisogna, non vedendo gl'Inglesi farsi all'intorno alcun motivo in favore
loro, anzi romoreggiandovi i popoli contro, se ne tornarono là,
dond'erano partiti, non senz'aver prima miserabilmente lacerato tutto il
paese, pel quale passarono. Fu questa spedizione dal canto loro una
ladronaia del tutto inutile. Imperciocchè poterono bene a posta loro
tempestare, e furiare nel Connecticut, che Washington, avendo questo
movimento in piccolissimo concetto, non si lasciò smuovere dal suo
proposito, sapendo benissimo, che a colui, al quale ne fosse andata la
vittoria di Jork-town, ne sarebbe anche andata quella di tutta la
guerra. In luogo di mandar genti nel Connecticut le faceva tutte
riscontrare nella Virginia.

Riusciti vani i due tentativi fatti per soccorrere Cornwallis, uno per
mezzo della raccontata battaglia navale, l'altro per quello della
fazione contro la Nuova Londra, Clinton raunò una Dieta di tutti i Capi
dell'esercito e dell'armata, perchè tra di loro esaminassero e
risolvessero quello che far si dovesse. Era a questo tempo arrivato
dall'Europa alla Nuova-Jork l'ammiraglio Digby con tre vascelli d'alto
bordo, ed inoltre un altro di pari portata vi era giunto con parecchie
fregate dalle Antille. E sebbene, nonostanti tutti questi rinforzi,
l'armata inglese non fosse ancora eguale alla francese, tuttavia,
considerata la grandezza del pericolo, e l'importanza del caso,
deliberarono i Capi britannici di porsi in mare, e correre in
sovvenimento dell'assediato esercito. La qual cosa, premendo il tempo,
avrebbe essi voluto fare immediatamente. Ma i racconci da farsi alle
navi rotte dalla battaglia gl'impedirono. Sperarono però, che avrebbero
potuto salpare ai cinque d'ottobre. Questo annunziò Clinton a Cornwallis
per una scritta in cifera, la quale, malgrado l'estrema diligenza del
nemico, gli fu il giorno 29 settembre ricapitata. Questa lettera operò
di modo nella mente di Cornwallis, che, abbandonate tutte le difese
esteriori, si ritirò del tutto dentro la piazza. Della quale risoluzione
gli uomini intendenti della guerra molto, e secondo che a noi pare,
molto meritevolmente il biasimarono, ed alcuni de' suoi capitani stessi
ne lo avevano sconfortato; imperciocchè sebbene il capitano generale gli
avesse annunziato, che aveva ogni ragione di sperare, gli aiuti
sarebbero partiti dalla Nuova-Jork il dì 5 d'ottobre, ciò non di meno ei
doveva considerare, che questa speranza per molte impensate cause poteva
sfallire, e che ad ogni modo i viaggi marittimi sono più di ogni altra
umana impresa soggetti agli accidenti della fortuna. Dal ch'egli è
manifesto, che doveva ogni industria usare, ed ogni sforzo fare per
mandar in lungo la difesa; ad ottener il quale intento le fortificazioni
esteriori gli offerivano un mezzo molto efficace. Erano esse assai
gagliarde; vi si era speso intorno incredibile fatica, e le genti erano
a bastanza numerose, perchè potessero convenientemente difenderle.
L'aver poi le genti medesime stivate dentro di una Terra, o per meglio
dire di un campo trincerato, angusto per tanta moltitudine, le difese
del quale erano tuttora imperfette, ed esposto per ogni dove, eccetto
solo forse nel pendìo della collina verso il fiume, ad essere solcato
dalle artiglierie del nemico, non fu certamente partito, che si possa
lodare. Forse credette, che il restringersi, ed il ritirarsi in dentro,
siccome pareva segno di timore, così sarebbe stato un nuovo sprone alla
baldanza dei Francesi, perchè andassero subito all'assalto, del quale
non dubitava punto di avere una compiuta vittoria. Ma Washington era
altrettanto prudente, quanto animoso; ed i Capi francesi in quelle
lontane contrade erano, ed a gran ragione, avari della vita dei loro.
Tutti poi ripugnavano al rendere dubbia un'impresa, che ogni cosa
annunziava, dover essere certa. Per la qual cosa saviamente deliberarono
di farsi avanti colle zappe nel lavori di una regolare oppugnazione,
prima di voler coll'armi assalire la Fortezza.

Egli è Jork-town, siccome abbiamo detto, una Terra posta sulla destra
riva del fiume Jork. In questa era ridotta tutta la somma della guerra.
L'avevano gl'Inglesi cinta di fortificazioni di diversa sorta. Dalla
parte dritta, cioè superiore, l'avevano munita con un serraglio di
puntoni tra di loro uniti, ed accortinati per mezzo di uno steccato, il
quale sopportava un terrato a foggia di parapetto. I puntoni erano
assicurati vieppiù da palizzate di frecce, e da abbattute d'alberi, e di
terra. Una fondura paludosa si distendeva a fronte di queste opere, e
quivi avevano costrutto un altro grosso puntone frecciato anch'esso, ed
affossato. Questa era la parte più forte della Terra. Da fronte, cioè
nel mezzo del circuito della piazza, avanti il quale girava anche la
fondura, le difese consistevano in una tela di grosse palificate, ed in
batterie, che guardavano i dicchi, che a traverso la palude davano
l'adito alla palificata. Sul lato sinistro della fronte avevano alzato
un'opera a corno affossata anch'essa, ed impalizzata; e quantunque non
ancora perfetta fosse, nondimeno già vi avevano aperte alcune
cannoniere. La parte sinistra poi, ch'è la inferiore, era assicurata da
puntoni, e da semplici batterie accortinate con alzate di terra. Due
altri piccoli, e non ancora finiti ridotti erano stati costruiti alcuni
passi più in fuori verso la campagna, affine di dar maggior forza a
questa parte, di verso la quale credevano principalmente avessero a
venir le offese. Quivi la campagna era o piana, o solcata da stroscie,
ed opportuna agli assediatori. Lo spazio poi dentro le fortificazioni
era molto stretto, e mal sicuro alla guernigione. Dall'altra parte del
fiume, vale a dire a Glowcester si era fatta un'altra cinta con terrati,
e batterie, dove meglio il sito lo consentiva, ma però di poco momento.

Incominciarono i confederati a lavorare alle trincee la notte de' 6
ottobre. Nel che procedendo con cautela, fecero, nonostante che quei di
dentro non avessero mancato di noiargli colle artiglierie, tanto frutto,
che non tardarono a condur a termine tutta la prima circonvallazione, a
rizzarvi su le batterie, ed a mostrar alla piazza poco meno di cento
bocche da fuoco delle più grosse. Contro tanto impeto non avrebbero
potuto resistere le meglio edificate mura, non che quelle di Jork-town
ancora imperfette. Erano gl'Inglesi occupati non solo nel difenderle e
ripararle, ma ancora in finirle. In pochi giorni la maggior parte dei
cannoni loro erano soffocati, le difese levate, e le bombe traboccavano
a copia in ogni luogo, e perfino, oltrepassata la Terra, nel fiume, dove
appiccarono il fuoco, ed arsero la fregata il Caronte. Si vedeva
manifestamente, che il valor non bastava contro tanto furore, e che non
avrebbe la difesa potuto durar lungo tempo. Le artiglierie degli
assedianti erano governate dal generale americano Knox, il quale così in
questa, come in tutte le altre fazioni della guerra meritò lodi di
ottimo bombardiere, e fu operatore, che i suoi in ciò tanto
profittassero, che i Francesi stessi restavano maravigliati
all'industria loro nel maneggiare questa sorta di armi.

In mezzo a tanto pericolo ricevè Cornwallis lettere da Clinton, per le
quali ei gli faceva intendere, che sperava, che l'armata soccorritrice
avrebbe potuto passar lo scanno, ed entrar nell'alto mare il dì 12 di
ottobre, salvi i venti, e gli accidenti contrarj. Lo avvertiva però, che
tutte queste cose erano molto soggette a ingambature; e perciò gli
facesse a sapere, se potesse tenersi sino alla metà di novembre; poichè
nel contrario caso avrebbe egli fatto un motivo per la via di terra,
correndo contro la città di Filadelfia. Il che avrebbe fuor di dubbio
fatto una possente diversione in suo favore. Così scrisse il capitano
generale a Cornwallis. Perchè poi nei concieri da farsi alle navi si sia
più tempo consumato di quanto i Capi britannici si erano fatti a credere
da principio, e come in ciò si siano ingannati sì grossamente, che
invece di uscir dal porto della Nuova-Jork ai cinque d'ottobre, come
annunziato avevano, non siano usciti, che ai diecinove, a noi non è
noto. Certo è, che l'annunzio, e l'inopinato indugio furono causa, che
si perdè l'esercito. Imperciocchè Cornwallis stando a speranza del
vicino soccorso persistette nella difesa, e si astenne da quelle
risoluzioni, che lo avrebbero potuto salvare. Nel che però, se egli si
può scusare, dopo ch'ebbe la prima lettera di Clinton ricevuto, colla
quale questi gli aveva annunziato che l'armata sarebbe partita il dì 5
d'ottobre, non lo è ugualmente, siccome pare, dopo ricevuta la seconda,
per la quale seppe, ch'essa armata non poteva mettersi in via, se non se
ai dodeci, lasciata anche la partenza medesima molto in dubbio. Non
mancarono alcuni fra i capitani britannici, i quali furono confortatori,
abbandonasse quelle fievoli mura, ritirasse improvvisamente l'esercito
sulla sinistra riva del fiume, altro scampo cercasse alla sua salute. Lo
consigliarono, trasportasse la notte la maggior parte delle sue genti a
Glowcester; il che si poteva agevolmente fare per la copia del navilio,
che si aveva in pronto dentro il fiume; rompesse, cosa anche facile ad
ottenersi pel caso impensato, e per la superiorità delle forze, la
schiera del signor de Choisy. Mostrarono, che allora si sarebbe trovato
l'esercito in quella fertilissima regione, che è posta tra i due fiumi
Jork e Rappahanock, dove per non aver essa fin allora patito nissuna
percossa d'armi, si sarebbero trovati cavalli e vettovaglie in
abbondanza; che si sarebbe potuto dilungare, marciando velocemente, di
cento miglia dal nemico; che si sarebbe potuto proteggere la ritirata
con una coda di tremila soldati valentissimi a piè ed a cavallo.
Argomentarono, che una volta guadagnate le Terre oltre il fiume Jork, si
sarebbe potuto deliberare, se si dovesse correre verso Filadelfia per
andarsi a congiungere con Clinton il quale vi sarebbe venuto per la
Cesarea, ovvero volgersi verso le Caroline, tenendo le vie superiori per
poter guadar i fiumi sopra le diramazioni loro; che l'uno e l'altro
partito offerivano pure qualche speranza di salute; perciocchè
Washington non avrebbe potuto tostamente passare il fiume per
seguitargli, a cagione del mancamento delle navi, e non sapendo a qual
meta s'indirizzassero, sarebbe stato costretto a dividere in più parti
il suo esercito. Aggiunsero, che quando anche avesse avuto prontamente
le novelle della via, che intrapreso avessero, non avrebbe potuto tener
loro dietro velocemente; perchè non avrebbe trovato nè stanze
sufficienti per alloggiare, nè forni per ispianar pane, che bastasse ad
alimentare tanta moltitudine. Concludettero, che il rimanere era un
abbandonarsi in una perdita certa, e che l'andarsene poteva offerire
qualche occasione di salvamento; e che in ogni caso la generosa impresa
avrebbe con nuovo splendore le armi del Re illustrato. Se è fisso
colassù, dicevano, che sì fiorito esercito non possa dalla cattività
scampare, ciò non sia, se non dopo ch'esso abbia ogni sforzo fatto per
allontanarla, e dopo d'aver onorato nome acquistato, e chiara fama
presso gli uomini valorosi. Non volle Cornwallis, checchè di ciò ne sia
la cagione, prestar orecchio a questi consiglj, e si risolvette a voler
continuare a difendersi dentro le non difendevoli mura. Fors'ei
credette, poter resistere più lungo tempo, dover gli aiuti arrivar più
presto, e non potere, se questi fossero arrivati, venir escusato presso
il suo Re, quando nella ritirata perduto avesse l'esercito. Pensò forse
finalmente, che l'incertezza di salvarlo per mezzo della ritirata fosse
altrettanto grande, quanto quella dell'arrivo dei soccorsi. Ma quello,
che ne fosse la cagione, già le cose si volgevano a quel fatal fine, al
quale erano incamminate. I confederati s'erano posti intorno i lavori
della seconda circonvallazione, e con incredibile diligenza procedendo
molto s'avanzavano. Era ella soltanto a trecento passi dalla piazza.
Cercarono gl'Inglesi d'impedirgli cogli obici e colle bombarde. Ma gli
altri colle artiglierie della prima circonvallazione, che continuamente
fulminavano, operarono di modo, che gli assediati non solo non poterono
guastare, o ritardar i lavori, ma ancora furono in sì fatta guisa
battute le cannoniere sulla sinistra parte, che le artiglierie di dentro
non potevano più fare effetto alcuno. Il che fu di tanto maggior
pregiudizio, che verso quella appunto quei di fuori distendevano le
trincee loro. Rimaneva a poterle compire, che si cacciassero gli
assediati dai due ridotti esteriori, dei quali abbiam favellato, e
ch'erano situati sulla sinistra della Terra. Comandò Washington, si
pigliassero d'assalto. E per destar emulazione fra le due nazioni,
commise l'assalto del ridotto destro posto a riva il fiume agli
Americani, quello del sinistro ai Francesi. Erano i primi condotti dal
marchese de La-Fayette, e dal colonnello Hamilton, aiutante di campo di
Washington, giovane di grandissima aspettazione. Si trovava pure con
essi il colonnello Laurens, figliuolo del presidente, ch'era tenuto
prigione nella Torre di Londra, giovane anch'esso di alta speranza, e
che avrebbe dato pruove della sua virtù, se un'acerba morte non l'avesse
poco dopo alla sua famiglia ed alla patria tolto. Guidava i secondi il
barone di Viomenil col conte Carlo di Damas, ed il conte di Due-Ponti. I
capitani confortavano gli uni, e gli altri, combattessero con animo
forte; quell'ultima fatica dover partorire una perpetua quiete. Andarono
all'assalto con impeto grandissimo. Dall'esito di esso dipendeva
massimamente quello dell'assedio. Approssimaronsi gli Americani cogli
archibusi scarichi, e solo confidandosi nell'opera delle baionette.
Arrivati, senza aspettare, che si rimuovessero gli ostacoli delle
palificate, ma superatigli con grandissima celerità, saltarono dentro.
Non così tosto si erano gli Inglesi messi in punto di difendersi, che
furono dall'improvviso impeto oppressi, e se fu grande nell'assalto la
virtù dei vincitori, non fu minore la umanità dopo la vittoria.
Concedettero la vita a tutti coloro che la domandarono, malgrado le
recenti crudeltà esercitate a Nuova Londra. L'uffiziale inglese si
arrendè a Laurens, il quale in questo fatto si portò da uomo valoroso,
ed acquistonne buon nome presso i suoi. Pochi soldati vi perdettero la
vita da ambe le parti. Dall'altro canto vi fu maggiormente che fare. Ma
infine i primi feritori, ed i granatieri francesi incuorati dai Capi,
superati tutti gli ostacoli, entrarono dentro colle baionette appuntate,
e si fecero padroni del ridotto. Così furono con non minor gagliardìa,
che utilità loro guadagnati dai collegati i due ripari. Presentò
Washington i due reggimenti Gatinese, e di Due-Ponti, i quali si erano
trovati nel fatto, con due cannoni di quelli, che conquistati avevano.
Non fecero gli assediati nissun motivo per ricuperar i due ridotti, e
tosto gli assedianti gli rinchiudettero dentro la seconda
circonvallazione, la quale si trovò allora compiuta sino al fiume. Ora
la condizione degli assediati era diventata pericolosissima, e quasi
disperata. Prevedeva ottimamente Cornwallis, che quando quei di fuori
avessero piantate le batterie sopra la seconda circonvallazione, e con
queste fulminato la piazza, non vi poteva più essere speranza alcuna di
poter resistere. Le artiglierie sue erano la maggior parte o imboccate,
o rotte, o senza carretti, i fossi scassati, le mura intronate, e quasi
tutte le difese levate. Era egli a tanto bassamento condotto, che
perduto l'uso delle artiglierie più grosse, appena che potesse dar segno
di difesa col trarre degli obici, e di alcune più piccole bombarde.
Oltre di ciò stavano i confederati apparecchiando certe batterie per
trarre in arcata, e non si aveva dentro alcun riparo contro le offese
delle palle di rimbalzo. In questo stato di cose, affine di ritardare,
per quanto fosse in poter suo, il compimento delle batterie nemiche
sulla seconda circonvallazione, si risolvette il capitano britannico a
fare una sortita per farvi tutto quel guasto che potesse. Non credendo
però, neanco con questo spediente, potere sbrigarsi dal pericolo in cui
si trovava, nè prolungar le difese lungo spazio, scrisse a Clinton, che,
essendo esposto ogni ora ad un assalto dentro fortificazioni rovinate,
in una Terra poco atta alle difese, e con un presidio infievolito dalle
ferite e dalle malattie, la condizione della Fortezza era molto incerta,
e non portava il pregio, che l'armata, e le genti della Nuova-Jork si
mettessero a qualche sbaraglio per soccorrerlo. Salivano gl'Inglesi
dalla Terra la notte dei sedici sotto la condotta del colonnello
Abercrombie, ed ingannati i nemici coll'aver dato voce, che fossero
Americani, s'impadronirono di due batterie della seconda
circonvallazione, una francese, e l'altra americana. Non pochi de'
Francesi, che le difendevano, rimasero uccisi. Inchiodarono undeci pezzi
di grosse artiglierie, e maggior male avrebbero fatto, se non che il
visconte di Noailles, spintosi avanti prestamente, gli rincacciò, e
rimesse dentro. Questa sortita riuscì del tutto inutile agli assediati,
poichè per l'industria dei Francesi e le opere furono in breve tempo
rassettate, e le artiglierie schiodate. Ora tutti i cannoni della piazza
erano spenti; solo gli assediati briccolavano ad ora ad ora nel campo
degli assedianti qualche bomba, ma ciò con poco frutto, e già veniva
loro meno la provvisione delle bombe. Erano i soldati assai diradati,
perduti d'animo, rifiniti dalle fatiche. Niuna speranza rimaneva di
difesa; un assalto sarebbe stato irreparabile. Stretto Cornwallis da
ogni parte, e disperato delle cose fu costretto di pensare per lo scampo
suo a nuovi rimedj. Per la qual cosa deliberò di appigliarsi a quel
partito, che avrebbe dovuto prima, quando era ancor tempo, abbracciare,
e questo fu di far passare improvvisamente il fiume alle sue genti, e
cercar quello, che sulla sinistra riva del medesimo determinasse la
fortuna. Avvisava, che quando anche non potesse sfuggir la cattività,
l'avrebbe almeno per qualche tempo ritardata, e che ad ogni modo i
confederati occupati nel perseguitarlo, non avrebbero potuto sì tosto
volger l'animo e l'armi ad altre imprese. Si preparano le barche; la
notte vi s'imbarcano le genti, si lascian dietro le bagaglie, una
piccola schiera, perchè capitoli, i feriti e malati, che non si possono
trasportare, una lettera di Cornwallis a Washington per raccomandargli
alla generosità del vincitore. Già una parte è sbarcata a Glowcester;
già un'altra ha afferrato; già si aspettavano le rimanenti; i venti
erano in calma, le acque tranquille, tutte le circonstanti cose parevano
il nuovo disegno favoreggiare. Ma in questo arrischievole momento ecco
improvvisamente sorgere una spaventevole bufera, che ogni cosa trasse a
rovina. Le navi, che trasportavano le restanti genti ne furono di forza
spinte all'ingiù del fiume, e l'esercito si trovò ad un tratto diviso in
varie parti, le quali tra di loro non potevano comunicazione avere, nè
vicendevolmente aiutarsi. Il pericolo era grande. Già si avvicinava la
luce del dì. I nemici avevano posto mano ad allumare le artiglierie loro
della prima e della seconda circonvallazione, e con orribile rimbombo e
fracasso fulminavano la Terra. Le bombe traboccavano a copia nel fiume.
Ma la tempesta intanto si era tranquillata, le barche poterono
ritornare, ed essendo stato chiuso dall'inesorabile fortuna quest'ultimo
spiraglio di salute agl'Inglesi, se ne tornarono essi, sebbene non senza
pericolo durante il tragitto, là, dov'erano sicuri trovare od una certa
morte, od un'inevitabile cattività. Occuparono pertanto di nuovo
Jork-town. Cornwallis non vedendo alle cose sue rimedio alcuno, ed
anteponendo la vita de' suoi valenti soldati all'onore, che avrebbero
potuto acquistare in un mortalissimo assalto, mandò per mezzo di un
tamburino dicendo a Washington, si cessassero le offese lo spazio di
ventiquattr'ore, e si creassero intanto da ambe le parti commissarj per
accordar l'arrendimento dei posti di Jork-town, e di Glowcester. Rispose
il generale dell'America (imperciocchè non voleva andar tanto in là col
tempo pel sospetto degli aiuti), che concedeva una tregua di due ore;
proponesse in questo mezzo i patti. Avrebbe desiderato Cornwallis, che i
suoi avessero la facoltà di ritornarsene alle case loro, gl'Inglesi in
Inghilterra, i Tedeschi in Germania, dando però la fede di non portar le
armi contro la Francia, e l'America sino agli scambj. Desiderò altresì,
si regolassero gl'interessi di coloro fra gli Americani, i quali
l'esercito britannico seguitato avevano, ed erano venuti a parte della
sua fortuna. Ma nè l'una, nè l'altra di queste condizioni potè
impetrare, la prima, perchè il Re d'Inghilterra non potesse i soldati
cattivi adoperare nelle guernigioni interne, la seconda, perchè quella
era una bisogna civile, fuori dell'autorità dei Capi della guerra.
Rispetto però a quest'ultima tanto operò, che ottenne la facoltà di
mandar per ispaccio, e senza che potesse essere ricerca, alla Nuova-Jork
la corvetta la Bonetta. Solo fu obbligato di promettere, che tutte
quelle persone, che vi si sarebbero imbarcate, dovessero esser poste al
ragguaglio dei prigionieri di guerra, ed in tale condizione rimanersi
sino agli scambj. Essendosi finalmente, dopo varie pratiche, i due
nemici capitani accordati intorno gli articoli della resa, convennero
nelle case di Moore i commissarj degli accordi, dalla parte inglese i
colonnelli Dundas e Ross, da quella dei confederati il visconte di
Noailles, ed il colonnello Laurens. Ai diciannove si fermarono gli
accordi. Fossero le genti da terra prigioniere dell'America, quelle di
mare della Francia; ritenessero gli uffiziali le armi loro, e le
bagaglie; fossero i soldati fatti stanziare, e per quanto possibil
fosse, raccolti in reggimenti nella Virginia, nella Marilandia, e nella
Pensilvania; una parte degli uffiziali dovessero rimaner nella contrada
in compagnia dei soldati; gli altri avessero la facoltà di andarsene
sotto la fede loro, o nei porti americani tenuti dagl'Inglesi, od in
Europa; la Bonetta ritornasse dalla Nuova-Jork, e fosse consegnata al
conte di Grasse. Tutte le navi ed attrezzi navali furono posti in mano
dei Francesi. Gli Americani ritennero le armi terrestri. Sommarono le
navi al novero di venti, tutte da carico, oltre le fregate la Guadaluppa
ed il Fowey. Altre venti erano state arse a tempo dell'assedio. Si
trovarono tra in Jork-town, e Glowcester cento sessanta cannoni, la più
parte di bronzo, ed otto bombarde. Il numero dei cattivi sommò, esclusi
i marinari, a meglio di settemila soldati, ma di questi più di duemila o
feriti, o malati. Morirono degli assediati da cinquecento cinquanta; fra
gli uffiziali di conto nissuno fuori del maggiore Cochrane. Ebbero gli
assedianti da quattrocento cinquanta tra morti e feriti. Deposte le armi
furono i vinti a' destinati luoghi condotti. Se furono grandi, e di
eterna lode meritevoli l'industria ed il valore, che dimostrarono gli
alleati durante l'assedio, lo furono del pari la umanità e le cortesie,
che usarono ai cattivi dopo la vittoria. I Francesi massimamente furono
in questo singolari. Parve che a niun'altra cosa più pensassero che a
quella di riconfortare, e racconsolare con memorabili pruove di
gentilezza e di liberalità i vinti. Nè contenti alle dimostrazioni,
profferirono, e ciò con istanze caldissime, la moneta loro sì pubblica
che privata. Rendè Cornwallis per le sue lettere pubbliche alla cortesia
loro solenne testimonianza. Fatte tutte queste cose, arrivava, il dì
ventiquattro d'ottobre, alle bocche del Chesapeack l'armata inglese
consistente in venticinque navi di fila con due di cinquanta cannoni, e
parecchie fregate. Era essa partita dalla Nuova-Jork il giorno
diciannove. Portava settemila soldati, e veniva in soccorso di
Cornwallis. Ma i Capi udito prima il romore, poscia le vere novelle del
disastro di Jork-town, la ricondussero tosto, tristi e dolenti, alla
Nuova-Jork.

Se al suono della novella di una tanta, e sì gloriosa vittoria si
rallegrassero gli Americani, non è da domandare. Tutti dimenticavano le
passate sciagure, tutti gratificavano a sè stessi colle speranze
dell'avvenire. Nissun dubbio intrattenevano della independenza. Tutti
vedevano, che se la vittoria di Saratoga condotti gli aveva all'alleanza
colla Francia, quella di Jork-town gli doveva condurre alla condizione
di una nazione libera e franca; che se quella era stata causa di una
fortunata guerra, questa doveva esserlo di una avventurosa pace. In ogni
parte degli Stati si fecero feste e rallegramenti a sì gran sollevamento
della fortuna d'America, ed a tanto abbassamento di quella del nemico.
Le lodi di Washington, di Rochambeau; di Grasse e di La-Fayette andavano
sino al cielo: Nè solo i popoli si rallegravano, e ringraziavano; ma il
congresso la riconoscenza di tutti con solenni decreti confermava. Rendè
pubbliche ed immortali grazie ai capitani, siccome pure a tutti gli
uffiziali, e soldati dell'esercito vincitore. Ordinò, si rizzasse a
Jork-town di Virginia una colonna di marmo ornata cogli emblemi
dell'alleanza tra gli Stati Uniti, ed il Re Cristianissimo, e vi
s'inscrivesse la compendiosa narrativa della dedizione del conte di
Cornwallis. Decretò, fosse Washington presentato con due stendardi dei
vinti, il conte di Rochambeau con due cannoni, e si richiedesse il Re di
Francia, perchè fosse contento, si presentasse del pari il conte di
Grasse. Andò altresì il congresso con solenne processione alla chiesa,
per rendere divote e liete grazie all'altissimo Dio dell'avuta vittoria.
Decretò finalmente, che il giorno tredici di dicembre fosse osservato,
come di ringraziamenti e di preci a cagione di quell'evidente aiuto
della divina Provvidenza. Nè a questo si ristettero le dimostrazioni
della gratitudine della repubblica verso del capitano generale della
lega. Gli Stati, le Università degli studj, le Società letterarie con
lettere pubbliche si congratularono, e delle cose fatte molto il
commendarono. Rispose a tutti assai modestamente, affermando, altro non
aver fatto, se non quello, ch'era il dover suo di fare; del rimanente
con acconce parole, e la virtù dell'esercito, e l'util opera del
possente e generoso alleato lodando.

Avrebbe voluto Washington sì fattamente indirizzare l'avuta vittoria,
che ne fossero del tutto gl'Inglesi cacciati dalla terra-ferma. Aveva
principalmente posto l'occhio all'impresa di Charlestown; le quali cose
tutte sarebbergli venute agevolmente fatte, se il conte di Grasse avesse
avuto in poter suo di rimanere più lungamente su quei lidi. Ma i
comandamenti del suo Re, e questi molto risoluti, il chiamavano nelle
Antille. Alla volta delle quali isole, imbarcati i soldati venuti col
marchese di San Simone, ei fece vela il dì cinque di novembre. Le genti
vincitrici di Jork-town, parte si recarono sulle rive del fiume del Nort
per vegghiar le cose di Clinton, che tuttavia si trovava forte nella
Nuova-Jork, parte s'avviarono presso le Caroline per ingrossar Greene, e
confermare alla lega l'acquisto di quelle province. Gl'Inglesi,
abbandonata intieramente la campagna, dentro le mura di Charlestown e di
Savanna si ritirarono. Intorno a questo medesimo tempo partì il marchese
de La-Fayette per alla volta d'Europa desiderato, ed oltre ogni dire
amato da quei popoli. Molto il congresso lo ringraziò dell'opera sua in
favor dell'America. Pregollo ancora, fosse presso i ministri di Francia
ad accordar seco loro le future cose, e molto tenesse presso il suo Re
raccomandata la divota repubblica. Washington si riparò a Filadelfia,
dove sovente si trovava a discorrere, ed a consultar col congresso sopra
i casi della guerra, e le faccende dello Stato. E tanto fece ed operò,
che gli affari appartenenti alla guerra furono per l'anno avvenire più
presto, che nei passati stati fossero, espediti ed apparecchiati. Questo
fu il fine della guerra virginiana, il quale fu anche a un di presso
quello di tutta la guerra americana. In tale modo fu afflitta dal caso
di Jork-town la potenza britannica su quel continente, che d'allora in
poi, disperati gl'Inglesi di poter più instaurar l'impresa, pensarono
non più all'offendere, ma soltanto al difendersi; ed eccettuati i luoghi
forti, o quelli, ai quali aveva l'adito il loro prepotente navilio, che
sono la provincia della Nuova-Jork, le circostanti isole, e le città di
Charlestown e di Savanna, tutto il rimanente era ritornato
all'obbedienza del congresso. Così pel cambiamento della fortuna i
conquistatori diventarono conquistati, e quei, che nel corso di una
crudele guerra l'arte di questa, come da maestri, dai nemici loro
imparavano, in sì fatta guisa se ne informarono, che la fecero tornar in
capo agl'insegnatori.

Nelle Antille intanto la fortuna non si mostrava più propizia
agl'Inglesi, di quanto si fosse mostrata sulla terra-ferma d'America.
Era venuto a notizia del marchese di Bouillé, che il governatore
dell'isola di Santo Eustachio, confidatosi o nella fortezza del luogo, o
nella lontananza dell'armata del conte di Grasse, faceva molto
negligenti guardie. Senza mettere punto tempo in mezzo imbarcò alla
Martinica dodici centinaia di stanziali, ed alcune milizie del paese
sopra tre fregate, una corvetta, e quattro altri legni minori armati in
guerra. Salpò, e volse il corso del suo viaggio a Sant'Eustachio. Per
meglio confermar il nemico in questa sicurtà, nella quale ei s'era
addormentato, diè nome, che se ne iva all'incontro dell'armata francese,
la quale ritornava dall'America. Arrivava la notte dei 25 novembre sopra
l'isola. Ma qui ebbe molto a travagliarsi. L'ira del mare, grosso fuori
dell'usato, non solo l'impedì di sbarcar tutti i suoi soldati, ma ancora
le fregate allontanò dalla riva, ed i palischermi fe' rompere contro gli
scogli. Si adoperò egli con tanta industria, ch'ebbe, comechè non senza
grandissima fatica, posto a terra quattrocento soldati della legione
irlandese con alcuni primi feritori di due reggimenti francesi. Queste
genti separate per mezzo di un mare fiottoso dalle compagne correvano
grandissimo pericolo; poichè il presidio dell'isola sommava bene a
settecento valenti soldati. Ma il marchese di Bouillé da quell'uomo
animoso ch'egli era, nulla punto smarritosi alla difficoltà del tempo,
tosto pigliò quella risoluzione, che sola lo poteva condurre alla
vittoria. Questa fu di spingersi velocemente avanti, ed operar per
sorpresa quello, che per la quantità delle forze non poteva. Arrivò
improvviso vicino alla Fortezza; e tale fu la buona fortuna, e la
celerità sua, e tanta la negligenza del nemico, che trovò la mattina a
buon'ora una parte del presidio, che sicuramente se ne stava armeggiando
sulla spianata. Altri erano sparsi qua e là per le case, e pei
quartieri. Il primo avviso, che ebbero gl'Inglesi della presenza del
nemico, imperocchè anche quando gli videro comparire gli scambiarono per
Inglesi, portando gl'Irlandesi gli abiti rossi, si fu una scarica di
archibusate fatta loro addosso a mezzo tiro, che tolse di vita alcuni, e
molti più ferì. Seguiva una baruffa. Il governatore Cokburn, che in quel
punto ritornava da una cavalcata fatta per diporto, accorso
all'improvviso romore, fu fatto prigioniero. Intanto i feritori francesi
si erano allargati, e girato alle spalle degl'Inglesi si erano alla
porta del Forte accostati. Vi accorrevano dentro disordinatamente
gl'Inglesi, e si studiavano di alzar il ponte levatoio. Ma sopraggiunti
in questo mentre i veloci Francesi, entrarono con quelli alla mescolata.
Sopraffatti gl'Inglesi dall'improvviso caso, e nissun ordine avendo, che
intiero fosse, poste giù le armi, si arrenderono. Così venne tutta
l'Isola di Sant'Eustachio in poter dei Francesi. Fu ricchissima la
preda. Settanta pezzi di cannoni furono il frutto della vittoria. Un
milione di lire, ch'era stato posto in sequestro dagl'Inglesi, fu tosto
dal vincitore generoso restituito agli Olandesi, ai quali apparteneva.
Il governatore Cokburn si richiamò di una somma di dugento
sessantaquattromila lire, come di suo peculio, e questa gli fu con
eguale liberalità consegnata. Ma però Bouillé partì a bottino fra suoi
soldati un milione, e seicentomila lire, che appartenevano
all'ammiraglio Rodney, al generale Vaughan, e ad altri uffiziali
inglesi, ed erano il frutto delle vendite fatte a Sant'Eustachio. Così
furono prima da Lamotte-Piquet, poscia da Bouillé rapite ai rapitori le
ricchezze di quest'isola, sicchè poco rimase in mano loro di sì preziose
spoglie. Le vicine isole di Saba, e di San Martino vennero anch'esse il
giorno dopo in poter dei Francesi.

[1782]

Ma sull'entrar di febbraio dell'anno susseguente i medesimi guidati dal
conte di Kersaint, e portati da sette navi sottili armate in guerra
racquistarono all'Olanda la colonia di Demerary, d'Essequibo, e di
Berbice, dimodochè l'Inghilterra tutte le conquiste dell'ammiraglio
Rodney, nelle quali molto liete speranze di prosperevole mercatura aveva
collocate, con quella facilità e prontezza perdè, colle quali le aveva
fatte. La Francia dal canto suo prima colla preservazione del Capo di
Buona Speranza, poscia col ricuperamento delle colonie si acquistò il
nome di fedele, e disinteressato alleato, ed ebbe cagione di vieppiù
congiungersi con questi benefizj gli Olandesi.

Fatta la conquista di Sant'Eustachio, ed essendo dall'America arrivato
alla Martinica il conte di Grasse, si determinarono i Francesi a
seguitar il corso delle vittorie loro; e trovandosi tanto superiori di
forze sì terrestri, che navali, non dubitavano di avere prosperi, ed
importanti successi. Posero l'animo a voler assaltare l'isola della
Barbada assai ricca; e siccome quella, che è posta a sopravvento
dell'altre, molto accomodata al dominio di tutte. Due volte si avviarono
con tutto l'apparato necessario, e due volte i venti contrarj gli
ributtarono indietro, soffocato in tal modo il valor degli uomini dalla
potestà troppo grande della fortuna. Si risolvettero allora a correre
contro l'isola di San Cristoforo, che è situata a sottovento della
Martinica. Vi arrivò il conte di Grasse il giorno undici di gennaio con
trentadue navi di fila, il marchese di Bouillé con seimila soldati.
Sorse l'armata nella cala di Bassa-terra, dove le genti sbarcarono.
Erano gli abitatori dell'isola scontenti del proprio governo, sia a
cagione della guerra d'America, che sempre avevano condannato, sia per
certe provvisioni, che credettero agl'interessi loro contrarie, fatte
dal Parlamento, e sia massimamente perchè le robe loro, che avevano
ammassate in Sant'Eustachio, erano state poste sì aspramente a bottino
da Rodney, e da Vaughan. Perciò in luogo di ostar ai Francesi, se ne
stettero dall'un de' lati ad osservare. Gli Inglesi si ritirarono dalla
Bassa-terra alla rocca di Brimstone-hill. Erano da settecento fanti
vivi, ai quali vennero poco dopo ad accozzarsi trecento soldati delle
bande paesane. Era governatore dell'Isola il generale Frazer, vecchio
capitano di guerra. Guidava le milizie un Shyrley, governator di
Antigoa. Brimstone-hill è un greppo, siccome di salita assai ripida,
così poco accostevole, e posto a riva il mare, poco distante dalla città
della Punta di Sabbia, che è riputata la seconda dell'isola, e circa
quattro leghe da quella della Bassa-terra, che ne è la capitale. Ma le
fortificazioni fatte sulla cima del poggio non erano alla naturale
fortezza di questo corrispondenti, ed inoltre troppo ampie, perchè
potessero convenevolmente esser difese da sì poco numero di soldati. Non
così tosto furono i Francesi sbarcati, che partiti in quattro colonne
marciarono alla volta di Brimstone-hill, e da ogni parte lo investirono.
E siccome le artiglierie della piazza molto gli tribolavano, così
conveniva loro di procedere con grande temperamento, facendosi avanti
con trincee, e parate di terra. Difettavano grandemente di grosse
artiglierie; perciocchè la nave che le portava, era andata a traverso
presso la Punta di Sabbia. Ma tanta fu la pazienza, e l'industria dei
Francesi, che una gran parte ne ripescarono. Ne fecero anche prestamente
venire dalle vicine isole. Oltreacciò tanto fecero, che s'impadronirono
di alcune assai ben grosse a piè del monte, che erano state mandate
dall'Inghilterra molto tempo prima, e che per negligenza del governatore
non erano state tratte sulla cima. Nè solo pigliarono le artiglierie, ma
ancora una quantità non ordinaria di palle e di bombe. Così le armi e le
munizioni, le quali il governo inglese aveva mandato per difesa della
Fortezza, venute per la trascuraggine degli uomini in mano del nemico
servirono alle offese. Eppure il caso della vicina isola di
Sant'Eustachio avrebbe dovuto tener i Capi di San Cristoforo attenti e
svegliati. Acciviti in tal modo i Francesi di ogni cosa necessaria, e
pigliati sui vicini poggi i luoghi più acconci, diedero mano a
percuotere colle artiglierie la rocca. Quei di dentro si difendevano
francamente, e più che non si sarebbe potuto aspettare da sì debole
presidio. In questo mezzo tempo, tornato dall'America, si ritrovava
l'ammiraglio Hood nella cala di Carlisle nella Barbada con ventidue navi
di fila. Avute le novelle del pericolo di San Cristoforo, quantunque
fosse tanto inferiore di forze al conte di Grasse, si pose in via per
andar a soccorrere l'assaltata isola. Salutata Antigoa dove levò il
generale Prescot con circa due migliaia di soldati, veleggiò poscia alla
volta della cala della Bassa-terra. Alla improvvisa apparizione
dell'armata britannica si risentì tosto il conte di Grasse, e, troncato
ogn'indugio, sciolse le ancore per andarle all'incontro. Ciò fece egli
per poter nel vasto mare meglio giovarsi del maggior numero dei
vascelli, pel quale prevaleva, ed anche per impedire, che Hood non
andasse a porre alla Punta della Sabbia, donde avrebbe potuto
vicinamente soccorrere Brimstone-hill. L'ammiraglio inglese, che stava a
riguardo, fece segno di voler aspettare la battaglia; poscia ad un
tratto indietreggiò, e ciò a fine di tirar il conte di Grasse ad
allontanarsi vieppiù dall'Isola. La qual cosa ottenuto avendo di
leggieri, improvvisamente voltò le prue verso la cala di Bassa-terra, ed
opportunamente valendosi colle sue veloci navi del vento, vi arrivò, e
gettò le ancore in quell'istesso luogo, dove prima le aveva poste
l'ammiraglio francese. La qual cosa non fu senza molto, non solo
cordoglio, ma ancora lode del suo nemico, il quale rimase a questa
maestrevole volta grandemente ammirato. Lo seguitarono i Francesi, e si
attaccò, sebbene con poco frutto, la vanguardia loro con quella
degl'Inglesi. Venne poco poscia con tutta la sua armata il conte di
Grasse, e diè un feroce assalto alla inglese, le navi della quale si
erano affilate di modo, che stavano su due ancore colle poggia rivolte a
terra, e l'orze al mare. Ne fu ributtato non senza grave perdita.
Rinfrescò un'altra volta la battaglia, ma con non miglior evento di
prima. Si astenne allora dal combattere, e se ne andò solamente
volteggiandosi alla larga per bloccar dentro la cala l'armata inglese, e
proteggere le conserve, le quali cariche di munizioni arrivavano dalla
Martinica, e dalla Guadaluppa. Hood, veduto, che i Francesi attendevano
ad altro, che a noiarlo in quella nuova stanza, sbarcò Prescot con
tredici centinaia di soldati, i quali, fatto voltar le spalle ad una
banda di Francesi, che là si trovavano, si posero in un forte
alloggiamento sopra di un poggio. Sperava, che si sarebbe scoperta
qualche occasione di soccorrere la rocca. Ogni cosa pareva promettergli
una gloriosa vittoria. Aveva grandissima confidenza, che per la fortezza
del luogo Frazer si sarebbe potuto tener lungo tempo. E siccome aveva i
certi avvisi, che Rodney, ritornato dall'Europa con un rinforzo di
dodici navi d'alto bordo, si avvicinava, così era certo, che, ove fosse
arrivato, e congiuntosi con esso lui, il conte di Grasse, e più ancora
il marchese di Bouillé avrebbero avuto carestia di buoni partiti. Già si
prometteva nella mente sua la cattività di tutte le genti di Bouillé. Ma
altre cose pensano gli uomini, ed altre ne dispone il cielo. Già il
marchese avendo spacciato duemila soldati contro Prescot, lo aveva
costretto ad abbandonar la Terra, ed a rifuggirsi di nuovo sulle navi.
Da un'altra parte scosse dall'impeto delle artiglierie diroccavano ad
ora ad ora a grandi sfasciumi le mura di Brimstone-hill; ed anzi quella
parte, la quale fronteggiava il campo dei Francesi, tutta era caduta a
terra. Non che una, ma parecchie breccie essendo fatte, vi si poteva
entrar per assalto da ogni banda. Il governatore, perduta ogni speranza
di conservar quella Fortezza, e non volendo aspettar l'assalto, il quale
non avrebbe potuto non riuscir funesto a' suoi, chiese i patti. Furono
essi assai onorevoli pei soldati, utili agl'isolani. In riconoscenza
della valorosa difesa, che dentro fatto avevano Frazer, e Shyrley furono
dal vincitor lasciati liberi, e franchi delle persone loro. Venuta per
la resa di Brimstone-hill tutta l'isola di San Cristoforo in poter dei
Francesi, l'armata dell'ammiraglio Hood, oltrechè lo stanziar in quel
luogo non poteva più esser di alcuna utilità, si trovava esposta, se non
tutta, almeno parte ai colpi delle artiglierie, che sulle più vicine
spiagge avrebbero quelli potuto piantare. Nè era di poco momento la
considerazione di doversi andare a congiungere coll'ammiraglio Rodney,
che di breve si aspettava, o forse già era arrivato alla Barbada. Ma
avendo l'armata francese così vicina, e così grossa, la cosa era piena
di pericolo. Tuttafiata la necessità delle cose non lasciava luogo a
dubitazione alcuna. Laonde la notte, che seguì la capitolazione, essendo
i Francesi lontani a quattro leghe, gl'Inglesi, tagliati i cavi,
acciocchè tutti i vascelli in uno, e nel medesimo punto potessero
pigliar il vento, e l'abbrivo, ed in tal modo viaggiar più rannodati, se
ne partirono, e senza nissun intoppo navigando arrivarono alla Barbada.
Quivi con incredibile allegrezza loro si accozzarono con Rodney, il
quale testè vi era giunto con dodici navi delle più grosse. Fu il conte
di Grasse gravemente accagionato di negligenza, e di poco ardire per non
aver istrettamente bloccato prima, che partisse, o assaltato quando
partiva, o perseguitato, quando era partita l'armata dell'Hood. Lo
scusarono alcuni, allegando, che avesse carestia di viveri; che non
fossero le sue navi a gran pezza sì veloci, quanto le inglesi erano; e
che inoltre in una indispensabile necessità si trovasse di ritornarsene
tosto alla Martinica per proteggervi le conserve, che si aspettavano di
breve dall'Europa. Comechè questa cosa se ne stia, certo è, che queste,
o negligenza, o necessità, e la congiunzione dei due ammiragli inglesi
riuscirono nel progresso del tempo non che di grande, di totale
pregiudizio agl'interessi della Francia, come per le cose, che si
diranno, sarà di mano in mano, a chiunque leggerà, manifesto. In questo
mentre l'isola di Monserrato si arrendè anch'essa all'armi dei conti di
Barras e di Flechin. Approdò il conte di Grasse pochi giorni dopo alla
Martinica.

In tal modo si era la fortuna britannica abbassata sì in America, che
nelle Antille. Ma l'armi del Re Giorgio miglior ventura non avevano in
Europa di quella, che nei lontani lidi dell'occidente si avessero. Che
anzi le cose sue si andavano di giorno in giorno riducendo in peggiore
stato con infinito contento dei confederati, massimamente della Spagna,
la quale ne raccolse prima i frutti. Era il duca di Crillon
desiderosissimo d'impadronirsi del castello di San Filippo, sapendo con
quant'ardore il Re Cattolico bramasse di aver in poter suo tutta l'isola
di Minorca. Perciò nissuna diligenza, o artifizio di guerra aveva
lasciato indietro per superare la Fortezza; e tanto si era acceso nel
batterla, che l'opera delle artiglierie era piuttosto maravigliosa, che
rara. Ma dubitando, che la oppugnazione per la natura del luogo, ch'era
per arte, e per sito munitissimo, e per la gagliarda difesa, che vi
facevano dentro gli assediati, troppo andasse in lunga, seguitò un
consiglio, il qual avrebbe dovuto grandemente abborrire, e questo fu di
sobillare, e di corrompere il governatore Murray, acciò gli desse per
tradimento in mano quella Fortezza, che per forza non si confidava di
potere sì tostamente conquistare. Aveva egli di così fare avuto
commissione dal Re Cattolico, il quale caldissimo essendo in su
quest'impresa di Minorca, non ebbe a disdegno l'abbassarsi ad un atto
tanto indegno della Maestà reale. Rispose gravemente, ed alteramente
Murray a Crillon; che allorquando un valoroso antenato di lui era stato
dal suo principe richiesto, perchè il duca di Guisa assassinasse, aveva
quella risposta dato, che egli avrebbe dovuto dare al Re di Spagna,
quando gli commetteva di contaminar il carattere di un uomo, il
nascimento del quale tanto era illustre, quanto fosse il suo, o quello
del duca di Guisa; non gli scrivesse, o facesse parlar più, perciocchè
ei non voleva più altramente con esso lui comunicare, che per la via
delle armi. Rescrisse Crillon a Murray, che bene stava, e che la lettera
di lui aveva l'uno e l'altro di essi in quella condizione collocati, che
loro ottimamente si conveniva; e che in quella stima lo aveva
confermato, nella quale sempre lo aveva avuto. Ma intanto le cose degli
assediati erano ridotte ad una somma necessità. Quantunque saltati fuora
avessero acremente assalito, e cacciato il duca di Crillon dal capo
Mola, dov'egli aveva il suo principale alloggiamento, ciò nonostante
ricevettero per la debolezza loro maggior nocumento, che utilità da
questa fazione. Non avrebbero essi potuto pel poco numero loro a gran
pezza bastare alla difesa di tanto ampie fortificazioni, quand'anche
tutti fossero stati freschi di salute. Ma molto lontano da questo era il
caso loro. Quei semi di scorbuto, dai quali erano i corpi loro infetti
già prima dell'assedio, ora sviluppandosi, avevano questa mortale
malattia tanto fatto montare, e moltiplicatala, e resala tanto feroce,
che ogni dì appiccandosi ad un gran numero di soldati, questi o
uccideva, o rendeva inutili alla difesa. Di questi effetti erano le
principali cagioni la carestia, o per meglio dire la totale privazione
degli ortaggi, l'essere i soldati stivati nelle sotterranee volte,
l'orribile puzzo di queste, l'incredibile fatica, che duravano nella
difesa della piazza. Allo scorbuto, come se di sè stesso non bastasse a
condurre all'ultimo termine la misera guernigione, vennero a
congiungersi le putride febbri, e la dissenteria, peste tanto fatale dei
campi. Ciò nonostante sopportavano e sani, e cagionevoli con
maravigliosa costanza i mali del corpo, e le fatiche dell'assedio; ed in
ciò erano tanto infervorati, che non pochi già bacati essendo, e tocchi
dai pestilenti morbi gli dissimulavano, ed ostinatamente affermavano
esser sani, perchè non venissero dai Capi loro dalle militari fazioni
esentati. Così pareva, che più per vigore dello spirito, che per
fortezza delle membra reggessero la vita. Alcuni furono veduti morire
stando in sulle guardie. Ma infine più potè la natura inferma, che la
ostinazione degli animi. Nell'entrar di febbraio si trovò il presidio in
tal modo assottigliato, che solo rimanevano seicentosessanta soldati,
che fossero atti o tanto o quanto alle fazioni; e di questi la maggior
parte erano anche infetti di scorbuto. Temevasi, che il nemico informato
di tanta debolezza non andasse all'assalto, e con una battaglia di mano
s'impadronisse del castello. Della qual cosa tanto maggiormente si
dubitava, che le artiglierie già avevano la maggior parte delle difese
superiori diroccate. Dei cannoni i più erano o scavalcati, o rotti, o
imboccati; e tuttavia i nemici continuavano a fulminare. In tale stato
di cose il resistere più lungo tempo sarebbe stato piuttosto bestiale
ostinazione, che umano valore. Si arrendè Murray a patti, i quali furono
molto onorevoli al presidio. Avessero tutti gli onori della guerra;
fossero, data però la fede loro, come prigioni trasportati in
Inghilterra; fosse fatto abilità a tutti i forestieri di ritornarsene
colle persone, e colle robe alle proprie case; ai Minorchesi, che
avevano seguitato le parti d'Inghilterra, fosse conceduto di poter
godersi la patria e tutti i loro beni. Uscivano i cattivi piuttosto
ombre, che uomini, miserabili avanzi di tanti valorosi soldati. Stavano
schierati dall'una parte, e dall'altra i Francesi e gli Spagnuoli.
Precedevano seicento, parte vecchi, parte decrepiti, parte malati, e
tutti emaciatissimi soldati. Seguitavano centoventi reali artiglieri,
poi dugento marinari; venivan dopo pochi Corsi, e forse alcuni più
Greci, Turchi e Mori. Vedevano mesti, e compassivi i vincitori passar in
mezzo di loro i cattivi. Giunti i vinti al luogo, in cui dovevano depor
le armi, diventò anche più pietoso di prima lo spettacolo; poichè quivi
sclamarono cogli occhi pregni di lagrime, che a Dio solo quelle armi
rendevano. La quale cosa non fu senza ammirazione veduta, nè senza lode
raccontata dai generosi vincitori. Fu grande altresì, e degna di onorata
ricordanza la umanità di questi. Onde stringendogli pure la pietà
naturale, e la forza della vera virtù cominciarono i soldati gregarj
stessi a porgergli diversi rinfrescamenti, e con parole cortesi lodavano
la loro costanza. Ma il duca di Crillon, ed il barone di Falkenhayen
niuna cosa tralasciarono, per confortare i sani, se alcuno ve n'era
rimasto, e per curar i malati, e gli uni, e gli altri di quelle cose
fornire, delle quali abbisognavano. In ciò tanto si travagliarono, che
parevano più di quelli, che dei proprj soldati solleciti. Le quali cose,
siccome scemano orrore alla guerra, così dovrebbero anche le nazionali
rivalità e nimicizie raddolcire e rattemperare. In cotal modo l'isola
Minorca ritornò, dopo d'essere stata bene ottant'anni in poter della
Gran-Brettagna, sotto l'imperio della Corona di Spagna.

Quando si ebbero in Inghilterra le novelle di tanti, e così gravi
disastri, e massime dei patti di Jork-town si commossero
maravigliosamente gli animi, e del desiderio di cose nuove
s'impressionarono. Già era venuta a noia a tutti la lunghezza della
guerra, e la enormità delle spese, che in ella si erano fatte, o
tuttavia si facevano. Ma le novissime sconfitte accrebbero questa
universale scontentezza; e colla diminuzione della speranza delle
vittorie era nato in ognuno un maggior desiderio della pace. Si vedeva
manifestamente, che lo sperare di poter ritornare un'altra volta in
sulla guerra offensiva sulla terra-ferma d'America era del tutto vano; e
che il costringere gli Americani all'obbedienza per mezzo della forza
era cosa impossibile diventata. Le segrete mene per dividere quei
popoli, il terrore, e la crudeltà dell'armi dei Barbari, i tentativi di
tradimento, la distruzione del commercio, la falsificazione dei
biglietti di credito, cose tutte, che i ministri britannici avevano
messo in opera, e le vittorie stesse di Howe, di Clinton e di Cornwallis
non avevano potuto tanto operare, che gli Americani facessero sembianza
di volere all'antica soggezione ritornare. E se furono costanti
nell'impresa, allorquando la nave loro si trovava inabissata, e vicina a
sommergersi, come si poteva credere, che fossero per piegarsi ora,
ch'ella era dai prosperevoli venti dentro il desiderato porto sospinta?
Egli era chiaro agli occhi di tutti, che la guerra contro l'America non
poteva più altro fine avere fuori di quello di ottenere, riconosciuta
però la independenza, i più onorevoli accordi, che si potessero. Da un
altro canto le gravi perdite fatte nelle Antille facevano di modo che si
temesse di maggiori; e si stava in molta apprensione rispetto alla
Giamaica, contro la quale si sapeva, che i Borboni volevano dirizzare le
forze loro con grandissimo apparato. Il danno poi di Minorca, e la
perdita di San Filippo, così forte castello, erano causa, che si
dubitasse anche di Gibilterra. Tutte queste disgrazie imputavano i
popoli, siccome sogliono fare, non alla contrarietà della fortuna, ma
alla insufficienza dei ministri. La qual cosa, se non era del tutto
senza ragione, non era però senza qualche torto. Coloro, che dentro il
Parlamento, e fuori si erano ai disegni di quelli sin dal principio
della querela opposti, levarono un grandissimo romore. Andavano dicendo,
esser questi i presagiti frutti della ministeriale imprudenza ed
ostinazione. Sclamavano, doversi cambiare quest'inetti e corrotti
servitori della Corona; doversi impedire, che coloro, i quali la patria
condotto avevano all'orlo del precipizio, non le dessero ad un bel
tratto la pinta e l'ultimo trabocco; doversi infine aprir la via alla
salute collo scartare questi decennali intoppi; doversi gettar via
quest'impronti istromenti di una infelice guerra. Queste vociferazioni
erano conformi al temporale, e trovavano negli scontenti popoli buona
corrispondenza. Inoltre a nissuno era nascoso, che, poichè la necessità
dei fati aveva operato sì, che bisognasse calare agli accordi
coll'America, e la independenza di lei riconoscere, non era convenevole,
che coloro, i quali tanto gli Americani avevano colle irritative leggi
prima, e poscia coll'armi troppo spesso a mò dei Barbari esercitate,
asperati, essi accordi praticassero, riputando poco atti istromenti di
una buona pace gli autori di sì aspra guerra. Già il generale Conway con
molta eloquenza orando nella Camera dei Comuni il giorno 22 di febbraio
aveva posto, e vinto il partito, perchè si pregasse Sua Maestà,
commettesse a' suoi ministri di non continuar più oltre nel proposito di
voler ridurre le colonie alla leanza per mezzo della forza, e della
guerra sulla terra-ferma d'America. Nella tornata poi de' 4 marzo pose,
ed ottenne il partito, che coloro, i quali consigliassero al Re, di
continuar la guerra offensiva sul continente della settentrionale
America fossero chiariti nemici del Re, e della patria. Per le quali
cose tutte coloro, che dirigevano le consulte segrete, dove le cose si
stillavano, e si risolvevano, si accorsero, ch'era oggimai tempo di por
mano al solito rimedio del cambiamento dei ministri. Vi era fra gli
uomini un'aspettazione grandissima. Infine il dì 20 di marzo, avendo il
conte di Surrey mosso nella Camera dei Comuni, perchè si supplicasse al
Re di far gli scambj ai ministri, lord North alzatosi, e con molta
gravità favellando disse, che non occorreva, si dessero più oltre
pensiero di questa bisogna; perciocchè il Re già aveva i presenti
congedato, e fra breve avrebbe nuovi ministri creato. Poscia continuò a
discorrere, che prima di tor congedo dalla Camera si credeva egli
obbligato di renderle grazie dell'appoggio e del favore, che pel corso
di tanti anni conceduto gli aveva. Aggiunse, che un successore di
maggior capacità, di maggiore senno, e più atto, e fatto per riempir
quel luogo, era facile trovare; ma più zelante degl'interessi della
patria, più fedele al suo Principe, ed amator più sincero della
constituzione, non parimente. Sperava, che i nuovi ministri della
Corona, qualunque essi fossero, avrebbero tali consiglj presi, che
effettualmente avrebbero liberata la patria dalle presenti difficoltà, e
sì dentro che di fuori la sua umile fortuna sollevata. Concluse dicendo,
che del rimanente egli era pronto a stare alla sua patria di tutti gli
atti del suo reggimento; e che quando se ne volesse far una disamina, ei
non era a patto nissuno per isfuggirla. Furono i nuovi ministri creati
di quelli, che nelle due Camere del Parlamento si erano più caldamente
mostrati alla causa degli Americani favorevoli. Tra questi il marchese
di Rockingam fu eletto primo Lord del Tesoro, il conte di Shelburne, ed
il signor Fox segretarj di Stato, lord Giovanni Cavendish camerlingo;
l'ammiraglio Keppel fu nel medesimo tempo creato visconte,
e Capo del maestrato sopra le cose navali, che chiamano l'uffizio
dell'ammiragliato. Tanta fu l'allegrezza dei popoli a queste elezioni,
che si temette, quel di Londra non prorompesse, come suol fare, in
qualche improvvisa riotta. Ognuno era diventato confidentissimo, che
presto si sarebbe il fine della guerra, e di tante calamità conseguito.
Solo avrebbero voluto, che i patti fossero onorevoli, e perciò tutti
desideravano, e pei nuovi ministri speravano, che qualche evento
favorevole la Gran-Brettagna riscuotesse da quel bassamento, in cui era
caduta per gl'infelici casi avvenuti sull'uscir del passato, ed in
sull'entrar del presente anno.


FINE DEL LIBRO DECIMOTERZO



LIBRO DECIMOQUARTO


[1782]

Gli Stati, che esercitavano la guerra, non aspettavano altro per compir
i disegni che avevano orditi sul principiar del presente anno, che la
perfezione degli apparecchj, la stagione favorevole e la occasione
propizia. Stracchi gli uni e gli altri dalla lunga guerra si accorgevano
ottimamente, che gli avvenimenti di questo medesimo anno avrebbero, e la
fortuna di quella, e le condizioni sue definito. Non ignoravano neanco,
che a chi ne tocca vicino alla pace, a quel ne va il peggio; perciocchè
non ha tempo di riaversi. Per la qual cosa avevano tutti ogni ingegno
posto, e ponevano, ed ogni opera facevano, perchè fossero le armi loro
sì gagliarde, che dovessero ad ogni modo restarne al di sopra. Volevano
gli alleati principalmente ed acquistar il dominio dei mari di Europa, e
far l'impresa di Gibilterra, ed impadronirsi della Giamaica. I Francesi
in ciò erano specialmente, che si soccorresse alle cose loro nelle Indie
orientali, le quali nonostante il valore di Suffren, e molte non men
ostinate, che bene combattute battaglie contro Hughes, le cose loro
erano andate in declinazione, e già le due importanti Terre di
Negapatam, e di Trincamale erano in poter degl'Inglesi venute. A tutti
questi fini, siccome pure a proteggere le proprie conserve, e quelle del
nemico intraprendere s'indirizzavano i pensieri dei confederati. Si
erano perciò accordati, che le armate spagnuola ed olandese andassero a
trovar la francese nel porto di Brest, e con quella congiuntesi ne
uscissero poscia all'alto mare; e correndo dallo stretto di Gibilterra
sino alle coste della Norvegia da ogni forza nemica lo nettassero. Era
l'intento loro, che mentre le navi più grosse, oltratesi nei mari ed
anche nei canali più stretti, le armate nemiche impedissero dall'uscir
fuori, le fregate spazzassero ogni cosa nell'aperto, e le conserve ed il
commercio inglese sperperassero. Nè a ciò si ristavano. Volevano altresì
bezzicar continuamente, e tenere in apprensione le coste della
Gran-Brettagna, ed anche, se qualche favorevole occasione si aprisse,
scendervi, e desertar il paese, e se i popoli romoreggiassero, o non
fossero i difensori pronti, farvi anche di peggio. A tutte queste cose
fare erano molto atti, avendo, quando le forze loro congiunte fossero,
meglio di sessanta navi di fila con un numero maraviglioso di
velocissime fregate. Non avevano a gran pezza gl'Inglesi nei porti loro
una forza, che fosse sufficiente al resistere ad un sì formidabile
apparato. Speravasi dal canto della lega, che la guerra antillese ed
europea avrebbe in questo anno il medesimo fine avuto, che nel varcato
quella d'America; e che in tal modo si sarebbe di breve conseguìto una
lieta, e felicissima pace.

Dall'altra parte in Inghilterra i nuovi reggitori dello Stato niuna cosa
lasciavano intentata per soccorrere alle cose afflitte, e per resistere
a quella piena, che loro veniva addosso. Quello, che per l'inegualità
delle forze non potevano, speravano coll'arte dei capitani, coll'ardire
dei soldati, e colla opportunità delle fazioni conseguire. Mentre
stavano apparecchiando l'armata, e tutte le cose necessarie al soccorso
di Gibilterra, impresa, che sopra tutte le altre, dopo quella della
sicurezza del regno, stava loro a cuore, conobbero, che prima di tutto
era mestiero l'impedir la congiunzione dell'armata olandese colla
francese e colla spagnuola. Nel che si otteneva ancora, e nel medesimo
tempo, che s'interrompesse il commercio, che gli Olandesi andavano
facendo nel Baltico, ed il proprio dagli insulti loro si preservasse.
Perilchè fecero uscire dal porto di Portsmouth l'ammiraglio Howe con
dodici navi di fila, avendogli commesso, andasse a volteggiarsi sulle
coste d'Olanda. La cosa tornò lor bene. Imperciocchè l'armata olandese,
la quale, commesse le vele al vento, già era uscita dal Texel,
abbandonato del tutto l'imperio di quei mari, di nuovo era rientrata nel
porto. Howe dopo essere stato pel torno di un mese in crociata presso
quelle coste, veduto, che il nemico non faceva mostra alcuna di voler
uscire un'altra volta, ed avendo per l'insalubrità della stagione molti
malati a bordo, se ne tornò a porre in Portsmouth. Ma fu poco dopo
mandato al medesimo servizio in luogo dell'Howe l'ammiraglio Milbanke,
per opera del quale, comechè il commercio d'Olanda del Baltico non
ricevesse danno alcuno, ciò non di meno quel d'Inghilterra fu tutelato,
e soprattutto il passo pel canale della Manica all'armata nemica
impedito. Così l'Olanda, tanto chiara repubblica nei tempi andati, fuori
del valor dimostrato nella giornata di Doggers-bank nulla fece in questa
guerra, che di sè, e dell'antica sua fama degno fosse. Tanto era ella
dall'antica gloria e potenza scaduta; miserabile effetto delle
esorbitanti ricchezze, dell'eccessivo amor del guadagno, e forse più
ancora delle malaugurose Sette, che vi regnavano; perciocchè se in una
repubblica quelle Sette, che risguardano il reggimento interno dello
Stato, sono qualche volta utili a mantenere viva la libertà e la
generosità degli animi nei popoli, non è nissuno, che non veda, che
quelle, le quali hanno per obbietto i potentati esterni, partoriscono un
tutto contrario effetto, e fanno, che dalla rabbia in fuori, nissuno
vivace spirito si conservi. Certamente il più manifesto segno, che
s'indebolisce la forza, e si perde la independenza, si è in una nazione
lo scellerato parteggiare pe' forestieri; e quest'era per l'appunto la
condizione degli Olandesi di quei tempi. Quindi è, che sul finir della
presente guerra, se non fu l'Olanda all'estrema condizione condotta, che
anzi se ricuperò in gran parte le cose perdute, ciò all'armi ed
all'intervenimento della Francia, piuttostochè alle proprie forze si dee
massimamente, anzi intieramente riputare.

Ripigliando ora il filo della storia là, donde il lasciammo, si erano
d'intorno a questi tempi le certe novelle ricevute in Inghilterra,
ch'era pronta a salpare dal porto di Brest una considerabile conserva
volta alle Indie per recarvi rinforzi di soldati, d'armi e di munizioni.
Dubitandosi dall'un canto della Giamaica, dall'altro delle possessioni
delle coste del Malabar, non s'indugiarono punto i ministri, e fecero
tosto uscire l'ammiraglio Barrington con dodici navi d'alto bordo,
perchè andasse in cerca di quella conserva, e trovata la sfolgorasse.
Eseguì egli diligentemente i comandamenti loro, ed arrivato nel golfo di
Biscaia s'incontrò nella conserva, la quale consisteva in diciotto navi
onerarie, ed in due da guerra chiamate il Pegaso, ed il Protettore, che
le convogliavano. Era il tempo brusco, ed il mare tempestoso. Ciò non di
meno dava loro la caccia velocemente. Il vascello il Fulminante, molto
franco veleggiatore condotto dal capitano Jervis, sopraggiungeva, e si
attaccava col Pegaso, che era governato dal cavaliere di Sillano. Durò
la battaglia, essendo le forze delle due navi pressochè uguali, per bene
un'ora molto feroce. Ma finalmente il Francese, morti o feriti molti de'
suoi, si arrendè. Essendo il vento fresco, ed il mare grosso appena
Jervis potette una piccola parte dei prigionieri della predata nave
marinar nella sua, e por dentro a quella una piccola parte de' suoi.
Portava perciò grandissimo pericolo, che si riscuotessero. Ma arrivò in
questo punto il capitano Maitland colla sua nave la Regina, e compì la
bisogna. Ciò fatto, una folata gli separò. S'imbattè poi Maitland in
un'altra grossa nave francese, chiamata l'Azionario, e combattutala,
dopo leggier contrasto, la pigliò. In questo mezzo le più leggieri
fregate avevan dato la caccia alle onerarie, le quali in sul primo
apparir degl'Inglesi, dato il segno, si erano a bello studio, e con
molta velocità sparpagliate. Dodici vennero in poter loro, grave perdita
alla Francia. Imperciocchè oltre le navi, le armi e le munizioni sì da
guerra, che da bocca, meglio di undici centinaia di valenti soldati
vennero in poter dei vincitori. Barrington colle predate navi, colle
spoglie, e coi cattivi felicemente rientrava nei porti d'Inghilterra.
Questi consiglj di far correre i vicini mari da flotte spedite, essendo
riusciti bene, determinarono gl'Inglesi di continuare nei medesimi; al
che fare tanto più volentieri si accostarono, quanto che nissuna novella
era loro pervenuta, che fosse la grossa armata dei confederati in punto
d'arrivare su di quelle spiagge; e se le deliberazioni delle leghe
furono in ogni tempo lente, perchè intricate, e di diversi interessi
frammescolate, molto anche tali furono nella presente occorrenza,
quantunque la Francia e la Spagna fossero ardentissime nel desiderio di
abbassar la potenza dell'inveterato nemico. Perciò gl'Inglesi, i quali
con nissun altro, che con loro stessi si consigliavano, assai si
avvantaggiavano colla prontezza, e coll'unità delle deliberazioni. Per
la qual cosa, entrato Barrington, mandarono fuori Kempenfeldt a correre
il golfo di Biscaia, commettendogli, che tutto quel male, che potesse,
facesse al commercio francese, l'inglese proteggesse, e specialmente due
ricchissime conserve, che frappoco si aspettavano, una dalla Giamaica,
l'altra dal Canadà, dagl'insulti del nemico preservasse.

Finalmente dopo molto tempo consumato in vano, si erano i confederati
posti all'ordine per mandare ad effetto quelle imprese, che avevano
disegnate. Il conte di Guichen preposto al governo dell'armata francese,
e don Luigi di Cordova, capitano generale dell'una e dell'altra,
salparono dal porto di Cadice nell'entrare di giugno con venticinque
navi delle più grosse tra francesi e spagnuole; e volte le prue a
tramontana viaggiavano alla volta dell'Inghilterra col desiderio, e
colla speranza di cavar dalle mani di quegli arditi isolani l'imperio
del mare. Ivano piaggiando le coste di Francia, e mentre procedevano nel
viaggio loro venivano di mano in mano a congiugnersi altre navi da
guerra, che in diversi porti stanziavano, e massimamente una maggiore
squadra, che nel porto di Brest era sorta. Per tutti questi accostamenti
diventò l'armata dei confederati sì numerosa, che vi si annoveravano
bene da quaranta vascelli grossi di alto bordo. Arrise la fortuna a
questi primi conati. Incontratisi nelle conserve di Terranuova, e di
Quebec, le quali erano convogliate dall'ammiraglio Campbell con una nave
di cinquanta, e parecchie fregate, quelle parte pigliarono, parte
sperdettero. Diciotto onerarie vennero in poter dei vincitori, assai
ricca e preziosa preda. Le navi da guerra scamparono, ed entrarono a
salvamento nei porti di Inghilterra. Così i Francesi, con un insigne
fatto, della perdita della conserva delle Indie si rappigliarono.
Ottenuta questa, se non difficile, certo utile vittoria, e diventati del
tutto padroni del mare, si recarono verso le bocche del canale della
Manica, e quivi schieratisi, come già altre volte fatto avevano,
dall'isola Scilly al capo Ognissanti, stavano attendendo a quello, che
fosse per succedere sulle coste dell'Inghilterra, alla preservazione
delle proprie conserve, ed al rapimento di quelle del nemico
continuamente badando. I ministri britannici non se ne stavano
neghittosi; ma poste ventidue navi di fila sotto la condotta
dell'ammiraglio Howe, gli mandarono, uscisse al mare, evitasse la
battaglia trascorrendo, ogni opera facesse per proteggere la conserva
della Giamaica, preziosa in sè stessa, e più ancora per la recente
perdita della Canadese. Non mancò Howe a sè stesso; ma da quel capitano
pratico, ch'egli era, tostamente sbrigatosi dall'armata nemica,
veleggiava a ponente di questa di verso la parte, dalla quale doveva
venir la conserva. E tanto fu egli, o destro, o fortunato, che la cosa
gli venne fatta. Peter-Parker, che faceva il convìo alla conserva,
questa stessa, e tutta l'armata dell'Howe entrarono a man salva nei
porti d'Irlanda in sul finir di luglio. Se ne tornarono poscia i
confederati dopo l'inutile mostra, non più fortunati, e non più arditi
in questa, che nelle due prime stati fossero, nei porti loro.

L'impresa però, intorno la quale con maggior contenzione d'animi si
travagliava in Europa, quell'era dell'assedio di Gibilterra. Gl'Inglesi
tutti erano in questo, che a quella Fortezza si soccorresse; i Francesi,
e massime gli Spagnuoli, che s'intraprendessero i soccorsi. Questa cosa
era venuta in gara tra di loro; poichè oltre la gloria dell'armi, e
l'onor delle Corone, quella rocca era opportunissima alla conservazione
dell'imperio del mare mediterraneo. Neanco mai in nissun'altra fazione
di guerra ebbero gli uomini tanta aspettazione collocato, quanta in
questa, e quest'assedio pareggiavano ai più famosi, così degli antichi,
come dei moderni tempi. La pressa era grande in Inghilterra per quel
soccorso; perciocchè sapevasi, che di già dentro la rocca s'incominciava
ad aver carestia di munizioni, massimamente da bocca, e che gli
assediatori avevano il largo assedio cambiato in oppugnazione, volendo
con mirabili macchine, delle quali sarà per noi favellato in appresso,
far pruova di pigliare per forza quello, che colla fame non avevano
potuto. Adunque mentre a quelle mura tanto per natura, e per arte forti
e munite sovrastava un'aspra, e non mai per lo avanti udita battaglia, i
ministri britannici facevano riscontrar in Portsmouth tutte le forze
navali del regno, incluse quelle, che stanziavano sulle coste
dell'Olanda, e le altre, che correvano il golfo di Biscaia. Là
concorrevano anche in gran numero quelle da carico, sulle quali con
grandissima diligenza si abbarcavano le provvisioni. L'impresa del
soccorso di Gibilterra bolliva forte. Infine sul principiare di
settembre, essendo ogni cosa in pronto, Howe, capitano generale
dell'impresa, accompagnato dagli ammiragli Milbanke, Roberto Hughes e
Hotham partì da quel porto, avendo sotto la sua condotta, oltre quelle
da carico, ch'erano una gran moltitudine, trentaquattro navi d'alto
bordo, non poche fregate, e molti brulotti. Dalla fortuna di
quell'armata pendeva quella dell'assediata Fortezza.

Peraltro le armi non erano i soli stromenti che i nuovi ministri della
Gran-Brettagna volevano adoperare per arrivare al fine loro, ch'era
quello di una fortunata guerra, e di una onorata pace. E siccome tutti i
nemici loro, quando nella presente unione continuassero, vincere e
superar del tutto non isperavano, così fecero pensiero di mettere
screzio tra di quelli, e scomunargli con fare a ciascun di loro
profferte di condizioni di pace separate, avvisandosi, che il rompimento
della lega stato sarebbe la più sicura via al conseguimento di una
finale vittoria. Nel che speravano ancora, che quand'anche non avessero
potuto ottenere l'intento, avrebbero almeno conseguìto quello di dar
pasto, e di contentar i popoli della Gran-Brettagna, e rendergli, con
dimostrare la necessità della guerra, alla continuazione della medesima
meno avversi. Nè non era possente stimolo agli animi loro il pensare,
che pure dovevan essi, volendo sostener quelle persone, che fin là tanto
fuori, quanto dentro del Parlamento sostenute avevano, amici ed autori
di pace, se non sinceramente, almeno apparentemente dimostrarsi. Per
tutte queste cagioni operarono di modo presso l'Imperadrice delle
Russie, ch'ella fece uffizio di componimento colle Province Unite
d'Olanda col proporre, essendo a ciò fare dal Re della Gran-Brettagna
autorizzata, alla repubblica una tregua, e quelle medesime condizioni di
pace, che stat'erano accordate coll'Inghilterra nel trattato del mille
seicento settantaquattro. L'ambasciador di Francia, che allora si
trovava all'Aia, e che vegghiava queste pratiche, gagliardamente operò,
perchè la cosa non avesse effetto, esortando gli Stati Generali a
mantenersi in fede. Espose, che pure si erano colla Francia a non fare
la pace coll'Inghilterra, se non se quando questa avesse riconosciuto
l'illimitata libertà dei mari, obbligati; parlò dei concerti presi tra i
due Stati intorno le operazioni navali da farsi contro il comune nemico,
il rompere i quali sarebbe stato ugualmente poco onorevole alla
repubblica, che dannoso al suo Re, loro fedele alleato. Toccò finalmente
della riconoscenza, che gli dovevano per la conservazione del Capo di
Buona Speranza, e per la ricuperazione dell'isola di Sant'Eustachio, e
delle colonie di Surinam, l'una e l'altra operate dall'armi di Francia.
Questi furono gli uffizj dell'ambasciadore. Considerarono poi gli
Olandesi, che quelle isole e colonie erano come altrettanti statichi in
mano dei Francesi, e che poca speranza poteva rimaner loro di
ricuperarle, se essi dalla lega colla Francia si discostassero. Queste
cose in un coll'opera dei partigiani della Francia, i quali in questa
occorrenza efficacemente si travagliarono, fecero di modo, che gli Stati
Generali non si dimesticarono alle proposte inglesi, e si risolvettero a
non dipartirsi dall'amicizia di Francia, allegando, che ciò molto bene
si conveniva a quella incorrotta fede, colla quale era sempre stata
solita a procedere quella repubblica. Nè miglior fine sortirono le
pratiche a questo medesimo fine introdotte presso i governi di Francia e
di Spagna; perciocchè entrambi le offerte condizioni ricusarono, il
primo, perchè aveva ferma speranza di cacciar del tutto gl'Inglesi
dall'isole delle Antille, ed ottenere poscia migliori patti in proposito
della libertà dei mari; il secondo per questi stessi motivi, e
principalmente per quella leccornìa, accresciuta anche dalla speranza di
aver in mano sua la Giamaica e Gibilterra, non considerando, che l'uomo
ordisce, e la fortuna tesse; l'uno e l'altro poi per osservare il patto
di famiglia, e per conservare intatto l'onore delle loro corone, il
quale sarebbe grandemente offeso ad un somigliante abbandono fatto
dell'alleato loro. Ma i ministri britannici avevano non poca speranza,
che pei maneggi loro si potessero ridurre le cose a qualche composizione
cogli Stati Uniti d'America. Per questo avevano mandato per iscambio al
generale Clinton il Carleton, uomo, il quale per la prudenza ed umanità
dimostrate nei passati fatti della canadese guerra era in buona voce
presso gli Americani. Gli diedero facoltà, siccome pure all'ammiraglio
Digby, di accordar la pace cogli Stati Uniti, riconoscendo la
independenza, e concludendo con essi un trattato di amicizia e di
commercio. Ma gli Americani considerarono, che a quel tempo nissuna
legge era stata fatta dal Parlamento, che autorizzasse il Re a
concludere o pace, o tregua coll'America, e che per conseguente
quest'erano offerte e promesse, che i ministri facevano di per sè
stessi, e che il Parlamento avrebbe potuto disdire. Conoscevano la
ripugnanza, che aveva grandissima il Re al riconoscere la independenza
loro. Perciò entrarono in gran sospetto, che ci covasse sotto qualche
occulta frode, o malizia. Nel quale si confermarono anche maggiormente,
quando intesero le novelle, che i ministri avevano introdotto pratiche
d'accordi separati presso gli altri potentati guerreggianti d'Europa.
Per le quali cose tutte si fermarono onninamente in questa sentenza, che
questo fosse un andirivieno britannico fabbricato a bello studio per
disgiugnergli tra di loro, e per menargli per parole. Sospettavano, che
il trattamento dell'accordo fosse stato con artifizio dagl'Inglesi usato
per deviargli dalle provvisioni della guerra, e per farsi più facile
l'oppressione loro. Fece anche a questo tempo il ministro francese
presso il congresso grandi uffizj, perchè si sturbasse la pratica, e non
si desse retta a queste proposte, dall'una parte la mala fede
britannica, dall'altra la lealtà e la generosità del suo Re esponendo, e
con vivi colori dipingendo. Parve invero una gran cosa a coloro che
reggevano i consiglj dell'America, il rompere sul bel principio dello
Stato loro le promesse, e lo scambiar in una non sicura amicizia una
provata alleanza. Perilchè ricusarono. Dichiarò il congresso non potere,
nè volere in alcun negoziato particolare, nel quale l'alleato loro non
partecipasse, entrare. E perchè da nissuno potesse stimarsi poco sincera
la fede della repubblica, e per tor ogni speranza all'Inghilterra, ed
ogni sospetto alla Francia, i particolari Stati tutti decretarono, che
non mai sarebbono divenuti ad una pace coll'Inghilterra, se non vi fosse
stato il contento dell'alleato; chiarendo anche nemici alla patria
coloro, i quali tentassero di negoziare senza l'autorità del congresso.
In cotal modo si ruppero sul principiar del presente anno le pratiche
della pace, perchè le cose della guerra non erano ancor mature, e perchè
in mezzo a tanta scambievole diffidenza nissuna forma di concordia si
poteva trovare, se non era dall'ultima necessità indotta.

Andando le cose in America a questo cammino, nelle lontane isole
dell'occidente già s'incamminavano elle a quel fatale caso, che doveva
por fine all'antillese guerra, non altrimenti, che quello del Cornwallis
aveva concluso l'americana. Eransi dai confederati quei maggiori
apparati, che possibili fossero, fatti, per fare una volta l'impresa
della Giamaica. Avevano gli Spagnuoli una possente armata, ed una grossa
banda di soldati nelle isole di San Domingo e di Cuba, l'una e l'altra
fornitissime di ogni cosa, e pronte a partire per ogni qualunque
fazione, che si volesse tentare. Il conte di Grasse poi si trovava nel
porto del Forte Reale della Martinica con trentaquattro grosse navi di
fila, con altre due di cinquanta cannoni, con due armate in fluta, e
molte fregate. Quivi attendeva a racconciarle, e stava aspettando una
seconda conserva partita da Brest sul principio di febbraio, la quale
gli recava una egregia quantità di armi e di munizioni, delle quali
abbisognava. Rassettato che avesse il navilio, e ricevuto i nuovi
fornimenti di guerra, intendeva di andar a congiungersi a San Domingo
cogli Spagnuoli, e correre quindi unitamente contro la Giamaica.
Effettuata la congiunzione, avrebbero avuto gli alleati un'armata di
sessanta navi di fila, e da quindici in ventimila soldati da sbarcare,
forza prepotente, e tale, che una somiglievole non s'era mai in quelle
spiagge veduta. Non avevano a gran pezza gl'Inglesi forze nè terrestri,
nè marittime, le quali fossero sufficienti a contrastare a tanto
apparato. Imperciocchè Rodney, il quale si trovava a questo tempo alla
Barbada dopo la congiunzione sua ivi fatta con Hood, e l'arrivo
dall'Inghilterra di altre tre navi, aveva sotto il suo governo non più
di trentasei vascelli di alto bordo, soldati da sparmiare per le
guernigioni delle altre isole pochi, e nella Giamaica stessa si avevano
solamente sei battaglioni di stanziali, con anco entrovi, secondo
l'usanza di quei paesi, molte paghe morte, e le bande paesane. Il
terrore vi era grande, ed il governatore dell'isola vi aveva promulgato
la legge marziale, per la quale veniva a cessare ogni autorità ne'
maestrati civili, ed a conferirsi tutta ai Capi della guerra.

L'ammiraglio Rodney conosceva benissimo, che tutta la fortuna
dell'antillese guerra, e quella di tutte le possessioni inglesi in quei
mari totalmente pendevano dall'intraprendere la conserva di Brest,
primachè ella arrivasse nei porti della Martinica, e dall'impedire, che
l'armata francese non andasse ad accoppiarsi colla spagnuola a San
Domingo. Per ottenere il primo di quest'intenti era egli uscito al mare,
e talmente aveva la sua flotta arringata a sopravvento dell'isole, che
ella si distendeva dall'isola Desirada sino a quella di San Vincenzo in
su quella via, la quale tengono per l'ordinario le navi, che vengono
d'Europa per recarsi alla Martinica. E per maggiore sicurezza aveva
anche fatto affilar le sue fregate più in là a sopravvento, perchè,
speculando tutto all'intorno, avvisassero prontamente l'avvicinarsi del
nemico. Ma i Francesi, che pure subodorato avevano qual cosa, invece di
andare al solito viaggio per alla Martinica, la conserva loro talmente
avviarono, che, torta la via a destra verso settentrione, passarono a
tramontana della Desirada, e poscia piaggiando a sottovento la
Guadaluppa e la Domenica, la condussero a salvamento a Porto Reale della
Martinica. Fu questo molt'opportuno rinfrescamento ai Francesi, e
d'infinito cordoglio cagione agli Inglesi, ai quali nissun'altra
speranza rimaneva al preservarsi da una totale rovina in quei lidi,
fuori di quella d'impedire la congiunzione delle due armate francese e
spagnuola in San Domingo. A questo fine andò Rodney a porsi al
Gros-Islet in Santa Lucia, dove stava continuamente alla vista, e per la
vicinanza de' luoghi poteva facilmente, e spacciatamente venire
informato di quello, che si facesse il nemico al Forte Reale. Faceva
sopravvedere diligentemente il mare dalle veloci fregate. Attendeva
intanto a far acqua, e viveri, ed a porsi in grado a poter bastare ad
una lunga crociata.

In questo mezzo il conte di Grasse, poichè il tempo era da spenderlo in
operare, e non volendo più oltre indugiarsi al mandare ad effetto le
commessioni, che aveva dal suo Re ricevute, e che di tanta importanza
erano alla gloria ed alla prosperità del Reame di Francia, comandò alle
navi della conserva, nel preservamento delle quali consisteva tutta la
speranza dell'impresa della Giamaica, uscissero dal porto, e faceva lor
fare l'accompagnatura dai due vascelli di guerra il Sagittario, e lo
Sperimento. Poco poscia le seguitava egli stesso con tutta l'armata.
Avrebbe voluto, andando a seconda dell'etesie, indirigersi direttamente
a San Domingo. Ma preveggeva ottimamente, che sì facendo, ed ingombro,
com'egli era, con una conserva che sommava meglio, che a cento legni
passeggieri, ed in tanta costanza di vento, non avrebbe potuto tanto
vantaggiarsi, che l'armata inglese non sopraggiungesse. La qual cosa lo
avrebbe costretto alla battaglia, ch'ei voleva, e doveva schivare.
Perciò pigliò altro partito. Prendendo voga verso tramontana, iva con
tutto il suo numerosissimo navilio radendo le spiagge delle isole. Era
questo un molto conveniente consiglio, e ne doveva l'ammiraglio francese
sperare un felice evento. Poichè in tal modo conoscendo i suoi piloti
molto meglio degl'Inglesi le giaciture di quei lidi, la maggior parte
francesi, o spagnuoli, potevano più presso a questi spingere le navi. I
diversi canali poi, che fra quelle frequenti isole si frappongono, e
sicuri ricetti, e comodi venti offerivano contro il perseguitante
nemico. Oltracciò poteva egli ordinar di modo le sue navi, che quelle da
carico costeggiassero terra terra, mentre le guerresche si
appetterebbero al di fuori contro le nemiche. Dal che ne poteva nascere
facilmente, che le inglesi ne fossero spinte a sottovento; e perciò
fosse lasciata libera la via alle francesi per a San Domingo. Con questo
consiglio sperava il conte di Grasse di potersi appoco appoco sguizzare
sino al luogo destinato alla massa generale in quell'isola. Le fregate
inglesi, che stavano vigilanti alle poste, diedero tosto per mezzo dei
concertati segnali avviso dell'uscita della flotta francese
all'ammiraglio Rodney; ed egli che stava sull'ali, ed era pigliatore di
gran partiti, troncati tutti gl'indugi, salpò incontanente per andarla a
trovare. Era il giorno nono di aprile, e già i Francesi avevano
incominciato a spuntar la Domenica, trovandosi a sottovento della
medesima, quando si mostrò improvvisamente agli occhi loro tutta
l'armata inglese. De Grasse comandò ai capitani della conserva,
collassero tutte le vele, gissero ad apportar nella Guadaluppa. L'uno e
l'altro ammiraglio con eguale arte ed ardire si ordinavano alla
battaglia. Questa il Francese intendeva di combattere lontana per dar
tempo alla conserva di allargarsi, e per non commettere all'arbitrio
dell'incerta fortuna una impresa certa; l'Inglese manesca, perciocchè
non poteva sperare alle cose sue riparo, se non se in una vittoria
determinativa. Aveva seco il conte di Grasse trentatre navi di fila, tra
le quali si noveravano la Città di Parigi di 110 cannoni, cinque di
ottanta, ventuna di settantaquattro, le altre minori; erano le compagnie
delle ciurme pienissime, e si trovavano a bordo da cinque a seimila
eletti soldati di sopracollo. Governava il tutto, come capitano generale
il conte di Grasse; la vanguardia era guidata dal marchese di Vaudreuil,
il dietroguardo dal signor di Bougainville. Consisteva l'armata di
Rodney in trentasei navi di alto bordo, fra le quali una di novantotto
cannoni, cinque di novanta, venti di settantaquattro, e tutte le altre
minori. Era al governo di tutta l'armata l'ammiraglio Rodney,
dell'antiguardo il vice-ammiraglio Hood, del dietroguardo il
sotto-ammiraglio Drake. Avrebbero voluto gl'Inglesi venirne tosto con
tutta l'armata loro alle mani; ma trovandosi tuttora dietro le alture
della Domenica, ne erano impediti dal tempo bonaccioso. Solo meglio che
potevano, si ingegnavano di approfittar dei buffi, che di quando in
quando si levavano, per approssimarsi ai Francesi. Ma questi, essendo
più inoltrati verso la Guadaluppa, già godevano del benefizio del vento,
ed ogni mossa operavano, che loro pareva più opportuna. Infine la brezza
incominciò a gonfiar le vele della vanguardia Inglese, della quale
giovandosi Hood pervenne a tiro d'artiglieria presso l'armata nemica, e
si appiccò la battaglia alle nove della mattina. Era De Grasse
confidentissimo della vittoria. Perocchè combatteva con tutte le sue
forze contro una sola parte di quelle del nemico. Perciò l'incontro fu
molto aspro, e la pressa, che facevano i Francesi molto grande. Ma
gl'Inglesi, comechè con grave danno loro, fecero tal retta, che nè
rincularono, nè si smagliarono. Intanto le prime navi della battaglia
inglese, ottenuto il vento, venivano per soccorrere la vanguardia, che
pativa, e che aveva bisogno di aiuto, e giunte a tiro con una
incredibile furia entrarono anch'esse nella mischia; nè fu con minor
valore l'impeto loro dai Francesi ricevuto. Fulminava soprattutto
terribilmente colla sua nave il Formidabile, e colle due sue seconde il
Namur, ed il Duca, tutte e tre di novanta cannoni, l'ammiraglio Rodney.
Ma un capitano francese, il quale governava una nave di settantaquattro,
ostinatissimamente se gli opponeva, e fatta con magnanima risoluzione
voltare a ritroso la vela di gaggia dell'albero maestro per tôrre a'
suoi ogni opinione, ch'ei si volesse ritirare, e però fargli nella pugna
più ostinati, ferocissimamente combatteva contro le tre più grosse navi
di Rodney. E tanta fu la virtù sua, che un uffiziale inglese, scrivendo
a' suoi, lo ebbe a chiamare _divino Francese_. Arrivarono in questo
mezzo di mano in mano le altre navi di Rodney, e già poco anch'erano
lontane quelle del dietroguardo condotte da Drake. Per la qual cosa il
conte di Grasse, il quale avendo buono in mano non voleva rimescolare,
fece tirar indietro i suoi, ed in tal modo fu posto fine ad un
combattimento, nel quale non saprei, se stato sia maggiore il valor, o
la perizia delle marinaresche cose, che e l'una parte, e l'altra
dimostrarono. Non seguitarono gl'Inglesi, sia perchè avevano il vento
meno favorevole, sia perchè le navi della vanguardia avevano grave danno
ricevuto, massime le due il Real Pino, ed il Montagù, ch'erano la testa.
Il che vedutosi dall'ammiraglio francese, ordinò incontanente alle navi
della conserva, le quali avevano afferrato alla Guadaluppa, salpassero
di nuovo, e gissero al viaggio loro. La qual cosa essendo stata
diligentemente eseguita dal signor Langle, che le governava, arrivarono
esse, pochi giorni dopo, tutte felicemente a San Domingo. Alcune navi
francesi furono assai malconce. Fra le altre il Catone fu sì
danneggiato, che ne fu mandato per rassettarsi alla Guadaluppa. Queste
cose impedirono, che il conte di Grasse non potesse sì tosto, come
avrebbe voluto, rimontare al vento di quel gruppo d'isole, che chiamano
le Sante, siccome era il suo disegno, per recarsi poscia a sopravvento
della Desirada, e quindi difilarsi, passando a tramontana dell'isole, a
San Domingo. Gl'Inglesi, racconce le navi loro, di nuovo s'erano posti a
seguitare i Francesi. De Grasse sempre bordeggiava per riuscire a
sopravvento delle Sante, e già tanto aveva operato, che il dì undici,
superate le Sante, incominciava a spuntar a sopravvento della
Guadaluppa; e già aveva sì gran vantaggio preso dell'armata inglese, che
solo i gabbieri di questa, e ciò a gran fatica, potevano la francese
discoprire. Gl'Inglesi, i quali sapendo ottimamente, quanta posta vi
andasse, avevano con quella maggior celerità, che avevano potuto,
seguitato i Francesi, ora già erano pressochè totalmente disperati di
potergli raggiungere; e già i Capi ristrettisi tra di loro si
consigliavano, se non fosse miglior partito per lo servizio delle cose
loro il torsi giù dal seguitar l'inimico, e volger le prue a sottovento,
affine di arrivare, se possibil fosse, prima di lui nelle acque di San
Domingo. Mentre in questo fortunevole punto se ne stavano deliberando,
ed ansiosamente d'in sulle gagge velettando, incerti del destino, che
alla Giamaica soprastava, ed a chi dovesse dell'Inghilterra, o della
Francia la signoria delle Antille rimanere, ecco comparir di lungi, era
l'ora del mezzodì, due navi francesi, le quali non potendo pareggiare la
prestezza delle compagne, si erano lasciate, e si lasciavano
continuamente cadere a sottovento delle loro, e perciò più vicine
all'armata inglese. Erano queste il Zelante, il quale pare, che sia
stato destinato dai cieli ad essere in questi dì un fatale intoppo alla
fortuna francese, e la fregata l'Astrea, che il conte di Grasse gli
aveva mandato dietro, perchè lo rimorchiasse. Aveva poco prima questo
Zelante, non so se per imperizia di chi il guidava, o se per fortuito
caso dato di cozzo nella Città di Parigi, e ne ebbe rotti gli alberi
dello sprone e del trinchetto. Il quale accidente, rallentando il suo
abbrivo, l'aveva fatto rimanere indietro. Tosto si rinfrescavano nel
cuor degl'Inglesi le speranze di quella battaglia, che tanto agognavano.
Perciocchè credevano fermamente che ov'essi fossero venuti sopra alle
indietreggiate navi per pigliarle, l'ammiraglio francese sarebbe venuto
in soccorso di quelle, e per conseguente postosi nella necessità del
combattere. Per la qual cosa con incredibile contenzione d'animo
aiutandosi, ed incalzandosi l'un l'altro, poichè stringeva molto il
tempo, tanto fecero, che si avvicinarono di modo, che le due navi, se De
Grasse non le soccorreva, sarebbero senza fallo alcuno, prima che
abbuiasse, in poter loro venute. Credesi, e non senza ragione, che se il
conte contento alla gloria acquistata sulle rive della Virginia avesse
saputo moderare la propria fortuna, ed abbandonato a quel destino, che
le minacciava, le due fatali navi, avrebbe con felicità corsi i mari
fino a San Domingo, e là congiuntosi cogli Spagnuoli avrebbe spenta del
tutto la potenza britannica in quei lidi. Poichè già si era tanto
allargato a sopravvento, che quando avesse il suo cammino seguitato, non
sarebbe più stata riuscibile cosa agl'Inglesi il raccostarlo. Ma
giudicando, che fosse contro la dignità, e la riputazione di
quell'armata il sopportare, che così vicino a lei venissero predate le
navi, si risolvette, certo con animoso, ma non meno arrischiato
consiglio, ad andare in soccorso loro, mettendosi in tal modo, per voler
salvare una piccola parte della sua armata, in pericolo di perderla
tutta. Rivolse adunque le prue al nemico, e preservò il Zelante. Ma
intanto si fu di tanto spazio avvicinato, che fu sforzato ad ogni modo a
far la giornata. I due nemici ammiragli con grande animo, e con accesa
disposizione di tutti i loro vi si apparecchiavano, consapevoli l'uno e
l'altro, che in quella si combatterebbe la gloria dei due regni, e la
signoria delle Antille. Ma essendo l'ora tarda, e volendo i due generosi
nemici a buono sciente combattere, sino all'indomani mattina la
indugiarono; solo spendendo la notte nell'esortare i loro ad
apparecchiare i corpi e l'armi alla battaglia. Il campo, in cui si
doveva combattere, è un pelago posto tra le isole Guadaluppa, Domenica,
le Sante e Maria-galante; di qua e di là a sopravvento, ed a sottovento
acque infedeli, e lidi scogliosi. L'indomani all'ore sei della mattina
le due armate si attestarono attelate l'una a rincontro dell'altra,
avendo quella di Francia le scotte a orza, quella d'Inghilterra a
poggia. In questo punto essendo il vento, per aver variato da levante a
scirocco, diventato più favorevole agl'Inglesi, questi giovandosene
tosto ai spinsero avanti colla vanguardia, e colla maggior parte della
mezzana schiera, e pervenuti a mezza gittata di cannone incominciarono
una fierissima battaglia. Durò essa dalle sette della mattina sino alle
sette della sera. Di mano in mano gli altri vascelli inglesi della
squadra di mezzo, e la più parte di quei del dietroguardo, incluso il
Barfleur, capitanato dallo stesso Hood, arrivarono anch'essi a tiro, ed
affilatisi vennero a parte del combattimento. Il Zelante in questo
mentre condotto a rimorchio dall'Astrea si avviava alla Guadaluppa.
Nissuno creda, che mai in altre battaglie maggior valore d'uomini
affocatissimi nel voler riportare la vittoria si sia dimostrato, come in
questa e Francesi, ed Inglesi dimostrarono. Spesseggiavano le fiancate;
il fumo, il rimbombo, il fracasso, e lo stroscio delle navi, che si
tritavano, eran orribili. Il Formidabile, ch'era l'almirante, trasse
fino in ottanta fiancate; la Città di Parigi altrettante. Stette un
pezzo dubbia la vittoria. Le navi si dirompevano con grossi sbrani ad
ogni momento, e l'anelito degli uomini era grande. Dal bel principio
della battaglia gli Inglesi, secondo l'usanza loro, avevano fatto pruova
di ficcarsi in mezzo e di romper l'ordinanza francese. Ma non avendo il
vento abbastanza propizio per potersi lanciar con quel momento, che
sarebbe stato necessario, e da un altro canto avendo i Francesi fatto
gran retta, furono risospinti. Intanto la vanguardia e battaglia del
conte, avendo grave danno ricevuto, massime negli attrazzi, e maggiore
di quello, che sopportato avesse la dietroguardia, ne nacque, che il
movimento di quelle due prime squadre si rallentò notabilmente, e non
avendo quest'ultima, ch'era rimasta più intiera, accomodato il suo al
movimento di quelle altre, ne avvenne che l'ordinanza si scompigliò;
perocchè alcune navi vennero a trovarsi più innanzi, altre più indietro.
A questo sconcerto già grave in sè stesso, e che fu colpa degli uomini,
si aggiunse una contrarietà di fortuna, e questa fu che il vento si
voltò da levante scirocco sino a scirocco schietto, accidente
sfavorevole ai Francesi, poichè le vele loro ne furono improvvisamente
volte a ritroso, e favorevole agl'Inglesi, che ne vennero ad acquistare
il vento più propizio. Se ne giovò Rodney incontanente, e con mirabile
rattezza spintosi avanti col Formidabile, col Namur, col Duca, e col
Canadà, fracassato e disarborato affatto il vascello il Glorioso, ruppe
e fendè l'ordinanza francese, tre navi distante dalla Città di Parigi,
dove combatteva il conte di Grasse. Ciò fatto, comandò tosto alle navi,
che orzando lo seguitassero. Il che prestamente stato essendo eseguito
ne avvenne, che tutta l'armata inglese riuscì a sopravvento della
francese. Queste mosse definirono la fortuna della giornata. Gl'Inglesi
si scagliarono poggiando contro i Francesi, i quali disordinati ed
ingarbugliatisi insieme tutti male si potevano contro un nemico
ordinatissimo, stretto, ed esultante per la speranza della vicina
vittoria, riparare. D'allora in poi i Francesi non combattettero più
raccolti in file regolari, ma con navi separate, o gomitoli snodati. In
tale pericoloso frangente non mancarono per altro a sè stessi. Tentarono
di rannodarsi a sottovento; ma ciò non venne loro fatto. Non potendo più
operare con consiglio comune, combattettero in singolari affronti con
tanto valore, che al tutto si mostrarono di miglior fortuna meritevoli.
Ora gl'Inglesi s'avventavano a questa, ora a quell'altra nave,
secondochè veniva lor meglio il destro per pigliarle. Il Canadà si
attaccò coll'Ettore, e dopo una ostinata resistenza lo prese. Il
Centauro si mise a petto al Cesare, l'uno e l'altro rimasti pressochè
intieri. Ne seguì un furiosissimo affronto. Il Francese non voleva
arrendersi. Vennero ad assaltarlo altri tre vascelli d'alto bordo. Ma il
signor di Marignì, che il capitanava, in luogo di abbassar la tenda,
intorato, e feroce la faceva chiodare all'albero, e tuttavia tirava
avanti con una furia di cannonate. Fu morto. Il successore si difendeva
con pari coraggio. Infine, caduto l'albero maestro, e perduti tutti i
suoi corredi, cedendo alla fortuna, si arrendè. Il Glorioso anch'esso,
non senza prima aver fatto una gagliarda difesa, venne in poter
degl'Inglesi. L'Ardente ebbe la medesima fortuna. Il Diadema rotto e
fracassato affondò. Ma se fu grande la virtù dimostrata dai capitani
francesi sin qui raccontati, le navi dei quali vennero in poter
degl'Inglesi, fu degna altresì di perpetua lode quella del conte di
Grasse, il quale parve, si fosse posto in animo di voler piuttosto
andare a fondo, che arrendersi. Lacera essendo, e sfessa la sua nave, la
Città di Parigi, per una battaglia, che già da dieci ore durava, nissuna
sembianza faceva di volersi piegare e tuttavia continuava a tronare
orribilmente ed a rispondere da ogni parte. Veniva ad assaltarlo
ferocemente il capitano Cornwallis colla nave il Canadà, e tuttochè con
incredibile valore si affaticasse, non faceva frutto. Perocchè quella
enorme mole lungi da sè con prepotente forza il ributtava. Venivano per
dargli l'ultimo strazio a congiungersi col Canadà altre sei grosse navi
inglesi; ma tutto era nulla. Erano intanto accorse per isbrigarlo le
navi francesi la Linguadoca e la Corona, poscia il Plutone ed il
Trionfante. Ma sopraffatte dalla moltitudine delle navi di Rodney furono
costrette a lasciar la capitana loro nel gravissimo pericolo, in cui si
trovava. Venutagli meno quest'ultima speranza, e veduta la sua armata
testè sì fiorita, ora tutta o fugata, o presa, l'invitto animo del conte
di Grasse non si voleva per ancora inclinar alla resa; e continuando
nella difesa non rifinava di trarre. Sopraggiungeva allora Samuele Hood
avventatissimo col suo Barfleur, e giunto presso la Città di Parigi (già
il giorno si rabbruzzava) vi scaricò dentro con orribile strabocco un
nembo sì fitto di palle, che ne furono strambellati tutti coloro, che
sulla coperta si ritrovavano. Fu scritto, ne siano rimasti uccisi al
primo tratto sessanta. Disperato della salute aveva tuttavia il conte
cura dell'onore. Sostenne tanta furia ancora più per un quarto d'ora.
Infine, abbassata la tenda al Barfleur, si arrendè all'Hood. È fama che
nel momento della resa tre soli uomini rimanessero viventi, e non feriti
sopra la coperta, dei quali uno si fu il conte stesso. In questo molto
la Città di Parigi, vascello, ch'era a ragione stimato il più bel
ornamento, ed il principale propugnacolo della marineria francese, venne
in potestà degl'Inglesi. Era stato dato in dono dalla città di quel nome
al Re Luigi Decimoquinto, allorquando le cose navali della Francia erano
state a tanto bassamente condotte durante la guerra del Canadà. Vi si
erano spesi intorno da quattro milioni di tornesi. Trentasei casse di
contanti, tutte le artiglierie, le somerie, e le munizioni, che dovevano
all'assalto della Giamaica servire, diventarono preda del vincitore.
Morirono in questa battaglia degl'Inglesi, inclusi anche quelli, che
furono uccisi nella giornata dei nove, e furon feriti meglio di un
migliaio; dei Francesi molti più, oltre dei prigionieri. Fra i primi
furono morti degli uffiziali segnalati i due capitani Boyne e Blair.
Lord Roberto Maners figliuolo, che fu del marchese di Granby, giovane di
grandissima aspettazione, ferito gravemente, dopo d'essere stato alcun
tempo in fine di morte, anch'egli trapassò. De' secondi sei capitani di
nave, tra i quali il conte d'Escars, e de la Clocheterie furono da
questa vita tolti. Avrebbe l'ammiraglio Rodney per non corrompere la
speranza di cose maggiori, voluto seguitare dopo la battaglia il nemico.
Ma essendo sopraggiunta la notte, e volendo prima assicurarsi delle
prede, e conoscere il danno ricevuto da' suoi, e dalle sue navi, se ne
temperò. La mattina seguente fu medesimamente dal ciò fare impedito
dalle bonacce, che sopravvennero presso le spiagge della Guadaluppa.
Avendo però fatto sopravvedere nei vicini porti delle isole nemiche, ed
accortosi che in questi non si erano gli avanzi della rotta armata
riparati, e dubitando di quello, ch'era, cioè che si fossero dirizzati a
San Domingo, comandò, per non fermare il corso della vittoria,
all'ammiraglio Hood, la cui squadra era rimasta più intiera, se ne
andasse a stare sulle volte in quelle acque. Gli commise ancora, che,
compiuta la bisogna, si recasse al Capo Tiberone, dove sarebbe colla
restante armata ito egli stesso per ivi fare la generale massa. Infatti,
eccettuate alcune navi, le quali furono condotte a racconciarsi a
Sant'Eustachio dal signor di Bougainville, le altre raccolte dal
marchese di Vaudreuil andarono a far porto al Capo-Francese in San
Domingo. Intanto era arrivato nelle acque di quest'isola l'Hood, e
mentre si stava volteggiando nel passaggio di Mona, che la medesima da
quella di Portoricco divide, osservò di lontano quattro navi, due d'alto
bordo, due altre minori. Quest'erano il Giasone, ed il Catone, che
ritornavano dai concieri della Guadaluppa, colla fregata l'Amabile, e la
corvetta la Cerere. Non erano i capitani loro informati dell'esito della
battaglia dei dodici, e viaggiavano a sicurtà. Hood diè dentro; e dopo
una leggiera avvisaglia tutte le pigliò. Una quinta nave, che si
discoperse, sebbene non senza gran fatica, scampò. Così perdettero li
Francesi otto navi d'alto bordo, delle quali il Diadema affondò, il
Cesare arse, e sei fecero chiara e notabile la vittoria degl'Inglesi,
per essere in poter loro venute. Raccozzatisi insieme Rodney, e Hood al
Capo Tiberone, il primo colle prede e colle navi malconce si avviò alla
Giamaica, il secondo se ne rimase con venticinque delle più intiere
nelle acque di San Domingo, acciò e gl'inimici osservasse, ed impedisse
loro di tentar qualche fatto di rilievo contro le possessioni
britanniche. Imperciocchè quantunque scoraggiati dalla recente
sconfitta, erano tuttavia gli alleati assai formidabili, avendo al
Capo-Francese, Vaudreuil ventitre navi di fila, e Don Solano sedici con
molte migliaia di pedoni a potere, ove d'uopo fosse, sbarcare. Ciò
nondimeno non solo si perdè del tutto l'impresa della Giamaica; ma
ancora nissuna fazione d'importanza si tentò, dopo la raccontata, nelle
Antille. Se ne tornarono gli Spagnuoli nell'Avana. Alcune navi francesi
si avviarono, facendo la scorta ad una conserva, verso l'Europa, e con
prospero viaggio vi arrivarono. Vaudreuil colle rimanenti andò ad
ammainar le vele nei porti della settentrionale America. In tal modo
furono agli alleati sturbati i disegni sopra la Giamaica, e questo fine
ebbe l'antillese guerra. Solo il giorno sei di maggio le isole Bahame,
state fin là sicuro nido d'infestevoli corsari, all'armi spagnuole si
arresero. Un'altra fazione, debol compenso a tanta perdita, successe
prosperamente ai Francesi nelle regioni più settentrionali dell'America.
Aveva il marchese di Vaudreuil poco prima, che partisse per alla volta
degli Stati Uniti, spedito il signor De la Peyrouse colla nave lo
Scettro, e due fregate, commettendogli, se ne andasse al seno d'Hudson,
e là tutto quel maggior male che potesse, facesse alle possessioni della
Compagnia inglese. La cosa riuscì, e la Compagnia ricevè un danno di
parecchj milioni. Fu questa spedizione degna di ricordanza, non già per
gli ostacoli, che gli uomini abbiano opposto, giacchè stavano gl'Inglesi
indifesi e sicuri, ma sibbene assai per le difficoltà, che parevano
piuttosto insuperabili, che grandi, de' luoghi. Le spiagge erano
difficili, e poco esplorate, le acque infedeli; e quantunque corresse,
quando arrivarono, la stagione del finir di luglio, tuttavia il sido vi
era sì grande, e i ghiacci sì grossi, che poco mancò, le avventurieri
navi non vi fossero rapprese dentro, ed in quel crudissimo clima per
tutto l'inverno confinate.

Tra queste cose l'ammiraglio Rodney era alla Giamaica pervenuto, e nel
porto di Kingston trionfalmente entrato. Concorrevano gl'isolani con
infinita allegrezza a vedere il loro liberatore, le vincitrici, e le
predate navi, le ricche spoglie, e quel nemico capitano stesso
rimirando, che, già vincitore in America di una gran guerra, poscia
minacciatore potentissimo della patria loro, compariva allora in sì
dimessa fortuna vinto, e cattivo agli occhi loro. Ma se grandi furono la
fortuna di Rodney, ed il contentamento dei Giamaichesi, non furono
minori le cortesie, che quello e questi usarono verso il vinto nemico,
niuna cosa tralasciato avendo, la quale potesse nell'avverso caso
racconsolarlo. Poco poscia l'ammiraglio inglese, avuto lo scambio
dall'ammiraglio Pigot, scambio, che fu ordinato, primachè si avessero a
Londra le novelle della vittoria dei dodici aprile, partì per
l'Inghilterra, alla volta della quale aveva anco sulla carovana della
Giamaica inviato il conte di Grasse. Era venuto Rodney in molta
disgrazia dell'universale a cagione di quelle rapine di Sant'Eustachio,
delle quali se ne fecero anche risentitamente le parole in cospetto del
Parlamento. Da ogni parte risuonavano querele contro di lui; e questo fu
forse il principale motivo, oltre di quello della diversità delle Sette,
che i ministri il rappellassero. Ma alle accusazioni, giunto che ei fu
in Inghilterra, rispose mostrando cattivo ai popoli il conte di Grasse.
Allora l'accagionato spogliatore di Sant'Eustachio diventò tosto l'idolo
di tutta la nazione. E quegli stessi, che prima più la fama sua
laceravano, ora più di tutti si studiavano di encomiarlo, le passate
ruggini alla presente gloria condonando. Furono fatte in Inghilterra le
gratissime accoglienze al conte di Grasse, parte per civiltà, parte per
vanagloria. Arrivato a Londra, fu presentato al Re, gli furon fatte
pubbliche feste, il popolo, che spesso sotto i balconi della sua casa
concorreva, lo voleva vedere; e volesse egli, o no, gli era forza il
mostrarsi, ed allora le acclamazioni e gli applausi non erano pochi,
tutti ad alta voce chiamandolo, (tanto è bella la virtù, che piace anche
ai nemici in un nemico) il bravo, il valoroso Francese. Ne' luoghi
pubblici, dov'ei compariva, gli facevano le affoltate intorno, non per
noiarlo, ma per fargli onoranza; e tanto si andò oltre con questo
occupamento della plebe londinese verso il conte di Grasse, che
pretendevano, e volevano che altri il credesse loro, che la fisonomia
del conte ritraesse dell'inglese; e gli fu giuocoforza, si lasciasse
fare il ritratto. Del quale se ne sparsero tostamente tante copie nel
contado, che chi non l'aveva, era tenuto scemo, o disamorevole. Fu
Rodney creato dal re Pari d'Inghilterra sotto il titolo di lord Rodney,
Hood Pari d'Irlanda, Drake e Affleck Baroni del regno.

In Francia intanto le novelle della rotta dei dodici aprile furono di
universale cordoglio cagione, tanto più grave, quanto stat'erano più
liete le passate speranze. I Francesi però durevoli nell'allegrezza,
trascorrevoli nella mestizia, ed animosi di natura tosto si
riconfortavano. Fu il Re il primo a dar l'esempio della fermezza.
Seguitavano gli altri. Comandò per rifornir i perduti, si fabbricassero
incontanente dodici vascelli tra di 110 cannoni, di 80 e di 74. Il conte
di Provenza, e quel d'Artesia, suoi fratelli, ne offerirono del loro
ciascuno uno di 80. Il principe di Condé uno ne offerse di 110 in nome
degli Stati di Borgogna. I Preposti de' mercanti, gli Schiavini e le sei
Capitudini de' mercanti della città di Parigi, i negozianti di
Marsiglia, di Bordeaux, di Lione si risolvettero anch'essi con
maravigliosa prontezza a somministrare allo Stato ciascuno una nave
della medesima portata. I ricevitori e gli appaltatori generali della
Camera pubblica, ed altri pubblicani offerirono, e fornirono somme di
pecunia di non poca importanza. Furono tutte queste esibizioni
accettate; ma non già quelle, che avevano fatte i particolari cittadini,
ai quali il Re, perchè la buona volontà dei già gravati popoli in
maggior aggravio loro non tornasse, fe' le somme offerte, o già donate
restituire. In cotal modo, per l'universale consentimento d'animi verso
la patria, verso il Re bene inclinati, si sopportò in Francia l'acerbità
della fortuna, si riparavano i passati danni, e le felici speranze
dell'avvenire si rinfrescavano.

Avendo noi sin qui raccontato in quale modo per un irreparabile
infortunio degl'Inglesi sia stata la guerra sulla terra-ferma d'America
terminata, e come altresì per una fatale sconfitta delle forze navali
della Francia sia veduta a conclusione nelle Antille, egli è oggimai
tempo, che da quelle lontane ragioni la mente rivocando, ci facciamo a
descrivere, qual fine ella abbia avuto là, dond'ella principalmente
procedeva, vogliam dire in queste più vicine contrade di Europa. Erano
gli occhi di tutti gli uomini rivolti all'assedio di Gibilterra. Nè non
aveva mai nè in quell'età, nè forse in molte superiori veduto Europa
tentarsi oppugnazione, che fosse di maggior aspettazione per la fortezza
di quella rocca, e per gli effetti importanti, che dal perderla, o dal
vincerla risultavano. Veleggiava Howe al soccorso di quella. Cadevano
nei discorsi degli uomini varj concetti. Alcuni confidandosi nell'ardire
e nel sapere britannici, e dalla felicità dei passati tentativi
all'esito del presente argomentando, pensavano, che l'impresa del
soccorso sarebbe a buon fine riuscita. Altri attendendo alle prepotenti
forze navali della lega, nell'industria, e nel valore di Don Luigi, e
del conte di Guichen, che le governavano, confidando, portavano una
contraria opinione. Chi si persuadeva, osservati gli straordinarj
preparamenti che stati erano fatti, e tuttavia si facevano dagli
assedianti, che fosse non che probabile, vicina la resa della piazza. E
chi per lo contrario credeva, considerata la fortezza del luogo, la
concinnità delle fortificazioni, ed il coraggio degli assediati, ch'ella
fosse non solo improbabile, ma impossibile. Tutti poi erano venuti in
questa opinione, che l'opera sarebbe riuscita dura, e che vi si sarebbe
sparso dentro molto sangue. Intanto la fama era corsa, e raccontando le
cose di Gibilterra aveva acceso nell'animo di tutti gli uomini valorosi
un ardentissimo desiderio di entrare a parte, od almeno di trovarsi
presenti, come spettatori di quelle onorate fazioni, che sotto di quelle
mura dovevano agli occhi degli uomini maravigliati rappresentarsi.
Quindi è, che non solo dalla Francia, e dalla Spagna i più riputati
personaggi per generosità, e per valore concorrevano a gara al campo di
San Rocco, e nel porto di Algesiras, ma ancora dall'Allemagna, e dalle
più lontane regioni del Settentrione. Nè tanto potè operar la barbarie
nelle vicine popolazioni delle coste africane, che non accorressero
anch'esse nei più propinqui lidi per poter di là l'inusitato spettacolo,
che soprastava, prospettare. Ogni cosa era in moto nel campo, nelle
flotte, negli arsenali dei confederati. Elliot dall'alto della rocca con
mirabile costanza aspettava il pericoloso assalto. Ma primachè quelle
cose raccontiamo degnissime invero di memoria, che seguirono, egli è
cosa necessaria, e, secondochè noi stimiamo, da non riuscir discara ai
nostri leggitori, l'andar descrivendo, qual fosse la natura de' luoghi,
e quali le fortificazioni dentro e fuori della rocca, e quali ancora
fossero gli apparecchiamenti, e le intenzioni degli assediatori. Ella è
la Fortezza di Gibilterra fondata sopra di una roccia, la quale a guisa
di lingua nata dalla terra-ferma di Spagna corre per lo spazio di una
lega da tramontana a ostro, e si termina in un puntazzo, che chiamano
punta d'Europa. La cima della roccia è alta a mille piedi sopra il pelo
dell'acqua del mare. Il suo lato di levante, quello cioè, che è volto
verso il mediterraneo, è tutto da una parte all'altra composto di un
vivo macigno, e talmente rupinoso ed erto, che non che altro, il salirvi
su è cosa del tutto impossibile. La punta d'Europa, fatta anch'essa di
vivo sasso s'abbassa, e termina in una spianata venti piedi alta sopra
l'acqua del mare, e quivi gl'Inglesi hanno piantato una batteria di
venti colubrine, che traggono di punto in bianco. Dalla punta d'Europa
indietro il promontorio s'allarga, ed alzandosi si distende poscia in
un'altra spianata, che sta a ridosso della prima. Questa seconda è
abbastanza grande, perchè i soldati vi possano fare per la difesa del
luogo tutte le loro mosse, armeggiamenti, ed uffizj militari; e siccome
la china è dolce, e ne sarebbe la salita agevole, così gl'Inglesi vi han
fatto tagliate, e procinti di mura qua e là, e circondato il ciglione
della spianata con un muro quindici piedi alto, e grosso altrettanti, e
munitissimo d'artiglierie. Oltreacciò hanno costrutto all'indentro della
spianata medesima un campo trincerato, ove come dentro una sicura
ritirata possano ripararsi, e rattestarsi, caso, che fossero dalle
esteriori difese cacciati. Da questo luogo havvi la via ad un altro più
alto e posto tra massi dirupati e scoscesi, dove avevano gli assediati
gli alloggiamenti loro piantato. Sul lato occidentale del promontorio a
riva il mare è fondata lunga e stretta la città di Gibilterra, che era
stata dall'ultima batteria data alla Fortezza quasi intieramente
distrutta. Ella è chiusa a ostro da un muro, a tramontana da una vecchia
bastita, che chiamano il castello de' Mori, e da fronte verso il mare da
un parapetto quindici piedi grosso, e munito da luogo a luogo di
batterie, che traggono a livello d'acqua. Dietro la città il monte si
innalza molto ben erto sino alla cima. Per maggiore sicurezza di questa
parte hanno anche gl'Inglesi due altre fortificazioni, che molto
s'inoltrano nel mare, fatte, l'una e l'altra guernite di formidabili
artiglierie. La prima posta a tramontana chiamano molo vecchio, la
seconda molo nuovo. Nè contenti a questo fecero avanti il molo vecchio,
ed il castello de' Mori un'altra bastita consistente in due bastioni
accortinati, la scarpa de' quali, ed il cammino coperto sono molto
difficili a minare, per esser contramminati ben per tutto.
L'intendimento di chi fece questa murata si fu per battere colle
artiglierie piantate in essa, e spezzare quella stretta striscia di
terra, che corre tra il mare e la roccia, e per la quale si ha l'adito
dalla terra-ferma di Spagna alla Fortezza. Più in là fu per mezzo di
argini, e di cateratte introdotta l'acqua del mare, e formatosene una
laguna, o marese, che molto aggiugne alla fortezza del luogo. La roccia
finalmente la quale è a tramontana, che è quanto a dire dalla parte di
Spagna, più alta, che in qualunque altro luogo, fronteggia il campo di
San Rocco, ed è munita ne' luoghi più acconci di una maravigliosa
quantità di batterie, che sopraggiudicano le une le altre, e traggono a
cavaliere sopra il campo spagnuolo. In questo modo tutta quella mole era
ridotta a Fortezza molto sicura. Tra quel risalto, che fa il promontorio
di Gibilterra e la costa di Spagna, havvi dall'altra parte verso ponente
una profonda tacca, dentro la quale ingolfandosi il mare forma quel
seno, che chiamano il golfo di Gibilterra, o d'Algesiras. Il porto poi,
e la città d'Algesiras sono posti sulla occidentale riva di questo golfo
rimpetto Gibilterra. Il presidio, che vi era dentro, sommava a poco più
di settemila soldati, e circa dugento cinquanta uffiziali. Tal era la
natura di questa rocca, contro la quale la Monarchia spagnuola, come in
una impresa studiosamente presa a gara, e vicinamente spettante all'onor
della Corona, aveva gran parte delle forze sue adunato, aiutata ancora
dai possenti rinforzi della Francia. I due Re confederati credevano, che
nell'acquisto di quella consistesse la perfezione della guerra; e perchè
la espugnazione far si potesse con riputazione e sicurtà maggiore, le fu
preposto il duca di Crillon tanto risplendente per la recente vittoria,
sperando tutti, che il conquistatore di Minorca avesse ad essere il
vincitore di Gibilterra. I preparamenti poi per avanzare la oppugnazione
erano non solo grandi, ma maravigliosi, e sin là inuditi. Più di dodici
centinaia di cannoni de' più grossi stavano pronti a fulminar da
ogn'intorno la piazza, e tanta era la quantità della polvere, che se ne
avevano ottantatremila bariglioni; delle palle e delle bombe
all'avvenante. Quaranta piatte con grosse artiglierie, la metà
altrettante con enormi bombarde stavano in punto per noiar il presidio
dalla parte del golfo, ed a queste dovevano e protezione, e maggior
forza dare con terribile apparato cinquanta navi d'alto bordo, dodici
francesi, le altre spagnuole. Altri legni più leggieri, come sarebbe a
dire fregate e simili, s'erano a questi più gravi frammescolati, perchè
potessero e soccorrere, e ministrare, ove d'uopo fosse, gli altri, e
ficcarsi più vicini ne' luoghi più opportuni, ed ove la occasione si
discoprisse, alla Fortezza. Oltreacciò più di trecento battelli s'eran
fatti venire da tutte le parti della Spagna, i quali giunti a quelli,
che già sì trovavano in Algesiras, erano una moltitudine infinita.
S'intendeva che questi dovessero, durante l'assalto, che si sarebbe
dato, somministrare alle navi da guerra il bisognevole, e sbarcare le
genti, tostochè fosse la Fortezza smantellata. Nè minori erano gli
apparecchj, che si erano fatti dalla parte di terra, di quello che si
fossero quei del mare. Eransi gli Spagnuoli già fatti avanti colle
zappe, ed avevano la circonvallazione loro compiuta, e rizzatovi su, con
una quantità maravigliosa di cannoni, numerosissime batterie. Per
infondere poi, se non maggior coraggio, del quale non mancavano, agli
Spagnuoli, ma più vivi spiriti tanto necessarj alla bisogna di un
assalto, s'erano fatti venire al campo di San Rocco dodicimila eletti
Francesi. Considerata la smisurata copia degl'istromenti di
oppugnazione, che si avevano in pronto, e la tostanezza dei soldati, i
Capi dell'assedio desiderosissimi di vedere il fine dell'impresa erano
in tanta confidenza venuti, che già avevano tra di loro posto in
deliberazione, se si dovesse, senza più oltre badare, andar all'assalto.
S'erano fisso in mente, che nel medesimo tempo, in cui le genti da terra
avrebbero assaltato la Fortezza dalla parte dell'istmo, il navilio la
battesse d'ogni intorno da quella del mare. Speravano in tal modo, che
la guernigione già non troppo numerosa, oltre il numero dei morti e dei
feriti, pel quale stata sarebbe infievolita, dovendo fronteggiare e
difendersi da tante parti, ne sarebbe aperta la via ad una onorata
vittoria. La perdita di alcune migliaia d'uomini, e quella di parecchie
navi di fila stimavano leggier cosa, purchè un sì prezioso frutto si
cogliesse. Ma i più savj e più prudenti capitani mantennero, che
quest'era un partito non che pericoloso, temerario. Osservarono, che
dalla parte di terra, finchè non si fossero levate le difese alla
piazza, il tentar l'assalto sarebbe un mandar i soldati ad una certa
morte senza nissuna speranza di vittoria; e che da quella del mare le
navi ne sarebbero state dalle artiglierie della Fortezza guaste e
distrutte, primachè avessero potuto fare sopra di quelle impressione di
sorta alcuna. S'avvedevano ottimamente, che, se era impossibile, come
appareva, vincer la rocca assaltandola solamente dalla parte di terra,
così da un altro canto non si poteva sperare di poterla battere con
frutto dalla parte del mare, se non si avessero in pronto navi, le quali
meglio che le ordinarie, potessero ai colpi delle artiglierie resistere.
Imperciocchè con breve assalto non era la Fortezza vincevole; un lungo
era impossibile per la subita distruzione delle navi. Per rimediare a sì
fatto pericolo, e porre in grado gli assediatori a poter durare anche
per la parte del mare con una lunga battaglia contro la Fortezza, varie
e moltiplicate furono le invenzioni degli uomini ingegnosi, i quali a sì
gloriosa impresa avevano gl'intelletti loro aguzzati. Tutte furono con
somma diligenza esaminate. Molte furono poste in disparte, come
insufficienti; nissuna come di troppa spesa. Infine dopo molte consulte
si approvò, e si convenne di trar ad esecuzione il trovato, per verità
assai sottile e magnifico del signor d'Arçon, colonnello del corpo reale
degl'ingegneri francesi. Questo fu la costruzione di certe macchine
molto mirabili, che chiamarono batterie galleggianti, le quali non
potessero nè essere rotte dalle palle fredde, nè accese dalle roventi.
Il primo di questi fini si doveva conseguire per la straordinaria
grossezza delle pareti di esse batterie, il secondo per mezzo di un
invoglio, che tutte le rivestisse dalle parti, donde potevano venir i
tiri, il quale consisteva in una coperta di grossissime travi, e di una
grossa lama di sughero, il quale per essere stato lungamente immerso
nell'acqua era, non che umido, inzuppato. Oltreacciò vi s'era racchiusa
dentro, come quasi un grosso velo, in tutta la larghezza di essa
coperta, una falda di sabbia bagnata. E tutte queste cose non
soddisfacendo ancora l'animo dell'ingegnoso inventore, per render le sue
macchine più sicure contro il pericolo dell'incendio, ebbe con
maraviglioso magistero operato, che un'agevole circolazione di acqua si
potesse per tutte le parti loro incessantemente stabilire. Conciossiachè
fossero esse per ogni dove perforate, e per questi canali interiori, o
docce per mezzo di numerose e larghe trombe, che dentro del mare
pescavano, si poteva, non altrimenti, che nel corpo umano il
sangue per mezzo del cuore viene spinto in tutte le vene, fare
abbondevolissimamente l'acqua salire e trascorrere. Quindi è, che se
fosse avvenuto, che una palla rovente fosse penetrata all'indentro,
rompendo essa una, o più docce faceva di modo, che si spargesse a copia
l'acqua tutto all'intorno della medesima, e sì la spegnesse;
maraviglioso ordigno, che operava in guisa, che il male stesso fosse
causa del suo rimedio. Perchè poi le macchine fossero preservate
dall'impeto delle bombe, ed i soldati, che dovevano le artiglierie loro
ministrare, dalla scaglia e dalle palle difesi, le aveva d'Arçon fatte
coprire con un tetto accomignolato, pel quale sdrucciolando le bombe
andassero, senza far alcun danno, a cader nel mare. Era il tetto alla
restante macchina annodato per mezzo di certi ingegni, che il rendevano
muovevole, in guisa che si poteva esso più, o meno a volontà di chi
governava, e secondo il bisogno, inclinare. Era composto di cordoni
reticolati, ricoperti di cuoi lavorati a posta, e bagnati. Tutto questo
macchinamento stava fondato sopra gli scafi di grosse navi di portata da
secento a quattordici centinaia di botti, alle quali a quest'uopo erano
stati tolti tutti gli attrazzi, ed ogni specie di armamento. Erano
queste batterie galleggianti dieci, e portavano tra tutte cencinquanta
quattro grossissimi pezzi di cannoni, tutti rizzati in sulle batterie
loro, oltre la metà altrettanti tenuti in riserbo per gli scambj. La
sola Pastora, che era la capitana, ne aveva ventiquattro sulla batteria
e dodici in riserbo. La Tagliapiedra, capitanata dal Principe di Nassau,
e la Paula, che così chiamavano due altre delle più gagliarde, ne
avevano poco meno. E perchè per le morti o le ferite non potessero venir
meno gli artiglieri, si erano posti trentasei di questi sì Spagnuoli,
che Francesi al maneggiamento di ciascun pezzo. Il governo di tutto
questo navilio era stato commesso all'ammiraglio Don Moreno, capitano
esperto e forte, la cui opera era stata di molta utilità nelle cose di
Minorca. E comechè queste navi di trovato novissimo e per le materie,
colle quali erano formate, e per la grandezza loro, e per la
straordinaria quantità delle artiglierie, che portavano, fossero
pesantissime, ciò nondimeno, tal era la maestria della costruzione loro,
erano veleggiatrici leggieri, e come se fregate fossero, veloci e
maneggevoli.

Essendo in tale modo tutti gli apparecchiamenti al fine loro condotti,
ed ogni cosa in assetto, e credendosi se non da tutti, certo dalla
maggior parte non che probabile, sicura la presa della Fortezza,
allorquando le si desse l'assalto, arrivarono verso mezzo agosto
all'oste i due Principi francesi il conte d'Artesia, ed il duca di
Borbone. Ciò fu fatto studiosamente per dar maggior animo agli
assedianti, e perchè potessero i principi côrre il frutto essi stessi dì
sì gloriosa vittoria. E certo, se al loro giugnere al campo si
rallegrassero, e di nuovo ardire si accendessero tutti, massimamente i
Francesi, nissuno il domandi. Pareva loro mill'anni, che non
incominciassero il fatto; ed avevano meglio di freno, che di sprone
bisogno. Tanto erano vive le speranze, che si erano concette, che il
duca di Crillon ne fu stimato cauto, ed anzi timido, che nè, per aver
detto, che fra quindici giorni sarebbe stato padrone della Fortezza. La
volevano pigliare in ventiquattr'ore. Fu la venuta dei Principi francesi
accompagnata da ogni sorta di gentilezze. Teneva il conte d'Artesia con
ispesa infinita gran tavola, e sì gran cortigianie usava, che pareva,
che i modi parigini, e gli usi della Corte di Francia fossero stati ad
un tratto in mezzo alla rozzezza dei campi, ed al romore dell'armi
trasportati. Nè solo queste cortesie si usavano verso gli amici, ma
seguendo il costume di quel secolo tanto ingentilito, anche verso i
nemici. Avevano gli Spagnuoli intrapreso un plico di lettere indiritte
agli uffiziali della guernigione di Gibilterra, e le avevano portate in
Corte a Madrid, dove si tenevano in serbo. Queste il conte d'Artesia
ottenne dal Re Cattolico, e giunto al campo le ebbe al loro ricapito
mandate. Pel medesimo procaccio il duca di Crillon scrisse al generale
Elliot, dell'arrivo dei principi ragguagliandolo, e da parte loro
assicurandolo, in quanto pregio eglino tenessero e la persona, e la
virtù sua. Richiedevalo, ed instantemente pregavalo, fosse contento di
accettare un presente di frutta, e d'ortaggi, che per uso suo proprio
gli mandava; siccome pure un po' di ghiaccio, ed alcune altre delicature
pe' gentiluomini della sua casa. Pregavalo in ultimo luogo, che siccome
non gli era nascoso, ch'ei si nutriva unicamente d'erbaggi, così gli
piacesse d'informarlo, quali specie meglio amasse, per poternelo
regolatamente, e giornalmente fornire. Rendette Elliot colla sua
risposta cortesia per cortesia, molto il duca, ed i principi
dell'amorevolezza loro ringraziando. Fece quindi a sapere al primo, che
accettando il presente di lui, erasi scostato dalla determinazione, la
quale si aveva fisso nell'animo, di niuna cosa consumare, e nissuna
comodità a sè medesimo procurare, che gli altri suoi commilitoni non
potessero usare o procurarsi. Concluse con dire, ch'ei credeva, che al
suo onore si appartenesse, che ogni cosa, e così l'abbondanza, come la
carestia fossero a lui, ed a' suoi soldati anche negli ultimi gradi
constituiti, comuni. Pregollo finalmente, non mandasse più oltre
presenti, poichè non avrebbe potuto all'avvenire usargli per sè stesso.
Furono queste proposte e risposte molto degne e di quei che le fecero, e
de' principi, ch'ei rappresentavano.

Fattesi dall'un canto e dall'altro tutte queste cortesie dicevoli alla
pace, si pose tosto mano alle orribilità della guerra. Era fin là Elliot
stato quasi inoperoso a rimirare i preparamenti degli alleati, e veduto,
ch'ebbe spuntare nel porto di Algesiras quelle enormi moli delle
batterie galleggianti, se nulla rimesse della sua costanza, fu nondimeno
commosso a non poca maraviglia. E non sapendo quale avesse ad essere
l'effetto loro, molto se ne stava dubbio e sospeso. Faceva però da parte
sua tutti quegli apparecchj, che per un uomo prudentissimo si potevano
fare, e di tutte quelle difese si forniva, che meglio credeva, fossero
atte a potere l'impeto loro frastornare. E tanto ei si confidava nella
fortezza del luogo, e nella virtù de' suoi, che in niun modo dubitava
del finale esito della contesa. Per dimostrar poi al nemico, che egli
era vivo, invece di aspettar l'assalto si recò in sull'assaltare.
Avevano gli assedianti, con incredibile celerità lavorando, condotto a
perfezione le trincee dalla parte di terra, e già molto si avvicinavano
alle falde della Rocca. Volle Elliot pruovarsi, se le potesse guastare.
Perciò la mattina degli otto settembre ei piovve contro di quelle una sì
sfolgorata quantità di palle roventi, di bombe, e di carcasse, che fu
cosa maravigliosa. Alle dieci già la batteria detta di Maoone era tutta
in fiamme; i magazzini, i carretti dei cannoni, gli assiti delle loro
piazzuole, ed i gabbioni in più di cinquanta luoghi, spaventevole
spettacolo, ardevano. Le traverse, massime sulla punta orientale della
circonvallazione, il parapetto, le trincee furono in gran parte
distrutte. E non fu senza gran fatica, e grave perdita di soldati, che
venne fatto agli assedianti di spegnere il fuoco, e d'impedire la totale
rovina delle opere loro. Si risentì il duca di Crillon gravemente, e
l'indomani, risarciti avendo la notte con prestezza maravigliosa i
danni, fe' scoprire tutte le sue batterie, ch'erano cento novantatre
bocche da fuoco, e battè con inestimabile furia le fortificazioni
degl'Inglesi, così quelle della montagna, come quelle di sotto. Nello
stesso tempo una parte della flotta, giovandosi di un favorevole vento,
e lentamente movendosi, andò traendo contro il nuovo molo, ed i bastioni
vicini; poscia non fu sì tosto arrivata alla punta d'Europa, che ivi
schieratasi in ordinanza diè una feroce stretta alle batterie, che la
difendevano. Ma poco nocumento provarono da tante, e sì furiose
battaglie gli assediati. Succedè per pochi dì un silenzio di guerra, il
quale doveva per una sanguinosa battaglia rompersi. Era il giorno
tredici di settembre destinato dai cieli ad una fazione, della quale non
si legge nelle storie nè la più aspra pel valore dimostrato da ambe le
parti, nè la più singolare per la qualità delle armi, nè la più
terribile, mentre durava, nè la più gloriosa per la umanità mostrata dai
vincitori dopo l'evento. Essendo già la stagione divenuta tarda, e
temendo i confederati, che l'Howe, il quale si avvicinava, non riuscisse
a rinfrescar la Fortezza, si risolvettero a non mettere più tempo in
mezzo per mandar ad effetto quell'assalto, che avevano in animo di
darle. Era il disegno loro, che e le batterie di terra, e le
galleggianti, e la flotta, e le piatte armate, fulminassero tutte al
medesimo tempo la piazza. Avevano di modo ordinato la cosa, che mentre
dal campo di San Rocco si traesse furiosamente contro gli assediati in
arcata, acciò le palle di rimbalzo e di rimando non gli lasciassero
stare ai posti loro, le batterie galleggianti andassero ad arringarsi
lungo il muro, che fronteggia il golfo, distendendosi dal molo vecchio
sino al nuovo. In questo mezzo le piatte, o sia le barche armate di
cannoni e di bombarde, postesi alle due ali della fila di queste
batterie galleggianti, dovevano tirar di fianco contro le batterie
inglesi, le quali difendevano quelle fortificazioni, che sono a riva il
mare. L'armata intanto, aggirandosi qua e là, avrebbe questa, o quella
parte noiato, secondochè pei venti, e per le circostanze della battaglia
si sarebbe potuto più convenientemente eseguire. In cotal modo in uno e
medesimo punto quattrocento bocche da fuoco, senza far conto delle
artiglierie dell'armata, avrebbero battuto la piazza. Dal canto suo
aveva Elliot ogni cosa preparato alla difesa necessaria. Erano i soldati
alle guardie loro, gli artiglieri colle corde accese presso i cannoni;
ed un numero maraviglioso di fornaci ardevano per infuocare le palle.
Alle sette della mattina le dieci batterie galleggianti condotte da Don
Moreno si muovevano. Alle nove arrivavano, e parallele si attelavano
alle mura della Fortezza, comprendendo lo spazio dal vecchio al nuovo
molo. La capitana di Don Moreno si pose a fronte del bastione del Re;
poscia a diritta, ed a stanca della medesima si arringarono le altre con
grandi ed ordine e costanza. S'incominciò allora da ambe le parti a por
mano allo sparar delle artiglierie con uno schianto, ed un romore
orrendo. Dalla terra, dal mare, dalla roccia fioccavano a copia le
palle, le bombe, le carcasse; ma terribil era soprattutto l'effetto
delle palle roventi, delle quali sì spessa grandine saettò Elliot, che
parve a tutti, ed ai nemici stessi cosa maravigliosa. E siccome le
batterie galleggianti erano quelle delle quali come di cosa nuova, e non
bene conosciuta stavano gli assediati in maggiore apprensione, così
contro di queste, come ad un comune bersaglio dirizzavano essi la mira
dei colpi loro. Ma queste, tal era l'eccellenza della costruzione loro,
non solo efficacemente resistevano, ma rendendo fuoco per fuoco, furia
per furia, già avevano non poco danno operato nelle mura del vecchio
molo. Folgoravano con eguale forza e assediati e assedianti, e stette un
pezzo dubbia la vittoria. Infine verso le tre ore meriggiane certi
fumaiuoli si scopersero sopra il tetto delle due batterie galleggianti
la Pastora, e la Tagliapiedra. Questi erano causati da alcune palle
roventi, che penetrate molto indentro nelle pareti, non avevano potuto
essere spente dal versamento dell'acqua fatto dagli artifiziali
doccioni, ed avevano alle vicine parti il fuoco appiccato. Questo
covando, ed appoco appoco serpeggiando, continuamente si allargava.
Vedevansi allora acquaiuoli, i quali con non poca prestezza, ed evidente
pericolo della vita loro operando, si affaticavano in versar acqua nelle
buche fatte dalle palle, per ispegnervi il distendentesi fuoco. Tra per
l'opera loro, e per l'effetto dei sifoni, tanto si contenne il medesimo,
che le batterie continuarono a stare, ed a trarre sino alla sera. Quando
poi incominciava ad annottare, era l'incendio sì cresciuto, che non solo
era molta la confusione in esse, ma ancora il disordine si era in tutta
la fila sparso. Allora, rallentandosi notabilmente il loro trarre,
quello della Fortezza venne a sopravanzare. Elliot sempre più
s'infiammava nella battaglia, e spesseggiava co' tiri. Si continuò a
scaricar tutta la notte. La mattina ad un'ora le due batterie ardevano.
Le altre parimente, o per l'effetto delle palle roventi, o perchè gli
Spagnuoli, come scrissero, disperati di poterle salvare, avessero a
bella posta appiccato il fuoco, erano in fiamme. Ora il perturbamento, e
la disperazione apparivano grandi. Facevano gli Spagnuoli ogni momento
segnali, e specialmente mandavano all'aria spessi razzi per implorar dai
compagni loro soccorso. Si spiccavano allora dalla flotta i battelli, e
venivano intorno alle brucianti macchine a raccorre i loro. Ciò facevano
con mirabile intrepidezza, ma con grandissimo pericolo. Imperciocchè non
solo erano esposti all'infinita moltitudine delle palle, delle bombe, e
delle carcasse, che vibravano gli assediati, i quali, essendo l'aria
rischiarata dalle larghe fiamme, traevano colpi aggiustati, ma ancora al
pericolo delle ardenti navi, piene, com'esse erano, di ogni sorta di
stromenti di morte. Nissuno pensi, che mai più miserando, o più
spaventevole spettacolo si sia offerto agli occhi de' mortali di questo
per la lontana oscurità della notte, pel vicino chiarore dell'incendio,
pel rintuonar orrendo delle artiglierie, per le grida dei disperati, e
dei moribondi. Venne ad accrescere terrore alla cosa, e ad interrompere
la pietosa opera dei soccorritori il capitano Curtis, uomo di non poca
perizia nelle faccende di mare, e di smisurato ardire. Governava questi
dodici piatte, ciascuna delle quali portava in prua un cannone di
diciotto, o di ventiquattro. Ell'erano state costrutte a bella posta per
contrastare alle piatte spagnuole. Il loro trarre a pelo d'acqua, e la
mira ferma erano causa, che facessero grandissimo effetto. Curtis le
ordinò di modo, che ferivano di fianco la fila delle galleggianti. Da
ciò ne nacque, che diventò oltre ogni dire degna di compassione la
condizione degli Spagnuoli. Le piatte loro non s'ardivano più
avvicinarsi, e furono costretti ad abbandonar le stupende navi loro alle
fiamme, ed i compagni o ad una certa morte, od alla mercè di un nemico
attizzato dalla battaglia. Parecchj battelli, e barche affondarono.
Altre allontanandosi scamparono. Alcune feluche si appiattarono la
notte; ma, spuntata l'alba, prese a bersaglio dagl'Inglesi, si
arrendettero. Se stato era terribile lo spettacolo della notte, non fu
meno compassionevole quello, che si scoperse agli occhi dei circostanti
in sullo schiarir del nuovo dì. Uomini disperati, che in mezzo alle
fiamme chiedevano pietà. Altri scampati al fuoco andavano vagando per le
acque con non minor pericolo della vita loro. Di questi alcuni vicini ad
affogare cercavano di aggrapparsi colle tremanti mani alle abbronzate,
od ardenti navi; altri afferrato avendo le nuotanti tavole, o travi
delle guastate navi a quelle fermamente, come all'ultima speranza,
ch'era rimasta loro, si attenevano; e tuttavia ad alta voce gridavano
aiuto verso i soprastanti vincitori. Questi, tocchi dalla infinita
miserabilità del caso, e dalla propria umanità mossi, dall'ire
temperandosi, cessarono del tutto lo sparare; e furono come animosi
nella battaglia, così misericordiosi dopo la vittoria. Nel che tanto più
sono degni di lode da stimarsi, che non potevano soccorrere ai vinti
senza evidente pericolo loro. In ciò dimostrossi il capitano Curtis
piuttosto singolare, che raro, tanta essendo stata l'attività sua, che
parve più desideroso di salvare la vita altrui, che di conservare la
propria. S'aggirava colle sue piatte intorno le fiammanti navi, e
coloro, ch'erano prossimi ad essere o ingoiati dalle acque, o arsi dal
fuoco, raccoglieva e ristorava. Fu visto ancora salir egli stesso sulle
navi infuocate, e colle sue proprie mani trarre di mezzo le fiamme gli
atterriti e ringrazianti nemici. Intanto ad ogni tratto correva pericolo
di essere morto. Poichè ora scoppiavano i magazzini di polvere, ed ora
le artiglierie di per sè stesse si scaricavano a misura, che il fuoco
arrivava a toccar quelli, o ad aver riscaldato queste. Parecchj de' suoi
furono in tal guisa o morti, o sconciamente sgabellati. Accadde ancora,
che avendo egli troppo vicino accostato la sua nave ad una di quelle,
che ardevano, scoppiando questa ad un tratto, ne fu vicino a perdere la
vita. Meglio di quattrocento alleati furono dagli sforzi di Curtis da
inevitabile morte riscattati. Ciò non di manco i morti in tutto questo
fatto, tra Francesi e Spagnuoli, varcarono quindici centinaia. I feriti,
che vennero in mano dei vincitori, furono negli ospedali della Fortezza
trasportati; e quivi umanissimamente trattati. Nove batterie
galleggianti arsero, o per l'effetto delle palle arroventite, o per
opera degli Spagnuoli. La decima, caduta in poter degl'Inglesi, fu arsa
da questi, perchè non la poterono dall'incendio, che già sopravanzava,
preservare. La perdita degl'Inglesi non fu di molto momento, non avendo
avuto dai nove di agosto in poi più di sessantacinque morti e 388
feriti. Fu altresì leggiero il guasto fatto nelle fortificazioni, e
tale, che non diè luogo ad alcuna apprensione per l'avvenire. Di tal
maniera fu la vittoria acquistata con eterna sua laude da Elliot, e dal
presidio di Gibilterra. Tutti i tesori, che il Re Cattolico aveva con
infinita larghezza spesi nella construzione di quelle maravigliose moli,
la pazienza, e la virtù de' suoi soldati, il valore, e la baldanza dei
Francesi furono indarno. Quantunque non si possa di certo affermare, che
coi preparati mezzi, quando anche stati fossero con tutta la efficacia,
e secondo la intenzione dei capitani diligentemente usati, si fosse
potuto la Fortezza espugnare, pare però, che in tutto il corso di questa
bisogna abbiano i confederati commesso più errori di non poco momento. E
prima di tutto l'avere per le narrate cagioni precipitato gl'indugi, e
voluto dar di presente la battaglia, fu causa, che d'Arçon non ebbe
potuto a quella perfezione le sue macchine condurre, che avrebbe
desiderato. Imperciocchè pignendo, e ripignendo gli stantuffi delle
trombe, si era egli accorto, che l'acqua dei doccioni trapelava, e si
spandeva internamente sulle vicine parti con pericolo di bagnar le
polveri, e renderle inabili all'accendersi. Avrebbe trovato rimedio a
quest'inconveniente, ma gli fu tronco il tempo per la pressa, che si
ebbe. Quindi i doccioni interiori furono turati, e solo lasciati aperti
gli esteriori, i quali furono insufficiente riparo contro l'ardor delle
palle. Fu anche sì presto l'ordine mandato a Don Moreno, perchè dalla
punta di Maiorca, dove si trovava colle sue batterie, si recasse
immediatamente all'assalto, che non potè farle sorgere presso il vecchio
molo, com'era il disegno, donde avrebbe potuto e maggiormente esso molo
danneggiare, e ritirarsi agevolmente indietro, ove lo avesse giudicato
necessario. Andò invece a gettar le ancore nel miluogo tra il vecchio ed
il nuovo molo. Nè le piatte degli Spagnuoli furono di quella utilità,
che si aspettava, o impedite dal vento contrario, come essi scrivono,
ovverochè, vista quella inescogitabile tempesta di tante maniere
d'istromenti di morte, che mandava e rimandava la Fortezza, non si siano
ardite. Da una o due in fuori, nissuna pigliò il posto, nè trasse. La
stessa grossa armata se ne stette pressochè inoperosa, ossiachè il vento
le fosse contrario, o che vi siano state gelosie tra i capitani di
terra, e quei di mare. Nè le batterie del campo di San Rocco, quale di
ciò sia stata la cagione, tutta quella opera diedero, che avrebbero
potuto dare. Trassero pochi colpi, e quasi tutti orizzontali, pochissimi
in arcata, comechè dalle circostanze del fatto fosse chiaro, che maggior
fondamento si doveva fare nelle palle di rimbalzo, che nelle dirette. Da
tutte queste cose ne conseguitò, che i soldati della guernigione, invece
di essere sopraffatti dalla moltitudine dei tiri, ed in tale modo
aggirati, che non sapessero a qual parte volgersi, ebbero la maggior
parte facoltà di recarsi a ministrar le artiglierie, che fronteggiavano
le batterie galleggianti, e queste con insuperabile energia sbattere,
sconquassare e distruggere. Per tali cause fu guasto il più generoso, e
meglio ordito disegno, che fosse da lungo tempo nella mente degli uomini
caduto, furono rotte le più belle speranze, e nacque una opinione, che
quella rocca di Gibilterra, la quale già era giudicata fortissima, fosse
del tutto inespugnabile.

Ora era ridotta nei confederati tutta la speranza del vincere la
Fortezza in sull'assedio, giacchè per assalto ciò avevano tentato
invano, dandosi a credere di poter colla fame conseguire quello, che
colla forza delle armi non avevano potuto. Per ottener questo fine egli
era necessario d'impedire, che Howe, il quale di breve si aspettava, non
riuscisse a far entrare nuova scorta nella piazza. Si erano perciò i
confederati posti nel golfo di Gibilterra con un'armata di circa
cinquanta navi d'alto bordo, tra le quali se ne annoveravano cinque di
110 cannoni, ed un'altra detta la Trinità di 112. Intendevano di
combattere colle grosse l'armata inglese, quando arrivasse, e colle
sottili di dar la caccia alle annonarie, e l'una dopo l'altra
arraffarle. Perchè invece di andare ad incontrare il nemico nell'alto
mare presso il Capo di Santa Maria, dove prevalendo di numero di navi
avrebbero potuto con somma utilità spiegar l'ordinanza loro, abbiano
piuttosto eletto di aspettarlo in uno stretto golfo, in cui la
moltitudine delle proprie navi sarebbe stata più d'impaccio, che di
giovamento, noi non abbiamo saputo spiare. E' pare, che il Re di Spagna
medesimo, il quale sempre infiammatissimo nel desiderio di conquistar
Gibilterra, andava dì e notte di quest'impresa mulinando, abbia così
ordinato. Veleggiava intanto Howe per l'Atlantico alla volta della
Fortezza, non peraltro con quella velocità, colla quale avrebbe
desiderato; perciocchè i venti contrarj il ritardavano. Dai quali indugi
era egli grandemente vessato pel timore, che si approssimasse la
Fortezza alla dedizione, e che il soccorso arrivasse troppo tardi. Ma
non fu sì tosto giunto sulle coste del Portogallo, che gli pervennero le
novelle della vittoria d'Elliot. Dalle quali riconfortato sperò di poter
più facilmente il disegno suo trarre ad esecuzione, credendo che i
nemici, dopo tanta perdita venuti dimessi, non fossero, come prima,
abili a contrastarglielo. Pervenuto vicino allo Stretto, una furiosa
tempesta gli conquassava le navi; ma ciò con poco danno loro. Bene fu
grande quello, che ne ricevettero gli alleati nel porto d'Algesiras. Una
delle loro andò a traverso presso la città stessa di questo nome;
un'altra fu tratta dalla forza del vento sotto le mura di Gibilterra,
dove venne in potestà del presidio. Due furono a viva forza spinte nel
Mediterraneo; parecchie altre furono sconcie e sfesse grandemente in
varie parti. La mattina seguente l'armata inglese entrava nello Stretto
ordinata in battaglia con un vento di scirocco. Fatto notte, si trovò
rimpetto il golfo di Gibilterra. Ma essendosi il vento abbonacciato, e
volto a ponente, solo quattro delle annonarie poterono nel porto di
quella città approdare. Le altre coll'armata furono dalle correnti
trasportate nel Mediterraneo. Seguitarono gli alleati con tutta l'armata
loro. Ma ossiachè le bonacce ed un annebbiamento che sopravvennero,
glielo impedissero, o che veramente l'intento loro non fosse di volerne
venire ad una battaglia giusta, se non avvantaggiatissimi, si
ristettero. Per la qual cosa l'ammiraglio Howe maestrevolmente usando un
levante, che in quell'ora, cominciò forte a soffiare, rientrò nello
Stretto, e tutte le sue annonarie fe' entrare nel porto di Gibilterra.
In questo mezzo l'armata inglese si era arringata alla bocca dello
Stretto verso il Mediterraneo tra le due opposte rive d'Europa e di
Ceuta. Sopraggiungeva a piene vele l'armata de' confederati. Ma Howe
andò considerando, che, poichè si era il vettovagliamento della Fortezza
effettuato, il quale era il principal fine dell'incumbenza, che gli era
stata data, e la totale conclusione dell'opera, sarebbe stato soverchio
consiglio il porsi al rischio di una campale battaglia, massime
prevalendo il nemico di forze, ed in luogo, dove per la vicinità delle
coste nemiche una disfatta avrebbe un intiero sterminio della sua armata
partorito. Nè gli sfuggì il pensiero, che, se la battaglia non si
potesse schivare, sarebbe stato miglior partito il farla in luogo
aperto, dove volteggiandosi avrebbe potuto combatterla alla larga,
piuttosto che in istretto, dove sarebbe stata di necessità terminativa.
Per le quali cagioni, volendo recarsi in luogo, dove la qualità del sito
non facesse inferiori le sue condizioni, date le vele al favorevole
vento, attraversò di nuovo lo Stretto, e se ne tornò nell'Atlantico. Lo
seguitarono gli alleati, ma peraltro non con tutta l'armata. Perciocchè
dodici vascelli de' più grossi per esser tardi all'abbrivo erano rimasti
indietro. Ne accadde tra le due vanguardia e retroguardia nemiche una
assai aspra, ma però lontana affrontata, per la quale nulla si giudicò,
se non che alcune navi ricevettero grave danno da ambe le parti. Si
allargarono poscia gl'Inglesi, le navi dei quali erano più veloci, sì
fattamente, che gli alleati, perduta ogni speranza di raggiugnerli,
andarono a dar fondo nel porto di Cadice. Howe, mandate otto delle sue
navi alle Indie occidentali, e sei sulle coste d'Irlanda, se ne tornò
colle rimanenti a Portsmouth. In tal modo e per l'avuta vittoria, e pel
rinfrescamento della vettovaglia, le cose di Gibilterra furono poste in
sicuro stato con molta gloria degl'Inglesi, e non senza biasimo degli
alleati, i quali presso quelle mura sfallirono parte per precipitazione,
parte per iscordo, e nell'aperto mare parte per la contrarietà de'
tempi, parte per mancanza d'ardire. Imperocchè la prepotenza delle forze
loro navali tanto in questa ultima, quanto nelle precedenti fazioni
sulle coste della Gran-Brettagna riuscì piuttosto di vana mostra, che
d'effettivo danno al comune nemico. Ma se in tutto il corso della guerra
eglino alle giudicate battaglie tra armata ed armata, o si ristettero, o
furono disfatti, o al più combatterono con egualità di fortuna, negli
affronti particolari, che non di rado tra nave e nave intervennero, e
nel presente, e nei varcati anni, tanto ardire, e sì fatta perizia delle
cose marinaresche dimostrarono, massimamente i Francesi, che
combatterono sempre onorevolmente, spesso felicemente. Dei quali
effetti, quali ne siano state le cagioni, noi lasceremo a coloro, che
più di noi sanno di guerra e di marineria, giudicare.

Dalle fazioni di tanto momento, che siamo andati sì nel presente, che
nel precedente libro delineando, ne nacque in tutti i potentati
guerreggianti non solo un acceso desiderio, ma ancora un'espressa
volontà di por fine alla guerra. Tutti speravano, che si sarebbe dato
fra breve alle cose universali onesta forma. La guerra, ch'era in piè
già da tanti anni senza aver prodotto frutto alcuno di momento, e la
cattività incontrata sotto le mura di Jork-town da tutto quell'esercito,
che aveva militato sotto l'imperio del conte di Cornwallis, avevano i
ministri britannici persuaso che il ridurre gli Americani a soggezione
per la forza dell'armi era cosa oramai impossibile diventata. I maneggi
poi posti in opera, per dividergli tra di loro o dagli alleati, non
avevano partorito migliori frutti, che le armi. Da un'altra parte le
vittorie di Rodney, e d'Elliot non solo avevano assicurato e le ricche
isole delle Antille, e quel principale propugnacolo di Gibilterra, ma
ancora posto in salvo l'onore della Gran-Brettagna, di manierachè poteva
ella, dal capitolo dell'independenza degli Stati Uniti in fuora, che
l'era forza riconoscere, intorno tutti gli altri con egualità di
condizioni co' suoi nemici negoziare; perchè ed aveva vinto la guerra di
Gibilterra, e tenuto la fortuna in bilico nei mari d'Europa, e prevalso
in quei delle Antille; e se nei medesimi aveva fatto notabili perdite,
aveva peranco acquistato l'isola di Santa Lucia, tanto importante per la
fortezza de' luoghi, per la bontà de' suoi porti, e per l'opportunità
del suo sito. E quantunque essa non potesse giudicarsi giusto compenso
alla perdita della Domenica, di Tobago e di San Cristoforo, s'era
nonostante l'Inghilterra talmente avvantaggiata nelle orientali Indie,
che più recava per questo conto nel comune negoziato, che la Francia non
poteva. Oltre a ciò il debito pubblico di lei era diventato enorme, e
tuttavia ogni giorno ne diventava di vantaggio. Il popolo desiderava,
che si aprisse qualche adito alla pace, e già diceva sinistre parole
sopra la prolungazione della guerra. I ministri stessi, i quali sì
grandi repetj avuto avevano cogli antecessori loro intorno l'ostinazione
di quelli a volerla continuare, sia perchè i bisogni dello Stato così
richiedevano, sia perchè ancora non volevano quel biasimo riportare essi
stessi, del quale avevano gli altri accusati, desideravano la pace.
Imperocchè quantunque fosse in immatura età, e con dolore di tutti i
buoni morto il marchese di Rockingham, il qual era quegli, che
timoneggiava tutto, e Fox avesse rassegnato l'uffizio, e che in luogo
del primo stato fosse surrogato il conte di Shelburne, e del secondo
Guglielmo Pitt, figliuolo che fu del conte di Chatam, l'uno e l'altro
consenzienti all'independenza dell'America più per necessità, che per
elezione, ciò nulladimeno i più dei ministri erano di quelli, che prima
la rivocazione delle rigorose leggi contro l'America fatte, poscia il
primaticcio riconoscimento della independenza avevano in cospetto del
Parlamento con parole non men ornate, che instanti voluto persuadere.
Per le quali cose tutte avevano essi a buon'ora mandato a Parigi
Grenville, perchè tentasse il guado, acciocchè i plenipotenziarj, che
venissero dopo, avessero causa di deliberare più prontamente. Poco
poscia spacciarono nella medesima città per quest'istesso oggetto di
trattare il negozio della pace due plenipotenziarj Fitz-Herbert, e
Oswald, ai quali non fu necessario usare molta diligenza per chiarirsi
della inclinazione del governo di Francia. Già vi erano anche convenuti
i plenipotenziarj degli Stati Uniti Giovanni Adams, Beniamino Franklin,
Giovanni Jay ed Enrico Laurens, il quale uscito dalla Torre di Londra
era stato in sua libertà lasciato.

Se grande era il desiderio della pace che si aveva in Inghilterra, non
si desiderava ella meno in Francia sia dai popoli, sia da coloro, i
quali reggevano lo Stato. Aveva questa conseguìto ciò che sopra ogni
cosa aveva desiderato, vogliam dire la separazione delle colonie inglesi
dalla metropoli loro, poichè i ministri britannici offerivano in primo
luogo di volere l'independenza degli Stati Uniti riconoscere; il quale
oggetto era da parte della Francia il principale, anzi il solo fine, che
confessato fosse della guerra. Rispetto poi alle cose delle Antille,
oltrechè le fazioni, che si erano avute in animo di fare, erano
piuttosto in vantaggio particolare, e per conto della Spagna, che della
Francia, la sconfitta dei dodici aprile aveva e guasti tutti i disegni,
e troncate tutte le speranze. Nè si poteva aspettare, si facessero
maggiori frutti nei mari d'Europa; poichè già da tanti anni indietro non
se n'era fatto nissuno, che di qualche momento fosse alla somma delle
cose. Le perdite finalmente delle orientali Indie si potevano colle
vincite fatte nelle occidentali compensare. Quindi è che la Francia, e
poteva con egualità di condizioni trattare rispetto agli accidenti della
guerra, e con onorata superiorità rispetto alla sostanza stessa della
medesima, che era l'independenza degli Stati Uniti. Ma oltre tutte le
narrate cagioni, altre se ne avevano in Francia, perchè vi si
anteponesse una pronta pace alla continuazione di una lunga guerra. Era
la Camera pubblica ridotta a mal termine, e nonostanti i buoni ordini,
che dai presenti ministri vi erano stati introdotti, e l'economia nuova
che in tutte le parti del governo aveva prevaluto, non era quella a gran
pezza sufficiente a poter bastare contro le esorbitanti spese della
guerra. Si metteva ciascun anno più a uscita, che ad entrata; ed il
pubblico debito vieppiù s'ingrossava. S'erano in questa guerra spesi
tesori inestimabili. Imperciocchè e si era esercitata in lontanissime
contrade, e fu mestiero di ristorar la marineria, e le provvisioni con
gran giattura del pubblico erario spesso state dalle flotte inglesi
intraprese. Gli Americani poi oltre modo lenti al pagar le tasse, ed
inabili di per sè stessi a sopportare il peso di tanta guerra, facevano
ogni giorno una gran calca alla Francia, perchè di nuovi denari gli
accomodasse. Il che avevano ottenuto; poichè oltre un milione di lire di
tornesi, che accattato avevano dagli appaltatori generali di Francia, ed
oltre le somme accattate in Olanda, per le quali la Francia era entrata
mallevadrice, avevano avuto dal governo francese diciotto milioni di
tornesi, e tuttavia ne addomandavano altri sei. Le quali cose la penuria
dell'erario pubblico già sì povero, e stretto pe' passati debiti, e pel
presente dispendio, viemmaggiormente accrescevano. Infine il commercio
del regno, verso il quale in quell'età avevano i Francesi con
grand'ardore volto l'animo, era stato dalla guerra gravemente afflitto,
e molti particolari uomini avevano non leggieri perdite fatte, delle
quali non isperavano per altro modo ristorarsi, se non per mezzo della
pace. Tutte queste cose erano causa, che se la pace poteva essere
onorevole alla Francia, ella era peranco necessaria, e da un desiderio
universale confermata.

Venendo ora a favellar della Spagna, le speranze che sì vive aveva ella
concette di acquistare a sè Gibilterra e la Giamaica, erano state del
tutto tronche dalle disfatte dei dodici aprile, e dei tredici settembre,
ed il continuar nella guerra per ottenere questi due fini era piuttosto
da riputarsi ostinazione, che costanza. Da un altro canto aveva ella
fatto acquisto per la forza delle sue armi dell'isola Minorca, e della
Florida occidentale. E siccome l'Inghilterra dal canto suo non aveva
alcun compenso da offerire alla Spagna, così ragion voleva ch'elleno
fossero ai conquistatori cedute pei capitoli della pace, ed in potestà
loro si rimanessero. Il che sebbene non fosse tutto quello, che si era
sperato, era nondimeno causa che la guerra non fosse stata del tutto
intrapresa a credenza, e che i popoli della Spagna non la potessero,
siccome spesso erano soliti di fare, piuttosto guerra gentilizia, che
spagnuola chiamare. Era paruta invero a tutti cosa maravigliosa, che la
Spagna avesse voluto nutrire un incendio, che avrebbe facilmente potuto
diventare sì pernizioso allo Stato suo, entrando a parte di una guerra,
lo scopo manifesto della quale era quello di fondar una repubblica
independente in un paese sì vicino alle sue possessioni del Messico.
L'esempio era senza dubbio pericoloso per il prurito d'orecchie che
eccitano nel mondo le novità, e per la facilità, che hanno gli uomini a
dar la volta, essendo più pronti a scuotere il giogo, che a portarlo. Ma
se si era contro i reali interessi della Corona venuto a parte della
contesa, sarebbe stato condannabile partito il prodigalizzar tuttavia
tanti tesori e tanti soldati per perseverarvi, ora massimamente che si
poteva per l'acquisto di Minorca, e della Florida con onorevoli
condizioni accordare. Così anche dalla parte di Spagna le cose si
dirizzavano a concordia.

Rispetto finalmente agli Olandesi, seguitavano essi piuttosto, che
andassero di pari passo cogli alleati; ed erano a tanto bassa fortuna
condotti, che altro non potevano volere, che quello che la Francia
voleva, da questa sola, e non dalle forze loro sperando di condur a buon
fine la somma della guerra. Imperciocchè la riavuta dell'isola di
Sant'Eustachio, e della colonia di Demerary non dall'armi proprie, ma
sibbene da quelle della Francia dovevano solo, ed unicamente
riconoscere. Desideravano poi tutti generalmente la pace, poichè avevano
per pruova conosciuto, che colle forze loro non potevano con prosperità
di fortuna esercitar la guerra; e questa a nissun'altra nazione sia più
pregiudiziale, che a quelle, che vivono principalmente in sul commercio.
A questa inclinazione verso la pace, che a questi dì prevaleva presso
tutti i potentati guerreggianti, venne ad aggiugnersi la mediazione di
due possenti principi dell'Europa, l'Imperadrice delle Russie, e
l'Imperador di Germania, i quali s'interposero alla concordia. L'uffizio
loro fu abbracciato da tutti molto volentieri, e già le cose si andavano
accomodando ad una quiete universale. Ognuno era alle strette di doversi
pacificare.

Pertanto bollivano gagliardamente in sul finir del presente anno le
pratiche della pace nella città di Parigi. I primi ad accordarsi furono
gl'Inglesi, e gli Americani, i quali il giorno trenta di novembre fecero
tra di loro per modo di provvisione un trattato da inserirsi e da far
parte del trattato terminativo, che fermato si sarebbe, allorquando
quello, il quale doveva tra la Francia, e la Gran-Brettagna aver luogo,
fosse concluso. Le più, e maggiori condizioni di quest'accordo furono,
che il Re della Gran-Brettagna riconosceva la libertà, la sovranità, e
la independenza dei tredici Stati Uniti d'America, i quali furono tutti
ad uno ad uno nominati; e che il Re cedeva, e rinunziava tanto per sè,
quanto pe' suoi eredi, e successori ad ogni ragione, che avesse, o aver
pretendesse sopra il governo, le proprietà, e le terre di quelli. Ancora
per levar da ogni parte l'occasione alle ingiurie per motivo dei
confini, questi si determinarono accuratamente con tirar alcune linee
immaginarie, per mezzo delle quali furono posti in potestà, e dentro il
territorio degli Stati Uniti, paesi immensi, laghi, e fiumi, sopra i
quali fin allora non avevano essi Stati preteso ragione veruna.
Imperocchè oltre le vaste e fertili contrade poste sulle rive dell'Oio,
e del Mississipì, i confini degli Stati Uniti si distesero molto
addentro nel Canada, e nella Nuova Scozia, e vennero ad acquistar parte
del commercio delle pelli. Inoltre parecchie nazioni indiane, le quali
prima vivevano sotto la superiorità dell'Inghilterra, e specialmente le
sei Tribù state sempre amiche, ed alleate agl'Inglesi, furono in virtù
di detta circoscrizione di limiti date in mano agli Stati Uniti. Ancora,
dovessero gl'Inglesi restituire, e votar tutti i territorj degli Stati
medesimi, cioè la Nuova-Jork, l'Isola Lunga, e quella degli Stati,
Charlestown, e Penobscot, e tutte le appartenenze loro. Non si fe'
parola di Savanna, poichè già gl'Inglesi, ritiratisi da questa Terra, e
da tutta la Giorgia l'avevano intieramente in balìa degli Americani
lasciata. Ancora, avessero gli Americani il diritto di pescar
liberamente sopra gli scanni di Terranuova, nel golfo di San Lorenzo, ed
in tutti que' luoghi, nei quali le due nazioni, quand'erano unite, erano
solite ad esercitar le pescagioni. Si stipulò altresì, che il congresso
dovesse caldamente raccomandar ai diversi Stati, perchè provvedessero,
fossero restituiti i beni, i diritti, e le proprietà tanto ai sudditi
inglesi, quanto a coloro fra gli Americani, che seguitato avevano le
parti inglesi, i quali erano stati durante la guerra confiscati; e che
costoro non potessero per ogni qualunque cosa, che detto, o fatto
avessero in favore della Gran-Brettagna, essere ricerchi, o
perseguitati. I quali ultimi articoli, siccome non piacquero a certi
larghi repubblicani dell'America, i quali non considerando, quanto il
più delle volte riesce amara la dolcezza della vendetta, avrebbero
voluto sfogarsi, così dispiacquero grandemente ai leali, i quali non
contenti a quella semplice raccomandazione, che poteva aver effetto, o
no secondo la volontà degli Stati, dell'essere stati, come dicevano,
dall'Inghilterra abbandonati, della ingratitudine sua, e dell'avversa
fortuna loro fieramente si rammaricavano. Furonvi anche in questo
proposito grandi batoste in Parlamento, dolendosi aspramente coloro, che
a' disegni dei ministri si opponevano, che gli uomini fedeli
all'Inghilterra, con perpetua infamia di lei, stati fossero dati in
preda ai loro persecutori, come se in queste tresche politiche non si
risguardasse piuttosto a ciò, che è possibile o impossibile ad
ottenersi, utile o dannoso a farsi, che al giusto, all'onorevole,
all'onesto; e coloro, i quali si frammettono in queste rinvolture e
guerre cittadine, hanno ad aspettarsi di essere tosto o tardi a cotali
strette condotti, ed a dover bever questo calice; imperciocchè lo Stato,
per lo più tutte le cose dalla utilità sola misurando, si accorda, e non
ti cura; poichè esso mira più alla propria conservazione, che a quella
d'altrui; e più ha rispetto all'universale, che al particolare. Si
accordò finalmente, che tra i due Stati cessassero immediatamente le
ostilità sì per terra, che per mare.

[1783]

I preliminari della pace tra la Francia e l'Inghilterra furono fermati a
Versaglia il giorno venti di gennaio del 1783 tra il conte di Vergennes
per consiglio del quale s'indirizzavano la maggior parte di queste cose,
ed il signor Fitz-Herbert. Per questi fu ampliato d'assai a favor
dell'Inghilterra il diritto delle pescagioni sugli scanni di Terranuova.
Ma peraltro essa restituì alla Francia in pieno diritto, e proprietà le
isole di San Pietro, e Michelone. Nelle Antille l'Inghilterra restituì
alla Francia l'isola di Santa Lucia; le cedette, e guarentì l'isola di
Tobago. Da un'altra parte la Francia restituì all'Inghilterra l'isola di
Grenada colle Grenadine, e quelle di San Vincenzo, di San Cristoforo, di
Nevis, e di Monserrato in un colla Domenica. Nelle Indie orientali
furono ristorati, alla Francia, e guarentiti Pondicherì e Caricallo, e
tutte le sue possessioni del Bengal, e della costa di Orixa. Le furono
anche fatte altre concessioni di non poco rilievo rispetto al commercio,
ed alla facoltà di fortificar certe Terre. Ma un capitolo assai
onorevole alla Francia quello fu, pel quale l'Inghilterra consentì
all'abrogazione ed annullazione di tutti gli articoli relativi a
Dunkerke, che stati erano tra i due Stati accordati dal trattato di pace
d'Utrecht del 1713 in poi. Furono nel medesimo giorno fermati i
preliminari della pace tra la Spagna e l'Inghilterra, da parte di quella
dal conte d'Aranda, e da parte di questa dal medesimo Fitz-Herbert.
Cedette il Re della Gran-Brettagna al Re Cattolico l'isola Minorca e le
due Floride, occidentale ed orientale. Da un altro canto il secondo
restituì al primo le isole Bahame. La quale restituzione si conobbe poi
essere stata superflua. Perocchè il colonnello Deveaux con una presa di
pochi uomini, e con denaro del suo, venuto sopra a quelle isole, l'ebbe
alla Gran-Brettagna per forza d'armi riacquistate. Furono tutti questi
preliminari in formale e determinativo trattato di pace ridotti il terzo
giorno di settembre del 1783, per parte della Francia dal conte di
Vergennes, per quella della Spagna dal conte d'Aranda, e per quella
dell'Inghilterra dal duca di Manchester. Il trattato terminativo tra la
Gran-Brettagna, e gli Stati Uniti fu fermato il medesimo giorno in
Parigi dall'un de' lati da Davidde Hartley, e dall'altro da Giovanni
Adams, Beniamino Franklin, e Giovanni Jay. Il giorno precedente era
seguìto l'accordo pure a Parigi tra il Re della Gran-Brettagna per mezzo
del duca di Manchester, e gli Stati Generali delle Province Unite
d'Olanda per mezzo dei Signori Van-Berkenroode, e Bransten. Per questo
il Re restituì agli Stati Generali Trincamale; ma questi cedettero, e
guarentirono al primo la città di Negapatam con tutte le sue pendici.
Dei diritti marittimi de' neutri in caso di guerra coll'Inghilterra, dei
quali avevano i confederati tanto rombazzo fatto, e menati sì gran
vanti, non si fe' in tutti questi trattati menzione alcuna.

Questo fine ebbe la lunga tenzone d'America, nella quale se entrarono
volonterosamente gli Americani, ed a ciò inclinati da lungo tempo, la
eccitarono gli Inglesi prima con leggi rigorose, che irritavano, non
costringevano, e poscia con insufficienti armi, e con ispicciolati e
scompagnati consiglj lasciarono crescere, e strabocchevolmente
sormontare. La quale guerra fu esercitata tra Inglesi ed Americani, come
per lo più le civili guerre soglionsi, spesso con valore, sempre con
rabbia, qualche volta con barbarie; tra gl'Inglesi, e le altre nazioni
europee sempre con valore, ed il più delle volte con quella umanità
tanto squisita, che pare di quei tempi essere stata propria e speciale.
Riportarono il congresso, ed universalmente gli Americani somma lode di
costanza; i ministri britannici forse il biasimo dell'ostinazione; e
quei di Francia diedero pruove non dubbie di non ordinaria perizia nelle
cose di Stato. Da tutto ciò ne conseguì la fondazione nel Nuovo-Mondo di
una repubblica, pe' suoi ordini pubblici felice al di dentro, per la sua
indole pacifica, e per l'abbondanza de' suoi proventi riverita, e
ricercata al di fuori. E per quanto si può delle cose di costaggiù
giudicare, dalla fertilità e vastità delle sue terre, siccome pure dalla
sua popolazione ognora, e rapidamente crescente, ella ha a diventare un
dì un grande, e possente Stato. Solo a volere, che la repubblica loro
viva lungamente, e vada tutto il corso, che a lei è ordinato dal cielo,
debbono massimamente gli Americani due cose schivare, la prima delle
quali si è la corruzione degli animi per via dell'amore dell'eccessivo
guadagno; la seconda il discostamento da quei principj, che la
fondarono. E siccome tutte le cose del Mondo sono solite a disordinarsi,
ed a corrompersi, così quando ciò accadesse, dovranno eglino essa
repubblica ridurre a sanità, ritirandola verso i suoi principj.

Pervenute in America (nella quale si era combattuto pigramente, e da una
leggier assembraglia in fuori, in cui fu morto il colonnello Laurens, e
dal votamento di Charlestown, nulla, che degno sia di speciale
ricordanza, era intervenuto) le novelle dei preliminari della pace, si
rallegrarono grandemente quei popoli, non peraltro tanto, quanto si
sarebbe potuto credere, sì perchè già la facevano cosa fatta, sì perchè
ancora l'uomo è solito meno rallegrarsi pel conseguimento di alcun bene,
che per le speranze di esso. Oltreacciò gli animi furono tosto volti ad
altra parte dal timore di cose nuove, perciocchè in questo stesso tempo
si stava apparecchiando materia ad un fuoco, il quale fece le viste di
voler prorompere in manifesto incendio, e poco mancò, non traesse,
contaminando con una nuova guerra cittadina tutta la felicità della
presente pace, a fatale rovina la repubblica. Stavansi gli uffiziali
dell'esercito con grosse paghe decorse da riscuotere, e speso avevano la
maggior parte, e forse tutte le sostanze loro, e quelle ancora degli
amici in servigio dello Stato. Avevano altresì non poca apprensione, che
quel decreto fatto dal congresso nel 1780, pel quale si era stabilita a
favor loro la mezza paga a vita, non fosse posto ad effetto. Avevano
perciò mandato a Filadelfia deputati, perchè la bisogna delle paghe
presso il congresso sollecitassero. Era il mandato loro, operassero, che
si dessero immediatamente agli uffiziali le paghe correnti, e si
assestassero i conti per le decorse, e si dessero sicurtà pel pagamento
di esse; si convertisse la mezza paga conceduta a vita dal congresso in
una equivalente somma pagata in una sola volta; si aggiustassero
finalmente i conti, e si facesse un compenso per le perdite fatte dagli
uffiziali a cagione delle passate mancanze nelle provvisioni giornaliere
del vitto e del vestito. Ma il congresso, sia perchè alcuni de' suoi
membri erano avversi a questi favori verso i soldati, sia perchè altri
fra i medesimi avrebbero desiderato, che non lo Stato generale, ma
piuttosto gli Stati particolari questi guiderdoni concedessero, non si
risolveva. L'affar delle paghe procedeva peggio, che lentamente. I
deputati ne scrissero al campo. Nè in miglior condizione di quella degli
uffiziali si ritrovavano gli altri creditori del Pubblico, i quali
preveggevano benissimo, che le consuete rendite dello Stato a gran pezza
non avrebbero bastato a fornir i pagamenti loro, e credevano, che gli
Stati avrebbero molto ripugnato al venirne in sul porre qualche
straordinario balzello, col ritratto del quale potessero essere
soddisfatti. Però gli uni, e gli altri se ne vivevano in malissima
contentezza, e molto degli averi loro dubitavano. Erano a questi dì i
reggitori dello Stato divisi in due Sette. Volevano gli uni, si ponesse
il balzello; con esso si contentassero i creditori; la fede pubblica si
osservasse; si stabilisse nel medesimo tempo una rendita generale pei
bisogni dell'erario della repubblica da impiegarsi all'ordine, e secondo
la volontà del congresso. Gli altri questa rendita pubblica, come
pericolosa alla libertà ridottavano. Volevano, gli Stati particolari
soli, non il congresso, avessero facoltà di por tasse, o balzelli. Già
questi avevano sgarato una provvisione, che il congresso aveva
raccomandato, si facesse, per la quale si sarebbe stabilita una generale
gabella di cinque per centinaio del valore sul consumo di tutti i
proventi, e lavorii forestieri, i quali introdotti fossero negli Stati
Uniti. Perocchè, quantunque dodici Stati approvato avessero la
risoluzione del congresso, uno ricusò, e col suo dissentire rendè vano
il volere di tutti gli altri. In questo mezzo appunto arrivarono le
novelle dei preliminari. I primi temettero, che scemati colla pace il
bisogno ed il timore dei soldati, poichè intendevasi, che si licenziasse
e dissolvesse l'esercito, diventassero gli avversarj loro più pertinaci
nel non volere allo stabilimento della rendita generale acconsentire, e
con ciò non solo i presenti creditori se ne restassero in fallimento, ma
ancora la repubblica andasse soggetta in avvenire ad essere ne' gravi
suoi bisogni incagliata pel difetto di una potestà generale a porre i
balzelli. Deliberarono di usare la presente occasione, la quale
trascorsa essendo, non ritornerebbe più, per ottener il fine loro, che
credevano alla repubblica profittevole. Ma quali fossero i mezzi da
porsi in opera stavano in dubbio, ed erano tra di loro nati assai
dispareri. I più risoluti, non considerando quanto ancipiti siano i moti
della moltitudine, volevano, si usasse la forza, e si facesse l'esercito
istromento dei disegni loro. Erano i principali fra costoro Alessandro
Hamilton, ch'era allora membro del congresso, il camerlingo Roberto
Morris con un altro Morris suo assistente nell'uffizio. Ma i più
rispettivi pensavano, si tenesse una via mezzana, ed intendevano, che
l'esercito accennasse bensì ma non colpisse; minacciasse ma non
operasse, come se di questi romori popolari taluno potesse essere a
posta sua il moderatore. Nelle consulte segrete, che si tennero,
prevalse la opinione di questi ultimi. A questo fine fu mandato, sotto
colore che vi andasse per esercitarvi la sua carica d'inspettor
generale, al campo uno Stewart, colonnello di stanziali pensilvanesi,
acciò l'animo di Washington tentasse e scoprisse, quanto questi fosse
disposto a dar le mani al disegno. Soprattutto sommovesse l'esercito, e
persuadesselo a non volersi sbandare, se prima non fosse assicurato, che
sarebbero i presti corsi pagati, ed essi dei fornimenti, che avrebbero
dovuto avere, e dei quali erano stati privi sin là, ristorati. Arrivò
Steewart al mastro padiglione del capitano generale, e fu spesso con lui
a consultare intorno a questa cosa, la quale pure doveva stimarsi di
tanto momento. Il capitano generale, ossia chè invero non ne fosse
alieno, quantunque non volesse esser egli a levar questo dado, o che
come cauto stesse sopra di sè, ed il disegno non biasimasse, certo è,
che Steewart si credette, e fe' credere agli altri, ch'ei l'approvasse.
Intanto gli avversarj ebbero fumo del trattato, e si misero in punto per
disturbarlo. E sapendo di quanta importanza fosse l'avere Washington
volto in favor loro, operarono di modo, che un Harvie, il quale aveva
l'animo molto sospeso a questi romori di cose nuove, gli scrisse, che
sotto colore di voler ristorare i creditori dello Stato covavano
perniziosi disegni contro la repubblica; che si voleva spegnere il
libero governo, ed introdurre la tirannide. Aggiunse motti speciali
intorno la persona stessa di Washington; che gli si voleva tôrre il
grado, rovinare gli amici di lui, e quell'opera tutta disfare, che con
tanta fatica, tanto sangue, e tanta gloria condotta oggimai avevano a
compimento. Entrò Washington in apprensione. Credette, girassero
macchinazioni, e conspirazioni contro lo Stato. Mandò attorno la lettera
di Harvie, acciò i soldati la leggessero. Faceva ogni sforzo per impedir
la sommossa dell'esercito. Così il capitano generale si apparecchiava a
contrastare ad un disegno, che forse dentro l'animo suo approvava,
quantunque i mezzi, che si volevano adoperare, grandemente, e non senza
molta ragione, biasimasse. Si andavano intanto a bello studio spargendo
romori irritativi; che l'esercito doveva, prima, che si sbandasse,
ottener giustizia; che dovevano ancor essi godere i frutti delle
vittorie acquistate con loro fatiche e pericoli; che gli altri creditori
dello Stato, ed alcuni membri del congresso medesimo desideravano questa
mossa, e che aspettavano, che i soldati fossero i primi a dare il fuoco
alla girandola, ch'essi poscia avrebbero seguitato; la cosa allignava.
S'infiammavano le menti, si facevano nel campo cerchiolini e capannelle.
Si vuol far forza al congresso. Gli animi si dimostravano molto parati
al risentimento. In mezzo a questi romori si facevano andar attorno
anonimi inviti ad un generale convento degli uffiziali per gli undici di
marzo. In questo medesimo tempo l'uno porgeva all'altro un'anonima
diceria, ma peraltro, come si conobbe poi, composta dal maggiore
Giovanni Amstrong. Questa diceria composta con molto ingegno, e con
maggior passione era attissima ad inasprir vieppiù i soldati già pur
troppo asperati, ed a concitargli contro la patria loro, e l'autorità
del congresso. E se sarebbe stata poco tollerabile, quando gli animi
fossero stati altrettanto posati, quanto erano commossi, nella tempera,
in cui allora si trovavano, era ella grandissimamente da condannarsi. Vi
si leggevano tra le altre parole, e tutte infiammatissime, le seguenti.

«Lo scopo, al quale già son sette anni, c'indirizzammo, ora finalmente
siam vicini a conseguire. Il coraggio vostro, e la pazienza hanno gli
Stati Uniti d'America per mano guidato per mezzo una dubbia e sanguinosa
guerra, ed all'independenza condotti. Già torna la pace di tutti i beni
largitrice. Ma a chi? Forse ad una patria desiderosa di ristorar i
vostri danni, di apprezzar i vostri meriti, di ricompensar i vostri
servigi? Forse ad una patria, che intenerita lagrimando, e lieta
ammirando al ritorno vostro alle private case applaude? Forse a quella
patria bramosa di partir insieme con voi quella independenza, la quale
la vostra prodezza le ha dato, e quelle ricchezze, che le vostre ferite
han preservato? Questo è forse il caso? O non piuttosto ad una patria,
che i vostri diritti ha in dispregio, che le vostre lamentanze disdegna,
che alle vostre miserie insulta? Voi pure testè i vostri desiderj, ed i
bisogni vostri esponeste, e supplicaste al congresso; desiderj e
bisogni, che la gratitudine e la ragione di Stato avrebbero dovuto non
che invanir conosciuti, anticipar non rappresentati. Non aveste voi
orora colle rimesse parole di umili addomandatori dalla giustizia loro
implorato ciò, che dal favore più oltre non potevate aspettare? Quale
n'è stata la risposta? Le lettere dei vostri delegati a Filadelfia ve
n'accontino esse. Se questo è dunque il trattamento, che vi si fa, ora
che le spade vostre sono alla difesa dell'America necessarie, quale
sarà, allorquando la vostra voce sarà spenta, e la forza divisa?
Allorquando queste stesse spade, gl'istromenti ora, e le compagne della
vostra gloria, saranno dai fianchi vostri spartate, e nissun'altra
divisa avrete a mostrare di soldato, fuori delle necessità vostre, delle
infermità, delle cicatrici? Consentirete voi dunque ad essere i soli
patitori di questa rivoluzione, e, ritirativi da questi stipendj, nella
povertà invecchiare, nella miseria, nel contento? Consentirete voi a
vivere nel vil fango della dependenza, ed alla caritade altrui le
miserabili reliquie di quella vita dovere, che avete fin qui spesa
nell'onore? Se così è, e l'animo vel soffre, ite, e recate con voi lo
scherno dei Tori, lo scorno dei libertini, la derisione, e quel ch'è
peggio, la compassione del mondo. Ite, affamate, siate obbliati. Ma se
gli animi vostri si raccapricciano a ciò, se avete la mente ed il cuore
capaci di conoscere e di combattere la tirannide, sotto qualunque
sembianza ella si appresenti, o vestita della semplice cotta della
repubblica, o della splendida roba della realtà ammantata, se avete pure
imparato a distinguere gli uomini dai principj, risvegliatevi, alla
vostra condizione attendete, fatevi giustizia da voi medesimi. Se il
presente momento si lascia fuggire via; ogni futuro sforzo sarà indarno;
e le vostre minacce saranno allora altrettanto vane, quanto sono ora le
vostre supplicazioni».

Queste parole, più dicevoli ad un avventato tribuno di plebe che ad un
assennato Americano, gli animi già concitati commossero ad indicibile
rabbia. Già si brogliava fortemente; le cose si volgevano ad un sinistro
fine, e la guerra cittadina tra le potestà civili e militari era
imminente. Ma Washington, uomo tanto grave, uso ai pericoli, e non che
amato, riverito dai soldati, temendo del vicino pericolo della patria,
volle quelle facelle spegnere, e quella discordia frenare, che
stat'erano apparecchiate. E conoscendo benissimo quanto gran momento
apporti in somiglianti casi il guidare gli sviati, piuttostochè
contrastar loro, e che più facile cosa è il prevenire, che l'emendare i
fatti, pose tosto l'animo a voler impedire il convento degli uffiziali.
Pubblicò ordini indiritti agli uffiziali annunziando, che sperava bene,
che nissun conto avrebbero fatto di quella scritta anonima, e ch'ei
disapprovava, e grandemente condannava quest'insoliti procedimenti.
Nell'istesso tempo intimò un generale convento degli uffiziali generali,
e di uno per compagnia pel giorno quindici, affine deliberassero, che
cosa fosse a farsi per ottener ai torti loro dirizzamento. Con questo
procedere, che fu molto prudente, Washington fe' credere generalmente
all'esercito, ch'ei non fosse alieno dall'aiutar l'impresa; ed ai
principali sommovitori particolarmente, che segretamente il disegno loro
favorisse; e diè tempo a sè stesso di procurarsi favori, acciò il
convento quell'effetto sortisse, ch'ei si era nell'animo proposto. Il
giorno seguente Amstrong fe' mandar attorno un'altra scritta anonima,
colla quale cogli uffiziali si congratulava, che le risoluzioni loro
avessero a ricevere l'approvazione della pubblica autorità; e molto
esortandogli a star fermi nel parlamento, che si doveva fare il dì
quindici. Intanto andava Washington tentando gli animi, e le ire
rammorbidando. Fatti venire a sè ad uno ad uno gli uffiziali, a questo
rappresentava il pericolo della patria, a quell'altro la passata
pazienza; a tutti l'antica gloria, che bisognava intera e pura ai
posteri loro tramandare. Ricordò ancora la povertà dell'erario, e
l'infamia che acquistato avrebbero, se alle discordie civili, ed al
sangue venissero, e la felicità di quella pace turbassero, che pure
orora si era conseguita. Al giorno appuntato da Washington si fe' il
parlamento degli uffiziali. Favellò il capitano generale molto
gravemente. Confortogli, pregogli, ribattè le anonime scritte. Mostrò,
in quant'orrore si dovesse avere l'alternativa proposta dall'autore di
esse di minacciar coll'armi la patria loro, quando, fatta la pace,
immediatamente alle richieste loro non soddisfacesse; e seppure la
guerra continuasse, di abbandonarla, ritirandosi a qualche incolta e
disabitata contrada.

«Mio Dio! _sclamò_, a quai fini mira con tali esortazioni questo
scrittore? Può esser egli mai un amico all'esercito? Può essere un amico
a questa patria? O non forse piuttosto un insidioso nemico, un
commettimale mandato a bella posta dalla Nuova-Jork per tramare la
rovina dell'uno e dell'altra, un seminatore di discordie e di
separazione tra le civili e le militari autorità del Continente?
Pregovi, signori, _aggiuns'egli_, di non abbracciare di quei consiglj,
ch'esaminati dalla sana ragione parrebbero, e tôrre a voi della dignità
vostra, e quella gloria macchiare, che finora mantenuto avete. Abbiate
nella data fede della vostra patria, e nelle intemerate intenzioni del
congresso piena fidanza. Crediate, che prima che siate com'esercito,
sciolti, avrà esso i vostri conti aggiustati, e tali determinazioni
prese, che ne sarà fatta ampia giustizia ai vostri fedeli, e meritorj
servigi. Pregovi, e scongiuro in nome della nostra comune patria, per
quanto stimate il sacro onor vostro, per quanto rispettate i diritti
dell'umanità, e per quanto conto fate della militare e nazionale dignità
dell'America, vogliate dimostrare in quanto orrore e detestazione
abbiate un uomo, il quale desidera sotto speciosi pretesti mandar
sossopra le libertà della vostra patria, e che malvagiamente s'attenta
d'aprir le porte alla civile discordia, e questo nascente impero col
sangue inondare. Sì facendo, voi arriverete per la più piana e diritta
via alla meta, che desiderate; voi romperete gl'insidiosi disegni dei
nostri nemici, che, disperati di vincerci coll'aperta forza, vogliono
ora coi segreti artifizj ingannarci. Voi darete ancora una volta una
rilevata pruova di quel non mai più udito amor della patria, e di quella
paziente virtù, di tutte le necessità, di tutti i patimenti superatrice.
Voi offerirete col vostro dignitoso contegno alla posterità occasione di
dire, quand'ella favellerà del glorioso esempio, che avete al genere
umano mostrato, che se fosse questo giorno stato meno, non avrebbe mai
il mondo veduto quell'ultimo grado di perfezione, al quale è l'umana
natura capace di arrivare».

Tostochè ebbe Washington fatto fine al suo ragionamento, nacque prima un
silenzio, poscia un bisbiglio grande fra gli ascoltanti. L'autorità
dell'uomo, la gravità del discorso, la tenerezza di lui nota a tutti
verso l'esercito, nelle menti loro efficacemente operavano.
Gl'inacerbiti spiriti si rappacificarono. Nissuno pose partito
contrario. Stanziarono, che nissuna circostanza di travaglio, e di
pericolo avrebbe mai tanto operato, che si lasciassero indurre a
macchiar quella fama, e quella gloria contaminare, che acquistate
avevano; che l'esercito continuava ad avere una fermissima confidenza
nella giustizia del congresso e della patria loro; che si richiedesse il
capitano generale, scrivesse al congresso, ardentemente pregandolo di
espedir tosto l'oggetto del loro memoriale; che abborrivano, e
grandemente disdegnavano le infami proposizioni nella lettera anonima
indiritta agli uffiziali dell'esercito contenute. Così Washington colla
prudenza ed autorità fu operatore, che una nuova discordia non ponesse
in un inaspettato pericolo quella patria, che stata era testè condotta a
salvamento. E chi sa sin dove sarebbero trascorse le cose se in quei
principj fosse nata la guerra civile, e se i soldati avessero posto mano
nel sangue dei loro concittadini? Scriss'egli poi al congresso, molto
caldamente la causa degli uffiziali rappresentando, e raccomandando[1].
Decretò questo, avessero gli uffiziali a ricevere in luogo della mezza
paga a vita il sommato alla volta di cinque anni d'intiera paga, e ciò
in contanti, od in iscritte obbligatorie, che fruttassero il sei per
centinaio all'anno. Tanto poi si adoperò il congresso, e tanto fece il
camerlingo, che si mandarono, sebbene tardi, e non prima, che le reclute
pensilvanesi fatto avessero un grosso ammotinamento a Filadelfia, e per
alcune ore armata mano occupato la sede, e le stanze del congresso, agli
uffiziali, e soldati paghe per tre mesi in altrettante scritte di esso
camerlingo. Allora si diè mano a licenziar l'esercito, e furono concessi
di mano in mano i congedi a quei soldati, i quali nel corso di una
ostinata guerra di sette anni con mirabile costanza avevano non solo
contro il ferro ed il fuoco, ma ancora contro la fame, la nudità ed il
furore stesso degli elementi combattuto; ed ora condotta a prospero fine
l'opera loro, stabilita la libertà, e l'independenza della patria,
quietamente alle case loro se ne tornarono. Il congresso con pubbliche
lettere molto il valore, e la costanza loro commendò, ed in nome della
riconoscente patria ringraziò. Non tardarono gl'Inglesi a votar la
Nuova-Jork con tutte le sue appartenenze, nelle quali avevano sì lungo
tempo paesato. Partirono poco poscia i Francesi molto ringraziati, e
degli alleati loro soddisfatti dall'Isola di Rodi alla volta delle
possessioni loro. Deliberò il congresso, si rendessero il dì undici
dicembre pubbliche e solenni grazie al Datore d'ogni bene per l'ottenuta
pace e l'acquistata independenza. Decretò ancora, si rizzasse una statua
equestre di bronzo al generale Washington in quella città, nella quale
risedesse il congresso. Fosse il generale rappresentato al modo romano
col bastone nella destra mano, e la testa cinta di una corona d'alloro;
posasse la statua sopra un piedestallo di marmo, nel quale fossero
istoriati in basso rilievo i principali avvenimenti della guerra, dei
quali ebbe Washington il supremo governo. Sono eglino quest'essi: la
liberazione di Boston; la cattura degli Essiani a Trenton; la battaglia
di Princetown; la giornata di Mont-mouth e la resa di Jork-town. Sulla
superiore fronte poi del piedestallo s'improntassero le seguenti parole:
_Gli Stati Uniti in congresso adunati ordinarono, questa statua fosse
eretta l'anno di Nostro Signore 1783 in onore di questo Giorgio
Washington, illustre capitano generale degli eserciti degli Stati Uniti
d'America durante la guerra, la quale vendicò ed assicurò le loro
libertà, sovranità ed independenza._

Questo fine ebbe una contesa, che bene otto anni continui tenne il Mondo
attento e maravigliato, e trasse a parte di sè le più possenti nazioni
d'Europa. Della quale se si vorrà investigare, per quali ragioni siano
stati gli Americani vincitori, e perchè non sia loro stata guasta da
altri, nè l'abbiano guasta essi stessi, si troverà in primo luogo, che
ciò fu, perchè invece di aver le altre nazioni contrastanti, o nemiche,
le ebbero per lo contrario o consenzienti, o amiche, od anche alleate.
La qual cosa, siccome dava loro maggior fede nella giustizia della causa
loro, così ancora spirava maggior confidenza nei mezzi di condurla a
buon fine. Le leghe da più potenti nazioni fatte contro d'una sola per
cagione di qualche riforma, ch'essa voglia fare nel suo reggimento
interno, e che la medesima in vicinissimo pericolo inducono di perdere
non solo quel fine, che proposto ha a sè stessa, ma ancora la sua
libertà ed independenza, sogliono per lo più operare di modo, che i
reggitori di essa scostandosi da ogni moderazione, e prudenza pongon
mano a mezzi violenti e straordinarj, dai quali e presto si logorano le
forze della nazione, e nasce il mal talento nei proprj cittadini,
manomessi in mille guise, e vessati dagli agenti dello Stato; dal che
procedono poscia le gare civili e la debolezza di tutti. S'ingenera
eziandio nell'universale per l'esercitate violenze un tal odio contro
l'impresa, che confondendo l'abuso coll'uso di essa, amano meglio di
tornare donde sono partiti, ed anche più in là, che di continuar a
correre verso di quella meta, che nuovamente proposta si sono. Quindi è
che se l'impresa era di libertà, si precipitano poscia i popoli al
dispotismo, amando meglio quello di un solo, che quello di molti. Ma a
queste fatali strette non furono ridotti gli Americani dalla pericolosa
guerra esterna, così per la ragione sopraddetta, come per la positura
della patria loro lontana, e separata per mezzo di un vasto mare da
quelle nazioni, che sogliono tenere in piè grossi eserciti stanziali, e
cinta d'ogn'intorno, fuorichè dalla parte del mare, da foreste
impenetrabili, da deserti smisurati, da montagne inaccessibili; e da
queste parti altro pericolo non portavano, nè altro timore avevano fuori
di quello degl'Indiani atti piuttosto a rapire, ed a disertar le terre,
che a conquistarle, ed a tenerle. Un'altra e molto possente cagione, per
la quale la rivoluzione americana ebbe quella riuscita, che i Capi di
lei si erano proposto, si fu la poca differenza, che passò tra quella
maniera di governo, dalla quale erano partiti, e quell'altra, alla quale
s'incamminarono. Imperciocchè non dalla monarchia dispotica andaron essi
verso la libertà, ma sibbene da una monarchia temperata; ed è la
condizione delle cose morali nell'uomo, come quella delle fisiche, e
quella stessa di tutta la natura, nelle quali i totali, ed improvvisi
cambiamenti non si possono fare senza causare o gravi malattie, o morti,
o rovine. L'autorità regia in America, siccome lontana, e dagli ordini
di un governo largo tarpata, era poco operosa, o poco sentita, e perciò,
quando gli Americani se la levarono di collo, poco si accorsero del
cambiamento; e tolta la realtà, e conservati tutti i pristini ordini, si
trovarono ad un tratto, e naturalmente costituiti in repubblica. Questa
fu la condizione loro, mentrechè quella di altri popoli, che volessero
far passo dall'assoluta realtà alla repubblica, dovrebbero non solo gli
ordini strettamente spettanti a quella sconvolgere, e spegnere, ma
ancora tutti gli altri, ed introdurne degli affatto nuovi. Ma queste
cose non si possono fare senza far urto nelle opinioni, nei costumi,
negli usi e nelle maniere dei più, ed altresì senza offendere gravemente
gl'interessi loro. Quindi nasce il mal talento nell'universale; sotto la
forma della repubblica cova la realtà; e veduto, che si rammaricavano di
gamba sana, pigliano i popoli di voglia le prime occasioni, per far di
nuovo rivolgere lo Stato, e farlo là tornare, dond'era partito, e dove
lo tira la propria inclinazione. A questo medesimo esito dell'americana
rivoluzione contribuirono ancora non poco la regola, e la misura, colle
quali quei popoli assegnati di natura, e nel proposito loro non che
costanti, tenaci procedettero. Contenti allo aver tolta la realtà
consistettero, e stabilmente perseverarono negli antichi ordini,
ch'erano rimasti. Così non incontrarono peggio per non aver voluto
acquistar meglio, sapendo, che per lo più mal ne incoglie a coloro, che
cercano miglior pan, che di grano. Conobbero essi ottimamente, che
l'incostanza, e la volubilità nei propositi scemano gravità alla causa,
non le lasciano porre le sue radici, accrescono il numero degli
scontenti. Imperciocchè di migliori gambe si corre ad una meta certa,
che ad una incerta, e quello, che piace all'uno non piacendo all'altro,
la moltiplicità dei fini moltiplica anche coloro, che gli disgradano.
Così allevarono gli Americani la pianta, perchè la lasciarono allignare,
e colsero il frutto, perchè lo lasciarono maturare. Non fecero eglino ad
ogni piè sospinto mutazioni nello Stato; perchè non essendo impazienti
di natura, nè insopportabili de' disagi, essendo anzi pazientissimi, e
sopportabilissimi, i mali, che pruovavano, non a difetti, che credessero
esistere negli ordini pubblici, nè alla insufficienza, od alla cattività
dei reggitori, ma sibbene alle difficoltà delle circostanze, ed alla
necessità delle cose attribuivano. Del qual effetto fu anche cagione,
che in mezzo a quei popoli per la consueta ed antica maniera del viver
loro dovevano in minore numero, che in mezzo ad altri trovarsi gli
uomini cupidi di maggioreggiare e di soprastare agli altri. Nè era là
andazzo, che s'inimicassero, ed anche s'accalognassero tra di loro gli
amici, solo perchè uno di essi era diventato statuale, e teneva i
maestrati, e l'altro no. Perciocchè più operava in essi l'amor della
patria, che l'ambizione. Perilchè se vi furono là libertini e reali, non
vi furono però libertini di diversa sorte, i quali colle discordie loro
il seno di quella lacerassero. I dispareri fra di questi furono pochi e
leggieri; nè mai proruppero in isfrenate ire, in guerra cittadina, in
confiscazioni ed in morti. Quindi uniti prevalsero, e colsero il frutto
dello avere le proprie discrepanze alla città donato, e la salute della
repubblica al desiderio di sovrastare anteposto. Mirabile esempio, che i
turbati, ed avventati consiglj guastano le imprese, e fan rovinare gli
Stati; mentre i modesti, e temperati le conducono e gli fondano.

Licenziato l'esercito rimaneva tuttavia la capitananza generale nelle
mani di Washington. Stavano gli uomini in aspettazione di quello,
ch'egli a fare si risolvesse. Credendo egli, come uomo prudente, che si
convenisse porre alcun termine all'appetito della gloria dell'armi, e
volendo lasciare alla patria sua un utile esempio di temperanza
cittadina, scrisse al congresso, il quale allora faceva suo capo nella
città di Annapoli di Marilandia, pregandolo, poichè intendeva di
rassegnar il maestrato, gli facesse a sapere, se volontà di lui fosse,
ch'ei ciò eseguisse privatamente per lettere, o pubblicamente con
apparato. Rispose, desiderava, ciò fosse in pubblica e solenne audienza.
Assegnò il giorno 23 di dicembre. Questo dì era la sala, destinata alle
tornate del congresso, piena di spettatori. I maestrati civili, molti
uffiziali dei primi, ed il console generale di Francia erano presenti.
Stavano i membri del congresso seduti e coperti; gli spettatori ritti e
scoperti. Fu il generale, introdotto dal segretario, e presso al seggio
del presidente condotto. Dopo leggier bisbiglio succedeva un profondo
silenzio. Il presidente, ch'era il generale Mifflin, rivoltosigli, gli
disse, essere il congresso apparecchiato ad ascoltar ciò, ch'egli avesse
a dire. Washington allora rizzatosi in piè con grave facondia, e con
incredibile maestà favellando incominciò:

«Signor Presidente. I grandi avvenimenti, dai quali la rinunziazione mia
dipendeva, avendo finalmente avuto luogo, ho io ora l'onore di offerir
al congresso le mie sincere congratulazioni, ed al cospetto suo
rappresentarmi per rassegnar nelle sue mani la potestà concessami, e da
esso lui la buona licenza impetrare di ritirarmi dai servigi della
patria. Felice per la confermazione della nostra independenza e
sovranità, e contento all'opportunità offerta agli Stati Uniti di
diventar una rispettabile nazione, io rassegno con soddisfazione di me
medesimo quel mandato, che con tanta diffidenza aveva accettato;
diffidenza causata dal pensiero di non esser capace di riempire
quell'arduo uffizio, che stato mi era commesso. La quale dubitazione per
altro cedette in me il luogo, quando mi ricorsero nella mente la
rettitudine della nostra causa, il sostegno della suprema potestà della
lega, ed il patrocinio del cielo. La prospera riuscita della guerra ha a
qualunque più grande aspettazione soddisfatto, e la mia gratitudine
all'intervenimento della Provvidenza, ed all'assistenza da' miei paesani
prestatami s'accresce, quando io vo ogni caso della pericolosa contesa
rammemorando. In ripetendo gli obblighi, che io ho a tutto l'esercito
generalmente, non sarei a quello, che dentro dell'animo sento, conforme,
se qui non riconoscessi i peculiari servigi, ed i singolari meriti di
que' gentiluomini, i quali durante la guerra hanno alla mia persona
atteso. Certo uffiziali più confidati di questi eleggere, per compor la
mia famiglia[2], non era possibile. Siate contento, signore, che io vi
preghi, di aver particolarmente per raccomandati coloro, i quali sino al
presente dì continuato hanno nei servigi, siccome quelli che sono
meritevoli di favorevole attendimento, e del patrocinio del congresso.
Io mi reco a mio indispensabile dovere il chiudere quest'atto della mia
pubblica vita con raccomandar gl'interessi della mia dilettissima patria
alla buona mercè dell'altissimo Dio, ed alla sua santa guardia coloro, i
quali ne stanno al governo. Compiuta ora l'opera, che stata mi era
commessa, dall'agone mi ritraggo, ed un affezionato addio dando a questo
augusto Corpo, sotto i comandamenti del quale ho sì lungo tempo operato,
offero qui la commessione mia, e la licenza tolgo da tutti gl'impieghi
della pubblica vita».

Ciò detto, ed al seggio del presidente accostatosi, nelle mani di questo
consegnò il ruotolo. Il presidente, standosene tuttavia Washington in
piè, gli fece in nome del congresso la seguente risposta:

«Gli Stati Uniti in congresso assembrati ricevono, signore, con
commozione d'animo sì grave, che non si potrebbe con parole esprimere,
la solenne rinunziazione delle autorità, colle quali voi avete gli
eserciti loro con prosperità di fortuna condotti durante il corso di una
pericolosa, e dubbia guerra. Chiamato dalla patria vostra a difendere
gli suoi offesi diritti, voi il sacro incarico accettaste, primachè ella
od alleanze formasse, o pecunia avesse, o reggimento atto a sostentarvi.
Voi avete, invariabilmente ai diritti della civile potestà risguardando,
la grande guerresca tenzone fra mezzo i disastri, ed i rivolgimenti con
saviezza, e fortezza condotto. Voi avete per quell'affezione, e quella
confidenza, che in voi avevano i vostri paesani poste, questi abilitati
a mostrare il marziale animo loro, e la fama alla posterità tramandare.
Voi avete perseverato, fino a tantochè questi Stati Uniti da un
magnanimo Re, e nazione aiutati, e sotto la scorta di una giusta
Provvidenza ottennero di terminare col conseguimento della libertà,
della sicurezza, e della independenza la guerra. Del qual felice caso
noi le nostre aggiugniamo alle vostre congratulazioni. Avendo le insegne
della libertà in questo nuovo mondo difese, ed un utile ammaestramento
dato a coloro che opprimono o che sono oppressi, voi dal travaglioso
arringo vi ritirate, le benedizioni de' vostri concittadini seco voi
portando. Ma la fama delle vostre virtù non pertanto cesserà
coll'autorità vostra militare. Continuerà ella ad infiammar gli uomini
delle più rimote età. Gli obblighi, che abbiamo generalmente verso
l'esercito, ci stanno, siccome a voi, a cuore, e particolar cura avremo
di coloro i quali alla persona vostra atteso hanno sino a questo
commotivo giorno. Noi ci giugniamo seco voi nel raccomandar alla
protezione dell'altissimo Dio gl'interessi della nostra carissima
patria, pregandolo voglia i cuori e le menti disporre de' cittadini di
lei a giovarsi dell'opportunità offerta loro di diventar una felice, e
rispettabile nazione. E quanto a voi, noi gli dirizziamo le più instanti
preci, perchè si pieghi a volere una sì cara vita con ogni sua cura
nodrire; perchè i vostri dì siano altrettanto felici, quanto sono stati
illustri; e perchè finalmente quel premio vi dia, il quale non potrebbe
il mondo di costaggiù donarvi».

Quando ebbe il presidente posto fine al suo favellare, stettero buona
pezza taciti ed intenti gli ascoltanti, siccome quelli che grandemente
commossi erano alla novità di quello spettacolo, alla ricordanza delle
passate cose, alla felicità presente, alle speranze dell'avvenire.
Quindi ed il capitano generale, ed il congresso con magnifiche parole
commendarono. Ritrattosi Washington dalla presenza dei Padri si ridusse
poco poscia ai desiati, e felici ozj della sua villa di Monte Vernone,
situata in su quel di Virginia.


NOTE

[1] Rispetto al fondo della cosa, alcuni anni dopo, e quando già erano
posate le alterazioni (nel 1797), Washington scrisse a Amstrong di
questo accidente parlando, ch'egli aveva avuto dipoi sufficienti cagioni
di credere, che l'oggetto dell'autore (_delle dicerie anonime_) fosse
giusto, onorevole, e propizio alla patria, quantunque i mezzi suggeriti
dal medesimo fossero certamente soggetti ad essere molto e malamente
intesi, e sinistramente usati.

[2] I capitani d'America chiamano _famiglia_ loro tutti quegli
uffiziali, aiutanti, od altri, i quali nel mastro padiglione attendono
alla persona, ed ai comandamenti del generale.


FINE DEL QUARTO ED ULTIMO VOLUME.



TAVOLA DELLE COSE CONTENUTE NEL TOMO QUARTO


  LIBRO DUODECIMO                                         _pag._ 3

  _Sommario_. — Guerra meridionale. Gl'Inglesi
  assediano, e pigliano Charlestown. Tarleton rompe i
  repubblicani a Wacsaw. Soggezione della Carolina
  Meridionale, e bandi di Cornwallis per quietarvi del
  tutto le cose. Nuova-Jork in pericolo. Nuove ladronaie
  degl'Inglesi. Washington rompe i disegni a Clinton.
  Vicende dei biglietti di credito. Nuovi rigogli dei
  repubblicani nella Carolina. Mirabile fortezza delle
  donne caroliniane. Guerra marittima. Battaglie tra Rodney,
  e Guichen. Orribile tempesta nelle Antille. Gl'Inglesi
  arraffano una conserva francese. Gli Spagnuoli arraffano
  una conserva inglese. Guerra gibilterrana. Sette in
  Olanda. Trattato secreto tra il congresso, e la città
  d'Amsterdam. La guerra si rompe tra l'Inghilterra, e
  l'Olanda. Nuovo calore degli Americani, e per quali
  cagioni. De La-Fayette arriva di Francia in America,
  portatore di felici novelle. Banco di Filadelfia.
  Accademia di Massacciusset. Gli aiuti francesi arrivano
  all'Isola di Rodi condotti dal conte di Rochambeau. La
  guerra si riaccende in Carolina. Gates posto al governo
  dell'esercito caroliniano. Battaglia di Cambden tra Gates
  e Cornwallis. Supplizj nella Carolina. Congiura, e
  tradimento. Morte compassionevole del giovane Andrè. Nuova
  guerra nelle Caroline. Battaglia di Kingsmountain. Fatto
  d'arme di Blackstocks. Greene scambia Gates. Fatto d'arme
  di Cowpens. Perseguitazione degl'Inglesi, e ritirata degli
  Americani, l'una, e l'altra mirabili. Battaglia feroce di
  Guilfort tra Greene e Cornwallis. Greene si volge contro
  le Caroline, Cornwallis contro la Virginia.

  LIBRO DECIMOTERZO                                            138

  _Sommario_ — Danni degli Olandesi. Rapine degl'Inglesi
  a Sant'Eustachio. Gli Spagnuoli conquistano la Florida
  occidentale. Pensieri dei potentati guerreggianti.
  Gl'Inglesi rinfrescano Gibilterra. Gli Spagnuoli danno una
  terribile batteria a questa Fortezza. De Lamotte-Piquet
  toglie sul mare agl'Inglesi le spoglie di Sant'Eustachio.
  Battaglia navale di Praya. Suffren soccorre al Capo di
  Buona Speranza. Elliot, castellano di Gibilterra, rovina
  le stupende opere degli Spagnuoli. Impresa di Minorca. I
  confederati si mostrano sulle coste d'Inghilterra.
  Ferocissima battaglia tra gl'Inglesi e gli Olandesi. Il
  Conte di Grasse arriva con una possente armata nelle
  Antille. Battaglia tra lui e Hood. I Francesi pigliano
  l'isola di Tabago. De Grasse e Hood s'avviano ad onorate
  fazioni in America. Faccende civili negli Stati Uniti.
  Ammotinamento nel campo pensilvanico. Battaglia di Hobkirk.
  Battaglia di Eutaw-springs, e fine della guerra meridionale.
  Guerra di Virginia. Cornwallis si pone a campo a Jork-town.
  I confederati lo assediano, e lo costringono alla resa con
  tutte le sue genti. I Francesi s'insignoriscono di San
  Cristoforo. Minorca viene in poter de' confederati. Scambio
  de' ministri in Inghilterra.

  LIBRO DECIMOQUARTO, ED ULTIMO                                273

  _Sommario_ — Disegni dei potentati guerreggianti.
  Fazioni sul mare. Confederati sulle coste d'Inghilterra.
  Maneggi de' nuovi ministri. Guerra antillese. Memorabile
  battaglia tra De Grasse e Rodney combattuta il dì 12
  aprile. Assedio di Gibilterra. Descrizione della Fortezza.
  Batterie galleggianti. Mirabile assalto. Vittoria d'Elliot.
  Howe rinfresca Gibilterra. Le cose si dispongono ad una
  quiete universale. Pace. Moto pericoloso nell'esercito del
  congresso. Si danno le licenze all'esercito. Washington
  rassegna il capitanato generale, e si ritira alla sua villa
  di Monte Vernone.


FINE DELLA TAVOLA



INDICE ALFABETICO

_di alcune parole e frasi italiane meno comuni usate dall'Autore, colla
relativa spiegazione._


_Accalognata_ — da _accalognare_ — Calunniata.

_Accettevole_ — Opportuno.

_Accivire_ — Provvedere.

_Accomignolato_, da _Accomignolare_ — Congiunto a modo di comignolo.

_Accorr'uomo_ — Grida per fare che accorrano gli uomini a porger aiuto.

_Acquarzente_ — Acquavite raffinata, quasi ardente.

_Addentellato_ — Per metafora, e si dice negli edifizj quel risalto
disuguale di muraglia che si lascia per potervi collegare nuovo muro.

_Addopati_ da _Addopare_ — Porsi dopo, o dietro.

_Adombrare ne' ragnateli_ — Proverbio, come affogarsi in un bicchier
d'acqua, pericolare da imbecilli, e da timidi.

_Aliare_ — Aggirarsi più che uom non suole intorno a checchessia.

_Alla spicciolata_ — Alla sfilata, separatamente.

_All'avvenante_ — A proporzione, a ragguaglio.

_Al postutto_ — In tutto e per tutto.

_Ammemmati_, o sia _Ammelmati_ — Affogati nella melma.

_Andar di scarriera_ — Esser presti ad ogni mal fare.

_Andazzo di corrompere_ — Uso, costume di corrompere.

_A pena di cuore_ — Sotto pena della vita.

_Appicco_ — Speranza.

_A randa_ — A mala pena, per l'appunto.

_Arrogere_ — Aggiungere.

_Arrovelare_ — Stizzirsi rabbiosamente.

_A scesa di testa_ — Ostinatamente.

_Assottigliate dalle malattie_ — Ridotte a pochi, diminuite.

_Attutita, da attutire_ — Mitigare, ammorzare.

_Aver cura all'infornare_ — Guardarsi da entrare in maneggi, de' quali
non si possa uno a sua posta ritrarre senza danno.

_Avvisaglia_ — Affrontamento, scontro.

_Barellare_ — Barcollare.

_Batoste_ — Contese di parole.

_Bordaglia_ — Marmaglia, canaglia.

_Bucherare_ — Far buchi.

_Cagliare_ — Mancar d'animo, cedere.

_Callone_ — Apertura che si lascia nelle pescaie de' fiumi per transito
delle navi.

_Calpestata_ — Strada maestra.

_Camangiare_ — Ogni erba buona a mangiare o cruda o cotta.

_Cántaro_, e _cántare_ — Figuratamente, una determinata moltitudine di
gente.

_Cappannuccio_ — Una massa per appiccarvi fuoco ed abbruciarla per
allegrezza.

_Cappata_ da _Cappare_ — Scegliere.

_Carnaio_ — Sepoltura comune d'ospedali, e pubblici luoghi.

_Carrino_ — Trincea, o riparo di carri.

_Cassale_ — Mortale.

_Cantellare_ — Bere a sorsi, assaporare.

_Cerchiolini e cappanelle, e cerchiellini e cappanelli_ — Crocchi e
radunanze di persone che discorrono in pubblico.

_Chenti_ — Quali, chi.

_Ciarpa_ — Quella banda o cintura che portano gli uomini di guerra.

_Cisale_ — Ciglione che spartisce o chiude i campi.

_Civanza_ — Utile, guadagno.

_Confettare una persona_ — Vale farle cortesie ed ossequi per
rendersela, o mantenersela benevola.

_Confino_ — Relegazione, pena di stare in un luogo per forza.

_Confortarsi cogli aglietti_ — Confortarsi con deboli speranze.

_Contennendi_, da _contennere_ — Dispregiare.

_Credenza_ (_a_) — Senza occasione, per nonnulla.

_Dare le imbeccate_ — Corrompere con donativi.

_Dar gangheri_ — Dar indietro per artifizio.

_Dassaiezza_, astratto di assai grande — Di grande solerzia e prestezza
nell'operare.

_Diana_ (_sulla_) — Di buon mattino.

_Dicerìa_ — Ragionamento disteso.

_Dileticati_ — Solleticati, stuzzicati.

_Di queto_ — Quietamente.

_Di straforo_ — Di nascosto.

_Dormirvi sotto lo scorpione_ — Esservi nascosto un inganno.

_Endicatori_ — Incettatori.

_Espilazione_ — Rubamento fatto con inganno.

_Far entro la penna_ — Guadagnare nelle cariche oltre allo stipendio
ordinario.

_Far fuoco nell'orcio_ — Fare nascostamente i suoi fatti e in maniera di
non essere appostato.

_Far gran calca_ — Fare istanza grandissima.

_Far tenere l'olio_ — Fare star cheto alcuno per bella paura.

_Fisicosi_ — Scrupolosi, fantastici.

_Forra_ — Apertura lunga, e stretta tra poggi alti.

_Friscello_ — Fior volatile di farina, che si attacca, alle muraglie ne'
mulini quando si macina.

_Gavillare_ — Cavillare.

_Gazzarre_ — Strepiti e suoni fatti per allegrezza.

_Geldra di codardi_ — Moltitudine, truppa di codardi.

_Genove_ — Genuflessioni, prostrazioni.

_Girandolata_ — Fantasticata, raggirata, posta per intrigo.

_Girone_ — Turbine.

_Giubbetto_ — Forche.

_Giullerie_ — Buffonerie.

_Gozzaie_ — Metaforicamente, rancori, odj inveterati.

_Grascini_ — Ministri bassi del magistrato della grascia.

_Greppo_ — Rupe aspra e difficile.

_Gualdana_ — Masnada, truppa di gente armata.

_Imbeccherare_ — Subornare.

_Imberciare_ — Cogliere, dar nel segno.

_Imberciare a sesta_ — Togliere di mira, trarre diritto.

_Incamiciata_ — Scelta di soldati per sorprendere di notte il nemico.

_Inciprignire_ — Incrudelire.

_Indettare_ — Restar d'accordo.

_Interriati_, da _interriare_ — Seppellire.

_Intraprendere_ — Ledere, pregiudicare.

_Istatichi_ — Ostaggi.

_Latino di bocca_ — Linguacciuto, facile a parlare.

_Libito_ — Volontà.

_Lustre_ — Finzioni.

_Macìa_ — Ammasso di pietre, muriccia.

_Marina marina_ — lungo la riva del mare.

_Marinare_ — Termine marinaresco, e vale metter nuovi marinari nel legno
predato, trattine quelli che sono fatti schiavi.

_Mariti randagi_ — Mariti bordellieri, damerini.

_Marzocchi_ — Leoni scolpiti.

_Mastio_, o _Maschio_ — Sorta di fortificazione.

_Matassa_ — Metaforicamente per imbarazzo.

_Mettere alcuno alle coltella_ — Aizzarlo, incitarlo alla vendetta.

_Metter male biette_ — Metter male, seminar la zizzania.

_Metter una mala cannella_ — Mettere una cattiva usanza.

_Miluogo_ — Centro, luogo di mezzo.

_Misalta_ — Carne insalata di porco avanti ch'ella sia rasciutta e
secca.

_Misfare_ — Far male.

_More_ — Monti di sasso.

_Moria_ — Mortalità pestilenziale.

_Musare_ — Stare oziosamente a guisa di stupidi.

_Nicchiare_ — Figuratamente, per imprender mal volentieri a far qualche
cosa, e mostrare di non esser soddisfatti interamente.

_Ostico_ — Strano e difficile a comportarsi.

_Palmata_ — Figuratamente dicesi de' presenti che si danno o si prendono
per vendere e alterare la giustizia, e per far monipolio di checchessia.

_Paltoni_ — Mendichi che van lemosinando.

_Panegli_ — Viluppi di cenci unti, i quali per le pubbliche feste
s'accendono in cima a' più alti edifizj della città per far luminaria.

_Parato lo sdrucciolo_ — Metaforicamente preparato un inciampo, una
trama, o pratica, o precipizio ec. a danno altrui.

_Peritarsi_ — Non avere ardire, stare in forse.

_Piaggiare_ — Adulare, secondare con dolcezza di parole l'altrui
opinione a fine di venire a capo del proprio desiderio.

_Pigliare alla stracca_ — Stancare.

_Piorno_ — Pregno d'acqua.

_Rabberciate_, da _Rabberciare_ — Rattoppare, racconciare.

_Racimolare_ — Raccogliere qua e là, raggranellare.

_Raunaticcia_ (_gente_) — Gente raccolta in fretta e senza riguardo se
buona o no.

_Repubblicone largo in cintura_ — Appassionatissimo per le cose della
libertà.

_Retta_ — Resistenza o difesa: da reggere, sostenere.

_Ribadire_ — Ribattere, conficcare di nuovo.

_Ricisa_ (_alla_) — Senza intermissione.

_Ridottare_ — Temere.

_Rigattate_, cioè _Ricattate_ — Vendicative.

_Rinvergare_ — Ritrovare, investigare.

_Riotte_ — Contese, quistioni sì di fatti che di parole.

_Saccomanno_ — Quegli che conduce dietro agli eserciti, vettovaglie,
arnesi e bagaglie.

_Sbiettare_ — Scappar via.

_Scapolare_ — Trasportare clandestinamente.

_Scarpellare_ — Cavar la pelle coll'unghie.

_Scassinare_ — Guastare.

_Scede_ — Beffe, scherni.

_Sciorinati_ — Stanchi, malconci.

_Scolte_ — Sentinelle.

_Scovato_ — Scoperto.

_Sdruscito_ — Guasto, danno.

_Sgarato_, da _Sgarare_ — Vincer la gara.

_Sgozzare_ — Metaforicamente, comportare, dimenticare.

_Sido_ — Freddo eccessivo.

_Sobillare_ — Sedurre, e corrompere.

_Sodate_ — Consolidate.

_Soffitto_ (aggettivo) — Nascoso.

_Sollo_ — Soffice.

_Sopperire_ — Supplire.

_Soppiattone_ — Simulato, doppio.

_Soprassoma_ — Sopracarico.

_Sopruso_ — Ingiuria.

_Sostenuto_ — Arrestato, sequestrato.

_Sparvierato_ — Aggiunto che propriamente si dà alle navi, quando sono
spedite e acconce a camminar velocemente.

_Spastoiati_ — Sciolti, strigati.

_Spelagarsi_ — Trarsi fuori del pelago, trarsi d'impaccio.

_Spigliati_ — Agili, destri.

_Spulezzare_ — Fuggir con grandissima fretta.

_Stacca_ — Anello a cui si assicurano le insegne.

_Staggite_, da _staggire_ — Sequestrare.

_Stare in sul bisticcio_ — Contrastare pertinacemente proverbiandosi.

_Stare in sul tirato_ — Stare all'erta.

_Starsi a canna badata_ — Stare con tutta l'applicazione, con tutto
l'impegno, come chi compra panno bada alla canna su cui si misura.

_Statichi_ — Ostaggi.

_Stazzonare_ — Palpeggiare.

_Stregua_ — Parte, porzione, ragguaglio, proporzione.

_Stropiccio_ — Figuratamente, affanno, danno.

_Stroscia_ — Riga che fa l'acqua correndo in terra o su checchessia.

_Subillare_ — Instigare.

_Svertare_ — Dire senza riguardo quel ch'è occulto.

_Tenere del gretto_ — Essere di pensare meschino.

_Tenere in sul ponte_ — Tener sospeso.

_Tolta di un tale_ — Amico, aderente in un tale.

_Traffico di scarriera_ — Traffico clandestino, fuori dell'uso comune, e
quasi di contrabbando.

_Trambasciamento_ — Eccessiva ambascia.

_Trauzeschi_ — Forse per forestieri, estranei, o per Tedeschi.

_Ubbìa_ — Opinione o pensiero superstizioso.

_Uomo rotto ed arabico_ — uomo precipitoso e strano.

_Valeggio_ — Efficacia, valore.

_Velettare_, _stare alle velette_ — Osservare.

_Vento in fil di ruota_ — Vento favorevole.

_Vivere in cagnesco_ — Guardarsi di mal occhio.

_Zaccagna_ — Cotenna dinanzi del capo.

_Zaino_ — Sacchetto di pelle col pelo, che i pastori portano legato alle
spalle.

_Zana_ — Cesta, culla: figuratamente inganno.



Nota del Trascrittore

Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, così come le
grafie alternative (conseguito/conseguìto, Montagu/Montagù e simili),
correggendo senza annotazione minimi errori tipografici.





*** End of this LibraryBlog Digital Book "Storia della Guerra della Independenza degli Stati Uniti di America, vol. 4" ***

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