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Title: Un bel sogno
Author: Cagna, Achille Giovanni
Language: Italian
As this book started as an ASCII text book there are no pictures available.


*** Start of this LibraryBlog Digital Book "Un bel sogno" ***


by Biblioteca Nazionale Braidense - Milano)



                        NOTE DEL TRASCRITTORE:


—Corretti gli ovvii errori tipografici e di punteggiatura.

—Lʼindice non è compreso nellʼopera originale. Ne è stato prodotto
 ed aggiunto uno dal trascrittore.

—Il testo in grassetto è stato reso come =grassetto=.



                              A. G. CAGNA

                             UN BEL SOGNO

                                ROMANZO

                  «O speranze, speranze; ameni inganni
                  «Della mia prima età! Sempre parlando
                  «Ritorno a voi; che per andar di tempo
                  «Per varïar dʼaffetti e di pensieri,
                  «Obliarvi non so!.........

                                     LEOPARDI



                              MILANO 1871

                    PRESSO =CARLO BARBINI= EDITORE

                          Via Chiaravalle, 9.

                            =Prezzo L. 2—=



                             UN BEL SOGNO

                              A. G. CAGNA

                             UN BEL SOGNO

                                ROMANZO

[Illustrazione: LOGO]

                              MILANO 1871

                    PRESSO =CARLO BARBINI= EDITORE
                          Via Chiaravalle, 9.


                         Proprietà Letteraria.
                            Ditta Wilmant.



                    INDICE

                                        Pag.

 DEDICA                                    5

 CAPITOLO       I.                         9

     »         II.                        18

     »        III.                        24

     »         IV.                        34

     »          V.                        46

     »         VI.                        54

     »        VII.                        62

     »       VIII.                        67

     »         IX.                        77

     »          X.                        86

     »         XI.                        97

     »        XII.                       111

     »       XIII.                       119

     »        XIV.                       127

     »         XV.                       136

     »        XVI.                       173

     »       XVII.                       185

     »      XVIII.                       200

     »        XIX.                       205

     »         XX.                       214



Alla Signora F....


È un romanzo, unʼinvenzione?... Domanderanno taluni—Ma voi, o signora,
a cui intitolo questo lavoro, voi sola potreste dire: È verità.

Io lo so, voi non la direte mai questa parola, e forse per la prima
inarcherete le ciglia affettando di credere al romanzo—Non importa;
per quanto facciate, la vostra coscienza non la penserà così; nelle
recondite fibre del vostro cuore, ve ne saranno di quelle che gemeranno
per dolore,... e diciamolo pure, per rimorso.

Riandando colla mente sui fatti che espongo, ricordandovi di quei
personaggi che assai meglio di me conosceste, voi sola potete farvi
una chiara idea del mio intendimento nello accingermi allʼimpresa di
narrare la storia di uno sventurato artista.

Voi sola potete sapere perchè io ve ne abbia fatto in secreto la
dedica—Vi sono delle lezioni che si ripetono per tutta la vita, e
questa che a voi tocca è una di esse. La pubblicazione di questo lavoro
è una protesta contro la spensieratezza e lʼincostanza.

Non accuso alcuno, espongo semplicemente i fatti dai quali il lettore
può a tuttʼagio trarne sentenza. Aggradite o signora la dedica che a
voi faccio delle preziose reliquie di unʼanima grandemente generosa
ed infelice; soddisfo così ad un debito sacrosanto che mʼimpone la
coscienza—Io ho fatto il mio dovere, ed il mio cuore è libero....
auguro altrettanto a voi.

Avete una figlia—Che lʼesempio di Laura vi tenga lontana dallʼeducarla
alle frivolezze del mondo, ed allorchè sarà grandicella, e la
ragione si farà strada nella sua intelligenza, mettetele fra le mani
questo libro facendo segni su certe pagine che non sarà necessario
indicarvi—Può darsi che quella bambina compiangendo alla sorte di
Ermanno, impari a non rendersi causa di altrettali sventure.

Allontanate da vostra figlia tutto ciò che può essere vanità o
capriccio, insegnatele a non assumersi la responsabilità di promesse
inconsiderate che traggono spesso a fatali conseguenze—Lʼincostanza di
Laura le sia di esempio, la sventura di Ermanno la conforti a fare se è
dʼuopo sacrifizio delle tendenze arrischiate del suo cuore—Insegnatele
o Signora, ad amare, non a fantasticare; ponete freno alle inquietudini
della sua giovane fantasia, affinchè non tocchi a lei pure il rammarico
di aver fatto unʼinfelice.

Colle attuali esigenze sociali, non è possibile conciliare certe
tendenze del cuore cogli interessi di famiglia. Il mondo posa
troppo ancora sui pregiudizi di casta, e la _convenienza_ regna
tuttavia sui destini umani perchè si possa toccare ad una libertà
dʼamore—Lʼuguaglianza dei cuori e ancor troppo plasmata sulle
uguaglianze sociali perchè le aspirazioni generose possano conseguire
la loro meta.

Un giorno, forse non lontano, si verrà alla soluzione di questo
problema che ha già una radice presso tutti i popoli inciviliti—Quel
giorno segnerà lʼapogeo dello sviluppo umano, perchè allora soltanto
avrà principio la gerarchia del cuore e dellʼintelligenza.—Credete
Signora alla sincerità deʼ miei consigli sui quali non vi diedi mai
motivo a dubbio—Checchè io faccia non sarà mai che possa pervi in non
cale; sono trascinato mio malgrado ad interessarmi di tutto ciò che vi
riguarda, e se ora mʼincombe di arrecarvi qualche dolore, e tastarvi
qualche piaga, siate certa che non lo faccio senza rammarico.

La più benefica legge di natura è lʼoblio dei mali del passato, e la
speranza nellʼavvenire: sperale. Voi più che ogni altra abbisognate di
conforti nelle gioie domestiche, ed io ve ne faccio augurio di vero
cuore.

La storia di Ermanno può contenere qualche ammaestramento; essa
non appartiene più a noi —Associandovi a questʼopera intendo di
farvi parte di quel poʼ di bene che taluno potrà trarre dalla
lettura di queste pagine——– non è unʼespiazione, ma dovere
dʼumanità.—Compatitemi, e credetemi di voi affezionatissimo

  A. G. CAGNA.

  Vercelli, Ottobre 1870.



UN BEL SOGNO



I.


Non sono ancor trascorsi molti anni che in Brescia nelle tarde ore
della notte, in una via poco frequentata, udivasi di sovente il suono
di un pianoforte eccitato da una mano maestra.

Erano melodie spontanee soavemente malinconiche, vibrazioni patetiche
che scorrendo sullʼaria quali folate armoniche, andavano perdendosi
lamentosamente a guisa di zeffiro che destandosi vigoroso ed ardito
si smarrisce tra i fogliami delle siepi, e muore alitando un flebile
sospiro.

Non era difficile lʼaccorgersi che quelle soavi modulazioni erano
prodotte da unʼabile mano che rispondeva interprete ad un gentilissimo
sentire—Per concepire ed esprimere quel misterioso linguaggio che si
chiama musica, bisogna avere il cuore suscettibile alle soavi emozioni,
ed i concenti sublimi di quel pianoforte erano lʼemanazione palpitante
di una fantasia delicata, erano la voce, lʼespressione di un sentimento
puro, ineffabile, celeste.

Per quanto possa essere lʼarte inerente allʼuomo, nullameno lʼartista
vive si può dire di una doppia esistenza; lʼarte è unʼegoista,
unʼinnamorata gelosa che si costituisce nella mente degli uomini
un governo speciale, assoluto, determinato a certi momenti in cui
tutte le altre facoltà dellʼintelletto devono inevitabilmente
sottomettersele—Lʼartista, il vero artista della fantasia, cessa
dʼesser uomo nel momento che crea, la sua mente sprigionandosi dalla
cerchia troppo angusta in cui è costretta, erra libera negli spazi
dellʼinfinito in cerca di emozioni da trasfondere ed imprimere nelle
opere dʼarte.

Egli è appunto in uno di questi momenti che noi sorprenderemo il
giovane pianista Ermanno Alvise, giacchè era desso il gentile
disturbatore del silenzio notturno, era desso che colle soavi melodie
arrestava il passeggiero per quella via costringendolo ad assaporare
sino allʼestremo quei melodiosi sospiri.

Un salotto arredato con molto gusto, e di cui principale ornamento era
un pianoforte verticale di elegante costruzione, un tavolino ripieno di
scartafacci di musica, alcune sedie ed una poltrona che dallʼampia sua
forma prometteva un comodo adagiarsi; ecco lo studio del nostro Ermanno
il quale stava seduto al pianoforte colle mani erranti sulla tastiera
nellʼabbandono di chi tenta modulare i concetti che gli attraversano la
fantasia.

Ermanno avea 25 anni, la sua statura era un medio, nè troppo alta nè
troppo bassa; ciò che più colpiva in lui erano due grandʼocchi bruni
che spiccavano sopra il volto palliduccio e gramo; la sua figura non
aveva nulla di straordinario, allʼinfuori di una leggiera mestizia che
spiravagli dallo sguardo.—

Allorchè egli era rapito dalla corrente delle sue idee, le labbra si
socchiudevano lasciando sfuggire un lieve sorriso di soddisfazione.

Dotato di un grandissimo amore per la musica, egli aveva di gran
lunga superate le belle speranze concepite sul suo ingegno; al culto
dellʼarte ei dedicò i suoi primi anni, e giovanissimo ancora era salito
in bella fama. Nessuno meglio di lui traeva accordi più soavi dal
pianoforte, la musica da lui eseguita aveva lʼimpronta di un linguaggio
misterioso, ed il fascino che sapeva esercitare sullʼanimo degli
uditori era sì grande, che bene spesso era giuocoforza abbandonarsi
colla mente a tutte le oscillazioni di quelle corde, che sotto le dita
del giovane pianista fremevano dʼun nuovo accento, ed accarezzavano
lʼudito siccome le patetiche modulazioni dellʼarpa—Ma ciò che più
di tutto distingueva Ermanno, era la sua abilità nellʼimprovvisare
sul pianoforte. Allora la fantasia svincolandosi dalle strettoie
di un concetto limitato in poche linee di stampa prendeva il largo
negli spazi infiniti della sua feconda immaginativa; in questi slanci
della mente appariva vergine ed intatto il genio dellʼartista, che
secondando lʼimpulso dʼun cuore ardentissimo, ora strappava lacrime
con un adagio flebile, delicato, quasi impercettibile che ricercava le
fibre dellʼascoltatore, e carezzandole soavemente inspirava allʼanimo
sensi di dolcissima mestizia—Ora come torrente che straripa, le note
incalzavano le note, e tanto rapidamente, che pareva dʼassistere allo
spettacolo dʼun temporale dʼinferno, allo urtarsi impetuoso di schiere
dʼarmati spronati ad orribile massacro.

Era bello Ermanno in quei momenti di abbandono, il suo sguardo stava
sempre rivolto alle mani, elio agilissime sorvolavano sui tasti con
tanta grazia e delicatezza come si accarezzerebbe la chioma di una
donna amata.

Da qualche tempo egli lavorava alla composizione di una _fantasia_
nella quale stillava tutta la sua feconda inspirazione. Buona parte
ne era fatta, ma la riuscita non corrispondeva mai alle esigenze
dellʼartista.

Passava ore intiere alla ricerca di una frase, diremo di più, ogni nota
era lʼoggetto di un paziente esame, ne provava tutte le vibrazioni,
ne analizzava lʼaccento modulandola in mille guise finchè lʼaveva
collocata al suo vero posto—Era un lavoro lunghissimo, un raffinamento
squisito del genio, un ricamo della fantasia.

Sorprendiamo Ermanno in una delle sue veglie. La notte era già di molto
avanzata, eppure non se ne accorgeva; da più di unʼora le sue mani
cercavano sulla tastiera unʼidea inafferrabile che gli attraversava la
fantasia senza poterla colpire.—Non solamente la parola si ribella ad
esprimere tutto ciò che si concepisce; la musica siccome quella che
presenta un campo pia vasto nella regione delle idee, riesce sempre
più indecisa nellʼespressione del pensiero. Qual è lʼartista che possa
vantarsi di tradurre fedelmente le idee che gli sorgono dalla mente?
Tutto ciò che si esprime in arte non è che una pallida riproduzione
di ciò che si concepisce. Se le parole potessero tener dietro e
concretizzare tutti i voli dellʼimmaginazione, sarebbe gran ventura per
gli uomini di genio.

Tali riflessioni le faceva pure Ermanno che da molto tempo affaticavasi
invano nel cercare la traduzione di un concetto troppo ardito per
poterlo esprimere coi mezzi incompleti dellʼarte. Già era passata la
prima ora del mattino senza che lʼostinato artista pensasse che anche
la natura esige i suoi tributi; ei non aveva sonno, la sua volontà era
tanto fissa in quellʼidea che non sentì neanche il suono di una voce
che lo chiamava per nome.—Alla seconda chiamata però si scosse, ed
alzandosi immantinente corse ad aprire la porta che introduceva in una
stanza attigua alla sua sclamando:

—Hai chiamato mamma?

—Sì, rispose la voce.

—Attendi, porto il lume, e levata una candela dal pianoforte, ritornò
nella camera della madre accostandosi premurosamente al letto.

—Ti senti forse male?

—No, no, rispose sorridendo la buona donna, sto benissimo, ho
domandato perchè voglio che tu vada al riposo, è molto tardi ed hai
lavorato abbastanza.

—Ma no, non sono stanco, ti assicuro che mi sento bene.

—Non importa, tu non sei troppo robusto figlio mio, dà retta a me, va
al riposo, da bravo.

—Va bene, mormorò Ermanno sorridendo, vado, ma, per farti piacere.

Nella stessa camera eravi una specie dʼalcova nascosta da unʼampia
cortina; Ermanno aveva colà il suo lettuccio; vi entrò e poco dopo
madre e figlio stavano immersi nel sonno. La madre era una donna
sui cinquantʼanni ancora ben conservata; in essa consisteva tutta
la famiglia del pianista a cui da molti anni era mancato il padre.
Non si potrebbero dire i sacrifizi che fece quella buona donna onde
assecondare le inclinazioni artistiche del figlio, ma ne riceveva in
compenso il ricambio di unʼaffezione figliale senza pari.

Quelle due creature vivevano lʼuna dellʼaltra; Ermanno non usciva mai
a meno che non vi fosse costretto dalle sue faccende. Di giorno dava
lezioni di musica, verso sera faceva una breve passeggiata colla madre,
indi entrambi rientravano; egli si assideva tosto al pianoforte suo
fedele amico, come diceva, la madre gli si poneva accanto, e stava ad
ascoltare la musica finchè il sonno non le gravava le ciglia, poi se ne
andava al riposo—Ermanno fermavasi ancora lunghe ore a studiare senza
che per ciò il sonno della madre venisse menomamente disturbato; anzi
quella buona creatura si addormentava dolcemente come in braccio ad una
visione, fra i flebili accordi del pianoforte, e lʼultimo suo moto era
un sorriso di compiacienza che le restava impresso sulle labbra.

Dallʼepoca in cui Ermanno si accinse a dar lezioni, le sorti della
piccola famiglia erano dʼassai migliorate, e mercè unʼassiduo lavorare,
il figlio poteva procurare tutti i comodi alla madre—Ogni giorno si
arricchiva dʼun mobile quel modesto alloggio, e dopo molti risparmi
erasi avverata una cara speranza; potendo finalmente il giovane artista
far acquisto di un buon pianoforte, e rinunziare al suo vecchio
tavolaccio.

Niuno più felice di quei due esseri che vivevano unicamente per
consolarsi a vicenda. Accadeva talvolta che Ermanno dovesse passar la
sera in qualche concerto, e la madre allora non si metteva a letto
finchè egli non fosse di ritorno, lo aspettava se dʼestate alla
finestra, se dʼinverno accanto al fuoco, tendendo lʼorecchio a tutti i
passi che risuonavano sulla via.

Nel seno di unʼesistenza sì tranquilla Ermanno trovava le inspirazioni
per lʼarte sua, e nel silenzio della sua cameretta vegliava le notti
studiando, confortato dal pensiero che mercè sua la buona madre
riposava tranquilla e felice. Entrambi insomma godevano di una pace
domestica rara ed invidiabile.

Allʼindomani di quella notte in cui Ermanno aveva protratto lo studio
sino a tarda ora, mentre stavasene seduto al piano discorrendo colla
madre, fu bussato alla porta.

—Avanti, rispose il giovane, volgendosi per scorgere chi vʼentrava, oh
sei tu Alfredo?... Che nuove?....

Un giovinotto vestito con molta eleganza e ricercatezza, entrava
liberamente come uno che fosse di casa, e dopo di aver stretta la mano
a mamma Alvise, si avvicinò ad Ermanno dicendo:

—Proprio io, ti disturbo forse?

—Eh! scherzi, tu sai che di te non mi prendo soggezione. La mia
sorpresa attribuiscila allʼessere qualche giorno che non ti vedo.—La
tua famiglia come sta?

—Benissimo. Fui a Milano, non lo sapevi?

—Ma no, risposa Ermanno additando una sedia allʼamico.

—Propriamente, sono stato a Milano per dodici giorni, in casa di mio
zio a cui ho portata via la famiglia per farla passar qualche tempo con
noi.

—Come, è in Brescia la signora Ramati?

—Sì; ho incarico di farti i suoi saluti. Per parte di mia sorella poi,
debbo tirarti unʼorecchio; a quanto ella mi disse, tu hai disertata la
nostra casa.

—Chiedi scusa per me a madamigella Letizia, figurati che non ho ancora
potuto arrivare a metà della mia Fantasia per piano solo, e sì che ci
lavoro attorno di santa ragione.

—E che perciò, ne abbiamo forse noi colpa alcuna per abbandonarci
così?—Ora poi, aggiunse Alfredo, spero che vorrai favorirci, tanto più
che mia cugina muore per la voglia di sentirti; le parlai tanto bene di
te.

—Come hai una cugina?

—Ma si, la figlia dello zio, una giovinetta di diciassette anni,
uscita che è poco dal collegio, bionda, bella e viva come una farfalla.
Tu la vedrai con piacere; anzi venni apposta per dirti che stassera sei
atteso. Mia sorella te ne prega, mia cugina te ne scongiura.

—Bada, disse Ermanno sorridendo, tu parli con troppo ardore di questa
cugina.

—Che vuoi mio caro! è una fanciulla così viva ed amabile, che mi
butterei sul fuoco per piacerle.—È convenuto, stassera ti aspetto.

—Senti Alfredo, non potresti dilazionare? Per questa sera avevo
unʼaltro progetto.

—Impossibile, se tu non mi prometti di venire, non avrò più il
coraggio di presentarmi a casa; mia cugina...

—E dalli.

—Oh senti, tu verrai ad ogni costo, perchè ho già impegnata la mia
parola; anzi siccome conosco i tuoi gusti per la tranquillità, diedi
ordine che per questa sera non si riceva alcuno; così saremo noi soli
a bearci delle tue melodie. Ripassa se lo hai dimenticato quel tuo
bellissimo notturno—AL CHIARO DI LUNA—Mia cugina è ansiosa
di sentirlo.—Siamo dunque intesi, stassera alle sei ti aspetto,
pranzeremo insieme.

—Impossibile, interruppe Ermanno, fino alle otto non sono in libertà.

—Perchè?

—Perchè alle sette ho un altro impegno.

—Allora alle otto, già di te mi fido...

—Sta sicuro.

—Addio.

—A rivederci.

Alfredo Ramati era un simpatico giovinotto di distinto casato; la sua
famiglia era molto ricca, ma questa volta, come non avviene troppo
spesso, le ricchezze andavano congiunte ad una bontà e compitezza
veramente rara.—Il padre di Alfredo era stato avvocato di molta fama
in gioventù, ed ora allʼombra della pace domestica si godeva i frutti
del suo lavoro. Sua moglie era morta da parecchi anni lasciandolo con
due figli, Alfredo e madamigella Letizia. Questʼultima disimpegnava le
funzioni di padrona di casa, e tutto veniva regolato secondo il di lei
gusto.

Alfredo aveva una passione pronunciata per la musica, ed era legato
ad Ermanno per vincolo di vera amicizia; il suo affetto e la sua
ammirazione pel giovane artista andavano fino allʼesagerazione, e non
poteva parlare dellʼamico senza dare in elogi infiniti.

Ermanno era si può dire di famiglia in casa Ramati, aveva libero
accesso in qualunque ora del giorno, e talvolta per compiacere
madamigella Letizia, si fermava sino a tarda sera.

Da qualche tempo però egli aveva sospese le sue visite unicamente per
le soverchie occupazioni.

Alfredo per puro diporto era partito alla volta di Milano, ove si
fermò qualche giorno presso suo zio, fratello dellʼavvocato Ramati, lo
zio Pietro, come lo si chiamava. Dopo viva istanze ottenne da lui di
condurre la zia e la cugina Laura in Brescia per passarvi un poʼ di
tempo.—Come al solito Alfredo in causa del suo debole parlò sovente
alla cuginetta dellʼabilità e del talento di Ermanno, e tanto si esaltò
nel magnificarlo, che nacque nella ragazza un desiderio ardentissimo di
udire questo portento.

Ecco come stavano le cose, e perchè Alfredo si recò da Ermanno appena
arrivato.

Ermanno dal canto suo aveva accettato volentieri giacchè riguardo a
madamigella Laura, non eravi a prendersi soggezione. Partito Alfredo
da casa sua, egli si rimise al pianoforte, e studiò lungamente. Nella
giornata ripassò il suo _notturno_, ed alla sera verso le sei uscì a
passeggiare colla madre.—Ecco qual era lʼimpegno di Ermanno, il dovere
di amico non gli faceva scordare quello di figlio.—Alle otto Ermanno
era sulla via che guidava al palazzo Ramati.



II.


Aveva appena scossa la corda del campanello, che risuonarono
dallʼinterno della casa esclamazioni di gioja. Venne tosto aperto, ed
apparve sulla soglia madamigella Letizia seguita da una bella ragazza
che appena vide Ermanno si mise a gridare:

—Eccolo, eccolo, è desso!

Il giovane fu introdotto nella sala della signorina Letizia, che
nellʼaddurlo per mano gli disse:

—Questa volta non ci scappa più.

Non furono neccessarie tante cerimonie di presentazione, giacchè la
madre di Laura già conosceva Ermanno; in quanto a madamigella Laura
nel suo eccesso di espansione aveva già tolto il cappello e la canna
di mano al giovane con tale confidenza come se da molto tempo lo
conoscesse.

—Tu ne sarai sorpreso, disse Alfredo, ma mia cugina ti conosce già
intimamente; ella sa tutta la tua storia; epperciò non è il caso di
stare in complimenti.

—Oh! si davvero, sclamò Laura vivamente, il signore era già una mia
conoscenza prima ancora che lo vedessi; domandi alla mamma quante volte
abbiamo parlato di lei. Alfredo mi fece siffattamente lʼelogio del suo
talento per la musica, che non avrei avuto più pace se non mi veniva
dato di udirlo.

—Il caro Alfredo ha troppo zelo a mio riguardo, rispose Ermanno
sorridendo, e sarò a lui debitore se la mia poca abilità non
corrisponderà affatto alle troppo grandi aspettative di madamigella.

—Via signorino, ella vuole rimpicciolirsi per apparire poi più
grande, interruppe Letizia. Intanto Laura aveva già preso Ermanno per
il braccio, e tirandolo dolcemente lo fece sedere al pianoforte dicendo:

—Animo, favorisca di suonare quel _notturno_—AL CHIARO DI
LUNA—ne conosco già una parte.

—Davvero? chiese Ermanno.

—Ma sì, il cugino Alfredo aveva la compiacenza di cantarlo.

Ermanno era confuso, giammai egli aveva incontrato un carattere così
vivace, ed ingenuo. Sedendo al piano, alzò gli occhi sulla giovinetta
che si era posta a lui di fianco, e stette a contemplarla, anzi ad
ammirarla.

Alfredo non aveva punto esagerato; Laura era di una bellezza
sorprendente. Nulla di più soave del suo occhio ceruleo improntato
di una vivacità straordinaria; in quello sguardo brillava un misto
dʼingenuità e civetteria che formava uno strano contrasto. Una bella
fronte di neve contornata da ricchissima capigliatura, bionda come
quella di un cherubino.

Il complesso della persona gareggiava in vezzi colla soavità del volto,
e lʼinsieme di quella figurina era di una eleganza statuaria.

Ermanno rimase colpito; giammai egli aveva vista fanciulla più bella,
giammai nelle ricerche della sua fantasia dʼartista, erasi immaginata
una realtà così seducente. Abbassò lo sguardo dal volto di lei, e
sfiorando colle mani la tastiera del pianoforte, improvvisò uno
_Scherzo_, una specie di _Capriccio_ delicato come le idee che gli si
erano destate nellʼanima contemplando quella gentil creatura.

Laura stette ad ascoltare senza batter palpebra, e quando egli ebbe
terminato, ella corse ad abbracciare la cugina Letizia mormorando: Oh
come suona bene!

—Improvvisato, improvvisato! non è vero? chiese Alfredo premuroso.

Ermanno rispose affermando col capo.

Laura e Letizia si erano frattanto avvicinate al piano.

Noi non sapremmo dire come e perchè, ma è certo che il volto di Laura
si era acceso dʼun colore insolito, e se un mano indiscreta si fosse
posata sul di lei cuore, ne avrebbe sentito i moti più agitati.

È possibile che ella abbia potuto penetrare nel sentimento di quel
_Capriccio_ suonato da Ermanno?.....

..... Forse sì; havvi una corda nel nostro cuore che se viene scossa
rivela confusamente il perchè del suo eccitamento; dʼaltronde lo
sguardo di Ermanno esprimeva qualche cosa in quellʼistante; era
unʼespressione quasi impercettibile che però fece palpitare la
giovinetta, la quale per istinto ne aveva forse compreso il significato
prima ancora che Ermanno potesse spiegarselo—quel pensiero melodico
non poteva essere inspirato che dallʼesame fatto sul volto della
fanciulla, e lʼemanazione di quel concetto fu tanto rapida ed
improvvisa che la stessa mente che lo aveva concepito, non potè prima
tradurne il senso allʼintelligenza.

Ermanno aveva creata una melodia senza accorgersene sotto lʼimpressione
della bellezza. Laura aveva indovinato col cuore.

Quel _Capriccio_ voluttuoso, carezzevole, quei tocchi graziosi delle
note spiranti la mollezza, suonarono come soave linguaggio nel cuore
della fanciulla, che senza comprenderne il vero significato, pure
dallʼaccento, dalle vibrazioni, aveva scoperto in quel concetto un
saluto dʼammirazione.

Ermanno dal canto suo aveva rimarcato il leggiero rossore di quelle
guancie; incontrando una seconda volta lo sguardo di Laura, vi trovò
lʼespressione di un turbamento interno.

—Al _notturno_, interruppe Letizia.

—Sì, sì al _notturno_, ripetè Laura, saltellando per la sala, onde
nascondere lʼemozione cagionatale dallo sguardo di Ermanno.

Tutti si raccolsero attorno al pianista; Laura si collocò dietro a lui
e guardava sul piano passandogli lo sguardo giù per le spalle,—Letizia
a destra Alfredo a sinistra.

Fin dalle prime note dʼintroduzione, quegli entusiasti dʼuditori
cominciarono a trattenere quasi il respiro, ed era bello il vederli
immedesimati nel carattere della musica di cui ne seguivano tutte le
gradazioni. Dopo lʼintroduzione seguiva unʼadagio sulle corde basse,
e la mollezza di quel canto era tanto dolce, tanto insinuante, che
negli occhi di Laura vi brillò una lagrima di tenerezza. La povera
giovinetta non era più sulla terra, pareva che cercasse in quelle note
unʼespressione, unʼaccento che le facesse più chiaro ciò che le passava
per la mente, giacchè in quei suoni ella vi trovava un significato, e
sembravale di sentirsi parlare in cuore da una voce affettuosa e cara
già conosciuta, già udita altra volta.

Mentre Ermanno suonava, sentivasi lʼalito di lei sfiorargli la guancia,
ed eragli tanto soave quella carezza, che per prolungarne la durata
fece ritornello sullʼultima parte del _notturno_, aggiungendovi
una lunga cadenza così ben trovata, così morbida, che Laura rapita
dallʼeffetto, lasciò cadere le mani sulla spalla di Ermanno
appoggiandovisi sopra leggermente.

Il giovane fu scosso a quel tocco, lʼemozione rese tanto delicato il
senso del tatto in quel punto ove le mani si posarono, che gli parve di
accarezzarne le graziose dita.

Letizia alzò lo sguardo su Laura, e sorrise nel vederla in tale
abbandono; la giovinetta arrossì, e ritirò lestamente le mani.—Si
suonò dellʼaltra musica, indi fu concessa un poʼ di tregua al povero
pianista che era tutto in un sudore, ed allora si appiccò una
conversazione animatissima. Parlarono di musica, di teatri e di mille
cose che sarebbe follia ripetere; basti notare che la chiacchierata
durò due ore. In tanto tempo si possono dire molte cose, due ore sono
lunghe con una nojosa compagnia, ma parvero due istanti specialmente a
Laura, e diciamolo pure ad Ermanno.

Durante quel lungo discorrere i loro sguardi sʼincontrarono parecchie
volte, e lasciamo immaginare al lettore cosa poterono dirsi quegli
occhi. Non staremo certo a svelarne i dolci misteri, ci manca il
coraggio di accingerci a tanto, giacchè gli occhi parlano spesso assai
più della lingua, ed il loro silenzio è tanto eloquente da rendere
inetta la parola ad esprimere tutto ciò che possono racchiudere.

Lʼallegrezza di Laura in quella sera fu portata al colmo; ora saltava,
ora rideva; talvolta abbassavasi allʼorecchio della cugina mormorandole
sommesse parole, mentre di sottecchi sorrideva ad Alfredo ed Ermanno,
come se essi potessero indovinare ciò che ella diceva.

A taluni parrà alquanto esagerata questa subita espansività, ma noi
possiamo affermare che quel brio, quella spontanea allegria sono
naturali nelle ragazze che da poco lasciarono le mura di un collegio,
ove imparano a desiderare il mondo colle sue illusioni e le sue
libertà. Ai primi soffii dʼaria libera che le sfiorano il viso, esse si
esaltano, si commovono, e vorrebbero nel loro entusiasmo abbracciare
lʼuniverso intiero; il mondo traveduto nei vergini sogni si presenta ad
esse come un mazzo di fiori freschi e profumati ma, non sanno ahimè che
quel profumo stordisce, che quellʼaria balsamica spesse volte uccide!

Ermanno si sentiva commosso nel mirare quella fanciulla così bella e
felice; lʼocchio del giovane errava spesso a fare, unʼesame troppo
scrutatore di quelle bellezze, talchè Laura accorgendosene ne arrossiva
sorridendo, mentre con infantile civetteria si guardava negli specchi.

Il tempo, quel giudice crudelmente imparziale segnò le undici ore
sullʼinesorabile Clepsidra, ed una torre lontana rispose a quel segno a
colpi di squilla.

—Undici ore? chiese Letizia.

—Propriamente, rispose Alfredo guardando il pendolo.

—Diggià! mormorò Laura un poʼ uggiosa.

—Allora, disse Ermanno alzandosi, me ne vado.

—Oh non ancora, sclamò Laura, bisogna suonare anco una volta il
_notturno_.

Ermanno si rimise al piano, e Laura riprese la stessa positura. Il
_notturno_ era piuttosto lungo, e la stagione non troppo favorevole per
una lunga fatica al piano, per cui alla fine del pezzo Ermanno aveva la
fronte madida di sudore; Laura se ne accorse, titubò alquanto, guardò
prima Letizia, poi Alfredo; indi per un moto quasi involontario trasse
il fazzoletto e lo passò leggermente sulla fronte del giovane pianista,
il quale la ringraziò con un dolce sorriso.

Ermanno non si potè partire da casa Ramati senza prima aver promesso
di tornarvi alla dimane, ed ancora mentre stava per scendere le scale,
Laura trattenendolo per mano sclamò: Si ricordi che lʼaspettiamo!



III.


Potrebbe mai mente umana esprimere con parole tutto ciò che passava
per la testa al giovane artista mentre avviavasi verso casa?....
Egli stesso mal sapeva darsi ragione di ciò che provava in quei
momenti.—Tutto lʼaccaduto di quella sera gli appariva come un sogno,
un lungo e dolcissimo sogno; alcunchè di nuovo agitavasi nellʼanimo
suo, un senso ignoto di malinconica beatitudine a cui lʼimmagine di
Laura non era affatto estranea.—Quanto è bella quella giovinetta!
ripeteva fra sè, e con piacere riandava col pensiero su tutto ciò
che ella gli aveva detto.—Era una piena di nuove sensazioni che
gli scaturivano dallʼanima, ed egli ne assaporava le dolcezze senza
comprenderle.—Con infantile compiacenza ripetevasi mentalmente il nome
di Laura, e quel nome era seguito da qualche cosa che rassembrava ad un
sospiro.

Rammentavasi poscia quel leggiero alito della fanciulla che stavagli
alle spalle mentre egli suonava; quellʼalito che gli aveva sfiorata la
guancia come una carezza, quel soffio delicato che aveva scossa la sua
fantasia costringendolo ad amplificare le frasi del suo _notturno_.
E tutto ciò non era che un sogno? quellʼadorabile creatura non era
una visione, unʼideale? No, giacchè egli avea sentite le mani di lei
appoggiarsi alle sue spalle, ne aveva strette le delicate dita.

No, egli non sognava, solamente la sua esistenza accennava ad una fase
novella; le sue idee subivano una reazione, la mente era più serena, il
cuore più agitato.

Giunto a casa Ermanno si assise al pianoforte, suonò, od almeno cercò
di suonare perchè era distratto; le idee ed i concetti musicali
venivano disturbati da dolci meditazioni.—Se ne andò al riposo
chiudendo gli occhi onde non interrompere le belle fantasmagorie
dellʼimmaginazione; chiuse gli occhi e si addormentò sognando di
trovarsi ancora in casa Ramati, accanto a colei che aveva suscitato un
mondo di idee nuove nellʼanimo suo.

Sognava, ed il suo sogno era felice. Allʼindomani la madre di Ermanno
che si alzava sempre per la prima, scorse sul labbro del figlio un
sorriso di compiacenza; quel volto addormentato esprimeva la felicità,
e la buona donna si ritirò con tutta precauzione onde non turbare
lʼincanto del sogno che faceva sorridere il suo Ermanno.

Cosa è il sogno? Chi lo disse una rimembranza del passato, chi un
riflesso del presente, chi un presagio dellʼavvenire. Non sarebbe egli
invece un complesso di tutto, un crogiuolo dove si fondono le memorie
del passato, il bene od il male del presente, le speranze od i timori
dellʼavvenire?

Il sogno è un compendio delle nostre idee, un sunto ristretto della
storia di nostra vita; una specie di romanzo fondato su fatti reali
ingranditi dalla fantasia.

Ermanno sognò, ed il suo sogno fu tanto dolce che allo svegliarsi
trovò il sole splendente di luce più bella, il cielo più sereno.—Quel
sorriso che gli errava sulle labbra nel sonno, durò tuttavia mentre
era desto. Guardò lʼorologio, erano le otto del mattino, e quasi senza
volerlo riflettè che per arrivare alle otto di sera, si dovevano
trascorrere ancora dodici ore.

Durante la giornata che gli parve un poʼ lunghetta, studiò quasi
sempre, ripassando alcuni pezzi che da molto tempo aveva lasciati in
oblio, come per cercarne uno che piacesse...a lei; diciamolo pure,
in tutto quel giorno egli non agì per conto suo; il suo spirito era
rivolto ad altro oggetto. In quel giorno i suoi pensieri non furono
tutti per sua madre, la quale dal canto suo non poteva esser tanto
egoista da adombrarsi se le aspirazioni del figlio non erano tutte a
lei rivolte.

In questo mistero dellʼesistenza, la felicità appare tanto più bella,
quanto più è incompresa, ed Ermanno senza discutere sulle cause del
suo benessere, ne accettava le dolci conseguenze.—Importa forse
sapere il perchè si è felici? La felicità assorbe in un punto tutti i
desiderii, anche la curiosità; lʼafflitto esamina la causa deʼ suoi
dolori per porvi riparo, lʼinfelice cerca nellʼorigine del male per
trovarvi il mal seme che turbò la sua pace? chè perciò? Lʼuomo contento
dovrebbe forse indagare sulle cause che produssero il suo bene? Il
dolore concentra, la felicità distrae; cercare lʼorigine del bene
sarebbe follia quanto quella di cercarne il termine.—Se Ermanno avesse
esaminato il perchè della sua allegrezza ne avrebbe guadagnato qualche
dolore, giacchè era facile scoprire che la sua gioia altro non era che
unʼedifizio senza base, un castello in aria, unʼillusione.

—Spesso la conoscenza della causa distrugge il prestigio dellʼeffetto,
e lascia lo sconforto della realtà.

Ermanno era felice; e chi non lo fu alla sua età? Chi non sorrise di
gioia allo spettacolo dellʼavvenire traveduto nello sguardo di una
giovinetta? Chi come il nostro artista non abbandonossi intieramente
alla lusinghiera carezza di una dolce speranza?—Il bene della vita si
riduce ahimè! pur troppo ad una lunga fila di speranze le quali cadono
ad una ad una nel nulla sconfortante della delusione; la realtà dʼun
bene non è sufficiente a costituire la vera felicità, se non vi si
mesce la speranza di un miglioramento.

Verso sera Ermanno uscì colla madre per la solita passeggiata, ma per
la prima volta quella gita aveva un doppio scopo, ciò si scorgeva
facilmente dal volgersi che faceva il giovane al minimo rumore di
carrozza. Il suo sguardo errava su tutti I volti come se cercasse
qualcuno. Alla madre non sfuggì certo la continua distrazione del
figlio, tuttavia non ne fece motto; non vi poteva essere nulla di
serio, dacchè Ermanno aveva unʼaria così felice.

È duopo dirlo? Non erano ancora suonate le otto, che già Ermanno si
avviava verso casa Ramati; aggiungeremo inoltre che la sua toeletta era
più accurata. Camminava col passo dellʼuomo felice, o meglio, di quegli
che va in cerca della felicità, e sa dove trovarla.

Mentre il nostro artista vola trasportato dal turbine lusinghiero delle
speranze palesando in mille modi la sua gioia, passeremo a vedere quale
impressione abbia fatto Ermanno nel cuore di Laura.

Nella prima sera in cui ella lo conobbe, la corrente di simpatia superò
certe sciocche convenienze, e vedemmo quella ragazza abbandonarsi
ingenuamente a tutto il brio e la libertà che erano in lei natura. Vi
sono nellʼuomo certi misteri incomprensibili di cui se ne subiscono
giornalmente le conseguenze, spesso ci diventa simpatico unʼindividuo
al solo sentirne a parlare; diremo di più che questa simpatia nata
improvvisamente si trova giustificata al primo incontro che si ha
collʼindividuo in persona.

Alfredo, lʼabbiamo detto, era stato a Milano qualche giorno in casa
della cugina; questo bravo giovane era entusiasta per Ermanno, e parlò
di lui a Laura in modo tale, che costei si sentì curiosa di conoscerlo
personalmente—Ecco lʼunica ma sufficiente scusa che può giustificare
la condotta di Laura.

Dʼaltronde a diciasette anni si pensa forse tanto alle conseguenze? No
per buona sorte: La natura si trova a quellʼetà ancora intatta, basata
cioè sui principii di unʼeguaglianza generale. Che non può poi quel
mago che sconvolge ogni cosa, lʼamore? Lʼamore, quel senso misterioso
che si rivela tutti i giorni sotto forme novelle, quella rugiada di
paradiso che basta per sè sola a confortare tutti i dolori, a sanare
tutte le ferite! È tuttavia in comprensibile il suo dominio, tutti i
mortali lo hanno provato, tutti furono trasportati nel seno di quel
mare di voluttà, tutti bevvero in quella coppa che racchiude le più
sante delizie, senza che uno solo abbia potuto afferrare il secreto di
quelle gioie; la specola della scienza non ascese puranco alle regioni
dʼamore.

Come nasce, come muore? Dove passa? nessuno lo sa;—Il filosofo austero
potrebbe pensare e studiare secoli interi senza venirne a capo di una
definizione —Come si manifesta? Chiedetelo a Laura, che per quella
prima notte cercò invano il riposo—Lʼimmagine dʼErmanno le stava
sempre davanti agli occhi, ed ella dʼaltronde non cercava menomamente
di bandirla.

La prima manifestazione dʼamore nel cuore umano compie la più grande
delle rivoluzioni nelle idee; tutto ciò che prova un cuore vergine
al primo palpito è nuovo, confuso, come melodia portata da lontane
regioni frammista al mormorio dellʼaria; come il profumo di mille fiori
raccolto in una folata della brezza primaverile.

Eccola per esempio, la vispa Laura, colei che non aveva un minuto di
quiete, che non si era crucciata mai per nulla; dovʼè la sua allegria,
dove lʼeterno sorriso di soddisfazione, il sorriso dellʼinnocenza?
Per la prima volta la giovinetta pensava; a che? Ella stessa noi
sapeva—Seduta in un angolo remoto del giardino, pareva intenta a
comporre un mazzolino di fiori, e la soverchia cura che poneva in
quel lavoro, palesava il vero secreto. Il labbro più non sorrideva;
il sorriso non può passare per la stessa via del sospiro, e Laura
sospirava di frequente.

Povera fanciulla! Inginocchiata sullʼerba, interrompeva talvolta il
lavoro per abbandonarsi alle riflessioni; ella pensava, ed il suo
pensiero vagava altrove mentre il corpo rimaneva là, immobile come
statua.

Tutto le parlava allʼanima un linguaggio dolce e commovente, tutta
natura era unʼarmonia soave come la musica di Ermanno.... Ermanno!
A questo nome il suo pensiero si arrestava, ed un lieve rossore le
pingeva le gote; nel pronunziarlo ella sentiva alcunchè dʼignoto
destarsi in lei, e sorrideva malinconicamente. Era un sorriso traditore
che celava un sospiro.

Il mazzolino era terminato, ma il tempo impassibile ai più ardenti
desideri, scorre lento per chi aspetta; e Laura aspettava misurando
i momenti—Sembravale che il sole si ostinasse a non scendere per
contrariare lei, che ne aspettava ansiosamente il tramonto.

Man mano che le otto ore si avvicinavano, ella diveniva sempre più
inquieta, finalmente il pendolo segnò lʼora desiderata, e quasi
contemporaneamente risuonò il campanello di casa Ramati.

Era desso! il cuore non lʼaveva ingannata; era Ermanno che entrando
incontrò lo sguardo smarrito della fanciulla, che tradì colla sua
confusione il suo secreto. In quella sera la madre di Laura ritirossi
di buonʼora perchè alquanto indisposta; sullʼavvocato Ramati era
assolutamente vano il far calcolo; erano tempi di agitazioni politiche!

I giovani adunque rimasero soli e padroni del campo. Ermanno suonò, e
naturalmente Laura appoggiò le mani alle sue spalle; non era più una
novità, e poteva farlo liberamente. La stagione non correva troppo
propizia per restar rinchiusi in una sala, ed Alfredo propose una
passeggiata nel suo ampio giardino—Si accettò con gioia—Di notte i
giardini sono più deliziosi che non di giorno; al chiaro delle stelle
si può benissimo comporre un mazzolino di fiori, ed Ermanno dopo pochi
passi, aveva fatta la sua messe sopra un rosaio il più vago che si
fosse mai visto—Un bottoncino di fiori accuratamente intrecciati,
passò rapidamente dal seno di Laura nelle mani di Ermanno Vengano ora
a dirci che di notte non si vede! La comitiva si fermò sopra un poggio
che si ergeva nel mezzo del giardino, e tutti si adagiarono senza tante
reticenze sullʼerba morbida e fresca.

—Ermanno! saltò su a dire Alfredo, mia cugina canta molto bene, tu
sei poeta discretamente felice, e musico per eccellenza; non potresti
comporre una Romanza?

—Bella idea, sclamò Laura battendo le mani, quando sarò a Milano, mi
verrà di gran conforto nella noia della solitudine il cantare qualche
cosa che mi ricordi questa casa.... Non già che io abbisogni di
unʼeccitamento per ricordarmi di Brescia, questa bella città mi lascia
troppe impressioni perchè io la possa dimenticare! e si dicendo senza
accorgetene strinse la mano dʼErmanno, il quale rispose:

—Mi proverò signorina, ma non si lusinghi di troppo.

—Evviva la modestia, sclamò Letizia, figurati Laurina che anche
a me diceva lʼistessa cosa, eppoi mi ha fatto una delle più belle
_Barcarole_ che si sieno mai sentite. Il male si è che da qualche tempo
ho cambiata la voce, e non arrivo più a cantarla.

—È dunque inteso, interruppe Alfredo; ora tocca a Laura di scegliere
il soggetto.

Laura si mostrò alquanto imbarazzata. A quella semplice proposta le si
presentarono dʼun tratto tante idee, che mal sapeva dove scegliere. Non
era assolutamente il soggetto che le mancava, ma sibbene il coraggio di
palesarlo.

—Hai trovato? Chiese Letizia.

—Davvero non saprei, mi vengono in mente tante cose....

—Ti aiuterò io, disse Alfredo, ma prima è necessario sapere qual
genere di canto preferisci.

—Malinconico, rispose Laura.

—Una lacrima!...

—No.

—Un sospiro?

—Nemmeno.

—Una preghiera!

—No, rispose ancora la fanciulla, e volgendosi ad Ermanno. Animo, gli
disse, ci aiuti; fuori una delle sue belle idee, ed aggiunse con un
lieve accento di rimprovero: parmi poi che ella non dovrebbe essere
affatto estraneo alla scelta di questa canzone!...

Letizia non comprese. Alfredo pensava al soggetto, ma Ermanno conobbe
il vero senso di quelle parole; lo conobbe tanto bene che rispose
subito:

—Un addio?

—Bene, bene risposero le ragazze.

—A chi? chiese Alfredo.

Questa volta toccò ad Ermanno lʼimbarazzo, ma Laura, come se avesse
compresa la titubanza, e per dargli coraggio sclamò con accento
malizioso:

—Fuori dunque, non esiti, a lei non possono venire che buone idee.

—Addio alla patria! gridò Alfredo come se avesse colto bene.

—No, no.

Ermanno si fece coraggio, e mormorò:

—Un addio allʼamico....

—_Lontano_, aggiunse Laura, con estrema finezza.

—Dunque, _Un addio allʼamico lontano_, ribattè Alfredo. Bene, ma non
troppo, quellʼamico....

—Eh! via, osservò Letizia, non capisci che lʼamico è un amante!

—È unʼamante?... Allora non parlo più.

Il volto di Laura era talmente acceso che fu vera fortuna per lei se le
tenebre della sera le fecero velo.

Dopo poco tempo, si fece ritorno nella sala di musica.

Laura volle provarsi a cantare, ma invano, la voce rispondeva
al sentimento che la agitava; nella sua piccola fantasia
la povera giovinetta credette di aver commesso alcunchè di
straordinario.—Alfredo tentò egli pure una cavatina, ma la troncò a
metà, allegando unʼimpedimento di voce causato forse dallʼaria della
sera.

Ermanno pure era alquanto pensoso; pareva assorto in qualche grave
riflessione, e sfiorava sbadatamente la tastiera del pianoforte, senza
punto curarsi di ciò che ne usciva. Ad un tratto una vocina delicata
che lo fece fremere, interruppe le sue meditazioni.

Era Laura che durante quel martellare sul piano, erasi rimasta dietro
a lui, non azzardando di sturbarlo; era dessa che scuotendolo dal suo
letargo lo invitava a suonare—Ermanno alzò gli sguardi al soffitto
come fanno i pianisti per richiamarsi alla mente qualche pezzo, indi
nel riabbassarli, incontrò quelli di Laura che gli si era posta
accanto; era un sorriso seducente, che egli contemplò a lungo senza che
perciò la giovinetta sʼimbarazzasse.

Ermanno suonò, ed alle prime note dʼintroduzione venne interrotto da
Alfredo che gridava:

Attente figliuole, attente a questa sublime musica, è di Talberg....

Ermanno risalì al principio del _Notturno_ che riuscì dʼun magico
effetto. Letizia batteva le mani, e Laura invasa dal senso malinconico
che la dominava, mormora al giovane:

—Quanto è caro...questo _notturno_.

Batteva la mezza dopo le dieci quando Ermanno si levò dal pianoforte
per andarsene.

—Così presto? chiesero le fanciulle.

—Me ne duole signorine, ma mia madre non istà troppo bene, e non è
prudenza lasciarla sola per tanto tempo.

—Allora vada pure signor Ermanno, sarebbe dal canto nostro esigere un
poʼ troppo.

—Letizia dice bene sclamò Laura prendendo la mano ad Ermanno, e
trattenendolo aggiunse. A rivederci quando?

Ermanno si mostra imbarazzato.

—Domani perbacco, disse Alfredo, non è vero?

—Purchè mia madre stia bene....

—Oh sempre inteso, anzi ascolta, ho un progetto per domani; suonare
tutta la sera è troppa fatica con questo caldo; andremo a fare un giro
in carrozza, vi pare madamigelle?

—Va benissimo.

—A domani dunque.

—A domani.—Ermanno uscì salutato per lʼultima volta da Laura che gli
aveva mormorato: Lʼaspetto!



IV


La felicità non è sempre la ben giunta nel cuore degli uomini. Taluni
forse per eccesso di timidezza, diffidano della felicità che si rivela
sotto troppo belle speranze—È bene lʼesser parco in tutto onde non
avere a dolersi di troppo per la perdita di un bene vagheggiato, e
coloro che accettano per buone tutte le gioie che arreca una dolce
speranza, non agiscono ragionevolmente.—Chi più compra, più paga—e
se tutti potessero tenersi impressa questa inevitabile conseguenza,
sarebbe evitato lo spettacolo doloroso di tanti poveri illusi ai
quali sembrava di toccare il cielo; che poi precipitano nel nulla
della delusione. E perchè ciò? Perchè si erano affidati ad una falsa
speranza; perchè non seppero giudicare a tempo se fosse possibile la
sussistenza di unʼedifizio infondato.

Diffidare di una felicità sperata, sarebbe gran virtù; ma come fare se
è destino che la vita dellʼuomo sia una continua speranza? Sperare il
male, sarebbe follia; e poichè si deve tendere a qualche cosa, meglio è
sperare nella felicità.

Laura aveva centomila lire di dote, ed era figlia unica.—Questa
dichiarazione è assolutamente necessaria per giustificare i dubbii e
le apprensioni di Ermanno. Il nostro giovinotto allʼuscire di casa
Ramati era tormentato da tristissime meditazioni; ormai non vʼera più
dubbio sulla realtà del suo amore. Invano egli avea lottato contro quel
sentimento che minacciava la sua pace; lʼamore è più ostinato che mai,
si potrebbe lottare allorchè non si ama; ma il primo sintomo di lotta
e il primo sintomo dʼamore.

Ermanno era ragionevole, a mente tranquilla egli non si sarebbe mai
sognata una cosa tanto lontana dal possibile; eppure nel breve periodo
di due giorni egli era soggiogato. Non era il caso dʼilludersi, il
dolore che provava nel riconoscersi vittima di quel sentimento, era la
più certa prova dellʼamor suo. Strana follia! Egli povero umile artista
innamorarsi di una giovinetta appartenente a distintissima famiglia. Ma
come mai colla sua sana intelligenza non aveva compreso che quellʼamore
era un sogno, una chimera? —Ma quel sogno era tanto bello, che egli
vi si addentrò senza avvedersene; ed ora che la prima riflessione
gli parava innanzi la gelida realtà, ora che erasi abbandonato
inscientemente nellʼonde delle illusioni, sentiva lʼimpossibilità di
ritrarsi.

Ciò che più di tutto lo addolorava, era la certezza che aveva
dellʼamore di Laura. Come non accorgersene? come non credervi se
ella stessa si era tradita con tanta sincerità. Egli avea accettato
il fascino misterioso di una prima impressione, e difatti in quella
prima sera non una triste idea era surta a funestarlo. La speranza
gli sorrideva presentandogli la coppa delle illusioni; invece di
respingerla, invece di sciogliere lʼincantesimo col soccorso della
ragione, non seppe resistere al senso misteriosamente dolce che lo
attraeva verso quella vezzosa fanciulla.—Ma gli infelici fruiscono
poco del prestigio di unʼillusione, e la verità corre tosto premurosa a
disperdere la trama delle speranze.

La realtà! ed era ben dessa quella crudele che aveva atterrate le pure
gioie del povero Ermanno! Spingendo il pensiero attraverso le nubi
dallʼavvenire, egli non vi trovava che un cammino monotono privo di
ogni sorriso dʼallegrezza; il campo dellʼarte divenne per sè stesso
troppo arido; egli avea traveduto in sogno una mano gentile che poteva
guidarlo ad altissima meta; accanto al sentiero di spine, aveva sognata
una via di rose.

È meglio non pensarci più, diceva fra sè; ma subito dopo gli tornava
alla mente il bel viso di Laura, la sua grazia, il suo sguardo
espressivo, che richiamavano in un cielo di dolcezze sante e pure;
allora si apriva per poco lʼanimo suo alla speranza, e nel trasporto
di tenerezza baciava quel mazzolino di fiori che ella gli aveva dato
come pegno dʼaffetto; ma di quale affetto? Dove si fondava quellʼamore?
E pur troppo Ermanno riconosceva in esso il frutto dellʼinesperienza,
e pensava che allʼindomani quella giovinetta ingenua educandosi alla
scuola della vita, avrebbe cessato di commoversi per un oggetto di poco
conto; che domani Laura leggendo nel gran libro del mondo, riderebbe
forse allo svegliarsi di quel sogno troppo puerile.

Allʼetà di Laura, nulla avvi di certo sulle aspirazioni del cuore, nè
si discute menomamente sulla possibilità o non di amare—In quel primo
brillare dei raggi della vita, si fa tutto senza calcolo, e forse senza
bisogno.

Perchè Laura amava Ermanno? Perchè le piaceva; ecco tutto. A quellʼetà
non si bada troppo alle esigenze sociali che pongono lʼamore fra le
strettoie delle convenienze. Che importava ad essa se Ermanno non
era ricco? Questo pensiero non le passava neanche per la mente. A
diciasette anni la donna ama per amare; lʼanimo suo non ancora corrotto
dal soffio delle passioni; risponde con entusiasmo alla prima parola
dʼamore che si sente mormorare.

Per tutta la susseguente giornata Ermanno stette in preda ad
unʼagitazione febbrile; la musica non ebbe forza alcuna per distrarlo
dalle sue dolorose meditazioni; infine dopo tanto riflettere, prese
lʼeroica decisione di non porre più piede in casa Ramati.—Egli aveva
troppo bisogno della sua pace per non cimentarla dietro ad una folle
speranza.

Man mano però che si appressavano le otto ore, egli sentiva che la sua
costanza vacillava. Invano cercava di distrarsi, invano tentava nelle
risorse della sua ragione un eccitamento per resistere al desiderio
che lo attraeva. La seducente apparenza della bella serata che
avrebbe potuto passare in casa Ramati lo faceva titubare nella presa
risoluzione.

Più volte fu sul punto di lasciarsi trascinare ove lo chiamava il
cuore, ma seppe resistere. Suonarono le otto, ed egli stette fermo,
malgrado un palpitargli agitato del cuore che lo avvisava esser quello
il momento di andare.

Egli aveva vinto; con un grande sforzo di volontà seppe comandare a sè
stesso; ma la lotta fu strenua, il combattimento accanito, ed il povero
Ermanno riportò colla vittoria la noja e la spossatezza.—Egli che
aveva vegliate tante notti nello studio dimenticandosi del mondo, non
sapeva ora dove trovare una distrazione; il suo pensiero vagava per la
città in cerca della carrozza che trasportava Laura, la povera Laura
desolata forse per il di lui contegno.

A tale idea Ermanno sentivasi stringere il cuore, e per poco non
sarebbe corso in casa Ramati a scusarsi. Erano già trascorse le nove,
ed egli non era puranco al sicuro, il cuore non voleva cederla ad ogni
costo. Che fare? Si appigliò al consiglio di cercar nel riposo un poʼ
di pace; recarsi a spasso sarebbe stata follia, dove andrebbe? ovunque
lʼaspettava la noia, eppoi chi lo assicurava che discendendo nella
via, le gambe non lo guidassero macchinalmente verso quella casa? Sono
sì facili le distrazioni di simil genere!

Ermanno si mise a letto, ma sarebbe arduo assai lʼasserire che egli
dormisse.—La notte gli parve lunghissima; se era desto pensava a
lei; se dormiva sognava di lei, e dappertutto sì nella veglia che nel
sonno, vedevasi innanzi la bella Laura che con aria corrucciata lo
rimproverava per aver mancato alla data parola di trovarsi allʼindomani
presso di lei.—

Era tanto piacevole questo rimorso, che egli lo accettò, ed a poco a
poco finì per persuadersi di aver commessa una sciocchezza.—A che prò
pensava egli, a che prò far tanti sacrifizi per evitare un bene? per
fuggire una gioia; è vero bensì che abbandonandosi alla corrente delle
sua speranze ne avrebbe riportate infine amarezze e dolori; ma soffrire
anticipatamente per evitare un dolore incerto, è follia, tanto più se
per giungere a quel dolore si passa per la via del piacere;—Tanto vale
dolersene poi.

Ermanno si alzò allʼindomani con quelle savie riflessioni riportate
dal lungo pensare durante la notte; infine, diceva fra sè, che ci
arrischio? Quella giovinetta mi ama, è vero, ne sono certo; ma per puro
eccesso di entusiasmo. Essa crede amore ciò che probabilmente poi non
sarà che un capriccio di ragazza.—In uno slancio della sua vergine
fantasia mi prodiga sorrisi e carezze, con rara ingenuità mi stringe la
mano, come per ringraziarmi delle dolci emozioni che le cagiono, ed io
dovrei essere tanto crudele da respingerla e disilluderla amaramente
svegliandola da un sogno che la farà felice per qualche giorno?.....
Mai, e poi mai; ciò sarebbe per parte mia un eccesso di crudeltà, e non
voglio certo rendermi colpevole della prima lacrima che parte dal cuore
di una giovinetta!

Come ben vediamo, le riflessioni di Ermanno, se non erano del tutto
logiche, conservavano almeno le apparenze in faccia al suo amor
proprio. Difatti dopo di aver aspettato ardentemente che la giornata
volgesse al termine, egli era convinto in cuor suo di arrendersi per
deferenza, per atto di generosità; ma intanto il tempo gli pareva
lunghissimo, ma mentre colla testa egli forma vasi un piano di difesa,
il cuore palpitavagli violentemente in seno, e non si avvedeva che quel
debole barlume di speranza era il segno certo della sua sconfitta.

Lʼuomo sʼillude nel commettere un errore; egli pensa e crede tutto il
contrario di quanto potrà succedergli, e tenta con ogni scrupolo di
giustificarsi in faccia alla sua coscienza.—Per il bene si ricorre
alla ragione; per il male, allʼillusione; son due tribunali che si
rassomigliano.

Alle sette e mezza il nostro eroe era già sulle mosse verso la casa di
Alfredo; sicuro della sua coscienza egli camminava quasi baldanzoso;
ma appena scorse da lontano il balcone di casa Ramati, e sovrʼesso vi
distinse Laura, si senti al cuore una scossa tanto forte, che mancò
poco non cadesse. Alla sola vista di quella giovinetta disparve in un
baleno lʼapparato del suo eroismo; tutto il coraggio si franse dʼun
colpo, tutte le idee di generosità inspirate da un falso amor proprio
si dileguarono, e con esse ogni dubbio sulla reale esistenza del suo
amore.

Egli aveva potuto senza vederla fabbricar progetti a suo piacimento; il
cuore lo lasciò fare senza punto disturbarlo; ma che può mai la mente
allorquando il cuore parla? Questa particella di noi stessi, impianta
per sè sola una specie di governo assoluto, un centro dʼazione contro
cui si frange la punta del più saldo raziocinio.—Ermanno stesso rimase
colpito dello strano potere che aveva preso nellʼanimo suo quella
fanciulla, e conobbe di quanto avesse progredito il suo amore in soli
due giorni.

A che servirono mai tutti i suoi proponimenti? La verità ora si
appalesava con tutta chiarezza.—Riavutosi alquanto egli riprese il suo
cammino, ma più si appressava a quel balcone, più ingrandivasi la sua
agitazione.—

Laura intanto era fissa cogli occhi al fondo di unʼaltra via che
attraversava quella percorsa da Ermanno; dalla sua attitudine era
facile lʼindovinare che ella sperava di veder comparire qualche persona
aspettata.—Tratto tratto, scorreva collo sguardo su tutti i punti
dominati dal balcone, palesando una viva impazienza.

Allorchè le venne dato di vedere Ermanno, si fece rossa in viso, ed
anchʼessa fu colpita da un assalto di palpitazione.

Quando egli entrò nel portone, Laura gli corse incontro ad aprirlo,
e lo ricevette sullʼultimo gradino con una convulsiva stretta
di mano, ed un sorriso che riassumeva mille rimproveri, e mille
ringraziamenti.—Entrarono sempre tenendosi per mano, giunti nella sala
del balcone, Laura sedette, ma era tanto lʼaffanno della poverina da
non trovare il respiro per dire una sola parola.

Letizia ed Alfredo non erano presenti per quel momento, ciò accresceva
lʼimbarazzo di Ermanno, il quale pure non aveva ancora aperto
bocca—Infine Laura ruppe per la prima il silenzio.

—Bravo, bravissimo il signore, ieri sera noi abbiamo aspettato
invano!....

—Mille perdoni madamigella.... non fu per colpa mia; dʼaltronde non
aveva accertato di venire....

—È vero; ma pure farsi tanto desiderare, la è una vera crudeltà. Come
era naturale anche la passeggiata andò in fumo.

—Duolmi assai che per causa mia....

—Oh! per me, sclamò Laura ingenuamente, non è la perdita della
passeggiata che mi crucci, ma sibbene..... Quivi si arrestò,
senzʼavvedersene ella entrava in un punto troppo pericoloso; e
cambiando tuono dʼun tratto disse:

—Ma via, si sieda qui accanto a me, mentre stiamo aspettando i cugini,
discorreremo alquanto—Come sta sua mamma?

—Egregiamente.

—Come egregiamente, se ieri ancora?....

—Ah è vero, ma ora ha migliorato dʼassai.

—E mi dica in qual modo consumò la sera?

—Stando in casa.

—Proprio..... senza uscir mai?

—Mai.

—Ed ha suonato, senza dubbio.

—No.

—Come, non ha suonato? E che cosa ha fatto in tutta la sera mio bel
signore?

—Ho pensato....

—A che cosa?

Ermanno restò confuso. Se Laura avesse avuto un tantino di pratica,
poteva subito leggere sul volto di lui quale fosse stato lʼoggetto deʼ
suoi pensieri—Ermanno diffatti era commosso; il suo sguardo non si
saziava mai di contemplare quella graziosa figurina, ed ella lasciavasi
guardare senza scomporsi.

—E del mio mazzolino, che ne avvenne? chiese Laura sorridendo.

—Lo conservo gelosamente.

—Davvero?

—Certo, è una memoria tanto cara!

—Sì, ma appena quei poveri fiori saranno appassiti, ella si
dimenticherà di chi glie li ha dati....

—Oh! no signorina, è questa unʼaccusa gratuita che non mi merito
certamente.

—Davvero! Ella non mi dimenticherà sì presto? Ciò mi fu molto piacere;
dopo tutto sarebbe una vera crudeltà se si perdessero così presto certe
belle memorie! Oh! per parte mia glie lo assicuro, ciò non sarà mai,
e prevedo pur troppo che dovrò annojarmi per bene quando sarò sola a
Milano, lontana da questa cara Brescia....

—Ma, disse Ermanno, ci vuole ancor molto tempo prima che....

—Ohimè! Papà scrisse a mamma pregandola di trovarsi a casa fra quattro
giorni!.....

Tal nuova afflisse tanto profondamente il giovane che se ne stette
senza parola!—Quattro giorni appena! Ed era questa la felicità che
aveva sognata? Mai non gli venne in mente che Laura dovesse partire, e
questʼidea lo colpì sì forte, che ne provò vero dolore.

Laura vedendolo così triste, non cercò dʼinterrompere il filo delle
sue riflessioni; serbò il silenzio per qualche istante scrutando
attentamente tutte le oscillazioni del di lui sguardo. Forse non si
sbagliò sul secreto del dolore che gli si dipinse in volto, e come per
tentare qualche conforto, sclamò mestamente:

—È doloroso a dirsi, in questo mondo si nasce solamente per fare dei
sacrifizii!

—Pur troppo, rispose Ermanno, dacchè il discernimento della ragione
rischiarò la mia mente, io vidi essere lo scopo della vita non altro
che una continua aspirazione ad una meta inconseguibile. È tanto vero
che la felicità è una chimera impossibile, che io stesso abbandonai
ogni speranza di ottenerla. Diffido della speranza perchè so che essa
frutta il disinganno; eppure questa fata menzognera, mi ha sedotto anco
una volta; eppure malgrado tutta la mia triste esperienza, ho sperato
una follia! Sperai che un fiore non dovesse mai avvizzire, ed a quel
fiore ho legati i miei affetti.—Che mi rimarrà infine?.... Nulla, un
fuscellino dʼerba appassita!....

Laura questa volta aveva compreso; le parole del giovane suonarono
amaramente nel di lei cuore.

—Feci male, mormorò Ermanno, feci male venendo qui questa sera, doveva
aspettare domani, o dopo....

—Ma bravo! sclamò Laura con accento di rimprovero, il male lʼavrebbe
fatto non venendo, perchè ieri sera lʼabbiamo desiderato vivamente,
perchè con lei si passa unʼora senzʼaccorgersene; perchè infine se ella
non venisse, arrecherebbe gran dispiacere allo zio, ai cugini...... ed
a me!

La giovinetta pronunziò queste parole con tale accento di dolore, che
Ermanno ne ebbe rimorso, in quella voce egli ritrovò lʼespressione di
una pena viva e profonda. Ne ebbe tanto rimorso che prendendo la mano
di lei le disse:

—Mi perdoni madamigella.—Io stesso non so bene quello che mi dico....
Creda pure che mi sarebbe stato impossibile resistere più oltre,
giacchè se dipendeva solamente dalla mia volontà, a questʼora non sarei
qui; ma da due giorni comanda in me unʼaltra potenza tanto forte, che
mi abbandono rassegnato al mio destino.—Sia che vuolsi, se è vero che
sarò poi infelice, è pur vero che ora sono felicissimo!

Laura strinse nelle sue la mano di lui, ed egli proseguì con voce
sommessa fissandola negli occhi:

—Ma perchè ora piange.... perchè quelle lacrime?

—Perchè sono felice, rispose Laura sorridendo cogli occhi lagrimosi.
La dolcezza delle parole di Ermanno le aveva strappato il pianto; ma
il pianto della gioia, quelle lacrime soavi che escono da un sorriso, e
Laura piangeva sorridendo.

Si erano detto tutto?.... Chi lo sa; chi potrebbe dire sin dove si
sarebbero arrestati? ma non era prudente lʼabusare dellʼoccasione,
tanto più che poco dopo sopraggiunse Letizia.

—Ben venuto signor Ermanno, sclamò Letizia sorridendo, meno male che
ella si sia ricordato dei torti che aveva da riparare—Laura era con
lei indignata, ma a quanto vedo la mia buona cugina pecca per troppa
indulgenza.

—Si fu perchè sua madre non istava bene, disse tosto Laura.

—Madamigella Letizia sa meglio di me che non mi faccio troppo pregare
per venire in casa sua.

—Oh per me, rispose Letizia, non ci fo gran caso, sono sì bene
abituata alle sue stranezze che non mi sarei stupita se anche questa
sera non fosse venuto.

In quel momento entrò Alfredo, il quale fece pure ad Ermanno i suoi
rimproveri aggiungendo:

—Però quello che non si fece ieri, si può fare oggi. Volete signorine
che andiamo in carrozza?

—In carrozza! osservò Laura, non sarebbe meglio a piedi?

—E sia pure, disse Letizia, che glie ne pare signor Ermanno?

—Per me sono a loro disposizione, comandino....

—Allora è inteso, non faccio attaccare, chiese Alfredo.

—Letizia, disse Laura, vedi se mamma vuol venire, ed anche lo zio.

—Non darti pensiero per mio padre, tu lo sai a questʼora egli si
dispone per recarsi al suo inevitabile caffè. Sì dicendo Letizia uscì
di sala. Rimasero soli sul balcone Alfredo, Ermanno e Laura; il primo
sempre distratto come al solito, si mise a canterellare unʼarietta,
guardando sbadatamente nella via. Ermanno e Laura erano seduti di
fronte, e si dicevano tante cose cogli occhi.



V


Letizia ritornò ad interrompere quella mutua contemplazione annunziando
che anche la madre di Laura avrebbe preso parte alla passeggiata; e
difatti dopo pochi istanti madama Ramati comparì in sala ove trovò
tutti disposti alla partenza. La sera era fresca, ed eccitava al
passeggio; presero la via per recarsi nel viale fuori di città.

La comitiva si dispose così: Laura diede il braccio al cugino Alfredo,
Letizia restò indietro colla zia ed Ermanno.

La madre di Laura era una vera gentildonna per modi distinti, aveva una
certa conoscenza con Ermanno, epperciò non vi mancava lʼelemento alla
conversazione.

Naturalmente il discorso cadde su Laura, e lasciamo supporre quanto
gradevole fosse questo tema ad Ermanno. Se si volesse poi sapere di che
parlavano Alfredo e Laura che precedevano gli altri di qualche passo,
è facile immaginarlo.—Le donne hanno un certo tatto istintivo per
far cadere il discorso su ciò che loro piace senza che chi parla se
ne accorga menomamente.—Appena Laura si era appoggiata al braccio di
Alfredo trovò, modo di toccargli la corda debole parlandogli cioè di
Ermanno; Alfredo cadde subito a quel primo attacco, e ne disse fino
allʼentusiasmo in favore dellʼamico.

—Sarà debolezza, aggiungeva, ma Ermanno mi è tanto simpatico, che se
io fossi una donna, me ne innamorerei perdutamente.

—Fortuna per lui che non avrà bisogno di te per avere delle innamorate.

—Tʼinganni, tʼinganni dʼassai; in fatto dʼamore il mio amico è del
tutto profano.

—Odia forse le donne?

—Tuttʼaltro, nella carriera che percorre, si trova di sovente a
contatto colle signore, ma nessuna che io sappia gli inspirò qualche
cosa più di un poʼ di cortesia.—È troppo concentrato nellʼarte sua
della quale egli se nʼè formata una amante; non vive che per la musica.

—Ma, ribatteva Laura, non mi sembra vero che un giovinotto, unʼartista
non celi in seno qualche fiammetta....

—Eppure credimi la è proprio così; diamine io che gli sono sempre ai
fianchi, dovrei saperlo. Di giorno non esce che per le sue lezioni,
del resto se ne sta sempre al pianoforte. Se talvolta a forza di
preghiere si lascia trascinare in qualche concerto o serata musicale,
fa propriamente un sacrifizio. Egli non ama la società; è nemico
dei clamori; per chi non lo conosce sembra un selvaggio, ma chi lo
frequenta riconosce in lui un giovane pieno di talento e di modestia.

—Lo credo perchè me lo dici, sclamò Laura, ma pare davvero impossibile
che un giovane così amabile e distinto non cerchi qualche conforto in
unʼaffetto—Si è tanto felici quando si ama.

—Ma mia cara, per uno della tempra di Ermanno lʼamore si trova ma non
si cerca.

—Chissà che un giorno....

—Sarà difficile, e sinceramente non gliene farei augurio....

—Perchè mai?

—Mio Dio, la fedeltà è tanto rara al giorno dʼoggi, ed Ermanno è una
di quelle nature che amando si legano corpo ed anima...

—In questo caso, che male ci sarebbe?

—Che male? il ciel lo guardi! Se per disgrazia sʼinnamorasse, e
venisse poi deluso, credo che si darebbe alla disperazione.

—Ma cugino mio, non tutte le donne sono leggiere, ve nʼha di quelle
che possono dedicare lʼintera loro vita al culto di un solo ed unico
affetto.

—Sì ve ne sono tali donne, ma nei Romanzi...

—Oh! senti, non dubitare così, ciò mi fa dispiacere; secondo voi altri
noi saressimo lʼincostanza personificata.

—Via via, cuginetta, non adirarti meco; se vuoi che ci creda, crederò;
ma solamente per farti piacere.

Di questo passo si giunse al pubblico passeggio, ivi lʼordine della
comitiva si sciolse; Letizia si unì a Laura, Alfredo prese il posto di
Letizia accanto alla zia a cui chiese:

—Ebbene è ella stanca della passeggiata?

—Tuttʼaltro, non mi sono neanche accorta dʼaver fatto tanta strada, mi
trovo in sì buona compagnia!...

Il complimento era diretto ad Ermanno, che glie lo restituì nel modo il
più lusinghiero.

—Nipote, disse madama Ramati ad Alfredo, quando ti verrà occasione
di recarti a Milano, tʼimpegno a condur teco il signor Ermanno; ha
promesso di venire.

Ermanno sorrideva con aria di rifiutarsi, e madama soggiunse:

—Sicuramente, badi che io conto con scrupolo sulle promesse, o che
verrà colle buone, o le faremo venire per forza.

—Si accerti, o signora, rispose Ermanno, non vi sarà questa
necessità.—Mi procurerò un giorno questo piacere.

Le due giovinette intanto si erano di molto allontanate; pareva che
parlassero di qualche cosa ben importante, perchè si portarono alla
distanza da non essere udite.—Laura volgevasi spesse volte indietro;
indi si rimetteva a parlare gesticolando in modo che tradiva la sua
contentezza. Che mai diceva essa alla cugina per discorrere con tanta
enfasi? e perchè Letizia ascoltava col labbro atteggiato ad un sorriso
malizioso?—Le donne, e le ragazze specialmente, abusano spesso di
confidenza verso le loro amiche; un primo amore, il primo palpito
del cuore, è un peso troppo grave per una fanciulla, perchè possa
celarne il segreto. È vano pretendere che ella debba tenersi per sè le
impressioni che la agitano, e nel seno di unʼamica versa tutto il suo
mistero.

Le confidenze divengono una necessità nella donna che ama per la prima
volta. Lʼuomo è egoista della sua felicità, la donna ne è ambiziosa;
lʼuomo la nasconde con tutta cura, la cela agli sguardi di tutti; la
donna invece prova una grande compiacenza nel rivelarla, e tradisce il
secreto in tutti i suoi atti.

Laura col solo suo modo di camminare, appoggiata, anzi abbracciata
a Letizia, palesava il suo amore.—Le due ragazze dopo di aver
passeggiato sole per qualche tempo, si rivolsero agli altri, e Letizia
chiamò:

—Signor Ermanno, ascolti una parola.

—Ai loro ordini, rispose il giovane avvicinandosi; non aveva ancora
parlato, che già esse si erano attaccate alle sue braccia.

—Siamo stanche, disse Laura appoggiandosi a lui, abbiamo bisogno di un
cavaliere....

—E dove trovarlo migliore? sclamò Letizia.

—Signorine, rispose Ermanno sorridendo, non vorrei che mi
canzonassero...

—Ce ne guardi il cielo!

—Era per parlare un poco anche con lei, che lʼabbiamo chiamato,
mormorò Laura.

—Comʼè bella questa sera illuminata dalla luna, veramente poetica.

—Passerei la notte passeggiando, disse Laura.

—Sola?

—Oh no, avrei paura.

—Come sono soavi queste notti illuminate mestamente, disse Letizia
con accento declamatorio; e dire che vi son taluni che negano il
romanticismo; con che cuore, io nol so.—Come non accendersi di poesia
allo spettacolo malinconico e soave di una bella sera dʼestate? Parmi
di essere trasportata a quei beati tempi in cui i trovatori erravano le
notti solinghi e addolorati sotto le finestre di un castello di gotica
architettura; parmi di sentirne i patetici canti, gli appassionati
versi dʼamore.

Tutto ciò fu detto da Letizia con un tuono ironico, con unʼespressione
così maliziosa, che Ermanno non ebbe più dubbio alcuno sulle confidenze
che Laura poteva averle fatte. In quanto a Laura, essa non aveva
neanche compresa sillaba della chiaccherata di sua cugina, perchè la
sua mente viaggiava in quellʼistante a più alte regioni.

Piegata mollemente sul braccio di Ermanno, lasciava libero sfogo al
pensiero abbandonandosi al languore della fantasia come alle illusioni
di un sogno.

A poco a poco quella graziosa testolina si piegò sulla spalla del
giovane, ed i biondi capelli agitati dalla brezza della sera,
sfioravano dolcemente la guancia di lui.—Più volte ella gli aveva
stretto il braccio nel suo, ed egli rispondeva collo stesso linguaggio.

La conversazione si ripigliò un poʼ più calma, Letizia moderò alquanto
il suo spirito permettendosi solo di quando in quando di scherzare
sulla distrazione della cugina.

Si parlò di molte cose, di poesia, di musica, di amore, di stelle,
di fiori, ed anzi a proposito di fiori, dobbiamo dire che sebbene
Laura fosse molto distratta non lasciò sfuggire inosservato un
fiorellino che usciva da una siepe elevandosi sugli altri come per
farsi cogliere.—Appena ella lo vide, allungò la mano, lo colse senza
incomodarsi perchè presentavasi sul suo passaggio; quel fiore passò
naturalmente dalle mani della giovinetta a quelle di Ermanno, e tutto
ciò senza che la maliziosa Letizia se ne avvedesse.

A quellʼidea così gentile, a quellʼatto così eloquente nel suo
silenzio, Ermanno fu tocco di gioja; non era più una creatura umana
che egli si sentiva al fianco, era qualche cosa di soprannaturale, un
angelo da cui si elevava un profumo tale di poesia, che lo commoveva in
ogni fibra.

Alfredo chiamava al ritorno; si rifece la strada allo stesso modo,
questa volta però erano tutti riuniti.

—Signori miei, diceva Alfredo, non possiamo negare dʼaver fatto una
bella passeggiata.

—Oh! sì davvero verso il Campo Santo, rispose ironicamente Letizia.

—E il passeggio più ameno che abbiamo; questa bella strada
fiancheggiata da cipressi, quellʼedificio in fondo che chiude la vista,
queste statue, tutto costituisce un insieme armonioso.

—Insomma il Cimitero è ciò che vʼha di più bello in Brescia, osservò
madama Ramati sorridendo.

—Non dica così zia; già si sa che Brescia non è Milano, ma è senza
dubbio una bella città.

—Per conto mio non lo nascondo, disse Laura, la situazione dal paese
mi piace assai; ai piedi delle colline; eppoi qui si gode di tutta la
pace. Anche papà è bresciano, non è vero? chiese ella a sua madre.

—Sì, e mi ci volle non poca fatica per trascinarlo a Milano. Infine
pregato da me, pressato daʼ miei parenti si lasciò indurre; ora vi sta
da diciassette anni ed è tanto bene abituato che non abbandonerebbe mai
la casa sua.

—Ed ella signor Ermanno, non ha conoscenti in Milano? chiese Laura.

—Molti, ed uno specialmente è il più caro deʼ miei amici al quale sono
legato fia dallʼinfanzia; professa la pittura.

—Ah! tu parli di Paolo, disse Alfredo.

—Appunto.

—Anchʼegli è bresciano, un bravo giovinotto che farà fortuna col suo
talento....

—Ed abita in Milano? domandò Laura.

—Da varii anni, mi sorprende anzi che non lo conosciate.

—Non cʼè da stupirsi, disse madama Ramati, noi frequentiamo sì poco
la società.... Ma giacchè parliamo di quel pittore, è da molto che
desidero di avere i ritratti della nostra famiglia eseguiti da un abile
artista, e se questo signor Paolo fosse veramente di vaglia....

—Glie lo garantisco zia; è unʼeccellente artista, e molto stimato.

—Allora mi darai il suo indirizzo.

—Io non lo so, Ermanno potrà favorirla.

—Certamente, sarà mia premura, rispose Ermanno, anzi senza che ella si
disturbi, gli scriverò io, invitandolo a passare da Lei.

—Meglio così.

Laura non parlava, ma nellʼudire che un amico intimo di Ermanno le
avrebbe fatto il ritratto, ne ebbe molto piacere.—Di questo passo la
comitiva giunse davanti al palazzo Ramati; ivi tutti si fermarono; era
tardi, e fu giocoforza salutarsi.—Ermanno strinse per lʼultima volta
il braccio a Laura, prima di separarsene; madama Ramati lo ringraziò
della buona compagnia che le aveva fatto, gli strinse la mano, indi
egli se ne andò.



VI


Non era più per Ermanno il caso di resistere, ma di amare. Anco se egli
avesse potuto opporsi alla corrente che lo trascinava, non lʼavrebbe
voluto. La lotta che tende a debellare la felicità, è lotta da stolto.

Ermanno accettava il suo bene senza esaminarlo, nè calcolarne la
durata; egli era felice, e per quanto gravi potessero essere le
conseguenze del suo disinganno, non valeva certo la pena che loro si
sacrificasse la gioja del presente.—Tutto ha fine in questo povero
mondo! e lʼuomo viene istintivamente predisposto a non curarsi di
questa legge fatale che pesa sui destini del creato.

Eppoi, havvi forse da farne meraviglia se in quel periodo di tutta
luce che si chiama giovinezza, lʼuomo ragiona più col cuore che
colla mente? Egli è solo allora che si spera ciò che si desidera; in
quellʼetà di aspirazioni ardenti, non si bada gran fatto agli ostacoli
che frappongonsi ad una meta prefissa.—Il senno e la ragione lasciano
libero passo ai voli della fantasia che nel suo giovanile entusiasmo
spiega arditamente le ali ad eccelse mire.—A ventʼanni lʼumile artista
che abita la soffitta, e mangia pan nero, vagheggia il sorriso della
dama che scorre i passeggi sdrajata in cocchio sontuoso; ronza con
ingenuità veramente rara sotto le finestre di un ricco palazzo per
incontrare lo sguardo di una giovinetta che sciupa tanto in guanti
quanto egli potrebbe guadagnarsi col lavoro assiduo di unʼanno.

Dal buco della sua soffitta egli ha il coraggio di palpitare per
qualsiasi nobile donzella, avrà anche il coraggio di amarla, e la
follia di sperare—Mormorate un poʼ allʼorecchio di quel povero
paria:—ma disgraziato, non vedi che ti colse la più strana delle
pazzie? Non pensi che fra te e quella giovinetta vi sta unʼabisso senza
fine? non pensi tu che sei povero, che dormi sulla paglia fra due cenci
di lenzuola, mentre ella riposa fra i morbidi velluti?—Nella tua casa
regna lo squallore, questa tua stamberga scarseggia financo di luce, ed
ella abita invece un palazzo immenso, ove i tappeti, la seta e lʼoro
sono profusi con tutto lo splendore—Non vedi che tu ora sei vittima
di un sogno, e che domani ridestandoti troverai amaro il tuo pane,
insipida la tua acqua, orrida la tua soffitta?»

Ebbene, egli maravigliato vi risponderà che ben poco gli cale di tutto
ciò, e ripigliando la sua miserabile esistenza proseguirà collo stesso
ardore a sperare.

Ecco come il più delle volte si ragiona in gioventù. Non è che col
frutto di una crudele esperienza imparata col volgersi degli anni che
ai cerca col dolce lʼutile; egli è solo nella prima giovinezza che
lʼuomo lascia libero sfogo agli slanci del suo cuore senza calcolo
dʼinteresse. Saranno follie, ma le sono dolci follie preferibili
mille volte alla rigida diffidenza delle anime volgari che passano
sotto i raggi ardenti del sole di gioventù facendosi scudo col freddo
raziocinio inspirato da un cuore senza vita—La soverchia ragione nei
primi anni di esistenza, non può essere che il frutto di ottusità
di mente, e dʼaridità di cuore—Meglio è ardere nel Vesuvio di
unʼillusione, che trascinare la vita fra fuochi fatui.

Malgrado che la notte fosse già di molto avanzata, tuttavia Ermanno non
seppe decidersi dʼandarsene a casa; egli aveva bisogno di abbandonarsi
alla foga deʼ suoi pensieri. Giammai la notte gli era parsa tanto
bella, giammai il freddo raggio della luna gli era sembrato così
malinconico—Errò per le vie della città senza darsi ragione della
strada che percorreva: Si pensa forse ove si vada allorchè la mente è
confusa ed eccitata da memorie soavi?

La mezzanotte era già trascorsa quando Ermanno giunse verso la sua
abitazione.—Alzando a caso gli sguardi alla finestra debolmente
rischiarata, vi scorse sua madre.

Ingrato, egli lʼaveva dimenticata!—La buona donna infatti era tutta
sconvolta per lʼinsolita assenza del figlio, ed invano aveva cercato
riposo; il timore che fosse avvenuto qualche malore a lui, la tenne
in una veglia angosciosa. Da due ore quella povera madre stava alla
finestra spiando sulla via, e palpitando ad ogni risuonar di passo.

Ermanno entrò in casa, e subito ella gli corse premurosa incontro per
sapere se fosse stato trattenuto da qualche incidente.

—Rassicurati madre mia, nulla mi è successo, rispose Ermanno
stringendole la mano, sono stato da Ramati....

—Così tardi?

—Che vuoi, non mi lasciavano mai; se avessi saputo che tu mi
aspettavi....

—Oh! non monta; temeva solamente.... non si sa mai di notte le strade
non sono troppo sicure.

—Or via calmati buona mamma, sclamò il giovane accarezzandola, va a
letto, va a riposarti che nʼhai di bisogno.

—Che hai Ermanno, chiese ella sorridendo, mi sembri di buon umore
stassera?

—Sì, non so perchè, ma sono tanto contento.

—Che Dio ti conservi sempre tale figlio mio?

Ermanno restò alzato ancora per qualche tempo sempre pensando alla
graziosa fanciulla che tante prove dʼamore gli aveva date in quella
sera felice; baciò più volte il fiore che ella gli aveva posto fra
le mani, indi lo collocò accanto ad un mazzolino di altri fiori
appassiti—La freschezza dellʼuno, ed il languore degli altri formavano
uno strano contrasto che non sfuggì allʼocchio di Ermanno—Poveri
fiori! Ieri ancora erano belli e rigogliosi, oggi il soffio della
materia passò sovrʼessi, ed eccoli collo stelo curvato; di quei
brillanti colori, di quel soave profumo appena rimangono pallide
vestigia.

Ecco il passato! Pensò Ermanno sospirando; ma il suo sguardo si
fermò allora sul fiore deposto ancor bello, ancor pieno di vita e di
freschezza. Fu un raggio di speranza che sperdè la malinconia che già
assaliva il povero giovane: Ecco il presente! gli mormorò una voce
interna, ed egli baciò anco una volta lo stelo profumato del fiore che
ridonavagli la speranza.

Andò a letto, si addormentò ed i suoi sogni furono una catena di rose
che si rivoltava in giri senza fine. Si addormentò felice, e si svegliò
felicissimo. Laura fu lʼultima parola della sera, e la prima del
mattino.

Durante la giornata però, fu spesse volte preda di mesti pensieri; nel
colmo dellʼebbrezza egli erasi dimenticato della prossima partenza di
Laura; ed appena se ne rammentò, il suo cuore gemette amaramente.

—E sarà vero chʼella debba allontanarsi, che non potrò più vederla?
pensava fra sè.

Ciò che mitigava alquanto il dolore della separazione era senza dubbio
la certezza di possedere lʼamore di lei; ma finora ella non glie
lo aveva detto; ed è tanto dolce il sentirsi dire che si è amato.
Dʼaltronde come trovare il tempo per strappare a Laura quella dolce
confessione? I cugini le erano sempre dietro—Due giorni ancora, e poi
ella partirebbe senza poter pronunziare la parola che doveva essere il
sostegno del povero Ermanno nei giorni di amarezza.

Andò alla sera da Ramati, ma senza frutto, vale a dire senza poterle
parlare da sola; non vi rimaneva che un giorno, lʼultimo. Alla vigilia
della partenza il povero giovane pensò con tutte le forze del suo
ingegno onde trovare un mezzo per parlarle; ma tutto fu vano, ed al
mattino di quel giorno disgraziato, egli aveva ancor nulla risolto.
Verso mezzogiorno gli nacque unʼidea che gli parve buona; prese il
cappello ed uscì frettoloso—Pochi minuti dopo egli entrava nel portone
di casa Ramati.

Salì le scale collʼanimo agitato dal timore e dalla speranza, e fu
introdotto da un servo che lo lasciò in anticamera dicendogli: Le
damigelle sono nel gabinetto da lavoro, il signor Alfredo è uscito col
padrone.

—Bene, rispose Ermanno, annunziami alle signorine.

Il servo eseguì, e poco dopo ritornò per dirgli che poteva passare.

Il salotto da lavoro era assai ben riparato dalla luce giacchè
entrandovi stentavasi a discernere gli oggetti; tanto è vero, che
Ermanno si arrestò sulla soglia mormorando confuso:

—Mille perdoni madamigella Letizia se....

Per tutta risposta sentì una mano che aveva stretta convulsivamente la
sua, ed una voce delicata e commossa che gli disse:

—Venga avanti signor Ermanno, la cugina Letizia è in giardino con mia
madre, non tarderà molto a venire. In così dire Laura, giacchè era ben
dessa, lasciò la mano di Ermanno per aprire un tantino le imposte onde
lasciarvi penetrare un poʼ di luce.

Ermanno sedette macchinalmente sulla seggiola ove ella lo aveva
guidato, ma allorchè si vide solo con lei, sentì che gli mancava il
coraggio di parlare; tutti i suoi proponimenti erano iti in fumo alla
sola vista della giovinetta, e stette per qualche tempo a contemplarla
senza far motto.

Laura rispose con un lungo sorriso al lungo esame elle ei fece sul di
lei volto; quel sorriso pareva unʼeccitamento a farlo parlare; nella
dolce espressione di quello sguardo che si fissava in lui, eravi
unʼaria sicura del perdono che poteva trovare per qualche parola troppo
azzardata.

Ermanno tentò una seconda volta di parlare, ma inutilmente; la parola
si ribellava sulle labbra. Eppure egli leggeva chiaramente nel placido
sguardo di lei che i suoi detti erano aspettati; in quel sorriso
languido eravi unʼespressione voluttuosa ed affascinante che altro non
poteva essere se non amore. Ma appunto lʼincontro di quelle pupille
mettevagli lʼanimo a soqquadro.

Laura ruppe per la prima il silenzio.

—Come mai, dissʼella, come mai caro signor Ermanno abbiamo la fortuna
di vederlo qui a questʼora? E sì dicendo si sedette a lui dappresso.

—Egli è madamigella, rispose Ermanno quasi balbettando, egli è che....
ella parte questa sera, non è vero?

—Ah pur troppo!

—E siccome non so se mi sarà possibile di venirla a salutare per
lʼultima volta....

—Come? chiese Laura con accento di collera, ella avrebbe cuore di non
venire alla stazione!... La sarebbe bella, e sì dicendo fece un gesto
così espressivo di dispetto, che Ermanno fu a poco per stringersela al
seno.

Vi fu un breve silenzio; la conversazione da bel principio erasi troppo
inoltrata perchè quei due cuori non palpitassero violentemente—Infine
Ermanno fattosi animo riprese con voce mesta.

—Dunque è proprio deciso?

—Oh! non me lo dica più, sclamò Laura, mi viene da piangere al solo
pensarci. Anzi ho già pianto stamane, e per tutta la notte non potei
chiudere occhio. Io prevedo che in quella brutta Milano morrò di
malinconia; si sta tanto bene qui in Brescia!... e dopo tutto per darmi
lʼestremo colpo, ella ha tanto cuore di dirmi _che forse stassera non
potrà neanche venire a salutarmi!_—Non potè proseguire, le lagrime le
bagnavano gli occhi, e si portò singhiozzando il fazzoletto sul viso.

—Mi perdoni, madamigella, rispose Ermanno tutto commosso a quelle
lagrime; mi perdoni. Io stesso non so più quel che mi dica, nè quel
che mi faccia; da due giorni ho una spina in cuore che mi fa molto
male; io non so ciò che succedette in me, ma è un fatto che oggi sento
di soffrire!—Ella partirà dunque, ed io me ne resto qui solo!... Oh
Laura, è inutile che io più oltre combatta per serbare il silenzio, non
posso più tacere—Mi perdoni se le dico che colla sua partenza ella
mi rapisce la pace, ma il mio dolore per il suo abbandono è troppo
grande e non saprei celarlo—che più? non seppi reggere allʼincertezza,
e venni qui a questʼora per sentirmi dire che ella serberà qualche
memoria di questi giorni, e penserà talvolta a questo infelice che
sente di perdere ogni bene in lei?

—Oh! sempre, sclamò Laura stringendogli la mano.

—Mi dica, proseguì egli, mi dica che nel suo cuore ella sente qualche
cosa per me, che nel lasciarmi prova alcun dolore. Ciò mi sarebbe di
gran conforto.

—Ermanno, signor Ermanno! E non sono per sè sole eloquenti queste
lagrime?—Oh! io sono ben infelice; se la certezza del mio dolore le
può arrecare qualche bene, lo sappia: Sì io soffro nellʼabbandonare
questa città, e tutto ciò perchè mi separo da lei che in sì poco tempo
ho imparato a conoscere; ma ora non voglio più piangere, ora sono
felice perchè ella pure si addolora per la mia partenza—Egli è ben
doloroso questo destino che ci condanna a vivere separati; perchè non
si può essere sempre là dove il cuore inclina? Perchè non si può sempre
stare con chi.... si ama!

—Grazie Laura, sclamò Ermanno stringendole ambe le mani, grazie per
queste parole che mi ridonano la vita—Mi prometta che ella penserà
qualche volta a me, ed io le giuro che non avrò memoria se non per lei,
che non avrò un palpito che non sia suo.

—Come potrei dimenticarlo! mormorò Laura.

Ermanno si strappò una medaglietta che teneva al collo, e presentandola
a Laura le disse:

—Eccole una mia memoria. Questa medaglia è ciò che io abbia di più
sacro; è di mia madre...

Laura la prese, la baciò, indi posela in seno; Ermanno proseguì:

—Mi permetta altresì che questa sera le consegni una mia lettera.

—Oh qual piacere!

—Con preghiera di non leggerla che al suo arrivo in Milano.

—Lo giuro.

—Ed ora a rivederci questa sera, ci saluteremo per lʼultima volta
collo sguardo, e col cuore!



VII


La sera era fresca e tranquilla. Il sole aveva già segnata la sua
ritirata dietro le cime dei monti, e della sua luce splendida ed
abbagliante altro non vi rimaneva che un rosso crepuscolo. Verso
levante vedevasi apparire sullʼorizzonte un grandʼarco luminoso del
disco lunare; era lʼastro della notte che nella sua fase di massima
pienezza succedeva quasi immediatamente al sole.—Era una di quelle
sere in cui sʼimpegna una lotta accanita tra la luce della luna che
nasce e quella del sole che muore; ma i raggi crepuscolari cedono
sensibilmente il campo, la striscia di fuoco che brillava allʼoccaso si
restringe lentamente, e poco dopo vi rimane un barlume appena di luce
che spegnesi con lenta agonia lasciando la luna trionfatrice sola nel
dominio della volta celeste.

Spirava una brezza fresca e soave il cui carezzevole alitare temprava
alquanto lʼafa soffocante di quella calda giornata.

Una ricca carrozza scoperta tirata da due bei cavalli, stava ferma
davanti al palazzo Ramati, e poco dopo vi salirono sopra Laura, sua
madre, Letizia ed Alfredo.—Laura e Letizia si collocarono in faccia ad
Alfredo e madama Ramati. Sul balcone eravi lʼavvocato elle mandò loro
lʼultimo saluto; indi la carrozza si allontanò velocemente.

Laura mollemente adagiata sui cuscini col capo abbandonato
allʼindietro, stava immersa in profonda meditazione—Per la velocità
della corsa lʼaria fendeva più rapida il di lei viso scomponendole
leggermente i biondi capelli di cui alcuni fiocchi svolazzavano
allʼindietro come se volessero fuggire. I suoi sguardi erravano sulle
case fiancheggianti la via, e parevale che gli oggetti circostanti
fuggissero rapidamente il suo mesto saluto.

Nel dare lʼaddio estremo ai luoghi ove erano state concepite tante
dolci speranze, ella provava una dolorosa emozione; quelle mura, quelle
case, quei giardini; tutto insomma aveva unʼespressione di dolcezza
affascinante che le commoveva lʼanimo.

»Sospira, sospira povera fanciulla a sì straziante addio; ogni passo
di quei focosi cavalli, ogni tratto percorso dalla carrozza, porta
via a brani il caro edifizio delle tue illusioni, ed accrescendone il
loro incanto, rende più grave il dolore della separazione—Le speranze
del tuo casto amore erano sublimi, ignara dei disinganni accarezzasti
confuse lusinghe; la realtà scosse il tuo trasporto, ti svegliò dal
tuo dolce sopore, ed un destino amaro ti porta lunge dal teatro delle
tue dolcezze—Le lagrime che ti brillano sugli occhi sono le prime che
trovano eco nel tuo cuore; la tua mestizia tragge fonte per la prima
volta dal più profondo dellʼanima tua!

»Piangi pure! o fanciulla, piangi con lagrime amare nel dare lʼaddio a
questa città che racchiude nel suo seno colui che solo fra gli uomini
potrebbe fare la tua felicità; colui che la tua dipartita renderà
altrettanto sventurato quanto fu felice nello scoprire il secreto del
tuo cuore.

»Piangi e spera! Le lagrime dellʼoggi vengono cancellate da quelle del
domani: Ecco la vita!

La carrozza si fermò dinnanzi alla stazione, tutti discesero; Letizia
tentava invano di distrarre la povera Laura il di cui abbattimento era
portato allʼestremo. Lʼamabile giovinetta aveva pianto, e teneva gli
occhi ancor pieni di lagrime rivolti verso la città.

Ermanno non era ancor giunto, ed ella nʼera inquieta; non già che
dubitasse di lui, il cuore le diceva che a qualunque costo ei non
avrebbe mancato; ma temeva che un qualche incidente gli facesse
ostacolo—Ella voleva vederlo ancor una volta per rivelargli collo
sguardo tutte le pene che soffriva il di lei cuore—E quella lettera?
in essa la meschina fondava tutte le sue speranze per qualche conforto,
allorchè fosse giunta a casa.

—Partenza per Milano, gridò una voce roca.

Ed egli non veniva ancora; invano Laura spingeva lo sguardo ove più
glie lo permetteva la scarsa luce della luna—Ad un tratto il di lei
occhio scintillò di gioia, ed il cuore le balzò vivamente in seno—Era
desso!

Diffatti Ermanno apparve poco lungi. Era tempo!

Laura senza punto curarsi degli altri, e spinta da un moto
involontario, gli si fece incontro stendendogli la mano.

Una lettera passò da una mano allʼaltra in un baleno, e mentre Ermanno
volgevasi a salutare Madama Ramati, Laura la nascose lestamente in seno.

—Per Milano si parte, ripetè la stentorea voce del guardia sala.

—Buon viaggio, tanti saluti allo zio.

—Mille grazie!

—A rivederci signor Ermanno, disse madama Ramati, venga presto a
trovarci a Milano; lʼaspettiamo.

—Non mancherà occasione.

—Addio Laura!

—Addio Letizia, e le giovinette si baciarono.

—Addio signor Ermanno sclamò Laura afferrandogli la mano... si ricordi
di noi... e delle sue promesse... Non potè proseguire; le lagrime le
troncarono la parola sulle labbra—Fuggì soffocando i singhiozzi, e
mandandogli unʼultimo sguardo addolorato.

Non eravi tempo da perdere; madre e figlia presero posto nel
vagone.—Laura si lasciò cadere oppressa in unʼangolo accanto allo
sportello, e subito dopo il convoglio si mise in via.

Ermanno era a poco per piangere; Alfredo voleva ad ogni costo che
salisse in vettura, ma egli si rifiutò; strinse la mano a Letizia, la
quale era pure alquanto commossa, indi sʼincamminò lentamente verso la
sua dimora.

Il dolore di una separazione così amara è troppo grande, troppo immenso
perchè la parola possa rivelarlo.—È questa una di quelle sofferenze
che non trovano espressione in tutte le umane favelle. Per comprendere
quale fosse il dolore di Ermanno, è necessario porsi una mano sul
cuore, interrogarlo in tutte le sue rimembranze, richiamarlo a tutte le
emozioni del passato, farne rivivere i palpiti; e se il cuore risponde
a questa pressione con un sospiro, allora soltanto si potrà comprendere
quanto male arrechi una sì triste separazione!

Non parliamo no a quelle anime volgari che sorrideranno cinicamente
al racconto di questi dolori. Si sa, essi non saprebbero compiangere
lʼinfelice Ermanno—Ridano pure costoro, che poco importa; il disdegno
per i dolori degli altri è per essi la più gran felicità che possono
godere in terra—Ridano pure giacchè non sanno piangere; il riso è la
più sublime delle loro sensazioni.

Le ironie di costoro stanno al basso come le loro intelligenze.

Ermanno giunse a casa mesto e silenzioso; si abbandonò sulla poltrona
e stette immerso neʼ suoi pensieri senza neanche volger parola a sua
madre—Egli soffriva come se gli venisse lacerata qualche parte del
cuore. Il suo sguardo vagava sugli oggetti circostanti, ma il suo
pensiero volava dietro alla graziosa giovinetta.

Per quella sera non volle uscire malgrado che il tempo invitasse al
passeggio; sua madre poverina lo pressava con incessanti domande a
cui egli rispondeva appena, e la buona donna infine credendo miglior
partito lasciarlo solo a meditare, si ritirò nellʼaltra camera.

Allorchè Ermanno fu solo, si mise in moto per la stanza, e passando
dappresso al caminetto si fermò a guardare alcuni fiori che languivano
in un bicchier di acqua—Erano appassiti! Egli sospirò e volse altrove
gli sguardi.

Aperse il pianoforte colla massima noncuranza, ne sfiorò i tasti stando
in piedi, quindi lo rinchiuse sorridendo amaramente—Anche la musica
aveva perdute le sue attrattive—Trascinò la poltrona sul balcone, vi
si adagiò sopra e se ne stette per lungo tempo immobile vagando collo
sguardo fra le stelle del cielo.—

La natura era bella illuminata dal patetico raggio lunare; ma egli
chiuse gli occhi per richiamarsi alla mente la figura di Laura.—Certo
lʼimmagine di lei sì ardentemente evocata rispose al suo desiderio,
perchè egli aveva sulle labbra un mesto sorriso—Suonò la mezzanotte,
ed ei conservava ancora la stessa attitudine. Quella specie di letargo
durò molto....

Una rondinella accovacciata sui ferri del vicino balcone intuonò
sommessamente il suo cicalio....

Ermanno apri gli occhi, guardò il cielo e vide che la luna già tendeva
al tramonto, mentre ad oriente appariva una luce biancastra.

Era lʼalba.



VIII


Il treno su cui viaggiavano Laura e sua madre era diretto, epperciò la
velocità assai maggiore dellʼordinario.—Nello scompartimento di prima
classe da esse occupato, non eravi altri elle un prete dallʼaspetto
venerando.—Madama Ramati erasi collocata in un angolo riparato
dallʼaria; Laura invece stava affacciata allo sportello guardando al di
fuori le campagne che sfuggivano rapidamente siccome le vedute di un
panorama meccanico.

Già da molto tempo ella era assorta in quella contemplazione, quando
la madre la esortò a ritirarsi per evitare gli sbuffi dellʼaria troppo
umida.—Laura ubbidì macchinalmente, e si rincantucciò nellʼangolo
senza far motto.

La poca luce malinconica che mandava il fanale, il monotono rullo
delle ruote, ed il silenzio dei tre viaggiatori davano unʼaspetto di
tristezza alla scena. Il prete dormiva saporitamente, madama Ramati
aveva chiusi gli occhi; soltanto Laura era inquieta ed addolorata. La
povera giovinetta non piangeva più, ma lʼespressione malinconica deʼ
suoi grandʼocchi, era tutta di dolore. Dallo sportello aveva visto
sospirando scomparire lentamente le torri di Brescia, ed allorquando
lʼestrema punta della città si perdette nelle tenebre, la salutò con un
addio che racchiudeva un tesoro di rimembranze.

Il viaggio era lungo, e parve lunghissimo a lei che anelava di
essere in casa sua, nella sua camera per isfuggire la tristezza che
inspiravale il lugubre silenzio che lʼattorniava; e più di tutto per
leggere la lettera di Ermanno, quella cara lettera che avrebbe già
baciata le mille volte se non vi era sua madre.—

Arrivarono finalmente, e Laura nel discendere guardò ancor una volta
sulla via percorsa pensando che per di là ella sarebbe ritornata a
Brescia, presso il suo Ermanno.—Papà Ramati era ad aspettarle, e non
appena le vide uscire dalla stazione, corse ad abbracciare Laura, che
per la prima volta rispose mestamente alle carezze del padre.—Giunta
a casa madama Ramati stanca del viaggio si ritirò; Laura pure poco
dopo entrò nella sua camera ove appena giunta congedò la fante che si
disponeva a spogliarla.—Chiuse la porta a giro di chiave, sedette al
tavolo estrasse dal seno la lettera, la baciò, indi ruppe il suggello e
lesse:


Laura!

«Vengo or ora da te, ed è sotto lʼimpressione delle tue parole che
ti scrivo. La mano mi trema ancora come poco fa fra le tue, il cuore
mi batte violentemente come se fossi a te davanti, il mio sguardo
è tuttora acceso dal fuoco che trovò nel tuo.—Sono espressioni
dellʼanima, accenti del cuore quelli che scrivo. Ascoltami dunque o
Laura.—Nei pochi anni della mia vita trascorsa, io acquistai una ben
triste scienza, la certezza cioè che non havvi per lʼuomo felicità
reale, e dal giorno in cui questa crudele certezza mi apparve chiara
ed incontestabile, diedi lʼultimo addio alle bugiarde speranze della
vita.—

«Lo scetticismo divenne la mia bandiera; lʼarte sola non presentava
per me le impronte caratteristiche di una folle speranza: amai lʼarte
come si ama la donna, ed al culto di questa fata misteriosa dedicai me
stesso e lʼintera mia vita.—Ma ahimè! ben tosto mi accorsi che anche
lʼarte è una promessa senza fine, una meta che si allontana quanto più
tentasi di avvicinarla! Disperai allora di poter riempire quel vuoto
che erasi formato nella mia esistenza, ma il mio cuore aveva necessità
di amare, e ribellavasi ostinatamente alla solitudine a cui lo aveva
dannato.

«Amai la natura nel suo assieme, confusi in un punto solo creato e
creatore, spirito e materia; ma le grandezze e le meraviglie del
cielo, e le bellezze della terra se mi entusiasmarono la mente, non
seppero commovere dʼun palpito questo povero mio cuore che assisteva
indifferente allo spettacolo maestoso dellʼuniverso.—

«Prostrato da inutili tentativi, mi abbandonai al mio destino lasciando
che il cuore languisse incompreso, e lʼanima se ne stesse neghittosa;
mi concentrai in me stesso lasciando alle poche risorse dellʼarte le
cure di qualche conforto.

«Io era in tale stato ancora qualche giorno fa, prima di vederti; ma
appena il mio sguardo sʼincontrò nel tuo, appena udii il suono della
tua voce, qualche cosa di nuovo si agitò nellʼanimo mio; al solo
contatto della tua mano, il cuore si scosse, e finalmente trovò un
palpito!

«Oh! Io non so dirti la lotta che sʼimpegnò in me fra la ragione e
lʼaffetto. In quella sera del nostro primo incontro passai una notte di
mille angosce di innumerevoli tormenti.—Dio mi è testimonio con quanta
ardore combattei contro una speranza di cui paventava le conseguenze;
ma che vuoi? Allʼindomani mi alzai prigioniero; il cuore lʼaveva vinta:
io ti amava!

«Ora mʼodi, o fanciulla, e che le mie parole ti restino impresse.—In
questo momento non sono io che ti parlo, ma la parte migliore
dellʼesser mio, lʼanima, lʼanima che nellʼabbandonarsi allʼamor tuo
trae un triste presagio sul mio avvenire.—Lo so che tu mi ami, me lo
dicesti, le tue lagrime me lo confermarono, ed io ti credo, perchè si
può dubitare di tutto, ma non delle prime parole dʼamore che sfuggono
dal labbro di una giovinetta.—

«Io credo adunque colla massima convinzione allʼamor tuo, nè tenterò
per parte mia una lotta colle tendenze del cuore; sarebbe vano.
Tale è il mio destino, mi abbandono in balìa di questo bel sogno,
e ti amo!—Ti amo tanto, che ora al punto di separarmi da te sento
aggravarmi da grande sventura. Ti amo tanto, e sento che dellʼamor tuo
farò la mia vita. Soffrirò, che monta? Tu mi ami, e questa certezza mi
sarà di gran conforto; tu parti ma la mia esistenza si lega a te, ed il
mio cuore dʼora in poi non avrà più un moto che non sia tuo, lʼanima
non avrà più una aspirazione che non sia per te.

«Per quanto recente sia il legame che a te mi unisce, io prevedo che
esso durerà per tutta la vita: ma tu o giovinetta, potrai sempre amarmi
come io ti amo? Nuova affatto del mondo, tu sorridi facilmente a tutte
le soavi impressioni che ti cagiona; io lo so, quando si è privi
dellʼesperienza pratica della vita, si pecca per eccesso dʼentusiasmo.
È questa la spina che mi tormenta! Tu mi ami forse collʼinscienza di
chi ama per la prima volta, ed il tuo affetto non è forse altro che una
prova della gentile suscettibilità del tuo cuore.

«Ai primi moti dellʼanima, scambierai forse per amore quel facile
accendersi della fantasia che domani potrebbe venir spenta dalla
ragione; epperciò la coscienza mʼimpone in questo momento di palesarti
tutti i miei dubbi, ed il tuo amore mi lasciò ancora tanto di
percezione da poter travedere sebbene da lungi il fine di questo dolce
episodio della mia vita.—La confessione che ora ti faccio del mio
convincimento ti servirà per togliere dallʼanima tua ogni ombra di
rimorso che potesse assalirti allorchè il tuo cuore cesserà di battere
per me.—

«Mʼascolta o giovinetta, ascolta lʼamaro vaticinio del mio destino.

«Tu mi ami perchè rappresento la prima promessa del bene che ti apparve
alla mente non appena lʼanima tua tendè alle aspirazioni dʼamore.—Io
invece ti adoro perchè sei lʼultima larva di felicità che ancor sorrida
alle mie speranze; ti adoro perchè col fascino dellʼamor tuo ravvivasti
col soffio della mia esistenza, e mercè tua rivedo il sole in tutta
la sua luce.—Ti amo, e mi avviticchio alla speranza dellʼamor tuo
come il naufrago allʼultima tavola non ancora travolta dal turbinoso
sconvolgersi dellʼonde.

«Il tuo amore è inspirato dal benessere, il mio dallo sconforto, ed
il frutto di questo affetto sarà necessariamente diverso per entrambi
giacchè il tuo cuore amando si apre alla speranza, mentre il mio si
concentra nel dubbio e nel timore.—La tua ricca condizione, la tua
avvenenza ti danno diritto ad aspirare alle dolcezze della vita; il
mondo si apre al tuo sguardo siccome un paradiso di fiori ove ti è dato
lo sciegliere a piacimento.—I piaceri del mondo per quanto falsi e
fuggevoli affascinano, seducono e rapiscono; ed in breve nella varietà
deʼ tuoi desideri, nellʼincertezza delle tue aspirazioni, fra le cure
dellʼuno le sollecitudini dellʼaltro, tu dimenticherai ben tosto il tuo
povero Ermanno che vive solo del tuo amore.

«A poco a poco la memoria di me, cederà il posto ad unʼaltra più
recente, lʼamore per me verrà consumato dallʼamore per unʼaltro, e
nello svolgersi di tante nuove sensazioni nellʼanimo tuo, sarà per me
gran ventura se ti ricorderai qualche volta i tratti del mio volto.—Io
la prevedo questa inevitabile conseguenza; è legge di natura che alla
tua età si mutino spesso inclinazioni ed affetti; ma io o Laura, sarò
sempre lo stesso, lʼimmagine tua sarà lʼultimo sorriso di gioja che
splenderà fino allʼestremo della mia vita.

«I piaceri del mondo non hanno più attrattive per me che ne conosco
la trama; io vivrò della tua immagine; e quando il tuo cuore non avrà
più un palpito per me, quando la mia memoria verrà travolta nella tua
mente, io ti adorerò sempre colla stessa religione, ne accadrà giammai
che ti rimproveri menomamente unʼincostanza alla quale sono già fin
dʼora rassegnato!

«Perdonami Laura, lʼamarezza di queste parole; lo so, esse ti
suoneranno come unʼingratitudine da parte mia, e forsʼanco ti
strapperanno una lagrima di dolore; ma un giorno pur troppo ti
persuaderai che il presentimento del mio cuore era una ben triste
verità.—Ricordati allora o Laura, che nel pronunziare questo fatale
vaticinio, io ti ho anticipatamente perdonata ed assolta da ogni
rimorso.

«Ed ora, fanciulla mia, ora che il mio amore ti ha tutto svelato il
suo dubbio tremendo, ora che questʼanima innamorata ha letto nel
libro dellʼavvenire, tergi le lagrime, ed ascolta la voce del mio
amore:—Tu parti! fra poche ore abbandonerai questa città, e chi sa
quando ci rivedremo.—Addio anima mia! il mio più ardente saluto ti
accompagnerà per via; la mia mente ed il mio cuore saranno sempre teco,
e benedico con tutto il trasporto la buona stella che ti addusse sul
mio cammino.... Addio Laura! in questo estremo saluto si concentra
tutto lʼardore deʼ miei sensi, tutto lo spirito della mia esistenza!
Voglia il cielo restituire a te tutta quella felicità che mi viene dal
tuo amore; io vivrò solo, lontano da te ma ti amerò sempre benedicendo
al fuoco deʼ tuoi sguardi che mi accesero in seno tal fiamma a cui sarò
debitore di tutte le gioje del mio avvenire.—

«Amami come io ti amo; pensa qualche volta a questo infelice che vivrà
solo della tua memoria.—Nelle gioje, nelle feste e nei piaceri a cui
ti destina lʼelevatezza del tuo grado, non dimenticarti di colui che
dal fondo di una piccola città passa tutti i giorni, le ore ed i minuti
nello sconforto della solitudine.—Pensa al tuo povero Ermanno che si
smarrì neʼ tuoi beglʼocchi, e che non avrà mai più pace lontano da te.—

Addio per lʼultima volta!.......... .....................

La povera giovinetta nel terminare la lettura di quelle pagine, aveva
gli occhi molli di lagrime. Lʼamarezza dei sentimenti espressi in
quella lettera, era troppo straziante; Ermanno aveva crudelmente
oppresso il di lei cuore, violando con un orribile dubbio lʼamore
di quella cara fanciulla, giacchè sotto quelle parole velate da
unʼapparente rassegnazione si nascondeva un desolante sconforto.

Era troppo amaro il colpo per il cuore di Laura che amava del più
santo affetto. Egli dubitava dunque di lei perdonando anticipatamente
unʼincostanza che non aveva diritto di supporre? lʼingrato! A tali
riflessioni, Laura sentivasi opprimere di dolore; nullameno rilesse la
lettera.—Anche quelle frasi crudeli le erano care perchè sue, e le
lagrime elle le solcavano silenziose il ciglio contenevano il perdono a
tanta ingratitudine.

Lʼagitazione della gentile fanciulla mentre ripassava le tristi
predizioni di Ermanno, era una forte protesta contro quei dubbi
scagliati con tanta barbarie.

Ella cercò invano nel riposo un poʼ di tregua al profondo dolore che
rattristava, le parole di Ermanno suonavano sempre al di lei orecchio.
Tutto il resto della notte lo passò in una veglia angosciosa, e solo
sullʼalbeggiare ella potè addormentarsi.—Ma ohimè anche i sogni
riproducevano lo strazio dellʼanimo suo; anche in sogno le appariva la
figura malinconica di Ermanno che la rimproverava di aver fatta la sua
infelicità.

Si alzò palliduccia ed abbattuta. Aprendo gli occhi ella si credette a
tutta prima in Brescia, ma volgendo lo sguardo attorno si trovò in casa
sua, nella sua camera lontana da lui, da lui che in quella notte di
angoscia aveva imparato ad amare maggiormente.

Durante la giornata che le sembrò lunga e nojosa, rilesse varie
volte la lettera di Ermanno; ciò lʼattristava vieppiù, ma anche
quella tristezza aveva il suo lato gradevole, ed ella compiacevasi
nellʼaccrescerla.—La sua casa, il suo giardino, i suoi fiori non
avevano più per lei alcuna attrattiva; per tutto eravi un vuoto,
ovunque vi mancava una cosa, e Milano, la grandiosa città col suo
movimento era diventata per lei un deserto. Oh! Brescia nella
sua semplicità le sembrava assai più bella! quei passeggi, quei
colli verdeggianti le stavano sempre nella mente. Quanto migliore
ella trovava la placida casetta dello zio Ramati! Là tutto era
tranquillo, là ella poteva affacciarsi al balcone e respirar lʼaria
della sera senza venir disturbata dallʼassordante andirivieni di
carrozze.—Ripensando ai bei giorni colà passati, la giovinetta
sospirava amaramente trovandosi come dispersa nelle vaste sale del suo
alloggio.

La madre si accorse benissimo del cambiamento subitaneo operatosi
nel carattere della figlia; ma non ne feʼ gran caso attribuendolo
al dispiacere di aver lasciata la cugina Letizia; tuttavia cercò di
distrarla conducendola ai passeggi, ai teatri, ovunque insomma vi fosse
da impiegare bene il tempo.

Tutto fu vano.—Dopo alcuni giorni, Laura era rassegnata, ma non
guarita, e sulle sue labbra più non comparve quel sorriso dʼingenuità
che prima le era abituale. Lʼimpressione del distacco erasi alquanto
scemata nel volgere di alcuni giorni, nullameno il suo pensiero era
sempre rivolto alla cara Brescia, a lui!

Oh! la prima volta che si ama non si può conciliare il dolore colla
necessità; collʼesperienza poi si ragiona di più, ma si ama di meno.—È
questo un fatto incontestabile; lʼamore è tanto più grande quanto
maggiore è lʼegoismo chʼesso inspira.—Laura era egoista, perchè amava
per la prima volta, e mal sapeva adattarsi a soffrire.

Tuttavolta veniva a calmarla alquanto lʼidea che un giorno o lʼaltro
conoscerebbe quel pittore Bresciano, amico intimo di Ermanno, ed in
cuor suo la giovinetta anelava a quel momento, giacchè avrebbe potuto
parlare di lui con altri, e ciò era già molto.—Eppoi unʼamico di
Ermanno doveva essere necessariamente il suo, e già senza conoscere
questo pittore ne sentiva simpatia.

Ma intanto per ora nulla valeva a distrarla.—La memoria di Ermanno era
impressa nel di lei cuore, e la lontananza accrebbe quellʼaffetto già
così grande.

Con dolorosa compiacenza riandava col pensiero al punto della sua
partenza da Brescia, ricordava le sue lagrime, quel saluto scambiatosi
dagli sguardi che rivelavano unʼinfinita di pene, una promessa di
lunga fede. Rammentando quellʼistante la giovinetta sentivasi ancora
inumidire le ciglia.

Madama Ramati potè dar passo per alcuni giorni alla mestizia della
figlia quantunque fosse lontanissima dal supporne la vera causa; ma un
giorno stanca di consolarla invano, le disse:

—Sii certa figlia mia che non ti condurrò mai più a Brescia. È
giusto lʼaffliggersi per qualche tempo, ma infine bisogna pure essere
ragionevoli.

Questa minaccia fece divenir Laura più cautelata, e dʼallora seppe
nascondere in faccia aʼ suoi la sua mestizia.



IX


Ritorneremo ad Ermanno che abbiamo lasciato triste e malinconico per
la partenza di Laura.—Egli passò come dicemmo la notte sul balcone
abbandonato aʼ suoi pensieri, ed allʼalba solamente si scosse per
andarsene al riposo. Cercò invano unʼora di sonno essendo troppa la
folla delle idee che gli facevano ressa nella mente. Allʼindomani si
alzò molto abbattuto, e sua madre, premurosa come sempre, che aveva
scoperta sulla di lui fronte la traccia di un affanno, lo interrogò in
mille guise senza che egli volesse dirle ciò che lʼopprimeva.—La buona
donna non seppe darsene pace, era troppo avvezza a vedere la serenità
sul volto del figlio per istarsene tranquilla a quellʼimprovviso
cambiamento.

Ermanno era per natura pochissimo robusto; la sua tempra troppo
delicata, le forze sciupate dal lungo studiare in unʼetà in cui è
necessario muoversi ed agitarsi.—Di più egli era stato più volte
ammalato gravemente, e lʼultima malattia gli aveva lasciato la traccia
di un pallore costante.

È facile immaginarsi la costernazione di quella povera donna nel
vederlo tanto malinconico; ella temeva che ciò fosse causato da qualche
indisposizione, epperciò non cessava di esortarlo a consigliarsi col
medico; ma ohimè la scienza non sa ancor guarire queste afflizioni di
cuore!

Passarono alcuni giorni senza che Ermanno desse un segno di
miglioramento, e non si potrebbe ridire il dolore di quella buona
donna nel leggere nello sguardo del figlio le tracce di una crescente
desolazione.

Ermanno comprese i timori di sua madre, e talvolta sforzavasi al
sorriso, ma il cuore di una madre non si può ingannare, e quel sorriso
era maggior strazio per colei che ne conosceva lʼamarezza.

Alcuni giorni dopo la partenza di Laura, Alfredo si recò da Ermanno, e
lo sorprese appunto mentre stava abbandonato sul seggiolone in preda
alla sua mestizia.

—Buondì, mamma Alvise, sclamò Alfredo stringendole la mano, la salute
è buona?

—Oh! per me, non cʼè male, rispose ella sospirando; ma Ermanno soffre.

—Oh diavolo! Che hai trovato di male?

—Non ci badare sai, rispose Ermanno alzandosi, la mia buona mamma si
ficcò in testa che io debba essere malato, e non cʼè caso di farla
ricredere.

—Voglia il cielo figlio mio che mʼinganni! Ma è un fatto che per
esser sempre col broncio e di pessimo umore, bisogna aver qualche
indisposizione.....

—Ma no, tuttʼaltro, non mi sono mai trovato tanto bene.

A tal risposta alquanto asciutta, la madre abbassò sospirando il capo,
e riprese il suo lavoro.

—Meno male, sclamò Alfredo, la cosa infine non è tanto seria, e
speriamo che fra qualche giorno tutto sia finito.—E volgendosi ad
Ermanno soggiunse: Sono venuto da te, perchè ho molte cose a dirti.
Prima di tutto mia cugina ha scritto, e fu un vero miracolo la sua
sollecitudine; è tanto pigra!

Ermanno al sentire che Laura scrisse provò un indefinibile turbamento,
e temette a bella prima che quellʼingenua giovinetta avesse fatta
qualche imprudente confidenza; era ansioso di sapere ciò che
ella aveva scritto, ma in faccia ad Alfredo ostentò la più grande
noncuranza.—Alfredo proseguì:

—Scrisse una lunghissima lettera a mia sorella, nella quale
rammaricava la sua partenza da Brescia. È tanto carina quella
fanciulla: e come scrive bene; ti farò vedere la lettera, cʼè da
leggere per unʼora.—Ella cʼincarica di farti i suoi più _distinti
saluti_, sono sue parole, e ti prega di non dimenticare la famosa
romanza che le hai promesso.

—Ah! è vero, sclamò Ermanno come se si ricordasse appena allora.

—Oh! mostro, tu eri capace di dimenticartene! Decisamente di voi
altri artisti cʼè poco da fidarsi; ma tu la farai ad ogni costo questa
romanza.

Mamma Alvise non lavorava più. Appena sentì parlare della cugina di
Alfredo fissò gli sguardi scrutatori sul volto del figlio; unʼidea
le era balenata alla mente. Il cuore dʼuna madre non sʼinganna mai,
e per quanta indifferenza abbia ostentata Ermanno, ella indovinò
perfettamente quale fosse la causa di tanta mestizia. Egli aveva potuto
ingannare lʼamico, ma non la madre.—Di questa scoperta la buona donna
ebbe a rallegrarsi, e pensò che trattandosi non dʼaltro che dʼun poʼ
dʼamore, non aveva a temerne serie conseguenze, confidando nel facile
rimedio del tempo.

Alfredo continuò:

—Figurati con quanta ansietà ella attende quella musica.

—Hai ragione, rispose Ermanno, sempre con fare indifferente; nella
settimana mi accingerò.

—Vʼha di più riprese Alfredo, la cuginetta ti prega anche a nome di
sua madre di non dimenticarti di scrivere a Paolo per quei ritratti.

—Va bene.

—Articolo quarto, lʼintera famiglia Ramati, ti prega di recarti
presto a Milano, ed incarica me di trascinarviti ove tu non voglia
accondiscendere.

—Ne riparleremo poi, grazie tante.

—Quinto ed ultimo, la zia ti saluta particolarmente; ho finito.

Era tempo, giacchè Ermanno non ne poteva più, temendo ad ogni momento
che Alfredo ne dicesse qualcuna grossa; e solo quando costui ebbe
terminato sentì allargarsi il cuore.

—Oh! mi dimenticava di unʼaltro articolo: sclamò Alfredo: mia sorella
ti pregherebbe di volerle continuare il corso di lezioni sospeso da
qualche tempo, non si sa il perchè.

—Madamigella Letizia ha tutte le ragioni; verrò....

—Ed ora ho finito. Ricordati dunque della romanza, di Paolo e di mia
sorella.

—Ma sì, mio Dio, non sono uno smemorato!

—Quanto meno, non dai saggio di buona memoria, rispose Alfredo.—Esci?

—Sì, disse Ermanno; ho due lezioni da dare.—Egli ne aveva abbastanza
di essere sulle spine; fermandosi più oltre lʼamico poteva venir fuori
con qualche altra storia, ed in faccia a sua madre ciò gli sarebbe
dispiaciuto assai.

Uscì con Alfredo che lo accompagnò per poco, e quando Ermanno fu solo
sì abbandonò alle riflessioni.—Laura si ricordava di lui, lo aveva
nominato, e con prudenza; chissà quale impressione aveva fatta in lei
la sua lettera! forse la poverina ne aveva pianto.

Ma fra tutto eravi una cosa che non permettevagli di gioire della buona
memoria che ella serbava di lui. Egli sperava che Laura dopo quella
lettera gli avrebbe scritto una parola almeno; ella conosceva il suo
indirizzo, nè ignorava certo che una sua lettera gli avrebbe fatto un
gran bene. E perchè dunque non scriveva?

Per una damigella, se riesce difficile il ricever lettere, non lo è
tanto lo scriverne; un pretesto qualunque basta per mandare alla posta
un bigliettino. Tuttavolta per iscusarla, tentava di persuadersi non
essere conveniente che una ragazza scrivesse ad un giovinotto, ma tale
riflessione valeva assai poco—Quando si ama davvero si pensa forse
alle convenienze? Ecco la sua logica.

—Quale reticenza può mai assalire una giovinetta, nello scrivere
una lettera che può formare la felicità di un uomo?... Perchè quel
silenzio, ella lo amava dunque sì poco da non poter superare dʼun grado
le convenienze sociali?

A tali pensieri Ermanno si sentiva oppresso e passeggiava agitato
e convulso; sensibilmente lʼidea predominante divenne quella che
lʼaffetto di Laura fosse passeggiero, e fu preso da tale sconforto che
ricadde tosto nella sua tristezza.

Lo sfogo nel cuore di un amico è gran sollievo, ma Ermanno ne aveva un
solo in Brescia, ed appunto con quello non poteva confidarsi—Paolo era
a Milano.... Ricordando Paolo, si sovvenne pure della lettera che aveva
promesso di scrivere per invitarlo a passare in casa Ramati.—Ritornò a
casa, ed ecco la lettera diretta allʼamico.


Caro Paolo,

«Ti scrivo sotto una triste impressione.—Da alcuni giorni mi pesa al
cuore una rilassatezza sconfortante; da alcuni giorni sono assalito da
tutte lo noie, oppresso dai più crudeli pensieri.—Chi mai lo avrebbe
detto? Poco tempo fa io ti scrissi lʼultima mia lettera collʼanimo
pieno di felicità e di speranza, in allora non aveva unʼidea che non
fosse un sorriso: lʼarte e mia madre erano il mio mondo, viveva di esse
e per esse; ed ora mio buon amico, tutto è cambiato!

«Titubai qualche giorno a darti sì triste novella, ma infine non so
più reggere al peso di tanti dubbi, ed ho bisogno di sfogare la piena
dellʼamarezza che mi tormenta.—Permettimi dunque, mio caro Paolo, che
nel tuo seno io volga un riflesso deʼ miei dolori.

«Lʼamore; quellʼeterno sentimento che da tutti i secoli agita i poveri
mortali, quel misterioso senso a cui nulla resiste, incatenò me pure ad
una vana illusione.—Mi sono opposto con tutte le forze, mi armai di
tutta la mia abnegazione per combatterlo, ma indarno; io caddi e passai
anima e corpo sotto lʼimpero del vincitore.—Ecco come.

«Ti ricordi di Alfredo Ramati nostro amico fin dallʼinfanzia? Fu egli
involontaria cagione di tutto. Alcuni giorni fa, venne qui in Brescia
una sua cugina che abita in Milano; e per farle cosa grata, Alfredo
mʼinvitò a casa sua per fare un poʼ di musica.—

«Puoi figurartelo, vi andai; non so negar nulla a quel caro Alfredo
che mi ama sinceramente.—Vi andai, ma io non avrei mai creduto di
lasciare la mia pace in quella casa; non so dirti come, ma il fatto è
che nella stessa prima sera, mi sentii stranamente commosso. Ritornai
allʼindomani, e.... cosa vuoi che ti dica amico mio: Laura è una
creatura celeste, e sono certo che appena la vedrai, ti piglierà
desiderio di disegnare quella figurina sì delicata e gentile.—

«Per abbreviare; in capo a tre o quattro giorni mi accorsi di esser
perdutamente innamorato di quella fanciulla; la fatalità volle che essa
pure divida i miei sentimenti; è tanto ingenua che mal seppe celarmi
il suo segreto.—Oh! non lʼavessi mai scoperto! Lʼuomo è decisamente
troppo ardito nelle sue aspirazioni, e non so come mai ho potuto
concepire una sì strana follia; come mai unʼamore così insensato venne
ad impossessarsi di me!

«Io aveva in mio soccorso la più salda ragione, ma ciò valse a
nulla.—Ora essa è partita da sette giorni trovasi in Milano, da sette
giorni, capisci la noia e lo sconforto mi tormentano, e questo povero
mio cuore non ha più pace.—Lʼimmagine di quella giovinetta, le sue
carezze, i suoi sorrisi mi rimasero impressi in quello slancio della
fantasia che si chiama lʼanima.

«Dopo tutto; non è egli un sogno, un sogno molto, ma molto lontano da
ogni ombra di realtà! Eppure io lo vagheggio questo sogno come una
cara speranza.—Mio buon amico, tu più che nol sii ti ostini a parer
scettico; ebbene sacrifica per poco il tuo sistematico dubbio e credi,
credi che soffro, credi che amo. Che lʼidea del mio dolore tenga
lontano dal tuo labbro il sorriso dellʼironia; non tutti sono forti,
ed io ne dò chiara prova, io che mi sono smarrito nello sguardo di una
fanciulla che ora per frutto dʼinesperienza crede dʼamarmi, e domani
forse mi dimenticherà.

«Già prevedo il triste fine di questo episodio di amore; lo prevedeva
prima ancora che il mio cuore ne subisse lʼinfluenza, e nonpertanto non
seppi ritrarre il piede, ed eccomi vittima di una follia che io stesso
deploro senza cercarvi rimedio.

«Si può forse amare unʼessere lontano? Dal canto mio sì, perchè nella
continua lotta dellʼesistenza vidi cadere mille speranze deluse,
perchè io posso isolarmi moralmente dalla società per dedicarmi in
secreto al culto di una memoria; perchè io non temo più il fascino
lusinghiero del mondo.—Ma per lei la cosa corre ben diversa; giovane,
nuova alle emozioni della vita, ne vagheggia le dolcezze; bella e ricca
si accuserà un giorno di essere stata ben sciocca a cercare la luce
nelle tenebre. Al primo sorriso di qualche elegante della capitale
si scorderà dellʼoscuro artista che vive nel fondo di una provincia.
Nellʼappariscenza dei saloni brillanti a cui le danno largo accesso
i suoi pregi, e la sua dote, le svaniranno dalla memoria, financo le
mie sembianze, ed un giorno forse incontrandomi cercherà nelle sue
reminiscenze per rammentarsi dove e quando mi abbia veduto.

«È doloroso a dirsi! e non pertanto mi abbandono alla corrente per ciò
solo che non avrei nè la forza nè la volontà di ritirarmi; mi abbandono
al mio sogno, assaporandone tutte le illusioni.—Chissà che un giorno
io non mi svegli guarito! Lo spero perchè questa guarigione mi è
necessaria; perchè ho bisogno della mia pace per istudiare, giacchè
lʼarte oramai non ha per me più nessun conforto.

«Lʼamore immenso della mia povera madre mi lascia ancora un vuoto
nellʼanima. Io la veggo questa buona donna addolorarsi per la
mia mestizia; ella teme che io sia malato, epperciò mi usa mille
attenzioni; la sua vita è di affannarsi per cercarmi qualche conforto;
ma io non le dirò mai la causa del mio male. Ella sarebbe gelosa di
colei che le invola tanta parte del mio affetto.— .....................

«Passo ora alla seconda parte della mia lettera. Nel breve soggiorno
che fecero Laura e sua madre in Brescia ebbimo occasione di parlare
di te, e la stessa madama Ramati mi pregò di scriverti onde invitarti
a passare da lei per alcuni ritratti.—Il signor Ramati, che forse tu
conoscerai abita in via...

—Unisco le mie alle loro preghiere, e sono certo che non mancherai
dʼandarvi: credo inutile dirti che se farai il ritratto di Laura, ne
desidero ardentemente uno schizzo.

«Mi raccomando dunque a te, e perdonami se alle volte ho potuto colla
presente, non dirò annoiarti, ma involarti un tempo prezioso. Reciproca
confidenza fu il patto di nostra amicizia, e nel tuo cuore io rinvenni
sempre un tesoro di conforti; tu invece non ne abbisogni, sei felice,
e che il cielo ti conservi quella felicità come te lʼaugura con tutta
lʼanima il tuo

ERMANNO.»



X.


Paolo Franzoni pittore, era un giovinotto smilzo e magro sui ventisei
anni. Lʼelogio che di lui aveva fatto Ermanno, non era punto esagerato,
e giovine ancora egli godeva di bella fama—Per vaghezza dellʼarte
aveva abbandonato Brescia, e recatosi a Milano ove aveva fatti i suoi
studii, impiantò sulle prime un piccolo studio che andò a poco a poco
ingrandendosi grazie alle frequenti commissioni, talchè Paolo dopo un
anno fu costretto di lasciare la sua dimora al fondo di Porta Romana,
per portarsi in luogo più centrale.

Allʼepoca in cui Ermanno gli scrisse la lettera che abbiamo vista, il
nostro pittore occupava un modesto alloggio in via di Brera—In quanto
a carattere egli era giovialissimo; la mestizia anche passeggiera non
era per lui. Aveva dello spirito, e ne faceva buon uso nella società
che ei frequentava.

Riesciva mirabilmente nei ritratti che sapeva condurre con rara
maestria; guadagnava molto, ma spendeva tutto, e bene spesso ricorreva
alle sovvenzioni di suo padre, agiato negoziante Bresciano.

Paolo aveva un cuore eccellente ed amava molto Ermanno a cui era
legato in amicizia fin dallʼinfanzia, nè passava mese senza che essi
si scambiassero almeno un paio di lettere—Il racconto degli amori
dellʼamico aveva alquanto eccitata la sua curiosità, per cui fu
più sollecito a recarsi in casa Ramati ove venne accolto con tutta
famigliarità e dimestichezza.

Ermanno frattanto aspettava, aspettava sempre. Da dodici giorni
Laura era partita, da dodici giorni ella aveva letta la sua lettera
senza nemmeno rispondergli parola. Tutta le mattine correva alla
posta colla speranza nel cuore, e ne ritornava oppresso e desolato a
mani vuote—Possibile che ella lo avesse assolutamente dimenticato?
Possibile che tante promesse e tante lagrime non avessero serbata una
traccia nel cuore di lei?

Talvolta temeva di averla offesa colla troppa sincera confessione deʼ
suoi dubbi; ma non era forse anche quella una prova dʼamore? Egli
sperava che Laura tenterebbe di disingannarlo rispondendo aʼ suoi
timori con assicurazioni dʼaffetto che gli avrebbero fatto un gran
bene; ed invece, nulla, nulla affatto; non si degnava di scrivergli una
parola.

Invano egli cercava una qualche scusa per giustificarla, ma pur
troppo non ne rinveniva alcuna. Quel silenzio rivelava una barbara
indifferenza, una crudele dimenticanza.

Un mattino finalmente si realizzarono i suoi desideri. Recandosi alla
posta trovò due lettere al suo indirizzo; entrambe venivano da Milano,
una la conobbe, era di Paolo; lʼaltra era quella tanto aspettata di
Laura.

Prima ancora di leggerla, Ermanno ne voleva indovinare il contenuto.
Si prova gran piacere nel prolungare una dolce emozione! egli bruciava
dalla voglia di rompere il suggello di quella letterina; nondimeno
volle prima leggere lʼaltra di Paolo: eccola:

«Mio caro Ermanno

«Se tuttʼaltri mi avesse scritta una lettera del genere della tua, ti
giuro che non avrei saputo trattenere le risa; ma tu sei il mio primo e
più caro amico, epperciò ti feci grazia.

«Che vuoi? le mie idee sullʼamore sono tuttʼaffatto opposte alle tue,
ed è forse per ciò che non so comprendere come mai si stia tanto male
allorchè si è innamorati—Secondo i miei principi si ama per stare
allegri, per avere una distrazione piacevole; lʼamore per me è un
mezzo, non uno scopo. Sarà un cattivo metodo il mio, ma è evidente
che in vista delle malinconiche idee che tʼinspira la tua passione, è
preferibile dʼassai la mia libertà.

«Per conto mio ti assicuro che tutte le donnine a cui faccio la corte
potrebbero tradirmi in massa, senza che perciò si alteri la mia mente,
e si scemi il mio appetito—Ma tu sei dʼunʼaltra tempra; tu abbisogni
di forti emozioni, di palpitazioni violente, e lascia o caro Ermanno
che su questa tua debolezza io sparga una lagrima di compianto—Se la
fede e la sensibilità conducono al mal partito di soffrire di giorno e
non dormire le notti, io preferisco il mio scetticismo mercè cui non
posso seriamente attaccarmi alle gonnelle di una donna.

«Dopo tutto il mio benessere a questo riguardo, non deve farmi
dimenticare la tua disgrazia; ma non so capire come mai con tutte le
tue belle previsioni sulle spiacevoli conseguenze di questʼamore, ti
sii abbandonato in braccio ad una speranza che tu stesso riconosci
infondata—Permettimi di dirti che hai commessa una vera imprudenza
abbandonandoti alla speranza di un bene colla certezza dʼilluderti.

«Ma già, quel che è fatto è fatto; tu sei innamorato sul serio, ed
allorchè il male è incurabile tace il consiglio per lasciar passo al
conforto—Io credo dunque colla più profonda convinzione alla realtà
del tuo amore, credo perchè non si può scrivere una lettera del genere
di quella che mi mandasti senza avere il cuore palpitante a _grande
velocità_; farò di più, credo anche che pur troppo non ti caverai sì
presto la spina che ti punge; e non so tacerti che sarebbe bene se tu
dubitassi alquanto... ma io prevedo che tu già muori dʼimpazienza, e
vengo allo scopo.

«Due giorni dopo ricevuta la tua lettera mi recai in casa Ramati ove
fui ricevuto dal padre col quale avevo qualche conoscenza per ragioni
di famiglia; venni tosto presentato a madama, ed a madamigella—La
verità è il mio forte—Laura è bellissima, e la pittura animata che me
ne facesti non esagera punto. Osservai inoltre che quella ragazza mi
ricevette con un sorriso che voleva dirmi: _Voi lo conoscete_!

«Fui accolto benissimo, con tutta famigliarità, e ciò mi piacque
assai. Madama Ramati è di una bontà senza pari; abbiamo chiacchierato
insieme una buona ora parlando di Brescia, e di te; la cosa è
naturale—Vʼha di più, se lʼetà di madama non sommasse ad una cifra
alquanto rassicurante, sarei tentato di credere che questa signora
fosse innamorata di te. Mi parlò con tanto ardore della tua abilità al
pianoforte e deʼ tuoi bei modi, da soverchiare gli elogi di madamigella
Laura che non si faceva scrupolo di arrossire ogni qual volta si
pronunziava il tuo nome.

«Da unʼora tu eri il protagonista della conversazione, ed in fede mia
fui tentato da credere che tu mi avessi colà mandato per assistere alla
tua apologia—Finalmente madama mi parlò dei ritratti mostrando vivo
desiderio che mi accingessi al più presto allʼopera, ed io persuaso di
farti piacere non mi feci aspettare dʼavvantaggio.

«Da alcuni giorni lavoro dietro al ritratto della madre, in seguito
farò la figlia ed il papà. Mi fu assegnata una bella camera per
portarvi lʼoccorrente, e ti assicuro che il tempo delle sedute passa di
volo; tanto più che ormai sono trattato come unʼamico di famiglia.

«Madamigella Laura, lo ripeto è veramente bellissima, ma mio Dio!
giacchè eri sulla strada potevi addirittura innamorarti di una
ragazza che giuochi alla bambola—Lʼamore che tu intendi di dedicarle
è peso troppo grave per tal fanciulla—Queste verginelle ingenue
commettono colla massima indifferenza le più gravi iniquità amorose:
guardatene bene amico mio; è un frutto prematuro quello che tu vuoi
cogliere, e sà di agro—Io leggo in quegli occhi cilestri una grande
instabilità di carattere: dʼaltronde rifletti che alla sua età tutto è
passeggiero—Nella terra troppo vergine non nasce neanche lʼortica, e
dal canto mio ti permetterei di nutrire per quella ragazza tuttʼal più
unʼaffezione paterna.

«Eppoi la distanza che ti separa da lei, se non è insormontabile, è
quanto meno grave—In fede mia se non ti conoscessi per unʼartista
entusiasta e sognatore, supporrei facilmente che tu abbia tirato un
buon colpo—Capperi centomila lire, ed unʼeredità certa sono un bel
boccone!

«Ma io lo so che tu sei troppo nobile perchè una simile idea ti passi
per la mente; so altresì che io predicherò al deserto, e che le mie
parole saranno sciupate come la goccia dʼacqua che cade in una fornace
ardente.

«Fa del tuo meglio; non ho altro a dirti—Se verrai a Milano, come
non dubito, ricordati che ho una camera preparata per gli amici, e
perdonami se abusando dalla nostra amicizia, mi permetto di darti certi
consigli che ti auguro con tutto il cuore di poter mettere in pratica.

  «PAOLO»

Ermanno terminò quella lettera traendo un sospiro—Pur troppo lʼamico
divideva la stessa sua diffidenza riguardo a quellʼamore insensato,
e come per scacciare le tristi idee che lo assalivano, passò subito
alla lettera di Laura—Ruppe il suggello, ed estraendo il foglio dalla
busta, fu primo suo moto di guardare quante fossero le pagine scritte;
indi lesse:

  «Ermanno!

«Perdono al tuo dolore lʼamarezza delle tue parole, ma non so tacerti
che quella crudelissima lettera mi fece molto male—Io non so qual sia
quella triste esperienza che tʼinsegna tante brutte cose ed oscura i
tuoi pensieri, ma so che la tua lettera mi fece piangere amaramente, so
che il mio povero cuore ebbe a soffrirne assai!

«Non ti rimprovero no le mie lagrime, tutto ciò che mi viene da te e
per te mi sarà sempre caro; anche il dolore; ma che io non senta mai
più dal tuo labbro così neri pronostici. Dubita finchè vuoi della tua
fede forse troppo isterilita dalle peripezie della vita, ma per pietà
non condannare alla mia nel suo primo nascere!

«Mio buon amico: io vorrei poterti infondere parte di quella speranza
che ravviva lʼanima mia, vorrei poter dissipare dʼun tratto le nere
nubi che ti offuscano la mente, ma sento che tutto sarebbe vano, e
tale certezza raddoppia il mio dolore—Perdono alla crudeltà deʼ tuoi
detti, perchè scorgo in essi una vera prova dʼamore, ed ho fiducia nel
cielo che a forza di costanza gli amari tuoi dubbi verranno cancellati.

«Tu dici che il mondo e le sue attrattive distruggeranno nel mio seno
financo la memoria di te, ed io ti giuro, o mio Ermanno, che dal giorno
della mia partenza, sento che lʼamore per te, si accrebbe immensamente.

«Il mondo! Ma lo curo io forse!... Da sedici giorni sono in Milano,
e me ne accorgo solamente perchè tu non sei meco. Ingrato, credi
tu dunque che io sia tanto leggiera? Non meritavi davvero che io
piangessi nel lasciarti, giacchè tu hai sì poca fede in me!—O credi
al mio amore, ovvero ti dirò: rendimi la mia pace, io era felice,
contenta, ignorava cosa fossero le aspirazioni del cuore; ed ora sono
malinconica, addolorata ed infelice! Rendimi quel sorriso che mi hai
rapito; io lo cerco invano dacchè abbandonai la casa della cugina.—

«—Spesso la mammina mi rimprovera per esser io distratta, annoiata, e
procura con mille modi di richiamarmi allʼallegria: ma tutto indarno!
Quei piaceri che una volta erano la mia vita, ora mi sono indifferenti
affatto; più nulla vale a rallegrarmi lontana da te.

«Oh Ermanno se tu sapessi quanto ardentemente io desidero dʼaverti
meco, non avresti al certo scritta una lettera tanto crudele!—Ovunque
io ti vedo, ovunque parmi di udire il suono della tua voce; alla
sera mi è di gran conforto il rinchiudermi nella mia camera, e là
mi abbandono in balìa del mio pensiero che subito mi trasporta in
Brescia al tuo fianco. Parmi vederti e parlarti, e sento risuonare
dolcemente per lʼaria le soavi armonie che tu solo sai trarre dal
pianoforte.—Perchè scuotendomi dal dolce letargo mi trovo sola e cogli
occhi lagrimosi?

«E dopo tutto, potrai tu ancora dubitare del mio amore! Te lo giuro
Ermanno, il mio carattere ha subito in breve tempo una strana
trasformazione; non sono più una fanciulla senza pensieri, la mia mente
si è dʼun tratto illuminata, e guardando addietro sul tempo trascorso
mi accorgo di aver fatto un gran passo nella vita.—Tu mi porgesti mano
per guidarmi sulla via della vera felicità che trova unʼeco nel cuore,
e mʼinsegnasti colla mestizia del tuo sorriso un mondo di delizie da me
ignorate.

«Dimenticarti tu dici? Oh! mai, mai mio Ermanno; e questa mia promessa
che emana dallʼanima, abbila per cancellare ed abbattere i tristi
pensieri.—Che importa a me delle ricchezze, del lusso, delle sale
dorate? Io ti amo, e questa parola è la più eloquente protesta che io
sappia trovare contro la tua incredulità.—Oh! tu non sai quanto più
grande mi sembri dʼogni uomo anche da lontano.—Credimi Ermanno, la
supremazia che tu prendesti in questo povero cuore, è troppo grande
perchè io non possa dimenticarti per tutta la vita, e ti assicuri il
giuramento che ti faccio al cospetto di Dio, di amarti sempre come
lʼessere a me più caro.—

«Credi tu che il mio cuore non sia capace di nutrire un lungo
affetto?.... Finora che io sappia non ti diedi ancora il minimo
dubbio sulla mia costanza, e tu non puoi nè devi anticipatamente
condannarmi.—Chissà quello che avverrà di noi. Ma qualunque cosa
sia per accadere, sento che tu sarai sempre lʼoggetto deʼ miei più
cari pensieri.—Il cielo non può avermi male di questo affetto che mi
avvicina maggiormente ad esso, Dio non potrebbe punirmene se non mi ha
data la forza di resisterti..... Io pure tentai di non soccombere, ma
fui rapidamente sconfitta; lʼunico rimorso che mi aggrava la coscienza,
si è quello di celare a mamma questo segreto, e tʼassicuro che spesse
volte allorchè la vedo mesta per la mia mestizia, mi viene una gran
voglia di tutto confessarle.—Ella mi perdonerebbe, ne sono certa; mi
ama tanto!

«Che hai tu fatto Ermanno di questa povera Laura? Io sono ben
stranamente cambiata, giacchè mi rubasti col cuore quel poʼ di senno
che aveva.—Mentre ti scrivo, sento che ho mille e mille cose a dirti,
ma tutte mi attraversano il pensiero senza che io possa afferrarne una.

«Eppure ieri stando in giardino sola per pensare a te, mi venivano
in mente un mondo di concetti, e se allora ti avessi scritto, quante
belle cose avrei saputo dirti!—Ed ora che sarebbe necessario un aiuto
a queste mie povere idee, più nulla; mi succede precisamente come
allorquando tu venivi a trovarmi in casa della cugina: prima di vederti
avevo gran che da dire; la sola tua presenza mi turbava talmente da
togliermi financo la parola.

«Io guardo invano questa penna che mi sta fra le dita come per
spronarla a scrivere, ma tu sei entrato nella mia mente, e ne occupasti
tutti i punti.—Ho io forse torto se tu distruggi tutti i miei
pensieri, se la mia memoria non trova più una di tutte le belle idee
che mi nascono nella meditazione? Ma giacchè tu sei causa di questa
impotenza sopportane le conseguenze e perdona se non so trovare altra
parola di quella che esprime il mio amore: ti amo!...

«Io non vivo che della tua memoria e della speranza di presto
rivederti. Non so se torneremo presto a Brescia, ma tu dovresti venirci
a trovare in Milano; ieri ancora ho pensato ad una tua visita, e mi
parve dʼindovinare che tu verrai.—Il tuo amico signor Paolo me lo
fece sperare; deh! fa che sia presto.

«Molte volte parliamo di te colla mamma, e ti assicuro che anchʼessa ti
vedrebbe molto volontieri: stamane ancora facevamo il tuo elogio ad una
signora di Milano amantissima della musica. Insomma per una cosa o per
lʼaltra io trovo sempre mezzo di parlare di te.

«Vieni adunque. Io ti aspetto per dirti tutto ciò che la penna non sa
scrivere; vieni per accertarti della fede della tua povera Laura, per
dissipare quei tristi pensieri che ti assalgono nella tua solitudine;
vieni ad accertarti che io ti amo sempre, e più di prima!

«La tua presenza sola potrebbe riconciliarmi alquanto con questa noiosa
città.—Ho bisogno di vederti per svelarti tutte le dolcezze di cui
ti sono debitrice, per farti noto il secreto dei miei pensieri.—Tu
vedrai la mia camera ove passo le notti sognandomi a te vicina, il mio
giardino di cui ogni fiore mi rammenta un sospiro a te diretto.

«Spesso trasportata dalla corrente del pensiero parmi di essere in
quello della cugina Letizia, e figurandomi che tu debba venire da me,
raccolgo un mazzo deʼ miei fiorellini come per presentartelo alla tua
venuta.—Li porto nella mia camera, e me li vedo appassire tra le mani
senza che tu li ravvivi di un tuo sorriso.

«Serbi tu ancora quel mazzolino che ti diedi quella sera in casa della
cugina? Lo spero, anzi ne sono certa. Benchè appassiti quei poveri
fiori ti ricorderanno quei giorni felici in cui le nostre mani potevano
stringersi, i nostri sguardi favellarsi.—

«Ho sempre sul seno la medaglietta di tua madre, ed ogni sera la bacio
con trasporto pregando Dio di conservarti alla mia tenerezza, e di
tenermi sempre viva nella tua memoria come tu lo sei nella mia.

«Da alcuni giorni il signor Paolo viene in nostra casa.—È
unʼamenissimo e garbato giovane, mi piace assai; e come non mi
piacerebbe un tuo amico che mi parla spesso di te? Egli ti ama molto, e
mi promise di scriverti per invitarti a venirci a trovare.

«Questo caro signor Paolo è diventato ormai di casa, ed è per me gran
ventura.—Io sono certa che tu verrai presto a vedermi, e ricordati che
io vivo di questo desiderio.

«Non tʼincarico deʼ miei saluti per la cugina Letizia, perchè non si
deve sapere che io ti abbia scritto; neanche mamma lo sa, e davvero
ne ho qualche rimorso. Ma se si tratta di far del bene a te, ho la
forza di superare ogni scrupolo, purchè io riesca a persuaderti
che il mio cuore è tuo, che la memoria di te non si cancellerà mai
da questʼanima.—Addio mio Ermanno! Io prego ardentemente il cielo
affinchè vengano dispersi i dubbi crudeli del tuo cuore, e spero che ti
verrà finalmente concessa quella fede che forma lʼunica gioia della tua.

LAURA»



XI


Non si poteva dire di più, la lettera di Laura era inspirata dalla
fede più profonda, dal più fervido amore. La confusione che regnava in
quelle idee palesava chiaramente lo stato di unʼanima che aprivasi con
tutta tenerezza agli slanci ineffabili di un primo affetto.

Non sarà necessario il dire che la lettera di Laura fece dimenticare
affatto quella di Paolo, ed il giovane pittore non fu mai tanto felice
nelle sue previsioni come quando scrisse: _So altresì che io predico
al vento e che le mie parole saranno sciupate_.—Ma chi mai potrebbe
far colpa di una tale dimenticanza al povero Ermanno dopo di quanto gli
scrisse Laura? Lʼamico poteva aver tutte le incertezze su quellʼamore,
ma la rivelazione della giovinetta era troppo eloquente e spontanea,
perchè finalmente Ermanno non si abbandonasse alla fede.

Unʼincredulità più a lungo portata non si addice ad un cuore sensibile
ed entusiasta.—Lʼultimo lembo di barricata dietro cui Ermanno erasi
trincerato venne distrutto; in tal caso trovandosi esposto e scoperto
al fuoco nemico, era miglior consiglio ceder le armi e capitolare.

Così fece egli, si arrese rassegnato allʼinfluenza troppo grande che
esercitava su di lui la memoria di Laura; e recandosi a casa, piena la
testa di mille idee, pensava seco stesso quando potrebbe fare una gita
a Milano.

Decisamente egli aveva una faccia molto più allegra, giacchè sua madre
nel vederlo entrare, mandò unʼesclamazione di gioia, e gli corse
incontro chiedendogli se si sentisse meglio.—Ermanno difatti era di
molto sollevato, il ritardo di Laura nel rispondere gli aveva destato
nellʼanimo crudeli sospetti che tosto si dileguarono alla lettura di
quei cari accenti.

Occorre forse dirlo? Appena si trovò solo, rilesse varie volte quella
lunga lettera; ed in ogni parola parevagli di trovarvi un nuovo senso
confermandosi viemmeglio nella certezza di essere amato.

Noi cerchiamo invano per la mente qualchecosa da paragonare alla
felicità di Ermanno, ma non è possibile di trovare idea che vaglia
appena a darne sembianza.—Amato! questa parola che per sè stessa
non esprime che un sentimento naturale, porta seco tanto prestigio,
racchiude tante dolcezze e diciamolo pure tante illusioni, che lʼanima
di chi ne risente lʼinfluenza si commove fino al delirio.

La lettera di Laura portò un lungo riflesso di felicità ad Ermanno,
che per qualche giorno visse si può dire di essa; ma pur troppo anche
la felicità diventa abituale, e dopo poco tempo, non bastavano più a
consolarlo alcuni pensieri scritti sulla carta, e lentamente ritornò
alle sue malinconie.—La madre non fu tarda ad accorgersi della
ricaduta, ed aveva non pochi timori, tanto più che da qualche tempo la
salute di Ermanno erasi sensibilmente alterata. Quegli slanci troppo
arditi, quelle emozioni troppo profonde, danneggiavano quel corpo già
per natura fragile e malaticcio.

Ormai per quella donna non era più un mistero lʼamore del figlio;
lʼaveva veduto più volte con quella lettera in mano; dallʼultima
visita di Alfredo che si era tradito con quelle parole, aveva studiato
attentamente tutti gli atti di Ermanno; rimarcò la sua agitazione prima
di ricevere la lettera, poi quel mutamento improvviso; e mille altre
inezie che non sfuggono allʼocchio di una madre.

Stanca infine di vederlo sempre di malumore, e colla speranza di usare
un buon consiglio, ella gli disse un giorno:

—Figlio mio, tu lavori troppo, ed il caldo della stagione non è
propizio alle lunghe occupazioni.—Dovresti divagarti alquanto, fare
un viaggio.—Giacchè lavori tutto lʼanno, è pur giusto che ti prenda
qualche passatempo.

Ermanno per quel giorno nulla decise, ma allʼindomani, quando la madre
gli rifece la stessa proposta, le rispose che aveva stabilito di
recarsi per qualche giorno a Milano.

—E quando partirai? chiese ella sorridendo.

—Oggi è martedì..... partirò sabato.

Subito dopo scrisse a Paolo avvisandolo della sua decisione e del
giorno della partenza.—Nei pochi dì che gli rimanevano, Ermanno si
mostrò tuttʼaltro che tranquillo; lʼimpazienza lo dominava, e parevagli
che il tempo scorresse più lento del solito. Al venerdì divenne
alquanto più calmo, ed egli ne trasse profitto accingendosi subito a
comporre la Romanza promessa a Laura.

La notte tra il venerdì ed il sabato gli parve eterna, ed è proprio
vero che il desiderio è sempre osteggiato dal tempo.—Sarebbe assai
arduo il descrivere lo stato dʼanimo di Ermanno in quella notte così
lunga passata quasi intieramente in una veglia agitata. Egli stesso era
incapace di farsi un pensiero ordinato e chiaro nella mente; tutto gli
appariva confuso e parevagli perfino che la memoria di Laura fosse
estranea a quella confusione.

Finalmente apparve lʼalba sospirata, e siccome il convoglio per Milano
partiva di buon ora, Ermanno si alzò tosto. La madre gli aveva fin
dalla sera precedente preparata la malla, per cui allo spuntar del sole
il nostro giovinotto era pronto per la partenza.—Salutò la madre colla
gioia nellʼanimo dicendole:

—Addio mamma..... a rivederci presto.

—Non prenderti troppa premura, rispose ella, divertiti fin che
puoi. Nella giornata passerò ad avvisare i tuoi allievi della tua
partenza.—Scrivimi una parola se ti fermerai più dʼuna settimana.....
Abbi riguardo alla tua salute.....

—Non dubitare; addio.....

E baciandola in fronte Ermanno se ne andò alquanto commosso. Per via
era agitato da molti pensieri, e camminava senza quasi avvedersene;
parevagli di essere in mezzo ad un sogno, ma frattanto era giunto alla
stazione, e la chiamata della campanella lo persuase della realtà.—

Non staremo certo a narrare lʼemozione del viaggio.—Ognuno può
facilmente immaginarsi, che per quanto veloce procedesse il convoglio
non si appagavano punto le esigenze di Ermanno che era in preda
allʼimpazienza. Affacciato alla finestra, respirava lʼaria fresca del
mattino e dappoichè le mura di Brescia erano scomparse, egli rivolse lo
sguardo sulla direzione di Milano anelando di giungervi presto.

Giammai in vita sua egli fu tanto contento. Il cielo gli pareva più
bello, lʼaria più pura, la terra più ridente; il panorama dei bei
paesaggi che sfilavano innanzi agli occhi suoi, aveva unʼespressione
giubilante, e sembravagli che tutta la natura sorridesse salutandolo
con felici augurii.—Dopo un viaggio di qualche ora, apparve
finalmente sul lontano orizzonte la guglia maggiore del Duomo dipinta
colle più leggiadre sfumature.

A quella vista il cuore di Ermanno palpitò di gioja indicibile; man
mano che si avanzava il panorama di Milano spiegavasi al di lui
sguardo, ed infine un lungo fischio avvertì che la desiderata meta era
toccata.

Da due anni egli non era più stato a Milano; il movimento sempre
crescente di questa grandiosa città lo rese alquanto confuso,
tra la gioja e la premura nel discendere, mal sapea quel che si
facesse.—Certamente chi è abituato alla tranquillità della provincia,
rimane non poco stordito davanti al fracasso e la confusione
predominante in una stazione come quella di Milano allʼarrivo di ogni
convoglio.

Quellʼirruzione straordinaria di vetture dʼogni genere le grida dei
conduttori dʼomnibus e cittadine, frammiste al fracasso dei carri ed
al chiacchierio della folla portano uno sconcerto tale che dallʼudito
passa al cervello, e lo confonde stranamente.—Sortendo dal vestibolo
esterno, Ermanno sentì stringersi per il braccio, e voltandosi vide
Paolo.

—Ah! finalmente, disse costui, era tempo che tu venissi a farmi una
visita; ed i due amici si strinsero affettuosamente la mano.

—Tua madre sta bene?

—Egregiamente.

—Quali novità porti da Brescia!

—Nessuna che io sappia; tuo padre lʼho visto jeri, e mʼincarica deʼ
suoi saluti.

—E tu testardo che sei, perchè farti desiderar cotanto? da Brescia a
Milano non vi ha gran tratto.

—Eh mio caro, rifletti che mi riesce assai difficile lʼassentarmi, ho
molte lezioni e capirai.....

—Dunque a quel che pare, fai buoni affari?

—Discreti.

—Spero peraltro che ti fermerai qualche giorno qui.—Ho una camera a
tua disposizione; eppoi ci divertiremo sai, non dubitare. Davvero che
sono ben contento di vederti! in così dire Paolo strinse nuovamente la
mano dellʼamico.

Salirono entrambi nellʼomnibus per piazza del Duomo onde giungere più
solleciti a casa; strada facendo la conversazione dei due amici si
avviò comʼè naturale sul punto più interessante. Paolo per il primo
disse:

—Giovedì ricevendo la tua lettera fui molto contento, e siccome non
bisogna essere egoisti, così partecipai la notizia a madamigella Laura.

—Davvero? chiese Ermanno scosso a quel nome.

—Certamente, rispose Paolo sorridendo, le mostrai la lettera, e la
poverina nel leggerla divenne rossa come brace per la gioia.

—Ma.... interruppe Ermanno; e la madre?

—Eh! via, rispose Paolo con un segno espressivo, non sono già
un ragazzo.... consegnai la lettera mentre eravamo soli—Ciò ti
sorprenderà, ma io sono più che intimo in casa Ramati, e davvero
ti sono grato per avermi tu procurata lʼottima relazione di questa
famiglia.

—Vai spesso a trovarli?

—Quasi tutti i giorni; quel signor Ramati è una perla dʼuomo, madama è
gentilissima; in quanto poi a Laura, essa è tanto buona e bella che non
mi sorprende punto se.... Paolo voleva dire di più, ma si accontentò di
sorridere maliziosamente fissando Ermanno.

La carrozza si fermò, ed essi discesero incamminandosi verso casa;
strada facendo Ermanno parlava poco; lʼidea di essere a Milano nella
stessa città dovʼera lei, di respirare lʼaria istessa; il pensiero
che era possibile anche incontrarla per via, gli cagionavano grande
emozione.

—Ecco la mia casa, sclamò Paolo additando al terzo piano di un bel
palazzo. Andiamo prima a far colazione, e poi ti farai pulito giacchè
per le dieci ho promesso di condurti in casa Ramati.

—Come? chiese Ermanno, dicesti che madama sa nulla del mio arrivo.

—Ma no, hai mal compreso, a madama non ho consegnata la lettera,
perchè non era necessario, nondimeno stimai bene prevenirla—Ella
pure se ne mostrò soddisfattissima; ma il più bello si è che Laura
da giovedì, vale a dire dacchè sa del tuo arrivo, è fuor di sè dalla
gioia, e quasi quasi mʼavrebbe abbracciato quando glie ne diedi novella.

—Ti piace adunque quella giovinetta?

—Che vuoi? ho per lei una debolezza quasi paterna; mercè poi la tua
influenza, io ho molto acquistato nella di lei amicizia. Più volte fu
sul punto di farmi delle confidenze; ma sempre se ne trattenne; sai
bene, lʼaffare è delicato.... Però spero un giorno o lʼaltro di godere
la piena confidenza di questa ragazza come ora godo la tua.—Anzi sono
certo che tu avrai già fatto dei calcoli su ciò....

Ermanno fece aria di sorpresa, e Paolo soggiunse:

—Non sorprendertene per carità! tanto più che questa parte di _medium_
non mi è sgradita. Io credo che ingenuamente a questʼora dubiti di
doverti valere di unʼamico in questʼaffare, ma non tarderai molto ad
essere del mio parere.

Così ragionando giunsero in casa di Paolo, ed Ermanno fu sorpreso
dallʼeleganza di quel grazioso alloggio.

—Non ti faccia meraviglia, gli disse subito lʼamico, se ti sembro
un poʼ troppo ambizioso; è necessità per me che ricevo tanta gente di
avere unʼappartamento discreto; ciò contribuisce a far sembrare meno
caro agli avventori il prezzo dei lavori.

Passarono nello studio ovʼerano schierati vari ritratti.

—Hai dunque molto a fare? chiese Ermanno.

—Moltissimo, non so più ove voltarmi; e siccome penso anche a
divertirmi alquanto, così la sollecitudine nel lavoro, non è il mio
forte.

—E quando farai il ritratto di Laura?

—Ci sono già appresso; terminai quello della madre, ed ho subito
cominciato lʼaltro. Le farò un ritratto monstre, come se lo merita
quella bella testolina. Ne farò due, uno per te... glie lʼho già detto.

—Ciò non era necessario.

—Perchè no? mio caro, sapeva di farle piacere. Sta certo che me ne
intendo io... mi fece un certo visino di ringraziamento quando glie
lo dissi! Spero dʼaltronde che ciò non ti farà ingelosire. Intanto
prima di tutto facciamo colazione, e poi non dobbiamo dimenticare
che in questo momento il cuore della povera giovinetta palpiterà per
incertezza, e non è bene lasciarla in unʼansia così crudele.—Animo
dunque, sbrighiamoci, giacchè vedo che lʼaria di Milano ti stordisce.

—Abita lontano di qui il signor Ramati?

—Dieci minuti di cammino.

Poco dopo i due amici discendevano nella via. Paolo era allegro, e
cantarellava con aria molto soddisfatta; Ermanno invece era molto
preoccupato; dopo di aver tanto desiderato quel momento, si sentiva
agitato ed inquieto, come se si trovasse in grande imbarazzo.—Lʼidea
che fra brevi minuti egli la vedrebbe, che il suo desiderio più ardente
stava per essere appagato; il timore di non trovare in quella prima
visita quelle dolcezze che si era ripromesse, lo turbavano assai,
e camminava macchinalmente seguendo lʼamico che lasciavalo a suo
bellʼagio meditare.

—Eccoci, sclamò Paolo fermandosi davanti al portone di un palazzo.

Tale parola scosse Ermanno che durante la strada percorsa, non aveva
saputo trovare un accento che gli servisse dʼintroduzione.

—Coraggio, dissegli Paolo che aveva rimarcato quel turbamento; non
valeva la pena di venire fino a Milano per tremare come tu fai. Pensa
che ella ti aspetta, che ti vedrà con gioia, e tu potrai stringere
quella graziosa manina.—Ah! briccone fortunato! Davvero che ti invidio.

Intanto erano giunti al secondo piano, e Paolo tirò audacemente la
corda del campanello. Mancò poco che ad Ermanno si piegassero le
ginocchia per lʼemozione, ed allorquando fu aperta la porta, venne
preso da sì forte palpito, che gli tolse quasi il respiro.

Un servo introdusse i giovinotti in anticamera, indi andò ad
annunziarli ai padroni.—Madama Ramati giunse per la prima, e corse
tosto a stringere la mano di Ermanno sclamando:

—Era tempo, bel signorino che ella ci restituisse la visita.... Come
va la salute? Che buone nuove ci porta da Brescia... Stanno tutti bene?

—Sì signora, rispose Ermanno quasi interdetto.

—Oh! come sarà contenta la mia Laura per la sua venuta! Ciò servirà
a distrarla alquanto. Si figuri che dalla nostra partenza da Brescia,
quella biricchina non si conosce più.

—Amor di patria! sclamò Paolo sorridendo.

—Perchè mai signor Paolo? Io credo che fra Brescia e Milano, non siavi
da esitare nella scelta.—Se mia nipote Letizia fosse qui, Laura
ritornerebbe allegra.

—A proposito, mio cognato, sta bene? chiese ella volgendosi ad Ermanno.

—Credo di sì, dico credo, perchè da varii giorni non vidi più nessuno
deʼ suoi parenti.

—Ma questa Laurina, che fa? domandò Paolo.

—Non tarderà molto, rispose madama Ramati guardando verso la porta....
Eccola!

Difatti Laura apparve sulla soglia raggiante di gioja; appena
sʼincontrò in Ermanno, arrossì fin nel bianco degli occhi, e con uno
slancio alquanto imprudente corse a stringere quella mano che egli le
aveva stesa.—Tutto ciò senza pronunziar parola, e dʼaltronde noi non
sapremmo trovare espressione più eloquente di quella stretta di mano
fra due esseri divisi per tanto tempo che nella gioja dellʼincontro
non trovano miglior accento di un rapido sguardo in cui si compendiano
tutti gli affanni del passato.

Paolo frattanto aveva destramente attirata a sè lʼattenzione di madama,
epperciò quel silenzio traditore di Ermanno e Laura passò inosservato.

Era degna di rimarco la metamorfosi operatasi in Laura. Pochi giorni
erano scorsi appena dacchè ella aveva abbandonato Brescia, eppure
in sì breve tempo la giovinetta aveva subita una trasformazione ben
strana.—Quel senso delicato, fino e soave che si chiama amore, aveva
impresse delle traccie visibili in tutta la di lei persona: non era più
la ragazza ingenua di pochi giorni prima che Ermanno si vedeva innanzi,
ma la donna nel suo più voluttuoso concetto, nel suo pieno sviluppo.

Quellʼeterno sorriso di soddisfazione che le brillava nello sguardo,
aveva lasciato il passo ad una espressione di languore vago ed
indefinibile, che rivelava la lotta di una novità dʼidee.—La fronte
disegnavasi con unʼaltro contorno, lʼatteggiamento del labbro esprimeva
tuttʼaltro che lʼallegrezza; il volto insomma e tutta la persona di
Laura avevano subita tal modificazione che accennava ad un repentino
cambiamento di carattere.

Ne ciò è certo una novità, questo fatto si ripete tutti i giorni, e
sembra quasi che lʼamore sia necessario più di ogni altra cosa allo
sviluppo della donna.—Le ragazze dovrebbero serbare eterna gratitudine
a colui che fu lʼoggetto delle loro prime cure affettuose, giacchè ad
esso sono dovute quelle correzioni radicali del loro carattere; ed è
solo per esse che il cuore incomincia quel dolce lavorio che tanto
raffina e nobilita le secrete tendenze dellʼanima.—Il primo amore è il
punto fondamentale dellʼeducazione della donna; tanto più puro e casto
sarà lʼaffetto, altrettanto nobili e delicati saranno i primi germi del
sentire che si manifestano a quellʼimpulso.

Il primo amore è per la donna una scuola di perfezionamento fisico e
morale, la base della sua educazione, il punto che le traccia la via
dellʼavvenire.

Ad Ermanno non sfuggirono tutte queste osservazioni, e rimase
dolcemente sorpreso di quel mutamento improvviso sulle cui cause egli
lusingavasi di non essere affatto estraneo.—Con vera gioia ei trovò
nel di lei sguardo lʼespressione di una soave malinconia che rivelava
lʼinfluenza di seri pensieri.

Quella trasformazione quasi miracolosa, mitigò alquanto le incertezze
del povero Ermanno, che si era più volte accusato segretamente di aver
consacrato il suo affetto ad una giovinetta che difficilmente poteva
comprenderlo; ma ora non era più così; il mesto pallore di quel volto,
la modestia di quello sguardo, le graziose movenze di quella figura,
davano la più ampia testimonianza della vittoria riportata dallʼamore
sulle puerilità della giovinezza.—Laura non era più la fanciulla
amata, ma la donna che amava.

Le prime parole tradivano la confusione delle loro anime, e scorgevasi
palesemente che la piena della gioia non aveva trovato uno sfogo
sufficiente in quella semplice stretta di mano.—A poco a poco però
Laura prendendo lena e coraggio divenne più loquace ed espansiva; fece
mille e mille pressanti domande ad Ermanno su tutto quanto egli aveva
fatto durante la loro separazione, e parlando calorosamente non si
accorgeva di stringergli spesso le mani, e di dimostrare forse troppo
la sua allegrezza.

Madama Ramati non si sorprese punto della eccessiva espansività di
Laura; anzi ne era molto contenta in cuor suo, pensando essere quella
la prima volta dopo tanti giorni che sua figlia dimostrasse di essere
lieta.

—Bisogna dirlo, sclamò essa volgendosi a Paolo, questo simpatico
Ermanno, si fa da tutti amare, e la mia Laura è tutta gioia quando può
vederlo.—

In quelle parole si racchiudeva unʼingenuità veramente materna, giacchè
chiunque altro si sarebbe dʼun tratto avveduto che lʼintimità di Laura
ed Ermanno era tuttʼaltro che il frutto di una semplice amicizia.—A
giustificazione però della madre, si può addurre lʼaver ella sempre
considerata la figlia come una ragazza lontanissima ancora dal prendere
sul serio una relazione qualunque ella fosse. Il rapido cambiamento di
Laura non sfuggì certo alla sua penetrazione, ma ne attribuì una causa
più fisica che morale.

Tutto ciò è necessario dichiarare affinchè niuno possa supporre che
la madre a quellʼepoca avesse qualche sospetto del vero; dʼaltra
parte madama Ramati poteva esser ancora una bella donna, per cui ci
sarà permesso dire che una madre in tal condizione non pecca certo
per eccesso di prudenza, ne può adontarsi per certe preoccupazioni
innocenti che potrebbero ancora esercitare su lei qualche debole
riflesso.

Madama Ramati si compiaceva dunque colla massima confidenza delle
ingenue manifestazioni di Laura, e la lasciò liberamente favellare con
Ermanno, certa che ciò le faceva gran piacere.

I nostri giovani innamorati dopo brevi minuti erano padroni del campo,
nè si curavano di coloro che stavano presenti, e parlando di cose da
nulla trovavano modo di inebbriarsi a vicenda dimenticando di essere
alla presenza di altre persone.

Oh quanti sguardi, quanti sorrisi, quante promesse dʼamore vennero
scambiati fra di loro!

Laura era raggiante di contentezza; parlava in fretta movendosi in
mille guise, agitando le mani sorridendo, e sospirando in un punto; il
colorito del di lei volto erasi animato di una tinta rosea eccitata
dalla piena dellʼemozione. Sedeva sul divano accanto ad Ermanno, ma
non conservava la stessa posa più di un secondo. Le sue mani erravano
dappertutto, ora a scomporre le pieghe delle vesti, ora ad aggiustarsi
i biondi capelli intrecciati con tutta grazia, ora tormentando una fila
di perle che le cingevano il collo; e più spesso stringendo le mani del
giovane con tutta effusione.

Non eravi moto o gesto che non tradisse lʼamore della giovinetta,
ed Ermanno stava estatico a guardarla, anzi ad ammirarla, perchè in
tutto quel disordine egli scopriva la reale esistenza dellʼaffetto.
Quellʼinquietudine, quella febbre dʼagitazione provavano chiaramente
il dilatarsi dʼun cuore che si sente vicino allʼoggetto desiderato per
tanto tempo.—

Frattanto entrò il signor Ramati; eccellente persona di una bontà
senzʼesempio, pacifico e tranquillo quanto un patriarca. Ei conosceva
già Ermanno, e mostrò vero piacere nel rivederlo.—Chiese nuove del
fratello e di tutta la famiglia e volle ad ogni costo che i due amici
si fermassero a pranzo.

—Ma signor Ramati, disse Paolo, voi pranzate alle due, e prima di
quellʼora ci avanza un poʼ di tempo. Io ho qualche cosa da fare, esco
ma ritornerò tosto, lascio qui il mio Ermanno in ostaggio, e sono certo
che non potrei trovargli miglior compagnia in tutta Milano.

Fu dunque convenuto che Ermanno resterebbe da Ramati fin dopo
il pranzo, e Paolo se ne andò, non senza prima di aver promesso
formalmente a madama di ritornare.—Papà Ramati si ritirò pure poco
dopo lasciando la moglie e la figlia a far compagnia al novello
ospite.—La conversazione fra Ermanno e le signore durò animatissima
per unʼora.

—Mi perdoni signor Ermanno, sclamò infine madama Ramati, vado a dare
ordini per il pranzo affinchè quel maldicente di pittore non trovi da
farne commenti.

—Se tu Laura ne avessi voglia, potresti dare una rivista alla Romanza
che egli ti ha portata, sarà questo un ottimo impiego per passare il
tempo.

—Se madamigella lo desidera.....

—Certamente, interruppe Laura, mi farà un vero piacere; con lei
imparerò più presto.

—Fra breve verrò anchʼio ad assistere alla prova, e ad applaudire il
maestro, disse madama Ramati sorridendo, e si ritirò.—



XII


Il pianoforte era in una sala attigua alla stanza da letto di
Laura.—Due parole prima in elogio, allʼappartamento del signor Ramati.

Lʼalloggio occupava tutto il secondo piano del palazzo, e lʼinterno
delle sale era addobbato con una straordinaria eleganza. Mobili,
specchi, tappeti erano profusi colla massima prodigalità; vi era
un ampio salone arredato in tutto punto allʼorientale, tappezzeria
di velluto cremisi, cortinaggi di seta guerniti ai lembi da
festoni dorati. Fiori, porcellane, _bijou_, e tutto quanto lʼarte
dellʼaddobbatore può immaginare di bello e di elegante non mancava in
ogni angolo di quelle sale.—

Ermanno rimase colpito alla vista di tanto lusso, e mentre attraversava
quelle sale attirato per mano da Laura, parevagli di essere
rimpicciolito al cospetto di quelle ricchezze, e provò un vero senso
di dolore ricordandosi che egli abitava una meschina casuccia priva di
ogni ornamento, povera di qualunque arredo.

La stanza di Laura era una piccola sala ove tutto era ridotto a
graziose proporzioni; sedie piccole e leggiere come piume, tavolini
gentili di legno prezioso intarsiato di finissimo lavorio.—Il letto
era a foggia di conchiglia, lavorato con rara maestria, anchʼesso
piccolo e gentile; al di sopra eravi unʼangioletto fisso alla volta che
lasciava cadere dalle sue manine ricche pieghe di seta che scendevano
bizzarramente formando i cortinaggi di quel nido degno di accogliere
nel suo grembo la madre degli amori.—

Un ricco tappeto damascato a vari colori copriva il pavimento rendendo
il passo sdrucciolevole come se si camminasse sopra un tappeto
di muschio—Le finestre di quella stupenda cameretta erano due
prospettanti in unʼampio giardino. Era nelle ore del meriggio, regnava
il più alto silenzio, e la luce opprimente del caldissimo sole veniva
temprata dalle chiuse persiane; solo qualche barlume di raggio passando
per le fenditure, andava a frangersi sopra i cortinaggi di seta color
cilestre scuro, lanciando un magnifico effetto di luce per tutta la
camera—

Si fu in quel paradiso che Ermanno venne introdotto da Laura che lo
teneva sempre per mano sclamando:

—Ecco questa è la mia stanza da letto.

Ermanno non rispose; lʼaspetto di quella voluttuosa eleganza invece
di destare la sua ammirazione, fece nascere in lui una sensazione
penosa—Checchè se ne dica, il lusso impone anche a coloro che sdegnano
di ammirarlo; attraversando quelle sale una più dellʼaltra ricca;
abbagliato dal continuo luccicare delle dorature; stordito dal profumo
dei fiori e delle essenze, il povero Ermanno pareva infatuato, e
nellʼanimo suo, senza volerlo, riconobbe la gran distanza che correva
fra lui e la ragazza che tenevalo per mano—Ad ogni passo svaniva quel
fumo dʼorgoglio artistico che disconosce ogni disuguaglianza sociale,
e quando pervenne nella camera di Laura, egli era al massimo grado di
prostrazione, ed ebbe quasi ad arrossirne vedendosi trattato con tanta
famigliarità da quella fortunata giovinetta a cui natura era stata
prodiga di tutti i sorrisi.—

Laura non si accorse della di lui confusione, nè avrebbe potuto
comprendere perchè vi fosse da far le meraviglie alla vista di quella
sontuosità che era per lei divenuta indifferente—Diciamolo pure a suo
elogio, ella non ebbe il minimo intendimento di eccitare lʼammirazione
del giovane col prestigio di tanto sfarzo. Troppo felice del momento,
non seppe neanche comprendere il doloroso silenzio di Ermanno—

In un gabinetto attiguo eravi il pianoforte; Laura andò ad aprirlo ed
invitando Ermanno gli disse:

—È tanto tempo che desidero di sentire il bel _notturno_ AL CHIARO
DI LUNA. Vorre....bbe ella compiacermi?

La giovinetta non aveva saputo superare il momento, ed evitò di parlare
ad Ermanno con un accento che lo avrebbe tutto consolato. Ei sedette al
piano ed ella gli fu subito accanto appoggiata leggermente sulle di lui
spalle.

Ci vengano ora a negare la forza irresistibile dellʼarte; ai primi
accordi Ermanno sentì modificarsi il suo dolore, e la triste
impressione che lo dominava; continuò per pochi istanti a modular frasi
melodiche, e quegli accenti dettati dalla fantasia erano come lo sfogo
di un dolore che sensibilmente si dilata e svanisce.

Lʼarte è la natura, lʼanima dellʼartista; ed appena Ermanno abbandonò
la mano al dominio della mente, narrò in concetti musicali la lotta
che opprimeva lʼanima sua. Quello sfogo tanto necessario, rialzò il
suo spirito, man mano egli ripigliava la sua individualità, e riuscì a
sperdere completamente le penose impressioni che lo agitavano. Quando
ebbe terminato si volse a Laura calmo e sorridente.

Laura non comprese il senso di quelle note, ma ne fu commossa, il suo
spirito, erasi totalmente abbandonato alle capricciose modulazioni
armoniche. La musica era cessata, lʼultimo accordo, moriva oscillando
mestamente, ed ella ancora non tornava in sè.

—Oh la bella musica! sclamò, è una qualche fantasia questa?... come si
chiama?

—Sì Laura, mormorò sommessamente Ermanno prendendole le mani, è una
fantasia senza nome che si potrebbe intitolare _Il Ritorno della
speranza_; non è un volo della mente, ma un gemito del cuore che
chiede: Ti ricordi sempre di me?...

La giovinetta si fece rossa in viso, abbassò modesta lo sguardo
abbandonandosi languidamente sulle sue braccia, e mormorò con voce
tremante e confusa:

—Oh Ermanno!... può ella... puoi tu dubitarne?...

Quel rimprovero racchiudeva in sè tanta ingenuità, tanto amore, che il
giovane provò rimorso dʼaverlo provocato, e facendola sedere a lui di
fianco soggiunse mirandola dolcemente negli occhi:

—Perdona Laura se la mia prima parola fu lʼespressione dʼun dubbio, ma
io aveva tanto bisogno di sentire che la memoria di me non è puranco
cancellata dal tuo cuore, che tu pensi qualche volta al povero ed
oscuro artista che vive solo di te...

—Oh! sempre, Ermanno, sempre e per sempre! Come mai potrei
dimenticarti se io ti vedo dappertutto, come, come obliarti se tu mi
fai felice?...

—Sei tu sempre la stessa, ferma neʼ tuoi sentimenti? Ripetilo, ciò
mi sarà di gran conforto nellʼavvenire—Dacchè tu lasciasti Brescia o
Laura, io ho perduta la mia pace e tutto me stesso. Non so dirti la
desolazione che produsse in me la tua lontananza, e dopo pochi giorni
dʼinutile resistenza, eccomi qui a chiederti se ti ricordi ancora del
tuo Ermanno.... Non esagero credilo dicendoti che tu prendesti il primo
posto nel mio avvenire; non esagero dicendoti che mia madre potrebbe
essere crudelmente gelosa dellʼaffetto che ti porto; ma prima dimmi che
in tutto questo lungo intervallo di separazione tu hai continuato ad
amarmi!...

—Più di prima... Ma come fartelo credere mio Dio, se tanto radicato
è il dubbio nellʼanima tua?... Ho molti rimproveri da farti; cattivo,
scrivermi una lettera così brutta che mi fece piangere per due
giorni—Come mai ti vennero in testa tante brutte idee, mentre a me
succedeva tutto al contrario!...

—Ebbene, dimentica quella lettera per ricordarti solamente che ti amo!

—Non basta no dimenticare, signorino mio, rispose Laura stringendogli
la mano, bisogna sconfessare, bisogna ricredersi di tutti quei neri
pensieri... Animo dunque, non trovi una parola a tua giustificazione?
Ben sapeva che tutto era frutto del dolore, pure mi fecero molto male
le tue espressioni... Ma ora non parliamo di ciò; prima di tutto,
quanto tempo ti fermi in Milano?

—Qualche giorno...

—Ma quanti?...

—Una settimana...

—Che coraggio! Una sola settimana!... oh! io sono certa che non
partirai sì presto...

—È necessario Laura; per conto mio figurati se vorrei lasciarti, se ti
lascierei mai... ma mia madre povera donna rimane sola, e ben vedi...

—Oh! sì, hai ragione... ti ama dunque assai!

—Immensamente...

—E tu?

—Puoi immaginartelo; è tutto ciò che mi resta della mia famiglia...
non ho altri al mondo che pensi a me...

—Taci là, interruppe Laura chiudendogli la bocca, ora non si può più
dire così... Ed io, io Ermanno non penso forse sempre a te... non ti
amo io forse?

—Cara fanciulla!

—Dimmi dunque, hai ricevuta la mia lettera?

—Sì, e con che piacere; ma perchè tardar tanto a rispondere?

—Oh! dissʼella sorridendo, se tu sapessi quanta carta ho sciupata per
quella lettera! Ne incominciai più di venti, e nessuna mi piaceva; non
ero padrona delle mie idee... aveva tante cose a dirti, ed infine ho
scarabocchiate varie pagine senza dir nulla—La tua lettera poi la so
quasi tutta a memoria... Oh! Ermanno come scrivi bene, come la parola
esprime giustamente tutti i tuoi pensieri—Io leggo e rileggo spesse
volte quelle frasi scorrevoli, e parmi sempre di scoprirvi qualche
nuovo concetto... leggendo le tue parole mi sembra di sentirti a
suonare...

...Non saprei dirti quanto ansiosamente io attendessi dʼarrivare a
casa in quella sera della mia partenza da Brescia; e tutto per aprire
quella lettera che mi faceva morire dalla curiosità—Non dimenticherò
mai più lʼemozione che mi cagionarono quelle pagine; piansi amaramente,
e se tu fossi stato al mio fianco, avresti potuto convincerti di esser
ingiusto... Ma ora perchè mai ritorno a quel tempo? ora che sei qui
vicino a me, ora che ti stringo la mano... che sono tanto felice!...

Ermanno stava contemplandola religiosamente; non parlava, non
rispondeva; ma collo sguardo pieno di dolcezza e compiacenza seguiva
tutti i moti della giovinetta—Ogni parola di quel bel labbro gli
sollevava un peso dallʼanima, ogni accento lo scuoteva in tutte le
fibre—Lʼattenzione di Ermanno era come quella di una madre che ascolta
sorridendo tutto ciò che le dice la sua creatura; e che dopo terminato
quel puerile chiaccherio, non trova miglior risposta di un sorriso e di
un bacio.

La voce soave di Laura, le sue ingenue espressioni dʼaffetto,
sgorgavano spontanee dal cuore, ed egli lʼascoltava rapito come si
ascolta una musica divina che empie lʼanimo di misteriose dolcezze.

—Laura! se tu sapessi quanto bene mi fanno le tue parole, ne
diverresti orgogliosa!—Grazie a te fanciulla, angelo mio che rialzi
il mio spirito e lo sollevi alla pura atmosfera dellʼamor tuo. Accetto
giubilando questo slancio dellʼanima tua, non come una promessa, ma
come il sorriso di una dolce speranza!—

—Debbo dirti poi, aggiunse Laura, che mia madre è divenuta entusiasta
di te; forse istintivamente ella riconosce lʼinfluenza che tu eserciti
sopra di me. Quando il signor Paolo le recò la nuova del tuo arrivo
venne subito a riferirmela... ma io già lo sapeva perchè Paolo mi
mostrò la tua lettera—È molto amabile quel giovinotto, e varie volte
fui tentata di svelargli il nostro secreto...

—Non era necessario, rispose Ermanno, giacchè io gli aveva tutto
confidato.

—Perchè? chiese Laura alquanto sorpresa.

—Tu mi perdonerai; io aveva troppo dolori, troppe pene per non
sentire il bisogno di un sollievo. Paolo è lʼunico mio vero amico,
ci conosciamo fin dallʼinfanzia; ebbimo comuni gioie ed amarezze—Ei
non ha secreti per me, ed io dovrei averne per lui?... È tanto dolce
il confidare ad unʼamico i nostri dolori, le nostre gioie, le nostre
speranze! Non dubitare della sua fedeltà Laura, perchè gli faresti un
grave torto...

—Oh! no, rispose Laura rassicurata, non temo di nulla... infine
poi non abbiamo commesso un delitto, ed anzi ho quasi piacere che
egli sappia tutto. Nella tua assenza, potrò poi parlargli di te
liberamente... Doveva accorgermene, perchè quel furbaccione, mi aveva
sempre unʼaria... tu hai in lui unʼaltro ammiratore.

—Che mi ama assai!

—Ma non come ti amo io—... Ah! per carità, ora che mi ricordo; e la
Romanza?... A momenti mamma sarà qui—Presto dunque signor _Maestro_,
fuori la musica e proviamo; sì dicendo gli strinse la mano, mormorando:
Siamo due smemorati!...

Ermanno tutto lieto, trasse di tasca un piccolo rotolo di musica, lo
stese sul leggio ed incominciò con Laura la prova di quella sfortunata
Romanza. Non erano ancora a metà quando sopraggiunse madama Ramati a
levar la seduta dicendo non essere la stagione troppo favorevole al
lungo studiare.—

Così ebbe fine quella gradevole lezione di canto!—



XIII


Prima dellʼora di pranzo, sopraggiunse Paolo, frattanto madama Ramati,
Laura ed Ermanno, erano passati in una bella e fresca sala dʼestate
i cui ampii finestroni accoglievano tutta la pocʼaria che veniva dal
giardino; ivi stettero molto tempo discorrendo, e madama Ramati mise in
pratica tutte le possibili gentilezze col suo giovane ospite, il quale
dopo tante premure finì per riprendere la sua abituale franchezza.

Il pranzo fu piuttosto animato, Paolo era un prodigio di giovialità e
compiacevasi nel far ridere il signor Ramati a più non posso. Laura
stava accanto ad Ermanno, e più volte mentre fingeva di assecondare
lʼilarità del padre, aveva compresso il piede al suo commensale.
Ermanno non sentiva, non vedeva più a lui dʼattorno altri che la
giovinetta; il pranzo durò più di due ore fra le risate e lʼallegria
da una parte, sorrisi e sospiri dallʼaltra—Verso la fine, madama
Ramati prese parola di una certa signora di sua conoscenza, che era
amantissima della musica e brava dilettante, e terminò dicendo di
averle promesso che alla prima occasione della venuta di Ermanno, non
mancherebbe di presentarglielo—

Ermanno aderì di buon grado, e fu deciso che alla dimane si fisserebbe
lʼora di quella visita.—Finito il pranzo il signor Ramati volle ad
ogni costo sentire un poʼ di musica eseguita da Ermanno, e si dovette
compiacerlo malgrado che Paolo protestasse essere la musica cosa
indigesta dopo pranzo.—

Ermanno si assise al piano, scelse un pezzo di studio di madamigella, e
lo eseguì colla massima facilità, e diremo quasi con noncuranza, perchè
in quel momento era preoccupato da ben altro—Il signor Ramati che
aveva libato piuttosto in abbondanza, inarcò le ciglia a tanta abilità,
e predisse al giovane pianista unʼavvenire di fortuna—

—In fede mia, diceva Paolo ad Ermanno qualche tempo dopo, tu sei il
più fortunato briccone che io mi conosca, e non so davvero con quali
arti tu abbia stregati in un punto padre, madre e figlia—Con tali
successi, caro mio, non ti mancherà mai più pane, ed un giorno o
lʼaltro infilzandone una per bene, farai la tua risorsa...

—Bada Paolo, rispondeva Ermanno alquanto risentito, tu spingi
troppʼoltre il sarcasmo, e ciò non va bene. Per te pessimista di
cattivo genere, non havvi nulla di sacro, tu scherzi e facezii anche
sulle cose più serie, e davvero che non invidio questo eccessivo buon
umore. Tu hai molte buone qualità, ma hai pure il grave difetto di
vedere del calcolo in tutto—Per me non te ne faccio un mistero, adoro
quella fanciulla, ma ignoro se la sposerei...

—Come, chiese Paolo stralunato, anche questo saresti capace di fare?

—Certamente, e spero che ciò varrà a provarti almeno che io non
calcolo tutto, e lascio libera azione al cuore ed alla ragione...

—Niente affatto, protesto... per mia garanzia in avvenire, che tu
faresti una grossa corbelleria rifiutando queste nozze, qualora se ne
presentasse lʼopportunità...

—Dʼaltronde mio caro Paolo, queste sono facezie, perchè siamo
fortunatamente lontani, da ogni probabilità...

—In amore non si è mai lontani da questo scioglimento che potrebbe
nascere da un minuto allʼaltro, basta una mezzʼora per creare la
necessità dʼun matrimonio...

—Oh! basta, interruppe Ermanno, basta e non se ne parli più; il tuo
spirito mi fa male, e decisamente non andremo mai dʼaccordo sopra un
punto sì delicato, perchè la pensiamo troppo diversa.—

—Se ti fa piacere il non parlarne, rispose Paolo sorridendo, taccio;
ma bada che tu per il primo non infranga la consegna. Dopo tutto però
ti prego di non dimenticare la mia protesta.—

Così ragionando i due amici avevano fatto il giro dei Giardini
Pubblici. Era tardi, Ermanno manifestò il bisogno di riposarsi, ed
entrambi si avviarono verso casa, ove giunti si riattaccò una nuova
discussione sullo stesso soggetto; infine la stanchezza assalì Paolo,
che se ne andò a letto lasciando lʼamico solo nella sua stanza.

Noi non sapremmo dire se più dolce del sonno fosse la veglia che lo
precedeva, ma è certo che tanto lʼuno che lʼaltra furono un continuo
succedersi di dolcezze. La giornata portava seco troppi avvenimenti,
perchè Ermanno malgrado la stanchezza potesse tosto abbandonarsi al
riposo; si prova grandissima compiacenza nel riandare di notte sugli
eventi fortunati del giorno, ed al nostro giovane, non mancava certo
materia da pensarvi sopra.

Vegliando pensò al tempo che ancora gli rimaneva di restare in
Milano, alle gioie che avrebbe trovate presso Laura; sognando rivide
quella gentil cameretta profumata, fiorita, irradiata da quella luce
misteriosa.—Ei ritrovò in quel nido dʼamore la cara fanciulla sua,
bella e pura come patetica visione, rivide quelle bionde ciocche
di capelli, di cui ogni fiocco segnava giù per le spalle una linea
morbida e voluttuosa piena di misteri, rivide quei beglʼocchi che lo
entusiasmarono dʼamore, ritrovando in quello sguardo le più sublimi
dolcezze, le più caste voluttà.

Questo mago che si chiama sogno, questo abbandono della fantasia che
crea dal nulla un mondo suo particolare ora spaventevole, ora leggiadro
allorchè la materia riposa assorta in profondo sonno; questo riflesso
dʼimpressioni che è forse il fenomeno più prodigioso della mente umana,
concorse col suo fascino ad abbellire il bel quadro di realtà che aveva
sedotto Ermanno, ed allʼindomani aprendo gli occhi trovò che il suo
amore erasi raddoppiato, e ciò perchè nel sogno aveva intravedute mille
soavità ignote alla mente fino allora.

Erano appena le cinque del mattino allorchè Ermanno si destò; malgrado
che fosse molto di buonʼora, non potè più fermarsi a letto provando
bisogno di muoversi.—Paolo dormiva ancora saporitamente, nè dava
alcuna speranza di svegliarsi tanto presto; per cui Ermanno stimò bene
lasciarlo tranquillo; si vestì in fretta ed uscì a respirare lʼaria del
mattino.

La giornata era serenissima, il sole splendeva in tutta la sua luce,
e le vie di Milano erano già tutte in movimento. Ermanno poco pratico
del frastuono di quella grande città, assorto e concentrato neʼ suoi
pensieri, correva rischio ad ogni tratto di restare schiacciato dalle
carrozze; pur nondimeno la vista di quelle grandiose vie, dei palazzi
monumentali, lʼurtarsi continuo della folla, avevano unʼinsieme
imponente che gli faceva dilatare il cuore.

Oh! quanto bella gli parve Milano confrontandola con Brescia, ove
tutto era monotono.—La eccessiva tranquillità prostra lo slancio
dellʼanima che ha sempre bisogno dʼemozioni, e tende istintivamente a
tutto ciò che è grande e bello.—Egli attribuiva alle case, a tutto
quellʼammasso di uomini e di cose che forma Milano lo slancio inusitato
della sua mente, nè sʼavvedeva il poverino che tolta una sola persona
da quella Babilonia, tutto gli sarebbe apparso monotono, e quelle
numerose carrozze, quei grandiosi palagi avrebbero tosto perduto il
loro prestigio.

Rientrò in casa verso le otto, trovò Paolo che stava vestendosi, ed
uscirono insieme per fare colazione; indi fissarono lʼitinerario della
giornata, e fu stabilito che Ermanno dopo le dieci si recherebbe
da Ramati solo; Paolo passerebbe poi a prenderlo per pranzare alla
trattoria, non essendo conveniente fermarsi due giorni di seguito dal
signor Ramati.—Così fu fatto, alle dieci i due amici si separarono,
Paolo andò peʼ suoi affari, ed Ermanno si avviò verso quella casa, ove
giunse non al certo inaspettato.

Laura da più di unʼora era sulle spine non vedendolo comparire;
anchʼessa povera fanciulla aveva premura di raccontare ad Ermanno il
suo sogno che non lasciava nulla certo a desiderare. Madama Ramati
propose una passeggiata, Laura in pochi minuti fu pronta, ed Ermanno le
accompagnò.—Durante la strada madama chiese al pianista se si sentiva
disposto di far visita a quella signora, ed Ermanno non ebbe alcuna
difficoltà, tanto più che Laura ne mostrò vivo desiderio.

La signora in discorso era una certa madama Salviani elegantissima
dama lanciata un tempo nel gran mondo, ove sfoggiava per gran lusso
e ricchezze.—La morte di suo marito, ricco negoziante, la addolorò
talmente che decise di troncare tutte le sue abitudini, durante lʼanno
vedovile, rinunziando ad ogni sorta di divertimenti. Amava però molto
la musica, di cui era discreta cultrice; aveva appena trentacinque
anni, era una bella donna, e non le sarebbe mancata lʼaccorrenza di
giovani dilettanti e maestri in casa sua; ma ella preferiva ricevere
persone attempate, onde premunirsi anche contro le calunnie e le
maldicenze dei tristi.

Madama Ramati aveva contratta relazione con questa signora per mezzo
del marito il quale era stato legato per ragione dʼaffari al defunto
negoziante, ed allorchè questi viveva ancora, nè Laura, nè sua madre
frequentavano quella casa che era il convegno del bel mondo.—Ma quando
il signor Salviani venne a morire, e la vedova rinunziò alla società,
si strinsero maggiormente i vincoli dʼamicizia fra costei e la famiglia
Ramati.

Laura recavasi spesse volte a visitarla, e fu appunto in una di quelle
occasioni che la giovinetta discorrendo di musica, venne a parlare
di Ermanno con tanto entusiasmo, da eccitare la curiosità di madama
Salviani, la quale mostrò vivo desiderio di conoscerlo.

Ermanno fu accolto con tutti i riguardi, e dopo le cerimonie di
presentazione, si passò a discorrere sulle novità del giorno, e di
tante altre cose che costituiscono lʼinsulso frasario delle visite
officiose. Ermanno pregato, passò al pianoforte, e suonò alcuni pezzi
presentatigli da madama Salviani. Erano nuove per lui quelle fantasie
da _Salon_, giacchè ei studiava quasi sempre sui Classici, ma la sua
abilità era tanta che anche suonando come suol dirsi a _prima vista_,
eseguiva la musica con tanta finitezza da farla parer provata e
riprovata.

Lʼentusiasmo di madama Salviani, non ebbe più limite allorchè
presentandogli una _fantasia_ nuovissima di Fumagalli sul Poliuto, se
la vide eseguire colla massima indifferenza.—Laura orgogliosa per
riflesso di tanta abilità applaudiva a tutte mani.

—Signore, disse madama Salviani ad Ermanno, la mia villa nella Brianza
confina con quella di madama Ramati, e sarei felicissima se ella
facendo una visita a queste signore vorrà ricordarsi che io soggiorno
non molto lontano.

—A proposito mamma, sclamò Laura, se non era della signora ti
dimenticavi dʼinvitare il nostro amico alla campagna, e volgendosi
ad Ermanno aggiunse, fra quindici giorni, noi vi saremo con papà e
ci fermeremo per tutto lʼautunno; non credo necessario il dirle che
speriamo vorrà onorarci di sua presenza per qualche giorno.—Lo diremo
anche al signor Paolo.

Madama Ramati, rinnovò la preghiera, e dopo qualche minuto di saluti,
Laura, sua madre ed Ermanno scendevano le scale.

Sarebbe certamente affare troppo lungo se si prendessero a narrare
tutte le vicende di quella settimana passata da Ermanno a Milano
in generale, ed in casa Ramati in particolare. Tutto quanto può
concepirsi di riguardi e gentilezze fu messo in pratica dai coniugi
Ramati in suo favore; madama specialmente spingeva le attenzioni fino
allʼincredibile; si opponeva vivamente ogni qualvolta Paolo cercava di
trascinar via lʼamico, e negli ultimi giorni della settimana Ermanno
non abbandonò mai un istante quella casa, salvo che alla sera nellʼora
in cui Paolo soleva ritirarsi.

Laura intanto in quel poco tempo aveva ripresa tutta la giovialità del
suo carattere, era sempre allegra sempre festevole, e pareva che la
felicità traspirasse da tutta la sua persona.—Se può farsi un carico
ai genitori, si è quello di essersi troppo compiaciuti per lʼilarità
ed il buon umore rinati improvvisamente nella figlia, senza indagarne
la causa; persuasi che ciò dipendeva dalla presenza di Ermanno, la
lasciavano godere liberamente della di lui compagnia, colla speranza
di poterla guarire da quella tristezza che lʼaveva colpita dopo la
partenza da Brescia.—

Non sapremmo invero ove trovare altra colpa se non quella di un
eccessivo amore per lʼunica figlia, amore che trascendeva alquanto in
debolezza; ma mio Dio, noi siamo più che persuasi, per quanto questa
debolezza possa sembrare imputabile, che tutti i sistemi dʼeducazione
per damigelle, hanno il loro lato difettoso.—Lʼeccessivo rigore ha
pure gravissimi inconvenienti, e può portare a serie conseguenze.

Balzac nella sua _Fisiologia del matrimonio_ condanna il rigore
esercitato dai genitori sulle figlie allontanandole da ogni contatto
colla società, e preferirebbe che questa repressione si applicasse più
alla sposa che non alla ragazza.—Il mondo è certo una gran scuola;
chi non lo frequenta da giovane, e non apprende a conoscerlo, non
saprà mai premunirsi contro le sue insidiose apparenze; e nel punto in
cui abbisogna di una pratica esperienza, trovasi debole ed incerto a
sostenere le lotte della vita.

Ma lo ripetiamo i coniugi Ramati non tenevano questo sistema per
principio, ma per eccessiva deferenza, ed anche su questa deferenza
non si potrà mai tirarne una condanna: lʼamore è un gran peccatore, ma
anche una gran scusa; e noi non sapremmo ove trovarne una migliore.—Il
fatto è che Ermanno e Laura, potevano stare liberamente insieme; quella
certa Romanza era il punto cardinale dei loro ritrovi, e mercè lo
studio di essa i due giovani si trovavano soli per delle ore, intenti a
tuttʼaltro che a studiare.—



XIV


Il tempo non aveva rispettata la felicità di Ermanno, e già sei giorni
di beatitudine erano caduti sotto la sua gelida falce, senza quasi
che i due innamorati se ne fossero accorti.—Nello avvicendarsi di
tutte quelle ore di dolcezze era scomparsa ogni traccia di passato e
dʼavvenire; Laura ed Ermanno vivevano del presente; perchè pensare
al domani se erano felici?—Sarebbe però savia cosa il tener conto
del tempo nei momenti di benessere, sembrerebbe meno rapido il suo
passaggio; mentre non curandosene affatto, si trova poi che il
principio e la fine di un bene vanno confusi in un punto solo passato
in un baleno.

Nè Ermanno nè Laura usarono di questa precauzione, e quando pensarono
ai giorni che loro rimanevano ancora, si accorsero di essere alla
vigilia dellʼultimo. Lʼultimo giorno di una felicità che si spegne, è
come lʼestrema agonia dellʼesistenza.

—Ohimè, sclamò Laura sospirando, quanto brevi mi parvero questi
giorni.... come fugge rapido il tempo!

—Pur troppo Laura! La fase della mia felicità volge al suo termine,
nondimeno, te ne prego, non lagnartene, ciò accresce il mio
tormento.... è tale il nostro destino, unʼora di felicità per unʼanno
di dolore; ma che vuoi fanciulla mia! bisogna accettare quel lampo di
bene, e rassegnarsi alle lunghe amarezze.—Io non mi lagnerò certo,
perchè sarei unʼingrato; ormai sono avvezzo alle sofferenze, ed è per
me gran ventura il soffio appena dʼuna speranza.... Ora poi so che tu
mi ami, non è vero Laura?

—Oh! tanto....

—Ebbene, non è forse questa una gran cosa? Tu non puoi comprendere
ciò che è per me lʼamor tuo, tu non sai forse di quanto io ti vado
debitore; ma è bene che tu ne abbia idea.... Giovinetto ancora perdei
il mio povero padre, e da quel momento mi parve negato il sorriso della
vita. Non ti dirò le pene e gli affanni di quella santa donna che è mia
madre; i sacrifizi che essa fece per me, non possono venir ricompensati
che in cielo.

Ho studiato ardentemente lʼarte, compresi che per essa io doveva
procacciare una tranquilla vecchiaia a mia madre; studiai, e mercè
la ferma volontà, pervenni a migliorare la nostra condizione....
Ma ohimè! alla mia età non si vive di solo pane, io aveva delle
secrete aspirazioni che mal ardiva confessare a me stesso; lʼarte per
svilupparsi abbisogna di qualche cosa più del matematico esercizio;
lʼarte deve scaturire dal cuore. Passo sulle soavi e nuove emozioni che
mi cagionò la prima tua comparsa, e solo ti dirò che per quanto possa
accadere in avvenire, io non avrò altro che a ringraziarti e benedirti
per il bene arrecatomi dallʼamor tuo.

Poichè la lotta è impossibile per me che ti amo tanto, lascio alle
vicende della sorte lo svolgersi del nostro amore; ma non sono già
acciecato al punto da non comprendere quale sia lʼavvenire che mi
è riserbato, e lascia che io ritorni sulla dolorosa via di quei
presentimenti che ti danno tanta pena....

—Perchè, interruppe mestamente la giovinetta, perchè vuoi tu
preoccuparli di ciò che Dio solo potrebbe prevedere? Te ne prego
Ermanno, abbandona sì tristi pensieri....

—No Laura, ho bisogno di farti palese lo stato dellʼanima mia.—Egli è
per la tua pace che lo faccio, e un giorno ricordando ciò che sono per
dirti, troverai che ho agito onestamente.

La giovinetta si tacque sospirando, ed Ermanno dopo una breve pausa
proseguì:—È destino per certi esseri una sgradevole chiaroveggenza che
distrugge colle nubi dellʼavvenire la felicità del presente; si direbbe
che per essi è istintivo il bisogno di soffrire, e che si studiano
con ogni mezzo di eccitarne la causa.—Se un fortunato avvenimento
li rallegra cercano subito nellʼavvenire per trovarvi un dolore che
freni lo slancio della loro gioia.—Io sono fra quelli; la tranquilla
esistenza che ora passo al fianco di mia madre, è tutta una sequela di
domestiche gioie; quella pace era il più bello deʼ miei desiderii... ho
toccata la meta, ma non per questo cesso di preoccuparmi dellʼavvenire.

Lʼamore immenso di mia madre mʼincute lo spavento ed il terrore per il
giorno in cui ella mi sarà rapita; e con questo pensiero trovo modo di
amareggiare quel poʼ di bene che mi viene concesso.

Tu sei giovane, ricca, e bella!.... bella quanto può esserlo un angelo
del cielo, lascia che te lo dica, ciò mi fa gran piacere.—Fissando
gli occhi sul tuo volto così sereno, così puro, ammirando le belle
pieghe delle tue chiome, abbracciando insomma collo sguardo tutta la
tua bella persona, domando a me stesso se quel cuore che dà vita ed
anima a tante grazie appartiene a me.—La realtà mi sembra sogno, e
tu mi appari come dolce visione che io tento invano di realizzare....
eppure sei qui accanto a me, eppure ho fra le mie la tua graziosa mano
e posso carezzare queste bionde treccie!—Io non so se la fantasia la
più accesa possa crearsi unʼimmagine più bella e più sublime di quanto
tu la sei per me.

Io invece sono povero, oscuro e vecchio dʼesperienza; il sole per te
nasce, per me tramonta, oggi tu sei allʼalba, io alla sera; domani
avrai il giorno, io la notte.—Tu vivi dellʼavvenire, perchè la via
delle illusioni è lunga ancora per te.... a me resta il presente; fra
poco non avrò più che un passato!

Vuoi tu conoscere il mio avvenire? ascolta. Tu sei giovane; in questo
periodo della prima età, nessuno può arrestare il corso delle idee, e
le aspirazioni del cuore ingigantiscono man mano che si realizzano...
Sei ricca, e le ricchezze aumentano la foga dei desideri ajutandone il
conseguimento. Sei bella epperciò desiderata ed amata.—Nel tuo primo
slancio dʼaffetto, ami la natura nel suo modesto stato; ma fra poco
e senzʼaccorgertene tu subirai una rivoluzione dʼidee che ti desterà
sempre nuove aspirazioni.

La società ti schiude le braccia; nel suo seno tu troverai molte
felicità; ma il tuo primo passo nel mondo sarà il segno della mia
caduta.—Ovunque tu volga lo sguardo troverai sorrisi, sui tuoi passi
si getteranno fiori, e tu rapita, inebbriata, ti dimenticherai del
povero Ermanno che non ha mai sorriso.... Troverai uno sposo!....

—Oh! basta Ermanno per pietà! Non hai nessuna compassione di te.... Io
non voglio maritarmi, non mi mariterò.... Non andrò in società....

—Lo so, e ti credo; so che tu ora in uno slancio generoso di cuore
rinunzi al mondo per me.... Ma non sarà sempre così, nè te lʼauguro
certamente, povera fanciulla!—Perchè mai nata appena dovresti
ripiegare su te stessa, nasconderti, e consumarti miseramente nella
solitudine? Ti giuro che accettando il tuo amore ho accettata questa
conseguenza; mi rassegnerò a tutto, purchè sia certo che tu non
serberai memoria ingrata di me.—Io formo ora lʼeducazione del tuo
cuore perchè unʼaltro ne possa godere le dolcezze, e bramo solo una
qualche ricordanza per lʼappassionato _maestro_....

—È una crudeltà, sclamò Laura singhiozzando, tu non hai cuore se mi
maltratti in tal guisa; era così felice, ed ora mi fai piangere!—Le
tue tristi profezie sono false, perchè sento che non potrà mai accadere
ciò che tu mi dici; perchè sento di soffrir troppo al solo pensarvi....

—Perdono! disse Ermanno stringendole la mano.

—Cattivo, crudele....

—Via madamigella.... alzi lo sguardo, sorrida perchè ho finito....

—Ed ora comincio io....

—Avanti.

Laura si rasciugò gli occhi indi riprese con fuoco tra il serio ed il
faceto, tra le lacrime ed il sorriso.

—Ella signor mio è un falso profeta, ella crede che io abbia il cuore
duro, duro come macigno, come il suo che si compiace di torturarmi; ma
io le dirò: prima, che non sono tanto bella quanto ella vorrebbe farmi
credere, che ho tanto giudizio da non essere tenuta per una fanciulla
che cambia affetti ad ogni voltar di vento.—Secondo che se sono
ricca me ne importa niente, perchè quando si ama le ricchezze valgono
a nulla; terzo che non andrò in società; quarto che se non posso
maritarmi come la penso io starò zitella, capace anche di farmi monaca;
infine che il mio Ermanno è un cattivaccio!....

—Come la mia Laura è la più cara di tutte le creature! interruppe egli
abbracciandola. ........................... ...........................

Lʼalba del domani, non sembrò più così serena ad Ermanno come quella
dei giorni precedenti. Egli doveva partire, separarsi da Laura che
ormai formava parte di sua vita, e forse chissà quando gli sarebbe dato
di vederla!

La giornata passò triste e malinconica; invano Paolo studiavasi con
ogni modo di confortarlo. Questo bravo giovinotto aveva compreso che
la ferita di Ermanno era profonda, e prestavasi con ogni cura per
dissipare i suoi tristi pensieri.—Dopo pranzo si recarono insieme a
salutare la famiglia Ramati, e Paolo dovette sopportare le rampogne del
padre di Laura perchè non erano stati a pranzo da lui.

Il commiato fu molto lungo, durò dalle quattro fino alle sette, il
signor Ramati erasi in questo frattempo assentato, e Paolo allora
spiegò tutto lʼartifizio del suo spirito per far in modo che Laura ed
Ermanno potessero dirsi qualche parola da soli; ei sapeva che entrambi
si struggevano di questa voglia; ma pareva che madama non volesse più
lasciare Ermanno, giacchè gli rivolgeva costantemente la parola.

Finalmente in grazia del ritratto di Laura che da una settimana era
rimasto sospeso, riuscì a Paolo di staccare la madre per qualche minuto.

—Dunque domani!.... chiese Laura mestamente appena fu sola con
Ermanno....

—Parto.... rispose egli.

—Ah! io sarò ben infelice domani!

—Non dirmelo Laura, io perderei quel poʼ di coraggio che mi
resta.—Promettimi che ti ricorderai talvolta di me.

—Sempre.... e tu scrivimi subito narrami tutto.

—Ma come?

—Indirizza pure la lettera a me, che mi verrà consegnata intatta;
nessuno legge la mia corrispondenza, ho tante amiche che mi scrivono!

—Posso dunque?

—Ma certo.... scrivi.... scrivi più presto che puoi.

—Ora addio, sclamò Ermanno prendendole le mani, addio o giovinetta, e
pensa che io vivrò della tua memoria!

—Non ci vedremo più?

—No, parto domani alle cinque.

—Alle cinque? sclamò Laura, potremo ancora salutarci prima della
tua partenza.... ma da lontano; io sarò sul balcone di questa sala;
passando nella via, tu potrai vedermi e salutarmi collo sguardo.

—Alle cinque! ciò ti costerà sacrifizio.

—Ma che? sono capace di non dormire per aspettarti.—Ora viene la
mamma.... Addio Ermanno, e che il mio saluto ti accompagni durante
il viaggio. Pensa a me che non ti dimenticherò mai; ricordati che ti
aspetto in campagna.—Non potè proseguire, perchè già sentivasi la voce
di madama Ramati che veniva a quella volta con Paolo.

Laura ed Ermanno si scambiarono un ultimo saluto, e si
disgiunsero.—Quando gli amici decisero di andarsene, fu chiesto il
signor Ramati, e qui cominciò la caterva dei saluti, che pareva non
dovessero più terminare.

Suonavano le sette, ed Ermanno e Paolo uscivano allora sulla via. Il
primo camminava macchinalmente senza profferir parola; lʼestremo addio
di Laura lo aveva grandemente addolorato. Andarono a cena, indi al
teatro, dʼonde uscirono di buonʼora dovendo Ermanno alzarsi presto
allʼindomani.

Se è vero che quel povero giovane trovò qualche felicità nel suo
soggiorno in Milano, è pur vero che in quellʼultima notte scontò con
tante angoscie tutte le gioie provate.—Dormì pochissimo, e quando
riusciva ad assopirsi, tosto venivalo a tormentare un sogno penoso; se
desto ei pensava che tra breve dovrebbe dividersi dalla sua Laura, e
lasciarla così bella e seducente senzʼalcuna vigilanza.

La facile famigliarità che si acquistava in casa Ramati, inquietavalo
assai riflettendo che un giorno o lʼaltro qualche innamorato dei vezzi
di Laura, potrebbe agevolmente introdursi nella famiglia, e rapirgli il
cuore della giovinetta.

Vʼha di più, malgrado la certezza che egli aveva di essere amato,
tuttavia lo tormentava il dubbio di dovere un giorno rinunziare alle
sue speranze.—Abbiamo detto speranze, e rettifichiamo la parola. In
questa così bella fase dʼamore non vi entrava nonchè un progetto,
nemmeno il principio di unʼidea; era un romanzo costruito senza base, o
diciamolo pure, senza scopo; e giova rammentare le lotte morali subite
da Ermanno prima di lasciarsi sopraffare da questo amore.

Egli riconobbe che tale relazione stava lontanissima dal concepimento
di qualsiasi speranza, e non cessò mai anche amando di rassegnarsi
come vittima di un accecamento di cui presentiva per istinto le
conseguenze.—Comprendiamo che questo abbandono di Ermanno ad una
corrente così fatale, potrà sembrare insensata e condannabile a taluni;
ma le sono di quelle cose che si ripetono tutti i giorni, e se la
ragione potesse sempre prevalere sulle deliberazioni dellʼuomo, la
società camminerebbe certamente senza gruccie.—

Parrà a molti che noi vogliamo giustificare il nostro artista, ma
invece non facciamo che schermirlo contro chi, o per pregiudizii
di casta e famiglia, o per aridità dʼanimo volesse riconoscere in
quel povero giovane unʼinsensato amor proprio invece di unʼeccessiva
suscettibilità di cuore.

In fatti consimili non sappiamo se più abbia ragione chi condanna od
il condannato; è certo però che mentre questi trova tanto coraggio da
concepire idee dʼuguaglianza malgrado la disparità di condizione, fonda
il suo ragionamento sopra un principio incontestabile di natura; mentre
il primo fabbrica le sue sentenze sui gradi di una gerarchia che sà più
di stoltezza che di superbia.



XV


Il giorno si annunziava. Gli estremi lembi del cielo già sʼimbiancavano
della luce mattutina, ed Ermanno non aveva ancor trovata mezzʼora di
riposo.—Stanco per lʼeccessivo pensare durante la notte, e certo che
ormai era inutile lʼabbandonarsi al sonno, si alzò ponendo mano a
vestirsi.

Lʼaria fresca del mattino, invitava a respirarla, e riflettendo
che molto tempo gli rimaneva ancora prima delle cinque, si assise
sul balcone contemplando il cielo che pingevasi dei soavi colori
dellʼaurora.

Oh! quanti saluti, quanti sospiri egli mandò alle leggiadre nuvolette
dagli orli dorati che si spiegavano leggiere come velo nello spazio
celeste!—Era quella lʼultima volta che egli godrebbe di quel ridente
spettacolo; lʼalba di quel giorno segnava il tramonto della sua
felicità, ed ei voleva impressionarsi di quellʼultimo sorriso di cielo
per mai più dimenticare la dolce malinconia di quel placido mattino.

Oh! come dirlo lʼaddio chʼei diede al cielo, al sole, allʼaura?....
a lei!—Non avvi espressione che valga il silenzio di Ermanno e la
mestizia del suo sguardo.—Egli solo, il poeta della musica, avrebbe
potuto trarne unʼidea cogli accordi del pianoforte; egli che in quel
momento aveva lʼanima commossa, il cuore oppresso, la fantasia accesa,
avrebbe senza dubbio narrato in note lo straziante dolore che lo
assaliva a quellʼestremo saluto!

Alle quattro svegliò lʼamico dicendogli; «Paolo, sono le quattro, ho
ancora unʼora di tempo ed esco per poco; ritornerò a prenderti se
verrai ad accompagnarmi.»

Discese nella via, le strade erano quasi deserte. Laura non abitava
molto lungi, e quando la casa di lei gli apparve in vista, si accorse
che tutti erano ancora al riposo; le finestre ed i balconi stavano
chiusi.—Aspettò passeggiando lungo la via; era la mezza dopo le
quattro, e nessuno ancora! Ella è restata presa dal sonno, pensava fra
sè; e già rammaricava di non poterla più vedere, quando sentì un rumore
come di finestre che vengano aperte; si volse e vide affacciarsi al
balcone una bianca figura.

Era dessa!—Aveva i capelli spartiti in due lunghe treccie che cadevano
giù per le spalle; una vesticciuola candida come neve, ed un fazzoletto
di seta rossa, legato bizzarramente al collo.

Era pur bella! Sembrava la personificazione di quel ridente mattino,
il fiore che sbuccia ai primi raggi di sole.—Appena i loro sguardi
sʼincontrarono, ella sorrise come per dirgli: Vedi se son di parola...
vedi se ti amo.—Ma tosto quel sorriso si dileguò, e la giovinetta
riprese unʼaria mesta, espressione di unʼaffettuoso saluto che costa un
palpito al cuore ed una lagrima agli occhi.

Ermanno passeggiò ancora per qualche minuto fintantochè vide apparire
sullʼangolo della via una vettura di piazza che ad un suo cenno fu
dirizzata alla sua volta.—Era tardi. Alzò unʼultimo sguardo, fece un
leggiero saluto col capo, indi salì sulla vettura e partì di galoppo.

Finchè fu possibile, egli si rivolse per vederla, e non si potrebbe
dire con quanto dolore si allontanasse da quel luogo.—Laura stette
al balcone finchè la carrozza fu in vista, ed allorquando scomparve
daglʼocchi suoi, ella rientrò in casa sfogandosi in lagrime..... Povera
Laura!

Ermanno ripassò in fretta da Paolo per prendervi la valigia, e trovò
lʼamico ancora in letto. Non eravi tempo da perdere, lo salutò
promettendogli di scrivere appena in Brescia, e risalì sulla vettura
che lo attendeva in istrada.

Giunse alla stazione pochi minuti prima della partenza, e prese posto
in un vagone.—Poche ore dopo Ermanno discendeva a Brescia.

  ERMANNO A LAURA—

  «Mia cara Laura

«Egli è vero pur troppo che le ore liete trasvolano rapide come lampo,
mentre quelle del dolore passano lentamente trascinando a stento i loro
eterni minuti—Quei pochi giorni di mia dimora a Milano mi sembrano un
sogno di cui io serbo soavissime rimembranze, unʼonda di felicità che
passò dʼun tratto, e che ora mi lascia in una angoscia senza fine!

«Da tre giorni sono in Brescia e nonpertanto non seppi ancora
avvezzarmi alle mie solite abitudini; da tre giorni vivo qui preda
dʼuna tristezza che mi desta lo scoraggiamento della vita. Io lʼaveva
preveduta questa fase di dolore che mi assalirebbe nel separarmi da
te adorata Laura, e chissà quando potrò trovare un poʼ di tregua a
questa sconfortante mestizia che intristisce tutti gli oggetti che mi
circondano.

«Quando ti rivedrò?... Quando mi sarà dato di stringerti la mano,
di sentire del tuo labbro quelle parole che mi scossero tanto
dolcemente?—Ah! chissà quanti giorni vedrò nascere e morire colla
stessa monotona regolarità prima che io possa rivederti, prima che
il suono soave della tua voce risvegli lʼanima mia dal suo profondo
letargo! Quei pochi giorni di felicità che pareva non dovessero mai
più terminare, passarono quasi senza che io me ne accorgessi, e quando
giunsi agli estremi istanti, allorchè ero sul punto di partire, trovai
che aveva ancora mille e mille cose a dirti.

«Chi mi ritorna quelle ore soavi passate al tuo fianco o Laura?... Io
penso fra il gelo della mia solitudine alle dolcezze dei nostri cari
colloquj in cui più che il labbro parlavano gli occhi ed il cuore; ed
ora più nulla che un doloroso ricordo mi rimane di quella felicità che
avrei appena ardito di sognare. Tutto mi sembra visione, e parmi di
essere solo ed isolato nel mondo, condannato a vivere per sperare in
unʼavvenire lontano ed incerto.

«Lʼavvenire!... E può mai questa parola suonare come una speranza
per gli uomini se lʼultimo punto di esso è la morte? Come mai fra un
presente infelice ed una morte inevitabile può la mente trovare nella
via di mezzo qualche bricciolo di fede che lo attacchi ad una speranza;
come si può sognare la felicità quando si è in preda del dolore?—Per
me lo confesso, tutto è triste, monotono; dacchè io ti ho lasciata,
non ebbi che noie e sconforti—Lʼanima mia troppo prostrata non sa
trovare nelle memorie del passato un riflesso di calma; e sì che fui
felicissimo.

«Ti ricordi Laura, di quel giorno in cui abbiamo passato per la prima
volta la Romanza? Io non lo dimenticherò mai più, e solo nel ripensare
a quei momenti, parmi di essere ancora nella tua cameretta—Oh! quanto
è bella! mi ricordo ancora del leggiero e delicato profumo dei fiori,
della mesta luce che penetrava per le cortine; tutto spirava il
candore e la purità, e non vʼha oggetto benchè piccolo che non mi sia
rimasto impresso—Mi ricordo ancora che noi eravamo soli, io seduto
al piano, tu al mio fianco... Ti parlava deʼ miei dolori spingendo
lʼingratitudine sino al punto di dubitare dellʼamor tuo; e tu povero
angioletto piangevi, piangevi amaramente!—Oh! perdonami perchè allora
io vaneggiava; se non avessi tutta la certezza di essere amato, se la
speranza che tu potrai amarmi per lʼavvenire non venisse a consolarmi,
io sarei ben infelice!

«Ma tu lo dicesti, e le tue lagrime protestarono altamente contro il
mio scetticismo; lʼaureola di tutta luce che circonda la cara tua
persona, disperse le nubi dellʼincertezza; ed ora credo e ti amo—Credo
perchè ho bisogno di credere, amo perchè sento che la più grave delle
sventure non vale il sacrifizio del tuo amore—Sia che vuolsi, io
vivrò di esso finchè il tuo cuore risponderà al mio; sarò infelice
perchè lontano da te, ma mi verrà di gran conforto il pensiero che in
qualunque momento ti ricorderai di me compiangendo la mia sorte!

«Addio sogni di gioventù, chimere della fantasia io vi abbandono per
vivere di una memoria: non è forse possibile il trovare delle dolcezze
riandando sul passato?... Mi proverò. Il tuo nome o Laura sarà la mia
bandiera, e formerà collʼarte la mia fede.

«Prima di proseguire, lascia che io ti dica quanto bene mi abbia
arrecato il tuo ultimo saluto nel mattino della mia partenza—Per tutta
la notte che lo precedeva non potei chiuder occhio; allʼalba ero già
vestito, e stava sul balcone di Paolo salutando quel nascente sole al
cui tramonto io doveva assistere molto lungi da Milano; la bella e cara
città che ospita nel suo seno la mia adorata Laura.

«A tutta prima avrei creduto che tu malgrado la più gran voglia fossi
rimasta addormentata; ti accerto che ciò mi avrebbe afflitto, e sai
perchè? Perchè così era provato che lʼidea della mia partenza non aveva
turbato i tuoi sonni—Ma tu venisti—Oh! come eri bella Laura mia;
lascia che lo ripeta, come eri sublime; tu mi apparisti più leggiadra
dellʼaurora che aveva poco prima salutata!—Quella vesta bianca, quelle
treccie bipartite che ornavano il tuo pallido volto, si sono impresse
nella mia memoria, ed io non so ricordarmi la tua graziosa figura senza
quel modesto abbigliamento.

«Con quale trasporto avrei baciato il lembo della tua veste, e
prostrato aʼ tuoi piedi mormorarti parole dʼamore... ma ciò non era
possibile, ed io dovetti appagarmi di vederti.—Quellʼestremo addio
mandato in silenzio era ben straziante, e la pena che mi piombò nel
cuore in quel momento, è indescrivibile.

«Fu quello un punto ben strano per me, giacchè mi trovava sotto la
pressione di due grandi ed opposti sentimenti: non saprei dirti quandʼè
che io sia stato più felice di quanto lo era in quellʼistante, come non
so immaginarmi in qual ora di mia vita io abbia provato un dolore tanto
atroce come quello di separarmi da te così bella, da te che mi salutavi
mestamente, senza poterti dire: Addio, senza poter sfogare in parole
lʼanima mia, e palesarti che al punto di partire io sentiva di amarti
immensamente...

«In tanta tenzone di gioia e dolore, nello avvicendarsi ed urtarsi
di sì varie emozioni, io non sapeva più a che decidermi; ma intanto
io soffriva perchè il dolore preponderava, e ben annunziavalo questo
povero cuore che gemeva oppresso.—Mi rimanevano ancora pochi minuti
per recarmi alla stazione, e fu forza partire.... abbandonarti.
Mi diedi coraggio concentrando nellʼultimo sguardo tutta la mia
tenerezza, e ti salutai con lagrime.

«Quella carrozza colla precipitosa sua corsa ti celò ben tosto a me,
ed io non cessai di salutarti finchè lʼultimo punto della tua bianca
figura disparve allo sguardo mio. Partii, lasciando teco tutto ciò che
è dellʼanima, più non ti vidi ma tu sei rimasta qui in questo cuore.

«Arrivai a Brescia, e puoi figurarti come addolorato. Rividi mia
madre; la buona donna non mi aspettava così presto, ed allorchè venne
ad aprirmi, cadde nelle mie braccia.—Ingrato! Nel mio soggiorno a
Milano lʼaveva quasi dimenticata; ma io sconterò con tante cure e
sollecitudini questa piccola ingratitudine di cui sono a te debitore,
mia bella Laura.—Eccomi a Brescia colla persona, ma pur troppo a
Milano col cuore che tu mʼinvolasti collʼultimo tuo sguardo. Abbine
cura fanciulla mia, e perdonami tutti i dolori che posso arrecarti con
questo forsennato amore.

«E tu che fai! Come vivi, a che pensi?.... Io mi figuro colla massima
compiacenza che tu debba essere sempre afflitta, e vedi quanta
barbarie, questʼidea mi cagiona uno strano piacere. Oh! quanto sarei
lieto che la stessa mia malinconia venisse ad assalirti; te ne faccio
augurio di tutto cuore.—Perdonami questo slancio dʼegoismo; io sono
tale che mal so adattarmi allʼallegria, giacchè essa rivela sempre
alquanta spensieratezza; un labbro facile al riso non può esser sincero
nel parlare dʼamore.

«Scrivimi presto per dirmi che la mia partenza ti ha addolorata, che
il mio ultimo saluto ti strappò una lagrima di dolore, ed io ne sarò
supremamente lieto.—In quei pochi giorni passati fra tante dolcezze
sento che lʼanima mia ha subita una felice modificazione, ed ora se
tu mi vedessi mentre ti scrivo, ho il sorriso sulle labbra; parmi di
parlarti, o meglio che tu sii qui al mio fianco leggendo tutto ciò che
mi cade dalla penna.

«Leggi fanciulla, leggi avidamente, e nel disordine di queste idee, in
questo miscuglio di tormenti e di gioie, abbi la più certa prova della
confusione che mi desta in cuore la sola memoria di te.—Per essere
felice non ho che da chiudere la mente alle dubbiezze dellʼavvenire e
vivere del presente, giorno per giorno, senza spingere lo sguardo al
domani; ma pur troppo non sempre so frenare questa miserabile fantasia
che è feconda solamente nei presagi di tristezza;—Io non mi ricordo
che essa abbia mai saputo concepire unʼidea di speranza.... mai!

«Compatisci, Laura mia, a questo difetto che è in me natura, e perdona
se per timore di perderti già pavento di averti perduta.—Io farò ogni
possibile per renderti meno penoso il gravame di questo cuore malato
che tu pietosamente ti assumesti di consolare; il tuo amore è per me
onnipossente, e non diffido di poter mercè tua salvarmi.

«Addio, fanciulla adorata, e questo ardente saluto che parte dallʼanima
possa volando sullʼaure giungere a te, e confortarti nella tua
mestizia—Scrivimi presto, affinchè se mi e negato di vederti, possa
almeno conoscere il tuo pensiero. Non dimenticare giammai che il tuo
Ermanno vive qui solo e desolato, che suo unico conforto è la certezza
dellʼamor tuo, e la speranza di presto rivederti.

«ERMANNO»

Questa lettera rivela chiaramente lo stato dʼanimo di Ermanno; il
disordine e la confusione delle idee vi appariscono ad ogni tratto.
In ogni parte di essa vi regna lo sfasciamento, lʼincoerenza, e mal
si potrebbe definirne il carattere. Talvolta lo stile è tenero ed
appassionato, talor freddo e monotono, e vi sono dei punti in cui vi si
scorge una certa ilarità che per poco ancora cadrebbe nel giocoso.

Il senso predominante ma è lʼamore il più puro e casto, che sorride e
sospira ad un tempo istesso.

Però Ermanno aveva detta parte della verità; ma non ebbe il coraggio
di dirla tutta; per un sentimento di generosità che si può facilmente
comprendere, egli tacque in quella lettera su certo proposito che
maggiormente lo inquietava, volendo nascondere a Laura una profonda
ferita riportata a Milano, e palliandola con alcuni lampi di allegria
non al certo addicevoli allo stato dellʼanima sua.

Allorchè nasce un dubbio, non è sì facile dileguarlo, ed Ermanno
che dal suo soggiorno a Milano aveva riportata la fede più sicura
dellʼamore di Laura, trovò pur colà maggior alimento alle incertezze
sullʼavvenire. La lettera che segue diretta a Paolo è lʼespressione
fedele del suo stato; collʼamico ei si mostra più sincero che non
collʼamante.

  ERMANNO A PAOLO—

  «Mio buon amico,

«Più tento di attaccarmi allʼalbero della vita per raggiungerne
la cima, più sento che i miei sforzi per quanto grandi, diventano
inutili—Quindici giorni sono, io era tormentato da unʼardente
desiderio che aveva prescritto come meta estrema di tutta la possibile
felicità; conseguito quel desiderio, parevami che più nulla mi
rimanesse a sperare, perchè tutto avrei ottenuto—Ho realizzato il mio
sogno, soddisfeci alla mia brama, e nonpertanto eccomi maggiormente
afflitto—A guisa dellʼerrante pellegrino che erpicandosi faticosamente
sulla vetta della montagna, già si rallegra seco stesso pensando al
momento in cui ne avrà toccata la punta, io credetti che recandomi
a Milano, potrei dʼun tratto deporre il fardello delle mie pene...
Ma ohimè! Non fu così; il pellegrino giungendo al culmine del monte,
scopre altre catene di roccie più erte e malagevoli, ed io di ritorno
da Milano, trovai dʼaver arricchito di un nuovo aggravio il peso deʼ
miei dolori.

«Con te, mio buon Paolo, il mio cuore si dilata e lascia scorrere la
larga vena delle sue amarezze, con te solo ho il coraggio di confessare
lʼavvilimento del mio spirito.

«Lʼeleganza, il lusso e tutto ciò che proviene dalle ricchezze, mi
destò sempre se non lo sprezzo almeno lʼindifferenza, giammai il fasto
impose aʼ miei sensi perchè lʼanima mia aspirò sempre a qualche cosa
di migliore che non sono i proventi di un lauto patrimonio.—Nellʼarte
mia rinvenni i veri tesori di gioie che scuotono lʼanima esaltandola
al culto di un bello soprannaturale, non concepibile che negli slanci
della fantasia; ma non avrei mai creduto che dallʼalto dei miei sogni
spingendo lo sguardo a terra, venissi abbagliato dalla luce di un poʼ
dʼoro accumulato.

«Eppure è così, mio buon amico, e con labbro tremante per vergogna ti
confesso che il mio spirito rimane soggiogato e riconosce tacitamente
la superiorità esercitata dalle ricchezze.—Non ho mai osato di
palesarti a voce questa strana reazione deʼ miei sentimenti, perchè mi
avviliva il solo pensarvi; ma ora che sono solo, ora che la mia mente
si studia sempre di viemmeglio affliggermi, non so più tacerti questa
nuova sventura.

«Nel porre il piede per la prima volta nella casa di Laura, io era
ben lungi dallʼattendermi un colpo di tal natura; ma quando entrai in
quelle sale ricche di quanto si possa immaginare, fra quel miscuglio di
tappeti, sete, velluti, mobili, dorature e mille altri fregi, perdetti
quel sentimento innato di dignità che ci pareggia a chiunque, e pensai
essere ben meschina cosa lʼelevatezza dellʼanima a fronte di tante
ricchezze accumulate dalla fortuna.

«Condannami pure, ridi anche se lo potrai, ma io rimasi sorpreso alla
vista di quel fasto, rimasi soggiogato; e mi fu forza riconoscere la
distanza enorme che mi separa dalla famiglia Ramati.

«Oh mia povera cameretta delizia dei tempi passati, io posi due anni
di continue cure per adornarti ed abbellirti, fra le tue mura era
felice; ed ora disparve tutto il tuo prestigio! Più ti guardo e più mi
sembri squallida. Ove sono le bellezze che io scorgeva altre volte in
te? Le tue mura sono aride e disadorne, ed un lembo solo del tappeto
che cuopre il pavimento di quelle sale, vale ben più di te e deʼ tuoi
miseri arredi.

«E dire che qui, in sì meschino tugurio ho ardito di concepire le
più strane follie; ho sperato lʼamore di una donzella che abita un
palazzo, e respira in unʼatmosfera di sontuosità, avvezza alla luce
dellʼoro come io a quella del lumicino che mi rischiara nelle notti
di studio.—Oh il pazzo! Ora solamente comprendo tutta lʼassurdità
delle mie speranze, ma troppo tardi perchè io possa approfittare di un
ravvedimento che mi getta nella più profonda desolazione; troppo tardi
perchè il cuore possa gridarmi: ritirati sciocco, e pensa a lavorare
per guadagnare il pane a tua madre!... Mia madre, povera e santa
donna; se tu sapessi quante cure si prende di me vedendomi sempre sì
malinconico.—Pretende che mi consigli col medico, perchè teme che io
possa ricadere in quel malore che mi colpì qualche anno fa; ma conosco
troppo bene il mio male, e so che la scienza non vi rimedia.

«Malgrado che la stagione sia poco addicevole, passo intiere giornate
studiando i capi–lavori dellʼarte mia; nella ventura settimana, o
tuttʼal più fra quindici giorni spero di potermi riposare alquanto
evitando la fatica di dar lezioni. Buona parte delle mie allieve sono
ite in campagna, le altre non tarderanno molto.—Ebbi incarico da un
distinto prelato Bresciano di musicare una messa per funerali; è questo
un genere di musica che mi piace sopratutti, e puoi figurartelo ho
subito accettato; ma è un lavoro lungo e difficile, e converrà che mi
accinga con tutto lʼimpegno.

«E tu che fai a Milano? Per te che sei di tuttʼaltro carattere che
non del mio, non vi sono nè pene nè dolori, e col tuo formidabile
buon umore, puoi distruggere unʼesercito di dispiaceri.—Oh quanto
tʼinvidio, e come di buon grado mi farei potendolo seguace dei tuoi
principii!

«Taluni tenderebbero a credere che la malinconia sia unʼaffettazione...
no mio caro Paolo; sonvi proprio degli sciagurati, ed io fra quelli,
che non sanno mai appagarsi di nulla nè vʼha cosa che ecciti la loro
allegria. Te beato le mille volte che sei in Milano e puoi vedere la
mia Laura ad ogni giorno!

«Ieri le scrissi una lunga lettera, tuttavia ti prego di salutarla
tanto e poi tanto per me; non prenderti soggezioni giacchè ella non
ignora che tu sei al fatto di tutto; sollecitala per quanto puoi a
scrivermi che ho gran bisogno di una sua lettera in questi giorni di
tristezza. Ricordati della copia del suo ritratto che mi promettesti.
Lʼattendo ansiosamente; e quando mi sarà dato dʼaverla, non mi sembrerà
più dʼesser solo, perchè fissando quella tela, potrò colla mente far
rivivere le sembianze di lei, ed in esse consolarmi alquanto.—Se egli
è destino che un giorno io debba rinunziare al suo amore, mi sarà caro
di poter talvolta mirare lʼimmagine di colei che prima e sola fece
battere questo cuore.

«Ti prego inoltre di renderti interprete per me presso i genitori di
Laura, ringraziandoli per le tante premure e cortesie usatemi; e tu mio
carissimo abbiti una stretta di mano dal tuo

  ERMANNO.»

  PAOLO AD ERMANNO—

«Se la mia penna fosse abile quanto la tua, se io sapessi dirti in
parole tutto ciò che mi destò nellʼanimo la tua lettera, ne avresti
una di quelle epistole formidabili al cui confronto le prediche del
reverendissimo Fra Paolo Segneri starebbero come Giotto a Raffaello;
ma siccome, veh! come sei fortunato, per scrivere qualche pagina di
roba, ho duopo di spremere e torturare il mio povero ingegno, evito un
prolegomeno troppo fastidioso, e passo subito in materia.

«Da quanto ho potuto finora osservare nel poco tempo che mi trascino in
questa _Valle di lacrime_ che si chiama mondo, parmi di aver scoperto
le tracce di un fenomeno psicologico molto curioso. Vi sono di quei
cotali a cui un filo dʼerba sembra una trave, e scambiano un mucchio
di terra per una montagna; fanatici, provani, che vedono nero in pieno
sole, intolleranti ad ogni dolore, impazienti ad ogni fastidio, e
debolissimi di spirito, si adombrano per nonnulla, si esaltano per
unʼinezia; e creano nei voli lirici della loro fantasia tutta quella
congerie di spettri che turbano i sonni, e scoprono precipizi fra i
ciottoli delle vie.

«Si direbbe che costoro guatano il mondo traverso ad una lente che
ingrandisce a dismisura le cose più piccole; e non mi stupirei per
niente se scambiassero la marmitta che scalda al fuoco per Sodoma e
Gomorra divorate dalle fiamme. Non vʼha pena per quanto lieve che essi
non la caratterizzino fra le orribili, e per la puntura dʼuna zanzára,
sarebbero capaci di rinnovare le lamentazioni del fatidico Geremia.

«Uno sprizzo di sangue è per essi un torrente senza fine, lʼincostanza
di una pettegola, unʼinfamia, unʼabbominio; il sorriso di una donna un
raggio di sole, e Dio sa se un giorno o lʼaltro non mi diranno che le
lucciole sono aquile di Giove colle loro saette.

«Oh! anime disgraziate, toglietevi gli occhiali che vʼingannano la
vista, se non volete che si dica di voi come del bue che si aggioga
facilmente per ciò solo che vede grosso. Toglietevi gli occhiali, e
guardate moʼ se il mondo è tanto brutto quanto ve lo pinge la vostra
malata immaginazione. Risparmierete così la fatica di un compianto
inutile sui destini dellʼuomo nato per tuttʼaltro che per crucciarsi di
tutte le inezie che gli traversano la via!

«Tu mio buon Ermanno hai la disgrazia di appartenere a quella schiera
di predestinati; tu pure negli slanci dʼun febbrile esaltamento
studiando la vita traverso a quella malaugurata lente, trovi che tutte
le sciagure, tutti glʼinfortuni sono a te solo riserbati, e spingi
lʼerrore al punto da invidiare financo quei tapinelli a cui natura più
benigna alquanto concesse un bricciolo di senno per distinguere il
reale dallʼimmaginario.

«Se la ragione si potesse trangugiare come un farmaco dello speziale,
te ne consiglierei lʼuso di buona dose; ma pur troppo non avviene dello
spirito come del corpo che si può curare colle risorse della medicina!
Però lascia che te lʼ dica questa tua smania di esagerare trasmoda in
eccessiva. Mio Dio, io non so vedere tutto il male che tu scorgi in
questo amore, e se tutti dovessero crucciarsi tanto per simili cose, il
mondo risuonerebbe ovunque di _lamenti, pianti_ ed _alti lai_; e perchè
poi?.... In fondo a tutte queste peripezie, non vi si trova altro che
la cenere di un poʼ di paglia bruciata rapidamente.

«Bada che ti parlo da vero amico, perchè mʼinteresso vivamente delle
cose tue: sii più ragionevole, e non pensar troppo profondamente su ciò
che potrà accadere; sii filosofo, e prendi il bene ove lo trovi, senza
curarti dʼaltro.—Hai per le mani un romanzetto patetico, interessante,
e tu sciagurato già ne predici una spaventevole catastrofe.—A tuo
modo mio caro distruggi tutto il prestigio di questo dolce idillio del
tuo cuore; già si sa, tutto finisce al mondo, ma se lʼuomo dovesse
affliggersi pensando che dopo pranzato perderà lʼappetito, che dopo
dormito non avrà più sonno, la sarebbe ben grossa: tal succede di te,
non hai ancora colta la rosa, e già pensi che domani sarà appassita; ma
allora mio caro rifletti che tu pure un giorno o lʼaltro morrai, e così
sarà finita.

«In quanto poi alle tue idee sulla mia felicità, lascia che io ti
disinganni alquanto, ed a quel che sembra tu guardi colla stessa lente
tanto il bene quanto il male; non mi stupisco dunque se tu trovi in me
alcunchè da muoverti invidia; accade di noi che ci crucciamo poco dei
nostri affari come degli infermieri i quali a motivo della loro salute
sono costretti al penoso incarico di vigilare sugli ammalati.

«Conti tu per nulla il servizio di _moccolino_ che vado facendo da
qualche giorno a questa parte? Se tu mi vedessi in certe occasioni non
sono più riconoscibile.—Laura sempre desolata per la tua partenza mi
mette a parte di tutte le sue pene, mi confida tutti i suoi dolori, ed
io la consolo per quanto posso offrendomi per avallo e garanzia sul
conto tuo.—Il da fare che ebbi nei giorni passati mi merita un diploma
di Confratello della benemerita Compagnia di Misericordia, e per quanto
tu faccia, non potrai restituirmi tutta quella riconoscenza che ho
diritto di pretendere per servigi prestati.

«Oltre a ciò aggiungi le piaghe tue che io debbo medicare con
cataplasmi e cerotti, e Dio sa con qual frutto! rispondere alle tue
lettere che mettono i brividi al solo leggerle, e curare certe malattie
di cuore, che non entrano per nulla nel mio comprendonio.—Dà retta a
me, e sii più assennato nel giudicar le cose; tutti, qual più, qual
meno abbiamo i nostri piccoli fastidii, e bisogna saper tollerare
alquanto.

«Io spero che attorno a questa buona lavata di testa, non avrò sciupato
ranno e sapone, e che saprai compatire se la mia amicizia, trasmoda
forse in rigore; ma voi altri poeti siete come i cavalli capricciosi;
più si rallenta loro il morso, e più essi si danno a precipitosa corsa,
mentre basterebbe una buona stretta ai fianchi per calmarli.—Se io ti
lasciassi sempre dire a tuo modo, proseguendo in questa via esaltata,
finiresti poi per crederti davvero un gran martire, ed allora daresti
nelle smanie prorompendo in parolone contro la vita, le sue lusinghe,
ed i suoi disinganni; come quei tali che si vedono tuttodì passeggiare
per le vie con tanto dʼocchialetto e di cravatta, allegri, vivaci che
è un piacere il vederli, che hanno poi il coraggio scrivendo ad una
qualche signora del bon ton di parlar di torture, di morte; e taluni
anzi spingono la cosa al punto da paragonar la loro vita alla passione
del Nazareno, e la via dal caffè al teatro allo scosceso calle del
Golgota.

«Di tali esaltazioni sono pieni i romanzi, ma pur troppo nella
vita reale il tedio dei bisogni materiali scema per gran parte il
volo della fantasia, e ne rallenta il corso; ed io compiango di
tutto cuore quegli sventurati che colpiti da una specie di mania si
abbandonano preda delle idee formando di esse la parte essenziale
dellʼesistenza.—Accusami pure, se il credi, di materialismo e
pessimismo; ma che vuoi? la Teoria delle Anime, non entra nelle mie
competenze.

«Nel mondo fisico vi sono troppe realtà, nel morale troppe illusioni,
perchè io debba esitare nella scelta; ed è perciò che una donna, non
sarà mai altro per me che una donna, e non mi viene certamente il
ticchio di concentrarvi in essa tutte le mie aspirazioni.

«È però ben strana la potenza di questo vostro cuore, o visionarii,
che sʼimmischia in tutte le cose vostre; per me ti assicuro che il mio
anche funzionando regolarmente, se ne sta ozioso e polveroso in un
angolo dello stomaco, e davvero non ho nessun lagno da fare sul suo
conto. Il tuo invece mio caro Ermanno, è un repubblicano _sfegatato_,
non quieta mai, e ad ogni momento ti scivola sulle labbra. Il cuore
e la ragione formano in te due partiti ribelli come i Guelfi e
Ghibellini, e finchè non verranno fra loro dʼaccordo, prevedo che il
regno del tuo spirito, non avrà mai pace.—Impegnati per quanto puoi
in queste trattative di riconciliazione, del resto a te toccherà la
peggio. Lʼodio delle fazioni, è la rovina di un paese; procura dunque
di porre sulla buona via il cuore e la ragione, ed allora soltanto
sarai tranquillo.

«In altri tempi, forse, erano dʼuso certe abitudini poco lodevoli.
Nella dubbiezza delle intelligenze non del tutto incivilite, accadeva
talvolta che fra le moltitudini, qualcuno emergesse per una stranezza
sua particolare; la storia ci tramanda i nomi di una quantità di
donne, che dedite al culto dʼamore, fecero ad esso i più grandi
sacrifizii.—Era consuetudine nei paladini del Medio Evo, il farsi
ammazzare per gli occhi della loro bella; ma per buona sorte ai
tempi che corrono, si ha ben altro a pensare. Il progresso colle
sue emanazioni invade la mente degli uomini preoccupandoli di mille
e mille cose, per cui ben poco tempo si avanza da sciupare dietro
al carro di Cupido; e tu potresti percorrere in lungo e in largo
tutta la superficie del globo, senza trovarvi più nè una Penelope,
nè una Lucrezia, nè una Didone, nè una Saffo.—Il salto di Leucade,
ora lo fanno i banchieri falliti, e gli inglesi affetti di _spléen_
acutissimo.—Persuaditi infine, che Werter e Jacopo Ortis altro non
sono che caricature sbagliate di unʼalienazione mentale.

«Se tu fossi con me qui a Milano in questa graziosa città emancipata
da ogni pregiudizio, vorrei in breve convertirti e rimetterti a dovere
quella parte di cervello che ti scappò fuor deʼ gangheri.

«Ma tu sei lungi, ed altro non mi è dato che sovvenirti di buoni
consigli, i quali se a nulla ti giovano, tolgono per altro a me ogni
rimorso inquantochè in questi momenti, ebbi il coraggio di dirti la
verità schietta e netta.

«Ho finito quasi il ritratto di Laura, e presto te ne manderò
copia.—Sentii con vera soddisfazione lʼincarico che avesti per un
lavoro di tutto impegno; spero che nelle ore di tue occupazioni tu
potrai ritornar padrone assoluto della tua mente. Lʼarte è una grande
egoista, e confido che essa potrà, se non guarire, almeno modificare la
tua infiammazione di sentimentalismo.

«Te ne faccio augurio di tutto cuore.

  PAOLO.»

  LAURA AD ERMANNO.

«Amico mio.—Mio caro Ermanno! e non sarà mai che io veda distolta
dallʼanima tua quella tristezza crudele che avvizzisce le gioie del
nostro amore? Il cielo sì prodigo a me di conforti, ti è tanto avaro
da non concederti mai unʼistante di calma.... non è dunque vero che
unʼaffetto profondo abbellisce lʼesistenza anche allora che si è
lungi da chi si ama, se tu soffri cotanto lontano da me?.... La tua
lettera fu uno strazio per il mio cuore, e su quelle pagine improntate
dʼamarezza, ho versate molte lagrime.—Oh! quante volte lʼho letta e
riletta; fermandomi sopra ogni frase, studiandone ogni accento, cercava
di trasfondere nellʼanima mia un riflesso delle tue pene; con ciò mi
pareva di alleviare il tuo travaglio.

«Perchè mai, mio buon Ermanno, non puoi tu essere felice quanto io la
sono. La certezza, del tuo amore paralizza in me ogni altro pensiero,
e non vivo, non respiro che della tua memoria. Guardo ed accarezzo con
estrema compiacenza tutto ciò che hai tocco colle tue mani, nella mia
stanza serbo gelosamente il tuo bastoncino di giunco che nascosi a tua
insaputa; tutto mi parla di te, e sembrami talora di vederti là sulla
poltrona ove eri solito a sedere mentre io in piedi a te dʼaccanto, ti
contemplava collo sguardo, ed ammirava col cuore....

«Là tu mi sorridevi stendendomi la mano che io premeva fra le mie senza
trovare una parola che ti dicesse tutta la mia gioia, tutto lʼamor
mio.—Oh! pensa Ermanno, pensa come me a quegli istanti passati così
rapidamente, e dimmi se non ti senti nellʼanima un sussulto di felicità
pari alla mia.

«Non dubitare di me, mio caro, non reputarmi tanto leggera da credere
che al primo volger di vento io possa menomamente obliarti. Chi
ti conosce come io ti conosco, non potrà a meno di amarti, e per
sempre.—Feci più volte lʼesame della mia coscienza, ed alla notte
quando lʼimmagine di te viene a carezzarmi la mente, penso aʼ tuoi
dubbi sulla mia costanza, e ponendomi la mano sul cuore come per
interrogarlo sulla durata del mio affetto, egli mi risponde palpitando:
Sempre. Sì mio amato, sempre, nè accadrà mai che per un solo istante io
possa dimenticare che tu sei per me la persona più cara di questo mondo.

«Ed è vero che vi siano donne capaci di mutar sentimenti ad ogni
tratto?.... Non lo credere, è una calunnia: le donne che tradiscono
la fede non possono amare.—Io guardo il cielo, il sole, le stelle, e
dovunque incontro il tuo mesto sorriso; ogni alitar del vento, ogni
folata dellʼaria, mi porta allʼorecchio il tuo nome.

«Talora passeggiando in giardino, vedo un fiore che si dondola
leggermente agitato dallo zeffiro; lo guardo, lo fisso, e sembra chʼei
mʼinviti a coglierlo dicendomi: vieni Laura, vieni a recidermi per lui,
ed allora corro, schianto il fiore, e lo bacio.—Tuttociò che faccio
e dico, parmi che sia a te diretto; alla sera prima di mettermi al
riposo, mi aggiusto i capelli senza saperne il perchè, mi alzo alla
mattina ed indosso quella veste bianca che ti piace tanto.

«Non sai tu che facesti di me una gran vanerella? Figurati che tormento
di continuo lo specchio per vedere se sono tale da poter realmente
piacerti; non sempre rimango contenta dellʼesame, e vorrei persuadermi
dʼesser proprio tale da farmi amare sempre più dal mio adorato Ermanno.

«Come ci trasforma lʼamore! Non mi riconosco più, e parmi di mutar
carattere ogni giorno. Se tu sapessi quanto buona sono diventata da
che ti amo! Le cose più piccole mʼinteressano vivamente, e talora sono
trascinata a certe idee, che sembrano follie.—Ieri per esempio, mentre
metteva il solito zuccaro nella gabbiuola del mio cardellino, mi venne
un triste pensiero che quasi quasi mi forzava al pianto.

«Ho pensato fra me che quella povera bestiolina tenuta prigioniera
poteva avere la sua famiglia altrove, e che in cuor suo dovesse
dolersi amaramente di me che lo privai della libertà per mio diletto.
Pensai che quella povera creaturina dovesse soffrire e piangere perchè
separato e lontano daʼ suoi piccini, e mi pareva che fissando in me i
suoi occhietti mi dicesse: Madamigella, mi lasci in libertà, mi lasci
volare al mio nido; ho dei piccini da nutrire, una compagna fedele che
mi aspetta, che mi ama e piange la mia perdita....

«Mi venne voglia di fare la sua felicità, parevami che tu fossi
dietro di me a mormorarmi: lascialo fuggire, lascia che scorrendo le
libere aure del cielo ei possa raggiungere colei che lo attende tanto
ansiosamente.... lascialo per amor nostro!—Aprii la gabbia e mi
staccai dʼun passo per osservare.

«Il cardellino sulle prime non si accorse di aver la prigione aperta;
quando se ne avvide, discese con tanta precauzione, lento lento come se
fosse colto dallo stupore.... salì sullo sportellino, guardò parecchie
volte allʼintorno come se cercasse di persuadersi della realtà;
volgendo la sua graziosa testolina verso di me stette a fissarmi
alquanto, mandò un leggiero gorgheggio, battè le ali, e via di volo nel
libero cielo.

«In un baleno egli scomparve dagli occhi miei, ma io stetti lungamente
rivolta a quella parte donde era sparito, e quando rinvenni in me, mi
accorsi di avere gli occhi umidi di pianto.—Or non è più quella cara
bestiolina che mi rallegrava coʼ suoi melodiosi gorgheggi, non sarà più
necessario che io sciolga fra le erbe del mio giardino quei fuscellini
a lui sì graditi; il piccolo prigioniero non è più, partì salutandomi e
dimenticando persino lo zuccaro di cui era sì ghiotto.

«Non ho agito bene, mio Ermanno? Perchè fare lʼinfelicità di cotesti
esseri per soddisfare un semplice capriccio? io vorrei poter beneficare
tutto il mondo, e ciò perchè ti amo tanto, e penso che tutto quello che
faccio possa meritarmi sempre più il tuo affetto.

«Ho tanti saluti da porgerti per la signora Salviani. Ieri fummo a
trovarla, ed in confidenza, se io non fossi più che certa dellʼamor
tuo diverrei gelosa per gli elogi che essa ti fece.—Ricordati che
ti aspettiamo in campagna, verrai bene a passare qualche giorno alla
mia villa? La mamma incaricò il signor Paolo di rinnovartene invito,
e conta su te. Partiremo alla fine del mese, vale a dire fra qualche
giorno.

«Non vedo lʼora di abbandonare questa nojosa Milano per recarmi in
campagna. Sono certa che colà passerò vita felice, perchè fra quella
solitudine beata, mi sarà dato di pensare sempre a te, mio caro Ermanno.

«Scrivimi subito per dirmi quando verrai a trovarmi; noi ci fermeremo
sin verso la fine di ottobre. Anche il signor Paolo sarà dei nostri;
che bravo giovinotto! io lo amo come un fratello, è tanto compiacente,
tanto caro! Figurati che viene quasi tutti i giorni a trovarci. Il mio
ritratto è finito, per quello di papà abbiamo deciso di aspettare.—Io
so che il signor Paolo, farà due copie del mio; una per te. Egli me lo
ha detto, egli che con una delicatezza veramente squisita, mi parla
sempre di cose che mi danno gran piacere.

«Quando mi ricordo del giorno della tua partenza, mi viene ancora un
sospiro.—Figurati che in tutta la notte precedente non mi fu dato di
dormire unʼora. Parevami ad ogni tratto che spuntasse lʼalba, e per
accertarmene scendeva dal letto onde scrutare il cielo, ma desso era
ancora coperto di stelle.—Lʼultima volta che mi destai, la mia camera
era tutta inondata della luce del mattino; temetti che fosse tardi, e
mi vestii in fretta per venirti a dare lʼultimo saluto.

«Credo al tuo dolore nellʼabbandonarmi, perchè il mio era pur grande;
e non vʼha parola che possa dirti tutto quello che mi veniva alla
mente.—Oh quanto ho desiderato di stringerti la mano! Potendolo
avrei avuto il coraggio di scendere nella via, giacchè non sapeva più
reggere allʼaffanno; in quel momento dolce e terribile sentii quanto
grande fosse lʼamor mio, e se tu mi avessi letto in cuore, mai più ti
verrebbe il minimo dubbio sulla mia costanza.—Nellʼatto che tu salisti
in carrozza, poco mancò che non mi sfogassi in dirotto pianto, ma mi
feci forza, e cercai un sorriso per rivolgere a te mio povero amico;
un falso sorriso che ti consolasse alquanto. Partisti, la carrozza
si allontanò rapidamente, ed il fragore delle ruote mi piombò amaro
nellʼanima. Un minuto dopo tu non eri più in vista, ed angosciata,
oppressa, mi ritirai nella mia camera per lasciar libero sfogo al
pianto che mi soffocava.

«Oh! Ermanno, cattivo amico; dopo tutto ciò, potrai ancora dubitare di
me, potrai tu credere che io debba dimenticare quel dolore che nella
stessa sua intensità serbava alcunchè di soave al punto, che desidero
talvolta di piangere come allora? Non ci voleva meno di una tua lettera
per calmarmi, e Dio sa quanto ansiosamente lʼattendeva; ti seguii col
pensiero durante il viaggio, ti accompagnai a casa tua ove credetti
che appena giunto tu mi avresti subito scritto. Ma non fu così, perchè
il domani tanto desiderato mi portò nessuna novella. Nelle ore che
per solito mi giungono le lettere, io era tutta sconvolta, ed appena
sentiva suonare alla porta, correva io stessa ad aprire... ma nulla,
nulla affatto!—Quando mi pervenne finalmente la tua carissima lettera,
poco mancò che non venissi meno per la gioia.

«Perchè non sei tu qui, mio Ermanno per comprendere ciò che non so
dirti con parole!.... Perchè non sei qui vicino a me a vedere le mie
lagrime che sono emanazioni di pensieri che non posso esprimere, ma
che sento nascere dal cuore ed attraversarmi la mente come lampi di
fuoco.—Ah! è vero pur troppo che io sono una bambina, se non so
tradurre su questa carta una sola di quelle emozioni che si agitano
nellʼanima mia per farti credere che per tutta la vita io non potrò mai
altro che amarti, e sempre amarti.

«Che io non le senta più quelle tue parole di desolazione che mi
straziano; se tu sapessi quanto male esse mi fanno, ne saresti assai
più avaro.—Deh! fa che non sia troppo lontano il giorno in cui noi
ci rivedremo: ricordati che la tua Laura ti aspetta ansiosamente per
piangere sul tuo seno e dirti con quelle lagrime tutto lʼamore che ti
porta.

«Vieni, vieni presto

LAURA».

ERMANNO A PAOLO.

26 Luglio

«Mio caro, io debbo prima di tutto ringraziarti per i tuoi buoni
consigli che vorrei poter accettare se entrassero nel mio modo di
vedere.—I tuoi sforzi però, ottimo amico, sono come quelli del
medico che cerca di combattere un male sconosciuto. Ciò nonpertanto
non deve scemare a me la riconoscenza; ora però sono in condizione
da abbisognare più dellʼopera tua che deʼ tuoi consigli. Ti prego di
ringraziare Laura per la sua carissima lettera, e dille che le sue
parole mi fecero un gran bene.

«Il conte S.... uno deʼ miei più affezionati protettori, vuole ad ogni
costo che mi ritiri per qualche tempo nella sua villa onde lavorare
attorno alla Messa Funebre.—Ciò mi torna molto giovevole, perchè come
sai in campagna si è assai più concentrati; mia madre verrà con me, e
ci fermeremo colà finchè avrò terminato il mio lavoro.

«Esitai molto prima di accettare, ma il conte mi sollecitò con
tanta premura, che infine dovetti accondiscendere.—Tu conosci quel
bravʼuomo, e sai quanto mi ami, lʼinteresse e le cure che ei si prende
a mio riguardo sono tali che per quanto io faccia, non potrò mai
sdebitarmene.—Partirò dopo domani, e ti prego di notificarlo a Laura.
Dimmi pure quandʼè che la famiglia Ramati lascierà Milano per recarsi
in villa, e mandamene lʼindirizzo affinchè io possa sapere ove dirigere
le mie lettere.

«Attendo sempre quel ritratto.—Ti scriverò poi più a lungo; per ora
una stretta di mano, e credimi tuo

ERMANNO».

ERMANNO A LAURA.

 12 Agosto

«Sono le quattro del mattino.—Il cielo è serenissimo, azzurro
e limpido come immenso oceano, e dalla finestra ove ti scrivo
abbraccio collo sguardo il grandioso panorama di uno dei più ridevoli
paesaggi.—Dallʼalto di questo colle sulla cui vetta sorge la villa
che mi ospita, vedo sotto di me un lago tranquillo che giace fra i
colli verdeggianti, terso e trasparente come puro cristallo, increspato
appena dalla brezza mattutina.—Spingendo più oltre lo sguardo, veggo
spiegarsi una bella corona di graziose colline fresche e ridenti,
popolate di case e paeselli che spiccano come rose sopra un tappeto
verde e cupo. Più in là chiudono lʼorizzonte le cime delle Alpi
illuminate con tinte dʼoro dal nascente sole, e fra quei dirupi io
discerno ancora qualche striscia di neve che perdura ostinata malgrado
i calori della stagione. Al di là del lago sorpassando i colli ed i
monti ritrovo gli estremi lembi del cielo sfumati a mille colori che si
perdono nella nebbia dellʼinfinito.

«Rivolgendo lo sguardo ad occidente, vedo un caos interminato di
pianure e colli che si alternano bizzarramente, confondendosi in
lontananza collʼorizzonte; il sole che sʼinnalza lentamente, spande i
suoi raggi luminosi su quella striscia di terra, che irrorata dalle
rugiade della notte, si presenta come unʼimmenso piano lucente di mille
colori a guisa di un vasto campo di perle.

«Le gemme della natura, sono ben più modeste e più belle di quelle che
sortono lavorate dalle officine; bastano un raggio di sole ed una
goccia dʼacqua per formare i più brillanti rubini.

«Oltre al limite che lʼimperfezione dello sguardo non può varcare,
oltre alle sfumature dellʼorizzonte, havvi una terra benedetta come
questa dal sorriso della natura; dessa è la Brianza, ed io senza
poterla scorgere mi figuro di vederla segnata nei confini del cielo
come un punto quasi impercettibile, mi figuro che appena al di là di
quel velo sottile ed impenetrabile che mi sbarra la via dello sguardo,
debba trovarsi quellʼEden delizioso che non ha nulla da invidiare
a tutto quanto mi sta innanzi.—A quel punto immaginario, sono
costantemente rivolti i miei sguardi, se potessi raggiungerlo lo farei
con tutta lʼanima; ma pur troppo malgrado i miei ardenti desiderii,
quel punto vagheggiato, serba la sua desolante distanza.

«Io non so se tu mia Laura mi abbia già compreso. Non è la Brianza
per sè stessa che mi attiri tanto ardentemente, ma sei tu fanciulla
mia, tu mia Laura che soggiorni in cotesti luoghi; tu che io cerco col
pensiero fra i ridenti colli e le balsamiche aurette.—Ti cerco in quel
punto lontano che brilla come un faro luminoso.... La tratta non è
lunga, io penso che una rondinella, un passero, una mosca potrebbero in
brevʼora trasvolare su quel tratto di spazio che mi allontana da te, e
raggiungerti; ed io che agisco sotto lʼimpulso di unʼintelligenza, io
che ho il coraggio di concepire i più strani desideri, non ho la forza
di conseguirne un solo.

«Egli è ben meschina creatura lʼuomo! Fu detto che volere è potere, ma
se ciò fosse, a questʼora non sarei qui ma in Brianza nel tuo colle,
nel tuo giardino, aʼ tuoi piedi per dirti che ti amo tanto!.... Ma
ohimè pur troppo quellʼardito aforisma chiude nel suo concetto unʼidea
inconseguibile, ed altro non posso che mandarti un saluto da lungi.

«Da quindici giorni, mi trovo qui fra queste allegre collinette con un
cielo calmo e delizioso, unʼaura soave come carezza di piuma; e sento
che il mio spirito abbattuto si rialza, che lʼanima mia penetrata dallo
sconforto, riprende la via di una fede sublime.

«Tutto qui è placido, affettuoso, tutto ha lʼimpronta di un ingenuo
sorriso, tutto sembra armonico, ed il sibilo dellʼaria che striscia
fra i fogliami dei vigneti, racchiude in sè le modulazioni di un
canto pastorale che mi commuove le più recondite fibre del cuore. In
questi pochi giorni ho tanto bene dimenticato il mondo, che mi ricordo
solamente di quelli che amo.

«Io non so dirti, mia Laura, quale soave mestizia trasfonda in me
questo patetico soggiorno, ma egli è certo che qui mi trovo cambiato,
e solo fra il riposo di una sì placida esistenza posso concepire una
felicità possibile allʼuomo che sa contentarsi delle scarse gioie che
presenta la vita.

«Oh quante belle speranze mi si ridestano in seno fra le mollezze di
questa dolce solitudine, quanti bei sogni!.... Ma non senza dolore mi
accorgo che anchʼessi sono baleni di luce artificiale che spariranno
colla mia partenza da questi luoghi.—Ho lavorato molto, ma più di
tutto ho pensato a te mia bella Laura, alle gioie del nostro amore,
e stamane non seppi resistere al desiderio di mandarti un saluto
dallʼalto di questi colli.

«Addio dunque, fanciulla mia, in queste parole si comprendono
unʼinfinità di dolcezze che io stesso non so dirti. Addio, possa
questo mio saluto trascorrendo il tratto di cielo che mi separa da te,
giungerti nellʼistante del tuo risveglio, sicchè il primo pensiero ed
il primo sospiro che ti partono dal cuore siano per il tuo

ERMANNO».

ERMANNO A LAURA.

18 Agosto

«Grazie, mille volte grazie, la tua cara lettera fece completa la
mia felicità; io non so dirti quante volte lʼabbia letta e riletta,
ed ancora mentre ti scrivo, tengo spiegato innanzi a me quel piccolo
foglio di carta, che mi fece tanto bene.—Le rugiade della sera, il
sole del mattino non sono sì benefichi al fiore come lo furono per
lʼanima mia le tue dolci espressioni che mi rimasero impresse nella
mente a caratteri indelebili.—Dunque mia cara Laura, tu pensi sempre
al tuo povero Ermanno? tu mi ami sempre come prima, e lascia che
prostrato a te dinnanzi, angelo mio, io te ne renda grazie, lasciami
dire che le tue care parole operarono in me la più santa delle
rigenerazioni.

«Oh! io non so descrivere la mia felicità, ma tu devi comprenderla; fra
i nostri cuori esiste una tal relazione, per cui si svela ogni mistero
dei nostri affetti, direi quasi che tutto ciò che mi hai scritto, io
lʼho già ascoltato altre volte dal tuo labbro. Dove.... quando? Non lo
so.—Forse i nostri pensieri sprigionandosi dallʼangusta cerchia in
cui sono costretti, per librarsi ai voli dellʼinfinito, si incontrano
talora per via, si confondono scambiandosi il loro secreto. Le tue idee
sono allora le mie, ed unificati mercè di questa corrente misteriosa,
ci parliamo spesso quel linguaggio che va diritto al cuore, agitandolo
dolcemente.

«Tutto ciò è follia mʼavveggo, le mie parole sanno di eccessivo
romanticismo, ma io non ho nessuna colpa, o mia Laura, se tutte le
volte che penso a te, mʼinebbria un profumo tale di poesia, che mi trae
fuori della realtà.—Io non ho nessuna colpa, se ovunque nel cielo, nel
lago, nei colli, nei fiori, ed in tutta natura veggo la mia Laura.

«Spesso mʼassale una vaga inquietudine, una stanchezza morale che mi
opprime e sconforta; anche la natura nel suo grandioso assieme, inspira
talora la malinconia più desolante.—Nel contemplare questʼimmenso
tratto di colli, valli, e pianure che si spiegano agli occhi miei,
penso fra me stesso che questo soggiorno può essere un cielo di
delizie per coloro ai quali arride la felicità; alla vista di tanta
maravigliosa creazione assorta nel riposo, vergine da ogni corruttela
del mondo, il cuore si dilata, e pregusta le gioie di una fortunata
calma.

«Io pure cerco dʼinebbriarmi nellʼabbracciare avidamente questo immenso
giardino che perdesi lontanamente in un roseo orizzonte, mi trasporto
col pensiero su pei ciglioni delle Alpi, ed allorchè il giorno sta
sul cadere, allorchè la natura, tutta sʼimbruna dei morenti colori
del tramonto, e la brezza vespertina mi aleggia in viso, fissando
lo sguardo sul tranquillo specchio del lago solcato in lontananza
da una barca che si discerne appena per un punto nero ed una lunga
striscia sullʼonda, mi figuro che quella navicella sia lʼimagine
della speranza.—Costringo lʼocchio a seguirla finchè il punto nero
rimpicciolendosi sempre più perdesi in una vaga sfumatura, e quando
tutto è scomparso, me ne resto immobile, fisso a quella volta.—Le
tenebre della notte, celano il punto delle mie illusioni, e sospirando
ritraggo lo sguardo.

«Tal è la vita mia buona Laura.—Una memoria, una speranza e
un punto.—Jeri nel silenzio della notte allorchè tutto era
tranquillamente sepolto nelle tenebre, mi affacciai alla finestra;
il cielo era bruno e tempestato di stelle, la luna era nel suo primo
quarto, e già tendeva a celarsi, dietro le Alpi. Ecco unʼaltra
immagine della fugacità della vita, pensai fra me, e fissando lo
sguardo su quellʼarco lucente e sottile come lama di pugnale, stetti
contemplandolo finchè lo vidi scomparire, e quando lʼestrema punta fece
capolino dalla vetta del monte, la salutai sospirando!—Non vi rimase
che unʼaureola di luce biancastra, che lentamente andava dileguandosi;
indi a poco, più nulla, oscurità completa....

«La notte regnava tranquilla, il lugubre silenzio, era rotto solamente
dai monotoni strilli delle cicale; queste allegre colline verdi
e fiorite apparivano come unʼammasso di ombre cupe, ed il lago
riflettendo i pochi raggi luminosi sparsi nellʼaria, sembrava simile
a vasta palude, ornata dʼuna corona di tenebre.—Oh quante volte
cercai nello straziante spettacolo della notte per trovarvi il secreto
dellʼesistenza! La natura muore tutti i giorni, lʼestremo saluto del
sole che si spegne, non precede di molto il sorriso del sole che
rinasce, ma lʼuomo non gode di questʼalternativa regolare di luce e
tenebre; pur troppo nella vita, al dolore sussegue spesso lo sconforto,
allo sconforto la desolazione, senza che mai lʼalba di una speranza,
apparisca anco da lontano!.... Ma io vaneggio, e tu mia Laura, puoi con
tutte le ragioni, tacciarmi di oscuro ed ipocondriaco. Tu sei appena
sullʼaurora della vita, ed io crudele cerco di sconfortarti colla
pittura del tramonto.

«Perdonami sai fanciulla mia, perdona a questo povero pazzo che si
trascina per un mare di deliri. È tanto strano ciò che succede in me da
rendermi incerto sulla realtà del mio stato. Parmi di esser felice,
e di non esserlo, nè so spiegare come ciò avvenga; ma già la colpa è
tutta tua se questo cervello si esalta.

«Le ombre della sera che si avanzano, mʼimpediscono di più oltre
estendermi; ho promesso meco stesso di dirti tuttociò che mi passerebbe
per la mente prima che sopraggiungesse la notte, ed ecco adempita la
mia promessa; ci vedo appena, e non mi rimane che il tempo di farti un
saluto.

«Addio, mia Laura, scrivimi presto, dimmi tante cose, ma sopratutto
ripetimi che mi ami. Il pianoforte è a pochi passi da me.... vado a
mandarti un saluto melodico suonando quel _Notturno_ che ti piace tanto
«_Al chiaro di luna_».

«Addio, adorata

ERMANNO».

LAURA AD ERMANNO.

29 Agosto.

«Mancando da alcuni giorni di tue novelle, io era assai inquieta,
tanto più che non ebbi ancora risposta allʼultima lettera che ti
scrissi. Questo ritardo straordinario mi sorprese non poco, giacchè se
è vero che tu ricevi con gioia le mie lettere, le tue io le attendo
ansiosamente, e non so darmi pace allorchè vengono deluse le mie
aspettazioni.

«Jeri il signor Paolo mi scrisse da Milano, dicendomi che tu sei
ammalato. Ed è vero mio Ermanno? Pur troppo così devʼessere, perchè
diversamente come potresti lasciar correre tanto tempo senza mandare
una lettera alla tua Laura che aspetta sempre.—Povero amico, povero
Ermanno!.... e dire che io fui tanto ingiusta da dubitare unʼistante
che tu mi avessi dimenticata.—Oh! perdonami sai, non era la tua Laura
che pensava così, no, il mio cuore era troppo sicuro; fu una stranezza
crudele della mente.

«Pensai molto sulle cause che potevano trattenerti dallo scrivermi, ma
infine non ne trovai una plausibile sembrandomi che non vi possa essere
giustificazione alcuna per tale dimenticanza. Sapeva che hai molto
lavoro, cercai di persuadermi che le occupazioni ti togliessero il
tempo di scrivermi, ma che vuoi? Sono tanto egoista da non voler cedere
davanti a qualunque ostacolo.

«Vedi come si corre nel pensar male! Mentre io mʼinsospettiva, tu mio
povero Ermanno eri malato e sofferente.—Mio Dio questʼidea mi dà
rimorso; lʼhai detto tante volte che sono una bambina, e finisco col
persuadermene.

«Frattanto tu mio buon amico, sei oppresso dal male; il signor Paolo,
mi disse non esser cosa tanto seria, ed aggiunse che tu stavi meglio,
ma io non ci credo, potrebbe essere una pietosa bugia, e non presterò
fede al tuo miglioramento, finchè tu stesso non ne darai prova
scrivendomi appena ti sarà possibile.

«Jeri lʼaltro la signora Salviani venne a farci visita accompagnata
da un giovinotto milanese suo cugino; le prime parole di quella buona
signora, furono per te; ella ti aspetta sempre.—Domani andremo con
papà alla sua villa che dista pochi passi dalla nostra; mi fermerò
fino a sera, e ciò mi fa lieta perchè almeno potrò parlare di te con
qualcuno che ti conosce.—Quanto sarei felice, se al mio ritorno
trovassi una tua lettera! oso appena sperarla, e tu mio Ermanno fa di
non tardarmi troppo questa gioia.

«Povero amico, è ben crudele il nostro destino! Nel dolore della
lontananza eraci non lieve conforto lo scambio di lettere, ed ecco
che subito la fatalità ci perseguita, e ti fa cadere ammalato. È una
barbarie.—Intanto, finchè tu non sia guarito, ti scriverò tutti i
giorni; sono certa che ciò ti farà piacere, perchè ogni mattina,
svegliandoti, tu troverai una mia lettera al tuo capezzale che ti
porterà il primo saluto.

«Così potessi venir io a surrogare la tua povera mamma! Con quanto
amore ti assisterei vegliando le notti, e prestandoti tutte quelle
cure che io sola saprei immaginare. Stamane iʼ era in giardino con
questʼidea per la mente, e parevami di vederti nella tua camera più
pallido dellʼusato; io era al tuo fianco, ti parlava del nostro amore
e di tutte quelle cose che tu solo sai comprendere; tu mi guardavi
sorridendo, stendendomi spesso la mano come per ringraziarmi... Oh!
sono certa che tu a questo modo, guariresti presto, perchè tanto farei,
tanto pregherei la Santa Vergine, che infine tu saresti salvo.—Ma
ohimè, ciò non è possibile, ed io debbo starmene lontana da te che amo
tanto, e che soffri forse per causa mia; questo pensiero mi eccita al
pianto; perchè mio buon Ermanno, io sento che per quanto faccia, non
riuscirò mai a renderti felice!

«Sopportiamo, o caro, lʼamarezza del nostro destino; non può essere
che il nostro amore debba recarci per unico frutto una lunga serie
di dolori.... Chissà, un presentimento secreto, mi dice che un
giorno forse, saremo felici.—Spera, mio buon Ermanno, spera con me
nellʼavvenire; esso è incerto, ma non potrà essere ingiusto.

«Il signor Paolo, mi scrisse che fra pochi giorni verrebbe a trovarci;
se tu fossi allora guarito, sono certa che non mancheresti di venire;
la sarebbe pure una grande fortuna!

«Jeri ho detto per te una grossa bugia, della quale spero non ne terrà
calcolo il cielo. La mamma mi vide al collo la tua medaglietta: chi te
lʼha data, mi chiese—io era davanti allo specchio, e mi vidi venir
rossa per la confusione, perchè fui colta troppo di sorpresa. Non mi
passava in mente neanche il nome di una qualche amica; infine mormorai:
Letizia, ma colla timidezza di chi è persuaso di non essere creduto.

«Il cuore mi batteva tanto forte da togliermi financo il respiro; e
perchè poi? Se anche avessi detto alla mamma che quella medaglia era
una tua memoria, sono certa che non le avrei fatto dispiacere, ed in
confidenza, credo che ella sospetti alcunchè del nostro amore.—Non me
ne tenne mai parola, ma io indovino tanto bene dal suo volto ciò che le
passa nellʼanimo, che giurerei di non errare.

«Ti assicuro, mio Ermanno, che non mi preoccuperei per niente, se il
nostro secreto venisse scoperto; il tuo amore mʼinfonde tanto coraggio,
che mi sento orgogliosa di possederlo, e colla massima compiacenza
volgendo uno sguardo alla turba dei giovinotti eleganti, non ne trovo
uno che sʼuguagli menomamente a te....

«Ma io parlo, parlo e forse troppo, perchè tu avrai bisogno di
calma.... Oh la cattiva ciarliera che io sono! Per dirti tutte queste
fanciullaggini, scordava quasi il tuo male, e comincio a credere che se
fossi al tuo capezzale ti sarei poco giovevole. Compatiscimi mio caro,
e procura di guarir presto.—Ricordati che io conterò i giorni, lʼore,
i minuti sempre anelando ad una tua parola apportatrice di buone nuove,
e che non avrò più pace finchè non mi verrà una tua lettera.

«Addio, a domani.

LAURA».

PAOLO AD ERMANNO.

10 Settembre.

«Da due giorni mi trovo qui alla villa Ramati, ove appena giunto mi
colmò di gioia la notizia che mi diede Laura della tua guarigione. Ti
assicuro che ero assai inquieto per la mancanza di tue lettere, e se
Laura non avesse saputo qualche cosa del tuo stato, non avrei indugiato
a venirti a trovare. Fortunatamente ciò non è necessario, e ne sia lode
al cielo; ora sapendomi qui non ti costerà gran fatica lʼindovinare lo
scopo di questa mia lettera, della quale prima di tutto, dichiaro che
intendo essere assolto.

«Se ti scrivo, non è tutto per mio volere, giacchè in questi giorni
passai sotto gli ordini di madamigella Laura che mi comanda di
rivolgerti la parola, mettendomi a forza la penna fra le dita.

«Laura adunque mi ordina di dirti, che noi siamo felicissimi per la
tua guarigione, e ne rendiamo grazie al Signore; ma siccome tu hai
la smania di occuparti di soverchio e facilitare così una ripresa al
male, noi ti preghiamo, e se fa duopo ti comandiamo di dar passo per
ora agli impegni, e goderti la convalescenza. Per ciò, al solo scopo
di prevenire i funesti effetti di una ricaduta, ti dichiariamo che sei
atteso qui senza fallo entro domani, od al più tardi per il giorno dopo.

«Questʼordine è scritto sotto gli occhi di Laura che in questo punto
mi dice averti già ella tenuto parola in proposito, perciò credo che
non ti farai di troppo desiderare, e.... volerai ad appagare le nostre
brame.—È inutile che io ti aggiunga preghiere dopo quanto ti avrà
scritto questo angioletto che mi sta alle spalle sorridendo ad ogni
parola che mi sfugge dalla penna.—Ho meco la copia di quel certo
ritratto, e ti giuro che se non vieni tu stesso a prenderla, perderai
sovrʼessa ogni diritto.

«A me parrebbe di averti detto tutto, ma il consigliere che mi sta
ai fianchi, non la pensa così, e mi ordina di scrivere sotto il suo
dettato.

«Ecco: la mamma ed il papà Ramati ti pregano per mezzo mio di
ricordarti della tua promessa. La signora Salviani ti desidera, io ti
aspetto, ma Laura ti vuole. Ella ha sognato la notte scorsa che tu le
dicesti di venir domani, epperciò ti previene che allʼora dellʼarrivo
della vettura ella sarà sul terrazzo a spiare sulla strada, e che se tu
non verrai sfogherà il suo rancore collo scrivente, il quale perciò ti
supplica di salvarlo da tanto periglio.....

«Qui tace la delicata vocina della mia direttrice, e qui faccio punto
anchʼio perchè dopo tanto, non mi resta più nulla a dirti.—Addio.

PAOLO».



XVI


Ermanno si arrese alle preghiere di Laura e dellʼamico; sua madre
stessa lo consigliò a divagarsi alquanto per rompere le fatiche di una
soverchia occupazione.—La buona donna tremava per i giorni del figlio
minacciato dal ritorno del morbo che lo aveva assalito alcuni anni
prima.

Il lungo studio e lʼeccessiva applicazione avevano più contribuito a
conservare che a distruggere le traccie della malattia, e diffatti fin
dalla sua prima guarigione, Ermanno non aveva più ritrovata quella
salute che è una specialità della gioventù; un qualche rimasuglio del
male vi era sempre; e ciò spiega il perchè del suo costante pallore e
dellʼirritabilità di carattere tanto facile allo scoraggiamento.

Ricevuta appena la lettera di Paolo Ermanno partì, e giunse nella
stessa sera alla villa Ramati.—Passò colà diciassette giorni, i quali
furono certo i più belli che mai egli avesse trascorsi; e la lettera
che ei ne scrisse a Laura al ritorno, riflette ancora un raggio di
quella felicità che forse si gusta una sola volta in vita.—Noi la
trascriviamo tutta intera, perchè essa rivela il punto più elevato di
quellʼaffetto nobile e grande.

«Laura mia

30 Settembre

Ho giurato varie volte meco stesso di non più prestar fede alle
promesse del bene, e mal mio grado debbo ora fare ampia ritrattazione
della mia incredulità.—Nellʼincertezza delle mie idee, nella
desolazione di tutto me stesso, io era giunto a tanto da dubitare se la
luce del sole fosse luce vera; e tu mia Laura colla tua bontà, col tuo
candore diradasti le nebbie del più sconfortante pessimismo.

«È vero sì che la missione degli angioli sulla terra è la redenzione
dei miseri mortali, perchè tu fanciulla mia, angiolo di dolcezza hai
salvo il mio spirito dal brutale abbattimento che lo minacciava. È vero
che il bene è cosa di questo mondo, perchè esso si concretizza in te;
nella tua graziosa persona si chiude quella misteriosa potenza che io
voleva negare.—Il bello, il buono, il sublime esistono perchè tu vivi
mia Laura, ed il mondo che ricetta nel suo seno una schiera dʼanime
elette come la tua, non può essere ovunque un ammasso di sventure.—

«Oh! giovinetta, tu che operasti il santo miracolo della rigenerazione
di unʼanima inferma, esulta meco della vittoria, e ringrazia quel Dio
che ti mandò dal cielo, chè la tua missione ebbe lʼesito più felice.

«Laura, mia Laura, ed è vero che io possa scriverla questa parola?
Sono felice!.... Non mʼilludo io forse nel concepire una simile idea,
non sogno?.... Dimmelo tu, perchè ciò che succede in me è tanto nuovo
da rendermi incerto sulla realtà di quello che provo.—Felicità.....
quella stella lontana che brillava come un punto quasi impercettibile,
lʼavrò io raggiunta? Come ho attraversato quellʼimmenso spazio di
aria, e di tenebre che me la tenevano lungi?.... Non lo so; ma è certo,
che cercando attorno a me non trovo più nulla dʼinvidiabile, più nulla
da desiderare.....

«Laura, tu farai la più santa delle cose scrivendomi subito, che tutto
ciò che provo, tutto il fuoco del cuore, lʼesaltamento che mʼinvade,
è realtà. Ho bisogno di una tua lettera nella quale tu mi dica che il
passato non è un sogno, che ti ho veduta per diciassette giorni.....
Oh i bei giorni! io voglio ripensarli, voglio riandare colla mente
ad ogni ora ad ogni istante di essi, perchè la mia felicità si fonda
intieramente su quelle dolci memorie.—Mi ricordo che al mio arrivo,
tu eri ad aspettarmi là sulla porta del tuo giardino; appena mi
riconoscesti da lontano, agitasti il fazzoletto, tu mi attendevi ed io
sarei volato per raggiungerti tosto; ma questo meschino cuore, si agitò
siffattamente, che dovetti fermarmi per lʼaffanno.—Era verso sera, lo
ricordi?.... io saliva lʼerto pendio che guida alla tua villa..... il
sole salutava coʼ suoi ultimi raggi le cime di quei graziosi colli. Tu
stavi appoggiata ad un grosso albero e sorridevi malinconicamente.

«Chi mi sa dire la gioia, la voluttà di quel momento? Già pochi passi
ne separavano, ed io correva leggiero come se avessi avuto lʼali. Un
passo ancora, due, tre, e ti accolsi fra le mie braccia.—Ricordati
Laura di quellʼistante e di quelle lagrime che ci toglievano la parola;
ricordati di quel bacio strappato ai nostri labbri da una forza
superiore ad ogni reticenza.—Quel bacio esalato dallʼalto del colle al
cospetto del morente sole fra unʼaria balsamica, ed un cielo orientale,
non si perdette no nei vortici dello spazio, perchè io lo sento ancora
qui sulle mie labbra, e si ripete tuttavia nel cuore.

«Adorata creatura, leggiadra come visione celeste, superiore ad ogni
concetto che mente umana possa formarsi della bellezza, lascia che qui
dalla mia solitudine, col più santo entusiasmo ti dica che fra le tue
braccia ritrovai lʼobblio a tutti i mali dal passato, il conforto per
quelli dellʼavvenire.

«Non è vero no che lʼuomo sia tutto di materia, non è vero che le
sue gioie come i suoi dolori abbiano un limite ristretto a questo
meschino pianeta che è la terra; ci sono dei momenti in cui lo spirito
umano esce dagli stretti confini del noto, ed erra nellʼimmensità
dellʼignoto, ne sente il mistero senza comprenderlo; ma in
quellʼistante qualche cosa di più che non una macchina di carne, agisce
e pensa.—Quel fremito misterioso non è più unʼemozione meccanica, ma
la luce di una scintilla divina.....

«La memoria di quel giorno mi seguirà lo sento, fino allʼestremo di mia
vita, ed è perciò che non cesserò mai di benedirti ed amarti.—Te lo
giuro col cuore commosso, o Laura, io spero nellʼamor tuo, credo alla
tua fede perchè in quel momento di abbandono soave, mi apparisti qual
sei, unʼangelo del paradiso.

«Non ripeterò nè le gioie della mia dimora costì, nè il dolore della
nostra separazione; cʼè da venir pazzo ripensando a tutto ciò; una
sola cosa ti dico che ti farà gran piacere, ed è che sebben lontana,
mi sembra dʼaverti qui presso di me nei momenti appunto che abbisogno
della tua immagine. Io posseggo un secreto, mercè cui posso riprodurre
lʼespressione tenera del tuo sguardo.

«Il tramonto coʼ suoi raggi dʼoro, è pur sublime! Tutta natura si
pinge di quei colori morbidi vellutati che i pittori chiamano tinte
calde; e tiepide invero esse sembrano, tiepide e voluttuose come il
bacio di una donna amata. Al di là dei colli il cielo sʼincolora degli
estremi raggi solari che riflette come specchio, e la natura si chiude
in un sorriso mesto, malinconico, ineffabile, che ha solo riscontro
nel sorriso di una vergine adorata.—Sì mia Laura, io osservai che
quellʼinsieme armonioso e delicato del tramonto, riassume uno deʼ tuoi
sguardi, epperciò non lascierò passar sera senza contemplare quel
cielo che ti rassomiglia, e cercare nel suo sorriso il secreto del tuo
sguardo.

«Dopo alcuni giorni di beatitudine mi fu forza lasciarti, ma portai
meco un tesoro di ricordi, una ciocca deʼ tuoi capelli, ed il tuo
ritratto.—Il genio del nostro Paolo ha trasfusa su quella tela tutta
lʼanima tua, ti colse in tutto il fascino della tua bellezza, e più
guardo quel dipinto, più parmi di vederti viva a me dinnanzi.

«La pittura è uno dei più gran segreti del genio; il poeta più elegante
ed immaginoso, potrebbe pur cercare nella sua fantasia e stillare
lʼanima neʼ suoi versi, nè perciò riuscirà mai ad animare di tanta
realtà un ritratto.

«La musica colla vaga elasticità deʼ suoi concetti, è lontanissima
da unʼidea definita; ma il pittore fonda lʼarte sua sulle basi
incrollabili del vero, ed opera il gran prodigio di riprodurre in tutte
le parti più dettagliate la natura, carpirne il segreto e dare agli
oggetti quella vitalità che sarà sempre un mistero per la parola.

«Non farò elogi al modello, sarebbe vano quanto voler dire la bellezza
dʼun fiore.... lo si guarda sorridendo in silenzio, lasciando che il
cuore lo esalti con palpiti dʼammirazione.

«Ciò che più di tutto mi desta sorpresa si è che nel tuo sguardo,
o Laura, trovo unʼespressione di serietà che rivela un sensibile
mutamento di carattere e di pensiero; parmi che queglʼocchi non siano
più quali li mirai per la prima volta in Brescia. Non sparger lagrime
sul dileguarsi delle tuo giovanili fantasticherie, non sospirare dietro
lʼabbandono di certe gioie troppo puerili, giacchè la tua intelligenza
che si sviluppa, tʼinsegnerà altre gioie a cui il cuore non sarà più
estraneo.

«Io saluto con tutta lʼanima la malinconia del tuo sguardo.—Via
quellʼeterno sorriso ingenuo, che rivela una completa ignoranza della
vita: la mestizia dello sguardo è un sorriso del cuore, e gli angeli
sono rappresentati dai grandi artisti in atteggiamento malinconico.

«Benedetta le mille volte lʼaura dei tristi pensieri che cancella dalle
vergini fronti lʼingenuità di fanciulla per lasciarvi lʼespressione
della donna. Io guardo i tuoi occhi così ben disegnati, la mossa
graziosa della cara testolina, le linee purissime della tua fronte,
e trovo ovunque un senso di poesia che non so esprimere, ma di cui
assaporo tutta la voluttà.

«Ieri verso sera volli regalarmi una passeggiata in barca; lʼaria era
fresca, il cielo sereno; tutto invitava a quella gita.—Quando fui
nel bel mezzo del lago, mi colpì uno spettacolo veramente patetico.
Sorgeva la luna, ma il cielo era ancor tinto di un roseo incerto per i
riflessi crepuscolari.—Vedendo la faccia pallida dellʼastro notturno,
mi sovvenni che nella sera precedente lʼavevamo contemplata insieme dal
tuo terrazzo; lo rammenti? Concentrato in quella memoria, mi parve di
essere trasportato nel tuo giardino, a te dʼaccanto....

«Queste sono illusioni, è vero; ma la vita non è forse per sè stessa
una lunga fila dʼillusioni? Chi lo sa; chi potrebbe giurare che sia
reale tutto ciò che si vede e sente?

«Quando rinvenni dalla mia contemplazione, mi accorsi che lʼaria
era troppo umida, e mi affrettai verso casa, non prima però di aver
affidato un saluto per te, alla brezza che mi sfiorava il viso.—Erano
le otto.... Che facevi tu a quellʼora? Termino questa lettera,
altrimenti chissà dove mi fermerei.—Ho molto lavoro da compiere, e
sarò costretto a vegliare per alcune notti.

«Addio mia bella, mia buona Laura. Scrivimi, scrivimi presto e
sopratutto non dimenticarti mai del tuo povero amico.—Nelle delizie
del tuo soggiorno fra il bacio delle molli aurette, ed il sorriso di un
cielo sempre sereno, ricordati sempre di me.

«Nelle tue gioie, nei tuoi divertimenti, abbi ognora un pensiero per il
tuo

ERMANNO».

LAURA AD ERMANNO. 7 Ottobre.

«Hai tu pensato mai, mio buon amico ai primi giorni del nostro amore?
non ti ricorrono talvolta alla mente i nostri primi colloquii?—Ieri
mentre stava leggendo la tua lettera, si ridestarono dʼun tratto
nellʼanimo mio le memorie del passato, e provai una vera gioia
richiamandomi tutti i particolari del nostro primo incontro a Brescia
in casa della cugina Letizia.—Quante dolci rimembranze, quante care
memorie! Cercai tosto la tua prima lettera, la lessi attentamente, e
da quellʼesame del passato mi accorsi di quanto il nostro amore siasi
ingrandito.—Provati, mio Ermanno, provati a risollevare nel tuo seno
quelle rimembranze, e vedrai se io fallo.

«Appena pochi mesi trascorsero, dʼallora in poi, eppure parmi che
in quel frattempo siano accaduti dei grandi avvenimenti; non so
persuadermi di conoscerti sì da poco, e sembrami che la memoria di te,
si leghi alla mia infanzia; parmi che il corso dʼanni ed anni, abbia
assodati quei legami che ci uniscono.

«Non so dirti quanto bene mi abbia arrecato la tua lettera; giacchè
dessa è la prima in cui tu lasci libero corso al tuo cuore, senza
offuscarne i concetti colle nubi della tua barbara logica; è la
prima volta che tu mi parli con tanta fede, o dirò meglio con tanto
entusiasmo.

«Come sono belle le tue lettere! Non lascierei mai di leggerle; sono
tanto soavi, dolci armoniose le tue parole che mi sembra quasi di
udire la tua musica.—Oh! come invidio la tua sorte o Ermanno, tu puoi
esprimere tutto ciò che ti passa nellʼanimo colla massima facilità; non
vʼha idea che tu non colga a perfezione, e quando tu mi parli dei colli
del lago, del cielo, parmi di respirare in grembo a quella natura così
ben descritta, quando mi parli delle tue emozioni, sembrami di vederti
a me dinnanzi con quella cara mestizia impressa nello sguardo.

«Da alcuni giorni sono qui sola; Paolo è partito, nè valse preghiera a
trattenerlo; papà e mamma fecero il possibile per indurlo a fermarsi
ancora, ma tutto vano; egli fu inesorabile nella sua decisione, come tu
lo fosti nella tua.

«Ora la campagna mi è divenuta insopportabile, parmi di essere
isolata in un deserto, ed attendo ansiosamente che la mamma si
decida di ritornare a Milano. Non oso fartene domanda, perchè ti so
occupatissimo, ma parmi che sarei felicissima, ricevendo più spesso
tue lettere.

«Stamattina, per esempio quando vidi il nostro domestico con un fascio
di giornali e carte del papà, avrei giurato che vi era una tua lettera;
ma nossignore, fui disingannata, eravi una lettera, ma della cugina
Letizia. Stetti col broncio per più di unʼora, e non mi venne neanche
in mente di vedere ciò che mi scrivesse la cugina: ma poi tutto passò;
prima ho riflettuto che tu hai molto da fare; poi perchè toccava a me
il rispondere alla tua ultima.—In vista di tali circostanze ti ho
perdonato.

«Tu dunque mio Ermanno, sei felice, ed è vero.... non fu una pietosa
invenzione la tua? Sia ringraziato il cielo! tu credi finalmente
allʼamor mio, e questo è tutto ciò che desiderava, perchè mio caro, il
dubbio di non riuscire ad inspirar confidenza, diviene penoso per un
cuore che ama.... Ma io sono una gran ciarlona; creo castelli, fabbrico
progetti a mio piacimento, ed infine poi nulla ci rimane, e dobbiamo
tenere a gran ventura se ci vediamo parecchie volte durante unʼanno....
noi che ci amiamo tanto!

«Se io fossi agile come la rondinella che svolazza dʼintorno al mio
balcone, spiegherei tosto lʼali alla tua volta, ed invece di una
lettera, ti sorprenderei con una visita mentre stai seduto al piano
creando qualche cosa colle tue magiche dita.

«Ti ricordi di quella sera che ci recammo alla villa della signora
Salviani?.... Noi precedevamo gli altri tenendoci al braccio; tu
mi dicevi tante cose belle, tante parole dolci, ed io ti ascoltava
religiosamente, perchè quando tu parli mio Ermanno, preponderi su
tutti i miei sensi, e non so far altro che ascoltarti, ascoltarti
sorridendo.—In quella sera fosti pregato di suonare, ed io mi sedetti
subito al tuo fianco, mormorandoti parole di tenerezza fra gli accordi
della tua musica....

«Madama Salviani va pazza per quella Fantasia sullʼULTIMO
PENSIERO DI WEBER, ma a me restò più impressa la CAMPANA DEI
MORENTI. Oh! la bella musica, e con quale straziante effetto tu la
eseguisti! Io aveva voglia di piangere tanta era la commozione che mi
destava quel canto lúgubre e morente; e se fossimo stati soli, ti sarei
caduta nelle braccia per dirti che quella musica divina, mi strappava
lagrime dʼamore.

«Tu lasciasti un mondo di ricordi in questa nostra piccola
villa.—Entro spesso nella camera che era a te destinata, e ne
esco talora colle lagrime agli occhi, perchè parmi che colà tutti
gli oggetti piangano la tua assenza.—Trovai un volumetto che tu
dimenticasti, sono le poesie di Leopardi. Tengo nascosto quel prezioso
ricordo donatomi dal caso e lo leggo spesso perchè so che è il tuo
poeta prediletto.—Vi sono dei segni, ed uno specialmente sui versi:

  «O speranze, speranze; ameni inganni
  Della mia prima età! Sempre parlando
  Ritorno a voi; che per andar di tempo
  Per varïar dʼaffetti e di pensieri,
  Obliarvi non so!........»

E di quelle speranze che formano il mistero della vita mi pasco io
pure.—Spera amico mio, è questa una tale felicità che compensa tutti i
dolori.

«Tu che ora vedi il primo barlume della speranza, saluta con gioia la
sua luce apportatrice di tante dolcezze....

«Mi dici che in pochi mesi, cambiai dʼaspetto, che il mio sguardo è più
serio; ma non sei tu il primo a fare questo rimarco. La mamma già me
lo disse, e cento altri mi vanno ripetendo che io non sono più quella
di altre volte.—Tutto ciò lo devo a te mio Ermanno che facesti guerra
alle puerilità che mʼingombravano il cuore, e sono a te debitrice di
questo salutare sviluppo delle mie idee che sʼimpronta sul mio volto.

«Se tu non eri, io sarei ancora una bambina vanerella e senza pensieri;
tu mʼinsegnasti a pensare ad amare; colle tue parole, le tue lettere, e
la tua musica, mi empiesti lʼanima di novelli affetti, e vado a te sola
debitrice della prima educazione del mio cuore.

«La cugina Letizia, verrà fra qualche giorno collo zio a trovarci, ma a
quanto essa mi dice nella sua lettera, non si fermerà molto perchè si
accingono a fare un viaggio in Toscana. Per vero, andrei anchʼio molto
volentieri con essi, ma siccome mi preme assai più di ricevere le tue
lettere, ed aver sempre novelle di te, non mi lascierò certo indurre.

«Il più bel viaggio per me sarebbe quello di venirti a trovare; ma ciò
è tanto improbabile, che ti autorizzo di mettere questa mia idea nel
numero delle tante follie che ti avrò già scritto.

«E tu, mio buon amico, lavori sempre? Bada però di non affaticarti
troppo, sei debole e mal reggeresti ad una soverchia occupazione.
Pensa mio Ermanno, che se tu ricadessi ammalato, io vivrei in angoscia
mortale; pensa che la tua Laura ti comanda di conservarti per lei,
pensa che da quellʼegoista che sono non soffro rivali, e non voglio che
lʼarte usurpi quelle ore che debbono essere riserbate al nostro amore.—

«Ti proibisco dʼora innanzi di raccomandarti alla mia memoria.—È
questa una contraddizione a tutta quella fiducia che dicesti di avere
riposta nellʼamor mio.—Insegnamelo tu cattivo diffidente un mezzo per
dimenticarti unʼistante appena, giacchè io ti ho sempre nella memoria.

«Tu mi hai circondata della tua atmosfera, tu sei dappertutto, nel
cielo, nei fiori, nellʼaria chʼio respiro; tu sei entrato nelle mie più
piccole cose, e diventasti il padrone di tutte le mie azioni. Il tuo
linguaggio è sì dolce, il tuo modo di parlare e pensare si distacca
tanto dal comune che rappresenti per me unʼindividualità isolata e
grande fra la turba.—Tu infine colle tue parole, colle tue lettere,
colla tua musica hai ammaliato questo povero cuore che non potrà mai
altro che amarti ed ammirarti.

LAURA».



XVII


Ermanno rispose subito alla bella lettera di Laura, nè qui è caso
di trascrivere quel che ne disse, giacchè quella lettera, altro non
conteneva che le solite assicurazioni dʼamore, le solite frasi di
tenerezza. Solamente egli ringraziava la giovinetta per la prova
dʼaffetto che gli dava non partecipando al viaggio della cugina, onde
non interrompere la dolce corrispondenza, e le raccomandava di non
lasciarlo a lungo, senza sue novelle.—Ma sia dimenticanza, o che
altro, Laura non rispose a quella lettera.

Passarono così più giorni senza che Ermanno potesse darsi ragione
di quel silenzio tanto insolito; scrisse unʼaltra volta, ma collo
steso frutto, ed è facile immaginare quanta agitazione ed incertezza
tormentassero lʼanimo suo.

Finalmente, dopo venti giorni, ricevette il seguente biglietto:

 Caro Ermanno,

«Due righe in fretta per dirti, che questa sera parto colla cugina
Letizia alla volta di Firenze.—La mamma vuole ad ogni costo che io mi
divaghi alquanto, e debbo compiacerla.

«Ti scriverò da Bologna ove ci fermeremo qualche giorno.—Per ora
addio, amami sempre come ti ama la tua

LAURA».

Questa lettera dʼun laconismo straniante, parla molto per sè stessa
sulla fermezza di proposito della giovinetta, la quale abbenchè memore
della promessa fatta ad Ermanno, non seppe resistere al desiderio di
fare quel viaggio. Il pretesto che la madre ve lʼavesse quasi forzata
era troppo meschino, e tradiva il di lei imbarazzo nel trovare una
giustificazione ammissibile alla sua inconseguenza.

Il dolore di Ermanno nello scorrere quella lettera, fu grande, giacchè
egli era ben lungi dallʼattendersi un simil colpo. Troppo persuaso
dellʼamore di Laura, e sorpreso del di lei silenzio, aveva cercato in
cuor suo una scusa qualunque per distruggere i cattivi presentimenti
che gli sorgevano nellʼanima; egli supponeva pietosamente che un
qualche avvenimento, una malattia forse, facesse ostacolo aʼ suoi
desiderii; ma quando dopo un silenzio di tanti giorni gli giunse quella
lettera, dovette pur troppo lasciare libero passaggio ai funesti
pensieri che lo incalzavano.

Qui ci tocca il doloroso compito di ricaricare sullʼanima dello
sfortunato giovane il peso delle amarezze.—Ci duole doverlo dire, ma
da questo punto noi dobbiamo seguire Ermanno nella via del disinganno
più crudele—Egli non aveva puranco perduta ogni speranza, Laura
prometteva di scrivergli da Bologna, e forse si sarebbe giustificata;
ma attese invano.

Passarono più giorni, e niuna novella. Lʼinnamorata giovinetta aveva
forse perduta ogni memoria durante il viaggio.—

Non ci basta lʼanimo di narrare la tristezza di quei lunghi giorni di
aspettativa angosciosa. Il novembre toccava quasi al termine, ed in
tutto quel tempo Laura non aveva trovato modo di mandare un saluto al
suo sventurato amico.

La stagione non era più propizia per rimanere in campagna, dʼaltronde
Ermanno aveva già terminata la sua messa, giacchè nel dolore che
lʼopprimeva era per lui unico conforto quello dello studio.—Ritornò
colla madre a Brescia, ove appena giunto sʼebbe incontro con Alfredo
dal quale seppe che Laura si trovava in Milano già da dieci giorni.

Un simile procedere, eccedeva ogni limite. Ermanno aveva con tutti
gli sforzi trascinate le sue speranze di giorno in giorno, ma ormai
non eravi più dubbio; Laura non ricordavasi più di lui.—Per quanto
tentasse di calmarsi pensando che egli stesso aveva preveduto questo
miserabile scioglimento del silenzio, pure non sapeva darsi pace per la
rapidità con cui erano stati dimenticati gli eventi del passato.—

Per poco cuore che si abbia una donna, in simili casi tenta sempre di
giustificarsi; è la coscienza istessa che impone questʼammenda alla
fede vacillante; ma non curarsi assolutamente del passato, dimenticare
in un punto amore e promesse, è unʼatto barbaro, una violenza alle fini
cortesie che inspira nellʼanimo la memoria di una persona che si è
tanto amata.

Finalmente Ermanno mal reggendo allʼincertezza, e desideroso di avere
una spiegazione che lo togliesse da sì penosa esistenza, scrisse
allʼamico Paolo la lettera che segue:

Amico mio,

10 Dicembre.

«Le mie previsioni si sono troppo presto avverate. Da due mesi sono
privo di novelle di Laura. Io non so se questo inqualificabile
silenzio, debba ascriverlo a mia colpa; ad ogni modo siccome io non mi
dimentico tanto presto del passato, ed ho una spina qui nel cuore che
mi opprime, ti prego di dirmi ciò che sai intorno a quella giovinetta.

«Credo che tu sarai ancor di casa presso i Ramati, epperciò ti
raccomando di non far sapere ad alcuno di questa mia lettera.....
nemmeno a lei; che se alle volte le pesasse alla coscienza la memoria
di me, desidero di esser presto dimenticato, acciò non mi tocchi il
rimorso di amareggiarla neppure per un istante.

Tutto tuo

ERMANNO.»

A quanto sembra, malgrado il divieto dellʼamico, Paolo mostrò a Laura
quella lettera.

Sia rimorso, sia pietà, giacchè non oseremmo dirlo amore, Laura fece
il sublime sforzo di scrivere ad Ermanno; ma ohimè quale diversità
da quella lettera alle precedenti! allora lʼamore, la poesia ed il
sentimento spiravano naturali ad ogni frase. In tutte quelle pagine
scritte senza concetto determinato, si scorgeva il caro disordine che
regna ovunque negli epistolari amorosi; quellʼavvicendarsi di frasi
inconcludenti era fondato sopra una solida base: la fede.—

Ora più nulla di tutto ciò, lʼultima lettera di Laura era di una
regolarità quasi commerciale, vi si vedeva lo sforzo ad ogni parola,
lʼinerzia in ogni idea, e pareva che lo scopo predominante fosse la
grammatica.—Noi presentiamo questa lettera al lettore, pregandolo di
riflettervi sopra se sembra possibile che dopo due mesi appena si possa
giungere a tanta indifferenza.

 Ermanno,

 15 Dicembre

«Giacchè tu ti ostini a tacere, rompo per la prima il ghiaccio per
darti nuove di me e della mia famiglia. Io sto bene, altrettanto mamma
e papà, e spero che tu pure ti troverai in sì favorevole condizione.
Debbo chiederti tante scuse per non averti scritto come ti promisi,
durante il viaggio; ma che vuoi? Firenze coi suoi monumenti toglie ogni
modo dʼoccuparsi; oltre a ciò aggiungi lʼessere noi continuamente in
giro, giacchè abbiamo peregrinato per tutta la Toscana; vi sono tante
cose da vedere in quel bel paese che ci rimaneva ben poʼ di tempo per
noi.

«Fummo fortunati abbastanza nel nostro viaggio, perchè il cielo fu
costantemente sereno; ci fermammo quindici giorni a Firenze, e ti
assicuro che non avrei mai più lasciata quella bella città.

«La passeggiata di LungʼArno è deliziosa, o vi facemmo varie gite in
barca al chiaro di luna. Abbiamo visitato Pisa, Pistoja e Livorno; gran
bella città questʼultima, e fu vero peccato che lo zio siasi opposto al
progettato viaggio di mare per Genova.

«Ebbi un brutto momento a Livorno, immagina, mancò poco che non
rimanessi preda del mare. Eravamo in barca scorrendo tranquillamente
quelle onde solcate da tante navicelle; io me ne stava seduta a poppa e
per aver tentato dʼalzarmi mentre la barca oscillava, caddi nellʼacqua.
Fui presa e portata sulla riva, e quando ricuperai i sensi mi trovai
fra le braccia della cugina che si struggeva in lagrime.

«Per buona sorte fu maggiore la paura del danno, però un tale
avvenimento poteva aver serie conseguenze.

«Del resto mi sono molto divertita; non dimenticherò mai più le belle
sere passate a Firenze, quel cielo sereno, quellʼauretta molle, mi
lasciarono una cara rimembranza.

«Al mio ritorno, papà e mamma avevano già lasciato la campagna,
epperciò mi diressi a Milano.—Voleva scriverti subito le mie
impressioni di viaggio, ma ebbi tanto da fare, tante visite da
restituire che me ne mancò il tempo.

«Scrivimi tu, e lungamente, così passerò qualche ora lieta colla tua
lettera.—

Addio abbiti i saluti della tua

LAURA».

Era troppo! Una tal lettera indignò giustamente Ermanno, che senza
frapporre indugio, e colla rabbia in seno, subito rispose a quella
lettera umiliante in questi termini:

«No madamigella, non doveva rompere il ghiaccio di un silenzio che
nascondeva una voragine senza fine; chissà che la ruggine del tempo non
avesse consumato il mio rancore, ed al nostro primo incontro, avrei
potuto mostrarle un volto sereno, senza che il mio labbro tentasse un
rimprovero.—Ma vivaddio mi si tasta troppo presto una ferita ancora
aperta perchè io non debba trarne lamento.—Creda pure madamigella,
ella mi scrisse troppo presto.

«Credeva forse la signorina che bastasse il dirmi che a Firenze la luna
era chiara, la brezza molle, il LungʼArno delizioso, per giustificarsi
di non avermi scritto prima? Non sono tale io dʼappagarmi di sì poco,
e mal sopporto che dopo due mesi di crudele dimenticanza, mi si venga
a dire: Oh! signor Ermanno, ora che sono a casa, ora che mi annojo
e non so più come passare il tempo, mi ricordo di lei.—Durante il
viaggio non potei scriverle perchè aveva troppo da fare, ma adesso che
sono annojata, la prego di una sua lettera lunga, che leggerò fra gli
sbadigli della solitudine per iscacciare il sonno.—

«Mia cara, il signor Ermanno che ha la disgrazia di prender tutto sul
serio, non può reggere a tanta derisione; egli ha forse il difetto di
pretendere troppo, ma in confidenza unʼamicizia che si dissolve per un
chiaro di luna, non è tale da lusingarlo gran fatto; e piuttosto che
aver sì poco, egli rinunzia a tutto.

«Nella descrizione del suo viaggio, non trovo un cenno che mi riguardi;
ciò mi lusinga assai..... ella si è divertita, e mi basta; valeva forse
la pena di ricordarsi di me? No davvero, si viaggia per divagarsi!

«Ciò che più di tutto mi consola, si è la sua fermezza di proposito,
giacchè, se non erro, in una lettera dalla Brianza, ella mi diceva che
avrebbe rifiutato di fare il viaggio preferendo assai più di ricevere
mie lettere.—Posso rallegrarmi che ella abbia cambiato dʼavviso, così
non mi graverà il rimorso di averle fatto perdere una buona occasione
per..... divertirsi.

«Confessiamo però che lʼaver io creduto alle sue promesse fu
conseguenza dʼun deplorabile eccesso di buona fede.....

«Più ci penso, e più mi avveggo che commisi una sciocchezza pretendendo
che ella mi scrivesse qualche volta; figuriamoci dove trovare il tempo?
Bisognava andare sullʼArno a goder la frescura in barca di notte per
contemplar la Luna e numerare le stelle del cielo, e farsi mollemente
cullare dalle onde.—È naturale, non è colpa sua se il tempo volava
tanto rapido da non permetterle di mandare un saluto a quel povero
diavolo che ebbe la disgrazia di sperarlo!....

«Seppi subito il di lei ritorno da Firenze. Venti volte la penna mi
venne fra le mani per scriverle, e sempre ne abbandonai lʼidea.—Cosa
avrei potuto dirle?.... Ella taceva, segno questo che aveva tuttʼaltro
per la mente, ed io colla mia lettera avrei forse sturbate le dolci
reminescienze del viaggio.

«Glie lo confesso, aveva deciso di non più scriverle..... mai più. Non
ci voleva meno di una sua lettera per rimettermi la penna fra le dita,
ed ecco che violando ciò che mi ero promesso, le scrivo ancora una
volta..... sarà lʼultima? lo ignoro, ciò non dipende da me; è certo che
io ho duopo di calma, che mia cura principale si deve essere quella
di evitare ogni commozione che potrebbe aver funeste conseguenze, e
non correr dietro al turbine di false lusinghe, sognar chimere per poi
destarmi nello scoraggiamento coi dolorosi avanzi di poche illusioni
svanite.—

«Posso essere ancora in tempo per non disperare, e sono certo che
la mia stessa Laura vedrà che a ragione mi appiglio ad energica
risoluzione.

«Non so se questa lettera avrà come le precedenti alcuna influenza
sullʼanimo suo; riuscirò forse con inutili lagni ad annojarla; ma più
di tutto la prego di risparmiarmi un sorriso di compassione caso mai
le venisse spontaneo sulle labbra.—Io lo so, in certe condizioni si
leggono ridendo quelle parole che altra volta ci strappavano lagrime,
ma io scrivo col cuore troppo straziato per meritarmi un motteggio.

«Povero sogno! Fu vera fortuna la sua brevità; il mattino non è
lontano; al sorger del sole svaniscono le dubbiezze della notte, e
si tronca la trama delle illusioni.—La realtà, sotto lʼapparenza
di tiranna rappresenta la giustizia; tutto ciò che si agita nel suo
dominio esiste, e non può essere; mentre in sogno, quanti errori di
buona fede si commettono!.... Non è vero Laura? Me lo dica lei che fu
la prima a svegliarsi, e tanto fortunata da aprir gli occhi in pieno
sole; ma io mi dibatto ancora tra veglia e sonno, ed aprendo gli
sguardi non vedrò che tenebre!....

«Aspetterò, pazienza! Lʼalba della rigenerazione viene per tutti, ed
io attendo la sua pallida luce per rimettermi sul cammino di questo
pellegrinaggio che si chiama vita, con un disinganno di più, ed una
speranza di meno.

«Lʼavvenire è incerto, ma alla mia età non si può dubitare di lui;
malgrado tutto posso ancora sperare che un giorno il cielo rasserenato
mostrandomi la sua faccia stellata e ridente, mi dica: coraggio, dopo
la tempesta viene la calma; è tale il destino di tutti gli uomini.—Tu
vuotasti la tazza dei dolori..... Spera!

«Con questa parola chiudo la mia lettera. Per quanto scettico io possa
essere, non credo certamente che operando il bene sʼincontri il male.
Ho molti doveri da compiere, e lʼaffetto di mia madre esige da me i
più grandi sacrifizii; però qualunque cosa possa accaderle, si ricordi
madamigella di avere in me unʼamico sempre pronto a prestarle lʼopera
sua, ogni qualvolta potesse abbisognarne.

«È possibile che queste siano le ultime nostre parole epperò non debbo
perdere occasione per dirle che in tutte le vicende della vita ella
sarà sempre accompagnata dai voti sinceri che io faccio per la sua
felicità.....

«A lei sono certo riserbati alti destini, e le vie che noi prenderemo
nel mondo, saranno ben diverse; pure non dispero affatto dʼincontrarla
un qualche giorno.—Dal canto suo faccia come meglio le detta il
cuore; se crederà la memoria di me degna di qualche ricordo, sarà per
me gran ventura.—Egli è certo però o Laura che lʼultimo saluto che
sta per cadermi dalla penna, parte dal più profondo dellʼanima, e
che non scrivo senza trepidazione e dolore la parola..... addio!—»
...........................

Pochi giorni dopo, Ermanno ricevette da Milano un piego nel quale erano
accluse due lettere, una di Laura a Paolo, e lʼaltra di questʼultimo
ad Ermanno.—Lesse la prima avidamente; e ad ogni parola dava segno di
agitazione; giunto al termine gettò via il foglio con disdegno, senza
nemmeno curarsi della madre che assisteva alla scena.—

Stette alquanto pensoso, indi con atto di rassegnazione prese la
lettera di Paolo e si pose a leggerla.—Quando lʼebbe finita ripiegò il
foglio, raccolse quella che aveva gettato via, sclamando con freddezza
straziante:

—Va bene!.... e poi più nulla.

Studiò al piano fino a tarda notte, come se non un pensiero lo
turbasse.—

Ecco le lettere.

LAURA A PAOLO.—

Preg. Sig. Paolo.

«Ricevo in questo punto dal suo amico signor Ermanno, una lettera tale
che mi desta più sorpresa che risentimento; glie la trasmetto, perchè
ella stessa, caro amico, possa convincersene.

«Educata per lunghi anni nella via della virtù mi colpiscono
dʼindignazione quelle barbare espressioni; ma è mio dovere non
rispondervi e dimenticarle.—Non si creda il signor Ermanno che io
voglia contraccambiargli alcune pagine di sottile ironia, nè tanto
meno giustificarmi di un operato che non riconosco come mancanza. Io
tacerò usando tutta la possibile rassegnazione per sopportare quelle
amarissime ingiurie, e dimenticarle col tempo.

«Io non so se più prevalgano nellʼamico suo la ragione o lʼegoismo,
ma è un fatto che davanti a un simile contegno debbo credere che egli
venga tratto talvolta a deplorevoli eccessi da rancore misterioso
frutto forse di un abituale sconforto.

«Contro simili attacchi ho duopo premunirmi, giacchè essi straziano
troppo lʼanima mia; noi non fummo fatti per amarci; havvi troppa
discrepanza fra i nostri caratteri perchè possiamo mai vivere in pace.
Feci tutto quanto era in me per prendere un sopravvento sulla sua
funesta mania che spesso lo trascina a sragionare..... non vi riuscii,
e con vero dolore mi ritiro desistendo da quella missione rigeneratrice
che mi era imposta, perchè riconosco inutile ogni tentativo.

«Non risponderò alla lettera del signor Ermanno, perchè se a ciò mi
accingessi, dovrei lasciare la mia penna preda di un giustissimo
risentimento.—Rispetto il suo dolore, e prego il cielo che presto lo
guarisca, e gli conceda quella pace che io non oso consigliargli.

«Ella signor Paolo, sono certa comprenderà le alte ragioni che pongono
sul mio labbro un simile linguaggio; ho già molto mancato verso la mia
buona mamma nel celarle ogni cosa, ma a questo punto, lo riconosco, la
mia condotta diventa incompatibile coi miei doveri di figlia. Ho un
avvenire di cui dovrò render conto un giorno, e la coscienza mʼimpone
un riparo alle deplorabili conseguenze a cui potrebbe trascinarmi una
leggierezza di gioventù.

«Favorisca signor Paolo di significare allʼamico suo questa risoluzione
che mi detta il dovere, cerchi di confortarlo, se pur ne abbisogna, e
lʼassicuri che per parte mia non gli nutro alcun risentimento.

«Mi permetta poi, caro signore, che alla sua prima venuta in casa
nostra, io le consegni tutte le lettere di Ermanno; sono preziose
memorie che non ho il coraggio di distruggere, nè posso ritener
meco senza derogare da quella linea di condotta che mʼimpone il mio
dovere.—Faccia ciò che crede di quelle carte, giacchè per conto mio
sono certa di fare il meglio rimettendole a lei.

«Perdono di tutto cuore ad Ermanno, dimenticherò le sue amare
espressioni, ma richiedo da lui altrettanto oblio su quanto
avvenne.—Riguardo a lei signor Paolo, che fu finora affettuoso
testimonio delle mie azioni, non ho alcuna raccomandazione a fare. Io
la conosco perfettamente, e so che per ogni evento noi saremo sempre
buoni amici.

«Venga presto a trovarci, e mi creda di lei affezionatissima

  LAURA».

  PAOLO AD ERMANNO.

«Troverai colla mia una lettera di Laura.... Voglio dire di madamigella
Laura Ramati. Leggila prima dʼogni cosa, ed ascolta poi quanto vado a
dirti.

«Non è certamente questo il caso di ritornarti alla mente come altra
volta io biasimai la fiducia da te riposta in quella signorina, troppo
bionda per esser costante.—Il dolore che senza dubbio ti assale in
questo momento, mʼimpone un sacro dovere: quello di giustificarti, e
dar passo alla luce della verità.

«La verità anzi tutto, essa è il mio forte, e se mille di queste damine
mi tentassero coi loro seducenti sorrisi, non saprei tacerla.

«Le donne sono diplomatiche per istinto; la più ingenua di esse vale
almeno due uomini; è questo un antico adagio che sarà di unʼeterna
attualità.

«Lessi attentamente la tua lettera di rimprovero a madamigella Laura,
e non vi trovai quelle amare ingiurie, quel barbaro linguaggio a cui
mi si vorrebbe far credere.—Io riconosco in quelle espressioni il
grido di dolore che parte dal profondo dellʼanima; in ogni accento, in
ogni parola, e persino nella straziante ironia che scoppia ad ogni tua
frase, vi trovai una sola espressione, un solo concetto: lʼamore.

«Una donna che ami davvero, non potrebbe leggere quelle
pagine senza piangere ed espiare la sua colpa con una pronta
riconciliazione.—Madamigella Laura, trovò lʼinsulto nella preghiera,
la rabbia nellʼamore, e sai perchè?..... perchè quella ragazzina sorta
appena dallʼinfanzia, adorna di tutte le grazie, quellʼangioletto dai
capelli dorati, ha le ali di farfalla; perchè infine a madamigella
Laura è passata la febbre, e non ti ama più.—Il risentimento sorge
dalle ceneri dʼamore.—Non si tratta nè di virtù, nè di doveri, ma
sibbene dʼinfedeltà e dʼincostanza.

«La donna quando ama è simbolo dellʼegoismo, tutto tace davanti alla
sua passione; ma quando la ragione e la logica entrano per una parte
nel suo cuore, lʼamore ne esce dallʼaltra. Laura ha mentito, perchè non
ebbe nemmeno il coraggio di confessarti la verità; sotto lʼapparenza di
una falsa virtù ella nascose la sua leggierezza.

«Mio buon Ermanno, io spero che non ti darai alla desolazione perchè
una donna ti ha tradito; scuoti per quanto puoi il tuo amor proprio,
la tua stima dʼartista, e sollevati dallʼavvilimento in cui ti trasse
un fatale errore.—Vuoi tu sapere perchè madamigella Laura trovò la
tua condotta biasimevole? perchè la prima volta le venne il rimorso di
alimentare unʼaffetto incompatibile coʼ suoi doveri?... Vuoi tu sapere
infine, perchè durante tutto il viaggio in Toscana, ella non ti scrisse
mai? Ascolta.

«Prima di tutto, è bene il dirti che fra i suoi compagni di viaggio,
eravi quel certo cugino di madama Salviani. Tu lo conosci, è un giovane
distinto, figura discreta, spirito discreto, con un reddito di venti
mila lire annue; e questo fra parentesi passa la discrezione. Il signor
Filippo insomma si presenta sotto unʼottimo punto di vista agli sguardi
di una signorina da marito.

«Ignoro quel che può essere avvenuto durante il viaggio, ma so per
altro che fin dal primo giorno del loro arrivo in Milano, quel signore
è diventato intimo di casa Ramati; vi entra di lungo e largo, accetta
spesso inviti a pranzo, accompagna madama e madamigella al corso, le
visita in palco; e di notte passeggia sotto al balcone di Laura.

«Ecco la chiave di tutto; ecco come quella debole creaturina ha trovato
il filo di tutte quelle virtù, e di tutti quei doveri di cui si mostra
tanto gelosa.

«Mi pesa orribilmente allʼanimo il farti questa rivelazione; ma è mio
stretto dovere dʼamico di nulla tacerti, perchè non voglio prolungare
la tua incertezza con un crudele silenzio.

«Io lo so, queste mie parole ti suoneranno amare, ma spero nella
reazione; dissi tutto dʼun fiato per darti uno scrollo improvviso;
è un rimedio estremo consigliatomi dalla prudenza.—In certi casi,
le dubbiezze potrebbero esser fatali, ed io feci ciò che mi dettava
il cuore; domani farò quanto mi consiglia la ragione con madamigella
Laura. Non soffrirò mai che tu debba essere sotto il peso di una
recriminazione ingiusta, non soffrirò che quella farfallina venga
arditamente sfoggiando una falsa virtù per celare i suoi difetti.

«Domani vado da lei, e forse per lʼultima volta, ma ti giuro che io
prenderò ampia rivincita del tuo amor proprio offeso.

«Armati di tutto il tuo coraggio, mio buon amico per dare unʼaddio a
queste larve che trasvolano leggiere nello spazio; non addolorarti se
una ragazza si è mostrata qual è una bandiera disciolta al vento.—Il
tuo genio deve porti al disopra di tutte queste piccole miserie;
attorno a quella giovinetta, tu creasti un mondo dʼillusioni, e
lʼideale che ti sei fatto di lei, non è cosa sua, ma parto della
tua fantasia dʼartista.—Essa non è quale tu la vedi una creatura
sublime, ma sibbene una donnicciuola qualunque con tutti i difetti e le
leggierezze del suo sesso.

«La tua meta sia ben altra: la tua innamorata devʼessere lʼarte;
confida in lei, volgi ad essa i tuoi pensieri e le tue aspirazioni, che
non lo farai invano.—Pensa infine che tua madre, quella povera donna
ti adora, e che tu potresti cercare tutto il globo senza trovare un
cuore pieno di te come il suo. La sua esistenza è legata alla tua, il
tuo avvenire è la sua vita; serba per essa i tesori del tuo affetto.

«Io spero che non sarà lontano il giorno in cui tu saluterai con gioia
il ritorno della tua pace. È questo il migliore augurio che sappia
farti il tuo affezionato

PAOLO».



XVIII


Passeremo dʼun tratto due mesi che scorsero per Ermanno in una sola
angoscia. Dopo la lettera di Paolo egli perdette tutte le speranze,
e comprese dʼesser stato vittima di una dolorosa illusione.—Non si
strappa da un cuore nobile la radice di un affetto che vʼimpresse
profondo solco, senza lacrime, e senza sangue; non si abbandonano di
subito le più care speranze, nè si soffrono i più grandi disinganni
senza che lʼanima non riceva tremende scosse, senza amaramente soffrire.

Ermanno concentrò sè stesso in unʼattività febbrile, nascose a tutti il
suo dolore che tentava dʼimprontarglisi sul volto, ingannò financo sua
madre, simulando talora allegrezza; ma per ciò fare, dovette chiudere
nel suo seno tutta lʼamaritudine che voleva farsi strada, dovette
celare una serpe che gli rose ogni speranza.

Debole per natura, affranto dalle fatiche che sʼimponeva studiando
continuamente, ricadde ammalato; il morbo che già due volte lo aveva
minacciato, ritornò allʼassalto più possente di prima.

Verso la fine di febbraio fu obbligato a letto, ove lo troviamo ancora
al principio dʼaprile.

Da qualche giorno però, dava segni di miglioramento, ed il medico si
azzardò alla promessa che presto lʼinfermo riacquisterebbe la salute.

Paolo che viveva nellʼincertezza, volle un giorno persuadersi egli
stesso sullo stato dellʼamico. Partì pertanto da Milano per Brescia,
ove appena giunto, si recò alla casa di Ermanno.—Lo trovò alzato,
accanto al fuoco in arnese da camera.

Era pallido e macilento a tal segno, che Paolo provò una stretta al
cuore in vederlo. La madre stava seduta accanto a lui; da due mesi
quella povera donna, trascinava una vita di martirio accanto a quel
malato scontento di tutto.

Quando Paolo entrò quella buona madre pianse per consolazione, giacchè
ella sapeva quanta influenza egli esercitava sullʼanimo del figlio, e
certa che essi avevano molte cose a dirsi, li lasciò soli.

I due amici parlarono per poco di cose indifferenti, infine Ermanno si
lasciò sfuggire il nome di Laura.—Paolo, afferrata lʼoccasione spiegò
tutta la sua eloquenza per consigliare lʼamico a non più pensare a lei,
e con una pittura viva ed animata, tentò di persuaderlo che egli poteva
essere ancor felice.—Tutto fu vano.—Ermanno stette ad ascoltarlo, e
quando Paolo ebbe terminato, sclamò con aria dʼindifferenza agitando la
cenere con una canna.

—Tu dici mio buon Paolo che non bisogna mai disperare, che al mondo ve
nʼha per tutti della felicità; ma tʼinganni dʼassai.—Per convincerti
di quanto asserisco, è necessario che tu entri alquanto nella mia
condizione, è necessario dirti che se gli avvenimenti del passato
sono a te larghi di promesse per lʼavvenire, per me la cosa corre ben
diversa.—Ho tentato varie volte di credere, mi sono spesso confortato
alla speranza; ma infine, non trovai che delusioni!....

Per taluni sciagurati, la vita è unʼanatema; costoro facciano bene
o male, raggiungono invariabilmente la meta loro assegnata: il
dolore.—Non è paradosso mio caro, non è scetticismo: tal quale mi
vedi, ho tentate tutte le vie che mente umana possa immaginarsi; eppure
lo crederesti? Mi trovai sempre qual prima annojato a morte.—Ho
tentato sai di aver fede nellʼavvenire; lo sa Iddio con quanta forza mi
accinsi allʼimpresa! ma il destino mi avversa fatalmente....

La mia missione sulla terra è quella di vagheggiare le cose lontane nè
mai avvicinarle.—Avviene di me come del viandante, che si trascina
sulle ardenti arene del Sahara torturato dalle bugiarde promesse della
Fata Morgana.

Ermanno stette alquanto in silenzio, poscia proseguì con un sogghigno
quasi beffardo.

—Ah la virtù ed il dovere! Ecco due maschere dʼipocrisia, dietro cui
si celano spesso abbominevoli delitti.... Gran bella cosa il dovere, è
una scappatoja comodissima.... una risorsa!—Bada a me Paolo mio, non
ti fidare mai di queste parole, ricordati che il più delle volte sono
merce di contrabbando.... Ah! ah! mi piace assai quel dovere che impose
a madamigella Laura Ramati di troncare una relazione incompatibile
colle sue.... virtù!... Ti saluto leggiadra creatura dai capelli biondi
come lʼoro, dagli occhi cerulei come il cielo.—Seducente e vezzosa tu
mi chiamasti colle tue grazie per poi respingermi collo zelo delle tue
virtù.... Vola farfalla, vola leggiera come piuma sulla buccia dʼun
altro fiore.... il mio è già consumato!....

Paolo stava attonito contemplando lʼamico, che andava man mano
agitandosi fino al delirio; lo prese per il braccio, e sentì che i
suoi polsi battevano fortemente; aveva la febbre. Tentò di calmarlo,
ma invano; Ermanno proseguì: «Sarebbe forse il dovere che consigliò
a madamigella Laura di mandarmi questo regalo», e sì dicendo trasse
una lettera che consegnò a Paolo—Ecco il più bel saggio; la signorina
gonfia di tutte le virtù, non conosce quella che si chiama Carità. Si
calpestano tutte le promesse; si spergiura in nome di quanto vʼha di
più sacro, indi si canzona quel poveraccio che ebbe la disgrazia di
credere.

Paolo lesse sorpreso quanto segue:

  Pregiatiss. Signore,

 I coniugi Ramati hanno lʼonore di partecipare alla S. V. Preg. che la
 loro unica figlia Laura passerà a nozze col signor Filippo Salviani
 da Milano—Sabbato prossimo si farà alla presenza dʼamici parenti la
 cerimonia per le promessa nuziali.

 I suddetti fanno calcolo sulla presenza di V. S. Ill.

—Spero bene che non vi andrai, disse Paolo.

—Certo sì, è un invito in tutte le forme, e non mancherei per tutto
lʼoro del mondo, sarebbe un rendersi scortese a tanta.... premura!

—Ermanno, sii ragionevole, da retta a me che parlo per il tuo meglio.
Promettimi che non andrai.

—È inutile amico mio.... Ma non sai tu che attendo quel giorno con
febbrile impazienza!—Io la vedrò ancora quella giovinetta ingenua,
la vedrò festevole, profumata, inghirlandata... bella! Oh! perchè moʼ
vorresti che io mi privi di tanta fortuna?... Eppoi più di tutto, io
debbo farle le mie felicitazioni.... Certo, ella deve pretenderli
questi riguardi dallʼumile artista che degnò altra volta di uno
sguardo...

—Saprò contenermi, saprò celare il mio dolore.... eppoi, ma che dolore
debbo io avere! Importa forse a me che madamigella Ramati si faccia la
sposa dʼun altro?.... Val forse la pena che io mi prenda tanto fastidio
per unʼincostanza naturalissima, o dirò meglio... virtuosa? Ma che? non
si hanno cento mila lire di dote per non avere il diritto di ridere, e
divertirsi crudelmente alle spalle degli sciocchi, ed io mio caro Paolo
sono fra questi.

—Con tante ricchezze si può liberamente lasciare da una parte la
coscienza.—A ciascheduno il suo; tu hai pennelli, tavolozza, tela e
colori; io il pianoforte, Haydn, Herz, Beethoven, Mendelssohn e Weber;
madamigella Laura ha la sua dote.

—Prevedo che quel giorno delle sue promesse sarà uno dei più lieti di
mia vita; ritornando a Milano, ti prego di annunziare a madamigella
il mio arrivo per lʼepoca fissata. È questo un dovere troppo sacro di
gratitudine, e quella _virtuosa_ signorina si merita assai più che non
le congratulazioni dʼun par mio.

—Tu le parlerai dunque della mia profonda... riconoscenza....

Non potè più proseguire, i singhiozzi gli soffocavano la parola; la
violenza che egli fece per mostrarsi calmo collʼamico, lo prostrò del
tutto, e si rovesciò sul seggiolone preda di un accesso di tosse secca
e straziante.



XIX


Havvi unʼetà nella vita in cui tutte le emozioni, tutti gli avvenimenti
lasciano sullʼanimo una traccia così leggera, che poco dura e si
cancella tosto; lʼetà di Laura.—Nella donna specialmente si constata
questo fatto.—È arduo assai lʼammettere che tutto ciò che sente una
ragazza neʼ suoi primi anni tragga sorgente dal cuore; questo organo
del nostro corpo è di tempra sì delicata e sensibile che serba sempre
un rimasuglio di ricordo per tutto quello che vi è passato sopra.—Non
si può negarlo, i grandi sentimenti della gioventù sono eccitati per la
massima parte dalla fantasia che si compiace dʼingrandire ed esagerare
ogni piccola cosa.—Egli è solo in età più avanzata, allorquando il
cuore ha preso il sopravvento sullʼimmaginazione che gli affetti, le
aspirazioni, i desiderii hanno un senso più vero, un carattere più
stabile.

Se così non fosse, in qual modo sarebbe giustificabile la condotta
di Laura, dove trovare un argomento per menomare alquanto, e rendere
scusabile la sua incostanza?... Niuno oserebbe dire che Laura fosse di
cattivo cuore; no, quella giovinetta per quanto frivola e leggiera,
era buona, e sensibile; solamente ella fu tratta al mal passo per
unʼallucinazione della sua fantasia.

Lʼesaltamento del suo amore per Ermanno, fu più opera della mente che
del cuore, ed è perciò che dopo tante promesse, tanti giuramenti di
eterna costanza, noi la veggiamo abbandonarsi lieta e tranquilla alla
gioia, nella sera di sua fidanza.—Passata la nube che aveva alquanto
offuscata la sua pace, la giovinetta riprese il suo solito sorriso di
soddisfazione, e chissà se poco dopo, di Ermanno le venne a memoria
neppure il nome.

Ammirata, lodata, vezzeggiata da parenti ed amici, ella rispondeva alle
congratulazioni di tutti senza far mistero della sua gioia.—Non era
una gran festa, giacchè il signor Ramati da uomo moderato non volle
sfoggiarla in inviti. Trattavasi di alcuni amici raccolti a festeggiare
le promesse senza grande etichetta, ma con molto buon umore.

Paolo era fra glʼinvitati.—Stava seduto sopra un divano accanto a
madama Ramati colla quale aveva un discorso molto animato.—Ogni volta
però che il domestico introduceva qualcuno, il nostro pittore volgeva
rapidamente lo sguardo a quella parte, come chi aspetta con ansietà.

Un attento osservatore avrebbe rimarcato che Laura evitava di trovarsi
con Paolo, e se talora i loro sguardi sʼincontravano ella li ritraeva
tosto.

Le sale erano discretamente popolate dʼuomini di tutte le età, e di
eleganti signore. Madama Salviani primeggiava fra tutte per venustà di
forme messe assai bene in rilievo da un abito ingegnoso.—Il signor
Filippo Salviani di lei cugino, sposo fortunato di Laura, era pure
oggetto delle congratulazioni di tutti.

Per dare un saggio dellʼabilità del fidanzato, Laura lo pregò di
eseguire un pezzo sul pianoforte.—Era una suonata di circostanza,
epperciò si fece un silenzio di convenienza; tutti interruppero il
filo delle conversazioni, e si posero in ascolto.

Dopo i primi accordi fu spalancata la porta della sala, ed un servo
annunziò: Il signor Ermanno Alvise—Laura era in quel momento al fianco
di Filippo; quel nome gettato là dʼimprovviso le gelò il sangue nelle
vene. Tutti gli sguardi furono rivolti alla porta, essa sola non ebbe
il coraggio di alzare i suoi.

Ermanno comparve sulla soglia calmo e dignitoso, ma pallido come
cadavere; lʼapparizione di quel volto freddo e sofferente, produsse uno
strano effetto su tutti gli astanti.

Papà Ramati gli mosse incontro, e presolo affettuosamente, per mano, lo
condusse presso sua moglie, indi pregò il futuro genero di continuare
il pezzo incominciato.

Laura si trovava precisamente di fronte ad Ermanno, ma i di lei sguardi
non si staccavano mai dalla tastiera ove parevano incatenati.—Filippo
suonò con discreta abilità, e non aveva ancor finito, che già
glʼinvitati battevano fragorosamente le mani.

Il signor Ramati presentò il suo nuovo arrivato ad alcune signore, indi
lo lasciò in libertà, e Paolo approfittando del momento si avvicinò
allʼamico, e gli disse sommesso.

—Te lʼaveva pur detto che tu avresti turbata la gioja della festa.

—Oh, perchè mai? chiese Ermanno.

—Io spero che farai uso della ragione per evitare una sconvenienza....
Sei livido.

—Ho la rabbia che mi divora....

—Bada che sei osservato.

—Sta tranquillo.

Laura frattanto erasi riavuta alquanto; ci affrettiamo a dichiarare
essere ella affatto allʼoscuro dellʼinvito mandato ad Ermanno.—Dal
momento in cui egli entrò nella sala, la povera giovinetta venne
oppressa da sì violenta emozione che la obbligò a starsi seduta. Fu
spavento, e rimorso; un rapido sguardo passato sul volto di Ermanno, le
fece palese tutta la triste verità.

Con un pretesto trattenne il suo fidanzato al pianoforte tanto per
guadagnar tempo, e riaversi del colpo; ma lo sa Iddio se ella pensava a
ciò che si dicesse in quel momento.

Ad un tratto Ermanno, lasciato Paolo, portossi al fianco di Laura, e
con piglio ardito le disse:

—Mi permetterà madamigella Laura che io le faccia prima i miei
ringraziamenti..... poi le mie congratulazioni.

Laura si scosse a quella voce, sorrise balbettò una risposta: ma
avrebbe preferito esser sotterra in quel momento.

Ermanno proseguì con fare disinvolto volgendosi a Salviani.

—Ed a lei pure signor Filippo i miei complimenti..... In fede mia,
ella ha agito da vero diplomatico; nessuno di noi avrebbe sospettate
le sue intenzioni..... Forse neanche madamigella Laura.—Quando mi
pervenne la buona nuova, cascai dalle nuvole.....ma bravo ancora,
mille volte bravo; ella seppe scegliere il momento. Sì dicendo Ermanno
sedette a loro di fronte; il signor Filippo ricambiò di buon grado
quei complimenti, lʼaccento del giovane era sì naturale; ma Laura non
sʼingannò punto, ella conobbe lo strazio che celavano quelle parole, e
non ardiva ancora alzare lo sguardo.

Filippo, postochè era sopra un piacevole discorso, tentò di proseguirlo
indirizzando un elogio a Laura. Ermanno riafferrò prontamente il filo
per accrescere lʼimbarazzo della giovinetta.

—Certo, sclamò egli sorridendo, senza offendere la modestia
di madamigella, io farei sincero augurio a tutti i miei amici
dʼincontrarsi in una sposa quanto lei leggiadra..... e _virtuosa_.—Pur
troppo la è questa tal sorte che tocca a pochi prediletti, fra i quali
ho il piacere di contarvi il signor Filippo.—Creda pure signor mio,
che lʼinvidio di tutto cuore.

Laura alzò lo sguardo per la prima volta ad Ermanno, ed in quegli occhi
eravi un accento tale di preghiera, unʼespressione sì supplichevole,
da disarmare la collera di chiunque; ma Ermanno fu inesorabile; prese
a caso vari quinterni di musica, e sciegliendo fra essi vi trovò una
_Romanza_ dʼHoffmann.

—Madamigella, dissʼegli, è da molto che non ho più il bene di sentire
la sua voce; questa Romanza deve starle a meraviglia, e la sentirei
volontieri.

Laura tentò di ricusare, ed egli si volse allora a Filippo dicendogli:

—Tocca a lei signore, ella ha più influenza di quanto possa averne
io; la sua preghiera vale assai più della mia, e madamigella non oserà
rifiutarsi.....

Non cʼera riparo, la crudeltà era troppo raffinata, e Laura non potendo
schermirsene si abbandonò alla sorte.—Tutti fecero silenzio, Filippo
accompagnava, ed Ermanno fissò gli occhi in volto a Laura che sotto
quello sguardo si sentiva oppressa, nullameno; fecesi coraggio, e cantò:

  «Ombre amene, amiche piante,
  Il mio bene, il caro amante
  Chi mi dice dove andò?
  Zeffiretto lusinghiero
  A lui vola messaggiero,
  Diʼ che torni e che mi renda
  Quella pace che non ho!»

La musica era buona, ma lʼesecuzione fu pessima; Laura aveva la
voce incerta e tremante.—Naturalmente alla fine tutti gli astanti
applaudirono, e la sposa si lasciò cadere spossata per la forza che
dovette farsi.

—Per buona sorte, sclamò Ermanno sorridendo, per trovare il _suo bene_
madamigella non ha che a fare un passo..... il signor Filippo è qui.....

Paolo riuscì a staccare lʼamico dal pianoforte e conducendolo altrove
gli disse:

—Ermanno, tu soffri?

—Io? sei pazzo..... sto benissimo.

—Il tuo pallore è aumentato.

—È la gioia.... lʼallegria!....

—Tu hai la febbre; andiamo a casa.

—Mai no; resterò fino alla fine.

—Ascolta Ermanno, sii caritatevole verso quella povera fanciulla.....
sii generoso.

—Non le faccio già del male! rispose egli cinicamente; finora non mi
sono che congratulato.....

Il signor Ramati non aveva certo invitato il pianista per lasciarlo
ozioso, e ad un punto eccitò nel circolo una specie di sommossa; tutti
pregarono Ermanno di suonare, ed egli si arrese, a condizione che
madamigella Laura gli voltasse i fogli sul leggio.

Era impossibile rifiutarsi.

Egli si assise al pianoforte, e Laura ritta in piedi alla sua destra
sfogliazzava nella musica.—Quale diversità! Una volta allorchè egli
disponevasi a suonare, ella si collocava amorosamente a lui dʼaccanto,
i loro cuori palpitavano in segreto, e spesso le mani si stringevano
furtivamente; ora Laura tremava, Ermanno soffriva, i loro cuori
battevano ancora, e più violenti, ma per angoscia.....

Ermanno scielse, non a caso, la GRANDE POLONNAJSE di Herz;
è una suonata molto lunga, ed in tal modo rimaneva prolungato quella
specie di supplizio imposto a Laura.

Lʼartista aveva in quel momento il concorso di molte passioni che lo
ajutavano. Lʼebbrezza della strana vendetta che si prendeva, diede
unʼagilità convulsiva alle sue dita, e suonò con quella maestria ed
inspirazione data a pochi.—Terminata la prima parte ei fece pausa per
asciugarsi la fronte, ed alzo gli occhi a Laura come per dirle: Una
volta toccava a te!—Laura comprese ed arrossì.

Incominciò la seconda parte; il signor Salviani prorompeva ad ogni
tratto in accenti dʼammirazione e la povera Laura invece sentiva
svegliarsele in cuore mille affetti che si urtavano a vicenda
causandole unʼindicibile oppressione. Lʼira, la rabbia che animavano
Ermanno glie lo fecero apparir più grande, e noi crediamo che in quel
momento ella si dimenticasse di esser fidanzata.

Lʼuditorio era sospeso e subiva il fascino di tutte quelle vibrazioni
melodiche; la musica di Herz ha questo carattere che allegra, commove e
strazia nello stesso tempo. Alcune battute soavi e malinconiche vengono
bruscamente rotte dallʼurto di unʼaccordo tetro e misterioso, da cui si
sviluppa bene spesso un canto allegro e popolare.—Weber è uniforme,
spesso monotono; Herz è sfrenato; la sua musica è come il vento che
passa su tutti i punti.

Il pezzo già volgeva al suo fine; ciò sollevava alquanto Laura, che
nellʼultima pagina scorgeva il termine di una posizione difficile.—Ad
un tratto però Ermanno cedendo allo slancio della fantasia, fece
una digressione, ed abbandonò le mani in balìa del pensiero. Come
altre volte nei momenti dʼinspirazione, egli si diede ad improvvisar
melodie.—Il suo primo incontro con Laura in casa dʼAlfredo lʼaveva
salutato con un grido dʼamore tradotto musicalmente.—Ora dopo il
volgere di pochi mesi, egli si trovava ancora vicino a Laura forse per
lʼultima volta; ora doveva salutarla collo strazio dellʼanima.—Il
primo incontro si ebbe unʼinno; lʼultimo una nenia!

E tale fu la musica improvvisata da Ermanno; in quelle note che si
succedevano lente, in quegli accenti lugubri, era raccontata tutta la
storia di un amore infelice. Le amarezze, i dolori più grandi ebbero un
espressione così straziante, che molti avevano le lagrime agli occhi.

Nel tetro susseguirsi di tristi accordi che parevano gemiti profondi,
sentivasi tratto tratto un canto confuso e lontano che doveva
certamente scuotere lʼanima di Laura: era il canto del Notturno al
Chiaro di Luna, che ricordava allʼincostante giovinetta i giorni felici
del suo primo amore!

Laura piangeva; sarebbe stato vano celare quelle lagrime che non erano
più un mistero per gli astanti; dʼaltronde ella non piangeva sola
alcune signore, e specialmente madama Salviani la imitavano.

Anche ad Ermanno illanguidivasi la fantasia, ed accarezzava oziosamente
alcune cadenze per pensare al passato che in quel momento gli ricorreva
alla memoria. Volse intanto gli sguardi a Laura, che resa più bella
per la commozione, stavagli al fianco, seducente quanto sia dato
immaginarlo.—Aizzato dalla gelosia, abbandonò dʼun tratto il metro
patetico della sua musica, e suonò con rabbia.—Le note incalzavano le
note producendo strane dissonanze; le mani volavano agitate da un punto
allʼaltro della tastiera, col fremito della convulsione.

Nessuno comprese quella musica infernale, quel delirio del pensiero;
ma ogni nota rintronava nel cuore di Laura come una rampogna acerba
e sanguinosa. Dal complesso di quel frastuono ella concepì il vero
significato, comprese che in quella musica eravi lʼamore, lo sdegno e
la disperazione; compreso che quelle note dovevano esser concepite fra
gli spasimi di atroci torture.—

Lʼartista si era vendicato..... ma lʼuomo cadde annientato a tanto
sforzo di mente; lʼurto di tanti pensieri, la lotta di tanti
sentimenti, oppressero talmente il povero Ermanno che si rovesciò
allʼindietro quasi svenuto, fra le braccia di Paolo che era accorso a
sorreggerlo.



XX


Lʼinverno era trascorso. Ai geli della temperatura, alle nevi che
coprivano la campagna, erano succeduti i zeffiri primaverili e le
erbette.—Ovʼera il ghiaccio, giù pei burroni ammantati di bianco,
spuntavano timidette le viole schiudendo i loro profumati petali
alle aure vivificanti.—Le colline avevano perduta la loro squallida
apparenza, ed ai tiepidi raggi solari spingevano dal loro seno i primi
sbucci del muschio che le rende sì belle.

Le nebbie della notte dileguavansi sul mattino, posando roride stille
di rugiada sulle zolle fiorenti, gli alberi già si coronavano della
loro verzura nascondendo gli stecchiti rami.—Eppure tanta dovizie di
vegetazione, i primi saluti di natura che ritorna al sorriso, segnarono
gli ultimi giorni dellʼesistenza di Ermanno.

—A metà della primavera, fra il profumo dei fiori e le carezze dei
zeffiri, il povero giovane esalava lʼultimo sospiro sulle labbra
dellʼinfelice madre.

Fu una lunga agonia! Durante lʼinverno stette a Brescia; nella
primavera i medici gli consigliarono lʼaria pura dei colli, epperciò fu
ricondotto alla villa del conte. Ma tutte le cure e le sollecitudini
furono vane!.... Un mese dopo, appunto in un bel mattino lieto e
ridente, il povero Ermanno morì.....

Morì fra quei colli che lʼavevano ospitato nei giorni di sua
felicità.—Povera madre, egli diceva morendo, tu resterai sola, sola
al mondo perchè io lo sento, non vivrò più a lungo..... E diffatti due
giorni dopo, Ermanno non era più!....

Poco lungi dalla villa del conte, dopo il cammino di una mezzʼora si
scorge non molto lontano un modesto cimitero, poetico sempre come
tutti i cimiteri di villaggio, ove non vi ha lusso di monumenti, e la
natura opera a suo capriccio..... Vi si giunge per una stradicciuola
che scende dolcemente; dintorno tutto è bello; da una parte il lago e
le colline, dallʼaltra i monti.—La costruzione di quel sacro luogo
è di una semplicità elementare; tutto consiste in una cinta di rozza
muraglia.

Lʼentrata è chiusa da un cancello di ferro; nel mezzo del campo si erge
una gran croce di legno che sembra il trono della morte; indi attorno,
fra lʼerba che cresce confusa, spuntano molte croci, talune portanti
ghirlande appassite.—

Eppure tutto è bello là dentro. Quella semplicità parla al cuore, e
sembra che quei morti riposino sotto la protezione della gran croce
che sʼinnalza fra loro.—Accanto al cimitero havvi una chiesuola
col campanile quasi in rovina; una piccola campana appare fra
quelle macerie; è dessa che chiama i pietosi popolani del dintorno,
allorquando qualche anima passa da questa allʼaltra vita.—

Verso sera di un bel giorno di Maggio, una donna vestita a bruno,
col dolore più profondo scritto sul volto, si avviava alla volta del
campo santo; assorta nè suoi pensieri, procedeva cogli occhi a terra
asciugandosi talvolta una lagrima; giunta al cancello lʼaprì, ed entrò
nel recinto.—In fondo, allʼombra di un salice, lʼunico che vi fosse
colà, eravi una croce nuova piantata nella terra smossa di recente;
appiè di quella croce la donna cadde in ginocchio, e pianse a dirotto.

Da tre giorni Ermanno riposava là sotterra!....

Era unʼincantevole dimora degna al tutto dellʼartista che ebbe al mondo
vita affannata e tempestosa; là, sotto le povere zolle quel cuore
straziato aveva forse trovata la sua pace.

Ermanno non era più! Il soffio di morte spense la sua debole esistenza.
Il cuore più nobile, il dolore più grande, il genio più sublime, si
compendiavano in quella povera croce che sovrastava mestamente al
tumulo.—Ermanno non era più! La sua vita fu breve come lampo.....
Passò e sparve, lasciando dietro di sè una traccia luminosa.—

Egli non era nato a tempo; lʼanima sua precorse lʼepoca a cui era
destinata, epperciò la sua fase fu una tortura continua, un martirio
straziante. Passò rapidamente la corruttela del mondo non ancora
pervenuto aʼ suoi alti destini; ovunque trovò seminata la perfidia,
ovunque ebbe a soffrire disinganni.—Oppressa e sfinita quellʼanima
nobile, sʼinvolò dalle nostre basse regioni per risalire al suo cielo
dʼonde erasi dipartita prematuramente, e nascose il corpo che la
vestiva in un cimitero deserto e solitario; lo nascose allo sguardo
dei profani, affinchè quel frale che non ebbe pace in vita non venisse
insultato in morte!....

Ermanno morì lasciando nel più doloroso isolamento la povera madre sua
che tanto lo amava.—Se è vero che le vicende di quaggiù sono governate
da Dio, bisogna dire che la sapienza divina e talora inesplicabile!—A
noi miseri mortali non e certamente dato di confutare e comprendere
le sante leggi della creazione; ma bisogna dirlo, noi sortiamo dalla
natura un carattere diametralmente opposto e ribelle alle disposizioni
sui destini umani!

Quella povera donna aveva sperato che la sua vecchiaia venisse
confortata dallʼamore dellʼunico figlio educato con tanto affetto;
aveva sperato che egli le chiuderebbe gli occhi nellʼestremo istante
della vita; invece..... cosa straziante! toccava ad essa vecchia e
cadente, di compiere sì doloroso ufficio sulla sua creatura.

Quel poco che le rimaneva dʼavvenire doveva attaccarlo alle speranze
dʼuna tomba.—Sola, abbandonata con un dolore inestinguibile che
solo una madre può comprendere, quella sventurata doveva ancora
vivere..... e vivere forse per anni ed anni, fra una moltitudine
che le era indifferente.—Vivere della memoria del suo Ermanno
estinto! ......................... .........................
.........................

—Per di qua, per di qua, gridava un ragazzino precedendo una comitiva
di cittadini giù del pendio.—Ecco la chiesa, essa è là sicuramente,
aggiunse additando la chiesuola del cimitero.

—Va bene, rispose un signore elegantemente vestito,—va abbasso e
bada ai cavalli; e volgendosi agli altri sclamò: da brave signorine si
diano coraggio. E tu poltrone ajutale. Questa rampogna era diretta ad
un altro giovane di aspetto distinto che dava il braccio a due giovani
donne. Una era vispa ed allegra, e durante tutta la salita, non aveva
fatto altro che chiaccherare..... e lʼaltra, sebbene pure giovanissima,
aveva unʼaria più grave, e col suo pallore dava segni dʼinterna
sofferenza.—Era infine Laura. Il giovane che le dava il braccio era
suo cugino Alfredo; negli altri il lettore avrà già riconosciuto Paolo
e Letizia; tutti buoni amici di Ermanno.

Laura da qualche mese si chiamava madama Salviani; ma in vederla
sembrava che le gioie del matrimonio valessero poco a consolarla.—

Paolo seppe subito della ricaduta di Ermanno, la notificò a Laura che
ne ebbe grave rimorso.—Al momento di partire per la campagna secondo
il consiglio deʼ medici, Ermanno ne fece avvisato lʼamico.

Dʼallora in poi non vi fu più scambio di novelle, per cui Paolo decise
di recarsi in Brescia e passare alla villa del conte, onde saperne
qualche cosa.—Nessune nuove, buone nuove, pensava egli, tuttavia volle
assicurarsene.

Giunto a Brescia, trovò facilmente un compagno in Alfredo. Laura in
quei giorni era appunto in casa dello zio, e parte per desiderio di
rivedere colui che aveva amato..... e che forse amava ancora; parte per
tentare una riconciliazione che la coscienza le imponeva, decise di
unirsi essa pure con Letizia alla gita di Paolo.

Partirono dunque in carrozza, il pittore faceva da auriga, ed in
brevʼora giunsero ai piedi del colle per cui si sale alla villa del
conte.—Discesero e presero la salita. Nessuno si trovava alla villa,
ed un ragazzino richiesto da Paolo, disse che madama Alvise era andata
alla chiesa.

Paolo persuaso che Ermanno fosse colla madre non chiese altro, e si
fece guidare sul luogo.

—Faremo una bella sorpresa ad Ermanno, sclamò egli entrando per il
primo nella chiesuola. Ma subito dopo ne uscì dicendo: non cʼè anima
viva..... Eppure quel ragazzo assicurò dʼaverla vista.

—Sarà nel giardino, osservò Alfredo.

—Dovʼè questo giardino?

—Eccolo qui.

—È un cimitero, non ne vedi la croce.

—Allora sarà un cimitero..... entriamo.

—No, no signor Paolo, sclamò Laura, io non vado volontieri in questi
luoghi, mi attristano troppo..... piuttosto ripassiamo alla villa del
conte.

—Cʼè un cancello, disse Alfredo, si può vedere senza entrarvi; in così
dire si liberò dal braccio delle due donne appressandosi allʼentrata
del recinto.—

In quel mentre una donna vestita a bruno, comparve fra le sbarre del
cancello, lʼaperse, e senza nemmeno alzare lo sguardo sugli astanti,
sʼincamminò via.

Un senso di terrore gelò le fibre dʼognuno; Paolo, Alfredo e Letizia,
riconobbero in quellʼinfelice la madre di Ermanno; Laura non la
conosceva di persona, ma fu pur colta dalla stessa pietà, ed il di lei
cuore provò una stretta dolorosa, perchè su quel volto addolorato,
vi trovò una rassomiglianza che le fece tutto palese.—Le gramaglie
ondʼera vestita suscitarono un dubbio crudele nellʼanimo di tutti, e
Paolo con passo incerto, senza poter profferir parola, mosse incontro a
quella donna, e lʼarrestò per il braccio.

Ella si volse, lo guardò in volto, mandò un grido di sorpresa che
scoppiò in un singulto, e si nascose il volto fra le mani.

Gli altri si avvicinarono, ma nessuno osò turbare lo sfogo di quel
dolore; tutti avevano le lagrime agli occhi.

—Per pietà di voi signora! sclamò finalmente Paolo, diteci, diteci
qualche cosa.... che è avvenuto?

—Mio figlio.... il mio Ermanno, non è più!

Queste parole dette con tanto strazio caddero come colpi di pugnale
sullʼanima di Laura, che non ebbe più freno al pianto.

—Oh! Paolo, aggiunse la madre fra i singhiozzi, se tu sapessi quanto
ha sofferto quel povero angelo!... certamente egli è in cielo, perchè
mio Dio, non si può morire così senza premio!.... ora è là, riprese
additando il salice, è là che dorme la mia creatura, è là mio buon
Paolo il tuo amico.... tuo fratello. Ed io non sono morta di dolore!
Il cielo mʼinfligge di vivere in tanta desolazione peggiore di
morte.—Sono tre giorni appena che il mio Ermanno è morto; tre giorni
che il suo corpo sottile e consumato riposa là, sotto quel salice!....

Nessuno sapeva trovare una parola di conforto.—Letizia e Laura si
erano abbracciate piangendo; Paolo ed Alfredo si facevano forza, ma le
lagrime scaturivano dai loro occhi.—Era un quadro straziante oltre
ogni dire. Già da alcuni istanti, tutti serbavano un assoluto silenzio,
nessuno aveva più parole; quando quella povera madre interruppe
collʼaccento un poʼ più rassegnato:

—Ho una lettera per te Paolo, ed unʼaltra che non so a chi sia
diretta, eccola; e trasse dal seno due lettere una delle quali portava
scritto—PER LEI—e più sotto: consegnarla a Paolo.—Le ho trovate nel
suo tavolo, fu anzi egli stesso che mi disse di mandartele.... povero
figlio mio! Tu farai recapitare quella lettera a chi tocca... non dirmi
chi sia colei, non voglio aver alcuno da maledire; non dirmi chi essa
sia, non voglio conoscerla.—Nel consegnarle questa sua ultima lettera,
le dirai che io le perdono tutto il male che ella fece a quello
sventurato..... le dirai che allʼultimo suo sospiro si frammischiò
col nome di sua madre quello di unʼaltra donna... certamente il
suo.—Le dirai infine che io pregherò Iddio affinchè risparmii a lei
lʼespiazione del male, che fece a noi.... non uno deʼ suoi dolori, non
una delle mie lacrime le cadano sulla coscienza, giacchè ne avrebbe un
eterno rimorso!

Ora vieni Paolo.... vieni a vedere la tomba di mio figlio; a mandargli
lʼultimo saluto, tu che lʼamavi tanto!....

Paolo si lasciò condurre macchinalmente, gli altri lo seguirono.

Giunti presso il cancello la madre di Ermanno si fermò ad un
tratto.—Ella osservò che dal collo di Laura pendeva una medaglietta
sfuggita di sotto al velo della giovine sposa che si era scomposto
nellʼabbracciare Letizia.—La povera madre ravvisò quella medaglietta,
e la verità le brillò dʼun lampo alla mente; ma fece forza a sè stessa
e tacque; però mentre gli altri erano già entrati nel recinto e Laura
si preparava a seguirli, ella la prese ruvidamente per il braccio
sclamando:

—No signorina..... voi non potete entrare; e la respinse con sdegno.

Laura cadde in ginocchio, si celò il volto fra le mani, e stette
immobile finchè gli altri ritornarono.—Ella aveva pregato!
.........................

ULTIMA LETTERA DI ERMANNO A LAURA.

«Permettimi o Laura che colla stessa famigliarità di altra volta, colla
stessa confidenza rivolga a te le mie parole; saranno le ultime, e per
dirti tutto quello che mi viene dal cuore, ho bisogno di richiamarmi
alla mente i giorni più felici del mio passato; per dirti lʼanimo mio
ho duopo di credere che tu sii sempre qual prima lʼangelo delle mie
speranze.

«Non aspettarti amare rampogne.—In questi momenti supremi, sento che
io non appartengo più alla terra; sono tranquillo, calmo e sorridente
come nei primi anni di giovinezza, allorchè il mondo mi appariva come
un giardino di fiori.

«Fra pochi giorni, io non sarò più! Sento che la mia vita volge al
suo termine, e quando tu leggerai queste pagine, il mio corpo poserà
sotterra.—Ascolta adunque o Laura le ultime parole, lʼultima preghiera
di un moribondo che negli ultimi istanti di sua esistenza ti manda un
tenero saluto.

«Al punto di separarmi da questo mondo, e dare lʼaddio estremo alle
cose sue, mi sento in obbligo di sciogliere la tua coscienza da
qualsiasi rimorso, e far sì, che tu possa liberamente rivolgere a me
i tuoi pensieri, senza che nessun ostacolo mi contenda quelle poche
reminiscenze che tu serberai del tuo Ermanno.

«Se lo rammenti, io fui sventurato profeta del mio avvenire: lʼamor tuo
era cosa troppo grande per me, perchè potesse a lungo appartenermi. La
felicità suprema, trae seco per legge di natura sui destini umani una
sequela di sacrifizii, e quel poʼ di bene che lʼuomo incontra in vita,
deve pagarlo a prezzo di dolore.—Il triste vaticinio si avverò, e dal
momento che le più ridevoli speranze presero possesso nel mio cuore,
venne a colpirmi il disinganno più amaro.

«Non a te Laura io volgo lamentanza; se alcuno si può cagionare
della mia disgrazia, è questi il destino di cui tu fosti innocente
esecutrice.—Non a te, povera fanciulla, tocca la taccia di avermi
aperta una tomba; io soccombo al male che già rapì di vita il padre
mio.—Può darsi che alcune circostanze mi abbiano tratto immaturamente
a sì dolorosa catastrofe, può darsi che alcuni avvenimenti abbiano
affrettato il termine della mia esistenza; ma di ciò non debbo
incolpare che me stesso.

«Dʼaltronde, credi tu Laura che tanto mi spaventi lʼidea di morire?...
Da lungo tempo mi sono rassegnato al duro passo, e mi ricordo che
sino dalla prima giovinezza presentiva che la mia vita sarebbe stata
breve.—Se è tale il mio destino, si compia; piego il capo ai voleri
supremi; ma prima di lasciare questa terra, prima che il mio cuore
abbia cessato di battere, voglio svelarti che se di qualche bene mi
sorrise la vita, ne debbo a te gran parte, che le più belle speranze,
le gioie più pure mi vennero da te.—Voglio dirti di quanto amore tu mi
empiesti lʼanima, e che nessuno più al mondo ti amerà quanto io ti ho
amata.

«Il tuo affetto per me fece nascere nel mio cuore delle grandi cose,
mi arrecò grandissimi conforti.—Or fa quasi unʼanno che noi ci siamo
incontrati per la prima volta, unʼanno trascorso come sogno, e che fu
tutto un sol sospiro.—Oh i bei giorni! me li vedo ancora apparire in
lontananza lieti e sorridenti, ne risento ancora il loro passaggio!

«Laura mi abbandonò, ed essi con ella.... Ora sono solo desolato,
stanco di tutto; ora non ho più nulla a desiderare, nulla a sperare....

«Vivere sarebbe per me di peso. Le memorie del passato non bastano
per sè sole a confortare il presente, qualora la speranza cessi di
sorridere: le reminiscenze dei dì felici aggravano vieppiù nella
sventura.

«Abituato alle tenebre, mi trascinava sul cammino della vita un passo
dietro lʼaltro; la via era forse più lunga, ma assai triste.—Volli
veder la luce; era cosa troppo grande per me, ne rimasi abbagliato.
Mi toccò la sorte della farfalla che corre anelante alla fiamma ove
sciagurata, si brucia lʼale.

«Ma io non ignorava quale dovesse essere lʼultima scena del dramma.—Ti
ricordi Laura della mia prima lettera?.... Profeta veridico io fui di
tutte le mie vicende; tu mi amavi collʼentusiasmo dellʼinesperienza, il
primo barlume di ragione cacciò dal tuo cuore ogni memoria di me, e mi
dimenticasti.

«Eppure, dopo tutto io mi serbava ancora una dolce speranza!—Oh!
perchè Laura mia invece di ricorrere ad un pretesto, non trovasti
il coraggio di confessarmi la verità? Perchè non dirmi che la prima
fase del tuo cuore era compiuta?.... Lʼamante avrebbe ceduto il posto
allʼamico, e ti giuro che mai uno più fedele ne avresti trovato.
Quanto rassegnato mi sarei se tu penetrata di pietà mi avessi stesa la
mano confortandomi colla tua amicizia a sopportare il peso di tanta
sciagura!—Tu sola avresti potuto operare questo miracolo.

«Ma nulla! Ecco ciò che mi amareggia; ti circondasti di una noncuranza
opprimente, simulando la più barbara indifferenza col povero Ermanno,
che pur tanto ti amava.—Fu una ben crudele prova quella che mi
toccò subire! Non ti dirò tutte le mie torture, nè quanto straziante
mi giungesse quella tua lettera scritta a Paolo.—Tentai una bassa
vendetta in quella sera della tua fidanza, ma tu mi avrai già
perdonato, perchè in quei terribili momenti io era fuor di senno.

«Ormai, lo ripeto, sono tranquillo; gli sconforti ed i disinganni della
vita, le noje ed i disagi della malattia, hanno paralizzata la mia
suscettibilità. Ormai ho rinunziato al più ridente sogno che mai mente
umana abbia vagheggiato.

—Sai tu qual era questo sogno?.... Ora appena oso confessartelo; ora
non temo più di offendere la tua verecondia svelandoti il secreto del
mio cuore, perchè la mia morte troncherà qualunque suggestione.

«Fissando lo sguardo nel passato, veggo ancor da lontano quella bella
speranza.... essa fugge, fugge nello spazio, e fra poco sparirà aʼ
miei sguardi;—Oh! di quanti secreti palpiti non ho io alimentato
questo caro sogno! Al di là di tutte le gioie umane, io ne pregustava
una sola, grande, immensa;.... quella di divenire un giorno tuo
sposo.—Vedi che bella follia! eppure lʼho cullata nel mio cuore per
molto tempo questa dolce lusinga, ho vissuto per essa.

«Tuo sposo! Ma havvi parola che riassuma maggiori felicità.... havvi
idea più dolce, speranza più bella?—Oh! di quante cure saresti
lʼoggetto se tu fossi mia: vorrei circondarti deʼ miei sospiri,
avvolgerti nelle mie carezze; vorrei seminare una via di fiori sul tuo
cammino, dividere le tue gioie, confortare i tuoi affanni, asciugare le
tue lagrime.—Tu saresti felice, perchè io tanto farei, tanto ti amerei
che non troveresti una spina sotto aʼ tuoi passi, anche a costo di
piantarmele tutte in cuore.

«Vorrei chiudere colle mie dita i tuoi beglʼocchi al riposo, e
riaprirli sul mattino coʼ miei baci; vorrei sempre guardarti, bearmi
neʼ tuoi sguardi; sempre vivere dellʼamor tuo!.... Ma ciò non può
essere, è destino che la vita scorra fra unʼalternarsi di speranze e
dʼaffanni.—Noi saremmo troppo felici, sempre felici, e la felicità
duratura non è per i mortali; lʼuomo si santifica sulla via del dolore;
è quella la sua missione.... la sua scienza.

«Perchè non sei tu nata povera come me? perchè la sorte ti pose a tanta
altezza sicchè io non possa mirarti senza arrossirne?.... Tu saresti
stata la compagna di mia giovinezza, mia madre, la povera mia madre
avrebbe benedetta in te una figlia.—Soli, lontani dal mondo, racchiusi
nel nostro nido, avremmo trovata una felicità rara in terra.

«Sarebbe stato allora il mio compito di provvedere alla tua esistenza;
avrei lavorato sino allʼincredibile per procurarti tutti i comodi di
una vita agiata.—Oh Laura, lʼamore fa dei prodigi, ed io sento che con
te sarei diventato grande. Qual dolce sogno, mio Dio! Perchè mai la
mente può concepire una felicità che non può realizzarsi?

«Io ti avrei celata allo sguardo di tutti per conservarti mia, tutta
mia per sempre.—Con un angelo come te al fianco, avrei sfidate tutte
le avversità della sorte;.... ma che dico, poteva mai il soffio della
sventura alitare sui nostri cuori uniti? Poteva colpirci affanno tanto
grave da farci per unʼistante dimenticare la nostra felicità?

«Laura, tu potrai cercare per tutto il mondo, ma non troverai un
paradiso quale io lʼho sognato per te! Nè la turbolenza delle feste,
ne il fasto, il lusso ed il sussidio delle ricchezze, potranno mai
avvicinare quellʼaureola di tutta gioia che avrebbe coronata la nostra
unione.

«Vivere per te, amarti dellʼamore degli angeli; ecco quale sarebbe
stata la mia meta! e nelle recondite dolcezze del nostro santuario
abbellito dal sorriso ineffabile dʼun amore senza fine, noi avremmo
provato che il cuore è il più ricco dei tesori, e che solo per esso si
possono dimenticare le angustie dellʼesistenza!....

.........................

«Ecco il secreto che ora oso confidarti perchè sono sullʼorlo della
tomba; ecco il sogno che allegrò di qualche dolcezza la mia povera
vita.—Dimmi tu Laura se si poteva più oltre spingere lʼillusione;
dimmi tu se non sono un povero pazzo!

«Ciò che è strano si è che ti scrivo colla dolce persuasione di
avere una risposta: davvero che sarei molto ansioso di sapere quel
che penserai dopo la lettura di queste pagine; e sono certo che tu
mi perdoneresti di aver sollevato il velo di una speranza che sinora
nascosi tanto gelosamente.... Ma io sarò morto allora, e la tua lettera
giungerebbe troppo tardi!

«In queste ore supreme, mi attraversano la mente tutti gli episodj
della vita; gli anni passati si schierano nella mia memoria... oh la
triste corona! Ognuno dʼessi porta lʼimpronta di illusioni svanite,
di speranze deluse. I primi appariscono come pallide larve, e già si
confondono nelle tenebre dellʼoblio.—Lʼultimo appena si presenta
adorno di qualche conforto... Fu una lunga illusione, una lunga
speranza, morta essa pure miseramente come tutte le altre!....

«Vivi felice, o Laura; è questo il voto più ardente dellʼanima mia:
possa tu ritrovare nella pace domestica, nellʼamore del tuo sposo
quelle gioie che io ho cercato invano.—Vivi felice, e questʼaugurio
si mescerà allʼultimo mio sospiro.

«Io non vedrò più i tuoi beglʼocchi, non udrò più il suono della
tua voce penetrante, non stringerò più la tua bella mano, ma tu ti
ricorderai spesso di me, perchè lascio nel tuo cuore un tesoro di
memorie.... fra qualche anno, allorchè lʼaffetto di madre vincerà
quello di sposa, volgendo il pensiero al povero Ermanno, ti sentirai
commossa.... rammentati allora per tua pace che io abbandono la terra
perdonandoti.

«Unʼaltra preghiera.—Se mai ti accadesse di recarti in Brescia, vieni
Laura, vieni fra questi colli a visitare la mia ultima dimora.... vieni
a deporre un fiore sulla croce che segnerà il mio nome.—

«Ah! pur troppo non sarà incolta quella tomba! È riserbato alla mia
povera madre lo straziante compito di vegliare al tumulo... mia madre,
che mentre ti scrivo mi guarda cogli occhi lagrimosi. Essa mi legge
sul volto lʼamara sentenza del mio destino; mi vede lentamente morire,
senza che le sue lacrime, le sue preghiere ritardino dʼun istante il
colpo fatale che la spingerà al sepolcro.

«Povera madre! Tanti anni di cure consumati a crescere un figlio che
presto spirerà fra le sue braccia, lasciandola col triste retaggio di
un dolore senza fine.—Io lʼabbandono sola per tutto il resto di sua
vita nella più straziante desolazione.... Ove volgerà i suoi passi
per cercarmi questa misera creatura, allorchè sarò morto?.... Chi
asciugherà le sue lagrime; chi le chiuderà gli occhi allʼeterno riposo!

«Oh! faccia il cielo che ella trovi la forza per reggere a tanta
sventura.—Povera madre!—

«Bisogna credere in fin di vita, bisogna credere nella Provvidenza
divina; ed io spero che il martirio di questa donna avrà il suo
premio.—Rassegnazione e confidenza nei decreti supremi!.......... Ora
Laura, mio angelo..... addio!—Se una lacrima ti venisse sul ciglio
a questo estremo saluto, pensa che io pure piango.... Ah! mi saranno
care le tue lacrime.... piangi, piangi sulla sventura di colui che pur
morendo sente di amarti ancora immensamente!

ERMANNO.»



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