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Title: Cardello
Author: Capuana, Luigi, 1839-1915
Language: Italian
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in a project in common with Progetto Manuzio,
http://www.liberliber.it



Luigi Capuana



CARDELLO



  INDICE

  I.--L'Orso peloso
  II.--Cardello entra in arte
  III.--Una recita straordinaria
  IV.--Un dramma
  V.--Il padre cappellano
  VI.--Una recita in parlatorio
  VII.--Una scoperta archeologica
  VIII.--Il capolavoro di Cardello
  IX.--Infortunio del lavoro
  X.--Speranze e dolori
  XI.--Abnegazione
  XII.--La fortuna di Cardello



I.

L'ORSO PELOSO.


Da tre giorni, nel paesetto non si parlava di altro che dell'arrivo
del burattinaio.

Davanti al magazzino da lui preso in affitto, una folla di ragazzi
faceva ressa per vedere i preparativi delle rappresentazioni,
quantunque il portone socchiuso non permettesse di scorgere quel che
colui stava ad armeggiare là dentro.

Si udivano frequenti picchi di martello, stridori di sega, brontolìi
d'una voce arrochita che doveva essere del burattinaio, e, di tratto
in tratto, i vagiti di una creaturina già vista più volte dai ragazzi
in braccio alla giovine donna malaticcia che sembrava figliuola di
quell'uomo e invece--così si diceva--ne era la moglie.

Se qualche ragazzo, più ardito o più impertinente, osava di ficcare la
testa tra i battenti del portone socchiuso, o spingeva indietro la
parte di esso scostata dallo stipite, un urlo o una parolaccia
dall'interno lo faceva scappare sùbito via.

Ed era uno sbandarsi di qua e di là di tutta la ragazzaglia, appena il
burattinaio appariva su la soglia, in maniche di camicia, coi lunghi
capelli grigi in disordine, i calzoni malamente stretti ai fianchi da
una larga cigna di cuoio, con la pipetta di radica tra i denti, che
pareva dovesse bruciargli i baffi ispidi e folti e i peli della barba
che gli si arricciavano e arruffavano sul mento.

I ragazzi lo avevano soprannominato Orso peloso sin dal primo
giorno; ma poi si erano accorti che era meno orso di quel che
immaginavano.

Si piantava a gambe larghe su la soglia, con le braccia dietro la
schiena, tirando dense ondate di fumo dalla pipetta mezza
carbonizzata; e, dopo aver guardato attorno, si rivolgeva a qualcuno
di loro:

--Ehi, ragazzo! Vuoi comprarmi quattro soldi di chiodi simili a
questo?--

E appena il chiamato si accostava accennando di sì, l'Orso peloso
gli faceva una carezza, gli dava i soldi e il chiodo per mostra e
soggiungeva

--Ti farò entrare gratis la prima sera dell'opera.--

Così Cardello, come lo chiamavano, aveva ricevuto l'incarico di
parecchie commissioni, forse perchè il burattinaio, dall'aspetto
vispo, di vero cardello, lo aveva giudicato il più intelligente e il
più servizievole di tutti.

Cardello, appunto in quei giorni un po' disoccupato, passava gran
parte della giornata, assieme con gli altri ragazzi, davanti al
portone del magazzino. La sua curiosità era grande. Egli aveva sentito
parlare tante volte dell'opera dei burattini, ma non l'aveva mai
veduta. I burattinai arrivavano raramente in quel paesetto arrampicato
in cima a una montagnola dove bisognava andare di proposito a
scovarlo. E Cardello aveva appena dieci anni.

Tre o quattro commissioni rapidamente e bene eseguite lo avevano fatto
entrare nelle grazie dell'Orso peloso.

Ora Cardello non stava più fuori, a spiare ficcando la testa tra i
battenti del portone socchiuso. Andava e veniva affaccendato, perchè
il burattinaio aveva continuamente bisogno di qualche cosa: d'una
sbarra di legno, di quattro fogli di carta colorata, d'un litro di
petrolio, di un po' di minio, d'un metro di nastro rosso, d'una
matassa di spago, d'una cartata di tabacco per la pipa--e si faceva
anche aiutare da lui nel rizzare in fondo al magazzino il
palcoscenico.

Andando e venendo, Cardello passava con un sorriso di orgoglio e di
sodisfazione tra i compagni affollati nella piazzetta, che lo
tempestavano di domande:

--Hai visto i burattini?

--Sì; li abbiamo messi fuori dal cassone oggi.

--Belli?

--Alti quanto me. Paiono vivi; fanno paura.

--C'è, Pulcinella?

--E Colombina, e Tartaglia, e Peppe-Nappa, e il Mago, e il
Drago, con la lingua rossa e gli occhi rossi, che muove la coda.

--Da sè?

--Da sè. Sono già tutti appesi a un fil di ferro quelli che servono
per domani sera. Ce n'è tanti altri: re con la corona; guerrieri con
le spade; uno di essi si chiama Orlando.--

E tutti stavano a sentirlo a bocca aperta, invidiandolo, canzonandolo
anche, per sfogare il dispetto di vederlo preferito.

--Farai tu da Pulcinella?

--Diventerai burattinaio anche tu?

--Chi lo sa?--rispondeva Cardello.


E il giorno dopo lo seguirono in Piazza del Mercato, mentre andava ad
attaccare il cartellone coi pupazzetti: Pulcinella da un lato, col
randello in mano, e Tartaglia dall'altro con gli occhiali verdi e il
tricorno, nell'atto di prender tabacco da una tabacchiera che sembrava
una cassetta.

--Bravo, Cardello!--

E urli e fischi.

La gazzarra fu più rumorosa la sera in cui lo videro uscire dal
portone in camiciotto bianco e capellaccio grigio di felpa che gli
copriva le orecchie, col tamburo su la pancetta e in una mano il mazzo
con la grossa capocchia di pelle e nell'altra una bacchetta,
accompagnato dalla giovane moglie del burattinaio, in maglia carnicina
e vestito corto, che suonava la tromba, mentre Cardello picchiava
sul tamburo da un lato col mazzo e dall'altro con la bacchetta, serio,
impettito, quasi quello fosse stato sempre il suo mestiere.

Bùntiri! Bùntiri! Pepè! Peperapè! per tutte le vie e le viuzze del
paesetto, a fine di chiamar gente allo spettacolo. Intanto lo
spettacolo era Cardello camuffato a quel modo, che non si curava dei
fischi, degli urli, e si credeva diventato un personaggio
d'importanza.

Dagli usci, dalle finestre, era un accorrere su la via, un
affacciarsi, un ridere, un acclamare lui, che tutti riconoscevano
quantunque travestito, che tutti chiamavano a nome:

--Ehi, Cardello!

--Guarda Cardello!

--Evviva Cardello!

* * *

Giacchè Cardello era conosciuto più della bettonica, e voluto molto
bene, perchè si guadagnava il pane facendo qualunque servizio, sempre
pronto, sempre allegro, senza pretese. Due soldi, una bella fetta di
pane, quattro fichi secchi, un piatto di fave condite con olio e aceto
o altra cosa da mangiare; Cardello non rifiutava niente, non si
lagnava mai; ringraziava e andava via tutto contento.

--Povero ragazzo! È ammirevole!--diceva la gente.

Bùntirì! Bùntiri! Il burattinaio aveva avuto una bella idea, facendo
suonare il tamburo a Cardello.

Il ragazzo gli piaceva per la sveltezza e per la serietà. Quando gli
aveva domandato: "Vuoi suonare il tamburo?" Cardello aveva risposto
sùbito di sì.

--Ma bisogna che tu ti metta il camicione bianco e il cappellaccio di
feltro.

--Li metterò.

--Non ti vergognerai?

--O che rubo?

--Non farai come quell'altro, ricordi?--s'interruppe rivolgendosi alla
moglie--che agli urli e ai fischi della gente, buttò via tamburo,
camicione e cappellaccio in mezzo alla via... nel paesetto vicino
qui un mese fa.

--Me ne rido dei fischi! Non sono legnate.

--Bravo!--

La giovane moglie del burattinaio lo aveva interrogato anche lei nei
giorni avanti:

--Come ti chiami?

--Calogero; ma mi dicono Cardello.

--Perchè?

--Se lo sanno loro!

--E non ti dispiace?

--Anzi! Si chiama Calogero pure il becchino, lo spilungone giallo
giallo che mastica sempre tabacco. Meglio Cardello.

--Sei orfano? Non parli mai di tuo padre o di tua madre.

--Sono morti da un pezzo; non li ho neppure conosciuti.

--Quanti anni hai?

--Quindici.

--E con chi stai ora? Dove dormi?

--Dalla nonna, madre di mio padre.

--Ti dà da mangiare? Ti veste?

--Quando ne ha, mi dà quel che ha. Mi busco il pane anche da me. In
quanto ai vestiti, me li regalano, vecchi, rattoppati,
stracciati. Li metto come si trovano, corti, lunghi, larghi o
stretti. E poi, io non sento nè caldo nè freddo.

--Beato te!

--Quando ho freddo, mi metto a correre, faccio capriole e mi riscaldo
sùbito.

--Vuoi venire con noi?

--Dove?

--Pel mondo, di paese in paese. Suonerai il tamburo; potrai imparare a
muovere i burattini, a farli parlare.

--Magari!

--Sai leggere?

--Nisba.

--Che cosa vuoi dire?

--No; si dice così.

--T'insegnerà a leggere don Carmelo, mio marito. Così apprenderai le
parti.

--Chi sa se son bono?

--Ci vuol poco. E tua nonna?

--Non le diremo niente, altrimenti si metterà a piangere e non mi
lascerà partire.

--No, bisogna dirglielo.

--Glielo direte voi.

--A suo tempo, tra un mese, se qui faremo buoni affari.--

Don Carmelo intanto appendeva a un fil di ferro i burattini che
dovevano servire per la rappresentazione della sera appresso; e
Cardello seguiva attentamente con gli occhi l'operazione,
divertendosi a vederli girare per alcuni istanti da destra a sinistra,
da sinistra a destra, quasi volessero trovare una comoda positura
prima di fermarsi.

--Chi li fa i burattini?--domandò.

--Mio marito lavora la testa, le mani e i piedi; io li vesto.

--Ahoóh!--esclamò Cardello.--E potrò farli anch'io?

--Perchè no, se ci metterai un po' di testa?

--Ahoóh!--

Era il suo modo di esprimere la maraviglia.

--E come parlano? Aprono la bocca?

--Mio marito ed io parliamo per loro, e sembra che parlino essi. Non
hai mai visto l'opera?

--Mai!

--Don Carmelo, che in quel punto aveva per le mani Pulcinella, cavato
di tasca il fischio di canna e mèssolo in bocca, strillò:

--Cardello! Cardello!--

E fece muovere la mano di Pulcinella in atto di chiamare, Cardello
rimase a bocca aperta.

--Cardello! O che sei sordo?--riprese Pulcinella.

--Mi vuole davvero?--

Cardello voleva saperlo dalla burattinaia. Ma don Carmelo aveva già
appeso anche Pulcinella che, ciondolato un po', rimase fermo.

E in questo modo Cardello ebbe un'idea del come i burattini
parlavano.

* * *

La sera della prima rappresentazione però il suo stupore fu grande; i
burattini gli sembravano persone vive. Pulcinella, Tartaglia,
Peppe-Nappa lo facevano ridere; ma quando vide venir fuori il Mago
che operava le incantagioni per cui le persone non si riconoscevano
più l'una l'altra, e Pulcinella abbracciava Tartaglia credendo di
abbracciare Colombina, e Colombina abbracciava un paracarro
credendo di fare le sue confidenze a Pulcinella; e poi, quando venne
fuori il drago che buttava fiammate e fumo dalla bocca e voleva
mangiarsi tutti vivi vivi, il povero Cardello cominciò a tremare
dalla paura, e si sentì salire le lagrime agli occhi.

Fortunatamente Pulcinella trovava per terra l'anello incantato che
disfacea a un tratto l'opera maligna del Mago; e don Florindo
riceveva una scarica di legnate per compenso di esser ricorso
all'opera di costui, non sapendo come ottenere altrimenti la mano di
Colombina. Quella scarica di legnate fu una gran gioia per Cardello,
che si diè a battere furiosamente le mani, saltando in piedi su la
panca dove era stato a sedere, gridando:--Bravo! Bravo!--E la gente,
invece di applaudire il burattinaio, mèssasi di buon umore per questa
ingenuità, applaudì Cardello, che stupito e mortificato, corse a
nascondersi dietro il palcoscenico; e non ne uscì se prima non fu
sicuro che tutti gli spettatori erano andati via.

--Bravo,Cardello! Hai fatto la tua parte anche tu!--gli disse don
Carmelo:--O perchè piangi?

--Perchè... perchè....--

E non seppe dir altro.



II.

CARDELLO ENTRA IN ARTE.


Il giorno appresso don Carmelo prese a dargli le prime lezioni del
mestiere.

--Sta' attento: guarda come faccio io. Questi sono i fili delle mani;
questi dei piedi. Si tirano in su così, secondo quel che dice il
personaggio. Sta' attento! Ecco, Pulcinella passeggia....--Buon
giorno!--E move la mano così, per salutare.... Ecco: Pulcinella
deve dare un calcio nel sedere a Peppe-Nappa.... Si fa così... Hai
capito?

Ora eseguisci tu...--Buon giorno!...--Ma no! Così, da' un
calcio.... Bravo!.... E non bisogna tenere il fantoccio per aria, se
no si mette a girare... Bravo!.. Così!...--

Cardello avea creduto che la cosa fosse difficile e che egli non
sarebbe mai riuscito. Sbarrava tanto di occhi in viso a don Carmelo,
si grattava il capo; e siccome due o tre volte, nei giorni scorsi,
colui gli avea lasciato correre qualche scapaccioncino, se eseguiva
male i suoi ordini, ora Cardello si aspettava uno scapaccione da un
momento all'altro.

Giacchè l'Orso peloso era manesco, specialmente in certe ore della
giornata; dopo desinare, per esempio, quando aveva bevuto i litri di
vino che Cardello andava a comprargli ogni giorno dalla signora da
cui gli era stato affittato il magazzino. Quel vino era forte,
schietto; e quantunque don Carmelo dicesse che non si poteva
scherzare con esso, faceva scoppiettare le labbra a ogni bicchiere
tracannato e vi scherzava con molta confidenza. Allora, invece di
sentirsi allegro, diventava burbero, cupo; e trovava pretesti per
bisticciare con la moglie e per picchiarla, se essa, abbozzato un po',
gli dava qualche risposta che non gli faceva piacere.

Cardello aveva gran pietà di quella povera donna. Vedendola
piangere, le toglieva di braccio la creaturina addormentata o che si
era staccata strillando dal petto della mamma pel movimento da essa
fatto nel ripararsi dai colpi del marito; e si metteva a cullarla, a
farla delicatamente sobbalzare per acchetarla, dandole anche baci, e
accostando la faccina alla gota, con una specie di carezza.

E a quella vista anche l'Orso peloso sentiva diventar tenero il suo
vino; e continuando a brontolare e a minacciare la moglie, cominciava
ad aggirarsi pel magazzino, ad andare su e giù, stringendosi la cigna
di cuoio ai fianchi, dandosi un'arruffata ai capelli; e all'ultimo,
fermatosi a gambe larghe davanti a Cardello, strizzava gli occhi
ammammolati e sghignazzava:

--Sai fare anche il balio, eh? Ninna, oh! Ninna oh! Ah! Ah! Ah--

Sentendolo ridere a quel modo, Cardello aveva paura, e si
allontanava accostando più stretta la bambina al petto, guardando
l'Orso peloso con sguardi sospettosi.


--Va' a comprarmi il tabacco per la pipa,--gli disse quegli una volta,
cercando di levargli la bambina di braccio.

--Dorme; non la fate svegliare.--

E Cardello indietreggiava, indietreggiava, supplicandolo con gli
occhi, senza accorgersi che là dietro era una sbarra di legno per
terra. Inciampò, barcollò, diè un urlo e cadde rovescio, sbattendo la
testa su una grossa pietra sporgente dal muro.

La mamma, accorsa, con una mano avea sollevato la bambina, e con
l'altra avea aiutato Cardello a rizzarsi.

Egli sembrava soltanto un po' sbalordito. Tutt'a un tratto però,
sentito un forte dolore all'occipite, si era tastato con le mani nel
punto che gli doleva....

--Ahi! Ahi!--strillò, quasi l'accorgersi del sangue, che gli avea
tinte le mani, gli avesse subitamente reso più acuto il dolore...

--Zitto!... Lasciami vedere! Non è niente!--

L'Orso peloso lo afferrava per la testa, scartava con le punte delle
dita i capelli insanguinati, chino per osservar meglio la ferita.

--Non è niente! Su! Un po' d'acqua fresca. Vieni qua. Lascia fare a
me!... Dieci gocce di sangue.... Eh! Ohe cosa vuol dire non aver
anche due occhi dalla parte di dietro!.... Non far lo
spiritato!... Non è niente.... Ecco! L'acqua fresca è miracolosa! Ma
non per berla.... Eh! eh!--

La sbornia gli era sparita a un tratto, ed egli voleva ridere, e
rideva anche Cardello che si era lasciato far i bagnoli di acqua
fresca senza opporsi, per paura che l'Orso peloso non lo trattasse
peggio.

--Un po' di gonfiore! Nient'altro. Va' là; hai dura la cuticagna,
Cardello, eh? eh?--

Lo accarezzava, un po' ruvidamente, sballottandolo di qua e di là per
le spalle; voleva vederlo ridere a ogni costo. E all'ultimo, scorgendo
che l'Orso peloso si mostrava buono, Cardello rise quasi suo
malgrado, e, per far la pace, gli disse:

--Debbo andare a comprarvi il tabacco?--

L'Orso peloso volle dargli un segno della sua generosità, e gli mise
in mano un soldo di più:

--Con questo ti comprerai un soldo di liquirizia.

* * *

Si mangiava bene però nel magazzino del burattinaio. Ogni sera il
teatrino, com'egli lo chiamava, era affollato di spettatori; il
sabato e la domenica, due infornate. Posti da cinque soldi, con
seggiole, pei cavalieri: posti da tre soldi con panche, per la
maestranza, posti da un soldo, in piedi, per la marmaglia. Non
avevano altro svago in quel paesetto, e don Carmelo era molto bravo
nell'arte sua. Repertorio svariatissimo: tutta la serie delle imprese
dei Cavalieri della Tavola Rotonda, tutte le commedie e le farse dove
Pulcinella, Tartaglia e Peppe-Nappa e Peppe-Nino facevano
smascellare dalle risa.... Per ciò si mangiava bene a colazione e a
desinare. Don Carmelo si dilettava anche di cucina, e Cardello
ingrassava a vista d'occhio con quei piattoni colmi di spaghetti col
pomodoro che egli stentava a finire, con certe fette di carne che non
aveva mai viste neppur da lontano e col vino che don Carmelo lo
costringeva a bere, dicendogli:

--Giù! Tracànnalo d'un fiato! Questo fa buon sangue.--

E buon sangue se ne faceva, anche troppo, lui. Certe sere Cardello
si stupiva che al momento della rappresentazione don Carmelo
riacquistasse, come per incanto, tutta la lucidezza di mente che
occorreva e parlasse spedito.

Da otto giorni era preannunziato lo spettacolo: Vita e morte di
Santa Genoeffa; e l'Orso peloso e sua moglie lavoravano a mettere
in assetto i personaggi: a trasformare Colombina in Santa
Genoeffa, Carlo Magno in Principe del Brabante, e altri pupi in
gentiluomini di corte. Da otto giorni, Cardello si esercitava a far
andare e venire dalle quinte di carta la cerva, personaggio
importantissimo, che dava il latte ai due bambini nel bosco dove Santa
Genoeffa viveva coperta di stracci, e a far muovere il macchinismo
dell'ultimo atto, quando l'anima della santa doveva salire in cielo
fra una gloria di angeli e di serafini, opera di don Carmelo, che la
restaurava, incollando, dalla parte di dietro, pezzetti di cartone
alle ali dei serafini sgualcite e alle nuvole strappate.

In quei giorni l'Orso peloso era intrattabile; ogni minima
contrarietà lo faceva andare su le furie; e alla sua povera moglie
eran toccati parecchi pugni e schiaffi, e a Cardello certi
scapaccioni da farlo traballare su le gambe.

Quando l'Orso peloso andava a far la spesa, la povera donna si
sfogava con Cardello.

--Se non fosse per questa creatura!

--E come vi siete maritata con lui che è tanto più vecchio di
voi?--gli domandò una volta Cardello.

--È stata la mia disgrazia!

--Avete la febbre?

--Che importa! Se il Signore mi volesse! Ma prima dovrebbe far morire
questa creaturina qui!--

La poverina batteva i denti:

--Sono già tre mesi che mi trascino con la quartana.

--Volete che chiami il medico, di nascosto di lui?

--E le medicine chi me le dà? La quartana se n'andrà da sè, com'è
venuta.

--E se non se ne va?

--Me n'andrò io, e finirò di penare!--

Cardello prendeva in braccio la bambina che già aveva imparato a
conoscerlo e gli sorrideva e gli stendeva le manine, bionda, rosea,
mentre la sua mamma lavorava. Cardello le ripeteva:

--Dovreste parlare con la nonna, se volete che venga con voi.--

La vecchietta era venuta più volte a ringraziare il burattinaio per
quel che faceva per suo nepote.

Due o tre volte egli l'avea trattenuta a desinare con loro, ma del
progetto di condur via Cardello non le aveva mai fatto accenno. Da
prima avea voluto convincersi dell'intelligenza e dell'abilità del
ragazzo; poi, riuscita la prova, avea pensato che era meglio parlarne
proprio il giorno avanti di partire.

Se la vecchia rispondeva di no....

--Non te la senti, di scappare?--avea egli domandato al ragazzo.--Tua
nonna, va' là, mi sarà grata che le tolgo l'impaccio di pensare a
te.--E Cardello aveva risposto serio serio:

--Vedremo!--

Vita e morte di santa Genoeffa doveva essere l'ultima
rappresentazione. Quella sera però la folla fu così grande, anche
perchè si sapeva che Cardello avrebbe fatto la sua parte, che
bisognò mandar via la gente e promettere una ripetizione dello
spettacolo per la sera dopo.

I compagni di Cardello, incontrandolo per la via quando il
burattinaio lo mandava attorno per qualche commissione, gli
domandavano:

--Che fai? Impari l'arte del burattinaio?--

E Cardello si vantava:

--Ora so far muovere i pupi! Sto imparando una parte.--

Si era costrutto da sè un fischio; anzi ne avea costrutti parecchi, di
quelli che servono per la voce nasale di Pulcinella--due pezzetti di
canna, con in mezzo una striscia di fettuccia, legati insieme da un
po' di refe--e li avea venduti un soldo l'uno. A chi gli
domandava:--Cardello dove vai?--egli rispondeva con lo strillo
pulcinellesco, quasi come segno del mestiere che intendeva di
scegliere.

Poi avea parlato della cerva che sembrava viva, con le corna
ramificate alte così; l'avrebbe manovrata lui. E avea parlato delle
nuvole, degli angeli e dei serafini che portavano su, in cielo,
l'anima di Santa Genoeffa. Si girava una manovella, e le nuvole e gli
angeli e i serafini e l'anima di Santa Genoeffa montavano lentamente
su. Cosa maravigliosa!

Già lui imitava le voci di diversi burattini. Le spacconate di
Peppe-Nappa, le birichinate di Peppe-Nino, i discorsi tartagliati
di Tartaglia, le bizze di Colombina, le rodomondate di Orlando e
di Buovo d'Antona, gli uscivano di bocca così ben eseguiti che
sembrava di udire la stessa voce di don Carmelo e di sua moglie. I
ragazzi stavano ad ascoltarlo a bocca aperta. Soprattutti, poi, egli
rifaceva Pulcinella con le sue poltronerie, coi suoi strilli di
paura, con le sue vanterie nei momenti che non si trovava di faccia
qualcuno....

Don Carmelo però non avea potuto indurre Cardello a fare proprio
una parte.

--Quando saremo in un altro paese. Qui mi vergogno.--

Finchè si trattava di far muovere i pupi, Cardello, nascosto
dietro il fondo della scena, non si sentiva intimidire. Ma far la
parte, no. Se la gente riconosceva la sua voce, avrebbero cominciato
a gridare:--Bravo, Cardello! Viva, Cardello!--E sarebbe finita;
non avrebbe più saputo aprir bocca!

Contrariamente a quel ch'egli si aspettava, la nonna non si oppose che
andasse via col burattinaio.

--Ve lo raccomando come un figlio! È un povero orfanello.

--Non dubitate,--le rispose la moglie di don Carmelo:--È buono, si fa
voler bene.

--E se muoio,--soggiunse don Carmelo:--(io non ho parenti) lascio ogni
cosa a lui; sani la sua fortuna.--

Così, otto giorni dopo, Cardello andava via col burattinaio, seduto
sur un cassone accanto alla moglie di quello, in uno dei carretti che
portavano la roba. Don Carmelo con la pipa in bocca e un cappellaccio
in testa, gli dava la voce dall'altro carretto:

--Stai come un principe, eh?



III.

UNA RECITA STRAORDINARIA.


Era già un anno che Cardello andava di paese in paese col
burattinaio, partecipando alla buona e alla cattiva fortuna; giacchè
non sempre gli affari procedevano felicemente. I cartelloni ornati dei
pupazzetti di Pulcinella e di Tartaglia, l'andata attorno di
Cardello--col camicione, il cappellaccio di feltro grigio e il
tamburo su la pancia,--e della moglie di don Carmelo in maglia e veste
corta, suonando la tromba--non riuscivano in certi posti a incuriosire
la gente, ad affollarla alle rappresentazioni. Le seggiole da cinque
soldi rimanevano vuote, o bisognava permettere che vi si sedessero gli
straccioni, la marmaglia, come sprezzantemente li qualificava
l'Orso peloso, e da cui non era possibile pretendere più di un
misero soldo di entrata.

Una volta non sapendo a qual santo votarsi, don Carmelo aveva
concepito la bella idea di una serata speciale pei signori, pei
galantuomini che, non volendo mescolarsi con la bassa gente nel suo
teatrino, vi lasciavano deserte le trenta seggiole da cinque soldi
destinate per essi. Era andato a raccomandarsi al Sindaco, agli
Assessori, ai Deputati del Casino di convegno.... Se non
proteggevano loro un povero artista! E Sindaco, Assessori, Deputati lo
avevano colmato di grandi promesse.

Cardello era stato incaricato di ridurre in pezzettini quattro
quinterni di carta, e bollarli, mentre don Carmelo, con gli occhiali a
cavalcioni sul naso, vi scriveva a grossi caratteri:

    GRANDE SERATA TUTTA DA RIDERE

           BALLO E CANTO.

--Domani sera dobbiamo farci onore! Vo' farli rimanere a bocca
aperta. Che si credono questi signori? Doppia illuminazione. Tu e
Cardello, alla porta, col vassoio sul tavolino tra due
candelabri. Un bel sorriso e--Grazie.--Le lire e le mezze lire
pioveranno abbondanti, e anche qualche fogliolino da cinque
lire. Vorrei vedere che il Sindaco e gli Assessori.... E i signori
del Casino!.. Sono dugento biglietti!--

Donna Lia e Cardello si guardavano negli occhi. La povera donna era
guarita dalle febbri, ma ne portava ancora le tracce sul viso pallido
e smunto. Da un pezzo, però, non più ricolmi piatti di vermicelli col
sugo, nè larghe fette di stufato; e, raro, qualche bicchiere di vino
riserbato soltanto a don Carmelo. Il quale però non mancava di
prendere una sbornia alla taverna, con gli amici che lo invitavano e
che ogni sera venivano a godersi gratis lo spettacolo, conducendovi
mogli e figliuoli. Almeno servivano a riempire il teatrino!

Cardello era quasi irriconoscibile. Aveva preso l'aria del
mestiere. S'era lasciato crescere la zazzera e portava su la nuca un
vecchio berretto rosso da bersagliere con grave spavalderia. Già
sapeva a memoria le parti di Peppe-Nappa e di Peppe-Nino, e n'era
orgoglioso. E quando il popolino, sodisfatto e messo di buon umore,
applaudiva e chiamava fuori quei personaggi, involontariamente,
dietro la scena, mentre faceva ringraziare con belli inchini il
pupazzo, s'inchinava anche lui, sorridendo; infine, quegli applausi e
quelle chiamate andavano alla sua persona, alla sua abilità.

Ma in quel maledetto paesaccio dov'erano disgraziatamente capitati,
gli zotici spettatori ridevano sì, ma non applaudivano, non chiamavano
fuori Peppe-Nappa e Peppe-Nino; e questo teneva di cattivo umore
Cardello che avea consigliato più volte al padrone:

--Andiamo via! Cerchiamo un'altra piazza!--

Per ciò Cardello non partecipava alle illusioni dell'Orso peloso
intorno al successo della grande serata, e guardava negli occhi
donna Lia, che era più scoraggiata di lui, impensierita inoltre per la
tosse della bambina, tenuta su le ginocchia intanto ch'ella lavorava
una gonna nuova a Colombina, con certi cenci regalatile dalla moglie
del proprietario del magazzino per farne un vestitino a quella
creatura. Cardello, a ogni colpo di tosse della piccina, si sentiva
stringere il cuore. Quando non aveva da fare, il suo svago era quello
di tenerla in braccio, di scherzare con lei che non capiva e
balbettava qualche parola insegnatale da lui.

Appena l'Orso peloso cominciava a bisticciare con donna Lia,
Cardello portava via, fuori, la bambina per timore che quel
furibondo non la colpisse picchiando la moglie. Cardello non sapeva
spiegarsi per qual ragione don Carmelo, da qualche tempo in qua,
attaccasse più frequentemente lite con la povera donna, e le
rovesciasse addosso tante parolacce.--Lasciatelo dire, donna Lia! Non
gli rispondete,--egli suggeriva alla padrona.

--S'infuria peggio!

--Ma perchè?

--Perchè è pazzo. Non lo sa neppur lui perchè!--

Cardello dalla via, con la bambina in collo, lo sentiva sbraitare:

--Un giorno o l'altro!... Un giorno o l'altro!....--

Udiva i pianti e gli strilli della disgraziata, e non sapeva che cosa
fare. Se passava qualcuno, lo pregava:

--Per carità, accorrete! Levategliela dalle mani!--

Ma se c'era uno che tentava d'inframmettersi, l'Orso peloso si
rivoltava:

--Che volete voi? In casa mia faccio quel che mi pare e piace!--

E la gente andava via, stringendosi nelle spalle:

--Se la vedano tra loro!--

Qualcuno anche soggiungeva:

--Forse il marito ha ragione.

* * *

Da due giorni c'era pace nel teatrino--don Carmelo diceva sempre
teatrino parlando di quello stanzone che il proprietario soleva
affittare per usi diversi, secondo le occasioni.

Cardello era affaccendato ad attaccare parecchi lumi a petrolio coi
riflettori di latta alle pareti, a trasportare seggiole tolte in
prestito dai vicini per la grande serata--giacchè i signori non
potevano mettersi a sedere sui panconi come la marmaglia -, a provare
i complicati macchinismi della scena pei cangiamenti a vista, mentre
don Carmelo andava attorno a distribuire i biglietti.

Tornando a casa, don Carmelo trovò la moglie in lagrime con la bambina
su le ginocchia, e Cardello che, in piedi davanti a lei, si grattava
il capo e cominciava a singhiozzare anche lui.

--Che cosa è stato?

--Ah! La bambina! Non può inghiottire!

--È passato il dottore; l'ho fatto entrare,--soggiunse Cardello.

--Ebbene?--fece don Carmelo.

--Il dottore tornerà con la medicina; se la farà dare gratis lui.

--O dunque? Non mi fate bestemmiare! Zitta! E tu va' a comprare il
petrolio pei lumi. Ho parlato col droghiere della cantonata; ci fa
credito fino a domani. Zitta!

--Non vi arrabbiate! È figlia vostra!--balbettò la povera donna,
asciugandosi le lacrime, baciando la bambina per raffrenare il
pianto.

Cardello, vedendo il viso rabbuiato e gli occhi torvi dell'Orso
peloso indugiava, per non lasciare donna Lia sola con lui. Quel
peggioramento della bambina capitava proprio in mal punto. Con che
animo la disgraziata avrebbe potuto far la parte di Colombina quella
sera, se lui stesso prevedeva di non saper dire due parole per conto
di Peppe-Nappa e di Peppe-Nino? E lei doveva pure abbigliarsi in
maglia e veste corta e ornarsi dei falsi gioielli di rame con pietre
di vetro colorato; e lui mettersi in camicione col cappellaccio bigio
di feltro, per ricevere nel vassoio, alla porta, la buona grazia dei
signori che sarebbero intervenuti allo spettacolo!

Il dottore non aveva detto niente, ma Cardello, da un significativo
increspare delle sopracciglia e dalla premura di lui di tornare con la
medicina, si era convinto che si trattava di cosa grave. E se durante
la rappresentazione la bambina si metteva a piangere, come avea fatto
tutta quella giornata quasi senza chetarsi un quarto d'ora?

--Ti muovi dunque, pel petrolio?--urlò don Carmelo,

Cardello, presa la latta, stava per uscire quando s'incontrò col
dottore.

--Va male?--gli domandò sotto voce.

Il dottore scosse la testa ed entrò.

Alla vista del vecchietto basso, tutto canuto, che portava in mano una
boccetta con la medicina, don Carmelo si fece avanti ossequioso.

--Questa sciocca si dispera! È vero che non è niente, signor dottore?
Glielo assicuri lei. Me, non mi crede.

--Il posto è umido--disse il dottore. Tenetela a letto... Avete un
letto, qui?--Là dietro, un letto alla meglio--rispose don
Carmelo.--Questa sera do la grande serata pei galantuomini. Se
il signor dottore volesse venire a divertirsi.... La bambina è
abituata all'umido; è nata in un magazzino peggiore di questo.... Un
po' di tosse; si sa, i bambini.... È vero che non è niente, signor
dottore? Tranquillizzi questa sciocca; se no, chi sa che pasticcio
mi fa questa sera!...

--Sì, sì, non è niente.... cioè...--biascicò il dottore, un po'
confuso:--Basta: tenetela ben cautelata. Ritornerò domani.

* * *

Quella sera faceva freddo.

Un pezzo di grossolana stoffa di cotone stinta dall'uso impediva che
gl'indiscreti potessero vedere da fuori quel che si faceva là dentro;
ma non riparava dall'aria frizzante donna Lia in maglia e veste corta,
nè Cardello insaccato nel camicione, col cappello grigio di feltro
su la nuca, e che gli stava accanto, dietro il tavolino, col vassoio
situato tra due candele steariche infisse nei candelieri di stagno. Il
pallore della pelle del viso di donna Lia si scorgeva fin sotto il
rossetto profuso su le guance per l'occasione. Cardello, di tratto
in tratto, si soffiava dentro i pugni per riscaldarsi le mani. Don
Carmelo, già impaziente di veder riempito il locale dalle notabilità
del paese, affacciava la testa capelluta da un angolo del
palcoscenico, e sua moglie che se n'era accorta si sentiva su le
spine, vedendo affollarsi alla porta coi biglietti in mano, le donne
di servizio, i servi, i garzoni di campagna dei cavalieri, che non
avevano creduto dignitoso per loro andar ad assistere all'opera di
don Carmelo.

Lo stanzone era già pieno zeppo, e il popolino tumultuava vedendo
ritardare l'alzata del sipario. A un cenno di donna Lia, Cardello si
mosse per avvertire don Carmelo di dar principio alla
rappresentazione.

Lo trovò che bestemmiava sotto voce, staccando rabbiosamente dal
grosso ferro che li reggeva Santa Genoeffa, il duca, il traditore,
il bambino, la cerva e gli altri burattini. Li buttava da parte con
mala grazia, uno su l'altro, non curandosi di acciaccarne le teste, di
sgualcirne i vestiti, di ammaccarne le corazze, e gli elmi di latta.

--Dice donna Lia....--

Il povero Cardello non potè aggiungere altro, sopraffatto dalla
valanga di improperi che don Carmelo pareva stritolasse tra i denti,
facendo il miracolo di non urlarli ad alta voce, quantunque i rumori,
i battiti di mano, le grida di--Fuori! Fuori!--scoppianti dalla sala
avrebbero impedito di udirli anche se non brontolati a quel
modo. Cardello ebbe un'ispirazione; si mise in bocca il fischio da
Pulcinella e fece sentire uno strillo, una specie di risata o di
ringhio caratteristico.

--Bravo!

--Se no non si chetavano,--disse Cardello, orgoglioso di vedersi
approvato dal padrone.

E il sipario fu tirato su tra il profondo silenzio della
sala. Cardello avea dovuto prendere in mano Tartaglia, mentre don
Carmelo, situato nel centro, dietro il fondo, reggeva Pulcinella. Lo
scenario rappresentava la sala del trono del duca di Brabante, e gli
spettatori eran curiosi di sapere come mai Pulcinella e Tartaglia
si trovassero là. Non meno curioso e ansioso di loro era Cardello,
che non sapeva una sola parola di quel che avrebbe dovuto far dire a
Tartaglia. Si tranquillò vedendo che don Carmelo si affrettava a
fare le due parti ora parlando col fischio da Pulcinella, ora
ingrossando la voce e tartagliando per conto dell'altro burattino.

TARTAGLIA. So... sono arri-arri arrivato in questa città e non
co-conosco nessuno.

PULCINELLA. Città? Dite porcile! Io non vedo l'ora di scapparmene via.

TARTAGLIA. Pe-perchè?

PULCINELLA. Perchè gli abitanti sono peggio dei maiali, tutti, dal
primo all'ultimo.

TARTAGLIA. Co-come? Sono anzi ca-cavalieri, baroni, pri-principi!...

PULCINELLA. Ve lo dico in un orecchio che sono... ma zitto!

TARTAGLIA (contorcendosi dalle risa). Ah! Ah!.... Mi mi scappa! Ah!
Ah!... Mi scappa!

PULCINELLA, Zitto, vecchio imbecille! Altrimenti queste bestie qui
vanno a riferirle ai loro padroni....

TARTAGLIA. Ah! Ah!... Mi scappa!...

PULCINELLA (dandogli un calcio) E lasciatevelo scappare!

TARTAGLIA......

Appena Tartaglia ripetè la parolaccia che Pulcinella gli avea
detto all'orecchio, un grand'urlo e un fitto coro di fischi scoppiò
nella platea.

--Pezzo di ubbriacone! Basta! Basta!--

E una seggiola volò sul palcoscenico, poi un'altra, poi un'altra che
sfondò la scena di carta, dietro lo squarcio della quale si videro le
gambacce di don Carmelo e quelle magroline di Cardello.

Sarebbe avvenuto un gran guaio, se il brigadiere e due carabinieri non
si fossero trovati là a calmare la gente, a prenderla per le spalle, a
farla uscire, assicurando che il domani il burattinaio avrebbe chiesto
scusa ai signori e al pubblico per la parolaccia fatta pronunziare al
povero Tartaglia, che un colpo di seggiola aveva atterrato sul
piccolo palcoscenico.

Quando l'ultimo e più riottoso degli spettatori fu messo alla porta,
il brigadiere si affacciò dietro il palcoscenico dove il burattinaio
già staccava le assicelle dello scenario, dopo aver fatto un gran
fagotto dei burattini preparati per la serata.

--Signor brigadiere....

--Ma come vi è passato per la testa...?

--Li ho chiamati come li chiamano tutti, signor brigadiere.

--Va bene: è l'inguiria, come dicono qui, il nomignolo di cui li
regalano la gente dei paesi attorno....

--E l'offesa fatta a me la contate per niente, signor brigadiere?

--Quale offesa?

--Faccio una serata di onore pei signori, con inviti, a pagamento
s'intende, rimettendomi alla loro buona grazia, alla loro
generosità; il Sindaco accetta di proteggerla.... Mi ha mandato
cinque lire con l'usciere! E i signori intanto.... Che cosa si
credono? Divinità?... Bestie che non capiscono niente dell'arte
dell'opera... perchè altrimenti sarebbero intervenuti e non
avrebbero mandato invece le loro persone di servizio....

--Hanno mandato anche quattrini....

--Gliele ributto in viso le cinquanta miserabili lire che sono ancora
là... Lia, dov'è il vassoio?

--E domani che cosa farete?

--Domani? Ma io vado via sùbito da questo porcile!--

E così parlando, l'Orso peloso non aveva smesso di spiantare le assi
del palcoscenico, di piegare le quinte di carta e il sipario, aiutato
un po' da Cardello che aveva aperto gli occhi spauriti dalla paura
ed era indignato anche lui per l'offesa fatta al suo principale.

* * *

La povera madre, tuttavia in maglia, col rossetto che le si scioglieva
su le guance in larghe righe per le lacrime che le sgorgavano
silenziose dagli occhi--e lei non badava ad asciugarle--era curva su
la piccina, che, stesa sul pagliericcio dietro il palcoscenico, non
tossiva più e non si lamentava più, con nel pettuccio un rantolo che
le moriva nella gola e le faceva fiorire di tratto in tratto bollicine
di bava su le labbra pavonazze.

La povera madre non osava di piangere forte, di gridare:--Figlia,
figlioletta mia!--per non irritare di più il marito che bestemmiava e
brontolava l'ingiuria contro quel porcile e i signori che lo
abitavano; ed erano veri, verissimi porci...--Sì, signor brigadiere!--

Sentendo singhiozzare dietro il palcoscenico, il brigadiere aveva
sporto il capo e si era precipitato verso la donna che si dava pugni
su la testa e si strappava i capelli. Alla vista di lui, sembrò
ch'ella prendesse coraggio, che si sentisse difesa contro la possibile
brutalità del marito, e i singhiozzi le proruppero dalla gola e poi
l'urlo desolante:

--Figlia, figliolina mia!--

Cardello diè un salto giù dal palcoscenico, e scoppiò in pianto
anche lui, con le mani tese verso la morticina quasi avesse paura di
avvicinarsi e la chiamava per destarla, giacchè non gli pareva morta
ma addormentata.

Anche don Carmelo era accorso; e dimenticando il porcile e quei porci
di signori contro cui avea seguitato a brontolare, raccomandava al
brigadiere che tratteneva per le braccia la madre desolata:

--Lasciatela sfogare, signor brigadiere! Sarà meglio!... La portiamo
via; non voglio lasciarla qui.... Neppure morta!--

E con le grosse mani si asciugava inconsapevolmente le lacrime che non
gli inumidivano gli occhi, impietrate dentro....--Neppure morta!
Neppure morta!



IV.

UN DRAMMA.


Rizzavano il palcoscenico nello stanzone dove altre volte don Carmelo
aveva ottenuto grandi successi coi suoi burattini. In quella graziosa
cittadina egli era così conosciuto, che fin l'unico giornaletto
settimanale aveva annunziato come un avvenimento l'arrivo del Re dei
burattinai con molta soddisfazione dell'Orso peloso, come
Cardello continuava a chiamarlo anche quando ne parlava con la
povera padrona, che ne sorrideva. Ma pur canticchiando o saltando,
Cardello non poteva togliersi dalla mente il triste ricordo di quel
viaggio notturno con la morticina avvoltolata nella vecchia coperta di
lana e posta sui cassoni e su le assi e i travicelli di cui era
ingombro il carro. Egli e la inconsolabile madre lo avevano seguito a
piedi, per parecchie miglia, mentre don Carmelo, fumando la pipa, e il
carrettiere un mozzicone di sigaro, seduti su la tavola davanti,
scambiavano di tanto in tanto qualche parola. Poi, all'alba, alla
svolta dove lo stradone provinciale s'incrociava con la strada
comunale, un carrettiere, pregato dall'altro che lo conosceva, li
aveva presi sul suo carro vuoto, ed era stato un ristoro.

La morticina avea dovuto rimanere quasi mezza giornata nello stanzone
prima di esser portata via al cimitero. Erano venuti il medico del
Municipio e il brigadiere dei carabinieri, e la mamma avea ripreso a
piangere e a lamentarsi sommessamente, per non irritare don Carmelo,
che durante la visita del medico e del brigadiere era divenuto di
pessimo umore alle tante domande di costoro.

--Sissignore, è morta per via; chi poteva immaginarselo?

--Non avevate chiamato un medico?

--Due, anzi--mentì don Carmelo--ma non ci dissero che la bambina era
in pericolo.--

Prima che entrasse il beccamorto con la cassetta sottobraccio, una
pietosa vicina aveva trascinato in casa sua la madre per non farla
assistere alla dolorosa scena. Non voleva staccarsi dal cadaverino e
lo baciava e ribaciava, gemendo:--Figlia, figliolina mia, cuor
mio!--Cardello stralunato avea voluto accompagnare la morticina fino
al cimitero, piangendo quasi si trattasse di una sorella.

E ora, aiutando il padrone a inchiodare le assicelle dello scenario e
a piantare i travicelli delle quinte e della bocca d'opera,
canticchiava e zufolava sottovoce per ingannare la gran pena che aveva
nel cuore.--Purchè non ci porti sfortuna!--brontolava don Carmelo.

E mandò a chiamare la moglie, perchè lavorasse anche lei.

--Durerà eterno questo pianto? Dovresti anzi essere contenta che la
bambina non soffra più e stia in Paradiso.--

E parlò in modo così brusco, che la povera donna si fece forza, si
asciugò le ultime lacrime, prese in mano il vestito del Tartaglia
stracciato dal colpo di seggiola nella memorabile serata, e cominciò a
rammendarlo.

Don Carmelo avea ritrovato parecchi vecchi amici che venivano a
vederlo lavorare, non sapendo come meglio occupare il lor tempo; e,
ogni volta, mandava a prendere un litro di vino dalla vicina osteria
per ricambiare la stessa cortesia che qualcuno di loro gli usava la
sera colà. Bevevano, ciarlavano, e uno di essi il più giovane, gli
ripeteva una facezia che faceva aggrottar le ciglia a don Carmelo:

--Vecchio peccatore! Non vi bastava Colombina! Avete voluto anche
una mogliettina giovane e bella!--

Costui era sempre allegro; raccontava storielle che facevano fin
sorridere donna Lia, suonava la chitarra, cantava canzonette un po'
sboccate, e quando don Carmelo dimenticava di far prendere il solito
litro di vino, diceva a Cardello:

--Senz'offesa, don Carmelo... mando il ragazzo qui vicino. Su,
panperso: un litro, e del migliore.--

Don Carmelo nei primi giorni non se n'era offeso; ma a poco a poco la
frequenza di Tano Spaglia cominciò ad annoiarlo.

Costui veniva, la sera, a godersi gratis l'opera; la mattina, col
pretesto di dargli il buon giorno, passando; e nelle ore pomeridiane,
per far quattro chiacchiere e spassarsi con la chitarra, la più
stupenda chitarra che gli fosse capitata tra le mani, diceva; e un
giorno o l'altro avrebbe finito col portarsela via, di nascosto, se
don Carmelo non si decideva a vendergliela; l'avrebbe pagata quel che
lui voleva, s'intende.

Don Carmelo intanto non aveva coraggio di dirgli:

--Fammi il piacere, amico; non starmi sempre tra' piedi!....--

Infatti quando non veniva solo, si trascinava dietro gli altri vecchi
amici di don Carmelo, perchè nello stanzone dell'opera si stava con
più libertà che all'osteria, ed era un divertimento star a veder
rivestire i pupi, e lavorare le teste e le mani di legno che don
Carmelo con quattro colpi di sgorbia e con un coltellino abbozzava,
rifiniva e poi colorava con la vernice.

Gl'introiti delle serate andavano benissimo. Folla ogni sera, da dover
rimandare la gente; e a desinare vassoi di vermicelli e tocchi di
carne e frutta e vino: sembrava carnevale ogni giorno, come diceva
Cardello, che ingrassava a vista d'occhio. Donna Lia (era naturale)
stonava in mezzo a tutto quello sperpero e tra tanta allegria, vestita
di nero, con gli occhi cerchiati di livido perchè appena restava sola,
con la porta chiusa, si sfogava a piangere la morticina del suo cuore,
quasi non fosse già trascorso qualche mese dalla sera della disgrazia.

Invano Tano Spaglia le diceva scherzando:

--Ma via! Figli e guai non mancano mai!

--Mutiamo discorso!--brontolava don Carmelo.

* * *

E ogni sera, terminata la rappresentazione, mentre marito e moglie si
coricavano nel misero giaciglio dietro il palcoscenico, Cardello li
sentiva leticare sottovoce e sentiva il colpo di un ceffone o di un
pugno che strappava degli ahi! ahi! alla poveretta.

Due notti appresso la lite fra marito e moglie si era
incalorita. Cardello udiva ringhiare don Carmelo:

--Devi dirglielo tu!... Altrimenti lo prendo per le spalle e lo butto
fuori a calci!... E commetto qualche sproposito!... Zitta! Zitta!
Ieri, perchè è venuto dopo di avermi incontrato nella Piazza della
Matrice? Che cosa ti ha detto?... Rispondi! Parla!--

La voce di don Carmelo era avvinazzata; e donna Lia rispondeva
soltanto coi singhiozzi e con l'esclamazione:--Madonna Santa!--

Tutt'a un tratto... Cardello si era rizzato sul pagliericcio steso
in un angolo. Avrebbe voluto accorrere.... Nel buio accadeva
certamente qualcosa di terribile. Don Carmelo bestemmiava, donna Lia
gridava:--Oh Dio! No! No!--

Cardello gridò:

--Don Carmelo!... Donna Lia!....--

Un rantolo... e poi niente! Un zolfanello fu acceso, e un lume; e
Cardello si vide apparir davanti don Carmelo in camicia e mutande
tutto insanguinato....

--Don Carmelo!... Don Carmelo!....--

L'Orso peloso, con gli occhi sbarrati, coi capelli irti, si
rivestiva in fretta, apriva la porta e scappava senza neppure dirgli
una parola, quasi non avesse udito il grido di lui e non si fosse
neppure accorto della sua presenza.

Cardello, balzato in piedi, si era affacciato, esitante, dietro il
palcoscenico. La padrona, con metà del corpo fuori del giaciglio, le
braccia tese e le mani increspate, versava ancora sangue da una larga
ferita alla gola, immobile; e i capelli diguazzavano, sciolti, nella
rossa pozza che si allargava... si allargava.

--Aiuto! Aiuto, santi cristiani!... Aiuto! Aiuto!--

Correva da un punto all'altro della via come impazzito dal terrore.

--Che cosa è stato!--gridò uno dal terrazzino di faccia....

--Hanno ammazzato.... Aiuto!

--Chi hanno ammazzato?

--L'Orso peloso ha ammazzato la moglie!

--Quale orso, imbecille?--

Cardello si accorse che nello smarrimento gli era sfuggito il
nomignolo che colà nessuno poteva capire a chi si riferisse; e
soggiunse subito:

--Don Carmelo, il puparo! Aiuto! Aiuto!--

In pochi minuti, lo stanzone era pieno di gente del vicinato accorsa
alle grida di Cardello. Il quale, seduto su lo scalino della porta,
piangeva tenendosi le mani e balbettando:

--Mamma mia! Ora come farò? Mamma mia!--

Qualcuno era andato a chiamare i carabinieri.

--Com'è stato?--voleva sapere il brigadiere.

--Che ne so? L'ha ammazzata lui.... È scappato!

--Perchè l'ha ammazzata?

--Che ne so? Io dormiva! Ho sentito un urlo... Eravamo al buio... Poi
lui ha acceso un lume si è vestito... tutto insanguinato, mani e
camicia... Ah mamma mia!

--Signori miei, sgombriamo!....--

Il brigadiere e gli altri due carabinieri spingevano fuori i curiosi,
impedivano che altri entrassero; e lasciati i subalterni a far la
guardia all'uccisa, conduceva via con sè Cardello alla caserma....

--Non piangere! Non aver paura... Devi dirmi la verità.--

Cardello era istupidito dalla paura che lo mettessero in carcere, e,
balbettando, rispondeva al brigadiere:

--Che c'entro io? L'ha ammazzata don Carmelo!--

E quando si sentì rassicurato, e udì dirsi dal brigadiere:--Ti
rimanderemo al tuo paese, senza che tu spenda un soldo,--si rammentò
che tra un fagotto dei suoi vestiti vecchi e di poca biancheria,
avvolte in un fazzoletto, egli teneva nascoste sette lire, due di
argento e cinque di spiccioli.--La roba e il danaro me li daranno?

--Andremo a prenderli domani. Intanto buttati su quel letto e cerca di
dormire.--

Sfinito dal pianto e dalla terribile commozione, Cardello si
addormentò quasi sùbito... Ma che sognacci!....



V.

IL PADRE CAPPELLANO.


Ti rimanderemo al tuo paese--gli aveva detto il brigadiere.

Ma oramai egli aveva preso gusto a quella vita errabonda; e se avesse
avuto quattrini, o se il Pretore, invece di sequestrare tutti i
burattini di don Carmelo, li avesse lasciati in mano di lui, gli
sarebbe bastato l'animo di continuare a fare il burattinaio per
proprio conto. Sapeva a memoria molte parti e riusciva ad imitare
così bene la voce dell'Orso peloso secondo i diversi personaggi, che
col solo aiuto di un ragazzo per muovere un altro burattino, lo stesso
aiuto che da principio egli aveva dato a don Carmelo, si sarebbe
potuto guadagnare facilmente il pane.... Mah! Mah!

L'Orso peloso gli soleva ripetere, le rare volte che era di buon
umore:

--Prima di morire, voglio far testamento e lasciare ogni cosa a te!
Non ho parenti in questo mondo, e non posso portarmi i burattini
nell'altro per far l'opera in Paradiso o nell'Inferno dove
andrò. Intanto non ho intenzione di morire presto; sarò sempre in
tempo pel testamento.

E Cardello, ogni sera, avanti di addormentarsi, aveva fantasticato a
lungo intorno al caso che lo avrebbe reso padrone di quelle parecchie
dozzine di pupi, e di tutti gli attrezzi del teatrino, augurando
però al padrone lunga vita, anche perchè così avrebbe potuto
strappargli interi i segreti del mestiere di burattinaio, di cui già
era infatuato come del più bel mestiere di questa terra.

Invece, ora si trovava solo, in mezzo a una via, pieno di sgomento per
l'avvenire. Quel po' di danaro sarebbe stato appena sufficiente a
farlo vivacchiare una settimana. E poi?

Ancora gli sembrava un brutto sogno tutto quel che era accaduto; e una
mattina, più scoraggiato che mai, si era seduto su gli scalini della
chiesa del monastero di Santa Chiara, coi gomiti appoggiati alle
ginocchia e la testa tra le mani. Aveva il cuor grosso e gli occhi
pieni di lacrime.

--Eh!... di': tu sei il ragazzo del burattinaio che ha ammazzata la
moglie, è vero?--

Colui che gli rivolgeva questa domanda gli avea posato una mano su la
spalla quasi per scuoterlo da quello stato di tristi riflessioni.

Cardello rizzò la testa e lo fissò impaurito.--Senti,--riprese
quegli:--se tu volessi allogarti per servitore, faresti la tua
fortuna.--

E senza dargli tempo di rispondere continuava:

--In casa del signor Decano Russo, che è anche cappellano di questo
monastero. Vieni con me in sagrestia. Non potresti trovar di meglio,
se hai voglia di mangiar tutti i giorni la santa grazia di Dio. Si
mangia bene in casa del signor Decano; dolci a bizzeffe. Ti
piacciono i dolci? E poco da fare: andargli dietro dalla casa alla
chiesa quando va a recitare l'uffizio o ad assistere alla messa
cantata; reggergli l'ombrello, quando piove; lustrargli le
scarpe... e fargli da mangiare... Oh, se tu non sai, egli
t'insegnerà. Ne sa più lui che un cuoco... Su, vieni in sagrestia;
sta prendendo il caffè coi biscottini.--

Cardello esitava. Quel vecchietto col collare e la papalina non
voleva farsi beffa di lui?--Sono il sagrestano,--soggiunse colui,
vedendosi guardato con tanto d'occhi.--Spicciati, vieni.--

Il Decano era seduto su un seggiolone con piano e spalliera di cuoio,
vicino alla grata che aveva una piccola ruota in un angolo. Sul
tavolino, il vassoio con la tazza vuota, il bricco e un altro vassoio
con un resto di biscotti indicavano che egli aveva finito allora
allora la sua colazioncina.

Grasso, corto, bianco di capelli, con un bel faccione rotondo, mani
piccole e ben fatte, e il grosso anello decanale di smeraldo a un dito
della mano destra, il cappellano conversava con l'Abadessa, quando il
sagrestano introdusse Cardello, che lo avea seguito riluttante e
quasi trascinato pel braccio.

--Ecco, padre cappellano, il servitore che ci vuole per vossignoria.--

Il Decano squadrò Cardello da capo a piedi.

--È il ragazzo del burattinaio che ha ammazzato la moglie. Si trova
disoccupato. Può provarlo una settimana, un mese. Mi hanno
assicurato che è un buon ragazzo, svelto, intelligente; quel che ci
vuole per vossignoria. E arriva proprio in tempo.

--Che cosa sai fare?--domandò il Decano con voce incoraggiante.

--Il burattinaio,--rispose Cardello.

--Va bene,--riprese il Decano sorridendo:--Ma in casa mia occorre di
fare tutt'altro.

--Gliel'ho già spiegato quel che dovrebbe fare,--soggiunse il
sagrestano.

--Sì, sì, figlio mio; lascia il brutto mestiere di burattinaio, che fa
commettere tanti peccati alla gente. Il signor Cappellano ti
tratterà bene, da buon sacerdote.--

Si udiva una dolce voce femminile dietro la grata, voce di donna
matura, ma con qualcosa di così fresco e di gentile, di materno, che
Cardello si era sentito rimescolare tutto, quasi da quell'oscurità
gli avesse parlato la misera donna Lia; giacchè la voce dell'Abadessa
somigliava molto quella dell'assassinata, che gli avea davvero voluto
bene come a un figlio.

--Che ne dici?--riprese il Decano:--Puoi entrare in servizio fin da
questo momento. Il mio vecchio servo è morto ieri l'altro. È stato
con me diciotto anni.

--Se mi vuole...--balbettò Cardello.

--Ma bisognerà farsi togliere cotesti capellacci da oprante.

--E il signor Decano ti rivestirà da capo a piedi....

--S'intende, s'intende... Intanto prendi questi biscotti, col permesso
della nostra madre Abadessa... Mangiane tre, quattro. Gli altri
mettili in tasca... e ringrazia la madre Abadessa.

--Grazie,--pronunziò Cardello con voce affiochita dalla commozione.

* * *

Otto giorni dopo, chi lo avrebbe riconosciuto, vestito tutto di nero,
con abito lungo e cappello a staio e le mani affogate in un paio di
guanti di lana color cioccolata? Si sentiva un po' buffo, quasi in
maschera; ma che importava? Fin dalla prima giornata Cardello avea
capito che col signor Decano si poteva stare benissimo, e che la
fortuna lo aveva proprio aiutato.

Il signor Decano, in verità, gli sembrava un po' matto, con quella
grande smania per la pulizia. Cardello, appena entrato in casa,
aveva ricevuto la prima istruzione:

--Quando viene qualcuno non permettere che metta il piede dentro, se
non si è ripulito perfettamente le scarpe in questi ferri e nella
pedana. Fosse il re in persona, non entri se non si è ripulito le
scarpe. Hai capito?

---Sissignore.

--Si risponde: "Eccellenza, sì". E bada, oggi ti ho lasciato venire al
mio fianco dal monastero fino a qui. Non sapevi; il burattinaio non
poteva insegnarti la buona educazione, ed ho lasciato correre per
non darti una mortificazione lungo la strada. Ma il servitore deve
seguire il padrone a dieci passi di distanza, tenendosi un po' su la
sinistra. Guarda; così. Io vado avanti: uno, due, tre,
cinque... dieci passi; muoviti, un po' più a sinistra, tenendo
sempre la stessa distanza. Bravo! Non ridere; sono cose serie. Hai
capito, ora?

--Sissi... Eccellenza, sì.

--Tu non sei il servitore del primo venuto, ma del Decano Russo della
Matrice... Questo grosso anello con la pietra verde può portarlo al
dito soltanto il Decano; gli altri canonici, no. E il Decano tuo
padrone è anche cappellano delle monache di Santa Chiara. Per
questo, domani andrai dal barbiere a farti tagliare i capelli,
corti, a spazzola, come devono portarli i servitori della gente
perbene, dei signori. Parrai un altro... Ed ora, aiutami a
svestirmi. Il cappello va sùbito spolverato, con questa spazzola
fine, delicatamente, e poi riposto nella scatola là, sempre a quel
posto, per l'ordine. Il mantello, in quell'armadio, e il robone
pure, ben spazzolati; hai capito?

--Eccellenza, sì.

--E per cucinare?

--So cucinare i maccheroni.

--È poco. T'insegnerò; dovrai imparare. L'arrosto, il fritto, l'umido,
e gl'intingoli... Il dolce ce lo manderanno tutti i giorni le
monache. Per questo passo tre, quattro ore al giorno ad ascoltare le
sciocchezze che mi dicono dietro la grata del
confessionile... Pettegolezzi di teste fasciate... Ma i dolci sono
eccellenti... E poi io non la penso come quel tale che diceva:

    o paglia o fieno
    purchè il ventre sia pieno!

Ci vuole buona carne, buon brodo, buon pesce... Imparerai a far la
spesa, venendo con me, nei giorni che io sarò impedito. I macellai
sono ladri, e i pescivendoli peggio. Occorre aprire tanto
d'occhi. Mentre io reciterò l'uffizio, tu lustrerai le scarpe e gli
stivali, ogni giorno, e spazzerai le stanze, e spolvererai i mobili, i
quadri..., delicatamente. Gli stivali, pei giorni di pioggia, devono
essere sempre pronti. Dieci paia di scarpe e cinque paia di
stivali. Monsignore dice che gli stivali non sono da sacerdoti... Ma
l'umido del fango, se mai, non se lo prende lui, e i reumi
neppure. Alla mia salute devo badare io. Se mi buscassi un malanno,
non verrebbe Monsignore a togliermelo di dosso... E il letto? Sai
rifare un letto? La mattina, si disfà, abballinando le materasse
perchè prendano aria... E poi... le lenzuola ben stirate, ben
rincalzate dal capezzale, da qui e dai lati, da non fare una grinza;
la più piccola grinza non mi farebbe dormire.--

Cardello, abituato con l'Orso peloso che parlava poco e a scatti,
si sentiva un po' intronata la testa dalla parlantina del nuovo
padrone; e lo guardava maravigliato, quasi sospettoso che dentro quel
corpo corto, grassoccio, roseo, fosse nascosto un meccanismo da fargli
muovere rapidamente la lingua.

E nei due giorni dopo, altre e altre istruzioni e raccomandazioni.

Cardello, che si riconosceva appena da sè, coi capelli rasi,
guardandosi nello specchio, fu però a un pelo di scappar via quando il
signor Decano gli fece indossare quel vestito nero con cui doveva
andargli dietro a dieci passi di distanza, portando sotto braccio
l'ombrello di seta rossa, grande quanto una casa, col manico di rame,
fosse cattivo tempo o no, perchè non si sapevano mai, uscendo di casa,
i capricci della stagione.

Era un abito smesso del padrone, che non portava sempre la veste
talare. Spelato nelle maniche, rossiccio, era stato una specie di
livrea pel vecchio servitore morto, ed ora doveva servire per
Cardello.

--È un po' largo, un po' lungo; ma tu crescerai, e tra qualche mese ti
andrà bene. Tutt'al più, faremo un po' scorciare le maniche e anche
i calzoni.--

Quando Cardello vide presentarsi la tuba, fece un gesto di
ribellione:

--Mi burleranno,--disse, quasi piagnucolante.

--Parrai un signore, coi guanti.--

La tuba gli scendeva su gli orecchi.

--È troppo larga per me!

--Con un po' di carta torno torno dietro il cuoio.... È quasi nuova.

Cardello scoppiò a ridere vedendosi infagottato a quel modo.

Che cosa doveva fare, povero Cardello? Perdere quella fortuna? Lo
avevano burlato al suo paese, quando aveva indossato il camicione
bianco e il cappellone di feltro, col tamburo su la pancia, e lui non
se l'era presa. Avrebbe fatto lo stesso ora in quella cittaduzza dove
pochi lo conoscevano.

E la prima mattina che uscì così mascherato, come egli diceva, andando
dietro al padrone a dieci passi di distanza, con l'ombrello di seta
rossa sotto l'ascella, camminava impacciato, a occhi bassi, senza
punto curarsi se la gente ridesse di lui. Ridevano le monache in
sagrestia dietro la grata, affollate per vedere il nuovo servitore del
cappellano; ma l'Abadessa gli fece prendere una tazza di caffè coi
biscottini, e il signor Decano, per quella volta soltanto, permise
ch'egli godesse del regalo su lo stesso tavolino ma in piedi,
discretamente discosto.

E la madre Abadessa lo felicitò di aver rinunziato al mestiere di
burattinaio, che--ripetè--faceva commettere tanti peccati alla gente,
perchè l'opera, se non lo sapeva, è invenzione del demonio.

--Rappresentavamo anche il martirio di Santa Genoeffa--disse
Cardello, che non riusciva a persuadersi che l'opera fosse
invenzione del demonio.

--Il demonio sa tutte le male arti; si traveste anche da santo per
ingannare gli uomini. Ora tu devi apprendere le cose di Dio che
t'insegnerà il padre cappellano.



VI.

UNA RECITA IN PARLATORIO.


Invece delle cose di Dio, il padre cappellano pensava a insegnargli
ad arrostire le costole di maiale; a fare lo stufato pei maccheroni;
il brodo coi galletti che le monache allevavano nell'orto per lui;
certi intingoli ghiotti e un po' complicati che richiedevano grande
attenzione; e una frittata delicatissima, per la quale bisognava
sbattere prima le chiare delle uova a parte e poi i torli, anch'essi a
parte.

--Le chiare si sbattono finchè si riducono tutt'una spuma; vi si
mescolano i torli, aggiungendo poche stille d'acqua, e giù nella
padella con l'olio che frigge. Così... osserva bene. Ora puoi
servire in tavola.

Le ore passate in cucina erano uno svago per Cardello. Ma che noia
le altre, lunghe, passate ad attendere nella sagrestia del monastero
il cappellano che confessava, o in quella della Matrice mentre quegli
recitava l'uffizio al coro, con gli altri canonici! E che noia, in
casa, quando avea finito di lustrare scarpe e stivali, di spazzare, di
spolverare, di rifare i letti!

Il signor Decano preparava nella stanza da studio le prediche e i
sermoni da fare tutte le domeniche alle monache di Santa Chiara; e
lui, nell'anticamera, per ingannare l'ozio, si metteva a ripetere
sottovoce le parti di Peppe-Nappa, di Tartaglia, di
Pulcinella, di Colombina, facendo da burattino, gesticolando,
sgambettando, dimenticando talvolta che il padrone poteva udirlo, e
sgridarlo se lo sorprendeva in quel giuoco.

Un giorno, infatti, egli si era talmente entusiasmato nella
recitazione delle parti, che il signor Decano, intrigato di sentir
parlare di là, come credeva, parecchie persone, aveva aperto
delicatamente l'uscio a fessura ed era rimasto un pezzo a divertirsi
dell'inattesa rappresentazione.

--Bravo, bravo, don Calogero!--

Il signor Decano non lo chiamava Cardello, ma col nome di battesimo
a cui aveva appiccicato il don, perchè i suoi servitori avevano
avuto tutti il don.

Cardello si aspettava una lavata di capo; invece il signor Decano
rideva, rideva, e volle che proseguisse.

--Domani, dovrai ripetere la rappresentazione nel parlatorio delle
monache; sarà un gran divertimento per loro!

--Ma la madre Abadessa dice che l'opera è invenzione del demonio--fece
Cardello, che all'idea di dover rifare le buffonate di
Peppe-Nappa e di Tartaglia davanti a quell'uditorio temeva
d'impappinarsi e di sentirsi morire le parole in gola.

--L'Abadessa chi sa che cosa s'immagina! Quel che fa ridere non è
peccato.

* * *

Fu un gran trionfo per Cardello. Da principio le molte teste di
monache e di educande affollate dietro le cinque grate del parlatorio,
e che ridevano anticipatamente soltanto a vederlo in mezzo al grande
stanzone, infagottato in quell'abito che gli scendeva fin sotto le
ginocchia, ritto, in attesa di cominciare la rappresentazione, lo
avevano intimidito. Ma la vanità di far mostra della sua arte gli rese
quasi sùbito una gran padronanza di spirito. Egli era Tartaglia,
Pulcinella, Colombina, Peppe-Nappa, il Bravo mafioso con la parlata
strascicante alla palermitana, uno alla volta, ma dava l'illusione che
parlassero più personaggi, ingrossando e affinando la voce, secondo le
diverse parti. Dietro le cinque grate era un continuo scoppio di
risate, di esclamazioni, di strilli allegri, e il Decano seduto in un
angolo davanti al gran tavolino di noce, vicino alla grata accanto al
finestrone, rideva lietamente anche lui quando Pulcinella fingeva di
prendere a calci e a pugni Peppe-Nappa, o faceva le viste di
ricevere una fitta di legnate dal Bravo mafioso, che poi scappava,
appena Pulcinella, rimessosi dal primo sbalordimento, gli levava di
mano il bastone e lo tempestava di colpi.... Sembrava di vederli!...

Cardello aveva accozzato alla meglio tutte le parti che gli erano
venute in mente; e all'ultimo, mentre Tartaglia benediceva gli
sponsali di Colombina con Pulcinella, tartagliando peggio di prima
e piangendo dalla consolazione di maritare la figlia, le risate furono
tali che Cardello si mise a ridere anche lui.

Gli era parso di esser tornato ai bei tempi, quando già cooperava con
don Carmelo alle rappresentazioni e fin l'Orso peloso gli diceva:
bravo!... E uscendo dal parlatorio, e seguendo a dieci passi di
distanza il padrone, con un fazzoletto pieno di dolci in una mano, e
l'ombrello di seta rossa sotto l'ascella, rivedeva la bambina morta,
la povera uccisa, e don Carmelo che avrebbe finito la sua vita nel
carcere a cui lo avevano condannato appunto in quei giorni, come se
n'era sparsa la notizia; e mai come in quel momento il vestito nero,
la tuba e i guanti color cioccolata gli erano pesati addosso peggio di
una ridicola mascheratura.

--Sei contento?--gli domandava talvolta il sagrestano che lo aveva
allogato presso il signor Decano.

--Contentissimo!--

Non osava di dire che si annoiava mortalmente, specie la sera quando
il signor Decano, fatto un giro d'ispezione assieme con lui per le
stanze e gli stanzini, si metteva a letto di buon'ora, e voleva che
andasse a letto anche Cardello.

Era venuto l'inverno; le nottate non finivano più. Cardello si
voltava e rivoltava nel lettuccio, senza poter chiuder occhio prima di
parecchie ore di veglia. Le rappresentazioni dei burattini finivano
appunto verso le undici ed egli si era ormai abituato a non andare a
letto prima dell'una dopo la mezzanotte. Ah! se avesse potuto trovare
un altro burattinaio come don Carmelo! Avrebbe abbandonato volentieri
anche quella cuccagna dove minacciava d'ingrassarsi peggio del
padrone, pur di fare una vita più attiva, più varia! Là sempre le
stesse cose: alzarsi, preparare il caffè col torlo d'uovo e i biscotti
pel signor Decano, spazzare le stanze, rifare i due letti, spolverare,
lustrare scarpe e stivali, accompagnare il padrone dal macellaio,
dall'erbaiuolo, dal pizzicagnolo e poi al monastero per la messa alle
monache, e alla Matrice pel coro e per la messa cantata, e tornare a
casa a preparare il desinare. Dopo un anno, in cucina poteva fare
tutto da sè, quantunque il signor Decano si affacciasse spesso colà
per dargli, e non occorreva, una mano di aiuto e insegnargli qualche
nuovo intingolo col Libro dei Cuochi sotto gli occhi. E andando al
mercato, o stando in cucina, il signor Decano non scordava mai di
fargli ripetere:

--Su, don Calogero; come diceva quel bestione?

    O paglia o fieno,
    Pur che il ventre sia pieno--

--Diteglielo anche voi: "Bestione!"

--Eccellenza, sì: Bestione!--

E la pancetta del signor Decano sobbalzava allegramente per la larga
risata che quel "Bestione!" provocava.

Il Decano aveva avuto la buona idea d'insegnargli a leggere e a
scrivere, meglio che non avesse fatto don Carmelo, che lo aveva
abbandonato quando cominciava a compitare, e d'insegnargli inoltre le
quattro regole dell'aritmetica. Cardello aveva appreso con
facilità. Ma dei libri del padrone che egli si era provato a leggere,
capiva soltanto alcune vite di santi e qualche volume di prediche. Non
erano divertenti, specialmente questi. Non dovevano divertire neppure
il padrone, se li lasciava mangiare dalla polvere nei vecchi scaffali,
in uno stanzone che serviva anche di riposto per tutti gli arnesi resi
inservibili dall'uso.

Leggeva e rileggeva il Libro dei Cuochi che il signor Decano teneva
sul tavolino, accanto ai quattro volumi del breviario rilegati in
pelle nera, e che egli dichiarava il primo libro del mondo. Ogni volta
che Cardello gli diceva:--Permette, voscenza?--il Decano gli
rispondeva:

--Anzi! Anzi! Dovreste impararlo a memoria!--

Se non che accadeva spesso che quando al signor Decano veniva il
capriccio di tentare un piatto nuovo, pareva che il primo libro del
mondo s'ingegnasse di far andar a male gl'ingredienti. Sissignore;
tante once di questo, tante di quello, tante di quell'altro... con le
bilance sul tavolino per pesare esattamente ogni cosa; e appena il
nuovo piatto veniva portato in tavola, il signor Decano affrettatosi
ad assaggiarlo, esclamava sempre:

--Ci siamo!--

Spessissimo si vedeva però che non c'erano affatto, perchè sùbito il
signor Decano diceva a Cardello:

Don Calogero, mangiatene pure quanto volete; io ho lo stomaco
ripieno. O serbatelo per domani; sarà buono lo stesso.--

Segno che il piatto era riuscito immangiabile.

E allora passavano mesi prima che la confezione di un altro piatto
nuovo venisse a tentare il signor Decano.

* * *

Dopo due anni di questa vita, Cardello aveva giornate e settimane di
cattivo umore, nelle quali sbrigava alla lesta le faccende di casa, e
non si curava che il signor Decano lo rimproverasse:

--Ah, don Calogero! Don Calogero! Così non va bene! Tutta questa
polvere qui!... E i vestiti spazzolati alla diavola! E le scarpe
lustrate alla peggio! E l'arrosto bruciato! E il pesce fritto
malissimo! Che vi prende da qualche tempo in qua?--

Che mi prende?--rispose un giorno Cardello:--Mi prende che io me ne
vado e le bacio le mani.

--Perchè, don Calogero? Perchè? Vi par poco il salario?

--Mi annoio, Eccellenza! Ecco la verità!

--Me ne dispiace più per voi che per me. Che vi manca qui?

--Eccellenza, non mi manca niente.

--O dunque?

--Me ne vado e le bacio le mani.

--Fate come vi piace. Ve ne pentirete presto.

E quindici giorni dopo, Cardello baciava le mani al signor Decano,
ringraziandolo del bene che gli aveva fatto; ma lietissimo di non più
dover indossare l'abito lungo e portare la tuba in testa e l'ombrello
rosso sotto l'ascella; di non più dover seguire il padrone a dieci
passi di distanza, e di non più star a sbadigliare nella sagrestia del
Monastero di Santa Chiara mentre il padrone confessava le monache, o
in quella della Matrice mentre recitava, nel coro, l'uffizio con gli
altri canonici. No; quella vita troppo monotona non era per lui. Un
mestiere libero, all'aria aperta, ecco quel che ci voleva. Avrebbe
sofferto, avrebbe lottato, ma voleva riuscire qualcosa di meglio di un
servitore.

Ai burattini non pensava più. Era impossibile incontrarsi in un altro
don Carmelo, davvero Re dei burattinai. Il gruzzoletto dei salarii,
accumulato in due anni, gli sarebbe bastato per vivere parecchi mesi,
caso mai non avesse potuto trovar sùbito dove impiegarsi. Avrebbe
fatto fin lo sterratore, il manovale, ora che davano mano ai lavori
per la conduttura dell'acqua, ed era arrivato l'impresario piemontese,
che, dicevano, pagava bene gli operai. Qualunque mestiere, ma il
servitore, no, non più! E pensando che per due anni si era dovuto
mascherare con l'abito nero fino alle ginocchia, la tuba e l'ombrello
rosso sotto il braccio, sentiva un grand'impeto di rabbia contro di
sè, e non riusciva a capire come si fosse potuto rassegnare tanto
tempo senza buttar ogni cosa per aria.



VII.

UNA SCOPERTA ARCHEOLOGICA.


Il giorno dopo, si presentava all'impresario piemontese:

--Vorrei lavorare....--

Colui gli guardava le mani.

--Ma voi non siete operaio.

--Mi metta alla prova.

--Sapete leggere e scrivere? Qui gli operai, i contadini, sono più
ignoranti delle bestie.

--Sono brava gente, però,--rispose Cardello.

--Non dico il contrario; ma io ho bisogno di qualcuno che sappia
leggere e scrivere.

--Alla meglio, pochino so, e so anche far di conto, addizione,
moltiplicazione, divisione, sottrazione!

--Che mestiere esercitate?

--Ho fatto... il servitore finora, due anni. Prima, ero giovane di don
Carmelo il burattinaio, quello che ammazzò la moglie.

Vi prenderei per sorvegliante, giacchè sapete leggere. Una settimana
di prova: se vi va, se mi andate, bene; altrimenti, ciao!--

Così Cardello diventava sorvegliante di una squadra di operai, e
dopo un mese, era la mano diritta dell'impresario che gli aveva dato
alloggio in casa sua, e lo mandava qua e là e si faceva preparare il
desinare perchè il Piemontese (lo chiamavano così) mangiava una
volta al giorno, ma quella volta diluviava e beveva per quattro, da
sbalordire Cardello che non sapeva persuadersi dove quegli mettesse
tanta roba, secco e allampanato com'era.

Di enorme, colui aveva soltanto gli orecchi, che sembravano due sotto
coppe appiccicate dietro le tempie, e si movevano stranamente mentre
masticava; Cardello guardandolo, si tratteneva a stento dal ridere.

Or accadde che nello scavare la conduttura, gli operai incontrassero
sotto i picconi e le zappe una gran lastra di pietra. Sollevàtala, fu
scoperta una tomba con le ossa di uno scheletro mezze abbruciacchiate,
due bei vasetti verniciati neri con figure in rosso, e tre vasetti e
una lucerna rozzi, di terra cotta senza vernice.

--Fermi!--gridò Cardello:--Nessuno tocchi niente. E tu--soggiunse
rivolto a un operaio:--va' a chiamare il padrone. Intanto scaviamo
più in là.--

Quando l'impresario arrivava, era già in vista, a fior di terra,
un'altra tomba.

Cardello tentava di sollevare da solo la lastra, con grande
precauzione, perchè gli oggetti che forse vi si trovavano dentro, come
nell'altra, non venissero danneggiati.

Visti i primi vasetti, l'impresario, con gli occhi sfavillanti di
gioia, gridò agli operai che si erano affollati attorno a Cardello:

--Via tutti, al lavoro! Laggiù!--

Palpava i vasetti, li ripuliva col fazzoletto dal terriccio che vi si
era appiccicato attorno, e diceva a Cardello:

--Su, pòrtali a casa, involtati in questo giornale, e torna
sùbito. No, aspetta. Solleviamo questa lastra. Farai unico
viaggio. La lastra resisteva, come avea resistito ai soli sforzi di
Cardello.

--Sono del tempo dei Saraceni--diceva questi, intendendo di accennare
all'epoca più remota ch'egli potesse concepire.--Bevevano poco
costoro,--soggiunse:--se usavano questi fiaschetti col collo
lungo.--

E rise.

Non rideva il Piemontese, a cui per la gioia della scoperta, erano
diventati rossi infocati gli enormi orecchi.

--Scalza il terreno da quel lato, leggermente; io farò leva col palo
da questo.--

All'urto del palo, la lastra si spezzava, affondandosi nella tomba e
stritolando i vasetti che vi erano dentro.

Il Piemontese cominciò a bestemmiare nel suo dialetto; Cardello
credeva così, non intendendo la sequela di countag! che gli
scappavano di bocca, mentre egli rovistava tra il terriccio
raccattando i pezzi, e tentando d'indovinare come avrebbero dovuto
essere incollati. Il peso della lastra aveva spezzato i più fragili e
i più belli: tre, di semplice e rozza terracotta, erano rimasti
intatti.

--Ecco dei soldi,--esclamò Cardello, tirando fuori alcune monete di
rame.

--Cerca bene; vi saranno altre monete.

E il Piemontese frugava intentamente anche lui, carponi, con la
testa in giù quasi nel vuoto della tomba, buttando via le poche ossa
che gli capitavano sotto mano, e ruzzolando per la china un teschio
con tutti i denti, che fece dar uno sbalzo di paura a Cardello.

--E zitto, se ti domandano che cosa abbiamo trovato. Intanto porta via
quei vasi!... Torna sùbito.

* * *

Da quel giorno in poi, il Piemontese andava laggiù, sin dalle prime
ore del mattino, e teneva lontani gli operai, mentre egli e Cardello
tastavano il terreno per scoprire altre tombe.

E la sera, desinando, il Piemontese non parlava di altro che dei
vasi e delle statuette trovati nella giornata.

Le tombe erano in fila, una accanto all'altra, sul fianco della
collina. Sembrava che Cardello avesse un fiuto speciale. Diceva:

--Io scaverei da questo lato.--

E infatti la nuova tomba veniva fuori proprio là dove egli aveva
indicato.

Il Piemontese esaminava attentamente i cocci dei vasi rotti. Erano
così delicati che non sembravano di terra cotta. E i vasetti intatti
pesavano così poco!

--Eppure--egli diceva a Cardello: questa dev'essere la stessa creta
che usano ora i vasai per le quartare, come le chiamate. Se io
riuscissi a trovare il modo di manipolare la creta attuale, da
ridurla duttile e leggera come questa di questi vasi... metterei su
una fabbrica di stoviglie, e mi farei una fortuna. Arricchiresti
anche tu.--

Sei tombe soltanto. Dopo parecchie settimane d'inutile lavoro, avevano
smesso di scavare. Ma Cardello non era più tornato al suo ufficio di
sorvegliante. L'impresario lo aveva incaricato di cercare un bravo
cavatore di creta; e le stanze vuote e senza mobili della vasta casa
erano già ingombre di mucchi di materiale; e pure la terrazza, dove la
creta veniva messa ad asciugare al sole.

Cardello ora badava a sorvegliare due operai che la stritolavano, la
stacciavano ridotta in polvere flnissima e la riportavano nello
stanzone col pavimento di mattoni di valenza, pronta ad essere
impastata, manipolata a lungo con l'aggiunta di un po' di sale per
renderla porosa e leggera.

Il Piemontese andava, una o due volte il giorno, a dare un'occhiata
ai lavori di scavo della conduttura, impartiva qualche direzione,
qualche ordine, e tornava a casa a rinchiudersi con Cardello pei
saggi d'impasto della creta.

Quel diavolo di Piemontese sapeva fare tante cose! Mentre
Cardello, secondo le sue indicazioni, impastava mucchietti di creta,
egli rizzava, secondo quel che leggeva in un libro pieno di disegni,
un piccolo forno da cuocervi i vasetti e le tazze foggiate. Ne aveva
foggiata qualcuna anche Cardello osservando bene come faceva il
padrone.

Anzi, un giorno ch'era rimasto solo e i vasetti e le tazze allestiti
erano messi ad asciugare al sole, Cardello avea tentato di foggiare
un vasetto simile a quelli trovati negli scavi, col piede svelto, e il
collo lungo e le scanalature nel ventre. Non era precisamente qualcosa
di finito, ma per un primo tentativo, egli poteva esserne contento. Il
Piemontese stette a guardarlo, gli diè un colpetto di pollice qua,
un altro là, adoprando anche una stecca, lo raddrizzò perchè pendeva
un po' da un lato, e disse a Cardello:

--Bravo! Ma per far meglio, ci vuole la ruota. Va' a chiamare un
falegname.

Il Piemontese, quando gli veniva un'idea, un capriccio, non metteva
tempo in mezzo per attuarlo. Questo modo di agire piaceva tanto a
Cardello! Anche lui ora si sentiva preso da grande smania di fare. E
non pensava ad altro che alla fabbrica di stoviglie, dove egli sarebbe
stato il capo operaio, come gli diceva spesso il padrone.

La ruota era pronta.

--Ecco come si adopra. Si imposta un blocchetto di creta sul piano e
col piede si dà il movimento. Le dita intanto stringono la massa
l'allargano facendo il vuoto, tornano a stringerla, tirando su il
collo, così, così, intingendo di tanto in tanto le dita
nell'acqua.--

Quante diavolerie sapeva fare quel Piemontese! Cardello lo guardava
a bocca aperta.

Qualcuno, incontrandolo per via, lo fermava domandandogli:

--Ma che cosa intrugliate, chiusi in casa tu e quel matto di
Piemontese?

--Niente.

--È vero che praticate gli scongiuri per trovare un tesoro?

--Il tesoro lo abbiamo già trovato,--rispondeva Cardello, ridendo.

--E tu, hai tu avuto la tua parte?

--La mia parte, s'intende.

--Dunque sei ricco?

--E nessuno lo sa!... Lasciatemi andare.

--Qualche diavoleria fate certamente. I lavori della conduttura
dell'acqua intanto non vanno avanti.

--Se la deve vedere lui col Municipio.

--Si dice anche che stampate monete false!

--Fosse vero! Arricchiremmo con niente.

--Bada, che quel matto non ti trascini in galera!--

Cardello riferiva questi discorsi al padrone.

--Faremo monete vere!--rispondeva il Piemontese:--Domani accenderemo
il forno.--

Questa infornata dei vasetti e delle tazze eccitava l'immaginazione di
Cardello. Ma ancora il Piemontese non era contento; ottenere della
buona terracotta da gareggiare con quella dei vasetti antichi già gli
sembrava poco. Bisognava trovare una vernice fina come quella di essi,
uno stagno almeno da poter fare la concorrenza alle altre fabbriche
di stoviglie stagnate. Per questo aveva ordinato quei medicamenti,
come Cardello li chiamava, arrivati dal Piemonte in due cassette
suggellate e che erano costate un occhio, secondo lui.

All'alba del giorno dopo, essi erano in piedi, attorno al forno che
bruciava, dopo che i vasetti di creta già asciutti erano stati
collocati nella parte superiore; e doveva bruciare fino a sera, senza
che il fuoco si rallentasse un solo momento.

Quella era una prima prova per vedere a che punto di raffinatezza e di
leggerezza fosse stata ridotta la creta seccata, polverizzata,
stacciata, lavata e poi ridotta a pastoncini con tutte le cure
possibili. A Cardello, alimentando il fuoco con le legna, sembrava
di fare un'operazione straordinaria. Nella stanza si scoppiava dal
caldo. Il Piemontese beveva e ribeveva per asciugare il sudore,
diceva; e avrebbe voluto indurre anche Cardello a fare come lui. Ma
Cardello aveva paura di ubbriacarsi, perchè il vino traditore una
volta gliel'avea fatta, ed egli era stato male una settimana per
effetto della solenne sbornia presa la sera di Natale, mesi addietro.

Dall'ansia e dalla commozione Cardello non sentiva sete nè
fame. Assorbiti dall'operazione, essi non avevano pensato neppure a
comprare un po' di pane... E il forno divampava, e la legna crepitava
da ore e ore e doveva durare fino a sera!

--Basta!--disse finalmente il Piemontese.

Cardello si era immaginato che, cessato il fuoco, si sarebbe veduto
sùbito il risultato della cottura. E rimase deluso, quando sentì
dirsi:

--Bisognerà aspettare fino a domani, perchè il forno si freddi.

* * *

E durante la nottata, non riuscendo a chiuder occhio, arzigogolava:

--Ora, neppure don Carmelo, se uscisse di carcere, potrebbe indurmi a
riprendere il mestiere di burattinaio. Sì, era divertente, dava
belle sodisfazioni quando la gente applaudiva. Mi sentivo quasi
preso da malìa, facendo muovere e parlare i pupi come tanti
cristiani vivi.... Ma ora è un'altra cosa. Ho fatto bene ad andar
via dal Decano. "Don Calogero, ve ne pentirete!". La profezia gli è
fallita. E quando saprà che sarò arrivato a esser capo di una
fabbrica di stoviglie, sotto la direzione del Piemontese, rimarrà
con tanto di naso... Una fabbrica! Il Piemontese è capace di fare
miracoli... Domani... Non veggo l'ora che aggiorni, per sfornare i
vasetti... E poi, egli dice, li stagneremo... Chi sa come si dovrà
fare? Impastare, credo, quei medicamenti e ungerne i vasi e
rimetterli al forno... Bella quella rota! Gira, gira, gira e il vaso
vien su, su, tra le mani. Demonio di un Piemontese! Le sa tutte,
lui... Ha quattrini, e può cavarsi qualunque capriccio... Dicono che
i quattrini non sono suoi; intanto il Municipio, glieli dà, o per
conto di coloro che lo hanno mandato qui a dirigere lo scavo della
conduttura, o per conto di lui stesso, non significa niente. Ma
stando con lui, uno si sente uomo, e non sente il peso del
lavoro... Si dimentica fin di mangiare e di bere, come nella
giornata di ieri... Lui, no, ha bevuto ieri; e più beveva e più
sudava... È di acciaio! Io mi farei ammazzare per lui. La
fabbrica!... Capo operaio!... Allora vorrò tornare al paese e far
vedere a tutti che cosa è divenuto Cardello! Peccato che la povera
nonna sia morta! Mi voleva bene, poveretta! Ora avrei potuto
aiutarla, renderle quel che aveva fatto per me quand'ero
bambino. Sarebbe stata tanto contenta di vedermi cresciuto,
ripulito, con un po' di quattrini da parte nel libretto
postale... Non mi par vero! Quando si dice la sorte, il destino!
Burattinaio, servitore--com'ero buffo, non posso neppur
pensarci!--ed ora in procinto di essere stovigliaio. Chi avrebbe mai
potuto immaginarlo?... E i vasetti e le tazze saranno riusciti ben
cotti?... Meno male! Cantano i galli.--

Saltò giù dal letto. Il Piemontese dormiva ancora; russava come un
orso.

Egli andò di là piano piano; girò e rigirò attorno al forno con la
tentazione di aprirlo prima che il padrone si svegliasse.

E un'ora dopo, mentre questi apriva la porticina superiore del forno,
Cardello non respirava, intento. Il Piemontese era rimasto serio,
impassibile osservando i vasetti da grigi divenuti rosei coperti da
fine polvere che quegli cacciava via col soffio; ma Cardello saltava
dalla gioia; e quando ebbe in mano uno dei vasetti, si diè a baciarlo
e a ribaciarlo, come un portento, e aveva le lacrime agli occhi!



VIII.

IL CAPOLAVORO DI CARDELLO.


La creta, manipolata con tanta accuratezza, aveva dato terrecotte
infinitamente superiori alle rozze stoviglie dei quartarai, ma da
quelle alle terrecotte leggerissime dei vasetti antichi ci correva
ancora molto.

Cardello fu incaricato di triturare in un gran mortaio di marmo una
buona quantità della creta già ridotta in polvere fina e ben
stacciata; forse bisognava renderla impalpabile per ottenere maggior
densità d'impasto e nello stesso tempo maggior leggerezza.

Le due tazzine già cotte erano sottili quanto le tazze di porcellana;
ma il piemontese ne aveva spezzata una per accertarsi della qualità
dell'impasto e aveva buttato via i cocci con stizza. Cardello, a
quell'atto, s'era sentito stringere il cuore. Non riuscivano dunque! E
gli era parso di veder svanire tutt'a un tratto il suo bel sogno della
fabbrica.

Il Piemontese però era ostinato come un mulo. Quando si metteva in
testa una cosa, non pensava ad altro, fino a che non si persuadeva che
era inutile ritentare.

La creta, ridotta in polvere impalpabile-- Cardello aveva le braccia
indolonsite dal pestare e confricare due intere giornate!--era stata
impastata aggiungendovi un po' di strutto per renderla grassa. E
intanto che i vasetti e le tazze foggiate stavano esposte al sole
nella terrazza, il Piemontese cavava fuori dalle cassette i
medicamenti e li scioglieva con l'acqua, in due catinelle, dopo aver
pesato accuratamente le dosi e misurata l'acqua col bicchiere
graduato; tanti grammi di quella, tanti grammi di questa, col libro
davanti per non sbagliare,

Cardello avrebbe voluto sapere che cosa erano quei medicamenti e
come si chiamavano: ma il Piemontese, zitto zitto, faceva tutto da
sè. Cardello doveva contentarsi di stare a guardarlo, e sgranava gli
occhi seguendo quell'operazione misteriosa che doveva poi dare lo
stagno ai vasetti e alle tazze.

Infatti, quando le misture furono pronte, quegli prendeva uno dei
vasetti, lo immergeva in una delle catinelle, agitandolo, rivolgendolo
da tutte le parti e, tiràtolo fuori, faceva colare il liquido in modo
da poter formare uno strato uguale; poi, con un pennello, vi spruzzava
su un po' del liquido dell'altra catinella e metteva il vasetto su una
tavola perchè la mistura colasse ancora, e si eguagliasse
meglio. Ripeteva la stessa operazione con altri due vasetti e con la
tazza rimasta intatta, e insieme con Cardello portava delicatamente
la tavola al sole, nella terrazza.

--Diventeranno lucidi, ora?--domandò Cardello.

--Bisognerà rimetterli nel forno. Lo accenderemo domani.--

Che sorpresa per Cardello quando, due giorni dopo, vide cavar fuori
vasetti e tazza lucidi, con un bel verde scuro macchiettato qua e là
di nero!

Ah! Quel Piemontese era un mago a dirittura!

Questa volta il padrone gongolava. Osservava sorridendo i vasetti,
voltandoli e rivoltandoli, passandoseli da una mano all'altra,
presentandoli all'ammirazione di Cardello, con dirgli:--Eh? Eh?
Eh?--a cui Cardello rispondeva battendo le mani.

Solamente egli sentiva un po' di tristezza, pensando che il
Piemontese avrebbe tenuto quel segreto per sè, e che lui non avrebbe
mai saputo fare niente di simile. E guardava con un senso d'invidia
quel libro che il padrone consultava a ogni po'. Doveva essere un
libro di magia!

Una volta, nell'assenza di esso, Cardello avea provato di leggerlo,
ma non ci aveva capito niente!... Si era però trascritto il
frontispizio, per ogni caso; leggi e rileggi, doveva finire con
intenderlo! La buona volontà non gli sarebbe mancata.

* * *

Ci furono parecchi giorni di sosta. Cardello avea dovuto tornar a
sorvegliare gli operai. Il Piemontese, a corto di quattrini, passava
intere giornate al Municipio per strappare un acconto al Sindaco, che
giurava di non dare più un soldo se i lavori laggiù non venivano
spinti innanzi con sollecitudine.

Oltre alla testardaggine, il Piemontese aveva anche, quando
occorreva, una bella chiacchiera. Pregava, minacciava liti, si
raccomandava, faceva veder le cose quattro e quattro fa otto,
protestava che prima della fine dell'anno i lavori sarebbero
compiuti. Voleva guadagnarsi il premio stipulato nel contratto, pel
caso che la conduttura fosse allestita prima del termine fissato; non
era così sciocco da lasciarsi sfuggire di mano quella bella sommetta
di parecchie migliaia di lire. E tornando a casa, senza aver cavato un
ragno da un buco, si sfogava con Cardello, mentre questi preparava
il desinare, gli ripeteva la scenata avuta con quel somaro di Sindaco,
quasi i quattrini, invece di questo avesse dovuto darglieli
Cardello!...

Intanto non potevano fare altri esperimenti; questo era il gran guaio!

Gli mancavano parecchi ingredienti per lo stagno, e bisognava farli
venire da Torino.

--Costano troppo?

--Un centinaio di lire. Non posso spendere per essi le paghe degli
operai.--

--Cardello, stette zitto. E la mattina dopo, mentre il padrone si
preparava in fretta e in furia per andare al Municipio ad assalire
nuovamente qull'asino di Sindaco e indurlo ad accordargli l'acconto,
e a firmare il mandato, Cardello, tutto confuso, si presentava al
padrone, balbettando;

--Ecco le cento lire... se le accetta.

--Chi te le ha date?

--Sono mie... Risparmi che tenevo alla posta.

--Sei un buon figliuolo! Ti ringrazio.... No no! Va' a rimetterle
dov'erano.

--Perchè mi dà questa mortificazione?--aveva risposto Cardello con
voce piena di lacrime

--Le accetto, per pochi giorni--riprese il Piemontese commosso.--Sei
un bravo figliuolo!... Il Sindaco dovrà darmi l'acconto, ora che
arriva la prima spedizione dei tubi di ghisa; ho ricevuto l'avviso
ieri sera.--

Appunto per quei tubi erano sorte difficoltà con la dogana.

Il Piemontese avea dovuto assentarsi, e siccome nella settimana si
attendeva la visita di un ingegnere della Provincia per osservare lo
stato dello scavo, e i lavori erano stati sospesi fino al ritorno
dell'appaltatore e all'arrivo dell'ingegnere, Cardello rimasto solo
in casa, con tutta quella creta, con la rota, col forno e coi
medicamenti a sua disposizione riprese sùbito a foggiare vasetti,
come meglio sapeva, e tazze, disfacendo e rifacendo quelli che gli
sembravano mal riusciti, e mettendoli al sole perchè si seccassero
presto. Voleva far vedere al Piemontese che egli, Cardello, non
era uno stupido e che se, un giorno o l'altro, veniva messo a capo
della fabbrica di stoviglie stagnate, quel posto se lo sarebbe
meritato.

E mentre i vasetti e le tazze si seccavano al sole--neppure a farlo a
posta, in quei giorni il sole si affacciava a intervalli dalle nuvole
che ingombravano il cielo, nè tirava un soffio di vento che sarebbe
servito ad asciugare la creta quasi quanto un'occhiata di
sole!--Cardello preparava la legna per riscaldare il forno, e si
aggirava per le stanze stringendo i pugni, alzando biecamente gli
occhi al soffitto appena rifletteva che non avrebbe saputo come
regolarsi per le dosi dei medicamenti. E poi le boccette erano
parecchie; e nel momento che il Piemontese aveva fatto la mescolanza
egli avea dovuto andare di là, non ricordava più per che cosa, forse
allontanato a posta da quello per timore che lui potesse impadronirsi
del segreto.... Il libro era là, su la scrivania, ma egli non ci
capiva niente, per quanto leggesse e rileggesse.... Basta! Si sarebbe
affidato alla sorte!

Intanto bisognava prima cuocere i vasetti e le tazze.

Intorno alla riuscita di questa operazione non aveva dubbi di sorta
alcuna. In un vasetto soltanto era avvenuta un'incrinatura al collo,
forse perchè non bene asciutto.... Ma questo era niente.

Il difficile veniva ora.

Gli tremavano le mani sturando la boccetta, versando un po' del
contenuto nella catinella con l'acqua, facendo una mistura a casaccio,
rimestandola, aggiungendovi un po' di medicamento dell'altra
boccettina quando gli era parso che il liquido non fosse denso a
bastanza.

--Chi sa che intruglio ho fatto!...--

E soltanto ora che non poteva rimediare, gli si affacciava alla mente
la riflessione che forse aveva sciupato cosa costosa, e che il
Piemontese, al ritorno, non gli avrebbe perdonato l'imprudenza
commessa.

--Ormai, è fatta!--egli esclamò:--Si pagherà, se mai, con le cento
lire.

Cominciò a collocare i vasetti già ben secchi nella parte superiore
del forno, come aveva visto fare al padrone, e diè fuoco alla legna,
alimentando continuamente la fiamma, col cuore che gli batteva forte
dall'ansia, pregando a mani giunte:

--Madonna Santa, aiutatemi!--

Diciotto ore di fuoco, di continua commozione; e anche digiuno!

La sera si era buttato sul letto, sfinito, dopo aver mangiato soltanto
due bocconi di pane con un po' di cacio, e bevuto un bicchierone
d'acqua.

Avea dormito così profondamente che, svegliandosi, non si rammentava
bene di quel che aveva fatto il giorno avanti; poi, in camicia e in
mutande, scalzo, si era precipitato a corsa nella stanza del forno già
freddato, e, quasi non respirando, con mani convulse, avea cavato
fuori uno dei vasetti.

Rimase! Non credeva ai suoi occhi! Invece di verde scuro, macchiettato
di nero, il vasetto era iridato, con riflessi di verde pallidissimo,
con venature che, secondo la luce, apparivano di oro rosso cupo,
cangianti. Fin l'incrinatura del collo era sparita sotto lo strato
dello stagno!

L'altro vasetto e le due tazze, chi sa perchè?, erano riusciti meno
belli; poche iridi, poche venature di oro rosso cangianti, e larghe
chiazze di color cioccolata, e di grigio sporco. Cardello stette
lunghe ore quasi in adorazione davanti al mirabile vasetto. Si
figurava che il furbo Piemontese nel primo esperimento non avea
voluto adoprare i medicamenti più costosi, contentandosi di ottenere
quel colore verde scuro macchiettato di nero, tanto per persuadersi se
sarebbe riuscito.

--Che dirà?--si domandava Cardello.

Ma la vista del vasetto lo consolava anticipatamente di tutte le
sgridate, e anche dei possibili furori del Piemontese, che di
ordinario era freddo, serio, ma, se montava in bestia, diventava
proprio intrattabile.

Cardello si affrettò a far sparire ogni traccia delle operazioni
fatte; buttò via la mistura dei medicamenti, ripose le boccette nella
cassetta in modo che quegli non avesse potuto accorgersi sùbito che
erano state adoprate; nascose i vasetti e le due tazze in un baule, e
aspettando il ritorno del Piemontese si stringeva nelle spalle,
ripetendo:

--Ormai!...--

E non poteva trattenersi dal soggiungere sorridendo di sodisfazione:

--Intanto il mio vasetto è assai più bello dei suoi!



IX.

INFORTUNIO DEL LAVORO


Il Piemontese, arrivato assieme con l'ingegnere provinciale, per due
giorni aveva avuto ben altro pel capo che occuparsi dei suoi
esperimenti di terracotte. Era di cattivo umore; Cardello che lo
aveva accompagnato laggiù, sentendolo discutere violentemente con
l'ingegnere avea temuto, in certi momenti, che non venissero alle
mani, alla presenza del Sindaco e degli Assessori presenti anch'essi
per la ispezione.

Poi tutto era andato bene. L'ingegnere partito, i lavori di scavo
ripresi, Cardello per parecchi giorni avea dovuto tornare al suo
posto di sorvegliante ora che si iniziava il traforo della collina;
traforo di qualche centinaio di metri, che però richiedeva molta
attenzione e molte precauzioni perchè non accadessero disgrazie.... E
degli esperimenti di terracotta neppure una parola!

Cardello si sentiva rodere dalla smania di mostrare al Piemontese
il bellissimo vasetto; ma quegli, preoccupato della natura del terreno
della collina da traforare, la sera, desinando, parlava delle opere di
travatura che occorrevano per prevenire una frana e, tra un boccone e
l'altro, faceva calcoli, col lapis, sul libretto degli appunti e
tentennava la testa, e borbottava contro l'ingegnere, contro il
Sindaco.... E degli esperimenti di terracotta neppure una parola!

Era proprio un'angoscia per Cardello. Di tanto in tanto, si sentiva
spinto a interrompere i ragionamenti e i calcoli del Piemontese e
gridargli:--Ma che traforo! Ma che travatura!... Pensiamo a cose più
serie.... Non le preme dunque di vedere il mio vasetto?--

Quasi quegli ne sapesse qualcosa!

Una mattina Cardello non ne potè più. Corse al baule dove il vasetto
era nascosto, involtato in un giornale, e così com'era lo presentò al
Piemontese senza neppur dirgli: "Guardi!"

--Dove l'hai trovato?--domandò questi, spalancando gli occhi dallo
stupore.

--L'ho fatto io,--rispose timidamente Cardello.

--Come? Tu! Come?--

Di mano in mano che Cardello, preso animo, gli raccontava un po'
confusamente quel che aveva operato, il Piemontese se lo divorava
con gli occhi, ne approvava con la testa ogni parola, sollecitandolo,
col gesto, di andare avanti, di andare avanti.... Quel che più
gl'interessava di sapere era il mezzo con cui Cardello aveva
ottenuto quello splendore di cristallizzazione....

--E hai preso.... Quale preparato hai preso?

--Un po' da una boccetta, un po' dall'altra... a casaccio....

--Da questa?

--Sì.

--E anche da quest'altra?

--Da quasi tutte.... Ho fatto male?

--No.... Ma ricòrdati bene.... In che dosi?

--Che ne so!... Da una più, da un'altra meno, come capitava, a
occhio. Da quella boccettina là, soltanto un pizzico.

--Imbecille! Cretino! Ma prova a ricordarti! Ma sfòrzati!...--si
spazientiva il Piemontese.--Fai un esperimento così delicato e,
per precauzione, non prendi nota neppure delle
dosi... dell'essenziale! Ed eri presente...--imbecille!
cretino!...--quando io pesavo diligentemente i preparati e misuravo
l'acqua col provino.... Non sapevi, va bene, quale preparato
sciogliere prima, quale dopo; ma, pensando a quel che ne poteva
nascere, dovevi capire.... Niente! Butta giù tutto come vien
viene... e gli càpita la disgrazia.... Sì, è stata una disgrazia;
perchè se tu capissi che miracolo hai prodotto--e nessuno saprà più
riprodurlo--dalla rabbia ti sbatteresti la testa a un muro. Su,
vediamo: tenta dunque di ricordarti....--

Ora lo prendeva con le buone, accorgendosi che sgridandolo a quel modo
lo sbalordiva maggiormente.

--Su, tenta.... Non sarà difficile.... Ma non intendi che poter
ottenere quello stagno sarebbe la nostra fortuna? E senza
scomodarci, senza lavorare, vendendo soltanto la privativa del
segreto.... In Francia, in Germania, in Inghilterra, in America
farebbero a gara per strapparcelo di mano a furia di centinaia di
mila lire!--

Cardello scoppiò in un gran pianto, quasi quelle centinaia di mila
lire se le vedesse rubare proprio in quel momento da qualcuno
invisibile, contro cui non era possibile resistenza alcuna. E
singhiozzando balbettava:

--La mia disgrazia è stata di non essere andato a scuola! Se avessi
saputo leggere bene, se mi avessero fatto studiare! Ci ho perduto
gli occhi in quel suo libro, senza capirne niente. È colpa mia
forse?... Chi poteva prevedere quel che è accaduto? Neppure lei,
credo....

Il Piemontese smaniava, aggirandosi per la stanza, alzando i pugni
al soffitto, fermandosi a contemplare il vasetto posato sul tavolino,
e che pareva formicolasse di iridi, goffo di forma ma inarrivabilmente
bello con quel verde pallidissimo su cui si ricamavano le venature di
oro rosso cupo.... E tutto ciò era opera del caso!--E tornava a
smaniare, ad alzare minacciosamente i pugni al soffitto, mentre il
povero Cardello singhiozzava in un canto, senza osar di guardare il
vasetto che avrebbe potuto essere la sua fortuna, se lui avesse
saputo....

--Ritenteremo...--egli disse all'ultimo, per consolare il
padrone.... Chi sa? Potrà darsi!...

* * *

Un'altra scena avveniva il giorno dopo quando il Piemontese volle
restituirgli le cento lire.

--No! No! Le tenga. Comprerà altri medicamenti!

--Le hai guadagnate con tanti stenti e vorresti sciuparle così?
Rimèttile nella cassa postale, non far lo sciocco!

--No! No!--insisteva Cardello.

--E del vasetto che farai?--soggiunse il Piemontese dopo che
Cardello, vedendolo irritare, aveva ripreso il biglietto da cento
lire.

--Ma il vasetto è suo.

--Via, sì, mio per metà. Lo manderò a Torino; ce lo pagheranno
bene.... È un pezzo unico al mondo! Tu ancora non lo capisci.--

Dopo tutti quei dispiaceri, il pensare ch'egli, senza volerlo, senza
sapere quel che facesse, era riuscito a produrre quel che il
Piemontese chiamava un pezzo unico, lo riempiva d'orgoglio e di
speranza. Il Signore, che lo aveva aiutato finora, avrebbe continuato
ad aiutarlo. Ormai si credeva uomo maturo, a vent'anni, Non aveva
frasche per la testa. Per lui si poteva dire che i divertimenti e gli
svaghi non esistessero. Voleva essere un onesto operaio, guadagnarsi
il pane col sudore della sua fronte, e crearsi--se il Signore lo
aiutava--una discreta posizioncina al sole. Poter arrivare a metter su
un piccolo negozio era la sua più alta aspirazione. E se davvero il
Piemontese si decideva a fondare la fabbrica di stoviglie
stagnate.... Non era cattivo mestiere quello dello stovigliaio. Col
tempo forse non gli sarebbe difficile avere una piccola fornace di
suo, trovare un compagno che possedesse qualche capitale da
impiegare.... Tanti e tanti avevano cominciato più modestamente di
lui, ed ora erano ricchi negozianti, con palazzi e ville e giardini.

E si rivedeva ragazzo in casa della nonna, mal coperto dai laceri
panni ricevuti per elemosina, ma attivo, allegro, pronto a qualunque
servizio; e poi giovane di burattinaio.... Quello era stato il suo
primo passo nella via della fortuna.... E i due anni passati con quel
mezzo matto del decano Russo, ripensandovi, non gli sembravano poi
tanto cattivi, non ostante il vestito nero e la tuba e l'ombrello di
seta rosso!... Che fissazione il farsi portar dietro l'ombrello anche
col bel tempo!... Un altro non si sarebbe mosso da quella casa, dove
la principale occupazione era il mangiar bene.... Ma lui voleva
lavorare e, soprattutto, essere un uomo libero, un buon
operaio.... Era stato fortunato capitando col Piemontese. Quando si
dice il destino! Era proprio vero: ognuno ha il suo destino!... Se don
Carmelo non avesse ammazzato la povera donna Lia--la rivedeva come in
quella notte, in una pozza di sangue, coi capelli sciolti e le mani
increspate dalla convulsione della morte--egli errerebbe ancora di
paese in paese, non sempre sicuro che l'Orso peloso guadagnasse da
regalargli qualche paio di lire al mese e da dargli da mangiare ogni
giorno; e forse, all'ultimo, si sarebbe trovato su una via, senz'arte
nè parte....

Intanto quella galleria da scavare non permetteva al Piemontese nè a
lui di riprendere gli esperimenti. Si procedeva lentamente, con gran
cautela, e il Piemontese voleva sorvegliare i lavori d'impalcatura,
mentre i muratori rizzavano il rivestimento dei lati e della vôlta con
solidi massi, di mano in mano che si procedeva innanzi. Il
Piemontese ripeteva spesso a Cardello:

--Voglio guadagnarmi le dieci mila lire di premio, consegnando i
lavori con l'anticipazione di sei mesi. Serviranno per la
fabbrica.--

E sentendola nominare, Cardello la vedeva coi forni rotondi, come li
indicava il libro, con dieci, venti ruote in movimento e parecchie
dozzine di operai intenti a foggiare vasi di ogni genere, ad
asciuttarli al sole, e riporli gli uni su gli altri per essere cotti
con trent'ore di fuoco, come indicava il libro. Lui si sarebbe
riservato la immersione nello stagno, operazione delicatissima, come
diceva il Piemontese, e che richiedeva abile lestezza di mano... E
vedeva le stoviglie che partivano pei paesi attorno, e anche più
lontano, accatastate sui carri, o incassate per le spedizioni con la
ferrovia. Giacchè la sera, desinando, anche il Piemontese
almanaccava quanto lui, e gli faceva su la tovaglia, col manico di una
forchetta o di un cucchiaio, il disegno all'ingrosso della fabbrica
che doveva occupare un vasto terreno... laggiù vicino al posto dei
futuri canali, dov'erano le rovine di un vecchio convento, terreno che
dal Governo egli avrebbe avuto quasi per niente. Cardello, passando
di là nel recarsi a sorvegliare i lavori della galleria, lo accennava
compiacentemente al padrone, e per poco non gli sembrava che già fosse
cosa decisa, e che quei fittaiuoli che mietevano il rachitico fieno
sotto gli ulivi, fossero degl'intrusi che commettevano una prepotenza
occupando la proprietà altrui.



X.

SPERANZE E DOLORI.


Era stata una lieta mattinata. Due giorni avanti gli operai avevano
buttato giù l'estremo mezzo metro di terra sbucando dal lato opposto
della collina. E proprio da questa parte ora facevano ultimi lavori
d'impalcatura.

Cardello avea badato al trasporto delle grosse travi e dei tavoloni,
e aveva anche aiutato i manovali a piantare, a legare, a inchiodare,
stimolandoli con l'esempio.

Poi il Piemontese e lui avevano percorso la galleria da un capo
all'altro, contenti che non fosse accaduto nessun tristo incidente.

Più tardi, una famiglia di signori villeggianti là vicino avevano
voluto visitarla. Le signore e le signorine procedevano paurose, fra
strilli e risate.

Due bambini correvano, tornavano indietro, riprendevano a correre,
felicissimi di trovarsi sotto terra.

Uscendo all'aria aperta dal lato opposto i bambini avrebbero voluto
tornare addietro e rifare la strada, ma Cardello si era opposto;
sarebbero stati d'impaccio agli operai che, dopo colazione,
riprendevano il lavoro di sgombero e di muratura. E così quelli
risalivano la collina assieme con Cardello, che dava spiegazione per
contentare la curiosità delle signore ancora meravigliate di aver
avuto il coraggio di attraversare la galleria....

Un rumore sordo, un urlo soffocato! Cardello si diè a correre
all'impazzata in mezzo agli alberi di ulivi, divenuto tutt'a un tratto
pallido come un cadavere, agitando le braccia disperatamente,
gridando:--Oh Dio! oh Dio!--e chiamando a nome il padrone. Si era
precipitato giù da un ciglioncino col pericolo di rompersi il collo, e
neppure scorgeva il Piemontese e parecchi operai che urlavano e
piangevano davanti la bocca della galleria e non osavano di
entrare. Dovette premersi il cuore con una mano; se lo sentiva
scoppiare!

Pochi momenti di esitanza; poi il Piemontese e lui s'inoltrarono
cautamente con una lanterna accesa. Dal centro della galleria
arrivavano gemiti e grida. Due operai mezzi sepolti dalla frana
gemevano:--Aiuto! Aiuto!--

Cardello si era buttato carponi, smovendo il terriccio con le mani,
e senza punto curarsi del pericolo, tirava fuori dall'ingombro i due
sventurati che fortunatamente non erano neppure feriti.

E gli altri?... Come soccorrerli?

Tornavano indietro. Le signore e i bambini, impietriti dallo spavento
erano rimasti, là tra gli ulivi, con un confuso terrore d'imminente
pericolo che il terreno si sprofondasse sotto i loro piedi; e
scoppiavano in grida e in pianti vedendo arrampicarsi affannosamente
il Piemontese Cardello e parecchi altri operai che accorrevano a
portar soccorso dall'altra bocca della galleria, con zappe e
picconi... Anche da questa parte si erano potuti salvare altri due
operai contusi, mezzi asfissiati dalla frana che li aveva
coperti. Mancavano tre....

Il Piemontese afferrò Cardello per un braccio.

--Bada!....

La frana aveva fatto una smossa.

Ma Cardello, liberatosi con uno strappo dalla vigorosa stretta, si
dava a buttar da lato con una pala il materiale cautamente,
insistentemente, rimovendo pezzi di travatura frantumata, scavando
anche qui con le mani per paura che la pala non ferisse qualcuno dei
sepolti. Gli altri non potevano aiutarlo per la strettezza del
posto. Nessuno fiatava; e nel sinistro silenzio si udiva il raspare di
Cardello che, ora ginocchioni, ora carponi, continuava a lavorare.

Quando arrivarono sul luogo il Sindaco, il Pretore, i carabinieri, tre
cadaveri erano stesi al sole neri, gonfi, quasi irriconoscibili. La
gente che, alla notizia, portata in paese da un operaio, era accorsa
precedendo il Sindaco, il Pretore e i carabinieri, si affollava
attorno ai disgraziati, commiserandoli, chiedendo notizie agli
scampati, a Cardello, al Piemontese, che guardava attorno come un
ebete, pensando alle conseguenze di quella disgrazia!

E tra le grida strazianti dei parenti che piangevano i morti,
Cardello si affannava a spiegare al Pretore:

--Erano state prese tutte le precauzioni possibili. L'impalcatura non
poteva essere più solida; possono attestarlo gli stessi operai.

--Intanto abbiamo qui tre cadaveri!--rispondeva il Pretore,
consultando con gli occhi il Sindaco e il brigadiere.

Faccia il suo dovere,--disse il Piemontese, avanzandosi verso il
Pretore:--Io ho la coscienza tranquilla. L'inchiesta dimostrerà che
non c'è stata trascuranza da parte mia. L'ingegnere provinciale la
settimana scorsa--chiamo in testimonianza il signor Sindaco,--non ha
trovato niente da ridire.

--È vero,--confermò il Sindaco.

--Intanto, per semplice formalità, non posso fare a meno di ordinare
il suo arresto,--soggiunse il Pretore.

--Sono ai suoi ordini.

Cardello, vedendo condur via il padrone tra due carabinieri, si mise
a corrergli dietro, voleva essere arrestato anche lui, assumere la sua
parte di responsabilità. E piangeva, piangeva!

--Torna sul luogo; bada a tutto. Non darti pensiero di me. Ho la
coscienza tranquilla.--

Cardello si sentiva accapponare la pelle pensando che pochi minuti
prima, assieme con le signore e coi bambini, era passato sotto il
punto dov'era avvenuta la frana! E ripeteva:

--Quando si dice il destino! È proprio vero: ognuno ha il suo
destino!--

I due ingegneri provinciali e quello del Genio Civile furono
maravigliati della intelligente cooperazione di Cardello nella
inchiesta. Per ogni appunto egli aveva una risposta esplicativa,
chiara, precisa, esauriente.

Dovettero convenire che tutte le precauzioni suggerite dall'arte,
dall'esperienza erano state messe in opera, e che la disgrazia di
quella frana non era umanamente prevedibile.

Cardello in quei terribili otto giorni avea perduto il sonno e
l'appetito. La sera, tornando a casa, gli sembrava di trovarsi in un
deserto, quasi le stanze si fossero ingrandite e fossero divenute
stranamente paurose. Non sapeva darsi pace che il padrone stesse nella
lurida buca del carcere in cui doveva soffrire immensamente,
quantunque gli fosse stato concesso di farsi portare letto e
biancheria di suo, e il desinare, pel quale Cardello sfoggiava tutta
l'abilità culinaria appresa al servizio del Decano. E sembrò quasi
impazzito la mattina in cui apprese che il Piemontese sarebbe stato
rimesso in libertà per inesistenza di reato. Gli avea ornato la camera
con fiori a mazzi e sciolti e sul cassettone, in mezzo ai fiori avea
collocato il vasetto pezzo unico, non ancora spedito a Torino per
esservi venduto, tentando così di ricordare al padrone la ripresa
degli esperimenti. Chi sa? Forse il caso li avrebbe aiutati ad
ottenere altri pezzi unici anche migliori di quello.

Dopo di essere scampato miracolosamente dal pericolo della frana,
Cardello avea acquistato una gran fiducia nel suo destino. Gli
pareva mill'anni di trovarsi a capo della fabbrica di stoviglie
stagnate. E per ciò si era affannato a rimettere in ordine lo
stanzone dov'era il piccolo forno in mezzo, e la legna in un angolo, e
in un altro la creta da lui tenuta attentamente umida per averla
subito pronta sotto mano. Quella pulizia, quell'ordine dovevano dar
nell'occhio al Piemontese appena fosse entrato colà, e spronarlo,
istigarlo.

Si era piantato davanti il portone del carcere in attesa dell'usciere
o del brigadiere (non sapeva chi dei due) che doveva portare l'ordine
di scarcerazione. E appena vide comparire il Piemontese, che gli
parve sofferente e così dimagrito che le straordinarie orecchie
sembravano più enormi di prima, Cardello gli si precipitò incontro a
baciargli le mani ridendo convulsamente dalla gioia.... Se lo sarebbe
tolto in collo e lo avrebbe portato così trionfalmente fino a casa, se
quegli lo avesse permesso, e se, invece di lasciarsi baciare le mani,
non lo avesse abbracciato e baciato su le due guance.

--Grazie di tutto quello che hai fatto! Sei un buon figliuolo! Su, su!
Niente sciocchezze!--

Il Piemontese, ordinariamente serio e freddo, aveva la voce
commossa, e non potè trattenersi dal ridere quando Cardello, non
sapendo come meglio esprimere la sua grande gioia, buttò per aria il
berretto, gridando inattesamente:--Viva Umberto I!... Viva il Re!



XI

ABNEGAZIONE


La galleria era terminata. Mentre al di là di essa veniva continuato
lo scavo quasi a fior di terra per la conduttura, dal lato opposto,
s'iniziavano i lavori di collocamento dei tubi di ghisa, di saldatura
e copertura con piccole lastre di pietra. Il Piemontese e Cardello
erano sul posto da mattina a sera; uno da questa parte, perchè la
saldatura voleva farla da sè; e l'altro a sorvegliare lo scavo fino
alla sorgente. Cardello avrebbe voluto essere un mago e far trovare
allestita ogni cosa dalla sera al mattino per opera d'incanto.

Desinando, il Piemontese accennava qualche volta alla ripresa dei
saggi di terracotta. Tra giorni sarebbero arrivati da Torino i nuovi
preparati per lo stagno. Appena liberato dall'impresa della condotta
dell'acqua, egli avrebbe iniziato col Demanio le trattative per
l'acquisto del terreno dove dovea sorgere la fabbrica. Aveva in mente
anche un progetto di società tra lui e i cinque o sei stovigliai del
paese, che egli non voleva rovinare con una concorrenza contro cui non
avrebbero potuto difendersi. Ma, al solito, costoro erano diffidenti;
la novità li sbalordiva. Non capivano che uno potesse mettersi ad
esercitare il loro mestiere senza aver fatto prima una larga
pratica. Essi erano stovigliai da padre in figlio, e ascoltavano
sorridendo d'incredulità quella che stimavano spampanata del
Piemontese.

--Peggio per loro!--rispondeva Cardello.--Ma già sarà meglio far da
noi soli. Bisognerà diventare sin da principio abili operai.--

Il Piemontese avea loro mostrato i primi saggi di stagnatura, per
persuaderli con una prova di fatto; non gli avevano creduto.

Un giorno Cardello era stato avvicinato da un vecchio stovigliaio.

--Tu, che sei siciliano come me, dimmi la verità. Quei vasetti
stagnati....

--Li abbiamo fatto noi. Belli, eh.? E non avete visto il pezzo
unico?

--Che cosa è il pezzo unico?

--Un vasetto meraviglioso. A Torino ce lo pagheranno mille lire.

--Non spararle grosse! Te l'ha dato a intendere lui? E vuole dunque
metter su una fabbrica di quartare?

--Si capisce, e di altro. Abbiamo già comprato il terreno.--

Non era vero; ma Cardello non dubitava affatto delle parole del suo
padrone. Quando il Piemontese si metteva una cosa in testa!... Non
aveva detto: "Inizierò le pratiche col Demanio"? Per Cardello
significava: "Il terreno è comprato".

--E quei vasetti?--insisteva il vecchio non ancora persuaso.

--Ci ho messo le mani anche io.

--Sarà!... E le mille lire, le hai tu viste?

--Verranno.

--Aspèttale! Io sono vecchio,... Ma neppur tu che sei giovane vedrai
questa famosa fabbrica! A che scopo poi? Si campa a stento noialtri,
e fabbrichiamo cose di prima necessità, che costano pochi soldi. E
lui, il Piemontese, vuole arricchirsi con lo stagno?... Dice che
farà arricchire anche noi, e ci chiama in società! Lui è piemontese
e furbo. Ha imbrogliato il Municipio per la condotta dell'acqua; ma
noi, noi siamo assai più furbi di lui. Chi sa dove li ha comprati
quei vasetti stagnati, e vuoi darci a intendere, come l'ha dato a
intendere a te, che essi sono opera sua.

--Vi giuro...!

--Lascia andare! Mangi il suo pane; devi dire quel che vuole lui.

--Ebbene... Datemi un vasetto di terracotta fatto con le vostre
mani. Ve lo restituirò stagnato come quelli che il Piemontese vi
ha mostrato.

--Manderà a farselo stagnare al suo paese.

--Potrete assistere all'operazione; vedere coi vostri stessi occhi.

--Lascia andare! Mangi il suo pane, devi dire quel che vuol lui.

--Io sono bestia,--esclamò Cardello vedendo allontanare il
vecchio:--ma a questo mondo c'è gente più bestia di me!--

Ogni metro di conduttura messo a posto era per Cardello un
avvicinarsi alla realizzazione della fabbrica. Tra due mesi sette
rubinetti della fonte, ora muti, avrebbero schizzato fuori ridenti
getti di acqua, rumorosi, limpidi, da dissetare uomini e bestie, da
alimentare il lavatoio là dietro, e anche per annaffiare gli ortaggi
che potevano piantarsi nei terreni circostanti.

E, a pochi passi dalla fonte, sarebbe sorta la fabbrica delle
stoviglie, a dispetto degli stovigliai che la discreditavano
anticipatamente e avrebbero dovuto poi mordersi le mani per non aver
voluto entrare a far parte della Società.

Una mattina, andando a sorvegliare i lavori, Cardello non aveva
resistito al desiderio di dar un'occhiata al fondo. Le rovine del
vecchio convento erano ridotte a pochi muri, e a mezz'arco
crollante. Qua e là, pochi alberi di ulivi che crescevano stentati sul
terreno infecondo. Il fittaiolo, vedendolo guardare attorno, gli si
era avvicinato domandandogli che cosa cercasse.

--Niente. Questo fondo si vende?

--Ho l'affitto per nove anni.

--Non lo lascerete prima?

--Perchè dovrei lasciarlo? Pago una bazzecola.

--Ah!--fece Cardello, un po' deluso.

Chi vuole comprarlo?--domandò il contadino con aria di scoprir
terreno.

--Nessuno. Dicevo così per dire. E poi giacchè è affittato per nove
anni,--replicò Cardello misteriosamente:--Scusate il disturbo.

--Potremmo intenderci,--soggiunse il contadino, vedendo che colui se
n'andava.

Cardello non si volse addietro, non rispose. L'aver messo il piede
colà gli dava quasi il senso di una presa di possesso, non ostante i
nove anni di fitto vantati da quel contadino. E lungo la strada
sorrideva di sè stesso, per la sufficienza con cui aveva parlato, come
se il compratore avesse dovuto esser lui, e i quattrini li tenesse in
tasca o nella cassetta, o alla Banca!... Infine la fabbrica non
sarebbe stata un po' cosa sua?

* * *

Il Piemontese si era affaticato troppo in quegli ultimi giorni. Dopo
aver lavorato ginocchioni, curvo sui tubi da saldare, sotto la vampa
del sole che scottava, con appena qualche ora di riposo all'ombra di
un albero, la sera tornava a casa sfinito, e non aveva voglia neppur
di desinare. Beveva due tre bicchieri di vino sopra un boccone di
pane, e andava a letto. Si sarebbe buttato vestito su le materasse, se
Cardello non lo avesse aiutato a spogliarsi.

Quella notte Cardello, che dormiva nel camerino accanto, sentendolo
smaniare e voltarsi e rivoltarsi sul letto, stava per domandargli: "Ha
bisogno di qualche cosa?" Pel gran calore dormivano con gli usci
spalancati e con le due finestre della stanza vicina spalancate
anch'esse per godere il refrigerio dell'aria notturna.

Aperti gli occhi, si accorse che il padrone aveva acceso il lume.

Saltò giù dal letto. Il Piemontese era già in piedi.

--Si sente male?

--Ho una grande arsura, mi sembra di aver la febbre.

--Perchè non mi ha chiamato? Non sarà niente; è il troppo sole che ha
preso ieri....

--Volevo farmi una limonata.

--Si rimetta a letto; gliela faccio sùbito io. Avrebbe dovuto
chiamarmi.--

Il Piemontese tracannò avidamente la limonata. Era acceso in viso,
con la bocca arida, e non poteva star fermo sotto le lenzuola.

--Non si sventoli!--si raccomandava Cardello.

--Va' a letto; non mi occorre altro.

--Mi lasci star qui; tanto, non potrei più dormire.--

Cardello gli aveva detto: "Non sarà niente!" ma quella grande smania
e il viso un po' sconvolto del padrone gli mettevano in cuore uno
sgomento contro cui avrebbe voluto reagire.

Seduto a pie' del letto, con le mani su le ginocchia e gli occhi fissi
intenti sul padrone che smaniava, Cardello si perdeva a
fantasticare:

--E se si ammala ora, sul punto di terminare e consegnare il lavoro
della condotta dell'acqua? Ci voleva proprio questa
disgrazia!... Non si sventoli, per carità!--Gli passavano per la
testa presentimenti ancora più tristi.

"Siamo nelle mani di Dio! Da un giorno all'altro!... No! No!... Gli
faccio la iettatura, pensando queste brutte cose! Appena sarà giorno,
correrò da un medico... Potrò lasciarlo solo!... Manderò qualcuno del
vicinato."--Non si sventoli, fa peggio! Vuole un'altra limonata?

--Sì, sì! Vorrei anzi sentirmi scorrere in gola uno dei canali della
fontana!... Senti come scrosciano? Tutti e quattro!... E buttarmi
nella vasca!... Così!...--

Cardello dovè trattenerlo. La febbre lo faceva delirare.

--Beva!... Questa le farà bene!

--Grazie! Va' a letto.

--Non vede! È l'alba.

--Alziamoci dunque... Al lavoro!...

Il Piemontese fece l'atto di saltar giù dal letto, ma ricadde
supino, con gli occhi chiusi, col respiro affannoso, quasi esaurito
dallo sforzo, Cardello gli mise una mano alla fronte. Dio! Come
scottava!

Approfittando di quel momento di tranquillità, egli si era affacciato
a un balconcino, e aveva pregato uno del vicinato perchè andasse a
chiamare, di urgenza, un dottore.

Quindici giorni di angoscia! Si era sviluppato il tifo; Cardello
sembrava una larva di uomo, dopo tante giornate e tante nottate
passate a far l'infermiere, aiutato un po' da due operai incaricati di
eseguire i servizi fuori di casa. Nei momenti in cui la febbre non gli
offuscava la mente, il Piemontese seguiva con sguardi pieni di
gratitudine Cardello che preparava la vescica di gomma col ghiaccio,
le lenzuola da ricambiare, e badava a fargli prendere le medicine o ad
apprestargli le limonate. Sorridendo, gli diceva:

--Povero Calogero! Povero Calogero!--

Da lì a poco, il delirio lo riprendeva:

--Come hai fatto?... Imbecille!... Dovevi notare le dosi!... Ma
rammèntati dunque!... Hai preso questo preparato qui?... O
quest'altro?--Non so! Non ci ho badato!--Lasciami vedere! Una
meraviglia!--Non so! Non ci ho badato!--

Egli tentava di calmarlo, quasi il delirante potesse intendere
ragione.

--Ah!... Rammenti dunque? Bravo! Bravo! La nostra fortuna è fatta! Non
si è mai visto uno smalto simile. Il forno è acceso!... Che caldo!
Soffoco! Tutti i rubinetti! Fatemeli schizzare addosso... Li ho
messi in opera io... Dite al Sindaco che voglio tutta l'acqua per
me... altrimenti... ecco... li schianto a uno a uno! Così! Così!

E agitava le braccia, facendo l'atto di schiantare i rubinetti,
buttando via il lenzuolo che Cardello era pronto a rimettere al
posto, tentando di rabbonirlo:

--Sissignore... Tutti e sette per lei... Il Sindaco ha dato il
permesso... Stia fermo!

Era uno strazio!

* * *

Finalmente, al quattordicesimo giorno la crisi era superata. Il malato
sembrava destarsi da lungo sonno.

Quando il dottore gli disse:--Avete avuto un infermiere
maraviglioso!--il Piemontese prese Cardello per una mano e gliela
strinse, esclamando commosso:

--Povero Calogero! Povero Calogero!--

E al povero Calogero venivano le lacrime agli occhi, non per quelle
parole affettuose e per la gioia della convalescenza in cui entrava il
padrone, ma, di nuovo, pel terrore che c'era mancato poco ch'egli non
perdesse quel suo secondo padre, come lo chiamava, a cui voleva bene
più del suo vero padre da lui appena conosciuto e del quale gli
rimaneva soltanto un ricordo molto sbiadito e che andava
affievolendosi ogni giorno più con l'andare degli anni.

Tutte le volte che, parlando del Piemontese o ragionandone da sè,
gli accadeva di chiamarlo suo secondo padre, Cardello si metteva a
ridere, pensando:

--Quanti secondi padri ho io avuti! Prima l'Orso peloso, poi il
signor Decano; ora questo!--

E soggiungeva:

--Non ne voglio altri!--

Questa volta però, sentendosi stringere la mano, e udendo le
affettuose parole: Povero Calogero!--pur provando il terrore del
pericolo corso dal terzo secondo padre, e la gioia di vederlo salvo,
Cardello non rise; ormai, per lui il Piemontese era l'unico e vero
suo secondo padre!

Il giorno che il convalescente potè lasciare il letto, Cardello non
riusciva a star fermo dalla contentezza. Saltava, come un bambino, per
le stanze, si affacciava ai balconi, comunicava alle persone che
passavano la lieta notizia.--Stavo per fartene una brutta assai!--gli
diceva il Piemontese:--povero Calogero!

--Dica: Povero Cardello!--egli rispose:--come mi chiamavano al mio
paese quando ero ragazzo.

--Perchè?

--Credo perchè ero vispo come un cardellino.

--Da ora in poi ti chiamerò Cardello anche io. Ti fa piacere?

--Certamente. Mi parrà di tornar ragazzo.



XII.

LA FORTUNA DI CARDELLO.


Il giorno in cui fu inaugurata la condotta dell'acqua, Cardello non
stava nei panni.

Migliaia di persone attorno alla fonte in attesa di veder funzionare i
sette rubinetti di rame che, ripuliti il giorno avanti da lui,
luccicavano al sole quasi fossero di oro. Tutto il Municipio in gran
gala, la banda con la nuova divisa, impennacchiata, che si sfiatava a
suonare... E, al momento decisivo, marcia reale, appena l'acqua
schizzò con violenza, limpida come cristallo, tra un gran urlo di:
Viva! Viva! e infiniti bàttiti di mano. Era stato lui, Cardello,
che aveva aperto l'ultima valvola, distante un centinaio di passi
dalla fonte. E compiuta l'operazione, era corso a gridare: Viva!
Viva! anch'esso e ad applaudire, pallido dalla gran commozione, a
lato del Piemontese che riceveva congratulazioni da ogni parte. I
carabinieri stentavano a trattenere la folla che si pigiava per tuffar
le mani nella vasca, e i ragazzi che si davano spinte ed urtoni per
essere tra i primi a riempire le quartare e portar a casa l'acqua
nuova! Festa, delizia di paese assetato, e che pareva di essersi ora
ubbriacato con la sola vista dell'acqua sospirata da tanti anni!

La gioia di tutta quella gente era stata però niente a confronto di
quella di Cardello, a cui importava poco della sete altrui e che
avea gridato Viva! Viva! e avea battuto furiosamente le mani
unicamente pensando: "Ora daremo mano alla fabbrica!"

Egli aveva tale illimitata fiducia nell'abilità del Piemontese, da
figurarsi che le pratiche per la compra del terreno avrebbero potuto
condursi a termine in un paio di giorni. E quando vide che andavano
per le lunghe, e quando apprese che per lo fornaci occorreva l'opera
di un ingegnere pratico di quel genere di costruzioni, sentì uno
scoraggiamento grande. Aveva avuto la fabbrica davanti agli occhi,
come un miraggio, e così vicino che quasi gli sembrava di toccarla con
le mani, e ora la vedeva indietreggiare e allontanarsi in fondo in
fondo e dileguare, come al destarsi da un sogno.

Meno male che il Piemontese riprendeva intanto a fare nuovi saggi
d'impasto della creta, e di stagno, e di altri colori.

Cardello questa volta spalancava bene gli occhi, mentre il padrone
pesava i preparati, notando tutto in un quadernetto che si era cucito
per tale scopo. Il Piemontese gli diceva scherzando:

--Vuoi rubarmi l'arte?

--Sono ignorante; non posso rubarle niente.

--Fai bene a prender nota di ogni cosa; dicevo per celia.--

Ma il Piemontese non era mai contento, quantunque i vasetti
uscissero dal forno con lo stagno ben cristallizzato, e con vividi
colori di verde macchiettato di nero e di giallo. Cardello se
n'angustiava.

Finalmente arrivò il giorno in cui fu firmato il contratto di compera
del fondo. L'ingegnere però non arrivava! Cardello passava le
giornate a sorvegliare i carrettieri che portavano dalla cava le
pietre di arenaria e i manovali che le rizzavano in mucchi quadrati. E
il miraggio della fabbrica tornava a riapparirgli davanti agli occhi
vicinissimo, con gli stanzoni rustici per la manipolazione della
creta, con quelli destinati agli operai che dovevano lavorare a le
ruote, coi forni là accanto, rotondi, come il Piemontese glieli
aveva fatto osservare nel disegno del libro.

L'ingegnere intanto non arrivava!

A Cardello sembrava quasi impossibile che il suo padrone avesse
bisogno dell'opera di mi ingegnere, lui che aveva murato da sè il
piccolo forno riuscito a meraviglia.

--Ma che bisogno ne ha lei che sa far tutto?--gli disse una volta.

--L'ingegnere arriverà domani,--rispose il Piemontese.

E fu come se gli avesse detto:--Domani la fabbrica sarà allestita di
tutto punto.

Sì, l'ingegnere stette là otto giorni a prender misure, a tracciar
disegni, e andò via senza far murare una sola pietra.

Il Piemontese era di malumore. Contava su le dieci mila lire del
premio che il Municipio avrebbe dovuto dargli; ma il Sindaco lo
rimandava da un giorno all'altro, da un mese all'altro, e gli toccava
di leticare coi carrettieri e coi manovali che volevano essere pagati
e che egli, a corto di quattrini, non poteva pagare, Tutto era di
nuovo sospeso, anche i saggi di terracotta, perchè il Piemontese
perdeva le giornate a sollecitare il Sindaco, e anche a trovar
quattrini in prestito da qualche strozzino.

* * *

Come vedeva sorgere da terra i muri per gli stanzoni rustici,
Cardello si sentiva crescere, su su, anche lui. Per ora, una sola
fornace e non molto grande; le altre due rimanevano in progetto, ma
erano segnate sul terreno con cerchi di grosse pietre.

--Tra sei mesi!--aveva detto il Piemontese.

E sei mesi sarebbero passati presto.

Cardello però notava che il padrone era spesso preoccupato di
qualche cosa ch'egli non riusciva a indovinare. Difficoltà di denaro,
forse, dopo tanto che se n'era speso? Ma con quell'uomo le difficoltà
duravano poco! Cardello continuava sempre a crederlo una specie di
mago.

A un tratto, il Piemontese parve preso da una gran fretta di
inaugurare la fabbrica con quattro operai andati a cercare in un paese
vicino e tre ragazzi che aiutavano Cardello a manipolare la
creta. Degli stanzoni uno solo era stato coperto. Tutto alla meglio,
pur d'iniziare la produzione.

I vasi, gli orci già seccavano al sole nella spianata; oggetti piccoli
però, per saggiare la cottura nella fornace e poi saggiare la
stagnatura. E l'ansietà della prima prova era tale in Cardello che
non lo faceva dormire.

Quando i vasi e gli orci vennero tratti fuori, anche il Piemontese
perdè un po' della sua serietà davanti al bel resultato. La creta,
nella cottura, aveva preso un colore di rosa carnicina soavissimo;
anche per la leggerezza il resultato era stato eccellente; a confronto
di quelli degli stovigliai, quegli orci, quei vasi pesavano poco più
della metà. La creta avea potuto esser ridotta sottile senza nulla
perdere in resistenza.

Cardello, incontrato quel vecchio stovigliaio, gli disse
trionfalmente:

--Venite a vedere!--

E lo condusse con sè.

--Non c'è che dire; ma costeranno di più

--Possiamo darli allo stesso prezzo dei vostri.--

Il vecchio crollava la testa, incredulo.

--E poi, che può importare che siano più legger?

--Faremo roba fina. Quando vedrete lo stagno!... Tornate tra otto
giorni.--

In quei giorni nella fabbrica era un via vai di gente. I cinquanta
vasi disposti con bell'ordine sui rozzi tavolini coperti con fogli di
carta, attiravano una folla di visitatori che veniva parte a vedere se
era vero che il Piemontese fosse riuscito a dar lo stagno alle
stoviglie, parte a rallegrarsi che un'industria nuova sorgesse a dar
lustro alla città e pane agli operai.

Cardello, interrogato, dava qualche spiegazione; ma ordinariamente
stava zitto, mescolato tra la folla, ammirando anche lui e dandosi già
l'aria di capo-operaio e di qualcosa di più, di mezzo padrone.

Il Piemontese gli aveva detto due giorni avanti:

--Io dovrò assentarmi per qualche mese. Qui tutti hanno paura di
metter fuori quattrini e avventurarli in un'impresa; e senza
capitali, le industrie non vanno avanti: vado a cercarli lassù, in
Piemonte. Tu baderai a fare e a far fare quel che si potrà. Ti
lascerò istruzioni precise. Intanto in questi quindici giorni, ti
regolerai come se io non fossi qui. Voglio vedere se sei capace di
far riuscire un'infornata.... Altrimenti bisognerà attendere il
mio ritorno coi nuovi operai.

E così, dopo quattro giorni di esposizione, era stato ripreso il
lavoro, sotto la direzione di Cardello. Egli tremava per la
responsabilità assunta, e a ogni po' interrogava con lo sguardo il
padrone che fumava e andava su e giù, muto, serio, indifferente, quasi
niente di quel che si faceva colà lo interessasse, e non gli
rispondeva neppur con un cenno della testa.

La prima cottura era andata bene. Il difficile veniva ora, con la
manipolazione dello stagno; ma Cardello si era già infrancato, e
immergendo i vasi, chiuso nello standone a parte, ripeteva dentro di
sè la preghiera:

--Signore, aiutatemi! Fatemi riuscire un altro pezzo unico.... Così
il padrone andrebbe via contento!--

Il Signore non gli concesse la fortuna del pezzo unico, ma tutto
andò bene, come se quel mago del Piemontese ci avesse messo le
mani. E mentre questi gli diceva:--Bravo! Bravo! Bravo!--tre volte,
Cardello si sentiva quasi impazzire dalla gioia al pensiero che per
qualche mese il padrone della fabbrica sarebbe stato lui!...

E tornava a ripetere, pensando ai casi della sua vita:

--Quando si dice: "Il destino!" È proprio vero che ognuno ha il suo
destino!--

E il cuore gli si gonfiava di grandi speranze; e i suoi sogni a occhi
aperti arrivavano fino all'assurdità dei sogni veri, ed egli stesso
talvolta ne rideva.

* * *

Sul punto di partire, il Piemontese lo aveva tratto da parte, e gli
aveva consegnato una busta sigillata, senza indirizzo.

--Senti: conserva bene questa busta. Se io tardassi molto a
scrivere--i casi son tanti--aprila; vi sono istruzioni che adempirai
minutamente.... Appena arrivato, spedirò un po' di denaro. Tu sei un
buon figliuolo, saprai regolarti.

--Torni presto! Torni presto! Mi parrà di essere una mosca senza capo
con la mancanza di lei.

--La testa non bisogna perderla mai, in qualunque circostanza.... Va',
tu sei un buon figliuolo!... Tornerò presto! E mi raccomando: ordine
e pulizia!

--Scriva sùbito.

--Appena arrivato.--

Cardello si accorgeva che il Piemontese serio, freddo, faceva in
quel momento grandi sforzi per non mostrarsi commosso; ed egli lo
imitava, trattenendo i singhiozzi nella gola e le lacrime tra le
ciglia, per non fargli il cattivo augurio.

E arrivò la prima lettera e poi la seconda e poi la terza; e
arrivarono anche mille lire! Cardello, che non aveva mai avuto, in
vita sua, tanti quattrini da spendere, non volle tenerli in casa e li
portò alla cassa postale; là erano sicuri!

Poi, con intervallo di quindici giorni, un'altra lettera affettuosa,
ma breve, che prometteva vicino il ritorno.... E poi niente più!

Cardello, non fidandosi delle sue scarse abilità epistolari, si
faceva scrivere lunghe lettere dal segretario comunale; ma rimanevano
tutte senza risposta. Un telegramma venne restituito con la
osservazione: "Irreperibile!"

Il Piemontese non era dunque più a Torino?

Che cosa doveva egli fare? Attendere ancora o aprire la busta e
adempire le istruzioni lasciategli?

Intanto le ruote lavoravano, la fornace ardeva, e la vendita degli
oggetti stagnati procedeva bene in città e nei paesi
vicini. Cardello, però, vedeva diminuire la provvista dei preparati
ch'egli si ostinava a chiamare medicamenti. Una lettera raccomandata
venne rimessa al mittente per irreperibilità del destinatario.

Allora l'idea d'una disgrazia, di qualche malattia grave--alla morte
non osava di pensare--riempì di terrore Cardello.

Se avesse saputo dove andare a rintracciarlo, sarebbe partito senza
indugio; gli rimanevano ancora cinquanta lire.

E andò a consultarsi col Segretario comunale, che dimostrava di
volergli bene, e gli diceva spesso, come il Piemontese:--Sei un buon
figliuolo!--cosa che a Cardello faceva tanto piacere perchè gli
sembrava di sentirlo dire dal padrone lontano.

--Ha scritto finalmente?--gli domandò il Segretario vedendolo.

--Ma che! Non so che pensare. Ho il cuore piccino piccino.... Mi
consigli lei che ne sa più di me. Sul punto di partire....--

E riferì sillaba per sillaba le parole che il Piemontese gli aveva
dette consegnandogli la busta sigillata.

--Che cosa devo fare? Attendere ancora? Aprire la busta ed eseguire le
istruzioni che contiene? Non so come regolarmi.

--Io, nel caso tuo, aprirei la busta.--

Cardello la trasse di tasca e gliela consegnò:

--L'apra lei.--

Il Segretario, spiegato il foglio, spalancò gli occhi dalla sorpresa.

Cardello non osava di domandargli:

--Che cosa dice?--

--È il suo testamento!--soggiunse il Segretario.--Lascia tutto a te,
la fabbrica e il resto del premio che il Municipio deve pagargli:
sei mila lire,

Cardello, interdetto, non respirava; temeva di avere inteso male.

--E sai come dice?--riprese il Segretario:--Istituisco mio erede
universale quel buon figliuolo del mio operaio Calogero Strano!--

Cardello diè in un gran scoppio di pianto!

--È dunque morto?... Non è possibile! Come? Dove?--Non se ne potrà
saper niente? Oh Dio!... Non è possibile! Voglio attenderlo!
Tornerà!

--Potrebbe anche darsi. Intanto è bene far registrare il testamento. È
una bella fortuna, sai? Sappi conservartela!

--Che farò, senza la sua guida?... No, non è morto: voglio
attenderlo.... Tornerà!--balbettava Cardello quasi soffocato dai
singhiozzi.

E, come compianto del suo padrone, gli sfuggì di bocca:--Quando si
dice: "Il destino!" È proprio vero: ognuno ha il suo!

--Il nostro destino--lo ammonì il Segretario--ordinariamente ce lo
facciamo con le nostre mani. Tu sei stato un buon figliuolo; la
fortuna che ti càpita oggi te la sei meritata! Sappi conservartela,
caro mio!





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